Fino alla fine

di coldcatepf98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Un improbabile aiuto ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 - La spia ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 - Muoversi nell'ombra ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 - Di chi ti fidi ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 - K. A. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 - Il passato ti trova sempre ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 - Raccogli Sempre il Pugnale ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 - Cicatrici ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 - Redenzione (Fine prima parte) ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 - Non di nuovo lì ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 - Discesa negli inferi ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 - Un pezzetto di me ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 - Un buon lavoro di squadra ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 - Cimeli di famiglia ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 - Messaggi in codice ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 - Qualcuno pronto ad esplodere ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 - Amori e dissapori ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 - Tutti i tuoi segreti ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 - Mi rivelerai in una notte d'estate ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 - Obbedire o essere leali ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 - Doppio gioco ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 - La mia vendetta ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 - Diventa il mio amuleto ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 - Imprevedibile ottimista ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 - Promesse ad un demone ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 - Amara verità (Fine seconda parte) ***
Capitolo 27: *** Capitolo 0 - La supremazia dei più deboli ***
Capitolo 28: *** Capitolo 26 - Leggere nel pensiero ***
Capitolo 29: *** Capitolo 27 - Tutti proteggiamo qualcuno ***
Capitolo 30: *** Capitolo 28 - Estranei a questo mondo ***
Capitolo 31: *** Capitolo 29 - Preludio al caos ***
Capitolo 32: *** Capitolo 30 - Un patto è un patto ***
Capitolo 33: *** Capitolo 31 - Atto primo: veleno ***
Capitolo 34: *** Capitolo 32 - Atto secondo: dentro le fiamme ***
Capitolo 35: *** Capitolo 33 - Cala il sipario ***
Capitolo 36: *** Capitolo 34 - Tirare le somme ***
Capitolo 37: *** Capitolo 35 - Vita, morte e... Miracoli ***
Capitolo 38: *** Capitolo 36 - Giocare a carte scoperte ***
Capitolo 39: *** Capitolo 37 - Una brava persona ***
Capitolo 40: *** Capitolo 38 - Il tramonto e l'alba ***



Capitolo 1
*** Prologo - Un improbabile aiuto ***


Disclaimer: questa storia all'inizio è nata come un semplice svago, un'idea che morivo dalla voglia di sviluppare non appena finita la terza stagione. ho iniziato a scriverla quindi con molta leggerezza, sinceramente non volevo impegnarmi troppo per scrivere una "semplice" fanfiction. ma come tutte le cose che inizio a fare e a cui mi appassiono, è diventata più di un passatempo. sono entrata in sintonia coi personaggi, soprattutto con Siri e pian piano ho sviluppato il desiderio di farvela conoscere meglio, darle una storia, un carattere e delle ragioni profonde. 
la prima parte della storia è diventata quella di cui vado meno fiera (e di cui non lo sono tutt'ora), perché volevo fare qualcosa che non m'impegnasse troppo tempo, che potesse svagare me e voi risicando la superficie. ma alla fine è una cosa che non sono riuscita a sopportare e ho deciso, dalla seconda parte della storia fino alla fine, di impegnarmi per davvero, dare tutta me stessa e iniziare a scrivere "sul serio". mi sono allenata e ho iniziato a scrivere con più passione, la seconda parte è, per certo, lo stile in cui mi rispecchio di più, qualcosa a cui guardo con fierezza e mi fa pensare "sì, adesso ci siamo". so che questi primi capitoli possono apparirvi davvero infantili, a posteriori posso dirvi candidamente che avrei saputo gestirli meglio, ma ho deciso di non riscriverli di sana pianta perché, infondo, mi ricordano quanto (seppure non di molto) sono migliorata.
buona lettura!

il testo in corsivo non nel dialogo è da intendersi come pensieri dei personaggi, quello nei dialoghi sono invece frasi sussurrate o, se solo parole, parole che demarcano una differenza di intonazione. non è obbligatorio leggere questo primo capitolo, è molto introduttivo per far capire il contesto, il primo capitolo vero e proprio è quello dopo in cui viene presentato il nuovo personaggio e Levi.
buona lettura!
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Parte prima
 

Prologo

Nei giochi c’è chi vince e chi perde, ma nella vita, Erwin ci stava pensando mentre Levi chiudeva la porta dietro di sé uscendo, non esistono né vincitori né vinti, soltanto chi riesce a rimanere in piedi quel tanto che basta per riuscire ad andare avanti, e chi, invece, cade, ma senza portare sulle spalle il peso della sconfitta, solo la consapevolezza ancor più evidente della crudeltà della vita. 
Ormai lui aveva capito di non avere molto tempo a disposizione per scoprire quanto più poteva prima di essere bloccato dalla gendarmeria centrale, come in una delle sue partite di scacchi doveva ponderare bene le sue mosse e sperava che anche quella che stava per fare adesso facilitasse la strada che l’avrebbe portato a smascherare quel circolo di bugie che la corona aveva creato. Si diresse da Pyxis, il quale, si trovava in città quasi per caso. Per quanto i due divergessero su alcuni argomenti, col tempo avevano imparato a fidarsi l’uno dell’altro e, ora più che mai, Erwin aveva bisogno, non solo che qualcuno lo aiutasse, seppur in minima parte, ma anche che gli schiarisse le idee. Pyxis dopotutto era colui che aveva impedito che Eren venisse eliminato dopo la sua trasformazione, e che se avesse dovuto scegliere tra il proseguimento del lavoro del corpo di ricerca e il perpetrare dei privilegi dei nobili, non c’era alcun dubbio su cosa avrebbe preferito.
- È permesso?
Quando Pyxis gli permise di entrare, Erwin chiese al soldato che lo accompagnava di aspettare all’esterno della stanza e di controllare chi salisse al loro piano.
- Qualora dovesse essere qualcuno della gendarmeria, per favore, senza farti notare, vieni ad interromperci.
- Certo capitano.
Erwin entrò e chiuse la porta dietro di sé: Pyxis era in piedi vicino ad un tavolo su cui aveva sistemato un calice da vino, lo guardò gli fece cenno di accomodarsi sulla sedia di fronte a sé, dopodiché abbassò lo sguardo sul vino, prese la bottiglia ed iniziò a versarne il contenuto nel calice più vicino a sé.
- Ne gradisci un bicchiere Erwin? – gli chiese, dopo un sonoro sbadiglio.
- No grazie Pyxis, sai che non bevo. – disse Erwin sedendosi.
Pyxis rise piano mentre riempiva il suo bicchiere più del dovuto: - Ogni tanto un bicchiere fa bene, non essere così severo con te stesso Erwin, inoltre così potresti farmi supporre che tu sia venuto per derubarmi o, peggio, spiarmi.
- Nulla di tutto ciò. Avevo solo bisogno di parlarti urgentemente.
Solo. Beh, questo lo immaginavo. Piombi nei miei alloggi a quest’ora di sera e neanche bevi il vino che ti offro. – Pyxis si sedette pesantemente, avvicinandosi il calice al naso. Quasi riusciva ad assaporare il suo contenuto esclusivamente dal suo inebriante profumo.
- Avanti, perché sei qui.
Erwin abbassò lo sguardo e si preparò a rivelargli i suoi sospetti, non sapeva se ne valesse la pena o meno, tuttavia non aveva altra scelta. Il dubbio che chi aveva di fronte potesse essere in combutta con la gendarmeria lo sfiorò per un momento, ma era un rischio che doveva correre. Strinse il pugno e alzò lo sguardo su Pyxis: - Ho seri motivi di credere che la gendarmeria centrale stia complottando contro il corpo di ricerca.
Pyxis smise di bere e rimase interdetto: - E cosa te lo fa pensare esattamente?
Erwin lo guardò in silenzio prima di rispondergli e pensò: O è un bravo attore o è davvero sorpreso, in questo caso non sopporterà un affronto del genere perché in futuro potrebbe accadere anche al suo di corpo.
- Christa Lenz, la mia cadetta, si è rivelata essere Historia Reiss, la figlia illegittima del Lord Reiss. Dal suo racconto relativo alla propria infanzia siamo riusciti a capire che Lord Reiss, nonostante sia un semplice nobile, è a conoscenza del segreto delle mura. Ciò che non riusciamo a capire è come mai l’abbia tenuto nascosto. Inoltre la gendarmeria centrale, assieme al culto delle mura, è fortemente coinvolta in questa faccenda perché, sempre secondo il racconto di Historia, sono stati proprio loro ad insabbiare l’incresciosa parentesi della famiglia Reiss, oltre ciò che riguarda le mura.
- E in che modo? – Pyxis posando sul tavolo il calice mezzo vuoto, sembrava genuinamente interessato da quanto Erwin gli stava raccontando.
- Hanno ucciso la madre di Historia e falsificato i documenti di quest’ultima. Ma sono sicuro che c’è ben altro di più importante che vogliono tenere nascosto.
Pyxis sgranò gli occhi, poi però scosse la testa, riafferrò il suo bicchiere lo portò alla bocca e disse: - Non è la prima volta però che facciamo una cosa del genere, sai bene che io per primo ho fatto qualche… beh… “giochetto” con la legge per insabbiare a fin di bene. Anche tu col capitano Levi dopotutto…
- Sì, esatto, a fin di bene. Entrambi abbiamo eluso i documenti ufficiali con la complicità del governo per poter portare nei nostri ranghi soggetti, sì… discutibili, ma… con grandi capacità.
Pyxis non capiva se stesse facendo riferimento a un suo soldato in particolare o ad uno dei tanti dei suoi la cui identità e passato fossero stati cancellati e rimpiazzati. Continuava a fissarlo torvo mentre finiva ciò che rimaneva nel calice. Abbassò lo sguardo e sospirò, facendo poi schioccare la lingua sul palato per assaporare il buon vino. La luce della lanterna ad olio illuminava fiocamente la stanza poco arredata, attraversando la bottiglia di vino, si proiettava sulla parete accanto ai due comandanti, tingendola di un colore verdastro. Pyxis afferrò la bottiglia, versò ancora del vino nel suo bicchiere, fin troppo, si alzò e si diresse col calice nella mano alla finestra alle sue spalle: rimase a fissare la strada mentre disse: - Per ora queste sono tutte tue congetture: la gendarmeria che trama contro il tuo corpo, uccide quella donna e costringe quella ragazzina a non aprire la bocca. Inoltre, supponi che ci abbiano tenuto nascosti segreti ancor più preoccupanti. Non hai delle prove concrete, soltanto il racconto di questa Historia Reiss.
- È qui che ti sbagli. – Pyxis girò la testa accigliato a quelle parole – Ho ragione di credere che il culto delle mura sia coinvolto in questa faccenda e nasconda la verità che sto cercando, potrebbero confermare le mie supposizioni. Purtroppo non sono molto disposti a… ad aiutarci in questo senso.
- Il culto delle mura dici? – sorrise ironicamente mentre si voltava di nuovo verso la finestra, osservando il buio pesto in strada – Mz, faresti prima ad uccidere tutti i giganti di questo mondo prima di riuscire a sapere qualcosa da loro.
- Per l'appunto… – Erwin si fermò e abbassò lo sguardo. – Speravo potessi darmi una mano a fare luce su tutta questa faccenda. La gendarmeria mi sta col fiato sul collo per la custodia di Eren, e ad un certo punto credo che Hange dovrà continuare per me la ricerca di queste informazioni, oltre che condurre gli esperimenti di cui ti ho parlato per la chiusura della breccia nel Wall Maria…
Pyxis si voltò e guardò Erwin dritto negli occhi: - Io non posso aiutarti, lo sai questo Erwin. Se è davvero come dici, la gendarmeria, non appena capirà che collaboro con te, farà fuori anche me, in un modo o nell’altro
- Ma Pyxis, se tu – replicò Erwin, ma non fece in tempo a terminare la frase che l’altro lo interruppe: - Tuttavia…
Si voltò di lato, tirò un lungo sorso di vino, asciugò i baffi e disse: - Tuttavia… io ho chi potrebbe esserti utile in questo senso. – s’interruppe nuovamente e mentre contemplava il rosso profondo del vino che roteava nel calice, sperava che quanto gli stava per concedere non risultasse poi un mero spreco di una preziosissima risorsa.
- Si dà il caso che tempo fa, ormai quasi 5 o 6 anni fa, ho assoldato un soldato che definirei… “speciale”. Non è sicuramente uno che ti farebbe comodo nella lotta contro quei colossi là fuori, ma nel reperire informazioni è la migliore.
Erwin lo guardò interdetto: - È una spia?
- Non sai quanto ho custodito il mio geco gelosamente, è una scocciatura immensa per me prestartelo.
“Il mio geco”? Che razza di soprannome si è inventato… pensò Erwin perplesso.
Pyxis tirò l’ultimo sorso di vino ed espirò, come dopo una lunga sorsata d’acqua rinfrescante. Si risedette di fronte al suo ospite, visibilmente stupito dalla quantità esagerata di alcolico già ingerita dall’altro, e afferrò nuovamente la bottiglia.
- Erwin ti chiedo solo una cosa: cerca di non farla finire nelle mani sbagliate e, soprattutto, di non sbandierare in giro di avere una spia, una mia spia. – disse, nonostante la sua concentrazione fosse tutta rivolta alla bottiglia e a non farne rovesciare il contenuto su di sé o sul pavimento.
- Dove… dove posso incontrare questo “geco”? – chiese Erwin.
- Oh no, di questo non dovrai preoccuparti perché sarà lei a venire da te. Deve prima terminare uno degli… ehm… affari che le ho chiesto.
Erwin era ancora abbastanza interdetto: - Ma Pyxis… ci si può fidare di lei? Ho bisogno di qualcuno di estremamente affidabile, è una questione troppo importante.
Pyxis posò la bottiglia sul tavolo e alzò lo sguardo su Erwin: - Se in cinque anni non mi ha mai tradito significa che non ha altra scelta che obbedire. Col tempo, si è anche appassionata a questo… “lavoro”, e non credo solo perché non avrebbe altro, infatti è anche un ottimo medico. Inoltre, troverai che nutre il nostro stesso astio verso la classe nobiliare, devo dire che per questo, nutro una certa simpatia nei suoi confronti, il che è però strettamente personale, non sono assolutamente oggettivo per quanto riguarda questo aspetto.
Erwin rimase in silenzio mentre valutava l’offerta. Le prospettive erano allettanti, ma rischiose.
- Erwin è l’unica cosa che posso fare per te. Puoi accettare o rifiutare, ma non abbiamo tutta la notte, come vedi, ho quasi finito il vino, dopodiché per me sarà inutile parlare oltre.
- Va bene. Accetto. Non credo di avere un’alternativa migliore.
Pyxis tirò un sorso dal calice e disse: - No, ce l’hai. Ed è quella di rischiare e fare tutto da solo. Ma, come penso avrai valutato anche tu, non è proprio la più funzionale. In più, non appena lei avrà delle informazioni certe, potrà riferirle anche a me e a quel punto potrò elaborare un piano per appoggiarti.
Seguì un breve momento di silenzio in cui entrambi erano assorti nei loro pensieri: l’uno valutava quanto altro vino fosse rimasto, l’altro quanto questa “spia” si sarebbe effettivamente rivelata utile per smascherare la gendarmeria e far luce su tutto. 
Erwin interruppe quel momento di raccoglimento alzandosi dalla sedia e riponendola: - È ora che vada, la gendarmeria, come sai, mi tiene d’occhio. Aspetterò il geco nei miei alloggi domani sera.
- Sì, sì, certo… È bene che tu vada via ora, ho parecchio sonno al momento.
Erwin si diresse alla porta.
- Ah Erwin, un’ultima cosa. – Erwin si bloccò sull’uscio della porta col pomello in mano, si voltò e aspettò ciò che Pyxis aveva da dirgli. 
- Sì, comandante?
- Non chiamarla geco. – disse Pyxis serio. – Non lo sopporta.
- Ehm… va bene… Qual è il suo nome allora?
Pyxis tirò l’ultimo sorso di vino mentre si alzava da tavola. Assunse una posizione ed un’espressione solenne e posò il calice sulla superficie in ciliegio.
- Il suo nome è Siri.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 - La spia ***


Capitolo 1 - La spia

Sotto l’effetto del crepuscolo, il sole calato da poco lasciava che le ombre si allungassero lungo le strade, tinte dai colori dapprima del tramonto e che adesso invece viravano sul violetto segnando il momento del crepuscolo più vicino alla sera. Levi, prima di entrare nell’edificio in cui Erwin alloggiava, si accertò che nessuno lo stesse seguendo; quindi, mentre percorreva lo stretto e buio corridoio, illuminato dalla fioca luce di una singola finestra che incorniciava l’ormai avanzato crepuscolo, ripensò a tutte le cose successe nelle ultime ventiquattr’ore da riferirgli: non c’erano stati grandi sviluppi in realtà, Eren ancora non riusciva a trasformarsi ripetutamente senza problemi, Hange era una scheggia impazzita come al solito e i mocciosi non facevano altro che assillarlo chiedendogli quando sarebbe finito il loro periodo di vita agreste.
Gli sfuggì una smorfia seccata mentre pensava che anche lui in realtà non vedeva l’ora di mettere fine alla convivenza coi marmocchi. Sono troppo disordinati per i miei gusti.
- Sì? – rispose la voce ovattata di Erwin dall’altra parte della porta.
- Sono Levi.
Erwin aprì la porta, era vestito di tutto punto, come sempre: - Prego, accomodati Levi.
Se Erwin non lo conoscesse bene avrebbe pensato che Levi avesse un diavolo per capello, in realtà il capitano era il tipo a cui non bastava un solo motivo per essere di cattivo umore, ne servivano parecchi e, fortunatamente per la sua nuova squadra, non aveva ancora raggiunto il culmine.
Levi si sistemò sul divanetto accanto alla finestra, sia per vedere la situazione in strada, che anche per stare più comodo mentre aspettava il tè che Erwin aveva iniziato a preparare. Da quando si era ferito nella foresta degli alberi giganti aveva notato che sedere su sedute scomode o stare in piedi per tanto tempo gli causava abbastanza dolore per il momento, tuttavia, fortunatamente, tenendosi in esercizio aveva migliorato la condizione dell’articolazione danneggiata.
- Quale preferisci?
- Il solito andrà benissimo. – rispose Levi piatto.
- Non hai paura di non prendere sonno poi?
- Erwin non c’è bisogno che risponda a questa tua domanda, visto che conosci già la risposta. – in effetti Levi non dormiva più con orari regolari da molto tempo. Non che facesse nulla per porre rimedio, ma quello di cui era convinto era che soltanto nel momento in cui si fosse risolta la questione dei giganti avrebbe iniziato di nuovo a dormire con regolarità.
- Ti ringrazio comunque per la premura. – continuò, sarcastico.
Erwin versò l’acqua bollente in due tazze e mise in infusione il tè in una tazza, nell’altra delle altre erbe, probabilmente ad effetto rilassante per sè. Prese la tazza col te e la offrì Levi che la afferrò dall’orlo. 
- Novità dalla tua squadra? – disse Erwin sistemandosi su di una sedia di fronte a lui.
Levi alzò lo sguardo inespressivo su Erwin: - Tsk, chiaramente non è cambiato molto da quello che ti avevo già riferito ieri, Hange non fa altro che spingere Eren al limite, sembra strano dirlo, ma sono io a chiederle di darsi un contegno coi suoi esperimenti.
- Capisco… Tipico di Hange, è un bene che ci sia qualcuno a metterle un freno ogni tanto.
Erwin tirò un sorso dalla tazza e disse: - Ieri ho avuto un colloquio con il comandante Pyxis.
- Ha accettato la tua proposta?
- Purtroppo no. Come avevamo previsto, non ha voluto rischiare, ha preferito farsi avanti solo nel momento in cui scopriremo qualcosa di concreto.
Levi non sembrava sorpreso, bevve un sorso di tè al gusto del “te l’avevo detto”.
- Tipico di Pyxis. Ti avevo detto di non farci troppo affidamento, al momento chiedergli di schierarsi è totalmente inutile.
- In realtà… - esordì Erwin alzandosi dalla sedia e spostandosi davanti alla finestra: contemplava la strada ormai buia, gli ultimi bambini stavano facendo rientro, alcuni piccoli commercianti si dirigevano a casa mentre altri, assieme ad alcuni soldati, nelle locande, che offrivano piccoli e caldi spicchi di luce nei vicoli tinti dei colori scuri della sera. Levi lo seguì con lo sguardo interessato, corrugò le sopracciglia perché difficilmente si poteva aspettare un esito diverso da quello che aveva proposto.
- … Il comandante Pyxis si è offerto di aiutarci. Certo, indirettamente, ma ha riposto fiducia in noi.
- In che modo?
Erwin si voltò verso di lui: - Ci concede uno dei suoi soldati, in prestito s’intende.
Levi non riuscì a trattenere un ghigno, spostò lo sguardo alla tazza dicendo: - Quale utilità potrà mai avere uno dei suoi soldati ubriaconi? Non hanno mai visto un gigante in vita loro, se non quelli del distretto di Shiganshina e Trost, in più, non sono nemmeno i migliori in fatto di semplice combattimento.
- Non un soldato come gli altri. Una spia.
- Una spia? – Levi gli rivolse lo sguardo sorpreso: immaginava ci fossero delle spie al servizio della corona e dei comandanti stessi, ma Pyxis non gli dava l’idea di avere molti nemici contro cui tramare.
Evidentemente ci sono macchinazioni nelle mura che io e il corpo di ricerca ci siamo risparmiati. Beh, fino ad ora.
- Se ci pensi, nel nostro corpo non è mai servito un soldato con queste mansioni, abbiamo sempre combattuto un nemico contro cui per vincere bastava prevalesse la forza e un minimo d’ingegno, ora ci ritroviamo ad affrontare qualcosa di più subdolo e simile a noi.
Levi cominciava ad essere curioso di vedere il volto di questa spia, ammesso che avrebbe lavorato con la sua squadra: gli sarebbe piaciuto fare mente locale, una volta vista, e cercare di capire se anche il corpo di ricerca fosse stato spiato da Pyxis. Nonostante non credeva fosse possibile, visto che gli interessi del corpo di guarnigione e quelli del corpo di ricerca non si erano mai scontrati, aveva ragione di credere che quello ad essere spiato potesse essere stato proprio lui, considerate le persone con cui aveva relazionato in passato.
La porta si aprì piano. Levi, sorpreso dal movimento improvviso, si alzò di scatto pronto ad agire, mentre Erwin si girò sempre mantenendo le spalle larghe con la sua solita compostezza.
Com’è possibile che non abbia sentito arrivare nessuno?!, Levi era meravigliato, di solito riusciva a sentire i passi e, a volte, anche a distinguerli, capendo di che persona si trattasse (qual ora la conoscesse).
Entrò una figura vestita di viola scuro, quasi nero, aveva pantaloni aderenti e stivali che le arrivavano a metà polpaccio, in cui era stato fatto spazio a delle fodere sottilissime di pugnali, due per gamba; le cosce avevano delle cinghie come quelle della divisa dei soldati ma non sembravano sostenere alcun dispositivo per lo spostamento tridimensionale. Al suo posto, sulla vita, si trovavano due fodere agganciate, da un lato una lunga e cilindrica, dall’altro una più simile ad una piccola sacca, parzialmente coperta dal lembo di un tessuto scuro che le avvolgeva il bacino. Questo tessuto doveva appartenere ad una delle maglie aderenti stratificate sul busto magro e semicoperto dal mantello col cappuccio che copriva la testa dell’ospite. Ciò che Levi poté distinguere erano soltanto i grandi occhi nocciola che spuntavano dalla fessura creatasi dal cappuccio e dalla maschera in tessuto che portava fin sopra il naso.
- Oh, benvenuta. Stavamo per l’appunto parlando di te.
Erwin non sembrava sorpreso. Evidentemente sapeva sarebbe venuta, non è assolutamente possibile che l’abbia sentita arrivare.
La spia entrò e, altrettanto silenziosamente, chiuse la porta alle sue spalle, si sentì appena il click del meccanismo di chiusura della porta.
- Capitano Levi, ti presento Siri, la spia del comandante Pyxis.
La ragazza si tolse il cappuccio, rivelando una lunga treccia di capelli marroni, abbassò anche il tessuto che le copriva il volto, mettendo in mostra le sue mani, fino ad ora rimaste nascoste dal mantello, che erano avvolte in una stretta fasciatura viola scuro, ad eccezione delle dita, tenute scoperte.
- Comandante Erwin, al suo servizio. – disse Siri, che, però, non fece il saluto militare.
Dopodiché spostò il suo sguardo su Levi, ancora in piedi e con la tazza tra le dita: Siri abbassò lo sguardo sul pavimento dove notò una piccola pozza di tè accanto ai piedi di Levi, che si era evidentemente rovesciato dallo scatto, la fissò per pochi secondi quasi a volerlo far presente, dopodiché guardò Levi negli occhi che, nonostante fosse stato preso alla sprovvista dall’entrata della ragazza, aveva comunque mantenuto la sua espressione annoiata.
- Capitano Levi. In realtà conoscevo già il suo nome ma, dopotutto, è difficile che io non conosca il nome di qualcuno, o… beh… tutto ciò che lo riguardi.
- Ti dai troppe arie, spiona – disse Levi freddo.
Siri accennò ad un sorriso, rivolse il suo sguardo ad Erwin: - Comandante Erwin. È un vero piacere conoscerla, lo sarà altrettanto aiutarla come posso
- Ti ringrazio Siri, ma, non sarò io quello che dovrai aiutare, direttamente – Erwin guardò Levi che comprese subito dove voleva andare a parare.
- Bene, quindi ora oltre che fare da balia ai marmocchi, mi tocca anche guardarmi le spalle da una spia, che, tra l’altro, non saluta nemmeno i suoi superiori come si deve.
- Levi… - Erwin si sedette su di una sedia accanto ad un piccolo tavolino vicino la finestra: - Siri non deve starti simpatica. Voglio che sia ben chiaro che è qui per aiutarci a reperire informazioni in situazioni in cui noi non possiamo.
Si prese un momento prima di continuare: - La nostra priorità è capire quali siano le intenzioni della famiglia Reiss e come la gendarmeria sia coinvolta in tutto questo.
La ragazza annuì in silenzio alle parole del comandante, poi a sguardo basso disse: - Mi scusi comandante, ma prima di fare alcune domande fondamentali per il mio lavoro voglio rendere ben chiara una cosa al capitano Levi.
Levi la fulminò con lo sguardo, allo stesso tempo era curioso di sentire i suoi vaneggiamenti. Siri si voltò verso di lui: il sorrisetto di prima non c’era più, il suo viso aveva assunto un’espressione serissima, anche lo sguardo sembrava essersi fatto quasi minaccioso: - Io non sono un soldato. Perlomeno, non sono un soldato come gli altri. Capitano Levi, vedi forse qualche stemma sulla mia divisa? O una divisa, tanto per cominciare? No. Tuttavia il mio nome è ben scritto nel registro dei soldati, ma nei fatti… Risulto un fantasma, un mercenario a servizio della corona. – a questo punto si fermò, probabilmente pregustando le parole che avrebbe pronunciato di lì a poco: - Non ho il privilegio di fare il saluto militare, però, se vuole… – alzò il sopracciglio assieme ad un angolo della bocca e disse, con tono di voce mellifluo: - Posso farlo solo per lei.
Levi non seppe come reagire, sgranò gli occhi e guardò Erwin in cerca di aiuto: - Erwin, credo che il vecchio ubriacone ti ha infinocchiato proprio per bene questa volta. – mai nessuno in vita sua aveva osato rivolgersi a lui così, e se l’aveva fatto, non era finita bene.
Siri lo fissò intensamente, lo stava sondando e il capitano, ignaro, le stava offrendo materiale col quale lei avrebbe tracciato nella sua mente un quadro perfetto della sua personalità per saperlo colpire, al momento giusto, nei punti giusti.
- Come ti ha detto, lei non è un soldato. Beh, ufficialmente. Per cui non aspettarti il rigore militare, considerala “al di sopra delle parti”, tuttavia, Siri, sei tenuta comunque ad obbedire agli ordini.
Levi chiuse gli occhi per un secondo e bevve un sorso di tè per calmarsi, era ormai diventato tiepido.
Adesso anche questo.
- Certo comandante Erwin. Mi sembra di capire che il comandante Pyxis le abbia già spiegato quali sono i termini. 
- Sì, infatti. Stamattina, dopo essersi ripreso da… una lunga dormita, ci ha tenuto a farmi recapitare un messaggio in cui mi spiegava brevemente la tua posizione nel corpo di guarnigione.
Siri annuì con la testa: - Bene, direi che allora possiamo iniziare. Dovreste illustrarmi la situazione, anche se in realtà a grandi linee l’ho ben chiara. – fece un passo in avanti, Levi non le toglieva gli occhi di dosso, sembravano volerla fulminare, lei fece finta di non vedere e quando Erwin le fece cenno di accomodarsi sulla sedia di fronte a lui, Siri si limitò a rivolgergli un breve sguardo, prima di riportarlo concentrata su Erwin e sedersi.
- Mi servirebbe sapere in particolare quali sono i soggetti, per il resto penso a tutto io. 
Levi si sedette sul divanetto, mise una gamba sull’altra e poggiò la tazza sul ginocchio. Ancora non riesco a credere di non averla sentita arrivare, questa sbruffona mi ha sorpreso. Il suo sguardo si posò sulla pozza di tè sul pavimento, non si trattenne e l’asciugò con un fazzoletto che teneva in tasca. D’un tratto, come un flash gli attraversò la mente e si ricordò di aver già visto Siri prima di allora: una ragazza che si allenava in disparte… una lancia roteare… la divisa totalmente nera…
Erwin raccontò a Siri ciò che avevano scoperto su Historia e come la gendarmeria avesse aiutato la famiglia Reiss ad insabbiare tutto uccidendo la madre e falsificando i documenti di Historia, oltre che del reverendo che tenevano come ostaggio in un’abitazione sicura.
- Abbiamo ragione di credere che il culto delle mura sia più che mai coinvolto nella faccenda.
Siri sentì il racconto con attenzione, gli occhi ridotti a due fessure: - Sinceramente non mi sorprende, non avete bisogno di sapere da me quante volte i nobili per nascondere i loro peccati, hanno lasciato lo scotto da pagare a chi aveva meno potere di loro. È da anni che voglio fare luce su una cosa che ho sentito tanto tempo fa, sento che la mia e la vostra questione siano collegate. – incrociò le braccia prima di continuare: - Per farla breve, credo che in tutto ciò non sia coinvolta unicamente la famiglia Reiss, ma anche tutta la classe nobiliare. Oltre che, chiaramente, il corpo di gendarmeria.
Erwin e Levi la guardavano con attenzione.
- Il culto del credo è molto chiuso, come avete potuto constatare dalla cieca fedeltà del reverendo Nick. Purtroppo, non sono mai riuscita a reperire molte informazioni né dal culto né dalla corona, sono impenetrabili e non ho mai goduto di una buona quantità di risorse per un’operazione più elaborata… D’altronde le mie “missioni” sono sempre state altre…
Levi si riscosse: - Aspetta un momento, come fai a sapere il nome del nostro ostaggio?
Siri si voltò verso di lui: - So il suo nome e anche dove lo tenete nascosto.
Erwin e Levi ebbero un sussulto, non fecero in tempo a replicare che Siri a voce un po’ più alta li interruppe sul nascere: - Che lo sappia io è abbastanza normale, quindi calmatevi. Ho notato alcuni vostri spostamenti e strani documenti criptati, quindi ho collegato le cose. Non siete stati abbastanza prudenti e la gendarmeria verrà a conoscenza di questa informazione molto presto.
- Forse allora dovremmo spostarlo di lì, Levi…
- No. – lo interruppe Siri: - assolutamente no. Sono abbastanza sicura che spostarlo adesso causerebbe un po’ di movimento, risulterebbe sospetto e non solo avrete un ostaggio morto, ma dei soldati del corpo di ricerca in prigione per aver rapito qualcuno. Inoltre, se vogliono screditare il corpo di ricerca, sarà automatica un’accusa contro di esso, in particolare col responsabile dei suoi soldati, ossia…
Levi completò la frase per lei: - Ossia Erwin.
Siri annuì.
- Non potete rischiare che Erwin venga arrestato troppo presto, perché succederà. Dobbiamo solo ritardare il processo. 
È una sbruffona però non è completamente stupida, pensò Levi. Evidentemente era la professionista che Pyxis aveva ripromesso loro.
- Va bene. Credo che allora sia tutto. – concluse Erwin, guardando prima Levi e poi Siri.
Siri annuì: - Non appena avrò delle informazioni verrò a riferirvele, o… - Siri guardò con aria interrogativa prima Erwin e poi Levi, Erwin comprese e disse: - Per ora potrai venire da me, sarà più rischioso, ma sei l’unica a cui posso affidare informazioni da passare alla squadra di Levi e Hange senza che qualcuno sospetti di te
- Ma qualcuno potrebbe vederla e seguirla lo stesso. – fece notare Levi.
- Capitano Levi, puoi credermi sulla parola quando dico – Siri spostò lo sguardo su di lui, che, nonostante lo sostenesse bene, ne sentì il peso – quando dico che in pochi riuscirebbero a pedinarmi. Ancora più improbabile sarebbe che non me ne accorgessi.
Dopo un silenzio carico di tensione, Siri sospirò e si alzò dalla sedia.
- Credo sia tutto. Ora ho un gran bel lavoro da fare. Se non le dispiace, comandante, terrei d’occhio anche il reverendo Nick.
- Sì, sono d’accordo. Ci aggiorneremo domani. Conosce già la posizione in cui alloggia la squadra del capitano Levi?
Siri guardò con aria severa Erwin e disse: - Mi dispiace ripetermi, ma, sì, so dove si trovano. Per ora non hanno nulla da temere, l’obiettivo è principalmente lei comandante ma…
Siri guardò Levi, che la guardò dubbioso, poi spostò nuovamente lo sguardo su Erwin: - Se arresteranno lei, il capitano Levi sarà il prossimo. È un elemento troppo pericoloso per lasciarlo in libertà, considerando anche che gli è stato affidato Eren.
- Comprendo perfettamente. Non siamo abituati a questo tipo di… macchinazioni.
Siri si diresse alla porta, sventolando la mano: - Oh non preoccupatevi, presto sarà come se l’aveste sempre fatte.
Si mise il cappuccio sulla testa e aprì la porta: - A presto. – dopodiché alzò la maschera in tessuto sul volto e uscì furtivamente.
Quando Levi scese in strada era ormai passata l’ora di cena e, anche se non tradiva alcunché, nella sua testa vorticavano tanti pensieri, primo fra tutti quello di dover tornare dalla sua squadra, che sicuramente non aveva fatto alcuno sforzo per tenere la casa pulita, poi non riusciva bene ad elaborare tutte quelle novità. La spia, Siri, era davvero affidabile? Lui conosceva bene gli assassini come lei e la loro fedeltà andava a chi offriva loro più denaro per comprarsela. 
A meno che Pyxis non le abbia offerto qualcosa che il denaro non può comprare. Questa era una possibilità, comunque stessero le cose avevano bisogno di un aiuto, con l’ultima spedizione avevano perso parecchi dei loro veterani e, per quanto i cadetti si fossero rivelati abbastanza in gamba, non avevano alcuna esperienza nel combattimento contro gli esseri umani.
Levi si fermò davanti il suo cavallo, rivolse la testa al cielo e osservò la luna: non aveva tante responsabilità come il comandante Erwin ma… a volte si sentiva sopraffatto dalle prove che doveva affrontare, e il pensiero che la spia di Pyxis sapesse tutto su di loro lo rendeva un po’ nervoso. Chiuse gli occhi e assaporò con un profondo respiro l’aria di sera. Si lasciò un attimo trasportare dal vociare e dalle risate delle persone nelle locande, poi la lieve brezza serale lo ridestò. Come era arrivato fin lì, sarebbe andato avanti.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 - Muoversi nell'ombra ***


Capitolo 2 – Muoversi nell’ombra

 
Anno 844.
Arrivammo al campo di buon mattino. Non c’era un bel tempo in realtà, il cielo era nuvoloso e il sole andava e veniva. Lo ricordo perché era la prima volta che io ed Erwin facevamo visita ai nuovi cadetti al campo di addestramento e nel pomeriggio piovve, quindi, ci intrattenemmo lì più del dovuto. Ero entrato da pochi mesi nel corpo di ricerca, non riuscivo ancora bene a capire il senso di quella visita che poi, anche dopo che Keith Shadis cedette ad Erwin il suo posto, divenne fissa ogni anno.
- Noti qualcuno in particolare?
- No, capitano. – risposi: - Penso sia solo una grande perdita di tempo. 
Erwin mi guardò con aria severa. Dovevo ancora abituarmi a questa nuova condizione della mia vita, inoltre non capivo come mai dovesse essere Erwin a fare visita ai cadetti e non Shadis, dopotutto era lui il comandante.
Da cavallo riuscivamo ad avere una visione completa dei cadetti, tutti riuniti all’esterno per l’esercitazione: alcuni ci guardavano con ammirazione, altri ci avevano guardato soltanto di striscio, altri ancora erano troppo concentrati sui loro compagni intenti ad esercitarsi col dispositivo di movimento tridimensionale.
Ad essere sincero non ricordo il nome dell’allenatore di cinque anni fa, mi era del tutto indifferente. Poco prima di raggiungerlo Erwin mi fece cenno di scendere da cavallo. Ricordo, però, di essermi totalmente estraniato da quel discorso, non ricordo una singola parola che Erwin e l’allora allenatore si scambiarono. Eravamo appena arrivati ma già non vedevo l’ora di andarmene: c’erano così tanti cadetti, più della metà di loro avrebbero sicuramente scelto i posti più sicuri dentro le mura. Come potevo biasimarli, in pochi mesi avevo visto morire più persone di quante potessi aspettarmi e una parte di me non riusciva ancora ad accettarlo.
- Seguitemi, vi mostro meglio l’allenamento.
L’allenatore ci mostrò l’addestramento per i cadetti: ero grato di essermi risparmiato quelle inutili esercitazioni, ero riuscito a muovermi e maneggiare le lame molto meglio degli altri del corpo di ricerca solo sopravvivendo all’inferno in cui ero nato. A distanza Erwin osservava l’allenamento, io rimasi accanto a lui all’inizio, poi iniziai ad allontanarmi: non ne potevo più di vedere ragazzini in bilico su delle funi. 
Fu in quel momento che un movimento distante catturò la mia attenzione: dietro una delle baracche una ragazza, che dalla posizione in cui ero prima la copriva alla mia vista, si stava allenando in disparte, da sola; capelli castani raccolti in un codino basso, divisa identica agli altri se non per il fatto che aveva una maglia a maniche lunghe nera e non indossava la giacca cuoio dei cadetti. Mi fermai e iniziai ad osservarla, fui subito catturato dai movimenti che eseguiva con l’asta con cui si stava allenando, era sicuramente più abile di tutti gli altri cadetti: ricordo che pensai che probabilmente era per quello che si allenava da sola, per non avere impedimenti da alunni meno abili di lei. La verità era ben diversa e solo quando la conobbi mi parve scontata, mi sorpresi che proprio io non riuscii a capirlo subito. Mentre prendeva la rincorsa, lanciò in avanti l’asta, togliendosi un impedimento mentre correndo affrontava un percorso a ostacoli, servendosi di uno dei manichini, si lanciò in aria con un salto e con un abile movimento di polso, afferrò l’asta e, mentre atterrava, la indirizzò con tutta la forza su un manichino di legno di fronte a lei: nonostante il suo impegno, aveva sbagliato a spostare la sua forza nelle braccia; infatti, il manichino si era ammaccato e non distrutto come avrebbe dovuto, mentre l’asta, quando era atterrata, con la forza del contraccolpo le aveva fatto perdere l’equilibrio, facendola indietreggiare.
Non riuscivo a decifrare la sua espressione, dato che dei ciuffi di capelli erano sfuggiti dal codino e le ricadevano davanti al volto che guardava il suolo, riuscivo a distinguere solo la bocca, aperta, mentre respirava per lo sforzo, ma doveva essere abbastanza frustrata perché dopo poco con uno scatto estrasse due pugnali e li lanciò a due manichini molto distanti alle sue spalle. Uno centrò il bersaglio in testa, l’altro andò a vuoto e si conficcò nelle assi di legno della capanna dietro il manichino.
A questo punto si accorse che la stavo osservando perché, dopo essere rimasta girata di tre quarti nella posizione con cui aveva lanciato i coltelli, si girò totalmente di profilo e voltò la testa verso di me: nonostante la distanza riuscì a distinguere i suoi occhi truci.
Sostenni lo sguardo, ma per poco, Erwin mi chiamò.
- Levi, è ora che andiamo. L’allenatore ci ha consigliato di rimanere qui per pranzo, pioverà tra non molto.
Mi voltai e guardai Erwin per fargli capire che avevo compreso. 
Diedi le spalle alla ragazza, ma prima di dirigermi verso il capitano, girai la testa per guardarla un’ultima volta. Era sparita.
 
Se Pyxis la chiamava geco, non era certo per caso. Oltre ad essere estremamente silenziosa esattamente come l’animale, Siri era capace non solo di arrampicarsi molto abilmente ma anche, con l’aiuto di speciali rampini che aveva personalmente progettato, di affrontare le mura più ripide e rimanervi agganciata per molto tempo, anche se la sua conformazione non era delle migliori.
Era da pochi giorni che teneva d’occhio la gendarmeria centrale e non poté fare altro che confermare i sospetti di Erwin. Aveva anche condotto una delle sue “ricerche” sulla famiglia Reiss, ormai ne conosceva a memoria l’albero genealogico, ma la cosa più interessante che aveva scoperto era l’esistenza di una squadra all’interno del corpo di gendarmeria addestrata all’eliminazione specifica degli esseri umani, la “squadra di soppressione anti-uomo”.
Non era ancora riuscita a capire chi ne fosse il capitano, era infatti una figura avvolta nel mistero, spesso segnata nei documenti ufficiali come “K.A.”, non vi era alcun riferimento al nome completo di questa persona. Aveva provato a cercare tra i nomi dei nobili e anche tra quelli della famiglia Reiss stessa, ma si era rivelata un’ipotesi errata. Era evidente che, chiunque fosse, non volevano rendere noto il suo nome nemmeno agli altri organi dell’esercito, forse per non farli insospettire o... Una personalità scomoda probabilmente… Con uno scatto, Siri chiuse frustrata la cartella contenente tutti i fogli in cui c’erano le informazioni che era riuscita a ricopiare dai documenti ufficiali.
Chiunque sia questa persona, lo scoprirò presto.
Nel frattempo, però, era diventata un’ossessione. Il volto contratto di Siri era illuminato dalla fioca luce di una singola candela sulla sua scrivania: non era abituata a non venire a conoscenza delle informazioni che voleva, e la sua curiosità morbosa non aiutava. Era molto frustrata.
- Dottor Garret, la prego! Mi faccia assistere alla manovra!
Siri ebbe un tonfo al cuore e sgranò gli occhi. Perché mi viene in mente proprio adesso una cosa del genere…
Purtroppo, i ricordi del suo passato le tornavano sempre a galla all’improvviso quando non riusciva a trovare le informazioni che voleva, e i flashback diventavano sempre più frequenti man mano che il tempo passava senza che fosse venuta a conoscenza di ciò che voleva sapere. Era come una persecuzione e, pur di non impazzire, si spingeva sempre più al limite nelle sue missioni, rischiava sempre di più per riuscire ad ottenere le informazioni che le servivano.
Si alzò di scatto e spense la candela, facendo calare nella stanza il buio rassicurante della sera. Era ora di fare una breve visita di controllo al reverendo Nick. Magari, nel frattempo, scopro qualcosa d’interessante.
Effettivamente sarebbe stato così. Indossò il mantello, alzo la maschera e uscì di casa.
A cavallo, si diresse in città, prima di entrarci lasciò il cavallo distante dalle abitazioni e si diresse a passo felpato in nelle strade. Il posto in cui si trovava il reverendo non era tra quelli che più trovava “agevoli”, infatti era al terzo piano, tanto per cominciare, poi la strada su cui dava la finestra della sua stanza era abbastanza frequentata a causa di un panificio. Siri aveva scelto quell’ora di sera proprio perché l’avrebbe trovato chiuso e anche perché il buio era il suo più fidato alleato. In poco tempo infatti raggiunse la suddetta strada, senza essere vista da occhi indiscreti: prima di effettivamente agire, però, doveva oscurare le finestre del palazzo di fronte quello del reverendo. Dal marsupio che teneva sul fianco estrasse delle boccette, piene di liquido nerastro e appiccicoso che lei stessa aveva messo appunto in tanti anni. Con estrema precisione, lanciò una boccetta per ogni finestra dei dirimpettai, una volta fatto questo si diresse verso l’altro lato del palazzo, questo dava su di un vicolo cieco, molto più funzionale per la sua scalata. 
Siri si arrampicò fino al tetto e prima di salirci, con estrema attenzione, si guardò intorno per capire se ci fossero uomini della gendarmeria appostati sui tetti. Appurato per sua fortuna il contrario, si diresse dal lato che le interessava del palazzo, posizionò i rampini del dispositivo di movimento tridimensionale (che aveva modificato per i suoi bisogni) sulla grondaia in legno e iniziò a calarsi lentamente, aiutandosi di tanto in tanto coi rampini che teneva nelle mani.
La luna non offriva un supporto luminoso soddisfacente poiché era coperta a tratti dalle nuvole, tuttavia questo non era un problema per Siri, anzi, le sembrava che il caso la favorisse. Mentre si calava facendo meno rumore possibile, quasi non si accorse di essere già arrivata alla finestra del reverendo per quanto si era rivelato facile. Tuttavia, arrivata quasi si all’altezza del piano, le sembrò di sentire un rumore, quasi come un tonfo e un rumore sordo a seguire. Si fermò appena sopra la finestra, ed ebbe il presentimento di essere stata lei a fare rumore, così con attenzione provò a inserire nel muro i rampini che teneva nelle mani e poi ad estrarli, per capire se si trattasse effettivamente di lei: nulla, erano silenziosi come sempre. Siri aggrottò le sopracciglia, poi un pensiero la attraversò di colpo: il reverendo Nick!
Si calò più velocemente accanto alla finestra, da cui riusciva a sentire ora più distintamente i rumori: si fermò, in ascolto, e capì che qualcuno lo stava torturando. I tonfi dovevano essere i pugni, mentre il rumore sordo che sentiva dovevano essere le grida del reverendo evidentemente ridotte al silenzio da una benda, probabilmente. Siri cercò di sporsi sulla finestra quanto potette, poi osservò attraverso la finestra le ombre che si proiettavano sul muro all’interno.
- … No, vi prego!... Non so… - Siri non riusciva a capire distintamente ciò che il reverendo diceva, catturava solo sprazzi delle sue suppliche. Le parve chiaro ad un certo punto che gli toglievano la benda dalla bocca per aspettare che rispondesse alle loro domande.
- … Detto niente, AH…
L’avrebbero ucciso, di questo ne era sicura, doveva sperare che prima di allora l’ostaggio non avrebbe detto nulla. Conoscendo il culto del credo, quel pazzo piuttosto si farà torturare per ore. Lei non avrebbe potuto in alcun modo intervenire, la sua copertura sarebbe saltata, oltre al fatto che avrebbe messo sé stessa e tutto il corpo di ricerca in un enorme pericolo inutile, c’era però una persona in città che poteva intervenire. 
Erwin le aveva accennato al fatto che proprio questo soldato aveva preso in custodia il reverendo e che si stava “occupando” di lui. Siri sapeva benissimo dove alloggiava Hange, sarebbe entrata in camera sua dalla finestra senza tante cerimonie, dopotutto era una questione di vitale importanza. Siri si arrampicò velocemente su per il tetto, sganciò i rampini del dispositivo e saltò sul palazzo di fronte, riducendo così al minimo il rumore del suo atterraggio, probabilmente soltanto un pipistrello sarebbe stato capace di sentire i suoi passi. Per cinque anni si era allenata a fare meno rumore possibile quando si spostava, e ormai le veniva così naturale spostarsi con quella agilità da punto all’altro, che se qualcuno gliel’avesse chiesto, non sarebbe stata capace di spiegare come riuscisse a farlo. Corse sui tetti con la massima velocità che le era consentita, per saltare sui tetti più lontani azzardava ad usare i rampini del dispositivo, non amava quel modo di spostarsi perché la costringeva a fare troppo rumore, ma era indispensabile che non scendesse in strada perché quello era il modo più veloce per arrivare da Hange.
Arrivata di fronte al palazzo in cui la soldatessa alloggiava, Siri si sentì rassicurata dal fatto che c’erano solo guardie del corpo di ricerca per strada, per cui sparò i rampini sulla grondaia e, con uno slancio, si lanciò in aria, atterrando proprio sull’uscio della finestra di Hange. Tirò fuori dal marsupio un piccolo bastoncino sottile di ferro che fece passare tra le ante, forzò il meccanismo di chiusura e spalancò la finestra.
Hange era in camera, si era appena vestita per andare a letto e rimase impietrita dalla visione di quella figura vestita di nero, incappucciata e mascherata che faceva capolino dalla sua finestra.
- Hange Zoe. – disse Siri risoluta.
Sentendo il suo nome, Hange si ridestò e afferrò la prima cosa che aveva a portata di mano: era pronta a difendersi costi quel che costi con un pettine.
- Ferma. – disse Siri, abbassandosi il tessuto sul collo. Si tolse anche il cappuccio, ma Hange non le diede ascolto e le lanciò contro il pettine. Siri lo prese al volo prima che le colpisse la faccia e sospirò.
- Fermati un attimo e dammi ascolto per favore. Sono Siri, la spia di Pyxis ingaggiata da Erwin.
- E CHI ME LO DICE CHE TU NON SIA INVECE UN’ASSASSINA MANDATA PER UCCIDERMI!
Siri entrò in camera, posò il pettine su un comò lì vicino e disse calma: - Innanzitutto parla piano, non dobbiamo attirare l’attenzione – si voltò e guardò in strada, qualche guardia guardava nella direzione della finestra. Siri tirò le tende e poi si voltò di nuovo a guardare Hange che la fissava a sua volta perplessa, evidentemente stava facendo mente locale e le stava tornando alla mente una comunicazione di Erwin.
- Seconda cosa, sì, sono un’assassina, ma se proprio avessi dovuto ucciderti saresti già morta, non credi?
Hange era ancora senza parole, in posizione difensiva.
- Non ho tempo per i convenevoli, farai meglio a vestirti, devi raggiungere il reverendo Nick.
- Come? Ci sono stata stamattina, a che serve che ci vada di nuovo?
- C’è qualcuno con lui, e non è una visita di piacere.
Hange sussultò. Com’era possibile che l’avessero trovato?!
- Credo lo stiano torturando perché riveli qualcosa. Io non sono potuta intervenire per non rischiare di compromettere la mia copertura.
Hange si lanciò sulla sua divisa e iniziò a vestirsi in fretta e furia.
- Sei riuscita a vedere chi lo stava torturando?
- Purtroppo no. Da dov’ero riuscivo a vedere solo le loro ombre dalla finestra, dovevano essere due uomini, ma… se vuoi il mio parere, credo siano dei soldati del corpo di gendarmeria.
Hange s’infilò la giacca mentre aveva ancora i pantaloni all’altezza delle cosce: - Quanto tempo fa ci sei stata?
- Non molto. Quando sono arrivata però lo stavano già torturando.
Hange si alzò i pantaloni e iniziò ad infilarsi gli stivali: - Va bene, spero di fare in tempo. Avvisi tu Erwin?
- Sì. – Siri si avvicinò alla finestra, scostò la tenda di pochissimo e constatò che i soldati stavano ancora guardando nella direzione della finestra. Siri contorse il labbro.
Maledizione, ma doveva proprio urlare così… - disse a bassa voce, si girò a guardare Hange: aveva la maglia al contrario e i capelli tutti spettinati.
- Ti dispiace se aspetto che ve ne siate andati nella tua stanza? Meno persone mi vedono meglio è.
- Sì, sì, fai come ti pare. MALEDIZIONE! – uscì e batté la porta alle sue spalle: - MOBLIT! Muoviti, dobbiamo uscire!
Siri guardava ancora la porta, scioccata. Questa donna è l’opposto di quello che si definirebbe discrezione. Si portò una mano sulla fronte, aveva tanto da insegnare al corpo di ricerca.
 
Il mattino dopo, Levi non lo diede a vedere, ma era in pensiero. Erwin non si faceva sentire da giorni, infatti Siri, che doveva trasmettergli i suoi messaggi, non si era fatta viva per niente. Ebbe seri dubbi che li avesse traditi.
Però è anche probabile che Erwin se la stia cavando da solo e che non abbia bisogno del nostro aiuto.
Ma aveva comunque un brutto presentimento, e quando vide arrivare Hange che li informò della dipartita del reverendo, non era per niente sorpreso. Tuttavia, sperava che la sua sensazione si limitasse a quanto Hange gli aveva riferito.
- Devo ringraziare Siri se sono riuscita a vedere anche solo per un istante il corpo del reverendo, mi ha avvisata appena in tempo, anche se per poco non mi faceva morire di crepacuore.
- Cosa intendi dire? – disse Levi.
Le parole di Levi però vennero subito affossate dal vociare della sua squadra che, alla rivelazione di Hange, non potettero contenere la loro curiosità.
- Chi cavolo è questa Siri?
- Tu l’hai mai sentita nominare?
- No, mai…
- Forse è di un altro corpo…
- Silenzio – disse Levi stagliandosi sugli altri. Per colpa del chiacchiericcio quasi non aveva sentito arrivare un cavallo. Aveva gli occhi puntati sulla porta quando Siri l’aprì, esattamente come aveva fatto quella sera in cui Erwin gliel’aveva presentata. Al tavolo si girarono tutti verso la porta e videro entrare Siri, che non era vestita tutta scura come suo solito: indossava la divisa del corpo di guarnigione.
- AH, eccola! Che ci fai qui? – disse Hange indicandola.
- Dimmi, non sai come si bussa? – disse Levi sarcastico.
Siri roteò gli occhi: - Mi manda Erwin. È stato appena arrestato dal corpo di gendarmeria.
Tutti al tavolo sgranarono gli occhi. La notizia li lasciò talmente scioccati che non ebbero nemmeno il tempo di chiedere alla nuova arrivata chi fosse o come sapesse dove si trovavano. Siri non ci fece caso e porse una lettera a Levi. Mentre attendeva che lui la finisse di leggere, si girò a guardare Eren: - Ah, tu devi essere Eren. – si chinò su di lui per guardarlo meglio, il ragazzino aveva un’espressione esterrefatta mentre Mikasa di fronte a lui seguiva la scena attentamente: - Sei più smilzo di quanto pensassi.
- Raccogliete le vostre cose e andiamocene. – disse Levi.
- Oh sì, sbrigatevi. Ho fatto più in fretta che potessi, ma stanno arrivando – al che guardò Levi, i due si scambiarono un’occhiata eloquente.
 
- Capitano Levi, e adesso cosa facciamo? Dove passiamo la notte? Non possiamo certo girovagare per Trost senza appartarci. – chiese Sasha lamentosa mentre tutti fissavano da un’altura il loro “quartier generale” mentre veniva perlustrato da uomini armati.
- Andiamo in una casa sicura, che domande. – rispose Siri al posto di Levi. Erano scappati appena in tempo dall’imboscata, Siri sperava che non avessero visto in che direzione erano andati una volta usciti. Prima che s’incamminassero, rimase a guardare per un po’ la zona in silenzio, mentre cercava di elaborare la situazione.
- Allora, puoi indicarci la strada? Sempre se non sei troppo occupata a fissare il nulla – Levi si era avvicinato alle sue spalle, nonostante non lo tradisse dalla voce, lo infastidiva dipendere da lei in quel momento. Lui, come tutti gli altri, aveva bisogno di riposare per la giornata seguente, inoltre aveva in mente un piano, ma elaborarlo per strada non era tra le migliori opzioni.
Siri si voltò e camminò verso di lui, superandolo: - Oh, non preoccuparti, c’incammineremo proprio adesso. Ti piacerà capitano, vedrai. Pavimenti comodi e un bel camino murato.
- Aspettate prima di montare sui cavalli, - disse dopo un po' la spia, afferrando le briglie del suo animale - prima inoltriamoci nella foresta. Non vorrete attirare l’attenzione col rumore degli zoccoli.
A giudicare dalla direzione presa da Siri, la “casa sicura” era a Trost, esattamente dove Levi aveva deciso che si sarebbero diretti.

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 - Di chi ti fidi ***


Nota dell'autore: all'inizio della storia è presente un flashforward, mi spiace tanto se non l'ho reso molto chiaro, subito dopo gli asterischi riprende la storia in sè.

Capitolo 3 – Di chi ti fidi


Siri uscì all’esterno e chiuse la porta dietro di sé. Aveva le lacrime agli occhi che alla luce della luna brillavano di un candore perlaceo, anche da poco lontano Levi poté accorgersene. Siri s’incamminò a testa bassa verso l’accampamento, Levi la seguì senza fare troppo caso a quanto rumore facesse. Voleva affrontarla. Siri, infatti, percepì la sua presenza e sospirò, tenendo lo sguardo basso.
- Che ci fai qui? Mi segui?
- Provo a mettermi nei tuoi panni. Ho pensato non dovesse essere così difficile.
- Non puoi spiarmi e sperare che io non me ne accorga. Ci ho messo anni a perfezionare la mia tecnica.
- Imparo in fretta.
Siri continuò a camminare senza voltarsi, ma rallentò. Un sorriso placido le si piazzò sulle labbra: - Già…
Si era accorta di lui dopo essere uscita, ma non che Levi l’avesse seguita dall’inizio. O forse, semplicemente, aveva capito già da un po’ dove andava ogni sera da un mese a quella parte e l’aveva aspettata all’esterno.
- Sei stata poco cauta.
- Che c’è, vuoi diventare più bravo di me così potrete fare a meno del mio aiuto? Sai, non sarà semplice, mi piace appartenere a questa leg-…
Levi aveva alzato il passo e in un attimo l’aveva raggiunta. Le afferrò piano il braccio, cosicché Siri dovette fermarsi e guardarlo in viso.
Ci fu un breve silenzio, interrotto solo dai grilli e il fruscio delle chiome degli alberi che si muovevano per la leggera brezza serale. Siri aveva ancora le ciglia umide, imbarazzata le asciugò con la manica del braccio libero e sulla difensiva disse a Levi: - Si può sapere che ti prende? Sei davvero inquietante.
Adesso Levi era costretto a guardarla in faccia, e nonostante lei non lo stesse guardando fu comunque difficile pronunciare la domanda che voleva farle fin da quando l’aveva vista uscire: - P-Perché vai negli alloggi di Erwin tutte le s-sere?
Siri sgranò gli occhi. Per la prima volta, Levi notò del timore nei suoi occhi e, a sua volta, anche se non riusciva ad ammetterlo, ne stava provando un po’ anche lui.
***

Erano saliti in groppa ai cavalli da una ventina di minuti, i colori del tramonto tendevano sempre più al violaceo mentre la luce si faceva sempre più tenue, Siri aveva intimato di non fare nulla che potesse spaventare i cavalli e quindi farli nitrire, Levi, suo malgrado, si ritrovò d’accordo con lei e chiese di mantenere una velocità moderata, d’altronde a guidare il gruppo c’erano proprio loro due, seguiti dalla squadra di Levi. A chiudere la formazione c’erano gli uomini di Hange.
- Io non mi fido di quella là. – esordì Jean – Insomma, avete visto come si rivolge al capitano, non ha il minimo rispetto.
- Forse non sa bene chi è il capitano Levi… – rispose Connie pensieroso.
- Non credo sia così – a Mikasa non interessava granché in realtà, non aveva neanche minimamente paura di lei, sperava solo che Erwin non si fosse sbagliato. Hange aveva liquidato a tutti la situazione con un semplice:”è una spia ceduta da Pyxis ad Erwin”. Alla maggior parte dei giovani soldati non andava molto giù come spiegazione, sentivano la sua presenza come una forte intrusione.
- Avete visto come ha riconosciuto Eren. Sono sicura che sa perfettamente il nome e l’origine di ognuno di noi.
- Su questo non c’è dubbio – acconsentì Armin – Sono sicuro che sappia benissimo anche chi è Historia.
- A proposito di Historia… – Jean prese la palla al balzo e continuò il suo discorso denigratorio – che ne sapete che non sia in combutta col corpo di gendarmeria? Non possiamo accettare che Historia, né tantomeno Eren, rimanga da sola con lei.
- La casa dove ci sta portando magari è un losco covo in cui ci aspetta un’imboscata – continuò Connie sulla scia di Jean – a quel punto credo che neanche il capitano potrebbe tirarci fuori da una situazione del genere!
- A me fa accapponare la pelle! È chiaro che non mi fidi… – commentò Sasha pensierosa – … Tuttavia spero tanto abbia del cibo dove stiamo andando perché sto morendo di fame!
- Sasha, ma è mai possibile che pensi a mangiare in una situazione del genere?! – disse Eren severo – Comunque sia… – Eren continuò il discorso intrapreso dagli altri e rivelò anche lui di non fidarsi per niente di questa spia, Mikasa, sentendolo in ansia, aumentò i suoi sospetti e si accodò al discorso portato avanti da tutti gli altri. Inoltre, non era un “soldato” come loro, da una conversazione tra Hange e Siri, avevano compreso che lei portava la divisa quel giorno perché l’aveva rubata e non perché “se l’era meritata”. Solo Historia rimase in silenzio.
Siri, d’altra parte, sentiva tutto quello che dicevano e dentro le montava una grande avversione: in realtà ci era abituata a quel tipo di commenti su di lei, tutti quei discorsi sulla fiducia non le erano nuovi; ma la lealtà, la fiducia, erano per Siri un valore imprescindibile. Pur avendo sentito gli stessi vaneggiamenti su di lei miliardi di volte da soldati che, pieni di orgoglio e boria, la giudicavano per le sue azioni, non riusciva proprio a passarci sopra.
- Capitano Levi. – disse, tradendo del risentimento nella voce.
Levi era invece totalmente assorto nei suoi pensieri, cavalcava nel più completo silenzio, inoltre aveva sviluppato la capacità di eliminare dal suo campo d’ascolto le voci dei cadetti della sua squadra, per cui non aveva seguito nemmeno una parola di quello che stavano dicendo.
- Dovresti chiedere ai tuoi soldati di farneticare meno e concentrarsi più sulla missione… – Levi notò che Siri stava stringendo le briglie del cavallo fino a far diventare le nocche bianche. La ascoltò interdetto.
- … altrimenti mi vedrò costretta a soddisfare le loro aspettative e a farli fuori nel sonno stanotte.
Levi non disse nulla e rallentò la cavalcata per sentire di cosa stessero parlando. A quel punto capì all’istante e si sentì deluso dai propri compagni: se avessero saputo le sue di origini, avrebbero detto le stesse cose anche su di lui? Ripensò alla rabbia che provava Siri e provò empatia per lei.
- Avete finito di farneticare? Mi state facendo venire un gran mal di testa.
Calò il silenzio, ma Jean non sembrava tanto propenso a chiudere la bocca: - Ma capitano, stiamo seguendo qualcuno che non è nemmeno un soldato, non mi sembrano farneticazioni le nostre!
Siri si trattenne a fatica e Armin non le toglieva gli occhi di dosso: era sicuro avesse sentito Jean adesso e credeva che a questo punto il suo compagno avesse esagerato, d’altronde non la conoscevano abbastanza.
- Siri è qui per aiutarci, che sia una spia, una mercenaria o un’assassina poco importa. Non credevo fosse così classisti.
Jean non credeva avrebbe avuto questo riscontro dal capitano e si sentì ferito nell’orgoglio.
- Jean impara a chiudere la bocca, non voglio che m’annoiate nuovamente con questa storia. Altrimenti, presenta le tue lamentele al comandante Erwin.
Siri allentò la presa sulle briglie, si sentiva sollevata, allo stesso tempo però credeva che comunque quell’intervento non avesse cambiato nulla. Levi riprese le distanze coi cadetti e li lasciò soli nel silenzio di chi aveva appena ricevuto un rimprovero.
- Ad ogni modo – esordì Armin dopo un po’ – ho fiducia nel buon senso del comandante Erwin. Non si sarebbe mai affidato a qualcuno di inattendibile…
Tutti gli rivolsero la loro attenzione: - Se Erwin si fida di lei in una situazione così delicata, significa che noi non dovremmo farci troppe domande.
Dopo altri venti minuti di cammino arrivarono finalmente all’alloggio di Siri che, come Levi immaginava, si trovava poco fuori Trost: era una tipica casa di campagna, col tetto spiovente, a due piani e una stalla sul retro.
- Chiudete i cavalli nella stalla e ricordatevi di chiudere l’entrata.
Siri non degnò la squadra di uno sguardo, legò il suo cavallo ad un palo all’esterno e spalancò la pesante porta d’ingresso in legno.
- Spero tanto che l’interno sia pulito, so già che in caso contrario Levi ci farà pulire tutto prima di andare a dormire – bisbigliò Eren agli altri, Sasha a quelle parole aveva già le lacrime agli occhi.
Appena entrata, Siri si tolse il mantello con lo stemma del corpo di guarnigione e lo getto a malo modo su un gancio all’ingresso. Non vedeva l’ora di togliersi quell’uniforme, non faceva altro che ricordarle la contraddizione che era. Prima, però, doveva accendere la stufa.
Levi fu il primo dopo Siri ad entrare, seguito dagli uomini di Hange: prima di varcare la soglia diede un’occhiata all’interno della casa. Il salone era ampio con tre finestre, sulla destra c’erano le scale che portavano al seminterrato e al piano superiore, ancora più infondo la cucina da cui si accese una luce. Siri portò dalla cucina una fiammella e accese la stufa e le luci a olio che si trovavano accanto al caminetto. Levi entrò lentamente ed esaminò con attenzione il salone.
Passò una mano sul tavolo, la alzò ed esaminò con disgusto la polvere che aveva raccolto: - Questa casa è inabitata?
- In un certo senso… la uso solo come appoggio operativo quando Pyxis mi dà del lavoro da fare a Trost o nelle vicinanze. Uso praticamente solo la cucina e la camera da letto di sopra.
Levi fece una smorfia. Stava per chiederle degli stracci quando Siri rinnovò la sua offerta: - Posso concederti la camera, visto che sei mio superiore, non toccare le mie carte però.
- Non mi servirà la stanza. Starò bene qui.
Siri lo guardò di sbieco. Era ancora infastidita e considerò il rifiuto di Levi come un’offesa, era convinta avesse rifiutato perché anche lui, come gli altri, credeva che lei avrebbe consegnato tutti al corpo di gendarmeria. Se ne andò in cucina senza più rivolgergli la parola. Levi d’altro canto era totalmente ignaro di quello che le passava per la testa.
Poco dopo, Levi recuperò degli stracci e obbligò tutti, dopo infinite lamentele, a pulire il pavimento e il tavolo del salone, “almeno il posto in cui mangeremo e dormiremo sarà pulito”. Siri, nel frattempo, aveva cotto della massa per del pane che aveva conservato e che servì a tutti per cena.
La squadra di Levi si sedette in cerchio al centro del salotto, mentre i componenti della squadra di Hange si piazzarono su un divano difronte il camino murato vicino l’ingresso. Siri si sistemò sul davanzale di una finestra vicino il gruppo di Levi, rimase in silenzio mentre mangiava la sua fetta di pane col formaggio.
- FINALMENTE SI MANGIA!
- Sasha datti una calmata o non basterà per tutti! – la pregò Connie, ma Sasha aveva già divorato due fette di pane e stava strappando di mano a Jean la terza.
- WOW, questo pane è delizioso! Grazie signorina Siri!
Siri la guardò con un misto di sorpresa e imbarazzo, il viso le era diventato rosso, non seppe come reagire, così girò la testa verso la finestra per nasconderla e disse un debole: - Di nulla.
A metà del pasto Jean notò il viso di Historia leggermente sofferente mentre spostava la gamba da dalla posizione incrociata a distesa: - Cavolo Historia, ti fa ancora male?
Siri voltò la testa di scatto, Levi le dava le spalle ma notò ugualmente il movimento fulmineo, con la coda dell’occhio vide che si sedette sul davanzale come se volesse scendervi.
- Oh Jean non farci caso, è soltanto una piccola slogatura, passerà.
- Ahrg, l’hai fasciata ma sembra essersi gonfiata.
Siri scese dal davanzale e arrivò alle spalle di Historia, si inginocchiò dietro di lei e le chiese: - Posso dare un’occhiata? Credo… di poter alleviare il dolore, oltre che impedirti di zoppicare.
Nella stanza calò il silenzio, tutti gli occhi erano rivolti alle due ragazze, Historia la guardò intimorita, alche Siri le rivolse un sorriso benevolo.
- Va-va bene – Historsia alzò la gonna fino al ginocchio mentre Siri si sistemò di fronte a lei.
- Okay, posso?
- Sì…
Siri sfilò la scarpa di Historia e iniziò a rimuovere la fasciatura. La caviglia di Historia era gonfia e rosso scuro, sarebbe diventata livida di lì a poco. Siri guardò Historia negli occhi e si scambiarono un’occhiata eloquente. Quindi è lei la figlia di Lord Reiss… Poverina, le farà malissimo, è stata brava a non lamentarsene per nulla…
- Beh, sei davvero forte Historia, è una bella slogatura… per fortuna ne ho già viste parecchie come questa in…
Siri si bloccò improvvisamente e Levi notò un certo disagio sul suo viso.
- Historia avresti dovuto dircelo che ti faceva male – disse piano Mikasa – hai rischiato che peggiorasse troppo.
- Non volevo rallentarvi! Sono già un peso per tutti…
- Historia tu rimani comunque un soldato, ci servi più tutta intera che mezza zoppa.
Siri guardò interdetta Levi, la ragazza era stata già molto forte per la sua età, farla sentire in colpa non serviva a nulla. Levi le ricambiò lo sguardo, piatto, lei scosse la testa e tornò a concentrarsi sulla caviglia.
- Ehi tu, faccia da cavallo, avvicinami la torcia.
- Cosa…
- Fa come ti dico… – continuò Siri, rivolgendo uno sguardo tagliente a Jean – … Jean-bo.
Jean impallidì, non voleva credere a quello che aveva appena sentito. Si precipitò a prendere la torcia e la tenne alta su di lei. Siri lo guardò con la coda dell’occhio, seria. Così impara a parlarmi alle spalle, pensò soddisfatta.
- Non tremare e avvicinati di più, non ti mangio mica!
- Metti paura però… - disse Sasha, impudentemente, cercando di difendere l’amico spaventato.
- è perché non hai mai visto Kenny lo squartatore, – disse Siri senza guardarla, Levi al suo nome ebbe un tic alle dita – quello sì che mette paura.
Sasha ebbe un fremito di paura, Levi invece rimase sovrappensiero. Non doveva sorprenderlo che lei avesse avuto a che fare con lui, dopotutto erano simili, con la differenza che Siri lavorava per il governo e dubitava uccidesse per divertimento, almeno, fosse stato il contrario, con la sua esperienza l’avrebbe sicuramente capito. Che sappia anche di me e Kenny…
- Okay va bene qui vicino, sta fermo così. Historia… – Siri frugava nella sua sacchetta sul fianco, tirò fuori un barattolo di vetro trasparente contenente una polverina verde – bagnati il dito e immergilo qui dentro. Poi lascia sciogliere la polvere sotto la lingua.
Historia fece come le aveva detto, stava per portarsi il dito alla bocca quando si fermò a guardarlo.
- è un analgesico. Ti aiuterà col dolore.
- Oh… - Historia prese coraggio e lasciò scogliere l’analgesico in bocca.
- Okay, adesso voglio che tu stia ferma… E che metta qualcosa tra i denti.
- Come?
Siri afferrò con una mano il tallone di Historia, con l’altra la gamba.
- Al mio tre vado.
- Aspet…
- Uno…
- Historia, prendi! – Mikasa le lanciò della corda.
- Due…
Historia si affrettò a mettere la corda tra i denti, fece appena in tempo perché Siri non aspettò il tre e tirò forte verso di sé il piede di Historia che urlò dal dolore. Appena sentì un clic, lo lasciò andare. Historia versò qualche lacrima per il dolore, Jean che era lì vicino la sorresse, posando la lanterna vicino Siri.
- Stai bene? – chiese Jean impensierito.
- S-sì… - disse Historia prendendo fiato.
Siri non degnò loro di uno sguardo, mosse il piede di poco per testare la mobilità della caviglia e notò con estrema soddisfazione che era buona, aveva eseguito la manovra perfettamente.
- Migliorerà man mano che passeranno i giorni, già da domani starai meglio. Cerca adesso di non sottoporla a sforzi però. – disse mentre le fasciava la caviglia. Le sue mani si muovevano con una delicatezza e una precisione che nessuno nel gruppo aveva mai visto, a parte che da un medico. Anche quando le fissò la garza fu precisa e ci riuscì al primo tentativo.
- Anzi, sarà meglio che almeno fino a domani non cammini proprio con quella gamba.
- Gr-grazie… – disse Historia con un filo di voce. Siri fece per alzarsi quando Mikasa le disse: - Chi altro sa che faccia ha Eren?
- Dovresti chiedermi chi non lo sa.
Mikasa ebbe un sussulto.
- Ad ogni modo, Mikasa Ackerman, puoi stare tranquilla, l’obiettivo dei nostri nemici non è ucciderlo ma rapirlo.
- In che modo dovrebbe essere rassicurante?! – sbottò Armin.
Siri rise: - In effetti... – quando tornò seria continuò – Quello che voglio dire è anche che non dovremmo andare a zonzo per Trost così tranquillamente.
- Ha ragione – esordì Levi. Lo sguardò di tutti si posò su di lui.
- Per questo ho elaborato un piano. Da quanto ne sappiamo anche Historia è il loro obiettivo; quindi, non entreranno in città con noi.
Levi spiegò il suo piano dopo che Siri li aveva messi a conoscenza dell’esistenza di una squadra di soppressione anti-uomo, e, alla fine, quando divise le squadre, assegnò a Siri i componenti della sua squadra, mentre gli uomini di Hange avrebbero seguito lui.
Tutti, persino Siri, dissero in coro: - COSA?!
Levi guardò Siri e le disse impassibile: - Se quello che dici è vero, ci sono uomini armati disposti anche ad uccidere. Loro non sono preparati a questo, tu invece sì.
- Ah, quindi dai a me il compito di fare da balia ai mocciosi?! Sei davvero crudele.
- Qualcuno deve pur farlo, domani almeno non toccherà a me.
A questo punto lo sguardo offeso dei componenti della squadra passò da Siri a Levi.
Siri sospirò sconsolata, dopodiché si alzò: - Inizio io la guardia. Se volete lavarvi il bagno è dietro la scala. Potete sistemarvi qui per la notte, se non c’è abbastanza spazio al piano superiore c’è la mia stanza.
Si diresse in cucina, a metà strada si fermò e voltò il capo: - Nessuno si sistemi sul mio letto a meno che non vogliate passare la notte nella stalla. Historia, se vuoi puoi dormirci tu, vista la tua lesione.
- Ti ringrazio Siri, ma dormirò qui con gli altri… non voglio recarti del disturbo.
- Come vuoi. – disse e andò in cucina.
Eren si avvicinò a Levi mentre gli altri sistemavano i loro sacco a pelo sul pavimento: - Capitano è sicuro che…
- Eren, neanche noi eravamo sicuri che tu avresti potuto combinare qualcosa di buono. Erwin si fida di lei, questo è quanto. Qual ora dovesse in qualsiasi modo tradirci, sarò io stesso ad occuparmene.

Dopo una trentina di minuti passati in cucina ad ordinare e preparare della massa per il giorno dopo, Siri uscì all’esterno per iniziare la guardia. Aveva deciso che si sarebbe cambiata solo prima di andare a dormire. Sono solo vestiti, sono solo vestiti… Era una notte buia, le nuvole coprivano la luna ma questo non rendeva la temperatura più fredda, infatti era piuttosto soffocante come serata.
Superato il portico alzò lo sguardo e si fermò di colpo quando vide un’ombra seduta su una roccia antistante il sentiero: era Levi.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 - K. A. ***


Capitolo 4 – “K. A.”

 
Siri era a dir poco stizzita nel vedere Levi al posto di guardia, per cui fece un respiro profondo per calmarsi prima di dirigersi verso la roccia su cui era seduto. Si sedette per terra accanto al capitano in silenzio mentre lui l’osservava con la coda dell’occhio. Dopo un silenzio durato qualche minuto, Siri non riuscì più a trattenersi e guardando davanti a sé disse calma: - Siete così sospettosi nei miei confronti che non mi lasciate neanche fare la guardia notturna da sola.
Levi non cambiò espressione, ma ora capì il motivo del suo silenzio. Poggiò i gomiti sulle cosce e piegò la testa in avanti: - Non sono qui per questo. Dovevo domandarti alcune cose, non potevo farlo davanti alla mia squadra.
Siri lo guardò leggermente sorpresa e si sentì in colpa, ma d’altra parte non poteva che sembrare esattamente quello che aveva pensato. 
- Oh… – disse, voltandosi a guardare il sentiero – Bene… Cosa vuoi sapere?
Levi alzò il capo: - Cosa sai di Kenny lo squartatore?
Siri si voltò a guardarlo seria e i loro occhi s’incontrarono, lei sostenne lo sguardo che le rivolgeva dall’alto al basso. 
- Ah, vuoi sapere di Kenny… – sospirò – Beh, non è che ne sappia molto, ma… – voltò la testa e chiuse gli occhi, come per visualizzare ciò che sapeva e valutare cosa dirgli e cosa no. Li riaprì e continuò: - … Ecco, non posso dirti proprio tutto quello che so perché sono informazioni che Pyxis mi ha fatto raccogliere nel tempo per conto suo.
- Pyxis lo cercava?
Siri rise: - Beh, chi non lo faceva? Ma quello è uno dei più furbi bastardi che abbia mai conosciuto, prenderlo era ed è praticamente impossibile.
Non posso che essere d’accordo, pensò Levi.
- Anche se, conoscere non è proprio la parola più giusta, l’ho spiato per un po’ di tempo ed ero vicina a metterlo con le spalle al muro, se non avesse cercato di uccidermi quando mi ha scoperta. Poi il corpo di guarnigione ha smesso improvvisamente di cercarlo e…
Levi si voltò di scatto: - Come?
- Già, non posso credere nemmeno io di essere ancora viva…
- No, non mi riferivo a quello. Il corpo di guarnigione ha smesso di cercarlo?
Siri si voltò a guardarlo perplessa: - Beh, questi sono stati gli ordini di Pyxis. Mi ha detto che avevano cambiato obiettivo e che stargli dietro ormai era diventato un inutile spreco di tempo e risorse, come dargli torto. Io per quanto mi riguarda ero felice di non dovergli più stare alle calcagna. Sono già sopravvissuta a stento una volta.
Levi ridusse gli occhi a due fessure, Siri si chiese il perché di quella reazione, poi distolse lo sguardo da lui e continuò: - Se vuoi il mio parere, è stato assoldato da un qualche nobile e quindi il corpo di gendarmeria ha obbligato Pyxis a lasciar perdere. – Siri contorse per un attimo la bocca disgustata – In effetti Kenny a quel punto non era più ricercato dalla polizia centrale da un bel po’ e non c’erano prove sufficienti per incastrarlo per i suoi precedenti omicidi, Pyxis doveva semplicemente rinunciare ai suoi interessi, e così è stato.
Levi si girò quindi verso Siri completamente e aggrottò le sopracciglia: - Se non per gli omicidi, allora perché Pyxis voleva arrestarlo?
Siri lo fisso impassibile, poi sorrise, appoggiò l’indice sulla bocca e gli fece un occhiolino. Levi non ci aveva fatto caso fino ad allora ma in quel momento si rese conto che Siri, innanzitutto era una donna*, e poi che era davvero molto affascinante. Sono abbastanza sicuro che la sua bravura non sia l’unica ragione per la quale Pyxis l’ha assoldata, che razza di pervertito
Levi ebbe un impercettibile sussulto e si voltò di nuovo verso il sentiero.
- Perché t’interessa sapere di Kenny?
Levi, senza guardarla, alzò lentamente la mano e mise l’indice davanti alla bocca, Siri stirò le labbra e a quel punto calò nuovamente il silenzio. Fortunatamente si era alzata una leggera brezza, ma il cielo continuava ad essere coperto rendendo l’atmosfera buia e calda. Siri non vedeva l’ora di togliersi la divisa di dosso anche per il caldo, però lasciare scoperto anche solo il collo la metteva a disagio; infatti, la camicia inamidata era tutta ben abbottonata. Cedette e tolse almeno la giacca di pelle. Dopo qualche minuto, si alzò e fece qualche passo per sgranchirsi.
- Si può sapere come fate a sopportare questa divisa, è la cosa più scomoda che abbia mai indossato. Senza parlare di questo aggeggio infernale. – disse sbottonandosi il congegno di movimento tridimensionale.
- Che vuoi dire? Non lo usi regolarmente per le tue missioni?
Siri lo guardò come se avesse detto la cosa più stupida che lei avesse mai sentito: - Chiaramente no. A meno che non voglia far sapere la mia posizione a chiunque io anche solo tenti di seguire.
Levi la fissò impassibile, non aveva tutti i torti. Si alzò e si tolse la polvere dai pantaloni: - Domani comunque dovresti indossarlo, non sappiamo bene com’è attrezzata questa squadra di cui ci hai parlato, e se inizierà un inseguimento non sarà così importante passare inosservati. Non posso permettere che rallenti la mia squadra.
Siri lo guardò con aria di sfida: - Non succederà.
Levi si era già diretto verso l’ingresso quando Siri, girata di spalle a lui, disse: - Ah quasi dimenticavo…
Lui girò la testa per guardarla, era poggiata alla staccionata e guardava il sentiero: - Domani non camminerò con voi per strada.
Dopo una breve pausa continuò: - Preferisco non essere vista in giro a Trost.
Levi a quel punto si voltò di profilo verso di lei e ne chiese il motivo. Siri lo guardò rimanendo di spalle, aveva uno sguardo vuoto e triste: - Questo è un altro di quei segreti che non sono tenuta a rivelare.
Levi ancora non lo sapeva ma, esattamente come lui, Siri trascinava con sé il suo passato come qualcosa di cui non avrebbe mai potuto liberarsi ma che cercava di nascondere a chiunque la conoscesse. Quella sera era come se lui avesse percepito un lontano dolore, represso da entrambi per così tanto tempo che non sentì altro che un lieve disagio a cui non riuscì a darsi una spiegazione. Ma fu un attimo perché le disse che avrebbe informato la squadra per lei e tornò in casa, dove rimase seduto a tavola a contemplare la finestra ripensando al piano fino a quando non si addormentò sulla sedia, per poi risvegliarsi appena due ore dopo, quando Sasha stava dando il cambio guardia a Connie. Era quasi l’alba e tutti ancora dormivano, Levi quindi approfittò per usare il bagno e vestirsi, non indossò la divisa perché le ali del corpo di ricerca sul mantello sarebbero state già fin troppo vistose; tuttavia, per la buona riuscita del piano, avrebbero dovuto comunque tutti indossarne uno anonimo.
Quando finì era l’alba, per cui pensò di preparare il tè: constatò in prima persona il senso di pulito di Siri che apprezzò, notando la pulizia della cucina. Accese la fiammella per l’acqua, non si rese conto di aver tirato fuori nel frattempo due tazze invece che una.
Levi aveva sistemato le foglie di tè in infusione nella tazza quando Siri entrò quasi come un fantasma in cucina: aveva indossato i suoi pantaloni neri e gli stivali bassi dove erano infilate le fodere dei pugnali, il tutto corredato dalle cinghie e l’attrezzatura per il movimento tridimensionale, oltre che la sua solita sacca e il piccolo contenitore cilindrico sul fianco; tuttavia, non aveva indossato le sue magliette nere, ma una camicia bianca nascosta dal mantello del corpo di guarnigione. Infilò del pane nel forno e sbadigliò in maniera impercettibile: - Mi dispiace non confondermi con voi e sembrare Eren o Historia, ma tanto non camminerò per la città quindi… Credo faccia lo stesso…
Stava per uscire dalla cucina quando, superando Levi, vide il tè in tazza: - Forte, hai preparato il tè per tutti! – e senza aspettare la replica di Levi prese la tazza e s’incamminò.
- Dove credi di andare?
Lo sguardo truce di Levi non sembrò mettere in soggezione Siri che gli restituì uno sguardo perplesso: Levi fissò la tazza e quindi lei capì.
- Oh scusa, era tuo? – dopodiché tirò un bel sorso dalla tazza e fece per porgergliela.
- Tienilo.
- Come pensavo. Ti ringrazio per la tua generosità! – mentre usciva la sentì plaudire il gusto del suo tè.
Levi controllò se fosse avanzata dell’acqua: era abituato a prepararlo solo per lui, a parte quando c’era il comandante Erwin, e non c’era alcuna persona che ritenesse abbastanza simpatica da far sì che lui le preparasse del tè, quindi dovette mettere altra acqua a riscaldare. Dopo questo affronto, ringraziò il cielo di averla sistemata in una squadra diversa dalla sua, tuttavia sperava per la sua incolumità che non facesse sbagli quel giorno perché aveva quasi raggiunto il limite della sopportazione. E io che credevo che avere a che fare con Hange fosse estenuante
Improvvisamente gli tornò in mente una conversazione che aveva avuto proprio col comandante.
---
- Levi devo chiederti di porgere un occhio particolare a Siri. Pyxis mi ha chiesto espressamente di non farla cadere in mani sbagliate o le conseguenze per lui sarebbero troppo gravi.
- Ma morta lei non potrebbe semplicemente servirsi di un altro soldato?
- È la stessa cosa che ho chiesto a Pyxis ma… credo sappia troppe cose e, anche se morirebbe piuttosto che rivelare le cose che sa, credo che il comandante sia in un qualche modo legato a questa ragazza.
- Quindi mi stai dando un’ulteriore zavorra, Erwin?
Erwin alzò lo sguardo severo su di lui: - Date le sue capacità non è propriamente una zavorra, è un soldato addestrato duramente per il combattimento corpo a corpo. Ti sto solo dicendo che ho fiducia in te. Cerca di non metterla in situazioni troppo pericolose.
---
Levi rimase così sconnesso che solo il rumore dell’acqua che bolliva rabbiosamente lo scosse dai suoi pensieri.
 
Siri aveva raggiunto prima di tutti il magazzino dove avevano portato Jean e Armin travestiti, si chiese se avrebbe dovuto aspettare*2 la squadra oppure iniziare ad agire, nel frattempo però vi entrò e rimase a tenere d’occhio i due finti ostaggi da una posizione privilegiata tra le assi del tetto. Pensava che se fosse successo qualcosa di imprevisto non avrebbe atteso oltre l’arrivo degli altri. Per ora c’erano soltanto due guardie, una all’ingresso e l’altra che teneva d’occhio Jean ed Armin, anche se quest’ultima sembrava essere più interessata da “Historia”.
Siri si sporse un po’ di più per osservare meglio: la guardia doveva essere un uomo sulla mezza età e lei non riusciva a capire bene cosa stesse succedendo e soprattutto perché si fosse avvicinato così tanto al ragazzo. All’inizio credeva lo stesse minacciando, ma quando capì le si strinse lo stomaco perché il travestimento di Armin doveva essere venuto fuori così bene che quell’uomo doveva aver molto apprezzato il suo aspetto, e ancor di più il fatto di approfittarsi di una persona in quel momento incapace di difendersi, tanto da spingerlo alla molestia fisica. Sentì le mani tremarle, così strinse l’elsa del pugnale che teneva nel fianco fino a quando non sentì le sue stesse unghie conficcarsi nel palmo fasciato della sua mano, era disgustata e furiosa, come un predatore teneva gli occhi puntati su di lui e sapeva che non sarebbe riuscita a trattenersi troppo a lungo. 
Alla fine, infatti, non ci riuscì più e saltò giù felina dalle assi su cui si trovava: nonostante la rabbia, stette ben attenta a non farsi sentire e in attimo fu alle spalle dell’uomo. Gli si avvicinò a pochissimi centimetri e, prima che la guardia avesse la prontezza di urlare, Siri gli strinse il braccio sulla bocca, talmente forte che probabilmente gli ruppe un dente, con l’altra mano aveva estratto il pugnale e glielo puntava sul fianco. L’uomo cercò di divincolarsi e con la forza si girò verso di lei che, approfittando della giusta angolazione, gli pestò la gamba con tutta la forza, spezzandogliela. Lui non ebbe neanche la forza di gridare che svenne per il dolore.
Dopo averlo sostenuto lo posò per terra, lo legò, imbavagliò e solo a quel punto alzò lo sguardo su Jean e Armin che la guardavano sconvolti.
Stai bene Armin?
- S-sì… 
Alzò lo sguardo e notò Mikasa di fronte a lei nascosta tra le assi del tetto, le fece segno di aspettare come da piano l’arrivo degli altri obiettivi, che, comunque, non tardarono ad arrivare. Con l’aiuto di Sasha e Connie, riuscirono a mettere tutti fuori combattimento, quindi andarono sul tetto ad attendere l’arrivo del capitano.
- Sta tardando. – disse Siri.
- Avresti dovuto seguire il piano, se per caso la guardia fosse riuscita a capovolgere la situazione adesso saremmo spacciati.
Siri non degnò Mikasa di uno sguardo e disse assorta: - Non ci sarebbe riuscito. – si alzò e sembrava cercasse di vedere qualcosa tra i tetti.
- Siamo sicuri che il nanetto abbia tutto sotto controllo?
- SENTO DEGLI SPARI! – esordì Sasha
- Ecco, immaginavo… come diamine fai a sentirli?
- Che facciamo adesso? – chiese Mikasa, lo sguardo di tutti si spostò su Siri. Aspettavano ordini da lei. Sicuramente non era abituata ad agire in squadra e non si riteneva capace di dare ordini, tuttavia dopo un breve momento di smarrimento guardò ai suoi piedi e si concentrò. Devo solo pensare a cosa farei se dovessi agire da sola e indicare a tutti cosa fare.
- Bene… – si voltò verso la squadra: - Per prima cosa individueremo Levi, sicuramente sono stati sorpresi, lui e la squadra di Hange, e staranno cercando di seminarli, dato che non hanno armi adeguate per rispondere a quelle che sembrano armi da fuoco. Una volta individuati, ci divideremo in due squadre e ci uniremo a loro dai lati, in modo da sorprendere la squadra nemica e recuperare Eren e Historia, sono infatti abbastanza sicura che i nostri nemici abbiano individuato e sottratto il carro. – si fermò mentre analizzava il suo stesso ragionamento filare liscio come l’olio, scandagliò brevemente i soldati per decidere come li avrebbe divisi – Sasha con me, Mikasa, Jean e Armin voi agirete sul lato opposto al nostro. Connie, tu rimarrai qui a fare la guardia agli ostaggi. Pronti?
- Sì! – dissero tutti in coro.
- C’è una cosa che il capitano mi ha chiesto di dirvi. – disse Mikasa, fermando di colpo gli altri che tenevano già i comandi dell’attrezzatura tra le mani – Ossia che da oggi combatteremo non solo i giganti ma anche gli esseri umani.
- Per cui non siate timidi e attaccate per uccidere. – concluse Siri al suo posto – Bene, andiamo!
Non ci misero molto a trovare Levi che, contrariamente a quanto pensassero, era completamente solo e cercava di raggiungere il carro con Eren e Historia che erano svenuti. Che abbiano ucciso gli uomini di Hange…? Si chiese Siri, dopo essere atterrata goffamente su un tetto: aveva usato il dispositivo di movimento tridimensionale solo un altro paio di volte e non aveva molta dimestichezza con quel dannatissimo affare, come aveva preso a chiamarlo. Gli altri non se n’erano accorti perché Siri era rimasta sempre indietro per chiudere il gruppo, adesso però veniva la parte cruciale del piano e non poteva permettersi di sbagliare.
- Bene, a quanto pare hanno preso Historia ed Eren e sono diretti alle porte della città, dividiamoci! Dobbiamo cercare di fermarli prima che escano! – appena dato l’ordine Mikasa, Jean ed Armin andarono sulla destra e iniziarono a muoversi nella loro stessa direzione. Siri non trovò impedimenti e credette di aver preso la giusta decisione agendo dai lati, ma proprio quando Armin e Jean ebbero raggiunto il carro, alle spalle di Sasha, che era rimasta indietro, fecero capolino tre soldati nemici.
- Sasha SPOSTATI! – Siri, poco più avanti e in basso di lei, le diede l’ordine appena prima che uno dei soldati la prendesse in pieno con un proiettile.
- Hanno avuto la mia stessa idea, dividiamoci! Dobbiamo permettere a Levi e gli altri di recuperare Eren e Historia!
Sasha obbedì, lasciando andare Siri da sola in un’altra direzione: due soldati seguirono Siri, mentre lei soltanto uno. La spia cercò di scappare quanto più velocemente le sue scarse abilità col movimento tridimensionale le permettessero, cercando di cambiare direzione repentinamente per non rimanere sotto tiro, tuttavia, proprio girando nella via che imboccava perpendicolarmente quella principale in cui si trovavano Levi e il carro, commise un errore coi comandi e uno dei soldati riuscì a centrare uno dei suoi rampini, distruggendone la corda. Siri capitolò a terra e con una capriola riuscì a mettersi al riparo sotto una tettoia in strada un momento prima che un secondo colpo la raggiungesse.
Ormai l’inseguimento era proseguito troppo e il carro aveva quasi raggiunto le porte della città. Maledizione, dov’è Sasha?! La soldatessa che la inseguiva l’aveva evidentemente doppiata o messa fuori gioco perché atterrò sul carro su cui c’erano anche Armin e Jean. Mikasa, dall’altro lato, non era riuscita a fermare uno dei soldati che la inseguiva e insieme ai due che seguivano Siri sbucarono, tutti e tre, alle spalle di Levi. CAZZO!
Siri uscì allo scoperto e sparò il rampino che le rimaneva, regolò il getto del gas al massimo e si diede una spinta verso l’alto: dall’altezza che aveva raggiunto si trovava sopra i tre soldati. Fu un attimo. Siri liberò un secondo getto di gas in avanti e mentre sorvolava i soldati lanciò tre pugnali contro di loro, uno solo centrò in pieno la testa di uno di loro, mentre il secondo e il terzo ferirono soltanto gli altri due, ma fu abbastanza perché non riuscissero a prendere bene la mia contro Levi. Siri si schiantò su di un tetto e sentì partire un colpo, prima di avere la forza di sporgersi e guardare quanto accaduto: prima che il carro uscisse definitivamente da Trost, riuscì a vedere che su di esso Jean ed Armin non c’erano più, al loro posto, troneggiavano i soldati che era riuscita a ferire. 
Levi le fu a fianco prima che lei riuscisse a rimettersi in piedi: da un taglio sulla fronte gli colava sangue sull’occhio, e sul braccio aveva una profonda ferita che s’intravedeva dal taglio sulla maglia procurato da un proiettile, tutto ciò non fece altro che rendere ancora più cupo lo sguardo che lui le rivolgeva in quel momento.
 
Quando Levi e Siri arrivarono al magazzino, Armin stava rigurgitando nel fiume, mentre Sasha e Connie stavano controllando che la zona all’esterno fosse sicura, Jean era invece all’interno a controllare i loro ostaggi. Siri capì dallo sguardo di Mikasa su Armin che il colpo che aveva sentito era evidentemente stato fatto partire da Armin e, a giudicare dalla sua reazione, intuì che quello era stato il primo che il ragazzino avesse mai mandato a segno. 
- Che arruolate a fare soldati che alla prima vittima reagiscono così…
Levi, dietro di lei, le diede una spinta: - Che arruolano a fare un soldato-spia che non sa nemmeno usare decentemente il dispositivo.
Siri si voltò: - A differenza vostra, io non ne ho mai avuto bisogno!
- Quindi sei una buona a nulla come quelli della polizia centrale, buono a sapersi.
Siri non riuscì a trattenere la rabbia e gli si avvicinò, era più alta di Levi di alcuni centimetri e in quel momento le diedero più sicurezza: - Non permetterti mai più di paragonarmi a loro.
- Per colpa tua gli uomini della mia squadra hanno rischiato di sacrificarsi inutilmente.
Per colpa mia, tu adesso sei vivo.
Ora l’attenzione degli altri era tutta rivolta a loro. Nessuno a parte Hange ed Erwin aveva mai affrontato così direttamente Levi ed era riuscito a dargli una stoccata, Mikasa, nonostante l’astio verso di lei, guardò la scena compiaciuta. Levi tolse un rivolo di sangue all’angolo della bocca con il dorso della mano: - Tsk, te ne sono debitore. – disse sarcasticamente – Muoviti, non possiamo rimanere qui a lungo.
Entrarono nel magazzino, Siri seguita da Levi, superarono quindi l’uomo a cui lei aveva spezzato la gamba, Levi lo osservò mentre lui ricambiava con uno sguardo pieno di lacrime.
- Che è successo a quello lì?
- Faceva troppo lo spiritoso. – disse asciutta Siri senza neanche guardarlo.
- Spero tu non l’abbia fatto urlare troppo. Preferirei non essere circondato dal corpo di gendarmeria a breve.
- Beh, su questo posso garantirti che è stato un ottimo paziente. Staremo a vedere se lo sarai altrettanto. – Levi colse l’ironia nella sua voce, ma preferì non proseguire oltre visto che stava per medicarlo.
Raggiunsero uno spazio che Jean aveva allestito, circondato dalle casse al cui centro aveva acceso un piccolo focolare. Levi si sedette su di una cassa di fronte al fuoco e iniziò a slacciarsi l’attrezzatura dal busto, Siri nel frattempo aveva tirato fuori il suo kit per suture e con l’aiuto di un paio di pinze stava disinfettando con le fiamme l’ago. Vi infilò poi il filo e si avvicinò a Levi, si fermò davanti a lui e i loro sguardi s’incontrarono: se incrociati da qualcuno avrebbero potuto ucciderlo. Jean rabbrividì.
- Io… controllo gli ostaggi. – disse Jean impacciato, quindi si alzò e si diresse all’entrata del magazzino.
Siri ruppe il silenzio con un sospiro e si mise di fianco a Levi, quindi lui si scostò i capelli dal taglio sulla fronte e tenne lo sguardo dritto davanti a se. Quando lei finì non se ne rese nemmeno conto, aveva sentito solo delle leggere punture.
- Questa è apposto.
- Sei veloce.
- Sono brava.
- Tu stai bene? Hai fatto un bel volo. – le chiese Levi piatto.
- Fortunatamente sì.
A quel punto rientrò anche il resto della squadra ad eccezione di Sasha che iniziò la guardia, si sedettero attorno al fuoco in silenzio, Siri lanciò uno sguardo verso Armin che appariva ancora provato, non capiva bene se per aver vomitato troppo o ancora per l’esperienza traumatica. Pulì l’ago e lo disinfettò nuovamente con le fiamme, si voltò verso Levi, alzò lo sguardò e ritrasse leggermente il capo quando vide che si stava togliendo la maglietta. Siri si sentì leggermente a disagio ma fece finta di niente e si avvicinò al suo braccio destro, guardò il taglio e disse: - È profondo, questo ti farà male.
- Fa lo stesso.
- Posso darti il mio analgesico…
Levi la guardò: - Va bene allora. 
Dopo aver aspettato qualche minuto in modo che facesse effetto, iniziò a suturare. Nessuno aveva il coraggio né la voglia di dire nulla. Erano stati sorpresi dalla maggioranza numerica e dalle armi più potenti del nemico, l’avevano comunque scampata e nonostante la situazione tra Siri e Levi si fosse raffreddata, si percepiva ancora una leggera tensione. 
- Capitano, è riuscito a scoprire chi è a capo della squadra? – solo Mikasa fu effettivamente capace di rompere il silenzio.
L’attenzione di Siri improvvisamente venne catturata, il suo paziente se ne accorse e la ribeccò: - Ehi, puoi sentire senza guardare.
Lei roteò gli occhi e tornò a concentrarsi sulla ferita con l’orecchio ben proteso verso la squadra: Levi poteva avere la risposta alla domanda che l’assillava da giorni, aveva bisogno di saperlo.
- Sì, l’ho individuato. Mi ha seguito per tutta Trost con l’intento di uccidermi, e si dà il caso che sia una mia vecchia conoscenza, oltre che una personalità ben nota alle autorità da tem-
- ALLORA?! Chi è? – sbottò Siri. Tutti si girarono a guardarla, respirava pesantemente dal naso e aveva il viso contratto. Levi rimase con la parola ancora appesa e la bocca semiaperta: - È Kenny lo squartatore. Avevi ragione a quanto pare, qualche nobile gli ha concesso la grazia, altrimenti non vedo come mai avrebbe potuto guidare una squadra della gendarmeria. Inoltre, le sue doti saranno state…
Levi stava continuando a parlare ma Siri ormai non lo sentiva più. Aveva finalmente scoperto l’identità di “K. A.” e come ogni volta che riusciva a sapere ciò che voleva, si sentì come liberata da un enorme peso: questo significava che i suoi flashback si sarebbero placati e che sarebbe riuscita finalmente a dormire senza ricordi del passato a tormentarla. Purtroppo, però, il destino riservava per lei un esito ben diverso di una bella dormita per quella notte.
- Aspetta, ma a capo della squadra c’è K. A., il nome è chiaramente Kenny ma… – il cuore fece un tonfo per la delusione. No, ti prego…
- Il cognome non lo so nemmeno io, chissà perché me lo ha tenuto sempre nascosto. – Levi fece una breve pausa e poi le disse: - Non posso credere che tu non abbia ancora finito.
Siri abbassò lo sguardo sulla ferita: ne aveva suturato soltanto la metà, un lavoro perfetto, ma incompleto. Esattamente come le informazioni che aveva da quel lontano giorno in cui la sua vita fu distrutta, e che per rimetterla goffamente insieme era diventata il geco di Pyxis.
 
*: il termine “donna” in questo caso fa strettamente riferimento all’età anagrafica di Siri e non al suo sesso, quindi per specificare che lei non è una ragazzina.
*2: ero molto combattuta mentre correggevo questa frase, ho controllato attentamente e grammaticalmente è corretta visto che si riferisce ad un’azione che avverrà nell’immediato futuro.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 - Il passato ti trova sempre ***


Capitolo 5 – Il passato ti trova sempre

 
Non ricordo il viso di mia madre. Ricordo bene però quello di Diya, la donna che mi ha fatta nascere e che mi ha cresciuta. Per quello che riesco a ricordare sono sempre stata una bambina curiosa, volevo sempre sapere tutto, gli adulti si lamentavano di me dandomi della ficcanaso, ma io non volevo sapere le cose per un mio tornaconto personale. Io volevo sapere e basta. Mi piaceva la sensazione che provavo quando risolvevo un mio dubbio e non potevo fare a meno del senso di liberazione successivo. Era come una scarica elettrica che invadeva il mio corpo piacevolmente, ancora oggi non posso farne a meno.
Diya non aveva molto tempo per occuparsi di me, quindi, quando doveva andare a lavorare, mi portava con sé in ospedale, mi chiedeva di rimanere in un punto e aspettare lì che avesse finito. A volte mi lasciava con altre infermiere che dovevano compilare i documenti, ma mi annoiavo e per lo più finivano per cacciarmi via: “chi è questo signore?”, “perché ha la dissenteria?”, “cos’è la tisi?”, e via così. Avevo solo sei anni e avevo già imparato a leggere proprio da quelle ore passate con i dipendenti dell’ospedale che compilavano cartelle e documenti. All’inizio erano gentili e rispondevano pazienti alle mie domande perché ero una bambina, ma quando capivano che sarei andata avanti così per ore, interrompevano il lavoro e mi riportavano da Diya disperati.
- Diya, mi fa domande continuamente, cos’è questo, cos’è quello… non posso compilare le scartoffie così!
- Certo, capisco. Perdonami per il disturbo Carina, adesso Siri starà con me.
Diya si inginocchiava per arrivare alla mia altezza e mi parlava dolcemente, dicendomi che sapeva quanto fosse difficile per me ma dovevo cercare di trattenermi a volte. Non a tutti piaceva rispondere alle (troppe) domande.
- Ma le mie sono domande intelligenti! Mi dici sempre di non parlare se non ho nulla di buono da dire!
Diya mi guardava sempre con i suoi occhi grandi, li socchiudeva e anche quella volta mi sorrise con dolcezza e mi disse: - Adesso andiamo. Oggi sono tornati i soldati del corpo di ricerca, c’erano così tanti i feriti che Shiganshina ce ne ha mandati alcuni.
- Quindi tanto sangue e fratture, bisogna portare tanta acqua e garze, dobbiamo anche ricordare a tutti di rimanere il più puliti possibile!
- Brava, perché non vai a chiedere al gruppo delle infermiere di supporto di portarci una buona scorta di garze?
- Mamma perché quelli del corpo di ricerca vanno fuori dalle mura dove stanno i giganti?
- Perché sono dei deficienti, ecco perché.
Quel tono duro, sprezzante… 
- Ma mamma, se sono così stupidi come fanno a sapere tutte quelle cose sui giganti?
- Siri… - Diya chiudeva gli occhi, credo sapesse cosa sarebbe venuto dopo o forse voleva trattenere le lacrime, o entrambe.
- PERCHÉ, PERCHÉ, SEMPRE CON QUESTE DOMANDE, È COSÌ E BASTA! Loro non tengono alla loro stessa vita, figurati alla nostra!
- Adrijana, ti prego… Ha solo cinque anni…
- NO DIYA, sono stanca! Siri, vuoi sapere queste cose?! Allora VALLE A CHIEDERE A TUO PADRE!
Diya con le lacrime agli occhi mi prese e mi portò nel mio letto mentre lei dall’altra stanza continuava ad urlare.
- … MA NON PUOI… PERCHÉ È MORTO!
- Siri guardami.
Ricordo gli occhi di Diya pieni di lacrime, la sua voce dolce. Le sue carezze sul viso.
- Dormi adesso tesoro.
Quando compii undici anni pensarono che il modo più utile per l’ospedale di impiegarmi, e tenermi occupata, fosse quello di fare da sguattera. Nonostante l’idea non mi allettasse molto, ero comunque contenta di rendermi in un qualche modo utile e, soprattutto, di poter rimanere in ospedale il più possibile. Pulivo, ordinavo, davo il massimo in tutto perché così mi sentivo parte di quel posto, a volte facevo in modo di pulire quando i medici si trovavano ancora dentro le stanze per sentire le loro diagnosi, le somministrazioni, come avrebbero affrontato la malattia eccetera. Fu così che conobbi il dottor Garret.
Ogni mattina Diya mi legava i miei capelli castani in una treccia, non so come facesse ma riusciva a farla partire dalla radice dei miei capelli, mi preparava la colazione coi biscotti che cucinava la sera prima e cingendomi per la spalla andavamo insieme in ospedale.
- Siri questo è il tuo pranzo, mi raccomando, cerca di pulire e basta.
- Ci proverò. – Diya mi accarezzava in viso e mi dava un bacio sulla guancia.
- Ci vediamo quando tramonta il sole!
- Ti aspetto sull’altra sponda della strada! – era come un rito, delle frasi che ci dicevamo sempre prima di salutarci e andare ognuna a fare il nostro lavoro.
Quel giorno ero in una stanza al primo piano, stavo pulendo la parte che era stata appena liberata da un paziente, fortunatamente dimesso, e una piccola combriccola di medici era appena entrata per controllare le condizioni dell’altro paziente nella stanza.
- Nome del paziente?
Faizan Taylor – ripetetti con i giovani medici sottovoce.
- Ricoverato per?
Dolori addominali ed ematuria – sapevo tutto di tutti i pazienti. Per anni ero rimasta in quei corridoi a spazzare, pulire e disincrostare e mi capitava spesso di ascoltare i medici e i loro allievi. Sapevo le dosi delle medicine, quando e quanto dovessero assumerne e più di una volta avevo coperto le spalle alle infermiere che non si ricordavano bene dosi e terapie dette a voce dai medici. Mi chiedevano spesso come facessi a ricordarmi nomi di pazienti, medicine, dosi, “è impossibile!”, mi ripetevano, “come fai?!”. Rispondevo loro sempre allo stesso modo, ossia che non lo sapevo, lo facevo e basta. Non ho mai fatto fatica nel memorizzare le cose, per questo le infermiere si divertivano a volte anche a farmi imparare a memoria schiere di nomi dei pazienti e, come un fenomeno da baraccone, mi esibivo per loro tra le risatine e i piccoli applausi. In cambio, loro mi lasciavano leggere le cartelle e fare tutte le domande che volevo. 
- Bene, cosa è risultato dalla prova dei tre bicchieri?
Rimasi in ascolto. Non avevo assistito alla prova, mi mancava solo questo tassello del puzzle.
- Ehm… solo il primo bicchiere di urina aveva del sangue.
- Quindi?
Emorragia solo a livello uretrale, semplici calcoli renali. – dissi.
- Ecco, dovrebbe essere un’emorragia a livello dei reni, quindi non c’è molto da fare se non aspettare che guarisca…
- No.
Non me ne resi conto ma l’avevo detto ad alta voce, ci feci mente locale soltanto quando sentii il silenzio calare nella stanza. Mi girai: mi stavano tutti osservando.
Il medico più anziano tra loro mi disse: - Come hai detto?
- I-io?
- Sì cara, tu. Hai qualcosa in contrario?
Mossi le labbra ma dalla mia bocca non riusciva ad uscire alcun suono. Dentro di me ero un subbuglio di emozioni, mi sentivo come se qualcuno mi stesse interrogando dopo aver commesso un crimine.
- Bene, come pensavo… Allora-
- Il sangue era solo nel primo bicchiere. L’emorragia è solo a livello dell’uretra, quindi no. Non è a livello dei reni perché altrimenti dovrebbe esserci stato del sangue in tutti e tre i bicchieri, sono semplici calcoli renali.
Tornai ad essere al centro dell’attenzione di tutti. Il medico più anziano tornò ad osservarmi intensamente.
Deglutii, il panico s’impossessò di me, quindi pensai che forse avrei dovuto continuare a parlare: - Bisognerebbe comunque tenere d’occhio il paziente, fargli cambiare dieta e cercare di-
- Come ti chiami ragazzina?
- Siri. Beh, sarebbe Sigrid, ma…
- Sigrid e poi?
- Come? Oh, Sigrid Myhre.
Il dottore si trovava di spalle alla finestra, per la forte luce del sole, riuscivo a distinguere solo la sua sagoma che ora si avvicinava a me, fino a quando non si pose davanti ai raggi solari permettendomi di vederlo meglio in faccia: era almeno venti centimetri più alto di me, rossiccio con una barba rossa ben curata. Il suo viso era squadrato, gli occhi marroni incavati sormontati da folte sopracciglia. 
Mi guardò austero per qualche secondo, ero come impietrita, ero sicura che non mi avrebbero permesso più nemmeno di fare da sguattera, volevo piangere solo all’idea di stare lontana da quel piccolo mondo che così tanto amavo. Sarei andata a spalare la merda nei porcili dopo questa stupidaggine, era l’unica cosa che mi restava da fare.
Quando finalmente quelle sottili labbra si distesero in un sorriso rimasi di sasso: - Va bene Siri, io sono il dottor Shawn Garret. Ti andrebbe di raggiungermi alla fine del mio giro di visite nel mio studio? Sarei felice di parlarti di qualcosa.
Avevo quindici anni. Da quel giorno sarei diventata il braccio destro di Shawn Garret.
***
 
Siri aveva finito di medicare e disinfettare le ferite di Levi, che, a suo modo, la ringraziò. Dopo essersi accertata che nessun altro avesse bisogno di cure e aver distribuito il pane preparato quel mattino, si sedette per terra tra Levi e Jean, appoggiando la schiena su una cassa alle sue spalle. Con una mano si massaggio le sopracciglia. Quanto parlano questi ragazzini…
- Ci vediamo quando tramonta il sole!
Siri implorava la sua mente perché le desse un po’ di pace. Aveva pregustato troppo presto la liberazione, adesso conoscere il cognome di Kenny la perseguitava. Cercò nella sua mente così satura di informazioni anche solo un indizio, una parola, una pista, ma non c’era nulla. Sembrava che qualcuno le avesse messo la testa in una pentola piena d’acqua e avesse cominciato a girare furiosamente. Se c’era qualcuno più bravo di lei era soltanto Kenny, aveva fatto sparire i suoi documenti anagrafici ancor prima che lei nascesse, così non poté mai metterci le mani sopra, tutto ciò che sapeva di lui erano testimonianze di gente della città sotterranea, stralci di giornale in cui si parlava di lui sotto il suo macabro pseudonimo e, chiaramente, la sua relazione “personale” con lui. Maledetto bastardo.
La testa le stava esplodendo, non riusciva a sentire, era come se le orecchie si fossero tappate. Quando finalmente riuscì a scacciare quei pensieri, il suono del mondo esterno divenne meno ovattato e iniziò di nuovo a sentire stralci della conversazione del gruppo.
- Ha esitato….
- Scommetto che era una brava persona, per questo….
- Armin, ormai ti sei sporcato le mani. Non tornerai mai più quello di prima.
Adesso sentiva di nuovo tutto chiaramente ed era come ripiombata nel mondo reale.
- Come puoi dire una cosa simile!
- Come dovrebbe dirglielo scusa? – tutti si voltarono verso Siri che, fino a quel momento, era rimasta in silenzio. Mikasa si risentì, ma non riuscì a ribattere in maniera efficacie: - Beh…
Siri alzò lo sguardo su di lei: - Non ha senso che rimanga a rimuginare su quello che ha fatto. Tu per prima dovresti capire meglio di tutti quello che ha dovuto fare.
Siri aveva colpito nel segno perché Mikasa apparve interdetta.
- Armin, riesco a capire il tuo punto di vista ma, in quanto soldati, a volte siamo tenuti a fare delle cose che non vogliamo fare, oggi tu ti sei trovato di fronte a questo dilemma morale e hai saputo qual era il tuo dovere in quel momento.
Armin la fissò con gli occhi spalancati: - Ma…
- Non c’è nessun ma, Armin. Molti al posto tuo non l’avrebbero fatto, ma tu hai avuto il coraggio di prendere una decisione, e questa decisione ha salvato il tuo compagno e amico. Questo fa di te un buon soldato. Porterai per sempre con te questo peso e il solo fatto di farlo ti rende una persona buona anche solo la metà di quanto poteva esserlo quella donna. 
- Siri ha ragione, Armin. Se tu non avessi sparato, Jean sarebbe morto. – Levi guardò prima Siri e poi Armin: - Il tuo sporcarti le mani ha salvato la vita ad un nostro compagno, e per questo te ne sono grato.
Calò il silenzio, Armin abbassò lo sguardo pensieroso.
- Armin, se ti chiedi cosa sia giusto e cosa sbagliato non ne verrai mai a capo, perché non esiste una maniera o l’altra di vedere le cose. È tutto molto più complicato di quello che sembra e d’ora in poi, quando ripenserai ad oggi, questo concetto ti sarà molto più chiaro.
Levi, come il resto della squadra, fu molto colpito da quello che aveva detto Siri, dopotutto avrebbe potuto farsi i fatti suoi e non aiutare Armin in questo momento così difficile per lui, ma in realtà era nella sua natura aiutare gli altri e una cosa che proprio lei non riusciva a fare è starsene da parte. Il fatto stesso che fosse venuta alla luce questa parte di lei denotava agli occhi degli altri un’empatia che non avrebbero mai immaginato potesse provenire da una persona come lei. Armin alzò la testa e guardò prima Siri e poi Levi: - Vi ringrazio…
Siri accennò un lieve sorriso e guardò Armin quasi materna. Levi, invece, rimase impassibile ma dentro di sé si sentiva sollevato per aver aiutato il suo compagno.
- Capitano, la prossima volta non avrò esitazioni e farò fuoco anche io! Credevo che combattere le altre persone fosse sbagliato, ma mi sbagliavo. – disse Jean con foga.
- Io non ho detto nulla su cosa sia davvero giusto o sbagliato. Perché nemmeno io so cosa lo sia davvero.
Già Siri, cos’è davvero giusto o sbagliato? Penso lei stessa, rabbuiandosi. Avrebbe tanto voluto sentirsi come Armin, avere la consapevolezza di aver tolto una vita per un’altra, ma avrebbe pagato quel peccato per il resto della sua vita. Lo stava già pagando.
Levi ruppe il silenzio che si era creato dopo quanto aveva detto e si diresse verso gli ostaggi. 
- Ohi, spiona, renditi utile e dicci chi è.
Siri si avvicinò a Levi e Mikasa, guardò l’ostaggio panciuto, le ci volle una frazione di secondo per capire chi fosse.
- Questo qua è Dimo Reeves, non ci vuole di certo me per capire chi è. È un ricco e potente mercante di questa città.
- Ah già, la compagnia Reeves – Levi si chinò su di lui e gli tolse il bavaglio.
A quel punto il mercante rivelò di collaborare con la gendarmeria e che ora che aveva fallito nel semplice incarico che gli avevano dato, sarebbe morto assieme a tutti i suoi collaboratori, oltre al fatto che la sua compagnia avrebbe perso tutto il prestigio di cui godeva. Levi gli propose di collaborare con loro.
- E in che modo sentiamo? – ribatté Reeves con un tono quasi di sfida.
- Levi, – s’inserì Siri – sarebbe utile interrogare qualcuno della gendarmeria centrale, io sono a conoscenza di informazioni molto importanti, ho però bisogno che qualcuno di loro me le confermi. Solo a quel punto potrei andare da Pyxis e lui stesso potrà dare un aiuto concreto ad Erwin.
Levi valutò positivamente la proposta di Siri, d’altronde però il piano sarebbe potuto benissimo andare a monte se Reeves avesse deciso di consegnarli alla gendarmeria sperando in una qualche “remissione” dei suoi peccati. Levi le fece presente questa eventualità.
- Non lo farà. Vero Reeves? – Siri s’inginocchiò accanto al prigioniero: - E vuoi sapere perché non lo farai?
La voce di Siri divenne improvvisamente più suadente, ma non in una maniera piacevole, era un tono che metteva paura. Estrasse un pugnale dal fianco e lo puntò al collo di Dimo, lui era pietrificato, i grandi occhi color nocciola della ragazza che un momento prima avrebbero trasmesso tranquillità, adesso sembravano due pozzi neri che non lasciavano trasparire alcuna pietà.
- Perché io non sono così caritatevole come il corpo di gendarmeria, non mi limiterò a farla pagare solo a te e non importa quanto lontano farai andare la tua adorabile moglie Lidia e i tuoi figli, li troverò. – Siri inclinò leggermente il capo, sorrise e disse: - E ti posso assicurare che anche io so far accadere quei misteriosi incidenti di cui la gendarmeria si vanta.
Reeves deglutì e rivolse lo sguardo a Levi: - Ci sto. Farò tutto ciò che mi chiederete di fare.
Siri fu come se si risvegliasse da una trance, sorrise, ripose il pugnale e diede una pacca sulla spalla del prigioniero: - Ecco visto, te l’avevo detto Levi.
 
Quando tornarono alla base, il capitano notò dei cavalli all’esterno, agganciò l’impugnatura del dispositivo di movimento tridimensionale ad una lama.
- Avevi detto che era una postazione sicura! – disse sprezzante a Siri che invece scendeva da cavallo con una noncuranza che non si addiceva alla situazione.
- Calmo, calmo… è Hange.
Levi rivolse lo sguardo alla casa e poi a lei, rimanendo comunque pronto ad estrarre la spada. Siri lo notò e sbuffò: - Rilassati! Quando sono andata da Erwin ovviamente l’ho informato riguardo dove ci troviamo e ha sicuramente detto ad Hange di raggiungerci qui. Bene, allora sai che faccio, entro prima io, va bene?
In quel momento la porta si spalancò e Hange apparve sull’uscio: - CIAO COMPAGNI! BENTORNATI!
Alle sue spalle apparve Moblit che la prese dalle spalle e dalla faccia sconsolata stava evidentemente cercando di farle fare meno chiasso.
Siri si voltò verso Levi e indicò Hange col pollice, alzando un sopracciglio, dopodiché si diresse verso casa.
Levi entrando diede un pugnetto al braccio di Hange: - Ohi quattrocchi, non siamo qui a fare una scampagnata, cerca di tenere il profilo basso.
Chiuse la porta alle sue spalle e si mise davanti la finestra dell’ingresso a fissare il sentiero.
- Signorina Siri, quando si mangia?
- Sasha non sono la vostra balia – rispose Siri, allontanando Sasha che da quando erano arrivati non faceva che seguirla ovunque andasse: - e smettila di chiamarmi signorina Siri, è veramente fastidioso.
- Va bene… Siri, cosa posso mangiare?
Siri la fulminò con lo sguardo, il che bastò a Sasha per ritrarsi e lasciarla perdere.
- Va bene, mangerò il mio cracker.
- Sarà meglio per te.
- Zitti – disse Levi mentre guardava fuori dalla finestra – sono arrivati.
- È arrivato chi? – disse Hange spaesata.
- Dimo Reeves ci sta portando dei soldati della gendarmeria.
- Dovremo interrogarli. Oh Hange, a proposito… - Levi la guardò: - ho perso gli uomini che mi avevi affidato. Scusami. 
Hange si avvicinò all’amico e gli poggiò una mano sulla spalla, sorridendogli mestamente.
Mikasa spalancò la porta, portava sulle spalle un soldato privo di sensi della gendarmeria, mentre Jean e Connie trasportavano in due l’altro.
- Bene, portateli nel seminterrato, ci sono delle celle, metteteli in due camere separate. – disse Siri.
- Servizio degno di un albergo. – commentò Hange.
- È importante che siano separati – ribatté Siri, secca, mentre scendeva le scale seguita da Levi ed Hange. Dopo che la squadra di Levi li ebbe sistemati e furono tornati di sopra, Hange, che era rimasta con Siri e Levi davanti alle celle, si rivolse a Siri: - E adesso che si fa?
Lei le ricambiò lo sguardo perplessa: - Come “che si fa”? Li interrogate, con la forza se necessario. È una parte che non mi piace molto, quindi la lascerò a voi, d’altronde saprete meglio di me che domande porre… - si diresse verso le scale quando Hange la fermò di nuovo.
- Aspetta ma… tu dovresti stare con noi.
Siri accennò un sorriso e un’espressione stranita a quella richiesta insolita: - Beh chiaramente sarò qui fuori per aiutarvi se ne avrete bisogno, prima vado a cambiarmi, ma non credo sia necessario che io… - improvvisamente si fermò al terzo gradino, e gli sguardi di Hange e Levi sembravano parlare per loro. Hange era nettamente a disagio e Levi la guardava serio a braccia conserte. La sua espressione si rilassò, realizzando la verità: - No. Aspetta, non ditemi che… Voi
Hange rimase a fissarla, quindi continuò la frase: - … voi non avete mai interrogato qualcuno…
A confermare quanto aveva detto, Levi chiuse gli occhi e abbassò il capo, evidentemente imbarazzato da Hange a cui, rendendo tutto fin troppo palese, iniziarono a tremare le labbra. Siri scoppiò in una sonora risata: - Non posso crederci! Adesso ho capito perché Erwin mi ha chiesto di stare con voi, diamine questa non posso perdermela. – salì le scale mentre ancora ridacchiava.
- Aspettatemi eh! Mi cambio e arrivo! Non iniziate senza di me!
Levi diede un calcio alla gamba di Hange che iniziò saltellare per il dolore: - Quante fottutissime volte dovrò ripeterti di essere discreta.
- CHE C’È?! Non potevo mentirle, se ne sarebbe accorta.
- Effettivamente, perché sei totalmente incapace. – detto ciò, Levi entrò nella cella seguito da Hange che ancora brontolava.
Siri si chiuse in camera e girò la chiave, si rifece la treccia e indossò la sua solita divisa in nero, effettivamente dovette solo indossare le maglie, la mascherina e il mantello neri, oltre che gli altri pugnali che nascondeva nelle maniche. Cambiò la fasciatura bianca alle braccia con quella nera, lasciando libere solo le dita e poi spense la lanterna ad olio, facendo precipitare la stanza nell’oscurità. Ora che si sentiva a proprio agio, scese al piano terra.
- Levi ha iniziato. – la informò Mikasa. Tuttavia non era necessario che lei la informasse, potevano sentire le urla fin da lì. Siri le rivolse un breve sguardo, alzò il tessuto sul viso e scese nel seminterrato. Non capiva per quale motivo avessero già iniziato se aveva esplicitamente detto che doveva riferire loro importanti informazioni per poi far veicolare le domande sull’argomento. Sono peggio di quanto immaginassi.
Siri entrò nella cella e la scena che le si presentava dinanzi avrebbe desiderato tanto ritrarla: Levi aveva indossato un grembiule e dei guanti lunghi fino al gomito che aveva sicuramente trovato in cucina, teneva tra le mani delle pinze, Hange invece osservava come rapita gli strumenti di tortura che erano sul tavolino accanto al soldato prigioniero. Quando entrò i due del corpo di ricerca si voltarono a guardarla.
- Prego continuate, non volevo interrompervi. – disse, chiudendo la porta alle sue spalle e poggiandosi di spalle sulla parete accanto. Si disse che voleva prima vedere cosa si fossero inventati per aver iniziato prima di essere venuti a conoscenza delle sue rivelazioni, magari si era sbagliata e avevano delle domande astute da porgli.
- Mi stai annoiando, parla o te ne strappo un’altra. – disse Levi minaccioso.
Il prigioniero rispose con voce straziante: - Voi siete folli! Che razza di persone torturano qualcuno senza porgli delle domande?! 
Levi alche avvicinò di nuovo le pinze alla mano del soldato che cercava di ritrarsi strattonando le cinghie che lo tenevano legato.
- Aspetta, aspetta… - esordì Siri, attirando l’attenzione di tutti, Levi si fermò: - Non gli avete chiesto niente?
- Gli ho chiesto di parlare.
Siri ringraziò il cielo di avere su la maschera perché era sicura che se Levi l’avesse vista ridere le avrebbe lanciato contro la pinza che aveva in mano, inoltre non era professionale ridere dei suoi collaboratori davanti all’ostaggio. Solo dopo essersi calmata ebbe la forza di parlare senza tradire alcunché.
- Va bene, che ne dite se facciamo una piccola pausa per permettere al nostro prigioniero di riordinare le idee? – Siri aprì la porta della cella e fece uscire Hange e Levi, lanciò uno sguardo agli occhi pieni di lacrime del prigioniero e uscì anche lei. Fece cenno di andare sulle scale per assicurarsi di non essere sentiti, quando parlò evitò comunque di togliere il tessuto dal viso.
- Vi avevo detto di aspettare, dovevo dirvi ciò che sapevo così avreste potuto elaborare delle domande adeguate.
- Ci stavi mettendo troppo. Ho deciso di entrare per non perdere altro tempo.
- Ma Levi, siamo entrati poco dopo che se n’è andata perché non volevi aspettare…
Levi guardò Hange in cagnesco: - Quante volte devo dirtelo quattrocchi…
- Basta. – disse Siri, non credendo ai propri occhi, si massaggiò le tempie. Era abituata a lavorare da sola e tutto questo le rendeva le cose difficili, tuttavia odiava interrogare gli ostaggi, odiava la parte che doveva recitare ogni qualvolta dovesse farlo e voleva approfittare di quei due per togliersi questo impiccio. Sospirò.
- Tanto tempo fa sono venuta a conoscenza, praticamente per caso, di un’informazione che se vera potrebbe cambiare radicalmente il modo in cui tutti noi vediamo il nostro mondo.
Il tono serio di Siri catturò l’attenzione dei due. Ora che aveva la loro attenzione, si fece forza e parlò, era una cosa che aveva detto soltanto a Pyxis fino ad allora e ripeterlo ad alta voce le risultava stranissimo: - Tramite i nobili Beaumont, ho scoperto che il re non è altro che un fantoccio e che il vero re governa le mura nell’ombra.
Hange e Levi sgranarono gli occhi per la sorpresa.
- COOSA?!
- Abbassa la voce, maledizione. Quando ho saputo di Historia e della sua infanzia, mi è sembrato palese che il re in questione fosse proprio Rod Reiss e tutti i fatti accaduti negli ultimi anni non hanno fatto altro che confermare la mia tesi: la madre di Historia è stata assassinata, ufficialmente si è pensato che l’avessero fatto per evitare che uno scandalo si abbattesse sulla famiglia Reiss, ma quando è successo la famiglia di Rod Reiss era già stata sterminata da un incendio.
Siri riprese fiato: - Inoltre, i nobili sono sempre protagonisti di scandali del genere, ma non ne ho mai visto uno uccidere la propria amante, se non in casi eccezionali. Hanno sempre comprato il loro silenzio o fatto in modo che nessuno le credesse. Evidentemente la madre di Historia era a conoscenza di un segreto molto più importante di una tresca, qualcosa che se rivelato avrebbe avuto delle conseguenze troppo grandi.
- Non trovate strano che non appena il corpo di ricerca scopre che nelle mura si nascondono i giganti, quando sono vicini a scoprire la verità sul nostro mondo, il governo sospende le loro operazioni e chiede Historia ed Eren in custodia? Non ho idea di come Eren sia collegato alla famiglia Reiss, ma il fatto che può trasformarsi in gigante è sicuramente un indizio.
- Sì! Eren aveva sentito una conversazione tra Berthold e Ymir, a quanto pare l’obiettivo dei nostri nemici è quello di far divorare Eren… - disse Hange mentre le brillavano gli occhi.
- Sarà collegato al suo potere, forse mangiandolo… dobbiamo scoprire dove si trova Eren e fermarli.
- Per ora queste rimangono solo congetture. – disse Levi che fino ad allora aveva ascoltato attentamente.
- Per l’appunto… dobbiamo riuscire a farlo parlare a tutti i costi, a quel punto potrò andare da Pyxis. Chiaramente avevo già informato Erwin di tutto questo. – concluse Siri mentre scendevano le scale per tornare dal gendarme.
- A ME NON L’HA DETTO QUANDO SONO ANDATA DA LUI! – Hange era incredula. Levi e Siri un po’ meno, tant’è che in coro risposero sarcasticamente a voce bassa: - Credo di sapere il perché… - i due si guardarono stizziti, ma fecero finta di nulla, distolsero subito lo sguardo ed entrarono tutti e tre in cella, dove Moblit era rimasto a fare la guardia.
- Levi ora tocca a me, tu sei troppo lento! – disse Hange strappando di mano la pinza al compagno. Siri, prima che Hange si accingesse a strappargli altre unghie, tossì rumorosamente dal fondo della stanza. Hange incrociò lo sguardo serio di Levi: - Oh, giusto… Allora, dove si trovano Eren e Historia?!
L’interrogatorio andò avanti per lungo tempo, in cui Hange rese palese il suo sadismo, tant’è che la spia ad un certo punto rimase scioccata, Levi, nonostante potesse vedere solo i suoi occhi, se ne rese conto e le si avvicinò: - Sorpresa?
Ad essere sincera me lo sarei aspettato più da uno come te.
Perché?
Siri lo guardò di sbieco e non disse nulla. Levi capì e si girò verso il macabro teatrino: - Sono stato un criminale in passato ma non significa che fare questo mi piaccia. – tanto, non valeva nulla fare finta che lei non sapesse le sue origini.
Siri a quelle parole si senti compiaciuta, non lo diede a vedere, semplicemente si stacco dal muro, gli si accostò e disse, con un tono che tradiva della subdola ironia: - Pensavo solo al soldato più forte dell’umanità che ha ucciso un numero imprecisato di giganti.
Levi la guardò: lo sguardo di Siri era tagliente ed ebbe il presentimento che lei alludesse al fatto da poco scoperto, ossia che i giganti in realtà erano esseri umani. In quel momento la detestava, detestava come fosse riuscita a capire il suo punto debole e farlo sentire un gradino sotto, in realtà era una cosa che lei riusciva a fare praticamente con tutti. Siri in poco tempo aveva capito la natura di Levi e lui, con quanto aveva detto, non aveva fatto altro che confermarle quanto gli pesasse fare del male. Si maledisse e la guardò impotente avanzare verso Hange e il prigioniero, mentre lui rimase momentaneamente indietro.
- Allora, non so voi ma io sono proprio stanca.
Hange le fece spazio e si mise le si mise di lato: - Non so quante ossa gli sono rimaste integre, non vuole proprio parlare!
- Ognuno ha bisogno di una leva, Hange… - frugò nella sua sacca sul fianco ed estrasse una boccetta con della polvere bianca: - … il nostro amico è un po’ più resistente rispetto agli altri…
Siri tolse il tappo e guardò il gendarme negli occhi: - … ma io trovo sempre un modo.
Prese una manciata di quella polverina che Hange, ora contro luce, riconobbe come sale. Come diamine ha fatto a procurarselo?! È preziosissimo! Ma che vuole fare? Hange la guardò negli occhi e quasi non le sembravano i suoi: esattamente come era successo con Reeves nel magazzino, sembravano essere diventati due pozzi profondi e la sua voce si era fatta molto più melliflua. Siri era come se non fosse totalmente in sé quando recitava quella parte.
Il prigioniero la guardava impaurito, non capiva cosa stesse per fare, né tantomeno Hange che non riusciva a distogliere lo sguardo da lei che, dopo aver riposto la boccetta, cosparse il sale dove una volta c’erano le unghie: Sannes grugnì dal dolore, ma non potè resistere ulteriormente quando Siri piantò il palmo della sua mano sulla sua e iniziò a sfregare. Il gendarme ululò per il dolore, sentiva la pelle andargli a fuoco. Che lordura, pensò Levi avvicinandosi alla spia sul lato rimasto libero.
- Cambiamo domanda, eh? Che ne dici?
- Non parlerò comunque!
Siri ghignò, seppur nessuno potesse vedere le sue labbra lo immaginarono da come gli occhi le divennero due fessure: - Lo vedremo Sannes… - tirò fuori uno dei suoi pugnali.
- Te lo chiedo una sola volta: perché avete rapito Historia ed Eren? – strofinò ancora un po’ la mano sulle dita del malcapitato, ma questo si ostinò a non parlare.
- Djel Sannes, voglio che tu ricordi bene queste mie parole: io non volevo farlo, mi ci hai costretta tu. – detto ciò, si sedette sulle sue gambe e iniziò ad accarezzargli il viso col pugnale. Per Hange e Levi il tempo sembrava essersi fermato, avevano iniziato a temere loro stessi per il gendarme.
- Sai… ogni tanto mi capita di passare dal distretto di Stohess… cammino per le strade, mi fermo in qualche locanda a mangiare, un’ottima cucina devo dire. La città mi piace, preferisco Trost a dire il vero, ma le case lì… ah, devo dirtelo Djel, sono molto più carine!
- Cosa vuoi…
- Zitto. – lo interruppe, spostando il pugnale sulle sue labbra: - Ecco, una casa in particolare mi ha colpita, è proprio sul fiume, ha una bellissima pianta d’edera che arriva fino al tetto, l’avrai sicuramente vista qualche volta passeggiando lungo l’argine…
Djel come se avesse realizzato a cosa stesse facendo riferimento sgranò gli occhi per il terrore: - No…
- AH-ah! Hai capito, lo sai qual è! Beh, è impossibile non notarla! Ti dirò una cosa: io conosco la proprietaria! Una donna a modo, molto carina, si chiama Denise e ha tre marmocchi che la seguono ovunque.
- ZITTA!
- Sannes, ho appena iniziato. Chiediti, da quando sei venuto qui a Trost, quante volte hai sentito la tua famiglia? – Siri non poteva descrivere quanto odiasse farlo, Pyxis però le aveva insegnato bene a reprimere la sua coscienza.
- NO, BASTA! Io so chi sei, SIGRID! Non ho paura di te! – a quelle parole Siri sembrò piombare al suolo dopo essersi lasciata cadere dalle mura. Hange e Levi, sentendo quel nome per la prima volta, si guardarono spaesati e poi fissarono Siri e notarono che i suoi occhi si erano sgranati leggermente, ritornando ad essere i suoi soliti occhioni marroni.
- Lui voleva che quando ti facessi viva potesse fartela pagare, Kenny l’ha aiutato e ora che hai ucciso uno dei nostri riconoscerà sicuramente il tuo pugnale, neanche tu protrai fare nulla per difendere chiunque siano le persone a cui tieni! – la voce di Sannes era rotta per il dolore, ma fu abbastanza per lasciare Siri senza parole.
- Io non ho paura… Ho il mio re e credo nella pace che ci garantisce in queste mura. E anche se non penso che quello che abbiamo fatto per preservare la pace sia sbagliato, capisco che possa fare male.
Rimasero in religioso silenzio ad ascoltarlo, Siri teneva ancora il pugnale sulla sua faccia.
- Torturatemi fino alla morte, uccidi anche la mia famiglia se proprio ti diverte, non m’importa. La mia sporca vita avrà finalmente fine. Ma almeno non avrò tradito il mio re.
Rimasero a fissarlo in silenzio. Poi Siri si alzò, ripose il pugnale e senza guardarlo, a testa bassa disse: - Sannes, la lealtà è la qualità che più apprezzo in una persona. Ma questo non servirà a salvare la tua famiglia.
Detto ciò, uscì dalla stanza senza guardare nessuno, Levi ed Hange si guardarono con la stessa espressione mesta sul viso.
- Facciamo una pausa.
- … S-sì, concordo Levi. – mentre uscivano Hange rivelò a Levi che quell’uomo le faceva molta pena. Non appena uscirono lui iniziò a piangere, evidentemente consapevole dell’orribile sorte che attendeva la sua famiglia.
Fuori dalla cella trovarono Siri, in piedi che fissava la mano la cui fasciatura era tutta sporca di sangue: - Che schifo…
- Siri, puoi spiegarci di che parlava Sannes là dentro? – esordì Hange avvicinandosi a lei.
Siri, come risvegliata da una lunga dormita, guardò Hange inespressiva e le disse: - Io ora devo andare.
A quel punto iniziarono a tremarle le mani e si sentì come se qualcuno le avesse rovesciato sulla testa un secchio di acqua gelida: Diya e Shawn erano probabilmente già morti.

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 - Raccogli Sempre il Pugnale ***


Avvertimento: gli argomenti trattati in questo capitolo solo pesanti, ci sono scene forti che possono urtare la sensibilità di qualcuno. Il codice di avvertimento di questa storia è infatti arancione, non sono scesa nei particolari, ma ho voluto comunque avvisare prima di lasciarvi leggere questo capitolo. Buona lettura!

Capitolo 6 – Raccogli Sempre il Pugnale

 
- Dimmi Sigrid… - Shawn alzò lo sguardo su di me di sottecchi: - Prego, siediti.
Mi sedetti all’istante. Il suo studio era come avrei voluto fosse la mia stanza: ricolma di fogli su medicine e pazienti, disegni anatomici, penne stilografiche e camici di ricambio.
- Come facevi a sapere la risposta alle mie domande? Se non sbaglio hai… quindici anni, non mi risulta che tu abbia frequentato la scuola di medicina d’altro canto.
Ci pensai su. Non potevo rispondergli come se me l’avessero chiesto le infermiere con cui facevo il fenomeno, quindi cercai di essere credibile con la mia risposta, anche se restava un fatto difficile da credere: - Ho memorizzato praticamente ogni caso in cui mi sono imbattuta per caso, signore.
Shawn mi sondò e poi sorrise: - Non chiamarmi signore, non siamo in accademia militare. Puoi chiamarmi dottor Garret.
Abbassò la testa su dei fogli su cui scrisse qualcosa. Ero nervosissima, cosa stava scrivendo? Perché non mi aveva ancora intimato di non farmi più rivedere in questo ospedale? Non mi fece ulteriori domande. Mi credette e basta. Tempo dopo seppi che non ero l’unica persona ad essere dotata di una memoria fuori dal comune, e mentre Diya lo definiva “dono”, il dottor Garret la chiamava “capacità” che avrei dovuto coltivare e mettere a disposizione per il bene comune. All’inizio, in quegli anni fu così, mi chiedo se averla poi sfruttata per tutte le mie azioni che sono venute dopo possa considerarsi un buon utilizzo “per il bene comune”.
- Dimmi, hai intenzione di andarci alla scuola di medicina un giorno?
Non riuscii a trattenermi e risi, vedendo però il suo sguardo serio smisi subito e, tornata seria, gli risposi: - Mi scusi… è che sono la figlia… cioè vivo con una delle infermiere di questo ospedale, come può immaginare non potrei mai permettermelo un giorno, neanche se lo volessi.
- Ma tu lo desideri?
Indietreggiai di poco sulla sedia. Certo che lo desideravo. Non sapevo spiegarlo ma volevo appartenere a quel mondo più di qualsiasi altra cosa, avrei volentieri continuato a raccogliere vomito dai pavimenti dell’ospedale per il resto della mia vita pur di non dovermi allontanare di lì. Ma essere una protagonista diretta? Non ci avevo mai pensato e ora che il dottor Garret me lo chiedeva, tutto assumeva un colore diverso ai miei occhi, l’idea mi piaceva. Ma non volevo illudermi.
- Sì. Potrei desiderarlo.
- Cosa significa che potresti? O lo desideri o non lo desideri.
- Sì. Lo desidero. – dissi con decisione. Non potevo sapere dove volesse andare a parare, adesso credo volesse prima di tutto farlo ammettere a me stessa. Non scorderò mai quel giorno, perché quel giorno aprì gli occhi su ciò che volevo davvero essere. Rimase a guardarmi per qualche secondo, come analizzandomi solo con gli occhi.
- Va bene, Sigrid Myhre. Fatti prestare dalla tua infermiera un camice, domani ti aspetto davanti la porta del mio ufficio alle otto. Sii puntuale.
All’inizio non capii cosa mi avesse detto. O meglio, non capii bene cosa significasse quanto mi aveva detto e rimasi a fissarlo come un pesce lesso.
- Parlerò io col direttore e anche con tua… la tua tutrice, a proposito, come si chiama?
- Diya Church.
- Oh sì Diya. Allora…
- Mi scusi, ma… che significa?
- Perdonami?
- Che significa, portare un camice, parlare col direttore… io… io devo lavorare domani…
- Pensavo ti sarebbe piaciuto di più seguirmi in ospedale mentre curo i pazienti, ma se vuoi tornare a spazzare i pavimenti per me non c’è alcun problema, Sigrid. Non posso certo obbligarti, la scelta rimane comunque tua, io posso solo fare in modo che questo avvenga. Ma credimi, sarebbe un peccato lasciare che la tua buona memoria venga sprecata.
Rimasi in silenzio, mi sembrava assurdo, uno scherzo crudele al quale quel dottore mi stava sottoponendo per il suo divertimento. Ma quando lo guardai negli occhi mi apparve chiaro che non si trattava di nulla di tutto ciò. Era serio, e quando il giorno dopo mi presentai all’appuntamento che mi aveva dato non fu sorpreso: sorrise e annuì. Anni dopo mi rivelò che aveva paura che scegliessi davvero di rinunciare all’opportunità che lui mi aveva donato, che non potessi credere in me quel tanto che bastava per farmi tentare, per cui quando mi vide fu sollevato.
Restavo con lui fino a notte fonda ad eseguire autopsie per imparare l’anatomia, lo seguivo ovunque e lo lasciavo in pace solo quando doveva andare in bagno, rispondeva a tutte le mie domande, più gliene ponevo più ne era felice, ero la sua studentessa più brava. Gli altri suoi allievi erano dieci anni più grandi di me, avevano frequentato la scuola che io non avrei mai potuto frequentare ed erano invidiosi di me. Di una come me. Una sguattera.
Quando compii sedici anni iniziò ad insegnarmi le suture. Quando ne avevo diciassette toccò alle manovre ortopediche.
- Dottor Garret, mi faccia eseguire quella manovra!
- Siri non avere fretta, la facciamo insieme.
Ma io avevo fretta. Appena imparavo qualcosa volevo passare subito alla successiva. Quando tornavano i feriti della legione esplorativa erano talmente tanti, che ricordo che Shawn mi lasciava in totale libertà, quasi gioivo quando vedevo arrivare carri carichi di feriti. Lui se ne accorgeva vedendo i miei occhi brillare e puntualmente mi dava uno scappellotto: - Siri abbi rispetto. Ricordati che stai curando delle persone, con delle emozioni, dei sogni. Hanno appena perso i loro amici e passeranno una vita da storpi… quelli che sopravvivranno alle infezioni.
Non capii bene il senso di umanità che Garret cercasse di insegnarmi, fino a quando non compii diciotto anni. A diciotto anni mi insegnò l’umanità.
Ricordo quel paziente più degli altri, si chiamava Erik Seiler e fu il primo paziente di cui mi occupai da medico di riferimento, chiaramente Shawn supervisionava ma lui doveva solo approvare o rifiutare le mie decisioni. 
- Oggi che facciamo? Ripetiamo la circolazione della gamba? Ti avviso però che sono pronta a stracciarli in maniera plateale quei cinque sbruffoni che ti hanno appioppato, ma che diamine gli insegnano a scuola di medicina? Sono più brava io che non ci sono mai andata…
- Siri, – m’interruppe serio: - oggi non verrai con noi. – poi mi porse dei fogli. Li guardai: erano i risultati di test e i dati di un paziente. L’emozione che provai in quel momento fu indescrivibile, quando alzai lo sguardo su di lui e capii che si trattava esattamente di quello che avevo capito, saltai dalla gioia. Non potevo immaginare cosa mi aspettasse.
- Non posso crederci, vecchia canaglia! Ma sai, sono onorata. Ero stanca di far sentire i tuoi allievi inferiori.
Shawn mantenne la sua espressione impassibile, mentre compilava qualche scartoffia e senza guardarmi mi disse: - Farai meglio ad andare adesso, il paziente è al secondo piano.
Quando arrivai, vidi Erik Seiler per la prima volta. Un ragazzino. Era più piccolo di me di un anno ed era ricoverato lì perché aveva una malattia alle vie respiratorie, non era tisi, era qualcosa che gli altri medici non erano riusciti a identificare. Ricordo che pensai che Shawn avesse voluto darmi una sfida, capii dopo che quello che voleva darmi era piuttosto uno schiaffo morale.
- Ciao Erik, mi chiamo Sigrid Myhre, sarò il tuo medico per la tua permanenza nell’ospedale di Trost.
- Come? Tu sei il nostro medico? – la madre mi guardò incredula: aveva gli occhi gonfi e rossi.
- Sì, io. So di essere giovane per essere un medico ma il dottor Garret ha pensato che potessi seguirvi io, potete chiedere a chiunque. Sono la sua migliore allieva.
Mesi dopo avrei dato volentieri a quella me stessa una mazza nei denti. La signora Seiler uscì dalla stanza alla ricerca di un’infermiera che le avrebbe confermato quello che le avevo detto e rassicurandola che ero davvero la più brava, ci ero abituata, per cui non mi offesi e mi concentrai sul mio paziente.
- Piacere, Erik. – la sua voce era roca, sembrava avesse urlato a squarciagola il giorno prima e non avesse più voce: - Mamma è sempre molto ansiosa, a me piace avere un medico della mia età, almeno posso vedere un mio coetaneo. 
Gli sorrisi, imitando l’atteggiamento che il mio mentore assumeva coi pazienti.
- Allora Erik, perché non mi parli di te e della tua malattia?
Erik mi raccontò che era da un anno e mezzo che gli era venuto il raffreddore e che non se n’era più andato, aveva una tosse secca che spesso lo sfiancava. Era sempre stanco e anche fare pochi scalini lo affaticava, aveva diciassette anni e avrebbe dovuto continuare a lavorare ma l’avevano cacciato ovunque avesse anche solo tentato di lavorare: in una delle tante visite giornaliere mi rivelò di sentirsi inutile. Sua madre aveva iniziato a lavorare per poter aiutare suo padre a mantenere il resto della famiglia, la quale non la vedeva mai se non per qualche ora un giorno la settimana perché per il resto del tempo era sempre con lui.
Erik era un ragazzino come gli altri, un po’ più noioso degli altri a dire il vero. Ammiravo lo stoicismo con cui conviveva con la sua malattia, riceveva le mie cure senza mai lamentarsi, seguiva i consigli e non capiva mai le battute. Mi ritrovavo spesso nella sua stanza quando non avevo altri compiti da svolgere o quando dovevo pranzare. Gli piaceva chiedermi degli altri pazienti e delle cose strane che succedevano in ospedale, era bravissimo a disegnare e spesso per passare il tempo gli chiedevo di ritrarmi. Dopo la prima settimana decidemmo di provare le pose più assurde. Finì con l’affezionarmi a lui.
Rimase tre mesi in ospedale. All’inizio le medicine che gli davo sembrarono funzionare, ma questi risultati positivi si limitarono al primo mese di terapia. Provai diverse tecniche respiratorie, tutte inutili. Consigliai loro anche di trasferirsi in campagna o in montagna, ma ci avevano già provato per i sei mesi precedenti al ricovero e non era valso a niente. L’ultimo mese non fece che peggiorare, fino a quando gli ultimi giorni non poteva fare altro che rimanere steso a letto e “respirare”. Io andavo a trovarlo lo stesso, controllavo come stesse e poi, una volta aiutati i colleghi con le faccende di routine, tornavo da lui e gli parlavo della mia giornata. Non ero neanche sicura che mi sentisse, però non l’avrei abbandonato. Una mattina arrivai, salì al secondo piano, entrai nella sua stanza e non c’era più. Non potetti neanche dirgli addio.
Quando tornai a casa, in anticipo rispetto al solito, mi buttai distrutta tra le braccia di Diya e piansi come non avevo mai fatto nella mia vita.
***
 
Hange la fermò prima che potesse salire oltre il primo gradino.
- Ehi! Aspetta, Siri!
- Devo andare.
- Ma andare dove?! – Hange la tirò giù, l’altra dal canto suo non oppose resistenza.
- Levi… - Siri lo interpellò tenendo lo sguardo fisso a terra: - Mi avevi detto che avevi recuperato i miei pugnali, è così, vero?
Levi aveva già capito dove volesse andare a parare ma sapeva non essere colpa sua. Anche Siri ne era consapevole, ma il suo obiettivo non era incolpare il capitano per sentirsi meno responsabile del suo enorme sbaglio.
- Sì.
- Quanti?
Hange, con ancora il braccio di Siri tra le mani, si voltò a guardare Levi cercando di capire cosa significasse questo criptico scambio di battute. Levi si prese un momento per rispondere e non perché non se lo ricordasse, ma perché sapeva benissimo cosa questo implicasse. Senza distogliere lo sguardo da Siri, disse: - Due.
A quel punto lei alzò piano la testa e, contrariamente a quanto si aspettassero, la sua espressione facciale non tradiva alcuno sconforto o preoccupazione, era solo impensierita.
Come ha fatto a capire chi sono? Dopo “l’incidente”, Pyxis l’aveva presa con sé, l’aveva fatta addestrare e aveva fatto sparire qualsiasi documento riconducibile a lei. Era diventata praticamente un fantasma e, ufficialmente, era stata uccisa pochi giorni dopo il suo arresto in cella. Diya l’aveva pianta e sepolta, ma continuava a vivere la sua vita con l’impressione che in realtà Siri non l’avesse mai abbandonata davvero. La sua figlia adottiva infatti, quando poteva, le lasciava qualche indizio: qualche gioco di luce da una finestra, una candela accesa sul davanzale, o quella volta in cui Diya trovò sul tavolo del soggiorno un regalo misterioso nel giorno del suo compleanno. Tante piccole cose che avevano lasciato ben sperare l’infermiera.
Se c’è qualcuno più bravo di me…
Non riusciva ad immaginare come Kenny fosse venuto a saperlo, non poteva averla fatta pedinare, per cui doveva averlo saputo da qualche soldato. O forse aveva fatto due più due quando quel damerino dei Beaumont gli aveva raccontato di lei, in quale occasione lo ignorava, ma se Kenny era stato assoldato dalla corona e dai nobili, era inevitabile che avessero avuto delle occasioni in cui parlare. Un brutto scherzo del destino.
- Siri, adesso Kenny sa che lavori con noi.
Questo era l’ultimo dei suoi problemi in realtà. Siri non voleva che Kenny né tantomeno la gendarmeria sapesse che collaborava con loro non tanto per non far scoprire Pyxis, che aveva già un asso nella manica qualora fosse accaduto, ma perché così avrebbe potuto egoisticamente tirarsi indietro quando voleva. Non c’era molto tempo. Doveva tornare in città e controllare la situazione.
- Non è un problema per voi, quanto più per me.
- Ma Pyxis… - avanzò Hange preoccupata.
- Pyxis sapeva già come agire se fosse accaduto questo inconveniente. Levi restituiscimi i pugnali, mi serviranno. – disse ciò divincolandosi dalla presa di Hange che ora iniziava ad avere un quadro più chiaro. Levi le si avvicinò e il più tranquillamente possibile le disse: - Sai che ti avranno teso una trappola. Ovunque tu voglia andare ti staranno aspettando, non possiamo permetterti di andare via e farti catturare.
Siri lo sapeva meglio di lui, ma oltre alle sue ragioni prettamente personali, doveva vedere con i suoi occhi se quanto il gendarme le aveva detto fosse effettivamente vero. Poteva anche trattarsi di un giochetto psicologico che Kenny aveva inscenato per fare in modo che lei non gli mettesse i bastoni fra le ruote.
- Può darsi, ma ad ogni modo devo recuperare il pugnale che mi manca.
Levi si spazientì: - Mi sembra che tu abbia superato la pubertà ormai da parecchio tempo, posso accettare queste cazzate dai marmocchi di sopra ma non da un adulto.
- Va bene allora, legatemi e cercate di non farmi uscire di qui, ma mi dispiace deludervi, io riuscirò comunque a liberarmi. Non potrete tenermi con voi per sempre, infatti dovrò tornare da Pyxis. Ad ogni modo… - iniziò a srotolare il bendaggio sporco dall’avambraccio – io andrò via, che voi lo vogliate o meno.
- Non metterla in situazioni troppo pericolose. Le parole di Erwin gli rimbombarono nella testa.
Levi sapeva che sarebbe stato così. Siri non sembrava sicuramente la persona che se ne stava tranquilla in un posto ad obbedire agli ordini, inoltre non poteva biasimarla. Le persone che amava erano in pericolo e se Kenny aveva scoperto la sua “identità segreta” non sarebbe stato così gentile, soprattutto se lei l’aveva fatto incazzare in passato, e a giudicare da quanto lei gli aveva raccontato il giorno prima doveva essere così. Erwin l’aveva messo con le spalle al muro.
- Verrò con te.
Hange e Siri guardarono Levi sorprese.
- Levi sei impazzito?! Se catturano anche te è la fine! – disse Hange incredula.
- Perché, se invece catturano lei è meglio?!
- No, la spilungona ha ragione. Se ci vedono insieme, Kenny avrà la conferma che collaboro col corpo di ricerca, quindi…
- Quindi cosa? Ormai ci sei dentro fino al collo. Inoltre ho fatto una promessa ad Erwin e ai miei compagni, hai dimostrato di essere fin troppo impulsiva e data la gravità della situazione potresti anche decidere di voltarci le spalle e collaborare con la gendarmeria.
Calò un silenzio gelido nella stanza. Siri si sentì ferita nell’orgoglio: era una cosa che non avrebbe mai fatto, ma i suoi errori e la sua impulsività avevano lasciato pensare tutto il contrario. Non appena srotolò tutta la fasciatura fece scendere veloce la manica della maglia lungo l’avambraccio, non riusciva a nascondere la mano ma si disse che era la giusta punizione in quel momento.
- Va bene. – disse piano – Ma non entrerai con me in ospedale. Rimarrai all’esterno, coprendo bene testa e viso, nessuno deve vederti, nemmeno in giro per Trost.
Hange dopo essere rimasta di sasso fino ad allora, si prese la testa fra le mani: - Ma dico, voi due siete forse impazziti?! E cosa c’entra ora l’ospedale?!
- Se non dovessi tornare – Siri fece cenno ai due di seguirla per le scale – dovrete fare come vi dico, sono abbastanza sicura che vedere delusi i suoi ideali di lealtà proprio dal suo compagno, farà crollare il gendarme.
Detto ciò, diede le direttive su come proseguire l’interrogatorio ad Hange e Moblit, con Levi invece elaborò un piano per potersi introdurre a Trost.
- Un’ultima cosa Levi. – Siri lo guardò dritto negli occhi – Se non dovesse esserci via d’uscita, uccidimi. Non possono avermi viva, inoltre se muoio io non avranno più motivo di perseguitare le persone che fino ad ora ho protetto.
Levi la guardò intensamente. Lui e questa brutta abitudine di mantenere le promesse. Se quel momento fosse arrivato avrebbe dovuto scegliere se rispettare la volontà di Erwin e Pyxis o quella di colei a cui la vita apparteneva. Annuì.
 
Siri aveva indossato un vestito lungo verde e un’improbabile parrucca bionda, zoppicava, nonostante gli stivali lunghi della divisa non fossero molto adatti per recitare la parte. Tuttavia erano essenziali per la buona riuscita del piano.
- Dubito Kenny si disturbi a rimanere in quel posto a controllare degli ostaggi, per di più inutili per il piano più grande che riguarda la corona. Per cui avrò il vantaggio di affrontare delle persone nella media più stupide e meno calcolatrici rispetto a Kenny e i suoi uomini.
Entrò in ospedale, era semi deserto. Dietro la scrivania all’entrata c’era una sola infermiera intenta a compilare documenti. Sembrava tutto tranquillo.
- Salve… mi scusi… - Siri si portò una mano alla faccia mentre parlava con un accento delle mura del nord.
- Oh, buonasera.
- Ah… è così tardi ma… Ouuh, non ne potevo più! – Siri finse di essere stanchissima e si poggiò sulla scrivania, inducendo l’infermiera ad alzarsi e sorreggerla.
- Si sente bene? Ha qualcosa alla gamba?
- Oh sì, me la sono rotta e una settimana fa il dottor Garret me l’ha sistemata… - prese fiato – il problema è che non sono sicura sia tutto a posto, sa mi si è gonfiata e ha uno strano colore…
L’infermiera sbiancò come Siri aveva immaginato, ma quello che avrebbe detto dopo era la vera incognita, che avrebbe confermato o confutato la sua teoria: - Si sieda qui, vado subito a cercare il dottore.
Come immaginavo, davvero stupidi.
L’infermiera lasciò Siri da sola nella sala d’ingresso, permettendole di agire indisturbata: infatti, non appena l’altra girò l’angolo, prese uno dei camici appesi dietro la scrivania e si sfilò il vestito, rivelando un secondo vestito largo nero lungo fino a metà polpaccio con grembiule bianco. Nascose quello verde e la parrucca dietro gli scaffali delle medicine e indossò il camice. Il dottor Garret non lavorava più in quell’ospedale da tempo. Se l’infermiera non fosse d’accordo coi Beaumont, gliel’avrebbe detto e rimandata a casa. Osservò nascosta l’infermiera tornare seguita da due uomini nerboruti che, non trovando più Siri, presero la decisione più sensata, ossia di cercarla nell’ospedale.
Non totalmente stupidi in fin dei conti.
Non appena si divisero per cercarla, uscì dalla stanza dov’era nascosta e si diresse verso il reparto in cui Diya lavorava. Avevano deciso di separare le partorienti dagli altri pazienti dopo proprio un esperimento di Garret che aveva notato come dopo il parto le donne fossero più propense ad ammalarsi, da ciò fu deciso di tenerle separate dai pazienti che avrebbero potuto contagiarle. Trost vantava l’ospedale più avanti di tutte le mura, tant’è che molte donne nella città spesso preferivano partorire lì che in casa.
Arrivata al piano, Siri fu sorpresa di non aver incontrato grandi difficoltà, dopotutto però conosceva quell’edificio come se fosse casa propria, quindi nascondersi ogni qualvolta sentisse qualcuno avvicinarsi non era poi così difficile. Tuttavia non appena imboccò il corridoio di ostetricia, un presentimento orribile s’impossessò di lei: il corridoio era buio, illuminato solo da qualche lanterna, plausibile, ma era totalmente vuoto. Il silenzio che regnava era irreale per un reparto pieno di bambini appena nati. Siri prese coraggio e avanzò. Ormai era andata dritta dentro la trappola del nemico, ma era il suo obiettivo. Avrebbe lottato, sarebbe morta o l’avrebbe avuta vinta lei, ma dal momento in cui era uscita da quella casa aveva deciso di affrontare ciò che l’attendeva. Sapeva dopotutto che questo giorno sarebbe arrivato. Una ad una superò le stanze, tutte buie, fino a quando non arrivò ad una da cui si stagliava un raggio di luce. Si fermò. Il cuore prese a batterle più forte.
Ci siamo.
Tenne pronti i pugnali che aveva nascosti nella manica e si sporse: nella stanza c’era una scrivania, davanti ad essa vi era una figura in piedi che le dava le spalle. Cauta, si portò davanti alla porta senza entrare però nella stanza.
- È permesso? – dopotutto stava ancora recitando la parte del medico appena arrivato.
La figura prese a tremare.
- Ciao, Siri. Da quanto tempo non ci vediamo. – avrebbe riconosciuto quella voce anche se fosse passata una vita intera. Dietro la scrivania, nascosto dalla silhouette di quella persona in piedi, vi era Michel Beaumont che ora, sporgendosi oltre la figura misteriosa, la guardava coi suoi piccoli occhietti azzurri da volpe, accompagnati da un languido sorriso.
- Qual buon vento Michel. Non sei troppo impegnato a cercare di non far andare in malora il tuo cognome per passare il tuo tempo con vecchie conoscenze? – Siri lo guardò sprezzante. Mantieni la calma, intimò a sé stessa – Ah no, aspetta, è impossibile perché ti ho trascinato in un immenso mare di merda e ti ho visto affogarci per bene.
Michel rise sommessamente, portandosi un dito sul labbro: - Non eri così sboccata quando ti ho conosciuta.
- Non ero tante cose quando mi hai conosciuta.
- Oh suvvia, ancora con questa storia? Di strada comunque ne hai fatta, non come desideravi tu, ma per mettere alle strette Kenny una volta, devi essere parecchio brava… - spostò lo sguardo sulla figura a lei di spalle e sorrise – Tu che ne pensi, Diya?
Siri ebbe un sussulto. Sposto i pugnali nelle mani ma sapeva che entrare nella stanza era un errore enorme, lei non poteva vederli ma c’erano sicuramente degli uomini nascosti oltre la porta, pronti a immobilizzarla. La figura si girò lentamente verso di lei rivelando il volto imbavagliato di Diya. Siri fece un passo ma si trattenne fortemente dall’entrare.
- Oh non preoccuparti, non abbiamo intenzione di farle del male… se tu collaborerai con noi.
Dalla penombra accanto a Diya comparve un fucile puntato contro di lei.
- Ora per piacere entra, avanti.
Siri fece come gli disse, entrò e accanto a lei, come aveva previsto, vide due uomini che però non imbracciavano il fucile, evidentemente presagendo uno scontro fisico in cui le armi sarebbero risultate d’impiccio. Siri considerò il fatto che sì, avevano Diya sotto tiro, ma non l’avrebbero uccisa, non in quel momento, perché a loro serviva come ricatto per ottenere informazioni da lei. Quindi lentamente entrò, si fece sfilare i pugnali dalle mani…
- Brava la mia dolce Siri…
In un lampo tirò un pugno nel collo dell’uomo alla sua destra e girandosi dall’altro lato diede un calcio a quello alla sua sinistra. Michel si alzò di scatto mentre Diya lanciò delle urla soffocate mentre veniva afferrata da un quarto uomo che si nascondeva dietro il nobile. L’uomo col fucile lo puntò contro Siri ma Michel lo fermò: - NO! LA VOGLIO VIVA!
Quindi lui e un altro uomo si buttarono nella mischia, Siri fece cadere l’uomo armato con un calcio sulle gambe, l’altro la afferrò dalle spalle, ma ridusse la forza nella presa quando lei gli diede una testata. Si divincolò, schivo un fendente e centrò in piena faccia con un pugno l’uomo che aveva colpito al collo in precedenza che nel frattempo si era ripreso, anche l’altro che aveva fatto cadere all’inizio si era alzato e affondò due volte a vuoto il pugnale che le aveva preso, Siri prese l’uomo e lo spinse contro l’altro disarmato, ma non riuscì a neutralizzare in tempo l’uomo armato col fucile che le fece perdere i sensi battendogli l’arma dietro la testa. Prima di svenire vide il viso di Diya illuminato dalla luce rossa della lanterna, rigato di lacrime che la guardava con occhi sgranati dal terrore.
- Se mi prenderanno mi toglieranno la cinghia dei pugnali che tengo in vita e questo per loro basterà, non guarderanno mai negli stivali.
Quando le rovesciarono un secchio d’acqua addosso, si risvegliò in quello che doveva essere il seminterrato dell’ospedale.
Diya…
Aprì gli occhi. Era distesa a terra, le braccia dietro la schiena, legate tra loro ai polsi, sentiva la fredda pietra bagnata contro la guancia, la testa le faceva male e ci mise un po’ a mettere a fuoco la stanza. Vide dei piedi piantarsi davanti la sua faccia e la mano di Michel la tirò su per capelli. Siri rantolò poco per il dolore, non riusciva ancora ad aprire del tutto gli occhi.
- Dimmi, hai imparato tutto da sola o qualcuno ti ha insegnato?
Siri spostò lo sguardo dalla sua bocca ai suoi occhi azzurri. Dovevano averle assestato qualche calcio nell’addome prima di provare con l’acqua perché era dolorante e il fatto che Michel ancora la tenesse per i capelli non aiutava.
- Cosa c’è? Hai perso tutta la tua eloquenza?
Siri spostò lo sguardo sulla destra: riusciva a vedere tre uomini, quelli che aveva picchiato prima, uno di loro aveva la sua cintura coi pugnali, mentre un altro teneva Diya, che era legata ed imbavagliata, per un braccio. Dovevano però essercene altri nascosti nell’ombra, non riusciva ancora a vedere bene.
- Capisco… - disse Michel mentre tirò fuori con la mano libera dall’interno della sua giacca il suo pugnale perduto. Ciò le ricordò un dettaglio molto importante. Si sfregò i polsi. Corda. Perfetto.
- Lo riconosci? – Siri guardò il pugnale – Bene, vedo che ho la tua attenzione – disse Michel avvicinando il coltello all’orecchio destro di Siri. Lei spalancò gli occhi terrorizzata e mosse la gamba.
- Non sai quanto ho aspettato questo momento Siri. Ti umilierò fino a quando non mi chiederai pietà. Kenny mi ha gentilmente concesso di essere io a farlo… - affondò il coltello all’angolo della mandibola di Siri che irrigidì i muscoli per il dolore - … però, prima pensavo di far godere lo spettacolo a tua madre.
Diya dal bavaglio cercava di urlare ma ne venivano fuori solo suoni strozzati, quelli di una madre che, impotente, guarda sua figlia soffrire. Mi dispiace Diya, devo arrecarti ancora più amarezza…
Siri iniziò ad urlare per il dolore, ma era necessario che facesse tutto il rumore possibile. E per fare in modo che il suo aguzzino si divertisse il più lentamente possibile con lei, lasciò cadere le lacrime che si erano fatte avanti col dolore. Tutta l’attenzione era sul viso martoriato di Siri. Michel stava facendo scendere la lama fino all’angolo della bocca e vederla piangere gli diede una scarica di piacere perverso. Sorrise. Sorridi finché puoi, stronzo.
Sentiva il sangue sgorgarle dalla ferita che piano piano si apriva sempre di più come uno strappo, sentiva il liquido bollente scenderle lungo il collo e poi bagnarle i vestiti, impregnando l’aria di un odore metallico.
- Quando hai rovinato la mia famiglia non desideravo altro che vendicarmi di te. E quando ho saputo che eri stata arrestata e morta in cella, ci sono rimasto male. Volevo essere io, con le mie mani a mettere fino alla tua vita. Incontrare Ackerman è stato un puro caso, ma il più fortunato della mia vita. – Siri non poté fare a meno di smettere di disperarsi e guardare intensamente negli occhi Michel. Ackerman. Tutto tornava, era come se la sua mente, fino ad ora coperta da scure e fitte nuvole, fosse stata dissipata accogliendo la dolce sensazione dell’illuminazione. Il senso di libertà che scaturì da quella semplice scoperta le diede l’adrenalina necessaria per ciò che successe dopo.
- Se entro otto minuti non sono fuori di qui, solo allora potrai entrare e venirmi a cercare. Entra dalla finestra dell’ala est, non toglierti cappuccio e maschera dal viso per alcun motivo al mondo. Io cercherò di guadagnare più tempo possibile, quando arriverai sarò sicuramente riuscita a slegarmi, ma aspetterò te per agire.
- Come farò a capire dove ti tengono?
- È molto probabile che mi portino nei piani sotterranei, ci sono le aule per le autopsie, è più facile pulire dopo. I sotterranei sono parecchio grandi, ma comunque cercherò di fare tutto il rumore possibile.
Le farneticazioni di Michel furono interrotte dal rumore della pesante porta di ferro che si apriva su per le scale alla loro sinistra. Nella stanza calò il silenzio. Michel smise di tagliare la faccia di Siri poco prima dell’angolo della bocca e, sempre trattenendola dalla testa, si voltò a guardare le guardie alle sue spalle. Erano tutte armate con delle spade, tranne quello che imbracciava il fucile e che, sentendo la porta aprirsi, lo puntò per le scale. Siri aspettò di sentire i passi di Levi scendere tranquillamente i primi scalini in pietra per aprire le braccia e accoltellare Michel nella spalla. Il nobile ululò per il dolore e si accasciò, ciò creò abbastanza confusione perché lei lanciasse il pugnale che l’aveva aiutata a liberarsi alla mano della guardia che teneva il fucile, in un attimo Siri strappò di mano a Michel il pugnale perduto e fu sull’uomo armato. Alle sue spalle Levi era scivolato lungo le scale, atterrando piegato in avanti e in un lampo si era scagliato, pugnali alla mano, contro due uomini. Siri colpì in testa l’uomo che aveva aggredito col calcio del fucile, gli strappò dalla mano insanguinata il pugnale e lo mise fuori gioco colpendolo di nuovo alla testa con un calcio.
Ciò che seguì fu uno scontro sanguinoso in cui Levi e Siri sembravano agire come una persona sola: il piano era andato avanti così egregiamente che, se all’inizio Siri agiva un po’ per conto suo, non appena recuperò la cintura coi suoi pugnali e fermò con un fendente uno degli uomini di Michel che stava per colpire con una stoccata Levi, dopo i due si guardarono e con un cenno venne loro naturale combattere schiena contro schiena. Gli uomini di Michel erano troppo lenti e i due soldati fin troppo abili, Levi era semplicemente perfetto nei suoi movimenti, dopotutto era nato per quello, mentre Siri, che non denotava nessuna particolare predisposizione, era riuscita con gli anni a sfruttare a suo favore la sua memoria anche nel combattimento. Sapeva, solo da come uno degli uomini si lanciava verso di loro con la spada, dove aveva intenzione di colpire, prevedere quindi il movimento e fermarlo in anticipo. 
Levi atterrò l’ultimo uomo di Michel, ne aveva contati almeno dodici, e quando alzò lo sguardo su Siri la trovò pietrificata con gli occhi fissi davanti a lei. Mise k.o. con un pugno l’uomo e si alzò: Michel perdeva sangue dalla spalla ma ciò non gli impediva di puntare un coltello alla gola di quella che lui credette essere la mamma di Siri.
- Lasciala Michel. Ormai hai perso.
- Questo è quello che credi tu, – sudava e aveva la voce affannata – ma tra poco Kenny sarà qui e ve la vedrete con lui, tu e il tuo amichetto.
Siri e Levi sgranarono gli occhi.
- Oh, vedo che fa paura ad entrambi. Gli avevo detto di lasciarmi un’ora a divertirmi e che se poi non fossi risalito a chiamarlo per finirti, allora sarebbe venuto qui con tutta la sua squadra.
- Balle. – disse Siri sprezzante. Levi contò mentalmente il tempo. Otto minuti, più il quarto d’ora che ci aveva messo per raggiungerla, almeno venti minuti di combattimento… dovevano andarsene di lì alla svelta. Un conto era affrontare dodici uomini nella media, un altro Kenny e la sua squadra.
- Siri… - Levi fece un passo verso di lei.
- Decidi Siri. Rimani qui e ti lasci uccidere ma risparmio Diya, oppure te ne vai e l’ammazzo.
A quel punto Levi non poteva prevedere cosa sarebbe potuto succedere: Diya, ancora imbavagliata e legata, guardava Siri con occhi sconsolati ricolmi di lacrime, scuoteva la testa e chiaramente stava pregando Siri di andare via. Diya non sarebbe mai potuta vivere in pace sapendo che Siri era veramente morta, ma vederla per un’ultima volta con la consapevolezza che poteva ancora vivere e cambiare il suo destino, l’avrebbe fatta morire in pace.
Il viso di Siri era una smorfia di dolore. Lei sapeva qual era la cosa giusta da fare, non poteva permettersi un altro errore. Ma non poteva lasciarla morire così. Lanciò un pugnale contro Michel, accadde tutto così velocemente che nemmeno Levi riuscì a realizzare subito cosa successe: il nobile schivò il fendente gettandosi in avanti, non perdendo però la presa su Diya, quindi entrambi capitolarono per terra. La donna, strusciando la faccia sulla pietra riuscì ad abbassarsi il bavaglio: -SIRI VA VIA! Lascia che mi sacrifichi per te! – spostò lo sguardo su Levi e gli urlò: - PORTALA VIA!
Levi ebbe la prontezza di trattenere per la vita Siri, perché Michel, vedendola avanzare, si sedette facendosi scudo con Diya e le affondò il pugnale nel cuore. 
L’urlo di Siri fu disumano. La furia si era ormai impadronita di lei, dandole la forza necessaria a divincolarsi da Levi, adesso che non aveva più motivo di risparmiarlo, Siri aveva un unico obiettivo: uccidere Michel. Ma la rabbia, come lei imparò a sue spese quella sera, acceca anche i migliori. Così, quando lanciò un altro pugnale contro l’assassino in fuga di sua madre, lo mancò poco prima che lui riuscisse a sparire dietro l’angolo, in uno dei corridoi alle sue spalle. Siri prese uno scatto per inseguirlo ma Levi le si parò davanti.
- SIRI DOBBIAMO ANDARE VIA, KENNY SARÀ QUI A MOMENTI! Inseguirlo è inutile se poi ci ammazzano come topi! Abbiamo una missione!
Lo sguardo di Siri, dritto in quello di Levi, era come annebbiato, ma quando sentì i rantoli di Diya ai suoi piedi, si riscosse e si gettò sulla donna: - Diya aspetta, posso curarti, se solo ora… ora lui andrà a prendermi il necessario e tu sopravvivrai…
Cercava di tamponare inutilmente la ferita al petto, il sangue sgorgava senza dare accenno di fermarsi. La logica di Siri le diceva che sarebbe morta di lì a qualche minuto, ma il cuore le diceva di restare. 
Siri… - la voce della donna era ormai un sussurro.
Siri, ci vediamo quando tramonta il sole…
Il viso della ragazza era rigato di lacrime, piegata su di lei, stava vedendo la vita di sua madre scivolarle via dalle mani e non poteva farci assolutamente nulla. Se c’è un prezzo da pagare, questo è abbastanza…
La guardò negli occhi e tenendole la mano le disse: - Ti aspetto sull’altra sponda della strada.
Levi, nel frattempo, aveva recuperato i pugnali di Siri, poi le si inginocchiò accanto. Nonostante avrebbe voluto poterle concederle più tempo di quello che affettivamente le aveva già dato, non poteva permettere alla sua gentilezza, in quel momento, di sormontare il suo buon senso. La trascinò via di peso fuori dai sotterranei. 

Nota dell'autrice: ho riscritto parecchie volte questo capitolo e ogni volta non mi sembrava "perfetto" come avrei desiderato. Vi chiedo scusa in anticipo per le scene d'azione in cui non sono stata molto esaustiva, me ne rendo conto, ma sono le scene chiaramente più difficili da descrivere, ma mi sto esercitando. Magari un giorno, quando finirò questa storia, mi piacerebbe riscriverle per rendere giustizia alla mia immaginazione. Al prossimo capitolo!

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 - Cicatrici ***


Capitolo 7 – Cicatrici

 

“This is just my opinion, but when it comes to teaching somebody discipline, I believe pain is the most effective way.”
(Questa è solo la mia opinione, ma quando c'è bisogno di insegnare a qualcuno la disciplina, personalmente credo che il dolore sia la maniera più efficace).

 
Siri aveva smesso di opporre resistenza a Levi, era come se si stesse lasciando portare via. Usciti dai sotterranei, Levi lasciò la presa su di lei che barcollò indietro, poggiando la schiena contro la parete.
- Cerca di riprenderti, dobbiamo andare via.
Siri abbassò lo sguardo sulle sue mani, sporche di sangue. Il dolore che sentiva nel petto era indescrivibile, era come se qualche tonnellata le fosse piombata addosso e la schiacciasse, fino a quasi farle perdere il respiro. Il compagno a quel punto capì che doveva intervenire, le afferrò quindi una spalla e le diede uno scossone: - Fissarti le mani non la riporterà indietro, avevi detto che conosci un altro percorso per uscire e non essere notati.
Siri lo guardò ed emise un flebile “sì”.
Effettivamente aveva ideato un ottimo percorso per fuggire via, allungando di molto la strada, ma che permise loro, una volta fuori dall’ospedale, di potersi rifugiare direttamente sotto dei portici di fronte l’uscita secondaria e godersi da lì, al buio e al sicuro, l’entrata in scena degli uomini di Kenny dalle finestre nell’edificio. Fecero appena in tempo. 
Ormai era calata la notte e in città regnava il silenzio più assoluto, rotto soltanto da gatti randagi intenti a frugare nella spazzatura e da sporadiche risate del corpo di guarnigione intento a fare le ronde sulle mura. Per raggiungere i cavalli fuori città non usarono i dispositivi di manovra tridimensionale, ma passarono semplicemente dal cancello: Pyxis, sapendo che Siri stava agendo in quella zona, aveva già sistemato delle guardie affidabili all’entrata, inoltre, essendo il corpo di guarnigione non implicato nella faccenda, non avrebbero avuto rogne.
I due proseguirono di soppiatto fino ai cavalli. Fino a quel momento non si erano rivolti una sola parola: Siri sembrava andare avanti per pura inerzia, nonostante ciò la sua mente era comunque sempre vigile, come se il suo istinto di sopravvivenza la facesse proseguire esattamente come avrebbe fatto in piena lucidità; Levi, invece, aspettava solo di raggiungere i cavalli per poterle fare un discorsetto. Sarebbe rimasta al loro fianco per non sapeva ancora quanto tempo, soprattutto ora che era compromessa col corpo di ricerca.
Arrivarono finalmente ai cavalli. Siri si era appena avvicinata alla sua sella quando Levi le si accostò.
- Te l’avevo detto che ce l’avremmo fatta alla fine. – disse Siri, impassibile, prima che lui potesse rivolgerle la parola.
- Ce l’abbiamo fatta… - il tono di Levi era calmissimo come al solito – Non so per quanto tempo dovrai restare nella mia squadra, ma, prima di tornare all’accampamento, voglio che ti sia ben chiara una cosa.
Levi l’afferrò per il collo del vestito: da quella distanza ravvicinata poteva vedere meglio il profondo taglio che aveva sul viso, fortunatamente non era arrivato alla cavità orale, ma ci mancava veramente poco. Aveva i lunghi capelli lisci, sciolti, sporchi e umidi di sangue e acqua e questo le dava un’aria ancora più malinconica. Siri non sembrava spaventata da lui, lo stette a sentire sostenendo il suo sguardo, consapevole di meritarsi quella ramanzina; inoltre, nulla in quel momento poteva essere peggiore di quanto aveva dovuto passare nell’ultima ora e mezza.
- Non sopporto le perdite inutili, ti sembrerà strano, ma è una delle cose che mi fa più andare in bestia, in assoluto. Ancora di più se queste perdite riguardano i miei compagni. D’ora in poi non voglio più stare a queste cazzate, per di più da una come te.
Siri lo guardò interrogativa. Lui continuò, rispondendo subito all’interrogativo indiretto: - Ho visto di cosa sei capace lì dentro e mi sembra assurdo che una persona dotata di quelle capacità, per di più una spia fidata di Pyxis, possa assumere un comportamento così sconsiderato come il tuo.
- Hai mai perso qualcuno per cui avresti dato la vita, Levi?
Lui si fermò, senza perdere però la presa su di lei. La domanda a bruciapelo l’aveva spiazzato, non credeva avesse la forza di rispondergli.
- Io avevo l’illusione di poter proteggere le persone che amavo, risparmiarle dal viscido mondo in cui viviamo. – dal tono di Siri non traspariva alcuna emozione - Invece oggi le ho viste morire davanti ai miei occhi e non ho potuto fare assolutamente nulla che stare a guardare e poi scappare.
Ebbe un lieve tic alle labbra, come se avesse voluto fare un mezzo sorriso: - Anzi, farmi trascinare via. Quindi, dimmi Levi, questo dolore, ha un qualche significato per te? Se fossi stato in me, saresti rimasto a guardare?
- Le mie saranno state azioni sconsiderate, ma posso dire di averle compiute con le migliori intenzioni per poter salvare le persone che amavo.
Levi la stette a guardare, impassibile. Non sapeva come risponderle, non solo perché si trovava d’accordo con lei, ma anche perché riflessi nei suoi occhi vedeva i suoi amici, quegli stessi amici che aveva perso nelle sue medesime condizioni. Vedeva sé stesso di sei anni prima: Siri doveva avere all’incirca la sua stessa età, la stessa di quando aveva perso l’unica famiglia che aveva mai avuto. La mollò, facendola urtare leggermente al cavallo alle sue spalle.
- Come pensavo. Lo vedo nel tuo modo di porti sai, nel tuo modo di parlare, nelle cose che dici. Non ti conosco bene, ma il tuo modo di essere parla per te. Dopotutto però… ha sempre fatto parte di qualsiasi lavoro abbia mai svolto… capire le persone.
Levi salì a cavallo, stava per risponderle quando lei ruppe di nuovo il silenzio, fissava ancora la sella: - Mi chiedo solo se… se io non avessi…
- No. – Siri si voltò a guardarlo – Tu hai preso la tua decisione, quella che ti è sembrata più giusta per difendere le persone a cui tenevi. Non ha senso che tu ora lo rimpianga.
La pioggia. Il sangue. I suoi grandi occhi verdi.
- Non puoi prevedere dove le tue azioni ti porteranno, ma se lasci che gli altri le prendano per te non ti resterà altro da fare che crepare miseramente. Per cui, smettila di piangerti addosso e fa che la tua azione idiota ti sia da lezione per la prossima.
Girò il cavallo e la guardò dritto negli occhi, a quel punto sgranati: - Adesso sali su quello dannato cavallo e torna a fare il tuo lavoro.
Cavalcarono in silenzio verso l’accampamento. Quando arrivarono, prima che Levi aprisse la porta Siri si schiarì la voce, attirando lo sguardo di lui di sottecchi: - Ti ringrazio.
Guardava a terra, con la faccia girata di tre quarti che metteva in mostra del tutto il lungo taglio, le pesava tantissimo ringraziarlo e quindi ammettere lo sbaglio, ma le parole che le aveva rivolto l’avevano colpita e in un certo senso aiutata: lei non poteva sapere però che quelle stesse parole erano state dette anche a lui ormai anni prima in una situazione analoga.
Entrati in casa, Levi ignorò le mille domande su dove fossero stati, chiese di Hange e si diresse alle scale per la cantina, Siri invece, passò davanti la squadra seduta attorno al tavolo per raggiungere il bagno facendo calare il silenzio: nonostante non accennò il minimo sguardo verso di loro, sapeva che la stavano fissando sconcertati. Una volta che entrò in bagno, chiudendosi la porta alle spalle, Levi si rivolse a Sasha: - Va ad aiutarla.
Da quello che aveva potuto notare, sembrava che, tra tutti, lei fosse quella che stava più simpatica alla spia, inoltre aveva potuto constatare in prima persona che la ragazzina era la più portata in fatto di medicazioni.
- S-sì capitano. – Sasha non sembrava molto felice dell’ordine ricevuto, ma l’unica alternativa era Armin che però non vantava di un’ottima mano ferma. Dopo aver dato l’ordine, mandò Jean di guardia e scese per le scale, avrebbe appurato con Hange se la trovata di Siri sarebbe stata efficace per far parlare il loro ostaggio.
Siri si passò un asciugamano sul collo e nelle vicinanze della ferita, rimuovendo il sangue secco: guardandosi allo specchio stava valutando profondità e lunghezza, le ci sarebbero voluti almeno una ventina di punti, inoltre ignorava come potesse eseguire un’intradermica con in circolo il suo analgesico. Anche con una sutura di quel tipo le sarebbe rimasta la cicatrice, non le importava nulla delle implicazioni estetiche, piuttosto con un segno del genere sarebbe stata facilmente identificabile.
Forse mettendo della cera sopra potrei nasconderla per azioni sotto copertura…
Bussarono alla porta del bagno.
- È occupato. Siete forse ciechi?
- Ehm, signorina Siri…
Riconobbe la voce di Sasha, roteò gli occhi, ma un po’ dell’acidità svanì dalla sua voce: - Ti ho detto di non chiamarmi così. Senti, a meno che non devi fare quella grossa puoi andare fuori a farla.
- Il capitano Levi mi ha chiesto di aiutarla…
Siri sospirò. Dopotutto un aiuto le sarebbe stato comodo. Aprì poco la porta e dalla fessura la squadrò: - Come te la cavi con le suture?
Sasha fece una faccia imbarazzata: - Abbastanza bene! Di solito sono io a ricucire gli altri.
- Questo lo vedremo. – disse Siri aprendo la porta, rimanendoci nascosta dietro e lasciandola entrare. Quando la chiuse e rivolse il lato destro sfregiato, Sasha la guardò impietrita.
- Ti fa senso? – disse Siri guardandola dal riflesso dello specchio.
- N-no…
- Perfetto. Apri quell’armadietto, c’è una sacca col kit per le suture.
- Sì! – stare sola in quella stanza con Siri, metteva Sasha in forte soggezione. Oltre al fatto di essere un adulto, la spaventava anche sapere che molto probabilmente, esattamente come con Jean, potesse sapere perfettamente chi fosse e l’identità della sua famiglia. E se sbagliassi la sutura? Si vendicherebbe sulla mia famiglia? Questo e altri pensieri ansiogeni le attraversarono la mente.
- Sai fare una sutura intradermica? – disse Siri dopo aver messo sotto la lingua l’analgesico.
- Una che?! – Sasha la guardò sgomentata.
- Bene, oggi imparerai come si fa. – le strappò di mano il kit. Prese l’ago e il filo, e osservandosi attentamente allo specchio, prima di tutto disinfettò e poi applicò il primo punto, digrignando i denti per il fastidio. Sasha la guardò sgomentata.
- Aspetti io posso…
- Guarda bene come faccio. Non ho molto tempo prima che l’analgesico agisca. La ferita, non me imbranata! – disse guardandola dallo specchio.
- Sì! 
Altro che per il taglio, mi distruggerà lei la faccia. Fece un respiro profondo per riacquistare la calma. Nonostante fosse stata un’ottima allieva, insegnare non le era mai riuscito molto bene, cercò quindi di visualizzare quanto più potesse il suo mentore.
- Allora iniziamo col non darmi più del lei. Non ce n’è bisogno. Adesso guarda attentamente come faccio io, puoi farcela, vedrai che una volta che prendi la mano ti viene naturale.
Iniziò a suturare, facendo passare l’ago nella carne più profonda. 
- Come puoi vedere è molto diversa da quella che siete abituati a fare, ma lascia meno cicatrici evidenti.
Mentre seguiva attentamente, gli occhi di Sasha non poterono che cadere sul dorso della mano sinistra di Siri: sulla pelle c’era una specie di bruciatura, anzi… osservando meglio si trattava di un marchio a caldo, uno di quelli che di solito la sua famiglia faceva sugli animali. Sasha rabbrividì, ma pensò bene di non chiederle nulla.
Tuttavia, quando Siri le porse l’ago per continuare, la mano sinistra della spia che le teneva lontani i capelli dalla ferita era sempre sotto gli occhi della povera soldatessa, che, sia per la sua impudenza che per rompere il silenzio, alla fine decise di rischiare e chiederle l’origine di quella bruciatura.
Siri la fissò dal riflesso sullo specchio senza il minimo accenno di fastidio, probabilmente anche per merito del farmaco: - Non è un male essere curiosi ragazzina, però… se vedi una persona marchiata come un animale e cercare di nasconderlo, forse è buona educazione non chiedere.
- Scusami…
- Comunque sia… - non riusciva bene a spiegarsi il perché, ma Sasha la faceva sentire a proprio agio, le aveva dato l’impressione di essere una persona da cui non potessero venire cattive azioni – Se proprio t’interessa saperlo, non ho particolari problemi a dirtelo: me l’ha fatto quel Kenny.
Sasha deglutì, le rivolse un breve sguardo ma continuò a suturare.
- Mi ha lasciato questo regalino per far sapere a chiunque mi avesse ingaggiata, che lui mi aveva uccisa. Beh, io sono sopravvissuta quindi non è servito al suo scopo, però… - fece una breve pausa e abbassò lo sguardo sul lavandino – è servito a me come monito, per ricordarmi di credere nelle mie capacità.
- Ma quindi se ti dà forza perché lo nascondi alla vista?
- Non serve che gli altri lo vedano, vederlo serve solo a me, per ripetere a me stessa che se sono ancora viva, non è merito di nessuno, se non mio. Non ho bisogno di fare affidamento su nessun altro. Inoltre, è un segno che mi renderebbe troppo riconoscibile.
- Oh, giusto… 
- Perdonami se ti ho annoiata.
Sasha sventolò la mano libera imbarazzata, dopo un po’ però le disse pensierosa: - La trovo una cosa triste però…
- Cosa?
- Il fatto che se sei viva lo devi solo a te: io, esattamente come i miei compagni, su questo facciamo affidamento l’uno sull’altro, è bello sapere che abbiamo qualcuno che ci guarda le spalle e sapere di poter contare su qualcuno. Non voglio sembrare inopportuna… ma non hai davvero nessuno su cui puoi fare affidamento?
Siri non dovette pensarci molto su, sì, avrebbe potuto fidarsi di lei, come anche degli altri che aveva conosciuto da poco, ma essere la spia di Pyxis significava diffidare anche delle persone che all’apparenza erano come Sasha, prive di cattiveria. Tuttavia, Siri era una persona che credeva fermamente che la lealtà fosse la qualità più importante in una persona, ma per ricevere lealtà d'altronde sapeva benissimo bisognasse anche darne. Per cui le disse la cosa più onesta che potesse: - Io lavoro da sola, per quanto possa volerlo, non posso.
Dopo queste parole, Sasha portò a termine la sutura senza chiederle altro.
- Ho finito. – Siri si guardò allo specchio.
- Non male ragazzina.
- Mi chiamo Sasha. – la soldatessa sembrava aver preso coraggio, era consapevole che la spia sapesse perfettamente il suo nome, ma se lei non poteva chiamarla signorina ed era sgridata quando le dava del lei, non vedeva perché non potesse farle presente di voler essere chiamata per nome. Siri si girò a guardarla: - Ti ringrazio, Sasha.
Troppa gentilezza stasera.
Quando Sasha uscì dal bagno dopo averla aiutata con la fasciatura, Siri prese dei vestiti puliti, per la precisione la sua rassicurante divisa scura e si fece un bagno caldo, facendo ben attenzione a non bagnare il bendaggio. 
Finalmente era sola e potette sentirsi libera di lasciar sgorgare le sue lacrime. Si lavò fino a quando l’acqua con cui si risciacquava non divenne limpida, libera dal colore rossastro del sangue. Quel bagno sembrò piuttosto una sorta di rito di purificazione. Mentre si lavava i capelli, la sensazione piacevole dell’acqua calda che le scivolava giù per la spalla sembrò come restituirle una sorta di serenità.
Uscì dal bagno, i capelli sciolti con un asciugamano caldo umido sulla testa: sotto lo sguardo dei ragazzini si gettò sul divano e si stese, poggiando una gamba sulla spalliera. Adagiò l’asciugamano sulla faccia e intimò alla squadra di disturbarla solo in caso di vita o di morte.
Dopo alcuni minuti, però, fecero capolino dalle scale del piano inferiore Hange, Moblit e Levi che avevano appena finito l’interrogatorio e portavano importanti notizie per tutti. La voce squillante di Hange fu impossibile da ignorare, un tempismo perfetto.
- Dov’è Siri?!
Sentitasi chiamare in causa, senza alcuna intenzione di alzarsi, alzò un braccio e mosse la mano a mo’ di saluto.
- Bene, allora ci siamo tutti. A Jean lo direte dopo. Grazie alla tua trovata, siamo riusciti ad ottenere dai nostri “ospiti” delle informazioni di vitale importanza.
- Hanno rivelato dove si trova Eren? – Siri pensò che Mikasa fosse davvero seccante. Sembrava come ossessionata da quel ragazzo, non riusciva nemmeno a sopportare come si rivolgeva ai suoi superiori. Evidentemente era nel sangue degli Ackerman comportarsi così… improvvisamente le tornò in mente che grazie a quella scampagnata era riuscita involontariamente a scoprire il cognome di Kenny.
- Purtroppo no. Ma credo che Siri dovrà raggiungere Pyxis a breve: ci hanno confermato i suoi sospetti.
Sentì Hange avvicinarsi a lei: la scienziata con un sorriso a trentadue denti scostò l’asciugamano dal viso di Siri e le disse: - Sentito Siri?! – il sorriso di Hange scomparve quando vide la fasciatura e gli occhi gonfi della ragazza.
- Ahia, sei messa male…
- Forse dovresti prima informare i tuoi sottoposti invece di preoccuparti di una povera sfregiata.
- Hai ragione. – Hange la guardò interdetta e ricoprì nuovamente il viso della compagna - Allora squadra, state bene a sentire. Il re Fritz non è il vero re delle mura, bensì lo è questo simpatico signore qui – disse, srotolando un volantino sul tavolo, rivelando il ritratto di un uomo sulla mezza età – Rod Reiss.
- Quindi questo fa di Historia… - avanzò Armin.
- … La legittima erede al trono. – concluse Siri.
- Già. Quindi è lo stesso Rod Reiss che tiene in ostaggio Eren ed Historia, molto probabilmente il suo piano è quello di far mangiare Eren. – Hange si fermò un momento – Eren, infatti, mi ha riferito una conversazione tra Ymir e Berthold, a quanto sembra un gigante è capace di tornare umano solo se divora un altro essere umano col potere di trasformarsi. A quel punto il potere è trasferito nel nuovo ospite, questo fa di Eren un elemento rimpiazzabile, qualora il governo sia a disposizione di un gigante. E a quanto sembra…
Mikasa era già arrivata alla conclusione di Hange e si diresse verso la porta, Levi la fermò: - Mantieni il sangue freddo Mikasa.
- Già Ackerman, oggi c’è già stata un’azione avventata. – Siri si sedette sul divano, si tolse l’asciugamano dalla faccia indicando la fasciatura e parlò agli altri oltre la spalliera, i lunghi capelli castani che le ricadevano ai lati del viso – Ad ogni modo, la nostra scampagnata in città non è stata totalmente inutile: ho scoperto il cognome di Kenny.
La velocità con cui Levi si voltò a guardarla fu talmente evidente, che, notando l’interesse, Siri sviluppò un forte dubbio: - Si chiama Kenny Ackerman, il fatto che abbia falsificato i suoi documenti anagrafici spiega molte cose… Levi posso sapere come lo conosci? Sin da quando l’ho nominato la prima volta ti sei interessato a lui, ho creduto si trattasse di interesse a livello professionale, ma a questo punto viste le tue origini non credo che-
- Posso continuare io se non ti dispiace. – Levi pensò che non servisse più nasconderlo ad Hange e la sua squadra. Raccontò di come quell’uomo l’avesse preso con sé per qualche anno e poi abbandonato al suo destino, da dove veniva e di quando Erwin lo fece entrare nel corpo di ricerca. Nessun dettaglio inutile su chi fosse sua madre o su quante persone avesse perso fino a quel momento, i suoi errori e gli orrori a cui aveva assistito e affrontato. Non fu infatti un lungo discorso, sentiva comunque lo sguardo tagliente di Siri su di lui più di quelli dei suoi compagni: anche lei, a questo punto, aveva sicuramente avanzato dentro di sé l’ipotesi che lui non fosse altro che il figlio illegittimo di Kenny, soprattutto dopo aver parlato del “risveglio” che anch’egli aveva affrontato, che sapesse qualcosa in più rispetto a lui?
Mikasa era visibilmente colpita e raccontò di come suo padre fosse perseguitato e sua madre discriminata, tuttavia confermò di non avere idea di che grado di parentela condividesse con il killer della capitale.
- Non so per quale ragione, ma il governo ha indotto la popolazione a discriminare gli Ackerman, – Siri si alzò e iniziò a intrecciarsi i capelli in una treccia – sicuramente Kenny ne sa più di me, considerate le cose folli che stanno accadendo negli ultimi mesi, non mi sorprenderebbe sapere che gli Ackerman sono coinvolti in qualche modo con la corona, e anche coi giganti… probabilmente una volta erano nemici della corona, non si spiegherebbe altrimenti un accanimento così feroce: Mikasa sono molto dispiaciuta per la tua famiglia, fortunatamente per te però il tuo delizioso parente, a giudicare dai suoi nuovi incarichi, ha fatto in modo che queste persecuzioni finissero, almeno ha concluso qualcosa di buono nella sua miserabile vita.
Siri legò la treccia con un elastico: - Ma non è compito mio elaborare delle conclusioni, sono un semplice veicolo per le informazioni… a tal proposito, Hange, tu andrai da Erwin, io da Pyxis. Se quest’ultimo deciderà di collaborare con Erwin, forse potrò finalmente dormire.
Non poteva dirlo, ma era da anni che aspettava questo momento: aveva spiato, rischiato la vita così tante volte solo per riuscire a raggiungere il suo obiettivo di vendetta. Sapeva che nonostante la soddisfazione, ciò non le avrebbe ridato la sua vecchia vita, né tantomeno Diya, ma il pensiero di essere vicina a raggiungere quello per cui aveva lottato la faceva sentire completa; tuttavia, dopo aver parlato quella seconda volta con Erwin, un pensiero le si era insinuato, una sensazione diversa da quella che l’aveva dominata ogni qualvolta pensasse ai nobili e in particolare ai Beaumont, sembrava essere senso di giustizia, la voglia di svelare la verità. Non era molto diversa da quella che anni prima l’aveva spinta a parlare con Pyxis di quanto era venuta a sapere. No, si disse, quella era solo paura di morire.
- Va bene, Levi tu cosa hai intenzione di fare con la tua squadra? – rispose Hange afferrando il suo mantello.
- Andremo nei territori di Rod Reiss, è molto probabile che Eren si trovi lì.
 
