Quel che seguì (What If: A Star Trek Series)

di oscuro_errante
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** PROLOGO ***
Capitolo 2: *** ATTO UNO - DATA STELLARE 55000.5 ***
Capitolo 3: *** ATTO DUE - DATA STELLARE 55001.2 ***



Capitolo 1
*** PROLOGO ***


«E quello adesso che cos’è?» Owen Paris, Ammiraglio della Flotta Stellare a capo del Progetto Pathfinder, guardò incredulo lo schermo di fronte a sé, non riuscendo a comprendere appieno cosa i sensori gli stessero mostrando. Il Tenente Reginald Barclay, trasferitosi sulla Terra qualche mese prima dall’Enterprise al comando del Capitano Picard, rispose prontamente: «Sembra un varco di transcurvatura. A meno di un anno luce dalla Terra.» Uno degli altri ammiragli presenti all’interno del centro operativo domandò: «Vascelli Borg in arrivo?» Barclay scosse il capo, dubbioso: «Non abbiamo una lettura chiara, ma le emissioni gravitoniche sono fuori scala!»
Paris si voltò a guardare una donna con la divisa tipica del dipartimento scientifico, ordinandole: «Avverta tutte le navi nella zona di convergere subito a quelle coordinate.» Con un «Sì, ammiraglio!» l’interpellata si mise immediatamente a trasmettere gli ordini ricevuti; Owen Paris, da parte sua, sperò ardentemente che il numero di navi ed equipaggi che avrebbero avuto modo di raccogliere in così breve tempo fosse sufficiente ad affrontare qualsiasi minaccia si sarebbero trovati ad affrontare.

***

La U.S.S. Voyager (NCC-74656), vascello federale di classe Intrepid divenuto tristemente famoso per l’essersi ritrovato a 70.000 anni luce da casa suo malgrado, aveva da poco imboccato l’ingresso del tunnel transcurvatura individuato grazie all’aiuto offerto da una versione futura di Kathryn Janeway, ormai Ammiraglio, mentre questa combatteva la sua personale battaglia contro la Regina Borg.
Il piano messo a punto dalle due Janeway, il Capitano della Voyager e l’Ammiraglio proveniente dal futuro, prevedeva di distruggere l’intero hub di transcurvatura in possesso dei Borg, di contaminare con un virus letale la Collettività e di raggiungere, proprio grazie alla poderosa rete di condotti nemici, l’agognato Quadrante Alpha. Ma come sempre i Borg erano riusciti ad adattarsi, certo non completamente, ma quel tanto che bastava per mettere in atto un ultimo disperato tentativo di distruggere la nave federale e preservare loro stessi.

Inseguita dall’ultima sfera Borg superstite, la Voyager, rinforzata con una corazzatura ablativa frutto di tecnologia futura, resisteva strenuamente ai colpi nemici, mentre il tunnel a transcurvatura collassava dietro di lei. In plancia il Capitano Janeway ascoltava attentamente i rapporti dalle varie postazioni, mentre tutta la nave sussultava ad ogni danno subito.
Tuvok, dalla console tattica abbozzò un rapporto della situazione: «La corazza di poppa è scesa al 6%.»
Il Guardiamarina Kim gli fece eco dalla postazione operativa: «Brecce nello scafo dal ponte 6 a 12.»
Paris, al timone, riferì di non riuscire a mantenere la distanza minima di sicurezza dalla sfera inseguitrice. Sette di Nove, rispondendo a una richiesta del Primo Ufficiale Chakotay di trovare una via di fuga dal condotto a transcurvatura, notificò che la prima uscita disponibile non avrebbe portato la Voyager dove il Capitano voleva che andasse. Janeway sembrava voler conficcare le unghie nei braccioli della sua poltrona, era il momento di prendere una decisione estrema, come una delle tante che avevano contraddistinto i suoi sette anni di peregrinazione nel Quadrante Delta, e non era il caso di essere pavidi.

