Un amore in gioco

di Chiara PuroLuce
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Due nuove realtà ***
Capitolo 3: *** Anche se il tempo vola... ***
Capitolo 4: *** Un inizio difficile ***
Capitolo 5: *** Daichi ***
Capitolo 6: *** Cinque sfidanti per una fascia ***
Capitolo 7: *** Allo stadio con sorpresa ***
Capitolo 8: *** Patty tra rabbia e confusione ***
Capitolo 9: *** Scorci di verità ***
Capitolo 10: *** Una visita inaspettata ***
Capitolo 11: *** Prove di dialogo ***
Capitolo 12: *** È uno scherzo, vero? ***
Capitolo 13: *** Due ex... non proprio ex ***
Capitolo 14: *** Non tutto è perduto... forse. ***
Capitolo 15: *** Bentornata, Anego! ***
Capitolo 16: *** Sorprese ***
Capitolo 17: *** Quando Anego si scatena... ***
Capitolo 18: *** La verità svelata (parte 1) ***
Capitolo 19: *** La verità svelata (parte 2) ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Casa! Finalmente era a casa. Le era mancata. Tutto le era mancato del Giappone, la sua patria.
Doveva esserne felice, giusto? Giusto. E invece no, non lo era proprio per niente, ma era stato necessario, osava dire… vitale.
Il cuore pesante come un macigno. La mente presa da mille e più pensieri che voleva solo lasciare dove avevano avuto origine, in Spagna. A Barcellona.
Patty stava soffrendo, ma doveva farsi forza. Per quella creatura che portava in grembo da quasi due mesi e che avrebbe sì riempito un vuoto, ma avrebbe portato anche tanto amore e tanta gioia nella sua vita.
Il piano, ora, era questo. Passare qualche giorno a casa dei suoi e poi cercarsi un piccolo appartamento a Tokyo dove potersi leccare le ferite e riprendere in mano la sua vita.

«Dove la porto signora?»

Eh? Ah, giusto, il tassista.

«A Nankatzu, grazie. Quando saremo lì le dirò l’indirizzo esatto.»

«Conosco benissimo quella cittadina, sa? Ci vive mio nipote con la sua famiglia, si sono trasferiti quasi sei anni fa e se ne sono innamorati. Ogni tanto passo a trovarli» le raccontò. «Sta tornando dalle ferie? Scusi se sono indiscreto, ma ho visto le sue numerose valige.»

Una vacanza? Era quella l’impressione che dava?

«Oh, sì, una specie. Ma ora sono tornata in patria.»

«Ah, prima o poi si ritorna sempre. È il cuore che ci guida. Si possono fare tanti viaggi, ma nessun posto sarà mai come la propria terra d’origine. Oh, mi scusi, lei sarà stanca per il volo e io parlo. Si riposi pure, signora, e se si dovesse addormentare la sveglio io.»

«Non mi disturba affatto, anzi, trovo fantastico non dovere più fare fatica per comunicare con qualcuno. Ma seguirò il suo consiglio, se non altro perché sono veramente a pezzi. A più tardi allora.»

E poi, dopo qualche sbadiglio, chiuse gli occhi e si addormentò di colpo.
 
 
 



 
«Mamma! Mamma esci subito» gridò suo fratello dopo averle aperto la porta di casa.

«Ma insomma, che c’è Nobuo caro. Ti sembra il caso di urlare cos… Patty! Oh, figlia mia che sorpresa!» Urlò a sua volta la madre prima di lanciarsi ad abbracciarla stretta.

Patty avrebbe tanto voluto partecipare alla loro felicità, ma non ce la fece. Un nodo in gola la bloccò e lì, nel giardino di casa dei suoi, circondata dalle valige, la voce le venne meno.

«Cara, oh, ma tu non stai bene. Sei pallida e stai anche tremando e… e sei sola» le disse scostandosi un poco e guardandosi in giro alla ricerca di qualcuno, inutilmente. «Dov’è tuo marito?»

«Lui… lui… Holly è… oh, mamma!» Singhiozzò. «Posso restare per un po’?»

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Capitolo 2
*** Due nuove realtà ***


Barcellona, Spagna.
 
«Hutton, Hutton, da questa parte.»

Giornalisti, giornalisti e ancora giornalisti. Sanguisughe non degne del suo tempo. Ignorò i continui richiami e si infilò nell’auto che lo stava aspettando. Quella mattina aveva un appuntamento importante e non poteva perdere tempo con loro.
Non gli importava di essere stanco e di non avere praticamente dormito dopo i festeggiamenti notturni con i suoi compagni di squadra del Barcellona. Avevano vinto il campionato invernale e quasi tutti si erano precipitati in un club esclusivo a bere, mangiare e, soprattutto, a ballare con molte belle e disponibili ragazze. Aveva dovuto declinare diverse offerte sfacciate, ma non era da lui e, a dirla tutta, si sentiva in imbarazzo. Il suo cuore era ancora occupato, anche se... E così aveva lasciato i compagni al club ed era rincasato, da solo. Mancavano poche ore e poi la sua vita sarebbe cambiata per sempre. Di nuovo. Cazzo, non ci voleva. Non era pronto. Non lo sarebbe mai stato. 
L’autista di fermò proprio sotto la scalinata del tribunale. Scalinata che lui percorse senza fretta, fino a raggiungere il suo avvocato che l’aspettava accigliato.

 
«Per fortuna è arrivato. Non mi sarebbe piaciuto entrare in aula senza di lei. Forza, il nostro caso verrà dibattuto tra dieci minuti» gli disse mentre le conduceva attraverso i corridoi affollati.

Arrivarono in perfetto orario. L’udienza era prevista per le 9.25 e il tribunale fremeva di attività. Oliver guardò il bancone di fianco al suo. Lei… dov’era? Perché c’era solo il suo avvocato?
 
«Tutti in piedi, entra la corte» tuonò la voce del cancelliere. «Caso numero AB5300E. Causa Civile. Hutton contro Hutton» disse poi rivolto al giudice.

Oliver notò che l’uomo anziano e corpulento che avrebbe deciso il suo destino, lanciò un’occhiata a lui e poi al banco vicino, dove si soffermò alzando un sopracciglio.
 
«Avvocato Mendoza, potrebbe spiegare alla corte dove si trova la sua assistita? Si è dimenticata dell’udienza, forse? Spero per lei che abbia un motivo valido per la sua assenza» gli chiese con fare perentorio.

Ecco, bravo, dov’era? Sarebbe piaciuto saperlo anche a lui.
 
«Giudice Ortega, la mia assistita Patricia Gatsby coniugata Hutton ha demandato a me di fare le sue veci. Posso conferire con lei al banco? La mia assistita non desidera che il convenuto Hutton Oliver sappia la ragione della sua assenza che, le posso assicurare, è più che legittima.»

Che cooosaaa? Inaudito. Fece cenno al suo avvocato di controbattere.
 
«Signor Giudice» iniziò subito quello «ritengo questo atteggiamento ingiusto nei riguardi del mio assistito e della corte stessa da Lei presieduta. Ritengo inoltre, e lei converrà con me, che…»

«Silenzio» fu zittito dal Giudice stesso «io non devo convenire proprio un bel niente con lei, avvocato Ruiz. Questa è la mia aula e decido io cosa ammettere e cosa no. Non lei. Permesso accordato, avvocato Mendoza. Prego, si avvicini.»

E quello lo fece. Holly notò gli sguardi del Giudice Ortega mentre ascoltava assorto le motivazioni che quel tale, Mendoza, gli forniva sull’assenza di sua moglie. Quel tizio gli aveva allungato un foglio che fu subito preso in esame e letto. Cosa aveva tenuto lontano sua moglie dall’aula di tribunale? Cos’era tutto quel mistero. Ehi, un momento… cosa? Moglie? Ex. Ex moglie, si corresse, perché di lì a poco tale sarebbe stata. Dannazione. Poteva ancora impedire tutto ciò, ma aveva promesso, aveva dato la sua parola e… dannazione!
Pochi minuti dopo l’avvocato di Patty era tornato al posto e il Giudice gli aveva dato la parola.

 
«Avvocato Mendoza, esponga le richieste della controparte.»

«Grazie, signor Giudice. La mia assistita, Patricia Gatsby coniugata Hutton, chiede il divorzio dal marito Oliver Hutton e non desidera ricevere alcun tipo di assegno divorzile a suo favore da parte della parte avversa. Richiede inoltre un provvedimento per impedire al signor Hutton di avvicinarla in futuro, pena una denuncia penale per reato di stalking. Infine, richiede con effetto immediato la rimozione delle sue foto – con o senza il marito a fianco – da internet. È suo espresso desiderio che il suo nome e il suo volto non vengano mai più associati a quello del signor Hutton, pena una denuncia penale per violazione della privacy.»

Che cooosaaa? Ma era impazzita?
 
«Ma è ridicolo!» Sbottò lui. «Signor Giudice…»

«Silenzio in aula! Signor Hutton non una parola di più. Non le ho dato il permesso di parlare.»

«Me lo prendo da solo. Sono richieste assurde!» Urlò ancora lui sbattendo i palmi sulla scrivania. «Mi piacerebbe sapere perché la mia prossima ex moglie non è qui a controbattere come una persona normale farebbe.»

«Avvocato Ruiz, calmi il suo cliente o mi vedo costretto a trattenerlo nelle nostre celle per una notte con conseguente multa salatissima per poterne uscire domani mattina.»

«Io sono Oliver Hutton, il numero 10 del Barcellona, dannazione. Non accetto di essere trattato così.»

«E io sono il Giudice Alvaro Ortega» ribatté quello con durezza «e lei sta tirando troppo la corda signor Hutton. Questa, le ripeto, è la mia aula, mia! Sono stato chiaro? Lei potrebbe essere anche il Papa, ma qui dentro anche lui sarebbe un normale cittadino e verrebbe trattato da tale, quindi, si rassegni a essere ripreso e zittito se lo ritengo necessario. Non sto scherzando Hutton, o tace o davvero la faccio sbattere in cella per insubordinazione alla corte, ovvero a me» decretò. Poi si rivolse al suo avvocato. «Avvocato Ruiz, non glielo ripeto più, faccia capire al suo cliente che questo non è uno stadio o multo anche lei senza problemi.»

Holly si calmò a fatica. Patty doveva essere impazzita. Erano richieste inaccettabili. Pochi minuti dopo il Giudice Ortega si espresse.
 
«Dichiaro l’assenza della parte accusante, legittima» disse con voce tonante. «Tutte le richieste della convenuta vengono accettate. La parte lesa non verrà informata delle motivazioni che concernono la sua assenza in aula stamattina, in quanto personali e non utili ai fini giudiziari. La signora Hutton non riceverà nulla in denaro dal marito. Marito che si asterrà dall’avvicinarsi a lei in un raggio di chilometri cento, che potrà essere esteso a discrezione di questa corte. Le foto che la vedono protagonista in rete e il suo nome dovranno essere rimossi a partire da adesso ed entro la settimana da qualsiasi social e qualsiasi tipo di blog, sportivo o meno; pena la reclusione dell’accusante per reato di lesione alla di lei immagine. Nominerò un team informatico che controlli l’effettiva cancellazione e che monitori la situazione in un tempo a mia discrezione. Qual ora uno o entrambi questi divieti vengano altresì ignorati e perpetrati, alla signora Hutton verrà assegnato un indennizzo pari a euro diecimila per ogni violazione riscontrata che sarà interamente a carico del signor Hutton. Dichiaro altresì il divorzio tra il signor Hutton Oliver e la signora Hutton Patricia, effettivo a partire da questo momento. La corte si ritira.»

Il Giudice Ortega vibrò con decisione il suo martelletto e poi uscì lanciandogli un occhiata truce. E il suo matrimonio con Patricia Gatsby finì.
Era successo tutto così in fretta che ancora stentava a crederci. Non doveva andare così, proprio no. Eppure… eccolo lì in tribunale. Fresco di divorzio.

 
«Si può impugnare la sentenza?» Chiese all’avvocato.

«No. Per quanto assurda, deve essere rispettata» rispose quello mentre riponeva tutti i documenti nella valigetta.

«Ma andiamo, non può… io non ho fatto nulla per meritarmi tutto questo. Cento chilometri? Centooo? Ma si rende conto che è impossibile? Io sono un calciatore, non sto mai troppo a lungo in un posto. E come faccio a sapere dove si trova lei senza rischiare le manette visto che viviamo entrambi a Barcellona? E la storia delle foto? Siamo sicuri che Patty non è ricoverata in qualche istituto psichiatrico?»

Sapeva che era una cattiveria da dire, ma a questo punto tutto era possibile. Patty doveva per forza essere impazzita. Possibile che quella fosse la sua vendetta tardiva per…
 
«Signor Hutton, le conviene attenersi alla decisione del Giudice. È un consiglio che le do’ e spero vivamente che sia abbastanza intelligente da seguirlo.»

«Assurdo. Voglio, anzi no, esigo una revisione del processo.»

«Non sia ridicolo e non faccia casini. Se qualcuno dovesse scoprire questa storia del divorzio – che finora siamo riusciti a tenere segreta per un qualche miracolo, visto la sua fama – e degli accordi violati, potrebbe mettersi male anche per la sua carriera e conseguente popolarità.»

Non riusciva a crederci. Perché Patty gli aveva fatto quello? Doveva parlarle. Dal vivo o al telefono, non gli importava, ma doveva sentire dalla sua voce e capire. Altro che impedirgli di vederla e parlarci.
Ma come poteva fare per non farsi beccare? Subito guardò il banco accanto e scorse l’avvocato che stava sistemando velocemente i fogli nella ventiquattr’ore.

 
«Ehi, lei, avvocato Mendoza, giusto? Si fermi. Ehi!» Lo chiamò. Ma quello, veloce come un leopardo, era già uscito dall’aula.

«Cosa mi aveva detto la prima volta che l’ho vista?» Continuò l’avvocato Ruiz riportando la sua attenzione a lui. «Ah, sì. Che sarebbe stata una passeggiata. Che sua moglie non avrebbe avanzato richieste di nessun tipo e che il processo era solo una mera formalità. Giusto? Ho visto.» E poi uscì.

Dannazione, dannazione, dannazione. Questa me la paghi, Patty.
 
 
 



Nankatzu, Giappone.
 
Pioveva a dirotto, come nel suo cuore. Spezzato. Morto. Morto e sepolto. Lei non lo possedeva più, un cuore.
Patty strinse il gambo della rosa bianca che teneva in mano e alzò lo sguardo al cielo. Pioggia e lacrime si mischiavano sul suo viso, ma a lei non importava. Nulla aveva più importanza.

 
«Signora, mi perdoni, rispetto il suo dolore, ma rischia di prendersi un raffreddore se rimane ancora sotto questo diluvio senza ombrello. Venga a ripararsi sotto il pergolato.»

«Signorina» mormorò lei in risposta allo sconosciuto «sono signorina.»

«Em, sì, mi scuso per l’errore. Signorina, mi segua, per favore. Se persiste a rimanere qua potrebbe ammalarsi seriamente.»

«E sarebbe così brutto? Dopotutto, non ho più nulla da perdere, nulla per cui combattere, nulla per cui vivere.»

Per fortuna l’anziano uomo non replicò, limitandosi a coprirle il capo con un ombrello e ad aspettare che lei depositasse la rosa sul freddo marmo verticale, poi la scortò verso l’uscita del cimitero.
Cos’avrebbe fatto ora? Che senso aveva la sua vita futura? Più ci pensava e più il vuoto del suo cuore le invadeva lo spirito e vedeva solo un enorme buco nero.
Quella che le era capitata era una disgrazia immane che era andata a sommarsi alla già disperata situazione che viveva da mesi. Sola, marchiata come bugiarda, umiliata da colui che le aveva stravolto la vita anni prima, il suo unico e vero amore. O almeno così credeva all’epoca. Ora aveva capito che era stata tutta una finta. Che l’amore era solo un grande inganno.
Che stupida era stata. Stupida e patetica. Stupida e credulona.
A fatica Patty si era ripresa e aveva combattuto come una leonessa per non affogare ancora di più nella delusione e nella disperazione, soprattutto una volta saputa la bella notizia. All’epoca aveva uno scopo nella vita e quello le aveva dato la forza per non mollare e andare avanti.
Ora… era tutto finito. Non era giusto. La vita stessa era ingiusta. Anche il tempo quel giorno sembrava darle ragione.
Non aveva voluto nessuno. Non lo sapeva nessuno. Solo lei, i suoi genitori e suo fratello. Loro erano tornati a casa già da un po’ e non le avevano messo fretta. Il cielo si era scurito ancora di più una volta rimasta sola e aveva aperto i rubinetti di lì a poco.
Sospirò e si fermò.
Patty si girò un’ultima volta verso quella tomba così fredda eppure reale, le mandò un bacio soffiato e se ne andò, ignorando le proteste dell’uomo che voleva si mettesse al riparo, almeno fino alla fine del temporale.
                                                
                                                    Qui giace Mairi Gatsby
                                    Figlia amata che non sarà mai dimenticata
                                                    13/11/2003 13/11/2003
 
 



 
«Oh, cara, ma guardati, sei fradicia. Vieni, ti preparo un bel bagno caldo e rilassante.»

Sua madre. La sua dolce e premurosa madre. Accettò di buon grado e si lasciò coccolare da lei. Dieci minuti dopo era immersa in una calda vasca fumante che profumava di rosmarino.
Non ci mise molto a immergersi anche nei ricordi.
Dopo essere stata scaricata senza troppe cerimonie da Holly, Patty aveva passato qualche tempo ancora a Barcellona e poi era tornata in Giappone, ma a Tokyo dove aveva affittato un piccolo appartamento, funzionale e ben tenuto. Aveva bisogno della sua indipendenza e, per dirla tutta, non voleva rientrare a Nankatzu e scontrarsi casualmente con vecchie conoscenze che le avrebbero fatto mille domande imbarazzanti o meno. Sì, certo, anche in città avrebbe corso quel rischio visto che alcuni membri della Nazionale ci abitavano, ma era difficile che accadesse.
Nessuno sapeva che era rientrata in patria.
Incinta, sola, ma determinata a portare avanti la gravidanza. Gravidanza che, per fortuna, non aveva annunciato all’ormai ex marito. Era stata così vicina a farlo...
Aveva informato solo la sua famiglia, facendo promettere loro di non divulgare la cosa. Loro avevano capito. Era stata una vigliacca? Non lo sapeva, ma aveva preferito così. Almeno fino a che non avesse superato il dolore per la perdita del suo amato che se la spassava alla sue spalle e poi l’accusava di inventarsi le cose. Ma lei sapeva cosa aveva visto. Lo sapevano tutti i nuovi compagni di squadra di Holly e nessuno mai l’aveva messa in guardia. E va bene che lei non capiva una parola di quanto le dicessero, ma un metodo potevano trovarlo.
E ora si era aggiunto un altro dolore, ancora più profondo del primo. Dopo quattro mesi di gravidanza perfetti, pochi giorni prima mentre era a casa dei suoi, aveva iniziato ad avere dei fortissimi crampi e poi era svenuta. Si era svegliata in ostetricia.
I medici le avevano detto che aveva avuto un aborto spontaneo e che poteva succedere anche a gravidanza inoltrata, purtroppo. La sua bambina non ce l’aveva fatta. Avevano dovuto procedere a operarla d’urgenza e per lei sarebbe stato difficile rimanere incinta una seconda volta.
Il giorno più triste della sua intera esistenza.
Per lei quel giorno – e non quello della loro separazione – era il giorno in cui l'ultimo legame con Holly era venuto a mancare per sempre. Lui non lo sapeva e aveva giurato a se stessa che non l’avrebbe saputo mai.
Nuove lacrime le solcarono il viso. Patty scivolò completamente nell’acqua e rimase in quel caldo limbo liquido per qualche secondo.
Quando riemerse dalla vasca, lo fece con una consapevolezza nuova. Poteva piangere e poteva disperarsi, ne aveva tutto il diritto. Non doveva vergognarsi. I medici le avevano spiegato che lei non aveva colpa per quello che era successo alla sua bimba. Belle parole, sicuramente vere, ma non semplici da accettare. Ora voleva solo vivere il suo dolore e metabolizzare il lutto o sarebbe impazzita.
A Barcellona, aveva sognato una vita felice accanto a Holly, ma non era successo. Mentre lei si sforzava di essere una brava moglie e di adattarsi a una vita lontana dal Giappone, cercando senza successo di imparare quella lingua così ostica e senza mai intralciare la carriera di suo marito, lui…
No, non doveva pensarci più. Quello era il passato e non sarebbe tornato.
Quella mattina – per uno strano scherzo del destino – in Spagna ci sarebbe stata l’udienza per il divorzio. Ulteriore scherzo del destino, era che l’orario coincideva con quello del funerale di Mairi.
Il divorzio l’aveva voluto lei, ma Holly si era offerto di prendersene la responsabilità con tutti e aveva tanto insistito che alla fine aveva ceduto.
Patty aveva chiamato il suo avvocato appena sveglia e l’aveva messo al corrente di quello che le era successo, confermandogli le direttive da dire in aula in sua vece. Gli aveva anche spedito una breve mail dove metteva nero su bianco le sue parole, da mostrare al giudice, dove gli augurava di prendere la migliore decisione per dare giustizia non tanto a lei, quanto alla sua creatura deceduta prematuramente. Erano cose che avrebbe preferito evitare di fare, ma erano necessarie e non potevano essere rimandate.
Lei voleva solo staccarsi dal capitolo Hutton e per farlo doveva andarci giù pesante o lui non l’avrebbe mai presa sul serio. Non voleva i suoi soldi, non voleva essere riconosciuta come sua moglie, non voleva vederselo comparire vicino.
Oliver l’aveva umiliata. Ora era arrivato il suo turno di sentirsi umiliato.

 
«Resti qualche giorno con noi, tesoro?»

Patty sobbalzò. Pensierosa com’era, non si era accorta dell’arrivo di sua madre con un bel pigiama caldo e profumato.
 
«Lo so che è ancora giorno» continuò imperterrita lei «ma Patty, permettimi di viziarti un po’, solo per oggi, altrimenti impazzisco.»

Guardò sua madre e sentì la sua voce incrinarsi. Stava soffrendo anche lei. Annuì piano, accettando il fagotto e sospirando di piacere quando il caldo indumento la coprì.
 
«Se non ti dispiace, resterò per qualche tempo. Non voglio stare sola. Non oggi, non domani, non… non… io… io voglio la mia bambina. Voglio la mia Mairiii. Mamma, perché non posso riaverla? Perché mi ha lasciato sola, perchééé. Perché?»

E poi la voce venne meno e si ritrovò a singhiozzare disperatamente e a lungo sulla spalla di sua madre che prese a cullarla in silenzio.

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Capitolo 3
*** Anche se il tempo vola... ***


Cinque anni dopo.


Casa Hutton, Nankatzu.

 
«Oh, Holly, tesoro, che bello riaverti a casa. Non ti aspettavamo» gli disse sua madre mentre lasciava cadere la cesta dei panni per terra e correva ad abbracciarlo stretto.

Beata lei che la pensava così. A lui, invece, quella cittadina andava stretta e ci era ritornato solo per guidare la Nazionale, come era solito fare.
 
«Ho deciso di farvi una sorpresa. È bello rivederti, mamma. Pensavo ci fosse anche papà. E Daichi dov’è?» Chiese guardandosi in giro.

«Tuo padre tornerà tra una settimana e resterà a terra per almeno un mese questa volta. Non vedo l’ora che se ne vada in pensione per non doverlo più dividere con la sua nave» gli confessò ridacchiando. «E tuo fratello è ancora a scuola, stanno preparando la Festa di Primavera e la sua classe ha deciso di aprire una casa degli orrori. Si sta divertendo come un matto a prepararla con i suoi compagni. Però, ora che ci penso, è quasi ora di cena e dovrebbe arrivare a momenti. Sarà felicissimo di rivedere il suo fratellone.»

Eh già, ormai Daichi era un adolescente e, a differenza sua che era sempre stato concentrato sul calcio, aveva anche altri interessi e proprio non capiva come riuscisse a stare a dietro a tutto senza impazzire. Sul fatto che fosse felice… Holly aveva qualche dubbio.
Daichi aveva iniziato a essere freddo con lui subito dopo avere scoperto che aveva divorziato da Patty e ogni volta che lo rivedeva era sempre peggio. Sua madre Maggie minimizzava la cosa dicendo che era perché il piccolo di casa era molto affezionato a Patty e gli dispiaceva non averla più come cognata. Ma lui non ne era del tutto sicuro.

 
«Mamma, lo sai benissimo che non è vero, ma non importa. Sono deciso a mettere fine a questa cosa.»

«Oh, tesoro, era ora» disse lei facendogli un largo sorriso.

«Mettere fine a cosa… fratello?»

Ed eccolo lì, Daichi, colui che lo odiava a morte e non si premurava più di nasconderlo. Ah, il potere dell’adolescenza.
 
«Sono felice di rivederti» gli disse.

«Davvero? E perché?»

«Be’, perché sono mesi che non ti vedo e non ti sento per iniziare e poi perché sei mio fratello e mi sei mancato. Non ti sembrano delle buone ragioni?»

«No», gli rispose lapidario lui. «È già tempo di Nazionale?» Chiese poi senza un vero interesse.

«Sì, sai benissimo che lo è. Sono tornato appunto per prenderne il comando e vincere il campionato.»

«Tu? Perché, ti ricordi ancora come si gioca in una squadra? E poi cosa ti fa credere che ne sarai il capitano anche questa volta?»

«Daichi! Chiedi subito scusa a Holly» s’intromise sua madre.

«Io? Lui fa il presuntuoso e in torto sarei io?» L’attaccò Daichi. «Oh, andiamo, hai visto anche tu che il signorino qua gioca solo per se stesso. Che diamine ti è successo? Una volta non eri così. Ti divertivi, non ti stancavi mai, era la tua passione. L’hai trasmessa a me. Ho seguito le tue orme e ora sono il numero 9 della Nankatzu, il braccio destro del nostro capitano. Mi piace quello che faccio e ci metto tutto me stesso, non mi risparmio proprio come facevi anche tu, ricordi? Tu non eri solo il leader della squadra, eri anche il trascinatore, colui su cui tutti potevano contare. Vivevi per la squadra. Vivevi per questo sport meraviglioso. Mentre ora? Cos’è il calcio per te, ora, fratellone?»

Cos’era il calcio… ma come osava il piccoletto di casa parlargli così?
 
«Non è cambiato nulla, Daichi. Per me è ancora la mia vita e mi piace ancora scendere in campo e dare il meglio di me stesso.»

«Sì? Davvero? Ne sei proprio sicuro?» Lo punzecchiò lui.

«Che intendi dire? Certo che è così!» Gli rispose con fare risoluto.

«Se ancora non te ne sei accorto, non sarò certo io a dirtelo» disse suo fratello senza pensarci un attimo e poi si diresse in cucina. «Mamma, ho fame. Che c’è per cena?» Lo sentì chiedere con tono allegro alla loro madre che lo guardava attonita.

Incredibile. Era appena stato sgridato da suo fratello minore, Daichi. Aveva appena quindici anni e una parlantina niente male.
 
«Daichi, dov’è finita l’educazione?» Lo sgridò sua madre raggiungendolo.

«Con chi se la merita» le rispose lui di rimando.

«Cooosaaa? Senti un po’ ragazzino. Non ti permetto di parlare così a tuo…»

«Non importa mamma, davvero. È arrabbiato con me, posso cap… aspetta un attimo? Che hai detto? Sei il numero 9 e non sei il capitano della squadra?»

Ma dico, stava scherzando, vero?
 
«Non mi interessa esserlo e, a dire il vero, non me ne è mai importato» rispose lui candidamente. «La cosa sconvolgente, semmai, è che lo scopri solo ora» l’accusò lanciandogli uno sguardo serio. «Rifletti, mio caro fratellone, perché? Vedo che qui ancora non c’è nulla di pronto, be’, chiamatemi quando è ora di cena» disse cambiando argomento e poi sparì in camera sua sbattendo la porta.

Ah, però, che tipetto che era diventato.
 
«Non so cosa gli prende quando ti vede» gli disse sua madre «eppure ti adorava fino…»

«Fino al mio divorzio da Patty» concluse lui. «Vado a parlarci» fece per salire, ma sua madre lo bloccò.

«No, non ora, lascia perdere. Quando è così non ascolta nessuno, ha bisogno di calmarsi da solo e poi lo rivedremo a cena. Potrai parlargli dopo, se sarai ancora dell’idea» gli consigliò. «Perché non vai a farti una bella corsa? C’è ancora tempo per mettersi a tavola» gli suggerì infine.

E così fece. Uscì dieci minuti dopo, in tenuta sportiva, da sempre la sua preferita. Doveva calmarsi o rischiava di dire cose di cui si sarebbe pentito al caro fratellino. Non era pronto a tutto quell’astio. Certo, sapeva che Daichi lo detestava, ma così tanto no e poi era la prima volta che cercava un confronto. Holly era rimasto spiazzato da lui. Come doveva comportarsi, come?
Ok, era arrabbiato per via di quello che aveva fatto a Patty divorziando da lei, ma cavoli, erano passati cinque anni da allora, non aveva senso avercela ancora con lui.
Ok, era stata Patty a chiedergli il divorzio e lui non si era opposto, anzi, avrebbe fatto di tutto per riavere colei che aveva sposato invece di una sua pallida ombra. Persino divorziare, sì. Le aveva concesso il divorzio, ma aveva insistito per prendersi la colpa davanti a tutti. Era stata dura farglielo accettare, ma alla fine l’aveva spuntata e ora, per tutti, era lui il cattivo. Pazienza. Però… però Patty lo aveva umiliato in aula con le sue assurde richieste. Ancora non aveva capito cosa le fosse preso all’improvviso. Sulla carta avrebbe dovuto essere un divorzio facile e invece lei gli aveva giocato un brutto scherzo; prima non presentandosi in aula e poi stilando le sue assurde condizioni che erano state esaudite totalmente.
E allora perché suo fratello ce l’aveva con lui? In fondo, tra i due ex coniugi Hutton a rimetterci era stato lui.
Non la vedeva da quando lui aveva lasciato casa loro qualche giorno dopo una brutta litigata, assurda a dir poco. Così lui si era trovato un monolocale vicino allo stadio e aveva pensato che se le avesse lasciato qualche giorno per sbollire la rabbia… e invece no. Dopo una settimana, Patty lo aveva chiamato al telefono e gli aveva sparato quella bomba. Si era rifiutata di incontrarlo per discuterne meglio a quattr’occhi e poi l’aveva fatto chiamare dal suo avvocato in tempo record. Fine della loro storia. Per lei.
Nei giorni successivi alla sentenza, Holly aveva cercato nuovamente di rintracciarla per chiederle spiegazioni verbali accettabili, ma Patty era sparita nel nulla.
Il telefono di casa risultava staccato e anche l’appartamento era chiuso e i vicini gli avevano detto che non vedevano la signora Hutton da parecchio tempo. Ma perché?
In più, la sua cara ex moglie aveva anche cambiato la serratura e, per quanto ci avesse provato, non era riuscito a entrare in casa. Assurdo.
Dov’era andata? Non lo aveva mai scoperto e alla fine ci aveva rinunciato. Quello che non capiva ancora oggi, era perché chiedere il provvedimento di allontanamento, per poi scomparire così.
Aveva vissuto nella paura di incrociarla per strada, ma anche quello non era mai successo. Davvero strano. Barcellona era una città estesa, ma non tanto da svanire totalmente.
Stava pensando troppo a lei e non andava bene. Nankatzu aveva il potere di riportarlo indietro nel tempo e di confonderlo. Patty. Patty aveva ancora il potere di confonderlo ed essere tornato lì, anche se lei non c’era, gli faceva rimpiangere quello che aveva perso.
La verità era che gli sarebbe piaciuto cambiare il suo… il loro passato, ma ora era troppo tardi ed era stata tutta colpa sua.
Holly corse fino allo sfinimento, in testa un turbinio di pensieri tali da avergli fatto dimenticare che a casa lo aspettava una battaglia epica con Daichi.
Dannazione, lui era il fratello maggiore e il piccoletto avrebbe dovuto starlo a sentire una volta per tutte, che lo volesse oppure no.


 
 
 
 
L’ultima persona che Daichi si aspettava di vedere una volta rientrato a casa, era suo fratello. Oliver. Colui che tutti al club di calcio volevano che emulasse. Lui non ci pensava neanche.
Era estenuante sentire tutti i compagni di squadra che lo osannavano. Loro non lo conoscevano veramente. Lo vedevano solo come un genio del calcio, una macchina da goal e vittorie. Non lo vedevano come un essere egoista che non si preoccupava di chi o cosa si lasciava dietro.
Perché Holly – il vero Holly – era così e lui lo aveva imparato cinque anni prima nel modo più brutto, quando aveva telefonato a casa per comunicare loro l’avvenuto divorzio dalla moglie. Loro ne erano rimasti sconvolti e addolorati, loro tre, ma lui no. Lui ne era felice, sollevato addirittura. Poco importava che avesse rovinato la sua famiglia e fatto soffrire tutti loro. Poco importava se da allora si erano rotti i rapporti con i Gatsby, la famiglia d’origine di Patty. Poco importava se la loro madre aveva vergogna ad avvicinare la sua ex consuocera se la incontrava in paese. Poco importava se aveva contribuito a rovinare la sua amicizia con il suo migliore amico nonché cognato, Nobuo.
Già, Nobuo. Daichi ancora sperava in un loro riavvicinamento. Gli mancava il suo amico d’infanzia. Gli mancava ridere e scherzare con lui. Gli mancava confidarsi con lui. Ora tutto quello che riceveva da Nobuo, erano sguardi carichi di disprezzo e di odio, per quanto fosse assurdo. Cosa aveva fatto per meritarselo? Eh, a saperlo… ma era determinato a scoprirlo che a Nobuo piacesse oppure no.
Ed era tutta colpa di suo fratello Holly. Non l’avrebbe mai perdonato, mai!
 
 



 
Casa di Patricia Gatsby, Nankatzu.
 
«Ehi, pestifera pelosa, è ora della pappaaa!»

Un missile bianco dalle lunghe orecchie grigie e dal musino spruzzato di marrone chiaro, saltellò fino a lei e la guardò speranzosa.
Patty adorava quella bestiolina che aveva adottato l’anno precedente. Miss Fluffy, Signorina Soffice. E lei lo era, davvero. Aveva scelto quel nome non appena l’aveva presa in braccio la prima volta e aveva affondato le sue dita nella morbida e folta pelliccia.
Miss Fluffy le aveva ridato la voglia di amare. L’aveva persa completamente dopo gli eventi drammatici di cinque anni prima. Era caduta in depressione e poi lentamente era risalita, ma ci aveva messo qualche anno per uscirne completamente. Tre, a volerla dire tutta.
Appena lasciato alle spalle quel periodo di sofferenza, Patty aveva deciso di partire per visitare il mondo, con l’approvazione della sua famiglia che non desiderava altro che vederla tornare quella di sempre.
Poco bagaglio stipato in un capiente zaino provvisto di tutto – dal kit di pronto soccorso all’ombrellino di emergenza – senza una meta precisa, aveva visitato tutta l’Europa, per poi tornare in Asia alla volta di casa. Era stato l’anno più bello, interessante e istruttivo della sua vita.
Rientrata in Giappone con le idee molto più chiare, aveva lasciato il suo appartamento a Tokyo per tornare a vivere a Nankatzu, in quella piccola casa con due mini giardini, uno sul davanti e uno sul retro, che ora amava alla follia e che si trovava a cinque minuti a piedi da casa dei suoi.
E poi… e poi, del tutto inaspettata, era arrivata Miss Fluffy. Una sera, mentre tornava dal market, aveva notato un esserino peloso che tentava di scavalcare un cartone basso pieno di buchi e subito si era avvicinata. Era stato amore a prima vista. Come lasciarla lì dopo che un qualche disgraziato l’aveva abbandonata senza cibo né acqua in balìa delle intemperie e dei pericoli? Lei, che aveva esperienza solo con il gatto dei suoi, Flash, non ci aveva pensato due volte a portarla via con sé. L’inizio era stato pieno di paure e dubbi, ma ora erano inseparabili e lei amava viziare la sua coniglietta.
Infine, aveva riallacciato i rapporti con le sue amiche Eve e Amy, ma non ne aveva voluto sapere di rivedere tutti gli altri. Dal giorno in cui aveva detto addio a Holly, Patty non aveva più seguito una partita di calcio né dal vivo né in televisione. Le amiche avevano capito. Argomento vietato.
L’unico neo, era che neanche a loro due aveva confidato cosa le era capitato. Non sapevano di Mairi. Non ce l’aveva fatta a parlare di lei, era troppo doloroso. Sapevano solo che Holly aveva chiesto il divorzio e lei – stanca di vivere in un paese straniero che le era ostile e di essere messa in secondo o terzo piano dal marito – aveva accettato senza opporsi. Almeno, questa era la versione che avevano concordato insieme prima di separarsi per sempre. Quella telefonata, l’ultima, che gli aveva fatto, se la ricordava ancora molto bene, purtroppo.
 
«Patty, lasciami almeno fare questo per te, non negarmelo. La verità sulla nostra separazione, rimarrà solo nostra. Io sarò il cattivo tra noi due, ma non m’importa.»

«Smettila di fare l’eroe» aveva rimbeccato lei «non lo sei. Io ho deciso, io ne subirò le conseguenze.»

«No, ne usciresti distrutta. Io sono l’uomo e mi assumo le mie responsabilità, semmai ne ho. Se proprio sei decisa ad andartene, sappi che d’ora in poi, per il resto del mondo, sarò io ad averlo deciso e tu la vittima. Credimi, è meglio così. Se… anzi, quando i giornalisti lo scopriranno – nel caso ti ostinassi a dire a tutti che l’idea è stata tua – be’, addio libertà e serenità per te. E io non voglio questo, chiaro? Ti distruggeranno mentre con me non oseranno farlo. Dammi retta una buona volta Patty Promettimi che lo farai, promettimelo!»
 
E lei l’aveva fatto, suo malgrado.
Quando Patty aveva ritrovato le amiche, aveva omesso quel dettaglio, ma dopotutto aveva dato la sua parola a Holly e non poteva venire meno. Amy ed Eve ne erano rimaste sconvolte, ma l’avevano capita e supportata e, cosa più importante per lei, avevano attribuito la sua depressione al divorzio stesso e non ad altro.
Miss Fluffy la riscosse dai suoi pensieri strusciandosi alla sua gamba e lei le sorrise di rimando.

 
«Ho detto la parolina magica, vero?» Disse alla coniglietta mentre si abbassava per metterle davanti la ciotolina con dei pezzetti di fragola. «Mangiona dolcissima. Buon appetito» e con una piccola carezza sul dorso, la lasciò sgranocchiare tranquilla.

Bene. Missione pappa, conclusa. Ora non le restava che…
Dlin Dlon Dliiin Dlooon DlinDlonDlinDlonDlinDlooon.
Oddio, sono già arrivate? Ma sono in anticipo di almeno mezz’ora!, pensò guardando l’orologio alla parete. Meglio andare ad aprire o…

 
«Hai deciso di mandarmi in tilt il campanello, carissima Eve?» Esordì accogliendole.

«E pigiama party siaaaaa!» Urlò quella entrando. «Ma dov’è la bellissima Miss Fluffy, dov’è?»

«E ciao anche a te. Sono felice di vederti» le disse pur sapendo che non le avrebbe risposta tutta presa dalla ricerca della coniglietta.

«Scusala, ma lo sai com’è fatta» intervenne Amy che era rimasta sulla porta. «Buonasera amica mia. Allora, pronta a divertirti come non mai?» Le chiese poi mentre entrava con calma.

«Sono impaziente, rossa. È tutto oggi che ci penso e non sto nella pelle» le confessò. «Ecco, vedi com’è gentile lei che saluta?» Gridò dietro Eve inutilmente.

«Ohhh, ma eccola qui la meraviglia di casa. Ciaooo tesorina. Ahahah, ti sei messa il rossetto? Sei fortissima così. Devo assolutamente farti una foto» disse Eve, ignorandola, poi recuperò il cellulare e aggiunse facendole una linguaccia «ah, ciao Patty.»

Tanto entusiasmo la fece sorridere, ma non se la prese. Quella palla di pelo aveva il potere di catturare l’attenzione di tutti in un nano secondo. Patty vide Miss Fluffy ignorare beatamente Eve, mentre continuava il suo pasto. Eh, sì, non amava essere interrotta. Ben le stava.
 
«Effetto fragole. Ho anch’io varie foto sue così, è uno spasso. Allora, che avete portato in quelle borse?» Chiese indicando i vari pacchetti con cui erano arrivate, oltre a quello del cambio d’abiti.

«Schifezze golose, giochi in scatola, film e tante nostre vecchie foto per ricordare i vecchi tempi» le rispose Amy.

Ahia. Quello faceva male. Perché le loro foto comprendevano anche certi calciatori che avevano caratterizzato la loro infanzia. Soprattutto uno di loro. Dannazione. Dopo tanti anni, pensare a lui le faceva ancora male e rivederlo in foto… Sì, perché Patty aveva nascosto tutte quelle che la vedevano immortalata con lui e non solo.
Era rimasta fedele alla sua scelta, quella che aveva fatto esporre al giudice che aveva decretato il divorzio da Holly. Voleva cancellarlo dalla sua vita. Foto comprese. E c’era riuscita. Dopo l’udienza l’Avvocato Mendoza l’aveva contattata due volte; la prima per riferirle che era andato tutto bene e che era ufficialmente una donna separata; la seconda – qualche tempo dopo – per aggiornarla sull’avvenuto cancellamento delle sue foto dalla rete, avvisandola inoltre che anche da Wikipedia era sparito il suo nome associato a quello del calciatore Hutton.
Aveva pianto. Un giorno intero. Ma andava fatto se voleva lasciarsi quel periodo buio alle spalle. Una volta ripresa, si era detta che aveva fatto bene e non se ne era mai pentita.  

 
«Terra chiama Patty, terra chiama Patty, rispondi Patty!»

Eh? Ah. Oddio, si era persa nei ricordi. Era bastato accennare alle foto ed era partita per un brutto viaggio.
 
«Ci sono, ci sono. Bene, vogliamo iniziare con la cena?» Glissò.

«Hai… cucinato tu?» Le chiese una Eve titubante.

«Dubiti forse delle mie capacità culinarie?»

«Em… nnnooo… sì, un pochino» ammise infine facendole ridere.

«Guarda che sono migliorata molto con gli anni» confessò stupendole entrambe.

«Lo spero per noi» ribatté l’amica guadagnandosi un’occhiataccia.

«Ok, e con cosa hai deciso di avv… em, iniziare?» Intervenne Amy che subì lo stesso trattamento.

«Se non la smettete subito vi sequestro le patatine e le mangio tutte da sola lasciandovi a digiuno.»

La minaccia ebbe effetto e alla fine Patty ricevette i complimenti delle sue amiche che non si erano aspettate una cena tanto gustosa. Non era avanzato nulla.
 
 



 
«Dicci un po’, ma dove hai imparato a cucinare così?» Le domandò Eve mentre trangugiava l’ultima fetta di Cotton Cheesecake.

«Da mia madre. In vista del mio trasferimento in Spagna avevo deciso di imparare seriamente delle ricette nostre per fare sentire Holly più a casa quando rientrava dopo gli allenamenti, ma… non è che mi sia servito a un gran che. Così finivo sempre per cucinare per me stessa e basta.»

«Oddio, Patty scusa, non volevo…»

«Ah, non preoccuparti Eve. Parlare della mia vita lì non mi fa male, persino se include parlare di lui brevemente. Quello che non sopporto è non avere i bei ricordi che avevo immaginato di costruirmi.»

Holly era un cretino. Di questo Eve ne era certa. Aveva visto come l’atteggiamento del marito faceva soffrire la sua amica. Si ricordava bene le lunghe videochiamate che facevano. Dall’essere entusiasta e piena di aspettative, a poco a poco la sua cara Patty si era trasformata in un fantasma e Eve l’aveva vista spegnersi lentamente. In quei momenti le veniva una rabbia addosso che avrebbe volentieri preso il primo aereo per ripotarla in Giappone. Ma non poteva. E in tutto questo, la cosa più triste era che Holly non si era accorto di nulla. Dopo poco più di un anno di matrimonio, lui si era limitato a sbarazzarsi di Patty chiedendole il divorzio. Inconcepibile. Assurdo.   
Eve si era tenuta in contatto con Patty per i primi tempi e poi lei era sparita. Preoccupatissima si era recata a casa Gatsby per avere sue notizie, ma la madre l’aveva rassicurata, Patty aveva solo bisogno di tempo per riprendersi e si sarebbe rifatta viva una volta che si fosse sentita pronta.
Quattro anni. Quattro lunghi e interminabili anni, durante i quali lei e Amy avevano sentito terribilmente la mancanza dell’amica. Per fortuna la madre si era tenuta in contatto con loro e spesso erano passate a trovarla per avere notizie e, semplicemente, per sentirsi più vicine a Patty. Ma anche lei non diceva molto, solo che la figlia era rientrata in Giappone, ma che non voleva fare sapere dove si trovasse e che aveva bisogno di tranquillità perché era caduta in una brutta depressione dovuta al divorzio.
Patty, depressa? La notizia le aveva scosse come non mai, ma sia lei che Amy erano convinte che la signora Gatsby stava nascondendo qualcosa. Qualcosa che per qualche strana ragione, non voleva rivelare, ma che le faceva venire gli occhi lucidi.
Poi, un giorno di un anno prima… Patty le aveva cercate entrambe e loro subito erano corse da lei per abbracciarla stretta e farsi promettere che non sarebbe sparita mai più.

 
«Patty, mi spiace rovinare questa bella atmosfera, ma dobbiamo dirti una cosa e sappiamo già che non ti piacerà» le disse prima di ripensarci.

«Oh, ok… dite pure, sono pronta a tutto.»

«Em, no, a questo proprio non lo sei, credici» intervenne Amy.

Eve guardò Amy che annuì. Si erano accordate per riferirle la novità nel corso della serata e il momento era arrivato prima del previsto.
 
«Tu sai che… che questo è tempo di Nazionale, vero?»

«Ho dei ricordi vaghi… ma sì, lo so, purtroppo. E me lo stai dicendo… perchééé?» Le chiese con voce guardinga.

«Be’, perché… qualcuno oggi è atterrato in Giappone pronto per riprendere il comando della squadra» le confessò velocemente.

«Già e domani mattina si riuniscono tutti alla sede del ritiro per la prima riunione» concluse Amy per lei. «E, em, dovremo esserci anche noi in quanto manager. Dobbiamo essere là per le 9.30, ma ci uniremo formalmente alla squadra solo tra un paio di giorni.»

«Esatto, quindi se non hai niente da fare e non ti dispiace averci attorno, subito dopo la riunione torneremo qui e passeremo il week-end insieme. Infatti, nei borsoni abbiamo un multi cambio. Nel caso dicessi di no, tranquilla, ci appoggeremo dai miei. Visto che per qualche tempo non potremmo vederci o sentirci spesso… abbiamo pensato di portarci avanti ora e recuperare poi alla fine dei Mondiali.»

«Non volevamo tenderti un agguato in casa tua, giuro, ma solo farti una sorpresa. Insomma, è la prima volta da che ci siamo ritrovate che passiamo del tempo insieme senza limiti e…» quando Amy era agitata parlava in fretta e arrossiva vistosamente, a lei faceva tenerezza.

Eve vide il volto di Patty passare attraverso varie emozioni, ma alla fine un bel sorriso prevalse.
 
«A me sta bene, a patto che non mi parlate di loro e… di lui. Questo sarà il nostro week-end e niente dovrà interferire e rovinarlo» proclamò.

«Promesso!» Esclamarono insieme spaventando Miss Fluffy che cercò riparo dietro le gambe della padrona.

«Come ti senti?» Le domandò Eve vedendola pallida.

«Bene, passerò due giorni con voi, come dovrei stare… bene. Sono felice. È proprio una bella sorpresa.»

«No, non per quello scemetta. Per il fatto che Holly è tornato» le domandò Eve.

«Oh, bene, perché mai non dovrei stare bene» rispose con voce tesa.

«Forse perché ti abbiamo appena detto che il tuo ex che non vedi da cinque anni è nella tua stessa cittadina e ci rimarrà per un bel po’» le rispose. «Davvero non ti importa?»

Eve la vide pensarci su un po’, sospirare pesantemente ed evitare il loro sguardo. Poi le rispose cercando di mostrarsi forte, ma la voce incrinata tradiva i suoi veri sentimenti.
 
«No, mi è indifferente.»

«Patty, lo sai che con noi non devi avere segreti, vero? Avete un passato importante, puoi dire quello che vuoi, ma non quello. Puoi essere sincera, lui non lo saprà mai» le disse Amy con voce dolce e pacata.

«Amy, cara, e anche tu Eve cara, vi ringrazio, ma non dovete preoccuparvi per me perché non ho intenzione di rivederlo né ora né mai. Mi ha fatto troppo male in molti modi e non ci penso neanche a tornare indietro. Sapete che mi sono allontanata dal calcio come da lui e sto tanto bene così. Voi non avete idea di… non potete neanche immaginare… e tutto il dolore che… no, lasciate stare, non è importante» la voce rotta e flebile, Patty si bloccò per qualche secondo prima di riprendere. «Quello che lo è, invece, è che il signor Hutton è il passato e lì deve rimanere. Senza di lui sto meglio. È stato il mio fallimento e la mia illusione più grande e non mi interessa cosa fa, dove va, perché ci va, se esce con un’altra o se ne cambia una a settimana oppure al giorno… per me può pure sposarsi di nuovo, persino con un travestito guardate, che la cosa mi lascerebbe neutra. Mi sono spiegata? Perché non ve lo ripeto. E vi do’ anche il permesso di riferirgli tutto ciò quando lo vedrete, ovviamente se dovesse essere così idiota da chiedere di me, ma non credo proprio che lo farà. Ci siamo capite?»

Cosa aggiungere? Lei e Amy sapevano che c’era molto di più sotto e che l’amica non pensava veramente a ciò che aveva detto, ma non volevano rovinare la serata.
Chissà perché, aveva la sensazione che Patty amasse ancora Holly, ma che avesse paura di ammetterlo e di lasciarsi andare nuovamente a quell’amore, dopo il flop del loro matrimonio che aveva sconvolto tutti. Eve capì che Amy concordava con lei anche senza parlare, le era bastato uno sguardo per saperlo. Insieme annuirono.

 
«Perfetto. E adesso basta con questi discorsi. Brindiamo alla nostra amicizia e a questa serata che aspettavamo da tanto, anzi no… brindiamo al nostro fantastico week-end» esclamò Patty riempiendo tre flûte con un liquido rosa dal sapore dolciastro. «Mogu Mogu alla fragola.»

«Lo adorooo, te ne sei ricordata. Sei fantastica» le disse Amy andando ad abbracciarla e strappandole un risolino.

«Giochi sporco, amica mia. Lo sai benissimo che ho un debole per questa bibita e spero per te che in casa ce ne siano altre. Non l’ho mai bevuta in un flûte, ma è talmente buona che merita.»

«Per esserci, ci sono, Eve, ma te ne concedo un’altra più tardi e basta, troppe ti darebbero la nausea» la bloccò lei. «Ok, che film avete portato?» Chiese prima di prendere una Miss Fluffy mezza addormentata in braccio e dirigersi ai divani.

Eve sapeva che non doveva tirare troppo la corda con l’amica o si sarebbe chiusa a riccio per tutto il tempo. Decise di lasciare correre, per il momento, ma sia lei che Amy, ne era certa, sarebbero tornate alla carica.
Idiota era troppo poco per definire il capitano della Nazionale. Si era lasciato sfuggire una perla rara come Patty e, ora che poteva parlarci di persona, Eve aveva in serbo per lui un discorsetto che da anni aveva in testa. Non l’avrebbe passata liscia per avere fatto soffrire la sua amica così.
Qualcosa, però, le diceva che tra Patty e Holly l’amore non era finito, ma solo sopito sotto un mucchio di parole non dette e fraintendimenti. Non aveva mai visto due persone più innamorate di loro ed era un peccato che ora soffrissero entrambi.
Nulla era perduto e questa convinzione non gliel’avrebbe tolta nessuno. Prima o poi, ne era sicura, l’avrebbero capito anche loro.
 
 



 
Holly era a Nankatzu. Holly era a Nankatzu.
Oddio. Oddio Oddioooooo. E adesso che faccio? E che devi fare, Patty, niente!, pensò.
Lui non fa più parte della tua vita. Punto.
Ma il provvedimento del giudice, valeva anche lì in Giappone? Non ne aveva idea, ma, nel dubbio, era meglio chiamare l’avvocato Mendoza per scoprirlo e poi…
E poi niente di nuovo, Patty. Lui non sa che tu ora vivi qui ed è venuto solo per la Nazionale. Ha tutto il diritto di stare qui. Dannazione. Non sa nemmeno che sei rientrata in Giappone a dirla tutta. Cazzo, che situazione assurda!, si disse. Sei sparita dalla sua vita e lui non ti ha mai cercata. Se ti avesse amata veramente…
Forse le cose sarebbero andate in modo diverso, forse e invece…
Lui mi ha lasciata andare senza protestare troppo. Si è assunto la colpa della separazione, anche se non ne era tenuto e mi ha detto di sparire se era quello che veramente desideravo. Lo era. E l’ho fatto, eccome se l’ho fatto. Sono sparita!, pensò.
Ancora non capiva perché Holly si era arrabbiato in aula quando il giudice aveva accettato le sue condizioni. L’avvocato Mendoza era rimasto sconvolto da quel comportamento e, le aveva riferito anche, che il signor Hutton non aveva avuto l’espressione tipica di qualcuno che ottiene la vittoria tanto sognata, piuttosto aveva l’aspetto di chi era stato preso in contropiede e non aveva potuto fare nulla per ribaltare la situazione. Per dirla con termini calcistici.
Non doveva pensarci più. Il problema semmai ora è uno solo… come fare per evitare di incontrarlo in una cittadina come Nankatzu? Era quasi impossibile, ma lei doveva riuscirci per la sua sanita mentale. Anche se il suo cuore…
Sì, perché aveva mentito alle sue amiche quella sera. Che Holly fosse da qualche ora a Nankatzu, l’aveva turbata non poco e il suo cuore traditore aveva preso a battere furiosamente a quella notizia. No, Holly, non le era indifferente. Nonostante tutto continuava ad amarlo ed era quello il vero e grosso problema.
No, basta, doveva bandire quei pensieri o rischiava di restare sveglia tutta la notte mentre le sue amiche riposavano beate accanto a lei.
Sorrise. Povere, erano crollate dopo l’ultima sfida al karaoke dove una stonatissima Amy aveva vinto l’ambito trofeo “spaccatimpani dell’anno”. Trofeo che altro non era che un mini microfono stile anni ’60 che aveva ordinato on line proprio per l’occasione della loro festicciola. Ah, come le erano mancate quelle due.
Guardò Miss Fluffy che dormiva beata sul cuscinone nella sua ampia gabbia e come sempre si calmò. Poco dopo cadde addormentata.

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Capitolo 4
*** Un inizio difficile ***


 
«Bene ragazzi, sono felice di riavervi tutti qui. Spero per voi che siate carichi abbastanza per riprenderci il titolo mondiale.»

«Può scommetterci la sedia, mister» a parlare era stato Rob.

«Ed è appunto quello che accadrà se questa volta non portiamo a casa la vittoria. Voglio essere sincero con voi. Io rischio il posto, come voi una vostra futura convocazione. Al Mondiale scorso abbiamo fatto schifo ed è un miracolo se ci siamo qualificati terzi. Inutile dire che alla Fondazione Gioco Calcio non hanno apprezzato e hanno concesso a tutti noi una seconda possibilità, ma solo su intercessione del signor Katagiri che, per fortuna nostra, ne è diventato un membro importante del consiglio d’amministrazione.»

Quelle parole, ammise tra sé Holly, ebbero il potere di sconvolgere lui e tutti gli altri che fissavano Mister Gamo sinceramente sbalorditi. Sapeva che la situazione era tesa, ma… addirittura fino a questo punto, no. Doveva ringraziare Katagiri.
 
«Quindi siamo tutti in prova e io non voglio fallirla» specificò poi. «In questi mesi, abbiamo messo a punto varie strategie e ve le sottoporremo nei prossimi giorni in riunioni strategiche che faremo prima degli allenamenti in vista del Mondiale che avrà inizio tra un mese.»

«Scusi, Mister, abbiamo… chi?» Domandò Bruce.

«Ecco, questa è una domanda che merita risposta. Katagiri, ovviamente, io, il vice allenatore e qualcuno che farà la differenza e che alcuni di voi conoscono molto bene e a cui devono molto. Mister Turner.»

Un silenzio attonito accolse quell’annuncio e poi scoppiò il finimondo che accompagnò l’ingresso del nuovo allenatore.
 
«Mister, ma che diamine…»

«Oh, andiamo Mark, non dirmi che sei sorpreso di vedermi qui e anche voi due, chiudete quella bocca» disse Mister Turner guardando Ed e Danny che lo fissavano meravigliati e a bocca aperta. «Se non erro vi avevo avvisati che vi avrei fatto una sorpresa, ma come al solito non mi state a sentire a dovere. Be’, d’ora in poi lo farete e anche tutti voi. Ho intenzione di riprendere la coppa e quindi non vi darò tregua.»

«E su questo siamo d’accordo» intervenne Mister Gamo.

Chissà perché, Holly aveva il presentimento che avrebbero passato dei brutti momenti con quei due alla guida della Nazionale. Già Mister Gamo da solo era tremendo, ma anche quel Turner non doveva essere sottovalutato. Dopotutto era lui che aveva creato la Tigre Mark Lenders e sempre lui aveva scoperto Ed e Danny… quell’uomo metteva ansia a sol guardarlo.
 
«Bene, prima di tutto… dovete guadagnarvi il posto in squadra» riprese Mister Turner che era stato interrotto «già a partire da questo pomeriggio. Voglio in campo gente che tiene alla squadra e al suo successo, non mammolette troppo piene di sé che si sono adagiate sui successi ottenuti fino a oggi. Questo siete diventati… mammolette. Ma ora è tempo di darsi una svegliata e smetterla di pensare che senza di voi la Nazionale non esiste. Siete tutti sostituibili, mettetevelo bene in testa perché ci metto un attimo a lasciarvi per strada e a farvi sostituire da degli emeriti sconosciuti, chiaro?»

«Sì, Mister Turner» fu l’esclamazione generale.

«Perfetto, vedo che siamo sulla stessa lunghezza d’onda e spero di non rimanere deluso da voi come durante l’ultimo campionato. Ero a casa a guardarvi e a furia di bere per dimenticare quello che vedevo ho fatto fuori tutta la mia scorta di Sakè e non erano poche bottiglie. Dannazione a voi. Siete in debito con me e l’unico modo che avete per espiarlo è vincere questo Mondiale.»

Be’, l’importante era che la finalità fosse la stessa per tutti, no? Che personaggio. Holly era sì affascinato, ma anche confuso da quella figura così enigmatica come quella di Mister Turner, ma a ben guardare doveva sapere il fatto suo e da come i tre suoi pupilli lo osservavano – con un misto di timore e reverenza – era convinto che c’era molto di più sotto quell’apparente superficialità.
 
«Bene, sono contento di avere richiesto la tua presenza Turner. Sei l’unico che possa darmi una mano a ribaltarli quando necessario. Ti dirò, se non fosse stato perché ero seduto in panchina a soffrire, probabilmente ti avrei tenuto compagnia a scolarti il Sakè» confessò facendolo ridacchiare e ammutolire tutti loro dallo stupore. «Ma ora la pacchia è finita e si fa sul serio. Niente piagnistei, niente scuse, niente lamentele. Duro lavoro e basta dall’alba al tramonto. Vi metteremo sotto torchio, vi faremo piangere se necessario, vi porteremo oltre il vostro limite. O si vince o si vince. Il fallimento non è accettabile e non è compreso nel pacchetto, mi sono spiegato?»

Mister Gamo aveva ragione da vendere. Avevano perso il campionato precedente e il titolo, la coppa, la gloria… tutto, era finito in terra francese. Dannazione.
 
«Prima di risponderle, mister, avrei una richiesta da fare» esordì Mark.

«Davvero? Ok, sentiamola.»

«Sono d’accordo sul metterci alla prova per definire i nostri ruoli in campo, ma proporrei di iniziare da quello principale, quello di capitano» disse guardando lui.

«Cos’è, vuoi la mia fascia, Mark?» Lo provocò.

«E perché no. Se questo gioverà alla squadra sarò ben felice di indossarla» ribatté lui senza indugio. «Ammettiamolo Holly, o ritrovi la tua grinta o non hai più le carte in regola per trascinare e motivare la squadra, quindi è meglio che ti fai da parte e lasci il comando a chi ce le ha tutte.»

«Ha ragione» intervenne Philip «non sei più tu da molto, troppo tempo e questo è un male per te, ma anche per tutti noi. Questo non vuol dire, Lenders, che di diritto spetti a te. Io direi che chiunque qua dentro si sente all’altezza di ricoprire il ruolo di capitano della Nazionale, può farlo. Il migliore, lo sarà.»

«Sì, ci sto. Preparatevi a farvi da parte, perché quella fascia sarà mia» decretò Peterson.

«E metteteci anche il mio nome sulla lista. Sarà bello tornare a indossare la fascia da Capitano dopo tanto tempo» saltò su Benji proponendosi.

Cosa cazzo… scherzavano, vero? Vero? E invece no, erano serissimi. Holly guardò i due mister e li vide molto interessati alla cosa. Ehhh? Lui non era cambiato, ma che si stavano inventando quegli scimuniti.
Ehi, un momento, anche Daichi gli aveva detto una cosa simile il giorno prima e quando era tornato dalla corsa intenzionato ad affrontarlo, lui si era rifiutato e poi gli aveva detto senza mezzi termini che avrebbe parlato con lui quando fosse tornato in sé. Discorso chiuso ancora prima di iniziare.
Ecco, come se non bastassero i problemi a casa, ora ci si mettevano anche i suoi compagni di squadra a rincarare la dose.

 
«Mister, non vorrete veramente…» iniziò inutilmente guardandoli.

«E perché no. L’ho detto prima se non sbaglio, dovete meritarvi il posto che occupate in squadra e non dovete dare nulla per scontato» lo bloccò Mister Turner. «Non mi sembra un concetto così difficile da capire. Questo pomeriggio inizieremo con l’assegnazione del ruolo di Capitano della Nazionale, chi vorrà ambire alla fascia, è bene accetto. Vi diremo dopo i dettagli. Ora portate i vostri bagagli nelle camere e poi tornate qua per una veloce prima panoramica sulle squadre nostre avversarie. Potete andare.»

Assurdo. Assurdoassurdoassurdoassurdooo. Assurdo. Si era già alzato quando la voce di Mister Gamo lo bloccò, anzi, bloccò tutti.
 
«Fermi, non così in fretta. C’è un’altra questione che bisogna risolvere subito» disse guardando le manager che, come sempre, li affiancavano.

Che altro c’era adesso?
 