Hange guardò Siri scendere da cavallo, era da quando aveva visto la fasciatura e i suoi occhi rossi e gonfi nel momento in cui le aveva alzato l’asciugamano dal viso che voleva dirle qualcosa: - Levi mi ha fatto rapporto su questa sera… Mi dispiace per tua madre.
- Mia madre è morta ventun anni fa. – rispose Siri mentre fissava le briglie ad un albero. Voleva apparire forte, non lasciar trasparire il suo dolore a qualcuno che non conosceva così bene, ma questa dimostrazione di forza che senso aveva? Si pentì di aver risposto a quel modo, Diya come madre valeva anche più di quella biologica, il suo era un meccanismo di difesa per negare il suo dolore agli altri e a sé stessa, ma, esattamente come la vendetta che tanto pregustava, non sarebbe servito a nulla. 
Fingeva di essere più forte in quel momento, fingeva di essere un mostro senza scrupoli quando era davanti ai nemici per fare paura ed ottenere quello che voleva. Fingi finché non lo diventi: sperava tanto di no. Hange rimase interdetta, le rispose solo dopo qualche secondo pensando che cambiare argomento sarebbe stato meglio: - È notte fonda, sei sicura di andare a piedi?
- Sì. Sarò sicuramente più veloce che col cavallo. Tanti auguri Hange, ci si vede.
- Arrivederci Siri.
Si sorpresero di rincontrarsi poco dopo nella stessa stanza: Pyxis aveva raggiunto Erwin negli alloggi in cui era confinato dalla gendarmeria e Ankha, la guardia personale di Pyxis, aveva informato Siri dell’uscita del loro comandante.
La spia fece capolino dalla finestra, cogliendo di sorpresa tutti i presenti.
- Hange. Ci siamo riviste abbastanza in fretta.
- Già, ma sono stata più veloce di te ad arrivare.
- Ad arrivare, da Erwin. Comandante Erwin, comandante Pyxis. – disse saltando nella stanza scarsamente illuminata.
Siri aveva ancora la mascherina alzata quando entrò nella stanza e non la tolse nemmeno quando si mise alle spalle della poltrona di Pyxis che alzò lo sguardo su di lei. Questo era sicuro gli stesse nascondendo qualcosa, e quando lei gli confermò la veridicità delle informazioni riferite da Hange chinandosi sul suo orecchio, egli sentì un odore di sangue e disinfettante che chiaramente non poteva essere mitigato col tessuto.
- Siri.
- Sì, signore? – Siri non lo guardò, ma sapeva quale sarebbe stata la richiesta successiva del suo superiore. Mentre Erwin osservava la scena perplesso, Hange, che guardava l’interrogata negli occhi, intuì perfettamente, e ciò le ricordò uno scomodo dovere.
- Come mai non abbassi la mascherina? Il capitano Zoe e il comandante Smith ormai saranno entrati in confidenza con te.
- Oh, mi sono dimenticata di toglierla a dire il vero.
- Non ti disturba? Dopotutto siamo quasi a maggio, inizia a fare caldo.
Hange fece un cenno a Siri come per dirle devo comunque fare rapporto ad Erwin, lo saprà lo stesso. Siri chiuse gli occhi e sospirò, li riaprì e abbassò il tessuto, rivelando la fasciatura che le ricopriva la metà inferiore del viso da parte a parte. Pyxis, sempre rimanendo seduto, sgranò gli occhi, mentre Erwin alzò leggermente le sopracciglia.
- Posso chiedere come e quando? Ho saputo da Erwin che siete stati inseguiti da una squadra antiuomo, ma non mi sembra una ferita risultato di un colpo inferto in corsa.
Siri abbassò lo sguardò sul pavimento: - È il risultato di una mia azione individuale.
- Ecco, comandante Erwin, devo fare rapporto proprio su questo. Il capitano Levi era coinvolto. – Hange tirò fuori da una tasca nella camicia un foglio in cui vi era il rapporto di quella sera. Siri e Pyxis fissarono il documento passare nelle mani di Erwin che, appena finito di leggere lo passò al comandante di guarnigione.
- Capisco… - Pyxis, tenendo lo sguardo basso restituì il documento ad Erwin, Siri ebbe il dubbio che Levi l’avesse accompagnata apposta per quello: lei non era costretta a quel lavoro burocratico, anche perché la maggior parte del lavoro che svolgeva per Pyxis era illegale, mentre Levi ed Hange erano obbligati a redigere i resoconti delle loro missioni, per cui il capitano l’aveva costretta innanzitutto ad affrontare le conseguenze con il suo comandante, togliendole la possibilità di mentire, e poi, ma questo lei non poteva saperlo, aveva sollevato se stesso da ogni responsabilità sui danni fisici subiti dalla ragazza che, il rapporto parlava chiaro, non era rimasta da sola ed era stata ampiamente aiutata e sostenuta dal capitano. 
- Quindi Eren ed Historia non erano gli unici ostaggi… – disse Pyxis. Cercò di nasconderlo come potette, ma era addolorato per Siri: aveva immaginato perfettamente perché Siri avesse compiuto un’azione così azzardata per salvare un ostaggio, era molto più prudente di quanto venisse riportato sul documento, non doveva essere uno qualunque quello che aveva cercato di trarre in salvo.
- Sì signore. – rispose Hange, coprendo il silenzio di Siri - Il capitano Levi non ha saputo identificarlo, speravo che Siri potesse farlo per completare il rapporto.
- Diya Church. Infermiera impiegata presso l’ospedale di Trost.
- Bene… - disse Hange, non riusciva a guardarla. Scrisse il nome sul rapporto e lo consegnò definitivamente ad Erwin.
- Quindi mi pare di capire che ora la gendarmeria sappia che lavori col corpo di ricerca. – concluse Pyxis pensieroso, gli occhi che non riuscivano ad incontrare quelli della sua spia.
- Sì signore. Ma l’avevamo previsto.
- Sì, hai ragione, non abbiamo motivo di preoccuparci, sfrutteremo la prima occasione utile per liberarci di questo impiccio. Ankha e Gustav, li hai informati?
- Sì, avevano già depositato i documenti, prima di venire qui ci ho parlato e hanno confermato. Signore, credo però che adesso sarebbe più opportuno parlare della proposta del comandante Smith.
- Giusto… - Pyxis si prese il mento e poco dopo accettò il piano di colpo di stato di Erwin. Siri fu soddisfatta, non restava altro che parlare con Zachary che, sapeva già, si sarebbe dimostrato ben propenso.
Non era successo molto tempo essere stata arruolata che Siri scoprì i desideri di Zachary: quando si unì al suo comandante, lei decise di essere vaga su quanto aveva sentito riguardo il falso re, era sicura che sarebbe riuscita a sfruttare l’informazione a suo vantaggio, prima o poi. Non le piaceva essere così calcolatrice, era contro la sua stessa natura, ma dopotutto, cosa stava facendo di sbagliato? Voleva smascherare delle persone che non facevano altro, come scoprì in quegli anni, che ammazzare poveri innocenti che avevano ambizioni troppo alte: la coppia di sposi che voleva volare in mongolfiera o coloro che avevano in casa libri sul mondo esterno, o ancora altri a cui piaceva raccontarle le cose sul mondo esterno. Anche lei aveva avuto delle ambizioni troppo alte per il suo ceto sociale, non era stata punita con la morte ma solo per un semplice caso fortuito. Anche se, pensandoci, forse la morte sarebbe stata meglio della dannazione quotidiana.
Dopo tante ricerche, la svolta: il comandante supremo dell’esercito non era altro che un uomo che condivideva le sue stesse ambizioni, in modo molto più distorto e macabro, ma aveva il potere di rompere le catene per lei, avrebbe fatto in modo che tutta la corruzione e il marcio adoperato dai nobili potesse finalmente avere fine. 
Ma per anni non aveva un nome a cui fare riferimento, dovette aspettare, e l’attesa la sfiancava ma sapeva che avrebbe dato i suoi frutti. La pazienza la ripagò quando, finalmente, una ragazzina decise di parlare del suo tormentoso passato, della relazione illegittima della madre e della sua falsa identità: Erwin che chiede aiuto a Pyxis, il destino era chiaramente a suo favore. Finalmente aveva un nome da indicare, una pista. Non vi sembra strano che quando il corpo di ricerca inizia a fare ricerche sul segreto delle mura… fu questa, però, la vera sorpresa. Non poteva minimamente immaginare che, nel suo “semplice” obiettivo di rovesciare la classe nobiliare, si sarebbe ritrovata di fronte a qualcosa di infinitamente più grande: questo le faceva riconsiderare le sue priorità, forse c’era qualcosa di più della semplice vendetta, il concetto di libertà del corpo di ricerca, piano piano, lo stava iniziando a comprendere. 
Quando riferì per intero a Pyxis l’informazione che sentì il giorno in cui la sua vecchia vita ebbe fine, realizzò che non solo lei meritava giustizia. La gente si meritava di sapere la verità, qualunque essa fosse e a qualunque costo. Avrebbe usato il buon senso di Pyxis e si sarebbe affidata alla mano di Erwin, di cui condivideva a pieno, adesso, gli ideali. Il suo piano ora era completo.
Così, la ragazza che voleva semplicemente diventare un medico, aveva trovato e alla fine soddisfatto un’ambizione più grande. 
Ma ora? Cosa avrebbe fatto? Avrebbe continuato ad essere semplicemente il geco di Pyxis al sicuro nelle mura, continuando a sporcarsi le mani per conto suo, oppure avrebbe cercato di avere un destino diverso, donando il suo cuore per redimersi?

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 - Redenzione (Fine prima parte) ***


Capitolo 8 – Redenzione

 
La verità era che Siri non ne poteva più di quelle morti, si fasciava gli avambracci e le mani anche per non vedere le sue mani sporche di sangue, ma la lealtà che aveva per Pyxis la frenava dall’intraprendere dei binari diversi per la sua vita.
Era confusa e disillusa: nonostante avesse sempre evitato di macchiare la sua coscienza e ogni volta agisse per lo più per autodifesa, ciò non cancellava i suoi crimini. In guerra è lecito compiere questo genere di atti, e lei era in guerra per Pyxis da ormai troppo tempo. Voleva cambiare le sue sorti, si chiedeva se però il suo comandante avrebbe accettato e permesso questo cambiamento. Dopo aver perso Diya aveva compreso che compiere azioni così terribili avrebbe portato nella sua vita eventi altrettanto orribili.
Lei e Pyxis, dopo aver lasciato Erwin ed Hange soli, salirono in carrozza, diretti al quartier generale del comandante supremo. Le prime luci dell’alba stavano schiarendo il cielo ancora buio, e un lieve rivolo di luce faceva capolino dalla finestra della carrozza, proiettandosi con una linea luminosa sul viso di Siri, piegato verso il basso e pensieroso.
- C’è una cosa che non riesco a capire – esordì Pyxis alzando lo sguardo su di lei.
- Cosa, comandante?
- Come hanno fatto a capire che stessi collaborando col corpo di ricerca?
Siri si poggiò sullo schienale e spostò lo sguardo al finestrino: - Nell’inseguimento ho dimenticato di recuperare un pugnale. Kenny è a capo della squadra anti-uomo, deve averlo riconosciuto, così…
Pyxis incrociò le braccia pensieroso: - Capisco… - sospirò – È ancora più incredibile pensare che fossero pronti ad accoglierti quando sei andata in ospedale per controllare.
- Quando Kenny ha recuperato il mio pugnale avrà inteso subito non solo che collaborassi col corpo di ricerca, ma anche che io fossi venuta a sapere da Levi non solo che lui era a capo della squadra anti-uomo, ma era anche stretto collaboratore della gendarmeria e della classe nobiliare. - ci aveva pensato a lungo riguardo questa ipotesi, che poteva essere l’unica spiegazione plausibile a quell’imboscata in ospedale – Kenny ha previsto che, una volta resami conto del grave errore, mi sarei fiondata da Diya per controllare la situazione, quindi ha informato Michel del mio molto probabile arrivo che, a sua volta, è stato pronto ad accogliermi.
- Mmmh… credevano però che ci saresti andata da sola…
- Infatti. Ma dopotutto… non credo che Kenny si sarebbe sprecato per un nobile di così poco conto: sono sicura che lui ha pensato questo, avrà garantito che sarei stata sola e che quindi il suo aiuto agli uomini dei Beaumont fosse superfluo. Tutte scuse perché ha ben altro in questo momento a cui pensare, ossia difendere Rod Reiss. Dopotutto i Beaumont non avrebbero mai potuto offrire nulla che potesse realmente interessare Kenny, per questo non ci ha pensato due volte e ha dato alla questione la minima importanza…
Pyxis osservava gli occhi vuoti, fissi sulla strada di Siri, erano pieni di sconforto, segnati da pesanti borse sotto gli occhi per la forte stanchezza: col tempo, Pyxis, non voleva ammetterlo, ma si era affezionato a quella ragazza, cercava di guardarla sempre con distacco ma ormai le voleva bene come se fosse sua figlia adottiva. A sua volta, lui era diventato per lei una figura paterna, l’ennesima che aveva sostituito un padre che non c’era mai stato.
- Mi dispiace per Diya. Mi adopererò personalmente perché abbia una sepoltura dignitosa.
Siri rimase in silenzio, una singola lacrima le rigò il viso. Questo le aveva appena ricordato la ferita ancora aperta, e nonostante volesse solo riposare, doveva sopportare il dolore ed essere pronta ad attuare il piano per cancellare i sospetti su Pyxis. Ancor prima di questo, però, aveva bisogno di chiarire la confusione che aveva nella sua testa. Strinse i pugni e spostò lo sguardo sul suo superiore.
- Comandante…
- Dimmi cara. – Siri sussultò. Doveva chiedergli di abbandonarlo, nonostante non stesse facendo nulla di male, lei vedeva la cosa comunque come un tradimento nei suoi confronti.
- Signore, io… ci ho pensato tanto in questi giorni, in realtà è stata proprio la morte di Diya che mi ha dato il coraggio di anche solo avanzare un’idea del genere. Io… non so se voglio continuare con… tutto questo.
Pyxis rimase a sentirla impassibile, poi chiuse gli occhi e sorrise: - Mi chiedevo quando questo giorno sarebbe arrivato…
La sorpresa nel viso della ragazza era indescrivibile: cosa voleva dire?
- Mia cara Sigrid, per anni mi hai mostrato cieca fedeltà. Ti sei adattata al compito che ti ho affidato così bene, che neanche una volta ti è passato per la testa di semplicemente scappare e scomparire nel nulla. Sei diventata così brava che avresti potuto farlo e nessuno ti avrebbe mai trovata. Lo so io come lo sai tu.
- Io…
- Siri, non so che bugia continui a raccontarti, ma io so benissimo perché sei rimasta: volevi perseguire il tuo obiettivo di vendetta sui Beaumont, hai poi teso la mano su tutti i nobili, ma adesso che sei riuscita a raggiungerlo, hai allargato i tuoi orizzonti e hai visto che c’è altro, tu vuoi altro.
- SIGNORE! Non è così! – Siri si spostò in avanti per il fervore - Io non la tradirei mai, la mia non è pura e semplice ambizione…
- Non fraintendermi. So che potrei dire una parola e tu rimarresti al mio servizio, perché tu sei così. Non dici bugie quando affermi di essere una persona leale, e questo è il tuo più grande pregio, ma non lasciare che diventi anche il tuo più grande difetto. Per la tua lealtà avresti acconsentito ad annullarti totalmente e continuare a fare qualcosa in cui, sì, sei brava, ma detesti.
La spia lo guardò sconcertata. Lui aveva un’espressione così rilassata, non sembrava minimamente deluso o arrabbiato, sembra quasi felice…
- Siri, puoi fare come meglio credi. Io ho assoluta fiducia in te perché vedi, col tempo ho capito che non sei altro che una persona buona, calpestata dalla nobiltà, e a cui ci sono voluti ben cinque anni per fidarsi del suo superiore per poter anche solo immaginare di chiedere una cosa simile. Io non ti negherò la libertà di scelta. Non posso nemmeno nasconderti che, se ho accettato il piano di Erwin, è anche per te.
- Signore… - due grossi lacrimoni scesero dagli occhi di Siri. La carrozza si fermò.
- Ah bene, siamo arrivati. Se non ti dispiace Siri, adesso devo informare Zachary. Non appena avrai deciso cosa fare, ne parleremo. Sarà dura trovare qualcuno che sostituisca il mio geco, ma me ne farò una ragione.
Nonostante la punta di fastidio nel sentire quel soprannome, lo guardò uscire dalla carrozza e chiudere la porta alle sue spalle senza avere la forza di replicare alcunché. Anche quando si fu allontanato non riusciva proprio a distogliere, incredula, gli occhi dal finestrino. Poco dopo però, iniziò ad elaborare la reazione di Pyxis e si rilassò sul sedile: pochi minuti dopo, coccolata dal tepore e dalla luce del mattino, si addormentò.
 
---
- Prego, avanti.
- Comandante Smith.
- Siri, sei tu, prego. Vedo che sei in divisa ufficiale.
- In realtà non è mia, non la indosso mai. È più un travestimento per passare inosservata.
- Capisco, effettivamente ci sono troppe persone qui in giro.
- Comandante, la gendarmeria ha scoperto il posto in cui si trova la squadra di Levi.
- Mh. – Erwin, sedutosi in scrivania, iniziò a scrivere qualcosa in una lettera.
- Signore, posso portarli in un posto sicuro, da lì avranno… avremo piena libertà d’azione.
- Mi affido al tuo giudizio Siri, purtroppo credo che a momenti la gendarmeria mi prenderà sotto custodia. Non hanno preso molto bene il mio tergiversare sulla consegna di Eren.
Erwin alzò lo sguardo su di me.
- Signorina Siri, – attirò il mio sguardo distratto su di lui – mi permetta di chiederle una cosa.
- Prego. 
- Cosa l’ha spinta a rinunciare alla sua vita e unirsi al corpo di guarnigione?
Ricordo di averci pensato qualche secondo per risultare criptica: - Le evenienze della vita.
- Quindi, contro il suo potere decisionale.
- Non avevo una scelta, sì, ma non me ne pento. Si dà il caso che, seppur nella cattiva sorte, ha comunque sposato i miei scopi.
- E quali sono i suoi scopi?
- Non vedo dove vuole arrivare, signore. Se sta cercando di capire se sono o meno fedele al mio superiore, è inutile.
- Rispondi solo alla domanda.
Sospirai pesantemente: - Ottenere giustizia, o vendetta, dipende da come si guardi la cosa.
- Dai nobili, mi sembra di capire. Quindi anche aiutare il corpo di ricerca, in questo preciso momento, sposa i suoi ideali, il suo scopo.
- In un certo senso… ma non avevo altra scelta se non quella di aiutarvi, ho ricevuto degli ordini. La mia ambizione viene in secondo piano, nonostante comunque mi abbia spinta a dare sempre il massimo.
- Capisco. Sai, anche io perseguo il mio ideale di giustizia. Su questo siamo molto simili, ma, vedi… a volte la giustizia non si limita solo a sé stessi, spesso si ha la responsabilità di garantirla anche a chi non può reclamarla. – piegò la lettera e si diresse verso di me – Tu in questo particolare momento sei capace di reclamarla, combattere per averla, ma in futuro potresti non essere abbastanza forte per farlo e dovresti solo sperare che qualcuno lo faccia per te.
Mi porse la lettera.
- Le persone in potere come noi devono assumersi le loro responsabilità, Siri. Pensaci. Cosa farai una volta che avrai raggiunto il tuo obiettivo?
Lo fissai in silenzio. È stato quello il momento in cui Erwin seminò in me qualcosa, non potevo ancora sapere cosa né tantomeno il perché l’avesse fatto, ma mi congedai dubbiosa, prima che il corpo di gendarmeria lo prendesse in custodia e mi unissi alla squadra di Levi.
---
 
La carrozza era ripartita in fretta e Siri, da poco svegliatasi, guardava fuori, si era appena lasciata sfuggire un sonoro sbadiglio quando notò il volantino.
- Ferma la carrozza.
- Ti ho dato libertà di scelta ma sono ancora il tuo capo signorina. – disse Pyxis dando al cocchiere ordine di fermare i cavalli, Siri non gli rispose e chiese ad un bambino che passeggiava in quella via di passargli quel manifesto, nascondendo bene la faccia alla sua vista, afferrò il pezzo di carta e diede una botta alla portiera, facendo ripartire il mezzo.
- Cos’è? – chiese Pyxis allungandosi.
Dopo una prima lettura fugace che le aveva fatto ben realizzare il messaggio riportatovi, l’occhio le cadde sul rozzo ritratto nell’angolo nel foglio. Le salì una risata che, tentando di trattenere, si trasformò in uno sbuffo.
- È la nostra perfetta occasione, ecco cos’è. – disse Siri battendo la mano sul foglio prima di porgerlo a Pyxis, che lo lesse attentamente.
- Il tempismo è a dir poco perfetto. Ci dovrebbe essere una divisa del corpo di ricerca nel mio quartier generale, pagheremo qualcuno per fare da finto testimone e tutta questa faccenda si risolverà al meglio.
Siri piegò il foglio e lo ripose nella sua sacca. Quel ritratto era troppo divertente per non conservarlo.
 
- No, VI PREGO! C’è stato un errore!
Nella cella buia ed umida, Erwin, sentendo le suppliche, alzò lo sguardo verso le sbarre della sua cella e vide nell’oscurità dei sotterranei delle luci rimbalzare sulle pietre a vista delle pareti avvicinarsi. Rimase seduto, il braccio legato alle catene agganciate alla fredda parete alle sue spalle.
- Cammina, quell’uomo ti ha visto.
- Vi dico che c’è stato un equivoco! – Erwin riconobbe la voce, anche se fu difficile visto che non l’aveva mai sentita così stridula – Ho un aspetto così comune che chiunque potrebbe scambiarmi con qualcun altro!
Fecero capolino quattro figure, il capitano Nile davanti a tutti armeggiò con la serratura, aprendo la porta della sua cella: - Erwin non credevo arrivassi a tanto, non ci volevo credere fino a quando un testimone non ha individuato l’assassino di Dimo Reeves. – disse dirigendosi verso di lui.
- Comandante! Per favore, lo dica anche lei! – Siri era un’attrice nata, era chiaro le piacesse da matti interpretare quella parte, nel divertimento però doveva stare attenta a non esagerare: un gendarme la teneva per il braccio, aveva i polsi legati in delle manette dietro la schiena e una divisa del corpo di ricerca addosso. Erwin la fissò perplesso, o era stata effettivamente scoperta oppure era un segnale da Pyxis per dirgli che avrebbero proceduto come da accordo: evidentemente era così perché, spingendosi verso la cella con gli occhi pieni di lacrime, fece un sorriso impercettibile e un occhiolino.
- Glielo dica, comandante Smith! Il cadetto Sigrid Myhre è innociente! 
Il gendarme che la teneva la strattonò malamente: - Ma insomma, vuoi darti una calmata?!
- Sigrid, vedrai che andrà tutto bene. – Erwin l’appoggiò in quel teatrino.
Nile lo liberò: - Sì, infatti. Verrete condotti entrambi dal re in persona che deciderà del vostro destino. È molto probabile, ora che il corpo di ricerca è stato sciolto, che verrete giustiziati entrambi.
Siri guardò Nile sgomentata: - MA COME?! Senza neanche un processo!
Nile fece uscire Erwin dalla cella, legandogli poi il busto e l’unico braccio con una corda: - Avete ucciso persone innocenti e complottato contro la corona, è già tanto che possiate essere ricevuti.
Siri iniziò a tremare come una foglia e a piangere a singhiozzi mentre venivano scortati su per le scale; salirono in carrozza per essere portati nella capitale e lì Erwin potette osservare più chiaramente Siri: era esattamente identica a come l’aveva vista nei giorni precedenti, a parte per i capelli legati in una coda bassa e un grande cerotto sulla parte destra del viso che aveva sostituito l’ingombrante fasciatura, tuttavia era irriconoscibile. L’atteggiamento risoluto era scomparso, e nonostante nell’aspetto fosse sempre la solita adulta, in quel momento, attraversata da tremiti e singulti, sembrava una bambina spaventata. Sembrava davvero una persona totalmente innocente mandata a morire, tant’è che Nile spesso si era soffermato a guardarla compassionevole e ad una sosta le aveva offerto dell’acqua che lui stesso l’aiutò a bere. 
Questa scenetta rese il capitano della gendarmeria ancora più dubbioso e quando arrivarono a cospetto del re si sentiva tremendamente in colpa, sentiva nel profondo di star condannando i due ad un destino che non meritavano, soprattutto quando i nobili decretarono la pena di morte per entrambi.
Poi, nello sgomento di tutti i presenti, Ankha spalancò le porte della sala del trono: - Il Wall Rose è caduto! – e Siri, improvvisamente, riacquistò il suo sangue freddo, Erwin la vide chiaramente smettere di tremare, si voltò a guardarla e lei, ricambiando lo sguardo disse: - Spero che tu abbia ragione, perché non mi va proprio di rimetterci la pelle.
Erwin fortunatamente ci aveva preso su tutta la linea e il colpo di stato si concluse con successo. Pyxis stesso tirò un sospiro di sollievo perché far cadere il governo era molto meglio di vedere la sua figlioccia sulla forca.
- Siri, eri pronta a morire… e Pyxis… - Erwin la guardò mentre Ankha la liberava dalle manette. La guardia personale di Pyxis abbassò lo sguardo mesta, si vedeva che l’idea la impensieriva.
- Non mi fraintenda comandante. Io ho commesso un errore imperdonabile e morire sarebbe stata l’unica soluzione conveniente per tutti. – rispose Siri massaggiandosi i polsi.
- Siri per favore, smettila di dire assurdità! Io personalmente non ero d’accordo con questo azzardo! – la sgridò Ankha.
- Sì certo, perché poi avrei lasciato da soli te e Gustav ad occuparvi del vecchio, oltre che una marea di lavoro in più. 
- Sei sempre la solita insensibile! – Ankha incrociò le braccia, gli occhi lucidi però tradivano la sua preoccupazione. Nonostante non fossero molto amiche, la natura logica e cinica di Siri era andata d’accordo solo fino ad un certo punto con il buon senso di Ankha, le due si erano affezionate l’una all’altra, anche se la soldatessa del corpo di guarnigione se n’era resa conto soltanto nel momento in cui stava per perdere la sua amica. 
- Fortunatamente i nobili sono effettivamente le persone rivoltanti che avrebbero lasciato tranquillamente morire metà dell’umanità, per cui, Ankha, dovrai sopportarmi ancora per un po’. Ah, a proposito, grazie per avermi fatta resuscitare. Comandante non si preoccupi, porterò ancora per poco questa divisa. – concluse Siri afferrandosi il colletto del giubbotto.
Erwin le tese la mano, Siri la guardò con enorme sorpresa: - È stato un piacere averti tra i nostri ranghi, Siri. – la ragazza alzò quindi lo sguardo interdetta su di lui e, mentre Ankha ancora la guardava severa, gli strinse la mano. Il momento, per Erwin ricco di significato, fu interrotto da un reverendo del culto delle mura che, trattenuto da due soldati della guarnigione nel corridoio fuori dalla sala del trono, urlò: - L’HO FATTO! – attirando l’attenzione di tutti i presenti su di lui.
Siri lo guardò e, seguendo la direzione degli occhi del reverendo, vide a chi si riferiva: il capo del culto in manette.
- Ma sta zitto vecchio! Cosa avresti fatto se non sei riuscito nemmeno a scappare, sentiamo? – uno dei soldati che lo teneva lo spintonò, Siri guardò Pyxis che, intendendola, andò ad accertarsi che non avesse nascosto bombe o avvelenato i pozzi dell’esercito. Alla fine, venne fuori che era scappato dal palazzo durante il colpo di stato e le guardie del corpo di guarnigione l’avevano acciuffato mentre usciva dalla chiesa madre: si era cambiato e stava cercando di scappare via dalla capitale. A cosa si riferisse con quelle parole lo ignoravano, visto che, dopo aver ispezionato attentamente il castello e la chiesa, i soldati non trovarono assolutamente nulla di losco, chiederlo al diretto interessato d’altronde sarebbe stato comunque inutile, quindi lasciarono correre la questione. 
Le ore che seguirono quel momento furono di pura confusione, la gendarmeria dovette riorganizzarsi e Zachary insisteva nell’avere all’istante la custodia della classe nobiliare accusata di tradimento, a quanto pare non voleva perdere tempo e testare prima di subito le sue speciali poltrone.
- Quindi ora non resta che recuperare Historia e incoronarla, mi sembra di capire. – disse Siri a Pyxis in carrozza, in compagnia di Ankha e Gustav. C’era stato molto trambusto in tutti i distretti delle mura, i giornali avevano pubblicato la vera storia che si celava dietro l’assassinio di Dimo Reeves, scagionando il corpo di ricerca, e riguardo il vero re delle mura, Pyxis e Zachary avevano interrogato i nobili su tutte le altre questioni rimaste in sospeso e Siri era riuscita finalmente a cambiarsi e dormire per il resto della giornata. La sera però, Pyxis, tornato alla sede del corpo di guarnigione della capitale, aveva ordinato a Siri di seguirlo: dovevano informare Erwin riguardo ciò che aveva scoperto, prima di tornare finalmente al quartier generale a Trost. 
- Esatto, inoltre devo informare Erwin sulle ultime novità. – la carrozza si fermò e Pyxis aprì lo sportello, scese seguito dai suoi tre uomini di scorta: la scena che si parò davanti ai quattro era quella di un drappello numeroso di soldati del corpo di ricerca in piena preparazione per quello che doveva essere uno scontro. Indossavano veloci armamenti e mantelli, caricavano i cavalli e li mettevano in formazione, pronti ad oltrepassare i cancelli della città. Pyxis scorse in lontananza Erwin e, seguito dalla sua scorta, si diresse verso di lui che, vedendolo arrivare lo salutò col pugno sul petto.
- Comandante Pyxis.
- Comandante Erwin – disse Pyxis, ricambiando il saluto – Vedo che i tuoi uomini si stanno preparando ad una vera e propria battaglia. – Ankha, Gustav e Siri rimasero un passo indietro rispetto a Pyxis, il loro sguardo piantato su Erwin. La sera era ormai calata e le torce dei soldati riflettevano sui visi dei presenti fiammelle di luce rossastre.
- Non siamo sicuri su ciò che troveremo una volta arrivati nei territori dei Reiss, il recupero di Eren e Historia è fondamentale.
- Su questo siamo d’accordo, ma non sono qui per fare piacevole conversazione. –  Pyxis abbassò lo sguardo – I nobili hanno confermato la tua teoria, ossia che il gigante fondatore è capace di eliminare i ricordi degli abitanti, ad eccezione di alcune famiglie, tra cui quelle dei nobili stessi. – fece una faccia disgustata – Hanno rivelato senza la minima vergogna, come se avessero paura di essere picchiati.
Erwin ebbe un sussulto: - Questo significa che potrebbero eliminare tutte le informazioni dalla nostra memoria e quindi anche sedare la rivolta popolare.
- Esattamente. Anche se ora che sono nelle mani di Zachary preferirebbero tornare ad essere torturati da noi… - Siri, da sotto la maschera sorrise, Ankha, notandolo, le diede una leggera gomitata e le sussurrò un “vergognati”.
- Mi chiedo come si possa passare una vita intera a progettare una cosa simile… - concluse Pyxis spostandosi dal suo posto, pensieroso.
Erwin aggrottò le sopracciglia: - Come? Lei lo sapeva?
Pyxis non rispose, ma, rivolgendo lo sguardo su Siri ottenne lo stesso la risposta alla sua domanda: la spia piegò la testa leggermente di lato e alzò un sopracciglio, nonostante maschera sul viso poté anche notare le labbra muoversi a formare quello che credeva un ghigno. In quel momento tutto gli fu chiaro come se fosse stato pieno giorno: è sempre stata lei… Erwin realizzò che era stata lei a fare in modo che Pyxis prendesse concretamente parte al suo piano, era stata sempre lei a veicolare le informazioni che erano, sì, vere, ma che l’avrebbero comunque aiutata a raggiungere il suo scopo di vendetta. Se le informazioni che aveva raccolto non le fossero piaciute, Pyxis non sarebbe mai venuto a saperle. L’unica cosa che Siri avrebbe dovuto fare era far credere a Pyxis di avere la situazione sotto controllo e non che stesse agendo secondo una qualche manipolazione; tuttavia, la spia doveva nutrire un’enorme fiducia nel suo comandante perché, altrimenti, non si sarebbe mai affidata a lui per il compimento del suo piano.
- Temo di aver parlato troppo. Avevo immaginato le intenzioni di Zachary, ma a differenza tua le scommesse non mi piacciono – Pyxis spostò lo sguardo da Erwin a Siri – e a differenza vostra do più importanza al numero di persone sopravvissute che alla mia vita.
Fu Siri a questo punto a sussultare, sostenne lo sguardo del comandante, rimase in silenzio a fino a quando lui non lo rivolse di nuovo ad Erwin.
- Mi sono unito al tuo piano perché pensavo fosse la cosa migliore per l’umanità. Ma se il vento fosse spirato a favore del governo, avrei combattuto persino contro Zachary. Insomma, abbiamo fatto un colpo di stato insieme e non ci fidiamo l’uno dell’altro.
- Signore! – Siri fece un passo avanti, guardava Pyxis interdetta, nonostante il suo infinito rispetto verso di lui, non riusciva comunque a trattenersi, dal momento in cui aveva da ridire: - Anche io ho agito per il mio interesse, per soddisfare il mio desiderio di vendetta. Ma il mio senso di giustizia mi ha fatto vedere le cose da un’altra prospettiva: non ho trovato giusto che vivessimo nell’ombra senza mai realizzare la verità. Permettere al governo di cancellare di nuovo la nostra memoria solo perché ne avremmo guadagnato qualche vita in più oggi… non mi dica che si sarebbe trattato di salvare l’umanità! 
Ankha posò una mano sulla spalla dell’amica, ma lei la scrollò via, visibilmente presa dal suo discorso: - C’è una verità ben più grande e come speriamo di salvarci se non ne veniamo a conoscenza?! Come fa a sapere cosa è meglio per l’umanità se nemmeno sappiamo cosa sia vero?!
Erwin e Pyxis la guardarono senza parole. La morte di Diya aveva fatto rompere qualcosa dentro Siri, o forse più propriamente aveva scatenato qualcosa, non sapeva bene definire cosa, ma aveva capito che non poteva ridursi tutto alla vendetta, per quanta soddisfazione potesse darle. Sapere che Michel in quel momento era nelle mani del sadico Zachary la faceva sentire “appagata”, ma allo stesso tempo il prezzo che aveva dovuto pagare era troppo alto, si trattava inoltre di dare un senso alla sua vita, dopo tutto quello che era successo, perché altrimenti lottare fino a quel momento, sarebbe stato totalmente inutile. 
“- Le persone in potere come noi devono assumersi le loro responsabilità, Siri. Pensaci. Cosa farai una volta che avrai raggiunto il tuo obiettivo?”
Siri abbassò lo sguardo e fece un passo indietro, tornando dritta e mantenendo adesso un certo contegno, mentre Erwin, dopo un primo disorientamento, rilassò la sua espressione facciale, venne però chiamato da un soldato che gli comunicava che le truppe erano finalmente pronte a partire.
- Col vostro permesso, adesso devo raggiungere la squadra di Levi e quella di Hange. Non posso proprio tornare senza una regina, il popolo non accetterà mai un governo militare. – salì a cavallo, e ciò fu come avesse risvegliato Pyxis da una sorta di trance che, distolse lo sguardo attonito da Siri e salutò militarmente il comandante del corpo di ricerca. Ankha e Gustav avevano ancora lo sguardo sulla loro compagna e lo distolsero solo quando Pyxis si avvicinò solenne a Siri.
- Siri…
- Mi scusi comandante, l’ho messa in imbarazzo davanti al comandante Smith. – disse Siri velocemente, non si pentiva di quello che aveva detto, essere un “soldato speciale” a volte le faceva dimenticare il fatto che aveva comunque dei doveri di tipo militare.
- Di che stai parlando? Non sei più il mio soldato adesso. – Siri sgranò gli occhi, mentre Ankha e Gustav, visibilmente sconcertati, non si trattennero dal girarsi verso i due.
- Hai sempre avuto bisogno di una guida, fa attenzione alla prossima che sceglierai. Tieni a mente ciò che ti ho detto questa mattina, – Pyxis poggiò le mani sulle sue spalle e le strinse – hai la mia benedizione.
- Signore… - Ankha ebbe il coraggio di proferire parola, nonostante la scena che le si parava davanti le lasciava non pochi interrogativi. Pyxis lasciò andare una Siri a dir poco sul punto di piangere. Aveva bisogno di qualcuno che la spingesse a prendere la decisione finale, e quella più che una spinta fu un sonoro calcio nel posteriore.
- Bene, credo sia ora di tornare, il nostro compito per oggi è finito… si spera. Siri, potrai stare quanto vuoi nei tuoi alloggi, ogni tanto però vieni a trovare questo povero vecchio ubriacone.
 

Fine prima parte.

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 - Non di nuovo lì ***


Nota dell'autrice: volevo scusarmi per la brevità del capitolo scorso, è stato per lo più uno di "transizione" da una prima parte molto introduttiva e attaccata alla trama originale ad un'altra un po' più incentrata sui rapporti tra i personaggi. Da questo capitolo in poi infatti la storia prende una piega leggermente diversa dagli eventi originali. 

Parte seconda

Capitolo 9 – Non di nuovo lì

 
Come gli capitava spesso, stava rileggendo i documenti da consegnare ad Erwin, quando, non avrebbe saputo dire bene in che preciso momento, era collassato sul lavoro da fare. Levi dormiva seduto alla scrivania nella sua stanza, la testa poggiata sul tavolo assieme alle braccia che sembravano come abbracciare la dura superficie, tra le dita ancora i documenti della mattina. Ormai era quasi mezzogiorno e il sole era alto, la luce entrava prepotente nella sua stanza, ma lui dormiva così profondamente che questo non lo disturbava affatto. Dopotutto l’aria nella stanza era pulita, dalla finestra aperta entrava una brezza piacevole e gli incubi per ora non avevano ancora fatto capolino.
Ciò che lo disturbò davvero fu il suono delle nocche che picchiarono alla sua porta: il suono gli fece aprire gli occhi all’istante e, senza muovere un muscolo, guardò la porta alla sua destra e disse: - Sì?
- Ehi, Levi, sono io – “io” non definisce assolutamente nulla, pensò, ma tanto sia lui che chi bussava sapeva che avrebbe riconosciuto quella voce anche con i tappi di cera nelle orecchie.
- Ohi Hange, entra. – rispose, alzando la testa dal tavolo. Hange fece capolino dalla porta prima che Levi facesse in tempo a staccarsi il foglio che gli era rimasto incollato sulla guancia, questo fece sorridere la scienziata. Levi la fulminò con lo sguardo.
- Cosa c’è?
- Erwin mi ha mandato a chiamarti, ti vuole nel suo studio. – disse tenendosi poggiata sulla maniglia.
- Oh. – Levi quindi abbassò lo sguardo sui documenti.
- Non ti preoccupare, i miei non li ho ancora consegnati, ha detto che va bene portarglieli anche stasera. Dev’essere per qualcos’altro…
Levi la guardò interrogativo.
- Non me lo chiedere, l’ho incontrato per caso mentre passavo davanti il suo studio: è uscito all’improvviso, mi ha trovato ed eccomi qua. Ma dopo avermi mandato a chiamarti, ho visto Pyxis uscire da lì.
- Forse riguarda il fluido che Kenny mi ha dato.
- Probabile. Io vado, oggi tocca alla mia squadra distribuire il pranzo a mensa. A dopo. – senza aspettare la sua risposta, Hange chiuse la porta e si dileguò. Levi si alzò dalla sedia ed allineò i fogli battendoli leggermente sulla scrivania. Un vero peccato pensò. Stava dormendo così bene ed era un evento così raro, si chiedeva se Hange non l’avesse disturbato quanto avanti avrebbe proseguito. Sicuramente non molto. Si pulì il viso dall’inchiostro e decise che avrebbe finito di compilare le scartoffie dopo pranzo, meglio capire il perché di quell’improvvisa convocazione, anche se era abbastanza sicuro riguardasse le sue, ora un po’ meglio note, origini.
Dopo aver consegnato la siringa di Kenny ad Erwin, gli aveva anche raccontato del suo ritrovato cognome e del “risveglio” che, a quanto pare, tutti gli Ackerman affrontavano in situazioni di pericolo: il comandante era rimasto ad ascoltarlo senza proferire parola quasi rapito, poi l’aveva congedato dicendogli che, per quanto frammentarie, erano delle informazioni interessanti su cui avrebbe indagato. Quando bussò alla porta di Erwin, Levi era, seppur con riserva, speranzoso che avesse già scoperto qualcosa, nonostante dall’incoronazione di Historia e dal loro colloquio fosse passata appena una settimana.
Erwin, dall’interno, disse: - Avanti. – quindi Levi aprì la porta e, entrato, dopo averla chiusa alle sue spalle si gelò sul posto quando gli si parò davanti la scena: Erwin era in borghese seduto dietro il suo grande scrittoio in mogano, aveva nella mano una penna con la quale stava compilando dei fogli e, seduta sulla sedia difronte al tavolo, c’era Siri che si era girata a guardarlo col suo solito sguardo penetrante. Ma ciò che più lo colpì furono i suoi vestiti: la ragazza infatti era in borghese anche lei, dei pantaloni aderenti neri, stivali marroni e camicia bianca, ma sulle spalle aveva il giubbotto con gli stemmi del corpo di ricerca.
Un altro travestimento?
- Capitano. – lo salutò Siri.
- Prego, siediti Levi. – Erwin fece cenno alla seconda sedia difronte la scrivania. Mentre si sedeva, Levi rispose a Siri: - Credevo fosse finito il periodo di presa in prestito.
Siri ignorò la punta sarcastica del suo commento e spostò lo sguardo impassibile su Erwin, che ricambiò. Levi guardò interrogativo il comandante: - Allora Erwin, perché mi hai fatto chiamare?
Erwin posò la penna sul tavolo e Siri, quasi a prepararsi a quanto lui stesse per dire, si sistemò sulla sedia e appoggiò i gomiti sui braccioli, incrociando le dita nude delle mani come al solito fasciate.
- Levi, da oggi il soldato qui presente, Sigrid Myhre, farà parte del corpo di ricerca. Sarà un soldato della squadra speciale, in quanto lei stessa svolge mansioni peculiari. Da oggi sarai il suo capitano, potrai chiederle di svolgere le missioni che più ti aggradano, se, chiaramente, non sarà già occupata a svolgere le mie. Saprai già delle sue ottime capacità in campo medico, quindi potremo riassegnare il medico-soldato della tua squadra.
Levi lo interruppe: - Erwin, non voglio smorzare il tuo entusiasmo, ma a cosa dovrebbe servirci a questo punto una spia?
Siri che, con lo sguardo basso, non faceva tradire alcunché dal suo viso, si limitò ad alzare un sopracciglio e aspettare la risposta del suo nuovo comandante.
- Come ti ho già fatto notare, è un ottimo medico, per cui può assolvere già una mansione nella tua squadra, è inoltre la migliore di cui al momento possiamo disporre in combattimento corpo a corpo, a parte te e Mikasa Ackerman: con i recenti risvolti degli eventi credo ti sarà parso innegabile quanto tutti siano poco versatili in materia e quanto invece sia necessario che lo diventino. Infatti, sarete te e Sigrid ad istruire i componenti della tua squadra per quanto riguarda il combattimento.
Levi stava per interromperlo nuovamente, ma Erwin vide arrivare la sua obiezione e la bloccò sul nascere: - Pyxis e Sigrid mi hanno informato sulla sua poca competenza col movimento tridimensionale, questo deriva purtroppo da uno scarso allenamento in questo campo durante il suo periodo in accademia; d’altronde, come mi hanno fatto giustamente notare, non è una competenza che le è mai stata di fondamentale importanza. Tuttavia… anche a questo c’è rimedio.
Erwin si fermò un momento, consapevole che a Levi non sarebbe piaciuto quanto stava per dirgli.
- Sarai tu a seguire gli allenamenti di Sigrid, non c’è qualcuno più capace visto il poco tempo che abbiamo a disposizione, in vista della partenza per l’operazione di riconquista del Wall Maria. Ad istruirla, invece, sui giganti sarà Hange. Inoltre… 
Levi era sconcertato. Lui. Fare da insegnante. Non era pigro, ma l’idea lo seccava, non tanto per l’alunna, con cui, per quanto sfacciata e leggermente arrogante, non avrebbe avuto particolari difficoltà come coi marmocchi, ma quanto per il fatto che non voleva avere scocciature. E quella, insieme a insegnare ai membri della sua squadra a combattere, ne era una enorme.
- Ah, per fortuna c’è altro. – riuscì a dire, sempre con una punta di sarcasmo. Siri lo guardò di sottecchi e piegò all’ingiù un angolo della bocca per trattenere un sorriso. La ferita non le faceva più male come all’inizio, tant’è che da poco aveva iniziato a sorridere anche dal lato destro, mentre fino a quel momento si era limitata a ghigni che avevano solo fatto venire la pelle d’oca ad Ankha.
- Ho il primo incarico per Sigrid, e quindi per tutta la tua squadra. Da oggi lei è la tua vice e come squadra dovrete affiancarla, qualora lei stessa lo riterrà necessario. Come quando era nel corpo di guarnigione, il suo ruolo rimane un po’ “al di sopra delle parti”, per cui rispetterà i tuoi ordini ma godrà di una libertà d’azione più ampia rispetto agli altri membri della squadra.
Levi incrociò le braccia ma accettò le condizioni dettate da Erwin senza battere ciglio. Non era necessario che gli spiegasse perché aveva ottenuto così presto una carica così alta, dopotutto era una veterana nel corpo di guarnigione e le sue doti, soprattutto in fatto di logica e memoria, erano superiori alla media.
Erwin adesso guardò Siri: - Sigrid, vorrei che tu indagassi sulla famiglia Ackerman.
La spia guardava Erwin ma poté vedere chiaramente Levi strabuzzare gli occhi alla notizia.
- Il capitano Levi, come credo saprai già, è venuto a conoscenza del fatto di appartenervi a tutti gli effetti: da quanto Kenny ha potuto riferirgli, sembra che i membri siano dotati di forza fuori dal comune; inoltre sembra anche, e io sono molto propenso a crederlo, che ci sia dell’altro che ancora ignoriamo.
Siri spostò un dito sulle labbra e pensierosa pronunciò un: - Mmh… capisco. – poi alzò gli occhi sul comandante e continuò – Va bene comandante, se non le dispiace inizierei anche subito. Quanto tempo ho? Presumo, in relazione alla missione di riconquista…
- Hai tutto il tempo che ti serve. Tarderemo l’operazione di riconquista per il tempo necessario. Dopotutto dobbiamo formare le nuove reclute e un po’ di tempo in più non guasterebbe comunque.
Siri sorrise serafica: - Ottimo.
Erwin deve proprio morire dalla voglia di sapere qualcosa sugli Ackerman: Levi pensò inoltre che concedere una così ampia libertà alla spia dovesse essere un chiaro segnale del fatto che Erwin, come al solito, era un passo avanti tutti loro e aveva inteso qualcosa che ancora agli altri era poco chiara.
- Passando alle questioni burocratiche, Sigrid alloggerai con… - il dito di Erwin scese veloce in un elenco, ma Levi sapeva già perfettamente con chi sarebbe capitata, e quando il comandante pronunciò: - Il capitano Zoe. – una scarica di sadica soddisfazione lo pervase. Hange era l’unico capitano e veterano, a parte lui, che non condivideva la camera con nessuno, ma mentre a Levi era stata assegnata una camera singola perché nessuno poteva convivere umanamente coi suoi orari e i suoi standard di pulito, Hange aveva una doppia e, compagno dopo compagno, tutti erano letteralmente scappati dalla convivenza con lei. L’unico che poteva sopportare anche solo l’idea di stare in camera con lei era Moblit, ma, mentre ai più il sesso biologico di Hange era ignoto, il comandante lo conosceva e, per rigore militare, non poteva permettere che dormissero nella stessa stanza.
Ignara di ciò che l’aspettava, Siri annuì ed Erwin incaricò Levi di mostrarle la camera oltre che la mensa. La ragazza caricò in spalla uno zaino e prese un’enorme sacca cilindrica che a malapena riusciva a sollevare dalle cinghie con due mani, quindi lei e Levi si congedarono.
- Che ti porti dietro là dentro? – le chiese Levi in corridoio, guardando la sacca e poi lei: Siri aveva il corpo inarcato all’indietro cercando di stare al passo, mentre con le gambe faceva dondolare involontariamente la sacca avanti e indietro.
- C’è tutta la mia attrezzatura. – rispose sforzandosi di fare una voce che non tradisse l’affanno.
- Dammi. Questa lentezza è esasperante. – Levi fece per prendergliela ma Siri allontano la sacca.
- No, ce la faccio! – tuttavia quando ripresero a camminare e per sbaglio diede uno spintone con la sacca alle gambe di Levi, dovette cedere. Quando Levi la sollevò con una sola mano dovette effettivamente constatare, in mente, che era davvero pesante, tuttavia non provò alcuna fatica nel trasportarla fino all’alloggio di Hange.
Levi spalancò la porta: - Questa è la stanza di Hange. – disse guardando Siri per godersi la sua espressione.
Lo spettacolo che si presentò davanti ai due era a dir poco rivoltante. Sembrava come se un gigante avesse preso tra le mani quella camera e l’avesse ripetutamente agitata, e che, dopo, qualche barbone ubriaco ci fosse venuto ad abitare per una settimana. Siri entrò e si guardò intorno, disgustata: - Ma questa non è una camera, è un porcile.
Levi osservò soddisfatto Siri rimuovere con la punta del piede al suo passaggio vestiti accartocciati sul pavimento.
Levi richiamò la sua attenzione e dall’uscio alzò la sacca: - Dove la metto?
Siri, col viso ancora turbato, lo guardò e rispose: - Sul pavimento… Beh, se riesci a trovarlo…
La sua gentile offerta, Levi si rese conto subito dopo, l’avrebbe costretto ad entrare in quel tugurio, per cui entrò e altrettanto velocemente, dopo aver sistemato la sacca sulla scrivania libera, si fiondò nel corridoio.
Ma questa è una buccia di mela ammuffita… - a quelle parole di Siri, che si era piegata a raccoglierla con una matita, il viso di Levi si rabbuiò. Non avrebbe messo mai più piede là dentro.
- Lascia lo zaino, devo farti vedere come funziona la mensa.
- Agli ordini boss. – disse Siri che uscì chiudendo la porta alle sue spalle – Senti ma… sei sicuro che Erwin non intendesse un altro Zoe?
- C’è solo Hange con quel cognome. – rispose secco senza guardarla.
- Non potremmo tornare indietro per accertarcene, voglio dire…
Levi si fermò e la guardò minaccioso: - Ohi.
- Va bene capo. – disse Siri alzando le mani, quando Levi si girò, ruotò gli occhi e lo seguì senza più fiatare.
Arrivati in mensa, Siri si fermò sulla porta, dall’alto delle scale, a osservare l’enorme stanzone ricolmo di soldati: nell’accampamento, durante l’addestramento, non aveva mai mangiato in compagnia, la facevano mangiare prima degli altri e lei finiva tutto in fretta, non incontrava mai gli altri cadetti. Era obbligata dal suo allenatore a farlo, ma comunque non nutriva alcun interesse verso i suoi compagni molto più piccoli di lei. Quando poi si era trasferita al quartier generale di Pyxis, erano più le volte in cui mangiava crackers della milizia in missione che quelle in cui mangiava con Ankha e Gustav, pur sempre però negli alloggi privati del comandante; per cui quella moltitudine di persone e tutto quel rumore la frastornarono. La stanza era illuminata dalle alte finestre vicine al soffitto e il profumo di stufato saturava l’aria calda e confortevole dell’intera mensa: era qualcosa che lei non aveva mai provato prima, quella di mangiare e condividere lo spazio con così tante persone.
Levi stava scendendo le scale e quando si rese conto che Siri non lo stava seguendo, si fermò e giratosi la vide ferma, davanti la porta, a fissare i tavoli: - Che ti prende? Muoviti.
Siri lo fissò ammutolita, e lo seguì. Infondo alle scale Levi prese due gamelle: - Puoi prendere un solo panino per pasto. – le porse una gamella che le andò a sbattere sul petto – Ti metti in fila e ti danno la razione. Poi ti siedi dove ti pare. Ogni giorno tocca ad una squadra diversa distribuire da mangiare, sulla bacheca c’è scritto quando tocca a noi. Quel giorno devi arrivare un’ora prima a mensa, perché ci dividiamo il lavoro da fare. Tutto chiaro?
Il rumore della mensa la faceva sentire ancora frastornata, Levi lo notò e si chiese il perché di quello smarrimento così poco coerente con lei. Siri annuì e lo seguì in fila: mentre aspettava il suo turno, notò Hange che riempiva i piatti col mestolo, anche lei la vide perché dietro le sue spesse lenti quadrate gli occhi le si sbarrarono, ma poi sorrise e, con la mano con cui reggeva il mestolo pieno, la salutò spargendo su sé stessa e quelli che le stavano intorno pezzi di cibo. Siri ricambiò il saluto con un mezzo sorriso: la scenetta attirò gli sguardi dei tavoli vicini, tra cui quello della squadra di Levi.
- SIGNORINA SIRI!
Oh no. – sia Siri che Levi si girarono a guardare Sasha che si era sporta dal suo tavolo per vedere meglio, e, conseguentemente, anche il resto dei ragazzini posarono gli occhi su di lei. Sentendosi osservata, fece segno con la mano di darci un taglio e si voltò a guardare la fila.
- Tanto vale che glielo dici. – disse Levi guardandola di striscio.
- Non è una tua responsabilità?
Levi la fissò in silenzio, poi tornò a guardare davanti a sé e disse: - Adesso avrai dei compagni di squadra, dovresti imparare a socializzare e renderti… amichevole.
- Come te? – Siri rise piano della sua stessa frecciatina, ma Levi ignorò la battuta.
- Sei il mio vice, hai l’autorità di farlo tu stessa. – la ragazza lo guardò e non rispose, pensandoci a riguardo.
 
- Sasha, siediti! – disse Jean tirandola giù e facendola risedere al tavolo.
- Ma hai visto?!
- Sasha ha ragione! C’è la spia di Pyxis oggi a cena! – Connie aveva la stessa espressione confusa di Sasha stampata sulla faccia. Siri poi fece segno di smetterla e tutti smisero di guardarla.
Eren guardò ancora una volta Siri di sfuggita: - Però è col capitano Levi.
- Eren ha ragione! – anche Armin la guardò per un attimo di soppiatto – E porta la giacca del corpo di ricerca…
- E allora? – Mikasa non alzò gli occhi dal piatto quasi vuoto – è probabile che sia un altro suo travestimento, come quando ha indossato la divisa del corpo di guarnigione.
Jean, col gomito sul tavolo, poggiò la testa sulla mano e disse: - Mikasa ha ragione, anche se non vedo il motivo di venire in mensa a cercare informazioni. Spiare chi poi? Lo stufato?
A Sasha venne la bava alla bocca: - In quel caso vorrei partecipare.
- Sei davvero incorreggibile Sasha. Comunque, vuoi il mio pane? A me non va. – Jean non ebbe neanche il tempo di finire che Sasha aveva già arraffato la sua pagnotta. 
Continuarono a blaterare per un altro quarto d’ora buono, fino a quando Siri non si materializzò dietro Sasha, dandole la gamella sulla testa: Eren, Mikasa e Armin, che erano seduti di fronte a Jean, Connie e Sasha, l’avevano vista arrivare, ma gli altri tre che davano le spalle a Siri non si erano accorti di nulla, dato che il baccano loro e della mensa copriva il già estremamente felpato passo di Siri. Jean trattenne una risata quando, in conseguenza al colpo in testa e allo spavento, Sasha sputò l’acqua che teneva in bocca su Eren, che aveva la sfortuna di stare proprio di fronte a lei.
- Ecco, guarda cosa hai combinato ragazzina. – Siri si poggiò con una mano sulla testa di Sasha che la guardava con gli occhi spalancati – Non mi chiamare mai più per nome ad alta voce davanti a tutti questi estranei, credevo avessi acquisito i concetti base del mio lavoro.
- Mi scusi! – rispose Sasha che però, vedendo lo sguardo truce di Siri si corresse: - Cioè, SCUSAMI, Siri!
La spia fece una faccia desolata e spinse leggermente la testa di Sasha in avanti prima di lasciarla andare, poi si mise a capotavola, posando una mano sul tavolo, disse risoluta: - Domani alle dieci puntuali, fatevi trovare nel cortile dei dormitori. Ci vediamo per l’allenamento. – a quelle parole tutti la guardarono con grande sgomento, soprattutto quando fece per andarsene. Armin la fermò appena in tempo: - Aspetta! Tu ci allenerai?
Siri si voltò a guardarlo: - Sì. Erwin mi ha detto che siete tremendi col combattimento corpo a corpo, così io e il capitano vi alleneremo.
- Quindi ci alleni… a fare a pugni… - disse Connie ancora con un’espressione da pesce lesso.
Siri incrociò le braccia e si riavvicinò: - Tu scommetto che sei quello sveglio del gruppo, vero?
- Ma Siri, noi ci siamo già allenati in accademia… - replicò Eren.
- Evidentemente non abbastanza. Per carità, non vi biasimo, avete sempre avuto solo a che fare coi giganti e vi ringrazio immensamente per averci difesi, – intrecciò le mani tra loro e le avvicinò alla faccia che incorniciava un’espressione benevola, poi la cambiò e li guardò seria – ma adesso le cose sono cambiate, dato che parteciperete anche alle mie di missioni, e non posso tollerare elementi deboli nella nostra squadra.
I ragazzi si guardarono tra loro, quindi Mikasa le chiese: - Nostra? Fai parte della nostra squadra adesso?
- Per gentile concessione di Erwin e Pyxis, sì. Sono la vice di Levi da oggi in poi. – si fermò e li guardò uno per uno – Per cui, domani mattina, alle dieci. – sorrise e concluse prima di voltarsi e andare via – Puntuali compagni.
Appena fu abbastanza lontana Jean ruppe il silenzio: - Chi glielo dice che domani sarebbe stato il nostro giorno libero?
Connie strattonò Sasha per un braccio: - Lo lasciamo fare a lei, eh, che ne dite?
- EEH?! SCORDATELO!
- Mi chiedo solo cosa potrebbe mai insegnarci di nuovo… - disse Eren pensieroso, prima di addentare la sua pagnotta.
- Beh, a Mikasa non potrà insegnare di certo nulla di nuovo, questo è certo. – purtroppo, come al solito, il complimento di Jean non sortì alcun effetto su Mikasa che si limitò a guardarlo brevemente e annuire.
- Vi sbagliate. – Armin aveva un’espressione meditabonda – Ho sentito il capitano Levi stesso parlare ad Erwin delle doti in fatto di combattimento di Siri. Credo che per aver sorpreso persino il capitano, non è sicuramente da sottovalutare.
A quel punto persino Mikasa rimase colpita dalle parole di Armin. Finirono di mangiare e, mentre si dirigevano verso le scale, Armin notò che Siri era seduta allo stesso tavolo col capitano, intenta a scrivere qualcosa.
 
- Che devo farci ora con questa? – Levi, ancora al tavolo a finire lo stufato, alzò lo sguardo su Siri in piedi di fronte a lui. Aveva una mano su un fianco e con l’altra rigirava la gamella vuota. La mensa si era quasi del tutto svuotata, dopo le ore del primo pomeriggio, infatti, i soldati avrebbero dovuto dedicarsi ai cavalli e alla riorganizzazione dell’inventario per la prossima missione, un’operazione che avrebbe occupato almeno un mese.
- Mettila vicino alle pentole vuote, se la vedrà la squadra in servizio oggi.
Siri posò la gamella sul tavolo su cui stava mangiando da solo, e si sedette di fronte a lui sospirando. Levi tornò a guardare la zuppa: - Quando eri al servizio di Pyxis avevi il servizio in camera forse?
- Oh, sì. Una vera e propria vita da nababbi. – Siri frugò nella tasca del pantalone e tirò fuori una penna – Avevamo persino le posate in oro e qualcuno che ci imboccava.
Levi la guardò: - Dopo ti mostro dove si trovano le latrine, non so però se saranno di tuo gusto. 
- Lo saranno se c’è qualcuno come da Pyxis pronto a pulirmi dopo aver usato il bagno. – rispose altrettanto sarcastica lei, mentre era intenta a tirare fuori dalla tasca posteriore un piccolo quadernetto in pelle nera che poi posò sul tavolo.
- Cos’è? – disse Levi guardandolo.
- Ho del lavoro da fare, te ne sei forse dimenticato? Anzi, – indicò prima sé stessa con l’indice e poi lui – abbiamo del lavoro da fare. Visto? Imparo in fretta. Ho persino detto ai ragazzini che adesso faccio parte della squadra.
Levi portò alla bocca un cucchiaio di stufato: ancora non riusciva a capire perché Siri avesse voluto unirsi al corpo di ricerca. In realtà in parte immaginava fosse tutto frutto di quella notte, ma era stato davvero abbastanza per spingerla a intraprendere un cammino così diverso? Forse Pyxis ed Erwin erano venuti a patti perché lei facesse parte del corpo di ricerca, perché Siri cercasse informazioni sugli Ackerman? Magari lei non aveva deciso un bel niente ed era stata costretta ad unirsi a loro. Levi realizzò che avrebbe dovuto anche lui informarsi su di lei, aveva un’estranea nella sua squadra e mentre lei sapeva tutto su tutti i membri, loro sapevano ben poco su di lei. La osservò mentre apriva con cura il quadernetto vuoto alla prima pagina, con un gesto involontario si grattò piano sul grande cerotto sulla faccia, un ciuffo di capelli le ricadeva dalla treccia mentre si accingeva a scrivere la data in un angolo del foglio. Aveva questo suo strano modo di muovere le mani quando faceva qualcosa su cui sembrava concentrata, quasi come se studiasse ogni movimento e accarezzasse l’aria mentre lo faceva. L’aveva notato quando aveva ricucito le sue ferite e anche quando aveva fasciato la caviglia di Historia, aveva un che di ipnotico.
Siri alzò quindi gli occhi su di lui: - Bene, Levi, facciamo un bel tuffo nel passato, ti va?
- Perché sei entrata nel corpo di ricerca? – Siri rilassò il viso, che divenne improvvisamente austero.
- Faccio io le domande. – entrambi si fissarono intensamente. Lei non aveva evidentemente gradito quella domanda a bruciapelo e, a giudicare dalla risposta che non ammetteva repliche, Levi doveva o aver toccato un tasto dolente o una questione fin troppo personale.
Alla fine fu lui a distogliere lo sguardo che tornò sullo stufato: - Cosa vuoi sapere? – inghiottì un'altra cucchiaiata.
Siri fece rigirare la penna nella mano: - Mi risulta che hai passato i tuoi primi… ventiquattro anni, se non vado errata, nella città sotterranea, è così, giusto?
Ecco. Levi era consapevole che lei dovesse farlo, e, nonostante non gli facesse più male come prima, rivangare il passato, soprattutto tutto ciò che era legato a quel posto rivoltante, non era sicuramente una delle sue attività preferite.
- Sì, esatto. – tenendo lo sguardo basso, vide che scrisse qualcosa, credeva un “24” e poi ci mise una spunta al lato. Quindi non era sicura delle informazioni che aveva, poteva anche mentirle se avesse voluto.
- Bene… in che zona vivevi? – Siri alzò di sottecchi lo sguardo su di lui.
- Il distretto ad est. – la vide scrivere “est” e spuntare di nuovo accanto.
- Quando hai imparato ad usare il dispositivo di manovra tridimensionale? – sempre allo stesso modo, lo guardò da sopra il quadernino.
Levi prese l’ultima cucchiaiata e disse: - Quando mi sono arruolato.
Siri fece ruotare la testa all’indietro e poi la poggiò sul dorso della mano. Levi la fissò impassibile. Dopo qualche secondo, lei diede dei colpetti al tavolo con la penna.
- Non mentire con me, Ackerman.
Era un dettaglio insignificante, tuttavia adesso Levi ebbe la conferma di aver decifrato male quel suo modo di prendere appunti. Lei metteva una spunta quando lui diceva la verità. Siri si lasciò andare in una breve risata sorniona: - Ti dirò un aneddoto divertente: fai questa cosa quando menti, è uno spasmo minuscolo, qui, – puntò la penna sulla base del suo sopracciglio sinistro, toccandolo leggermente – ecco sì, proprio qui. È impercettibile, te ne accorgi solo dopo tanto tempo ad osservare una persona. – gli allontanò la penna dal viso e lo guardò dritto negli occhi.
- Come faccio a saperlo se ti conosco da così poco? Non me lo sto inventando, è che anche Kenny lo faceva sempre quando mentiva.
Levi sentì un tonfo al cuore e spalancò leggermente gli occhi. Doveva ammettere che era brava e che Kenny l’aveva messo con le spalle al muro. Chiuse gli occhi e sospirò: - Va bene, continua.
- Un saggio vecchio ubriacone una volta mi ha detto: “il miglior modo per mentire è mischiare un po’ di verità alla menzogna”, insomma, una mezza verità. Devo dire che funziona, - Siri tirò una linea sul foglio - anche se per ora ho avuto i risultati migliori con me stessa. Levi…
Il capitano alzò lo sguardo su di lei e vide che la sua espressione era quasi supplichevole, prese fiato e poi continuò: - Io adesso faccio parte del corpo di ricerca. Posso assicurarti che la mia lealtà è completa verso ognuno di voi. So che ci vorrà tempo perché tutti voi vi fidiate di me, io d’altronde… - corrugò le sopracciglia mentre rivolse lo sguardo ad un asse del tavolo – Non sono sicuramente la persona che può predicare su questo, ad ogni modo… - tornò a guardarlo negli occhi, mesta – mi piacerebbe che ci provaste.
Levi, per la seconda volta da quando l’aveva conosciuta, rimase sorpreso dalle parole di Siri. Nonostante fosse sfacciata e provasse evidente godimento nel stuzzicarlo, ogni volta lo metteva davanti al fatto di non partire prevenuto nei suoi confronti. In quel momento era chiaro che lo stesse supplicando di darle l’opportunità di essere vista diversamente e gli sembrava sincera in quello che diceva.
- Posso davvero continuare?
- Se questo serve per la missione. – disse piatto e le fece cenno con la mano di continuare. Siri dopo quel momento iniziò a fare delle domande più specifiche e legate strettamente a Kenny, il capitano capì che evidentemente le prime domande non fossero state altro che un modo per metterlo alla prova. Dopo aver preso tre fitte pagine di appunti che solo lei sarebbe stata in grado di decifrare, Siri si stiracchiò sul posto: avevano passato un’ora a parlare della città sotterranea, di qualsiasi cosa che Levi avesse anche solo sentito per caso dire da Kenny e delle relazioni sociali che aveva avuto in quel posto. Nel frattempo, la mensa si era completamente svuotata, gli unici rumori che riecheggiavano nello stanzone vuoto erano quelli degli uomini della squadra di Hange che iniziavano a raccattare secchi e stracci per pulire.
- Bene, sono giunta ad una conclusione. – chiuse il quadernetto con uno scatto e si alzò dalla panca – Dobbiamo andare nella città sotterranea e indagare lì.
Devo essere sincero con te… – Levi la guardò prima di continuare e notò che sul viso di lei si era formato un leggero sorrisetto compiaciuto – Non muoio dalla voglia di infilarmi di nuovo in quel buco di merda.
- Beh, abituati invece all’idea. – Siri tornò seria, capiva il suo malessere per cui non voleva assolutamente mancargli di rispetto – Purtroppo è probabile che Kenny abbia lasciato qualcosa nella sua vecchia casa, qualsiasi cosa potrebbe essermi d’aiuto.
Levi rimase in silenzio e si alzò anche lui. Siri ripose la penna e il quadernetto in tasca: - Ora vado in infermeria, sarà sicuramente messa alle pezze, per cui se mi cercate sarò lì per il resto della giornata. – disse, voltandosi e dirigendosi verso le scale.
Ha dimenticato di mettere la gamella nel mucchio, quindi Levi prese le stoviglie di entrambi e le posò vicino le pentole che ancora dovevano essere lavate. Era sicuramente Hange quella settimana l’incaricata di lavare le stoviglie, nessuno ci avrebbe messo così tanto.
- Ehm…
A Levi prese un colpo. Siri si era come materializzata alle sue spalle: non è possibile, si disse. Iniziò ad avanzare seriamente l’ipotesi che lei non avesse peso. Girò la testa e la guardò sbigottito. La ragazza stava sorridendo a disagio: - Dov’è l’infermeria?

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 - Discesa negli inferi ***


Capitolo 10 – Discesa negli inferi

 
Il giorno dopo, Siri si era svegliata all’alba come al solito: aprì pigramente gli occhi e osservò le assi di legno del soffitto, illuminate dalla luce pallida del mattino. Si voltò a guardare Hange che ancora dormiva scomposta e, soprattutto, rumorosamente. Sedette sul letto e fu proprio mentre la osservava russare e perdere bava dalla bocca che pensò alla soluzione per farle assumere i concetti base del pulito. Non pretendeva certo che pulisse ogni giorno, ma non poteva nemmeno accettare che gettasse resti di cibo in giro per la camera.
Il cortile dei dormitori era ancora deserto, gli unici rumori che entravano dalla finestra spalancata della sua stanza erano i primi cinguettii e i rumori dei soldati nel magazzino intenti a scaricare merci e attrezzatura. Levi era appena rientrato dalla cucina dopo essersi portato dietro il primo tè della giornata, e, poggiato sul montante della finestra, osservava la nebbia mattutina dissolversi e il sole salire e, con inesorabile lentezza, illuminare il paesaggio. Un movimento sospetto attirò la sua attenzione verso il basso: una soldatessa era appena uscita dalla porta d’ingresso dell’edificio in cui lui, i capitani e i veterani alloggiavano, trasportando un sacco voluminoso sulla spalla. Si dirigeva verso le cucine. Con la divisa quasi non l’aveva riconosciuta, fu infatti solo quando Siri si guardò furtiva alle spalle che la riconobbe: la seguì con lo sguardo fino a quando non entrò nella mensa. Un attacco di fame, pensò, forse era per quel motivo che si trovava bene con Sasha, anche se quel sacco era molto sospetto.
Abbi fiducia Levi. 
- Tsk – disse, e bevve l’ultimo sorso di tè.
Stava per chiudere la finestra quando un altro movimento all’esterno lo bloccò: Siri aveva aperto dall’interno una finestra della mensa, si trovavano talmente in alto che non era mai stato sicuro si potessero aprire, e ora lei invece stava acquattata come un ragno, senza più il sacco, sul davanzale. La vide fare un salto all’indietro verso l’esterno e far partire in un lampo i ganci del movimento tridimensionale. No… sono diversi. Non erano i soliti rampini che usavano i soldati, questi non erano collegati ad alcun dispositivo per il gas e, da come la vide armeggiare, poteva regolarne il riavvolgimento: infatti riavvolse di poco la corda e rimanendo appesa si sporse verso la finestra e la chiuse. Dopodiché riavvolse ancora il dispositivo, questa volta alla massima velocità e, dandosi lo slancio con le gambe sul muro dell’edificio, sganciò i rampini dalla grondaia e con una capriola atterrò sul tetto. Poi, saltando dal tetto della mensa a quello dei dormitori, si calò su una finestra e rientrò quindi nell’edificio dei capitani.
Che cazzo significa questo spettacolo da circo? Perché non rientrare semplicemente dalla porta? Decise che l’avrebbe scoperto in autonomia perché, qualora gliel’avesse chiesto, era sicuro che poi non avrebbe mai scoperto né il perché di tutto questo né tantomeno il contenuto del sacco che aveva evidentemente lasciato in cucina. Chiuse quindi la finestra e decise di leggere e rilassarsi prima di riprendere i soliti lavoretti burocratici. Un’ora dopo bussarono alla sua porta, andò ad aprire e, coincidenza, era proprio Siri con indosso un camice bianco sulla divisa.
- Ti sei orientata subito. – effettivamente Levi non le aveva fatto sapere dove si trovasse la sua stanza.
- Buongiorno anche a te. – Siri si toccò una tempia: - Ho memorizzato le piantine.
Levi espresse la sua sorpresa col silenzio, poi disse: - Dove le hai prese le piantine?
Siri arricciò le labbra, poi schioccò la lingua e cambiò argomento: - Ho detto ai ragazzini che l’allenamento inizia alle dieci.
- Non hai risposto alla mia domanda.
- Che importanza ha? Dai il buon esempio e sii puntuale.
- Io non ci sarò. – Levi a queste parole stava per chiudere la porta, ma Siri la tenne aperta col braccio. Quindi Levi la riaprì e la osservò annoiato.
- Erwin ha detto…
- So cosa ha detto, salto dalla gioia all’idea di fare il maestro. – pose l’accento su quest’ultima frase, inoltre il suo sguardo truce valeva più di mille parole – Ad ogni modo, non ha senso che entrambi insegniamo in contemporanea, ci alterneremo i giorni. Abbiamo sicuramente tecniche d’insegnamento diverse, sarebbe soltanto un’inutile perdita di tempo.
E di pazienza, aggiunse in mente.
Siri distolse lo sguardo e ci pensò qualche secondo: - Va bene, hai ragione boss. – lasciò andare la porta e si allontanò.
- Ohi – disse Levi richiamando la sua attenzione – quando torneremo da questa tua missione nel posto più merdoso delle mura, inizierà il tuo di addestramento.
Siri lo osservò: era oltre l’uscio e la guardava minaccioso. Più che sembrare un incoraggiante promemoria, era un minatorio avvertimento.
- E non ci saranno giorni alterni, sottospecie di saltimbanco. – concluse rientrando in camera e chiudendo la porta. Siri era rimasta a guardarlo confusa. Saltimbanco?
 
Come da minaccia, la squadra era tutta riunita alle dieci in punto nel cortile del dormitorio dei soldati semplici, un casermone distaccato di poco da quello dei capitani. Siri arrivò con una mela in una mano e una scatola contenente pugnali di legno sotto l’altro braccio, nonostante indossasse la divisa, non sembrava aver abbandonato né i colori scuri, a giudicare dalla maglietta a con le maniche a tre quarti nera, né tantomeno le fasciature. A parte Sasha, nessuno era a conoscenza della sua altra importante cicatrice, inoltre la ragazzina, un po’ per dimenticanza, un po’ per distrazione, non aveva mai raccontato al gruppo di quella grossa bruciatura.
Siri ignorò i loro saluti e, oltrepassandoli disse: - Seguitemi.
- E il capitano Levi? – chiese Armin.
- Vi allenerà domani, ci alterneremo giorno per giorno. – rispose Siri, notò un certo sollievo sollevarsi nel gruppo, erano infatti fermamente convinti che sarebbe stato meglio avere a che fare solo con uno dei due alla volta, inoltre Levi rappresentava sempre e comunque il loro spauracchio maggiore. Purtroppo, non potevano immaginare che Siri stesse per sottoporli allo stesso durissimo, quasi inumano quanto il suo, addestramento che aveva affrontato per un anno e mezzo al campo cadetti, in poco tempo avrebbero rimpianto l’assenza del capitano.
Siri li portò in un campo sterrato lì vicino utilizzato anche dagli altri soldati come spazio per allenarsi: era a dir poco enorme, circondato dalla foresta di pini, proprio al suo limitare c’erano i pali per l’allenamento col dispositivo di movimento tridimensionale, inutilizzati in quelle settimane perché le reclute dovevano ancora raggiungere la sede. Siri sistemò la squadra vicino dei tavoli da esterni, alle cui spalle c’era una baracca per gli attrezzi. Anch’essi in quel momento erano vuoti: di solito invece erano utilizzati dai capitani stessi per compilare le scartoffie all’aria aperta, Hange ne era un’assidua frequentatrice, tuttavia, quella mattina, non era lì.
La squadra si mise sull’attenti in ordine sparso di fronte a Siri che, tenendo la mela in bocca, poggiò per terra la scatola coi pugnali e si tolse il giacchetto in pelle della divisa, che lanciò sulla panca di uno dei tavoli: era una giornata calda e il sole di metà mattinata iniziava a picchiare. Siri addentò la mela e li guardò: - Non credo di essermi mai presentata, ma ora che faccio parte della squadra e che la mia posizione all’interno dell’esercito è un pochettino cambiata, posso rivelarvi il mio vero nome. Il mio nome completo è Sigrid Myhre, siete pregati di tenere per voi questa informazione e chiamarmi semplicemente Siri, nonostante comunque, a questo punto, l’unica cosa che le persone a cui non sto molto simpatica potrebbero fare sarebbe quella di andare a sputare sulla tomba di mio padre, o uccidermi. Tuttavia… - disse, passando tra loro – sarei ben felice che non succedesse lo stesso. Chiarito questo e avendovi dimostrato la fiducia che ripongo in voi, possiamo passare all’allenamento.
Diede un altro morso alla mela e tornò di fronte a loro, camminando avanti e indietro: - La cosa più importante che dovete imparare non è saper attaccare, ma evitare di essere colpiti, – mentre camminava con lo sguardo davanti a sé, notò con la coda dell’occhio Connie, infondo, che ridacchiava con Sasha, la quale invece cercava di non dargli corda – in questo modo anche il più incapace tra voi potrà sopravvivere. – si fermò, la traiettoria era libera – In altre parole, la mia prima lezione si può chiamare… Schiva. – prese lo slancio col braccio e lanciò con tutta la forza la mela contro Connie, prendendolo in piena fronte.
- AAH! – Connie indietreggiò tenendosi la fronte tra le mani, Jean, Eren e Sasha risero della scena, mentre Armin e Mikasa lo guardarono sconsolati.
- Un chiaro esempio ve l’ha appena dato Connie, non era pronto per schivare ed è stato colpito. – si piazzò di fronte a lui e gli diede una schicchera sul naso – Puff, morto. Cinquanta flessioni.
- CHE?!
- Sei un soldato oppure no? E io che credevo che per voi fossero poche… - Siri prese la scatola coi pugnali finti e passò tra loro, facendone prendere uno a tutti – Se morite farete cinquanta flessioni, puntiamo a temprare anche lo spirito. Più volte morirete, più verrete puniti con altre interessanti penitenze di mia invenzione. Ho una fervida immaginazione, quindi, se non volete stuzzicarla, vedete di impegnarvi. – distribuiti a tutti, tornò di fronte a loro – Dividetevi in coppie: uno dovrà attaccare e l’altro dovrà solo schivare, impegnatevi nell’attaccare, me ne accorgerò se non lo fate.
Permettere loro di formare le coppie le fu d’aiuto per capire meglio il loro livello: nonostante si fosse sempre allenata solo col suo allenatore al campo cadetti, la sua idea si rivelò efficace. Riuscì infatti a identificare subito i più bravi nelle prime due coppie che si stavano sfidando: Mikasa, che era quella che aveva iniziato a schivare, era sicuramente una fuoriclasse rispetto ad Eren, che comunque mostrava una buona tecnica; Jean era goffo nei movimenti, ma era sicuramente più bravo di Armin che invece, cercando di affondare il coltello, sembrava non metterci abbastanza impegno. Dall’altra parte poi c’era Sasha che aspettava che Connie finisse la sua penitenza: Siri li fulminò con lo sguardo, tuttavia riteneva necessaria quella piccola digressione. Le venne in mente di quando il suo allenatore la puniva: non aveva niente a che vedere con quelle scaramucce a cui Siri avrebbe sottoposto i ragazzi, il suo allenatore infatti, ad esempio, le faceva tirare pugni ad un albero fino a quando non riusciva a rompere la corteccia. La prima volta che venne punita dovette farlo per tutto il giorno e ad un certo punto iniziò ad usare anche i gomiti per colpire il tronco, perché le nocche erano troppo aperte e piene di schegge. Quando riuscì a raggiungere la superficie interna, liscia, dell’albero, ormai non riusciva nemmeno più a piangere dal dolore e sentiva la pelle del viso tirarsi per le lacrime salate che le avevano rigato il viso.
No, a loro no.
- Va bene, mischiamo le coppie. Connie adesso basta, mi sembra ci stia mettendo troppo per delle semplici flessioni.
Alla fine, sistemò i più deboli con i più forti, facendo iniziare a schivare i più forti, così a rotazione, in modo da permettere a tutti non solo di imparare le tecniche dei compagni ma anche di non far “morire” subito i più deboli. Ad un certo punto iniziò a girare tra loro con un bastone, nessuno sapeva dire da dove l’avesse tirato fuori, e iniziò a colpirli ogni qualvolta erano troppo goffi o sbagliavano i movimenti. Nonostante l’impegno e i continui rimbecchi di Siri, Armin e Connie vennero sconfitti, per cui a fine allenamento avrebbero dovuto pagare la loro penitenza. Li fece allenare per tre ore, alla fine erano tutti esausti, ad eccezione di Mikasa, che, a parte qualche rivolo di sudore, aveva lo stesso aspetto di quando avevano iniziato. Il sole era ormai alto e picchiava, non avrebbe avuto senso farli proseguire oltre.
- Armin e Connie, sei giri di campo, poi potrete andare a mangiare. – era leggermente dispiaciuta per il biondino, ma non sarebbe stato giusto far saltare a loro il castigo se poi i giorni a seguire avrebbe dovuto “punire” gli altri allo stesso modo.
- Ah, quasi dimenticavo: da domani uno di voi mi aiuterà in infermeria. Uno di voi diverso ogni settimana. – diede un’occhiata rapida ai volti distrutti dei suoi compagni – Inizia Armin. Ci vediamo domani mattina alle sette in infermeria.
A quanto pare oggi ce l’aveva con te – sussurrò Eren ad Armin quando Siri si fu allontanata.
- Ti sbagli. – Armin lo guardò sconsolato mentre si preparava con Connie per la corsa che lo aspettava – Non mi risulta di essermi beccato una mela in faccia.
- Ehi! Ci sei finito anche tu a correre per il campo! – rispose Connie accigliato, mentre gli altri ormai se la ridevano alla grossa.
A pranzo, Levi vide arrivare la sua squadra a mensa in ritardo: sembravano tutti sfiniti e Connie aveva la testa fasciata, ma poteva chiaramente vedere un bernoccolo fare capolino nel centro della fronte. Cercò Siri nella sala con lo sguardo, ma non c’era. Fa sul serio. Non si aspettava di vederli innanzitutto spossati, poi così stanchi solo dopo il primo giorno.
A pensarci bene non c’era nemmeno Hange, il che era strano, perché di solito lo raggiungeva sempre al suo tavolo, seguita da Moblit: non vedeva la quattrocchi dal giorno prima a pensarci ancora meglio. Quella mattina aveva visto Moblit correre su e giù per i corridoi, ma riteneva la cosa abbastanza normale viste le innumerevoli commissioni assurde che Hange gli affidava. Tuttavia, considerò l’evento una fortuna, nessuno l’avrebbe disturbato, almeno fino all’ora di cena. Ad un certo punto, a fine pranzo, vide Siri, sempre con indosso il camice, fare capolino in mensa: notò la sua espressione facciale contrarsi poco dopo essere entrata, scese le scale tenendosi la tempia, la vide prendere una pagnotta, risalire le scale e uscire di lì in tutta fretta. 
Tutta la situazione anormale lo lasciò confuso, ma assunse tutto un senso quando, salendo verso il secondo piano dei dormitori diretto alla sua stanza, sentì delle urla al primo piano. Provenivano dalla camera di Hange e, a giudicare dal tono, dovevano essere proprio le sue. Si diresse verso la sua stanza, trovò la porta aperta e Moblit che guardava l’interno sconcertato.
- Ehi quattrocchi, cos’è tutto questo casino? – si sporse nella camera e lo scenario che gli si parò dinanzi era forse anche peggiore di quando ci aveva portato Siri il giorno prima: la metà della stanza che apparteneva ad Hange era più sottosopra del normale, il pavimento ora era libero visto che aveva spostato il cumulo di vestiti sul letto, tuttavia il suo armadio era completamente smontato e il contenuto dei cassetti della sua scrivania sparso per tutta la camera. Hange giaceva stesa al centro della stanza e ripeteva a bassa voce: - … Non è possibile… dove sono… tutto…
- Capitano, non appena Siri arriva le chiederemo se ha visto qualcuno… - Levi a quelle parole si voltò a guardare Moblit ma proprio mentre stava per chiedergli il significato di quella frase, Siri fece capolino alle sue spalle.
- Che succede? – Levi si voltò a guardarla, teneva il camice sottobraccio e stava finendo il pane che le aveva visto prendere dalla mensa.
- Perché Hange è per terra? – disse con un’espressione interrogativa: sentendola, Hange si alzò di scatto e a gattoni si gettò su Siri.
- SIRI! È TERRIBILE! – le si aggrappò alla maglia, Siri indietreggiò e spalancò gli occhi a disagio – CI HANNO DERUBATI!
Moblit si abbassò e tenendola dalle spalle la stacco da Siri: - Le hanno rubato tutti i suoi documenti sui giganti, i suoi libri, il suo microscopio… - disse Moblit sconsolato, Levi guardò i due interrogativo. La spia alzò lo sguardo sulla stanza, entrò e si guardò intorno: - La mia roba c’è tutta.
Hange si alzò di scatto: - CHEE?! Hai sentito Moblit?! – lo afferrò per il colletto del suo giacchetto e lo scosse – È un attacco personalmente diretto a me!
Levi osservò Siri che non sembrava minimamente colpita dall’accaduto, anzi, si era poggiata con una mano sulla sua scrivania che, notò, era perfettamente ordinata: una piccola pila di libri in un angolo, sormontati dal vaso di una pianta, al centro dei documenti perfettamente ordinati, davanti a questi una serie di barattoli impilati l’uno sull’altro e nell’altro angolo della scrivania una lanterna ad olio. Guardava con estrema calma la scena e sembrava stesse aspettando di essere interpellata.
- Siri! – Hange si girò a guardarla e le si avvicinò – Hai per caso visto qualcuno uscire dalla nostra camera o avvicinarsi qui con fare sospetto?
Siri sospirò e guardò il soffitto pensierosa, mentre si strofinava il mento nella mano: Levi capì all’istante che sapeva perfettamente cos’era successo al materiale del capitano.
- Mmh… ora che mi ci fai pensare, sì, ho visto qualcuno… - Hange la guardò ricolma di gioia – Ti dirò chi era… - Siri la guardò dritta negli occhi minacciosa e con un tono tagliente continuò – Ma prima dovrai mettere in ordine i tuoi vestiti. E buttare le cose nel cestino.
All’altra morì la felicità in faccia e la guardò a bocca aperta: - Come…? – batté le palpebre – Siri non ho tempo per questo! È una questione troppo importante.
Siri alzò un sopracciglio e un angolo della bocca: - Beh allora mi sa che dovrai cercare il tuo ladro da sola… sempre se riesci a trovarlo. – le diede dei colpetti sulla testa – Buona fortuna!
- SIRI! Non è uno scherzo! – Hange la prese per le braccia.
Siri sbottò: - Non lo sono neanche le malattie che si possono sviluppare in un’aria mefitica come questa! Sai, io, a differenza tua, ne ho una vaga idea!
- Ohi, quattrocchi. – le due si voltarono a guardare Levi – Non l’hai ancora capito? Il ladro ce l’hai di fronte.
Levi aveva finalmente compreso il comportamento sospetto della spia quella mattina. Non avrebbe mai detto, dall’impegno che ci aveva messo, che si potesse trattare di una cosa di così poco conto. Tuttavia fu sollevato di aver constatato che lei non stesse pianificando avvelenamenti o altri strani complotti contro il corpo di ricerca. Siri la spinse via e Hange la guardò sconcertata: - Tu?! Quando… - scosse la testa e le si avvicinò minacciosa – Siri sono un tuo superiore, ridammi le mie cose o…
- Non sei il mio superiore. – la interruppe Siri incrociando le braccia sulla difensiva, poi guardò Levi – Lui è il mio superiore.
Lui ricambiò lo sguardo impassibile. Quindi aveva deciso di giocarsela e mettere tutto nelle sue mani, era un azzardo perché se le avesse detto di ridare ad Hange ciò che le apparteneva, tutti i suoi sforzi sarebbero stati vani.
- Levi! Dille di restituirmi i miei documenti! Ci sono anni di ricerche lì sopra! – Hange si avvicinò di qualche passo a lui che la guardò annoiato.
- È un problema tuo Hange. Finalmente sarai costretta ad acquisire le basi dell’igiene.
A quelle parole, la scienziata iniziò a disperarsi, mentre Siri sorrise grata a Levi. Moblit, in quella crisi di potere, cercava invano di calmare il suo superiore, promettendole che l’avrebbe aiutata ad ordinare. Detto questo, il capitano s’incamminò per tornare verso le scale.
- Levi, - lo chiamò la spia nel corridoio, facendolo voltare – raggiungimi in infermeria più tardi. Devo parlarti della missione.
- Bene, se non vuoi aiutarmi Levi, me la vedrò da sola! MOBLIT, andiamo, dobbiamo trovare le mie cose! – disse Hange uscendo a lunghi passi dalla stanza, seguita dal suo esasperato sottoposto.
- Arrenditi Hange, non le troverai. – Siri rientrò in camera – Man mano che terrai la stanza in ordine ti ridarò una cosa alla volta.
 
Era pomeriggio inoltrato e la luce aranciata del tramonto irrompeva nell’infermeria, tingendo tutto di quel colore caldo e accogliente. I flaconi di medicine sul tavolo sterile proiettavano giochi di luce sulla superficie metallica, dal lavabo accanto all’ingresso cadevano ritmicamente nel lavandino e il leggero vento caldo che entrava dalle finestre muoveva dolcemente le tende: quando Levi entrò si sentì pervaso da uno strano senso di pace, il che, in genere, era davvero raro.
Si rivolse ad un’infermiera-soldato che proveniva dalla zona alla sua sinistra in cui c’erano le file di letti, nascosti da inamidate tende bianche: - Sto cercando il soldato Myhre.
La soldatessa lo guardò: - Oh, Capitano Levi: è nel primo letto a destra… - poi guardò di sottecchi le tende che nascondevano il letto alla vista e disse a bassa voce – Però, capitano, non credo voglia essere disturbata.
- Non importa. – disse e si diresse nel reparto di giacenza. Si affacciò oltre la tenda che nascondeva quella “stanza” quadrata rimediata da quei tre teli bianchi impalati: Siri era distesa sul letto supina, le mani poggiate sul suo quadernetto aperto sul petto, aveva il viso girato verso sinistra, la guancia destra coperta da un panno di cotone su cui era spalmata della poltiglia verde, in corrispondenza dei punti. Guardava un punto fisso della tenda, quando lo sentì arrivare gli rivolse un breve sguardo ma rimase immobile.
- Era ora. Stavo per addormentarmi.
- Se batti la fiacca puoi dirmelo: i bagni hanno sempre bisogno di una pulita. – disse lui sedendosi su una sedia alla destra del letto, Siri ci aveva appoggiato sulla spalliera il suo camice.
Siri lo guardò, senza voltare il capo: - Sei proprio fissato con le latrine. – mise anche la testa supina, stando attenta a non spostare il panno, posò gli occhi su di lui e poco dopo disse: - Stai attento, potresti immedesimartici.
Ogni volta che gli rispondeva sarcasticamente era una bella sfida cercare di non mostrare apprezzamento verso le sue battute: si conoscevano da poco, ma aveva capito benissimo che se l’avesse fatto lei non avrebbe più smesso di gongolare, ed era già abbastanza sbruffona solo così.
- Mi dispiace non potermi sedere ma, – indicò la pezza sul viso – lo devo tenere su per due ore circa. Non si secca, per cui devo rimanere così.
- Così, a far nulla.
Siri aggrottò le sopracciglia e lo guardò risentita: - Pensare non lo definirei fare nulla. Comunque, accelera il processo di guarigione, tra una settimana, compreso il giorno di oggi, sarà rimarginato del tutto.
- Presumo quindi tu voglia partire per allora.
Siri spostò lo sguardo sul soffitto e annuì. Il vento scompigliò i corti capelli che fuoriuscivano dalla treccia di Siri, Levi osservò i suoi occhi: sembravano tristi. O forse era solo sovrappensiero.
- Che c’è? Hai cambiato idea?
- No… - disse piano – Nemmeno io muoio dalla voglia di andarci, diciamo. Non ci sono stata tanto tempo come te, ma, per quel poco, mi è bastato.
Il capitano comprendeva perfettamente, per una che poi sapeva cosa significasse vivere in superficie doveva essere risultato difficile, ancor più dover mantenere la sua identità segreta con uno come Kenny.
- Quindi sei sicura che sia la pista giusta? Non vorrei dovermi sorbire quell’aria di merda solo per vederti fare il saltimbanco in giro per la città.
- Il mio istinto mi dice di sì, difficilmente si sbaglia. – spostò di nuovo lo sguardo sicuro su di lui.
- Ne parli come se fosse un’altra persona, adesso sei anche sensitiva? Possiamo mettere su uno spettacolo da baraccone.
Siri sbuffò: - D’altro canto ci faresti fare un gran successo: l’uomo più forte e più basso insieme. – si pentì della battuta subito dopo averla pronunciata, però le era venuta così naturale che l’aveva detta senza pensarci. Sgranò gli occhi e Levi percepì il panico e il pentimento, aveva colpito nel segno, non poteva negare però che quello scambio di battute non gli dispiacesse.
Scus-
- Hai ideato anche una tabella di marcia oltre che frecciatine mentre eri qui a sollazzarti?
Siri sorrise e fissò il suo quadernetto: - Effettivamente, avevo previsto la tua richiesta boss. – alzò l’oggetto tra le mani – Domani potremo già condividerlo coi mocciosi.
Levi le si avvicinò con la sedia e disse: - Questo lo giudicherò io. Avanti, iniziamo.
Rimasero così a discutere dell’organizzazione per la missione, fino all’ora di cena.
 
I giorni a seguire passarono quasi senza che la squadra se ne accorgesse, dopotutto, dopo gli allenamenti con Siri, sommati a quelli a cui si sottoponevano per conto loro, c’era poco altro a cui pensare. I ragazzi non vedevano l’ora di allenarsi con Levi piuttosto, ma s’impegnavano a non far notare la cosa alla spia in modo da impedirle di chiedere al capitano di essere più rigido. Hange non era riuscita a trovare assolutamente nessuno dei suoi oggetti, aveva iniziato a seguire Siri ovunque andasse cercando di scalfire lo stoico atteggiamento che aveva assunto nei suoi confronti; fino a quando un giorno non si è arresa e, con l’aiuto del suo instancabile braccio destro, ha iniziato a tenere in discreto ordine le sue cose. Il giorno della partenza Siri la premiò ridandole il microscopio e solo una piccola parte di alcune delle sue ricerche.
Quando Levi e Siri ebbero finalmente messo a punto la missione, la esposero alla squadra che, non avendo mai visto la città sotterranea, accettarono senza troppe remore. La spia fece lavorare molto Armin in infermeria, aveva bisogno di sintetizzare molto analgesico e altre medicine: doveva lasciare una parte in infermeria e un’altra sarebbe servita in missione, e Armin, se all’inizio si sentì sopraffatto dalla valanga di informazioni e procedimenti che Siri gli illustrò, poi prese la mano e, alla fine della settimana avrebbe voluto continuare ad affiancarla. Tuttavia, la fine di quei giorni tranquilli era arrivata ed il momento era giunto, sarebbero dovuti scendere negli inferi.
Eren era a dir poco nervoso nel carro: si fissava i piedi cercando di non pensare alla nausea che l’aveva colto da quando i cavalli erano partiti, ogni tanto alzava gli occhi su Siri e Levi ed era a dir poco sconvolto dalla loro incredibile calma. Non davano sicuramente l’idea di due persone che di lì a poco avrebbero dovuto, molto probabilmente, lottare per la propria vita in una città ricolma di criminali. Levi era seduto accanto a lui, dritto con le spalle guardava Siri con le braccia incrociate, quest’ultima invece era distesa sulla panca di fronte alla loro e, mentre canticchiava a bocca chiusa, giocherellava con un pugnale, lanciandolo sopra la sua testa e riafferrandolo al volo poco prima che toccasse la fronte. Non portava più il cerotto sul viso e la grossa cicatrice sulla guancia stonava totalmente coi suoi lineamenti delicati, le dava un aspetto grottesco.
- Puoi smetterla con questo motivetto insopportabile?
Siri interruppe la cantilena e afferrò il pugnale al volo, guardò Levi e glielo sventolò nella sua direzione: - Dovresti iniziare a mettere il tuo mantello boss. – detto ciò, ricominciò a giocherellare e non appena Levi si abbottonò il grigio mantello, ricominciò anche a canticchiare. Eren ripensò a quanto singolari gli erano sembrati Levi ed Hange appena conosciuti, Siri non era da meno e il fatto che non fosse minimamente spaventata dal capitano riusciva a dargli una vaga idea di quanto dovesse essere abile (e matta), anche se non l’aveva mai vista in azione e lo desiderava. Ma adesso che erano diretti alla città sotterranea, il suo desiderio si sarebbe presto esaudito, stando, perlomeno, alle previsioni di Siri.
- Il mio istinto non si sbaglia mai. – aveva detto tronfia a tutti.
- È tutto da vedere, fenomeno da circo. – aveva risposto il capitano, che, nonostante il tono dispregiativo, sembrava comunque abbastanza convinto della sua teoria.
Il carro si fermò e il cocchiere scese ad aprire la tenda nel carro: - Siamo arrivati.
Siri e Levi si calarono il cappuccio sulla testa e scesero per primi, si guardarono intorno e poi la spia fece cenno di scendere anche ad Eren. Non appena sceso vide alla sua destra l’ingresso alla città: non che si aspettasse qualcosa d’imponente, ma nemmeno qualcosa di così squallido. Era un semplice buco nella roccia, sormontato da pali di legno così vecchi che sembrava dovessero crollare da un momento all’altro. Osservò Siri tendere i permessi d’ingresso e uscita ad un soldato del corpo di gendarmeria di guardia all’ingresso che, dopo averli controllati, glieli restituì. Si girò verso di loro e diede sia a lui che a Levi uno dei tre fogli, poi si rivolse ad Eren: - Intascatelo nel posto più sicuro che hai.
Il ragazzo fece per metterlo in tasca quando Siri lo fermò afferrandogli il polso: - No. Devi riuscire a sentirlo sulla pelle. Solo così se cercano di sfilartelo via potrai accorgertene: quel foglio, dal momento in cui oltrepassiamo quel buco nella roccia fino a quando non ne usciamo è più importante della tua stessa vita.
- Non esagerare, spiona. – la rimbeccò Levi.
- Beh, considerato che anche con una pugnalata nel petto non può morire, direi che ho ragione. – Siri tornò a guardare Eren dritto negli occhi e gli lasciò il polso – Mettilo nelle mutande se serve. Senza quello non potrai uscire di qui.
Il ragazzino deglutì, spaventato. Siri si girò e, seguita dai due, iniziarono la discesa verso la città. Le scale, notò Eren, erano immerse nel buio pesto, interrotto soltanto da qualche sporadica fiaccola sulle pareti, era calato un silenzio irreale e l’unico rumore che lo riempiva erano i suoni dei loro passi che rimbombavano sulla roccia. L’umidità era opprimente e dopo qualche rampa di scale iniziò a percepire un certo tanfo. Improvvisamente il tunnel si aprì rivelando un’enorme caverna sotterranea: era immensa, sostenuta da qualche gigantesca colonna rocciosa non sapeva bene dire ogni quanti chilometri. Le abitazioni sembravano accartocciate l’una sull’altra, tutte di colori sbiaditi e ammuffiti, regnava una quiete irreale per essere una città e l’oscurità quasi faceva venire il mal di testa, visto lo sforzo che dovevano compiere i suoi occhi a mettere a fuoco ciò che lo circondava, qui e lì Eren poteva osservare le fioche luci nelle strade e delle finestre, ma erano solo un timido tentativo d’imitare quella solare. Mentre scendevano le scale lentamente, lui spostava il capo incuriosito per vedere meglio la città, il capitano invece, notò sorpreso, procedeva con lo sguardo basso, senza rivolgere il minimo sguardo agli edifici. In quanto a Siri, non poteva vederla in viso perché li precedeva, ma era da quando avevano imboccato le scale che non apriva bocca.
Alla fine delle scale vi era un gazebo in legno in cui altri soldati della gendarmeria tenevano d’occhio l’ingresso: non avendo le divise del corpo di ricerca, né tanto meno i dispositivi di manovra tridimensionale, vennero subito fermati perché dicessero il motivo della visita: Siri disse qualcosa di incomprensibile su commerci e affari, le guardie non la stettero neanche a sentire fino in fondo che, pigramente, li lasciarono proseguire per quella che sembrava una via principale.
Mi chiedo che senso ha avuto entrare coi permessi se avremmo potuto farcene fare uno speciale dal comandante Erwin. – disse Eren a nessuno dei due in particolare.
- Col casino che è successo con la gendarmeria, il corpo di ricerca non è ancora ben visto dalla polizia. Inoltre, qui viene mandata la feccia della gendarmeria, quale soldato potrebbe mai venirci per scelta. – gli spiegò Levi, mentre guardingo osservava le strade secondarie – è molto meglio non fidarsi, visto che potrebbero segnalarci ai criminali a cui Siri non sta simpatica.
Siri lo fulminò con lo sguardo: - Guarda che anche se tu manchi da anni, qui ti ricordano ancora benissimo. – si girò e tornò a guardare avanti a sé, stando ben attenta a nascondere il viso col cappuccio.
- Insomma, – continuò Levi guardando Eren di sbieco – è difficile trovare qualcuno a cui stiamo simpatici.
Svoltarono un paio di volte, stavano camminando da una quindicina di minuti ed erano quasi arrivati al punto d’incontro quando Siri si fermò all’improvviso in un vicolo stretto e un po’ più buio degli altri, Levi ed Eren guardarono davanti a sé e videro un uomo poggiato contro il muro, le braccia conserte: guardava dritto nella loro direzione.
- Per passare di qui dovete pagare il pedaggio, stranieri – disse l’uomo che, però, quando vide Siri sembrò cambiare totalmente espressione.
Siri si voltò verso i due compagni, dando le spalle allo sconosciuto: - Maledizione…
Chi è quello? – fece Levi. La risposta non tardò ad arrivare.
L’uomo si scostò dal muro e si mise al centro del vicolo – Aspetta ma, sei… Siri? – Siri fece una faccia annoiata e sbuffò: - Ci eravamo per pochissimo...
- Da quanto tempo. Era da un po’ che non ti facevi vedere da queste parti. – disse avanzando verso di loro, il viso che virò dal sorpreso al soddisfatto.
Siri chiuse gli occhi, sospirò e con un sorriso si voltò a guardare l’uomo - Marcus! – disse con una voce allegra, a sentirla Eren tirò un sospiro di sollievo – Da quanto tempo, vecchia canaglia! Sai mi ero quasi scordata del tuo viso! – Siri alzò le mani e le intrecciò dietro la testa, per poi con una mano indicare verso il basso. Levi guardò Eren e, avvicinatosi a Siri, lentamente, le sfilò uno dei pugnali che aveva nella cinta sul bacino, dopodiché fece cenno ad Eren di fare lo stesso.
- Credevo che Kenny, dopo averti lasciato il suo ricordino, – disse l’uomo indicando il dorso della sua mano – fosse venuto ad ucciderti definitivamente.
Siri abbassò le braccia e sia Eren che Levi potettero chiaramente vedere due lame scendere da sotto le maniche della maglia della spia, e quindi poi fermarsi sul suo palmo contratto.
- Mmh, non ha fatto in tempo. È crepato prima di poterci provare.
Dalle strade ai loro lati sbucarono altri uomini e Marcus le si avvicinò ancora, riducendo la loro distanza a qualche passo.
- Ti è andata bene – disse sprezzante - Allora, sei venuta a ripagare il tuo debito? - L’uomo sputò per terra rabbioso, Levi lo guardò disgustato.
- Non so di cosa parli. – disse Siri fattasi improvvisamente seria. I tre contrassero i muscoli, pronti ad agire. Li avevano circondati, sarebbe bastato un segnale di Marcus e gli sarebbero saltati addosso. Fortunatamente non sembrava avessero armi da fuoco. Stanno stringendo il cerchio… spero siano riusciti a seguirci senza intoppi… Pensò Eren ansioso.
- CERTO CHE LO SAI, BRUTTA PUTTANA! – l’uomo nerboruto si era avvicinato così tanto che ora Eren e Levi riuscivano a distinguerne i tratti somatici: non sembrava molto in forma, anzi, era più alto di Siri di almeno una decina di centimetri, aveva una barba ispida e poco curata, i denti gialli e gli occhi traslucidi, i lunghi capelli marroni che aveva cercato di raccogliere in un codino basso erano attraversati da ciocche bianche.
- MI HAI RUBATO IL MIO PERMESSO D’USCITA! – le puntò l’indice contro, Eren e Levi strinsero più forte i pugnali – Adesso io ti…
Siri lo interruppe, gli occhi due profondi pozzi scuri, ora che si trovavano in un quel luogo immerso nell’oscurità neanche la più piccola luce vi si rifletteva: - Ti avevo già spiegato che i ratti come te… - fece scendere le lame dai polsi con uno scatto e afferrò le impugnature - … è meglio che rimangano nella loro fogna.
Marcus le si scaraventò contro, altrettanto fecero i suoi uomini. Poi, vennero tutti raggiunti da degli spari.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 - Un pezzetto di me ***


Capitolo 11 – Un pezzetto di me

 
- Eren, tu verrai con me e Siri. Non possiamo lasciarti solo.
- Capitano, so difendermi da solo perfettamente! Mi lasci andare con gli altri!
- Ma se ogni volta dobbiamo buttarci a capofitto a salvarti o coprirti le spalle per qualche tua bravata! – sbottò Jean.
Siri assisteva esasperata alla scenetta; in attesa di poter inserirsi ed illustrare meglio il piano, guardò Levi che invece sembrava perfettamente abituato a quanto stava accadendo, perché, con le braccia incrociate, si era seduto pesantemente sulla sedia e osservava in silenzio.
- Brutta faccia da cavallo… - sibilò Eren, coperto dalla voce di Mikasa che si era inserita nel discorso chiedendo al capitano di permetterle di andare con loro. In realtà nonostante questo tutti riuscirono a sentire Eren chiaramente.
- No Mikasa. Sei la più forte tra tutti loro e visto che né io né Siri saremo con voi, tu dovrai aiutarli.
- Non farmi fare brutte figure davanti al capitano brutto pazzo suicida…
Armin stava cercando di placarli a parole quando Siri batté forte il palmo della mano tre volte sul tavolo, facendo trasalire e, soprattutto, tacere tutti i presenti.
- Ecco cosa sento nella mia testa ogni volta che parlate e dite stupidaggini.
Levi in quel momento si sentì sollevato di avere almeno un altro adulto a capo di quei soldati irrequieti e pubescenti, finalmente la fatica era divisa equamente.
- Mikasa ed Eren: non si discute, credevo fossimo stati chiari. Eren è l’unico tra voi che se ferito può sopravvivere, sono un bravo medico ma non faccio miracoli. – Eren e Mikasa abbassarono lo sguardo – Quindi, voi altri arriverete prima alla città sotterranea, smontate i fucili nel carro e nascondete i pezzi nei vestiti, mi raccomando. – si alzò, facendosi peso sul tavolo e indicò una zona sulla piantina della città sotterranea – Rimarrete ad aspettarci sui tetti degli edifici in questa zona qui, appena ci vedrete arrivare, dovrete seguirci, senza farvi notare, chiaramente. – alzò lo sguardo e lo posò prima su Connie e poi su Sasha. Tornò a guardare la mappa.
- In una parola: discrezione.
- Ma l’abbiamo appena iniziata quella lezione! – disse Sasha con la guancia poggiata sul dorso della mano. Tutti si voltarono a guardarla, lo sguardo di Siri avrebbe potuto incenerirla all’istante: si limitò a sospirare e continuò: - Se tutto procede senza intoppi, e io lo dubito fortemente, arriveremo alla locanda di cui vi parlavo. Se invece qualcosa va storto e ci fermano… chi sono i più abili a sparare tra voi?
Levi e Siri erano d’accordo sul fatto che, probabilmente, far indicare a loro stessi i più abili avrebbe potuto facilitare la scelta su chi sarebbe andato a chiamare la gendarmeria, e su chi quindi avrebbe evitato lo scontro.
- A parte Mikasa. – aggiunse subito dopo.
- Sasha è molto brava. – disse Connie – Gli altri sono decisamente più bravi rispetto a me, non me la cavo bene a mirare.
- È vero. – confermò Jean – Una qualità di Connie è la velocità, non certo la mira.
- È deciso allora. – disse Levi – Connie tu andrai a chiamare la gendarmeria, voi altri mirate ai piedi, a fargli perdere i sensi ce ne occuperemo noi.
- Con i gendarmi nelle vicinanze, per un’oretta o due avremo il campo totalmente libero e potremo effettivamente passare inosservati. Non disponetevi tutti su un lato – si raccomandò Siri – è molto probabile che ci accerchino; quindi, se vi metterete solo da un lato potrete colpire solo una parte di loro.
- Non possiamo essere semplicemente scortati dal corpo di gendarmeria? O entrare in divisa? – disse Jean.
- Cosa non ti è chiaro della parola discrezione? – disse Siri sarcastica.
- Beh, mi è chiara, è solo che sarebbe più-
- Più semplice? – Siri ridacchiò – La vostra ingenuità è impagabile.
- I forestieri sono l’obiettivo numero uno dei criminali nella città sotterranea, lo sono ancora di più soldati giovani e inesperti, a cui sottrarre i dispositivi di manovra è molto più semplice del normale – completò Levi per la via vice.
- Un solo colpo alle gambe. – Siri guardò i compagni di squadra ed infine si concentrò su Mikasa – Poi potrete aiutarci.
 
Marcus fece per tirare un pugno in piena faccia a Siri, ma lei, abbassandosi, lo schivò e in un lampo, con un fendente lo tagliò proprio in corrispondenza dell’ascella. Poi, con un calcio sullo stinco, lo fece capitolare in avanti. Gli uomini ai lati che si erano lanciati su di loro furono raggiunti dagli spari della squadra appostata sui tetti, l’ala alla destra di Siri, tuttavia, era rimasta scoperta. La spia alzò lo sguardo sul tetto e vide un Jean impacciato, che evidentemente non aveva montato bene il suo fucile. Prima che un uomo le arrivasse addosso con tutta la forza, lanciò un pugnale che lo trafisse dritto nell’occhio, facendolo urlare di dolore.
Dietro di lei, Levi ed Eren invece trovarono una situazione decisamente più avvantaggiata: buona parte dei loro nemici erano stati raggiunti dai colpi di Sasha e Armin, che coprivano le fasce posteriori rispettivamente a destra e a sinistra, per cui si ritrovarono a lottare effettivamente contro solo quattro uomini che avevano avuto la fortuna di non essere stati raggiunti dagli spari. Levi non ebbe problemi con i due che gli si scaraventarono addosso, dopo aver assestato ad uno una gomitata sulla tempia e ad un altro, girandosi su sé stesso, un calcio alla nuca; mentre Eren che, dopo essere riuscito a schivare qualche colpo, si trovava in difficoltà, ricevette il provvidenziale aiuto di Sasha che nel frattempo era scesa dal tetto sulla destra e aveva messo fuori gioco col calcio del fucile uno di loro, a stendere l’altro che incombeva su Eren fu Levi, che spinse il ragazzo in avanti, nell’ala di Siri. Mikasa e Armin scesero dalla sinistra anche loro e la prima, cercando di raggiungere Eren, si trovò ad affrontare altri tre uomini contemporaneamente che le bloccarono la visuale sull’amico.
Eren, spinto in avanti, si voltò a guardare Siri che, sulla destra, era impegnata a combattere con due uomini, tra cui l’uomo che aveva accecato in precedenza. Jean, nel frattempo, era rimasto sul tetto, ancora intento a mettere insieme i pezzi del fucile: non poteva scendere disarmato com’era. Eren era a dir poco incantato dalla fluidità dei movimenti di Siri: non potendo contare sulla forza, aveva sviluppato una velocità incredibile, per cui la sua tecnica si basava tutta sullo sfinimento dell’avversario che, colpito da precisi tagli in punti strategici, s’inferociva verso di lei cercando di assestarle colpi che, nella maggior parte dei casi, finivano a vuoto. È una tecnica incredibile! Adesso capisco quello di cui Armin e Levi parlavano! Pensò, guardandola pieno di ammirazione, esattamente come anni prima aveva osservato Annie al campo cadetti.
Fu con la coda dell’occhio che Eren vide l’energumeno che si chiamava Marcus lanciarsi verso Siri, tenendo, nella mano del braccio che riusciva ad alzare, un pugnale: il ragazzo sgranò gli occhi rendendosi conto che la vice di Levi non si era assolutamente accorta dell’arrivo di quel colpo alle spalle.
- SIRI! – urlò, correndo verso di lei, ma il pugnale affondò nella carne.
 
Mikasa aveva appena messo KO i tre uomini che l’avevano assalita quando vide Eren che, per bloccare un fendente diretto alle spalle di Siri, era stato trafitto in pieno ventre. La ragazza sbiancò e urlò a pieni polmoni: - EREN!
All’urlo della ragazza, tutti si girarono a guardare Eren, ad eccezione di Siri che sentì solo le spalle del ragazzo urtare contro sue: l’urlo di Mikasa le fece capire la gravità della situazione, per cui diede una testata all’uomo che aveva reso cieco ad un occhio, stava per girarsi contro l’altro che però venne raggiunto ad una gamba da uno sparo di Sasha, capitolando a terra.
- Hai ancora il coraggio di alzarti?! – disse Siri furiosa, girandosi verso Marcus: questo estrasse il pugnale dal ventre di Eren, a cui uscì gorgogliando del sangue dalla bocca. Tenendosi il ventre che si stava tingendo velocemente di rosso, si accasciò a terra, sotto lo sguardo terrorizzato di Mikasa che si lanciò su di lui e lo sorresse. L’uomo alzò di nuovo il pugnale e lo abbassò verso Siri che, con uno scatto, gli afferrò il polso, fermando la lama poco sopra la sua spalla. Tuttavia, lui esercitava una forza maggiore, non sarebbe stata in grado di resistere o ribaltarlo, per cui con la mano libera lo colpì in faccia con un fendente, centrando con la lama la base di un sopracciglio. Marcus, per il dolore acuto, allentò di poco la presa e quello bastò a Siri per torcergli il braccio e, con un affondo dietro le ginocchia, farlo cadere a terra di pancia.
Siri gli teneva alto il braccio dietro la spalla quando, abbassandosi su di lui, gli sussurrò: - Non si colpisce alle spalle, non hai nemmeno un minimo di decenza… - e poi, facendo leva con un piede che gli aveva piantato in mezzo alle spalle, gli fece uscire l’arto dall’articolazione.
Mikasa si era gettata su Eren e ora lo teneva fra le braccia: - Rilassati Mikasa, tra qualche ora sarò come nuovo… - disse con un filo di voce il ferito, ma queste parole non riuscirono minimamente a rilassare la ragazza che, dopo avergli fasciato la ferita, se lo caricò sulle spalle. Gli altri invece stavano procedendo a legare tutti i loro assalitori, quando finalmente Connie arrivò seguito da tre soldati del corpo di gendarmeria.
- Porca miseria! – riuscì a dire uno di loro.
- Ma quello è Marcus Lane! È da anni che cerchiamo di catturarlo!
Ma va… - disse Siri quasi sprezzante, dando le spalle ai soldati.
- Ci hanno assaliti! – disse Sasha ai gendarmi, raccogliendo un fucile da terra – Erano armati! È una fortuna che siamo della guarnigione e abbiamo saputo gestire la situazione!
Gli altri, ad eccezione di Siri e Levi che si erano calati i cappucci nuovamente, annuirono cercando di sembrare spaventati.
- Va bene! Ce la vediamo noi da adesso in poi… - disse uno distrattamente, mentre gli altri due ammanettavano gli assalitori.
- Aspettate ma… - disse sempre lui dopo aver alzato lo sguardo di nuovo su di loro, ma non trovò nessuno: si erano già dileguati. Guardò stralunato il compagno e continuò: – Che ci fanno dei soldati della guarnigione qui sotto?
L’altro lo guardò e alzò le spalle: - Che t’importa? Hanno fatto loro tutto il lavoro, possiamo dire ai superiori di averli catturati noi. Magari è la volta buona che ci riassegnano.
- Già, ben detto. – disse il terzo, altrettanto preso dall’ammanettare quei criminali doloranti.
 
Appena girarono l’angolo di un altro vicolo buio e isolato, Siri spinse Jean contro il muro, e poi, prendendolo dal colletto, lo scosse: - Che cosa cazzo ti è preso, si può sapere?! Non hai mai montato un fucile in vita tua?!
Jean dopo un attimo di smarrimento, tenendo le mani alzate spaventato cercò di balbettare una risposta, Siri lo lasciò andare: - Eren non morirà, ma potevamo risparmiarci un compagno ferito, e sai perché ci sarebbe convenuto non averne uno?
- P-perché non sarà capace di… difendersi da solo?
Siri sorrise a trentadue denti: - Allora non sei totalmente deficiente.
Levi si frappose tra i due: - È meglio and…
Ma venne interrotto da Jean che, a quanto pare, aveva preso coraggio e si avvicinò a Siri, guardandola dall’alto in basso: - Non abbiamo mai avuto bisogno di sapere come si montasse un fucile! – Siri indietreggiò ma il suo sguardo rimase minaccioso e fermo come prima – E sai tu perché invece?
Siri rimase in silenzio: voleva capire dove volesse andare a parare. Anche Levi era disorientato, guardava di sbieco da sotto il cappuccio Jean.
Armin si fece timidamente avanti, poggiando una mano sul braccio dell’amico: - Dai, Jean…
- NO! – si scrollò Armin di dosso – Perché, mentre tu eri nelle mura al sicuro ad uccidere e spiare la gente per soldi, noi eravamo là fuori a perdere i nostri compagni, vederli divorati davanti ai nostri occhi, per la maggior parte delle volte impotenti!
Siri ridusse gli occhi a due fessure, e sibilò: - Ragazzino, farai meglio a tenere a freno la lingua. Tu non mi conosci.
Jean ormai aveva perso la pazienza, non riusciva a fermarsi e se la risolutezza della spia lo spiazzava, comunque si sentiva ferito nell’orgoglio e quello sembrava essere il suo meccanismo di difesa, tutta insieme salì dal suo stomaco una forte emozione, tant’è che gli occhi gli divennero lucidi: - Appunto, non ti conosciamo! Tu non sai cosa significa…
Siri lo fissò in silenzio, l’aria era satura di tensione. Persino Eren, mezzo morto, aveva alzato lo sguardo dalle spalle di Mikasa e guardava la scena a bocca aperta. Poi ad un certo punto, Siri distolse lo sguardo dal ragazzo infuriato e annuì in silenzio, tutti la guardarono sorpresi: - Hai ragione Jean.
Tornò a guardarlo negli occhi risoluta, arricciò il naso e continuò: - Non so cosa significa. Ma ho familiarizzato bene con le conseguenze delle vostre spedizioni. Avevo un anno quando mio padre è morto prestando “valoroso” servizio nella legione esplorativa.
Levi, come il resto della squadra sgranarono gli occhi apprendendo quella notizia. Jean sussultò visibilmente.
- Si può dire che non l’ho mai conosciuto. Mia madre cadde in uno stato di malessere così profondo che morì di dolore quando ne avevo cinque di anni, lasciandomi totalmente sola al mondo. – fece un passo avanti, senza staccare lo sguardo da Jean che a questo punto sentì calare sul petto un peso enorme – Per cui, no, non so che significa. Ma quando parli con me, ricordati che stai parlando con le dirette conseguenze. Dimmi, - Siri indicò sé stessa e corrugò le sopracciglia – ti piace che aspetto hanno?
Jean non sapeva cosa dire, nessuno in realtà si aspettava innanzitutto che Siri condividesse con loro il suo passato, ma la spia era esasperata. Levi aveva finalmente iniziato a considerarla una sua pari senza guardarla con sospetto, ma i suoi compagni la rispettavano per paura, non perché fosse effettivamente un soldato come loro. Con Armin e Sasha era diverso, ci aveva passato più tempo e si sentivano più a loro agio con lei; tuttavia, non poteva non notare la reticenza che assumevano ogni qualvolta gli altri la guardavano diffidenti o esprimevano giudizi ostili.
- Adesso muoviamoci. La proprietaria ci sta aspettando. – disse Siri facendo strada al gruppo, ancora impietrito.
Levi guardò severo Jean e lo superò, poi, rendendosi conto che erano tutti rimasti fermi lì dov’erano, si voltò a guardare la squadra: - Allora? Datevi una mossa.
In silenzio, seguirono il capitano e Siri che li portarono ad una locanda pochi metri più giù da dove si trovavano poco prima. Era una bettola come tutte le altre dall’esterno, l’insegna sghemba era tutta sbiadita, nemmeno mettendoci tutto l’impegno del mondo sarebbero riusciti a leggere cosa una volta vi era scritto. 
Appena entrarono, rimasero stupiti da come l’interno differisse dall’esterno: aveva un aspetto pulito ed ordinato, era praticamente vuoto se non per un vecchio barbuto seduto da solo nell’angolino della locanda, a consumare cicchetti di un’indefinita bevanda superalcolica, le lampade ad olio illuminavano fioche il lungo bancone in legno scuro, dietro il quale c’era una parete ricolma di alcolici e grossi barili di birra. Siri si tolse il cappuccio e si sgranchì aprendo le braccia: sembrava estremamente a suo agio lì dentro, in effetti il resto della squadra notò come l’aria di quel posto fosse molto più calda ed accogliente rispetto a quella umida e maleodorante in strada.
Siri bussò rumorosamente sul bancone: - C’è nessuno?
Una massiccia signora coi capelli raccolti in un tuppo venne fuori da una porta dietro il bancone: quando vide Siri salutarla con un sorriso beffardo sulla faccia, sbiancò e con un urletto lasciò cadere il vassoio per terra, mandando in frantumi lo stufato, questo si sparse sul pavimento, che sembrava essere appena stato pulito. Il vecchietto nell’angolo del locale sobbalzò per lo spavento e strabuzzò gli occhi vedendo la proprietaria, Tina, correre con le lacrime agli occhi verso una ragazza in nero dalla lunga treccia castana e abbracciarla fino a quasi soffocarla.
- Tina mi sei mancata anche tu, ma non mi sembra il caso di fratturarmi le costole dopo che ho dato del filo da torcere a Marcus Lane!
Tina si staccò dall’abbraccio e la osservò tenendola per le braccia: - Sempre dietro ai delinqu-… - le prese il viso con una mano e lo girò, mettendole bene alla luce la guancia destra, spalancò quindi gli occhi per lo sgomento - Che cosa ti sei fatta?!
Siri la guardò sinceramente imbarazzata: - Una lunga storia, magari quando non sto lavorando te la racconto.
La lasciò andare schioccando la lingua seccata: - Tu stai sempre lavorando! Se non sei impegnata a spiare, correre da una parte all’altra, arrampicarti come un geco ovunque, sei in giro a spargere erbette e dare consigli per la scoliosi… quando ti sistemerai dico io, con un bel giovanotto…
Siri si strofinò la fronte, sempre più in imbarazzo: sembrava essere sotto processo da una nonna piena di premure, il resto della squadra stava assistendo a qualcosa che aveva del surreale, alcuni di loro, la spia non voleva sapere chi, stavano ridacchiando di gusto.
- Tina, - Siri si voltò e, con un gesto ampio del braccio, indicò gli altri alle sue spalle – loro sono i miei compagni di squadra, come ti avevo scritto, sono…
- Solo dei ragazzini! – disse Tina guardandoli apprensiva – Non dovevi portarli qui!
- Tina, sono soldati.
Levi, intanto, si era tolto il cappuccio e incuriosito stava osservando meglio la locanda. Non ci era mai stato lì, come mai non sapeva spiegarselo, però era il posto più accogliente che avesse mai visto nella città sotterranea.
Tina mise le mani sui fianchi: - E sono troppo giovani per esserlo! Portarli poi qui, in questo posto a fare chissà che con delle… - lo sguardo della donna, mentre pronunciava queste parole, fu catturato da Levi che adesso aveva il viso ben visibile – AAAH!
Sobbalzarono tutti, Siri per lo spavento si portò una mano sul petto. Tina indicò Levi con gli occhi spalancati, terrorizzata: - NO, LUI NO! Lui non lascerò che alloggi nella mia locanda! – Levi la guardò altrettanto sorpreso.
- Ma cosa… - tentò di articolare Siri, ma venne interrotta.
- Lui lo so chi è, Siri! Da Kenny a quello là, ma si può sapere che ti salta in testa, portarlo nel mio locale poi?! – a quelle parole di Tina, Siri si voltò a guardare Levi con lo sguardo del “te l’avevo detto” stampato sulla faccia, Levi alzò gli occhi al cielo.
- Tina calmati, è anche lui un soldato. A dire il vero è il mio capo. È lui il capitano della squadra.
La donna abbassò l’indice incredula: - COME?! È impossibile!
- È molto possibile invece. – disse Levi piatto, inimicandosi ancora di più la locandiera. Siri scosse la testa: - Ti ho spiegato tutto nella lettera, ora facciamo parte del corpo di ricerca.
- Mmh… - Tina contemplava Levi mentre si spostava dietro il bancone – Effettivamente non sentivo di voi da un po’… E dimmi, quegli altri due delinquentelli, sì, quei d… - non finì mai la frase perché Siri le fece cenno con la mano alla base del collo di tagliarla lì, Levi notò con la coda dell’occhio un movimento della ragazza, ma non poteva essere certo di aver visto bene.
- Tina mi dispiace interrompere queste chiacchiere da salotto ma, ti hanno recapitato le casse che ti ho fatto inviare? – disse Siri sia cercando di virare l’argomento su altro, che per tornare a concentrarsi sulla missione.
La donna si diede un colpetto sulla fronte: - Giusto! Sì, sono tutte qui. Venite!
Siri fece cenno agli altri di seguirla: la locandiera aprì una porta al fondo del locale, che si apriva sul retro e lì c’erano almeno quattro casse col logo dell’esercito. La donna prese da un cumulo di attrezzi accanto la porta due piedi di porco e ne diede uno alla spia e l’altro, con un’occhiataccia, a Levi. Aprirono la prima cassa e, assieme al resto della squadra, si sporsero a guardarne il contenuto: erano alcuni dispositivi di manovra tridimensionale.
- Adesso si ragiona! – disse Connie compiaciuto.
Aprirono le altre tre che rivelarono altri dispositivi e attrezzatura, tra cui la sacca medica di Siri e alcune torce con le pietre della cappella dei Reiss.
- Il resto della roba è nella vostra stanza. Cibo e bevande. Anche se ho notato che il “cibo” era per la maggior parte quegli orrendi crackers che Siri mangiava di continuo, prima che accettasse che le cucinassi. – disse Tina apprensiva – Se avete fame io posso…
- SÌ! – disse Sasha senza ritegno, gli occhi che le brillavano mentre si sporgeva da sopra una cassa appena aperta.
- Tina non preoccuparti, mangeremo quello che troviamo in camera… – disse Siri gentilmente, non volendosi approfittare della disponibilità della donna che, però, a quelle parole le diede uno scappellotto dietro la testa. Si può dire che Levi fu quasi sul punto di ridere vedendo quella scena, soprattutto la faccia da pesce lesso di Siri in contrasto con quella seria e risentita del donnone.
- Smettila di dire sciocchezze! Non hai sentito la ragazzina? Hanno fame! – poi aprì la porta che riportava all’interno – Adesso entrate e andate a riposare, io vi preparerò la cena!
Siri fece strada su per le scale buie accanto l’ingresso della locanda, il passaggio era così stretto che dovettero salire in fila indiana. Nonostante l’atmosfera si fosse alleggerita dal diverbio tra Jean e Siri, nessuno proferiva parola e fu Levi a rompere il silenzio: - Siamo sicuri che Tina non ci tradisca? Sai, ho avuto il presentimento di non stargli molto simpatico.
Siri si voltò a guardare non solo lui, ma anche il resto della squadra, visto che immaginava fossero attanagliati dallo stesso interrogativo: - Considerando che ho salvato suo figlio che era a un passo dalla morte e che ora, sempre grazie a me, si trova in superficie e lavora felicemente a Utopia, - tornò a guardare davanti a sé, svoltando a destra nel corto corridoio in cui sbucò la prima rampa di scale – direi che è altamente improbabile che faccia una cosa del genere.
Siri aprì l’ultima porta del corridoio: - Ci sono due stanze, abbastanza grandi, potete dividervi lì per dormire, Mikasa tu vieni con me.
L’alloggio, per essere di una locanda, era in realtà un piccolo appartamento: si apriva in un largo soggiorno con un divano, un tavolino basso davanti ad esso e un tavolo da pranzo, alla sinistra del tavolo c’era l’ingresso ad una piccola cucina, mentre a sinistra dell’ingresso c’era uno stretto corridoio con due porte che portavano alle camere da letto. Tina riservava quell’appartamento solo per gli ospiti importanti, e Siri per lei lo era. Entrarono tutti e, mentre la squadra andò a sistemarsi nelle camere e Levi faceva un giro di perlustrazione constatando l’effettiva pulizia, Siri distese un lenzuolo tra il tavolo e il divano, su cui Mikasa adagiò Eren. La spia s’inginocchiò accanto al ferito e non riusciva distogliere lo sguardo, lo stesso di chi vede un gioiello inestimabile, dalla fasciatura al ventre da cui si sollevavano rivoli di vapore.
- E tu adesso stai guarendo quindi? – guardò ricca di sconcerto Eren.
- Beh, sì… fa comunque un male cane…
- Mmmh… - Siri si tolse il mantello e lo lanciò alle sue spalle, facendolo finire per terra. A Levi non sfuggì, infastidito lo raccolse da terra e lo appese assieme al suo su dei ganci all’ingresso.
- Ecco, alza la lingua. – Eren fece come gli disse e fece scogliere l’analgesico che col dito il suo medico gli porse. Siri ripose il barattolo nella sacca e tolse concentrata la fasciatura ad Eren.
Incredibile… - disse, guardando la ferita di Eren da cui fuoriusciva vapore – Mikasa, prendi questo e tienilo fermo. – Siri le diede una piccola asta di metallo con cui Mikasa doveva tendere un lembo della ferita.
- Ma così si farà male! – protestò.
- No. Tra poco l’analgesico inizierà ad agire e sentirà solo qualche… - improvvisamente la ferita smise di produrre vapore. Siri si tirò leggermente indietro, mentre Mikasa, di fronte a lei, sgranò gli occhi.
- Che succede?!
- Datti una calmata. Mmh… - Siri si avvicinò alla ferita e la osservò più da vicino – Il vapore continua ad uscire, ma è molto più… esce molto più lentamente… - spostò lo sguardo su Eren – Ti era mai capitato?
Eren ci mise un po’ per elaborare la domanda: - No, mai… a dire il vero mi sento un po’ intontito…
Levi si era interessato dopo l’evidente agitazione di Mikasa, che con una mano teneva la nuca di Eren. Ora il capitano osservava i tre in piedi.
- Ah, ma quello è normale, è un effetto naturale dell’analg… - Siri alzò le sopracciglia sorpresa e venne colpita da un’illuminazione – È stato l’analgesico!
Frugò furiosamente nella sacca e tirò fuori dei guanti e quella che sembrava una penna: in realtà era un piccolo stecco in alluminio sulla cui punta era stato attaccato un pezzo di roccia luminosa grande quanto un’unghia. Levi s’inginocchiò accanto a lei e osservava ogni suo movimento. Siri infilò i guanti con cura e mentre con una mano tendeva l’altro lembo della ferita di Eren, con l’altra puntava la luce all’interno del corpo di Eren.
Senza distogliere lo sguardo disse piatta: - Sento il tuo sguardo addosso. – poi si girò a guardare Levi infastidita – M’infastidisce.
Lui sostenne lo sguardo e con altrettanta impassibilità le disse: - Avevi lo stesso sguardo della quattrocchi. È mio dovere fermarti qualora ti venga la brillante idea di smembrarlo per studiarlo.
Mikasa strinse la mano di Eren.
Siri alzò gli occhi al cielo e sbuffò: - Sono un medico, non una psicopatica. – tornò a guardare attentamente all’interno della ferita – Vedere i tessuti che si rimarginano da soli… in una ferita del genere… l’emorragia era copiosa, il pugnale ha preso proprio un’arteria principale e ora invece… c’è solo un minuscolo zampillio… mi correggo, c’era.
- È disgustoso.
Siri lo rimbeccò: - È affascinante! – diede un ultimo sguardo e poi tolse via le mani guantate e il divaricatore dalla ferita di Eren.
- Basandomi sulle vostre osservazioni, devo dedurre che il mio analgesico ha rallentato il processo di guarigione di Eren… - Siri si alzò pensierosa e si tolse i guanti, poi si diresse in cucina e li gettò assieme all’asta nel lavandino. Si poggiò accanto al lavabo e si prese il mento in una mano.
- Forse come si può rallentare il processo, si può anche accelerarlo…
Levi, dopo averla seguita in cucina, guardava disgustato l’interno del lavandino: - Non dirlo davanti alla quattrocchi o sarà la tua fine…
- Eren! – Siri si avvicinò al ragazzo, gli si inginocchiò a fianco e gli prese una mano – Ti ringrazio per avermi salvato la vita.
Mikasa la incenerì con lo sguardo quando la spia, dopo avergli lasciato la mano, sorrise ad Eren amorevole.
A cena, Tina invitò la squadra nel suo appartamento e, a differenza delle aspettative generali, le pietanze furono abbastanza varie ed abbondanti: la locandiera, come spiegarono Siri e lei stessa, era forse l’unica nell’intera città sotterranea che ospitava i forestieri, in particolare i più abbienti, ossia i mercanti, quando portavano le merci sottoterra e preferivano ripartire il mattino dopo. Pyxis, inoltre, usava lei come tramite per mandare comunicazioni a Siri, dopo che lei stessa l’aveva scoperta. 
Nonostante Siri avesse ribadito più volte che Levi non era più un criminale da anni, Tina gli si sedette accanto e per tutta la sera il capitano si sentì osservato da gelide occhiate nella sua direzione, mentre la spia dovette sorbirsi altri commenti e critiche seguite da scappellotti a punire la sua sbruffonaggine: l’intera squadra si divertì moltissimo vedendo i due adulti che li bacchettavano continuamente ricevere lo stesso trattamento da quel donnone rumoroso, che, nonostante tutto, comunque non faceva altro che lodare Siri, quasi come se l’avesse cresciuta lei.
Rivelò che era stata lei, con l’intera paga di una sua missione, a pagare i due terzi della cittadinanza del figlio, e da lì prese a raccontare la storia di come si erano conosciute che iniziava su come avesse salvato suo figlio malato e finiva con l’ultima volta che la vide, non sapendo fosse l’ultima, il tutto accompagnato da una sua profonda commozione. 
Il fatto che la sua persona venisse messa così a nudo, fece sentire Siri un po’ a disagio, ma in realtà sortì un effetto molto forte sulla squadra, che cambiò definitivamente le idee che associavano alla spia ogni qualvolta pensassero a lei. Tant’è che, quando risalirono nel loro alloggio, Jean, prima di raggiungere gli altri in camera per riposare, rimase con Siri e Levi in soggiorno e trovò il coraggio di mettere da parte il suo orgoglio e ammettere di essersi comportato male con lei.
- Jean, devi avere un’idea tua delle persone che ti circondano. – Siri lo guardava severa – Sei una persona sincera, se non lo fossi non mi avresti detto quelle cose, né saresti venuto a scusarti con me adesso. Nessuno ti vieta di cambiare il tuo modo di vedere le cose, ma, ti prego, non farlo solo perché qualcosa ti fa pena o per compassione. Io non ne ho bisogno.
Jean abbassò lo sguardo ancora più intimidito, annuì in silenzio e fece per andarsene quando Siri continuò: - Ho bisogno che diventi un buon soldato. Da domani sarai la mia ombra, ti conviene non farmi arrabbiare Jean-Jean.
Il ragazzo annuì con più vigore, sempre in imbarazzo, e raggiunse definitivamente gli altri in camera, lasciando soli Siri e Levi. Per quel periodo nella città sotterranea i due decisero di fare solo loro la guardia notturna, dopotutto si dovevano semplicemente limitare a stare appostati davanti la finestra che dava sulla strada e stare attenti ai rumori notturni. 
- Inizi tu oggi? – chiese Siri, sganciando la cintura con sacca e pugnali. Poi si sedette sul tavolo a scribacchiare sul quadernetto.
- Sempre se la tua nonnina si fida.
Siri sorrise: - Non che non abbia ragioni per non farlo.
Levi si sedette sul divano: - Tsk. È stato tanto tempo fa.
- Se vuoi posso dirtele le ragioni, mi ha raccontato di due episodi in particolare… - disse Siri, senza alzare gli occhi dal quadernetto. Levi espresse il suo assenso col silenzio e, poggiando il mento sulle nocche, la stette a fissare, in attesa. La spia alzò lo sguardo su di lui per mezzo secondo, poi sospirò e posò la penna sul libricino che chiuse accuratamente.
- La prima volta ti scontrò per strada al mercato, un posto già di per sé non proprio sicuro, quando si girò a guardarti: eri un ragazzino – si schiarì la voce imitando la voce di Tina – “così piccolo e carino che non credevo mi potesse aver sfilato il borsellino che, arrivata dal panettiere, non avevo più con me!” – si alzò e iniziò a frugare nei cassetti dei mobili – Ho chiaramente edulcorato la versione, credo ti abbia chiamato in tutti i modi possibili.
- La seconda volta l’hai fatta proprio sporca capitano, lasciatelo dire. – si spostò a frugare in una credenza – L’hai spaventata a morte mentre “con un coso che faceva un rumore infernale” le sei passato volando a due centimetri dalla faccia, facendola cadere all’indietro nei sacchi di patate del mercato. Si è fatta male e da allora ha ordinato dai fornitori anche la spesa per lei.
Levi rimase in silenzio qualche secondo: non si ricordava neanche lontanamente di lei, derubava e creava disordini nella città praticamente ogni giorno, Tina era stata solo un puntino nello sfondo, come tanti altri. Solo che lei era diversa, era fuoriposto in quella città e avendo a disposizione Siri, perché non se n’era andata?
- Perché non hai permesso anche a lei di andare via di qui?
Siri con le mani in una vetrinetta, si voltò a guardarlo e corrugò le sopracciglia: - Beh, io ci ho provato. Lei non vuole andarsene. Avevo scomodato persino Pyxis, ma lei mi ha risposto all’ennesima mia lettera in cui le dicevo di avere una cittadinanza per lei, che era nata qui e ci sarebbe anche morta. Ma dove diamine li ha messi…
Levi non capiva. Chi potrebbe mai voler rimanere in un posto come quello pur avendo la possibilità di andare via?
- AH-AH! Trovato! – Siri era piegata in un mobiletto che a quanto pare faceva da cantina per gli alcolici. Tirò fuori una bottiglia dal liquido ambrato che ammirò alla luce prima di poggiare sul tavolo.
- Non dovresti bere. – disse Levi, ma Siri era già andata in cucina a recuperare dei bicchieri.
- Neanche tu boss, ma non lo diremo ad Erwin. – disse, tornando con due bicchieri.
- Non bevo il piscio di maiale di qui.
- Credi davvero che Pyxis lasci che beva whisky di qui? – disse Siri mentre versava il contenuto della bottiglia in un bicchiere, che poi porse al capitano – Questo è di Orvud, è impossibile che tu non ne abbia sentito parlare.
Certo che ne aveva sentito parlare. Il famoso whisky di Orvud, tra i più pregiati che c’erano in circolazione: non aveva mai avuto l’onore di poterlo assaggiare, visto che il corpo di ricerca non era certo noto per le riserve di alcol abbondanti, e che comunque di solito si limitavano a birra e vino scadente. Pyxis aveva accettato di far recapitare le casse alla locanda utilizzando i suoi agganci, evidentemente aveva aggiunto anche un regalino per Siri. Accettò il bicchiere, dopotutto, per quando potesse essere forte, non gli avrebbe fatto comunque molto effetto.
- Resta comunque il fatto che non dovresti bere in servizio.
- Questo lo so. – rispose la ragazza, versandosi un bicchiere fin troppo pieno e dirigendosi verso il lato opposto del divano, il bicchiere in una mano e la bottiglia nell’altra – Ma ho bisogno di dormire. – continuò, sedendosi e lasciando un posto vuoto tra lei e Levi.
- Due bicchieri di questo saranno sufficienti a mandarmi al tappeto.
Levi portò il bicchiere alla bocca e assaporò il primo sorso: era un sapore deciso, appena deglutito rivelava la sua gradazione mandando in fiamme la gola, ma nella bocca lasciava un sapore piacevole.
- Fai così anche all’accampamento quindi?
- No. – disse Siri, sincera – Solo quando non riesco a dormire e mi trovo qui. La città sotterranea mi fa questo effetto. – tirò un lungo sorso dal bicchiere e poggiò stancamente la testa sulla spalliera del divano.
Levi la guardò di sottecchi, la guancia sfregiata era rivolta verso di lui e, probabilmente era tutta l’atmosfera di quella sera, ma provò compassione per lei. Sembrava così stanca e triste. Gli ricordava qualcuno. Lui.
Io non ne ho bisogno.
- Inizio io oggi. – disse quindi, bevendo un altro sorso. In barba a quello che Siri aveva detto prima a Jean, dopotutto gliel’aveva chiesto lei prima e lui rimaneva comunque il capitano, decideva lui se lei quel giorno potesse ricevere o meno compassione.
Siri aveva già quasi finito il primo bicchiere, ghignò e disse: - Generoso… da parte di chi non si è portato con sé neanche il sacco a pelo in missione… di nuovo. – lei spostò lo sguardo provocatorio su di lui che, resosi conto, distolse da lei il suo.
- Non dormo molto. – ammise, e sorseggiò colpevole.
- No. Tu non dormi affatto. – la voce di Siri era diventata improvvisamente più severa. Il suo lato “medico” stava venendo fuori anche con lui in quel momento, non voleva sgridarlo o farlo sentire in colpa, quanto più farlo pensare alla situazione.
- Quindi?
- Credi sia salutare?
- So che non lo è… - Levi bevve di nuovo. Non sapeva come proseguire.
- Ma?... – Siri bevve l’ultimo sorso e si versò un altro bicchiere, dopodiché posò la bottiglia sul tavolino basso davanti al divano – Ecco perché non hai insistito quando ho tirato fuori questa.
- Non ho altro modo. – ammise, franco.
Probabilmente era l’alcool che stava già facendo effetto su Siri, o forse sempre quell’istinto che aveva coltivato per anni, o forse entrambi, ma si voltò verso Levi di scatto: - Non puoi continuare così! Devi fare qualcosa!
Levi la guardò sorpreso, attorno a loro regnava un silenzio surreale, poi lui indicò il bicchiere di lei e disse: - Tipo cosa? Bere?
La ragazza si morse la lingua per frenarla dal dire qualcosa di terribilmente irritante e che avrebbe solo indispettito Levi, che finalmente sembrava propenso ad aprirsi. Quindi alla fine, invece di dirgli “Tipo toglierti quella scopa dal culo, per esempio”, gli disse seria: - Tipo parlarne. Come stai facendo adesso.
- Con te? – sia Siri che Levi stesso strabuzzarono gli occhi a quelle parole, si chiesero se la spia non l’avesse in qualche modo influenzato: con quella domanda così diretta, Levi sembrava posseduto dal suo spirito. Siri bevve un altro sorso e riappoggiò la testa sullo schienale: - Non necessariamente… Ma ti stupirebbe quanta familiarità ho con questo genere di cose.
La solita arrogante, pensò Levi torcendo il labbro. Poi, piombato il silenzio tra loro, posò gli occhi sulla mano di Siri: improvvisamente si ricordò della conversazione che lei aveva avuto con Marcus Lane qualche ora prima e la curiosità mista al momento lo spinse a chiedergli di che “ricordino” lui stesse parlando. Siri si girò a guardarlo: non sembrava felice della domanda, ma nemmeno infastidita. Più che altro si sentì con le spalle al muro, le avesse chiesto “Perché fasci le mani?” avrebbe potuto inventarsi una semplice scusa, come “ridurre i calli” o “avere una maggiore prensilità”, che sarebbe stata più che sufficiente. Ma quella domanda ne implicava un’altra molto più precisa che era ben sottintesa: “Cosa nascondi sotto quelle fasce?”.
Col tempo non nascondevano solo quel marchio, ma anche alla sua vista le sue mani nude, le stesse che si erano sporcate più e più volte. In quella semplice stoffa vi erano implicate più cose che Levi e chiunque altro potesse immaginare, ma a Siri piaceva far credere che il marchio fosse l’unica ragione.
Bevve un altro sorso e iniziò a sfilarsi la fasciatura della mano sinistra, sempre con quella fluidità e precisione nei movimenti che tenne gli occhi di Levi piantati sull’azione.
- Quando Kenny mi ha scoperta, mi ha attirata nel suo covo con una scusa. Sembrava tutto normale, credevo volesse darmi un altro compito da svolgere… - era arrivata con una lentezza esasperante a rimuovere la garza all’altezza del polso – Quando arrivai non capii subito che c’era qualcosa che non andava, ma ero ancora troppo inesperta. Mi prese il mio permesso d’uscita e lo bruciò, poi mi legò e, come l’avevo già visto fare ad altri da un anno e mezzo a quella parte, iniziò a torturarmi.
Fece calare morbida la fasciatura che scoprì il dorso della sua mano, Levi dovette trattenere la sorpresa: le nocche erano attraversate da innumerevoli cicatrici che sembravano comporre una ragnatela fittissima, ma la cosa che più attirò la sua attenzione era quella bruciatura a caldo, un cerchio al cui interno c’era una K non proprio ben composta.
- Si è proprio impegnato per fare quest’opera d’arte: il marchio era troppo grande e le mie mani troppo piccole. Quindi ha fatto prima un arco del cerchio, poi l’altro. Infine, col contorno ci ha fatto quella lettera pacchiana. Che gusto orrendo. – riprese in mano il bicchiere e bevve un lungo sorso, lasciando solo un dito di whisky – Mi disse “anche se non mi dirai niente, ci tengo a far sapere a chiunque sia quel cane per cui lavori che sei morta per mano mia”. Come ti ho già detto una volta, è per puro caso che sono riuscita a scappare.
Siri sospirò e finì il suo bicchiere, inclinando indietro la testa per berne anche la più piccola goccia. Si passò l’indice destro sul marchio, stava concedendo al capitano un pezzettino di sé: - Stavo spiando anche un altro clan, erano un pochino meno svegli, per cui mi ricollegarono a Kenny: fecero irruzione mentre stava finendo la sua opera, pensando che volesse rivaleggiare con loro. Nel putiferio riuscii a liberarmi e rubai il permesso d’uscita a quel tipo: la copertura era saltata e non avevo tempo di aspettare che Pyxis me ne procurasse un altro, sempre se l’avesse fatto. Ho rubato a quell’uomo l’occasione della vita, ma non mi pento di averlo fatto.
Siri abbassò lo sguardo e sorrise mesta: - Riuscivo solo a pensare “meglio morire alla luce del sole che qui”.
Rimasero in silenzio ognuno a contemplare i propri bicchieri vuoti, Levi osservò con la coda dell’occhio le sue guance rosse per l’alcool, le palpebre che le cadevano pesanti ma il suo viso che comunque non tradiva alcuna traccia di commozione. Fu Siri a rompere il silenzio con un sospiro, dopodiché sporse il braccio in avanti per prendere la bottiglia: Levi le afferrò il polso nudo, fermandola.
- Avevi detto solo due bicchieri. – disse incolore, poi però gli occhi di Siri attirarono la sua attenzione: erano spalancati, come se avessero visto un fantasma, guardavano inorriditi la mano di Levi che le teneva il polso. La ragazza ebbe un leggero fremito al labbro inferiore e passarono alcuni secondi prima che Siri tirasse indietro il braccio: solo in quel momento Levi si rese conto di averlo ancora nella mano e lo lasciò andare.
Sì… - gli rispose, prendendosi la mano sinistra con la destra e mettendosela in grembo. Si allungò comodamente sul suo posto, come aveva promesso era sul punto di cadere in un sonno profondo.
Levi tornò a pensare alle sue parole, meglio morire alla luce del sole che qui, e con naturalezza lasciò venir fuori quel pensiero: - A volte non so se sono più arrabbiato con lui per avermi abbandonato o per non avermi portato in superficie appena mi ha preso con sé.
Siri gelò sul posto, non lo guardò, troppo intorpidita per muoversi.
Lei gli aveva fatto vedere un pezzetto di sé, lui le aveva concesso un pezzetto a sua volta.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 - Un buon lavoro di squadra ***


Capitolo 12 – Un buon lavoro di squadra

 
Anch’io sono arrabbiata con mia madre?
Era tutto buio attorno a lei. Una donna era seduta su una sedia di legno di profilo rispetto a lei: i capelli le ricadevano sulla faccia, ma riuscì comunque a capire chi fosse. Che ci faccio nella mia casa d’infanzia? Ai piedi di sua madre, inginocchiata per terra, c’era lei, da bambina, che stava giocando con dei blocchi di legno. Era tutto come ovattato, come se la scena si stesse svolgendo all’interno di una bolla che poteva vedere dall’esterno e non riuscisse a sentire bene i rumori provenire dal suo interno.
La piccola stava impilando blocchetti uno sull’altro, sua madre aveva lo sguardo basso, non si muoveva, non rivolgeva il minimo sguardo alla bambina che, invece, ora tirava timidamente il vestito di sua madre tra indice e pollice per attirare la sua attenzione.
Mamma… - cercava di chiamarla dal di fuori della bolla, ma la voce era bassa.
- Mamma. – era riuscita a dire più decisa, tese una mano verso di lei, ma non riusciva ad andare oltre un muro invisibile.
La bambina, stanca di non ricevere attenzioni, aveva smesso di tirarle il vestito e triste stava strisciando verso i blocchetti.
- Mamma! – prese a sbattere i pugni sulla bolla – GUARDAMI!
Ripeteva quelle parole e sempre con più forza cercava di distruggere quel muro invisibile, ad un certo punto riuscì a creparlo, ma appena si rese conto di esserci riuscita, qualcuno la afferrò dalle spalle e la gettò a terra: ciò fece alzare lo sguardo della bambina che ora fissava stranita la sé stessa da adulta.
- MAMMA! – cercò di divincolarsi dalla presa, ma un uomo le aveva bloccato i polsi con una stretta così ferrea che riusciva a malapena a muoverli. Stava provando a muovere le gambe e a dimenarsi ma il suo corpo era come impietrito, non riusciva a comandarlo. La bambina si era resa conto del pericolo e ora la guardava spaventata.
- MAMMA! TI PREGO! – adesso riusciva a sentire l’alito dell’uomo sul suo collo, il suo peso sul corpo che la schiacciava togliendole il respiro, sentiva la gola farle male per quanto stava urlando, ma sua madre rimaneva lì. Immobile. Non alzava nemmeno lo sguardo, nemmeno quando la bambina, con le lacrime che le rigavano il visino, cercava disperata di richiamare la sua attenzione, indicando la ragazza che lì vicino stava soffrendo e implorando l’aiuto della madre.
- MAMMA, TI PREGO, AIUTAMI!
 
Siri si svegliò di soprassalto prendendo fiato, grondante di sudore e col cuore che le batteva ad una velocità sovrumana. Era seduta sul divano, su cui si era addormentata non poteva dire quante ore prima. Si portò una mano al petto e strinse la stoffa della maglia, voleva trapparsela via: sentiva il cuore picchiarle sul petto selvaggiamente, stava prendendo fiato come se poco prima stesse soffocando sottacqua. Non riusciva a calmarsi e prendeva fiato come se non ci fosse abbastanza aria nella stanza.
- Siri… - il suono della voce di Levi le parve distante chilometri. Le aveva poggiato una mano sulla spalla e si era piegato su di lei per vedere come stesse. Siri, ancora ansimante, si era alzata dal divano scostando da sé Levi, inciampando si era diretta in cucina dove, tastando a caso tremante era riuscita a prendere una delle borracce dell’acqua, si attaccò all’imboccatura e iniziò a bere grossi sorsi, con talmente tanta foga che dell’acqua le scivolò dalla bocca e le scese sul collo, impregnandole la maglia.
Quando si fu placata, posò la borraccia e tenendosi al ripiano, si lasciò scivolare lungo il mobile, fino a quando non si piegò sulle sue gambe. Poggiò la fronte contro il legno del mobile, le mani ancora appese sul ripiano. Chiuse gli occhi, esausta.
- Siri. – Sentì la presenza di Levi in piedi al suo fianco – Stai bene?
- Tutto bene. – grandioso. Aveva dato spettacolo. Ma dopotutto era colpa del suo capitano. Perché aveva dovuto toccarla? Così all’improvviso poi?
Levi la guardò in silenzio e dopo poco tornò alla finestra, di guardia. Siri rimase ancora qualche minuto in quella posizione. Aveva bisogno di recuperare la compostezza, non aveva più intenzione di mostrarsi così fragile davanti ad alcuna persona: l’idea di aver avuto un incubo davanti a Levi le faceva venire la nausea. Se c’era almeno una cosa in cui non aveva problemi, era proprio dormire. I ricordi da sveglia la tormentavano quando voleva venire a conoscenza di qualcosa, ma quando dormiva era diverso: la sua mente si placava, trovava la pace e riusciva anche a sognare. Era la sua isola felice, amava dormire.
Non quando era là sotto però. Siri quasi impazzì in quell’anno e mezzo che passò nella città sotterranea, una notte sì e l’altra no aveva incubi. Le soluzioni erano principalmente due: non dormire o bere quei due bicchieri di alcol. Principalmente era la prima a prevalere perché erano più le volte in cui doveva rimanere appostata che gli altri, non poteva perdere i sensi per qualche ora. Tutto migliorò quando conobbe Tina che la ospitò da lei, da quando quindi aveva un posto sicuro dove dormire riusciva a farlo, di solito senza bere, nelle giornate più difficili però cedeva.
Quando risalì in superficie, fu come essersi liberata da un velo pesante ed invisibile che liberò il suo sonno dagli incubi. Appena tornata al quartier generale ricordava di essere entrata nei suoi alloggi, essere collassata sul letto e aver dormito per almeno un giorno intero.
- Tocca a me.
Levi si girò a guardarla: sembrava essere tornata in sé.
- Posso continuare io.
- Non ho più sonno. Non ha senso che rimanga a poltrire sul divano. – a quel punto il capitano si alzò e lasciò il posto a Siri che si appostò sul davanzale della finestra. Mentre contemplava gli edifici e il buio della caverna, prese l’orologio e vide l’ora: era quasi l’alba, perlomeno in superficie, tra non molto avrebbe dovuto rimettersi in azione. Prima che si addormentasse, Levi diede un’ultima occhiata a Siri: la città sotterranea le faceva un effetto molto più forte di quello che aveva immaginato, sperava solo che questo non interferisse coi piani.
Alla fine, Levi riuscì a dormire un paio d’ore e fu svegliato dal brusio dei compagni di squadra che si erano svegliati e stavano indossando l’attrezzatura per il movimento tridimensionale. Armin aveva già indossato la sua e al tavolo stava armeggiando con le fiale e le polverine della sacca di Siri, fabbricando chissà quale intruglio, accanto a lui c’era Eren che, a quanto sembrava, si era ripreso del tutto e stava fissando incuriosito l’amico in compagnia di Mikasa. Mentre Sasha, Connie e Jean erano alla finestra ed erano intenti a sistemare i fucili, in particolare la ragazza patata stava insegnando qualche trucchetto a Jean sull’utilizzo dell’arma.
Levi si strofinò la faccia e poi si rivolse ai tre alla finestra: - Dov’è Siri?
I tre lo guardarono straniti, fu Armin a parlare: - Capitano, mi sono svegliato io prima di tutti gli altri: Siri è andata in bagno e poi è uscita per la ricognizione, come da programma.
Era una mossa intelligente lasciarla andare, per di più da sola, in ricognizione all’ex covo di Kenny? Era uno step necessario, ma come minimo poteva portarsi con sé qualcuno, come Mikasa. Non era sicuro che dopo quello che aveva visto ce la potesse fare da sola.
- Quanto tempo fa è uscita?
- Non molto, forse mezz’ora. Ha detto che sarà di ritorno per l’ora di pranzo.
Ora non restava altro che aspettare il suo ritorno. Levi si diresse al bagno del piano: dubitava potesse agire da sola, ma ricordava benissimo l’impulsività che aveva dimostrato quella volta all’ospedale. Allo stesso tempo però non poteva essere diventata la spia più in gamba di Pyxis per caso, dopotutto aveva dimostrato di essere molto brava a combattere e di saper pianificare; quindi, non doveva mancare di lucidità nel momento giusto. Così sperava, almeno, si diceva a sé stesso per non pensare all’eventualità del fallimento.
A pranzo mangiarono al bancone, Tina aveva preparato un’ottima zuppa di legumi, c’erano pochi altri clienti nella locanda, per questo la donna non si sbottonò con loro come il giorno prima: si limitò a servire loro il pranzo e fare finta che fossero clienti come gli altri, poi, mentre portava via il piatto di Sasha, chiese senza farsi notare alla ragazzina dove fosse Siri. 
In giro. – rispose Sasha cercando di sembrare naturale.
Tina capì l’allusione e, dopo aver abbassato lo brevemente lo sguardo pensierosa, chiese come se nulla fosse: - Gradite dell’altro?
Risalirono in camera, non potendo fare molto altro se non aspettare, stavano già pensando ad un modo per ingannare il tempo: quando aprirono la porta furono sorpresi di ritrovarci dentro Siri, intenta a continuare sul tavolo da pranzo il lavoro che Armin aveva iniziato con i suoi intrugli.
- Ah finalmente. Credevo che Tina non vi facesse più risalire.
- Sign… Siri! Non ti abbiamo vista entrare dall’ingresso! – disse Sasha, catapultandosi nel soggiorno. Gli altri erano altrettanto sorpresi di vederla, a parte Levi che invece sembrava sollevato. Un cambio di piani a quel punto sarebbe stato a dir poco sconveniente.
Siri tagliuzzò un’erbetta: - Ti pare che mi metta ad usare le porte. – infilò i pezzetti che aveva ottenuto in un sacchetto che buttò nella sacca, tenendo lo sguardo basso su una delle fiale nere circolari che Armin aveva preparato si rivolse al ragazzo: - Ottimo lavoro comunque Armin, è tutto perfetto.
- Allora? Com’è la situazione? – chiese Levi avvicinandosi al tavolo e dando voce all’intera squadra.
Siri iniziò ad infilare alcune delle fiale e degli strumenti nella sacca più piccola da agganciare alla cintura: - Adesso è utilizzato da un altro clan, niente di che, ma sono tanti. Possiamo introdurci lì dentro senza particolari problemi. Tuttavia, dubito che abbiano tenuto la vecchia roba di Kenny, nel magazzino potrebbe essere rimasto qualcosa però, dei documenti. Kenny era preciso in questo senso.
Siri alzò gli occhi sul capitano: - Per guadagnare tempo possiamo dividerci in due squadre, una al magazzino e l’altra alla vecchia casa di Kenny.
Levi assentì e incrociò le braccia: - Come hai intenzione di entrare nel loro magazzino? Fino a qui ci eravamo arrivati anche al quartier generale, ma ora…
Siri fece una smorfia dubbiosa: - Quando agivo da sola rimanevo appostata per giorni a studiare la situazione, poi ne attendevo altrettanti perché capitasse l’occasione giusta, a volte ci volevano settimane, altre mesi… - quando vide lo sguardo spazientito di Levi, alzò l’indice e sorrise – MA! Adesso ho una squadra e i tempi sono dimezzati, in più abbiamo a che fare con semplici criminali, la città sotterranea non è più come una volta.
- Suggerisci quindi…?
- Un diversivo. E un trucco. Mi servirà un po’ di esplosivo, qualche fucile, un… - disse Siri a Levi elencando sulle dita, era seria e questo preoccupava il capitano.
Che n’è stata della discrezione… - disse Jean sottovoce a Connie che annuì.
Levi era dello stesso avviso e la interruppe: - Ohi, calmati. Passare una settimana con la quattrocchi ti ha dato forse alla testa?
Siri lo guardò risentita, poi facendo peso su una mano si poggiò sul tavolo: - Allora il piano è questo: Mikasa, Armin e Jean con me, tu prendi il resto della squadra e andate nella vecchia casa di Kenny, dai documenti sembra essere disabitata, in caso contrario, improvvisate. Io mi nasconderò in una cassa a cui applicheremo un doppio fondo, sopra ci metteremo i nostri fucili, ci sarà uno scambio di merci illegale tra qualche ora, sarà la nostra occasione.
 
Siri era infilata nel fondo della cassa dell’esercito e, da un buco che avevano ricavato, riusciva sia a vedere che, secondariamente, a respirare. Mikasa e Jean spingevano la cassa con un carrellino al punto d’incontro indicato da Siri: fu Mikasa ad avvicinarsi ai due uomini di guardia alle trattative che, dopo aver parlottato con lei per qualche minuto, diedero un’occhiata di sbieco alla cassa, si guardarono tra loro e poi annuirono.
- Siamo riusciti a sottrarli alla gendarmeria. – disse Mikasa tirando su il coperchio della cassa, rivelando una serie di fucili, e un dispositivo di manovra tridimensionale.
- Deve sembrare che vogliate seriamente guadagnarci, quindi non accettate subito la loro prima offerta, altrimenti sarà sospetto.
- Dite, quanto volete? – disse uno dei due spostando alcuni dei fucili per accertarsi che sotto ce ne fossero altri. L’altro valutava con veloci occhiate e tastate la qualità dei fucili, poi lo sguardo venne catturato dal dispositivo di manovra che, però, cercò accuratamente di non guardare. Era la cosa che valeva di più nella cassa e voleva evitare che i due ragazzini se ne accorgessero.
- Almeno trecento pezzi. – disse Mikasa risoluta.
- CHE?! Stai scherzando ragazzina? – l’uomo tolse la mano dalla cassa – Questa roba la compriamo di continuo.
Anche l’altro tolse la mano dalla cassa, fece schioccare la lingua sul palato e guardò Mikasa atteggiandosi: - Per questi possiamo darti al massimo centocinquanta pezzi.
La ragazzina li guardò minacciosa: - Allora potete tenervi i vostri soldi.
I due uomini alche la guardarono piccati, pronti a mandarla via a brutte parole.
Maledizione Mikasa, l’obiettivo è entrarci in quel magazzino! Siri voleva strapparsi la pelle dal viso, poi però l’intervento di Jean la fece ben sperare: - Aspettate signori! – alzò le mani verso di loro, in segno di scusa – Dovete perdonare la mia amica, di solito non viene mai con me quando si tratta di affari, ma oggi è stato arrestato Marcus Lane, quindi avevo bisogno di una spalla, non mi sento sicuro sapete… - Jean spinse da parte Mikasa. Gli uomini lo stettero a sentire, erano ancora riluttanti ma più propensi sicuramente di quando avevano parlato con la ragazza.
- Già, abbiamo saputo. – disse infatti quello che aveva rifiutato l’offerta di Mikasa dal principio.
Jean si guardò attorno e poi si avvicinò all’uomo con fare confidenziale: - Ho sentito che ci sono in giro soldati del corpo di guarnigione, sono loro che hanno aiutato i gendarmi a catturarli… - Jean sospirò – Sinceramente, preferirei tenerla questa roba, per essere pronti a difenderci, ma abbiamo più bisogno di soldi, a voi d'altronde credo che invece potrebbe fare comodo quello che vi offriamo.
I due si guardarono, si erano ricreduti. Siri nella cassa ascoltava attentamente: niente male Jean-Jean.
Jean guardò la cassa facendo finta di pensarci su, poi disse, rivolgendosi all’uomo con cui stavano parlando: - Che ne dite di… duecentocinquanta?
- Tsk, scherzi? Duecento. E ti sto facendo un favore.
Jean ebbe un momento in cui ci pensò su e poi riluttante accettò. Siri fu a dir poco fiera di Jean, non poteva muoversi in quel doppio fondo però avrebbe volentieri affondato un pugnetto in segno di vittoria.
- Potremmo agire tutti insieme, sarebbe la stessa cosa. – disse Levi.
- Non ha senso. Abbiamo la possibilità di dividerci e metterci meno tempo e andarcene il prima possibile di qui, perché non farlo? Poi conosci Kenny meglio di me, devi frugare nelle sue cose, ne rimarresti meno traumatizzato di me.
Jean e Mikasa guardarono i due uomini portare via la cassa, ma subito si dileguarono per non destare sospetti e posizionarsi nel punto prestabilito. Aggirarono l’area del magazzino e indossarono nuovamente le cinghie del movimento tridimensionale, salirono sul tetto di un’abitazione dal quale avevano un’ottima visuale del magazzino e aspettarono di vedere la cassa in cui si trovava Siri oltrepassare la soglia, prima di dare il segnale luminoso ad Armin.
Con uno specchietto e una roccia luminosa, Mikasa proiettò un piccolo cerchio luminoso sul tetto del magazzino. Accanto a quel capannone, collegato tramite delle scale interne, vi era un edificio di tre piani che l’attuale clan occupante utilizzava come “centro organizzativo”: era sempre molto controllato; tuttavia, in quel via vai di merci per e dal magazzino, la sicurezza si era molto più allentata, bisognava tenere d’occhio le trattative e assicurarsi che tutto procedesse senza intoppi quali risse o truffe.
Armin sotto il mantello stava sudando e nemmeno per il nervosismo. Sotto quel pastrano sentiva ancora di più l’aria stantia della città, quell’umidità gli inamidava i polmoni e lo faceva sentire come se stesse costantemente soffocando. Fu sollevato di vedere il segnale dei due compagni, prima riuscivano a risalire in superficie, meglio era. Si sporse rimanendo nell’ombra dal tetto su cui era appostato e ricambiò il segnale a Mikasa: contò nella testa, uno… due…
Lanciò una pietra alla finestra del quartier generale dal tetto dell’edificio di fronte nell’esatto momento in cui Mikasa e Jean fecero esplodere un piccolo ordigno nella strada dirimpetto al magazzino causando un primo caos in strada: criminali e portantini si stavano guardando reciprocamente con sospetto, ma scoppiò la vera rissa quando Armin terminò il suo compito.
In quella settimana che aveva passato ad aiutare Siri in infermeria, la spia l’aveva istruito nella creazione delle sue boccette inchiostrose oltre che dell’analgesico e altri intrugli medici: mentre preparava le boccette in particolare, fece notare a Siri che uno degli ingredienti che usava era altamente infiammabile. Lei, dopo aver appreso la notizia, aveva tirato giù gli angoli della bocca e poi aveva detto: - Buono a sapersi. – si era allontanata per assistere un soldato appena arrivato in infermeria e poi, dopo che Armin si era appena rimesso a lavoro, era tornata senza che l’avesse notata e da sopra la sua spalla gli aveva detto: - Fanne altre sette quando finisci queste.
Armin lanciò con una fionda almeno cinque di quelle boccette all’interno della finestra rotta, facendole tutte aprire sul pavimento all’interno, poi, prendendo la rincorsa, sparò i rampini del dispositivo di manovra e mentre si lanciava verso il tetto del quartier generale, accese una manciata di fiammiferi che buttò all’interno della finestra. Ebbe appena il tempo di scivolare lungo un lato del tetto e nascondersi nell’angolo di due muri adiacenti che il piano sotto di lui esplose nelle fiamme. Sentì il tetto tremare, non credeva potesse causare una deflagrazione abbastanza potente, tuttavia il loro obiettivo poteva dirsi più che soddisfatto.
Come Siri aveva previsto, buona parte degli scagnozzi si fiondarono nel quartier generale, tralasciando il magazzino, pochi altri infatti si occuparono di chiudere immediatamente le porte del magazzino mentre l’altra parte di loro si faceva la guerra per strada coi loro fornitori, convinti fossero in combutta con qualche clan avversario. Nel caos, però, chi si occupò di chiudere le porte del magazzino non si curò molto di controllare chi vi entrasse, anche se il vero pericolo si trovava già al suo interno e aveva approfittato del baccano per distruggere a calci la cassa dal suo interno e, nel buio, era scivolata tra le merci per rimanere alle spalle del palo a guardia dell’entrata secondaria che portava al quartier generale. Era rimasta nascosta fino a quando il malcapitato non era rimasto solo: non si accorse neanche di avere qualcuno alle sue spalle, un attimo prima era in piedi a guardia delle scale, l’attimo dopo era svenuto con un bernoccolo sulla testa.
Armin trovò la via libera per le scale, e quando entrò nel buio del magazzino trovò alla sua destra i suoi tre compagni che lo aspettavano accanto al corpo legato, imbavagliato e privo di sensi del palo: Mikasa e Jean avevano delle torce di roccia luminosa e Siri invece tendeva la mano verso di lui: - Ridammi i miei rampini. Ne sento la mancanza.
 
Il magazzino era molto più grande di quanto non apparisse dall’esterno, Siri li aveva condotti velocemente in una zona molto più vecchia e trasandata del resto del capannone, dove c’erano parecchie vecchie casse e scatoloni, alcuni ammuffiti.
- Ma che bravo Jean-Jean! – Siri gli schiaffeggiò una guancia sorridendo – Con un po’ di perfezionamento sarai perfetto, te lo assicuro. Adesso fammi luce allievo.
Si diresse verso gli scatoloni e iniziò ad aprirli uno dopo l’altro con Jean che le faceva luce, mentre Armin frugava in altri alle sue spalle.
- Che puzza. – si lamentò Jean. In effetti l’odore di muffa impregnava tutta quella piccola saletta ricolma di scatole, fogli e altri oggetti non utili nell’immediato.
- Che ti aspettavi? Chissà da quanto tempo non vengono in quest’ala del magazzino… io ci venivo continuamente per rubare documenti.
- C’è muffa ovunque… - si lamentò Armin mentre sfogliava e scartava via i fogli inutili.
- Se fosse venuto anche il capitano Levi è probabile che ci avrebbe fatto pulire questo posto prima di frugarci… - disse Jean.
- Aspetta un attimo, Siri, non sarà mica per questo che non hai fatto venire il capitano?
Siri alzò lo sguardo e fissò la parete davanti a sé assorta: ho davvero involontariamente fatto un favore al nanetto?
Alzò le spalle e tornò a frugare negli scatoloni: - Forse.
Passarono una decina di minuti e avevano esaminato metà degli scatoloni, quando finalmente Armin trovò qualcosa: - Siri! Ci siamo! Credo…
Si alzarono, Jean e Mikasa puntarono le luci sui fogli, mentre Siri fece capolino dalla spalla del biondino e vide il plico di fogli che teneva tra le mani: tutti siglati dal corpo di gendarmeria.
- Quel grandissimo figlio di buona donna… - disse, strappando di mano il plico al ragazzino – era in combutta col corpo di gendarmeria da molto prima di fondare quella squadra antiuomo!
Armin si piegò sullo scatolone da cui aveva trovato quei fogli, Mikasa lo seguì con la torcia.
- C’è altro qui…
Improvvisamente sentirono dei rumori e delle voci provenire dal salone principale.
- Che cazzo è successo qui…
Calò un silenzio gelido tra i quattro, sgranarono tutti gli occhi fissandosi tra loro. Siri porse i documenti ad Armin e gli fece cenno di prendere tutto il resto, poi mise un indice sulle labbra e mise silenziosamente il coperchio sulla torcia di Jean che era accanto a lei, guardò poi Mikasa che fece altrettanto. Calò il buio più assoluto e Siri sparì alla loro vista. Non sapevano dire se fosse ancora con loro o si fosse allontanata, si nascosero dietro degli scatoloni, Mikasa davanti ai due, pronta a proteggerli in caso ci fosse stato bisogno. Videro un alone di luce avvicinarsi, poi improvvisamente la luce ballò sulla parete e sentirono dei rumori ovattati, un corpo che cadeva, altri di colpi secchi, il rumore di uno strappo, infine un uomo che ansimava e poi non più.
Sentirono dei passi avvicinarsi, era Siri che, evidentemente, aveva avuto la meglio su quegli uomini: - Bene, è ora di levare le tende. – disse col fiatone, Jean aprì il coperchio della sua torcia e gliela puntò addosso: con una mano si teneva il fianco del torace, era sporca di sangue. Con l’altra mano, lanciò su Mikasa le chiavi della porta secondaria del magazzino che aveva rubato al palo, con un movimento all’indietro della testa si tolse un ciuffo di capelli dal viso, sfuggito dalla treccia: - Vi dispiace aprire qualche porta per me?
 
- Buon appetito! – annunciò con un sorriso Tina, infine guardò di striscio Levi prima di andare a servire gli altri clienti ai tavoli.
La squadra capitanata da Levi era tornata ormai da un bel po’, quindi avevano deciso di accettare la cena offerta dalla locandiera e ingannare il tempo mentre aspettavano il resto della squadra. Mentre Sasha, Connie ed Eren sembravano abbastanza tranquilli, Levi era particolarmente sovrappensiero, non riusciva proprio a togliersi dalla testa quello che avevano trovato nella casa disabitata dello zio. A quanto sembrava nessuno ci era entrato da quando lui non se n’era andato di nuovo, a dimostrare, ancora una volta, la sua bravura nel nascondersi e occultare i suoi posti sicuri.
- Capitano, - Eren era in piedi dietro di lui – noi risaliamo.
Levi si voltò a guardarlo, interrotto nel suo flusso di pensieri e annuì distrattamente. Tornò a guardare il piatto vuoto, illuminato dalla luce fioca sulla sua testa. Forse avremmo dovuto raggiungerli. Prese il bicchiere d’acqua e lo portò alle labbra, poi alzò lo sguardo e, alla sua destra dietro al bancone, incontrò quello inquisitore di Tina che, con una brocca in mano, lo stava fissando. Il capitano sussultò leggermente e corrugò le sopracciglia, poi con un sospirò contrariato posò il bicchiere e tornò a guardare il suo piatto.
- Sei pensieroso signor capitano. – Tina si era avvicinata e ora gli stava versando un boccale di birra – Offre la casa.
- Si fida a parlare con me anche quando non c’è Siri? – alzò lo sguardo impassibile su di lei.
- Se Siri mi dice che sei un buon soldato, mi fido… - gli porse il boccale, e poi si guardò i piedi – Sono preoccupata, so che ci mette tanto per le sue missioni, però aspettarla è sempre una tortura.
Levi stette a sentirla, per cui Tina continuò: - Anche se quella ragazza mi manca più di quanto possa esprimere a parole, sono felice che se ne sia tornata di sopra e non sia più venuta a trovarmi. Stare qua le fa un brutto effetto, credi a me signor capitano.
Le credeva eccome. Non aveva dato tanto peso a quello che era successo quella notte, ma da quando erano scesi nei sotterranei Siri sembrava… diversa. Era come se il sarcasmo e la sfacciataggine che la caratterizzavano si fossero in parte sfaldati. Anche all’accampamento quando solo parlavano della città sotterranea diventava tetra, e persino le sue battute, pur rimanendo pungenti come sempre, avevano assunto una sfumatura meno allegra. No, Siri non è allegra, non nel modo in cui lo è Hange perlomeno. Non era sicuramente un aggettivo che avrebbe usato per descriverla. Poi c’era stato l’incubo che l’aveva svegliata, anzi, sembrava un incubo accompagnato da un vero e proprio attacco di panico: eppure se anche con l’alcol avesse saputo di avere incubi, non avrebbe bevuto per niente.
- Fai così anche all’accampamento quindi?
- No. Solo quando non riesco a dormire e mi trovo qui.
Evidentemente qualcosa era andato storto nel suo rimedio agli incubi. Non riusciva a spiegarselo, ad ogni modo non erano questi gli interrogativi che lo astraevano dalla realtà in quel momento.
- Ma, dopotutto, non devo dirlo a te. – Tina lo guardò con intesa – Voglio dire, ci hai vissuto qui, sai che significa, ma per noi è diverso. Noi ci siamo nati, Siri no… – sospirò – non vedo l’ora che portiate a termine la missione e ve ne andiate, senza offesa.
Il capitano abbassò lo sguardo in silenzio sul boccale e bevve un sorso: pensò al fatto che proprio per quel motivo, quando Siri aveva detto di voler fare solo lei la guardia nella città sotterranea, lui aveva subito detto che se la sarebbe vista anche lui, e non perché la ritenesse incapace, ma perché non voleva che i membri della sua squadra la facesse. Non se l’erano detti, ma Siri aveva i suoi stessi motivi, entrambi volevano in qualche modo proteggere i mocciosi, nonostante non fossero più dei bambini, però volevano preservarli quanto più potessero, anche con gesti insignificanti come quello.
- Ragazzo, allora?! Si può sapere che ti frulla nella testa?
La domanda di Tina lo scosse, alzò la testa e si fissarono, Levi quindi si tolse quel tarlo dalla testa: - Siri mi ha detto che hai rifiutato la cittadinanza che ti aveva offerto. Io… - le diede del tu, visto che ormai la locandiera sembrava aver preso confidenza.
Tina annuì e poggiò la mano libera sul fianco: - Perché, vuoi sapere. – sospirò stancamente – Questo posto fa schifo, lo so. Ma ci sono nata. Qui ho conosciuto mio marito, è nato mio figlio e i miei nonni hanno speso sangue e sudore in questa locanda, dove io ancora vivo e lavoro.
Levi la seguiva attentamente, ma non capiva dove volesse andare a parare.
- Ti sembrerò una vecchia pazza per voler rimanere qui, ma è l’unico posto dove mi sento a casa, perché questa è casa mia. Ho fatto tanta fatica per renderla un posto migliore e nonostante qui ci siano tanti farabutti, ho trovato comunque altrettante brave persone che mi hanno aiutata. Io le ho aiutate a mia volta e loro contano su di me. Immagina se sparissi da un giorno all’altro senza aver portato con me queste persone: sentirei di averle tradite! – Tina aveva la faccia di chi stesse dicendo la cosa più ovvia del mondo, Levi spalancò gli occhi a quelle parole. Il donnone batté il palmo della mano sul bancone, facendo tremare il boccale di birra.
- Per cui, o tutti o nessuno! Non voglio un pezzo di carta che mi dica di valere più degli altri e guardarli dall’alto in basso se poi so perfettamente che qui ci sono persone che valgono molto più di me, ma che sono costrette a rimanere qua sotto perché non hanno denaro, nossignore! – scosse la testa, il tuppo che minacciava di sciogliersi – E non mi fraintendere ragazzo: questo è il mio modo di pensarla, ma non lo imporrei a nessun altro! Guarda te per esempio.
Levi la guardò interrogativo, la donna gli diede due schiaffetti sulla guancia. Il capitano, disarmato da quell’improvviso contatto indesiderato, si limitò a fissarla come aveva fatto fino a quel momento: - Hai ancora uno sguardo che mette i brividi, ma si vede dalla tua faccia che sei diverso dalla feccia che c’è qui. Andare in superficie ti ha fatto bene, sei diventato un soldato e per essere il capo di Siri devi essere molto bravo, hai reso fiero chiunque tu abbia lasciato qui sotto. La mia ragazza non si lascerebbe mai guidare da qualcuno che non le va a genio, me l’ha detto una volta, sai?!
Ora che il fiume di parole di Tina si era placato, Levi rispose solo alla sua ultima affermazione, incapace di articolare un discorso di senso compiuto su quanto gli aveva detto. Era così vero da essere inattaccabile.
- Siri mi è stata assegnata, non ha scelto di stare nella mia squadra.
La locandiera lo ascoltò e poi scoppiò a ridere: - Ma l’hai vista?! Ha quasi fatto arrestare Kenny e credi davvero che avrebbe accettato una persona qualsiasi a comandarla? – gli diede altri due schiaffetti sulla guancia, questa volta Levi la guardò truce, ma Tina fece finta di niente e riportò il palmo sul fianco, inclinandolo leggermente - In un modo o nell’altro ti avrebbe o spodestato o avrebbe chiesto a chiunque comanda te di essere riassegnata.
Spodestarmi?
Un cliente chiamò Tina dai tavoli che rispose con un cenno della testa: - Adesso devo andare signor capitano. – S’incamminò verso la fine del bancone – Prima che ve ne andiate però dille di venirmi a salutare, non come l’ultima volta!
Levi la guardò impassibile, non le disse nulla perché era già andata a servire e prendere ordini, ma l’avrebbe di certo detto a Siri.
 
Levi tornò di sopra e sentì provenire dalla stanza rumori indistinti e i mocciosi parlottare tra loro, a voce fin troppo alta, notò. Aprì la porta e la scena che gli si parò davanti avrebbe dovuto stupirlo, ma in realtà si accordava perfettamente col suo essere sovrappensiero.
Siri perdeva sangue dal torace, sotto l’ascella sinistra, era seduta su una sedia vicino il tavolo e a quanto pareva si stava rifiutando di ricevere le cure di Sasha che, con in mano ago e filo chirurgici, la stava pregando di farsi curare.
- Sasha te lo dico per l’ultima volta, sto bene. Mi ricucio da sola. Devo prima vedere quello che avete trovato a casa di Kenny.
- Ma ce l’ha il capitano Levi! Stai perdendo sangue!
- Bene, allora quando torna andrò… - Siri e il resto della squadra raccolta attorno alla sua vice si girò verso Levi.
Siri si alzò tenendosi la ferita, cercò di fare qualche passo verso di lui: - Capitano…
- Che cosa diamine è successo?
- Cosa avete trovato in quella casa?
Levi, a quel punto, non era felice che non gli si rispondesse alle sue domande. Inoltre, gli pesava mostrarle ciò che aveva recuperato in quella casa piena di muffa e ragnatele: il famoso vaso della sua pazienza stava per strabordare.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 - Cimeli di famiglia ***


Nota dell’autrice: da questo momento in poi appariranno delle date che nell’opera originale non sono mai state specificate. Per cui io, per comodità e anche per permettere un orientamento migliore nella linea temporale e nella storia stessa, ho deciso di definirle cercando di rispettare quanto possibile la cronologia e venendo anche incontro alla storia.
 

