C'era una volta Camelot

di AndyWin24
(/viewuser.php?uid=1200317)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** C'era una volta... ***
Capitolo 2: *** ... Gwenderella ***
Capitolo 3: *** ... Gwaine Hood ***
Capitolo 4: *** ... Arthur Pan ***
Capitolo 5: *** ... Lancillocchio ***
Capitolo 6: *** ... Merlineve e la strega cattiva ***
Capitolo 7: *** E vissero per sempre... ***



Capitolo 1
*** C'era una volta... ***


C’era una volta…
 
   Merlino sbadigliò assonnato mentre usciva dalla sua camera e guardava fuori dalla finestra.
   “È ancora presto.” pensò distrattamente. Il buio della notte aveva appena lasciato spazio ai primi raggi del sole. C’era tempo prima di dover andare a svegliare Artù, così si riempi una piccola ciotola con del porridge e si mise a fare colazione. Quando fu sul punto di portare il cucchiaio alla bocca, d’improvviso sentì un rumore provenire dal ripostiglio.
   “Che succede?” chiese più a se stesso che a qualcuno in particolare. Gaius era uscito diverse ore prima per curare un pover’uomo che aveva avuto un incidente nella notte, quindi sapeva di essere completamente solo nell’alloggio.
   Dopo alcuni sguardi un po’ perplessi in direzione del frastuono, decise di andare a controllare. Una volta aperto il vecchio sportello cigolante, però, non sembrò notare nulla di strano: la vasca delle sanguisughe era come l’aveva lasciata il giorno prima; le ampolle di scorta, che Gaius teneva da parte, erano integre e ben disposte; il secchio per le pulizie non si era ribaltato ed era ancora dritto. Stava per tornare a sedere, quando poi vide qualcosa sporgere da dentro una bacinella.
   “E questo come ci è finito qui?” si chiese afferrando un vecchio libro impolverato.
   Rigirandoselo tra le mani incuriosito, con un soffio gli diede una spolverata nel tentativo di riuscire a leggere il titolo.
   ““C’era una volta”
   Quel nome non sembrava dirgli molto. Aprendolo, tuttavia, si accorse immediatamente che doveva trattarsi di un libro delle fiabe, di cui però non aveva mai sentito parlare. Lo stato in cui erano le pagine e la copertina indicava che il volume doveva essere molto antico. Ciò che non gli quadrava, era come fosse possibile che non lo avesse mai visto nemmeno una volta nelle librerie di Gaius in tutti quegli anni in cui aveva vissuto con lui. Men che meno si spiegava in che modo fosse finito lì, in mezzo a tutte quelle cianfrusaglie dove il medico teneva anche alcuni arnesi utili per il suo lavoro.
   Ciononostante, dopo aver esitato per qualche minuto sul da farsi, scrollò le spalle e poggiò il grosso volume sul tavolo, di fianco alla colazione, iniziando a sfogliarlo pagina per pagina. Del resto, in quel momento non aveva niente di meglio da fare ed era contento di potersi intrattenere in qualche modo.
   Leggendo le varie storie narrate, notò con disappunto che per una buona parte non vi era alcun senso logico, non per lui almeno. I fatti e le vicende che si succedevano sembravano curiosi e divertenti, certo, ma non ne capiva la verosimiglianza, pur trattandosi di novelle per bambini. Per esempio, gli risultava improbabile credere a come un’anziana donna e a sua nipote fosse stato possibile uscire dalla pancia di un lupo senza l’uso della benché minima magia; o che addirittura un burattino potesse prendere vita e diventare un bambino vero, così, con la sola forza di volontà. A lui anni prima era servita una notte intera di tentativi e molta fatica per riuscire ad animare una semplice statua di un cane, figuriamoci un essere umano in carne ed ossa! Comunque, scorrendo con gli occhi una dopo l’altra diverse stramberie di quel genere, arrivò ad una pagina completamente bianca ad eccezione di una singola frase.
   ““Anes be endeníehst”.” lesse ad alta voce come incantato.
   D’improvviso, il libro prese a traballare. Merlino, spaventato, si alzò di scatto dalla sedia e si allontanò di qualche passo. Le pagine iniziarono a sfogliarsi da sole ed una specie di scia luminescente uscì dal tomo.
   Puff!
   La scia cambiò forma in un istante. Al suo posto apparve un essere alquanto alto e dai lunghi capelli neri. Se non fosse stato per la pelle verdastra, sarebbe stato sicuramente paragonabile ad un uomo in tutto e per tutto.
   “Ah! Che bello!” esclamò mentre spostava lo sguardo prima a destra e poi a sinistra, facendo oscillare le larghe vesti strappate.
   “Chi sei?!” domandò Merlino con un tonfo al cuore.
   “Grimm, lo spirito del libro. Per servirti.” rispose il tipo con un inchino.
   “Cosa? E perché sei qui?”
   Grimm lo indicò con un’unghia lunga e affilata.
   “È tutto merito tuo. Sei stato tu a liberarmi. E di questo ti ringrazio.”
   Il giovane mago scosse la testa.
   “No, io non ho fatto niente. Ho solo letto…”
   “Esatto!” lo interruppe l’altro, sorridendo “Tu hai letto l’incantesimo che poteva risvegliare me ed il libro dal nostro lungo sonno. Ora, finalmente, sarò libero di divertirmi anche in questo mondo. Dove siamo, a proposito?”
   “…Camelot.” rispose Merlino, sbigottito.
   “Camelot…” ripeté Grimm sorridendo “Bene! Mi piace come posto. Sarà perfetto per ciò che ho in mente!”
   Merlino stava per chiedergli spiegazioni, quando ancora una volta un vortice di luce uscì violentemente dalle pagine del libro.
   “Che sta succedendo?!”
   Grimm si sedette su una sedia ed incrociò le gambe sopra il tavolo, completamente a proprio agio e rilassato. Con un dito, prese poi un po’ di porridge avanzato dalla colazione del ragazzo e lo leccò soddisfatto.
   “Il sortilegio che hai liberato insieme a me sta per abbattersi su tutta Camelot.”
   “Che… che significa?” chiese, coprendosi il viso a causa del forte vento generato dalla magia del tomo.
   “Semplice!” disse Grimm, distendendo le braccia rinsecchite “Queste terre ed i suoi abitanti stanno per trasformarsi nei luoghi e nei personaggi delle fiabe raccontate in questo libro. Fantastico, non trovi?”
   “No!” gridò Merlino, esasperato “Questo non deve accadere! Dimmi subito cosa posso fare per fermare tutto! Ti prego!”
   “Mmmmh… Non so se voglio dirtelo… Però, d’altro canto, tu mi hai liberato e sono in debito con te. Quindi, d’accordo! Perché no?!”
   “Parla, allora!” lo incalzò il ragazzo “Cosa devo fare?”
   “Dopo che il sortilegio avrà finito d’incantare Camelot, tu sarai l’unico che avrà ricordi di ciò che è stato prima della sua venuta.” spiegò lo spirito “ Se riuscirai a condurre i protagonisti delle mie storie al loro lieto fine, allora io annullerò l’incantesimo e riporterò tutto com’era prima.”
   “Il… lieto… fine…” ripeté Merlino come ipnotizzato da quelle parole.
   “Esatto! Buona fortuna, Emrys! Si comincia!” concluse Grimm, schioccando le dita.
   Merlino, di colpo, venne investito dalla scia lucente dell’incantesimo. Dopodiché la sua vista si annebbiò e ci fu solo il buio.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** ... Gwenderella ***


… Gwenderella
 
   Merlino aprì gli occhi lentamente e si guardò intorno.
   “Ehi? Hai ascoltato almeno una parola di quello che ho detto?” chiese Artù lievemente infastidito.
   Si trovavano nelle stanze da letto reali. Il servitore era in piedi di fronte al tavolo dove era poggiato il giovane cavaliere.
   “Allora? Hai capito?”
   “N-no… scusate. Mi sono distratto per un istante… Di cosa stavate parlando?”
   Artù sbuffò e scosse la testa spazientito.
   “Merlino, concentrati! Il ballo è domani e dobbiamo assicurarci che sia tutto pronto.”
   “Il… ballo?”
   “Sì, esatto, il ballo. Hai presente quella festa in cui c’è la musica e le persone si divertono muovendosi a ritmo?”
   “So cos’è un ballo. Soltanto, non sapevo che a voi piaceste questo genere di intrattenimento.”
   “Ma che stupidaggini vai blaterando?! Ho sempre amato danzare. Non c’è passatempo migliore.” ribatté Artù corrucciato “Proprio per questo, ti stavo dicendo che dobbiamo accertarci che l’organizzazione sia a buon punto. Mio padre vuole fare bella figura con gli ospiti e non credo gradirà neanche un dettaglio fuori posto.”
   “Vostro padre?” chiese Merlino, confuso. Da quel che ricordava, Uther era morto da diversi anni.
   “Sì, mio padre. Il re.” spiegò Artù, stupito da quella domanda “Certo che oggi sei proprio strano. Intendo, più del solito.”
   “Vi chiedo scusa. Non ho dormito bene…”
   “Beh, non importa quanto tu sia riposato. Abbiamo dei preparativi da ultimare. Sarà meglio che ci mettiamo subito a lavoro.”
 
***
 
   “Tu!” esclamò Artù, indicando un servitore “Sposta quel tavolo verso sinistra! Tu, invece, togli il tappetto! Ci manca solo che qualcuno inciampi e si faccia male nel bel mezzo della serata!”
   Il principe stava impartendo un ordine dopo l’altro, nel tentativo di assicurarsi che ogni cosa fosse al posto giusto prima del grande evento previsto per l’indomani. Merlino, intanto, osservava da vicino il via vai della servitù, mentre rimuginava sulla conversazione avuta con Grimm, lo spirito del libro delle fiabe. Non poteva ancora credere all’ingenuità che aveva commesso. Avrebbe dovuto fare più attenzione e non leggere quella maledetta frase. In quel momento, con ogni probabilità, sarebbe sempre stato impegnato con qualche incarico affidatogli da Artù, però sicuramente non avrebbe dovuto avere a che fare con quello stupido ballo. Inoltre, non aveva affatto capito come funzionasse la storia del “lieto fine”. Secondo il tipo verde, era suo compito aiutare qualcuno a trovarlo. Ma chi? E in che modo? Per questo, non aveva ancora una risposta.
   “Principe Artù?”
   Un ragazzo si avvicinò al giovane Pendragon con riverenza, inchinandosi.
   “Sì, George, cosa vuoi?”
   “Lady Catrina di Tregore e le sue figlie sono arrivate ed attendono di essere ricevute.”
   “Cosa?!” disse Artù, sussultando “E perché non le hai fatte entrare? Forza, sbrigati! Accompagnale qui, subito!”
   “Sì, mio signore!” disse George, congedandosi in fretta.
   “Come mai avete reagito in quel modo?” chiese Merlino, accigliato.
   “Stai scherzando, vero?”
   “No…”
   Artù sbatté le braccia sui fianchi. Poi, con uno strattone lo spinse in un angolo piuttosto appartato.
   “Lady Catrina è una cara amica di mio padre. Sono anni che lui insiste affinché sposi una delle sue figlie.”
   “E voi volete assecondarlo?”
   “Certo che no! Ma non posso far finta di niente e trattarle come se fossero delle persone qualunque. Tra l’altro, saranno nostre ospiti per un po’ di tempo qui, a Camelot. Devo fare del mio meglio per farle sentire completamente a proprio agio.”
   “Sono sicura che ci riuscirai.” intervenne una voce alle sue spalle.
   Una donna distinta fece la sua comparsa nella grande sala, seguita da due giovani ragazze.
   “Lady Catrina! Che piacere avervi qui con noi.” disse Artù, avvicinandosi a lei e baciandole la mano.
   “Troppo gentile. In questo, sei identico a tuo padre. A tal proposito, dov’è? Mi piacerebbe salutarlo.”
   “Purtroppo, non si trova nel castello, al momento. Mi scuso per lui, ma sono sicuro che si farà perdonare al più presto.”
   “Oh, non temere. Ne sono certa. Nel frattempo, posso avere il piacere di presentarti le mie figlie?” chiese Catrina, indicando le due dame al suo fianco.
   “Certamente.”
   “La maggiore, Vivian.” disse e, al contempo, la ragazza più vicina alla donna fece un profondo inchino, facendo oscillare la sua chioma biondo chiaro.
   “E la minore, Sophia.”
   Stavolta fu l’altra ad inchinarsi. Il vestito giallo ondeggiò con una grazia che a Merlino risultò quasi eccessiva e sgradevole.
   “Molto lieto.” disse Artù, facendo il baciamano ad entrambe “Posso notare che la bellezza delle donne della famiglia Tregore non è solo una diceria.”
   Vivian e Sophia risero compiaciute, mentre Catrina annuì con riconoscenza.
   “Sei un vero galantuomo, Artù. Anche in questo caso, non è solo frutto delle dicerie. Me ne compiaccio.”
   “Bene.” disse Artù, un po’ in imbarazzo per il complimento ma anche perché non sapeva come continuare la conversazione “A questo punto, sarei onorato di avervi con me a pranzo. La cucina della nostra cuoca è famosa in tutto il regno.”
   “Ti ringrazio per l’invito, Artù. Ovviamente, accettiamo con piacere, nella speranza che tuo padre si unisca a noi.”
   “Beh, come vi ho detto, il re è via dal castello e difficilmente tornerà prima di un altro paio di giorni. Ma non temete, in sua vece mi occuperò io di non farvi mancare nul…”
   Dal corridoio adiacente alla sala si sentì un forte rumore che riecheggiò per diversi attimi. Poi, dal portone, entrò in gran fretta una ragazza con un’enorme anfora di bronzo. Merlino ebbe quasi un tonfo al cuore nel vederla.
   “Per l’amor del cielo, fa’ più attenzione!” esclamò Catrina con severità “Quel cimelio vale una fortuna!”
   “Vi chiedo scusa!” ribatté la giovane mentre trascinava a fatica l’oggetto.
   “Cosa succede?” chiese Artù confuso.
   “Oh, devi scusarla. Lei è Gwenderella, la figlia del mio defunto marito.” spiegò la donna, mentre scuoteva la testa contrariata “Purtroppo, non posso dire che abbia una buona disciplina. Mi scuso per i suoi modi rozzi e poco consoni al luogo in cui ci troviamo.”
   “No, non serve scusarsi.” ribatté Artù “Non è successo niente di male. Se avessi saputo che trasportavate un oggetto così pesante, avrei mandato il mio servitore a prenderlo.”
   Merlino fece una smorfia di malcontento senza che nessuno se ne accorgesse, ma Gwenderella lo intravide con la coda dell’occhio ed accentuò un sorriso, che il giovane servo ricambiò.
   “Se non sono indiscreto, posso chiedere come mai avete portato con voi un tale fardello?”
   “Parlate dell’anfora o della ragazza?” chiese Catrina con un sorriso ironico e sprezzante “Lasciamo stare. In realtà, il motivo è semplice, mio caro. Questo è un dono per l’ospitalità e per la squisita gentilezza che tu e tuo padre ci state dimostrando. Lo ha realizzato il miglior artigiano di Mercia. Spero che ti piaccia.”
   Artù annuì con un po’ di rigidità.
   “Certo. E’… uno splendido regalo. Vi ringrazio. Lo farò sistemare immediatamente in un posto più appropriato alla sua… bellezza.” disse, facendo segno prima a George e poi a Merlino di avvicinarsi “Tu, George, occupati di spostare l’anfora nella stanza da letto di mio padre. Tu, invece, Merlino, scorta le nostre ospiti nei loro alloggi. Sarà stato un viaggio lungo e faticoso ed è meglio che possano riposare quanto prima.”
   I due annuirono all’unisono. Così, mentre l’uno si affrettava a chiedere aiuto ad altri tre servi per tentare l’impresa di spostare il colossale ornamento, l’altro fece strada alle quattro dame.
   “A più tardi, Artù.” si congedò Catrina, avviandosi per il lungo corridoio. A ruota la seguirono prima Vivian e poi Sophia, che spintonò Gwenderella proprio mentre le passava a fianco, facendola cadere. Nessuno tranne Merlino sembrava essersene accorto, dato il gran trambusto e il via vai generale.
   “Tutto bene?” le chiese, aiutandola a rialzarsi.
   “Sì, grazie.” rispose la ragazza.
   “Allora, Merlino!” esclamò Lady Catrina esagitata, appena tornata sui suoi passi “Ci fai strada o dobbiamo trovare le nostre camere da sole?!”
   “Arrivo subito!”
 
***
 
   Giunta nella propria stanza, Gwenderella si poggiò a sedere sul grande letto al centro della camera. Un brivido la percorse per tutta la schiena, tanto era morbido e riposante.
   “Gwen!” urlò Vivian, mentre entrava dalla porta, seguita da sua sorella minore.
   “Sì, cosa c’è?”
   La ragazza lanciò sul letto un mucchio di vestiti che aveva tra le braccia.
   “Datti da fare! Voglio che ci sistemi questi abiti per il ballo di domani.”
   Gwenderella sgranò gli occhi.
   “Ma… sono troppi.” ribatté, mettendosi a controllarli uno ad uno “Non riuscirò mai ad ultimarli in tempo per domani. Non potreste dirmi almeno quali di questi indosserete? Così farò più in fretta.”
   La maggiore delle Tregore le si avvicinò con irruenza e le mollò uno schiaffo.
   “Come osi metterci pressione?! Ha ragione nostra madre, sei proprio una sfacciata!”
   “Già!” convenne l’altra sorella “Non capisco perché continuiamo a sopportarti dopo tutto questo tempo! Se fosse stato per noi, staresti in strada a chiedere l’elemosina, che non è meno di quello che meriti!”
   “Lascia stare, Sophia.” continuò Vivian “È inutile parlare con lei. È solo un’ingrata! Invece di essere riconoscente a noi e a nostra madre per averla accolta nella famiglia, ci sdegna in questo modo così spudorato!”
   Gwenderella, con le lacrime agli occhi e la guancia rossa e dolorante, si affrettò a scusarsi.
   “Mi… mi dispiace. Non preoccupatevi, riuscirò a sistemare i vostri abiti in tempo per domani sera.”
   “Lo spero!” esclamò la sorellastra spazientita.
   Sophia, intanto, afferrò una veste color violetto e se la mise davanti per specchiarsi.
   “E che non ti venga in mente di venire anche tu.” disse, mentre ammirava il suo riflesso.
   “Ma…” obiettò Gwenderella “Il principe Artù ci ha invitate tutte e quattro! È stato molto gentile e non voglio fargli un torto con la mia assenza!”
   “Quello che pensa il principe non sono affari che ti riguardano!” l’ammonì Vivian “Non credere che ti abbia dedicato nemmeno il minimo pensiero! Men che meno in presenza della mia incredibile bellezza.”
   “E della mia.” aggiunse Sophia di spalle “Sei patetica se pensi che a qualcuno possa importare di te!”
   Poi, le due sorelle scoppiarono a ridere e la maggiore puntò un dito davanti al viso di Gwenderella.
   “Non osare presentarti al ballo di domani sera! Altrimenti, io e Sophia faremo in modo che tu finisca sul serio per strada. Piuttosto, pensa ad aggiustare questi vestiti! Il tuo compito è quello di essere una serva! Non sei una di noi! Non sei e non sarai mai una Tregore!”
   Su quelle parole, Vivian e Sophia lasciarono la stanza. Una volta chiusa la porta, Gwenderella scoppiò a piangere. Era da molti anni che subiva quelle angherie, ma diventava sempre più difficile riuscire a sopportarle. Dopo la morte del padre, neo sposo della vedova Tregore, lei era stata costretta a continuare a vivere nella magione della matrigna, nonostante non corresse buon sangue tra le due. Rimasta sola al mondo, era l’unica scelta logica da fare in quel momento, specialmente dato che aveva perso anche la madre in tenera età. Però, col passare del tempo, rimpiangeva di averlo fatto. Il trattamento che aveva subito era bastato a farle perdere ogni genere di ambizione, a scapito del bene delle sorellastre. A quel punto della sua vita, la cosa migliore da fare sarebbe stata andarsene via e liberarsi da quel giogo una volta per tutte. Però, le mancava il coraggio per prendere quella così giusta eppure così difficile decisione.
   “Anf…” sospirò, alzando le spalle.
   Con una buona forza di volontà, prese un vestito dal mucchio ed iniziò a rammendarlo, proprio come le aveva ordinato Vivian.
 
***
 
   Merlino aspettò che le due dame appena uscite dalla stanza entrassero nelle rispettive camere. Poi, girò l’angolo e si avvicinò all’alloggio di Gwenderella. La porta era rimasta socchiusa, così diede un’occhiata all’interno. La ragazza piangeva disperatamente, mentre, con ago e filo, cuciva le maniche di un vestito color giallognolo. A quel punto, al giovane mago fu chiaro qual era il lieto fine che doveva trovare.
   “Non ti preoccupare, Gwen. Ci penso io ad aiutarti.”
 
***
 
   Il giorno seguente tutti nel castello erano in fermento per il grande evento della serata. Molte famiglie nobiliari avevano fatto il possibile per essere presenti al grande ballo organizzato dai Pendragon. Anche se di fatto era una semplice festa come tante altre, si era sparsa la voce che re Uther lo aveva indetto con l’unico scopo di trovare una moglie a suo figlio, il principe Artù.
   Mentre l’intera servitù era impegnata a far sì che fosse tutto in ordine, Merlino si era defilato dai suoi doveri per compiere qualcosa di molto più importante. Ora che aveva compreso cosa fare per tentare di rompere il sortilegio che lui stesso aveva involontariamente scatenato, era concentrato unicamente sul suo obiettivo. Non aveva dormito per tutta la notte, ma era riuscito ad escogitare un piano piuttosto buono, a suo dire, che avrebbe permesso a Gwen di liberarsi dalle grinfie della famiglia Tregore una volta per tutte. Così, ad un certo punto del pomeriggio, s’incamminò verso un ripostiglio delle scope, con un fagotto in mano. Una volta dentro, chiuse gli occhi e sospirò intensamente.
   ““Miht dagena, bepecce me. Adeaglie bisne gast min freondum ond min feondum”.”
   Il corpo di Merlino cominciò a mutare. Il ragazzo riusciva perfettamente a sentire come lo scorrere degli anni avesse effetto su di lui sia internamente che esternamente. Dopo alcuni interminabili minuti, l’incantesimo lanciato concluse la sua trasformazione.
   “Non mi ci abituerò mai…” commentò a bassa voce mentre osservava le sue mani rugose. Nonostante la magia dell’invecchiamento richiedesse un grande sforzo in termini di potere, lui ormai, dopo le svariate volte che l’aveva usato, non ne avvertiva più gli effetti stancanti. Tuttavia, in quel momento aveva in tutto e per tutto ottant’anni, quindi sentiva comunque addosso il peso dell’età avanzata e degli acciacchi che ne derivavano. In ogni caso, continuò col suo piano e srotolò il fagotto che aveva con sé, tirando fuori un vestito lungo ed azzurrino. Sgranò gli occhi quando lo osservò con più attenzione.
   “Ma è un vestito da donna!” esclamò a voce non più così bassa. Il suo scopo iniziale era di nascondere il suo reale aspetto ed apparire come un uomo anziano, però la veste che aveva “preso in prestito” dai lavatoi reali non era adatta a quel piano. Non sarebbe di certo passato inosservato con quel vestito addosso. Dopo averci pensato un po’ su, però, trovò una soluzione per porre rimedio a quell’errore. Sfortunatamente, non era affatto di suo gradimento…
 
***
 
   La porta della camera di Gwenderella si aprì silenziosamente e Merlino varcò la soglia. Aveva atteso più di un’ora che la ragazza terminasse di rammendare gli ultimi capi per le sorelle e che quest’ultime andassero da lei per prenderne uno ciascuno, prima di indossarli e recarsi finalmente al ballo.
   “Chi siete?!” domandò Gwenderella, sobbalzando mentre era seduta sul grande letto a piangere.
   “Non temere, mia cara fanciulla, sono solo un’amica che viene in tuo aiuto.” rispose il giovane mago con una voce fintamente acuta, mentre strascicava a fatica in avanti il largo e sbrilluccicante vestito di colore azzurro. Per evitare che il suo piano andasse a monte, oltre all’incantesimo d’invecchiamento aveva dovuto utilizzare anche una magia illusoria per mutare il suo aspetto da uomo a donna. Aveva già usato in passato, poco tempo prima a dire il vero, una combinazione simile, quando proprio Ginevra si trovava sotto il controllo di Morgana e lui era stato costretto a diventare “la Dolma”.
   “Io… io non vi conosco. Vi prego, andate via!”
   “Stai tranquilla, ragazza. Non vengo con cattive intenzioni. Ti prego, permettimi di dimostrartelo.”
   Gwenderella lo fissò con uno sguardo agitato e confuso al tempo stesso.
   “In che modo?”
   Merlino si avvicinò al mucchio di vestiti che poggiavano sul letto e ne afferrò uno.
   ““Gewent wīfsċrūd”!”
   L’abito cambiò improvvisamente aspetto, diventando uno splendido vestito celestino.
   “Siete una strega!” esclamò la ragazza impaurita.
   “Posseggo la magia, sì.” confermò Merlino “Ma non intendo usarla per fare del male né a te né a nessun altro.”
   “E allora perché avete fatto questo?”
   “Perché voglio donartelo, sperando che lo indosserai al grande ballo di stasera.”
   Gwenderella abbassò gli occhi in imbarazzo.
   “Io… non posso andarci…”
   Merlino scosse il capo.
   “Non solo puoi, ma devi farlo. Sono a conoscenza dei problemi che hai con la tua famiglia e sono qui per permetterti di risolverli una volta per tutte. Ma questo accadrà solo e soltanto se andrai a quel ballo.”
   “Non vi capisco. Come fate a sapere della mia vita? E perché dovrei fidarmi di voi?”
   Merlino sospirò.
   “Mi piacerebbe che avessimo più tempo, cosicché possa spiegarti tutti i motivi che mi spingono ad aiutarti, ma non abbiamo questo lusso. L’unica cosa che puoi fare è chiederti se dentro il tuo cuore credi che io sia una buona persona che vuole darti una mano o una cattiva che ha intenzione di farti del male. Allora? Cosa mi rispondi?”
   Gwenderella si asciugò le lacrime che ancora colavano dagli occhi e si schiarì la voce.
   “Non avete l’aspetto di qualcuno che vuole farmi del male. Perciò, ascolterò ciò che volete dirmi.”
   “Bene.” disse Merlino con un sorriso mentre le porgeva il vestito che aveva ancora in mano “Allora prendi questo ed indossalo. Poi, recati al piano di sotto e partecipa alla festa che si svolgerà tra poco.”
   Gwenderella prese l’abito celestino e lo guardò sorridendo.
   “È bellissimo. Però, temo ciò che mi accadrebbe se la mia matrigna o le mie sorellastre mi vedessero.”
   “Non temere.” ““Macap grīman”!”
   Sul letto comparì un oggetto che avrebbe aiutato Gwenderella a celare la sua identità. Lei lo osservò con un altro sorriso.
   “Grazie. Non avrei mai creduto che qualcuno si sarebbe prodigato così tanto per me. Vi sono debitrice.”
   “Niente affatto. Mi basta sapere che farai quello che ti ho detto. Il resto verrà da sé. Ne sono sicura. Adesso però sbrigati, altrimenti arriverai in ritardo. Ricorda, l’incantesimo che ho lanciato durerà solo poche ore, poi svanirà.”
   “Poche ore? Quanto, esattamente?”
   Merlino ci pensò su, osservando fuori dalla finestra.
   “Fino a mezzanotte. Per quel tempo, dovrai già essere tornata nel tuo alloggio, altrimenti gli altri scopriranno chi sei.”
   La giovane annuì e fece per andare a cambiarsi, poi però si voltò di nuovo verso Merlino.
   “Mio padre aveva proprio ragione. Fin da quando ero piccola mi raccontava una storia su come una dolce e simpatica fata vegliasse su di me, specialmente nei momenti più bui. Voglio credere che siate voi quella fata e chiamarvi come lui la chiamava sempre. Quindi, grazie di cuore, “Fata Madrina”.”
   Merlino sorrise incoraggiante ed annuì, prendendo al volo l’occasione di farsi più credibile ai suoi occhi.
   “Non c’è di che… Gwenderella.”
 
***
 
   “Che bella festa, Artù! Veramente incantevole, non che ne avessi alcun dubbio.”
   Il giovane Pendragon annuì con un largo e forzato sorriso.
   “Vi ringrazio, Bayard, per le vostre parole. Sono contento che sia di vostro gradimento.”
   Il grande ballo era iniziato da poco più di un’ora e già ad Artù cominciava a venire il mal di testa. In quel breve lasso di tempo aveva parlato con un’innumerevole quantità di persone che non avevano altro da dire se non congratularsi con lui per l’evento, senza di fatto aver avuto modo di parteciparvi per più di qualche minuto. Inoltre, era stato approcciato da un gran numero di dame che lo avevano lusingato con le loro attenzioni e con delle infinite chiacchiere. Alcune erano arrivate al punto di chiedergli sfacciatamente di appartarsi per “parlare” con più calma, ma lui aveva declinato con discrezione e garbo l’invito, adducendo che la sua mancata presenza al ballo avrebbe potuto offendere qualche invitato.
   “Anfff!” sospirò deluso. Per come la vedeva, avrebbe volentieri chiesto a qualche giovane nobildonna di ballare con lui, però non riusciva a trovarne una che lo interessasse. Di certo apprezzava molto le doti raffinate e di buon gusto di dame come lady Mithian o lady Elena, però sentiva di non provare per loro altro che del semplice rispetto. Molto probabilmente, continuando di quel passo, rischiava di rimanere tutta la serata in disparte ad osservare gli altri che si divertivano alla sua festa. Questo, almeno, fu il suo pensiero finché non la vide entrare. Dal portone d’ingresso della sala, fece d’improvviso la sua comparsa una giovane ragazza che attirò completamente la sua attenzione. Non sapeva dire in quel momento se fosse attratto da lei per le sue movenze aggraziate, per i suoi sinuosi lineamenti del corpo, contornati da una veste color cielo, o se fosse rimasto incantato dagli occhi così vivaci, ma anche misteriosi, nascosti dietro quella maschera in tinta con l’abito.
   “Allora? Cosa mi rispondete?”
   “Vi chiedo di perdonarmi, Bayard, ma devo… andare…”
   Così dicendo, si allontanò dal suo interlocutore per raggiungere la splendida ragazza che era appena entrata.
   “Scusatemi.” iniziò Artù, un po’ impacciato per l’emozione “Mi concedereste l’onore del vostro primo ballo?”
   La giovane lo fissò per un breve attimo, poi gli sorrise colpita.
   “Ne sarei lieta, con tutto il mio cuore.”
 
***
 
   “Dovevi vederla, Merlino! Era stupenda! Non mi sono mai divertito così tanto in tutta la mia vita!”
   La festa era stata un successo e tutti gli invitati erano rimasti piacevolmente colpiti dalla sua riuscita. Le pretendenti che si erano presentate con l’intento di fare bella figura con il principe, però, non ne erano rimaste altrettanto soddisfatte. Solo una, infatti, aveva fatto breccia nel cuore del giovane Pendragon.
   “Sì, ho capito.” ribatté Merlino stanco, ma appagato “Me l’avete ripetuto per ben tre volte. E poi, ogni servitore del castello non parla d’altro stamattina.”
   “Bene, perché è stato bellissimo. Lei era bellissima…”
   “E come si chiama questa ragazza così “bellissima”?” chiese Merlino con falsa curiosità. Nonostante gli avesse detto il contrario, lo aveva visto ballare con Gwenderella. Del resto, quello era il suo piano fin dall’inizio. Dato che la Camelot in cui si trovava era sì una versione fiabesca di quella vera, ma pur sempre intrecciata con l’originale, aveva sperato che i sentimenti reciproci di Artù e Gwen fossero la chiave per arrivare al lieto fine di quella storia.
   “Non lo so, purtroppo.”
   Il servitore sobbalzò di colpo.
   “Come non lo sapete?! Ci avete ballato per ore e non sapete quale sia il suo nome?!”
   “Beh, ero talmente attratto da lei che ho dimenticato di chiederglielo. Però, non temere, sto per scoprirlo.”
   “In che modo? Se posso chiedervi.”
   Artù si alzò dal letto ed aprì l’armadio. Da lì prese una scarpetta lucente come il cristallo.
   “Non vi ci vedo con queste scarpe indosso, mi dispiace.” commentò Merlino confuso, ma in parte anche divertito.
   “No! Idiota!” ribatté il principe, sventolandogli la calzatura davanti alla faccia “Questa è caduta alla principessa con cui ho danzato ieri sera.”
   “Quindi non sapete il suo nome, ma sapete che è una principessa?”
   “No. È solo che, proprio perché non so il nome, gliene ho dato uno io… provvisorio, almeno finché non scopro quello vero…”
   “Ah!” esclamò Merlino sempre più frastornato “Ma come ha fatto questa “Principessa” a perdere la sua scarpa?”
   Artù fece spallucce.
   “Nel bel mezzo di un ballo, ad un certo punto ha osservato fuori dalla finestra, dopodiché è corsa via, senza dirmi niente.”
   “Così? Su due piedi?”
   “Sì, è quello che ho detto. Mentre andava via, le si è sfilata questa scarpetta ed io l’ho raccolta.”
   Merlino si portò una mano alla bocca. Forse aveva capito quel che era successo: Gwenderella si era accorta che era arrivata la mezzanotte ed era fuggita per evitare di essere riconosciuta dagli altri invitati. Era stata una vera sfortuna, ma non capiva ancora una cosa.
   “A che vi serve quella scarpetta, comunque?”
   “Mi fa piacere che tu l’abbia chiesto.” rispose Artù sorridendo “Ho invitato tutte le dame che hanno presenziato ieri sera a presentarsi al mio cospetto questa mattina.”
   “Ah, credo di aver capito. Volete vedere se riuscite a riconoscere tra di loro colei con cui avete danzato. Dico bene?”
   “No, ti sbagli. Voglio provare questa scarpetta su ognuna di loro e vedere a chi calza meglio. In questo modo scoprirò chi è la mia principessa.”
   Così dicendo, Artù spalancò la porta della stanza ed uscì di fretta. Merlino restò qualche attimo a fissare la soglia con uno sguardo misto tra stupore e rabbia.
   “Comincio ad odiare queste fiabe. Sono a dir poco senza senso.”
   “Merlino!” urlò il principe da lontano “Sbrigati! Mi serve anche il tuo aiuto!”
   Il servo sbuffò vistosamente. Poi, con grande forza d’animo, lo seguì.
 