***

Nella plancia della U.S.S. Prometheus (NX-74913), nave prototipo per la classe Prometheus, regnava l’impegnata quiete di chi conosce la propria routine e non ha bisogno di essere guidato nel proprio lavoro. Alla postazione tattica, il Tenente Comandante Eva Ferrari, una donna minuta di media altezza, con capelli castani corti e fisico snello e in forma, stava analizzando alcuni dati reindirizzati alla sua console dai sensori esterni, quando un avviso sonoro, seguito da uno luminoso, attirò la sua attenzione.

«Capitano,» annunciò un istante più tardi, «stiamo ricevendo una trasmissione dal Comando della Flotta Stellare, Centro di Ricerca per le Comunicazioni, Progetto Pathfinder. Ordinano di dirigerci immediatamente alle seguenti coordinate,» che si affrettò a inviare alla postazione di comando dove il suo Capitano, una Trill unita di nome Jaze Taanis, sovraintendeva la plancia, «dove è stata rilevata l’apertura di un corridoio transcurvatura di origine Borg.»
La Trill non perse tempo e ordinò immediatamente al timoniere di impostare la rotta più veloce per le coordinate stabilite, dando immediatamente disposizione di eseguire l’ordine: qualche istante più tardi, la Prometheus si ritrovò a viaggiare a velocità curvatura in direzione dell’anomalia.
«Avverta il Progetto Pathfinder che ci stiamo dirigendo alle coordinate, Comandante,» ordinò Henry Raynolds, Ufficiale Esecutivo della Prometheus, e poco dopo Ferrari rispose: «Progetto Pathfinder avvisato, signore. Ci chiedono l’E.T.A. e ci informano che altri vascelli sono stati mobilitati per raggiungere il luogo; si unirà anche l’ammiraglia Klingon.»
«E.T.A. in meno di cinque minuti, Comandante,» rispose prontamente il timoniere, di nome Nicolas Rouest, permettendo a Ferrari di riportare l’informazione al centro di comando Pathfinder nei laboratori del Centro di Ricerca per le Comunicazioni.

Il Capitano Taanis fece poco caso allo scambio di battute dei suoi ufficiali, cosa comune e che, nei momenti di maggior necessità come quello, permetteva di accelerare i tempi e dava all’equipaggio la possibilità di farsi trovare pronto di fronte alla maggior parte delle sorprese. Il Tenente Rouest, umano di origine francese nato nei pressi di Tours, ai tempi dell’Accademia e poco dopo il diploma aveva prestato servizio presso lo Zefram Cochrane Space Flight Center come collaudatore, iniziando come tirocinante durante gli stadi finali di un progetto, durato due anni, che aveva interessato l’allora Guardiamarina Eva Ferrari, poco prima che la donna venisse chiamata a prestare servizio attivo a bordo dell’Europa (uno dei primi vascelli di classe Sovereign varati agli inizi degli anni 2370) come timoniere.
Avendo lavorato a così stretto contatto per diversi mesi, quando entrambi gli ufficiali erano stati assegnati al progetto Prometheus, prima, e alla Prometheus, poi, c’era voluto relativamente poco tempo affinché i due ritornassero a funzionare come due ingranaggi ben oliati all’interno di un meccanismo più grande.

Raynolds intervenne, consigliando cautela: «Vediamo di non farci trovare impreparati. Scudi alzati, armi pronte. Portiamoci in allarme rosso.» Ferrari annuì, rispondendo con un «Sì, signore,» e obbedendo puntualmente agli ordini: immediatamente, le luci in plancia si abbassarono, sulle pareti iniziò a lampeggiare il rosso dell’emergenza e nell’aria risuonò il clacson associato alla condizione di allarme in cui si trovavano.
Una manciata di minuti più tardi, la Prometheus uscì dalla curvatura per ritrovarsi in schieramento con altri vascelli federali, tra cui spiccavano un’altra classe Prometheus e la Negh’Var, la più imponente nave Klingon mai costruita.
Taanis si accomodò meglio sulla propria poltrona, in centro alla plancia, e guardò con attenzione lo schermo di fronte a sé, prima di ordinare: «Comandante Ferrari, mantenga costantemente i sensori sull’area circostante e presti attenzione alla minima variazione registrata.» Non aspettò la risposta di conferma del proprio ufficiale tattico, rivolgendosi immediatamente dopo a Lavelle: «Tenente, ci metta in contatto con il resto della flotta e cerchiamo di capire chi sia al comando, per riuscire a coordinarci in maniera efficiente: non vogliamo di certo lasciarci prendere alla sprovvista e sopraffare.»