Capitolo 13 – Cimeli di famiglia

 
Di nuovo. Era successo di nuovo. Era stata impulsiva e aveva messo a rischio la sua vita e quella dei compagni, ne era sicuro, perché altrimenti aveva un taglio nel fianco?
- Ti ho fatto una domanda semplice. – Levi le si avvicinò con lo sguardo minaccioso. Il resto della squadra impietrì, ma Siri non sembrava per niente preoccupata, solo annoiata. Lo stette a fissare e ingoiò la voglia di ribattere, per cui fece un sospirò annoiato e disse: - È andato tutto secondo i piani, capitano.
- E allora perché perdi sangue?
- Un piccolo incidente di percorso. – Siri era leggermente pallida e poche gocce di sudore le scendevano dalla fronte, ma non aveva di certo perso la sua faccia tosta.
Levi le si avvicinò ancora di più e con un dito le toccò la cicatrice sulla faccia: - Come questa? – bastò un tocco solo per far scattare la mano di Siri, che dal punto di contatto venne come attraversata da una scarica elettrica. Con la mano libera afferrò il polso della mano di Levi e l’allontanò dal viso: Levi sgranò gli occhi sorpreso. Fulminandolo con gli occhi, Siri poi lasciò andare lentamente la presa. I ragazzi alle spalle di Siri guardavano la scena trattenendo il fiato: la spia era sopravvissuta a Kenny, ma sopravvivere anche ad un altro Ackerman andava messo nelle qualifiche speciali.
- Sono stata presa soltanto di striscio. – il capitano era ancora sorpreso dall’affronto, ma era riuscito a mantenere l’espressione contrariata. Poi posò gli occhi su Armin, Jean e Mikasa: erano tutti e tre illesi e il primo aveva fatto un passo avanti, incerto, verso di loro. Se Siri si fosse comportata di nuovo impulsivamente, allora anche i compagni che aveva portato con sé dovevano aver lottato, ma dalle loro condizioni non sembrava l’avessero fatto. Che si stesse sbagliando?
- Capitano… - Armin adesso aveva preso il coraggio e stava parlando – Tutto è andato come previsto, siamo riusciti a recuperare dei documenti sulle attività illecite di Kenny. Quando stavamo per andare via dal magazzino degli uomini sono entrati e…
- Siri li ha affrontati da sola. – s’intromise Mikasa. – Non sono d’accordo con questa decisione, avrei potuto aiutarla.
Siri la guardò in cagnesco, ma Armin, deciso a difendere la spia, non si lasciò sfuggire la critica: - Capitano Levi, io credo che Siri non volesse farci rischiare prima di tutto di subire ferite, non credo ritenesse fossimo pronti col poco addestramento che ci ha dato. In secondo luogo… - Armin guardò Siri che seguiva ogni sua parola con la bocca semiaperta e uno sguardo incredulo – Credo che lei si sia sentita in dovere di difenderci, per questo li ha affrontati da sola.
Calò il silenzio. Levi spostò lo sguardo da Armin a Siri che lo ricambiò di sottecchi.
- Mi dispiace Mikasa, ma sono d’accordo con Armin. – questa affermazione di Jean lasciò la spia di stucco che, tenendo lo sguardo fisso a terra, alzò le sopracciglia meravigliata – Senza di lei non saremmo mai né entrati né usciti vivi di lì.
Sembrava proprio un piccolo ammutinamento e Levi non avrebbe mai detto che il suo unico alleato sarebbe stato Mikasa, che, per eccellenza, era la persona a cui meno andava a genio. Siri alzò lo sguardo su di lui e si scrutarono a vicenda per quelle che sembrarono ore. Il capitano e la vice erano due elastici tesi, pronti a rompersi.
- Adesso che abbiamo stabilito che non sono un pericolo ambulante, posso sapere, per l’amor del cielo, cosa diamine avete trovato dentro quella stramaledetta casa? – Siri stava letteralmente morendo, ma non per la ferita, bensì dalla curiosità. Se le fosse tornato a galla un altro ricordo di Diya avrebbe seriamente aggredito Levi, a costo di farsi uccidere definitivamente.
Il capitano abbassò lo sguardo sulla mano insanguinata, avrebbe voluto scusarsi per aver dubitato ma… Beh, era Levi Ackerman e quella di fronte a lui era la giovane donna più arrogante e sfacciata che avesse mai conosciuto e rendeva quel processo, già di per sé complicato per lui, ancora più difficile. Per cui le avrebbe dato un ordine col quale, come quando i suoi sottoposti nascondevano la polvere sotto il tappeto quando pulivano, avrebbe occultato la sua ammenda.
Frugò nella tasca posteriore del suo pantalone e tirò fuori un quaderno dalla copertina sottile e grigia, tutta macchiata e lo tese a Siri che lo guardava mangiandoselo con gli occhi: la ragazza tese la mano verso quel diario, ma lui lo alzò subito portandoselo all’altezza della testa. Vide sulla faccia di Siri dipingersi un’espressione delusa.
- Prima vai a chiudere quel taglio. – vide la bocca di lei aprirsi per contestare, ma la bloccò – È un ordine.
Siri si morse le labbra, rimase davanti al capitano combattendo contro sé stessa, ma alla fine si girò verso Sasha, che la stava guardando con un sorrisino soddisfatto, e le strappò gli strumenti chirurgici. Poi, borbottando parole incomprensibili, prese dalle sue cose una maglia di ricambio larga e viola, si diresse alla porta d’ingresso e, sull’uscio, senza guardare nessuno disse secca: - Non iniziate senza di me. – poi sbattè la porta alle sue spalle, diretta in bagno.
Al suo ritorno, notò con piacere che il resto della squadra era andata a dormire, eccetto Sasha e Armin che erano rimasti sul divano ad aspettarla: dopo essersi accertati che stesse bene e averle dato dell’acqua, andarono a dormire anche loro. Siri diresse poi lo sguardo al tavolo da pranzo e trovò Levi seduto a capotavola, il profilo austero con lo sguardo dritto sui documenti perfettamente ordinati, sormontati dal quaderno. Una gamba accavallata sull’altra e con le braccia incrociate, la stava aspettando, non molto pazientemente, ma allo stesso tempo non moriva dalla voglia di scoprire cosa Kenny avesse scritto in quello che, almeno a prima occhiata, gli era sembrato un diario.
Siri gli si sedette accanto, e ruppe, come al solito, il silenzio: - Bene, se vuoi puoi andare, io memorizzerò… - Levi non la lasciò finire e si alzò, lasciandola da sola al tavolo. Siri alzò un sopracciglio: - Avevo appena iniziato, non hai ancora sentito nemmeno una delle tante battute che ho preparato mentre ero in bagno.
Levi tornò dalla cucina con due tazze fumanti, ne porse una a Siri tenendo lo sguardo basso.
- Oh… grazie. – la ragazza la prese tra le mani, rimanendo letteralmente spiazzata: nella settimana dei preparativi avevano passato molto tempo insieme a progettare la missione, rimanendo svegli anche fino a tardi, perlomeno per lei era rimanere svegli fino a tardi, ma lui non si era mai offerto di farle il tè. Arrivava in biblioteca con già la sua tazza, mentre Siri doveva allontanarsi nel bel mezzo del lavoro per prepararsi una tisana. Non poteva saperlo, ma quel gesto era abbastanza raro, Levi si limitava a ripeterlo per qualche altro paio di persone nell’intero corpo di ricerca e, per una persona che sapeva poco esprimere ciò che provava come lui, voleva dire “mi vai a genio”. In questo caso particolare andava aggiunto anche “scusa se sono partito prevenuto, di nuovo”.
- Vedremo queste cose insieme. – disse sedendosi – Credo di averne il diritto.
- Mmh – Siri annuì aggrottando le sopracciglia – Legittimo. – prese un sorso del tè e posò la tazza sul tavolo accanto a sé. Allungò le mani avide verso il diario, guardò di sottecchi Levi che, con una smorfia, le permise di prenderlo: lo avvicinò a sé e con movimenti attenti e precisi, come se stesse maneggiando un manufatto preziosissimo, sollevò la copertina, scoprendo la prima pagina.
- Chi l’avrebbe mai detto… – disse piano – Kenny che si diletta nella scrittura…
- Davvero aberrante. – soggiunse Levi, portandosi poi la tazza alle labbra.
Siri improvvisamente ricordò delle parole di Levi della notte prima: stavano per leggere qualcosa che sarebbe dovuto rimanere privato per sempre, le memorie di un uomo che aveva abbandonato uno e, meno importante, tentato di uccidere entrambi. Immaginò che per il capitano dovesse essere difficile, in più farlo davanti ad un’altra persona: lei aveva letto attentamente il fascicolo di Levi, sapeva perfettamente da dove veniva, dov’era nato, non conosceva i dettagli, ma sapere che aveva perso la madre in modo molto poco dignitoso le aveva dato una vaga idea di quanto ne dovesse aver sofferto. Che nel diario Kenny ne parlasse? Sperava proprio di no. Siri non poteva saperlo, ma lo sperava tanto anche Levi da una parte, dall’altra voleva invece che lo zio non avesse escluso completamente sua madre dai suoi pensieri.
Siri richiuse il diario, anche questa volta con movimenti precisi e scioltezza. Levi stette a guardare il movimento e poi alzò lo sguardo su di lei interdetto.
- Levi… - la ragazza ponderò bene le sue parole – Prima di leggerlo… vorrei dirti questo. – alzò lo sguardo su di lui – Io odiavo tuo zio. L’ho odiato tanto sul serio. Ma ci ho pensato tanto quando tutto… questo è venuto fuori. Non posso chiaramente dire che fosse una brava persona, beh il perché mi sembra chiaro. Ma… lo rispetto.
A Levi quasi andò di traverso il tè. Siri si passò un indice sul dorso della mano sinistra: - Non so niente del vostro rapporto, né vorrei saperlo. – tornò a fissarlo – Ma credo che tenerti all’oscuro sia la cosa migliore che abbia potuto fare, le persecuzioni contro gli Ackerman sono state atroci e metterci la parola fine è stato il più grande regalo che potesse farti. A lui non sarebbe cambiato assolutamente nulla, ma ha permesso a te e i tuoi discendenti di vivere una vita normale.
Siri prese la sua tazza di tè e ne bevve un sorso, poi guardò i cerchi concentrici formarsi nel liquido e alzò lo sguardo su di lui di sottecchi distendendo le labbra morbidamente. Levi distolse lo sguardo da lei e guardando davanti a sé disse: - Ci sarà rimasto di merda vedendo che è tutto fuorché normale.
- O forse ci è rimasto e basta. – Siri sogghignò soddisfatta della battuta e rimase di stucco vedendo che Levi aveva accennato ad un sorriso. Evidentemente doveva aver espresso parecchio la sua incredulità in viso, perché Levi si mostrò un po’ infastidito, guardò da un’altra parte e bevve un altro sorso di tè. Succedeva sempre quando si lasciava sfuggire una risata, tutti lo guardavano come se avessero visto un’oscenità, era successo un paio di volte con la sua vecchia squadra e ora con Siri ebbe la conferma che faceva quell’effetto a tutti, a prescindere dalla persona con cui si trovasse. Non gli dava fastidio, era più una sensazione dolceamara.
Chiaramente da Siri non poté aspettarsi altro che quello che fece dopo, ossia ridere di gusto. Questo sciolse ancora di più la tensione e ricordò a Levi perché si era sempre trattenuto; tuttavia, sentire qualcuno ridere mentre erano là sotto non era male.
Siri bevve ancora dalla tazza per placare le risate, poi picchiettò i polpastrelli sul diario di Kenny: - Bene, basta cincischiare, a lavoro boss. – spostò l’oggetto più vicino a Levi e lei stessa trascinò la sedia più vicino a lui, che fece lo altrettanto.
- Ah, cerca di non svalvolare, so che è la prima volta che mi vedi in azione ma... – disse Siri mentre tirava fuori il quadernetto su cui stava prendendo “appunti” sulla missione.
- Che cazzo stai blaterando?
- Solo… Non chiedermi di recitarti tutto al contrario, è seccante. – non sapeva che aspettarsi da Levi, ma vedere la sua memoria in azione sovreccitava chiunque ne era testimone. Come le infermiere a Trost tanti anni fa. Il ricordo la pizzicò amaramente sullo stomaco.
Siri, sempre coi suoi movimenti sciolti e delicati, aprì il diario e, entrambi piegati su quelle pagine consunte, iniziarono a leggere con un leggero alone di nervosismo riguardo quello che avrebbero trovato.
 
25 giugno 819
Oggi sono andato a trovare il vecchio, non riesce più ad alzarsi dal letto, credo la sua ora sia vicina. Quando gli ho parlato di Kuchel ha iniziato a blaterare sulla nostra maledetta famiglia: a quanto pare è la corona stessa a volerci morti, ci temono, e tutto questo perché siamo immuni al loro potere di cancellazione dei ricordi, insieme a qualche altra nobile casata del cazzo. Sembra divertente, se sei quello potente e se non sei perseguitato per il resto della tua vita perché qualche tuo antenato si è rifiutato di leccare il culo al sovrano.
A quest’ora potrei vivere in un castello. Forse è meglio tagliare le gole ai gendarmi.
 
1 luglio 819
Il vecchio è morto. Non credevo, dopo l’ultima volta che l’ho visto, che potesse durare per ben altri cinque giorni. Magari dipende dal nostro sangue. Da quando mi ha rivelato la verità sono sempre più convinto che questa forza, il risveglio, non siano frutto del caso.
Sono andato ad informare Kuchel. Ho insistito ancora, ma è convinta della sua decisione. Non abbiamo abbastanza soldi per farla tornare in superficie, ma credo che lì sotto, nascosta, sarà più al sicuro.
 
2 luglio 819
Non lo credevo possibile ma il nonnino non solo ha lasciato testamento, ma anche un’eredità. Il governo non ci lascia in pace nemmeno da morti: ci ha messo il naso di nuovo, ma ho provveduto subito a mozzarlo.
Il vecchio mi ha lasciato un vecchio cimelio di famiglia, un arazzo. È veramente brutto, che cosa dovrei farmene? Ha scritto che appartiene alla nostra famiglia da generazioni e che ha un valore inestimabile, non può essere quantificato in denaro. Ma chi se lo vorrebbe comprare questo tappeto stretto, lungo e cencioso?! Non l’ho aperto tutto, ma è ben ricamato, ha scritte incomprensibili con qualche macabro disegnino di mostri e bambini deformi. Sembra l’ennesimo scherzo che la vita riserva a questa famiglia.
Tuttavia sembra celare un segreto importante sul potere dei sovrani, questo pezzo di stoffa è un altro dei motivi per il quale gli Ackerman sono perseguitati, quindi. Devo dire di essere stato tentato dal dargli fuoco, ma ho deciso di rispettare le volontà dei miei avi. Lo passerò al figlio di Kuchel, se mai riuscirà a sopravvivere.
 
3 aprile 820
Sarebbe bello farla pagare al re delle mura. Un giorno lo ucciderò. A cosa serve continuare a tagliare le gole dei gendarmi se non mi porta a scoprire assolutamente nulla?
 
16 agosto 820
Re: vero o no? 
Nobili che dirigono somme di denaro in altra destinazione  sconosciuta.
Quota: 37
Ho scoperto una cosa interessante: da alcune lettere dei miei avi, che erano conservate nelle cianfrusaglie del vecchio che ho venduto, sembra che l’arazzo sia risalente ad almeno un secolo fa, in poche parole da quando le mura esistono. Alcuni di loro erano convinti risalisse ad ancora prima, ma in queste lettere sembrano mancare delle pagine.
A questi mancava una rotella perché riuscivano a leggere questo stupido tappeto.
 
23 dicembre 820
Rapinato carico fuori Mitras, direzione sconosciuta.
Mittente: culto delle mura.
Culto collegato?
Quota: 45
 
30 gennaio 821
La città sotterranea è finalmente utile a qualcosa. Ultimamente sono riuscito a saccheggiare parecchi carichi della gendarmeria, ma la mia base a Mitras è troppo sensibile. Oggi ho preso una casa nei sotterranei per lo stallo delle refurtive, ci ho conservato anche quel lurido tappeto. Il proprietario vuole aumentare il prezzo perché sono un Ackerman. Sono sicuro cambierà idea.
 
27 novembre 821
Lovof
Beaumont
Reiss
Aurille
Deltoff
Gerald
Roderich
 
14 luglio 829
Uno dei nobili dell’assemblea del governo ha confermato i miei sospetti. Il vero re delle mura appartiene alla famiglia Reiss. Partirò domani. 
 
18 luglio 829
Non avevo mai nemmeno pensato che potesse esistere qualcuno più forte di me. Ma alla fine, l’ho trovato. Sono ancora sotto shock. Si è inchinato, davanti ad uno scarto come me. Ha confermato la storia del vecchio, a quanto pare gli Ackerman e gli orientali fanno parte di quei lignaggi immuni al potere di cancellazione della memoria.
Mi ha chiesto scusa. Una persona con quel potere, che rispetta una come me...
 
19 luglio 829
Ho iniziato a lavorare per Uri Reiss, il suo potere è… immenso, lo ammiro. Il tipo che mi aveva dato la soffiata è morto e io ho preso il suo posto nell’assemblea. Come avevo immaginato il culto delle mura sapeva tutta la verità, che sappia anche altro? 
Quando ho detto di chiamarmi Ackerman il capo di quei fanatici mi ha guardato strano, ma non ha detto niente. Sinceramente mi fanno venire la pelle d’oca, parlano sempre di mura, giustizia divina, arroganza e altre stronzate simili.
Da oggi comunque avranno fine le persecuzioni. Entro qualche mese saremo finalmente liberi.
 
30 settembre 829
Qual è il punto di nascere in questo posto se non c’è neanche un sogno per cui valga la pena vivere?
Kuchel è morta. Ero sceso in quel buco schifoso per dirle che eravamo liberi, avrebbe potuto finalmente cambiare lavoro. A quanto pare sono arrivato troppo tardi. In compenso il suo marmocchio è vivo. Ha quasi dieci anni ma è un Ackerman, gli insegnerò come un Ackerman sta al mondo. Ma di esserlo non lo saprà mai, voglio rispettare le ultime volontà di Kuchel, non gli rivelerò il suo cognome e gli risparmierò questa dannazione. 
Magari tra anni la situazione sarà migliorata, magari potrà portare il nome della sua famiglia un giorno.
 
31 gennaio 830
Il piccoletto promette bene. Ha già affrontato il risveglio, credo che da ora in poi potrò lasciarlo un paio di giorni solo qui sotto. Uri ha bisogno di me per alcuni “lavoretti” per occultare le informazioni su di lui e il mondo esterno.
 
4 maggio 832
Uri mi ha rivelato che gli Ackerman un tempo erano la spada e lo scudo della corona. Una figura un po’ troppo poetica per i miei gusti, ma a quanto pare siamo sempre stati dotati di una forza sovrumana.
La cosa che mi fa più strana di tutta questa assurda storia è che da uccidere gendarmi, adesso sono il braccio destro della corona. Mi pare davvero assurdo, quasi comico.
 
10 luglio 834
Ho lasciato la città sotterranea. Levi se la caverà. Mentre lo guardavo massacrare uno di quei rifiuti, mi sono reso conto che non ho più nulla da insegnargli, inoltre quel ragazzino vede in me un padre che io non sono e non voglio essere. Ho trasferito tutto a Mitras, mentre riempivo le casse da affidare alla gendarmeria mi sono ricordato dell’arazzo, era nascosto nelle travi del pavimento da così tanto tempo che quasi me lo stavo scordando lì.
Ora è al sicuro, non credo potrà mai essere rubato.
Non ho detto ad Uri di che si tratta con precisione, ma non ha battuto ciglio quando gli ho chiesto di recapitarlo a mio nipote quando fossi morto.
Non lascerò comunque questa casa, ci sono dei traffici qui sotto su cui ancora mi piacerebbe mettere le mani, in poco tempo riuscirò ad impossessarmene della maggior parte. Avere la complicità del corpo di gendarmeria ha i suoi vantaggi.
 
20 aprile 842
Uri sta per morire. Tecnicamente, per essere mangiato. Il potere dei giganti è immenso ma dal momento in cui erediti il suo potere hai solo tredici anni di vita, un piccolo prezzo da pagare per un potere così grande. Uri mi ha parlato di pace, della salvaguardia del popolo. Dice che un giorno ci sarà sicuramente una guerra, ma che gli piace l’idea che dentro le mura per ora regni la pace.
Continuerà a vivere nel corpo della nipote che erediterà il suo gigante, riescono a vedere i ricordi dei loro predecessori, per cui sanno la verità. Una verità che a noi tutti è sconosciuta.
Darei tutto per un potere così, vedere le cose che Uri ha visto.
Riuscirei a vederle anch’io se ereditassi quel potere?
 
Questi erano solo i punti salienti su cui Siri si era concentrata maggiormente, ma per ogni anno c’erano molti più appunti, la maggior parte in cui segnava numeri, merci di contrabbando, agganci. Se solo avesse messo le mani su quel diario tanto tempo prima, ad esempio quando era in missione nella città sotterranea: le avrebbe risparmiato tanti anni di ricerca e tanta sofferenza. Il diario continuava fino all’847, anno in cui Kenny fondò con la complicità di Rod Reiss la squadra antiuomo. A quanto pare in quell’anno lasciò il diario in quella casa, che era rimasto lì fino a quel momento.
Mentre leggevano il diario, i due avevano mantenuto sorprendentemente una maschera d’indifferenza ineluttabile, considerando che a Levi veniva un tonfo al cuore ogni volta vedesse il nome della madre e il suo, e che Siri, che prendeva sporadicamente appunti sul suo quadernetto, ebbe quasi un colpo quando lesse in alcune date lo pseudonimo che aveva usato nella città sotterranea. L’unica sua reazione visibile fu un lieve tic agli occhi la prima volta che venne nominato, all’inizio Levi non diede peso al gesto, non capendo a chi il parente si riferisse, ma andando avanti nella lettura poi gli parve chiaro che lo zio si riferisse proprio a lei.
 
“Il geco è una brava tirapiedi, svolge tutti i miei lavori più sporchi senza fare domande. È anche fin troppo brava e il fatto che non abbia condiviso con nessuno il suo vero nome, mi fa sospettare parecchio. Inoltre è spuntata fuori dal nulla. All’inizio credevo fosse un’Ackerman, per questo motivo, ma è troppo debole per esserlo.
La terrò d’occhio”.
 
Per alleggerire l’atmosfera, a Siri era sfuggito un pensiero ad alta voce mentre leggeva per la terza volta la stessa frase: - Che scrittura di merda…
Levi, che aveva lanciato qualche occhiata incuriosita sul quadernetto di lei, rispose: - La tua è altrettanto di merda. Sembra quella di qualcuno in preda ad un ictus. – Siri alzò lo sguardo su di lui risentita e sbuffò. 
- Mz, boss è più probabile che la tua faccia più schifo della mia, visto questo diario. – Levi la guardò gelido, ma non rispose. Poi Siri gli passò il suo quadernetto e gli chiese una dimostrazione: osservò la mano spedita di Levi comporre il suo nome, riprese il quadernetto e con ammirazione fissò le lettere perfettamente ordinate. Sembrava l’unica cosa con un senso in mezzo a quei suoi geroglifici incomprensibili.
Maniacale… - disse a bassa voce.
- Cosa? Adesso parli come scrivi anche, saltimbanco?
Siri rimise il quadernetto accanto a sé, la mano destra che si riposizionava sopra, penna alla mano: - Spero di no. Ricominciamo. – rispose a sguardo basso. 
Sempre grazie al diario, Siri riuscì a scoprire anche l’errore che commise e, con suo grande disappunto, fu solo per effetto del caso. Quando lesse quelle pagine strinse la mano sinistra nella destra nervosamente.
 
“Il geco non si lascia seguire facilmente, ma questa volta l’ho beccata. Non ho idea per chi lavori, ma l’ho vista parlottare con dei gendarmi puliti e consegnargli una lettera. Quando se n’è andata l’ho recuperata, ma non ci ho capito nulla. Era tutta in codice.
A quanto pare qualche nobile starà complottando di nuovo contro di me, è stato stupido da parte sua passeggiare così tranquillamente al mercato prima di un incontro. Adesso mi è tutto chiaro, c’era qualcosa di strano nell’ultima consegna del carico. Non ho idea di cosa ci fosse in quella lettera, ma sono abbastanza sicuro che il geco fosse molto vicina a mettermi con le spalle al muro. Ma tanto da questa sera non sarà più un problema.”
 
Siri si ricordava bene quel giorno. Fu infatti l’ultimo che passò nei sotterranei.
Sapeva di essere seguita, per questo faceva giri immensi prima di arrivare nel punto d’incontro, quel giorno però non andò tutto come previsto. Stava passando per una via che attraversava perpendicolare il mercato, coi rampini per le mani si sarebbe arrampicata per un muro dietro il mercato, entrata in un edificio di soppiatto sarebbe uscita poi per un altro vicolo, che l’avrebbe portata direttamente in una locanda in cui la aspettavano i gendarmi ingaggiati da Pyxis. Però quel giorno ebbe un imprevisto: stava passando velocemente per quel minuscolo pezzo di mercato quando vide un ragazzino tenuto ad un metro da terra per il collo da un uomo, lo aveva appena derubato e stava minacciando di consegnarlo alla polizia, o peggio. Non seppe mai spiegarsi il perché, ma intervenne. Altre volte aveva fatto finta di non vedere, forse, dopo un anno e mezzo, era arrivata al culmine. Il ragazzino doveva avere dieci anni all’incirca e aveva rubato un paio di mele dal negoziante: non soldi, ma cibo. Le si strinse il cuore e pagò il commerciante, poi disse: - Non si può di certo biasimarlo, sembrano molto buone. Posso averne un paio anch’io? – pagando poi l’uomo anche più del dovuto.
Quando poi si era dileguata e si era ritrovata di fronte il muro da scalare si accorse con rabbia che qualcuno doveva averle sfilato i rampini dalla sacca. Dovette fare quindi a piedi tutto il tragitto, ricordava di essersi guardata alle spalle parecchie volte, rivoltato il mantello a doppio tessuto di due colori diversi un paio di volte, e le era sembrato di avercela fatta. Non aveva dubbi. Era sempre stata convinta che fosse stata colpa dei due gendarmi, il giorno dopo trovati morti, che fossero stati troppo poco prudenti.
Quando chiusero il diario calò uno strano silenzio tra loro. Siri guardò l’orologio: era notte fonda. D’un tratto sospirò e spinse via il diario, prese i documenti e spostò la sedia, rimettendosi al suo posto e allontanandosi di poco da Levi, che sembrava ancora molto preso dai suoi pensieri.
- Ovviamente non hai ricevuto nulla dopo che Kenny è morto. – disse Siri sfogliando i documenti.
- No. – Levi si era lasciato andare pesantemente sulla sedia e ora fissava il diario a braccia conserte – Dobbiamo recuperare questo arazzo.
Siri annuì.
- Il dieci luglio dell’834 ha detto di averlo spostato di qui, ha detto che era un posto sicuro e che nessuno l’avrebbe rubato.
Levi la guardò aggrottando le sopracciglia: - Credo di sì. Ma non credo l’abbia più nominato…- Levi stava allungando una mano sul diario ma Siri lo interruppe.
- Esatto, non l’ha più nominato. Non serve controllare. – aveva ancora gli occhi sui documenti, li stava ispezionando con lo sguardo, in cerca di movimenti di merci che potessero ricollegarsi al fantomatico cimelio.
- Mentre il venti aprile 842 ha detto che Uri sarebbe stato mangiato dalla nipote, presumo Frieda Reiss, e che i suoi ricordi sarebbero vissuti in lei. – Siri alzò lo sguardo dai documenti e iniziò a fissare il soffitto, nel frattempo Levi aveva riaperto il diario e con stupore constatò che la spia aveva detto precisamente tutte le date – “Ora è al sicuro, non credo potrà mai essere rubato.”, quindi si trova sicuramente in un luogo sicuro… - continuò la spia.
- Frieda è stata divorata dal padre di Eren, che a sua volta è stato divorato da Eren. – disse Levi, mentre sfogliava le pagine e trovava le frasi che Siri stava ripetendo a bassa voce.
- Presumo che quindi è per questo che tu non hai ricevuto nulla. Frieda si ricordava della promessa ma è morta prima che Kenny morisse. Quindi Eren può… “vedere” i ricordi di Uri? Potrebbe sapere dove si trova, giusto? – Siri spostò lo sguardo concentrato su Levi e quando vide la sua espressione fece una smorfia annoiata con la bocca – Ti avevo detto di non svalvolare.
Levi si rese conto che la stava guardando con un certo sconcerto, quindi tornò serio e chiuse il diario: - Così ha detto il moccioso. Ma allo stesso tempo dice di non riuscirci più dopo che ha lasciato la grotta dei Reiss.
- E come mai? – Siri era ora piegata sui fogli, il capitano non riusciva a spiegarsi come riuscisse anche a sentirlo.
- Non ne ho idea. L’ultima volta ha detto che ha visto dei ricordi del padre dopo che Historia e Rod Reiss l’hanno toccato. – la vice alzò di scatto lo sguardo su di lui.
- Toccato dici? – dopodiché la ragazza si chiuse nel silenzio e tornò a leggere i documenti. Dopo un po’, Levi trovò la cosa inquietante e credette di dover essere incluso in qualsiasi cosa stesse architettando o leggendo.
- Siri. – ma non trovò risposta, nemmeno un accenno del capo. Solo i grossi occhi di Siri che saettavano da un foglio all’altro.
- Ohi. – di nuovo nessuna risposta.
- Ohi, saltimbanco. Stai iniziando a diventare inquietante.
Siri chiuse gli occhi e sospirò: - Sto cercando dei movimenti, merci, scambi, qualsiasi cosa. Guarda. – Siri trascinò uno dei fogli verso Levi e indicò lo stemma della gendarmeria sull’angolo del foglio – Questi sono documenti sulle attività di Kenny, sono tutti siglati dal corpo di gendarmeria. Tutte operazioni gestite e, sicuramente, approvate dal re in persona, quindi, ai tempi, Uri Reiss.
Levi si allungò sui fogli che l’altra stava esaminando e disse: - Concentriamoci solo su luglio dell’834. Anche se… se Kenny ha detto che nessuno può rubarlo da dove Uri l’aveva messo…
I due si guardarono negli occhi, e realizzando l’ovvietà dissero insieme: - … Significa che è a Mitras.
Siri iniziò a sfogliare freneticamente i fogli, dando un plico a Levi distrattamente: - Ci serve una prova concreta che sia al castello, e se siamo fortunati, anche una posizione più precisa. Non possiamo frugare per tutto il castello, è immenso.
Passarono il resto della nottata ad esaminare i fogli, e quando finalmente Siri trovò il movimento della cassa incriminata si fermò e disse: - Trovata…
Il capitano si sporse e Siri gli avvicinò il foglio. Non era un appunto molto chiaro, ma parlava di una cassa da trasferire con il massimo riservo al palazzo reale, a Kenny era arrivata una specie di conferma che indicava l’ubicazione della cassa che, però, risultava essere in codice.
- Lo odio. Avevano anche un linguaggio segreto come i bambini, non posso crederci.
Il rispetto è andato a farsi benedire, pensò Levi.
Siri era parecchio frustrata, ma soprattutto stanca. Non aveva dormito neanche per qualche ora, e anche se il tè le aveva tenuto lontano il sonno, sentiva comunque un certo peso calarle sulle palpebre: chiuse gli occhi, lasciò andare il foglio e si massaggiò le tempie. Levi accanto a lei prese il documento e constatò la sua inutilità. Poi si alzò e mentre si allontanava verso la finestra, le diede una pacca sulle spalle e le disse: - Almeno sappiamo che si trova a palazzo.
- Almeno finalmente ce ne andiamo. – rispose lei, dopodiché si buttò all’indietro sulla sedia e sbadigliò. I punti sotto l’ascella che tiravano leggermente
- Siri. – la chiamò Levi dall’altra parte della stanza, attirando la sua attenzione. Lei restò sbracata sulla sedia e si limitò a rovesciare gli occhi verso di lui.
- Tina vuole che la saluti prima di andare.
Siri si risedette composta sulla sedia e lo guardò sbalordita: - Ti ha parlato? – Levi annuì.
La spia ridusse gli occhi a due fessure, studiando il suo capitano che con la sua impassibilità ricambiò lo sguardo, dubbioso. Alla fine, Siri distolse il suo e alzò le spalle. Si chiedeva cosa avesse spinto Tina innanzitutto a parlarci, data la sua diffidenza, e poi cosa invece Levi a rispettare la richiesta del donnone. Forse Tina ha avuto un certo effetto su di lui…
- Raccogliamo tutte le cose e andiamocene il prima possibile. – si alzò e si diresse in cucina – Se nel frattempo puoi dare un calcio in testa ad Eren e fargli venire in mente qualche ricordo di Uri, te ne sarei grata.
 
Nota a fine capitolo: è stato abbastanza complicato immedesimarmi in Kenny, ce l’ho messa tutta ma devo dire che è stata una sfida, visto che non sappiamo moltissimo su di lui e che ha una timeline incasinata. Per assurdo ci sono riuscita meglio con Levi, anche se con grosse difficoltà!
Spero di essere comunque riuscita a dare una buona immagine di Kenny, alla prossima.

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 - Messaggi in codice ***


Capitolo 14 – Messaggi in codice 

 
La risalita dai sotterranei fu molto più facile, oltre che piacevole: indossarono la divisa e sfrecciarono tra gli edifici col dispositivo di manovra, senza curarsi di chi li vedesse o sentisse. Volevano solo uscire il più in fretta possibile di lì. Ormai il lavoro alla città sotterranea era concluso, quindi avrebbero potuto farsi notare anche dall’intera popolazione. Levi controllava Siri con la coda dell’occhio, sia per la ferita che anche per capire meglio il livello delle sue capacità col dispositivo. Chiaramente era scarso e la ragazza rimase indietro rispetto agli altri, aveva problemi a virare e regolare il gas: era, in poche parole, visibilmente impacciata.
Quando finalmente arrivò al capannino dei gendarmi all’ingresso della città, era rimasto solo Levi ad aspettarla.
- Era ora.
Siri lo superò a sguardo basso: - Non una parola. Dove sono i marmocchi?
Levi tirò fuori il suo permesso e la seguì: - Li ho fatti salire, se il carro arriva non lo lasceranno andare via.
Siri mise una mano nella maglia, nascondeva il permesso nel seno: Levi la stava guardando, ma col suo solito sguardo impassibile, non si sentiva particolarmente in imbarazzo, ma il fatto che lo stesse facendo davanti ai gendarmi, che però non li stavano degnando di uno sguardo impegnati com’erano a giocare a carte, lo mise in leggero disagio.
- Che guardi pervertito? – disse Siri con un sorrisino impertinente. Levi la guardò stizzito e si girò verso i due soldati di guardia, porgendo il suo permesso: - Tsk, l’aria di casa ti sta già facendo effetto a quanto vedo. – riprese il permesso che a malapena guardarono: tutto merito della divisa.
Levi iniziò a salire le scale e Siri, dopo aver fatto controllare anche lei il permesso, lo raggiunse facendo una leggera corsa: - Che intendi dire?
- Eri strana questi giorni. – le rispose lui, guardando davanti a sé. La spia abbassò lo sguardo e lo seguì un gradino indietro in silenzio. La ferita, nonostante fosse un taglio poco profondo, le aveva tolto un po’ di energie, considerando anche il fatto che non dormiva da un giorno.
- In che senso ero strana? – era curiosa, come sempre. Voleva capire in che modo differisse dall’immagine solita che Levi aveva di lei, inoltre rimanere in silenzio non le piaceva e l’idea di rivedere a breve la superficie le dava una scarica di buon umore abbastanza forte, da farle dimenticare il fatto di essere stata così lenta da non riuscire a stare al passo con ragazzini più giovani di lei di undici anni.
Levi la guardò di sottecchi per capire se lo stesse stuzzicando come al solito, appurato il contrario, tornò a fissare le scale davanti a sé: - Eri più silenziosa. Tetra.
- Mmh… - Siri mise un indice sul mento, poi schioccò le dita come dopo aver realizzato qualcosa – Ecco di cosa avete parlato tu e Tina, spero solo non ti abbia detto nulla di imbarazzante, sei pur sempre il mio capo.
Levi abbassò lo sguardo annoiato: - Non preoccuparti, adesso sei perfettamente te stessa.
- Ed è un male?
Levi si fermò e si girò a guardarla: nel viso di lei, illuminato a malapena della luce rossastra delle torce, non c’era alcuna traccia di sfida o un risolino impudente. Solo i suoi grossi occhi che riflettevano quella tenue luce e lo scrutavano, in attesa di una risposta.
- Non te lo so dire. – rispose e ripresero a salire. Fino all’uscita regnò il silenzio, questo però, più che essere imbarazzante, sembrava quello di due persone perfettamente a proprio agio l’una con l’altra.
Quando arrivarono all’ultima rampa di scale, la luce solare la inondava tutta gradualmente e più si avvicinavano all’uscita più si sentivano accolti dal bagliore accogliente del sole. Appena usciti ripararono con una mano gli occhi: dopo aver passato due giorni nella città sotterranea, quella luce era troppo abbagliante, in più era quasi mezzogiorno. Siri tirò fuori l’orologio dalla tasca e controllò l’orario: - Bene, il carro dovrebbe arrivare a momenti.
Si erano organizzati con Pyxis ed Erwin in maniera tale che un carro venisse all’ingresso della città sotterranea due volte al giorno, una la mattina e l’altra la sera ad orari prestabiliti e che se ne andasse solo dopo aver aspettato all’incirca un’ora. In questa maniera non avrebbero avuto bisogno di comunicare con l’esterno e quindi rischiare di compromettere la copertura. 
Quando capitano e vice emersero dall’oscurità, la squadra, che si era seduta sul terriccio accanto all’entrata, fu subito su di loro, Armin e Sasha (e Jean, più in disparte) si gettarono su Siri per chiederle delle sue condizioni. Nonostante la spia gli avesse rassicurati più volte, i tre rimasero accanto a lei e Sasha non poté non notare che aveva sudato e il suo aspetto era molto stanco.
- Siri! Stai sudando e hai un aspetto orribile!
- Sasha sono stanca ma potrei ancora prenderti a calci.
Levi le porse un fazzoletto e Siri lo guardò interrogativa: - Te lo sporcherò.
- Puoi tenertelo. – Siri lo prese e si asciugò il sudore sulla faccia, poi poggiando una mano sulla spalla di Sasha si avvicinò agli altri. Mikasa le offrì timidamente dell’acqua che la spia rifiutò.
Levi era a dir poco stupito da come in così poco tempo la vice era riuscita ad entrare nei cuori dei ragazzini, se gliel’avesse detto lei avrebbe risposto di non avere nulla di speciale.
- […] Dopotutto però… ha sempre fatto parte di qualsiasi lavoro abbia mai svolto… capire le persone.
Forse era per questo che con lei ci si trovava così bene. Gli sembrava più semplice aprirsi, probabilmente, pensò, sa fare le domande giuste. Ma la realtà era, e Levi lo realizzò in quell’esatto momento, che Siri era dotata di una grande empatia e che quella patina di arroganza e sfrontatezza lo nascondeva perfettamente. Stanca e grondante di sudore, circondata da ragazzini che si premuravano stesse bene, gli appariva finalmente per quello che era realmente, oltre che rendersi conto che, quando si era arrabbiato con lei per essersi ferita, lo aveva fatto perché si era preoccupato.
Mentre la osservava, si rese conto che il suo sguardo venne catturato da qualcosa davanti a lei, oltre il gruppo che la circondava: - Che cazzo ci fa lui qui? – da un’espressione serena passò ad una di sconcerto, quasi fastidio, ma quando tutti si girarono a guardare nella sua stessa direzione si resero conto che si riferiva al carro che era venuto a recuperarli.
Levi cercò d’identificare chi guidava il mezzo, ma era un uomo dai corti capelli castani e la mascella squadrata che non gli diceva assolutamente nulla. Indossava la divisa del corpo di guarnigione e quando si fermò davanti a loro, scese con un balzo dal posto di guida e si rivelò essere un ragazzo su per giù sull’età di Siri, molto più alto di lei e con gli occhi azzurri. Senza degnare di uno sguardo il resto della squadra, si diresse direttamente verso Siri che adesso lo guardava minacciosa.
- La mia piccola lucertolina! – aprì le braccia e con un sorrisino cercò di abbracciarla.
Siri spostò malamente da parte le braccia di lui: - Non ci provare nemmeno.
- Cosa c’è? Non sei felice di vedermi? – si abbassò su di lei, la voce profonda e ammiccante – Wow, Gustav mi aveva detto che era grossa, però dal vivo è veramente brutta. – fece sbattere velocemente la lingua sul palato per esprimere disapprovazione – Hai rovinato quel bel visino che avevi.
Siri ridusse gli occhi a due fessure, i due sembrava si conoscessero ma non che lei ricambiasse la simpatia che invece lui sembrava nutrire. Il resto del gruppo non poteva credere alle loro orecchie, come si permetteva quel tipo di insultare la loro compagna di squadra?
- Che ci fai qui, Bernard?
- Ovviamente sono venuto a sapere che mandavano un carro per recuperare te e… - con un breve sguardo sondò gli altri – … La tua… squadra, quindi ho pensato di venire per salutarti. Hai un aspetto tremendo, sei pallida e… – annusò l’aria e storse il labbro – puzzate di sotterranei.
- Non credo tu abbia chiesto il permesso a Pyxis, – Siri ignorò gli insulti e lo spinse via, camminando verso il carro, cercando di non fargli notare di essere ferita – perché sono sicura che non ti avrebbe mai mandato.
- Sono la sua spia più brava e fidata, perché avrebbe dovuto avere da ridire. – Bernard la seguì, ignorando ancora una volta gli altri che lo guardavano molto infastiditi.
- Facile dirlo quando il posto è rimasto vacante. La tua natura subdola ti avrà aiutato a spiccare. – gli rispose controllando il carro all’interno e anche al di sotto, questo era un chiaro segnale per Levi che la sua vice non si fidava di quel ragazzo, quindi non l’avrebbe fatto nemmeno lui, e fu abbastanza per farlo avvicinare a loro, con grande sollievo degli altri che speravano il capitano gli desse una lezione. In realtà, che Siri si fidasse di qualcuno era una cosa più unica che rara, figuriamoci di un ragazzo che appena incontrata dopo tanto tempo non faceva altro che sminuirla. Levi non poteva ancora sapere tutto questo, ma il suo istinto gli disse che quella sfiducia era un segnale per intervenire.
Siri si era fermata e a braccia conserte rivolse lo sguardo a Levi e poi a Bernard, che adesso aveva preso tra le dita il mantello di lei: - Il verde non ti dona, devo sempre dirti io come sembrare più carina?
- Ohi, simpaticone. – Bernard girò la testa verso Levi che lo fissava truce – Quando hai finito di seccare i miei soldati puoi risalire sul carro a fare il cocchiere. A meno che tu non voglia rimanere qui a piedi.
Il ragazzo sorrise e si rivolse di nuovo a Siri: - Non sei nemmeno a capo della squadra.
Siri si staccò dal carro e si posizionò alle spalle di Levi: - Bernard, lui è il capitano Levi e loro sono il resto della squadra. Non credo v’interessi sapere invece chi è Bernard, vale così poco che non ne vale la pena. – Siri alzò un sopracciglio – Non è neanche un bel nome da ricordare.
Bernard, sempre mantenendo un certo atteggiamento di superiorità disse: - Sapevo già chi fosse il capitano Levi. Di quelle mezze calzette non m’importa.
Levi ricambiò lo sguardo impassibile: - Non mi pavoneggerei così tanto. Di solito mettiamo i più scarsi a guidare i carri, forse Pyxis ti ha affidato questo incarico apposta per questo. – ciò sembrò mettere a tacere il loro accompagnatore che si limitò ad alzare un angolo della bocca con una smorfia, rendendo evidente il suo disappunto. Siri si voltò verso i ragazzini e fece cenno di salire sul carro, Sasha fu l’ultima a salire e prima di farlo si rivolse a Bernard: - E per la cronaca, la signorina Siri sapeva già perfettamente prima di conoscerci chi fossimo tutti quanti noi.
A Siri scappò un sorriso che nascose con una mano vedendo Bernard guardare la ragazzina con uno sguardo stralunato. Quest’ultimo poi scosse la testa e mentre saliva al posto di guida, disse a Levi e Siri senza guardarli: - Salite, vi riporto al vostro quartier generale.
- No. Dovrai portarci a Mitras. – gli rispose il capitano che venne raggiunto dallo sguardo interrogativo dell’altro. Siri si girò per andare verso il retro del carro.
- Dove, precisamente?
A questa domanda la vice tornò indietro e si chinò all’orecchio di Levi bisbigliandoli qualcosa, il gesto fece sgranare gli occhi con una punta di gelosia a Bernard, che poi seguì con lo sguardo la ragazza salire nel retro del carro.
- Ci porterai alle porte della città e ci aspetterai lì. – Levi si diresse anche lui verso il rimorchio – Ti basta sapere questo.
- Siri è ferita alla gamba. – il capitano, a quelle parole di Bernard, si bloccò e lo guardò di sottecchi – Non che la cosa mi sorprenda, non è mai stata il massimo nel combattimento, ma si sa nascondere e sa nascondere i suoi malori. È solo per questo che è diventata quello che era.
Mentre all’esterno il sole di mezzogiorno era forte e picchiava duramente sulla testa, sotto il tendone del rimorchio c’era un’ombra piacevole che rendeva l’aria primaverile molto più fresca. Levi si sedette al posto libero vicino l’entrata, di fronte a lui Sasha che lanciava occhiate apprensive a Siri, che si era andata a sistemare per terra in fondo al carro, poggiando la testa sull’asse di legno alle sue spalle. Teneva il braccio del lato non infortunato disteso sul bordo e aveva lasciato andare la testa su di esso: non ci avrebbero messo molto ad arrivare, ma sperava di dormire, anche se solo per un quarto d’ora.
Ferita alla gamba… i pantaloni che indossava erano quelli bianchi della divisa, se si fosse ferita con un corpo contundente l’avrebbe notato perché aveva usato il dispositivo di manovra, senza contare la lunga scalinata: i punti non avrebbero retto. Per cui doveva trattarsi di una storta o una botta parecchio forte.
- Siri, chi è questo Bernard? – la spia spostò lo sguardo vacuo su di lui e fu allora che se ne accorse. I suoi occhi erano fin troppo stanchi, sembrava non essere lì con la mente.
Siri sospirò: - Un mio vecchio collega. Un’altra spia di Pyxis. Non eravamo molti, lui era il più bravo dopo di me. Come avete potuto notare non l’ho mai potuto digerire, non fidatevi di lui, è una serpe.
Il carro partì.
- Credi che Pyxis l’abbia mandato qui con un doppio fine? – gli occhi di Levi studiavano quelli della vice, che non si stava accorgendo assolutamente di nulla, tant’è che quando spostava lo sguardo da un’altra parte, il capitano aveva anche tutto il tempo di spostare lo sguardo sulle sue gambe, che, piegate di lato, la spia massaggiava con la mano impercettibilmente.
- Credo che Pyxis non lo sappia affatto. A quello stupido di Gustav sarà sfuggito, si può dire che sono più che amici… può anche aver spiato Pyxis stesso, non ne ho idea. Certo che è uno spreco di tempo davvero inutile solo per venire a sbattermi in faccia cose che io ho già fatto e realizzato come spia. Posso gestirlo se diventasse una seccatura, ha un debole per me a quanto pare, so che è da pazzi ma sarà venuto qui per questi motivi e nulla più. – sbadigliò e riportò lo sguardo su Levi che, ora se ne rese conto, la guardava fin troppo seriamente.
- Che è successo alle tue gambe? – per la spia fu come se un secchio d’acqua gelata le fosse stato rovesciato addosso. Tutti si voltarono a guardarla, aspettando una risposta.
Il capitano l’aveva capito dai suoi occhi, troppo stanchi per una semplice nottata in bianco, la spia ne doveva aver già passate altre in precedenza per spiare, per cui quella stanchezza che dimostrava era eccessiva. Realizzò che Bernard diceva la verità: Levi ipotizzò che dovesse aver preso una dose massiccia di analgesico e solo dopo essere arrivata in superficie aveva iniziato a subire il contraccolpo.
La ragazza deglutì, sostenendo a disagio lo sguardo di Levi. Nell’ombra del carro gli occhi scuri e in quel momento semichiusi sembravano due macchie nere.
- Allora?
- Te l’ha detto quell’impiccione? – Siri abbassò lo sguardo sulle gambe e sorrise – Alle gambe nulla. – spostò la mano sull’anca – Ho solo un bel livido.
- Siri!... – Sasha la guardava ricca di apprensione, ma anche il resto del gruppo era preoccupato. Se solo l’avesse fatto presente non le avrebbero fatto compiere tutti quelli sforzi.
- Quindi hai pensato-
- Ho pensato di non rallentarci. – concluse Siri al posto di Levi, a cui tornò in mente la sera in cui avevano parlato dell’analgesico.
 
Era una di quelle sere in cui stavano progettando la missione, la biblioteca era buia e si erano sistemati ad un tavolo dove avevano aperto mappe e documenti di vario genere. Regnava il buio attorno a loro, ma i loro visi erano illuminati dalla luce di due candele, una davanti a Siri e l’altra accanto a Levi, che si erano sistemati l’uno di fronte all’altra. La vice era appena tornata dalle cucine con una tazza di liquido fumante, il profumo era così forte da aver riempito la stanza. Quando ad un certo punto, Siri alzò lo sguardo dal suo quadernetto su Levi e gli chiese: - Quando ti ho dato l’analgesico la prima volta… come ti sei sentito?
Il capitano spostò gli occhi su di lei: - Come se non l’avessi preso, perché?
Siri contorse il labbro e sovrappensiero disse: - Come mi era parso di capire… ecco dopo aver assunto il mio analgesico ci si sente un po’ “spossati”, ma è perfettamente normale. Inibisce il sistema nervoso, tu invece… non sembravi per nulla annebbiato, credevo volessi solo non mostrarlo.
Levi osservò il viso di Siri illuminato dalla luce fioca della candela cercando di ricordare qualche dettaglio in più: - No, ricordo di non aver sentito molto l’ago, ma non era molto diverso dalle altre volte. – tornò a leggere i documenti.
- Capisco. – Siri poggiò il gomito sul tavolo e quindi la guancia sana sul pugno chiuso – Si potrebbe provare a somministrarti una dose maggiore, ma, sinceramente, non sarebbe raccomandabile.
Senza alzare la testa, l’altro la guardò: - Che intendi dire?
- Ecco… - Siri alzò gli occhi pensierosa – Un paio di volte in ospedale ho provato a dare una dose maggiore della solita, ma gli effetti sono un po’… controproducenti. Non senti nulla, funziona perfettamente, ma poi è come se si avesse una sorta di “rinculo”, come con i fucili.
Siri si grattò leggermente il cerotto: - Non dura moltissimo, ma la stanchezza è molto elevata, le funzioni cognitive sono ridotte di molto, e a volte i soldati con le ferite più gravi che ho curato per tanto tempo, venivano a chiedermene ancora, una volta finita la convalescenza. Ad ogni modo… non voglio annoiarti con queste cose.
In realtà Levi aveva trovato la cosa abbastanza interessante, innanzitutto perché su di lui il farmaco non aveva avuto effetto, e poi perché Siri parlava tanto, ma solo se glielo chiedevi, quindi non risultava logorroica. Da quando poi era nella sua squadra, rispondeva a qualsiasi domanda le rivolgesse, anche su informazioni che prima non gli avrebbe mai rivelato: un'altra dimostrazione di lealtà che Levi non diede per scontata.
 
- Tu andrai a palazzo con Mikasa ed Eren, io andrò con gli altri al quartier generale della gendarmeria. – disse Levi irremovibile spostando lo sguardo all’esterno, scostando leggermente il tendone.
- Ma non erano questi i piani! – Siri cercò di alzare di poco la voce, ma ciò che ne venne fuori era solo un’imitazione forzata, fu in questo momento in cui invece la squadra si rese conto delle reali condizioni della spia.
- Li ho appena cambiati. Sappiamo entrambi cosa hai fatto, e va bene così. Ma non ci saresti di alcun aiuto per decifrare il codice col cervello fritto che ti ritrovi adesso.
Inoltre sarete più al sicuro a palazzo.
Siri si passò la lingua sui denti nervosa, il carro si fermò e sentirono i passi ovattati di Bernard fare il giro del rimorchio. Levi aprì la tenda prima che lo facesse l’accompagnatore e in quel momento gli occhi del capitano, che in piedi sul rimorchio riusciva a sovrastarlo in altezza, incontrarono quelli del soldato-spia: i gelidi occhi grigi di Levi furono sufficienti a intimorire il ragazzo, che sentì una scossa di soggezione percorrergli la schiena.
- Sei proprio socievole come dicono tutti. – disse Bernard, osservando Levi scendere con un salto. Quest’ultimo lo ignorò e aspettò che il resto della squadra scendesse, gli ultimi a fare capolino dal rimorchio furono Mikasa ed Eren, il quale, appena sceso, si girò per aspettare che scendesse Siri.
La spia si era calata il cappuccio sulla testa, con una mano stava scostando la tenda del carro e con l’altra si era aggrappata al bordo del rimorchio: appena la vide, Bernard si avvicinò a lei con un sorriso languido e le porse la mano: - Ti prendo io.
Siri contorse le labbra con disgusto, con uno schiaffo allontanò il braccio e, sedendosi sul bordo, fece passare prima una gamba e poi l’altra oltre, poi con una spinta delle braccia si lasciò andare. Quando atterrò, una gamba cedette facendola cadere in avanti, ma Bernard fu su di lei, prima che Eren e Mikasa potessero farlo: le passò un braccio sotto il torace, l’altro sotto l’ascella, mentre, piegandosi su di lei, gli aveva avvicinato il viso al suo. Levi poté notare che le sussurrò qualcosa nell’orecchio, che evidentemente non fece molto piacere a Siri che lo spinse via con rabbia. Dopodiché Bernard guardò con la coda dell’occhio il capitano che, però, non solo non riuscì a capire la ragione del gesto, ma neanche per quale motivo lo infastidì.
- Aspettaci qua Bernard. Poi parlerò con Pyxis di questa tua pagliacciata. – disse Siri incamminandosi, seguita da Mikasa ed Eren. Poi rivolse un’occhiata veloce a Levi e disse: - Vorrei la chiave quando la trovate.
Con questa frase criptica Levi capì al volo che si riferiva alla chiave per decifrare il messaggio, perché ci tiene così tanto?
Anche il capitano s’incamminò ma dalla parte opposta, seguito dalla sua parte di squadra.
- Ci vediamo dopo Siri! – Siri guardò truce Bernard oltre la spalla e capì dal suo sguardo beffardo che l’avrebbe sicuramente seguita.
 
Ci era già stata due settimane prima, il giorno del processo, ma vedere le strade della capitale faceva ogni volta un certo effetto. Le larghe strade piastrellate con pietre grigie di alta qualità, dalla forma perfetta, erano circondate da un lato e dall’altro da edifici alti, dall’intonaco bianco e tetti con tegole rossicce: nulla di anche solo lontanamente simile ai palazzi ammuffiti della città sotterranea che avevano visto solo poco prima. I primi lampioni con la roccia luminosa dei giganti erano già stati montati per le strade ed erano stati decorati con dei preziosi vasi di piante dai fiori rosso scarlatto, che, notò Eren, erano quasi abbinati ai tetti delle case. Per non parlare delle persone che passeggiavano per strada: tutti ben vestiti coi migliori e più costosi tessuti, dall’aria fresca e distinta, i tre, appena usciti dai sotterranei, avevano un’aria rozza in confronto, la divisa militare mascherava un po’ l’aspetto leggermente trasandato, il viso martoriato di Siri però era troppo difficile da mascherare, per questo non abbassò il cappuccio per strada.
- Ci sta seguendo. – disse Mikasa all’orecchio di Siri che continuò a guardare davanti a sé.
Prevedibile. È meglio che segua noi, piuttosto che Levi e gli altri.
- Lasciate fare me. All’ingresso del castello non lo faranno comunque entrare, quindi tranquilli.
- Siri, sei il nostro superiore, per questo voglio chiederti il permesso di agire al posto tuo se dovesse fare qualcosa. – Mikasa fissava Siri aspettando il consenso.
- Potrei ordinarti di non farlo e lasciare che me la veda io con lui, ma, purtroppo, non sarei molto in grado in queste condizioni di difendervi. Ti ringrazio però per avermi chiesto il permesso. – Siri si guardò attorno – Cerchiamo solo di non ingaggiare uno scontro, d’altronde siamo a Mitras adesso, non più nella città dei criminali.
Siri virò a destra e poi subito a sinistra furtiva, seguita subito dai due che erano perfettamente al passo: si nascosero dietro un muro in attesa che lui facesse capolino nella via principale. Quando dalla strada in cui erano nascosti videro arrivare Bernard e guardarsi attorno, Siri uscì allo scoperto, gli si avvicinò e dandogli uno spintone sul braccio: - Sapevo già fossi stupido, ma anche i cani quando gli chiedi di aspettare in un punto lo fanno.
Bernard ghignò e con una mano fece per accarezzarle il capo, ma lei si scostò con uno scatto.
- Non sei il mio superiore, lucertolina, e nemmeno il soldato più forte dell’umanità. Lo sai che non riesco proprio a lasciarti sola.
- Non sono sola e non ho bisogno della tua compagnia. Te lo chiedo un’altra volta con le buone, torna al carro. – Eren e Mikasa alle sue spalle con lo sguardo minaccioso ne testimoniavano la veridicità.
- Sai che ti seguirò comunque, vero?
- Mz. – lo guardò annoiata – Non se ti porto in un vicolo e ti picchio fino a farti perdere coscienza.
- Con quella gamba lo dubito fortemente.
- Sottovaluti troppo i miei compagni di squadra.
Bernard rise, poi si chinò su di lei: - Va bene, avanti, fallo. Ordina ai tuoi sottoposti di mettermi fuori gioco, ma non aspetterò che mi portiate in un vicolo, e prima che possiate rendervene conto avrete la gendarmeria addosso.
In un lampo prese una fiaschetta da sotto la sua giacca, l’aprì di scatto e ne rovesciò il contenuto sulla maglia di Siri che non ebbe la prontezza di spostarsi, assuefatta dal farmaco com’era, solo troppo tardi Mikasa la spinse indietro, frapponendosi tra i due.
- Dimmi Siri, cosa ne pensano i tuoi nuovi capi riguardo il bere in servizio? – Siri strabuzzò gli occhi furiosa: le aveva rovesciato addosso dell’alcol. Prese dalla tasca il fazzoletto che le aveva dato Levi e iniziò a tamponarlo, cercando di non farlo assorbire troppo, ma ormai era troppo tardi. Puzzava di alcol.
Brutto figlio di… – Siri ringhiò, poi rimise il fazzoletto in tasca e si voltò, incamminandosi verso il palazzo – Si può sapere che vuoi?
Bernard fu subito dietro di loro: - Volevo solo vederti. E sapere su cosa stai lavorando.
- Certo, adesso ci prendiamo un bel tè a palazzo e ti racconto tutto per filo e per segno.
- Ora ti ho messo con le spalle al muro, se provi a bloccarmi all’ingresso farò notare che hai bevuto. Non credo che le guardie facciano entrare un soldato ubriaco a palazzo, con tutto l’analgesico che hai preso e la tua andatura ciondolante ci sono tutte le prove che servono.
Maledizione. Aveva perfettamente ragione purtroppo. Anche se le guardie avevano il suo nome nei registri, se avessero avuto dei dubbi su di lei non le avrebbero permesso di entrare comunque.
Quando furono all’ingresso del castello, Siri si annunciò come il medico della regina e lasciarono passare tutti e quattro senza fare troppe domande, il nome di Siri fu una garanzia sufficiente: alla domanda di Eren su come mai l’avessero trattata come di casa, la spia gli intimò con gli occhi di star zitto, anche se ormai il dubbio si era affacciato anche nella mente di Bernard, che, però, continuò a seguirli in silenzio.
 
Levi si mise una mano sulla fronte e la fece scivolare nei capelli frustrato. Quello avrebbe dovuto essere l’ufficio della gendarmeria centrale, ovvero il più efficiente e all’avanguardia dell’esercito. E invece erano lì da più di un quarto d’ora a cercare di spiegare cosa stessero cercando di fare. Alla fine, il capitano aveva lasciato parlare Armin con la soldatessa di servizio, perché “di usare la diplomazia con quell’emerita idiota non mi va più”.
- … È un codice che è stato usato dalla gendarmeria, almeno fino all’834, ci serve sapere come decifrarlo per questioni di vitale importanza per il corpo di ricerca!
La ragazza guardava Armin con gli occhi vacui: - Ma io non ho mai sentito parlare di un codice simile.
Armin era sconsolato: - Per questo vorremmo il permesso di accedere agli archivi!
La ragazza si grattò il capo: - Ma non avete il permesso per fare una cosa del genere…
Jean si lasciò andare all’indietro: - Argh, siamo di nuovo al punto di partenza…
- Lo stiamo chiedendo a te! – Armin era sul punto di piangere. Ad un certo punto però, finalmente, la ragazza disse quello che da tutto quel tempo non era stata in grado di dire con “chiarezza”: - Ma io non ho il permesso di darvi il… permesso.
Levi voltò il capo di scatto verso di lei: - Ma se te lo desse un tuo superiore? Potresti farlo?
La ragazza guardò il soffitto pensierosa: - Mmh… credo… di sì.
- Bene. Fa venire qui il capitano Nile Dok.
- Ma il capitano al momento…
- Digli che l’ha richiesto il comandante Erwin Smith. 
Ma la ragazza non sembrava ancora del tutto convinta: - Ma non ho alcuna garanzia che… - non finì mai quella frase perché Levi l’afferrò per la maglia e a pochi centimetri dal viso le disse: - Hai la garanzia che se torni qui senza il capitano Nile Dok, da domani farò in modo che tu finisca a pulire i cessi della città sotterranea, oltre che rivelare qualsiasi cosa tu voglia tenere nascosta, anche di quando ti sei pisciata addosso a cinque anni.
Avere Siri a disposizione aveva i suoi vantaggi, se la soldatessa babbea non avesse fatto come le aveva chiesto, l’avrebbe sguinzagliata sul serio. Non era sicuro di averla ricattata in maniera efficace come avrebbe fatto la sua vice, ma il suo potere intimidatorio non era certo da sottovalutare e, difatti, funzionò ugualmente. In meno di cinque minuti, la ragazzina fu di nuovo da loro seguita da Nile Dok, con due soldati armati alle sue spalle, che non appena vide Levi, da preoccupato che era, assunse un’espressione adirata: - Capitano Levi, che ci fai qui? Devo chiederti gentilmente di non minacciare i miei soldati. – il capitano della gendarmeria fece cenno ai soldati armati di andare via.
- Perdonami Nile, ma abbiamo urgente bisogno di accedere agli archivi.
Nile corrugò le sopracciglia: - Ma Lydia poteva farvi entrare senza che lo facessi io.
Armin e gli altri guardarono la soldatessa con gli occhi spalancati: - CHE?!
Levi, che aveva mantenuto il suo solito contegno, si avvicinò a Nile dopo che quest’ultimo gli chiese a cosa servissero loro gli archivi del corpo di gendarmeria: - Parlando di questo, se potessi aiutarci tu direttamente a trovare quello che cerchiamo, ci faresti risparmiare una perdita di tempo inutile. – tirò fuori il documento cifrato – Dobbiamo decifrare questo messaggio che la gendarmeria ha scritto nell’834 a Kenny Ackerman.
Nile prese il foglio e gli diede una rapida occhiata: - Beh sì, è un vecchio codice che abbiamo usato fino all’840, poi l’abbiamo cambiato. Non lo ricordo molto bene, è passato molto tempo, altrimenti ve lo avrei decifrato seduta stante. Seguitemi.
Il capitano li fece passare oltre il bancone e li portò negli archivi, che si rivelarono essere una stanza molto ampia attraversata da una serie di librerie che creavano dei piccoli corridoi al suo interno. Delle grosse finestre sulla parete di fronte l’entrata garantivano la luce nella stanza e ai tavoli posizionati sotto di esse. Nile fece un cenno al guardiano seduto dietro un bancone all’entrata, poi superò alcuni scaffali, e iniziò a frugare da uno scaffale segnato con un foglietto giallo.
Dovrebbe essere qui… eccolo. – tirò fuori un plico di documenti tenuto in una cartelletta rigida. Guidò la squadra di Levi ad uno dei tavoli: - Se per voi va bene posso decifrarlo io per voi, ci metterei meno tempo per entrare nella logica del codice.
- Ci faresti un enorme favore Nile. Il resto della mia squadra è già a palazzo, e abbiamo un tizio alle calcagna di cui non mi fido. – Levi si sistemò di fronte a Nile, Armin con lui, mentre Jean, Connie e Sasha si sedettero al tavolo di fronte, ad ascoltare in silenzio.
Nile aprì il plico e prese una penna: - Un tizio dici? E chi? Un criminale o una spia? – abbassò poi lo sguardo sui fogli, facendolo scivolare prima sul plico e poi sul documento di Levi, scrivendo al di sotto delle lettere man mano che le decifrava.
- È una spia. So solo che la nostra di spia non si fida di lui. Sono abbastanza sicuro che li abbia seguiti, ma fortunatamente la mia vice non è una totale sprovveduta come i soldati che avete qui.
Nile lo guardò severo: - I nostri soldati sono i migliori del corpo cadetti, ti ricordo.
- Se sono tutti come quell’idiota all’ingresso, dovreste rivedere i vostri standard. – rispose piatto Levi, Nile non ebbe nulla da ridire e sospirò, tornando sul documento.
- Ad ogni modo, cosa vi ha mandato a cercare Erwin? – disse Nile continuando a scrivere.
- Non credo di poterti dare tutti i dettagli, ma Erwin si fida di te e stai traducendo quella roba per noi, tanto vale. Ti basti sapere che a palazzo c’è una specie di tappeto che mi appartiene. Un’eredità di famiglia.
- Questo lo sto leggendo, effettivamente… Mmh… – la faccia di Nile si fece più concentrata, Levi e Armin si sporsero leggermente per vedere cosa stesse scrivendo.
- Beh, questo tappeto di cui parli dev’essere parecchio prezioso perch… – Nile si bloccò improvvisamente, guardando scioccato i fogli.
Levi lo guardò perplesso: - Che succede? Cosa c’è scritto?
Nile fece scorrere velocemente i fogli e tradusse il resto del messaggio con una foga esagerata, il capitano del corpo di ricerca capì che c’era qualcosa che non andava.
- Levi… – Nile aveva finito di decifrare il messaggio e ora fissava il documento con orrore tra le mani – Sei sicuro sia autentico?
L’ansia di Levi a quelle parole crebbe: - Sì. Era tra i documenti di Kenny, è siglato anche dal corpo di gendarmeria, come tutti gli altri. Si può sapere che cazzo sta succedendo Nile?
L’altro spostò lo sguardo terrorizzato su Levi: - Hai detto che il resto della tua squadra è già lì, lo stanno cercando?
- Ci siamo separati circa una mezz’ora fa, saranno sicuramente già lì a cercarlo nel castello.
Nile si alzò di scatto dal tavolo: - DOBBIAMO CORRERE A PALAZZO! IL NASCONDIGLIO È PROTETTO DA UN MECCANISMO ESPLOSIVO!
In un attimo la squadra spalancò le bocce con sgomento. In qualsiasi momento i loro amici sarebbero potuti esplodere in mille pezzi.

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 - Qualcuno pronto ad esplodere ***


Capitolo 15 – Qualcuno pronto ad esplodere

 
Se Siri non avesse preso quella dose esagerata di analgesico i piani sarebbero stati diversi, ma nessuno avrebbe potuto evitare un’eventuale esplosione all’interno del palazzo reale. Se Siri fosse stata nel pieno delle sue facoltà, avrebbe chiesto subito ad Historia ed Eren di toccarsi per scovare nella memoria di Uri un ricordo, ma era troppo concentrata sul dolore che dall’anca s’irradiava in tutto il corpo per pensare a qualcosa di più efficacie di una semplice caccia al tesoro nell’immensità del palazzo.
Ma prima che si arrivasse a quel momento, il valletto di corte li stava conducendo da Historia e non c’era spazio nella sua mente per pensarci, occupata com’era anche a pensare a come farla pagare a Bernard che, a sua volta, non poteva sapere che in quelle due settimane Siri aveva stretto un buon rapporto con l’attuale regina, che aveva ben presente con che riguardo l’aveva trattata durante la guarigione dalla sua storta. Nei giorni seguenti all’incoronazione, infatti, Siri era andata a trovare Historia regolarmente per visitarla e le aveva anche offerto i suoi servigi, oltre che la sua cieca fedeltà alla corona: questa aveva così tanto apprezzato il gesto, che le aveva promesso di ricambiare in qualsiasi modo desiderasse il favore.
Ma non servì ripagarlo direttamente in quel momento.
Il valletto uscì dalla stanza dopo averli annunciati e spalancò la porta, facendo cenno al quartetto di accomodarsi all’interno.
- Sua maestà, Historia Reiss. – una volta entrati i soldati, il valletto uscì, chiudendo la porta dietro di sé.
Siri e gli altri tre s’inchinarono. La regina era in studio in abiti informali, nelle luci del primo pomeriggio stava esaminando uno dei tanti documenti sul raccolto e aspetti burocratici che, da quando aveva iniziato a ricoprire quel ruolo, riempivano le sue giornate.
- Rag… Benvenuti a palazzo. – Historia era molto felice di vederli, alleggeriva il peso che sentiva gravarle sulle spalle, tuttavia non si sbottonò più di tanto perché notò alle spalle di Siri un soldato del corpo di guarnigione mai visto prima, infatti, dopo aver chiesto ai presenti di terminare l’inchino, si riferì direttamente al soldato – Chi… è il soldato della guarnigione che è con voi?
Siri non aspettò che Bernard avesse la possibilità di parlare: - Ecco Historia, a proposito di questo qui, non è che potresti cacciarlo via a pedate? – la spia si voltò a guardarlo per godersi l’espressione incredula di Bernard – Non è con noi.
Come aveva previsto, lui tentò di contestare, ma quello che ne risultò fu solo un’accusa contro Siri che, ad Historia, sentendola ad alta voce, risultò soltanto ridicola. La regina lo guardò confusa.
- Come? – si avvicinò al gruppo e annusò l’aria – Sì, hai ragione. Effettivamente Siri puzzi e sei… Ecco, sei stata meglio.
Historia fece un cenno alle guardie alla porta: - Portatelo via, assicuratevi che esca dal castello e non ci rientri.
Siri si voltò verso Bernard e glaciale gli disse: - Come vedi, sono sempre un passo avanti a te. – sorrise, malefica – Ci si vede Bernard!
Il ragazzo non ebbe la forza di controbattere, guardava Siri con rabbia e incredulità, ma prima di essere trascinato fuori accettò con un sorrisetto la sconfitta. Tuttavia non sarebbe finita lì. Non oppose resistenza e poco prima che uscisse, Siri riuscì a sentirlo dire: - Ci si vede lucertolina.
Il viso della spia si contrasse in un’espressione disgustata.
- Prego ragazzi! Sedetevi, non sapete come mi rendete felice con le vostre visite! – Historia indicò loro dei posti a sedere – Siri posso far portare qualcosa per te? Sembra tu stia male…
Siri si sedette pesantemente accanto a lei: - No grazie Historia, siamo di ritorno da una missione nella città sotterranea e ho preso una semplice botta.
La ragazza la guardò apprensiva: - È arrivato da pochi giorni il medico di corte che mi hai indicato tu, se cambi idea…
Siri alzò lo sguardo come se ciò che le aveva detto l’avesse colpita particolarmente, poi lo riabbassò cercando di far finta di nulla: - Ah… bene… Comunque non preoccuparti, non è niente di che.
Eren e Mikasa le guardarono confusi dall’evidente complicità tra le due che avevano potuto appurare in quei pochi minuti.
- Scusate ma… sembra abbiate passato del tempo assieme, ci siamo persi qualcosa? – chiese Eren.
Siri sospirò stancamente: - Ho una vita al di fuori del lavoro da soldato col corpo di ricerca.
Historia stirò le labbra, quasi a scusare le parole troppo pungenti della spia: - Dovete sapere che Siri in queste settimane è venuta spesso a trovarmi, innanzitutto per la mia storta, e poi si è assicurata che tutto procedesse correttamente nel mio insediamento. Mi ha messa anche al corrente di molte dinamiche nobiliari, e di molte altre informazioni riservate.
I due amici guardarono quindi incuriositi Siri: - Capisco… - disse Eren.
- Allora, a cosa devo la vostra visita? – Historia guardava sorridente i suoi ospiti, poi chiese ad un maggiordomo di far preparare del tè.
- Historia… abbiamo bisogno di perlustrare il castello. – rispose Eren serio.
Mikasa guardò Siri di sottecchi: si aspettava che ricordasse all’amico di toccare Historia, ma in quel momento la testa della spia era in un vortice, e non solo per l’effetto avverso dell’analgesico, ma anche per tanti altri pensieri che affollavano la sua mente, uno sull’altro le rendevano difficile vedere chiaramente l’obiettivo. 
Originariamente il piano era leggermente diverso: mentre Siri e il resto della squadra sarebbero andati al quartier generale della gendarmeria per decifrare il codice, Levi sarebbe andato con Eren a palazzo, a quel punto avrebbe fatto toccare quest’ultimo e la regina, sperando di ottenere le informazioni desiderate. In un modo o nell’altro sarebbero riusciti a trovare il più velocemente possibile l’arazzo. Ma Siri era stata colpita nel magazzino e aveva dovuto prendere una dose di analgesico troppo grande, Bernard aveva deciso di fare una visita di piacere, solo per lui, al suo amore non corrisposto e poi… il medico di corte era lì. E, come se non bastasse, nonostante l’analgesico, i ricordi del passato stavano facendo capolino, la sua mente affamata d’informazioni stava brontolando avidamente.
Levi, cambiando il piano, aveva fatto affidamento sui suoi soldati, ma non si era abbastanza immedesimato in loro: dopotutto c’erano così tante cose a cui pensare, che cercare di capire i motivi che spingono un adolescente a sabotare una parte della missione, esclusivamente per gelosia, era davvero oltre ogni logica. Il pensiero che Eren e Historia potessero toccarsi e condividere qualcosa di anche solo vagamente intimo tra loro, era una cosa che Mikasa non riusciva ad accettare. Per cui approfittò della dimenticanza di Eren, preso più dal pensiero che Siri aveva intenzione di sintetizzare qualcosa che lo facesse guarire più in fretta, e del cervello momentaneamente fritto del superiore.
Ad ogni modo il capitano Levi sarà qui a momenti con la giusta collocazione, si tratta solo di aspettare. È un’innocente dimenticanza, non ucciderà mica nessuno.
Mikasa osservò Siri strofinarsi i polpastrelli sulla fronte, per richiamare a sé la concentrazione, poi strizzarsi gli occhi e dire: - Sì, ecco… Historia, è nascosto nel castello un cimelio della famiglia Ackerman, non abbiamo idea di dove sia, stiamo aspettando che Levi arrivi con la collocazione precisa. – Siri aprì gli occhi stanchi – Nel frattempo sarebbe opportuno che lo cercassimo… ci daresti il permesso?
Historia che aveva ascoltato con attenzione annuì con vigore: - Certo! Vi aiuterò, anche se… - l’espressione eccitata mutò in una un po’ più sconsolata – il palazzo è immenso, ancora non conosco bene tutti i posti, anzi, diciamo pure che non lo conosco affatto!
- Non c’è problema Historia, Levi sarà comunque qui a momenti.
Ecco infatti, sarà qui a momenti.
Si alzarono dal tavolo e si divisero, Siri ed Eren avrebbero controllato l’ala destra del castello, Mikasa e Historia quella sinistra, ciascuna coppia accompagnata da una guardia. Mikasa fu colta dal dubbio che il capitano e la vice si fossero messi di comune accordo per tenerla separata da Eren, o forse è una punizione divina per essermi approfittata dello stato mentale di Siri
 
- Iniziamo da questa stanza?
Siri si stava guardando intorno con circospezione, sentì a malapena le parole di Eren, le elaborò qualche secondo più tardi.
- Come? Oh sì, entriamo.
Entrarono in un enorme salone da ballo: il pavimento in marmo sormontato da alte pareti, ricoperte da stendardi e ornamenti in tessuto rosso e dorato, di fronte all’entrata alte e strette vetrate ad arcate a tutto sesto, sul soffitto invece si apriva una cupola in vetro, dalla cui circonferenza si irradiavano raggi di tessuto in broccato che cadevano morbidamente verso il basso.
Eren guardava a bocca aperta, colpito da tutto quello sfarzo, Siri invece ne era quasi disgustata. Se solo Historia non fosse quello che era e non stesse aiutando le classi meno abbienti, avrebbe dato volentieri fuoco a quel posto.
- Una robetta niente male, vero Eren? – il ragazzino annuì ancora in totale ammirazione – Andiamo. – disse, dirigendosi all’entrata.
- Aspetta, ma magari è proprio quello che hanno voluto farci pensare! – disse Eren seguendo il superiore nel corridoio.
- Certo, e dove lo nascondono? Nel pavimento? Bella idea. Ma vorrei proprio vederti, senza usare i poteri da gigante, provare a sollevare anche solo uno dei pezzi di marmo che compongono il disegno del pavimento. – lasciarono aperta la porta della sala per ricordarsi di averla già vista, anche se sarebbe stato difficile non ricordarselo – Senza parlare del danno estetico che causerebbe ad una sala così bella, in cui, si suppone, vengano ospiti di alto rango.
- Va bene, ho capito. – disse Eren annoiato.
- No, aspetta, posso continuare e darti altre ragioni. – Siri vide la faccia annoiata di Eren che, resosi conto che la spia se n’era accorta, cercò di fare finta di nulla in imbarazzo. La spia rise e gli scompigliò i capelli. Superarono altre sale che si rivelarono essere stanze per gli ospiti, altre sale da ballo più piccole, una biblioteca ripiena per lo più di libri burocratici e agricoli. Ad un certo punto Siri dovette usare la spalla di Eren come bastone, perché quest’ultimo, resosi conto che aveva iniziato a zoppicare, non voleva si stancasse eccessivamente e prendesse altro analgesico.
- Siri hai l’affanno, fermiamoci un attimo. – la guardia che li accompagnava prese una sedia da una stanza e fece sedere la ragazza nel corridoio.
Siri sbuffò e gettò la testa all’indietro: - Questo palazzo è troppo grande, dovrebbero demolirne una parte. – la guardia la guardò male – Scherzo… - poi guardò Eren e, senza farsi vedere dall’altro accompagnatore, roteò gli occhi.
- Cosa c’è dopo queste sale che abbiamo appena visto?
- L’infermeria. – Siri alle parole della guardia ebbe un sussulto – Poi altre sale che usiamo per lo più da magazzino.
- Ottima notizia. – si grattò distrattamente la testa. Ormai l’effetto di “rinculo” dell’analgesico era quasi finito, guardò l’orologio: erano passati a malapena venti minuti da quando avevano iniziato il giro. Improvvisamente gli tornò in mente quel piccolo, enorme dettaglio che fino ad allora le era sfuggito: s’impietrì sul posto, le pupille si ridussero a due spilli e un piccolo brivido le pizzicò la nuca.
- Eren. – alzò piano la testa e lo guardò – Siamo degli idioti.
Il ragazzino la guardò interrogativo. Poi nei suoi occhi lesse il pensiero che la spia aveva avuto e batté una mano sulla fronte.
- Io avevo il cervello bruciato, ma almeno te e Mikasa potevate pensarci! Dovevamo almeno provare a farti toccare Historia! – Siri poggiò un gomito sulla coscia e fece scivolare sulla mano la testa, afferrandosi poi il capo.
- Detto così non suona molto bene… – Eren si grattò la nuca imbarazzato.
Siri si alzò di scatto: - Un enorme perdita di tempo, ecco cos’è questo giro nei fasti e splendori della corona, come se non ne avessi abbastanza delle nobili cazz… – il suo sguardo venne catturato da una capigliatura rossiccia alle spalle di Eren, che scomparve in infermeria. Rimase pietrificata sul posto, lo stomaco le si chiuse in una stretta dolorosa.
- Cosa hai visto? – Eren si voltò a guardare nella sua stessa direzione, l’uomo era già entrato, per cui riuscì a distinguere solo un pezzo di tessuto bianco svolazzante entrare nella stanza.
- Aspetta Siri, riposa ancora un po’! – Eren seguì Siri che, con una faccia che non le aveva mai visto, si stava dirigendo verso l’infermeria.
Finalmente accetta di farsi curare. 
 
Contrariamente a quanto si possa pensare, il quartier generale della polizia centrale si trovava alle porte della città, quindi abbastanza distante dal palazzo reale, che invece costituiva l’epicentro di quel posto così densamente popolato. Quindi, oltre a dover percorrere una buona distanza, Nile, Levi e la sua squadra dovettero farlo anche a piedi, poiché c’erano troppe persone nelle strade a quell’ora di punta per usare i cavalli e il movimento tridimensionale nella capitale poteva essere usato solo in casi eccezionali. Inutile dire che questo non fece altro che aumentare l’ansia, già alle stelle, di tutto il gruppo. Levi era sicuro di sentire un’esplosione da un momento all’altro, Nile pensava sconsolato al prossimo segreto della gendarmeria di cui sarebbe venuto a conoscenza, mentre gli altri pregavano soltanto di trovare i loro amici tutti interi al loro arrivo.
- Nile Dok, dobbiamo entrare a palazzo con urgenza. 
- Nile, cavolo, calma, sembra tu abbia visto un gigante! – le guardie all’ingresso risero della battuta del loro collega che, vedendo il corpo di ricerca al seguito del suo comandante, non si era lasciato sfuggire l’occasione di farla. Tuttavia, visto che il comandante della gendarmeria rimase imperturbabile, smisero di ridere colpiti da una strana epidemia di tosse generale. Li fecero passare tutti in evidente imbarazzo.
- Quindi, ricapitolando: l’arazzo è nascosto nell’ala sinistra del castello, in un cassetto nel muro della stanza da letto del re. Se quindi, per caso, il re avesse mai per sbaglio scoperto il nascondiglio, il suo culo sarebbe saltato in aria, e altre vite con lui. – disse Levi – E poi siamo sempre stati noi ad essere gli idioti per fare le spedizioni all’esterno delle mura.
Il gruppo proseguiva a passo spedito lungo il percorso in ghiaia che portava alle porte del castello: non volevano allarmare le guardie e causare del panico all’esterno, Nile era ben consapevole che dovevano raggiungere quanto prima il gruppo di Levi e Historia all’interno, non c’era tempo di spiegare la situazione anche alle altre guardie.
- Levi, per favore. – Nile, che guidava il gruppo, lo fulminò con lo sguardo.
- Spero solo che il contatto tra Historia ed Eren abbia risvegliato qualcosa e che abbiano saputo disinnescare da soli il meccanismo.
Quando entrarono nel castello, percorsero ad ampie falcate la scalinata principale e si trovarono sul pianerottolo antistante l’ingresso, da cui partivano poi le rampe di scale destra e sinistra. Qui trovarono Siri, che indossava una maglia diversa da quella che aveva e che imbracciava una stampella. Questa tenendosi con un braccio sulla spalla di Eren, scendeva la scalinata destra: i due si fermarono a metà, notando il resto della squadra, che appariva stranamente trafelata.
- L’inutile Siri a rapporto, boss. Ma che avete? Siete pallidi, qui l’infortunata sono io, voglio ricordarlo.
- È lei la spia? – disse Nile a Levi, che annuì, subito prima di distogliere lo sguardo da lui a disagio per spostarlo quindi sulla sua soldatessa molesta.
- Siri, dove sono Mikasa e Historia? Se non ci sbrighiamo questo posto potrebbe saltare in aria per quanto ne sappiamo.
Eren e Siri ripresero la discesa, la ragazza corrucciò le sopracciglia: - Sei sempre così paranoico. Noi abbiamo perlustrato l’area destra, le ragazzine quella sinistra. – la calma che aveva però scomparì quando Nile sbiancò in viso e guardò Levi che apparve altrettanto preoccupato.
- Capitano, che succede? – chiese Eren ansioso, ma il superiore si era già precipitato per la scalinata sinistra al seguito di Nile. Il resto della squadra fece per seguirli ma Levi intimò loro di rimanere lì.
- Siri, rimani qui con la squadra, ce ne occupiamo io e Nile.
Siri sgranò gli occhi ancora sulla scalinata di fronte e quando elaborò le sue parole, si sporse in avanti: - CHE?! No, scordatelo. – perse l’equilibrio cadendo in avanti, ma Eren fece in tempo a tenerla e non farla cadere. Levi e Nile scomparvero oltre il corridoio dell’ala sinistra, facendo emettere a Siri un gemito di frustrazione.
Diversamente da quanto potessero immaginare, riuscirono a trovare subito le due ragazze: queste stavano diligentemente perlustrando ogni stanza, a differenza di Siri ed Eren che avevano investito pochissimo tempo in parecchie stanze ed erano passati, dopo una pausa in infermeria, direttamente alle stanze-magazzino. La guardia che accompagnava le due ragazze li guardò con sospetto, poi riconoscendo Nile rilassò la presa sull’arma. 
I due soldati fecero appena in tempo, infatti la regina e l’amica stavano per entrare negli alloggi notturni di Historia: quest’ultima rimase di ghiaccio quando scoprì dal comandante della gendarmeria che aveva dormito per due settimane in una stanza pronta ad esplodere da un momento all’altro.
- Sua maestà, la prego di tornare verso l’ala destra del castello con la soldatessa, io e il capitano Levi ci occuperemo di rimuoverlo. – la regina, che ancora doveva abituarsi al fatto che militari di rango superiore al suo, molto più anziani di lei, la trattassero con deferenza, si fece accompagnare senza troppe remore da Mikasa dove si trovavano gli altri. Nile e il capitano del corpo di ricerca aspettarono che fosse abbastanza lontana per entrare nei suoi alloggi, che erano esattamente come ci si aspetterebbe: estremamente sfarzosi ed enormi. La stessa Historia non sapeva che farsene di tutto quello spazio, di tutti quei vestiti e di un letto così grande.
I due iniziarono a picchiettare sui muri bianchi con ornamenti dorati, uno da un lato, l’altro dall’altro, alla ricerca del doppio fondo. Finalmente, dopo qualche minuto passato a bussare, Levi trovò il punto esatto: quando picchiettò sulla parete e sentì un rumore sordo, guardò Nile che, con un groppo in gola, lo fissò per un momento a sua volta prima di dirigersi verso di lui.
 
- Siri non preoccuparti, le istruzioni erano molto precise, non c’è alcuna possibilità che possano sbagliare e attivare l’ordigno! – Armin le stava sfregando una mano sulla spalla, visto che Siri sembrava parecchio nervosa. Era seduta con gli altri sulla scalinata di fronte l’ingresso e giocherellava con le dita delle mani, tamburellando freneticamente un piede su un gradino.
- Per quanto mi riguarda possono esplodere entrambi. – disse Siri rabbiosamente – Volevo vedere l’arazzo con loro. 
Armin la guardò desolato: era convinto fosse preoccupata per il capitano, invece, esattamente come quando avevano scoperto il diario di Kenny, ciò che l’animava era semplicemente la sua curiosità morbosa. O forse non vuole ammettere di essere preoccupata. Un pensiero nobile, probabilmente, per non far agitare i suoi sottoposti. Ma chi poteva sapere cosa frullasse nella sua mente.
- Suvvia Siri, non essere così cinica! – Historia era desolata quanto Armin.
- Avrei potuto scoprirlo prima io se solo… – le si illuminarono gli occhi e guardò Eren – Tocca Historia.
Il ragazzo metabolizzò la richiesta, poi si alzò e si diresse verso la regina che sembrava ancora non capire bene, mentre Mikasa, al movimento di Eren, sussultò: - Siri, non ne vedo l’utilità. Ormai il capitano sarà qui tra poco con l’arazzo. – il ragazzo a quelle parole si bloccò e ora guardava Siri in attesa di istruzioni.
La spia alzò le spalle: - Non vedo perché non farlo lo stesso, potrebbe essere utile.
- Potrebbe essere controproducente. Potrebbero avere un’allucinazione, o un collasso. – ora Mikasa stava palesemente esagerando. Il suo sguardo era fisso su Siri, ma sapeva che non l’avrebbe assecondata, ce l’aveva fatta una volta, adesso il suo superiore sembrava aver riacquistato le sue facoltà mentali, per cui plagiarla doveva essere di nuovo praticamente impossibile. Inoltre, da quello che avevano raccontato lei ed Eren, era stata in infermeria e un medico l’aveva visitata; infatti, sembrava stare visibilmente meglio, a giudicare dal suo colorito.
Siri si alzò facendo peso sul lato non infortunato: - Fammi capire, col sangue Ackerman ereditate anche la paranoia? Avanti Eren.
Mikasa guardò col fiato sospeso Eren avvicinarsi con cautela ad Historia, che però era ancora confusa e si ritrasse: - Aspettate, non capisco, Siri che sign…
Eren aveva teso una mano verso la regina, quando sentirono dei passi provenire dalla rampa di scale sinistra: l’intero gruppo si voltò di scatto verso il rumore, in quella direzione, dall’alto, Nile e Levi comparvero all’orizzonte. Siri, che, Armin notò, apparì sollevata, avanzò verso di loro aiutandosi con la stampella, totalmente dimentica di quello che stava succedendo qualche attimo prima, gli occhi che non riuscivano a nascondere bene l’agitazione: - Allora?! – li abbassò poi sulle loro braccia e la sua espressione divenne delusa, vedendole vuote – … Dov’è?
I due soldati scesero le scale, Nile aveva recuperato il suo decoro: - Sua maestà, l’ordigno è stato neutralizzato e rimosso, la sua incolumità non è più in pericolo.
Lo sguardo di Siri passava spaesato da Nile a Levi, che attese che l’altro finisse di parlare.
- La squadra di Levi ha terminato la sua missione qui a palazzo.
- Levi? – la spia lo guardava sconcertata, il resto della squadra accerchiò i due – Che significa?
- L’arazzo non era più lì. È stato spostato o molto più probabilmente rubato, – a quelle parole Siri tornò alle scale e si accasciò sui gradini – andremo al quartier generale della gendarmeria per controllare eventuali movimenti.
La spia si era presa la testa fra le mani, non voleva crederci. Historia salutò i suoi vecchi compagni e venne quasi trascinata via da Nile e le altre guardie: il comandante della gendarmeria aveva bisogno di riorganizzarle, e dopo quella défaillance nella sicurezza della regina non voleva perderla d’occhio, lasciarla poi con lo spericolato corpo di ricerca era fuori discussione. Sasha si sedette accanto a Siri e le offrì uno dei suoi crackers: - Signorina Siri lo troveremo sicuramente.
- Non troveremo assolutamente nulla. – rispose secca.
- Siri hai ragione a credere che potrebbe essere stato già distrutto, ma vale almeno la pena di tentare. – detto ciò, Levi iniziò a scendere le scale dell’ingresso seguito dagli altri. Sasha aiutò Siri a fare altrettanto.
- Siri, lo troveremo, non preoccuparti! – Sasha cercò di tirare su il morale della spia che la guardò e le sorrise con gratitudine.
- Credo che ora un buon punto di partenza sia cercare di capire chi l’ha rubato… - disse Armin sovrappensiero.
Oltrepassarono le immense porte dell’ingresso, stavano ripercorrendo adesso il percorso di ghiaia. Le parole di Armin avevano lasciato Siri e Levi in un silenzio riflessivo che si era ripercosso poi anche sugli altri. La spia non sarebbe tornata a mani totalmente vuote da Erwin, nemmeno con una disfatta, dopotutto avevano trovato il diario di Kenny. Lasciare le cose a metà era, da sempre, una cosa a cui era abituata ma che la lasciava, inevitabilmente, in uno stato angoscioso.
Jean sbuffò, il peso della sconfitta, seppur parziale, lo infastidì: - Ma è assurdo, era negli alloggi reali, qualcuno si sarà accorto di qualcosa!
- Jean, il governo era corrotto, poteva entrarci chiunque fosse a conoscenza dei fatti, – disse Siri, suonava afflitta – prendere quello che voleva e nessuno avrebbe fatto rapporto. Per questo penso sia inutile andare al quartier generale.
Però c’era qualcosa che non andava. Siri sentiva dentro di sé un pizzicore, come se qualcosa stesse cercando di tornare a galla dai recessi della sua memoria. Sentiva che in tutta questa storia c’era una cosa che le era sfuggita, un’incognita che non aveva considerato. Il rumore della pancia di Sasha che brontolò rumorosamente la riportò alla realtà, ma le conversazioni tra i suoi compagni le arrivavano come in sottofondo.
- Sasha, diamine, mangia qualcosa. – la sgridò Connie.
- Mi daresti uno dei tuoi crackers?
- Hai sul serio finito i tuoi?
- Ehm… - disse Sasha tossicchiando.
- Sasha! Ti avevo detto di non mangiarli tutti in una volta!
- NON L’HO FATTO! – alzò la voce Sasha di rimando – È che ogni volta…
Siri si fermò e spalancò gli occhi. La frase di Sasha l’aveva colpita in pieno come un fulmine. Sasha e Connie si girarono a guardarla, dato che era rimasta indietro.
- Siri? Tutto bene? Ti fa troppo male per camminare ancora? – a queste parole di Sasha anche il resto del gruppo si fermò e la osservò in attesa.
Il giorno del processo, quel reverendo del credo delle mura. Il suo grido.
- Siri se vuoi posso portarti sulle spalle! – le propose Connie. Lo sguardo interrogativo della squadra virò al turbato quando Siri iniziò a ridere, le spalle che sussultavano ad ogni sghignazzata. Siri si passò una mano su un lato del viso per poi premerla sulla fronte: - So dove si trova l’arazzo.
 
Alla fine fu Mikasa a caricare Siri sulle spalle, evitando un’altra inutile crisi tra lei e il capitano che le aveva chiesto di rimanere alle porte del castello, visto che non poteva stare al passo con loro, oltre che per non peggiorare ulteriormente le condizioni dell’anca. Quando arrivarono alla chiesa madre del culto delle mura, Siri letteralmente scalpitava sulle spalle di Mikasa cercando di dare indicazioni sul come entrare nell’edificio.
- Saltimbanco datti una calmata, non dovresti nemmeno essere qui tanto per cominciare.
Siri, sopra la schiena di Mikasa, diede qualche colpetto sulle spalle di Levi con la stampella, mentre lui ed Eren cercavano di forzare l’ingresso: - Senza di me non sareste qui tanto per cominciare. – al quarto colpetto Levi le strappò di mano la stampella e la gettò per terra. Il capitano tornò poi a concentrarsi sulla serratura.
La chiesa era stata chiusa dopo che tutti i principali rappresentanti del culto erano stati arrestati e portati in prigione per complotto ai danni dell’umanità, le porte erano state chiuse a chiave e dentro non sembrava esserci anima viva: era inutile perdere tempo e cercare qualcuno del culto che li conducesse all’interno, avevano già sperimentato cosa significasse collaborare con loro e preferivano affidarsi esclusivamente alle loro capacità. Le finestre si trovavano troppo in alto, e Levi solo sapeva cosa si sarebbe scatenato se avesse detto a Siri di aspettare all’esterno. Era molto probabile che, anche qualora fosse riuscito a convincerla, lei si sarebbe arrampicata coi suoi rampini da palmo, rischiando di cadere e ferirsi gravemente, visto che non poteva godere del suo solito equilibrio.
Per cui, Levi ed Eren stavano cercando, invano, di forzare la serratura delle imponenti e pesanti porte della chiesa, impossibili da tirare giù a mani nude, da più di cinque minuti. Siri fece cenno a Mikasa di metterla giù e, zoppicando, si interpose tra Levi ed Eren, inginocchiandosi alla loro altezza: - Le mie mani funzionano ancora.
Levi le avrebbe volentieri fatto perdere i sensi temporaneamente, per poter procedere senza il suo fiato sul collo. La spia non era esuberante come Hange, ma quando si metteva in testa una cosa e non riusciva ad ottenerla nel minor tempo possibile, diventava impossibile da gestire senza innervosirsi.
- La smetterai mai di essere una spina nel fianco?
- Levi, sai che non posso garantirtelo. – si chinò in mezzo ai due, poi diede una spintarella ad Eren per farsi spazio, il ragazzo, capendo di essere diventato inutile, si allontanò – E poi, essere la tua spina nel fianco è il mio hobby preferito. – la spia lo guardò maliziosa e gli fece l’occhiolino, prima di voltarsi dall’altra parte per prendere dalla sacca un paio di grimaldelli.
Levi sentì un sussulto nel petto, rimase in silenzio e confuso dalla sua reazione interiore, ma non appena Siri si rigirò la guardò indispettito.
- Adesso boss sta a guardare, t’insegno come si fa. – concentrata sulla serratura, non dimenticò certo di guardarlo con sfida di sottecchi – Jean, vieni a vedere anche tu. Lezioni sul campo, allievo.
Jean le si affiancò dall’altro lato e stette a sentirla attento, mentre gli illustrava gli strumenti e il procedimento che utilizzava.
Alla fine del discorso, Siri mise i due arnesi nella serratura e disse: - Non ci sono delle regole vere e proprie, smanetti un po’ e col tempo impari. Poi ci sono quelli come me che sono semplicemente eccezionali, – ghignò – e poi quelli come il capitano, che invece hanno bisogno di tanta pratica.
- Smettila di darti arie, il congegno sarà arrugginito all’interno, per questo… – rispose Levi serio, ma proprio in quel momento fu interrotto da un forte clic e videro l’anta scorrere leggermente in avanti. Siri si voltò a guardarlo con un sorrisetto compiaciuto stampato sulla faccia, lui le mise la mano aperta in faccia e le diede una spintarella, annoiato. Lei si lasciò cadere all’indietro, sedendosi al suolo, il sorrisetto era scomparso, lasciando posto ad un’espressione dubbiosa: aveva sentito di nuovo quella scossa quando le aveva toccato la pelle, ma era stato diverso dalle volte precedenti. Non l’aveva fatta sentire impotente e arrabbiata come le succedeva sempre quando un uomo le toccava la pelle, cercò di capire cosa c’era di diverso in quel momento: probabilmente, si disse, era perché non si sentiva minacciata. Levi si alzò e le porse la mano per aiutarla ad alzarsi: Siri la fissò qualche secondo, incerta. Ci riprovo, forse è davvero così.
Siri afferrò la mano di Levi, le dita, l’unica parte della sua mano non coperta dalle garze, toccarono la pelle calda di lui: non si sentì spaventata, in pericolo, non sentiva nemmeno il disagio che di solito la pervadeva. Solo quella lieve scossa che s’irradiò dai polpastrelli fin sulle braccia, ma era tranquilla. Fece peso sulla gamba sana e il capitano la tirò su, Mikasa le fu subito accanto porgendole la stampella.
- Che hai da sorridere? – le disse Levi sospettoso.
Siri in realtà non si era nemmeno accorta che stesse sorridendo, per cui portò una mano alla bocca e scosse la testa, confusa.
- Pensavo al fatto di essere più brava di te anche ad aprire le porte.
Levi fece una smorfia e spinse l’anta in avanti, facendo poi spazio alla squadra per farli entrare: - Ci passassi almeno ogni tanto dalle porte.
Entrarono nel salone centrale del battistero, rimanendo affascinati dalle alte volte e dalle colonne in marmo. Siri invece diede una breve occhiata e, dirigendosi verso il centro del salone, si guardò attorno, esaminando il posto.
- Non era passato molto tempo dal momento in cui abbiamo puntato le armi contro i nobili nella sala del trono, a quando il reverendo è stato trovato davanti all’ingresso di qui dal corpo di guarnigione. – la voce di Siri si espandeva nell’edificio con un effetto eco, gli altri si erano divisi e frugavano in giro – Per cui, dubito abbia avuto abbastanza tempo per nasconderlo come si deve.
Il posto, notò la spia, sembrava abbastanza disordinato, ma non come se qualcuno avesse cercato qualcosa di valore al suo interno, piuttosto sembrava un disordine artefatto: i fogli, i mobili erano spostati e sparsi in giro, ma non distrutti o smontati come ci si aspetterebbe facesse un ladro. Il reverendo, quindi, nascondendo l’arazzo, aveva cercato di mascherare il suo nascondiglio meglio che potesse.
- Attenti ai nascondigli. Potrebbero esserci meccanismi esplosivi. – disse Levi mentre guardava nelle cassapanche delle sedie per i fedeli. Siri roteò gli occhi, stava controllando la fila davanti alla sua: - Boss sei un po’ troppo paranoico. Non credo abbia avuto il tempo di piazzare un ordigno. – alzò lo sguardo su di lui – Ah, a proposito, mi dai la chiave di codifica del messaggio della gendarmeria?
- Pensa a cercare, saltimbanco. E poi non ce l’ho. Nile l’ha tradotto per noi.
Siri sbuffò con disapprovazione: - Sapevo di dover andare io.
- Ehm, capitano, Siri… – Jean era dietro l’altare, piegato in un piccolo anfratto tra questo e il leggio accanto – Credo di averlo trovato.
Siri si alzò velocemente e arrivò sull’abside solo dopo Levi, che nel frattempo si era piegato a guardare nella direzione indicata da Jean. La spia poggiò la stampella e si allungò tra i due: tra il leggio e l’altare c’era una fessura alta una trentina di centimetri, dal quale si poteva notare infondo a questo affossamento, abbastanza profondo, una massa cilindrica voluminosa. Anche il resto della squadra si era avvicinata e in piedi seguiva il discorso tra Jean e Levi che pianificavano il recupero della massa misteriosa. Siri dopo aver osservato l’anfratto si alzò senza dire una parola, lasciando i due a discutere, tolse il mantello e iniziò a sgranchirsi le giunture.
- Spostatevi e tenetemi per le gambe.
- Come? – disse Levi che si era girato a fissarla interrogativo con Jean. La spia non lo ripetette e s’infilò all’interno della fessura, scomparendo col busto all’interno dello spazio angusto, Levi e Jean fecero in tempo ad afferrarla subito dalle anche, perché Siri ormai aveva tutto il busto piegavo all’interno: il primo era irritato dall’iniziativa pericolosa della vice («Il marmo potrebbe cedere e tranciarti in due razza di deficiente.»), il secondo invece non sapeva da dove afferrarla dopo che lei gli aveva abbaiato nervosamente di non prenderla dall’anca che le faceva male.
Cavolo se è pesante… Ce l’ho. Tiratemi, piano. AHIA, Jean! – il ragazzino aveva iniziato a tirarla dalla gamba, evidentemente l’ematoma doveva essere parecchio esteso e aveva coinvolto l’articolazione che teneva il femore all’anca: la lasciò spaventato, la spia scivolò in avanti e Levi l’afferrò appena in tempo dai fianchi, prima che cadesse del tutto all’interno del buco nel pavimento.
- Siri ascolta. – Levi stava facendo peso sui piedi che, ai lati di Siri, spingevano sul rialzo del leggio – Adesso ti tiro su di poco, tu cerca di far passare l’arazzo dalla fessura, Jean lo prenderà appena lo farai passare anche di un solo centimetro dall’apertura, hai capito?
Dall’anfratto, la voce di Siri sembrava venire da lontanissimo: - Sì, Jean usa una presa ferrea, è pesante questo maledetto coso.
Levi guardò serio Jean: - Sei pronto? – Jean deglutì e annuì deciso.
Siri, facendo molto sforzo riuscì ad alzare verso la fessura l’arazzo che Jean afferrò, all’inizio non molto saldamente: quando infatti Siri tolse una mano, a Jean quasi scivolò l’arazzo dalle mani poiché non si aspettava fosse così pesante.
- Jean, maledizione, ti ho detto che è pesante! – la voce di Siri era in palese sforzo, era scivolata ancora verso il basso, Levi strinse ancora di più la presa cercando di non stringere troppo il lato infortunato, ma era impossibile se non voleva farla scivolare ancora. Mikasa si affiancò a Jean e questa volta, quando Siri ci riprovò, la ragazza aiutò Jean e tirarono su quel grosso cilindro di stoffa; quando questo fu definitivamente fuori, Levi si piegò su Siri e la tirò fuori delicatamente. La spia da prona, cercò di alzarsi con le braccia, ma erano troppo deboli, quindi si rotolò su un lato e si mise supina sul pavimento: era tutta rossa in viso per lo sforzo, faceva grossi respiri e istintivamente si portò una mano sull’anca dolorante. Levi le si era inginocchiato accanto e offrì una borraccia.
Siri lo guardò in tralice: - Per poco me la fratturavi del tutto l’anca, boss. – disse, poi con una smorfia sofferente cercò di alzarsi facendo leva dai gomiti, ma capitolò all’indietro. Levi le passò in tempo una mano sulla schiena, sostenendola, l’aiutò a mettersi seduta.
- Del tutto? Che intendi dire? – Siri gli prese la borraccia e tirò un sorso.
- Il medico a palazzo mi ha visitata, ho una microfrattura all’anca.
- E tu l’avevi già capito scommetto.
Siri sorrise e lui continuò: - Eren a quanto pare ha ottime doti persuasive se è riuscito a incrinare la tua arroganza e convincerti a farti visitare. – poi si alzò e si avvicinò all’arazzo, per cui non vide il viso della spia passare da sorridente ad un’espressione dolceamara.
Levi non resistette e iniziò a srotolare con attenzione l’arazzo. Finalmente, dopo mille peripezie, era riuscito ad ottenerlo, l’eredità della sua famiglia. Ne srotolò solo un pezzo perché era veramente lungo: era un rettangolo alto poco più di trenta centimetri, lungo non poteva dire quanti metri, ad occhio sembravano sei o sette, forse di più. Aveva un fondo scuro e all’interno di un contorno in filo dorato, vi erano delle scritte e dei disegni che sembravano illustrare quanto vi era riportato.
Come Kenny aveva raccontato nel suo diario, la lingua non era la loro, sembrava in realtà una versione più antica, visto che alcune lettere e ideogrammi erano molto simili. C’erano davvero dei bambini e dei mostri ricamati sopra, un’illustrazione proprio all’inizio dell’arazzo colpì particolarmente Levi: un demone con grosse corna circolari offriva una mela ad una bambina che, per niente spaventata, allungava la mano verso di lui. Quello che invece colpì maggiormente Siri, Erwin e poi successivamente Hange, quando portarono il cimelio nello studio del comandante, furono dei disegni che ricordavano fin troppo bene i giganti.
- Quindi… cosa pensate che sia? – chiese Erwin, in piedi, davanti al tavolino attorno al quale gli altri tre si erano sistemati sui divani. Non sapevano che rispondere, guardavano l’arazzo sovrappensiero.
Siri avanzò per prima la sua ipotesi, ancora con gli occhi sul tessuto: - Considerando il fatto che il credo delle mura sapeva dove si trovasse e ritenesse di vitale importanza nasconderlo – alzò lo sguardo su Erwin – mi fa pensare che abbia qualcosa a che fare con le mura e i giganti. E… – Siri guardò Levi, apprensiva – Inevitabilmente la famiglia Ackerman. In che modo lo ignoro…
Hange assentì: - Non possiamo però saperlo con certezza fino a quando non riusciamo a decifrare questa lingua… – passò le dita sulle lettere ricamate – Forse racconta semplicemente una storia, chi lo sa. Credo però sia inutile chiedere al credo delle mura di decifrarcelo, sempre che sappiano questa lingua antica.
- Azzardo ad ipotizzare che, se si sono presi tanta briga per nasconderlo anche nel momento in cui abbiamo scoperto la verità, su questo arazzo ci sono le ennesime informazioni che chi ci ha governato fino ad ora non voleva che sapessimo. – disse Siri – E credo che gli Ackerman sapessero leggerlo, sempre basandomi sul diario, ma non abbiano lasciato le istruzioni per farlo per proteggere i loro eredi dalle persecuzioni.
Levi seguiva il discorso a braccia incrociate. Aveva già pensato a tutte le ipotesi che le due soldatesse stavano avanzando. Avevano portato a termine la missione con successo, ma adesso si trovavano davanti ad un vicolo cieco: avevano trovato l’arazzo ma era impossibile sapere cosa ci fosse scritto, a meno di metterci anni per fare ricerche e decifrarlo. Probabilmente anche tutti i libri utili a farlo erano stati distrutti dalla gendarmeria centrale e dal culto negli anni della censura.
Erwin annuì assorto e si andò a sedere dietro la scrivania: - Hange, Siri, lascio a voi il compito di cercare di tradurre l’arazzo, credo siate le persone più competenti per farlo.
A quelle parole, gli occhi di Hange s’illuminarono di gioia, anche Siri ne era felice, tuttavia questo significava passare molto più tempo con la sua compagna di stanza di quanto non ne passasse già, tra alloggio e mensa (senza contare le imminenti lezioni sui giganti a cui la scienziata l’avrebbe sottoposta).
- Con piacere comandante! – rispose infatti eccitata Hange, accingendosi a riarrotolare l’arazzo.
- Potete andare. – disse Erwin che, mentre Siri si alzava aiutandosi con la stampella le disse, fu come colto da una rimembranza – Ah, quasi dimenticavo. Siri, vorrei che venissi qui da me prima di cena, dobbiamo discutere di una cosa.
Siri ebbe un attimo di esitazione, anche Levi guardò Erwin dubbioso, poi però la ragazza disse convinta: - Certo, la raggiungerò più tardi comandante.
Hange prese l’arazzo ben arrotolato dalla base e si diresse alla porta: - Avanti, andiamo Siri! Non trovi la cosa eccitante?!
Siri sospirò e sconsolata lanciò un’occhiata a Levi e poi si diresse alla porta, Levi si alzò per fare altrettanto ma Erwin lo fermò: - Levi devo darti una comunicazione, Siri per favore quando uscite chiudi la porta.
La spia annuì, aprì la porta per Hange che aveva le mani occupate dall’arazzo e, prima di chiudere la porta alle sue spalle, lanciò una breve occhiata al capitano e al comandante prima di uscire e lasciarli soli. Levi si risedette, in attesa.
- Avete già riferito ad Eren della questione dei tredici anni? – esordì Erwin da dietro la scrivania, senza alzare lo sguardo dai documenti che stava compilando.
- Non ancora. Io e Siri eravamo d’accordo sul dargli la notizia appena tornati, e che proprio tu avresti trovato le parole più adatte. – fece una piccola pausa – Siri le avrebbe trovate ugualmente, sono abbastanza sicuro di questo, ma non credo fosse giusto.
Erwin lo guardò tenendo la testa bassa: - Le avresti affidato un compito così importante. Hai cambiato idea su di lei, quindi?
Levi lo scrutò impassibile: - Se intendi se mi fidi o meno, la risposta è sì.
Erwin sorrise pacato: - Sono contento di sentirtelo dire, perché altrimenti avrei dovuto permetterle di formare una squadra tutta sua.
- Era questa la comunicazione? – rispose Levi abbastanza piccato. Con quelle parole Erwin assumeva che il problema fosse lui, e non una persona che conoscevano da poco e dalla discutibile carriera. Che poi Siri si fosse rivelata una persona diversa da quello che credeva, era un altro paio di maniche.
- Non prendertela Levi. Siri ha un carattere molto forte, come te: qualora avesse continuato a non andarti a genio, non avrei potuto permettere che cozzaste in continuazione. Non so però, a questo punto, dato che le cose sono cambiate… – Erwin aprì un cassetto accanto a sé e tirò fuori una cartelletta, che gli porse – Se hai ancora bisogno di questo.
Levi si alzò e la prese, poi, sedendosi sulla sedia davanti alla scrivania, l’aprì, scoprendo pochi fogli non uniti tra loro, alcuni siglati col simbolo del corpo di guarnigione: era il fascicolo top secret di Siri. Lì dentro c’era vita, morte e miracoli della spia. Il capitano si era completamente scordato di averlo richiesto, eppure era avvenuto pochi giorni prima.
Cogliendo l’indecisione di Levi nel suo sguardo, Erwin cercò di non metterlo in difficoltà: - Puoi tenerlo per tutto il tempo che vuoi, ti chiedo solo di starci attento perché l’unico documento tra quelli ad essere in duplice copia sono i suoi dati anagrafici.
Levi alzò lo sguardo su Erwin e disse semplicemente: - Accompagnerò Eren da te domattina.
 
Passò una settimana dal giorno del loro ritorno e quando Levi si svegliò quella mattina, dopo le sue consuete poche ore di sonno, una strana sensazione gli pervase lo stomaco. Era come se sentisse che quella giornata sarebbe stata strana, e in effetti tutto ciò che accadde nelle ore successive non fece altro che fortificare quella sensazione, a partire da quella strana scena a cui aveva assistito quella mattina. Ma si disse che era solo un caso. Iniziò a nutrire qualche dubbio però a pranzo, quando, dopo aver preso posto con Hange e Moblit al solito tavolo, Siri non si presentò.
- Quattrocchi, che fine ha fatto la spiona? Non era con te stamattina? – in effetti quel giorno era il turno di Levi di allenare la sua squadra, quindi Siri doveva aver passato quelle ore con Hange, di solito in quei giorni le due arrivavano a mensa assieme.
Hange lo guardò pensierosa: - In realtà non si è presentata stamattina da me, sono andata in infermeria a chiamarla ma non c’era. Non era neanche in camera, oggi eccezionalmente mi ha aiutata Moblit con l’arazzo. – scosse la testa con disapprovazione – Comunque non si tratta solo di questo! Tra solo due mesi ci sarà la spedizione e Siri ancora sa poco e niente sui giganti.
- Hange limitati allo stretto necessario. – disse Levi, bevendo un sorso l’acqua.
Prima di uscire dalla mensa, si fermò al tavolo della sua squadra, di solito si faceva i fatti propri, ma quella sensazione proprio non lo lasciava stare, e voleva indagare.
- Chi affianca Siri questa settimana in infermeria?
Mikasa alzò la mano: - Io. È successo qualcosa?
Levi la guardò interrogativo: - Perché? Dovrebbe essere successo qualcosa?
La ragazzina abbassò lo sguardo: - Stamattina è stata chiamata all’ingresso, quando è tornata era arrabbiatissima, mi ha detto che per quel giorno avevamo finito. Ha lasciato il camice in infermeria e se n’è andata.
Era ufficiale quindi: nessuno aveva visto Siri da quella mattina.
- Anche con me era strana, stamattina mi ha detto che il mio allenamento di pomeriggio era annullato. – disse Jean, addentando poi la sua pagnotta – Poi è andata al campo d’allenamento.
Levi uscì dalla mensa. In parte si sentiva responsabile del comportamento della vice: quella non doveva essere stata una settimana facile per lei, voleva solo assicurarsi stesse bene, dopotutto era una persona impulsiva e nonostante l’anca stesse guarendo bene, era ancora infortunata. Quindi andò al campo di allenamento, ma, ovviamente, non era lì. 
La giornata era molto bella, ormai maggio era quasi al termine e l’estate alle porte, per cui si lasciò cullare dalla brezza piacevole e s’inoltrò all’interno della rada foresta di pini che circondava il campo. Quel giorno faceva troppo caldo per la camicia, infatti sia lui che buona parte dei soldati avevano indossato maglie a mezza manica, ora però all’ombra degli alberi il fresco gli aveva fatto rizzare i peli sulle braccia, facendolo pentire di non aver indossato il giacchetto della divisa. Dopo qualche minuto di camminata iniziò a sentirli. I rumori di una lotta.
Seguì il suono ovattato che, man mano che si avvicinava alla sua origine, diventava sempre più chiaro, fino a quando non la vide. Era Siri: i capelli raccolti nella solita treccia, lei, notò, aveva optato per una canotta nera larga, gettato sul ramo di un albero, come fosse una pezza, giaceva il suo giacchetto, le braccia ben fasciate in garze bianche fino al gomito maneggiavano un’asta a cui aveva applicato delle lame.
Arrabbiata è dire poco. È furiosa.
Siri si stava allenando con dei manichini costituiti da cilindri rotanti, ogni volta che colpiva uno spuntone, questo faceva il giro dal lato opposto per cercare di colpirla. Era arrivato nel momento in cui aveva distrutto con l’estremità dell’asta il cilindro alla sua sinistra: questo era esploso in una pioggia di schegge; nell’impatto, la lama che aveva legato all’asta si era staccata e la forza del colpo l’aveva fatta conficcare in un manichino che si trovava alle spalle di quello appena distrutto. Mentre si girava verso gli altri due manichini, parò due spuntoni con una rotazione calcolata dell’asta, infine distrusse quello alla sua destra e trafisse con rabbia quello davanti a sé. 
Levi la guardava accanto ad un albero alle spalle di lei, era sicuro l’avesse visto o perlomeno sentito arrivare: ne ebbe la conferma quando, con uno scatto, Siri gettò l’asta in avanti, estrasse due pugnali dalle fodere attaccate alla cintura alle sue spalle e ne lanciò uno verso l’intruso.
Il pugnale si conficcò nel tronco dell’albero affianco a lui, che rimase impassibile, i capelli si mossero leggermente per lo spostamento d’aria. 
Siri, ora lui vedeva chiaramente il suo viso, era imperlata di sudore, rimasta nella posizione in cui aveva lanciato la lama sembrava più un animale selvatico che puntava la preda. Le grosse iridi riempivano i suoi occhi ricordandogli quei momenti in cui sembrava diventare una psicopatica senza scrupoli, ma questa volta erano diversi: erano ricolmi di rabbia.
La ragazza si ricompose e si mise di profilo, macchie di luce che penetravano dalle fronde degli alberi le illuminavano la pelle che, essendo umida, la rifletteva sembrando quasi luminosa: - Prendilo. Mi sono stancata di allenarmi con oggetti inanimati. – il petto che si alzava e abbassava ritmicamente per lo sforzo appena compiuto.
- Hai ancora l’anca infortunata, smettila di fare la sbruffona.
- Fammi il piacere di prendere quel pugnale. – lo guardò minacciosa – Che sei venuto a fare altrimenti?
Infatti, cosa ci era venuto a fare? Siri voleva riversare su di lui tutte le frustrazioni della settimana a cui lui, pensò di nuovo, aveva contribuito in buona parte.

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 - Amori e dissapori ***


Capitolo 16 – Amori e dissapori

 

You did not break me
I'm still fighting for peace
I've got thick skin and an elastic heart
But your blade it might be too sharp
I'm like a rubber band until you pull too hard
I may snap and I move fast
But you won't see me fall apart

 
- Allora? – Siri quindi si girò totalmente verso di lui.
Levi se l’era immaginata in un burrone o infilzata con uno spuntone, tutto dopo che era scivolata a causa dell’infortunio all’anca. La cosa lo faceva sentire in modo strano, in realtà anche il fatto stesso di avere paranoie del genere su di lei. Distolse lo sguardo dal suo e prese il pugnale dal tronco: - Ti assecondo, se questo t’insegnerà a prendere più seriamente gli impegni con gli altri.
Siri rise ironicamente e lo indicò col pugnale: - Come tu hai preso seriamente gli allenamenti corpo a corpo?!
Mi ha beccato. Adesso sapeva perché ce l’aveva così tanto con lui. Siri fece qualche passo verso di lui, in guardia, era solo questione di attimi e avrebbero iniziato a lottare.
- Sasha me l’ha detto. Batti la fiacca, ti siedi su quei fottuti tavolini e li lasci combattere da soli. Posso capire che tu non prenda seriamente la cosa, ma non siamo tutti “speciali” come te.
Levi rimase in silenzio e fece roteare il pugnale, si avvicinò a sua volta: avevano entrambi i muscoli in tensione, ma il capitano era sicuro che lei avrebbe attaccato per prima, nonostante la sua strategia si basasse per lo più sulla difesa. Inoltre, aveva intenzione di farla arrabbiare un po’ di più, in modo tale da farle annebbiare il giudizio, metterla subito fuori gioco, e quindi mettere fine alla diatriba.
- La cintura. Toglila. E anche gli altri sulle gambe.
Siri abbassò lo sguardo sulla cintura a cui erano applicate le fodere degli altri due pugnali e tirò in su l’angolo della bocca, la cicatrice sulla guancia assunse un lineamento ancora più sgraziato: - Ah già, dimenticavo. Potrei giocare sporco.
Tolse la cintura e si sganciò anche le fodere applicate alle cinghie della divisa sulle gambe e gettò tutto ai piedi dell’albero su cui aveva lasciato la giacca. Levi sperava di sistemare le cose, non di peggiorarle, ma disse lo stesso quelle cose, convinto, correttamente, di scatenare una reazione nella ragazza.
- Allora? Ti dai una mossa o non devo prendere seriamente nemmeno te?
Dopo quelle parole, Siri, come prevedibile, si scaraventò su di lui.
 
Si può mettere alla prova una persona in tanti modi, portarla a superare il limite e farle perdere la pazienza fino a farla scoppiare. Nessuno in particolare aveva messo Siri in questa situazione durante quella lunga settimana, o, almeno, nessuno l’aveva fatto di proposito. Per un anno e mezzo al campo cadetti aveva ricevuto un certo tipo di addestramento che non si limitava solo alla formazione fisica, ma anche a quella mentale: quando la spia il primo giorno di allenamento aveva detto ai mocciosi “puntiamo a temprare anche lo spirito” non scherzava, perché era esattamente quello che “l’allenatore di spie”, così lo chiamavano, faceva. Tuttavia, quell’addestramento poteva sì rendere l’allievo un assassino professionista, ma non impedirgli di provare emozioni; d'altronde coloro che venivano sottoposti all’addestramento erano, innanzitutto, non più in un’età tale da permetterlo, e poi avevano affrontato eventi spiacevoli, ma erano stati abbastanza forti da non farsi piegare dalla vita. Il dolore veniva solo “reindirizzato”.
Come un castello di carte, quella settimana, un evento s’era incastrato sull’altro mettendo a dura prova la sopportazione della spia, Levi poté assistere a quella rapida escalation, a partire dalla cena del giorno in cui tornarono dalla missione. Siri arrivò a mensa in ritardo, tornava dal colloquio misterioso col comandante. Cosa doveva dirle Erwin che lui e Hange non potevano sapere? Non era mai successo prima, lui e la scienziata erano sempre messi al corrente di tutto. Il capitano per tutta la cena aveva fissato la porta ogni volta che si apriva per lasciar passare uno dei suoi compagni, poi finalmente anche la spia vi fece capolino e osservò attentamente il suo viso: a differenza del suo, quello della spia era come un libro aperto quando era rilassata e in quel momento non si aspettava certo di essere osservata. Aveva una strana espressione che non riuscì a decifrare, durò un secondo, perché poi la cambiò con la solita mista a fastidio e dolore quando entrava in mensa: tutto quel tempo passato in sua compagnia e ancora non aveva capito cosa le desse fastidio della mensa, se gli odori, i rumori o la luce. O altro che non poteva immaginare.
Arrancò con la stampella sugli scalini, a metà discesa Mikasa era andata ad aiutarla e poi era tornata al suo posto. Continuò a fissarla sporadicamente prendere la gamella e poi, con la sua porzione, dirigersi verso il loro tavolo come al solito, fu solo allora che distolse definitivamente lo sguardo facendo finta di niente.
- Che voleva Erwin? – le chiese, piatto, mentre Siri prendeva posto accanto a lui.
- Morivi dalla voglia di chiedermelo da quando sono entrata, vero, boss? – lo guardò con la coda dell’occhio, ma Levi rimase impassibile.
- Ancora una domanda ad una domanda.
Siri sospirò e si grattò la fronte distratta: - Niente di che, abbiamo parlato degli esperimenti di Eren. – Hange, che poco prima stava parlottando con Moblit, venne catturata da quelle parole e ignorò totalmente l’altro a cui morirono le parole sulle labbra – Vuole che vi partecipi e cerchi di sintetizzare qualcosa per accelerare le sue guarigioni.
Il capitano l’aveva guardata tutto il tempo mentre parlava, cosa che Siri a sua volta, invece, evitò accuratamente di fare. La cosa puzzava. Come gli aveva detto una volta “il modo migliore di mentire è dire mezze verità” e ciò che gli aveva appena detto sembrava proprio mettere in atto l’insegnamento che aveva ricevuto.
Stava per replicare ma Hange s’inserì nella conversazione: - È una fortuna che sei mia compagna di stanza allora! Potremo continuare a lavorare anche lì.
Siri alzò lo sguardo dal piatto, il cucchiaio vuoto che puntava la scienziata: - Ah-ah, scordatelo. – disse aggrottando le sopracciglia, il suo tono era severo – Se mi assilli quando voglio riposare aspettati che le tue cose scompaiano di nuovo, soldato avvisato…
Hange ignorò la minaccia e, con gli occhi che le brillavano dietro le lenti, intrecciò le mani e poggiò il mento sul loro dorso: - Voglio sapere tutto quello che ti passa per la mente. Non vedo l’ora di iniziare le lezioni sui giganti.
- Io invece no. – poi sorrise soddisfatta quando Hange sbroccò sentendo la risposta, battibeccarono per il resto della cena e Levi non ebbe più l’occasione di chiederle ancora della sua chiacchierata con Erwin.
Quella notte, poi, sentì chiaramente qualcuno risalire le scale dei dormitori, così fu anche le notti successive, fino a quando, due giorni prima del fatidico giorno della lotta tra i due, Levi decise di capire chi fosse la persona che rientrava così tardi e faceva quel rumore. Ma lui sapeva già chi fosse. Chi altro poteva salire così lentamente le scale e soprattutto avere tre piedi?
Quando sentì i passi iniziare a percorrere la prima rampa di scale al piano terra, uscì con calma dalla sua stanza e andò ad appoggiarsi sul corrimano del pianerottolo del suo piano, di spalle alle scale, e l’aspettò. Siri lo vide dal fondo della rampa che l’avrebbe portata al piano in cui lui si trovava e sospirò, borbottò poi qualcosa come “stramaledetta stampella” e iniziò a salire a testa bassa.
- Fai un casino tremendo ogni notte. – le disse quando era a pochi scalini da lui.
Lei, sull’ultimo gradino, lo fissò risentita: - Non ti cambia nulla, non dormi lo stesso. – gli passò davanti e iniziò a salire la rampa dopo – Ma ora che so che hai ripreso a dormire la prossima volta vengo a rimboccarti le coperte.
Un passo falso, ecco cosa le era valso fare una battuta. Siri chiuse gli occhi e strizzò le labbra: ciò che aveva detto equivaleva ad affermare che l’avrebbe dovuto fare abitualmente anche i giorni a venire e che non si trattava di una semplice coincidenza.
- Inutile che ti chieda che diamine combini di notte, perché tanto mi risponderai con un’altra domanda, per cui ti ricordo il rapporto sulla missione.
Il rapporto sulla missione, questo era un altro importante pezzo del puzzle. Gliel’aveva dato da compilare il giorno dopo il ritorno dalla missione con grande disappunto della spia: quest’ultima non ne aveva mai scritto uno, non aveva idea nemmeno da dove cominciare.
- Pyxis non te li faceva compilare regolarmente dopo una missione?
Siri l’aveva guardato annoiata: - Sì certo, scrivevo tutto su un documento ufficiale dell’esercito: nomi sensibili, guardie uccise e qualche altra illegalità. Chiaramente non ne ho mai scritto uno.
Levi le aveva premuto sul petto il foglio precompilato e le aveva detto: - Non è mai tardi per imparare.
Siri poi nelle ore successive aveva cercato di evitare il lavoro chiedendo al capitano di farlo al suo posto, ma lui l’aveva liquidata dicendole che siccome non si stava allenando per l’infortunio avrebbe avuto tutto il tempo per farlo da sola, inoltre lui stesso era già strapieno di lavoro burocratico che il pensiero di un’altra scartoffia da compilare gli faceva venire il voltastomaco.
Poi, il mattino dopo l’incontro notturno, quindi il giorno prima di quello in cui Siri era scoppiata, Hange, poco prima di pranzo, l’aveva raggiunto in biblioteca.
- Ehi Levi. – alzò lo sguardo su di lei. Era andato lì per leggere alcuni rapporti su spedizioni passate, ma poi aveva finito per rileggere il diario dello zio.
- Ti stavo cercando. Ecco in realtà ti cercava Siri.
- Che vuole il saltimbanco?
- Ha finito di scrivere il rapporto e voleva consegnartelo, mi ha detto che ieri sera gliel’hai chiesto. – Hange prese posto di fronte a lui – Perché non cerchi di essere un po’ più flessibile con lei? Ho dovuto aiutarla io a scriverlo…
Levi la stette a sentire, l’espressione sul viso dell’amica era apprensivo: - Per lei è tutto nuovo, si è trovata molte più responsabilità sulle spalle mi ha fatto tanta tenerezza, anche se abbiamo la stessa età. Quando ha finito di scriverlo l’ha riscritto perché era sicura che non avresti accettato la sua brutta scrittura. – sorrise bonaria – Potevi aiutarla tu, dopotutto ci siete andati insieme in missione.
Levi era sinceramente dispiaciuto, Hange aveva ragione, poteva aiutarla, lavorare insieme a lei non era infatti così male: era molto sveglia e veloce, imparava in fretta e, alla fin fine, la sua compagnia era piacevole. Ma, chiaramente, non lo ammise: - Avrebbe potuto chiedermelo. – tornò a leggere il diario.
- Te l’ha chiesto, a suo modo, ma te l’ha chiesto. Cosa credi, che non abbia chiesto anche a me di farlo al posto suo?! – rispose lei incrociando le braccia al petto – Ad ogni modo, l’ho mandata in camera tua, non credevo fossi qui, visto che ai tavoli all’esterno non c’eri…
Levi alzò lo sguardo di scatto: - Dove hai detto che l’hai mandata, quattrocchi?
Hange lo guardò disorientata: - In camera tua. L’avrà fatto scivolare sotto la porta visto che non ti ha trovato. Perché?
Levi guardò il pavimento trattenendo la sua frustrazione: - Tch. – si alzò e andò via, portandosi dietro il diario e lasciando la scienziata nel più completo disorientamento. Non poteva capitargli una vice più in linea col suo carattere, pensò infatti lei.
Fece le scale due gradini alla volta, doveva arrivare, se non prima di lei, almeno prima che entrasse. Ormai poteva dire di conoscere Siri abbastanza per sapere che una porta chiusa non avrebbe di certo fermato la sua curiosità: già se la immaginava davanti la sua camera, trovarla chiusa e senza lui dentro, una vocina che le sussurrava di lasciar passare il rapporto attraverso lo spiffero e un’altra, molto più forte, che le diceva “chissà com’è la camera di Levi, lascerò il rapporto sulla scrivania”. E la cosa peggiore era che non avrebbe dovuto nemmeno perdere tempo coi grimaldelli, perché lui non chiudeva mai a chiave la porta: tutti sapevano quale fosse la sua stanza e nessuno ci teneva ad entrarci. Nessuno si sarebbe mai azzardato a tanto, esclusa Siri, chiaramente.
Arrivò al suo piano, percorse il corridoio a passo svelto, era a pochi metri dalla sua porta quando notò con rammarico che era aperta. Si fermò a fissarla per un attimo, poi decise di farsi avanti, sapendo già a che scena avrebbe assistito.
Siri, esattamente come si aspettava, era in piedi davanti la sua scrivania: in un angolo aveva poggiato il rapporto, la sua attenzione però era stata catturata dalla cartella di documenti che teneva da una settimana aperta sul tavolo, ma che non aveva avuto la spinta necessaria per leggere. La ragazza stava fissando i documenti con un’espressione insondabile.
- Da quanto tempo sei qui? – poteva sgridarla e dirle che non sarebbe dovuta entrare, ma non ci riusciva.
Non gli rispose subito. Quando finalmente alzò lo sguardo dai documenti, non riuscì a guardarlo: - Non da molto, scusa, la porta però era già aperta.
- Figurarsi se ti fai i fatti tuoi.
Siri, che si stava dirigendo verso l’entrata, si fermò e alzò lo sguardo tagliente su di lui: - Non che ci sia qualcosa che nonmi riguarda qui dentro.
Touché. Calò un silenzio pesante tra i due, una strana tensione di qualcosa, o qualche discorso che nessuno dei due voleva affrontare.
- Non l’ho letto. – si giustificò lui, usando però il suo solito tono monocorde.
Siri lo guardò come se avesse detto una cosa senza senso: - Di che stai parlando, capitano? È in tuo diritto farlo. Ad ognuno, poi, spettano i propri doveri. – Levi non seppe se fu la parola capitano a colpirlo di più, o il sottile riferimento al fatto che quello di spiare e venire a sapere tutte le informazioni su chi la circondava fosse un dovere di Siri, il suo lavoro e che non lo faceva perché era un sintomo della sua sfiducia verso qualcuno.
Le fece spazio e lei oltrepassò l’uscio, lui guardava nella stanza, lei il pavimento.
- Ho lasciato sulla scrivania il rapporto della missione. Spero vada bene, Hange mi ha aiutata a redigerlo.
- Grazie. – la vide allontanarsi e poi imboccare la rampa di scale che portava al piano inferiore. A cena non si fece viva, poi, quella notte, non la sentì nemmeno percorrere le scale.
Siri aveva già le sue gatte da pelare, trovare quei documenti da Levi era stata la guarnizione della torta alla fine di una lunga, estenuante settimana.
Ma la ciliegina sulla torta era arrivata quella mattina. Il capitano stava risalendo le scale della mensa ed era uscito, il tè mattutino in una mano e quella sensazione strana addosso che avrebbe trovato un senso nel primo pomeriggio. Appena uscito, temporeggiò sotto i portici della mensa, sorseggiando la bevanda calda e godendosi la fresca aria mattutina.
- Buongiorno Levi. – Moblit gli passò davanti ed entrò in mensa. Levi gli rispose con: -‘Giorno - e lo seguì con lo sguardo che, quando il soldato scomparve, venne catturato da qualcosa che avveniva nello sfondo, proprio all’entrata del quartier generale. Siri stava parlando con qualcuno, un uomo. No. Non un uomo qualsiasi, era Bernard arrivato lì a cavallo su cui trasportava le borse della corrispondenza per i soldati. Siri lo stava a sentire con le mani sui fianchi e lui come al solito le stava facendo gli occhi languidi, lei, a qualcosa che le aveva detto, aveva scosso la testa infastidita e dicendogli qualcosa porse la mano verso di lui. Bernard, improvvisamente, cambiò espressione facciale e divenne serio: la guardò rattristato e le disse qualcosa che lasciò Siri interdetta. Il ragazzo prese da una tasca quella che sembrava una lettera e gliela porse, la soldatessa gliela strappò di mano e l’aprì. Mentre la leggeva sconcertata, Bernard con lo sguardo basso e mesto le disse qualcosa che la fece girare di scatto verso di lui e dire: - STAI SCHERZANDO?!
Bernard le disse qualcos’altro, dispiaciuto, e si fece avanti verso di lei, mettendole una mano sulla spalla: Siri, premendosi una mano sulla fronte, era a dir poco sconvolta, a Levi sembrava tanto che lo spilungone volesse approfittarsi dello stato della soldatessa che, nonostante ciò, dopo un breve momento di smarrimento, respinse la mano e zoppicando si diresse verso il dormitorio, ossia nella direzione in cui si trovava anche Levi. Bernard la guardò andare via deluso e, suo malgrado, notò Levi poggiato con una spalla al muro esterno della mensa, mentre teneva la tazza ancora fumante: quando lo vide, ogni traccia di malessere scomparve dal suo viso e lo fissò minaccioso. Il capitano lo fissò a sua volta gelido e fece un cenno col capo, alzando un sopracciglio, per salutarlo. Chiaramente Bernard non rispose al saluto, semplicemente si voltò verso il cavallo e afferrò le borse con le lettere, consegnandole poi ad un soldato del corpo di ricerca che l’aveva appena raggiunto.
Siri era arrivata all’altezza della mensa, il suono dei suoi passi aveva richiamato la sua attenzione: si voltò a guardarla, lei quindi incrociò il suo sguardo: Levi non riuscì a capire che espressione avesse, ma era tra l’arrabbiato e profondamente triste. La spia voltò subito la testa e solo quando era abbastanza lontana da dargli le spalle gli disse: - Buongiorno capitano. – prima di rientrare nel grosso edificio del quartier generale.
 
Levi parò col pugnale l’affondo di Siri quando era ormai a due centimetri dalla sua faccia: lo scatto di lei era stato felino e, testare su sé stesso la sua velocità, lo mise ancora più al corrente di quanto non lo fosse già delle capacità della vice. Siri caricò col braccio libero un pugno dal basso, ma l’altro se ne accorse e le diede una spinta con la lama. La ragazza indietreggiò, ma ebbe comunque i riflessi pronti per evitare gli affondi a cui il capitano la sottopose a raffica. Approfittò di un momento in cui Levi perse la velocità per cambiare la mano con cui teneva il pugnale, e gli tirò un calcio verso il busto lui che parò col braccio: l’impatto lo fece comunque indietreggiare. Siri che aveva roteato su sé stessa dalla spinta usò quella forza per abbassarsi e, mettendo la lama tra le dita, con un ampio movimento del braccio punto alla pancia. Levi fece appena in tempo a farsi indietro, stupito: mentre Siri si rimise in piedi e lo squadrava in attesa della sua prossima mossa, sentì una sensazione bollente sull’addome. Abbassò lo sguardo sulla mano con cui si era tastato, le dita erano sporche di sangue. Notò che la maglia aveva un taglio orizzontale e che il tessuto azzurro si stava macchiando di rosso: alzò la maglia scoprendo un taglio poco profondo sull’addome, era praticamente un raschietto, ma frutto di una precisione incredibile. Siri non voleva fargli male, solo ferirlo leggermente.
Levi alzò lo guardo su di lei, che rise beffarda, poi alzò un sopracciglio e si portò una mano sulla bocca: - Ops.
Siri rigirò abile il coltello nella mano e afferrò l’elsa in modo tale da mettere la lama verso il retro del braccio: - A quanto pare non prendere seriamente gli allenamenti ha le sue conseguenze. Poi sarei io la sbruffona.
Che si fosse limitato per non farle male? Abbassò lo sguardo accigliato: - Tch.
Il taglio al torace era guarito, ma l’anca della ragazza era ancora in via di guarigione, anche se, da quello che stava osservando, già in una settimana era riuscita a recuperare tutta la motilità che le serviva. Lui però sentiva che se si stava frenando non solo per quel motivo, era come se non riuscisse a dare il massimo. Quando rialzò lo sguardo su di lei, questa sorrise a trentadue denti con una strana aria soddisfatta: si lanciarono l’uno sull’altro contemporaneamente.
Questa volta Levi s’impegnò maggiormente, nonostante sentisse una forza dentro di sé spingerlo a non farlo, e Siri iniziò ad essere in difficoltà. Parava e schivava perfettamente, il rumore delle lame che s’incontravano riempivano l’aria pomeridiana, la fatica iniziava a farsi sentire. 
Al campo cadetti Siri si allenava solo col suo allenatore che le rendeva, letteralmente, le giornate un inferno. Si svegliava all’alba per allenarsi dieci ore ogni giorno, mangiava e poi distrutta andava a dormire in una baracca vuota. Passava le sue giornate completamente sola, se non col suo allenatore che, ci avrebbe giurato, era un demonio. La colpiva fino allo sfinimento, fino a quando non riusciva a parare o rispondere e, una volta che ci riusciva, lui iniziava a combattere ancora più ferocemente. All’inizio non riusciva a dormire bene per i lividi e le costole rotte, si addormentava mentre piangeva silenziosamente per il dolore, perché lo facesse in silenzio ancora se lo chiedeva, forse era per abituarsi a scomparire. Poi un giorno non ne poté più, e gli chiese di avere pietà di lei. “Sei ridicola.” si piegò a guardarla dritto negli occhi “Credi che gli altri avranno pietà di te? Siri tu sei debole, non avrai mai speranza così come sei.” La prese per un braccio e la aiutò malamente ad alzarsi. “Devi trovare un modo per raggiungere il tuo obiettivo. Non m’interessa come, ma se non lo fai morirai”. Dopo quel preciso momento Siri comprese che avrebbe potuto usare la sua memoria per essere la migliore anche in quel campo: memorizzò ogni singola tecnica del suo allenatore e si allenava costantemente per essere sempre più veloce. Divenne molto più agile di lui, schivava e fermava i colpi con grazia e ne assestava pochi ma efficaci. Col tempo imparò anche ad incassare e quando iniziò ad usare il coltello, affinò la sua astuzia. Divenne la sua arma preferita.
Quando Levi le piantò una gomitata nello stomaco per liberarsi da una sua presa alle spalle, capì che era ora di concludere la sfida alla svelta. Si prese lo stomaco ansimante, lui aspettò che si rialzasse, la stava osservando preoccupato: non ci aveva messo tutta la forza, però aveva comunque paura di averle fatto troppo male. Siri si rimise eretta. Aveva imparato a sopportare dolori ben peggiori, per giorni e giorni. Le aveva fatto perdere l’appetito perché “se non mangi e non bevi non avrai bisogni fisiologici a cui dare ascolto, quindi riuscirai a stare appostata più a lungo”, le avevano fatto credere che tutto quel dolore lo meritasse, che solo perché non era forte come gli altri non avrebbe mai avuto la possibilità di vincere. Ma quando riuscì ad atterrare il suo allenatore usando la testa, capì che nessuno, per quanto forte potesse essere, l’avrebbe mai potuta fermare. Lo atterrò la prima volta, poi la seconda, poi ancora e ancora. Aveva imparato a memoria il suo stile di combattimento, non aveva più nulla da insegnarle.
In quel momento però, con la mano che premeva lo stomaco dolorante, l’anca che le pulsava e il respiro che veniva meno capì che, per quanto potesse sforzarsi di imparare lo stile di Levi, non avrebbe comunque potuto batterlo: era come se dentro di lui ci fossero mille stili diversi e che, a seconda della situazione, ne tirasse fuori dal cilindro uno che vi si adattasse perfettamente. Per cui, sì, doveva usare l’astuzia, ma non avrebbe vinto.
Siri prese la rincorsa verso di lui e iniziò ad attaccarlo, Levi schivò tutti i colpi ma aveva capito dalle sue condizioni che ormai era esausta. È ora di finirla. Stava per sbatterle il dorso della mano libera sul collo quando notò lo sguardo di lei cambiare: aveva fatto in modo che Levi concentrasse tutta la sua attenzione sulle sue mani per non fargli notare che si stava spostando di lato per caricare la forza su un piede. Siri colpì la caviglia di Levi, facendogli perdere l’equilibrio, contemporaneamente fece per affondare il pugnale, ma lui le afferrò il polso e approfittò della perdita della presa al suolo della spia per spingerla in avanti, atterrandola.
Levi ora era su di lei, con una mano le bloccava il polso al suolo e con l’altra le puntava la lama alla gola. Siri era madida di sudore, con gli occhi socchiusi ricambiava lo sguardo pungente di Levi mentre prendeva pesantemente fiato.
- Hai perso, saresti morta. – disse Levi, che, nonostante non fosse stremato come la ragazza, aveva comunque il fiato corto.
Siri lo fissò intensamente, prendendo fiato, disse flebilmente: - Sei sicuro di non esserlo anche tu?
La guardò interdetto. Poi si sentì pungere sotto lo sterno: gli si dipinse in faccia un’espressione sconcertata quando, abbassando lo sguardo verso il petto, vide l’altra mano della spia, a cui non aveva dato peso perché libera, puntargli il pugnale, inclinato, verso il cuore.
Quindi gli occhi saettarono verso il polso che aveva attanagliato: la mano era vuota.
- Come…
Siri sorrise stanca, il viso sudato, la treccia spettinata e una chiazza di luce che le macchiava la fronte: Levi sentì di nuovo quella fitta nel petto ed era convinto che non sarebbe riuscito a distogliere lo sguardo dal viso di lei neanche sforzandosi.
La spia, era stato un attimo, ma era riuscita a lanciare la lama dietro il capitano e afferrarla con l’altra mano. Un giochetto di prestigio.
- Levi… ho imparato troppo presto che dove non posso arrivare con la forza, – smise di sorridere e prese aria – posso arrivarci comunque con l’ingegno. Sì, mi avresti mandata all’altro mondo – premette un po’ di più con la punta della lama – Ma ci avrei trascinato anche te.
Calò uno strano silenzio tra i due in cui si scrutarono a vicenda per qualche secondo, poi Levi si alzò e le porse la mano per aiutarla, ma lei rifiutò. Disse che sarebbe rimasta lì ancora per un po’ e che si sarebbero visti a cena.
- Da domani possiamo iniziare l’allenamento col dispositivo di manovra. – disse Levi prima di andare via. Siri assentì e rimase stesa nell’erba ancora un po’ a godersi la brezza pomeridiana, prima di indossare il giacchetto e andare a farsi una doccia.
Quella notte, Levi era davanti la sua finestra e mentre fissava il cielo terso, ripensava alla giornata appena trascorsa, ma non gli sfuggì il movimento di qualcuno di ritorno sul viale per il dormitorio. Siri era uscita anche quella sera e rientrava di nuovo nel cuore della notte. Questa volta non la sentì salire le scale. Un chiaro segnale che era guarita abbastanza da essere tornata ad essere il fantasma che conosceva.
 
Il mattino dopo Levi raggiunse Hange al campo d’allenamento, stava lavorando sull’arazzo, era molto più comodo per lei restare ai tavoli all’esterno per poter chiedere l’aiuto e il parere di Siri, impegnata con le lezioni corpo a corpo, ogni qualvolta ne avesse bisogno. Inoltre, le giornate adesso erano quasi sempre belle e stare fuori era molto meglio che ammuffire in biblioteca.
- Ancora nulla? – chiese. Il capitano era ansioso, come tutti gli altri a conoscenza dell’esistenza dell’arazzo; tuttavia, le due erano ad un punto morto.
- No… siamo esattamente al punto di partenza, come ti avevo accennato qualche giorno fa. – disse Hange, intenta ad appuntare ipotesi riguardo il ricamo su cui si erano concentrate quel giorno.
Appena era stato affidato loro l’arazzo si erano concentrate a capofitto sulle scritte, ma appurarono subito che si trattava di una lingua troppo antica. Dopo aver setacciato per due giorni la biblioteca, decisero di concentrarsi sulle immagini, mentre aspettavano dalla regina di sapere se a palazzo ci fossero dei libri utili.
Levi, in piedi accanto ad Hange, lanciò uno sguardo casuale verso la squadra: Siri aveva in mano un bastone col quale dava colpetti ai mocciosi per correggerli, accompagnando il tutto con sgridate e consigli austeri. Non aveva mai visto Sasha e Connie così concentrati.
- Ieri Siri ha ricevuto una risposta da Historia: in cinque giorni lei e i suoi valletti sono riusciti a setacciare solo metà della biblioteca a palazzo e per ora non hanno trovato assolutamente nulla di utile.
Svelato, quindi, il contenuto della lettera che Bernard le aveva consegnato. Ma gli sembrò, a questo punto, una reazione esagerata quella che aveva avuto sia Siri che il portantino per una notizia del genere. Doveva trattarsi di qualcos’altro.
- Prevedibile. Il culto delle mura e i nobili avranno distrutto qualsiasi cosa utile in questi anni.
Hange lo guardò allucinata: - SHH! – Levi portò di nuovo lo sguardo su di lei, la reazione improvvisa l’aveva fatto sussultare – Non provare a dirlo a Siri. È frustratissima, ieri aveva un diavolo per capello, anche se effettivamente a cena sembrava normale, non trovi?
La mente di lui tornò subito all’ “allenamento” nella foresta e, distogliendo lo sguardo da Hange disse: - Sì, è vero.
Hange sospirò pensierosa: - Sinceramente non invidio molto Siri. Mi ha raccontato che Eren ha avuto un crollo emotivo quando l’ha affiancata in infermeria la settimana scorsa, sai… per la questione dei tredici anni… – il viso della soldatessa si rabbuiò – È ingiusto, e l’ha pensato anche lei. Gli ha promesso che sarebbe riuscita a sintetizzare qualcosa per farlo guarire più in fretta quanto prima, sai, per farlo calmare. Ma diceva sul serio vista la quantità di tempo che passa in infermeria, anche se, a giudicare dal suo umore, credo che anche su quel fronte non abbia ottenuto buoni risultati.
Levi si poggiò sul tavolo, uno schiamazzo aveva attirato di nuovo la sua attenzione sulla squadra: Siri stava sgridando Sasha, tutti gli altri si erano fermati a guardare perché adesso le aveva intimato di sfidarla con l’asta. Abbassò lo sguardo sull’arazzo: - Siete i capoccioni più squilibrati che conosca, qualcosa la caverete da questo inutile straccio.
Hange arrossì in preda all’eccitazione: - Hai visto cosa riesce a fare Siri con la memoria? – alzò gli occhi al cielo estasiata – Vorrei tanto poter studiare questa sua capacità, sai che sa recitare i testi dalla fine verso l’inizio?! AL CONTRARIO, ti rendi conto Levi?! Se fosse stata nel nostro reggimento prima…
Levi la guardò annoiato: - Non ti aiuterò a sezionarle il cervello.
- Magari però quando sarà morta potrebbe donarmelo, chissà cosa si potrebbe scoprire… – lo sguardo della scienziata appariva stralunato, a Levi pensare a quella eventualità con piaceva.
- Ti sembra una cosa da proporre, quattrocchi? – il suo sguardo venne di nuovo rapito dalla sua squadra: Sasha era a terra dolorante e Siri la stava aiutando ad alzarsi, anche se, invece di far ripartire l’allenamento, la fece sistemare davanti al resto dei compagni.
La scienziata mise il broncio: - Ma perché non vi piace nemmeno l’idea? Quando l’ho detto a Siri mi ha nascosto di nuovo il microscopio…
- Ma che sta facendo? – Levi guardava la spia seduta sulle spalle di Sasha, intenta a fare delle flessioni. Hange si voltò a guardare: - Oh, tu non hai mai assistito ai suoi allenamenti. Non preoccuparti, è tutto normale. Sono le punizioni per chi sbaglia. Se non ti dispiace, ora torno a studiare lo straccio cencioso.
Levi si diresse verso la scena a braccia incrociate.
- Sei appena arrivata a cinque e già hai l’affanno! La prossi… – l’ombra di Levi le fece alzare la testa piegata su Sasha, la cui testa a sua volta sbucò dalle gambe di Siri.
- Ti diverti, saltimbanco?
Siri sollevò l’angolo della bocca e guardò il viso sotto sforzo della ragazzina: - Sasha allora, vuoi spiegare tu al capitano come ci sei finita così?
Sasha, col fiatone, rispose: - Sono… Morta troppe volte…
- Ha fatto schifo, in altre parole. Quindi la punisco. – Levi notò che nessuno aveva da ridire, e, dalle parole di Hange, aveva capito che ciascuno di loro ci doveva essere abituato a quel trattamento.
- Sei entrata da troppo poco nel corpo di ricerca per fare del nonnismo.
Siri si alzò e si avvicinò a Levi, con una espressione insondabile puntò gli occhi, penetranti, nei suoi, socchiuse la bocca per replicare, ma qualcun altro parlò poco prima che potesse farlo.
- Capitano! – Connie ruppe la tensione, facendo voltare non solo i due superiori verso di lui, ma anche gli altri che non riuscivano a spiegarsi il motivo dell’interruzione – Siri è una sua sottoposta ma è pur sempre una giovane donna e le ha appena dato della nonna…
Levi e Siri lo guardarono sconcertati, la bocca di Siri da dischiusa che era si aprì accompagnata da uno sguardo meravigliato. Sasha, nel frattempo, si era gettata al suolo e chiedeva se fosse ora di pranzo, di solito sinonimo della fine dell’estenuante allenamento.
La spia si strofinò una mano sulla fronte e chiuse gli occhi: - Connie, mentre l’altra metà del tuo cervello è occupata, faresti meglio a non parlare e dire cose senza senso. – si allontanò dal capitano e si piegò a raccogliere le aste di legno.
Il ragazzino non capiva, alzò un indice per replicare: - Ma…
Armin, mentre Jean cercava di trattenere una risata, lo tirò piano dall’altro braccio, in imbarazzo per l’amico gli disse a bassa voce: - No Connie, aspetta, ti spiego…
Mentre i ragazzini erano distratti a parlottare e scambiarsi consigli relativi al combattimento, il capitano aspettò che la vice tornasse davanti al gruppo: - Con una corsa intorno al campo otterresti lo stesso risultato.
- Ad ognuno i suoi metodi. – posò le aste sotto l’ombra degli alberi, poi si voltò a guardarlo – Se tu avessi insegnato loro qualcosa forse sarebbero migliori di così.
Non aspettò che le rispondesse, prese la scatola dei pugnali finti e si diresse verso la squadra, dandogli le spalle. Non nutriva più alcun risentimento verso di lui, la lotta del giorno prima aveva risolto la maggior parte delle loro grane in sospeso, ma entrambi in compagnia l’uno dell’altra sentivano una strana tensione a cui non riuscivano a dare una spiegazione logica. 
- Hai ragione. – Siri si bloccò sul posto. Si voltò a guardarlo ma si era già incamminato verso l’edificio.
 
- Stai scherzando vero?
Più tardi quel pomeriggio, Siri stava iniziando il suo allenamento per il movimento tridimensionale con Levi al campo. Con le giornate che si erano allungate, le ore pomeridiane offrivano la giusta luce per usare il dispositivo, inoltre quello erano le uniche ore rimaste libere a Siri: solo per l’allenamento con Levi aveva dovuto riorganizzare la sua intera routine, ridurre le ore di allenamento di Jean con lei, da tre a due e solo tre giorni a settimana. Per ora infatti premeva più che Siri si allenasse col dispositivo, era più indietro persino delle reclute.
- La mia ti sembra la faccia di uno che scherza?
Siri, quindi, rivolse lo sguardo a quello inflessibile del capitano: fece una smorfia seccata. Se lo sentiva che avrebbe aspettato l’allenamento a cui, per altro, non poteva tirarsi indietro, per vendicarsi di tutte le volte in cui aveva fatto l’insolente. Perché non continuare a farlo a questo punto?, pensò.
- Beh, capitano Levi, magari il tuo senso dell’umorismo può essere così strano da avere un motivo per trovare questodivertente. – alzò le spalle e lo guardò in tralice.
Levi sbuffò: - E quale mai potrebbe essere il motivo?
Siri sogghignò: - Che so. Magari ti piace il suono della mia risata.
L’altro di tutta risposta rimase impassibile e si avvicinò alle cinghie legate ai cavi del sistema di pali per il test attitudinale a cui erano sottoposte le reclute: - Ci stavo quasi per ripensare. Infila le cinghie.
La ragazza incrociò le braccia al petto e si avvicinò: - Ah no, scusa, sei solo sadico – disse guardandolo male mentre si allontanava per raggiungere la leva del riavvolgimento dei cavi.
- Sai che non ha senso questa cosa, vero? – Siri si stava allacciando le cinghie – Mi hai già vista usare il dispositivo quindi sai che ho l’equilibrio necessario.
- Voglio partire dalle basi. – iniziò ruotare la leva e sollevarla.
- No, vuoi solo farmela pagare. E divertirti sulle mie spalle. – adesso i suoi piedi non toccavano terra, era appesa dai cavi e fissava Levi con un’espressione sconsolata, sembrava un salame imbracato in perfetto equilibrio. Un salame molto irritato. Il capitano si mise di fronte a lei e afferrò un cavo.
- Adesso posso scendere? – non appena gli fece acidamente questa domanda, Levi iniziò a scuotere il filo di ferro: la spia spalancò gli occhi sorpresa e iniziò a contorcersi per rimanere in equilibrio.
- Guarda che non sintetizzo solo medicine, sono brava anche coi veleni! – la minaccia non sembrò turbare minimamente il capitano che continuava a muovere il cavo, ogni volta che lei trovava l’equilibrio lo scuoteva più forte: si stava divertendo così tanto che un sorrisetto affettato gli solcò le labbra. Alla fine, Siri perse definitivamente l’equilibrio e scivolò all’indietro, prima che cadesse, Levi la sorresse con una mano e la spinse in avanti, facendole recuperare la posizione iniziale. La spia si aggrappò ai cavi mentre Levi tornò alla leva.
- E hai il coraggio di accusare me di nonnismo!
- Hai un buon equilibrio, – disse allentando i cavi – possiamo passare al movimento tridimensionale nella foresta.
- Appena preparo del lassativo, credimi, smetterai di fare battute sulle feci.
Il resto dell’allenamento procedette senza intoppi, il suo maestro era molto rigido ma chiaro nelle spiegazioni, le insegnò a regolare meglio il gas e sprecarne il meno possibile, cosa in cui invece Siri era di manica molto larga. Imparò anche ad impugnare meglio le spade, ma nel movimento vero e proprio era un disastro: riusciva a virare solo molto lentamente, come se avesse paura di schiantarsi ogni qualvolta lo facesse; quindi, Levi le faceva ripetere gli stessi movimenti fino allo sfinimento, le sembrò di essere tornata al campo cadetti. Si allenarono fino a sera, quando lui decise, non che ne aveva avuto abbastanza per quel giorno, ma che non c’era abbastanza luce per poter continuare. Sfinita, a cena Siri non disse una parola, Levi nemmeno, inoltre non sembrava molto contento. Quando poi Hange chiese alla compagna di stanza come mai fosse così silenziosa lei poggiò la testa sulla mano e disse solo: - Il mio maestro è un sadico folle.
Hange guardò il capitano che aveva distolto lo sguardo e capì al volo: - Oh… Levi a me Siri serve in piena forma per lo studio dell’arazzo, e, non meno importante, dei giganti.
- Ha poco tempo per migliorare.
Siri ridacchiò: - A Levi piace praticare del nonnismo, ironico se pensi che mi ha accusata della stessa cosa stamattina.
L’altro la fulminò con lo sguardo: - Se credi che sia una cosa da prendere alla leggera puoi benissimo lanciarti sul primo gigante che incontreremo non appena usciremo dalle mura, così potrai farla finita subito.
Hange guardò il compagno a disagio: - Levi…
Prendere alla leggera… Parole sante, sai che si può morire anche nelle mura, vero? – Hange spostò adesso lo sguardo sulla spia, stavano per litigare, non credeva di aver mai visto nessuno dei due veramente arrabbiati, erano troppo cresciuti per iniziare una rissa davanti ai loro sottoposti, ma mai dire mai, si preparò al peggio. Eppure andavano così d’accordo…
- Devi avere sempre l’ultima parola, non è vero saltimbanco?
Hange vide Siri stringere il cucchiaio tra le mani, lo sguardo incendiario che si scontrava con quello gelido di Levi.
- Se lo dici tu. – rilassò la presa e tornò a fissare la minestra, facendo aggrottare le sopracciglia ad Hange – Perché impegnarsi tanto se poi rimani comunque carne da macello, sia in un modo che nell’altro.
Hange adesso guardava Siri apprensiva: - Siri!... 
Levi quindi rimase a guardarla ancora per qualche secondo, poi si alzò in silenzio e se ne andò, lasciando le due interdette. La spia lo seguì con lo sguardo risalire le scale della mensa e uscire, poi tornò a giocare con la minestra impassibile.
- Ma che vi prende ultimamente? – Siri guardò Hange alzando un sopracciglio – Siete scontrosi, beh, Levi più del solito… Ma tu di solito non-
- Non so di che parli Hange. – Siri portò una cucchiaiata alla bocca, lo sguardo basso, rapito dai pezzi di patate che galleggiavano in quella brodaglia nella gamella.
Hange la guardò indulgente: - Sei troppo severa con te stessa. Non è colpa tua se non sei riuscita ancora a cavare un ragno dal buco, insomma, vuoi fare tantissime cose in una sola volta: sintetizzare un farmaco, scoprire il significato dell’arazzo, portare il peso di quella promessa ad Eren… Poi non so cosa sia successo tra te e Levi, ma qualunque cosa sia vi preferivo quando vi stroncavate con battute sarcastiche.
Siri posò il cucchiaio nella gamella, continuando a fissare il suo contenuto: - Tu credi che io sia una persona leale, Hange?
L’altra la guardò disorientata: - S… Sì, certo. Mi fido di te. – quindi la spia alzò lo sguardo e le sorrise: - Grazie.
A quel punto anche la spia si alzò dal tavolo e uscì dalla mensa. La scienziata si prese la testa tra le mani e si scompigliò i capelli, non capiva che se Siri le avesse risposto con qualcosa di inerente al discorso, avrebbe reso la situazione ancora più penosa di quanto non l’avesse già descritta Hange. Le avrebbe raccontato del fascicolo che aveva trovato in camera di Levi, della notizia che le aveva dato Bernard il giorno prima, del segreto che Erwin l’aveva costretta a tenere, tutte cose che si erano aggiunte al peso delle responsabilità che si portava dietro, e che le avevano fatto male. Sentirsi dire però che Hange si fidava di lei, era stato abbastanza per tirarla su di morale. L’amica aveva in qualche modo inteso che c’era altro che la turbava, ma non glielo chiese, neanche quando la sentì sgattaiolare via dalla sua stanza dopo che era appena tornata dalla sua solita “passeggiata notturna”.
Siri non riusciva a dormire, nonostante la stanchezza. Forse era troppo stanca per dormire. Uscì dal dormitorio ed entrò in mensa, che credette essere totalmente vuota: evidentemente era così stanca che non notò Levi seduto ad uno dei tavoli infondo, intento a sorseggiare del tè. Era stata così silenziosa che si accorse di lei solo dalla sua entrata, neanche troppo furtiva, nelle cucine. Attese qualche secondo, poi, spinto dalla curiosità, e cercando di fare meno rumore possibile, si affacciò nelle cucine: la trovò che si arrampicava, in un modo che gli ricordò indiscutibilmente un geco, su per i ripiani. Si era messa la sua vecchia divisa nera, senza il mantello, e stava usando i rampini da palmo che una volta gli aveva mostrato.
Stava frugando sopra un pensile quando Levi decise di attirare la sua attenzione: - Saltimbanco, che…
Siri, che rispetto all’ingresso gli dava le spalle, sobbalzò visibilmente e perse leggermente l’equilibrio, scivolando verso il basso. Fece in tempo ad aggrapparsi all’estremità del pensile, con l’altra mano riagganciò i rampini riprendendo l’equilibrio. Voltò il viso con gli occhi spalancati verso di lui: - Da quanto tempo sei qui?
E soprattutto, perché non ti ho visto?, pensò.
- Sono qui da prima che tu entrassi. Che stai combinando?
Non l’aveva mai vista coi capelli sciolti, se non quella notte dopo la missione andata male all’ospedale, ma non poteva dire fosse la stessa cosa. Quella volta erano sporchi e bagnati, le ricadevano in faccia come una tenda strappata, mentre i suoi capelli, aveva notato in quel momento, erano folti e mossi dalle onde lasciate dalla treccia in cui li imprigionava ogni giorno, sembravano, piuttosto che una tenda, il velo dell’acqua. Siri tirò un respiro profondo e sospirò sonoramente, poi scosse la testa e si sporse oltre il bordo del mobiletto per prendere qualcosa che vi si trovava infondo, schiacciato contro il muro: - Mi hai sorpresa, ammetto di non averti visto né sentito boss.
Prese una sacca e con un salto atterrò sul pavimento, e senza guardarlo lo superò per raggiungere i fornelli: - Non riesco a dormire. Niente di sospetto, non preoccuparti.
Fosse stato permaloso almeno la metà di quanto non lo fosse lei, non parlerebbe più con nessuno. Oltre che scusarsi anche per non aver preso seriamente gli allenamenti, voleva spiegarsi: quel fascicolo l’aveva tenuto per pura curiosità nei suoi confronti, ma per una settimana l’aveva lasciato sulla sua scrivania a prendere polvere, quasi come se leggerlo anche all’insaputa della spia avrebbe significato tradirla. Siri poggiò la sacca sul ripiano accanto ai fornelli e si diresse nello scomparto delle stoviglie, lui la seguì e si fermò a pochi passi da lei: - Siri, mi dispiace. Per il fascicolo.
Dirle che non l’aveva letto era inutile e, dopotutto, se l’avesse letto, Siri, pensò lei stessa, l’avrebbe capito: le avrebbe fatto qualche domanda strana, l’avrebbe guardata in modo altrettanto strano e poi il suo modo di comportarsi nei suoi confronti sarebbe inevitabilmente cambiato. Non che avesse testato la sua teoria su alcuna persona, ma conosceva abbastanza le persone per sapere che quando queste vengono a sapere il lato più oscuro dell’altra, è inevitabile che il loro atteggiamento cambi. Levi non poteva fare eccezione, così credeva.
Siri, piegata davanti il mobile, smise di frugare e si girò a fissarlo, sondandolo. Poi si voltò di nuovo verso le stoviglie: - Non preoccuparti, lo capisco… devi perdonarmi per il mio comportamento di questi giorni, è stata una lunga settimana e per assurdo l’allenamento coi mocciosi era l’unico momento di leggerezza che ho avuto. Ma… ecco… – si rabbuiò e i suoi occhi erano gli stessi con cui lo guardò a cena quando gli fece domande su Kenny, supplichevoli – Se c’è qualcosa che vuoi sapere, puoi chiederlo.
Lui non poteva immaginare quanta forza le era costata dire quelle parole. Sì, lei voleva rispondere alle sue domande, ma il suo passato faceva male, dirgli cos’era successo quella notte faceva male. Anche solo pensarci era insopportabile, ma infondo al suo cuore sperava che dicendolo finalmente a qualcuno, il suo spirito si sarebbe in parte alleggerito. Quindi accettò l’eventualità che lui le chiedesse del suo passato.
Levi rimase impassibile e non distolse lo sguardo fino a quando non fu Siri a farlo per infilarsi col busto nel mobile, da cui ne venne fuori, dopo qualche secondo a frugare, con un bollitore. Aspettò che chiudesse l’anta col piede e si dirigesse di nuovo verso i fornelli per chiederle, finalmente: - Che ti ha detto Bernard l’altro giorno?
Siri si fermò sul posto, strinse tra le braccia il bollitore e la conversazione col suo vecchio collega le tornò vivida e bruciante nella mente.
 
La mattina del giorno prima un soldato a guardia dell’ingresso era andata a chiamarla, c’era il portantino della posta che voleva parlarle. Sapeva fosse Bernard, nonostante la lavata di capo che Pyxis gli aveva fatto, non poteva non affidargli i suoi lavori, era il migliore dopo Siri quindi il più adatto a consegnare le comunicazioni importanti. L’unico inghippo era che, inevitabilmente, Bernard venisse sempre a sapere su cosa stesse lavorando e le informazioni che si scambiavano lei e Pyxis. Con la regina invece aveva optato per un codice segreto che fossero in grado di leggere solo loro due; quindi, lo spasimante di Siri non sapeva proprio tutto tutto. Rimaneva sempre un passo indietro, dove, pensava la spia, era giusto che rimanesse.
- Mikasa, torno subito, tra due minuti togli le provette dal fuoco, quando arrivo penso io al resto. – la ragazzina annuì e diligente prese l’orologio da taschino della spia, che la lasciò con un placido sorriso sulle labbra, lo mantenne fino a quando, uscita dall’edificio, non vide Bernard in lontananza.
Vedendola arrivare, le sorrise lezioso, facendole sollevare gli occhi al cielo.
- Lucertolina!
Siri si fermò di fronte a lui, tenendosi a qualche passo di distanza, questa volta l’altro non ci provò nemmeno ad avvicinarsi, probabilmente perché aveva notato che si era ripresa quasi del tutto.
- Non è proprio possibile che tu ti possa alternare con Ankha, vero?
- La vedo dura, lo sai che certe informazioni Pyxis può darle solo a me. – ammiccò – Poi pensa che pena, non vedermi per due intere settimane, ormai non puoi più vedere qualcosa di bello quando ti guardi allo specchio e qui in giro è anche peggio… I tuoi occhi hanno bisogno di rifarsi in qualche modo.
Siri si mise le mani sui fianchi: - Fino a prova contraria sei tu quello che ha più bisogno di vedere me, non il contrario.
La guardò con occhi languidi: - Riuscirò a fare breccia, prima o poi.
Siri scosse la testa infastidita: - Hai una strana idea di corteggiamento Bernard. Di solito si fanno i complimenti.
- A te non farebbero effetto, non sei come gli altri.
A quelle parole la spia contrasse il viso con disgusto: - Oh santo cielo, Bernard è veramente imbarazzante, finiscila di dire stronzate. Avanti, dammi la lettera di Historia e sbrigati a dirmi le comunicazioni di Pyxis. Se sei qui immagino ne abbia una.
Siri rimase con la mano tesa verso di lui in attesa quando notò la sua espressione facciale farsi improvvisamente seria: lo guardò interrogativa mentre lui in silenzio prendeva la lettera dalla tasca interna della sua divisa nera.
- Ecco, riguardo questo… – le porse la lettera – Lucertolina mi dispiace.
Siri strappò di mano la lettera da Bernard e iniziò a leggerla, sconcertata constatò che Historia aveva setacciato metà della biblioteca a palazzo, e non solo non era riuscita a trovare niente, ma diceva anche di aver dato un’occhiata rapida da sola alla restante parte dei libri e le sembrava non esserci assolutamente alcuno scritto utile alla causa. Avrebbe ricontrollato libro per libro coi valletti ma era molto scoraggiata.
Bernard aveva abbassato lo sguardo: - Michel è libero.
Siri a quelle parole sentì un brivido attraversarle la nuca, si voltò di scatto verso di lui incredula: - STAI SCHERZANDO?!
Si rese conto di aver urlato, quindi ridimensionò il suo tono tossendo appena.
- Purtroppo no. Michel al processo è riuscito a dimostrare di non avere un coinvolgimento importante nei fatti, è rimasto in cella per una settimana e qualche giorno, poi è riuscito a sfuggire dalle “cure” di Zachary.
Michel è libero. Queste erano le uniche parole che le rimbombavano nella testa. Lei, tutto quello che aveva fatto, la sua immolazione al corpo di ricerca per la causa, tutto inutile. E, cosa più importante, Diya non aveva avuto alcuna giustizia in tutto questo, era morta per quel suo errore imperdonabile, credeva di averle reso giustizia, neanche vendetta perché lei non l’avrebbe mai accettata, e invece era andato tutto vano. Abbassò la lettera e iniziò a fissare il suolo, una rabbia mista a delusione e tristezza le appannavano gli occhi, la sentiva spingere quella forza invisibile dietro i suoi bulbi oculari. Si premette una mano sulla fronte, quasi a volerla contrastare.
Bernard si avvicinò a lei e le mise una mano sulla spalla: - Mi dispiace Siri… Pyxis non crede nemmeno di riuscire a fare nulla…
Nonostante lo shock, quel contatto la riportò coi piedi per terra e scostò la mano del ragazzo malamente per poi andarsene, senza nemmeno salutarlo.
 
- Michel Beaumont è libero. Non è più in cella con gli altri nobili.
A Levi tornò in mente quella fatidica notte, il suo urlo pieno di dolore quando sua madre era stata accoltellata, il suo viso contorto dal dolore e dalle lacrime e come lui dovette trascinarla via. Sgranò gli occhi a quelle parole, per qualche secondo non seppe che dire. Adesso capiva, comprendeva perfettamente il perché di quell’eccessiva permalosità.
- Pyxis non può dimostrare che quell’uomo ha ucciso tua madre?
Siri scosse la testa, piegata sul bollitore tra le sue braccia. Il capitano non credeva stesse piangendo, tuttavia giurava di poter sentire la sua tristezza.
La ragazza strofinò con un dito la ghisa: - A malapena è riuscito a recuperare il suo corpo e darle una degna sepoltura. – alzò la testa, il viso non tradiva la minima traccia di sconforto, ma era come vedere qualcosa di rotto – Non posso chiedergli altro, ha fatto anche più del necessario.
Sospirò e si diresse alla pompa dell’acqua, da cui riempì il bollitore che poi mise sui fornelli. Regnò un silenzio triste fino a quando Levi pensò bene di spostare l’attenzione su altro, gli si spezzava il cuore vederla in quello stato.
- Non riesci a dormire?
L’altra scosse la testa: - Tu nemmeno, immagino.
Le si avvicinò e si poggiò davanti ai fornelli, tirò un sorso dalla tazza e posò gli occhi sulla borsa che la spia aveva recuperato dal pensile: - Che hai in quella sacca?
Siri guardò prima lui e poi la sacca: - Qui? Ecco, ci sono erbe mediche, tè e tisane di vario genere.
Quelle parole solleticarono la curiosità del capitano, che si voltò verso di lei: - Di vario genere?
- Vuoi che ti faccia vedere? – lo guardò di sottecchi, Levi lo notò: i suoi occhi si erano come illuminati. Quindi annuì e notò un impercettibile sorriso attraversare le labbra di Siri, non l’aveva mai vista sorridere così innocentemente.
La spia aprì la sacca e con le mani che sembravano suonare un piano invisibile tirava fuori leggiadra tutte le erbe che aveva e gliene illustrava i vari tipi.
- Questo è tè nero, ma credo tu lo sappia già. Questo è tè verde, il mio preferito, mentre questo è tè bianco. Tu, per esempio, non dovresti bere tè nero a quest’ora per la tua insonnia.
- E che dovrei bere?
Siri arricciò le labbra soddisfatta: - Una tisana a base di valeriana per esempio, aggiungerei anche un po’ di biancospino, e per il sapore… – frugò ancora nella sacca e tirò fuori una serie di barattoli di vari colori che avevano assunto dal loro diverso contenuto – Puoi scegliere la frutta essiccata o le spezie che preferisci.
Levi guardava stupito quell’immensa collezione di erbe, spezie e frutta, ordinata e persino etichettata, la spia si rese conto che quella marea di ingredienti doveva averlo sopraffatto, per cui si offrì di illustrarglieli. Dopo aver esaminato con lo sguardo tutti quei vasetti alzò gli occhi su di lei: - Come hai tutte queste cose?
- Le coltivo io. Come anche le piante per le mie medicine, a volte sono costretta a comprarle, ma è molto raro, di solito riesco a procurarmele tutte da me. 
Lasciò che gli spiegasse tutto quello che sapeva sulle piante che coltivava, mentre seguiva non proprio attentamente quello che gli diceva, era concentrato piuttosto sul movimento delle sue mani, che languivano l’aria mentre indicava foglie e radici esiccate, ne prendeva una manciata e mentre parlava gliene faceva sentire profumo e consistenza. Improvvisamente si sentì leggero e intontito, non riusciva più a seguire una parola che gli diceva, ormai così concentrato nei movimenti armonici delle sue mani e gli venne in mente quella similitudine che aveva pensato spesso, di come Siri accarezzasse l’aria, ma mai prima di allora l’aveva affascinato così tanto.
Vorrei che quelle mani piuttosto che l’aria accarezzassero me.
Impietrì sul posto. La spia non si accorse, presa com’era a parlare di botanica, del repentino cambio di espressione sul viso di Levi, che si girò di profilo rispetto a lei e iniziò a fissare sconcertato il bollitore sul fuoco. Portò una mano sotto gli occhi e più ripensava a quello che aveva pensato più sentiva una fortissima vampata di calore salirgli dal collo alla testa. Sperava che Siri non si accorgesse di nulla e che continuasse a parlare fino al mattino dopo, cosa che sarebbe accaduta con ogni probabilità se ad un certo punto non si fosse girata con un pezzo di mela essiccata tra le dita.
- Assaggia ques-… Oh, hai le orecchie rossissime.
Un brivido percorse il capitano lungo la schiena quando lei si piegò su di lui e gli mise una mano sulla fronte.
- Cavolo, scotti boss. – abbassò lo sguardo sul bollitore che stava gorgogliando rabbioso – Ah ma è chiaro, stai avendo un colpo di calore, non avresti dovuto metterti davanti al fuoco.
Se c’era qualcosa che poteva peggiorare la situazione in quel momento oltre lei che parlava di tè, era lei che si comportava da medico con lui prestandogli tutte le premure che in quel ruolo si preoccupava di elargire. Cercò di non far trasparire assolutamente nulla, se da una parte moriva dalla voglia che lei si prendesse cura di lui, dall’altra la trovava una cosa stupida e assurda.
- Va a sederti di là, arrivo tra poco.
Obbedì, non riuscendo a proferire parola alcuna. Non avrebbe osato smentirla, e credeva che cercando di confermare l’ipotesi della vice avrebbe perso l’opportunità di cercare di capire cosa provasse in realtà: se quel pensiero e quei tonfi nel petto avessero effettivamente un significato, oppure era solo una coincidenza, un colpo di calore. Si sedette su una sedia nella mensa, si piegò in avanti poggiando il gomito sulla coscia e si prese le sopracciglia tra indice e pollice, cercando di calmarsi.
- Allora anche gli Ackerman possono essere vulnerabili. – alzò lo sguardo su di lei e, come sospettava, no, quei “sintomi” non erano una coincidenza.
- Porta un po’ indietro la testa. – Siri aveva un’espressione concentrata, si piegò su Levi e gli scostò i capelli dalla fronte delicatamente, quando gli sfiorò la pelle, lui sentì una scossa piacevole irradiarsi da quel contatto, che, con suo dispiacere, venne spenta col panno freddo ed umido che gli depose. Gli si sedette accanto e gli prese il polso, poi guardò l’orologio da taschino concentrata.
- Che fai saltimbanco? – riuscì a dirle Levi, cercando di fingere il più possibile un tono distaccato.
Dopo qualche secondo gli rispose: - Hai anche il battito accelerato… – Siri guardò dubbiosa l’orologio – Assurdo…
Poi si alzò e tornò in cucina, lasciandolo solo coi suoi pensieri che adesso vagavano a briglia sciolta da lei al disperato desiderio di pensare ad altro. La spia tornò da lui con due tazze fumanti e una boccetta scura nell’altra mano: - Se non dormi con questa sei un caso da studiare boss. – disse porgendogli la tazza – Cerca di stare nel letto tra un’ora, non vorrei mi svenissi nei corridoi del quartier generale.
Siri lo fissò intensamente dall’orlo della tazza, lui guardava davanti a sé impassibile cercando di non incrociare il suo sguardo, nonostante volesse guardarla a sua volta. Non appena bevve un sorso dalla tazza, la posò sul tavolo e senza distogliere lo sguardo gli chiese: - Posso provare anche un’altra cosa?
- Se proprio devi, sei tu il medico. – disse, cercando di apparire il più distaccato possibile ed evitando di nuovo il contatto visivo. Dalla sua visione periferica la vide posare la tazza sul tavolo e prendere la boccetta scura che si era portata dietro dalla cucina, gli si mise di fronte in piedi e versò qualche goccia di quello che gli sembrò olio su un pollice.
- Togli il panno dalla fronte per favore. – fece come gli aveva detto, e quando si rigirò verso di lei ritrovò la sua faccia a poca distanza dalla sua. Sentì il cuore mancare di un battito. Siri sfregò un pollice sull’altro e gli infilò le mani ai lati della testa facendo una leggera presa con i polpastrelli dietro le orecchie sul cranio rasato, dopodiché con dei movimenti delicati e rotatori gli sfregò i pollici sulle tempie. Piuttosto che un tonfo nel petto, adesso sentiva chiaramente il cuore battergli sullo sterno come se volesse uscire fuori dalla sua gabbia toracica.
Se quello che avrebbe voluto gli facesse prima erano delle carezze, quello che voleva gli facesse adesso era a dir poco indecoroso.
Guardò il soffitto, cercando di pensare ad altro, ma dopo poco tornò a guardare Siri negli occhi: com’era possibile che lei potesse stargli così vicino e apparire così calma, come se stesse guardando uno qualsiasi dei suoi pazienti? Involontariamente si concentrò sulle caratteristiche del suo viso per distrarsi: gli occhi nocciola grossi e concentrati, le labbra dischiuse, i capelli castani che le ricadevano ai lati del viso, e che avevano un profumo che gli ricordava vagamente quello della lavanda. Stranamente, funzionò.
- Sapevi della mia insonnia. Perché non hai cercato di propormi queste cose prima?
Siri sembrò risvegliarsi da una trance e lo guardò negli occhi, sfilò le mani dalla testa di Levi e si rimise dritta, asciugandosi i pollici su un fazzoletto: - Non curo nessuno che non voglia essere curato.
Levi portò la tazza, che aveva tenuto fino a quel momento sulle gambe, alle labbra: - Cosa ti fa pensare che l’ultima volta non volessi essere aiutato?
Lei lo guardò come se la risposta fosse scontata: - Che questa volta mi hai dato ascolto e ti sei lasciato curare. L’ultima volta mi sei solo stato a sentire. – Si sporse sul tavolo accanto a lui e prese la tazza, poi tornò di fronte a lui e lo guardò con intensità, si chinò di nuovo su di lui e flessuosa continuò – Si sente con queste, – con la mano libera gli sfiorò un orecchio con l’indice facendo rabbrividire piacevolmente Levi – ma si ascolta con questo – passò l’indice sulla tempia dove picchiettò due volte, poi spostò la mano sul suo petto e posò i polpastrelli all’altezza del cuore, facendo una leggera pressione – e con questo.
Si scrutarono per un po’, poi Siri percepì qualcosa di strano che non riusciva ad indentificare negli occhi dell’altro e quindi distolse lo sguardo a disagio. A quel punto il capitano si rese conto di averla fissata forse troppo intensamente; quindi, cercò di stemperare e sembrare il solito di sempre: - È meglio che tu vada a riposare, saltimbanco. Vorrei evitare che domani faccia pena come oggi all’allenamento.
Siri alzò gli occhi al cielo: - Tra un’ora nel letto, non dimenticarlo. – disse uscendo, totalmente ignara dell’effetto che aveva avuto sul suo superiore, a cui, ora, toccava prendere coscienza dei suoi sentimenti. Quella notte, a letto, si convinse che era stata solo la stanchezza di una lunga settimana inconcludente, dopo una missione che l’aveva portato nel posto che più odiava al mondo. Ma, straordinariamente, riuscì a dormire, non fino all’alba, ma più del suo solito paio d’ore; al mattino gli tornò in mente, inevitabilmente, la notte prima e ogni volta che pensava alla vice era pervaso dalle stesse sensazioni. Siri, invece, dopo aver finito la tisana, crollò e dormì come un sasso fino al mattino, quando si svegliò, era più sollevata rispetto al giorno prima.
 
Nei giorni a seguire, i ragazzini della squadra di Levi potettero osservare dei comportamenti più unici che rari assunti dal loro capitano: Mikasa che affiancava Siri quella settimana ebbe come l’impressione di vedere Levi passare più di una volta davanti all’infermeria, Eren notò come avesse iniziato a nutrire un certo interesse verso gli esperimenti di Siri e Hange, senza contare che gli allenamenti pomeridiani di Jean con la spia ormai avevano uno spettatore fisso che, stranamente, aveva traslato agli orari pomeridiani i suoi impegni burocratici.
Chi aveva davvero realizzato qualcosa, non erano nemmeno i diretti interessati, ma le infermiere della medicheria, queste, più grandi e navigate, avevano percepito il nascere di qualcosa di strano già da quando il capitano Levi iniziò ad andarci ogni giorno per parlare con la vice, in quelle due ore pomeridiane in cui Siri doveva tenere l’impacco sulla faccia per cicatrizzare la ferita. “Parlano della missione” si dicevano con sguardo complice quando si davano il cambio turno, “ma si sa, il capitano Levi è uno stakanovista” e ridacchiavano sottovoce per non farsi sentire.