***
 
   Dopo un’intera mattinata e parte del primo pomeriggio, il principe ed il suo servitore rientrarono nelle stanze reali, ognuno di umore completamente diverso dall’altro.
   “Ah, che bello l’amore!” esclamò Artù con un lungo sospiro “Sapevo che avrei trovato la mia principessa! Non avevo alcun dubbio!”
   Merlino lo guardò storto, con un’espressione indecifrabile.
   “Siete sicuro che fosse Lady Vivian la dama con cui avete ballato ieri sera?”
   “Certo! Non hai visto che la scarpetta le calzava alla perfezione? Ed è stata l’unica a cui andava bene!”
   “E… non so… non credete che abbiate bisogno di qualche… prova più concreta di una scarpetta prima di affermarlo con tanta sicurezza?”
   Merlino era sconvolto. Tra tutte le fanciulle che si erano presentate, Vivian si era rivelata essere la proprietaria della scarpetta, anche se lui sapeva per certo che era Gwen la ragazza con cui Artù aveva danzato. Tra l’altro, lei non si era neanche fatta vedere, probabilmente per paura di essere scoperta dalle sorellastre.
   “Perché sei così scettico, Merlino?” chiese Artù come se lo stesse accusando “Sembra che non ti vada bene che io abbia trovato qualcuno così speciale. Cosa c’è? Non vuoi che io sia felice?”
   Il servo lo fissò negli occhi, cercando nell’altro qualcosa che lo identificasse come l’amico che conosceva ormai da tempo. Quando si rese conto di non riuscire a vederlo con chiarezza…
   “Siete una testa di fagiolo!” sbottò Merlino urlando. Con un gesto secco, strappò dalle mani dell’altro la calzatura di cristallo e la lanciò contro il muro, frantumandola in mille pezzi “Non posso credere che abbiate chiesto in sposa Vivian solo per via di una stupida scarpetta! Non vi riconosco più!”
   Artù lo guardò a dir poco stupito dopo quella sfuriata.
   “Che ti prende, Merlino? Non mi hai mai mancato di rispetto in questo modo. Non è da te. Per questa volta chiuderò un occhio, ma non ti azzardare a rifarlo mai più. Intesi?”
   “No, che non siamo intesi! Cosa prende a voi? Non a me! Avete sempre fatto le scelte importanti col vostro cuore! Adesso, invece, vi ritrovate a scegliere la vostra futura sposa in base al suo piede! Tralasciando il fatto che è stato disgustoso ed anche poco igienico che abbiate provato personalmente se la scarpetta calzasse ad ogni dama del regno, non vi siete accorto che eravate anche incredibilmente ridicolo! Invece di un principe, mi sembravate un buffone di corte! Tornate in voi prima che sia troppo tardi e che vi accorgiate di aver fatto una scelta che rimpiangerete per sempre!”
   Artù stava per replicare qualcosa, con uno sguardo perso nelle parole appena piombategli addosso, quando qualcuno bussò alla porta.
   Toc-toc!
   “… Avanti.”
   George entrò repentinamente nella camera.
   “Mio signore, c’è bisogno di voi nel salone! Sembra che ci sia da dare alcune disposizioni alla servitù riguardo alla cerimonia.”
   “Va…va bene, arrivo subito.” disse il principe, avviandosi immantinente. Merlino, non sapendo cosa fare dato che non aveva ricevuto istruzioni in merito, lo seguì. Durante il breve tragitto, Artù fece attenzione a non incrociare lo sguardo del servo neanche una volta. Sembrava che fosse in uno stato di assoluta riflessione, come se non capisse qualcosa e cercasse in tutti i modi di afferrarla. Poi, arrivati nel salone, s’imbatté in Gwenderella. Lei, con una specie di fagotto in spalla, si stava avviando verso il corridoio che dava sull’uscita del castello.
   “Gwenderella!” la chiamò Artù non appena la intravide con lo sguardo.
   Lei si fermò e si voltò verso di lui.
   “Sì?” domandò con freddezza.
   “Dove vai? Non ti andrebbe di aiutarmi ad organizzare il matrimonio?”
   “No, ho da fare.”
   “Cosa?! Non essere timida, tra poco diventeremo anche cognati, non devi sentirti cos…”
   Prima che terminasse di parlare, la ragazza gli si avvicinò e gli lanciò uno schiaffo. L’impatto tra mano e guancia risuonò per l’intero corridoio. Merlino e George rimasero impassibili sul posto.
   “Ehi! Si può sapere che ti prende?!” chiese Artù sconvolto da quel gesto.
   “C’è che siete un idiota! Ecco cosa mi prende!”
   “Ma insomma!” sbottò anche lui “Cosa succede a tutti, oggi?! Perché ce l’avete con me?!”
   “Perché siete uno sciocco!” esclamò Gwenderella, voltandosi e riprendendo a camminare “Addio!”
   “Aspetta!” ribatté Artù afferrandola per un braccio “Si può sapere cosa ti ho fatto?”
   Lei lo guardò negli occhi con il viso bagnato dalle lacrime.
   “Non mi avete riconosciuto.” disse in un sussurro “Non avete capito chi ci fosse dietro quella maschera…”
   Artù rimase basito.
   “Eri… tu?”
   “Sì.”
   “M-ma… la scarpetta calzava a Vivian…”
   “Questo perché l’ho presa in prestito da lei. Non avrei mai potuto averne un paio così bello solo per me. Del resto, sono solo una serva…”
   A quel punto, Gwenderella corse via. Il principe si voltò scioccato verso Merlino.
   “Era lei… Non so spiegarlo, ma è come se l’avessi letto nel suo sguardo. Le emozioni che ho provato ieri sera le ho sentite di nuovo, proprio adesso…” disse con voce spezzata “Avevi ragione tu. Avrei dovuto dare ascolto al mio cuore. Credo di aver commesso un errore imperdonabile…”
   Il servitore gli si avvicinò e gli poggiò una mano sulla spalla.
   “Forse no. Non è tardi per rimediare. Se lo volete, avete ancora una possibilità. Non sprecatela, stavolta.”
   Artù ci pensò un attimo e poi annuì. Dopodiché, scattò di corsa verso l’uscita del castello. Mosse le gambe a più non posso finché non la intravide mentre scendeva gli ultimi scalini di pietra.
   “Gwenderella!”
   Lei si voltò stupita, ma non disse nulla.
   “Ti prego, perdonami!”
   “Lasciatemi stare. Preoccupatevi della vostra futura sposa, non di me.”
   Artù si parò davanti a lei, bloccandola prima che s’incamminasse di nuovo.
   “È a te che lo sto dicendo. Dammi la possibilità di riparare al mio errore.”
   “E cosa avete intenzione di fare?” chiese Gwenderella dubbiosa.
   “Ricominciamo da dove ci siamo interrotti.” disse lui, porgendole una mano “Abbiamo un ballo da concludere.”
   La ragazza, dietro il viso imbronciato, fece un mezzo sorriso.
   “Ma non c’è la musica.”
   “Non ci serve.”
   Dopo un istante di esitazione, Gwenderella strinse la mano del principe e i due si misero a volteggiare appena giù dalla scalinata del castello. I loro sorrisi contagiarono anche i popolani che si trovavano di passaggio, finché un bardo, apparso quasi dal nulla, non si mise a suonare una ballata piuttosto orecchiabile, portando anche altre coppie ad unirsi a quella danza.
   Merlino, intanto, li osservava soddisfatto da dietro il portone d’ingresso.
   “Molto bravo.” disse una voce alle sue spalle, applaudendo. Quando il giovane mago si voltò, si fece subito serio.
   “Grimm.”
   Lo spirito del libro si avvicinò a lui, imitando con delle piroette una specie di balletto.
   “Mi hai stupito. Credevo che non ce l’avresti fatta e invece sei riuscito a far breccia nel cuore di quel ragazzo, oltrepassando la magia del sortilegio. Non male.”
   “Come lo sai?” domandò Merlino.
   “A cosa ti riferisci?” chiese di rimando Grimm, alzando un sopracciglio.
   “Al mio nome. Poco prima di mandarmi in questo posto, mi hai chiamato Emrys. Significa che sai già chi sono io.”
   L’essere verde sorrise ampiamente, anche se si poteva notare un certo stupore nei suoi occhi color smeraldo.
   “Suppongo di aver sbagliato a sottovalutarti, Emrys. Questa storia comincia ad essere davvero divertente. Non vedo l’ora di scoprire come va a finire!”
   “Fa’ tornare tutto com’era prima. Altrimenti…”
   “Oh, bene, adesso siamo arrivati alle minacce!” esclamò Grimm con un risolino “Non sprecare energie, perché ne avrai bisogno. La prossima storia sarà molto più difficile, stanne certo!”
   Merlino si avvicinò allo spirito finché non fu faccia a faccia con lui. Entrambi gli sguardi si scontrarono come a voler fare scintille.
   “Si può sapere a che gioco stai giocando?!” chiese il ragazzo.
   “Al mio!” rispose Grimm, schioccando le dita.
   Intorno a Merlino si fece di nuovo tutto buio.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** ... Gwaine Hood ***


… Gwaine Hood
 
   Merlino aprì gli occhi e si accorse di stare correndo a perdifiato.
   “Forza! Più veloce!”
   Si trovava in una via boschiva e davanti a lui Elyan lo incoraggiava a sbrigarsi. Il giovane mago non riuscì subito a capire cosa stesse succedendo, ma pensò che si sarebbe fatto tutte le domande del caso quando sarebbe stato al sicuro. Perché, in quel momento, si sentiva in molti modi, ma non in salvo. Infatti, voltandosi per un attimo all’indietro notò diverse guardie armate, cinque per l’esattezza, che lo inseguivano. Guardandole per poco più di un istante, riconobbe sulle loro vesti lo stemma di Camelot.
   “Di qua!” esclamò Elyan, indicando una stradina alla loro sinistra. Mentre stavano per imboccarla, però, Merlino inciampò in un ramo secco e cadde a faccia in giù sul terreno. Quando alzò la testa, i soldati erano già lì, di fronte a lui. Fu in quel momento che una freccia si conficcò nella schiena di uno di loro, costringendolo a stramazzare al suolo.
   “Che succede?!”
   “Chi è la?!”
   A quel punto, anche una seconda ed una terza freccia apparvero dal nulla e ne stesero altri due. L’azione si svolse con una tale rapidità che Merlino non riuscì a capire da dove potessero essere state scagliate. Poi, un uomo col cappuccio verde sbucò all’improvviso saltando dal ramo di un albero a pochi metri da lui. Con arco alla mano, si avventò sulle guardie rimaste in piedi senza che potessero fare altro se non puntargli contro le proprie spade, che questo fece cadere a terra con una facilità incredibile.
   “Sogni d’oro!” disse l’uomo col cappuccio, colpendo con un pugno in faccia prima l’uno e poi l’altro avversario.
   “Arrivi sempre alla fine!” commentò Elyan con un mezzo sorriso mentre gli andava incontro.
   “Sai che mi piace solo quando il gioco si fa difficile!” ribatté l’altro portando giù il copricapo e rivelando il volto al di sotto di esso.
   Merlino lo guardò sorpreso solo in parte, dato che aveva già riconosciuto la sua voce un attimo prima. Era Galvano, anche se il suo aspetto era un po’ più trasandato del consueto. Il viso era più magro e gli occhi, anche se sempre arzilli, sembravano più spenti e tristi del solito.
   “Tu sei Merlino, giusto?” gli chiese, porgendogli la mano per alzarsi.
   “Sì. E tu, invece?” domandò, facendo finta di non conoscerlo. Quella era una delle storie del libro e, da come parlava l’altro, non sembrava che si fossero mai visti prima.
   “Gwaine Hood!” rispose il guerriero, facendo un plateale inchino “Il protettore dei più deboli.”
   “Oppure, solo Galvano.” aggiunse Elyan sbrigativo “Ora che vi siete presentati, è meglio se ci sbrighiamo. Ho visto altre guardie rincorrerci. Non dovrebbero essere molto lontane.”
 
***
 
   Merlino seguì i due lungo un tragitto piuttosto malmesso, seminando a prima vista senza intoppi gli inseguitori. Dopo aver battuto per un po’ quella via, si accorse d’un tratto che gli era alquanto familiare. In un primo momento avrebbe voluto saziare la sua curiosità, facendo qualche domanda ai suoi accompagnatori, poi però preferì tacere e cercare di capire da solo il quadro generale della vicenda, senza destare le perplessità di nessuno. Non sapeva in che fiaba fosse finito e non era a conoscenza dei fatti che si stavano svolgendo, primo fra tutti il perché stesse scappando dalle guardie di Camelot, ma sentiva che non era saggio esprimere tutti i suoi dubbi in quel preciso istante. Tuttavia, la sensazione di déjà-vu si andò man a mano rafforzando lungo il sentiero, finché non intravide una costruzione piuttosto rustica all’orizzonte.
   “Vado avanti io.” disse Galvano agli altri due “Poi vi faccio segno se il campo è libero.”
   Avvicinandosi, il giovane guerriero balzò con molta agilità sopra delle casse di legno e sbirciò con discrezione da una finestra aperta. Dopo una breve occhiata, si voltò verso Elyan ed annuì deciso. Così, tutti e tre si avviarono verso l’entrata. Fu in quel momento che Merlino notò il cartello rosso appeso di lato che recitava “Hogs Herd Tavern” e ricordò tutto. Come aveva sospettato, era già stato in quel posto. Diversi anni prima, vi si era recato con Artù subito dopo una battuta di caccia. Lì, aveva incontrato per la prima volta Galvano, nel bel mezzo di una rissa con dei balordi del luogo.
   “Ehi, siete tornati?!” disse una donna da dietro il bancone della taverna, intenta a pulire un piatto.
   “Ciao, Mary.” ribatté Galvano, ricambiando il saluto “Servimi tre boccali di birra. Sto morendo di sete!”. Poi si voltò verso Elyan e Merlino “Voi volete qualcosa?”
   Entrambi risero scuotendo la testa. Nonostante fosse una fiaba, Galvano restava sempre lo stesso.
   “Com’è andata?”
   Un ragazzo grande e grosso con abiti piuttosto umili si avvicinò ai tre.
   “Bene. Come puoi vedere, la missione di soccorso è andata a buon fine.” rispose Galvano, indicando Merlino. Quest’ultimo, sentendosi tutti gli occhi puntati addosso, si presentò all’altro, anche se già lo conosceva.
   “Sono Merlino.” disse, allungando la mano.
   “Lui, invece, è little Parsifal.” intervenne Galvano “Il mio braccio destro.”
   “Solo Parsifal.” lo corresse il diretto interessato, guardando storto l’amico “La prossima volta che mi chiami di nuovo così, ti servirà letteralmente un altro braccio destro.”
   “Per carità!” esclamò Galvano sorridendo. Dopo quel momento di rilassatezza, però, si ricompose ed andò dritto verso un tavolo, dove sedeva un uomo anziano con indosso una lunga tonaca marrone, intento a mangiare una zuppa di cipolle.
   “Salve, Fra Gaius.” esordì, poggiandogli davanti un piccolo sacchetto che teneva in tasca “Come vi sentite oggi?”
   L’uomo posò il cucchiaio e prese il sacchetto tra le mani, aprendolo per controllarne il contenuto.
   “Come ogni giorno. Comunque, noto con piacere che non hai perso il tocco. Non deve essere stato facile “trovare” tutte queste monete.”
   Il ragazzo col cappuccio verde si sedette di fronte a lui e sorrise sfacciatamente.
   “Invece, sì! I nobili della corte di Camelot diventano ogni giorno più sciocchi e sprovveduti! Rubare a loro non è più divertente come una volta! A tal proposito, confido in voi nel dividerli tra i più bisognosi.”
   “Certamente. Non temere, ci penso io.”
   “Oh, quasi dimenticavo! Vi presento Merlino.”
   Fra Gaius si voltò verso il ragazzo.
   “Tu devi essere il servitore di Artù. Piacere di conoscerti.”
   Merlino lo fissò un po’ stranito. Si sentiva a disagio a fingere di non averlo mai incontrato. L’uomo che aveva davanti era stato probabilmente la persona più importante della sua vita negli ultimi anni in cui aveva vissuto a Camelot.
   “Il piacere è tutto mio, signore.”
   “Ehi!” urlò Elyan all’improvviso “Via! Arrivano!”
   Parsifal gli andò incontro con agitazione.
   “Chi?”
   “Lo sceriffo di Nottingham!”
   “Accidenti! Adesso, cosa facciamo?”
   “Tranquilli.” intervenne Mary, la taverniera “Andate in cucina. A lui ci penso io.”
   Così, Elyan, Parsifal, Merlino e Galvano corsero verso la porta dietro il bancone e varcarono la soglia. Quest’ultimo, però, si attardò un attimo.
   “Grazie, Mary. Ti devo un favore.”
   “Siamo a quindici, allora. Più le consumazioni senza pagare.” ribatté la donna con un mezzo sorriso “Però, sono tempi bui, quindi diciamo che siamo pari.”
   Dopo pochi secondi, un uomo piuttosto attempato entrò nella taverna, con al suo seguito due tirapiedi dall’aria alquanto malfamata.
   “Si può?” chiese con spavalderia.
   “Siete già dentro, quindi fate voi.” ribatté Mary con noncuranza.
   “Stiamo cercando dei fuorilegge molto pericolosi. Per caso, li avete visti?” chiese l’uomo, camminando su e giù per il locale.
   Merlino, nel frattempo, osservava ciò che accadeva da dietro la porta della cucina. Come volevasi dimostrare, conosceva, suo malgrado, anche il tizio che era appena entrato.
   “Non che io sappia, sceriffo Aredian. Ne passano tanti da queste parti.”
   “Ma i miei ricercati non sono così comuni. Uno, in particolar modo, è il peggiore di tutti. È il nemico più pericoloso di tutto il regno.”
   “E ha un nome questo tipo?” chiese la donna mentre asciugava un bicchiere.
   “Gwaine Hood. O, almeno, così si fa chiamare.”
   “Non lo conosco.”
   Aredian annuì poco convinto, poi si avvicinò al tavolo dove Fra Gaius sorseggiava la sua zuppa.
   “Voi, invece, ne sapete qualcosa?”
   “No.” rispose l’anziano frate senza neanche guardarlo.
   “Bene. Spero di non essere indiscreto se vi chiedo di svuotare le tasche.”
   “Beh, in verità, lo siete eccome.”
   “Allora mi scuserete, ma è per un bene superiore. Quello del re, in effetti…”
   “E suppongo anche il vostro.” ribatté Fra Gaius senza mezzi termini, mentre si voltò a fissarlo con disprezzo “Dico bene?”
   Aredian sogghignò a mezza bocca, quasi come a farsi beffe del suo interlocutore. Si vedeva, però, che le parole dell’altro lo avevano infastidito.
   “Voi, Gaius, siete un aperto sostenitore di Gwaine Hood. Se non fosse per la vostra carica nella comunità, sareste già al rogo, per quel che mi riguarda.”
   “Può anche darsi, ma voi non siete il re. Non spetta a voi questo tipo di decisioni.”
   “Ed è qui che vi sbagliate. Re Uther mi ha dato pieni poteri per quel che riguarda Gwaine Hood; quindi, svuotate le tasche.”
   Fra Gaius sospirò sconfortato. Poi, si girò verso il suo piatto e ricominciò a mangiare la zuppa. Una volta terminato, fece come gli era stato ordinato.
   “Mmmh… Che bel sacchetto.” disse Aredian, prendendolo tra le mani “Si guadagna bene a fare il frate, a quanto vedo.”
   “È un’offerta di alcuni fedeli. Non è per me, ma per il popolo.”
   “Beh, alquanto generosi questi fedeli! Ma vi sbagliate, non è del popolo, bensì del re.” disse lo sceriffo, mettendosi in tasca il gruzzoletto. Fra Gaius fece per alzarsi, poi però ci ripensò all’ultimo.
   “Codardo fino alla fine. Eh, Gaius?”
   “Io la chiamerei saggezza.” lo corresse il frate “Sporcarsi le mani col fango non porta mai a nulla di buono. Non è vero, Aredian?”
   L’uomo si accigliò per la battuta, ma non rispose. Il suo sguardo era, d’improvviso, rivolto ai tre boccali che Galvano aveva ordinato poco prima e che erano rimasti ancora sul bancone.
   “Questi di chi sono?”
   “… sono… per voi.” spiegò Mary con titubanza.
   “Ma c’erano già prima che noi arrivassimo, dico bene?” domandò Aredian rivoltò ai suoi due uomini. Questi, che ad occhio non sembravano molto svegli, scrollarono le spalle dubbiosi.
   “Parlate, donna!” esclamò lo sceriffo, battendo un pugno sul bancone “Non costringeteci a perquisire tutto quanto!”
   “Fate pure, se avete tempo da perdere.” ribatté Mary con più autocontrollo possibile “Troverete solo delle conserve e dei barili di birra. Se siete fortunati, anche qualche topo. Però, decidetevi, perché se non consumate, quella è la porta! Ho una taverna da mandare avanti.”
   Aredian la fissò infuriato. Sicuramente aveva molta voglia di controbattere, tuttavia, non lo fece. Il suo sguardo si placò e fece un cenno ai suoi tirapiedi.
   “Andiamocene.” disse, prendendo l’uscita “Ma non finisce qui!”
   Mary emise un lungo sospiro di sollievo vedendoli andare via. Fra Gaius, invece, andò al bancone e scolò d’un fiato uno dei tre boccali di birra.
   “È andata bene.”
 
***
 
   Merlino sedeva su uno sgabello, quasi completamente al buio e di fianco a delle casse di legno vuote. Ciondolando le gambe avanti e indietro, osservava Galvano e Parsifal parlottare mentre disponevano delle mappe e dei fogli sopra un barile di birra. Elyan intanto illuminava il piccolo spazio con una candela.
   Erano passati pochi minuti da quando lo sceriffo era andato via e Mary, per precauzione, aveva dato loro libero accesso alla sua cantina per organizzare il da farsi e per restare lontano da sguardi indiscreti. Così, si erano radunati tutti lì, pronti a decidere come agire. Merlino, però, ne aveva approfittato anche per pensare un po’ agli ultimi sviluppi. Si era ritrovato di nuovo in una situazione di cui sapeva ben poco. Da quel che aveva capito, Uther era l’attuale re di Camelot in quella storia e la sua reputazione era molto brutta, peggiore anche di quella che aveva avuto nella realtà. La popolazione lo temeva a tal punto che, più che un sovrano, poteva definirsi benissimo un tiranno. Sotto il suo temibile giogo, gli abitanti vivevano un periodo di terrore e di carestia. Era con questi presupposti che alcuni di loro, compresi i presenti, si erano ribellati al suo regime, cercando di mettervi fine. Ciò che però non comprendeva era il suo ruolo nella vicenda. Ad esempio, anche in questa storia Merlino era il servo di Artù. Però, lui dov’era? E perché non partecipava alla rivolta? Non poteva credere che fosse dalla parte sbagliata, anche se era quella di suo padre. D’altro canto, Grimm l’aveva avvertito che questa “fiaba” sarebbe stata più difficile e pericolosa.
   Già, Grimm! Più ci pensava e più non capiva quali potessero essere le sue reali intenzioni. Lui diceva che gli piaceva giocare, ma secondo Merlino c’era ben altro sotto. Solo, che cosa?
   “Merlino?”
   Elyan gli si avvicinò.
   “Sì?”
   “Vuoi partecipare alla riunione? Dobbiamo ripassare il piano. È importante.”
   “Certo…” acconsentì Merlino, alzandosi in piedi e raggiungendo gli altri.
   “Bene…” esordì Galvano “…ora che ci siamo tutti, possiamo iniziare. L’obiettivo, in realtà, è semplice: entrare nel castello e mettere fuori gioco Uther e i suoi scagnozzi.”
   “Detta così è facile.” commentò Parsifal “Ma come eludiamo le guardie?”
   “Buona domanda, little Parsifal.” ribatté Galvano, irritando l’amico con il nomignolo “A questo punto, lascio la parola a Fra Gaius.”
   L’anziano frate si avvicinò alla mappa di Camelot poggiata sul barile ed indicò un punto su di essa.
   “Il mio contatto tra le fila di Uther mi ha garantito che potrà darci un facile accesso proprio in questo posto di guardia.”
   Elyan sussultò, contrariato.
   “Ma… è la via principale per il castello! Sarà super sorvegliata!”
   “Vero.” asserì Fra Gaius “Ma non domani.”
   “E perché?”
   “Perché posso dirvi che le due guardie che prenderanno servizio domattina… diciamo che passeranno prima una “bella” serata…”
   “Beati loro…” commentò Galvano con una punta di sarcasmo.
   “In ogni caso, questo come ci aiuta?” chiese Parsifal.
   “Non scenderò nei dettagli, ma domani i due festaioli avranno un bel mal di testa non indifferente. A quel punto, non dovrebbe essere troppo difficile sbarazzarsi di loro…”
   “Mmmh, va bene.” commentò Galvano “Mettiamo, allora, che è come dite voi. Tenendo conto che il resto del piano vada liscio e senza intoppi, rimane comunque un ultimo problema. Uther sarà nel castello domani mattina?”
   Fra Gaius annuì.
   “Secondo il mio contatto, sì, non si muoverà da lì.”
   “Allora è tutto posto, no?”
   “Sì, Elyan, sembra proprio di sì.”
   “Scusate?”
   Merlino si fece avanti all’improvviso.
   “Sì, cosa c’è?”
   “In tutto questo, non capisco qual è il mio ruolo.”
   Galvano gli mise una mano sulla spalla.
   “Il tuo, Merlino, è il ruolo più importante. Senza di te, questo piano non potrebbe realizzarsi.”
   “Addirittura?”
   “Sì, perché, tra di noi, sei l’unico che conosce molto bene il castello. Col tuo aiuto, una volta dentro, potremo muoverci più rapidamente. Ed è fondamentale se vogliamo stanare Uther e liberare Artù al tempo stesso.”
   Merlino trasalì. Artù era prigioniero del padre. Il suo sussulto, però, venne interpretato da Galvano come un tentennamento di paura.
   “Se, però, hai dei dubbi, devi dircelo subito.”
   “No… nessun dubbio. Mi chiedevo soltanto se foste disposti a rischiare così tanto. Sembra che sarà molto pericoloso…”
   Galvano gli si mise davanti, faccia a faccia.
   “Devi capire una cosa, Merlino. Noi abbiamo visto di cosa è capace Uther. Alcuni di noi hanno perso tutto: il lavoro, la casa, la famiglia… altri anche la vita. E per cosa?! Per un re borioso che ha voglia di divertirsi a spese del popolo!”
   Il ragazzo diede un pugno improvviso sul barile.
   “Ho visto morire mio padre! Quello stesso giorno è nato Gwaine Hood! Da quel momento ho promesso che avrei fatto tutto ciò che era in mio potere per aiutare i più bisognosi e che non avrei avuto pace finché non sarei riuscito a chiudere questa storia una volta per tutte! Noi sconfiggeremo quel giullare che siede sul trono e lo consegneremo al vero re di Camelot: Artù Pendragon! Quindi non dubitare neanche per un attimo della nostra volontà. Piuttosto, rispondi tu a questa domanda: sei disposto ad aiutarci?”
   Merlino osservò gli occhi del ragazzo che aveva di fronte. Erano sofferenti e carichi di voglia di rivalsa. Non aveva più alcun dubbio: era lui che aveva bisogno di trovare il lieto fine in quella storia.
   “Contate su di me.”
 
***
 
   Come concordato la sera prima, di buon mattino il piccolo gruppetto guidato da Galvano si appostò nel punto stabilito, in attesa del cambio di guardia.
   “Eccoli!” sussurrò Parsifal, mentre indicava a Merlino i due soldati che prendevano posto sulla via principale, mentre altri due si congedavano.
   In quel momento, Elyan si mostrò ai nuovi arrivati.
   “Viva Gwaine Hood!” urlò a squarciagola.
   I due soldati inizialmente sussultarono per quell’entrata in scena così inaspettata, ma poi si ricomposero e misero subito la mano sul fianco per estrarre l’arma. Tuttavia, ad uno dei due la spada scivolò per terra mentre all’altro rimase incastrata nel fodero. Sembrava che quanto era stato detto dal contatto di Fra Gaius fosse vero. Entrambi erano chiaramente stanchi e poco lucidi.
   “Sono cotti!” esclamò Parsifal, sorridendo.
   Due frecce, poi, piombarono dal cielo verso le due guardie, mettendole fuori combattimento.
   “Scusa, Elyan.” disse Galvano, scendendo da un albero “Credevo che servisse un’esca, ma sembrerebbe di no. Stavano peggio di quello che pensavo. L’odore di birra lo sentivo anche dal ramo dove mi ero appollaiato!”
   “Non importa.” ribatté l’amico mentre si avvicinava ai due uomini a terra “Sbrighiamoci, piuttosto. Fra Gaius ha detto che il prossimo cambio di guardia è fra quattro ore. Per quel tempo, dobbiamo aver fatto ciò che dobbiamo.”
   “Ehi!” esclamò fintamente indignato Galvano “Sono io Gwaine Hood! Quindi, decido io il da farsi, chiaro?”
   Elyan sospirò con un mezzo sorriso, un po’ stanco.
   “Va bene.” disse, stando al gioco, suo malgrado “Allora, cosa facciamo, Gwaine Hood?”
   “Sbrighiamoci a mettere in atto il piano! Non abbiamo tempo da perdere con le chiacchere!”
   “Appunto. Come ho detto io.”
 
***
 
   “Ehi, voi! Dichiarate chi siete!”
   All’entrata del castello, un soldato inveì contro altre due guardie che si avvicinavano.
   “Calma, fratello!” ribatté Parsifal, agghindato con la divisa militare, mentre trascinava con una corda due prigionieri “Siamo qui per consegnare questi due criminali al re.”
   L’uomo si avvicinò ai due ragazzi legati.
   “Chi sono?”
   “Il più magrolino è il servitore del figlio del re, scappato ieri. L’altro è…”
   “Gwaine Hood.” concluse il soldato, osservandolo più da vicino “Ho riconosciuto il cappuccio verde.”
   “Già.” intervenne Elyan “Allora, ci fai passare o dobbiamo dire al re che complotti alle sue spalle?”
   “No, no!” esclamò l’altro con paura “Anzi! Vado subito a chiamare lo sceriffo. Voi portateli dentro.”
   Mentre il tipo spariva oltre il portone principale, Parsifal ed Elyan fecero un cenno d’intesa a Galvano e Merlino. Il piano stava funzionando. Ora, però, arrivava la parte più difficile.
 