«Ragazze, innanzitutto grazie per essere tornate ad aiutare questi disgraziati che non se lo meritano di certo» esordì ottenendo un coro di proteste dai diretti interessati e un sorriso da loro. «Detto questo, Eve, la volta scorsa hai svolto un lavoro impeccabile nel ruolo di capo manager e ci piacerebbe se accettassi di ricoprirlo anche questa volta.»

«Ma come, a loro niente prove per guadagnarselo?» Disse Bruce facendo ridere tutti o quasi.

«No, loro sono perfette così a differenza vostra, sfaticati» replicò lui per poi tornare a concentrarsi su Eve. «Allora, accetti?»

«No», rispose lei sconcertando tutti. «Mi spiace, ma non me la sento e proporrei Maki al mio posto che è stata una perfetta vice e ha più polso di me.»

«Posso sapere il motivo?» L’interrogò Mister Gamo.

«Certo. Avevo accettato solo perché c’era urgenza di un rimpiazzo che seguiva la stessa linea di lavoro di Patty e la conoscesse nei dettagli. Ma lei è insostituibile, per me e mi sembrerebbe di tradirla, anche se non è qui con noi e, probabilmente, non tornerà mai. Maki ha imparato perfettamente e condivide lo stesso modo di agire, quindi passo il timone a lei.»

A quelle parole si erano tutti ammutoliti, notò Holly. Cazzo, la sua ex moglie aveva lasciato il segno anche all’interno della Nazionale e ora tutti lo stavano fissando male.
 
«Grazie futuro ex capitano, davvero.»

«E che c’entro io adesso con questo, spiegamelo Mark. Poi dovresti essere felice che ora al comando ci sarà la tua ragazza, no?»

«Come sarebbe a dire… che c’entro io… sei serio? Sai chi abbiamo perso tra le nostre file per colpa tua? Una grande capo manager, ecco chi. Tutta colpa tua e della tua brillante idea di divorziare da lei. E sì, sono felice se Maki accetta, ma sa benissimo anche lei che è difficile eguagliare Patty.»

«Farò del mio meglio» confermò Maki «ma avrò bisogno del sostegno di tutte le altre.»

«Per avercelo, ce l’hai Maki, tranquilla. Ti aiuteremo noi» la tranquillizzò Eve. «Hai combinato un bel guaio Holly» gli disse poi con voce rassegnata.

E niente, non era la sua giornata.
 
«Povera cara, lei cerca di mostrarsi allegra, ma è cambiata, è… profondamente ferita e si nota» esordì Amy.

Aspetta, aspetta… cosa? Amy aveva visto Patty? E quando?
 
«Ho capito bene? Hai detto veramente quello che penso?» L’interrogò.

«Perché, sei capace di pensare adesso?» Lo provocò ancora Mark, ma lui lo ignorò.

Prima che Amy potesse rispondere, Mister Gamo intervenne.
 
«Non è importante adesso, non è un argomento da affrontare qua, questo. Signorina Maki, sono felice che abbia accettato di diventare la capo manager. Eve, per i primi tempi la seguirai tu per istruirla a dovere, conto su di te. Voi manager siete libere di andare, tutte e cinque. Ci rivediamo tra due giorni nel nostro ufficio» disse e poi uscì insieme a Mister Turner rimasto in silenzio.

Per un po’ non volò una mosca e poi le manager furono travolte da un mare di domande su Patty. Erano tutti preoccupati per lei, tutti. Lui raggiunse il gruppo. Che diritto aveva di porre domande su di lei? Nessuno, eppure non riuscì a trattenersi.
 
«Amy, hai visto Patty di recente, vero?» Le chiese. «Come sta?»

E lì, rimasero tutti di stucco primo per le sue parole e poi per la reazione di Amy e di Eve che… risero. Ma risero davvero di cuore e a lungo.
 
«È una domanda così divertente?»

«Fatta da te? Sì, ma non rido solo per quello Holly» rispose la sua più vecchia amica una volta calmata.

«Dio mio, l’hai chiesto veramente?» L’accusò Eve e poi aggiunse. «Non hai diritto di pensare a lei e nemmeno a chiedere di lei. Dopo tutto quello che le hai fatto passare, non puoi essere diventato così insensibile da passarci sopra e chiedere sue notizie come se niente fosse.»

«Non ho fatto domande strane, ho solo chiesto come sta.»

«Senti tu…»

«Eve, controllati» la fermò l’amica. «Holly, sappi che Patty cerca di mostrarsi forte e allegra, ma non lo è del tutto. È ferita. Non è più quella che tutti noi conoscevamo. Anche quando ride, il suo sguardo ha un’ombra che parla per lei e spezza il cuore. Posso dimostrarvelo se non ci credete» e poi estrasse il cellulare dalla tasca.

Ed eccola lì dopo cinque anni. La sua ex moglie, Patricia Gatsby, che sembrava fissarlo con aria di sfida da “vedi che senza di te sto bene e non sono più triste?”. No, un momento, non esattamente… Amy aveva ragione, Patty era… diversa. Sorrideva all’obiettivo certo, ma non era più quello genuino e spensierato di un tempo.
 
«È un coniglio quello?» Chiese Bruce.

«No, Bruce, è un ippopotamo, non lo vedi?» Gli rispose Eve facendo ridere tutti e guadagnandosi un’occhiataccia dall’amico. «Lei è la bellissima e dolcissima Miss Fluffy, la coniglietta di Patty ed è l’unico essere vivente al mondo che è stato in grado di tornare a farla ridere.»

«L’abbiamo scattata ieri sera» rincarò la dose Amy.

«Ieri sera? Eravate con lei dunque» constatò Holly.

«Siamo ancora da lei, per tutto il week-end. Ci siamo auto invitate a dire il vero, ma fa lo stesso.»

«Vero, Amy» le rispose l’amica. «Ah, Holly, che non ti venga in mente di pedinarci per vedere dove abita e poi farle gli appostamenti. Lei non ne vuole sapere di te, anzi, ha detto che se fossi stato così idiota – sì, idiota! ha detto proprio così – da chiedere di lei, saremmo state autorizzate a dirti una cosa.»

«Ovvero, cosa?»

«Che per lei potresti pure sposarti con un transessuale o cambiare donna ogni giorno che non gliene fregherebbe un cazzo perché tu, per lei, sei morto il giorno in cui le hai detto addio. Come vedi, anche se ha sofferto, Patty è riuscita ad andare avanti. Quindi non pensarci neanche di rovinare tutto di nuovo perchè questa volta, te lo giuro Holly, ti faccio pentire di essere entrato nella sua vita e di avergliela prima sconvolta e poi rovinata.»

Ecco, ci mancava solo di essere minacciato da una donna e di essere fissato male da tutte le altre e dai suo compagni, ma erano seri?
Ma tutto il mondo adesso ce l’aveva con lui per una cosa avvenuta cinque anni prima? Ma saranno stati fatti suoi perché si erano lasciati? Non meritavano neanche una spiegazione. Non doveva dare spiegazioni a nessuno a dire il vero.
Incazzato come non mai, prese il suo bagaglio e si avviò a cercare la sua stanza senza dire una parola a nessuno.
Una cosa era certa. Avrebbe rivisto Patty e nessuno gliel’avrebbe impedito. Nessuno!

 
 
 


 
«Credo che tu sia stata troppo dura con lui» disse Amy all’amica «e poi Patty non ha detto esattamente così.»

«Non sono stata dura, ma giusta. Patty merita giustizia» le rispose Eve. «Ok, ok, forse avrò esagerato un pochino, ma almeno l’ha capita, spero. Quattro anni, Amy, quattro schifosissimi anni è rimasta lontana da noi per un motivo o per l’altro. Chi ce li ridà? Nessuno. Ma è solo colpa sua se l’abbiamo persa. Per fortuna c’era sua madre a tenerci aggiornate o sarei impazzita e pure tu, lo so. Non voglio che accada di nuovo.»

Tom era sconvolto. Quando l’amico l’aveva informato anni addietro dell’avvenuto divorzio da Patty, avrebbe tanto voluto raggiungerlo in Spagna per tirargli quattro schiaffi e non solo, ma non aveva potuto. Anche Benji aveva avuto lo stesso pensiero, gliel’aveva confessato nella telefonata che gli aveva fatto la sera stessa dopo quella rivelazione. E ora, erano tutti e tre compagni di stanza per i prossimi mesi. Lo sapeva perché prima di quella strana riunione di benvenuto, erano stati assegnati i letti.
Sapeva che Patty avrebbe certamente sofferto dato il suo immenso amore per Holly, ma non era mai riuscito a contattarla e non perché non ci avesse provato, ma perché il cellulare dell’amica risultava staccato e a quello di casa a Barcellona non rispondeva nessuno. E ora quelle due stavano dicendo che…

 
«Ragazze, ditemi che ho capito male, Patty è sparita per quattro anni?» Le interrogò.

«Sì, letteralmente sparita» gli rispose Amy.

«Non possiamo e nemmeno vogliamo aggiungere altro, Tom, non sta a noi. Possiamo solo dire che un anno fa ci ha chiamate all’improvviso e l’abbiamo ritrovata profondamente cambiata. È un enigma ora, ma una cosa ha ben chiara in testa, che non permetterà più a nessuno di ferirla e che il primo della lista da tenere a distanza, si chiama Holly.»

E come darle torto. Era stata tradita dal suo primo e unico amore che l’aveva prima illusa e poi abbandonata… come poteva fidarsi ancora di qualcuno.
 
«Bene, Eve, se qui abbiamo finito possiamo tornare da lei.»

«Sì, ma prima passiamo a fare un po’ di spesa. Visto che ci siamo auto invitate, il minimo che possiamo fare è comprarle qualcosa. Ragazze, ci rivediamo qui lunedì mattina. A meno che non riusciamo a convincerla a trasgredire a una delle sue regole e a farla parlare direttamente con te, Maki. Io posso aiutarti a ricoprire il ruolo di capo manager con delle dritte, ma è lei che potrebbe fare la differenza e che ne sa anche più di me.»

«Tenetemi aggiornata. Mi piacerebbe davvero tanto rivederla e credo di non essere la sola» confessò lei spalleggiata da tutte le altre.

«Almeno su quello non è cambiata. Patty ha sempre amato le regole e ci ha sempre fatto filare come soldatini» ricordò Benji. «Una domanda. Quali regole ha posto questa volta?»

Esatto. E, a quanto pareva, erano tutti curiosi di saperlo a giudicare dalle loro facce interessate, constatò Tom.
 
«Nella sua casa sono solo tre quelle da non dimenticare mai, neanche per sbaglio. Non si parla di calcio. Non si parla di voi. Non si parla di Holly. Mai!» Elencò contandole con le dita.

E poi le due manager uscirono lasciando tutti di stucco. Cazzo.

 
 
 


 
«Benji, stiamo per arrivare alla nostra stanza, vedi di calmarti prima di entrare. Mi spiacerebbe perdere un valido elemento nonché un amico come Holly.»

Calmarsi? Non ci pensava proprio. Lui aveva intenzione di ridurlo a una poltiglia vivente o quasi, perché dopo avere finito con quel…
 
«Avrei dovuto raggiungerlo davvero a Barcellona cinque anni fa e suonargliele fino allo sfinimento. Ho aspettato fin troppo.»

«E io con te» gli confessò guadagnandosi un’occhiata di stupore puro. «Sì, e non guardarmi così ora, lo avrei fatto molto volentieri e comunque saresti arrivato dopo di me che avrei avuto un vantaggio di un’ora.»

«Ma tu pensa il tipo tranquillo come mi si è trasformato… se vuoi qualche lezione di pugilato non hai che da dirlo» gli propose. «Poco male, all’epoca abbiamo perso la nostra occasione, ma adesso… tu fa quello che vuoi, io ho intenzione di rimediare tra poco» continuò poi schioccando le dita con fare minaccioso.

«Ehi, niente violenza. Vuoi rischiare il posto in squadra prima ancora di iniziare?» Gli ricordò. «Se sarà necessario un pugno ben assestato non glielo leverà nessuno, ma prima sentiamo cos’ha da dirci. Volente o nolente, oggi parlerà.»

Ah, quello era scontato. Meritavano delle spiegazioni. Dio, Patty doveva avere sofferto parecchio, i suoi occhi tristi parlavano per lei. Anego si era spenta. Che diamine aveva combinato quello scemo con lei?
Aprì la porta con fare bellicoso, tallonato da un Tom mai così serio. Porta che sbattè alla parete con un tonfo secco e fece sobbalzare Holly che sembrava assorto in un qualche pensiero. Subito si diresse verso di lui e lo sollevò da terra per il bavero della camicia.

 
«Ecco, come non detto, eh, Benji? Parlare con te a volte è tempo perso» lo ammonì il numero 11. «Mettilo giù. Subito!» Gli intimò infine.

«Guastafeste prepotente» mormorò lui di rimando, ma eseguì l’ordine. «E tu non reagisci nemmeno?» Domandò poi a un Holly stranamente silenzioso.

«Non ne vale la pena» rispose.

«Cosaaa? Tu… razza di…»

«Benji, basta. Parlare, ricordi? Parlareee» intervenne Tom salvando l’amico dall’ennesima aggressione.

«Sì, sì, parlare, come no» gli disse con fare non troppo convinto. «Per ora, Hutton. La tua salvezza dipenderà da quello che ci dirai ora. Dunque, vuota il sacco e spiegaci una buona volta che cazzo hai combinato per ridurre Patty all’ombra di se stessa.»

Ma invece di parlare, l’amico iniziò a disfare il proprio bagaglio e poi sparì in bagno per cinque minuti, uscendone con la divisa.
 
«No, dico, sei diventato anche sordo oltre che menefreghista?» L’accuso lui.

«Sbrigatevi, i mister ci attendono e non aspetteranno in eterno» gli rispose lui sulla porta. «Tanto per essere chiaro fin da subito… il motivo per cui io e Patty abbiamo divorziato e i dettagli del nostro breve matrimonio, non sono affari vostri.»

«Come comeee?»

«Sì, Benji, hai sentito bene. Siamo qui per vincere, non per parlare del mio passato matrimoniale, ve lo dico ora così non lo ripeto più. Vi aspetto in sala riunioni» e uscì.

Eh? Eh? Ehhh? Che cazzo era appena successo.
 
«Ah, e… caro il nostro SGGK, quasi dimenticavo» disse ancora Holly aprendo di scatto la porta e fissandolo torvo «vedi questa fascia che ho al braccio? Bene, è dove resterà ancora per molto tempo quindi puoi provare a prendertela, ma non aspettarti che te la ceda facilmente. Buona fortuna» e poi sparì nuovamente.

Cazzo. Benji guardò Tom che, notò, era attonito quanto lui e fissava la porta con aria assente. Eh, sì, poteva sentire la domanda che si stava formando nel cervello dell’amico che poi era anche la sua… ma chi cazzo era quello lì?
 
«Tom, ci sta nascondendo qualcosa» disse all’amico «non è da lui comportarsi così. Non è normale. Non è Holly, quello.»

«Concordo. Non so tu, ma io non mi arrenderò fino a che non avrò scoperto il suo segreto» gli rispose lui.

«Conta pure su di me» e per sigillare quelle parole, batté il cinque all’amico.

Dieci minuti dopo varcavano la porta della sala riunioni e prendevano posto accanto all’amico di sempre che, però, non fece cenno di averli notati.
Ah, caro Holly, il tuo segreto ha le ore contate!, pensò mentre i Mister entravano e davano il via alla prima riunione della Nazionale Giapponese.





 
«Bene, Oliver, rimetti la fascia da Capitano sul tavolo e poi resta qui da parte a me, grazie» gli disse Mister Gamo senza girarci troppo attorno.

E lui lo fece. A malincuore. Sapeva che l’avrebbe indossata nuovamente a fine giornata, ma doversene separare gli faceva comunque uno strano effetto. Era come se fosse stato privato di una parte di se stesso.
 
«Chi è intenzionato seriamente a concorrere per quella fascia si alzi in piedi» ordinò poi.

Ed eccoli lì, i suoi rivali. Coloro che volevano degradarlo. Mark, Philip, Benji, Ralph e… Rob?
 
«Come? Anche tu vuoi il ruolo di capitano?» Gli domandò guardandolo.

«Ehi, non sottovalutarmi, ok? Sarò anche un po’ più giovane di voi, ma qui è il talento che conta e io so di averlo. Potrei essere un bravo capitano, perché no? Preparati, mio vecchio mentore, perché ti darò del filo da torcere questo pomeriggio.»

Vecchio mentore. Già. Rob aveva preso a impegnarsi ancora di più nel calcio dopo avere disputato un incontro molti anni addietro. La sua partenza per il Brasile l’aveva poi convinto a seguire il suo esempio e si era recato in Italia dove era migliorato considerevolmente finendo per giocare in serie A per la primavera di una nota squadra. Mister Gamo l’aveva notato e il resto era storia, visto che ora militava nella Nazionale dove si era guadagnato il rispetto e l’affetto di tutti.
Holly fissò tutti loro con aria determinata. E così i suoi amici avversari pensavano di metterlo da parte. Bene, gli avrebbe dato una bella lezione.

 
«Perfetto. Questo pomeriggio, dopo pranzo, avrete una mezz’ora di tempo per scaldarvi e poi vi affronterete in mini incontri a due da dieci minuti ciascuno. La decisione verrà comunicata in serata. Hutton, vuoi dire qualcosa ai tuoi sfidanti?» Gli domandò infine Mister Gamo.

«Certo. Non vedo l’ora di farvi rimangiare questo affronto. Sarà divertente.»

Ops. A quanto pare li aveva delusi ancora una volta. La tensione ora si percepiva nell’aria. Pazienza. Già pensavano male di lui, che continuassero pure. Le proteste proseguirono per un po’.
 
«Silenzio!» esordì Mister Turner. «E ora dedichiamoci a una veloce prima carrellata sulle squadre nostre avversarie. Mettete da parte i rancori e concentratevi. Si è qui per vincere, non per litigare. Vi faremo conoscere i vostri avversari come mai prima d’ora e poi ve li faremo annientare. Incominciamo.»

E poi non ci fu più tempo per i reclami, per fortuna. Lui non era tornato in Giappone per intraprendere una guerriglia interna alla squadra, ma per capitanare la Nazionale e riscattarsi vincendo il Mondiale. Ed era esattamente quello che avrebbero fatto.
 
 
 


Scuola Nankatzu.
  
«Hutton, ho sentito che tuo fratello è tornato. Dici che verrebbe a vederci giocare l’amichevole contro la Toho di domani mattina?»

A parlare era stato un suo compagno di squadra. Erano appena terminati gli allenamenti in vista della partita dell’indomani e lui era già stanco così, e ancora non era ora di pranzo. Pensare che nel pomeriggio l’aspettavano in classe per continuare l’allestimento del loro progetto “La casa degli orrori”, gli faceva venire voglia di dormire. E ora… perché lo stavano fissando tutti?
 
«Em, non credo. La Nazionale sapete… Holly è in ritiro ed è molto impegnato.»

«Ma tu sei suo fratello. Se glielo chiedi, di sicuro un po’ di tempo lo trova» insistette quello.

«Così vedrà come abbiamo tenuto alto il nome della squadra» gli disse un altro.

«Sarebbe fantastico averlo sugli spalti» esordì il loro capitano.

«Scordatevelo. Potrebbe finire nei guai se mollasse tutto per noi. Non credo che… ok, ok, glielo chiedo» cedette infine ai loro sguardi supplicanti.

E poi si cambiò alla velocità della luce e sparì prima che potessero bloccarlo di nuovo con le loro assurde richieste.
No. Decisamente non gliel’avrebbe chiesto mai. Dannazione, era in ritardo. Affrettò il passo e… sbam!

 
«Ehi tu, guarda dove vai» si sentì apostrofare. «Sai quanto ci ho messo a… Daichi?»

«Scusami, ero distratto e di fret… Nobuo?»

Avevano parlato quasi all’unisono. Non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione. Era raro che incrociasse il suo vecchio amico e non l’avrebbe lasciato scappare. Peccato che lui non fosse dello stesso avviso e dopo essersi ripreso dalla sorpresa, l’avesse guardato malissimo pronto ad andarsene. Gli bloccò il passaggio.
 
«Spostati!» Gli intimò l’ex amico.

«Te lo scordi.»

«Ho cose più importanti da fare che stare qui con te» poi cercò di sorpassarlo puntandogli contro la grande sagoma che trasportava.

«Mio fratello è tornato. Per la Nazionale» gli rivelò vedendolo rabbuiarsi ancora di più dopo un attimo di stupore. «Non fa piacere neanche a me, cosa credi. Lo detesto» specificò, sperando di incuriosirlo. Ci riuscì.

«Tu adori il grande Hutton. Non dire cazzate.»

«No, non più. Ha rovinato tutto. Il suo bel matrimonio. Le nostre famiglie. La nostra amicizia. Tutto. È un egoista. Non merita niente, neanche il mio perdono. Perché, Nobuo? Perché mi odi?» Gli domandò finalmente.

Daichi vide il suo ex amico riflettere sulla risposta da dargli, ma alla fine evitò di rispondergli, anche se…
 
«Devo avvertire mia sorella. Ne sarà sconvolta» disse. E poi aggiunse. «Vieni con me dopo la scuola? Ti aspetto fuori dal cancello» non attese risposta e se ne andò.

E una piccola speranza si riaccese. Era una buona cosa, vero? O forse no? Non poteva credere alla sua fortuna. Aveva parlato con Nobuo e di lì a poco, avrebbe rivisto Patty. Non che non sapesse che lei era tornata a Nankatzu dopo tanto tempo – l’aveva incrociata spesso in giro – ma non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarla per dirle anche solo un ciao.
Più fiducioso che mai, raggiunse i suoi compagni in classe e non si risparmiò nell’allestire la scenografia. La stanchezza era sparita.  

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Capitolo 5
*** Daichi ***


«Dannata erbaccia. È inutile che resisti, sono più forte io di te. E staccccati daiiii, porc… ma vaffan… aaarhg!»

No, niente da fare, quella bastarda resisteva ai suoi continui sforzi per eliminarla. Patty stava perdendo la pazienza dopo dieci minuti di lotta a senso unico, ma non aveva intenzione di arrendersi.
 
«Miss Fluffy, invece di stare lì a guardarmi con aria divertita, fa qualcosa, renditi utile. Mordila!»

No, non era giornata. A quanto pare anche la sua coniglietta si rifiutava di collaborare e, anzi, ora che la guardava meglio…
 
«Vuoi scavare una galleria per caso?» Le chiese vedendo l’ampia buca che si stava formando sotto le sue zampette che fremevano d’attività. «Be’, poco male, tanto avevo intenzione di smuovere un po’ la terra per poi piantarci qualcosa quindi… divertiti piccolina mia.»

E quella non se lo fece ripetere due volte, notò con aria divertita. Al rientro in casa un bel bagnetto non glielo levava nessuno.
 
«Ok, non pensare che mi sia scordata di te» disse ancora all’erbaccia «è giunta la tua ora, infame!»

E poi tirò con più forza. Solo che non doveva avere calcolato bene e presto si ritrovò seduta con il culo per terra mentre quella resisteva. Era ammirevole.
 
«Ahahah, ma che combini, litighi con il prato?» Le chiese Eve mentre la raggiungeva sul retro con del tè freddo al limone,

«Ti lasciamo da sola dieci minuti e ti ritroviamo a imprecare a iosa contro un innocente erbetta» rincarò la dose Amy che seguiva l’amica con dei tramezzini.

«Innocente? Quella lì?» Domandò indicando la sua avversaria inerme che sembrava prenderla in giro. «E poi… dovrei essere io a offrire uno spuntino a voi, non il contrario. Siete mie ospiti.»

«Sì, ma solo perché non ti abbiamo lasciato scelta. Lasciati viziare un pochino dai, che poi non ci vedremo così spesso per un po’ e…» iniziò Eve, ma venne interrotta da uno strano rumore. «Che diamine è?»

«Sta decollando un elicottero dentro casa tua per caso?» L’interrogò Amy.

«Ah, em… è la centrifuga della lavatrice» specificò mentre le amiche la guardavano con aria stranita «fa sempre così ultimamente. Ok, lo so, dovrei farla vedere, ma continuo a dimenticarmene e poi è divertente, no?»

«Uno spasso, ah ah ah» la prese in giro Amy.

«Ma perché diamine non me l’hai detto prima? Il mio vicino di casa lo fa per lavoro, potevo mandartelo qua. Ok, sarebbe ora che vada in pensione perché è mezzo cecato e ha pure l’artrite, oltre che una certa età, ma ti assicuro che è il mago delle riparazioni impossibili» l’informò Eve.

«Come? Il signor Shimizu è ancora vivo? Ma dai, non ci si crede. Be’, se non ti è di dist…»

Dlin Dlon Dlin Dlon Dliiin Dlooon. Eh? Non aspettava nessuno, chi poteva essere?
 
«Scusate, a quanto pare qualcuno mi cerca. Intanto voi iniziate pure senza di me» disse alle amiche indicando lo spuntino abbandonato sul tavolo da esterno.

Raggiunse velocemente la porta, l’aprì e…
 
«Oh, Nobuo, tesoro mio. Che bella sorpresa» disse a suo fratello abbracciandolo stretto spegnendo le sue proteste.

«Sorellona, soffoco» tentò invano di dire dimenandosi «aiutooo. Ma uffa, lasciamiii. Non sono solooo.»

E fu quello che fece.
 
«Non sei… ohhh, il mio cucciolo mi ha portato a conoscere la sua fidanzatina. Ma dove l’hai nascosta? Chi è, la conosco?» Gli chiese poi guardandosi in giro.

«Smettilaaa, ma insomma. Non c’è nessuna fidanzatina e non sono il tuo cucciolo» puntualizzò Nobuo con un certo piglio arrabbiato ed esasperato allo stesso tempo che la fece sorridere.

«E allora chi…»

«Em… ha portato me» disse una voce flebile.

Patty si girò verso la voce e per poco non stramazzò a terra dalla sorpresa. Daichi. Oddio. Quello era veramente il piccolo Daichi? Impressionante quanto si fosse alzato e… cavoli, era diventato ancora di più la fotocopia sputata di suo fratello adolescente.
 
«Daichi. Quanto tempo.»

«Ciao Pa… Patty» balbettò quello cercando di evitare il suo sguardo. Oh, era in imbarazzo, forse? «Se… se non mi vuoi qui me ne vado, è solo che Nobuo…»

«Oh, ma che scemenza vai dicendo ora. Non ti caccerei mai via e sono felicissima di vederti. Vieni qui vicino, non ti mangio, sai?» Gli disse.

E lui lo fece. E quando le fu abbastanza accanto da vedere bene i suoi cambiamenti, Patty lo colse di sorpresa e l’abbracciò stretto come aveva appena fatto con il fratello. Era bello abbracciare qualcuno che non protestava. Però… eh? Ma stava… eh, sì, il suo ex cognatino stava piangendo. Cercò di non commuoversi o non ne sarebbero usciti più, quindi, si schiarì la voce e si costrinse a sorridere.
 
«Ah, ma che sono queste lacrime ora» gli disse scostandolo da sé «non si addicono a un signorino come te. Vogliamo entrare? E… Nobuo, grazie» gli disse allungando una mano per accarezzargli la testa.

«Per cosa?» Finse di non capire lui.

«Per avermi ascoltata, anche se con anni di ritardo e avere fatto pace con Daichi. E anche per averlo portato qua. Sei proprio cresciuto. Sono orgogliosa di te» lo lodò facendolo arrossire. «È bello rivedervi insieme.»

«Veramente noi…» iniziò lui, ma fu interrotto da Daichi.

«Sì, siamo di nuovo amici» disse con convinzione. «E tu sei la prima a saperlo.»

«Onoratissima allora. Bene, ora che il tremendo duo è tornato, che ne dite di fare merenda con me e le mie amiche? Non mordono neanche loro, tranquilli. Ah, e poi c’è qualcuno che vorrei presentarti Daichi e sono sicura che ne andrai matto.»

Non diede a nessuno dei due il tempo di replicare e li trascinò in casa.
 
 



 
Daichi era confuso. Ma davvero Patty era felice di rivederlo? Incredibile. Quello doveva essere il suo giorno fortunato. Prima aveva parlato con Nobuo – anche se per poco perché durante il tragitto fino a lì avevano detto sì e no due parole – e poi perché Patty l’aveva accolto con calore e con il sorriso. Non se l’era aspettato.

 
«Amici? Ma se…» gli bisbigliò Nobuo, ma lui lo bloccò.

«Amici, sì. Fattene una ragione» gli rispose con lo stesso tono.

«Tu sei un…»

«Ragazzeee, guardate chi abbiamo qui?»

«Fiù, salvato in corner» replicò lui facendogli l’occhiolino e lasciandolo sconcertato.

Dopo le presentazioni – cosa che si poteva anche evitare visto come l’avevano guardato quelle due strambe tipe – gli fu messo in braccio qualcosa di soffice che solo dopo capì essere un coniglietto chiamato, anzi chiamata, Miss Fluffy. Ed era soffice per davvero. Da lì in poi l’ora seguente passò in un lampo.
 
«Oh, giusto, eravamo venuti a dirti una cosa che ti farà tanto arrabbiare, ma non vorremmo rovinare tutto.»

E con quelle poche parole Nobuo lo riportò alla realtà.
 
«Ah, sì? E di che si tratta?» Chiese incuriosita Patty guardandoli a turno.

«Be’, ecco, vedi sorellona… so che non vuoi più sentire parlare di calcio men che meno qua a casa tua, ma…»

Oh, insomma, sarà anche cresciuto, ma questo qua è rimasto una frana a confessare le cose!, pensò Daichi. Meglio intervenire o facciamo notte.
 
«Quello che Nobuo non riesce a dire è che quel disgraziato menefreghista e megalomane di mio fratello maggiore è tornato e resterà qua per qualche tempo in vista dei Mondiali. Per fortuna è alloggiato al ritiro o non avrei sopportato di averlo in casa per tutto quel tempo.»

Ecco, l’aveva detto e ora? Pensava di dovere assistere a una scenata isterica, ma Patty lo sorprese nuovamente dopo l’abbraccio iniziale.
 
«Daichi, non dire mai più una cosa del genere parlando di tuo fratello» lo ammonì con dolcezza, ma anche fermezza. Eh? «Ci sono cose che solo io e lui sappiamo e che mi hanno fatta molto soffrire e disperare e anche cadere in una brutta depressione, ma non per questo Oliver si merita un tale trattamento da parte tua. È tuo fratello, devi portargli rispetto e capirlo, se puoi, perché lui ti adora e sono sicura che soffre a sentirti contro.»

«Ma lui… ma lui…»

«Ma lui… niente. Abbandona l’ascia di guerra e parlaci, ma sul serio e per davvero però. Non mi piace saperti in disaccordo con lui che non se lo merita. Dio solo sa cosa sta passando per quella sua scellerata decisione. Ma non sono riuscita a convincerlo e ci ho provato, eccome. Però sai com’è testardo quando si mette in testa qualcosa, vero? Lui ti adora, te lo posso assicurare. Ci manca solo che suo fratello lo odi senza motivo. Allora, ci parlerai? Me lo prometti?»

Eh? Che diamine gli stava dicendo Patty? Cosa gli aveva nascosto Holly? Ancora confuso per quelle rivelazioni, Daichi si ritrovò ad annuire e Patty lo ringraziò con un bel sorriso.
 
«Ma… ma quindi non ti dà fastidio che lui sia qui a Nankatzu? E se dovessi incontrarlo per caso?» Le chiese.

«Non nego di esserne sorpresa, ma non posso farci niente. Holly ha un impegno da mantenere ed è giusto che lo onori. Se dovessi incontrarlo… non so, deciderò sul momento, ma non lo odio, non più, mi è semplicemente indifferente. Lui è il mio passato e lì rimarrà.»

Per fortuna non era l’unico sorpreso da quelle parole, notò Daichi guardandosi in giro, ma aveva la sensazione che Patty gli stesse nascondendo qualcosa di importante. Come poteva una persona che era stata così profondamente ferita e messa da parte, parlare del suo ex con tanta tranquillità?
 
«Ti ringrazio per essere passato ad avvisarmi e voglio che tu sappia che qui sarai sempre il benvenuto. Non perché io e tuo fratello ci siamo lasciati, devi sparire di nuovo.»

«Ce… certo, grazie, lo farò. Patty, posso farti un’ultima domanda?»

«Dimmi tutto.»

«Perché vi siete lasciati?»

«Be’… perché a volte le cose non vanno esattamente come si vorrebbe e la vita gioca brutti scherzi. Per quanto uno ci provi, spesso le prove alle quali ci sottopone sono talmente immeritate, inaspettate e ingiuste che non si può fare altro che lasciarsele alle spalle.»

Ma di che cosa stava parlando? Di quali prove parlava? Aveva mille e più domande trattenute per troppo tempo da fare a Patty, ma non era quello il momento giusto. Sarebbe passato a trovarla nuovamente, con più calma e senza nessuno attorno. Forse, così, sarebbe riuscito a scoprire molte più cose e a ottenere risposte. Ma prima…
 
«Patty, domani mattina io ho una partita importante da giocare e mi piacerebbe tanto che tu ci fossi, sugli spalti. Incontreremo la Muppet e, cavoli, loro sono fortissimi e… e fanno paura. Faresti il tifo per noi, per darci la carica giusta? Mi ricordo che eri bravissima. Tu, con i tuoi urli e le tue bandiere. Per favoreee.»

La risposta si fece attendere parecchio. Perché lo stava fissando con occhi pieni di dolore?
 
«Daichi, devi sapere che mia sorella…» intervenne Nobuo, subito interrotto dalla stessa Patty.

«Odi tanto tuo fratello, ma continui a seguirne le orme» gli rispose «e io ne sono contenta perché vuol dire che hai un punto di inizio per potere ricominciare a parlare con lui. Detto questo, Daichi, io non seguo più il calcio da anni però… per te farò un eccezione. Per via della tua rinnovata amicizia con mio fratello. Mi sembrerà di tornare ragazzina. Diamine, se la Muppet è ancora forte come ricordo, vi aspetta un incontro difficile che merita di essere sostenuto. Dimmi solo dove giocate e io verrò.»

E adesso perché le due amiche di Patty avevano strabuzzato gli occhi e spalancato le bocche? In fondo avevano detto di essere due delle manager della Nazionale, quindi, delle colleghe di Patty, che a sua volta lo era stata; non dovevano trovare strano che la loro amica andasse ad assistere a una partita.
Poco dopo, con animo più sollevato e la gioia nel cuore, Daichi si congedò dall’ex cognata e con Nobuo si apprestò a rientrare a casa.
 
 
 



 
«Sei silenzioso» gli disse Daichi dopo un po’.

«E tu sei davvero impossibile» ribatté lui «noi non siamo tornati amici, vuoi mettertelo in testa?»

«Ah, e… lo dici tu a tua sorella?»

«Ma che diam… avevi calcolato tutto, vero? Era una trappola.»

«Trappola. Che brutta parola. Diciamo che ho approfittato di qualcosa che tu hai proposto. Anche se non ci siamo frequentati per anni, dovresti ricordarti di come sono. Non capisco perché ti stupisci.»

«Sai, Daichi, critichi tanto tuo fratello, ma tu sei uguale a lui.»

«Questa era cattiva» gli rispose. «E sentiamo, in cosa gli assomiglierei?»

Be’, la lista era lunga. Una volta Nobuo aveva avuto stima per suo cognato Oliver, ma era finita dopo quello che aveva fatto passare a sua sorella. Patty si meritava di essere felice e invece, non lo era stata per niente, anzi… aveva sofferto moltissimo e, a fatica, si era ripresa.
Non augurava a nessuno quello che lei aveva dovuto affrontare da sola. Sì, ok, c’erano stati loro famiglia Gatsby al completo a supportarla, ma non era la stessa cosa che se ci fosse stato suo marito al suo fianco.
Patty non aveva voluto rivelare a nessuno il suo dolore e ciò a cui era dovuto. Nobuo non era stato d’accordo, ma all’epoca era solo un bambino di dieci anni e non aveva avuto voce in capitolo. Però una cosa la sapeva, che chi faceva soffrire Patty, non meritava nulla da lui.
Come avrebbe potuto continuare a frequentare il suo amico Daichi quando lui gli ricordava troppo il fratello maggiore? E così l’aveva allontanato. Cavoli, pensava di esserci riuscito bene e invece lui era tornato alla carica – dopo cinque anni, cinque! – e in grande stile poi. Aveva addirittura annunciato a un’ignara ed entusiasta Patty la loro ritrovata amicizia. Ma era impazzito?  

 
«E dunque? Parla!»

«Eh? Ma che vuoi ancora da me?» Gli rispose.

«Una risposta, cazzo. Me la devi. Dimmi in che cosa assomiglio a Holly così vedo di smettere di farlo.»

«Ma… ma quello è impossibile. È nella tua natura esserlo, è come un marchio di fabbrica, capisci? Amate il calcio. Siete due gocce d’acqua. Siete testardi. Siete manipolatori. Siete bugiardi. Siete menefreghisti…»

«Ehi, ehi… frena, frena. Io non sono così, lui lo è. Lo odi anche tu, vero?»

«Sì e non ti immagini neanche quanto. Ma ti ricordo che hai dato la tua parola a Patty e che ora devi seppellire l’ascia di guerra, come si dice. Guarda che se non lo fai, lei non te lo perdona e non so se ti rivorrà vedere ancora. Non è una bella cosa quando Patty lascia il posto ad Anego.»

«Dannazione. Detesto quando hai ragione. E tra noi due sei sempre stato tu il più razionale.»

Era vero. La loro amicizia funzionava bene appunto per quello. Mentre Daichi era quello impulsivo, positivo, vivace e sorridente. Lui, Nobuo, era quello pensieroso, realista, tranquillo e un po’ ombroso. Si completavano a vicenda. E poi era andato tutto a put… sì, insomma, al macero.
 
«Vorrei tanto che mi dicessi quali sono quelle cose brutte che Patty ha passato e perché, mentre ne parlava, aveva gli occhi tristi.»

Ma si aspettava davvero una risposta?
 
«Non parlo per lei, io. La prossima volta che la vedi, chiediglielo, magari ti risponde.»

O magari l’avrebbe mandato a fanculo. Come avrebbe già dovuto fare. La reazione di sua sorella alla vista di Daichi lo aveva spiazzato, ma poi perchè se n’era stupito visto che Patty l’aveva sempre adorato ed era vero che spesso lo aveva spinto a riconciliarsi con lui. E, cosa più importante, perché gli aveva proposto di andare con lui da Patty? Era forse impazzito?
 
«Lo farò, dopo la partita di domani. Ultima domanda e poi, giuro, ti lascio andare.»

E alleluia. Anche perché erano arrivati davanti a casa sua.
 
«Patty ha davvero evitato il calcio per tutto questo tempo? Non riesco a crederci eppure lo sguardo delle sue amiche quando ha accettato di venire domani… era di puro stupore.»

«Sì, l’ha fatto» gli confermò «e ringrazia il cielo che ha parlato di calcio dentro casa perché è un argomento vietatissimo. Hai compiuto una specie di miracolo.»

«Sì, lo so, sono un genio. Grazie, grazie, troppo gentile» gli rispose lui facendogli uno strambo inchino che, suo malgrado, lo fece ridere.

Era ora di mettere fine alla loro rimpatriata.
 
«Bene, ci si becca a scuola» gli disse per congedarlo. Stava per entrare in casa quando si bloccò e tornò a fissarlo. «Ah, quasi dimenticavo. In qualità di membro del consiglio scolastico, ti avviso che entro una settimana le diverse classi devono essere pronte per la Fiera di Primavera e che verranno ispezionate per poi venire approvate.»

«Cooosaaa? Una settimanaaa? Ma ne mancano due all’inizio della fiera e noi siamo ancora in alto mare e non è che non ci stiamo dando da fare, anzi» replicò quello. «Tra allestimento della classe e costumi, siamo presissimi.»

«E io che posso farci? Non sono nella posizione di decidere, sono solo uno dei galoppini del presidente diciamo. Posso cercare di fare spostare la data di qualche giorno, ma non posso garantirti niente. Ti prometto solo che lunedì mattina metterò la proposta sul tavolo appena arrivo e che ti terrò aggiornato.»

«Grazie, Nobuo, vuole dire tanto per noi. In qualità di capoclasse vedrò di accelerare i tempi, ma non vorrei mettere troppo sotto pressione i miei compagni che già sono al limite.»

«Buona fortuna. Ciao» replicò lui aprendo il cancelletto.

«Ciao. Ma porca… ci mancava solo questa» lo sentì mormorare mentre si allontanava.

Oh, ma che peccato. Oh, sì, lunedì avrebbe cercato di rimandare l’ispezione di qualche giorno per tutti gli allestimenti, ma non avrebbe intercesso per nessuno in particolare, men che meno per la classe di Daichi.
 
 
 



 
«Daichi, caro, sei tu?»

«Sì, mamma, chi vuoi che sia?» Le rispose mentre toglieva le scarpe.

«Già, siamo tornati a essere solo noi due. Per lo meno per qualche giorno ancora» gli disse correndo ad abbracciarlo. «Hai tutto pronto per domani? Vuoi che dia un occhio?»

«Mamma, non sono più un bambino. Ho preso tutto. Cavoli, mi ricordo che con Holly non eri… oh, cazzo.»

Cazzocazzocazzocazzocazzo. Non era possibile, se ne era dimenticato. È vero che si era ripromesso di non invitarlo alla partita, ma ora era più che mai necessario che Holly fosse presente. Oh, sì, era un piano diabolico il suo, ma quell’idiota doveva vedere con i suoi occhi Patty e gli effetti che la sua decisione avevano avuto su di lei. Era ora che aprisse gli occhi e facesse ammenda. Gli spiaceva avere messo in mezzo Patty, ma lui era convinto che quei due dovessero incontrarsi prima o poi – anche perché risiedevano entrambi a Nankatzu – e quale posto migliore, per loro, di uno stadio?
Dio mio, Nobuo l'avrebbe scorticato vivo se avesse anche solo intuito il suo piano. Era un tipo mite, ma guai a farlo arrabbiare.

 
«Daichi! Niente parolacce» lo ammonì subito sua madre. «Dio, mio, ma da chi avrai preso, dico io. Da qualcuno di sicuro, ma non da noi tre. Ehi, ma… non mi stai ascoltando.»

«No, è vero, proprio per nulla» ammise facendola sospirare. «Mamma, devo uscire.»

«Cooosa? Ma sei appena tornato. Dove devi andare a quest’ora?»

«Da Holly!» Le rispose mentre tornava a infilarsi le scarpe.

«Cosa? Tu, che vai a cercare tuo fratello al ritiro? Ma se solo ieri lo insultavi. Ehi, non vorrai causargli problemi in squadra, vero?»

«Chi, io, a lui? Giammai!» La prese in giro lui. «Tranquilla, mamma, ho una missione da compiere per conto del mio capitano, anzi, di tutta la squadra a dire il vero. Faccio in fretta. Ciao.»

E poi uscì di corsa senza aspettare risposta.
 
 
 



Patty era felice. Stranamente felice. Tutto merito di Daichi, altra stranezza. Rivederlo non le aveva causato dolore, anzi. Stava ancora sorridendo quando raggiunse Amy e Eve che, ammutolite, la fissavano con aria sconvolta.

 
«Avanti, parlate ora o tacete per sempre» le incalzò.

«Cosa dovremmo dirti, Patty?» Iniziò Amy. «Io non ho parole.»

«"In questa casa non si parla di calcio"» le fece il verso Eve. «Sono confusa, Patty, non eri tu che ce l’avevi detto la prima volta che siamo passate a trovarti qua? E noi abbiamo sempre rispettato questa tua regola. Capirai che ora – vedendoti a portare in casa la fotocopia vivente di Holly in versione adolescente – ci hai spiazzate.»
 
«E in più, domani – domani! – andrai a vederlo giocare. Tu! Allo stadio! Dopo cinque anni. Farai una cosa che avevi giurato di non fare mai più» rincarò la dose Amy.

«E l’hai convinto a trattare meglio Holly che, a quanto pare, era sceso nella sua stima e non l’avrei mai detto, mai» concluse Eve.

Cosa poteva replicare, avevano ragione su tutto. Cosa l’aveva spinta ad accettare la proposta di Daichi? La genuinità con cui l’aveva fatta? La gioia per averlo ritrovato? Non lo sapeva neppure lei, però aveva promesso e non poteva tirarsi indietro.
 
«Andiamo ragazze, come potevo dirgli di no. Non se lo merita.»

«E se dovessi incontrarci Holly o sua madre o…»

«Oh, andiamo, Holly alla partita di Daichi che lo odia, l’avete sentito anche voi, no? Figurati se glielo dice. E, cosa ancora più importante, è al ritiro con tutti gli altri, no? Be’, non penso che potrà assentarsi da lì a piacimento. Per quanto riguarda Maggie… lei non è un problema» concluse. «Bene, discorso chiuso. Mi è venuta fame e quei due disgraziati si sono mangiati tutti i nostri tramezzini. Che dite, li rifacciamo?»

«Ma si dai. Per fortuna il necessario non manca» la spalleggiò Amy.

«Per questa volta te la cavi così, ma torneremo sull’argomento e allora non ti lasceremo scampo» la mise in guardia Eve. «Forza, sbrighiamoci a farli perché la mia pancia reclama cibo. Cavoli, e chi si immaginava che due adolescenti mangiassero così tanto. Tre tramezzini a testa, Patty, tre.»

Patty rise forte a quelle parole. Sì, suo fratello era un pozzo senza fondo e Daichi pure. Mettere quei due e il cibo nello stesso ambiente non era mai una buona idea. Già da bambini erano capaci di svaligiare una dispensa, ora che erano adolescenti… ma neanche un supermercato si sarebbe salvato da loro due se erano affamati.
Prese in braccio Miss Fluffy e si diresse in cucina seguita dalle amiche. Le erbacce potevano aspettare, il suo stomaco vuoto no.
 
 
 



 
«Allora, siete pronti a perdere?»

Dopo un intero pomeriggio passato ad aspettare il momento della sfida con i suoi compagni che volevano rubargli la fascia da capitano, Holly era più che pronto. E stanco di aspettare.
Purtroppo, i Mister erano stati convocati alla Federazione Gioco Calcio (FGC) con una certa urgenza e la sfida sua con i suoi cinque avversari era stata rimandata a orario imprecisato. Ecco. Finalmente era giunta l’ora.
Miste Gamo e Mister Turner erano tornati una mezz’ora prima e li avevano convocati in campo appena si fossero liberati dalle scartoffie.
Le regole non erano cambiate. Cinque incontri da dieci minuti l’uno. Una passeggiata, per lui.

 
«Hutton fa poco lo spiritoso. Preparati a piangere. Ti cancellerò quel ghigno dalla faccia in meno di un minuto» lo sfidò Mark.

Uh, che paura!, pensò lui guardandolo in modo ancora più torvo. Provaci, se puoi, io sono qui.
 
«Mi riprenderò la fascia che mi hai tolto anni fa, Holly. Attento, questa volta nessuno ti aiuterà con un assist. Saremo in campo entrambi. Non è il mio ruolo principale, ma non sottovalutarmi» lo ammonì Benji.

Oh, lo so bene che sei pericoloso in campo come in porta. Ma non credere di farmi paura ricordandomelo.
 
«Sarà uno spasso! Mi divertirò moltissimo a metterti in difficoltà» esordì Rob saltellando dall’impazienza.

E io pure. Ecco, tu sei l’unico che mi dispiace dovere battere, ma è necessario per mantenere il mio ruolo.
 
«Grazie a te ho cambiato il mio stile di gioco, ma questa volta dovrai affrontare il vecchio me. Ti avviso già ora, non mi tratterrò» lo minacciò Peterson.

Fa pure, accomodati, ma poi non piangere quando perderai.
 
«Già una volta, in tua assenza, ho ricoperto il tuo ruolo all’interno della Nazionale e devo dire che mi era piaciuto. Ho intenzione di non risparmiarmi e ti pregherei di non farlo neanche tu» affermò Philip.

E niente, di essere più competitivo non ti riesce proprio. Ah, Callaghan, sempre così onesto e sincero fino al midollo.
 
«Bene, qualcosa da dichiarare Hutton?»

«Che vinca il migliore!»

Eh? Chi ha parlato? Holly si guardò in giro come tutti i suoi compagni e… e poi lo individuò. Suo fratello Daichi. A bordo campo. Con un aria talmente compiaciuta che si poteva dire non vedesse l’ora di vederlo sconfitto da uno o più dei suoi avversari.
 
«Che ci fai qui, fratello?» Gli domandò.

«Mi godo lo spettacolo del mio fratellone messo sotto torchio. Ma prego, non fate caso a me, iniziate pure e non risparmiatevi» disse guardando gli altri, ma non lui. «Voglio vederlo in ginocchio e disperato.»

Ci mancava solo lui. Una volta terminato di sistemare quella piccola questione, avrebbe dato una lezione calcistica anche a Daichi. Una di quelle che non avrebbe dimenticato mai.

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Capitolo 6
*** Cinque sfidanti per una fascia ***


«Hutton… senior, tuo fratello mi piace» gli disse Mark.

«Seriamente, cosa ti ha portato qui?» Chiese a Daichi ignorando il commento dell’amico.

Ma quello non riuscì a rispondere perché fu bloccato da Mister Gamo.
 
«Non mi interessa chi sei o perché sei qui. Questa è zona vietata a chi non fa parte della Nazionale, quindi, ti pregherei di uscire perché qui abbiamo da fare» gli disse. «A proposito, come sei entrato, ragazzino?»

Ecco, come hai fatto fratellino?
 
«Ehi, ma lei è Mister Gamo in persona. Wow lei è il mio mito! Io so tutto di lei, della sua carriera e ho studiato tutti i video delle partite che ha giocato. È davvero fantastico. Ho cercato di copiare alcune sue tecniche, sa? Ma non ci sono riuscito, dannazione. Lei mi ha talmente colpito che ho deciso di diventare un allenatore in futuro.»

«Davvero? Oh, be’, grazie.»

«Mister, non ci caschi. Mio fratello sembra tanto carino e dolce, ma è furbo come pochi» lo mise in guardia.

«A me sembra uno molto sveglio» replicò quello. «Un allenatore è? E come mai questa scelta? Non è affatto facile come sembra» chiese poi a suo fratello che sorrideva.

«Sì, lo so, ma la fatica non mi spaventa. E poi… i calciatori sono le gambe e le braccia della squadra, ma senza il cervello che coordina tutto non sono nulla e non possono nulla. Io voglio essere un cervello. Io la vedo così.»

«Mi fai quasi paura, ragazzino, ma hai ragione. È un buon punto d’inizio e sono felice di sentire qualcuno che preferisce essere il regista di una squadra.»

Troppo tardi. Daichi aveva colpito ancora. E peggio ancora c’era che tutti i suoi compagni erano affascinati dal piccolo di casa Hutton e gli sorridevano.
 
«Ho sempre sognato di incontrarla, ma non ci ero mai riuscito nonostante lo avessi chiesto più volte a quel cretino di Holly.»

«Non farmi passare per il cattivo ora, eri troppo piccolo e te l’ho spiegato mille volte. E… ehi, a chi hai dato del cretino tu?»

«A te, fratellone. Ora ho quindici anni e il tuo permesso non mi serve più come vedi. Me lo prendo da solo che faccio prima» lo rimbeccò quello senza esitazione facendo ridere tutti.

«Ragazzino, sono lusingato di esserti stato d’ispirazione, ma ciò non toglie che devi uscire di qui. E non mi hai ancora detto come sei riuscito a entrare, i cancelli sono chiusi.»

«Ho scavalcato, che domanda» gli rispose senza vergogna. «Ho bisogno di parlare con mio fratello, ma posso aspettare. Mi sa che sta succedendo qualcosa di grosso qui, se non ho capito male.»

«Già, il tuo caro fratellone sta per perdere la fascia del comando» lo informò Mark.

«Davvero? Che fooorza. E gliela ruberà uno di voi? Fantastico. Voglio assistere, quindi resto» decretò infine.

«No. È qualcosa di privato, quindi te ne vai da solo o ti caccio io a calci in…» iniziò a dirgli, ma non riuscì a finire la frase.

«Lui resta» lo bloccò Mister Turner «se è davvero interessato a diventare un allenatore, sarà meglio che inizi fin da subito a capire come funzionano le cose dietro le quinte. Bene, ragazzino, mettiti di fianco a noi e osserva. I ruoli vanno guadagnati, mai dati per scontanti.»

Ed eccone un altro che suo fratello aveva affascinato.
 
«Lo so. Ho cercato di farglielo capire, ma quando parlo io non mi ascolta mai. Vedi, Holly? Qualcun altro la pensa come me sul tuo ruolo da capitano della Nazionale. E lui è Mister Turner, mica uno che passava di qua per caso.»

«Esatto! Mi conosci ragazzino?» Gli chiese quello palesemente stupito.

«E chi non la conosce. Lei ha guidato la Muppet per anni e ora, anche se ha ceduto il comando, loro continuano a seguire i suoi insegnamenti e a darci del filo da torcere. Li ha resi fortissimi, dannazione. E dicono sempre che sarebbe bello se lei tornasse. La considerano il top dei top degli allenatori.»

«Di certo sai come adulare la gente tu» gli rispose un Mister Turner ormai ammaliato. «Come li conosci?»

«Ehi, non mi faccia domande a cui non posso rispondere ora. C’è una fascia da capitano da assegnare. Glielo dirò dopo.»

«Dritto al sodo. E va bene, parleremo dopo» cedette lui. «Ok, gente, decidete voi l’ordine di sfida. Ricordate, dieci minuti a incontro. Cinque minuti di pausa tra l’uno e l’altro. Fate del vostro meglio, tutti e rispettate le regole o vi escludo a priori.»

Holly era in fibrillazione. I prossimi cinquanta minuti avrebbero fatto capire a tutti chi era il loro capitano. Il solo e unico. Lui.
 
 



 
«A noi due, Holly. Preparati a perdere» gli disse Ralph mentre raggiungevano il centro campo.

«Chissà perché avevo immaginato fossi tu il primo. Sei prevedibile. Fatti sotto e non risparmiarti»  

«Quello te lo puoi scordare» gli disse.

«Una domanda, ma in porta non ci sarà nessuno?» Chiese.

«No, Holly, a noi interessa valutare il prima del goal, niente altro. Se segnate bene, altrimenti fa lo stesso» gli rispose Mister Turner.

Mister Gamo fischiò e subito Ralph gli fece incontro palla al piede. Decise di marcarlo stretto e distrarlo quel tanto che bastava per rubargliela, ma Ralph era migliorato molto e lo stava mettendo in seria difficoltà. Smarcarsi da lui era praticamente un’impresa, ma dopo diversi tentativi, ce la fece, impedendogli anche di lanciare il suo famoso Tiro a Rasoio entrando in scivolata su di lui e facendo finire la palla oltre la linea di campo, vicino alla panchina. Wow, dici minuti intensissimi. Al fischio finale, entrambi erano un po’ provati e per lui, questa, era una novità.
 
«Complimenti Holly, sei un osso duro come sempre» gli disse Ralph allungandogli una mano.

«Grazie, ma posso dire la stessa cosa di te» rispose lui stringendogliela.

Finalmente una pausa. Holly era davvero soddisfatto di quella breve sfida con Ralph. Guardò suo fratello che era intento a complimentarsi con il suo sfidante. E niente, non lo sopportava proprio. Però la rivelazione che volesse diventare un allenatore… cavoli, ma perché non gliel’aveva mai detto? Era una decisione insolita, ma pensandoci bene, perfetta per suo fratello. Aveva tutte le doti per riuscirci e perfino la faccia tosta non gli mancava.
 
«Ehi, sei pronto a divertirti un po’?» Gli chiese Rob.

«Ma certo, quando vuoi. Sei proprio su di giri, vedo» gli rispose guardandolo saltellare da una gamba all’altra con aria felice.

«E non dovrei esserlo? Finalmente potrò sfidare colui che mi ha ispirato a non mollare mai. Dai, alza le chiappe dalla panchina e raggiungimi in campo.»

Ah, Rob, che elemento. Senza di lui in Nazionale avrebbero riso molto meno. Mollò la borraccia sulla panchina e lo seguì.
 
«Dai, amico, fammi vedere come sei migliorato in questi anni.»

«Con molto piacere, Holly.»

E poi lo stupì più volte. Rob era velocissimo a correre e lui faticò non poco a stargli dietro quando riusciva a smarcarsi da lui e a tentare la fuga per andare a segnare. Oh, sì, decisamente aveva fatto enormi progressi e davvero poteva sfilargli la fascia con facilità se non restava concentrato. Doveva sbrigarsi, i dieci minuti stavano per scadere. Con un gesto fulmineo che spiazzò Rob – dopo aver finto di inciampare mentre tentava di rubargli la palla – entrò in scivolata da dietro e colpì il pallone mandandolo lontano da lui che, per la sorpresa, rimase bloccato sul posto. Subito dopo si sentì il fischio finale.
 
«E niente, sei sempre tu il migliore tra noi due» gli disse.

«No, è stata una mossa determinata dalla disperazione la mia. Sei stato molto bravo e furbo. Complimenti Rob.»

Tornando alla panchina con un compiaciuto numero 20 accanto, Holly diede un occhio veloce a suo fratello che lo fissava quasi ammirato, quasi. Sorrise. Voleva tanto chiedergli cosa fosse venuto a dirgli di così importante da non potere aspettare, ma non ne ebbe il tempo. Era il turno di Philip.
 
«Holly, fa del tuo meglio perché sappi che io non mi risparmierò.»

«Come sempre. Vediamo cosa sai fare.»

E nei minuti che seguirono, Holly ebbe la conferma della bravura e della tecnica di Philip che negli anni avevano raggiunto un livello molto alto. Anticipava le sue mosse con facilità e bloccava i suoi attacchi sul nascere. Un paio di volte riuscì ad avvicinarsi pericolosamente alla porta e a tirare, ma lui era riuscito a deviare la traiettoria della palla prima che fosse troppo tardi. In compenso riuscì a partire in contropiede dopo il secondo tentativo e a segnare subito dopo essere entrato in area di rigore. E anche il terzo fischio lo raggiunse nelle orecchie.
 
«Diamine, mi hai fregato.»

«Sì, ma non mi hai reso certo la cosa facile, Philip» gli rispose.

«Rispetto a qualche anno fa sei migliorato, non mi stupirebbe se la fascia rimanesse tua.»

«Ah, aspetteremo la sentenza finale prima di congratularci. Per come la vedo io sei stato un degno avversario.»

Questa volta Holly trovò Daichi ad aspettarlo seduto sulla panchina con un braccio teso a tendergli la borraccia.
 
«Ti ho cambiato l’acqua. Tieni, è freschissima questa.»

Visto che non sapeva cosa rispondergli senza essere frainteso, Holly bevve con cautela e poi si sedette di schianto accanto a lui che, stranamente, non si spostò.
 
«Mister Hutton. Mi piace come suona. È bello e importante avere un sogno. Metticela tutta» gli disse ricevendo in cambio un sorriso enigmatico.

«Smettila di parlottare, Holly e vieni in campo» gli intimò Benji.

«Uh, il SGGK mi reclama, sarà meglio non farlo aspettare» disse a suo fratello prima di raggiungere l’amico già posizionato sul disco centrale.

Senza nulla togliere agli altri suoi tre avversari, ma la sfida con Benji non vedeva l’ora di farla. Lui era un portiere eccellente, il migliore che avesse mai affrontato e incontrato sul campo e quando decideva di uscire dalla porta per dare una mano in campo, era una potenza inarrestabile. E ora l’avrebbe affrontato.
Non gli era piaciuto trattarlo male e mentirgli, ma non aveva scelta se… se voleva proteggere Patty.

 
«Te la sei presa comoda» l’apostrofò l’amico una volta raggiunto sul campo.

«Sei tu che hai fretta.»

«Facciamo un patto. Se vinco io, tu mi dici cos’è successo veramente a Barcellona cinque anni fa.»

«E se sarò io a vincere?»

«Puoi tenerti i tuoi segreti, ma la smetti di fare la prima donna e torni tra i comuni mortali.»

Mh, Benji che rinunciava facilmente a qualcosa che solo poco prima voleva sapere a ogni costo? Impossibile. Non ci credeva, ma lo avrebbe assecondato per divertirsi un po’.
Non gli rispose, ma iniziò subito ad attaccarlo una volta suonato il fischio. Il suo amico aveva una bella stazza, ma sapeva muoversi con agilità e velocità e non gli dava respiro. Più volte dovette rincorrerlo ed entrare in scivolata per rubargli palla e non sempre ci riuscì. Quello scontro stava diventando molto divertente.

 
«Amico, stai sorridendo!»

«È uno spasso in effetti» gli rispose.

«Erano secoli che non lo facevi in campo. Ma non credere che questo mi distrarrà» gli disse prima di prenderlo in contropiede e partire verso la porta come se avesse le ali ai piedi.

Ecco. Come distrarre l’avversario con una frase a effetto e approfittare del suo smarrimento per farlo fesso. Davvero non sorrideva più? Ma che… no, non doveva pensarci ora, l’unica cosa che contava era raggiungerlo. E lo fece. Riuscì anche a entrare in scivolata, rubargli la sfera e caricare il suo famoso Drive Shot e fare centro nella porta vuota da metà campo. E anche il loro tempo era finito.
 
«E che cazzo. Ma perché diamine fai questi tiri solo quando hai contro me.»

«Ahahah, perché è la mia specialità e poi tu non eri lì a pararlo come hai sempre fatto, tranne la prima volta.»

«Simpatico, dico sul serio. Dai, torniamo dagli altri che c’è Mark impaziente.»

«Ancora un po’ e fa il buco nell’erba a furia di agitarsi» gli rispose lui e facendolo ridere di gusto.

«Ops, ci sta guardando male» constatò Benji «anzi, guarda male solo te. Auguri» gli disse battendogli una mano sulla spalla prima di allontanarsi.

Ok, era ufficialmente stanco. E non era da lui. Guardò Daichi che non si era mosso dalla panchina durante l’ultimo mini incontro, ma questa volta notò che era intento a prendere appunti.
 
«Toc toc, disturbo? Che fai?» Chiese.

«Scrivo, non vedi?»

«Sì, ma cosa?» Gli domandò allungando il collo per sbirciare il suo lavoro. «E poi dove l’hai preso quel blocchetto? Prima non ce l’avevi» chiese indicando l’oggetto del suo interesse.

«L’ho sempre con me in tasca con una penna, non si sa mai. Non distrarti, fratello, tra poco avrai contro il tuo avversario storico e non puoi avere la mente altrove se vuoi scamparla. Guarda che quello lì non scherza. Ehi, è stato allenato da Mister Turner e sa come farti il culo» gli rispose quello chiudendo di scatto il piccolo block notes.

«Ben detto mini Hutton» intervenne l’interpellato. «Tuo fratello è sveglio, lo vedrei bene alla Toho» gli disse per provocarlo. «Ti conviene dargli retta. Vedi di riprenderti in fretta che devo annientarti.»

Sì, sì, lo vedo. Diamine, certo che hai proprio voglia di battermi, vero?, pensò.
Qualche minuto dopo aveva raggiunto un Mark nervosissimo che lo attendeva battendo il piede sul manto erboso. Non appena il fischio d’inizio venne suonato, Mark partì come un razzo diretto addosso a lui, come nel suo solito stile.
Neanche il tempo di respirare gli aveva lasciato. Fu uno scontro durissimo e serrato. Mark lo mise in seria difficoltà e un paio di volte era riuscito a smarcarsi così bene da tentare dei tiri in porta che lui, per fortuna, era riuscito a neutralizzare. Il terzo, però, andò in rete.