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 - Tutti i tuoi segreti ***


Capitolo 17 – Tutti i tuoi segreti

 
Siri era già sull’uscio della porta dell’infermeria quando Eren la raggiunse: - Aspetta! Appoggiati almeno alla mia spalla!
Quando i due soldati rivolsero lo sguardo all’interno rimasero colpiti dall’abnorme differenza con la stanza che si trovava nel loro quartier generale e che assolveva alla stessa funzione: questa a palazzo era due volte più grande, c’erano pochi letti ma molto più spaziosi, il lavabo, come tutto il resto del mobilio, erano come nuovi, splendenti e all’avanguardia. La luce che entrava dalle finestre alte impreziosite da rilievi barocchi donava alla stanza un tono ancora più angelico. Non aveva nulla a che vedere con quella dove Siri passava le sue giornate.
Un’infermiera in una divisa bianca perfettamente stirata li raggiunse stralunata da quell’improvvisa intrusione: - Chi siete? – abbassò lo sguardo sui loro vestiti – Soldati del corpo di ricerca… Che ci fate qui? – non appena posò gli occhi su Siri e sul suo aspetto a dir poco malmesso questi virarono al preoccupato e si avvicinò ancora di più a loro, protendendo le braccia – È ferita signorina? Ha bisogno d’aiuto?
Eren guardò Siri col viso contratto, sperando che il superiore si lasciasse curare: in caso contrario, lo decise nel momento in cui poté osservare più da vicino il colorito biancastro dell’altra, avrebbe fatto la spia con l’infermiera.
- Siamo qui per conto della regina… Sì, sono ferita. Voglio vedere un medico.
Un miracolo, pensò Eren.
L’infermiera allungò le braccia verso Siri che si lasciò prendere e mettere il braccio attorno alla spalla della ragazza.
- Dottor Garret!
Il mondo aveva rallentato e fu come si fosse fermato quando alzò lo sguardo davanti a sé e vide il suo mentore per la prima volta in sei anni, si guardarono con una breve occhiata intensa, dalla quale non potevano far trasparire alcuna emozione. A Siri vibrò la palpebra di un occhio semichiuso e deglutì prima di abbassare lo sguardo, trascinata dall’infermiera verso uno dei letti nascosto dal tendaggio. Dopo che l’ebbe sistemata si rivolse ad Eren, che aveva seguito la vice al letto d’ospedale.
- Sei ferito anche tu?
- No, sto bene, la ringrazio. – l’infermiera a quel punto si allontanò.
Siri era seduta sul bordo del letto e si stava tormentando le mani mentre nervosamente guardava in basso da una parte all’altra, evitando il contatto visivo con Shawn. Quest’ultimo invece, perfettamente calmo e composto, stava versando dell’acqua in un bicchiere.
- Prenda, signorina…
- Sigrid. – rispose a sguardo basso la spia, prendendo il bicchiere e portandoselo alle labbra. Eren osservava Siri con estremo interesse: sembrava essersi fatta più piccola, o forse era solo merito dell’aria così composta del dottore che ispirava rispetto solo guardandolo.
- Bene, signorina Sigrid, come mai è qui?
Siri alzò lo sguardo sbarrato su di lui che, capendo il doppio significato della domanda, specificò implicitamente, rassicurandola, che non si riferiva alla missione: - Cosa si è fatta?
La spia face un respiro profondo, posò il bicchiere sul comodino accanto al letto e si toccò l’anca: - Ho un livido parecchio grande qui. Non riesco a camminare bene.
L’infermiera tornò con un carrellino ricolmo di garze e medicine: - Dottore.
- Oh sì Liza, lascia pure qui. Mi occuperò io della signorina, non mi serve aiuto. – l’aiutante obbedì e sparì oltre la tenda. Shawn, quindi, alzò lo sguardo su Eren: - Ragazzo, anche tu dovresti uscire. Devo visitare la tua compagna.
Siri si girò e gli fece cenno di poter andare, solo a quel punto il ragazzo annuì e uscì dallo spazio quadrangolare ben circoscritto dalle tende inamidate.
Rimasti soli, l’aria si fece come più rarefatta, la spia non aveva il coraggio di guardare Shawn, davanti a lui non riusciva ad essere quella di sempre, un po’ per timore reverenziale, un po’ perché temeva si rendesse conto di come fosse diventata una persona così diversa da quella che l’altro ricordava.
- Stenditi. – riuscì a dire il medico. Siri obbedì in silenzio e abbassò i pantaloni quel tanto che serviva per mostrare l’enorme livido violaceo. Shawn impallidì e iniziò a valutarne la grandezza, oltre che l’origine del dolore.
- Come te lo sei fatta?
- Stavo… Ero in missione. Ho ingaggiato uno scontro, erano in tre. – guardava davanti a sé, cercando di nascondere le sue emozioni, ma sapeva che Shawn non si sarebbe lasciato sicuramente sfuggire l’occasione di parlarci, dopotutto era assurdo che non lo facessero. Ancora più assurdo era il fatto che Siri non avesse il coraggio di intraprendere il discorso, aspettando che fosse lui a farlo.
- Ti fa male se premo qui?
- No.
- E qui?
- Sì. – poi le fece muovere la gamba e testare la sua mobilità. Con un sospiro che annunciava la fine della visita, Shawn disse: - Allora, cosa è Siri? Sai rispondermi?
L’altra si riallacciò i pantaloni e si mise seduta, le gambe distese lungo il letto: - Microfrattura dell’anca. L’articolazione coxofemorale non è coinvolta.
Shawn annuì in silenzio: - Come si procede in questi casi?
- Bisogna tenere l’arto in esercizio, ma senza sforzarlo.
- Tempi di guarigione?
- Dalle sei alle otto settimane. Ma entro una settimana livido e dolore saranno quasi del tutto scomparsi e la motilità recuperata praticamente del tutto.
Sorrise placido: - Vedo che non è cambiato nulla, sei ancora la mia allieva migliore.
Siri si voltò a guardarlo, lui le accarezzò il capo e le strinse la testa al suo petto, sciogliendo la tensione della ragazza che, senza nemmeno rendersene conto, lasciò uscire delle lacrime silenziose, senza riuscire a ricambiare l’abbraccio.
- Ma sono ancora arrabbiato con te. – continuò dopo essersi separato da lei, avevano passato qualche minuto in quel modo, nessuno dei due voleva mostrare all’altro la propria commozione. Siri lo guardò sconfortata, aprì la bocca per replicare ma venne interrotta da Shawn che alzò un indice severo: - In più, lo vedo dai tuoi occhi: lo sai che prendere tutto quell’analgesico fa male…
Siri alzò gli occhi al cielo e sbuffò, la sua voce si sovrappose alla sua: - Shawn so quello che faccio, per favore non…
- … Una dose così massiccia non…
- Dai, per favore…
- Sai quello che fai? – Shawn aveva alzato la voce per stagliarsi sulla sua, ottenendo proprio l’effetto sperato: Siri, infatti, tacque – Sai quello che fai, come quella volta, sei anni fa?
L’altra abbassò lo sguardo colpevole: - Possiamo non parlare di-
- No Siri, hai ventisei anni ormai e sei sempre la solita testona.
La spia si morse l’interno del labbro in silenzio. Il discorso era rimasto sospeso per troppi anni ed era inevitabile che venisse fuori proprio in quel momento, in cui era ferita per colpa del suo nuovo impiego e sotto l’effetto di una dose di quella che non si poteva altro che definire droga.
- Mi mandi delle lettere per dirmi che sei viva, mi dici di non dirlo a Diya e di trasferirmi in un altro ospedale. Perché non volessi dirlo a Diya rimarrà sempre un mistero per me, ma lo è ancora di più il fatto che tu non sia scappata, non mi abbia raggiunto. – Siri lo guardò di sottecchi, tenendo la testa abbassata un muscolo della mandibola guizzò – Non dovrei dirti che avevo ragione e che dovevi ascoltarmi quando ti dicevo di non andare dai Beaumont, ma ad un certo punto c’è stato un momento in cui hai potuto scegliere. E invece che vivere in una famiglia, con me e Diya, hai preferito rimanere da sola.
Siri respirava pesantemente, dopo aver assorbito quelle parole prese coraggio e decise di essere onesta: - Mi avreste davvero fatto da genitori? Non ero più la persona che conoscevate. Non lo sono più. Non mi avreste riconosciuta perché sono diventata qualcosa che persino io fatico a definire. Tu sei diverso da Diya, potevi resistere dal vedermi, ma lei no, lei non ce l’avrebbe fatta e avrebbe messo a rischio la sua vita per stare con me.
Ma alla fine è morta lo stesso, pensarono entrambi ma non ebbero il coraggio di dirlo ad alta voce, era comunque un pensiero che bruciava come una pugnalata nel petto.
- Per questo dico che sei solo ottusa. – Shawn incrociò le braccia – Sei ottusa ed orgogliosa. Perché non riesci a capire che ti avremmo amata qualsiasi cosa tu fossi diventata? – aspettò che le sue parole sedimentassero per poi massaggiarsi una tempia e continuare – Ma sono convinto che tu questo lo sappia già, e hai deciso comunque di rimanere a raccogliere i pezzi da sola.
- Tu credi mi sia piaciuto?! – sbottò Siri, cercando di tenere la voce più bassa possibile, ma ormai Eren, che si trovava abbastanza lontano da non capire la conversazione ma abbastanza vicino da sentire le loro voci, aveva inteso ci fosse qualcosa di strano dal parlottare tra la vice e il dottore ed era rimasto in allerta, tuttavia non si sognava d’intervenire, per il momento.
- Diventare il fantasma che va a trovare Diya senza poterle dire nulla, mandare via te dal tuo ospedale, la tua casa, poi farti venire qui ad occupare una posizione inutile che non ha nulla di stimolante?! Se ho fatto tutto questo è solo per proteggervi, non potevo stare con voi, il mio senso di colpa è troppo grande e… – si morse le labbra – Devo ripagare il mio debito.
Shawn la guardò imperturbabile: - Non hai debiti con nessuno Siri, non più. Tu sei libera.
- Ti sbagli. Ne è rimasto solo uno, ed è con me stessa.
Rimasero a fissarsi in silenzio, poi Siri abbassò lo sguardo e si liberò di un peso: - Non mi pento di non essere scappata, non mi odio, anzi. Credo comunque di aver cercato di prendere le migliori decisioni possibili. Mi pento di non aver protetto Diya abbastanza, ma probabilmente sarebbe successa la stessa cosa se non peggio. – lo guardò, sperando che la capisse – La mia vita ha preso questa piega. Ma mi va bene così com’è.
Shawn la scrutò attentamente, dopodiché sospirò: - Non posso imprimerti i miei desideri. Mi sarebbe piaciuto esserti accanto e vederti crescere e avere una vita tranquilla. Ma ti ho già vista diventare un medico brillante, va bene così anche a me.
La spia gli sorrise e il dottore dovette distogliere lo sguardo per evitare di commuoversi di nuovo: - Adesso però hai bisogno di una flebo, poi ti do delle stampelle, una maglia pulita e potrai tornare alle tue faccende da soldato.
***
 
Il giorno dopo, Siri non si presentò a pranzo, Mikasa era rimasta con lei per tutto il tempo in infermeria e quando uscì dalla mensa prese la sua porzione per portargliela; per cui, Levi ebbe tutta la mattinata per pensare alla sua precaria situazione: arrivò alla conclusione che doveva vederla di nuovo, dopotutto voleva chiederle la tisana che gli aveva preparato e, si disse, quella non era assolutamente una scusa. Avrebbe potuto aspettare l’allenamento che aveva con lei nel tardo pomeriggio, ma era un’eventualità a cui non aveva neanche lontanamente pensato.
Portandosi con sé il lavoro da fare, si diresse ai tavoli all’esterno, dove sapeva l’avrebbe trovata nelle vicinanze ad allenarsi con Jean: la vice era seria quando aveva detto al ragazzino che sarebbe diventato il suo allievo, giorno per giorno gli stava insegnando tutto quello che sapeva, non solo le tecniche di combattimento che impartiva la mattina anche agli altri, ma anche come nascondersi, sparare, parlare e seguire gli obiettivi; insomma, come spiare. Vedeva in lui del grande potenziale e Jean ne andava fiero, man mano che migliorava rendeva Siri sempre più orgogliosa e soddisfatta della sua scelta.
Levi credeva di trovare solo Siri e Jean, ma con suo disappunto lei c’era, ma sola con Hange: stavano ripetendo ai tavoli le informazioni sui giganti, sentiva la scienziata interrogarla mentre la spia era intenta a leggere un libro e rispondeva alle sue domande senza nemmeno alzare lo sguardo.
- Smettila di leggere quel coso, non ti servono a niente gli scacchi! – Hange si sporse verso di lei e cercò di strapparle di mano il libro, ma i riflessi della spia la precedettero, spostandosi all’indietro le impedì di afferrarlo.
- Ti sto rispondendo correttamente, che t’importa se faccio altro nel frattempo. – Levi si avvicinò al tavolo e posò i documenti dal lato di Hange. Le due amiche non lo degnarono di uno sguardo, intente a bisticciare com’erano.
- Ah sì?! Guarda che adesso dobbiamo iniziare gli anomali – Hange sporse ancora di più la mano verso di lei, ma l’altra l’afferrò e iniziò a spingerla via – e ho bisogno della tua più completa attenzione.
Siri la fulminò con lo sguardo e le rivolse un sorriso furbo quando le spinse la mano con più forza, facendola barcollare all’indietro. Rivolse quindi lo sguardo a Levi che nel frattempo si era seduto e, senza lasciare la mano della scienziata che cercava ancora di acchiappare il suo libro, disse: - Stai meglio oggi?
- Sì, sto come al solito. – sentendo quello scambio di battute, l’attenzione di Hange venne catturata e si bloccò con mezzo busto sporto verso Siri, le ginocchia sulla seduta. Guardò, accigliandosi, prima Siri e poi Levi: - Ieri stavi male?
Levi abbassò il capo sui documenti, alche la spia rispose per lui: - Ha avuto un colpo di calore, dovevi vederlo. Dovresti cercare di stare all’ombra boss.
Hange lasciò la presa sul braccio di Siri e si sedette composta, batté le palpebre stranita continuando a fissare Levi che ricambiò infastidito: - Che hai da fissare quattrocchi?
- Nulla, è che è proprio strano, tu… un colpo di calore. – si mise un indice sul mento e guardò in alto – Non riesco proprio ad immaginare una cosa del genere.
Siri si sistemò di profilo e con una mano manteneva il libro “Teoria e tecnica: gli scacchi” davanti a sé, con l’altra teneva la testa sul dorso della mano poggiandosi col gomito sul tavolo: - Ah, prima di ieri sera non immaginavo una cosa simile nemmeno io…
Levi alzò lo sguardo sulla vice, desideroso di spostare l’argomento su altro, chiese: - Non devi allenare Jean?
- Si sta riscaldando. – disse distrattamente, senza alzare lo sguardo dalla lettura. Il capitano abbassò il capo sui fogli, e iniziò a compilarli, ma non passò molto tempo che, con un tono forzatamente distratto, le chiese: - Hai… – più gentile – … Posso avere la tisana di ieri? – la guardò in tralice, non credeva avrebbe alzato lo sguardo dal libro, e invece a quella domanda l’attenzione di Siri fu completamente catturata: all’inizio non aveva creduto glielo stesse chiedendo sul serio, però appena metabolizzò la domanda gli sorrise serafica per poi tornare subito a guardare il libro. Levi facendo finta di niente fece scivolare la mano nei capelli, per poi coprire con questa l’orecchio alla vista di Hange, che gli stava dedicando fin troppa attenzione.
- Dammi il tempo di essiccare e pressare tutti gli ingredienti e te ne do un po’ boss.
- Levi, perché… – Hange gli si era avvicinata e stava per chiedergli qualcosa che avrebbe reso la situazione molto imbarazzante, per l’interrogato, se non fosse arrivata Mikasa ad interromperli.
- Siri. – l’attenzione di tutti venne veicolata sulla ragazzina. La spia alzò lo sguardo dal libro e lo chiuse rumorosamente, posandolo sul tavolo, si alzò.
- Puntualissima. Andiamo, Jean ci aspetta. A dopo. – Non appena si allontanò, Levi espirò quasi ad essersi liberato di un peso e tolse la mano dall’orecchio.
- Di che tisana parlavi? – chiese Hange, lasciando perdere il quesito precedente.
L’altro, che finalmente riusciva a concentrarsi sui documenti, senza nemmeno alzare lo sguardo rispose secco: - Non sono affari tuoi, quattrocchi.
Quando Jean vide arrivare Siri in compagnia di Mikasa, gli venne quasi un colpo. La spia gli aveva detto che sarebbe stato un allenamento diverso dal solito, ma non si aspettava certo che avesse scelto proprio la sua compagna di squadra come “ospite speciale”, e quel che era peggio era che sapeva già dove Siri volesse andare a parare portandola lì.
- Mikasa, come ti ho raccontato in infermeria, sto allenando Jean, e quello che vorrei facessi oggi pomeriggio è semplicemente batterti con lui. – disse la spia, dando le spalle all’allievo che non moriva dalla voglia di dover affrontare la ragazza per cui aveva una cotta da tre anni.
- Quindi come quando ci alleniamo di mattina? – chiese Mikasa retoricamente.
- No. Dovrai essere molto più aggressiva. – Siri si voltò poi verso Jean che aveva iniziato ad opporsi con parole scomposte. La spia lo guardò con occhi truci, poi, a poca distanza dal ragazzo, minacciosa gli disse a bassa voce: - Guarda che ti ho capito Jean-Jean. Prova anche solo a fare il belloccio ed esitare e ti assicuro che al prossimo allenamento giochiamo a tiro a segno. Tu fai il bersaglio.
Dopo averlo incendiato con lo sguardo, improvvisamente batté le mani e rilassò il viso, con un cambio così repentino che a Jean venne la pelle d’oca: - Bene, ci si ferma solo quando uno dei due viene atterrato. Io sarò sotto quest’albero.
Siri non aveva alcuna intenzione di fare un favore a Jean dandogli l’occasione di passare del tempo da solo con Mikasa, non le interessava assolutamente nulla delle implicazioni amorose, né di fare da una sorta di cupido. Doveva risolvere un problema che il ragazzo, da quando l’aveva conosciuto, aveva dimostrato di avere: quando si trattava di dover premere un grilletto, ma in genere si trovava di fronte ad una scelta che implicasse sporcarsi le mani, era restio a farlo, esitava. Se davvero era come diceva Erwin e presto avrebbero scoperto il segreto del loro mondo, era abbastanza convinta che saper uccidere i giganti non sarebbe bastato più e che Jean sarebbe stata una risorsa troppo preziosa da sprecare: per questo motivo Siri credeva che farlo combattere con Mikasa l’avrebbe in un qualche modo aiutato ad esitare meno, era una fortuna che il ragazzo fosse innamorato proprio della migliore in fatto di combattimento e che, quindi, gli avrebbe dato seriamente del filo da torcere.
Come prevedibile la ragazzina attaccò per prima e dopo poco riuscì ad atterrare Jean, Siri se lo aspettava per cui disse un annoiato: - Ancora. – e li fece riiniziare. Chiaramente il suo allievo si stava limitando, non dava il massimo e nel giro di pochi minuti Mikasa lo atterrò di nuovo. Poi lo fece di nuovo altre quattro volte. Dopo l’ultima, prima di aprire bocca, Siri guardò Jean quasi sprezzante: - Ancora.
Il ragazzo si sentì colpito nell’orgoglio. Finalmente qualcuno aveva notato le sue capacità, l’aveva apprezzato per quello che era, non solo, riteneva le sue caratteristiche degne di nota: non poteva deluderla. Si rialzò e ricominciò a combattere, Siri però questa volta notò un cambiamento di predisposizione in Jean e cominciò ad osservare con più attenzione. Finalmente il ragazzo riuscì ad assestare un colpo efficacie sul fianco a Mikasa, che barcollò: approfittò dell’indecisione per bloccarla alle spalle, tenendole fermo un polso con una mano e bloccandole l’altro braccio sul fianco cingendola.Atterrala. Jean stava per spingerla per terra, ma incrociò gli occhi della compagna e non ce la fece, credeva che bloccarla andasse bene lo stesso, quindi, rimase bloccato in quella posizione: la ragazza riuscì a divincolarsi e afferrargli il braccio, ribaltandolo per terra.
A Jean veniva quasi da piangere, ma Siri si alzò e disse semplicemente: - Va bene così. Puoi andare Mikasa, ti ringrazio.
La ragazzina annuì e porse gentilmente una mano al compagno, aiutandolo ad alzarsi prima di andarsene.
- So che è difficile, ma devi cercare di controllare le tue debolezze Jean. Spesso da soldato ti troverai davanti a scelte moralmente difficili. – Siri gli porse un grimaldello – La tua è una debolezza bella, ma quando ti troverai a dover scegliere, prendi la decisione che può salvare la tua vita rispetto a quella che può salvare un nemico.
Jean si guardava i piedi colpevole: - Potevo atterrarla, è che… - Siri gli strofinò una mano sulla spalla e andarono al quartier generale dei veterani per esercitarsi coi grimaldelli nell’apertura delle serrature.
La spia si era accorta nei giorni precedenti dei sentimenti del ragazzo, dopotutto erano talmente palesi e lei era molto perspicace quando si trattava di determinate cose. Perlomeno, credeva di esserlo, perché non si accorse minimamente di come Levi aveva cambiato il modo di relazionarsi a lei negli ultimi giorni, non si poteva comunque biasimarla perché il capitano era molto restio ad esprimere le proprie emozioni, che lui per primo non voleva ammettere. Tuttavia, se avesse prestato attenzione ai dettagli avrebbe sicuramente notato delle stranezze che soltanto chi conosceva Levi da tanto tempo avrebbe potuto notare. Come quando, alcuni giorni dopo, Siri consegnò al capitano la tisana che le aveva richiesto, un primo indizio poteva essere quello che anche quella mattina lui aveva scelto l’esterno, pur significando stare a stretto contatto con Hange che gli sedeva di fronte.
- Ehi boss. – Siri era arrivata in compagnia di Mikasa, quasi al termine del suo periodo di affiancamento in infermeria, che raggiunse gli altri per il riscaldamento lasciando l’altra indietro. La spia si fermò a parlare con gli altri due superiori, Hange, nonostante non fosse coinvolta nella conversazione si girò lo stesso a guardarla. Siri tirò fuori dalla sacca un barattolo in vetro e lo posizionò davanti ai documenti di Levi: - Ci ho messo un po’, ma dopotutto… non si mette fretta all’arte.
Levi abbassò lo sguardo sul barattolo e lo alzò per guardare meglio il contenuto: Hange lo stava osservando attentamente e poche altre volte le era sembrato di vedere il suo sguardo così rilassato, forse era un effetto del sole ma avrebbe giurato di vedergli gli occhi luccicare.
Siri si appoggiò sul tavolo facendo peso sulla mano, tenendo il braccio teso e l’altro sul fianco disse: - Anche ai medici, di solito, si dice grazie.
Lui la fulminò con lo sguardo di rimando, stava per replicare quando lo interruppe: - Ah quasi dimenticavo. – frugò nella tasca del giacchetto, tirò fuori un fazzoletto perfettamente piegato e glielo porse – Il fazzoletto che mi avevi prestato, ti ringrazio. Visto, è facile.
Levi prese il fazzoletto e sfiorò le dita di Siri, Hange seguiva tutta la scena sempre più interessata, ma fu quello che venne dopo che le fece realizzare con chiarezza il quadro generale.
- Ehm – Levi guardava il fazzoletto, poi, resosi conto dello sguardo indagatore della compagna di fronte a lui, si era voltato verso Siri e, col suo solito tono minaccioso, le rispose: - Non credere che questo – con un gesto della mano in cui teneva il fazzoletto indicò anche il barattolo – mi renderà accomodante nell’allenamento oggi pomeriggio saltimbanco.
Siri alzò gli occhi al cielo: - Oh sì, mi hai scoperta. – sorrise benevola, guardò Levi e Hange, poi s’incamminò verso la squadra – Ci vediamo più tardi. Ora è il mio turno di tormentare i miei allievi.
Dopo averla seguita andare via con lo sguardo, lo abbassò sul fazzoletto che aveva ancora tra le dita: strofinò la stoffa liscia e pulita e gli sembrò di percepire un leggero profumo. Lo posò davanti ai documenti e riprese la penna per continuare il lavoro, ma la sua mente non aveva voglia di collaborare. Mentre fissava senza concentrazione alcuna i documenti, tenendosi il capo nella mano, roteò la penna e gli occhi caddero sul fazzoletto. Inconsapevolmente, lo portò alle narici e respirò piano il dolce profumo di lavanda di cui era pervaso, con la mente tornò a quando aveva sentito lo stesso aroma provenire dai capelli sciolti di Siri, di questi che le ricadevano ai lati del viso, e che per un momento l’avevano sfiorato sul viso. All’immagine così vivida, venne attraversato da un brivido che risalì dallo stomaco e poi lungo il collo: contrasse la mascella per ignorarlo e alzò lo sguardo dopo aver rimesso l’oggetto delle sue distrazioni al posto in cui si trovava. Suo malgrado, incontrò quello scioccato di Hange.
- Oh. Mio.
- Hang-
- COSA!? – la scienziata si era sporta verso di lui, la frenesia della realizzazione aveva fatto partire in quarta il suo cervello e il suo tono di voce: aveva fatto voltare la squadra che, in lontananza, si era bloccata e adesso guardava i due, interrogativi. Levi le batté in testa uno dei libri che Hange si era portata dietro, facendole mordere la lingua con l’impatto.
- Lo sapevo! TU, un colpo di calore? PUAH. – disse risistemandosi gli occhiali sul naso – Sei anni che ti conosco e non hai avuto il raffreddore nemmeno una volta. Siri ti prepara una tisana e hai un colpo di calore. – quest’ultima frase la pronunciò facendogli il verso. Levi si alzò e iniziò a raccogliere le sue cose: - Non ho alcuna intenzione di continuare questa conversazione.
L’amica incrociò le braccia al petto: - Tipico. La tua negazione è però una reazione interessante. – l’altro le rivolse uno sguardo gelido.
- Eppure credevo che Siri fosse brava, come ha fatto a non accorgersene, anche se, onestamente, avrei fatto fatica anch’io se adesso tu non avessi-
- Ohi, hai finito di blaterare? – Levi aveva impilato tutti i suoi fogli, aveva poggiato i polpastrelli sulla loro sommità e fissava Hange con intensità, sembrava stessero facendo a gara a chi staccasse per primo lo sguardo. Poi però quello di Levi cadde sul fazzoletto, tese una mano per prenderlo e distolse lo sguardo mentre se lo infilava nella tasca dei pantaloni. La scienziata scoppiò in una rumorosissima risata, dovette tenersi la pancia per quanto stava ridendo. Levi la guardò in cagnesco.
- Non capisco cosa cazzo ci sia da ridere. Stupida quattrocchi.
Hange prese fiato e prima che Levi se ne andasse, dopo essersi caricato tutte le sue cose, ancora col fiatone gli chiese: - E ora che hai intenzione di fare?
- Cosa dovrei fare? È una mia sottoposta. Farò finta di niente. Farai finta di niente. – si fermò di profilo, i documenti sottobraccio, nell’altra mano portava il barattolo.
Lei tirò giù gli angoli della bocca, delusa dalla risposta: - Avete praticamente quasi lo stesso grado, a trovare scuse sei proprio pessimo. Siete due tipi strani… – abbassò gli occhi sui suoi appunti, Levi non riusciva più a distinguere quelli dell’arazzo da quelli dei giganti ormai – L’importante è che non distrai Siri dai nostri progetti.
Levi si limitò a pronunciare un: - Tch. – prima di voltarsi e andare via. Dà a noi degli strani, senti chi parla… si rese conto di aver usato la prima persona plurale e, con una smorfia frustrata, si grattò la fronte col dorso della mano. Ormai non riusciva più a tenere a freno i suoi pensieri e si chiedeva cosa avrebbe potuto fare (nonostante con Hange si fosse mostrato incurante a riguardo) se non continuare a proseguire lungo quella strada di negazione. Tuttavia, si rendeva perfettamente conto di non riuscire ad essere indifferente ed era questione di tempo perché Siri se ne accorgesse, e a quel punto che sarebbe accaduto? La spia non gli sembrava sicuramente una persona propensa a seguire la via della negazione o indifferenza, come avrebbe potuto reagire rimaneva per lui un grande mistero. L’unica volta che l’aveva sentita parlare di sentimenti “teneri” era quando aveva raccontato del debole che Bernard aveva per lei, ma non si era sprecata in commenti positivi, d’altro canto Bernard era un insopportabile narcisista. Più tardi a cena ci aveva ripensato mentre la spia accanto a lui si strofinava continuamente il naso dritto, lamentandosi delle lentiggini che le erano spuntate sopra, a causa di tutto il tempo che passava all’esterno per gli allenamenti.
- Anche a mia madre venivano spesso. – disse Hange, prendendo una cucchiaiata.
- Non mi piacciono, da piccola mi prendevano continuamente in giro. “Ti sei lavata la faccia stamattina?”, perché dovrebbe far ridere una cosa del genere… – notò con la coda dell’occhio che Levi la stava fissando, si girò e corrugò la fronte – Capisco che da come mi hai soprannominata verrebbe naturale, ma non sono un fenomeno da barraccone per questi due puntini che ho in faccia.
Colto in fragrante, si voltò di nuovo verso la minestra: - Non capisco perché farsi tanti problemi.
Siri sbuffò: - È l’ultimo dei miei problemi boss, non preoccuparti. – si strofinò ancora il dorso del naso – Ah e per la cronaca, me la sono lavata la faccia.
Hange con un sorriso malizioso disse: - Forse Levi intendeva dire che a lui piacciono.
Levi alzò lo sguardo minaccioso su Hange, mentre Siri la guardò tentennante dischiudendo le labbra: - Che storia…
- Sono solo lentiggini. – disse secco – Non capisco perché non dovrebbero piacerti. Non sono neanche così grandi e dominanti sulla tua faccia.
Moblit, accanto ad Hange, stava seguendo il discorso, non capendo come fossero arrivati fino a quel punto e soprattutto perché si fossero concentrati sulle lentiggini. Iniziò a bere il brodo della minestra dubbioso.
Siri lo guardò poggiando una guancia sulla mano: - Ah, quindi c’è un elemento “dominante” sulla mia faccia?
Levi la guardò impassibile e le disse, serio: - I tuoi occhi. Sono grandi e hanno un taglio diverso dagli altri.
Hange storse un labbro: - Questo è il tentativo di complimento meno efficacie che si potesse mai fare.
A Moblit, realizzando immediatamente le allusioni e capendo le reali intenzioni di Levi, andò di traverso il brodo e con un colpo di tosse lo sputò tutto sul tavolo.
Da che Levi aveva sgranato gli occhi alle parole della caposquadra, l’incidente provvidenziale di Moblit fece voltare tutti verso di lui, lasciando l’intervento imbarazzante cadere nel dimenticatoio.
- Cazzo Moblit, è rivoltante. – disse Levi disgustato, che in realtà ringraziava la distrazione data dall’immagine del cibo rigurgitato che si spandeva sul tavolo.
Siri contorse le labbra perplessa, con un sospiro quindi cancellò quella sua espressione confusa e si alzò: - Mi è appena passata la fame.
Con lei anche Hange andò via. Poco dopo, Levi stava per uscire dalla mensa quando sentì distintamente le voci di Siri e Hange che stavano parlando tra loro sotto i portici: non superò l’uscio, approfittando del fatto che erano immerse nella conversazione e non si erano accorte del rumore dei suoi passi. Non uscì allo scoperto perché Hange nel mezzo del discorso aveva esordito con: - … Anche stasera quindi vai da Erwin?
Levi sentì il cuore sprofondargli verso il basso. Non avrebbe mai immaginato che Siri, durante le sue misteriose uscite serali, andasse proprio dal comandante, per poi tornare così tardi durante la notte. Una sola domanda rimbombava adesso nella sua testa: perché? E, ancora peggio, cosa poteva significare?
Non era proprio sicuro di volerlo sapere, ma restò lo stesso ad ascoltare.
- Sì. Non aspettarmi sveglia, probabilmente oggi farò più tardi del previsto.
- Ancora non capisco perché non tu non voglia raccontarmi tutto nel dettaglio.
Sentì Siri sospirare pesantemente: - Potresti anche provare ad essere discreta, ma questa tua curiosità ricorda la mia per cui posso tollerarlo. Ma non ti dirò nulla lo stesso.
- Chi altro sa di questo?
- Nessuno. Ecco, Levi una notte mi ha beccata, ma non sa che vado da Erwin.
Sentì le voci allontanarsi, si stavano dirigendo probabilmente verso il quartier generale, l’ultima frase che riuscì a carpire, prima che si allontanassero troppo, fu Hange che rispose alla spia: - Meglio così.
Ci pensò per tutto il tragitto verso il dormitorio e poi anche nella sua stanza. Cosa voleva dire Hange con “Meglio così”? Con quel tono scoraggiato poi. Entrò in camera e chiuse la porta con forza, se ne rese conto solo dopo il rumore fragoroso che si propagò dall’urto. Era quella una punta di gelosia? Se lo domandò, ma Levi non era assolutamente un tipo geloso, l’idea che però Siri passasse le sere in compagnia del comandante non poteva sicuramente farlo stare sereno: provava un profondo rispetto e ammirazione per il superiore, non aveva dubbi che il carisma naturale di Erwin avrebbe fatto provare alla spia le stesse cose; l’unica differenza era che potessero iniziare a provare qualcosa l’uno per l’altra e non poteva biasimare Erwin se Siri lo avesse affascinato almeno la metà di quanto lo aveva fatto con lui. Non era però sicuro che la stima e il rispetto che aveva per il comandante l’avrebbero fatto arrivare a patti con un’eventuale relazione tra i due, e quindi spinto a mettersi da parte: Siri, pensava, non era solo fisicamente attraente, era intelligente, sarcastica, leale, empatica e con lei provava cose che non avrebbe mai creduto di provare. Era sì piena di difetti, impulsiva, permalosa e arrogante, ma a Levi piaceva esattamente così e non avrebbe rinunciato ad averla accanto. Erwin era il tipo da ignorare i difetti qualora avessi doti fuori dal comune: aveva arruolato lui per la sua forza, Siri per la sua incredibile memoria e abilità. La sua memoria era sicuramente una cosa che l’aveva fatto andare in brodo di giuggiole, così concentrato sulle qualità dei suoi soldati che servivano al mero raggiungimento del suo scopo, non avrebbe mai apprezzato Siri come lo faceva lui, ne era sicuro: con la sua pragmaticità, a volte spietata, si sarebbe solo servito di lei.
Si sedette sulla scrivania e si prese la testa fra le mani. La luce lunare penetrava dalla finestra illuminando la superficie su cui giaceva ancora il fascicolo di Siri. Aveva già pensato al peggio e si era scoraggiato, ma rispetto a cosa?, si chiese. Lo aveva detto ad Hange, non aveva intenzione di fare nulla, anche qualora Siri ricambiasse i suoi sentimenti non era il tipo da intraprendere una “relazione esclusiva”, inoltre non era nemmeno il momento. Aprì il fascicolo, osservava i fogli senza leggerli, combattendo contro l’impulso di farlo.
“- Se c’è qualcosa che vuoi sapere, puoi chiederlo.”
Digrignò i denti e fece per chiuderlo quando lesse di sfuggita qualcosa che gli fece spalancare gli occhi, un cognome in particolare. Church. Rimase come pietrificato.
Scusami Siri. Quindi lesse tutto il fascicolo.
 
Dopo aver finito di studiare i documenti, Levi si stese ma non riuscì a chiudere occhio per il resto della nottata, che passò in bianco. Sentiva una stretta allo stomaco ed era come se stesse fisicamente male; fissava il soffitto e ad un certo punto aveva poggiato un avambraccio sulla fronte, cercando di fare pressione sulla testa e magari rilassarsi. Ma era inutile, l’unica cosa che voleva fare era parlare con lei, voleva chiederle della sua madre adottiva, Diya Church, e, soprattutto, cosa fosse successo esattamente quella notte dai Beaumont dopo la quale era stata arrestata. Quella notte, la sua vita era stata distrutta, doveva essere difficile per lei parlarne ma lui voleva, doveva sapere, sentiva che non sarebbe mai riuscito a comprenderla se non l’avesse saputo. E in parte era vero.
Così, un’ora dopo l’alba, si lavò, si vestì e, il più naturalmente possibile, si diresse in infermeria. Quando arrivò, Siri era seduta al tavolo in metallo all’ingresso dell’infermeria e stava leggendo il libro di scacchi di qualche giorno prima: aveva i capelli sciolti che le ricadevano sul viso piegato sulle pagine, da un lato li aveva sistemati dietro un orecchio lasciando ben visibile la cicatrice, con una mano si stava massaggiando la fronte, contratta come per lo sforzo o il dolore. Vicino a lei c’erano Sasha e Connie, evidentemente i suoi aiutanti per quella settimana, che stavano cercando di sintetizzare uno degli intrugli di Siri.
Levi le si avvicinò: - Buongiorno. – Siri, sempre tenendosi la fronte nella mano, gli rispose con un “-‘Giorno” distratto senza alzare lo sguardo.
- Non è quello l’ingrediente. – Sasha strappò di mano una boccetta da Connie.
- Idiota, c’è scritto il numero “uno” sopra, è per forza questo!
- Ti dico di no! Io conosco Siri meglio di te e ti dico che non è questo quello giusto, non è un “uno”!
Levi tornò a guardare la spia che stava leggendo a bassa voce il libro e che, stranamente, non gli aveva ancora chiesto cosa ci facesse lì.
- Siri, devo parlarti. – le disse, ignorando il sottofondo fastidioso dei due ragazzini.
Solo a quel punto lei si voltò a guardarlo, stralunata: - Eh?
- Posso parlarti?
Siri si raddrizzò sulla sedia e si prese la testa fra le mani: - È importante?
- Sasha! Mettilo giù!
- No, lo voglio fare io!
Levi guardò i ragazzini nervoso, poi tornò a guardare lei e strinse l’orlo del tavolo: - Abbastanza.
Siri sospirò. Sasha e Connie fecero cadere una provetta sul pavimento facendola frantumare, la spia guardò Levi con gli occhi gonfi e stanchi e gli disse: - Possiamo fare più tardi? Come vedi… - fece un breve cenno col capo ai due alle sue spalle – Ho parecchio lavoro da fare al momento.
- Stai bene? – era una domanda retorica, la spia era pallida e la stanchezza le si dipingeva in faccia.
- Sono solo un po’ spossata. A mensa mi parli, va bene? – Siri si alzò, lasciando Levi spaesato, e raggiunse alle spalle i due compagni di squadra, diede uno scappellotto ad entrambi e incolore iniziò a spiegargli il procedimento di preparazione tutto da capo. Il capitano rimase ancora per pochi secondi, poi se ne andò.
Più tardi, all’allenamento con i mocciosi, né Hange né Siri si fecero vedere ai tavoli all’esterno, e a mensa lei non si presentò: lanciò un’occhiata al tavolo della sua squadra e notò che anche Sasha e Connie non c’erano, non aveva senso tornare in infermeria visto che probabilmente era ancora presa dai due casinisti, per cui decise di parlarle direttamente nel pomeriggio quando si sarebbero dovuti vedere per il suo allenamento col dispositivo. Dieci minuti prima dell’allenamento, uscito dalla biblioteca, stava scendendo le scale per andare al campo quando incrociò sull’ultima rampa Jean che, alzato lo sguardo su di lui, spalancò gli occhi, segno che lo stava cercando.
- Capitano! – si fermarono l’uno di fronte all’altro sui gradini.
- Jean, mi cercavi?
Alle spalle di Levi anche Hange stava scendendo, tenendo sottobraccio libri e documenti.
- Sì. Siri mi manda ad avvisarti che ha la febbre molto alta, per cui non potrà allenarsi oggi, ha annullato anche il mio di allenamento.
Hange si fermò accanto a Levi e apprendendo la notizia guardò Jean apprensiva.
- Ah – Levi spostò lo sguardo per terra, poi si girò di profilo e disse – Grazie Jean, dove si trova adesso?
- In infermeria. Deve rimanere lì in osservazione per tutta la notte.
- Va bene, andrò da lei allora. – fece per salire le scale ma Hange con uno scatto gli sbarrò la strada.
- Ehi! Dove pensi di andare?! Ci sono prima io! – Jean nel frattempo li superò, ma non appena sentì Hange pronunciare le parole successive si bloccò sul pianerottolo – Voi due piccioncini potete passare altro tempo insieme, le mie lezioni sono più importanti!
Il ragazzino sbiancò e Levi, dopo aver alzato il labbro infastidito, lanciò un’occhiata a Jean che, intimidito, distolse lo sguardo e continuò a salire a passo molto più spedito. Poi spostò lo sguardo arrabbiato su Hange: - Smettila con questa storia. E poi ha la febbre, che lezioni pretendi fare.
L’altra lo bloccò di nuovo quando cercò di superarla, ma Levi la spinse da parte: - Me ne sto andando in camera, vuoi impedirmi di fare anche quello?
Quindi i due salirono le scale insieme, si separarono quando Hange raggiunse il piano dell’infermeria, mentre Levi proseguì per tornarsene in camera. Successivamente a cena il capitano constatò con suo sommo piacere che l’amica non era riuscita a fare assolutamente nulla con Siri perché stava troppo male, la sua febbre era veramente alta e non aveva fatto altro che dormire e tremare tutto il giorno, quando poi si svegliava alternava momenti di confusione ad altri di totale lucidità. Ad Hange, inoltre, “sfuggì” che la ragazza sarebbe stata sola durante la notte in infermeria perché, essendo Siri l’unica paziente quella notte, Sasha si era proposta di tenerla lei sott’occhio durante la notte visto che non aveva nulla di contagioso: la frattura era guarita perfettamente, quel febbrone doveva derivare dall’allenamento di qualche giorno prima in cui aveva particolarmente sudato e c’era molto vento. Le infermiere non escludevano tra l’altro lo stress eccessivo a cui si era sottoposta in quei giorni, avevano decretato avesse bisogno di riposare, e Sasha sarebbe andata a controllarla ogni due ore.
Non era sicuro avesse senso andare da lei durante la notte mentre era in quelle condizioni, ma, pensò, probabilmente sarebbe stato l’unico momento tranquillo in cui lei sarebbe stata sola e durante il quale avrebbero potuto parlare tranquillamente. Aspettare oltre era davvero insopportabile, inoltre voleva andare a trovarla.
Quindi, appostato alla sua finestra, aspettò che Sasha uscisse, nel buio della notte, dal quartier generale per tornare al suo dormitorio e riposare, poi s’incamminò verso l’infermeria con la ferma intenzione di chiedere alla vice di Diya e Farlan. Non era sicuro potesse sapere alcunché, nemmeno che potesse importare a quel punto, ma rimanere col dubbio non era sicuramente meglio. Percorse il corridoio buio che portava all’infermeria, dalla cui entrata la luce notturna si proiettava verso l’esterno, illuminando man mano che si avvicinava di sfumature bluastre le pareti. Mentre camminava verso la stanza sentiva in lontananza il rumore dell’acqua scendere dalla pompa nel lavandino, scorrere e poi fermarsi, riempendo il silenzio notturno.
Quando arrivò all’entrata poggiò una mano sul coprifilo della porta e si sporse a guardare, bloccandosi a fissare la scena che gli si parava all’entrata: dalla finestra aperta la luce lunare donava alla stanza un’atmosfera bluastra e tracciava il profilo di Siri in piedi, davanti il lavandino, intenta a lavarsi le mani.

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 - Mi rivelerai in una notte d'estate ***


Attenzione: in questo capitolo ci sono scene forti che possono urtare la sensibilità del lettore. 
 

Capitolo 18 – Mi rivelerai in una notte d’estate

 

I only met you in my dreams before
When I was young and alone in the world
You were there when I needed someone
To call my girl 
And now you're my reality
And I wanna feel you close
But you're defeated, baby
Broken, hurtin', sufferin' from a shattered soul
[…]

 
Nonostante la luna offrisse una buona illuminazione della scena, a Levi, sulla porta, non arrivò un’immagine ben chiara di quello che stesse realmente succedendo, fino a quando non si decise ad entrare. Credeva Siri si stesse solo lavando le mani, ed effettivamente era così, ma i suoi gemiti soffocati risuonarono come un grido di allarme nelle sue orecchie, facendogli realizzare che fosse successo qualcosa prima che arrivasse. Le si avvicinò cauto e la osservò più da vicino: era rossa in viso, la fronte sudata e alcune ciocche dei capelli sciolti e spettinati le si erano attaccate sopra, aveva il respiro affannoso. Abbassò lo sguardo sulle mani che si stava strofinando con rabbia: Siri stava usando una spazzola di crine e per la forza che ci stava mettendo sembrava volesse lavarsi via la pelle dalle mani. 
Preoccupato, Levi la chiamò, visto che lei sembrava non essersi nemmeno accorta della sua presenza al suo fianco: - Siri…
Lei non gli rispose, con occhi sbarrati continuava a fissare il movimento energico delle sue stesse mani, le setole dure lasciavano grosse striature rossastre sulla pelle minacciando di farla lacerare da un momento all’altro. Ad un certo punto, con uno scatto agitato si protese verso la leva della pompa e, muovendola convulsamente, ne fece uscire dell’acqua sotto la quale si sciacquò i palmi. Non appena il getto smise di scorrere dal sifone, risuonando per la stanza con grosse gocce sul fondo metallico, Siri si guardò le mani bagnate col fiato sospeso, poi, sibilò afflitta e con le lacrime agli occhi disse: - Ancora, ancora… - iniziò a gemere più forte in preda al panico e riprese a strofinare, notò Levi, con più veemenza di prima, tanto che il movimento delle braccia si ripercuoteva sul corpo già attraversato da impercettibili brividi.
Siri era in pieno delirio febbrile, lui lo sapeva, ma quello che stava facendo non aveva niente a che vedere con il semplice malessere fisico, lei stava soffrendo in tutti i sensi. I singhiozzi le facevano muovere il petto in maniera sconnessa e alla fine fecero capolino le lacrime che le rigarono il viso contratto: - Maledizione, maledizione.
Levi si rese conto di dover intervenire, non poteva lasciarla a sé stessa e semplicemente aspettare che tornasse in sé. Si spostò alle sue spalle e aprì le braccia per cingerla, avvicinò le labbra al suo orecchio e le sussurrò: - Siri basta, ti stai facendo del male. – le afferrò i polsi, al tatto bollenti, e delicatamente le separò le mani, opponendosi a lei che invece cercava di ricongiungerle. Accostandosi al corpo di lei poté sentirne chiaramente il calore innaturale irradiarsi attraverso la sua leggera maglia in lino e poi spandersi lungo la camicia che indossava, fu come se ne fosse stato investito ancor prima del tocco tra il suo petto e la schiena magra di Siri. 
Nonostante lei opponesse resistenza, era così indebolita che lui riuscì anche a sfilarle di mano la spazzola e posarla poi sul ripiano accanto il lavandino. Facendo questo, si sfilò con garbo, lasciando la presa da Siri che, però, non appena si rese conto di essere stata interrotta, si lanciò verso il setolino.
Levi ebbe i riflessi pronti per impedirglielo e l’afferrò per gli avambracci, la spia cercò di liberarsi dalla sua presa in preda ai singhiozzi.
- Siri, calmati. – disse risoluto, cercando di infonderle anche solo un briciolo di calma.
La ragazza cercò di spingerlo via in avanti, supplichevole e con gli occhi annebbiati dalle lacrime: - Non capisci Levi, sono sporche, c’è sangue dappertutto… devo pulirle… – non appena Siri smise di opporre resistenza la lasciò andare e la prese dalle spalle, facendo una leggera pressione perché lei lo guardasse: - Siri, non hai niente, guarda – le prese le mani e le sollevò per fargliele guardare – sono pulite.
Ma lei non accennava a volersi calmare, scosse infatti la testa, una smorfia frustrata le attraversò il viso e con la voce rotta disse: - No invece, non lo sono! Come fai a non vederlo, sono piene di sangue…
Siri si portò una mano sulla fronte e se la strofinò, i tremori febbrili si fecero più forti, scuotendola come una foglia. Levi, spaventato, pensò all’unica cosa che sapeva per fermare un attacco di panico, quindi l’abbracciò. Al tocco con lui, qualcosa dentro Siri si sciolse e, mentre affondava la testa nell’incavo della sua spalla, si lasciò andare in un pianto silenzioso. Gli si aggrappò con le dita alla camicia, quasi dovesse cadere da un momento all’altro. Levi, con le mani aperte sulla sua schiena, la strinse premendola progressivamente contro il petto a creare una pressione via via maggiore, fino a quando non fu in grado di sentire sulla pelle il battito nervoso del cuore di lei.
Pian piano i brividi di Siri persero di potenza e anche il pianto si placò, ad un certo punto però Levi la sentì scivolare tra le sue braccia, si era addormentata o svenuta, non poteva dirlo con certezza, ma la sorresse e alzandola come un sacco di iuta, le passò un braccio sotto le ginocchia e tenendole la testa sulla sua spalla, la portò a letto. La distese e le scostò i capelli dal viso, bagnò un panno con dell’acqua fredda e glielo depose sulla fronte. Constatò, rasserenandosi, che il respiro le si era regolarizzato e i tremori diminuiti notevolmente, inoltre il collo era imperlato di sudore, segno che la febbre stava probabilmente scendendo.
Levi si sedette su una sedia accanto al suo letto e a braccia conserte la teneva d’occhio, registrava ogni minimo movimento o impercettibile cambio di respiro. Cercò di rilassarsi concentrandosi sul rumore del respiro profondo di Siri accompagnato dal silenzio assordante della notte, rotto solo dallo svolazzare e gufare degli uccelli notturni. Tuttavia, non riusciva a non pensare al fatto che se lui non fosse andato da lei, probabilmente Sasha, più tardi quella notte, l’avrebbe trovata sul pavimento, e con ogni probabilità, con la febbre ancora più alta, oltre al fatto che cadendo avrebbe potuto aprirsi la testa come un melone. 
Non riusciva proprio a rimanere tranquillo sulla sedia, per cui si sporse verso di lei e le prese una mano, per vedere se si fosse fatta qualcosa per effetto dell’attrito: effettivamente la pelle era raschiata e secca, le mise due dita sul polso e accarezzandolo si rese conto di quanto fosse ancora bollente. Tornò al lavandino e bagnò due asciugamani dentro cui avvolse i polsi e i palmi di Siri, una decina di minuti dopo, quando toccandola si rese conto la temperatura si era abbassata, rimosse i panni, cambiò quello sulla fronte e poi prese delle garze dal comodino accanto al letto. Adesso gli era tutto molto più chiaro, la spia non nascondeva solo la cicatrice che Kenny le aveva procurato, ma anche la stessa vista delle sue mani nude: quello sguardo fin troppo malinconico quando nella città sotterranea le aveva chiesto cosa ci fosse sotto le bende, ora assumeva un senso dopo aver letto il suo fascicolo. Lei non voleva vedere il sangue che aveva versato quella notte.
Levi si sedette sul bordo del letto, si sollevò i polsini della camicia fin sopra il gomito e prese una mano della spia per posarla delicatamente sulle cosce, iniziò quindi a fasciargliela con minuzia, fin sull’avambraccio. Si era premurato che, qualora lei si fosse svegliata e fosse stata di nuovo in preda al delirio, non avrebbe subito visto le sue mani nude, peggiorando così la sua situazione.
Mentre avvolgeva le bende, la sua mente vagava dalla preoccupazione per le condizioni della spia, al pensiero che la camicia che aveva addosso era sporca del suo sudore e lacrime, e in parte si vergognava del fatto che in quel momento il desiderio di volersi cambiare lo avesse sfiorato. Era risaputo non riuscisse a sopportare la sporcizia, l’idea dello sporco e della muffa gli faceva accapponare la pelle, ma questo non significava non fosse in grado di immergervisi nel momento in cui fosse stato necessario. Per cui, pensava che in qualsiasi mare di merda stesse affogando Siri, lui non ci avrebbe pensato due volte e ci si sarebbe immerso per aiutarla. Dopotutto, lui per primo aveva imparato a navigarci in uno.
Finì di fasciare la prima mano e si spostò sull’altro lato del letto, accingendosi a portare a termine lo stesso lavoro minuzioso anche con l’altra. Era seduto sul bordo all’altezza del busto di Siri quando, mentre annodava la garza, lei si svegliò. Questa fece fatica ad alzare le palpebre gonfie e, dopo qualche secondo passato a guardarsi intorno, notò Levi e lo guardò stranita.
- Levi… – facendo peso con le braccia sollevò il busto con fatica, mettendosi seduta – Che ci fai qui?
Lui le tolse il panno dalla fronte e lo posò nella brocca accanto al letto: - Volevo venirti a trovare. Quando sono arrivato però non eri in te.
Siri sbiancò e si mosse nel lenzuolo: - … Cosa? Che è successo?
Lui si sporse verso di lei e afferrò il cuscino, lo mise dritto per coprire le sbarre del letto e permetterle di poggiaci la schiena. Poi tornò a guardarla: - Non è importante. Eri solo sconvolta e, a proposito di questo. – Siri lo guardò stranita – Siri, io devo parlarti. Ho bisogno di chiederti una cosa.
La spia capì che si riferiva a quanto doveva dirle la mattina, e lo guardò impensierita: per essere venuto nel cuore della notte, solo, ed essersi sorbito uno dei suoi deliri, qualunque cosa dovesse chiederle doveva essere molto importante. Si avvicinò a lui facendo peso sulle mani, che sentì strane a contatto col lenzuolo. Le guardò di sfuggita: non ricordava di averle rifasciate. Ancora confusa, disse: - Dimmi Levi.
Lui la guardò negli occhi con uno sguardo che non gli aveva mai visto fare, aveva del tenero e lei ne rimase così colpita che sentì un vuoto allo stomaco: - Siri, cos’è successo quella notte dai Beaumont?
Assaporò il vero vuoto solo dopo la domanda del capitano. Mosse le labbra per dire qualcosa ma non ne uscì niente. Abbassò lo sguardo e sorrise, mesta: - Quindi alla fine l’hai letto…
Senza smuovere lo sguardo da lei rispose: - Sì. Soltanto ieri. Siri… cosa è successo?
Siri scosse la testa, le si affacciarono le lacrime che le resero gli occhi lucidi: - Non mi guarderai mai più come prima. Ti farò ribrezzo, non credo vorrai più nemmeno guardarmi in faccia. – strinse il lenzuolo tra le mani. Levi le rivolse una breve occhiata e poi tornò a guardarle il viso.
Le passò una mano lungo il braccio, la fermò all’altezza del gomito e a tono molto basso le disse: - Questo, lascialo giudicare a me.
La spia lo guardò a sua volta, prese un respiro profondo e iniziò a raccontare.
 

Let me be there, let me be there for your heart
Let me be there, I can be there 'til you're whole
You weren't touched by a man in so long
'Cause the last time it was way too strong
Let me be there, let me be there for your heart

***
Ricordo ancora quel giorno come se fosse ieri. Ero io di servizio all’entrata dell’ospedale, una giornata tranquilla, pochi pazienti, la spedizione della legione esplorativa doveva ancora partire ma si vociferava che sarebbe stata l’ultima o non ci sarebbe stata in alcun modo, per cui non c’erano nemmeno soldati a pezzi da ricucire. Arrivò una carrozza, dalle porte spalancate a doppio battente entrò nella sala s’ingresso tutto il fragore degli zoccoli e delle ruote che sbatacchiavano sulla pietra esterna.
Strizzai gli occhi per vedere meglio: la carrozza si trovava controluce ma riuscii a distinguere bene gli intarsi preziosi con cui erano decorati i finestrini e gli sportelli.
Sogghignai, finii di compilare velocemente la cartella che avevo sottomano e la posai dietro il bancone: - Kerstin! Dov’è la mia infermiera preferita? – mi voltai e la vidi affacciarsi da una stanza nel corridoio – Muoviti, lascia tutto, oggi abbiamo le celebrità.
Il fascino della ricchezza. Ne ero ancora vittima, mi sarebbero bastati pochi mesi per cambiare idea.
Vidi Marcel affrettarsi all’entrata: - AH, SCORDATELO! – mi buttai su di lui e gli diedi uno spintone. Ancora oggi mi chiedo cosa sarebbe successo se avessi lasciato andare lui, ma in realtà ci sono troppe incognite nel percorso che mi portò alla dimora dei Beaumont, e poi alla mia disfatta, che andrebbero considerate; innanzitutto se non fossi stata sempre così ossessivamente curiosa nulla sarebbe mai successo, ma allo stesso tempo senza non sarei sopravvissuta.
- Siri, non è giusto! Hai servito anche due settimane fa altri nobili!
Alzai il labbro: - Succede se sei la più brava e sei assegnata al medico migliore dell’ospedale.
Marcel si alzò e, dandomi una spallata, si allontanò dicendo: - Almeno io lo sono un medico.
Mi girai e lo seguii con lo sguardo andare via, se avessi potuto dargli fuoco solo con gli occhi, sarebbe diventato cenere all’istante. Non sono invidiosa, non lo sono mai stata, anche se provavo un sentimento molto simile verso chi aveva potuto frequentare la scuola di medicina: Shawn mi ripeteva sempre che fin quando fossi rimasta a Trost, avrei potuto continuare ad esercitare tranquillamente, dopotutto in ospedale mi conoscevano tutti, avevo apportato delle migliorie non indifferenti e tutti nella zona facevano viaggi anche di un giorno per venire da noi. Ma ogni volta che gli chiedevo cosa sarebbe successo quando lui non sarebbe stato più in grado di lavorare, non era capace di rispondermi. Non potevo diventare un primario come lui proprio perché non avevo un attestato; quindi, il futuro prospettava per me due possibili scenari: tornare a lavare i cessi o essere costretta ad essere la sottoposta di un qualche incompetente molto più giovane di me.
Ma per il momento c’era Shawn Garret e io potevo fare la spaccona quanto lo desiderassi. Ero la sua protetta, la sua allieva migliore, la sua figlioccia, e se i genitori coi figli non hanno preferenze, i maestri invece ne hanno, ed era una teoria comprovata. Per cui, potevo fare l’arrogante e la bulla quanto volessi, dopotutto, in realtà, ne avevo il dovere morale: non avendo alcun titolo di studi, dovevo costantemente far capire bene a tutti con chi avessero a che fare, non lasciavo mai fiato a nessuno, prendevo i casi migliori, affossavo gli altri alunni davanti a tutti i dottori di ruolo.
Mi rendo conto benissimo che avermi tra i piedi era un inferno, ma ero disposta a tutto pur di spiccare, anche a non avere amici della mia età, mancanza di cui non soffrivo affatto. Ero disposta anche allo scontro fisico se questo poi avesse significato ottenere i pazienti migliori, come i nobili, disposti a lasciare ingenti mance se avevano trovato buono il servizio e, a volte, in casi eccezionali, addirittura a fare di un giovane o una giovane un proprio protetto a cui pagare gli studi.
Fino ad allora avevo fornito un servizio impeccabile con Shawn alla bellezza di tre famiglie nobili, purtroppo, però, avevano già un protetto con loro, tutti ingegneri. Cercavo di spiegare a tutti l’inutilità di un ingegnere rispetto ad un medico come me, ma il mio sarcasmo non veniva proprio ben visto; nonostante, a comprovare la mia tesi, i colleghi matematici ottenevano scarse volte risultati concreti. 
Per cui, mi accontentai delle mance con le quali, assieme alla paga, speravo di pagarmi gli studi in autonomia, Diya e Shawn erano pronti a pagare il resto col tempo. In un modo o nell’altro ce l’avrei fatta.
Scesero dalla carrozza una signora accompagnata dal marito, entrambi di mezza età, vestiti di tutto punto. A chiudere il gruppo un ragazzo che doveva avere pressappoco la mia età, alto, dai morbidi riccioli biondi, anche lui con un vestito completo di panciotto, giacca e cravatta verde veronese scuro perfettamente stirati.
Kerstin arrivò al mio fianco col fiatone: - Ti… ringrazio…
- Sei la mia infermiera preferita, te l’ho detto. – avevo fatto un patto con lei, o meglio, lei aveva fatto un patto col diavolo. Nel frattempo, eravamo diventate amiche, ma tutto era partito dal fatto che avevamo bisogno di soldi: io per la scuola di medicina, lei per il suo matrimonio. Kerstin era solo due anni più grande di me, in perfetta età da marito, esattamente come me, ma non riuscivo proprio a capire la sua scelta. Tuttavia, se potevamo esserci d’aiuto a vicenda e rubare i pazienti migliori, avrebbe potuto anche lanciare quei soldi fuori dalla finestra, per quanto mi riguardava.
Salutammo con un inchino i nuovi arrivati e li conducemmo nella stanza dove avrebbe alloggiato la donna malata per il periodo di cura che, constatammo io e Shawn, non sarebbe durato molto, all’incirca quattro giorni. In quel periodo di tempo assai breve, passai molto tempo a contatto con la famiglia Beaumont, ero sempre disponibile e servizievole, facevo volentieri i turni di notte solo per loro, e, inoltre, feci subito amicizia col giovane, Joshua, che si era rivelato un ragazzo intelligente, anche se fin troppo colpito dai miei numeri con la memoria e con scatti di rabbia quando non riusciva a fare qualcosa.
Dovevo fare una buona impressione e così fu. Quando dimettemmo Violet Beaumont, infatti, il capofamiglia Nicholas fece richiesta formale a Shawn per avermi come medico nella sua tenuta: più che medico, avrei dovuto assolvere la funzione di una dama di compagnia per prendermi cura della moglie malata; tuttavia, la paga era decisamente più alta di quella che l’ospedale mi offriva. Nel giro di un anno o due avrei potuto pagarmi gli studi almeno per una metà, ed era più che abbastanza.
- Non sono d’accordo.
- CI RISIAMO! – avevamo solo una settimana per decidere, in caso di risposta affermativa avrei dovuto trasferirmi nella loro tenuta e ne stavo parlando, per l’ennesima volta, con Shawn e Diya nello studio del mio mentore.
- Cerchiamo un altro nobile disposto a prenderti come protetta.
- Shawn, ci abbiamo già provato! – non mi preoccupai di non alzare la voce, era ormai da un paio di giorni che litigavamo sulla questione, nonostante avessi tutto il potere di decidere per conto mio, volevo l’approvazione di Shawn, era la cosa più importante, non sarei partita senza il suo consenso – Sono già venuti non uno, non due, ma quattro nobili, compresi questi, tutti occupati con dei maledettissimi ingegneri incapaci, cosa dovrei fare? Aspettare ancora?! A che pro?
Era raro che si arrabbiasse, ma ripetevamo quella conversazione da due giorni senza venirne a capo e Diya stava assistendo alla scena sconsolata per l’ennesima volta.
Shawn si alzò dalla sedia, assumendo un tono austero: - Possiamo andare dai nobili che restano e fare domicilio, o anche aspettare, non è una tragedia! Ma tu vuoi tutto e subito! E poi dimmi, testona che non sei altro, – puntò il dito contro di me, io sgranai gli occhi con le labbra arricciate – una come te che cerca sempre un caso stimolante, qualcosa che la incuriosisca, vuole andarsi ad impelagare in una situazione del genere. Fare la domestica…
- Tecnicamente non è…
- Lasciami finire per l’amor del cielo! – Diya spostava lo sguardo da lui a me, stirò le labbra mentre intrecciò le mani in grembo, avrebbe voluto dire la sua, ma come al solito voleva aspettare che entrambi avessimo esposto i nostri pareri – Tu credi sul serio che ti lasceranno andare via da quella casa? Troveranno scuse su scuse e rimarrai lì fino a quando la moglie non morirà, e sappiamo entrambi che potrebbero volerci almeno cinque anni.
- Esagerato…
Alzò ancora di più la voce per coprire le mie interruzioni: - Almeno. E tu poi sei quella che non vuole perdere tempo.
- Ma potrei andarme-
- Se scappassi via, metterebbero una brutta parola sul tuo nome e sfido a trovare scuole disposte a prendere qualcuno con una brutta nomea…
- Uffa, ma…
- … CON UNA brutta nomea, dai Beaumont per giunta! Membri del consiglio del re in persona! – alzai gli occhi al cielo e Shawn guardò Diya in cerca di aiuto – Puoi intervenire per favore?!
Ci zittimmo entrambi e piantammo gli occhi su di lei che, con una faccia che diceva “mi state prendendo in giro?”, spostò gli occhi veloci da me a lui, poi li chiuse e sospirò, alzandosi. Sempre in mezzo a due fuochi, Diya era quella più equilibrata, ascoltava le due parti e si esponeva cercando di trovare un punto di accordo, e fu esattamente quello che fece anche in quel momento.
- Shawn… quello che penso è che non nuocerebbe provare – affondai un pugnetto in segno di vittoria, entrambi mi guardarono con aria severa – … se le cose dovessero ristagnare possiamo inventarci qualcosa e andare a prenderla, non è mica una schiava. E poi, sai bene che le alternative sono scarse. Questa potrebbe essere una buona opportunità per Siri. Allo stesso tempo, – si voltò a guardare me – Siri dovresti valutare attentamente questa ipotesi, potresti annoiarti a morte nel giro di pochissimo tempo e pentirtene, e dovresti tenere a mente di dover rimanere da loro per almeno un anno prima di chiedere di andartene.
Shawn si sedette pesantemente sulla sedia: - Sempre ammesso che se ne potrà andare, se non in un modo, potrebbe accadere nell’altro.
Diya lo guardò interdetta: - Di che parli?
Shawn la guardò eloquente e Diya dopo qualche secondo capì e pronunciò un: - Ah…
- Sapete, non sono ancora capace di leggere nel pensiero. – cercai di decodificare quel loro linguaggio in codice.
Diya scosse la testa poco convinta e si risedette: - È solo una ragazzina di paese senza origini nobili e alcun decoro per l’etichetta.
- Sì, vero, ma hai visto come parlottavano tra loro, a lei è successo raramente con qualcuno della sua età.
- Ehm, scusate… - tentai di inserirmi.
- Ma resta una ragazza senza origini altolocate, con un lavoro non proprio all’altezza di un nobile.
Shawn la guardò e poi, firmando dei documenti, disse: - Sai che le cose stanno cambiando, e lui sembrava molto preso.
- MA INSOMMA! – sbottai, evitarono il contatto visivo con me, poi Diya si grattò la nuca e avanzò l’ipotesi di Shawn: - Siri, cosa… Ecco, abbiamo notato che tu e Joshua avete passato molto tempo insieme questi giorni.
Adesso mi era tutto chiaro, ruotai gli occhi infastidita: - Sul serio? Shawn, come ti è potuta anche solo venire in mente una cosa simile? 
- Tu lo sposeresti?
- COSA?!
Shawn si lasciò andare indietro sulla sedia: - Siri, dobbiamo pensare anche a questa eventualità. In caso di proposta di matrimonio da parte di Joshua, non potrai rifiutare. Se rifiuterai sarà come essere scappati via dalla loro magione. Inoltre, mentre in quest’ultimo caso potresti anche pensare di tornare qui a Trost, nell’altro caso sia che accetti o che rifiuti non potrai più essere un medico.
Rimasi finalmente in silenzio. Mentre Kerstin una volta sposata avrebbe continuato a lavorare come infermiera, nel mio caso, invece, ci avrei dovuto rinunciare per sempre. Joshua non mi dispiaceva, era intelligente e capiva, a volte, le mie battute, non ci eravamo frequentati per molto tempo ma l’unico difetto che mi pareva avesse fosse il fatto che a volte non riusciva a controllare la rabbia, ma riusciva sempre a recuperare il contegno. 
Ci raccontiamo tante bugie pur di giustificare le nostre convinzioni, non mi resi conto che stavo pensando da ragazza di vent’anni e non da medico.
- Sono disposta a correre il rischio.
Shawn sospirò: - Non posso davvero impedirtelo, ma… Siri, stai attenta. La vita nobiliare è molto diversa dalla nostra.
Aveva ragione, ma ero troppo giovane e inesperta, e alla fine mi trasferii lo stesso dai Beaumont. La magione della famiglia era enorme e immersa nel verde, e non appena arrivai fui sommersa dalle regole da rispettare: gli orari in cui dovevo andare a visitare la padrona di casa, dove e quando mangiare, e altre minuzie, in particolare mi vietarono di raggiungere determinate ali e zone del castello. Un invito a nozze per la mia curiosità. Entro un mese e mezzo, infatti, avevo girato tutto il castello e conoscevo tutti i passaggi segreti, di cui mi servivo spesso quando ero in ritardo agli appuntamenti con la mia unica e molto esigente paziente. 
Come aveva previsto Shawn, nel giro di un mese l’eccitazione della novità e della speranza di intraprendere i nuovi studi si era esaurita, facendo spazio alla noia più totale. Avevo una routine definita, molto più tempo libero di quanto avessi immaginato e le chiacchiere da dama di compagnia erano anche più noiose.
Fu proprio in questo periodo che mi avvicinai a Joshua. Passavo molto del mio tempo libero in biblioteca in cui trovavo libri di botanica e medicina, oltre che lui, molto spesso. Ci salutavamo, lui molto timidamente, io cercavo di essere il più distaccata possibile, ma finiva sempre per avvicinarsi a me e rendersi disponibile ad aiutarmi a trovare altre letture utili al mio scopo. Parlandoci e osservandolo, scoprii che anche lui non aveva molti amici della sua età, e, non essendo il primo nella linea di successione, aveva molto più tempo libero del fratello maggiore Michel, per cui, invece di occuparsi strettamente di affari, incontri tra nobili e del consiglio del re, si dedicava alla lettura e alle arti.
Un giorno ero nei giardini e mi godevo, stesa in maniera poco consona all’etichetta, l’aria fresca della mattina, quando Joshua mi raggiunse.
- Se ti vedesse mia madre darebbe in escandescenza.
Non appena lo sentii mi ricomposi, anche se era un mio coetaneo, era pur sempre il nobile della villa. Mi sedetti composta: - Non farai mica la spia, vero?
Rise sotto i baffi e si sedette accanto a me: - Tranquilla. A volte non ne posso più anche io di tutte queste regole inutili.
- Dev’essere proprio tremendo…
Seppur intelligente, Joshua non capiva perfettamente il sarcasmo, infatti mi rispose come se l’avessi compiaciuto: - A volte vorrei solo avere una vita normale e potermi comportare come voglio, andare dove voglio…
Non riuscii a trattenere una risata, che cercai di soffocare. Mi guardò stranito: - Cosa? Perché ti fa ridere?
Scossi la testa: - Perché è davvero comico sentirtelo dire. – mi voltai a guardarlo – Tu puoi fare quello che vuoi, sei ricco, provieni da una famiglia importante e non hai nemmeno il peso di essere l’erede sulle spalle. 
Rivolse lo sguardo al cielo e con un tono nervoso disse: - Non è così semplice come credi.
Alzai un sopracciglio: - Beh, io sono qui perché ho bisogno di soldi, perché altrimenti non potrei fare quello che voglio. Non potresti mai dire la stessa cosa, tuttavia… – iniziai ad osservare anch’io nella sua stessa direzione, avevo percepito del nervosismo in lui, quindi non volevo farlo agitare – Capisco che può essere stancante.
Rimanemmo in silenzio per un po’, poi lui si aprì riguardo la sua famiglia. Mi disse che non condivideva gli ideali arrivisti di suo padre e suo fratello maggiore, a differenza loro avrebbe voluto avvicinarsi alle classi meno abbienti e cercare di fare di più come nobile nel parlamento del re.
- Conoscerti mi ha fatto capire che l’approccio nobiliare ai civili è aberrante. – colse un fiore, un anemone viola, e me lo infilò tra i capelli – Io voglio cambiare le cose, anche per te.
Ma Joshua diceva così solo perché avevo una memoria fuori dal comune, ero considerata speciale, quando in realtà non ero diversa da qualsiasi altra persona poco abbiente all’interno delle mura, ero soltanto un ottimo acquisto della famiglia. Questo lui lo sapeva, ma non voleva ammetterlo a sé stesso; io non lo avevo ancora realizzato, ma credetti lo stesso di avere una qualche importanza e che lui credesse davvero a quello che aveva detto e che quindi avrei sempre trovato un alleato in lui.
Arrossii, come un idiota, e distolsi lo sguardo imbarazzata. Dopodiché lui posò la sua mano sulla mia, e da quel giorno tutti i nostri incontri furono diversi. Ci guardavamo imbarazzati, in biblioteca studiavamo insieme e se c’era del tempo libero lo passavamo sempre insieme. Avevo corso il rischio e ci ero cascata, dimenticandomi completamente i rischi che frequentarmi con Joshua comportavano. Nel frattempo, sviluppai una buona amicizia con una domestica della casa, Pauline: era pochi anni più piccola di me ma era la persona più furba che avessi mai conosciuto e a cui raccontavo di me e Joshua. Loro due erano i miei unici amici con cui cercavo di riempire le giornate ricche di noia, di cui la mia vita era ricca da ormai tre mesi a quella parte.
Quando mi ritrovavo ad attraversare i passaggi segreti della tenuta, mi sorprendevo io stessa di come fossi diventata silenziosa. Stavo ben attenta a non fare alcun rumore, non solo perché non avevo il permesso di percorrerli e attraversare determinate aree, ma anche perché alcuni stretti corridoi passavano proprio davanti alle pareti di stanze molto frequentate o importanti, come ad esempio lo studio del capofamiglia Nicholas. 
Quella volta ero leggermente in ritardo per la visita pomeridiana con Violet, la mia nobile paziente, per cui decisi di percorrere proprio quello che passava nella parete dello studio di Nicholas: nel silenzio più assoluto dello stretto corridoio segreto, sentii chiaramente lui e un’altra persona parlare, credetti di affari, non che m’interessasse particolarmente, ma mi fermai ad ascoltare per curiosità.
- … Voglio dire, a che serviranno mai tutte quelle scorte alla città sotterranea?! – i suoni mi arrivavano ovattati ma riuscii a sentire chiaramente l’altra persona con Nicholas ridacchiare – Non fa mai male perdere qualche chilo di troppo, giusto?
Rabbrividii quando sentii l’altra persona scoppiare a ridere sorniona a quelle parole.
- Quindi metà delle scorte posso farle recapitare a te… e, l’altra metà a chi altro?
- Lobov, glielo devo, dopo che mi ha lasciato vendere quell’attrezzatura militare al mercato nero, è stata un’entrata a dir poco importante.
- Va bene… allora domani alle cinque ci sarà lo scambio, a Trost, non scordarti di essere puntuale.
- Guarda, mi hai ricordato un’altra cosa molto importante, ho ancora i documenti dei movimenti dei fondi per il corpo di ricerca, Lobov me li aveva affidati. – sentii sbattere della carta abbastanza pesante sulla scrivania – Devo metterli in cassaforte quanto prima.
- Ma figurati, puoi farlo con calma, quel pazzo di Shadis ha chiesto un’altra spedizione, ma tanto non gliela concederanno.
Risero sotto i baffi entrambi, Nicholas, ancora con la risata nella voce disse: - Un sacco di soldi sprecati, come quelli per le scorte alimentari a quei pezzenti.
- Senti, Nicholas, ma… hai chiesto il parere del re prima di procedere?
Scoppiarono in una risata fragorosa, io aggrottai le sopracciglia. Non capivo. Cosa c’era da ridere così tanto? Mi era apparso chiaro che il re fosse d’accordo a tutte quelle macchinazioni, altrimenti i Beaumont, membri del consiglio, non avrebbero rischiato così tanto.
- Maledetta canaglia, non devo offrirti più il vino a quest’ora! Succede che inizi a dire le cose più assurde.
Li sentii continuare a sbellicarsi e allontanarsi.
- Ma te lo vedi quel vecchiaccio di Fritz a fare davvero il re?
A quelle parole un brivido mi corse lungo la schiena e m’irrigidii sul posto. Soltanto il rumore della porta che chiusero alle loro spalle uscendo mi ridestò da quello stato catatonico. Ogni passaggio segreto che si affacciava in una stanza aveva anche un’entrata segreta per essa, trovai quindi la fessura di apertura e, silenziosamente, scivolai dentro lo studio di Nicholas. Trovai subito sulla sua scrivania i documenti di Lobov e, dopo aver frugato ancora un po’, trovai anche quelli relativi alla vendita illegale dell’attrezzatura militare al mercato nero. Non c’era nulla riguardo le scorte alimentari sottratte ai sotterranei, ma avevo un luogo e un posto. Misi tutto nel vestito e me ne andai in fretta per il passaggio segreto. 
Potevo sopportare che il corpo di ricerca venisse sciolto, che rivendessero l’attrezzatura militare, ma togliere le scorte di cibo a delle persone che non avevano alcuna colpa se non quella di essere nate in un posto orrendo era troppo. Avevo preso anche gli altri documenti della truffa all’esercito perché li avevano sentiti chiamare in quel modo delle persone, “pezzenti”. Ero arrabbiata, volevo fargliela pagare e sicuramente quei documenti riguardo i fondi rubati davanti ad un giudice sarebbero pesati di più. Anche solo pensarlo era tremendo, ma era la dura realtà delle cose.
Ogni tanto in ospedale arrivavano delle persone della città sotterranea e le loro condizioni erano pietose: malnutriti, ossa poco sviluppate, problemi alla vista. Stare poco tempo in superficie li faceva stare meglio, ma dovevano indebitarsi per la vita solo per uscire e ricevere quelle cure.
Sconvolta dalle nuove notizie che avevo appreso, mi fiondai, dopo la visita a sua madre, a cercare Joshua, dovevo parlargli. Lui aveva sempre detto di voler cambiare le cose e poteva essere l’unico che l’avrebbe fatto davvero, ero ingenuamente convinta che avrebbe voltato le spalle alla sua famiglia, di cui si lamentava di continuo, e che avrebbe impedito che delle persone morissero di fame.
Lo trovai in biblioteca, quando mi vide si alzò e con un sorriso mi raggiunse, mi baciò sulle labbra e disse: - Credevo fossi già scesa per la cena.
- Joshua, devo parlarti. – mi mise un dito sulle labbra come per non farmi dire altro.
- Stasera. Anch’io devo dirti qualcosa.
- Ma è piuttosto importante, io…
- Siri, potrai aspettare. – mi accarezzò la guancia e, senza ammettere repliche, mi spinse fuori dalla biblioteca. Nel corridoio incontrai Michel che mi guardò col suo solito disgusto. Sapeva di me e Joshua e la cosa non gli andava giù, mi considerava inferiore, per niente adatta a suo fratello.
Aveva ragione, sono una persona pessima, ma se lo sono diventata era stato solo merito di suo fratello.
- Sei il ritratto della dolcezza, Michel. – dissi, tagliente, sorpassandolo.
Lui sull’uscio della biblioteca rispose: - Sta attenta a te, Siri.
Credeva stessi raggirando suo fratello, che lo stessi trascinando in uno strano oblio perverso fatto di povertà e malattie, era ipocrita da parte sua visto che si arricchiva sulle spalle dei morti di fame. Dopo aver appreso quelle informazioni mi fece ribrezzo tanto quanto suo padre: parte dei documenti erano firmati anche da lui, che ne faceva da testimone. Sapeva tutto, era un complice diretto e aveva il coraggio di guardare me e gli altri domestici con disprezzo.
La sera poi arrivò, chiesi a Pauline di stare di guardia al corridoio dell’entrata sul retro, in cui ci eravamo dati appuntamento poco dopo cena. Anche se era quasi finito l’inverno, era già buio, il giardino dei Beaumont era molto vasto e non aveva confini recintati col bosco vicino alla tenuta, io e Joshua ci eravamo accordati per vederci proprio al suo limitare. Lì eravamo abbastanza distanti per stare da soli e non essere raggiunti dallo sguardo indiscreto di nessuno.
Era seduto sotto un albero quando lo raggiunsi. Molto agitata, gli posai una mano sulla spalla e mi sedetti accanto a lui, volevo dirgli tutto quello che avevo scoperto senza attendere oltre, in modo da prendere dei provvedimenti il più in fretta possibile.
- Joshua, devo parlarti di una cosa importante…
M’interruppe, di nuovo.
- Siri, aspetta, lasciami parlare. – mi morsi le labbra per frenarmi e annuii per lasciarlo parlare e quando iniziai a sentire il discorso che si era sicuramente preparato da giorni, sbiancai. Era tutto così ovvio, lui che mi chiede di vederci di sera, lontani da tutti, avrei dovuto capirlo. Il mio più grande incubo si stava avverando. Mi accarezzò una guancia, e sul mio viso sconcertato dovette aver letto erroneamente sorpresa quando si decise a guardarmi, perché dalla tasca tirò fuori una scatolina in velluto e mi prese la mano sinistra, senza che me l’avesse chiesto esplicitamente, stava già parlando di nozze e futuro.
- No. – non ci dovetti neanche pensare. Mi uscì di bocca con naturalezza, risoluta ritrassi anche la mano. Ero convinta del fatto che lui mi volesse bene abbastanza da capire, da accettare la mia scelta di rifiutare. Ma per Joshua io non ero altro che l’ennesimo oggetto da possedere e mostrare agli altri con fierezza.
Lui mi guardò come se non avesse capito bene quello che avevo appena detto.
- Joshua, è troppo presto e io… lo sai, voglio l’abilitazione per diventare medico. È l’unico motivo per cui sono qui.
Scosse la testa confuso: - Ma, noi due ci amiamo, io… voglio stare con te.
Essere onesti e sinceri è sempre la cosa migliore, ma a posteriori gli avrei volentieri detto una bugia rassicurante, sapendo cosa sarebbe successo dopo.
- Noi ancora non ci amiamo, Joshua… ed è troppo presto per pensare ad una cosa del genere. E poi ho scoperto una cosa, tuo padre e tuo fratello…
- Non è troppo presto, Siri, non ci amiamo?! Come puoi dire una cosa del genere? – mi guardava con la fronte aggrottata, come se stessi dicendo tantissime idiozie, non riusciva ad accettare quello che stessi dicendo. E si stava arrabbiando.
- Joshua, ascoltami, c’è una cosa più importante che devi sapere, ho trovato dei documenti nello studio di tuo padre, hanno già venduto al mercato nero attrezzatura militare e…
- Cosa? – scuoteva la testa ancora più confuso, il viso che gli si gonfiava dalla rabbia e l’incredulità.
- Sì, hanno anche frodato l’esercito, ma domani accadrà la cosa peggiore, toglieranno le scorte alimentari alla città sotterranea, Joshua, dobbiamo avvisare la gendarmeria o la guarnigio-
Da quel momento in poi non ho dei ricordi ben definiti. Solo dei flash di alcune azioni, come il manrovescio di Joshua che, senza neanche lasciarmi finire, mi colpì in piena faccia con talmente tanta forza che mi spinse all’indietro nell’erba. Un altro ricordo di lui che m’insultava per averlo rifiutato, mi chiedeva se avessi davvero intenzione di raccontare tutto alla polizia militare, un altro ancora di lui sopra di me con le sue mani attorno alla mia gola mentre mi diceva che non aveva altra scelta se non quella di uccidermi, e poi il bisturi che avevo dimenticato nella tasca del vestito assieme alle forbici, e che salvò la mia vita ma mise fine alla sua.
Mi risvegliai da una sorta di trance quando vidi il suo corpo portato via dalla corrente del fiume. Mi sentii attraversata da un brivido lungo tutto il corpo, abbassai lo sguardo sulle mie mani umide di sangue e lasciai uscire un gemito di orrore. Non potevo credere a quello che avevo appena fatto, io le salvavo le persone, non le uccidevo. Anche se per difendermi, avrei dovuto lasciarmi uccidere?
Rientrai nella magione dal retro, completamente dimentica del fatto che Pauline fosse a guardia del corridoio: bastò un’occhiata al mio corpo ricoperto di sangue per farla raggelare.
- Pauline…
Come prevedibile, corse via per dire immediatamente cosa fosse successo, non c’era bisogno di spiegazioni. Non avevo molto tempo. Corsi fuori verso le stalle, rubai un cavallo e iniziai a cavalcare verso Trost, non ci misero molto i gendarmi a servizio dei Beaumont a raggiungermi. Dopo quelle che mi sembrarono ore di inseguimento, arrivai in città e mi diressi all’unico quartier generale militare che c’era, ossia quello della guarnigione: scesi veloce da cavallo e all’ingresso aizzai il cavallo contro i due gendarmi che mi stavano inseguendo, i soldati della guarnigione all’entrata furono così confusi dal trambusto che spintonandomi a loro riuscii ad entrare nell’edificio. Cominciò così la mia ricerca sfrenata per i corridoi della stanza del più alto in grado: sapevo chi fosse e che aspetto avesse perché era venuto ad uno degli eventi mondani dai Beaumont, non potevo perdere tempo parlando con un soldato della guarnigione qualunque, non avrebbe capito, e quei documenti che avevo ancora nel vestito sarebbero stati totalmente inutili nelle mani sbagliate. Dovevo vedere Dot Pyxis in persona.
Aver imparato a camminare così silenziosamente negli ultimi tre mesi mi fu di vitale importanza mentre percorrevo tutto l’edificio, in fuga dai soldati che correvano su e giù per trovarmi: mi nascondevo al buio, controllavo il mio respiro impazzito, rimanevo nel più religioso silenzio, immobile in angolo, ad aspettare che mi superassero per proseguire nel mio obiettivo.
Alla fine, trovai la stanza e mi ci fiondai. Pyxis, seduto dietro la sua scrivania, alzò lo sguardo colto di sorpresa: sgranò gli occhi, dopotutto doveva essere parecchio grottesca tutta quella situazione, una ragazza civile, sconvolta, ansimante e ricoperta di sangue che fa irruzione nel suo studio nel bel mezzo della sera.
- E tu chi diamine sei?
Avanzai verso di lui: - La prego, comandante, deve ascoltare quello che ho da dire, non ho molto tempo!
Lo vidi alzarsi dalla sedia e guardare in un angolo della stanza verso cui non avevo degnato alcuna attenzione.
Mi guardò poi inarcando le sopracciglia: - Come sei riuscita ad arrivare fin qui…?
Presi fiato e scossi la testa, poi lo guardai supplicante alzando la voce: - Sono ricercata dalla gendarmeria, ho compiuto un atto orrendo, MA DEVE ASCOLTARMI! I Beaumont e i Lobov stanno derubando l’esercito e domani sottrarranno le scorte alimentari per la città sotterranea, lasciando morire di fame migliaia di persone già in difficoltà!
Sentii le voci dei soldati provenire dal corridoio, mi voltai verso la porta e poi di scatto di nuovo verso di lui che, prendendosi il mento, disse: - Hai detto Lobov?
- Sì! Ho dei documenti che confermano ciò che dico! – mi avvicinai ancora di più verso di lui – La prego! – qualcuno mi colpì dietro la nuca e persi conoscenza, gli ultimi rumori che percepii erano i soldati che facevano irruzione dalla porta.
Quando mi risvegliai era tutto buio attorno a me e, a giudicare dalle pareti in pietra e dalle sbarre davanti a me, ero in cella. Mi sedetti sul letto su cui ero stata adagiata: la botta in testa che avevo ricevuto dalla terza persona nello studio di Pyxis mi aveva fatto perdere i sensi, e quando riaprii gli occhi la mia vista era tutta appannata, mi ci volle un po’ per mettere a fuoco il mondo attorno a me e le due persone in piedi dietro le sbarre con la fioca luce che illuminava l’anfratto.
- Ben svegliata, signorina Sigrid.
Alzai lo sguardo stranita: era Pyxis, accanto a lui un ragazzo in nero, dai capelli marroni e gli occhi celesti. Mossi le braccia ma erano ammanettate dietro la mia schiena.
- La informo che in questo momento si trova nei sotterranei del quartier generale del corpo di guarnigione, che la tiene in custodia sotto gentile concessione del corpo di gendarmeria. È sotto arresto perché ha assassinato il signorino Joshua Beaumont, conferma?
Strizzai gli occhi per metterlo a fuoco. Ero ancora sotto shock e quelle parole mi ricordarono quello che avevo fatto, facendomi rimpiombare nella realtà. Avevo ucciso una persona, l’avevo uccisa. L’immagine delle mie mani insanguinate davanti al fiume bruciava nella mia mente, bruciava così tanto che mi fece venire la nausea. Iniziò a battermi il cuore più velocemente, socchiusi le labbra per cercare di ammettere le mie colpe: iniziai ad annuire con la testa, poi pronunciai un flebile “sì”.
- Capisco. – abbassò per un momento la testa e poi la rialzò su di me – C’è una cosa che mi ha colpito, signorina Sigrid. Come lei sia sfuggita a due soldati della gendarmeria e poi ai soldati nell’edificio, i miei soldati. E senza nemmeno farsi notare, è riuscita ad introdursi nientemeno che nello studio del comandante del corpo di guarnigione in persona, ossia me.
Lo guardai stranita, sentivo che da un momento all’altro avrei vomitato o il ragazzo alto accanto a lui sarebbe entrato in cella ad uccidermi.
- Mi dica, ha con sé quei documenti di cui parlava?
Spalancai la bocca e aggrottai ancora di più le sopracciglia, che voleva dire? Mi aveva davvero dato ascolto? Senza riuscire a pronunciare mezza parola annuii.
- Bene. Bernard, ti dispiace informare Smith che abbiamo trovato quello che cercava? Oh, prima però sarebbe conveniente, Sigrid, – fece un cenno con la testa al ragazzo di andare in cella – che ci desse quei documenti, perché noi possiamo agire.
Un Bernard diciannovenne aprì la cella e si avvicinò a me, la cosa parve ridestarmi dal mio stato catatonico: - Aspettate. – la spia, con le chiavi in mano, si bloccò di fronte a me e si girò di profilo, guardando Pyxis ma con la guardia sempre rivolta verso di me – Mi ucciderete?
Il comandante sorrise benevolo, poi mi rivolse lo sguardo nuovamente: - No. La nostra intenzione non è quella Sigrid.
- Ecco, – mi scostai da Bernard che cercò di abbassarsi su di me per rimuovermi le manette, questo si rialzò per farmi parlare – so di non essere nelle condizioni di chiedere compromessi, ma… vi darei i documenti se mi risparmiaste.
Bernard ghignò e guardò Pyxis alzando un sopracciglio beffardo. Anche l’altro sorrise astuto e disse condiscendente: - È legittimo da parte tua e hai ragione a pensarla così… volevo parlarne davanti ad un buon bicchiere di vino, ma se proprio insisti, ne parliamo qui.
Il ragazzo si chinò alle mie spalle e aprì le manette. Portai le mani davanti a me, erano ancora sporche di sangue ormai rinsecchito: la loro visione mi provocò una nausea ancora più acuta, le nascosi tra le cosce per non guardarle.
Alzai lo sguardo su Bernard che sembrava quasi in attesa che facessi qualcosa, poi realizzai: i documenti. Li sfilai dal petto e glieli porsi, lui diede una rapida lettura e poi, rivolgendosi a Pyxis, disse: - C’è tutto. Anche qualcosa in più. – detto ciò, il comandante annuì in silenzio e la spia andò via.
- Sigrid… ho una proposta da farti. Ti va di sentirla?
Annuii.
- Accetterò qualsiasi cosa.
L’alternativa, dopotutto, era morire.
***

Let me love you, let me love you like you need
And I'll make it, make it my responsibility
I'll be there every step of the way, uh
I'll get you back on your feet
Let me love you, let me love you like you need

 
Siri quindi si ammutolì, a sguardo basso, si stava martoriando le dita con le unghie. Levi a sua volta stava guardando impassibile il pavimento: se non, probabilmente, per Farlan e Diya, le loro vite erano comunque intrecciate in una maniera che avrebbe definita solo assurda. Erano sempre stati due facce diverse della stessa medaglia, raggirati dai più ricchi e potenti, poi pedine nelle mani delle persone più alte in grado. Nelle loro rispettive storie avevano svolto un ruolo cruciale l’uno nell’altra senza saperlo, e dopo aver sofferto e perso così tanto, si erano ritrovate finalmente l’uno di fronte all’altra in un letto d’ospedale, durante una notte di inizio estate.
Ad un certo punto, la spia tirò su col naso e Levi si voltò a guardarla mantenendo la sua maschera imperturbabile, ma in realtà era rimasto molto scosso dal suo racconto. La vide intrecciarsi le dita e stringerle forte, sospirare con affanno e poi dire: - Ho finto per tutti questi anni di essere un mostro, mi sono detta “recita quella parte, solo così sopravvivrai”. – Levi vide cadere delle lacrime sul suo grembo, i lunghi capelli che le ricadevano ai lati del viso in parte ne occludevano la visione.
- Sono sopravvissuta per tutto questo tempo, ma ora… ho paura di essere diventata davvero un mostro, io non lo voglio. Non voglio… – le si ruppe la voce e le lacrime cominciarono a bagnare il lenzuolo più copiose – Sono sempre più convinta di esserlo, qualsiasi cosa di buono riesco a fare poi sono costretta a sporcarmi di nuovo le mani, e poi ancora, e ancora…
Levi si avvicinò di più a lei e le prese le mani, Siri a quel punto alzò di scatto la testa: i loro occhi s’incontrarono e lui sentì una morsa al cuore vedendole il viso arrossato dalla commozione e dalla febbre. Ma allo stesso tempo era così bella, sgraziata, sfregiata e sudata, ma meravigliosa ai suoi occhi. Aveva bisogno di farle capire come la vedeva.
- Tu non sei un mostro, Siri. – il labbro inferiore di lei iniziò a tremare, mentre ricambiava il suo sguardo con i grossi occhi lucidi e contratti – Come hai potuto pensare di essere un mostro?
Lei si lasciò aprire le mani dalla morsa delle sue stesse dita e lui ci fece scivolare i pollici nei palmi fasciati, premendoli continuò: - Le mie mani sono anche più sporche delle tue, da quando ne ho memoria. Non sei sola.
Siri singhiozzò, quindi Levi le posò una mano sulla guancia dolcemente, non aveva neanche bisogno di pensare alle parole che le diceva, le sentiva uscire spontaneamente: - Tu… come hai potuto anche solo pensare che io non ti avrei più… – lei si sporse lentamente verso di lui, il suo respiro sembrava essersi calmato – Tu non sei un mostro. Sei molto più umana di quelli che ti hanno fatto questo.
Coi polpastrelli Levi le accarezzò la punta del sopracciglio e poi la tempia, mentre col pollice le asciugò una lacrima sotto l’occhio. Lei si spinse bascollante ancora di più verso di lui, tant’è che le loro fronti si scontrarono con delicatezza, facendoli allontanare di poco per poi ricalibrare il loro avvicinamento. Gli occhi semichiusi di Siri si erano abbassati sulle labbra di Levi, con un’indecisione straziante le sue labbra secche sfiorarono quelle di lui e per un interminabile momento, quest’ultimo sentì il flebile e bollente respiro dell’altra accarezzargli la pelle. Assaporò profondamente quel momento, per poi dischiudere egli stesso le labbra e, con la mano che teneva ancora sulla sua guancia, avvicinarle il viso al suo di quei pochi centimetri che servivano per sancire finalmente il contatto tanto desiderato. Levi spostò la mano dietro la nuca di Siri per affondare le dita nei suoi capelli e immergersi sempre di più profondamente in quel bacio intimo e amaro. In quell’istante era tutto giusto e nessuno dei due pensava assolutamente a nulla. Diya e Farlan. Joshua e Michel. Erwin e Bernard. Erano solo macchie lontane, in quel momento attorno a loro c’era il vuoto più assoluto, sentivano soltanto il calore e l’umidità di quel bacio che gli faceva sentire in una bolla, al sicuro. Niente giganti, nobili, macchinazioni, morte. Niente di niente. C’era solo quel senso di pace e completezza.
Levi sentì la lingua bollente di Siri sfiorare la sua e poi avvolgergliela a rilento, la differenza di temperatura gli provocò una piacevole sensazione di calore che gli si irradiò nella carne; spostò la mano dalla nuca alla mandibola e gliela accarezzò col pollice. Ad un certo punto lei si staccò dalle sue labbra, facendogli aprire gli occhi: Siri poggiò la fronte alla sua, col respiro affannoso soffiava sulle sue labbra ancora inumidite, la cui sensazione gli fece rizzare i peli sulle braccia. La ragazza portò una mano sulla spalla di Levi, quasi ad aggrapparvisi affaticata, e poi lasciò ricadere la testa sull’altra spalla con un sospiro stanco. Lui rimase interdetto a fissare il muro davanti a lui, dove prima c’era il viso della spia. Le passò una mano sulla schiena per non farla scivolare di lato, mentre con l’altra le controllò la temperatura dal collo: era di nuovo molto alta.
Pensò dovesse essersi addormentata di botto per la febbre, esattamente come quando era entrato in infermeria. O doveva essere svenuta, non riusciva a capire la differenza.
 

And you can kick me, kick me to the curb
It's okay, babe, I promise that I felt worse
Back then I was starry eyed
And now I'm so cynical
Baby, break me, kick me to the curb


Nota a margine: chiedo venia se l'inserimento di tutto il testo della canzone possa avervi in qualche modo infastidito, tuttavia ho creduto si adattasse perfettamente a questo capitolo e ai due personaggi. Avevo pianificato la backstory di Siri sin dall'inizio, apportando parecchie modifiche (infatti originariamente aveva una storia anche peggiore, ma mi sembrava una sofferenza esagerata), da prima di pubblicare il primo capitolo a dicembre dello scorso anno. A gennaio poi è uscito l'album contenente questa canzone e, mentre scrivevo questo capitolo, mi è tornata in mente e sono rimasta folgorata da come fosse calzante.
Alla prossima!
 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 - Obbedire o essere leali ***


Capitolo 19 – Obbedire o essere leali

 
Troppa gente le chiedeva di custodire fin troppi segreti. Non si aspettava comunque altro da Erwin, sarebbe stato fin troppo ingenuo da parte sua credere il contrario. Si era praticamente fiondata nelle linee del corpo di ricerca dopo averci pensato più o meno attentamente, e sicuramente non era così stupida da pensare che il comandante più calcolatore che avesse mai conosciuto non le chiedesse di tenerne uno. O molti più di quanti potesse immaginare.
Per ora Erwin si era limitato a fargliene tenere due: il primo era che nel perfezionamento dell’amputazione del suo braccio, un qualche medico incompetente non aveva sistemato a dovere il moncone, dopo una breve visita Siri potette constatarlo in prima persona, e da quella volta un nervo non doveva essere guarito bene, dandogli un fastidio tale da bloccargli i muscoli della spalla e renderlo quindi inutile in combattimento. Il secondo era quello più scomodo da mantenere, visto che l’aveva costretta a mentire a Levi: consisteva nel recarsi ogni santa sera nei suoi alloggi privati, per fargli fare degli esercizi di fisioterapia palliativi e preparargli un impacco da applicare sull’intera spalla.
Si fermò, e guardò in alto il cielo scuro che s’intravedeva tra le fronde degli alberi, sbuffando frustrata.
Dal quartier generale partiva un sentiero nella foresta che ad un certo punto si biforcava portando, da una parte all’edificio a due piani dove Erwin alloggiava, e dall’altra in città. Per questo, le uscite di Siri lasciavano il beneficio del dubbio, tuttavia Levi avrebbe dovuto immaginarlo, infatti senza l’uso di un cavallo non sarebbe potuta andare troppo lontano, eppure aveva pensato che qualcuno la venisse a prendere per portarla ovunque andasse di notte. Siri inspirò l’aria e quindi proseguì lungo il selciato, accusava la stanchezza, non solo fisica, che le rendeva ogni passo estremamente pesante. Si sentiva più sfiancata dopo quella settimana infernale rispetto a quando era appena tornata dalla città sotterranea con l’anca fratturata: per quel giorno, però, poteva perdonarselo, dopotutto aveva ricevuto la notizia che Michel era di nuovo libero, si era allenata dopo una settimana di riposo per l’infortunio e, sopra ogni altra cosa, si era battuta con Levi, togliendole anche la forza fisica di muovere le labbra e fare qualsivoglia battuta a cena. Il pensiero, inoltre, di iniziare il giorno dopo per la prima volta l’allenamento col dispositivo 3d, non l’aiutava.
Bussò alla porta e poco dopo Erwin le aprì, senza dire una parola si diressero di sopra dove lui aveva fatto arredare una camera inutilizzata in un’infermeria di fortuna, che Siri non aveva perso tempo a riempire con ogni sorta di medicina ed erba di cui avesse bisogno.
- Come vanno le fitte? – chiese incolore Siri mentre con una piccola stecca piatta in legno distribuiva l’impacco sulla spalla del comandante.
- Meglio. Sigrid, devo ringraziarti, ti ho addossato parecchio lavoro ma lo stai svolgendo egregiamente. 
- Mh mh. – si ricordò che non stava parlando con Levi e rispose il più formalmente possibile – Mi scusi. Per ora però, comandante, non ho concluso praticamente nulla di quello che idealmente avrei dovuto fare e scoprire.
- Se ragionassimo così, il corpo di ricerca si sarebbe ormai sciolto da tempo. Per cui i risultati che hai ottenuto finora sono più che sufficienti.
Siri sospirò in silenzio dal naso applicando l’ultimo strato dell’impacco. 
- Il capitano Levi mi ha fermata l’altra notte. – posò la ciotola vuota su un ripiano e applicò uno straccio umido sulla poltiglia sulla spalla del superiore – Non sono molto… contenta di mantenere il segreto con lui. È la prima persona di questa legione che si è fidata di me, se lui me lo dovesse chiedere…
- Tu non glielo dirai. – rispose lui, perentorio, senza lasciarla finire.
Siri socchiuse gli occhi guardando in basso, rimase un momento alle spalle di Erwin: - Sarà fatto signore. È stata un’idea stupida, me ne rendo conto. Scusi se l’ho anche solo avanzata.
Andò al lavandino, si tolse le bende e iniziò a sciacquarsi le mani.
- Non preoccuparti Sigrid. Capisco la tua lealtà nei confronti di Levi, ma sono sicuro tu capisca il perché di tanta segretezza.
Siri asciugò le mani e se le fasciò il più velocemente possibile. Tenendo lo sguardo fisso sul movimento disse: - Lo comprendo perfettamente. Mi sono lasciata influenzare dalle mie emozioni, ho anche paura che la notizia della liberazione del nobile Beaumont di stamattina abbia appannato il mio giudizio. – annodò la seconda fasciatura e si diresse verso la porta – Non accadrà più.
Erwin scrutò attentamente il viso della sottoposta e sotto il suo sguardo attento non gli sfuggì l’evidente malessere. Era rimasto affascinato dalla memoria di Siri quando, al colloquio con lei e Pyxis per la sua ammissione nel corpo di ricerca, aveva dato una dimostrazione pratica memorizzando al momento tre documenti e la lista dei componenti di tre squadre. Forse, quello, un momento di debolezza, era il più adatto per cercare di capire meglio la spia e testare le sue vere capacità che non potevano limitarsi esclusivamente alla formidabile memoria.
Siri aveva la mano sul pomello quando Erwin si rivolse a lei, fermandola sull’uscio: - Sigrid. – lei si voltò con un’espressione stanca – Mi concederesti una partita a scacchi?
La ragazza aggrottò le sopracciglia: - Non so giocare a scacchi, comandante.
- Posso insegnarti. 
Il comandante le fece strada nel suo studio dove aveva un tavolino allestito allo scopo, la spia si sedette dopo che l’ebbe fatto lui, abbastanza annoiata dalla situazione: voleva solo andare a dormire quanto prima e non le andava di fare da dama di compagnia ad Erwin, aveva ricoperto quel ruolo una volta ed era stata più che sufficiente. Siri non poteva rifiutare la gentile offerta, dopotutto era il suo superiore e sarebbe stato scortese, e lei verso i maggiori assumeva un atteggiamento estremamente reverente.
Se si annoia può benissimo assumere un maggiordomo.
- Ti è tutto chiaro?
Siri si grattò il capo e alzò gli avambracci prima incrociati sul tavolo: - Credo di sì. Probabilmente è meglio iniziare, forse riuscirò a cogliere meglio le regole giocando.
Erwin annuì e le fece cenno di partire, visto che le aveva concesso il bianco, essendo una giocatrice inesperta.
- Come mai non sapevi giocare a scacchi, Sigrid?
La ragazza mosse distrattamente un pedone, e tenendo lo sguardo fisso sulla scacchiera rispose: - Ho sempre preferito la dama.
- Pyxis non ti ha mai chiesto di giocare?
- Per l’appunto. Abbiamo sempre giocato a dama.
Mentre Erwin muoveva le sue pedine poco tempo dopo che Siri avesse compiuto la sua mossa, quest’ultima rifletteva fin troppo su ogni sua mossa, impacciata e già in difficoltà dopo poche mosse dell’avversario.
- Capisco. Eppure, con la tua logica e la tua memoria saresti una giocatrice formidabile.
Siri alzò un sopracciglio, rimanendo concentrata sul gioco: - Lei crede?
- Certamente. E dimmi, Sigrid, come mai preferisci la dama?
Lei fece spallucce: - Non c’è un motivo in particolare. È più semplice, meno regole, meno… macchinazioni. Col tempo sono diventata più brava con le carte, ad essere sincera. Il poker soprattutto, credo di aver perso pochissime volte. 
Erwin contemplò la scacchiera, riflettendo bene sulle parole dell’avversaria: - Quindi, in poche parole, un gioco dove recitare una parte ti dà un vantaggio sugli altri. – a queste parole Siri sussultò e alzò lo sguardo su di lui interdetta – La dama invece è un gioco molto… confortevole, è uno dei primi giochi da tavolo ad essere stato inventato, oltre che quello che viene insegnato ai più piccoli, proprio perché il più semplice. – Erwin, quindi, alzò lo sguardo penetrante su di lei – Che tu sia portata nei giochi di carte, Sigrid, non ne avevo alcun dubbio.
Siri tornò a guardare la scacchiera risentita e fece una mossa, senza pensarci molto: Erwin guardò contrariato il cavallo bianco che lei aveva appena spostato.
Mh, non va bene Siri, però almeno so che non mentivi quando dicevi di non aver mai giocato.
- Non fraintendermi, non è assolutamente una critica, anzi. Il poker è un gioco in cui la fortuna riveste un ruolo particolarmente preponderante, ma sta nel giocatore sfruttare anche le carte peggiori a proprio vantaggio per ribaltare la situazione, inoltre… – Erwin spostò una delle sue torri nere, facendo sospirare Siri frustrata – bisogna vantare di doti recitative non indifferenti.
- E io sono molto brava a recitare la mia parte. È questo quello che vuole dire, vero, comandante? – lo osservò di sottecchi – Ha ragione, è proprio così. Ma credo ci sia dell’altro. Vede, il poker mi dà una certa, come dire… libertà d’azione. Non mi piace molto ragionare e agire in schemi rigidi e ben precisi, a volte preferisco tenere aperte le mie prospettive. – tornò a guardare la scacchiera e mosse un pezzo, ma sapeva avrebbe solo tardato lo scacco al re che Erwin stava per servirle – Ammetto di essere molto istintiva, mi fido molto delle mie capacità quando mi trovo in determinate situazioni: curiosità o arroganza, non so davvero se sia un bene o un male.
Erwin chiuse gli occhi e sorrise placido: - È sempre un bene… – riaprì gli occhi e spostò la regina facendo scacco matto – se sai come sfruttare le tue capacità. La distinzione tra bene e male è molto labile Sigrid, e tu lo sai bene quanto me. – Siri alzò gli occhi solcati dalle occhiaie incontrando i suoi e lo stette a sentire con attenzione chiedendosi cosa volesse dirle veramente – È degno di nota che comunque tu sia a tuo agio ad agire in situazioni la cui riuscita sia dubbia.
Rimasero in silenzio, Siri scrutava lo sguardo enigmatico del comandante, credeva forse che stesse facendo il doppio gioco con qualcuno? Era fuori discussione, dopotutto gliel’avrebbe fatto capire meglio e quell’eventualità non aveva senso. Erwin, invece, aveva inquadrato la spia perfettamente e aveva un altro obiettivo: quello che voleva fare per il momento poteva sembrare poco chiaro, ma sperava che in futuro sarebbe servito per renderla non solo una spia e un soldato migliore, ma anche una valida risorsa per il genere umano.
- Facciamone un’altra, poi ti lascio andare.
La sera dopo, Siri temporeggiò con la fasciatura, riallacciandola più lentamente e lanciava occhiate al comandante in tralice, fino a quando lui non rinnovò l’invito a giocare anche quel giorno. 
- Allora, adesso che hai imparato, preferisci ancora la dama?
Siri contemplò la scacchiera e mosse un pezzo: - Credo di sì.
- Mh. È perché non sei ancora molto brava a giocarci?
- No. – Siri prese fiato e ponderò bene la sua risposta, sapeva perfettamente che ad Erwin non sarebbero bastate delle risposte a monosillabi e la ragione che avrebbe dato doveva essere sì, sincera, ma soddisfacente. Poi, però, pensò ad una risposta migliore: - Secondo lei perché?
- Credo sia sempre lo stesso motivo. Le macchinazioni non ti piacciono, anche se, nemmeno tu, per quanto lo desideri, sei immune dal farne.
La ragazza annuì in silenzio, osservò la mossa di Erwin e poi disse: - Non posso negarlo. Ma quando posso evitare… – mosse un pezzo distrattamente e vide il comandante aggrottare le sopracciglia alla scelta della sottoposta – Tuttavia credo non si tratti solo di questo. Nella dama le pedine iniziano il loro percorso allo stesso punto, sono tutte uguali e possono andare solo avanti.
Erwin seguiva attentamente il discorso, mentre rifletteva sulla sua prossima mossa.
- Eppure, insieme possono bloccare l’intero gioco, da sole acquisire un potere maggiore e muoversi come preferiscono. Negli scacchi, invece, se sei un pedone lo rimani, sei letteralmente una pedina sacrificabile, essenziale ma nella logica di uno schema che definirei quasi vanaglorioso.
Il comandante fece la sua mossa mettendo Siri, di nuovo, con le spalle al muro: - Mi sorprende che tu, Sigrid, dia alla vita un valore più quantitativo che qualitativo. Nonostante la filosofia degli scacchi e della dama non sia completamente applicabile alla realtà, credo sia interessante come, per certi aspetti, non differisca affatto. Non trovi?
La ragazza incrociò le braccia sul tavolo, strizzando gli occhi sulla scacchiera dopo essersi resa conto di essere di nuovo vicina alla sconfitta: - Signore… io sono una spia, un soldato. – spostò un pedone, l’avrebbe sacrificato per guadagnare tempo, ma ormai il dado era tratto – Ma prima di tutto sono un medico, per me anche la vita più miserabile è degna di essere vissuta, do lo stesso valore ad ognuna di essa. Se poi parliamo di pietà verso alcuni crimini, è un altro discorso, ma anche in quel caso… faccio prevalere la mia coscienza medica. Credo sia per questo che io contro di lei non riesco proprio a vincere a scacchi.
Erwin mosse un cavallo e, con sorpresa di Siri che non aveva per niente considerato quella mossa nel quadro generale, fece scacco matto. Lui, quindi, alzò lo sguardo incontrando quello meravigliato della spia e, austero, disse: - Non credo, Sigrid, sia per questo che tu non riesci a vincere a scacchi contro di me. Fai delle mosse intelligenti, a volte segui l’istinto ma cerchi sempre di limitarti. Trattieni la tua logica perché, anche in una finzione, cerchi di salvare quante più vite possibili. – la ragazza socchiuse la bocca, colpita in pieno dalla precisione con cui la stava analizzando – E, a meno che non si tratti della tua vita, eviti di rischiare. Non è un male però ragionare e prendere delle decisioni moralmente difficili per un bene superiore, non è una questione di pietà o di umanità. È una di forza di volontà.
Siri spostò lo sguardo verso il basso, lasciandosi andare sulla spalliera della sedia, poi, inespressiva tornò a guardarlo e gli disse: - Un’altra.
A Siri non piacevano gli scacchi, ma c’era una cosa che non le piaceva più di quel gioco da tavolo, più di qualsiasi altra. Ed era perdere. Per cui, quando ricevette l’ennesima sonora sconfitta quella sera, decise, sul sentiero verso il quartier generale, che la prossima volta avrebbe dato seriamente del filo da torcere ad Erwin. Quando quella notte tornò a letto dopo aver incontrato Levi in cucina, rimase a fissare il soffitto meditando sull’abissale differenza tra i due soldati fino a quando non si addormentò. 
***
 
Il dolore aveva reso Levi glaciale ma nonostante questo suscettibile ad affezionarsi. Mentre, Siri… bruciava di un fuoco implacabile e non pensava troppo ai rischi che legarsi alle persone comportavano, la sua personalissima idea era che tanto avrebbe sofferto comunque, in un modo o nell’altro.
Con grande disappunto misto a sollievo di Levi, Siri il mattino dopo, nel letto dell’infermeria, gli rivelò di ricordare di avergli raccontato del suo passato, ma nulla di più. Levi, seduto sulla sedia accanto al letto, alzò di poco le sopracciglia quando non lesse sul viso di lei il minimo imbarazzo o perplessità.
- Ricordi nient’altro di ieri notte? – le chiese, con l’espressione contratta e gli occhi puntati su di lei, infondo sperava se ne ricordasse.
Siri sbadigliò e sprimacciò il cuscino su cui aveva poggiato la schiena, seduta nel letto: - A dire la verità non ero neanche sicurissima di averti raccontato quelle cose, ricordo più lucidamente quel momento e quando più tardi Sasha è venuta poco prima dell’alba. – per tutto il tempo, notò il capitano, aveva temporeggiato col cuscino e il lenzuolo, lisciandone le pieghe all’altezza delle cosce. Non una volta aveva voltato lo sguardo su di lui, che ora la fissava con gli occhi ridotti a due fessure sottili. Finalmente lei si voltò a guardarlo e, ignorando la sua espressione, a cui non diede molto peso, gli domandò: - Perché, c’è altro in particolare che dovrei ricordare?
L’espressione perplessa di Siri lo disarmò, per cui rimase in silenzio, stava per ribattere quando lei ne approfittò per continuare: - A dire il vero, ho fatto parecchi sogni strani. In uno c’eravate persino tu ed Hange. – Levi sgranò gli occhi, ma fece una smorfia seccata con la bocca quando sentì il resto – Neanche nei sogni mi lasciate in pace, sono proprio la vostra ossessione.
- Così ossessionato che appari solo nei miei incubi.
Siri ghignò e assunse un’espressione impertinente: - Nei tuoi sogni sarebbe meglio, boss?
Levi distolse lo sguardo dal suo, contrariato: - Ormai ricordarti che sono il tuo superiore è completamente inutile.
La spia stava per controbattere quando, dalla tenda impalata davanti al letto, sbucarono Sasha e Connie che tenevano contemporaneamente un vassoio con la colazione di Siri: appariva evidente il fatto che avevano voluto portarlo entrambi e che quindi, alla fine, avessero optato per la soluzione più barcollante e insensata. I due superiori si voltarono a guardarli mentre si avvicinavano al comodino accanto il letto, Siri scosse piano la testa, seccata: - Tra tutte le idee, modestamente brillanti, che ho avuto nella mia vita, quella di accoppiarvi questa settimana è quella tremenda che conferma la regola, presumo.
Levi si voltò verso di lei: - Probabilmente questa ti è venuta mentre eri in bagno, perché fa letteralmente cag-
- BUONGIORNO! – adesso anche Hange, che teneva tra le braccia un plico di fogli, aveva fatto capolino al capezzale di Siri che si lasciò andare all’indietro sul cuscino. La scienziata, trovando già Levi, lo guardò sorpresa e poi sorrise sotto i baffi, ma bastò un’occhiata minacciosa dell’altro per farla desistere da ogni uscita equivoca.
- Anche tu qui? Connie perché non vai a chiamare anche Armin già che ci siamo… – alle parole della spia, il ragazzo uscì in tutta fretta – Non dicevo sul… Argh, lasciamo perdere.
Hange si avvicinò quatta con uno sguardo folle ad un lato del letto: - Ho delle notizie succulenti dagli ingegneri, non riuscivo ad aspettare oltre, dovevo dirvele e sono venuta sicura di trovare anche Levi qui.
Siri aggrottò le sopracciglia e guardò Levi che a sua volta fissava l’altro caposquadra a dir poco innervosito, ignorò momentaneamente l’ultima affermazione di Hange e lo strano comportamento del suo capitano e disse: - Ah, finalmente hanno deciso di far funzionare quei loro cervelli rattrappiti? Ho ideato più io in dieci anni che loro in cento. – incrociò poi le gambe sotto il lenzuolo per fare spazio alla sua compagna di stanza che si sedette ai piedi del letto.
- Ma perché ce l’hai tanto con loro?!
Levi guardò Siri di sottecchi che rispose noncurante: - Diciamo che se ne esistessero di meno io non sarei qui, in senso migliore.
Nel frattempo, Sasha aveva preso la tazza calda dal vassoio e gliela stava porgendo: - Ecco, mamma.
Siri prese distrattamente la tazza: - Ho avuto solo una febbricola, non capisco tutto questo… Aspetta. – sgranò gli occhi e guardò Sasha truce – Come mi hai chiamata?!
La ragazzina strabuzzo gli occhi interrogativa: - Cosa? Ehm… – alzò gli occhi verso l’alto ripensando a ciò che aveva detto, poi, nel momento in cui realizzò la gaffe, un brivido la percorse lungo la schiena e guardò terrorizzata la vice di Levi.
- Ti sembra forse che io possa essere tua madre?! – Sasha quindi si precipitò verso il corridoio sfuggendo alla mano di Siri che aveva cercato di acchiapparle la coda. Quest’ultima, una volta che l’altra si era dileguata, sospirò pesantemente.
Hange rise: - Oh, non te la prendere Siri, a volte si sbagliano anche con me e con Levi.
La ragazza di tutta risposta incrociò le braccia e disse irritata: - Ma lui potrebbe essere loro padre, è un vecchietto.
Un vecchietto e anche nello stesso sogno con Hange. Per oggi ne ho abbastanza.
Levi rispose, altrettanto irritato: - Ci risiamo con questa inutile discussione, saltimbanco. E poi hai anche la faccia tosta di definire quella di ieri una febbricola.
Contemporaneamente, la caposquadra ai piedi del letto aveva aperto il plico di fogli spargendoli sul materasso e stava blaterando qualcosa su un nuovo aggeggio che avevano inventato, le lance fulmine, capaci di perforare la corazza dei giganti, quando fece capolino di nuovo Connie, seguito da Armin e Jean.
- Ecco Siri! Come mi avevi chiesto! – spinse in avanti gli amici soddisfatto – Jean è solo un ficcanaso, voleva sapere perché avevi fatto chiamare Armin.
- Non è vero! Volevo solo vedere come… capire se ci fosse il mio allenamento oggi pomeriggio, razza di deficiente!
Siri lasciò andare indietro la testa, poggiando il capo contro il muro, poi alzò le mani, le portò sul viso e si strofinò gli occhi, Jean intanto si era avvicinato a lei, tale da trovarsi all’altra sponda del letto di fronte a Levi, ancora seduto sulla sedia. L’allievo della spia osservò le fasciature sulle braccia perplesso: - Oh, Siri, le hai annodate diversamente da come fai di solito. – improvvisamente si sentì osservato e rivolse lo sguardo davanti a sé incontrando quello sinistro e penetrante del capitano, che con quell’espressione e le braccia conserte gli stava intimando, in silenzio, di chiudere il becco. Jean infatti rabbrividì sul posto.
Siri si guardò gli avambracci: - Sai che hai ragione… Che strano.
Jean rise nervosamente e diede una spintarella alla spalla della maestra: - Questa febbre! Fa fare le cose più strane!
Siri fece spallucce: - Già, sarà stato quando ero febbricitante…
Una voce attutita che cercava di attirare l’attenzione si levò dall’entrata del tendaggio, era di nuovo Sasha: - Ehm… – aveva alzato un indice per dire qualcosa ma venne interrotta da una Siri esasperata.
- Ma cosa significa questo manipolo di persone qui dentro?! Volete forse dare una festa? Ci manca solo il comandante in persona e siamo al completo!
La ragazza all’ingresso sorrise a disagio: - Ecco, veramente…
- È permesso? – la voce di Erwin fece voltare tutti i presenti, compresa Hange che ancora era immersa negli schemi delle lance fulmine sparpagliati sul letto. I membri della squadra, non appena si stagliò la figura del comandante alle spalle di Sasha, si affrettarono a fare il saluto e si dileguarono, lasciando lo spazio necessario al superiore per entrare. Siri, notò Levi con una punta di fastidio, sembrò assumere un atteggiamento e delle espressioni gravi e contenute all’ingresso di Erwin, il capitano ebbe poi un tonfo al cuore quando lei gli rivolse un’occhiata nervosa: probabilmente voleva guardarlo più a lungo, perché non appena si rese conto che Levi la stava guardando a sua volta, distolse subito lo sguardo. Non aveva alcun significato nascosto quel gesto, qualsiasi il capitano avesse inteso, semplicemente la spia era a disagio perché in quello spazio ristretto lui era l’unico a non conoscere la situazione; infatti alla fine Erwin aveva acconsentito a rivelarla esclusivamente ad Hange, essendo suo diretto successore, seppur tenendo celato il motivo delle visite.
- Buongiorno comandante. – dissero in coro Siri e la scienziata, mentre Levi, con un braccio sulla spalliera, lo fissò in silenzio.
- Siri, ho delle comunicazioni importanti. Ho saputo da Jean ieri che eri ammalata, mi dispiace disturbarti ma non potevo attendere oltre. – Siri socchiuse gli occhi e annuì, sovrappensiero, poi si voltò verso Levi che, mentre l’altra ospite si era già alzata e raccoglieva le sue cose, era rimasto seduto come se niente fosse.
- Levi, scusa, ti dispiace? – gli disse lei, gentilmente.
Sì, mi dispiace, pensò lui mentre si alzava poco entusiasta dalla sedia. Mentre usciva con Hange al seguito, lanciò un’occhiata ad Erwin che rimase perplesso notando la strana luce negli occhi del soldato. Il comandante quindi si sedette e, non appena sentirono che i due si erano allontanati, parlò: - Bernard mi ha raggiunto per conto di Pyxis. Hanno un piano da proporti per Michel Beaumont.
Siri sussultò, distolse lo sguardo per un momento e poi seria chiese: - Lei lo approva?
- Sì. – rispose risoluto – Non è uno dei miei, quindi non lo definiresti “azzardato” ma è molto buono. Si affida esclusivamente su di te.
- Allora sono tutta orecchi.
 
Il giorno dopo Siri tornò alla routine quotidiana, e, finalmente, iniziò a rendersi conto degli atteggiamenti equivoci che Levi aveva assunto nei suoi confronti: aveva iniziato a nutrire qualche sospetto quando il mattino prima si era svegliata dopo la nottata febbricitante e lui era arrivato per primo a farle visita, quasi all’alba, o quando poi più tardi a cena si era assicurato stesse bene e che avesse mangiato tutta la sua razione («Devi mangiare di più, altrimenti agli allenamenti farai pena.»), o quando poi, quindi, la mattina di quel giorno di ritorno alla normalità era andato di nuovo a trovarla in infermeria e, quando aveva visto che stava lavorando a pieno ritmo, aveva temporeggiato con delle chiacchiere di circostanza e poi se n’era andato dicendo che “era venuto solo per ricordarle dell’allenamento nel pomeriggio”. Ma c’era una cosa in particolare che le aveva messo il verme nella testa, ossia ciò che le aveva detto quando gli aveva raccontato di come era diventata una spia. Non ricordava le esatte parole, infatti era come se gliele avesse dette mentre dormiva, il ricordo era molto confuso, eppure l’avevano colpita così tanto che aveva iniziato a piangere. Vorrei non essere così emotiva, cosa mi ha detto…
- I tagli sono poco profondi, non vanno bene. – le disse piatto mentre era seduto su un ramo, la schiena poggiata contro il tronco.
La spia aveva avuto parecchi incubi e sogni strani la notte in cui era stata male, ma pensava e ripensava ad uno in particolare, troppo imbarazzante da raccontare a chiunque, anche perché le era sembrato troppo reale. Riusciva persino a ricordarsi le sensazioni che aveva provato, aveva subito scacciato l’eventualità del “E se fosse stato reale?” ogni volta che aveva alzato lo sguardo su Levi nell’ultimo giorno e mezzo e aveva incontrato i suoi occhi gelidi e severi. Si passò la manica sulla fronte per asciugare il sudore e lo guardò di nuovo accigliata: aveva sempre quella solita espressione seria e quasi annoiata. Una cosa comunque era certa: sogno o meno, si era resa conto di aver provato qualcosa che preferiva reprimere, ma che le era piaciuto.
Abbassò lo sguardo sulle lame: non era andata abbastanza in profondità però in compenso erano ancora utilizzabili.
- Aspetti che faccia notte, saltimbanco? Datti una mossa e riprovaci.
Siri sbuffò e tornò indietro, aspettò il segnale del capitano e ripartì di nuovo: questa volta riuscì a tagliare la nuca abbastanza profondamente a tre su cinque dei finti giganti. Quel pensiero fisso la distraeva, decise che doveva togliersi il dubbio. Non gliel’avrebbe chiesto direttamente, magari era un errore che lui voleva dimenticare, inoltre un conto era scherzarci su come si divertiva a fare sempre, un altro che succedesse davvero qualcosa tra loro due, e pensare a quella eventualità non le dispiaceva, ma allo stesso tempo le dava fastidio l’idea che lui fosse il suo superiore in comando. E questo la frenava, ma sicuramente non da quello che decise di fare dopo. Si dondolò appesa poco sotto il ramo su cui lui era ancora beatamente seduto.
- Tre su cinque, sempre meglio di prima, ma non abbastanza. Riposati e ricominc… - si bloccò quando Siri, dopo essersi data lo slancio col gas, aveva fatto riavvolgere le corde dei rampini e si era fermata alla sua altezza, parandoglisi di fronte: aveva poggiato una gamba sul ramo a poca distanza dal suo fianco e poi si era sporta verso di lui. Levi la guardò stranito e indietreggiò di poco con la schiena, visto che aveva il naso della vice a due centimetri dal suo e i suoi occhi enormi lo stavano fissando dritti nei suoi. Dopo qualche secondo, Siri si allontanò e sparando un po’ di gas si spostò di fianco a lui dove si sedette, lasciando un po’ di spazio tra i due: - Scusa, volevo provare una cosa.
Si voltò a guardarla, cercando di rimanere il più distaccato possibile: - Vuoi vedere quanto gas riesci a sprecare?
Lei ripose le lame nella custodia e disse a sguardo basso: - No… - poi scivolò verso di lui, azzerando la distanza che li separava, e gli piantò addosso gli occhi con un’espressione morbida sul volto: - Volevo vedere quanto vicino ti fidi ad avermi.
Lo sa. A Levi fu chiaro come il sole che quella non era semplicemente una delle sue battute, lo stava mettendo alla prova, stava giocando con lui e a sua volta, per un momento, aveva lasciato trapelare del disorientamento che a lei non era sfuggito, perché sogghignò.
- Tch. Blatera meno e concentrati di più.
Perlomeno adesso sapeva come avrebbe reagito, infondo non poteva aspettarsi altro. L’imbarazzo o la vergogna non erano delle cose che propriamente le si addicevano e con tutte le frecciatine che gli lanciava continuamente anche in situazioni normali, avrebbe dovuto immaginarselo: ora aveva lei il coltello dalla parte del manico e si sarebbe divertita con quel vantaggio che aveva su di lui. Tuttavia, decise di persistere nella negazione.
Siri allontanò il busto e tornata a sedersi composta disse: - Peccato…
- Sai che non ti sento se parli come scrivi.
Lei alzò un angolo della bocca seccata: - Pensavo solo che mi dici continuamente che faccio pena, ma non mi hai mostrato nemmeno una volta come dovrei fare.
- Non credevo che fossimo ancora al punto di aver bisogno di dimostrazioni. – aveva tirato fuori una delle lame e la stava lucidando, Siri guardò l’azione di sottecchi pensando che forse l’aveva messo troppo a disagio.
Aveva avuto sei anni per elaborare quanto le era accaduto quella notte, l’aveva fatto, ma da quel giorno l’idea di essere anche solo sfiorata la faceva andare fuori di testa. Per questo, quando invece con Levi aveva capito la differenza, si era sentita più sicura e aveva compreso che una ferita, almeno, si era risanata. Ciò non significava che si sarebbe lasciata coinvolgere troppo, avrebbe affrontato la cosa alla giornata come al solito, ma si era ripromessa di stare attenta: fino a quando lui non avesse deciso di fare un passo deciso, si sarebbe limitata a stuzzicarlo nei limiti dei loro ruoli professionali. Se effettivamente ci avesse preso, prima o poi Levi avrebbe fatto crack, in caso contrario non sarebbe cambiato molto dal solito.
- Che ti costa. Io sono brava ad imparare osservando.
Lui la fulminò con lo sguardo: - Finirai di tormentarmi? – ripose poi la lama con un click nella fessura assieme alle altre.
Siri alzò una mano all’altezza della testa e incrociò indice e medio, poi disse: - Certo boss. – Levi alzò gli occhi al cielo e fece schioccare la lingua sul palato, poi però prese i manici del dispositivo e s’inginocchiò sul ramo.
- Cambia le nuche, poi dammi il segnale. – quando lei sorrise contenta, distolse lo sguardo sentendo un brivido lungo la pelle e si gettò verso l’inizio del percorso, prima che lei potesse notare qualsiasi altro suo passo falso. Siri cambiò velocemente i cuscinetti e, dopo essersi appostata per avere la visuale migliore, gli diede il segnale per iniziare, mentre con le corde cercava far muovere i giganti nella maniera più scoordinata possibile. Ma non valse assolutamente a nulla: a malapena riuscì a seguirlo con gli occhi, non era sua intenzione dare sfoggio delle sue capacità, semplicemente fu velocissimo. Quando tagliò l’ultima nuca, lanciò i rampini sull’albero di fronte a quello dove si trovava la spia, che, seppur colpita dalla dimostrazione, non rimase senza parole.
- Potevi limitarti a tagliare la nuca e basta, senza dover essere per forza… - si morse il labbro inferiore e poi sbuffò – Senza fare per forza il fuoriclasse.
Levi ignorò il complimento e tornò a sedersi vicino a lei e poco dopo ricominciarono ad allenarsi fino a quando non arrivò il tramonto.
- Per oggi può bastare. – quindi scese a terra e Siri fu subito dietro di lui.
- Sono migliorata almeno un pochino?
Il sentiero che stavano seguendo attraversava la foresta e si apriva al campo di allenamento, poi portava all’ingresso del quartier generale tenendosi al lato degli alberi che in quel momento si erano scuriti con la luce calda e rilassante del sole che pian piano sarebbe scomparso oltre le colline. Il capitano lanciò un’occhiata al viso della compagna di squadra che era rivolto verso l’alto, assorto nelle fronde degli alberi.
- Si può dire che potresti sopravvivere più di cinque minuti fuori dalle mura.
- Mh… – si avvicinò a lui e si sporse oltre la sua spalla – Quando arriviamo ad un giorno intero inviami un notificato.
- Tch. – a questo nuovo avvicinamento improvviso sussultò impercettibilmente, Siri si allontanò comunque subito e prese a sistemare i nodi delle fasciature. Sembrava volesse dargli un po’ di tregua.
- Allora Levi… – il tono le si era fatto più serio – Come va con l’insonnia?
Per un attimo lui aveva pensato volesse affrontare un altro argomento, fortunatamente si parlava solo della sua salute. Passarono alcuni secondi prima che le rispondesse, in cui fece mente locale sulle scorse notti. Gli venne in mente una in particolare, ma scacciò il pensiero e cercò di concentrarsi sulle altre.
- La tisana ha il suo effetto, ma non è sufficiente. In compenso, mi fa superare le due ore a notte.
Lei lo ascoltò osservandolo indulgente: - Durante il giorno poi ti riaddormenti?
Levi annuì in silenzio. Siri spostò lo sguardo davanti a sé come lui, rimase a contemplare il suono dei loro passi sul terreno sterrato, interrotto da qualche sporadica macchia d’erba bassa e verde.
- Levi, posso farti una domanda che potrebbe metterti in difficoltà?
Adesso si voltò a guardarla sorpreso, senza trattenersi in alcun modo. Alla luce del tramonto le lentiggini sul naso e sotto gli occhi le si erano fatte più scure e gli occhi marroni rilucevano d’ambra. Lei, che gli chiedeva il permesso per una cosa che aveva fatto continuamente con sfacciataggine, sembrava una cosa fuori dal mondo, ma si ricordò della sera della tisana: quella volta era prevalso il suo lato medico e si era presa cura di lui con una professionalità e serietà che non le aveva mai visto praticare. Capì che evidentemente essere un medico era l’unica cosa in cui le interessasse avere davverodel riconoscimento, essere considerata professionale. Gli si annodò lo stomaco perché il destino non era stato gentile con lei, mentre lei meritava di più, riusciva ad intravedere che buon medico avrebbe potuto essere.
Espirò dal naso e tornò a guardare la strada: - Sì.
- Cos’è che ti sveglia?
Non riusciva a trovare una risposta coerente. Gli incubi? Erano solo un sintomo, ma di cosa? La sua ansia? Ma si era sempre preoccupato degli altri, l’ansia non poteva essere un suo tratto caratteriale.
- Gli incubi.
- Ogni tanto si sarebbero dovuti placare. Levi, mi dispiace, ma credo che il problema non siano gli incubi. – erano sbucati al campo d’addestramento, Siri si fermò voltandosi verso di lui che fece altrettanto. Lo guardava con lo sguardo ben saldo sui suoi occhi.
- Quando ero nella città sotterranea e non dormivo, credevo che la colpa fosse proprio degli incubi, ma quando bevevo riuscivo a sopprimerli e quando poi sono uscita non ne ho più avuti. Sono più fortunata di te? Non credo proprio. – il capitano strizzò poco gli occhi – Tu puoi dormire, è che non vuoi farlo. È tutta qui la differenza. Il tuo corpo è diverso dagli altri e può c’entrare fino ad un certo punto, perché quella tisana, credimi, funziona perfettamente. Ho passato anni a perfezionarla.
Siri si avvicinò di un passo a lui e con l’indice gli toccò la fronte: - Dipende tutto da questo. – gli sorrise comprensiva – Qui si fermano le mie competenze, devi capire da solo cosa non va e aggiustarlo. Puoi parlarne con me e posso aiutarti, ma è la tua forza di volontà che può cambiare le cose.
Detto ciò, s’incamminò di nuovo verso il quartier generale lungo il sentiero, lasciando Levi col nodo allo stomaco ancora più stretto a fissare la terra di fronte a sé, resa rossastra dai raggi solari che, pigri, gli danzarono sulla guancia, poi veloci scivolarono su fin sopra gli occhi, poi sui capelli e infine scomparvero inghiottiti dietro le fronde degli alberi più lontani. Quando la luce lo accecò, si risvegliò dall’intorpidimento e si voltò verso di lei per raggiungerla, alzò il passo.
- Siri…
Lei si voltò a guardarlo, ma poi una voce fastidiosamente familiare lo interruppe.
- Lucertolina!
Siri alzò un sopracciglio e un angolo del labbro superiore, girò quindi su sé stessa per rivolgersi all’ingresso, dove Bernard la salutava sorridente.
- Argh. Non dovevi venire dopo cena? – la spia s’incamminò verso il nuovo arrivato che intanto le stava venendo incontro.
- Non riuscivo più ad aspettare. – erano solo a qualche metro da Levi, ma Bernard si premurò accuratamente di ignorarlo e rimuoverlo totalmente dal suo campo visivo.
Siri incrociò le braccia: - Pff. Che seccatura. Mi sono allenata, volevo lavarmi e poi mangiare, devi sempre rovinare i piani.
- Volevi farti carina per me, vero?
Lei sospirò pesantemente: - Sai che ti dico? Forse meglio così. – si volse al suo superiore mentre aveva già ingranato il primo passo verso la nuova destinazione – Levi.
Lui, che nel frattempo era rimasto indietro, non credeva possibile che aveva buttato alle ortiche il suo proposito e stava per parlarle dei suoi sentimenti con risolutezza. Una volta che Bernard aveva rovinato il momento, si rese conto che adesso era l’unica cosa che voleva fare, l’avrebbe volentieri preso a pugni per avergli impedito di cogliere l’occasione giusta, soprattutto in quel momento che, siccome Siri non lo stava degnando d’attenzione alcuna, lo stava finalmente guardando, ma con immensa avversione.
- Devo parlare con Bernard di alcune comunicazioni di Pyxis, puoi dire a Jean di portarmi la cena e raggiungermi?
Annuì e si separarono, non prima che Bernard le ebbe messo un braccio attorno alla spalla, ricevendo di tutta risposta da Siri una gomitata nel fianco.
Levi, nel frattempo, sotto il cielo violaceo del crepuscolo, aveva fatto crack.
 
Non era una cosa da lui. Appostarsi fuori dagli alloggi di Erwin ad aspettare che lei uscisse. Forse era ufficialmente impazzito, aveva raggiunto i livelli di Hange. No, li aveva superati. 
Ma come avrebbe dovuto fare altrimenti? Era sempre circondata dai mocciosi o aveva sempre la quattrocchi alle calcagna, e, se per qualche fortunata coincidenza fosse rimasta finalmente sola, sarebbe arrivato l’imprevisto. Quel giorno era stato Bernard. Inoltre, adesso che Siri sapeva e aveva avuto un assaggio del suo modo di affrontare la cosa, preferiva mettere un punto, ancora prima che iniziasse, a quel gioco del gatto col topo. L’idea di essere il topo era inaccettabile.
Tirò fuori l’orologio: aspettava da un’ora e mezza. Un’ora e trenta minuti. Finalmente sentì dei rumori oltre le pareti in legno su cui era poggiato a braccia conserte.
Siri uscì all’esterno e chiuse la porta dietro di sé. Aveva le lacrime agli occhi che alla luce della luna brillavano di un candore perlaceo, anche da poco lontano Levi poté accorgersene. Siri s’incamminò a testa bassa verso l’accampamento, Levi la seguì senza fare troppo caso a quanto rumore facesse. Voleva affrontarla. Siri, infatti, percepì la sua presenza e sospirò, tenendo lo sguardo basso.
- Che ci fai qui? Mi segui?
- Provo a mettermi nei tuoi panni. Ho pensato non dovesse essere così difficile.
- Non puoi spiarmi e sperare che io non me ne accorga. Ci ho messo anni a perfezionare la mia tecnica.
- Imparo in fretta.
Siri continuò a camminare senza voltarsi, ma rallentò. Un sorriso placido le si piazzò sulle labbra: - Già…
Si era accorta di lui dopo essere uscita, ma non che Levi l’avesse seguita dall’inizio. O forse, semplicemente, aveva capito già da un po’ dove andava ogni sera da un mese a quella parte e l’aveva aspettata all’esterno.
- Sei stata poco cauta.
- Che c’è, vuoi diventare più bravo di me così potrete fare a meno di me? Sai, non sarà semplice, mi piace appartenere a questa leg-…
Levi aveva alzato il passo e in un attimo l’aveva raggiunta. Le afferrò piano il braccio, cosicché Siri dovette fermarsi e guardarlo in viso.
Ci fu un breve silenzio, interrotto solo dai grilli e il fruscio delle chiome degli alberi che si muovevano per la leggera brezza serale. Siri aveva ancora le ciglia umide, imbarazzata le asciugò con la manica del braccio libero e sulla difensiva disse a Levi: - Si può sapere che ti prende? Sei davvero inquietante.
Adesso Levi era costretto a guardarla in faccia, e nonostante lei non lo stesse guardando fu comunque difficile pronunciare la domanda che voleva farle fin da quando l’aveva vista uscire: - P-Perché vai negli alloggi di Erwin tutte le s-sere?
Siri sgranò gli occhi. Per la prima volta, Levi notò del timore nei suoi occhi e, a sua volta, anche se non riusciva ad ammetterlo, ne stava provando un po’ anche lui.
Era inevitabile che l’atteggiamento che aveva assunto fino a quel momento l’avrebbe portato a questo, aveva represso fin troppo e quello era il risultato.
Il timore di Siri si trasformò in vero e proprio sgomento, lo guardò come se avesse visto un fantasma: - Hai appena… balbettato?
Lui si sentì colpito al petto da quella domanda e, recuperata la fermezza, raddrizzò le spalle e disse: - No.
- Ti ho appena sentito. Hai balbettato. – fece scorrere gli occhi veloci lungo tutto il suo corpo per poi tornare ai suoi occhi – Hai battuto la testa? Ti formicola forse il braccio sinistro? Diamine se mi mette i brividi questa cosa.
- Smettila di rispondermi con altre domande. – non se ne rese conto, ma strinse il braccio di Siri con più forza – Rispondimi.
Vide il viso di Siri contrarsi, gli occhi socchiudersi per il dolore: - Levi… mi stai facendo male… – a quel punto lui abbassò lo sguardo e si rese conto della presa ferrea. La lasciò all’istante sentendosi in colpa, soprattutto dopo che lei si portò il braccio a sé e iniziò a massaggiarlo. Siri sospirò a sguardo basso con una punta di frustrazione, e iniziò a pensare razionalmente riguardo quell’imboscata che le aveva teso e una punta di rabbia le si montò dentro.
- Non mi sono accorta di te mentre venivo qui, questo significa che sei venuto dopo che io sono entrata… – lo fulminò con gli occhi fiammeggianti – Da quant’è che lo sai?
Levi sostenne lo sguardo: - Non ha importanza.
Lei fece un passo verso di lui digrignando i denti: - Decido io se non ha… – si fermò all’improvviso e alzò la testa di scatto verso una finestra dell’edificio di Erwin, quando questa si illuminò all’improvviso. Prese Levi da una spalla che, colto di sorpresa, si lasciò spingere sul tronco di un albero su cui Siri lo premette con la schiena. Lei quindi, tenendo un braccio davanti a lui, si sporse dall’altro lato, oltre l’albero, per guardare gli alloggi del comandante, a quella distanza ridotta Levi poté vedere meglio i suoi occhi: erano rossi, lo erano altrettanto le palpebre inferiori, segno che aveva pianto.
Dopo alcuni secondi, Siri si rilassò e gli si piantò davanti minacciosa, afferrandogli il colletto della camicia iniziò a sibilargli contro: - Tu credi ancora che il mio lavoro sia un gioco, non è vero? Mettiamo subito in chiaro questa cosa: non tengo solo alla tua di fiducia, Levi. Seppur in parte odio essere una spia, io sono una persona leale e tu non sei l’unico a cui devo dimostrarlo.
- Non sono qui perché non mi fido di te.
Sorrise ironica: - Pensi che sia stupida? Non siamo più a questo punto, mi sembra di capire. – lo lasciò andare e lo spinse contro la corteccia, ma lui non accennò a barcollare. Siri si scostò e spostò di nuovo lo sguardo in alto verso l’edificio. Sospirò pesantemente e poi, guardandolo disse: - Allontaniamoci di qui, se Erwin ti vedesse… Cazzo che nervoso, cammina davanti a me.
- Con chi credi di parlare?
- Mi faresti il piacere, capitano, di camminare davanti a me, per favore? – si spostò di fianco a lui e gli mise una mano sulla spalla e lo spinse piano in avanti – Non è il momento giusto per giocare a chi tira più forte la fune tra i due.
Si guardarono di sottecchi, quindi Levi obbedì e iniziò a camminare davanti a lei, seguendo le indicazioni sporadiche della spia ogni qualvolta gli dicesse di spostarsi un po’ più a destra o a sinistra. Quando si furono allontanati abbastanza, Siri alzò il passo e lo raggiunse.
- Che ficcanaso, chi l’avrebbe mai detto. Avanti, perché stavi spiando il capo degli spioni? Hai forse paura che diventi la favorita di Erwin?
- Non me ne potrebbe importare di meno di Erwin. Siri. – si fermò e quindi lei dovette girarsi a guardarlo. Le bastò uno sguardo per capire, quindi sospirò e si diresse verso la foresta, abbandonando il sentiero.
- Seguimi boss.
La seguì in silenzio mentre s’inoltravano nella foresta, fino a quando non spuntarono davanti al lago che si trovava a qualche minuto di cammino dal quartier generale. Siri si sedette sull’erba davanti la riva che rifletteva la luce pallida della luna.
- Allora… non voglio nemmeno sapere da quanto lo sai, piuttosto m’interessa il come.
Levi la raggiunse e si sedette accanto a lei.
- Ti ho sentita parlarne con Hange qualche giorno fa.
Siri rise e scosse la testa, lisciandosi le bende sulle braccia: - Lo immaginavo. Incredibile… – sospirò, per l’ennesima volta quella sera, appoggiò le braccia sull’erba dietro di sé – Lo sai tenere un segreto?
Si scrutarono in silenzio a vicenda, la spia decise quindi di rivelargli il motivo delle sue visite. Levi rimase a contemplare la superficie dell’acqua mentre apprendeva quelle informazioni, quando ebbe realizzato come tutto avesse finalmente un senso, pensò di essere stato davvero stupido a non accorgersene, soprattutto a lasciar galoppare la sua paranoia. Ebbe l’impulso di andare da Erwin e parlargli, però Siri, finito il discorso, gli poggiò una mano sul braccio che teneva poggiato in avanti sulle ginocchia.
- Ti prego, promettimi che non andrai a parlarne con Erwin. – gli si addolcì lo sguardo quando lei lo guardò supplichevole – Se ci andrai capirà, anche se non farai riferimento a me, che sono stata io a parlartene e… non potrei mai perdonarmi il fatto di aver tradito la sua fiducia.
Levi tornò a guardare davanti a sé: - Va bene. – a quelle parole Siri si lasciò cadere sull’erba e distese le gambe con sollievo. Rimasero a fissare l’uno l’acqua e l’altra il cielo stellato, fino a quando poi lui non prese coraggio e le fece quella domanda imbarazzante: - Quindi, tu ed Erwin… Non c’è niente tra voi?
Siri si risedette con uno slancio: - COSA?! Sei sicuro di sentirti bene?! 
Levi ruotò gli occhi e non incrociò il suo sguardo risentito.
- Prima balbetti…
- Non ho balbettato.
- So cosa ho sentito. Poi ora mi chiedi questo, ma per chi mi hai presa… se vuoi quando torniamo passiamo dall’infermeria e ti visito. 
La sentì schioccare la lingua sul palato, mentre nel suo corpo si spandeva un certo sollievo. Poi si voltò verso di lei quando gli diede una lieve spintarella sulla spalla: - Sono un soldato professionale, ho una certa faccia tosta, ma nemmeno così spudorata.
Allo sguardo torvo di Levi, Siri scoppiò in una risata: - Scusa, è che è un’idea così assurda!
Effettivamente, ripensandoci, era davvero senza senso. La risata della spia era abbastanza contagiosa e, mischiato al sollievo che aveva provato quando gli aveva smentito quell’improbabile accoppiamento, sorrise anche lui.
- Io sto benissimo, piuttosto se non la smetti di ridere sarai tu quella a dover andare in infermeria.
Lei sventolò una mano in aria per poi abbracciarsi le gambe e poggiarvisi col busto.
- Anch’io godo di buona salute, boss. Non preoccuparti troppo che io riesca a sopravvivere anche fuori dalle mura.
- Mz. – volse il capo verso di lei che già lo guardava – Io sono sopravvissuto a trentasei spedizioni, tu invece a zero. – disse, imitando il numero con indice e pollice.
Siri, di tutta risposta, spostò un angolo della bocca verso il basso, beffarda, e disse: - Io sono sopravvissuta a ventisette delle mie missioni in due anni, tu solo ad una – alzò una mano e lei, invece, imitò il numero uno col dito medio sorridendo, mentre lui contrasse un muscolo della mandibola per sforzarsi di non ridere – La mia ratio è maggiore della tua.
Lo sguardo di Levi si ammorbidì come lei gli aveva visto fare quella notte in infermeria, non credeva potesse avere il privilegio di vederlo di nuovo e improvvisamente fu colta da una strana sensazione che non provava da tantissimo tempo mentre lo sentiva dirle: - Nelle spedizioni le due parti non sono eque. Devi affrontare dei giganti.
- Beh, non è che le mie fossero altrettanto eque, gente grossa e forte il doppio di me.
- Non avrebbero comunque retto il confronto. – a quelle parole, Siri avvampò e le guance le divennero rosse, portò una mano a nascondere quella che rivolgeva verso di lui e si mise di profilo. Era riuscito a scalfire il suo muro impenetrabile, ma non voleva che tutto si riducesse a chi riusciva a strappare più vulnerabilità dall’altra. Dopo poco, lei si rigirò verso di lui, che non tradiva alcun imbarazzo, e gli si avvicinò, poggiandosi con un braccio teso sull’erba gli disse con tono divertito: - Mh, con quel pareggio ti ho proprio ferito nell’orgoglio.
Il tono di Levi si abbassò e senza distogliere gli occhi dai suoi le disse: - Semmai mi hai reso più orgoglioso.
Siri era confusa perché con quella frase l’aveva lasciata senza parole. Non c’era alcuna traccia di ironia o sarcasmo, sgranò gli occhi e socchiuse le labbra cercando qualcosa con cui replicare, ma la sua testa era letteralmente svuotata, pensava solo a seguire il suo istinto e i suoi sentimenti. Sentiva il cuore martellarle nel petto, era perfettamente consapevole di cosa significasse, sperava ingenuamente che fosse solo il momento, ma non poteva mentire a sé stessa. 
Levi la lasciò ancora più impressionata quando si sporse verso di lei e, quasi a chiederle il permesso con lo sguardo, le avvicinò una mano sulla guancia senza però toccarla. Siri deglutì, combattuta dal resistere o buttarsi a capofitto: alla fine non resistette, poteva leggere negli occhi di chi aveva di fronte le stesse sensazioni. Joshua non le aveva mai chiesto se potesse baciarla, lui, lo realizzò con gli anni, la trattava come una cosa che possedeva. Levi la stava trattando come una sua pari, come chiunque avrebbe dovuto trattarla.
Erano così vicini che potevano sentire il respiro l’uno dell’altra, Siri rilassò lo sguardo e piegò la testa facendo aderire la sua guancia nella mano ruvida di Levi che l’accarezzò dolcemente, per poi far scivolare le dita dietro le orecchie. La spia quindi chiuse gli occhi, si sporse e poggiò le labbra sulle sue: aveva un che di familiare, come se avesse già vissuto quel momento. Realizzò che era effettivamente così, quello che le era sembrato un sogno non aveva nulla di finto e improvvisamente, come un’eco lontano, le tornarono alla mente alcune delle parole di Levi.
- Le mie mani sono anche più sporche delle tue, da quando ne ho memoria. Non sei sola.
Con uno schiocco si staccò da Levi e portò una mano sul suo viso, gli scostò i capelli dalla fronte e la fece scivolare sul suo capo e poi sulla guancia. Lui la guardò stranito: la ragazza aveva gli occhi lucidi e quando posò la fronte contro la sua le scesero inconsapevolmente delle lacrime. Portò quindi anche l’altra mano sul suo viso, afferrandoglielo con una presa salda ma delicata.
Lui ne esprimeva poche di emozioni, lei invece troppe.
Siri prese fiato e chiuse gli occhi.
- Non era un sogno, vero?
Levi osservava il suo viso nella penombra della sera: - No. – lei quindi lo abbracciò portandogli un braccio dietro la schiena, mente l’altra mano affondava nei capelli sopra la nuca.
Dimmele ancora… – gli sussurrò nell’orecchio – Dimmi ancora le parole che mi hai detto quella sera. 

Note: perdonatemi l'immenso ritardo, ma è stato un po' più complicato questo capitolo, credo ci fossero più personaggi qui che in tutti gli altri. spero di non tardare troppo col prossimo.
 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 - Doppio gioco ***


Nota: Questo capitolo sarebbe dovuto uscire martedì, ma ho voluto farlo uscire in anticipo per augurare una buona pasqua a tutti!


Capitolo 20 – Doppio gioco

 
Aveva aspettato il momento giusto per allontanarsi dal quartier generale, ma evidentemente non era bastato, allo stesso tempo però era ben consapevole che qualcuno la stesse seguendo nascosto nelle ombre della notte, non si trattava di un enorme contrattempo, poteva infatti rigirare la cosa a suo favore. Lasciò che Bernard la seguisse, probabilmente era proprio per questo che Siri, seppur entrata più tardi a far parte delle spie di Pyxis, era stata in grado di diventare la migliore tra tutti e superare persino lui. Se il geco non voleva farsi né vedere né sentire, allora potevi star pur certo che ti avrebbe ucciso senza che nemmeno te ne fossi accorto. Era quando si faceva notare che, allora, dovevi preoccuparti ancora di più, perché significava che aveva qualcosa di ancora più diabolico in mente.
Ma Bernard era più alto e grosso della ragazza prodigio; lei, che si muoveva furtiva nelle strade, l’aveva notato senza tanta fatica e lo teneva d’occhio a distanza. Proseguiva sicura, si sarebbe occupata di lui dopo aver parlato col suo cliente.
Tirò ancora più in avanti il cappuccio, riportando poi dietro l’orecchio una ciocca di capelli nera che le era sfuggita fuori. Si nascose in un vicolo buio quando vide un passante girare l’angolo. Era importante che nessuno la vedesse entrare o uscire dall’appartamento in cui si trovava il nobile, soprattutto soldati della guarnigione. Non appena calò di nuovo il silenzio notturno nella strada principale, ci riscivolò e corse silenziosa sino all’ingresso dell’edificio che trovò già aperto.
Salì rapida e senza far rumore al primo piano, e poi bussò alla porta come avevano prestabilito.
- Avanti.
Tamara quindi si fece avanti e, una volta entrata, si abbassò finalmente il cappuccio, rivelando i capelli a caschetto nero che incorniciavano gli occhi scuri quasi quanto i capelli.
- Mi hai fatto aspettare.
- Mi scusi, ho avuto un contrattempo. – appese il mantello al gancio dietro la porta e si accomodò rigida sul divano accanto al sofà su cui il nobile Beaumont era seduto. Appariva visibilmente emaciato, l’ultima volta che l’aveva visto era stato al processo subito dopo la caduta del governo e, seppure la sua faccia era segnata dallo spavento, aveva pur sempre l’aspetto di un nobile: curato e in forma. Quel breve periodo dietro le sbarre l’avevano segnato profondamente e ora che vestiva di nuovo abiti di valore, il corpo e il viso sciupati risaltavano ancora di più, in contrasto coi tessuti pregiati.
- Mi porti novità come mi avevi promesso? – Michel si versò in un bicchiere di superalcolico, fece cenno di versarne anche all’ospite che però rifiutò con un conciso movimento della mano.
- Sì. Pyxis e Bernard hanno proposto il piano a Siri e lei l’ha accettato.
Michel sogghignò: - Credevo di essere io una persona vendicativa, e invece… Siri ha avuto il benestare anche dal suo attuale superiore?
Gli occhi taglienti di Tamara seguirono Michel alzarsi e camminare verso la finestra: - A quanto pare. Sarà proprio Smith, infatti, ad accompagnarla alla tenuta, assieme ad altri due soldati. Che io sappia, il capitano Levi non è stato incluso nella lista. – il nobile si voltò a guardarla alzando un sopracciglio, quindi lei aggiunse subito – Ma anche se fosse, non rappresenta una reale minaccia. Siri lavorerà da sola secondo il piano che hanno redatto, che, tra l’altro, consta di un semplice furto di documenti e avvelenamento.
A quel punto l’altro scoppiò a ridere e si sedette di nuovo sulla poltrona. Tamara lo osservò stranita.
- Oh sì, i famosi veleni di Siri. Ma tu credi davvero che si limiterà ad avvelenarmi? – tirò un sorso e poi, staccandosi, contemplò il contenuto del bicchiere alla luce della lampada ad olio sul soffitto – Lei vuole vedere scorrere il mio sangue. Non si accontenterà di una morte così dignitosa.
La spia sospirò contrariata: - La stai sottovalutando troppo. È impulsiva, ma non fino a questo punto. Ormai è nel corpo di ricerca, la sua identità è tornata a non essere più segreta e uccidere dei civili senza una motivazione, in un posto pieno di soldati… sai anche tu, come lo sa lei, cosa comporterebbe.
- E tu sottovaluti troppo la sua emotività. – la guardò coi suoi occhi piccoli e furbi da sopra la bevanda – Sottovaluti la mia capacità di farla arrabbiare. Sai Tamara… quando ha ucciso mio fratello, desideravo solo vendetta. Farla arrestare e vivere il resto della sua vita in cella mi sarebbe bastato. Poi però ha incastrato la mia famiglia, facendola cadere in malora: a quel punto ho deciso di volerla uccidere con le mie stesse mani. Quando ho saputo che era morta in cella… non ho gioito. Ci sono solo rimasto male, dopotutto mi era rimasta solo quella soddisfazione. – sospirò e si toccò la spalla dove non molto tempo prima Siri gli aveva piantato un pugnale nella carne – Neanche uccidere sua madre è bastato, è riuscita comunque ad andare avanti. Ma adesso… Adesso, vedi Tamara, sono disposto anche a rischiare la vita pur di sapere che sarò capace di infliggerle una punizione anche più lunga e dolorosa.
La spia lo seguiva, ma era perplessa: capiva, ma non comprendeva, dal suo personale punto di vista. Perché non ucciderla e basta? L’avrebbe potuto fare lei stessa, anche allo stesso prezzo che le aveva offerto, evidentemente non riusciva a comprendere perché non era mai stata mossa da una così disperata sete di vendetta. Non le dispiaceva affatto per il futuro che il compimento del piano avrebbe preservato alla sua ex collega, non nutriva nessun risentimento nei suoi confronti, né tantomeno qualche barlume di bene, ma gli affari sono affari e ormai essere alle dipendenze di Pyxis era un impiego che aveva cominciato a starle stretto. Doveva molto al comandante di guarnigione, era solo una prostituta che aveva ucciso tre dei suoi clienti e il suo magnaccia quando era stata arrestata: una delle prime spie di Pyxis, aveva un curriculum alle spalle non indifferente; ma quando quell’aspirante medico era entrata a far parte del loro “circolo”, le cose si erano complicate.
Tamara non era come Bernard, a lei non piaceva essere una spia, per quanto fosse disposta a tutto pur di compiere una missione, preferiva vivere una vita tranquilla coi suoi risparmi che, però, non riuscivano ad essere mai abbastanza per coronare le sue aspettative: a Siri venivano affidate tutte le missioni più redditizie, ossia quelle più importanti, a lei non rimaneva che raccogliere le briciole e il giorno in cui sarebbe riuscita ad accumulare abbastanza denaro per potersi ritirare si allontanava sempre di più. Ora Siri si era ritirata, ma ci sarebbero voluti anni prima che finalmente anche lei potesse farlo, così aveva iniziato a rendersi disponibile ai nobili per svolgere dei lavoretti per loro, all’oscuro, chiaramente, di Pyxis. L’incontro con Michel Beaumont si era rivelato provvidenziale visto che il nobile, col commercio di esseri umani, si era rimesso in piedi anche abbastanza velocemente. I soldi che le aveva promesso soddisfacevano le sue più rosee aspettative, con la parte che aveva già ricevuto e i risparmi che aveva si era già potuta comprare una casa a nord delle mura.
Tamara gli rispose dopo essere rimasta in silenzio qualche secondo: - Beh, spero comunque che non ceda e ti uccida, perché quei soldi mi servono.
- Non preoccuparti di questo. Piuttosto accertati che Bernard non sospetti nulla.
Tamara si alzò e si diresse alla porta: - Proprio in questo istante sto andando ad occupamene personalmente.
Uscì e tornò in strada, aspettò che Bernard iniziasse a seguirla di nuovo, poi girò veloce in due vicoli, salì lungo il muro di un edificio e poi, calandosi dal tetto, sorprese il suo inseguitore alle spalle, saltandogli sopra e puntandogli un coltello alla gola. Tamara non era riuscita a farlo cadere, per cui si trovavano in piedi, l’uno di fronte all’altra, contratti dallo sforzo fisico di spingersi contro. Chiaramente l’altro non si era fatto cogliere impreparato e con una mano era riuscito a bloccarle il polso, mentre con l’altra le aveva puntato un pugnale nella pancia.
- Bene, bene, bene. Non credevo che anche noi, feccia, potessimo essere ospiti dei nobili… – Tamara cercava di spingere con più forza il pugnale verso di lui, digrignando i denti – Dovrei dirlo anche a Siri, vorrebbe tanto anche lei deliziarsi a fare salotto.
A questo punto lei si lanciò in avanti con più forza, era quasi riuscita a fare breccia nella difesa di Bernard quando questo scosse la testa sorridendo: - Tammy, ti avrei già uccisa per una cosa del genere. Perché non ne parli col tuo amico?
L’altra ringhiò: - Parlare?! Tu preferiresti farti calpestare dal geco piuttosto che fare i tuoi interessi. – lui, a queste parole, si sporse verso di lei con un’espressione seria, tale da far sgranare gli occhi all’altra.
Ed è qui che ti sbagli… – quindi la spinse via, facendola capitolare per terra, poi alzò il pugnale tenendolo con le punte delle dita e con un gesto ampio lo ripose nella fodera sul fianco – Sono qui per parlare, come ti ho detto. Sono disposto ad offrirti il mio aiuto.
Tamara poggiò di nuovo i piedi per terra e, rimanendo piegata sulle ginocchia, disse: - Tu credi sia così deficiente da credere a questa stronzata? Tu che tradisci Pyxis, e, soprattutto, la tua adorata Siri?!
Nel buio della notte i lineamenti marcati e fieri del ragazzo sembravano scolpiti nella roccia, spostò gli occhi chiari di lato e camminò verso il muro, inalando una profonda boccata d’aria: - La verità Tamara? Sono stanco. – si poggiò con le spalle contro il muro del vicolo buio – Continuo ad inseguirla, ma a che scopo? Rifugge da me, e, come se non bastasse… dico, in praticamente un mese, ha conosciuto qualcun altro che preferisce a me. Ho potuto accettare tante cose ma… – si grattò la fronte, l’altra lo guardò aggrottando le sopracciglia. Sta forse… trattenendo le lacrime?
- Non m’interessa più fare la spia per Pyxis, qualsiasi altra persona andrà bene. Michel Beaumont col suo commercio di esseri umani sembra perfetto, sarei ottimo per i suoi affari. 
Tamara quindi si alzò, tenendo la guardia alta: - Cosa è cambiato quindi? Un altro uomo? Vuoi… vendicarti? Potresti ammazzare lui. Ai miei occhi non ha sen…
Bernard si voltò a guardarla: aveva gli occhi lucidi e la sua espressione dura, in contrasto coi suoi riccioli bruni che lo ringiovanivano facendolo sembrare un ragazzino, diceva più di quanto a parole potesse esprimere. L’altra rilassò la sua, realizzando quanto voleva dirle: non poteva uccidere questo fantomatico amante di Siri, lei non gliel’avrebbe mai perdonato e l’avrebbe odiato; non solo, lui le voleva così bene che non riusciva ad arrecarle un dolore così grande e addolorarla faceva soffrire anche lui. Allo stesso tempo vederla con un altro lo distruggeva, e sapeva perfettamente quanto narcisista ed egoista potesse essere chi aveva di fronte: se non poteva averla lui, nessuno l’avrebbe avuta.
- Sei davvero un deficiente.
- Credo lo sia più tu che ti sei fatta inseguire così, come se fossi alle prime armi. – si staccò dal muro e sgranchì le braccia – Tammy, hai bisogno di me, che ti copra le spalle e faccia il doppio gioco. Ora che ti ho scoperta ci sono due possibilità per te: che io lo vada a dire a Pyxis, quindi la forca, o il mio pugnale sulla tua gola se preferisci; oppure…
- Che ti uccida.
- Non essere ridicola. Sai che vincerei contro di te. – ghignò – L’avrei già fatto, se non mi offrissi qualcosa che voglio. 
Tamara sospirò e ripose il suo pugnale nella fodera. Queste persone così emotive, ricolme di desiderio di vendetta, non le avrebbe mai capite.
 
I soldati stavano iniziando ad arrivare a mensa, parecchio in anticipo, ma si limitavano a prendere posto intrattenendosi in chiacchiere mentre attendevano l’ora di pranzo, che sarebbe arrivata di lì ad un’ora. Levi stava sistemando le gamelle con Eren, quando sentì dalla cucina provenire botti di pentole e risate, guardò l’orologio: era tardi e ancora non sentiva l’odore dello stufato provenire dall’interno.
- Ci risiamo. Cosa stanno combinando questa volta.
Eren lasciò l’ultimo carico di gamelle pulite nel cesto all’ingresso alla fine delle scale e fu subito dietro il capitano, che si stava dirigendo contrariato verso la cucina.
- E dire che credevo di averli lasciati con un adulto.
- Oggi Siri è particolarmente… allegra. – gli disse apprensivo il sottoposto non appena lo raggiunse.
Superarono il bancone del servizio e oltrepassarono la porta a ventola della cucina: Sasha corse verso la sua postazione a tagliare le verdure, mentre tutti gli altri s’irrigidirono per ricomporsi. Tutti, tranne Siri che rimase sbracata sui sacchi delle scorte infondo la cucina, accanto a Jean ed Armin che nel frattempo pulivano e pelavano le patate. Teneva un pentolino di alluminio e un cucchiaio di legno nelle mani, evidentemente gli oggetti che causavano il baccano, e stava ancora ridendo per qualcosa che aveva detto, quando il silenzio le fece riaprire gli occhi e guardare intorno, per poi incontrare lo sguardo gelido del comandante che si diresse serio verso di lei.
Siri tirò giù gli angoli della bocca e guardò i due compagni di squadra vicini e disse a bassa voce: - Ahia…
Levi le si piazzò davanti e disse intimidatorio: - Che stai facendo?
Siri alzò le mani con ancora gli utensili da cucina in mano: - Assolutamente niente, non si vede forse?
Si sentirono delle risate soffocate, normalmente i ragazzini si sarebbero trattenuti meglio, ma era da quando erano arrivati a mensa che Siri non faceva altro che fare battute e raccontare aneddoti assurdi di quando lavorava in ospedale.
- Mi prendi per il culo? – incrociò le braccia, non immaginando di averle servito anche la battuta successiva su un piatto d’argento.
Lei sogghignò, mise un indice sotto il labbro inferiore e lo guardò maliziosa: - Vorresti? – accanto al capitano, Jean non riuscì a trattenersi e il suono del soffio d’aria che violento gli era uscito dalle labbra serrate si propagò per tutta la cucina. Fu l’unico a ridere, perché, effettivamente, era l’unico a sapere, involontariamente, dei retroscena tra i due superiori. Non avrebbe saputo spiegare come, ma sentì chiaramente l’occhiata truce che Levi gli piantò alle spalle e trattenne il respiro per cercare di placare le risate e le spalle che si muovevano ritmicamente.
Levi pose di nuovo gli occhi su Siri: - Incredibile, ci stiamo tutti pisciando sotto dal ridere.
La ragazza fece spallucce e indicò Jean: - A lui è piaciuta.
- Già… – si sporse su Siri, le afferrò l’orecchio e la tirò su, lei di tutta risposta, mentre si lamentava per il dolore, rispondendo al tocco con un impulso involontario, gli scaraventò contro il cucchiaio di legno in faccia: Levi, con un riflesso fulmineo, riuscì a fermarlo qualche centimetro prima che gli toccasse il volto. Lui quindi la lasciò andare e le strappò di mano il cucchiaio. Siri si massaggiò l’orecchio diventato rosso e gli porse anche la pentola.
- Pela le patate. – le intimò Levi, che guardò Siri alzare le mani e sventolargliele in faccia.
- Non posso. Mi si sporcano le fasce. – si fissarono intensamente quando Sasha, la sua memoria aveva richiamato alla mente un ricordo sopito, si staccò dal suo tagliere e alzò la mano: - CAPITANO! Pelerò io le patate della signorina Siri!
Siri fece un sorriso soddisfatto prima di dirigersi verso la nuova postazione, mentre si scambiava con la ragazzina le diede un pugnetto sulla testa dicendole a bassa voce: - Niente signorina.
Levi quindi si sporse al lato di Jean e lo fulminò con lo sguardo, facendolo rabbrividire.
- Stai svolgendo il tuo compito Jean?
Il ragazzino sentì un brivido corrergli lungo la schiena, tornò a guardare la patata nella sua mano e disse: - S-sì, signore.
- Bene… Sarà meglio allora che continui, senza fiatare. – il significato sottinteso dell’ultima frase venne ampiamente compreso dall’altro che annuì concitato. Levi quindi fece un giro d’ispezione sul lavoro degli altri e poi si fermò alla postazione di Siri, che stava tagliando ad una velocità impressionante le verdure che Connie le passava già pelate.
Accanto alla spia c’erano i fornelli con cui Levi temporeggiò, sistemando la legna nel fornetto sottostante: - Scusa se non me ne sono ricordato.
Lei sorrise e con gli occhi fissi sulle verdure disse: - Ho cercato di dirtelo ma sei scappato a pulire.
Era da giorni che aveva notato una macchia sul pavimento della mensa che col passare dei giorni sbiadiva sempre di più, ma non spariva; non pensava ad altro da quando erano arrivati e sapeva di essere l’unico capace di rimuoverla: grazie all’aiuto di Eren, era riuscito a toglierla con successo dopo quattro passate di spazzola. Rimase a fissare assorto le mani della spia tagliuzzare con scioltezza, quindi accese la fiamma.
- C’era una cosa che dovevo proprio fare, mi ha distratto. – si diresse verso il pentolone e lo posizionò sotto la pompa dell’acqua. Sentì un fruscio al suo fianco, Siri gli s’infilò davanti scostandolo delicatamente dalla pentola, poi si voltò e gli disse: - Lo preparo io questa volta.
Levi deglutì, si scostò e aspettò che ebbe riempito la pentola quel tanto che bastava, per poi aiutarla a portarla sui fornelli. Per il momento, soltanto Armin aveva percepito qualcosa di strano ogni qualvolta Siri e il capitano interagivano tra loro, o anche se semplicemente l’uno si accostava all’altra, e rimase a guardare i superiori interessato anche in quel momento: notò il sorriso placido che la spia rivolgeva al capitano ogni qualvolta le parlasse, oltre che lo sguardo insolitamente disteso che quest’ultimo le rivolgeva a sua volta. Ci pensava già da un po’, ma dopo averli appena visti insieme si voltò verso l’amico più vicino, Jean, e gli espresse i suoi dubbi.
- Jean… non hai notato anche tu che Siri e il capitano Levi si comportano in modo strano tra loro?
L’altro, di tutta risposta, sussultò e cercando di risultare naturale disse: - No, che intendi dire? A me sembrano quelli di sempre…
Armin corrugò le sopracciglia e tornò a pelare il tubero: - Beh, sono strani. Più strani del solito.
- Non so davvero di che parli… ventiquattro, venticinque… – Jean tolse di mano la patata al biondino e sbucciò in un lampo l’ultimo quarto che era rimasto – Ventisei! Le patate sono pronte! – disse, allontanandosi il più velocemente possibile dal compagno di squadra.
Un’ora più tardi, la squadra di Levi stava distribuendo le razioni di cibo agli altri soldati in fila, quando Siri intravide Bernard in cima alle scale dell’ingresso della mensa. Riempì due gamelle e le passò a Jean che si era già tolto la sua bandana dalla testa, poi passò il mestolo ad Armin che prese il suo posto. Mentre si spostava verso l’uscita dietro il bancone, quando raggiunse Levi gli posò una mano sulla spalla e disse: - Ci vediamo più tardi per l’allenamento. Sarò al campo con Bernard e Jean. – lui incrociò il suo sguardo e annuì, poi lanciò un’occhiata su per le scale a Bernard che ricambiava torvo. Nell’ingresso buio i suoi occhi celesti brillavano con un’aria sinistra, quelle ombre che si allungavano sul suo viso indispettito gli davano delle brutte sensazioni. 
Seguì quindi Siri con lo sguardo prendere due panini dal cesto sulle scale e dirigersi verso l’altra spia, che, alla sua vista, la salutò col suo solito sorriso voluttuoso. Non aveva idea di quello che stessero combinando, che missione Siri stesse pianificando, perché non poteva esserci altro motivo che giustificasse quelle visite e riunioni, tuttavia sperava fosse prudente. Lui non si fidava di Bernard, ma sperava che il giudizio di lei non si sbagliasse.
Tornò a riempire le gamelle, rassicurato dalla fiducia che riponeva nelle capacità della loro spia.
 
- Siri devo farti i miei complimenti, oggi la zuppa non ha paragoni con quella delle altre volte.
Bernard allungò una mano sulla gamella di Jean, quest’ultimo seduto al fianco di Siri ai tavoli del campo d’allenamento: - Se l’ha preparata Siri voglio assaggiarla…
La ragazza schiantò il fianco della mano davanti la gamella di Jean, guardando annoiata l’altra spia dall’altra parte del tavolo: - Scordatelo. Non toglierai il cibo al mio allievo. – annoiata gli passò la sua gamella – Prendi, io non ne voglio più.
L’altro, ricevendo gli avanzi, fu più che contento: - Cosa non faresti per farmi felice.
Lei fece una smorfia: - Sai che non ho molto appetito.
Jean portò alle labbra la gamella e bevve ciò che restava della zuppa, consumato il brodo saporito fino all’ultima goccia emise un respiro soddisfatto: - Quindi erano solo queste le novità? Il piano rimane sempre quello, giusto? – disse, girandosi verso la sua maestra.
Siri intrecciò le dita delle mani: - Praticamente sì. Non potevo darti un ruolo cruciale, però sarai essenziale per fermare l’ipotetica terza persona, io e Bernard ci occuperemo di tutto.
- Siri, mi sento pronto a darti un aiuto concreto per…
- Jean, questo è il tuo aiuto concreto. Non ti metterò in situazioni pericolose solo per “vedere” come sei migliorato.
Bernard emise un verso di delizia dopo l’ultima cucchiaiata della minestra: - Siri, saresti la moglie perfetta.
- Smettila.
- Così amorevole coi mocciosi, brava a cucinare…
- Qualcosa da dire riguardo il piano? – incontrando lo sguardo serio di Siri, il bruno perse il suo sorriso e posò il cucchiaio nella gamella, prima di alzare di nuovo lo sguardo su di lei.
- Sai che questo piano non mi piace.
- Sei l’unico a pensarla così. E sai benissimo che è soltanto un tuo pensiero egoista. – la ragazza sospirò – Se non c’è altro, possiamo andare.
- È egoista anche da parte tua pensare che sia una cosa buona quella che stai facendo.
- Cosa c’è di sbagliato scusa? – Siri si alzò dal tavolo, gli occhi di Jean saettavano da una spia all’altra. Bernard aveva espresso il suo disappunto sul piano da quando si erano visti la prima volta per discuterlo e, man mano che lo perfezionavano, si era mostrato sempre più contrariato arrivando ad asserire addirittura che preferiva non lo attuassero proprio. Aveva cercato anche di dissuadere il comandante Pyxis, ma non era valso assolutamente a nulla. Siri continuò, guardandolo tagliente: - Non mi dire che dopo tutto quello che hai fatto in tutti questi anni, adesso, non vuoi fare questo?
- Tu dai troppo per scontato me e anche il tuo autocontrollo. – si alzò anche lui e la guardò intensamente, Jean credette di non averlo mai visto così serio – Te lo dico un’ultima volta. Lascia perdere, è l’ultima occasione che hai.
Il ragazzino ebbe come l’impressione che volesse dirle altro, guardò quindi Siri: era impassibile, dura e con le spalle immobili stava esaminando attentamente il suo interlocutore, qualsiasi cosa le stesse dicendo con lo sguardo era sicuro lei l’avesse compresa perfettamente. Jean credette di capire a che parte del piano si riferisse Bernard, non era piaciuta neanche a lui ad essere sincero, ma se a lei andava bene…
Lasciar perdere… Se vuoi tirarti indietro, dillo subito. Manderesti tutto a puttane, non mi sorprenderebbe sinceramente, ma per una volta, una, sono io a chiederti un favore. Da amica, e non perché voglio approfittarmene.
L’altro sospirò pesantemente e, sconsolato, disse: - Va bene. Ti accontenterò, Siri. Ma stai attenta. – scosse la testa e si allontanò senza rivolgere a nessuno dei due l’accenno di uno sguardo o un saluto.
Jean si alzò e raccolse i suoi appunti sulla missione, Siri ruotò gli occhi e grugnì frustrata, per poi incamminarsi verso il quartier generale, seguita dal compagno di squadra.
- Siri, non credi che stia insistendo un po’ troppo? Mi è sembrato molto propenso a lasciar perdere.
Lei sospirò: - Bernard è così. Quando non gli va di fare qualcosa fa i capricci, ma non si tirerà indietro adesso. È troppo tardi per farlo, inoltre è stato lui stesso a scoprire quelle informazioni sul commercio di esseri umani e a proporre l’idea a Pyxis. Si è scavato la fossa da solo.
- Effettivamente hai ragione… – abbassò lo sguardo sul terreno, chi meglio di lui poteva capire Bernard. Non sapeva da quanto tempo si conoscessero, ma da come parlavano tra loro, doveva essere parecchio tempo, e non solo lui era costretto a stare a stretto contatto con lei che non lo ricambiava, ma ora Siri aveva… qualsiasi cosa avesse con un’altra persona.
Parlando del diavolo: Levi stava uscendo dal quartier generale e, non appena incrociò lo sguardo con la spia, ebbero entrambi un tonfo al cuore seguita da una scarica piacevole lungo il corpo.
- Boss, stavo proprio venendo da te. – Siri si girò verso Jean e lo prese per un braccio, facendolo voltare, gli disse, sottovoce, prima che Levi la raggiungesse – Il capitano non deve sapere nulla di questa missione. Se puoi, brucia gli appunti e non lasciarli in giro.
- Hai forse fatto venire apposta quello sbruffone nell’orario in cui avresti dovuto lavare i piatti? – Levi guardò di striscio Jean che si dileguò.
- Mi chiedo sempre come tu faccia a leggermi nella mente.
- Tch. – le passò il suo dispositivo di manovra e s’incamminarono verso la foresta – Erwin non ha esteso l’invito anche a me al prossimo raduno dei ricconi, ha forse optato per un altro fenomeno da baraccone da esibire per entrare nelle grazie di quei fetenti?
- Non ti sfugge proprio niente boss. – disse Siri infilandosi la pettorina.
- Mi ci è voluto un po’ più di tempo, ma adesso anche io sono riuscito a capire quella tua testa dura. – la guardò in tralice, mentre lei, come tante altre volte, evitò di incrociare il suo sguardo – Che stai combinando?
Si erano fermati davanti al sentiero che conduceva nella foresta, la spia era piegata su sé stessa, intenta ad infilarsi le cinghie sulle gambe: - Tranquillo, non ho intenzione di far esplodere il palazzo col comandante dentro.
Levi si abbassò sulle ginocchia e, prendendole il mento tra indice e pollice, le voltò il viso verso di lui: - Dimmelo in faccia, guardami negli occhi e dimmi che non c’è sotto qualcosa.
Lei lo guardò sorpresa, poi fece un sorriso scaltro e gli disse: - Così mi fai arrossire. – lui, quindi, sbuffò e continuò a camminare lungo il sentiero, inoltrandosi tra gli alberi. Adesso che erano soli, Siri, dopo averlo raggiunto, si concesse la libertà di mettergli un braccio attorno le spalle e abbassarsi su di lui per parlargli: - Allora, a proposito di esplosioni, oggi mi fai provare le lance fulmine?
Levi non si scostò, le diede una schicchera sulla guancia e disse inflessibile: - Scordatelo.
 
La camera di Hange e Siri era di nuovo nel caos più completo, e questa volta non per colpa della soldatessa occhialuta. A chiunque le avesse chiesto il motivo di così tanto caos, la spia, in quell’esatto momento, avrebbe urlato contro che non era assolutamente nervosa, eppure da come rimestava nei cassetti e malediceva Hange per non essere lì ad aiutarla, e soprattutto prepararsi, si sarebbe benissimo potuto dire il contrario. Invece la sua compagna di stanza, come anche il suo ultimo paio di calzini puliti, non si trovava da nessuna parte.
È sempre tra i piedi e proprio adesso non si fa vedere.
Emise un gemito di rabbia e rimise a posto alla rinfusa tutti i vestiti che aveva tirato fuori dai cassetti. Afferrò gli stivali e si sedette sul suo letto sfatto: se li sarebbe messi senza calzini. Proprio in quel momento bussarono alla sua porta. Scalza, si fiondò ad aprirla.
- Hange dove eri fin… oh. – la faccia di Armin fece capolino dalla porta che aveva spalancato rabbiosa. Ritornò sul suo letto lasciando aperta la porta – Entra pure Armin. Hai visto Hange per caso?
Il ragazzino entrò nella camera guardandosi attorno parecchio sconcertato: - No… il comandante prima di salire in carrozza mi ha mandato a chiamarti. Probabilmente Hange è già con lui. – abbassò lo sguardo sui piedi di Siri e notò che si stava infilando il primo senza calze – Perché non stai mettendo le calze?
- Non le trovo… - disse mentre tirava a sé la calzatura, quando poi Armin indicò qualcosa accanto a lei sul materasso.
- Ehm… lì ce n’è un paio che sembra pulito, sono anche piegati. – Siri voltò la testa e li vide, improvvisamente le venne in mente l’azione di lei che li tirava fuori dal cassetto e li metteva assieme alla divisa formale. Tutti gli altri li aveva fatti lavare perché la sua compagna di stanza, mentre teneva l’arazzo sotto un braccio e nella bocca la tazza di tè caldo, aveva aperto il cassetto per prendere un altro paio di calze: il calore della bevanda, all’inizio piacevole, le aveva bruciato le labbra facendogliele aprire e quindi rovesciare il contenuto liquido che era finita nel cassetto, bagnandone tutto il contenuto. Ricacciò la scena, a cui aveva assistito proprio dal letto mentre leggeva, nei meandri della sua memoria e sfilò lo stivale con rabbia.
- Siri… tutto bene? – Armin non l’aveva mai vista così nervosa.
Nei giorni precedenti, Levi l’aveva accompagnata, se non tutte le sere la maggior parte di esse, agli alloggi del comandante per le visite notturne al superiore. Rimaneva all’esterno ad aspettarla e poi facevano insieme il percorso a ritroso: parlavano molto, per la maggior parte delle volte era Siri in realtà a farlo aprire, ma lui nella sua introversione aveva imparato a farle a sua volta le domande giuste e lei si era accorta che, in poco tempo, aveva imparato a decifrarla quasi perfettamente. E, proprio il giorno prima, le aveva dato l’idea di aver parlato con Erwin per chiedergli di andare con loro all’evento mondano di quella sera: aveva abbassato tutte le guardie e le barriere che aveva nei suoi confronti, già era un libro aperto quando si trovava a proprio agio, adesso il capitano aveva anche leggio e segnalibro.
Siri si mise i calzini: - Ad essere sincera, no. – poggiò i gomiti sulle ginocchia e piegò il busto in avanti, fece qualche respiro profondo che miracolosamente la calmarono.
Armin la fissò comprensivo, credeva si trattasse della fantomatica missione che dovevano svolgere lei e Jean, e di cui non era a conoscenza dei dettagli, e le disse deciso: - È un evento come un altro. È una missione come un’altra, siamo sempre pronti a tutto, giusto?
Siri si ricompose e infilò gli stivali, poi si alzò e guardò seria il soldato: - Andiamo.
In realtà la spia aveva tutto sotto controllo, era l’incognita Levi che la spaventava. Aveva paura che averlo intorno le facesse abbassare le sue difese coi nobili, che la rendesse poi meno lucida nell’azione: pregò che si sbagliasse e che Erwin non avesse cambiato le cose all’ultimo minuto.
Tuttavia, ebbe una doccia fredda quando Armin, nel salire sulla carrozza, si fermò un secondo sorpreso sullo scalino prima di entrarci, confermando i suoi timori. Non appena il soldato scomparve all’interno, la spia si fece avanti con un piede sul gradino per la salita e un paio di occhi grigi brillarono nell’oscurità dell’abitacolo. Si voltò quindi verso Erwin: - Che ci fa lui qui?
Armin, sistematosi accanto al capitano, abbassò lo sguardo imbarazzato per la domanda posta in maniera troppo informale: Siri, infatti, tossì e riformulò la domanda.
- Comandante, come mai c’è il capitano al posto di Hange?
- Per lo stesso motivo, Sigrid, per il quale ci sei tu: attirate l’attenzione, e sai meglio di me come la nostra legione necessiti della simpatia di benefattori benestanti.
Siri sospirò ed entrò, chiudendo lo sportello dietro di sé: - Certo, comandante. Ma a differenza del capitano Levi, io e Hange vantiamo di capacità comunicative molto più affabili.
- Avrei da ridire su questo. – ribatté Levi tagliente mentre la spia prendeva posto accanto al comandante. 
Erwin tirò fuori la mano dal finestrino e diede il segno al cocchiere di partire: - Su questo siamo d’accordo, Sigrid. Ma Levi rimane il soldato più forte dell’umanità ed è una vera e propria calamita anche senza che apra la bocca.
- Erwin ti consiglio di stare attento quando scendi, potresti inciampare nella merda di cavallo. – Siri lo guardò sogghignando. Dopodiché Erwin passò il resto del tempo a dare istruzioni e altre dritte ad Armin su come approcciare nobili e mercanti. Siri ascoltava attenta, ignorando lo sguardo di Levi che, fissandosi intensamente su di lei ad intervalli di tempo variabili, cercava di capire solo dalla sua figura seduta scomposta con le gambe accavallate cosa avesse pianificato con la complicità di Erwin.
- Armin, in generale rimani rilassato. – si allungò sul sedile, e poi poggiando il gomito sulla testiera, affondo la mano nei capelli ben tirati nella treccia – Per il resto ci sono io a farti da spalla, cercami con lo sguardo se hai bisogno di aiuto.
Levi incrociò le braccia: - Tch. – la spia lo fulminò con lo sguardo – Ci sei almeno mai stata a queste pagliacciate, da soldato?
Siri molleggiò la gamba penzolante in avanti, sfiorandolo pericolosamente: - Sì, tante volte. Ma mai come invitata ufficiale.
La carrozza si fermò, Armin si sporse dal finestrino e ammirò le mura alte e adornate, dalle porte spalancate riusciva ad intravedere le mille luci brillanti decorare il corridoio principale, questo finiva sul fondo con l’esplosione dorata del salone principale. Siri si sedette composta e si avvicinò al superiore per uscire quando questo, con la maniglia della portiera nella mano, si girò a guardare prima lei e poi Levi.
- Cercate di non perdere la calma. – si soffermò poi intensamente sulla ragazza che perse il sorrisetto che aveva. L’altro invece non capì: lui non perdeva mai la calma per niente, figurarsi per un gruppo di ricconi buoni a nulla. Forse, la frase di Erwin voleva essere un avvertimento, forse non aveva accettato la sua proposta di andare con loro per caso, forse voleva che tenesse d’occhio chi veramente era in grado di perdere la calma se stuzzicata. Ma Siri ci era abituata, sapeva tenere il sangue freddo a dovere, a meno che… improvvisamente, mentre scendevano dalla carrozza e la spia atterrava accanto a lui con un salto sul tappeto che copriva il vialetto e le scale, realizzò che quello era un evento nobiliare e quindi, molto probabilmente, Michel sarebbe stato lì.
Ma, mentre saliva su per la scalinata accanto a Siri, sentiva di non essere a conoscenza di tutto. Quei due avevano progettato qualcosa e non gli avevano detto assolutamente nulla, guardò prima Erwin che lo precedeva con Armin e poi la spia accanto a lui che sembrava estremamente calma, come se stessero andando a fare una passeggiata in campagna. Improvvisamente, sentì delle risatine provenire alla sua sinistra che interruppero la sua riflessione: delle ragazzine vestite in abito da sera lo stavano guardando e ridacchiavano eccitate e imbarazzate.
- Sembra che il fenomeno da baraccone sia tu stasera. Le parti s’invertono. – Siri non aveva fatto a meno di notarle e si era avvicinata a lui, sorridendo.
- Cerca di non dare spettacolo. – gli rispose seccato.
- Mi dispiace ma oggi non posso accontentarti e arrampicarmi sui muri come ti piace vedermi fare. – si lisciò il cappotto verde militare della divisa, per poi riporre le mani nelle tasche.
- Sai cosa intendo, saltimbanco. – si girò a guardarla – C’è una buona probabilità che ci sia anche lui.
Siri si portò una mano davanti alla bocca e sorrise. Si fermarono quindi nell’atrio, in attesa di avere il permesso di entrare dai soldati. Criptica, gli rispose: - Sì, c’è una buona probabilità.
Dopo il lasciapassare, il gruppetto s’incamminò nel corridoio in marmo, il pavimento era coperto dal lungo tappeto rosso che partiva dall’esterno e terminava all’ingresso dell’enorme salone illuminato a giorno dalle miriadi di luci a muro e dall’enorme lampadario in cristallo che pendeva dal soffitto.
Siri, improvvisamente, tirò a sé Levi dal gomito e gli si accostò all’orecchio: - Ti svelo un trucchetto. – il soffio con cui le parole le uscivano dalla bocca così vicina, gli accarezzò i lobi facendogli venire la pelle d’oca – Falli sentire come fossero loro ad essere il centro del loro mondo, falli sentire corteggiati. Ma senza esagerare, perché poi devi rimarcare la tua superiorità e ribaltare la loro prospettiva.
Così come l’aveva preso, lo lasciò andare e spostò la sua attenzione sul cameriere che veniva nella loro direzione con un vassoio di calici di prosecco. Prese un bicchiere sorridendogli e poi, come sforzandosi di non rivolgere più lo sguardo al cameriere, raggiunse Erwin ed Armin più avanti. All’inizio Levi non l’aveva quasi riconosciuto coi capelli tirati all’indietro, mentre serio ed impettito aveva abbassato il vassoio per offrire anche a lui la bevanda. Levi guardò Jean totalmente disorientato, quest’ultimo invece ricambiava lo sguardo serio e con gli occhi gli fece cenno di prendere un calice: obbedì al ragazzo, che si dileguò, sparendo nella folla degli altri invitati. Quindi, guardando ancora nella direzione in cui Jean era scomparso, si riunì agli altri tre che avevano intavolato una conversazione con una coppia di nobili.
- Oh, capitano Levi. – Siri si era voltata col busto verso di lui con un sorriso cortese e coinvolgente, poi verso la coppia, seducente, continuò – Loro sono i coniugi Roderich, una mia vecchia conoscenza di quando praticavo la mia professione a Trost.
Per l’occasione, le mani di Siri erano guantate da stretta pelle nera, non lo sorprendeva la sua scelta alternativa alle fasce, non più del fatto che lei fosse lì, a parlare carismatica con sue vecchie conoscenze, consapevoli di sapere chi fosse e che non era affatto morta. 
Se non gli avesse spiegato la situazione in cui si trovava attualmente la sua identità durante una delle sere che avevano passato insieme al lago, in quel momento la sua testa sarebbe letteralmente esplosa. Non era neanche sicuro di aver capito perfettamente, ma lei gli aveva detto che “semplicemente” in contemporanea alla sua incarcerazione, i Beaumont avevano perso prestigio dopo che Nicholas era stato arrestato per contrabbando; quindi, l’omicidio di Joshua era passato quasi in sordina. D’altro canto, poi, le altre casate nobili, sia quelle apertamente in rivalità con loro, che anche le restanti amiche con molta ipocrisia, voltarono le spalle ai Beaumont approfittando dell’occasione per estrometterli dal consiglio del re.
Col passare degli anni, per Siri e Pyxis fu semplice, date queste premesse, manipolare le indagini sull’assassinio di Joshua e rendere dubbie, per poi cancellare, le colpe di Siri. Per la sua finta morte in cella però non c’era granché da fare, fino a quando non c’era stato il colpo di stato e quindi la caduta del potere nobiliare e della gendarmeria come lo conoscevano: le indagini sull’omicidio erano state manipolate in modo da scagionarla definitivamente, e lei era ricomparsa dal nulla, ufficialmente si era rifugiata nei sotterranei dopo essere scappata, infine si era arruolata nell’esercito come medico.
Siri aveva teso una mano indicando Levi a palmo aperto, poi gesticolando stava continuando a blaterare sulla fortuna di essere capitata nella sua squadra, non che lui la stesse seguendo attentamente visto che, come al solito, il movimento sinuoso delle sue mani lo stava distraendo. Nel frattempo, Erwin aveva adocchiato altri ospiti e, trascinando Armin con sé, si era congedato educatamente, consapevole di lasciare la situazione in ottime mani.
- Mi ripeterò, ma è davvero un onore conoscerla capitano! – marito e moglie lo guardarono ricchi di ammirazione, sempre però mantenendo un’espressione contenuta. Siri lo guardò eloquente a fargli notare che non aveva ancora risposto alla coppia, oltre che ad esortarlo ad essere gentile.
- Il piacere è mio. – disse, notò poi come la vice tirò le labbra in un sorriso forzato espirando dal naso, riuscì comunque a nascondere l’irritazione.
- Sigrid, ricordiamo perfettamente la tua professionalità, non ci sorprende tu sia nella squadra del capitano Levi.
Lei rise educata in risposta: - Ammetto che le mie capacità mi hanno avvantaggiata molto, ma non sono nulla in confronto al capitano. Pensate che ha abbattuto ben dieci giganti solo nella sua prima spedizione.
Gli sembrò di sentire Erwin. I modi, la compostezza, come lo stesse mettendo in vetrina come se fosse un pezzo di carne pregiato. Siri era un’attrice perfetta, sapeva acquisire quel carisma che in realtà aveva allenato all’occorrenza con non solo i pazienti, ma anche con la gente più grande di lei con cui si era rapportata sin da molto piccola. I due nobili guardarono Levi meravigliati.
- Alla prima spedizione? Impressionante. – disse la moglie.
- Perdonatemi, devo raggiungere il comandante, – passando dietro il soldato gli posò le mani sulle spalle – vi lascio nelle mani affidabili del capitano.
Vide anche lei sparire nella folla come Jean aveva fatto poco prima, per poi dedicarsi completamente ai nuovi conoscenti: Siri gli aveva spianato la strada, infatti i due di fronte conoscevano bene la fama che lo precedeva e Levi dovette limitarsi ad elencare le sue prodezze con umiltà. Successivamente mise in pratica il consiglio della spia chiedendo ai coniugi di cosa si occupassero, una volta compreso, cercò di essere affabile elogiando la loro attività rimarcando l’importanza del loro ruolo per il corpo di ricerca «senza il quale, d’altra parte, nessuno potrebbe svolgere alcun ruolo a prescindere». 
Lasciò quindi i due Roderich per raggiungere Erwin e Siri, intenti in una conversazione sul commercio con dei mercanti, mentre Armin aveva intavolato una conversazione tutto da solo con un nobile: sentirli parlare era come assistere al funzionamento di un meccanismo ben oliato, perfettamente coordinati trovavano sempre uno spunto per discutere e ammaliare i loro interlocutori. Quando arrivava un punto morto, il comandante faceva sfoggiare il talento di Siri chiedendogli l’anno e il giorno esatti di avvenimenti storici, o anche i nomi in ordine delle strade di intere città, e lei, proprio come un fenomeno da circo, si esibiva tra le risatine e lo sgomento dei suoi spettatori.
Fecero il giro della sala più volte, fermandosi qui e lì con altri ospiti, la spia appariva lanciatissima e salvò alcune delle conversazioni in cui il caratteraccio del capitano prendeva il sopravvento. In un momento in cui erano rimasti soli, gli disse che Armin, “un novellino”, se la stava cavando molto meglio di lui, chiaramente Levi pronunciò un “Tch” infastidito di tutta risposta. Ebbero un momento di tregua quando incrociarono Ankha e Gustav, quest’ultimo, però, non sembrava altrettanto felice di vedere Siri che, dopo averlo salutato cortese e aver cercato di parlarci, venne troncata sul nascere di una conversazione dal soldato del corpo di guarnigione, che si allontanò. L’amica guardò entrambi abbattuta e salutò velocemente la spia e Levi per raggiungere Gustav.
- Mz. Si può a quest’età fare certe scenate idiote. – disse Siri, girandosi e andando verso il buffet, il capitano la seguì.
- Che gli è preso? Aveva l’aria di qualcuno con l’incontinenza.
La spia si riempì un piattino di tartare e sospirò: - È così ogni volta. Prima avevamo un rapporto decente, ma da quando ha iniziato a “frequentarsi” con Bernard sono diventata la sua nemica numero uno. Che assurdità. – mangiò una manciata di quegli antipasti – Chissà cosa gli dice quell’idiota, quella rabbia dovrebbe rigirarla su di lui piuttosto, voglio dire, non sono io quella che lo frequenta con un’altra persona nella testa.
- Ingoia prima di parlare, saltimbanco. È uno spettacolo rivoltante. – volse quindi lo sguardo alla folla nel salone.
- Non più dell’immagine figurata di Gustav con l’incontinenza. – posò il piattino sulla tavolata e si ributtò nella mischia, mentre Levi cedette e si riempì anche lui un piatto. 
Stava mangiando con calma e osservava da lontano Siri ed Armin parlare con un paio di nobili, quando una capigliatura bionda dall’altra parte della stanza rispetto ai suoi compagni attirò la sua attenzione. Smise di masticare all’istante quando quegli occhietti celesti puntarono sulla spia che, ancora intenta a, letteralmente, flirtare col suo interlocutore, non l’aveva degnato di uno sguardo. Ma Levi era convinto lei l’avesse visto, era sicuro l’avesse notato anche prima che l’avesse fatto lui, perché a Siri non sfuggiva assolutamente nulla. Figurarsi Michel Beaumont nella stessa stanza in una moltitudine di persone.
La postazione in cui si trovava gli offriva una visuale praticamente completa della sala e fu impossibile non notare quel movimento all’unisono, come di foglie mosse dal vento, di un cameriere e un uomo alto e massiccio vestito di tutto punto: l’uno diretto verso Siri, l’altro che, superandola, aveva raggiunto Michel.
Siri prese un calice dal vassoio che il cameriere Jean le offrì e scambiò per un attimo un’impercettibile occhiata d’intesa con l’allievo, per poi tornare a parlottare trascinante. Stava succedendo qualcosa. E Levi ebbe un terribile presentimento.

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 - La mia vendetta ***


Attenzione: in questo capitolo ci sono scene forti che possono urtare la sensibilità del lettore.

Capitolo 21 – La mia vendetta

 

«Levi… ho imparato troppo presto che dove non posso arrivare con la forza, posso arrivarci comunque con l’ingegno.»