***
 
   “Spero per te che sia vero!”
   Aredian scese la scalinata e si precipitò all’ingresso del castello.
   “Eccoli, sceriffo! Proprio come vi dicevo!”
   Galvano, accucciato a terra e con i polsi legati, osservò l’uomo con un’espressione di ribrezzo.
   “Sceriffo di Nottingham! Vi trovo in forma. A quanto pare le terribili azioni che compite di giorno non vi tolgono il sonno la notte.”
   “Questo perché seguo la legge, a differenza tua, Gwaine Hood.”
   Galvano si alzò in piedi e gli si avvicinò. Poi, gli sputò sullo stivale.
   “Le leggi, come le chiamate voi, hanno affamato tanto brava gente!” disse con rabbia mentre veniva allontanato da Parsifal “La vostra avarizia e quella del vostro re sono il principale male di queste terre!”
   “Sceriffo!”
   Un uomo si avvicinò di corsa ad Aredian. Diversamente dagli altri, indossava un’armatura più elaborata ed un mantello rosso che gli svolazzava dietro. Non si trattava di un semplice soldato, bensì di un cavaliere.
   “Leon, sei arrivato. Giusto in tempo per veder vaneggiare questo stolto.”
   “Mi hanno riferito che si tratta di Gwaine Hood. È vero?”
   “Come l’aria che respiri.”
   Leon si avvicinò allo sceriffo con prudenza.
   “Non serve che vi ricordi cosa succederebbe se ci sbagliassimo…”
   “Per favore, Leon!” esclamò Aredian spazientito “Riconoscerei questo fuorilegge tra mille!”
   Intanto, altri cavalieri fecero la loro comparsa nell’ampio androne, posizionandosi intorno ai due prigionieri.
   “Che succede?” chiese lo sceriffo con stupore “Hai chiamato rinforzi? Non ne servono così tanti. Sono entrambi legati. Non hanno via di scampo.”
   Il cavaliere si girò di scatto e diede un manrovescio al volto dell’uomo.
   “Ma, che diamine ti prende?! Come osi?!” protestò Aredian, mentre si tamponava il sangue che usciva copiosamente dal naso.
   Leon fece un cenno ad Elyan, che si affrettò a liberare Galvano e Merlino dai lacci che avevano ai polsi.
   “Tradimento!” urlò Aredian sconvolto “Sei un traditore, Leon! Dov…”
   Il cavaliere fece partire un altro colpo contro di lui, stendendolo stavolta.
   “Non sono un traditore. L’unico re che riconosco e rispetto è Artù Pendragon! E poi, sono “Sir” Leon per voi. Non dimenticatelo.”
   “Ben detto!” concordò Galvano mentre si alzava da terra e gli dava una pacca sulla spalla “Mi è piaciuta la tua battuta! Aveva ragione Fra Gaius a fidarsi di te.”
   “Grazie. Io e gli altri cavalieri saremo sempre fedeli ad Artù, ma siamo in pochi a pensarla in questo modo. Perciò, ti consiglio di sbrigarti, se vuoi affrontare Uther.”
   Galvano si fece improvvisamente serio.
   “Dov’è?”
   “Nella sala del consiglio. Ma fai attenzione, è sorvegliata da diversi uomini.” gli spiegò sir Leon, porgendogli una spada.
   “Non ti preoccupare. So badare a me stesso.” ribatté Galvano sicuro di sé, accettando l’arma “Merlino, è arrivato il tuo momento!”
   Il giovane mago si fece avanti e si avviò verso un corridoio.
   “Bene. Seguimi!”
   Così, mentre i due svanivano dietro l’angolo, Leon, Elyan e Parsifal sfoderarono le spade, imitati dagli altri cavalieri. Una decina di guardie si stava precipitando a controllare cosa fosse successo. Altre ancora stavano per arrivare.
   “Si comincia.” commentò Elyan, guardandosi intorno. Solo qualche attimo e furono circondati.
   “Già.” concordò Parsifal.
   I due, insieme a Leon, si misero schiena contro schiena.
   “Per Camelot!” fu l’urlo che precedette la loro spinta contro i molteplici avversari.
 
***
 
   Galvano e Merlino, intanto, percorrevano a gran velocità il corridoio che li separava dalla sala del consiglio. Arrivati ad una svolta, però, s’imbatterono in alcune guardie, che andarono loro incontro con le spade sguainate.
   “Fatevi sotto!” gridò Galvano, estraendo anche lui dal fodero l’arma che gli aveva affidato sir Leon.
   Con abile maestria, si fiondò contro i soldati del re, parando due colpi uno dopo l’altro e rispondendo con degli attacchi veloci ed incredibilmente precisi. In pochi secondi, riuscì a neutralizzare quasi tutti senza il minimo sforzo. Tuttavia, altri due stavano per avventarsi alle sue spalle.
   “Ahatian!
   Merlino usò i suoi poteri, facendo diventare incandescenti le spade dei due ed obbligandoli a mollare la presa su di esse. Un istante dopo, Galvano si accorse di loro e li attaccò con un unico fendente che li falciò entrambi.
   “Questi erano gli ultimi. Andiamo!” disse a Merlino, correndo in avanti fino ad un grande entrata a due ante “È questa la sala del consiglio?”
   “Sì. Se sir Leon ha ragione, oltre questa porta c’è Uther.”
   “Bene.” commentò Galvano, prendendo un lungo respiro “Al mio tre, andiamo.”
   Merlino annuì.
   “Uno, due… tre!”
   A quel punto, il giovane guerriero spalancò il portone e lo oltrepassò. Merlino stava per seguirlo, ma esso si richiuse di scatto con un forte tonfo.
   “Quella non è la tua battaglia.”
   Il mago si voltò verso una voce che proveniva dalle sue spalle e la vide: una giovane donna con un lungo vestito rosso scuro.
   “Nimueh!” esclamò Merlino, sorpreso.
   “Ero convinta che non ti saresti fatto più vedere. Non so se definirti sciocco o coraggioso. Tu cosa dici?”
   “Perché sei qui? Cosa c’entri tu con questa storia?”
   La donna sorrise maliziosamente.
   “La Camelot che vedi è quella che io ho voluto realizzare.” disse, iniziando a camminare verso di lui “Uther da solo non avrebbe potuto fare tutto ciò che era necessario. Io l’ho aiutato a trovare la grandezza, ma non avevo fatto i conti con te, Merlino.”
   “Che vuoi dire?”
   “Beh, non mi aspettavo che il servitore del principe fosse un mago. Un potente mago, a dire il vero. Così, ho fatto tutto quello che era in mio potere per distruggerti. Ma, purtroppo, sei riuscito a sfuggirmi.”
   “Quindi sei tu che hai tirato le fila fino a questo momento, dico bene? Uther è solo un tuo fantoccio?”
   “Non proprio.” rispose Nimueh fermandosi davanti al ragazzo “Non ho mai plagiato Uther, se è quello che intendi. Io gli ho solo… dato una spinta quando serviva. Tutto qui.”
   “E Artù?” chiese Merlino adirato “Perché è stato imprigionato?”
   “Per colpa tua. A differenza del padre, lui non accettava ciò che andava fatto per governare questo regno, così l’ho incantato. Però, tu sei riuscito a capirlo ed hai cercato in tutti i modi di spezzare la mia “influenza”. Quando ce l’hai fatta, non ho potuto far altro che rinchiuderlo nelle segrete, in modo che non intralciasse i miei piani. È bastato poco per farmi appoggiare da Uther. Del resto, si fida più di me che di chiunque altro.”
   “Sei un essere spregevole! La pagherai per il male che hai fatto!” disse Merlino, portando il braccio davanti al corpo “Astrice!
   Un raggio di luce esplose dalle mani del giovane e si diresse verso Nimueh. La strega, però, lo bloccò con un semplice gesto delle dita.
   “Sei forte, Merlino. Ma io lo sono di più!” ribatté la donna “Don Spere!
   All’improvviso, si materializzò una lancia, sospesa al suo fianco a mezz’aria.
   “Flayo fago!
   La lancia si mosse contro Merlino a gran velocità. Lui, illuminando gli occhi senza esitare, deviò la traiettoria dell’arma verso il muro.
   “Non costringermi a fare sul serio.” la avvertì il mago.
   Nimueh, però, scoppiò a ridere.
   “Che sciocco! Non illuderti di riuscire ad eguagliare la mia magia! Io…”
   Prima di terminare la frase, la strega venne scaraventata all’indietro di diversi metri, fino a scontrarsi contro una colonna.
   “Non sottovalutarmi. L’hai già fatto in passato e non ti è andata bene.” disse Merlino, abbassando la mano con cui aveva lanciato l’incantesimo.
   “Adesso sì che mi hai fatto arrabbiare!” esclamò Nimueh furibonda, rialzandosi da terra “Non avrò pietà per te!” “Forbearne! Akwele!
   Una gigantesca palla di fuoco si formò sulla mano della strega ed andò a scagliarsi contro Merlino. Quest’ultimo, però, reagì con prontezza.
   “Mægenshieldan!
   Una barriera di energia si manifestò intorno al giovane mago, proteggendolo dall’attacco.
   “Non credere che io abbia finito!” urlò Nimueh, preparandosi a colpire di nuovo “ Forbearne! Akwele!” “Forbearne! Akwele!” “Forbearne! Akwele!
   Altre tre sfere di fuoco si crearono dal nulla ed andarono a abbattersi in rapida successione contro lo scudo magico di Merlino. Mentre le prime due si infransero contro la barriera, la terza venne spinta all’indietro dall’esplosione creatasi all’impatto. Così, si formò una specie di getto fiammeggiante che investì Nimueh senza che quest’ultima potesse avere il tempo di reagire.
   “Nooooooo!” urlò lei, sparendo dalla vista di Merlino mentre veniva travolta dal suo stesso incantesimo.
   Nel frattempo, una cortina di fumo si addensò su tutto il corridoio, rendendo impossibile anche solo respirare. Quando finalmente si diradò, della strega non vi era più traccia.
   “Merlino!”
   Elyan, Leon e Parsifal sbucarono da dietro alle sue spalle e corsero verso di lui.
   “Cos’è successo? E dov’è Galvano?”
   “È dentro alla sala del consiglio.” spiegò Merlino, evitando di proposito di rispondere alla prima domanda “Ma la porta è bloccata.”
   Parsifal si fece avanti.
   “Allora, lascia fare a noi.”
 
***
 
   Galvano oltrepassò la soglia del portone e si ritrovò in un grande salone decorato. Le due ante d’entrata, però, si richiusero bruscamente subito dopo il suo passaggio, lasciando indietro Merlino. Lui stava per voltarsi e provare a riaprirle, ma poi la sua attenzione fu rapita dall’uomo al centro della stanza: Uther. Quest’ultimo, prima di rivolgergli lo sguardo, stava discutendo arditamente con due cavalieri mentre indicava dei fogli poggiati su un tavolo.
   “E tu chi sei?”
   Galvano si fece avanti con il petto in fuori e tentò di parlare con voce più spavalda possibile. Non voleva apparire debole agli occhi del suo carnefice.
   “Sono Gwaine Hood!” si presentò il guerriero, facendo un inchino “Sono qui per portare giustizia alla brava gente di Camelot, una volta per tutte!”
   Uther sbuffò spazientito e fece un cenno ai due uomini al suo fianco.
   “Sir Oswald! Sir Ethan! Occupatevi di lui! Non so come abbia fatto ad arrivare fin qui, ma non ho tempo da perdere con gente di questo tipo.”
   I due cavalieri sguainarono le spade e prontamente si fiondarono contro Galvano. Quest’ultimo, però, schivò entrambi gli affondi, aggirandoli con due soli saltelli.
   “Che codardo!” esclamò il giovane con una smorfia “Ti nascondi dietro di loro invece di combattere da uomo a uomo. Anche se non so di che mi sorprendo! Quelli come te non sanno fare altro, dico bene?”
   “Mettetelo a tacere in fretta!” ordinò Uther ai suoi soldati “Non ho voglia di sentire altre sciocchezze!”
   Oswald e Ethan si prepararono a partire di nuovo alla carica, ma Galvano li anticipò sul tempo, estraendo la sua spada e menando contro di loro due rapidi fendenti.
   “Non ci puoi battere!” gridò Oswald, parando l’attacco solo all’ultimo istante.
   “Già! Noi siamo in due e tu sei da solo!” aggiunse Ethan con voce beffarda.
   Galvano annuì mentre si riportava in posizione difensiva.
   “In effetti, lo scontro è sbilanciato.”
   A quelle parole, i due cavalieri gli si gettarono addosso. Però, lui deviò senza problemi prima l’attacco di sir Oswald, facendogli cadere l’arma a terra; dopodiché, anticipò l’affondo verticale di sir Ethan, colpendo a mezz’aria la sua spada con un movimento vorticante che la fece sbalzare in alto. A quel punto, l’afferrò con prontezza con la mano libera per poi puntare alla gola dei suoi avversari entrambe le lame che brandiva.
   “Ovviamente, intendevo dire che il combattimento è sbilanciato a vostro sfavore.” disse con un sorriso soddisfatto “Non importa quanti siete. In un duello ciò che conta sono la bravura e la determinazione. E, in questo, mi dispiace ma non potete battermi.”
   Sir Ethan e sir Oswald s’irrigidirono, spaventati ed increduli al tempo stesso.
   “Cosa vuoi fare?”
   “Semplice.” rispose Galvano “Vi do una possibilità.”
   “Quale?”
   “Potete scegliere: o scappate e sparite per sempre dalla mia vista… oppure riprendete le vostre armi e ricominciamo da dove ci siamo interrotti. Stavolta, però, combatterò fino all’ultimo sangue, senza tergiversare. Allora, cosa volete fare?”
   Oswald e Ethan si guardarono per un breve attimo, con un’occhiata molto eloquente. Poi, corsero verso il portone, intenti a fuggire a gambe levate. L’uscita, però, era ancora bloccata.
   “Forza! Apriti!” urlò Ethan mentre tentava di forzare la maniglia.
   Galvano, intanto, si avvicinò ai due. Con un colpo d’elsa, menò su entrambe le teste dei cavalieri, facendoli svenire.
   “Non mi piace colpire alle spalle, ma cominciavo a stancarmi dei loro piagnistei.” commentò in direzione di Uther, rimasto fino a quel momento a guardare i tre guerreggiare senza muovere neanche un muscolo.
   “Che inettitudine!” esclamò il re con un tono sprezzante “Vorrà dire che ci penserò io a darti una bella lezione.”
   Galvano si rimise in posizione da battaglia mentre Uther estraeva la sua spada e gli andava incontro. Con un gesto secco, il giovane guerriero parò il primo affondo dell’avversario, rispondendo con un fendente orizzontale che venne fermato a sua volta. Poi, schivò una stoccata da posizione molto ravvicinata e contrattaccò con un colpo centrale. Questo si andò ad infrangere contro l’altra lama, facendo riecheggiare nella stanza un clangore metallico e stridulo. Uther, d’un tratto, però, non riuscì a tenere la presa e si sbilanciò all’indietro. A quel punto, Galvano stava per approfittarne ed affondargli la sua spada nel petto, quando sentì una specie di esplosione provenire al di fuori del portone. Il suo pensiero non poté che andare a Merlino, domandandosi se gli fosse successo qualcosa.
   Quell’esitazione, tuttavia, gli fece perdere il vantaggio che aveva guadagnato e permise a Uther di riprendere il controllo della situazione e di assestargli un attacco, che ferì Galvano di striscio al braccio sinistro. La spada che brandiva con quella mano cadde a terra.
   “Non puoi battermi!” urlò Uther con rabbia “Io sono il re! E tu, invece, non sei niente!”
   Galvano serrò la presa sulla spada che ancora impugnava, tanto da sbiancare le nocche, e menò un colpo con quanta più forza poteva.
   “Tu non sei un re!” gridò di rimando con gli occhi adirati “Tu sei un tiranno che gioca con la vita delle persone!”
   Gli attacchi si abbattevano uno dopo l’altro su Uther, facendolo indietreggiare.
   “Come osi?! Una nullità come te non può permettersi di parlarmi in questo modo!”
   “Io non sono una nullità!” esclamò con convinzione Galvano mentre assestava l’ennesimo colpo contro di lui “Io sono Gwaine Hood!”
   L’ultimo suo fendente fece cadere a terra l’arma di Uther e lo lasciò inerme.
   “È finita.” disse Galvano con orgoglio “Hai perso.”
   L’uomo alzò le braccia.
   “Aspetta. Non essere precipitoso. Possiamo trovare… un accordo.”
   Galvano menò un manrovescio che lo fece inginocchiare.
   “No.” rispose, prendendolo per il bavero “Non mi sembra che tu abbia avuto pietà per chi ti è capitato a tiro. Perché dovrei averla io per te?”
   “Si può sapere cosa ti ho fatto per meritare tutto questo odio?!”
   Il giovane guerriero gli diede un colpo d’elsa sul mento.
   “Hai ucciso e torturato non so quante persone solo per accrescere il tuo potere e le tue ricchezze! Hai tolto la libertà a tutti gli abitanti di Camelot! Hai rovinato intere famiglie solo per il tuo tornaconto! Hai anche ucciso mio padre a sangue freddo! Non provarci neanche, perché non avrai mai il mio perdono.”
   “Chi… era tuo… padre?” chiese Uther, tamponandosi la bocca grondante di sangue.
   Galvano toccò istintivamente il ciondolo che aveva appeso al collo.
   “Lui era un tuo cavaliere. E tu l’hai ucciso solo perché non era d’accordo con le tue malefatte! Il nome “sir Lothan” ti dice niente?!”
   Uther sussultò al sentire quelle parole. Poi abbassò lo sguardo.
   “…Sì.”
   “Molto bene.” disse Galvano, annuendo e al tempo stesso portando in alto la spada “Perché voglio che pensi a lui quando porrò fine alla tua inutile vita.”
   Stava per far calare l’arma, quando il portone si spalancò all’improvviso.
   “No!” urlò Merlino, entrando e correndo verso di lui “Non farlo!”
   “Stai lontano da qui, Merlino. Questi non sono fatti che ti riguardano.”
   “Invece, sì!” replicò il mago “Tu sei mio amico e non voglio che condanni la tua vita solo per vendicarti.”
   “Io devo ucciderlo!” esclamò Galvano con gli occhi bagnati dalle lacrime “Lui se lo merita!”
   “Ma tu no!” ribatté Merlino “Tu non meriti di sporcarti la coscienza per un uomo come lui. Sei migliore di così!”
   “Ha ragione.” intervenne Parsifal rimasto sulla soglia al fianco di Elyan e Leon “Dopo aver sconfitto la prima linea di difesa, gli altri alleati del re si sono subito arresi. Ormai, lui è rimasto da solo e non può più nuocere a nessuno.”
   Merlino si avvicinò all’amico.
   “Abbiamo vinto. Abbassa la spada.”
   Galvano lo guardò negli occhi, poi fece come gli aveva detto.
   “Elyan.” disse, rinfoderando l’arma “Rinchiudi quest’uomo nelle segrete e ordina che Artù venga liberato dalla sua prigionia. Ora che la battaglia è vinta, ha un regno da governare. Finalmente Camelot avrà un re degno del nome che porta.”
   Il ragazzo annuì e, insieme a Leon, scortò Uther fuori dalla stanza.
   “Grazie, Merlino. Senza di te non ce l’avremmo fatta.”
   “È stato un piacere… Gwaine Hood.” ribatté il ragazzo con un sorriso.
   Galvano ricambiò il sorriso e gli diede una pacca sulla spalla.
   “Grazie anche per non avermi fatto commettere uno sbaglio che mi avrebbe tormentato per sempre. Ora che la giustizia ha trionfato, posso continuare a vivere la mia vita in pace.”
   “Bene, mi fa piacere. Te lo meriti.” disse Merlino, d’un tratto serio “Sono certo che tuo padre sarebbe stato fiero di te.”
   Galvano annuì pensieroso, poi si avvicinò a Parsifal. Merlino osservò come entrambi si salutavano a vicenda con un pugno affettuoso sul braccio e prendevano l’uscita.
   “Ben fatto di nuovo, Emrys.”
   Il giovane mago si guardò intorno, cercando di capire da dove provenisse la voce. Dopo alcuni istanti, Grimm comparve all’improvviso sdraiato sul tavolo dei consiglieri. Con un salto, si mise in piedi sul pavimento.
   “Sono colpito! Questa storia era tutt’altro che facile. Eppure, ce l’hai fatta.”
   “Non prenderti gioco di me!” inveì Merlino contro di lui “Comincio a stufarmi di te e dei tuoi trucchetti! Non te lo ripeterò ancora: fa’ tornare tutto com’era prima.”
   Grimm si mise con una mano sotto il mento, facendo finta di pensare.
   “Mmmmh… no, direi che è ancora presto. Ho voglia di giocare un altro po’.”
   “Non osare…”
   “Fare cosa? Mandarti in un’altra fiaba?” chiese in tono ironico lo spirito “Mi dispiace, ma mi sto divertendo troppo.”
   “Non…”
   Merlino si mosse verso Grimm, ma lui schioccò le dita, facendolo sparire.
   “In realtà non mi dispiace per niente!” aggiunse tra sé e sé ridacchiando “Continua così, Emrys. Stai facendo esattamente quello che voglio!”

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** ... Arthur Pan ***


… Arthur Pan
 
   Merlino alzò lo sguardo di soprassalto. Il rumore degli zoccoli dei cavalli lo aveva messo subito in allerta e per un pelo non era caduto dal destriero in corsa.
   “Cosa ci faccio sopra un cavallo?” pensò allarmato sia per la situazione che per la possibilità di perdere l’equilibrio da un momento all’altro. Affinando un po’ di più lo sguardo dopo essersi calmato, si accorse, nonostante il buio della notte, che qualcun altro galoppava al suo fianco.
   “Fermiamoci qui.” ordinò una voce che Merlino riconobbe come quella di Artù. Quindi, senza pensarci troppo, acconsentì e tirò le redini. Poi entrambi smontarono dalla sella.
   “Seguimi.” disse ancora Artù, avvolto in un mantello da viaggio mentre si accostava ad un’abitazione poco lontana da dove si erano fermati. Inizialmente Merlino non ci aveva fatto caso, ma il luogo dove si trovavano era situato nel bel mezzo della cittadella di Camelot e la casa a cui si stavano avvicinando non era altro che quella in cui aveva vissuto Ginevra prima di diventare regina e di trasferirsi al castello.
   “Vieni qui, Merlino, e aiutami.”
   Il mago lo affiancò subito ed insieme trascinarono una cassa di legno e la posizionarono proprio sotto una finestra. Così, Artù ci salì sopra e scavalcò l’apertura con un buon salto. Merlino, indeciso su come comportarsi ed ignaro del motivo per cui fossero lì, temporeggiò per qualche istante. Poi, non sapendo che fare, imitò Artù.
   “Anf!” boccheggiò non appena fu dentro “Artù?”
   “Sono qui.” sussurrò l’altro, prendendolo per un braccio e trascinandolo a sé.
   Di colpo si sentì un rumore di passi che non era il loro.
   “Chi è là?!” urlò una voce familiare, seguita poi da un’altra.
   “Calmati, Elyan. Sono loro.”
   Così dicendo, una ragazza in vestaglia corse verso i due e li abbracciò a turno.
   “Come stai, Gwendy?” chiese Artù dopo averla lasciata andare.
   “Bene.” rispose lei con un sorriso “Sono contenta che tu sia qui.”
   “Te l’avevo promesso, no?” ribatté il giovane Pendragon con un ghigno divertito “Anche se ho preferito non usare lo stesso metodo dell’altra volta per entrare, perché non volevo dare troppo nell’occhio.”
   “Non importa. Mi basta che tu sia venuto.”
   “Hai ragione. Adesso, però, è meglio se ci sbrighiamo. Non abbiamo molto tempo.”
   La ragazza annuì, così come il fratello al suo fianco.
   “Prima, però, dobbiamo cambiarci. Siamo ancora in abiti da notte.”
   “Va bene, ma fate in fretta. Non vedo l’ora di mostrarvi tutto quanto.”
 
***
 
   Dopo aver atteso in silenzio che fratello e sorella fossero pronti, i quattro ragazzi presero i cavalli e si avviarono verso una meta a Merlino sconosciuta. Per non forzare gli eventi, aveva preferito come al solito non fare domande, ma cominciava a sentirsi molto confuso da quella situazione. Dove erano diretti? E perché stavano viaggiando di notte e in gran segreto? Credeva di dover attendere a lungo per avere delle risposte, ma così non fu. Dopo alcune ore di cammino, il tragitto che stavano battendo poteva essere uno e uno soltanto.
   “Che bello!” esclamò Gwendy stupita ed estasiata mentre era seduta in sella dietro alle spalle di Artù.
   Davanti a loro diventava man a mano sempre più chiara e visibile la vista di uno splendido lago: il lago di Avalon. Come Merlino ben sapeva, la via per arrivarci era un po’ difficoltosa; infatti i quattro smontarono da cavallo e percorsero l’ultimo tratto di strada a piedi. Una volta giunti vicino alla riva, Elyan e Gwendy rimasero ancor di più a bocca aperta.
   “Non posso credere che ci siamo quasi!” disse il primo.
   “Già, è vero!” convenne l’altra “Tra poco saremo a destinazione. Giusto, Artù?”
   “Sì. Per fortuna siamo arrivati in tempo.”
   “In tempo per cosa?” chiese Elyan.
   “Lo vedrai.” rispose Artù, mentre stendeva la mano verso Merlino “Tocca a te, Merlino.”
   Il mago, però, rimase attonito e con lo sguardo perso. Cosa doveva fare?
   “Avanti, Merlino.” lo incalzò Artù “Prendi quello che hai in tasca.”
   Merlino, a quel punto, armeggiò nelle tasche finché non trovò qualcosa: un sacchetto piuttosto leggero, talmente tanto che non si era nemmeno accorto di averlo lì.
   “Bene.” disse Artù, prendendolo ed infilandoci dentro una mano. Poi, la ricacciò a pugno e lanciò addosso agli altri tre e infine su stesso una specie di polvere dorata. Dopo un attimo di attesa, però, non accadde nulla.
   “Ma… non funziona…” disse Gwendy, rammaricata.
   “Questo perché dovete pensare ad un momento felice.” spiegò Artù “Concentratevi su di esso e vedrete che funzionerà!”
   Così, Gwendy ed Elyan chiusero immediatamente gli occhi. Dopo alcuni istanti, entrambi iniziarono a brillare.
   “Che bello!” esclamò la ragazza entusiasta mentre si librava in aria a diverse spanne dal terreno “È proprio come ci avevi raccontato!”
   “Forse è anche meglio!” aggiunse il fratello sollevandosi in aria a sua volta.
   “Lo so.” convenne Artù sorridente “Adesso è tempo di andare. Vieni, Merlino.”
   Con quelle parole, il giovane cavaliere fece un saltello e spiccò in volo verso il cielo con una tale grazia e maestria da far rimanere attoniti tutti i presenti.
   “Forza, Merlino!” ripeté a braccia incrociate, mentre volteggiava a diversi metri da terra “Andiamo!”
   Il mago annuì, ancora visibilmente scosso.
   “Artù sta usando la magia!” pensò senza riuscire a crederci fino in fondo. Com’era possibile? Anche se era una fiaba, Merlino non era in grado di placare il suo sconvolgimento per quello che stava vedendo. Con una scrollata di capo, però, si decise a mettere da parte la questione. Non aveva tempo da perdere. Così, fece anche lui come aveva detto Artù poco prima e si concentrò su un pensiero felice. Figurò nella sua mente la prima volta che era giunto a Camelot. L’incredulità e la gioia di quella nuova esperienza erano state senza dubbio un bel momento per lui. Infatti, di punto in bianco, senza accorgersene, iniziò a sollevarsi da terra, riuscendo con suo grande stupore a spiccare in volo senza troppa difficoltà.
   “Dove andiamo?” chiese Gwendy dopo che tutti e quattro furono uno di fianco all’altro, sospesi sopra le acque limpide del lago.
   Artù si guardò intorno per qualche attimo, osservando l’alba che incombeva all’orizzonte.
   “Partendo da qui, seconda stella a destra.” spiegò mentre indicava davanti a sé “Poi dritti fino al mattino.”
   “Fino al mattino?” domandò Gwendy confusa.
   “Proprio così. Vuol dire che la nebbia protettiva che avvolge il luogo dove siamo diretti scomparirà solo per poco tempo in un punto preciso alle prime luci dell’alba. Come adesso. Poi non rimarrà che attraversarla e saremo arrivati.” chiarì Artù mentre prendeva lo slancio per andare in avanti “Siete pronti?”
   Gwendy e Elyan annuirono esagitati, mentre Merlino accennò con poca convinzione un sì con la testa.
   “Fantastico! Allora, andiamo! Prossima meta: “l’Isola che non c’è”!”
 
***
 
   Tutti e quattro i ragazzi volarono a gran velocità verso il centro del lago, finché uno strato nebuloso nell’aria non rivelò all’improvviso davanti a loro una specie di varco, che oltrepassarono.
   “Accidenti!” esclamò Elyan sbalordito.
   Il paesaggio oltre la nebbia mozzò il fiato ad ognuno, Merlino compreso. Il suo sguardo si posò subito su un’isola al centro del vasto specchio d’acqua, talmente grande da non riuscire a credere potesse trovarsi dentro un lago.
   “L’Isola che non c’è.” annunciò Artù agli altri con un grosso sorriso.
   “È fantastica!”
   “Lo so, Gwendy.”
   “Ma, quindi, sono vere tutte le storie che ci hai raccontato delle tue avventure sull’isola?”
   “Certo che sono vere! Questo posto è… magico. Qui può succedere di tutto se lo vuoi davvero.”
   “E come l’hai scoperto?” chiese Elyan curioso.
   “Merito di Merlino.” rispose Artù, attirando lo sguardo del mago al suo fianco “Dopo una violenta battaglia, fui ferito mortalmente. Però, Merlino non si perse d’animo e mi portò qui, al Lago di Avalon, chiedendo aiuto agli Sidhe.”
   “Gli Sidhe?” domandò Gwendy perplessa.
   “Sono una particolare specie di fate che vive nell’isola, al centro del lago.” spiegò Artù.
   “L’Isola che non c’è?”
   “Esatto, Elyan. Gli Sidhe mi hanno curato e salvato la vita con la loro magia. Da quel giorno, ho instaurato un bel rapporto con loro, al punto tale che mi hanno offerto di restare. La polvere di fata che abbiamo usato per volare è un loro regalo.”
   Mentre Artù continuava con la sua spiegazione, Merlino lo fissò pensieroso. Sapeva che gli Sidhe erano delle fate con poteri guaritori molto potenti, però non osava pensare in quale guaio fossero incappati in quella fiaba per dover richiedere il loro aiuto.
   “Inizialmente, rifiutai…” continuò Artù, mentre si apprestavano tutti e quattro a discendere verso la terra ferma “Poi, però, dopo un po’ di tempo, acconsentii a vivere qui. Con il loro permesso, ho invitato anch’io altre persone per restare sull’isola insieme a me. Tra poco le conoscerete.”
   “Oh!” esclamò Gwendy con le mani alla bocca “Mi è sembrato di vedere una sirena!”
   “Può essere.” confermò Artù, atterrando per primo “Come vi ho già raccontato, in quest’isola vivono molte specie di creature, comprese le sirene.”
   La ragazza gioiva visibilmente dall’emozione, mentre una piccola luce bluastra si avvicinò ai quattro appena arrivati.
   “Ben tornato, Arthur Pan.” disse la luce con una voce lieve e acuta.
   “Grazie.” ribatté lui, facendo un rapido inchino “Ragazzi, vi presento Trilli, anziana Sidhe e guida del suo popolo.”
   Elyan e Gwendy la fissarono con completo stupore. Il brillio che avevano davanti era in realtà un essere vivente. Osservandola con più attenzione, poterono scorgere vari tratti del viso liscio e celestino della fata. Merlino notò anche che sembrava corrucciata.
   “Il mio nome è Trillyhfen!” sbottò la Sidhe infastidita “Non Trilli!”
   Artù sorrise divertito.
   “Ah, già! Me l’ero dimenticato. Ti chiedo scusa.”
   “Non è vero! Tu sbagli di proposito!” continuò ad inveire la fata, ricomponendosi non appena si accorse di avere tutti gli sguardi addosso. Per un attimo sembrò anche arrossire, o almeno quella fu l’impressione che ebbe Merlino guardando le sue piccole guance. “Bene. Adesso vi saluto. Ho delle importanti faccende da sbrigare.”
   A quel punto, Trillyhfen volò via lasciando dietro di sé una scia dorata simile alla polvere che il mago aveva in tasca.
   “Non fateci caso. Trilli è un po’ scorbutica. Poi, però, le passa.” spiegò Artù mentre faceva strada verso un sentiero in direzione dei boschi.
   “Perché ti ha chiamato “Arthur Pan”?” chiese Gwendy curiosa.
   “Perché, secondo le loro credenze, quando mi hanno guarito io sono rinato a nuova vita. Pensano che ora io sia legato alla terra e a alla natura stessa, ovvero “Pan” nella loro lingua. Così mi chiamano in quel modo.”
   Dopo quelle parole, d’improvviso un urlo piuttosto strano, simile ad un richiamo, riecheggiò nell’aria.
   “Cos’è?” domandò Elyan, guardandosi intorno.
   Artù sorrise e si mise una mano alla bocca, emettendo lo stesso suono a squarciagola. Dopo pochi istanti, diversi ragazzi apparvero su dei rami d’albero e saltarono a terra.
   “Ben arrivati!” esclamarono quasi tutti all’unisono.
   “Gwendy, Elyan…” disse Artù indicando davanti a sé “… vi presento i “Cavalieri Sperduti”.”
   Dopo un momento di esitazione, i due fratelli si lanciarono uno sguardo d’intesa e corsero subito a salutare il gruppo appena sopraggiunto. Intanto, Merlino si fermò a fissarli uno ad uno: Galvano, Leon, Parsifal, Lancillotto, persino Mordred ed altri cavalieri del regno di Camelot erano lì, in mezzo al bosco a giocherellare tra loro. In che razza di fiaba era finito?!
   “Perché vi chiamate “Cavalieri Sperduti”?” domandò Gwendy, sorridendo ad Artù.
   “Non guardare me.” rispose lui “È stata un’idea di Galvano. Diceva che era meglio che avessimo un nome per poter fraternizzare con più facilità.”
   “Bella idea.” convenne Elyan, dando una pacca sulla spalla al suo nuovo amico.
   “Bene. Ora, statemi un attimo a sentire.” disse Artù di colpo, richiamando all’ordine i presenti “Stasera voglio che ci riuniamo tutti insieme per festeggiare l’arrivo di Gwendy ed Elyan con una grande festa. Dobbiamo fin da subito farli sentire a casa e far vedere che qui sappiamo divertirci davvero come si deve. Ma, mi raccomando, andateci piano con gli alcolici.”
 