 
«Andiamo Holly, non sai più tirare in porta? Ti sei rammollito» gli disse vedendolo sospirare. «Mi piacerebbe vedere uno dei tuoi famosi bolidi dal vivo, fammi contento.»

«Occhio a quello che desideri, Mark, occhio.»

E poi lo accontentò. Dopo avergli fatto credere di avere ancora lui il comando dello scontro, lo portò fino al limite dell’area, gli rubò la sfera mentre lui si preparava al tiro e poi, a sua volta, lo imitò. Be’? Cos’era quello sguardo allibito ora.
Caricò il suo famoso Drive Shot, ma lo potenziò e gli diede uno strano effetto rotatorio rendendolo imprevedibile che spedì il pallone dritto nella rete della porta avversaria.
Perfetto. E adesso cos’era quel silenzio generale? Azzardò un’occhiata a bordo campo e lo stavano fissando tutti come se fosse un alieno. Daichi poi si era alzato in piedi e, in men che non si dica, lo raggiunse e gli buttò le braccia al collo ridendo come un matto.
Da quanto tempo non lo faceva più? E perché gli stavano venendo gli occhi lucidi?

 
«Sei una forza fratellone» gli disse.

E da quanto tempo Daichi non gli parlava con tanto affetto? Lo strinse forte.
 
«Sì, non male Hutton» intervenne Mark «non so come cazzo hai fatto, ma è stato un tiro degno di un mostro di bravura e degno di te.»

«Parla quello che mi ha fatto sudare per tutto il tempo. Sei ancora più letale di quando ci siamo visti l’ultima volta.»

Mark gli fece un breve sorriso, sollevò le spalle come a dire “Lo so da me che sono forte, cosa credi.” e se ne andò.
Subito dopo anche lui e Daichi si unirono al gruppo dove ricevette i complimenti di tutti e gli sembrò di essere tornato ai vecchi tempi.






 
«Benissimo ragazzi, gli incontri per ottenere la fascia da capitano sono terminati e vi devo ringraziare tutti perché ci avete mostrato un lato combattivo che avevate dimenticato e un bel gioco» s’intromise Mister. Gamo.

«Esatto. Ora ci ritireremo per prendere la difficile decisione e la comunicheremo dopo cena. Ma prima… ragazzino» disse Mister Turner a Daichi «adesso puoi finalmente dirci cosa ti ha portato a scavalcare il cancello per parlare con Holly. Spero che sia importante e non che ti mancava e basta.»

Mancargli, come no. Holly quasi rise apertamente a quella battuta.
 
«È importante per me e no, non poteva aspettare» specificò lui prima di guardarlo. «Holly, domani mattina la Nankatzu incontrerà la Toho in una sfida che vuole essere amichevole, ma che in realtà sarà un massacro. Per noi. Il mio capitano mi ha chiesto di invitarti a vederci perché la tua presenza potrebbe darci una marcia in più, o una cosa del genere. Io non credo sia così, ma avevo tutti contro e così eccomi qui a parlare per loro.»

Evviva la sincerità.
 
«Mi piacerebbe, ma vedi bene dove sono e anche se non abbiamo ancora iniziato con gli allenamenti…»

«Holly ci sarà» decretò Mister Turner sbalordendolo «e tu Mark andrai con lui.»

«Cooomeee? E perché mai. Hanno richiesto lui, non me» si oppose quello.

«Perché le vostre due vecchie squadre scolastiche domani si affronteranno e io voglio che torniate al passato e vediate di nuovo il calcio con gli occhi di un ragazzino e non dell’esperienza. Ricordate da dove siete partiti, forse così capirete alcune cose che vi sono sfuggite col tempo.»

«Mi sembra una buona idea» intervenne Mister Gamo. «In cambio, ragazzino, mi devi dire cosa scrivevi qui dentro di tanto interessante» gli disse e poi gli sventolò sotto il naso il suo mini block notes.

«Em, appunti. Cose che vedo durante le partite e che voglio ricordare o che mi sembrano strane. Suggerimenti personali su come migliorare, se vedo qualche cosa che non torna.»

«In pratica hai analizzato a modo tuo gli incontri e queste sono le tue conclusioni. Ho capito bene?» E quando Daichi annuì, aggiunse «Impressionante. Ti spiace se lo tengo e lo sfoglio? Potrebbe essere utile alla decisione finale. Te lo farò riportare domani da tuo fratello.»

«Utile? Davveeerooo? Ma… ma sono solo scarabocchi e… ok, glielo presto. Però pretendo che mi scriva le sue impressioni e corregga se trova qualcosa di sbagliato. E anche lei Mister Turner, non creda di leggerlo gratis.»

«Diamine. Hutton, questo tuo fratello sa come ottenere le cose e non ha paura a dirlo» disse quello guardando lui. «Affare fatto. E rilancio. Se saranno utili e ben fatti, potrai entrare qua liberamente e affiancarci.»

Cheee? Ma era forse impazzito? Holly guardò Daichi che ora aveva gli occhi che brillavano dalla sorpresa e annuiva frenetico. Il suo cuore gioì per lui.
 
«Sìsìsìsìsìsì va benissimo, grazie» gli rispose guardando Mister Turner con rinnovata ammirazione. «Oh, quando lo saprà la mam… oh, no. Nonononono. Che ore… oh, cavoli, sono già le 18?. Le avevo detto che tornavo subito e invece è passata più di un’ora. È la volta buona che mi lascia senza cena» e lì risero tutti.

Daichi era così dispiaciuto e terrorizzato che Holly ridacchiò. Oh, sì, la loro madre non tollerava ritardi e minacciava spesso digiuni come punizione, ma poi non lo faceva mai.
 
«È già tanto se ti farà entrare in casa e… ehi, sto parlando con te, dove vai?» Gli domandò vedendolo correre via.

«A dirle che è stata tutta colpa tua se ho fatto tardi, ovvio, no? Ciao a tuttiii» urlò e poi schizzò via.

Ah, che elemento era diventato suo fratello. Scosse la testa e sorrise alla sua figura che si allontanava velocemente. Era ora di andare a farsi una bella doccia rilassante, ma quando fece per girarsi e si ritrovò davanti i volti sorridenti dei suoi compagni…
 
«Che c’è che non va questa volta?»

«Stai sorridendo» gli rispose Bruce.

«Già, ed è la prima volta che lo fai da quando sei arrivato. E non parlo di un sorriso di circostanza. Questo è uno vero. Anche gli occhi sono diversi.» specificò Tom.

«Sì, be’, forse perché non so più come prendere mio fratello e sono stupito da come cambia idea facilmente. Ieri mi odiava a morte, oggi mi abbraccia…»

«Non è più un bambino, Holly. Forse non ti ricordi, ma anche noi da ragazzini eravamo molto volubili» esordì Julian.

«Bene, se avete finito con le chiacchiere…» intervenne Mister Gamo «direi che per oggi abbiamo terminato. Riposatevi, rilassatevi e ci vediamo più tardi per l’esito degli incontri» disse prima di andarsene, seguito da Mister Turner.

Oh, sì, ne aveva proprio bisogno. Rientrò in camera, fece una doccia veloce e poi si buttò sul letto. Le ultime parole che sentì prima di addormentarsi di colpo furono…
 
«Ma come cazzo fa a dorm…»

E non era nemmeno sicuro su chi le avesse dette.

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Capitolo 7
*** Allo stadio con sorpresa ***


E dunque, il grande giorno era arrivato. Sarebbe tornata allo stadio per assistere a una partita. Che ansia. Che agitazione. Quella notte non aveva dormito molto e si era immersa nei ricordi. Nankatzu e Toho. Quasi non riusciva a crederci. La sfida tra le due squadre continuava anche a distanza di anni. E lei ci sarebbe stata.
Patty scese dal letto con cautela mentre Eve e Amy stavano ancora dormendo beate. Liberò Miss Fluffy, la coccolò e poi le diede da mangiare. Cibo che la coniglietta subito prese a divorare, affamatissima mentre lei le puliva la gabbia.
Si fece una veloce doccia, si avvolse un ampio asciugamano attorno al corpo e poi prese a esaminare il suo armadio.
Dio, doveva andare solo allo stadio, cosa c’era da decidere. Abbigliamento sportivo, no? Jeans scuri, maglietta rossa con maniche a tre quarti, scarpe da tennis e… e sì, la sua immancabile fascia rossa in testa, proprio quella che metteva quando era a capo della tifoseria alle elementari, l’aveva tenuta.
Si guardò allo specchio a parete, perfetta!

 
«Coraggio Patty. È solo una partita tra ragazzini. Non devi temere nulla. Tu ti divertirai, Daichi sarà felice e lui non ci sarà. Lui non ci sarà. Lui non ci sarà. Lui non ci…»

«Stai cercando di ipnotizzarti da sola?» Le chiese Eve.

Eh, magari fosse possibile. Rise.
 
«Scusa, ti ho svegliata?»

«In realtà no, sono una tipa piuttosto mattiniera.»

«Ahhhwww, buondì a tutte» esordì Amy mentre si stiracchiava. «Amica mia ti vedo un po’… strana.»

«Ciao a te, Amy. Più che strana direi che sono nervosa. Stavo solo cercando di calmarmi un pochino. Sono anni che non entro in uno stadio e mi stavo autoconvincendo che non sarà poi così brutto.»

Ecco, l’aveva detto. Aveva paura. Ma non poteva tirarsi indietro perché significava deludere un ragazzino tanto dolce come Daichi.
 
«Vado bene così?» Le chiese facendo un giro su se stessa.

«Sei bellissima. Ah, la tua fascetta da combattimento, quanto mi era mancata.»

«Anche a me. Ma, Patty, mancano quasi due ore all’inizio della partita» le disse la rossa guardando la proiezione sul muro.

«Lo so, ma non voglio rischiare di fare tardi e così… eccomi qua. Anche perché devo fare ancora una cosa prima di uscire di casa» disse e poi schizzò in salotto in preda alla frenesia.

Eh, sì, Daichi si meritava un tifo coi fiocchi e lei non si sarebbe sprecata. Avrebbe fatto un rientro in grande stile. Il suo. Aprì un cassetto dove aveva riposto tutti i suoi arnesi e poi si mise all’opera, per terra.
 
«Em, Patty, non mi dire che stai…»

«Creando una bandiera. Sì, Eve, è proprio quello che sto facendo.»

«Mi sono sempre chiesta come facessi e ora posso finalmente ammirarti all’opera. Vuoi una mano?»

«Grazie, Amy, ma preferisco di no e poi… saranno anche passati anni da che ne ho fatta una, ma non ho dimenticato come si fa, proprio no. Se vuoi renderti utile, però, una cosa puoi farla, per me» e quando l’amica la guardò incuriosita aggiunse con sguardo supplichevole. «La colazioooneee. Ho faaameee e non ho tempo per prepararla. Mi spiace.»

«Ma che scherzi? A stomaco pieno si ragiona e lavora meglio. Lascia fare a noi» le disse Eve prima di precipitarsi alla dispensa.

«Ti ho già detto quando adoro questa casetta?» Le disse Amy. «È piccola, ma ben organizzata, si pulisce in un attimo e poi non devi correre qua e là per cercare le cose, hai tutto a portata di mano.»

Sì, era vero. Le uniche stanze chiuse erano quella del bagno e delle due camere, una delle quali aveva trasformato in dispensa e sgabuzzino. Il resto era un grande locale aperto e a vista, come aveva sempre sognato con un finestrone sul davanti e una grandissima porta finestra che dava sul retro, quindi era ben illuminato. Le pareti erano di un bel giallo canarino che le infondeva allegria e illuminava tutto l’ambiente.
 
«Non la lascerei per nulla e nessuno al mondo» rispose mentre con un pennello bianco scriveva il nome della squadra sulla stoffa rossa che aveva trovato.

«E fai bene. Te la invidio anch’io, è proprio un gioiellino» le confermò Eve mentre preparava l’O-cha. ¹ «Sei sicura di non volere una mano?»

«Tranquilla, ho quasi finito. Una volta che la scritta sarà asciutta, fisserò la stoffa a un asta di legno che dovrei avereee…» si alzò e corse nello sgabuzzino per poi riemergerne poco dopo «proprio qui. Lo sapevo io che c’eri, lo sapevo» disse poi.

«Come mai hai un’asta in casa, tu?» Le chiese Amy quando la vide piazzarsi davanti a loro e brandire il lungo bastone di legno a mò di arma.

«Autodifesa. Non si sa mai. Vivo sola. Se entra un delinquente devo pur difendermi in qualche modo, no?»

«No. Se entra un cattivone, tu devi nasconderti e chiamare la polizia» la corresse un Amy molto allarmata.

«Possibilmente parlando a voce bassissima mentre scappi a chiuderti a chiave da qualche parte» rincarò la dose Eve. «Il tè è pronto. Amy, come stai messa con gli Hottokēki²

«Finiti di cuocere proprio ora. Dai, Patty, intanto che aspetti che si asciughi la scritta, vieni a riempirti la pancia che la posso sentire anche da qui.»

E aveva ragione. Stava brontolando come non mai. Messa da parte la bandiera, si alzò e raggiunse le amiche per fare onore a quel banchetto che le avevano gentilmente preparato.
 
 



 
Lo stadio di Nankatzu. Quanti ricordi. Non era molto grande e le gradinate di marmo si sarebbero fatte sentire sulle sue chiappe non più abituate a sederci a lungo, ma… per Daichi avrebbe sopportato volentieri quella tortura.

 
«Di certo vi sto facendo passare un week-end anomalo, vero ragazze?» Disse alle amiche mentre si dirigevano alla struttura. «Doveva essere tutto per noi – prima che voi vi dedichiate alla Nazionale – e invece eccoci qui.»

«Ah, non dirlo neanche per scherzo. Sarà bello tornare tutte insieme a vedere una partita» le rispose Eve.

«Esatto e non ti avremmo lasciata sola per nulla al mondo» esordì Amy. «Però, per favore, cerca di contenerti con gli urli imbarazzanti» le disse ricevendo supporto dall’amica.

«Ehi, ehi, ehi, vorrei farvi presente che i miei urli non sono mai stati imbarazzanti e… ok, forse qualcuno» capitolò arrossendo un poco al ricordo «ma non sarà questo il caso. Diamine, parliamo di ragazzini e io ormai sono un’adulta. Vi prometto che starò in modalità soft.»

«Certo, certo, mentre sventoli la tua bandiera formato gigante. Non ti noterà nessuno, sappilo» contrattaccò Eve ridacchiando mentre indicava l’enorme tubo che portava in spalla.

«Nessuno, confermo. Oddio, forse la noteranno dallo spazio e decideranno di venirci a invadere per portarsela via come souvenir, ma la notizia buona è che almeno avremo la conferma dell’esistenza degli alieni, grazie a te» la prese in giro Amy.

«A volte mi chiedo come faccio a sopportarvi» ribatté lei. «Oh, siamo arrivate e siamo anche in anticipo di mezz’ora. Forza, cerchiamoci un posto decente.»

Non attese risposta e corse via. Ok, era pur sempre una partita amichevole scolastica, ma lei si ricordava bene quelle della sua giovinezza ed erano sempre molto affollate. Convinta di fare fatica a individuare delle sedute vicino al campo, entrò nello stadio e…
 
«Ehhh? Ma che diamine è successo. Dove sono spariti tutti gli spettatori?» Esclamò con viva sorpresa.

In effetti lo stadio era semi vuoto. Era uno scherzo, vero? Sicuramente sarebbero arrivati, dopotutto era ancora presto e…
 
«Oh, be’, diciamo che non dobbiamo sgomitare per trovarci un posto a sedere» commentò Amy.

«E che non era necessario esagerare con le dimensioni della bandiera, tanto si sarebbe vista molto bene anche in formato A4» concluse Eve.

Avevano ragione entrambe. Ma così era e lei di certo non si sarebbe fatta scoraggiare. Niente le avrebbe rovinato quel giorno così anomalo per lei. Meglio così. Non sapeva se sarebbe riuscita a sopportare la calca senza alzarsi e scappare; invece, così… poteva restare tranquilla a godersi la partita senza che nessuno la riconoscesse.
 
«Sì, credo che questo posto sarà perfetto. Farò delle bellissime riprese oggi»

O forse sì? Ma come aveva fatto a dimenticarsi di lei? Eppure, era così ovvio che ci sarebbe stata.
 
 
 



 
«Perché stai ridendo?»

«E me lo chiedi? Oh, andiamo, Capitano, stiamo andando a vedere i nostri eredi sul campo che ha visto parecchi nostri incontri. Non ti sembra strano?»

Capitano. Eh, sì, si era ripreso la fascia. Doveva ammettere che aveva sottovalutato i suoi avversari e anche i due Mister avevano confessato di avere faticato a prendere una decisione.

 
«Bene ragazzi, non vi facciamo attendere oltre» aveva esordito Mister Gamo dopo cena «e vi diremo subito su chi è ricaduta la nostra scelta per il ruolo di Capitano della Nazionale.»

«Non è stata una passeggiata prendere questa decisione, è giusto che lo sappiate» si era accodato Mister Turner «e abbiamo cambiato idea più volte. Siete stati tutti bravissimi e il vostro vero talento è finalmente emerso. Per ognuno di voi abbiamo dei suggerimenti da dare e delle correzioni da fare. Vi chiameremo singolarmente tra poco.»

«Prima di fare quel nome, però, vogliamo sapere da voi chi pensate meriti la fascia. Da tutti voi» aveva specificato Mister Gamo guardando tutta la squadra in trepidante attesa. «Chi inizia?»

E così, era iniziato il vortice di nomi e motivazioni. Holly era rimasto stupito a sentire che molti di loro lo appoggiavano nonostante sembravano detestarlo. Al suo turno, aveva dichiarato…
 
«Penso che Mark sia perfetto. Senza nulla togliere agli altri miei avversari, ma reputo lui il migliore.»

Peccato che, tra lo stupore generale per quelle parole, i Mister avessero deciso che era lui il prescelto. Sì, peccato, perché si era reso conto di non essere superiore a nessuno lì dentro. I minuti successivi erano passati tra i complimenti dei suoi compagni.
 
«Oliver e anche tutti voi» aveva infine commentato Mister Gamo «voglio che non dimentichiate mai che la fascia da Capitano non è scontata per nessuno. Oliver, al momento sei riuscito a riconquistarla, ma non adagiarti ora. Se in futuro qualcuno dei tuoi compagni dovesse risultare più degno di te di indossarla, le faremo cambiare braccio senza esitazione. Sono stato chiaro?»

«Chiarissimo Mister» avevano urlato in coro.
 

E ora erano lì. Lui e Mark. Colui che gli aveva detto che non si sarebbe arreso nella conquista della faccia, ma che aveva anche ammesso di non essere ancora pronto a indossarla.

 
«Ehi, torna tra noi. Ho capito che gongoli ancora per esserti ripreso il titolo, ma non montarti la testa ora. Dopotutto puoi sempre perderlo di nuovo» gli ricordò facendolo sorridere.

«Lo so, ma non vi renderò la cosa facile. Né a te né a nessun altro» gli rispose con sicurezza. «Em, cosa mi avevi chiesto prima? Non lo ricordo più.»

«Sai che novità. Ho detto… non ti sembra strano che stiamo andando a vedere Toho- Nankatzu senza essere un campo?» Gli ripeté l’amico.

E niente, amava provocarlo anche nelle piccole cose. Sorrise.
 
«In effetti sì. Sono curioso di vedere mio fratello in azione. E hai ragione, sarà stranissimo assistere a un incontro del genere, da spettatore.»

«Sbaglio o ieri Daichi ha detto che la Toho in genere fa il culo alla Nankatzu? Se fosse vero, sarebbe fantastico. Finalmente le parti si sono invertite. E scusami se non riesco a essere dispiaciuto. Ahahah. No, non è vero. Sto godendo assai al solo pensiero. Ahahah.»

Che simpatico. All’inizio Mark non era stato molto felice di affiancarlo in quell’uscita inusuale, ma poi quella mattina si era ricreduto e la vecchia rivalità si era riaccesa.
I Mister avevano concesso loro un paio d’ore e speravano che quell’immersione nel passato, li portasse a riconsiderare il loro attuale stato d’animo di gioco. Qualunque cosa volesse dire, perché a lui sembrava di essere sempre lo stesso.

 
«Direi di rimanere fuori vista fino al fischio finale. Non vorrei che si distraessero e giocassero in maniera diversa per colpa nostra» disse all’amico prima di entrare nella struttura.

«Buona idea. So io il posto perfetto, seguimi» gli rispose Mark.

E poi lo portò in alto agli spalti, accanto a una robusta colonna. Da lì la vista era perfetta e sì, era vero, non erano visibili.
 
«Ma come hai scoperto questo angolo?» Gli chiese.

«Ah, ricordi che l’ultimo anno delle medie non ho potuto giocare se non per la finale?» E quando lui gli fece un cenno affermativo, continuò. «Ecco, secondo te dove mi mettevo per seguire le partite senza che nessuno mi desse fastidio? Non sono mai stato scoperto, eppure io vi vedevo tutti prendere posto sugli spalti quando eravate a riposo.»

«Geniale» lo lodò. «Me lo ricordavo più pieno però, lo stadio.»

«Anch’io, cazzo che tristezza. Sembra anche più piccolo di come lo ricordo, forse perché ora sono abituato a stadi immensi. Stanno arrivando» disse infine indicando l’ingresso in campo delle due squadre.

Che nostalgia. Scacciò dalla mente i ricordi che minacciavano di tornare con prepotenza e si concentrò sulla partita. Doveva ammettere che nonostante gli sforzi, la Nankatzu era leggermente inferiore alla bravura della Toho che neutralizzava molte loro azioni con facilità.
Anche Daichi veniva spesso messo in condizioni di non tirare, ma notò che a lui sembrava interessare di più dirigere i suoi compagni che non erano costantemente seguiti o marcati stretti. Sì, decise, aveva davvero la stoffa per diventare un bravo allenatore.
Ne ebbe la conferma alla fine del primo tempo quando lo vide avvicinarsi al proprio mister e poi parlottare con ciascun compagno di squadra. Sicuramente stava dando dritte mirate.
Il tabellone riportava 1-0 per la Toho. Mark lo guardò e gli sorrise beffardo, lui non poté fare altro che pregare per un pareggio. Purtroppo, per quanto si sforzasse, la Nankatzu non aveva la forza per ribaltare il risultato. Sì, a fine partita li avrebbe avvicinati per dare loro qualche suggerimento extra.
Gli sembrava di essere in un posto inusuale, non allo stadio. Non volava una mosca, nessuno fiatava e i pochi spettatori che c’erano si potevano dire delusi.
I giocatori rientrarono in campo. Quelli della Toho erano euforici, mentre quelli della Nankatzu sembravano più decisi e rincuorati. Che le parole di suo fratello avessero fatto effetto? Meno di un minuto dopo iniziò il secondo tempo.

 
«Forza Nankatzu, muovete quelle chiappe daiiiiiiii. For za for za for za!»

Ehi, qualcuno che tifava c’era. E sventolava anche una bandiera enorme e… eh? Holly strabuzzò gli occhi e con lui Mark che vide sussultare e sentì imprecare. Proprio nella parte opposta del campo, sugli spalti davanti a loro, c’erano tre ragazze a loro ben note e una di queste tifava come se non ci fosse un domani.
 
«Em, amico, sbaglio o quella è…»

«Sì, è lei. Oddio, è lei davvero» gli rispose con voce strozzata dalla sorpresa. «Amore mio.»

Che ci faceva Patty lì?
 
«Che hai detto?» Gli domandò Mark.

«Che ho detto?» Gli fece il verso lui e poi cambiò argomento per distrarlo dal suo lapsus. «Ma Eve non aveva detto che Patty si era allontanata dal calcio? Non dovrebbe essere qui, con loro» specificò infine indicando le amiche a fianco della sua ex. «Non me lo spiego.»

«Io, invece, non mi spiego che ca…» iniziò Mark subito interrotto da grida entusiaste.

Che stava succedendo? Holly tornò a concentrarsi sulla partita e con orgoglio poté vedere Daichi rubare palla a un difensore della Toho e dirigersi verso la porta. Dopo qualche scambio con un compagno, agganciò al volo un passaggio e tirò un bolide che andò a insaccarsi dietro il portiere che non si era mosso di un millimetro.
 
«Gooooalll, evvaiii. Sììììì. Grandissimooo! Bravo, Daichi! Sei una forzaaa. Wowwww.» Urlò senza riuscire a contenersi. «Caro Mark, trema. La Nankatzu non cederà tanto facilmente. La partita è ancora aperta. Ahahah.»

«Ne sei proprio convinto?» Gli chiese prima di urlare. «Avanti, ma che combinate, muovete quelle gambe e riprendetevi il vantaggio! È solo un goal, non abbattetevi e passate al contrattacco. Dovete vincere.»

«E per fortuna dovevamo rimanere in incognito» gli disse Holly.

Eh, già, perché parecchie teste dei giocatori iniziarono a vagare per gli spalti, fino a individuarli e subito vi fu un sussulto generale.
Ma a lui non importava. In mezzo a tanti occhi stralunati, solo un paio interessavano a lui. Un paio di occhi marroni che aveva tanto sognato e rimpianto in quei cinque anni di lontananza. Gli occhi di Patty.
Holly pregò che non scappasse.
 
 
 



Patty non poteva scappare. Doveva rimanere fino alla fine della partita, per forza. Non poteva deludere Daichi.
Ma che cazzo ci faceva Holly lì? Non doveva essere al ritiro? E non era solo, c’era anche Mark con lui, che diamine stava succedendo?

 
«Lo avete visto anche voi, vero? Non ho le allucinazioni, vero?» Chiese alle amiche.

«Em, sì, visto» le rispose Eve. «E con lui c’è Mark. Non capisco, non dovevano essere al ritiro? Sono fuggiti per caso?»

«Come stai, Patty?» Le chiese Amy.

«Come una che ha appena visto un fantasma, ma che non può darsela a gambe. Ecco come sto» rispose lei.

Vero. Era sconvolta, inutile negarlo. Però forse – forse – in un angolino del suo cuore aveva sperato di rivederlo. Dopotutto in campo c’era Daichi e…
 
«Il giovane Hutton ci ha fregati tutti» disse alle amiche.

«Fregati… in che modo?» Le domandò Eve.

«Vuoi dire che… oh, no, che ragazzino furbo» constatò Amy.

«Furbissimo! E sì, la prima volta che passerà a trovarmi, gli fischieranno le orecchie dopo la sfuriata che gli farò. Ha organizzato una bella trappola, non c’è che dire.»

E così, grazie a Daichi Hutton, era successo quello che aveva più temuto da che aveva saputo del suo rientro in Giappone. L’aveva visto. Ma la cosa sarebbe finita lì. Nonostante fossero passati cinque anni, ancora non aveva dimenticato del tutto e non riusciva a perdonarlo.
Doveva proprio chiamare il suo avvocato e chiedergli della validità estera della sentenza di divorzio e in quel caso… cavoli, sarebbe diventata ricca in pochissimo tempo.
Ridacchiò tra sé. No, lei non era quel tipo meschino di ex moglie vendicativa e assetata di soldi. Lei voleva solo che lui le stesse lontano, non aveva mai richiesto un ammenda monetaria in caso di violazione. Aveva fatto tutto il Giudice Ortega.
Tornò al presente giusto in tempo per vedere nuovamente Daichi in azione. Purtroppo, fu bloccato dal difensore avversario in modo abbastanza brusco da farlo finire per terra. Per fortuna non fu nulla di serio e il gioco poté continuare.
Si ripromise di non considerare più la presenza dell’ex marito allo stadio e si concentrò sulla partita, riuscendoci. Per tutti i minuti rimanenti.
 
 
 



Non appena l’arbitro fischiò la fine della partita che non si mosse più dal 1-1, Holly corse a più non posso con la voce di Mark nelle orecchie che gli diceva di non fare sciocchezze.
Sciocchezze? Lui voleva solo raggiungere Patty prima che sparisse. Percorse tutto il corridoio, arrivò vicino all’entrata degli spalti dove c’era lei e…

«Holly, tesoro, che bella sorpresa vederti qui» esordì sua madre bloccandolo.

«Ciao. Sì, che bello. Io e Mark siamo in missione.»

«In missione? Come sarebbe a dire, non ti ha invitato Daichi? Eppure, così mi ha detto ieri sera. Speravo di incrociarti, ma non ne ero sicura sai, con il ritiro in corso.»

«Sì, vero e… mamma, scusa, ma devo scappare ora. Ti chiamo stasera, ok?» Fece per andarsene quando fu trattenuto di nuovo.

«Stai correndo da lei, da Patty, vero?» E quando lui la guardò con aria sbalordita, aggiunse. «Difficile non vederla e sentirla con quella bandierona che si è portata dietro. Scommetto che tuo fratello centra qualcosa con tutto questo. Avrei tanto voluto parlarle, ma ho preferito lasciarla tranquilla. Ogni tanto vedevo che mi guardava senza farsi notare dalle amiche, ma non ho osato avvicinarmi. Comunque, ti senti pronto ad affrontarla dopo tutto questo tempo?»

«Devo, mamma, devo. Non le permetterò di scapparmi ancora. Ho bisogno di risposte e…»

E, cazzo, le stava scappando da sotto il naso. Mentre sua madre lo teneva impegnato, Patty era in fuga da lui. Eh, no, questa volta no. Salì gli scalini che portavano agli spalti e si guardò in giro. C’era Amy, c’era Eve, ma lei no. Che fosse già uscita? Impossibile. Avrebbe dovuto letteralmente volare per sparire così velocemente. Lui non ci aveva messo molto a percorrere tutto lo stadio. Raggiunse le amiche e iniziò a interrogarle.
 
«Holly, ma che…»

«Dov’è lei, Eve? Dove si è nascosta?»

«Parli di Patty, vero? Ah, sì, era qui con noi, ma ora non c’è più come vedi. Sbaglio o ti avevo chiesto di non darle noie?» Riprese l’amica per nulla intimorita dai suoi modi bruschi.

«Non è il momento per una delle tue famose sfuriate, dannazione e non ho tempo per stare qui a farmi fracassare i timpani da te. Quindi, parla. Dov’è?»

«Senti un po’ tu, credi di farmi paura? Guarda che io…»

«Eve, basta» intervenne Amy e poi si rivolse a lui. «Rivederti dopo tutto questo tempo l’ha sconvolta, Holly e vedo che ha avuto lo stesso effetto su di te. Questo è strano. Molto strano.»

«Em, ahem, sì, ok. Mi arrangio da solo» e poi tornò nel tunnel.

Ma dove si era cacciata? Impossibile che… era quasi arrivato all’uscita quando le fu bloccata dall’amico.
 
«Holly, la vuoi smettere? Cosa pensi di fare, rovinarle ancora la vita?»

«Mark fatti da parte» gli intimò trovandoselo davanti con braccia conserte e sguardo torvo.

«È scappata, vero? Ti ha fregato amico, mettiti il cuore in pace e fattene una ragione. Eppure, lo sai che non ti vuole rivedere neanche da morto. Pensavi forse che rimanesse lì ad aspettarti e ti gettasse le braccia al collo?»

No, certo che no, non era stupido. Ma proprio quando stava per rispondergli per le rime, vide la figura di Patty comparire in alto alle scale esterne. Ecco dov’era, aveva fatto il giro ed era uscita dall’alto e lui stupido che non ci aveva pensato.
 
«Pattyyyyyy!» Urlò più che poté per farsi sentire.

Lei si bloccò con gli occhi spalancati e lo fissò come inebetita. Poi, prima che lui potesse fare un passo verso la sua direzione, un ragazzino la urtò da dietro, Patty non riuscì ad afferrare il corrimano e rotolò rovinosamente giù per tutti gli scalini metallici e non erano pochi.
Cazzo, non era riuscito a raggiungerla in tempo.
Holly arrivò da Patty tallonato da un altrettanto allarmato Mark. Il corpo della sua ex non si muoveva ed era pallida in volto. Si inginocchiò accanto a lei e le sollevò delicatamente la testa facendola appoggiare sul suo braccio mentre con l’altro le dava piccoli colpetti sul viso per riscuoterla.

 
«Patty, tesoro mio, apri gli occhi dai. Fallo per me. Tipregotipregotipregooo guardamiii» le sussurrò dolcemente cercando di mantenere il sangue freddo nonostante la paura. «Chiamate un’ambulanzaaa» gridò infine a nessuno in particolare con voce rotta. «Ehi, non fare scherzi. Non ci provare nemmeno. Non ora che ti ho appena ritrovata. Sono qui con te, tesoro. Sono qui.»
 
 
Legenda:
 
¹ Tè verde giapponese & Matcha
 
² (hot cake). Pancake all'americana – ma molto più soffici e dolci – serviti con una noce di burro e una cascata di sciroppo

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Capitolo 8
*** Patty tra rabbia e confusione ***


Ahiahiahiaaa… che diamine mi è successo?
 
«Tesoro, guardami.»

Eh? Chi dovrei guardare e… ehi, tesoro? A meee?
 
«Ti prego, fallo per me, per favooore» l’implorò ancora la stessa voce ora disperata.

Ma si può sapere chi diamine sei? Aspetta che… … ahiaaa, cazzo che maleee.
 
«Oddio, sei viva. Dio, che spavento ho preso. No, no, resta giù, non provare ad alzarti, potresti avere qualcosa di rotto. Abbiamo chiamato l’ambulanza.»

L’ambulanzaaa? Qualcuno mi spiega cos’è successo? E perché questo tizio mi sta spingendo indietro? Ehi, un momento… io questa voce la conosco.
 
«Holly, dieci minuti e saranno qui» intervenne una seconda voce maschile, ma più profonda. «Come sta? Ha ripreso conoscenza?» S’informò infine.

Perché? Sono svenuta? Io? E… un momento, ha detto Hollyyyy?
 
«Sì, non ha ancora aperto gli occhi, Mark, ma è tornata tra noi.»

Mark… Mark Lenders? Ah, già, c’era anche lui sugli spalti. Oddio, ma che ho fatto di male io, non ne bastava uno?
 
«E meno male che non l’ha ancora fatto, dico io, o se ti vedesse potrebbe tirare giù lo stadio con i suoi urli.»

Decisamente.
 
«Non mi importa. Preferisco quello alla paura che ho provato prima quando è rotolata giù per le scale. Pensavo fosse morta, dannazione.»

Morta? Sono caduta dalle scale? Ma quali sca… oddio, sì, poco fa, ho perso l’equilibrio e… e…
 
«Ci vuole ben altro per uccidermi sai? Ahiahiahiaaa, che maleee.»

«Cosa credi, che non lo sappia e… ehi, sei sveglia!»

«Così paaareee, aaargh» disse cercando di mettersi più comoda, ma inutilmente «Sentimi bene tu, così non respiro, devo tirarmi su e levami le mani di dosso.»

«Direi che sta bene se ha la forza di sgridarti, capitano» s’intromise Mark. «Patty, bentornata! Vuoi una mano a rimettere al suo posto questo cretino qui? Nulla mi farebbe più piacere.»

«Grazie, accetto volentieri. Detto da te so che è sincero» gli rispose. «Ehi, tu, numero 10, vorrei alzarmi, smettila di impedirmelo» concluse poi guardando Holly che non si era mosso di un millimetro.

«No, fino a che un medico non mi dirà che stai bene. Però ti concedo di sederti, ma piano, molto piano.»

«Sei cocciuto come sempre» gli disse facendolo sorridere.

No, no, no, così non va bene Patty. Non farti ingannare da quel sorrisetto impertinente che già ti ha messo nei guai una volta.
 
«Pattyyyyy. Oddio, ma che ti è successo?»

Ed eccole lì, Amy ed Eve. Cavoli, a quanto pare aveva combinato un bel guaio.
 
«Sto bene, sto bene, ho solo un tremendo mal di testa.»

«Stai beneee? Hai fatto un volo tremendo dalle scale ed è un miracolo tu sia ancora tutta intera e viva e dici che stai beneee?»

«Sì, lo dico» replicò lei. «Ragazze, davvero, non è così grave.»

«Patty, smettila di opporti e agitarti. Cazzo, ho perso dieci anni di vita, il minimo che puoi fare è stare zitta e buona ad aspettare i soccorsi» le disse Holly con fare severo.

Odiava quando usava la logica.
 
«Patty, odio ammetterlo, ma Holly ha ragione. Si può sapere come hai fatto?» Le chiese Eve.

Eh, a saperlo le avrebbe risposto volentieri. Invece, ancora una volta, fu lui a farlo al suo posto.
 
«Un ragazzino di corsa l’ha urtata dal dietro e lei ha deciso di imparare a volare. È rotolata giù come se fosse una valanga. Né io né Mark l’abbiamo raggiunta in tempo.»

«È vero. Patty, non farlo mai più perché hai spaventato anche me» le disse l’interessato.

«Ok, ok, non ci penso neanche. Ciao Mark» gli disse.

«Come sarebbe a dire ciao Mark, cazzo e io chi sono? Non mi saluti neanche, dopo cinque anni che non ci vediamo?» La riprese Holly.

«No che non ti saluto, non te lo meriti e… ahiahiahiaaa, malemalemaleee!»

Dio, le mancava il respiro dalla fitta allucinante che le era venuta in testa. Ma che cazzo stava… stava succ… eden… do. E poi arrivò il buio.
 
 
 



Oh, no. Nononononooo. Ma che cazzo…

 
«Patty. Pattyyy. Resta con me, smettila di scherzare daiii.»

E niente. Era svenuta.
 
«Che succede, Holly? Perché sei per ter… oddio, che cos’ha Patty?»

«Com’è pallida» constatò con voce flebile suo fratello.

«Mamma, Daichi. Lei… è caduta dalle scale, ma sembrava stare bene fino a poco fa e poi… è svenuta, così, di colpo. Io… non so che fare. Che faccio?»

Come se sua madre lo sapesse. Holly era terrorizzato. Non poteva perderla, non ora. La vita non era già stata troppo dura con loro?
 
«Ho chiamato l’ambulanza, saranno qui a breve» li aggiornò Mark.

«Hai fatto benissimo» lo lodò sua madre «non bisogna mai sottovalutare le cadute specie quelle così brutte e gli svenimenti collegati.»

«Dovremmo avvisare la sua famiglia» intervenne Eve. «Ci penso io» disse infine prendendo il cellulare.

«Si riprenderà… vero?» Chiese una Amy sconvolta.

«Ma certo cara, lei è forte» la rassicurò sua madre.

«Avevo tanto sperato che vi rivedeste almeno una volta, ma questo… questo…» iniziò Daichi per poi interrompersi con le lacrime agli occhi.

«Ehi, zero piagnistei ragazzino» lo riprese Mark «lei non vorrebbe, è solo svenuta, non morta e poi… ah, eccoli» disse poi in direzione dell’ambulanza che arrivò a sirene spiegate.

I minuti successivi passarono in un turbinio di ansia, paura e sollievo quando Patty riprese conoscenza.
 
«La portiamo con noi in ospedale per una tac e una visita. Ha picchiato la testa e, a quello che ci avete detto, ha fatto davvero una gran brutta caduta. In questi casi è una prassi obbligatoria per escludere danni che, altrimenti, non si vedrebbero» disse uno dei sanitari al tutto il gruppo. «State tranquilli, è in buone mani. Riceverete sue notizie in pronto soccorso.»

«Vengo con voi» si offrì tra lo stupore generale.

«È un suo parente, per caso? In caso contrario…»

«Sono suo marito» rispose con piglio deciso e voce forte.

«Va bene» cedette il sanitario che poi gli indicò il posto che avrebbe dovuto occupare. «A operazioni concluse si metterà lì e non si muoverà qualunque cosa dovesse succedere durante il trasporto.»

«Cooosaaa? No!» Cercò di protestare Patty, ma lui la zittì.

«Hai battuto la testa tesoro, deliri e sei spaventata. Sta calma e lascia fare a loro, ok?» Le disse dolcemente e poi si mise da parte in attesa.

E adesso perché lo guardavano tutti così? Ok, aveva mentito, ma i sanitari che ne sapevano degli effettivi rapporti tra lui e la loro paziente? Mai e poi avrebbe fatto andare Patty da sola in ambulanza. Non in quelle condizioni.
 
«Dì un po’, sei uscito di senno? E dire che la botta l’ha presa lei» lo apostrofò Mark.

«Sì, infatti, ma come ti permetti di dire una cosa del genere» rincarò la dose una Eve sul piede di battaglia. «Non sei più suo marito, te lo sei dimenticato?»

«Caro, lo so che sei preoccupato come tutti, ma…» iniziò sua madre che lui bloccò subito.

«Io andrò con lei e nessuno di voi me lo impedirà» ribadì.

«Ma» continuò sua madre per nulla intimorita «non credi che Patty abbia vissuto già troppe emozioni oggi? E tu con lei.»

«Tu hai un ritiro a cui tornare e lei non ti vuole» gli ricordò l’amico.

«Holly, per favore, ci andiamo noi in ospedale con lei in attesa di sua madre. Non sarà sola. Tu torna con Mark e aspetta sue notizie da lì» disse Amy.

«Ci vediamo più tardi» rispose lui sordo ai loro moniti non appena l’operatore di prima gli fece cenno che avevano finito.

Salì sull’ambulanza senza guardarsi indietro sotto l’occhio truce di Patty e pregò che non fosse nulla di grave.
 
 
 



 
«No, dico, si è rincitrullito, vero?» Disse Mark al gruppo che, come lui, fissava inebetito il vuoto lasciato dall’ambulanza. «Mi scusi signora Hutton, ma dovevo dirlo» aggiunse poi guardando la madre di Holly.

«Non scusarti, hai ragione. Io proprio non so che dire se non che non me l’aspettavo da lui.»

Sua madre non aveva tutti i torti. Che suo fratello dichiarasse pubblicamente il falso per ottenere qualcosa non era mai successo e senza esitazione poi.
 
«Ma che diamine gli passa per il cervello? Spacciarsi per suo marito dopo averla lasciata. Con che coraggio ha mentito davanti a lei che non se lo merita» sbraitò l’amica di Patty dalla lunga coda di cavallo.

«Eve, invece di arrabbiarti, andiamo. Non vorrei mai che sua madre arrivasse prima di noi» la calmò la rossa, Amy se non ricordava male.

E poi se ne andarono, ma non prima che quest’ultima promise di chiamarli per aggiornarli.
Daichi aveva saputo da sua madre che Amy era un’amica d’infanzia di Holly, conosciuta molto tempo prima che lui nascesse, persa di vista e poi re incontrata in occasione di una partita tra la Nankatzu e la Mamboo, la squadra di cui era manager, quella dove militava Julian Ross suo attuale innamorato. Lui non se la ricordava, era troppo piccolo all’epoca.

 
«Ehi, mini Hutton» Mark interruppe i suoi pensieri «bella partita. Sei sprecato alla Nankatzu, non ti danno il valore che meriti. Dovresti davvero pensare di passare alla Toho per poi intraprendere gli studi per diventare allenatore. Hai del talento, lo riconosco, vedi di sfruttarlo al massimo.»

«Davvero? Grazie. Io… non so che dire, davvero, non lo so.»

«No, non ringraziarmi, ho detto solo la verità. Ah, Hutton senior si è dimenticato di ridarti il tuo block notes. Passa pure a riprenderlo quando vuoi al ritiro. So per certo che i Mister erano entusiasti delle tue analisi» e poi se ne andò senza una parola di più e senza salutare.

Be’, e ora perché non riusciva a essere euforico? Doveva esserlo, no? In fondo aveva ricevuto tanti complimenti e in teoria avrebbe dovuto camminare a mezzo metro da terra e invece… era abbattuto.
 
«Quel ragazzo sembra burbero, ma ha un cuore enorme e non sa mentire e Holly lo ha sempre stimato per questo. Amici e rivali» gli disse sua madre. «Sono felicissima per te, mio carissimo Daichi. Un complimento da quel Lenders non va preso sottogamba e… ehi, tu non sei felice, vero?»

«No, non ci riesco. Insomma, dovrei, ma… ma sono preoccupatissimo per Patty e Holly mi confonde e… e la mia testa sta scoppiando, mamma.»

«Sì, ti capisco. Anche io mi sento confusa. Avere rivisto mia nuora mi ha resa contenta, ma quello che le è successo poi… ho creduto di morire quando l’ho vista svenuta e pallida tra le braccia di Holly. Mi sento in colpa verso di te, perché dovremmo festeggiare il pareggio meritato e invece… E poi Holly che si spaccia ancora per suo marito. Mi ha spiazzata, non me l’aspettavo.»

Anche a lui e molto anche. Ma quello che l’aveva sconvolto di più era stato vedere suo fratello disperato per Patty che la stringeva a sé e dichiarava il falso pur di non lasciarla sola. Era stato lui a chiedere il divorzio anni addietro, cazzo, cos’era quella scena di poco prima? Ma non aveva un briciolo di vergogna nelle vene? Fingere così e… ehi, un momento, e se quella non era finzione? No, impossibile. Impossibile, vero?
 
«Ah, quanto vorrei che tuo padre fosse già qui. Lui sì che saprebbe come fare parlare tuo fratello anche se non vuole. Ma per il momento siamo noi due e ci dobbiamo accontentare di non capirci nulla. Dai, andiamo a casa ad aspettare la chiamata di Amy. Ho preparato una torta in tuo onore.»

«Ma… mamma e se avessimo perso per l’ennesima volta?» L’interrogò sinceramente stupito.

«Torta consolatoria. E poi un pareggio è un grande risultato tesoro mio. Te la meriti e non solo per via della partita, ma perché hai messo da parte il tuo risentimento nei confronti di tuo fratello e l’hai invitato qua a vederti. Sono molto orgogliosa di te, sei cresciuto e questa cosa va festeggiata.»

«Em sì, ok, grazie. Mi aspetti un attimo che vado ad avvisare i ragazzi che l’incontro con Holly e Mark è saltato?»

E poi corse dalla sua squadra che restò delusa da quella notizia, ma si ringalluzzì quando promise loro di chiedere a suo fratello di passare a trovarli. Prima di tornare dalla madre fece un salto anche dalla Toho, dove venne accolto con molta diffidenza, ma anche loro si rianimarono quando promise di portargli Mark appena libero dagli impegni calcistici. Ora non gli restava che convincere lui.
Tornò a casa con il cuore gonfio di preoccupazione in attesa di notizie. Il suo pensiero corse a Nobuo. Il giorno dopo l’avrebbe rivisto a scuola e non avrebbe esitato a offrirgli la sua amicizia e una spalla su cui sfogarsi, che a lui piacesse oppure no.
 
 
 



Patty era incredula. Ma come aveva potuto quell’idiota del suo ex spacciarsi per suo marito e accompagnarla in ospedale? E non l’aveva mollata per tutto il tempo, continuando nella menzogna. L’aveva fatta passare come una povera scema che aveva battuto la testa ed era confusa. Come se non bastasse alcuni infermieri l’avevano riconosciuto e avevano tartassato lei – lei – di domande sull’eroe nazionale. Ma quale eroe. Se solo avessero saputo. Per non parlare delle infermiere che, senza ritegno, avevano flirtato con lui apertamente e davanti a lei. E certo, dopotutto credevano fosse troppo rincitrullita dalla botta in testa per accorgersene. Ma lei se n’era accorta, eccome. Dannazione. E si era anche accorta che lui non aveva disdegnato le loro attenzioni. Dannazione doppia. E ora… il suo “caro maritino sexy”, come lo avevano definito quelle due invasate, era seduto comodamente accanto al suo letto e la guardava tutto sorridente. Ma che gli era preso? Non aveva mai sorriso così neanche durante il loro matrimonio. Cavoli, quel sorriso le era mancato tantissimo. Eh? Cosa? No!
Non aveva ancora notato che si era svegliata – eh, sì, perché le avevano dato un calmante per i dolori post trauma e si era appisolata di colpo – e lei ne approfittò per guardarlo meglio.
Holly era sempre bellissimo e magnetico, doveva ammetterlo. Ma proprio quel suo aspetto l’aveva ingannata e non doveva dimenticarlo mai per non svenire di nuovo innamorata ai suoi piedi.

 
«Smettila di fingere di dormire, Patty, guarda che lo so che sei sveglia e mi spii» le disse strizzandole l’occhio.

«Io non ti spio» replicò lei per poi zittirsi subito mentre lui se la ridacchiava soddisfatto. «Vattene. Non hai il diritto di stare qui a importunarmi.»

«Mi piace importunarti, specie se sei reduce da un piccolo miracolo.»

«A che gioco stai giocando? Ti ricordo che ti ho dato il benservito anni fa e gradirei continuare così.»

«Oh, no, non ti libererai ancora di me tanto facilmente» replicò lui. «Ti ho già lasciata andare una volta, senza una spiegazione. Ti ho coperta con tutti salvandoti il culo. Ho rispettato gli accordi di quello stronzo di un giudice. Sono stato lontano da te senza sapere dove ti fossi cacciata e cosa facessi. Ora non sono più disposto a lasciare tutto così e continuare come se niente fosse. Merito quello che da anni anelo, Patty, ovvero la risposta a una semplice domanda: Perché?»

Perché? Davvero non lo sapeva? Che bugiardo!
 
«Fammi un favore, usa quel poco di cervello che hai che non è occupato dai palloni da calcio e vedrai che la risposta la trovi.»

«Oh, ma che lingua affilata che ti è venuta. Mi piace. A quanto pare non sei solo diventata più bella, ma anche più letale.»

«Smettila, con me non attacca. Perché non esci di qui e vai alla ricerca di quelle due infermiere da strapazzo che ti spogliavano con gli occhi davanti a me? Sono sicura che se dai loro il tuo numero di cellulare, ti faranno passare ore deliziose. Magari in coppia.»

«Oh, oh, così mi confondi. È gelosia quella che sento?» La provocò.

«No, e poi sarei io quella che delira» gli disse con voce seccata. «Devi stare qua ancora per molto? Non hai un ritiro al quale tornare?»

«Oh, Mark avrà già riferito l’accaduto e…»

«Signora Hutton, vedo che si è svegliata. Molto bene.»

Eh? E questo chi è? Ok, ha il camice, è un dottore e… e perché mi ha chiamata così? Ma non riuscì a correggerlo che quello era già partito in quarta.
 
«L’esito della tac che le abbiamo fatto è negativo. Per fortuna la caduta non ha causato danni a livello cerebrale.»

«E perché è svenuta allora?» S’intromise Holly. «Stava parlando ed è svenuta di colpo.»

«Può succedere dopo avere preso un violento colpo alla testa. La tac non ha evidenziato niente di rilevante, come ho già detto. Ha il mal di testa per caso?»

«Sì, a volte forte, a volte più debole. E la presenza di questo tipo di certo non aiuta a farlo passare. Non potete dirgli di lasciarmi in pace?» Poi, quando il medico la guardò sbalordito, disse. «No, lasciamo stare, è troppo complicato da spiegare e non ne ho la forza. Posso andare a casa ora?»

«Sì, ma solo perché suo marito poco fa mi ha assicurato che l’avrebbe guardata a vista per ventiquattro ore, rientrando al ritiro solo poi» l’informò. «Appena avrà il foglio di dimissione in mano, potrà andare e l’avviso che le ho già prenotato una visita di controllo tra una settimana. Buona giornata» disse prima di uscire.

Finalmente. Così si sarebbe liberata di Holly e… cosa aveva appena detto il dottore?
 
«Scordatelo!» Gli intimò. «Resteranno Amy e Eve con me per oggi e poi andrò dai miei. Tu tornerai di corsa dalla Nazionale e non ti avvicinerai mai più a me o giuro che ti spenno, Holly. Non ho mai voluto un centesimo da te fino a ora, ma se insisti a spacciarti per mio marito e a starmi a pochi centimetri di distanza – anziché a cento chilometri come da sentenza – ti giuro che ti lascio in mutande e poi do tutto in beneficenza. E lo farò, puoi starne certo.»

E adesso stava zitto? Era ora. Patty guardò il suo ex marito che ora aveva perso la sua aria canzonatoria e si era fatto serissimo.  
 
«Mi odi, vero? Lo percepisco benissimo. Non lo avevo capito fino alla lettura della sentenza in aula. Mi odi da quel giorno in cui tornai a casa dal ritiro del Barcellona e mi chiedesti il divorzio. Mi odi ancora oggi nonostante siano passati cinque anni e io non so perché. Non me l’hai mai detto» le disse con voce rassegnata. «Ok, sai che ti dico? Continua a non dirmelo, non te lo chiederò più» sentenziò poi.

«Voglio sperare, perché altrimenti significa che dovrò rivederti e, detto tra noi, anche no, ne faccio volentieri a meno. Ho imparato sulla mia pelle quanto sai essere meschino e menefreghista. La tua è solo una facciata. Ah, per risponderti… sì, ti odio, o meglio, ti odiavo. Ti odiavo quando mi lasciavi sola per lunghi periodi. Ti odiavo quando mi davi per scontata. Ti odiavo quando ti preparavo il pranzo o la cena e tu non tornavi se non ore dopo senza avvisare e avevi già mangiato.»

«Questo non è vero. Come puoi…» iniziò a dire lui, ma lei lo bloccò.

«Ti odiavo quando non riuscivo ad ambientarmi, a capire la lingua e ti chiedevo aiuto e tu mi rispondevi che era solo questione di tempo e che dovevo smetterla di continuare a dirtelo invece di impegnarmi veramente. Ti odiavo quando mi portavi i tuoi compagni in casa senza dirmelo pretendendo che ne fossi felice. Ho una notizia per te, non lo ero neanche un po', anzi, li trovavo irritanti. Ti odiavo quando le altre mogli e fidanzate del Barcellona mi prendevano in giro perché non capivo cosa mi dicessero e mi isolavano e tu non hai mai provato a metterti dalla mia parte.»

«Smettila di inventarti le cose. Se fosse stato così, sicuramente me ne sarei accorto e non ti avrei mai sminuito in quei modi che dici.»

Oh, ma per favore. Comodo dirlo dopo tutto questo tempo. Stava per ribattere quando lui si alzò all’improvviso in piedi e incominciò a misurare la stanza a grandi passi nervosi. Sembrava perso nei suoi pensieri. Arrabbiato. Poi si fermò e la guardò dritta in faccia con aria truce.
 
«E tu mi avresti chiesto il divorzio per tutte queste cose che hai capito durante la settimana che sono stato via con la squadra? Non ci credo neanche morto. Qual è la vera ragione, Patty? E non mentire che non sei capace.»

«D’accordo, la vera ragione è un’altra, ma non sarò certo io a dirtela. La sai benissimo anche tu. Ho sopportato, ho ingoiato rospi che neanche ti immagini e sai quante volte ho pianto in silenzio e da sola? Innumerevoli. Non ho mai pianto così tanto in vita mia come ho fatto dopo il nostro matrimonio, Holly.»

«Tu… tu non mi hai mai detto nulla di tutto ciò. Se ti fossi aperta con me… cazzo, potevamo salvare il nostro matrimonio. Ammetto di essere stato cieco e sordo alle tue richieste di aiuto, tutto preso com’ero dalla mia carriera, ma…»

«Non ha più importanza ora. Non avrei mai dovuto sposarti e, anzi, non avrei mai dovuto innamorarmi di te. Ah, quanto vorrei non averti mai incontrato. Mi sarei risparmiata tanto dolore.»

Finalmente l’aveva detto. Avrebbe tanto voluto farlo quando ancora stavano insieme, ma era sempre meglio tardi che mai.
 
«Tu mi odi» ribadì Holly addolcendo il tono «e io sono ancora perdutamente innamorato di te. Non ho mai smesso di esserlo e non lo sarò mai.»

Che. Cosa. Stava. Dicendooo? Eppure, era lei quella che era finita a fare una tac alla testa dopo la botta.
 
«Puoi dirmi quello che vuoi, Patty, ma questa è la verità. Secondo te perché mi sono offerto di prendermi la colpa del divorzio? Solo per tutelarti dai giornalisti? No, perché ti amo e ho accettato questa tua assurda idea del divorzio perché ti ho vista decisa e so quanto sai essere testarda quando vuoi o pensi di avere ragione. Non mi sono mai pentito di averlo fatto e, anzi, ho talmente fatto un buon lavoro che ora mi odiano tutti, nessuno escluso. Ma va bene così. La verità la sappiamo solo noi e solo questo importa.»

Ma… ma che diamine… forse il trauma alla testa era più grave di quello che credeva e ora poteva sentire frasi assurde e…
 
«Cooomeee? Ma che storia è questa?»

«Che cooosaaa? Stai scherzandooo? Ci avete pigliato per il culo tuttiiiiii?»

Ma porca… L’arrivo delle sue due amiche proprio non ci voleva. E così ora sapevano tutto, o almeno così credeva.
 
«Amy, Eve, cosa avete sentito?»

«E ce lo chiedi pureee? Tutto, Patty, tutto!» Rispose una Eve giustamente indignata.

«Patty tu… tu hai chiesto il divorziooo? E non tu, Holly? Non posso crederci, è assurdo. Io non ho parole» rincarò la dose Amy.

Ecco, ci mancava solo questo. Ora poteva solo sperare che tenessero la bocca chiusa con tutti gli altri e…
 
«Questi non sono fatti vostri e non si origliano le conversazioni» saltò su Holly, anticipandole.

Cavoli, le aveva tolto le parole di bocca.
 
«Bene, visto che il duo delle spione è arrivato, ti lascio con loro. Ma non credere che la cosa sia finita qui.»
 
«Holly, no. Non stavo scherzando prima.»

Ma lui non l’ascoltò. Si avvicinò pericolosamente a lei senza staccarle gli occhi di dosso, appoggiò una mano alla spalliera del letto mentre con la seconda prese a sfiorarle il volto per poi concentrarsi con il pollice sul tracciare il contorno delle sue labbra. Labbra che, odiava dirlo, presero a formicolare e si schiusero quel poco per emettere un piccolo gemito sensuale che lo fece ridacchiare.
Ehi, ma che caz… prima che potesse tornare in sé, le labbra di Holly furono sulle proprie e vi indugiarono per non seppe quanto tempo, stuzzicandola e assaggiandola con lentezza.
Holly la stava baciando.
Il suo ex marito la stava baciando.            
Lei voleva essere baciata da lui.
Lei non si stava tirando indietro, anzi, permise a quell’assalto di farsi più audace. Era… era… impazzita? Ma prima che potesse reagire, fu lui a tirarsi indietro lasciandola confusa. Le labbra formicolanti, gli occhi lucidi, il volto arrossato e il cuore a mille.
Holly le sorrise con fare sensuale, le baciò la punta del naso, la fronte – dove indugiò un poco – e infine si raddrizzò senza fretta, lasciandola orfana di quel contatto e inebetita a guardarlo.

«Mi sei mancata. Questo mi è mancato. E no, decisamente tu non mi odi. Riguardati, amore, ci vediamo presto» e uscì.

Ehhhhhhhh?
 
 



 
Appena fuori dalla stanza di Patty, Holly si appoggiò alla parete con i battiti impazziti e un sorriso ebete sul volto. Sì, nulla era davvero finito tra loro. Ne era felicissimo e sollevato. Finalmente avevano parlato. L’avessero fatto molto prima… di certo tutto quel pasticcio non sarebbe successo. Ma ora avrebbe rimediato.  

«Ah, signor Hutton, è ancora qui… ne sono felice» lo disturbò una delle infermiere di prima, o almeno così credeva. «Ho il foglio di dimissione di sua moglie da darle» l’informò.

«Sarà felice di averlo. C’è stato un cambio di programma, saranno le sue amiche ad assisterla a casa, io non posso, lo riferisca al medico che l’ha presa in carico.»

«Oh, e quindi lei è libero?» Gli chiese con fare spudorato e un atteggiamenti da gatta morta che lo nauseava. «Sa, mi sono sempre piaciuti i ragazzi virili come lei, anzi, come te. Anch’io sono libera nel pomeriggio. Oggi è stata una giornata estenuante qua dentro e confesso di essere stanca, ma conosco un metodo per rilassarmi come non mai. Mi chiedevo se ti andasse di pas…»

«Signorina» l’interruppe lui con voce dura «spero vivamente che non stia per dire quello che penso perché non solo reputo il suo un atteggiamento poco professionale, ma anche nauseante. La sua proposta non mi alletta per niente e le consiglio di girarmi al largo se non vuole incorrere in un richiamo professionale perché non ci metto molto a cercare il caporeparto e a farle rapporto. Mi sono spiegato?» E quando quella lo fissò pallida in volto e confusa, concluse. «La leva da sola la sua mano dal mio braccio o lo devo fare io?» E la mano sparì magicamente come lei.

Holly si incamminò verso l’uscita del Pronto Soccorso con spirito nuovo. Il cuore libero da un macigno che lo aveva oppresso per troppo tempo. Oh, sì, Patty affermava di odiarlo, ma quel bacio che aveva ricambiato urlava il contrario. Era un buon punto d’inizio.
Sorridendo tra sé, tornò al ritiro. Sì, avrebbe riconquistato Patty. Non avrebbe ripetuto gli errori del passato. Avrebbe fatto ammenda. L’avrebbe messa al primo posto, come avrebbe già dovuto fare. Stupido idiota. Aveva perso Patty una volta, non sarebbe accaduto di nuovo. 

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Capitolo 9
*** Scorci di verità ***


E così quei due avevano preso in giro tutti. Ma perché? Che bisogno c’era di nascondere la verità anche agli amici? Eve era spiazzata, ma sia lei che Amy, meritavano delle risposte e quindi non si trattenne.
 
«Senti un po’ tu…» iniziò, ma venne subito bloccata.

«Sbrighiamoci ad andarcene di qui. Non mi piacciono gli ospedali» s’intromise Patty scendendo piano dal letto. «Oh, cavolo, non ho avvisato i miei» disse infine bloccandosi.

«Tranquilla, ci abbiamo pensato noi, ma erano in visita dai tuoi nonni materni. Volevano tornare subito, ma abbiamo detto loro di fare con calma che ci pensavamo noi a te. Vuoi chiamarli tu? Così si tranquillizzano» le propose Amy.

«Sì, appena a casa li chiamo. Anche loro non amano gli ospedali e non voglio sentano qualcosa di strano in sottofondo che potrebbe agitarli» e quando le amiche fecero per replicare, specificò. «Abbiamo tutti dei brutti ricordi di questo posto e avrei dato un braccio per essere portata altrove oppure per evitarlo del tutto.»

«Ah… ok, come preferisci. Sicura che puoi uscire? Non devi aspettare una carta o qualcosa del genere?»

«Sì, Eve, in teoria sì, ma ci sta mettendo un secolo e se resto confinata in questo posto ancora per un minuto, impazzisco» replicò l’amica.

Da quando in qua Patty odiava gli ospedali? Eppure, ci era stata spesso per accompagnare Holly alle visite o per fargli lei stessa visita quando veniva ricoverato per qualche giorno dopo gli infortuni di cui era vittima. Non si era mai fatta problemi prima di allora, ma erano passati anni e le persone cambiavano.
 
«Signora Hutton, la carta di dimissioni. Mi scuso per il ritardo, ma colei che doveva portargliela ha avuto un imprevisto – diciamo così – e… ma come, è già in partenza?» Le disse un’infermiera anziana.
 