 
Anno 830
Mentre si dirigeva verso casa, preferiva di gran lunga concentrarsi sul suono ritmico dei suoi piedi che battevano rabbiosi sul selciato e tenere quindi la testa ben sgombra, piuttosto che pensare a ciò che l’attendeva una volta arrivata a destinazione. Pronta ad essere sgridata per l’ennesima volta da Diya, non si pentiva proprio per niente di quello che aveva fatto, anche se, quando bussò alla porta, tenne lo sguardo basso per non incontrare quello indulgente della madre adottiva. Questa, non appena vide il suo vestitino e la faccia sporchi, oltre che i segni di graffi e i capelli spettinati, sussultò sorpresa all’inizio, per poi spingerla delicatamente dentro casa contrariata.
- Siri… di nuovo! – chiuse la porta e s’inginocchio davanti a lei, pulendole il visino paffuto dalla sporcizia e dalle lacrime rinsecchite – Ma guardati… 
La bambina guardava imperterrita il pavimento, corrucciata. 
- Devi finirla di fare a botte con gli altri bambini! Ti farai seriamente male se non la smetti!
Quella sgridata bonaria della madre la punse nell’orgoglio e le diede la forza di alzare lo sguardo e rispondere: - HANNO INIZIATO LORO! Io mi sono solo difesa!
Diya abbassò lo straccio e sospirò: - Dovresti evitarlo lo stesso, te lo spiego ogni volta…
- E TU NON CAPISCI OGNI VOLTA! – la donna sussultò e rimase a fissare il visino della bambina contrarsi e diventare rosso per le lacrime di rabbia che le stavano risalendo su – Mi prendono in giro, mi dicono che mamma era una toccata e che io sono una stramba con la faccia sporca!
Siri tirò su col naso, ormai aveva di nuovo le guance umide e stava singhiozzando nervosamente. Diya rimase a fissarla, mesta, mentre l’altra si portava le braccia agli occhi e se li asciugava coi polsini del vestito, ormai lercio. Le cinse le spalle con un braccio e la strinse a sè, la piccola Siri non appena poggiò la fronte sulla spalla della donna proruppe in un pianto più forte, agevolata dalla mano che l’altra le strofinava sulla schiena.
- Lo sai che queste sono solo cattiverie, – le parole di Diya le arrivarono dolci nelle orecchie, coccolandola anche più del suo tocco amorevole – lo dicono soltanto perché sai fare delle cose che loro non riescono nemmeno ad immaginare possibili. Se reagisci farai il loro gioco e…
- Mi hanno spinta. – non si era ancora calmata del tutto, però riuscì a scostarsi dalla madre quel tanto che bastava per guardarla negli occhi – Io li ho ignorati come mi hai detto di fare tu… però poi hanno iniziato a spingermi. – tirò su col naso e nuove lacrime le scesero copiose lungo le guance – Mi hanno spinta forte e sono caduta in una pozzanghera sporca di fango.
Era passato solo un anno dalla morte di Adrijana e Siri aveva iniziato la scuola da pochi mesi, ma era già un disastro: nonostante si trovassero in città, la morte della donna aveva destato parecchio sgomento, Diya aveva sperato, invano, nella discrezione delle pompe funebri, e invece la notizia che la vedova Myhre si era suicidata tagliandosi le vene nella vasca da bagno con amica e figlia nella stanza accanto si era diffusa più rapida anche di un’epidemia di raffreddore. Le malelingue non avevano smesso di parlarne e qualche bambino doveva aver sentito, se non tutta la storia nel dettaglio, perlomeno qualche cattiveria sulla difficoltà che Adrijana aveva trovato ad andare avanti senza suo marito, colta da quella profonda tristezza, quell’ultima fase del lutto, che aveva peggiorato la sua già fragile psiche messa a dura prova dal periodo post-partum. Quel dolore le si era incollato all’anima rendendola un guscio vuoto, fino a schiacciarla del tutto.
Diya aveva fatto il possibile, ma non era servito a nulla: si era trasferita da lei, badava alla bambina, cucinava e puliva anche dopo essere tornata dall’ospedale con la schiena a pezzi. Se lo faceva era solo per Siri, solo e soltanto per lei, frutto di quell’amore stroncato troppo presto di cui era stata felice testimone, era ciò che di bello era rimasto e non meritava tutto quel dolore da cui era circondata. Per questo e altri motivi, quando quel giorno, andata in bagno per prepararsi per il lavoro, aveva trovato la sua migliore amica nella vasca senza vita, decise di dire a Siri una mezza verità: dopotutto una bambina di cinque anni non poteva ancora capire cosa fosse successo e soprattutto le ragioni che avevano portato a quel risultato. Aveva barcollato sull’uscio per un secondo, tenendo la mano sulla bocca per trattenere lo shock, troppo scossa dalla scena a cui aveva desiderato non assistere mai nella sua vita. Poi aveva chiuso subito dietro di sé la porta cercando di fare meno rumore possibile per non svegliare Siri, che ancora dormiva profondamente. Altrettanto silenziosamente si era avvicinata alla vasca e aveva abbracciato il corpo senza vita dell’amica, piangendo. 
Alla bambina aveva detto delle parole semplici e rassicuranti, dandole tutte le spiegazioni possibili, perché sapeva che alla sua curiosità insaziabile non sarebbe bastato un semplice “mamma non c’è più”. Le aveva detto: «Siri, ricordi quando ti ho portata con me in ospedale quel giorno in cui c’era quella signora così stanca che si è addormentata? Dopo ti ho spiegato cosa le era successo, ricordi vero? Certo che lo ricordi… non scordi niente. Ecco… a mamma è successa la stessa cosa. Non tornerà più con noi.» aveva preso fiato, trattenendo le lacrime che si erano raccolte nei suoi occhi ormai rossi e lucidi, continuò tossendo leggermente per tenere un tono chiaro: «La mamma era molto stanca anche lei. Le faceva male qui. Il cuore. E quando questo è stretto dalla tristezza poi anche tutto il corpo inizia a non funzionare bene, soprattutto la testa, e questo ti fa sentire senza forze. E mamma non le aveva più da molto tempo, tanto che alla fine non ha più resistito.».
Siri era stata a sentirla attentamente e quella spiegazione l’aveva perfettamente soddisfatta, per anni aveva creduto a quella dolce bugia fino a quando poi non aveva realizzato che lo fosse, aveva capito la verità ma non voleva dirla ad alta voce e indagare. Anche anni e anni dopo, preferiva quel racconto di un cuore spezzato all’immagine di una donna dissanguata in una vasca da bagno, anche se la gente a cui lei non piaceva non faceva altro che ricordarle quella “scandalosa” eredità che si portava dietro, quasi come fosse colpa sua e dovesse sentirsi in colpa per una morte così poco decorosa. Mentre i più grandi portavano rispetto e la trattavano con un certo riserbo, i suoi coetanei sapevano dove colpirla se volevano ferirla, col tempo ci aveva fatto l’abitudine e ricordava a sé stessa che in realtà ad essere sua madre lo era sempre stata anche Diya, tanto quanto Adrijana.
Ma in quel momento aveva solo sei anni, era sporca e con quella sensazione scomoda di non essere accettata da quelli che lei avrebbe voluto essere suoi amici. Ci provava a non reagire alle provocazioni, ma non ne era mai stata capace anche a costo di prenderle di santa ragione. Diya la guardò intensamente e le accarezzò una guancia, poi prendendole il mento spostò lo sguardo della piccola verso di lei: - Loro non capiscono Siri, sono spaventati dalle tue capacità e in più non riescono proprio ad immedesimarsi in una situazione del genere, sai? – alla bambina tremò il labbro inferiore – Non sanno cosa dire, o cosa pensare, sono spaventati e quindi… fanno questo… 
Le passò lo straccio sul naso e sulle guance, strofinando per pulire bene le lentiggini, Siri fece una smorfia di fastidio: - Strofini troppo forte!
Diya le sorrise bonaria: - E allora tu non batterti con loro rotolandoti nel fango, o ti sporcherai le stelline che hai sulla faccia: sai che ora in cielo fa ancora caldo e preferiscono venire tutte sul tuo naso per stare più fresche.
- A me non piacciono… possono starsene dove stanno.
L’altra rise piano e poi sospirò: - Cerca di non rispondere alle loro provocazioni, domani io cercherò di risolvere la situazione, ma vendicarsi è inutile visto ciò che ti ho detto, lo capisci questo, vero Siri?
La bambina annuì, ma il giorno dopo si sarebbe vendicata lo stesso, perché se il mondo era crudele con lei, non vedeva perché non dovesse ripagarlo con la stessa moneta. Quando infilò nei pranzi di quei bambini che la tormentavano quelle lucertole che aveva catturato e le vide prima masticate e poi vomitate dagli stessi, sentì della strana soddisfazione dentro di sé, anche se allo stesso tempo si vergognava profondamente di quello che aveva fatto. Non avrebbe voluto farlo, se solo Diya l’avesse saputo sarebbe rimasta delusa, ed era anche peggio di sentirsi male con sé stessa. D’altra parte, però, dopo quell’episodio quei bambini non le diedero più fastidio: quando lei si fece avanti e disse di essere stata lei, minacciarono di picchiarla, come prevedibile, ma a quel punto lei a sua volta aveva detto che, qualora l’avessero fatto, quella non sarebbe stata l’ultima volta che avrebbero mangiato lucertole. La prospettiva di non essere sicuri di cosa avrebbero mangiato da quel giorno in poi, li tenne lontani da lei e con loro praticamente la maggior parte dei bambini della sua età, lasciandola sola o a farsi amici molto più grandi di lei. Vendicarsi aveva portato il suo prezzo, ma lei non poteva farne a meno e per il resto della sua vita aveva continuato a vendicarsi, e sapeva avrebbe continuato a farlo, sempre.
***
 
- Sai controllare bene le tue espressioni facciali.
Levi aveva aspettato un po’ prima di avvicinarsi guardingo alla spia, dopo che questa aveva finito una conversazione poco piacevole con Erwin e un mercante. Quest’ultimo, in maniera molto indelicata, aveva fatto un commento molto poco carino riguardo la sua enorme cicatrice sulla faccia, facendole capire di aver perso tutta la sua femminilità con essa. Siri era riuscita a mantenere un’espressione contenuta, ma i suoi occhi non riuscivano a nascondere tutto l’odio che provava verso quell’uomo tanto ricco quanto maleducato. Erwin la fissava con la coda dell’occhio, mantenendo un sorriso di cortesia ma mostrandosi allo stesso tempo abbastanza risentito, tossì piano sul punto di dire qualcosa, ma Siri, mantenendo la compostezza, riuscì a rispondere con un tono educato e mellifluo: «È una fortuna che abbia perso soltanto la mia femminilità, per fare il medico e il soldato non è necessaria. Non tutti possono dire di aver visto un gigante ed aver perso soltanto il proprio fascino. Ma d’altronde, se lei e i cittadini non scoprirete mai cosa significa è solo grazie ai sacrifici della nostra legione, non trova?». Il mercante era rimasto senza parole, si aspettava una reazione ben diversa e alla domanda della spia annuì imbarazzato, dopodiché Siri scambiò qualche altra chiacchiera conviviale e lasciò solo il comandante.
A quel punto aveva incrociato lo sguardo di Levi, poco distante da lei, che la stava tenendo d’occhio: s’intesero all’istante, non c’era bisogno di dirsi che avevano notato entrambi la presenza di Michel in quella sala.
- Tanti anni di pratica. – la ragazza ingoiò una tartare che aveva preso da un vassoio di un cameriere che le era passato accanto.
- Dovresti stare più attenta allo sguardo. Se potesse uccidere, a questo punto gli unici ancora in piedi in questa sala saremmo io, Armin ed Erwin.
Lei si voltò a fissarlo, poi abbassò lo sguardo sul bicchiere che teneva in mano. Glielo strappò di mano e lo bevve in solo sorso, inclinando il collo per berlo fino all’ultima goccia.
- Vacci piano saltimbanco. Preferirei non vomitassi in carrozza. – lo sguardo che Siri gli lanciò in risposta avrebbe fatto rabbrividire persino Erwin. Levi rimase impassibile e disse: - Bene, solo Armin ed Erwin.
Siri, quindi, rivolse un’occhiata alla sala, osservandola concentrata.
- Siri.
- Tieni. – senza guardarlo, gli restituì il bicchiere vuoto e s’immerse nella folla, Levi cercò di seguirla con lo sguardo ma, prima che potesse effettivamente seguirla a distanza, Erwin gli si parò davanti. Il comandante gli mise una mano sulla spalla e lo girò dalla parte opposta.
- Levi, devo chiederti di lasciar fare Siri. Le rendi più difficili le cose in una conversazione. – gli tolse la mano dalla spalla, mentre continuavano a camminare nella direzione opposta, quando Levi si voltò verso di lui guardandolo rabbioso. Si sentiva ansioso da quando aveva visto Michel, e ora l’apparizione del comandante, proprio nel momento in cui Siri si era allontanata misteriosamente, era più che sospetta.
- Basta con le cazzate Erwin. – l’altro abbassò lo sguardo serio sugli occhi grigi pieni di rabbia del suo interlocutore – Adesso mi dici che cosa sta succedendo e il vero motivo per il quale Siri è qui.
- Non capisco di cosa parli Levi. – adesso invece lui capiva perché Erwin e Siri andassero così d’accordo, lo facevano infuriare come poche altre persone al mondo col minimo sforzo e, a differenza di Hange, in totale consapevolezza.
- Se vuoi farmi innervosire, ti avviso, ci stai riuscendo. Cos’è questo? Un altro dei tuoi piani suicida? O magari uno di quelli dove a morire è solo uno dei tuoi sottoposti, tanto per cambiare.
Erwin sospirò e rivolse lo sguardo alla sala: - Ti sbagli. Nulla di quello che sta succedendo stasera è nei miei piani, per una volta, mi sto godendo una serata diversa dal solito.
Levi digrignò i denti e fece un respiro profondo prima di rispondergli: - Non credo tu abbia la più vaga idea, allora, di chi sia qui stasera e di quello che potrebbe scatenare.
A questo punto lo sguardo dubbioso che Erwin gli rivolse lo colpì ancor prima delle sue parole: - Levi, perché te ne preoccupi così tanto? Credi che Siri non sia capace di gestire la situazione o è per un altro motivo che ignoro? – il capitano sgranò gli occhi, colpevole. Senza parole, superò Erwin che rimase ad osservarlo mentre s’incamminava davanti a lui.
- Levi. – voltò quindi la testa indietro a guardarlo, fermandosi sul posto – Se proprio credi, puoi accertarti delle cose tu stesso. Non lascerò che sia io a decidere per te.
Detto ciò, Erwin si spostò, allontanandosi e lasciando a Levi libera la vista sull’altra parte della sala che il comandante aveva cercato di nascondergli e verso la quale aveva visto Siri sparire: intravide Michel e l’uomo che aveva visto prima avvicinarglisi, parlare e poi abbandonare la sala scomparendo in un corridoio. Pensò che ovunque stessero andando, la spia fosse già lì, perché osservando attentamente la folla non la trovò da nessuna parte, lasciò quindi il calice vuoto e si diresse verso il punto in cui i due erano andati. Non appena si affacciò nel corridoio, guardò da una parte e dall’altra: alla sua destra le pareti presentavano porte a singolo o doppio battente, mentre nell’altra direzione c’era un vicolo cieco coi bagni. Si diresse sulla destra, cauto, cercando di camminare a passo felpato, fino a quando non s’imbatté in una stanza le cui porte erano state spalancate: nello sfarzo dei tappeti persiani e pesanti tende rosse, intravide, impercettibile con una prima occhiata distratta, un tessuto color verde militare, nascosto tra una scrivania e una pesante tenda in velluto rosso. Entrò e si diresse verso quella macchia di colore familiare, ma non appena sentì delle voci arrivare dal corridoio, si nascose dietro la tenda, da cui poteva vedere il pastrano militare con gli stemmi del corpo di ricerca abbandonato assieme a dei guanti in pelle nera.
Improvvisamente, prima che chiunque stesse arrivando in quella stanza entrasse, qualcuno premette una mano sulla sua bocca tirandolo indietro fino a farlo aderire al proprio petto. Levi s’irrigidì all’istante e afferrò il polso dell’assalitore con forza, ma al tatto riconobbe le familiari fasciature di Siri.
La ragazza sporse le labbra sul suo orecchio fino a sfiorargli il padiglione auricolare, con la voce bassissima gli soffiò: - Shh… – gli infilò l’altra mano nella tasca del cappotto – Lasciami il braccio o me lo spezzerai e non è proprio il caso boss. Sapevo che Erwin non ti avrebbe fermato come promesso… – le lasciò il braccio, rilassando il corpo. Poi Siri tirò fuori la mano dalla tasca, che gli si appesantì, e, allontanando anche l’altra mano dalla bocca, lo spinse con delicatezza in una rientranza del muro dietro la tenda. Il capitano non riusciva a distinguere assolutamente nulla nel buio, sentì solo sulla sua guancia la mano di Siri e di nuovo le sue labbra morbide poggiarsi al suo orecchio e dirgli: - Qualsiasi cosa dovessi vedere o sentire, non uscire di qui, intesi? – prima di allontanarsi, gli diede un bacio sulla guancia e tirò via la mano dal suo viso con una carezza. Quando capì di essere rimasto solo in quella strettoia, infilò la mano nella tasca in cui la spia doveva avergli lasciato qualcosa: tastò un cilindro duro, risalendo toccò qualcosa di freddo e affilato. Tirò fuori il pugnale che gli aveva lasciato e lo osservò sotto quella singola e flebile striscia di luce che arrivava oltre la spessa tenda in velluto e s’infilava attraverso il sottile spiraglio dell’anfratto: se non doveva uscire di lì, si chiese perché gli avesse lasciato un’arma. I suoi piani non erano un azzardo, a differenza di quelli di Erwin, non poteva e non voleva credere che sarebbe stato costretto ad usarlo se le cose si fossero messe male. Nel frattempo, così confuso com’era in quel momento, non si era reso conto che nella stanza qualcun altro era entrato e aveva iniziato a parlare.
 
Siri uscì dalla rientranza dietro cui aveva nascosto Levi e si sistemò dietro la pesante tenda rossa, mettendosi in ascolto. Si concentrò sul rumore dei passi, riuscì a distinguere distintamente tre diverse persone nella stanza, a parlare però erano solo Michel e il nobile proprietario di casa, continuavano a parlare del commercio usando parole in codice per riferirsi alle persone rapite e ridotte in schiavitù. Dopo qualche chiacchiera tra lui e l’erede degli Aurille, i tre si spostarono nella stanza accanto in cui si sedettero per “discutere degli affari”. 
 
Dallo spiraglio, Levi riuscì a intravedere i tre spostarsi e scomparire nella stanza accanto oltre un arco decorato da tende a mantovana, dietro cui vide la spia scivolarci dentro silenziosa e schiacciarsi nello spazio tra queste e il muro. 
Quindi era questa la missione, pensò, mentre notava con amarezza che Siri aveva indossato la sua vecchia divisa totalmente nera, aveva persino la maschera alzata fin sopra il naso.
Levi sentiva i due nobili discutere di denaro e “spostamenti di merce”, ma era chiaro che stessero parlando di commercio di esseri umani. In tanti anni passati nella città sotterranea, in cui i rapimenti per questo tipo di affari erano all’ordine del giorno, aveva imparato suo malgrado tutti i termini che venivano usati in quel campo. Persino Kenny ripudiava quel modo di fare soldi, di suo il capitano ne era letteralmente disgustato, ma, ormai, cosa poteva più sorprenderlo. Non aveva idea in cosa consistesse il piano di Siri, tuttavia, non gli quadrava un piccolo particolare: la terza persona in compagnia dei due nobili non aveva ancora spiccicato parola. Sporgendosi ancora un po’, riuscì solo a cogliere qualche dettaglio della sua fisicità, ma nulla che potesse ricondurlo a qualcuno che avesse già visto. Non l’aveva visto bene in faccia, né in sala prima né in quel momento con quella poca visibilità che gli era permessa, ma era riuscito a distinguerne solo la corporatura alta e ben piazzata, oltre che i capelli scuri che uscivano da sotto un capello, credette dovesse trattarsi di una guardia del corpo.
- La ringrazio Michel, – sentì dire dal nobile Aurille, non poteva vedere i due aristocratici perché si trovavano oltre il muro, ma riuscì a sentire delle sedie che strisciavano sul pavimento, segno che la loro conversazione doveva essere giunta ad una fine – come sempre è un piacere fare affari con te.
Sentì Michel ridere educatamente: - Direi che possiamo passare a vedere la merce di sotto. Ma prima… – vide il terzo uomo toccarsi il bordo del cappello e annuire a, probabilmente, un cenno che doveva avergli fatto Michel. Il capitano avrebbe voluto sporgersi per vedere meglio, ma non poteva muoversi più di quanto non avesse già fatto, raggelò quando l’uomo si diresse proprio verso le tende dietro cui Siri era nascosta, fermandosi poco dietro l’arcata, stando ben attento a non superarla: avevano capito fosse nascosta lì e volevano evidentemente sorprenderla. Levi trattenne il fiato, stringendo l’elsa del pugnale nella tasca.
- Prima io e il mio collega abbiamo bisogno di fare un po’ di pulizia… – vide il nobile Aurille uscire dalla stanza con un sorriso stampato sulla faccia. Era tutta una montatura. Il cuore di Levi iniziò a martellargli nel petto, mentre continuava a ripetersi nella testa di rimanere lì dov’era. Qualsiasi cosa tu veda.
- … Ci sono troppe cimici in queste stanze polverose, o forse, dovrei dire… gechi.
L’uomo misterioso fece un lungo passo in avanti e sporse la mano nella tenda dietro sui Siri era nascosta, afferrandola per il collo della maglia la trascinò fuori, scaraventandola con tutta la forza sull’altro stipite dell’arcata. La ragazza tossì per il contraccolpo, ebbe la prontezza di abbassarsi e schivare un pugno del suo assalitore, con un movimento fulmineo fece scattare il meccanismo sull’avambraccio che teneva il pugnale, facendolo scivolare nella mano: con uno slancio fletté il braccio verso l’uomo, per cercare di accoltellarlo, ma, proprio quando lui l’ebbe schivato e lei stava per affondare il braccio nuovamente nella sua direzione, perse equilibrio e velocità. Levi, da quello spiraglio, fu colpito in pieno dallo sgomento che lesse negli occhi sgranati di Siri, quando poi sentì la voce di lei sospirare incredula: - Bernard? – credette che le gambe gli avrebbero ceduto o, al contrario, sarebbero scattate in avanti senza il suo controllo per andare ad ucciderlo con le sue stesse mani.
L’uomo, ormai non più tanto misterioso, approfittò di quell’indecisione di Siri per afferrarle il polso e alzarle il braccio malamente, mentre con un calcio le colpì una caviglia con forza, facendola cadere con un tonfo. La ragazza si dimenò, cercando di colpirlo, ma al capitano era chiaro come sarebbe finita, quella singola indecisione, quell’errore, le era costato caro: non c’era più possibilità per lei di ribaltare la situazione e vincere. Levi guardava con occhi sbarrati Bernard piazzarle un pugno in faccia e poi riempirla di calci nello stomaco, solo dopo averle strappato di mano la lama. Quando ne ebbe abbastanza di colpirla, lanciò via il cappello e si passò una mano nei capelli mossi, portandoseli indietro mentre respirava a fatica: non era, notò il capitano, per lo sforzo, bensì per le lacrime. Bernard piangeva e la cosa lo fece innervosire ancora di più. Siri era a terra ad ansimare come un cane, rivoli di sangue che le colavano dal naso e dalla bocca mentre dolorante si teneva la pancia, rannicchiata, e colui che l’aveva tradita aveva il coraggio di piangere. Levi respirava a fatica, tremando dalla rabbia si sforzò di non reagire, e si chiedeva fino a che punto valesse il “qualsiasi cosa tu veda”. Non si mosse, gli aveva chiesto di non muoversi e per ora l’obiettivo dei suoi assalitori non sembrava essere quello di ucciderla. Una donna dai capelli corvini fece capolino da dietro il muro che ancora nascondeva Michel e si abbassò su Siri, prendendole il pugnale agganciato all’altro avambraccio.
- Bernard hai esagerato. Ti avevo chiesto di metterla solo fuori gioco, non di ridurla in questo stato. – disse armeggiando con la cintura per rimuovere anche il resto dei pugnali. Levi capì che lui l’aveva fatto per dimostrare a lei e a Michel che non aveva alcun ripensamento o rimorso, che non avrebbe avuto pietà per la ragazza verso cui provava del tenero. Non aveva mai provocato Bernard, si era sempre solo limitato a guardarlo con ostilità, ma Levi si sentì ugualmente responsabile: forse, si disse, lui non l’avrebbe tradita se non avesse inteso ci fosse qualcosa tra lui e Siri. Era solo una riflessione dettata dall’impotenza che provava in quel momento, non aveva senso ma per lui era inevitabile sentirsi colpevole ogni qualvolta qualcuno a cui teneva soffriva. 
Non… Muoviti. – rispose l’altro con la voce rotta e gli occhi arrossati. Lei, quindi, sganciò anche gli altri pugnali sulle cosce di Siri e si allontanò, lasciando spazio a Bernard che girò la spia, ancora dolorante, di pancia a terra. Posizionò un ginocchio sulla schiena della ragazza facendo una lieve pressione che la fece tossire, questa poi girò la testa verso di lui e lo guardò dritto negli occhi mentre questo le legava i polsi dietro la schiena: - Bernard… io mi fidavo di te…
Il ragazzo si bloccò e Levi riuscì a vederlo cercare di trattenere la smorfia di dolore che gli attraversò la faccia. Bernard rimase a fissarla pietrificato, incapace di muovere un altro muscolo.
 
- Cazzo, potevi dirlo che sei diventato sentimentale crescendo. – Tamara gli diede uno spintone, facendolo alzare dalla spia – Lascia fare a me. – si chinò e finì di legarle strettamente la corda attorno ai polsi, poi, afferrandola dalla maglia, l’alzò con uno strattone.
Siri si mise in piedi a fatica prendendo respiri profondi, mentre con la testa cercava di scostarsi ciocche di capelli dal viso: - Di te, invece, Tamara, non mi sono mai fidata.
- Di questo non avevo alcun dubbio. – le rispose l’altra, spingendola in avanti.
- Credevo di non dover rivedere più il tuo brutto muso Michel, – disse quindi Siri, rivolgendosi al nobile che sedeva dietro la scrivania massiccia in legno e si era goduto la scena sbracato su di una sedia ben imbottita – ma si sa, la vita è spesso deludente.
Lui, di tutta risposa, sogghignò e fece un gesto con la mano: Tamara la face sedere su una sedia di fronte a lui.
- Ah, ti ricordi solo adesso come si trattano gli ospiti? Un gran bel coraggio a far spostare la tua “merce” mentre la dimora degli Aurille pullula di soldati. – Siri sorrise sprezzante – Ma immagino che i miei cari amici alle mie spalle ti avessero già informato in anticipo della mia incursione, quindi di sotto non c’è proprio un bel niente. Dico bene?
- Sei sempre stata così sveglia che quasi mi dispiace per la fine che hai fatto.
- Ma non mi dire.
Michel si alzò e iniziò a camminare dietro la scrivania: - Proprio perché sei così intelligente, so che adesso prenderai la decisione giusta.
Tamara si sporse alle sue spalle e tagliò la corda che le teneva i polsi, Siri strabuzzò gli occhi, si guardò alle spalle e poi Michel interrogativa: - Hai voglia di scherzare? Che significa?
- Siamo pari, non credi? Ormai mi hai scoperto, ma non puoi accusarmi di nulla visto che non hai prove, d’altra parte, so che non ti arrenderesti così facilmente, inoltre ora che sai che Bernard e Tamara sono dalla mia parte, non godrò più di quella copertura che avevo prima. Per cui…
Siri proruppe in una risata fragorosa. Si sporse in avanti tenendosi la pancia che ad ogni spasmo le doleva più forte.
- Hai ragione! Sono intelligente, ma, credimi, chiunque in confronto a te sembrerebbe un genio! – poggiò la schiena sullo schienale passandosi una mano sulla fronte, mentre prendeva fiato, la risata nervosa di poco prima totalmente scomparsa – Tu come hai anche solo potuto pensare che io, io, potessi voltare le spalle alla mia legione, a Pyxis e alla corona come ha fatto quel verme dietro di me, per proteggerti? Solo per aver fallito una volta? Tu non mi conosci affatto.
Michel non si era scomposto e la fissava impassibile mentre si alzava. Lo sguardo di Tamara saettò da Siri al nobile, mentre Bernard guardava dritto davanti a sé, consapevole di quello che stava per accadere.
- Mi dispiace tanto, Michel, ma questa volta non hai nessuno con cui ricattarmi, non hai assolutamente NULLA. – alzò le braccia, e sorrise sconsolata – Non ho più niente, mi hai tolto l’ultima cosa a cui tenevo. Non ti rimane che prenderti la mia vita, mi dispiace per te ma ho solo quella, e preferirei morire piuttosto che tradire le persone che hanno fiducia in me.
Il nobile fece spallucce e disse: - Beh, allora puoi andare. Esattamente come hai fatto quella notte, puoi scappare e, di nuovo, qualcuno esalerà l’ultimo respiro sotto i miei occhi.
Bernard chiuse gli occhi, mentre Tamara si tenne pronta. Siri guardò le due spie alle sue spalle e poi si voltò accigliata.
- Mentre eri così concentrata a guardare me in sala l’hai perso di vista, un secondo, ma è bastato. – Siri raggelò sul posto mentre il suo interlocutore, facendosi più forte della sua reazione, continuò – Ecco, hai capito benissimo. Non credevo trovassi un nuovo spasimante così in fretta. Sai, le sue urla mi hanno ricordato molto quelle di tua madre. Mentre siamo qui a parlare probabilmente stanno continuando a torturarlo, non so cosa rimarrà di lui se continuiamo a perdere tempo senza arrivare ad una soluzione.
Improvvisamente bussarono alla porta, tutti spostarono lo sguardo alle loro spalle trattenendo il respiro, il suono parve riscuotere anche Bernard che, risvegliatosi dal suo stato catatonico, si diresse alla porta, l’aprì di poco e lo sentirono cacciare via l’intruso mentre Tamara con gli occhi fissi su Siri, rimase attenta alla conversazione sull’entrata.
Il ragazzo quindi chiuse la porta e tornò accanto a Tamara: - Era un cameriere. Probabilmente l’ha mandato Aurille per capire come procedesse.
Siri tornò a guardare Michel: era stato impercettibile, ma Tamara aveva notato sul viso dell’altra un sorriso accennato prima che si rigirasse, e quando sospirò sonoramente sentì come se della neve le fosse scivolata nel colletto della camicia e poi lungo la schiena.
- Ah, Michel. Adesso dovrai dirmi chi cazzo hai preso in ostaggio, e sai perché? – Siri rilassò le spalle e inclinò la testa – Perché il nome del mio “spasimante” è Levi.
Tamara spalancò gli occhi realizzando la vera ragione per la quale l’amico non voleva uccidere l’interesse della ragazza, ed era perché non poteva farlo, il soldato della legione esplorativa era l’unica persona che non poteva oggettivamente uccidere. Si voltò verso Bernard: - Maledetto figlio di… – cercò di affondare uno dei pugnali di Siri che ancora teneva tra le mani, ma venne raggiunta prima da Bernard che, con un colpo ben assestato dietro la nuca, la fece svenire sul colpo. Michel vide sconvolto la sua unica alleata stramazzare al suolo, incredulo disse: - Non hai nulla. Non ci sono prove, non hai documenti. Niente di niente.
Siri si avvicinò al corpo senza sensi di Tamara e si piegò a raccogliere i suoi pugnali: - Una cosa che ho sempre detto a Bernard è, se non sbaglio, “Sono sempre un passo davanti a te”.
- Non sbagli. – confermò l’altra spia mentre imbracciava il corpo della collega svenuta.
- Mentre sei qui a fare questo inutile teatrino che ti ho concesso, due squadre del corpo di guarnigione e gendarmeria stanno facendo un’incursione nel posto in cui hai spostato lo scambio. È stato astuto da parte tua far credere a Bernard che fosse comunque qui il luogo dello scambio, io però non mi fido proprio di nessuno, quindi me ne sono accertata io stessa.
Bernard sbuffò: - Sai che non potevo farlo io, avrei compromesso la copertura, te l’ho già spiegato…
Siri alzò un indice e scosse la testa: - Michel. Chi avete preso stasera? – fece un passo verso la scrivania.
Bernard la guardò nervoso: - Siri. Non ne vale la pena, abbiamo finito. – adesso aveva seriamente iniziato a preoccuparsi. Lui aveva messo in guardia la sua amica sul futuro tentativo del nobile di provocarla, non avevano previsto prendesse anche un ostaggio e, se aveva capito bene chi avessero preso, questo non l’avrebbe lasciata del tutto indifferente.
Michel intravide l’ira montare nella ragazza, chiunque avesse torturato pochi minuti prima, doveva avere comunque una qualche importanza per la spia: - Bernard ha ragione, lascia perdere. Come ti ho detto ha urlato parecchio, ma dopotutto è solo un ragazzino, a quanto pare. Sembrava più grande così imbellettato com’era stasera.
Con gli occhi fissi sul nobile, la spia a voce bassa e profonda disse: - Bernard, chi era alla porta?
Il silenzio che seguì fu la conferma che cercava. Il respiro di Siri accelerò.
- Non ha importanza, possiamo andare, Erwin l’avrà già liberato. – lei però non sembrava assolutamente essere dello stesso pensiero. Michel ne approfittò e continuò, giocandosi il tutto per tutto: gli rimaneva soltanto quello e, anche se quella sera aveva ormai sancito la fine della sua ricchezza e del suo nome, avrebbe cercato di portare a termine l’unica parte del piano che ancora gli rimaneva.
- Oh, ha ragione, non ha importanza Siri. Come non ha importanza le condizioni in cui era il corpo di Diya quando Pyxis è riuscito a recuperarlo, ma dopotutto era già morta sola come un cane nei sotterr… – Siri con una falcata salì sulla scrivania e slanciandosi con una gamba gli mollò un pugno in piena faccia che lo fece barcollare all’indietro. Michel cercò di difendersi ma la spia, nonostante fosse indebolita dallo scontro con Bernard, non gli lasciò fiato e impiegò tutte le sue ultime energie solo per colpirlo ripetutamente. Nonostante l’evidente differenza di stazza, Siri lo scaraventò contro una libreria, poi lo calciò facendolo capitolare per terra.
- Siri. – Bernard cercò di chiamarla risoluto, ma lei era come se non sentisse ragioni. Ciò che lui e i suoi superiori avevano temuto mentre Michel aveva bramato accadesse, stava succedendo. Non poteva intromettersi, doveva solo sperare che Siri non compromettesse il suo intero futuro perdendo definitivamente la ragione ed era difficile pensare che non sarebbe successo, mentre sedeva sul petto di Michel e gli bloccava le braccia con le ginocchia per riempirlo di pugni. 
Ad un certo punto, lo sguardo di Bernard venne attirato da un movimento alla sua destra, si voltò e vide Levi apparire da dietro una tenda nella stanza adiacente, camminare e fermarsi davanti l’arco che collegava i due spazi. Aggrottò le sopracciglia quando notò lo sguardo imperturbabile con cui stava guardando Siri colpire ripetutamente la faccia ormai piena di sangue del nobile; quando lo vide sgranare gli occhi si voltò di scatto di nuovo verso Siri che, ora, aveva tirato fuori un pugnale da una delle fodere sulla vita.
 
Siri era abituata sin da piccola a sentirsi sopraffatta dalle emozioni, aveva imparato a controllarle o a lasciarle fluire fuori con tutta la forza, e la maggior parte delle volte la sua logica cedeva. In quel momento non poteva controllare quella rabbia prorompente, i suoi occhi erano annebbiati da tutto quel risentimento che li inondava come un fiume in piena. Lei reclamava a gran voce la sua vendetta, per lei, per Diya, per Jean che aveva messo in pericolo e che alla fine era stato torturato. Era convinta che fosse tutto ciò che le rimaneva da fare: ma quando alzò il pugnale sopra la sua testa, pronta ad affondarlo in quella del nobile che la guardava con occhi vacui e semichiusi, le tornò alla mente quel ricordo di quando da bambina fece mangiare le lucertole ai bambini che la tormentavano. Riuscì a ricordarsi come si sentì una volta che si fu vendicata: non si sentì meglio, ma nemmeno peggio, l’azione non l’aveva lasciata soltanto vuota, ma anche più sola di quanto non lo fosse già.
Vendicarsi non l’avrebbe portata da nessuna parte, non le avrebbe ridato indietro sua madre o Jean illeso, da quello che aveva potuto sperimentare per tutta la sua vita era che quel sentimento e le azioni che causava ne avrebbero restituiti altri peggiori, e uccidere una persona per rabbia probabilmente le avrebbe dato indietro soltanto più dolore: a quel punto, non poteva più sopportarlo. Aveva ancora qualcosa da perdere, l’avrebbe sempre avuto e forse era arrivato il momento di chiudere quel cerchio di odio e perdonarsi, affrontare quel dolore e cercare di risanarlo senza nuocere agli altri o a sé stessa. 
Calò la lama ma si fermò a pochi centimetri dalla fronte di Michel, contraendo il viso per la battaglia che interiormente la stava distruggendo: un grido roco accompagnato da lacrime di rabbia riempirono l’aria tesa della stanza nella penombra, Levi trattenne il respiro quando la vide rialzare la lama e poi gettarla con tutta la forza affianco la testa del nobile che sentì il sangue tornare a scorrergli nelle vene. Siri si prese il viso fra le mani mentre si lasciava andare in un pianto frustrato e rabbioso, si abbandonò stanca su un lato, scendendo quindi dal petto di Michel e permettendogli di tornare a respirare a pieni polmoni.
Hange, Levi, i suoi compagni di squadra: finalmente dopo tanto tempo non era più sola, e anche se li conosceva da poco, con loro si era sentita a casa come quando era con Diya e Shawn o in ospedale, teneva a loro e li avrebbe protetti anche a costo della vita e non sarebbe tornata al punto di partenza solo per una momentanea soddisfazione. Uccidere Michel sarebbe significato non riuscire ad andare avanti, rimanere incastrata nelle sofferenze del passato e quello che Siri voleva più di qualsiasi altra cosa era lasciarsi tutto alle spalle e vivere la sua vita, non quella del geco.
Levi si avvicinò cauto alla spia che, accasciata contro la scrivania, si strofinava il viso attraversato dalla frustrazione: le s’inginocchiò accanto e le circondò le spalle, lei si lasciò andare contro il suo petto tirando su col naso, seguì un respiro profondo e finalmente si acquietò. Bernard era rimasto ad osservare in silenzio col cuore spezzato e non appena sentì dal corridoio arrivare le voci dei soldati, si dileguò portando con sé il corpo senza sensi di Tamara proprio poco prima che gendarmeria e guarnigione entrassero nella stanza.
 
***
Erano ancora distesi sull’erba quando Siri aveva improvvisamente deciso di poggiarsi sul suo petto e intrecciargli le ciocche dei suoi capelli: all’inizio Levi aveva opposto resistenza nervoso, lei aveva continuato sapendo benissimo che le minacce erano a vuoto e quindi lui l’aveva lasciata fare, rilassandosi sotto il suo tocco delicato.
- Quando hai minacciato quell’uomo, il gendarme, poi hai davvero raggiunto la sua famiglia? – Siri abbassò lo sguardo titubante sui suoi occhi grigi che brillavano nel buio della sera, fermò le dita tra le ciocche di capelli neri. Era passato più di un mese da quell’interrogatorio, aveva minacciato in modo simile così tante persone che ormai si confondevano facilmente tra loro, ma quel soldato le era rimasto impresso essendo colui che le aveva rivelato la minaccia a Diya, il primo (e unico) che aveva avuto solo un assaggio delle sue inquisizioni. La spia era grata del fatto che Levi non l’avesse vista davvero in azione in quella situazione.
- No. Con tutte le cose che sono successe dopo… – tornò a guardare le ciocche corvine e ad annodarle – Ma non ci sarei andata lo stesso. Sapevo avrebbe parlato.
Levi chiuse di nuovo gli occhi: - Le tue solite sensazioni… la chiamerei più compassione questa volta.
Siri sollevò le labbra leggermente risentita, poi le venne in mente un altro ricordo di quella sera. Così come lui aveva fatto con lei in quel momento, al contrario quella volta aveva messo a nudo la debolezza di Levi, lasciandolo disarmato, lui l’aveva odiata, lei invece era rimasta soddisfatta della sua reazione perché aveva demarcato la sua superiorità. Di compassione quella volta non ne aveva avuta per niente, sorrise amaramente: - Devi scusarmi per quella volta. Sono stata… cattiva con te, mi dispiace.
Levi la spiò da un occhio, notò la sua espressione dispiaciuta e gli tornarono alla mente l’allusione che l’aveva lasciato disarmato, chiuse l’occhio: - Non preoccuparti.
Lei sospirò: - Faccio così quando c’è qualcuno da cui mi sento minacciata. È sempre stato così nella mia vita. Persone più fortunate, più forti, più furbe… - finì una treccia e passò ad un’altra ciocca di capelli – Ho sempre dovuto lottare per assicurarmi un posto nel mondo, trovo il punto debole di qualcuno e lo colpisco, sento il bisogno di farmi spazio. Se capisci cosa intendo.
Purtroppo, Levi lo capiva perfettamente, nonostante i loro due mondi fossero separati da metri di terra l’uno dall’altra, avevano comunque dovuto lottare, con la violenza o con la testa, o entrambe, per assicurarsi qualcosa nella loro vita. E anche se apparentemente Siri aveva avuto la vita più “facile” per essere nata in superficie circondata da persone che l’amavano, non era stata comunque più fortunata.
- Come riusciresti a far parlare uno come me? – Levi aprì gli occhi e la fissò mentre lei rimase assorta ad intrecciare – Uno senza famiglia.
- C’è sempre un punto debole, di solito fisico. – abbassò gli occhi sui suoi e con un indice gli toccò esattamente il centro di un sopracciglio – Uno dei più dolorosi ad esempio è questo, essere un medico è stata una gran sfortuna, sia per chi mi capitava tra le mani, che per me perché, in tutta sincerità, ho sempre odiato fare interrogatori e quando ce n’era da fare uno mandavano sempre me.
- E se non funzionasse?
Siri spostò lo sguardo verso gli alberi, vergognandosi un po’: - Di solito non resistevano oltre… Ma se non avesse funzionato… Beh, ripeto, c’è sempre un punto debole. Una paura, un segreto, un ricatto, qualsiasi cosa.
Senza aver distolto lo sguardo neanche per un secondo, Levi continuava a fissarla intensamente: - Il mio quale sarebbe?
Siri alzò un sopracciglio e piantò i grossi occhi marroni sui suoi: - Con te sarebbe davvero facile, ma terribilmente cattivo. Potrei farti credere di avere qualcuno dei tuoi in ostaggio, ancora meglio i mocciosi, non farmi continuare. Ho lasciato almeno in parte quelle cose alle spalle. So che Erwin potrebbe chiedermi da un momento all’altro di mettermi in azione, ma preferirei non farlo. Comunque, in genere chiunque ha una paura da sfruttare. Tutti abbiamo paura di qualcosa.
Levi le passò il dorso della mano sul viso e poi le portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio: - E tu di cosa hai paura?
La ragazza indietreggiò di poco con le spalle: - Io? Io non ho paura di nulla, a parte la morte. – lui a queste parole strizzò gli occhi – Tutti pensano che ciò che ci fa combattere sia la voglia di vivere, il coraggio, in realtà è la paura di morire. Non siamo portati a combattere, siamo portati a sopravvivere, è questa la verità. E la sopravvivenza è alimentata da pura e semplice paura. Mi rattristano le persone che non hanno paura di morire, perché hanno perso la voglia di vivere.
***
 
Non molto tempo dopo, Tamara si svegliò in una cella sotterranea col suono metallico di oggetti che venivano maneggiati vicino a lei, lo spazio angusto era illuminata da delle fioche torce alle pareti del corridoio antistante. Sollevò pesantemente la testa e vide davanti a sé la figura di un uomo alto oltre le sbarre: la cella era aperta, le sue braccia erano aperte ed incatenate alla parete proprio per questo chi la stava supervisionando, a quanto pareva, era parecchio rilassato.
Non appena riuscì a mettere a fuoco ciò che la circondava, riconobbe la persona in corridoio essere Bernard che, beatamente poggiato al muro in pietra, non appena notò che aveva aperto gli occhi le rivolse uno dei suoi sorrisi splendenti: - Buongiorno Tammy! Ben svegliata!
- Dove sono? – chiese, strofinando la testa dolorante contro il muro alle sue spalle.
Bernard tossì per schiarirsi la voce: - Ah, credimi, sarà l’ultimo dei tuoi problemi sapere dove ti trovi.
Tamara aggrottò le sopracciglia e guardò alla sua sinistra, da dove provenivano quei suoni di strumenti metallici. Nella penombra, Siri non le rivolgeva lo sguardo, ancora con la divisa completamente nera, era concentrata su qualcosa con cui armeggiava sul tavolino e che non poteva vedere seduta a terra. Improvvisamente la spia si fermò e girò il capo, fulminandola con quello sguardo che conosceva fin troppo bene. Dopo averla fissata ardente per qualche secondo, tornò a guardare davanti a sé, sospirò e iniziò a srotolarsi le fasce nere dagli avambracci. Tamara raggelò e iniziò a tirare le mani verso di sé, cercando disperatamente di sfilarle dalle catene: Siri toglieva le fasce solo per due motivi, il primo era, banalmente, per lavarsi. Il secondo aveva sperato di non sperimentarlo sulla sua pelle mai nella vita, ma quelli che stava maneggiando erano chiaramente gli strumenti che usava per far parlare i suoi prigionieri, quindi doveva voler dire solo una cosa.
Tamara strattonò ancora le catene, poi guardò Bernard supplicante e disse: - Ti prego, uccidimi adesso.
La voce profonda di Siri le arrivò dritta sulla pelle, facendola rabbrividire: - Forse è un po’ troppo tardi per il pentimento. – posò la prima fascia sul tavolo e iniziò a srotolare anche l’altra – Un po’ troppo presto invece per la pietà. Avresti potuto pensarci, prima di metterti contro di me, prima di macchiarti con un commercio tanto sporco. – il suo tono saliva man mano che continuava a parlare – Siete tanto pigri, stupidi e sventati da non sapere il passato di Bernard, se ti fossi soffermata un attimo a sapere qualcosa di lui sapresti che lui è stato proprio uno schiavo di quei commerci.
Batté la seconda garza sul tavolo: - Per soldi. Avessi smascherato questo schifo per Pyxis non credi che avresti ottenuto lo stesso ciò che volevi? – sibilò la domanda retorica prima di prendere un lungo e spesso ago dal tavolo e girarsi verso Tamara che iniziò ad ansimare spaventata. Siri osservò l’ago tra le sue mani e scosse la testa: - Ma la cosa che mi fa andare in bestia più di tutte è che, per soldi, mi hai trascinata di nuovo in tutto questo. – s’inginocchiò davanti a lei e la fissò assente, con quella maschera di odio e cattiveria che odiava indossare – Io ci ero uscita, non volevo più farlo Tamara. Ho trovato qualcosa di meglio, di più stimolante e mi hai costretto, ancora una volta, – la spia conficcò la punta dell’ago sul nervo proprio al centro del sopracciglio della prigioniera, facendola ululare dal dolore – ad essere ciò che odio. 
Bernard deglutì: l’amica non aveva potuto vedere Jean perché Erwin l’aveva portato via assieme ad Armin prima che potesse farlo, ma sapere di sfuggita da Ankha che aveva perso anche una singola goccia di sangue l’aveva fatta impazzire. Siri si sentiva in colpa per averlo coinvolto, ma sia lui che Levi l’avevano fatta calmare dicendole che era un rischio che Jean sapeva di correre e che lei aveva cercato di proteggerlo quanto più potesse. Una volta consegnato Michel alla gendarmeria rimaneva interrogare la traditrice, dovevano sapere cos’altro aveva tramato con gli altri nobili e Pyxis aveva chiesto a Siri gentilmente di aiutare Bernard nel farlo. Non si era rifiutata, ma non aveva comunque gradito la richiesta, a cui però sentiva di dover ottemperare.
- Te lo giuro Tamara, te lo giuro, quando avrò finito rimpiangerai di esserti messa sulla mia strada.
- BASTA! TI PREGO! Parlerò, ti dirò tutto! – disse, singhiozzando. A quel punto Siri tolse l’ago dalla sua carne ed indietreggiò.
- Cosa cazzo ti ha fatto pensare che me la faccio coi ragazzini? Che schifo. Solo l’idea mi fa venir voglia di vomitare. – la spia si alzò e buttò l’asticciola in metallo rabbiosa sul tavolo, prese uno straccio e si pulì le mani dal sangue, mentre Tamara piangeva tremante ai suoi piedi – Sarà meglio per te che Bernard non mi chiami, come ti ho detto, ho lasciato questa merda alle mie spalle, non voglio essere costretta a tornare sui miei passi.
Prese le fasce e uscì dalla cella lasciando posto al ragazzo, poi raggiunse Levi che l’aspettava stoico all’ingresso dei sotterranei.
 
Nella carrozza sulla via del ritorno il silenzio che regnava tra i tre era a dir poco inquietante, nessuno si azzardava a pronunciare una singola parola. Siri era immersa nei suoi pensieri e non vedeva l’ora di arrivare al quartier generale e accertarsi di persona delle condizioni di Jean, Levi invece non vedeva l’ora di scendere e allontanarsi il prima possibile da Bernard, che aveva approfittato del fatto che la sua destinazione si trovasse subito dopo la loro per prendere con loro il mezzo. Nonostante si fosse trattato di una messa in scena, l’astio che il capitano adesso provava verso la spia di Pyxis era incalcolabile, quelle immagini l’avrebbero tormentato per notti intere. Quando finalmente arrivarono a destinazione, Siri aprì lo sportello e iniziò a scendere gli scalini, Bernard fece per seguirla, ma Levi pianto un braccio davanti a lui, afferrando l’uscio e sbarrandogli la strada: non appena la ragazza scese, Hange, che con la squadra di Levi aveva aiutato il corpo di guarnigione nella retata, la salutò e si lasciò abbracciare dall’altra, poi insieme entrarono nei dormitori dei superiori. Solo quando le due amiche scomparirono oltre la porta, anche Levi scese.
Bernard scese di un gradino: - Cos’hai tu che io non ho?
Il capitano si fermò e si girò di tre quarti verso di lui: - Come hai detto?
- Sei basso, sei antipatico. – lo squadrò indispettito – Sì, sei carino, ma non hai niente di speciale. Sarai anche il più forte ma non tieni a lei come ci tengo io.
Levi lo guardò pungente: - Bada a come parli spilungone.
 - Tu dai tutto per scontato, non è così? Lei ti guarda in quel modo, ti sorride, vuole stare con te… – Bernard respirava affannosamente per il nervoso, cercando di mantenere la sua solita strafottenza – Ma per te non ha alcuna importanza, la tratti come se fosse una persona come le altre. Lei è speciale e tu non la meriti.
Rimasero in silenzio, il capitano assorbì quelle parole e abbassò lo sguardo in silenzio, non poteva capire come si sentisse Bernard, ma avrebbe lasciato che diventasse il cattivo della sua storia, se questo l’avrebbe aiutato a stare meglio. Perché se da un lato non comprendeva i suoi sentimenti astiosi, sapeva com’era sentirsi impotenti davanti al destino e quella rabbia che quel ragazzo innamorato, o ossessionato, riusciva a giustificarla. 
- Mi ha dato lei quel ruolo, io non l’avrei mai toccata. Non sai che cosa darei perché lei…
- Hai ragione. – Levi lo interruppe e l’altro rimase sorpreso ad ascoltarlo – Non so perché lei preferisce me, non sono neanche sicuro di essere la persona migliore per Siri, probabilmente non la merito. – alzò gli occhi su Bernard mantenendo il tono serio e sicuro, voleva che quanto gli stesse per dire gli arrivasse chiaramente perché in una seconda occasione non gliel’avrebbe più ripetuto con calma – Ma è stata lei a scegliere me, non il contrario. È lei che vuole stare con me, e io a mia volta. Credo che se ti piace così tanto dovresti semplicemente accettare la sua scelta e farti da parte.
Nessuno dei due ebbe altro da dire, Bernard rientrò nella carrozza sbattendo lo sportello sconfitto, mentre Levi risalì semplicemente nella sua stanza. Dopo aver cercato invano di addormentarsi, era andato in infermeria, dove aveva trovato Siri seduta accanto al letto di Jean, la testa poggiata accanto al ragazzo addormentato: senza dirsi nulla, Levi le si era accostato e, dopo averla aiutata ad alzarsi, l’aveva abbracciata e poi accompagnata in camera. Le aveva chiesto di riposarsi e l’aveva salutata con un bacio sulla fronte, non avevano bisogno di dirsi altro per farsi comprendere.

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 - Diventa il mio amuleto ***


Nota: I primi capitoli sono in fase di correzione e riscrittura di alcune parti. Nel momento in cui pubblico questo capitolo il Prologo e il Capitolo 1 sono stati corretti e rivisti. Ad ogni futura pubblicazione vi terrò aggiornati. 
 

Capitolo 22 – Diventa il mio amuleto

 

You don't ever have to be stronger than you really are
When you're lying in my arms, and, honey
You don't ever have to act cooler than you think you should
You're brighter than the brightest stars
 
You're scared to win, scared to lose
I've heard the war was over if you really choose
The one in and around you

 
Ai bambini prima di andare a dormire si legge una favola della buonanotte, qualcosa che riesca a conciliare il sonno e che li aiuti ad affrontare la notte, già così piena di mistero e angoscia per l’oscurità di cui si contraddistingue per definizione. Storie fantastiche di maghi, streghe, orchi e draghi, a volte anche solo semplici principesse e cavalieri coraggiosi, ma comunque storie che scatenino del sollievo in chi le ascolta. 
Poi, crescendo, per andare a dormire non servono tante cerimonie, si chiudono gli occhi e basta, abbandonando quel rito tanto piacevole quanto infantile. Si sa, però, che spesso per molti adulti questo non basta per poter dormire e cosa rimane da fare per i più sfortunati?
A chi è troppo cresciuto per ascoltare una dolce storia della buonanotte o una canzone non resta altro che crearsi i propri amuleti per il sonno. Una tisana, un diario, una lettera o un bicchiere di vino. Non è detto che siano salutari, né tantomeno efficaci, ma se sono utili ad appesantire le palpebre troppo poco propense ad abbassarsi per i pensieri accumulati durante la giornata, allora è utile crearsene uno o più. 
Era in notti come quelle che Levi preparava la tisana di Siri e riapriva il diario di suo zio per rileggerne i pensieri, fermandosi col sonno alle porte perfettamente sulla riga che diceva chiaramente “quel ragazzo è il mio orgoglio più grande”, lasciandogli una sensazione strana mista tra rammarico e amara felicità. Contemporaneamente, a un piano di distanza, Siri prendeva da sotto il cuscino la lettera che Diya le aveva scritto poco prima di morire in occasione del suo ventiseiesimo compleanno. Tenne la busta chiusa tra le dita sopra la sua testa, si voltò verso Hange per assicurarsi che dormisse quindi estrasse il suo amuleto e rilesse per l’ennesima volta quei fogli bianchi, salvati per un caso fortuito da Pyxis che, oltre ad essersi occupato della sepoltura di Diya, si era premurato di svuotare l’appartamento della donna.
La sera in cui l’aveva ricevuta era limpida nella sua mente, era la stessa in cui Levi l’aveva aspettata (ad essere precisi, le aveva teso un agguato) fuori dagli alloggi di Erwin per la prima volta. 
- Mi aspetta in studio, comandante? – gli aveva chiesto, ormai avvezzi al loro appuntamento serale con gli scacchi. Finalmente era riuscita a batterlo una volta, dopo non ci era più riuscita e questo l’aveva resa ancora più ostinata.
Il comandante l’aveva guardata grave: - Sì Sigrid, raggiungimi lì.
Ma quando era entrata, lui non l’aspettava come suo solito al tavolo degli scacchi, era seduto sul sofà con una lettera nella mano.
- Sigrid, per favore, vieni a sederti di fronte a me. – lei, sull’uscio, aveva lanciato un’occhiata accigliata sulla busta che impugnava, poi aveva guardato i suoi seri occhi celesti – Oggi non giocheremo a scacchi. – aveva concluso lui appesantendo l’atmosfera di colpo.
Gli si era seduta di fronte su di una poltrona e aveva preso in silenzio la lettera che Erwin le aveva passato, mentre l’apriva con calma, lui disse: - Il comandante Pyxis me l’ha fatta recapitare, è per te: l’ha trovata sul tavolo da pranzo della casa di tua madre.
Siri sgranò gli occhi quando quelle parole si sommarono alla visione simultanea di quella calligrafia così dolorosamente familiare. Trattenne, con una mano davanti alla bocca, un sospiro di sgomento che le sfuggì dal fondo della gola, nonostante gli sforzi di mascherarlo tossendo subito dopo, entrambi nella stanza l’avevano sentito benissimo spandersi secco e rimbalzare sulle pareti.
- Puoi rimanere qui tutto il tempo che ti serve. Ti lascio sola. – Erwin quindi si era alzato e se n’era andato, lasciandole tutta la privacy di cui avesse bisogno, poteva immaginare come si sentisse e credeva che, come anche a qualcun altro di sua conoscenza, alla ragazza non piacesse mostrarsi vulnerabile davanti alle altre persone, in particolar modo ai suoi superiori.
 
Cara Siri,
oggi è il tuo sesto compleanno che festeggio senza di te, e questa volta ho pensato di lasciarti una lettera invece che un regalo o una candela alla finestra. Ho la vana speranza che tu possa rispondermi. A volte mi sembra d’impazzire perché vedo accadere attorno a me tante cose strane, come se ci fossi tu a farle accadere, ma non so se sono vere oppure è l’amore e la nostalgia che mi fa credere certe cose. Mi piacerebbe ci fosse ancora Shawn e che non fosse mai andato via da Trost, portava della sana logica nelle nostre vite troppo sentimentali, per lui fortunatamente non ho bisogno di accendere candele: non posso più nasconderti che mi manca moltissimo, ma mai quanto la mia bambina. 
Le persone che mi conoscono da sempre mi hanno continuamente chiesto se sentissi la mancanza di non avere un figlio mio, mentre quelle che mi conoscono da quando sei nata tu sanno perfettamente che io avevo una figlia, ma che l’ho perduta tragicamente e che la mancanza di non avere un figlio “mio mio” non l’ho mai avuta. Avrei voluto avere il tempo e la pazienza di dirti tutte queste cose e soprattutto farti capire fino in fondo quanto io, Shawn e Adrijana ti abbiamo amata. Senza contare tuo padre, ti ha conosciuta per così poco tempo ma ti ha amata tanto quanto noi e so che tu ce l’hai anche con lui per averti lasciata sola, so che sei arrabbiata con tua madre più di tutti perché ti sarà sembrato che non ti volesse accanto, ma non è così. Avrei dovuto dirti queste cose quando eri ancora con me, forse avrei potuto fare breccia nella tua testa dura.
Siri, mia dolcissima e testarda bambina, non devi essere arrabbiata con tua madre. Non era colpa sua, non credere neanche per un momento che lei non ti volesse bene: lei ti amava così tanto che non riusciva a perdonarsi l’immensa tristezza che le logorava l’anima e non le permetteva di dimostrarti tutto il suo amore come avrebbe voluto. Ha sempre vissuto in questa altalena di emozioni, ma da quando poi tuo padre è morto ha perso la forza di riportarsi su. Forse non dipendeva nemmeno da questo, magari anche senza che tuo padre morisse sarebbe successo ugualmente… in ospedale cerchiamo di sapere quanto più possibile sul nostro corpo, ma alla fine non sappiamo quasi nulla sulla nostra mente. 
Ma credimi quando ti dico che Adrijana ti amava più di qualsiasi altra persona al mondo e se potesse tornare più serena per dimostrartelo, lo farebbe senza alcun dubbio. Vorrei soltanto fossi vissuta abbastanza da fartelo capire perché tu sei la dimostrazione di quando i tuoi genitori si amassero profondamente, essendo tu il perfetto accordo dei due: tua madre ti ha donato la bellezza in tutte le sfaccettature del termine e tuo padre la forza d’animo, ed è così ingiusto che abbiano dovuto passare così poco tempo con te mentre io e Shawn ne abbiamo avuto in abbondanza.
Allo stesso tempo, ti suonerò un po’ egoista, ma sono felice lo stesso di come siano andate le cose perché altrimenti io non avrei avuto la possibilità di averti come figlia. È una confessione di cui mi vergogno profondamente e che sento di fare perché… non ha più importanza a questo punto, giusto?
Esprimerò il tuo desiderio di compleanno al posto tuo: spero tanto che questa lettera scompaia dal tavolo quando sarò tornata dal mio turno o domani mattina.
Spero di vederti presto.
Buon compleanno, Diya.
 
Diya non sarebbe più tornata a casa da quel turno in ospedale.
Si era più volte chiesta se la scelta di separare sua madre da Shawn fosse stata quella giusta, al tempo era stata comunque quella più sicura: lo spostamento improvviso del mentore attirava meno l’attenzione, rispetto a quello di Diya o di entrambi. Sia la spia che Pyxis ritennero più saggio lasciare l’obiettivo più sensibile esattamente dov’era, sotto gli occhi di tutti per confondere chiunque avrebbe potuto pensare lei fosse ancora viva. E questo gioco psicologico aveva funzionato, fino al giorno del suo ventiseiesimo compleanno in cui le carte si scoprirono.
Siri finì di leggere la lettera anche quella sera, nel suo letto, con le lacrime agli occhi. Col tempo sapeva non avrebbe più pianto come lo aveva fatto la prima volta, era da giorni in realtà che la rileggeva senza commuoversi, ma quella sera era diverso. Rimise la lettera sotto il cuscino e si addormentò di sasso.
 
- Il livido è quasi andato via. – fece notare Levi non appena lei lo raggiunse, dopo che si erano inoltrati abbastanza nel sentiero della foresta.
- È passata quasi una settimana, vorrei ben vedere. – rispose, toccandosi lo zigomo ancora leggermente gonfio e verdognolo – E poi non era neanche così grande.
Levi la fulminò con lo sguardo e lei ricambiò perplessa: - Questa è come la storia della febbre, o della microfrattura giusto?
Siri sbuffò e poi guardò il cielo terso annusando l’aria: - Non senti anche tu odore di pioggia?
Lui non le rispose. Non lo sento e non me ne frega un cazzo della pioggia. Avevano già discusso di quello che era successo alla dimora degli Aurille, ma ogni volta che Siri si ostinava a definire il risultato del pestaggio come qualcosa di poco conto, non riusciva a rimanere indifferente e non stizzirsi, questo soprattutto dopo che lei aveva rivelato di avergli lasciato il pugnale nella tasca quella sera perché non si fidava completamente di Bernard e che temeva facesse il triplo gioco. Si trattava fortunatamente solo di un pensiero paranoico della spia dettato dai traumi del passato.
- Scusa se cambio argomento, ma ne abbiamo già parlato abbastanza. – disse la ragazza guardando altrove.
Il capitano lasciò correre perché tanto sapeva fosse una battaglia persa in partenza: Siri si sarebbe sempre ostinata a minimizzare i suoi malanni, ormai lui l’aveva accettato, ma sentiva di avere il dovere di farle rendere conto della gravità delle sue ferite anche per farle capire che doveva infischiarsene se la gente che teneva a lei si preoccupasse.
- Ho finito le mie ricerche sulla relazione di parentela tra Diya e Farlan, come mi avevi chiesto. – Levi si fermò, facendo voltare la ragazza verso di lui che, concisa, continuò – Condividevano un ramo della famiglia, vivevano tutti in superficie a Trost, poi il nonno di Farlan è stato mandato nei sotterranei dopo essere stato rilasciato di prigione. Era una pratica abbastanza comune…
Lui spostò lo sguardo ai suoi piedi: - Capisco. – non sapeva cosa si aspettasse dalle ricerche di Siri, non ne rimase deluso né tantomeno sorpreso, probabilmente, pensò, l’omonimia mi ha scioccato così tanto solo perché volevo parlarle. Infondo sapeva che questa era l’unica ragione plausibile per quel suo interessamento, anche perché un’eventuale parentela tra Diya e Farlan non avrebbe avuto alcuna implicazione nelle loro vite, se non quella di essere una semplice e plausibile coincidenza in un mondo così piccolo come il loro.
Levi riprese a camminare, superandola, Siri lo guardò impertinente e con un saltello lo raggiunse per poi posargli le mani sulle spalle: - Tutto qui? Non sei sorpreso delle mie capacità, – si sporse oltre una spalla sorridendo – non vuoi congratularti per la mia incredibile bravura?
Lui alzò gli occhi al cielo: - Ci sarebbe riuscito anche il moccioso.
La spia gli riscivolò accanto: - Sorpresa, è stato proprio Jean a fare le ricerche, il suo primo incarico. Mi ha fatto uno di quei… rapporti, mi ha fatta sentire come se fossi un pezzo grosso, la cosa non ti nascondo mi ha eccitata parecchio, lo dicevo ad Hange l’altro giorno, ho sentito la scarica di potere percorrermi tutta.
- Smettila di darti arie saltimbanco, potresti prendere il volo.
- Tranquillo, ci sei tu con la tua pesantezza a tenermi per terra. – Siri lo guardò di sbieco fare una smorfia seccata mentre lei sorrideva insolente. Quella sera c’era una brezza piacevole, ma più si dirigevano verso gli alloggi di Erwin più sembrava stesse diventando forte. Passarono alcuni secondi in silenzio, prima che Levi esordì chiedendole di Jean. Al ragazzo avevano spezzato due dita, incrinato due costole e lasciato qualche contusione sulla faccia e sul corpo, Erwin era arrivato appena in tempo con Ankha e Gustav, in quel cambio dei piani era stato mandato Armin a svolgere il compito di avvisare Siri e Bernard.
Alla domanda la spia tornò seria e abbassò lo sguardo, la solita sensazione di colpevolezza l’aveva nuovamente colpita e a Levi, che la guardò di sottecchi, non sfuggì: - Gli toglierò le stecche dalle dita a pochi giorni dalla partenza, ma in generale sta molto meglio. Sarebbe dovuto toccare a lui affiancarmi questa settimana, ma ho dovuto chiedere ad Armin di farlo al posto suo fino a quando non si riprende…
Il capitano tornò a guardare davanti a sé e serio disse: - Smettila di sentirti in colpa. E poi gli hanno spezzato l’anulare e il mignolo, dita inutili. Non servono neanche per pulirsi il culo.
Era un goffo tentativo da parte sua di tirarla su di morale, cercando di “minimizzare”, ma come al solito ne era venuta fuori una frase cinica e volgare.
- Ah beh, quindi se te le mozzassero saresti contento? Un impedimento in meno per la tua attività preferita.
- Le preferirei all’indice e al medio. O peggio ancora, al pollice. – Siri scosse la testa, lei sapeva di essere cinica ma non lo sarebbe mai stata quanto lui. Ripensò a quanto le aveva detto, buttò all’indietro la testa e rise piano mentre lui la guardava disorientato. Continuarono a camminare rallentando l’andatura, entrambi con l’intenzione di prolungare quanto più possibile il tragitto.
- Cerca di finire prima almeno questa volta. Per un paio di esercizi e un impacco ci metti due ore. Ad un certo punto iniziate ad intrecciarvi i capelli a vicenda o parlate anche di cose serie come dell’arazzo?
Siri trattenne una risata: - Argh, vorrei tanto fossero vere entrambe le cose, ma sai benissimo che Erwin ha i capelli troppo corti e con l’arazzo io e Hange ormai siamo arrivate a partorire teorie deliranti unicamente per il gusto di farle. – sospirò sconfitta – Giochiamo a scacchi.
Levi voltò il capo verso di lei con un leggero sussulto: non lo sorprendeva affatto che la spia passasse tutto quel tempo col comandante solo per giocare ed era sicuro che lei si fosse intestardita a voler fare ogni sera una partita perché, ci avrebbe potuto scommettere, il suo avversario non la lasciava vincere così facilmente, e sapeva bene quanto Siri detestasse perdere.
- Tch, scacchi… – ripetette a bassa voce, poi continuò e disse nello stesso momento in cui la spia ripeteva la stessa cosa: - Preferisco la dama.
Lei alzò le sopracciglia mentre lui prima spalancò gli occhi per poi distogliere lo sguardo.
- Cavolo, allora mi leggi veramente nel pensiero. Comunque, mi hai appena ricordato che in realtà ci sono novità sull’arazzo. – spostò lo sguardo verso il suolo impensierita – Sai, in un disegno ci è sembrato di riconoscere Mikasa…
- Sei seria?
- È stata solo un’ipotesi… Ritraeva una ragazza, aveva una cicatrice sul volto proprio come quella di Mikasa, potremmo anche aver visto male visto che è nel mezzo del disegno e nemmeno così grande, anche se… – entrambi si fermarono – Non credo sia una coincidenza.
- Lo senti. – suppose Levi retoricamente, Siri, infatti, annuì sovrappensiero. Avevano notato il dettaglio per caso mentre stavano tracciando su dei fogli le scene ricamate dell’arazzo: non era ben distinguibile con una prima visione sommaria, infatti Hange aveva notato la cicatrice sotto l’occhio della ragazza soltanto toccando il ricamo monocromatico oro che, proprio sotto l’occhio della fanciulla nella stoffa, cambiava direzione. Mettendo poi quella figura sotto la luce e muovendola in varie direzioni, avevano potuto constatare l’effettiva differenza nella cucitura: era chiaramente un particolare collocato lì intenzionalmente. Siri espresse a Levi i suoi dubbi sulla scoperta, che avevano già riferito ad Erwin il giorno prima, rivelando anche di essersi sentita alquanto inquieta, a differenza di Hange che si era mostrata al contrario estremamente elettrizzata. Tuttavia, aveva poi concluso, senza riuscire a tradurre cosa ci fosse scritto non avrebbero mai capito innanzitutto cosa potesse significare quella coincidenza, e poi se si fosse potuta rivelare utile alla causa oppure no.
Quando arrivarono agli alloggi del comandante, Siri interruppe l’esposizione delle sue teorie: - Bene, aspettami qui. Ci vediamo tra un po’. – fece per incamminarsi e uscire dagli alberi, quando Levi le prese delicatamente la mano per frenarla.
- Aspetta.
Siri si voltò a guardarlo confusa mentre lui si preparava ad affrontare quel discorso che li avrebbe portati, inevitabilmente, a prendersi a parolacce. L’aveva accompagnata ogni sera per praticamente una settimana da quando c’era stata la missione dagli Aurille e la spiegazione, ci aveva messo un po’ per trovarla, era che voleva cercare di addolcirla quanto più potesse prima di dirle ciò che aveva decretato. Oltre che rimandare il più possibile il momento del confronto: a Siri non sarebbe piaciuto minimamente, eppure sentiva lo stesso di dover provare a convincerla.
Prese fiato e si preparò alla sua reazione: - Siri, dovresti chiedere ad Erwin di non prendere parte alla missione di riconquista.
In quell’esatto momento una folata di vento più forte delle altre che li avevano accompagnati per tutto il tragitto li travolse, facendo stormire energiche le chiome sopra di loro. Una curiosa coincidenza, pensò Levi. Siri di tutta risposta s’impietrì sul posto e sfilò con uno scatto la mano da quella dell’altro.
- Come scusa?
- Te lo sto dicendo da capitano.
- Io te lo sto chiedendo in entrambi i sensi. – Siri fece un passo indietro per allontanarsi leggermente da lui, per poi farsi più dritta col busto. Continuavano a vedersi clandestinamente principalmente perché entrambi non volevano dare troppa serietà all’attrazione che c’era tra loro, a cui avevano miseramente ceduto, e poi perché, motivo non meno importante, entrambi, e soprattutto la spia, ricoprivano dei ruoli sensibili, l’ultima missione l’aveva dimostrato: mostrare apertamente l’interesse l’uno per l’altra li metteva a rischio. Nonostante ormai i nemici di Siri più pericolosi fossero stati neutralizzati, non si poteva mai sapere quali insidie potessero nascere da un momento all’altro, entrambi sapevano meglio di chiunque quanto queste potessero svilupparsi velocemente. Adesso Levi era convinto di aver saputo dividere la sua oggettività, in quanto capitano di Siri, dai suoi sentimenti personali per lei: implicitamente però stava facendo leva sui sentimenti della ragazza per convincerla, si stava raccontando una di quelle bugie per autoconvincersi del contrario.
Siri lo guardò truce, ma era estremamente calma: - E sentiamo, perché dovrei chiedere ad Erwin di non venire in missione con voi?
- Non hai fatto ancora abbastanza progressi. – aveva la risposta pronta, dopotutto si aspettava una domanda del genere dopo una richiesta come la sua. Siri, di tutta risposta, rise amaramente.
- Per favore, posso essere anche impulsiva e orgogliosa, ma sono abbastanza oggettiva per sapere che i miei progressi sono innegabili.
- Tagliare finte nuche qui è come imparare a cagare nel vaso da notte, se paragonato a quello che ti aspetta là fuori. – le rispose di getto.
Siri sorrise beffarda: - Adoro le tue figure retoriche, ma non mi ammagli con la tua superba dialettica.
Levi prese un respiro profondo, era convinto che nonostante la sua richiesta, che a lei poteva sembrare poco professionale, avesse ragione su tutta la linea: - Se preferisci che te lo faccia capire in questi termini: mentre le reclute sono agli occhi dei giganti cibo appetibile, tu in confronto potresti apparirgli come la carta con cui si puliranno il culo dopo averli mangiati. 
Siri rimase in silenzio, il vento le scompigliò i capelli mentre lo guardava impassibile: - Sai che questo potrebbe essere il discorso più lungo che tu mi abbia mai fatto? E l’argomento principale sono le feci.
- Prendi la cosa sul serio per favore.
Siri fece un passo verso di lui e lo guardò con un’espressione dura in viso, il vento si era alzato parecchio a questo punto, rimanendo però caldo e piacevole: - Quello che non prendo sul serio è questo tuo discorso. Ti ricordo che io sono il medico di prima linea, oltre che un soldato, se ci saranno feriti gravi con me avranno qualche speranza di tornare a casa, – strizzò gli occhi – quindi adesso dimmi, sinceramente, vuoi che non parta con voi perché pensi davvero che sono poco abile nel movimento tridimensionale?
Levi tenne fermo lo sguardo su di lei e usando un tono che non facesse tradire la benché minima esitazione, pronunciò un categorico: - Sì.
La spia distolse lo sguardo e sospirò, poi scosse debolmente la testa: - Ti avevo già detto che con me non puoi mentire, eppure l’hai appena fatto spudoratamente.
Lui non se n’era accorto, ma lo spasmo sulla base del suo sopracciglio aveva parlato per lui tanto quanto quel monosillabo. Aveva appena perso la discussione e lei non si era innervosita neanche lontanamente come aveva immaginato, tuttavia dopo poco continuò: - Non torniamo più a parlare di questa cosa perché non ti assicuro di mantenere la calma la prossima volta. E non mi va di litigare.
Levi non seppe più che dire, Siri aveva scoperto le sue vere intenzioni che nemmeno lui sapeva spiegarsi con chiarezza: in verità era morso dalla paura di perdere anche lei, come per i suoi compagni, ma questa volta il timore era così forte che l’aveva sopraffatto. Così aveva cercato di controllare, almeno per una volta, quell’aspetto così crudele e ricorrente della sua vita. Sentì talmente improvviso l’impulso di tornare ai dormitori e pulire da cima a fondo la sua camera, che chiuse il pugno frustrato, per poi riaprire la mano, arrendendosi al fatto che non avrebbe potuto cambiare la possibilità concreta di vederla morire tra tre settimane a quella parte.
Siri, nel silenzio interrotto solo dal fruscio delle foglie, sospirò e disse: - Se ti chiedessi perché hai iniziato a venire con me tutte le sere da Erwin, la risposta sarebbe la stessa che mi daresti per la domanda di prima, giusto? – Levi socchiuse la bocca sentendo il cuore mancargli di un battito – Potrei scommetterci Levi.
A quel punto lei gli si avvicinò, fermandosi solo a pochissimi centimetri di distanza da lui, tenendo gli occhi intensi fissi nei suoi. La voce di Siri sembrò abbassarsi e diventare più profonda: - A me tu piaci Levi. Io tengo a te in una maniera diversa dalla quale tengo a tutti gli altri. Io riesco a dirtelo. – lei quindi gli mise una mano sulla guancia, a Levi sembrò che il tempo avesse iniziato a scorre più lentamente quando, dai suoi occhi, lo sguardo di Siri si posò sulle sue labbra, su cui si stava abbassando. Improvvisamente, poco prima che le loro labbra si toccassero, Siri fece scivolare via la mano dal suo viso e si scostò da lui, dirigendosi verso gli alloggi di Erwin e lasciandolo imbambolato a fissare il nulla. Il capitano si voltò a guardarla, ma lei proseguì a passo spedito senza voltarsi, quando poi scomparve oltre l’uscio della porta, si lasciò scivolare lungo il tronco di un albero sospirando, per poi prendersi la fronte con una mano come se provato da una lunga corsa.
 
All’interno dello studio di Erwin i vetri delle finestre tremavano a scanditi intervalli di tempo, scossi dal forte vento che imperversava all’esterno: il rumore comunque non distraeva minimamente i due, soprattutto Siri che per la concentrazione si mordeva il labbro inferiore.
- Difficoltà? – il comandante, dal canto suo, non ne aveva alcuna e appariva estremamente rilassato, al contrario della sua avversaria che alla domanda si raddrizzò e rilassò l’espressione contratta che puntava alla scacchiera: - Assolutamente no, comandante.
Erwin sorrise condiscendente: - Il tuo atteggiamento nei miei confronti è molto cambiato da quando ti ho conosciuta, Sigrid.
Lei spostò un pedone dubbiosa mentre gli rispondeva: - Perché adesso lei è il mio superiore, e comunque la rispetto molto a prescindere.
- Anche nei confronti del capitano il tuo atteggiamento è cambiato? – involontariamente, gli occhi di Siri scattarono veloci su di lui che seppe ben interpretare la reazione prima che lei riuscisse a ripristinare la sua maschera d’indifferenza.
- Mmh, non proprio.
- Ma è comunque il tuo superiore, non provi la stessa reverenza?
- Sa che sono onesta con lei e, no, non la stessa. Ciò non toglie che lo apprezzi e rispetti molto, è leale oltre che un ottimo soldato, non gli disobbedirei mai a meno che non mi chiedesse qualcosa di sconsiderato. – Siri sorrise pacata e il suo interlocutore notò che arrossì impercettibilmente – Ma credo sia più probabile che ci colpisca un fulmine a ciel sereno.
- Hai ragione. – Erwin annuì e spostò un pezzo sulla scacchiera facendo sbuffare la sottoposta – Leale… Sì, è un aggettivo perfetto per descrivere Levi. È stata un’ottima aggiunta al corpo di ricerca. Si può dire che è diventato il mio braccio destro.
Siri trattenne a stento un sogghigno: - Non stento a crederlo. È una fortuna poi se ci pensa, visto che letteralmente le manca.
Erwin sorrise: - Te e Levi siete molto simili, ma allo stesso tempo estremamente diversi. – Siri si bloccò tenendo una torre tra le dita sopra la scacchiera e alzò lo sguardo su di lui, questo fece una piccola pausa occupata dallo sbatacchiare dei vetri alla forza del vento.
- Si può dire che siete complementari.
La spia mosse la mano rimasta sopraelevata e posizionò la pedina: - In altre parole sarei il vostro braccio sinistro. – ogni volta che parlava col superiore aveva sempre il presentimento che lui stesse tramando qualcosa o che stesse studiando ogni sua singola mossa, da quella degli scacchi a come si sedeva. Non immaginava volesse fare semplice conversazione e farle intendere che lui aveva inteso qualcosa sulla sua relazione clandestina, per cui gli rispose ambigua e pungente come al solito: - Sono stata anch’io una buona aggiunta alla sua collezione?
Ad Erwin raramente sfuggiva qualcosa e ormai aveva notato, in Levi in particolar modo, degli atteggiamenti diversi, all’evento coi nobili poi aveva avuto la conferma dei suoi sospetti. Non avrebbe mai creduto possibile che quel ragazzo schivo e dai modi discutibili che aveva conosciuto sei anni prima e che aveva visto diventare sempre più cinico, potesse lasciarsi andare e diventare in un qualche modo “sentimentale”. Siri sembrava proprio pane per i suoi denti e non lo sorprese l’accoppiata, quanto più il fatto che la situazione l’avesse indotto a pensare alla sua di vita sentimentale: aveva rinunciato ad avere una persona accanto, una vita normale, praticamente qualcosa che non aveva mai sentito di aver bisogno ma di cui adesso si sentiva leggermente invidioso. Levi forse qualche possibilità di averne una tutta sua adesso l’aveva, o, se non in quel momento, in un immediato futuro, il comandante infatti era sicuro che, comunque fossero andate le cose nella spedizione di riconquista, Levi sarebbe sopravvissuto. Siri invece aveva nettamente meno possibilità, eppure, quando osservò attentamente i suoi grossi occhi marroni che, dubbiosi, aspettavano una sua risposta, sentì che quella ragazza ce l’avrebbe fatta. E non perché era portata a sopravvivere come Levi, ma perché aveva imparato a farlo e si sarebbe saputa adattare anche ad un tipo d’inferno diverso da quello a cui era abituata: era animata da una strana forza a cui non riusciva a dare un nome o una spiegazione, in realtà era molto semplice ed era la paura, oltre che una forte determinazione.
Erwin sperò per Levi che ci avesse visto giusto e che lei sopravvivesse.
- Non c’è dubbio. – Erwin abbassò lo sguardo – Sai, Sigrid, quello che cerco di dire in realtà è che completate un quadro ben preciso. La vostra complementarità è interessante, tu nel tuo passato hai affrontato delle difficoltà, ma tutto sommato hai passato dei primi anni tranquilli in superficie e poi la tua vita ha preso una piega che potremmo definire immorale. Mentre per Levi è stato tutto il contrario. I suoi primi anni sono stati infernali, ha commesso un numero imprecisato di crimini per poi lasciarsi alle spalle tutto quanto.
Siri stette a sentirlo attentamente, non faceva fatica a seguire il suo ragionamento ma aveva dubbi circa la sua conclusione. Il comandante incrociò quindi il suo sguardo e parlò.
 
Nel frattempo, all’esterno, Levi stava ripensando a quello che Siri gli aveva detto prima di entrare e riviveva quella scena ripetutamente nella sua testa. Soltanto una folata di vento più forte e soprattutto fredda delle altre lo riportò alla realtà: alzò lo sguardo verso il cielo e notò che dei nuvoloni avevano coperto il cielo, l’odore pungente di pioggia aveva riempito l’aria. A quel punto decise di alzarsi e tornare indietro, avrebbe recuperato due mantelli per lui e Siri, voleva evitare si bagnasse e quindi di assistere ad un altro febbrone da cavallo della spia.
Tornò a passo svelto nel quartier generale e, proprio mentre afferrava due mantelli dalla sua stanza iniziò a piovere a dirotto. Scese due scalini alla volta e proprio sull’ingresso a due battenti dell’edificio, noto in lontananza Siri che, correndo sotto la pioggia, si stava dirigendo verso l’entrata: Levi, nella foga di raggiungerla, corse da lei senza indossare l’altra cappa che aveva preso per lui, bagnandosi completamente nel giro di qualche secondo sotto l’acquazzone. Appena la raggiunse a metà strada, le avvolse il mantello sulle spalle e la sentì emettere una risata scoppiettante quando le coprì per sbaglio anche la faccia col tessuto, facendola incespicare. Lui la prese per una spalla e le abbassò il cappuccio più in basso, questa volta di proposito, guidandola verso l’ingresso mentre gli arrivava alle orecchie il suo sghignazzare, coperto parzialmente dallo scrociare dell’acqua attorno a loro. Anche quando misero finalmente piede nell’atrio dell’edificio, all’asciutto, lui le tenne il braccio attorno e lei, col fiatone per aver corso e riso, si appoggiò con le mani sulle sue spalle.
Levi le chiuse più strettamente il mantello al petto: - Sei fradicia. – alzò poi gli occhi su di lei quando a quelle parole lei rise sommessamente: - Levi, sta pur sempre piovendo!
Dal naso di Siri cadde una goccia d’acqua, i capelli inzuppati le si erano appiccicati sulla faccia e lui le spostò dietro le orecchie quelle ciocche. Sotto quello strano magnetismo che li attraeva e impediva ad entrambi di prendere le distanze l’uno dall’altra, il respiro di Siri si era appesantito mentre a lui fu come se si fosse rallentato, sulle spine per quel bacio negato di poche ore prima.
- E poi anche tu ti sei bagnato tutto. – disse Siri quasi spirando le parole – Avresti potuto usare l’altro mantello per coprirti… – concluse socchiudendo gli occhi, sentendo i battiti nella sua cassa toracica che non riuscivano a placarsi nonostante non stesse compiendo alcuno sforzo.
Levi rimase impassibile: - Già…
Di colpo, lui non sostenne più la tensione smisurata e si spinse contro di lei, prendendole la nuca premette le labbra fredde sulle sue inspirando dal naso a pieni polmoni. Siri indietreggiò, ricambiando il bacio altrettanto intensamente, col respiro accelerato andò a sbattere contro un armadio alle sue spalle, producendo un tonfo che entrambi ignorarono. Le mani di Siri si fecero strada sulla camicia umida di Levi e quando infilò le dita tra le asole sfiorandogli la pelle gelida, solo il rumore di qualcuno percorre il corridoio alla loro destra parve ridestarli. La spia, rigirandosi, spinse Levi dietro l’armadio e lo schiacciò contro il muro: si separarono da quel bacio intenso rimanendo entrambi col fiatone, la ragazza spalancò gli occhi e si sporse guardinga oltre il mobile che li nascondeva. Quando sentì i passi dei due soldati spuntati dal nulla superare l’atrio e continuare a percorrere il corridoio, entrambi tirarono un sospiro di sollievo e la ragazza fece un passo indietro, allontanandosi dall’altro, ancora frastornato dall’intensità con cui si erano baciati poco prima. Improvvisamente tornarono a sentire il mondo attorno a loro, lo scrosciare della pioggia e un tuono che rimbombava in lontananza.
- Ehm… – disse Siri con una voce roca – Forse… Torno su, per dormire.
- Sì. – disse incolore Levi, rivolgendo lo sguardo altrove – È meglio tornare nelle nostre camere.
Salirono per le scale e si salutarono in fretta quando lui raggiunse il suo piano, mentre lei proseguì su per le altre rampe di scale. Quando il capitano chiuse la porta dietro di sé, rimase imbambolato a fissare la sua camera, sentendo ancora l’adrenalina percorrergli tutto il corpo: si portò le dita sulle labbra e gli sembrò di sentire ancora quelle di Siri sulle sue. Stava per togliersi i vestiti fradici di dosso quando sentì bussare alla sua porta: si voltò di scatto e aprì la porta, rivelando la figura della spia in piedi che imbarazzata si mordeva un labbro mentre lo guardava colpevole.
- Forse hai ragione. Sono così sfacciata come pensi tu. – Levi la osservò in silenzio per qualche secondo, poi le prese la mano e la tirò a sé chiudendo la porta, entrambi ripresero esattamente da dove erano stati interrotti e più sentivano la vicinanza dell’altro più la foga con cui l’uno cercava l’altra cresceva.
Siri iniziò a sbottonare la camicia bianca di Levi, le dita, di solito abili e ferme, in quel momento incespicavano tra le asole procedendo con una lentezza per lui snervante. Levi ad un certo punto, con una mano avvicinò a sé la ragazza afferrandola da un fianco, mentre con l’altra aprì la camicia con uno strappo, rompendo i bottoni ancora allacciati che volarono per la stanza, ticchettando ripetutamente sul pavimento. Mentre lui sfilava le braccia dalle maniche della camicia, Siri passò le mani sul suo petto, salendo coi polpastrelli dalle clavicole su per il collo avvolgendoglielo in modo da accarezzargli la mandibola coi pollici. A Levi, con quel contatto così delicato, venne la pelle d’oca e si sporse su di lei baciandole il collo. Sentendo le fasce dei palmi di Siri sulla pelle, avvertì l’impellente desidero di percepire le sue mani nella sua interezza sul suo collo, sul suo viso, su tutto il suo corpo: non riusciva a sopportare più quell’ostacolo con cui percepiva le sue mani ma non le sentiva. Lui voleva che la sua pelle aderisse alla sua. 
Le prese una mano e risalì lungo l’avambraccio, cercando l’incastro della garza: Siri, nonostante l’impeto del momento, capì immediatamente le intenzioni di Levi e ritrasse il braccio d’istinto ritraendosi di poco. Lui la guardò mentre lei farfugliava: - Scusa, io non volevo… Non l’ho fatto apposta…
Lui la interruppe: - Siri se tu sei un mostro lo sono anche io. Siamo le persone più rivoltanti di questo mondo. E a me va bene così. 
Le prese la mano e la aprì, mettendole poi il suo palmo aperto nel suo: - Se le tue mani sono sporche di sangue, le mie sono ancora più sporche. Io non ho paura delle tue cicatrici perché sono anche le mie. – si concentrò sul rumore della pioggia che picchiava sulla finestra – Fino alla fi…
Si bloccò, accettando che la pioggia coprisse il suo silenzio e rimangiandosi all’istante quelle parole, lasciò sospesa una proposta che non poteva farle, una promessa che nessuno dei due era in grado di mantenere in quel momento. Siri, che era rimasta a sentirlo attentamente, afferrò l’orlo della sua maglietta fradicia e la sfilò via, facendola cadere per terra, rivelando il torace fasciato e l’addome fin troppo magro e segnato dalle cicatrici e i lividi giallastri. Deglutì e gli porse le braccia, lasciando che lui le snodasse le garze che caddero sul pavimento con un fruscio assieme ai loro indumenti spiegazzati.
 
Più tardi, la pioggia scendeva più debole e regolare e Levi poggiava la testa sul petto di Siri che, supina, dormiva profondamente. Completamente preso dal torpore, l’abbracciò più strettamente aggrappato alle sue spalle come temendo le sfuggisse via dalle braccia: mentre scivolava nel sonno profondo perdendo pian piano coscienza, aveva un solo inconsapevole pensiero nella testa. Non andartene. Non lasciarmi come hanno fatto tutti gli altri.
Il mattino dopo si risvegliò da solo, qualche ora dopo l’alba.
 
- Allora, ve lo ripeto per l’ultima volta: solo perché vi ci stiamo portando questa volta non significa che potete ordinare alcolici. – disse Siri minacciosa ai suoi compagni di squadra, che seguivano lei e il capitano mantenendosi a un paio di passi di distanza – Siete minorenni, in teoria non dovreste neanche poterci entrare, ma diciamo che al proprietario vado a genio e ha fatto un’eccezione solo per stasera. Quindi vedete di non fare casini.
- Hange è già lì, vero? – le chiese Levi senza voltarsi.
- Sì, non voleva più aspettare e ci è andata con Moblit, gli altri della sua squadra hanno dato buca. – Siri quindi si girò e tornò a camminare a fianco a Levi.
- Mi piacerebbe sapere chi è che abbiamo dovuto aspettare così tanto. – il capitano voltò la testa e fulminò i sottoposti – Non fatemi pentire di aver acconsentito.
- Eren non sapeva che mettersi, – disse Jean, Levi tornò a guardare davanti a sé seccato – ma alla fine ha scelto di mettersi la stessa maglia orrenda che aveva anche ieri.
L’altro, di tutta risposta, si avvicinò all’amico minaccioso: - Ehi, non sono mica io quello che ha perso tempo davanti lo specchio a pettinarsi.
- Sono contento che i tuoi stupidi esperimenti siano finiti, almeno non avrai più scuse per essere così lento!
Siri roteò gli occhi con un sorriso condiscendente sulle labbra sentendo il battibecco continuare. Nulla avrebbe potuto toglierle il buonumore quella sera: era finalmente riuscita a sintetizzare il farmaco che Erwin le aveva chiesto quando era entrata a far parte del corpo di ricerca, e che avrebbe aiutato Eren a rigenerarsi più velocemente. Quel giorno lo avevano sperimentato sul ragazzo e, non appena l’aveva ingerito, dal suo corpo aveva iniziato a venir fuori un getto di vapore più forte e veloce rispetto al solito. Una volta ripresosi, era riuscito a trasformarsi ripetutamente fino ad arrivare ad una terza, portando anche a termine l’indurimento del suo corpo da gigante con successo. Per questo, a Siri e Hange era venuta in mente l’idea di festeggiare e andare in una taverna di campagna frequentata perlopiù dai soldati, avevano invitato anche i membri più piccoli della squadra di Levi perché, dopotutto, anche loro avevano lavorato duramente e avevano aiutato Siri nella scoperta.
La spia aprì la porta della taverna e la tenne tale per far passare i ragazzi, quando passò Sasha davanti a lei le diede uno scappellotto amichevole, poi entrò lasciando andare il battente e raggiungendo Levi vicino il bancone che stava intimando al gruppo di mocciosi di non bere. Siri si unì a lui nelle raccomandazioni al gusto di minaccia: - Ricordatevi che avete a che fare con me, anche i muri hanno gli occhi. Anzi, soprattutto i muri.
- AH! Finalmente siete arrivati! – Hange si era avvicinata ai due seguita da Moblit.
- Abbiamo delle principessine, non dei soldati a cui badare. – disse secco Levi.
Siri tirò fuori un sacchetto pieno di monete e alzò un braccio, attirando l’attenzione del locandiere che si avvicinò: - Siri! – l’uomo vide il sacchetto e le sorrise sornione – È sempre un piacere averti nel mio locale!
Hange aggrottò le sopracciglia: - Ci vieni spesso?
Siri ignorò la domanda dell’amica e diede il sacchetto all’uomo: - Tutto quello che ti ordino io e loro tre, ai ragazzini a quel tavolo laggiù fai portare solo da mangiare e roba analcolica. La bruna può ordinare solo una portata, mi raccomando. È capace di svuotarti l’intera cucina.
Levi guardò sorpreso il sacchetto di monete, non credeva avesse così tanto denaro da sperperarlo in quel modo: - Saltimbanco per caso fai le rapine nel tempo libero per arrotondare?
Proprio quando lei si era voltata a guardarlo con una smorfia annoiata, si sentì chiamare da due soldati al centro del locale, lei si girò verso le voci e fece un sorriso a trentadue denti: - Lauda! Marlene! – s’incamminò verso di loro sotto lo sguardo scioccato di Levi e Hange – Preparatevi perché tornerete ai dormitori con le tasche vuote.
I due amici rimasero a fissarla confusi, Levi quindi chiese all’altra: - Quand’è che ci ha fatto amicizia?
- Non chiedermelo. Ero convinta fossimo gli unici che conoscesse, a parte Erwin e la tua squadra.
Moblit raggiunse Siri con gli altri veterani, rimasti soli, i due quindi si sedettero al bancone, mentre lanciavano ogni tanto occhiate di supervisione alla squadra di Levi. I ragazzini, sistematasi in un tavolo circolare, non si distingueva particolarmente rispetto agli altri ospiti del locale in quanto a baccano, c’era un piacevole brusio generale sopra il quale si poteva intavolare una conversazione senza alzare particolarmente la voce.
- Comunque siete davvero bravi, – esordì Hange ad un certo punto, dopo aver tirato un sorso di birra dal boccale – Siri è molto più discreta però, ed è tutto dire. Tu a tratti mi ricordi Mikasa, non riesci proprio a trattenerti…
- Ma che stai blaterando? – Levi si voltò a guardarla infastidito, lei di tutta risposta sorrise allusiva.
- Ho notato in quest’ultima settimana che Siri non è tornata a dormire in camera proprio tutte le sere. – a queste parole dell’amica, il sorso che stava bevendo andò di traverso al capitano, che tossì con forza.
- Abbassa la voce… idiota… – si lanciò un’occhiata intorno, ma a nessuno era parso interessare minimamente quello di cui stavano parlando.
- Non ho detto nulla a nessuno, dicevo solo che è interessante osservare il tuo comportamento in questa situazione. – si aggiusto gli occhiali spessi sul naso ridacchiando, guadagnandosi così un’altra occhiataccia – Un interessante risvolto degli eventi, insomma, a te non è mai piaciuto nulla d’impegnativo, poi non è che fosse la prima persona a farti il filo…
Lui scosse la testa, quindi questa volta fu ad Hange che andò di traverso la bevanda: - Non ci credo!
- Nemmeno io.
- Questo l’avevo inteso anche io. – Levi guardò in un’altra direzione seccato, lei si schiarì la voce, della birra ancora le occludeva le vie respiratorie – Dai, ti prego, adesso voglio sapere perché proprio lei, c’erano tante persone… Petra, ad esempio… – la caposquadra si bloccò all’istante e immerse il muso nel boccale, buttando giù parecchi sorsi, desiderando di potersi rimangiare quello che aveva appena detto.
L’altro abbassò lo sguardo sul contenuto del suo picchiere, osservando i cerchi concentrici all’interno: - È un ottimo esempio in realtà. Petra per quattro anni ha cercato di avvicinarsi a me, mi è stata vicina, ha fatto letteralmente di tutto. Eppure non ho mai provato nulla, in tutti quegli anni. – strofinò con le dita il manico in ferro – Siri è piaciuta dopo solo appena qualche settimana. Credo che sia la dimostrazione che non importa quanto tempo passi con una persona.
Hange era rimasta a sentirlo imbambolata, poi sorrise bonaria e guardò davanti a sé: - Una questione di chimica, credo di capire.
- Non è solo questo. – Levi ripensò alle prime volte in cui avevano parlato e si rese conto di una cosa importante che spiegava “l’insolita attrazione” – È stata la prima persona dopo anni che mi ha trattato come se non fossi il soldato più forte dell’umanità, come se non fossi… un’arma. Mi sono sentito normale.
Effettivamente, ci fece caso in quel momento, lei l’aveva fatto sentire vulnerabile, dal primo momento non si era lasciata intimorire dalla sua forza e con la sua faccia tosta, oltre che con una buona dose di cinismo, gli aveva rimarcato la sua umanità. Lanciò un’occhiata alla spia che con un boccale in una mano e la spalla di Moblit nell’altra parlava ad alta voce e rideva a crepapelle col resto dei soldati: un pensiero lo attraversò, troppo doloroso su cui concentrarsi proprio in quel momento. Quella vulnerabilità, che era lo stesso motivo per il quale non si scambiavano effusioni anche solo sommesse in pubblico, era convinto avrebbe sfavorito entrambi per quanto li facesse, allo stesso tempo, sentire più vivi.
Ma non ci avrebbe pensato in quel momento. Voleva, per ora, crogiolarsi in quel presente, ma presto quelle paure sarebbero diventate troppo assillanti da ignorare. Quell’idillio era già compromesso da un oscuro presagio.
L’amica accanto a lui alzò guardo il soffitto pensierosa: - Mmh… Credo di aver capito. È molto bello. – poi si abbassò sul bancone in modo tale che incrociasse il suo sguardo a forza – Ti ha fatto diventare anche più loquace.
Levi sbuffò, le prese la testa e gliela abbassò di quei pochi centimetri che le mancavano dal bancone, facendogliela sbattere con un colpetto. Hange si rimise dritta con uno slancio tastandosi il lato della testa: - Argh... io un giorno diventerò il tuo superiore.
Dopo poco, nel fracasso generale, non si accorsero che Siri li aveva raggiunti alle spalle e sobbalzarono quando prese entrambi per le spalle: - Ah, non ditelo agli altri ma siete i miei caposquadra preferiti, Lauda potrebbe offendersi. – li abbracciò avvicinandoseli a sé.
- Ne parli come se li conoscessi da sempre. – disse Levi accigliandosi.
- Neanche voi in realtà, però… – Siri li lasciò andare e rimase in piedi tra i due alle loro spalle – Ah a proposito, boss, ho lasciato che i mocciosi ordinassero un boccale ciascuno.
Hange la guardò e pronunciò un: - Siri… – sconsolata, mentre Levi si girò a guardare torvo prima lei e poi i suoi sottoposti che al tavolo si portavano i bicchieri alla bocca guardandosi attorno colpevoli.
- Tch. – il capitano si voltò di nuovo verso il bancone – Avresti dovuto chiedere.
- Ma è solo birra! Hange, ti sfido a fare a gara a chi beve di più e rimane più sobrio.
Levi poggiò il gomito sul bancone e disse piatto: - Non è una buona…
- Ci sto. – disse rispose l’altra chiamando eccitata il locandiere.
Sarebbe stata una lunga serata, pensò sconsolato il terzo.
 
- In te, Sigrid, vedo il male che c’è nel bene e con Levi non riesco che a vedere il bene che c’è nel male. Forse collaborando potrete trovare la vostra pace.

Nota a fine capitolo (più una riflessione): Volevo fare qualche precisazione su questo capitolo e aprire una piccola parentesi che riguarda due principali punti che ho affrontato in questo aggiornamento, ma partiamo con ordine dal primo che mi preme maggiormente perché si parla di PTSD e disturbo ossessivo compulsivo. Con la lettera di Diya ho cercato di renderlo più o meno esplicito (non sono mai sicura, scrivendo, che alcuni miei messaggi e “hint” vengano effettivamente recepiti e ho sempre paura che alcune cose possano essere fraintese), ma il “tema” principale, o meglio l’obiettivo, di questo capitolo è stato proprio portare alla luce i disturbi mentali di cui inevitabilmente ho pensato i personaggi dovessero soffrire. Per come la penso, non esiste né in cielo né in terra che personaggi con traumi come quelli di Siri, Levi, Bernard, ecc, non subiscano delle conseguenze più o meno gravi a livello di psiche. Isayama con Levi credo sia stato abbastanza bravo a dare un’idea del disturbo ossessivo compulsivo e mi è sembrato in un certo senso doveroso, oltre che realistico, fargli provare determinate cose nel momento in cui ha provato a controllare un aspetto imprevedibile della sua vita. Ossia che le persone a cui tiene lo lascino solo, morendo. Della serie:“sei il più forte dell’umanità, ma su questo non puoi farci proprio niente”, può comunque trattarsi di una mia personalissima visione delle cose. Su Siri non mi spreco molto perché, essendo una mia creazione, sento il dovere di approfondirla molto mentre scrivo e spero di aver spiegato già abbastanza il suo PTSD in precedenza; mentre con Levi a volte non sento sempre la necessità di farlo, e quindi specificarlo sempre, essendo “un prodotto già confezionato”, anche se comunque uno degli obiettivi della mia storia è donare anche a lui un’evoluzione. La sua crescita è in corso, spero di averlo fatto notare più esplicitamente in questo capitolo. In genere, comunque, ogni capitolo ha una sorta di “filo rosso” per così dire.

Il secondo punto, meno importante rispetto al primo, è quello che mi ha lasciata più indecisa di tutti mentre pianificavo i capitoli: all’inizio non sapevo se lasciare la relazione tra Siri e Levi platonica oppure no, ma alla fine ho deciso di lasciare che la loro storia si sviluppasse anche sul piano fisico. Ma all’inizio, ripeto, non era affatto così. Per caso una sera, mentre pensavo alla storia, mi è venuta in mente la scena della pioggia e non me la sono sentita di lasciare il loro rapporto platonico: in origine i due avrebbero dovuto scambiarsi il loro primo bacio soltanto durante questo capitolo, quindi avere un vero e proprio rapporto mooolto più tardi. La ragione era molto semplice: Levi. Isayama non ha dato un’idea ben chiara della sua vita sentimentale, per cui mi sembrava più coerente un amore platonico.
Quindi come sono arrivata alla decisione di scartare la mia prima stesura? Per due motivi, principalmente: Siri e Levi sono due persone adulte, a differenza, per esempio, di Eren e Mikasa in cui posso comprendere uno sviluppo del genere, quindi più lento; e poi per prendermi qualche “libertà da autrice” per rendere la storia più… mia. Scegliere di seguire questo percorso della narrazione mi ha, credo, anche invogliata di più a scrivere.
Ho cercato di lasciare il personaggio di Levi più canon possibile, ma è inevitabile che la mia personale visione delle cose abbia “intaccato” il suo personaggio, mi dispiace se non sono stata al 100% fedele all’opera originale ma spero che abbiate apprezzato lo stesso il tentativo.

Perdonate lo sproloquio ma sentivo la necessità di specificare queste cose, credo ci saranno altri tre capitoli (o quattro, non ho ancora deciso) e poi terminerà la seconda parte.

P.S.: il dialogo a fine capitolo è ciò che Erwin dice a Siri prima che lei se ne vada dai suoi alloggi (il continuo di quando ho interrotto il dialogo).

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 - Imprevedibile ottimista ***


Nota: da questo momento in poi ci saranno spoiler sulla terza stagione e oltre. Nella terza parte espliciti spoiler sul manga. Il capitolo 2 è stato corretto.
 

Capitolo 23 – Imprevedibile ottimista

 

Le persone che ho conosciuto erano tutte uguali. Ubriache di vino, ubriache di donne, ubriache di Dio, della famiglia, del re, dei sogni, dei figli, della forza. Tutte si sono ubriacate di qualcosa per poter tirare avanti nella vita. Erano tutte schiave di qualcos’altro.

 
Levi sospirò, cercando di mostrarsi quanto più contrariato e annoiato potesse, ma segretamente gli faceva piacere l’atmosfera che si era creata, la spensieratezza coinvolgente che le due amiche diffondevano attorno a loro. Mantenne la sua maschera impassibile anche quando Siri lo costrinse ad alzare i bicchieri con lei e Hange per brindare alla sua nuova invenzione e alla ottima riuscita degli esperimenti con Eren. Quando si fece parecchio tardi persino per lui, si scollò di dosso delle soldatesse che, con la scusa di voler ricevere da lui dei suggerimenti per l’abbattimento dei giganti, l’avevano accerchiato tenendolo impantanato in un’interminabile quanto inutile conversazione.
Nel frattempo che Siri era al tavolo coi veterani intenta a giocare a poker, la sua squadra, che il capitano continuava a tenere d’occhio, adesso era diventata decisamente più chiassosa, il motivo era l’ennesimo litigio tra Jean ed Eren. Armin aveva iniziato a cantare con altre soldatesse decisamente più grandi di lui sotto lo sguardo felice di Mikasa che, ogni qualvolta finissero di cantare un pezzo, applaudiva incoraggiando il migliore amico. A Jean non era sfuggita la delizia della ragazza e, dopo aver guardato prima la compagna applaudire con un sorriso e poi Armin grattarsi il capo imbarazzato, si raddrizzò sulla sedia: - Credo mi unirò ad Armin, sapete ragazzi, anche io me la cavo. In molti mi hanno detto che ho una bella voce.
Eren sbuffò: - Sì, certo. Scommetto che l’unica persona che te l’ha detto è stata tua madre, Jean-bo.
Connie diede uno scossone a Sasha che si era addormentata con la bava alla bocca sulla sua spalla: - Svegliati, ne stiamo per vedere delle belle. – la ragazzina si svegliò di soprassalto, scuotendo la testa si concentrò sui due che ora si fulminavano con lo sguardo a vicenda.
- Ma sta un po’ zitto… Almeno io non sono mai caduto di testa nel terreno per delle semplici prove di equilibrio.
Eren si alzò con uno slanciò, facendo ribaltare la sedia per terra. Mikasa si voltò verso di loro, valutando la situazione confusa.
- È stato un sacco di tempo fa! Almeno non mi portano alle scuderie alla fine di una missione!
A questo punto anche Jean si alzò, battendo il palmo della mano sana sul tavolo. Sasha e Connie si scossero a vicenda eccitati.
- Attento a quello che dici perché a quanto pare mi assomigli, visto che travestono sempre me come te, idiota! – Eren stava per afferrare il bavero della camicia di Jean quando questo venne tirato via da Levi, che poi spinse con una manata il ragazzo gigante lontano. Mikasa si gettò su Eren che era caduto di sedere sul pavimento: - Eren!
Il capitano non si lasciò intimorire dallo sguardo minaccioso che la ragazza gli aveva riservato e disse, con ancora il colletto di Jean in mano: - Smettetela. Vi avevo esplicitamente chiesto di non farvi riconoscere. – guardò tutti uno ad uno per poi soffermarsi sul malcapitato che aveva afferrato – Credo abbiate festeggiato abbastanza, l’ora della nanna è passata da un pezzo. Tornate ai dormitori.
Lasciò andare il sottoposto ben più alto di lui e osservò il gruppetto alzarsi e sgattaiolare via dalla taverna in silenzio: adesso che aveva sistemato loro, gli toccava occuparsi di altre due disturbatrici ben più mature. Solo che, mentre una delle due, dopo aver dato un po’ di spettacolo arrampicandosi sul bancone e aver blaterato follie senza senso, russava rumorosa sulla spalla di Moblit bagnandola con la bava che le colava dalla bocca, l’altra era ancora più che sveglia e stava diventando fin troppo molesta mentre spennava i suoi amici a poker. Sicuramente dopo quella partita non sarebbero più stati tali per un po’ di tempo.
Levi si avvicinò alle spalle di Siri che, con un sorriso e il viso rosso per l’alcol, gridò: - Guardate e piangete! – scoprì le sue carte sul tavolo scatenando lamentele diffuse tra i veterani, alcuni si coprirono il viso con le mani. Marlene si sporse sulle sue carte e la guardò contrariata: - Di nuovo scala reale?!
Siri si alzò barcollante, cercando di mantenersi in piedi si sporse verso il centro del tavolo per raccogliere il denaro e i vari oggetti che gli altri si erano giocati; Lauda, altrettanto alticcio, si alzò arrabbiato: - Ma è impossibile! Tu bari! – si sporse oltre la sua spalla, cercando di vedere dietro di lei – Fa vedere la sedia, ti sarai nascosta addosso delle carte, oppure sotto il sedere…
- Ti piacerebbe! – berciò ad alta voce la spia risentita, infilandosi il denaro nelle tasche, Levi notò che per quanto erano piene le banconote strabordavano – Il mio è talento naturale! Posso anche spogliarmi qui, adesso e davanti a tutti, ma non troverai un bel niente! – concluse puntandogli il dito contro con uno sguardo di sfida.
- Va bene, – Levi le afferrò il braccio teso contro Lauda e la tirò leggermente indietro – non esagerare adesso saltimbanco. – sapeva benissimo che il suo non era un modo di dire e che era ben capace di farlo. Tenendole il braccio, la manteneva in piedi mentre perdeva leggermente l’equilibrio da ferma; quindi, sporse l’altra mano libera e prese il bordo di un boccale sul lato del tavolo della spia per vederne il contenuto: era perfettamente vuoto, esattamente come gli altri tre vicini a questo.
- Mi correggo: hai già esagerato. – le prese il suo braccio e lo fece passare sulle spalle – È ora di tornare al quartier generale.
Siri lasciò cedere le ginocchia, tenendosi alle spalle di Levi che le afferrò il fianco per reggerla: - Ma come! Capitano, devo fare assolutamente l’ultima partita, sto vincendo sempre! – lui iniziò ad incamminarsi verso l’uscita.
- No, basta così. Hai dato già abbastanza spettacolo anche senza fare il saltimbanco. Moblit, ti occupi tu di Hange?
L’assistente annuì piano per non svegliare il superiore collassato sulla sua spalla, Levi quindi si voltò e iniziò a camminare trascinandosi al seguito una Siri recalcitrante: - MOBLIT! Ricorda ad Hange che ho vinto la scommessa!
- Tch, ma se tu sei messa male almeno quanto lei.
Non appena uscirono dalla taverna, vennero colpiti dallo sbalzo di temperatura repentino: sotto la luce lunare il clima era sì piacevole, ma decisamente più freddo rispetto all’interno del locale, che la moltitudine di persone rendeva caldo, quasi soffocante.
- Alla tua età, ridursi in questo stato. – le disse piano Levi, mentre la teneva saldamente accanto a sé. Siri, di tutta risposta, venne scossa da un sonoro singhiozzo e poi sghignazzò.
- Cavolo, parli proprio come un anziano! – rise più forte e poi disse, imitando una voce profonda – Alla tua età! – gli passò una mano sul petto mentre rideva di gusto.
- Spiritosa. Non ti reggi nemmeno bene in piedi. E poi tu bari sul serio: con la memoria che ti ritrovi giocare a poker dev’essere davvero uno scherzo per te.
La spia aspirò l’aria sdegnata: - Come osi! – fece schioccare la lingua sul palato – Guarda che contare le carte può funzionare fino ad un certo punto, è tutta una questione di recitazione…
- Quindi usi queste doti per arrotondare? – la ragazza, capendo subito lui stesse facendo riferimento al suo salario, scoppiò a ridere.
- Che c’è? Sei geloso perché guadagno più di te? – si sporse su di lui guardandolo languida – Se vuoi un regalo costoso non devi far altro che chiederlo.
Levi scosse la testa tra il contrariato e l’imbarazzato, alche lei gli stampò un bacio sulla guancia lasciandolo talmente sorpreso, che mollò la presa su di lei. Siri barcollò un po’ in avanti, ma poi si riportò accanto a lui che cercò di riafferrarla, ma lei lo rassicurò dicendogli che ce la faceva. Dopo un po’ che camminavano, Levi la guardò con la coda dell’occhio: - Mi chiedevo solo: se hai guadagnato una buona somma di denaro fino ad ora, perché non fai quella scuola lì. Quella per diventare un medico.
Siri si fermò, rimase a contemplare la strada davanti a sé per qualche secondo e poi andò a poggiarsi di schiena sul muro di un’abitazione lì vicina. Sospirò e poi disse: - Che senso avrebbe? Ora sono così presa da questo lavoro, c’è così tanto da scoprire. Non avrei pace se non scoprissi tutte le cose che voglio. – il capitano si poggiò anche lui, proprio accanto a lei – E poi… Non mi piacciono le cose lasciate a metà.
Alzarono lo sguardo al cielo, osservando la luna sempre più prossima alla fase del novilunio: quel corpo celeste rappresentava un promemoria piuttosto pressante, soprattutto per Levi che non faceva altro che pensare al fatto che in poco tempo sarebbero partiti per, forse, mai più ritornare. Per un momento sentivano solo il rumore di grilli e gufi che coprivano il silenzio piacevole di quella sera così fresca. Nonostante la quantità esagerata di alcol che Siri aveva bevuto quella sera, pensò Levi, era capace di reggerlo decisamente bene se era capace di formulare questo tipo di discorsi. Non l’avrebbe mai detto vista la sua eccessiva magrezza che fino a una settimana prima aveva solo immaginato e poi, ora, constatato: il suo stato lo spaventava un po’, la ragazza però l’aveva rassicurato, spiegandogli che in realtà da quando era entrata nel corpo di ricerca aveva acquisito molto più peso e gli allenamenti col dispositivo l’avevano aiutata parecchio in questo.
Ritenendo complice anche l’aria fresca, Levi la credette perfettamente capace di intraprendere un discorso più impegnativo.
- Ma non è quello che hai sempre desiderato?
Siri si allungò con la schiena strisciando sul muro: - In fin dei conti non sono già un medico? Un attestato non cambierebbe di molto le cose. I desideri poi col tempo possono cambiare, non so… Una delle cose che ho imparato in tutti questi anni è che fare piani o progetti troppo dettagliati non serve a nulla. – sospirò – La vita è così imprevedibile…
E qual è adesso il tuo desiderio? Tenne per sé quella domanda e, dopo aver lanciato una breve occhiata alla mano di lei abbandonata sul fianco, allungò lentamente il braccio nella sua direzione.
- E tu Levi? – Siri non distolse il suo sguardo dalla luna – Qual è la cosa che hai sempre desiderato?
Bloccò l’avanzata della sua mano ormai a pochi centimetri da quella di lei, ci pensò su quella domanda per un po’. Pensare al futuro non era nelle sue corde, realizzò che, a differenza di Hange o Siri ed Erwin che erano mossi dalla spinta di soddisfare la loro sete di sapere, lui viveva alla giornata, gli bastava svegliarsi al mattino e passare del tempo coi suoi amici, vivi e in salute, per stare bene. Trovò quindi la risposta, era così semplice da essere tremendamente banale. Eppure Kenny gliel’aveva detto: persone come Siri o Hange o Erwin, persino Eren con quel suo fortissimo desiderio di libertà, erano persone affamate di vita, che per tirare avanti si erano create degli ideali, qualcosa da inseguire per dare un senso alla loro esistenza. Forse non era un caso che lui si era ritrovato accanto persone del genere, così ubriache di desideri, di vita, che colmassero il suo vuoto, la sua mancanza apparente di un’ambizione più grande. Lui però aveva deciso di seguire quelle persone, non voleva avere la presunzione di essere l’eroe per nessuno, credeva nei loro ideali: non poteva credere che tutto non avesse un senso, non sarebbe stato come suo zio, anche a costo di essere uno schiavo.
Tornò ad allungare la mano e sfiorò le dita di Siri, per poi infilare le sue nel suo palmo fasciato, accarezzandolo: - Per ora… Vorrei solo… – le circondò l’interno della mano e fece scendere le dita lungo le sue, ma proprio mentre stava per intrecciarle e completare la sua frase, la spia emise un singhiozzo rumorosissimo, per poi ruttare, rompendo completamente l’atmosfera.
Levi si voltò verso di lei facendo cascare le spalle verso il basso mentre lei si portò le mani sulla bocca, soffocando una risata.
- Credevo avrei vomitato. – le parole le uscirono ovattate dai palmi, mentre lui scosse la testa e s’incamminò, lasciandola indietro.
- Forse sarebbe stato meglio. – dopo pochi passi si voltò verso di lei, allungando il braccio nella sua direzione, le porse la mano. Siri fece una corsetta barcollante verso di lui e si lasciò cingere in vita.
 
Camminavano tenendo i cavalli dalle briglie da ore, ormai in poco tempo avrebbero raggiunto il Wall Maria: nessuno dei presenti ricordava fosse così distante, almeno quelli che erano abbastanza vecchi e abbastanza vivi da poterlo fare. Levi, a capo del gruppo sulla destra, lanciò un’occhiata alla sua sinistra, indugiando sulle due persone che guidavano l’altro gruppo: Erwin guardava dritto davanti a sé, rigido e concentrato, seguito dalla sua apprensiva dottoressa. Siri aveva tenuto fede alla sua parola e non l’aveva degnato neanche di uno sguardo da quando erano partiti, aveva inoltre accuratamente evitato di incrociarlo. Non era stato nemmeno particolarmente difficile, presa com’era a confabulare col comandante, dopotutto era stato affidato a lei il compito di supervisionarlo e difenderlo anche a costo della vita.
Il capitano fece un respiro profondo, cercando di sopprimere il peso che gli schiacciava il petto ogni interminabile minuto che aveva passato da una settimana a quella parte: non sarebbe riuscito a scalfire l’orgoglio della ragazza, non questa volta, e si maledisse per quanto stupido era stato. Erano adesso a un passo dalla morte, così vicini alla resa dei conti e se mai uno dei due fosse morto… non avrebbero avuto l’occasione di riconciliarsi e andarsene all’altro mondo in pace tra loro.
Ed era tutta colpa sua.
- Capitano. – sobbalzò alle parole del soldato accanto a lui che lo chiamava – Albeggia capitano. Approfittiamo per far abbeverare i cavalli prima di proseguire?
Di tutta risposta annuì distrattamente e, chiudendo e aprendo il coperchio della sua lanterna, fece cenno ad Erwin di fermarsi: il comandante a distanza fece un breve cenno con la testa, Siri, poco dietro di lui, aspettò che il suo superiore di voltasse verso di lei per darle ordini ai quali assentì, per poi diffonderli ai soldati dietro di lei. Non un cenno, non una breve occhiata nella sua direzione mentre lui invece continuava a guardarla, speranzoso.
Il soldato accanto a lui invece lo guardava, e assai a disagio, visto che di solito il suo superiore era ben più risoluto e pragmatico: - Capitano, mi occupo io del suo cavallo? È l’ultima occasione per fare una breve pausa. All’ultima sosta non ne ha approfittato.
Levi finalmente si voltò verso il sottoposto, dedicandogli la sua attenzione: - Sì. Approfitterò per “andare in bagno” e poi andrò dalla mia squadra. È ancora nel terzo settore della formazione?
- Sì signore, sono con la squadra del capitano Zoe. – il capitano gli fece un breve cenno col capo, volse lo sguardo un’ultima volta in direzione di Siri, seduta accanto ad Erwin intenta ad indicargli qualcosa su una cartina, e poi si allontanò nella foresta ancora al buio, per adempiere ai suoi bisogni. Ripensandoci aveva provato ad avvicinarsi a Siri, ma lei non si era mai allontanata dal comandante, anche quando aveva raggiunto la sua squadra si era premurata di non rimanere mai da sola e concedergli quindi di parlarle e, poteva giurarlo visto che non l’aveva inevitabilmente persa di vista neanche per un minuto, non era andata neanche una volta in bagno dall’inizio della spedizione.
Forse ci va quando ci vado io, pensò.
“- Non mi cercare più. Trattami come uno dei soldati a cui impartisci gli ordini perché d’ora in poi sarò solo questo per te.”.
Ogni tanto le risentiva rimbombare nella sua testa, parole fredde, rotte dal pianto e dall’amara consapevolezza che ancora una volta la fiducia di Siri era stata tradita e a farlo era stato lui. La notte prima della partenza in infermeria aveva cercato di porre rimedio a quello sbaglio, aveva cercato di chiederle scusa, ma sapeva avrebbe dovuto dimostrarle coi fatti di essersi davvero pentito.
Come aveva potuto pensare che tradire la sua fiducia, a una settimana dalla partenza, potesse essere la soluzione? Allontanarla in quel modo, aveva pensato che avrebbe potuto giovare ad entrambi, eppure si sentiva peggio di quando aveva fatto quel maledetto sogno che l’aveva portato a prendere la sua decisione. 
Non era mai stato bravo coi sentimenti, esprimere le proprie emozioni, poi, una delle sue fatiche più grandi.
Tornò indietro verso la legione e a grandi passi si diresse verso il gruppo di Hange, per accertarsi che la sua squadra non stesse avendo un attacco di panico, inoltre per Eren, Mikasa ed Armin immaginava dovesse essere parecchio difficile. Infatti, una volta raggiunti, Eren era seduto ai piedi del suo cavallo, appariva abbastanza disorientato e qualcuno, incappucciato come il resto di tutti i soldati, era inginocchiato davanti a lui e, prendendolo per le spalle, gli stava parlando. Fece una breve rassegna dei soldati e convenne che, visto che tutta la sua squadra e quella di Hange era lì vicino a lui, chi stava parlando con il ragazzo non poteva che essere Siri. Quando infatti la figura, di spalle rispetto a lui, si alzò, aiutando Eren a fare altrettanto, e si voltò nella sua direzione, rivelò essere proprio la spia: quest’ultima in quella circostanza non poté non incrociare lo sguardo con quello del capitano, il quale sentì il suo cuore mancare di un battito quando la vide negli occhi per la prima volta dalla notte precedente.
L’espressione di Siri rimase imperturbabile, furono attimi quelli che Levi potette assaporare perché lei si dileguò in men che non si dica.
- Tutto bene Levi? – Hange gli aveva poggiato una mano sulla spalla e lo guardava preoccupata – Scusa, ti stavo chiamando ma sembravi non sentirmi.
- Tutto bene. Sono venuto solo a controllare che i marmocchi non se la stessero facendo troppo sotto. Ho bisogno che rimangano concentrati.
L’amica annuì comprensiva, ma poi lo guardò severa dietro le spesse lenti quadrate: - E noi abbiamo bisogno che lo rimanga anche tu. – lui la guardò con una punta di avversione – Ci sarà sicuramente il momento di confrontarsi quando tutto questo sarà finito, ma cerca di prendere esempio da lei.
Hange sospirò e Levi volse lo sguardo davanti a sé, vergognandosi di aver reagito a quel modo. Aveva allontanato Siri perché era convinto che con la sua emotività si sarebbe autosabotata nella spedizione, eppure ora quello in preda alle proprie paure era lui, quello che stava ricevendo ammonizioni per il suo comportamento era sempre e soltanto lui.
- La tua squadra sta andando anche meglio del previsto, un po’ di emozioni, una piccola crisi per Eren e Armin, ma Siri ha già provveduto a sistemarla. – Hange si grattò la testa con un sorriso sconsolato – In questo senso era la migliore in grado di occuparsene.
- Bene. Allora vado. – lui quindi si allontanò in fretta, raggiungendo il capo della formazione.
Quel breve colloquio con l’amica l’aveva fatto rinsavire, avrebbe preso esempio da Siri, aveva delle grosse responsabilità verso tutti quei soldati, quindi avrebbe mantenuto il sangue freddo per il bene di tutti. Avrebbe ignorato momentaneamente quel peso sul petto per la buona riuscita della spedizione.
Strinse le cinghie del cavallo e raccolse dentro di sé tutta la determinazione di cui disponeva: sentì del nuovo vigore dentro di sé, quel giorno avrebbero chiuso la breccia, avrebbero scoperto il segreto che si cela oltre le mura, quello che sarebbe venuto dopo non aveva importanza.
- Capitano. – si voltò verso quella voce tanto perentoria quanto dolce e familiare – Il comandante Smith fa sapere che il nostro gruppo è pronto a ripartire.
Siri lo guardava rigida e con uno sguardo tagliente, Levi ricambiò altrettanto contenuto, temporeggiò qualche secondo avendo l’occasione di guardare ancora una volta, forse l’ultima, quei grossi occhi nocciola.
Perdonami, sono stato un imbecille.
- Vi do il segnale non appena lo saremo anche noi. – la osservò quindi allontanarsi e scomparire tra i soldati dell’ala sinistra poco dopo.
Montò in sella molto più concentrato di prima. Avrebbero chiuso la breccia. Avrebbero scoperto il segreto delle mura. Sarebbero tornati a casa quanti più soldati possibili.
Ce la faremo.
- Capitano, siamo pronti. – il soldato di prima gli si era accostato a cavallo.
- Dà il segnale. – rispose Levi. Ripartirono, quindi, alla volta di Shiganshina che raggiunsero perfettamente all’alba.
Quando Eren chiuse la breccia esterna quasi non ci voleva credere. Ci erano davvero riusciti.
Tornati da Erwin e il resto del plotone, Siri e il comandante erano separati dal resto dei soldati e ascoltavano attenti Armin: il ragazzino stava esponendo una sua idea e da come la spia guardò Erwin apprensiva, Levi capì al volo che c’era qualcosa che non andava.
Effettivamente né il gigante corazzato né tantomeno il colossale si erano fatti vedere, cosa che invece si aspettavano. All’improvviso il comandante finalmente parlò e diede ad Armin le redini di due squadre, fu allora che Levi si avvicinò guardingo alla coppia.
- Erwin, che significa?
- Il ragazzo ha avuto un’intuizione. – gli rispose il superiore, mentre Siri accanto a lui non distoglieva lo sguardo accigliato dai soldati che, sotto i timidi ordini di Armin, si accingevano a tamburellare le mura alla ricerca dello scomparto segreto dentro il quale pensavano si nascondessero i loro nemici – Ho pensato fosse opportuno lasciarlo fare.
- Comandante… ho un brutto presentimento. Come se fossimo caduti in una trappola. – Siri quindi si voltò incontrando gli occhi cristallini del superiore che la fissò intensamente. Conveniva evidentemente con lei, perché risoluto ordinò a Levi di appostarsi con gli altri soldati sul bordo delle mura, pronti ad agire.
Siri sgranò gli occhi quando vide un componente della squadra Lauda infilzato dal ragazzo che doveva essere il detentore del corazzato, si sporse poi quasi terrorizzata quando vide Levi buttarsi a capofitto verso Reiner, trafiggendolo due volte. La spia fece un passo avanti coi manici del dispositivo già nelle mani, quando un colpo di tosse di Erwin alle sue spalle la fermò.
- Sigrid, mantieni la calma. – lei si voltò a guardarlo – Sei stata bravissima finora, ma adesso ho bisogno più che mai che tu mantenga la risolutezza.
Siri rivolse di nuovo lo sguardo in basso e poi fece un passo indietro, estrasse comunque le lame, pronta a difendere Erwin. La ragazza non aveva mai visto così da vicino un gigante così diverso da uno puro o da quello di Eren, quando vide gli occhi gialli e luminosi del corazzato puntare verso di loro, ne fu affascinata quanto spaventata: notò l’indurimento delle sue dita e chiamò Armin e Hange non appena iniziò la sua scalata delle mura verso di loro.
- Erwin. – senza alcun invito, anche Levi si era avvicinato al gruppo – Adesso che facciamo?
Proprio quando stava per dare gli ordini, alle loro spalle una miriade di lampi luminosi si stagliarono nella radura, confermando il presentimento di Siri. Una lunga fila di giganti capitanata dal gigante bestia li aveva circondati, mettendoli in trappola: la spia rimase a bocca aperta, sconcertata. Poi, carpì un movimento fulmineo e un enorme masso in aria puntare nella loro direzione, in un lampo fu su Erwin facendogli scudo. Ben presto però si rese conto che non erano loro gli obiettivi: l’enorme roccia si schiantò nella breccia interna.
Siamo davvero in trappola adesso. Siri era nel cerchio in cui Armin, Erwin e Hange valutavano la situazione, le loro voci le arrivavano nitide ma non abbastanza da coprire il rumore delle dita del corazzato che si conficcavano nelle mura, avanzando pericolosamente verso di loro. Sentì la testa vorticarle, ricordi, pensieri alla rinfusa e rumori le confondevano la mente, quella familiare sensazione di sentirsi sopraffatta da tutti quegli stimoli, esterni ed interni, che la facevano sentire come se si trovasse in un enorme centrifuga. In tutto quel parlottare dei suoi compagni d’armi, una parola sentiva più chiaramente rispetto alle altre: cavalli. Ripetevano tutti la stessa cosa: proteggere i cavalli, puntano a non farci scappare coi cavalli, abbiamo bisogno di quei stramaledetti cavalli.
Alla fine, esasperata, sbottò facendo zittire il gruppetto: - IO DICO FANCULO I CAVALLI!
Si voltarono tutti e quattro, persino Levi che era rimasto nei paraggi, stupefatti verso di lei, finalmente li aveva messi a tacere.
- Sigrid? – Erwin corrugò le sopracciglia – Cosa vuoi dire?
La ragazza sospirò nervosa. Alzò lo sguardo e si soffermò sugli occhi glaciali di Levi: lui ebbe come un déjà-vu, ma questa volta lesse dell’altro nell’espressione della ragazza. Lei aveva pensato a qualcosa, ed entrambi erano consapevoli del fatto che a lui l’idea non sarebbe piaciuta.
 
Siri teneva il mento sulle mani intrecciate e osservava la scacchiera concentrata. Dentro di sé stava gongolando perché sembrava vicina alla vittoria, la seconda in un mese, due settimane e sei giorni, eppure non voleva assolutamente farsi prendere troppo dall’eccitazione, per cui stava reprimendo come mai prima di allora tutto il suo entusiasmo.
Lanciò un’occhiata al suo imperturbabile avversario e poi, mordendosi il labbro inferiore nervosamente, spostò la torre che stava fissando da un lasso di tempo che era sembrato interminabile per entrambi i giocatori. Erwin chiuse gli occhi e, con un sorriso condiscendente, annuì: - Ti dispiace se dichiaro la mia sconfitta semplicemente arrendendomi? – Siri si raddrizzò sulla sedia esultando il più sommessamente possibile – Oggi dovrei occuparmi di una comunicazione improrogabile.
La spia l’aveva ignorato completamente mentre si alzava e guardava dall’alto la scacchiera, per imprimere al meglio nella sua testa la posizione delle pedine e godersi la sua vittoria.
- A questo proposito… – Erwin si alzò e tolse l’impacco dalla spalla – Ti dispiacerebbe far salire Levi?
Siri ancora sovrappensiero disse distrattamente: - Nessun disturbo… – poi, resasi conto della richiesta, strabuzzò gli occhi e voltò la testa verso il superiore, stringendo più saldamente i bordi del tavolino sotto di lei – Come ha detto, scusi?!
Erwin le rivolse uno sguardo gelido che la fece rabbrividire: - Vi ho visti, dalla finestra, arrivare insieme. Mi sbaglio forse?
Lei deglutì, cercando di ingoiare inutilmente quel groppo in gola: - No, non si sbaglia. – ammise quindi colpevole. Non aveva mai disobbedito ad un superiore, non si era mai trovata in una situazione simile con Pyxis perché in tutti quegli anni non aveva mai tradito la sua fiducia: non era pronta a reagire in una situazione del genere.
- Non credo che proprio tu abbia paura del buio, Sigrid. Mi domando se a questo punto il capitano ti accompagni perché sa più del dovuto. – disse Erwin asciutto, mentre infilava il braccio nella camicia.
La ragazza lasciò andare il tavolino e, quasi con le lacrime agli occhi, disse: - No signore! Non è così!
- E come allora, Sigrid?
Lei, il cuore che le martellava nel petto per l’agitazione, si leccò le labbra in cerca di una scusa plausibile che riuscisse a nascondere la verità a quel macchinatore impeccabile. Poi, come se un fulmine le avesse trapassato la testa, eccola lì. La mezza verità più autentica che potesse dirgli. Chiuse gli occhi, facendo uno sforzo immenso le sue labbra si aprirono e richiusero più volte prima di riuscire a pronunciare: - Ecco… Io e il capitano…
Eccola qua, pensò, la spia migliore di tutte andare in panico totale per aver ceduto alle emozioni e per aver tradito per la prima, e ultima volta, intimò a sé stessa, un suo superiore.
Era molto meglio che il comandante venisse a sapere della sua relazione clandestina piuttosto che lei avesse spiattellato tutto alla persona a cui aveva esplicitamente chiesto di non dire assolutamente nulla.
- Capisco. – Erwin abbottonò anche l’ultimo bottone della sua camicia – Levi effettivamente può essere protettivo nei confronti delle persone a cui tiene. Dovresti chiamarlo lo stesso, ho delle comunicazioni importanti da dargli.
Siri sospirò sconfitta, non aveva il coraggio di guardarlo in faccia: - Va bene… – riuscì a dire, prima di uscire dal suo studio e scendere le scale piena di vergogna.
Aprì la porta e la lasciò aperta, poi si diresse verso l’albero dietro cui aveva lasciato Levi che, alzatosi da terra, guardava interrogativo prima lei e poi la porta aperta.
- Saltimbanco, perché hai lasciato aperta…
- Vieni. – senza lasciarlo finire, gli fece cenno con la mano e poi si rigirò verso l’edificio, lui, confuso, rispose: - Come sarebbe? Ohi, ma che… – sgranò gli occhi – Erwin lo sa? Puoi anche non dirgli tutto quello che succede al quartier generale.
Lei si girò verso di lui e alzò le braccia nervosa: - A quanto pare non gli si può nascondere proprio niente. Avanti, muoviti.
- E cosa vuole ora da me? Non ho fatto nulla di male, sei la mia sottoposta ma tu non sei una recluta.
Siri agitò le mani in aria frustrata: - Levi, non m’interessa. Vieni e basta per l’amor del cielo. – lui la raggiunse e s’incamminarono verso la porta con larghe falcate – Non credo comunque voglia parlare della tua vita sessuale, visto che sembrava volesse dirti qualcosa di serio. Perlomeno il peso di questa figura di merda sarà diviso equamente.
Mentre attraversavano l’uscio lui le disse risentito: - In che senso qualcosa di serio, saltimbanco?
Siri non ebbe l’occasione di ribattere a quell’insinuazione di Levi, in pieno fraintendimento, che Erwin aveva fatto capolino dalla sommità della rampa di scale: dopo che i due ebbero incrociato il suo sguardo si zittirono, il capitano assunse una delle sue più proverbiali espressioni intimidatorie e scocciate e iniziò a salire le scale facendo ben intendere il suo disappunto, mentre Siri lo seguì a sguardo basso e, come in poche altre volte nella sua vita, in imbarazzo.
Quando entrarono nello studio, la spia indugiò sulla porta: - Comandante, io posso andare?
- Non è necessario. Anzi, vorrei che tu rimanga.
- Così non dovrai ripetere il discorso due volte? – sbottò Levi, mentre Siri chiudeva la porta – Prima che inizi con uno dei tuoi discorsi ben studiati del cazzo, lascia che ti dica una cosa. Se è con me che vuoi iniziare a far rispettare le regole, ti sbagli di grosso.
Siri si bloccò davanti al divano verso cui si stava dirigendo, e su cui era seduto il capitano che adesso guardava inorridita: un conto era fare battute sarcastiche ai superiori e conversare amichevolmente, un altro era mancare così tanto di rispetto, pur sapendo di essere nel torto. Spostò lo sguardo su Erwin col cuore in gola, quando lo vide ridere sommessamente credette di avere un infarto, tant’è che si mantenne alla spalliera del divano.
- Sono contento di vedere che ti fai valere con così tanto ardore per i tuoi sentimenti Levi, ma non è per farti una lavata di capo che ti ho fatto venire qui. – Siri si lasciò scivolare al capo opposto del divano, sedendosi comunque distante da Levi – Si tratta del fluido che ti ha consegnato Kenny: ho preso la mia decisione e prima di comunicarla a tutti gli altri volevo prima dirla a te in privato e parlarne. All’indomani, come saprai, mancherà una settimana alla partenza e ci sarà la riunione con tutti gli altri capitani, oltre che Siri, poi a cena comunicheremo al battaglione la decisione.
Erwin parlò abbastanza a lungo, mentre il suo designato era rimasto in silenzio a seguire il suo discorso annuendo o emettendo monosillabi sporadicamente. Siri per conto suo l’aveva osservato attentamente e anche quando poi erano sulla via del ritorno, rimase in silenzio sia perché intenta a contemplare la sua espressione di sottecchi che anche perché ancora sopraffatta dall’imbarazzo.
- Ohi saltimbanco. – lei si voltò a guardarlo – L’ultima volta che ti ho sentita così silenziosa stavi memorizzando dei documenti illegali, e non mi sembra ce ne siano altri nei paraggi al momento.
Siri scosse la testa: - È solo… È una grande responsabilità.
Lui la guardò, capendo al volo a cosa si riferisse: - Sì.
Il giorno dopo Siri ripensò più volte alla conversazione che seguì, ma non poteva sapere cosa stava passando per la testa dell’altro da qualche giorno a quella parte: - Quindi non pensi assolutamente a quello che potrebbe succedere? Le conseguenze di questa responsabilità? Non fraintendermi, io ti ritengo perfettamente capace di affrontarle, ma… sono preoccupata per te.
Si fermarono davanti al quartier generale e lei afferrò le sue mani.
- Levi… con me non devi fingere di essere indistruttibile. Capisco che è una tua responsabilità e che la prenderai senza esitazioni, però sei umano e in molti qui lo dimenticano, ma non io.
- È così quindi. – le strinse le mani, tenendo piantati gli occhi nei suoi – Ti preoccupi più per me che per te stessa.
- E tu più per gli altri. Non è questo il punto. Io posso pensare a me e avere cura anche degli altri. Vorrei solo che mi dicessi come questo, tutto questo, ti fa sentire.
Lui si accigliò, e se da una parte voleva allontanarla per il suo bene, dall’altra non aveva alcuna intenzione di lasciarla andare.
- Vorresti potermi aiutare, ma Siri…
La ragazza alzò gli occhi al cielo e lo interruppe, sfilando via le mani dalle sue con uno slancio delle braccia verso il basso: - Ma, ma, ma, c’è sempre qualcosa che non riesci a dire.
- Non sono quel tipo di persona.
- Quindi non senti nulla? – Levi distolse lo sguardo irritato, mosse i piedi come per voler sfuggire da quella conversazione – Non puoi parlare di quello che senti o non vuoi farlo? Secondo me non vuoi, te la prendi tanto con me perché penso troppo agli altri e troppo poco a me stessa, ma tu chi sei per giudicarmi? Fai la faccia di bronzo davanti ad Erwin e dici “oh sì tranquillo, obbedisco senza fare domande, è quello che vu…
- IO… – Siri si bloccò all’istante, Levi le si era avvicinato con saette che gli uscivano dalle orbite – Io non voglio e non posso. Tutto questo pesa sulle mie spalle come non potresti mai immaginare, tutti si aspettano che reagisca in un certo modo, che tenga da parte sempre le mie emozioni e deve essere così. Mi sento responsabile di ciascuna di quelle morti, di ognuno dei miei compagni perché io sono il più forte dell’umanità, e se lo sono e sono coi miei soldati, perché loro muoiono? – la spia lo guardava con gli occhi spalancati mentre lui le vomitava addosso, tutto d’un fiato, come si sentiva – Non dovrebbero morire se io sono con loro, sono il più forte, eppure non sono mai abbastanza forte.
Piombò il silenzio più assoluto, non c’era nulla di appropriato che Siri potesse dirgli in quel momento. Levi sentiva il petto scoppiargli, aveva il respiro accelerato dalla foga. Entrambi distolsero lo sguardo l’uno dall’altra, iniziando a fissare ognuno la propria macchia erbosa pensierosi. Siri fece qualche passo verso di lui e poi lo abbracciò, una mano dietro la sua schiena e l’altra dietro la sua testa.
Tu non devi essere l’eroe per nessuno. La gente muore ogni giorno. – Levi si lasciò stringere tra le braccia di lei, inerme – Gente innocente, a volte per una malattia piuttosto che per mano di un uomo o di un gigante. Lo so come ci si sente impotenti, vedere le persone morire nonostante tutti i tuoi sforzi per salvarle, ma non possiamo farci niente.
Aspettò che le sue parole sedimentassero dentro di sé, poi afferrò le braccia di Siri e la scostò da sé, la vide sorridergli mesta e non riuscì più a trattenersi. Le afferrò la nuca e la baciò con trasporto.
Quella notte, l’ennesima che passava tra le sue braccia, dormì meglio del solito, fino a quando non si ritrovò di nuovo nella sua testa, e anche lei era lì. Erano completamente soli. Si guardò intorno, erano in un campo di grano desolato, Siri era ferma sul posto davanti a lui, la sua divisa nera indosso e guardava senza espressione le sue mani, senza fasce, completamente rosse di sangue che colava dalle sue dita, colorando le spighe gialle.
- Siri. – la chiamò, avvicinandosi a lei le prese le mani, sporcandosi – Che è successo?
Lei alzò lo sguardo vacuo, un’unica lacrima scese dall’occhio destro: - Li ho uccisi. Tutti quanti.
Si sentì stranamente agitato, non era sicuro chi intendesse con “tutti” ma ne aveva una vaga idea.
- Siri, non capisco. Cosa è successo? Spiegamelo.
Lei scosse la testa e tirò a sé le sue mani, passandosele nei capelli li sciolse dalla treccia e contrasse il volto in una smorfia, il sangue dei Beaumont le colava dai capelli sui lati del viso.
- Siri ti prego, calmati. – le prese il viso tra le mani – Dimmi solo quello che è successo, possiamo risolverlo insieme. Io ti sarò accanto.
- Sono un mostro Levi. Tutti, li ho uccisi tutti.
Lei scosse la testa addolorata mentre tratteneva a stento le lacrime, erano così persi nei loro occhi che lui si accorse della freccia che le trapassò il cuore solo quando lei sobbalzò per l’impatto. La vide accasciarsi, fece appena in tempo a sorreggerla e prenderla fra le braccia in modo che non cadesse per terra. Le spighe erano sparite, attorno a loro c’era solo un’immensa radura di erba verde brillante. Levi mise una mano sul petto di lei e le vide la vita abbandonarla, strinse la nuca di Siri a sé, nascondendo nell’incavo del suo braccio i suoi occhi vitrei e senza vita, quando qualcuno gli toccò la spalla.
Voltò di scatto la testa in preda al panico e vide Hange, piegata su di lui sorrideva, come se felice di una nuova scoperta: - Allora è proprio vero che tieni a lei. 
La guardò scioccato col cuore che batteva impazzito per l’agitazione.
- Di nuovo Levi? Chi sarà adesso il prossimo?
Lui cercò di prendere fiato, voleva come spiegarsi, trovare una scusa per quello che era successo, come se fosse stato lui stesso a scoccare la freccia: - Hange, io… – Si rigirò, sentendo le braccia stranamente più leggere, ritrovandole di fatto vuote.
Strinse le mani e guardò dinanzi a sé e li vide: la radura era disseminata di cadaveri, si alzò e iniziò a camminarci vicino, alla ricerca del corpo di Siri. Con suo immenso orrore non erano cadaveri qualunque. Riconobbe tutta la sua vecchia squadra, Farlan, Isabel, Mike, Nanaba… Erano tutti lì, con delle smorfie orribili in viso. Si voltò di nuovo verso Hange, corse a perdifiato verso di lei e le afferrò strettamente il braccio in preda alla rabbia: - Dov’è?! Siri dov’è?!
La lasciò andare con uno spintone, lei quindi si voltò e gli indicò un punto in lontananza. Guardò confuso in quella direzione e lo vide: era Erwin inginocchiato accanto al corpo senza vita di Siri.
- Ha donato il suo cuore, Levi. Sai come funziona. – gli disse Hange nell’orecchio mentre, impietrito, osservava Erwin avvicinare la sua mano verso il petto della spia. Improvvisamente qualcuno dall’altro lato rispetto ad Hange lo scosse: era lui, un altro sé, aveva la divisa completa di mantello, ma era completamente sporco di sangue, sangue di gigante perché dei rivoli di vapore si allontanavano dal suo corpo.
- Che stai facendo? – l’altro sé lo guardava con disprezzo – Va e prendiglielo. Il suo cuore è tuo, ti appartiene. – si voltò di nuovo verso Erwin e poco prima che lo vedesse affondare un coltello nella carne di Siri per estrarle il cuore, si svegliò di soprassalto.
Aveva il viso completamente imperlato di sudore, allungò una mano dove Siri l’aveva lasciato solo ore prima. Prese fiato a fatica e si passò un polso sulla fronte: guardò il posto vuoto accanto a sé e strinse le lenzuola.
Si ridistese, il cuscino emanava il dolce profumo di lavanda dei capelli di Siri, fece un respiro profondo inalandone anche la più piccola esalazione. Mentre fissava il soffitto della sua camera respirando profondamente per calmarsi, prese una decisione.
No, il cuore di Siri appartiene a lei. E neanche Erwin lo avrà.

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 - Promesse ad un demone ***


Capitolo 24 – Promesse ad un demone

 
Era abituata ad avere tanti occhi su di sé, persone ben più grandi ed esperte di lei che l’ascoltavano e la trattavano come una loro pari. Quel giorno sulle mura di Shiganshina non era tanto diverso da uno dei tanti che aveva passato in ospedale anni prima, la vera differenza stava proprio nel tipo di sguardi che aveva ricevuto in un’occasione e poi nell’altra: mentre in ospedale erano quelli invidiosi o altezzosi di medici più grandi di lei, in quel momento erano speranzosi e senza malizia, di persone di età così diverse tra loro e che davano davvero valore a ciò che avrebbe detto.
Scosse la testa nervosa e rivolse un singolo sguardo dispiaciuto verso di lui, l’unico in mezzo a quel gruppetto che avesse un’idea ben più chiara rispetto a chiunque altro di cosa le passasse per la testa. Sperò che anche in quel momento le leggesse nella mente un’ultima volta e capisse quello che stava pensando.
Non sono un mostro, ma devo recitare la mia parte.
- Ho detto, fanculo i cavalli signore! – Erwin la guardò interdetto – Lasciamoli pure morire! Non torneremo tutti da questa missione, la nostra priorità è permettere ad Eren di scappare nel momento opportuno e, allo stesso tempo, sconfiggerli. – Siri si spostò verso il bordo delle mura e sporse un braccio verso il corazzato sotto di lei, poi indicò il gigante bestia – I nostri nemici sono qui, davanti a noi, dobbiamo solo affrontarli a qualunque costo.
- Sigrid, per poter fare quello che dici potrebbe essere necessario sacrificare buona parte del corpo di ricerca. – le rispose Erwin calmo, contrariamente a come agiva e pensava di solito, notò Levi, sembrava non essere d’accordo con quello che Siri stava suggerendo. Hange appariva altrettanto interdetta, solo Armin invece seguiva interessato il ragionamento della spia, si vedeva ci stesse pensando a riguardo. 
Siri digrignò i denti, maledicendosi per come era convinta dovesse essere affrontata la situazione: non era di certo una cima in strategia militare, ma sapeva che il comandante sarebbe stato capace di tirare fuori dal cilindro un piano suicida per far fronte al nemico di petto o perlomeno di creare una via di fuga per Eren e i pochi sopravvissuti.
- E allora?! Non è questo che ha cercato di insegnarmi in questi mesi? Siamo tutti pronti a morire, ma non possiamo permettere che a farlo siano lei ed Eren. In ogni caso è probabile che comunque decidiamo di agire la maggior parte di quei cavalli rimarrà senza un soldato a cavalcarli.
- Comandante, Siri ha ragione. – si voltarono tutti verso quella voce, fino a qualche momento prima timida ed insicura, ma che adesso appariva ferma e decisa. Armin guardò dritto negli occhi Erwin, nonostante fosse molto più piccolo e basso di lui, raddrizzando la sua postura acquisì decisione e la fermezza pari a quelle dei suoi superiori.
- Quando ci siamo uniti al corpo di ricerca abbiamo deciso di donare i nostri cuori per una causa che ci avrebbe messo inevitabilmente davanti a scelte difficili, oltre che alla morte praticamente certa. Io mi sono unito al corpo di ricerca per esplorare e comprendere ciò che mi circondava, il mio desiderio è ancora quello e non possiamo fermarci qui. – fece un respiro profondo – Credo che chiunque in questa legione possa dirvi lo stesso e se lei dovesse chiederlo… Saremmo pronti a donare il nostro cuore. Per i nostri amici, per le nostre famiglie, i nostri compagni… Per l’umanità. Perché anche se morirò oggi senza scoprire assolutamente nulla, il pensiero che potrò essere stato utile all’umanità, mi dà più forza.
Erwin, in quel preciso momento, ebbe la certezza di averci visto bene e che Armin sarebbe stato il perfetto successore di Hange. Il rumore del corazzato risuonava sempre più forte sotto di loro, segno del suo avvicinamento inesorabile.
- Anche se questa dovesse essere l’ultima volta che ci guiderà, io le chiedo di dare un significato al nostro e al vostro sacrificio. – il comandante lo guardò grave e poi si voltò verso il gigante bestia rimanendo a fissarlo intensamente. Siri, che fino a quel momento era rimasta a fissare Armin ricca di ammirazione, fece un passo verso Erwin rimanendo alle sue spalle: - Non sappiamo cosa hanno in mente, io dico di sorprenderli, fare qualcosa che non si aspettano minimamente, in modo da mandare a monte i loro piani e fargli agire sul momento. Dobbiamo annullare il loro vantaggio su di noi e metterli sul nostro stesso piano.
Il suo suggerimento non ricevette il minimo riscontro, l’altro continuava a rimanere in silenzio, la cosa confuse la ragazza, che guardò interdetta gli altri tre compagni i quali invece non sembravano affatto turbati dalla non reazione del superiore.
- Beh?! – fece Siri con una smorfia.
Risoluta, Hange le rispose: - Ha bisogno di qualche secondo. È normale. – l’altra alzò un sopracciglio.
Dopo aver seguito quel breve scambio di battute tra le due, Levi si voltò verso Erwin e gli si avvicinò: - Certo che puoi dirci se nel frattempo possiamo andare a farci una dormita, non abbiamo tutta questa fretta dopotutto.
Finalmente Erwin si voltò verso il gruppetto e Hange si mostrò visibilmente più sollevata.
- Era ora. – commentò sarcastico Levi.
- Ci serviremo di una tecnica militare da manuale ma abbastanza efficace in queste situazioni di accerchiamento. Hange, Siri voi coordinerete le vostre squadre per abbattere il corazzato potete servirvi anche del gigante di Eren, fate in modo che sia costretto a chiamare in soccorso il colossale – si rivolse a Siri, sotto gli occhi di Levi che schizzavano da uno verso l’altra, non credeva avrebbe cambiato il ruolo della spia nella missione – o che vi dica sotto tortura dove si trova. Levi, noi ci occuperemo degli altri giganti e del bestia non appena il colossale si sarà trasformato entro le mura di Shiganshina, non prima. Va a radunare i soldati.
- Sì signore. – risposerò in coro Hange e Siri iniziando ad incamminarsi con Armin in direzione opposta a Levi, che accettò gli ordini, non di buon grado, ma pronto a seguirli fino alla morte.
- Siri. – la ragazza si voltò verso Erwin che l’aveva chiamata nuovamente – Ho un’altra richiesta per te. 
Torturare un ragazzino, seppur mio nemico, non bastava.
Levi era troppo distante per sentire cosa le stesse dicendo, ma doveva trattarsi di qualcosa che lei, appena sentita, aveva rifiutato con un cipiglio a dir poco incredulo. Dopo poche parole perentorie del comandante, però, Siri aveva prima guardato ai suoi piedi combattuta e poi accettato apparendo quasi sconfortata. Erwin quindi si voltò per raggiungere Levi dandole le spalle, lei era ancora lì, ferma, a fissare il nulla impotente: si mise quindi di profilo, avvicinandosi all’orlo delle mura verso la città abbandonata e guardò nella sua direzione, incontrando gli occhi grigi di lui. Si guardarono intensamente, prima che lei si gettasse nel vuoto e raggiungesse i suoi compagni di squadra.
Quello era stato il loro modo di dirsi addio.
 
[una settimana prima della missione di riconquista]
 
Nel tentativo di cambiare il nostro destino, si può finire per peggiorarlo o finirci faccia a faccia ugualmente nonostante tutti gli sforzi per evitarlo. Magari Levi, ingenuamente, era convinto di poter scegliere di intraprenderne uno diverso, se non per sé stesso, per qualcun altro ma, chiaramente, non era così semplice come credeva. Nemmeno con le sue migliori intenzioni.
Aveva evitato Siri per tutto il giorno, alla riunione con Erwin e gli altri capitani non poté però esimersi dall’incontrarla, come aveva previsto: si comportarono convenzionalmente mentre aspettavano con gli altri l’arrivo del superiore in comando, avevano la loro facciata da preservare dopotutto quindi Siri non ebbe nulla di cui sospettare dal capitano che si mostrava freddo come suo solito. Fu un’assemblea breve, mancava solo una settimana per cui ognuno fece rapporto sulla situazione dei soldati, per poi concentrarsi sugli orari e la coordinazione del plotone. Tuttavia la spia, seduta accanto ad Hange, aveva percepito ci fosse qualcosa che lo turbava già da prima che Erwin si presentasse, quando aveva tentato di parlarci finendo per essere liquidata con una frase di circostanza. Si era allontanata, domandandosi se avesse esagerato, ma alla fine aveva imputato quel comportamento alla paranoia di Levi. Quando però poi lui temporeggiò nello studio del comandante chiudendo tutti fuori, capì all’istante che la sua percezione che aveva avuto non si era sbagliata affatto: sentì la terra mancarle sotto i piedi e sperò fino all’ultimo che non avrebbe fatto sul serio quello che intuì nell’istante stesso in cui la porta si chiuse, tagliandola fuori.
- Cosa c’è, Levi? – gli chiese Erwin mentre lui rimase sulla porta, ormai non c’era più alcun modo per tornare indietro sui suoi passi. La memoria olfattiva gli fece sentire improvvisamente l’odore di lavanda, solo la notte prima aveva immerso la testa nei suoi capelli, aveva assaporato intensamente quell’odore stringendole la nuca contro la sua spalla, immergendo il naso nell’incavo del suo collo. Smorzò il brivido di piacere che gli era salito dallo stomaco col rammarico che quella sarebbe stata l’ultima volta che l’aveva fatto. Decise di proseguire, accettando tristemente le conseguenze.
- Ti sembrerà un po’ affrettato da parte mia, ma cosa hai intenzione di fare una volta riconquistato il Wall Maria? – prima di arrivare al sodo, voleva affrontare un argomento spinoso, qualcosa su cui aveva riflettuto anche più della probabile dipartita di Siri.
- Eliminare le minacce. C’è qualcuno fuori da queste mura che non vuole altro che la nostra fine per mano dei giganti e la migliore occasione che abbiamo per scoprirlo… sembra essere proprio nella cantina di Grisha Yeager. – alzò lo sguardo su Levi – Per cui, come ho detto prima, non sapendolo con certezza, penseremo al resto quando la spedizione sarà finita.
L’altro guardò per qualche secondo il muro alla sua destra, poi tornò sul comandante: - Ti sto chiedendo questo non solo perché credo tu non tornerai vivo da questa missione, ma perché lo so. Ho le mie fonti e sono abbastanza affidabili perché sono le stesse di cui ti servi tu. Tu non puoi muoverti come una volta, neanche sforzandoti. – fece un passo verso di lui – Anzi, è proprio questo il problema.
Erwin annuì piano: - Quindi Siri te l’ha detto.
- Non c’è cosa che lei non mi spiattelli. – una morsa gli strinse lo stomaco, ma proseguì – È chiaro che si fidi più di me che di te. – a queste parole il comandante s’accigliò. Il suo discorso non faceva una piega, eppure la malizia con cui parlava della spia non gliel’aveva mai sentita usare, nemmeno nei giorni peggiori della loro conoscenza.
- Rimani qui con Siri. Lei è inutile quanto te lì fuori, nonostante gli sforzi rimanete solo cibo per giganti. Lascia che sia Hange a dirigere le operazioni, tu rimarrai qui e aspetterai di sapere cosa abbiamo scoperto, dirai che ho insistito così tanto che hai ceduto, che poi è esattamente quello che farò. – si fermò un secondo e lo guardò eloquente – Avrai bisogno del tuo medico qui, se glielo ordini tu rimarrà senza fare resistenza. Sono stato chiaro?
Erwin parve pensarci sul serio, ma al suo perentorio “no” Levi rimase sorpreso.
- Non m’interessa. Io verrò, potrete usarmi come esca, mi sacrificherò e Hange o chiunque altro dopo di lei mi sostituirà, ma la catena di comando rimarrà invariata. Ammetto che questa sarà un’operazione complicata, ma sarà anche la più importante nella storia dell’umanità, ho dedicato tutto me stesso per raggiungere questo momento. Inoltre, senza di me avrete molte meno chance di successo.
Levi iniziò a fremere, immaginava non sarebbe stato così accomodante, ma nemmeno così irrazionale: - Certo, hai ragione, senza di te avremo più probabilità di perdere, ma se tu soccomberai l’umanità non avrà occasioni di vincere, cadrà insieme a te. Il tuo dovere è rimanere qui, a capo del corpo di ricerca e aiutare l’umanità con la tua testa. Sarà più che sufficiente.
L’altro replicò senza lasciare spazio a dubbi a riguardo: - No, ti sbagli. Io posso tornare utile all’umanità molto di più sul campo di battaglia che…
Il capitano a questo punto si spazientì sul serio: - Fermo, fermo, fermo. Se mi propinerai un’altra delle tue nobili scuse del cazzo mi costringerai a spezzarti entrambe le gambe. – continuò, minacciandolo di obbligarlo a rimanere con la forza, ma ciò che gli rivelò Erwin dopo lo fece riflettere parecchio sulle implicazioni che il futuro avrebbe avuto per tutti loro. Non che ne fosse particolarmente sorpreso, eppure, messo di fronte alla realtà dei fatti, sperava invano che scegliesse l’opzione che gli aveva proposto.
- È così quindi. – si diresse verso la porta – Mi fido del tuo giudizio. – si fermò prima di aprire la porta, doveva essere più esplicito a questo punto, non poteva permettere che quella questione rimanesse in sospeso come l’altra – Ma devo chiederti comunque di riconsiderare il coinvolgimento di Siri nella spedizione.
Erwin fece un respiro profondo e assunse un’espressione grave: - Levi, ti conosco da anni e questa tua richiesta… Non è da te. Non è neanche professionale. – lo sguardo che il suo interlocutore gli rivolse a questo punto lo fece rabbrividire. E non tanto perché era più minaccioso rispetto a tanti altri che gli aveva rivolto nel tempo, ma perché era uno dei più impenetrabili che non sarebbe riuscito a leggere nemmeno provandoci.
- Evidentemente non mi conosci abbastanza bene. Visto che sei così ottuso per conto tuo, ti chiedo solo questo favore per conto mio. Il primo e ultimo Erwin, te lo assicuro. – il comandante rimase in silenzio per qualche secondo a fissarlo mestamente. Mentre Levi sapeva cosa aspettarsi dal comandante, lui, al contrario, non si aspettava minimamente quella richiesta così egoista che non teneva nemmeno conto della volontà di Siri.
Erwin sospirò: - Va bene Levi. Ma non ti assicuro che Sigrid non riesca a rigirarsela a proprio favore. Non condivido questa tua richiesta, ma come ti ho detto, ti conosco da anni e cercherò di accontentarti. – Levi annuì ed uscì, chiudendo il battente alle sue spalle. Adesso fu lui a fare un sospiro prima d’incamminarsi nel corridoio verso destra.
Riuscì a fare qualche passo prima di essere tirato all’interno di una stanza proprio alla destra dello studio di Erwin: Siri lo trascinò dentro in malo modo, lo spinse alle sue spalle e poi si girò verso porta chiudendola a chiave. Lo fulminò con un’occhiataccia e lo raggiunse a grandi passi, fronteggiandolo come una furia.
- Cosa cazzo era quello che ho appena sentito?!
Levi sostenne il suo sguardo con una maschera d’indifferenza disarmante che non fece altro che far montare dentro Siri ancora più rabbia: - Non avevo dubbi che non ti saresti fatta i fatti tuoi, per una buona volta. Adesso non riesci a sentire bene che devo spiegartelo? – probabilmente aveva calcato troppo la mano perché la faccia della ragazza si fece pericolosamente calma, i suoi occhi, però, sembravano fiammeggiare.
- Ti avevo detto che una seconda volta mi sarei arrabbiata, adesso non sono solo arrabbiata, sono furiosa. – disse sibilandogli contro – Ti rendi almeno minimamente conto di quello che hai fatto?!
Erano a pochissima distanza l’uno dall’altra, Levi la guardò sprezzante: - Sembro una persona che non sa quello che fa? Non hai voluto ascoltarmi, quindi ho agito di conseguenza. Io perlomeno ho avuto le palle di dirgli le cose come stavano senza fare lo sbruffone.
Non ebbe neanche i riflessi pronti per reagire. Siri lo colpì in pieno volto con uno schiaffo il cui rumore risuonò per tutta la stanza: Levi sgranò gli occhi, sorpreso indietreggiò di un passo, quando tornò a guardarla il su viso rosso di rabbia era sconvolto dalle lacrime.
- Me l’avevi promesso. – cominciò, con voce rotta – Io mi fidavo di te! Mi avevi detto che non avresti lasciato che i nostri sentimenti avrebbero influenzato la tua opinione di me sul lavoro. Oggi tu mi hai umiliata. – finalmente lui non riuscì più a mantenere quella maschera impenetrabile, portò una mano sulla guancia e la guardò sgomentato. Non avrebbe mai voluto ferirla così, le leggeva il dolore nello sguardo, sulle labbra, per tutto il suo corpo. L’aveva tradita.
Ma non era esattamente quello che volevi?
- Ah, scusa, dimenticavo. – Siri prese fiato tremante – Tu per me non provi nulla, però in un qualche modo sono io quella che è stata umiliata in quella stanza. Mi scopo la mia sottoposta e siccome mi sento troppo in colpa voglio evitarle di andare in missione. – quelle parole fecero male ad entrambi, ma ormai lei si sentiva troppo offesa per soppesarle e non ne poteva più della reticenza di Levi. Era troppo intelligente per non capire il duplice obiettivo di chi gli stava di fronte.
- O non è così? Eh, Levi? – tirò su col naso e si passò il palmo di una mano sotto entrambi gli occhi, con talmente tanta rabbia da quasi raschiarsi la pelle con le fasce ruvide – Dimmi, mi sbaglio? Se non parli io penserò che le cose stanno così.
Si fermò, in attesa. Ogni centimetro del suo corpo sperava che lui avrebbe rinunciato, si sarebbe aperto, le avrebbe chiesto scusa in ginocchio dicendole quello che provava veramente. Dentro di sé Levi si sentiva talmente in panico come in poche altre occasioni nella sua vita: poteva essere davvero egoista e dirle cosa provava, oppure continuare a fingere e lasciarsi odiare per il suo bene. Farsi odiare così tanto che lei l’avrebbe ripudiato al punto tale da non voler nemmeno cavalcare nello stesso plotone con lui, figuriamoci combattere.
Continuò a vederla faticare per riprendere fiato, schiacciata da quel pianto pieno di dolore: si sentiva impotente oltre che completamente incapace di agire. Quella immobilità fece ancora più male a Siri che ruppe in un pianto più disperato: - Mandate a morire migliaia di soldati nelle vostre spedizioni, reclute inesperte, non abbastanza forti o allenate. Perché con me dovrebbe essere diverso? Cosa ho di diverso rispetto a tutti gli altri da dover essere messa da parte?
Levi rimase in silenzio, Siri a quel punto, assunse una smorfia arrabbiata in viso, iniziò a spingerlo per scuoterlo da quello stato: - Avanti! Cosa Levi?! – lo spinse ancora, e poi ancora, ma l’espressione dell’altro da sgomentata diventava sempre più assente: - COSA?! Levi rispondimi maledizione!
Finalmente lui reagì: spinse via le braccia di lei che lo guardò col fiato sospeso.
- Sei inutile con noi. Sei debole e non voglio che qualcuno rischi la vita per salvarti. Non sei… adatta a questo lavoro. – Siri dovette appoggiarsi con una mano sullo schienale di una sedia perché sentì le ginocchia cederle per un momento, il suono che le uscì dalle labbra fu l’ennesima pugnalata nel petto per Levi, che abbassò lo sguardo al pavimento. Non riusciva a guardarla mentre le dava il colpo di grazia.
- E poi sono il tuo superiore, anche se sei una mercenaria in questa legione sono io il tuo responsabile e quello che è successo tra noi è stato solo un grande sbaglio. – deglutì – Potrei averti usata per la mia posizione e tu non lo sapresti.
Siri a quel punto non riusciva più nemmeno a controllarle le lacrime che le ricadevano copiose mentre lo guardava senza riuscire a muovere un singolo muscolo della faccia, paralizzata dallo sgomento. Rimase ferma fino a quando non fu in grado di tirare un profondo respiro, solo per riacquistare quel minimo di contegno necessario a percorrere i corridoi fino alla sua stanza.
Prima di uscire gli disse con una voce profonda e decisa: - Non mi cercare più. Trattami come uno dei soldati a cui impartisci gli ordini perché d’ora in poi sarò solo questo per te.
Chiuse la porta senza fare caso al rumore che si propagò tutt’attorno sbattendola dietro di sé. Fu solo allora che Levi alzò lo sguardo per vederla uscire, ma fece in tempo a vedere soltanto la porta chiudersi. Era riuscito a ferirla, ad allontanarla, forse a convincerla a non partire, e anche in caso contrario, Erwin ci avrebbe pensato al posto suo. Aveva raggiunto il suo obiettivo, ma perché allora si sentiva così distrutto come se l’avesse persa per sempre?
Credeva che metterla al sicuro l’avrebbe sollevato, ma fu tutto il contrario e la guancia che gli bruciava sembrava suggerirgli che probabilmente aveva preso la decisione sbagliata. Persino Hange i giorni a seguire non si mostrò particolarmente indulgente nei suoi confronti.
Erano all’esterno a metà settimana a compilare documenti e, a parte i saluti che si erano dati appena seduti, erano rimasti in religioso silenzio. Un evento più unico che raro per l’amica, che di solito era capace di far parlare anche le pietre.
Levi la guardò di sottecchi per poi tornare a guardare i documenti: - Hange.
Lei, senza nemmeno alzare la testa, fece un annoiato: - Mh?
Era rimasto poi in silenzio, pentendosi di averne voluto parlare con lei.
- Non mi esprimerò Levi, se è quello che vuoi sapere. – lui si fermò dal compilare i suoi documenti, mentre lei non fece altrettanto – Non ti parlerò neanche di lei, è poco professionale, anche se siamo amici. Ma se, ipoteticamente, avessi avanzato ad Erwin una richiesta del genere per me… – solo a questo punto alzò di poco la testa e Levi incontrò i suoi occhi, che dietro le lenti lo guardavano parecchio minacciosi – … uno schiaffo sarebbe stato niente in confronto.
Non le rispose, ma il viso parlava per lui: le occhiaie erano diventate più scure e profonde, i capelli, di solito ben ordinati, non era stato raro in quei giorni vederli un po’ spettinati e poco prima della partenza ricevette parecchi sguardi sorpresi dai soldati apparentemente senza ragione, fino a quando Armin non gli rivelò che il motivo di così tanta curiosità non era altro che il fatto che avevano notato la ricrescita della barba. Levi la radeva così spesso, che tutti pensavano non gli crescesse affatto.
L’insonnia era peggiorata di colpo e realizzò presto che la ragione non era stata solo la rottura con Siri: pensò parecchio alla decisione che aveva preso, le cose che finora lei gli aveva detto riguardo la sua condizione di salute e come tutto fosse collegato al suo modo di affrontare la vita. A pochi giorni dalla partenza, mentre era steso sul suo letto a cercare una risposta sulla sua insonnia, gli tornarono alla mentre le parole di Siri: “Tu puoi dormire, è che non vuoi farlo. È tutta qui la differenza.”, sembrava gliele avesse dette una vita fa, eppure ci stava pensando solo adesso per la prima volta. Sentiva che il nodo che lo teneva ancorato a quella situazione era tutto lì, ma era incapace di scioglierlo: anche il solo fatto di pensarci proprio in quel momento significava qualcosa. Con Siri era riuscito ad allentare quel nodo, a dormire per notti intere, inebriato da quel senso di pace che non provava più ormai da anni. Ora che l’aveva allontanata sembrava essere tornato al punto di partenza, l’unica differenza era che, a differenza del passato, sentiva di avere gli strumenti per affrontare la cosa. Ma non sapeva come usarli, perché finora era stata Siri a farlo per lui, o ad aiutarlo a farlo. Per cui, perseverò in quello stato, sperando avrebbe capito, prima o poi, cosa fare.
Oltre ad incrociarla da lontano, non ebbe alcun contatto con lei, né a mensa, né agli allenamenti che saltò in toto: Jean era andato a riferirgli che per quei giorni si sarebbe esercitata con lui, Connie e Mikasa, i più bravi in quel campo. Accettò senza insistere, come accettò il fatto che Siri sarebbe partita comunque: Erwin l’aveva avvisato ed effettivamente Siri aveva portato a suo favore argomentazioni inattaccabili, sia lui che il comandante avanzarono l’ipotesi che l’avesse aiutata Hange a formularle, per eccellenza era lei l’avvocato del diavolo e a giudicare dalla breve conversazione che Levi aveva avuto con l’amica non nutrì molti dubbi a riguardo.
- Ad un certo punto credo mi abbia anche minacciato, oltre che accusato per intercessione e favoritismo. – Erwin l’aveva fissato torvo, mentre Levi seduto di fronte la sua scrivania lo guardava come se la cosa non lo riguardasse minimamente – Mi sono ritrovato con le spalle al muro Levi. Io.
- Non avresti dovuto affinare le sue tecniche con gli scacchi forse.
L’altro aveva rilassato la sua espressione, sotto sotto sperava che Siri aggirasse la sua assurda richiesta ma era comunque dispiaciuto per lui: - Mi rincresce, Levi. Non ho potuto fare più di questo per evitarlo.
- Non parlarne come se fosse già morta.
 
Ben presto arrivò il giorno della partenza e Levi passò anche quel giorno tenendo fede all’ultima richiesta che Siri gli aveva rivolto. Quella sera a mensa, però, lei non potette esimersi dal presentarsi. Era seduto in disparte quando l’aveva vista entrare in compagnia di Hange e Moblit, spalancò gli occhi a prima vista dato che non si era mai avvicinata così tanto a lui nei giorni precedenti, si sedette comunque ad un altro tavolo, ma abbastanza vicino al suo. Verso la fine della cena, mentre era assorto nei suoi pensieri completamente estraniato dal mondo esterno, un tappo di sughero lo colpì in fronte e nonostante la confusione iniziale, rivolse subito lo sguardo sulla spia: lei, di profilo, non incontrò il suo, si limitò a fargli cenno con la testa verso un punto della mensa non molto distante da loro. Levi quindi si rese finalmente conto che Eren e Jean si stavano picchiando e non appena li ebbe separati, non altrettanto gentilmente come l’ultima volta alla locanda, si voltò verso Siri, con l’intenzione di andare a ringraziarla e usufruire di quella debole scusa per rivolgerle la parola, ma era sparita.
Più tardi si era rintanato nella sua camera, stato colpito dal solito sconforto pre-partenza che, addizionato alla sua insonnia, dubitava gli avrebbe permesso di dormire più di qualche ora, per cui iniziò a compilare dei resoconti per il capo dell’esercito che Erwin gli aveva chiesto di consegnargli con calma dopo il loro rientro. Era mezzanotte passata quando qualcuno bussò alla sua porta, chiuse gli occhi infastidito sotto la flebile luce dell’unica candela che aveva acceso, era stato interrotto proprio nel pieno della sua concentrazione.
- Hange non richiedermi di passare la nottata con voi. – si fermò un secondo – La mia risposta è sempre no.
- Sono Siri.
Levi trasalì, sentendosi quasi mancare si voltò di scatto a guardare la porta sconcertato. Si ricompose e aprì di uno spiraglio la porta avendo finalmente il privilegio di incontrare nuovamente i suoi grossi occhi marroni. Quel contatto visivo gli valse una piccola scarica di sollievo che lo rese incapace di proferire parola, nonostante dal viso non avesse fatto trasparire comunque alcuna emozione.
Lei si schiarì la voce e seria disse: - Il comandante voleva che ti confermassi il fatto che il resto della nostra squadra si troverà nel terzo settore con Hange, inoltre vuole che domattina passi da lui prima di partire alla volta del Wall Rose.
- Va bene. È tutto?
- Sì capitano, buonanotte.
- Notte. – chiuse la porta qualche secondo dopo. Tornò a sedersi alla scrivania e riafferrò la penna, rimase a fissare i fogli con un vuoto nello stomaco: si aspettava, ingenuamente, una conversazione diversa, averla vista materializzarsi davanti la sua porta, ancora col camice addosso, nel bel mezzo della notte l’aveva fatto ben sperare. Ma chi voglio prendere in giro.
Strinse la penna nella mano. Era riuscito ad allontanarla molto bene e il fatto che lei fosse terribilmente permalosa non aveva nulla a che vedere col fatto che, oggettivamente, chiunque dotato di un cuore avrebbe reagito come aveva fatto lei alle cose orribili che le aveva detto. S’innervosì a tal punto che la penna gli esplose nella mano, se ne rese conto quando percepì del dolore nel palmo, lo rigirò osservandolo: l’inchiostro nero della stilografica si era mischiato al sangue e stava colando sui documenti, ora totalmente da rifare, vicino il pollice tre schegge si erano conficcate nella carne. Fece per toglierle ma si bloccò pensando che avrebbe potuto fare più danni che altro, a meno di ventiquattrore dalla partenza. Fissò il muro davanti a sé per un momento: avrebbe sicuramente preferito l’intervento di un dottore.
Si affacciò sull’infermeria in cui Siri, sotto la luce rossastra di una lampada ad olio, leggeva qualcosa dal suo quadernetto sul tavolo chirurgico vicino l’ingresso, seduta su uno sgabello era rivolta di profilo rispetto all’entrata. Levi bussò sull’uscio, facendola girare: gli occhi di lei scesero subito sulla mano gocciolante e aggrottò le sopracciglia.
- Ho delle schegge nella mano. – disse il capitano, ancora sulla porta. Siri lo osservò interessata, poi annuì, scendendo con un balzo dalla seduta. Gli fece poi cenno di entrare.
- Siediti al mio posto. – lui obbedì mentre lei prendeva dai ripiani alle sue spalle disinfettante e garze. Tornò da lui nel giro di poco e posò l’occorrente sul tavolo, avvicinò la lampada e poi prese la mano di Levi per osservarla più da vicino. Lui rimase a fissarle il viso lentigginoso, tinteggiato d’arancio dalla luce soffusa, su cui ricadevano ciuffetti ribelli dalla lunga treccia bruna. Mentre era intenta a bagnare una garza col disinfettante, sentì a malapena le parole che gli rivolse e non distolse lo sguardo nemmeno quando iniziò a pulirgli la mano con movimenti delicati e precisi.
- Sognavi ad occhi aperti di combattere contro un gigante con una penna?
Levi parve come risvegliarsi da una trance: - Come?
Siri tenne gli occhi fissi sulla mano: - Ti chiedevo come è successo.
- Oh. – la vide afferrare delle pinze e piegarsi sulle schegge – Mi… La penna si è rotta.
- Mh Mh… – tirò fuori la prima scheggia mentre lui contorse leggermente il labbro per il fastidio – Fragili queste penne del corpo di ricerca… – tirò via anche la seconda e poi la terza, senza che Levi, leggermente a disagio, riuscisse a trovare qualcosa con cui replicare. Passò poi a medicargli le ferite, e a quel punto gli occhi di lui si abbassarono, catturati dal movimento morbido delle sue mani palpeggiare delicatamente il suo palmo col cotone. Si sentì consumato dalla nostalgia e dal desiderio, ma non riusciva a muoversi o a emettere un singolo suono temendo di rompere quell’incantesimo delle mani di lei.
- Non sono profonde, fortunatamente. – afferrò la tintura di iodio, vi intinse un piccolo tampone che picchiettò sulle ferite – Questo dovrebbe bastare, non voglio fasciartelo per lasciarle seccare più velocemente. – poggiò la mano di Levi sul tavolo e gli porse dei cerotti quadrati – Se sono ancora aperte quando arriviamo a Shiganshina metti questi, solo per evitare il fastidio quando impugnerai i manici del dispositivo.
Levi prese i cerotti, li guardò e riuscì ad alzarsi dallo sgabello. Fece appena qualche passo verso la porta ma poi si bloccò e si girò istintivamente verso di lei: - Siri, mi dispiace.
Lei lo guardò interdetta e cercò di interromperlo: - Levi…
- No, ti prego, ascoltami. – mise i cerotti in tasca e fece qualche un passo verso di lei, rimanendo rispettosamente a distanza – Mi dispiace, ti chiedo scusa. Non era mia intenzione dire quelle cose ad Erwin. In realtà lo era, ma è più complicato di così.
Siri batté ripetutamente le palpebre, a disagio: - Levi, non…
Lui alzò di poco la voce rispetto alla sua per continuare: - Io volevo dirle quelle cose, ma allo stesso tempo non volevo prevaricarti perché è una cosa che non farei mai. Quello che volevo… – prese un respiro profondo mentre Siri sventolava davanti a sé le mani per farlo fermare, ma lui ignorò deciso quel tentativo – Io penso che tu sia la persona più straordinaria che io abbia mai conosciuto. Hai un carattere di merda, sei letteralmente esasperante ma è anche questo quello che mi piace di te. Non posso negarlo o fare finta che tu mi sia indifferente.
Siri aveva rinunciato dal fermarlo, qualsiasi tentativo sarebbe stato vano e, d’altronde, non le dispiaceva quello che stava sentendo.
- Io ho detto quelle cose perché speravo di assecondare il mio desiderio egoista di saperti al sicuro, credevo di essere abbastanza forte da sopportare l’odio che avresti provato nei miei confronti. Ma mi è bastato passare una settimana lontano da te perché tu mi mancassi come se fossi crepata sul serio.
Siri restò a fissarlo a bocca aperta, poi disse un flebile: - Levi… – e guardò alla sua destra in basso, verso i letti di giacenza, arrossendo imbarazzata. Lui seguì il suo sguardo e fu come se un secchio d’acqua gelata gli fosse stato rovesciato addosso quando intravide oltre la tenda delle scarpe. La ragazza sospirò pesantemente e Levi, ancor prima che aprisse bocca, immaginò perfettamente a chi appartenessero: - Jean, puoi andare, finisco io di sistemare i letti.
Jean si precipitò fuori dal tendaggio, era calato un silenzio imbarazzante tra i presenti, il capitano in particolare teneva lo sguardo fisso sul pavimento quasi inorridito. Il ragazzino tolse in fretta e furia il camice tenendosi a debita distanza dal superiore, ebbe il coraggio di alzare lo sguardo solo sulla maestra il cui viso appariva ancora più rosso di quanto non lo rendesse già la lampada ad olio.
- Bene, allora Siri io vado a dormire. – la spia annuì mordendosi internamente le labbra, quelle poche parole pronunciate frettolosamente parvero risvegliare anche Levi che guardò la spia imperturbabile, mentre lei salutava con una mano il suo compagno di squadra che si era precipitato fuori dall’infermeria.
- Credo andrò anch’io. A dormire.
Siri sospirò: - Oh, sarà meglio. Giornata impegnativa domani. – non appena anche Levi ebbe lasciato precipitosamente la stanza, si lasciò andare sullo sgabello, scosse la testa e tornò sui suoi appunti e a controllare che non stesse dimenticando nessuna attrezzatura per il giorno seguente.
Levi, non appena fu nel corridoio buio, alzò ancora di più il passo fino a raggiungere Jean che fermò, afferrandolo dal gomito in malo modo. Il ragazzo, terrorizzato, alzò le mani e si schiacciò contro il muro sotto gli occhi pungenti del superiore: - Non ne farò parola con nessuno. – deglutì nonostante la bocca gli fosse diventata improvvisamente secca – Porterò questo momento imbarazzante con me nella tomba.
L’altro rimase a fissarlo ancora per qualche secondo, poi lo lasciò andare spingendolo in avanti, e, prima che voltasse l’angolo e prendesse le scale sparendo nel buio, gli berciò: - Sei sempre in mezzo ai piedi moccioso.
- Sono un buon allievo, capitano. – gli disse Jean mentre si allontanava sempre più in fretta.
 
The world was on fire and no one could save me but you
It's strange what desire will make foolish people do
I never dreamed that I'd meet somebody like you
And I never dreamed that I'd lose somebody like you

 
No, I don't wanna fall in love  
With you
(This world is only gonna break your heart)
What a wicked game you play, to make me feel this way
What a wicked thing to do, to let me dream of you
What a wicked thing to say, you never felt this way
What a wicked thing to do, to make me dream of you

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 - Amara verità (Fine seconda parte) ***


Capitolo 25 – Amara verità

 
Levi seguì con la coda dell’occhio Erwin raggiungerlo e poi fermarsi accanto a lui.
- Sono tutti qui?
Quindi, rivolse lo sguardo davanti a lui, verso i soldati: - Sì. Le reclute sono rimaste di sotto coi cavalli.
Improvvisamente sentirono un’esplosione e si voltarono verso Shiganshina: la squadra di Hange, con l’uso delle lance fulmine, era riuscita a far saltare in aria le dita del corazzato che adesso capitolava in basso, atterrando con un tonfo sulle case sottostanti. Si sollevò una grossa nube di polvere e calcinacci dalla quale si stagliò, poco dopo, la figura del gigante confuso: con quanto gli rimaneva delle mani, parò due lance fulmine che i componenti della squadra di Hange gli lanciarono contro, tuttavia, con un’altra manata, riuscì a colpire un componente della squadra, schiacciandolo a morte contro un tetto. Levi assieme al resto dei soldati che ancora erano rimasti appostati sulle mura, sgranarono gli occhi mentre Erwin mantenne lo sguardo gelido e composto: - Soldati, raggiungete le reclute dall’altra parte delle mura, vi illustrerò il piano per abbattere il gigante bestia.
Il resto dei veterani annuì senza esitazioni e si fiondò verso le reclute, mentre Levi si rivolse ad Erwin, distogliendo lo sguardo dalla città fantasma: - Vuoi dirmi che sai come abbatterlo?
- Sì. – gli rispose l’altro, voltandosi verso l’accerchiamento nemico – Sarai tu a farlo, mentre noi ci occuperemo degli altri giganti. I veterani si getteranno in massa per abbattere l’ala sinistra e quindi consentire alla tua squadra e quella di Hange di fuggire appena potranno, mentre io e le reclute creeremo un diversivo per permetterti di avvicinarti al bestia.
Levi aggrottò le sopracciglia incredulo: - Che cosa? Questo è il tuo piano?
Erwin sospirò, dopodiché un lampo giallo che si stagliò all’interno di Shiganshina attirò di nuovo la loro attenzione, facendoli voltare: Eren si era trasformato e adesso lui e il gigante corazzato si fissavano a vicenda minacciosi. Il comandante sorrise sommessamente e tornò a guardare la radura costellata di giganti di fronte a sé: - A quanto pare Sigrid ha pensato fosse il modo più veloce per attirare il colossale, sono d’accordo. Se la caveranno Levi, stanno procedendo molto bene anche in nostra assenza. – fece qualche passo verso il bordo delle mura e rimase a fissare dall’alto i soldati raccolti attorno ai cavalli – Sarò sincero Levi. Se hai qualcosa da ridire sul mio piano accoglierò di buon grado le tue rimostranze: come ti ho già detto una settimana fa, il mio unico desiderio è vedere cosa si cela in quella cantina e preferirei di gran lunga rinunciare al mio sacrificio al fine di raggiungere il mio scopo.
Levi fu di nuovo colpito da quelle parole, esattamente come la prima volta che le aveva sentite pronunciare dalla persona verso cui provava più ammirazione in assoluto e che adesso, davanti alla morte e alla prospettiva di non realizzare il suo sogno, vedeva cedere quasi miseramente. In realtà, non poteva dire di ammirarlo nello stesso modo in cui lo faceva prima di conoscere le sue reali intenzioni, mascherate da ambizioni nobili con cui aveva attirato, non solo lui, ma centinaia di reclute, eppure in quel momento provava ancora qualcosa di simile, perché nonostante tutte le dinamiche in gioco era onesto con sé stesso, oltre che anche con lui. 
Ma se c’era un ruolo che Levi doveva ricoprire in quel momento e per il bene di tutti era quello di ricordare ad Erwin il suo. Fece qualche passo verso di lui ma si fermò non appena il comandante riprese a parlare: - Però… Levi, riesci a vederli? I nostri compagni? Loro ci stanno guardando e vogliono sapere che n’è stato dei cuori che hanno donato per la causa. È forse tutto solo nella mia testa, una stupida pretesa infantile?
Levi chinò la testa e si portò accanto a lui: - Hai combattuto bene Erwin. Davvero. È solo grazie a te se siamo riusciti ad arrivare così lontano. – girò la testa verso di lui e incrociò con sguardo truce il suo – Ma adesso decido io.
Il capitano aveva capito le vere intenzioni di Erwin da quando avevano scoperto della madre di Connie e di Ragako, ne era rimasto deluso a tratti disilluso, ma aveva accettato di aiutarlo comunque perché nella sua intera squadra aveva trovato qualcosa per cui ne valesse la pena. D’altronde, si rifiutava comunque di diventare cinico al punto da assomigliare a Kenny, per cui lo convinse definitivamente a sacrificarsi per tutti loro.
 
Siri raggiunse la sua squadra sui tetti accanto a dove, in linea d’aria, si trovava il corazzato: parte della squadra di Hange si era gettata invece sulle mani del gigante, facendole saltare in aria con le lance fulmine.
- Indietro! – Siri diede l’ordine alla squadra appena in tempo, giusto qualche secondo prima che si alzasse un’enorme nuvola di pulviscolo dalla caduta del gigante, la quale distrusse nell’impatto anche buona parte delle case vicine. I ragazzini proseguirono, fermandosi sui tetti poco lontani dall’impatto, Siri li superò: - Troppo vicini! Dobbiamo allontanarci, cercate di non farvi notare e nascondiamoci sui tetti più avanti.
- Sì! – risposero gli altri in coro. La loro superiore, constatarono, era diventata molto più veloce e abile nel movimento tridimensionale, tant’è che riusciva a rimanere nel gruppo mentre si spostavano, a differenza di quando l’avevano conosciuta. Non appena si furono allontanati abbastanza, Siri si fermò e scivolò sulle tegole seguita da tutti gli altri che si appostarono assieme a lei: lanciarono uno sguardo alle loro spalle e rimasero acquattati ad osservare il corazzato rialzarsi e cercare di contrattaccare la squadra di Hange.
Siri si rivolse poi verso i sottoposti, rimanendo di profilo al combattimento: - Allora, loro cercheranno di farlo indietreggiare, è importante che non esca da Shiganshina, mi sembra inutile farvi presente che solo qui possiamo effettivamente abbatterlo. – guardò le loro facce e si rese conto che avevano annuito ai suoi ordini ma, a parte Jean e Mikasa, non sembravano molto convinti. Un forte colpo attirò la loro attenzione verso il corazzato: aveva appena schiacciato un componente della squadra di Hange. Siri ridusse gli occhi a due fessure e arricciò le labbra per il nervoso, quindi si voltò seria verso i compagni che quasi ebbero un sussulto a vedere il suo sguardo: - Eren, trasformati. Lo attirerai da questa parte, usa l’indurimento, tutto quello che ti pare basta che lo porti qui e cerchi di bloccarlo.
Il ragazzino annuì prima confuso, poi la guardò pideciso: - Agli ordini.
- Aspetta. Connie, tu andrai dall’altra parte della strada e ti nasconderai. Appena ti darò il segnale, tranceremo le giunture delle gambe, aiuteremo Eren a mettere Reiner in posizione. – Siri non a caso usò il nome dell’ospite per riferirsi al nemico e, infatti, notò l’ennesima reazione dei suoi compagni – Dopodiché voi altri farete saltare in aria la nuca con le lance fulmine. Sarò molto chiara… – la voce di Siri si abbassò diventando più minacciosa – Se noterò il minimo ripensamento da parte vostra sarà mia premura picchiarvi fino a farvi supplicare. Non siete al campo cadetti, non stiamo giocando: se avrete ripensamenti morirete e i vostri compagni con voi. Pretendo che non abbiate alcuna pietà.
Mikasa, Jean ed Eren annuirono convinti, mentre gli altri tre lo fecero deglutendo a fatica.
- Bene. Eren va, noi approfitteremo del lampo per separarci e nasconderci senza dare nell’occhio.
Il ragazzo obbedì, Connie e Siri si separarono dal gruppo non appena la trasformazione di Eren coprì di luce la scena: Reiner abboccò e si gettò subito su Eren, iniziando una lotta corpo a corpo in cui nessuno sembrava prevalere sull’altro. Connie seguiva Siri di fronte a lei spostarsi per rimanere vicini ai piedi del corazzato e, non appena i due giganti si presero per le spalle spingendosi l’uno contro l’altro facendo peso sulle gambe, la spia guardò il sottoposto dall’altra parte della strada e gli fece un cenno con la testa. I due lanciarono i rampini, incrociando le direzioni delle loro funi: nonostante avesse preferito il contrario, Siri dovette ammettere che aver litigato con Levi e quindi essere stata costretta ad allenarsi coi compagni di squadra si era rivelata un’ottima idea. In quella settimana aveva imparato i loro trucchetti e avevano ideato delle manovre per coordinarsi in volo perfettamente, mentre il capitano era l’uomo che valeva da solo una squadra intera e non aveva bisogno di troppe tecniche a cui fare affidamento, per Siri e gli altri si erano rivelate parecchio d’aiuto. E la spia e Connie non vedevano l’ora, da una settimana, di mettere in pratica le nuove sequenze.
I due si lanciarono in alto e poi l’uno da una parte e l’altro dall’altra, tranciando con dei tagli netti e precisi dietro le ginocchia del corazzato, a cui cedettero le gambe. Quando s’incrociarono, Siri e Connie si afferrarono per un braccio e usufruendo dello slancio che il gas e le corde avevano dato loro, si lanciarono a vicenda ai tendini d’achille del corazzato, recidendoli per poi fargli scivolare all’indietro i piedi, tutto questo senza sprecare ulteriormente gas. Eren approfittò subito della caduta verso il basso e all’indietro di Reiner e con le gambe lo strinse in una morsa, dopodiché con le braccia cercò di bloccargli il busto.
- Connie! – il ragazzo si girò verso Siri che gli indicò le braccia dei giganti – Facciamogli esplodere i gomiti!
Si lanciarono all’unisono in avanti e raggiunsero le braccia di Reiner che stava cercando di liberarsi dalla stretta di Eren: la lancia di Connie andò a segno, ma quella di Siri venne deviata verso di lei che, cercando di allontanarsi, cadde verso il basso. Fortunatamente, il sottoposto se ne accorse e si lanciò su di lei, prendendola al volo prima che entrambe le lance esplodessero: quello fu il segnale per il resto della squadra di agire.
Non appena Connie atterrò al sicuro su un tetto ed ebbe posato la superiore sulle tegole, Mikasa, seguita a ruota dagli altri, fu sulla nuca di Reiner, che si disintegrò con la potente deflagrazione di tutte le lance fulmine che il gruppetto scaricò su di essa. Un’enorme folata di vapore iniziò a fuoriuscire dal corpo del gigante che adesso giaceva immobile a faccia in giù, mentre il gigante di Eren si fu sfilato da sotto.
- Ci è mancato poco… Stai bene Siri? – disse Connie, abbassandosi sulla spia.
- Sì, grazie Connie. – il resto della squadra li raggiunse e si mise al fianco dei due – Ottimo lavoro. Ma non rilassatevi troppo, non abbiamo ancora finito. – concluse Siri, lanciandosi verso il gigante abbattuto.
Nel frattempo, anche la squadra di Hange li aveva raggiunti ed esultava congratulandosi con la squadra di Levi che, invece, non sembrava molto entusiasta. Siri atterrò sulla nuca del corazzato da cui si sollevavano grossi e spessi rivoli di vapore: la ragazza si fece strada sventolando le mani, cercando di spostare parte delle esalazioni, fino a quando non si scontrò col corpo di Reiner piegato in avanti e ancora attaccato con gli arti al corpo del gigante. La spia, non appena lo vide, fece una smorfia seccata piegandosi su di lui; mentre valutava la situazione, Hange la raggiunse.
- Incredibile, l’abbiamo abbattuto!
- Argh. – la spia si mise in ginocchio e guardò l’amica contrariata – Incredibile un corno. Guarda. – indicò con una mano la testa mezza spappolata del ragazzo – Gli manca metà della testa, che dovrei fare, mi faccio le domande da sola?
Hange mise un indice sul mento: - Magari possiamo dargli il tuo farmaco per velocizzare la guarigione. Non credo sia morto, anche se gli manca buona parte della testa perde comunque vapore, segno che si sta rigenerando.
La spia si alzò e si grattò il capo: - Beh, anche questa è un’eventualità che non ci conviene, ora devo tagliargli gli arti per trasportarlo, però se gli do il farmaco si rigenererà troppo in fretta e sarà capace di trasformarsi di nuovo… Che palle!
Non appena Siri ebbe imprecato, dalla bocca del corazzato si levò un urlo roco che fece spaventare le due e rabbrividire i componenti delle due squadre. Quando si placò, la spia tolse i palmi delle mani dalle orecchie e tirò un calcio alle gambe di Reiner: - Mi hai spaventata, stupido ammasso di carne.
- Siri, staccalo da qui e portalo con te. – le ordinò Hange, guardandosi attorno preoccupata – Non ti sembra possa essere stato un segnale per il colossale?
L’altra abbassò lo sguardo e annuì: - Dobbiamo allontanarci di qui al più presto.
- Capitano! – le due si voltarono verso Moblit che indicava qualcosa in alto. Calò il silenzio tra le due squadre e tutti alzarono lo sguardo verso il cielo: per aria c’era una botte di legno che si dirigeva verso l’interno della città.
- Siri, credo non serva più chiedergli dove si trova il colossale. – disse Hange armandosi, mentre l’altra tranciava gli arti di Reiner con dei colpi precisi delle spade. Lo legò poi sulla sua schiena con una corda e si allontanò prima che, improvvisamente, la botte si rompesse e Berthold ne uscisse, dirigendosi verso ciò che rimaneva del corazzato: con suo orrore non trovò alcuna traccia dell’amico, visto che la spia si era già allontanata col suo corpo. Nascosta lì vicino, era rimasta nell’ombra mentre Armin tentava di percorre la via del dialogo con lui. Né la spia, né Hange erano in verità molto d’accordo, però acconsentirono lo stesso, sperando che il biondino potesse ribaltare la situazione per davvero. La squadra della scienziata circondava il perimetro mentre, contro ogni aspettativa, Berthold aveva acconsentito a parlare con Armin: dopo aver scambiato poche battute, a Siri, che nessuno avrebbe potuto notare per quanto quatta si era spostata da un tetto all’altro per seguirli, fu lampante che i buoni propositi del suo compagno di squadra sarebbero rimasti tali senza portare ad alcun risvolto positivo. Con la coda dell’occhio teneva sempre sotto controllo Eren.
- Sigrid, devi promettermelo. Anche se non ti piace.
Sentiva le parole di Erwin ancora nella sua testa, un monito costante per tenere lontano il minimo ripensamento verso l’incarico che il comandante gli aveva dato poco prima di separarsi dal suo gruppo.
- Come potrebbe anche solo lontanamente piacermi una cosa del genere?!
Siri scosse la testa e fece appena in tempo a rendersi conto che Berthold, attaccato alle spalle da Mikasa, si era allontanato. Il dialogo non era più una via percorribile, stava per trasformarsi. Realizzò di essere troppo vicina e cercò di allontanarsi quando fu ormai troppo tardi: venne colpita alle spalle dall’onda d’urto che la fece schiantare contro un tetto e poi cadere rovinosamente al suolo, battendo forte la testa. In pochi secondi divenne tutto buio, nonostante la forte luce dell’esplosione, e Siri giacque a terra quasi senza vita.
 