***
 
   “Bevi! Bevi! Bevi! Bevi!”
   Erano passate diverse ore dall’arrivo di Artù e gli altri. Il fermento e la concitazione erano tali che la gioia ed il buonumore regnavano incontrastati in ogni angolo dell’isola. La festa promessa dal giovane era già cominciata ed un piccolo gruppo, infatti, non aveva perso tempo e si era radunato intorno a Galvano mentre lui era intento a scolare l’ennesimo boccale. Al contempo, alcuni Cavalieri Sperduti più giovani si dilettavano poco distanti suonando e cantando canzoni improvvisate mentre altri ancora parlottavano vicino ad un fuoco, raccontando ai due nuovi arrivati, Elyan e Gwendy, aneddoti divertenti su qualche loro avventura passata. Tra tutti i presenti, soltanto uno era rimasto in disparte a fissare la luna con uno sguardo perso nei propri pensieri.
   “Ehi!” esclamò Artù mentre si avvicinava a Merlino e gli porgeva una specie di coppa di legno “Non vieni anche tu a divertirti?”
   “Tra… un momento…” rispose, bevendo un sorso “Ahhh! Cos’è?!”
   “Non so. L’abbiamo fatta con un frutto che cresce nella foresta. Ha il sapore della birra, ma è un po’ più forte, eh?”
   Cercando di riprendere il controllo della sua bocca in fiamme, Merlino ripensò alle stranezze che erano successe in quella fiaba. Per quanto tentasse di vedere la vicenda dal lato giusto, il giovane mago non poteva ignorare il fatto che tutto intorno a lui sembrava surreale. In primo luogo, Artù stesso che usava e apprezzava la magia, ma anche quell’isola che era così emblematica e misteriosa. Insieme a questo, cominciava anche a sentirsi perso e sconfortato. Sarebbe mai riuscito ad annullare il sortilegio e a far tornare tutto come prima oppure sarebbe stato costretto a vagare per sempre tra una storia e l’altra?
   “Credo di aver capito.” disse all’improvviso Artù, sedendosi a terra di fianco all’amico.
   “Cosa?”
   “Tu sei triste perché ti manca Gaius. Dico bene?”
   “S-sì…” rispose Merlino a mezza bocca. “Che c’entra Gaius, adesso?!” pensò.
   “Lo so. Manca anche a me. Però, non possiamo tornare a Camelot, non dopo la decisione che abbiamo preso. Anzi, che ho preso.”
   Merlino sussultò. A quale decisione si riferiva?
   “Ehm… ne siete convinto?” chiese, cercando di farlo parlare il più possibile senza esporsi troppo.
   “Certo! Ne abbiamo già discusso mille volte! Con la morte di mio padre non è più sicuro per noi stare a Camelot. Non dopo che ho rinunciato al trono…”
   “Avete rinunciato al trono?!” sbottò Merlino sbalordito.
   Artù lo fissò strano.
   “Sì. Sei stato tu il primo a cui l’ho detto. Non te lo ricordi?”
   “Oh, sì, ma certo! Io…”
   “E poi, mi sembrava che avessimo stabilito che, ora che non sei più il mio servo, non sono più necessarie tutte queste formalità nel modo in cui mi parli.”
   Merlino aggrottò le sopracciglia ancora più stupito.
   “Sì, è vero. L’avevo dimenticato.”
   “Bene.” disse Artù annuendo soddisfatto “Come dicevo, ora che ho rinunciato al trono, Camelot è assediata da perfidi avvoltoi che vogliono ottenerne il controllo. Ogni regno ed ogni sovrano vuole la sua parte. Così, quella che un tempo chiamavamo casa, ora è solo un grande campo di battaglia. Per questo abbiamo portato via anche Elyan e Gwendy. Non è più un posto sicuro e la mia sola presenza potrebbe portare allo scompiglio più totale.”
   Merlino deglutì amareggiato. Artù non voleva essere re ed utilizzava la magia senza farsi problemi. Gli risultava molto strano anche solo pensarle quelle cose.
   “Perché non volete…, cioè perché non vuoi essere re?”
   “Lo sai il perché…” rispose Artù criptico.
   “Dimmelo ancora, per favore.”
   Il giovane guerriero sbuffò. Poi, però, annuì.
   “Per tutta la vita sono stato un principe, un Pendragon, un nobile, un futuro regnante. Sono stato addestrato ad essere molte cose, ma non ho mai scelto io quella vita. Ora, ho deciso che voglio essere solo me stesso. Solo Artù e basta. Riesci a capire cosa voglio dire?”
   Merlino fece una smorfia eloquente.
   “Certo. Ti capisco più di quanto immagini.” disse mestamente “Quello che però non comprendo è perché sono qui anch’io. Non sono né un principe, né un Cavaliere Sperduto, né un servo.”
   “Ma sei mio amico.” ribatté Artù con un sorriso.
   “G-grazie.” balbettò di rimando il mago. Era proprio vero che si trovava in una fiaba, altrimenti non avrebbe mai ricevuto da lui un complimento così diretto.
   “Stammi a sentire. Voglio raccontarti una storia.” continuò Artù “Tempo fa, quando ero piccolo, capitò che mi ammalai. Mio padre, spaventato, mise subito un guaritore al mio servizio, sperando che potesse aiutarmi a ristabilirmi al meglio e più in fretta. Si chiamava Edwin, se non ricordo male.”
   “Capisco. E allora?”
   “Questo Edwin, come prima cosa, mi diede un campanellino, in modo da poterlo chiamare giorno e notte all’occorrenza. E così feci. Le prime volte fu anche molto divertente per me, che ero piccolo, vedere un uomo scattare ad ogni mio capriccio. Estremamente divertente, a dire il vero.”
   “Immagino…” commentò Merlino, pensando a quanto l’avesse fatto penare in tutti quegli anni in cui era stato il suo servitore a Camelot.
   “Poi, però, spiandolo mentre conversava con la servitù, scoprii che in realtà per lui il suono di quel campanellino era snervante e fastidioso. Così, mi decisi a gettarlo via.”
   “Intendete l’uomo o il campanellino?” domandò Merlino con un sorriso ironico.
   Artù gli diede una gomitata scherzosa.
   “Il campanellino, ovviamente! Solo che la notte dopo peggiorai e così non fui in grado di chiamarlo. Per fortuna, si trovò ugualmente a passare dalle mie stanze per un controllo. E, quando seppe cosa era successo, mi disse che avevo fatto male.”
   “Perché?”
   “Perché nonostante il campanellino fosse irritante per lui, era anche necessario per il suo lavoro e per la mia guarigione.”
   “Va bene.” disse Merlino perplesso “Ma non capisco cosa c’entri questa storia con me.”
   “Vedi, Merlino, tu sei il mio “campanellino”.” disse Artù secco “A volte sei divertente, altre irritante. Ma ho bisogno di te in ogni caso. Questa isola è la mia libertà, così come la tua. Dimmi, non ti va di essere libero?”
   “Sì.” rispose il mago pensieroso, ma anche molto grato per quelle parole.
   “Bene.” concluse Artù, alzandosi in piedi “Ora vado a divertirmi un po’ con gli altri. Vieni anche tu?”
   Il ragazzo al suo fianco annuì.
   “Perché no? Potremmo provare a battere Galvano in una gara di bevute.”
   “Beh, io posso volare; posso combattere con una mano sola; posso fare la capriola all’indietro mentre salto; ma non riesco a fare l’impossibile, mi dispiace.”
   I due scoppiarono a ridere per la battuta mentre si univano agli altri. Intanto, a Merlino passò in mente un pensiero piuttosto lecito da porsi a quel punto: se l’Artù di quella storia era felice e contento, così come anche gli altri, qual era il lieto fine che doveva trovare?
 
***
 
   L’indomani…
   “Sveglia, ragazzi!”
   La piccola festa della sera precedente era durata quasi fino all’alba, finché prima uno poi l’altro non si erano addormentati attorno al grande falò. Merlino si ridestò dalle poche ore di sonno a causa di un urlo forsennato.
   “Che… succede?” chiese con la voce impastata, mentre si metteva in piedi a fatica. Nonostante ci fosse abituato, dormire per terra gli aveva lasciato un mal di schiena non indifferente.
   “Parsifal?” disse Artù che, a differenza sua, fu in piedi in un lampo “Perché gridi in quel modo?”
   “È scomparsa!” ribatté il ragazzone con gli occhi sbarrati.
   “Chi?”
   “Gwendy! Non si trova più da nessuna parte!”
   “Calmati, Parsifal.” replicò Artù, cercando di farlo spiegare più chiaramente “Raccontaci tutto fin dall’inizio.”
   “Va bene.” acconsentì lui, respirando un paio di volte prima di ricominciare a parlare “Poco fa io ed Elyan siamo andati nel bosco a raccogliere qualche frutto, quando abbiamo visto per terra la mantellina che indossava Gwendy la notte scorsa. In preda al panico, l’abbiamo cercata nei dintorni, sperando di trovarla. Ma è stato tutto inutile. Così, sono venuto qui ad avvisarvi.”
   “Ho capito, grazie.” disse Artù pensieroso. Anche se non lo dava a vedere, Merlino sapeva che nei suoi occhi traspariva una certa preoccupazione.
   “Cosa credi che sia successo?” gli chiese il mago avvicinandosi.
   “Non lo so.” rispose lui mestamente “Ma intendo scoprirlo. Leon!”
   A quel grido, il cavaliere si precipitò a rispondere.
   “Sì, Artù?”
   “Organizza una squadra di ricerca e partite subito. Gwendy non conosce quest’isola e potrebbe essersi persa. Molte creature che vivono qui sono calme ed amichevoli, ma non posso dire lo stesso di altrettante di loro.”
   “Come vuoi.”
   “Aspettate!”
   Tutti si voltarono verso Galvano, che si avvicinava con un piccolo pezzo di pergamena in mano.
   “Cosa c’è?”
   “Non è scomparsa.” disse il cavaliere, porgendo ad Artù il foglio “È stata rapita.”
   Lui lo lesse con attenzione e poi batté con rabbia un piede per terra.
   “Che succede?” domandò Merlino agitato “Cosa c’è scritto?”
   “Dovevo saperlo che non si sarebbe arreso!” urlò Artù a squarciagola “Dovevo pensarci che non sarebbe finita lì!”
   “Artù!” esclamò il mago, prendendo per un braccio l’amico “Dimmi che sta succedendo, per favore!”
   “Odin!” rispose l’altro “Odin ha preso in ostaggio Gwendy!”
 
***
 
   Nel frattempo, sulla costa a nord dell’isola, una grande e appariscente nave era visibile all’orizzonte. La bandiera col simbolo del teschio sventolava con forza mentre l’equipaggio del veliero correva a più non posso in ogni direzione. Un uomo, però, rimaneva immobile ad ammirare le acque limpide di fronte a sé. Di punto in bianco, un altro uomo gli andò incontro con esagitazione mentre beveva a grandi sorsi da una fiaschetta.
   “Mi volevate vedere?” chiese, mettendosi sull’attenti come meglio poteva.
   “Sì.” rispose Odin con fermezza “Voglio sapere se è tutto pronto.”
   “Certo! La ragazza l’abbiamo legata e gettata nella stiva. Gli uomini, invece, aspettano solo il vostro segnale per attaccare.”
   “Bene. Anche se non ci sarà bisogno di attaccare. Come ti ho già spiegato, saranno loro a venire da me.”
   “Come dite voi, capitano!”
   A quelle parole, Odin si girò di scatto verso l’uomo e gli afferrò la fiaschetta che aveva in mano, gettandola con rabbia lontano dall’imbarcazione.
   “Io sono “re” Odin!” gridò furioso a pochi centimetri dal viso dell’altro “Non un semplice capitano di un branco di insulsi pirati! Ricordatelo, stupida spugna dei miei stivali! Ci siamo capiti?!”
   “Ehm!” sussultò l’uomo “Certo! Voi siete re Odin! Vi chiedo scusa, capitano!”
  Odin lo fissò furente per un altro breve attimo, cercando di capire se lo stesse prendendo in giro. Sentendo, però, la puzza d’alcol riempirgli le narici, si calmò e si allontanò, rimettendosi ad osservare l’orizzonte.
   “Cenred mi ha parlato molto bene di te, Jarl, e del tuo equipaggio. Non farmi pentire della scelta che ho fatto.”
   “No, capitano.”
   “Ora sparisci dalla mia vista!”
   Jarl girò sui tacchi e corse via mentre Odin si sfregò le mani, impaziente all’idea di poter finalmente avere la sua vendetta. Aveva speso molto per assoldare quella ciurma di pirati e per trasportare un galeone come quello nel lago. Inutile dire che aveva dovuto ricorrere anche a dei servigi magici per renderlo possibile, ma ne era valsa la pena. Ben presto, Artù sarebbe stato nelle sue mani e avrebbe ricevuto la punizione che meritava. Solo quel pensiero lo fece d’un tratto sorridere immensamente.
 
***
 
   “Sei sicuro di quello che stiamo facendo, Artù?” chiese Merlino titubante mentre seguiva l’amico e gli altri Cavalieri Sperduti lungo un sentiero fuori dalla foresta.
   “Per la trentesima volta, sì, Merlino, ne sono sicuro.”
   “Ma è una trappola!” esclamò il mago con ovvietà.
   “Lo so, ma non abbiamo scelta. Odin è un uomo pericoloso e non possiamo fargli fare quello che vuole!”
   Merlino annuì rassegnato. Sapeva anche lui che aveva ragione, ma non gli sembrava una buona idea assecondare le richieste del nemico, nonostante fosse ben conscio che la vita di Gwendy dipendeva da questo.
   “Ci siamo.” annunciò Lancillotto, indicando davanti a sé.
   Come era scritto sul foglio lasciato da Odin, lui e i suoi scagnozzi attendevano Artù sulla costa a nord-est dell’isola.
   “Ci superano di due a uno.” constatò Leon con un leggero timore.
   “È vero.” confermò Artù con nervi saldi “Ma noi siamo più forti e preparati. Inoltre, conosciamo meglio il luogo. Tranquilli, non ci faremo battere.”
   Così dicendo, accelerò il passo, avvicinandosi alla schiera di uomini che attendevano sogghignanti il suo arrivo.
   “Sei venuto.” disse Odin, a braccia incrociate, fissandolo con uno sguardo provocatorio.
   “Già, come puoi vedere. Adesso libera Gwendy e finiamola qui. Non è il caso di andare oltre.”
   L’uomo sbottò a ridere amareggiato.
   “Non credo proprio!” esclamò indignato “Finalmente ho l’occasione di vendicare le tue malefatte una volta per tutte! Non ho alcuna intenzione di fermarmi!”
   Artù si rabbuiò in volto.
   “Quello che è successo non è stata colpa mia.”
   “Invece, sì!” ribatté Odin, urlando “Tu hai ucciso mio figlio!”
   “No, non è vero! Tuo figlio è morto per un incidente!”
   “Ancora con questa storia! Tu l’hai plagiato, costringendolo a seguirti in questa stupida isola! Non mi sorprende che gli sia costato la vita!”
   “No!” disse Artù, scuotendo vivacemente la testa “È stata tua la colpa! Lui era stanco dei tuoi continui assilli sul dover essere un buon principe e ha scelto di venire qui insieme a me e agli altri. Anzi mi ha supplicato! Il giorno in cui è morto è successa una fatalità! Nessuno ne è responsabile! Il mio unico sbaglio è stato riportarti il suo corpo! Non avrei mai immaginato che ti saresti scagliato contro di me e soprattutto contro i miei amici in modo così vile! Questa è l’unica cosa di cui mi pento!”
   “Maledetto!” gridò Odin a perdifiato, indicando la nave che ormeggiava alle sue spalle “Che tu lo voglia o no, oggi avremo la nostra resa dei conti oppure la tua amica pagherà al posto tuo!”
   Artù si voltò verso il galeone e notò a bordo due persone: un uomo dall’aria piuttosto malfamata con una bottiglia in mano e Gwendy, tenuta legata di fianco a lui.
   Così, senza indugiare oltre, portò due dita alla bocca ed emise un fischio acuto.
   “All’attacco!”
   A quel punto, diverse frecce caddero dal cielo e si abbatterono contro i pirati al seguito di Odin, mentre i Cavalieri Sperduti partirono alla carica, sguainando le spade. Anche Artù si unì alla mischia, fronteggiando il re che tanto lo detestava.
   “Fatti sotto!” gli gridò, provocandolo.
   “Non chiedo di meglio!” rispose l’altro andandogli incontro.
   Mentre i due ingaggiavano battaglia, Merlino si defilò di lato, in attesa del momento propizio. Come concordato in precedenza, il suo compito era di aspettare in disparte che gli uomini di Odin fossero distratti per poter poi andare in soccorso di Gwendy. Nell’attesa, però, scagliò di tanto in tanto qualche incantesimo all’indirizzo degli avversari, salvando per più volte lo stesso Artù ed anche qualche cavaliere dagli attacchi nemici.
   “Come hai fatto?” chiese a gran voce Artù, mentre faceva calare un fendente in avanti.
   “A fare cosa?!” ribatté Odin, parando il colpo e contrattaccando.
   “A passare il varco che nasconde l’isola! Solo in pochi conoscono il modo!”
   Odin, indietreggiando di qualche passo per riportarsi in posizione difensiva, sogghignò soddisfatto. Stava per dire qualcosa, quando Mordred intervenne nello scontro e tentò di colpire Artù, mancandolo di un soffio.
   “Ma che stai facendo?!” domandò lui, sussultando per la sorpresa.
   Il Cavaliere Sperduto, però, sorrise maliziosamente.
   “Proteggo il mio re.”
   “Il tuo… re?” ripeté Artù come incantato.
   “Esatto.” confermò Odin “Sono stato io a mandarlo qui in missione per scoprire quante più cose possibili su di te e sugli altri tuoi compagni. Del resto, avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse ad arrivare fin qui. Quest’isola è molto difficile da localizzare. Così lui mi ha raccontato come oltrepassare il varco! Devo ammettere che alla fine si è rivelato un servo molto devoto.”
   Artù rimase quasi a bocca aperta. Non si aspettava di certo un tradimento del genere.
   “Lo sapevo!” pensò Merlino, mentre li osservava, in attesa di intervenire.
   “Non può essere…”
   “Ah!” lo schernì Mordred “Sei uno sciocco, Artù! Hai creduto ad ogni cosa che ti ho detto! Dopo averti raccontato qualche fandonia, pendevi dalle mie labbra!”
   “No…” continuò Artù, diventando rosso in volto “Maledetto!”
   A quel grido, menò un fendente verso di lui, che lo fece cadere all’indietro. Odin, però, intervenne in difesa del suo alleato.
   “Siete due esseri spregevoli!” esclamò adirato.
   “No! Sei tu ad essere uno stupido! La fiducia che riponi negli altri sarà la tua rovina!”
   “Ti sbagli! Anche se stavolta ho commesso un errore, non significa nulla!”
   Stava per colpire in pieno Odin, quando Mordred parò al posto suo l’attacco.
   “Con me sei stato un ingenuo!”
   “Ma con gli altri no! Con loro ho guadagnato ben più di quanto voi due possiate capire! Vale la pena fare uno sbaglio, a volte!”
   Nonostante fosse un duello due contro uno, Artù tenne fede al titolo di miglior spadaccino, bloccando ogni offensiva. Al contrario, Odin e Mordred ebbero serie difficoltà a coordinarsi e schivare tutti gli attacchi ricevuti. Ad un certo punto, poi, il giovane guerriero spiccò il volo ed iniziò a caricare gli assalti anche dall’alto, lasciando di stucco i suoi avversari. Dal canto suo, Merlino non batté ciglio. Infatti, prima di dirigersi sulla costa, avevano stabilito in gran segreto di usare la polvere magica degli Sidhe solo su Artù, dato che non ce ne era a sufficienza per tutti. Il mago, poi, aveva preso ciò che ne restava in custodia, per utilizzarla in caso di emergenza.
   “Non scappare e combatti!” gridò Odin, quasi inciampando nel cercare di seguire con lo sguardo Artù, che gli volava intorno. Quest’ultimo, poi, iniziò anche a sorridere nel vedere i suoi due avversari saltellare in aria come due stolti nel tentativo di colpirlo.
   “Eccomi!” esclamò, dirigendosi a tutta velocità contro l’uomo. Questo parò il primo affondo con molta precisione, ma si sbilanciò per la spinta e cadde in ginocchio subito dopo. Artù, allora, ne approfittò e caricò un altro fendente nella sua direzione. Odin intanto riprese in parte la stabilità, ma nella confusione sbagliò mano per difendersi dall’assalto, e usò quella senz’arma. Così, non volendo, Artù gliela mozzò.
   “Ahhhhhhh!!”
   L’urlo di dolore del re si udì per tutta l’area, tanto che molti pirati ed altrettanti Cavalieri Sperduti si voltarono ad osservare cosa fosse successo.
   “Mio signore!” disse Mordred, avvicinandosi a prestargli soccorso.
   “Ahhhh!”
   “Mio signore! Aspettate, sono in grado di guarirvi.” “Ic the thurh…”
   “Aspetta!” lo fermò Odin “Non voglio… che mi guarisci!”
   “Ma… cosa state dicendo?! State perdendo molto sangue! Tra non molto… morirete se non lo faccio!”
   “No, ti ho detto! Voglio che… trasformi… il mio braccio… in un’arma… Ne ho… bisogno… per batterlo!”
   Mordred lo fissò stupito, come se non capisse cosa volesse dire.
   “Hai… sentito?” insistette Odin “Fai… quello che ti… dico!”
   “Va bene…” disse infine il druido, annuendo “Wǣpn haca!
   Gli occhi di Mordred s’illuminarono e dal braccio sinistro di Odin comparve una luce accecante. Dopo alcuni istanti, però, si dissipò, lasciando tutti a bocca aperta. Dove prima il re aveva la mano, ora vi era una solida placca di metallo con agganciato una specie di artiglio a forma di uncino.
   “Bene…” commentò Odin, vedendo che anche la perdita di sangue si era placata.
   “Mi dispiace, mio signore, ma non conoscevo nessun altro incantesimo che…”
   “Sì, sì.” lo interruppe l’altro “Va bene così.”
   A quel punto, Odin si alzò da terra e si posizionò davanti ad Artù, che nel frattempo aveva osservato la scena quasi inorridito.
   “Che c’è? Hai paura che adesso sia un confronto alla pari?” domandò l’uomo con un sorriso sadico.
   “No.” rispose il giovane guerriero con una smorfia “Ho paura che tu abbia perso la tua umanità.”
   “Beh, forse hai ragione. Me l’hai portata via tu quando hai lasciato mio figlio a morire.”
   Poi, si scagliò contro Artù, approfittando di quell’attimo di esitazione per colpirlo a bruciapelo. Merlino, però, non aveva abbassato la guardia.
   “Misse mierċels!
   Odin inciampò con le proprie gambe e mancò Artù di un soffio, così da permettere al ragazzo di riprendere la lucidità e di rimettersi in volo. Per un istante, parve che nessuno si fosse accorto della magia di Merlino. Poi, però, Mordred si voltò verso di lui e gli andò incontro con veemenza.
   “Stanne fuori, Merlino!” gli urlò contro, mentre provava a colpirlo con la spada. Il mago, tuttavia, schivò l’offensiva, spostandosi di lato giusto in tempo.
   “Scordatelo!”
   “Allora, muori!” esclamò il druido, menando un altro fendente.
   Merlino riuscì a spostarsi di nuovo un attimo prima di essere colpito, però scivolò inavvertitamente e cadde a terra, rotolando fino al limitare della scogliera. Mordred gli andò vicino, puntandogli l’arma alla gola.
   “Fine dei giochi. Il tuo tempo e quello di Artù è finito!” disse, con sguardo rancoroso.
   “Chissà cos’è successo tra me e lui qui, in questa fiaba!” pensò per un secondo Merlino. Ma poi, si scrollò di dosso ogni dubbio e illuminò gli occhi, scaraventando Mordred giù dal dirupo, giusto un momento prima che questi lo trafiggesse con la sua lama. La caduta del giovane fu interrotta solo dagli scogli appuntiti che lo fecero finire in acqua e sparire sul fondo.
   Nel frattempo, Artù aveva nuovamente ingaggiato battaglia con Odin. I suoi movimenti rapidi dovuti alla leggerezza di poter volare stavano mettendo il re in seria difficoltà, anche se quest’ultimo ora poteva contare su una nuova “arma”.
   “Mancato anche stavolta!” disse Artù in tono beffardo all’indirizzo del suo avversario.
   “Staremo a vedere quanto durerai!” replicò l’altro, mentre colpiva a ripetizione prima con la spada e poi col suo uncino. La situazione si stava rendendo complicata anche per Artù che doveva schivare non più uno ma ben due colpi alla volta. Così, spiccò il volo in alto per riprendere fiato.
   “Scendi giù!” urlò Odin.
   Artù fece spallucce.
   “Non prendo ordini da te.”
   Il re, allora, indicò con l’unica mano che gli era rimasta la nave alle sue spalle.
   “Se non smetti di usare questi trucchetti, darò ordine al mio uomo di tagliare la gola alla tua amica!”
   Artù spalancò gli occhi d’improvviso, come se non avesse pensato a quel risvolto della vicenda. Così, dopo alcuni istanti, scese a terra e si rimise in posizione di combattimento.
   “Bene. Fammi vedere come combatte un uccello senza le ali!” lo sbeffeggiò Odin, che a sua volta si preparava a riprendere lo scontro.
   Tuttavia, Artù, anziché buttarsi nella mischia immantinente, cercò in fretta lo sguardo di Merlino. Quando lo incrociò, gli fece un gesto eloquente, che il mago capì subito. Per vincere quella battaglia, dovevano prima liberare Gwendy. Così, Merlino osservò in fretta l’area davanti a sé: adesso che il combattimento era entrato nel vivo, gli uomini di Odin avevano smesso di sorvegliare il dirupo che affacciava sulla riva del lago. Quello era il suo momento. A quel punto, prese dalla tasca il sacchettino con la polvere di Sidhe e se lo svuotò sulla testa. Sentì in un istante la sensazione inebriante che emanava la magia delle fate. Poi, ripensando alla prima volta che aveva incontrato suo padre Balinor, prese il volo. Tuttavia, poco dopo essersi spostato da terra sentì un grosso peso attaccarsi al bacino. Voltandosi, gli prese quasi un colpo.
   “Galvano!”
   “Ehi, come va?”
   “Che stai facendo?!”
   “Ho visto che vai a salvare Gwendy. E voglio darti una mano.”
   “E così credi di aiutarmi?! Se non facciamo attenzione, precipiteremo ancor prima di arrivare! Sei troppo pesante!”
   “Scusa, ma ultimamente mi sono lasciato andare! Non riesco proprio a resistere alla bontà dei frutti dell’isola!” ironizzò il giovane cavaliere con un sorriso.
   “Non era questo che inten… Ah! Lascia stare e tieniti stretto!” replicò Merlino, cercando di volare verso la nave senza che l’uomo che teneva prigioniera Gwendy li vedesse. Una volta arrivati sopra il veliero, sembrava che ce l’avessero fatta, poi però Merlino perse all’improvviso il controllo e precipitarono entrambi. Mentre Galvano riuscì a fare un atterraggio piuttosto buono e, a dire il vero, quasi aggraziato, Merlino franò addosso al pirata.
   “Ahhh!”
   Dopo un attimo di concitazione, quest’ultimo si alzò di scatto, dolorante per la botta ricevuta, smaneggiando senza senso di qua e di là con il pugnale.
   “Fatevi sotto!” gridò palesemente ubriaco.
   Merlino stava per alzarsi e dargli un colpo quando Galvano lo precedette sul tempo, rompendogli addosso lo sgabello di legno su cui prima era poggiato.
   “Prendi questa, brutto ubriacone!” esclamò con veemenza.
   Il mago ridacchiò tra sé. “Senti chi parla!” pensò prima di aiutare il cavaliere a liberare Gwendy, togliendole anche il bavaglio che le serrava la bocca.
   “Grazie!” esclamò lei, abbracciando prima uno e poi l’altro.
   Merlino, a quel punto, prese un grosso respiro e…
   “Artù!!!” urlò a squarciagola per farsi sentire. L’altro, nonostante fosse impegnato nello scontro, si voltò per un istante verso di lui. Dopodiché, prese il volo e girò in aria attorno ad Odin, come un vortice.
   “Che stai facendo?!”
   “Finalmente ci divertiamo!” esclamò Artù, prendendo l’uomo da dietro e portandolo con sé.
   “Lasciami andare subito!”
   “Come vuoi!” convenne il giovane guerriero, mollando la presa su di lui e facendolo precipitare sopra la sua stessa nave. Il tonfo della caduta lo sentì anche Merlino che si trovava a poppa del veliero.
   “Maledetto!” esclamò Odin, rialzandosi a fatica ed indicando Artù con l’uncino “Vieni qui e combatti!”
   L’altro, però, non aveva gli stessi piani. Con agilità percorse in volo tutta la nave, sorridendo come un ragazzino, poi afferrò con un po’ di fatica un barile pieno di birra e lo lanciò con tenacia verso Odin. Questo tentò di scansarsi, ma la caduta di prima gli aveva indolenzito le gambe e non poté far altro che attendere lo schianto.
   “Ahhh!” gridò un attimo prima dell’impatto, svenendo dolorante in mezzo ad un pantano di liquido dorato.
   “Che spreco!” commentò Galvano con amarezza, mentre Merlino sogghignò tra sé.
   Artù, a quel punto, con euforia volò nella loro direzione dando ad entrambi un “batti mano” al suo passaggio. Poi si fermò in aria, sopra al gruppetto di pirati che nel frattempo aveva smesso di combattere per osservarlo.
   “Avete invaso quest’isola senza alcun ritegno!” iniziò mentre teneva le braccia sui fianchi con i pugni serrati “Avete attaccato e disturbato la quiete di questa sacra terra solo per il vostro tornaconto personale. Adesso, però, la battaglia è finita! In quanto protettore di questo luogo, io, Arthur Pan, vi ordino di andarvene e di non tornare mai più!”
   Gli uomini annuirono spaventati, mentre si dirigevano a perdifiato verso la nave. Artù, però, non aveva ancora finito. Il suo sguardo si posò su Odin e sulla sua mano monca.
   “Mi raccomando, portate con voi anche il vostro… “Capitan Uncino” e ditegli che se oserà attaccare di nuovo me o i miei amici, gliela farò pagare molto cara.”
   Così, mentre i pirati salivano di gran fretta sul veliero, Merlino, Galvano e Gwendy tornarono sulla terra ferma. Fortunatamente, lo scontro non aveva portato vittime con sé e il morale dei Cavalieri Sperduti sembrava notevolmente migliorato, ora che avevano vinto. Per concludere al meglio, decisero infatti di portare Artù in trionfo. Del resto, grazie a lui l’Isola che non c’è era di nuovo un posto sicuro.
 