«Sì, il medico mi ha detto che potevo e questo foglio non arrivava mai. Non sono un’amante degli ospedali.»

«Ma… ma senza questa non avrebbe potuto uscire» insistette quella «va be’ lasciamo perdere. È stata fortunata questa volta, ma stia più attenta in futuro, potrebbe andarle peggio. Le botte in testa non vanno mai sottovalutate. Buona fortuna» disse e poi se ne andò.

«Ha ragione, ti è andata di culo. Bene, andiamo allora. Dritte a casa tua, Miss Fluffy si starà chiedendo dove sei sparita e avrà una fame pazzesca.»

«E io non vedo l’ora di farle tante coccole e chiederle scusa per non essere tornata prima.»

«E poi, mia cara amica, non credere di scappare così perché meritiamo una spiegazione per la bugia che tu e Holly ci avete rifilato. Cavoli, mi sento una merda per averlo trattato male. Quindi, con le buone o meno ti faremo parlare, preparati» l’avvisò Amy.

Esatto. Entrambe avevano sofferto per l’allontanamento dell’amica e avevano gioito per il suo ritorno, ma in cuor loro sapevano che Patty ometteva di dire loro qualcosa. Non erano mai riuscite a sapere nulla e alla fine avevano desistito. Ma ora – e qui concordava con Amy – non le avrebbero dato scampo e prima della fine della giornata, avrebbero saputo tutta la verità.
 
«Va bene» rispose Patty «ve lo devo. Però ora usciamo di qui, ok? Davvero, mi manca l’aria tra queste mura con questo odore fortissimo di disinfettante, gente in camice bianco, gente che soffre, gente che urla, gente che pian…» e lì si bloccò.

Che cosa aveva mai visto per farla sbiancare così e bloccare sul posto? Eve guardò l’amica e lì per lì pensò che stesse per svenire. Anche Amy era preoccupata, da come stringeva il braccio di Patty e le parlava, ma lei sembrava immersa in un altro mondo. Si guardò in giro in cerca della fonte di quell’improvviso cambiamento di Patty, ma non vide nulla di strano se non gente che stava male. Poi seguì lo sguardo dell’amica fisso su un punto e…
 
«Vi prego dottore, mia figlia ha qualcosa che non va. È svenuta all’improvviso e ancora non si è risvegliata ed è al sesto mese di gravidanza. La prego mi dica che non è grave e che le salverete entrambe.»

«Signora, si calmi e attenda qui per favore. Ci pensiamo noi adesso, sua figlia è in buone mani. Faremo tutto il possibile» le rispose quello prima di fare oltrepassare la barella con una donna inerme sdraiata sopra oltre una porta elettronica.

«Come posso calmarmi quando due vite a me care sono in pericolo. È la mia unica figlia, mi ha sentito? Non fatemela morire, per favoreee» urlò quella alla porta ora chiusa mentre piangeva a dirotto e, sorretta dal marito, andava in sala d’attesa.

Dio che scena straziante e… eh? Patty stava guardando loro e… piangeva? Poi la vide asciugarsi furtivamente le lacrime e tirare un grande sospiro. Si allontanò in fretta da loro per raggiungere la coppia disperata e si accucciò davanti alla madre. Cosa voleva fare? Guardò Amy, confusa quanto lei.
 
«Signora, noi non ci conosciamo, ma posso assicurarle che questi medici sanno quello che fanno e non si risparmieranno. Non disperi, ma si faccia forza che sua figlia ne avrà bisogno quando uscirà da qui. Non posso prometterle che andrà tutto bene, ma che ci metteranno tutta la loro conoscenza e il loro cuore, quello sì. Coraggio!» E le strinse le mani con forza mentre quella annuiva tra le lacrime, grata.

Poi Patty tornò da loro e si schiarì la voce prima di parlare di nuovo.
 
«E se per cena vi preparassi qualcosa di speciale?» Disse come se niente fosse.

A lei e ad Amy non restò che annuire e seguire l’amica fuori dal Pronto Soccorso. Che diamine era appena successo?
 
 



 
«Holly, come sta Patty? Che le hanno detto?» A parlare era stato Bruce.

Ed eccoli lì, i suoi amici barra compagni di squadra che subito lo circondarono. Cosa poteva dire? Come doveva mostrarsi? Decise di non farsi vedere troppo sollevato e felice – come in realtà era – e si sforzò per sembrare serio e disinteressato. E la recita continuava.
 
«Sta benone, quella non la ferma neanche un tornado dopo averla travolta e sballottata qua e là, figuriamoci una misera caduta dalle scale.»

Ecco, così era perfetto. Missione compiuta. E infatti…
 
«Complimenti per la sensibilità. Tanto valeva che la lasciassi andare da sola in ospedale» replicò Clifford.

«L’ho fatto solo perché volevo accertarmi che la prendessero in cura subito. Ho dovuto spacciarmi di nuovo per suo marito, povero me, ma ne è valsa la pena. Ha protestato un po’ quando l’hanno chiamata signora Hutton, ma alla fine ha capito che era necessario.»

«Meglio che non ti dica a cosa sto pensando o finisci male» esordì Benji. «E adesso con chi è? Non l’avrai lasciata da sola.»

«No, anche se l’avrebbe preferito. Poco prima che andassi via sono arrivate Eve ed Amy, così potranno parlare male di me ancora per un po’. Le mie povere orecchie fischieranno a non finire. Bene, direi che ho già perso troppo tempo dietro a questa storia. Mister, mi cambio e poi vi raggiungo subito.»

«Non così in fretta, Hutton. Visto che siete già fermi…» disse Mister Gamo «ragazzi, vi concedo quindici minuti di pausa e poi ricominciamo con i tiri in porta. Vedete di riprendervi in fretta che poi non vi daremo tregua fino a stasera.»

Ok, aveva del tempo per calmarsi dallo spavento, che ancora non gli era passato del tutto e per riordinare le idee sugli ultimi sviluppi con Patty. Ah, quel bacio. Non riusciva a toglierselo dalla testa e nemmeno lo voleva a dirla tutta. La reazione di Patty l’aveva davvero spiazzato e ora non ci capiva più nulla.
Da quando aveva divorziato non aveva frequentato nessuna donna e si era concentrato ancora di più sul calcio. La parte più dura veniva alla sera, al rientro nel suo nuovo appartamento vicino allo stadio. Vuoto. Come la sua vita senza Patty. E ora che l’aveva ritrovata, niente e nessuno l’avrebbero più tenuto lontano da lei.
Sentì la porta dello spogliatoio sbattere e subito capì di chi si trattasse.

 
«Chi credi di prendere in giro tu?» Gli domandò Mark a bruciapelo. Bingo.

«Non so a cosa ti stai riferendo.»

«Ah, non lo sai? Ti rinfresco io la memoria allora. “Tesoro, amore mio, sono suo marito…” devo continuare? A che gioco stai giocando, Hutton?» Lo accusò.

«Io? Proprio a nessuno. Hai visto come mi ha trattato, no? Eppure, eri lì, come puoi anche solo pensare che ci sia dell’altro sotto, ma molto, molto sotto.»

«Non lo penso, infatti, lo so. Ho visto come eri preoccupato per lei quando è svenuta. Converrai con me che, per una persona che ha chiesto il divorzio, non è normale una cosa del genere.»

Già, era quello il problema. Lui non aveva chiesto nessun divorzio. Ma questo nessuno doveva saperlo. Sperava solo che le due manager tenessero la bocca chiusa o si sarebbe assicurato lui che lo facessero.
 
«Cosa non è normale, Mark? Che succede qua dentro?» Esordì Benji entrando nello spogliatoio.

«Siete strani voi due» sentenziò Tom che era entrato dopo l’amico. «Tu, Mark, hai detto solo poche parole sull’accaduto e poi ti sei chiuso nel mutismo, dicendo che era meglio chiedere a Holly che avrebbe avuto più informazioni una volta tornato e tu, Holly» disse poi guardando lui con aria seria «hai sorvolato e minimizzato la cosa. Ora smettetela di girarci attorno e parlate. Seriamente, come sta Patty?»

Mamma mia quanto parlava. E dire che era sempre stato quello timido, riflessivo e tranquillo, quando si era trasformato così il suo amico Tom? Se voleva levarseli tutti e tre di torno qualcosa doveva dire o l’avrebbero tartassato di domande e occhiate truci a ogni minuto libero.
 
«E va bene, riassumo la cosa, ma poi guai a voi se me la chiedete di nuovo» li mise in guardia. «Patty è stata urtata da un ragazzino maldestro ed è volata giù dalla scalinata di ferro fuori dallo stadio. Non l’abbiamo raggiunta in tempo, se non quando era già distesa per terra ai suoi piedi. Mark ha chiamato l’ambulanza per sicurezza e io mi sono qualificato come suo marito per poterla seguire. La tac è risultata negativa. Le nostre due manager l’assisteranno oggi e domani Patty andrà dai suoi perchè almeno per ventiquattro ore deve stare sotto stretta osservazione. È tutto. Vi basta?»

«No che non basta. Ok, ora almeno si sa qualcosa in più, ma ciò non toglie che hai fatto qualcosa che ha spiazzato tutti e ora minimizzi. Che succede, Holly? Ha detto Mark che eri fuori di te» insistette Tom.

«Ci sei rimasto un sacco in ospedale, pensavamo tutti al peggio e poi tu torni e ridicolizzi l’accaduto. Non è da te» sentenziò Benji.

«Oh, ma insomma…» iniziò lui, ma le parole che voleva dire vennero spazzate via da quelle della tigre.

«Holly è ancora innamorato di lei» saltò su Mark ammutolendo tutti, poi lo guardò. «E non mentire perché, ripeto, l’atteggiamento che hai avuto fuori dallo stadio non è tipico di una persona che ne odia un’altra tanto da fare finire un matrimonio. Hai agito come un innamorato disperato. Non so cosa sia successo realmente tra voi due, ma qui qualcosa non torna e sento odore di menzogna.»

E ora lo stavano guardando tutti con gli occhi fuori dalle orbite.
 
«Quello che è successo, se proprio volete saperlo, è che cinque anni fa io e Patty abbiamo divorziato. Punto. Oggi ha avuto un piccolo incidente e io ero lì per aiutarla, non sono così insensibile da lasciare soffrire qualcuno. Ora che so che sta bene, le nostre vite riprenderanno come prima e spero vivamente di non doverla incrociare mai più. Questo è tutto quello che dovete sapere, non fatevi strani film mentali adesso. E ora forza, i Mister ci aspettano, abbiamo del lavoro da fare se vogliamo vincere e riportare a casa la coppa.»

E senza aspettare risposta, si alzò e uscì.
 
 



 
«Che bugiardo!» Urlò Mark alla porta chiusa.

Tom in cuor suo concordava. Mark aveva espresso con una parola anche il suo pensiero. Sì, Holly mentiva. Ne era convinto anche lui.
 
«Come scusa? Dici che mente?» Gli chiese cercando conferma di non avere capito male il pensiero dell’amico.

«Dovevate vederlo. Altro che “spero vivamente di non doverla incrociare mai più.”. Bugiardo! Era disperato, ragazzi, disperato. So bene quello che ho visto e tutti – tutti – siamo ammutoliti a vederlo così, persino sua madre.»

«E allora perché non ammetterlo? Non sarebbe più semplice?» Intervenne Benji dopo un attimo di silenzio.

«No. No, perché c’è qualcosa sotto che non vuole dirci e che ci nasconde e anche voi due ve ne siete accorti» disse Mark guardando entrambi. «Se dovesse confessare i suoi sentimenti per Patty sarebbe come dire a tutti noi che ci ha presi per il culo per anni.»

«Ah, ma lui non ne è capace, di mentire intendo. Non lo è mai stato» ricordò agli amici.

«Il tempo cambia le persone e ti dico che sono d’accordo con Mark. Quello non è più l’Holly che abbiamo lasciato anni fa. Quello era sincero. Questo non lo è» sentenziò Benji.

«Fatto sta che ora ad avere capito che ci nasconde qualcosa siamo in tre. Non so voi, ma io non intendo mollare la presa tanto presto. Quel gran bugiardo ha le ore contate, lui e il suo fottuto segreto» sentenziò Mark prima di avviarsi ai bagni.

Nemmeno lui avrebbe allentato la marcatura sull’amico e, a giudicare dallo sguardo del portiere, nemmeno Benji avrebbe rinunciato a scoprire la verità.
 
«Se l’atteggiamento di Holly ha colpito e scosso persino Mark, vuol dire che quel babbeo che si è ripreso la fascia da capitano, per qualche motivo ha deciso di non parlare. Sta a noi, ora, fargli cambiare idea. Dai, torniamo in campo e non pensiamoci più per ora.»

«Giusto, lo faremo la prima volta che non ci starà tra i piedi e metteremo a punto una strategia d’attacco così efficace da non lasciarli scampo e scelta. Lo metteremo con le spalle al muro e non gli resterà altro da fare che dirci tutto.»

«Tom, lasciatelo dire, mi sei sempre stato simpatico, ma mai come ora. Ti è venuta una mente diabolica di tutto rispetto. Che ti è successo in Francia per fare avvenire questa specie di miracolo?»

«Ahahah, niente di che. Diciamo che a furia di frequentare i miei compagni di squadra, sono diventato come loro e in campo un po’ di sano menefreghismo e cattiveria ci sta anche bene. Lì sono tutti molto individuali e si arrabbiano per niente in campo. Nella vita privata, invece, sono un po’snob, ma quello a me non interessa minimamente e sinceramente mi fanno solo tanto ridere.»

«Tu, snob? Ahahah, non ti ci vedo per niente a esserlo, infatti» sentenziò Benji facendolo ridere. «Dai, torniamo in campo, dimentichiamo per un po’ questa assurda storia e diamoci da fare, che verremo torchiati ancora di più fino a cena. Poveri noi.»

E così fecero. Dopo cena e una mini riunione sull’andamento dei primi allenamenti, furono lasciati liberi. Quasi tutti andarono a coricarsi. Solo lui, Benji, Mark, Bruce, Philip e Julian resistettero. Holly no, lui era immediatamente sparito in camera con aria pensierosa, dopo avere frettolosamente salutato tutti e senza neanche troppo entusiasmo.
Benji aveva ragione, il loro amico era cambiato e questa cosa era preoccupante.

 
«Ok, ragazzi, le vostre facce raccontano qualcosa che a voce non volete dire, ma che sappiamo tutti» iniziò Julian guardandoli in faccia «che succede a Holly?»

«Sì, non lo riconosco più. Anche in campo è cambiato. È più serio, più calcolatore, più spietato… non si diverte più e questo non è da lui. È preoccupante» intervenne un Bruce allarmato.

«Ce ne siamo accorti tutti che è strano, ma voi sembrate saperne più di noi. Sputate il rospo e poi vediamo se è qualcosa di risolvibile per il bene di tutta la squadra» propose Philip.

«Ok» convenne Mark senza troppi preamboli e in maniera diretta «in poche parole…» e poi riferì loro gli ultimi avvenimenti.

Tom poté vedere i volti dei suoi amici cambiare mentre Mark parlava con voce grave. Sì, erano notizie difficili da digerire, ma non tutto era perduto. Fu Bruce il primo a parlare.
 
«Io lo sapevo che nascondeva qualcosa. Quel deficiente è ancora innamorato di Patty e se l’è lasciata scappare. E scommetto che stasera era così pensieroso perché l’averla rivista l’ha mandato in tilt e sono sicuro che ha capito di avere sbagliato a divorziare da lei, qualunque sia stato il motivo. Che completo idiota. No, un momento, se così fosse, perché…»

«Perché ha detto quelle cose così meschine al suo rientro in sede?» Concluse lui per l’amico e quando quello annuì, Tom continuò. «Per non smentirsi, credo, e per evitare domande alle quali lui stesso non è pronto a rispondere perché non sa come fare e cosa dire. Da perfetto idiota, insomma.»

«Sul fatto che lo sia è scontato e chiarissimo a tutti» gli rispose Benji. «Speriamo solo che tutta questa sua confusione non si ripercuota sulla squadra e sui risultati.»

«Che ci provi a mettere in pericolo la riconquista del titolo che lo prendo a schiaffi e a calci in culo in mondovisione. Assaggerà il mio Rajiu Shoot direttamente nel suo sedere» sentenziò Mark.

«E io ti darò una mano» lo spalleggiò il SGGK.

«Penso che chiunque ti aiuterebbe Mark e con molto piacere anche» saltò su Philip.

«Non credo sia così cretino da mettere a rischio tutto, ma se dovesse esserlo davvero… vi prometto che lo strozzo con le mie mani» sentenziò Bruce mimando il gesto.

E a lui non restò che dirsi d’accordo con tutti loro. Holly era il suo migliore amico, ma non avrebbe esitato a rimetterlo in riga se fosse stato necessario. Con le buone o con le cattive. Era una promessa che faceva a se stesso questa.
 
 
 
 


 
«Che cosa ha fattooooo?» Urlò Eve.

«Oh, ma per favore Patty, stiamo parlando di Holly. Di Holly! Va bene tutto, ma questo no. Mi rifiuto di crederlo. No, no, no. Hai preso un abbaglio bello grosso, lasciatelo dire» le disse Amy.

E niente, non le credevano e c’era da aspettarselo.
Eve perché era ancora rimasta all’idea che Holly non vedesse niente al di fuori del calcio e Amy in quanto amica d’infanzia del suddetto tizio, non concepiva proprio un cambiamento del genere in lui.
Erano tornate da un po’ e Patty, dopo una veloce telefonata calmante con la sua famiglia e avere sfamato e coccolato Miss Fluffy, si era decisa a vuotare il sacco con le amiche sulla fine del suo matrimonio.
Non l’avesse mai fatto. Apriti cielo, quelle due proprio non capivano.

 
«Ve lo ripeto. L’ho visto!»

«Ma… ma… ma è assurdo, Patty, daiii. Lui non potrebbe mai…»

«Amy, ti sbagli. L’ha fatto. Alla luce del sole. Con me lontana quello si è dato alla pazza gioia senza nascondersi nemmeno dai suoi compagni» urlò.

«Em… ok, ora smettila di urlare che non ti fa bene. Il dottore ha scritto sulla carta di dimissioni che devi evitare emozioni forti tra le altre cose e non mi sembra tu lo stia ascoltando» la rimproverò Eve. «Ora, con calma, ci spieghi tutto quello che hai visto, perché ti confesso di essere sconvolta.»

Ok, doveva calmarsi, aveva ragione la sua amica, ma quando rammentava quella scena le saliva un nervoso tale che vedeva tutto rosso e non si tratteneva più.
 
«Sicure che non vi va di cenare prima?» Tentò ancora.

«No, al momento il mio pensiero è altrove» le confermò Amy.

«E anche il mio, quindi parla e non tralasciare nulla che devo capire se e come picchiarlo quando lo vedrò domani mattina» rincarò la dose Eve.

Ah, che crudeltà farle rivivere tutto ancora una volta. Ma l’idea che Eve potesse difenderla a distanza di anni, la fece sorridere e incominciò.
 
«Da tempo avevo i miei sospetti. Con me Holly era cambiato, era distante. Però… però io non volevo arrendermi. Più io tentavo di avvicinarmi, più lui mi teneva a distanza e mi trattava con distacco. Come se gli dessi fastidio e io fossi solo un accessorio da mostrare ogni tanto alle cene con la squadra. Un accessorio muto e inutile. E poi ci ho rinunciato, così, come uno schiocco di dita. Semplicemente ho smesso di provarci e lui nemmeno ci ha fatto caso.»

«Che stronzo» commentò Eve. «Scusa, scusa, ti ho interrotta, continua pure.»

«Già, lo è stato veramente. Uno stronzo totale. Tornando a noi. Holly doveva andare in ritiro per una settimana per prepararsi meglio ad affrontare una partita molto importante, non ricordo più nemmeno contro chi fosse. Io l’ho saputo solo quella mattina quando l’ho visto uscire di casa con due borsoni, anziché uno. “Pensavo di avertelo detto” mi disse e io non replicai se non per dirgli che forse me ne ero dimenticata.»

«Il che non è da te, Patty» intervenne Amy.

«Sì, ma in quel periodo non ero più io» ammise. «Anego era morta e tutto è andato a rotoli. Comunque, è bastato allontanarmi da lui per farla rivivere.»

«E meno male!» Gridarono insieme le sue amiche facendola ridere.

Sì, meno male. E ora arrivava la parte più difficile che doveva… sì, alterare un pochino. Non era ancora pronta a parlare di Mairi con loro. La scena in ospedale era già stata straziante di per sé e l’aveva riportata indietro nel tempo, ma non sarebbe riuscita ad affrontare il discorso con loro senza scoppiare a piangere. Patty si era accorta che le amiche avevano trovato strana la sua reazione alla scena cui avevano assistito e anche il suo tentativo di volere confortare due genitori distrutti, ma non aveva intenzione di spiegare niente. Il giorno dopo ne avrebbe parlato con sua madre, perché era l’unica che potesse capirla e confortarla.
 
«Per farla breve, volevo avere la conferma dei mie sospetti e lo raggiunsi al ritiro senza avvisarlo. Ed eccolo lì. In mezzo a tutti i suoi compagni che rideva e scherzava mentre aveva… quella attaccata al braccio.»

E a quelle parole, entrambe le amiche sussultarono.
 
«Ed è a questo punto che sei uscita allo scoperto e lei hai tirato un ceffone tale da farla finire per terra sanguinante, vero? Vero? Verooo?» Le domandò una Eve infervorata.

«No, Eve, non l’ho fatto. Mamma mia come sei diventata violenta.»

«Allora hai affrontato lui» intervenne Amy.

«No. Ve l’ho detto che non ero in me. La mia autostima era già andata a quel paese da un pezzo e così… me ne sono andata. A casa. Una volta lì, gli ho fatto le valige e le ho messe all’ingresso. Sono rimaste lì i rimanenti giorni che mancavano al suo rientro. Appena è tornato ha chiesto il perché e io gli ho chiesto il divorzio. Ha fatto il finto tonto per un po’, poi ha riso e infine si è arrabbiato dicendo che così avrebbe fatto una figuraccia con la squadra e abbiamo litigato. In quell’occasione ho scoperto che cos’ero diventata per lui, una continua delusione. Mi ha detto di sparire dalla sua vita. Ed eccomi qui.»

Sì, quel maledetto giorno se lo ricordava bene, purtroppo. Il giorno in cui aveva scoperto suo marito con un’altra. Un’altra che non tentava nemmeno di nascondere. Un’altra che lo intratteneva fuori e dentro le lenzuola, sicuramente e che aveva preso il suo posto. Un’altra che poteva esibire con orgoglio alla squadra. Un’altra che lo faceva ridere.
 
«Patty, scusa» la riportò alla realtà Eve «ma… dimmi se ho capito bene. L’hai visto con un’altra e poi – senza chiedergli nulla né affrontarlo pubblicamente o meno – gli hai chiesto il divorzio?»

«Esattamente. Non c’era nulla che potesse dire o fare a quel punto, era tutto fin troppo chiaro come il sole.»

«E tu sei sicura, ma veramente sicura, che fosse la sua amante?» Le domandò Amy.

«Ehi, rossa, smettila di giustificarlo perché non se lo merita. Gli stava avvinghiata addosso e lui non la respingeva anzi, le sorrideva. Tutti sorridevano a dire il vero. Quindi sì, ne ero sicura allora e lo sono anche adesso. Nessuno si è accorto di me e non è che ero nascosta da qualche parte. Bastava che si girassero e io ero lì a qualche metro di distanza. Forse qualcuno di loro l’avrà anche fatto e non me ne sono accorta tutta presa com’ero da quei due. Mi ha tradita davanti a tutti e da come si atteggiavano non era una cosa fresca. Nessuno della squadra è venuto a dirmelo o comunque a mettermi in guardia, erano tutti felici di essersi liberati di me, ci scommetto. Ai loro occhi Holly aveva finalmente ritrovato il senno mollando la scialba e muta giapponese per una sottospecie di modella spagnola.»

E così le aveva ammutolite. Per pochi minuti. Fino a quando una collerica Eve era sbottata.
 
«Quel… quel… domani non mi scappa. Per prima cosa io lo…» sentenziò.

«Scusami ancora Patty se insisto» l’interruppe Amy «perché diamine non gli hai chiesto niente. Che so, il nome della tipa, il perché, da quanto continuava, cosa avevi fatto di male per meritarti un’umiliazione del genere…»

«A quel punto non mi interessava saperlo. Non era importante per me, capisci? Io li avevo visti e questo contava – e conta ancora – più di mille parole fasulle.»

«Ma… ma se quello che hai visto non era quello che hai visto?»

Ehhh? Che intendeva dire Amy con quella stramba frase? Fu Eve ad anticiparla, anche perché oltre a loro c’era solo lei lì, se si escludeva la sua coniglietta addormentata in braccio a lei.
 
«Amy, spiegati meglio perché davvero nessuno di noi ha capito che hai detto. Che diamine significa?»

«Be’, non mi sembra così difficile capirlo. Intendevo dire che magari Patty ha interpretato male quello che ha visto. Che Holly non la stava tradendo davanti a tutti. Cavoli, Eve, ti ricordo che ci ha messo anni per dichiararsi alla nostra amica qua e ti sembra possibile che tutto d’un tratto diventi un Don Giovanni? Non so, Patty, non voglio sminuire la cosa, ma potresti avere preso un abbaglio. Avresti fatto meglio a non scappare davanti a quella scena. Dico sul serio.»

Che cooosaaa? Ma da che parte stava?
 
«È meglio finirla qui o non rispondo di me» sentenziò con tono grave. «Scusate, ma ora devo rimanere sola per qualche minuto. Esco in giardino cinque minuti e poi preparo la cena come promesso. Argomento chiuso. Per sempre.»

Poi uscì sul retro con Miss Fluffy, chiuse la porta finestra e cercò di calmarsi. Dannazione, lei voleva solo passare un week-end tranquillo con le sue amiche, perché era improvvisamente diventato tutto così complicato? L’incontro con Holly allo stadio, la caduta dalle scale esterne, il suo spacciarsi per marito, le sue parole, il bacio. Già, il bacio.
Quella era stata una sorpresa. Bella. E non avrebbe dovuto esserlo. L’aveva anche ricambiato. Ma era impazzita?
In quel momento la sua coniglietta si mosse tra le sue braccia mentre un leggero russare risuonava.

 
«Ah, cucciola mia, se non ci fossi tu, la mia vita sarebbe monotona e veramente triste» le disse mentre se la sistemava meglio in braccio.
 
 



 
«Ma dovevi proprio dirle una cosa del genere? Dopo tutto quello che ha passato e quello che è successo oggi? Amy, cazzo, non ti facevo così insensibile.»

E lei non voleva esserlo, ma certe cose andavano dette, anche se facevano male.
 
«Eve, ma ti rendi conto che un matrimonio è saltato per aria per una cosa che magari non è neanche successa? E tutto perché la signorina là fuori si è comportata da vigliacca» le disse. «E smettila di bisbigliare che poi lo faccio anche io. Perché poi lo stai facendo? Non abbiamo nulla da nascondere.»

«Perché se ci sentisse potremmo turbarla ancora di più e grazie a te ora lo è già abbastanza. Vuoi che ricordi anche a te cosa c’è scritto sul…»

«Foglio di dimissioni, sì, lo so, l’ho letto. Ma questo non è un motivo valido per non metterla di fronte a una probabile verità. E smettila di guardarmi male che se i tuoi occhi avessero le lame mi avresti già infilzata mille volte.»

«E sarebbero ancora poche» ribatté lei.

Ohhh, ma insomma, un tempo quella ragazza non era così nervosetta. Ma che diamine le era successo? Mah, non era il momento di indagare quello.
 
«Anche perché e poi chiudo qui il discorso… cara Eve, ti sei dimenticata di come Holly ha reagito quando ha visto Patty svenire, per non parlare poi di cosa le ha detto in ospedale? Ti sembrano atteggiamenti e parole di un traditore quelli? Proprio lui che ha fatto della correttezza il suo motto? Sei stata tu a dirmi che non è passato alla Toho, per non tradire i suoi compagni della Nankatzu, no? E questa la dice lunga su di lui. O no? Mi rifiuto di crederlo così cambiato e non capisco perché si ostina a tacere questa storia e a mostrarsi distaccato quando non lo è per niente. Posso solo immaginare cosa avrà detto una volta rientrato al ritiro.»

«Be’, se la metti così…» le concesse quella.

«E il bacio? Ti sei dimenticata che l’ha baciata e con che trasporto e dolcezza allo stesso tempo? E Patty ha ricambiato, per la miseria.»

«Già, l’ha fatto, suo malgrado» ammise. «Ah, che pasticcio hanno combinato quei due.»

Ma davvero e ora rimediare sarebbe stata dura, da entrambe le parti. Ma lei era intenzionata ad aiutarli nel limite del possibile. Sì, perché lei era convinta che anche Patty nutrisse ancora dei sentimenti nei confronti di Holly, anche se continuava a negarli. I suoi amici si amavano ancora, ne era certa. Erano solo stati vittime dei loro stessi silenzi. Che guaio. Amy non disperava di vederli di nuovo insieme e non si sarebbe arresa. Non poteva mettere la mano sul fuoco per Eve, ma lei li avrebbe aiutati.
C’era solo un ultimo punto da chiarire prima che Patty smaltisse la rabbia e rientrasse a cucinare – e lei lo sperava perché aveva una fame tremenda – e si decise a dirlo.

 
«Piuttosto, Eve cara, vogliamo chiederle anche di cosa è successo in ospedale mentre stavamo per uscire o lasciamo correre?» Le domandò.

«E certo, già che ci siamo, innervosiamola ancora di più, no?» Le rispose Eve con fare sarcastico. «Me lo sono domandata anche io, che credi, ma non penso che oggi ci direbbe qualcosa in merito. L’ho vista anch’io commuoversi come non mai e quelle parole che ha detto ai due genitori angosciati… cavoli, quelle sì che hanno lasciato il segno. Non erano semplici parole, Amy, erano qualcosa di più. Mi hanno scossa.»

«Già, ti capisco. Era come se le avesse tirate fuori dal suo cuore. Non erano semplici frasi consolatorie e ipocrite di circostanza. Non so come dirti, sembravano… vive.»

«Ecco, vive, brava!» Saltò su l’amica. «L’ho pensato anch’io. E questa cosa mi spaventa e mi fa paura allo stesso tempo. Mi chiedo da cosa derivassero, ma allo stesso tempo non voglio saperlo. Amy, c’è qualcos’altro che Patty ci sta nascondendo. Magari non oggi, ma prima o poi lo scopriremo.»

«Non sono sicura di volerlo sapere nemmeno io, ma sotto sotto ci spero.»

Voleva aggiungere ancora qualcosa, ma non ne ebbe il tempo perché Patty e Miss Fluffy rientrarono.
 
«Avete finito di bisbigliare voi due?» Esordì con un aria più tranquilla. «Vi chiedo scusa se prima mi sono un pochino alterata, ma… certi argomenti ancora mi turbano e non dovrebbero. Pace?» Domandò prima di abbracciarle entrambe. «Non so voi, ma io ho fame. Datemi mezz’oretta di tempo e poi vi prometto che andrete in visibilio.»

E tempo dopo Amy fu felice di concordare con lei e anche Eve da come aveva ripulito i piatti. Da lì in poi, la serata prese una piega più leggera e migliorò.

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Capitolo 10
*** Una visita inaspettata ***


Una settimana dopo.
 
Holly non aveva smesso un minuto di pensare a Patty. A come stesse. A cosa stesse facendo. Se lo pensava anche lei. Al loro bacio. Eh, quel ricordo proprio non lo voleva lasciare stare.
E faceva tutto questo senza lasciare trapelare nulla con i suoi amici. Se anche solo avessero sospettato che lui aveva quei tipi di pensieri su Patty, per lui sarebbe finita.
Così, nascondeva il suo tumulto interiore con una dedizione ancora più minuziosa e totale agli allenamenti. I Mister, ovviamente, ne erano felici e a lui stava bene così. Più si sfiniva fisicamente e mentalmente, più non aveva tempo per rimuginare sulla sua attrazione mai sopita e ora rifiorita per Patty.
Che idiota era stato a lasciarla andare senza opporsi di più. Ma lui la vedeva spegnersi ogni giorno, la sentiva distante come non mai e i suoi silenzi erano così rumorosi da sconvolgerlo nel profondo che… che non era riuscito a dirle quello che aveva pensato veramente, ovvero “No, il divorzio te lo scordi. Io ti amo. Ricominciamo da zero. Che dici?” Ma lei era rimasta ferma nel suo proposito.
Lui aveva sposato una ragazza indomita, dolce e innamoratissima, con il più bel sorriso che avesse mai visto e un corpo fantastico, specie quelle sue labbra tentatrici e gli occhi magnetici e… e si era ritrovato a vivere al fianco di una sconosciuta.
Fisicamente Patty era sempre stata una bellezza che gli faceva desiderare di passare ore e venerare il suo corpo, ma il suo spirito combattivo si era spento e a poco a poco lei era cambiata. E lui non si era accorto di nulla. Aveva detto bene Patty. Tutto preso com’era dai suoi allenamenti e dalle partite, lei era stata lasciata indietro e data per scontata. L’aveva isolata da tutto e tutti e non l’aveva aiutata minimamente a inserirsi. Anche quando si lamentava di non capire nulla di quello che le veniva detto perché non riusciva a studiare lo spagnolo… lui che cosa aveva fatto per lei? Niente, se non incolparla.
Che idiota era stato. Ma le cose ora sarebbero cambiate. Il destino gli era venuto incontro e lui non aveva intenzione di sprecare quella nuova opportunità che gli era stata offerta inaspettatamente.

 
«… il riso?»

Eh? Chi aveva parlato? Holly si guardò attorno e notò i suoi amici fissarlo inebetiti.
 
«Tutto bene?» Gli chiese Tom.

«Sssì, perché? Stavo solo… em, niente, pensavo, tutto qui» rispose in fretta.

«Sì, ok, ma almeno rispondi quando ti si parla. Doveva essere un pensiero bello profondo. Sono cinque minuti che ti sei imbambolato via con la ciotola di riso in mano» lo informò Benji.

«Infatti ti stavo dicendo di stare attento a non farla cadere che è paurosamente inclinata» lo riprese Bruce con aria divertita.

Fu a quel punto che Holly si riprese del tutto e vide che, effettivamente, per poco non stava versando tutto il riso sulla tovaglia.
 
«Ah, scusate e… sì, be’, stavo pensando» rispose fissando la ciotola, ma senza cercare di riportarla in orizzontale.

«L’hai già detto, sai? Holly, oggi sei molto distratto. Paura per la prima partita, forse?» Gli domandò Julian lì a fianco facendolo per lui.

«Paura lui? Ma quando mai, quello ci gode quando deve affrontare qualcuno che non conosce o che è più forte di lui» disse Mark.

«Oppure i tuoi sono pensieri più… personali?» Indagò Philip.

Ehhh? Ma ce l’aveva scritto in faccia, forse? E perché ora tutti lo fissavano così?
 
«E perché mai dovrei pensare a Patty? Non ne ho motivo» rispose prendendo una seconda razione di riso che mise sopra la metà ancora intatta.

E lì tutti scoppiarono a ridere. Ma che cazzo…
 
«Vi diverto per caso?»

«Certo che sì. Nessuno qui ha fatto il nome di Patty. Come mai tu sì?» Lo prese in giro Bruce.

«Be’, perché… perché…»

«Se non lo dici tu, lo dico io per te, a tutti» tornò a punzecchiarlo Mark e poi, non vedendolo reagire si rivolse alla squadra. «Perché questo coglione qui ha sì divorziato da Patty, ma…»

«Mark, se dici una parola di più, io…»

«Ne è ancora pazzamente innamorato» continuò lui imperterrito, sconvolgendo tutti.

«Che cooosaaaaa?» Urlarono tutti insieme dopo qualche minuto di silenzio.

Ma come ci era finito in quella situazione. Perché tutte a lui dovevano capitare e tutte così vicine. Ma non poteva rifiutarsi di tornare e restare in Spagna a godersi un meritato riposo? E invece no, lui doveva per forza rientrare in Giappone. Cazzo.
 
«Ma non lo ammetterà mai perché è ancora troppo impegnato a negarlo anche a se stesso e a mostrarsi tremendo verso di lei» concluse l’amico.

Un attimo di silenzio generale e poi…
 
«Certo che sei proprio un coglione» lo apostrofò Paul.

«No, ma è uno scherzo, vero?» Saltò su Jhonny.

«E che cazzo hai divorziato a fare se l’ami ancora?» Lo accusò Jack.

«Questa non me l’aspettavo proprio» esordì James Derrik.

«Sono senza parole. Dimmi che non hai intenzione di dirglielo, dopo tutta la sofferenza che sicuramente avrà patito quando l’hai mollata» gli chiese Jason Derrik.

«Esatto sarebbe un duro colpo per lei» gli disse Bob. «Holly, no, non pensarci neanche. Perché non lo stai facendo, vero?»

Eh, no, adesso basta. Così sbottò.
 
«Per carità, ma quando mai? L’ho forse rivista dopo quel giorno? No e allora? L’ho forse cercata? No e allora? Ho forse tampinato quelle due» disse indicando Eve e Amy «per sapere come sta e se è andata bene la visita di controllo che aveva oggi? No e allora? Questo non vi dice niente?»

«Sì, che stai cercando di mantenere un profilo basso» gli rispose Rob per nulla turbato da quello sfogo. «Ed è vero, tu l’ami ancora o non ti scalderesti così come hai appena fatto.»

Oddio, adesso ci si metteva anche lui. Il loro numero 20 sembrava svampito, ma a questo punto si stava convincendo che fosse solo una copertura. Aveva una mente analitica di tutto rispetto.
 
«Quelle due, ovvero noi» saltò su Eve «avrebbero molte cose da dirti, ma non lo fanno per rispetto verso Patty.»

«Già. E comunque non sappiamo niente neanche noi, non ancora almeno. Ci ha informate che ci andava con sua madre e che poi avrebbe pranzato e passato il pomeriggio con lei. Speriamo si faccia viva per comunicarci qualcosa» rincarò la dose Amy.

E lo sperava anche lui.
 
«È già un miracolo non si sia ammazzata dopo il volo che ha fatto. Se ci ripenso mi viene ancora la pelle d’oca» sentenziò Mark. «Ma, quello è il passato, ora c’è solo sa sperare che la botta non abbia causato danni anche a distanza di giorni. Non sono da sottovalutare quei traumi.»

«Ti confesso, Mark, che quando non ha protestato all’infermiera che l’ha chiamata signora Hutton, il sospetto che qualcosa ci fosse mi ha sfiorata» disse Eve e lì fece ridere tutti, tranne lui, ovvio.

«Abitudine direi. Dopo tutte quelle ore passate a sentirsi chiamare così e la voglia di uscire da lì il più in fretta possibile, penso che semplicemente non volesse discutere con lei» le rispose Amy.

«In effetti, era molto ansiosa. Pensavo le venisse una crisi di panico mentre aspettava il foglio di via che non arrivava mai» e poi specificò vedendo tutti fissarla sbalorditi. «Patty non ama gli ospedali. Non più. Non che prima li amasse, ma almeno non li odiava. Se avesse potuto scomparire schioccando due dita l’avrebbe fatto subito.»

«È più probabile avesse paura che tornassi» s’intromise lui.

«No, non credo. Deve esserci dell’altro sotto. Fatto sta che abbiamo dovuto convincerla per telefono ad andare al controllo di oggi, così ci ha promesso che avrebbe chiamato a casa per non andarci da sola. E, lei non lo sa, ma per sicurezza ho sentito sua madre che mi ha confermato che l’avrebbe accompagnata lei.»

Questo era strano. Patty non aveva mai dato segni di disagio quando lo accompagnava alle visite o passava a trovarlo durante i brevi ricoveri. Per questo si sentì costretto a chiedere…
 
«È successo qualcosa quando me ne sono andato?»

E adesso perché si guardavano così? Avevano un aria strana, come di chi sa qualcosa, ma non vuole parlare.
 
«No, niente di che. Solo che mentre uscivamo era molto nervosa nel vedere tutte quelle persone soffrire, urlare e… e abbiamo faticato a starle dietro, tanto camminava veloce e a testa bassa. Non sembrava nemmeno una che era ricoverata fino a poco prima. Tutto qui» gli rispose Eve.

Eppure, lui era convinto che non gli stesse dicendo tutto. Avrebbe lasciato correre al momento o avrebbe attirato ancora di più l’attenzione su di lui e non era quello che voleva.
Avrebbe voluto aggiungere qualcosa, ma non ce ne fu più il tempo perché Mister Gamo richiedeva la presenza sua e di Julian – che era sì un giocatore, ma anche il vice dei due Mister – in ufficio. E loro lo seguirono.
 
 



 
«Mairi, tuo padre è tornato.»

Sì, e aveva già trovato il modo per sconvolgerla ancora una volta. Dannazione.
 
«Sai, è sempre bellissimo e affascinante. Il tempo passa per tutti, ma non per lui. Se fossi stata qui con me, sono sicura che ti saresti innamorata a prima vista di lui, come è successo a me. Mi è bastato un suo sorriso e… sbam, cotta.»

Già e rendersi conto che non le era ancora passata del tutto, la sconvolgeva.
 
«Come dici? Allora perché ho divorziato da lui? Ah, em… non sono discorsi da fare con una bambina questi.»

Patty sistemò dei Fiori di Loto ¹ in una ciotola piena d’acqua, prese un bastoncino di incenso e lo accese prima di inginocchiarsi davanti alla tomba della sua piccola e pregare per lei, per la sua anima così pura e innocente che non aveva mai avuto la gioia di nascere. Pregava, Patty, che la sua bimba le desse la forza per cercare di avere un rapporto civile con Holly e, in futuro, prendere coraggio per parlargli di lei.
 
«Sì, alla fine ho cambiato idea e ho deciso. Tuo padre deve sapere di te. Ma non ora. Prima deve concentrarsi sul mondiale. Se glielo dicessi ora… già e poi… prima però devo assicurarmi di una cosa.»

Si sedette meglio e poi estrasse dalla tasca un origami a forma di angelo, sorrise e glielo mostrò.
 
«Sai, piccola mia, oggi sono stata all’ospedale. Oh, niente di serio, dovevo solo fare una nuova tac per vedere se la botta in testa che ho preso non aveva avuto conseguenze. Ebbene, la tua mamma è sana. Ci sono andata con la nonna e poi…» deglutì, sospirò e poi continuò «ho chiesto notizie di una ragazza che mi ha ricordato me quel brutto giorno. Anche i suoi genitori erano disperati, come i nonni e lei era svenuta sulla barella, come me. Ho pregato tanto questa settimana che la sua piccola vivesse, che almeno lei ce la facesse. È viva!» Le annunciò asciugandosi il volto ora bagnato. «È viva. Ma la sua mamma è in coma. Abbiamo conosciuto i suoi genitori e ho chiesto loro se ogni tanto posso passare a trovarla. Quando hanno saputo di te, quella signora dal nulla mi ha fatto questo origami e me l’ha regalato. Questo angioletto sei tu, ha detto. Ti dispiace se lo porto a casa con me e lo metto nella cornice che avrebbe ospitato la tua foto?»

E poi, sorridendo guardò in su e là dove prima c’era qualche nuvoletta grigia, ora il cielo si era aperto e un bell’azzurro faceva timidamente capolino. Sì, Mairi era d’accordo con lei.
 
«Ora vado, angioletto, ho una cosa da fare e non ha senso rimandare. Torno a trovarti prestissimo, promesso amore mio.»

Poi baciò la lapide, indirizzò alla figlioletta un’ultima preghiera e se ne andò.
 
 
 



Sede Ritiro della Nazionale Giapponese.
 
 
«Ma si può sapere cosa avete al posto di quelle gambe, dei macigni?» Li accusò Mister Gamo. «Dove avete lasciato la velocità, in ferie?»

In effetti, non aveva tutti i torti. Avevano fatto schifo quel pomeriggio. La cosa peggiore era che Holly si era reso conto che erano quasi tutti di una lentezza imbarazzante, lui compreso. Lui! Come aveva fatto a non capirlo prima. Solo Rob era quello di sempre, velocissimo e scattante. Eppure, che lui sapesse quel ragazzo non si drogava, o forse sì?
 
«Siete imbarazzanti. Imbarazzanti!» Rincarò la dose un inviperito Mister Turner. «Davvero, neanche i ragazzini che alleno a casa sono così lenti e loro li faccio correre sulla sabbia.»

«Ci aspetta e, soprattutto, vi aspetta un lavoro ancora più duro di quello che avevamo preventivato. Ma come pensate di riprendervi la Coppa in queste condizioni fisiche? Io non ci tengo più a rifare una figuraccia come la volta scorsa ve lo dico subito» lo spalleggiò Mister Gamo.

«Ahahahahaha.»

Eh? Ma chi diamine stava ridendo. L’aveva sentita solo lui quella risata? Si guardò in giro e vide tutti i suoi compagni abbattuti e seri e allora chi…
 
«La prima partita si avvicina, ragazzi e voi siete messi così. Volete iniziare subito con una sconfitta?» Continuò imperterrito Mister Gamo che non sembrava avere sentito.

«Domani – aprite bene le orecchie – domani per tutto il giorno ci concentreremo sul potenziamento delle gambe e sulla velocità» li informò Mister Turner. «Corsa, esercizi mirati, corsa, salti, corsa, scatti, corsa…»

«Che cooosaaa?» Urlarono tutti insieme.

«Vi posso assicurare che a fine giornata striscerete come vermi» continuò imperterrito.

«Ahahahahaha.»
 
Ma insomma, ma chi cazzo… Holly iniziava a perdere le staffe. Loro subivano una ramanzina coi fiocchi, meritata e qualcuno rideva. Rideva! E con che gusto.
Possibile che nessuno sentisse quel suono irritante?
 
«Mi piacerebbe incontrare i vostri allenatori e dare loro un calcio in culo per come vi hanno trattato. Idioti totali, incompetenti! Oh, sì, siete più resistenti, più massicci, più potenti, ma la velocità? Non posso credere che l’hanno ignorata così. È un aspetto fondamentale del calcio. Che te ne fai di un tiro potente se non hai la resistenza di arrivare sotto la porta e tirarlo? Che te ne fai della forza, quando schiatti dopo pochi metri percorsi?» Mister Gamo era un fiume in piena.

«Ahahahahaha.»
 
«Oh, insomma basta, chi cazzo è che continua a ridere?» Sbottò lui non riuscendo più sa trattenersi. «Che cosa c’è di così divertente?»

«Ma dico, capitano, ti sei ammattito?» Gli chiese Philip.

«Holly, ma che caz…» lo interrogò Benji che venne interrotto da quel suono sempre più fastidioso.

«Ahahahahaha.»
 
«Ma… ma chi è?» Domandò Tom.

«Ahahahahaha.»
 
Oh, finalmente ora se ne erano accorti tutti che non aveva le visioni. Eppure, quella risata… no, non poteva essere… lei.
Holly scrutò bene la zona. Erano in mezzo al campo circondato da una rete alta e davano le spalle all’entrata, quindi, andando per esclusione… si girò in quella direzione e la vide seduta su una delle panchine circondata dalle altre manager. Guardava loro mentre se la rideva e… cosa diamine stava facendo? Aveva in braccio qualcosa di soffice e sembrava lo stesse accarezzando. Ma che ca…
 
«Patty!» Urlò.

«Holly!» Rispose lei prima di riprendere a ridere.

«Pattyyy» fecero loro eco gli amici che si precipitarono a raggiungerla per subissarla di domande alle quali rispondeva mantenendo il sorriso.

«Sono felice di vederti allegra, finalmente, anche se non per i giusti motivi» le disse lui arrivando con calma.

«Sono felice di sentirti strigliato a dovere dai Mister. Tutti voi a dire il vero. Hanno ragione, avete fatto pena. Più invecchiate e più vi rallentate.»

«Oh, andiamo, non esagerare adesso.»

«Bruce, non sto né scherzando né esagerando. Ma siete veramente voi? Non vi riconosco più. Ho assistito agli ultimi cinque minuti di allenamento e non sapevo se piangere o raggiungervi in campo e pigliarvi a sberle tutti, dal primo all’ultimo. Alla fine, ho preferito ridere e continuerò a farlo finché non tornerete a fare sul serio. Ah ah ah» li canzonò infine.

E mentre loro si ammutolirono sbalorditi, furono i Mister questa volta a ridere.
 
«Ah, come si è sentita la tua mancanza Patricia. Ci volevi tu perché la capissero. Visto? È qualcosa di così palese che si nota come niente» ribadì Mister Gamo guardandoli. «Ah, Turner, lei era la capo manager della Nazionale. Tutti le davano ascolto e non osavano ribattere mai a quello che diceva, aveva un caratterino pazzesco che li rimetteva tutti in riga. Le bastava un solo sguardo e questi qui filavano. E, come puoi vedere, è ancora così.»

«Oh, bene. Felice di conoscerla. Qui dentro si sente spesso parlare di lei e a dire il vero manca qualcuno che non ha timore ad affrontarli in blocco o singolarmente» le disse lui e poi sganciò un missile «non le piacerebbe tornare?»

«Ehhhhhhhhh?» Esclamarono in coro.
 
Questa volta era rimasto anche lui a bocca aperta. Cosa avrebbe risposto Patty? Erano tutti in attesa.
 
«E perché, scusi? Non ho più contatti con questo mondo da anni e non sono mai stata meglio» gli rispose.

«Però ora è qui, come mai?» L’interrogò lui non mollando la presa.

«Sono qui solo per un motivo» poi guardò loro e disse «volevo solo farvi sapere che sto bene. Ho fatto la tac ed è pulita, perfetta. Volevo lo sapeste da me in persona. Ho saputo da Eve che vi siete molto preoccupati, mi spiace molto.»

«Oddio, che sollievo» disse lui subito sentendosi tutti gli sguardi addosso. «Be’, ero preoccupato. Posso dirlo o no?»
 
 



 
Patty non sapeva che dire. Holly l’aveva spiazzata per l’ennesima volta.

 
«Non è che hai paura che possa denunciarti al giudice e spennarti, vero?»

«Ma come, non vuoi più darli in beneficenza? Oh, ma che cattiva» ribatté lui senza pensarci un momento.

«Questi – a occhio e croce – non mi sembrano cento chilometri» disse indicando l’esigua distanza tra loro due.

«Quel giudice era un cretino e non era nemmeno sano di mente se vogliamo dirla tutta» sentenziò lui.

«Oh, solo perché ha accolto tutte le mie richieste minacciandoti di metterti in carcere se non la smettevi di protestare? Oh, sì, l’ho saputo. Avrei voluto esserci per godermi la scena.»

«Ma non c’eri. Ed ecco una domanda per te che sono anni che desidero farti; cara la mia ex moglie, mentre io ero lì a sentire quell’idiota pontificare contro di me e quasi santificarti, tu dov’eri?»

E lui si aspettava davvero che glielo dicesse? Davanti a tutti?
 
«A festeggiare l’essermi liberata di te» disse con freddezza.

Se solo avesse saputo… ma non era il momento giusto quello.
 
«Aspetta un po’» li interruppe Tom «che vorresti dire, Patty. Che sei stata felice e non devastata dal divorzio?»

E be’, una piccola spiegazione ci stava. E dopo avere guardato Holly per capire se era d’accordo e averlo visto annuire…
 
«Ma come, non ve l’ha detto? Oh, ma davvero hai mantenuto il segreto? Non pensavo ci riuscissi, che bravo, ma tant’è, ora ci penso io.»

«Non tirarla troppo per lunghe a questo punto o lo dico io, tanto ormai… tutta la fatica che ho fatto in questi anni, sprecata così. Tanto valeva che ti lasciassi in balìa dei giornalisti» replicò lui.

«Eh, pazienza, l’hai deciso tu. Io te l’avevo detto di non farlo, ma…» disse e poi fissò tutti prima di dire «ebbene sì, il vostro povero capitano si è immolato per nulla. Sono stata io a dargli il benservito, non lui. Io ho voluto il divorzio.»

E lì non volò una mosca per qualche minuto. Tutti facevano spola di sguardi tra loro due, ma nessuno riusciva a spiccicare parola.
 
«Ehhhhhhhhhh?» Fu il loro commento.

Già, ma non avrebbe certo rivelato il perché né a loro né al suo ex che ancora non l’aveva capito, a quanto pareva.
 
«Ma che ca… tuuu? Assurdo. Smettila di scherzare dai» le disse Bruce.

«Ti pare che stia scherzando, testone?»

«Ma… ma perché? Eri così innamorata di lui e…»

«Ecco, bravo, ero. Ora mi è indifferente.»

Lei lo disse guardando Holly dritto negli occhi come per sfidarlo a replicare. Ma lui la sorprese. Le si avvicinò, mise la sua coniglietta sulla panchina, la fece alzare, le circondò la vita e poi, davanti a tutti – a tutti, che imbarazzo – la baciò. Sulle labbra. Un bacio vero. E lei? E lei, di nuovo, si abbandonò e lui e gli rispose. Ma era diventata pazza del tutto?
No! Nonononono, non posso permetterglielo, non una seconda volta. Ma cazzo, è così bello. Dio, quanto mi sono mancati i suoi baci.
Troppo presto finì e non certo per merito suo.

 
«A me non sembra di esserti poi così indifferente» le rinfacciò con la spavalderia di chi sapeva di avere ragione.

«Tu… tu…» disse con rabbia.

«È vero, è stata lei, ma io mi sono offerto di prendermi la colpa per preservarla da attacchi indesiderati da parte della stampa e non solo. Ci sono riuscito, no? Ci avete creduto anche voi, devo avere fatto proprio un bel lavoro» spiegò agli amici. «Oddio, che bello essersi liberato di questo peso, finalmente.»

«Non è possibile, non ci credo» disse Bruce. «Era questo il tuo segreto. Era per questo che evitavi di parlare di lei o se lo facevi era sempre con cattiveria. Era tutto un piano.»

«Che, ripeto, ha funzionato alla grande» specificò Holly.

Non era possibile. Poi vide Holly prendere la sua coniglietta tra le mani, alzarla al livello del viso e sorriderle. Il guinzaglio della pettorina ancora legato a lei.
 
«No, dico, non è buffo?» Chiese agli amici mentre la mostrava. «Ed è anche morbidissimo. Ha uno sguardo dolce e questo suo continuo muovere le guance è ipnotico.»

«È una lei» si sentì il dovere di specificare cercando di riprendersela, invano.

«Ok, resta il fatto che è buffa» le rispose lui. «Che diamine… cosa le hai messo addosso?» Le domandò guardando l’imbragatura collegata al suo polso.

«Secondo te la porto fuori casa senza nulla? A lei piace passeggiare e io non voglio rischiare di perderla. Che poi a te che te ne frega. Saranno fatti miei cosa faccio o meno alla mia piccolina pelosa, no?»

Ma guarda un po’ tu se doveva giustificarsi con lui, era il colmo.
 
«Be’, è vero, ma ammetterai che è un po’ ridicola.»

«Ridicolo sarai tu» ribatté lei. «Miss Fluffy è bellissima con questa pettorina nera con i girasoli.»

«Come la sua padrona» le disse lasciandola a bocca aperta.

«Ma per favore, con me non attacca più» rispose dopo essersi ripresa. «Mi è bastata una volta e non intendo ripetere l’esperienza, in nessun modo. Ormai non ti credo più. Trovati qualcun’altra da prendere in giro e smettila di fare il galante con me. E di baciarmi. La prossima volta potresti ritrovarti a rimpiangere di averci anche solo pensato.»

«La… prossima volta? Ok, io ci sto. Ti conviene stare in guardia. Come si dice “non c’è due senza tre”

«Argggh, sei impossibile» sbottò, riuscendo finalmente a riprendersi la sua coniglietta.

Diamine, come riusciva a mandarla fuori dai gangheri in pochi minuti? E se la rideva pure, mentre lei ribolliva di rabbia. Inaudito.
 
«Ragazzi che vibrazioni che emanate» constatò Rob sorridendo.

«Il tappetto ha ragione» lo spalleggiò Mark. «Mi chiedo cosa avete divorziato a fare e perchè.»

«Ma la vera domanda è un’altra. Se questo era il secondo, il primo quando è stato?» E anche Bruce s’intromise con un sorrisetto ambiguo.

Ma erano sempre stati così impiccioni? Eh, a ben pensarci… sì. Ci mancavano solo loro. Vibrazioni è? Già, omicide, nel suo caso.
 
«Ok, ok, ora basta con questo siparietto» disse Mister Turner per poi rivolgersi a lei. «La mia proposta è sempre valida. Ha intenzione di accettare? Sono sicuro che il suo aiuto qui potrebbe essere utile.»

Uffa, questa proprio non ci voleva. Si prese un minuto per rifletterci su.
 
«Miss Fluffy, tu che dici?» Interrogò la palla di pelo alzandola e guardandola negli occhi. Poi disse rivolta ai Mister. «Ci dobbiamo pensare. Perché dove vado io, va anche lei sia chiaro. Non che ne senta la necessità, ma…»

«Ma… cosa?» Le chiesero tutti.

«Potrei accettare. A determinate condizioni che discuterò con voi due» si affrettò ad aggiungere poi alzando la voce per farsi sentire, visto che tutti gridavano di gioia. «E non lo faccio per te, sia chiaro. Non pensarci e non sperarlo neanche per un momento e…»

I'll never be, never be, never gonna be, never gonna be, never gonna be…
 
«Scusate un attimo… qualcuno mi cerca. E ora dove ho messo quel coso?» Si domandò andando alla borsa abbandonata sulla panchina per frugarci dentro.

Nobody's wife. Nobody, yeah, nobody, yeah, no no no, never gonna be, never gonna be… ²
 
«Se, se, ho capito e piantala dannato aggeggio fastidioso. Sentite voi due, rendetevi utili» disse poi afferrandola e dirigendosi dai Mister che la fissavano sbalorditi.

«Che cosa… ma che…» cercò di protestare Mister Gamo, invano ovviamente.

«Lei, si prenda Miss Fluffy» disse piazzandola in mano a un Mister Turner ora sconvolto «e lei la borsa, la inclini un po’ che sono bassa io» concluse andando da Mister Gamo che eseguì in automatico.

I'll never be, never be, never gonna be, never gonna…
 
«Oh, eccoti qua. Pronto?... Che cosa… Ma no, stai scherzando? Mamma, guarda che non è divertente… Ah, cazzo che sfiga… Sì, sì, non è carino dirlo, ma dai non poteva certo vivere in eterno… Sì, le volevo bene anch’io a mio modo, ma penso che novanta sette anni e mezzo siano un bel traguardo no?... No, ok, se lo dici tu… Poteva stare qua ancora e certo, come no. Rompicoglioni com’era quella lì, sai che bello» aggiunse a bassa voce. «No, non ho detto niente se non che mi dispiace tantissssimo, dopotutto non era poi così vecchia, no? Ecco, appunto… Ma quando è successo, ci siamo viste fino a due ore fa e non… Ah, è solo da mezz’ora, roba fresca insomma. Ok, arrivo e ne parliamo. Ciao.»

«Aspetta. Novantasette… tornando indietro di cinque anni all’epoca ne aveva novantadue e… no, non dirmi che è morta la prozia Ayame» le disse Holly.

«Wow, che memoria, sono colpita. Sì, lei. Che vuoi, prima o poi doveva succedere, ma di certo nessuno si aspettava che cadesse facendo Tip Tap mentre si esercitava per un teatro di beneficienza e battesse la testa sul palco di legno. Sì, non dire nulla, lo so che a me è andata di culo» aggiunse poi vedendolo pronto a replicare «ma si vede che nella mia famiglia prima o poi capita a tutti. Qualcuno se la cava, altri no, purtroppo e a mia zia è toccato il no. Però dai, almeno è morta facendo qualcosa che amava da sempre.»

«Dio mio, ma quando sei diventata così cinica e insensibile tu. Era pur sempre una tua parente, un po’ di rispetto» l’attaccò Holly.

«Di preciso non lo so, ma posso dirti che prima del nostro matrimonio non ero così» le rispose secca, zittendolo. «Bene, ora vado dai miei, ma prima mi conviene passare al mini market a prendere fazzoletti di carta come se piovesse e pure qualche tappino per le orecchie. Mister Turner, le prometto di pensarci su e darle risposta a breve, bella o brutta che sia» disse prima di girarsi per andarsene.

Quello la chiamò e… oh, cavoli, era la solita sbadata.
 
«Cosa me ne dovrei fare di questa… palla di pelo ultra morbida?» Le disse parlando della coniglietta.

«Presto, Patty, fagli una foto prima di riprendertela. E quando ci ricapita più di poterlo ricattare in futuro» le sussurrò Mark.

Ridacchiando, recuperò la borsa e Miss Fluffy, salutò tutti e corse via
 
 
 
Dio mio, l’aveva baciata davanti a tutti. Per la seconda volta aveva approfittato di un momento di smarrimento della sua ex per incollarsi alle sue labbra che – a dire il vero – erano ancora più morbide e invitanti di come si ricordava.
Holly si ripromise che non sarebbero stati baci isolati.  

 
«Ma è sempre così?» Chiese Mister Turner al gruppo.

«E non hai ancora visto niente, collega» gli rispose Mister Gamo mentre tutti annuivano. «Se accetterà di tornare tra noi, preparati a dire addio alla tranquillità perché con Patty in giro, quella parola non esiste.»

«Ed era tua moglie, Hutton? Ma come cazzo hai fatto a fartela scappare, ma che hai in testa?» Gli chiese.

E mentre lui rispondeva…
 
«Me lo chiedo anch’io.»

Tutti gli altri esclamarono…
 
«I palloni da calcio!»

Questione chiusa.
 
«Forza scansafatiche, mi sembra che vi siete riposati un po’ troppo per i miei gusti, quindi… mettetevi in fila indiana, scansate gli ostacoli davanti a voi e poi fate un giro di campo completo. Iniziate con dieci giri a testa. Muoversi, muoversiiiiii!» Abbaiò ordini Mister Turner.

Tutti si affrettarono a obbedire. L’avrebbe fatto anche lui se…
 
«E questo cos’è?» Disse abbassandosi a prendere qualcosa per terra. «Un angelo di origami? Ma di chi… sarà di Patty, dopotutto c’era lei qui fino a poco fa» disse sperando di vederla in lontananza, ma era già andata via. Che velocità.

Per paura di romperlo mettendoselo in tasca, lo appoggiò sulla panchina.
 
«Che c’è? Trovato qualcosa?» Gli chiese Eve.

«Sì, credo sia di Patty» le rispose mostrandole l’origami particolare.

«Non l’ho mai visto, non saprei dirti. Lo prendo io e glielo ridò appena torna, perché torna, lo so» fece per allungare la mano, ma lui la bloccò.

«No, ci penso io. Lascialo qui. Non so bene perché, ma sento che devo essere io a ridarglielo.»

E sotto lo sguardo stupito dell’amica, corse in campo e si mise in fila dietro Bob. Perché Patty girasse con quell’angelo in tasca era un mistero. Un mistero che lui era intenzionato a scoprire quanto prima. Un sorriso gli spuntò sul volto. L’effetto Patty era tornato.
 