Rumore.
Un forte fischio nelle orecchie.
Le palpebre di Siri si alzarono a fatica, offrendole la visione completamente sfuocata di ciò che la circondava. Con la guancia schiacciata sul terreno, respirò a bocca spalancata inalando terreno e polvere: il forte odore di bruciato le arrivò dritto in gola facendola tossire debolmente. Fece leva con le braccia e si mise a sedere con estrema difficoltà, mentre si guardava attorno stranita, cercando di mettere a fuoco ciò che vedeva. Tutt’intorno a lei c’erano solo macerie, subito davanti una piccola fila di mura in pietra la divideva da una fine orrenda, a giudicare dalle case ridotte quasi in polvere dall’esplosione.
Siri in quel momento non riusciva a capire bene cosa stesse succedendo, il forte fischio nell’orecchio la faceva sentire stordita e confusa, e trovava difficile distinguere bene ciò che vedeva, tutto ciò più lontano di qualche metro le appariva come macchie di colore indistinguibili. Batté il palmo della mano sull’orecchio, nel tentativo di far cessare quel suono fastidioso ed insistente.
Sgranò gli occhi con orrore, mentre una scossa la fece rabbrividire da capo a piedi. Quella scarica di adrenalina la fece tornare abbastanza cosciente da rendere i suoi sensi più acuiti.
Si portò di nuovo il palmo accanto all’orecchio e, tremante, lo batté di nuovo sulla sua apertura, prima piano e con calma, poi sempre più forte e nervosa, ma continuava a non sentire assolutamente nulla. Non un tonfo sordo o un suono ovattato come avrebbe dovuto essere, soltanto quel fischio interminabile che perdeva d’intensità ogni minuto che passava.
- Cazzo. – anche quell’imprecazione le arrivò a metà, da un orecchio solo, quello che le era rimasto. Magari è solo temporaneo, pensò speranzosa, ma in fondo sapeva di averlo perso per sempre e un orecchio in meno non l’avrebbe angosciata più del dovuto. Ora che il mondo attorno a lei stava diventando più nitido, iniziò a percepire meglio il dolore della caduta lungo tutto il corpo, oltre che una sensazione umida scenderle dalla testa e poi sulla fronte: si toccò il capo e guardò le dita sporche di sangue. Questo, invece, era degno della sua angoscia: si tastò ancora con cura la testa e registrò a mente tutte le informazioni che riusciva a carpire, servendosi solo del tatto, sull’enorme taglio che aveva in testa, ma senza uno specchio non sarebbe riuscita a curarsi. Il cuore iniziò a martellarle nel petto al solo pensiero di ciò che una ferita aperta del genere avrebbe potuto comportare se non richiusa al più presto, senza contare tutto il tempo in cui era rimasta priva di coscienza.
- No, no. Respira. – si disse ad alta voce, il suo evidente stato confusionario l’aveva fatta agitare irrimediabilmente. Si strofinò un palmo sulla fronte e, mentre all’orecchio sano le arrivavano suoni di schianti e crolli, un pensiero, apparentemente senza alcuna correlazione, le attraversò la mente.
Devo trovare Eren. Tenerlo d’occhio. Aggrottò la fronte. Perché?
Si sforzò, sistemandosi sui polpacci. Erwin me l’ha ordinato.
Provò a riportare alla mente l’ordine del comandante ma era come se un enorme buco nero le stesse risucchiando via la memoria. Se prima si era agitata per il taglio che aveva sulla testa, a quel punto andò in panico completo: senza neanche accorgersene dei lacrimoni le inondarono gli occhi e iniziarono a cadere copiosi sul dorso delle sue mani che, sporche di sangue e aperte sulle sue cosce, tremavano incontrollate.
Non ricordo niente… - l’intera conversazione che aveva avuto con Erwin era sparita dalla sua memoria, non solo, anche gli ultimi avvenimenti erano totalmente confusi nella sua mente se solo provava a richiamarli. Un tonfo più forte degli altri la fece girare verso il centro della città: la visione di un gigante alto sessanta metri che lanciava macerie per aria la fece sbiancare. In quel preciso momento si convinse che quello non poteva che essere l’inferno, era in un’ecatombe di fuoco e detriti, anche respirare le risultava difficile con quell’aria satura di polvere e odore che non poteva che imputare alla morte. Si alzò e iniziò a camminare tra gli edifici, sperando di trovare qualcuno, magari solo privo di sensi, ma era più probabile che tutti fossero stati spazzati via dall’esplosione, perlomeno, la squadra di Hange era abbastanza convinta fosse stata completamente annientata, poiché si trovava troppo vicino all’esplosione.
No. Continua a camminare. Troverai qualcuno ancora vivo.
Camminava da qualche minuto quando un rumore più forte degli altri a cui era abituata attirò la sua attenzione: si voltò e vide il gigante di Eren giacere immobile sulle mura interne, su cui era stato scaraventato dal gigante colossale.
- Eren! – Siri alzò il passo per dirigersi verso di lui, quando un movimento alla sua sinistra la fece fermare all’istante. Dall’interno di un pozzo stava emergendo una figura umana, rimase completamente immobile fino a quando non comprese essere Hange, e la spia non poté che precipitarsi a perdifiato verso l’amica, altrettanto sorpresa di vederla ancora in vita.
- Siri! – Hange si arrampicò sulla pietra e si fece aiutare dalla spia che la prese tra le braccia per trascinarla fuori – Grazie al cielo sei ancora viva.
Siri strinse l’amica ancora più forte tra le braccia strofinando il lato della testa ancora integro sul suo petto: - Per un momento ho pensato fossi un sopravvissuto di Shiganshina di cinque anni fa, una sorta di abitante delle fogne.
Hange sorrise e accarezzò la testa della spia, prima di notare con una certa impressione il grosso taglio su di essa: - Siri, sei ferita! – l’altra scostò la testa dall’amica e la guardò facendo una smorfia sconsolata: - Anche tu non te la passi meglio. – disse toccandosi poi l’occhio per fare riferimento a quello leso di Hange.
Siri si alzò e fece scorrere la sua cintura per portare la sacca delle emergenze sulla vita: - Tra mezza sordità e mezza cecità ce la passiamo bene.
- Sordità? Vuoi dire che tu…
- Non provare a chiamarmi dalla mia sinistra perché non sento un accidente di niente.
- Oh… – Hange si grattò la testa, si alzò e prese la sacca da cui Siri aveva tirato fuori disinfettante e garze – Siri… dov’è Reiner?
La spia si toccò la spalla e si rese conto solo allora di non avere più il ragazzino legato a sé, continuò a toccarla anche se l’aveva già constatato e l’espressione vuota che le si dipinse in faccia fece preoccupare Hange: - Tutto bene?
Siri crollò sulle ginocchia e iniziò a prendere a pugni il terreno, fino a quando non emise un rantolo e tenendo le mani aperte sul suolo rimase con la testa piegata, senza avere il coraggio di alzarla sull’amica che nel frattempo le si era inginocchiata davanti e le stava accarezzando una spalla: - Siri non preoccuparti, lo ritroveremo…
- No Hange… non è quello… – alzò la testa su di lei e la guardò avvilita – Non mi ricordo. Non riesco a ricordare un cazzo, è come se… CAZZO! – strinse le mani sul terreno, scavandolo con le dita – Cosa sono senza la mia memoria?! Non sono niente, sono assolutamente inutile! Erwin mi aveva ordinato una cosa, non riesco a ricordarla, per colpa mia potremmo fallire tutti quanti!
- Siri, adesso calmati. Hai solo preso una bella botta, e non dire questo. – Hange si fece seria, le prese le spalle e continuò grave – La tua memoria non ti definisce. Sei un soldato e dobbiamo aiutare i nostri compagni, non possiamo perderci d’animo adesso. Per cui, facciamo un passo alla volta, ricuciamo le nostre ferite, la tua testa tornerà a funzionare. Abbi fiducia, va bene?
Siri annuì in silenzio e si lasciò ricucire e fasciare il taglio sulla testa in religioso silenzio, quando Hange ebbe finito, prese a toglierle delicatamente gli occhiali dalla faccia. Cominciò a rimuoverle i vetri che le si erano conficcati nell’occhio ma sapeva di non poter far altro che chiuderle le ferite, per la sua vista non poteva fare niente.
- L’occhio è andato. Non posso fare altro. – la scienziata si limitò ad abbassare lo sguardo e annuire, mentre Siri riponeva gli strumenti chirurgici, dopo averla fasciata con cura. Hange si alzò e controllò il suo dispositivo, diede poi un’occhiata a quello di Siri.
- Avanti, andiamo. Prendiamo le lance fulmine e cerchiamo Reiner, poi andremo ad aiutare gli altri, o quello che ne è rimasto.
Le due a quel punto si diressero col dispositivo verso il posto in cui avevano lasciato le altre lance, mentre si tenevano a debita distanza dal raggio del colossale che, notarono, oltre a spargere macerie e distruzione attorno a sé, era alle prese con la squadra di Levi: aveva scaraventato Eren sulle mura e gli attacchi dei ragazzini non sembravano scalfirlo in alcun modo.
Siri stava caricando le lance sulle braccia con Hange quando un fulmine si stagliò dal centro della città. Si bloccarono sul posto e alzarono lo sguardo che, da sorpreso, virò al contrariato.
- Sapevo di doverlo imbottire di analgesico.
- Sarebbe comunque stato inutile ai fini del piano: la testa non gli sarebbe ricresciuta in tempi utili e tu non avresti potuto interrogarlo.
- Quindi ci tocca abbatterlo di nuovo… – Siri scosse la testa – È proprio stupido, come l’abbiamo fatto una volta…
Hange si assicurò che le lance fossero ben agganciate: - Hai ragione, ma vedi, lui pensa che la tua squadra sia sola. Guarda. – Siri osservò con più attenzione e notò che i ragazzi si erano divisi, un gruppetto più numeroso si stava occupando del corazzato mentre il colossale sembrava procedere indisturbato verso l’interno delle mura – Li ha già messi in difficoltà, non so cosa hanno in mente i ragazzini, cerchiamo di osservarli e capire il loro piano per poter dare una mano. Finché Reiner ci crede morte possiamo sorprenderlo.
 
Essere stata testimone di tutta quella distruzione non aiutò di certo Siri a ricordare l’ultimo ordine che Erwin le aveva dato, sapeva che riguardava Eren e che non le era piaciuto e credeva che la sua mente le stesse giocando un brutto scherzo non solo perché aveva battuto la testa, ma perché nel profondo non voleva adempierlo.
- Siri, Reiner è pronto. Si ostina a dire di non voler dare altre informazioni.
La spia, sul tetto, si voltò a guardare Hange sotto di lei, assente. Aveva ancora la testa fasciata di Sasha tra le mani quando rivolse lo sguardo a Connie che teneva l’amica tra le braccia premuroso. Si chiese: cosa mi piacerebbe di meno, interrogare Reiner o eseguire l’ordine di Erwin? Scelse l’ignoto, vedendo Eren, pensò, probabilmente si sarebbe ricordata cosa il comandante le avesse chiesto di fare.
Si alzò e lanciò i rampini dirigendosi verso il punto in cui dovevano trovarsi Eren ed Armin che, a quanto pareva, erano riusciti ad abbattere il colossale: - Hange, occupatene tu. Devo raggiungere Eren.
Mikasa la guardò volare via con una strana sensazione sulla bocca dello stomaco mentre Hange accanto a lei cercava di richiamarla: - Maledizione! Giuro che Erwin lo prendo a calci appena lo vedo.
Siri si destreggiò tra le vie e infine vide finalmente il compagno di squadra su un tetto, piegato su qualcosa che non riusciva bene a distinguere.
- Eren! – atterrò alle sue spalle strisciando sulle tegole, alche il ragazzino si voltò verso di lei con le lacrime agli occhi.
- Siri! Ti prego! Aiuta Armin! – la ragazza si precipitò verso di lui e si bloccò all’istante quando realizzò a cosa l’altro stesse facendo riferimento. Accanto ad Eren c’erano due corpi incoscienti: uno doveva essere l’ospite del colossale perché presentava delle cicatrici sulla faccia e perdeva vapore dagli arti tranciati, mentre l’altro, constatò con orrore, era il corpo di Armin bruciato vivo. La spia mise una mano sulla spalla di Eren cercando di calmarlo, ma era tutto inutile esattamente come qualsiasi tentativo di salvare il suo migliore amico che, ad una prima occhiata, sembrava chiaramente morto. A Siri vennero gli occhi lucidi: credeva di essere preparata a tutto, ma quello le sembrava troppo. Improvvisamente sentirono un rumore al loro fianco, si girarono e videro un gigante che, camminando a quattro zampe tra le macerie, si dirigeva minaccioso verso di loro. Sguainarono entrambi le spade e quel fruscio delle lame che uscivano dall’astuccio si propagò nella testa della spia come una scossa elettrica.
- Siri, al momento opportuno, se la situazione lo richiedesse, dovrai uccidere Eren.
- Come?!
- Possiamo sopportare un altro fallimento, perdite ingenti, ma ora che la porta del Wall Maria è stata richiusa, potremmo accontentarci anche solo di questa vittoria parziale. Tuttavia… Se Eren finisse nelle mani dei nostri nemici, sarebbe la fine per tutte le persone all’interno delle mura.
Siri scosse la testa, riconnettendosi al mondo reale: un uomo biondo e barbuto con gli arti mozzati era a cavallo del gigante e stava parlando ad Eren, il quale teneva Berthold come ostaggio.
Non basta quel ragazzino per tenerli lontani. 
- Ti ho trovato… Sei Eren Yeager, giusto?
Eren affondò la spada sotto il mento di Berthold quando l’uomo continuò: - Tu… non assomigli per niente a tuo padre…
Siri approfittò dello sgomento del ragazzino per scivolare dietro di lui e incrociare le spade sul suo collo. Quel gesto, come previsto, mise in allerta i due di fronte a loro, mentre il ragazzino si voltò di poco per incrociare lo sguardo del superiore: - Siri, ma che…
- Tu, con la barba. Hai i segni dei giganti in faccia, sarai il bestia presumo. – la ragazza lo guardava dritto in faccia, per non lasciarsi intenerire dagli occhi increduli di Eren – Sì, lui è Eren Yeager, tanto piacere. Sappi solo che se provi ad avvicinarti anche solo di un centimetro gli mozzerò la testa di netto.
L’uomo sgranò gli occhi, il gigante quadrupede fece per avvicinarsi ma Siri chiuse appena le spade tagliando i lati del collo di Eren, da cui colarono dei rivoli di sangue. Al ragazzino scesero delle lacrime inconsapevoli mentre tentava di attirare l’attenzione del superiore per supplicarla, invano.
- FERMA PIECK! – gridò il possessore del bestia. La spia continuò a tenere i suoi occhi fissi sui due nemici minacciosa.
- Bravo, tieni a bada quella sottospecie di cavallo. Faccio sul serio. Non credere che il fatto che lo conosca possa fermarmi. – seguì per qualche secondo un silenzio innaturale durante il quale la mente della spia, per un attimo, andò a posarsi su Levi e tutti gli altri oltre le mura di cui non si vedeva né sentiva alcunché. Un brivido di timore l’attraversò al pensiero che potessero essere morti tutti quanti, incluso…
- Credimi Eren, – il possessore del bestia digrignò i denti – ti capisco, siamo entrambi vittime di tuo padre. So come ti senti ma, vedi… Entrambi siamo stati manipolati da lui.
Improvvisamente qualcosa attrasse l’attenzione dell’uomo che rivolse lo sguardo verso l’alto, terrorizzato. Siri lanciò furtiva un’occhiata nella stessa direzione e vide anche lei una figura in piedi sulle mura, grondante di sangue e immersa nel vapore.
Levi…?
- Eren! Tornerò a salvarti! – urlò l’uomo mentre il gigante che lo teneva sulla sua schiena si allontanava dirigendosi verso l’esterno delle mura – Te lo prometto!
Levi si gettò oltre le mura per raggiungerli, ma il gigante a quattro zampe si allontanò più velocemente che potette, sotto gli occhi di Siri che, solo quando Mikasa atterrò sul loro tetto, li abbassò sul ragazzo che la fissava terrorizzato. La spia ripose le spade facendo tirare ad Eren un respiro di sollievo misto ad incredulità: - Perdonami Eren… Ma era necessario. – in silenzio, poi, Siri si diresse verso il corpo di Armin e lo trascinò con delicatezza su una falda per permettergli, eventualmente, di respirare meglio.
Mikasa era rimasta paralizzata alla vista del ragazzino totalmente carbonizzato e fu solo l’atterraggio di Levi accanto ad Eren sul colmo del tetto a risvegliarla dal forte stato di shock, si sciolse nelle lacrime che iniziarono a colarle lungo il viso, mentre un forte mal di testa aveva iniziato a premerla come in una morsa.
- Eren, dammi il tuo gas, sbrigati. – Levi si era inginocchiato davanti a lui, mentre sganciava e gettava via le bombole ormai vuote.
- Capitano! Il siero, possiamo iniettarlo ad Armin e fargli mangiare Berthold per salvarlo! Siamo ancora in tempo! – Levi a quelle parole si voltò verso Armin e s’incupì alla vista del compagno morente.
- Eren… Armin è chiaramente…
- Respira. – lo interruppe Siri con un’espressione assente. Era a dir poco sollevata di vedere Levi ancora vivo, ma le condizioni di entrambi e tutto ciò che avevano passato fino a quel momento era a dir poco troppo per lasciar spazio al sollievo. Il capitano guardò la sua vice con uno sguardo altrettanto vuoto e poi tirò fuori l’astuccio contenente la siringa che Kenny gli aveva dato prima di morire, porgendolo ad Eren. Poco prima che quest’ultimo lo prendesse, Floch, sopravvissuto all’attacco suicida diretto da Erwin, si materializzò sul tetto attirando l’attenzione su di sé e sul comandante privo di sensi che trasportava sulle spalle: Levi non ci pensò due volte e ritrasse la mano col siero, si voltò poi verso Siri.
- Siri! – la spia rispose istintivamente alla voce alta e perentoria del capitano e si gettò su Floch. Sciolse i nodi con cui Erwin era legato al soldato e lo spostò lungo le tegole: con le mani iniziò a tastarlo e ad eseguire il triage il più velocemente possibile, il volto del comandante era pallido e sudato, non rispondeva ai suoi semplici richiami, sulla testa aveva un taglio profondo e il fianco, fasciato alla belle e meglio, perdeva sangue.
Tolse le dita dalla giugulare e sospirò stanca: - Posso curarlo e concedergli forse qualche giorno, forse qualche ora. Non posso dirlo con certezza. Ma per certo, con questa ferita sul fianco non durerà.
Levi ci mise qualche secondo per recepire le parole di Siri, ringraziò il cielo che non ci fosse lei al posto di Armin prima di annunciare laconico la sua decisione: - Daremo… Daremo il siero ad Erwin. – ritraendo la mano col siero, si alzò con lo sguardo basso, per non incrociare quello di Eren che lo imitò a sua volta per fronteggiarlo mentre Mikasa sguainò le spade.
- No, capitano! – allungò imprudentemente le mani verso l’astuccio, afferrandolo – Ormai lo stava dando ad Armin!
Levi guardò prima uno e poi l’altra contrariato: - Voi due… avete idea di quello che state facendo? È di Erwin Smith che stiamo parlando, il nostro comandante. Volete forse dirmi che starete qui seduti a lasciarlo morire?
Siri e Floch, seduti vicini, osservavano la scena a bocca aperta. La spia sentiva un forte malessere crescerle nel petto, lei, al posto di Levi, non sarebbe riuscita per certo a prendere una decisione coerente. Abbassò lo sguardo sui due corpi quasi privi di vita dei due soldati e si portò una mano alla bocca per trattenere un singulto mentre le lacrime le riempirono gli occhi.
- Adesso basta. Toglietevi di mezzo. – Levi fece per tirare a sé l’astuccio ma Eren lo trattenne – Eren. Metti da parte i tuoi sentimenti.
- I miei sentimenti?! Perché lei ha esitato quando mi ha dato il siero?
- Stavo considerando la possibilità che Erwin fosse vivo. – rispose, stringendo più strettamente l’astuccio.
- Non vedo come avrebbe potuto prevedere che Floch sarebbe riuscito a portare il corpo del comandante fin qui.
- Infatti. Ma ora che Erwin è qui, utilizzeremo il siero su di lui. – concluse Levi che cercò di tirare a sé il siero, ma incontrando nuovamente la resistenza del sottoposto, decise di agire con la forza. Spinse il pugno chiuso sulla scatola verso la faccia di Eren e lo scaraventò dall’altra parte del tetto con un pugno. Siri sobbalzò e fece per dirigersi verso il compagno di squadra quando notò con la coda dell’occhio il movimento fulmineo di Mikasa, che aveva preso la rincorsa per gettarsi su Levi, il quale cadde all’indietro spinto dalla ragazzina. La spia si lanciò di peso su di lei ed entrambe rotolarono sulle tegole, dal loro aggrovigliarsi volò via la lama della spada di Mikasa che Siri, infilando le dita nei bottoni dell’impugnatura, riuscì a sganciare.
Levi si voltò e tese una mano dolorante verso le due: - Siri!
Lei, con enorme sforzo, ribaltò la compagna e le afferrò i polsi saldamente: - Mikasa, basta! – sulla faccia sconvolta dalla rabbia della ragazzina caddero le lacrime del superiore – Non puoi comportarti così soltanto perché sei la più forte tra noi!
- Neanche il capitano allora! – le ringhiò contro l’altra che sfilando una gamba da quella della spia le piazzò una ginocchiata nella pancia, liberandosi quindi dalla sua presa spingendola indietro. Si diresse nuovamente verso Levi ma Siri le afferrò una caviglia e la tirò verso di sé facendola cadere di faccia sulle tegole.
- Non lo vedi? – Siri, distesa, tossì sangue, Mikasa, nonostante la rabbia, si allarmò non poco quando vide quella scena – Non siamo le persone più giuste per prendere una decisione del genere. Il comandante ha ordinato che fosse il capitano Levi proprio per questo motivo.
La spia, senza perdere la presa sulla caviglia della ragazza, si mise a sedere e portò la mano libera sulla pancia dolorante: - Dobbiamo lasciare che sia così e se il capitano ci dice che il siero andrà al comandante è perché è la decisione più giusta. E io posso capirla, perché senza Erwin Smith non saremo capaci di vincere contro i giganti o qualsiasi altro nemico ci sia là fuori.
Eren, dall’altra parte del tetto fece valere le sue di ragioni, ricordando le imprese di Armin in quei mesi. La cosa parve riscuotere Mikasa che, roteando la gamba libera, sferrò un calcio in direzione della faccia di Siri; quest’ultima ebbe i riflessi pronti per pararlo col braccio libero, ma il contraccolpo la scaraventò comunque lontano, facendola rotolare sul tetto prima di giacere infine su un lato senza forze. Mikasa quindi si diresse verso Levi, che a stento riusciva a contenere la rabbia: per loro fortuna, intervenne Hange che afferrò la ragazzina per le spalle; mentre Jean si precipitò sulla maestra, assicurandosi col braccio rimasto integro che stesse bene.
Levi si trattenne dall’unirsi al ragazzo e aprì l’astuccio, preparando il siero nella siringa sotto le urla di Mikasa.
 
Sulla cima delle mura soffiava una brezza estiva piacevole nonostante il sole fosse alto e picchiasse nel momento della giornata in cui era più alto. Siri stava per fare per la terza volta il giro tra i feriti, non era Armin ad impensierirla particolarmente, quanto più Sasha che aveva sbattuto la testa mentre stavano cercando di abbattere il corazzato e non si era più ripresa da allora. Jean, disteso anche lui assieme a Connie accanto all’amica infortunata, si accorse dell’apprensione della spia: - Dovresti stenderti anche tu, Siri. Non sei messa molto bene, e lo sai meglio di me.
Siri, tenendosi la pancia, si piegò lo stesso su Sasha per controllarle le pulsazioni: - Sono il vostro medico, non posso farmi una dormita. E poi Hange mi ha già curata a dovere.
- Ma non per la rissa con Mikasa. – Jean sospirò contrariato – Alle volte non capisco davvero il suo comportamento, ha davvero esagerato. La pancia ti fa ancora male.
- Sono stata peggio.
Jean si mise a sedere: - Ma ciò non togl…
- Siri. – la spia e l’allievo si voltarono verso Mikasa che, seguita da Hange, Eren e Levi, aveva fatto ritorno dalla sua vecchia casa – Devi perdonarmi. Come ti senti?
Si piegò su Siri che invece, con non pochi sforzi, si alzò: - Sto bene, non preoccuparti. Voi piuttosto, sembrate aver visto il fantasma brutto di Rod Reiss.
- Abbiamo effettivamente delle… novità abbastanza sconvolgenti da riferirvi. – esordì Hange che portava tra le braccia tre grossi libri – Ma aspetteremo che vi siate ripresi per comunicarvele.
- Che gioia. – commentò Siri sarcastica – Non vedevo l’ora di consumarmi dalla curiosità, per l’ennesima volta.
Levi, che teneva sottobraccio altri libri, rimbeccò la vice severo: - Data la situazione, Hange da oggi è il comandante del corpo di ricerca, saltimbanco.
Siri lo guardò altrettanto seria, aspettò qualche secondo prima di ribattere, facendo temere al capitano il peggio: - … Quindi questo significa… che non dovrò più condividere la stanza con lei?
Jean si coprì la faccia con una mano mentre Connie trattenne a stento una risata. Siri si girò verso la tenda di primo soccorso che avevano allestito e la oltrepassò, per andarvi dietro: - Voglio una stanza singola tutta mia quando torniamo, dopotutto dovrei essere schizzata in cima a tutte le liste d’attesa con oggi.
Quando fu nascosta dalla vista degli altri dietro la tenda, la spia aprì una cassa delle provviste e iniziò a tirare fuori le pentole e il cibo che avevano portato dal quartier generale. Prese una pentola e poi, piegando a fatica le gambe, vi si sedette davanti mentre contava e metteva al suo interno le verdure per lo stufato. Poco dopo, sentì un fruscio e dei passi, si voltò e alla sua sinistra apparve Levi: si fissarono a vicenda intensamente per qualche secondo, poi Siri, come a dargli il permesso, sospirò nervosa e tornò a concentrarsi sul pentolone. Lui le si avvicinò e si sedette accanto a lei, tenendosi cautamente a un passo di distanza, posò poi i libri che aveva tra le braccia davanti a lui, producendo intenzionalmente un rumore che attirò l’attenzione della spia.
- Questi… sono per te.
Siri li guardò di sbieco ma continuò a mettere gli ortaggi dentro la pentola, fino a quando lui non spinse la pila di libri davanti a lei che quindi si fermò. La ragazza accarezzò la copertina del libro in cima con delicatezza e la sollevò: iniziò a sfogliare incuriosita le pagine che si rivelarono essere piene di appunti e frasi stampate di medicina. Con una rapida occhiata si rese subito conto di non aver mai visto appunti di quel genere, né tantomeno quelle malattie che vi lesse di sfuggita. Levi notò lo sguardo rapito della compagna, quindi si affrettò a continuare, prima che lei si perdesse completamente in quei testi: - Il padre di Eren era un medico e proveniva da una società fuori dalle mura molto più avanzata della nostra. – Siri, con la bocca semiaperta, annuì in silenzio – Questi sono i suoi libri… Quando li ho visti ho pensato a te, che avrebbero potuto esserti utili. Quindi te li ho portati.
Siri era rimasta assorta a fissare i libri tra le sue mani, senza emettere il minimo suono: il capitano non sapeva come decifrare quella reazione. Era arrabbiata con lui o voleva ringraziarlo? Probabilmente, pensò, è stata una cattiva idea. Fece per alzarsi ma lei lo bloccò: - Aspetta. – si voltò a guardarlo con cipiglio – Sei ferito?
Levi la fissò stranito, mentre notò che con una mano stava chiudendo la copertina del primo volume e spingendo da parte la pila di libri: - No. Sono solo stan… – non terminò in tempo la frase che Siri gli si gettò addosso, stringendolo tra le braccia. Capitolò all’indietro sotto il peso di lei che si schiacciò più strettamente contro di lui: - Scusami, non dovevo essere così insistente, – scoppiò, in lacrime, la ragazza mentre affondava la testa contro il suo petto – mi dispiace, sono stata così ottusa, volevo farti aprire per aiutarti, ma ho sbagliato e se oggi fossi morto non me lo sarei mai potuto perdonare, ti prego, scusami.
Levi rimase sconvolto, portò una mano sulla testa di Siri e l’accarezzò, facendo attenzione alla benda sulla testa: - Ma che diamine stai blaterando, saltimbanco? Anche tu stai dando di matto come i mocciosi? – quindi portò l’altra mano sulla sua schiena per stringerla a sé, mentre la sentiva singhiozzare.
Siri alzò la testa per incontrare i suoi occhi, lui quindi continuò: - Puoi perdonarmi? – lei lo baciò rapida sulle labbra e poi affondò la testa nell’incavo del suo collo: - Ti perdono. Puoi perdonare me?
Levi la strinse ancora più saldamente a sé: - Ti perdono. – le bisbigliò, strofinando il naso sul suo collo, annusandone i capelli per collezionare anche quella sfumatura di Siri. Fino a quel momento poteva vantarne un buon assortimento, aveva quella di lavanda, di quando metteva i vestiti freschi di bucato o si era appena lavata i capelli; quella di disinfettante, di quando lo raggiungeva a mensa dopo una giornata passata in infermeria; adesso sentiva quella di bruciato e calcinaccio, ed era di quando andava in missione con lui. Adorava ogni singola sfumatura, adorava anche il fatto che il destino gli avesse concesso, per una volta, più tempo per conoscerne e assaporarne altre.
 
Passò qualche mese dalla missione di riconquista e, dopo un iniziale entusiasmo generale tra la popolazione, ci fu una ripresa della razionalità graduale che lasciava non poche problematiche sospese e di cui Hange dovette occuparsi. Prima fra tutte vi era quella di liberare il territorio del Wall Maria dai giganti, a cui si fece fronte non solo con l’invenzione ammazza-giganti della scienziata, ma anche con brevi e intense spedizioni guidate da Levi con l’appoggio di alcune squadre tra guarnigione e gendarmeria. Nel giro di poco tempo i territori furono finalmente liberati e, prima di poter permettere ai rifugiati di tornare nelle proprie case, si stava già pensando a progetti di ristrutturazione delle città perdute, oltre che di esplorazione verso i territori inesplorati al di fuori delle mura.
Ora che era stato assodato il fatto che all’esterno delle mura non solo l’umanità era viva e vegeta, ma al suo interno vi era una nazione potente ostile alla loro, Levi non faceva altro che pensare alla conversazione che aveva avuto con Siri quando le aveva riferito ciò che aveva letto assieme ad Hange sui libri di Grisha Yeager. 
Era appena tornato da una di quelle missioni lampo ed era immerso fino al petto nella vasca del bagno dei veterani, ormai praticamente di proprietà sua e di Siri, fino al momento in cui, nel giro di qualche settimana, non sarebbero arrivate le nuove reclute e i loro compagni di squadra non si sarebbero trasferiti nel loro stesso complesso.
- Boss, – gli aveva detto sospirando, dopo aver preso un sorso di whisky – ci penso da un po’, e credo proprio che tra non molto, per come si sono messe le cose, sarò sommersa di lavoro.
Levi tese un braccio oltre l’orlo della vasca e afferrò un asciugamano inumidito di acqua fresca e lo depose sugli occhi, abbandonando la nuca all’indietro sul bordo. Non c’era una volta che Siri non ci vedesse lontano e, difatti, dalla conversazione avuta con Hange poche ore prima, aveva appurato il fatto che la spia sarebbe stata promossa, a che posizione non era ancora ben chiaro.
Sentì aprire la porta ma non accennò a muoversi, né tantomeno a rimuovere l’asciugamano dagli occhi.
- Ah ma che bravo, hai preparato già la vasca. – riusciva ad avvertire l’avvicinamento di Siri solo dalla sua voce che rimbombava sulle mattonelle, il suo passo era praticamente impercettibile e per nulla d’aiuto a capire quanto vicina si trovasse.
- Non azzardarti ad entrare senza prima sciacquarti.
- Obbligami… se ci riesci. – Levi espirò dal naso fingendosi frustrato, poi alzò un lembo dell’asciugamano per scoprire un occhio e spiarla: la ragazza era seduta sul bordo della vasca, coperta unicamente da un asciugamano, era umida e stava spargendo nell’acqua dei fiori secchi di lavanda. Rassicurato dal fatto che si era effettivamente sciacquata, abbassò di uovo l’asciugamano, lei se ne accorse e sbuffò.
- E io che volevo farti arrabbiare.
- Ci riesci anche senza farlo apposta, non serve che ti sforzi. – sotto l’azione del calore dell’acqua, i fiori di aprirono, riempendo l’aria di un piacevole odore di lavanda. Siri tolse l’accappatoio e s’immerse all’altro capo della vasca mentre Levi piegava le gambe per lasciarle spazio.
- Hange ha parlato con Shadis: dicono che quest’anno ci sarà un incremento considerevole nel numero di chi si unirà alla legione esplorativa.
- Tch – commentò lui torcendo un labbro – Coraggiosi. Non è una buona notizia, non illuderti. Più lavoro per noi che dovremo formarli.
Siri emise un suono a bocca chiusa che esprimeva disaccordo: - Solo per voi.
Levi rimase in silenzio, strofinò con un dito la porcellana della vasca: - Quindi è ufficiale.
- Lo sarà da domani. – ammiccò anche se non poteva vederla e continuò seducente – Non potrai più darmi ordini.
- Non sarò più il tuo responsabile, è un sollievo.
- Hange ha già inviato i documenti, sarà una squadra segreta, un comparto “speciale” nel corpo di ricerca. Io ne sarò il capo e sceglierò i membri. – Siri, quindi, sciolse i capelli dalla crocchia che li teneva alti sulla testa – Pyxis non sarà molto contento di dover cedere di nuovo la sua spia migliore.
Levi all’inizio non capì, poi elaborò meglio le sue parole e tolse l’asciugamano dagli occhi alzando la testa per guardarla incredulo: - Mi prendi per il culo?!
- Volevo solo informarti, il tuo parere sulla cosa è superfluo.
- Devo ricordarti cos’è successo l’ultima volta? – le disse, calmo, mentre con una dolorosa fitta allo stomaco gli tornavano alla mente le immagini della missione alla dimora degli Aurille – Tu non ti fidi di lui, Erwin non si fidava di lui, io quindi ancora meno.
- Levi, ha dato la prova di fedeltà che bastava.
- Per me non è abbastanza.
Quando erano tornati dall’operazione di riconquista avevano parlato a lungo della loro relazione e avevano deciso di viverla senza pensare troppo al futuro. Levi le aveva esplicitato le sue paure, non riusciva a non pensare a quanto i loro sentimenti li avrebbe potuti rendere più deboli e vulnerabili, Siri gli aveva preso le mani e con quel “potere” che esercitava su di lui lo calmò così bene che non ci pensò più a riguardo: «Levi… Mio padre era un soldato del corpo di ricerca, era praticamente certo che sarebbe morto lasciando mia madre completamente sola. Ma hanno deciso comunque di stare insieme, hanno rischiato e se c’è una cosa che mi hanno insegnato, anche se non li ho mai conosciuti come avrei voluto, è che a volte vale la pena rischiare. Potremmo morire domani, potrei cadere dalle scale e rompermi l’osso del collo, potresti pungerti con uno spillo arrugginito, potrebbe accadere davvero di tutto e comunque non è detto che ci succeda qualcosa in missione. Capisci quello che voglio dire? Io… per te voglio rischiare.». Levi non poteva negare di essere spaventato, ma quel discorso non faceva una piega e non poteva negare nemmeno che sentirle dire quelle cose non faceva altro che consolidare la sua attrazione verso di lei. Non si erano dati dei ruoli definiti, erano semplicemente diventati la persona dell’uno e dell’altra.
Siri inclinò la testa e si massaggiò il collo con una mano, scostandosi poi i capelli per scoprire la clavicola: - E invece è abbastanza. Lo sai benissimo che so badare a me stessa, capisco come la cosa ti faccia sentire, te lo leggo in faccia anche se non me lo dici ma… – lo guardò più gravemente, mentre lui irrigidì i muscoli della mascella – Levi, quella sera le cose sarebbero potute andare in maniera decisamente diversa. Sì, i miei piani non sono azzardati come quelli di Erwin, ma quello in realtà è stato parecchio audace se ci pensi. Bernard avrebbe potuto attirare Hange e gli altri in una trappola o un finto scambio, avrebbe potuto lasciarmi uccidere Michel e io sarei finita in prigione, visto che non ci sarebbero state prove delle attività illecite a mio vantaggio.
Levi strinse i bordi della vasca tra le mani: - Erwin non avrebbe lasciato che accadesse. Io non avrei lasciato che accadesse.
Lei sospirò, massaggiandosi il cuoio capelluto, lui tentò d’ignorare quell’ennesimo gesto per non cedere: - Io avrei lasciato che accadesse. – disse lei quasi noncurante – Se siamo qui a chiacchierare è perché non ho ceduto, è perché ho dato valore a me stessa in quel momento, se fosse successo il contrario non avrei accettato qualche inganno di Erwin o Pyxis per tirarmi fuori da quel casino.
Levi rilassò la presa sulla vasca: - E per questo te ne sono grato, sono fiero di te e ti ammiro perché nelle stesse circostanze non so se avrei potuto vantarmi del tuo stesso sforzo. – la fissò così intensamente che gli occhi di lei gli rivolsero, per un istante, uno sguardo interrogativo – Siri, come ti ho già detto tante volte, ti avrei accettata anche in quel caso, questa volta però è diverso perché non stiamo parlando di te. Ma di una persona di cui non mi fido affatto, con cui starai giorno e notte, lontana da me. O Hange, o qualsiasi persona che tenga a te a parte Jean.
- Levi…
- No cazzo, stammi a sentire. Risparmiami tutte le belle parole che mi hai già propinato. Io ti sto solo dicendo come mi fa sentire la cosa. So perfettamente che sei capace di gestirlo, spero solo che se vi tradisca tu non gli faccia rimanere molto da rompere o tagliare perché, altrimenti, mi ci divertirò io. Hange offre dei buoni spunti in proposito.
Siri alzò un sopracciglio, senza parole, mentre Levi afferrava l’asciugamano fresco per rimetterlo sugli occhi, stendendo la testa all’indietro.

Fine seconda parte

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Capitolo 27
*** Capitolo 0 - La supremazia dei più deboli ***


Capitolo 0 – La supremazia dei più deboli

 
A giudicare dalla saliva raggrumata all’angolo della sua bocca, doveva aver dormito per parecchio tempo e anche piuttosto bene. Si passò l’asciugamano bagnato sul viso e strofinò via lo sporco, il suo sguardo poi si soffermò sul suo riflesso nello specchio e quasi si stupì da quanto diverso se lo ricordava. 
Nei sotterranei non aveva avuto modo, neanche una volta in un anno e mezzo, di vederlo, se non nelle pozzanghere sporche nelle strade ma era solitamente un’immagine distorta e scura che non rendeva giustizia alla nitidezza di uno specchio vero e proprio. In realtà ritraeva fedelmente il personaggio che stava interpretando, qualcuno dai contorni vaghi e oscuri che indubbiamente faticava a definire lei stessa. Sporse la mano verso lo specchio e lo toccò dove vi era il centro della sua faccia: si chiese se mai sarebbe tornata ad essere Siri, in compenso, però, quell’incubo era finalmente finito. La superficie, aveva constatato con quelle ore, le aveva restituito il suo sonno pesante e pacifico, avrebbe voluto continuare a dormire ancora per altre ore ma Ankha poco prima aveva bussato alla sua porta svegliandola.
Siri aveva aperto la porta coi capelli ancora raccolti nella treccia tutta spettinata dalla dormita, la bava alla bocca rinsecchita e attorno agli occhi delle grosse occhiaie, meno gonfie di quando era arrivata al quartier generale, il cui colore violaceo, però, aveva fatto sobbalzare l’assistente di Pyxis. 
- Ciao… Siri. Pyxis ti ha convocata nel suo studio. Appena sei pronta puoi andare da lui per favore?
La spia si era limitata a guardarla e annuire, poi le aveva chiuso la porta in faccia. Non era sua abitudine essere così rude, soprattutto con quella ragazza per cui aveva nutrito sin da subito della simpatia, ma si sentiva letteralmente distrutta e ora quella convocazione dopo che aveva in parte fallito la sua missione le faceva temere il peggio. Ma sono preparata adesso, pensò. Se volesse liberarsi di me opporrò resistenza e si pentirà amaramente anche solo di aver pensato una cosa del genere.
Dopo essersi lavata e rivestita, si diresse verso lo studio di Pyxis, aspettò che il comandante le desse il permesso di entrare, ma quando aprì la porta non entrò subito.
- Siri, che aspetti? – la spia fissò il superiore impassibile.
- Gradirei che Bernard prendesse posto. Prima di me. – a quelle parole, l’uomo sussultò, per poi sorriderle sornione.
- Sei migliorata molto. Bernard, ti avevo detto che non avrebbe funzionato. Ormai è difficile sorprenderla. – il ragazzo superò la porta dietro la quale si era nascosto e, passandoci davanti, rivolse uno sguardo scaltro accompagnato da un ghigno alla ragazza che, solo quando si fu allontanato, entrò e chiuse la porta dietro di sé.
- Forse ancora non lo sai, ma il nostro nuovo acquisto col periodo che ha passato nei sotterranei si è guadagnata una certa fama. – Siri si sedette accanto a Bernard, ignorando il suo sguardo – Non temere Siri, non volevo assolutamente tenderti alcuna trappola. Al tuo collega piace testare le capacità delle reclute. Ma ormai riferirmi a te con questo epiteto non è più appropriato temo.
Bernard aggrottò la fronte e guardò prima il comandante e poi la ragazza accanto a lui, leggermente infastidito da tutti i complimenti in cui Pyxis si stava sprecando, dopotutto non poteva certamente essere alla sua altezza.
- La ringrazio signore. Mi scusi se ho dubitato di lei, credo ora sia deformazione professionale. – il ragazzo quindi alzò un sopracciglio, ma non si espresse – Come mai sono stata convocata con Bernard?
Pyxis frugò in un cassetto accanto a lui per poi tirare fuori una cartella che depose davanti ai due sulla scrivania: - Un altro incarico temo. Avrei voluto affidarlo unicamente a te, ma credo ti servirà l’aiuto di Bernard, dopo il periodo nei sotterranei potrebbe risultare difficile questo incarico.
- Signore, mi pare di capire… – lo interruppe Bernard – … Che sarà Siri il responsabile di questa missione.
- Ti sorprende, Bernard? – Pyxis lo guardò eloquente, zittendo il ragazzo che non osò contestare, non dopo l’esito della sua ultima missione. Non credeva il comandante avrebbe preferito fare affidamento su Siri piuttosto che su di lui, dopotutto anche i risultati della ragazza erano stati negativi. Ma infondo sapeva che, per quanto deludenti potessero essere stati i risultati della nuova arrivata, non lo sarebbero mai stati quanto i suoi: Pyxis aveva investito un ammontare di risorse enorme per la missione di Bernard confidando sulle sue capacità e, nonostante questo, aveva fallito miseramente, sprecando tutti quei beni. Siri invece, come aveva potuto constatare dai rapporti redatti dai soldati che l’avevano affiancata, aveva usufruito di un numero di risorse irrisorio e, non solo aveva portato a termine con successo tutte le missioni complementari alla principale, ma aveva quasi fatto arrestare Kenny lo squartatore. Per come si erano messe le cose, per Pyxis un’eventuale morte di Siri nei sotterranei sarebbe stata la perdita più gravosa.
Quando il comandante li ebbe congedati dopo aver illustrato loro la missione, i due uscirono insieme dallo studio e s’incamminarono negli archivi dove avrebbero dovuto svolgere delle ricerche prima di mettersi in azione.
- Ne è passato di tempo dall’ultima volta… Com’è che ti chiamano adesso? – Siri camminava davanti a lui che si azzardò, incurante, ad allungare una mano verso i suoi capelli raccolti – “Il Geco”? A me piacciono più le lucertole… – le prese la treccia e fece scendere la mano per la sua lunghezza, arrivò a malapena a metà quando la ragazza se ne accorse e, fulminea, si girò afferrandogli il braccio strettamente. Lo alzò sopra la sua testa e lo incenerì con lo sguardo.
- Vuoi chiamarmi geco? Fa pure, è quello che sono dopotutto. Ma toccami un’altra volta e te ne pentirai.
Bernard alzò le sopracciglia sorpreso, e, per tutta risposta, le rise in faccia. La cosa parve non sfiorare minimamente Siri che si limitò a lasciarlo andare e a continuare a camminare lungo il corridoio: - Sono il tuo responsabile, Bernard. Non scordarlo, fai quello che ti dico e andrà tutto bene, vedrai… – il ragazzo dietro di lei sbuffò divertito – È una fortuna che questa volta ci sono io a controllare quella tua manica troppo larga.
Il sorriso scomparve dalla faccia di Bernard che si fermò: Siri voltò il capo verso di lui, guardandolo con un sorriso perfido. Come potesse saperlo già per lui era un mistero, se era tornata da appena un giorno e mezzo e per metà di esso aveva dormito. Ma non sarebbe stato solo quello a sorprenderlo, di lì a poco negli archivi la ragazza l’avrebbe completamente sconvolto quando nel giro di appena un’ora avrebbe letto e memorizzato tutta la parte di documenti che servivano per la missione.
- Tu hai finito coi tuoi? – gli disse lei ad un certo punto, dopo essere stata in silenzio col capo chino sui documenti per praticamente un’ora.
Bernard la guardò stranito: - No che non ho finito, sono almeno duecento pagine. – fissò i fogli di lei mentre si alzava dalla scrivania in mogano per girarci attorno e raggiungerlo – Tu… hai già letto i tuoi?
Siri gli strappò di mano la metà che gli rimaneva e gli si sedette accanto: - Rimanda la sorpresa a più tardi. Capisco sia sconvolgente avere a che fare con una persona come me, ma gradirei uscire di qui quanto prima. – Bernard si morse l’interno delle guance in un misto tra nervoso e gelosia incontrollabile – C’è puzza di muffa.
Espirando rabbiosamente dal naso rimase a fissare il profilo concentrato di Siri nella penombra di quello stanzone stipato di librerie piene di documenti destinati a deteriorarsi sotto l’azione dell’umidità dei sotterranei. Strinse il pugno e tornò a leggere la sua parte di documenti: fu in quell’esatto momento che prese coscienza, amaramente, di trovarsi di fronte ad una persona di gran lunga più capace e in gamba di lui. Non rischiava di essere surclassato da Siri, perché lei l’aveva già fatto e se pure poteva sopraffarla in forza bruta, era convinto che ci sarebbe riuscito solo qualora l’avesse legata e imbavagliata, dato che comunque aveva affrontato il suo stesso allenamento e ne era uscita anche prima del previsto.
Eppure, Bernard rimaneva fortemente convinto di essere un gradino sopra di lei avendo più esperienza alle spalle, con quella missione l’avrebbe dimostrato, non solo a lei, ma anche a Pyxis. Le avrebbe fatto rimpiangere quella faccia tosta, oltre che il modo in cui l’aveva fatto sentire inferiore rispetto a lei. Non c’è nessuno migliore di me.
- Bene. Hai qualche idea?
Lui alzò un sopracciglio e ghignò: - Non hai detto che comandavi tu? Adesso ti aspetti che ti dia una mano?
- Mi aspetto che tu prenda attivamente parte alla missione. – Siri sospirò, richiudendo i documenti nelle cartelle da cui li avevano presi. Era abituata ad essere più rilassata ma quel suo nuovo lavoro le provava seriamente i nervi, anche in quella fase di pianificazione sentiva la necessità di stare sempre all’erta e quel ragazzo sembrava già propenso a provare i suoi sensi.
- Va bene, lucertolina. Sentiamo cos’hai in mente. – la ragazza era ben consapevole che la odiasse già, d'altronde, a chi stava simpatica sin da subito? Pur stando così le cose, le andava più che bene, non era necessario infatti che andassero d’accordo.
- Il nostro obiettivo è apparentemente semplice da controllare, tuttavia dobbiamo tenere presente che è pur sempre un generale del corpo di guarnigione. Avrà sicuramente dei sottoposti fedeli in combutta con lui all’interno dei ranghi della guarnigione, ci libereremo prima di loro, uno alla volta.
- Discreto, mi piace. – Bernard fece roteare la testa, mettendo ben in mostra il collo e guardandola languido, credendo così di fare breccia nell’altra – Ma, mi dispiace, sono un tipo che si annoia facilmente e questo piano sembra sprecare un po’ troppo tempo. Un’esecuzione di gruppo è più facile.
Lei lo guardò dritto negli occhi: - Non mi sorprende che tu abbia fallito così miseramente l’ultima volta. Questa volta tenteremo il mio approccio, più qualitativo che con l’acqua alla gola, che ne dici?
Le parole di Siri bruciarono Bernard più di quanto non si aspettasse, mantenne la sua espressione impassibile ma quel breve silenzio valse più di mille parole per entrambi, soprattutto per la ragazza che adesso ebbe la conferma di averlo non solo inquadrato perfettamente ma anche di averlo in pugno. Inoltre, prima di muoversi con lui per la missione avrebbe letto il suo fascicolo per completare il quadro a cui mancava solo una visione più generale.
- Sei tu il responsabile dopotutto, lucertolina. Continua, – si mise la testa fra i palmi, guardandola in modo infantile – sono tutto orecchi.
Siri non si fece intimidire dal suo tentativo di metterla in soggezione e ignorò completamente la frecciatina: - Bene, quindi elimineremo uno alla volta i sottoposti in combutta. Secondo le informazioni che ha raccolto Tamara e le intuizioni del comandante, sono in contatto col mercato nero e stanno cercando di incastrare Pyxis per farlo destituire. Col crollo del muro Maria, il generale Wagner ha trovato via libera ed è riuscito ad acquisire parecchio potere, i documenti presentano infatti delle lacune intenzionali nei movimenti. C’è una cosa però che non mi convince… – la spia allungò un piccolo plico di fogli verso il ragazzo – Questo Erwin Smith. Il suo nome appare in tutti questi documenti legati agli affari del generale, sembra avere un qualche collegamento con lui.
Bernard sfogliò distrattamente i fogli: - È il nuovo comandante del corpo di ricerca, mentre eri nel buco di culo del mondo ha acquisito una certa fama, soprattutto da quando poi ha quel suo nuovo leccapiedi.
Leccapiedi? Un soldato? Che aspetto hanno?
Il ragazzo sorrise divertito: - Ma quante domande. Erwin è alto, biondo, taglio militare, occhi azzurri, corporatura robusta, il soldato è un tale Levi, accanto a lui fa quasi ridere a vedersi, è praticamente il suo esatto contrario. Capelli scuri, taglio militare lungo, occhi chiari, corporatura robusta per l’altezza molto sotto la media.
Siri abbassò lo sguardo sovrappensiero: - Mh… Credo di averli visti una volta…
- È impossibile, come? Dal campo cadetti sei andata direttamente nei sotterranei, è imp…
- Non ha importanza adesso. – lo interruppe Siri, mentre gli allungava un foglio scritto a penna da lei – Questa è la lista dei sottoposti che sicuramente complottano con Wagner. Dovrebbero trovarsi tutti nel distretto di Karanese, questi due invece a… – le si bloccò istintivamente la voce – Trost. 
Bernard afferrò il foglio e lo mise davanti al viso per leggerne i nomi: - Cosa dovrei riuscire a capire da questi scarabocchi incomprensibili?
Siri sbuffò e gli strappò il foglio dalle mani: - Fa lo stesso, tu ti occuperai di questo Frank Dubois a Karanese, io di questi due a Trost. Prima mi occuperò di uno, poi andrò a controllare al quartier generale del corpo di ricerca della città le relazioni di Smith con Wagner, lì capirò se sarà il caso di assassinare anche lui e questo Levi.
Bernard proruppe in una forte risata mentre Siri aggrottò le sopracciglia spaesata: - Allora non sai proprio niente! – tirò un profondo respiro e poi si alzò, facendo peso sui palmi aperti sul tavolo – Sinceramente, trovo più divertente il fatto che tu lo scopra da sola. Ma prego, continua.
La ragazza evitò di fargli le mille domande su Levi che avevano affollato la sua mente per non concedergli la minima superiorità che lui stava cercando di rimarcare dall’inizio, continuò così ad illustrargli il piano: - Fa in modo che sia qualcosa di discreto ma che li faccia dubitare, quando io poi ucciderò uno di questi due soldati, si sposteranno tutti a Trost.
Bernard evitò di chiederle come lei sarebbe riuscita a sapere che lui aveva portato a termine l’assassinio, sarebbe stato l’ennesimo smacco e ora che aveva capito che qualsiasi cosa avesse potuto dire si sarebbe rivelato un passo falso, si limitò a fare il vago: - Va bene, mi occuperò di questo Dabois…
Dubois
- Come ti pare… e poi? Che faremo?
- Raggiungimi a Trost, al momento capiremo cosa fare. Ci offriranno sicuramente un’occasione su un piatto d’argento, inoltre io avrò raccolto le informazioni che ci servono dal corpo di ricerca, quindi sarò capace di avere una visione migliore della situazione.
Bernard annuì e la seguì mentre uscivano dagli archivi: - Ma che brava lucertolina. Un cervellino niente male, magari ci si rincontrerà dopo che ti sarai scontrata con Levi.
Se solo lui avesse saputo che essere chiamata geco le avrebbe dato molto più fastidio, probabilmente lei non avrebbe avuto la freddezza che poi le permise di girare il coltello nella piaga: - Devo dirti dove starò o sei ancora abbastanza bravo da trovarmi da solo?
Il ragazzo si sentì di nuovo pizzicato ma fece un enorme sforzo per mantenere quella maschera di strafottenza che si stava imponendo, per cui rise di nuovo sommessamente: - Se sarai ancora viva per allora. Non mi sembri proprio l’esempio di forza fisica a cui fare riferimento.
Lei si voltò e lo guardò risentita: - Chi ha mai parlato di forza fisica.
 
Era passata appena una settimana quando Siri sentì finalmente la notizia che il soldato Dubois era morto. La spia si era procurata una parrucca dai capelli corti e una coppola dagli elastici abbastanza forti e, imbrattandosi un po’ il viso e fasciandosi ancora più strettamente il seno già piccolo, era diventata la mattina un garzone della compagnia Reeves di Trost. La sera, invece, con l’aiuto di una parrucca bionda e un corsetto stretto al punto giusto era una sensuale cameriera in un bordello: entrambe quelle coperture servivano perfettamente allo scopo, con la prima riusciva a frequentare i magazzini e a rimanere aggiornata sui movimenti della merce di Wagner, con la seconda invece era riuscita ad avvicinarsi al corpo di ricerca quel tanto che le bastava per reperire informazioni su Levi ed Erwin Smith. Infatti, come aveva previsto, non era stato difficile trovare dei soldati del corpo di ricerca in quel contesto, era stato sufficiente scegliere il più tonto e “anziano” tra loro e, dopo avergli servito abbastanza alcol e avergli fatto gli occhi dolci, era stato fin troppo facile farlo parlare.
Siri si era ritenuta anche abbastanza fortunata perché il soldato in questione, Gelgar, era innanzitutto un gran bevitore, e poi faceva parte nientemeno che della squadra di Mike Zacharias che, a detta sua, era diventato il secondo soldato più forte “da quando quel piccoletto era entrato a nei ranghi del corpo di ricerca grazie ad Erwin”. Il soldato, in quei pochi giorni, si era totalmente invaghito di lei che non si sprecava in commenti ammiccanti e carezze soffuse, non si era mai spinta troppo oltre, fino al settimo giorno. Quella mattina, mentre pedinava i soldati in combutta con Wagner, origliò la conversazione che bramava sentire da una settimana: Dubois era stato ucciso e tutti si erano molto sorpresi di quella morte, che però avevano imputato a delle dispute coi criminali del mercato nero. Siri, sentendo quella conversazione, sogghignò soddisfatta e quella sera con Gelgar avrebbe tentato il tutto per tutto, forte del fatto che lui era già argilla nelle sue mani.
Si fece prestare del rossetto da una delle prostituite del bordello e iniziò a servire incurante i tavoli della sala comune, fino a quando il barista non le fece un cenno indicando l’entrata. Lei non si voltò, sapendo benissimo si riferisse all’arrivo del soldato e andò direttamente al bancone.
- Lascia pure qui il vassoio e occupati di quell’allocco. – l’uomo le allungò due boccali di birra – Come lo fai bere tu, non ci riesce nessuno. Spende una quantità di denaro allucinante quando ci sei.
Siri finse un sorriso timido: - Beh, ci piacciamo, credo…
L’altro rise di gusto: - Fino a quando beve come una spugna mi va più che bene… L’avevo detto al padrone che saresti sprecata in altro modo.
- Non è comunque mia intenzione… – prese i boccali abbassando lo sguardo per fingere imbarazzo – Non so come la prenderebbe Gelgar…
- Ecco! È questo quello di cui parlavo! Non sei abbastanza provocante!
Siri annuì a testa bassa e si voltò per raggiungere il soldato al cui saluto carico di eccitazione rispose con un sorriso ammiccante, che mutò completamente il suo volto di qualche secondo prima.
- Gelgar! – gli porse uno dei due boccali prima di sedersi di fronte a lui – Ti aspettavo!
Il soldato avvampò quando per sedersi lei sporse all’infuori il seno, man mano che poi bevevano e parlavano, gli parve palese che lei fosse più presa del solito, per cui si azzardò ad allungare una mano verso quella di lei. Siri, non appena si sentì sfiorare, dovette pestarsi il piede con forza per evitare di reagire e mantenere quella maschera seduttiva.
- Kerstin, sai, non credevo che proprio in un posto del genere… – Gelgar deglutì nervoso – So di non sembrare proprio il più cortese dei gentiluomini venendo qui ogni giorno…
- Oh Gelgar… – si toccò le labbra, sorridendo appena – Nemmeno io ti sembrerò la più onesta delle donne…
- No! Lo capisco, è per lavoro, e poi sei solo una cameriera in questo posto.
Siri si accarezzò il petto con l’indice e lo portò sul decolté che aveva cercato di mettere in risalto col bustino, il soldato involontariamente seguì il movimento del suo dito, quando arrivò al seno alzò di nuovo lo sguardo sui suoi occhi, imbarazzato.
- Le tue mani… sono sempre fasciate. – notò Gelgar accarezzandole le nocche della mano che ancora stava sfiorando – Mi chiedo spesso cosa nascondano.
La spia gongolò, non poté trattenersi e le salì il riso sulle labbra che trasformò prontamente in un’espressione provocante: - Non siete gli unici, voi soldati, a nascondere delle cicatrici… – ingogiò il groppo alla gola e intrecciò le dita alle sue mentre con la sedia si avvicinò di più a lui socchiudendo gli occhi – Tra poco il mio turno finirà, ad essere precisi, tolgo le fasce quando finisco di lavorare.
Gelgar deglutì nervoso: - C-cicatrici? Come te le sei fatte?
Siri abbassò il suo tono di voce, lo guardò ancora più intensamente negli occhi facendolo rabbrividire mentre con le dita gli accarezzava il dorso della mano, risalendo lentamente lungo il polso: - Se vuoi, posso raccontartelo… – allungò l’altra mano sul viso di lui, sfiorandogli un lato del viso con la punta delle dita – E poi potresti raccontare tu a me delle tue cicatrici, se le hai… Ma scommetto che ne hai parecchie…
Il soldato si fece coraggio e cercò di pareggiare il tono ammiccante dell’altra, ne venne fuori una scarsa imitazione di cui però lei si finse soddisfatta: - Puoi scommetterci… potrei parlartene per ore…
Siri a quel punto si alzò, accarezzandogli il viso prima di allontanarsi: - Ci vediamo davanti all’ingresso tra una decina di minuti allora.
Il soldato obbedì e uscì dal locale per aspettarla all’esterno esattamente come gli aveva detto. Non fu semplice convincerlo ad andare nei dormitori del corpo di ricerca, Gelgar aveva paura di essere beccato a portare un civile lì, ma la ragazza con un’altra dose di carezze e avergli rivelato che l’idea del proibito l’eccitava lo convinse senza ulteriori obiezioni, anzi, vi si diressero ancora più velocemente. Lui poi era stato così precipitoso all’interno del palazzo che sarebbero stati scoperti, se non fosse stato per Siri che l’ebbe spinto al riparo più di una volta. Quando finalmente arrivarono di fronte la porta della stanza, Gelgar si abbassò sulla serratura cercando di infilare le chiavi e aprire: - Argh, non vedo nulla… ma è meglio non fare troppo rumore.
Siri alle sue spalle abbassò il cappuccio del suo mantello, si sgranchì le giunture e tirò fuori da una tasca del vestito un fazzoletto che imbevve col contenuto di una boccetta che teneva insieme ad esso: - Fai con calma… L’attesa mi elettrizza…
Scosse la testa mentre alzava le sopracciglia. Ma si può essere così fessi.
Finalmente il soldato riuscì ad aprire la porta, la ragazza infilò con tutta calma la boccetta nella tasca e nascose le mani dietro la schiena, schiacciando all’infuori il petto.
Dopo di te. – bisbigliò Gelgar, Siri quindi lo guardò sorridente ed entrò. Non appena lui entrò e chiuse a chiave la porta dietro di lui, lei tolse il mantello che gettò a terra, il soldato si avvicinò a lei che lo afferrò per le spalle e lo spinse sul letto, facendolo sedere. Siri si sciolse i capelli e mise un ginocchio tra le gambe di Gelgar, gli portò una mano sul viso per poi accarezzargli la guancia. Fece per abbassarsi sulle sue labbra e quando sentì i muscoli di lui rilassarsi sotto la sua mano, con un gesto fulmineo gli premette su naso e bocca il fazzoletto che teneva nell’altra mano. Il ragazzo sgranò gli occhi dall’incredulità mentre cercava di dimenarsi, lei quindi alzò l’altra gamba e lo colpì nella pancia facendolo sussultare.
- Mi dispiace così tanto Gelgar, sembri un bravo ragazzo. Ma non preoccuparti, domani sarai come nuovo. – gli disse prima che perdesse del tutto conoscenza. Lo stese sul letto e gli legò mani e piedi con le cinghie per il movimento tridimensionale che trovò nella stanza, si tolse il vestito rivelando la divisa nera completa di stivali bassi e pugnali sotto il largo gonnellone, allungò le maniche della maglia nera e indossò il collo della maschera nera che alzò fin sopra il naso. Dalle tasche del vestito estrasse i rampini da mano e quelli modificati del dispositivo 3d, li indossò entrambi e spalancò la finestra: il quartier generale del corpo di ricerca in città era molto più piccolo di quello di campagna e veniva usato solo nel periodo subito prima o dopo una spedizione, o quando c’erano delle incombenze militari. Siri aveva avuto tutto il tempo di studiarlo e memorizzare stanze e corridoi, inoltre Gelgar si era rivelato essere un gran chiacchierone e le aveva raccontato praticamente tutto quello che sapeva su Levi senza che lei avesse avuto bisogno di insistere troppo: grazie a lui sapeva che era entrato nel corpo di ricerca sotto richiesta di Erwin assieme a due suoi amici morti miseramente durante la loro prima spedizione, che era un ex criminale e che aveva in pochissimo tempo superato in forza e tecnica nientemeno che Mike, che godeva di una certa fama all’interno delle mura. Non solo questo l’aveva messa in allerta, ma anche il fatto che l’aveva ricollegato ad un noto fuorilegge della città sotterranea: lui se n’era andato da appena un anno quando lei era scesa per la missione, eppure si parlava ancora di lui in toni molto cupi e Kenny, se lo ricordava molto bene, le aveva mentito quando gli aveva chiesto se lo conoscesse. Era molto importante che non lo incontrasse o che, se avesse ingaggiato un combattimento con lui, fosse scappata via il più velocemente possibile, l’unico modo in cui pensava di poterlo uccidere senza rischiare era quello di avvelenarlo e per questo non c’era alcuna fretta.
Siri si arrampicò sul davanzale e sparò i rampini sulla grondaia e con l’aiuto dei rampini da palmo si arrampicò lungo il muro fino ad arrivare alla finestra che dava sullo studio del comandante. Si sporse cautamente da un angolo della finestra e, dopo aver constatato fosse vuota, si sporse e infilò una lama affilatissima tra le ante, facendo scattare il meccanismo di chiusura. Atterrò quatta nello studio ordinato e spazioso e si guardò attorno guardinga: non poteva dirsi all’altezza di quello di Pyxis nella stessa città, appariva spoglio, dalle pareti anonime adornate solo da qualche lampada ad olio e una scarna piccola libreria. Davanti alla finestra vi era l’unico mobilio che appariva di buona fattura nella stanza, ossia una grossa scrivania in legno con delle sedie senza imbottitura attorno, una dietro e due davanti. Siri si avvicinò ai cassetti e li aprì forzandoli coi grimaldelli, iniziò a frugarci all’interno alla ricerca del nome di Wagner anche solo scarabocchiato, ma non trovò assolutamente nulla di ciò che cercava, se non che, ad un certo punto, un documento attirò la sua attenzione. Lo lesse con enorme interesse, non era molto ma era abbastanza da scagionare Smith da quella faccenda.
Interessante… - bisbigliò, poco prima che una luce nel corridoio non si fosse fermata davanti la porta chiusa di fronte a lei. Due voci maschili stavano parlottando all’esterno, Siri ebbe appena il tempo di chiudere i cassetti e nascondersi sotto la scrivania prima che i due soldati entrassero.
- Ti ringrazio Erwin, so che è tardi, ma se avessimo consegnato quei rapporti sarebbe stato anche peggio.
- Non preoccuparti Mike. Una svista del genere può capitare.
Siri, schiacciata contro il pannello della scrivania, vide l’alone di luce avvicinarsi e poi fermarsi sopra di lei, mentre le gambe in divisa, presumibilmente di Erwin Smith, si fermavano davanti a lei.
- Oh… ricordavo di aver chiuso la finestra… - il comandante chiuse le ante e poi si abbassò sui cassetti.
- Erwin? Cosa c’è che non va? – dopo quella domanda di Mike calò il silenzio nella stanza e la spia capì immediatamente, anche se non poteva vederli, che si stavano scambiando occhiate o probabilmente gesti che suggerivano la presenza di un intruso nella stanza. Siri prese un respirò profondo e si posizionò con la schiena sul pavimento, caricando le gambe mentre sentiva che Mike si stava avvicinando al pannello, tentando un passo felpato.
Con tutta la forza che aveva nelle gambe, calciò la scrivania verso l’alto facendola ribaltare, prima si spostò verso l’alto e poi cadde con un tonfo fortissimo sul pavimento, Mike si buttò indietro per non essere schiacciato. Siri scattò verso la finestra e la spalancò con una spallata, Erwin fu subito su di lei e l’afferrò per il mantello, quindi lei, piegata in bilico sul davanzale, caricò col busto, rigirandosi all’indietro, un pugno che colpì sullo zigomo il comandante del corpo di ricerca, il quale perse la presa su di lei e barcollò di lato.
Siri lanciò i rampini sul palazzo di fronte e si lasciò andare poco prima che Mike raggiungesse la finestra: - EHI! Fermati, biondina! – la ragazza fece riavvolgere le corde e saltò sul tetto, guardò per un frangente di secondo il soldato accigliato affacciato dalla finestra, per poi correre via lungo i tetti. Mentre scappava, si staccò la parrucca che ancora portava e la gettò via, prima di calare in un vicolo e scomparire nella notte.
 
Bernard trovò non proprio facilmente l’appartamento dove Siri aveva stabilito il suo quartier generale per la missione: non appena entrò dalla porta d’ingresso notò consistere in un monolocale minuscolo con un bagno altrettanto striminzito. Su un piccolo fornello a legna stava cuocendo quello che sembrava stufato, accanto ad un letto sfatto che si trovava sotto la finestra ad un battente spalancata, affacciandosi notò del materiale nero e appiccicoso sulle finestre del palazzo di fronte e quando vide dei fori da rampino sulla grondaia, intuì si trovasse sul tetto di fronte.
- Eccomi lucertolina.
Siri, schiacciata sul tetto, imbracciava un fucile su cui aveva posto un mirino con una lente abbastanza precisa: - Abbassati. Sto aspettando che l’obiettivo sia sotto tiro.
Bernard non eseguì l’ordine e le si avvicinò, aprì la bocca per parlare ma si bloccò all’istante quando vide la ragazza irrigidire le spalle e stringere più saldamente il fucile. Guardò nella direzione verso cui puntava e vide due soldati della guarnigione a cavallo: Siri sembrò quasi smettere di respirare mentre seguiva con la canna del fucile i due uomini. Improvvisamente uno sparo riecheggiò nell’aria e uno dei due soldati cascò giù da cavallo, con un grosso colpo dietro il cranio mentre l’altro scese per gettarsi in ginocchio su di lui.
- Uoah! – disse ad alta voce Bernard, ancora in piedi, la ragazza voltò di scatto la testa verso di lui arrabbiata – Un colpo solo, non me l’aspett…
Siri lo colpì con forza col calcio del fucile sulla caviglia, facendolo atterrare di faccia sulle tegole: - Sei impazzito?! Sta zitto! – imbracciò di nuovo il fucile e notò che l’altro soldato si era alzato e guardava nella loro direzione – Ti avevo detto di stare giù!
Il soldato rimasto salì in fretta sul cavallo, Siri quindi si alzò e si mise in ginocchio sul tetto e imbracciando nuovamente il fucile, lo caricò e seguì contratta al massimo col mirino il fuggitivo. Partì un secondo colpo e anche l’altro soldato capitolò in avanti sul cavallo che, ancora in movimento, lo trascinò per alcuni metri su un lato prima che le persone in strada accorressero ad aiutarlo. Siri gettò il fucile sul tetto e si voltò di nuovo verso il suo monolocale: - Seguimi, dobbiamo andare. – disse a Bernard che, steso sulle tegole, la guardò sorpreso. A parte rare eccezioni, pochissime altre persone erano riuscite ad atterrarlo con quella facilità. La seguì nell’appartamento in cui lei, concitata, dopo aver versato lo stufato in dei contenitori, stava raccogliendo in tutta fretta le sue cose in una sacca.
- Mettitela. – gli lanciò una divisa del corpo di guarnigione mentre lei iniziò a spogliarsi in tutta fretta – Dovrebbe essere della tua taglia.
Lui alzò un sopracciglio mentre rimase a guardarla per qualche secondo fino a quando lei, mentre infilava i pantaloni bianchi della divisa, non si girò verso di lui fulminandolo con lo sguardo: - Ti devi muovere. Se non avessi fatto il coglione adesso staremmo mangiando in tutta tranquillità.
- Perché mi hai aspettato, allora.
Lei si abbottonò il pantalone e poi lo guardò incuriosita: - Sei scemo o fai finta? Davvero, non capisco come tu possa essere sopravvissuto fino ad ora. – lui sorrise e iniziò a sfilarsi via i vestiti.
Non appena si fu vestito anche Bernard, fuggirono in tutta fretta dalla città e si rifugiarono nella campagna all’interno del Wall Rose appena fuori Trost, più precisamente in un capannone di una fattoria abbandonata. La sera accesero un fuoco lontano dalla paglia e, dopo che Siri si assicurò che non ci fosse nessuno nelle vicinanze, scese dal tetto su cui stava di guardia e raggiunse Bernard davanti le fiamme, sedendosi a qualche passo da lui.
- Tieni. – il ragazzo la guardò stranito mentre lei gli porgeva uno dei contenitori della zuppa che aveva preparato prima di scappare. Lo prese titubante mentre Siri si stranì vedendo la sua reazione confusa: - Per quanto per un momento ci abbia pensato sul serio, non è avvelenata. È solo… zuppa.
Bernard rimase a fissarla mentre si sedeva accanto a lui, come se avesse fatto una delle cose più naturali del mondo. Lui non aveva sperimentato nulla del genere prima nella sua vita, un pasto caldo, offerto senza malizia o tedio e che non servisse esclusivamente a non farlo morire di fame. Aveva sempre vissuto in luoghi fatiscenti, il più piccolo di sette fratelli, aveva solo sei anni quando sua madre e suo padre lo vendettero agli schiavisti: sembrava una notte come le altre, fino a quando sua madre non lo svegliò. Aprì gli occhi ancora scombussolato e ricordava di aver avuto un brutto presentimento sin da quando sua madre non gli rivolse il minimo accenno di uno sguardo. Non lo guardò nemmeno quando lo consegnò nelle mani di quei due loschi individui che lo portarono via su un carretto assieme al suo altro fratello, il più piccolo prima di lui. I due uomini tentarono di ammanettarli, ma i loro polsi erano troppo piccoli per consentirlo, per cui li lasciarono liberi nel rimorchio: Bernard ebbe un assaggio di quello che sarebbe spettato loro quando, spaventati, tentarono di sporsi verso la madre, ancora sul portico di spalle rispetto al carro che li portava via lentamente. Suo fratello maggiore aveva evidentemente inteso le cattive intenzioni di ciò che stava accadendo, per cui si sporse con tutto il busto, chiamandola a gran voce, ricevendo di tutta risposta l’indifferenza della madre e un fortissimo ceffone di uno dei due aguzzini.
All’inizio i suoi genitori gli mancarono, imitava suo fratello e si ribellava, cercando di scappare da quella lurida cella in cui li avevano rinchiusi assieme ad altri bambini di tutte le età, fino a quando chi li sorvegliava non ne ebbe abbastanza e pestò a morte l’unico familiare che gli era rimasto. Si aspettava che qualcuno dei prigionieri lo consolasse o che semplicemente guardasse con orrore il corpo di suo fratello martoriato che si spegneva piano piano, ma erano talmente assuefatti da quella violenza e quella disumanità che non lo degnarono di uno sguardo, anzi, alcuni di loro furono sollevati dal pensiero che nella mangiatoia ci sarebbe stato più cibo. Bernard imparò due importanti lezioni quel giorno: la prima era che avrebbe dovuto contare solo su sé stesso se voleva sopravvivere, e diamine se aveva paura di fare la stessa fine del fratello, e la seconda era che lui non valeva niente, era niente.
Il peggio fortunatamente non arrivò mai, infatti passò mesi in quelle celle e il giorno prima che fosse venduto, la gendarmeria scoprì il commercio illegale e liberò tutti quegli orfani e bambini rapiti. Per i successivi sei anni crebbe in un orfanotrofio, quando arrivò alla giusta età non ebbe che due alternative tra cui scegliere: dissodare la terra o arruolarsi, scelse alla fine la seconda sembrando più incline alla sua conservazione. Difatti, essendo già parecchio alto per la sua età venne subito notato dall’allenatore di spie che, forte anche delle sue origini problematiche, vedeva in lui un potenziale che sarebbe stato un peccato sprecare. Lui, difatti, fu la sua più grande e riuscita “produzione”: innescò nel ragazzino un meccanismo unico nel suo genere, questo iniziò a nascondere la sua così bassa, quasi inesistente, autostima autocelebrandosi, convincendosi di essere il migliore in qualsiasi cosa e ripetendo a sé stesso che erano gli altri a non valere niente. Solo per nascondere quella grande insicurezza che lo aveva logorato.
Con questa mentalità, in tre anni l’allenatore riempì quel guscio vuoto come desiderava e lo plasmò come mai era riuscito a fare con chiunque altro dei suoi allievi, in poco tempo Bernard infatti divenne il migliore tra le spie di Pyxis e l’unico motivo per il quale non aveva mai tradito il comandante era che lui lo riteneva effettivamente il migliore. Abbassò lo sguardo sulla zuppa fumante: adesso che le cose sembravano essere cambiate, non era sicuro di voler rimanergli fedele. A meno di non tornare ad essere il migliore.
- Oh, per l’amor del cielo… – Siri si sporse su di lui e, sotto il suo sguardo perso nel vuoto, prese col cucchiaio della zuppa dal suo contenitore per poi ingurgitarlo – Ecco. Contento?
Lui alzò un sopracciglio e portò alle labbra il bordo, ingerendo piano il contenuto. Già dopo i primi sorsi poteva dire che era diverso da qualsiasi cosa avesse mai mangiato.
Non aveva mai sperimentato nulla del genere nella sua vita.
- Allora, ecco il nostro piano. Domani Wagner sicuramente tornerà in città, porterà con sé le prove che ci serviranno, oltre che tutta la sua scorta. Ho già individuato il palazzo dove sono sicura lascerà i documenti che incastrano ingiustamente Pyxis.
- Qual è?
- Il condominio marrone a quattro piani ad est. Quello con le finestre ad arco.
- Capito. Quindi? Che faremo?
Siri sospirò, tenendo lo sguardo fisso sul suo contenitore vuoto: - Lo pedineremo. Quando si riuniranno in un posto, il loro magazzino presumo, approfitteremo per allontanarci e recuperare ciò che ci serve.
- Non li eliminiamo quindi?
- Non serve se tendiamo loro un’imboscata da parte della gendarmeria.
Bernard rimase in silenzio, poi gli tornò in mente un particolare e si voltò di nuovo verso di lei: - Ed Erwin Smith? Che facciamo con lui?
Siri continuò a tenere lo sguardo sul contenitore vuoto mentre lo chiudeva e riponeva nella sua sacca: - Ho già risolto.
Lui non fece ulteriori domande e il giorno dopo un ragazzino, un garzone, arrivò di buon mattino nel loro “rifugio” riferendo loro dell’arrivo di Wagner in città: Siri non era particolarmente sorpresa, mentre Bernard si stupì della precisione con cui stava procedendo il piano della ragazza. Tornarono quindi in città e passarono i successivi quattro giorni a seguire i movimenti di Wagner e i suoi sottoposti che, da quando erano morti tre dei loro compagni, erano molto più prudenti, anche sui garzoni che assumevano per il semplice spostamento delle merci. Bernard realizzò che Siri si era organizzata perfettamente a livello di tempistica perché sembrasse che qualcuno stesse alle calcagna dell’ufficiale e della sua organizzazione: col primo omicidio a Karanese, la spia aveva aspettato un giorno, il tempo necessario ad un singolo assassino di spostarsi da quella città, prima di uccidere gli unici due soldati rimasti a Trost, costringendo Wagner a tornare nella base operativa principale, rimasta scoperta. Questa condizione creò un ottimo vantaggio perché l’organizzazione si convinse che ci fosse tra loro una spia, e non due, per cui le coperture che Siri e Bernard si crearono garantirono loro di parare le spalle all’uno e all’altra in caso uno dei due fosse rientrato tra i sospetti.
Un giorno, poi, finalmente arrivò la notizia che Siri stava tanto aspettando: Wagner aveva organizzato un incontro con la maggior parte dei suoi soldati che si sarebbe svolto in uno dei magazzini di proprietà dell’organizzazione.
- Ho il vago presentimento che sia una trappola. – aveva detto a Bernard quando era andato a darle la comunicazione nell’alloggio che l’ufficiale corrotto le aveva assegnato.
- Non credo. Altrimenti avrebbero dato comunicazioni differenti per ognuno. Poi sai che sospettano di me.
Siri, seduta sulla scrivania di spalle a Bernard, rigirò tra le mani un piccolo ago appuntito: - Hai ragione. Ci vediamo stasera quindi.
Il ragazzo quindi si diresse alla porta e prima di uscire le disse: - Sei sicura di aver risolto con Smith?
Siri rimase assorta ad osservare l’ago: - Certo. Non aveva a che fare con la faccenda. – gli rispose noncurante, mentre infilava l’ago tra le fasce sul polso e lui abbandonava la stanza.
Più tardi Siri si diresse al magazzino, aveva controllato anche da sola la veridicità delle informazioni che Bernard le aveva riferito e tutto sembrava coincidere, per cui lasciò che il suo collega avvisasse la gendarmeria mentre lei invece prendeva parte all’incontro.
Non appena entrò nello stanzone ricolmo di casse impilate l’una sull’altra che fungeva da deposito, si sistemò nell’ultima fila del cerchio che si era creato attorno a Wagner, seduto davanti ad uno scadente tavolino di legno, che spiegava come muoversi nelle strade di Trost per evitare i gendarmi.
- Dall’alba fino al mezzogiorno, le strade sull’ala est della città sono pattugliate dalle squadre tre e quattro, composte da parecchi veterani, mentre quelle sull’ala ovest da squadre composte perlopiù da reclute. – Wagner si fermò un secondo e alzò lo sguardo sui sottoposti, prima di tornare a parlare, diede un forte colpo di tosse – Da mezzogiorno in poi, i ruoli s’invertono, quindi per i movimenti possiamo sfruttare questa rotazione. 
Siri si grattò dietro la nuca sbadigliando annoiata, non fece caso a due soldati che, quatti, si stavano avvicinando ai suoi lati.
- Per queste informazioni possiamo ringraziare Smith, Bernard si sta accertando della loro veridicità in questo momento…
Una scarica elettrica percorse la spia dai piedi lungo la spina dorsale e fu solo troppo tardi che si accorse dei due soldati che ormai le stavano accanto e che le afferrarono simultaneamente le braccia, bloccandola. Sentì uno scatto metallico dato da delle manette che le strinsero i polsi, mentre i due la spingevano con forza di faccia sul pavimento. Wagner non si scompose e lasciò che i due la portassero di fronte a lui: - La signorina qui presente, il… geco di Pyxis, ci sarà d’aiuto per coprirci le spalle, – abbassò lo sguardo su di lei – non è vero?
Siri dimenò le braccia guardandolo corrucciata. Bernard l’aveva tradita ma l’avevano lasciata in vita per qualche ragione: evidentemente per non far sospettare al comandante del corpo di guarnigione che lei fosse stata scoperta e che quindi la missione fosse fallita.
- Portatela via, me ne occuperò più tardi.
I soldati alzarono la ragazza dalle braccia con uno strattone, lei inclinò il busto all’indietro, quel tanto che bastava per far scivolare l’ago nella mano.
 
Se qualcuno avesse chiesto a Bernard cosa significasse amare, all’epoca non avrebbe saputo rispondere. Avrebbe cercato d’immaginare cosa potesse significare, ma lui, davvero, non lo sapeva perché per primo non era mai stato amato. Tradire Siri si era rivelato semplice, quasi naturale e non riusciva, neanche ripensando al gesto gentile che aveva compiuto nei suoi confronti, a pentirsene. Non era contemplato nella sua gamma di emozioni perché ciò che gli importava davvero era non essere visto come il niente che era convinto di valere: se Siri avesse continuato ad essere migliore di lui, cosa sarebbe stato agli occhi di Pyxis se non il niente?
Aveva consegnato a Wagner la sua collega non appena si era presentata l’occasione per acquistare la sua fiducia, poi gli aveva garantito di portare a termine il compito che gli aveva assegnato, ma in realtà avrebbe approfittato del palazzo semi vuoto per rubare i documenti che servivano a lui e Siri per incastrare l’ufficiale. Sarebbe tornato vincitore dal suo comandante e contemporaneamente si sarebbe liberato anche di quella nuova ragazza prodigio, tornando a primeggiare su tutti.
Era piegato sui cassetti della scrivania dell’ufficiale quando la stanza completamente avvolta dall’oscurità s’illuminò di un bagliore rossastro. Bernard si voltò con aria interrogativa verso la finestra alle sue spalle e si alzò per capire cosa stesse succedendo all’esterno: delle grosse fiamme si sollevavano da un palazzo all’esterno. Strizzò gli occhi cercando di fare mente locale, e quando si rese conto si trattava del magazzino dell’organizzazione, sgranò gli occhio scioccato.
Non è possibile…
- Sai, ci avevo sperato fino all’ultimo.
Bernard si voltò di scatto verso l’entrata dello studio: Siri era in piedi sull’uscio, completamente ricoperta di sangue, lo guardava fisso con occhi vitrei, il viso non era attraversato dalla minima espressione facciale.
Come…
- Oh, come sono sopravvissuta? – la ragazza iniziò a camminare lentamente verso di lui che s’irrigidì, pronto a contrattaccare – Perché me lo chiedi, Bernard? Non avrei dovuto forse?
Lui portò una mano lentamente alle sue spalle per estrarre un pugnale, mentre Siri si pulì un lato del viso dal sangue con una manica della maglia, ma essendo imbevuta anch’essa di sangue non riuscì a fare altro che spostarlo: - Voglio dire, era solo un’assemblea. Un semplice ritrovo per i soldati corrotti.
Il cuore di Bernard iniziò a battere più forte mentre girava attorno alla scrivania cercando di allontanarsi da Siri che stava facendo lo stesso per raggiungerlo: si rese conto, suo malgrado, di essere terrorizzato. Il modo in cui lo guardava, i suoi occhi che brillavano sulla faccia nera di sangue sembravano trafiggerlo ancor prima del pugnale che lei teneva nella mano. Non poteva essere viva, gli balenò nella testa il pensiero che si trovasse di fronte al suo spirito, venuto per vendicarsi.
Siri abbassò lo sguardo sui cassetti aperti della scrivania: - Oh non disturbarti, qui non troverai assolutamente nulla di utile. Anche perché, ormai, Wagner è morto.
Bernard, attanagliato dalla paura, estrasse il pugnale e si buttò su di lei che schivò il colpo, per poi afferrargli il braccio e tirarlo, sfruttando la forza del suo slancio. Lui capitolò in avanti, offrendo la schiena a Siri che, di fianco a lui, gli piantò una gomitata fortissima tra le scapole per poi colpirlo con una ginocchiata nello stomaco. Bernard si sentì privato del respiro, tossì e cadde sulle ginocchia. Cercò di divincolarsi dalla presa della ragazza che questa volta gli alzò il braccio e gli piantò un altro colpo sulla schiena col piede. Lui trovò la forza, disteso a terra com’era, di calciare la gamba che Siri teneva sul pavimento, ma lei a cadde atterrando di ginocchia su di lui, causandogli ancora più dolore. Bernard, facendo peso con l’altro braccio, si ribaltò per portare la ragazza sotto di lui, ma anche questa volta lei fu più veloce e, alzandosi di poco con le gambe, non appena lui si girò, gli piantò un ginocchio sul torace, facendolo giacere supino. Siri non mollò la presa dal suo polso, col pugnale gli procurò un taglio vicino il pollice, facendogli perdere la resa sull’arma, mentre apriva la gamba libera e gli piantava l’altro ginocchio sull’altro braccio.
- Ci avevo sperato fino all’ultimo, che non ti venisse in mente la fantastica idea di tradirmi. – disse lei portandogli il coltello alla gola, mentre ancora cercava di divincolarsi restio dalla sua presa. Un movimento sbagliato e sarebbe morto, ma credeva sarebbe morto comunque, lei non avrebbe mai avuto pietà per lui. O almeno, così era convinto.
- E invece… – Siri premette la lama sul suo collo, da cui colò un piccolo rivolo di sangue – Vuoi sapere quando ti sei tradito?
Bernard respirò pesantemente e tentò di alzarsi, ma per quanto la sopraffacesse sotto ogni punto di vista fisico, non riusciva comunque a liberarsi dalla presa con cui gli toglieva il fiato.
- Allora? ci arrivi da solo o devo dirtelo io?
Avanti… sono tutto orecchie… – le rispose lui con un filo di voce.
- Quando mi hai chiesto di Smith la seconda volta. Ti avevo già assicurato che mi ero occupata di lui, ma tu ti sei mostrato così premuroso da chiedermelo una seconda volta. Wagner voleva essere sicuro di avere ancora il suo contatto nel corpo di ricerca, non è così, eh?
Bernard rimase in silenzio, colpito nel segno. Siri sorrise soddisfatta.
- Come immaginavo. Il fatto è questo, Bernard… nonostante fossimo colleghi non mi hai mai convinta, quindi ho lasciato che sapessi tutto, eccetto un’informazione. – lui aggrottò le sopracciglia – Anche Smith stava raccogliendo prove per incastrare al momento giusto Wagner. Avrebbe ricattato quest’ultimo per poi consegnarlo a Pyxis per avere un favore da lui. Smith ha aiutato Wagner a sistemare la merce, quindi sapeva perfettamente dove si trovava, i punti d’incontro, i suoi contatti, nomi di criminali, tutto. Lui ha sempre firmato i documenti come garante, per cui non sarebbe mai stato accusato di nulla, interessante, non trovi?
Siri premette ancora un po’ di più la lama alla gola di Bernard, che, ormai, si arrese al suo destino. Chiuse gli occhi accettando la sua morte.
- Di tutto questo mi colpisce una cosa, Bernard. La tua lealtà verso Pyxis: avresti comunque portato a termine la missione. Impressionante
Il ragazzo riaprì gli occhi quando sentì la pressione sulle braccia e sul collo diminuire: Siri si stava alzando. La osservò impietrito mentre riponeva il pugnale nella fodera: lo stava risparmiando. Lui.
Cosa… Cosa stai facendo? Perché…
- Perché non ti uccido? – Siri si chinò su di lui e lo guardò dritto negli occhi – Perché non ne ho motivo. O meglio, l’avrei, ma adesso che io ti ho dimostrato che sono un passo avanti a te e che tu mi hai dimostrato la tua lealtà verso il nostro superiore, potremmo finire questa diatriba, non trovi? Non uccido qualcuno per divertimento.
Bernard aprì la bocca mentre la fissava esterrefatto. Per divertimento lui aveva subito le peggiori sevizie, era stato ridotto ad un inutile ammasso di carne, nessuno mai prima di allora aveva dato importanza alla sua vita. Che fosse morto o sopravvissuto non aveva alcuna importanza, e ora Siri, che lui aveva condannato ad una morte certa, lo stava risparmiando, nonostante avesse tutto il diritto di non farlo. Adesso lei era diventata ai suoi occhi una sorta di entità misericordiosa, e anche se in realtà a lei Bernard servisse per i suoi fini, a lui non sarebbe comunque importato perché, finalmente, lui era qualcuno. Una persona.
- Adesso ti propongo un patto: tu ti addosserai la colpa della morte di tutti quei soldati, anche del fatto che non siamo riusciti a catturare Wagner come richiesto. Io mi prenderò invece tutto il merito, parlando a Pyxis della scoperta di Smith e di come io sono riuscita a recuperare tutti i documenti di cui avevamo bisogno. Sono stata chiara?
Lui, ancora incantato dal suo viso imbrattato di sangue, non poté fare altro che annuire, accettando di buon grado di essere secondo, ma secondo solo a lei, a Siri.


Nota: prima di iniziare la terza parte, ho voluto inserire questo "capitolo speciale" per far capire meglio non solo il personaggio di Bernard, ma anche il suo legame con Siri. Perdonate se è stato un po' affrettato, ma il periodo in cui scrivo non è dei migliori a livello di tempo. Il primo capitolo della terza parte arriverà presumibilmente a settembre, prima non sono sicura. Magari riuscirò a terminarlo per agosto, ma mai dire mai. Per il momento mi dedicherà alla correzione dei capitoli precedenti, il capitolo 3 infatti è stato rivisto.

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Capitolo 28
*** Capitolo 26 - Leggere nel pensiero ***


Parte terza

 

Capitolo 26 – Leggere nel pensiero

 
Siri toglieva le sue fasciature alle braccia in due occasioni. Quando si lavava e quando interrogava i suoi ostaggi. La vista delle sue mani nude non era propriamente la cosa che la faceva stare meglio in assoluto, anzi, la metteva in uno stato di angoscia e instabilità da renderla quasi una persona diversa.
A qualche mese dalla riconquista del Wall Maria, Siri poteva dire di togliersi le sue fasciature in tre occasioni: quando si lavava, quando interrogava gli ostaggi e, adesso, quando era con Levi, perché solo con lui quell’angoscia sembrava sparire ed era capace di accettare la sua contraddizione. Per il momento da sola non ci riusciva, il suo processo di guarigione procedeva lento ma, fortunatamente, inesorabile.
Erano in viaggio da appena un’ora e già sentiva non solo la sua mancanza ma anche quella di Hange e del resto della squadra come se le mancasse l’aria. Girò la testa e portò lo sguardo fuori dal finestrino accanto a cui era seduta, tentando invano di pensare ad altro: dallo spiraglio che poco prima Bernard aveva aperto entrava della piacevole brezza marina carica di salsedine, lasciandole una sensazione appiccicaticcia sulla faccia. Si portò un ciuffetto di capelli, che era sfuggito dalla treccia, dietro l’orecchio, mentre osservava assorta i gabbiani planare nel cielo e seguire la loro imbarcazione. Avrebbe dato qualsiasi cosa per parlottare con Hange o immergere la testa nell’incavo del collo di Levi per calmarsi, allenarsi con Mikasa o discutere con Armin delle loro teorie, o magari passare qualche ora con Sasha e Connie soltanto per raccontare loro qualche storia assurda e ridere con loro. 
Le venne involontariamente in mente un ricordo dolceamaro, risalente a poco prima della spedizione di riconquista: lei e Hange erano in biblioteca e stavano studiando l’arazzo, o meglio, tentavano d’interpretarne alcuni disegni, ad un certo punto si erano annoiate e avevano iniziato a fare teorie sconsiderate e più se le esponevano l’un l’altra, più il loro tono di voce saliva e le loro risate diventavano più chiassose e incontrollabili. I soldati agli altri tavoli avevano chiesto loro di abbassare la voce ma erano stati cacciati a male parole, alcuni erano addirittura corsi via piangendo. E fu proprio uno di questi che Levi incrociò mentre si accingeva ad entrare in biblioteca, sull’uscio si voltò a guardarlo correre via nel corridoio, poi degli schiamazzi e le voci squillanti delle due soldatesse lo fecero proseguire all’interno. Seguì il rumore fino a quando non fece capolino in una sezione tra due grosse librerie dove si trovavano le due: si fermò e incrociò le braccia quando vide Siri, in piedi sul tavolo, che si era abbassata con uno sguardo provocatorio su di un soldato che, evidentemente, aveva chiesto alle due di stare in silenzio.
- Lo sai chi è lei?! – senza distogliere lo sguardo dal soldato, indicò Hange alle sue spalle col pollice – È il prossimo comandante del corpo di ricerca, mio caro.
Hange alzò una gamba e poggiò un piede sulla panca, poi mise una mano sul fianco mentre con l’altra si riposizionava con aria fiera gli occhiali sul naso. Levi scosse la testa guardandola contrariato.
- Vuoi fare rapporto? Va bene, ma finirà dritto dritto sulla sua scrivania. Qui stiamo facendo LA STORIA…
- Avete finito d’infastidire mezzo plotone? – il soldato si voltò verso Levi che gli fece cenno di andare via. Quest’ultimo fu ben felice di svignarsela e lasciar fare a lui.
- Hanno dovuto chiamare me per darvi una regolata. – in realtà Moblit non era riuscito a richiamare alla ragione Hange che si era fatta trascinare ben volentieri dalla sua molto persuasiva compagna di stanza, quindi l’aiutante della scienziata aveva chiamato Levi, il quale sembrava essere l’unico capace di farsi sentire da Siri, a parte Erwin.
Non riusciva a ricordare cosa fosse successo dopo, sembrava fosse accaduto una vita fa quando in realtà erano passati a malapena quattro anni, ma fu colta ugualmente da una nostalgia che le strinse il petto in una morsa, facendole venire un groppo alla gola. Allora non sapevano nulla del mondo esterno né tantomeno dell’arazzo, di Eldiani e Marleyani, e forse era meglio così. Felicemente ignoranti.
Improvvisamente qualcuno le scosse il braccio, facendola sobbalzare, si voltò e vide Bernard prendere posto sulla sedia accanto a lei: - Cazzo… Bernard, sai che non sento da quest’orecchio.
Lui le sorrise astuto: - Stai diventando un ferro vecchio, lucertolina.
- Va al diavolo. Non dovresti esserne così felice di questo, visto il posto in cui stiamo andando. – Siri posò quindi lo sguardo su Jean e Yvonne qualche metro davanti a loro, intenti a giocare ad uno sport che avevano scoperto essere “ping-pong”, in realtà era abbastanza recente persino per Marley.
- Sei anche più scorbutica, ma sappiamo chi incolpare per questo.
- Non ho mai assunto un atteggiamento diverso con te in ogni caso.
Bernard sbuffò e seguì la direzione verso cui puntavano gli occhi dell’altra: Jean col suo metro e novanta di altezza aveva un’aria buffa con la camicia e il panciotto che cercavano di conferirgli un’aria seria e adulta, in contrasto col manico della racchetta fin troppo piccolo nelle sue mani e gli occhi spalancati e luccicanti come quelli di un bambino.
- Una mamma fin troppo apprensiva per il suo moccioso alto un metro e novanta per… Quanto pesa Jean? Almeno ottanta chili di sicuro, – Siri roteò gli occhi e si allungò sulla sedia annoiata – comunque tanti, forse anche più del padre, che sarei io, non vorrei dire ma la gente nota queste cose, come le notiamo noi…
La ragazza lo interruppe: - Sta un po’ zitto, mi fai desiderare di essere totalmente sorda. – poggiando il gomito sul bracciolo abbandonò la guancia sul pugno chiuso – Mi sto solo annoiando a morte e vederli è divertente.
- E sei preoccupata.
Siri rimase un momento in silenzio, coperto dalle esultanze di Yvonne e dalle rimostranze del suo compagno di gioco: - Ti sei fatto crescere l’empatia in questi mesi, oltre a quel ridicolo pizzetto?
Bernard si toccò il mento visibilmente risentito, quindi smise di fissarla e si voltò nuovamente verso i ragazzi: - Non so più come fare colpo su di te, quindi provo strade inesplorate. Ad essere sincero sono stato pesantemente minacciato prima di partire. – lei lo guardò di sbiecò accigliata – Precisamente mi hanno detto che sarei stato evirato se ti fosse successo qualcosa o non avessi rispettato i tuoi ordini.
Siri tornò a guardare davanti a sé, le era spuntato istintivamente un sorriso sulle labbra.
- È stato aggiunto frettolosamente anche il nome di Jean, quasi a voler minimizzare la cosa. Ad essere ancora più precisi, ho edulcorato la versione perché le esatte parole sono state “tagliare le palle”.
La ragazza rise di gusto, con un piglio, notò Bernard a malincuore, molto affettuoso, come se al pensiero di rivedere Levi nella sua testa andasse in brodo di giuggiole. Lui stette a fissare il suo sorriso, dentro di sé gli si fece spazio un misto di soddisfazione, per averla fatta ridere, e di sconforto, per non essere l’oggetto di quell’affetto. Quando smise di ridere, lei sospirò stancamente: - Sì, la cosa mi preoccupa. Credo che Jean e Yvonne siano troppo giovani per questa missione, è troppo pericolosa.
- Ci siamo già stati un bel po’ di volte, Siri. Jean e i suoi compagni erano troppo giovani anche per i giganti, eppure… Mentre Yvonne… è Yvonne.
- Mentre Yvonne è letteralmente pazza. – lo corresse lei – E non credere che la cosa mi rincuori.
- Non sei così di solito, lucertolina. Rilassati. Ti mancano solo le rughe attorno agli occhi e poi sarai davvero inguardabile.
A Siri tremò un occhio per il nervosismo, ma decise di non rispondere. Non aveva idea di come avrebbe anche solo lontanamente sopportato quattro mesi di convivenza con Bernard con solo Jean come “supporto morale”. Ma era l’unico che le ricordava casa, sarebbe potuto bastare.
Sono solo quattro mesi, resisti Siri, si disse.
Poi inizierà il vero inferno.
 
[un anno dopo la missione di riconquista del Wall Maria, primavera-estate 851]
 
Si era appostata nei posti più impensabili durante la sua proficua carriera da spia, ma sicuramente le rocce su cui lei, Mikasa e Sasha si erano appostate si annoverava tra i più scomodi in assoluto. Mosse leggermente i gomiti per sistemare la presa salda sul fucile per poi lanciare un’occhiata in basso verso Connie, Jean e Armin: riusciva a vedere i primi due un ripiano poco più giù, mentre il terzo era nascosto più alla sua destra, dietro delle rocce sporgenti.
Riportò l’occhio sul mirino e, dopo aver guardato brevemente Hange e Levi sulla scogliera di fronte la nave che Eren aveva schiantato contro gli scogli, lo spostò sui Marleyani sull’imbarcazione, pronta a sparare ad ogni movimento sospetto. Il capitano della nave stava sbraitando contro Hange, un po’ troppo per i suoi gusti, quando infatti lo vide agitarsi con più fervore caricò il colpo in canna, quasi in contemporanea con Mikasa accanto a lei.
Non ho sentito il tuo click, Sasha. – le rispose il più assoluto silenzio. Sospirò rumorosamente e contrasse le spalle, pronta a sparare. Improvvisamente partì un colpo e il capitano si accasciò senza vita sulla barca: le due soldatesse sgranarono gli occhi.
Chi ha sparato?!
Il rumore era troppo lontano per essere partito da noi. – le rispose Mikasa altrettanto sgomentata. Siri si leccò le labbra e spostò il mirino verso l’equipaggio per vedere se fosse stato colpito anche qualcun altro tra loro, e, con sua grande sorpresa, vide un soldato alto e biondo tenere una pistola fumante nella mano ancora tesa nella direzione del marinaio deceduto. Spostò il mirino e seguì la scena coi suoi occhi, incredula, poi si sedette e, portando con sé il fucile, iniziò ad allontanarsi il più furtivamente possibile: - Mikasa, tenete sotto tiro i Marleyani, io vado a vedere cosa succede. E sveglia quella babbea, è il nostro migliore cecchino… – scosse la testa contrariata e scese agile tra le rocce.
Siri e Jean ufficialmente facevano ancora parte della squadra di Levi, nei fatti erano però solo dei membri onorari visto che entrambi facevano parte del nuovo dipartimento segreto del corpo di ricerca che Hange aveva istituito. Siccome, al momento, i due non avevano molto da spiare, si occupavano di perfezionare la loro copertura e occuparsi di quelle mansioni più “pratiche”, e di certo Siri non si lasciava sfuggire situazioni come quella, la sua curiosità era più forte di qualsiasi altro incentivo.
Si introdusse nell’accampamento e si diresse verso la tenda dove gli altri soldati le avevano detto si trovavano Hange, Levi e i nuovi arrivati: appena l’ebbe trovata, fece per entrare ma Floch e un altro soldato la bloccarono.
- Dove vai soldato?
Siri allontanò con la mano quella di Floch tesa verso di lei, poi alzò un sopracciglio, guardandoli dall’alto al basso altera: - Spero tu stia scherzando Floch.
L’altro rimase completamente impassibile: - C’è bisogno di un permesso scritto per passare.
- Floch, sono armata, – disse, sventolandogli davanti il fucile – e ho anche un buon assortimento di pugnali sparsi per tutto il corpo, se non vuoi che ti mostri dove puoi infilarti il permesso scritto…
Venne interrotta da Eren che, uscito da poco dal gigante, l’aveva raggiunta alle spalle: - Floch, non ti sembra di esagerare? Siri è anche un tuo superiore.
Il ragazzo alle parole di Eren annuì docilmente e fece il giro della tenda per posizionarsi all’altra entrata, lasciando il collega sull’altra. Siri scosse la testa adirata: - Si è forse ammattito? Devo rinfrescargli i nostri rispettivi ruoli? E cos’è questa storia che dà ascolto a te e non a me?
Eren abbassò lo sguardo e, ritenendo erroneamente le sue domande retoriche, gliene pose un’altra slegata dal contesto: - Dove sono gli altri?
- Li ho lasciati sulla scogliera, tenevano sotto tiro i soldati, è probabile che quando sono sbarcati siano scesi. Prova nella direzione dalla quale sono venuta io, – si voltò e indicò con le mani un percorso tra i corridoi che formavano le tente – sempre dritto, poi a destra. Hai capito?
- Credo di sì. Ciao Siri. – le disse mogio, mentre lei lo osservava andare via preoccupata. Era da un anno che si comportava in modo strano, lei e Levi parlandone l’avevano imputato alla pubertà, eppure i suoi atteggiamenti erano troppo strani, il modo in cui parlava, non solo a lei ma a tutti, persino a Mikasa e Armin, andava ben oltre una fase della crescita. Di questo ne era assolutamente convinta.
Scosse la testa e si alzò la maschera fino sopra il naso, prima di entrare nella tenda. Le quattro persone sedute attorno al tavolo al suo interno si zittirono all’istante quando lei fece capolino all’interno: Hange e Levi, vedendola, rilassarono le spalle e tornarono a guardare i loro due interlocutori di cui, notò Siri entrando e posizionandosi alle spalle dei suoi colleghi, uno era niente meno che la soldatessa che aveva fatto fuoco, mentre l’altro un uomo dalla pelle nera e gli occhi scuri.
Siri mise il fucile a tracolla e alzò una mano a mo’ di scuse: - Prego, continuate. Fate come se non ci fossi.
L’uomo tornò a guardare Hange e Levi e a parlare, mentre la donna tenne lo sguardo grigio e penetrante su di lei, facendola sentire leggermente a disagio.
- … Quindi come vi stavamo dicendo, Marley vanta uno dei migliori assortimenti in suppellettili militari nel mondo. Senza contare il potere dei quattro giganti di cui dispongono, tuttavia senza il fondatore si trovano attualmente in uno stato di stallo, per questo sono interessati alla vostra isola. Oltre che per le vostre riserve di gas naturale.
- Intendi il gas che noi usiamo per i nostri dispositivi di movimento tridimensionale? – disse Hange prendendo la pistola che si trovava sul tavolo ed esaminandola dalla canna – Questa… pistola… ricarica automaticamente quindi?
Siri aggrottò le sopracciglia, fece un passo verso di lei guardando rapita il metallo nero che luccicava sotto la luce giallastra delle lampade.
- Sì e sì. – l’uomo guardò la spia che si era avvicinata alle spalle del comandante e le sorrise – Mi scusi, ma non riesco a non presentarmi, io sono Onyankopon e lei è Yelena.
La spia li guardò senza spiccicare parola, mettendo seriamente a disagio lui che si affrettò a continuare: - Siamo volontari Anti-Marley e siamo qui per offrirvi il nostro aiuto per debellare la minaccia rappresentata da Marley… lei si chiama…?
- Nobile da parte vostra. Non siete di Marley presumo. – Siri si fece passare la pistola da Hange, poi si spostò ad un capotavola, vuoto, maneggiandola.
- No, infatti. Facciamo parte degli stati che sono stati soggiogati dalla loro superpotenza.
Lei annuì con un suono gutturale, continuando tenere gli occhi sulla pistola con cui stava continuando ad armeggiare, conquistandosi sporadicamente occhiate fascinate e involontarie da Levi. I movimenti delle sue mani rimanevano il punto debole del capitano. 
Onyankopon sospirò confuso, quindi Hange pensò bene di prendere la parola per tornare a parlare dell’argomento principale.
- Ma come mai Marley non ci ha ancora attaccati allora?
Yelena prese finalmente parola, attirando l’attenzione di Siri che la guardò di sbieco mentre continuava a produrre continui click con la pistola: - Principalmente per due ragioni. La prima è che negli ultimi ottant’anni hanno continuamente riversato giganti puri sull’isola, rendendo un eventuale sbarco problematico. La seconda è che nel frattempo Marley ha dichiarato guerra a diverse nazioni, rimandando quindi un eventuale attacco a Paradise che, in questo momento, sarebbe troppo dispendioso e impegnativo.
- Diverse nazioni dici… – disse Siri puntando la pistola all’altro capo del tavolo vuoto.
Yelena aprì la bocca per rispondere ma venne interrotta da due colpi che la spia fece partire dalla pistola e che bucarono il tavolo. I quattro si allontanarono con le sedie dal tavolo di scatto, Floch e l’altro soldato di guardia all’esterno si precipitarono nella tenda per controllare: soltanto ad un cenno di Levi, che si era alzato, fecero dietrofront, borbottando lamentele sottovoce.
Siri approfittò del disordine per lanciare un’occhiata ad Hange e indicare eloquente Yelena con gli occhi, poi sorrise sotto la mascherina e portò la pistola davanti alla faccia osservandola soddisfatta: - Sono la fine del mondo queste pistole.
Levi si voltò verso di lei e le lanciò un’occhiata gelida: - Va fuori. – le disse perentorio, non prima di averle strappato di mano l’arma. Lei alzò gli occhi al cielo e di diresse all’entrata, poco prima di uscire e sparire nell’oscurità lanciò un’ultima occhiata ad Hange che annuì impercettibilmente.
- Dovete scusarla, non è proprio uno dei nostri soldati più svegli. – Levi si risedette e a quelle parole dell’amica la guardò leggermente perplesso, ma non si azzardò a contestare – È possibile avere un elenco di queste nazioni? Magari ben dettagliato?
Yelena spostò lo sguardo penetrante, ancora fisso sull’entrata, su Hange: - Certamente. Onyankopon puoi occupartene tu?
L’altro batté le palpebre ancora visibilmente disorientato, alle parole della collega si riscosse e annuì: - S-sì, me ne occuperò io con piacere.
Più tardi Levi si diresse alla sua tenda seguito da Hange, che non aveva alcuna intenzione di ritirarsi senza prima aver divagato su tutte le nuove informazioni che aveva acquisito. Non appena entrarono, vi trovarono Siri all’interno che si dondolava sulla sedia della scrivania.
- Ah, Siri! Che fortuna che sei già qui! – disse Hange con un sorriso, mentre Levi, dopo aver dedicato all’intrusa una breve occhiata arrabbiata, si tolse la giacca di cuoio per poi dirigersi verso lo zaino ai piedi della sua branda.
- Già, così possiamo prenderti a calci senza dover perdere tempo a cercarti per tutto l’accampamento.
Siri arricciò le labbra e alzò i piedi, incrociandoli sul tavolo: - Dai, non potevo fare altrimenti. – dopodiché guardò Hange eccitata – Allora, hai chiesto informazioni sulle nazioni acquisite da Marley?
Levi, che le dava le spalle, voltò il capo verso le due con uno sguardo interrogativo: - Che? Come fai a… Togli immediatamente le tue scarpe lerce dalla scrivania.
Siri sventolò una mano sbrigativa, senza distogliere lo sguardo da Hange che le parlava concitata: - Pulisco dopo.
- Onyankopon mi farà avere una lista dettagliata sulle nazioni nei prossimi giorni: forme di governo, sovrani, organizzazione militare, tutto. A proposito, cosa vuoi farci, scusa? Non credo però si berranno la scenetta della soldatessa fuori di testa, dopotutto per andare all’estero avrai bisogno di loro e faranno inevitabilmente la tua conoscenza.
Siri sospirò sonoramente: - Questo lo so. Credo che la stangona abbia inteso qualcosa, quando mi guardava mi sentivo scrutata nell’anima… per ora va bene così, voglio capire meglio le loro intenzioni e se possiamo fidarci.
Levi si avvicinò alle due guardandole sconcertato, ma non parvero accorgersi di lui. Sembravano entrambe portare avanti due discorsi differenti, ignorando un filo logico che un discorso convenzionalmente segue e nonostante ci fosse abituato, ogni volta era comunque uno spettacolo frastornante.
- Sai cosa significa questo Siri?
- Non credere che non ci abbia pensato… L’arazzo… Adesso abbiamo una vaga speranza di decifrarlo!
- ESATTO! – le due si guardarono con gli occhi che brillavano, poi Siri tirò giù i piedi dalla scrivania e incrociò le gambe sotto il sedere.
- E dimmi, che altro vi hanno detto?
- Va bene, adesso basta. – Levi s’intromise, capendo al volo che se le avesse lasciate fare avrebbero continuato fino all’alba – Hange, fuori di qui. Parlerete domani. Tu. – mentre spingeva fuori dalla tenda Hange che borbottava, lanciò un’occhiataccia alla spia – Pulisci.
Siri si alzò con uno slancio e afferrò uno straccio piegato ordinatamente in un angolo della scrivania, sbuffando. Levi seguì attentamente le sue azioni, più per vedere le sue mani in azione che per premurarsi che pulisse come aveva promesso, poi si spostò davanti alla branda sbottonandosi i polsini della camicia.
- Che fate tu e la stramba, vi leggete nella mente adesso?
- C’è molta affinità tra noi. – lei sogghignò e lo guardò di striscio per un momento, mentre strofinava la superficie in legno – Non so se sai di che parlo.
Lui scosse leggermente la testa e iniziò a sbottonarsi del tutto la camicia, per dire poi laconico: - Divertente. – si sfilò la camicia e rimase a fissare per qualche secondo la branda, assorto nei suoi pensieri.
- Quando avevi intenzione di dirmelo?
Siri si voltò a guardarlo dubbiosa: - Cosa?
- Tu. All’estero.
- Oh. – Siri si voltò nuovamente verso la scrivania, si piegò per sciacquare la pezza in un secchio lì accanto e riprese a pulire con movimenti concentrici – Pensavo lo sapessi già. Cioè, l’avevi inteso, credo.
- Sì, ma non credevo aveste già pianificato qualcosa tu e Hange.
- Ti avevo detto che avrei avuto molto più lavoro da fare d’ora in poi. – Siri si voltò verso Levi quando lui le si accostò alle spalle. La fissava con quello sguardo rilassato che conosceva bene e che le riservava molto spesso, venato questa volta, però, da una leggera tristezza a cui lei non riuscì a imputare subito una motivazione: sapevano benissimo entrambi che questo momento sarebbe arrivato, presto o tardi lei sarebbe partita e credeva di averlo ben preparato a quell’accadimento. E che, a sua volta, l’avesse fatto anche lui stesso.
Tu il lavoro te lo vai a cercare. – disse lui, prendendo la pezza dalla mano di Siri e scostandola per continuare lui a pulire. Lei si allontanò e iniziò a srotolarsi le fasce dalle braccia.
- Bernard ha finito di istruire la sua allieva, domani andrò a conoscerla, Jean si chiede se la troverà carina…
Levi socchiuse gli occhi e sospirò: - Siri…
- … Io personalmente mi sono dissociata da questa sua curiosità, ma poi ho pensato “è un ragazzino dopotutto”, è solo curioso… - sfilò anche l’altra fasciatura rimasta e lanciò entrambe sullo zaino di Levi.
- Siri…
- Lo so, ma ci ho già pensato, non deve assolutamente intraprendere nulla con lei, sarebbe pericolo-
Lui alzò la voce: - Siri. – ammutolendola. Si guardarono per un lasso di tempo che parve infinito, fino a quando Siri non si morse le labbra e si decise ad intraprendere quello scomodo discorso.
- Scusami, è che è tutto secretato, sai che se posso ti aggiorno subito.
Levi lasciò cadere la pezza nel secchio e andò verso la branda, lasciandosi andare pesantemente sul bordo: - Non è questo.
Lei ripensò alle ultime parole che le aveva detto e dopo averci riflettuto realizzò cosa Levi volesse dirle, ma che la sua scarsa capacità comunicativa gli impediva di pronunciare: nonostante tutte le premesse e i discorsi sulla loro relazione, tutti gli autoconvincimenti sulla faccenda, lui era ancora profondamente combattuto tra quelli che erano i suoi sentimenti e il suo buon senso. Levi si prese la testa fra le mani e sospirò stancamente, Siri osservò la scena con sorriso condiscendente sulle labbra, gli si avvicinò e gli si sedette accanto, cingendolo con le braccia teneramente: - Ho capito, l’ho capito perfettamente. Ma… sono curiosa, voglio scoprire cosa c’è scritto su quel tuo dannatissimo cimelio di famiglia. – lui alzò la testa, sentendosi molto più leggero, lei quindi gli baciò delicatamente la tempia coperta parzialmente dai suoi morbidi capelli neri – E infondo vuoi saperlo anche tu, chi può farlo se non me?
Lo strinse delicatamente nel suo abbraccio, accarezzandogli con una mano la base del collo e con l’altra i muscoli tesi del braccio, lui spostò lo sguardo altrove, perfettamente consapevole che il suo malumore non aveva alcuna motivazione logica, se non una più irrazionale che poteva essere riassunta in un semplice quanto ineffabile: “Non voglio che tu parta”.
- Mi secca solo l’idea che per un po’ non riuscirò a dormire per tutte le ore che vorrei.
Siri gli tirò risentita un forte pizzico sulla pelle, al quale lui rispose con un sorriso affettato e una spinta con la spalla, aspettò che lei finisse di ridere sommessamente per poi voltarsi a guardarla e accertarsi che non cercasse di sviare alla domanda che le pose: - A cosa vi serve la lista delle nazioni?
Lei corrugò un sopracciglio, alzò le spalle ma lo guardò dritto negli occhi: - Ancora non lo so, onestamente. Ho una mezza idea. – gli posò un indice sulle labbra prima di alzarsi, riprendere le fasce e sgattaiolare via – Ma è un segreto.

Nota: Ce l'ho fatta alla fine a pubblicare per agosto, ma il prossimo capitolo arriverà per settembre inoltrato quasi sicuramente (a meno che non abbia una forte ispirazione come con questo e magicamente riesca a scriverlo e correggerlo in due giorni).
il capitolo 4 è stato corretto, inoltre vi segnalo un refuso nel capitolo 25: Mikasa dà una ginocchiata a Siri, non una gomitata *shame on me*. Me ne sono accorta soltanto qualche giorno fa, adesso è corretto.
Buone vacanze! 

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Capitolo 29
*** Capitolo 27 - Tutti proteggiamo qualcuno ***


Capitolo 27 - Tutti proteggiamo qualcuno

 
Non appena Siri scese da cavallo, Jean fece altrettanto, seguendola in silenzio a pochi passi di distanza, mentre tenevano i cavalli con loro dalle briglie.
- Allora? Dov’è la tua specialissima allieva?
Bernard, alla guida del piccolo gruppo, si guardò intorno circospetto, ma l’ingresso del quartier generale del corpo di ricerca sembrava deserto esattamente come l’avevano lasciato mesi prima, quando Hange aveva dato direttive di stabilire un accampamento in riva al mare per poter intercettare le navi Marleyane.
- Dovrebbe essere qui intorno lucertolina. Probabilmente si era scocciata di aspettarci e si è seduta da qualche parte.
Siri sbuffò continuando a seguirlo qualche passo indietro: - Proviamo al campo. Lì ci sono le sedute per esterni.
Era una notte insolitamente fresca per il mese d’agosto e, a parte i soldati nelle guardianie all’ingresso e i grilli e le cicale che si davano da fare per riempire il silenzio irreale da cui erano circondati, non sembrava esserci anima viva lì intorno. L’enorme edificio dove Siri aveva passato l’ultimo anno proiettava con la luce della luna delle ombre sinistre, per cui l’atmosfera era familiare ma stranamente angosciante. Bernard dal canto suo poteva affermare di sentirsi angosciato e basta, visto che in quell’edificio ci aveva passato a malapena due mesi prima che il suo nuovo comandante non ebbe deciso nel mese di maggio, approfittando delle temperature più miti, di spostare l’intero plotone in riva al mare. Non che lui avesse paura di rimanere da solo in un edificio così grande, ma visto che doveva restare necessariamente nei paraggi per completare l’addestramento della sua allieva, optò per l’alternativa più confacente per lui e le sue tasche: rimediare un alloggio gratis da Pyxis a Trost.
Svoltò verso il campo d’allenamento seguito dagli altri due, si avvicinarono a dei pali a cui legarono i cavalli per lasciare che si abbeverassero e s’incamminarono quindi verso le sedute all’esterno, vedendole Siri sospirò nostalgica e Bernard mal interpretò quel suono come gesto d’insofferenza.
- Oh andiamo Siri, è un buon segno se non riusciamo a trovarla.
- Per una volta non hai tutti i torti. Ma non possiamo certo giocare a nascondino, avresti dovuto perlome…
Bernard si fermò all’improvviso: - Oh, eccola lì. – di fronte a loro c’erano i tavoli e seduta ad uno di questi c’era una ragazzina, pressappoco sull’età di Jean, che guardava le stelle trasognata. Siri superò Bernard, seguita a ruota da Jean, si diresse verso di lei, fermandosi giusto a qualche metro di distanza. Rimase a fissarla in completo silenzio sotto la luce lunare mentre l’altra a malapena sembrava essersi accorta della loro presenza. Siri alzò un sopracciglio e mantenne quella impassibilità fino a quando non le si accostò Bernard che, come aprì bocca per prendere la parola, venne interrotto da lei.
- Già così posso dirti che non va bene.
- Perché?
Siri si voltò di profilo verso Bernard ed indicò a palmo aperto la figurina bionda ancora seduta: - Perché? È una bambina, ecco perché!
La ragazza solo a quel punto voltò la testa verso Siri e la fissò impassibile. Jean spostò lo sguardo da Siri a lei e iniziò ad osservarla con più attenzione: aveva degli occhi marroni piccoli e allungati, i corti capelli biondi erano raccolti in un codino da cui sfuggiva qualche ciuffo di capelli che le incorniciava il viso dai tratti che, se a una prima occhiata potevano apparire delicati, erano marcati, in particolare la mascella e il mento gli sembravano quasi affilati sotto la luce argentea della notte.
- Non è una bambina Siri, magari in confronto a Jean può sembrare più piccola di età ma ti assicuro che ha l’età giusta.
Certo, stava pensando il ragazzo interdetto, era difficile pensarlo vedendo la sua camicetta a balze e i disegnini a penna che aveva su braccia e mani, senza parlare del fatto che mentre era seduta stava muovendo le gambe dall’avanti all’indietro, esattamente come una bambina che si annoia. Non sembrava nemmeno fosse un’apprendista spia, dato lo sguardo perso che rivolgeva loro, ma qualcosa in lei metteva a Jean una certa inquietudine.
- Bernard, ti avevo chiesto di prendere seriamente la cosa, – Siri si mosse e si portò alle spalle della ragazzina – e tu, chiaramente, non l’hai fatto. – concluse, indicando l’allieva del collega.
Jean non ebbe nemmeno il tempo di elaborare lo scatto con cui la ragazzina afferrò il braccio di Siri, girò su sé stessa e la ribaltò con tutta la forza sul tavolo. La sua maestra fu abbastanza veloce da tirare fuori uno dei suoi pugnali prima che la ragazzina gliene puntasse uno a sua volta sulla gola.
- Siri! – gridò Jean, lanciandosi in avanti.
- Fermo. – gli rispose decisa Siri, tenendo gli occhi fissi in quelli dell’assalitrice.
Bernard sorrise invece compiaciuto vedendo le due puntarsi reciprocamente delle armi alla gola: il ragazzo accanto a lui lo guardò sconcertato e scosse la testa contrariato.
La ragazzina inclinò di poco la testa e premette la lama sulla gola di Siri che le teneva strettamente il braccio per contrastarla, facendo forza per spingerlo lontano, inutilmente: - Sei scortese.
Siri assunse una smorfia d’incredulità alzando il labbro superiore: - Come, scusa?
L’altra corrugò le sopracciglia risentita: - È maleducazione. Non mi hai chiesto come mi chiamo. – a quelle parole Siri era riuscita a sfilare una gamba dalla presa dell’altra e, spingendo col piede sul tavolo, ribaltò entrambe per terra. Jean accorse e s’interpose tra le due, dando le spalle a Siri che, rotolata via dall’altra che tossiva per riprendere fiato, si stava rialzando guardinga, accusando il contraccolpo. 
- Ma che ti salta in mente?! – riuscì a dire il ragazzo, cercando di non dare mai le spalle alla nuova conoscente mentre tendeva un braccio alla maestra la quale, tirandosi su a sedere, incenerì Bernard con lo sguardo lasciandosi sfuggire un suono gutturale.
- Bene. – Siri si alzò e si scosse di dosso la polvere – Allora dimmi, come ti chiami di grazia?
La ragazzina portò le gambe di lato sotto il sedere, si lisciò la gonna e le rivolse un sorriso grazioso: - Yvonne, tanto piacere Siri.
Jean socchiuse la bocca sentendo quella voce angelica, poi espirò seccato poco prima che Bernard si avvicinasse e prendesse finalmente la parola: - Dovete scusarla, ma Yvonne ha un carattere… particolare.
- Chi non lo ha. – rispose Jean sprezzante, coprendo il silenzio tombale in cui si era chiusa Siri.
Bernard sorrise annuendo piano: - Ha solo dimostrato le sue capacità, e credo che a Siri vada bene così, dopotutto ha ricevuto uno smacco non indifferente, non è vero?
Il ragazzino si voltò a guardare la spia che in piedi, imperturbabile, aveva inspirato dal naso, alzato un sopracciglio e poi a sguardo basso aveva detto semplicemente: - Hai ragione Bernard. – guardò quindi Yvonne ancora seduta per terra – Se tu garantisci per lei, non posso che acconsentire. Resterete a Trost fino a quando io e Jean non torneremo col resto del plotone, in modo da preservare la nostra copertura.
Detto ciò, s’incamminò verso l’ingresso, seguita solo da Jean che imitò Siri e non salutò nessuno degli altri due, che rimasero al campo d’allenamento.
- Siri, perché non l’hai rifiutata? Quella lì non mi sembra il tipico soldato che rispetta gli ordini, considerate le prossime missioni non credo sia…
- Va bene così Jean. – disse Siri senza voltarsi – Sono orgogliosa, permalosa, impulsiva. Ma so fare bene il mio lavoro, questo Yvonne ancora non lo ha ben chiaro e lo imparerà presto. Non preoccuparti di questo.
Jean scosse la testa con un sorrisino che gli era spuntato sulle labbra: - Dovremmo comunque cercare di non inimicarcela troppo. Sembra brava dopotutto.
Raggiunsero i cavalli e Siri, afferrando le briglie del suo, si voltò a guardare l’allievo soddisfatta: - Bravo, vedo che stai entrando nell’ottica molto bene. – gli diede una pacca sul braccio prima di montare in sella. A Jean si gonfiò il cuore di orgoglio.
 
[inizio anno 852]
 
Finalmente era arrivata l’alba, cerea e luminosa. Era stata dura rimanere all’inizio vigile e poi sveglio con lei che dormiva profondamente al suo fianco, un sonnifero troppo efficace per resistergli, ma alla fine Levi ce l’aveva fatta.
Si strofinò una mano sulla faccia per poi passarla nei capelli spostandoli dalla fronte e si concesse il lusso di abbassare le palpebre, qualora si fosse alzata l’avrebbe sentita sicuramente ed era questione di minuti perché lo facesse. Scosse piano la testa sul cuscino, non era certo da lui fare una cosa del genere ma rimanere sveglio per beccarla mentre sgattaiolava via dalla sua stanza al mattino era l’ennesima sciocchezza che si era ritrovato a fare nell’ultimo anno e mezzo in nome di un sentimento, che Levi non sapeva ancora definire. O che aveva paura di definire.
Finalmente sentì il respiro di lei farsi più leggero, poi, sempre tenendo gli occhi chiusi percepì il fruscio delle coperte prodotto da lei che si muoveva, si alzava sui gomiti e… si sporgeva verso il suo viso. Percepì il tocco leggerissimo e morbido delle sue labbra sullo zigomo, poco prima che lei si mettesse a sedere. Proprio quando stava per alzarsi, Levi con uno scatto afferrò l’avambraccio di Siri che si voltò sorpresa verso di lui: si fissarono per qualche secondo prima che lui prendesse la parola per spiegarsi.
Non… non c’è bisogno che te ne vada come una ladra. – mosse di poco gli occhi per poi tornare a guardarla – O una spia.
Lei arricciò le labbra per non sorridere: sarebbe bastata una semplice richiesta, parlarne magari, ma quel modo di affrontare la cosa era da lui e doveva ammettere che le piacesse molto, ora che aveva decifrato il suo speciale linguaggio. Siri rimise le gambe sul letto, mentre Levi le lasciava il braccio e si schiacciava sulla parete per concederle lo spazio sufficiente a stendersi di nuovo accanto a lui.
- Più tardi nei corridoi ci sarà sicuramente più gente. – disse voltandosi di lato verso di lui.
- Tch. Che differenza fa, userai la finestra.
Siri sorrise e si schiacciò più vicina al suo fianco: - Hai ragione, non sono poi così anziana come te.
Passarono il resto del tempo a dormire, crogiolandosi nel calore offerto dalle coperte e dal nuovo sistema di riscaldamento che avevano impiantato nell’edificio. Gli alleati Anti-Marley, oltre ad aver offerto strategie di difesa e nuove suppellettili, avevano anche portato parecchie migliorie tecnologiche, una di queste erano i nuovissimi impianti di riscaldamento che avevano permesso il lusso ai soldati di poter stare in stanza con non più di una maglia e un pantaloncino. Rimasero così fino a quando non si svegliarono a metà mattinata e, dopo aver passato una buona mezz’ora a parlare delle prossime reciproche missioni, oltre che della nuova molesta compagna di squadra di Siri, quest’ultima pensò bene di controllare la caviglia infortunata anni prima di Levi dopo che lui si era lasciato sfuggire della missione nella foresta.
- Non posso credere che tu non me l’abbia mai detto.
- Dici sempre di sapere tutto e- AH – Levi scosse involontariamente la gamba dopo che Siri, spingendo la pianta del piede all’indietro, aveva stimolato troppo il tendine infortunato.
- Ops. – alzò le mani e poi le poggiò sulla gamba – So le cose ma a grandi linee, non posso mica approfondire qualsiasi cosa mi capiti sotto tiro.
Levi alzò le spalle mentre lei sospirò: - Avevi appena accennato che era guarito del tutto.
- Infatti. Ma non ho mai detto se bene o male. L’elasticità, se è così che si chiama, non è mai tornata quella di prima. Non che non sia capace di muovermi come voglio ugualmente.
Se non fosse un Ackerman, pensò lei, avrebbe zoppicato a vita con questa lesione.
Siri, con lo sguardo adesso concentrato sul polpaccio dell’altro, iniziò a tastarlo assorta, prese fiato per parlare quando venne interrotta da qualcuno che bussava alla porta: - Chi è? – chiese quindi a voce alta senza pensarci troppo.
Levi sgranò gli occhi, un brivido lo percorse tutto mentre guardava con orrore la ragazza in canotta e pantaloncini, che invece non sembrava per niente essersi accorta dell’errore da principiante che aveva appena fatto mentre portava una ciocca di capelli dietro l’orecchio noncurante. Gli aveva detto più volte detto di sentirsi come a casa quando erano soli, ma quel livello di confort era a dir poco scandaloso.
La sua reazione fu istantanea, si sporse verso di lei e le diede uno scappellotto dietro la testa: - Idiota!
- Ahia! Ma che…
- Questa, è la mia stanza, stupido saltimbanco che non sei altro.
Siri si morse il labbro inferiore interdetta, portandosi le mani alla testa disse: - Mi è venuto naturale…
- Non posso crederci, – Levi si rese conto che avevano alzato la voce, quindi iniziò a bisbigliare – tu saresti una spia, la migliore in circolazione.
Lei ruotò gli occhi colpevole e prese a strofinarsi il capo, premurandosi di non incrociare lo sguardo con quello adirato del compagno: - Però mi hai fatto male… è proprio dove ho la cicatrice.
A Levi sembrò come essersi mozzato il fiato, rimase impassibile per qualche secondo, si mise a sedere più vicino e le impose le mani come a volerla toccare, non facendolo, così pentito di quel gesto che entrambi si scambiavano spesso anche solo per stuzzicarsi: - … Ti ho fatto male? Mi… – poi prese lentamente coscienza del fatto che la cicatrice sulla testa si trovava molto più vicina alla fronte, complice anche il fatto che sul volto di Siri era comparsa una smorfia di chi si stava trattenendo dal ridere con tutte le forze.
Sei
Fuori dalla porta, Hange era rimasta in silenzio a sentire quel breve quanto concitato scambio di battute, curiosa di scoprire quanto oltre sarebbero arrivati i due prima di rendersi conto che lei fosse ancora lì fuori. Dopo aver bussato. Dopo averli colti in flagrante. 
Si massaggiò la fronte con le dita e sospirò sonoramente: - Io sarei ancora qui fuori.
Sentì calare finalmente il silenzio, quindi dei passi di piedi nudi dirigersi verso di lei oltre le assi di legno. La serratura scattò e apparve Levi, che tenendo la porta ben socchiusa, sull’uscio, le riservò la sua solita espressione incolore, come se non fosse successo assolutamente nulla: - Dimmi.
Hange, in alta uniforme, rimase a fissare Levi dall’alto in basso con un’espressione contrariata prima di parlare: - Ho acconsentito a chiudere un occhio sulla questione proprio perché ti conosco da anni. Ho persino lasciato che aveste le camere sullo stesso piano, proprio per offrire una certa discretezza alla cosa. – la mandibola di lui ebbe un guizzo e la comandante provò una sadica soddisfazione quando lo vide deglutire alle sue parole – Per cui, siccome vi conosco abbastanza bene da poter affermare che la cosa non accadrà più, mi limiterò a far finta di non aver visto niente, confidando nella vostra futura accortezza.
Levi assentì in silenzio, quindi l’altra si aggiustò gli occhiali sul naso e continuò: - Dopo pranzo raggiungimi in studio, devo parlarti dei volontari Anti-Marley, fa venire anche Siri perché dopo dovrò discutere con lei di alcune cose riguardo la missione.
- Va bene. – Levi fece per chiudere la porta, bloccandosi quando Hange fece per parlare di nuovo.
- Cercate solo… Cercate solo di non farlo accadere mai più per davvero. Ho già abbastanza gatte da pelare e scartoffie da compilare anche senza voi due a tubare come due uccellini. A dopo.
Levi s’irrigidì piccato e strinse il pomello della porta, rimanendo sull’uscio della camera anche dopo che la comandante se ne fu andata. Chiuse quindi piano la porta e si rivolse a Siri, che lo guardava incredula con gli occhi spalancati e gli angoli della bocca rivolti verso il basso.
- Non posso credere che tu mi abbia fatto rimproverare da Hange.
Più tardi i due mantennero la promessa e si presentarono nell’ufficio di Hange, piegata su dei documenti che Armin, in piedi accanto a lei, le stava porgendo ogni qualvolta le servissero, indicandole cosa contenessero e dove firmare. Solo quando Levi bussò sulla porta spalancata lei alzò lo sguardo verso i nuovi arrivati, riservando loro un cenno sbrigativo con la mano per invitarli a prendere posto sulle sedie di fronte la sua scrivania.
- Quanti ne mancano Armin? – disse piegata su un foglio mentre lo firmava.
Il ragazzino scandagliò velocemente il plico facendo scorrere i fogli tra le dita: - Quattro da firmare, gli altri sono tutti da leggere e prendere eventualmente in considerazione.
Hange sospirò stancamente e si massaggiò le tempie: - Va bene, per quelli da firmare vieni più tardi, mentre per il resto è meglio aggiornarsi domattina. Puoi andare.
Armin fece un passò per andarsene ma, chiaramente in difficoltà, si bloccò e fece dei passetti incerti sul posto per poi rigirarsi di nuovo verso il superiore: - Capita-… Comandante, ecco, sarebbe opportuno sul presto, ci sono alcuni urgenti e il comandante Pyx-
- Argh, sì, vieni pure a svegliarmi tu.
Mentre Hange si lasciò andare sullo schienale, il ragazzino annuì più convinto e sgattaiolò via chiudendo con delicatezza la porta alle sue spalle e lasciando finalmente soli i superiori. Siri, che fino ad allora aveva tenuto lo sguardo basso, alzò gli occhi sulla sua ex compagna di stanza tenendo la testa bassa con un filo di apprensione dipinto sulla faccia, mentre Levi, a braccia conserte, aspettava pazientemente che l’amica si prendesse il tempo necessario per riprendere fiato. Lei, infatti, rimase con la schiena allungata sulla sedia a fissare il soffitto per qualche secondo prima di riportare l’attenzione sui suoi “ospiti”, sorridere loro e alzarsi con uno slancio.
- Spostiamoci sui sofà. Ho fatto preparare del thè. – disse alzandosi e dirigendosi alle spalle dei due verso due poltrone davanti un basso tavolino da salotto ben apparecchiato con tazze, bollitore e biscotti.
- Improvvisamente abbiamo più fondi? – disse sarcastico Levi mentre passava al comandante, seduta sul sofà a due piazze di fronte a loro, la teiera, dopo aver riempito due tazze per lui e Siri.
- L’avrai notato anche sulle ultime buste paga presumo. – rispose Hange concisa, mentre si versava il thè nella tazza – Ciò di cui vi devo parlare si ricollega a questo in effetti.
Tirò un sorso e poi piantò gli occhi, penetranti, sui due: - Ho buone e cattive notizie. Non è stato semplice convincere i volontari ma alla fine hanno acconsentito ad accompagnare la squadra di Siri in territorio nemico nelle prossime missioni. In quanto alla copertura, la signora Azumabito si è gentilmente offerta anche di pagare eventuali spese.
- La cattiva? – disse Siri strofinando nervosamente con un pollice la porcellana della tazza.
- La cattiva è che… i volontari non ne sembravano troppo entusiasti, per usare parole gentili. Soprattutto Yelena si è dimostrata restia ad offrire il suo aiuto, comprensibile dal momento che non abbiamo condiviso con loro l’obiettivo di queste spedizioni.
- Non che ce ne sia uno ben chiaro, dopotutto. – rispose di getto l’altra.
- Su questo siamo perfettamente d’accordo, e lo erano anche loro quando ho detto che sarebbero state semplici missioni di “esplorazione”. Ma, vedi, non appena ho riferito che saresti stata tu a guidare la missione, è come se… – Hange guardò di lato come per richiamare alla mente la scena e scegliere le parole giuste per descriverla – È stato come se Yelena non fosse più così propensa. Sarà infatti Onyankopon a farvi compagnia, perlomeno durante la prima missione.
Siri annuì con la testa e portò la tazza alle labbra: - Meglio così. Mi sta molto più simpatico di quella donna angosciante.
- Sta un po’ sulle sue ma, esattamente come tutti gli altri, è una nostra alleata, cerca di fare del tuo meglio per trarre i frutti da questa nostra collaborazione, ma non c’è bisogno che ti dia indicazioni su come fare il tuo lavoro. – Hange ripose la tazza sul piattino – Tra un mese esatto è prevista la partenza. Vi sposterete con la nave degli Azumabito per raggiungere coste libere dal controllo Marleyano o degli Alleati, da lì prenderete una nave per Liberio dove alloggerete da dei collaboratori orientali.
- Perfetto. – un sorriso compiaciuto comparve sul viso di Siri che già pregustava le scoperte che avrebbe potuto fare di lì a breve – Per le direttive ci aggiorneremo man mano con gli Azumabito?
- Sì. Tu e la tua squadra avrete tutto quello che vi serve, nei prossimi giorni Onyankopon ti aggiornerà con tutto quello che vorrai sapere su Liberio, devi solo fissare giorni e orario dei vostri incontri.
- Per quanto riguarda Zeke invece? – Levi, che fino a quel momento aveva atteso paziente, si lanciò senza introduzioni sull’argomento che lo premeva maggiormente. Siri a quelle parole s’irrigidì e spostò lo sguardo altrove, mentre Hange gli rispondeva paziente.
- Per quanto riguarda lui, non ci sono grosse novità, ci ha proposto di seguire il suo piano che prevede l’utilizzo del gigante fondatore. Ho chiesto comunque di attendere, vorrei prima avere l’esito delle missioni di Siri prima di procedere, è meglio essere cauti.
- Quindi mi sembra di capire…
- Non è nostra intenzione farlo fuori, Levi. Yelena, e di conseguenza i suoi collaboratori, ripongono molta fiducia in lui, non solo, è l’anello che ci collega anche agli Azumabito. Quando avremo un’idea più chiara del suo piano “per salvarci”, allora…
- Tch. – fu la risposta di Levi, che voltò il viso da un’altra parte. Siri lo guardò di sottecchi per poi scambiare una breve occhiata d’intesa con Hange di fronte a lei: sapevano lui avrebbe obbedito qualsiasi ordine avesse ricevuto, ma non era quello a impensierire una e ammorbare l’altra. Non che non capissero le sue ragioni, ma sembrava abbastanza ovvio a tutti che quell’ossessione non avrebbe potuto portare a nulla di concreto. Con quella breve occhiata stabilirono che quello non era né il luogo né il momento d’intraprendere un discorso del genere, per cui Hange si limitò a riprendere il filo del discorso e dare le ultime direttive a carattere organizzativo per poi congedarli. Nel frattempo, si era fatta già ora di cena, per cui i due s’incamminarono direttamente alla volta della mensa dove si sedettero in disparte, perlomeno, così appariva ai nuovi arrivati, ma i sopravvissuti a Shiganshina sapevano bene che quello in cui prendevano posto era soltanto il tavolo dove mangiavano assieme alla squadra di Hange. Una triste abitudine che però i due erano restii a cambiare.
Poco distante, la squadra di Levi cenava più o meno pacificamente: mentre Armin era assorto nei suoi pensieri e ogni tanto lanciava sporadiche occhiate ai due superiori, Jean aveva appena finito di bisticciare con Sasha e il suo sguardo era caduto su Eren che, tra Mikasa e il biondino, portava flemmatiche cucchiaiate alla bocca, quasi come se mangiare fosse un’azione necessaria ma per nulla a lui gradita.
Jean alzò un sopracciglio e ghignò: - Beh, ehi, capisco sia dura essere costantemente al centro dell’attenzione ma quel tuo muso lungo mi rovina proprio la cena.
Eren non distolse nemmeno lo sguardo dalla minestra che rimase a fissare con occhi vuoti e le spalle curve, l’altro lo guardò interdetto: - Ehi, parlo con te.
Mikasa, ritta sul suo posto, guardò l’amico accanto a lei di sottecchi e quando vide che non aveva ancora risposto lo chiamò. Eren alzò lo sguardo, prima su Mikasa, poi lo portò su Jean ad un suo cenno del capo: - Come? Oh. Mi dispiace.
Jean, aspettandosi tutt’altra risposta, lo guardò incredulo riabbassare lo sguardo e tornare ad ignorarlo. Armin rivolse una breve occhiata preoccupata ad Eren al suo fianco, per poi guardare Jean e alzare le spalle con aria desolata. Quindi, tornò ad esaminare i due superiori al tavolo poco distante dal loro e dovette trattenere il suo stupore quando sorprese il capitano pulire, nonostante l’evidente cipiglio, delicatamente con un fazzoletto candido un angolo della bocca di Siri, che sembrava essere… impacciata. Armin riuscì a distogliere lo sguardo soltanto quando la spia, nervosamente, aveva strappato di mano all’altro il fazzoletto, riprese quindi a mangiare con foga, quasi in colpa per essere stato testimone di qualcosa che non avrebbe mai dovuto vedere.
- Ehi Jean, – esordì Connie oltre la spalla di Sasha – pensa al tuo di muso lungo.
Sasha sghignazzò e la cosa parve divertire anche Eren che sorrise piano, ad Armin parve essere stata la prima volta che sorridesse in mesi.
Jean lo incenerì con lo sguardo e si piegò nuovamente sulla zuppa: - Molto divertente. Ormai queste battute sono un po’ trite e ritrite.
- Mz, e chi lo dice, fanno ancora ridere me.
Il resto della cena passò con altri battibecchi che costrinsero Armin a trascinare via Jean prima che lui e Connie iniziassero ad esagerare, lasciarono le loro gamelle e uscirono dalla mensa. Nonostante fosse ancora abbastanza presto, il tramonto era già passato e il crepuscolo si stava per concludere, la temperatura si era abbassata tanto che i due strofinarono le mani sulle braccia per riscaldarle: solo Armin aveva avuto la perspicacia di portare con sé il cappotto, che infilò repentino non appena uscirono.
Jean incrociò le braccia e sbuffò, mentre camminava con l’amico in direzione del loro dormitorio: - Razza di idiota, non so nemmeno se sopravvivrò dopo queste missioni e si ostina a comportarsi come se nulla lo riguardasse.
Armin sorrise mesto: - Si comporta così solo perché è nervoso, dopotutto voi tre state sempre insieme, separarsi, anche se per poco, non sarà facile per nessuno.
- No, io dicevo… – Jean, girandosi verso l’altro, non appena vide il suo viso su cui si dipingeva un’espressione amara, decise di non spiegare a chi si stava realmente riferendo – Fa nulla, lascia stare.
In realtà, Armin aveva capito perfettamente lui si riferisse ad Eren, ma aveva preferito aver capito male e spostare il soggetto delle loro attenzioni su Connie, che poi Jean gli avesse concesso la gentilezza di non parlare di Eren dopo avergli visto l’espressione sconsolata, non poté mai saperlo.
- Comunque sarà un po’ strano non avervi tra i piedi.
- Già, pensare che starete in pieno territorio nemico sarà abbastanza difficile da digerire.
Jean spintonò amichevolmente Armin: - Ehi, che cavolo, “abbastanza difficile”?! Che razza di amico sei?!
L’altro ridacchio: - Ma no, era per non fartela fare troppo sotto!
- Argh, per quello c’è già Siri, – si fermò e si voltò a guardare la mensa, vicino l’ingresso c’erano proprio lei e Levi, erano appena usciti e stavano parlando in una maniera che appariva quasi formale – ha un potere rassicurante niente male: “lì basta sapere che sangue hai per essere fottuto”, “non iniziare a fartela sotto se la polizia inizia a starci addosso”, o la mia preferita “ti vieto di morire in modo stupido, altrimenti che figura mi farai fare con Bernard”.
Armin rise e poi gli batte una mano sulla spalla: - Dai, non credo l’abbia detto sul serio!
- Questo lo so, non riesce ad essere pungente troppo a lungo, poi abbiamo parlato molto di queste missioni. Siri non è una tipa nostalgica, ma credo che quando si tratti delle persone si comporti diversamente. Non me l’ha mai detto esplicitamente, ma… sono sicuro le mancherete tantissimo.
- Mancherete molto anche a me. – disse Armin guardando nella stessa direzione del compagno, poi decise di agire d’astuzia, dopotutto era un tipo curioso e Jean, aveva notato, non riusciva a fare la faccia di bronzo con lui o Mikasa – Non immagino come sarà difficile per loro due stare lontani l’uno dall’altra, allora.
Jean a quelle parole s’irrigidì visibilmente e, in modo totalmente involontario, rivolse lentamente gli occhi sgranati verso Armin che, ora, lo guardava di sottecchi con furbizia: bastò quella frazione di secondo perché il biondino lo avesse nel sacco. Gli puntò l’indice contro in preda alla frenesia della scoperta: - LO SAPEVO!
Jean scosse la testa nervosamente e riprese a camminare, cercando di ignorare l’altro che lo seguì a ruota: - Non so di che parli, Arlert!
- Smettila di fare il finto tonto, l’avevo comunque capito da un pezzo, volevo solo la tua conferma.
Jean si voltò di scatto verso di lui: - COME?!
Armin lo guardò soddisfatto: - Ogni volta che te ne parlavo da due anni a questa parte sviavi sempre il discorso con una faccia simile a quella di chi ha visto un fantasma. Sei proprio una frana, se Siri lo sapesse ti darebbe del filo da torcere!
L’altro incrociò le braccia risentito: - Non è Siri che mi preoccupa… Va bene, anche lei, però, TI PREGO, non dirlo a nessuno altrimenti penseranno che sarò stato io a spifferarlo!
- Sì, ma certo, sta tranquillo… Da quant’è che lo sai?
Jean sospirò afflitto, mentre si passava una mano sulla fronte: - Troppo tempo ad essere sinceri… Argh, finalmente ho qualcuno con cui parlarne, non puoi immaginare che tortura… e ogni volta che erano sul punto di essere scoperti ho contribuito a mantenere il segreto. A pensarci bene non avrebbe dovuto sorprendermi più di tanto il fatto che tu l’abbia capito. Non mi pagano abbastanza.
 
Passò un mese e il momento della partenza arrivò. Il giorno prima Hange aveva permesso alla squadra di Levi di organizzare una piccola festicciola di “arrivederci”, da cui si erano svegliati tutti spossati e maleodoranti, eccezion fatta per le spie in partenza che invece si erano svegliati di buon mattino per raggiungere Trost, dove avrebbero caricato le ultime suppellettili per il viaggio, oltre che le medicine e composti chimici che Siri aveva ordinato alla farmacia di quartiere e che non era riuscita a fabbricare lei stessa.
Jean e Yvonne erano rimasti in carrozza mentre aspettavano che i loro superiori finissero di ultimare le ultime faccende.
- Ehi. – Jean si voltò verso la ragazza: assunse un’espressione dubbiosa quando si accorse che lei stava giocherellando con le pellicine delle dita mentre cantilenava delle note a caso.
- Ti andrebbe di prendere una boccata d’aria? – Yvonne tirò un sospiro.
- Non siamo amici io e te.
Lui la guardò ancora più interdetto: - Ti ho chiesto solo di fare un giro qui intorno, se Siri sta controllando il carico della farmacia come l’ha controllato l’ultima volta, ti assicuro che ci metteremo anche più di qualche minuto.
Yvonne roteò gli occhi: - Va bene, dove mi porti di bello?
Lui ignorò la domanda, il tono trasognante di quella ragazza gli dava sui nervi. Non riusciva a concepire quel suo modo di fare, se da una parte pensava fosse dovuto alla sicurezza in lei stessa, credeva al contempo che con quell’atteggiamento ne dimostrasse fin troppa. Passeggiarono per alcune vie, già abbastanza trafficate nonostante fosse ancora presto e ci fosse un clima tutt’altro che mite. Non furono molto eloquenti, si limitarono a guardarsi attorno fino a quando Jean non riconobbe un edificio e glielo indicò.
- Ti va di salire sul tetto di quel posto?
Yvonne, che guardava assente da tutt’altra parte, si voltò verso di lui e con occhi vacui si porse oltre la sua spalla per osservare il posto a cui si stava riferendo: era un esercizio commerciale che si affacciava su una strada abbastanza affollata a causa delle bancarelle del mercato che la costeggiavano, l’ingresso dalle porte rosse era incorniciato da una vite che saliva lungo i coprifili e s’attorcigliava sulla piccola tettoia sporgente che dava riparo all’ingresso. A qualche metro, di lato, spuntava una scala in pietra che sembrava portare sul tetto piano, uno dei pochi ad essere costruito così lì intorno.
Yvonne lo guardò quindi inespressiva: - Non possiamo salirci.
Lui ghignò e si grattò la nuca: - Beh, in teoria… se usiamo le nostre capacità non se ne accorgerà nessuno. – lei sembrò più interessata a tal punto – dopotutto, c’è il mercato, quindi abbastanza confusione per approfittarne. – concluse sorridendole complice.
Un sorriso comparve anche sul viso di lei che adesso sembrava decisamente interessata. 
Jean non credeva quell’escamotage per portarla sul tetto avrebbe funzionato così bene, l’aveva presa per la gola convincendola ad intraprendere quella via: quella del rischio. Mentre sgattaiolavano lungo le scale, pensò con sommo piacere che, a quel punto, la conoscesse molto meglio di quanto lei non immaginasse.
Non appena arrivarono in cima, Yvonne si guardò attorno trasognata, effettivamente, constatò, lì su c’era più aria e la vista non era niente male. Non diede molto peso a Jean, che la superò per andare in un punto preciso del tetto, se non quando lui si schiarì la voce rumorosamente: quando si voltò a guardarlo, capì che c’era qualcosa che non andava. Era poggiato sul muretto del tetto, la parte che si affacciava sulla strada, e accanto a lui era poggiato un cannocchiale già aperto, rivestito in oro e pelle.
Yvonne inclinò la testa e corrugò le sopracciglia e dell’incredulità le si dipinse in volto, non capiva cosa stesse succedendo e cercava di carpire da Jean qualcosa per fare chiarezza. Lui d’altro canto non faceva trasparire nulla dal suo viso che si limitò, dopo un lasso di tempo indefinito, ad abbassare sul cannocchiale. La ragazza riusciva a sentire a malapena il chiacchiericcio provenire dalla strada sotto di loro perché il cuore le batteva così forte da farle quasi tappare le orecchie.
Come poteva la gente sotto di lei essere così normalmente spensierata mentre lei stava vivendo quella specie di limbo?
Si avvicinò a Jean, fino a stargli accanto, lui rimase di spalle alla strada mentre lei prendeva, fingendosi calma, l’oggetto dorato. Dovette sforzarsi per fingere il suo solito tono inebetito: - Dove devo guardare?
Jean alzò le spalle, tenne lo sguardo fisso davanti a sé senza mai incontrare il suo: - Non ti servirà che te lo dica con precisione, te ne accorgerai credo.
Lei prese il cannocchiale cercando di mantenere ferma la mano, lo portò all’occhio e, non prima di aver lanciato un’ultima occhiata verso il ragazzo, iniziò a scrutare davanti a lei. Passò in rassegna i tetti, quando l’ebbe fatto, spostò la lente nuovamente dal lato da cui aveva iniziato. Non vedo niente, pensò nervosamente. Si scorticò con l’unghia le pellicine del pollice della mano che teneva libera, mentre cercava qualcosa, o qualcuno, che evidentemente non riusciva a trovare.
Quasi saltò sul posto, tesa com’era, quando Jean con una mano le abbassò verso la strada il cannocchiale. Yvonne deglutì a fatica e respirò profondamente. Riprese a scandagliare con l’occhio, questa volta la strada. Spostò velocemente l’oggetto da un lato all’altro, fino a quando non si bloccò di colpo: il suo cuore, fino ad allora palpitante, si fermò così all’improvviso che credette quasi stesse per avere un collasso, iniziò a sudare, nonostante il freddo abbastanza pungente di quella mattina invernale.
Siri stava parlando con un uomo. Non un uomo qualsiasi. Sorridevano e ridacchiavano come se si conoscessero molto bene, Yvonne non si sentì più le gambe, ma resistette.
- Yvonne, – si voltò di scatto verso Jean che finalmente si era deciso a guardarla – noi siamo una squadra. Siri è il nostro capo e posso assicurarti che non lo è per caso. Questo non è il suo modo per ricattarti, non si tratta assolutamente di nulla del genere. È il suo modo per farti capire chi è lei e perché non dovresti tradirla.
Dette queste esatte parole, s’incamminò verso il punto in cui erano arrivati e si fermò davanti le scale: - Abbiamo tutti delle persone da proteggere. Ritieniti fortunata che a scoprire le tue sia stata lei e non qualcun altro. – detto ciò, prese a scendere sparendo alla vista di lei, che rimase immobile dov’era. Dopo alcuni secondi, si riscosse e si voltò nuovamente verso la strada, tornando a guardare nel punto in cui aveva sorpreso Siri parlare con una delle persone che fino ad ora aveva protetto.
Trasalì quando nel piccolo cerchio della lente, nello stesso identico punto, vi trovò solo Siri, poggiata sul muro di un’abitazione, che la guardava dritto negli occhi.

Nota: ripeto il mio avvertimento dell'ultima volta, purtroppo non so quanto ci vorrà per il prossimo capitolo. Capisco anche che la storia sembra essersi quasi frenata, ma questi capitoli sono necessari a ciò che verrà dopo. Concedetemi ancora le ultime spensieratezze dei personaggi, non dico altro :').
Purtroppo ho avuto a malapena il tempo di ultimare il capitolo e non sono riuscita a correggere nessuno dei precedenti.

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Capitolo 30
*** Capitolo 28 - Estranei a questo mondo ***


Capitolo 28 – Estranei a questo mondo

 
I petali del fiore si muovevano frenetici sotto la leggera brezza che entrava dalla finestra appena scostata. Il freddo era pungente, ma la sua stanza aveva bisogno di cambiare aria, per cui mise il mantello sulle spalle e continuò ad osservare la piantina sulla sua scrivania.
Gli prese le mani e gliele chiuse a coppa.
- Chiudi gli occhi. Me ne accorgo se spii.
Lui alzò un sopracciglio fingendosi annoiato: - Non faccio parte del tuo manipolo di spioni, saltimbanco.
Levi chiuse gli occhi e aspirò dal naso l’aria fresca, lasciandosi andare sullo schienale della sedia.
Sentì le mani diventare più pesanti dal regalo d’arrivederci che lei gli stava donando prima di partire per la sua prima missione a Marley.
- Va bene, apri gli occhi.
Levi osservò, nel buio in cui era avvolto l’esterno del locale, la piantina che aveva nelle mani, un paio di esili rametti da cui sbucavano piccoli boccioli dai toni violacei.
Una folata più forte gli fece aprire gli occhi: guardò i fiori che da allora erano sbocciati, illuminati dai raggi cerei del mattino. Si sporse quindi in avanti e portò una mano verso i petali, accarezzandoli con le punta delle dita.
Alzò lo sguardo su Siri, aspettando che aprisse bocca, quando poi finalmente si ricordò delle buone maniere le disse: - Grazie.
Lei sorrise benevola e indicò la piantina: - Adesso non puoi vederlo, ma questa è la violetta del pensiero, o viola tricolor se vuoi farti bello con gli amici. – fece un occhiolino a cui lui rispose ruotando gli occhi, restando in silenzio per invitarla a proseguire – Sono dei fiori davvero belli da vedere ma anche estremamente utili, si ottengono infusi ed estratti davvero interessanti da questa pianta.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per far durare quel momento quanto lo desiderasse, nulla poteva ripagarlo meglio di vedere quel sorriso ingenuo sul viso di Siri, quasi tratteneva il fiato pur di non interromperla e avrebbe messo a tacere qualsiasi rumore attorno a loro per farla continuare. Anche per ore, anche sotto le intemperie, col freddo e la fame.
- Se avessi i calcoli, cosa che non ti auguro assolutamente tra l’altro, ti aiuterebbe. Anche con la tosse e… la stitichezza. – ghignò soddisfatta, alche lui non riuscì proprio a tenere la sua espressione severa e rise sommessamente. Strinse delicatamente il vaso tra le mani abbassando gli occhi su di esso, mentre Siri, a guardarlo ridere, si sentì pervasa da un pizzicolio lungo tutto il petto che la fece sorridere a trentadue denti.
- Questo quindi è il motivo per cui hai deciso di regalarmi questo fiore?
- Non solo questo! È un bellissimo esemplare, inoltre mi piaceva molto la leggenda che c’è dietro.
Levi si strinse il mantello al petto e strofinò un petalo di uno dei fiori del vaso tra le dita, sentendo le sottili e lisce venature tra i polpastrelli. Quel colore viola, così acceso e intenso, gli sembrava quasi irreale, quasi come la nostalgia che quel ricordo gli stava dando. Un ricordo così bello, ma neanche troppo lontano.
- Una leggenda?
Siri a quelle parole si mosse sui piedi, segno che stava di nuovo per parlare di qualcosa che l’appassionava molto più di quanto riuscisse ad esprimere a parole: - Tutte le piante e i fiori, in particolare, sono legati da un mito o una leggenda. Lacrime di dei, persone tramutate in alberi… – passò un dito lungo uno stelo, accarezzandone la superfice liscia e compatta – coltivare le piante, anche solo osservarle è come leggere un libro, raccontano delle storie, il più delle volte abbastanza tragiche. Quella della violetta del pensiero non è da meno.
- Avanti, sentiamola.
Siri alzò lo sguardo su di lui e sospirò mesta: - Va bene boss, ti ho mentito, non è fin troppo tragica, ma un po’ triste. C’era una ragazza così bella sulla terra che un dio se ne innamorò, il dio degli inferi: era così attratto da lei che la rapì e la sposò col permesso del padre degli dei. Chiaramente di chiedere alla ragazza stessa non gli passò per la mente, – Siri guardò altrove disgustata – un dio a quanto pare può fare ciò che gli pare. La madre della ragazza era distrutta dal dolore, consapevole del fatto che non avrebbe mai più rivisto sua figlia: il suo dolore era così grande che persino la terra non poté rimanere indifferente. Terribili carestie si abbatterono per mesi, fino a quando il padre degli dei non si accorse anche lui di quanto quel rapimento la distruggesse. Quindi, concesse alla ragazza di tornare dalla madre sulla terra ogni anno, dall’inizio della primavera fino alla fine dell’estate.
Levi aggrottò le sopracciglia: - E la violetta allora cosa c’entra?
Siri scosse la testa e gli diede un buffetto sulla spalla: - Come sei impaziente! La madre fu così felice di questa concessione che quando rivide sua figlia come promessole, nacque un fiore bellissimo, la violetta.
- E non mi dire: fiorisce dall’inizio della primavera fino alla fine dell’estate.
Siri piegò il capo per confermare la sua intuizione: - Va messa dove arriva luce e niente freddo troppo pungente. E, a differenza dei nostri commilitoni, beve con moderazione.
Era abbastanza semplice capire il perché di quel nome, ancor più in quel particolare momento. Avvicinò il vaso al viso sporto in avanti e annusò profondamente il piacevole odore che i fiori emanavano. Siri era via da tre settimane e lo sarebbe stata per un’altra ancora, ma era un arco di tempo che sembrava non terminare mai. Si chiese se, come la madre di quella leggenda così assurda, la terra, sentendo la sua nostalgia, avrebbe trovato un modo per far passare il tempo più in fretta, o, magari, farla tornare anche prima del previsto.
Siri, dall’altra parte del mare, non poteva desiderare qualcosa di diverso. Sin dal momento in cui aveva messo piede sulla nave diretta a Liberio si era sentita strana, colta da un’agitazione perpetua che non l’aveva lasciata nemmeno quando si erano finalmente sistemati nel confortevole appartamento concesso loro dagli Azumabito. Fino a quel momento aveva solo potuto leggere dai libri di Grisha Jeager, aveva solo potuto immaginare, ma vedere coi propri occhi quelle scene, tastare con mano la gravità delle discriminazioni l’aveva irrimediabilmente cambiata, rendendo ancora più profonda quella lacerazione che la spaccava da quando era piccola.
Aveva passato una vita a sentirsi diversa, la bambina strana che, a parte poche eccezioni, non avevano neanche tentato di conoscere, “quella con la mamma pazza”, come l’etichettavano amichevolmente i suoi coetanei: per cui, quando avevano scoperto la verità sul loro mondo e sulla loro natura, credette che ad essere diversa da tutti gli altri ci fosse abituata e che, anzi, in fondo questa rivelazione la sollevava. Qualcosa che la rendeva effettivamente diversa c’era, ed era nel suo sangue, nel suo essere e non poteva farsene una colpa. Credeva che lei sarebbe stata pronta, più degli altri, a far fronte alla situazione che si sarebbe presentata una volta sbarcata.
Ma non fu così.
Non era pronta e non lo sarebbe mai stata.
Aveva commesso un’ingenuità, come l’avrebbe chiamata il suo allenatore e che le avrebbe fatto pagare molto cara, tuttavia l’età e l’esperienza giocavano a suo favore: se non fosse abituata a nascondere continuamente la sua identità, molto probabilmente l’avrebbero scoperta al primo giro di perlustrazione della città per l’espressione stupefatta che le si dipingeva in volto. Nessuno però si accorse di lei, o del suo malessere, sentimento che la coglieva ogni volta nel pensare che, purtroppo,  ci sarebbe anche dovuta ritornare.
 
- Piano! Sasha, se non ti dai una calmata non avrai nulla di quello che ho portato.
Hange si era premurata di tenere quell’incontro nel suo studio il più privato possibile, Siri e la sua squadra erano appena tornati da Marley e avevano portato con loro scatoloni di “souvenirs” che a malapena riuscivano a trasportare per quanto erano pieni. Gli unici invitati quella sera nel suo studio era la squadra di Levi al completo: nonostante fossero cresciuti, non riuscivano comunque a contenere l’entusiasmo vedendo arrivare Jean, Siri e Bernard carichi di oggetti e cibo a loro totalmente nuovi.
Levi, che teneva la porta spalancata, li vide sfilare davanti a lui uno dopo l’altro all’interno dello studio, dopo che anche Bernard fu entrato, si sporse nel corridoio: - Non manca Yvonne?
Siri, che stava posando lo scatolone che aveva tra le braccia sul tavolino attorno a cui i ragazzi avevano preso posto sulle poltrone, gli rispose non curante: - Ha proseguito in carrozza fino a casa sua.
Chissà perché, pensò Jean che ancora non sapeva come sentirsi riguardo quel “teatrino” che avevano messo su prima di partire. Yvonne per tutto il viaggio verso Marley si era chiusa nel silenzio, lanciando sporadiche occhiate verso Siri che fece finta di non vederla fino a quando non la rassicurò.
- Non gli farò nulla Yvonne. A meno che tu non mi dia un motivo per farlo, ma mi sembri abbastanza intelligente per capire che non ti conviene. – poi si era sporta verso di lei, un po’ traballante per i sobbalzi della nave in mare aperto – Voglio ricordarti che tu hai scelto di lavorare per me e per il corpo di ricerca. Ahimè, ci sono delle regole da rispettare. Altrimenti potevi fare la mercenaria in giro per le mura.
Era stato quasi un sussurro, ma erano riusciti a sentirla tutti nella cabina e a Jean venne la pelle d’oca: - Ma chissà che brutta idea lui si sarebbe fatto di te.
Jean smise di pensarci quando Sasha gli scrollò il braccio, riportandolo alla realtà: - Jean, ooohi?! Che cavolo! Ti ho fatto una domanda!
- Scusa, ehm, no, non portano strani cappelli diversi per ogni ora del giorno.
Hange assunse un tono autoritario: - Avanti ragazzi, calmatevi e fate spazio a Siri. – con la sua fermezza portò l’odine nel suo studio, soddisfatta si posizionò accanto alla spia, cercando di nascondere come poteva l’eccitazione di scoprire quale fosse il dono che le spettava.
Siri aprì uno degli scatoloni e cominciò a tirar fuori i regali che aveva portato per ognuno di loro: decise di iniziare da Sasha per tenersela buona e le porse una scatola in metallo con una trentina di dolcetti al suo interno, a Connie un gioco da tavolo, mentre Eren e Mikasa ricevettero rispettivamente un caleidoscopio e un cappello le cui rifiniture sembravano essere di grande valore.
- Armin, – il biondino fremette sul posto, aveva una vaga idea di cosa gli spettasse ed era a dir poco eccitato – credo che questi libri li troverai molto interessanti. Jean conveniva con me sul fatto che forse sarebbe stato un po’ triste come regalo, così…
Armin, che già teneva geloso le letture tra le braccia, non riusciva a capire come ricevere “solo” quei libri non potesse essere un regalo più che sufficiente. La donna gli allungò un piccolo cofanetto rettangolare rivestito in pelle nera che aveva tutta l’aria di essere particolarmente pregiato: lo aprì con delicatezza e all’interno c’era una penna stilografica dal nero lucente, coi dettagli in osso e le estremità del tappo e della penna in oro.
Levi, in piedi dietro Armin, osservò la penna oltre la spalla del ragazzo, per poi rivolgersi alla spia: - Ti sei data alla pazza gioia coi soldi degli altri. 
Approfittando della distrazione dei ragazzi, intenti ad ammirare i loro regali e parlottare tra loro, Siri pescò dallo scatolone che Bernard aveva tenuto da parte una pila di libri dall’aria accademica: - Gli Azumabito hanno preso molto sul serio i nostri accordi, farebbero qualsiasi cosa per le nostre risorse energetiche. – quindi si portò alla scrivania di Hange, sotto lo sguardo attento di quest’ultima che, come il ragazzino poco prima, fremeva dall’eccitazione.
- Smettila di sbavare manco avessimo catturato uno dei tuoi preziosissimi esemplari.
Alle parole di Levi, la comandante si passò il polsino ad un angolo della bocca e si accostò all’amica cercando di trattenere l’istinto del gettarsi sui libri che le aveva portato.
- Proprio per mettere un limite a questa tua insana ossessione, non sono letture sui giganti.
- COSA?! – il grido di Hange a malapena distolse i ragazzi che ora attorno al tavolo avevano iniziato a giocare col regalo di Connie – Sei una sottoposta crudele!
Bernard poggiò sulla scrivania con un tonfo un volume alto e pesante, attirando su di sé l’attenzione: i tre dall’altra parte del tavolo lo guardarono impassibili.
- Il mio lavoro credo sia finito qui, vado via. Questo è il dizionario.
Siri annuì compita: - Grazie Bernard. Ci aggiorniamo presto. – i due accanto a lei, dopo che Bernard ebbe abbandonato la stanza, guardarono interrogativi la compagna. Era abbastanza raro che si rivolgessero la parola civilmente quei due, in qualsiasi veste, che fosse professionale o informale. La spia se ne accorse e guardò prima uno e poi l’altra: - Che c’è? – sospirò sonoramente quando capì a cosa si riferissero – Siamo stanchi. È stato…
Era impossibile non notare la difficoltà con cui Siri stava cercando le parole per spiegarsi, ancor più dall’espressione ricca di malessere che le si dipinse improvvisamente in volto. Quasi con un fil di voce disse: - … logorante.
Hange la guardò intensamente dapprima sorpresa, poi più decisa, quindi si voltò verso i cadetti: - Va bene, vi sembra il luogo adatto per fare ricreazione? Prendete le vostre cose e andate altrove.
Si levarono lievi moti di protesta, Sasha in particolare azzardò una lamentela più accorata: - Ma io volevo sentire i racconti della sign… di Siri!
La spia continuò a dare le spalle ai ragazzi a testa bassa, ma a quella lamentela ebbe un lieve sussulto e si morse il labbro inferiore per farlo smettere di tremare. Levi, rimastole accanto, ebbe un tonfo nel petto, sperava di non dover intervenire lui stesso per farli uscire di lì quanto prima.
La comandante corrugò le sopracciglia e mettendo le mani sui fianchi continuò autoritaria: - Mi sembra che anche Jean ci sia stato, potrai fargli tutte le domande che vorrai. Adesso Siri deve fare rapporto, cercate di non farvi sentire dal resto del plotone.
Si diressero mal volentieri verso l’uscita ancora borbottando, quando finalmente la porta si chiuse dietro di loro facendo calare una pace piacevole attorno a loro, Hange sospirò e tornò dagli altri due, con un braccio cinse le spalle della compagna: - So che era solo una scusa, ma se preferisci puoi fare rapporto adesso, così non dovrai parlarne anche domani.
Siri annuì brevemente mentre strofinava con le dita le copertine dei libri del cui contenuto non aveva ancora parlato. Levi la osservò poi si avviò verso la porta: - Vado a preparare della tisana.
 
Quando Levi tornò col bollitore fumante, le due avevano già preso posto l’una di fronte all’altra e lo stavano aspettando, apparentemente, in silenzio. Siri aveva gli occhi lucidi, ma non sembrava aver pianto e non lo fece neanche quando, tenendo la tazza calda tra le mani, iniziò a raccontare della sua esperienza in territorio nemico.
- Levi, ti dispiace prendere tu appunti mentre Siri parla? Tra i due sei il più veloce e conciso.
Lui prese il documento precompilato e la penna, sedendosi poi accanto ad Hange, si sporse sul tavolino per prendere appunti.
- Dovete scusarmi. Di solito… Beh, mi conoscete, sono ben più attenta.
Entrambi i suoi interlocutori concordarono tacitamente con sua affermazione, la loro amica poteva essere una persona molto emotiva, ma non si sarebbe mai lasciata andare compromettendo la sua professionalità, erano anche perfettamente consapevoli che non l’aveva fatto nemmeno a Marley. Ed era proprio questo il motivo per cui in quel momento aveva ceduto alle emozioni: un lungo mese in territorio nemico, sempre all’erta per non essere scoperti, dovendo reprimersi continuamente, lontani da tutti i propri affetti. Siri era stata a dir poco perfetta, in pochissimi altri sarebbero stati capaci di tenersi così tanto dentro, persino Bernard, come Hange e Levi avevano potuto notare in quei pochi minuti che avevano passato con lui, sembrava abbastanza provato.
Siri prese un sorso di bevanda calda e, molto più a suo agio, si sistemò più comodamente tra i cuscini del sofà: - La situazione, da quando Grisha è scappato è migliorata, ma non sicuramente come speravamo. Gli eldiani sono ancora costretti a portare quelle fasce sul braccio e sono reclusi nei loro ghetti, anche se, come ho detto, c’è un po’ più di tolleranza. Perlopiù grazie al sistema di reclutamento dei soldati. Il sistema politico è molto ingarbugliato, credo di dover… indagare più a fondo per riuscire a capirci qualcosa.
Purtroppo, aggiunse nella mente.
Siri continuò a parlare a lungo delle altre cose che aveva visto e imparato su Marley, affermando però comunque di non poter sapere con la giusta accuratezza alcuni dettagli: - La storia è molto rimaneggiata, dubito esistano libri affidabili per capire meglio il nostro passato, forse qualcuno ben protetto dalla censura, ma io, per ora, non sono riuscita a trovarlo. Tuttavia… – bevve l’ultimo sorso dalla tazza e, dopo averla posata sul tavolino davanti a sé, si alzò per raggiungere la scrivania – Non sono comunque tornata a mani vuote.
Prese uno dei libri che aveva poggiato lì in precedenza e lo portò con sé sul sofà, sprofondandoci nuovamente: - Questo, assieme agli altri, è un manuale di letteratura eldiana antica. Dice come leggere ed interpretare i testi in eldiano, non ce ne sono molti poiché i testi della nostra popolazione sono trattati come spazzatura, eppure sono riuscita a procurarmene qualcuno, oltre che un buon dizionario.
Hange socchiuse le labbra, non riusciva a credere alle proprie orecchie: - Vuoi dire che… per davvero… saremo in grado di tradurre l’arazzo?
Siri la guardò e sorrise, l’unica buona notizia che poteva darle fu interrotta da un pensiero che le attraversò la mente, così tagliente che gli altri due poterono vederlo arrivare attraverso le sue iridi marroni che persero in qualche modo la luce, schizzando verso il basso.
C’è… c’era una cosa a cui pensavo continuamente. Mi era tornata in mente la battaglia di Shiganshina e poi quando abbiamo saputo dei giganti nelle mani di Marley, abbiamo avuto tanta fortuna, ma anche tanta forza. – calcò il tono sull’ultima parola prima di inchiodare lo sguardo su Levi – Non avete mai pensato cosa sarebbe successo se gli Ackerman fossero rimasti nel continente? Perché io ci ho pensato e… qualcuno capace di ridurre la vita di bambini innocenti a pedine sacrificabili, perché la loro vita vale meno di un’altra… Cosa avrebbe impedito ai Marleiani di usare gli Ackerman per…
Siri scosse la testa cercando di rifiutare quella sua deduzione, quando dopo aver deglutito il groppo che aveva in gola prese coraggio per terminare la frase, Hange la interruppe, avendo intuito dove volesse andare a parare: - Ma non è successo. È inutile interrogarsi su questioni meramente ipotetiche, non trovi, Levi?
L’uomo si voltò verso l’altra che invece guardava la spia con una fermezza degna di un forte e capace comandante. Nonostante non fosse sicurissimo di cosa le due stessero parlando, capì che comunque la cosa giusta da fare era non dare adito ai pensieri paranoici di Siri: - Sì. Hange ha ragione. Non c’è alcun motivo di fare supposizioni inutili.
Siri mosse gli occhi da una direzione all’altra, cercando di mettere evidentemente in ordine i pensieri e poi annuì. Dopo essersi assicurata di ciò, Hange si alzò e raccolse le tazze: - Bene, grazie a entrambi. Siri, domani hai il giorno libero. Adesso, per amor del cielo, fatti una dormita.
Levi tenne aperta la porta facendo uscire Siri, prima di seguirla lanciò un’occhiata ad Hange che ricambiò con un cenno della testa verso la spia: si erano intesi perfettamente, la spia aveva bisogno di non essere abbandonata a sé stessa.
Accompagnò la ragazza fin nella sua stanza, l’aiutò a sistemarsi senza essere troppo attento o premuroso, l’ultima cosa di cui lei potesse aver bisogno era compassione per fu ben attento a limitarsi nei gesti, in caso contrario se ne sarebbe accorta e il pensiero di essere penosa l’avrebbe fatta crollare. Prima di andarsene, Levi temporeggiò qualche secondo sulla porta della sua stanza, sperando che gli chiedesse qualcosa da fare per lei, ma quando la vide infilarsi sotto le coperte si limitò ad augurarle la buonanotte.
Stava per chiudere la porta quando si sentì chiamare.
- Levi.
Riaprì e si sporse verso l’interno, in ascolto.
- Potresti… stare qui con me? – gli chiese quasi supplichevole, inconsapevole del fatto che lui non stesse aspettando altro.
Entrò e si stese accanto a lei che si schiacciò a lui, quasi sollevata. Le accarezzò la testa e prese a fissare il soffitto sovrappensiero.
In quanto tempo si sarebbe abituata anche a quell’inferno?
Aspettò che si addormentasse, il che avvenne abbastanza in fretta, per poi sfilarsi dal suo abbraccio e tornare in camera.
 
[inizio anno 853]
 
Era calato un silenzio carico di tensione tra Siri e Hange, incredibile ma vero, nessuna delle due sapeva cosa dire.
Una fissava assorta l’arazzo, l’altra continuava a sfogliare la traduzione definitiva di quest’ultimo con un certo sconcerto. Dalla finestra spalancata entrava il rumore lontano dei soldati che si allenavano, i nitriti dei cavalli e tutto faceva pensare fosse una normalissima e soleggiata mattinata invernale. Ma in quella stanza, dopo quasi un anno di interpretazioni, letture e riletture, le due avevano fatto la scoperta più importante degli ultimi cento anni ed era incredibile pensare che, in quell’esatto momento erano le uniche ad essere a conoscenza di un segreto così importante, tramandato per generazioni, nascosto sotto gli occhi di tutti.
Siri alzò lo sguardo dal tessuto e inspirò sonoramente, batté le mani e disse con nonchalance: - Io dico… facciamolo.
Hange abbassò i fogli e scosse la testa: - Che vada fatto, non ci sono dubbi. Ma abbiamo troppe cose da sistemare prima di poterlo fare.
L’altra si scompigliò i capelli, per una volta, sciolti dalla treccia: - Ma se lo facciamo prima che le cose possano peggiorare, perché peggioreranno…
- Va bene! Allora va a chiamare Mikasa o Levi e lo facciamo, qui e adesso, sempre che uno dei due acconsenta, e poi Eren, non sappiamo cosa potrebbe accadergli!
Siri si strofinò il dorso della mano sulla fronte, sapeva perfettamente di essere nel torto, eppure essere davanti a quella scoperta e non poter fare assolutamente nulla la rendeva nervosa. Non dopo tutto quello che avevano dovuto affrontare.
Hange sospirò: - Siri, so come ti senti. Anch’io sono eccitata e nervosa, ma dobbiamo… agire d’astuzia. Dobbiamo prima sistemare i nostri rapporti con Marley.
- Hai detto niente.
Sospirarono entrambe. Sembrava di essere di nuovo in un vicolo cieco. Era ormai ovvio che Siri sarebbe dovuta tornare in territorio nemico al più presto per poter elaborare un piano con Hange. L’anno precedente era riuscita a fare solo un’altra missione, si era rivelata parecchio interessante perché era riuscita a scoprire alcuni giochi politici marleyani, oltre che nuove tecniche mediche avanzatissime, ma non era stato sufficiente: le due avevano bisogno di altre informazioni per essere precise e garantire un futuro all’isola.
Le nocche di qualcuno alla porta le riportò sul pianeta terra, Hange si alzò per andare dietro la scrivania: - Avanti.
Armin entrò salutando allegro anche Siri che invece, sbracata sulla poltrona, non lo degnò neanche di uno sguardo. Poco dopo però, la bruna, tenendo la testa sul poggiatesta, si voltò a guardare il nuovo arrivato e un’idea, più un sesto senso, la punse nel vivo dei suoi pensieri.
- Armin…
Lui alzò lo sguardo dai documenti che stava passando diligente al superiore accanto a lui: - Sì?
- Sei ancora in buoni rapporti con Mikasa ed Eren, giusto?
Lui ridacchiò divertito: - Beh, abbastanza.
Hange guardò Siri scambiandosi un’occhiata complice.
- Ti dispiacerebbe rimanere qui per un po’? 