***
 
   Una grande festa venne indetta per la vittoria su Odin e i suoi pirati. Tuttavia, mentre Gwendy e i Cavalieri Sperduti, tra risate e balli improvvisati, si godevano i festeggiamenti, Merlino notò che Artù si era defilato e sedeva in disparte. Così gli andò incontro.
   “Chi è che non si sta divertendo, stavolta?!”
   Artù si voltò di scattò verso di lui e sorrise.
   “Mi hai beccato.”
   “Allora?” chiese Merlino, sedendosi al suo fianco “Che succede?”
   “Niente… stavo solo pensando.”
   “Quindi devo preoccuparmi.” ribatté il mago scherzosamente “Non ti ho mai visto pensare per più di qualche secondo.”
   Artù gli diede una spinta giocosa, poi però tornò serio.
   “Non so. Riflettevo su Odin.”
   “È stato sconfitto e sa che non gli conviene sfidarci di nuovo.”
   “Però ci riproverà.” constatò Artù sicuro “Non si arrenderà così facilmente.”
   “In quel caso ci troverà ancora qui, pronti a combattere. Giusto?”
   “Giusto. Però, non è solo questo…”
   “Allora cosa c’è? Sputa il rospo.”
   “Camelot.” rispose Artù “Tremo al pensiero di aver lasciato il regno in balia di uomini crudeli e vendicativi come Odin.”
   “Cosa vuoi dire? Che hai dei dubbi sulla scelta che hai fatto?> chiese Merlino accigliato.
   “Sì. Dopo averci pensato un po’, non sono più sicuro di aver preso la decisione giusta. Camelot merita di meglio.”
   Il mago gli poggiò una mano sulla spalla.
   “Sono d’accordo. Magari è ora di cambiare le cose. Forse è tempo che tu… anzi, che voi… diventiate re.”
   Artù si voltò verso di lui e lo fissò negli occhi per un attimo, poi tornò a guardare avanti.
   “Credo di sì.” disse annuendo “È giunto il momento di crescere e di assumersi le proprie responsabilità. Del resto, non si può scappare in eterno. Anche se è bello pensarlo, non si può rimanere fanciulli per sempre.”
   Merlino sospirò confortato. Stavolta, per giungere al lieto fine non era servito che agisse in prima persona. Come succedeva anche nella realtà, Artù era riuscito ad arrivare da solo alla giusta soluzione. Lui aveva dovuto soltanto supportarlo fino alla fine.
   “Sono fiero di voi.” affermò convinto.
   L’altro fece un mezzo sorriso.
   ““Re Arù” suona bene, non trovi?”
   “Sì.” confermò Merlino ridacchiando “Sicuramente è meglio di “Arthur Pan”.”
   Artù rise anche lui per un attimo, poi tornò serio.
   “Di te che mi dici? Continuerai a rimanere al mio fianco?”
   “Certo, come sempre.”
   “Bene!” esclamò Artù, alzandosi “Perché, che io sia “Re Artù” o “Arthur Pan”, ricorda che avrò sempre bisogno del mio “campanellino”.”
   Merlino fece una smorfia divertita per quel soprannome buffo.
   “Credo proprio di avere voglia di una bevuta. Vieni con me?”
   “Tra un attimo. Voi intanto andate.”
   Artù annuì e si incamminò verso gli altri. Nel frattempo, il mago si guardò intorno.
   “Vieni fuori.”
   A seguito di quelle parole, però, non accadde nulla.
   “Andiamo, esci allo scoperto! So che sei qui. Sento la tua magia.”
   A quel punto, Grimm apparve all’improvviso a pochi passi da lui.
   “Accidenti!” esclamò sorpreso mentre mangiucchiava rumorosamente qualcosa con la bocca piena “Non credevo che fossimo così intimi da riconoscerci in questo modo!”
   Merlino lo fissò rabbuiato e scocciato. Ne aveva abbastanza di quello spirito e delle sue battute.
   “Cosa c’è?” domandò Grimm, porgendogli il cesto che aveva in mano “Vuoi un po’ di marzapane anche tu? L’ho preso da un’altra fiaba. Dovresti vederla! Lì, c’è una casa fatta completamente di dolci! Se vuoi ti ci porto.”
   “No.” rispose secco il mago “Voglio solo tornare a casa.”
   “Uffa!” sbuffò lo spirito “Sei proprio noioso! Piuttosto, spiegami perché non glielo hai detto.”
   “Di cosa stai parlando?”
   “Ma di Artù, ovviamente.” replicò Grimm, facendo sparire la cesta e sedendosi di fianco “Perché non gli hai detto che sei un mago? Qui anche lui usa la magia e ti avrebbe accettato di sicuro!”
   Merlino si alzò di scatto e si spostò di alcuni passi. Lo spirito gli era andato così vicino che poteva sentire perfino il suo alito.
   “Perché qui Artù è sotto l’influenza del sortilegio. Dirglielo in questo modo non sarebbe stato giusto nei suoi confronti, così come non lo sarebbe stato nei miei.”
   “Ah! Sei proprio strano, Emrys. Ma, del resto, è per questo che mi piaci così tanto!”
   Di colpo Merlino gli si parò davanti.
   “Adesso basta! Fa’ tornare tutto come prima! Sono stufo di giocare!”
   “Ma insomma!” sbottò Grimm deluso “Non riesci a fartela una risata ogni tanto?! Divertiti invece di pensare a “far tornare tutto come prima”!” concluse, scimmiottando l’ultima parte della frase.
   “No! Io non sono come te! Non mi diverto a giocare al tuo stupido gioco!”
  Lo spirito si accigliò improvvisamente, come offeso da quelle parole.
  “Ah, sì?! Allora, se non hai voglia di sorridere, vorrà dire che piangerai!”
   Così dicendo, schioccò le dita ed il buio invase per l’ennesima volta la vista di Merlino.




Grazie a tutti per aver letto fin qui. Un ringraziamento speciale anche a chi mi ha recensito e ha dedicato del tempo alla storia. Buon Natale e buone feste!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** ... Lancillocchio ***


… Lancillocchio

 
   Merlino si ridestò dal tavolo e si guardò intorno con frenesia, voltando gli occhi a sinistra e a destra.
   “Tutto bene, Merlino?”
   Di fronte a lui, seduta dall’altra parte del piccolo tavolo c’era sua madre, Hunith. Entrambi si trovavano nella loro casa a Ealdor.
   “Allora? C’è qualcosa che non va?”
   “N-no, madre.” rispose Merlino con aria spaesata “Credo di essermi distratto un attimo.”
   “Non mi sorprende.” disse la donna, riempendo due bicchieri con dell’acqua “Ultimamente stai lavorando troppo. Specialmente dopo quello che è successo…”
   Merlino annuì, accorgendosi solo in quel momento di avere davanti a sé una zuppa di verdure. Sentendo i morsi della fame, prese il cucchiaio poggiato nel piatto e lo portò alla bocca.
   Era successo di nuovo: Grimm, lo spirito del libro, lo aveva condotto in un’altra fiaba. Stavolta, però, era finito nel suo villaggio natale. Per un istante pensò a quanto fosse strano, dato che Ealdor non si trovava nel regno di Camelot. In teoria non avrebbe dovuto nemmeno essere vittima del sortilegio, ma, per quello che ne sapeva, l’incantesimo forse aveva colpito anche altre zone limitrofe. Ciononostante, era molto contento di rivedere sua madre, a cui non faceva visita da un po’. Il punto era che non ne poteva più di tutta quella situazione. Era stanco di dover portare il lieto fine a qualcuno, per poi doversi ripetere ancora… e ancora… e ancora. Doveva trovare una soluzione a quel problema. E in fretta, per giunta.
   Toc-Toc-Toc.
   Qualcuno bussò. Hunith fece per alzarsi, ma Merlino la precedette sul tempo.
   “Non preoccupatevi. Ci penso io.”
   Nell’aprire la porta, tuttavia, rimase impietrito.
   “Salve.” salutò un uomo dai capelli scuri “Non vorrei disturbare, ma sto cercando un ragazzo che abita da queste parti. Il suo nome è Merlino. Sapete dirmi dove posso trovarlo?”
   Hunith si avvicinò all’entrata e lo squadrò da capo a piedi.
   “Chi lo sta cercando?”
   “Chiedo scusa per non essermi presentato. Il mio nome è Lancillotto. Sono venuto a conoscenza dei fatti accaduti l’altra notte e avrei piacere di scambiare con lui qualche parola. Potete aiutarmi, per favore?”
   “Sono io la persona che cerchi.” rivelò Merlino.
   “Oh, bene.” disse Lancillotto con sorpresa “Quindi, mi concedete di entrare?”
   Hunith fece cenno di accomodarsi. Così, mentre gli altri due si sedevano, lei andò fuori con la scusa di controllare il bestiame, lasciandoli da soli.
   “Intanto, grazie per non avermi sbattuto la porta in faccia.” continuò Lancillotto con un mezzo sorriso “Non sareste stati i primi a farlo da quando sono arrivato qui, a Ealdor.”
   “Non c’è di che.” ribatté Merlino con un’espressione contenta. Erano anni che non vedeva il suo amico. Nonostante in quella storia fossero degli estranei, era bello poter parlare con lui anche solo per qualche minuto. Inoltre, non riusciva ancora a togliersi dalla mente il triste epilogo a cui era andato incontro nella realtà. “Allora, cosa vuoi sapere?”
   “Vorrei che mi parlassi di quello che è accaduto quattro notti fa.”
   A quel punto a Merlino prese il panico: cosa era successo quattro notti prima? Anche se viaggiava tra una fiaba e l’altra, non aveva ricordi di quel mondo precedenti alla sua “comparsa”. Quindi, non aveva la minima idea di cosa dire.
   “Non ne ha memoria.” rispose Hunith, appena rincasata. Nonostante i buoni propositi, evidentemente non era riuscita a lasciare il figlio da solo con quel forestiero.
   “Capisco.” commentò Lancillotto con una smorfia “È un vero peccato. Certo, comprendo che deve essere stato un terribile trauma, però speravo di ottenere almeno qualche risposta.”
   “Mi dispiace.” si scusò Merlino.
   “Non importa.” disse l’uomo, voltandosi verso Hunith “Voi, invece? Avete notato qualcosa quella notte?”
   La donna scosse la testa.
   “No, niente di diverso dal solito. Quella sera ero in casa a preparare la cena. Merlino, invece, era andato con Will ad aiutare un nostro vicino, Matthew, a far partorire una mucca. Sapevo che avrebbe tardato, ma… di certo non mi aspettavo quello che poi è successo…”
   Hunith si portò una mano alla bocca con le lacrime agli occhi. Merlino tentò di confortarla, accarezzandole la schiena. Ovviamente non sapeva perché fosse sconvolta, ma non gli piaceva vederla in quello stato. “Cosa diamine è successo quella notte?” pensò.
   “Vi chiedo scusa per avervi rattristata. Non dovete dire altro se non ve la sentite.”
   “Perché siete venuto qui?” chiese Hunith, guardandolo tutto ad un tratto con diffidenza.
   Lancillotto si prese una lunga pausa prima di rispondere.
   “Sono un cacciatore di taglie. Il caso che si è verificato qui l’altra notte non è isolato. Il responsabile è quasi certamente un nemico del regno di Camelot e del suo re, Artù Pendragon. Sono molti anni che gli do la caccia e ho giurato che avrei posto fine ai suoi crimini, anche se finora invano, purtroppo.”
   “Quindi, volevi parlare con me per avere la certezza che il criminale che stavi inseguendo fosse lo stesso che si è avventurato qui, a Ealdor?”
   “Esatto, Merlino, è proprio così. Quando mi è giunta voce che l’altro ragazzo, Will, era stato assassinato e che alcuni viandanti avevano notato un losco figuro col cappuccio nero lasciare il villaggio, non ho potuto evitare di venire qui a cercare qualsiasi indizio che mi conducesse a lui.”
   A Merlino mancò per un attimo il fiato. Will, il suo amico Will, era morto. Anche fuori dal sortilegio, molti anni prima, era andato incontro allo stesso terribile destino; nonostante questo, gli faceva male ugualmente constatare che lì non era cambiato niente.
   “Merlino e Will stavano tornando da casa di Matthew quando, all’improvviso, sono stati aggrediti da quell’uomo.” raccontò Hunith con voce provata, ma anche titubante “Mio figlio si è salvato solo perché…”
   “Perché?”
   “… perché alcuni paesani hanno sentito le urla del povero Will nella notte e sono accorsi in aiuto.” concluse la donna contrariata e sbrigativa “Ora, se volete scusarci, dovremmo finire di cenare. Non credo che abbiamo altro da aggiungere che possa aiutarvi.”
   Lancillotto annuì con una smorfia intristita, poi fece per alzarsi.
   “Ma certo. Vi ringrazio per la vostra disponibilità. Ora, è tempo che mi rimetta in cammino.”
   Quando però era sul punto di prendere l’uscita, Merlino lo fermò.
   “Aspetta!” esclamò concitato “Madre, vi prego lasciatemi un momento da solo con lui.”
   Hunith lo guardò apprensiva.
   “Non mi sembra il caso, Merlino…”
   “Non temete, madre. So quel che faccio. Abbiate fiducia in me.”
    La donna sembrò sul punto di controbattere, poi però annuì.
   “Va bene. Come vuoi.” disse, andando in un’altra stanza.
   “Perché mi hai fermato?” chiese Lancillotto confuso “Ti sei ricordato qualcosa e non vuoi far preoccupare tua madre?”
   “No. In realtà, volevo sapere una cosa da te.”
   “Che cosa?”
   “Dimmi la verità. C’era qualcos’altro che stavi per chiedermi prima, non è vero?”
   Lancillotto lo fissò accigliato.
   “Sì. Ma, alla fine, non me la sono sentita. Tua madre era molto agitata…”
   “Adesso siamo soli, però. Coraggio, chiedimelo ora.”
   “…Va bene. L’uomo che sto inseguendo è un criminale molto pericoloso, un fuorilegge senza alcuno scrupolo. Viene chiamato in vari modi, anche se il più comune è “Monstro”, tanto è brutta la sua fama. Come ti ho già detto, sono molti anni che lo cerco per portarlo davanti alla giustizia. In un tutto questo tempo, neanche una volta è accaduto che qualcuno sia sopravvissuto ad un suo attacco. Mai. Eppure, non so in che modo, ma tu ce l’hai fatta.”
   Merlino annuì.
   “Così sembra. E allora?”
   “Allora, voglio il tuo aiuto.” disse Lancillotto sicuro di sé “Non capisco perché tu sia diverso dagli altri, ma ti garantisco che c’è un motivo se tu sei riuscito a sopravvivere e loro no. Quello che voglio chiederti è di aiutarmi a trovarlo. Non so ancora come, ma non ho alcun dubbio che insieme possiamo farcela. Che ne dici?”
   Merlino tentennò un attimo. Sapeva che la scelta che stava per fare era quella che Grimm si aspettava da lui, ma non era questo l’importante. Non lo faceva di certo per lui. Lo faceva perché non poteva dire di no al suo amico e, soprattutto, perché in ogni mondo possibile non avrebbe mai voltato le spalle a qualcuno che avesse avuto bisogno del suo aiuto. Quindi, allungo la mano e la strinse a quella di Lancillotto.
   “Va bene. Ci sto.”
 
***
 
   “Ecco a voi.”
   Una donna posò due boccali sul tavolo a cui erano seduti Merlino e Lancillotto.
   “Pensi che si farà vedere? È in ritardo.”
   “Contaci. Lo conosco abbastanza da sapere che non perderà l’occasione di guadagnare qualche soldo in più così facilmente.”
   Dopo aver spiegato la situazione ad Hunith ed averla convinta che era molto importante per lui aiutare Lancillotto, Merlino era partito con l’uomo alla volta di Camelot. Durante il viaggio, però, avevano fatto una breve sosta in una taverna locale.
   “Eccolo.”
   Un tipo dall’aria trasandata si avvicinò al tavolo, sedendosi di fronte a Lancillotto.
   “Bene, bene, bene! Lancillotto! È da molto che non ti si vede in giro! Non dopo che Lucignolo…” esordì, facendo una pausa mentre distoglieva lo sguardo “Beh, comunque, ho sentito che mi cercavi.”
   “Sì, Kendrick. Mi è giunta voce che hai un’informazione di cui ho bisogno.”
   “E sarebbe?”
   Lancillotto gli lanciò davanti un sacchetto. A giudicare dal tintinnio che fece una volta caduto sul tavolo, al suo interno dovevano esserci parecchie monete.
   “Si dice in giro che sai dove si trova Monstro. È così?”
   Kendrick sgranò gli occhi per un lungo istante, poi fece per andarsene, ma Lancillotto lo bloccò subito, prendendolo per un braccio.
   “Stai seduto.”
   “Tu sei fuori di testa se credi che dirò qualcosa! Non voglio morire così giovane!”
   “Credo che tu non abbia capito il punto, Kendirck.” disse Lancillotto, mettendo sul tavolo anche un pugnale “O prendi il denaro e mi dici quello che sai, oppure puoi alzarti ed andare via, ma con questo conficcato nella schiena. Decidi tu.”
   Kendrick si asciugò la fronte sudata con la manica.
   “Se te lo dico, morirò in ogni caso!”
   “Come vuoi…” ribatté Lancillotto, allungando la mano verso il pugnale.
   “Aspetta!”
   Il cacciatore ritrasse il braccio.
   “Però, tu da me non hai saputo niente. Siamo intesi?”
   Lancillotto annuì. Kendrick, invece, si bagnò le labbra con la lingua e si guardò intorno per accertarsi di non essere ascoltato da nessun altro.
   “Io non l’ho mai incontrato di persona e non posso dirti molto su di lui, ma ho sentito che da un po’ di tempo lavora per qualcuno che io e te conosciamo bene.”
   “Chi?”
   “Hengist…” rispose l’uomo impaurito “Si dice che lui sappia chi sia in realtà e che abbiano degli affari molto grossi in sospeso. Ma non so altro, te lo assicuro.”
   Lancillotto lo fissò come interdetto per qualche secondo, poi ripose il pugnale nel fodero.
   “Vai! Ma se scopro che mi hai mentito… ti verrò a cercare di nuovo. In quel caso, però, non sarò così collaborativo.”
   Kendrick annuì frettolosamente e corse via, inciampando anche con la sedia su cui era seduto.
   “Quell’uomo aveva paura di te.” constatò Merlino, dopo un po’ che non aveva aperto bocca.
   “Sì. Il cacciatore di taglie è un lavoro difficile e pericoloso. Persone come lui non sanno cosa sia il rispetto, quindi per evitare ritorsioni devi infondergli paura. Non c’è altro modo per tenerli al loro posto.”
   Il giovane mago annuì pensieroso. L’uomo che aveva di fronte era molto simile al Lancillotto che conosceva, però alcuni tratti della sua personalità sembravano più duri. Del resto, in quella realtà non era mai diventato un cavaliere di Artù. Al contrario, sembrava aver vissuto una vita ben più difficile.
   “Chi è Lucignolo?”
   “Nessuno.” rispose secco Lancillotto “Solo un tizio con cui un tempo lavoravo.”
   “Se lo dici tu. Comunque, ci tieni molto a trovare questo Monstro. Non è così?”
   “Sì. E non mi fermerò finché non l’avrò stanato. Deve pagare per tutti i suoi crimini efferati, compreso l’assassinio del tuo amico Will.”
   “Già.” convenne Merlino “Ma credo che ci sia un altro motivo per cui ne sei così ossessionato. Qualcosa di personale…”
   Lancillotto si alzò di scatto dalla sedia.
   “Basta perdere tempo. Adesso che conosciamo la nostra prossima meta, propongo di muoverci.”
   Merlino lo seguì fuori dalla taverna con passo svelto.
   “Andiamo da questo Hengist, quindi?”
   “Sì. È un osso duro, ma io so come prenderlo, non temere. Se sa qualcosa, lo scopriremo.”
 
***
 
   Dopo un tanto lungo quanto silenzioso viaggio fino ai confini tra Camelot e Mercia, Merlino e Lancillotto si fermarono nei pressi di un imponente castello. Tuttavia, anziché incamminarsi subito verso il grosso portone malmesso all’entrata, i due si nascosero per bene in una piccola zona verdeggiante al limitare della fortezza.
   “Perché siamo venuti qui?” chiese il mago, smontando da cavallo.
   “Perché ho un piano.” rispose il cacciatore, imitandolo.
   “Sicuro che sai quello fai?” domandò ancora Merlino, passando all’altro la borraccia appena presa dalla sacca che aveva in spalla.
   “Non ti preoccupare.” lo rassicurò Lancillotto dopo aver bevuto avidamente ed essersi dissetato a sufficienza “Conosco bene Hengist. È tutt’altro che un brav’uomo, ma non dovremmo avere problemi se riuscirò a parlare con lui faccia a faccia.”
   Merlino si accigliò.
   ““Dovremmo” hai detto?”
   “Lascia fare a me.” disse Lancillotto sbrigativo, cercando di chiudere la questione.
   “Almeno dimmi cos’hai in mente! Non sono venuto con te solo per portarti l’acqua!”
   Il cacciatore lo fissò per un breve attimo, poi annuì.
   “Hai ragione, scusa. È che sono abituato a stare da solo. Comunque, se proprio vuoi saperlo, attendiamo che arrivi l’ora di pranzo.”
   “L’ora di pranzo?”
   “Sì. Ad Hengist non piace avere i suoi uomini intorno mentre mangia, così li manda via, tenendone solo qualcuno di vedetta. Noi entreremo nel castello esattamente in quel momento.”
   “Aspetta.” intervenne Merlino confuso “Hai detto “entreremo”, ma volevi dire “ci intrufoleremo”, giusto?”
   Lancillotto gli sorrise in risposta.
   “Non preoccuparti. Ti ho già detto che so come prendere quel balordo. Devi solo fidarti di me. Intesi?”
   Il mago lo guardò poco convinto, poi però sbuffò un sì forzato. Il piano che l’amico aveva in mente non gli piaceva per niente.
 
***

   Quando il sole fu nel punto più alto del cielo, Lancillotto e Merlino si avviarono con decisione verso l’entrata del castello. Ovviamente, essendosi palesati in quel modo, non poterono passare che pochi attimi prima di essere avvistati da due guardie, che andarono loro incontro con le spade sguainate.
   “Fermi lì!”
   “Calma.” ribatté Lancillotto, portando la mano destra sul fianco, proprio dove poggiava il fodero dell’arma “Siamo qui per parlare con Hengist.”
   Uno dei due uomini sgranò bene gli occhi, quasi incredulo.
   “Lancillotto! Cosa ci fai qui?!”
   “Come ti ho già detto, devo parlare col vostro capo.”
   “Lui non vuole vederti! E credimi quando ti dico che non lo vuoi neanche tu.”
   Lancillotto estrasse d’improvviso la spada e lo colpì con un attacco fulmineo, disarmandolo. L’altro tirapiedi, rimasto in un primo momento interdetto, gli andò subito contro. Ma anche lui si ritrovò ben presto a terra e inerme di fronte al cacciatore.
   “Cercherò di essere più chiaro! Se non volete farvi male sul serio, portatemi da Hengist… adesso!” esclamò Lancillotto adirato, ma deciso.
   Le due guardie, intimorite, annuirono velocemente e gli fecero strada. Merlino si accodò al gruppo, affiancando l’amico mentre varcava l’entrata del castello. Fin da subito avvertì una specie di brivido lungo la schiena. “È stato troppo facile!” pensò allarmato, mentre percorreva un lungo corridoio dal pavimento in pietra, pieno di pagliericcio tanto sporco quanto fetido. Sebbene si volesse definire “castello” un posto come quello, non poteva minimamente essere paragonato alla fortezza che vantava Camelot.
   “Ci siamo.” annunciò all’improvviso uno dei due uomini, prima di oltrepassare un grosso portone con un’anta mancante che conduceva ad una grande sala illuminata.
   “Capo, hai visite.”
   Un uomo di mezza età era seduto davanti ad una tavola imbandita con i cibi più disparati. A quelle parole, alzò la testa dal piatto, fissando con sconcerto le persone che aveva davanti.
   “Che mi venga un colpo!” esclamò con la bocca piena “Come sei entrato?”
   “Bentrovato, Hengist!” lo salutò Lancillotto con ironia, facendosi avanti “Nonostante sia passato del tempo dall’ultima volta che ci siamo visti, posso constatare che non hai cambiato abitudini. Non ti piace proprio mangiare in compagnia! Solo due guardie all’entrata ed altre due dentro. Un po’ poco per un tipo pieno di nemici come te.”
   In quel preciso istante, gli unici due uomini armati, posti ai lati della stanza, gli si fiondarono addosso. Lui, però, li mise fuorigioco in un baleno, senza neanche estrarre la spada.
   “Brutto farabutto! Cosa ci fai qui?!”
   “Ho bisogno di un’informazione. Non preoccuparti, non ci vorrà molto.”
   “Che genere di informazione?” domandò Hengist, afferrando una coscia di pollo dal piatto e dandogli un grosso morso. Malgrado il trambusto che si era creato, l’uomo era rimasto composto a mangiare, suscitando una brutta sensazione in Merlino, che nel frattempo si limitava ad osservare la scena in disparte.
   “Mi è giunta voce che Monstro lavora per te. È la verità?”
   L’uomo bevve un lungo sorso dal calice, poi emise un rutto roboante.
   “E se anche fosse?”
   “Voglio che tu mi dica dove si trova, in nome dei vecchi tempi.” rispose Lancillotto, puntandogli d’improvviso la sua spada alla gola.
   In quel momento, però, una decina di tirapiedi di Hengist fecero il loro ingresso e lo accerchiarono. Furono talmente rapidi che Lancillotto si ritrovò sbigottito ad osservarli senza avere il minimo tempo di reazione.
   “Come vedi, ti sbagli! Sono cambiate molte cose da quando te ne sei andato. Ora, toglimi di dosso quella ferraglia o dovrai vedertela con i miei uomini!”
   “Maledizione!” esclamò furibondo il cacciatore mentre si trovava costretto ad abbassare l’arma.
   “Portate il traditore ed il suo amico nelle segrete.”
   “Non è finita qui, Hengist!” urlò Lancillotto mentre veniva afferrato e portato via “Te la farò pagare cara! Allora sì che parlerai!”
   L’uomo gli lanciò contro la coscia mangiucchiata, colpendolo sul petto.
   “Taci, traditore che non sei altro! Preferirei mangiare del fuoco piuttosto che darti quello che vuoi! A pagare non sarai altro che tu!”
   Come Lancillotto, anche Merlino venne catturato e trascinato via dagli uomini di Hengist. Nonostante la situazione, convenne che fosse più saggio non utilizzare i suoi poteri magici. La vicenda era tutt’altro che chiara e non voleva complicarla ulteriormente prima di averci visto giusto.
   “Ti caccerò la verità dalla bocca, Hengist! Che tu lo voglia o no!”
   “Non ti affaticare inutilmente. Piuttosto, è meglio se risparmi le energie. Perché stasera tu ed il tuo amichetto ci intratterrete a dovere… in nome dei vecchi tempi. La gabbia vi aspetta!”
   Lancillotto, a quel punto, abbassò la testa sconsolato. Il suo piano di cogliere Hengist di sorpresa e di fargli rivelare tutte le informazioni in suo possesso su Monstro era miseramente fallito.
   “Per fortuna sapevi come prenderlo…” commentò Merlino, facendo una smorfia.
 
***
 
   La porta della cella si chiuse con un tonfo, generando un forte rumore stridulo che riecheggiò nel piccolo spazio in cui Lancillotto e Merlino erano stati rinchiusi. Mentre il primo dei due prese subito posto in silenzio sopra una specie di branda putrida e lercia, l’altro si sedette a terra in un angolo. Il suo sguardo percorse da lato a lato la stanza fino a soffermarsi alla sua sinistra, dove riposava un altro prigioniero in una sorta di giaciglio improvvisato. Un manto lo copriva da capo a piedi ma poteva osservare come questo si alzasse e abbassasse a ritmo del suo respiro.
   “Scusa… ho combinato un disastro.”
   Lancillotto lo fissò con un’espressione straziata. Era conscio che l’eccessiva sicurezza che aveva avuto li aveva fatti finire in quella prigione, con la loro vita che adesso era appesa ad un filo.
   “Non fa niente. Ci inventeremo qualcosa.”
   “E cosa?” chiese il cacciatore “Siamo in trappola!”
   Merlino scosse il capo, senza rispondere. Non lo sapeva. Non poteva saperlo, d’altronde. L’unica certezza che aveva in merito a quella fiaba era che sembrava completamente diversa dalle altre in cui era stato “mandato” finora dallo spirito del libro. In un primo momento si era anche convinto che il lieto fine di quella storia fosse trovare “Monstro”, il criminale ricercato e colpevole di innumerevoli morti, tra cui quella di Will. Ma, in quel preciso istante, non ne era più sicuro. La vicenda lo aveva portato in viaggio con Lancillotto alla sua ricerca, ma la situazione si era fatta molto brutta.
   “Come mai quel tipo c’è l’ha con te?” domandò d’un tratto Merlino.
   “Un tempo lavoravo per lui. Io non avevo di che vivere e lui pagava bene, perciò all’epoca mi sembrò l’unica scelta possibile. Riuscivo a vedere solo i vantaggi che quella vita poteva offrirmi. Ricordo che avevo l’impressione di vivere in un villaggio pieno zeppo di balocchi, per dirla tutta.”
   “Poi cosa accadde?”
   “Un giorno, io ed il mio amico Lucignolo…”
   “Lo stesso che ha menzionato quell’uomo alla taverna?”
   “Sì, lui. Insomma, ci conoscevamo da poco tempo, ma diventammo subito grandi amici. Lavoravamo tutti e due per Hengist, questo almeno finché un giorno non fummo assegnati come diversivo per rubare un carico di merci piuttosto pregiate, destinato direttamente al re di Nemeth.”
   “Perché? Che successe?”
   Lancillotto batté un pugno sulla panca.
   “Il carro era ben sorvegliato, così ci ritrovammo attaccati da oltre una dozzina di uomini armati. Io ebbi salva la vita, ma Lucignolo non fu altrettanto fortunato…”
   Merlino abbassò la testa sconfortato.
   “Mi dispiace.”
   “Hengist ci mandò a morire, pur di intercettare quel carico. Ma non potevo certo prendermela con lui per essere un brigante. Quello lo sapevo anche prima. L’unica cosa che capii è che noi, i suoi tirapiedi, non eravamo dei privilegiati, bensì degli asini al suo servizio. Così, decisi che era meglio stare per conto mio piuttosto che con dei farabutti come lui. Fu in quel preciso momento che incominciai la mia vita come cacciatore di taglie.”
   “E fu così che iniziasti a metterti sulle tracce di Monstro, dico bene?”
   “…Sì. Più o meno.”
   “Ma perché vuoi catturarlo ad ogni costo?” domandò Merlino accigliato.
   “Perché… voglio che paghi per i suoi crimini…” rispose Lancillotto, tentennando.
   Il mago fece una smorfia.
   “Io intendo il “vero” motivo per cui gli dai la caccia. Non può essere che tu ne sia così ossessionato senza che ci sia altro oltre a questo.”
   “…È… complicato…”
   “Beh, abbiamo tempo, mi sembra.” ribatté Merlino, allargando le braccia ed indicando le quattro pareti anguste.
   Lancillotto abbassò gli occhi e serrò il pugno.
   “Ho fatto un errore, tempo fa… Un errore che ha permesso a Monstro di vagare libero per queste terre.”
   “Che genere di errore?”
   “Uno molto grave…” “Credimi… è meglio se non sai altro…”
   L’uomo si mise le mani tra i capelli, sconvolto.
   “E quindi, adesso, che fai? Ti disperi?” chiese Merlino con severità.
   “Non capisci! È mia la colpa delle sue terribili azioni! Finché non riuscirò a fermarlo non potrò sentirmi in pace con me stesso!”
   “Allora pensiamo a come uscire da qui, prima che sia troppo tardi.” propose il mago, alzandosi “Non siamo ancora morti, quindi abbiamo una speranza. Non arrendiamoci senza averci nemmeno provato. Ci sarà un modo per evadere da questo posto, no?”
   Lancillotto sorrise amaramente.
   “Non credo proprio. Hengist è un balordo, ma ha dei… metodi piuttosto efficaci per imprigionare, torturare e alla fine uccidere le sue vittime. Ha detto che stasera dovremo combattere nella gabbia e non c’è modo di salvarsi da quello che c’è là dentro. Fidati, è impossibile.”
   “Povero idiota!”
   Di fianco ai due, l’altro prigioniero scostò la coperta e si mise a sedere.
   “È incredibile come ci si possa convincere di una cosa a tal punto da farla sembrare vera!” esclamò l’uomo con un ghigno beffardo sul volto. Un volto, tra l’altro, che Merlino conosceva abbastanza bene.
   “Che vuoi dire?” chiese Lancillotto sorpreso da quell’entrata in scena.
   “Che sbagli se credi di non poter scappare.”
   “Tu conosci un modo?” domandò Merlino, curioso.
   L’uomo si mise in piedi e andò a controllare se fuori dalla cella ci fosse qualche guardia in ascolto. Poi, si rivolse agli altri due.
   “Sì, ma ho bisogno di qualcuno che mi aiuti a metterlo in atto. Qualcuno come voi due, per esempio.”
   “Non sappiamo neanche chi sei e perché sei qui.” commentò Lancillotto diffidente “Non vedo il motivo per cui dovremmo fidarci di te.”
   “Chi io sia non vi serve saperlo e non vi riguarda. Sono qui, invece, solo perché ad Hengist piace fare debiti e poi non pagarli. Preferisce rinchiudere il suo creditore piuttosto che dargli quello che gli spetta.”
   “Un momento!” esclamò il cacciatore “Io ti ho già visto in passato. Tu sei Tristano, il contrabbandiere da cui si rifornisce Hengist, dico bene?”
   “Oh, ti sei ricordato di me! Mi esulta il cuore dalla gioia!” ribatté l’uomo sarcastico “Non credevo che fossi un sentimentale! Del resto, da come piagnucolavi poco fa non deve essere rimasto molto del grande cacciatore di taglie di cui si parla in giro.”
   “Piantatela di punzecchiarvi!” intervenne Merlino sbrigativo “Allora, è vero che sai come possiamo andarcene da qui?”
   L’uomo sbatté le braccia, spazientito.
   “Hai una voce acuta e fastidiosa come quella di un grillo parlante, ma almeno sei intraprendente. Questo te lo riconosco, ragazzo. Come ti ho già detto, sì, conosco un modo. Ma devo capire se volete darmi una mano a metterlo in pratica. Quindi, rispondetemi: ci state o no?”
   Lancillotto incrociò lo sguardo di Merlino, che annuì convinto. Poi, si voltò verso l’altro prigioniero.
   “D’accordo, dicci il piano.”
 