 
 
Legenda:
 
¹ Il fiore sembra galleggiare sull’acqua degli stagni, in realtà affonda le sue radici nel fondo melmoso. Questa sua struttura identifica una via verso il paradiso: nasce dal fango (rappresenta il mondo degli uomini, contaminato dalle impurità), attraversa l’acqua (il difficile cammino verso l’illuminazione) per poi affiorare e sbocciare in tutta la sua bellezza (il paradiso). Inoltre, la particolarità di aprire la corolla di giorno e chiuderla di notte, simboleggia rigenerazione e forza vitale.
 
² “Nobody’s Wife” Brano di Anouk.  Data di uscita: 1997.  Album: Together Alone Generi: Pop, Rock. 

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Capitolo 11
*** Prove di dialogo ***


Due giorni dopo e un funerale appena terminato, Patty era distrutta. Non ne poteva più. Se avesse potuto, l’avrebbe evitato volentieri, ma sua madre aveva tanto insistito che non se l’era sentita di rifiutare. Anche Nobuo era stato costretto a partecipare, non senza proteste. A quanto pare nemmeno il fatto che di lì a pochi giorni ci sarebbe stata la Festa di Primavera a scuola con gli ultimi preparativi, l’aveva esonerato.
E ora, dopo avere accompagnato quella rompicoglioni della prozia al crematorio di Tokyo, stava rientrando a casa con la sua famiglia al fianco.

«Cara, davvero non vuoi pranzare con noi, oggi?» Le chiese sua madre.

«No, te l’ho già detto, mamma. Voglio solo andare a casa da Miss Fluffy e rilassarmi. Già, relax, una cosa che, grazie a te, in questi giorni non ho potuto proprio fare. E la veglia tradizionale visto che la prozia ci credeva molto e ci teneva. E l’arrivo del sacerdote buddista. E la cena coi parenti. E il funerale stamattina. Ci mancava solo andare tutti al crematorio – luogo squallidissimo e tremendo di cui non sentivo la mancanza – creato apposta per fare morire di ansia e paura la gente» sospirò esageratamente, facendo ridere Nobuo e suo padre e alzare gli occhi a sua madre. «E poi questo pomeriggio arriva il tecnico della lavatrice, finalmente, sono stanca di andare in lavanderia. Sarà anche vecchio, ma Eve mi ha assicurato che sa il fatto suo.»

«Speriamo. Ma non è meglio che la cambi? Ultimamente ti sta dando parecchi problemi» le consigliò e poi tornò agguerrita alla carica. «Vieni a pranzo, cara. Questi giorni sono stati pesanti per tutti, ma su di te hanno avuto un effetto distruttivo mia cara» continuò imperterrita. «Si vede che sei stanca, vieni a casa con noi per qualche ora.»

«Lei te l’aveva detto che non voleva partecipare, ma tu non sei stata a sentirla. Eppure, dovevi immaginarti quanto fosse difficile mentalmente per la nostra Patty andare a un funerale. Era la sua prozia dopotutto, non una parente stretta. Bastavamo noi due. E invece hai voluto trascinarci anche i nostri figli. E ora non lamentarti se Patty è stanca, ne ha tutto il diritto» anche suo padre, solitamente taciturno, volle dire la sua alla moglie che non replicò.

«Grazie papà. Ci volevi tu» gli disse raggiungendolo per abbracciarlo. «Se proprio insisti perché non stia da sola… posso portarmi Nobuo con me. Che ne dici, fratellino, ti va di passare qualche ora con quella vecchiaccia di tua sorella?»

«Evvaiii» urlò lui «vado a casa a cambiarmi questi vestiti ridicoli e poi arrivo di corsa. Vi precedo» urlò ai genitori mentre correva via.

«Almeno lui non ha dovuto indossare il kimono. Fastidioso e triste, tutto nero e questa acconciatura così severa» disse toccandosi la testa dove i capelli erano stati raccolti in un piccolo chignon basso sul retro con due ciocche che le cadevano ai lati del viso. «Mi sento comica e non vedo l’ora di tornare me stessa. Meno male non mi ha vista nessuno a parte la famiglia o sai che prese in giro.»

Ed era vero. Nessuno l’aveva mai vista agghindata in quel modo e si sentiva a disagio, non avrebbe mai voluto mettersi così, ma a quanto pare la prozia ci teneva a certe cose e così… tutta la famiglia si era messa in tiro. Certo, era tradizione, ma neanche al funerale della sua Mairi aveva indossato il kimono, come del resto la sua famiglia. E i sandali ai piedi iniziavano a farle davvero male.
 
«Tesoro, sei bellissima, ma hai ragione, dopo un po’ questo vestiario è snervante da indossare.»

«Bene, io vado a casa o rischio che ci arrivi prima Nobuo di me. Tranquilli, dopo lo mando a scuola per ultimare i lavori di allestimento dell’aula. Ciao, ci sentiamo più tardi» e dopo averli abbracciati e baciati sulle guance, si affrettò verso casa.

E ora via, più veloce del vento. Sì, in teoria. Con quei cosi ai piedi al massimo poteva aspirare a fare concorrenza a una lumaca. Toglierli? Ma sì, perché no. Sempre meglio che rischiare le caviglie. Stava per farlo quando venne interrotta da una voce a lei fin troppo familiare ed evitò.
 
«Patty? Ma sei proprio tu?»

Ecco, la sua solita sfiga tornata prepotente. Tra tutte le persone che poteva incontrare nella sua lenta camminata verso casa…
 
«Ciao, ex marito rompiscatole. Che ci fai in giro? Libera uscita?» Gli chiese girandosi a guardarlo.

«Però, che visione!»

Clic! Eh? Ma che…
 
«Mi hai fatto una foto?»

«Mi serviva una nuova schermata home del cellulare» si giustificò.

«No, no, no, non esiste. Cancellala subito, ora, o io…»

«Stai benissimo, ma come mai… ah, già, il funerale della prozia» glissò, mettendo via quell’aggeggio infernale.

E a quelle parole di apprezzamento, suo malgrado, arrossì vistosamente. Che patetica. Ma davvero dopo cinque anni lontana da lui, era tornata a subirne il fascino?
 
«Grazie. La prozia era tradizionalista. Io, invece, non vedo l’ora di togliermeli e bruciare tutto» gli confessò.

«Vuoi una mano?»

Che sfacciato. La voleva? No, giammai. E allora perché il suo cuore era impazzito e aveva iniziato a immaginare quelle mani mentre la spogliavano lentamente? Se le ricordava tremendamente bene. Come riuscivano sempre a eccitarla solo sfiorandola e come avevano imparato a conoscere bene il suo corpo per trarne il massimo piacere. Ah, basta! Cinque anni di astinenza dal sesso e ora si ritrovava a fantasticare su loro due a letto insieme mentre… e arrossì ancora di più, se era possibile.
 
«Ci stai pensando, vero?» La provocò. «Sporcacciona. Io intendevo a bruciare tutto. Ahahah. Però, sono disponibile anche a farti da valletto personale» concluse poi sussurrandoglielo all’orecchio con voce bassa e roca.

Pericolo, Patty, pericolo! Smettila subito. Riprenditi.
 
«Comunque, per rispondere alla tua domanda… i Mister hanno insistito perché fossi io ad andare a ispezionare il manto erboso dello stadio. Hanno saputo che faccio i sopralluoghi prima di ogni partita e, infatti, ne farò un altro il giorno prima. Ma nel frattempo…»

«Vogliono informazioni extra, buona idea. Allora, buon lavoro, ciao.»

«A… aspetta» la bloccò lui «senti, visto che ho un paio di ore libere e ce ne metterò solo una per controllare l’erba, che ne diresti di… em, sì, passare quella rimanente insieme. A parlare. Ne abbiamo bisogno, lo sai tu come lo so io.»

Un appuntamento col suo ex, in pratica. Incredibile. Si aspettava davvero che accettasse? Be’, poteva anche farlo, ma…
 
«Vero, ma non posso. Aspetto Nobuo per pranzo. Mi dispiace. Ciao.»

Ecco fatto. Come rimettere l'ex al suo posto. E allora perché le dispiaceva? E molto anche.
 
«Ok, ok. Dimmi solo una cosa prima di scappare via. Hai deciso di accettare l’offerta di Mister Turner?»

«Tu cosa vorresti che facessi?» Gli domandò a bruciapelo, spiazzandolo.

«Io? Ah, lo sai, ma qui non si tratta di me e non vorrei influenzarti.»

«Quindi, se io dicessi di sì, a te andrebbe bene? Intendo avermi attorno tutto il giorno.»

«Sinceramente?» Le chiese. «Non scherzavo l’altro giorno quando ti ho confessato il mio amore, Patty. Non so ancora perché hai voluto questo divorzio, ma quello che so è che non ero d’accordo allora e vorrei poterlo cancellare via adesso. Quindi, sì, averti vicina e a disposizione mi piacerebbe molto.»

«Sei serio? Holly, dai.»

«Serissimo. Voglio essere sincero con te. Ti rivoglio nella mia vita e questa volta per sempre. Io ti amo e non ho mai smesso di farlo. Starti lontano è stata dura e non sai quante volte ho pensato di prendere un investigatore privato per venirti a stanare ovunque fossi. Ma non potevo. C’era un provvedimento del giudice che pendeva sulla mia testa e, per quanto lo odiassi, dovevo rispettarlo. L’ho capito solo dopo un po’ e solo dopo avere parlato con il mio allenatore. Ma non ti ho mai dimenticata e non ti ho mai tradita e…»

«Ahahah. E ti aspetti che ci creda?» Lo provocò.

«Ma… ma sì, certo. Patty, tu sei sempre stata l’unica per me e sempre lo sarai e non riesco a immaginarmi a… a uscire con un’altra e a fare l’amore con una che non sia tu.»

«Ahahah, bugiardo» l’accusò.

Ops, le era scappato. E ora perché la guardava così?
 
«Cosa? Cos… oddio, è questo, vero? Tu credi che io… oh, no. Perché diamine non me ne hai parlato.»

«Dunque, se a te sta bene, io tornerei, ma non più come capo manager. Maki sta facendo un ottimo lavoro da quello che ho visto, al massimo potrei darle delle dritte.»

«Patty, non cambiare discorso. Ti conosco, lo fai quando vuoi nascondere qualcosa. Hai davvero creduto che io ti tradissi – con chissà chi poi – e ti sei liberata di me.»

Ma perché anche lui le rinfacciava di essere scappata da lui. Sapeva cosa aveva visto e questo doveva bastare, doveva.
 
«Non è il posto migliore per parlarne questo. Senti, facciamo così, fammi cambiare e poi vengo con te allo stadio, parleremo lì. Aspettami al parchetto qua vicino. Devo solo chiamare Nobuo per dirgli di passare un po’ più tardi e…»

«No, non sacrificare il tempo con tuo fratello per me. Lo so bene io che sono riuscito a farmi odiare dal mio e ora è dura rimediare. Ho tante cose cui fare ammenda e la prima sei tu, Patty. Tu e il modo ignobile in cui ti ho trattata. Se solo avessi guardato oltre il calcio…» sospirò. «Ma ci sarà tempo per parlarne. Ti prego solo di farci sapere presto la tua risposta perché i Mister ci contano e vorrebbero averti tra noi quanto prima. Con Miss Fluffy, ovvio.»

«Contaci, sì» gli rispose prima di girarsi per andarsene. «Allora, ciao e…»

E sbam! Ma che cazzo… no, non di nuovo, non in sua presenza, non…
 
«Patty, Patty, Patty… ti piace proprio tanto finire tra le mie braccia, vero?»

Ehhh? Ma che diamine… Solo allora aprì gli occhi. Non era caduta. Era stata presa al volo da Holly che con un braccio le circondava la vita e ora la stava fissando da troppo vicino. Troppo, troppo, troppo vicino.
Pum, pum, pum, pum, pum!
Toc, toc. Chi è? Il tuo cuore. Il tuo cuore cosa? Il tuo cuore che sta per saltare fuori dal petto. E perché lo fa? Perché Patty, è meglio non saperlo.

 
«Ti si è rotto un sandalo. Ah, quei cosi sono delle trappole. Dove abiti?»

Ehhh? Cooosaaa? No, no, no, ma sta scherzando, vero?
 
«Non lo saprai mai nemmeno sotto tortura» gli rispose cercando di riprendersi.

«Io non ti lascio da sola in mezzo alla strada con un sandalo rotto, no.»

«Devi andare al campo, hai un compito da svolgere» gli ricordò.

«Ho due ore libere, te ne sei dimenticata? Ho tempo. Ora dimmi dove abiti o giro a vuoto per tutta Nankatzu con te in braccio fino a che non ti stanchi e me lo confessi, a costo di metterci tutto il giorno.»

Cocciuto. Esasperante.
 
«Tra poco arriva mio fratello e se ti trova lì… be’, non gli stai molto simpatico, ecco» provò ancora.

«Ci sono abituato. E dunque, dove hai detto che devo portarti?» Recuperò il sandalo rotto, le sfilò quello sano e glieli diede in mano, poi la prese in braccio.

Le venne spontaneo lanciare un urletto sorpreso.
 
«Ma… ma che fai, stupido. Mettimi subito giù» provò a replicare.

«Certo, ma solo una volta dentro casa tua. Prima mi ci porti e prima ti accontento. Allora, hai detto dritto, giusto?» E si avviò senza attendere risposta.

Come, dritto? Ma aveva davvero intenzione di portarla a spasso per la cittadina… in bracciooo?
 
«Parla o faccio di testa mia. Ti avviso che terminata la via, vado a sinistra e poi...»

Era matto. Non stava scherzando. No, non poteva permetterglielo. E così a malincuore…
 
«Gira qua, a destra e poi…»

E lo portò nella sua casetta. Cazzo.
 
 



 
Holly non poteva credere alla sua fortuna. E si stava divertendo un mondo. Non si era aspettato di incontrare Patty in giro, ma doveva ammettere di avere detto ai Mister una bugia. Aveva detto che gli servivano un paio d’ore per l’ispezione e solo perché voleva andare a cercare dove abitasse la sua ex e invece… la fortuna gli era caduta letteralmente davanti.
E ora stava andando a casa sua. Con lei in braccio. Patty era tremendamente sexy, anche vestita a lutto in abito tradizionale. E benedetto fosse il sandalo che l’aveva lasciata a piedi.

 
«Ti presento casa mia. Ora puoi anche mettermi giù e andartene, grazie.»

Eh? Erano già arrivati? Holly guardò la piccola casa che aveva davanti a sé e… se ne innamorò. Cavoli, era stupenda. Piccola, intima, magnetica. Capiva come mai Patty l’avesse comprata. Aprì il cancelletto con il fianco – visto che non era chiuso bene – e si piazzò davanti alla porta, lanciando brevi occhiate ammirate al giardinetto.
 
«Non sapevo che avessi il pollice verde, complimenti.»

«Ci sono tante cose che non sai di me, Holly» gli rispose. «E ora ciao. Sono a casa. Sto bene. Sono al sicuro, quindi grazie per il breve passaggio, ma…»

«Potresti avere una storta alla caviglia. Me ne andrò solo dopo essermi accertato che stai veramente bene.»

«Aaarghhh, testone dispotico» gli disse facendolo ridacchiare. «E va bene, fammi solo cercare le chiavi e…»

«Ottima scelta, mia cara» le rispose prima di baciarla sulla fronte «fai pure con calma è?»

Ahia, che occhiataccia e che pizzicotto al braccio. Ok, doveva smetterla di provocarla, ma era più forte di lui.
 
«Hai fatto? Ho sopravalutato la mia forza e inizi a pesare.»

«Che carino. Grazie per avermi detto che sono grassa. Se solo mi mettessi giù… non dovresti fare tutta questa fatica. Mi hai piazzato i sandali in mano e ora devo spostarli o non posso frugare nella borsetta, quindi sopporta e taci.»

«Buttali a terra, te li recupero io. No, davvero ora... sbrigati che pesi. E non sei grassa. Sei formosa e morbida nei punti giusti.»

Holly la sentì protestare con versi inarticolati e frasi sussurrate che, ne era sicuro, erano indirizzate tutte a lui. Il che lo fece ridere. E poi, finalmente…
 
«Wow. Patty, ma… è fantastica. I colori, il parquet, i mobili. Ma… hai il giardino anche dietro? Fantastico. Vedo che alla fine hai realizzato il sogno della cucina aperta. È tutto così luminoso qua dentro. Sei tu, questa.»

«Ha parlato l’agente immobiliare. L’ho già comprata la casa, ma grazie per il tuo parere tanto entusiasta. Non che faccia la differenza, ma fa sempre piacere sentirselo dire. Sì, è bella e speciale. Lo so, l’ho arredata io. E ora mettimi giù. Sul divano.»

E lui lo fece. La sistemò meglio e si sedette accanto a lei per controllarle la caviglia.
 
«Tutto a posto, ma non sforzarla troppo almeno per oggi.» decretò. «Una volta eri tu a curare e fasciare le mie» le ricordò poi facendola sorridere.

«Mi hai fatto preoccupare molto con i tuoi infortuni» gli rispose. «Liberi Miss Fluffy? È nel suo gabbione, apri ed esce da sola e già che ci sei, guarda se ha mangiato il fieno che le ho messo e bevuto l’acqua, era piena la ciotolina. Ah, vicino al microonde ho lasciato una busta con dentro le carote, passamene una e c’è anche una ciotola con delle foglie di radicchio rosso. Lavale e asciugale bene, poi rimettile lì dentro e porta qua. Appoggia sul tappeto.»

«Sì, capo, spero di ricordarmi tutto» le disse mettendosi all’opera. «Fieno finito, acqua a metà, mi sa che ha fatto qualcosa perché la lettiera è sporca e ora la verdura.»

Cavoli, non pensava fosse così difficile occuparsi di quella palla di pelo che ora girava per casa. Poco dopo, era sul tappeto davanti al divano a guardare Miss Fluffy dedicarsi al cibo, era quasi comica.
 
«Quindi non è sempre dentro la gabbia?» S’informò.

«No, no. Solo quando non ci sono o non posso controllarla direttamente sai, durante la notte o mentre mi faccio una doc… em, mi lavo.»

Ed ecco fatto. Il suo cervello era partito per vari lidi più intriganti. Di preciso ora stava comodamente spiaggiato in una visione che vedeva una Patty tutta nuda mentre... scacciò quel pensiero o sarebbe stato difficile nascondere un certo movimento alle parti basse.
 
«Capisco» si limitò a dire, arrossendo un poco. Si schiarì la voce. «E dunque, ora so come mai mi hai mollato su due piedi. Un’amante. Non capisco come ti sia potuta venire un’idea del genere.»

«Un’idea? Un’idea, dice lui» gli rispose seccata. «Non era un’idea. E poi stento a credere che tu non abbia frequentato nessuno dal nostro addio.»

«E tu?» Le domandò con apprensione. «L’hai fatto? Una bellezza come te attira gli uomini come mosche.»

«Se ti dicessi di sì, che faresti? Andresti a cercare il mio spasimante e lo picchieresti?»

«Come minimo» rispose lui senza esitazione guardandola, la voce dura. «Come si chiamava?»

«Che violento. Cosa ti fa pensare che sia passato. Potrei frequentarlo ancora, che ne sai.»

No, non gli piaceva la piega che stava prendendo quella discussione. Doveva indagare. Eppure… qualcosa nello sguardo di Patty lo mise in guardia.
 
«Io non credo che questo tizio esista. No, no. O non avresti risposto ai miei baci. Ti conosco. Tu non sai mentire. Non esiste lui, come non esiste la mia fantomatica amante.»

«Ahahah, bella questa. Ebbene, dimmi ora, come ci si sente ad avere un tarlo in testa che non ti lascia mai?»

Colpito e affondato.
 
«Patty, credimi, come potevo tradirti quando il mio cuore era impegnato con te e tutt’oggi lo è.»

«Tu hai spezzato il mio, in molti modi e ancora è a pezzi. Pezzi che fanno male e sanguinano. Dovevo andarmene, capisci? Non potevo più rimanere tua moglie. La mia fiducia in te era venuta meno.»

«Non capisco. Però capisco di non essere stato un buon marito. Mi dispiace. Quando mi hai chiesto il divorzio… mi sono sentito un fallito. Ti ho lasciata andare, ti ho accontentata, ma è stata la cosa più difficile, ingiusta e orrenda che abbia mai fatto in vita mia. Mi sono ripromesso di ritrovarti e riconquistarti. Sono passati tanti anni, ma la penso ancora così e nessun provvedimento mi fermerà più, sappilo. Ho già perso troppo tempo lontano da te, troppo» le disse prendendo una mano nella sua. «Non mi credi, vero?»

«Holly, io ti ho visto con quella» gli confessò. «Come faccio a credere in quello che mi dici, me lo spieghi? Dicevi di amarmi, ma non me lo dimostravi mai. In compenso ti trastullavi con un’altra e non lo nascondevi ai tuoi compagni. Loro guardavano male me, ma se la ridevano con lei e tu gli davi corda. A casa eri assente per il novanta per cento del tempo e quando c’eri la tua testa era via. Non eravamo più sposati da un pezzo, era solo arrivato il momento di renderlo ufficiale.»

Ehhh? Ma che… ma davvero Patty credeva che lui l’avesse tradita? E l’aveva visto? Stava scherzando, vero?
 
«Quando mi avresti visto e dove?»

«Non ha importanza.»

«Oh, sì che ne ha, eccome. Prima mi sganci una bomba del genere e poi fai la vaga? Eh, no, cara, ora tu mi dici tutto. Ho il diritto di sapere perché da un giorno all’altro mi sono ritrovato una moglie che mi chiedeva il divorzio.»

«Devi andare a controllare il campo, ricordi?»

«Chi se ne fotte dell’erba del campo da calcio, Patty» sbottò. «Posso sempre mentire ai Mister e dire che era chiuso e non c’era nessuno. Ora mi preme sapere cosa cazzo hai visto e perché ti sei convinta di una cosa del genere che ti ha portata a escludermi dalla tua vita. Siamo io e te, Patty. Me la devi questa verità.»

E gliela doveva davvero. Aveva passato cinque anni a struggersi per Patty; per il fatto che non sapesse più dove fosse; per il fatto che non capisse il perché di quel taglio drastico. E ora… e ora lei gli diceva che non era importanteee? Era senza parole.
 
«No, davvero, dovresti andare. Sono stanca. E tra poco arriva Nobuo.»

«È ancora presto, ho due ore libere da riempire, ricordi? Ed è passata solo mezz’ora da quando sono uscito dal ritiro» disse guardando l’orologio a parete.

«Holly, sei esasperante.»

«E tu sei misteriosa. Sai bene che so anche essere pressante e che non mollo la presa fino anche non ottengo quello che voglio. In questo caso, una spiegazione. E dunque, dicevi?»

Holly sapeva di avere aperto il Vaso di Pandora, ma prima o poi andava fatto. Serrò la presa alla mano di Patty, si avvicinò di più e attese.
 
 



 
Ehhhhh? Era uno scherzo, vero? Un brutto, brutto, bruttissimo scherzo. Daichi era senza parole e con lui anche Nobuo lì a fianco.
L’aveva incontrato per caso mentre tornava a casa dopo avere terminato di allestire La stanza degli orrori per la Festa di Primavera ed era stanco. Per quel giorno la sua classe aveva finito e si erano concessi il pomeriggio libero. Con la scusa di avere una riunione con la squadra di calcio, era andato via prima di mezzogiorno. Sì, aveva fatto una breve visita al club, ma non c’era nessuno, ovviamente e così si era diretto verso casa. E aveva incontrato un Nobuo insolito.
 
«E così, mentre tutti sgobbavano a scuola, tu eri in giro a divertirti. Bene, bene, bravo» lo aveva canzonato.

«Uh, ecco il rompiscatole» aveva risposto lui guardandolo. «Non sono affari tuoi dov’ero, ma se proprio vuoi saperlo – così mi libero in fretta di te – ero a un funerale, sai che divertimento e ora sto correndo da mia sorella che mi aspetta a casa sua per pranzo.»

«Oh, mi spiace molto, non lo sapevo. Posso venire con te? Non l’ho più vista dal giorno della nostra improvvisata da lei e poi ho fame.»

«Cos’è, tua madre si rifiuta di cucinarti qualcosa? E poi… cavoli, ma che ci fai in giro tu, non dovresti essere a scuola?»

«Abbiamo finito e ci siamo concessi qualche ora di libertà. Domani controlleremo tutto da capo e poi la nostra aula sarà ufficialmente pronta, anche se qualcuno si è dimenticato – diciamo così – di chiedere un rinvio dell’ispezione, vero? Al mattino le ragazze daranno gli ultimi ritocchi ai costumi, così poi nel pomeriggio saremo pronti in tempo per accogliervi e avere il vostro ok. Caro membro del consiglio scolastico.»

«Voglio sperare. Bene, dammi quindici minuti e poi andiamo da Patty. Dai seguimi, non vorrai aspettarmi in mezzo alla strada.»

«Ok, avviso mia madre di non prepararmi nulla» gli aveva risposto prima di andare con lui, tutto contento e grato per quella piccola fortuna che aveva avuto.
 
Ed ecco perché erano lì, insieme, fuori dalla porta di Patty. Muti. Sconvolti. Increduli.
Una domanda che aleggiava tra di loro… Che cosaaaaaaaaaa? 

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Capitolo 12
*** È uno scherzo, vero? ***


«Cosa fai… sei matto?» Gli sussurrò Daichi.

«Entro, non vedi? Quei due ci devono delle spieg… aaarhg. Fermatiii. Smettila di trascin…»

«Sta un po’ zitto e abbassa la voce, cazzo. Vuoi che ci scoprano?»

E niente, Daichi era impazzito. Lo aveva trascinato per tutta la via e solo quando erano arrivati al parchetto lì vicino si era deciso ad affrontarlo, ma fu lui a batterlo sul tempo e parlare per primo.
 
«Che cazzo ci fa tuo fratello in casa di mia sorella. E che volevano dire con quelle frasi. Ho… no, abbiamo il diritto di sapere la verità.»

«Sono sconvolto quanto te, Nobuo, ok? Cazzo se lo sono. Ma non possiamo irrompere lì dentro e dire loro che sono due pezzi di merda – sì, entrambi – per avere mentito a tutti sul loro divorzio. Ti pare?»

Oh, era esattamente quello che voleva fare. Il fatto che Daichi gli leggesse ancora nella mente lo spiazzava. Solo allora vide le loro mani ancora unite.
 
«Mollami subito» gli disse strattonando il polso che l’amico gli aveva preso per portarlo via e che ancora non gli aveva lasciato. «Dobbiamo tornare indietro e interrogare quei due sul perché ci hanno mentito per tutto questo tempo.»

Nobuo si liberò dalla presa, ma fece appena in tempo a percorrere qualche metro che fu di nuovo bloccato da Daichi che gli aveva sbarrato la strada allargando le braccia.
 
«No!» Sbottò «O meglio, non ora, ma più avanti sicuramente. Senti, Nobuo, anch’io vorrei entrare lì dentro e sapere tutta la verità sul divorzio di quei due, ma non capisci che prima si devono chiarire tra loro? E comunque non fa differenza aspettare ancora qualche giorno. Conosco quell’idiota di mio fratello. Non parlerà. Più gli si fa pressione per sapere qualcosa, più lui si chiude e tace.»

«Mia sorella è talmente orgogliosa che farebbe la stessa cosa» ammise con una certa riluttanza. «Ah, come si sono incasinati la vita quei due.»

«E come l’hanno incasinata a tutti, aggiungo. E sono sicuro che Holly non l’abbia tradita se non con il calcio» aggiunse infine con decisione.

Dannazione. Quanto odiava dare ragione a Daichi. Si ricordava bene quanto si amassero quei due e credere a un tradimento… non ci riusciva proprio. Poteva anche odiare il suo ex cognato, ma poteva metterci la mano sul fuoco che sua sorella aveva frainteso qualcosa e si fosse fatta i suoi soliti film mentali dovuti alla gelosia per Holly.
Solo che questa volta c’era andato di mezzo un matrimonio, il loro. Guardò Daichi in attesa di una sua reazione. Certo che dava del cocciuto a Holly, ma neanche lui scherzava.
Prese il cellulare, trasse un profondo respiro e chiamò. Prima che Patty rispondesse, quel rompi… Daichi, gli aveva attivato il vivavoce. Lo guardò male, ma non lo tolse.

 
«Sorellooonaaa, scuuusa, ma non posso venire da te a pranzo.»

«Cheee? Ma come, eri così felice. È successo qualcosa?»

«No, niente. Ho solo incontrato Daichi e visto che sono nel consiglio scolastico mi ha bloccato con mille domande sulla Festa di Primavera e così… ti spiace se vado a mangiare un boccone con lui prima di tornare a scuola?»

«Affatto. Sono così contenta che siate tornati amici, te l’ho già detto? Be’, pazienza, te lo dirò tutte le volte che vorrò. Divertitevi.»

«Em, sorellona, tutto bene? Ti sento strana. Sicura che non ti dispiace? Perché posso sempre mandarlo a quel paese e correre lì, ci metto un attimo. Praticamente è come se fossi a pochi passi da casa tua.»

«No, tranquillo. Non preoccuparti per me, sto bene, sarà la stanchezza. Ah, ah, ah. Troppe emozioni concentrate in poco tempo. Fortuna c’è Miss Fluffy con me a ricaricarmi le pile. Peccato però, volevo prepararti il tuo piatto preferito. Be’, sarà per la prossima volta. Per adesso… peggio per te.»

«Ma… ma… e mi lasci con l’acquolina in bocca? Sei perfida Patty, perfidissima, sappilo.»

«Le sorelle maggiori possono esserlo, sappilo tu. Gne, gne, gne» gli rispose lei. «Salutami Daichi e digli che lo aspetto un giorno di questi, magari a festa conclusa, ok? Ciao Nobuo, a presto. Non mangiare troppo che poi ti addormenti e per svegliarti ci vuole un tir carico di campane che suonano all’unisono. Quando dormi sei peggio di un orso in letargo che russa.»

«Lo farò e… ehi, non ridere tu» disse poi rivolto all’amico. «Scusa, ma devo andare a strozzare qualcuno adesso. Ciao Patty, vado che ho una fame tremenda e grazie a te dovrò rimediare con piatti che mi facciano dimenticare la tua cucina e non sarà facile. Pazienza. Ma dovrai rifarti molto presto. Tanto offre Daichi oggi quindi ne approfitto. Bye bye» e poi mise giù. «Soddisfatto? Niente incursione per oggi.»

Oh, sì che lo era, glielo leggeva in volto benissimo. Daichi non riusciva mai a celare le emozioni e per lui, che lo conosceva bene, era un libro apertissimo.
 
«Ma tu pensa, ti perdo di vista per qualche tempo e mi diventi un bugiardo incallito. Sono impressionato. Ti meriti tanti applausi, sappilo» lo prese in giro battendogli le mani. «Ti vanno un paio di tramezzini?»

«Cosa? Tramezzini? Eh, no, non te la caverai così a buon mercato. Tu mi hai fatto saltare un pranzetto squisito per dei miseri tramezzini? Scordatelo.»

«Ehi, non sono Re Mida io» si difese quello alzando le mani. «Non è che disponga poi di così tanto denaro, accontentati, no?»

«Ah, non mi interessa. O dai fondo ai tuoi risparmi, o torno sui miei passi e irrompo in casa di Patty e li metto all’angolo da solo. Cosa scegli?»

«Ricattatore» lo apostrofò Daichi. «E comunque, sappi che non ho intenzione di tornare a scuola per oggi. Ci siamo guadagnati il riposo prima della tempesta e tu non me lo rovinerai.»

«E invece sì. Me lo devi» lo sfidò. «Allora, io penso che ordinerò… un Takoyaki ¹, un Okonomiyaki ², una Yakisoba ³, un…»

«Ehi, ferma, ferma, per dolce niente? E da bere? Già che ci sei ordina tutto il menù che fai prima.»

«Posso davveeerooo? Oh, graaande Daichi, grazie» gli rispose.

Silenzio? Oddio, l’aveva sconvolto? Si girò – visto che nel frattempo era andato avanti rispetto a lui – e lo fissò. Ops, quello sguardo torvo non prometteva nulla di buono, proprio no.
 
«Em, Nobuo?» Gli disse infatti con voce ambigua.

«Sììì?» Rispose lui indietreggiando piano.

«Se ci tieni alla pelle ti conviene correre. Veloce. Molto veloce.»

E lui lo fece perché quando Daichi era arrabbiato, era meglio stargli alla larga.
 
 
 



 
«E così, alla fine Nobuo ti ha dato buca… per mio fratello.»

Si era appena conclusa la telefonata di Patty con Nobuo e ora l’aveva ufficialmente tutta per sé. Meglio.
 
«Già. Sai com’è, preparare tutto per la Festa di Primavera non è una passeggiata e Nobuo fa parte del consiglio, ha più responsabilità rispetto agli altri, ma gli piace e lo fa volentieri. Ora poi che manca veramente poco al suo inizio… uff, è ko.»

«Daichi odia essere messo sotto pressione. Mia madre dice che si sta divertendo molto, ma io non ne sarei poi così sicuro. Lei è sempre ottimista. Speriamo non abbia avuto problemi con l’allestimento dell’aula perché manca pochissimo se non mi sbaglio.»

«Pochi giorni ancora all’inaugurazione, sì.»

«E quando quei due hanno ricominciato a parlarsi?» Indagò.

«Mah, da poco a quanto pare. Qualche giorno fa si sono presentati qui insieme e non ti nascondo che ne sono stata felice. Il nostro passato non doveva riflettersi su di loro, eppure…»

«L’ha fatto» concluse lui, sospirando.

Era stato bello sentire Daichi ridere così apertamente. Con lui non lo faceva più. Gli mancava la risata di suo fratello. L’aveva sentita per caso, perché Patty aveva attivato il vivavoce per sbaglio e lui le aveva fatto cenno di lasciarlo.
 
«Aspetta un attimo, Daichi è stato qui? E quando di preciso? Non me l’ha detto. Ma in fondo poi di cosa mi stupisco, ormai mi parla solo per lo stretto necessario.»

«Dagli tempo e sono sicura che il vostro rapporto migliorerà. Cosa volevi sapere? Ah, sì, è passato di qua con Nobuo prima della partita e mi ha invitata a vederla. Non sono riuscita a rifiutare» gli confessò.

Ed ecco spiegato perché Patty era allo stadio quel giorno. Ah, caro Daichi, ci hai tirato proprio un bello scherzo e noi ci siamo caduti in pieno. Altro che faccino innocente. Innocente un cazzo!, pensò.
 
«Ma tornando a noi…»

«Sul serio Holly» l’interruppe lei «devi andare allo stadio per controllare che l’erba sia a posto. Non mi piace che menti ai Mister e a tutti per me, no.»

«Se me ne vado, sono sicuro che tu eviterai di tornare sull’argomento ed è troppo importante per lasciare correre così, capisci? Quindi, se ti prometto di non insistere e di compiere questa missione, parli?»

Patty gli fece attendere la risposta, ma alla fine annuì. Alleluia!
 
«Bene. Dove mi avresti visto con questa tizia?» Le domandò a bruciapelo.

«Mi mancavi. Io volevo solo vederti e… parlarti, anche solo per dieci minuti. E così… decisi di raggiungerti al ritiro.»

Cavoli, questa proprio non se l’aspettava. E quindi Patty era andata a trovarlo. L’idea di vederla lì a sorpresa, gli sarebbe piaciuta molto. Ma come mai lo scopriva solo adesso?
 
«Al ritiro? E come mai io non ti ho visto?» Le chiese.

«Ah, come mai mi chiedi. Penso avessi la visuale bloccata da quella poco di buono che ti stava appiccicata al braccio.»

«Appiccicata al braccio? Sei sicura che fossi io?»

«Smettila di ripetere le cose che ti dico. Sì, eri tu. Eri tu, cazzo! Come potevo confondermi quando eri l’unico giapponese lì dentro. Ci vedo benissimo io, fin troppo bene a dire il vero. Ridevi tu. Rideva lei. Ridevate tutti a dire il vero. Eravate patetici. Ero lì, vicinissima a tutti voi, ma nessuno mi ha vista, presi com’eravate da quella là. Ah, come deve esservi sembrato bello non avermi tra i piedi, vero? A tutti, intendo. A voi due che così potevate non nascondervi da me e a loro che finalmente si erano liberati di me.»

«Patty, non so che dire.»

«Niente, Holly, non c’è nulla da dire. Era chiarissimo come il sole che io ero solo un ostacolo alla vostra relazione. Nessuno dei tuoi compagni si è mai degnato di nascondere la sua antipatia verso di me. Nessuno! Dimmi un po’, quando abbiamo divorziato… avete festeggiato?»

Questa poi. Ma cosa stava blaterando. I giorni seguenti alla loro rottura lui era stato intrattabile. Durante il giorno era sempre nervoso, ma iper attivo e concentrato sugli allenamenti o sarebbe impazzito, letteralmente. Le notti erano lunghe, tristi e non riusciva a dormire se non per poco più di quattro ore. Un sonno movimentato, naturalmente. E questo contribuiva al suo nervosismo diurno. Insomma, aveva rischiato seriamente di essere ricoverato in psichiatria. Per non parlare poi del fatidico giorno in tribunale. Come poteva Patty pensare a una festa.
 
«Stai scherzando, vero? Ho vissuto un inferno senza di te, Patty. Dal primo giorno. E tu ora mi accusi di… di avere sbandierato una mia fantomatica amante a tutti e di avere festeggiato persino il nostro divorzio? Ma per chi mi hai preso?» Sbottò lasciandole la mano e alzandosi di colpo.

«Per uno che non amava più sua moglie al punto da ignorarla completamente» gli rispose lei in tutta calma. «Dopotutto, caro il mio ex marito, persino al tuo allenatore non andavo a genio e non ne ha mai fatto mistero.»

Cooosaaa? E quella novità da dove saltava fuori ora. Cosa c’entrava l’allenatore adesso.
 
«Oh, ma per favore. Non mi vorrai dire che Mister Edward… No, non posso crederci. A lui interessa solo l’aspetto sportivo dei suoi calciatori, non certo la loro vita privata.»

«Davvero? Oh, ma che strano. E allora quando mi disse… “Signora Hutton, lei è solo un fastidio per suo marito. Gradirei che non interferisse con la sua carriera, tantomeno che lo distraesse.” Stava solo scherzando. Stupida io ad avere travisato le sue parole.»

Che cooosaaa?
 
«No. Lui non direbbe mai una cosa del genere» affermò con sicurezza.

«Se non credi a me, non ti resta che telefonargli» ribatté lei «e già che ci sei chiedigli anche perché la stessa cosa non valeva per le altre mogli e fidanzate. Io non l’ho mai fatto perché giuro che la sua faccia e il suo sorrisetto di superiorità mi davano talmente ai nervi – e non ti immagini neanche quanto – che avrei voluto cambiargli i connotati. Ti avrà anche reso un bravo calciatore, ma ti ha reso anche cieco e troppo pieno di te stesso» gli rinfacciò.

Cazzo, quella filippica non se l’aspettava. Non aveva voglia di litigare. Non fece nemmeno in tempo a pensare a una risposta che Patty continuò, inarrestabile come un fiume in piena.
 
«Sei bravo solo tu, sei forte solo tu, sei indispensabile alla squadra solo tu. Tu, tu, tu, sempre e solo tu. Ti ha fatto dimenticare la gioia che provavi a giocare a calcio. Il tuo amore per questo sport. Il tuo altruismo verso i compagni di squadra. Ha distrutto tutto quello che eri e amavo, per costruire un cretino ai suoi ordini che – ci scommetto – ancora oggi non prende più l’iniziativa in campo e segue alla lettera le sue direttive. Ma non ti vergogni? Non ti fai pena da solo? Non provi neanche un briciolo di orgoglio? Non sei stanco di essere il suo burattino personale? Non ti fai schifo?» Gli urlò contro, lo sguardo duro.

Ora sì che era veramente a corto di parole. Imperterrita, Patty aveva continuato a dargli contro e non dava segno di pentimento. Cosa poteva replicare. Che non era vero? Che lui era sempre quello di prima solo più maturo?
Improvvisamente le parole di Daichi gli tornarono alla mente e sbiancò un poco.
 
«“Il signorino qua gioca solo per se stesso. Che diamine ti è successo? Una volta non eri così. Ti divertivi, non ti stancavi mai, era la tua passione”… “Tu non eri solo il leader della squadra, eri anche il trascinatore, colui su cui tutti potevano contare. Vivevi per la squadra. Vivevi per questo sport meraviglioso. Mentre ora? Cos’è il calcio per te, ora, fratellone?”»
 
Oh. Mio. Dio. Ma davverooo? E ora che ci pensava, anche i suoi amici gli avevano detto più o meno le stesse cose.
Cos’era il calcio per lui? Era qualcosa che lo aveva fatto allontanare da sua moglie. In primis. E poi… e poi… e poi? Oddio da quant’era che non sapeva rispondere a quella domanda così semplice.
Decise di non pensarci più per il momento. Ora aveva un’ultima domanda da porre a Patty.

 
«Descrivimi questa tizia.»

«Ehhh? Mi prendi per il culo? Lo sai benissimo.»

«Tu dimmelo» insistette «e poi ti dico io se lo so o meno.»

Holly vide Patty serrare le labbra in una linea dura e socchiudere gli occhi. Dentro di lei sicuramente lo stava mandando a fanculo, ma lui non aveva intenzione di mollare.
 
«Se proprio ci tieni e insisti…» gli disse una volta riaperti gli occhi.

«Ci tengo e insisto» le confermò.

Prima di rispondere, Patty si prese del tempo. Tempo che usò per scendere dal divano e andare al bagno da dove ne uscì in tuta circa dieci minuti dopo. Holly stava per perdere la pazienza, quando lei si decise a parlargli di nuovo, il tavolo della cucina tra di loro e le braccia conserte, tutti indizi che gli facevano capire di tenersi a distanza da lei.
 
«Mi hai chiesto com’era quella tizia. Ok, te lo dico, ma tu vedi di fare mente locale perché la storia che non la conosci, non me la bevo proprio» lo mise in guardia e poi riprese. «Alta, magra come un chiodo, capelli neri lunghi e lisci fino al sedere, tacchi vertiginosi che la rendevano ancora più alta, pantaloni, color porpora, camicetta bianca e giacca sempre porpora. Dimentico qualcosa?» Si chiese poi da sola. «Ah, sì, quando si è tolta la giacca per arrotolarsi le maniche è comparso un tatuaggio colorato molto esteso, em… rose, gialle, con il gambo.»

Caspita, che precisione e che memoria.
 
«Come faccio a ricordarmi tanti dettagli così bene?» Proseguì leggendogli nella mente. «Te l’ho detto che ero vicina. Ma ti ho anche detto che nessuno di voi poveri idioti, mi ha vista nonostante fossi lì. Come sarà mai stato possibile? Ah, già, la spilungona aveva manipolato la vostra totale attenzione. Ora puoi andartene? La porta sai dov’è.»

«Perché eri venuta al ritiro? Non l’avevi mai fatto prima» insistette.

Non aveva intenzione di mollare fino a che non avesse saputo tutta la verità.
 
«Ti ho già detto anche questo. Mi mancavi. Anche se per te non contavo più nulla, ero pur sempre tua moglie. Pensai di fare una cosa carina. Volevo farti una sorpresa e invece… l’hai fatta tu a me.»

«No, c’è sotto qualcosa d’altro. Tu non sei mai stata il tipo da fare sorprese. Cosa mi nascondi, Patty? Cos’era successo per spingerti a tanto? Perché volevi vedermi a tutti i costi?»

E lì, Holly poté giurare di vedere Patty sussultare e i suoi occhi inumidirsi. Stava per piangere? Nonononono. Fece per avvicinarsi, ma lei lo bloccò.
 
«Vai. Ora!» Gli intimò con voce dura. «Buona ispezione del campo e buon rientro al ritiro. Dì pure ai Mister che tornerò. Sono stanca e provata da questi giorni tristi. Ho bisogno di riposare e ricaricare le pile. Ci vediamo tra qualche giorno, chiamo io Mister Gamo per concordare tutto.»

Cosa poteva aggiungere? Era evidente che Patty fosse scossa e che l’avesse liquidato su due piedi. È vero, avrebbe potuto insistere, ma vederla così… l’aveva fatto desistere. Per il momento.
Era già alla porta, quando improvvisamente si ricordò di una cosa e tornò indietro. Patty era ancora ferma immobile dove l’aveva lasciata, si tormentava le mani con fare nervoso e fissava il vuoto con occhi spenti.

 
«Ti è caduto quando sei passata a trovarci. Ho pensato che per te fosse importante. A presto allora. Riferirò il tuo messaggio. Ciao.»

L’angioletto di origami era tornato a casa.
 
 



 
Era importante. Cavoli, se era importante.
Patty avrebbe voluto bloccare Holly e dirgli tutta la verità, ma non poteva. Non ancora.  Era troppo presto. Una rivelazione del genere poteva volere dire sconvolgere il suo ex così tanto da renderlo incapace di pensare ad altro e rischiare così il Mondiale.
Si era accorta di avere perso l’angioletto, ma mai avrebbe detto al ritiro. Dopo una ricerca forsennata in casa, aveva desistito.
Forse, si era detta, l’aveva perso per strada.
Forse, si era detta, l’aveva trovato un bambino.
Forse, si era detta, l’angioletto aveva deciso di andare da qualcuno che ne aveva più bisogno di lei.
E invece…

 
«Ah, Mairi, che scherzetto hai fatto alla tua mamma, vero?» Disse alla sua piccola. «Hai visto che bello è il tuo papà? Ci parlerò, tranquilla, gli dirò tutto di te. Abbi solo un po’ di pazienza.»

Vide i sandali abbandonati sul pavimento all’ingresso, aprì la porta finestra sul retro, li raggiunse e poi – lanciando un urlo liberatorio – lì lanciò con forza nel giardinetto.
 
«Tutta colpa vostra se Holly ora sa dove vivo. Tutta colpa vostra se… se… aaargggh, tutta colpa vostra e basta!» E poi richiuse con forza i battenti.

Stava ancora fremendo di rabbia quando lo sguardo si posò sul ripiano del tavolo. Eccolo lì, il suo calmante. Prese l’angioletto, lo strinse forte al suo cuore, lo baciò e poi andò in cerca della cornice dove riporlo.
Poco dopo tornò in sala alla ricerca di Miss Fluffy che ora sonnecchiava beata sul tappeto, si sedette accanto a lei e la prese in braccio. Come sempre l’effetto morbido della pelliccia tra le dita le ridiede serenità.
 
 
 



 
«Bentornato Hutton, missione compiuta?»

«Sì, Mister Gamo, con successo. A pranzo le dirò tutto.»

«Perfetto. Sapevo di potere contare su di te» gli disse tutto soddisfatto. «Sembri più sereno di quando sei partito. L’ispezione deve essere andata proprio bene.»

«In effetti… sì, sono contento di averla potuta fare. Porto buone notizie. Vado a cambiarmi e vi raggiungo subito in refettorio.»

Si stava ancora cambiando, canticchiando un motivetto allegro, quando fu raggiunto dai suoi compagni.
 
«Ma guarda un po’ come sei su di giri» esordì Bruce. «Non pensavo che ispezionare dell’erba fosse così divertente.»

«Siamo sicuri che non te la sei fumata, sì?» Gli domandò Mark facendo ridere tutti.

«Ah. Ah. Ah. Spiritoso. Ha parlato l’esperto?» Ribatté lui.

«Questa te la sei cercata tigre» s’intromise un Benji divertito. Poi si rivolse a lui. «Allora capo, che ci dici di interessante? E non sto parlando dell’erba» aggiunse infine.

E che doveva aggiungere? A quanto pare per loro era tornato a essere un libro aperto. Stava per parlare quando una notifica di sms illuminò il suo cellulare appoggiato sulla panchina. Un volto stupito lo guardava da sotto la scritta e lo fece sorridere. Purtroppo, non fece in tempo a prenderlo perché gli fu sottratto da…
 
«Rob, mollalo subito» gli intimò senza successo. «Da quando sei diventato così curioso?»

«Ah, non mi interessa chi ti scrive... ma quello che ci sta sotto la notifica sì» gli rispose quello senza vergogna e poi lo girò verso tutti che sussultarono.

Ok, forse non era stata una grande mossa mettere come salvaschermo la foto appena scattata a Patty, ma non aveva resistito. Era troppo bella.
 
«No, fammi capire bene. Dove cazzo sei stato tu in queste due ore? E non rifilarci più la storia dello stadio, per favore» gli disse Ed.

«Ci sono stato al campo, eccome» saltò su lui riprendendosi il cellulare senza fatica. «Solo che non ci sono andato subito. Ho incontrato Patty per caso, tornava da Tokyo, dal funerale della prozia per la precisione. Era così bella con il kimono nero che non sono riuscito a passare oltre. Le si è rotto un sandalo e l’ho accompagnata a casa sua dove abbiamo parlato un po’.»

«E le hai fatto la foto» constatò Tom.

«Sì, è stato un gesto istintivo il mio. Voleva la cancellassi, ma non ci penso neanche. Così posso vederla quando voglio.»

«Avete parlato e sei ancora vivo. Complimenti. Un successone» lo sfotté Philip.

Ma davvero. Per un momento se l’era vista brutta e la conversazione non era stata sempre piacevole, ma pazienza. Era pur sempre un punto d’inizio.
 
«Ha detto che tornerà tra noi. Ma…»

Cavoli, ma dovevano proprio urlare così forte tutti insieme? Le sue orecchie stavano andando in tilt.
 
«Ma non subito, tra qualche giorno e solo dopo avere parlato con i Mister» specificò.

«Sempre meglio di niente» gli rispose Johnny. «E di cosa avete parlato

«Ma lo sapete che siete diventati dei veri curiosi? È davvero quello che abbiamo fatto, parlato. Anzi, lei l’ha fatto. E ha urlato. E ha vaneggiato un po’. Io ho ascoltato per la maggior parte del tempo. Ah, sì, ho scoperto perché mi ha mollato» e lì catturò l’attenzione di tutti. «Ahhh, che bello poterlo dire liberamente.»

Silenzio. Se l’era aspettato. A lui stesso risultava strano dirlo ad alta voce dopo tanto tempo, figurarsi loro a sent…
 
«E quindiii?» Domandarono tutti insieme.

«E… quindi, cosa?»

«Ma sei stupido o cosa?» Si alterò Mark. «Qual è il motivo, no? Non puoi dirci che l’hai scoperto e poi tacere, cazzo. Parla!»

«Che hai combinato di così grave perché Patty ti voltasse le spalle?» Gli domandò Benji con voce dura.

«Tutti ce lo stiamo chiedendo da quando è stata qua e ci ha sganciato la verità senza esitazione» gli disse Jack.

«In realtà penso che tutti ci siamo interrogati sul perché del vostro naufragio. Io personalmente me lo domando da quando mi hai messo al corrente del divorzio per telefono e credo di non essere il solo» gli confessò Tom mentre gli amici – nessuno escluso – annuivano senza vergogna.

«Meritiamo una risposta, ce la devi» intervenne Rob.

«E finalmente torneremo alla normalità. Cavoli amico, da quando Amy è tornata da casa di Patty è strana, pensierosa e non vuole dirmi il perché. Deve averle fatto una qualche confessione che la impensierisce. E sono sicuro che si ricolleghi a questa storia. Quindi ora ci dici tutta la verità.»

«Anche Eve è strana, ora che ci penso. Più del solito oserei dire» intervenne Bruce.

Ahhh, era quello che intendevano. Sotto gli occhi sconvolti di tutti, uscì dallo spogliatoio per dirigersi a pranzo.
 
«Dove credi di andare? Non hai risposto» gli urlò dietro Philip.

«A mangiare. Meglio parlare a stomaco pieno e poi così lo sapranno anche tutte le manager ed evito di ripeterlo.»

E così fecero. Una volta a tavola al gran completo, tutti rivolsero lo sguardo a lui, ansiosi.
 
«Ok, Hutton, visto che ci siamo tutti ora puoi dirci…» iniziò Mister Gamo, inutilmente.

«La verità sul tuo divorzio» l’interruppe Tom. «Scusi Mister, ma se parlasse delle condizioni dell’erba dello stadio ora… credo che nessuno di noi lo ascolterebbe. Senza offesa.»

«Un attimo, un attimo, un attimo. Cos’è questa novità ora? Mi sono persa qualcosa?» Esordì Eve.

«In poche parole, il nostro amico qua ha incontrato Patty oggi e ha scoperto la verità sul perché si è ritrovato senza moglie» le riassunse Bruce che le era seduto vicino e non era la prima volta, notò. «Potrai prenderlo a sberle più tardi, se vorrai, ma ora sta zitta e ascolta come tutti noi. In realtà sono sicuro che tu sappia già qualcosa, ma preferirei sentirmelo dire da lui.»

«Ok, ma solo se tu me lo tieni fermo.»

«Per te, questo e altro» le rispose l’amico, poi arrossì lievemente e aggiunse in fretta «anche perché per una volta che non sono io il bersaglio delle tue arrabbiature, non vedo l’ora di farti da spalla.»

E lì, Holly poté giurare di avere visto Eve sorridere timidamente a Bruce, prima di distogliere lo sguardo da lui e concentrarsi sul cibo.
Da quando quei due andavano così d’accordo? Da che si ricordava lui Eve e Bruce erano sempre stati ai ferri corti. I loro litigi erano diventati leggendari. Quella sera, decise, avrebbe messo alle strette il suo amico.  

 
«Allora, ti decidi a parlare? Qui stiamo aspettando solo te» lo spronò Benji.

«In effetti, Hutton, prima lo fai e prima torniamo ad argomenti più seri che riguardano la squadra. Sto aspettando il tuo aggiornamento sulle condizioni del terreno» gli disse Mister Gamo.

«Quello potrà aspettare ancora qualche minuto, non essere così impaziente Gabriel» intervenne Mister Turner. «Ora voglio capire cos’hai combinato per esserti lasciato scappare tua moglie, Hutton.»

E dopo una pausa a effetto, ottenuta l’attenzione di tutti…
 
«Tradimento. Puro e semplice tradimento. A detta sua, avvenuto alla luce del sole. A detta mia, mai avvenuto.»

E lì, quasi tutti ammutolirono e lo guardarono come se fosse un alieno. Persino i Mister. Quel quasi – neanche a dirlo – erano Eve e Amy. Oh, sì, avevano ragione i suoi amici, loro due ne erano già state informate, ma non gli avevano detto nulla. Strano. Dalla sua amica d’infanzia poteva anche aspettarselo. Amy era fatta così, prima di accusare qualcuno, preferiva sentire tutte le versioni della storia. Eve, invece, l’aveva stupito. Come mai se n’era rimasta in silenzio invece di aggredirlo? Lo stava guardando con aria interrogativa. Gli pareva di sentirla chiedergli: “E ora come ne esci, idiota?”
Appunto… come?
Ci stava ancora pensando quando il cellulare in tasca gli vibrò per l’ennesima volta. Lo prese distrattamente e fissò lo schermo. Ma chi diamine era che lo distur… ehhh?
Sotto gli occhi esterrefatti di tutti, compose il numero e chiamò.
 
«González, qué está pasando? Por qué todos estos mensajes? Ya deberías estar roncando, no llamando al otro lado del mundo.» (Gonzales, che succede? Perché tutti questi messaggi? A quest'ora dovresti russare, non telefonare dall'altra parte del mondo.)

«Amigo, estás sentado? Abre el enlace que te envié ahora. Es absurdo, absurdo!» (Amico, sei seduto? Apri subito il link che ti ho mandato. È assurdo, assurdo!)
 
«Oook, de inmediato, sí. Pero estás bien? Estás muy agitado.» (Oook, subito, sì. Ma stai bene? Sei molto agitato.)

«Apuesto mi carrera a que pronto tú también lo estarás. Abre ese maldito enlace y... buenas noches. En realidad no, disfruta tu comida, el que tiene que dormir o se quedará inconsciente mañana por la mañana, soy yo. Hola.» E poi mise giù. (Scommetto la mia carriera che tra poco lo sarai anche tu. Apri quel dannato link e... buonanotte. Anzi no, buon appetito, quello che deve dormire o domani mattina sarà ko, sono io. Ciao.)

«Em… hola?» (Em… ciao?)

E poi aprì quel link che tanto aveva agitato il difensore del Barcellona e… le parole si confusero nella sua testa e sbiancò.
 
«Ma che… oddio, non ci credo. Ma che cazzo… Ehhhhhh?»

Il cuore prese a martellagli velocemente nel petto, iniziò a sudare freddo e a respirare a fatica.
 
«Holly? Holly, calma, respira. Mi senti?»

Chi diamine era che gli parlava da così vicino eppure così lontano? Non riusciva a collegare la voce al volto. Tutto era così confuso nella sua testa. Così… confuso. Ma… ma era successo veramente? Dio, che tempismo di merda. O forse no?
 
«Holly, sono Julian, mi senti? È solo un attacco di panico, sta tranquillo che lo facciamo passare, ok? Basta che fai quello che ti dico. Qualcuno mi porta un sacchetto di carta? In fretta. Holly, segui la mia voce e non preoccuparti di nulla. Ci sono io con te, ok? Guardami, amico, guardami per favore.»

Un’altra volta, magari, ora l’oscurità era così vicina che non aveva le forze per allontanarla. E poi fece una cosa che non gli capitava da anni. Svenne.
 
 
 
 


Legenda:
 
¹ Polpette con all’interno pezzi di polpo. Vengono servite calde con la salsa takoyaki e maionese e guarnite con fiocchi di bonito (un tipo di pesce) e alghe essiccate.
² Ribattezzata pizza giapponese, è una sorta di pancake farcito con verdure e carne.
³ Tagliolini di frumento di grano, molto simili ai soba da cui questo piatto prende ispirazione, ma saltati sulla piastra. Di solito vengono serviti con cavolo e verdure insieme alla carne e poi cotti su una piastra di ferro.

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Capitolo 13
*** Due ex... non proprio ex ***


«Holly. Holly? Svegliati su!»

Ahia. Ma chi cazzo era che gli dava delle sberle in faccia.
 
«Julian, vuoi una mano? Magari con un po’ più di forza si sveglia.»

«Grazie Mark, ma sta già tornando tra noi» gli rispose lui.

«Ti piacerebbe, vero, Mark?» Sussurrò ancora un po’ stordito.

«Be’, ci ho provato» gli rispose lui. «Ehi, allora non sei morto.»

«Così sembra e… che cazzo è succes… oddio, non ho sognato vero? Dove ho messo il cellulare? Devo avvisare Patty.»

«Ehi, ehi, ehi, calmino. Si può sapere cosa c’entra Patty ora? E, cosa più importante, come ti senti?» Gli domandò Tom.

«Bene. Un po’ stordito, ma… bene. Visto che io non ho il numero – dannazione a quando l’ha cambiato – qualcuno di voi può chiamarla per me? Subito!» Tornò alla carica.

«Ma ti sembra il caso di…» iniziò Philip, subito bloccato con foga.

«Sì, cazzo, sì che è il caso» sbottò. «Questa… cosa, riguarda anche lei, suo malgrado. Dannazione.»

«Lo faremo, se è così vitale farlo» intervenne Mister Gamo «ma prima devi spiegare a tutti noi cosa ti ha sconvolto così tanto da svenire. Cos’hai visto, Hutton e come coinvolge anche Patricia?»

Holly fece un bel respiro, si rialzò sorretto da Julian – perché a quanto pareva doveva essere caduto dalla sedia svenendo, che umiliazione doppia – e si sedette. Si prese un minuto per risistemare le idee. Era tentato di tacere, perché una notizia del genere andava data alla sua ex in primis, ma… dopo lo spavento che si erano presi tutti loro… comprese che era meglio metterli al corrente. Almeno in parte. Quella migliore l’avrebbe rivelata all’arrivo di Patty.
Prese il cellulare e tornò al video che gli aveva spedito Gonzales. Era un estratto del telegiornale della sera che dava in diretta uno scoop bomba. Lo fece partire e bloccò l’immagine sull’uomo che gli interessava vedessero tutti, poi lo mostrò.

 
«E questo tizio in manette chi sarebbe?» Gli chiese Mark.

«Sembra un personaggio importante. Voglio dire, è vestito come mio padre quando vuole incutere timore in qualcuno. Ha pure la stessa faccia scura» constatò Benji.

Holly guardò i suoi compagni e amici, i Mister, le manager e finalmente si decise a parlare.
 
«Perché in effetti lo è, Benji, importante. O meglio, lo era» gli rispose. «Mi ha letteralmente messo all’angolo in aula imponendomi condizioni assurde da seguire alla lettera; pena la galera, il tracollo finanziario e la fine della mia carriera. Questo essere immondo è… o meglio, era, il Giudice Alvaro Ortega. Colui che ha messo la sua firma sul mio divorzio da Patty.»

E dopo un attimo di smarrimento e sconcerto…
 
«Ehhhhhhhhh?» Gridarono all’unisono.

Appunto! Ehhh?
 
«A quanto pare la vicenda ancora non è molto chiara, ma se l’hanno arrestato non sarà certo qualcosa di leggero. Le indagini, a quanto pare, sono appena iniziate, ma pare sia invischiato in una truffa. Sembra proprio non avesse la laurea» li informò. «Sapete questo cosa significa, vero?» E al silenzio allibito che seguì, sbottò. «Oh, andiamo, davvero?»

«Diccelo tu. Presumo che il video lo dica. Ma, come ben sai, nessuno di noi conosce lo spagnolo; quindi, ti assumiamo come traduttore simultaneo» gli rispose Julian.

«Ah, giusto, scusate, ma sono talmente sconvolto che non ci avevo pensato» disse lui sospirando. «Ci sono arrivato persino io, prima che lo sentissi dire dal giornalista. Vi aiuto. Se lui è un Giudice e ora è finito in manette, questo vuole dire che…»

Holly si godette il momento in cui tutti i presenti ci arrivarono e sorrise agli improperi che ne seguirono. Coloriti, molto coloriti, a dir poco.
 
«Ora me la chiamate Patty, per favore e la fate venire qui più in fretta della luce?»
  



 
 
Suo malgrado, Patty non riusciva a farsi uscire Holly dalla testa. Le sue parole, i suoi gesti, i suoi sguardi… No, questa cosa dell’attrazione tornata prepotente verso di lui doveva finire. Finì di rassettare la cucina, mise gli avanzi del pranzo in frigo e andò in cerca della palla di pelo conosciuta come…

 
«Miss Fluffy, ti andrebbe una passeggiata al parchetto?» Propose alla coniglietta che la guardò. Figurarsi se non stava scavando nel fieno nella sua gabbia.

Sembrava interessata. O forse era solo la sua immaginazione. A volte poteva giurare che le mancasse solo la parola. Messa l’imbragatura e preso il guinzaglio uscì. Per poi rientrare poco dopo.
 
«Ma dove ho lasciato quell’aggeggio infernale?» Si chiese guardandosi attorno con aria dubbiosa. «Ah, sì, in bagno, credo» e credeva bene perché lo trovò nel bidet. Mah.

Recuperato un libro, uscì di nuovo.
 
«Sì, ma dove vado senza zaino e scarpe?» E così rieccola in casa per la seconda volta.

Pochi minuti dopo era nuovamente fuori. Forse doveva fare qualcosa per aumentare la memoria, ultimamente si dimenticava le cose e… si fermò di colpo.
 
«Oh, cavoli, la lavatrice rotta. A che ora deve arrivare il signor Shimizu?» Guardò l’orologio del cellulare e sorrise. «Perfetto, mancano tre ore al suo arrivo, possiamo prendercela con comodo pelosetta mia.»