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Capitolo 31
*** Capitolo 29 - Preludio al caos ***


Capitolo 29 – Preludio al caos

 
La nazione natale di Onyankopon era tra le più a sud tra quelle conquistate dall’impero Marleyano, oltre che una di quelle aveva sempre cercato di contrastare l’egemonia del conquistatore, fallendo miseramente. Vedere la sua nazione, una volta così fiera, costretta ad obbedire e cedere al conquistatore forze militari e risorse, che fino a poco tempo prima rendevano la nazione stessa così florida, di certo rendeva Dakarai a dir poco insofferente. Ma ormai ci era abituato a fare buon viso e cattivo gioco, un po’ perché voleva garantire una vita serena ai suoi tre figli, un po’ perché era anche stanco della guerra e di tutte le cose orribili che essa comportava.
Fame, ferite, infezioni, morte.
I suoi ricordi adolescenziali erano costellati da quelle orribili immagini e per anni non aveva desiderato altro che tutto finisse, che quella nazione così avida di conquista finisse una volta per tutte di tendere la sua mano su un territorio che aveva sempre chiamato “la mia terra” e li lasciasse semplicemente in pace. Invece furono semplicemente annientati, Dakarai era stato fortunato a poter dire di essere ancora vivo anni dopo la fine della guerra, a leggere il giornale del lunedì che annunciava solenne in prima pagina “Vicini alla conquista: Medio-Oriente in ginocchio”. Deglutì a fatica mentre stringeva il giornale tra le dita: doveva trattenersi, era seduto in un bar in centro città nel giorno feriale per eccellenza e, a parte la sua gente, c’erano anche tanti poliziotti Marleyani nelle vicinanze. Oltre a chissà quante spie disseminate ovunque. Non voleva di certo farsi arrestare per sospetto ammutinamento al governo centrale, dopotutto, seppur non rivestisse una posizione di spicco, ne occupava comunque una negli uffici centrali del governo: smistava pratiche, controllava assegni, ma il suo compito più importante era sicuramente quello di archiviare documenti sui rapporti internazionali, non solo della Nazione del Sud (come avevano carinamente rinominato il suo stato dopo l’annessione) ma anche, da qualche anno, quelli di Marley.
Chiunque governasse quella nazione guerrafondaia non era affatto stupido, Dakarai l’aveva intuito da tempo. La figura misteriosa a capo di tutto era capace di dare ordini di morte e distruzione e, quando aveva finito, anche di distruggere l’identità nazionale degli sfortunati sconfitti, eccezion fatta per le sue qualità, e dio solo sapeva quanto fosse bravo a mantenere quelle che lui o lei riteneva “buone abitudini”. Che cosa prenderà adesso dal Medio-Oriente? La risposta era semplice e non tardò a darsela, perché l’aveva vissuta in prima persona anni orsono: la sua dignità e la sua ricchezza, per lasciarne una landa desolata popolata da sfollati poveri e malati.
Incredibile quanto la misteriosa malattia che stava distruggendo i raccolti occupasse un inserto striminzito rispetto a quello dedicato alla guerra.
Lasciò cadere incurante il giornale sul tavolino e pescò dalla tasca dei pantaloni delle monete per pagare il suo caffè e la brioche, si alzò con movimenti precisi dalla sedia per non disturbare le persone attorno a lui e si guardò attorno per cercare il contatto visivo con un cameriere. Finalmente, dopo aver alzato un paio di volte il braccio senza risultato, una cameriera biondina e un po’ in difficoltà gli si avvicinò, facendosi spazio tra i numerosi clienti frettolosi di fare colazione e andar via.
- Mi scusi, gentile cliente. – Dakarai la guardò dall’alto in basso notando fosse solo una ragazzina, doveva avere a malapena diciassette anni, forse poco più, per cui addolcì la sua espressione per farle capire che non si era infastidito e capiva si trattasse solo di una giornata indaffarata. La ragazza aveva persino gli ordini appuntati sulle mani, quasi le faceva tenerezza.
- Non si preoccupi. I lunedì mattina, eh?
La cameriera alzò brevemente lo sguardo sui suoi grandi occhi scuri, poi li riabbassò imbarazzata e portò una ciocca bionda dietro l’orecchio: - Già… Lavoro qui da ormai qualche mese, eppure ancora non mi ci sono abituata. Desidera altro? Magari d’asporto?
Dakarai le porse il denaro con una buona mancia e prese tra indice e pollice la visiera del suo cappello: - No, la ringrazio. Non si disperi, andrà meglio. Buona giornata.
Lei gli sorrise mentre lo guardava allontanarsi e salire sul tram in partenza.
Seduto da pochi minuti alla scrivania, incolonnata assieme alle altre esattamente uguali alla sua nel grande ufficio in cui lavorava, si prospettava una noiosa quanto ordinaria giornata, l’unica “anomalia” sembrava essere il leggero ritardo del nuovo assunto, Bernard, che si occupava di smistare i plichi di documenti giornalieri.
Come non detto.
Il ragazzo alto e bruno entrò trafelato dalla porta principale, salutando tutti con foga. La segretaria all’entrata lo guardò da sopra i suoi occhiali a mezzaluna e scosse la testa affettuosa: - Buongiorno Bernard. Anche oggi hai perso il tram?
L’uomo, dall’altra parte della stanza, sentì il ragazzo farfugliare qualche scusa col fiatone che lo interrompeva e non riuscì a trattenere un sorrisetto divertito nel vederlo così impacciato.
- Va bene, basta, o ti verrà un infarto. – lo interruppe la segretaria tra le risate – I plichi non sono ancora arrivati, sei fortunato. Hai il tempo di toglierti almeno il cappotto.
- S-sì. Vado.
Lo vide arrivare a grandi passi nella sua direzione, togliersi il cappotto e la sciarpa e poggiarli sulla scrivania accanto alla sua. Quando lo sentì sospirare esausto non poté trattenersi, sarebbe stato uno spreco non approfittarsene: - Alla buonora Bernard.
Lo sguardo allucinato con cui l’altro gli rispose bastò per far scoppiare Dakarai in una risata divertita. Non era nemmeno in grande ritardo, neanche lontanamente nei guai, ma si divertiva da pazzi a fargli pensare il contrario: il nuovo arrivato era molto impacciato e a volte fin troppo servile, ma era preciso e ordinato, oltre che abbastanza intelligente, qualità essenziali per ricoprire quel ruolo e che gli avevano permesso di non sbagliare mai una consegna e farlo così entrare nelle grazie di tutti i colleghi, che lo avevano ormai ben accettato.
Mezz’ora dopo, Bernard aveva consegnato a tutti il lavoro da fare per la giornata e ognuno aveva preso a lavorare di buona lena, quando a Dakarai capitò sottomano un documento da smistare molto interessante: riguardava la costruzione di nuovi edifici da parte di Marley in vari settori della Nazione del Sud che erano stati bombardati e distrutti durante la guerra, gli era rimasto parecchio impresso il caso perché era il principale motivo che aveva garantito ai conquistatori di garantirsi il benestare (barcollante) dell’opinione pubblica. Il documento, che, per certo, non doveva essere nel suo plico, diceva nero su bianco che il governo Marleyano voleva reindirizzare almeno più della metà dei fondi per il progetto ad altre cause, sfogliò velocemente i fogli fino ad arrivare alla tabella di bilancio le cui causali erano state secretate con codici alfanumerici.
Dakarai si guardò attorno sospettoso da una parte e dell’altra, assicuratosi che i colleghi al suo fianco fossero immersi nel loro lavoro, si curvò ancora di più sui fogli per nasconderli ad occhi indiscreti. Riprese ad osservare più attentamente la tabella di bilancio, quei codici gli dicevano qualcosa, ma vedeva continuamente cifre e tabelle del genere, quindi poteva essere solo che stesse cercando di riportare alla mente documenti visti il giorno prima che non avevano nulla a che fare con quelli che aveva sottomano.
Ma come ci è finito nel mio plico?
Dakarai si voltò a guardare Bernard seduto alla sua scrivania, intento a scrivere chissà che rapporto. Per un attimo lo attraversò il pensiero che fosse stato lui a farglielo recapitare, era l’unico a parte lui ad avere accesso ai plichi, ma scacciò questa ipotesi all’istante per due ragioni: la prima è che il ragazzo distribuiva i plichi sigillati, ricevuti direttamente dal governo centrale, impossibili da richiudere se aperti; la seconda è che era praticamente impossibile che Bernard fosse venuto in possesso, anche solo per caso, di un documento così importante e compromettente. E poi, che motivo avrebbe avuto per farlo, lui era Marleyano e l’eventuale diffusione di una notizia del genere avrebbe avuto delle conseguenze estremamente dannose per la sua nazione natale. Senza contare che la vecchia famiglia reale, al comando prima che fossero deposti di forza dal governo Marleyano, non aspettava altro che qualcosa del genere per scatenare disordini e cercare di riappropriarsi del suo popolo. Era già da qualche mese che si era diffusa tra le nazioni annesse una penuria di cibo per una misteriosa malattia del raccolto e i vecchi monarchi non si erano certo fatti scappare l’occasione per gettare carne sul fuoco.
- Dakarai.
L’uomo sussultò e coprì all’istante i fogli con altre carte che aveva sulla scrivania, alzò lo sguardo e incontrò quello distratto della segretaria che gli si stava avvicinando: - Scusami se ti disturbo, ma c’è una persona che ti sta cercando. Dice di lavorare per il… Argh, non mi ricordo, era un nome strano da testata giornalistica, credo sia locale. La mando via?
- Ehm… – abbassò per un attimo gli occhi sula scrivania, poi fece una smorfia condiscendente – Falla venire, me ne occupo io. Magari può essere solo un’intervista scolastica, in caso contrario me ne occupo io.
La segretaria non sembrava essersi insospettita, lui la osservò andare via, riprese i documenti secretati e, dopo aver lanciato una breve occhiata a Bernard che al suo fianco sbadigliava sonoramente mentre si passava una mano nei scompigliati capelli marroni, li mise in una cartelletta celeste deponendola poi davanti a se poco prima che una giovane donna dalla pelle scura come la sua non lo raggiungesse. Vedendo che superava di gran lunga l’età scolastica, sperò fosse perlomeno una studentessa universitaria, odiava dover cacciare i giornalisti che, pur non presentandosi all’ordine del giorno, pullulavano negli uffici del suo dipartimento anche troppo spesso, desiderosi di carpire informazioni interessanti dagli organi governativi.
Dakarai si alzò non appena la donna si fermò davanti alla sua scrivania, sorridendo cortese: - Buongiorno. – lo salutò lei cordiale – Mi chiamo Nasha Sanogo, sono una giornalista.
Si strinsero la mano: - Piacere, Dakarai Samparé. Prego si sieda.
La donna prese posto di fronte a lui: - Mi dispiace disturbarla signor Samparé, lavoro per un piccolo giornale locale, la Sentinella, e volevo porle qualche domanda se non le dispiace.
- Nessun problema, beh, dipende dalle domande, s’intende.
Lei scosse i palmi aperti davanti a lui, come a scusarsi: - Oh, non si preoccupi, non riguarda strettamente il suo lavoro, nulla che la metterebbe in difficoltà. Capisco le esigenze dei miei intervistati, infatti sono disposta a garantirle il pieno anonimato.
Dakarai tossì piano e guardò per un attimo la cartella sotto le sue mani. Si era quasi scordato fossero lì. Chissà cosa darebbe questa Nasha per dei documenti del genere…
- Va bene, signorina Sanogo. Ma questo forse dovrei deciderlo – sorrise serafico – dopo che lei mi ha illustrato su cosa verte la sua intervista.
La donna stava facendo il passo più lungo della gamba, aveva dato per scontato che lui avrebbe risposto alle sue domande, ne aveva incontrati di giornalisti in passato ed erano tutti dotati di una parlantina anche fin troppo abile. Purtroppo per lei, lui sapeva benissimo tener testa in questo tipo di conversazioni.
Nasha si risistemò sulla sedia, lisciandosi l’elegante blazer nero che indossava sopra la setosa camicia azzurra a girocollo: - Mi perdoni signor Samparé, era chiaramente mia intenzione parlarle della mia indagine.
Indagine? Dakarai s’irrigidì. La donna stava scrivendo un articolo inchiesta, non era qualcosa di innocuo come lamentele per l’aumento delle tasse o la riparazione delle strade della capitale.
Scosse la testa, già sul punto di cacciarla: - Non credevo lei stesse svolgendo un’… indagine. Non capisco come io possa aiutarla.
- Non s’indispettisca, la prego. Come le ho detto posso garantirle il pieno anonimato, inoltre, come le ho già detto, non è implicato direttamente nella faccenda. – fece un sonoro respiro, facendosi più dritta con le spalle – Come penso lei sappia, da qualche settimana è scomparso un ambasciatore della nostra vicina naz-… regione annessa, la piccola penisola mediterranea. 
Ci mise qualche secondo per fare mente locale: aveva letto la notizia sul giornale mattutino qualche giorno prima, glielo aveva gentilmente dato Bernard dopo che questo era venuto a sapere da Dakarai che non era riuscito a leggerlo prima di andare a lavorare. Era un caso abbastanza strano, pur essendo una notizia parecchio importante, l’articolo non occupava che qualche riga e poi non c’erano stati più aggiornamenti nelle edizioni successive. Si era astratto a pensarci così tanto che non si era reso conto che la sua interlocutrice stava continuando a palargli.
- … per cui, sono stata incaricata di scrivere un articolo sulla sua sparizione. I miei… come dire… informatori, mi hanno indicato lei.
- Chi le ha suggerito di venire da me? – adesso la cosa iniziava a puzzare. Prima quei documenti, adesso questa giornalista, sembrava come se si stessero allineando dei pannelli invisibili di cui ignorava il quadro più grande che componevano. Una cosa era certa, Marley in tutto questo giocava un ruolo centrale, non sapeva ancora dire se a suo vantaggio o svantaggio.
- Come le ho detto, garantisco l’anonimato a chi lo richiede e beh…
- Sì, ho capito, – le rispose leggermente infastidito – il suo dannato informatore vuole rimanere anonimo. Mi sfugge ancora cosa lei possa volere da un funzionario come me.
Nasha prese coraggio e gli disse risoluta: - Vorrei mi mostrasse dei documenti dall’archivio. So perfettamente che lei è uno dei pochi ad averne accesso.
A lui sfuggì un sorriso divertito che cercò di contenere col dorso della mano: - Mi scusi ma, è davvero divertente quello che mi chiede. Come dovrebbe aiutarla a fare luce sulla sparizione di un ambasciatore scomparso?
- Come le ho già detto è un articolo inchiesta, non sono autorizzata, né obbligata, da lei o chicchessia, a rivelare i dettagli delle mie ricerche che, sfortunatamente per lei evidentemente, mi hanno portata qui.
Dakarai sospirò. Sicuramente doveva essere una brava giornalista, non lo metteva in dubbio, una parlantina niente male, coraggio da vendere, ma non poteva aiutarla. 
- Mi dispiace signorina Sanogo, ma mi vedo costretto a…
Lei lo interruppe prima che potesse continuare, era esperta a sviare situazioni come quella, di quelle in cui la gente era desolata ma doveva impedirle di ottenere quello che voleva: - Che io sappia, l’accesso al tipo di documenti che lei controlla e che vorrei chiedere di visionare dovrebbe essere libero e garantito per legge, per ogni cittadino che ne abbia bisogno, e si dà il caso che io ne abbisogni.
Adesso Dakarai stava iniziando a spazientirsi: - Questo è vero. O meglio, era vero quando ancora eravamo sotto monarchia costituzionale, che, dovrebbe ben sapere, è caduta ann-
- Sì, va bene, non sono qui per una lezione di storia. – l’uomo sgranò gli occhi per l’affronto, ma non riuscì a ribattere alla sua insolenza – Sarò franca con lei, signor Samparé. Io sono in cerca di risposte. – continuò lei sporgendosi verso di lui e abbassando la voce – Lei mi guarda e pensa che razza di pretese una giornalista di un giornale così piccolo come il mio pretende di avanzare, ma non si può ragionare con questa retorica pretenziosa, non quando gente, persino molto più importante di me o lei, sparisce senza che nessuno muova veramente un dito per cercarlo. Io credo che ci sia molto di più dietro questa storia, e, la prego, mi permetta di accertarmi se questo sia vero o meno. Non le chiedo altro, soltanto il suo aiuto per capire la verità a cui la mia professione è così tanto devota.
Nasha respirava profondamente e lo guardava inflessibile coi suoi occhi grossi e neri. Dakarai rimase senza parole e quando non riuscì a sostenere più quello sguardo così implacabile dovette abbassare il suo che finì, inevitabilmente, su quella cartelletta celeste che giaceva ancora lì davanti a sé: si sentiva colpevole, un’irrazionale paura che tutti lo stessero osservando lo aveva assalito, per questo scandagliò di nuovo l’ufficio, quest’ultimo totalmente ignaro di quello che stesse succedendo alla sua scrivania.
Fu in quel momento che se ne ricordò.
Quel giorno in cui aveva letto la notizia dell’ambasciatore sul giornale aveva archiviato un documento commerciale coi movimenti di denaro contrassegnati da codici alfanumerici, esattamente come quelli segnati nel documento incriminato di quella mattina, e li aveva ricollegati perché, che gli capitassero sottomano documenti del genere senza che le causali fossero indicate chiaramente era abbastanza raro, se non addirittura singolare. 
Scosse la testa. Poteva sbagliarsi. Eppure… Le coincidenze erano troppe fino ad allora, doveva assicurarsi di persona che, almeno quella, lo fosse per davvero.
Si decise a guardare la donna dopo averci pensato un po’ su; quindi, sospirò e si protese verso di lei per evitare di farsi sentire dai suoi colleghi: - Mi aspetti all’esterno dell’ufficio, senza farsi notare troppo. La porterò negli archivi, – la vide sorridere tronfia per cui si affrettò a continuare – ma avrà soltanto un’ora di tempo per trovare e leggere quello che cerca, il tempo che io trovi quello che sto cercando a mia volta. È fortunata perché oggi devo andarci anche io per delle pratiche che ho consegnato e che vorrei revisionare.
Nasha si alzò con una faccia soddisfatta tenendo sottomano il cappotto, tese l’altra verso Dakarai: - La ringrazio signor Samparé per la sua cordiale disponibilità. Mi scusi per il disturbo.
L’uomo le strinse la mano e aspettò che uscisse dal suo ufficio prima di aprire guardingo la cartelletta e trascrivere su un foglio di carta i codici della tabella. Ogni codice era fatto apposta per essere decifrato solo da persone come Dakarai che avevano la piena conoscenza della catalogazione degli archivi: ogni lettera e ogni numero, e ogni particolare sequenza di essi, corrispondevano a file e colonne precise degli infiniti scaffali, per chiunque sarebbe risultato davvero difficile orientarsi all’interno di quel labirinto. Ma, ovviamente, non per lui che aveva dalla sua parte la dimestichezza di anni e anni di lavoro.
Potrebbe non significare niente.
Pensò, mentre scendeva le scale in pietra che portavano agli archivi. I tacchi bassi di Nasha, che lo seguiva a pochi passi da lui, ad ogni scalino battevano scandendo il rumore con un eco prodotto dalle rampe.
Potrei semplicemente scoprire che in realtà i fondi sono stati suddivisi per trarne il profitto più funzionale dai progetti di ricostruzione e ristrutturazione post-bellica.
Quando finalmente arrivarono all’archivio, Dakarai infilo la chiave nella grossa porta in metallo e la girò per parecchie mandate prima di aprire con un suono cigolante ed entrare assieme alla giornalista nell’enorme stanzone ricolmo di documenti e scatoloni.
- Mi faccia vedere il codice dei documenti che cerca.
- Sì, subito. – la donna frugò all’interno della sua valigetta in cuoio e dopo aver trafficato un po’, gli porse un foglietto scritto a mano. Dakarai prese il foglio e lo lesse, poi la guardò di sottecchi: chiunque aveva concesso a quella donna delle coordinate così precise doveva sapere il fatto suo, per di più era ancora più incredibile pensare che lei fosse riuscita ad estorcerlo. Concedere un simile foglio poteva significare la reclusione di quei tempi.
Sospirò stancamente, riporgendole il foglietto: - Libreria GK, scaffale numero 3, colonna 4. Il nome preciso del documento dovrebbe essere indicato sulla costina del plico, o magari è uno scatolone, non si può sapere con certezza fino a quando non si trova quello che si cerca. Le mie informazioni comunque le dovrebbero bastare.
Nasha annuì compita e fece per allontanarsi guardandosi attorno per capire la disposizione delle librerie, quando l’uomo la fece fermare parlando ancora: - Signorina Sanogo. – la donna si voltò a guardarlo visto che lui aveva fatto una pausa proprio per attirare la sua attenzione – Tra un’ora deve tornare esattamente in questo punto, altrimenti non ci penserò due volte ad uscire senza di lei da qui dentro.
La giornalista annuì sorridendo: - Non si preoccupi. È un lasso di tempo più che ragionevole per me.
I due si divisero, Dakarai prese il corridoio centrale a grandi falcate si diresse alla libreria che stava cercando. Guardando il codice doveva essere intorno alla K… No, pensò, è intorno alla G
Continuò a decodificare nella mente la prima riga alfanumerica, e più trovava le coordinate che cercava più si sentiva mancare la terra sotto i piedi.
Non può essere.
Attraversò i corridoi laterali, sporgendosi ogni qualvolta a guardare e mentre superava ogni lettera appuntata con un cartellino ad ogni libreria in metallo, un rivolo di sudore gli colava dalla fronte, pur essendoci un freddo umido e poco accogliente in quei sotterranei. Quando arrivò alla libreria di suo interesse si fermò e incredulo abbassò di nuovo lo sguardo sul foglietto scritto velocemente che aveva tra le dita.
Non può essere.
Rimase in attesa finché non sentì il suono dei tacchi di Nasha arrivare nella sua direzione dal corridoio opposto al suo. Il passo di lei era sicuramente molto meno deciso, non era avvezza come lui ad orientarsi in quella stanza, ma quando finalmente arrivò alle lettere GK, ci si fermò davanti con gli occhi abbassati sul suo di foglietto, controllò in alto che fosse quella per poi incrociare lo sguardo perso di Dakarai di fronte a lei, dall’altra parte della libreria.
Avanzarono l’uno verso l’altra, fermandosi esattamente davanti allo stesso punto, colonna 4, scaffale numero 3. Le vecchie lampadine sfarfallarono per un momento sopra di loro e intesero che entrambi stavano cercando gli stessi identici documenti.
Per Dakarai fu lampante a quel punto che non poteva più trattarsi di una coincidenza, quei fondi nascondevano forse una verità ben più scomoda di una semplice suddivisione più funzionale, qualcosa in cui non ci si doveva implicare se non si voleva sparire esattamente come quell’ambasciatore. E, forse, Nasha poteva essere l’incontro più fortunato che aveva fatto quel giorno.
 
[Anno 854]
 
- Se ci pensi Levi, questa è la missione per la quale il corpo di ricerca è stato fondato sin dall’inizio.
Hange sembrava fondamentalmente molto ottimista riguardo la missione di esplorazione a Liberio, Levi un po’ meno, ma il buon umore del comandante era contagioso e lui si lasciava trasmettere molto bene quello stato d’animo, soprattutto quando sbarcare sarebbe significato rivedere Siri dopo parecchio tempo di assenza dal quartier generale.
Lei, Jean, Bernard e Yvonne erano arrivati a Liberio alcune settimane prima di loro per “predisporre il territorio”, a quelle parole nero su bianco Levi aveva commentato ad alta voce: «Un mucchio di stronzate», facendosi riprendere da Hange che sedeva di fronte a lui nel suo studio, dove l’aveva chiamato per comunicarglielo.
Se pure non aveva usato il modo più consono di esprimersi, di certo poteva dire senza alcun dubbio di aver ragione: appena sbarcati, il porto, come poi tutto il lungomare, era brulicante di gente di ogni età, i marciapiedi e le piazze ricolme di bancarelle e artisti di strada, confondersi sarebbe stato talmente facile, che forse solo gridare davanti a dei poliziotti “Noi siamo di Paradise” li avrebbe fatti scoprire. Quella di Siri era stata palesemente una scusa per tornare nel continente e completare chissà quale missione, Levi guardò Hange correre via dietro una macchina assieme a Connie e Sasha mentre pensava che proprio lei aveva sicuramente tutte le risposte che cercava, lei conosceva per certo tutta la verità che a lui, come a tutti gli altri, non era dato conoscere.
- Se non li fermate tenteranno di dare a quell’ammasso di ferraglia delle carote. – fece notare a Onyankopon che gli rispose allegro e solare come sempre. Lo guardò in tralice, studiandolo attentamente. Di certo quel viso così amichevole non gli diceva assolutamente nulla, ma nutriva continuamente il dubbio che anche lui sapesse qualcosa.
Chi può dirlo.
Una persona, in realtà, l’avrebbe capito con un solo sguardo, avrebbe decifrato Onyankopon e Hange come se nulla fosse, peccato quella persona fosse la stessa dalla quale voleva estorcere informazioni e, a meno di non resuscitare il vecchio zio Kenny, sarebbe stato come chiedere la luna.
Guardò l’uomo rincorrere poco dopo la comandante e sospirò contrariato: - Tsk.
- Capitano!
Levi si voltò: Jean, in perfetta giacca e cravatta, lo stava raggiungendo con un’andatura sicura, perfettamente a suo agio tra la folla. L’aveva visto quando la ferrovia era in costruzione poco tempo prima, eppure la sua altezza lo spiazzò lo stesso.
- Allora, – disse guardandosi attorno non appena Jean si fermò di fronte a lui – dov’è?
L’altro capì al volo a chi si riferisse: - Oh, ehm, non era ancora pronta, ci raggiunge tra poco. Se vuole può raggiungere Bernard nel frattempo.
- Preferisco rimanere qui.
- Va bene, a dopo capitano! Si diverta! – Jean gli fece un occhiolino mentre si allontanava, guadagnandosi un’espressione tra l’incredulo e il truce dal capitano. 
Si diverta”.
Camminò lungo il porticciolo e si fermò dove poteva tenere d’occhio i ragazzi, intenti a comprare del gelato. Stava osservando Jean prenderne uno e portarlo a Mikasa, quando qualcuno alle sue spalle gli si avvicinò. Convinto fosse Siri, rilassò le spalle contratte e aspettò che gli parlasse, curioso di capire cosa si fosse inventata per fare la sua entrata.
- Ehi bel bambino.
Levi sbiancò. La voce profonda e nasale di chiunque fosse colui alle sue spalle non era sicuramente, in alcun modo, quella di Siri. 
- Lo vuoi un lecca-lecca? Eh, bravo bambino? – sgranò gli occhi ancora più sbalordito e a disagio. Si voltò e guardò truce l’uomo vestito da pagliaccio che l’aveva approcciato e, proprio in quel momento, qualcuno fece scivolare un braccio sulla sua spalla, fino a circondarlo. La mano lunga e affusolata, coperta con dei candidi guanti femminili, si era fermata appena davanti al suo torace, ferma e rilassata.
- Bravo bambino?! Lui?! – lui alzò lo sguardo su Siri sorpreso – Anche se un po’ scostumato, è più bravo adesso che quando era ancora più basso di così. Io però sono una brava bambina, vero?
Lei allungò l’altra mano verso il clown, rimasto senza parole, sfilandogli via il dolce e avvicinandolo alle labbra. Vedendo che l’uomo era rimasto ancora lì impalato, Siri corrucciò le sopracciglia: - Se non vuoi che diventi cattiva, sparisci e lascialo in pace.
Mentre il Clown si allontanava chiedendo scusa, Levi si girò verso di lei, scostandosi.
- Sei… – gli si mozzò il respiro quando i suoi occhi la inquadrarono meglio.
Bellissima. Indossava un vestito da cocktail a maniche corte bianco con piccoli pois arancioni e collo a doppio petto arancio, continuava in basso con una gonna plissettata lunga poco oltre il ginocchio, mentre i capelli mossi erano sciolti, ad eccezione dei ciuffi laterali che aveva portato indietro con un piccolo codino.
- … Più alta? – provò ad indovinare Siri con un sorrisetto impertinente, allungò una gamba in avanti, mettendo in mostra gli stivaletti in cuoio col tacco che indossava – Con queste sono alta quanto Hange, anche un po’ di più forse. È un problema?
Levi, che la guardava ancora ammutolito, guardò le scarpe e, dopo aver metabolizzato la visione della donna, tornò in sé: - Perché dovrebbe esserlo. Stupida saltimbanco.
Non poteva essere un problema, non poteva esserci nulla di anche solo lontanamente problematico.
Quando si soffermò meglio a guardarle il viso, però, sussultò visibilmente.
- Che succede?
Levi alzò una mano ma la fermò a mezz’aria, riportandosela in tasca: - La…
- Oh, la cicatrice dici?
Levi annuì.
- Beh, è un tratto troppo riconoscibile. – disse toccandosi la guancia coi polpastrelli – L’ho nascosta con del trucco.
- Mh, giusto.
Che Levi avesse saputo o meno cosa Hange e Siri stessero tramando, non sarebbe cambiato molto, come capì in seguito. Per un anno intero aveva percepito la sensazione che lei gi stesse nascondendo qualcosa, il modo in cui lo evitava accuratamente ogni qualvolta terminasse una riunione con la comandante e la sua squadra era il segno inequivocabile che non poteva metterlo al corrente. La parte più irrazionale di lui ne era risentito, ma se quella distanza tra i due avesse potuto risolvere le disgrazie del loro popolo, allora avrebbe sopportato in silenzio, per quanto doloroso potesse essere.
Più tardi quel giorno Levi era alla finestra della dimora degli Azumabito, dopo aver scostato di poco la tenda per guardare Jean, Armin, Connie e Sasha allontanarsi per raggiungere Mikasa ed Eren che si erano allontanati poco prima.
- Mi chiedo perché mi ostini ad accettare i vostri inviti a giocare. – disse Onyankopon, poco distante, in palese difficoltà.
Dall’altra parte della stanza, gli altri, ad eccezione di Hange che si era rintanata nella sua stanza per leggere dei libri che Siri le aveva procurato, erano raccolti attorno ad un tavolo in legno coperto da un’elegante tovaglia in velluto rosso, su cui i quattro giocatori di poker avevano adagiato fishes e scoth. Sembravano tutti abbastanza allegri, nonostante qualcuno tra loro fosse già in palese vantaggio a giudicare dalle fishes dalla sua parte.
Siri, infatti, ghignò e si bagnò le labbra col suo bicchiere, lasciando praticamente quasi la stessa quantità di alcol che c’era all’inizio: - Non hai una strategia, è questo il problema.
- O forse è perché non sbirci le carte degli avversari. – rispose Yvonne di getto, piegando la testa mentre guardava con sfida la donna di fronte a lei, che, invece, non la degnò neanche di uno sguardo, tenendolo concentrato sulle carte tra le mani guantate.
- È capitato solo una volta ed è stato solo per sbaglio, se pensassi più al tuo gioco forse la vinceresti una mano una volta tanto.
- Se le premesse sono queste è matematicamente impossibile vincere.
Siri sbuffò, mentre Bernard rise sommessamente: - Abbiamo capito che ti piace molto, ma non mettere in mezzo la matematica per favore.
- Altrimenti qui rischiamo di portare alla luce antichi risentimenti accademici… – disse Bernard pungente.
- Taci tu e vedi di deciderti: punti o passi? – disse acida Siri, rivolgendogli poi lo sguardo tagliente.
- Argh, lucertolina, sai, io credo proprio tu questa volta non abbia proprio nulla, per cui… – lanciò delle fishes nel piattino. Siri rimase completamente impassibile, spostò semplicemente lo sguardo su Yvonne che sostenne lo sguardo con sfida.
- Rilancio.
Siri sibilò un: - Puttanate. – che fece esplodere Bernard in una sonora risata che riecheggiò nella stanza, mentre Onyankopon guardava i tre confuso, non sapendo bene cosa fare.
- Ehm… Argh, no, non mi fido! Voi volete solo farmi puntare di più!
- L’hai detto tu Onyankopon… – gli rispose Siri, passando l’indice sul bordo del bicchiere intarsiato – Allora? Rinunci quindi?
L’uomo guardò nervoso Bernard e poi Siri, che lo fissava con gli occhi che sembravano quelli di un serpente a sonagli: Yvonne aveva rilanciato probabilmente per trarre in inganno la sua superiore in comando, ma quest’ultima non era di certo il presidente degli incapaci.
Rilassò le spalle e gettò le carte coperte sul tavolo: - Rilancio.
Siri alzò un sopracciglio incredula: - Ma sapete un minimo giocare? Sul serio, è da quasi quattro anni che giochiamo e davvero non… Siete degli idioti, lasciatevelo dire. – concluse, gettando le fishes nel piattino al centro per vedere.
Bernard si passò le mani nei capelli, conscio di aver perso. Quando a turno scoprirono le carte si scoprì che Yvonne non aveva battuto Siri per un soffio, e questo scatenò tra i giocatori un battibecco animatissimo.
Quando Siri con un sorrisino soddisfatto raccolse tutte le carte e iniziò a mischiarle, si accorse di un movimento alle sue spalle, poi alzò distrattamente lo sguardo su Levi che stava avvicinando una sedia e sistemandosi tra Yvonne e Onyankopon.
- Che stai facendo? – chiese Siri, fin troppo impulsivamente. Bernard guardava velocemente prima l’uno e poi l’altro con estremo interesse.
- Mi unisco a voi, non si vede?
Siri roteò gli occhi nervosa: - Forse non dovr-
- Siri! Perché il capitano non dovrebbe poter giocare con noi?! – Bernard, capendo al volo l’origine del disagio di Siri, intravide gli effetti benefici che la situazione gli avrebbe portato, quindi aveva circondato le spalle della donna con un braccio, mentre le sorrideva maligno, continuò ironicamente – Credo sia molto bello avere anche Levi al tavolo, è sempre meglio scuotere le dinamiche del gioco di volta in volta, non trovi?
Levi guardò interdetto l’uomo, poi Siri che, a sguardo basso, stava mischiando le carte respirando pesantemente dalle narici dilatate, in evidente sforzo per trattenere una reazione.
- Se il fatto che giocherò con voi ti emoziona così tanto fa attenzione a non fartela sotto per la felicità.
Siri ghignò soddisfatta, diede quindi uno scossone alle spalle per far togliere il braccio a Bernard: - La signora Azumabito ci tiene molto alla tappezzeria, fa attenzione. – nonostante Levi avesse alleggerito di molto la sua tensione, non fu comunque necessario a rilassare la spia che ebbe serie difficoltà nel gioco e, come ben notarono i suoi colleghi, a malapena toccò il resto dello scotch che aveva nel bicchiere.
Ricevette una sonora sconfitta ad una mano, dopo la quale decise di abbandonare il tavolo, portando con sé la bottiglia, facendo stiracchiare soddisfatto Bernard.
- Oh, non fare così lucertolina, ogni tanto può capitare di prendere uno scivolone.
Siri mugugnò delle parolacce e si allontanò portando con sè la bottiglia, senza concedergli di vederla sconfortata, Levi la osservò prendere il corridoio e scomparire oltre il muro.
- Capitano, allora, – continuò il bruno imperterrito – te la senti di fare un’altra mano senza la tua compagna d’armi a coprirti le spalle?
- Forse dovremmo andare tutti a dormire. Domani dovremo assistere all’assemblea del consiglio per la protezione degli Eldiani.
- Siri non te l’ha ancora detto, vero?
Levi, che si era alzato dalla sedia, si bloccò e gli rivolse un’occhiata ambigua: - Che vuoi dire?
- Che non ci andiamo domani a quell’assemblea.
- Siri ha detto che è una perdita di tempo. – continuò Yvonne per il superiore, con un tono mellifluo.
- Hange ci andrà. Quindi noi ci andremo lo stesso. – decretò il loro interlocutore che augurò la buonanotte a tutti gli altri che si decisero ad andare a dormire. Abbassò l’intensità delle luci nello studio in cui erano per dirigersi nel salotto dove Siri si era rifugiata: aveva lasciato l’intera stanza al buio, con una mano teneva la bottiglia sul bracciolo della poltrona dove si era allungata, mentre con l’altra mano s’attorcigliava ciuffi di capelli con lo sguardo perso nel vuoto, pensando a chissà quali elucubrazioni mentali.
- Scusa. – esordì Levi mentre entrava, attirando su di sé l’attenzione della donna che spostò semplicemente gli occhi nella direzione del rumore dei suoi passi alle spalle, per niente sorpresa dalla sua piccola irruzione lì dentro.
- Per cosa, boss?
Si fermò dietro la spalliera della poltrona e vi poggiò una mano sopra: - Devo chiederti di farmi compagnia prima che vada a recuperare la mia squadra.
Lei strofinò la testa sulla spalliera e si limitò a pronunciare un: - Mh-mh – quasi faticosamente.
Levi si spostò di lato rispetto a lei e fece scendere una mano sul colletto arancione del suo vestito che strofinò tra pollice e indice, constatandone il tessuto morbido e pregiato.
- Ti piace? – chiese lei distrattamente – È seta.
Siri non stava bene. O meglio, probabilmente non era così grave, comunque il suo modo di essere parlava per lei quando erano insieme, e lui sapeva che qualcosa la tormentava, ma non avrebbe potuto chiederle a bruciapelo cosa non andasse, doveva cercare di tirarglielo fuori con le pinze. Sarebbe stato anche più facile del previsto: Siri glielo aveva detto anni prima, “se vuoi sapere qualcosa ti basta chiedere”, e da quella volta, a meno che non si trattasse di lavoro improrogabile, aveva sempre rispettato la sua promessa con onestà. Eppure, a volte, doveva trovare metodi alternativi per conoscere i pensieri che l’affliggevano.
- Seta dici?
- È un tessuto molto pregiato. È prodotto da un verme, lo sapevi? Un baco tecnicamente.
Levi le sfilò la bottiglia e bevve un sorso, si spostò poi nella poltrona accanto alla sua e le ripassò lo scotch.
- Non è roba tua, quindi. – alludendo alla sua passione per la botanica.
Siri spostò lo sguardo perso davanti a lei, deglutì e scosse la testa: - Già. Non è roba mia… – disse roca, rimase così per qualche secondo, intenta a pensare a qualcosa, quando poi fu finalmente pronta diede voce ai suoi pensieri e Levi pensò che, decisamente, non era stato poi così difficile, dopotutto.
- Sai cos’altro non è roba mia? – disse sconfortata – Tutto questo. Stare qui, svegliarmi la mattina e andare in giro come un… geco a raccogliere informazioni, mettere a tacere testimoni, picchiare, torturare, va bene non faccio più la maggior parte di queste cose, ma… sento come se le cose non fossero cambiate di molto da quella notte all’ospedale.
Levi la stava ascoltando attentamente, attendendo con ansia la conclusione di quel discorso che già ben immaginava. Lei quindi si voltò verso di lui e lo guardò estremamente seria: - Sono stanca Levi. non credo ci siano parole più giuste per descrivere come mi sento. Non mi piace spiare, non mi piace ricattare, non mi piace… uccidere. – tornò a guardare davanti a sé e tirò un sorso dalla bottiglia ormai semivuota – Sono stanca di tutto questo, lo sento nelle ossa e in ogni singolo muscolo. E sai, ormai queste cose fanno così tanto parte di me che le faccio, sento di doverle fare e non me ne lamento nemmeno più…
Levi piegò la testa di lato e disse ironico: - Alla faccia. – facendola voltare di nuovo nella sua direzione. Siri scosse la testa e sorrise in silenzio.
Lui, quindi, allungò la mano e prese la sua che penzolava oltre il bordo del bracciolo: - Non sei una che lascia le cose a metà. Per il resto hai dei compagni che ti guardano le spalle, se vorrai lasciare saremo tutti con te in questa decisione.
Aveva ragione. Siri non era una persona a cui piaceva lasciare le cose a metà, e ormai aveva innescato una sequenza di eventi inarrestabile che aveva bisogno di controllare costantemente, fino a quando non avrebbe dato i suoi frutti.
 
Nota dell’autrice: col prossimo capitolo ci sarà una comunicazione importante, non ho avuto tempo di correggere capitoli, spero di farlo nei giorni a venire.
Ora veniamo alla parte più “tecnica” riguardo questo capitolo:
 
Come avete potuto notare, la prima parte è ambientata nella nazione natale di Onyankopon a cui Isayama, purtroppo, non ha mai dato un nome. Ho cercato di inventarne uno che riprendesse le origini africane, ma, chiaramente, è stato molto difficile e, purtroppo, non avevo molto tempo per approfondire origini etimologiche delle parole, per cui mi sono lasciata guidare dalla fantasia e ho cercato in tutti i modi di non nominare città o lo stato stesso (dopotutto ho pensato che il tutto si riallaccia perfettamente al concetto che ho voluto portare di Marley che vuole cancellare l’identità nazionale delle sue nuove conquiste). Oltre alla difficoltà incontrata dalla scelta stessa dei nomi, comunque è difficile scegliere uno stato africano per rappresentare l’intero continente, è immenso e ricco di cultura e ogni stato può essere estremamente diverso l’uno dall’altro. È molto probabile Onyankopon sia cittadino del Ghana nella realtà (viste le origini del nome), tuttavia, non avendo le giuste conoscenze dalla mia parte, soprattutto la certezza che si trattasse effettivamente del Ghana, ho preferito lasciar perdere tutta questa questione.

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Capitolo 32
*** Capitolo 30 - Un patto è un patto ***


Nota: non mi riusciva proprio per niente dare una comunicazione che non fosse in un capitolo con un numero tondo.
La storia è quasi giunta ad una fine.
Esatto. A quasi un anno dalla pubblicazione del primo capitolo, mi sembra così strano essere arrivata innanzitutto così lontano senza aver mai mollato, e poi proprio alla fine fine di questa storia. Ci ho speso tanto tempo, energie e sudore cerebrale da affezionarmi profondamente a Siri e a tutta la trama che piano piano ho intessuto, e sperare, nel profondo, che non finisse mai.
Altri 8 capitoli e tutto sarà finito. Ho già pianificato tutti i prossimi capitoli, non resta che scriverli.
Non posso dirvi quando pubblicherò di nuovo, sono sommersa dai miei impegni universitari ma cercherò di concludere questa storia quanto prima.

Prima di lasciarvi alla lettura del capitolo, mi piacerebbe chiedere magari ai più "silenziosi" e non tra voi, un parere generale sulla storia: è una cosa che non ho mai fatto, ma, visto che siamo quasi alla fine mi piacerebbe capire cosa ne pensate finora e se questo finale alternativo vi sta piacendo, o magari lo trovate una porcheria, quello che vi pare insomma. è solo un invito, qualora vogliate rifiutarlo a me andrà bene comunque, non cambierà nulla!
Adesso ho veramete finito di tediarvi, buona lettura e al prossimo capitolo!
 

Capitolo 30 – Un patto è un patto

 
I'll stay in the pool and drown
So I don't have to watch you leave
I put on Survivor just to watch somebody suffer
Maybe I should get some sleep
Sinking in the sofa while they all betray each other
What's the point of anything?
 
Il giorno seguente Hange e la squadra di Levi andarono lo stesso alla riunione per la protezione degli Eldiani e, come Siri aveva loro accennato, era stata una perdita di tempo, oltre che una delusione colossale. L’unico vero risultato che ottennero da quella infelice visita fu quello di perdere Eren che, con una lettera, annunciò la sua decisione di agire in autonomia d’ora in avanti.
Siri era a dir poco furibonda quando Levi ed Hange le riferirono la notizia una volta rincasati dagli Azumabito. Lei e la comandante avevano un piano preciso e ben studiato, adesso il ragazzo gigante, la pedina fondamentale sulla loro scacchiera, l’aveva scombinato in maniera quasi irreparabile.
- E adesso che facciamo Hange?! Quel maledetto idiota doveva limitarsi a starsene buono a Paradise. – Siri si prese la testa fra le mani seduta sullo spazioso divano bordeaux – È mai possibile che non va mai nulla come pianifichiamo…
- Non che me lo aspettassi, ma Eren è sempre stato così. Adesso ha qualcosa per la testa e… – lanciò un’occhiata a Levi per poi proseguire – Non è detto che questo ci venga a nuocere.
Il capitano incrociò le braccia, consapevole di essere il terzo incomodo in quella stanza, guardò brevemente Siri ancora con la testa fra le mani e di rivolse al comandante: – Come hai intenzione di procedere adesso?
A quel punto anche Siri alzò lo sguardo su Hange che sospirò, per poi togliersi gli occhiali dal naso: - Rimane tutto invariato.
- Come?! – sbottò Siri alzandosi – Dobbiamo rimanere qui e cercarlo! Dobbiamo tenerlo d’occhio!
- Siri, so che sei frustrata ma pensaci un attimo. Per il momento è meglio di no. Potremmo attirare l’attenzione, far scoprire Eren, qualsiasi sia la strada che ha deciso di percorrere. E sai meglio di me come la tua copertura sia sul filo del rasoio, non abbiamo molto altro tempo.
Levi si voltò di scatto verso l’altra a quelle parole e la osservò con un leggero velo di preoccupazione sul volto. Siri preferiva guardare altrove, perfettamente consapevole sia delle parole della sua superiore in comando che degli occhi glaciali che le erano puntati addosso.
Dopo aver camminato sul posto in silenzio, si voltò verso Hange e si leccò le labbra sovrappensiero: - Quindi torniamo a Paradise, prepariamo l’ultima missione in territorio nemico e io e la mia squadra ripartiamo.
Hange rimase in silenzio qualche secondo per poi dire laconica: - Esattamente. Noi procediamo lo stesso, tu completerai la missione e indagherai su Eren, che, nel frattempo, come ha detto nella lettera, si farà vivo. Allora decideremo come agire.
Sul filo del rasoio.
Queste parole avrebbero tormentato Levi per giorni e giorni, mentre Siri organizzava gli ultimi preparativi per la missione, più indaffarata che mai dato che avrebbero dovuto accelerare per partire il prima possibile a causa della scomparsa di Eren. intanto fu Levi ad occuparsi del trasferimento di Tina in superficie: finalmente, dopo quattro lunghi anni di riorganizzazione ed espansione territoriale, la città sotterranea era stata svuotata dai suoi abitanti e definitivamente chiusa. La donna fu felice di rivedere il capitano, molto meno di sapere che Siri era indaffarata per una missione in territorio nemico e che questo le avrebbe impedito anche di salutarla prima di partire, di nuovo. Levi e Tina parlarono a lungo una volta che lei si stabilì temporaneamente a Trost, fu l’unica con cui l’uomo riuscì ad aprirsi e spiegare come si sentisse perché, infondo, era la sola che avesse sperimentato cosa significasse avere Siri lontana e sopportare il pensiero che stesse rischiando la vita ogni singolo giorno, non potendo fare nulla per impedirlo. Probabilmente fu questo che gli permise di affrontare meglio i pensieri ansiogeni che, nonostante sapesse mascherare molto bene, avevano comunque fatto regredire i suoi progressi con l’insonnia.
Levi l’accompagnò a trovare il figlio ad Utopia e quando tornarono poi a Trost, rimase sorpreso da come si era ritrovato quasi a necessitare della sua presenza. Si presero cura l’uno dell’altro senza neanche mai parlarne, fino a quando non arrivò il momento anche per il corpo di ricerca di agire in territorio nemico, e raggiungere le spie appena un mese prima del loro ritorno.
- Riportamela a casa, va bene, Levi?
Il capitano fissò Tina intensamente, in silenzio.
- Neanche questa volta mi ha salutata e vorrei solo che tornasse lo stesso. Proprio come l’ultima volta.
Lui si limitò ad abbassare il capo e incamminarsi verso la nave pronta a partire.
***
 
Sono solo quattro mesi, resisti Siri, si disse.
Poi inizierà il vero inferno.
Non ho neanche salutato Tina prima di andare.
Uno scossone della nave la distolse da quei pensieri, facendola alzare dalla sedia fissata al pavimento del traghetto.
- Dove vai lucertolina?
- Stiamo per arrivare, qui sotto si balla troppo. Vado a prua, tienili d’occhio tu e dì loro di smettere di alzare così tanto la voce.
Bernard annuì e la osservò risalire le scale e scomparire dopo qualche gradino. La missione che dovevano svolgere a Liberio era già molto complicata di per sé e, nonostante in quell’anno e mezzo ormai fossero arrivati alla sua conclusione, quell’ultima fase era anche la più delicata.
Bernard sospirò strofinandosi il pizzetto.
Di certo l’aggiunta di Eren alla loro lista delle mansioni peggiorava il tutto e, come al solito, chi rischiava più tra loro quattro era Siri.
Alzò lo sguardo sui ragazzi che adesso si stavano rifocillando con una bibita dolciastra. Yvonne osservava rapita le bollicine dal vetro semitrasparente.
Non era bravo a fare piani come Siri, era questo che alla fine che le aveva permesso di prevaricarlo, ma non smetteva mai di provarci lo stesso. Il suo obiettivo da tempo non era più quello di sbarazzarsi di lei, non poteva nemmeno aspirare ad averla tutta per sé, quello che gli era rimasto era semplicemente cercare di proteggerla.
Guardò ancora più intensamente Yvonne, che, dopo aver quasi finito la bottiglietta, ci stava soffiando dentro per sentire il suono vibrante fuoriuscirne.
Bernard non si sentiva neanche lontanamente in colpa per averla trascinata in quell’affare, e quindi poi in tutti gli altri che questo avrebbero comportato. Lei non era come lui, lei voleva solo proteggere le persone che amava e per questo si era arruolata, ma il punto era che poteva semplicemente unirsi al corpo di ricerca e invece… era stata plagiata da lui perché prendesse parte alla loro squadra.
Bernard infondo si vergognava di quello che le aveva fatto, ma non se ne pentiva più di tanto perché aveva bisogno di lei per proteggere Siri, cercava di metterla nelle situazioni più pericolose per evitare una morte che, al contrario di quella della sottoposta, l’avrebbe distrutto. Ma ancora una volta, Siri si era rivelata una persona estremamente diversa da lui e si era caricata di tutte le responsabilità, anche del ruolo più pericoloso che lui aveva desiderato tanto spettasse a Yvonne. Si chiese più volte se Siri effettivamente avesse scoperto quello che aveva fatto alla sua sottoposta, o se avesse occultato bene le sue tracce tanto da non farle scoprire, o se ancora la spia fosse talmente disgustata da lui che non la sorprendesse più nemmeno una cosa del genere.
Magari Siri aveva semplicemente fatto due più due e, studiando bene la storia di Yvonne, capire che avesse propositi ben più nobili di tutti loro messi insieme, seppur ben mascherati dalla sua “eccentricità”.
Quella stessa sera, dopo che Yvonne e Jean furono andati a dormire, Bernard raggiunse Siri sul balcone della loro casa a Liberio, una di quelle fornite dagli Azumabito. Seduta su una sedia di vimini, stava sorseggiando del super alcolico, la cui bottiglia in cristallo molto pregiata giaceva su un tavolino basso accanto a lei. Bernard prese posto in una sedia uguale a quella dell’altra, al lato opposto: - Com’è questo qui?
Siri guardò il bicchiere velocemente, poi fece spallucce: - Buono, come gli altri. Però è assurdo come quello di Orvud sia comunque più buono, nonostante le risorse ridotte.
- Beh, credo siano semplicemente più bravi, non lo pensi anche tu?
- Il mondo è comunque immenso. – bevve un sorso dal bicchiere – Potrebbero esserci posti piccoli come Orvud che ne producono uno altrettanto buono.
- Se me lo chiedessi potrei provare a trovartene uno. Solo per te.
Siri voltò la testa e lo vide incredibilmente serio. Lei tornò a fissare i palazzi davanti a lei e scosse la testa contrariata, portandosi di nuovo il bicchiere alla bocca, così Bernard continuò: - Se me lo chiedessi, Siri, io farei qualsiasi…
Siri, interrompendolo, lo sovrastò col suo tono di voce, fermo e molto chiaro: - Sai cosa c’è alla base di una relazione Bernard?
La domanda spiazzò l’altro che, però, le rispose ammiccante lo stesso: - La passione?
Lei, di tutta risposta, sbuffò. Aspettò qualche secondo prima di rispondergli per sottolineare l’importanza di quanto stava per dirgli: - La fiducia, Bernard. – sospirò – E io di te non mi fido neanche un po’.
Toccato nel personale, lui si stizzì e le rispose d’impeto: - Io sono affidabile.
- Bernard… – Siri si voltò completamente verso di lui, decisa a fargli capire una volta per tutte come quei sentimenti che lui era convinto di provare per lei non potessero trovare un risvolto in alcun modo – Non solo io la penso così, lo sai. Non è un caso che Erwin dagli Aurille, quella sera, abbia permesso a Levi di raggiungermi e quando l’ho visto, ho capito subito il messaggio che voleva comunicarmi il comandante.
Bernard deglutì, aprì la bocca per controbattere ma Siri si affrettò a continuare.
- Non dovrebbe essere già un brutto segno il fatto che mi sia fidata più del giudizio di Erwin che di te? Sì, mi fido di te a livello professionale, sei molto bravo, ma a volte mi ritrovo a pedinarti, ti spio, ti controllo perché temo tu faccia qualche stronzata. Non sei una persona stabile, forse un giorno lo sarai, ma non è questo quello che cerco. Non posso sobbarcarmi la tua irresponsabilità, io ho bisogno di una persona di cui mi possa fidare, incasinata quanto me magari, ma che non mi veda come un oggetto da collezionare o come un dio rilucente per il quale traboccare di desiderio.
Siri distolse lo sguardo da lui per un secondo, poggiò il bicchiere sul tavolo in vetro producendo un suono acuto, poi tornò a guardare il suo viso, su cui adesso era possibile osservare un leggero velo di amarezza.
- Bernard tu… sei una brava spia, ti voglio bene e so che tu ne vuoi a me, nel tuo strano modo di voler bene ad una persona. Ma io non sono la persona giusta per te. Io spero tanto tu possa levarti dalla mente questa immagine che hai di me e che tu capisca… – la donna prese coraggio per dire quelle parole che sarebbero stata l’ultima stilettata nel cuore della persona che le sedeva di fronte – Che tu capisca che non ci potrà mai essere un momento in cui mi stancherò di Levi.
Bernard fu il primo a distogliere lo sguardo, calò così tra loro un silenzio pesante. Le luci notturne della città sfarfallavano nel buio di quella notte così calda, in un’altra occasione quella sarebbe stata un’atmosfera romantica, non era però certo quello il caso.
Siri tossì per schiarirsi la voce, riprese il bicchiere ed elegante lo finì, quindi si alzò e, indugiando sul finestrone spalancato, un piede all’interno l’altro sul balconcino, disse infine: - Se Levi mi avesse rivelato di non fidarsi del giudizio di Erwin o adesso di quello di Hange, io l’avrei seguito, fino alla morte. E non solo perché lo amo più di quanto tu possa provare ad immaginare, ma perché mi fido di lui così tanto che potrei anche sopportare l’idea di morire. È questa la differenza Bernard… mi dispiace.
La situazione poteva apparire ironica, sapendo che Siri aveva ammesso per la prima volta i suoi sentimenti con chi aveva sempre rifiutato, ma non ma non ne aveva mai parlato col diretto interessato.
***
 
Liberio era una città di mare, uno dei fiori all’occhiello di tutta Marley ma sempre impregnata da quella fastidiosissima umidità che soprattutto al porto si attaccava al corpo, ai vestiti e persino agli edifici con muffa e salsedine. Era per questo che Willy Tybur non era mai troppo entusiasta di tornarci, che fosse per lavoro o per piacere. I pezzi grossi delle forze militari erano nel panico più assoluto, appena conclusa la guerra col medio-oriente, non c’era assolutamente nulla da festeggiare: si erano scatenati dei disordini nella nazione meridionale costringendo Marley a bloccare i commerci via mare della grande penisola mediterranea che, chiaramente, non ne era affatto contenta, mentre la piccola penisola mediterranea stava pressando gli organi centrali per amplificare le ricerche dell’ambasciatore scomparso niente meno che in territorio Marleyano, le accuse e le indagini si sprecavano, oltre che il malcontento dilagante. A peggiorare il tutto, c’era quella misteriosa malattia del raccolto e, non meno importante, quella donna.
Quella donna l’aveva raggiunto per la prima volta nella sua dimora segreta nel cuore del paese un anno e mezzo prima, non aveva idea di come avesse fatto a scoprire dove abitasse o che fosse colui a guidare il paese nell’ombra, era semplicemente scioccato quando vide il pugnale lungo e affilato conficcato nel legno del suo tavolino da tè. Da quel giorno aveva ricevuto continuamente visite, a cui, per altro, non poteva dileguarsi perché, a detta della donna, un altro “di loro” aveva sotto tiro uno dei suoi figli: che fosse vero o meno, non era certo disposto a rischiare per scoprirlo.
Stava percorrendo i corridoi della sua dimora a Liberio per tornare in camera dopo una lunga mattinata di riunioni con militari e funzionari del governo, tutti discretamente preoccupati della situazione che si era venuta a creare con le nazioni annesse. Willy si era raccomandato di tenere a bada la stampa e non far arrivare le voci dei disordini anche nelle città proprie di Marley per “non destabilizzare gli equilibri nazionalistici”.
Aprì la porta a doppio battente della sua camera congedando le cameriere che l’avevano seguito fino ad allora, entrò e tirò un lungo sospiro stanco. Magath aveva ragione a quanto pare, l’egemonia di Marley era vicina alla fine, forse era meglio arrendersi e lasciare che le cose accadessero. Si tolse il cappotto e lo lasciò con cura sull’appendiabiti vicino la porta.
No, non posso lasciar perdere proprio adesso… rifletté Willy voltandosi a guardare la sua camera, quando il suo sguardo si fermò sul pugnale poggiato sulla mensola in marmo del caminetto, un sorriso placido gli si dipinse sulle labbra rosee.
Si diresse alla cantinetta degli alcolici vicino le poltrone nell’angolo della camera più vicino al finestrone spalancato, quindi prese una bottiglia di whisky, l’alcolico preferito della sua ospite, che vide emergere silenziosa da dietro la pesante tenda gialla. Come sempre, aveva il volto coperto tranne che per gli occhi, persino le mani erano nascoste alla sua visione. A volte si chiedeva che aspetto potesse avere quella donna, nelle notti insonni si ritrovava ad immaginare i suoi lineamenti, quale forma le sue labbra potessero avere, quanto potessero essere larghe le sue narici, o se avesse dei nei particolari in viso.
- La ringrazio, non so perfettamente che usanze abbiate qui, ma per un diavolo come me è un po’ troppo presto per il whisky. – disse lei sedendosi sulla poltrona.
Willy sorrise affabile e alzò i bicchieri e la bottiglia, quasi a scusarsi: - Non ha tutti i torti. Faccio preparare del tè, allora.
- Come è accogliente, ma mi vedo costretta a rifiutare anche quest’altra sua gentile offerta. – gli indicò col palmo la poltrona di fronte a lei – Questa è l’ultima volta che le faccio visita, signor Tybur.
Per essere un’assassina, come gli si era presentata il primo giorno che l’aveva trovata seduta nel buio dei suoi alloggi, aveva un portamento in sua presenza impeccabile. Conosceva bene il galateo, si sapeva sedere, parlare, persino versare le bevande: se non fosse che quegli incontri si svolgevano con un coltello puntato alla gola, metaforicamente, l’avrebbe scambiato per uno coi capi del governo degli alleati.
- Oh. – disse, sedendosi – Come mai non avrò più il piacere di ricevere una delle sue visite?
- Andrò via molto presto, torno finalmente a casa.
- Sono molto felice per lei e, beh, mi perdoni, soprattutto per me.
La donna sorrise educata, coprendosi la bocca: - Non ha tutti i torti. – sovrappose quindi le mani sulle cosce – Ormai però abbiamo ben chiarito le nostre posizioni, gli interessi delle nostre nazioni sono stati fatti, quindi, non c’è più motivo che io rimanga qui.
- Sono d’accordo.
- Ma… ecco, manca ancora una cosa che, se non le dispiace, bisogna regolare.
Temeva volesse mettere nero su bianco tutto quello che avevano stabilito. Dio solo sapeva quanto Marley avesse bisogno delle risorse di Paradise, soprattutto il quel momento: ma il fondatore era nelle loro mani e non poteva fare altro che chiedere aiuto agli Alleati, e, come se non fosse abbastanza, ora era stato messo con le spalle al muro da un accordo che, sì, avrebbe soddisfatto entrambe le parti, ma avrebbe stroncato qualsiasi mira espansionistica verso l’isola.
- Non credevo fosse necessario.
La donna tirò fuori dalla sacca che aveva in vita un plico di fogli che posò delicatamente sul tavolino: - Oh, lo è invece. È solo una formalità dopotutto. Scusi ma… mi era sembrato di capire che volesse mettere fino a tutti questi anni di guerre e screzi, mi sono forse sbagliata? Ci ha forse ripensato?
- No, assolutamente. Credevo solo che sarebbe stato più opportuno farlo in altre sedi.
Lei alzò un sopracciglio, inclinando leggermente il capo: - Altre sedi? I demoni non possono mettere piede in luoghi così integri ed integerrimi. Alcuni demoni, perlomeno. – detto ciò, allungò verso l’altro i fogli facendoli strisciare sulla superficie liscia e pregiata del tavolo.
Willy ricambiò lo sguardo penetrante dell’altra nel più completo silenzio, poi scosse la testa abbassando la testa sui documenti, aprì la bocca per parlare ma la donna lo precedette.
- Può usare la mia. – disse, porgendogli una penna. Lui la prese riluttante, per poi firmare i fogli accanto all’elegante firma della sovrana di Paradise. Historia Reiss, lesse nella mente, un bel nome davvero.
Non appena firmò, alzò la testa e sobbalzò quando si rese conto che la spia era in piedi accanto a lui e lo guardava dall’alto al basso.
- La ringrazio davvero tanto del vostro tempo e della vostra comprensione, signor Tybur. Vedrà che tutto questo ci porterà lontano. – prese i fogli e la penna e li ripose nella sacca – Magari un giorno potrà farmi visita, la nostra isola è davvero splendida. E il nostro whisky nettamente migliore.
- Addio, è stato un piacere fare la sua conoscenza. – le disse, mentre la vedeva scomparire dalla finestra, accecato dalla luce del sole che prorompeva all’interno della stanza.
Willy rimase ancora seduto qualche secondo, poi si diresse alla porta e fece chiamare dalla servitù un militare, non appena arrivò, aspettarono che la cameriera si allontanasse per parlare sommessamente tra loro.
- Hai trovato quello che ti avevo chiesto?
- Ci sono almeno due passaggi che può aver usato. Uno è nello studio qui accanto, l’altro al piano inferiore. Perché non ci ha permesso di seguirla?
- Sono abbastanza sicuro abbia usato le fogne per andarsene, non vi avrebbe portato a nulla tentare di seguirla lì. Intensifica le ronde e le esplorazioni. Quando scoprirete dove si nascondono, vi darò ulteriori istruzioni.
Ho bisogno di fare il loro gioco, si disse. Il trattato di non aggressione che aveva appena firmato sarebbe stato un’altra gatta da pelare più tardi.

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Capitolo 33
*** Capitolo 31 - Atto primo: veleno ***


Capitolo 31 – Atto primo: veleno

 
- … E questo infine è il nostro reparto per i reduci di guerra Eldiani.
Una sfilata di uomini e donne facoltosi passò davanti a lui, tutti guardavano con aria scioccata e incuriosita la fila di letti ricolma di soldati resi invalidi o ancora in fase di guarigione da brutte ferite ed ustioni.
- Se avete altre domande, potete rivolgerle direttamente ai medici e gli infermieri, saranno felici di rispondervi. Vi lascio liberi di perlustrare l’ospedale, per uscire da questo reparto basta seguire la via a ritroso, non sarà difficile, ma state comunque attenti, qui sono ricoverati anche pazienti che hanno perso parte della loro integrità psicologica.
La guida non si era certo sprecata in ulteriori parole per illustrare le condizioni dei soldati nel reparto eldiano, come invece aveva fatto con tutti gli altri reparti “normali”, la propaganda pagava bene perché non venissero diffuse troppe informazioni sulle guerre intraprese da Marley. Tutti, ad eccezione di una donna dai capelli castani e un uomo basso e tarchiato, si volatilizzarono non appena fu dato il permesso di disperdersi.
- Signora, è sicura di voler rimanere qui? – si avvicinò all’orecchio per sussurrarle compito – Non è propriamente un posto che le si addice…
- Oh, non si preoccupi! Sono stata un’infermiera volontaria di primo soccorso durante la grande guerra a nord, terzo reggimento, mi piacerebbe capire se i fondi di mio marito possano servire più qui o altrove.
- Ah, capisco… In tal caso, sono sicuro si saprà orientare benissimo.
Eren alzò piano la testa e guardò la giovane donna annuire e spostarsi aggraziata tra i letti, facendo finta di essere interessata anche ad altro che non fosse proprio lui. Abbassò di nuovo lo sguardo sulle lenzuola all’altezza delle cosce: sarebbe stato davvero ingenuo da parte sua pensare che non l’avrebbero mandata a cercarlo, ancor più che lei non sarebbe riuscita a trovarlo.
- Eren… Krugher? Ho detto bene? Non si capisce bene dalla cartella… – la sentì avvicinarsi di lato al letto su cui si trovava – Come si sente oggi?
Lui rimase in silenzio, alche lei ripose la cartella clinica ai piedi del letto e gli si avvicinò di nuovo con un’espressione impensierita.
- Permette? Sono un’infermiera, anche se dal mio abbigliamento più elegante non si direbbe. – disse, indicando la gamba mozzata di Eren sotto le coperte, lui fece un piccolo cenno d’assenso con la testa. La donna scoprì con gesti armoniosi le gambe e aprì le fasce per osservare i punti di sutura.
- Non è sicuramente il lavoro migliore che abbia mai visto, ma perlomeno il taglio sembra netto, guarirà perfettamente. – detto ciò, prese un carrello di primo soccorso nelle vicinanze e si accinse a disinfettare la ferita per poi avvolgerla in garze pulite.
- Una signora così elegante come lei non dovrebbe disturbarsi per un eldiano come me, la prego, non voglio rovini i suoi guanti. Il pizzo sembra molto pregiato, non si disturbi per me. – il tono di Eren era basso e monocorde, Siri non riuscì a trattenere la sorpresa sentendo la sua voce così diversa da come la ricordava, ma rientrò subito nella parte, sorridendogli.
- Si figuri! Sono solo guanti, per me non è alcun disturbo, mi fa piacere tornare a maneggiare gli strumenti chirurgici di tanto in tanto.
Eren sospirò ma aspettò paziente che finisse di avvolgere veloce e precisa il moncone. Lei quindi si voltò a guardarlo con i suoi grossi occhi nocciola e gli rivolse un largo sorriso, che ai più sarebbe sembrato uno lieto, ma lui riusciva ad intravedere il risentimento che si celava dietro quell’espressione apparentemente così serena. Si sporse verso il comodino e afferrò un libro. Non ha senso rimandare l’inevitabile, si disse, avrebbe trovato un altro modo per raggiungerlo e sarebbe stata infallibile. Meglio non far rischiare lei, Jean, o chiunque a cui tenesse che si trovava in territorio nemico.
- Se la mette in questi termini, posso permettermi di approfittare ancora della sua gentilezza? – lui le porse il libro – Sa, l’avevo iniziato al fronte, ma ora con un occhio solo non mi riesce leggere bene come prima.
Siri afferrò il piccolo romanzo e piegò la testa, le labbra distese, soddisfatta per l’espediente che lui le aveva offerto, oltre che per la collaborazione per cui non avrebbe dovuto insistere: - Nessun problema, leggerò per lei con piacere.
Afferrò una sedia in metallo dallo scompartimento affianco e la posizionò accanto al letto di Eren, si sedette accavallando una gamba sull’altra e aprì il libro al segnalibro.
La mia scorta di farmaco “pro-trasformazione” è sparita, ne sai nulla?
È al sicuro.
Siri espirò forte dal naso in segno di disapprovazione.
Mi congratulo con te per l’ottima copertura. È stato difficile persino per me trovarti.
Spero la vostra lo sia altrettanto. Non è sicuro per voi stare qui.
Siri si sforzò di tenere gli occhi puntati sui muri di parole stampate, ma la sua voce bassissima tradiva il risentimento che il ragazzo accanto a lei aveva già percepito. In realtà era stato abbastanza facile per lei trovarlo, non semplicissimo, ma non appena ci era riuscita, lo aveva tenuto costantemente d’occhio, oltre che agevolarlo nella sua copertura: portarlo via dall’ospedale avrebbe destato troppi sospetti.
Non mi sembra sia stata la tua prima preoccupazione quando ci hai inoltrato quella lettera.
Eren guardò altrove: - Rimaniamo comunque dei soldati. Da quanto tempo siete qui?
Abbastanza da non aver bisogno del tuo ridicolo piano suicida. – disse Siri, voltando una pagina mentre si fingeva assorta nella lettura.
Sai cosa lui ha intenzione di fare e tutti lo seguiranno, non ho bisogno che te lo illustri. È un’operazione necessaria la nostra.
Questo lo credi tu. – Siri alzò la testa dal libro e diede due pacche alla coscia di Eren con un sorriso condiscendente, per poi tornare a guardare il libro tra le sue mani – Lui non lo farà.
La sicurezza nella voce della spia non ammetteva repliche, ma ciò che Eren aveva visto lo convinceva del contrario. Stava per aprire di nuovo bocca, quando un medico seguito da due infermieri percorsero il corridoio davanti a loro, non degnandoli di uno sguardo: fu allora che fece caso all’abbigliamento di Siri, candido e ben stirato, facilmente confondibile da una visione periferica con una delle divise delle infermiere.
Eren aspettò che si spegnessero in lontananza le voci dei dipendenti sanitari per riprendere il discorso, quando Siri lo precedette: - Eren, per favore, abbandona il tuo piano. Ti porterà soltanto alla morte.
Il ragazzo rimase in silenzio a fissare il telo in cotone che gli copriva parte del corridoio davanti a lui, non poteva spiegarle perché lui dovesse farlo, non avrebbe mai potuto capire, nonostante Siri, come Hange, fosse di larghe vedute. Anche vedere solo lei gli faceva stringere il petto in una morsa, provava una tale nostalgia, eppure non lasciò che le sue emozioni lo facessero cedere, neanche per un millesimo di secondo
Non posso fare ciò che mi chiedi Siri. – si voltò verso di lei – Arrivati a questo punto, non posso fare altro che avanzare.
Siri abbassò il libro e, tenendolo aperto, poggiò il dorso delle mani sul bordo del letto: - Non è più il tempo di agire di testa tua. I tuoi atteggiamenti criptici potranno fare presa con gli altri, ma non con me. Non lascerò che tu e quel maledetto stronzo di Zeke sacrifichiate i nostri uomini per un qualche piano assurdo, che, tra l’altro, sembrate non voler condividere con noi. – lo fissò in attesa di risposta che, dopo che ebbe aspettato qualche minuto, capì non sarebbe mai arrivata: ciò non fece altro che confermare quanto aveva appena detto.
Mentre diceva quelle parole, Eren riuscì a notarlo, Siri sembrava fin troppo calma. L’aveva vista più di una volta crollare sotto il peso delle avversità a cui lei non poteva porre rimedio, perché non anche quella volta allora, si chiedeva: venne quindi colto da un’illuminazione, lei e Hange avevano un piano e, dato che per ragioni che non poteva rivelare sapeva non avrebbe funzionato, voleva assolutamente impedirle di portarlo a termine.
Siri. – la donna strabuzzò gli occhi, quasi speranzosa – Se avete in mente qualcosa, dovrei essere informato, non potete agire senza che io sappia che cosa avete tra le mani.
Siri perse la speranza nei suoi occhi, capì che lui non avrebbe condiviso i suoi piani, per lasciarli, così, senza opzioni, se non quella di aiutarlo nel raid a Liberio che lui stesso aveva “proposto” (o meglio, imposto) quasi un mese addietro. Si alzò e allontanò all’indietro la sedia con garbo, quindi, sporgendosi verso il comodino su cui posò il libro, gli bisbigliò nell’orecchio con voce bassa e calmissima: - Scopri le tue carte e io scoprirò le mie. – si raddrizzò e gli sorrise gentile – È stato un piacere! Farò in modo che la donazione di mio marito aiuti lei e i suoi compagni.
La vide uscire dal suo capezzale senza quasi fare alcun rumore e per ore quella conversazione lo lasciò assorto nei suoi pensieri. Se grazie ai ricordi del futuro sapeva già come sarebbero andate le cose, allo stesso tempo non poteva nascondere la vaga sensazione di speranza che quell’accenno ad un corso degli eventi differente gli aveva dato, le cose che aveva visto, tutto quel sangue e quel dolore, li aveva dati come inevitabili.
Abbassò sconsolato la testa stringendo nei pugni le coperte: era comunque inutile farsi troppe illusioni, per ora aveva proceduto tutto esattamente come si aspettava e, molto probabilmente, non aveva visto nei ricordi del futuro il piano di Siri e Hange in azione perché la prima sarebbe morta.
Si stese nel letto e voltò la testa per guardare l’ora: presto si sarebbe dovuto alzare, Falco quel giorno sarebbe andato a trovarlo ancora.
***
 
Levi si fermò davanti all’edificio e, dopo aver dato un’occhiata dal basso in su, si guardò attorno, sperando che qualcuno, anche un estraneo, lo riconoscesse, gli desse qualche pacca sulla spalla per poi dirgli grattandosi la nuca sconsolato: «Oh amico, hai sbagliato: l’indirizzo dice “numero 21” non “11”!».
Frugò nella tasca dei pantaloni gessati e tirò fuori di nuovo il bigliettino con l’indirizzo: aveva visto benissimo invece. La scrittura di Siri poteva anche essere un obbrobrio, ma quella di Jean, oltre ad essere più elegante, non lasciava spazi a dubbi di sorta. Accartocciò il foglietto e lo lanciò per terra con rabbia, per poi sospirare contrariato, quella spazzatura per terra si sarebbe ben intonata all’ambiente che più lurido non poteva essere, pensò.
In realtà la strada dove si trovava il bordello in cui Siri e Yvonne avevano una delle loro coperture non era neanche così lercio come appariva agli occhi del capitano: la strada piastrellata era sì molto trafficata e l’entrata attorniata da una serie di clienti che fumavano, ma erano soltanto le pozzanghere, scurite dal buio del cielo annuvolato, che davano un’aria appiccicosa ai palazzi dai mattoni rossi, ingrigiti dallo smog delle auto. I marciapiedi erano puliti e i cestini, seppur non ci fossero davanti alla struttura, si trovavano solo a qualche centinaio di metri, per cui, il gesto di Levi era una questione personale.
Prese un respiro profondo abbassandosi il cappello sulla fronte, affondò le mani nelle tasche del cappotto nero ed entrò dentro il posto in cui non si sarebbe mai sognato di entrare. Non appena ebbe messo piede all’interno, fu accolto da un’ondata di piacevole aria calda e musica accattivante provenire oltre le spesse tende in velluto leggermente scostate che dividevano l’ingresso dal salone principale. Si avvicinò ad uno spiraglio per intravedere all’interno quando un uomo ben vestito che si trovava oltre un piccolo altarino tossì per richiamare la sua attenzione: - Mi scusi, buongiorno.
- Buongiorno. – Levi si avvicinò a lui rivolgendogli un’occhiata torva.
- Benvenuto a Le Bon Bon, vuole lasciarmi il cappotto?
Cazzo che schifo…
- Come scusi?
- Sì, ho capito. – disse togliendosi il cappotto infastidito per poi porgerlo all’uomo che lo guardava perplesso.
- Bene, ehm… La consumazione è obbligatoria, può scegliere una delle nostre ragazze che girano nel salone perché significa che sono libere, se preferisce può anche solo restare al tavolo e godersi uno dei nostri spettacoli.
- Vai avanti ancora per molto o posso entrare senza sorbirmi tutte queste stronzate?
L’uomo tirò indietro il capo risentito, ma mantenne il contegno, si trattava di un cliente dopotutto: - Mi dispiace, ma conosciamo i nostri clienti abituali e ci teniamo che quelli nuovi si sappiano ben orientare e non disturbino le…
- Sì, grazie tante. Posso andare adesso?
Levi si era già avviato e aveva scostato la pesante tenda in velluto quando l’uomo lo richiamò, evidentemente a disagio: - Aspetti! Mi serve sapere il suo nome!
L’altro ci pensò su un secondo per poi dire laconico: - Kenny.
- Kenny come?
- Kenny e basta. – disse, spostandosi oltre la tenda a chiudere definitivamente la conversazione, nonostante l’uomo cercasse di chiamarlo indietro ancora.
Non appena entrò nel grande salone, il calore dell’ingresso si fece molto più ardente, avvolgendolo completamente: le luci dorante illuminavano il luogo come se brillasse d’oro, i muri ricoperti di legno scuro assorbivano parecchia di quella luce, ma non abbastanza da far sembrare il posto squallido, anzi, l’idea che davano quei tavoli in ciliegio, sormontati da vasi in vetro con una singola rosa rossa, era piuttosto allegra e accogliente. Lui aveva un’immagine chiara di quello che avrebbe trovato, mura sporche e ammuffite, l’umidità opprimente da farti battere i denti e i dipendenti sporchi e rozzi, ma, guardandosi attorno quasi interessato, realizzò che forse il posto dove era cresciuto era un’eccezione e non la regola.
Nonostante si stesse ricredendo, si ricordò la definizione di “bordello” e ogni traccia di relax dal suo viso scomparve, per tornare alla sua solita espressione accigliata. Non appena trovò un tavolino libero si sedette e ordinò da bere da un cameriere mentre con gli occhi scandagliava il salone per trovarla: aveva i capelli di colore diverso? Aveva anche un nome diverso?
Non aveva avuto alcuna informazione del genere da Jean, che doveva trovarsi anche lui lì da qualche parte, eppure una cosa era certa: Siri non l’avrebbe passata liscia questa volta. Parlando del diavolo. Spuntò dalla scaletta che conduceva al palco dove una cantante si stava esibendo, volteggiava tra i tavoli salutando ammiccante i clienti abituali, la cicatrice sulla guancia ancora una volta ben coperta col trucco. Arrivò il cameriere che posò la sua bevanda sul tavolo e gli porse un biglietto con cui avrebbe dovuto recuperare il cappotto uscendo.
- Scusa… giovane. – Levi alzò gli occhi al cielo, se solo Siri l’avesse sentito avrebbe scatenato una crisi isterica di risate – Come faccio a… richiamarne una.
Si sarebbe volentieri dato un pugno in faccia per come volgarmente si era espresso, ma se da una parte non sapeva come esprimersi diversamente, dall’altra, nonostante l’ambiente accogliente, era estremamente a disagio in quel luogo.
Il cameriere rimase serio, probabilmente colpito, in negativo, da quel modo di esprimersi: - Può chiamare una delle nostre ragazze tramite noi signore. Evidentemente lei è nuovo qui e non sa i loro nomi, basta che me ne indichi una e la porterò da lei… se non è già occupata con un altro dei nostri clienti.
Levi sospirò scocciato: - Che organizzazione. Quella lì. – concluse indicando Siri con due dita.
Il cameriere si voltò per mezzo secondo, ma aveva evidentemente capito subito a chi si riferisse perché gli rispose immediato: - Mi dispiace, ma la signorina Pauline è sempre molto richiesta, dubito non sia già occupata con uno dei nostri clienti abituali.
Molto richiesta”, Levi fremette, chiuse strettamente il pugno per cercare di controllarsi, quindi prese un sacchetto di denaro dalla tasca interna della sua giacca: - Allora forse non sono stato chiaro. – afferrò il polso del cameriere che sobbalzò sul posto mentre Levi lo tirava in avanti aprendogli il palmo – Io voglio quella. Non me ne frega un cazzo di quello che i tuoi pomposi stronzi vogliosi richiedono, i clienti qui dentro sono tutti uguali, giusto? Io chiedo di essere soddisfatto. Sono stato chiaro adesso?
Il cameriere chiuse nel pugno il sacchetto di denaro e si raddrizzò risentito: - Va bene signore. Cercherò di accontentarla. Ma se trovassimo sulla signorina Pauline anche un singolo livido, stia tranquillo che…
Levi lo fulminò con lo sguardo, interrompendolo: - Per chi cazzo mi hai preso? 
Per un gangster, brutto stronzo. Ma questo pensiero il cameriere lo tenne per sé.
- Adesso vai prima che qualcun altro “la richieda”. – concluse, mentre l’altro si allontanava per raggiungere Siri. Lo vide abbassarsi su di lei che era seduta sul grembo di un uomo, le bisbigliò qualcosa nell’orecchio e finalmente la donna incrociò lo sguardo di Levi sogghignando. La vide alzarsi dalle gambe dell’uomo non appena il cameriere si fu ricomposto aspettando una sua risposta: Siri accarezzò il volto del cliente rimasto seduto e si mosse tra i tavoli, seguita dal cameriere, diretta verso Levi, a cui il cuore iniziò a battere più forte, felice di rincontrarla dopo tanto.
- Benvenuto da Le Bon Bon! La ringrazio per la mancia signor…
- Kenny.
Siri sorrise nervosamente prendendosi un secondo per rispondere: - Nome interessante. Perché non mi segue signor Kenny?
Fece un breve gesto con la mano al cameriere che si allontanò, quindi, quando Levi si alzò, lo prese per mano e lo guidò verso un lungo corridoio buio antistante, lo percorsero fino a quando non arrivarono ad una porta col suo nome. Non appena Levi chiuse la porta alle loro spalle, Siri si sedette alla toeletta dal largo specchio incorniciato da piccole lampadine con un sospiro.
Levi rimase sulla porta con le mani infondo alle tasche dei pantaloni e ispezionò brevemente la camera lussuosa in cui si trovavano, ancora carico di nervosismo misto a felicità per essere finalmente con Siri dopo mesi di lontananza forzata. Drappeggi coprivano i pannelli scuri delle pareti e l’atmosfera era anche lì calda e accogliente, grazie dalle lampade e le numerose candele al profumo di rose.
- Mi hai tolto parecchi clienti, dovranno ripiegare su Sylvia adesso.
Levi incrociò il suo sguardo nello specchio, quindi Siri scosse la testa mentre si scioglieva i capelli dalla matassa creata dalle pinzette: - Yvonne. È qui anche lei, siamo tutti qui a dire la verità.
Lui fece qualche passo dietro di lei, ancora molto a disagio quando pensava a dove si trovava: - Sai che non sono un tipo geloso.
Un paio di ciocche mosse ricaddero ai lati del viso di Siri: - Mh-mh…
- Non ti dirò mai cosa fare, non ti vieterei di fare mai nulla né tantomeno ti darei degli ordini, se non nell’ambito militare. – si fermò e si voltò di nuovo verso lo specchio – Ma mi girano davvero le palle al solo pensiero che passi le tue giornate qua dentro.
Siri sospirò questa volta più sonoramente, con un velo d’irritazione: - Devo ricordarti che so badare a me stessa?
Levi camminò verso un largo divano in pelle bordeaux e si fermò davanti ad un basso tavolino da tè: - No. Lo so benissimo. Ma questo tipo di posti non li posso sopportare. – si piegò quindi sulla teiera fumante e si versò il contenuto in una tazza lì accanto.
- Ci sono tante cose che non sopporti, boss…
- Il saperti qui più di ogni altra cosa. – prese la tazza e si voltò a guardare Siri che, ancora seduta alla toeletta, armeggiava con una salvietta per togliersi il rossetto dalle labbra – Adesso scommetto che mi rifilerai la solfa che questo è il tuo lavoro e che devi stare qui per soddisfare Hange e cazzate simili.
Siri sorrise condiscendente e si voltò: non appena incrociò il suo sguardo sbiancò per poi alzarsi di scatto e lanciarsi verso di lui.
- FERMO! – mise una mano tra la bocca di lui e il tè, spaventatissima.
- Ma che cazzo…
- L’hai bevuto?! – mentre gli strappava di mano la tazza per posarla di nuovo sul tavolo, rivolgeva occhiate nervose nella sua direzione.
- Non me ne hai dato il tempo.
Siri lo afferrò per le spalle: - Sei sicuro? Non hai posato nemmeno le labbra, vero?
Levi aggrottò le sopracciglia confuso: - Sì, sono sicuro… – abbassò lo sguardo al tavolino mentre lei rilassava le spalle con sollievo – Non voglio nemmeno chiederti che ci fosse lì dentro, ma forse avrei preferito ritrovarmi con la bava alla bocca e ricoperto di vomito velenoso che vederti dentro questo posto di merda.
Siri fece un largo sorriso e gli infilò le mani sotto le spalline della giacca, sfilandogliela: - Devi rilassarti. Qui ci sono tanti miei obiettivi, vorrei tanto poter accontentare il mio fidanzato geloso ma…
- Piantala.
- … Ma è il mio lavoro. – spinse leggermente Levi indietro per farlo sedere sul divano, ma lui s’irrigidì sul posto. Lei quindi lo guardò indignata: - Ma cosa pensi che faccia qui dentro?!
Levi le rivolse un’occhiata gelida, quanto più per rimproverarle il fatto che lui non avrebbe mai pensato qualcosa del genere: - Non è per quello, saltimbanco. Non sai chi ci è stato prima di te.
- Invece lo so benissimo, questa stanza è solo mia. Non ci è stata anima viva. – si allontanò per appendere la giacca all’appendiabiti, ma Levi non accennò a sedersi. 
- Mamma mia, deve darti davvero fastidio, non ti ho mai visto così nervoso… – Siri si avvicinò di nuovo alla toeletta e prese un rossetto dal mucchio, poi tornò da Levi e gli afferrò una spalla i cui muscoli si distesero sotto le sue dita – … Ed è tutto dire.
Lui voltò la testa annoiato: - Tch. – lei quindi gli si avvicinò di più e spostò la mano sulla sua guancia, accogliendola nel palmo col guanto in seta.
- Per me non ti siederesti lo stesso? – sibilò seducente. Un brivido percorse Levi che deglutì e si sedette pesantemente sul divano, lasciando che l’altra mano di Siri lo spingesse verso il basso. Sorrise soddisfatta e gli si sedette accanto.
- Quindi… Cosa fai coi soldati che porti qui dentro?
Siri sogghignò, consapevole di beccarsi uno scappellotto: - Gli faccio vedere le stelle.
Levi allungò la mano per colpire la nuca di Siri, quando sentì alle sue spalle, oltre il muro di legno, qualcuno scoppiare a ridere. Raggelò e si voltò all’indietro mentre Siri sospirò scocciata: - Va a farti un giro Bernard.
- Era qui tutto il tempo?! – il suo tono era risentito, ma non poteva negare di sentirsi sollevato dal fatto che Bernard era sempre pronto ad aiutarla se ne avesse avuto bisogno.
- Con piacere lucertolina, – dei rumori ovattati si spandevano dall’altra parte dei pannelli allontanandosi sempre di più da loro – non ne posso più di stare a sentire i vostri bisticci.
Non appena i rumori si fecero sempre più lontani fino a scomparire del tutto, Siri si schiarì la voce e aprì il rossetto che aveva tra le mani, lo ruotò, facendo uscire lo stick marrone.
- Guarda. È fatto di cioccolata.
Levi, ancora confuso, si voltò di nuovo verso di lei e disse sarcastico: - Certo, la famosa cioccolata che a Paradise abbonda.
- È un dolce, i semi si raccolgono da una terra molto lontana da qui. Vuoi assaggiare?
Lui alzò le spalle e fece per prendere l’oggetto per dargli un morso, quando Siri glielo allontanò dalle mani: si guardarono e lei assunse un’espressione così seria che Levi si sorprese. Siri portò il rossetto alla bocca e lo stese sulle labbra fino a quando non assunsero un colore marrone scuro; quindi, chiuse il rossetto e piegò la testa di lato, avvicinandosi al viso di Levi tanto da poter sentire il respiro l’uno dell’altra sulla pelle.
Vuoi assaggiare? – lui sgranò gli occhi a quella richiesta e non credette possibile il fatto che, nonostante si conoscessero ormai da anni, il cuore potesse battergli così forte nel petto al suo tono ammiccante. Si sentì improvvisamente compresso dal calore come se cercasse di sfondare la cute ed esplodere, dall’impulso di gettarsi tra le sue braccia e non lasciarla andare per un tempo proporzionale a quello che avevano passato separati. Ma prese un profondo respiro e fece scendere gli occhi lungo il suo viso, fino alle labbra socchiuse di Siri. Nonostante la proposta invitante, preferiva di certo far durare quel momento il più a lungo possibile: si abbassò cautamente sul labbro inferiore di lei e lo leccò con la punta della lingua, lentamente, da un angolo all’altro della bocca. Il sapore dolce e vanigliato del cioccolato gli fece sentire un immediato “crepitio” dietro alla bocca, scatenando dentro di sé una forte sensazione di… fame. Le prese delicatamente il mento fra le dita e col pollice le abbassò il mento, rispose immediatamente a quella richiesta del suo corpo e le leccò di nuovo il labbro, questa volta con più impeto, per essere certo di consumare tutti gli strati di rossetto.
Affondò una mano tra i capelli sulla nuca di Siri, tirandola a sé per assaporare il gusto della cioccolata più intensamente: quando Levi le risucchiò il labbro, poté sentire Siri rabbrividire tra le sue mani per poi cercare di allontanarsi spingendolo via delicatamente. La lasciò andare controvoglia, lei si era discostata tanto da permettere loro di guardarsi di nuovo negli occhi. Il petto di Siri si alzava e abbassava per i profondi respiri, senza distogliere lo sguardo da Levi, gli porse il piccolo cilindro metallico: - Vuoi mettermelo tu adesso?
Lui non se lo lasciò ripetere due volte, prese il rossetto e lo stese con precisione sulle labbra mentre con l’altra mano le teneva una guancia, al tatto calda e liscia. Quando ebbe finito, fece scivolare lo stick “per sbaglio” sulla sua mandibola, lasciandole una lunga linea scura e appiccicosa che si spinse poco sotto il mento.
- Non sono molto bravo.
Siri rispose allo sguardo fisso e penetrante di Levi distendendo le labbra con intesa, quindi si avvicinò di nuovo a Levi, impaziente. Piano piano le linee di rossetto raggiunsero tutti gli angoli del viso della donna e si spinsero sempre più in basso lungo il collo, lasciando macchie marroni scolorite dal passaggio di Levi.
Siri, pensò il corvino, l’aveva passata liscia anche quella volta.
 
Jean dietro il bancone del piano bar iniziò a passare lo straccio sul ripiano, avrebbe aspettato Yvonne e poi sarebbero tornati a casa, per quel giorno avevano raggiunto tutti i soldati che potevano, Siri e Bernard avrebbero continuato col resto di loro come da accordo.
- Ehi Jean, eccomi. – Yvonne arrivò al bancone con la sua solita aria stanca, non le piaceva questa nuova copertura e il fatto che Siri fosse sul filo del rasoio non la faceva vivere tranquilla. Non vedeva l’ora di tornare sull’isola e mettere fine, per il momento, alla missione.
- Oh, Sylvia. Tutto bene oggi? – Jean si guardò attorno per cercare con lo sguardo Siri, era da un po’ che non la vedeva in sala. Voleva semplicemente scambiare un’occhiata con lei per dirsi “Va tutto bene, torno a casa con Yvonne”.
- Sì. Tu ti sei già cambiato?
- No, lo vado a fare appena finisco di pulire… Hai visto Pauline per caso? Non la vedo da un po’.
Yvonne si sedette su uno sgabello e iniziò ad arrotolarsi i capelli sull’indice, quindi guardò Jean assente e alzò le spalle nell’esatto momento in cui un cameriere nelle vicinanze, interessato dalla conversazione, si voltò verso di loro.
- Pauline è con un cliente.
Jean, abbassò di nuovo lo sguardo sullo straccio e riprese a pulire: - Oh, capisco…
Il cameriere batté sonoramente la lingua sul palato contrariato: - Spero stia bene, era una specie di gangster il tipo, un vero maleducato. Mi chiedo perché Philip faccia entrare certa gente, certo, sono un sacco di soldi, però… – Jean alzò la testa con uno scatto e, mentre si concentrava sul cameriere, oltre la sua spalla vide Bernard che chiacchierava carismatico con una prostituta, in teoria avrebbe dovuto essere con Siri, ad aiutarla se ne avesse avuto bisogno – Dovevi vederlo, ha richiesto specificatamente di lei, io gli ho detto “se Pauline dovesse avere un singolo livido sul corpo io ti”… Ehi, dove vai?!
Ma il ragazzo aveva già oltrepassato il bancone in un lampo e si stava dirigendo verso il corridoio con le stanze private. Una spia di Tybur, l’hanno scoperta, o magari è un fannullone che le sta facendo del male… Siri non accettava mai richieste specifiche, a meno che non fossero di soldati, il loro obiettivo principale, e Bernard non doveva essere con lei perché era un “fuori programma”. Raggiunse ad ampie falcate la sua stanza e prese saldamente il pomello, lo girò ed era chiuso a chiave: iniziò a sudare freddo, lei non chiudeva mai a chiave, non ce n’era bisogno.
Si allontanò dalla porta per caricare il colpo: aveva il cuore in gola, sperava di non trovarla in un bagno di sangue sul pavimento.
Levi mi ammazzerà. Hange mi licenzierà. Non potrò mai perdonarmelo.
Con una spallata, sfondò la porta e con suo grande sollievo, ma per sua grande sfortuna, Siri era viva e vegeta, ma non esattamente in un bagno di sangue.
La sua maestra, a cavalcioni sul fantomatico uomo, si era voltata col busto verso la porta con una mano sul pugnale che teneva sotto la gonna alzata fino al sedere, il corpetto slacciato aveva le stringhe ancora tra le dita dell’uomo che stava cercando di toglierglielo e il seno, come anche la sua faccia, erano macchiati di marrone. L’uomo, lo comprese all’istante, non era chiaramente un uomo qualsiasi: si sporse oltre Siri e rivelò essere Levi, che appena vide Jean nel bel mezzo della stanza lo incenerì con gli occhi.
- Ce la stai mettendo tutta per farti ammazzare, moccioso.
Jean diventò tutto rosso e si coprì gli occhi con entrambe le mani: - S-sc-… scusate, non volevo.
Siri sospirò e si voltò verso Levi per coprirsi alla vista del suo allievo a dir poco imbarazzato. Il ragazzo indietreggiò verso la porta e la chiuse alla bell’e meglio, quando all’ingresso del corridoio sentì qualcuno sghignazzare: Bernard si stava sbellicando dalle risate col proprietario del bordello, mentre Yvonne e il cameriere lo guardavano una divertita e l’altro carico di disapprovazione.
 
Passò un mese da quando gli altri erano arrivati in territorio nemico e si erano sistemati nei loro alloggi con le loro relative coperture, il giorno del raid a Liberio era finalmente arrivato, non c’era stato modo di far desistere Eren che sembrava deciso a compiere il suo piano, seppure Tybur non avrebbe dichiarato guerra a Paradise.
Nonostante questa sicurezza, il capo di stato di Marley sembrava volesse fare delle dichiarazioni nel quartiere Eldiano e Siri e Hange alla notizia, aggiunta alla comunicazione di Eren che avrebbe attuato il suo attacco, accettarono il tutto senza battere ciglio. Levi aveva smesso di sentirsi confuso e aveva ormai compreso che faceva tutto parte del loro piano, come quando Erwin era a comando, avrebbe scoperto i dettagli a opera conclusa. Non era altrettanto contento però di dover includere dei civili in questo progetto: alla fine erano sempre loro a rimetterci, anche con le migliori intenzioni.
Siri iniziò a sbottonarsi il vestito mentre Bernard, seguito da Yvonne e Jean, tutti che già indossavano la tuta nera da combattimento, apriva la finestra che affacciava sul vicolo ceco al lato del loro palazzo.
- Sei sicura di voler uscire da sola dopo di noi? – la spia si massaggiò il pizzetto, insicuro su cosa fare. Ripensava a Siri che aveva trovato qualche mattina prima, chiusa nel bagno a piangere seduta sulle piastrelle fredde, le ginocchia al petto mentre si torturava le tempie. Quello che lei gli aveva rivelato non metteva in buona luce la riuscita del piano di quella sera, ma, come ben sapeva, nessuno di loro poteva sottrarsi.
- Sì. Levi agirà dopo tutti voi, quindi posso prendermela comoda. – Siri lanciò via le scarpe in un angolo della stanza, a differenza di Jean, non poteva indossare la tuta sotto i vestiti per essere subito pronta – E poi mettere quella stupida tuta ignifuga mi fa perdere un sacco di tempo.
- Ma…
- Andate. – concluse quindi perentoria Siri. Jean non se lo fece ripetere due volte e, quatto, si buttò dalla finestra seguito a ruota da Yvonne. Bernard temporeggiò ancora davanti alla finestra.
- Neanche questa volta il piano mi piace. – Siri lo fulminò con lo sguardo – Ma, questa volta, potrei aiutarti.
Siri rimase in silenzio a guardarlo truce, quindi Bernard ghignò, scosse la testa e non disse altro. Si sporse oltre la finestra e raggiunse i suoi colleghi. La spia, rimasta sola, si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, circondata dal silenzio e dal buio, era finalmente sola.
Dopo una decina di minuti, era finalmente riuscita a mettersi la tuta da combattimento adeguatamente e a sistemare le giunture in modo tale che il tessuto non le desse troppo fastidio con lo sfregamento. Si portò alla finestra sull’altro lato del palazzo che dava su una strada trafficata, e rimase a contemplare le luci della città.
- Levi! Quando torniamo a Paradise dovrò chiederti qualcosa!, era come l’aveva salutato ore prima, adesso non riusciva a pensare ad altro che al momento in cui, finalmente, sarebbe tornata a casa.
Sentì un’esplosione verso nord e portò lo sguardo verso dove si trovava il ghetto eldiano: il raid era quindi iniziato, ma ancora non riusciva a muoversi. Voleva godersi, ancora per quel poco, la sensazione accogliente che il buio le dava.
Se solo Eren si fosse trasformato un po’ più tardi, se solo entrambe le sue orecchie avessero potuto sentire ancora entrambe, sarebbe sicuramente riuscita a sentire gli uomini marleyani armati che entravano dalla porta d’ingresso, per ucciderla.
Quando li sentì fu troppo tardi: uno dei tre uomini, a pochi metri dalle sue spalle, tolse la sicura alla pistola e fu solo il suo click che fece girare di scatto Siri. Si gettò indietro, verso il basso per uscire dalla traiettoria di tiro dei tre uomini che iniziarono a spararle addosso. La spia rotolò dietro una scrivania, prese la sedia e la scaraventò addossò a quello più vicino che capitolò sul pavimento con un grugnito, l’altro assalitore dietro di lui caricò il fucile e sparò nella direzione di Siri che per un pelo riuscì a schivare il colpo che esplose nella libreria alle sue spalle, facendo volare pezzi di pagine e copertine di cartone ovunque come schegge. 
Contemporaneamente, Siri estrasse la pistola sul suo fianco, ma nel momento in cui stava premendo il grilletto per colpire il terzo uomo più lontano che la stava raggiungendo, una scheggia vagante la colpì nell’occhio, facendole mancare il bersaglio: il proiettile colpì di striscio la spalla dell’uomo, a cui volò via la pistola dalle mani, con un secondo colpo alla cieca la spia riuscì a colpirgli la gamba, mandandolo definitivamente a terra. L’uomo col fucile schivò il terzo sparo che esplose dalla pistola di Siri e mirò di nuovo verso di lei, avvicinandosi a lei: la spia si voltò e corse verso la finestra, una scia di proiettili del fucile la inseguiva mentre si lasciava dietro di sé poltiglie di pagine stampate e schegge di legno.
Si bloccò sul posto quando improvvisamente l’uomo che aveva colpito con la sedia emerse dal basso, proprio davanti alla finestra e alzò la pistola, Siri lo prese dal polso e lo tirò a sé girandosi verso l’altro col fucile che sparando ancora un altro proiettile colpì il suo stesso compagno dietro la schiena, uccidendolo.
Il peso morto dell’uomo su di lei la fece malauguratamente barcollare all’indietro su sé stessa, perdendo anche la presa sulla pistola che cadde lontano da lei, l’uomo col fucile aveva finito i colpi ma approfittò del momento buono per scavalcare la scrivania che li divideva e lanciarsi su di lei: Siri afferrò con entrambe le mani il fucile che l’uomo cercò di abbassare con tutte le sue forze sul suo collo. La spia si voltò un istante a guardare il terzo uomo, evidentemente sotto shock, che, a gattoni, mentre lasciava una scia di sangue dietro di sé, ancora cercava la pistola che gli era caduta.
Forse, pensò Siri, se non fosse riuscito a trovarla poteva sperare di salvarsi. Se l’avesse trovata e lei non fosse riuscita a liberarsi prima, sarebbe morta senza neanche l’opportunità di lottare, con un colpo in mezzo alla fronte.
Dimenò le gambe per cercare di approfittare della loro spinta, ma erano bloccate: l’uomo morto era ancora sopra di lei per metà e quello che stava cercando di soffocarla con la canna del fucile faceva peso per non farla muovere.
Ansimò, rivoli di sudore le scendevano ai lati della faccia mentre si sforzata di spingere con le braccia la canna lontano dal suo collo: ma era una prova di forza tra lei e lui, e sapeva già come sarebbe andata a finire.
Sei debole.
Nonostante avesse praticamente raddoppiato la sua massa da quando era nel corpo di ricerca, non sarebbe comunque bastato. Lei era debole, questa consapevolezza la colpì forte come un pugno nel petto.
Con un altro sforzo, spinse ancora, ma servì solo ad alzare il fucile di qualche millimetro. L’uomo grugnì, Siri non era certo l’unica capace di uno sforzo fisico: gli avambracci della donna cedettero, e la canna del fucile si posò con inesorabile potenza sul suo collo, facendola tossire roca.
Non è giusto… - disse con l’ultimo filo di voce che le era rimasto, mentre soffocava.
Il buio cominciò ad avanzare coprendole la vista.
Non aveva mai avuto la pretesa di vivere fino alla vecchiaia, per un momento però aveva sognato qualcosa di simile, aveva avuto la presunzione di poter avere un momento di pace, lontana dal sangue e dalla guerra. Un futuro che sarebbe potuto arrivare molto presto, dopo aver rimandato ripetutamente le sue dimissioni al giorno in cui non ci sarebbe più stato bisogno di lei.
Che stupida ingenua.

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Capitolo 34
*** Capitolo 32 - Atto secondo: dentro le fiamme ***


Capitolo 32 – Atto secondo: dentro le fiamme

 

Adrenalina, /a·dre·na·lì·na/, sostantivo femminile
 
L'adrenalina, o epinefrina, è un ormone sintetizzato nella porzione interna (midollare) del surrene. Una volta secreta e rilasciata in circolo, l'adrenalina accelera la frequenza cardiaca, restringe il calibro dei vasi sanguigni, dilata le vie aeree bronchiali ed esalta la prestazione fisica; sostanzialmente, quindi, l'adrenalina migliora la reattività dell'organismo, preparandolo in tempi brevissimi alla cosiddetta reazione di "attacco o fuga".

 
Jean atterrò agile sul tetto su cui Levi e un’altra decina di loro soldati erano appostati, proprio nel momento in cui Eren, a parecchi metri da loro, si stava trasformando. Sotto il boato assordante del gigante e dei palazzi che cadevano a pezzi, il capitano non lo notò sino a quando il ragazzo non diede ordini perentori ai suoi compagni.
- Yvonne, Bernard, subentro io al comando adesso. Voi occupatevi dei militari a terra, sarete più utili che con i giganti.
I due risposero con un cenno del capo e sparirono gettandosi in strada.
- Alla buonora Jean. – Levi teneva il suo binocolo puntato su Eren – Sei un ufficiale adesso, non puoi più sollazzarti come una volta. Ho da affidarti parecchi soldati.
Il ragazzo s’inginocchiò accanto a lui: - Mi scusi capitano. Ho preferito evitare le strade troppo trafficate e abbiamo tardato. Com’è la situazione?
Il capitano abbassò il binocolo e lo posò per terra, quindi si girò a guardare il compagno: - Per ora procede tutto come hanno detto loro, aspetteremo che il gigante martello si faccia vivo e poi… - guardò oltre la spalla del ragazzo, interrogativo – Dov’è il saltimbanco? A trastullarsi anche lei? Tutto quel lusso vi ha dato alla testa.
- Doveva mettersi la tuta ignifuga, ci ha chiesto di andare lo stesso signore.
- Non è mica il ballo delle debuttanti, ha un compito da svolgere.
- La sua tuta era la più difficile da mettere, probabilmente è per quello che sta tardando.
- Tch. Potrei fare anche tutto da solo, ma darei più nell’occhio. – si voltò di nuovo verso la piazza in cui si trovava Eren e rimase a contemplare le fiamme e la distruzione di cui quel ragazzo si stava facendo principale carnefice, le orecchie piene di quel suono stonato delle sirene d’emergenza e delle urla, eppure, il silenzio di Jean era al contempo assordante.
Siri non è una che si fa aspettare.
Rimasero immobili, Jean che semplicemente era in attesa che il capitano desse gli ordini che avevano accordato quasi un mese prima: lo guardò con la coda dell’occhio, si chiedeva come mai fosse così meditabondo.
Levi finalmente si alzò: - Jean, ti affido i soldati. Io vado ad appostarmi come da programma.
- Sì signore!
Mentre procedeva tra gli edifici col movimento tridimensionale, il capitano estrasse dalla tasca l’orologio e constatò con un leggero fastidio che Siri avrebbe dovuto inviargli il segnale ormai più di cinque minuti prima. Ripose l’oggetto e proseguì, concludendo che forse ci stava pensando troppo.
 
Fu convinta di vederla, la strada. Quella che attraversava una volta uscita dall’ospedale per raggiungere Diya che l’aspettava dall’altra parte. Camminava sul marciapiede, guardandosi attorno deliziata: gente che si affrettava a comprare le ultime cose dalla panetteria e dal fruttivendolo, i bambini che facevano lo slalom tra le persone approfittando degli ultimi minuti di gioco prima di tornare a casa, i soldati della guarnigione intenti per una volta a coordinare il traffico delle carrozze, la gente che, semplicemente, si godeva il tramonto parlottando prima di rincasare.
Siri continuava a percorrere quella strada per superare l’angolo, confusa, ma allo stesso tempo abbastanza convinta di non essere in un sogno, nonostante sentisse la testa annebbiata da un fitto e opprimente vapore che teneva repressa nel suo inconscio la domanda: perché sono qui?
Arrivò all’angolo guardò lungo la strada alla sua destra. Il sole che tramontava l’accecò, si parò gli occhi socchiusi e guardò dinanzi a sé e lì, dall’altra parte della strada c’era lei, Diya. Siri abbassò la mano e le lacrime le salirono tutte insieme, assieme al sollievo, quando incrociarono gli sguardi. Fece qualche passo verso di lei ma si fermò nel momento in cui vide sua madre farsi seria e scuotere piano la testa.
Quando aprì gli occhi era tutto nero e il peso sulla sua gola era diventato improvvisamente più leggero. Il riflesso involontario del suo corpo le fece aspirare violentemente talmente tanta aria che iniziò a tossire per il dolore, lo sentì irradiarsi dalla gola a cui portò subito le mani.
Levi aveva preso l’uomo che la stava soffocando dalla collottola della giacca e l’aveva scaraventato dall’altra parte della stanza con talmente tanta forza che l’urto fece cadere dell’intonaco dal muro. L’assassino grugnì e fece leva sulle gambe per alzarsi, ma quando abbassò lo sguardo ai suoi piedi inorridì: il suo compagno ferito, ormai esanime sul tappeto, lo guardava con occhi vitrei dalla sua testa ancora attaccata al collo solo per le ossa e qualche lembo di pelle.
Scosse la testa per riprendersi. Levi camminava verso di lui con una calma sul volto da fare spavento, le iridi piccole e chiare brillavano nell’oscurità di una luce demoniaca. L’uomo deglutì e scorse vicino il suo compagno martoriato la pistola che, evidentemente, lui non aveva fatto in tempo ad afferrare. La prese in un lampo e la alzò dritta davanti a lui, sparò un colpo che Levi schivò scostandosi di poco, come se stesse evitando un insetto fastidioso. 
Nell’istante successivo in cui il carrello della pistola caricava in canna il proiettile successivo, Levi si piegò in avanti e con due passi sguainò la spada con una mano mentre con l’altra afferrava il polso dell’uomo, indirizzando l’arma verso l’alto. Quando lo vide esalare il suo ultimo respiro, estrasse la spada dal corpo dell’uomo con un gesto secco, facendolo capitolare in basso con un tonfo.
Siri, ancora stesa per terra, si era girata su un lato facendo peso sull’avambraccio aveva alzato il busto verso Levi che, ancora con quella calma terrificante, si era diretto verso di lei essudando rabbia da tutti i pori.
- Ne ho visti di muli cocciuti. – si fermò davanti a lei e si premurò di scandire bene ogni singola parola – Ma tu li batti tutti.
Siri, che ancora si teneva con l’altra mano la gola, guardò prima la spada dell’uomo da cui colava ancora del sangue e poi i due uomini morti oltre le sue gambe, quindi alzò le sopracciglia e con una voce che pareva più un soffio disse: - Due a uno… Hai vinto tu questa volta… Certo, un po’ eccessivo, però…
Levi ripose la lama e s’inginocchio davanti a lei: - Ci voleva che qualcuno cercasse di soffocarti per mettere a freno quella lingua, è in momenti come questo che vorrei tanto mozzartela. – le afferrò saldamente le spalle con entrambe le mani – Perché non sei rimasta con gli altri?
Siri, che pian piano stava riprendendo fiato e tranquillità, strizzò gli occhi: - Ero… in ritardo…
Levi abbassò lo sguardo sulle spalle della donna mentre strofinava la sua tuta sotto le dita: - Non è nemmeno quella ignifuga, perché hai su quella normale? Hai forse tendenze masochiste? Ti piace far bruciare la pelle?
- Forse non ho visto bene, non credo abbia import…
- Mi sembra ovvio, non si vede un cazzo in questo buco. Va a cambiarti. – le disse mentre lei alzava scostandosi di dosso l’uomo che la bloccava – Non appena prendi Zeke sali su quello stramaledetto pallone volante e rimanici. Non credere di passarla liscia, farò rapporto ad Hange rispetto alla tua mancanza di giudizio.
- Mi ero dimenticata com’era stare ai tuoi ordini. – Siri si diresse verso la sua camera da letto per cambiarsi – Fortunatamente è solo per stasera.
- Sta zitta o danneggerai la gola. – lei scosse la testa divertita da quella sua premurosità sgarbata – Siri. Aspetta. Ce la fai?
Siri sventolò una mano e scivolò dentro la camera buia: - Sì, non è stato un combattimento corpo a corpo.
Socchiuse la porta e dopo aver dato un’occhiata di sfuggita alla sua immagine riflessa nello specchio lungo fino a terra vicino l’entrata, si guardò alle spalle per vedere Levi oltre l’uscio socchiuso. D’improvviso, un dolore fastidioso le trapassò il fianco. Digrignò i denti e abbassò lo sguardo perplessa.
Un piccolo foro frastagliato bucava la sua divisa e una grossa chiazza di sangue aveva scurito il tessuto circostante. Siri raggelò e portò una mano sul fianco, incredula: palpò leggermente la ferita e osservò i polpastrelli scuri di sangue. Se poco prima non sentiva il minimo accenno di dolore, adesso iniziava a sentire un crescente fastidio nel ventre, oltre che una orrenda sensazione per tutto il corpo che piano piano, senza gli effetti dell’adrenalina, stava prendendo coscienza della precaria situazione.
Tirò giù la zip in un lampo e si spogliò completamente, rimanendo solo in mutante e fasciature davanti allo specchio, prese la sua borsa e ripulì il foro del proiettile che, come constatò toccandosi il dorso, non ne aveva lasciato un altro di uscita. Si voltò verso la porta oltre la quale c’era Levi che l’aspettava.
Forse devo…
No.
Fece qualche movimento di prova e riusciva più o meno a muoversi, chiaramente con dolori lancinanti che le correvano lungo il corpo ogni volta, ma ci riusciva, l’emorragia sembrava anche essere sotto controllo, non riusciva a trovare motivi per dire a Levi di essere ferita e quindi dargli di che preoccuparsi e non farlo combattere al meglio. Mise uno straccio tra i denti e prese la pinzatrice cutanea dalla sua borsa: il sangue non usciva più dalla ferita, era chiaro il proiettile stesse fungendo da “tappo”, era quindi meglio lasciarlo esattamente dov’era. Una volta arrivata a Paradise si sarebbe concessa il lusso di farsi curare.
Strinse i denti e avvicinò la suturatrice alla ferita. Tirò un profondo respiro dal naso e con due colpi secchi chiuse i due lembi della ferita, soffocando un grugnito di dolore. Applicò un cerotto abbastanza grande e iniziò ad infilarsi la tuta il più in fretta possibile.
- Hai bisogno di aiuto? – Siri sobbalzò alla voce di Levi, ovattata dalla porta.
- Ehm… - infilò le braccia nelle maniche con non poche difficoltà – No, arrivo.
Levi entrò lo stesso e lei si voltò verso di lui, intenta ad armeggiare con la zip all’altezza del petto. Lui le si avvicinò e prese il cursore, tirandolo su con cura. Le chiuse il colletto e le tirò su la mascherina e il cappuccio che le lasciarono solo gli occhi scoperti. Temporeggiò sui contorni del passamontagna per farglieli aderire bene al volto: - Così non dovresti bruciarti. – le prese il volto fra le mani e la guardò finalmente negli occhi – Segui Zeke a distanza, rimani nascosta. Sai quando agire. Prendi il barbone e raggiungi Sasha e Connie, poi sali su quel dannato pallone e restaci. Il tuo lavoro è finito, è un ordine.
- Andiamo allora.
 
Avevano riempito la granata di Levi con talmente tanto esplosivo e fumogeno che il problema per Siri non fu tanto recuperare Zeke senza scottature, quando riuscire a vedere qualcosa tra il vapore e le fiamme. Come avevano previsto, il vapore causato dal gigante bestia fu sufficiente a nascondere i due fuggitivi dagli occhi indiscreti degli altri soldati, presi a rispondere all’inferno di proiettili a cui i soldati di Paradise li stavano sottoponendo. Come previsto, Siri trovò campo libero, nonostante avesse dovuto fermarsi più volte sia per nascondersi, che anche per far fronte alle fitte dolorosissime che le attraversavano il corpo.
- Non preoccuparti Siri, abbiamo tutta la notte davanti, prenditela pure comoda. – Zeke, da sotto al cappuccio nero che lei gli aveva messo sulla testa, aveva intuito ci fosse qualcosa che non andasse nella spia che, sapeva, doveva essere perfettamente capace di portarlo sottobraccio senza il peso degli arti che gli erano stati mozzati.
Siri, grondante di sudore, sospirò contrariata: - Mi chiedo perché Levi non ti abbia fatto esplodere anche la faccia. – si sporse oltre il parapetto del tetto su cui si era fermata a riposare e vide finalmente a qualche centinaio di metro da loro il percorso luminoso che i suoi due compagni di squadra avevano allestito.
- Finalmente…
- Sarà quello che dirò io quando saremo finalmente sul dirigibile.
Siri lo guardò sprezzante e lo prese di nuovo sottobraccio, facendosi forza, si gettò in avanti e raggiunse il percorso luminoso. Aspettò che arrivasse il dirigibile e quando riavvolse il cavo gettò dentro la porta spalancata il corpo di Zeke prima di entrare.
Connie, che era già all’interno, l’aiutò ad entrare: - Tutto bene Siri?
La spia si lasciò tirare su dal ragazzo e abbassò la maschera e il cappuccio con un sospiro liberatorio: - Uff… Sì, grazie Connie. Voi tutto bene? Sasha?
- Sono qui. – la ragazza era inginocchiata accanto all’entrata col fucile che copriva la ritirata. Siri chiese a Connie di portare Zeke nell’abitacolo di comando e prima di chiudersi in bagno, accarezzò il capo di Sasha. Quando uscì, scandagliò i soldati e notò con piacere che sia Jean, che Bernard e Yvonne erano tutti saliti a bordo. Le grida fastidiose di Floch la fecero strizzare gli occhi, quindi li superò per raggiungere l’abitacolo, non prima di aver redarguito nervosamente Floch.
Quando entrò poté percepire la forte atmosfera di tensione che c’era tra tutti i presenti, Levi era a dir poco nero dalla rabbia mentre Eren ai suoi piedi era stato ammanettato accanto a Zeke che, invece, aveva quella sua solita faccia tosta che tanto faceva innervosire la spia.
- Giuro, un’altra idiozia sul rinato impero di Eldia e faccio una strage. – incrociò lo sguardo di Eren che la stava osservando – Tu che hai da guardare? Sei soddisfatto?
- Il piano ha proceduto come previsto col minor numero di perdite possibili.
- Ah, lo prendo come un sì allora. – disse piccata Siri mentre gli si avvicinava.
- Non ne vale la pena Siri. – la fermò Levi perentorio – L’ho già preso a calci io.
- Me ne rallegro.
Armin, sentendo la voce roca della spia le si avvicinò preoccupato: - Siri… la tua voce. Che cosa è successo?
Lei si sbottonò il colletto della divisa e mostrò il grosso livido sul collo, lasciando tutti, tranne Levi, sconcertati: - Un piccolo incidente di percorso. – con la coda dell’occhio osservò prima Yelena e poi Zeke. Qualcuno doveva essersi fatto sfuggire qualcosa e, se all’inizio aveva immediatamente pensato ad Onyankopon e ad una sua innocente svista, credette che forse quei due in realtà potessero centrare qualcosa. Le loro reazioni furono abbastanza eloquenti per Siri, che si limitò a registrarle nella mente per parlarne successivamente con Hange.
- Qualcuno vi ha visti? – s’intromise Levi, cambiando argomento.
- No capitano. Per quanto mi secchi ammetterlo, ha tutto proceduto liscio come l’olio, ma è tutto grazie alla pianificazione di Armin. – Siri si guardò attorno – Ma non c’è nulla da festeggiare, devo fare rapporto al comandante Hange, la mia copertura è saltata e ci sono altre questioni in sospeso di cui dovrei parlarle.
- Per quello c’è tempo. Adesso è meglio che tu ti occupi dei feriti.
- Va bene capitano. – Siri si voltò verso Armin e Mikasa, rimasta in disparte – Mikasa, stai bene?
Nel momento in cui la ragazza annuì mogia, si sentì un gran baccano provenire dal resto dell’equipaggio.
Levi si voltò verso la porta seccato: - Ancora tutto questa confusione?! – rivolse una breve occhiata alla spia, altrettanto nervosa – Siri.
Lei assentì col capo e prese un fucile dall’angolo della stanza: - Con piacere, capitano.
Uscita dall’abitacolo, si diresse a grandi passi verso gli altri soldati: - Allora, non mi avete forse sentito la prima volta?!
Siri impietrì sul posto. Sasha era a terra con un colpo nell’addome, Connie e Jean inginocchiati accanto all’amica mentre il resto dei soldati si accaniva su una coppia di bambini marleyani. Connie vedendola spalancò gli occhi lucidi, animato da una nuova speranza: - SIRI! Menomale che sei qui! Abbiamo bisogno di te!
Jean si voltò a guardare la maestra con un’espressione sconcertata, lei, a sua volta, non sapeva letteralmente cosa fare.
- Io non… - le parole le morirono nella bocca, sentì le gambe tremare, quando un'altra esortazione concitata di Connie la fece sobbalzare.
- Siri! Non c’è tempo, Sasha sta… VOI! – si voltò verso Bernard e Yvonne che si erano avvicinati alla scena e si stavano limitando ad osservare senza sapere che fare o dire – Recuperate la sacca di Siri, SVELTI!
Siri gettò via il fucile e accorse inginocchiandosi assieme agli altri due compagni di squadra accanto alla ragazza, si asciugò le lacrime col dorso della mano mentre corrugava le sopracciglia cercando di concentrarsi. Quello che avrebbe voluto dire a Connie era che, nonostante fosse la persona più indicata in quella situazione date le sue capacità, era anche quella più sbagliata a cui rivolgersi: in una situazione normale in ospedale, ma anche all’infermeria del corpo, lei non avrebbe potuto mettere un dito su Sasha, visti i sentimenti materni che provava per lei.
Iniziò a togliersi le fasce dalle mani il più velocemente possibile, mentre l’altro medico la raggiungeva e apriva veloce la tuta di Sasha per scoprirle la pancia. L’ennesimo strepitio dei soldati la fece voltare rabbiosa verso la rissa: - LA VOLETE PIANTARE?! – quell’urlo disperato le tolse definitivamente la voce, ebbe una fitta alla gola e al basso ventre facendole chiudere gli occhi per il dolore.
Resisti ancora un po’.
Jean si abbassò su di lei, ancora del tutto impanicato: - Stai bene?
Lei gettò via le fasce e gli disse: - Porta quei due bambini via di qui, immediatamente.
- Sì. – Jean si alzò e fece come le disse.
Siri abbassò lo sguardo sulla ferita della ragazza. Il sangue sgorgava copioso e la pelle si faceva sempre più pallida. Non perse tempo e iniziò a scambiarsi pareri e strumenti con il collega di fronte a lei, ma dopo essersi sporcati entrambi le mani e aver riempito la piccola incisura che si erano aperti di garze per tamponare, il medico di fronte a lei le rivolse una breve occhiata: Siri si era già fermata ormai qualche secondo prima di lui e osservava le sue mani tinte di rosso.
Erano lezioni che aveva imparato ormai tanti anni prima: non curare un tuo affetto e non accanirsi.
Il problema era che, in quel momento, Siri non era sicura si fosse fermata perché per Sasha non c’era più speranza. Piuttosto stava pensando che le sue mani non fossero più capaci di salvare qualcuno, che forse quelle mani avevano deciso che non era più una loro responsabilità quella di curare.
Le girò per guardarsi il dorso e quella K incisa a caldo sulla sua pelle la convinse di quanto quello che aveva pensato fosse vero, un promemoria che nascondeva e che allo stesso tempo non riusciva ad ignorare: non poteva letteralmentecancellare tutte le morti di cui si era macchiata, era irrimediabilmente cambiata e non aveva nulla di diverso da persone come Kenny. Era caduta nel fango e sarebbe stata per sempre un mostro.
Connie, che continuava ad accarezzare la testa di Sasha, richiamò Siri: - Ehi! CHE STATE FACENDO?!
La spia incurvò le spalle: - Connie, la pallottola le ha preso un tronco arterioso, il sangue che ha perso è troppo e…
- No!
- Connie, smettila ti prego… - una singola lacrima scese sul viso di Siri, poi entrambi non dissero più nulla fino a quando Sasha esalò il suo ultimo respiro dicendo loro una parola.
 
Seduta per terra con la schiena poggiata alla parete in legno, Siri rigirava tra le mani uno dei suoi pugnali. Non si era ancora rimessa le fasce, il dolore al basso ventre si stava facendo più pressante, ma quello che sentiva nel suo petto riusciva a sovrastarlo.
Il riflesso della lama le arrivò dritto negli occhi.
- VAFFANCULO KENNY! – Siri lanciò una sedia contro la porta chiusa – Mi hai sentita?! VAFFANCULO!
Non si sorprese affatto che quel ricordo le fosse venuto a galla proprio in quel momento, lo aveva raccontato anche a Levi e persino lui ne era rimasto pietrificato. Ma il tempo era la migliore medicina, assieme alla superficie e il ricordo della persona che era davvero. 
- Siri. – Levi le si era avvicinato, i suoi occhi furono attirati dal pugnale che la donna aveva tra le mani, gli sembrava di averlo già visto in passato ma non riusciva a ricordare dove. Quando lei alzò lo sguardo vacuo, mise via l’arma e prese le fasce che lui le porse. Mentre le riannodava alle mani si alzò e tossì per schiarirsi la voce ancora compromessa: - Non… Non sono riuscita a salvarla. – dichiarò ai presenti, Jean si limitò ad abbassare lo sguardo sui due bambini marleyani che ancora teneva dalle spalle, ma Connie, ancora attanagliato dal dolore cieco, strinse i pugni. Se da una parte voleva recriminarle qualcosa per sentirsi meglio, dall’altra era così di buon cuore che non avrebbe mai potuto farlo.
- Ah, beh, può capitare Siri. – esordì Zeke, guadagnandosi le occhiate interrogative di tutti i presenti – Non fartene una colpa, accade anche ai migliori. Soprattutto se diventano più avvezzi a toglierle le vite che a salvarle.
Tutti, ad eccezione di Yelena, credettero di non aver sentito bene. Levi aveva una facciata da mantenere e sapeva benissimo che una sua reazione non sarebbe stata opportuna, oltre che rendere vulnerabili sia lui che Siri: decise di restare perfettamente impassibile e si voltò lentamente verso la diretta interessata, all’apparenza altrettanto imperturbabile.
Zeke continuò, forte del silenzio dell’altra: - Cos’era? Ricina, vero? Ingegnoso, hai pensato che l’avrebbero scambiato per una brutta epidemia d’influenza. Un po’ macchinoso, ma la discrezione è tutto, te ne do atto.
Levi sgranò leggermente gli occhi. Aveva raccolto qualche tassello in più adesso, ma gli mancava la visione d’insieme e altri indizi.
- Ehi, come ti permetti! Guarda che… - Siri, senza voltarsi, alzò semplicemente una mano, facendo fermare all’istante Jean alle sue spalle dal dire altro. Era il suo modo per dirgli: Non ce n’è bisogno.
Si avvicinò lentamente all’uomo ancora fumante e gli si inginocchiò davanti, quindi, per essere sicura che lo sentisse bene anche con quel filo di voce che le era rimasto, sporse la testa in avanti, fermandola a pochi centimetri da quella dell’altro, ignorando l’ennesima fitta dolorosa con naturalezza: - Zeke, tu sei un morto che cammina. Quando ti uccideranno, voglio che tu lo sappia, io sarò in prima fila a godermi lo spettacolo. – inclinò leggermente la testa – Io sarò anche costretta ad essere così, ma tu… Come ci si sente a godere di quello che fai?
Zeke rimase in silenzio ad osservare il viso della ragazza: - Non fraintendermi Siri. Io sono d’accordo con te, una morte indolore è molto meglio che perpetrare un’altra dannazione.
Siri rinunciò dal continuare oltre quella conversazione e ignorò lo sguardo indagatore che Eren le rivolse per l’ennesima volta da quando Connie gli aveva detto le ultime parole di Sasha, perché la parola “porchetta” l’avesse lasciato così colpito l’aveva incuriosita, ma era troppo stanca e triste per indagare. Oltre che essere sotto occhi indiscreti.
La spia si avvicinò a Jean e si rivolse ai bambini: - Avanti, sedetevi, vi disinfetto le ferite.
Non appena Siri s’inginocchiò davanti alla bambina, questa le urlò contro: - NON TI AVVICINARE! Non mi fiderò dei discendenti del demonio!
- Sì, va bene, ma per favore abbassa la voce. I rumori forti non li ho mai sopportati. – le rispose, tirando fuori disinfettante e garze, mentre il bambino, invece, si sedette, sordo ai rimproveri dell’amica – Jean.
Il ragazzo si piegò per sentirla meglio.
- Un secchio.
- Come? – disse Jean, interdetto.
- Un secchio. Veloce. Non credo di resistere oltre.
Non appena glielo portò la donna rigurgitò, tenendosi un braccio attorno al ventre.
- Siri! – Jean le prese la fronte preoccupato – Sei sicura di stare bene? Sei molto pallida ed è da prima che…
- Sto bene Jean. – lo interruppe – È stata tutta la… situazione. – alzò la testa dal secchio, attirata da dei passi che le si avvicinavano: Levi si era piegato davanti a lei e le stava porgendo un fazzoletto. Non sembrava arrabbiato, anzi, preoccupato perché la morte di Sasha doveva essere stato un brutto colpo per lei.
Dopo essersi data una veloce ripulita, Siri rinnovò la sua offerta e solo Falco si sottopose subito alle sue cure, mentre Gabi, non appena l’altra fece per avvicinare il batuffolo di cotone imbevuto alla bambina, si tirò indietro.
- Che senso ha questa scenetta?! Buttateci dal dirigibile! Preferisco morire, non rivelerò i segreti della nostra nazione se è quello che sperate!
- Gabi, smettila. – Falco sembrava vergognarsi del suo comportamento.
Siri lasciò cadere le spalle in basso e guardò il pavimento. Non poteva certo biasimarla, aveva scoperto che il suo capo, su cui riponeva cieca fiducia, faceva il doppio gioco col nemico, nei suoi panni avrebbe reagito allo stesso modo. Dopo varie rimostranze e battibecchi, alla fine Gabi non si lasciò toccare, motivo per cui Siri lasciò vincere stanchezza e dolore sulla frustrazione e si sedette per terra, cercando di nascondere quanto più potesse il sudore che le imperlava il viso.
Più di una volta credette di essere sul punto di svenire, faceva respiri profondi e beveva poca acqua alla volta.
Resisti ancora un po’.
Non puoi ancora.
Se avesse rivelato di avere una pallottola nel fianco, si sarebbe scatenato il panico e il secondo medico di cui disponevano non aveva di certo la preparazione che sperava. Senza contare che il dirigibile non era di certo il posto migliore dove improvvisare un’operazione chirurgica. Non avevano né luoghi sterili né competenze necessarie, si sarebbe operata da sola se solo non sapesse perfettamente che sarebbe svenuta dopo poco. 
Doveva solo attendere di arrivare a Trost, lì sarebbe potuta sopravvivere.
Jean, seduto accanto a lei, ebbe un crollo emotivo e scoppiò in lacrime sulla sua spalla, lo abbracciò senza rivolgergli la parola, concentrata per non far trasparire alcun tipo di dolore. Tirò su il cappuccio, nonostante Levi non la stesse guardando minimamente, per preservare la segretezza del loro rapporto, doveva mascherare quanto più possibile il suo stato.
Resisti ancora un po’.
 
Il dirigibile finalmente atterrò a Paradise, poco fuori Trost, dove era stato allestito un primo centro di soccorso per i feriti. Siri si rese conto che avevano raggiunto la destinazione solo dopo che gli altri nell’abitacolo si furono alzati. Era il corpo a condurla, non ricordava nemmeno di aver percorso il corridoio ed essere uscita dal veicolo.
Resisti.
La luce del mattino era accecante, riparò con la mano gli occhi, e guardò davanti a sé: alcuni soldati portavano sulle barelle i corpi dei caduti coperti da un lenzuolo, i medici e gli infermieri di primo soccorso si affaccendavano sotto i tendono tra feriti e cadaveri per smistarli e compilare le cartelle da consegnare all’ospedale assieme ai pazienti. Si voltò a guardare la testa del dirigibile: Hange e Levi, ognuno con un buon assortimento di soldati, avevano rispettivamente Eren e Zeke in manette.
Bene, pensò.
Si sentì chiamare e rivolse di nuovo lo sguardo dinanzi a sè.
- Siri…? – Jean, qualche metro più lontano, si era fermato e guardava scioccato il suo volto pallido e sudato. Poco più avanti, anche Yvonne e Bernard, in disparte rispetto a tutti gli altri, si erano voltati e ora la fissavano interrogativi.
La spia fece qualche passo e poi capitolò per terra.
- SIRI! – il grido di Jean fece voltare in allarme tutta la squadra di Levi e il comandante stesso verso l’entrata del dirigibile. Levi si allontanò dal suo cavallo con non calanche e si fece spazio tra i soldati che gli coprivano la visuale. Non appena scorse in lontananza Jean piegato su Siri, alzò il passo e con rapide falcate li raggiunse.
Jean continuava a scuoterle le spalle, completamente in panico: - Siri! Rispondimi!
Levi s’inginocchiò e risoluto verificò il battito sotto la mandibola, poi le alzò una palpebra e le osservò la pupilla che si restrinse con l’impatto della luce.
- Jean, che ti ha detto? – il tono del capitano era fermo e diretto – Può essere che abbia ingerito quella cosa di cui parlava il barbone? La ricina?
Il ragazzo aveva gli occhi sbarrati mentre faceva mente locale, ma proprio non riusciva a mettere due parole in fila.
- Jean! Concentrati e rispondimi!
- No. – Levi alzò la testa, Bernard si era avvicinato loro – La ricina non ha un effetto immediato. Non sembra comunque l’effetto di alcun veleno, sta andando in shock.
Levi tornò a guardare Siri che boccheggiava, fece scorrere veloce gli occhi sul suo corpo quando vide la mano di lei poggiata sul fianco. La realizzazione lo punse nel vivo, col cuore in gola, afferrò la zip della sua tuta e la fece scorrere fino all’addome, la aprì e alla visione del grosso cerotto rosso sul fianco un formicolio poco piacevole gli risalì lungo la spina dorsale. Con uno strappo deciso, rivelò il foro di un proiettile nel fianco della donna, una graffetta ancora agganciata ai due lembi di pelle mentre l’altra, che aveva ceduto, pendeva traballante da un’estremità.
Jean sbiancò: - Perché la tuta non è bucata? – riuscì a dire incredulo.
Bernard, ancora in piedi, disse qualcosa su cui Levi, lì per lì, non rifletté: - Deve andare a Trost. Qui morirà sicuramente. Merda, sapevo che non era nelle condizioni di proseguire…
Siri, delirante, percepiva le voci e le persone attorno a lei come echi distanti, riusciva a vedere soltanto tanta luce, poi un ordine da Hange, le parve di capire, qualcuno che la sollevava e la portava via tra le braccia. Riconobbe il profumo del sapone di lavanda che gli aveva regalato, il manto nero del suo cavallo, Jean che aiutava il capitano a farla salire in sella. Erano solo una serie di immagini che scorrevano, una dopo l’altra, ricordava solo più lucidamente di sedere petto contro petto con Levi a cavallo, la mano di lui che la teneva ferma e la sua spalla, su cui abbandonò la testa.
Levi… - lui sentì le braccia di Siri abbracciarlo e aggrapparsi al mantello sulle spalle – Ho paura…
A malapena riuscì a scendere da cavallo con lei in grembo senza cadere quando arrivarono finalmente davanti l’entrata dell’ospedale, questo perché Siri non aveva paura di niente, ad eccezione di una cosa sola.
La morte.

Nota: ancora una volta non sono riuscita a correggere i primi capitoli, ma i più attenti, o chi magari ha riletto il capitolo precedente, avrà notato che ho pubblicato più o meno una settimana fa una versione migliore del capitolo. se siete curiosi, ho cambiato qualcosina, aggiunto delle migliorie.
Quest'ultimo capitolo non mi soddisfa molto, ho tagliato parecchie parti (ad esempio c'era un dialogo tra Siri e Gabi e Falco) e alla fine forse le scene a cui tenevo maggiormente ci hanno rimesso. sinceramente non vedo l'ora di staccarmi definitivamente dal canon, è parecchio stancante riprendere tutte questi avvenimenti e rinarrarli.
perdonatemi per come il tutto possa sembrare troppo drammatico, è una cosa che evito accuratamente di fare, ma mi sono ritrovata un po' "costretta" diciamo.
forse questo malessere nello scrivere è un po' anche il riflesso di come mi sento verso AoT in questo momento, da poco è uscito il nuovo episodio e devo ancora riprendermi dallo shock, per un po' credo mi rifugerò nel mondo delle fanfiction AU perché, credetemi, ero in una valle di lacrime ed è stato difficile poi dedicarmi anche a questa fic, nata per essere un po' più leggera, ma diventata alla fine abbastanza impegnativa.
alla prossima!
 

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Capitolo 35
*** Capitolo 33 - Cala il sipario ***


Nota (un disclaimer): per favore, leggete il capitolo fino in fondo e anche le note finali, non posso spiegarne il motivo, ma durante la lettura sarà chiaro il perché della mia richiesta. Grazie e buona lettura.
 

Capitolo 33 – Cala il sipario

 

You drew stars around my scars
But now I'm bleedin'

'Cause I knew you
Steppin' on the last train
Marked me like a bloodstain, I
I knew you
Tried to change the ending
Peter losing Wendy, I
I knew you
Leavin' like a father
Running like water, I
And when you are young, they assume you know nothing

 
Barattolo dopo barattolo, le medicine prendevano posto ordinate sugli scaffali man mano che li pescava dallo scatolone. Un rumorosissimo sbadiglio fece voltare Siri verso l’ingresso dell’infermeria: Sasha, dopo essersi stiracchiata, stava prendendo il camice dall’appendiabiti all’ingresso.
Siri scosse la testa, tornando a riordinare i barattoli: - Tranquilla ragazzina, fai con comodo. Argh, non so più che fare per farmi rispettare, non vi faccio più paura come una volta. Cos’è quello? 
Sasha si sedette sullo sgabello e poggiò una piccola scatola di cartone bianca sul bancone di ferro: - Un dolce del signor Niccolò. Farò metà con le-… faremo metà!
La spia rimise un barattolo che aveva pescato nello scatolone e si voltò verso la ragazzina con una smorfia incredula in viso: - Sai che avete appena qualche anno di differenza, vero? Sei sempre troppo educata.
L’altra alzò le spalle e iniziò ad aprire il pacchetto: - Non mi ha mai sgridata per averlo fatto, ad ogni modo mi ha chiesto più volte di chiamarlo per nome ma, beh… – guardò di sottecchi Siri con un sorriso impacciato.
- Posso immaginare. – disse Siri, alzando gli occhi al cielo. Si sistemò poi all’altro capo del tavolo.
- Oggi quindi hai mangiato da Niccolò?
- Sì… – uno sguardo sognante si dipinse sulla faccia di Sasha – Oggi ha fatto gli… spaghetti… con aglio e peperoncino, poi la carne e una vagonata di contorni, era tutto così buono… Anche se tra tutti i suoi pranzi non è stato quello che preferisco.
Siri si fermò dall’ordinare il tavolo e la guardò interrogativa: - Tra tutti? Vai spesso da Niccolò?
- Oh sì! M’invita sempre quando può, dice che gli piace vedermi mangiare.
La spia sobbalzò: - … Come? Gli piace… vederti mangiare?
- Sì. – la ragazza aprì la scatolina completamente, rivelando un grosso tortino alle gocce di cioccolato che diffuse tutt’attorno un buonissimo odore di vaniglia – Dice che non sempre le persone per cui cucina sanno apprezzare i suoi piatti come me, e questo lo rende molto felice.
La spia la guardò con sempre più interesse, aprì la bocca scioccata quando comprese come Sasha, ingenuamente, ancora non aveva capito assolutamente nulla. Siri si avvicinò a lei strusciando il fianco sul lato del tavolo: - E dimmi… che altro ti dice Niccolò?
Sasha posò un indice sul mento e guardò il soffitto pensierosa: - Beh… parliamo di tante cose, cosa ci piace e cosa non ci piace, delle nostre famiglie, dei nostri amici… Oggi mi ha detto che gli piacerebbe tanto avermi sempre a mangiare da lui, io gli ho detto che sarebbe un’idea fantastica!
Siri sorrise e si lasciò sfuggire uno sbuffo mentre si teneva saldamente al bordo del tavolo: - Oh mamma, da sbellicarsi, c’è posto anche per me al prossimo pranzo? Non posso perdermelo.
Sasha annuì e afferrò un bisturi nelle vicinanze: - Va bene, però non lo spaventi per favore… - il sorriso di Siri scomparve quando abbassò lo sguardo sulle mani della ragazzina intenta a tagliare in due metà disuguali il muffin con l’attrezzo chirurgico, ormai non più sterile.
La donna sospirò sonoramente mentre teneva lo sguardo fisso sull’abominio a cui stava assistendo: - E dire che quando ho iniziato a lavorare con voi non avevo pazienza. – si massaggiò la fronte frustrata – Shawn guardami adesso, potrebbero farmi santa.
Quando Sasha finì di tagliare e le porse una metà, Siri, guardando i suoi occhi dolci accompagnati dal sorriso affettuoso, non poté fare altro che scuotere la testa e sorridere a sua volta. Prese il dolce e lo rigirò tra le mani.
- Sasha… Io… Ti sono grata.
La ragazzina rimase col pezzo di muffin sospeso davanti alla bocca.
- Quello che mi hai detto quella notte… mi ha fatta riflettere, non sarei qui per tante ragioni ma essere stata a contatto con voi mi ha fatto aprire gli occhi su quante cose mi stessi perdendo. E tu sei stata la prima ad essere gentile con me, anche quando non me lo meritavo. – Siri portò una mano sulla cicatrice in faccia, la ferita che la persona seduta accanto le aveva ricucito. Senza Sasha, la spia non avrebbe mai contemplato il fatto di avere una possibilità.
Sasha si alzò e le circondò le spalle con un abbraccio affettuoso, posando la fronte sulla tempia della spia che sgranò gli occhi. Lei non aveva chiuso solo lo strappo che aveva sul viso, seppure in tanti avevano contribuito a rimarginare quello che la dilaniava dentro, lei era stata la prima a mettere il primo punto.
***
 
Non appena Siri mise i piedi per terra, iniziò a zoppicare tenendosi alla spalla di Levi che fu subito circondato da un gruppo d’infermieri che si trovavano nell’ingresso dell’ospedale. Quasi restio, il capitano lasciò andare la spia che fu presa di peso dagli assistenti che, tastandola e cercando di spogliarla, la caricarono su di una barella: fu quando assistette impotente a quella scena che il sangue freddo abbandonò del tutto Levi, che iniziò a sudare.
Pieno di una nuova fortissima agitazione prese la spalla di un infermiere e lo voltò a forza verso di lui: - Il dottor Garret. – il ragazzo abbassò lo sguardo sulla mano dapprima confuso e poi indispettito – Dovete chiamare lui.
- Capitano Levi, stiamo ancora cercando di effettuare il triag-
- Chiamatelo! – alzò la voce quel tanto che bastò per far voltare verso di lui anche il resto degli infermieri, una in particolare annuì con vigore e corse nel corridoio e dopo pochi secondi tornò col dottor Garret al seguito. Levi lo vide accostarsi a Siri e sentirle il battito con lo stetoscopio velocemente, mentre la infermiera gli parlava meccanica e veloce, aggiornandolo sulle informazioni che avevano raccolto fino ad allora visitandola.
D’improvviso, Siri afferrò il camice del dottore e, tirandolo a sé verso il basso, si sporse al suo orecchio sussurrandogli qualcosa prima di abbandonarsi sul materasso e collassare. Fu solo allora che Shawn alzò lo sguardo e lanciò un’occhiata a Levi, impietrito dall’angoscia a qualche passo di distanza: annuì e si morse le labbra, mentre spostava lo sguardo nervoso dalla ragazza in fin di vita al capitano.
- Portatela in ginecologia per ora! Forza! Chiamate Fischer e Klein! – si rivolse poi all’infermiera che l’aveva chiamato – Kerstin, seguirai il caso con me. 
Il resto dei dipendenti attorno a lui gli risposero in coro affermativamente, chi correndo da una parte chi dall’altra, chi invece trascinando via la barella alla volta del reparto.
- Tu, ragazzo. – Shawn camminava all’indietro per seguire il lettino che si allontanava ma teneva gli occhi fissi nei suoi, autoritario gli puntò il dito contro – Va via, capito? Non rimanere qui. – detto ciò, corse via e sparì dietro l’angolo del corridoio oltre la sala d’accoglienza.
Levi era rimasto in piedi nello stesso posto per qualche secondo, credette di stare per avere un colpo al cuore da quanto forte e veloce lo sentiva battere. Aprì e chiuse i pugni ripetutamente, indeciso su cosa fare, quando una forte nausea gli tolse il respiro.
- Capitano Levi, lei sta bene invece? – un’infermiera gli si era avvicinata e si era piegata su di lui per controllargli gli occhi. Lui ebbe appena la forza di annuire con la testa.
- Ne è sicuro? Tra poco qui arriveranno il resto dei soldati feriti e i deceduti, può essere l’ultimo momento di tranquillità che posso dedicarle. A tale proposito, sa darmi un’idea dell’ammontare dei feriti da aspettarci?
Anche qualora Levi avesse saputo risponderle, non avrebbe potuto aiutarla a trovare una risposta ai suoi quesiti dal momento che era più impegnato a respirare a pieni polmoni quanta più aria potesse. L’infermiera ebbe la perspicacia di farlo sedere non appena notò il viso imperlato di sudore, ma non di smetterla di fargli domande che lui, ormai, non riusciva più nemmeno a sentire. Levi poggiò i gomiti sopra le ginocchia e si piegò su sé stesso, prendendosi la testa fra le mani: solo questo fece allontanare l’infermiera che continuò a tenerlo d’occhio, anche dopo essersi sistemata dietro il bancone di accettazione.
C’era un vuoto sotto di lui, un grosso buco nero che lo risucchiava verso il basso, Levi riusciva a sentirlo, quasi a vederlo con gli occhi puntati verso il basso a studiare le venature del pavimento vecchio e rovinato. Tutt’attorno era come se ci fosse il nulla più assoluto, non riusciva a sentire nemmeno i suoi stessi pensieri a dirla tutta, un forte rumore bianco che gli riempiva la testa, che sentiva sempre più pesante.
Come siamo arrivati fin qui?
Avrei potuto prevederlo?
Chiuse gli occhi e prese un respiro profondo. La speranza lo riportava a galla, la disperazione e la tristezza cercavano di trascinarlo verso il basso: in passato aveva affrontato più lutti di quanti una persona se ne potesse aspettare in una vita intera, ma perlomeno la morte era definitiva, ciò che stava affrontando in quel momento era forse anche peggio. Un limbo estenuante.
Passarono lunghi minuti prima che riuscisse a sedersi composto e iniziare finalmente a pensare di nuovo in maniera coerente, i suoi compagni feriti avevano iniziato ad arrivare in ospedale che piano piano stava perdendo la tranquillità di poco prima. Per distrarsi si guardò attorno assente e si rese conto di aver tralasciato qualcosa, un dettaglio importante. Posò lo sguardo sull’infermiera che aveva cercato di assisterlo inutilmente e si concentrò su quanto era accaduto nell’ultima mezz’ora.
L’infermiera, sentendosi osservata, guardò Levi a sua volta: - Capitano, si sente meglio adesso? Vuole dell’acqua?
- In che reparto avete portato la soldatessa che è arrivata con me?
- Ginecologia signore, sa…
- Chi portate in quel reparto? – lo chiese lo stesso, nonostante sapesse già la risposta. Quella frase di Bernard a cui aveva dato poco peso, gli attraversò la mente veloce come una freccia.
- Beh, solo le partorienti, ma in genere tutte le donne che… Capitano! Dove va? – l’infermiera tentò inutilmente di fermarlo a parole, ma ormai era schizzato via fuori dall’ospedale.
Levi non dovette prendere nemmeno il cavallo, Bernard era poco distante dall’ingresso assieme a Yvonne e Connie attorno a Jean che, con le mani sulle orecchie, era seduto per terra con gli occhi sbarrati.
- Jean, vedrai, andrà tutto bene. – Connie si era seduto accanto a lui e gli aveva circondato una spalla, anche lui sembrava decisamente turbato – Siri non avrebbe mai continuato a combattere se non se la fosse sentita.
Yvonne, in piedi con le spalle poggiate al muro, guardava Jean dall’alto in basso: - Che io sappia questo è il migliore ospedale all’interno delle mura, Siri l’ha scelto apposta per il primo soccorso. Non ne capisco, ma sono sicura che lei ha fiducia nei medici di qui.
Bugie. Era tutto quello che Levi riusciva a sentire mentre si avvicinava nero di rabbia verso di loro, l’unica cosa che occupava il suo campo visivo era però Bernard in piedi di fronte ai ragazzi, totalmente ignaro. Quest’ultimo si accorse di Levi soltanto quando Connie, vedendolo, richiamò Jean alla realtà.
- Jean, guarda! Il capitano Levi!
L’altro si alzò di scatto: - Capitano, Siri come… 
Nel momento stesso in cui si voltarono verso di lui, Levi strattonò Bernard verso il basso e gli piazzò un cazzotto sullo zigomo, facendolo cadere per terra frastornato.
- Oh cazzo. – Yvonne rimase scioccata dalla scena che le si parò di fronte, esitò a intromettersi fino a quando gli altri due accanto a lei non lo fecero, ma ormai Bernard si era beccato abbastanza botte da sanguinare dalla bocca.
- Sei un maledetto bastardo! – berciò Levi, con Connie e Jean che adesso lo trattenevano a stento dalle spalle.
Bernard, a terra, si pulì le labbra dal sangue e si sporse verso di lui per poi essere fermato da Yvonne, che con un’occhiata gli fece capire non fosse assolutamente una buona idea.
- Ma che cazzo ti prende?!
Levi tentò di divincolarsi: - Perché l’hai fatta combattere anche se sapevi?!
Tutti lo guardarono interdetti, Bernard si alzò e scosse la testa: - Che cos’è che dovevo sapere, maledetto psicopatico?!
- “Non era nelle condizioni di combattere”, certo che sei proprio bravo a fingere. Sai benissimo di cosa sto parlando, e sai anche dov’è che l’hanno ricoverata. Cos’è che voleva dirmi una volta tornata qui? Avanti. Dillo.
Bernard realizzò all’istante l’intuizione di Levi e tentò di fronteggiarlo, ma Yvonne s’interpose. Jean e Connie si guardarono e allentarono la presa sul capitano, increduli.
- Sarai anche il più forte, ma sei proprio stupido. Dove pensi che siamo? In un qualche romanzetto rosa che esce sui periodici?! Magari sei un abbonato o forse viaggi tanto di fantasia. E lasciami tu! – Bernard spinse via l’allieva – Vuoi davvero sapere cosa voleva chiederti una volta tornati o preferisci prendermi a calci in bocca fino a che non potrò più dirtelo?! Dopotutto chissà da quanto non aspettavi di fare altro.
Levi si zittì, per farlo continuare. Non riusciva a riconoscersi, né tantomeno i suoi due sottoposti che non l’avevano mai visto perdere la calma in quel modo, a parte qualche sporadica sfuriata. Il loro capitano non reagiva d’impeto, nascondeva le sue emozioni con una maestria disumana e iniziarono a pensare che forse quanto stavano assistendo fosse il risultato di quella pratica poco salutare.
Bernard sorrise, valutando seriamente l’idea di non dirglielo: - Voleva dimettersi. Voleva farlo non appena messo piede qui e voleva che tu la seguissi. Ma non ti avrebbe mai obbligato o chiesto di farlo. 
Connie e Yvonne ebbero la reazione più genuina che ci si potesse aspettare ad una rivelazione del genere, guardandosi tra loro increduli.
- Tu… – Connie si era poi voltato e fissava adesso Jean che, invece, non sembrava affatto sorpreso – Lo sapevi? E adesso… Siri potrebbe perdere il…
- Non c’è nessun bambino, idiota. – Bernard spostò lo sguardo sprezzante di nuovo su Levi – Voleva solo chiederti che cosa volessi fare una volta risolta la situazione. Mi dispiace non essere il bastardo totalmente preso da sé stesso che sacrifica chiunque indistintamente. Ma ti dico una cosa: l’avrei fatto, hai ragione, ma non con lei.
Levi lo guardò andare via, quindi, poco dopo, si divincolò dai due ragazzi e andò via anche lui.
 
***
Accadeva raramente, eppure Bernard era stato sincero agendo attivamente contro i suoi interessi, perché Siri non avrebbe mai assecondato i propri. Ne aveva avuto la riprova quando l’aveva trovata in uno stato pietoso nel bagno dell’appartamento a Liberio.
Non appena aveva aperto la porta, si era fermato sull’uscio, incrociando gli occhi rossi di lei che lo guardavano dal basso: era seduta sul pavimento, rannicchiata, con le spalle sulle gelide piastrelle delle pareti, i capelli tutti spettinati che ricadevano lungo il viso rigato dalle lacrime.
- Fattela addosso. E chiudi la porta quando vai via.
- Posso chiederti…
- No. – Siri abbandonò la testa sul muro e la voltò per non guardarlo.
- Beh, – Bernard si poggiò sullo stipite della porta – sarai anche il capo, ma non lavori da sola. Su di te ricade la responsabilità di tre vite appartenenti a questo reggimento. Se per caso ritenessi che tu non sia più in grado di guidarci, non esiterei un singolo istante ad...
Si fermò perché l’altra aveva iniziato a ridere sommessamente alle sue parole.
- Adesso t’importa delle vite degli altri?
- M’importa se in ballo c’è anche la mia. – mentì – Ma non credere che non mantenga la parola. E non credo tu sia disposta a mettere a rischio il tuo prezioso Jean-Jean, che prenderebbe il tuo posto se tu andassi via.
Siri emise un rantolo e si massaggiò una tempia: - Che stronzo.
Bernard rimase in silenzio, aspettando una risposta che lo soddisfacesse.
- Sono solo stanca Bernard, ecco tutto.
- Mmh, non credo sia tutto.
- È tutto quello che ti serve sapere.
- Te lo ripeto, non è abbastanza.
- Cazzo, la vuoi piantare?! – Siri fece pressione sulle tempie con le dita, gli occhi chiusi – Non voglio più lavorare. Non voglio più essere una spia, sei contento?
Lui alzò un sopracciglio: - Beh, è un bel problema.
- No. Questo non lo è. – prese un respiro profondo – Il… problema… è che non voglio essere sola quando me ne andrò via.
L’allusione a Levi era troppo esplicita per far finta di non aver capito, Bernard annuì: - Mi sembra abbastanza semplice da ovviare come problema, chiediglielo e basta. Sei sempre stata una gran piagnona ma mi sembra esagerato.
- Non posso.
- Eh? Che senso ha?
- Il senso… – Siri riaprì gli occhi – Il senso è che non posso chiederglielo, capisci? Non sarebbe giusto.
Bernard fece una smorfia confusa: - E allora che hai intenzione di fare scusa?
- NON LO SO! – sbottò lei, voltandosi – Non lo so…
Calò il silenzio, Bernard fissò il suo corpo illuminato dalla flebile luce lunare che entrava dalla porta del bagno, la sua stessa ombra che copriva di nero le gambe ora distese della spia. Non aveva più senso insistere e proporsi al posto di Levi, era stata molto chiara dall’inizio della missione e, con molta fatica, mise da parte i suoi interessi.
- Non capisco. Tu parli di giusto o sbagliato, sono cose che, onestamente, ho dimenticato tanto tempo fa. E tu altrettanto.
A differenza sua, a Siri avevano insegnato cosa fosse giusto, sapeva considerare nell’equazione i sentimenti degli altri e lei non poteva condannare Bernard perché nessuno lo aveva amato. Per cui aspettò che le rivolgesse altre domande.
- Per me è davvero difficile comprenderlo, Siri. Perché non dovrebbe essere giusto?
- Perché c’è una grande differenza tra quello che voglio e quello che posso fare. E come potrei chiedergli di venire via con me e abbandonare tutto e tutti? Lo farebbe, forse, ma poi? Che razza di persona sarei? – poggiò la testa sulle ginocchia – Una che non lo lascia scegliere. Non posso fargli questo.
Era quello allora l’amore, pensò Bernard. Essere disposti a rinunciare ad avere accanto chi ami pur di poterlo fare senza rimorsi o egoismi. Era abbastanza sicuro che Levi l’avrebbe assecondata, sarebbe andato via con lei, ma l’avrebbe fatto senza che quella decisione avrebbe poi avvelenato il loro rapporto?
Era probabile che Siri neanche volesse sapere la risposta di Levi alla domanda che lei voleva porgli, era forse meglio semplicemente fare congetture, o non chiedere nulla a prescindere.
- Chiediglielo. – Siri lo guardò di sbieco – Questo è il mio parere: potrà non essere giusto, ma per persone come noi ha sempre avuto poca importanza. Magari è stanco anche lui.
Siri era fatta in un modo ben preciso: non era mai stata una che si tormentava pensando al futuro, viveva il presente per come le capitava, aveva imparato ormai molto tempo prima che pianificare troppo le portava solo il dolore di non essere dove voleva quando aveva immaginato ci sarebbe stata.
Deglutì il groppo che aveva in gola: - Non gli chiederò di seguirmi. – ci pensò su un momento – Gli chiederò cosa ha intenzione di fare quando sarà tutto finito.
***
 
Passarono alcuni giorni da quando Siri fu ricoverata e Levi andò in ospedale ogni singola notte per cercare di farle visita e non dare nell’occhio, ma non ci fu modo per lui di andare a trovarla prima che partisse per una foresta di alberi giganti dove sarebbe rimasto con Zeke fino a data da destinarsi. La prima notte ad aspettarlo all’ingresso dell’ospedale c’era l’infermiera Kerstin che non appena lo vide quasi lo placcò per scusarsi a nome della sua collega e spiegare il malinteso. A quanto pareva, quando il corpo di ricerca era di ritorno dalle loro missioni, i feriti erano così tanti che riservavano parte del reparto di ginecologia alle soldatesse: così erano riusciti a ridurre i casi d’infezione e i medici oltre che gli infermieri riuscivano ad essere più produttivi e attenti.
Levi aveva messo su una maschera di totale apatia, ringraziò Kerstin, nonostante quella spiegazione fosse arrivata troppo tardi, e le chiese come stesse Siri. Come prevedibile, non ricevette alcuna risposta soddisfacente, la prognosi era riservata e neanche il dottor Garret, che ad ogni visita era sempre nei paraggi, “se la sentiva” anche solo di parlargli. Ma Levi ebbe la sensazione che lui volesse farlo eccome, da come da lontano lo studiava con quei piccoli occhi attenti che spostava sempre da un’altra parte quando il capitano li sorprendeva nella sua direzione.
La terza notte era stanco di essere mandato via con nessuna informazione, l’apatia e l’ansia lo stavano sgretolando, voleva solo una risposta, ma ancora una volta trovò Kerstin a sciorinargli scuse su scuse.
- Mi dispiace, ma quel reparto è molto delicato, cerchi di comprendere. Anche volendo, non posso permetterle di farle visita.
- Non sono ancora diventato un completo rimbambito, lo so perché è la stessa cosa che mi dite da tre giorni a questa parte. Magari potreste provare a darmi una semplice risposta, non credo sia così difficile.
- L’operazione a cui abbiamo sottoposto la sua collega è stata lunga e difficile, non possiamo dire che va tutto bene se nei fatti non lo sappiamo.
Levi incrociò di nuovo lo sguardo del dottor Garret che a qualche metro da lui faceva finta di compilare delle cartelle. Espirò contrariato e superò Kerstin: - Mi sono stancato di queste stronzate.
- Aspetti!
Levi raggiunse Shawn che finalmente sembrò non fare più finta che non esistesse.
- Lei è il dottor Garret, mi risparmi i giochetti e inizi a parlare chiaramente.
Il medico guardò Kerstin alle spalle di Levi che cercava di scusarsi, ma con un cenno condiscendente la fece andare via.
- Capitano Levi. Non credo ci siamo mai presentati, sono il dottor Shawn Garret. 
- Tanto piacere. – disse l’altro sarcastico.
- Mi spiace per il fraintendimento quando abbiamo ricoverato Sigrid, certo, se fosse rimasto glielo avremmo spiegato, ma non potevo certo aspettarmi una compagnia diversa per una testona come la mia figlioccia. – il dottore lo guardò eloquente – Come le ha anticipato la mia collega, l’operazione è stata complicata, l’hanno sparata a distanza per fortuna perché il proiettile non è andato molto in profondità fino ai grossi vasi, ma abbiamo dovuto asportarle un ovaio e parte dell’intestino. Per questo non possiamo essere certi sia fuori pericolo, sa, a causa delle infezioni. Inoltre…
- Levi. – il medico fu interrotto da Hange che era spuntata dal corridoio che portava ai reparti e ora si dirigeva a grandi passi verso i due.
Il capitano fulminò con lo sguardo Shawn: - Non potete far entrare nessuno, eh?
- Che ci fai qui Levi? – il medico approfittò di Hange per sgattaiolare via e scomparire in una stanza. Levi lo seguì con lo sguardo e poi dedicò la sua completa attenzione al superiore: - Da quando in qua fai domande inutili? Credevo fossi la più intelligente tra noi.
Lei lo guardò stizzita: - Sai che sono estranea a certe dinamiche, mi limito ai fatti con cui posso fraternizzare con la logica. Ti ripeto, che cosa ci fai qui? Saresti dovuto partire già stamattina.
- Non ricordavo avessimo tutta questa fretta.
Hange sospirò mentre la sua faccia si contrasse in una espressione arrabbiata: - Non si parla di fretta, ma di ordini militari dal tuo superiore in comando. Se ti becco di nuovo qui, desidererai non avermi mai disobbedito. – lo superò, dirigendosi verso l’ingresso, poi si fermò a metà strada per aspettare che la seguisse. Levi digrignò i denti, ma la raggiunse, uscendo con lei dall’edificio.
- Non credevo fosse contro le regole venire in ospedale.
Il comandante prese le briglie del proprio cavallo, i suoi occhi brillavano di una rabbia che a stento riusciva a controllare, la sua voce venne fuori acida e severa: - Tu non sei nella posizione di parlarmi di regole. Domani mi assicurerò che tu e i tuoi soldati partirete come da programma, ti ho avvisato Levi, obbedisci.
Levi ritenne la reazione di Hange esagerata rispetto alla gravità della situazione, non riusciva a comprendere se non volesse che lui incontrasse Siri o che ignorasse i suoi doveri per questo motivo. Salì sul suo cavallo e temporeggiò davanti all’ospedale, osservando le finestre pieno di malinconia: fosse stato anche un ultimo saluto, meritava di darglielo.
Se ne andò e il giorno dopo all’alba partì alla volta della foresta.
 
Il morale per il resto dell’isola non era di certo molto diverso da quello con cui Levi era partito perché, nonostante la schiacciante rivalsa, Eren era stato incarcerato, apparentemente senza motivo, e questa decisione aveva creato non pochi disordini, insieme al fatto che non erano state date risposte chiare in merito all’avvenire di Paradise.
Si prospettava un futuro ancora nebuloso oltre che una separazione netta tra nord e sud delle mura: chi aveva sofferto maggiormente delle stragi dei giganti reclamava la liberazione immediata di Eren, mentre a nord, complice la sparizione della regina, si respirava un clima più insicuro sulle decisioni da prendere, oltre che meno rivolte. In una sola settimana una parte dell’isola era piombata nel caos, mentre l’altra supportava l’esercito e attendeva notizie che non tardarono a prendere una piega quasi inaspettata: Eren era fuggito di prigione.
Il ragazzo aveva passato giorni interminabili e notti irrequiete, né Hange, né tantomeno Siri erano andate a trovarlo e lui aveva un disperato bisogno di parlare a una o all’altra. Non poteva più aspettare che si decidessero a dargli udienza, quindi, come suo solito, agì di testa sua.
Col potere del gigante martello riuscì ad evadere di prigione e non appena fuori dalla cinta muraria, si sentì pervaso da un’ansia da mozzare il fiato. Aveva realizzato che tutto stava procedendo troppo velocemente, mentre prima aveva tutta la situazione sotto controllo, adesso non era sicuro di nulla. Corse via nella notte, dirigendosi al quartier generale del corpo di ricerca più vicino a Trost: non era sicuro Floch fosse già stato arrestato, ma valeva la pena fare un tentativo. Al quartier generale realizzò ben presto che i suoi compagni erano stati già tutti arrestati, meditò se agire da solo o richiamare a sé le reclute Yeageriste: nascosto in uno sgabuzzino nel quartier generale optò per la seconda opzione, aveva bisogno di rinforzi, uomini armati, doveva liberare quelli imprigionati e cercare di reperire quante più informazioni possibili.
Siri, come si era aspettato, non era al quartier generale, era probabile si trovasse ancora in ospedale con quella pallottola nel fianco sicuramente non si sarebbe mossa di lì per almeno qualche altro giorno. Interrogare lei sarebbe stato più semplice, malridotta com’era. Il viso di Eren si contrasse in un’espressione sofferente, mentre tratteneva a stento le lacrime: adorava sia Siri che Hange, si sentiva un mostro a tradirle così, mettere sotto torchio la spia poi, dopo tutto quello che aveva dovuto passare, era semplicemente ingiusto. 
Si fece coraggio e uscì dal bugigattolo il più silenziosamente possibile: le lezioni della sua compagna di squadra si rivelarono tremendamente utili e, corridoio dopo corridoio, riuscì a sbucare sul piano in cui si trovava la stanza di una delle sue talpe. Stava procedendo a passo felpato, quando una voce familiare lo fece fermare all’istante davanti l’uscio di una porta semiaperta.
Si protese leggermente senza affacciarsi e si mise a sentire: Mikasa stava parlando, aveva la voce rotta, non distinse bene le sue parole ma ad un certo punto poté sentire chiaramente i suoi gemiti addolorati, soffocati dai palmi delle sue mani. Deglutì, pronto a ricominciare la sua marcia, quando riconobbe la voce di Jean e raggelò all’istante: con gli occhi spalancati osservava il pomello della porta, illuminato dalla luce soffusa della lampada all’interno della stanza. Voleva entrare con tutto sé stesso, asciugare le lacrime della sua amica, abbracciarla e stringerla a sé per confortarla. Avrebbe voluto spiegarle ogni cosa, fare qualsiasi cosa che non fosse proseguire.
Ma alla fine abbassò la mano e, semplicemente, la schiacciò sulla bocca con forza per tenere dentro di sé quel pianto disperato che tanto desiderava fare per sfogarsi. Mikasa si meritava una persona come Jean, Eren l’amava così tanto che era sollevato lei potesse avere accanto una persona come lui. Eppure faceva così male.
Tentò di ricomporsi e sgattaiolò via prima che Mikasa uscisse da quella stanza. Cercò di non pensare a cosa potesse essere accaduto tra i due, ma, comunque, non l’avrebbe mai saputo.
Nel giro di un paio d’ore, Eren era riuscito a racimolare quante più reclute Yeageriste a disposizione e anche a liberare Floch e gli altri soldati del corpo di ricerca detenuti in cella per aver diffuso la notizia della sua incarcerazione.
Non appena si furono allontanati da Trost, al riparo fuori dalla città, Eren fu finalmente libero di parlare con Floch. 
- Eren, adesso come procediamo?
- Prima dovrete aggiornarmi su ciò che è successo in questi giorni. Ho notato che il quartier generale era in subbuglio.
Floch ravvivò il fuoco attorno a cui erano seduti, il resto dei loro compagni era ormai addormentato o faceva la guardia all’accampamento di fortuna che avevano allestito.
- Alla notizia della tua detenzione si sono scatenati disordini nelle città a sud, purtroppo a nord il nostro movimento non ha fatto molta presa. Non mi aspettavo un disinteresse così sfacciato, ma, d’altronde, sono persone che hanno avuto il privilegio di non vivere le stesse cose che abbiamo dovuto affrontare noi. – gettò il rametto che stava usando nelle fiamme – Si parla già di movimenti separatisti, purtroppo non avevamo ritenuto necessario distribuire il vino di Zeke anche a nord, è stata una minuzia che potrebbe costarci parecchio. Ma se giochiamo bene le nostre carte potremmo ribaltare la situazione a nostro favore.
- Non credo sarà necessario. – disse fermo Eren – Dopotutto se Marley attaccherà, il nemico comune ci riporterà tutti sotto un’unica alleanza.
- Credi dovremmo prendere il controllo dell’esercito?
- No, non ancora. Prima dovrei parlare con Siri al più presto. Dove si trova?
- Siri è morta qualche giorno fa. – Eren sgranò gli occhi per la sorpresa, un enorme vuoto gli riempì lo stomaco – A quanto pare quella ferita era troppo grave, la squadra del capitano Levi è rimasta qui, il comandante ha pensato fossero più utili qui a svolgere compiti di routine. Sai, per lo shock di aver perso due compagni in un giorno.
Eren abbassò lo sguardo di traverso: - Capisco… Dovrò parlare con Hange allora, ma non credo mi riceverà di buon grado, è probabile mi stiano cercando già.
- Sì, è probabile. Abbiamo svuotato troppe celle perché non se ne siano già accorti.
- Mentre, Historia? Dove si trova? – Eren venne colto da un’illuminazione. Forse poteva evitare d’interrogare Hange semplicemente toccando di nuovo la regina e quindi fare luce su tutta quella faccenda.
- Purtroppo era Siri a sapere la sua esatta ubicazione.
- Cosa?! Solamente lei?
- L’unica e sola. Avevano pensato fosse l’opzione più sicura, ed effettivamente si è rivelata tale. – Floch poggiò i gomiti sulle ginocchia – Non avevamo detto che la nostra priorità era proteggere Historia? Perché adesso ti serve sapere dove si trova? Dici che riusciresti ad attivare il boato anche senza il potere dei giganti dentro di lei?
Eren scosse piano la testa: - No, ma parlare con lei potrebbe essermi utile ugualmente, oltre che più facile invece che con Hange.
Floch annuì convinto.
- Adesso ascoltami. Ti dirò come procedere, sono abbastanza convinto che non fosse solo Siri a custodire determinate informazioni. C’è una persona in particolare che vorrei interrogaste, era uno dei suoi colleghi più fidati.
 
Nota a margine: spero adesso sia chiaro il mio avvertimento a inizio capitolo. Se c’è una cosa che potete aspettarvi da me è che non cederò mai a cliché troppo banali, il pregnancy trope poi è uno di quelli che detesto perché è fatto malissimo il 90% delle volte. So benissimo che questo trope è anche una delle ragioni che spinge la maggior parte dei lettori ad abbandonare una storia, ma io sinceramente non l’ho fatto per questo motivo: diciamo che mi piace prendere gli stereotipi e rovesciarli (Bernard che sfonda la quarta parete rimanendo canon all’ambientazione della storia, concedetemelo, è stato il lampo di genio di cui vado più fiera in questo capitolo ahahaha).
Per chi non sapesse di che parlava Bernard, prima (vi parlo di almeno un secolo fa oramai) i libri uscivano “ad episodi” sui periodici, solo qualora la storia avesse avuto successo sarebbe stata poi pubblicata come romanzo vero e proprio, e sono abbastanza convinta che, data l’epoca in cui è ambientata, anche nella serie di AoT dovesse funzionare così.
Purtroppo, come vi ho già accennato parecchie volte, il periodo in cui scrivo non è dei migliori, sia a livello personale che universitario, non sono riuscita a correggere alcun capitolo e il prossimo potrebbe tardare ad arrivare. Un periodo indicativo sarebbe fine aprile-inizio maggio in cui (si spera) sarò più libera e soprattutto più serena. 
Scrivere è una delle mie gioie più grandi, mi fa stare meglio ma per farlo ho bisogno di tempo e dedizione e il primo mi manca, sono una tipa precisa, non so se si è notato e scrivere ciofeche mi farebbe stare troppo male. Non che ritenga il mio lavoro di ottima qualità, ma vedo dalle statistiche come questa storia sia ancora seguita e apprezzata e io ve ne sono tanto grata! Grazie a chi lascia un commento o anche solo mi legge, per me significa davvero tanto.
Alla prossima!

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Capitolo 36
*** Capitolo 34 - Tirare le somme ***


Capitolo 34 – Tirare le somme

 
Shawn Garret si definiva un uomo abbastanza semplice, molto ligio al dovere, una vita dedicata alla medicina e all’insegnamento. Aveva conosciuto Diya Church quando ormai era un dottore formato nell’ospedale di Trost da qualche anno, prima di allora l’aveva solo incrociata ogni mattina per anni: mentre lui usciva dagli spogliatoi dei medici, lei entrava nella cabina poco distante che tutti chiamavano “delle scartoffie” insieme ad una bambina, uno scricciolo dai lunghi capelli marroni e grossi occhi che schizzavano da una parte e dall’altra curiosi. Vedeva l’infermiera scambiare qualche parola con i colleghi di turno per poi sgattaiolare via, lasciando la bambina a giocherellare in quello stanzino.
Adesso, nel suo studio, aveva tra le mani i documenti che attestavano la sua morte, per la seconda volta nella sua vita. Di certo, quando la bambina si era scontrata per la prima volta contro le sue gambe non avrebbe mai pensato dove quello scontro casuale l’avrebbe portato, neanche avrebbe mai immaginato di riconoscerla tra tanti inservienti anni dopo, né tantomeno che sarebbe stato l’unico suo “parente” in vita. Sospirò e infilò i documenti in una cartella, che poi depose in cima a quelli da trasmettere agli organi centrali e archiviare per sempre.
Passò le mani sulla scrivania, seguendo assorto le venature del legno, quando qualcuno bussò alla porta, riscuotendolo dal senso di nostalgia che l’aveva colto.
- Avanti.
Kerstin aprì cauta la porta e si affacciò all’interno solo con la testa: - Puoi andare.
Shawn annuì mentre l’infermiera richiudeva la porta dietro di sé. Fece un respiro profondo e aprì un cassetto della scrivania da cui tirò fuori una boccetta contenente un liquido trasparente. Con la precisione quasi maniacale che lo contraddistingueva, prese la giusta quantità con una siringa, rimosse l’ago e lo buttò nel cestino mentre infilava il cilindro di vetro nel taschino del camice.
Quante altre volte come allora si era ritrovato a svolgere uno dei favori che Siri gli aveva chiesto? Fin troppe, si disse tra sé e sé. Era grato quello fosse finalmente l’ultimo, almeno, a detta della ragazza.
Non appena uscì dallo studio si voltò da una parte e dall’altra del corridoio per accertarsi che non ci fosse nessuno, soprattutto uno dei suoi allievi che erano sempre alle sue calcagna. Col passare del tempo aveva preso sempre meno allievi sotto la sua ala nonostante adorasse insegnare, eppure, si ritrovava sempre con più studenti a seguirlo di quanti ne avesse approvati, questo gli faceva molto piacere ma oramai era prossimo al pensionamento, la donna che segretamente amava era morta, la sua figlioccia era un’assassina certificata (morta, per di più) e non riusciva più a leggere bene come prima. Decisamente, era arrivato il momento di ritirarsi.
Quando avanzò indisturbato lungo il percorso che gli aveva indicato Siri era quasi arrabbiato che tutto stesse procedendo alla perfezione, aveva quasi sperato si fosse sbagliata in qualche calcolo di orario e che quindi avrebbe incontrato qualcuno lungo il percorso. Invece proseguì senza intoppi, fermandosi qui e lì secondo le indicazioni che gli aveva dato e in men che non si dica si ritrovò davanti alla porta che dava ai sotterranei.
Perché nonostante fosse contro tutte quelle macchinazioni finiva sempre a coprirla, ad assecondare i suoi piani folli e sanguinolenti, era possibile dare una risposta logica?
Tirò fuori la chiave dei sotterranei dalla tasca e rimase ad osservarla mesto, prima di inserirla nella toppa.
Arrivò alla conclusione che non c’era una risposta coerente, motivazioni etiche o moralmente giuste. Il fatto era che l’amava più di quando riuscisse a descrivere a parole. Per lui era rimasta sempre quella bambina curiosa che l’aveva quasi fatto cadere quella prima volta che l’aveva conosciuta.
Si guardò un’ultima volta alle spalle, quindi girò la chiave nella serratura.
 
Erano passate più di tre settimane dall’attacco a Liberio e se all’inizio c’era stato solo qualche sporadico scontro tra corpo militare e civili, adesso nelle strade si poteva assistere a vere e proprie guerriglie, complice anche il fatto che gli Yeageristi si erano uniti alla lotta armando i cittadini. Man mano che sempre più soldati del corpo di ricerca si univano ai rivoltosi, i più alti in grado dell’esercito avevano alla fine convocato Hange per pretendere da lei chiarimenti e soluzioni che il comandante non era stata capace di dare. La seconda volta che poi fu convocata c’era stata un’esplosione al distretto di Shiganshina, in un magazzino delle derrate alimentari destinate all’esercito: con l’intero corpo di ricerca spezzato in due, solo Mikasa, Armin, Jean e Connie erano rimasti col superiore come scorta e unici soldati di cui il superiore poteva fidarsi.
Nonostante fosse un gruppo ristretto di persone, avevano trovato non poche difficoltà a comunicare tra loro a causa di varie vicissitudini che gli avevano tenuti impegnati, oltre che ad essere costantemente sottocchio, infatti, quando salirono in carrozza, si sentirono sollevati di poter finalmente bisbigliare tra loro comodamente. Mikasa fu l’ultima a salire, si guardò attorno e chiuse forte la portiera, segnale che bastò al cocchiere per partire e lasciare alle loro spalle il quartier generale all’interno del Wall Rose.
- Uff, finalmente… - sfuggì a Connie con un sollievo, mentre anche gli altri si allungavano sui sedili, ad eccezione di Hange che guardava furtiva oltre le tende di un finestrino, mentre le altre dall’altro lato furono chiuse strettamente da Mikasa.
- Ben detto Connie. Ma vi ricordo che non possiamo parlare del tutto liberamente. – Hange fece cenno col pollice all’indietro, per indicare il cocchiere oltre la parete alle sue spalle.
Armin annuì compito: - Adesso che facciamo comandante? Era da un po’ che non ci aggiornavamo.
L’altra si schiarì la voce: - Jean, notizie su Bernard?
Jean scosse la testa, l’espressione del viso a dir poco preoccupata: - Ufficialmente disperso. Mi creda, a parte Siri, solo io sarei stato capace di trovarlo. Non credo sia passato dalla parte degli Yeageristi, altrimenti a questo punto avrebbero trovato Levi e Zeke. Non credo neanche sia scappato, ho controllato i contatti di cui si sarebbe servito per farlo, me li aveva lasciati Siri, e anche loro confermano di non sapere assolutamente nulla.
Pyxis? – chiese Hange.
Anche lui non lo sente da più di due settimane, dall’evasione di Eren.
Ci fu un breve silenzio scomodo, segno che tutti stessero pensando alla stessa ipotesi.
Jean sospirò: - Comandante, penso che se Bernard avesse parlato l’avremmo già trovato. Forse sperano ceda o aspettano il momento giusto per fare la prossima mossa.
Mikasa strinse i pugni e disse ferma: - Jean, devi rimanere sempre al nostro fianco. Finché ci sono io sarete al sicuro, se pensano di torturare anche te si sbagliano di grosso.
Jean di fronte a lei assentì confuso mentre Armin ed Hange facevano cenno a Mikasa di tornare ad abbassare la voce poiché nel pronunciare quelle parole aveva alzato i toni.
Hange prese quindi di nuovo la parola: - Spero solo il segnale arrivi il prima possibile. State all’erta, potrebbe arrivare in qualsiasi momento, dovrete essere bravi a captarlo dai miei gesti. Ad ogni modo… Jean, Mikasa ha ragione: camminerai davanti a me e Connie, con Armin. Mikasa chiuderà il gruppo. Farete finta di essere la mia scorta, ma in realtà staremo proteggendo te.
Dei rumori e grida provenienti dall’esterno iniziarono a sentirsi sempre più forti all’interno del veicolo, man mano che si avvicinavano al quartier generale dell’esercito all’interno di Trost.
Mi dispiace essere ripetitiva, ma… - il comandante si voltò col busto verso la soldatessa che sedeva accanto a lei – Mikasa. Non so se Siri sia stata diretta con te o condiscendente, ma voglio accertarmi personalmente che tu sia sicura di farlo.
I ragazzi spostarono lo sguardo sulla compagna che se era in difficoltà da quanto il superiore le aveva appena detto, non lo diede a vedere. I rumori dall’esterno coprivano in parte il silenzio ed erano sempre più forti, mentre la carrozza si avvicinava all’origine del fracasso barcollando di tanto in tanto.
Comandante, per quanto le scelte di Eren possano essere state discutibili fino ad ora, io voglio che sia chiaro che sono sicura lui stia agendo per proteggere tutti gli abitanti dell’isola. Detto ciò… - deglutì – Io credo nel piano.
I suoi amici pensarono che la sua fermezza fosse ammirevole, per quanto tra loro ci fosse qualcuno non proprio fiducioso sul fatto che avrebbe rispettato la parola, e, a giudicare dalle parole seguenti di Hange, non era il solo.
Me lo auguro. Perché qualora dovessi cambiare idea, i sacrifici dei nostri compagni sarebbero vani. Beh, inutile dire che anche le nostre vite sarebbero appese a un filo, se non totalmente finite.
La carrozza si fermò.
- Mikasa. – la ragazza si voltò verso Connie, i piccoli occhi ambra sembravano inchiodarla al sedile – Io conto su di te.
L’amica rimase più colpita dalle parole del ragazzo che da quelle del superiore, sentì il peso della responsabilità più concretamente ma senza sentirsi per questo oppressa.
- Dai, diamoci un taglio, la situazione è già drastica così com’è, non credo che farle venire l’ansia adesso sia opportuno. – disse Jean per smorzare la tensione, poco prima che Hange aprisse lo sportello.
Non appena misero piede all’esterno, il brusio, prima smorzato, crepitò nelle loro orecchie fino a prorompere in un vero e proprio baccano. Attorno al perimetro del quartier generale, i soldati del corpo di gendarmeria avevano alzato una barriera di legno e sacchi di sabbia per contenere i rivoltosi. Ciò che però attirò la loro attenzione fu l’enorme cratere nero e fumante nel bel mezzo dell’edificio, un buco nel bel mezzo della struttura sfregiata da quella che doveva essere stata una violenta esplosione.
- Comandante Zoe. – un soldato a capo di una piccola squadra di gendarmi aveva richiamato l’attenzione di Hange, sul cui volto era dipinta un’espressione scioccata.
Jean, seguito da Armin, si mise davanti al gruppo e sfilarono in silenzio poco distanti gli uni dagli altri, cercando di tenere lo sguardo dritto davanti a loro per non incrociarlo con i soldati degli altri due reggimenti, che invece li fissavano risentiti.
Vennero condotti nella sala dei processi, sul cui banco al posto del comandante supremo era seduto Dot Pyxis, che scoprirono subito avrebbe mediato la discussione tra i corpi militari. Non appena arrivarono di fronte a lui, Jean ed Armin si sistemarono un passo dietro Hange, mentre Connie e Mikasa erano rimasti in disparte vicino le panche dove erano anche gli altri soldati.
- Comandante Zoe, mi dispiace non aver scelto un luogo più informale per il nostro incontro, ma, come avete potuto notare venendo qui, non avevamo a disposizione lo studio del comandante supremo Zachary. In attesa di una nomina ufficiale, farò io le veci del nostro comandante.
- Comandante Pyxis, mi pare di capire…
- Ebbene sì Hange, credo tu abbia compreso perfettamente, ma permettimi di illustrarti i particolari: gli Yeageristi hanno piazzato un ordigno nello studio del comandante supremo Zachary che è rimasto vittima dell’esplosione. Ne eri al corrente?
- Chiaramente no. Sono totalmente estranea alle azioni degli Yeageristi, a cui ci opponiamo fermamente. 
- Non ho motivo di dubitare delle tue parole, ma dato che i soldati che hanno disertato sono quasi tutti del corpo di ricerca, sono tua diretta responsabilità.
- Me ne rendo perfettamente conto. Ma come ho già detto in precedenza, la situazione mi è sfuggita di mano, non ho potuto prevedere le azioni di Eren Yeager né tantomeno dei suoi seguaci.
Si levò un forte vociferare tra i soldati e Pyxis fu costretto a richiamare l’ordine con un martello di legno. Uno tra gli ufficiali del corpo di gendarmeria si alzò in piedi e levò una protesta probabilmente condivisa dalla maggior parte dei presenti nell’aula: - Come sarebbe a dire che non ne avevi idea?! Sei il comandante del tuo corpo o no? Prenditi le tue responsabilità!
Mikasa lo guardò in cagnesco, era davvero coraggioso da parte di una persona come lui esprimersi in quel modo.
Hange si voltò verso di lui impassibile: - Non era mia intenzione affermare nulla del genere. Potrei dimettermi se preferite, ma quella sarebbe una mossa da irresponsabile. Sarebbe il mio successore ad occuparsene, ossia Armin Arlert, che, pur essendo un ottimo soldato, non credo sia ancora pronto a gestire una situazione del genere. – si rivolse quindi a Pyxis – Sarebbe troppo comodo per me lasciare che se occupi qualcun altro, ma credo di avere solo io la competenza e la giusta visione delle cose che mi permetterebbero di affrontare la situazione. Potete scegliere anche un soldato più esperto per sostituirmi, ma sono convinta che nessuno in questa stanza voglia rovinarsi la carriera portando sulle spalle la responsabilità di gestire tutto ciò con una probabilità di fallimento molto alta.
Improvvisamente le voci si acquietarono, il comandante supremo sorrise serafico: - Non credo ci sia altro da aggiungere. Per quanto mi riguarda, il comandante Zoe ha il mio lasciapassare, se non ci sono altre obiezioni, contiamo sulla vostra collaborazione. Per quanto riguarda i volontari invece? Yelena è rimasta confinata qui in città negli alloggi dove è detenuta, ma ce ne sono diversi che mancano all’appello. Era compito del vostro corpo occuparsi di loro.
- Il volontario Onyankopon e un gruppo di altri dodici volontari sono rimasti sul continente, il resto sono a nord delle mura, presumo al sicuro, da quanto sapevo dalle ultime notizie.
Pyxis rivolse il suo sguardo ad un punto poco lontano alle spalle di Hange, che volse di poco il viso per vedere meglio chi si stesse alzando tra la folla per prendere parola: Nile Dok la guardò a sua volta con uno sguardo quasi minaccioso prima di parlare.
- A nord è rimasto l’ultimo baluardo dell’esercito per come lo conosciamo. È già stata eretta una muraglia che divide le due zone all’interno delle mura, la zona a nord di questa comprende fortunatamente anche la capitale e tutto il terreno compreso nel muro Sina. Quello che però preme al corpo di gendarmeria, signore, è che il comandante Zoe faccia chiarezza sui soldati Sigrid Myhre, Jean Kirschstein e Bernard… – Nile si bloccò, non proprio sicuro di aver letto bene – Doe? 
Jean e Armin trasalirono, ma non si voltarono a guardarlo, temendo di apparire colpevoli di qualsiasi peccato volessero attribuirgli.
- Ebbene? – disse Hange, a voce alta e risoluta.
- La soldatessa Myhre, deceduta, risulta fosse l’unica ad essere a conoscenza dell’esatta ubicazione della regina Historia, è corretto?
- Sì, corretto.
- Bene… Secondo le nostre fonti, Myhre era molto vicina ai soldati Kirschstein, con cui condivideva la squadra, e Doe, conferma?
Hange non diede segno di spazientirsi, ma il suo tono era poco condiscendente quando gli rispose: - Per quanto ne possa sapere, è probabile di sì. Lavoriamo tutti a stretto contatto Nile, non vedo come questo possa essere rilevante.
- Credo invece lo sia, visto che il soldato Doe è scomparso e per quanto ne sappiamo potrebbe benissimo star fornendo informazioni agli Yeageristi mentre parliamo, in questo esatto momento.
Quali fossero le fonti di Nile Dok, Hange avrebbe voluto tanto saperlo. Il suo cervello calcolò attentamente cosa dire per cavarsi via da quell’impiccio mentre tutt’attorno a lei si era di nuovo scatenato un fortissimo chiacchiericcio.
- Silenzio! – chiese a gran voce Pyxis – Nile ti prego di spiegarti meglio.
Il gendarme fece per aprire bocca, ma Hange prese subito la parola prima di lui: - Mi pare abbastanza evidente, comandante Pyxis. Ciò che sta insinuando il nostro collega è che Sigrid Myhre abbia condiviso l’informazione con i suoi colleghi. Ma posso personalmente assicurare la lealtà di Myhre al reggimento.
- L’integrità del soldato Myhre non è… non era da dubitare, – decretò Pyxis – Nile ti ringrazio per averlo portato alla luce, ma l’affidabilità di quel soldato è stata già discussa e, se non sbaglio, anche in tua presenza.
Quando il gendarme tentò nuovamente di parlare, Pyxis lo interruppe nuovamente prevedendo dove volesse andare a parare: - Per quanto riguarda la scomparsa del soldato Doe, ammetto di avere dei dubbi anch’io. Quali sarebbero i rischi di un eventuale tradimento anche da parte sua?
Hange inghiottì il groppo che aveva in gola. Incalcolabili. Levi sarebbe in grave pericolo, Jean verrebbe rapito subito dopo. Maledizione, sbrigati.
- Non così gravi da non poter essere gestiti.
Pyxis rimase ad osservare Hange attento, quasi come se stessero avendo una muta conversazione tra loro, gli altri soldati erano rimasti ammutoliti, in attesa che l’uomo decidesse come procedere.
- COMANDANTE!
Una voce affannosa cercava di stagliarsi dal corridoio gremito di soldati, che adesso si addossavano ai muri confusi per lasciare passare un soldato del corpo di ricerca che incedeva verso l’aula.
- Comandante supremo Pyxis! – finalmente il ragazzo riuscì a spuntare all’interno, era tutto trafelato e sudato – Gli Yeageristi… sono diretti alla città! Vengono da sud!
In pochi secondi esplose il caos tra tutti i presenti, Hange lanciò un’occhiata ad Armin che si portò vicino al soldato: - Come hanno fatto a superare l’avanguardia?!
- A quanto pare sono state le reclute del corpo di ricerca…
- Sì, lo confermiamo! – due soldati del corpo di guarnigione emersero dal corridoio altrettanto trafelati, i fucili tra le mani come se fossero il loro tesoro più inestimabile – Hanno eluso i controlli che poi sono stati neutralizzati. Il corpo di guarnigione ha chiuso i cancelli, ma sembra essere solo questione di tempo perché i cittadini scoprano che sono qui, a quel punto…
- A quel punto saremo pronti! – tuonò Pyxis alzandosi – Chiudiamo qui questo teatrino, è chiaro che il capitano Zoe e gli ultimi baluardi del corpo di ricerca collaboreranno con noi, l’alternativa sarà la forca, anche per il sottoscritto che ha garantito per loro. Preparate gli armamenti! E che venga allestito un corridoio umanitario per civili e feriti! Useremo lo stesso per scappare a nord.
La prospettiva della resa non aveva entusiasmato la maggior parte dei presenti, ma dopo che Shiganshina era caduta sotto il controllo degli Yeageristi, il loro movimento si stava spandendo come un’epidemia e tutti si sentivano terribilmente in trappola. Per cui accettarono, seppur controvoglia, gli ordini, ritenendoli i più giusti. L’idea di uscire il prima possibile da Trost e trovare la manforte del nord era materialmente la scelta migliore e che avrebbe evitato sanguinose battaglie, che tutti volevano evitare ad ogni costo, data la questione di Marley ancora in sospeso.
Nella mescolanza di soldati che avevano iniziato a correre da una parte e dall’altra per armarsi il prima possibile, Mikasa approfittò della confusione per sgattaiolare via inosservata. Si tolse il cappotto con gli stemmi del corpo e lo gettò via mentre scivolava tra i soldati accalcati nei corridoi per portarsi il più lontano possibile di lì. Finalmente sbucò in un corridoio vuoto, lo percorse fino in fondo fino a che non svoltò subito dietro l’angolo. Sedendosi, schiacciò la schiena al muro e si sporse di poco per controllare che nessuno l’avesse seguita, il rumore metallico dell’equipaggiamento legato ai pantaloni dell’uniforme da combattimento non le donava molta silenziosità nei movimenti.
Si alzò ma rimase piegata col busto in avanti a mezz’aria: una tremenda emicrania le trapassò il cervello come la punta di un trapano, dietro l’occhio le faceva così male che pensava stesse per scoppiare. Digrignò i denti per il dolore, mentre cercava di alzare il busto. Non poteva rimanere lì ancora a lungo.
Fece un respiro profondo e si prese la testa fra le mani. Quando chiuse gli occhi due grosse lacrime bagnarono il pavimento e quando mise il primo passo verso la direzione giusta da prendere, piano piano il dolore iniziò ad allentare la presa. Ancora con una mano che premeva sulla tempia, con l’altra strinse la sciarpa attorno alla gola, mentre si mordeva le labbra per non singhiozzare.
Continuò a camminare, convincendosi che quello che stava facendo non avrebbe necessariamente portato a qualcosa di male per sé stessa o Eren, ma quel terribile presentimento dentro di lei era talmente remoto che sentiva quasi di essere stata ingannata. E il peggio era che non sapeva spiegarsi il perché.
Arrivò finalmente all’uscita posteriore dell’edificio, prima di buttarsi fuori dal perimetro dell’edificio attese paziente il momento giusto e, con una piccola rincorsa, riuscì a scavalcare il cancello alto tre metri senza particolari sforzi in un unico tentativo. Percorse i vicoli vuoti correndo, la maggior parte della gente era nelle vie principali, chi coi rivoltosi, chi invece nei corridoi umanitari dell’esercito. Quando arrivò finalmente ai cancelli sbarrati a sud, sparò i rampini sulle mura e risalì a tutta velocità, ignorando le urla dei soldati di guarnigione che le intimavano di scendere e andare via di lì. Non appena scese dall’altra parte, dovette affrontare suo malgrado gli stessi soldati che l’avevano seguita e altri che facevano la guardia fuori dai cancelli: non aveva molto tempo per combattere, quindi, come un serpente, s’insinuò tra i soldati sferrando gomitate sulle tempie e calci alla nuca a chiunque gli sbarrasse la strada verso i cavalli, legati ad un palo poco distante. Dopo che un soldato aveva cercato di atterrarla con un pugno che lei aveva afferrato e tirato verso il basso, un’altra soldatessa le venne incontro per fermarla: strinse tra indice e pollice la nuca del soldato sotto di lei facendolo cadere privo di sensi, poi afferrò le braccia della soldatessa e la spinse con tutta la forza dietro di sé, addosso agli altri soldati che cercavano di raggiungerla. Con uno scatto, si gettò verso i cavalli, liberandone uno, salì con un salto sul dorso dell’animale e scappò via verso sud il più velocemente possibile.
S’inoltrò nella foresta davanti i cancelli, ma non fece molta strada perché il suo cavallo venne raggiunto alle zampe da una freccia, che lo fece capitolare in avanti. Mikasa cadde assieme a lui, rotolando nell’erba, per poco non venne investita dall’animale il cui peso l’aveva fatto frenare molto prima di lei, che adesso giaceva dolorante al suolo. Tentò di alzarsi, ma non appena si sedette, un proiettile la sfiorò conficcandosi al suolo.
Mikasa alzò le braccia di scatto a mo’ di resa: - FERMI! Non sparate! Sono dalla vostra parte! – il cecchino fece un passo avanti, venendo allo scoperto – Vi prego! Fatemi parlare con Eren, ditegli che sono Mikasa.
- Non servirà che qualcuno me lo riferisca.
La ragazza si voltò di lato, da dove proveniva la voce: dietro degli alberi emerse proprio il suo amico d’infanzia, scortato da una decina di soldati del corpo di ricerca armati fino ai denti.
- Eren… – si alzò, l’espressione in viso sollevata, ma non appena tentò di fare un passo verso di lui, questo le fece segno di fermarsi.
- Resta dove sei. Perché sei qui, Mikasa?
Improvvisamente le mancò il respiro. Il mal di testa tornò ad affacciarsi pericoloso, ma, fortunatamente, rimase solo un lieve dolore dietro la testa, come un’eco lontano.
- Eren… Io… – socchiuse gli occhi – Sono qui perché non credo che tu sia una minaccia. Non sono d’accordo su come ti ha trattato l’esercito, né tantomeno da come il comandante… Da come Hange sta gestendo le cose. È tutto in disordine, il corpo di ricerca è sull’orlo del baratro e io… io credo in te Eren, l’ho sempre fatto, e non credo tu faresti mai qualcosa che possa danneggiare Paradise.
L’amico rimase a fissarla in silenzio.
- Non crederle, Eren. – esordì Floch al suo fianco – Potrebbe essere una spia mandata per farti fallire.
- Cosa?! – Mikasa si sporse verso di loro incredula, ma si bloccò all’istante non appena i soldati alle loro spalle alzarono i fucili e li puntarono verso di lei.
Il ragazzo gigante sospirò: - Floch ha ragione. Cosa mi garantisce che tu…
- So dov’è Zeke. – a quelle parole i due sgranarono gli occhi – Posso portarvi da lui.
L’espressione di Eren sembrò per un momento quasi delusa dalle parole di Mikasa, durò la frazione di un secondo, subito dopo le chiese di liberarsi di tutte le lame nello scomparto del dispositivo di manovra e, sotto la guida di Mikasa, partirono alla volta di Zeke.
 
Era passato molto tempo da quegli anni miserabili, dal lerciume, dalla lotta per la sopravvivenza. Il suo titolo tutt’altro che modesto era la sua armatura, la sua apparente apatia il posto in cui si rifugiava per non sentirsi miserabile. La morte era sempre stata come un parassita fastidioso, una sorta di verme solitario a cui ci si era abituato negli anni, lo faceva stare male, vivere una vita al fianco della tristezza ma con tanti piccoli, meravigliosi, momenti felici. Sopportava quel dolore in silenzio, accettandolo quasi con consapevole rammarico, ma quando Levi aveva visto Siri collassare sulla barella, all’improvviso era tornato ad essere quel bambino dei bassifondi, solo e spaventato. Si era sentito come se un’onda d’acqua imponente avesse soffocato qualsiasi barlume di fermezza, facendolo sballottolare in balia delle emozioni: era quello il vuoto da cui si era sentito risucchiato, l’impotenza che aveva cercato di colmare con la rabbia, da cui si era sentito sopraffatto.
Era di nuovo il bambino sperduto di un tempo quando, dopo giorni e giorni, era arrivato il primo carro di approvvigionamenti con la notizia della morte di Siri. Avrebbe potuto iniziare a tremare impaurito per quanto si era sentito solo in quel momento. 
Il pensiero di raggiungerla l’aveva quasi sfiorato nell’istante in cui era rimasto immobile davanti al soldato, si era visto dall’esterno prendere il cavallo e tornare a Trost, lasciare Zeke nella foresta come se non fosse stato un problema suo. Ma alla fine era rimasto impassibile alla notizia, aveva aiutato i suoi commilitoni a scaricare la roba, aveva fatto il suo turno di guardia e poi si era coricato nella sua amaca sugli alberi. Al riparo dagli occhi indiscreti di Zeke, si era concesso di fissare il vuoto per ore e ore, stringersi le mani al petto e rannicchiarsi per cercare un po’ di conforto. Ma non era valso a nulla. Certo, adesso che sapeva, era più semplice per lui avere a che fare con l’irremovibile certezza della morte, sapeva già come affrontare la perdita. Questa era la sua unica consolazione, oltre quella di nutrirsi dell’odio più profondo verso Zeke: ogni giorno gli faceva ripetere sempre la stessa storia, era diventata quasi una recita che aveva imparato a memoria e tutte le volte che sentiva dal mutaforma la storia di come avevano sterminato il villaggio di Ragako e non notava il minimo rimorso, la rabbia cresceva e, per assurdo, diventava sempre più calmo. Guardandolo era come se nulla fosse cambiato, ma la sua presenza, che prima incuteva timore, adesso era diventata mostruosa. C’era qualcosa di spaventoso in quella calma.
- Non trovi strano che le altre nazioni non ci abbiano ancora attaccato?
Gli occhi glaciali di Levi lo fecero sentire a disagio: - Ciò che trovo strano è che la tua testa sia ancora attaccata al collo.
Zeke rise: - Forse dovresti smetterla di farmi raccontare sempre quella storia, lo capisco sai, così diventa una tentazione troppo forte. Hai molta forza d’animo, te lo riconosco.
Magari avesse avuto la forza d’animo che Zeke pensava. Ma Levi non aveva neanche la metà della forza di Siri, che aveva lasciato in vita Michel, forse avrebbe dovuto imparare da lei. Ma aveva già deciso che era troppo tardi e troppo grande per imparare. 
- Capitano.
Levi alzò lo sguardo verso le fronde degli alberi, uno dei soldati nella guardiania teneva il binocolo puntato sulla strada.
- Cosa c’è Varys?
- Approvvigionamenti. C’è un carro in arrivo.
Il capitano aggrottò le sopracciglia: - Come? Che significa? Li abbiamo avuti solo qualche giorno fa.
Varys balbettò qualcosa e scosse la testa: - Venga, venga a vedere.
Nel binocolo appariva un carro abbastanza spoglio, nessun carico che sembrasse abbastanza consistente, guidato da un occhiere minuto e incappucciato.
- Forse sono comunicazioni da Hange. Magari è arrivata l’ora che ammazzi il barbone là sotto.
Il soldato accanto a lui era d’accordo, per avere un altro carico in arrivo nel giro di così poco tempo doveva essere successo qualcosa. Gli ultimi carri che avevano ricevuto erano da contadini, ingaggiati per catena di montaggio: ancora una volta era stata Siri ad ideare quel metodo per impedire che fossero raggiunti dalla qualunque. Una persona aveva il compito di fare un gesto specifico, come tre mele infilzate da una freccia sul davanzale di una finestra, che potesse essere notata solo da un’altra persona che sapesse dove cercare il segnale, una volta recepito l’altra persona procedeva a farne un altro e così via fino a quando non arrivava all’ultima persona incaricata di portare gli approvvigionamenti. Era un sistema complicato con cui avevano ovviato al problema del messaggero diretto, il tutto con l’unico scopo di nascondere l’identità di chi doveva portarli, che quindi poteva star certo di non essere seguito.
Levi scese dall’albero e intimò a Zeke di rimanere lì dov’era a leggere.
- Certo, boss. – gli rispose.
Il capitano si bloccò.
- Ti avverto. Chiamami di nuovo in quel modo e ti staccherò la lingua ogni volta che ti ricrescerà.
- Scusa Levi, non lo faccio più. – il capitano ignorò la punta di sarcasmo dell’uomo e si allontanò, per aspettare il carro dove la strada continuava nella foresta. Il conducente faceva procedere il cavallo lentamente, se fosse una comunicazione importante sicuramente avrebbe avuto molta più fretta.
Aspetta un attimo.
Strizzò gli occhi per vedere meglio. Sopra il rimorchio sembrava ci fosse qualcuno, riusciva a distinguere una testa, anzi, forse più di una.
- Tch. – Levi portò le mani ai manici del dispositivo.
- Capitano. – Varys atterò alle sue spalle assieme ad altri due soldati – Crediamo che sul rimorchio ci siano…
- Sì, l’ho notato anch’io. Non fatelo capire al barbone.
Quando il carro si fermò a pochi passi da loro, Levi rimase rigido e all’erta, una leggera pioggerellina aveva iniziato a scendere leggera e gradevole. Quando il cocchiere incontrò il suo sguardo da sotto il cappuccio lo riconobbe subito, ma non poteva dire di esserne sollevato, soprattutto perché la sua era una visita inaspettata e quella non poteva di certo dirsi una persona di cui fidarsi. Poi, uno degli individui sul rimorchio, ancora col cappuccio, si alzò.