***
 
   Merlino, Lancillotto e Tristano vennero prelevati dalla loro cella poco prima che facesse buio ed accompagnati in un’ampia sala, dove Hengist e molti altri uomini avevano preso posto, seduti di fronte ad un lungo tavolo. Un angolo della stanza, però, era completamente sbarrato da dei pioli di metallo messi insieme a formare una prigione.
   “Dentro!” esclamò la guardia che li spintonava oltre l’unica porta che fungeva d’accesso “Non fate storie!”
   “Hengist, non credevo che saresti sceso così in basso!”
   L’uomo si alzò dal tavolo ed andò vicino alle sbarre.
   “Questa è la fine che fanno i traditori. Me la godrò per bene, stanne certo! Ti pentirai di essertene andato!” disse poi, ritornando a sedere “Liberate il Wilddeoren!”
   Di colpo, una grata sul muro adiacente alla gabbia iniziò ad alzarsi, rivelando un passaggio nascosto simile ad un buco. Da lì, rimbombarono diversi rumori tutti insieme, uno dei quali risuonò come un verso agghiacciante e sgradevole.
   “Wilddeoren”. Merlino ebbe un brivido nel sentir pronunciare quella parola. Già in passato aveva affrontato una creatura come quella e non aveva affatto voglia di ripetere quell’esperienza.
   “Mettetevi in posizione!” sussurrò concitato Tristano a lui e a Lancillotto.
   Tutti e tre serrarono le dita sulle spade di legno dategli da uno dei tirapiedi di Hengist. Le armi erano alquanto leggere e piuttosto grezze, ma erano anche l’unico mezzo di difesa su cui potevano contare per contrastare l’essere che stava per sbucare da quel tunnel nel muro. Dopo pochi secondi, infatti, una specie di enorme topo, molto simile ad una talpa, oltrepassò di corsa il buco e si mostrò in tutta la sua stazza.
   “Acc…!”
   Merlino sembrò non riuscire a trattenere un sussultò ed un mezzo urlo che però Lancillotto bloccò, mettendogli una mano sulla bocca. Come ormai aveva imparato, suo malgrado, i Wilddeoren erano animali ciechi, ma avevano comunque un udito ed un olfatto incredibilmente sviluppati, motivo per cui ogni minimo rumore poteva risultare fatale.
   “Di qua!” gridò uno degli sgherri di Hengist, attirando l’attenzione del Wilddeoren verso i tre prigionieri e vanificando i loro sforzi di rimanere in silenzio. La bestia, difatti, si mosse verso di loro a grande velocità.
   “Ci penso io!” esclamò Lancillotto andandole incontro “Voi state indietro!”
   Il cacciatore fece così uno scatto repentino in avanti, colpendo con la spada un fianco della creatura. L’attacco sembrò non scalfirla minimamente, ma riuscì a sorprenderla a tal punto da farle cambiare bersaglio.
   “Ci hai detto che ti serviva che guadagnassimo del tempo perché da solo non ce la facevi a tenere a bada il Wilddeoren! Ma di quanto tempo stiamo parlando, di preciso?!” chiese Merlino impaziente, rivolto verso Tristano.
   “Te l’ho già spiegato!” ribatté l’uomo “Dovrebbero bastare alcuni minuti, abbastanza perché il piano possa compiersi.”
   Mentre i due discutevano, Lancillotto, nel frattempo, respingeva come poteva le zampate del Wilddeoren che si facevano man a mano sempre più insistenti. Dopo diversi tentativi andati quasi a segno, Merlino decise di buttarsi anche lui nella mischia e gli si parò davanti, menandogli un fendente sul dorso. La bestia, in tutta risposta, si girò di scatto e gli assestò un colpo di coda in pieno petto che lo scaraventò contro le sbarre di ferro. Ma, non soddisfatta del risultato, gli si fiondò ancora contro, con tutta l’intenzione di finirlo. A quel punto, il ragazzo, preso dal panico, stava per usare i suoi poteri per respingerla, quando Tristano lo precedette sul tempo, allontanando il Wilddeoren di lato.
   “Grazie.” disse Merlino, stupito da quell’intervento.
   “Lascia stare. Ho detto che saremmo usciti vivi da qui tutti e tre e sono un uomo di parola. Per il lavoro che faccio, la reputazione è tutto.”
   Intanto, sfruttando il momento di distrazione, Lancillotto si gettò con un salto sopra la creatura. Questa, però, iniziò a dimenarsi in maniera forsennata, impedendo al cacciatore di provare anche solo a sferrare un attacco.
   “Blinnath ammittan!” sussurrò Merlino, senza che né Tristano e Lancillotto né nessun altro “spettatore” nella stanza potesse riuscire a sentire.
   Il Wilddeoren perse l’equilibrio, fino a cadere a terra. Vani furono i tentativi di tirarsi su, con le zampe che continuavano ad inciampare su se stesse. A quel punto, però, Lancillotto ne approfittò ed assestò un fendente preciso sul naso della bestia, che sbraitò a più non posso per il dolore. In quel preciso istante, accadde anche qualcos’altro di inaspettato: una specie di luce abbagliante illuminò l’intera stanza, con gran stupore dei presenti, Hengist compreso.
   “Che accidenti succede?!”
   D’improvviso, delle fiamme si fecero strada lungo la sala, facendo presa sul pagliericcio nel terreno, che andò a fuoco. Le grida degli uomini in fuga coprirono i lamenti del Wilddeoren, mentre una donna si avvicinò con fare concitato alla porticina della gabbia.
   “Isotta! Finalmente!” esclamò Tristano, afferrandole una mano tra le sbarre.
   “Scusa il ritardo. Ci ho messo un po’ per prendere questa.”
   Così dicendo, inserì una grossa chiave arrugginita nella serratura, sbloccandola e liberando i tre prigionieri, che uscirono di corsa. Il Wilddeoren, ripresosi, li inseguì fino a scontrarsi con l’apertura troppo piccola affinché riuscisse a passarvi.
   “Per un pelo!” sbottò Merlino, asciugandosi la fronte.
   Intanto, Tristano prese tra le sue braccia Isotta e la strinse forte a sé.
   “Quanto mi sei mancata!” disse con preoccupazione.
   “Anche tu.” ribatté lei, accarezzandogli il viso “Sono contenta di vedere che sei sano e salvo.”
   “Ma certo che è così! Non capisco come Hengist possa aver anche solo pensato di fregarci! Noi siamo “Tristano e Isotta”: astuti come un gatto e furbi come una volpe! Nessuno può niente contro di noi!” affermò l’uomo, sorridendo.
   Nel frattempo, Lancillotto si andò a sincerare delle condizioni di Merlino.
   “Tutto bene?”
   “Sì. O almeno credo.”
   A quel punto, il cacciatore posò una mano sulla sua spalla.
   “Comunque, volevo ringraziarti. Senza di te non ce l’avrei fatta.”
   “Che dici? Non ho fatto niente, a parte essere spintonato qua e là da quella specie di topo troppo cresciuto.”
   “No.” insistette Lancillotto “Intendevo quando hai usato la magia per fermare il Wilddeoren. Stavo per essere disarcionato, ma poi l’hai fatto cadere.”
   Merlino scosse il capo con vigore.
   “No! Ti sbagli! Io non ho fatto niente del genere! Figurati se ho dei poteri magici!”
   “Merlino, non mentirmi. “Blinnath ammittan”. Ho sentito quando l’hai pronunciato.”
   Il mago lo fissò negli occhi, ricordando quando anche il “vero” Lancillotto lo aveva scoperto ad usare un incantesimo. Come allora, sembrava che non avesse cattivi pensieri riguardo alla sua magia. Così, non poté che emettere un piccolo sospiro di sollievo.
   “E… non hai paura… di me?”
   “No. Fidati, in passato ho conosciuto diversi stregoni malvagi e tu non gli somigli per niente.”
   Merlino annuì rincuorato, notando solo in quel momento che Tristano e Isotta erano già spariti nel tumulto che si era creato. Hengist, invece, sembrava intento a scappare verso l’uscita, spintonando i suoi uomini uno ad uno nel tentativo di riuscirci. Quando Lancillotto lo vide, gli andò subito incontro, colpendolo con un pugno.
   “Dimmi dov’è Monstro!” tuonò con veemenza, puntandogli alla gola la spada di legno.
   “Fermati! Non faresti del male a chi ti ha dato da vivere per così tanti anni, dico bene?”
   “Dici male! Tu volevi darmi in pasto a quella bestia, non vedo perché a questo punto dovrei farmi degli scrupoli! Adesso, rispondi! Dove si trova Monstro?”
   Hengist deglutì, paralizzato dal terrore. Poi, annuì.
   “Non so dove sia di preciso. Non lo dice mai a nessuno. Con quel suo cappuccio, non si fa mai vedere neanche in volto. Ma, l’ultima volta che ci ho parlato, giorni fa, mi ha detto che era a caccia di Sidhe. Non so altro, lo giuro!”
   Lancillotto serrò la punta dell’arma ancora di più verso la gola dell’uomo, premendo al punto tale da fargli uscire qualche goccia di sangue.
   “Non ti credo! Dimmi dov’è!”
   Merlino lo prese per un braccio.
   “Aspetta. Forse so io dove si trova.”
   Il cacciatore lo guardò stupito.
   “Sei sicuro?”
   “Sì. C’è solo un posto, non lontano da qui, in cui si dice vivano gli Sidhe. Se vuoi andarci, conosco la strada.”
   Lancillotto diede un colpo d’elsa ad Hengist, scaraventandolo a terra.
   “Allora, cosa stiamo aspettando? Andiamo e facciamola finita una volta per tutte!”
 
***
 
   Con il castello di Hengist alle spalle, Merlino e Lancillotto si rimisero di nuovo in marcia, cavalcando senza sosta alla volta del regno di Camelot. La vicenda appena trascorsa li aveva scossi molto entrambi, ma, nonostante tutto, non sembrava averli fiaccati minimamente nello spirito. Difatti, neanche l’ennesimo cammino impervio riuscì a rallentare la loro avanzata che ormai li vedeva quasi giunti a destinazione.
   “Sei stato silenzioso per tutto il tragitto.” commentò Merlino preoccupato, mentre osservava con cautela il paesaggio boschivo che li circondava.
   “Questo perché devo prepararmi mentalmente allo scontro.” spiegò Lancillotto, fissando anche lui i dintorni con accortezza “Un buon cacciatore di taglie scova l’obiettivo e lo cattura, ma uno eccellente calcola ogni possibile complicazione e la neutralizza prima che questa si presenti.”
   Merlino annuì poco convinto. Secondo lui, il suo compagno di viaggio stava pensando a tutt’altro, ma non insistette oltre per non farlo agitare inutilmente.
   “Ci siamo.” annunciò poi, indicando davanti a sé.
   All’orizzonte comparve ben visibile ai due un grande e maestoso lago, illuminato parzialmente dalla flebile luce della luna: il Lago di Avalon, la casa degli Sidhe.
   “Bene.” disse Lancillotto, smontando da cavallo in tutta fretta e dirigendosi a passo felpato verso un grosso albero alla sua sinistra.
   Merlino lo seguì a ruota, scrutando nel frattempo l’area circostante. Dopo un breve sguardo, notò subito un individuo coperto con un mantello ed un piccolo cappuccio scuro afferrare con la mano destra una specie di luce azzurrina.
   “Eccolo!” esclamò il cacciatore con rabbia, intento ad andargli incontro.
   “Aspetta!” gli sussurrò Merlino di fianco “Prima di affrontarlo, calmati e riprendi il controllo delle tue emozioni. Se è pericoloso come dicono, non puoi commettere errori così sciocchi.”
   Lancillotto annuì, chiudendo gli occhi e facendo un lungo e profondo respiro. Poi, si fece avanti.
   “Ben arrivati.” li accolse prontamente Monstro mentre dava loro le spalle, facendo gesto al cacciatore di avvicinarsi “Cosa stai aspettando? Vieni più vicino.”
   “Come sapevi che ero qui?” chiese Lancillotto sorpreso.
   Una risata squarciò il silenzio della notte. La mano di Monstro si strinse a pugno, schiacciando la luce che teneva nel palmo.
   “Io so tutto di te.” disse, voltandosi verso l’altro uomo “So anche di quell’inutile mago che tenta di nascondersi alla mia vista.”
   A quel punto, anche Merlino decise di uscire allo scoperto, affiancando Lancillotto.
   “Non parlargli in questo modo! Lui è mio amico!” sbottò il cacciatore infuriato.
   “Non prenderti in giro. Tu non hai amici. Sei solo e sempre lo sarai. Del resto, io e te siamo uguali.”
   “No!” urlò Lancillotto “Io non sono come te!”
   “Ah, no?” domandò Monstro con ironia, avvicinandosi agli altri due. Quando fu a pochi passi da loro, abbassò il cappuccio che gli copriva il volto.
   Merlino trasalì.
   “Non può… essere…”
   Il viso del criminale che tanto avevano ricercato era identico a quello della persona che gli era di fianco.
   “Com’è possibile?” chiese il mago con assoluto stupore all’indirizzo di Lancillotto. Quest’ultimo, però, sembrò non avere la benché minima reazione “Tu lo sapevi già, non è così?”
   Il cacciatore annuì, abbassando la testa.
   “Sì. È dal principio che so come stanno le cose.”
   “Dal principio?”
   “Devi sapere, Merlino, che tempo fa, poco dopo aver lasciato Hengist e la sua banda ed essermi affermato come esperto cacciatore di taglie, commisi un terribile, terribile sbaglio. In un lampo di vanità e superbia, decisi fosse ora di mettermi in gioco con una sfida degna della fama che avevo guadagnato. Così, scelsi come mio obiettivo di caccia il nemico più temibile e pericoloso di tutto il regno di Camelot: la strega Morgana.”
   “Quindi era a lei che ti riferivi l’altro giorno, quando mi hai detto di aver già incontrato in passato una persona malvagia con dei poteri magici.” constatò Merlino, pensieroso.
   “Sì. Anni fa la sfidai, andandola a stanare direttamente nel suo covo. Un incredibile atto di stoltezza che pagai molto caro. Lo scontro durò solo pochi secondi, dimostrando la mia totale incapacità dovuta alla eccessiva presunzione che avevo accumulato nel tempo.”
   Lancillotto serrò i pugni dalla rabbia, poi cercò pian piano di calmarsi.
   “La strega, però, con mio grande stupore, non mi uccise, bensì mi fece suo prigioniero.” continuò a spiegare con voce tremante “Per giorni rimasi incatenato in una stanza buia e angusta, finché lei non mi legò ad un cavallo e mi portò sulla riva di un lago molto simile a questo, le cui acque però erano nere come la pece.”
   “Il lago di Nemhain.” disse Merlino, iniziando ad intuire cosa fosse successo.
   Nel suo mondo, era già accaduto qualcosa del genere. Con l’unica differenza che Lancillotto era morto tempo prima e Morgana aveva riportato in vita una copia, la sua “ombra”, secondo gli scritti di Gaius.
   “Esatto. Lì, mi costrinse ad immergermi nell’acqua. Poi, nell’istante stesso in cui io ne uscii, qualcun altro con le mie identiche sembianze riemerse insieme a me.”
   A quel punto, Lancillotto smise di parlare e si voltò verso Monstro.
   “Te l’ho detto.” intervenne quest’ultimo “Io e te siamo uguali: io sono te e tu sei me.”
   Il cacciatore sbuffò irritato, estraendo la sua spada.
   “Questo, però, deve finire!” esclamò deciso, andandogli incontro.
   Monstro schivò l’affondo ed impugnò anche lui con rapidità la sua arma, preparandosi a rispondere a quell’offensiva.
   “Il tuo destino è di arrivare sempre un passo dietro di me.”
   Lancillotto lanciò un grido di battaglia a squarciagola ed attaccò a piena potenza il suo avversario. Questo deviò il colpo e contrattaccò con un fendente che a sua volta venne parato. Merlino, intanto, alzò il braccio, pronto a lanciare un incantesimo.
   “No!” lo fermò Lancillotto “Questa è la “mia” battaglia! Lascia fare a me!”
   Il mago indietreggiò di qualche passo, acconsentendo al volere dell’amico. Però, si ripromise di intervenire senza remore qualora ce ne fosse stato bisogno.
   “Perché ti ostini a combattermi, quando potresti unirti a me?” chiese l’ombra, colpendo la spada del cacciatore “Insieme nessuno potrebbe fermarci!”
   “Mai!” ribatté Lancillotto, lanciando un fendente che lo fece indietreggiare.
   “Quanto sei stolto! Perché credi che Morgana ti abbia risparmiato? Lei ha visto in te dell’oscurità latente, che non desiderava altro che uscire. È così, del resto, che sono nato io! Ed è così che diventerai tu, prima o poi!”
   “Maledetto!” urlò Lancillotto, menando un colpo dopo l’altro “Smettila di parlare e combatti!”
   L’ombra schivò tutti gli attacchi senza troppa difficoltà, poi aggirò il cacciatore e gli assestò un calcio alla schiena.
   “Ahhh!” gemette Lancillotto, piegandosi in due dal dolore.
   “Non puoi sottrarti alla tua natura! Il tuo vero io è malvagio ed io ne sono la prova!”
   “No! Io rimedierò al mio errore, eliminandoti una volta per tutte!”
   Lancillotto si risollevò in piedi di scatto e fece partire un affondo dritto verso l’avversario. Questo non fece in tempo a spostarsi, venendo così trapassato da parte a parte all’altezza dello stomaco.
   “Ce l’ho fatta…” sospirò il cacciatore con soddisfazione.
   La testa di Monstro, però, si piegò all’indietro, sbottando in una grossa risata di scherno.
   “Povero ingenuo! Sono stato creato dalla magia oscura, una semplice spada non può ferirmi!”
   Lancillotto ritrasse in fretta l’arma ed indietreggiò, sconvolto.
   “No…”
   “Sì, invece.” rimarcò l’ombra “Non esiste niente in grado di fermarmi!”
   “Staremo a vedere!” intervenne Merlino, facendosi avanti “Astrice!
   Un fascio di luce si abbatté impietoso sull’uomo in nero, scaraventandolo all’indietro e facendolo finire a terra.
   “Merlino!” esclamò Lancillotto infastidito “Ti avevo detto di lasciar fare a me!”
   “Lo so, ma non è più solo una tua responsabilità. Se dietro a tutto c’è Morgana, questa battaglia è anche la mia!”
   Il cacciatore osservò la determinazione negli occhi dell’amico ed annuì.
   “Va bene.”
   “Dobbiamo fare attenzione, comunque. Il potere che emana quell’essere non è semplice magia!”
   “E che cos’è, allora?”
   “Non lo so. Ma è qualcosa di molto oscuro.”
   Una risata agghiacciante si levò in aria, attirando lo sguardo dei due. Monstro si apprestava a rialzarsi con agevole disinvoltura. I danni ricevuti dalla magia di Merlino sembravano pressoché insignificanti.
   “Ben detto!” disse compiaciuto “Morgana, la mia creatrice, la mia unica vera madre, mi ha affidato un compito ed io non intendo deluderla per nulla al mondo.”
   Lancillotto, a quel punto, strinse la mano molto forte sull’elsa della sua spada e si scagliò su di lui, menandogli contro un fendente. L’ombra, però, si scansò in tempo.
   “Ancora tenti l’impossibile, fratello?! La mia esistenza è legata alla tua e non c’è niente che puoi fare per cambiarlo.”
   “No!” urlò il cacciatore con veemenza “Io non sono tuo “fratello”!”
   “È vero, hai ragione. Tu sei me.”
   A quelle parole, Lancillotto caricò un altro attacco verso di lui. Tuttavia, il colpo trovò solo la lama di Monstro ad opporsi.
   “Ti sbagli! Tu sei solo un burattino nelle mani della sua padrona! Io, invece, sono una persona vera!”
   “Ah! Non dire bugie, tu non sei una…”
   D’improvviso, un fulmine si abbatté sull’ombra, generando un’esplosione che prese di sorpresa entrambi i contendenti.
   “Ma che…?” mormorò Lancillotto incolume, voltandosi verso Merlino, ancora con il braccio teso in avanti.
   “Non starlo ad ascoltare.” disse il mago rivolto all’amico “Tu sei Lancillotto, un uomo buono che non ha niente a che spartire con esseri così malvagi. Fidati di me. Io ti conosco meglio di quello che credi.”
   Il cacciatore lo fissò un po’ interdetto. Poi, annuì, grato di quelle belle parole che di rado gli erano state rivolte.
   “Ora basta!”
   Dalla densa nube creatasi nel punto in cui era caduto il fulmine, Monstro riapparve. I vestiti erano logori e bruciacchiati, ma il corpo dell’essere era ancora intatto.
   “Mi sono stancato di giocare!” esclamò adirato, scagliandosi contro Merlino. Il mago si spostò con giusto tempismo per schivare l’attacco, andandosi a posizionare così di fianco a Lancillotto.
   “Maledizione! Non possiamo continuare in questo modo!” commentò quest’ultimo scoraggiato.
   “Non perdere la speranza. Forse ho un’idea!” intervenne Merlino “Tu però preparati a colpire!”
   Lancillotto annuì poco fiducioso. Sembrava che per lui la battaglia fosse già persa.
   “Bregdan anweald heoru!
   La spada del cacciatore s’illuminò all’istante. Una luce celestina vorticava intorno all’arma mentre il suo possessore la osservava con un’improvvisa e rinnovata fiducia in se stesso.
   “Sento il potere dell’incantesimo scorrere tra le dita! È incredibile!”
   Merlino era sul punto di dire qualcosa, quando l’ombra si fiondò ancora una volta dritta verso di lui. Fu in quel momento che Lancillotto prese l’iniziativa e si lanciò in sua difesa. Un attimo prima che Monstro affondasse la punta della sua spada, il cacciatore si posizionò davanti al mago, ricevendo egli stesso il colpo in pieno petto.
   “No!” urlò Merlino, spiazzato, mentre osservava Lancillotto cadere in ginocchio di fronte al suo avversario. Inizialmente, quest’ultimo rimase confuso e sbigottito, poi però sorrise.
   “Mi dispiace, ma hai fatto la tua scelta.” disse, ritraendo l’arma.
   “Già, l’ho fatta.” ribatté Lancillotto in un debole, ma deciso sussurro.
   Prendendo un rapido respiro, mosse poi tutto d’un fiato il braccio che brandiva la spada in direzione dell’uomo che tanto gli somigliava, trafiggendogli l’addome.
   “Nooo!” urlò l’ombra scioccata “Che… che succede?! Perché… perché sento dolore?!”
   Le scintille celesti che avvolgevano l’arma del cacciatore infiammarono il corpo del nemico e lo consumarono in pochi istanti tra le sue grida strazianti e sofferenti. Alla fine, una potente esplosione si levò nell’aria e di Monstro non rimase altro che cenere.
   “Lancillotto! Ci sei riuscito! Ce l’hai fatta davvero, stavolta!” esclamò Merlino sorpreso da quegli sviluppi.
   Il cacciatore, però, lasciò andare d’improvviso la spada che aveva in mano e cadde in avanti, fino a stendersi sul terreno.
   “No, Lancillotto!”
   Merlino gli andò vicino e lo aiutò a mettersi supino. Le mani del mago si tinsero di rosso mentre la ferita inferta dalla lama nemica sanguinava copiosamente.
   “Monstro… è… andato?” chiese Lancillotto con soltanto un filo di voce.
   “Sì.” confermò Merlino “Ma risparmia le forze. Stai perdendo molto sangue.”
   “Non… importa…”
   “Sì che importa! Ma non temere, posso guarirti.”
   “Ic the thurhhaele thinu licsar!” disse Merlino, tentando di curarlo, invano “Ic the thurhhaele thinu licsar!” “Ic the thurhhaele thinu licsar!
   Lancillotto gli afferrò a fatica la mano che stava usando per lanciare l’incantesimo.
   “Lascia… stare. La ferita… è troppo… profonda.”
   “No! Non puoi morire così! Fammi riprovare, voglio salvarti almeno stavolta!”
   “Grazie… Merlino…”
   “E di cosa?” domandò il mago in lacrime “Non riesco neanche a curarti!”
   “Di… avermi aiutato.” rispose il cacciatore, con un flebile sorriso “Lo sapevo che tu… eri speciale… Lucignolo mi chiamava sempre… “Lancillocchio”… perché diceva che io ero in grado di… capire con solo uno sguardo… con una sola occhiata… chi mentiva e chi invece era… puro di cuore.”
   “Per questo hai chiesto il mio aiuto?”
   “Sì. E infatti… avevo ragione. Senza di te… non avrei mai… sconfitto… Monstro.”
   L’uomo si fece sempre più debole, a tal punto da non riuscire quasi a tenere gli occhi aperti.
   “Resta con me!” gli urlò Merlino, sconvolto.
   “Grazie, Merlino…” disse ancora Lancillotto “Ora che ho compiuto la mia missione… posso finalmente riposare in pace…”
   In quel momento, chiuse le palpebre. Merlino lo fissò attonito mentre una lacrima scorreva lungo la sua guancia e si infrangeva sul corpo dell’amico. Anche se quella era una fiaba, non riusciva a credere di non essere stato in grado di salvarlo. Già in passato era stato costretto a dirgli addio per ben due volte. Quante altre ne sarebbero venute prima che fosse davvero l’ultima?!
   Stava per rialzarsi, quando il corpo di Lancillotto iniziò a brillare. La luce si fece sempre più intensa finché non si trasformò in una sfera luminescente che volò in direzione del lago. Fu in quell’istante che Merlino si accorse di non essere da solo. Una giovane ragazza levitava con grazia ai piedi del grande specchio d’acqua. La veste lunga e turchina che indossava svolazzava lievemente, richiamando in tutto e per tutto il movimento delle onde. Il suo aspetto poteva essere scambiato per quello di una fata, ma lui sapeva alla perfezione di chi si trattava.
   “Freya?!”
   “Ti ringrazio, nobile mago. Io sono la dama protettrice di questo lago e ti porgo la mia più sincera riconoscenza. Il tuo aiuto è stato decisivo affinché questo prode guerriero riuscisse nell’intento di sconfiggere quell’abominevole creatura.”
   “Cosa è successo a Lancillotto?” chiese Merlino, confuso, mentre le andava incontro.
   “Il suo ultimo gesto prima di morire ha permesso agli Sidhe, le fate dell’Isola di Avalon, di continuare a vivere in grazia e armonia. Per questo, la sua anima si è guadagnata il diritto di riposare per sempre in pace in queste acque.”
   Merlino annuì, triste. Nonostante tutto, Lancillotto era riuscito a rimediare al suo errore e a trovare il suo lieto fine, anche se aveva dovuto sacrificare la propria vita per farlo.
   “Grazie.”
   “No, grazie a te, nobile mago.” “Sono onorata di averti incontrato, ma adesso è giunto per noi il momento di salutarci.” “Addio.” si congedò Freya, prima di scomparire anche lei tra le limpide acque del lago.
   “Addio.” ripeté Merlino, asciugandosi il viso bagnato dalle lacrime mentre ripensava con nostalgia alle ultime parole dell’amico.
   “Ti avevo avvisato che avresti pianto.”
   Ancora prima di voltarsi, Merlino riconobbe la voce fastidiosa ed irritante di Grimm, mentre camminava verso di lui con un ghigno soddisfatto e divertito.
   “Astrice!
   Merlino lanciò d’improvviso un raggio di luce contro lo spirito. Questo, completamente distratto, venne preso in pieno e sbalzato all’indietro di diversi metri.
   “Ehi!” protestò Grimm “Che ti prende?!”
   “Forbærnan!
   Il corpo rinsecchito dello spirito iniziò a prendere fuoco.
   “Forp fleoge!” recitò, infine, Merlino, scaraventandolo in acqua a grande velocità.
   Era stufo dei suoi comportamenti ambigui. Non ne poteva più delle sue chiacchiere. Per colpa sua aveva dovuto vedere morire una persona a lui cara. Cominciava anche a pensare che fosse una menzogna la promessa di liberarlo se avesse portato il lieto fine agli altri. Molto probabilmente voleva solo divertirsi e non avrebbe mai annullato il sortilegio. Ma poteva star certo che lui non se ne sarebbe stato buono a fargli fare i propri comodi mentre lo trattava come una marionetta.
   “Però! Che ti è preso?!”
   Merlino si voltò di scatto e lo trovò lì, alle sue spalle. Era tutto intero ed asciutto, come se la sua magia non l’avesse neanche scalfito.
   “Perché non sei ferito? O morto?”
   “Perché questo è il mio sortilegio.” spiegò pulendosi un orecchio col dito, mentre cercava di stiracchiarsi “Non puoi farmi niente, anche se il dolore l’ho sentito ugualmente! Quindi, ti chiedo cortesemente di non farlo più! Chiaro?”
   Merlino stava per ribattere qualcosa, quando il suo sguardo si posò per un attimo sul braccio che lo spirito aveva sollevato in aria. Sulla pelle verdognola che sbucava dalla manica era disegnato un simbolo che lui aveva già visto in passato, ma che fino a quel momento non aveva notato. Ora finalmente iniziava a comprendere da cosa dipendesse tutta quella vicenda. Per sicurezza, però, decise di non far capire all’altro quello che aveva intuito, così continuò a parlare.
   “Tu libera Camelot dal sortilegio e non dovrai più preoccuparti di me. In caso contrario, ti assicuro che m’impegnerò a rendere la tua vita un vero incubo, peggiore anche di quello che tu stai facendo vivere a me.”
   Grimm scoppiò a ridere.
   “Che impeto!”
   “Guarda che non sto scherzando. Sono disposto a tutto pur di far tornare il regno com’era prima del tuo incantesimo.”
   “Calma, Emrys! Un po’ di pazienza! Ci siamo quasi. Prima di liberarti, però, c’è ancora un’altra prova che dovrai superare.” disse l’essere magico, puntando l’indice al cielo “Prometto che sarà l’ultima, ma anche la più difficile che tu abbia mai affrontato.”
   “Perché sarà la più difficile?”
   “Perché, stavolta, il lieto fine che dovrai trovare…” rispose lo spirito, schioccando le dita “… sarà il tuo.”