Senza fretta, lei e Miss Fluffy arrivarono a destinazione e la portò nell’erba sotto un grande ciliegio dove si sedette a continuare il giallo che stava leggendo mentre la coniglietta si dava alla pazza gioia saltellando qua e là accanto a lei, ma sempre a guinzaglio.
 
«Oh, andiamo su, mi rifiuto di credere che sia stato il maggiordomo. Troppo banale» esclamò. «No, c’è qualcosa che mi sfugge e…»

I'll never be, never be, never gonna be, never gonna be, never gonna be…
E niente, quel giorno non c’era verso di stare in pace un attimo.
Nobody's wife. Nobody, yeah, nobody, yeah, no no no, never gonna be, never gonna be…
A malincuore appoggiò il libro e recuperò il cellulare dalla tasca, guardò chi la disturbava e rispose.

 
«Eve, ciao, come mai mi chiami?»

«Patty, dimmi che sei libera.»
 
«Em, sì, sono in giro con Miss Fluffy. Che succede? Ti sento agitata.»

«Oh, davvero? Non me ne ero accorta, guarda. Molla tutto e vieni al ritiro prima di subito. Capito?»
 
«Cooosaaa? Ascolta, ho detto a quel mentecatto del mio ex che prima di qualche giorno…» iniziò lei, ma fu subito interrotta dall’altra amica.

«No, è urgente. Devi anticipare» insistette quella.
 
«Ho delle cose da fare. E poi sono stati giorni pesanti, ho bisogno di stare sola per un po’. Non sto chiedendo una settimana, ma due o tre giorni. Che cambia se…»
 
«Dio, quanto sei testarda. Sei peggiorata con gli anni. Ascoltami bene, Patty, ora tu…» e poi si interruppe parlando con qualcuno in sottofondo «ehi, no, molla il telefono, insomma sto parlando io e… ehiii.» 
 
«Senti tu, niente scuse, è urgente, chiaro? Quindi, muovi quelle chiappe che ti ritrovi e portale qui senza indugi» la riprese Amy, la ladra del cellulare. «Che c’è Julian, perché mi guardi così. Certe cose vanno dette. Quando ci vuole, ci vuole, no?» La sentì dire al suo innamorato. 
 
Se c’era una cosa che Patty odiava, era prendere ordini da qualcuno, chiunque fosse e quindi no… col cavolo che avrebbe sacrificato il suo pomeriggio di relax per loro.

«Mi spiace, ma al momento sono immersa in un libro di Rex Stout e sono intenzionata a finirlo senza interruzioni varie. Quindi, come già detto, mi farò viva io tra qualche giorno e ci vedremo allora.»

«Nero Wolf sarà ancora lì quando torni. Tu non capisci, questa cosa non può aspettare i tuoi comodi» tentò ancora Eve.

«E invece aspetterà. E se insisti ancora potrebbe darsi che lo farà all’infinito, chiaro? E adesso ti saluto che mi hai fatto perdere il filo e devo riprendere il capitolo. Bye.»

«Non ti azzardare ad attacc…»
 
Fatto. Niente di più semplice. Ma la pace durò poco.
I'll never be, nev…
Rispose al primo squillo.

«Eve, ti ho detto che non ho tempo per…»

«Be’ il tempo lo trovi» eh? Holly? «È vitale che tu ci raggiunga subito qua o giuro che se ti rifiuti ancora vengo io da te e tengo premuto il campanello fino a che non si scarica se non mi apri.»

«Sono fuori casa, me lo romperesti invano» gli rispose. «Mi pareva di essere stata chiara stamattina e… perché cazzo stai chiamando dal cellulare di Eve?» S’informò.

«Perché non ho il tuo numero, svegliona, o ti avrei chiamata dal mio. Ti aspetto qua prima di subito, intesi? A tra poco, signora Hutton.»

«Cosa? Ehi, non mi chiam… pronto, prontooo? Ha attaccato.»
 
Ah, così stavano le cose? Veniva convocata al ritiro senza mezzi termini e si pretendeva pure che scattasse come una molla? Ma per chi l’avevano presa. C’era anche da dire che se le sue amiche erano agitate, magari qualcosa d’importante che richiedeva la sua presenza era successo davvero. E anche Holly non era tranquillo, la sua voce ansiosa l’aveva smascherato a dispetto della calma che aveva cercato di mantenere. Mah, forse era meglio raggiungerli davvero, ma si sarebbe fatta sentire appena arrivata.

«Cazzo, mi hanno incastrata» commentò a voce alta chiudendo il libro di scatto e sbattendolo sull’erba. «Andiamo Miss Fluffy, la nostra passeggiata si allungherà di qualche metro.»
 
Rimise il libro nello zaino, sistemò meglio la pettorina alla coniglietta e si incamminò… per fermarsi subito dopo.

«E poi sai cosa ti dico? Aspetteranno ancora un po’, prima ho delle cose da fare. Non sono la marionetta di nessuno io, tantomeno di Holly.» 





 
«Ok, ragazzi, in attesa dell’arrivo di Patricia, riprendete gli allenamenti. Hutton, anche tu che hai già saltato stamattina. Ti chiamo io quando arriva. Forza, su, muovete quelle gambe e tutti in campo, avete oziato anche troppo qua dentro.»

E così fecero. E il tempo passò. Mezz’ora. Un’ora. Due. Tre. Ma dove cazzo era sparita? Holly non si dava pace e non riusciva a concentrarsi totalmente sugli allenamenti. Non era possibile che gli avesse dato buca.
Certo, in tre avevano fatto fatica a convincerla, ma pensavano di esserci riusciti e che di lì a poco, Patty sarebbe comparsa e invece… e invece non si vedeva nemmeno la sua ombra.

«Holly, mettiti l’anima in pace, non credo che arriverà. Non oggi, almeno. Si vede che vederti due volte in un giorno è troppo per lei» gli disse Benji mentre gli passava accanto a fine allenamenti.

«Io non la capisco. Dopotutto volevo solo che scoprisse la novità da me prima che dal suo avvocato. Cioè, non posso dire di non esserne felice, anzi, ma per lei sarà un vero e proprio shock. Era convinta di avermi escluso dalla sua vita del tutto e invece…»

«Ma tu sei proprio sicuro, sicuro che quel giudice non sia mai stato tale?» Gli domandò Clifford mentre collassava sulla panchina.

«Be’, il video parlava chiaro, ma ora che mi hai fatto venire il dubbio, è meglio se controllo se c’è qualche conferma ufficiale.»

 
E lo fece, non appena ne ebbe il tempo. Poco prima di cena. Come aveva fatto a non pensarci prima. Tutto preso da quella bella notizia, semplicemente gli era passato di testa eppure… e se avesse fatto il passo più lungo della gamba chiamando Patty per dirglielo? Meno male che lei non si era presentata. Lei e la sua cocciutaggine. Ma dove diamine era finita?

«E dunque? Novità?» Gli domandò Philip non appena seduti e quando lui lo guardò perplesso, specificò. «Be’, riguardo al giudice spagnolo. Hai detto che controllavi, no? E allora? Cosa dicono i telegiornali?»

«Ah, sì, è tutto vero.»

«Cazzo! E adesso?» Gli domandò Mark. «Voglio dire, starà succedendo un casino allucinante in Spagna, o sbaglio?»

«Non sbagli, è così. Inutile dirvi quanto io ne sia sollevato e felice. La vedo come la seconda opportunità che cercavo e speravo di avere con Patty. Il problema semmai ora è un altro e ha un nome e un cognome, il suo.»

«Non ne sarà per niente entusiasta» convenne Tom con lui mentre tutti annuivano pensierosi. «Patty sembra proprio avere voltato pagina dopo averti mollato e…»

«Di cosa non sarei entusiasta?» Intervenne una voce, o meglio, la sua voce. «Buonasera a tutti, disturbo?»

 
Ed eccola lì, la latitante. E sembrava tutta bella rilassata, oltre che sorridente. Con la sua immancabile Miss Fluffy in braccio.
 
«Ma tu guarda chi si vede. Cos’è, hai perso la strada?» L’aggredì lui.

«Ho avuto da fare. Volevi forse che rinunciassi o rimandassi i miei impegni per correre qua? No!» Rimbeccò lei. «Allora, cosa dovevate dirmi di così urgente?» Concluse poi.

«Ok, ragazzi, noi vi lasciamo soli» esordì Mister Gamo che fece per alzarsi, ma fu bloccato dall’ex capo manager.

«Non ci provi nemmeno sa? Non voglio rovinarvi la cena, semmai unirmi a voi che sono a stomaco vuoto da un po’. Se non ricordo male qui il cibo non manca mai» e così dicendo si mise tra Eve e Bruce guardando quest’ultimo. «Su, da bravo, sii un po’ galante e lasciami il posto, grazie.»

«E te pareva se non venivi da me a dare fastidio» le rispose quello che poi uscì per andare a recuperare un’altra sedia.

E fu così che Holly si ritrovò seduto proprio davanti a lei. Be’, dato quello che doveva dirle, forse era meglio così. E forse lo era anche non essere da solo con lei o non ne sarebbe uscito bene.
 
«Forza, dimmi tutto e fai in fretta» gli ordinò.

«Come vuoi, ma secondo me dovresti mangiare prima se hai davvero tutta questa fame perché poi ti garantisco che ti passerà.»

«Al mio stomaco ci penso io, ma ti assicuro che non smetterò di mangiare solo per quello che mi dirai.»

Holly ne dubitava, ricordava bene com’era impulsiva Patty quando qualcosa la sconvolgeva o turbava. Si dimenticava di tutto, anche di mangiare. Ma se lei si ostinava a negarlo… che andasse pure a quel paese. Così prese il cellulare e le mostrò il video incriminato. Attorno a loro l’aria era tesa come non mai e non volava una mosca. Persino i Mister erano in trepidante attesa di una sua reazione. Dopo qualche minuto di visione, Patty parlò.
 
«Perché mi fai vedere un vecchio in manette?» Domandò, lasciandolo di stucco.

«Scherzi, vero? Non sai chi è?»

«No, dovrei? E poi scusa, ma lo sai che non ci capisco nulla di spagnolo. Che stanno dicendo?»

«Forse parlano così perché è un video che proviene da lì» le disse. «Me l’ha mandato Gonzales stamattina poco prima di pranzo.»

«Chi? Dovrei conoscere anche lui oltre al tizio nel video?» Chiese mentre si serviva una generosa porzione di riso.

E lì, tutti rimasero di stucco. Ma come… ma che… e perse la pazienza.
 
«Cazzo, Patty, mi pigli per i fondelli? Gonzales, il mio compagno di squadra. È uno dei difensori del Barcellona.»

Niente, neanche un barlume di ricordo. Davvero non sapeva chi fosse. E allora gli mostrò una sua foto, magari le avrebbe aperto un cassetto della memoria.
 
«No, no, non mi dice nulla» sentenziò. «E quindi questo tizio ti ha spedito un video e… aspetta, sììì, ora me lo ricordo… è maciste.»

«Chiiiiiii?» Le risposero tutti in coro.

«Ma sì, è una montagna d’uomo, come altro dovevo chiamarlo. Ho dato un soprannome a tutti quei coglioni che giocano con te, Holly. C’è lui, poi c’è faccia da culo, quello con la barbetta, alto e magro. C’è l’esaltato. Lo zerbino. Il piagnucolone. Il…» disse contandoli sulle dita.

E lì lui la bloccò con una mano, non si fidava della sua voce.
Da non credere. Patty non sapeva i nomi dei suoi compagni di squadra. Eppure, lui glieli aveva presentati, se lo ricordava bene.

 
«Sono i miei compagni Patty. Come ti permetti di umiliarli così.»

«Perché, loro possono umiliare me e io non posso ricambiarli? La mia esistenza per loro valeva meno di zero. E come si dice: chi la fa, l’aspetti, no? Per me, i tuoi compagni di squadra veri, siedono quasi tutti a questo tavolo. Quei coglioni del Barcellona, non contavano allora e non contano nemmeno adesso, per me. Li chiamo come voglio, che ti piaccia oppure no. Ah, e tra tutti spicca Il Padrino, facile capire chi sia, vero?» Doveva averla guardata storta perché lei con un sorriso sghembo specificò chi fosse. «Il tuo caro mister, ovvio.»

«Li odi tutti davvero tanto» sentenziò lui.

«Naaa, non li odio, li compatisco, mi fanno pena, te compreso. Sono felice di essermeli lasciati alle spalle. Non so come fai tu a starci in mezzo. Ma forse è perché ormai ti ci sei abituato. Non vuoi sapere come chiamo te? No? Che peccato, perché ti si addice proprio. Bau, bau» concluse poi abbaiando.

Dopo un minuto buono di sconcerto, i suoi così detti amici scoppiarono a ridere. E così lui era Il Cane. Patty aveva coniato un termine anche per lui.
 
«Em… Patricia, lei è veramente una forza della natura. Posso chiederle come mai questo nomignolo per il nostro Hutton?» Le domandò un curioso Mister Turner tra le risate.

«Mi dia pure del tu, Mister, non mi offendo» gli rispose facendolo sorridere. Poi, dopo un attimo di riflessione, disse. «Faceva tutto quello che gli diceva il mister senza replicare. Non prendeva più iniziativa. Accettava ogni sua decisione. Non ha più inventato un nuovo tiro dal suo arrivo e questo solo perché il mister diceva che non era necessario e che andavano più che bene i suoi. Ha perso il suo sorriso e la sua passione, oltre che alla voglia di entrare in campo. E sono sicura che è ancora così. Praticamente era ed è il suo cagnolino scodinzolante» spiegò senza un minimo di rimorso o dispiacere.

Che descrizione impietosa che aveva dato di lui. E falsa. Falsa, falsa, fal… o no? No, era falsa, lo era! Doveva esserlo per forza.
 
«Bene, Hutton, vorrà dire che ci aspetta un doppio lavoro con te. Ti faremo tornare quello di prima e spero che ti ritorni anche un po’ di sale in zucca tale da mandare a fanculo il nostro collega idiota» gli promise Mister Gamo. «Ti avrà reso più forte, ma ti ha privato dei tuoi tratti distintivi e fondamentali. Questa cosa non mi piace per niente.»

«Sapevo che averti tra le nostre fila avrebbe portato a qualcosa di buono, ma non pensavo così presto» intervenne Mister Turner rivolgendosi a Patty. «Perché hai accettato di essere dei nostri, vero?»

«Alle mie condizioni che poi vi dirò, ma sì, tornerò tra voi.»

E lì ci fu un urlo generale di gioia. Holly non si unì a loro solo perché era tutto preso dai segni che le parole di Patty avevano lasciato in lui. Però gioiva internamente.
 
«E adesso, caro il mio ex marito, me lo dici o no perché mi hai fatto convocare qui e poi mi hai mostrato il video di quel vecchio?» Continuò imperterrita.

Ah, già, il video. La notizia sconvolgente che doveva darle.
 
«Quel vecchio è il Giudice Alvaro Ortega. Ti dice niente questo nome?»

«Nnno, dovrebbe? Aspetta… cavoli sì, è quello che ci ha dichiarato felicemente divorziati. Ah, è lui? Lo immaginavo diverso. Sapete, io non l’avevo mai visto, non ero in aula quel giorno e non mi sono mai documentata su di lui» riferì a tutti e poi, dopo pochi secondi di silenzio, lo fissò con occhi sgranati e la bocca spalancata. «Ma… ma l’hanno arrestato? E perché mai?»

Ah, ora sì che si sarebbe divertito un attimino lui.
 
«Perché, non era affatto un giudice. Non lo è mai stato a dire il vero.»

E lì tutti scattarono sull’attenti e lo fissarono come se avesse detto qualcosa di strano.
 
«Spiegati. Che significa?»

«Significa, mia cara, che quell’uomo non era tale Alvaro, ma era suo fratello gemello Alonso. Il povero Alvaro è deceduto otto anni fa e il fratello ne ha preso il posto.»

Altro silenzio di tomba, stavolta di puro sbigottimento.
 
«E… perché? E come è stato possibile che nessuno se ne sia accorto prima?» Gli chiese Patty con un filo di voce.

«Be’, erano gemelli. Tu ti accorgeresti se James e Jason si scambiassero di ruolo? O se fingessero di essere chi non sono per tutto il tempo di una partita?» Le domandò.

«Em, credo proprio di no» rispose lei guardandoli di riflesso e loro le sorrisero furbescamente. «Dite un po’, l’avete mai fatto?» Li interrogò poi.

«Tu che dici?» le rispose James con fare allusivo.

«Ti pare che potremmo mai prendere per il culo tutti così? Naaa» incalzò Jason per poi scoppiare a ridere.

Quei due non la raccontavano giusta. Chissà perché era convinto del contrario.
 
«Ahem. Tornando al giudice, ti riferisco quello che si è scoperto. A quanto pare – dagli ultimi aggiornamenti che ho letto e dall’ultimo telegiornale andato in onda – i due vivevano insieme e non erano sposati. Era loro abitudine scambiarsi di ruolo ogni tanto e nessuno se ne accorgeva. Alvaro era un giudice, mentre Alonso un professore universitario alla facoltà di legge. Le sue conoscenze della materia e la vicinanza al gemello, hanno fatto sì che fosse perfetto in entrambi i ruoli. Quando Alvaro è morto, lui ha semplicemente deciso di prenderne il posto e lasciare l’insegnamento.»

«Oddio, sembra tu stia dicendo la trama di un film» gli disse e tutti concordarono con lei. «Quindi ha fatto figurare che a tirare le cuoia fosse stato il professore e ha cambiato professione. Molto più pagata, mica scemo questo Alonso» concluse lei.

«Già. E non è tutto. Visto che lavorare tutto il giorno non era nelle sue corde e non ci era abituato, se non per poco tempo durante gli scambi, ha fatto in modo di spostare le udienze tutte al mattino e tenere solo quelle del ramo civile, più semplici da gestire. Noi siamo stati una di quelle cause.»

«Una mente diabolica questo tipo» commentò Patty. «Ora dimmi cosa c’entra tutto questo piano assurdo con noi due.»

E qui veniva la parte divertente, almeno per lui.
 
«Oh, sai, a quanto pare l’essere stato scoperto e arrestato, ha creato un grosso danno al sistema giudiziario spagnolo. E sai perché? Perché in automatico tutte le sentenze da lui emesse sono state annullate. Tutte!»

«Ti prego non dirmi che è quello che penso» gli rispose con un filo di voce dopo qualche secondo di silenzio.

«E invece è proprio così.»

«Mi rifiuto di crederlo» replicò lei che ora era un po’ più pallida in volto.

Holly, dal canto suo, si stava divertendo come un matto. Allungò una mano attraverso il tavolo, prese la sua che era appoggiata inerme, se la portò alle labbra e le baciò le nocche. Gesto che, si rese conto subito, l’aveva fatta arrossire vistosamente. Bene, molto bene, non tutto era perduto con lei. Poi, non lasciando la presa, la guardò intensamente negli occhi e sganciò la bomba.

«Patty, sono felice di annunciarti che noi due non abbiamo mai divorziato e quindi, per legge umana e divina, siamo ancora sposati. Bentornata Signora Hutton.»
 

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Capitolo 14
*** Non tutto è perduto... forse. ***


Ho sentito male. Hosentitmalehosentitomalehosentitomale. Ho sentito male. Punto. Non può essere vero. Ma scherziamo? Perché proprio adesso, perchèèè?
Patty non poteva crederci. Lei e Holly non erano ancora sposati. Loro erano divorziati. Di vor zia ti! Punto doppio. Guardò le loro mani unite e la ritrasse di scatto.

 
«Ditemi che sto ancora dormendo e sono in preda a un incubo» disse rivolta a tutti.

«No, no, sei sveglissima» le rispose un sorridente Holly «mia cara moglie.»

«Qualcuno mi dia un pizzicotto forte» insistette lei. «Bruce, hai la possibilità di vendicarti per tutte le volte che l’ho fatto io a te a tradimento, quindi, fa del tuo meglio» propose poi all’amico mostrandogli il braccio.

«Nulla mi piacerebbe di più, ma non mi sembra questo il caso. Te ne darò uno quando meno te lo aspetti, ma ora non serve. Ti confermo che sei sveglia» le disse lui.

Ecco e lui doveva farsi certi scrupoli proprio ora? Diamine che...
 
«Ahia!» Urlò all’improvviso. Un forte dolore all’altro braccio la fece girare verso Eve. «Ma dico, sei matta? Che cavolo hai al posto delle dita, tenaglie?» L’accusò massaggiandosi forte la zona pizzicata, ora rossa.

«Volevi un pizzicotto, almeno ora non lamentarti» le rispose quella. «Te l’avevo detto io che era importante arrivassi subito... signora Hutton.»

E lì non si trattenne più. Sotto gli sguardi sconvolti di tutta la Nazionale, Patty si lasciò andare a una serie ben colorita di improperi che la lasciò senza fiato.
L’unico a guardarla con uno strano sorrisetto era proprio Holly.

 
«Ti stai divertendo, vero?»

«Come non mi succedeva da molto tempo» le confermò. «Hai un vocabolario colorito molto ben fornito. Cazzarola, persino i marinai giù al porto rimarrebbero scandalizzati a sentirti. Ma dove li hai imparati tutti, molti li hai pronunciati in altre lingue.»

Come, dove? Ma in giro per il… ah, già, lui non poteva saperlo. In realtà lì dentro – eccezione fatta per le sue due amiche – nessuno sapeva del suo tour europeo.
 
«Be’, li ho appresi mentre visitavo l’Europa l’anno scorso. Strano, ma vero, sono la prima cosa che si impara quando si visita un paese nuovo. Comunque, non divaghiamo adesso. Devo chiamare l’avvocato Mendoza, prima di capire come procedere e poi finiremo di nuovo davanti a un giudice – uno vero questa volta – e rifaremo tutto da capo, se necessario. Che sia qui in Giappone o che debba tornare in Spagna apposta per quello, non mi importa. Io e te non resteremo sposati un secondo più del necessario» sentenziò con decisione e durezza sia nella voce che nello sguardo.

«Be’ allora dovrai trascinarmi di peso in tribunale perché io non ho intenzione di divorziare» le disse con aria sbarazzina. «Che ti piaccia o no, siamo marito e moglie. Già una volta ti ho assecondata e ho passato cinque anni a pentirmene amaramente, non ripeterò tutto di nuovo per un tuo capriccio. Non c’è motivo per divorziare oggi, come non c’era allora.»

«Io non ti amo più. Se non è un motivo questo…»

«Bugiarda!» L’apostrofò senza scomporsi. «Ma di questo ne parleremo in privato. Ora concentriamoci sul presente e su come fare in modo che questo matrimonio funzioni a dovere.»

«Tu mi hai tradita!» Urlò lei sollevando un eco di stupore dagli amici.

«Ancora con questa storia. Ti ho già detto e ridetto che non è mai successo e che non so nemmeno chi sia questa tizia che mi hai descritto. Ma per favore, ti sembro uno che fa una cosa del genere?» L’attaccò.

«Non posso più dirlo con certezza perché da quando siamo andati in Spagna sei cambiato molto e sei diventato un estraneo, per me» gli rispose sinceramente. «Sei partito che eri carismatico, imprevedibile, felice e ti sei ridotto a essere l’ombra di te stesso. Quindi sì, scusa se dubito.»

«Be’, non è da me, come non lo era all’epoca del nostro matrimonio. Sii seria dai. Avevo per le mani te e non contento, sarei andato a cercarmene un'altra che, chiaramente, non avrebbe mai retto il confronto con te? Ma cosa sono, scemo? Sei ridicola. Vuoi che chiami Gonzales o qualcun’altro della squadra che te lo confermi?»

«Che sei scemo lo so da me, non ho bisogno di nessuno che lo confermi. Men che meno quegli idioti lì, per carità. Anche perché siete tutti uguali. Sarebbe come il famoso bue che dà del cornuto all’asino, non so se mi spiego.»

«Bue? Asino? Ma che significa, non capisco.»

«Ah, lascia perdere. È un detto che ho imparato in Italia e che trovo molto veritiero, specialmente in questa situazione.»

«In Italiaaaaaaaa?» Fu l’esclamazione generale.

Sì, Italia. Era stata anche lì e si era fermata un mesetto, troppo poco, a suo dire. Ovvio, non aveva potuto girarla tutta come avrebbe voluto, ma le città che più le interessavano le aveva viste.
 
«Di preciso, Patty, cos’hai fatto in tutto questo tempo? Scusa se te lo chiedo, ma credo di farlo a nome di tutti. Toglici il dubbio, per favore» le disse Tom.

«Infatti, è da quando Eve ci ha detto che né lei né Amy avevano avuto tue notizie per anno, prima di ritrovarti, che ce lo stiamo chiedendo» gli diede man forte Julian.

Sì, era arrivato il momento di dirlo a tutti, ma senza nominare Mairi e il ruolo che la sua perdita aveva avuto nella sua vita e nelle sue decisioni.
 
«Va bene, è giusto che lo sappiate se devo stare qua con voi per un po'. Mister, voi siete d’accordo? Cercherò di farla breve.»

«Ma certo, Patricia. Parla pure, sono curioso anch’io» le rispose Mister Gamo.

Ok, dopotutto era giusto che sapessero cosa le era successo in quei cinque anni. Finì di mangiare il riso, si sistemò meglio Miss Fluffy sulle gambe in modo che non cadesse e poi iniziò il suo brevissimo racconto.
 
«Ho vissuto tre anni a Tokyo in un piccolo appartamento. Sono caduta in una brutta depressione per tutto quel periodo. Per fortuna ho trovato un bravo psichiatra che mi ha aiutata a uscirne a piccoli passi. Appena guarita, ho deciso di girare l’Europa con solo un capiente zaino per bagaglio. Diciamo che ho preso il famoso anno sabbatico. Poi sono tornata qui. Ho trovato casa; ho ricontattato le due rompiscatole qui a fianco; ho trovato Miss Fluffy e mi stavo godendo la vita quando qualcuno ha deciso di ripiombarci nel bel mezzo e il resto è storia. Sono qui, no? Fine.»

E adesso perché non volava più una mosca? Cos’aveva detto di così sconvolgente? Dopotutto, aveva solo fatto un sunto della sua vita nel periodo di lontananza da loro. Ripercorse le sue parole e... cavoli, che fosse quello ad averli ammutoliti tutti? La stavano fissando come se le fosse spuntata una seconda testa.
 
«Depressione?» Le chiese, infatti, Holly con un filo di voce. «Per colpa mia?»

Bingo. In parte. Ma come faceva a dirglielo? “A causa della morte di nostra figlia, non tua, ma comunque sì, in parte ne sei stato responsabile anche tu.”
 
«Colpa di tutto un insieme di cose iniziate con il trasferimento in Spagna e concluse con il tuo tradimento. Avevo accumulato talmente tanta rabbia e dolore che non riuscivo a esprimere come mio solito, che alla fine sono culminate in quello.»

«Mi dispiace» le disse dopo un lungo silenzio «non per il fantomatico tradimento che ti ostini a rinfacciarmi, sia chiaro, ma per tutto il resto. Per quello che vale dirlo ora, lo penso veramente.»

«Ok. Per quello che vale farlo ora, accetto le tue scuse» gli rispose riprendendo le sue parole «e questo vuole dire che da oggi è proibito parlarne ancora perché appartiene al passato» gli disse. «Chiaro a tutti?» Interrogò poi gli amici che annuirono lentamente. «Perfetto. Ora, chi mi passa la carne che sta là in fondo al tavolo e una carota? Anche Miss Fluffy ha fame. Buon appetito a tutti.»

E da lì in poi, tutto filò liscio. Era come se il tempo lontana da quell’ambiente non fosse mai passato. Come se fosse ripartito dopo essere stato congelato per tanti anni.
Era bello essere tornata nel gruppo. Scherzare con loro. Battibeccare con loro, specie con Bruce. Mangiare con loro. Partecipare a una mini riunione straordinaria durante il pasto.
Ogni tanto guardava il suo ex – no, non ex, non più, cazzo – che le sorrideva. Vederlo così sereno, la irritava. Anche se il suo cuore stava pericolosamente virando ancora verso di lui, era la ragione che doveva fare prevalere.
Certo, la notizia del suo non divorzio da Holly l’aveva sconvolta, ma avrebbe rimediato presto. L’indomani avrebbe contattato l’avvocato Mendoza e si sarebbe fatta raccontare tutta la brutta faccenda per filo e per segno e gli avrebbe chiesto anche dei prossimi passi per procedere col divorzio. Anzi, forse era meglio una video chiamata.  
No, non avrebbe accettato di continuare a essere la signora Hutton. Non avrebbe cambiato idea. Non sarebbe rimasta sposata con lui. Non sarebbe tornata a vivere in Spagna. Non avrebbe lasciato Mairi da sola.
 
 
 


 
«Credo che ti convenga guardarti le spalle, amico» gli disse Benji tornando nel dormitorio quella sera.

«Concordo. Non l’ha presa bene la notizia, a quanto pare» rincarò la dose Tom.

Ovviamente parlavano di Patty e di chi altro sennò. Vederla andare via a fine cena era stata dura, ma sapere che sarebbe tornata di lì a qualche giorno per rimanere con loro durante tutto il tempo dei Mondiali, valeva la delusione che stava provando in quel momento. Era da poco terminata la consueta riunione serale e finalmente potevano concedersi il tanto sospirato riposo. Erano appena passate le 23.00
 
«Voi dite? Io credo che sotto sotto ne è felice, solo che non vuole farlo vedere o perderebbe la faccia» li guardò e li vide fissarlo dubbiosi. «Oh, andiamo, se gli fossi davvero indifferente non avrebbe ricambiato i miei baci. O no?»

«Mah, non ne sarei così tanto sicuro. A cena mi è sembrata parecchio combattiva e ho temuto il peggio, per te» insistette l’altra metà della Golden Combie. «La notizia che hai sganciato stasera è stata davvero un fulmine a ciel sereno.»

«Sì, sì, ok, hai ragione Tom. Quello che ha fatto quel giudice fasullo è stato diabolico, ma non è questo che mi interessa ora» lo bloccò Benji. «Caro il nostro capitano, dicci piuttosto... sei proprio sicuro sicuro di non avere tradito Patty? Mi sembrava molto convinta della cosa.»

Ancora? Dio, quella storia non l’avrebbe mai lasciato in pace.
 
«Sicurissimo, cazzo. Non ho mai messo le corna a Patty. Non ci mai nemmeno pensato. Non ho mai guardato o desiderato un’altra donna. Non so chi abbia visto con me e non mi interessa più saperlo, ma le sono sempre stato fedele e ora che la vita ci ha dato una seconda opportunità... fossi scemo a buttarla via» dichiarò con enfasi.

Già. Patty poteva respingerlo tutte le volte che voleva, ma lui le avrebbe fatto capire che l’aveva sempre amata e che continuava a farlo. A piccoli passi, con calma, dolcezza e tanta pazienza, l’avrebbe riconquistata.
 
«Holly, scusa se te lo chiedo, ma non ti viene voglia di andare alla ricerca di questa ragazza? In fondo, non dovresti fare fatica a rintracciarla. Dopotutto parti già avvantaggiato» gli chiese Tom.

«Ehhh? No, e perché mai dovrei farlo?  E poi quali sarebbero questi vantaggi?» Gli domandò mentre apriva la porta della loro stanza.

«Mi deludi Holly, eppure sei intelligente» intervenne Benji. «Sai che conosce tutta la squadra del Barcellona, visto che era al ritiro con voi e sai com’è fatta, visto che Patty te l’ha descritta. O sbaglio?» E quando lui annuì, l’amico proseguì. «Bene, non ti resta che fare una telefonata a uno qualsiasi dei tuoi compagni e chiedere se si ricordano di lei.»

«Esatto. E una volta trovata la presenti a Patty e...»

«E poi finirei dritto filato in ospedale con contusioni multiple scomposte e gravi, se non in coma addirittura» concluse lui per Tom. «Ma vi siete ammattiti? Secondo voi, non solo dovrei rintracciare un fantasma, ma anche portarlo davanti a Patty. E poi che dovrei dirle? “Vedi, amore mio, questa è la tipa che hai visto con me in Spagna e che hai scambiato per la mia amante. Ci tenevo a fartela conoscere, così l’ho rintracciata e ora ti dirà lei che hai preso un grosso abbaglio.” Ma vi sembra normale?» Concluse infine gettandosi a pancia in su sul letto.

«Holly, è l’unico modo che hai per fare capire a Patty che si è sbagliata, per uscire da tutta questa brutta storia e per riabilitarti ai suoi occhi. Se l’ami come dici, non hai altra scelta» gli disse il sempre razionale Tom.

«La conosci tu come la conosciamo noi, la nostra Patty e se non gliela metti fisicamente davanti, questa tizia e non la fai parlare con lei... non ti crederà mai e non riuscirai mai a riconquistarla come ti sei messo in testa di fare. Cazzo, Holly, sei stato suo marito, non dovremmo essere noi a dirti l’ovvio, ma tu a capirlo da solo» lo riprese Benji senza mezzi termini, come suo solito.

Sì, forse avevano ragione loro, anzi, sicuramente l’avevano. E lui era il solito scemo che non ci era arrivato per primo. Ma che razza di marito innamorato era stato ed era tutt’ora? Non c’era da stupirsi che Patty fosse scappata da lui. Si rimise seduto di scatto.
 
«Lo farò, mi avete convinto» sentenziò. «Se questo servirà a tranquillizzare Patty e a riportarla da me, ci sto.»

«Era ora che la capissi, cazzo» lo reguardì Benji. «Non perdere tempo, su. Chiama e falla finita.»

«Sì, giusto, e se hai bisogno di noi... be’, ti basta guardarci perché noi non andiamo da nessuna parte. Supporto morale, amico» gli diede man forte Tom.

Cavoli, ma cosa aveva fatto per meritarseli?
 
«Supporto morale, ok, ci sta anche. Ma diciamo che io non mi muovo da qui perché sono stanco morto e questa è anche camera mia, sia chiaro. Tze, figurarsi ora se devo uscire perché il signorino deve fare una telefonata in Spagna» saltò su Benji facendoli ridere dopo un attimo di smarrimento.

E fu così che Holly prese coraggio e videochiamò il sempre fidato Gonzales.
 
 
 



Barcellona, Spagna.
 

 
«Dios mío, mira qué maravilloso.» (Oh, caro, guarda che meraviglia.)
 
«Ahora mismo, Manuela, la única maravilla que veo es ese banco de allá.» (In questo momento, Manuela, l’unica meraviglia che vedo è quella panchina là in fondo.)
 
Quel giorno, il mister aveva concesso il pomeriggio libero alla Nazionale Spagnola e lui, Gonzales, aveva deciso di passarlo con sua moglie in giro per negozi. Ma cosa gli era saltato in mente. Aveva i piedi in fiamme.
 
«Te estás haciendo mayor. Y decir que corres todo el día sobre el césped. No me parecería verte ahora después de solo... tres horas de compras.» gli comunicò dopo avere guardato l’orologio al polso. (Stai invecchiando. E dire che corri tutto il giorno in campo. Non si direbbe a vederti ora dopo solo... tre ore di shopping,)
 
«Eh? Ya han pasado tres horas?» Si stupì e poi, improvvisamente allarmato la fissò meglio trovandola stanca. «No, no, eso no es bueno. Eso es suficiente. No quiero que te jodas así. Ven conmigo» le disse poi prendendola per mano «nos merecemos un buen chocolate espeso y luego nos iremos directos a casa. Tienes que descansar» (Eh? Sono passate già tre ore? No, no, così non va bene. Ora basta. Non voglio che ti strapazzi così. Vieni con me. Ci meritiamo una bella cioccolata densa e poi filiamo subito a casa. Devi riposare.)
 
«Ah, aguafiestas. Vamos, solo una última compra. Esa cuna de mimbre es muy bonita y no me la van a robar debajo de las narices y... oh, oh mira ahí, esa mecedora es un espectáculo Perfecto para el dormitorio.» (Ah, guastafeste. Eddai, solo un ultimo acquisto. Quella culla in vimini è proprio bella e non ho intenzione di farmela fregare da sotto il naso e... oh, oh guarda là in fondo, quella sedia a dondolo è uno spettacolo. Perfetta per la cameretta.)
 
Ah, le donne. Per accontentarla seguì la direzione del suo braccio che indicava un punto ben preciso del negozio. Be’, non si poteva dire che Manuela non avesse buon gusto. Lui non se ne intendeva di certe cose, ma in questo caso dovette darle ragione.
 
«Está bien, pero solo si el tendero accede a sentarte mientras lo enriqueces, o no importa. Entiendes?» Cedette, ma con riserva. (Ok, ma solo se il negoziante accetta di farti sedere mentre lo fai diventare più ricco, o non se ne fa niente. Intesi?)
 
Per tutta risposta lei gli piantò un leggero bacio a fior di labbra che lo fece arrossire vistosamente. Non amava ostentare il suo amore per la moglie in pubblico e certi gesti lo mettevano sempre in difficoltà.
Sorridendole, improvvisamente timido, la guidò oltre la soglia del negozio intenzionato a concludere gli acquisti il più velocemente possibile, quando gli squillò il telefono e si allontanò con discrezione, dopo avere fatto accomodare la moglie su un puf.
Holly in videochiamata. E doveva essere super tardi in Giappone. Chissà cosa voleva dirgli di così urgente.
 
«Hola amigo. Te has recuperado del bombazo?» (Ciao, amico. Ti sei ripreso dalla notizia bomba?)

«Si, más o menos. Digamos que mi ya no ex es la peor. Te importaría cambiar a japonés? Sabes, no estoy solo en la habitación y me gustaría que mis amigos también entendieran lo que decimos.» (Sì, più o meno. Diciamo che la mia non più ex è quella messa peggio. Ti dispiace passare al giapponese? Sai, non sono solo in camera e vorrei che anche i miei amici comprendessero cosa diciamo.)
 
Gli dispiaceva? Certo che no. Lo aveva imparato proprio per potere comunicare meglio con lui e Patty – anche se con lei non era servito, visto la sua palese ostilità nei loro confronti, ingiustificata a suo dire – e anche Manuela si era unita a lui e ora lo parlava abbastanza bene.
 
«Come preferisci, sai che adoro parlarlo. Allora, dimmi tutto, cosa ti porta a telefonarmi nel bel mezzo del pomeriggio? Se non ho fatto male i conti da te dovrebbe essere notte ormai. Mamma mia, hai una faccia che fa spavento. Stanco?» S’informò.

«Sì, sono stanco morto e sì, sono le 23.00 passate» confermò. «Senti, volevo chiederti una... ma, ma sei in giro? Ti sto disturbando?» Chiese poi interrompendosi.

«Ah, il mister ha deciso che oggi mezza giornata di allenamento andava più che bene e così... Manuela mi ha trascinato per negozi. I miei piedi ti ringraziano» lo informò facendolo ridere e in sottofondo sentì altre risate, i suoi amici senza dubbio. «Informazione di servizio per chi è con te: Manuela è mia moglie. Allora Holly, se invece di dormire hai preferito chiamarmi è perché la cosa deve essere urgente. Forza, spara» lo esortò infine.

E lui lo fece, senza mezzi termini.
 
«Ho scoperto la causa del mio divorzio.»

«Ehhh? Non ci credo, alla fine ce l’hai fatta a fartelo dire. E allora, qual è? Sono curioso, non tenermi sulle spine.»

«Un mio presunto tradimento. No, zitto, non dire nulla finché non ho finito» lo bloccò poi vedendolo trasalire e lui annuì. «Per fartela breve. Ricordi che Patty me lo chiese proprio dopo il mio ritorno dal nostro mini ritiro? Bene, a quanto pare, Patty era venuta a cercarmi perché le mancavo – dice lei, ma non me la bevo – e mi ha visto abbracciato a una che era lì con noi. Me l’ha descritta benissimo, tra l’altro, perché ha detto che anche se era lì a due passi da tutti noi, nessuno si è accorto della sua presenza, tutti presi com’eravamo da questa tipa.»

Ehhh? Questa gli suonava nuova. Una ragazza al ritiro con loro? Impossibile.
 
«Ma tu pensa. E così durante i ritiri ve la spassate lontano da noi povere mogli e fidanzate ignare che vi aspettiamo a casa» intervenne Manuela facendolo sobbalzare. «Ma bravi. Non mi stupisce che ti abbia dato il ben servito, l’avrei fatto anch’io al suo posto» sentenziò infine guardando Holly.

«Ah, non guardare me, cara. Sono fedelissimo io e poi non ci ha mai raggiunto nessuna ragazza o donna mentre siamo chiusi in ritiro.»

«Oh, non devi giustificarti con me, marito mio, lo so che tu non lo faresti mai. Sei troppo pigro per cercarti un’amante» gli rinfacciò, facendo di nuovo ridere gli amici di Holly.

«Em, ciao a te Manuela. Non volevo farvi litigare» le rispose quello con un po’ di imbarazzo. «E no, non è mai successo, a nessuno di noi. Fatemi finire. Insomma, mi chiedevo se tu avessi idea di chi fosse, ma se non lo sai...»

«No che non lo... ohhh, oh, oh ohhh.»

«Cosa sono tutti questi ohhhhh? Che succede? Vuoi dire che è successo davvero? E chi diamine era? E perché non me lo ricordo?»

E lì, Gonzales scoppiò a ridere nel bel mezzo del negozio con i commessi che lo guardavano tra curiosità, sgomento e fastidio. Si schiarì la voce e riprese con più calma.
 
«Ohhh, sta per... “Non so chi sia più idiota tra te e la tua ex.” Tu per essertelo dimenticato – perché una sventola del genere non si dimentica neanche sotto tortura – e lei per non averla affrontata e credimi, non avresti divorziato in quel caso.»

«Fortuna non vi aveva raggiunto nessuno, vero? Una sventola indimenticabile? Attento alle tue prossime parole, potresti dormire sul divano stanotte» intervenne ancora sua moglie, questa volta arrabbiata.

«Non credo che succederà» gli disse lui sorridendole. «Holly, tanto per esserne sicuro... ti ha per caso descritto un tatuaggio particolare sul braccio di questa tizia?»

«Em, sì. Una rosa gialla con tutto il gambo e le foglie che partivano dal polso e salivano verso tutto il braccio. Perché?»

«Capelli lunghissimi, fisico perfetto, vestita alla moda?»

«Sì tre volte. Gonzales, se sai chi è dimmelo. Devo rintracciarla e farla parlare con Patty. È l’unica opportunità che ho per farle capire che sono innocente e per poterla riavere con me, specie ora che risultiamo ancora sposati.»

«E se non glielo dicevamo noi col cazzo che ci sarebbe arrivato da solo» intervenne un ragazzo giapponese piazzato quanto lui. «Ciao, io sono Benji e questo qui vicino a noi è Tom» evidentemente, incuriositi, si erano piazzati ai lati del loro amico.

«Piacere mio. Ma... non dirmi che tu sei il famosissimo SGGK e che tu sei l’altra metà della Golden Combie che ora gioca in Francia» esclamò improvvisamente, riconoscendoli e loro annuirono.

«Sì, ok, tutto molto bello. Loro sono loro e tu sei tu, evvivaaa» li interruppe Holly. «Allora, sgancia quel nome. Devi tirarla ancora per le lunghe?» Lo esortò con fare impaziente.

«E già chi ci sei dillo anche a me, che sono curiosa. Sai, un giorno vorrei dire a nostra figlia che razza di bugiardo era suo padre.»

«Figliaaa? Ma... wow, questo sì che è uno scoop. Auguroni a entrambi» disse l’amico tutto sorridente.

«Se qualcuno non muore prima, grazie» rispose sua moglie per lui. «Forza, tesoro, fuori il nome.»

Ma come diamine era finito in quella situazione assurda? E niente, non gli restava che dirlo e sperare che Holly si ricordasse del perché quella tipa non avrebbe mai – ma proprio mai – potuto diventare la sua amante o di chiunque altro di loro.
 
« Esperanza Blanca Cou!»

A quel nome, Manuela sorrise e si rasserenò, come previsto, ma non ci fu nessuna reazione da parte dell’amico. Be’, non stava certo a lui ricordargli chi fosse quella ragazza, anzi no, quella donna. Se Holly aveva la memoria corta, peggio per lui. Prima o poi gli sarebbe venuto alla mente e allora avrebbe capito, ma se così non fosse stato...
 
«Qualche informazione in più?» Gli chiese l’amico.

A volte Holly era proprio prevedibile. Sorrise.
 
«Ci vediamo tra due settimane. Spero per te che la memoria ti sia tornata prima del mio arrivo, in caso contrario... be’, ti tornerà per forza quel giorno» gli disse lasciandolo perplesso. «Non sapete come vorrei essere al vostro posto in questo momento, ma qui penso che la cosa andrà per le lunghe ancora per un po’, povero me.»

«Voglio solo ricordarti che se siamo qui dentro è perché qualcuno, quella sera, non ha fatto attenzione» lo rimproverò bonariamente la moglie «quindi, ora smettila di lamentarti. Muovi quelle chiappe e vieni a provare la sedia a dondolo. Se regge te, è perfetta.»

In tutta risposta lui alzò gli occhi al cielo e fece una faccia rassegnata che fece ridere il trio, prima di congedarsi.
 
«Ciao a tutti e tre e buonanotte» e chiuse la chiamata. «Manuela, che ne diresti di un giretto in Giappone?» Le propose facendola annuire felice.

«Oh, sì, adesso che ancora posso viaggiare accetto al volo. E poi voglio rivedere Patty e... non so bene ancora cosa le dirò, ma sento che potrebbe essere un nuovo inizio. Ammetto di non avere fatto grandi sforzi per farla diventare mia amica e me ne vergogno. Sarà dura, ma provarci non costa nulla, vero amore mio?»

«Tú lo harás. Siempre obtienes lo que quieres. Entonces, dónde está esta mecedora?» Poi la prese per mano e si lasciò guidare attraverso quello strambo negozio. (Ce la farai. Tu ottieni sempre quello che vuoi. E dunque, questa sedia a dondolo dove sta?)

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Capitolo 15
*** Bentornata, Anego! ***


«Come sarebbe a dire che nell’immediato non può fare niente?»

«Si calmi signora Hutton.»

«Signorina Gatsby, prego. E poi... calmarmi? Guardi, dopo quello che mi ha appena detto, lo trovo assai impossibile.»

Dannazione. Questa non ci voleva proprio. Decisamente non era quello che voleva sentirsi dire dal suo avvocato. Sì, non aveva resistito e una volta rientrata a casa, l’aveva chiamato. Dopotutto da lui era ancora pomeriggio e stava ancora lavorando. Si era ripromessa di chiamarlo il giorno dopo, in caso non l’avesse trovato e invece lui aveva risposto e ora si trovavano in videochiamata da circa un quarto d’ora.
 
«Signor Mendoza, scusi, mi spiega come mai nessuno – nessuno – si è mai accorto dello scambio dei due Ortega?» Gli domandò dopo avere sospirato pesantemente.

«È un mistero che gli inquirenti stanno cercando di svelare. Purtroppo, la conseguenza dell’arresto del finto giudice Alonso Ortega è quella che le ho elencato poc’anzi. Tutte le sentenze da lui emanate sono state annullate con effetto immediato e, prima che possano essere esaminate di nuovo da altri giudici, passerà molto tempo. Quindi, non si ostini a volere un nuovo processo in tempi brevi, deve rassegnarsi e aspettare i tempi della giustizia, ma prima ancora quelli della procura che sta indagando.»

«Insomma, faccio prima a morire di vecchiaia.»

«Ahahah, non sia così drammatica. Quello che posso dirle con certezza è che vigilerò attentamente perchè non trapeli nulla alla stampa. Il nome di suo marito è ben noto qua in Spagna e se dovesse essere reso pubblico e collegato a questo pasticcio... non oso immaginare le conseguenze per lui, ma anche per lei.»

No, lei riusciva benissimo a immaginarsele. Una volta che i giornalisti fiutavano una pista, non la mollavano fino a che non la esaurivano. E se, per disgrazia, fossero arrivati a lei... in poco tempo avrebbero scoperto di Mairi. No, non poteva permetterlo.
 
«Signor Mendoza, mi affido a lei, non mi deluda» gli disse. «È uno dei pochi a sapere del mio segreto e gradirei che rimanesse tale.»

«Si fidi di me e poi sono legato dal segreto professionale. Mi ha detto che il signor Hutton è in Giappone in vista dei Mondiali, ha avuto modo di vederlo?»

«Purtroppo, sì, avvocato. I Mister della Nazionale mi hanno incastrata di nuovo e ora faccio parte dello staff, dannazione» lo informò.

«E l’ha informato della sua mancata paternità?»

«No!» Rispose di getto. «No, non è il caso che lo scopra ora, prima dei Mondiali. Ne rimarrebbe sconvolto, giustamente, e le sue prestazioni in campo potrebbero risentirne. Non vorrei mai essere la causa di un eventuale sconfitta del Giappone, per cause esterne alla squadra. Per favore, mi dica che mi capisce.»

«La capisco» rispose lui dopo un po’ «ma non condivido questa sua scelta. Suo marito, signora, deve esserne informato e non vorrei mai che a farlo fosse un giornalista... mi spiego? Come le ho detto, farò il possibile perché la notizia che anche voi siete implicati in questo scandalo giudiziario non trapeli, ma non posso garantirglielo. Come dice lei, i giornalisti sono furbi e molti sono anche privi di scrupoli. Riesce a immaginare cosa succederebbe se uno di loro lo avvicinasse in diretta dopo una partita e gli rivelasse della vostra bambina?»

Oh, sì, suo malgrado riusciva a immaginarselo e la cosa le torceva le budella. Non tanto perché Holly si sarebbe sentito tradito, ma perché avrebbe avuto un motivo serio per odiarla e lei questo non lo voleva.
Soprattutto ora che avevano stabilito una specie di tregua e avevano ripreso a parlarsi civilmente. O quasi.

 
«Vedo che ci sta pensando e... como?» S’interruppe improvvisamente guardando oltre lo schermo. «Ah, sí, estaré allí en diez minutos, gracias. Mi scusi, era il mio assistente che mi ha ricordato di un’udienza che ho tra poco. Allora, ha capito cosa deve fare per scongiurare ogni evenienza? Deve trovare la forza di confessargli la verità.» (Come? Ah, sì, tra dieci minuti sarò lì, grazie)

«Va... va bene, ci penserò» tentennò lei. «Grazie per il suo tempo e, alla prima novità, mi avvisi.»

«Indubbiamente. Ah, un’ultima domanda e poi la lascio andare a dormire» le disse strappandole un sorriso visto che aveva cercato di sbadigliare senza farsi vedere, ma era stata beccata. «Ha mai pensato di rintracciare quella fantomatica donna che ha visto con suo marito quel famoso giorno?»

Ehhh? Ma glielo aveva chiesto davvero?
 
«Nnno. Ma che domande mi fa avvocato? Dovrei anche conoscerla? Darle una pacca sulla spalla? Bere un caffè con lei, magari, mentre mi faccio raccontare della sua relazione con quello che era mio marito? Ma si è ammattito per caso?» Lo aggredì improvvisamente sveglia.

«No, glielo assicuro. Ma converrà con me che questa donna potrebbe essere utile al fine di un nuovo processo. Se i due non si frequentano più, potremmo usarla come testimone dell’accusa e ottenere molte più concessioni delle precedenti, in sede di dibattimento. Ci pensi. Da nemica ad alleata. In fondo me lo disse lei, no, che le aveva fatto un favore aprendole gli occhi su quel porco – parola sua – che aveva disgraziatamente sposato.»

In effetti aveva davvero detto così e, in effetti... non era un’idea poi così strampalata.
 
«Ma lo sa che lei è un genio, avvocato? Me lo lasci dire, la sposerei solo per questo» gli disse di slancio.

«Mia moglie non ne sarebbe contenta e la bigamia è un reato, anche in un paese aperto come la Spagna» le rispose lui ridendosela di gusto. «Invece le mie quattro figlie sarebbero più... democratiche, diciamo, e mi appenderebbero nudo e a testa in giù al braccio della statua di Cristoforo Colombo, mi sono spiegato? E io soffro di vertigini.»

E lì, Patty, immaginandosi la scena non si trattenne più e quando l’avvocato Mendoza la salutò, stava ancora ridendo a crepapelle piegata in due sul divano.
 
 



 
«Holly, potresti farmi un favore?»

Ehhh? Questa sì che era una novità. Una bellissima novità. L’aveva bloccato mentre andava in bagno, ma un minuto per lei l’avrebbe speso volentieri.
Patty era al ritiro con loro da un paio di giorni e quella mattina si sarebbe assentata per andare a vedere la Festa di Primavera alla Nankatzu. Avrebbe tanto voluto essere presente anche lui, ma non poteva andarsene. Daichi ne era rimasto deluso, ma aveva capito. I ritmi degli allenamenti erano aumentati, erano tutti sotto pressione e le riunioni serali post cena si sprecavano. I Mister avevano mantenuto la promessa e li stavano portando a superare i propri limiti.
La partita con la Toho era andata abbastanza bene e loro avevano vinto per 2-1; neanche a dirlo i Mister non ne erano stati felici. Così, eccola la grande idea, l’indomani pomeriggio ci sarebbe stata una partita preparatoria contro una squadra senza nome, li avrebbero torchiati per tutto il giorno e quindi non poteva raggiungere la sua famiglia a scuola. Peccato, avrebbe tanto voluto vedere come aveva allestito l’aula la classe di Daichi, ma gli aveva fatto promettere di fare tante foto e video da mostrargli.

 
«Hollyyy, dove cazzo sei finito con la testa?» Lo accusò Patty.

E niente, beccato.
 
«Parli con me?»

«Ma va là. Parlo con Miss Fluffy» gli disse indicando la coniglietta che aveva a guinzaglio.

«Ma... porti anche lei alla festa?»

«Mi sembra ovvio. Allora, me lo fai questo favore... o no?» Gli ripeté, spazientita.

«Dammi un attimo o succede un guaio imbarazzante e poi sono tutto tuo» le disse prima di correre via.

Che imbarazzo davvero, ma cosa poteva farci lui se gli scappava proprio tanto? Due minuti dopo era da lei che, nel frattempo, si era spostata a bordo campo a parlare con il resto della squadra ora in pausa. Quel giorno era molto carina, ma a lei bastava poco per esserlo. Un paio di jeans blu, una maglietta gialla a mezze maniche e un piccolo zainetto nero sulle spalle. Si ritrovò a sorridere come un ebete. No, non doveva distrarsi quel giorno o non avrebbe combinato nulla.
 
«E dunque dimmi tutto, cosa vuoi da me?» Le domandò raggiungendola.

«Voglio conoscere la tua amante.»

Ehhh? Se gli avesse detto che era innamorata di un altro, l’avrebbe sconvolto di meno. Holly si guardò in giro e vide che erano tutti rimasti basiti dalla richiesta. Mister e manager comprese.
 
«Scu... scusa, puoi ripetere? Deve essermi morto un timpano nel frattempo. Cosa vuoi, tu?»

«Voglio che chiami la tua amante e le dici che esigo parlarle. Sì, lo so, avrei dovuto farlo prima, ma come ben sai non sono stata in me per molto tempo e poi ero troppo presa da altro. Ma ora che sono qui... mi sembra il minimo da chiederti. In alternativa passami il numero che ci penso da sola, grazie.»

«Sei seria o ti è andato il cervello in corto circuito?»

«Oh, che dolce che sei... vuoi proteggerla. Ma non ti devi preoccupare per lei, non le farei mai del male – per lo meno non fisicamente data la distanza – voglio solo farle qualche domanda, tutto qui.»

«Mio Dio, tu non stai bene» le rispose lui. «Patty, non so più come dirtelo. Questa donna non esiste e non posso averne il numero» le ribadì.

«Certo, come no e io sono cinese. Ti do’ tempo una settimana. Dille che è importante che le parli. Dille anche che sono disposta a pagarla per il disturbo. Ah, ma forse questo potrebbe irritarla, ma poi no... una puttana è abituata a prendere soldi e le faranno gola, tra l’altro li guadagnerà onestamente quindi...»

Niente. Non c’era nulla da fare. Avevano ragione Benji e Tom, lei ci credeva davvero all’esistenza di questa tizia. Non poteva certo dirle che aveva ragione, che effettivamente una donna li aveva raggiunti al famoso ritiro e che ne aveva scoperto il nome tramite Gonzales, così si limitò a tacere.
 
«Come mai questo desiderio improvviso?» Si limitò a chiederle.

«Affari miei. Diciamo solo che se voglio mettere una pietra sopra a questo brutto capitolo del passato, devo affrontarlo. Occhi negli occhi. Direi che una bella e lunga videochiamata non sarebbe da escludere. E poi la devo mettere in guardia su di te. Vedi, tu potrai dirmi e ridirmi, giurarmi e spergiurarmi che quella lì non è mai esistita, ma sappi che io non ti crederò mai. Chiaro? Tu potrai anche farmi credere di amare me, adesso come allora, ma io continuerò a riderti in faccia e perché? Perché non ti credo e non ti crederò mai nemmeno su questo. Vedi, rovinare la fiducia che una donna ha in te e prenderla per i fondelli platealmente, pensando che sia troppo scema e innamorata per accorgersene, non va mai bene. E questa donna non avrà mai più fiducia in te e in ciò che dici o fai, per sempre. Quindi, sfrutta bene questa settimana che ti concedo e poi fai la cosa giusta. Dammi il suo numero e tutto finirà bene per entrambe. Per te, meno, credo.»

Detto ciò, non attese risposta e sparì per raggiungere i suoi a casa e andare dal fratello.
Che. Cazzo. Era. Appena. Successo?

 
«Qualcuno conosce il suo psichiatra? Mi sa che ne ha di nuovo bisogno» disse a nessuno in particolare una volta ripreso dallo shock.

«Ragazzi, abbiamo appena assistito al ritorno di Anego. Dio, quanto mi era mancata» esordì Benji.

«Holly, posso dirti una cosa?» Gli domandò Bruce e quando lui annuì, riprese. «Davvero sei intenzionato a riconquistarla e a non divorziare da lei, questa volta sul serio? No, lo dico perché mi sembra sempre più convinta del tuo tradimento e non ne vuole proprio sapere di te né ora né mai.»

«Grazie per l’incoraggiamento, dico sul serio.»

«Concordo con lui» intervenne Philip «e in più vuole conoscerla, parlarle, vederla... e non riuscirai mai a farle cambiare idea. Te l’ha detto no? Qualunque cosa detta o fatta da te, ha valore zero per lei.»

«Sono curioso di vedere come la convincerai che davvero questa donna non la conosci e non sai neanche chi sia» gli disse Mark. «Sarà un bel match da non perdere, devo prenotare il posto in prima fila.»

«In alternativa potresti ingaggiare una tipa spagnola che ci assomiglia, a pagamento ovvio, per farle recitare la parte. Così la fai contenta e poi potrete andare avanti, ciascuno per conto suo. Credo che una tua nuova relazione con Patty sia esclusa, mi spiace per te» gli propose Ted.

Che amici simpatici che aveva. Erano tutti molto incoraggianti. Già, ma loro non sapevano la novità e quindi...
 
«Em, esiste. A quanto pare esiste» rivelò.

«Ehhhhhhhhhh?» Urlarono tutti insieme dopo un attimo di smarrimento.

«Già, è così. Giorni fa ho chiamato Gonzales per chiedergli se si ricordava di questa tizia e, nel caso, di dirmi chi fosse per poterla fare parlare con Patty. Sono masochista? Forse. Ma sono stanco di tutta questa storia che va avanti da troppo tempo e voglio darci un taglio pure io, che credete. Ironia della sorte è? Io e lei abbiamo avuto lo stesso pensiero. Be’, fatto sta che lui mi ha confermato la presenza di una donna al ritiro con noi, in tutto e per tutto identica alla descrizione fatta da Patty e mi ha detto persino il suo nome.»

«E... e quindi chi è? Come faceva a essere lì con voi? È una dell’ambiente, senza dubbio o l’avrebbero buttata fuori» constatò Julian. «Come diamine hai fatto a dimenticartene?»

«Non lo so, ma quello che so è che persino il suo nome non mi dice nulla.»

«Assurdo. Tu non ti dimentichi mai di nessuno, Holly. Per essere successa una cosa del genere, c’è un’unica spiegazione» rifletté Shingo e poi vedendosi fissato, continuò. «Deve essere moralmente sgradevole o troppo appiccicosa, fastidiosa. Insomma, una che a pelle è meglio evitare di frequentare. Quindi, escludo che tu abbia mai potuto frequentarla.»

«Vero, ma ho la strana sensazione che lo scopriremo noi, come tu Holly, tra circa un paio di settimane» intervenne Benji guadagnandosi l’attenzione di tutti. «Io ero lì durante la telefonata e anche Tom, ovvio, stiamo nella stessa stanza di mister sveglione qua. Mi è sembrato di capire che questo Gonzalo potrebbe rintracciarla e portarla qua insieme alla Nazionale Spagnola.»

Ehhh? E quando l’avrebbe detto, lui non lo aveva sentito.
 
«Gonzales, non Gonzalo» lo corresse lui. «E poi guarda che non ha mai...»

«Oh, sì, sottointeso, ma l’ha detto» lo interruppe Tom. «Quindi, come ti ha sollecitato a fare lui, vedi di ricordarti chi è prima del loro arrivo. E poi finalmente potrai lasciarti tutto alle spalle.»

Improvvisamente gli arrivò uno schiaffo in testa. Si girò nella direzione del colpo e...
 
«Eve, gli anni passano e tu diventi sempre più manesca.»

«Se ne vuoi ancora, ti basta dirmelo. Non aspetto altro. E mi sono trattenuta, perché se potessi usarti come un pungiball lo farei senza esitare.»

«W la sincerità.»

«Ecco, bravo, quella che tu neanche sai più cos’è. E così esiste! Esiste e hai mentito.»

«Forse ti è sfuggita la parte dove dico che l’ho scoperto da poco e grazie a...»

«Hai mentito a Patty, poco fa. Vergognati!» Saltò su Amy, interrompendolo con foga e rabbia.

E ci mancava solo lei. Ma quelle due erano diventate le guardiane di Patty?
 
«Non le ho mentito, non ce l’ho quel dannato numero» si difese.

Stava per aggiungere altro quando quelle due gli girarono le spalle, andandosene. Dopo qualche passo Amy ci ripensò, si girò e gli fece il dito medio. Il dito medio! Amy! Se lo sarebbe aspettato da Eve, ma da lei... no.
 
«Mi sa che è meglio se giri alla larga da quelle due per un po’» gli disse Danny.

«Concordo. Forza, dai, riprendete gli allenamenti. Vi siete riposati anche troppo e domani vi attende una super partita quindi... in campo, subito!» Ordinò Mister Turner.

«Ma... ma possiamo almeno sapere contro chi dobbiamo scontrarci domani? Insomma, almeno averne un’idea se proprio deve rimanere una sorpresa» chiese Ed.

«No, lo scoprirete quando arriveranno. Non dovete allenarvi per i membri di quella squadra, ma per affrontare una partita difficile, ma che vi aprirà gli occhi sulle vostre mancanze e sui vostri punti di forza. Questo è lo scopo dell’incontro di domani. E ora, smettetela di perdere tempo e datevi da fare» li riprese Mister Gamo. «Holly, so che per te questo è uno sforzo doppio ora, ma devi dimenticare le parole di Patty e metterci l’anima, ok? Se sei capace di farlo, sei già a buon punto.»