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Capitolo 37
*** Capitolo 35 - Vita, morte e... Miracoli ***


Capitolo 35 – Vita, morte e… Miracoli

 

If you dance I'll dance
And if you don't I'll dance anyway
Give peace a chance
Let the fear you have fall away
 
I've got my eye on you
I've got my eye on you
 
Say yes to heaven
Say yes to me
Say yes to heaven
Say yes to me
 
If you go I'll stay
You come back I'll be right here
Like a barge at sea
In the storm I stay clear
 
'Cause I've got my mind on you
I've got my mind on you

 
[3 settimane prima]
 
- Vuoi che ti porti dell’acqua? Magari con una cannuccia.
- Jean ti ho detto che sto bene.
Hange scostò le tende ed entrò nel piccolo cubicolo d’ospedale. Siri era allettata, le lenzuola bianche scostate a livello delle cosce risaltavano contro le pareti ingiallite e, a vederla, non le sembrava proprio stesse così bene come declamava al povero Jean seduto accanto al suo letto: la spia era pallida quasi quanto il pigiama a maniche corte che indossava, aveva labbra livide e lo sguardo smorto segnato da occhiaie profonde e nere, i capelli sudaticci sciolti e portati all’indietro sembravano neri con l’oscurità della sera. Aveva perso molto sangue per la ferita e l’operazione, Shawn aveva rivelato al comandante poco prima che lei entrasse, era stata possibile solo grazie alle nuove tecniche e scoperte mediche che aveva portato a Paradise dopo le missioni a Marley.
- Non si direbbe dal tuo aspetto. – esordì Hange, chiudendo le tende dietro di sé.
- Grazie comandante, anche per me è un piacere vederti. – Siri mugugnò un verso di dolore quando Kerstin, che le stava sostituendo il bendaggio al ventre, premette leggermente sulla ferita per redarguirla. La spia guardò nervosa l’infermiera che ricambiò con un’occhiataccia.
- Tu e quella tua faccia tosta, dico non potevi dormire un altro giorno ancora?
- Che spreco di tempo. – disse Siri distogliendo lo sguardo.
Kerstin scosse la testa: - Pensavo fosse bello riaverti qui, ma forse ti preferivo quando facevi la vipera con gli altri medici in giro per l’ospedale.
- Ci credo, godevi dei privilegi del mio lavoro sporco… Ehi, disinfetta meglio, poi metti la garza imbevuta!
Kerstin ripose la garza e le fece come le disse: - Quanto odio avere i medici come pazienti… ecco, contenta?!
Siri spostò lo specchietto che stava usando per guardare il bendaggio e annuì poco convinta: - Mh, sì… può andare.
L’infermiera alzò gli occhi al cielo, le abbassò la maglia, la ricoprì col lenzuolo e uscì dalla stanza, lasciando soli i soldati. Hange, nonostante non avesse avuto proprio una giornata che si potesse definire tranquilla, sorrise vedendola andare via.
- Allora sei sempre stata così socievole. – esordì Jean a braccia conserte.
- Oggi siete tutti molto simpatici devo dire. – Siri chiuse gli occhi, allungando il collo ancora un po’ tumefatto sul cuscino – Vi ricordo che essendo quella ferita ho solo io il diritto di essere irritante. Avanti, adesso ditemi… come va fuori di qui?
Il comandante sospirò, avrebbe preferito continuare a stuzzicarla: - Nulla di buono temo.
Siri riaprì gli occhi e la guardò ansiosa e quando l’altra le spiegò delle proteste nate il giorno stesso per l’incarcerazione di Eren, seppe a cosa imputare il suo risveglio che sarebbe potuto avvenire anche qualche giorno più tardi, se non fosse che dalla finestra della sua camera erano arrivati i rumori della strada. Effettivamente, sotto gli anestetici e non proprio nella sua forma più smagliante, non si era chiesta come mai la gente fosse così agitata da gridare così forte da farsi sentire sino al secondo piano dell’ospedale.
- È una bella gatta da pelare… con tutto quello che abbiamo da fare. A proposito, Onyankopon ti ha contattata? – commentò preoccupata.
- Ancora no. Se le cose dovessero mettersi male non so neanche se potrà sbarcare a sud.
- La situazione è così tragica dici?
Hange corrucciò le sopracciglia sovrappensiero: - Potrebbe diventarla. In questo momento stanno arrestando i soldati che hanno diffuso la notizia e sono tutti del corpo di ricerca, se i disordini tra i cittadini dovessero diventare più… energici, mettiamola così, sarò la prima ad essere messa sotto processo.
- Forse sarebbe stato molto più semplice se avessimo fatto toccare quei tre appena siamo arrivati. – commentò Jean sovrappensiero.
- Sai che non potevamo… – Siri deglutì, iniziava ad essere un po’ più dolorante e stanca – Non sappiamo ancora quale sia il piano di Zeke, né se ci ha mentito sul funzionamento del potere dei giganti, e poi Eren, qualsiasi sia la sua intenzione…
- Lo so. – la interruppe Jean che, nel frattempo si era alzato per inumidire un panno – So cosa c’è scritto sull’arazzo, certo che Ymir poteva essere un po’ più precisa…
- Perché il piano funzioni, dobbiamo avere risposte dai volontari ancora rimasti sul continente, solo quando saremo sicuri potremo procedere. – Hange alzò lo sguardo meditabondo sul ragazzo che stava tamponando lo straccio sul collo di Siri – Immagina rimanere indifesi proprio adesso.
Jean annuì e si concentrò sulla pelle cadaverica della maestra: era quasi morta, a questo punto avrebbe dovuto essere in pensione, ritirata per vivere la vita tranquilla che desiderava, ma tutti gli stavano implicitamente chiedendo di restare in servizio ancora per un po’. E Siri, sin dal momento in cui si era svegliata, aveva capito e aveva accettato senza che loro avessero dovuto chiederle nulla.
- A proposito di questo… – esordì Siri ansante – Tieni Yelena lontana dagli altri volontari, almeno, quelli rimasti. Non so se fosse il suo modo di reagire alla notizia che una persona che conosce sia stata quasi strangolata a morte, ma sembrava poco sorpresa.
Hange annuì: - Sarà fatto.
- Scusate se vi disturbo. – Kerstin apparve sulla porta.
- Nessun disturbo Kerstin, prego. – Hange si voltò verso di lei sulla sedia.
- C’è il capitano Levi, è venuto di nuovo. Vuole vederla, o meglio… sapere come sta, io gli ho detto sempre la stessa cosa di ieri, ma pensavo che forse potresti farlo salire. – concluse, guardando oltre Hange, speranzosa.
Il comandante annuì noncurante: - Oh, sì, siamo già tutti qui, non ved… 
- No. – il tono di Siri non ammetteva repliche – Digli che la mia prognosi è riservata e non farlo salire.
Jean e Hange la guardarono interdetti all’unisono mentre l’infermiera annuiva e sgattaiolava via.
- Cosa?! – il comandante si sporse verso di lei – Perché?!
- Non può vedermi in questo stato.
- Ma dai, il comandante Hange scherzava prima. – Jean ripose lo straccio nella brocca accanto al letto – E sono sicuro che al capitano non importi il tuo aspetto.
- Starà morendo di ansia, lascia che ti veda viva perlomeno. – Hange tentò di farla ragionare, ma Siri non guardava nemmeno nella sua direzione, fissava il soffitto, come se concedere loro lo sguardo avrebbe fatto scivolare via tutta la sua fermezza.
- Non posso vederlo… sono troppo debole in questo momento.
I due soldati da una parte e dall’altra del letto si guardarono: i medici avevano concesso loro di salire, significava che un soldato in più non avrebbe per certo fatto alcuna differenza.
Hange scosse la testa e fissò l’addome della donna, poco prima aveva avuto modo di osservare la ferita ancora aperta ed era in ottime condizioni: - Ma non così debole da non ricevere visite. Ci siamo già noi qui, a Levi basterà vederti viva, seguirà le stesse procedure per disinfettarsi che noi…
- Non intendevo fisicamente.
Il comandante perse il mezzo sorriso che aveva e rimase a fissarla senza parole. Jean approfittò del silenzio tombale che era calato tra loro per uscire dalla stanza e lasciare i due superiori liberi di parlare: anche se era stato per quattro lunghi anni un testimone scomodo di quella relazione clandestina, non voleva vedere Siri in quello stato. 
Era chiaro che la spia fosse ancora dell’idea di non proporre a Levi di seguirla, quest’ultimo infatti aveva ancora il compito di occuparsi di Zeke oltre che un giuramento da mantenere, ma lei non sarebbe stata abbastanza forte da guardarlo negli occhi e lasciarlo andare. Hange e Siri parlarono per una buona mezz’ora, almeno, da quanto aveva intuito Jean che era rimasto in corridoio ad aspettare il comandante, erano poi usciti dal retro per evitare Levi. Anche se con molto dispiacere, rispettavano la scelta di Siri.
La sera seguente erano di nuovo nella stanza con Siri, questa volta a loro si era unito anche Bernard, visto che avrebbe dovuto fare parecchio del lavoro “manuale” che sarebbe spettato all’infortunata prima che lei si fosse ritirata.
- La situazione non si è calmata. – esordì Hange – Ho avuto una riunione con i più alti in grado e pensano che per come si stanno evolvendo le cose le proteste non si esauriranno molto presto. E io sono della stessa opinione.
Si massaggiò la fronte cercando di mettere in ordine i pensieri, c’erano fin troppe cose da discutere con Siri e avrebbe tanto preferito fosse direttamente al suo fianco per non doverla aggiornare.
- A nord però le proteste non hanno preso molto piede, almeno, da quanto so dai nostri contatti. – disse Bernard in piedi di fronte al letto di Siri che, da stesa, riusciva a muovere soltanto gli occhi. Tuttavia, rifletté Jean, sembrava essere in condizioni migliori rispetto al giorno prima.
- Beh, a questo punto potremmo pensare di far sbarcare i volontari a nord dell’isola, possiamo spostarci anche gli Azumabito adesso che la situazione è più o meno sotto controllo. – propose il ragazzo.
Hange annuì sovrappensiero alle parole di Jean: - Sì… sono d’accordo. Non sappiamo come potrebbe evolversi la situazione ed è meglio che tutti i nostri contatti con le altre nazioni siano al sicuro… il vero problema… – digrignò i denti – l’enorme problema è che non abbiamo ancora notizie sulla situazione nel continente e qui non abbiamo radio per comunicare. Non possiamo tornare a Shiganshina o al molo a sud, le cose potrebbero degenerare e rimarremmo bloccati lì.
- Inoltre stiamo ignorando un'altra enorme problematica. – Bernard guardò grave Hange, mentre indicava Siri con brevi cenni del capo – La maggior parte degli Yeageristi sono soldati del corpo di ricerca, per ora Eren è in prigione e Zeke sarà presto lontano da qui con Levi, ma per quanto? Non appena riusciranno ad evadere ed Eren con loro, la prima cosa che faranno sarà andare a cercare Siri per estorcerle informazioni su dove si trova Zeke e, mi dispiace lucertolina, non sei certo nelle condizioni migliori per tenere testa o nasconderti.
- Potremmo spostare anche lei a nord. – propose Jean poggiato sul coprifilo della finestra da dove ogni tanto teneva d’occhio l’esterno.
- La notizia arriverebbe all’orecchio di Eren, stanne certo. Non siamo sicuri di quante talpe ci siano, e poi Siri non può ancora spostarsi sulle proprie gambe, dovrebbe uscire di qui in barella o in sedia a rotelle, non proprio un modo per evitare occhi indiscreti. – il tono con cui Bernard faceva il punto era molto serio, un’anomalia rispetto a quello che assumeva di solito, chiaro segno che quella in cui si trovavano non era una circostanza da prendere alla leggera.
Siri in tutto quel vociare non aveva ancora aperto bocca, guardava attentamente i suoi interlocutori mentre elaborava un modo per tirare tutti fuori da quell’impiccio. Il colpo di genio le venne all’improvviso, totalmente inaspettato, e si maledisse per come l’avrebbe trattenuta lontana ancora per un po’ di tempo dal tanto agognato ritiro. Ma sarà necessario.
- Morirò.
I tre si zittirono, voltando la testa all’istante verso di lei con un colpo al cuore.
- Cosa? – Jean le si avvicinò.
- Io morirò.
- Garret mi aveva detto… – Hange si stava muovendo con dei piccoli movimenti agitati sulla sedia – Insomma, è scienza, sei fuori pericolo! L’operazione è andata bene, metterò delle guardie per fermare Eren e quel manipolo di idioti…
- No, non in quel senso.
Le due si guardarono per un lungo istante, quando Hange capì cosa intendesse, la sua espressione turbata si distese, incredula scosse piano la testa.
- No. No…
- Aspetteremo ancora qualche giorno, poi farete in modo che la notizia si diffonda, allestiremo anche una camera ardente sarà quasi divertente a vedermi lì sapendo la verità, infatti vi consiglio di entrare solo per poco, dopotutto sarete tutti abbastanza affaccendati per-
- NO! – Hange non riusciva nemmeno a guardarla, stringeva i pugni chiusi sulle cosce – Non ti permetterò di fare questo a Levi.
Comandante?
- Ah! Non ti permettere chiaro?! Non metterla su questo piano! – il comandante le puntò il dito contro – Non fare finta che la cosa non riguardi me, te e Levi personalmente! Non sei l’unica a tenere a lui, è il mio sottoposto, certo, un soldato, ma è mio amico.
Siri distolse lo sguardo dal suo: - È la cosa più sensata da fare, potrò agire indisturbata, Bernard verrà con me e potrà essere, come dire, le mie mani. Hange, anche se me lo vieti lo farò lo stesso, non possiamo permettere che gli sforzi della mia squadra vadano invani, e poi… sarà molto più facile anche ritirarmi e scomparire nel nulla dopo.
Hange annuì sardonica: - Va bene… quindi lascerai anche a lui dei regalini o candele alla finestra? Magari un fiorellino di lavanda per il giorno del suo compleanno.
- Hange per favore… non farmi questo. Sai che devo farlo, Levi farebbe la stessa cosa.
- No, non lo farebbe.
- Io ti dico che invece…
- NO! Non più! – Hange si alzò dalla sedia – Non dopo tutto quello che abbiamo passato, mi dispiace metterla in questi termini, però tu non c’eri Siri. Ma io sì. Non è così forte come pensi e questa sarà la goccia, morirà dentro definitivamente.
Questa volta Jean non aveva avuto il tempo di sgattaiolare via, era rimasto immobile con Bernard a sentire quel confronto privato in religioso silenzio.
- Hange, pensaci un attimo per favore, non morirò veramente. Al momento giusto andrò da Levi e tutto…
- Ammesso che ci sarà mai un momento giusto.
Siri s’indispettì, strinse i muscoli della bocca mentre espirò dal naso carica di nervosismo: - Com’è che diceva Erwin? “Al di sopra delle parti”. Sono stanca del fatto che questo significhi tutto e niente, sono stanca di sporcarmi le mani senza avere mai nessun risultato, ma sopra ogni cosa sono stanca di ferire tutti continuamente. Le ho fatte soffrire tutte le persone che amo, Diya, Shawn, mia madre è stata la prima. Levi è solo l’ultimo di una lunga lista, non mi piace ma devo farlo, me lo ripeto ogni santo giorno da anni, e se proprio vuoi sapere quello che davvero penso, Hange, beh, con tutta onestà avrei tanto, ma tanto, preferito morire con mio padre perché così nessuno avrebbe mai sofferto.
Riprese fiato ansante, non credette di averlo finalmente detto ad alta voce a qualcuno. Hange la guardava scioccata con la bocca aperta, senza accorgersene una lacrima le scivolò lungo la guancia. Si girò prontamente dall’altra parte per dare le spalle ai suoi sottoposti ammutoliti, Jean non si era neanche sforzato di nascondersi alla vista degli altri, a braccia conserte e con lo sguardo a terra e gli occhi lucidi, contorceva il labbro inferiore per non farlo tremare incontrollato.
Siri si schiarì la voce, Bernard fu l’unico ad alzare lo sguardo: - Comunque sia, non c’è alcun bisogno che Levi lo venga a sapere. Dopotutto deve partire con Zeke nella foresta e potremo semplicemente evitare che la notizia gli arrivi. Non capisco perché sia ancora qui onestamente.
Hange si voltò di nuovo verso di lei, quindi annuì ma la sua voce tradiva ancora del risentimento: - Bene, allora è deciso. Come hai intenzione di procedere, se mi è dato sapere i dettagli?
- Scusate. – alla porta era apparsa Kerstin – Il capitano Levi è di nuovo qui. Sempre la solita storia, ma oggi sembra più determinato… Adesso ci sta parlando Shawn.
- Va bene, grazie Kerstin, non preoccuparti adesso ce la vedremo noi, torna di sotto. – disse Siri congedandola, riprese a parlare con Hange dopo che se ne fu andata – È una fortuna che sia già qui così potrai dirgli di andare via già domattina… io aspetterò di essermi ripresa quanto basta, massimo qualche giorno, poi prenderò un veleno, l’ho scoperto un po’ di tempo fa in un libro, rallenta così tanto il battito cardiaco che sembrerò perfettamente morta. Shawn m’inietterà un antidoto che mi farà riprendere e…
- L’hai mai provato prima? – Hange era una scienziata e sapeva perfettamente come i veleni potessero essere subdoli.
- Beh, no, ma…
- Quindi è un azzardo. – Siri roteò gli occhi, ma Hange non le diede neanche il tempo di ribattere – Va bene, se sai quello che fai ti lascerò procedere. Penserò io a far andare via Levi prima che tu muoia, tu occupati di trovare un modo per comunicare con noi mentre agite. 
Il comandante andò via a grandi passi senza neanche salutarla. Poco dopo andò via in silenzio anche Jean che non ebbe il coraggio di dire una singola parola, sentiva che se l’avesse fatto sarebbe scoppiato a piangere.
Siri prese il lenzuolo e se lo alzò fino al collo, a disagio perché Bernard non aveva ancora spiccicato parola: - Credo proprio che domani non verrà nessuno a farmi visita.
- Non voglio essere coinvolto. – l’uomo toccò il grosso livido che aveva sullo zigomo, il segno della sua “rissa” con Levi – Ne ho già pagato le conseguenze. Ci vediamo quando risorgi.
Lei annuì e lo osservò arrampicarsi sul davanzale della finestra e gettarsi sul tetto di fronte coi rampini.
 
- Sei pronta? – Kerstin era andata ad assisterla il giorno in cui avevano prestabilito sarebbe morta, Shawn si era rifiutato e le due donne potettero comprenderlo perfettamente.
Siri, che finalmente riusciva a sedersi sul letto, guardò assorta la boccetta di vetro verde scuro: si era ripromessa quella sarebbe stata l’ultima volta che avrebbe spinto il suo corpo oltre il limite, l’ultima missione per davvero. Giurò solennemente a sé stessa di fare di tutto per portare sé stessa via da quella realtà.
Giurò anche per Levi, che quella realtà non se l’era mai meritata.
Senza dare alcun preavviso all’infermiera, portò la boccetta alle labbra e inghiottì in un solo colpo il suo contenuto.
- A presto, Kerstin. – l’infermiera le prese la mano con un’espressione mesta in viso mentre l’altra si stendeva di nuovo – Ricordati di fare quello che ti ho chiesto se non dovessi risvegliarmi.
Quaranta minuti dopo, Siri morì.
 
Shawn spinse la pesante porta di ferro in avanti, il cigolio si spanse per tutta la camera mortuaria, umida e fredda per le spesse pareti di pietra adornate con le lampade a rocce luminescenti.
Aprì il cubicolo di Siri, le cui grate erano rimaste aperte “per dimenticanza” e tirò fuori il carrellino metallico su cui era stato adagiato il suo corpo con ancora la tunica ospedaliera addosso. Il loro piano non era un azzardo solo sotto l’aspetto del veleno, ma anche nel lasciarla quasi sempre sola in quel cubicolo. Chiunque avrebbe potuto cremarla prima del tempo o anche solo chiudere le grate che le garantivano di respirare.
Il medico pescò dalla tasca del camice il cilindro della siringa e dall’altra un ago sterile che vi appose sopra, iniettò l’antidoto al braccio di Siri e aspettò per dei minuti che a lui sembrarono lunghissimi. Non immaginava come avrebbe potuto ridurla il veleno se avesse tentato di rianimarla, probabilmente a quel punto sarebbe stato meglio ucciderla.
Teneva lo sguardo fisso su di lei quando vide le sue palpebre cercare di aprirsi, come il resto del viso che iniziò a muoversi intorpidito. Shawn si chinò su di lei per osservarla meglio, le puntò uno stecco luminoso negli occhi che, con suo grande sollievo, reagirono allo stimolo. Siri aveva rantolato per protesta e aveva tentato anche di alzare un braccio con scarsi risultati: era comunque una reazione notevole per il medico che non si aspettava riuscisse a riprendersi così velocemente.
- Puoi controllare che la ferita all’addome sia guarita?
Shawn sobbalzò. Poco distante da lui una ragazzina dal viso appuntito se ne stava nell’oscurità dello stanzone e lo stava osservando, con ogni probabilità, da quando era entrato.
Il medico, con ancora una mano sul cuore per lo spavento, annuì e alzò la tunica di Siri, rivelando il piccolo forellino che, seppur contornato da un alone verdognolo per il livido da operazione, era perfettamente richiuso.
- Sembra a posto. – l’uomo alzò lo sguardo di scatto, la ragazza l’aveva sorpreso di nuovo avvicinandosi di soppiatto e adesso guardava con uno sguardo vacuo la ferita.
- Mmh… – si voltarono verso il viso di Siri che con movimenti sconnessi si stava stropicciando gli occhi – Questo coso è dannatamente scomodo… potevate mettere un cuscino o qualcosa del genere.
Strascicava le parole, ma Shawn si disse comunque soddisfatto: non aveva apportato nessun danno neurologico e la ferita si era rimarginata come previsto. Restava solo controllare che le gambe le funzionassero ancora. Dopo averle controllato il battito con lo stetoscopio, l’aiutò a sedersi alzandole il busto. 
- E tu che diamine ci fai qui? – disse SIri non appena si sedette e mise a fuoco la stanza – Dov’è Bernard?
Yvonne si sedette dall’altro lato della barella in metallo: - Scomparso. Hange ha mandato me.
- Cosa?! Scomparso? In che- AH! – si voltò verso Shawn che le aveva tirato un pizzico per testare la sua risposta al dolore. L’uomo annuì soddisfatto quindi tornò a visitarla.
- Proprio scomparso scomparso. Nel senso che non si trova.
Siri contorse la bocca per il fastidio quando il medico iniziò a batterle un martelletto sulle ginocchia: - Cosa è successo, ne avete idea? Ho dormito solo per qualche giorno, la situazione è peggiorata così tanto? Jean come sta?
- Ho finito. – s’intromise Shawn – Prima non hai sentito il freddo dello stetoscopio, ma credo che a questo punto la sensibilità tattile sarà l’ultima cosa a tornare.
Rimasero qualche secondo in silenzio, quindi i due si abbracciarono all’unisono.
Resta viva per favore. – le bisbigliò Shawn paterno. Siri riuscì solo ad annuire. Si separarono poco dopo e Shawn andò via di corsa per tenere sgombro il passaggio per quando le due sarebbero uscite. Mentre pian piano Siri si alzava e vestiva, Yvonne l’aggiornava su tutto quello che era successo, man mano che i minuti passavano, la spia diventava più abile nei movimenti, li riprese praticamente del tutto dopo aver finito di allacciarsi le scarpe (non con poca fatica).
- Eren è fuggito di prigione poco dopo la tua morte e Jean crede sia stato lui a rapire Bernard per estorcere informazioni.
Siri si stava sistemando le cinghie dei suoi pugnali e dei rampini: - Informazioni? – guardò altrove assorta – Forse ha intenzione di procedere col piano di Zeke e spera di raggiungerlo.
- Ma allora… per il piano… – Yvonne mosse la testa con piccoli movimenti circolari, il suo strano modo per concentrarsi – Anche se Bernard parlasse dicendo loro dove si trovano, non farebbe molta differenza, no? Anzi sarebbe…
- No. – Siri infilò i congegni per i pugnali estraibili sugli avambracci – Sarebbe terribile perché Levi non sa del piano, cercherebbe di fermarli e morirebbe nel tentativo, Eren è troppo potente. Non credo neanche che Levi ingaggerebbe battaglia a prescindere, piuttosto tenterebbe di uccidere Zeke. Il punto è che abbiamo bisogno di sapere com’è la situazione sul continente prima di procedere…
Yvonne sospirò con un tono trasognante, Siri la guardò con una smorfia di disapprovazione.
- Forse avresti preferito Bernard al posto mio? – le disse la ragazza attorcigliandosi una ciocca di capelli.
Siri agganciò la sacca alla cintura: - Se c’è una cosa che non ti rinfaccerò mai di non avere è sicuramente la perspicacia.
A Yvonne cadde la testa in avanti mentre alzava un sopracciglio risentita.
- Avanti, andiamo. Dobbiamo muoverci e anche senza farci notare il più possibile. E se le rivolte sono così gravi come mi dici sarà un bel problema anche comunicare in codice con Hange.
Non fu particolarmente difficile uscire dall’ospedale, con le rivolte in corso, i feriti per il pronto soccorso si erano triplicati e in quel marasma fu facilissimo passare totalmente inosservate. Quando raggiunsero le porte interne della città, Yvonne, rimasta senza cappuccio, allungò ai soldati di guarnigione i loro documenti, ad una loro occhiata verso Siri che le stava accanto col cappuccio abbassato fin sotto gli occhi, la ragazza la prese sottobraccio attraverso il mantello con cui si stava coprendo.
- La mia nonnina non riesce a stare in piedi molto a lungo, per favore, ho lasciato il nostro carretto oltre le mura!
La soldatessa accanto all’altro ancora meditabondo, non appena sentì quanto aveva detto Yvonne, gli prese la spalla e si abbassò su di lui che annuì poco convinto.
- Potete andare.
Nonnina? – Siri strinse il braccio di Yvonne indignata.
- Sei in pensione, non è appropriato?
Mentre camminavano oltre i cancelli, rimpianse la compagnia di Bernard e si rese conto di aver pensato per la prima volta a lui da quando aveva avuto la notizia della sua scomparsa. Era preoccupata perché era sicura Bernard non avrebbe parlato, ma allo stesso tempo non credeva gli Yeageristi si sarebbero spinti troppo oltre. Quando raggiunsero il carretto decise che non appena avessero risolto la questione più urgente di Marley, sarebbe andata a cercarlo, purtroppo, fosse successo a chiunque di loro, persino a Jean, avrebbe dovuto procedere in quel modo.
- Incredibile, non mi ha riconosciuta nessuno. – esordì Yvonne dopo un po’ che erano partite.
Siri non si azzardò ad abbassare il cappuccio, nonostante ormai la strada fosse di campagna: - Ti eri accordata con la guardia, non sono mica scema. Trucchetti da manuale.
La ragazza fece un versetto seccato: - Di solito mi piace rischiare, ma visto che c’eri anche tu… volevo evitare rotture
L’altra si limitò a sospirare facendo finta di non aver sentito, soprattutto per approfittare di quelle lunghe ore di viaggio che le dividevano dalla sicurezza del nord per dormire. Quando arrivarono all’altezza di Mitras, continuarono a dirigersi verso nord costeggiando il muro Sina alla loro destra, dopo che oltrepassarono i controlli dei soldati che stavano erigendo una piccola muraglia sulle sponde del fiume, Siri venne svegliata dal cantilenare di Yvonne: da quando erano arrivate a nord la ragazza si era decisamente rilassata, ma se questo significava farle entrare un motivetto nella testa, Siri era prontissima a rovinarle la festa.
- Sei davvero cara a volermi intrattenere, ma preferirei un religioso silenzio.
- I morti non parlanoo… – Siri si voltò a guardarla accigliata – E poi non può darti così fastidio.
- Allora. Prima di tutto non tutte le persone sorde sono completamente sorde. – Siri si sedette, per aiutarsi a farlo si aggrappò al bordo del rimorchio – Seconda cosa, io…
Si bloccò all’istante, scorgendo qualcosa da lontano a parecchi metri da loro.
- Ferma il carro. – disse perentoria alla ragazza.
Yvonne si voltò, vedendo Siri saltare giù dal carro tirò con uno scossone le briglie dei cavalli che protestarono per il gesto improvviso. Non appena ebbe calmato i cavalli, raggiunse l’altra a piedi uscendo dal sentiero mentre si guardava attorno con una circospezione, ma molto rilassata.
- È consigliabile per pazienti reduci da ferita d’arma da fuoco muoversi così? – Siri non le rispose, presa a fissare immobile qualcosa per terra. Yvonne le si affiancò e abbassò lo sguardo dove l’altra stava guardando e pian piano la sua faccia si dipinse di puro orrore.
Un’enorme orma si approfondava nel suolo, un goffo tentativo di cancellarla l’aveva spezzata in due metà e, a giudicare dalla forma e dall’erba ancora parzialmente schiacciata doveva essere abbastanza recente. Si guardarono attorno e non poco distanti c’erano anche altre orme perfettamente distanti tra loro a due a due uguali.
Siri si allontanò di qualche passo per vedere le altre orme e Yvonne sottovoce, quasi che fare diversamente le avrebbe messe in un pericolo mortale, le chiese: - Gli avevate uccisi tutti… Le spedizioni del capitano Levi, loro non dovrebbero essere…
- Non sono giganti. – si voltò Siri, ancora gli occhi che schizzavano da un’impronta all’altra – Non almeno quelli che immagini tu. Questo sì che è un enorme problema… e puntano a sud.
Yvonne si afferrò le due ciocche di capelli platino che teneva sempre ai lati del viso: - Quindi cosa facciamo? Noi due… beh, tu hai ricevuto una sorta di addestramento, ma sicuramente non saremmo capaci di abbatterlo.
Dopo anni, la donna per la seconda volta riusciva a sentire nella voce della collega della vaga insicurezza. A sua volta però nascose la sua, Yvonne aveva tutto il diritto di sentirsi sopraffatta, era invece suo dovere infonderle almeno un briciolo di calma.
- Dove abbiamo installato la radio più vicina?
- Poco a nord di Orvud se non sbaglio. Ma non è potente come quella al porticciolo a nord.
- Ce la faremo bastare, deve bastare. – disse Siri tornando verso il carretto – Non abbiamo tempo di raggiungere il porto.
 
Non avevano tempo, nei termini in cui avrebbero voluto averlo e la recente scoperta peggiorava di gran lunga le cose: Yvonne aveva dovuto accelerare l’andatura dei cavalli fin quasi a farli collassare, non appena erano arrivate dopo qualche giorno alla stazione radio poco fuori un paesino a nord di Orvud, avevano dovuto inscenare un incendio e poi bloccare tutte le porte per permettere a Siri di contattare tutte le persone con cui aveva bisogno di comunicare. Dopo aver litigato e tirato gli insulti più osceni che Levi le avesse insegnato verso quei nuovi macchinari, la donna uscì dallo stanzino delle comunicazioni radio con un’espressione che a Yvonne, che faceva la guardia nel corridoio, parve abbastanza speranzosa.
- Ci sono buone notizie su Marley. Beh, buone per noi: la nostra missione alla fine ha funzionato. – esordì Siri non appena si furono allontanate dall’edificio abbastanza – Sono riuscita anche a contattare il porto a nord e mi hanno confermato che non hanno visto navi nemiche all’orizzonte. A sud non valeva la pena neanche chiedere, credo che il gigante carro avrebbe avuto vita breve con gli Yeageristi a presidiarlo. Quello che penso è che siano arrivati a nuoto col carro.
Siano? Dici c’è anche il mascella e il corazzato?
- Secondo me sì. O forse solo uno dei due, non ne ho idea. È stata comunque un’idea stupida la loro venire qui, non so cosa puntino a fare visto che ormai Marley è letteralmente in un baratro.
- Magari un’ultima mossa disperata. Qualcosa di rischioso. – Yvonne si guardò intorno nella strada trafficata del piccolo paesino, non si aspettava grande confusione ma un minimo di preoccupazione per la situazione che imperversava tra nord e sud, con Eren incarcerato. Invece regnava la calma più assoluta anche lì, oltre che in tutte le città principali che avevano già superato.
- Possibile. Magari cercare di recuperare il fondatore per tentare di sedare le rivolte e recuperare il potere con la sottomissione. Sta di fatto che dobbiamo cercare di dialogare col carro perlomeno.
- Sei proprio misericordiosa.
Siri sbuffò, salendo sul retro del carro: - Senti, non iniziare. Da quello che abbiamo potuto osservare… ma che te lo dico a fare?! Dovrebbe essere ovvio per te con tutto quello che sappiamo.
Yvonne roteò gli occhi con le briglie tra le mani: - Cosa speriamo di fare quindi? Parlando con lei intendo.
- Mediare, ovviamente. Qualsiasi accordo le offriremo, lei sarà abbastanza intelligente da accettare.
La ragazza si voltò col busto, risoluta le disse: - Seppure Pieck sia una soldatessa molto intelligente, non abbiamo nessuna certezza che non decida di attaccarci o ucciderci.
- Che differenza c’è tra attaccare o uccidere?
Yvonne rimase in silenzio e distolse lo sguardo incerta: - Cosa ho detto?
- Tu sei la stessa persona che ho incaricato di addormentare e avvelenare ufficiali alti in grado di Marley?
- Apparentemente.
Siri si grattò le sopracciglia scuotendo la testa: - Comunque… ho pensato anche a questo, sai i due ragazzini che… – si bloccò istintivamente, ma continuò poco dopo – i due che sono saliti sul dirigibile.
- Beh?
- Potremo usarli come merce di scambio, o meglio, detto così sembra davvero brutto… – disse frugando nei sacchi di cibo che si erano portate dietro – Semplicemente ci aiuteranno ad essere ascoltati. 
- Tanti giri di parole per non dire ostaggi. – Yvonne scosse le briglie e mise in cammino i cavalli verso il sentiero.
Siri addentò una mela e alzò le spalle: - Non è così brutale come dici… Saranno più dei… collaboratori alla mediazione.
Il piano che aveva ideato sembrava, per una volta, davvero semplice, se non fosse stato per il fatto che arrivate alla prigione dove i bambini erano stati detenuti, avevano scoperto fossero scappati da più di una settimana. Yvonne dovette sorbirsi la quasi crisi di nervi del superiore quando, tornata nel boschetto lì vicino dove l’altra era rimasta nascosta, le aveva dovuto riferire della scomparsa di Gabi e Falco. Siri si era lasciata andare in un suono rauco per esprimere la sua frustrazione e alla fine, più che seccata, aveva preso la decisione di tornare a Trost per comunicare segretamente ad Hange di procedere. Dopotutto, era la soluzione migliore considerato che Pieck e chiunque fosse con lei non avrebbero rappresentato una reale minaccia quando avrebbero attuato il piano, inoltre avevano distrutto la flotta di Marley, decimato il loro esercito, i volontari si erano occupati di manomettere i principali dirigibili e aerei. Era difficile immaginare un attacco su larga scala o che comunque avrebbe mai potuto metterli in difficoltà.
 
Il soldato del corpo di ricerca che Hange e ciò che restava della squadra di Levi avevano lasciato all’ingresso non era molto sicuro di che segno dovesse aspettarsi per poter entrare nell’edificio, non immaginava certo potesse essere una ragazzina minuta con la divisa della guarnigione. Non aveva idea da dove fosse entrata, visto che era scivolata alle sue spalle bisbigliandogli di entrare nell’edificio appena possibile e Hange avrebbe capito anche senza che lui avesse detto niente. Come l’aveva raggiunto, così era sparita, uscendo addirittura dall’entrata principale indisturbata. Nel momento in cui aveva messo un passo verso il portone, dal cancello si levò un vociare fortissimo che lo face bloccare sul posto e voltare nuovamente. Riuscì a carpire il necessario per gettarsi a perdifiato lungo i corridoi, anche prima che lo facessero i soldati della guarnigione che erano stati incaricati di dare la notizia all’interno. Si fece spazio nel tribunale militare gremito di soldati urlando: - COMANDANTE! – non sapendo se rivolgersi ad Hange o a Pyxis per dare la notizia che gli Yeageristi avevano raggiunto i cancelli della città.
Gli occhi del comandante del corpo di ricerca caddero immediatamente sul fiorellino di lavanda che il soldato aveva nel taschino, fu sufficiente un’occhiata ad Armin per far sì che lui si avvicinasse e che verificasse che non ci fossero altri messaggi.
Non appena Pyxis ordinò di muovere le truppe, Hange raccolse la squadra di Levi e li portò fuori, tenendo saldamente Jean per la manica del cappotto, Armin e Connie ai lati si facevano spazio spintonando i soldati per arrivare ai portoni il prima possibile. Slegarono i cavalli della carrozza e si allontanarono a passo svelto dall’edificio.
- E adesso che facciamo comandante? – disse Armin non appena si erano riparati in una strada meno affollata – Raggiungiamo il capitano?
- No. – Hange si prese il mento tra indice e pollice – Siri me l’aveva detto di tenere Yelena sott’occhio, mi sembrava assurdo che una persona che avesse dato tanto a quest’isola come lei potesse pugnalarci alle spalle, eppure… Pyxis non solo mi ha rivelato in separata sede che lei ed Eren si sono incontrati in segreto, ma poi, dopo i dubbi che Siri mi ha sollevato, ho scoperto altro grazie a Jean.
Il comandante si voltò a guardare il sottoposto, invitandolo a parlare. Jean sospirò: - Onyankopon una volta mi ha raccontato di come Yelena si è guadagnata la fiducia e il rispetto dei volontari, è stata praticamente lei a metterli insieme uccidendo a sangue freddo qualsiasi Marleyano avesse sospettato di loro o gli si opponesse. Non ho dato molto peso alla cosa, fino a quando Hange non mi ha detto dei dubbi di Siri.
- Quanto mi ha detto Jean mi ha fatto pensare molto. – riprese il filo Hange – Nonostante abbia sempre declamato il suo odio verso Marley e i suoi abitanti, quando abbiamo fatto prigionieri quelli che durante questi anni sono sbarcati qui, lei si è battuta perché avessero diritti umani e un lavoro. Non che noi a nostra volta avessimo molto in contrario, ci hanno insegnato tanto ma… una come Yelena? Siri aveva ragione, se solo avessi saputo prima questa informazione l’avrei tenuta d’occhio.
Armin strinse le briglie del proprio cavallo: - Quindi vuole dire che potrebbe aver ordito qualcosa alle nostre spalle?
- Esattamente. Mi preoccupano i posti dove ha sistemato i prigionieri… la maggior parte di loro è impiegata nei ristoranti. C’è una persona in particolare che potrebbe essere più propensa a parlarci.
Non sorprese nessuno che colui di cui Hange stesse parlando fosse proprio Niccolò, infatti presero la strada per l’interno del Wall Rose quasi in automatico. Anche attorno al ristorante c’era abbastanza via vai, ma nulla di paragonabile al caos in cui regnava Trost che sembrava prepararsi alla battaglia. Non appena entrarono nel ristorante, Niccolò li relegò ad una sala vuota chiedendo loro di attendere che finisse di servire dei “clienti molto importanti”. Jean, dopo aver discusso con Niccolò per l’epiteto offensivo con cui li aveva chiamati, si allontanò per andare in bagno. Mentre usciva Connie lo seguì e gli afferrò il braccio scherzosamente: - Aspetta, ti accompagno, non puoi mica andarci da solo! – lo canzonò.
L’altro lo spinse via: - E smettila idiota!
Connie rise e anche Armin parve divertirsi alla scenetta.
- Immaturi.
- Cerca di non stare via troppo. – rispose Armin rincarando la dose, con l’amico che ancora rideva e gli si aggrappava alla spalla.
Jean chiuse la porta scuotendo la testa, mentre affiorava un sorriso sul suo volto ora che i suoi amici non potevano vederlo. Si avviò verso il bagno infondo al corridoio, quando alla sua destra, attraverso uno spazietto lasciato da due grosse porte, si fermò quando intravide in un’altra sala la famiglia di Sasha al completo. Non appena cercò di avvicinarsi qualcosa lo strattonò dalla parte opposta e nel giro di un attimo era stato scaraventato dentro uno sgabuzzino. Tirò fuori un pugnale che teneva dentro gli stivali e, ancora seduto sul pavimento, si mise in posizione difensiva.
- Rilassati Jean-Jean.
Yvonne girò la chiave nella serratura mentre Siri gli porgeva una mano.
- Siri! – Jean ripose veloce l’arma – Ha funzionato! Sei viva!
Si alzò e abbracciò forte la spia che ricambiò non altrettanto strettamente.
- Hange è ancora arrabbiata con me?
Jean la lasciò dopo poco, un po’ imbarazzato: - Ecco, non abbiamo parlato di te in realtà.
A Yvonne scappò una risata che cercò di soffocare mentre Siri la guardava truce.
- Ma tu guarda, io crepo e non interessa a nessuno, – puntò il dito contro la ragazza – con te ci faccio i conti dopo.
- Cosa ci fate qui? Non dovreste essere già da Levi? – chiese veloce Jean a cui non dispiaceva molto questo cambio di piani perché ci teneva a rivedere la sua maestra.
- Vi abbiamo seguiti, c’è un enorme problema Jean.
- Gigantesco. – aggiunse Yvonne con una faccia da poker.
Siri scosse la testa esasperata: - Comunque… Il gigante carro è sull’isola.
- COSA?!
- Sh! – lo riprese Siri dandogli un calcio negli stinchi – Abbiamo trovato le sue impronte mentre tornavamo a Trost per dirvi di procedere.
- Co… perché è qui?!
- Guarda. – Siri gli mostrò i palmi protesi delle sue mani fasciate di nero – Vedi. C’è per caso una palla magica nelle mie mani? Ovvio che non lo so. Quello che ho pensato è che, forse, vogliono tentare il tutto per tutto e recuperare Eren.
- È un’idea davvero stupida.
- L’abbiamo pensato anche noi. – disse Yvonne, anticipando Siri.
- Ad ogni modo, era al tribunale, travestita da soldato. – riprese la donna.
- Eravate nel tribunale?
- Non proprio dentro ma… lasciamo perdere, non è importante. Pyxis la sta facendo pedinare, la controlla costantemente, con lei è arrivato anche il mascella, anche se non è lui che mi preoccupa.
Jean si accigliò: - Sono del tuo stesso parere… Pieck è molto più intelligente, almeno, dai rapporti che abbiamo raccolto a Marley e dalle informazioni di Zeke. Cosa volete fare con loro?
- Parlare. – Siri alzò le mani per fermare il ragazzo dal contestare – Li rimanderemo a casa senza ammazzarli e coi bambini Marleyani che avevamo imprigionato qui.
- È impossibile che non chiedano altro.
- Come ho detto, medieremo.
Jean annuì, convinto soprattutto dal fatto che comunque i Marleyani adesso non erano nelle condizioni per poter fare richieste troppo audaci.
- Ed è qui che entri in gioco tu.
- Io?
- Sì. Per riuscire a parlare col carro avendo la garanzia che non si trasformi ci servono quei bambini Marleyani.
Il ragazzo corrucciò le sopracciglia: - Beh, potevate andare a prenderli direttamente dalla prigione. Non capisco.
- Hanno ucciso una guardia e sono scappati. – disse Yvonne, guardandosi le unghie – E adesso sono in questo ristorante con la famiglia di Sasha. Parecchio ironico se ci pensi, no?
- Trova un modo di portarli da me, poi dovrò chiederti di venire con noi. – Jean assentì in silenzio e fece per aprire la porta quando Siri parlò ancora – Aspetta.
Il ragazzo si voltò.
- Notizie di Bernard? – anche Yvonne lo guardò speranzosa.
Il viso di Jean si rabbuiò: - No… mi dispiace. – restarono in silenzio, fino a quando Siri, ancora sovrappensiero, annuì e lo invitò ad uscire. Poco dopo che ebbe chiuso la porta, sentì degli schiamazzi provenire dalla sala dove si trovavano i Braus: quando spalancò le porte, Niccolò teneva il ragazzino Marleyano senza sensi per il collo, mentre ai suoi piedi c’era la bambina che aveva ucciso Sasha con la faccia tumefatta. Dopo molto dialogare e un’intermediazione non proprio pacifica in cui subentrarono anche Hange, Connie ed Armin attirati dalle urla, Jean riuscì ad allontanare Gabi e Falco appena in tempo, prima che una delle figlie dei Braus tentasse di accoltellare la bambina.
Mentre Niccolò scoppiava in lacrime, Jean colse l’opportunità per portare via Falco e Gabi con sé e farli entrare nello sgabuzzino, dove, non appena dentro, Siri lo sommerse di domande per poi ammutolirsi di colpo quando il ragazzo le porse Falco privo di sensi. Lo adagiarono con cautela sul pavimento e Siri prese a visitarlo.
Gabi, in piedi dietro di lei, era ancora sotto shock e, con gli occhi pieni di lacrime puntati sul suo amico, riuscì solo a dire: - Si riprenderà?
- Ha preso una bella botta, il bernoccolo è davvero gonfio, ma ho visto persone riprendersi da colpi peggiori di questo. Sta tranquilla e cerchiamo di avere fiducia.
Non appena finì di fasciare la testa di Falco, ancora in ginocchio, Siri si voltò verso Gabi, si sporse da un lato e dall’altro della sua faccia e le disse cauta: - Posso toccarti?
A Gabi trasalì e si ricordò come aveva trattato quella donna sul dirigibile. L’aveva chiamata sporco demone, le aveva urlato in faccia dicendole di non volere che le sue mani la toccassero, subito dopo che aveva ucciso qualcuno che, aveva intuito, le stava molto a cuore. E ora, nonostante tutto, quei soldati l’avevano protetta e quella donna si stava non solo preoccupando che lei stesse bene, ma che avesse il permesso di toccarla. Gabi lasciò scivolare lungo il suo viso le lacrime, si era resa finalmente conto di quanto cieca era stata.
- Mi scusi… – disse tra i singhiozzi – è che proprio non capisco ancora… perché siete gentili con me… ho ucciso la vostra amica…
- È la guerra. Sappiamo i rischi che corriamo, tu eri solo dietro il fucile. E poi… – Siri le porse un fazzoletto – Siete dei bambini, non avreste mai dovuto essere coinvolti in primo luogo. Adesso, se mi dai il permesso posso aiutarti, sono un dottore, il mio nome è Siri.
Gabi prese il fazzoletto e lo tamponò sulle narici: - Io sono Gabi e lui è Falco.
Siri le sorrise dolcemente, e, mentre Yvonne la guardava quasi incredula, Jean era rimasto poggiato alla parete a guardare la reazione della collega con un certo compiacimento: a differenza sua, a lui non era nuovo il comportamento che assumeva coi pazienti, soprattutto quelli più giovani. Ripensò con nostalgia a quando aveva curato la caviglia di Historia e a come era stata gentile e premurosa.
- Gabi, vorrei applicarti qualche medicina e dei cerotti, ti daranno subito sollievo.
La bambina annuì docile e si lasciò incerottare, nel bel mezzo dell’impresa, Hange spalancò la porta dello sgabuzzino con gli occhi stralunati. Siri, con le mani a mezz’aria, la guardò perplessa assieme a Gabi.
- Quindi almeno un po’ ti mancavo. – esordì Siri.
- Perché siete ancora qui?! Anzi, menomale che siete ancora qui. – Hange si strinse la base delle sopracciglia da sotto gli occhiali ed entrò, seguita a ruota da Armin e Connie che chiusero la porta alle loro spalle.
- Lasciate spazio al ragazzino! – berciò Siri ai nuovi arrivati che resero lo spazio, già risicato, ancora più ristretto. Dopo che poi si erano allontanati da Falco sotto la strapazzata di Siri, si erano tutti schiacciati l’uno contro l’altro sulla parete di fronte, tant’è che Hange dovette farsi spazio spintonando i suoi sottoposti per emergere. Prese fiato per parlare ma venne distratta dalla figurina di Yvonne che, seduta a gambe incrociate su di una cassa, la stava fissando.
Scosse la testa e parlò: - Siri, devi raggiungere Levi quanto prima.
La spia si alzò e le si mise di fronte: - Ma non mi dire. Jean non ti ha informata della novità, ma ho prima una faccenda da sbrigare col gigante carro in giornata.
- Il… che?! È sull’isola?!
- Già. Ha Pyxis alle calcagna, non preoccuparti. – Gabi, più interessata adesso alla conversazione, tentò di parlare, ma Hange prese subito parola.
- Va bene… Maledizione, anche questo adesso… Siri c’è un problema. 
- Un altro? Peggio di questo?
Quando Hange le spiegò “il problema”, la spia non poteva credere a quanto le stesse dicendo. Sapeva di non poter certo pretendere che il piano procedesse esattamente come speravano, ma nemmeno che tutto potesse andare a rotoli con una facilità così disarmante.
 
Nota: è lunghino, lo so. Per favore non odiatemi per come l'ho fatto finire, ma questo capitolo ha una storia particolare perché in realtà doveva essere finito almeno una settimana fa, ma mentre continuavo a scriverlo per portarlo esattamente dove volevo (come vi ho detto ho pianificato tutti i capitoli), mi sono resa conto che c’erano ancora tante scene da raccontare, non ero neanche a metà ed era venuto fuori di 10 pagine. Quindi ho preso buona parte di quello che doveva essere questo capitolo e l’ho gettato in pasto al prossimo, sperando di non avervi ammorbato troppo. Purtroppo ho dovuto mettere tantissimi dialoghi per farvi capire cosa stesse succedendo a grandi linee, non potevo lasciarvi totalmente ignari.
Il veleno di oggi dovrebbe essere l’Atropa belladonna, lo stesso utilizzato da Giulietta in Romeo e Giulietta e quello che usa anche Sandokan in non ricordo quale sua avventura. Per ovvie ragioni, l’efficacia di questo metodo o anche il fatto che fosse davvero il belladonna sono cose che non sono mai state testate, quindi ho preso una “licenza poetica” e mi sono fatta andare bene fonti non proprio precise. Insomma, parliamo di un mondo in cui esistono i giganti… è pur sempre un racconto di fantasia, nonostante fino ad ora sono rimasta abbastanza fedele alla scienza vera, vi prego di concedermelo (magari esiste davvero questo veleno, chi lo sa, io non muoio dalla voglia di scoprirlo, preferirei se mai mi trovassi nella situazione di usare i metodi alla Mattia Pascal).
Le fonti che ho usato per il veleno: questo articolo della BBC e la cara buon vecchia wikipedia + avevo letto dell’episodio di Sandokan tanto tempo fa in un libro di antologia per la scuola e sono riuscita a trovare una pagina su internet qui, anche questa in inglese (basta cercare nella pagina web la parola “death”, al 9° risultato troverete la narrazione dell’evento a grandi linee).

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Capitolo 38
*** Capitolo 36 - Giocare a carte scoperte ***


Capitolo 36 – Giocare a carte scoperte

 
Per Siri, Kenny era la personificazione della sua paura peggiore. Kenny era la morte.
Non lo divenne quando venne a conoscenza che era stato lui ad uccidere cento gendarmi, nemmeno quando la minacciò con un coltello alla gola il giorno in cui si unì alla sua gang. Anzi, aveva sempre stretto i denti e fatto buon viso e cattivo gioco, il fedelissimo geco di Kenny che cercava segretamente, in tutti i modi, di fregarlo. No, lui non era diventato la sua morte il giorno che lui aveva scelto di farle paura, perché non riusciva proprio a sopportare che Siri potesse essergli così fedele, che fosse così attenta alla vita degli altri. Lo nauseava il fatto che non fosse come lui. Un uomo che aveva perso tutto e che per questo si comportava al peggio che potesse. Come poteva una persona come Siri non essere un mostro? La riteneva un’ipocrita, soprattutto quando cercava di non sporcarsi le mani direttamente e si serviva di qualche trucchetto per far fuori i loro nemici, piuttosto che usare il coltello.
Il giorno in cui lei rientrò nel covo dopo aver raccolto le informazioni dalla concorrenza, Kenny elaborò il modo in cui gliel’avrebbe dimostrato.
Non appena Siri aprì la porta del loro ritrovo, lui le lanciò contro un pugnale che andò a conficcarsi nel coprifilo della porta, a una decina scarsa di centimetri dal volto di Siri.
Kenny scoppiò a ridere: - Mancata!
La ragazza estrasse il coltello, totalmente impassibile: scene del genere le viveva ormai da mesi, all’inizio l’avevano turbata, ma poi si era abituata, tranquillizzata anche dal fatto che lui era restio a superare certi limiti.
Si avvicinò alla scrivania a cui era seduto: - Mi chiedo chi poi ti reperirà le informazioni.
- Smettila di darti tante arie, potrei fare tutto quello che fai da solo e col minimo sforzo.
- Solo che non ti va. E io sono più piccola e discreta, faccio tutto il lavoro senza farti domande e, infondo, ti piace delegare. – gli porse l’arma dalla parte del manico.
- Ah, tienitelo, un regalino ogni tanto te lo meriti.
Siri temporeggiò con ancora la lama tra le dita, poi la fece roteare tra le mani, l’afferrò dal manico e infilò il pugnale nella sacca. A differenza dei suoi, quelli di Kenny erano decisamente più grossi e ricurvi, per cui le sarebbe servita una fondina specifica.
- Allora, – Siri si sedette di fronte a lui, accavallando le gambe – che hai in serbo per me adesso?
- Niente di che mia cara, oggi abbiamo un po’ di chiacchierate da fare, domani sera mi servirai per un lavoretto, anzi, meglio tra qualche giorno.
Siri alzò le sopracciglia: - Se devo tagliare qualche gola tanto vale che me lo dici adesso, così trovo un modo migliore per risolverti i problemi.
Kenny si lasciò andare in una fragorosa risata: - Ed eccola lì! Sempre a darti tanto da fare per sporcarti le mani il meno possibile. – si alzò e si portò alle sue spalle, si piegò quindi al suo orecchio – Mi chiedo quando capirai che noi due siamo più simili di quanto pensi.
Lei gli rispose col silenzio, non riusciva bene a capire perché lui, da quando l’aveva conosciuta un po’ meglio, si fosse accanito su quell’aspetto del suo carattere. 
Nei giorni seguenti Kenny le diede parecchi lavoretti da fare che sembravano quasi un insulto alle sue capacità: aveva aiutato un delinquente a nascondersi da un clan, aveva poi intercettato un carico per loro che aveva fatto sistemare in un magazzino diverso dal solito. Svolgeva tutto senza fare domande, ma dopo l’ennesimo incarico quasi da portantino che le affidava, si lasciò sfuggire un commento di disapprovazione a cui Kenny le rispose caustico e criptico allo stesso tempo.
- Ah, sentiamo, le fai tu le regole? Aspettate ragazzi, il geco ha qualcosa da dire, avvicinatevi a sentirla attentamente! – le rispose sprezzante alzando la voce per farsi sentire da tutti quelli dellla loro organizzazione che erano nel locale, scatenando delle risate diffuse. Quindi, si sporse verso di lei abbassando la voce: - Io so quello che devo fare, tu obbedisci e basta, siamo intesi?! Prova a ridire un’altra volta sui miei ordini e finisci a pulire il mio vaso da notte.
Seduto sullo sgabello, Kenny si era rigirato sul bancone e aveva ordinato da bere, chiudendo definitivamente la conversazione. Siri sospirò sonoramente, guadagnandosi un’occhiataccia di sbieco dall’altro che, nonostante ciò, si limitò ad ignorarla mentre si allontanava da lui, zigzagando tra i tavoli della locanda per tornare a sedersi al suo. L’ambiente, per essere un locale di ritrovo di una gang importante come quella di Kenny, era comunque sudicio e scuro, il legno del pavimento era consumato e appiccicoso, quasi quanto i tavoli a cui i proprietari avevano cercato di dare un aspetto meno usurato spalmandovi sopra della cera. Le luci fioche delle lanterne sui tavoli coi piccoli camini in vetro incrostati contribuivano all’immagine poco lusinghiera, l’idea generale che dava il mobilio era di non essere mai stato cambiato o perlomeno pulito dal giorno di apertura.
- Non so proprio se il tuo sia coraggio o faccia tosta! – le disse Arnold quando lei raggiunse il tavolo coi suoi compagni – In ogni caso, dovresti smetterla. Potresti prendere Kenny per il verso sbagliato un giorno o l’altro.
- Ma anche se fosse, Kenny non le farebbe nulla! Ha un vero e proprio debole per lei! – commentò Noah, già abbastanza alticcio.
- Un debole un corno. Non mi sopporta. – commentò cupa Siri, mentre si sedeva tra i due. Ed effettivamente era così, non si poteva dire il loro capo la odiasse ma nemmeno che le andasse a genio. Il rapporto che avevano era di mera utilità: a Kenny lei serviva per i suoi interessi commerciali, a Siri lui perché non aveva altra scelta. O, almeno, questa era la facciata con cui si era presentata e la storiella che aveva raccontato a tutti.
- Avanti. – Arnold le mise davanti un boccale di birra, il liquido già ambrato di suo sembrava nero – Sfogati.
Lei prese il boccale tra le mani e dopo qualche ripensamento, si lasciò andare: - Non capisco perché stia facendo queste stupide commissioni, ci sono altre cose a cui pensare. La gang di Dominik ci sta col fiato sul collo, per non parlare di quella Sven e Lucas che ci stanno bloccando buona parte del commercio. – vedendo Noah fare un gesto con la mano per sminuire la faccenda, indurì il tono – Io faccio solo il mio lavoro, può farsi infinocchiare per quanto mi riguarda, se è questo quello che vuole.
In effetti Kenny non se la passava molto bene in quello specifico periodo: le gang della città sotterranea si potevano contare sulle dita e Dominik era sicuramente quello con più potere in assoluto. Era lui quello che, assieme a pochi boss di altri distretti della città sotterranea, aveva il monopolio della merce che arrivava dalla superficie, decideva le quantità da destinare alle varie altre organizzazioni criminali e, soprattutto, i territori in cui erano autorizzati ad agire. Regole non scritte che tutti dovevano rispettare e che, adesso, iniziavano a stare strette a Kenny: notoriamente conosciuto per renderle “più flessibili”, aveva iniziato, per qualche oscuro motivo, ad essere preso di mira da Dominik, che aveva ridotto non solo il suo territorio ma anche i suoi rifornimenti. Siri aveva letto tra le righe che il grande capo aveva deciso di fare fuori Kenny, il che non si confaceva affatto con gli obiettivi della sua missione segreta, per cui, suo malgrado, stava facendo di tutto per aiutarlo.
Eppure, continuava a non capire perché lo squartatore più feroce della capitale continuasse a chinare il capo e obbedire senza cercare di contrattaccare. Anzi, chiedeva alla sua spia e assassina più in gamba di svolgere compiti al limite del ridicolo per le sue capacità.
- Ma no! – Noah le diede una pacca sulla spalla – Kenny sa quel che fa, fidati. Dovresti rilassarti, come faccio io. Non ci penso, e nemmeno tu dovresti pensarci.
- Beh, è facile per uno che ha la zucca vuota come te. – disse Siri, gli altri due risero.
Arnold scosse la testa con ancora un sorriso sulle labbra: - Noah non ha tutti i torti sai… pestare i piedi a Dominik poi sarebbe davvero poco saggio in questo momento. Vedrai che tutto si sistemerà, non finiremo in mezzo alla strada. Non ti succederà di nuovo Siri.
- Infatti! Ne deve passare di acqua sotto il ponte! – detto ciò, Noah collassò sul tavolo, scatenando le risate di tutti. Siri scosse la testa divertita e gli prese la mandibola, girando la testa di lato per evitare che potesse soffocare col suo stesso vomito. Per un istante il suo sguardo incrociò quello di Kenny che la stava già fissando, da quanto non ci aveva fatto caso. Da tutto il tempo? Solo negli ultimi secondi?
Notò una piccola ruga che gli si formò al lato della bocca, si portava verso l’alto come tirata da un amo, segnando un piccolo ghigno sulla sua faccia.
Kenny si voltò di nuovo verso il bancone e Siri distolse lo sguardo confusa, mentre una sensazione scomoda le serpeggio attorno allo stomaco.
- È sempre il solito… – commentò Arnold, riportando la ragazza alla realtà. Gli rispose con un sorriso forzato, tra i più credibili che avesse mai potuto fare: recitava con tutti, nessuno escluso, non poteva interessarle di meno di tutti gli scagnozzi di Kenny, ma sarebbe stato come mentire a sé stessa dire che Arnold e Noah non le stessero a cuore. Si era affezionata loro con naturalezza, ma assumeva lo stesso un atteggiamento distaccato e questo aveva indotto i due a pensare, erroneamente, che fosse una persona schiva e solitaria quando in realtà la spia era tutto il contrario.
Noah era un ragazzino di appena diciassette anni, orfano, come tanti coinvolti negli affari illeciti, e abbastanza tonto. Siri l’aveva tirato fuori dai guai più di una volta, era davvero piccolo dopotutto, Kenny però non era di certo paziente come lei, quindi gli aveva giurato che al prossimo errore l’avrebbe sbattuto fuori. Lo squartatore non ammetteva errori da principianti, questo era anche uno dei motivi per cui non accettava minorenni nel suo clan. “Non più.” diceva, facendo intendere che forse c’era stato un tempo in cui la pensava diversamente, lei si chiedeva spesso cosa gli avesse fatto cambiare idea, ma non si azzardò mai a chiederglielo: per quanto la incuriosisse, certi cassetti forse era meglio tenerli ben chiusi. Soprattutto se quando Siri, dopo una delle ultime disfatte di Noah, chiedendo al capo cosa si aspettasse da un ragazzino, lui le aveva risposto:“Cose straordinarie”. 
Poco dopo, Arnold le propose di portare via Noah a casa, visto che quest’ultimo non sarebbe riuscito a camminare sulle sue gambe neanche fino all’uscita.
- Comunque… – l’uomo esordì mentre camminavano nelle strade deserte, le braccia di Noah attorno alle spalle di uno e dell’altra – Non ho ancora avuto modo di ringraziarti, geco.
- Se è ancora per quella medicina, non preoccuparti.
- No, davvero. – s’incupì – Non so da chi reperisci informazioni e medicine, non m’interessa neanche saperlo se questo permette alla mia bambina di stare meglio.
Siri avrebbe tanto voluto rassicurarlo e dirgli che loro due non erano poi così diversi: non piaceva a nessuno dei due essere in quei giri pericolosi, però si erano ritrovati costretti a farlo. Da un certo punto di vista, in parte lo aveva ammesso con la sua storia inventata per la copertura, quindi Arnold sapeva che anche lei doveva avere motivazioni simili alle sue. 
- È solo una bambina, chiunque avrebbe il buon senso di aiutarti se si trovasse nella possibilità di farlo.
Arnold rise: - Mmh… non lo darei così per scontato, no. Posso… posso chiamarti in modo diverso dal tuo soprannome?
- Non posso rivelarti il mio vero nome.
- Lo so! Ma, beh, non volevo me lo rivelassi. – sistemò meglio il braccio di Noah sulle spalle con uno strattone – Magari uno inventato.
Siri gli rispose scocciata: - Se proprio devi…
- Che ne dici di… Sophia? È un bel nome.
- Immagino di sì. Dopotutto non deve piacermi. – in altre circostanze avrebbe reagito in maniera meno distaccata, le costava molta fatica rispondergli male, visto che Arnold le faceva tanta tenerezza, ma teneva bene a mente le conseguenze che un attaccamento, per di più con un membro della gang, avrebbe potuto portare.
- Già… comunque… Sophia. – Siri si voltò verso di lui che aveva fatto altrettanto e ancora le sorrideva – Sophia io ti ringrazio di cuore. So che per te non significa molto quello che hai fatto e, quello che sto per dirti forse detto da me non conta molto ma… Tu sei una brava persona.
La ragazza sgranò gli occhi sorpresa, quelle parole le risuonarono nella testa e il loro eco vi riverberò per giorni e giorni. Le piacque crederci.
Per un po’.
Almeno fino a quando Kenny non la portò con sé all’incontro tra le gang: una riunione indetta dal nulla, Siri non si era azzardata a dire nulla di ciò che pensava a riguardo all’uomo, pensando che fosse abbastanza intelligente per capire da solo che fosse una trappola fatta apposta per lui. Quando arrivarono nel capannone, infatti, erano rimasti tutti armati e gli sguardi dei sottoposti che i boss si erano portati dietro tradivano un’irrequietezza lampante. Siri stessa iniziò ad agitarsi perché era l’unica che lui aveva al seguito, pensò che Kenny forse sopravvalutasse le sue capacità, non sarebbe mai stata capace di tenere testa a così tante persone armate, forse combattendo al suo fianco sì, ma si sarebbe trattato di uno scontro in campo aperto, gli uni di fronte agli altri. Sarebbe stato un bagno di sangue e avevano scarse possibilità di uscirne illesi.
Si sistemarono alla destra di Dominik, Siri, rimasta un passo indietro con la mascherina ben alzata fin sopra il naso, guardò Kenny di sottecchi e non poté che imputare alla pazzia la sua totale mancanza di turbamento.
- Kenny, allora, – esordì Dominik – credo sappia anche tu perché siamo qui. I tuoi risultati sono stati abbastanza scarsi quest’ultimo periodo. La nostra organizzazione non può accettare elementi deboli, e per quanto ammiriamo la tua carriera e ti rispettiamo, questi sono affari… vuoi dirci qualcosa?
- Ahi-ahi-ahi Dominik… – Kenny infilò le mani nella tasca del cappotto beige – Credo che chi ci debba dare delle spiegazioni sia tu, amico mio.
La ragazza credette di aver sentito male. Corrugò appena le sopracciglia e guardò il boss con la sua stessa confusa sorpresa.
Dominik rispose truce: - Come hai detto scusa?
- Oh, credo tu abbia capito benissimo.
Sven si alzò, attirando l’attenzione di tutti su di sé: - Quando sono entrato a far parte di questa organizzazione non pensavo di certo di trovare degli uomini d’onore, non lo sono nemmeno io tanto per cominciare. Ma gli affari sono affari, come dici tu, Dominik, ed eravamo stati chiari sin dall’inizio rispetto ai carichi e al territorio.
- E i patti sono sempre stati rispettati. – disse Dominik fermo.
- Non se i carichi destinati a noi sono stati passati ad altri, lasciando i miei a bocca asciutta! – sbottò Sven – Non ho mai avuto da ridire sul tuo modo di gestire le cose, ma ormai ti stai prendendo gioco di tutti quelli seduti a questo tavolo.
- È impossibile che sia accaduto qualcosa del genere maledetto idiota, dovresti darti una calmata e rivedere i tuoi magazzini.
Un altro capo clan prese parola inviperito: - Mz, e io che faccio Dominik? Anch’io devo andare a cercare quel lurido bastardo che mi avevi promesso nei miei magazzini? Era un ladro troppo bravo da sprecare per un clan come il mio, non è vero?!
- Ma di che stai parlando?! Ti ho consegnato Robert più di una settimana fa.
- Sarebbe metri sottoterra a questo punto, se non mi avessi tolto la soddisfazione di seppellirlo. Maledetto stronzo, ho perso migliaia di denari per colpa tua!
- Non hai prove di ciò che dici.
- Che faccia tosta! Se non fosse stato per Kenny che ha colto nel sacco i tuoi, Robert sarebbe scappato in superficie!
Siri aveva seguito attentamente, non aveva capito nulla di quello che stesse accadendo sino a quando non avevano nominato quel tale ladro. Improvvisamente tutto gli fu perfettamente chiaro e ricollegò tutti gli incarichi senza un apparente scopo che Kenny le aveva affidato: i carichi da spostare in un altro magazzino (che adesso aveva capito non dovessero essere suoi, ma proprio di Sven e che lei aveva quindi fatto sparire), quel ragazzo che aveva aiutato a scappare e poi a nascondere, tutte quelle volte in cui aveva chiesto agli spacciatori di oppio e i ladruncoli di Kenny di spostarsi in un’altra zona per poi farli rimettere nella stessa, incontrando chiaramente l’opposizione degli alleati dell’organizzazione. Tutto tornava.
Kenny aveva orchestrato tutto per far sembrare Dominik un capo poco attento, la cui parola valesse meno di zero.
Sempre più voci si unirono al coro e il boss sembrò sempre più in difficoltà nel rispondere agli avventori, ormai sembrava di assistere alle inutili scuse di un colpevole.
- TUTTO QUESTO È RIDICOLO! Non accetterò oltre il vostro affron-
Siri sobbalzò sul posto al colpo. La testa di Dominik scattò con forza di lato, cadendo a terra con un rumore secco, un piccolo forellino frastagliato che gli bucava il cranio mentre sotto la sua testa iniziò a spandersi una larga chiazza di sangue sul pavimento. La pistola in mano di Kenny fumava ancora dalla canna quando la rimise dentro il cappotto.
- Sempre così autoritario, bla bla bla… – tutti gli altri capi clan si erano alzati dal tavolo e adesso guardavano lo squartatore con gli occhi spalancati – Credo stesse annoiando tutti, ho solo fatto quello che avremmo dovuto fare sin dall’inizio, giusto?
Gli altri si ricomposero e si sedettero, sui loro volti, notò Siri, si poteva leggere della paura che cercavano in tutti i modi di nascondere con naturalezza. Era un momento delicato, Kenny doveva calibrare bene le sue mosse per evitare che tutto gli si ritorcesse contro, eppure la spia non credeva ci fosse tra loro qualcuno di così stupido da ribellarsi o tentare di scalzarlo dal ruolo che, ormai appariva ovvio a tutti, lo squartatore avrebbe rivestito da quel momento in poi.
- Giusto?! – ripetette questa volta a voce più alta. Gli altri seduti al tavolo annuirono concitati, a giudicare dalle loro reazioni Siri credette che probabilmente non avessero pianificato anche l’uccisione di Dominik.
- Suvvia, non fate quelle facce, cosa credete avrei dovuto fare? Meritava forse il nostro perdono? O che uscisse sulle sue stesse gambe da questa stanza come dopo una ramanzina? Per fare cosa poi?! Ve lo dico io, mettere insieme altri uomini e farcela pagare ad ognuno di noi. E l’avrebbe fatta franca, tutto quello che avete costruito non sarebbe valso a nulla.
Era stato abbastanza convincente, perché ora la paura aveva fatto spazio ad una sorta di accettazione. Siri si guardò attorno: gli uomini armati di guardia evidentemente sapevano tutto ed erano d’accordo con Kenny sin dall’inizio perché, come lei, erano rimasti al loro posto, anzi, adesso quasi sembravano più calmi.
- Mi sembra che quindi siamo tutti d’accordo.
- Credo… – Sven si azzardò a parlare, fu anche l’unico a farlo – Credo che tu ci abbia dimostrato di essere l’unico a poter gestire tutto questo Kenny.
- Tu sì che sei un uomo saggio Sven. – l’uomo tirò fuori uno stecchino da una tasca del cappotto e se lo infilò nell’angolo della bocca, poi guardò due ragazzi dall’altra parte della stanza – Ripulite questo schifo, geco andiamo.
Siri seguì Kenny ed uscirono dal capannone, in silenzio percorsero le vie della città fino al magazzino del loro clan. Mentre l’uomo maneggiava con il lucchetto dell’entrata, la ragazza era rimasta dietro di lui e si mordeva le labbra mentre scuoteva la testa confusa a momenti alterni.
Si abbassò la maschera: - Non capisco. Perché non dirmelo? Farmi fare tutti quei lavoretti senza sapere nulla… avrei potuto sbagliare qualcosa, parlare con qualcuno.
Kenny fece una mezza risata: - E con chi avresti dovuto parlare? Col caratteraccio che ti ritrovi dubito tu abbia tanti amici… – aprì il lucchetto e spalancò la porta, invitando Siri a passare che, quindi, lo precedette.
La ragazza s’incamminò nella penombra verso la porta dall’altra parte dello stanzone che portava all’interno del covo, l’altro era rimasto indietro per chiudere il magazzino dall’interno.
- È stato comunque un azzardo. Adesso capisco perché non mi hai fatto fare nulla per Dominik questi giorni… 
Kenny fece scattare il lucchetto, il suono metallico risuonò come quello di un sasso che cade in una grotta scura. Siri lo sentì incamminarsi nella sua stessa direzione, quando un fruscio alla sua sinistra la impietrì. Portò una mano sulla cintura ed estrasse il grosso pugnale di Kenny dalla fodera.
- KENNY ATTENTO! – due, forse tre uomini emersero dall’ombra e tentarono di attaccarla. Colpì con l’arma uno in pieno ventre, si piegò e diede una ginocchiata sul fianco all’altro che le aveva afferrato una spalla. Il terzo le arrivò addosso, maneggiando un pugnale e fendendo l’aria con movimenti grossolani che Siri fu capace di schivare solo indietreggiando e portando indietro le spalle. Stanca di quella specie di danza, estrasse un altro pugnale dalla cintura e, sporgendosi leggermente oltre quello che la stava attaccando, lo lanciò contro l’uomo rimasto a terra centrandolo in mezzo alle spalle. Poi bloccò un affondo dell’aggressore rimasto, afferrandogli l’avambraccio con una mano, mentre con l’altra aveva portato il grosso pugnale ricurvo al suo addome. L’altro le aveva bloccato prontamente il polso, impedendole di affondare l’arma. 
Kenny si era avvicinato calmo ai due con una lanterna in mano, Siri, in piedi e col corpo teso, lo guardò interdetta. Lui estrasse la pistola manuale dal cappotto e fece esplodere un colpo, dritto alla tempia dell’uomo incappucciato che capitolò su sé stesso come una bambola a cui avevano tagliato i fili. Schizzi di sangue avevano macchiato il viso di Siri che ancora teneva per il braccio l’assalitore, guardava confusa lui e poi Kenny.
Il capo ripose la pistola e poggiò ai piedi della ragazza la lanterna: - Beh, non ne hai molti, ma un numero abbastanza modesto.
- Che… – Siri scosse la testa mentre riprendeva fiato.
Kenny oltrepassò il corpo e si diresse verso la porta che dava al covo: - Avresti dovuto farlo lo stesso, ma così l’hai fatto a modo mio. – si fermò con il pomello in una mano, si voltò di nuovo verso di lei e indicò il cadavere ai suoi piedi – Oh e quello consideralo come un favore che ti ho fatto.
Lei corrucciò le sopracciglia, non riusciva nemmeno a pensare a cosa chiedergli per riuscire a capire di cosa stesse parlando. Si abbassò sull’uomo morto ai suoi piedi e gli alzò il passamontagna.
- No. No no no… – il viso di Noah la fece girare istintivamente dall’altra parte, per nasconderne la visione ai suoi occhi. Prese la lanterna e si portò verso l’uomo a cui aveva lanciato il pugnale nelle spalle, il bagliore illuminò la mano dell’uomo e vide la fede d’argento sull’anulare, annerita dal metallo scadente. Fu sufficiente per farle capire che si trattava di Arnold.
Il rumore della porta che si chiudeva alle spalle di Kenny la fece voltare. Il respiro affannoso con cui riusciva a malapena a respirare si trasformò in un ringhio. Sentì la rabbia espandersi, tendere la pelle per gonfiarla come un pallone, le lacrime che le rigarono il viso erano veleno puro.
Posò la lanterna sul pavimento e fece qualche passo verso la porta. Si fermò, era ad un passo dall’inseguirlo e tentare il tutto per tutto, lasciarsi guidare dalla furia cieca e provare ad ammazzarlo, magari morendo nel tentativo. Alzò la mano e guardò il pugnale che ancora teneva in mano, lo lanciò per terra e afferrò il bordo di un tavolo accanto a lei.
- VAFFANCULO KENNY! – Siri lanciò una sedia contro la porta chiusa – Mi hai sentita?! VAFFANCULO!
La sedia si ruppe con un fragore talmente forte da produrre un eco che riecheggiò nell’aria e poi nella testa di Siri per sempre, fino a sostituirsi a quello più piacevole della voce di Arnold che le aveva fatto credere di essere una brava persona.
 
***
 
La figura incappucciata saltò giù dal carretto e Levi, i manici del dispositivo già impugnati, guardò per un istante nel carro e riconobbe i due bambini che lo guardavano incuriositi a loro volta. I soldati dietro di lui sussultarono sorpresi e quando scorse il viso del loro visitatore rimase di stucco anche lui.
- Non mi aspettavo certo un comitato di benvenuto, ma mai abbassare la guardia, sono d’accordo anch’io capitano.
La sua voce gli suonò nelle orecchie come un lontano ricordo, richiamando qualcosa che avrebbe tenuto caro nella sua mente e che aveva temuto di dimenticare poi col tempo. Ma Siri era lì a pochi metri davanti a lui, come se nulla fosse mai accaduto. All’inizio, infatti, lei li guardava come in attesa di un saluto e fu solo quando non lo vide arrivare che sembrò confusa dalla situazione, complice anche il silenzio sbigottito del gruppetto di soldati, Levi compreso.
Yvonne aggrottò le sopracciglia e guardò Siri che le si avvicinò.
- Ma sei sicura siano arrivati gli approvvigionamenti? Sembra non vedano una persona al di fuori della foresta da anni. – Siri si voltò di nuovo verso gli altri – Capitano Levi, so di non avere il mio aspetto migliore ma…
- Siri tu… – Varys cercò le parole più opportune – Beh, come dire… è strano vederti in piedi, qui, parlarci…
Lei, ancora più confusa, fece una smorfia e proprio prima che gli rispondesse per le righe, realizzò cosa il soldato volesse dirle. Chiuse gli occhi e piegò all’indietro la testa: - … Merda.
Si voltò quindi verso Yvonne e le disse a denti stretti: - Una cosa, vi avevo chiesto una sola cosa.
La ragazzina di tutta risposta alzò le spalle: - Noi non l’abbiamo detto.
- Non siete dei soldati, siete delle pettegole. Che bisogno c’era di dirlo agli intermediari?!
- Se tu facessi meno amicizia forse non sarebbe successo. Sei abbastanza popolare nei ranghi.
Siri sgranò gli occhi e le sorrise sarcastica: - Ah, adesso vuoi farmi credere che sia colpa mia?! Ero letteralmente in coma, e poi non puoi pretendere che tutti siano asociali come te.
Yvonne la guardò contrariata, sempre tenendo un tono calmo e angelico: - Non vedo il senso di prendersela con me adesso.
- Con qualcuno dovrò pur farlo.
La donna stava per continuare quando sentì afferrarsi il braccio. Levi si era calato il cappuccio e lei riusciva a vedere solo qualche ciocca dei suoi capelli fuoriuscirne, le aveva preso l’arto e dopo averlo stretto adesso lo stava accarezzando col pollice, con piccoli movimenti da un lato e dall’altro tastava la consistenza vera, calda, viva della sua carne oltre la maglietta nera.
Guardò oltre il capitano e notò che i soldati che erano con lui stavano tornando all’accampamento, lanciandole qualche sporadica occhiata ancora incredula.
Siri si morse le labbra, sinceramente dispiaciuta abbassò leggermente la testa nella sua direzione: - Levi… mi dispiace. Non avresti dovuto saperlo.
Lui la lasciò andare. Non disse una parola.
Siri lanciò un’occhiata ad Yvonne come per chiederle aiuto, ma l’altra scosse la testa come per dirle che non ne voleva sapere del guaio che aveva per le mani, infatti poco dopo, con un tono totalmente distaccato, annunciò che sarebbe andata a lasciare il carretto e i cavalli con quelli degli altri soldati.
Siri, non appena i tre si furono allontanati, si schiarì la voce e tornò a guardare Levi, ancora con il capo abbassato: - Levi… Capitano, devo parlarti. Ho parecchio da dirti, potrei finire col parlarti fino a domattina con tutte le novità che porto. – sorrise incerta, non ebbe risposta, riuscì soltanto a fargli alzare finalmente lo sguardo.
Si fissarono solo per qualche secondo, poi Levi si voltò verso l’accampamento e iniziò a camminare. Siri lo seguì, una leggera ansia si era affacciata dentro di lei a renderla nervosa, non sapeva come decifrare quel comportamento, dopotutto non aveva mai prima di allora fatto finta di morire ricomparendo magicamente. Costeggiarono la foresta e notò si stavano dirigendo verso un piccolo focolare dove era seduto anche Zeke. Siri si sporse su una spalla di Levi e le disse cauta: - Potresti fare un commento sui ragazzini marleyani ora che ci avviciniamo a Zeke per favore? Sarebbe molto importante.
Anche questa volta le rispose solo il suono della pioggia che ticchettava sulle foglie degli alberi. Non appena arrivarono dal mutaforma i due si tolsero i cappucci.
- Si può sapere perché hai portato quei due ragazzini in un posto del genere?
Siri, sentendolo finalmente parlare, quasi rimase spiazzata, poi gli rispose mentre sfilava la treccia dal mantello e la faceva scendere in avanti: - Sono i due ragazzini marleyani, sono abbastanza sicura che si trovino a loro agio in un ambiente militare.
Zeke chiuse il suo libro e guardò la donna, accennando un sorriso: - Oh Siri, qual buon vento. E dire che ero sicuro fossi qualche metro sottoterra.
Lei gli sorrise, falsa a sua volta: - Zeke, anche tu qui! Incredibile vederti… – smise di sorridere – ancora vivo. Anche abbastanza deludente se proprio devo dirti la verità.
- Sai agli uomini non piace molto una donna troppo schietta e cinica. All’inizio stavi andando bene però.
- Eccolo che ricomincia. – Levi gli lanciò un’occhiataccia, il suo tono di voce altrettanto minaccioso – Certo che sei fissato, è su questo che s’interessano i bastardi come te?
- Beh, non mi lasci scelta, è da tre settimane che leggo sempre lo stesso libro.
- Continua a farlo. Devo parlare con Siri.
- Con piacere. – l’uomo accavallò le gambe e riaprì il libricino sulle gambe – Sarà bello come le altre sette volte che l’ho fatto.
- Siri. – i due si guardarono di nuovo e lei cercò nel suo viso un segno, qualcosa che le lasciasse intendere come si sentisse, ma fu come guardare una pergamena sbiadita, illeggibile – Vieni con me.
Lei annuì e disse di nuovo qualcosa che potesse dissimulare la sua ansia: - Va bene, boss.
Zeke alzò piano la testa, un sorriso placido gli solcò le labbra mentre li vedeva allontanarsi verso un albero poco lontano. Poi, facendo finta di niente, tornò di nuovo a leggere il libro ma quel sorriso, quel divertimento, gli rimase ancora per un po’.
Non appena Levi arrivò ad un albero abbastanza distante da non farsi sentire da Zeke ma dal quale potesse comunque tenerlo sott’occhio, lui lanciò i rampini verso un ramo ad una ventina di metri dal suolo.
- Hai l’attrezzatura?
- Sì. – disse cauta Siri, scostandosi il mantello per lasciargli intravedere l’apparecchio di movimento tridimensionale.
Levi le dedicò solo una breve occhiata e con una piccola sfiatata di gas, riavvolse le corde dei rampini che lo trascinarono verso l’alto con un sibilo. La spia lo stette a guardare, poi deglutì e facendosi coraggio, lo seguì sull’arbusto.
Non appena lo raggiunse, Levi le diede di nuovo le spalle per un momento e Siri carpì un fugace movimento della sua mano che sembrava riporre qualcosa nella tasca. Lei rimase in silenzio per qualche secondo, in attesa che lui finalmente le parlasse.
- Tu hai parecchio da dirmi, ma se permetti, io avrei parecchio da chiederti.
- Levi io… mi dispiace. Tu non avresti dovuto saperlo… per un po’ avevo pensato che anche qualora l’avessi saputo, non sarebbe cambiato niente.
Lui si voltò di scatto verso Siri, come offeso: - Non sarebbe… – le palpebre gli si contrassero – Tu sei ancora convinta di quello che mi hai detto quattro anni fa, non è così?
Lei tirò indietro la testa, colpita in pieno dalla precisione quasi chirurgica con cui lui aveva toccato con poche parole il nocciolo della questione.
- I-io… – balbettò Siri.
- Certe volte sei proprio un’idiota. – Levi abbassò la testa e si voltò di profilo, per dare le spalle a Zeke. Di fronte a lui, Siri avvertì le gambe venirle meno quando sentì Levi digrignare i denti alla fine della frase.
- So che per te è più difficile accettarlo per il lavoro che ti è stato insegnato, ma a nessuno importa Siri. Tantomeno a me. – si voltò di nuovo verso di lei, il suo sguardo stanco e compassionevole – Quante volte dovrò ripeterlo? 
Sul viso della donna iniziarono a scendere copiosi grossi lacrimoni che non osò asciugare, per non far capire dal basso cosa stesse succedendo.
- Tu hai fatto quello che dovevi e se ci sarà mai qualcuno che tenterà di farti pagare un prezzo, puoi stare tranquilla che non gli permetterò di farlo. Tu non sei una brava persona. Ma nemmeno io. Né chiunque tenterà di giudicarti.
Fu come se qualcosa dalla consistenza gommosa e densa dentro Siri si fosse sciolta, lentamente stesse scivolando via dal suo petto, lungo tutto il suo corpo per scorrere via con la pioggia e scomparire nel terreno. C’era qualcosa di straziante nei loro occhi e non c’era niente di peggio per loro due di guardarsi, essere a pochi metri l’uno dall’altra senza potersi toccare, senza neanche avere la possibilità di esprimere le proprie emozioni liberamente.
Siri si morse le labbra dentro la bocca.
- Siri, io non riesco a spiegarti a parole quello che ho provato. E adesso, non so bene quello che sta succedendo. So solo che eri importante. – lei abbassò la testa, pronta ad accettare che quello che le stava per dire le cadesse tra capo e collo – E lo sei ancora.
A quelle parole, la spia abbassò le spalle con sollievo e lo guardò: - Levi…
- Perché?
Siri prese un respiro profondo per calmarsi: - Devo spiegarti parecchie cose e dovrò essere anche abbastanza concisa. Stanno arrivando.
- Chi? – Levi si accigliò prontamente.
- Inizierei con le comunicazioni ufficiali. – si fece più seria – Capitano Levi, posso comunicarti ufficialmente che l’arazzo è stato interamente tradotto e che grazie alle informazioni che ci sono state tramandate tramite i suoi scritti, saremo capaci di annullare il potere dei giganti per sempre.
 
***
- A quel punto saremo pronti! – tuonò Pyxis alzandosi – Chiudiamo qui questo teatrino, è chiaro che il capitano Zoe e gli ultimi baluardi del corpo di ricerca collaboreranno con noi, l’alternativa sarà la forca, anche per il sottoscritto che ha garantito per loro. Preparate gli armamenti! E che venga allestito un corridoio umanitario per civili e feriti! Useremo lo stesso per scappare a nord.
Nell’istante stesso in cui il comandante Pyxis aveva dato quegli ordini, la sala si trasformò in un tumulto di soldati e Pieck non si lasciò sfuggire quel momento perfetto per mischiarsi agli altri e cercare di allontanarsi indisturbata. Era sgattaiolata verso l’uscita quando due soldati della guarnigione la raggiunsero.
- Pieck! Aspetta! Non è sicuro spostarsi da soli!
- Maledizione… – masticò prima di voltarsi sorridente – Oh, ehi ragazzi! Avete ragione, vi avevo persi. Grazie per esservi preoccupati per me.
Aveva incontrato quei soldati poco fuori Shiganshina e aveva pensato, astutamente, che farseli amici l’avrebbe aiutata a passare inosservata, ed infatti era stato così. Pieck si guardò intorno non appena i due l’affiancarono, ma di Porko non c’era traccia. Era probabile che anche lui fosse impegnato con i preparativi alla battaglia contro gli Yeageristi.
Pieck fu sistemata nell’avanguardia assieme agli altri due soldati, armati fino ai denti, avevano avuto l’ordine di rimanere dov’erano perché presto, secondo le stime di Pyxis, avrebbero ingaggiato battaglia. Ma presto Pieck si rese conto che non sarebbe stato così: qualsiasi cosa stesse accadendo fuori da Trost, il comandante non credeva il resto dei soldati dovesse necessariamente esserne informati. Non poteva perdere tempo in quel modo, decise che doveva agire e cercare di raggiungere gli Yeageristi con Porko e, siccome non l’aveva ancora raggiunta, decise che l’avrebbe fatto lei.
Dopo qualche ora che erano rimasti appostati, pronti all’azione, si alzò con uno sbadiglio.
- Io credo andrò in bagno. Rimanete voi qui?
- Ti accompagno. – si offrì Ancel.
Pieck sorrise cortese, nascondendo la noia che provava al pensiero di doversi scapicollare per liberarsi di lui al momento giusto. Si allontanarono e si diressero verso il centro città, raggiunto uno dei punti di servizio, Ancel rimase all’esterno ad aspettarla. Le latrine pullulavano di soldati che facevano avanti e dietro, sentiva conati di vomito e alcuni che parlavano concitati. Entrò in un cubicolo e Pieck notò con rammarico che non c’era neanche una piccola finestrella da cui scappare, né lì né negli altri in cui entrò per trovare una via di fuga. Sconsolata, provò ad uscire dalle latrine senza farsi notare da Ancel ma fu del tutto inutile, era riuscita ad aggregarsi ai soldati più premurosi di tutto il reggimento.
- Pieck!
- Oh Ancel. Credevo ti fossi stancato di aspettarmi.
S’incamminarono verso l’avanguardia.
- Oh no, avevo detto che ti avrei aspettata.
- Grazie.
Rimasero in silenzio per un po’, quando Ancel sospirò contrariato, attirando l’attenzione di Pieck.
- Argh, scusa. – lei continuò a fissarlo con la coda dell’occhio, inducendo quindi l’altro a parlare – È che… l’ultima volta che non sapevamo cosa stesse succedendo oltre le mura era perché avevamo scoperto che Eren fosse un gigante.
- Ah… capisco. Io all’epoca non ero stata assegnata a Trost.
- Lo so, eppure sembra che nulla sia cambiato.
Lei si voltò: - Che vorresti dire?
L’altro si rabbuiò: - Beh, non prenderla come una critica, non è mia intenzione. Il fatto è che come allora, adesso non sappiamo cosa stia succedendo, il comandante ci ha fatto accettare Eren al tempo, promettendoci che sarebbe stata la speranza dell’umanità. Effettivamente ci aiutò e risolse la situazione, ma comunque quel giorno morirono un numero spropositato di soldati… amici. E guardaci adesso, lottiamo contro di lui e i suoi seguaci e per colpa loro saremo costretti a rifugiarci a nord, a lasciare le nostre case… – digrignò i denti, a Pieck sembrò stesse sul punto di piangere per il nervoso – A scappare come topi…
La soldatessa non poteva dirsi totalmente immune al suo dolore, sapeva fosse comunque un suo nemico, ma capiva quel dolore, quello di perdere compagni in battaglia o avere il terrore di non avere un posto dove stare o abbastanza da mangiare.
- E perché me ne stai parlando?
Lui alzò le spalle: - Ho capito volessi raggiungere l’altra parte della mura per vedere cosa stesse succedendo. – Pieck sobbalzò – Oh, non preoccuparti, non lo dirò. Volevo solo farti sapere che so come ci si sente e provo la stessa cosa anche adesso come allora.
Pieck rimase seria: - Quindi anche tu vorresti sapere cosa sta succedendo là fuori.
Il soldato rimase in silenzio per qualche secondo guardando dritto davanti a sé: - Sì.
- Allora perché non mi lasci andare e basta?
- Perché è un’idiozia, e non voglio che tu ti metta nei guai. Se ti vedessero cercare di oltrepassare i cancelli, o se fossi ancora più stupida, spostarti dall’altra parte delle mura col dispositivo, probabilmente ti accuserebbero di tradimento e, sempre parlando di probabilità, ti fucilerebbero sul posto.
La ragazza stava per prendere parola e controbattere quando lui la sorprese ancora.
- Oppure… potresti essere intelligente e seguire il mio consiglio. – si guardò attorno e poi svoltò subito oltre un angolo, trascinando Pieck con sé – Vicino alle mura c’è un passaggio sotterraneo che i maggiori dell’esercito usavano per spostarsi da una parte all’altra delle mura. Ti porterà dritto dall’altra parte delle mura.
- Dove si trova? – chiese lei risoluta.
- Ti ci porto io. Se ci fermano sarà più facile fare finta di niente e coprirti.
Difatti, Ancel conosceva praticamente quasi tutti i soldati che, con un suo breve saluto lo lasciavano andare dove voleva indisturbato. Quando raggiunsero l’edificio, molto lontano dal centro città, lui forzò il lucchetto col calcio della doppietta e spalancò la porta con un braccio per lasciarla passare.
- Prosegui dritto lungo il corridoio, arriverai ad un disimpegno, sulla destra c’è la scala che porta verso i sotterranei. Io rimarrò qui a fare la guardia.
Pieck entrò ma si fermò a qualche passo dalla porta, si voltò di nuovo: - Grazie Ancel.
- Figurati. Torna presto però.
Lei chiuse la porta e si diresse verso i sotterranei. L’edificio era molto buio, non tanto da farla procedere a tentoni ma la luce fioca che entrava dalle poche finestre non era abbastanza da farla camminare a passo spedito. Non appena percorse tutto il corridoio, trovò le scale che sembravano scendere dritte nelle profondità della terra. Dopo qualche minuto che scendeva, si bloccò a metà strada, spalancando gli occhi raggelata: infondo alle scale s’intravedeva il bagliore di una torcia. Si guardò le spalle e rimase a fissare le scale, pensando a quanto velocemente sarebbe stata in grado di ripercorrerle.
- Signorina Pieck.
Lei si voltò di scatto di nuovo verso il basso: - Falco! – stava per correre giù per le scale ma si fermò. Che si trattasse di una trappola ormai era certo, ma il motivo per il quale era venuta a Paradise, perlomeno il principale, a livello personale, si trovava lì sotto ed era in compagnia di chissà quale persona senza scrupoli. Si fece coraggio e percorse gli ultimi scalini.
Infondo alle scale c’era una stanza parecchio grande rivestita di legno e pietra, con delle grosse torce appese sulle pareti, al centro diversi soldati del corpo di ricerca e altri due, donne presumeva, vestite in nero sopra i pantaloni della tuta del dispositivo di movimento tridimensionale che invece stavano quasi in disparte subito dietro Gabi e Falco. Una delle due, la più alta e coi capelli castani, teneva le spalle dei due bambini con una presa che non sembrava essere salda, anzi, era quasi di conforto.
Non appena fu scesa, un soldato molto alto e dai capelli chiari le prese una spalla e la spinse piano per invitarla all’interno, quindi le si mise alle spalle per bloccare l’uscita. Pieck si fermò qualche passo davanti a lui e poi voltò la testa per incrociare di nuovo il suo sguardo: riconobbe essere il soldato che l’aveva letteralmente fatta esplodere a Liberio.
- Perdonaci per questi sotterfugi, ma non avevamo altra scelta per farci ascoltare. – esordì il soldato con la benda sull’occhio, sistemandosi gli occhiali sul naso.
Pieck, dopo aver dedicato una lunga occhiata al ragazzo, si voltò di nuovo verso il gruppetto: - Come state ragazzi?
Gabi e Falco guardarono la donna dietro di loro che fece un breve cenno e permise loro di raggiungerla e abbracciarla. Quando si separarono, Falco guardò Pieck agitato: - Signorina Pieck, deve ascoltarli, loro… non vogliono farci del male.
- Questo lo vedremo Falco. – disse Pieck distendendo le labbra per rassicurarlo – Di cosa volete parlarmi?
- Io sono il comandante del corpo di ricerca, Hange Zoe, e tutti i soldati che vedi in questa stanza sono miei soldati scelti. Mentre ti aspettavamo ho cercato di mettere in ordine i pensieri, oltre che tutte le cose che ci sono da discutere, ma in poche parole quello che intendiamo fare a voi, voglio rassicurarti, è praticamente nulla, solo permettervi di ritornare in patria senza scontri. Non so perché siete qui onestamente, ma vorrei chiederti il motivo.
La ragazza si alzò e fissò Hange intensamente, adesso sarebbe venuto il momento di giocare: avrebbe dovuto capire cosa sapessero di Marley allo stato attuale e cosa no, a seconda di questo avrebbe potuto azzardare a fare richieste.
- Avete raso al suolo un intero porto oltre che una piazza piena di civili. Credo vi aspettaste una risposta di Marley, non penso siate sorpresi.
Hange corrugò le sopracciglia: - È esatto, ma il mio interrogativo è come mai sia in così piccola scala. A quest’ora mi aspettavo decine di dirigibili sopra le nostre teste.
- Non servivano, date le vostre risorse ridotte e tecnologie obsolete.
La donna coi capelli castani raccolti nella treccia diede segno di spazientirsi.
- Signora Hange! – Gabi si sporse verso il comandante incredula, esattamente come Falco.
- Quindi mi pare di capire che godiate delle risorse degli alleati. Eppure ancora fatico a capire… – lo sguardo rilassato di Hange divenne tagliente – perché mandare dei giganti, seppur mutaforma, da soli per giunta, quando i tuoi superiori sanno benissimo che siamo capaci di abbatterli senza sforzi. Mi aiuti a capire?
Pieck rimase in silenzio, messa all’angolo. Qual era l’obiettivo reale di chi aveva di fronte lo faticava a capire, non riusciva a comprendere se avessero davvero intenzione di lasciarli andare illesi. Di una cosa era certa, ossia che quella Hange e la sua combriccola di soldati sapessero molto più di quanto avevano detto riguardo Marley.
- Aiutami tu a capire cosa sperate di ottenere tenendo in ostaggio tre eldiani…
- Va bene, adesso basta. – la donna coi capelli castani si era fatta avanti, aveva un tono esasperato – Scusate se taglio questo vostro interessante scambio di “so che tu sai, sai che io non so”, ho una certa fretta e direi che la signorina Pieck non ha niente sul tavolo da avanzare per poter anche solo parlare, o mi sbaglio?
- Potresti sbagliarti. – disse l’altra – Cosa ti dà tanta sicurezza?
- Il fatto che nel momento esatto in cui parliamo, i vostri superiori, o quelli a cui non piace andare per bordelli, per non essere troppo volgari, stanno inventando una montagna di scuse con gli Alleati per giustificare il trattato di pace che Willy Tybur ha firmato con la regina Historia di Paradise. Dico bene? – Siri inclinò la testa – O sbaglio?
Il silenzio di Pieck fu una risposta più che sufficiente.
- Spregevole da parte di Tybur chiedere agli Alleati di agire e inimicarsi una nazione così ricca di risorse, mentre lui al momento giusto avrebbe tirato fuori il trattato dal cassetto e si sarebbe arricchito a loro discapito. Sbaglio ancora, signorina Pieck? – Siri avanzò, facendo spallucce continuò – Quello che non si sarebbe aspettato è che sarebbe morto, e chi tira fuori una scusa adesso per questa brutta faccenda… ah già, i funzionari di stato. Quelli che non abbiamo fatto saltare in aria, perlomeno. Il problema è, ovviamente, chi useranno come capro espiatorio per l’ennesima volta?
La spia si fermò davanti a Pieck, fissandola in silenzio.
- La tua analisi così puntuale è corretta. – le rispose la ragazza – Ed è per questo che ho il dovere, se non di soldato almeno morale, di portare in patria Eren Yeager per l’esecuzione capitale.
Siri annuì.
Lo sguardo di Hange divenne triste: - E questo basterà solo per la tua gente.
- Sì. Per Maley ormai non c’è speranza. – Pieck guardò Siri e poi di nuovo Hange – Le rivolte sono troppo estese e animate, l’indipendenza di almeno cinque stati annessi sarà sicura nel giro di qualche mese se non avremo il potere del fondatore.
- Sai che dare il potere del fondatore a Marley non risolverà assolutamente nulla. – le rispose Hange – Gli Alleati non si fidano più di loro, ma immagino che questa ipotesi sia già stata avanzata da altri stati.
Piek annuì: - Se saranno in grado di usare il boato della terra, chi garantisce che non lo usino anche sugli Alleati una volta finito con Paradise. – scosse la testa meditabonda – Avete fatto tutto questo per concedervi degli anni preziosi, lo capisco. Ne avete donati anche a noi così facendo, e noi guerrieri portando a casa Eren torneremo come eroi, ma… i comandanti useranno il potere di Eren e il nostro popolo non sarà mai libero.
- A questo c’è rimedio. – rispose il comandante, l’interesse di Pieck, come anche le sue speranze, si riaccesero – Il potere dei giganti… noi sappiamo come debellarlo.
La ragazza si rabbuiò e assunse un tono scettico: - Uccidere Eren non riuscirà ad-
- Debellarlo per sempre. Esiste un modo. – la interruppe Hange – La fondatrice Ymir ha lasciato un cimelio, per metterla così, alla famiglia Ackerman. Il contatto tra il fondatore nel corpo di un non portatore del sangue reale, un discendente reale col potere dei giganti e un componente della famiglia Ackerman rende possibile debellare il potere dei giganti per sempre. La fondatrice aveva evidentemente previsto che una circostanza così singolare si sarebbe verificata perché il contatto tra Zeke, Eren e una nostra soldatessa renderà possibile tutto questo.
Nella sala calò il silenzio, Pieck pensò a quanto e cosa le convenisse accettare. 
- La mia richiesta rimane. È un compromesso che consentirà a tutti gli eldiani di essere in un qualche modo scagionati. E poi Eren… credo lo sappiate già, è diventato una specie di simbolo per tutte le nazioni annesse, la sua morte darà una spinta alle rivolte non indifferente.
- Non so se Eren accetterà. Non sappiamo nemmeno quale sia il suo piano e se voglia o meno seguire quello di Zeke. Yelena non è stata d’aiuto a tal proposito. – disse Hange.
- Che sia d’accordo o meno, dovrà farlo. E voi ci aiuterete a portarlo via, sarà più semplice dato che non avrà più il potere dei giganti.
A disagio, nessuno disse una parola. Gabi e Falco, fino ad allora rimasti in silenzio, guardarono i soldati con un certo interesse, non avevano idea se quello fosse un compromesso che fossero disposti ad accettare, non facendolo però non credevano gli eldiani di tutto il mondo avrebbero avuto un futuro.
- Non… non potrebbe essere che a Marley non importi più nulla? – il soldato dai capelli tagliati fino alla cute sembrava tentare in tutti i modi di nascondere la sua frustrazione – Insomma… avrà già un sacco di cose a cui pensare con le rivolte, potreste evitarlo.
- Temo mi sia impossibile. – Pieck cercò di essere quanto più gentile possibile con le parole – Io, Porko e Reiner siamo stati incaricati di farlo, e se falliremo, non solo noi, ma anche le nostre famiglie subiranno lo stesso destino di Eren.
- Ma non hanno il tempo di pensare anche a voi, basta che-
- Credimi, hanno sempre trovato il tempo per un’esecuzione. – terminò lei lapidaria.
- Va bene, Pieck Finger. – disse Hange subito dopo – Accettiamo. Devo solo chiederti un aiuto per l’ultima fase del recupero di Eren.
***
 
Levi era rimasto a sentire il racconto attento, cercando di tenere il filo sulle molteplici missioni secondarie che Siri e la sua squadra avevano svolto su suolo nemico: avevano diffuso un fungo che aveva danneggiato gravemente il raccolto dell’intera nazione, costretto il capo dello stato a firmare un accordo di pace, smascherato il governo marleyano per aver ucciso un ambasciatore chiacchierone, la strage tra le fila nemiche era sicuramente l’aspetto più macabro di tutta la storia ma che spiegava il drastico cambio d’umore nella spia. Avevano guadagnato almeno cinquant’anni dalla perfetta riuscita del loro piano, Marley era alle prese con le rivoluzioni di almeno otto delle dieci nazioni che aveva annesso sotto il loro dominio e senza risorse militari con cui far fronte, né tantomeno abbastanza di quelle alimentari, avrebbero presto affrontato una crisi che non avrebbe più permesso loro di avere mire espansionistiche sull’isola che, nel frattempo, avrebbe avuto tutto il tempo di dialogare con le altre nazioni. Anche grazie ai volontari che avrebbero fatto da perfetti intermediari.
- Quindi mi sembra di capire che adesso gli Yeageristi arriveranno qui a momenti. E per di più siamo circondati da potenziali giganti che potrebbero trasformarsi con un gesto di quell’inutile barbone là sotto.
- Esatto. 
- E io non posso toccare i due fratellini, non sarebbe la stessa cosa. Non ho il tocco delicato temo. – commentò sarcastico, s’indispettì non appena notò che Siri fissava Zeke con insistenza. Lei non rispose, come se fosse troppo distratta.
- Posso farmi crescere la barba se può aiutarti a tenere l’attenzione su quello che dico.
Siri si voltò, catapultata di nuovo nella conversazione: - Scusa, è che quel… ci sta ascoltando. Brutto… – estrasse una lama dall’astuccio del dispositivo e la lanciò in basso contro Zeke, colpendolo in pieno petto.
- Hai ancora voglia di origliare, stronzo?!
Levi guardò la scena impassibile, alzando solo un sopracciglio alle urla di dolore di Zeke: - Sto iniziando a pensare di farti una brutta influenza.
- Ci siamo peggiorati a vicenda, dai. Siamo persone orribili.
- Siri, devi andare via di qui.
Lei scosse la testa: - L’unica cosa che non lo fa urlare sono quei ragazzini, se me ne vado lui lo farà.
- Se lo farà, sta tranquilla che se ne pentirà amaramente.
- Levi, c’è un’altra cosa che devo dirti…
- Lo so. Bernard me l’ha detto.
Siri sospirò, in parte sollevata: - Me lo aspettavo, avevo grosse probabilità di morire. Non voglio chiederti di seguirmi anche adesso, voglio solo dirti che me ne andrò. – deglutì e distolse lo sguardo – Per anni sono stata divorata dal senso di vendetta e non ti nascondo che fare quello che ho fatto a Marley mi ha dato una certa soddisfazione. Da quando Joshua ha cercato di uccidermi, è come se avessi aperto gli occhi, o almeno così pensavo, e anche quando ho lavorato per Pyxis il mio desiderio più grande è sempre stato quello di distruggere i meccanismi che avvantaggiano persone come Tybur o Michel. La vendetta mi ha dato sempre la spinta di fare qualsiasi cosa da quando ero piccola.
Siri fece un mezzo sorriso, si decise a guardarlo di nuovo quando una goccia di pioggia le colpì la punta del naso: - Ma da quando vi ho conosciuti è stato diverso. Tu, Hange, i ragazzi… mi avete fatto vedere che forse può esistere qualcosa di bello, che non sia marcio. Ho avuto meno ricordi che mi tormentassero quando ero con voi che in qualsiasi altro momento della mia vita da spia. E quindi… – sorrise in un modo che a Levi sembrò quasi timido – quindi ho pensato che… se riempissi la mia testa di ricordi felici, forse essere tormentata da quelli sarebbe… bello. Io non voglio che tu prenda una decisione che tu pensi possa rendermi felice perché…
La voce di Siri si ruppe e gli occhi le diventarono lucidi: - Perché pensare di averti costretto non è quello che desidero.
Lo sguardo di lui si ammorbidì e né a parole, né tantomeno coi suoi modi avrebbe mai potuto esprimere quanto lo rendesse felice vederla viva, anche se sull’orlo di una situazione drammatica come quella.
- Siri. Te l’ho promesso quando non sono riuscito a dirtelo. Io ti avrei accettata qualsiasi mostro tu fossi o saresti diventata. – prese coraggio come non aveva mai fatto prima, tirò fuori quelle parole che tanto tempo prima aveva tenuto per sé, la promessa che aveva il terrore di farle da sempre – Fino alla fine saremo rivoltanti e rimarrò al tuo fianco. Non ho intenzione di fare altre promesse se non a te.
Si voltò in basso e guardò Zeke che, per terra, sputava sangue mentre cercava di tirare fuori la lama dal petto: - Ma se vado via ora, tutti i nostri sforzi andranno invano. Ho fatto una promessa, avrei ucciso Zeke e così sarà. E voglio che sia chiaro, so che tu e Hange credete sia per portare a termine l’ordine che mi ha dato Erwin e mi sorprende che lo pensiate. Una volta ti ho detto che non capivo come mai la mia forza non fosse mai abbastanza. – Levi strinse i pugni e la guardò di nuovo – Ho bisogno di dare un senso a tutte quelle morti. È per questo che voglio portare a termine la mia promessa. Ho bisogno di sentirmi bene se voglio… stare. Con te.
Siri sorrise e quando tentò di rispondergli, l’urlo di Zeke riempì l’aria e penetrò nelle loro orecchie come un dolore lancinante, riempendo i loro occhi, poco prima così pieni l’uno dell’altra, di puro orrore. La spia si voltò verso il sentiero e scorse gli Yeageristi attraverso i primi lampi che stavano fendendo l’orizzonte.
 
Nota: allora due cose veloci da specificare con questo capitolo infinito. La prima è che, sì, lo so, non ci sono passaggi sotto le mura perché la polizia stessa bloccava questo tipo di esplorazioni, ma era proprio questo il punto. Pieck non poteva saperlo, quindi è come se vi stessi facendo capire che Ancel la stava fregando.
Seconda cosa, su cui non mi dilungherò più di tanto perché il mio parere si capisce leggendo tra le righe, ma ci tenevo a ribadire a come vedevo il “mantenere la promessa” di Levi, poi, beh, non credo di averlo capito male io, ma mi sembra un po’ riduttivo pensare che lui fosse ossessionato dall’uccidere Zeke per Erwin, altrimenti che senso ha fargli ripetere fino allo sfinimento quello che succede a Ragako, o anche per Levi continuare a combattere nella battaglia finale anche dopo che ha ucciso Zeke. Vabbè, amen, ho detto quello che ho detto, il prossimo (penultimo) capitolo arriverà a fine mese causa esami universitari (sembro forse acida dalle righe ed è così, sono stressata a livelli esponenziali).
Alla prossima!

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Capitolo 39
*** Capitolo 37 - Una brava persona ***


Capitolo 37 – Una brava persona

 

Let's start a new life from the darkness
Until the light reveals the end
Fear, hatred, sorrow, desperation
Even you look miserable
Look down from above I feel awful
The time has come, let's all go home
Sinister faces, growing curses
This is my last war
 
Angels playing disguised with devil's faces
Children cling to their coins squeezing out their wisdom
Angels planning disguised with devil's faces
Children cling on to their very last coins

 
- Ci vuole ancora molto?
- Siamo quasi arrivati.
Jean e Pieck camminavano separati da alcuni metri l’uno dall’altra, un gruppetto ben assortito di soldati li seguiva in silenzio, armati fino ai denti. Nessuno era sicuro che Pieck potesse da un momento all’altro decidere di attaccarli, sembrava assurdo pensare che facevano affidamento su di lei solo sulla parola. La parola di un nemico.
La ragazza osservò il volto serio di Jean di sottecchi: - Non ce l’ho con te.
- Come?
- Non ce l’ho con te e i tuoi compagni per quello che è successo a Liberio.
- Mi dispiace ma, fatico a crederlo.
Pieck sorrise: - Beh, siamo soldati, non credo tu non abbia perso nessuno negli anni.
- Appunto. So che cosa significa e dubito che tutto sia dimenticato. Ma sarebbe da veri idioti continuare a rinfacc-… – Jean si bloccò e si voltò verso Pieck che lo guardava soddisfatta.
- Vedo che siamo della stessa opinione, quindi perché essere così diffidenti. – lei gli si avvicinò facendo alzare il fucile a due dei soldati dietro di loro.
- Ehi! – le intimarono tenendola sotto tiro.
Jean voltò la testa e alzò solo una mano per far segno di abbassare le armi. I soldati lo guardarono interdetti ma eseguirono l’ordine, anche se restii. Il ragazzo si guardò attorno nella boscaglia per valutare la loro posizione: la foresta di alberi giganti in cui si trovava Levi non doveva essere molto lontana, intravide il sentiero tra i cespugli ed era sgombro, ciò significava che erano ancora dietro gli Yeageristi o poco più avanti. Avrebbero comunque dovuto procedere con molta cautela, sia lui che Pieck erano letteralmente bersagli mobili e solo vederli avrebbe fatto saltare tutto il piano che si erano prodigati per mesi e mesi a mettere su.
- È così importante che ci fidiamo di te?
Pieck intrecciò le mani dietro il busto: - No. – notò che Jean stava di nuovo portando lo sguardo verso il sentiero pensieroso – Non preoccuparti, non riusciranno a vedere né noi né i tuoi amici dall’altra parte. Inoltre sono pronta a farvi da scudo all’occorrenza.
- Stavo solo controllando che fossimo a buon punto. – mentì Jean. Distolse lo sguardo dal sentiero lontano qualche centinaio di metri e fissò mesto davanti a sé l’erba imperlata di goccioline di pioggia, che smosse dal loro passaggio, scivolavano nel terreno.
Mikasa, Mikasa, Mikasa.
Era quella la sua preoccupazione più grande quando pensava allo scontro imminente, lei sola contro un’armata, era sicuro avrebbe tenuto testa egregiamente, ma nemmeno lei poteva farcela da sola. Certo, la riuscita del loro piano era la cosa più importante, Mikasa era un tassello essenziale e Jean tendeva a giustificare quella sua apprensione per la ragazza per il “bene maggiore”. Forse era troppo ammettere che, se quando l’aveva vista la prima volta era stato colpito dalla sua bellezza, con gli anni, dopo averla conosciuta, si era perdutamente innamorato di lei. Ma non trovava un senso a quel sentimento non ricambiato, sempre se ce ne fosse uno, e dire che poche settimane prima ne aveva dato la prova più lampante a Mikasa, anche se quest’ultima probabilmente non si era accorta di nulla.
Erano raccolti in un salotto del quartier generale e stavano discutendo delle ultime vicissitudini riguardanti Eren, Connie aveva redarguito la cieca lealtà di Mikasa verso di lui ricordandole che avevano dovuto riadattare tutto il piano per un suo capriccio. Armin alla fine si era alzato dalla sua poltrona e aveva invitato tutti ad andare a dormire, si era rivolto poi a Jean che era rimasto alla finestra a contemplare l’esterno.
- Jean, tutto bene?
- Sì. Sono solo in pensiero per Siri. – disse con la fronte poggiata sul vetro freddo e sottile.
Armin si rabbuiò: - Già… speriamo la sua trovata funzioni. Noi andiamo, cerca di non fare tardi, non è saggio rimuginare in questo modo.
Jean mugugnò un suono d’assenso e rimase seduto sul davanzale anche dopo aver sentito la porta chiudersi dietro i suoi compagni. Dopo parecchi minuti, sospirò e si rimise in piedi, fece per attraversare la stanza quando si rese conto di non essere solo. Mikasa era ancora seduta sulla poltrona, chiusa in un silenzio tombale, si era afferrata le braccia poco sopra i gomiti e fissava il tavolino davanti a sé.
- Mikasa. – disse Jean avvicinandosi di qualche passo – Non credevo fossi ancora qui.
- Scusami, volevi rimanere solo?
Lui si grattò la nuca, si sentiva quasi a disagio perché aveva il presentimento che lei era rimasta per un qualche motivo ben preciso.
Oh, no. Gli venne in mente all’istante la probabile richiesta che gli stesse per fare, non si stizzì, ma non gli andava giù che lei potesse avere in mente di sfruttare i sentimenti che lui provava per sottrarsi al piano. Le diede il beneficio del dubbio e rispose alla sua domanda.
- Beh, no, cioè… tu perché volevi rimanere qui?
Mikasa alzò la testa, non avrebbe dovuto colpirla la domanda così diretta di Jean, lo conosceva bene e sapeva che se anche aveva un debole abbastanza evidente per lei, non aveva mai evitato di farle domande o discorsi scomodi.
- Io… – si alzò, arrivò dritta al punto con la sua solita risolutezza – Volevo chiederti una cosa, Jean.
Lui sospirò, facendosi serio: - Mikasa, ti prego, non dirmi che ci hai ripensato.
- Cosa? No, io…
- No perché mi sembra abbastanza evidente. Hai cercato di difendere Eren persino dopo quello che ha fatto a Liberio, siamo forse riusciti a svoltare la situazione a nostro favore ma siamo ancora sull’orlo del baratro.
- Se ha fatto quello che ha fatto ci deve essere un motivo! Eren non… lui non è il mostro che dipingete. – Jean ebbe l’impressione che la fermezza di Mikasa stesse venendo meno. Inclinò il capo, forse era stato troppo duro, ma non sarebbe stato buono o meno schietto con lei solo perché si trattava di Mikasa.
- Non ho mai detto che fosse un mostro. Ti comporti come se fossi l’unica a tenere ad Eren, ma posso assicurarti che non è così, e se adesso è in prigione è perché l’ha voluto lui. – le labbra di Mikasa iniziarono a tremare, ma Jean non se ne accorse e continuò – Tutto quello che fa è perché l’ha voluto lui, e sono stanco di-
Finalmente si decise a guardarla di nuovo, era impossibile non vedere i suoi occhi lucidi e il suo viso attraversato da rughe di profonda amarezza, accentuate dalla luce calda e soffusa della sola lampada accesa ad un angolo della stanza.
- Scusa. – mormorò Jean – Forse sono stato troppo…
- No. – la voce rotta di Mikasa risuonò rauca e profonda – È per questo che volevo parlare con te. Tu… tu sei sempre stato l’unico che mi ha parlato in maniera diretta, anche se quando ero più piccola non mi andava giù, mi rendo conto di quanto io col tempo abbia apprezzato questa parte di te.
Il ragazzo impietrì. Non poteva dirsi un complimento, ma era la prima volta che Mikasa diceva di aver notato qualcosa di lui con del vago interesse. La cosa l’avrebbe reso felice se solo lei non stesse piangendo.
La ragazza prese un respiro profondo per cercare di calmare la sua voce: - Jean, ti prego, sii onesto con me quest’ultima volta perché io non so più che cosa pensare. – Mikasa proruppe in un pianto dalle lacrime copiose. Si portò le mani sulla faccia piegata verso il basso – Ho sempre pensato che Eren facesse il possibile per tutti noi, ma ora non so più cosa pensare. Non lo so davvero…
Jean la guardò con triste rassegnazione, il cuore gli si strinse al pensiero che aveva travisato uno dei rarissimi momenti di fragilità di Mikasa per qualcosa di più subdolo.
- Per cui Jean, sii onesto con me. Sto sbagliando a pensare che le azioni di Eren siano ancora guidate da buone intenzioni? 
Ci sono dei momenti in cui si presentano dei bivi lungo la strada, e adesso era il turno di Jean scegliere: come avrebbe consolato Mikasa, malleabile come un pezzo d’argilla con la sola forza delle sue parole, gli avrebbe potuto regalare il momento che tanto sognava da anni.
Il ragazzo chiuse la mano che aveva già proteso e la fermò a mezz’aria, la abbassò e inghiottì la voglia di accontentare qualsiasi suo recondito desiderio.
- Cosa dici adesso, non sei la Mikasa che conosco da sempre. – gli occhi di lei emersero dalle dita affusolate che le coprivano il viso – Per quanto Eren possa essere impulsivo, non credo farebbe del male a qualcuno deliberatamente e con cattiveria. Magari potrebbe essere stato plagiato da Zeke per quanto ne sappiamo… io e Siri non siamo riusciti a tenerlo sempre sott’occhio a Marley, sarebbe stato rischioso per noi e per lui.
La ragazza tirò su col naso: - Ma…
- No, non te lo dico solo per rassicurarti. Sai bene quante volte non sono mai stato d’accordo con i modi e le scelte di Eren. – Jean distolse lo sguardo – Che stia sbagliando è sicuro, ma sono altrettanto certo che sta facendo tutto questo mosso dalle migliori intenzioni. E sai quanto mi secca ammetterlo…
Siri gli aveva sempre detto che non era mai stato un gran bugiardo, gli consigliava di far percepire il meno possibile al suo interlocutore il suo disperato bisogno di essere creduto. Eppure, in quel momento riuscì a vendere così bene le sue bugie a Mikasa, che lei ci credette e gliene fu anche grata. Realizzò a posteriori che era stato cosi convincente perché lui nel profondo non voleva essere creduto.
Sentì la mano di Mikasa afferrargli l’avambraccio con una mano: - Grazie… Jean. – lo circondò anche con l’altra stringendoglielo e alzò la testa per incontrare gli occhi marroni di lui. In altre circostanze, lei sarebbe stata capace di leggere dietro quell’espressione scoraggiata tutto l’amore con cui in realtà la guardava.
- Siamo ad un buon punto quindi? – la voce di Pieck lo richiamò alla realtà.
Voltò il capo verso di lei, l’espressione di chi era palesemente distratto: - Sì. È… manca poco perché questa foresta finisca di coprirci.
La ragazza tornò a guardare davanti a sé valutando meditabonda la loro situazione. La pioggia continuava a cadere leggera, si raccoglieva sui lunghi steli d’erba che ricoprivano il terreno e man mano che li pestavano inumidiva il cuoio dei suoi stivali, mentre scivolava sullo strato gommoso delle tute dei soldati che l’accompagnava.
- Devi scusarmi Jean, ma non ho fatto a meno di origliare la tua conversazione con quella donna in nero prima che partissimo. – Jean la guardò di sbieco – Sono del suo stesso avviso per la cronaca: non tollererei che il tuo aiuto venga meno a causa di questa tua amica. Né tantomeno che per colpa sua fallisca questo tentativo.
Lui rimase in silenzio, colpevole. Tentò di replicare ma lei fu più veloce.
- Non cercare di rassicurarmi, non ci riusciresti neanche con le migliori intenzioni. Giustifico il tuo risentimento nei miei confronti, non ci avete attaccati senza motivo, tuttavia il nostro rapporto è ben lontano da quello di due commilitoni. Capisci quello che voglio dire?
Lui si limitò a distogliere lo sguardo, ma il suo silenzio-assenso parlava per lui. A Pieck non poteva raccontare nessuna menzogna che la potesse rassicurare, a quella ragazza così sveglia poteva solo dire cosa l’aveva effettivamente portato a percorrere quella strada per convincerla che avrebbe combattuto fino alla fine.
- Lo capisco. Ti posso assicurare che avrei preferito scappare a nord e vivere la vita tutto sommato tranquilla che merito, sai avrei potuto farlo ormai mi hanno fornito tutte le qualifiche per essere capace di farlo. Ma allo stesso tempo le ceneri dei miei compagni non avrebbero mai potuto perdonarmi. – si fermò, tutti gli altri fecero altrettanto, Pieck lo osservava molto interessata – Spero adesso tu capisca quello che voglio dire.
Jean riprese a camminare, tenendo ben saldi i manici del dispositivo tra le mani. La marleyana fissò le spalle del ragazzo e piegò il capo con un’espressione sorpresa.
Questo sì che è interessante.
 
Levi scattò verso Siri, rimasta impietrita dai bagliori, le circondò la vita con un braccio e a tutta velocità fece lo slalom tra tutte quelle luci che man mano si spegnevano lasciando al loro posto i corpi deformati e sgraziati dei loro compagni trasformati in giganti. Un paio di loro si gettò sui due, arrampicandosi con una foga innaturale sugli alberi, Levi continuò a spostarsi ad una velocità tale che Siri fece fatica ad elaborare.
Quando lei si riprese dallo shock, strinse il braccio dalla stretta dura come il cemento con cui la teneva avvinghiata a sé: - FALCO! Levi, devo andare! Non posso lasciarli soli!
Levi si fermò su di un ramo per capire cosa Siri gli stesse dicendo, ma ci si fermarono solo qualche secondo che di nuovo un aggrovigliarsi di corpi e mani gigantesche erano uno sull’altro, spezzando il tronco su cui si trovavano. Lui strinse di nuovo la presa e si portò verso l’alto tra le fronde degli alberi più alti.
- Quel maledetto bastardo. Non ho mai visto giganti così, li starà controllando per starmi addosso come mosche sulla merda. – si nascosero dietro il tronco di un albero, talmente in alto che riuscivano quasi a vedere il cielo plumbeo mentre la pioggia riusciva a quell’altezza a bagnarli più prepotente.
- Siri, adesso fai come ti dico, tu vai da loro e io ti copro.
Lei annuì, Levi sperò che la sua agitazione non avesse la meglio sul suo sangue freddo.
- Se la mia teoria è giusta, dovrebbero concentrarsi solo su di me. Inoltre se tu vai avanti, sarai un’esca perfetta. – Siri annuì ancora mormorando un “va bene”. Il tronco scricchiolò sotto di loro quando un gigante vi si spiaccicò con la faccia contro.
Levi sguainò le spade e si piegò pronto per saltare, voltò la testa un’ultima volta verso Siri e si guardarono. Lei si sporse verso di lui e gli diede un fugace bacio sulle labbra prima di saltare giù e muoversi il più velocemente possibile dall’altra parte della foresta, dove, verosimilmente, Gabi e Yvonne erano rimaste con Falco. 
Come Levi aveva previsto, i giganti vedendola la seguirono offrendogli le spalle con tutta la nuca e lui, dall’alto, poté gettarsi a tradimento su di loro e abbatterne tre con pochi sforzi. In men che non si dica un’altra frotta fu su di lui e dovette di nuovo spostarsi verso l’alto per evitare mani e braccia che si confondevano le une sopra le altre. Alcuni giganti continuavano comunque a seguire Siri che accelerava e zigzagava il più possibile, Levi quindi girò oltre il tronco di un albero, facendoci schiantare un gigante contro e proseguì nella stessa direzione della spia. Dandosi la spinta da un albero, diede una potente sfiatata di gas e si gettò sulle caviglie di un gigante che le stava alle calcagna, tagliandogli i tendini d’Achille di netto. Il corpo del mostro scivolò in avanti colpendo una gamba di Siri che vacillò, ma fortunatamente non perse la presa.
Lei continuò svolazzare tra gli alberi quando finalmente arrivò nel punto in cui aveva chiesto ai tre di aspettarla: il gigante di Falco era riuscito a far cadere Yvonne che giaceva lontana incosciente mentre Gabi era seduta nell’erba e indietreggiava impaurita. Con una sfiatata abbondante, Siri si gettò sulla bambina e la prese tra le braccia.
- Gabi aggrappati con tutte le tue forze! Non sono molto brava con questi maledetti arnesi, mi servono entrambe le braccia!
- Sì! – le disse tra i singhiozzi, stringendosi al collo della donna – Signorina Siri, Falco…
Siri raggiunse un albero e vi si appese coi rampini e si voltò verso il gigante di Falco che, dopo essersi guardato attorno confuso, le puntò di nuovo: - Lo so Gabi! Cercheremo di distrarlo fino al momento in cui non avverrà il contatto.
Le due rimasero sul tronco fino a quando Falco non si avvicinò abbastanza a loro, a quel punto Siri si spostò su un altro albero: man mano che lo schema si ripeteva, quello spostarsi da un albero all’altro era diventato un balletto fatto di giravolte, salite e discese insopportabili, tant’è che a Gabi venne la nausea.
Nel loro spostarsi continuamente, raggiunsero di nuovo la zona in cui Levi era rimasto a far loro da scudo contro gli altri giganti. Man mano che Levi cercava di fermarli evitando il più possibile di tagliarli la nuca, si stava alzando una spessa coltre di vapore dagli arti mozzati dei giganti e più il capitano si spostava e tagliava a tutta velocità, più la visibilità diminuiva. Siri atterrò su un ramo frastornata, a pochi metri da loro sentì il suono sibilante delle lame di Levi, con un braccio si poggiò al tronco, la testa che le girava per i movimenti e l’agitazione.
- Attenta! – urlò Gabi, ma la mano di Falco le raggiunse facendo spezzare il ramo su cui erano poggiate. Capitolarono in basso, Siri lanciò i rampini su un albero vicino, ma Falco fu di nuovo su di loro e con una manata staccò i ganci facendole di nuovo cadere verso il basso.
Levi, che aveva appena accecato un gigante, si girò verso di loro all’urlo di Gabi, ormai Falco le avrebbe afferrate per certo se non avesse fatto qualcosa. Un altro gigante alle sue spalle gli sbarrò la strada tra lui e le due, con una spirale velocissima, gli risalì lungo la mano, tagliandogli le dita di metto, poi lungo il braccio e con le lame gli sfregiò metà della faccia. Si spinse oltre lui e agganciò una spalla di Falco, intromettendosi tra il gigante e Siri che, precipitando, teneva stretta Gabri fra le braccia. Levi sparò una lancia fulmine che colpì in piena faccia il gigante, sganciò il cordino che bloccava l’ingranaggio della bomba e tentò di riavvolgere i cavi del dispositivo quando Falco li afferrò, bloccandolo a mezz’aria.
Quando la lancia esplose, il gigante lasciò la presa e Levi venne investito in pieno petto dall’esplosione che lo scaraventò lontano.
 
Per la seconda volta in vita sua, Siri era distesa senza sensi nel bel mezzo di un campo di battaglia. Aveva la faccia che affondava nell’erba dal lato dell’orecchio buono, quindi sentiva i versi dei giganti e le esplosioni completamente ovattati.
Si sentì scuotere ripetutamente: - Signorina Siri, la prego, si svegli!
Pigramente aprì gli occhi e incontrò quelli spalancati pieni di terrore di Gabi che, vedendola muoversi, apparve più sollevata.
- Dobbiamo andarcene! – continuò la bambina, aiutandola a sedersi.
- Cosa? – la caduta l’aveva frastornata, non riusciva nemmeno a capire come mai non fossero state ancora mangiate. Man mano che riprendeva conoscenza, riuscì a intravedere i soldati del corpo di ricerca, quelli che non avevano disertato perlomeno, combattere contro i giganti dei loro compagni. Il gigante di Pieck le copriva e teneva Falco a bada, facendolo incespicare su se stesso.
- Dobbiamo allontanarci! – le gridò di nuovo Gabi.
Siri si afferrò la testa e annuì, poi con l’aiuto della bambina si alzò.
- Dobbiamo… Gabi, dobbiamo recuperare Yvonne.
- Ha ragione, è da questa parte! – le prese la mano e la guidò verso il limitare della foresta – Non sono arrivati altri giganti oltre Falco qui. I suoi amici sono arrivati in tempo.
Mentre camminavano, Siri si guardava attorno, ancora scombussolata, prendeva aria con profondi respiri per tornare ad essere il più lucida possibile. Nell’aria l’odore di pino era quasi del tutto spento da quello di bruciato e sangue.
Intravide nella penombra un corpo poco lontano da loro. Si fermò, perdendo la presa sulla mano di Gabi che si fermò a sua volta interdetta.
Levi era riverso al suolo, incosciente.
La bambina seguì il suo sguardo e intravide anche lei il corpo.
- Gabi. – disse Siri senza guardarla – Porta Yvonne qui.
L’altra rimase a fissarla per qualche secondo, quando digerì l’ordine corse via alla volta dell’altra spia.
Siri camminò verso Levi e non appena lo raggiunse, vi si inginocchiò accanto e lo voltò supino: gli usciva sangue da un angolo della bocca, aveva una grossa bruciatura che partiva dalla clavicola e si espandeva sul deltoide e tutto il petto senza contare che ad una mano mancavano le due dita con cui teneva il manico del dispositivo. Tirò in avanti la sacca che aveva sulla cintura, non aveva molti strumenti ma pregò che le bastassero, la aprì ed estrasse lo stetoscopio mentre con l’altra mano gli prendeva i battiti sotto la mandibola. Quasi aveva paura a farlo e quando sentì i pochi e flebili battiti del suo cuore, esalò un sospiro con cui cercò di spirare via tutta la sua ansia.
Gli tolse ciò che restava della camicia e della giacca e iniziò a togliersi a sua volta le fasce. Quando allungò le mani su Levi, e, sentendosele bagnate, per un attimo le vide macchiate di rosso. Sobbalzò e chiuse gli occhi, quando li riaprì le guardò di nuovo e si rese conto che erano solo bagnate dalla pioggia che riusciva a penetrare dalle fronde fittissime della foresta. Iniziò a tremare e, inevitabilmente, ripensò a come aveva perso Sasha nella medesima situazione.
- Tu non sei una brava persona.
Le parole di Levi riecheggiarono nella sua mente e finalmente si rese conto di una cosa: che lei poteva scegliere. Era quello il senso del suo allontanamento dal corpo di ricerca, il senso del suo ritiro, ossia che lei aveva scelto di non essere più il geco, la spia, la soldatessa senza scrupoli. Lei aveva scelto di essere solo Siri, e quindi poteva essere un medico e lasciarsi tutto alle spalle.
Cosa avrebbe fatto con quelle mani poteva deciderlo lei. Non c’era una forza suprema che guidava le sue scelte o qualcuno dall’alto che le ordinava di compiere azioni sconsiderate.
Adesso c’era solo lei.
Strinse i pugni e afferrò lo stetoscopio decisa, infilò le olivette nelle orecchie e lo mise sul petto di Levi, ascoltando attentamente. Accanto a lei arrivò Gabi che posò il corpo di Yvonne accanto a quello del capitano.
- Siri, che facciamo adesso?
- Lo sai prendere un polso? – le chiese risoluta, la sua più completa attenzione su Levi mentre nella sua testa calcolava tutte le possibili soluzioni per salvarlo.
- Io… più o meno. – le rispose Gabi incerta, mentre si puliva il naso con la manica del vestito.
- Prendile il polso carotideo e conta, dimmi quanti battiti sono al minuto. – Siri tolse lo stetoscopio e si piegò sull’uomo mettendo l’orecchio a pochi centimetri dalla sua bocca. Si rimise seduta dopo qualche secondo e iniziò a frugare convulsamente nella sacca fino a quando non tirò fuori un grosso e lungo ago assieme ad un tubo di platica che finiva in una grossa sacca vuota e trasparente.
- Allora?
Gabi fece un attimo mente locale: - Credo… su per giù cinquanta.
- Ottimo. – mentre stava disinfettando il petto di Levi con un pezzo di cotone imbevuto di un liquido rossastro, passò la sua sacca alla ragazzina – Cerca uno stecco con una punta luminosa, controllale le pupille.
Gabi fece come le disse, uno schianto poco distante la distrasse.
- Non guardare. – la rimbeccò Siri, che adesso disinfettava l’ago – Occhi su di lei, devi essere veloce, intesi? Ho davvero bisogno del tuo aiuto.
L’altra deglutì e lanciò un’ultima occhiata preoccupata a Pieck poco davanti: se prima appariva in difficoltà, fortunatamente adesso era aiutata da un soldato che lei riconobbe essere Jean, lo stesso che l’aveva difesa da Kaya.
- Gabi!
- Sì! Scusa.
Siri prese l’ago con la punta delle dita, fece un respiro profondo e lo spinse dentro il petto di Levi, poco a sinistra dello sterno, si fermò alla giusta profondità. Un fiotto di sangue risalì lungo l’ago e poi lungo il tubo, lui iniziò a tossire e prese aria come se poco prima stesse soffocando.
Siri gli strinse il braccio con una mano, in viso le spuntò un sorriso sollevato, quella tosse era musica per le sue orecchie: - Ssh, non muoverti troppo. – gli disse dolcemente, le lacrime che scendevano lungo le guance quasi come seguissero un loro corso naturale.
Il respiro roco di Levi andava placandosi, il suono della voce della donna gli fece alzare istintivamente la mano del braccio che Siri gli stringeva e vi si aggrappò a quello di lei. Un pensiero irrazionale gli diceva di non lasciarlo andare per alcun motivo, ma alcuni secondi dopo un getto di vapore coprì tutto attorno a loro, calò un silenzio irreale e Levi credette di essere morto per quello che vide non appena aprì gli occhi.
 
Quando Zeke aveva intuito che i due soldati erano in un qualche modo legati, capì che non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione per liberarsi di Levi. Il capitano avrebbe fatto di tutto per salvarla, il mutante doveva solo sperare che la spia non avesse bevuto vino Marleyano così da non trasformarsi ed essere la distrazione perfetta per non farlo intervenire.
L’armata degli Yeageristi che incedeva verso di loro fu il segnale sufficiente a farlo agire, ciò che lo sorprese furono la quantità spropositata di lampi, molti di più di quanti si aspettava: non solo la foresta di alberi giganti, ma anche le boscaglie adiacenti al sentiero s’illuminarono intensamente attorno all’armata, circondandola da entrambi i lati di miriadi di giganti che, appena evocati, si lanciarono su di loro. Esplose il caos in pochi secondi. Zeke cercò di controllare i giganti, ma la lama con cui Siri l’aveva trafitto non riusciva a farlo urlare a sufficienza. S’inginocchiò sull’erba con molta fatica e afferrò la lama con entrambe le mani, grugnì di dolore quando tentando di tirarla fuori dal petto si tagliò i palmi delle mani. Emise un urlo sordo e roco nel momento in cui riuscì a toglierla e gettarla via. Incedette a gattoni verso il sentiero lasciandosi dietro una scia di sangue e vapore.
Gli Yeageristi montarono a cavallo e chi tra loro si trovava più dietro e verso l’esterno della formazione fu raggiunto e massacrato senza pietà dai giganti. Dal centro della truppa i soldati si lanciarono all’attacco dei giganti, cercando di abbatterne il più possibile ed evitare che avanzassero verso Eren, che adesso era su di un cavallo guidato da Mikasa e procedevano a tutta velocità attraverso la pioggia fattasi più fitta verso la foresta di alberi giganti, seguiti da un piccolo gruppetto di soldati a fare da protezione.
Le urla e le esplosioni arrivavano alle orecchie di Zeke non come se fossero parte di uno scenario apocalittico, ma come se fossero il culmine del suo più grande progetto: gli si riempirono gli occhi di lacrime di gioia quando vide Eren procedere verso di lui, alzò le braccia per farsi vedere ma le fitte nel petto lo facevano piegare dal dolore. Un sibilo e delle macchie scure volarono ai suoi lati verso i giganti che invece si trovavano alle sue spalle, alle prese con Levi. Zeke si voltò e intravide Armin, seguito da Connie e altri soldati armati, che si gettavano nella foresta urlando ordini e incoraggiamenti. Altri due lampi tuonarono poco dopo, sia da una parte che dall’altra del sentiero, gli occhi del capo guerriero saettarono da entrambi i lati, riconoscendo Pieck e Porko che si gettarono anch’essi dentro la foresta. Zeke, che all’inizio credeva fossero opera del temporale, rimase confuso e disorientato, ma finché Eren cavalcava verso di lui e nessuno interferiva poco gli importava dei loro inutili tentativi di salvataggio.
Adesso che c’era solo qualche centinaio di metri a separarli, Zeke gattonò ancora verso Eren e Mikasa, tese la mano verso di loro con un’espressione disperata. La ragazza, tenendosi in equilibro sulla sella, piegò una gamba e afferrò Eren con un braccio.
- Mikasa, che fai?! – gridò lui per sovrastare i rumori degli zoccoli e le urla – Non serve che tu partecipi!
La ragazza non gli rispose, lanciò i rampini su Zeke e mentre si lanciava giù dall’animale riavvolse i rampini, tirando a sé il corpo dell’uomo e qualche istante dopo i tre si aggrovigliarono tra loro, toccandosi.
 
Nota: so che magari alla maggior parte di voi alcuni dialoghi possono suonare già sentiti, ma chiaramente non avrei potuto fare altrimenti mischiando canon con what-if: gli archi dei personaggi ho dovuto lasciarli invariati per dare un senso a tutta la narrazione, se non l’avessi fatto è ovvio che sin dall’inizio non avrebbe avuto senso tenerli il più canon possibile.
L’ultimo capitolo spero di scriverlo e caricarlo il prima possibile, con questo ho avuto grossi problemi, tutta colpa del dialogo tra Pieck e Jean… è difficile volere che il dialogo vada in una certa direzione con due personaggi che hanno interagito così poco, però alla fine mi è venuto quasi “naturale”, solo che mi distraevo parecchie volte tra un’interazione e l’altra perché mi sforzavo di tenerli il più canon possibile, insomma “un macello”.
Alla fine la prima parte mi ha rubato un sacco di tempo, mentre il resto è stato molto più semplice da scrivere. Spero di aver riletto e corretto bene, volevo pubblicare il prima possibile e non escludo errori di sorta, ma, comunque, non credo ce ne siano di così gravi da doverlo ripubblicare.
Non appena pubblicherò l’ultimo capitolo non vedo l’ora di scrivere alcune one shot, qualora v’interessasse, una Jeankasa e un’altra Levihan (su quest’ultima ci devo lavorare ancora, quindi non so quando vedrà la luce). Perdonatemi per l’immenso ritardo, con questo caldo qualsiasi cosa mi è diventata pesantissima da fare!
Alla prossima (ultima ) volta!

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Capitolo 40
*** Capitolo 38 - Il tramonto e l'alba ***


Capitolo 38 – Il tramonto e l’alba

 

I'm a fool to hold you
Such a fool to hold you
To seek a kiss not mine alone
To share a kiss the Devil has known
 
Time and time again I said I'd leave you
Time and time again I went away
But then would come the time
When I would need you
And once again
These words I'd have to say

 
Mikasa non avrebbe potuto spiegare in maniera coerente quello che aveva visto, né tantomeno quanto tempo fosse passato, un secondo, una vita intera, le sembrava di essere stata in un sogno senza fine. Quando era tornata alla realtà erano circondati dal vapore talmente fitto da essere surreale, si era guardata attorno e le era sembrato di vedere una bambina in piedi davanti a lei. Non l’aveva mai vista in vita sua ma la cosa assurda era che lei riuscì a riconoscerla e anche a darle un nome.
Ymir… – disse a mezza voce. La bambina le sorrise e scomparve insieme al vapore che si diradava, anche la pioggia sembrava essersi placata. 
Man mano che la nebbia scompariva il suo velo fitto e grigio si alzava metro per metro rivelando come un sipario lo spettacolo macabro sulla piana, atrocità e sangue la costellavano: accanto agli ufficiali di guarnigione e gendarmeria che si riprendevano, confusi e frastornati dalla trasformazione in giganti, i corpi degli Yeageristi giacevano immobili senza vita, la vista degli innumerevoli cadaveri scomposti lasciò sgomentati i soldati che si guardavano attorno con orrore, alcuni di loro si piegarono per i conati alla vista degli Yeageristi di cui rimanevano soltanto alcuni arti o il busto martoriato.
Mikasa bloccò il suo sgomento con una mano, i disertori erano stati decimati e ora quelli rimasti venivano ammanettati. La ragazza aveva allungato di molto la strada per far recuperare tempo alla sua squadra, ma mai si sarebbe immaginata qualcosa di simile, e ancora non riusciva bene a capire come potesse essere stato possibile che i suoi superiori si fossero trasformati in giganti. Marley? Pensò, ma lo escluse perché se ci fossero state spie la sua squadra l’avrebbe saputo, inoltre i superiori avrebbero dovuto inalare il liquido spinale di Zeke e si sarebbero ricordati di un evento del genere. 
Sentì stringersi la mano e si voltò alla sua destra: Eren, ancora disteso, la guardava con occhi carichi di sconforto ma non poté fare a meno di allungare l’altra mano e accogliere la guancia della ragazza nel suo palmo. Mikasa piegò la testa per farla aderire ancor più al suo viso.
Lei stava per dirgli qualcosa, quando vennero brutalmente interrotti da dei fucili puntati contro di loro.
- Hai fatto un ottimo lavoro Mikasa. – Hange era tra due soldati armati, con un’espressione non molto felice in volto – Eren Yeager, Zeke Yeager, vi dichiaro in arresto.
Mikasa protese le mani in avanti, cercando di fermarli: - No! aspetti comandante…
- Soldato, sei con noi o coi fratelli Yeager? – la ragazza stava per parlare quando il comandante la interruppe di nuovo – Pensaci bene prima di rispondermi.
Eren si mise seduto e fulminò Mikasa con lo sguardo, lei non sapeva cosa dire, impanicata, guardava prima lui e poi Hange, come se fosse alla ricerca di una risposta. In realtà sapeva benissimo cosa dovesse dire, soprattutto se voleva che quello che avevano fatto funzionasse.
- La mia lealtà… – la ragazza si fermò quasi le parole che stesse per dire le facessero male fisicamente, Hange la fissava intensamente, come a sperare dicesse quanto desiderasse – La mia lealtà… è col corpo di ricerca.
Il ragazzo abbassò lo sguardo ma, come Hange, sembrava molto sollevato sentendo le sue parole. I due ragazzi si alzarono e uno dei soldati ammanettò Eren, mentre l’altro si diresse verso Zeke che ancora giaceva disteso in uno stato catatonico.
- Hai sentito? Alzati. Sei in arresto per crimini contro l’umanità. – gli intimò il soldato.
Zeke si lasciò alzare di peso e rimase a fissare il vuoto mentre lo ammanettavano. Una volta fatto, i soldati si allontanarono verso la foresta coi due prigionieri che li precedevano. Il tutto avvenne sotto lo sguardo preoccupato di Mikasa, che fece qualche passo verso di loro.
- Mikasa. – Hange le si avvicinò – Perché non raggiungi Connie, Jean e gli altri? Stiamo raccogliendo gli ultimi Yeageristi per incarcerarli o… – spostò brevemente l’occhio verso la radura – … seppellirli, non sappiamo quanti nemici siano ancora nei paraggi e preferirei li aiutassi. Sono laggiù, dall’altra parte del sentiero, quando siete al sicuro raggiungeteci al campo base che stiamo allestendo.
La ragazza annuì e il comandante si voltò per seguire gli altri due soldati.
- Comandante Hange, aspetti per favore.
L’altra si fermò a metà strada e si voltò.
- Come… da dove sono venuti fuori quei giganti? So chi erano, ho intravisto qualche superiore del corpo di guarnigione e gendarmeria, ma come è possibile che…
- Zeke ha nascosto del liquido spinale in delle bottiglie di vino che poi alcuni volontari hanno servito agli alti in grado e ai soldati di guardia a Zeke, compreso Levi. Per fortuna, anche se quest’ultimo l’avesse bevuto, come ben sai, non gli sarebbe successo niente. 
- Quindi ad uccidere tutti questi soldati disertori…
- Siamo stati noi, seppure non proprio in forma umana. Vi abbiamo seguito a distanza e abbiamo sfruttato il loro stesso tranello studiato per tenerci all’amo. – Hange notò lo sguardo perplesso di Mikasa e continuò ferma – Avevano già ucciso tantissimi altri soldati di tutti e tre i reggimenti, compresi i civili che non hanno voluto collaborare alla presa del potere.
La ragazza sgranò gli occhi inorridita. Dovevano aver scoperto queste notizie da Pyxis dopo che lei era scappata dagli Yeageristi, non poteva spiegarselo altrimenti visto che fino a quel momento era sempre stata con loro. Rabbrividiva al pensiero di Eren che commetteva crimini così orribili, ingannare i propri commilitoni, macchiarsi la coscienza con così tante vite innocenti…
- Quindi adesso… che succederà ad Eren?
Hange sospirò stanca: - Ci sarà un processo militare una volta che arriveremo a nord, sia per lui che per Zeke, oltre che per tutti gli altri Yeageristi. Voglio avvisarti Mikasa, non sarà piacevole e io di certo né vorrò né potrò interdire. I crimini di cui si è macchiato Eren non sono facili da discutere o perdonare.
Il comandante se ne andò verso l’accampamento, chiudendo così la loro conversazione. Mikasa si strofinò un braccio, si sentiva persa e confusa, in tutto questo ancora non riusciva bene a realizzare che cosa fosse successo durante il contatto. Una folata di vento più fredda la spinse a seguire il consiglio di Hange, infreddolita e ancora bagnata per la pioggia si portò dall’altra parte dell’accampamento di fortuna dove credeva la sua squadra si fosse riunita. Tagliò il sentiero in obliquo ed entrata di qualche metro nella foresta, trovò subito il focolare attorno al quale i suoi amici si erano raccolti. Jean era seduto con le gambe incrociate dandole le spalle, Siri gli stava medicando una ferita sul viso inginocchiata davanti a lui, mentre una ragazza dai folti capelli neri era seduta accanto al ragazzo e guardava con attenzione i movimenti della spia.
- Ehi, guardate, c’è Mikasa! – disse Connie che stava tenendo vivo il fuoco.
Dall’altra parte rispetto a lui, Gabi e Yvonne, sedute davanti al fuoco, le dedicarono una breve occhiata disinteressata mentre Jean cercò di voltarsi per vederla.
- Guarda che non mi faccio scrupoli a dartele di santa ragione. – berciò Siri che con una manata spostò il mento di Jean per tenergli il viso difronte a lei.
- Non hai i modi che si addicono ad un medico. – disse Pieck melliflua.
- Succede a frequentare certe compagnie. – le rispose Siri concentrata sul taglio sulla fronte che stava cercando di richiudere con ago e filo chirurgici.
Pieck seguì con lo sguardo Mikasa sistemarsi accanto a loro, il più vicino possibile a Connie.
- Quindi è lei la tua amica… – disse la marleyana a Jean, facendolo arrossire di poco.
- Stai bene? – le chiese quindi Jean restando immobile.
Mikasa alzò la sciarpa per coprire meglio il collo: - Sto bene. – incuriosita guardò la ragazza accanto a Jean che le parve familiare. Quando comprese chi fosse, s’inginocchiò in un lampo e impugnò i manici del dispositivo.
- Siri, attenta, lei è…
- Ferma. – Siri annodò l’ultimo punto, facendo digrignare i denti a Jean per il dolore – È una lunga storia, per farla breve sono dalla nostra parte.
- Tch. – un ragazzo che fino ad allora non aveva notato, sedeva di fronte a loro con le spalle appoggiate al tronco di un albero lontano dal fuoco. Mikasa riconobbe anche lui, era senza alcun dubbio il possessore del gigante mascella.
Siri sospirò sonoramente mentre si alzava e, quando le passò davanti, la sentì dire a bassa voce tra sé: - Ne ho abbastanza di ‘ste stronzate.
- Mikasa! – la ragazza si voltò, oltre Connie, Armin teneva tra le braccia della legna ed era appena tornato al focolare. Lasciò cadere il piccolo carico per terra e si gettò verso Mikasa che fece altrettanto. Armin la strinse fortissimo a sé e non si impegnò molto per trattenere le lacrime, accompagnate da qualche singhiozzo.
- Temevo gli Yeageristi ti avrebbero fatto del male… come sono contento che tu sia ancora viva…
Circondata dai suoi amici si era sentita più sicura, ma adesso tra le braccia di Armin si sentiva a casa, sentiva l’angoscia che le appesantiva il petto abbandonarla, se non del tutto, quel tanto che bastava per sentirsi meglio. Si strinse ancora più strettamente al migliore amico, bagnandogli la camicia con le poche lacrime che scivolarono dai suoi occhi.
Quando si separarono da quell’abbraccio, notò che Siri si era portata in un punto accanto a Connie che prima di allora non aveva notato, nascosto com’era dalle spalle del compagno di squadra. Sussultò alla visione del capitano Levi senza sensi, col petto ricoperto di qualche innominabile poltiglia che Siri gli stava cambiando con una precisione maniacale, oltre che, le sembrava, con una certa cura affettuosa. Accanto al capitano c’era il bambino marleyano che avevano arrestato anche lui privo di sensi, con la testa fasciata.
- Che è successo al capitano Levi?
- Una lancia fulmine. – le rispose Siri, apponendo l’ultimo bendaggio sul petto dell’uomo. 
Armin poggiò una mano sulla spalla di Mikasa: - Non so se ne sei a conoscenza, ma i giganti che sono apparsi qui erano…
- Sì, lo so. Me l’ha detto il comandante quando mi sono ripresa.
Il ragazzo sospirò: - Per permettere a te, Eren e Zeke di toccarvi abbiamo dovuto distrarre i giganti evitando il più possibile di ucciderli, almeno fino a quel momento. Ma come puoi immaginare non è stata un’impresa facile e persino soldati forti come Jean si sono feriti, alcuni gravemente.
Mikasa sentì lo sguardo di tutti i presenti su di lei, comprese di essere l’unica a non aver ancora capito dove Armin volesse andare a parare.
- Per molti giganti non abbiamo potuto fare altro che abbatterli, erano troppo pericolosi, eppure così facendo abbiamo perso altri compagni.
- Facciamo che glielo chiedo io senza troppi giri di parole, che ne dici Armin? – Jean interruppe l’amico, facendo voltare Mikasa verso di lui – Ci siete riusciti Mikasa?
Il silenzio che si creò era interrotto soltanto dallo scoppiettio del fuoco, sembravano essere tutti sulle spine per il suo responso e solo quando lei incrociò lo sguardo con Connie ebbe la forza di parlare, ma Porko la interruppe prima che lo potesse fare.
- È chiaro che ci sono riusciti, sento… beh, non sento, è questo il punto. E poi… – alzò una mano, rivelando un grosso taglio sanguinante sul palmo – Non si è ancora rimarginato.
- Ma allora lo fate apposta. – Siri prese la sacca che aveva poggiato accanto al corpo di Levi e si alzò, dirigendosi stancamente verso il ragazzo – Alcune parole della nostra lingua sono diverse, ma credo mi fossi fatta capire quando ho detto “chi è ferito?”.
- Non ero sicuro non si sarebbe rimarginato subito.
Connie si alzò: - Mikasa voglio sentirlo dire da te. Ci siete davvero riusciti?
Lei si voltò verso di lui: - Sì. Ho ancora delle strane sensazioni in merito, ma sento che ha funzionato.
- Perdonami… Mikasa, ma non è delle sensazioni che possiamo fidarci. – esordì Pieck – Come fai a sentire che ci siete riusciti?
Mikasa la guardò interrogativa e cercò del supporto da Jean guardandolo, ma lui distolse il suo, facendole capire che era d’accordo con la marleyana.
- Non ricordo perfettamente cosa è successo, ma… – posò i polpastrelli al lato della testa sforzandosi di ricordare – Siamo stati catapultati in un posto che non era questo, né uno che avevo mai visto in vita mia, c’erano Zeke ed Eren, e una bambina… è stano perché sento di conoscerla, ma allo stesso tempo non ho idea di chi fosse. Zeke ed Eren hanno discusso ed io ero lì e… discutevo con loro. Poi ad un certo punto sapevo cosa dovevo fare e l’ho fatto. Scusate se non so dirvi perfettamente com’è andata ma è come se avessi vissuto queste cose tantissimo tempo fa.
Siri annodò la benda attorno alla mano di Porko: - Ad ogni modo non abbiamo tempo di preoccuparci di quello che ricorda o non ricorda Mikasa. – si alzò e tornò dai due pazienti incoscienti, sedendosi accanto a Falco – Se quel boato che abbiamo sentito è davvero quello che abbiamo intuito, allora dobbiamo spostarci a nord il prima possibile.
- Boato? – Mikasa si voltò verso Armin in cerca di spiegazioni – Quale boato?
- Beh… tu forse eri… ovunque tu fossi, ma quando si è alzato il vapore abbiamo avuto delle visioni e si è sentito un boato fortissimo, era distante da qui quindi non poteva essere una delle nostre lance fulmine.
- E Armin ovviamente ha una teoria… – disse Connie accigliato, incrociando le braccia.
L’altro sospirò: - È solo una teoria appunto, ma… se il potere dei giganti è scomparso, esattamente come i giganti che stavamo combattendo, allora anche i colossali contenuti all’interno delle mura si saranno volatilizzati e senza di loro a tenere le mura, queste è probabile siano crollate, dopotutto non erano altro che il frutto del loro indurimento. Pensavo che sarebbero rimaste intatte visti gli esperimenti fatti con Eren, ma poi Siri visitando Falco ha scoperto che la pietra luminosa che usava per controllare le pupille era scomparsa.
- Addio mura, addio protezione dai rivoltosi. – disse Siri lapidaria – C’erano già numerosi posti di blocco e barriere di fortuna a dividere nord e sud, ma le mura rimanevano il migliore sistema di divisione, soprattutto per la capitale che era riuscita a rimanere isolata. Entro domattina dobbiamo andare via di qui, quando il resto degli Yeageristi rimasti a sud non vedranno tornare né Eren né Floch arriveranno e vorrei evitare un altro bagno di sangue.
Mikasa si sedette di nuovo davanti al fuoco tra Connie e Armin che fecero altrettanto, Connie offrì un cracker alla ragazza che iniziò a mangiarlo in silenzio. Gabi e Pieck si avvicinarono a Siri non appena ebbe finito di auscultare Falco.
- Sta bene, credo abbia una leggera commozione. – disse la donna coprendolo con la coperta fin sotto il mento – Deve riposare, anche si risvegliasse tra qualche ora non dovrebbe fare movimenti bruschi o camminare.
Gabi si strinse le braccia a sé e annuì sconfortata mentre Pieck le accarezzava dolcemente la testa.
- Oh Siri, – le tre si voltarono verso Mikasa – Hange mi ha detto di raggiungere il campo base quando siamo pronti.
La spia non ci dovette nemmeno pensare, scosse subito la testa: - Non esiste. Questi due non posso spostarli, e poi Pieck e Porko sono più al sicuro qui, lontani da occhi indiscreti. Vi sarei grata non gironzolaste a proposito, non tutti sono entusiasti della nostra… collaborazione.
Porko si alzò: - Non preoccuparti di questo, non abbiamo alcuna intenzione di andarcene fino a quando il nostro accordo non verrà rispettato.
- Su questo non devi temere, siamo persone di parola. 
- È difficile fidarsi di qualcuno che ha contribuito alla caduta in disgrazia della nostra nazione!
Pieck tornò a sedersi accanto a Jean: - Porko sono andati fino in fondo anche loro, voglio ricordarti che non potevamo fidarci nemmeno dei Marleyani, e, arrivati a questo punto, soprattutto dei Marleyani. Inoltre daremo il colpo di grazia alla nostra adorata nazione con questa esecuzione.
Il marleyano si sentì tradito dalle parole della compatriota e inveì contro di lei, rosso di rabbia: - Ti sei ammattita adesso?! Stai dalla parte di queste… persone?! – quasi sputò fuori l’ultima parola, la disse con un tale disprezzo che Jean non riuscì a stare zitto.
- Perché non la fai finita? La biasimi per averci dato la sua fiducia quando nemmeno ti rivolgi a lei con rispetto. Pieck è sicuramente un soldato molto più assennato di te. – la soldatessa rimase molto colpita dalle parole di Jean, tanto quanto Siri che adesso guardava i due sospettosa – Non mi sembra tra l’altro che abbiate altra scelta.
Porko parve visibilmente interdetto: - Non ho alcun interesse a fraternizzare con voi. Voglio solo vedere impiccato il bastardo che ha raso al suolo il mio distretto il prima possibile.
Con uno sguardo tagliente, Connie gli piantò addosso le sue iridi ambra: - Ehi, spiegami una cosa, hai così tanta fretta di portare qualcuno al patibolo?
Porko fece qualche passo verso di lui, non credevano avrebbe attaccato il ragazzo, ma tutti s’irrigidirono visibilmente: - Di sicuro non mi va di perdere tempo in inutili chiacchiere, e voi, con questo processo, sembrate tanto propensi a farlo.
- Armin. – la voce di Mikasa pareva talmente terrorizzata che tutti portarono la loro attenzione da Porko a lei – Di cosa state parlando?
Mikasa si alzò di scatto e guardò Siri con gli occhi pieni di lacrime: - Cosa intendono dire?!
- Mikasa, calmati per favore… – Armin si era alzato e si era interposto tra le due, le afferrò una spalla per farsi ascoltare ma la ragazza con uno scossone del braccio scaraventò il ragazzo al suolo.
- Hange ha detto che ci sarebbe stato un processo!
Siri mise una mano su un pugnale che teneva nella cintura e rimase ferma ad osservarla, imperturbabile. Mikasa iniziò a boccheggiare, si guardò attorno e nessuno dei suoi amici aveva il coraggio di guardarla negli occhi, ad eccezione dei due mutaforma marleyani: quel silenzio fu sufficiente a farla girare e correre via a perdifiato verso l’accampamento.
- Cazzo. – Siri si tolse la sacca dalla cintura e iniziò a correrle dietro, seguita a ruota da Armin.
Corsero più veloce che potettero ma Mikasa li aveva doppiati, neanche lo slalom tra le tende e i fuochi dell’accampamento riuscirono a rallentarla. Tra gli stretti corridoi che si erano venuti a creare, ansimante e col viso rigato dalle lacrime, Mikasa cercò la tenda del comandante, quando scorse da lontano lo stemma del corpo di ricerca ricamato sulla tenda più grande di tutte, estrasse le lame del dispositivo e si precipitò verso di essa, irrompendo all’interno come una furia.
- Mi avete mentito! – non appena entrò, la scena che le si parò davanti la bloccò all’istante.
Hange ed Eren sedevano l’uno di fronte all’altra e sembrava gli avesse interrotti nel bel mezzo di un discorso. Il ragazzo era ancora in manette e quando la vide entrare si alzò, guardandola incredulo.
- Mikasa, che ci fai qui? Metti via quelle lame.
Hange si alzò sorpresa, ma quando vide il viso deformato dal pianto della ragazza capì all’istante che aveva saputo del destino che sarebbe toccato ad Eren. Mikasa ignorò la richiesta del ragazzo, la sua voce era rotta e disperata.
- Eren! Devi scappare, loro non… – probabilmente fu il suo stato d’animo, l’intensità dei momenti che aveva dovuto affrontare uno dopo l’altro che permisero ad Armin e Siri di immobilizzarla ed addormentarla con un anestetico. Mikasa sussultò senza avere la prontezza di contrattaccare e sentì solo il pizzico della siringa sopra la clavicola prima di addormentarsi.
 
Mikasa si svegliò qualche ora dopo, con molta fatica cercò di sollevare le palpebre che sembravano pesarle una tonnellata. Non appena aprì gli occhi, capì di trovarsi in una tenda oltre il cui tessuto s’intravedeva qualche luce sfuocata delle lanterne provenire dall’esterno, ma doveva essere notte per l’oscurità in cui era immersa. Lei era stata adagiata su di una branda e non appena tentò di portare una mano sulla faccia, si rese conto di essere ammanettata. Abbassò la testa verso il grembo e muovendo i fianchi vide che non aveva più nemmeno il dispositivo di manovra addosso.
- Te l’hanno tolto. – Eren era su una sedia accanto a lei – Non agitarti troppo, Siri ha detto che l’anestetico che ti ha dato era tra i più forti che conosce.
- Eren…
- Pensavo di aver risolto questa questione. Non mi aspettavo piombassi armata e fuori di te…
Mikasa aggrottò la fronte: - Di cosa stai parlando?
Lui le restituì lo sguardò incredulo: - Davvero non ricordi nulla?
Mikasa si tirò su a sedere e cercò di concentrarsi più che poté: - Io… ho come delle sensazioni, so che abbiamo fatto quello che dovevamo fare, ho vaghe immagini di quello che è successo, ricordo che discutevamo ma non so quello che ci siamo detti.
Il ragazzo annuì: - È così in effetti. Il potere dei giganti è scomparso, ed è stato solo grazie a te Mikasa. – lei lo guardò sorpresa – Ma non può funzionare se tu continui a comportarti così.
- Eren, loro non mi hanno dato il tempo di spiegare. Non hanno intenzione di darti un processo onesto, ti condanneranno a morte. – Eren scosse la testa – Dobbiamo scappare, adesso che il capitano Levi è ferito nessuno potrà fermarmi. Riusciremo ad allontanarci e poi…
- Mikasa, adesso basta.
- Eren, non capisci?! Se rimaniamo qui tu…
Lui si alzò di scatto e alzò la voce per non ammettere altre repliche: - Certo che capisco. – si strofinò la fronte coi polpastrelli e sospirò. Mikasa lo osservò sedersi accanto a lei sulla branda: poteva essere abbastanza forte da sconfiggere un’armata intera di soldati, anche di giganti se l’occasione l’avesse richiesto, ma non lo era abbastanza da venire a patti col fatto che Eren aveva accettato il suo destino.
- Lo so. Hange me l’ha detto, e io sono pronto ad andare avanti con quanto è stato deciso.
- No! – Mikasa si allontanò da lui, indignata – Come puoi accettare questo?! Non è giusto quello che vogliono farti!
- È giusto invece che io abbia ucciso migliaia di innocenti? Mikasa, per favore, non fare finta che io non abbia alcuna colpa.
Lei scosse la testa: - Eravamo in guerra, Marley ha ucciso nel tempo…
- E anche noi. Marley sta pagando ogni singolo crimine che ha compiuto contro le nazioni che ha conquistato, e che senso avrebbe continuare a rivangare il passato, chiedersi chi ha più colpe?! Ne abbiamo parlato continuamente in questi ultimi quattro anni, siamo in questa situazione per colpa dei nostri antenati e abbiamo fatto di tutto per porvi rimedio.
- Ma non vedo perché tu debba andarci di mezzo! – disse Mikasa con gli occhi lucidi – Abbiamo eliminato il potere dei giganti, è abbastanza!
- Non è neanche lontanamente abbastanza. Mikasa qualcosa è cambiato, perché quello che sarebbe successo se io avessi proseguito… – Eren si bloccò, digrignò i denti e si coprì il viso con le mani – Sarei diventato un simbolo anche in quel caso e lo sono anche adesso, a Paradise per aver distrutto Liberio e poi tra le nazioni conquistate da Marley per avergli dato un’occasione per essere indipendenti. Riportandomi in patria, gli Eldiani saranno in parte scagionati, non avranno motivo di pensare che hanno fatto combutta con noi e Paradise ha finalmente un futuro davanti a sé.
- Ma così tu non lo avrai… – Mikasa poggiò le mani sul ginocchio di Eren – Ti prego, non farlo.
Eren si voltò e la guardò sconsolato: - La mia morte darà una spinta in più alle rivolte oltreoceano e al movimento di liberazione per gli eldiani. – le asciugò una lacrima e poi le prese le mani – Eravamo d’accordo Mikasa… tu non riesci a ricordarlo e non riesco a capirne il motivo.
Si guardarono negli occhi così intensamente che anche quelli di Eren divennero lucidi.
- Devi lasciarmi andare Mikasa.
Il volto della ragazza divenne una maschera di dolore, scosse la testa: - No…
- Non funzionerà Mikasa, se non mi lasci andare non funzionerà. – la ragazza continuò a scuotere la testa piangendo disperata, senza forze si lasciò abbracciare da Eren che le diede un bacio affettuoso sulla nuca – L’hai già fatto nei sentieri, non ricordi? Se non lo fai anche qui non funzionerà…
Mikasa lo circondò con le braccia e strinse il tessuto della sua maglia nelle mani, mentre lasciava che le sue lacrime bagnassero la sua spalla: - Non voglio. – disse tra i singhiozzi.
Eren fece un respiro profondo, strofinò la mano sulla spalla della ragazza e capì perché non ricordava alcunché della loro esperienza nei sentieri di Ymir. Lui le aveva cancellato i ricordi del loro futuro alternativo e aveva lasciato soltanto quanto avevano vissuto con Zeke, in nessun modo lui avrebbe potuto sbagliare in questo processo: Mikasa non voleva ricordare, farlo per lei era troppo doloroso e ora Eren stava rivivendo tutto daccapo e sapeva quanto sarebbe stato difficile quando lei l’avrebbe lasciato andare.
 
***
 

Take me out tonight
Because I want to see people 
And I want to see life
Driving in your car
Oh, please don't drop me home
Because it's not my home, it's their home
 
And I'm welcome no more
And if a double-decker bus
Crashes into us
To die by your side
Is such a heavenly way to die
And if a ten ton truck
Kills the both of us
To die by your side
Well, the pleasure, the privilege is mine

 
Non pioveva da almeno una settimana. Il settimo giorno dalla scomparsa dei giganti dal mondo, Historia partorì la sua primogenita, Siri pensò potesse avere un qualche significato. Una sorta di rinascita sia fisica che metaforica, ma abbandonò presto questa idea quando Historia chiamò la bambina Ymir. Non c’erano significati di entità superiori nascosti nelle cose, se non quelli che le persone gli davano volontariamente.
Siri era seduta sul prato, poggiava la schiena sulla staccionata e guardava gli orfani giocare in lontananza. Per giorni erano state solo queste le sue giornate e all’inizio aveva faticato a trovarne un senso. Si dedicava ai bambini e ai malati, puliva un po’ per noia un po’ per fare un piacere, lavorava l’orto di Historia ma finiva quasi sempre molto presto, lasciandole il resto della giornata completamente libero. Shawn e Kerstin che aveva trovato già lì al suo arrivo, dopo che la regina ebbe partorito se ne andarono, lasciandola sola coi suoi pensieri.
Piegò la testa all’indietro, facendo scivolare il cappello sulla faccia: la prospettiva di addormentarsi lì e rientrare per cena la allettava e allo stesso tempo le dava dell’ansia immotivata. Passava il suo tempo a preoccuparsi di dover fare qualcosa e a rassicurarsi del fatto che non aveva altro da fare se non il medico o dedicarsi all’orto. Sapeva doveva essere solo una questione d’abitudine, ma ogni tanto invidiava Levi che dormiva per ore e ore, più di una volta si chiese se stesse recuperando il sonno perduto per anni tutto in una volta.
- Ti ho trovata finalmente.
Siri sussultò quando riconobbe la sua voce, rizzò in piedi talmente velocemente che le vennero le scintille agli occhi. Si voltò e vide Hange venire verso di lei dalla casa di Historia, scavalcò la staccionata e andarono una incontro all’altra.
- Credevo avessi abbastanza da fare per venire a trovare due soldati in pensione.
- La regina in realtà aveva bisogno di essere aggiornata, quindi… – la spia le diede un pugnetto sul braccio abbozzando un sorriso – Dove possiamo parlare?
 
L’ombra dell’olmo sotto cui si erano sedute era abbastanza rinfrescante, da lì riuscivano a vedere la casa di Historia che dava sulla staccionata per gli animali e anche i bambini che ancora giocavano davanti al fienile. La scena dava ad Hange una strana pace accompagnata da un’angoscia che non sapeva spiegarsi, si chiese se Siri si sentisse sopraffatta da un cambio di stile di vita così radicale, a giudicare dal suo aspetto più radioso avrebbe giurato di sì, ma i suoi modi di fare molto più contenuti parevano dirle il contrario.
- Yvonne ha trovato Bernard. – Hange la guardò brevemente, poi tornò a fissare di nuovo lo spettacolo bucolico davanti a sé – Dalle sue ferite si può dire che non ha parlato, non mi è ancora arrivato il resoconto dell’autopsia ma ad un primo sguardo il dottore mi ha detto che non sapeva se sia morto per la costola che gli ha perforato il polmone o per le infezioni.
Siri strinse le labbra e annuì, il comandante rimase qualche secondo in silenzio per darle il tempo di digerire la notizia.
- Yvonne come sta?
- Non è stata molto bene, ha preso una licenza ed è tornata da suo fratello maggiore. Sarebbe dovuta venire lei qui, ma, beh… credo avesse bisogno di riposare. Dopotutto è voluta andare da sola alla ricerca di Bernard ed è riuscita a tornare a nord poco prima che chiudessero definitivamente la frontiera.
- Quindi adesso è ufficiale.
Hange staccò qualche filo d’erba: - In realtà sono venuta qui anche per questo… Con Historia dovremmo cercare di firmare un armistizio, oltre che la loro indipendenza. Non vogliamo altri spargimenti di sangue o guerre inutili… gli accordi commerciali saranno leggermente più difficili da ripartire o ridefinire, ma speriamo di trovare una soluzione.
Siri allungò le gambe e sgranchì il busto, rimanendo in silenzio. Hange cercò di leggere nella sua espressione qualsiasi cosa le potesse far capire il reale stato d’animo della spia. Tentò un approccio in punta di piedi.
- E lui invece come sta?
L’altra soffiò col naso e scosse la testa: - Sta bene. Come non mi aspetterei, ma sta bene. – Hange continuò a fissarla e questo fece sentire a Siri il bisogno di continuare a parlare – Una lancia fulmine l’ha preso in pieno, gli ha bruciato il petto, la spalla aveva un’ustione quasi di terzo grado, con ogni probabilità si sarebbe dovuta infettare, per non parlare dell’emotorace.
Hange notò come gli occhi di Siri trasmettevano una profonda tristezza, ma il suo viso era rimasto impassibile.
Sarebbe dovuto morire. Non c’era alcuna possibilità che si potesse salvare, anche se sono stata perfetta in tutto quello che ho fatto. Sono stata… ho fatto tutto quello che dovevo fare come l’avrei fatto anni e anni fa, precisa e metodica.
- È una cosa bell…
- Lui non è sopravvissuto grazie a me. – finalmente Siri stava iniziando a piangere – È sopravvissuto perché è un Ackerman. È ancora qui solo perché è nato così. E ogni giorno mi sono chiesta se essere un Ackerman sarebbe bastato o se ad un certo punto mi sarei svegliata e lui no.
Hange ricordò il comportamento della spia nella foresta, prima che lei portasse Levi via con sé, ad un certo punto l’aveva trovata accartocciata su sé stessa, addormentata, mentre gli teneva indice e medio sulla carotide.
La sentì riprendere fiato per calmarsi, poi si asciugò le lacrime col lembo della maglia.
- Siri io credo che quello che conta è che sei riuscita ad avere polso quando è stato necessario. Che fosse un Ackerman o meno, poco importa. – la spia tirò su col naso – Il solo fatto di curarlo ti ha ricordato chi vuoi essere, se non l’avessi fatto lui sarebbe morto di sicuro.
Siri si avvicinò ad Hange e poggiò la testa sulla sua spalla.
- L’hai salutato?
- Sì, anche se non so abbia realizzato fossi veramente io, si è riaddormentato subito dopo avermi salutato. – sospirò e disse con tono ironico – Anni di insonnia e ora non fa che dormire, eppure neanche un buon riposo gli toglie quel broncio.
Siri rise e rimasero ancora sotto l’olmo fino a quando non arrivò l’ora di cena, poi Hange se ne andò.
 
Siri si rigirò nel letto, nella testa si ripetevano le stesse immagini che la tormentavano nel sonno da settimane, ancora e ancora. Levi nella foresta, il petto pieno di bruciature ed ustioni, lo sguardo vuoto e poco reattivo. Senza parlare di quel rantolo che aveva come respiro che ogni tanto riusciva a sentire come se fosse vero, svegliandola nel bel mezzo della notte solo per farle realizzare che lui era vivo e vegeto al suo fianco e dormiva come un angioletto.
Si era addormentata dopo pranzo per recuperare il sonno perduto, la notte prima aveva dormito poco e niente perché Levi le aveva rivelato di avere qualche fastidio ad ingoiare, fastidio che alla fine era sparito il mattino dopo, probabilmente era stato causato dalla minestra troppo calda della cena. Siri anche questa volta nel suo sogno era nella foresta e Zeke aveva appena urlato, i soldati tutt’attorno a loro avevano iniziato a trasformarsi, il cuore le batteva talmente forte che la svegliò. 
Catapultata di nuovo nella realtà, diventata stranamente più rassicurante rispetto al passato, si voltò vero il lato di Levi e impietrì quando lo trovò vuoto, neanche ci fece mente locale ma la sua mano teneva già uno dei pugnali che aveva sistemato sul comodino. Si guardò attorno e vide la porta del bagno semiaperta, da seduta vedeva una piccola lama di luce provenire dall’interno. Scese dal letto e si diresse verso lo stanzino, afferrò il pomello coi muscoli tesi e quando si affacciò all’interno si rilassò. Aprì tutta la porta e si poggiò sull’uscio con una spalla, aspettando che Levi, in piedi davanti al lavandino, incrociasse il suo sguardo attraverso lo specchio.
Si era messo una camicia che aveva lasciato aperta, il torace era ancora in parte fasciato e con le mani tremanti teneva un paio di forbici davanti alla faccia, tentando di tagliarsi i capelli ancora tutti bagnati.
- Che stai facendo? – esordì Siri con un tono quasi accusatorio, visto che Levi ancora sembrava totalmente assorbito nell’atto.
Lui la guardò attraverso lo specchio: - Non si vede? – le sue mani tremarono ancora, lei fece una smorfia di disapprovazione.
Levi abbassò le forbici e poggiò i palmi sul bordo del lavandino, la sua voce pareva un’ammissione di colpe: - Non ne potevo più.
Lei ripose il coltello in una fodera che teneva alla cintura: - Quindi hai pesato bene che la prima azione da fare dopo che ti alzi dal letto per la prima volta a parte che per usare il bagno, è impugnare un paio di forbici affilate. 
- Parla quella che continua a tenere i coltelli sul comodino. Che farai se mi alzo di notte, mi scambi per uno Yeagerista e mi ammazzi?
- Consideri sul serio l’eventualità che io possa riuscire ad ammazzarti? – Siri posò una mano su quella con cui Levi teneva ancora le forbici e fece scivolare le dita nel suo palmo per sfilargliele.
Levi strinse leggermente la presa e deglutì: - Volevo solo fare qualcosa di normale.
A Siri le si annodò la gola, rimase a fissare l’utensile della discordia in silenzio fino a quando non glielo sfilò con più decisione dalle dita, d’altro canto lui la lasciò fare con docile remissione.
- Prendi uno sgabello e un asciugamano e vai sul portico. – lui la guardò interrogativo – Con questa luce non vedo bene.
Fece come gli disse e dopo un po’ lei lo raggiunse all’esterno. La rampa del portico era in legno, come quasi tutta la casa di Historia, e si affacciava direttamente sulla radura colorata dai caldi colori del tramonto che Levi rimase a fissare nell’attesa. Siri gli si sedette di fronte e sistemò su un tavolino accanto a loro una ciotola piena d’acqua e un kit per la rasatura che aprì con una precisione degna di un chirurgo. Dopodichè sistemò un asciugamano sulle gambe, stirandolo con le mani per farlo aderire alle cosce.
- Da dove hai tirato fuori tutti questi arnesi?
- Dalla mia sacca, da dove se no. – si guardarono e Siri accennò un sorriso, facendogli capire scherzasse – Ma come, non lo sapevi? Non ci hai ancora frugato dentro?
- Lo dici come se fosse normale. Frugare nelle cose degli altri.
- Io l’avrei fatto fossi stato in te.
- Ma non mi dire.
Siri gli prese l’asciugamano che teneva ancora in mano e glielo passò attorno al collo e lo chiuse con cura sul petto con una spilla, prese con una brocca un po’ d’acqua dalla ciotola e, tenendogli la nuca all’indietro, si sporse verso di lui e gli ribagnò i capelli, facendo cadere l’acqua sul pavimento di legno. Mise via la piccola brocca e posò l’altra mano sulla sua guancia, quindi gli alzò delicatamente la testa. Non che Levi avesse bisogno di tutte quelle accortezze, era molto più in forze rispetto ai giorni prima, ma ogni tocco delicato di Siri era una sensazione così piacevole che lo faceva sentire leggero, bello quanto dormire senza nessuna preoccupazione.
- Ho voluto molto negli anni ti prendessi cura di me.
Siri aggrottò la fronte, aprì e chiuse le forbici veloce, quando capì, scosse la testa: - Un modo piuttosto singolare quello di ferirsi a morte per farmelo fare. Hai forse tendenze masochiste?
- Non. – le orecchie di Levi arrossirono – Non sono masochista.
Lei gli prese una ciocca di capelli e iniziò a tagliare: - Meglio così.
Passarono il resto del tempo in silenzio, coperto solo dal suono rilassante dei capelli che venivano tagliati. Quando finì, Levi la vide preparare il necessario per la rasatura.
- Quindi sai anche fare la barba.
Siri annuì concentrata: - Anticipo qualche altra tua brillante idea. Finisce che ti recidi la giugulare… chi pensi te l’abbia fatta mentre eri in dormiveglia?
Non ci aveva pensato fino a quel momento, ma credeva che forse il compagno di Historia si fosse offerto di fargliela.
- Io e Ankha ci alternavamo quando stavamo da Pyxis. – spiegò Siri mentre gli stendeva la schiuma sul viso – Ho imparato abbastanza in fretta, dopotutto ho sempre avuto una certa predisposizione per le lame.
Levi infatti, quando Siri iniziò ad usare il rasoio, notò una certa dimestichezza oltre che un movimento di polso per lui ipnotizzante, non portava le fasciature per cui poteva osservare le sue mani nude attraversate dalle cicatrici e da quella grossa K solitamente così difficile da ignorare ma a cui ci aveva fatto l’abitudine col tempo.
- Siri. – lei si limitò a mugugnare, assorta completamente nella rasatura. – Possiamo parlare di quello che mi ha detto Hange?
- Sei tu quello che deve parlarmene.
Levi tenne ferma la testa per permetterle di passare la lama lungo la guancia.
- Volevo sapere cosa ne pensi.
- Cosa ne penso? – Siri sciacquò il rasoio nella ciotola – Penso che tu sei libero di fare quello che ti pare. Se ci vai hai la soddisfazione di piantare la pallottola in fronte a Zeke, se non ci vai, lui muore lo stesso.
- Anch’io ci sono arrivato fin qui, sono abbastanza perspicace. – si zittì di nuovo per farle radere metà del collo – Puoi darmi la tua opinione? Io voglio ascoltarla.
Siri sospirò nervosa e pulì la lama sull’asciugamano che teneva sulle gambe: - Me lo chiedi perché non sei più così convinto di volerlo fare o perché hai paura della mia reazione se tu deciderai di partecipare all’esecuzione?
Levi le piantò gli occhi addosso e il suo sguardo pesava così tanto che Siri non riusciva a non distogliere il suo.
- Tu non vuoi sapere quello che penso.
Lui continuò a rimanere in silenzio, il suo modo per pretendere una risposta che d’altronde non tardò ad arrivare, il fiume in piena delle parole di Siri si riversò su di lui come se lei non stesse aspettando altro che l’occasione per farlo uscire.
- Penso che sia inutile arrivati a questo punto, partire nelle condizioni in cui ti trovi ora per una soddisfazione che io comprendo, credimi, ma è davvero da irresponsabili. Il potere dei giganti è scomparso, Zeke morirà comunque vadano le cose. Quindi il mio interrogativo rimane quello, perché sei ancora qui? Perché non ci sei andato? Perché vuoi un mio parere Levi? A cosa serve saperlo se… – Siri posò il rasoio sul tavolino – Io non verrò con te. Voglio lasciarmi tutto questo alle spalle, mi viene la nausea solo a parlarne e vedere l’ennesimo spargimento di sangue… non ce la faccio.
- Va bene. – Siri lo guardò confusa, poi riprese la lama e la passò sull’altra guancia, ma dopo averlo fatto si bloccò di nuovo.
- Tutto qui? Cosa vorresti dire?
- Che il tuo punto di vista è giusto. Ma c’è qualcosa che manca.
Siri inclinò la testa, tentando di leggere negli occhi dell’altro cosa volesse comunicarle.
- Chiedimelo.
- Chiederti cosa?
- Chiedimi di restare.
Siri rimase scioccata, abbassò la testa e la scosse, cercando di trovare le parole per rispondergli.
- Io… io questo non posso farlo, come… non so se è quello che vuoi.
- Siri. – Levi le prese il mento e lo alzò per fargli incontrare di nuovo i suoi occhi – Chiedimelo.
Lei deglutì e il grigio dei suoi occhi non le era mai parso così sconfinato fino ad allora, la guardava come qualcuno avrebbe guardato il tramonto alle sue spalle, con la spensieratezza di un bambino. La felicità di Levi era così grande che la si poteva leggere solo dal suo sguardo, dalla sua espressione rilassata anche senza che fosse attraversata da un sorriso.
- Bene. – riuscì a dire a mezza voce Siri – Allora mettiamola così. Questa volta sono io a minacciarti di spezzarti entrambe le gambe, dopotutto io sono il medico e tu il paziente decido io e tu non puoi andare via.
- Potrei non rendertela così semplice. – disse lui stando al gioco.
- Ridotto così ci riuscirei, l’hai ammesso anche tu prima. Non dovresti sfidarmi, sai che mi piace vincere.
- In realtà ti lascerei vincere con piacere. Adesso sono davvero stanco anche io, vorrei solo mi chiedessi di riposare, con te.
Un brivido attraversò Siri che arrossì e distolse lo sguardo dal suo: - Non guardarmi così…
Levi contrasse le sopracciglia e non appena lei lo spiò, riabbassò immediatamente gli occhi.
- Così come, saltimbanco?
- Con quello sguardo. – ammise imbarazzata e si coprì il naso col dorso della mano – La prima volta è stata quando hai avuto quel colpo di calore, quando ti ho messo l’olio sulle tempie… io sto cercando di sembrare autoritaria e tu…
Siri strinse i pugni e raddrizzò la schiena, lo guardò dritto negli occhi e col sole che la illuminava alle spalle sembrava che i raggi le uscissero dal corpo: - Resta con me.
- Non avevo intenzione di andarci comunque.
Siri sorrise e prese di nuovo il rasoio: - Non è stata una buona idea ammetterlo prima che ti radessi il collo, boss.
Non appena finì, lei lo aiutò a tornare dentro e a distendersi di nuovo nel letto, mentre lei stava controllando le fasciature che gli erano rimaste sul torace, Levi le afferrò il braccio e la tirò a sé. Siri acconsentì alla richiesta silenziosa, si sfilò le scarpe e si sistemò al suo fianco con la testa poggiata nell’incavo del suo braccio. Levi chiuse gli occhi e poggiò le labbra sulla sua testa.
- Quando andremo via di qui? – ormai non si sorprese nemmeno di aver usato il plurale, non più costretto dalle regole che gli erano imposte.
- Quando sia tu che Historia vi sarete perfettamente ripresi.
Levi mugugnò un verso d’assenso, inebriato da quel senso di pace da cui si lasciò invadere con piacere. Qual era il senso di continuare a combattere, sembrava così inutile ad entrambi quando avevano tutto quello che potevano desiderare in quel momento. Gli incubi, il senso d’inadeguatezza sarebbero finiti prima o poi, perché prima di sopravvivere alla guerra proteggendosi l’un l’altro coi propri mezzi, si erano salvati a vicenda diventando la pace l’uno dell’altra.

Fine.

 
Saluti e ringraziamenti:
dopo quasi due anni da quando ho iniziato questa storia è giunta al termine e onestamente quando ho messo l’ultimo punto, non mi sembrava vero. Come ho scritto nel disclaimer che ho inserito da poco nel prologo, all’inizio avevo pensato a questa storia con toni totalmente diversi, molto più “facile” da scrivere e da sviluppare, ve l’ho già detto ma andando avanti mi sono davvero appassionata e ho dato il 100%. Con queste ultime righe volevo solo chiarire alcuni aspetti della storia che magari non sono stati compresi, a partire dal fatto che la relazione amorosa non è mai stata un triangolo e spero di averlo ribadito abbastanza con i dialoghi di Siri. Per essere un triangolo Siri avrebbe dovuto essere indecisa tra Levi e Bernard, ma questo non accade mai. Ho tagliato parecchie parti che avevo pianificato di scrivere per alleggerire questo capitolo già ricco di eventi, ma alla fine spero che la narrazione non ne abbia risentito, ma nel caso sarete voi a dirmelo, soprattutto se la mia idea per il finale alternativo vi è piaciuta. 
Ci tengo a dire che a me il finale originale è piaciuto, al contrario di quanto se ne dica è un buon finale che è lo specchio della nostra società dopotutto. Ho voluto cambiare il finale per potermi distaccare dal canon e poi perché sono una forte sostenitrice dell’effetto farfalla: l’entrata in scena di Siri avrei voluto renderla più casuale, un gioco del destino più efficace, ma mi accontento di come è venuto fuori il tutto. L’idea di fondo era come un singolo piccolo evento potesse cambiare l’andamento delle cose in maniera talmente drastica da renderlo imprevedibile al “corso naturale” degli eventi previsto da Eren.
Parlando invece di Siri volevo solo chiarire qualche punto, a partire dalla sua memoria, chiamata erroneamente “fotografica”, in realtà ci sono evidenze di persone con una memoria molto più forte rispetto alle altre ma se volete il mio parere, non è che queste persone hanno una memoria sovrannaturale, ma semplicemente usano il cosiddetto “castello della memoria” in maniera naturale, senza accorgersene. Chiaramente, lo ribadisco, essendo questa un’opera di fantasia oltre che essere ambientata in tempi abbastanza antichi, mi sono presa grandi libertà quindi facciamo finta che Siri abbia questa memoria fotografica. Parlando invece del suo aspetto fisico, ne ho scelto uno molto “ordinario” con qualche particolarità come cicatrici e lentiggini per rispettare la linea stilistica di Isayama oltre che per il principio secondo il quale Pyxis scelga delle spie dall’aspetto poco singolare perché passino effettivamente inosservate.
Infine giusto qualche chiarimento sulla questione lucertola/geco: potrebbe sembrare un buco di trama, ma in realtà c’è un motivo dietro questa dualità. Il soprannome “lucertola” dà a Siri una certa soddisfazione, azzarderei a dire perversa, perché è legato a degli aspetti del suo passato, che lei ricorda con piacere, soprattutto per la persona che era, mentre “geco” è l’identità da cui lei vorrebbe rifuggire, legato al momento in cui ha dovuto cambiare vita e al suo operato da spia.
Prima di lasciarvi alla lista delle canzoni che ho inserito nella storia, vorrei ringraziare tutti quelli che hanno letto la storia, l’hanno seguita e messa tra i preferiti, un ringraziamento anche a chi ha lasciato un proprio pensiero e uno in particolare a Kamony che non ringrazierò mai abbastanza per aver dato una chance a questa storia dandomi dei preziosi riscontri.
Ci si vede sul sito! Buona lettura!!
 
In ordine di pubblicazione:
• Elastic heart, Sia
• Starry eyes, The Weeknd
• California, Lana del rey
• Wicked game, Chris Isaak
• TV, Billie Eilish
• Cardigan, Taylor Swift
• Say yes to heaven, Lana del rey
• My war, Shinsei Kamattechan
• I’m a fool to want you, Billie holiday
• There Is a Light That Never Goes Out, The Smiths

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