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** ... Merlineve e la strega cattiva ***


… Merlineve e la strega cattiva
 
   “Guardate che orecchie strane che ha!”
   “Ma secondo voi respira?”
   “Per me è morto!”
   “Basta! Lasciatelo stare tranquillo!”
   Merlino riprese improvvisamente i sensi nell’udire alcune voci intente a discutere. Prima di spalancare gli occhi, però, si rese conto che si trovava sdraiato a terra, così iniziò a sgranchirsi le gambe.
   “Ehi! Sembra che si sia svegliato!”
   Quando aprì lentamente le palpebre, ebbe bisogno di qualche attimo per mettere a fuoco ciò che lo circondava. Ma pian piano riuscì a distinguere dei volti che lo osservavano con curiosità.
   “Come ti senti?” chiese uno di loro.
   “B-bene… credo.” rispose, un po’ stordito. Non era la prima volta che Grimm lo spediva da una storia all’altra, ma sembrava che in quel caso il “viaggio” lo avesse provato maggiormente.
   “Bevi un po’ d’acqua.” gli disse un altro mentre gli porgeva una borraccia. Il mago accettò con un “grazie” appena mormorato, accorgendosi solo in quel momento di quanto fosse assetato.
   “Ah!” esclamò soddisfatto, dopo aver mandato giù diversi sorsi.
   A quel punto, si guardò meglio intorno. Riuniti quasi in cerchio a pochi passi da lui vi erano ben sette nani, ognuno con una diversa espressione, ma con la medesima curiosità in viso. Tra di loro, riconobbe anche una vecchia conoscenza.
   “Fai piano e rimani sdraiato quanto vuoi, se ne hai bisogno.” gli raccomandò il nano che aveva di fronte. Era Grettino, il custode del ponte che Merlino aveva incontrato durante la missione di Artù alla ricerca del “Tridente Dorato”, diversi anni prima.
   “Grazie, ma mi sento meglio.” ribatté il mago, alzandosi a fatica.
   “Mi fa piacere. Io, comunque, sono Grettino, mentre loro sono i miei compagni.” si presentò il nano, indicando anche i suoi amici.
   “Piacere di conoscervi. Il mio nome è Merlino.” replicò il ragazzo, massaggiandosi le tempie “Se non vi dispiace, mi potreste dire cos’è successo?”
   “Non lo sappiamo.” spiegò in fretta uno dei nani alla sua destra “Ti abbiamo trovato mezzo morto mentre tornavamo a casa dalla giornata di lavoro. Crediamo che tu sia inciampato.”
   Merlino annuì, guardandosi attorno nel tentativo di capire in che fiaba fosse finito. Ciò che vide, però, gli fece mancare il respiro. All’orizzonte, non si riusciva a scorgere nient’altro che desolazione, con molte zone paludose che spiccavano tra i pochi arbusti secchi rimasti a contornare quell’orrore di visione. La morte in quelle terre era palpabile anche solo respirando l’odore stagnante e fastidioso che c’era nell’aria.
   “Dove ci troviamo?” chiese, rivolgendosi, senza pensare, all’unico dei presenti che aveva già incontrato in passato.
   “A Camelot.” gli rispose Grettino.
   “A Camelot?!” gridò Merlino, sussultando dallo stupore.
   Il nano annuì tristemente.
   “Sì.”
   “Non è possibile. Camelot è un regno fiorente e maestoso, non una terra decadente come questa!”
   “Mi dispiace, ma la Camelot che descrivi non esiste più da ormai molto tempo. Devi arrivare da molto lontano per non esserne a conoscenza.”
   Merlino stentava a credere a quello che aveva appena ascoltato. Anche se quella non era la realtà da cui proveniva, non riusciva ugualmente a capacitarsi di una scoperta così terrificante. “Calmati, è solo una fiaba” si ripeté in testa. Chissà quale, però!
   “Ma cos’è accaduto di talmente terribile da far ridurre Camelot a… questo?” chiese, indicando tutto intorno.
   “Devi sapere che tempo fa la malvagia strega Morgana lanciò una potente maledizione sul regno, trasformando le sue floride e vigorose terre nel degrado che ci troviamo ad osservare ora. A nulla è servito lo sforzo degli abitanti di risanare questo luogo, prima che si arrendessero e che lo abbandonassero al suo triste destino.”
   “Aspetta un momento.” lo interruppe Merlino, cercando di venire a capo della faccenda “È Morgana la responsabile di tutto?!”
   “Proprio così! Fu lei a maledire Camelot dopo essere stata più e più volte sconfitta dal re e dai suoi cavalieri. La sua fu una vendetta per non essere riuscita a prendere ciò che tanto bramava: un posto sul trono.”
   “D’accordo, ma ci dovrà pur essere un modo per annullare la maledizione che ha scagliato!”
   Grettino scosse il capo.
   “In realtà, non so cosa risponderti. Sì, esiste un modo per far tornare Camelot al suo antico splendore, ma è… arduo credere che qualcuno possa riuscire nell’impresa.”
   “Non importa. Cosa si deve fare?” chiese Merlino sbrigativo.
   “Bisogna recuperare il “fiore di Biancaneve”.”
   “Per risolvere il problema occorre trovare un solo fiore?” domandò ancora il mago con scetticismo.
   “Sì, ma non uno qualsiasi. Il fiore di Biancaneve ha dei poteri magici curativi incredibilmente portentosi, maggiori di qualsiasi altra cosa possa esistere nel mondo intero. Si dice che i suoi petali possano rendere fertili anche le terre più aride e che possano essere la cura per qualsiasi male.”
   “Va bene, allora. E dove si può trovare questo fiore di Biancaneve?”
   Grettino indicò in avanti, verso l’orizzonte.
   “Al centro di queste terre, da qualche parte, vi è una torre, nota come “la Torre Oscura”. Essa è la dimora della strega cattiva che ha lanciato la maledizione. Secondo delle voci, è difesa dai mostri più pericolosi e abbietti che la natura possa concepire e si dice che sia completamente celata agli occhi degli uomini. È lì, tuttavia, che la strega conserva l’ultimo esemplare di fiore di Biancaneve. Se qualcuno riuscisse a prenderlo, solo in quel caso potrebbe sperare di spezzare il sortilegio.”
   Merlino sbuffò vistosamente. In sostanza, per salvare Camelot, o almeno la Camelot di quella storia, doveva “solo” attraversare dei luoghi aridi e perigliosi e sconfiggere una strega malvagia, che altri non era che Morgana.
   “E che ci vuole? Un lavoretto facile, facile!” pensò sarcastico. Anche se in effetti Grimm lo aveva avvisato che sarebbe stata la sfida “più difficile che avesse mai affrontato”. Perché quella era la sua storia. Il lieto fine che doveva trovare era il suo.
   “Eh!”
   Quel pensiero lo fece sorridere, ma, tutto sommato, doveva aspettarselo. Per lui Camelot non era soltanto un regno qualsiasi. Era la sua casa e quella dei suoi amici. Quindi, ripensandoci, era normale che fosse anche “il suo lieto fine”.
   In ogni caso, in quella fiaba era lui il “protagonista”. Era lui che doveva decidere cosa fare. Perciò, si fece forza ed iniziò ad incamminarsi verso la sua nuova meta.
   “Aspetta! Che fai?” chiese un nano.
   “Vado a sconfiggere la strega.” rispose Merlino con convinzione “Grazie a tutti voi per avermi aiutato.”
   “Solo un istante.” intervenne Grettino, avvicinandosi a lui e porgendogli lo zaino che aveva in spalla “Tieni, all’interno ci sono delle provviste e qualche risorsa in caso di necessità. Potrebbero tornarti utili.”
   Merlino accettò l’inaspettato regalo con un sorriso.
   “Grazie.”
   “No, grazie a te. E buona fortuna.”
   A quel punto, il mago si avviò verso la sua strada, scomparendo ben presto dalla vista dei nani.
   “Morirà di sicuro.” disse uno dei sette, scuotendo la testa, mentre un altro, invece, chiuse gli occhi, spremendosi le meningi.
   “Dunque… Se ho capito bene, quel ragazzo si chiama Merlino… e sta andando alla ricerca del fiore di Biancaneve…” “Merlino… Biancaneve… noi sette nani… la strega… No, è troppo lungo. Ma, aspettate un momento! Ci sono!” esclamò, sussultando entusiasta “Potremmo chiamare quest’avventura che sta per intraprendere “Merlineve e i sette nani” oppure, meglio ancora, “Merlineve e la strega cattiva”! Che ve ne pare?”
   Un compagno alla sua destra gli mollò uno scappellotto in testa, infuriato.
   “Idiota!” tuonò brontolando “Non dire stupidaggini! Guarda che questa è una cosa seria e pericolosa! Quel tipo molto probabilmente ci rimarrà secco!”
   “Non ne sarei così sicuro.” commentò Grettino pensieroso.
   “Ah, davvero? Sta per affrontare la perfida strega che ci ha condannati tutti a questa desolazione e tu credi che abbia una benché minima speranza?”
   “Sì, è esattamente quello che penso.”
   “Bene, allora, dato che sei l’unico abbastanza dotto da capire la questione, illuminaci! Perché dovrebbe avere anche una sola possibilità di farcela?”
   “Non so dirlo con certezza, ma ho visto nei suoi occhi qualcosa di speciale. Qualcosa che forse riuscirà a salvarci tutti.”
 
***
 
   Congedatosi dai sette nani, Merlino vagò per oltre un giorno in quelle terre spoglie e semideserte. Inizialmente il cammino fu scomodo e faticoso, a causa delle condizioni pessime in cui versava il terreno, ma allo stesso tempo si rivelò relativamente tranquillo e privo di pericoli. Guardando intorno a sé, si rendeva sempre più conto di quanto Camelot fosse finita in rovina. In molte ore di cammino non aveva incontrato nessun viandante. Lui, che aveva vissuto per tanti anni in quel regno, a stento riconosceva i luoghi che stava attraversando.
   Pensando a questo mentre proseguiva, si ritrovò di fronte ad un primo, non indifferente ostacolo da attraversare: un lungo “fiume” di fango che bloccava il passaggio.
   “Stángeat!” recitò Merlino, facendo apparire dal nulla un ponte di pietra che collegò le due sponde l’una all’altra.
   Con un sorriso di soddisfazione, il mago si apprestò ad oltrepassarlo, ma si fermò di colpo a metà strada.
   “Arrrrrgghh!”
   Un verso spaventoso lo immobilizzò sul posto. Dalla superficie del fiume emerse una creatura dall’aspetto inquietante. Nonostante avesse quattro zampe, se così si potevano chiamare, riusciva a stare eretto anche su due. Voltandosi verso Merlino, spalancò la sua enorme bocca e mostrò i suoi denti aguzzi e affilati come lame.
   “Oh, no!” esclamò non appena vide che gli andava incontro “Shieldan!” pronunciò un attimo prima che la creatura lo colpisse in pieno. L’onda d’urto che si generò tra l’impatto dello scudo magico di Merlino e l’attacco del mostro fece sbalzare indietro quest’ultimo di diversi metri, facendolo affondare di nuovo nel fiume fangoso. Il mago, a quel punto, ne approfittò per tirare un momento il fiato. La creatura con cui si era appena scontrato non era nuova alla sua vista. Era l’Afanc e l’ultima volta che ne aveva incontrato un esemplare era stato molti anni prima, quando Nimueh aveva avvelenato le acque del pozzo di Camelot, facendo perire un gran numero di abitanti.
   Mentre l’Afanc riemergeva furente dalla superficie, Merlino cercò di guadagnare tempo, scagliandogli contro un altro incantesimo.
   “Ahweorf eorogesceafte!” recitò, facendolo volare ancora più lontano.
   “Avanti, Merlino! Concentrati!” pensò, cercando di ricordare la conversazione avuta con Gaius su come sconfiggere la creatura.
 
   “L’Afanc è una creatura fatta di terra e acqua, due dei quattro elementi base.”
   “Gli altri due elementi?”
   “Forse lo distruggeranno.” “Ti serve il fuoco. L’aria e il fuoco.”
 
   Merlino caricò le energie per il prossimo assalto, facendo un lungo respiro.
   “Forbærnan thōthor!” disse, creando tra le mani una grande sfera di fuoco.
   “Lyfte ic the in balwen ac forhienan se wideor!” pronunciò infine, generando una forte corrente di vento che spedì la palla infuocata verso il nemico. All’impatto con esso si originò una potente esplosione che distrusse l’essere di fango e fece quasi cadere Merlino all’indietro. Quando la situazione tornò normale, però, il mago tirò un sospiro di sollievo. Per sua fortuna si era ricordato giusto in tempo il modo per eliminarlo.
   Così, con un po’ più di tranquillità, decise di avviarsi verso l’altra sponda. Ma, come fece un passo in avanti, scivolò nel pantano che aveva imbrattato completamente il ponte e cadde direttamente dentro al fiume.
   “Pýcee bulentse!
   Con la sua magia evocò un rampicante che riuscì ad afferrarlo un secondo prima che sparisse sotto la superficie fangosa.
   “Drah flet!
   Il rampicante lo condusse a riva, trascinandolo per un braccio. Una volta lì, si stese supino sul terreno, respirando a pieni polmoni.
   “Per… un pelo!”
 
***
 
   Dopo essersi tolto di dosso quanto più fango possibile utilizzando la magia, Merlino camminò per diverse ore lungo un altro sentiero. Quando iniziò a calare la notte, decise di trovare riparo sotto un albero rinsecchito e con la poca legna che era riuscito a recuperare provò anche ad accendere un fuoco.
   “Bael onbryne!
   Una fiammella spuntò dal nulla sui bastoncini ammucchiati, diradandosi fino a creare un discreto falò. Era conscio che non ci sarebbe mai riuscito senza utilizzare i suoi poteri, considerando che la legna usata era lievemente umida a causa dell’ambiente paludoso.
   “Anf!” sospirò, amareggiato.
   Si trovava di nuovo in una brutta situazione. La storia in cui era finito sembrava davvero difficile e pericolosa. Se lo spirito del libro diceva il vero, sarebbe stata anche l’ultima. Non che fosse l’unica cosa che importava. Infatti, non riusciva ancora a smettere di pensare a ciò che aveva visto sul suo braccio. Il simbolo che Grimm aveva impresso sulla pelle poteva significare solo una cosa: tutto ciò che gli stava accadendo era colpa sua. O quantomeno, lo era in parte. La vera natura di quell’essere verde ed il suo reale scopo erano molto più complessi di quello che si dava a vedere. Ciononostante, solo portando il lieto fine a quella fiaba e a se stesso poteva sperare di arrivare alla resa dei conti con lui. Quindi, doveva concentrarsi innanzitutto su questo. Il resto sarebbe venuto da sé. O almeno, così sperava. Con quei pensieri ed una coperta trovata nello zaino, Merlino si lasciò andare ad un inevitabile quanto inquieto sonno ristoratore.
 
***
 
   L’indomani si risvegliò di soprassalto, udendo delle urla in lontananza.
   “Ahhhhh!”
   Con un balzo repentino, si mise in piedi in ascolto.
   “Aaaaahhhh!”
   Un secondo grido si levò nell’aria. Stavolta, il mago riuscì a capire da che parte provenisse, così gli andò incontro. Correndo tra un albero e l’altro, dopo un po’ s’imbatté in una scena piuttosto allarmante: un bambino disteso a terra e tremante giaceva di fronte ad un lupo dall’aria famelica. Dalla sua posizione non poteva distinguere l’età del fanciullo impaurito, ma ipotizzò che sotto quel mantello da viaggio rosso dovesse trovarsi qualcuno di molto giovane.
   “Va’ via!” urlò al lupo, cercando di attirare la sua attenzione. Quest’ultimo gli ringhiò contro, come a volerlo spaventare, ma senza aver alcuna intenzione di cambiare bersaglio, continuando imperterrito a fissare il bambino. Il mago ci pensò su un attimo, poi decise che per salvarlo non poteva far altro che usare i suoi poteri.
   “Astrice!” recitò, lanciando una sfera di luce contro l’animale. Questo, mancato di poco, si allarmò dell’improvviso pericolo e scappò via, sparendo tra gli alberi secchi.
   “Come stai?” chiese Merlino, avvicinandosi al bambino.
   “Bene.” ribatté questo, voltandosi e guardandolo in faccia “Grazie di avermi salvato, Emrys.
   Merlino sussultò per la sorpresa. Il fanciullo che aveva davanti era Mordred. Non il cavaliere al servizio di Artù, bensì il giovane ragazzino che aveva incontrato anni prima, quando era perseguitato da Uther. Come allora, sembrava che preferisse esprimersi più con il pensiero che con la voce.
   “Vieni con me.” gli intimò telepaticamente, senza muovere le labbra, alzandosi ed avviandosi lungo un sentiero. Quando si accorse che Merlino non lo stava seguendo, si fermò e si voltò di nuovo verso di lui.
   “Avanti, Emrys! È importante. Seguimi. Non ti accadrà niente di male.
   Il mago alzò un sopracciglio, dubitando di quelle parole. Però, alla fine acconsentì. Seguendo i suoi passi, camminò fino a fermarsi davanti ad una piccola casa nei meandri della foresta, sempre più decadente e desolante. Anche se si stupì nel vedere un’abitazione da quelle parti, si era già preparato ad andare incontro a qualche stranezza, quindi scrollò le spalle ed entrò su invito del bambino.
   “Cosa può succederti di male, Merlino, nel seguire chi è destinato ad uccidere Artù in una casa in mezzo al nulla?!” si chiese ironicamente tra sé e sé. Poi, superò la soglia.
   Guardandola dall’interno, la casa non faceva alcuna paura ed anzi appariva piuttosto semplice e comune.
   “La nonna vuole parlarti.” disse tramite il pensiero Morderd, correndo subito dopo in un angolo a giocare con delle statuine di legno.
   Merlino si guardò intorno fino a soffermarsi su una sedia a dondolo vicino alla finestra alla sua sinistra. Lì, di spalle, sedeva un’anziana donna, con lo sguardo fisso verso un punto fuori dall’abitazione.
   “Avvicinati.” disse lei d’un tratto, rivolta probabilmente a Merlino. Lui, anche se titubante, si mosse lentamente nella sua direzione. Tuttavia, quando le fu di fronte impallidì. La vecchia signora che aveva davanti non era altri che Morgana, con l’aspetto invecchiato simile a quando, poco tempo prima, si era presentata ad Artù sotto le mentite spoglie di Hilda, l’anziana serva della principessa Mithian.
   “Perché mi guardi così?” chiese l’anziana donna con perplessità.
   “Perché so chi sei… Morgana.” rispose Merlino con voce dura.
   Lei sorrise di gusto.
   “Bene. Allora, non tiriamola per le lunghe.” disse, continuando a dondolare tranquillamente “A questo punto, ti starai chiedendo perché ho inscenato questa farsa per attirarti fin qui, non è vero… Emrys?”
   Il mago sussultò. In quella fiaba Morgana sapeva la verità. Era a conoscenza del fatto che lui ed Emrys erano la stessa persona. Non se lo aspettava proprio, ma, in fin dei conti, non cambiava poi molto. La sua missione restava sempre la stessa.
   “Sì, la domanda mi ha sfiorato il pensiero, ma in realtà non me ne importa un bel niente. Consegnami quello che voglio e per me possiamo finirla anche adesso. Dammi il fiore di Biancaneve, cosicché possa porre fine alla tua maledizione.”
   Morgana, di colpo, scoppiò a ridere.
   “E credi che io te lo dia così, senza niente in cambio.”
   “Perché?” chiese Merlino d’un tratto stupito “Cosa vuoi?”
   “Voglio sentirmi di nuovo viva. Voglio che qualcuno mi dimostri finalmente di essere alla mia altezza. Voglio uno scontro degno di essere ricordato. Credi di poter assecondare la mia richiesta?”
   Merlino annuì.
   “Sono pronto a combattere, se è questo che vuoi. Anche adesso, in questo preciso istante.”
   “Mi dispiace deluderti, ma dovrai aspettare.” ribatté Morgana “Quella che vedi non è la vera me, ma una mera illusione. Io ti attendo nella mia dimora, la Torre Oscura. Se riuscirai a raggiungermi, in cima ad essa, daremo vita alla più leggendaria e sanguinosa battaglia a cui il mondo abbia mai assistito. Tuttavia…”
   La strega s’interruppe, alzandosi dalla sedia.
   “… per far sì che questo accada, dovrai prima trovare la giusta via.”
   Merlino la fissò incredulo. Sembrava che Morgana fosse divertita da quella situazione, quasi estasiata. Quell’affermazione, però, lo fece riflettere. In effetti, anche i sette nani gli avevano detto che la torre era invisibile a chiunque e lui non sapeva che strada dover prendere per arrivarci.
   “E come posso fare a trovarla?”
   Morgana si avvicinò al tavolo ed afferrò da una cesta una mela rossa e succosa.
   “Mangia questa. Essa ti indicherà la strada.”
   Merlino scosse la testa categorico. Non avrebbe mai mangiato del cibo offerto dal nemico.
   “No. Non vedo come una mela possa indicarmi la via da percorrere.”
   “È incantata.” spiegò la strega “Chiunque la mangi, sarà in grado di vedere la Torre Oscura, così da poterla raggiungere e sfidare la potente sacerdotessa che lo attende sulla sua cima.”
   Merlino si fermò a pensare. Per come si erano messi i fatti, era costretto a fare una scelta: fidarsi della parola di Morgana oppure continuare il cammino così come lo aveva iniziato. In generale, sarebbe stato più propenso per la seconda opzione; tuttavia, la situazione in cui si trovava non era delle più rosee. Se avesse rifiutato, non avrebbe saputo proprio da che parte andare. Vagare in quelle terre desolate non era affatto facile, con pericoli dietro ogni angolo. Inoltre, come se non bastasse, in quel momento si ricordò che nella fretta di salvare Mordred dal lupo, aveva lasciato lo zaino con le provviste nell’accampamento improvvisato. Dato il paesaggio così devastato, le aree sembravano tutte uguali. Probabilmente, non sarebbe riuscito neanche a ritrovare la via per recuperarlo.
   “Che idiota!” pensò per un attimo. Ma ormai era tardi per colpevolizzarsi. Era invece tempo di accettare l’inevitabile. Così, con buona forza di volontà, prese la mela dalle mani della strega e diede un bel morso.
   “Bene.” disse Morgana con un sorriso malizioso “Ora, non resta che attendere il tuo arrivo. A presto, Emrys.”
   In quell’istante, la vecchia strega scomparve in una folata di vento, lasciando Merlino impietrito sul posto. Dopo un momento di riflessione, uscì dalla casa. A quel punto, la sua vista fu attratta da qualcosa di visibile all’orizzonte: una torre enorme e dai colori tetri e tenebrosi.
   “La Torre Oscura.” mormorò sovrappensiero.
   Nonostante la grande lontananza, la cima spiccava nel cielo come una freccia nera incastonata nell’immenso manto celeste. Così, con passo deciso, si avviò verso di essa.
 
***
 
   “Accidenti!” inveì Merlino, calciando via un ramo che l’aveva fatto quasi inciampare. Poi, afferrò di fretta la borraccia che aveva legato al fianco e la portò alla bocca, sorseggiando con avidità finché non ne rimase più neanche una goccia.
   “Fantastico!” esclamò contrariato. Quella era l’unica scorta che aveva con sé e adesso era anche finita. Erano ore che stava camminando e la Torre Oscura non sembrava essersi avvicinata di neanche un passo. Continuando in quel modo avrebbe impiegato giorni per arrivare. Lo scoraggiamento stava per prendere il sopravvento, quando d’un tratto sentì una voce familiare.
   “Convocami.”
   Merlino trasalì e si guardò intorno. Tuttavia, non c’era nessun altro a parte lui e qualche pianta rinsecchita.
   “Convocami, giovane mago.”
   “Kilgharrah?”
   “Chiamami, cosicché possa aiutarti.”
   “Come vuoi.”
   Merlino stava ancora annuendo, quando iniziò a concentrare le sue energie.
   “O drakon, e male so ftengometta tesd'hup'anankes!
   Pochi attimi più tardi, un grande punto scuro si fece strada nel cielo, volando ad un’incredibile velocità verso di lui. Il grande drago colmò in fretta la distanza che li separava ed atterrò con maestosità giusto al suo fianco.
   “Kilgharrah, perché hai voluto che ti chiamassi?” chiese Merlino, stupito.
   “Perché avevi bisogno di me, giovane mago.” rispose con semplicità il drago “La strada da intraprendere è ancora molto lunga e pericolosa e devi risparmiare le forze se hai intenzione di combattere contro la strega. Questo potrebbe essere l’unico modo per spezzare il sortilegio lanciato dallo spirito del libro.”
   “Aspetta! Hai detto “lo spirito del libro”? Quindi, non hai perso la memoria come tutti gli altri?”
   “No, rimembro ancora ogni cosa. Nonostante l’incantesimo sia molto potente, devi sapere che la magia dei draghi è di gran lunga superiore. Tuttavia, devo riconoscere che anch’io non sono in grado di… agire autonomamente.”
   “Che intendi dire?” domandò Merlino, aggrottando le sopracciglia.
   “Quello che sto cercando di dirti è che riesco a ricordare ogni cosa, ma non ho la piena facoltà di fare ciò che voglio. Il sortilegio, per quanto non mi abbia plagiato, ha avuto degli effetti anche su di me: mi ha negato il libero arbitrio.”
   “Ma mi hai contattato, no? Quindi, riesci a sfuggire al suo influsso.”
   “Sì, ma solo in parte. Adesso, però, suggerisco di non perdere altro tempo con le spiegazioni e di metterci in cammino.” ribatté Kilgharrah, abbassandosi col corpo per farlo salire sul dorso “Devi raggiungere la Torre Oscura ad ogni costo, altrimenti tra non molto tutto potrebbe essere perduto.”
   Merlino annuì serio e salì con cautela in groppa al drago.
   “Hai ragione. Andiamo.”
   Il drago spiegò di colpo le grandi ali e le sbatté forte per prendere il volo. Pian piano si innalzò in cielo, poi prese velocità. E, mentre il vento soffiava selvaggiamente sul viso di Merlino, scompigliandogli i capelli, il tempo scorreva inesorabile. Ben presto i minuti divennero ore. Ore in cui poté rendersi conto appieno di cosa lo avrebbe atteso più in avanti, osservando con stupore la terra sotto di lui. Molte creature che in passato aveva già affrontato, come la “Bestia Errante” o la “Lamia”, si trovavano vigili ad aspettarlo.
   “Mi hai risparmiato un bel po’ di grattacapi.” commentò con sgomento.
   “Mi fa piacere, giovane mago.” disse Kilgharrah, iniziando inspiegabilmente a planare verso il basso “Dopotutto, era questa la mia intenzione.”
   Il drago continuò a scendere a poco a poco finché non toccò terra.
   “Perché ci siamo fermati?” chiese Merlino, guardando il tratto di strada che dovevano ancora percorrere. La distanza era ormai minima, ma a piedi avrebbe impiegato almeno un’altra ora.
   “Mi dispiace, ma non mi è concesso andare oltre.” spiegò Kilgharrah con difficoltà “Sembra che più ci avviciniamo a destinazione più i miei poteri e la mia volontà vacillino. Se vado avanti, potrei non ricordare perché sono qui o chi sia tu davvero. A quel punto, diventerei una minaccia invece che un valido aiuto.”
   Merlino sbuffò sconsolato, ma scese ugualmente dal dorso del grande drago.
   “Non importa. Hai già fatto abbastanza.”
   “Molto bene.” disse ancora Kilgharrah, prima di mettersi in posizione per riprendere il volo “Prima di andare, devo chiederti nuovamente di fare attenzione. Non conosco il volere di questo spirito, ma sento che possiede una magia molto potente, anche se al contempo sconosciuta. Se non riuscirai a fermarlo, Camelot così come Artù potrebbero perdersi per sempre in questo antico sortilegio. Adesso come in passato, le loro sorti sono nelle tue mani.”
   “Va bene.” ribatté Merlino mentre il drago iniziava a sbattere le ali “E grazie, Kilgharrah. Senza di te non ce l’avrei mai fatta ad arrivare fin qui sano e salvo.”
   “Sii prudente, giovane mago, e buona fortuna per quello che ti attende.”
   Con quelle parole, il grande drago sparì in lontananza nel cielo mentre Merlino, determinato, si rimise di nuovo in marcia verso la torre.
 
***
 
   “Ci siamo!”
   Finalmente era arrivato. Allungando lo sguardo, vide davanti a lui estendersi nell’area un’imponente muraglia difensiva che, a sua volta, contornava tutto il perimetro di una gigantesca roccaforte posta al centro. Con trepidazione osservò attentamente tutta la zona circostante finché non avvistò poco lontano un piccolo valico, aperto mediante una grata quasi completamente alzata. Così, fece per raggiungerla, quando un rumore acuto riecheggiò nell’aria.
   “Ahhh!” esclamò, tappandosi le orecchie per il fastidio.
   D’improvviso, proprio da oltre le mura, una grossa lucertola spiccò il volo e gli si fiondò addosso. Riuscì appena in tempo a schivarla, gettandosi di lato. Di seguito, però, anche altre creature simili iniziarono a volare verso di lui con fare bellicoso.
   “Ci mancavano solo le viverne!” pensò tra sé.
   Una di esse, quella che aveva evitato giusto un attimo prima, caricò senza perdere tempo un’altra offensiva.
   “Nun de ge dei s'eikein kai emois epe'essin hepesthai!” pronunciò Merlino velocemente.
   A quel punto, sia la viverna che aveva davanti che le altre intorno abbassarono la testa e si allontanarono. Stava per tirare un sospiro di sollievo quando comparì, sempre dal cielo, un’ulteriore minaccia. Stavolta la creatura era bianca e molto più grande di quelle appena andate via.
   “Aithusa.”
   Il drago, avvicinandosi, emise un potente getto di fuoco.
   “Shieldan!” recitò Merlino, creando una barriera magica che bloccò le fiamme.
   Aithusa, però, sembrava non darsi per vinta, così si preparò per attaccare ancora, quando il mago che aveva di fronte fece brillare gli occhi.
   “Dragorn. Non didlkai. Kari miss, epsipass imalla krat. Katostar abore ceriss. Katicur. Me ta sentende divoless. Kar… krisass!
   Il drago bianco si fermò di colpo e lo fissò intensamente. Subito dopo, proprio come le viverne, prese il volo, sparendo all’orizzonte. L’abilità di “Signore dei draghi” che Merlino aveva ereditato da suo padre Balinor si era resa di nuovo indispensabile. L’ordine impartito nell’antica lingua dei draghi aveva avuto il suo effetto, salvandolo da una situazione quanto mai difficoltosa.
   “Che fatica!” esclamò, asciugandosi la fronte, conscio di aver appena scampato un altro grande pericolo. Poi, scosse il capo come per schiarirsi la mente e si avviò oltre le mura. Tuttavia, sembrava che gli ostacoli da superare non fossero finiti lì. Ad attenderlo, infatti, trovò qualcuno: sette uomini con delle vistose armature assieme ad una donna dall’aspetto inequivocabilmente familiare.
   “Ti stavamo aspettando.” disse Morgause con voce inespressiva, facendo al contempo un gesto secco con la mano ai suoi accoliti “Avanti, miei cavalieri! Attaccatelo!”
   Merlino sbatté le braccia contro il corpo, sospirando dalla stanchezza. Da quando era finito in quella fiaba non c’era verso che riuscisse a rifiatare anche solo un attimo!
   “Intende lig!
   Delle fiamme spuntarono dai palmi del mago ed attaccarono i sette cavalieri di Medhir. Purtroppo per lui, senza successo.
   “Astrice!” recitò ancora, colpendoli con un violento raggio di luce. Uno dei sette avversari, tuttavia, deviò l’attacco con la spada senza alcuno sforzo. Morgause sorrise soddisfatta.
   “La tua magia è inutile contro di loro! Arrenditi e riconosci la sconfitta!”
   Merlino in tutta risposta iniziò a correre nella direzione opposta a quella della strega. Una forza immateriale però lo scaraventò all’indietro, facendolo cadere a terra. Prima di riuscire a rialzarsi, fu circondato dai cavalieri. Uno di questi gli puntò l’arma alla gola, ma lui fece immediatamente brillare gli occhi.
   “Ecg aetstande!
   La spada s’immobilizzò, così il ragazzo si scansò di lato e la calciò via. Un altro cavaliere, però, lo afferrò per la camicia e lo sollevò in aria con una sola mano. Poi, lo portò dinnanzi alla sua padrona mentre questi si dimenava senza sosta.
   “Non puoi vincere.” disse Morgause, avvicinandosi con il viso “La tua magia non può niente contro chi è già morto.”
   Proprio in quel momento al giovane uscì una risata ironica dalla bocca.
   “Forse contro di loro no…” disse voltandosi alla sua destra “Oferswinge!
   La spada rimasta a terra dopo lo scontro con uno dei cavalieri prese il volo e si conficcò nell’addome della strega, che cadde lentamente al suolo rantolando. I suoi occhi erano ancora spalancati dallo stupore di quel repentino quanto efficace attacco quando emise il suo ultimo respiro. Di seguito anche i sette cavalieri di Medhir crollarono inermi sul terreno. L’incantesimo che li teneva in piedi era vincolato alla magia di Morgause. Senza di lei, non erano altro che semplici marionette. Fortunatamente, Merlino era riuscito ad elaborare quel piano ancor prima di iniziare la battaglia.
   “Speriamo che questi fossero gli ultimi!” pensò mentre si avviava verso l’entrata della torre. I passi iniziavano a diventare sempre più pesanti a causa della stanchezza. Combattere contro tutti gli adepti di Morgana cominciava a farsi sentire, ma non poteva arrendersi proprio ora che la vetta era così vicina. La scalinata a chiocciola che lo avrebbe condotto in cima sembrava interminabile. Inoltre, doveva fare molta attenzione man a mano che proseguiva. I nani lo avevano avvisato sulle minacce che presidiavano l’esterno della torre, ma in realtà il vero pericolo era all’interno. Infatti, l’intera costruzione era a dir poco in rovina, rimanendo in piedi probabilmente solo grazie alla magia. La scalinata stessa che Merlino stava percorrendo poteva quasi definirsi uno scivolo, con solo un gradino su tre realmente integro; le pareti, d’altro canto, era in uno stato anche peggiore, con buchi enormi che affacciavano al di fuori e permettevano di osservare il “panorama” disastroso che si profilava all’orizzonte. Tra la debolezza che sentiva in corpo e le pessime condizioni della torre, Merlino non poté che gioire una volta superato l’ultimo scalino.
   “La tua missione finisce qui.”
   Il mago alzò la testa di scatto e notò un uomo davanti alla porta che dava sulla cima della torre.
   “Agravaine!” esclamò in parte stupito, in parte scocciato da quell’ennesimo contrattempo.
   “Mi dispiace, ma non posso permetterti di andare oltre. Non ho alcuna intenzione di lasciare che Morgana sia infastidita da un insetto insignificante come te.”
   “Ah, no?” chiese Merlino chinato sulle ginocchia, più per riprendere fiato che per altro.
   “No.” rispose Agravaine, sorridendo compiaciuto “La tua sfortuna è che ti trovi di fronte forse all’avversario più difficile ed ostico che ti potesse capi…”
   L’uomo venne sbalzato via dalla magia di Merlino prima ancora di riuscire a terminare la frase. Una volta a terra, rotolò fino a cadere da uno dei grossi fori della torre, precipitando all’ingiù verso il suolo.
   “Non ho tempo da perdere!” commentò il mago mentre si avvicinava alla porta che dava all’esterno. Con un sospiro deciso, la aprì e la oltrepassò. Una lieve brezza di vento gli scompigliò i capelli mentre avanzava e si guardava intorno.
   “Ben arrivato.”
   Morgana, stavolta con le sue reali sembianze, si trovava di spalle ad osservare il paesaggio desolato, dirimpetto al bordo della cima della torre. Merlino le andò incontro.
   “Sono qui proprio come mi hai chiesto. Ora, consegnami il fiore di Biancaneve oppure preparati a sfidarmi.”
   “Non ti sembra un bel panorama?” gli chiese lei di punto in bianco, ignorando le sue parole.
   Merlino osservò per un attimo ciò che aveva attorno, assecondandola, poi scosse la testa.
   “È orrendo.” rispose secco, infastidito da quel tergiversare “Ma non lo sarà ancora per molto. Ho intenzione di farlo tornare come era prima.”
   Morgana scoppiò a ridere.
   “Non mi sorprende che tu non riesca a vedere la sua bellezza. Solo chi aspira alla grandezza può capire come mi sento.”
   “In questo siamo sempre stati diversi, Morgana.”
   “Già.” convenne la strega, voltandosi e fissandolo negli occhi “È tempo di risolvere la questione che abbiamo in sospeso una volta per tutte.”
   Con un gesto della mano, Morgana alzò una nube oscura e la scagliò contro Merlino. Lui la schivò appena in tempo. Poi, si preparò a contrattaccare.
   “Astrice!” urlò, lanciando la sua magia verso la strega. Questa, però, la scansò con un semplice movimento del braccio.
   “Ci vorrà ben altro per impensierirmi!” “Ablinn du; forlæt du nu!
   “Shiel…” iniziò a dire Merlino, prima di essere scaraventato via dall’incantesimo di Morgana. Non sapeva perché, ma i suoi movimenti cominciavano ad essere più lenti. Probabilmente, la fatica accumulata lungo il tragitto per arrivare fin lì lo aveva provato più di quanto volesse ammettere.
   “Non puoi competere con me!”
   “Questo lo vedremo!” esclamò Merlino mentre si rialzava “Forp fleoge!
   Morgana venne sbalzata all’indietro, evitando solo all’ultimo di cadere giù dalla torre grazie ai suoi poteri.
   “Questa me la pagherai, Emrys!” gridò adirata “Acwele drý!
   Merlino tentò nuovamente di proteggersi, ma la sua vista iniziò ad annebbiarsi. Così, venne investito in pieno dal raggio nero sprigionato dalla strega.
   “Ahhhh!” esclamò dolente, mentre tentava invano di rialzarsi. Le forze sembravano mancargli del tutto.
   “Non continuare.” lo avvisò Morgana, avvicinandosi “Non servirà a niente.”
   “Non ci… contare!” ribatté Merlino, quasi completamente esausto.
   Lei scrollò le spalle.
   “Come vuoi. In ogni caso non hai più via di scampo. Il veleno sta già facendo il suo effetto. Tra poco non potrai far altro che arrenderti ad esso.”
   “Quale… veleno?” domandò Merlino stupito.
   Morgana sorrise maliziosamente.
   “Quello della mela che ti ho offerto.” rispose sogghignante “Oltre a mostrarti la strada per la Torre Oscura, conteneva un potente veleno, frutto delle zanne del Fomorroh. Nessuno può sopravvivergli.”
   Merlino si asciugò la fronte sudata, tremando.
   “Non… vincerai…”
   “No, ti sbagli. Io ho già vinto.” lo interruppe lei “Mi dispiace soltanto che non avrò la grande battaglia che speravo. Tuttavia, non potevo rischiare di giocare ad armi pari con te. Dovevo essere certa che non mi avresti intralciata in alcun modo. Ma non temere.”
   Morgana alzò una mano verso di lui.
   “Farò in modo che tu non soffra più del dovuto.” “Acwele drý!
   In quell’istante, ogni senso di Merlino si affievolì e tutto divenne freddo e buio. L’unica cosa che riusciva a sentire era la morte che lo stava avvolgendo…
 