E lui ci mise tutto se stesso e non si risparmiò per tutto il resto degli allenamenti. Patty non avrebbe minato la sua concentrazione e il suo rendimento in campo. Certo, da quando l’aveva ritrovata, non aveva smesso un attimo di pensare a lei. Non l’avrebbe persa nuovamente.
 
 



 
«Oh, wow, Daichi, questa vostra Casa degli Orrori è... spettacolare. Dio mio, mi avete davvero spaventata. Non a morte, ma quasi.»

«L’abbiamo chiamata House of Spirits non a caso, è piena di spiriti inquietanti tratti da libri e film horror. Ma il pezzo forte è senza dubbio...»

«No, non dirlo» gli intimò, inutilmente.

«Lei. Sadako. Hai visto il pozzo? L’ho fatto io. Non ti sembra molto realistico?»

«Sssì, e anche lei era molto – molto – vera, paurosa. Bravissima per carità, ma ho temuto seriamente di non uscirne viva. Meno male non ho portato dentro Miss Fluffy.»

Per fortuna l’aveva affidata a sua madre che, con il resto della famiglia, era andata a vedere una mostra di quadri del club di arte.
 
«È stato divertentissimo sentirti urlare, ahahah. E non abbiamo ancora finito.»

«Oddio, che altro c’è?» Chiese sinceramente allarmata.

«Come servizio extra, per fare riprendere dagli spaventi, diamo un buono per bere una tisana calmante o quello che si preferisce, nell’aula qui accanto. Vedi? Hanno aperto un Maid Cafè.» L’informò allungandole il biglietto.

«Grazie al cielo, ne ho proprio bisogno. Dici che se la chiedo in un secchio mi fanno storie? Perché non penso che una tazza sia sufficiente.»

«Ahahah, oggi sei proprio uno spasso, sai? Ah, quasi dimenticavo, aspetta solo un minuto...» e poi sparì all’interno dell’aula.

E adesso cos’altro aveva in serbo per lei? Daichi era stato un perfetto direttore della House of Spirits, ma francamente pensava che la sua esperienza da tachicardia fosse finita lì.
 
«Ehi, sorellona, sei ancora viva vedo.»

«E voi siete tornati» constatò riprendendosi la coniglietta. «Daichi e la sua classe hanno fatto davvero un lavoro stupendo, pensavo di non uscirne viva.»

«Grazie, grazie» esordì quello appena tornato con una busta in mano che le diede subito. «Una foto ricordo.»

«Wow, non avete lasciato nulla al caso vedo e...»

«Daichi, tesoro. Ecco dove ti eri cacciato, ti abbiamo cerc... oddio. Patty?»

Maggie e Michael Hutton. Le sembrava strano di non averli ancora incontrati in giro per i corridoi.
 
«Sì, mi chiamo ancora così» rispose. «In perfetta forma, mi sono ripresa dalla caduta, visto? A quanto pare nulla mi distrugge.»

«Ne sono felice. Mi ero così spaventata quel giorno» le disse Maggie prima di abbracciarla stretta, sconvolgendola. «Bentrovati anche a voi.»

Patty vide i suoi annuire, ma senza proferire parola. Ma che bella riunione di ex famiglia... no, non più ex, dannazione. Erano ancora un’unica, grande, famiglia. E anche se non avrebbe voluto...
 
«Em, sì. Vado un attimo al Maid Cafè qua di fianco che devo riprendermi dagli spaventi presi qua dentro» disse sventolando il buono. «e poi se non vi dispiace e anche voi avete finito il giro, gradirei che veniste a casa mia. Ho qualcosa di importante e urgente da dirvi e non voglio farlo in pubblico. Meglio un luogo privato. Daichi, puoi assentarti o...»

«Posso. Sono qui dalle 7.00 e sono ko. Il mio turno l’ho finito, devo solo aspettare che arrivi il mio sostituto. Io sarò ancora di turno domani mattina. Ho una fame che non ci vedo più.»

«Quando mai non hai fame tu, mangeresti anche la nostra casa se fosse commestibile» lo prese in giro Michael.

«Siamo liberi Patty, lo stand di nostro figlio era l’ultimo della lista e lo visiteremo mentre tu ti riprendi. È davvero così sconvolgente lì dentro?»

«Be’, mettiamola così... se non ti piacciono i film horror, stanotte non dormirai affatto» le disse, poi si allontanò.

E non solo per quello resterai sveglia, cara Maggie, non solo per quello. Fidati!, si disse ridacchiando da sé mentre ordinava una tisana al tè verde macha.
Fu così che venti minuti dopo gli Hutton e i Gatsby si ritrovarono tutti riuniti sotto il suo tetto in attesa della grande rivelazione. Miss Fluffy zampettava felice in giro per casa.
Per un attimo le venne il dubbio che rivelare la recente scoperta a tutti, senza che Oliver fosse presente, fosse una carognata. Ma poi si disse che era peggio per lui.

 
«Hai davvero una casetta incantevole, Patty.»

«Grazie Maggie, me l’ha detto anche tuo figlio qualche giorno fa» le rispose lasciandola basita. «Ma come, non lo sapevate?»

«Em, no. Ma con la storia del ritiro lo vediamo pochissimo» le rispose.

Prima di rispondere Patty prese posto davanti a loro, seduta sul tappeto. Di divano ne aveva solo uno e i tre Hutton ci si erano messi comodi; la poltrona era occupata da sua madre, dove sul bracciolo si era arrampicato Nobuo e suo padre aveva preso una sedia dalla cucina per mettersi accanto a loro.
 
«Immagino. Sono tutti in fibrillazione per una partita che hanno domani pomeriggio. E poi, diciamocelo chiaro, tutta la squadra fa schifo. Sono fuori forma e troppo individualisti. E posso dirlo perché sono lì con loro in qualità di manager di supporto e li vedo. MI viene voglia di prenderli a calci in culo tutto il giorno per quanto fanno compassione e pena, lasciatemelo dire senza paura di esagerare. I Mister hanno davanti una missione stra impossibile e spero che riescano a rimetterli in sesto. L’estero ha fatto male a chi ci è stato. Lavaggio del cervello, sapete, e Holly è il peggiore. Il Padrino – oh, scusate, il suo misterl’ha rovinato e lui da leader carismatico è finito a essere il suo cagnolino senza fantasia. Ops, non dovevo dirvelo, forse? Voi lo vedete ancora come eroe, giusto?»

Quella era stata una cattiveria bella e buona e lo sapeva, ma non aveva saputo resistere.
 
«Purtroppo, hai ragione. Quello non è più il nostro Oliver. Da quando gioca in Spagna, ho visto spegnersi la sua vitalità a poco a poco. Cosa che non era successa in Brasile, vero caro?»

«Verissimo. Lì era sempre pieno di idee, stimoli, voglia di fare, di creare, di entrare in campo, mentre ora... è come se si fosse perso e non riuscisse più a ritrovarsi.»

«Be’, ce ne avete messo di tempo per rendervene conto. Sono anni che l’ho capito da solo. E quando è tornato e gliel’ho fatto presente, mamma, l’hai difeso. Cosa ti ha fatto cambiare idea?»

«Il suo sguardo, Daichi. Il fatto che quando parla di calcio, non ha più il suo solito entusiasmo e il luccichio negli occhi. Quando siamo andati a vederlo giocare contro la Toho... lì ne ho avuto la triste conferma.»

«È lampante e spero che – lontano da quell’ambiente – possa tornare quello di prima» la spalleggiò il marito. «Ma cosa volevi dirci per convocarci tutti qua, Patty? Dopo anni che non ci frequentiamo, ti confesso che questa cosa mi spiazza. È così strano.»

«Sì, Patty cara, ormai le nostre due famiglie possono dirsi estranee – fatta eccezione per i nostri figli minori per fortuna – e...» intervenne sua madre, subito bloccata da lei prima che perdesse il coraggio.

«Non c’è un metodo indolore per dirlo, quindi lo faccio e basta. Un po’ come quando devi fare la ceretta e l’estetista strappa senza preavviso lasciandoti senza fiato.»

Fece una pausa a effetto e quando vide che erano pronti...
 
«Il divorzio è nullo. Io e Holly siamo ancora sposati.»

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Capitolo 16
*** Sorprese ***


«Ehilà, cognatino. Ti sei ripreso dal colpo? Io non ancora.»

Così dicendo, Daichi agguantò con un braccio le spalle di Nobuo che stava passando accanto a lui in corridoio. Nobuo che, preso alla sprovvista, fece cadere il corposo plico di fogli che aveva in mano.
 
«Non sono tuo cognato» lo riprese Nobuo.

«Balle. Lo siamo. Tutti. E. Due.» Rimarcò l’ovvio lui. «Devo dire che la cosa non mi dispiace e...»

«Ah, piantala!» Lo bloccò lui liberandosi le spalle dal suo braccio. «Guarda che disastro hai combinato. Ci avevo messo mezz’ora a metterli tutti in ordine» disse infine accucciandosi a raccoglierli mentre imprecava contro l’amico.

«Ed ecco perché non faccio mai il rappresentante di classe o entro nel consiglio scolastico, come te. Scartoffie qua. Scartoffie là. Sposta di qua. Metti di là. No, non fa per me. Dai, ti do una mano. È colpa mia dopotutto, mi sembra il minimo che possa fare» e così dicendo lo raggiunse e iniziò a raccogliere fogli.

«Grazie, ma per sdebitarti come si deve, mi aiuti a sistemarli tutti di nuovo. E non provare a protestare. Non basta scusarsi. Se fai il danno, lo ripari» gli disse quando lo vide pronto a replicare.

«Dannazione, che despota che sei diventato. E va bene, affare fatto... cognatino.»

«E smettila con questa storia. Patty e quel cretino di tuo fratello sono stati sposati per un anno e separati per cinque. Conteranno pure qualcosa. Sulla carta saranno ancora marito e moglie, ma la cosa finisce lì.»

No. Lui non ne era così convinto. Sentiva che quei due erano ancora legati. Lo aveva percepito quando Patty erra caduta dalle scale fuori dallo stadio e Holly l’aveva soccorsa. Lo sguardo di suo fratello, la sua voce incrinata dalla paura... gli avevano aperto gli occhi e ora era sicuro che lui l’amasse ancora e... Patty? Non ne era ancora convinto totalmente, ma da quello che aveva captato fuori dalla sua porta qualche giorno prima mentre parlava con Holly, poteva essere.
 
«Mah, non sta a noi dirlo. Se la vedranno tra di loro. Sono adulti. Un po’ stupidi, ma lo sono» gli ricordò. «Anche se, devo dire, che tua sorella non lo è stata molto con i miei. Va bene essere ferita, ma sminuire Holly davanti a loro, è stata una bella carognata. Non se lo meritavano. È vero, le hanno dato ragione, ma poi sono stato io a tornare a casa con loro e ho visto il dolore nei loro occhi. Anche noi abbiamo sofferto in questi anni cosa credi.»

«Mai quanto noi» rispose l’amico con voce incrinata dopo una lunga pausa. «Mai come noi. A noi è stato strappato il cuore, la speranza, la gioia per... e nessuno ce le ridarà indietro» gli urlò contro prima di rialzarsi con molti fogli in mano. «Andiamo in biblioteca, lì nessuno ci disturberà.»

Come? Che cazzo stava per dirgli Nobuo prima di interrompersi bruscamente come se... sì, come se avesse parlato troppo. Daichi era confuso. Lo sguardo dell’amico era chiaramente sofferente, non stava fingendo di esserlo, ma allora perché non dire cosa lo tormentava. Doveva farlo parlare.
E ce la mise tutta, ma davvero tutta. Senza successo. Erano passati venti minuti buoni e ancora non ci era riuscito, nonostante diversi tentativi. Stava perdendo la pazienza.

 
«Abbiamo finito, grazie» gli disse infine recuperando anche il suo mucchio di fogli ora ordinati e alzandosi per andarsene.

«Ma grazie, cosa. Grazie un cazzo» si risentì lui. «Rimettiti seduto che non abbiamo finito noi.»

«E invece sì, fattene una ragione» reagì lui allontanandosi. «Senti, i nostri rapporti sono tornati civili e ok, ma non possiamo dirci amici come prima e di sicuro non siamo cognati.»

«Hai sentito tua sorella ieri, no? Il gran pasticcio che c’è stato in Spagna ha fatto sì che tutte le sentenze di quel giudice fasullo, siano state annullate. Insomma, siamo ancora tutti un’unica famiglia» insistette lui.

«Sulla carta certo, Daichi, ma quello non basta a chiamarsi così se non c’è più il sentimento. E credimi, Patty odia tuo fratello, con tutta se stessa, nonostante quello che va a dire in giro sul fatto che le sia indifferente. Ha una buona ragione per odiarlo, buonissima e io non posso che appoggiarla.»

«E quale sarebbe? Ho capito che stai nascondendo qualcosa, non sono stupido. C’è qualcosa che non state dicendo, voi Gatsby intendo e non lo trovo corretto perché sono convinto che coinvolge tutti, non solo voi. Hai detto che questa buona ragione giustifica l’odio di Patty verso Holly, no? Bene, dimmela, così posso confermartelo oppure no. Posso giudicarlo da me.»

Daichi lo vide indurire lo sguardo e poi scuotere la testa. Testardo fino alla fine. Era diventato un osso duro. Però era anche ammirevole, perché stava proteggendo quel segreto con tutto se stesso. Doveva essere proprio sconvolgente.
 
«L’unica cosa che puoi fare ora, è tornare in aula. Tra un’ora si chiude la Festa di Primavera e il presidente aspetta i resoconti finali da ogni aula. Così, mentre voi tutti tirerete il fiato, in attesa della festa di stasera col falò, noi del Consiglio Studentesco saremo occupati a vagliare i risultati per decretare il vincitore. Sbrigati. A quanto ne so, sei tu il responsabile della classe per il vostro progetto e quindi, tocca a te il lavoro finale. Niente favoritismi.»

Oh, cazzo, se l’era dimenticato. Sicuramente lo stavano cercando e lui aveva detto che andava solo al bagno per cinque minuti, poi era uscito dall’aula e si era scontrato con Nobuo. Sicuramente i suoi compagni erano furiosi con lui.
 
«Non cambiare discorso Nobuo. Sai che so essere sfiancante quando voglio. Prima me lo dici e meglio sarà per tutti, non credi?»

«No!» Si oppose lui con fermezza. «E poi chi sarebbero questi tutti. Oltre a noi famiglia Gatsby non c’è nessun altro che ne è coinvolto, quindi piantala con queste scemenze. C’è un lavoro che ti aspetta e che da solo non si fa. Gradiremo avere i risultati in tempo – pena l’esclusione della tua classe dalla lista dei migliori progetti, con negazione del premio – e questo per potere decretare il vincitore.»

Dannazione, lo aveva perso. Daichi si dichiarava momentaneamente sconfitto.
 
«Non finisce qua, sappilo. Io non mollo.»

«Fai come credi, per me è tutta fatica sprecata. Ti dico solo una cosa, lascia perdere. Basta la nostra di sofferenza. E credimi se ti dico che non avrà mai fine» disse con sguardo triste prima di andarsene.

Daichi non ebbe il coraggio di fermarlo. Aveva la sensazione che quel segreto fosse più brutto di quello che aveva pensato.
 
 



 
«Oh, era ora che rimettessi in moto le tue ormai arrugginite celluline grigie.»

Holly sobbalzò sul posto e iniziò a tossire. Non si aspettava un agguato di Patty in piena regola. Al buio. Appostata vicino al campo principale presente al ritiro. Non l’aveva vista, troppo preso com’era dal perfezionare un qualcosa che aveva in mente. Si era appena seduto sulla panchina, sfinito, ed era intento a bere avidamente dell’acqua quando lei aveva parlato. Facendogliela andare di traverso.
 
«Non c’è bisogno che mi muori qua davanti per farmi capire che ti stai impegnando, finalmente» lo prese in giro. «E dunque, a che si deve questo slancio di ingegno. Nostalgia del periodo pre Spagna? Non avevi un cazzo da fare? Non riuscivi a dormire? Eh, lo so, più si avanza in età e più la digestione risulta difficile e lunga.»

«Ah, ah, ah, non sei spiritosa per niente» le rispose lui una volta ripreso. «Ho un’idea in testa e voglio vedere se è fattibile, prima di proporla ai Mister. Ti sembra così strano?»

«Decisamente. Un evento più unico che raro. Non è più da te» gli disse andandosi a sedere accanto a lui e allungandogli l’asciugamano.

Holly avrebbe dovuto risentirsi di quelle parole, ma quel gesto un tempo così familiare lo distrasse e lo fece sorridere.
 
«Grazie, mia bellissima aiutante in seconda.»

Aveva usato volutamente quel termine per suscitare una reazione in lei e infatti arrossì molto. Si era ricordata. Holly era solito chiamarla così quando Patty lo aiutava con le fasciature o assisteva durante i suoi allenamenti privati, ma era una cosa che sapevano solo loro due e che aveva contribuito a unirli poco per volta.
 
«Prego, mio eroe autolesionista» e poi gli sorrise.

Dio, quanto amava quel sorriso impertinente. Gli era mancato.
 
«Io non starò dormendo, ma neanche tu a quanto pare visto che sei qui a distrarmi.»

«Distrarti, dici. E come? Eri già in pausa di tuo.»

«La tua sola presenza mi distrae, Patty. Anche se stai zitta, mi distrai.»

«Ah, ok. Be’... allora me ne va...»

Ma non fece in tempo a finire la frase perché lui la prese per mano e la tirò verso di sé, facendola cadere tra le sue braccia.
 
«Holly, ma che fai? Lasciami andare, subito!» Gli intimò, inutilmente.

«Cinque minuti, Patty. Poi potrai alzarti, schiaffeggiarmi, insultarmi, andartene, quello che vuoi. Ma ora ho bisogno di ricaricare le pile, sono sfinito.»

E così dicendo posò la testa sulla spalla di Patty e chiuse gli occhi. Si stava proprio rilassando.
 
«Non essere così rigida, tesoro, rischi di cadere. Guarda che non ti mangio» le sussurrò.

«Uff, sei impossibile. Ma hai ragione.»

E poi fece qualcosa che lo spiazzò e rese felice al tempo stesso. Gli passò un braccio dietro il collo e iniziò a massaggiargli i capelli. Holly per poco non si mise a fare le fusa.
 
«Em, scusa, sono un po’ sudato.»

«Non importa. Sei davvero stanco e si vede, hai bisogno di questo. Per una volta posso fare un’eccezione. Anche se non mi interessi più, non vuole dire che sono insensibile. E poi non è la prima volta, vero? Ci sono state molte occasioni in cui io... em... dopo che noiii... sì, insomma... hai capito, no? Ti prego, non farmelo dire.»

«Ahahah, ho capito, anche se mi piacerebbe davvero tanto sentirtelo dire» le confessò alzando la testa a guardarla per poi rimanerne incantato.

Patty era bellissima già di suo e il tempo l’aveva solo migliorata, ma quando arrossiva era semplicemente meravigliosa. Si perse nei suoi occhi imbarazzati. Istintivamente si avvicinò a lei, voleva così tanto baciarla e poi... poi non seppe chi avesse fatto la prima mossa, ma si ritrovò incollato alle sue labbra.
Fu un bacio profondo dettato dall’istinto e dalla passione che finì troppo presto e li lasciò senza fiato. La stanchezza era sparita. Si sentì galvanizzato e felice come non gli succedeva più da anni e la causa di questo suo benessere era sempre e solo lei, la donna che ora era tra le sue braccia, Patty. L’unica che poteva farlo sentire così.
Avrebbe voluto dirle Ti Amo, riempirla di complimenti, ma non voleva farla scappare. Momenti come quelli erano preziosi e lui doveva impegnarsi ad aumentarli. No, non esattamente. Doveva farglieli desiderare. Era diverso.
Per il momento, però, era ancora lontano dall’obiettivo infatti...

 
«No. Nonononono, no! Così non va bene, proprio no» gli disse rimettendosi in piedi e iniziando a camminare avanti e indietro.

«Oh, andiamo Patty, ogni volta che ci baciamo devi fare la melodrammatica?»

«Cosa? No. È solo che... oh, insomma... è pericoloso. Tu sei pericoloso.»

«Io? E perché mai? Io direi che quella pericolosa sei tu.»

Ma lei non lo stava ascoltando. Patty aveva iniziato a parlare da sola e Holly si mise comodo e si godette lo spettacolo.
 
«Cazzo, così non va. Devo smetterla di assecondarti. Devo smetterla di cedere. Mi piace baciarti sia chiaro, mi è sempre piaciuto, ma la cosa finisce qui. Siamo due ex, Holly, e gli ex non si baciano.»

«Ah, davvero? E dove sta scritto?» La provocò.

«Anche se hai delle belle labbra e sai baciare molto bene, i baci tra noi saranno out, d’ora in poi. Mi sono mancati, ok, è vero, ma questo non vuole dire che devo ricambiarli ogni singola volta che me ne dai uno» continuò lei imperterrita come se non lo avesse sentito.

«Oh, no, no, fallo pure. E che cazzo. Se poi volessi spingerti anche oltre...»

«Non va bene. No. Finito. Chiuso. Bas...»

E niente, non aveva resistito. Seguendo il suo istinto, Holly si era alzato e l’aveva raggiunta di spalle per abbracciarla stretta.
 
«Rilassati, cara. È solo un abbraccio» le disse sentendola irrigidirsi.

Forse non era stata una buona idea. I loro visi si toccavano tramite le loro guance mentre un braccio circondava la vita di Patty, l’altro si era ancorato saldamente al suo seno che – notò con stupore – si era leggermente riempito e ora i suoi capezzoli premevano turgidi contro il suo braccio. Che il cielo lo aiutasse, anche una parte ben precisa di lui si era irrigidita all’istante.
Era solo un abbraccio, sì, come no e lui era vergine. Senza potersi controllare, Holly iniziò a baciarle leggermente la spalla e la sentì trattenere il fiato dalla sorpresa.

 
«Stai sfidando la sorte» gli disse infatti con voce ridotta a un sussurro.

«Allora, con il tuo permesso, la sfiderò ancora un poco» replicò lui spostandole i capelli per posare un altro lieve bacio sul collo, per poi scendere lungo le scapole e... eh?

Holly si ritrasse di scatto, la liberò dal suo abbraccio e... e rimase fisso come un ebete a guardare il collo di Patty.
 
«Qualcosa non va?» L’interrogò lei girandosi a guardarlo.

«Quando... quando hai fatto quel tatuaggio?»

«Ah, quello» disse lei con voce atona «l’ho fatto in Italia.»

«Oook e... chi è Mairi?»

E lì la vide sbiancare, oddio... stava per svenire?
 
«Vieni con me, sulla panchina, almeno se svieni non cadi per terra» le disse preoccupato prima di trascinarcela di peso.

Cazzo, stava veramente male. Patty aveva lo sguardo perso, fisso e stava sudando freddo. Istintivamente prese la sua bottiglia d’acqua e gliela porse.
 
«Bevi, per carità. A piccoli sorsi. E respira.»

E lei eseguì tutti i suoi comandi, senza protestare. Solo quando la rivide prendere colore, Holly azzardò sa tornare sull’argomento.
 
«Patty, trovo che il tuo sia un bellissimo tatuaggio, anche se non avrei mai detto di vedertene addosso uno, ma vorrei saperne di più. Perché proprio lì? Cosa rappresenta? E perché il nome Mairi ti ha così sconvolta?»

In effetti non aveva mentito, era davvero ben fatto, ma Patty era l’ultima persona che pensava potesse farne uno.
Un cuore rosso con due grandi ali bianche ai lati che puntavano verso l’alto, con un’aureola dorata sopra e il nome Mairi scritto nel mezzo. Doveva essere appartenuto a qualcuno che era molto importante per lei se il solo sentirlo nominare la mandava in tilt completo. Finalmente lei parlò.

 
«Sai, Mairi è stata – ed è tutt’ora, anche se non c’è più – qualcuno che ha lasciato un segno indelebile nella mia vita e che mi ha resa ciò che sono oggi. La sua è stata una presenza simile a quella di una meteora, ma dal mio cuore e dalla mia testa, non se ne andrà mai. Ho voluto ricordarla anche così.»

«Che cosa le è successo? E chi era questa bambina? Perché, se ho capito bene, purtroppo, è morta che ancora lo era, giusto?»

«Giustissimo» gli rispose lei con un filo di voce appena udibile e gli occhi lucidi.

«Mi spiace. Non dirmi altro se non te la senti, per ora. Vedo che ti turba molto questo argomento e che non sei ancora pronta per parlarne, quindi mi basta così. Per quello che vale, mi rattrista molto questa morte ingiusta. Ma sono sicuro che lei sa di essere stata importante per te e in qualche modo ti è ancora vicina. Forse sono parole banali le mie, ma...»

E lì, Patty lo sorprese ancora una volta scoppiando a piangere a dirotto mentre ripeteva come un mantra il nome della bambina e lo stringeva stretto.
 
 



 
Patty pianse tutte le sue lacrime aggrappata al petto di Holly come un ancora al fondale. Pianse perché l’empatia di Holly l’aveva spiazzata. Pianse per la sua – la loro – bambina deceduta ancora prima di nascere. Sì, bambina, perché per lei lo era ugualmente, anche se per molti non poteva essere tale, non essendo ancora nata. Pianse perché non era riuscita a confessare a Holly quel segreto, nonostante ne avesse avuto l’occasione. Infine, pianse per se stessa che era una bugiarda e una codarda perennemente in lutto.
Diversi minuti dopo, si riprese e lo lasciò andare. Holly la stava guardando con un sorriso impacciato sul volto.

 
«Oddio, scusa, scusa, ti ho inzuppato la divisa» esordì.

«Ah, non importa, lo sai che ne ho due come tutti. Ne avevi bisogno, di piangere intendo e se vorrai ancora parlarmi di lei, di Mairi, dovrai solo cercarmi. Me lo prometti? Voglio sapere tutto di lei.»

«Pro... promesso, ma non subito. Voglio che tu affronti il Mondiale senza ulteriori pensieri nella testa e non voglio turbarti in nessun modo prima della sua fine.»

«Ma... ma no, nessun turbamento. Sono perfettamente in grado di venire a conoscenza della sua triste storia e, nello stesso tempo, di rimanere concentrato in campo, durante le partite.»

No, non lo sarebbe stato. Non se avesse saputo la vera identità di quella Mairi di cui bramava tanto sapere la storia. Quando prima le aveva chiesto di chi fosse la bimba... per poco il cuore di Patty non era esploso in mille pezzi.
Era nostra, è nostra! Avrebbe voluto urlare, ma non ce l’aveva fatta e le parole le erano morte in gola prima di uscire.
Decise di planare su un argomento più familiare e meno rischioso.

 
«Tu sei la nostra speranza, Holly. Fino a poco fa non ne ero certa, ma vedendoti così concentrato e impegnato alla ricerca di un nuovo tiro dopo tantissimo tempo... oddio, ora so che possiamo farcela a riprenderci la coppa e il titolo.»

«Lo spero davvero tanto, ma lo sai che non sarà solo per merito mio, vero?»

«L’importante è che lo sai tu. Dio, non immagini nemmeno come mi fa felice sentirti parlare di nuovo così. Lo sapevo io che quel postaccio non ti ha portato nulla di buono. Spero che quando ci tornerai, inizierai a usare la tua testa e non quella del tuo caro mister, ok? Non dovrai mai più essere il suo cagnolino, ma dovrai farti valere per il grande professionista che sei. Hai una testa, Holly, riprendi a usarla.»

«Pensavo di averlo sempre fatto e invece ora mi rendo conto che no, mi sono adagiato troppo sugli allori e ho lasciato che altri decidessero per me. Grazie per avermi aperto gli occhi per prima, mia cara. Non mi hai mai mentito e io ti ho ignorata e allontanata da me, potrai mai perdonarmi?»

Ti ho mentito. Ti ho mentito. Ti ho mentito. Ti ho deliberatamente mentito nel modo più meschino che potessi fare. E mi odierai, Holly. Appena saprai chi è Mairi, mi odierai a morte e per sempre. E avrai tutte le ragioni di questo mondo.
Ho mentito a tutti. Ha ragione l’avvocato, devo sbrigarmi a parlare di lei prima che lo faccia qualcun altro. Quindi... forza Patty, riprovaci prima che questo momento finisca.

 
«Riguardo a Mairi, iooo... eccooo, sì, io devo dirt...»

«No, ti ho detto che non è necessario farlo per forza ora. È tardi, sono stanco e lo sarai anche tu. Me ne parlerai, ma non adesso» le disse raggruppando le sue cose e alzandosi. «Allora, prima di andare dimmi... mi perdoni per essere stato così tanto stupido da averti trascurata?»

«Em, non lo so, ci devo pensare» gli disse con fare ironico.

«È un inizio promettente» commentò lui.

«Non perdere la speranza, magari un giorno accadrà» gli rispose facendolo ridacchiare. Ma poi tornò seria. «Davvero, Holly, è importante che ti racconti di lei, di Mairi e...»

«Ah, ecco chi sentivo parlare» li interruppe Mister Gamo «che ci fate fuori a quest’ora? È mezzanotte, per la miseria. Ho interrotto qualcosa?»

E niente, non era destino, punto. Confessione rimandata.
 
«Scusi, Mister, è colpa mia. Purtroppo, nessun appuntamento clandestino con questa bellezza al mio fianco» disse guardandola e facendola arrossire, suo malgrado. «Stavo solo provando un’idea per un nuovo tiro e lei mi ha sorpreso, tutto qui.»

«Un’idea? Davvero, Hutton? Che miracolo. A quanto pare ha ragione tua moglie, avevi solo bisogno di cambiare aria per tornare te stesso. Molto bene, ne sono felice. Sicuro di volere ritornare in Spagna?»

Appunto. Non che lei lo volesse lì a Nankatzu dove in qualsiasi momento poteva vederlo, beninteso, ma quella Nazione non faceva per lui. Non aveva mai capito il perchè avesse deciso di abbandonare il Brasile per finire lì. Cosa ci aveva visto di così speciale? Di certo il mister spagnolo, non lo rispettava come meritava e questo fin dal primo momento, quindi... per lei rimaneva un mistero.
 
«Ho un contratto da rispettare Mister. Alla sua scadenza, deciderò. Fino ad allora rimarrò fedele al mio impegno e gradirei non sentirne più parlare male. Mi trovo bene e mi sono integrato perfettamente. La Spagna è un bel paese e la gente mi piace. Devo molto a Mister Edward e, contrariamente a quanto dite tutti voi, lui mi lascia spazio di creatività, posso sperimentare, inventare, ma...»

«Oh, ma sta zitto» sbottò lei, arrabbiata.

Subito fu trapassata da due paia d’occhi curiosi che la scrutavano in attesa di qualche sua cattiveria, ma a lei bramava solo dire la verità. L’atmosfera serena di poco prima era rovinata, però non poteva stare zitta di fronte a quelle cavolate che aveva sentito dirgli con tanta sicurezza. E quindi continuò imperterrita.
 
«Cosa potresti fare tu, sotto il controllo serrato di quello lì? Nulla, te lo dico io, nulla. Almeno non raccontare balle. Oh, certo, gli devi qualcosa a lui... il manico del guinzaglio di corda che ti ha stretto al collo e forse anche un po’ del tuo sangue. Ma nulla di più. Mi ricordo i primi tempi. Eri così ansioso di proporgli le tue idee per sviluppare un nuovo tiro che partivi da casa tutto galvanizzato e tornavi demoralizzato perché lui non le aveva nemmeno prese in considerazione. E così, a poco a poco, hai smesso di farlo e ti sei adeguato a essere il suo ennesimo burattino. E gli effetti si vedono.»

«Quella che mente qui, sei tu» rimbottò lui ormai arrabbiato «come osi dire che...»

«Ha ragione lei, Holly. Tu stesso ti sei reso conto di alcune tue mancanze, ma fatichi ad ammetterlo. Sei già migliorato molto da quando sei tornato e il tuo gioco ne ha beneficiato, l’hanno notato tutti. In più, come se non bastasse, ti è tornata la voglia di fare, di migliorarti, di creare... prova ne è la tua presenza qui, ora, nel cuore della notte.»

«Sai cosa penso, Holly? Che prima dell’arrivo delle altre squadre dovresti guardarti dentro seriamente e farti un esame di coscienza. Se giungerai alla conclusione di avere ragione tu, allora mi scuserò per le mie parole, ma in caso contrario... dovrai ripartire da lì e tornare quello che tutti noi conoscevamo e stimavamo. Non manca molto, ma so che potrai farcela. Sei Oliver Hutton dopotutto.»

A quelle sue parole seguì un lungo silenzio, interrotto da una frase di Mister Gamo che la lasciò interdetta.
 
«Ed è per questo, Patty, che a seguito di un’attenta valutazione di noi Mister, ti abbiamo nominata “Manager addetta al ricevimento delle squadre straniere”, in parole povere... assisterai il nostro Capitano nell’accoglienza delle altre Nazionali all’aeroporto e in altre occasioni formali.»

«Cooosaaa?» Esclamarono all’unisono.

Per fortuna Holly era rimasto basito quanto lei se non di più, se era mai possibile esserlo.
 
«Ma... ma Mister, non esiste questa figura e non esiste che io lo faccia» protestò.

«Esiste da ora» replicò lui. «Te l’avremmo comunicato domani mattina, ma visto che sei già qua, ho anticipato i tempi.»

«Mister, come mai questa scelta?» Domandò Holly.

«Perché lei è la più qualificata tra le manager per esserlo e sono d’accordo anche loro. Sì, Patty, glielo abbiamo chiesto a tutte e il tuo nome è stato fatto da subito, all’unisono» le disse prima che potesse riprendersi dallo stupore. «Perché lei è tua moglie Hutton – anche se per uno strano scherzo del destino – e tu sei il Capitano della nostra Nazionale. È normale e giusto che sia lei ad affiancarti, non trovi anche tu? Perché lei, a differenza delle altre, è stata all’estero abbastanza a lungo da avere assorbito e appreso varie nozioni di comportamento, tali da mettere i nostri avversari a proprio agio fuori dal campo.»

Cheee? In pratica le stava dicendo che se lei non avesse confessato di essere stata in Europa per un anno, oltre che avere vissuto stabilmente in Spagna, non le avrebbe chiesto nulla? Non poteva essere così meschino.
 
«Mister, no. Non mi faccia questo, per favore» lo supplicò.

«Mi spiace, ma è già tutto deciso e anche i capi della Federazione Calcio, concordano. Il signor Katagiri poi, ne è entusiasta e ha appoggiato questa scelta di fronte a loro. Forza, ora a dormire, o domani mattina sembrerete degli zombie e poi potrebbero partire battutine neanche troppo velate al vostro indirizzo e io non farò nulla per farle cessare. Mi sono spiegato?» E se ne andò.

Cosacosacosacosacosaaaaaaaaaa? Assurdo, era assolutamente assurdo, vero?
 
«Holly, dì qualcosa, fermalo!» Lo implorò, ma ottenne solo un sorriso sghembo.

«Ah, Patty, dai... a che scopo dovrei fargli cambiare idea? Ti divertirai alla fine e poi ha ragione, tu sei l’unica tra le tue colleghe manager che può farlo e, in più, hai il vantaggio di essere mia moglie. In un certo senso i Mister ci hanno visto lungo, è quello che ci si aspetta da te.»

«Ex... ex moglie, Holly, ficcatelo bene in testa. Noi siamo ex, anche se una carta di merda dice di no. Ti giuro che, se avessi per le mani quel giudice fasullo, gli farei passare la voglia di spacciarsi per suo fratello defunto in meno di un minuto, altro che lasciarlo alla polizia. Chissà quante altre vite ha rovinato e vedrai che alla fine non le pagherà neanche tutte le sue cattiverie» s’infervorò. «Cambiando argomento... dimmi una cosa, ti prometto di non arrabbiarmi in caso me lo confermassi» e quando lui annuì titubante, proseguì «non è che sei stato tu a suggerire questa idea assurda ai Mister, vero?»

Ma Holly si limitò a ridere e a seguire il Mister verso il dormitorio urlandole un “Ciao Patty, dormi bene, se ci riesci, ahahah!”
E lì, lei non si trattenne più. Era stata incastrata un’altra volta, cazzo e questa volta era davvero furiosa.

 
«Vaffanculo, Holly, vaffanculo e rimanici» gli urlò contro sentendolo ridere ancora più forte in risposta.

Oh, questa me la pagherai Holly, anzi no, me la pagherete tutti e tre!, pensò. Poi tornò in dormitorio, controllò che Miss Fluffy nel suo gabbione dormisse beata e si infilò nel letto senza fare rumore, anche se era difficile superare il dolce russare di Eve.
 
 
 
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             
Due settimane dopo, Aeroport de Barcelona      13h33’ a Tokyo
 
«Signore e signori, benvenuti a bordo di questo veivolo Iberia, sono il vostro comandante e insieme al primo ufficiale...»
 
Bla, bla, bla. Uffa. L’idea di essere chiusa sospesa per aria per circa tredici ore e mezza, non la faceva impazzire di gioia, ma di ansia.
Lei, Esper... no, Bianca Cou – reputava Esperanza un nome orrendo e non lo usava mai – aveva una paura fottuta di volare e questo era un bel guaio. In primis, perché per cause di forza maggiore, spesso doveva andare in Giappone e in secondo luogo, perché con la sua imminente futura posizione lavorativa, avrebbe dovuto viaggiare spesso per il mondo e quella era l’opzione più veloce.

 
«Tutto bene?» Le domandò la sua vicina di posto.

«No, sto pregando che questo coso non precipiti all’improvviso e non siamo ancora partiti.»

«Ahahah, vedrà che senza accorgercene saremo atterrati a Tokyo» continuò quella... come si chiamava? «A proposito, non ci hanno ancora presentate. Sono Manuela, la moglie di Gonzales, piacere.»

Lei guardò l’energumeno seduto accanto alla ragazza e gli disse con fare canzonatorio.
 
«Dì un po’, Gordoba, questa tipetta qui tanto carina è davvero tua moglie?»

«In carne, ossa e... pancione» rispose lui con orgoglio.

Bianca guardò la pancia della sua compagna di volo e le sorrise. Sì, non era ancora pronunciata, ma si iniziava a vedere.
 
«Quarto mese, quasi quinto» la informò quella anticipandola. «Femmina. Ultima occasione di visitare l’estero prima del parto. Preferisco non rischiare. Ho l’ok del medico e quindi... eccoci qua, tutti e tre.»

«Fottuto bastardo, alla fine sei riuscito a riprodurti» disse infine al massiccio difensore del Barcellona e della Nazionale, facendolo imbarazzare e provocando la risata generale dell’intera Nazionale Spagnola. «Be’, auguri a entrambi. Meno male è femmina, perché avere in giro un altro con la tua faccia non l’avrei retto. Un’ultima cosa, datele un nome decente che non la faccia vergognare mai, per favore e non sceglietelo da ubriachi perché poi un giorno lei ve lo rinfaccerà.»

«Sarà fatto» le disse lui col pollice alzato. «Grazie per avere accettato di venire con noi. È davvero importante che tu ci sia» le ricordò infine.

«Sì, sì, lo so, me l’hai detto e ridetto. Missione Vero Amore, iniziata. Cosa non si fa per la squadra, vero? Anche volare per ore e ore imbottita di tranquillanti che, per inciso, non mi hanno ancora fatto eff... effett...»

Ed eccola lì, in procinto di cadere in un sonno profondo, per fortuna.
 
«L’arrivo a Tokyo è previsto per le 9.00 a.m. ora locale. Mettetevi comodi e godetevi il viaggio.»

Ecco, voi lavorate che io schiaccio un sonnellino. Vedete solo di non farmi risvegliare nell’altro mondo. E poi si addormentò.

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Capitolo 17
*** Quando Anego si scatena... ***


Erano state due settimane da incubo. Patty non gliene aveva fatta passare una, a lui, Holly, come ai Mister entrati nel suo mirino.
A loro non aveva perdonato lo scherzetto per averla nominata... Manager addetta a... a qualcosa, insomma, ma il succo era che avrebbe accolto le altre Nazionali in arrivo con lui all’aeroporto e non solo.
A lui non aveva perdonato di averli appoggiati e approvati in questa loro follia, come aveva iniziato a chiamarla.
Persino le altre manager non erano uscite incolumi dalla sua ira.
Il giorno dopo, a colazione, Patty aveva espresso tutta la sua perplessità e si ricordava bene ancora le poche frasi che aveva pronunciato. C’era mancato poco che mollasse tutto per tornarsene a casa sua.

 
«Mister, quando ho accettato di tornare tra di voi, vi avevo espressamente posto delle condizioni in privato, ve le ricordate?» Li aveva interrogati.

«Ovviamente e sei stata chiarissima su quello» aveva esordito Mister Gamo.

«Ah, davvero? A me non sembra che voi le abbiate capite o non mi avreste messo in questo pasticcio, in questa... questa... assurda follia!»

«Non è follia, Patricia. Il nostro, è noto per essere un paese molto accogliente e come tale è giusto essere cortesi anche con i nostri avversari. Non sei d’accordo con noi?»

«Mister Turner, avevo espressamente chiesto di essere una specie di ruota di scorta, di essere messa in secondo piano senza troppe responsabilità e di avere la domenica libera che poi, alla fine, è l’unica mia condizione che è stata rispettata. Si ricorda cosa le avevo detto in caso di rottura di una sola di queste clausole? La sua parola vale così poco che, per caso dovevo scriverlo?»

E lì, erano saltati tutti per aria specie Mark, Ed e Danny che dal Mister erano stati cresciuti professionalmente. Ma, a quanto pareva, al Mister andava a genio Patty e quindi era scoppiato a ridere tra lo sconcerto generale.
 
«Non torneresti mai a casa tua, sei troppo orgogliosa per rimangiarti la parola data e per così poco poi. Ormai so che quando inizi un lavoro, lo porti a termine a ogni costo» aveva replicato zittendola.

«Se hai paura che possa andare qualcosa storto, levatelo subito dalla testa perché siamo tutti sicuri che non accadrà» aveva rincarato la dose Mister Gamo.

Lui l’aveva vista guardarsi intorno tra sorrisi di incoraggiamento, che però non avevano smorzato la sua arrabbiatura, Poi aveva incrociato lo sguardo delle manager e...
 
«E voi non avete niente da dire?»

«Buona fortuna e buon divertimento?» Aveva azzardato Amy.

«Patty, sai che io non avrei avuto problemi a farlo al posto tuo, ma sono nuova in questo ruolo di capo manager e ho già troppo da pensare così cheee... sinceramente, sto impazzendo e non capisco come facessi tu a non dare i numeri. Be’, insomma, per dirla tutta, non ho bisogno di un ulteriore impegno. Tu sei il nostro jolly e così...» le aveva detto Maki scrollando le spalle.

«Ma parlarmene prima, no, vero? Non ditemi che nessuno ci ha pensato. Era una trappola molto ben congegnata fin dal principio, vi devo fare i complimenti. Cazzo. Ma cosa avevo in testa quando ho accettato di tornare qua, i pinguini? Me la dovevo aspettare una cosa del genere prima o poi, eppure... ci sono cascata come una cogliona, di nuovo» aveva sbottato. «E va bene. E sia. Lo farò. Ma a modo mio e guai a chi di voi oserà lamentarsi. Mi sono spiegata?»

Eccome no. Talmente bene che avevano annuito tutti e di corsa anche. Nessuno escluso. Era meglio non farla arrabbiare di più. E lo sapevano tutti.

 
E questo spiegava perché ora era lì, al suo fianco nell’albergo che ospitava le varie squadre loro avversarie, vestita da...

 
«Era proprio necessario questo tuo... abbigliamento?» Le disse.

«Ohhh, sì, eccome se lo era. Non dirmi che lo trovi fuori luogo, mio caro capitano Hutton.»

«Quando non ti ho vista a colazione, mi sono chiesto dove diamine fossi andata, ma Eve ci ha tenuto a riferirmi il tuo messaggio, ovvero di non preoccuparmi che ci saremo rivisti come stabilito. Ma quando non ti sei presentata in aeroporto, ho pensato che avessi cambiato idea, alla faccia della tua promessa. E ora eccoti qui, in versione...»

«Tifosa!» Urlò lei facendo un giro su se stessa. «Non pensavo mi andasse ancora bene e invece... mi sta a pennello. Mi è improvvisamente venuta in mente stanotte e così sono scappata a casa per indossarla. Vedi? Ho fatto anche il disegno della nostra bandiera al volto» gli disse mostrandoglielo. «Preferivi forse che mi fossi messa in tiro? Per chi, per te, per voi? No. Dopotutto, io sono solo l’ultima delle manager della squadra e ci si aspetta da me coerenza, niente altro e così ho fatto.»

Di male in peggio, ma lo faceva apposta? Era questa la sua vendetta? Avrebbe tanto voluto domandarglielo, ma lei stava ancora parlando e non riuscì a bloccarla.
 
«E, nel mentre, ho colto l’occasione di portare Miss Fluffy dai miei per qualche ora. Ma mio fratello ha insistito per tenerla fino a che la cerimonia d’apertura sarà terminata. Ho accettato al volo, così non avrò il pensiero fisso di lei e saprò che sarà coccolata e al sicuro.»

«E ci hai messo due ore per cambiarti e portare la tua coniglietta dai tuoi?» L’accusò.

In realtà, trovava Patty molto sexy, ma non glielo avrebbe mai detto o quella era capace di spogliarsi e entrare nuda all’incontro con le Nazionali solo per dargli contro.
Jeans blu scuro attillati, maglia blu larga con il logo del Giappone, fascia bianca con le estremità rosse in testa, scarpe da ginnastica e, per finire come se non bastasse, la bandiera disegnata sulla guancia. Meno male non aveva portato quella vera.

 
«No, ci ho messo un’oretta scarsa, ma poi sai... il viaggio fino qui mi ha preso un po’ di tempo. Ho chiamato un taxi per fare più in fretta, pensavo di venire davvero all’aeroporto, ma poi ho visto l’orario e... e be’, ho chiesto all’autista di cambiare rotta e mi sono fatta portare direttamente qui. Forse ti aspettavi che ti avvisassi? Impegnato com’eri?»

Un messaggino sarebbe stato carino da mandare, no? Evidentemente, no. Ma non lo disse. Da quando le aveva dato nuovamente il numero, Patty non l’aveva mai chiamato, nemmeno una volta. Era come se non le importasse. Come se... oddio, forse non l’aveva mai neanche salvato nella rubrica e ora giaceva lì come numero senza nome e lei non sapeva di chi fosse. Però si ricordava bene quanto Patty amasse sfoltire regolarmente il cellulare da numeri indesiderati o sconosciuti. E se l’avesse fatto anche col suo? Be’, era triste, ma almeno così si spiegava come mai aveva attuato il silenzio stampa con lui. Meglio sorvolare.
 
«Ma ti rendi conto che sarai l’unica lì dentro ad avere dato un calcio all’eleganza?» L’accusò senza mezzi termini. «Tu, qui, ora, stai rappresentando il Giappone, come me e sì, forse un abito e un po’ di trucco avresti anche potuto sfoggiarli. E invece no, ti renderai ridicola davanti a tutti.»

«Ma daiiii, hai fatto una battuta» gli disse guadagnandosi un’occhiataccia interrogativa. «E neanche te ne sei resto conto. Dio, Holly, come sei diventato pesante. Una volta eri molto più divertente e non avresti dato peso a certe cose. Ma sai che ti dico? Me ne fotto se la pensi così. Io la penso diversamente e di mostrare una non me... anche no, grazie. E ora, forza, entriamo ovunque siamo diretti o vuoi marcire qua nella hall?»

«Sì, sì, va bene, va bene. Dovevo immaginarlo che trattandosi di te, ne avresti combinata una delle tue» la liquidò. «Dai, ora seguimi nella sala che l’albergo ha riservato per l’accoglienza delle altre Nazionali. A quanto ne so ci raduneremo tutti lì, Mister compresi. Ah, ma non ti preoccupare, ho saputo che saremo solo noi capitani, oltre loro, almeno credo.»

«Ma come, niente stampa? Mi sembra strano. Tanti sportivi, con sete di mettersi in mostra, rinchiusi in una stanza a fare finta di sopportarsi con falsi sorrisi, mentre dentro di loro stanno pianificando la disfatta totale dell’avversario... E tutto ciò senza che sia documentato?» Gli chiese piazzandosi davanti a lui con le mani sui fianchi e lo sguardò tra il bellicoso e il beffardo.

Holly era sconvolto. Era quello che ora Patty pensava del mondo calcistico? Che fosse tutta una farsa, una facciata per i giornalisti? Ingoiò la risposta piccata che aveva in testa e si apprestò a entrare.
 
«Allora, sei pronta, moglie?» Le domandò.

«Oh, sì. Fammi strada, capitano!»

Messaggio recepito.
 
 



 
«Oh, tò guarda... giornalisti» gli sussurrò.

Patty amava avere ragione e amava gongolare, ragion per cui non si trattenne e lo guardò con occhi finti compassionevoli cercando di non scoppiargli a ridere in faccia.
Al loro ingresso, una piccola folla si era girata a fissarli e non aveva mai smesso di farlo fino a che non furono in mezzo a loro.
Holly e i Mister, già nell’enorme salone, raggiunsero il tavolo predisposto per la breve conferenza stampa e lei si tenne in disparte. Una ventina di minuti dopo, i giornalisti uscirono – per fortuna, erano insopportabili – e la farsa iniziò.
Holly la raggiunse subito, intenzionato a fare il bravo padrone di casa, le circondò la vita con un braccio – ma era proprio necessario? – e la portò tra la folla ora più caotica. Purtroppo, guardandosi intorno, Patty riconobbe Mister Edward che – dannazione a lui – era uno dei due Mister della Nazionale Spagnola. Quello le fissò stupito e subito dopo le fece un sorrisetto sghembo che, se voleva intimidirla, non riuscì nel suo intento. Lo ricambiò ignorandolo. Era affiancato da Rivaul e da una donna che... non riusciva a vederla bene, ma le era familiare. Oh, be’, poco male, avrebbe scoperto presto chi fosse perché, purtroppo, fu proprio da lui che Holly si diresse per primo e a lei non restò che seguirlo.

 
«Mister Edward, che piacere ritrovarla qui» esordì stringendogli la mano.

«Hutton, questa volta saremo avversari. In quanto tuo Mister sono impaziente di vederti all’opera contro alcuni dei tuoi compagni di squadra» gli disse. Poi, fissò lei. «Signora Hutton, che piacere rivederla. Non pensavo si unisse a noi. Se non ricordo male a lei il calcio non è mai interessato molto, giusto?» Le domandò in perfetto giapponese in un tono che sapeva di sfida
.

Pensava forse di intimorirla? Col cazzo. Era a casa sua, adesso. E lì, lui, era in svantaggio. Decise che gli avrebbe presentato Anego.
 
«E ricorda male per davvero» esordì lei «io l’ho sempre amato. Ma lei di certo non poteva saperlo. Spero proprio che la vostra breve visita in Giappone le apra gli occhi su un tipo di calcio che non prevede l’essere zerbini e sempre accomodanti con i propri allenatori, ma che punta allo sviluppo del giocatore e al potenziamento delle sue capacità, se non addirittura l’evoluzione delle stesse. Mi raccomando non sprechi questa occasione perché sia mai che potrebbe servirgli una volta rientrato in patria» gli rispose con astio mal represso.

«Patty!» La riprese Holly senza successo.

Ah, no, non le avrebbe rovinato il momento.
 
«No, Hutton, una volta che tua moglie esprime la sua opinione lasciala parlare. Prego, continui pure, ha altro da dirmi come benvenuto?»

«Non prendo ordini da nessuno, men che meno da lei. Devo sopportare la sua presenza qui perché mi è stato imposto questo ruolo che non ho mai accettato e quindi farò buon viso a cattivo gioco, come si dice» gli sibilò ancora. «Le dirò solo questo: spero che siate la prima squadra a essere eliminata dal Mondiale, perché questo vorrà dire che non la vedrò più per il resto della sua durata.»

«Be’, che dire, faremo del nostro meglio perché ciò non avvenga. Mi piacerebbe, invece, arrivare alla finale, magari con il Giappone stesso.»

«Sogni pure, non è proibito. Lei è Rivaul, vero? Il capitano del Barcellona e anche della Nazionale a quanto pare. Buona fortuna per tutto. Si diverta fin che può. Troverà mio marito leggermente cambiato nel gioco, spero che questo non le sia di troppo intralcio in campo, semmai vi scontrerete.»

«Sono io. Sarà un piacere giocare di nuovo con lui, anche se in due fazioni diverse» disse lui stringendole la mano. «Che dire... grazie per avermi messo in guardia?» Concluse quello palesemente dubbioso.

«Oh, no, il mio non voleva essere un avvertimento, ma solo un dato di fatto. A mai più rivederci, Padrino» disse poi rivolta al Mister facendolo sussultare e sbarrare gli occhi. «Caro, io vado avanti, vedi di ricordarti che non esistono solo loro qua dentro, ok? Uhhh, ma quello è Santana? Dal vivo è ancora meglio, credo che mi troverai con i brasiliani.»

Ciò detto, si mosse per lasciarlo da solo con gli spagnoli, ora ammutoliti. O almeno così era intenzionata a fare perché fu allora che la donna semi sconosciuta raggiunse il trio e si palesò. Oh, sì, era proprio lei. La sua presenza la lasciò un attimo smarrita, ma non doveva mostrarsi sconvolta, no. Dopotutto, aveva sperato di incontrarla, no? Lo aveva persino chiesto a Holly. E se... ma certo, che lui sapesse del suo arrivo e avesse voluto farle una sorpresa? Oh, certo, avrebbe preferito in privato, ma non si poteva avere tutto, no? Però doveva ammettere che quei due ne avevano di coraggio.
 
«Oh, signora Hutton» esordì lei «allora non mi ero sbagliata, è lei. Non ne ero sicura fino a poco fa e ho preferito non fare figuracce intromettendomi. Che piacere conoscerla, finalmente, Oliver mi ha così tanto parlato di lei che non vedevo l’ora di incontrarla, ma lui si è sempre rifiutato di accontentarmi. Che cattivone, vero? È un piacere vederla qui, anche se non me l’aspettavo. io sapevo che era una persona riservata.»

Lei si finse un attimino sorpresa, come se le fosse un volto estraneo.
 
«Non esattamente. Sono stata costretta a stare in disparte. Sa, non amo lo spagnolo come lingua, non l’ho mai capita appieno e ci ho rinunciato quando mi è stato consigliato di non interferire con la carriera di mio marito» disse lanciando un’occhiata a Mister Edward che, almeno, ebbe la compiacenza di arrossire un poco. «Però ora sono a casa mia, nel mio mondo e qui posso essere finalmente me stessa.»

«Lo vedo. La sua schiettezza mi piace. Questa sua mise è fantastica, molto patriottica. Ah, scusi, non mi sono presentata. Sono Bianca Cou» le disse tendendole la mano e scoprendo parte del tatuaggio sul braccio.

«Un nome per un volto, finalmente» le rispose. E poi lanciò la bomba. «Lei è l’amante di mio marito, vero?»

«Co... come? Che... io... cosa... chi sarei?»

«Patty, smettila. Stai esagerando» s’intromise Holly guardandosi in giro come se avesse paura di essere stato smascherato platealmente.

«Tranquillo, caro, non mi ha sentito nessuno, c’è troppo casino qua dentro e poi certo non voglio sbandierarlo in giro» lo calmò. «Comunque, complimenti, te la sei scelta proprio bella, anche se è un po’ più vecchia di quello che mi ricordavo, non certo sulla quarantina a occhio e croce, non so perché all’epoca mi era sembrata più giovane. Ed ecco spiegato il motivo del tuo voltafaccia e del nostro divorzio. Ora riesco a capirti meglio. Se fossi un uomo, avrei ceduto anch’io al fascino maturo, specie se così perfetto. Avete il mio appoggio.»

Oh, e ora cos’erano quelle facce? Oh, diamine, aveva parlato del loro divorzio e non avrebbe dovuto. Be’, pazienza, l’avrebbero saputo solo loro.
 
«Avete... divorziato?» Chieste Mister Edward.

«Oh, andiamo, non mi dica che non lo sapeva. Ma per favore, racconti questa balla a qualcun altro, non a me. Ci manca poco che conosca la marca dell’intimo di mio mar... del mio ex – che senso ha ora nascondervelo – e mi vuole fare credere di non esserne stato informato? Dopotutto, ha raggiunto il suo scopo, anche se per vie traverse, pensavo avesse festeggiato» gli rispose con ironia.

Ma non fu lui a risponderle, visto che sicuramente era troppo impegnato com’era a capire chi avesse di fronte.
 
«Oddio, dimostro così tanti anni?» Saltò su quella tizia, Bianca. «Quaranta addirittura? E dire che sono appena trentaquattro» rispose la spagnola appena ripresa dallo shock. «Ma... ma guardi che... no, no, è meglio passare al tu. Dicevo, guarda che ti sbagli.»

«No, nessuno sbaglio. Lei era la donna che stava avvinghiata a mio marito anni fa, in atteggiamenti... come dire, di grande intimità. Comunque, non parliamone ora, ma appena conclusa questa farsa. Anche perché ho qualcosa di importante da chiederle e preferirei farlo in privato. Infatti, speravo tanto di conoscerla, lo avevo chiesto anche a Holly qualche settimana fa, di presentarci intendo, ma non ero pronta a questa sorpresa. Le andrebbe un bel gelato? Offro io. Conosco un posticino fantastico non troppo lontano da qui» le propose.

«Amo il gelato e, con questo caldo, accetto volentieri. Sperando tu non me lo faccia andare di traverso.»

«No, si tranquillizzi. Ci divertiremo, vedrà. A più tardi allora. Ora ho un compito ingrato da svolgere quindi la lascio col mio ex, che ne sarà ben felice non ho dubbi» le disse. «Holly, hai cinque minuti di tempo per congedarti da loro e darti da fare con l’accoglienza, ho capito che sei particolarmente legato alla loro Nazione, ma qui ce ne sono altre che ti aspettano. Hai dei doveri, non dimenticartene. Sai dove trovarmi.»

E questa volta si allontanò per davvero e raggiunse Santana che fu ben felice di fare la sua conoscenza e si rivelò una persona a modo e galante.
 
 



 
«Be’, Oliver,  non c’è che dire... ma che spettacolo è tua moglie. Anzi, no, la tua ex. Adorabile e sexy, specie se arrabbiata» e gli diede uno schiaffo in testa. «Ma sei scemo a essertela fatta scappare? Una tipa del genere la si tiene stretta, non si lascia» lo accusò infine.

«Divorziati... in teoria. In pratica, no» le rispose lui con voce stanca, mandandola in confusione.

«Che diamine significa. O lo siete, o non lo siete. Non mi sembra così difficile, no?»

«Storia lunga che – se non fosse vera – sarebbe una perfetta trama per un libro giallo» le disse ironicamente. «E quindi eri tu che lei ha visto con me. Ma tu pensa. Ad averlo saputo prima mi sarei risparmiato il divorzio. Ti giuro che non avevo idea che si riferisse a te, parlando di quel giorno.»

Eh? Ma era serio? Bianca era confusa.
 
«Caspita che caratterino. E dire che io temo mia moglie quando si arrabbia con i nostri figli o quando se la prende con me senza motivo» li interruppe Rivaul. «Giuro che quando torno le chiedo scusa a prescindere.»

«Se una donna si arrabbia, c’è sempre un motivo. Mettetevelo bene in testa» replicò lei al calciatore.

«Questa ragazza non è la stessa che ricordavo in Spagna. Questa fa quasi paura. Non teme niente e nessuno e non si fa problemi a parlare chiaro, anche se per dire cose spiacevoli. Mi piace. Sei sicuro che non è la gemella dell’altra?» Domandò il Mister a Oliver.

«In un certo senso lo è, diciamo così» rispose lui incuriosendo tutti e tre e poi specificò. «Avete conosciuto Patty in versione Anego. Il suo alter ego che spunta fuori quando si arrabbia. E no, non è pazza, è così fin da bambina, è una sua caratteristica che amo come lei o forse anche di più di lei. Em, sì, mi spiace per come vi ha trattati, non ve lo meritavate e prima del termine, la riporto qua e le faccio chiedere scusa, promesso.»

«No, Oliver, non ci provare neanche» lo ammonì lei. «Ha espresso i suoi pensieri e io non posso che ammirarla per questo. Ho scoperto più cose su come funziona il Barcellona da lei in pochi minuti, che in anni di osservazione da lontano. E non mi piace quello che ho sentito. Mister Edward, non mi interessa se qui rappresenta la Nazionale del nostro paese e se io sono qui come viaggio di piacere e non professionale, ma una volta che sarò tornata dall’appuntamento con Patty, Anego o... chiunque trovi delle due, mi dovrà delle spiegazioni» e poi se ne andò, risoluta.

Aveva appena fatto pochi passi che lui la seguì.
 
«Cos’è, vuoi irritare ancora di più la tua Patty?» Gli domandò con sarcasmo.

«No, voglio sapere come mai sei qui con la Nazionale.»

«Ah, be’, diciamo che Gonzales ha richiesto la mia presenza dicendomi che avevi bisogno di me qui, ma senza entrare nei dettagli. Dettagli che ora ho capito e che mi hanno lasciata un po’ sconvolta. E poi sono venuta a riportare a casa chi ben sai tu, che mi manca da morire ed è ora che ritorni.»

«Ma... ma... è perfetto» esclamò lui con entusiasmo guadagnandosi un’occhiata interrogativa. «Sì, lo è. Se Patty vi vedesse insieme, capirebbe benissimo di avere corso molto di fantasia. Sarebbe l’unico modo per farle capire che si è sbagliata e che l’ha sempre fatto. Mi ha detto chiaro e tondo che qualsiasi cosa io le dica, per lei sarà sempre una bugia e quindi non ho speranza di farle cambiare idea, almeno non in tempi brevi. Almeno che...»

«Alt, alt, fermo lì» lo bloccò lei con decisione. «Faresti bene a seguire il consiglio di tua moglie e a raggiungerla per svolgere il tuo dovere di capitano del Giappone. A lei ci penso io.»

«Ma... Bianca, guarda che...»

«Vai! E se fossi in te mi darei anche una mossa» gli disse indicandogli con la testa Patty.

Bianca fu felice di vedere Oliver sbiancare prima di raggiungerla di corsa e ridacchiò tra sé. Ah, l’amore. La gelosia. In meno di un minuto lo vide frapporsi fra lei e tre spasimanti per poi catalizzare l’attenzione su di lui. E bravo Hutton. Le Blanc, Schneider e Santana avevano fascino da vendere e non lesinavano a esibirlo, specie con una bella ragazza qual era quella Patty. Bella, intelligente e carismatica. E questo, attirava il sesso opposto. A dirla tutta, era pronta a scommettere che anche molte donne ne fossero attratte e lei poteva confermarlo.
 
 



 
«Ehi, siete appena arrivati e già corteggiate mia moglie?»

«Ehhh? Moglieee?» Urlarono tutti insieme i tre calciatori.

«Ma come, non glielo avevi ancora detto? E va bene che stamattina abbiamo litigato per una sciocchezza, ma rinnegarmi così...» si finse offeso lui, guardandola mentre le cingeva la vita con fare possessivo.