***
 
   Merlino aprì gli occhi di scatto, spostandoli da una parte all’altra. Intorno a lui il paesaggio era completamente bianco, ad eccezione di una flebile nebbia grigiastra che avvolgeva l’intera area. A quel punto, la confusione prese il sopravvento su di lui, finché non riuscì a rimembrare l’ultima cosa che era successa: Morgana che lo colpiva mentre lui giaceva a terra inerme.
   “Ecco! Sono morto!” pensò rassegnato.
   Aveva fallito la sua missione di proteggere Artù e Camelot e non c’era altro che potesse fare per cambiare le cose. Con quella consapevolezza, una grande tristezza lo assalì di colpo. Questo almeno finché non udì una voce. Una voce troppo familiare per non poterla riconoscere.
   “Come al solito, Merlino, ti trovo sdraiato a poltrire.”
   Il mago alzò lo sguardo. Oltre la nebbia iniziò a distinguersi una sagoma. Dopo alcuni istanti, una figura si fece avanti verso di lui.
   “Artù?”
   Di fianco a lui avanzarono anche altre sue vecchie conoscenze, come Gaius, Ginevra, i cavalieri e perfino i suoi genitori. Ben presto, il mago si accorse di essere circondato da ogni uomo e donna che aveva incontrato ed aiutato durante il tempo in cui era stato a Camelot. E non solo da loro, ma anche da altre persone della sua infanzia a Ealdor, come l’amico Will. Infatti, fu proprio lui a parlare per primo.
   “Che ti succede, Merlino?” chiese stupito “Non ti ho mai visto così. Non dirmi che vuoi arrenderti?!”
   “Mi dispiace, Will, ma stavolta ho fallito. So di avervi deluso…”
   “Non è così, figlio mio!” intervenne Balinor “Hai dedicato la tua vita a difendere il prossimo e noi non possiamo che essere fieri di te. A prescindere da come vada questo scontro.”
   “Esatto.” aggiunse Hunith al fianco dell’uomo, con un dolce sorriso “Non potremmo mai provare delusione per te, Merlino. La tua luce ci ha sempre portato gioia ed armonia. Siamo orgogliosi della persona che sei diventato.”
   Merlino annuì con le lacrime agli occhi. Si sentiva ancora male per non essere riuscito a fermare Morgana, ma le parole del suo amico e della sua famiglia gli avevano dato più conforto di quello che si aspettasse.
   “Non scoraggiarti, Merlino. Io so che puoi farcela.”
   Il mago si voltò alla sua sinistra e notò Freya, che gli rivolgeva uno sguardo speranzoso ed un sorriso caldo e sincero, che lui ricambiò. Alla sua destra, intanto, un uomo fece un passo in avanti.
   “Ho piena fiducia in te, Merlino.” asserì Lancillotto con sicurezza “Se c’è qualcuno che può sconfiggere Morgana, quello sei tu.”
   “Già!” convenne Galvano, affiancando l’altro cavaliere “La tua forza di volontà e la tua determinazione non conoscono ostacoli che non possano essere superati. Puoi farcela senza alcun dubbio, amico mio!”
   “Grazie, ragazzi.” disse Merlino ormai commosso da tutte quelle dimostrazioni di affetto “Ma non ne sono così sicuro.”
   “Non dire sciocchezze!” esclamò Gaius convinto “Dopo tutto questo tempo, posso dire di conoscerti molto bene e so che non c’è niente che tu non sia in grado di fare. Ogni giorno noi mettiamo la nostra sorte e quella del regno nelle tue mani e non me ne vengono in mente di migliori a cui affidarsi. Hai sempre difeso con tutto te stesso le nostre vite dall’oscurità che le ha minacciate. Per quel che mi riguarda non potrei essere più orgoglioso di te di come lo sono adesso.”
   “Vi… ringrazio, Gaius. Ma stavolta è diverso. Non credo che potrò farcela da solo…”
   “Infatti non sarai solo!” intervenne Ginevra con risolutezza “Tu ci hai sempre donato il tuo aiuto nei momenti di difficoltà, ma adesso saremo noi a fare lo stesso con te.”
   Merlino ascoltò un po’ spiazzato le parole della sua amica e regina, mentre osservava Artù che gli si avvicinava.
   “Coraggio, alzati, Merlino!” gli disse il re, porgendogli la mano “Sconfiggiamo Morgana, insieme.”
   Il mago lo fissò per un istante negli occhi e vide una determinazione che lo toccò nel profondo dell’animo. Lui aveva ragione. Tutti i suoi amici ce l’avevano. Quello non era il momento di arrendersi. Alzò, quindi, il braccio ed afferrò la sua mano.
   “Insieme.”
 
***
 
   Merlino si ridestò sulla cima della torre. L’incantesimo di Morgana lo aveva ferito ad un fianco, ma scoprì di avere forze sufficienti per rialzarsi da terra. E così fece.
   “Non vuoi proprio arrenderti, eh?” chiese la strega stupita “Non hai più speranze! Anche se sei vivo, non sarà così ancora per molto. Perché ti ostini ad opporti all’inevitabile?!”
   “Perché ci sono delle persone che devo proteggere!” esclamò Merlino deciso, tenendosi in piedi a fatica “Persone a cui tengo e a cui non permetterò che accada nulla di male!”
   Morgana sorrise amaramente.
   “Sei ridicolo!”
   “Mai quanto te! La tua smania di potere ti ha portato a perdere tutto e a diventare la sovrana di un regno vuoto e desolato. Ma questo sta per cambiare.”
   Merlino si concentrò più che poteva, accumulando le energie sufficienti a lanciare un potente incantesimo. Dato che gli restavano poche forze, doveva chiudere lo scontro con un unico attacco. Morgana, intanto, sembrava aver intuito cosa avesse in mente, perché lo imitò, caricando nelle mani una specie di magia oscura.
   “Eh?!” disse all’improvviso Merlino, sussultando.
   Una piccola sfera di luce gli uscì di colpo dal petto. Sfiorandola, sentì in essa l’amore e la fiducia che i suoi amici provavano per lui. Incredibilmente si rese conto di riuscire anche a distinguere e provare le emozioni ed i sentimenti di ognuno come se fossero i suoi.
   “Grazie…” mormorò piano, rinvigorendosi con nuova vitalità mentre assorbiva con la mano la sfera luccicante “Frēd lufe frēond!
   Poi, spostò in fretta il suo sguardo verso Morgana. Nell’istante in cui lei lanciò la sua magia, Merlino fece altrettanto.
   “Ic her accigie ænne windraes! Færblæd waw! Windræs ungetermed: ge hier! Ic de bebeod mid ealle strangesse daet du geblawest ond syrmest strange! Gespurn peos haegtesse!
   Due potenti fasci di luce, uno bianco e l’altro nero, si scontrarono nel centro della Torre Oscura. Una gigantesca onda d’urto si generò in risposta, distruggendo parte della costruzione stessa.
   “Devo farcela!” gridò Merlino con determinazione, riuscendo a mettere in seria difficoltà la sua avversaria.
   Morgana, dal canto suo, sembrava invece sul punto di soccombere. Tuttavia, non si perse d’animo e scatenò improvvisamente una forza nascosta, richiamando a sé la magia del Fomorroh.
   “Astige du wyrm fah ond gedeowie dæt mod disse deowes. Hine bind ond da heold ond awend hi ealle!
   In quel momento, una specie di serpente oscuro comparve di fianco a lei e venne assorbito dall’incantesimo, che sprigionò un’energia tale da surclassare la magia di Merlino e farlo sbalzare all’indietro. Quando fu sul punto di perdere l’equilibrio, però, due braccia lo strinsero forte in una presa e gli impedirono di cadere. Voltandosi per un attimo, scorse il volto del suo soccorritore.
   “Artù!”
   “Avanti, Merlino, resisti! Manca poco! Un ultimo sforzo!”
   “Mi dispiace, ma il veleno mi sta sopraffacendo. Non riesco quasi più a reggermi sulle gambe.”
   “Non preoccuparti per questo. Ti tengo io.” lo rassicurò il re “Tu però metticela tutta! Dobbiamo vincere ad ogni costo! Per gli abitanti del regno! Per i nostri amici che credono in noi! Per Camelot!”
   “Per Camelot!” ripeté Merlino, annuendo con decisione. Nonostante sentisse le sue energie venire meno, si concentrò ed accumulò la magia necessaria per un altro potente incantesimo.
   “Adilega andsaca!” urlò d’un fiato, rinvigorendo il suo fascio di luce che contrastò con forza quello di Morgana.
   Le due magie si diedero battaglia per un’ultima volta, cercando di prevalere l’una sull’altra, finché il raggio nero della strega non cedette inevitabilmente alla superiorità di quello di Merlino, distruggendosi.
   “Non può essere!!” gridò Morgana, mentre veniva investita dal portentoso incantesimo, sparendo in quel lampo accecante.
   Il duello terminò con la stessa rapidità con cui era iniziato e la quiete scese tutta intorno. Dei piccoli residui di magia rimasero sospesi in aria come lucciole mentre Merlino osservava la scena attonito. Morgana era stata sconfitta. La missione che lo aveva portato fin lì era ormai giunta al termine. Voltandosi indietro, notò che anche Artù era scomparso. Era rimasto completamente solo.
   All’improvviso, però, la sua attenzione venne catturata dalla comparsa di una specie di bagliore accecante nel cielo. La sua scia luminescente iniziò una rapida discesa, fino a fermarsi poco distante dagli occhi di Merlino, che la racchiuse con meraviglia tra le mani.
   “Il fiore di Biancaneve.” mormorò con stupore, osservando uno splendido fiore cristallino coi petali candidi come la neve.
   Ora che la strega cattiva non c’era più, il fiore era finalmente libero dalla sua prigionia. Merlino, a quel punto, non sapendo cos’altro fare, lo portò vicino alle labbra.
   “Camelot ha bisogno del tuo aiuto. Ti prego, guarisci queste terre e riportale al loro passato splendore. Cura i mali causati dalla strega e dona a questo luogo nuova vita.” disse in un sussurro. Poi, soffiò con decisione. Il fiore si divise così in decine di petali che volarono come stelle lontano, verso l’orizzonte. Il loro viaggio attraversò in breve tempo tutto il regno, guarendo e rinvigorendo il terreno ed ogni cosa si trovasse sotto il loro passaggio. Rapidamente la desolazione che adornava Camelot si trasformò in lunghe distese verdeggianti e floreali. Anche il sole sembrò splendere più forte, come esultante per quella nuova vista. Nel frattempo, uno dei tanti petali si andò a poggiare sulla spalla sinistra di Merlino, ridonandogli la vitalità che aveva perso e curandolo dal veleno del Fomorroh.
   Guardandosi intorno, notò con gioia che Camelot era tornata la stessa che lui conosceva e amava. Diverse lacrime scesero dalle sue guance e si andarono ad infrangere sul terreno. Dopo tanto dolore, era contento di poter assaporare finalmente un po’ di serenità.
   “Bravo, Emrys.”
   Merlino si girò di scatto. Grimm era comparso a pochi passi da lui.
   “Grazie.”
   “Hai superato con maestria quest’ultima sfida e sei riuscito a trovare il tuo lieto fine. L’avventura può quindi considerarsi conclusa.”
   Il mago annuì, fissandolo senza dire altro.
   “Cosa c’è?” chiese lo spirito, aggrottando le sopracciglia “Non sei contento di poter finalmente annullare il sortilegio? Credevo fosse questo il tuo obiettivo, o sbaglio?”
   “Sì, ma non è finita qui. Ho ancora un’ultima cosa da fare.”
   “Di cosa stai parlando?” domandò Grimm, stupito.
   “Di te.” rispose Merlino con serietà “È arrivato il momento di parlare chiaro, per una volta.”
   “Non mi sembra di averti mai mentito.”
   “Basta giocare! Stavolta, è tempo che tu mi dica “tutta” la verità.”
   Lo spirito lo guardò con diffidenza. Dopo averci ragionato su per qualche secondo, però, annuì mestamente.
   “Va bene. Facciamo come vuoi. In fondo, credo che tu te lo sia guadagnato.” disse con un sorriso forzato “Quindi si parte! Pronto per un ultimo viaggio?”
   Poi, come suo solito, schioccò le dita.
   Mentre Merlino vide tutto annebbiarsi, pensò che, nel bene o nel male, era giunta l’ora della resa dei conti. Quella storia stava per giungere al suo inesorabile epilogo.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** E vissero per sempre... ***


E vissero per sempre…
 
   Merlino riaprì gli occhi. La sensazione di spossatezza e nausea che di solito lo accompagnava in quei viaggi tra un mondo e l’altro stavolta non si fece sentire. Anche se poteva non sembrare molto, specialmente in quella situazione, era già un buon inizio.
   “Ma…?”
   Osservando con gran stupore attorno a sé, notò il luogo in cui era finito, umido e roccioso, con diverse sporgenze luminescenti ed appuntite nelle pareti che illuminavano l’area ombrosa di un bel colore celestino.
   “La caverna di cristallo.”
   “Esatto.” confermò Grimm, apparendo un istante dopo, proprio di fronte a lui.
   “Perché siamo qui?”
   “Perché è un posto misterioso e suggestivo! Non trovi?” rispose lo spirito, picchiettando su un grosso cristallo incastonato in un angolo a terra.
   In quel momento, Merlino si fece ancora più serio.
   “Adesso voglio delle risposte!” esclamò in tono minaccioso, posizionandosi prontamente con una mano per scagliare un incantesimo “E ti assicuro che le avrò, in un modo o nell’altro!”
   Grimm, dal canto suo, rimase impassibile a giocherellare con una piccola pietra che aveva trovato sul terreno, dandogli dei calcetti qua e là.
   “Hai intenzione di combattere?”
   “No, ma lo farò se devo.”
   Lo spirito lo fissò per un attimo, poi tornò a concentrarsi sul sassolino.
   “Domanda pure, allora.”
   “Poco prima che mi spedissi nell’ultima fiaba, ho visto il simbolo che hai marchiato sul braccio.”
   “Sì. E allora?”
   “Appartiene ai Catha.” affermò Merlino con veemenza “Voglio sapere cosa c’entri tu con loro.”
   Grimm fece un grosso sorriso con la bocca. Dagli occhi, tuttavia, traspariva molta agitazione. Quasi preoccupazione, a dirla tutta.
   “Mi sorprendi, Emrys. La tua perspicacia è a dir poco stupefacente. Dopotutto, devo constatare che le leggende sul tuo conto sono vere. Anzi, forse non ti rendono giustizia, nonostante il gran bene che si dice su di te.”
   “Smettila di cambiare argomento e rispondimi una buona volta! Cosa hai a che fare con i Catha? Il giorno precedente a quando ho trovato il libro delle fiabe ho ricevuto da Finna, un membro dell’ordine, un messaggio che conteneva una profezia su Artù. Sono certo che non sia una semplice coincidenza che i due eventi siano accaduti uno di seguito all’altro.”
   “No, infatti.” confermò lo spirito.
   “Allora dimmi cosa sta succedendo!” esclamò Merlino esasperato. Non ne poteva più di tutte quelle domande. In quel momento, voleva solo delle risposte. “Ti prego…”
   “D’accordo.” convenne Grimm, annuendo “Del resto, te lo sei guadagnato. Prima però vorrei iniziare raccontandoti una storia. Una storia ben diversa da quelle che hai avuto modo di vedere e vivere in questi mondi fiabeschi.” “C’era una volta, molti secoli orsono, un mondo in cui la magia era libera di perseverare liberamente in ogni dove. Qualsiasi uomo, donna o bambino poteva usarla, per sé e per gli altri. Non vi era alcun vincolo che ne limitasse il suo utilizzo. Fin qui, è una cosa bella, non ti pare?”
   “Non saprei.” commentò Merlino corrucciato, senza capire dove l’altro volesse andare a parare. “Un mondo senza vincoli è un mondo senza regole e questo non credo sia un bene.”
   “Esatto!” urlò di colpo Grimm, battendo le mani “Ognuno poteva usare la magia come voleva, ma significa che poteva anche ferire, o peggio, uccidere chiunque. Così, alcuni tra i più capaci maghi dell’epoca crearono un ordine al fine di “controllare” coloro che ne abusavano.”
   “I Catha?”
   “Proprio così. I Catha votarono la loro vita a difendere il flebile equilibrio che intercorreva tra chi possedeva la magia e chi invece ne era privo.”
   “Va bene. E allora? Cosa stai cercando di dirmi?”
   “Tempo al tempo, Emrys. Tornando alla storia: un bel giorno, un uomo dalle indubbie capacità di preveggenza, un profeta invero, annunciò che in un lontano futuro sarebbe nato un mago in grado di portare a compimento il loro sacro compito, ovvero quello di unire il vecchio ed il nuovo mondo in uno solo. Per intenderci, quel mago sei proprio tu, Emrys.”
   Merlino lo guardò a disagio. Conosceva già quelle parole. Sapeva cosa era destinato a fare. Tuttavia, per lui sembravano sempre più una condanna che una benedizione.
   “A quel punto…” continuò Grimm “… i Catha convennero che non potevano permettere che colui che avrebbe salvato la magia, tu in pratica, fosse lasciato in balia della sorte, che poi era anche la stessa sorte che ti aveva nominato nella profezia, quindi non ho mai ben capito quale fosse il problema, ma…”
   “Arriva al punto!” lo incalzò Merlino, spazientito dal tergiversare dello spirito.
   Grimm annuì e schioccò le dita, facendo comparire tra le mani una piccola scatola marrone.
   “La profezia!”
   “Sì, i Catha vollero lasciarti un aiuto, affinché fossi pronto ad affrontare quello che ti aspettava. Ma, a differenza di ciò che credi, non fu solo il messaggio ad essere tramandato per secoli.”
   “Che vuoi dire?” chiese Merlino confuso. Finna gli aveva accennato dell’importanza della profezia, ma non aveva fatto riferimento a nient’altro “Cos’altro conteneva la scatola oltre al messaggio?”
   Grimm indicò se stesso.
   “Me.”
   “Te?” ribatté spiazzato Merlino “Non può essere! Sono sicuro che me ne sarei accorto se dalla scatola fosse “uscito” un tipo verde con un libro vecchio e polveroso.”
   Lo spirito sorrise divertito.
   “Beh, ovviamente non ero “dentro” la scatola. Ma, aprendola, si è innescato una specie di richiamo magico che mi ha condotto da te. È in questo modo che sono riuscito a trovarti.”
   Merlino si mise le mani nei capelli. Non ci stava capendo molto di quella storia. Su tutte, però, c’era una domanda che lo opprimeva più delle altre.
   “Si può sapere chi o cosa sei tu?”
   “Come ti ho già detto la prima volta che ci siamo incontrati, io sono lo spirito del libro delle fiabe.” spiegò Grimm, con un tono leggermente più serio del solito “Ma sono anche un “Landielf”.”
   “Un Landielf.” ripeté Merlino pensieroso “Mi sembra di aver letto qualcosa a riguardo negli scritti di Gaius. Se non sbaglio, i Landielf sono tra i primi esseri nati dall’Antica Religione. Il loro potere è smisurato. Sono conosciuti perlopiù come entità in grado di ispirare gli altri.”
   “Ben detto.” chiosò Grimm “Ed io sono uno di loro. Da sempre il mio compito è stato quello di vagare nel tempo e nello spazio alla ricerca di esseri viventi da ispirare. Per una giusta causa, vincolai la mia magia a quella di questa scatola, in modo da poter essere invocato qualora fosse venuto il tempo del mago narrato dalla profezia. Colui che avrebbe cambiato finalmente le cose. Tu, insomma.”
   “Ah.” mormorò Merlino stupito. Sembrava un gesto molto nobile quello fatto dallo spirito. Di certo, non se lo aspettava. “Scusami se te lo chiedo, ma se il tuo compito era di aiutarmi, in che modo lo avresti fatto?”
   “Mettendoti alla prova.” rispose Grimm con ovvietà “Facendo sì che apprendessi una lezione dopo l’altra, in modo da essere pronto quando sarebbe venuto il momento.”
   ““Il momento”… per cosa?”
   “Della resa dei conti.” spiegò lo spirito, avvicinandosi a Merlino “La battaglia finale contro la strega Morgana si avvicina, Emrys, e dovrai essere pronto a combattere, perché, quando arriverà il tempo, ti servirà tutto l’aiuto possibile se vorrai avere anche solo una speranza di vittoria.”
   “Ma perché vuoi che sia io a vincere?” chiese Merlino dubbioso “Perché hai vincolato la tua magia al servizio dei Catha? Con Morgana potresti essere libero di usare i poteri a tuo piacimento.”
   “Ti sbagli. Con la strega, l’unica cosa che otterrei sarebbe legare la mia libertà al suo volere. E non è questo che voglio.”
   “E cosa vuoi, allora?”
   “Non ha nessuna importanza quello che voglio, ma in chi credo.” ribatté Grimm “Ed io credo in te, Emrys, e nel mondo che vuoi realizzare con Artù. Lo pensavo allora e lo penso anche adesso.”
   “Ti ringrazio.” disse Merlino con un mezzo sorriso “Spero di riuscire a compiere quello per cui in molti si sono sacrificati.”
   “Non avere dubbi a riguardo. Tu, Emrys, hai in te la forza di cambiare le cose. Se non mi credi, guarda tu stesso.”
   Così dicendo, lo spirito indicò un cristallo attaccato alla parete. Merlino, incuriosito, si avvicinò ad esso, finché questo non iniziò a brillare. A quel punto, una serie di immagini si riflessero una dopo l’altra: all’inizio, vide Gwen, nei panni di Gwenderella, seduta sul trono di fianco ad Artù mentre quest’ultimo le sorrideva.
   “Questo è il futuro di Ginevra e Artù, quelli che ho incontrato nella prima fiaba, non è vero?”
   “Proprio così. Ma non distrarti e continua ad osservare.”
   Il mago, quindi, voltò di nuovo lo sguardo verso il cristallo. L’immagine era appena cambiata. Ora, rifletteva il sorriso di Galvano, mentre veniva nominato cavaliere dal re in persona. Poi, altre ancora, in cui erano mostrate alcune delle nobili gesta compiute dal ragazzo da lì in avanti, nel costante tentativo di mantenere fede alla sua promessa di salvare i più umili e i più bisognosi, anche dopo essersi spogliato dell’identità di Gwaine Hood.
   “Ben fatto, Galvano.” commentò Merlino soddisfatto.
   D’improvviso la scena cambiò di nuovo. Al posto del cavaliere, apparve Artù mentre prendeva posto nella Tavola Rotonda con Merlino al suo fianco. Il giovane re stava impartendo alcuni ordini per rinforzare la sicurezza nel regno e per mettere fine alle oppressioni patite nel tempo in cui era stato lontano. Al mago scappò anche un ghigno divertito quando vide come i due, insieme ai Cavalieri Sperduti, tornassero di tanto in tanto sull’Isola che non c’è, per svagarsi e rilassarsi come nei tempi andati.
   Quell’attimo di spensieratezza, però, non durò a lungo. Infatti, l’immagine mutò ancora, rivelando un nuovo scenario in cui Lancillotto era intento a scherzare animosamente con un ragazzo dai capelli rossi.
   “Lucignolo?” pensò Merlino, incerto.
   I due sedevano sereni sulla riva del Lago di Avalon. Attorno ad entrambi vi era un’aura celestina che li contornava e i loro corpi sembravano sbiaditi, quasi evanescenti. Questo perché in realtà non appartenevano più a quel mondo. Le loro disavventure li avevano portati a scontrarsi con un destino crudele e nefasto, prima ancora di poter assaporare a dovere la dolcezza della vita. I due amici avevano sofferto molto, eppure in quel momento Merlino non poté fare a meno di notare le loro risa. Tutto quello che era capitato loro sembrava essere acqua passata. Finalmente erano di nuovo riuniti e questo bastava ad entrambi per poter riposare in pace.
   A quel punto, il mago stava per girarsi verso lo spirito, quando il cristallo gli mostrò un’ultima immagine: sette simpatici nani che camminavano con allegria, canticchiando una canzone, mentre sullo sfondo si faceva sempre più visibile un paesaggio rigoglioso e popolato: il regno di Camelot si era ripreso completamente dalla maledizione della strega cattiva ed era rinato a nuova vita.
   “Tutto questo è merito tuo, Emrys.” disse Grimm, rompendo il silenzio che si era creato.
   Merlino annuì, asciugandosi con una manica il volto ormai rigato dalle lacrime.
   “Grazie per avermelo fatto vedere.”
   “Non c’è di che.” ribatté l’altro, sorridendo “Devi sapere che è da molto tempo che ispiro gli esseri umani tramite questo libro ed in tutta la mia esistenza ho scoperto che il modo migliore per farlo è lasciare che ognuno “viva” in prima persona ciò che deve imparare o apprendere. Non c’è modo migliore per far comprendere qualcosa che vederla con i propri occhi. Ma questo è un privilegio che ho deciso di riservare solo a pochi. Infatti, ho sempre e soltanto scelto coloro che avessero qualcosa di speciale. Qualcosa che, in realtà, neanche io sono mai riuscito a capire appieno.”
   “Perché? Cos’ho io di “speciale”?”
   “Tu sei unico, Emrys. Ma non per l’immenso potere che hai, bensì per le scelte che compi.” spiegò Grimm “Da quando sei giunto a Camelot hai appoggiato Artù in ogni sua decisione contro la magia, anche se questa andava contro i tuoi stessi interessi, in quanto stregone. Inoltre, hai sempre anteposto il benessere dei tuoi cari al tuo. Questo basta a renderti speciale, non credi?”
   “Io… non so…” rispose Merlino tentennante.
   “Fidati di me, perché è così. Ma, ricorda queste parole, Emrys: se per i personaggi delle fiabe che hai visitato, dopo ogni periglio c’è ad attenderli un futuro in cui vissero per sempre felici e contenti, nella realtà le cose stanno diversamente. Lì, dopo ogni ostacolo, ce ne sono ancora altri due che aspettano solo di essere fronteggiati.”
   “È vero.” commentò il mago, pensando a quanti di quegli ostacoli aveva già incontrato fino a quel momento.
   “Mi fa piacere che tu comprenda, perché quando affronterai Morgana non dovrai fare affidamento solo sulla tua magia. Come per le storie che hai appena vissuto, essa da sola potrebbe non bastare. Non perché tu non sia abbastanza forte, bensì perché non puoi sperare di giocare ad armi pari contro un essere disonesto come lei. Se vuoi vincere, dovrai capire un’importante lezione: l’uomo che sei è destinato a sconfiggerla, non il mago. Dovrai continuare a lottare a prescindere dai tuoi poteri. Solo in questo modo potrai batterla e salvare Camelot. Non dimenticarlo.”
   “Va bene, lo terrò presente. Ti ringrazio, Grimm.”
   Lo spirito annuì, soddisfatto.
   “Bene. Adesso che ho finalmente adempiuto al mio compito, credo sia giunto il momento di andare.”
   “Aspetta.” lo fermò Merlino “C’è un’ultima cosa che vorrei chiederti prima.”
   “Come vuoi. Dimmi pure.”
   “Poco fa hai detto che hai viaggiato nel tempo. Era tanto per dire, oppure è la verità?”
   “Ma che domande! Certo che è la verità! Non scherzerei mai su una cosa del genere!” rispose Grimm con un sorriso sbarazzino “Come hai accennato anche tu, sono un essere piuttosto potente. Viaggiare nel tempo è solo una delle molteplici abilità che possiedo. Anzi, a tal proposito…”
   Lo spirito schioccò le dita, facendo comparire tra le mani una pergamena talmente lunga da cadere fino a terra e srotolarsi.
   “Vediamo un po’…” disse, scorrendo il dito sopra di essa “Dopo di te, il prossimo della lista a cui devo fare visita è… un certo Walt, tra più di mille anni nel futuro, all’incirca.”
   “Accidenti!” esclamò Merlino stupito “È tra molto tempo.”
   “Sì, beh, ma questa è un’altra storia.” ribatté Grimm, mettendo via la pergamena “Prima di iniziarla, devo concludere questa. Non credi?”
   “Mi sembra giusto.”
   “Bene. Allora…” “…Alibben glæd écnesse!” disse lo spirito, schioccando le dita un’ultima volta.
 
***
 
   “Ah!”
   Merlino si ridestò di soprassalto.
   “Ma che…?”
   Guardandosi intorno disorientato, scoprì di trovarsi nell’alloggio di Gaius. Il libro delle fiabe era ancora aperto sul tavolo.
   “Cos’è successo?”
   Dopo un primo momento di confusione, d’un tratto gli tornarono in mente sia lo spirito del libro che tutto quello che era accaduto. Gli sembrava strano ripensarci. Aveva appena affrontato mille peripezie ed ora si trovava improvvisamente al sicuro. Non riusciva ancora a crederci. Era a casa, finalmente… oppure no?
   “È davvero finita… o questa… è un’altra fiaba?” pensò sovrappensiero, giusto un attimo prima di udire un grido sovrumano sopraggiungere dall’esterno.
   “MEEEERLINO!”
   Artù lo stava chiamando. Così guardò d’istinto fuori dalla finestra e si accorse che il sole era alto in cielo. Era in grosso ritardo per iniziare i suoi doveri!
   “Sì, questo è senza dubbio il vero Artù!” constatò mentre si dirigeva con uno scatto forsennato fuori dall’alloggio, chiudendosi la porta alle spalle.
   Qualche istante più tardi, il libro delle fiabe iniziò ad emettere una specie di sbrilluccichio. Poi, con un tonfo secco si chiuse e pian piano cominciò a svanire nel nulla. Prima di scomparire del tutto, però, si udì una voce ben distinta riecheggiare nella stanza.
   “Addio, Emrys, e buona fortuna.”







Grazie a tutti per aver letto questa storia.
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4040714