Ah, e così voleva giocare? Perfetto, lei di certo non si sarebbe tirata indietro.
 
«Sciocchezza?» Gli rispose guardandolo male, prima di spostare lo sguardo sul trio davanti a loro. «Signori, giudicate voi. Mi ha detto che presentendomi con questa mise – ovviamente Holly non ha detto quella parola, perché non sa neanche che esiste, ma io si – insomma, ha osato criticarmi perché inappropriata e perché l’avrei fatto sfigurare. Secondo lui dovevo essere più... elegante» concluse poi sganciandosi dal braccio di Holly e girando su se stessa. «Ma andiamo, vi pare? È pur sempre un evento sportivo, no? Non credo di essere fuori luogo, anzi.»

Patty vide i tre spostare continuamente lo sguardo tra loro due per poi soffermarsi sul loro rivale e fissarlo come se gli fosse spuntata un’altra testa. Si godette il momento.
 
«Ma che ti dice il cervello, Hutton» esordì Schneider «tua moglie è perfetta così com’è e, sinceramente, è adatta a tutto ciò più di molte altre che invece vogliono solo apparire.»

«Esatto. Io la trovo molto affascinante in questa sua tenuta sportiva» gli diede man forte Pierre.

«È veramente una bellezza e sei fortunato ad averla tutta per te. Non dovresti sminuirla così se la ami» e anche Santana corse in suo aiuto. «Se fosse mia, io non lo farei mai, neanche per scherzo.»

Ecco, ben detto. Peccato che Holly non l’amasse, nonostante le dicesse il contrario. Ah, se solo quella frase avesse avuto un fondo di verità... perché lei non ci si sentiva, bella, ma proprio per niente. Invece quel ragazzo sì che lo era, bello. Fin troppo. In modo molto pericoloso. E parlava anche un perfetto giapponese. Ma perchè cazzo non l’aveva incontrato prima di Holly? Sì, ok, sarebbe stato un po’ difficile visto la lontananza tra le due Nazioni, ma chissà, magari un modo ci sarebbe stato.
 
«Visto... caro? C’è qualcuno che mi capisce, finalmente» gli disse vedendolo innervosirsi. «Vi ringrazio per le belle parole e la comprensione. Mi scuserete se ora vi lascio, ma devo fare da... come posso dire, apripista con gli altri vostri colleghi. A nome della Nazionale Giapponese e di tutti i tifosi, vi auguro di fare un bel Mondiale. Conto di rivedervi alla cerimonia di apertura» disse loro prima di congedarsi.

Aveva a malapena fatto pochi metri che fu raggiunta da un Holly decisamente infastidito.
 
«Cos’era quello?» Le domandò.

«Quello, cosa?» Finse di non capire lei.

«Quello. Quel teatrino di poco fa. Ma sei impazzita?» Le sibilò a bassa voce.

«No, stavo semplicemente svolgendo il mio lavoro che, ti ricordo, consiste nell’accogliere gli avversari e metterli a proprio agio. Mi sembra di esserci riuscita, no?» Gli disse sistemandogli il colletto della camicia e la cravatta per non fare capire che stavano discutendo. «Stavamo ridendo e scherzando tranquillamente prima che arrivassi tu. Ah, e smettila con questa finta gelosia. Non ci credevo prima, non ci credo ora dopo avere conosciuto Bianca. Gran bella donna, a proposito. Non capisco bene perchè sia qua dentro con tutti noi, ma non è affare mio.»

«Ecco, appunto, parliamo di lei. Un gelato, Patty? Si può sapere cos’altro stai tramando? Cos’è tutta questa fretta di conoscerla e parlarle e di cosa poi.»

«E questo, invece, non è affare tuo, per il momento» gli rispose. «Avanti, caro, torna da quei tre e sorridi. Io ti precedo altrove. Sai, dopotutto, questo ruolo non è così male, mi sto divertendo un sacco e... i miei occhi ringraziamo per tanta bellezza e testosterone riuniti tutti qua dentro. Eccome, se lo fanno» concluse guardando con insistenza uno di loro e...

Ops, povero Holly che aveva seguito il suo sguardo fino a colui che aveva attirato la sua attenzione che – forse sentendosi osservato – a sua volta le aveva sorriso.  
Eh, sì, mio caro ex marito, rosica e soffri come ho fatto io grazie a te. Chi la fa, l’aspetti. Ah, il gusto freddo della vendetta, com’è dolce!, pensò.  

 
«Be’, io vad...»

«Scherzi, vero? Santana?»
 
«È magnetico, non trovi? Elegante e misterioso, ma anche simpatico» gli disse. «Tranquillo, non ho intenzione di farmi corteggiare da nessuno e tantomeno di iniziare una nuova relazione o anche solo di vivere un flirt. No, mi sei bastato tu e devo dire che mi è passata la voglia di stare con qualcuno. Te compreso. A più tardi, bye bye» e lo lasciò solo.

 



                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                  
Santana! Patty era attratta da lui, altro che balle. Lo sguardo che gli aveva lanciato non era affatto disinteressato e lui l’aveva ricambiato. Dannazione. Questo complicava le cose. Ma lui non si sarebbe arreso. Era sicuro che Patty provasse ancora qualcosa per lui e quindi non si sarebbe arreso per così poco.

 
«Non credevo di invidiare mai qualcuno in vita mia, ma con te accade sempre. Tua moglie è fantastica, tienitela stretta e criticala di meno.»

Ed eccolo lì, il suo avversario più temibile che tanto in Brasile, quanto in Spagna, gli aveva sempre creato problemi in campo.
 
«Ecco, bravo, lei è mia moglie, mia

«Ma come siamo suscettibili. Se sei messo così già al mattino, non oso immaginare come arriverai a stasera» lo sfotté.

«Ho visto come la guardi e non mi piace. Cos’è, ami talmente tanto la compagnia femminile che non ti bastano più le fan e le ragazze single che cambi come la carta igienica e ti sei convertito a quelle sposate?» Lo attaccò. «Sta lontano da lei o io...»

E ora perché gli stava sorridendo con fare sarcastico?
 
«Sai, le prime volte che ti ho incontrato in campo, invidiavo tutto di te, anche se ero troppo orgoglioso per ammetterlo. Tu avevi la grinta, la passione, il sorriso e un obiettivo. Tutte cose che a me mancavano. Poi in Spagna ti sei spento lentamente, una delusione che non ti dico a vederti ridotto così male. Avevo tanto fantasticato sulla nostra prima partita da avversari nel Campionato che... tutto mi sarei aspettato meno che di trovarmi davanti un estraneo. Io ero diventato te e tu me. Che tristezza. Dimmi che ti sei ripreso, per favore. Dimmi che il tuo Mister non ti ha plagiato così tanto da farti diventare l’ombra di te stesso e che ora, in campo, ritroverò il vecchio Oliver.»

Cosa? Anche lui aveva capito che era cambiato in partita? Da non crederci.
 
«Che c’entra questo con il fatto che hai delle mire su mia moglie?» Lo liquidò lui.

«Nessuna mira, anche se non posso negare che è veramente intrigante, bella e... sì, devo invidiarti, ancora una volta. Avrete anche litigato, ma si vede che vi amate.»

Si vede che ci... amiamo? Al pluraleee?
 
«E comunque, è un piacere vederla all’opera. Sta attirando tutti con la semplicità e la spontaneità, senza finzioni varie e senza fare fatica. E tu che l’hai criticata per come si è vestita. Fossi in te le chiederei scusa come si deve. Ci siamo capiti, vero?» Gli consigliò strizzandogli l’occhio prima di salutarlo.

In effetti, ora che la vedeva meglio... Patty stava raccogliendo consensi ovunque, munita solo del suo sorriso.
E lì, Holly, si vergognò come un verme. Doveva essere orgoglioso di lei. Doveva essere al suo fianco. Doveva appoggiarla e aiutarla. E sì, più tardi l’avrebbe ringraziata a dovere. Sapeva già come fare. Certo, all’inizio Patty si sarebbe opposta, ma poi avrebbe capitolato, ne era certo.
 
 



 
«Oh, eccoti qui, finalmente ti ho trovata. Andiamo?»

Andiamo? Ma chi.... Patty aprì gli occhi e si ritrovò ad ammirare il tattoo molto ben fatto della spagnola. Bianca, se ricordava bene.
Era stanca morta. Tre ore. Pensava di non uscirne viva. Così – mentre Holly prendeva congedo dai suoi colleghi capitani, lei si era seduta fuori dalla struttura, su una panchina di legno e... si era addormentata.

 
«Andiamo... dove?»

«Mi hai promesso un gelato, ricordi? Allora, dov’è questa gelateria buonissima che hai usato per tentare alla mia dieta che – per inciso – sono anni che devo iniziare seriamente a fare, ma evito perché amo troppo mangiare.»

Un gel... oh, cazzo, era vero. L’aveva dimenticato. Aveva proposto all’amante di Holly un gelato in sua compagnia perché voleva parlarle in privato e lontana da lui.
 
«Giusto. Scusi, ha ragione, andiamo subito» e così dicendo si alzò.

Aveva fatto appena qualche passo che...
 
«Ma... puoi andartene così, senza avvisare nessuno?» Le domandò quella.

«Sì, il mio dovere l’ho fatto e sono andata ben oltre quello che mi era stato chiesto all’inizio, quindi mi devono un favore bello grosso. E poi Holly era lì con noi quando te l’ho proposto, no? Se usa bene quei due o tre neuroni che non sono occupati dal calcio, dovrebbe ricordarsene. Altrimenti, al mio rientro farà il finto preoccupato, urlerà un pochino e mi ignorerà per qualche ora dicendosi deluso, arrabbiato e chissà che altro. Ma sa una cosa? Che si fotta. Sono adulta e in grado di prendere le mie decisioni da sola» le disse senza mezzi termini
.

E dopo un attimo di silenzio, la spagnola parlò.
 
«Ahahah, hai ragione. Ti adoro già. Sei una forza» le disse lasciandola basita.

«Ah, sì, ok... grazie e... em, andiamo? Forza, muova quelle chiappe o giuro che lascio qui e mi mangio anche la sua porzione. E non scherzo!»

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Capitolo 18
*** La verità svelata (parte 1) ***


«Sublime! Dio, voglio tornare lì dentro e farmi dare la ricetta per rifarlo a casa.»

Bianca era in estasi. Mai, mai, mai aveva mangiato un gelato così buono. Amarena, Menta e Tiramisù. Cremosi al punto giusto. Un’esplosione di sapori che iniziava in bocca per poi scendere nella gola. Doveva riconoscerlo, Patty sapeva il fatto suo quando si trattava di gelato.
 
«Ah, ci rinunci. Ci ho già provato io, ma senza successo. Così mi accontento di passare da qua ogni tanto» le disse mentre affondava il cucchiaino nel cioccolato.

«Quanto ti invidio. Peccato che per me sia un pochino fuori mano» le rispose facendola ridere. «E, ti ripeto, dammi del tu.»

«Come preferisci» accettò lei. «Senti, è inutile girarci attorno. Ho voluto parlarti per un motivo ben preciso.»

E lei era curiosa di saperlo, finalmente.
 
«Avanti, spara la bomba. Sono pronta a tutto.»

«Ho bisogno che tu mi faccia da testimone d’accusa al nuovo processo per il divorzio.»

Ehhh? Questa poi. A tutto aveva pensato, ma a questo…
 
«Come, scusa?»

«Sì. Come certamente saprai in Spagna sta succedendo un casino a livello giudiziario per colpa di un finto giudice che aveva usurpato il ruolo del fratello defunto, senza averne diritto e senza avere conseguito una laurea in Giurisprudenza» affermò e lei annuì. «Bene, quel giudice, quell’Ortega, ha seguito anche il nostro divorzio che ora è stato annullato. Io non voglio – ripeto non voglio – tornare a essere la signora Hutton, né ora né mai. Voglio un nuovo processo, voglio Holly fuori dalla mia vita e voglio che tu vada in aula a testimoniare la sua infedeltà.»

Cavoli, amico, la tua lei ha gli artigli affilatissimi!, si disse pensando a Oliver.
 
«Per colpa… mia?»

«Anche. Ma principalmente per colpa sua che non ha saputo resistere al tuo fascino mettendomi platealmente le corna» le rispose lasciandola sorpresa da tanta franchezza. «Oh, andiamo, lo sai benissimo di essere sexy. Evita di fingere con me, non funziona.»

Eh? No, no, no, di male in peggio. La Missione Vero Amore stava andando a puttane e non poteva permetterlo. Gonzales non le aveva detto molto, solo che Oliver aveva bisogno d’aiuto con Patty con la quale era in crisi nera da tempo, ma a questo… no, a questo non era proprio pronta. E a peggiorare la situazione, c’era il fatto che quella ragazza meravigliosa era tremendamente seria e determinata. Lei non lo rivoleva per davvero Oliver nella sua vita. Era da ammirare e l’avrebbe aiutata molto volentieri solo per quello, ma…
 
«Non posso, mi spiace, ma proprio non posso farlo» l’informò.

«Oh, certo» le rispose lei con tono sarcastico «perché agire di nascosto è una cosa, ma rendere pubblica la vostra relazione è…»

«No, assolutamente no» la bloccò lei «hai preso un grosso abbaglio, credimi. Non posso per due motivi.»

«Due? Non uno, ma due? Ok. Non credo di volerli sapere, ma…»

«Che tu voglia o meno non mi importa proprio. Io te li dico lo stesso e poi lascio a te il giudizio, ci stai?»

«Non ho scelta» ribatté Patty con prontezza e scrollando le spalle.

Perfetto. E ora arrivava la parte difficile. Bianca si prese qualche minuto per riflettere su come fare per non sconvolgere quella ragazza e ne approfittò per finire il suo cono gelato e darsi una pulita.
Ma, prima di procedere, doveva sincerarsi che era di mentalità aperta.

 
«Patty, prima di iniziare ho una domandina da farti che mi gira in testa da un po’» e poi senza aspettare risposta continuò. «Tu credi nell’amore?»

La vide sgranare gli occhi, spiazzata. E poi esibì un sorriso triste e le rispose.
 
«Amore. Ti sembrerà strano data la richiesta che ti ho appena fatto in vista del nuovo processo, ma… sì, ci credo ancora.»

«Come puoi dirlo dopo quello che ti è successo con Oliver?» La punzecchiò.

«Proprio per quello lo dico. Grazie a lui, ho scoperto che l’amore ha varie forme. L’amore dona gioia, euforia, confusione, ma anche dolore. Ti fa crescere. Non importa verso chi lo indirizzi – donna, uomo, trans – se si è veramente coinvolti da qualcuno, totalmente, ne vale sicuramente la pena. Ci sono l’amore verso un animale e quello filiale e credo molto in entrambi, senza sarei in parte vuota. E poi c’è un tipo di amore che nessuno potrà mai eguagliare e quello, quando viene a mancare per qualsiasi motivo, ti strappa l’anima e ti fa cambiare tuo malgrado.»

C’è qualcosa che questa ragazza mi nasconde. Qualcosa di brutto. Ma di certo non posso fargliela dire. Quel suo sguardo triste, quella voce flebile e spezzata… è indice che, qualsiasi cosa intendesse dire, ci è passata in prima persona. E di certo non si riferisce a Oliver. Oh, chi se ne frega, sono troppo curiosa.
 
«Ti riferisci a qualcosa in particolare?» Le chiese.

«No!» Rispose lei troppo in fretta e con veemenza. «Parlavo così, in generale. Allora, adesso tocca a te. Mi spieghi quali sono questi due motivi che ti impediscono di aiutarmi?» Insistette infine cambiando argomento.

«Un’ultima curiosità» le disse e la vide sospirare rassegnata. «Tranquilla, non sto sviando il discorso o evitando di risponderti, ma prima devo avere ben chiare delle cose, capisci?» E quando lei annuì, continuò. «Cos’è successo con mister Edward?»

«Perché lo vuoi sapere? Non credo sia una cosa che debba interessarti questa.»

«Tu rispondimi. Poi capirai perché te lo chiedo» le rispose prontamente.

Bianca la vide farsi pensierosa e dopo qualche minuto Patty parlò.
 
«Te la faccio breve perché non mi va di parlare di quell’essere odioso.»

Ah, questo era interessante. Aveva capito che Patty provava dell’astio per l’allenatore del Barcellona, ma voleva sapere fino a che punto e perché, prima di affrontarlo al suo rientro. Annuì per darle il coraggio di continuare.
 
«Non so perché mi abbia preso in antipatia, ma il suo evidente fastidio per me è stato fulmineo. Quando mi sono presentata a lui, la prima cosa che ha fatto è salutarmi con aria di sufficienza e poi, appena Holly si è distratto per parlare con il vice allenatore, ne ha approfittato per mettermi in guardia.»

«In guardia, da cosa?» Ora era incuriosita.

«Dal distrarre l’allora mio marito dalla sua carriera. La mia presenza al suo fianco non era necessaria, sai, gli rovinavo l’immagine. Ero pur sempre una donna e in quanto tale cosa potevo capirne di calcio, meglio per me se restavo in disparte. Sport maschile, le femmine che vogliono fare parte di quel mondo – se pur stando ai margini – sono ridicole.»

«Come scusa? Te l’ha detto… lui?»

Bianca non sapeva che cosa dire, che cosa pensare… ma come si permetteva quel… quel microbo di fare certe affermazioni sessiste.
Forse, vista la sua faccia scura, Patty specificò.

 
«Sì, lui in persona. Avrei tanto voluto spaccargli il naso con un pugno, ma io odio la violenza. E poi ci eravamo appena trasferiti, non potevo neanche permettermi di rispondergli a tono, visto che mi aveva parlato in giapponese apposta perché lo capissi.»

«Bastardo schifoso» urlò lei facendola ridere. «Ok, continua pure» le disse infine.

«Comunque sia, all’inizio non gli diedi peso, anzi. I primi tempi andavo a vedere Holly allo stadio. Avevo l’abitudine di aspettarlo alla fine del tunnel una volta terminata la partita, l’ho sempre fatto anche qui e a Holly faceva piacere, ma… a lui no. Mi trattava sempre con astio e, piano piano, ho evitato di andarci fino a saltare proprio le partite. Alla fine, evitavo persino di vederle in televisione. In più faticavo molto a imparare lo spagnolo e questo mi ha esclusa totalmente dal giro perché non capivo nulla di quello che dicevano. Neanche le altre mogli e fidanzate della squadra mi hanno mai fatta sentire parte di qualcosa, di un gruppo ecco. Nessuno mi aiutava né a casa né in pubblico. Ero sola in un paese straniero. Tutto ciò non ha fatto bene alla mia autostima e…»

«E io sono stata la ciliegina sulla torta, vero? Hai creduto ai tuoi occhi e non hai chiesto spiegazioni che, sono sicura, non avresti mai neanche preso in considerazione. Sbaglio, forse?» Concluse lei al suo posto.

«No, non sbagli. Analisi perfetta» le rispose sospirando. Poi si riprese. «E adesso parla, io ti ho accontentata, Bianca, ora tocca a te.»

Giusto. Le doveva delle risposte. Sapere poi le ingiustizie che Patty aveva subìto in terra spagnola, proprio da parte della squadra… la mandava in bestia. Il mister, le altre donne che seguivano la squadra, i calciatori tra cui il marito… tutti avevano deciso che lei era un’indesiderata, un peso. Cavoli, lei, Bianca, sarebbe esplosa molto prima. C’era da crederle quando manifestava tutto il suo astio verso l’asso del Barcellona e verso tutto ciò che lo circondava in Spagna. La guardò e le sorrise mesta. Era tempo di scioccarla un po’.
 
«Hai ragione. Be’, vedi… tu sai chi sono io?»

«L’amante del mio ex marito» ribatté prontamente Patty. «Senti, capisco che per te questo potrebbe costituire un conflitto di interessi. Insomma, dai, dove si è mai sentito che un’amante denunci il suo innamorato in tribunale a favore della moglie, ma…»

«Cavoli, Patty, quel tonto di Oliver mi aveva detto che tu eri cocciuta all’ennesima potenza, ma non immaginavo che avesse ragione. L’ho anche preso in giro quando ti ha descritta così» l’informò sconvolgendola.

«Tonto? Oh, be’, che abbia il cervello al novanta per cento invaso dal calcio, è assodato; che al di fuori di quello abbia la sensibilità di un ranocchio in calore, pure, ma da qui a chiamarlo tonto…»

«Un ranocchio in calore… ahahah, bella questa, ahahah. Dopo me la spieghi perché è la prima volta che la sento, ahahhaah. Me la devo segnare, ahahah. Giusto per capire, era un insulto o…» cercò di ricomporsi lei.

«L’ho imparato su National Geographic» l’informò. «Un ranocchio, quando vuole accoppiarsi, lo fa e basta, anche se la partner prescelta si finge morta dopo vari segnali di avvertimento, insomma, dopo avergli rifilato parecchi due di picche. Lui se la spassa anche se lei non partecipa. E poi passa ad altre poveracce e ricomincia imperterrito.»

Oddio, era uno spasso. Questa era la prima volta che sentiva definire qualcuno in quel modo e Oliver di certo non se lo meritava. Lui non era affatto così.
 
«Be’, ti assicuro che hai preso un abbaglio. Conosco bene tutta la squadra e posso assicurarti che Oliver non è un traditore seriale e nemmeno occasionale. Lui è un tipo fedele e innamorato alla follia di te, posso assicurartelo. Non ti hai mai tradita, credimi. Non ha mai smesso di amarti e oggi ne ho avuta la conferma. Gelosia compresa. A proposito, ragazza, hai buon gusto. Prima Oliver, ora Santana…»

«Cosa? No, cavoli, no. Quella che si sbaglia qui sei tu e poi… ok, il brasiliano è un gran bel vedere per gli occhi e un balsamo per il cuore, ma… no!» Saltò su quella scuotendo la testa.

Bianca ridacchiò. Che se la raccontasse pure, le cose stavano così. E comunque non erano affari suoi e aveva ancora una domanda alla quale rispondere.
 
«Tornando a noi. Mi chiamo Esperanza – sì, lo so, è orribile – Bianca Cou. Dimenticati il mio primo nome e andremo d’accordo» le intimò facendola sorridere.

«Fammi indovinare, un nome di famiglia?»

«No, un padre ubriaco che voleva un secondo maschio e ha voluto vendicarsi così su mia madre, colpevole – a suo dire – di averlo deluso illudendolo e nascondendogli la notizia fino a dopo la mia nascita.»

«Che stronzo!» Esclamò Patty dopo un minuto di shock. «Scusa, è sempre tuo padre, non dovevo dirlo.»

«No, hai ragione, lo è da sempre, uno stronzo di prima categoria. In origine ero semplicemente Bianca. Lui, ha pensato bene di registrarmi con un altro nome e mettermi quello scelto da mia madre per secondo. Lei si è vendicata a sua volta usando proprio quello come nome principale e facendolo usare a tutti, tanto che è passato in secondo piano quello vero e ben pochi lo conoscono, per fortuna. Ahahah, un genio mia madre, vero? Io l’adoro. Follie paterne a parte, ti dice nulla il cognome Cou?»

Bianca vide la giapponesina pensarci su per un po’ e puoi scuotere la testa.
 
«Ebbene, è il Presidente del Barcellona. Sebastian Cou, il mio tanto amato padre. Ah, se non si fosse capito, voleva essere sarcastico. E questo, è il primo motivo per cui non posso esaudire la tua richiesta.»
 
 
 



Cosacosacosaaaaaaaa? La figlia del Presidente del Barcellona? Cavoli, Holly aveva puntato in alto quella volta.

 
«Conflitto d’interessi» le disse.

«No, lo sarebbe se io e Oliver avessimo avuto veramente una relazione e così non è. Semplicemente non mi va di dichiarare il falso davanti alla legge. Il mio cognome poi, generebbe pettegolezzi e illazioni che, francamente, preferirei evitare. Soprattutto in un momento delicato e decisivo come quello che la squadra sta per vivere. In ultimo, questo si ripercuoterebbe su Oliver e sulla sua carriera.»
Come? Che intendeva dire? Per caso che…

 
«Il Barcellona sta per fallire?» Le domandò a bruciapelo mentre finiva di pulire la sua coppa grande con il dito. Non molto signorile, ma…

«No, assolutamente» negò Bianca con fermezza. «Si capirà tutto a tempo debito, ma credo che presto ci sarà una fuga di notizie. Presto, molto presto. Chissà perché ahahah e chissà chi sarà a spifferare tutto, ahahah.»

Cazzo, quella donna a volte era inquietante. E non aveva tutte le rotelle a posto. Però non le riusciva di odiarla, dannazione.
 
«Oook. E il secondo motivo?» Le domandò con più cautela.

«Be’, vedi Patty, questa è una motivazione più personale. Devi sapere che…» biru biru biru biru «scusa, messaggio» le disse estraendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni.

Biru biru biru biru? Ma che razza di suoneria aveva quella tipa? Strana, ma simpatica come lei.
 
«Sì, amo i lumacofoni. Magari esistessero anche nella realtà e non solo in One Piece. Lo conosci, vero? Dimmi di sì.»

Patty era sconcertata, ma sapeva anche leggere nella mente per caso? Le sorrise in risposta.
 
«Oh, tranquilla, rispondi pure, magari è importante» la rassicurò poi.

«Grazie, sì, in eff… oh, ok, devo andare» l’informò dopo averlo letto. «Ti prometto che al nostro prossimo incontro saprai tutto e grazie ancora per il gelato.»

«Di nulla, ma… vorresti davvero che ci rivedessimo?» Le domandò palesemente basita.

«Sì, mi pare ovvio. Non abbiamo ancora finito di parlare noi due. Domani ti va bene?» Le propose Bianca allontanandosi lentamente camminando all’indietro.

«Domani? Ma veramente…»

«E domani sia. Ah, sì, che scema» le disse tornando da lei di corsa per prenderle la mano e scriverle qualcosa sul palmo.

E questa penna da dove è comparsa?, si domandò lei fissandola.
 
«Mandami l’indirizzo del vostro ritiro qua. Aspettami per le 10 domani mattina, ok? Mi spiace se ti ho lasciata più confusa di prima, ma sai… ho qualcosa di più importante da fare e, sinceramente, non vedo l’ora. A presto, bellissima!» La salutò mandandole un bacio volante prima di correre via.

Ehhhhh? Bellissima? L’aveva davvero chiamata così? Ma che problemi aveva quella tipa spagnola tutta stramba?
E poi, in che senso “ho qualcosa di più importante da fare”? Non lo era stato parlare con lei? Patty non sapeva più cosa pensare.
Dio mio, le aveva appena parlato male della sua squadra e dell’allenatore. Non riusciva a crederci. E lei non aveva detto nulla, anzi, l’aveva ascoltata e… compresa? Le era sembrato fosse proprio così.
Una cosa era certa, quella conversazione non era andata come aveva preventivato e ora aveva molto sui cui riflettere. Doveva crederle o meno? Le era sembrata sincera. Ma se così fosse stato, Oliver le aveva sempre detto la verità e lei era stata un’idiota totale e cieca. Dio mio, che pasticcio.
I'll never be, never be, never gonna be, never gonna be, never gonna be… Nobody's wife. Nobody, yeah, nobody, yeah, no no no, never gonna be, never gonna be…
Ma dove aveva messo questa volta quell’aggeggio odioso? Ah, sì, nella tasca dei jeans.
I'll never be, never be, never…

 
«Ho capitooo, un attimooo» guardò il numero sul display e sbuffò. «Che vuoi?» Urlò all’interlocutore una volta presa la chiamata.

«Nervosetta?» Le rispose Holly.

«Fino a poco fa, no» gli rispose sinceramente e lo sentì sospirare forte.

«Una domanda: ma dove sei finita? Ti ho cercato dappertutto, ma senza successo. Alla fine, sono rientrato. Stai bene?»

Incredibile. Se ne era dimenticato.
 
«Fino a poco fa, si» gli confessò. «Ho appena finito di gustarmi un sublime gelato con una certa spagnola. Abbiamo parlato un po’. Ci siamo divertite sai? Cavoli, è simpatica la riccona.»

«Un gelato? Ma co… ah, ti ha presa sul serio alla fine. Tipico di Bianca. Farebbe di tutto per un buon dolce» l’informò ridendo. «Riccona? E così, alla fine ti ha detto chi è. Sorpresa?»

«Diciamo che tutto avevo immaginato meno che quello. A proposito, devo farti i complimenti. Hai sedotto e conquistato niente meno che la figlia del presidente del Barcellona. Ti sei assicurato un posto in squadra a vita. Non ti facevo così calcolatore però. Una cosa del genere potevo aspettarmela da Soda, ma da te… l’aria europea ti ha proprio cambiato. In peggio, ma l’ha fatto.»

E ora perché stava zitto? In fondo aveva detto il vero.
 
«Ma… ma che cazzo ha combinato quella stupida» urlò Holly, stupendola. «Che ti ha detto di preciso, sentiamo.»

«Ciao, capitano. Tranquillizzati, rientrerò tra un paio d’ore, ho delle cose da fare prima di tornare. Cose importanti.»

«Ehi, non puoi fare quello che vuoi, cazzo. Ti ricordo che sei una delle manag…»

Clic. Ahhh, che pace e che soddisfazione. Che Holly dicesse pure quello che volesse, lei si era guadagnata un po’ di riposo.
Ancora non era pronta per dirgli che forse si era sbagliata per tutto quel tempo e per chiedergli scusa. Prima voleva concludere la sua chiacchierata con Bianca. Aveva l’impressione che, prima di ricevere quel messaggio, le stesse per dire qualcosa di importante.
Ripose il cellulare in tasca e tornò in gelateria. Eh, sì, una seconda coppa di gelato se la meritava tutta.
 
 
 



 
«Sì, amore, tra un’ora arrivo… sì, lo so, questo ritardo non era previsto, ma… eh? Ahahah, anche tu, immensamente e…»

Toc, toc, toc. Ah, era in orario. Appena rientrata in albergo, Bianca aveva fatto sapere alla reception di contattare il mister Edward e di convocarlo nella sua stanza nel giro di dieci minuti.
 
«Avanti!» Urlò al nuovo arrivato, poi gli girò le spalle appena lo vide e concluse la chiamata. «Ti devo lasciare ora, a presto amore mio. Ti amo, ciao.»

«L’ho disturbata? Vuole che torni dopo?» Le chiese l’uomo.

«No, non è necessario. Si sieda, mister Edward, noi due dobbiamo parlare!» Gli intimò con voce dura indicandogli la postazione davanti alla scrivania che aveva trovato in camera e che aveva spostato in modo strategico.

Con soddisfazione lo vide irrigidirsi, l’aria rilassata di poco prima accantonata. Bene. Nessuno poteva permettersi di prendere in giro Esmeralda Bianca Cou – e sì, questa volta ci stava usarlo per intero il suo nome – e pensare di farla franca.
Lo guardò con un cipiglio scuro tale che ebbe il potere di mettere in soggezione quell’uomo e poi parlò.

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Capitolo 19
*** La verità svelata (parte 2) ***


 
«Svegliarsi con questo profumino è paradisiaco. Cosa stai preparando, Patty?» Le domandò Eve raggiungendola in cucina.

«Lo so io, lo so io. Come non riconoscere il mio dolce preferito, lo Chinsuko.¹ Patty, mollamene uno dai, per ventiquattr’ore farò tutto quello che vorrai in cambio» l’implorò Maki che si precipitò da lei scansando Eve senza troppi complimenti per guardare nel forno.

In effetti, ora che ci pensava, quei biscotti erano originari di Okinawa, proprio il paese della nuova capo manager.
 
«Esagerata. Voglio solo un tuo parere sincero. Li adoro anche io, ma in genere li faccio solo per la mia famiglia e…»

«E come mai oggi ti è girata così?» L’interrogò Amy.

«Io non sapevo neanche che sapessi cucinare Patty. Ti avevo lasciata che eri una frana ai fornelli e ora…» a parlare era stata Susie.

«Come sono belliii. E sono compatti. Patty, mi devi proprio insegnare a farli perché a me si sbriciolano sempre» le confessò Jenny sbirciando nel forno.

Ma c’erano proprio tutte? E lei che si era alzata presto per non avere intorno nessuno mentre creava quelle meraviglie.
 
«Non arrenderti. Io ci ho messo anni a perfezionarli, ma qualche dritta te la passo lo stesso» le rispose facendole brillare gli occhi.

«Sento profumo di biscottiiiiiii!» L'inconfondibilevoce di Bruce la raggiunse all'improvviso.

«Evvai, finalmente una colazione diversa!» Esordì Rob.

Ed eccola lì, la Nazionale. Dalle tante voci eccitate che sentiva, dovevano esserci tutti. Non era possibile, come facevano a essere già in piedi quei pozzi senza fondo, in primis…
 
«Bruce, fuori dalla cucina. Non sono per voi questi.»

«Come no. Sei cattiva. Dopo averci svegliati tutti con questo aroma delizioso, non puoi negarceli» protestò quello che le aveva raggiunte annusando l’aria neanche fosse un segugio. «Ehi, aspetta, li hai fatti tu?» L’interrogò poi vedendo che era l’unica con il grembiule sopra la tuta. «Sai cucinareee? E da quando?»

«Be’, non posso certo permettermi di andare al ristorante ogni giorno o di comprare cibo d’asporto in grande quantità. Prima o poi dovevo imparare e in Spagna avevo tanto tempo libero e solitario da riempire, così… mi sono buttata sulla cucina e mi è andata bene» l’informò mentre estraeva la teglia e la metteva sul tavolo dove una decina di biscotti stavano già raffreddando.

«Per una volta il merito è tutto tuo, Holly, quindi, grazie» Benji canzonò il capitano che era arrivato per ultimo.

«Eh? Cos… oh, Chinsuko!» Esclamò quello ancora mezzo addormentato.

«E niente, a volte mi chiedo se tu sei davvero così o lo fai apposta» gli rispose di rimando il portiere, seguito da cori di assenso.

«Sembra tu non abbia chiuso occhio, come mai?» Gli chiese lei.

«E me lo domandi pure, Patty? È colpa tua, ovvio.»

«Miaaa? Ma sei fuori di testa?» Replicò lei con veemenza.

«Ehi, voi due, non cominciate a urlarvi contro già di prima mattina che divento più nervoso del solito e poi sono cazzi vostri» li riprese Mark. «A proposito, Patty, se non sono per noi… per chi li hai sfornati?» Concluse poi.

Ecco, giusto, come spiegarlo?
 
«Cavoli, è buonissimo!» Esclamò un capitano entusiasta.

Ehhh? Ma che caz… Patty sentì la voce di Holly provenire da molto vicino a lei. Ma quando si era mosso? Lei non l’aveva visto entrare in cucina, mettersi al suo fianco, rubare un biscotto per dargli un morso e… e…
 
«Dimmi se non ho ragione.»

… e metterle in bocca il pezzo rimanente come se niente fosse. Suo malgrado, lei arrossì vistosamente mentre masticava piano fissandolo negli occhi. Cheeeee?
 
«Allora, è buono o no?» Insistette quello con un sorriso impertinente.

Che bastardo. Sapeva benissimo cosa aveva fatto e davanti a tutti i loro amici poi. Amici che – ne era sicura, ma non aveva il coraggio di guardarli – li stavano sicuramente fissando a bocca aperta.
Quanto le era mancato quel gesto. Detestava ammetterlo, ma era così. Quante volte era successo prima della loro crisi. E tutte le volte lei si ritrovava ad arrossire e balbettare.

 
«Sì, sono stata brava, modestamente parlando» gli disse una volta ritrovata la voce. «Ma resta il fatto che adesso ne manca uno. Non volevo fossero dispari.»

«E che problema c’è» le rispose lui facendole l’occhiolino e rubandone un secondo. «Forza ragazzi, smettiamola di perdere tempo e andiamo a fare colazione che poi dobbiamo dare il massimo negli allenamenti. Nel pomeriggio abbiamo l’ultima amichevole prima dell’inizio dei Mondiali o ve lo siete dimenticato?»

E tra proteste, risate e richieste di cucinare quelle meraviglie per loro la volta prossima, la cucina si svuotò. O meglio, così credeva perché Holly…
 
«Ehi, tu, molla quel biscotto» gli intimò vedendolo andarsene.

«Quale, questo?» Le rispose Holly mostrandoglielo mentre si abbassava verso di lei, facendola arretrare contro il piano cucina. «Hai detto che era di troppo, no? Che ne dici di mangiarlo insieme un po’ per volta? In fondo non sarebbe una novità per te, giusto?»

Ma siamo sicuri, sicuri, che sia tutto lui stamattina?
 
«Ti droghi, per caso?» Buttò lì.

«Come? No, perché diamine…»

«Mark ti ha tirato qualche pallonata dopo cena? No, perché sul tardi l’ho sentito allenarsi con quel suo pallone nero pesantissimo e visto che anche tu eri uscito per la consueta corsetta serale… un incidente può sempre succedere, no?»

«Che cazzo, no!» Ribadì lui raddrizzandosi.

«Be’, buon per te o forse no.»

Patty prese a sistemare i biscotti in una confezione quadrata color verde che aveva recuperato il giorno prima subito dopo il loro incontro.
 
«Quella strana semmai sei tu, signora Hutton» le disse incuriosendola. «Sì, insomma… ieri pomeriggio hai evitato di rispondere alle mie domande sul tuo incontro con Bianca, ma ho sentito che ne parlavi tranquillamente con le ragazze e non mi sembravi depressa o arrabbiata.»

«E perché mai? Dopotutto mi è simpatica. E poi da quando hai imparato a origliare i discorsi altrui?»

«Da quando mi ignori e mi nascondi le cose» le rispose senza vergogna.

«Ok, se insisti… avevo una cosa da chiederle, ma ha detto che le dispiaceva non potermi accontentare, pazienza. Però, a sua discolpa, devo dire che mi ha fornito delle belle motivazioni, anzi, una me la deve ancora dare. Poi le ho confidato una cosa che avevo tenuto per me e mi ha dato l’impressione di una che avrebbe fatto passare un brutto momento a qualcuno di lì a poco.»

«Cosa? Ma che storia è questa» sbottò lui.

«Ah, sì, tra poco sarà qui» gli rivelò mentre chiudeva il pacchetto con un ampio nastro bianco dal quale ricavò un fiocco.

«Comeee? Qui? Qui… al ritiro?»

«Sì, e dove altro sennò? Che domanda scema.»

Poi lo lasciò in cucina e raggiunse la squadra.



 
 
 
Holly era basito. Bianca stava per arrivare tra loro e Patty ne era felice? Doveva avere paura? Scuro in volto la seguì in tempo per vederla prendere posto tutta sorridente. I Mister, che avevano già quasi finito la colazione, lo salutarono.

 
«Holly, capisco che oggi ci attende una bella sfida - in attesa della cerimonia d’apertura di dopodomani - ma potresti evitare di fare quella faccia? Dopo tutte quelle ore di allenamento sfiancante a cui siamo stati sottoposti, non vorrei vincere a tavolino perché li hai fatti scappare tutti, ok?» Lo accolse Benji.

«Ma possibile che voi due non riusciate a stare nella stessa stanza due minuti senza litigare?» Esordì Tom guardando lui e Patty. «Che è successo questa volta? Lo chiedo solo perché così la risolvete qui e non ti trascini quel ghigno in campo.»

Era così evidente? Dalle facce che avevano tutti si sarebbe detto di sì. Patty era l’unica apparentemente serena. O forse lo era davvero?
 
«La mia presunta amante arriverà a breve.»

«Cosaaaaa?» Urlarono tutti insieme, Mister compresi che strabuzzarono gli occhi.

«Chiedetelo a lei» rispose indicando Patty con la testa. «Io non ho fatto nulla. L’ho scoperto poco fa e, come si vede, non è che la cosa mi abbia fatto fare salti di gioia.»

«Pattyyyyy, ma che hai combinato» saltò su Eve «invitare quella donna qui? E perché?»

«È simpatica. Non abbiamo terminato di parlare e lei si è autoinvitata. Ci parlerò da sola, non siete costretti ad assistere, anche perché di certo rimarrà poco e non ci sarà il tempo materiale per presentarvela. Mister a voi sta bene, vero? In fondo non intralcerà in alcun modo gli allenamenti.»

«Ma non dovevi chiederglielo prima?» Saltò su Bruce.

«Come ho già detto, non ho proposto io la cosa, l’ho solo subìta» specificò lei fulminandolo con lo sguardo.

«Va bene» sentenziò Mister Turner dopo essersi scambiato un’occhiata con il collega e, notò, lasciando tutti di stucco lui compreso. «E voi sbrigatevi a fare colazione che il campo vi attende. Ross, gradirei ci raggiungessi in ufficio tra poco per rivedere le strategie di gioco» e quando quello annuì, lui si alzò e uscì seguito da Mister Gamo.

«Incredibile. Patty, dicci come fai a non farti mai dire di no da lui» l’interrogò Rob spalleggiato dagli altri.

E lei rise. Holly era sempre più confuso. E niente, stava succedendo qualcosa tra Patty e Bianca, ne era certo e la cosa lo metteva in agitazione. Avrebbe dato qualsiasi cosa per potere assistere a quell’incontro.
 
«Basta non mentirmi mai, ascoltare ciò che dico e parlare chiaro» si sentì urlare dal corridoio.

E quella fu la risposta di Mister Turner prima che si chiudesse in ufficio.
 
«In pratica, col tuo caratterino hai trovato il modo per manipolarlo come vuoi senza fare fatica» concluse Bruce guardando Patty.

«Buon per me» gli rispose quella, scrollando le spalle e continuando a mangiare con calma.

Doveva trovare il modo per incontrare Bianca prima che vedesse Patty e…
 
«A che ora arriva la spagnola?»

«Ha detto che sarà qui per le 10, ma quella è una tipa strana, non mi stupirei se arrivasse pri…»

«Madre de Dios che lusso. Vi trattate bene qui al ritiro.»
 
«…ma!» concluse Patty.

Ed eccola lì. Bianca. Un’entrata a effetto, niente da dire. Un sussulto di stupore generale accolse quell’ingresso inatteso e tutti, notò Holly, si erano bloccati come se fossero stati congelati sul posto. Non volava più una mosca.
 
«Chissà perché non mi stupisce che tu sia in anticipo» le disse.

«Bellissima, mi sei mancata!» Esclamò quella ignorandolo mentre fissava Patty e la salutava con la mano.

«Em… sì, ciao?» Le rispose quella leggermente in imbarazzo. «Sei in anticipo.»

«Bellissimaaaaaaa?» Ripeterono tutti, lui in primis, guardando la manager.

«Che ho detto di strano?» S’intromise Bianca. «Lo è. Non sarà una strafiga da paura, ma ha il suo perché, il suo fascino orientale unito al suo carattere così forte e coraggioso, la rendono fantastica.»

«Em… ok, che dire… grazie?» Le rispose quella sempre più a disagio.

«Ah, niente grazie, non fare la modesta ora. Se il cretino qua davanti a te non è riuscito a capirlo e a tenerti stretta non è certo colpa tua, vero?» Disse poi schiettamente guardando lui.

Ecco, grazie Bianca, ci mancavi solo tu a darmi contro. Ma non dovevi aiutarmi?
 
«Certo che sì, hai ragione!» Saltò su l’interessata.

Come ripristinare l’autostima di una persona con poche e semplici frasi, incredibile.
 
«Ehi, ehi, ehi. Un attimo. Tutto bello ed emozionante e… strano, ma… tu chi sei? Sì, ok, sei chiaramente straniera e penso di averlo capito da me, ma preferirei avere la conferma dalla tua voce» l’interrogò Eve.

«E soprattutto come hai fatto a entrare senza che la guardia ti cacciasse?» Le diede man forte Amy.

«Ah, che maleducata che sono, avete ragione. Sono… devo qualificarmi per intero o va bene solo il nome?» Chiese a lui che sbuffò in risposta.

«Fa come vuoi. Già ti sei autoinvitata qua. In più arrivi in un orario osceno per una visita, soprattutto dopo che ne avevi detto un altro… mi sembra il minimo che tu possa fare, no?» L’attaccò lui irritato per il suo atteggiamento.

«Antipatico» gli disse facendogli la linguaccia subito dopo. «Allora opto per la presentazione a effetto. Sono Bianca Cou, figlia del presidente del Barcellona Calcio. Piacere di conoscervi. A questo punto devo fare un inchino, giusto?» Gli sussurrò alla fine facendogli alzare gli occhi al cielo. «Potevi anche solo annuire, che cazzo dai, ma pazienza. Piacere di nuovo» e poi s’inchinò davvero, anche se in modo sgraziato e rigido.

E lì risero tutti. Il ghiaccio era rotto. Nel modo sempre insolito tipico di quella donna, ma almeno ora non regnava più il silenzio, anzi…
 
«La famosa spagnola che pensavamo non esistesse» esordì Paul.

«Ah, però, è meglio di quello che pensavo» disse Johnny squadrandola.

«Complimenti per il suo giapponese, è perfetto» fu Ted a parlare.

«Un po’ di tatto, insomma» lo riprese Julian. «Li scusi, a volte non sanno stare zitti. Piacere nostro.»

«Sei alta, molto alta, molto più di quello che credevo. Quasi rivaleggi con me» constatò Ed.

In effetti era vero. Bianca superava di certo il metro e ottanta, senza tacchi, come in quel momento. Trovare una donna giapponese alta era molto difficile e quindi – per coloro che erano rimasti in patria a giocare – doveva essere strano trovarsi di fronte a un’europea dotata di una considerevole altezza.
 
«Ok, basta ora. Bianca e io dobbiamo parlare. Da sole. Voi non avete da andare a sgambettare in campo per caso?» Li riprese Patty, interrompendoli. «Allora, Bianca, prima andiamo, prima finisci il discorso di ieri e prima potrò darti un regalino che ho preparato per te o questi qui se lo mangiano tutto.»

«Biscotti?» Rispose quella sorprendendola. «Questo profumino paradisiaco che sento ti ha tradita. Ieri il gelato, oggi i biscotti… dico, bellissima, vuoi farmi ingrassare? Ma si dai, e poi chi se ne frega, alla mia età un po’ di ciccia ci sta.»

«Voi non lo potete sapere, ma la sua golosità è leggendaria. Tutta la squadra sa del suo debole. Lei poi se ne frega se qualche fotografo la immortala mentre sta mangiando per strada o cosa… continua imperterrita mentre lo saluta» si sentì il dovere di specificare.

«Non mi faccio problemi, anche se non sono una che mangia senza ingrassare» lo spalleggiò lei ricavando consenso tra tutti.

«Cosaaa? I biscotti erano per lei che hai conosciuto soltanto ieriii? E a noi niente? Patty, sei crudele, parola mia» le disse Rob trovando assenso totale.

«Em, Patty… a me non dispiace se rimangono a sentire cos’ho da dirti, anche perché ho l’impressione che questo disguido sia da chiarire con tutti. Vero, Oliver? Ho ragione o no?»

«Noi veramente dovremmo andare, i Mister ci aspettano e…» tentò di smarcarsi lui, senza successo.

«Oh, be’, se rimandiamo di qualche minuto non casca il mondo. Allora, Signorina Cou, bentrovata. Cosa è venuta a dire di tanto urgente a Patty da farle fare irruzione in un ritiro avversario di prima mattina? Perché le ricordo che non sono neanche le 8.00.»

Ecco. Ci mancava solo Mister Gamo tallonato da Mister Turner, evidentemente di ritorno dopo non averli trovati e avere atteso invano Julian in ufficio.
 
 



 
Bianca si stava divertendo un mondo. Un po’ le dispiaceva avere interrotto la loro colazione e non gli allenamenti, ma non era riuscita ad attendere l’orario prestabilito e poi non era tutta colpa sua.

 
«Jet Leg. Mai sentito parlare?» Interrogò i calciatori che annuirono. «Ecco, ci sono dentro in pieno e stanotte non ho dormito anche se sono stanchissima quindi, mi scuso con tutti. Sono sicura che appena chiuderò occhio, dormirò per ventiquattrore di fila e che mi perderò la cerimonia d’apertura di domani» esordì lei.

«Sei scusata, ma solo perché l’ho provato sulla mia pelle per ben due volte. All’andata e al ritorno» le rispose Patty con un mezzo sorriso. «E dunque, non vorrei trattenerti troppo e sballarti ancora di più. Visto che non ti interessa di avere un pubblico, dimmi… qual è questa seconda motivazione che ti ha spinto a rifiutare la mia proposta?»

«Proposta… di che tipo?» Intervenne Oliver. «Era per questo che mi hai chiesto di fartela incontrare? Per proporle qualcosa? Non per sapere la verità circa una nostra relazione, alquanto impossibile e ridicola?»

Oh, giusto, Oliver era all’oscuro di quello che Patty le aveva domandato. Eh, poveretto, ora gli sarebbe preso un colpo. Era meglio intervenire.
 
«La tua ex moglie qua presente voleva sapere se potevo testimoniare contro di te al prossimo processo di divorzio. Uno vero. Con un vero giudice a decidere.»

«Che cooosaaa?» Urlarono tutti insieme.

«Sta scherzando, vero? Verooo?»

«No, Holly, hai sentito bene» gli confermò Patty. «Ma la signorina qui presente mi ha detto di no per due motivi. Uno me l’ha detto ieri e uno è venuta a rivelarmelo ora perché era stata interrotta da una telefonata che l’ha fatta scappare via» gli confessò lei candidamente, per nulla turbata dal clima di incredulità generale.

C’era da ammetterlo. Quella ragazza aveva fegato e ovaie grosse come angurie.
 
«Infatti, per questo motivo sono venuta qua… in compagnia» rivelò lei sentendosi osservata. «E questo qualcuno che ho portato con me mi aiuterà a farti capire meglio quello che voglio dire. Al momento sta aspettando in salone perché pensavo fosse un tranquillo confronto a tre e invece… posso?» Chiese poi accennando con la testa alla porta.

«Prima voglio sapere il primo motivo che le hai detto» insistette il calciatore incrociando le braccia davanti a sé.

«Perché sono chi sono e di certo non potevo dichiarare il falso in tribunale. Falso che poi avrebbe avuto ripercussioni sulla squadra e sulla tua carriera» rispose lei senza tentennare.

«Giusto» concordò lui. «E tu sei stata pazza anche solo a pensare di chiederle una cosa del genere» attaccò poi l’ex.

«Non ci avevo pensato, ma sinceramente non è che me ne importasse molto al momento» ammise Patty «e neanche ora, a dire il vero» la sentì mormorare in aggiunta.

«Ok, ti scuso, anche se non me l’hai chiesto» ribatté lui con un piccolo sorriso. «Vedi, sono magnanimo e lascio correre. Ma solo perché so che tra poco ti sentirai una merda totale e vorresti fare come lo struzzo» poi, prima che lei potesse protestare, aggiunse «Hai portato chi penso io?» Le chiese e quella annuì tutta sorridente. «Bene, Bianca, procedi.»

Per tutta risposta lei raggiunse la porta aperta, si sporse oltre solo con la testa e parlò, lasciando tutti con aria stranita a fissarla.
 
«Tesoro, ci siamo, puoi raggiungermi? …… Eh? Ma guarda che non ti mangiano, anche se in effetti li ho interrotti durante la colazione e potrebbero farlo …… Sì, lo so, lo so, la prossima volta ti ascolto e non mi presento fuori orario, ok? Certo che voi giapponesi siete fissati con l’orologio, peggio degli svizzeri ...... Dai, ora alza il culo e vieni qui, che dobbiamo sconvolgere un po’ di gente.»

E poi, venne la sua parte preferita. Ma per farlo al meglio e per fare capire a Patty che stupida era stata ad agire d’impulso senza chiedere spiegazioni prima e rimettendoci un matrimonio…
Quando la sua accompagnatrice entrò nel silenzio generale, Bianca poté vedere gli occhi di tutti incentrati su loro due. Occhi curiosi, confusi e in attesa.

 
«Buongiorno a tutti. Mi chiamo Yuriko Hayashi. Scusate l’orario inconsueto per una visita, ma questa qua quando si mette in testa qualcosa non la tiene più nessuno» esordì quella guardandola male.

Le scuse parvero piacere. Cavoli, doveva segnarselo per davvero. Mai anticipare una visita, anche se annunciata e concordata, in Giappone. E questo si aggiungeva a: evitare di fare delle sorprese perché potevano risultare non gradite e causare difficoltà agli altri. Regola numero uno dei buoni rapporti nella terra del Sol Levante e non solo.
 
«Nessun problema, si figuri, la sua amica non poteva saperlo» la rassicurò uno dei due Mister della Nazionale, il più robusto, Gamo, se non ricordava male.

«Ah, no, è una mancanza intollerabile invece, vero, amica?» Insistette quella senza pietà. «Dovresti scusarti.»

«Io penso che prima di farlo, bisogna chiarire la questione che siamo venute a chiudere» replicò lei guadagnandosi assenso generale.

«Appunto. La curiosità mi sta logorando, io ve lo dico» intervenne Patty. «È da ieri che la mia testa sta scoppiando dal troppo pensarci. E quindi, Bianca, dimmi tutto, sono pronta.»

«Oh, no, a questo proprio non lo sei… almeno che tu non abbia già intuito qualcosa» le disse mentre quella scuoteva la testa.

«Posso dirlo io?» Intervenne Oliver. «Lasciami almeno questa soddisfazione.»

Poteva fidarsi? Bianca lo guardò, più determinato e risoluto che mai. Forse doveva impedirglielo, ma… coinvolgeva anche lui e quindi acconsentì. Il sorriso soddisfatto che le indirizzò la inquietò un attimino, ma passò subito.
 
«Patty, grazie a te ho passato anni orrendi, senza capirne il motivo. Hai chiuso i ponti con me dal momento che hai deciso di lasciarmi e sei sparita. Avevo quasi perso la speranza di ritrovarti e sai che sono stato felicissimo quando è successo, non te l’ho mai nascosto.»

«Sì, me l’hai detto e ridetto, ma sai anche che…»

«La mia parola vale zero per te, lo so benissimo, grazie» concluse lui al suo posto. «Ma ora mi crederai per forza, avendo la prova di quello che ti dirò tra poco proprio qui davanti» le disse poi indicando loro due che erano in attesa come tutti.

Holly la guardò come per essere sicuro di avere il permesso per continuare.
 
«Forza e coraggio, puoi farcela» gli disse lei mostrandogli due pollici in su. «Altrimenti subentro io, ci metto un attimo e non parlerò nemmeno in quel caso» e così dicendo fece l’occhiolino a Yuriko che sospirò ormai rassegnata alle sue uscite a effetto.

«Grazie, Bianca, ma non ho bisogno di incoraggiamento anche se mi fa piacere il tuo tifo» le rispose.

«E dunque? Non tirarla troppo per le lunghe capitano» disse uno dei portieri, uno molto alto e ben piazzato con un berretto a visiera in testa.

«Giusto, abbiamo degli allenamenti da iniziare e una partita da affrontare più tardi nel pomeriggio, non dilungarti. Anche perché c’è Patty qui che sta fremendo come non mai» s’intromise un altro calciatore che portava le maniche arrotolate.

«D’accordo allora, andrò dritto al punto» disse lui e poi si rivolse alla sua ex. «Patty, il motivo per cui Bianca non può aiutarti in questo tuo folle piano – sì, lo è, non interrompermi – è che lei è felicemente sposata con… Yuriko.»

Silenzio. Silenzio. Assordante silenzio. E poi…
 
«Che cooosaaa?» Urlarono tutti insieme.

Bianca vide Patty farsi sempre più pallida. Muta. Gli occhi spalancati che da fissi, passarono velocemente tra Oliver, lei e sua moglie.
 
«No, in effetti non ero pronta per questo, hai ragione» mormorò guardandola.

«Ed ecco spiegato perché parlo bene la vostra lingua e Yuriko la mia. O così o ci intendevamo a gesti per il resto della nostra vita e, converrete con me, che alla lunga sarebbe risultato ridicolo» li informò per stemperare il momento.

Oh, guarda, Patty sta cominciando a riprendersi. Almeno ha ripreso un po’ di colore sulle guance.
 
«Come ti senti?» S’informò avvicinandosi a lei che, per fortuna, era ancora seduta.

«Non lo so. Sollevata, forse. Confusa, di certo. Stupida, tanto. Felice, perché no. Ho bisogno di pensare, da sola.»

«Certo, posso capirlo. Troppe scoperte ed emozioni in una volta sola. Sapere che colei che hai sempre additato come l’amante di Oliver è lesbica e per giunta sposata, non deve essere facile.»

«Proprio per niente» le confermò lei «ma sono felice per entrambe. Come ti ho detto ieri, l’amore è amore e non importa verso chi lo si prova se questo ti fa stare bene. Lo siete da tanto?» S’informò infine.

«Nooo, neanche tanto, vero Yuriko?» E quella la guardò male. Ah, non sapeva stare allo scherzo. «Sarannooo… sett… ott… ok, ok, quasi undici anni più quattro di fidanzamento e due di sola amicizia» concluse poi quando la vide iniziare a spazientirsi. «Questa tizia qui è tanto carina, tranquilla e gentile quanto un t-rex in attesa di sferrare un attacco, nel caso la si fa irritare o arrabbiare.»

E lì risero tutti, per fortuna.
 
«Cavoli, ma sono… sono… diciassette anni?» Le disse con voce incredula.

Fu Yuriko a rispondere per lei.
 
«Già, fa un certo effetto devo ammetterlo. Ma sì, il conto è giusto. E dire che all’inizio la odiavo proprio e mai avrei pensato di farmi sua amica, figurarsi di sposarla. Siamo l’una l’opposto dell’altra, ma forse è proprio per questo che andiamo così d’accordo. Lei alta, fisicamente perfetta, spigliata e rompiscatole… io bassa, formosa e molto riservata. La vita è strana, vero? Ora penso che decidere di andare in vacanza in Spagna quell’anno sia stata la decisione migliore che abbia mai preso. Dopo due anni di amicizia via telefono e brevi incontri durante le festività, ho deciso che la cosa mi andava stretta e l’ho raggiunta in pianta stabile. Mi sono buttata non sapendo bene cosa trovavo dall’altra parte, perché ero io quella sicura della mia inclinazione, Bianca era un mistero. Ho fatto io il primo passo dichiarandomi ed eccoci qui, ancora insieme.»

E ogni giorno lei ringraziava il creato per quella fortuna.
 
«Quindi, vedi Patty, che ti sei sbagliata e che il caro Oliver non può essere un rospo in calore. Non con me e nemmeno con le altre, non è proprio il tipo da passare da una femmina a un’altra senza esitazione. Oddio, è caruccio sì, ma… bleah! Lo stesso rapporto che ho con lui, l’ho con tutta la squadra del Barcellona per ovvi motivi, ma la cosa finisce lì. A pensare di fare qualcosa con lui o con qualsiasi altro uomo sulla faccia della terra… brrr, mi si atrofizzano le ovaie.»

«Ehi, ehi, ehi, un momento tu… cos’è questa storia del rospo in calore? Iooo? Io sarei un rospo, Patty? Cos’è questa, un’altra gentilezza da aggiungere a tutte le altre che mi hai detto fino a ora?» Saltò su l’interessato senza troppo tatto. «E poi… bleah, non è simpatico da sentirsi dire.»

«Dico bleah a te, come lo direi anche ai tuoi compagni. Non nego che siete un bel vedere per gli occhi, ma davvero, il solo pensiero mi ripugna. E poi io odio i tradimenti e ne ho ben donde» rispose al numero 10. Poi tornò a concentrarsi sulla ragazza sconvolta che aveva davanti. «Mio padre è quel rospo, Patty, e questo mi ha portato a ripugnare ogni comportamento che esclude la fedeltà. Anche se non fossi stata quella che sono, non avrei mai preso in considerazione di tradire qualcuno o di diventare l’amante di qualcuno… e questo perché so cosa si prova a essere dalla parte di chi lo subisce, se pur come figlia.»

«Sono stata avventata senza motivo, ora lo so, ma…»

«Ascolta, Patty, ora lasciamo andare ad allenarsi questi tizi qua e congediamo anche Yuriko – che mi ha solo accompagnata qua, per ovvi motivi, e ora ha delle commissioni da fare in vista del nostro ritorno in Spagna – e poi potrai chiedermi tutto quello vuoi. Ci stai?»

Bianca vide Patty pensarci, fissata da tutti i presenti.
 
«E perché no, tanto ormai…» le rispose infine «Su, ragazzi, andate pure. Lo spettacolo è finito» concluse rivolgendosi agli amici.

«Sei sicura?» Le domandò una delle ragazze. «Hai subìto un bel colpo con questa rivelazione e…»

«Sicurissima Eve. Ho bisogno di questo, lo capisci? Per anni ho odiato questa donna senza motivo e ora so che potevo evitarmi tanto dolore se solo quel giorno avessi agito in modo diverso e non spinta dalla gelosia. Quindi, sì, voglio parlarle a tu per tu e lasciarmi il passato finalmente alle spalle.»

«Giusto, anche perché avrei una richiesta da farti e poi… io da qui senza biscotti non me ne vado» le disse facendola ridere.

«Non avevo dubbi» s’intromise Yuriko. «Ci vediamo dai miei per l’ora di pranzo. Mia madre è stata così felice di rivederti ieri che sono sicura sia già in cucina. Grazie a tutti voi per la pazienza e scusate ancora per l’intromissione mattiniera» concluse rivolta a tutti i presenti e poi se ne andò.

Nessun bacio di commiato, nessun abbraccio. Bianca un po’ ci rimase male, ma sapeva benissimo che quella era la cultura di sua moglie e non solo, di tutti loro e che, trovandosi in Giappone, doveva rispettarla. Così si limitò a sorriderle e a salutarla con la mano.
Poco dopo vennero lasciate sole da quasi tutti e quel quasi era…

 
«Oliver, che ci fai ancora qui? Vai, guarda che non te la mangio e nemmeno te la corrompo, sai?» Lo esortò.

«No, prima voglio essere io a dire due parole a Patty. Mi sembra che tu l’abbia già ampiamente fatto, no?»

«Holly non fare l’ottuso e lo scemo» lo riprese l’interessata «e corri in campo. Io starò bene. So che dobbiamo parlare, ma non ora. Stasera, dopo cena, promesso. Solo noi due. Per ora, è Bianca ad avere la priorità.»

Cavoli, quella Patty era una forza quando ci si metteva. Ne aveva avuta la prova il giorno prima, ma continuava comunque a stupirla.
 
«E smettila di guardarmi come se mi fossero spuntate due teste, cazzo. Hai aspettato cinque anni, non puoi farlo ancora per qualche ora?»

«E sia» concordò lui dopo un attimo di silenzio. «Ma se dopo cena mi inventi una qualsiasi scusa per sfuggirmi, sappi che non sarò più così ben disposto a un confronto pacifico. Sai che io difficilmente mi arrabbio e non urlo mai, ma non escludo succeda in quel caso» e le lasciò sole.

«Idiota!» Sentenziò Patty facendola ridere.

«Bene, ora che siamo sole… per prima cosa voglio che tu sappia quanto mi hai resa felice accettando la mia confessione e facendo sentire bene accetta anche Yuriko – il che non è così scontato, credimi – e poi…»

«Figurati, non ho fatto nulla di speciale. E ora dimmi, cosa vuoi chiedermi?»

E lì, Bianca fece un profondo respiro, poi si fece coraggio e parlò. La genuina risata di Patty le entrò nelle orecchie e lì rimase per tutto il giorno.

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