*

«Abbiamo diciotto navi già in posizione, e altre nove in arrivo,» annunciò uno degli ammiragli presenti nel piccolo centro di comando del Progetto Pathfinder, momentaneamente prestato a console di rilevamento. L’Ammiraglio Paris annuì appena, prima di ordinare l’apertura di un canale di comunicazione con la flotta in via di assemblaggio, dopodiché: «Parla l’Ammiraglio Paris. Usate tutta la forza necessaria. Ripeto: tutta la forza necessaria.»
Un istante più tardi, Barclay annunciò: «Signore, sta emergendo un vascello.» Lo schermo di fronte a loro mostrò, immediatamente dopo che l’ingegnere terminò la frase, una sfera Borg accompagnata da una raffica serrata di phaser diretta al suo indirizzo.

***

Nella plancia della Voyager regnava una sorta di caos controllato, con ufficiali, sottufficiali e marinai impegnati indefessamente nei loro compiti, senza la concessione di un solo attimo di respiro. Del resto, la situazione in cui si trovavano non richiedeva altro che la massima concentrazione e attenzione: non erano ammessi sbagli di alcun tipo, ne andava delle loro vite e della loro destinazione finale.
Le luci erano abbassate, come da protocollo in caso di allarme rosso, e il suddetto allarme era stato silenziato, per evitare distrazioni ulteriori. Grazie a una precisa manovra del Tenente Paris, la Voyager si era insinuata tra gli anfratti della sfera Borg, eludendone l’inseguimento; ora la sfera continuava la sua corsa verso il Quadrante Alpha, ignara di ciò che stava trasportando con sé.
Janeway, senza togliere lo sguardo dallo schermo principale, si rivolse a Tuvok: «Armi un siluro transfasico.»
Il Vulcaniano digitò alcuni comandi sulla sua console e, dopo pochi istanti, confermò: «Siluro armato e pronto al lancio.»

Un cambio improvviso di velocità indicò l’uscita della sfera dal condotto borg, verso lo spazio aperto, e, con essa, anche della Voyager, sempre all’interno della nave nemica. Alcuni scossoni subiti dal vascello Borg sembrarono indicare un attacco, proveniente dall’esterno, ma nessuno si preoccupò più di tanto: Janeway si alzò dalla propria poltrona, dirigendosi verso la postazione del timone e il Tenente Paris la rassicurò che le coordinate raggiunte erano quelle previste. Rimaneva un’ultima cosa da fare: con un risoluto sguardo e un semplice «Signor Tuvok…» il Capitano indicò al Vulcaniano di fare fuoco.
Quel solo ed unico colpo oltrepassò ogni corazzatura Borg, innescò un processo di disgregazione della materia in energia e fece collassare la sfera in una serie di esplosioni concatenate.
«Signor Paris, massima velocità di fuga. Ci porti fuori da questo incubo.» Janeway aveva quasi sussurrato al fianco del timoniere. E con lo stesso tono, e la voce appena rotta dall’emozione, si lasciò andare ad un commosso «È andata!», quando vide sullo schermo principale, dissolti i fuochi dell’esplosione della sfera, una flotta di navi federali ad accoglierli.

*

Quando la sfera Borg emersa dal corridoio di transcurvatura aveva iniziato a esplodere, l’Ammiraglio Paris si era affrettato a dare ordine di cessare il fuoco, venendo immediatamente obbedito dalla flottiglia di navi così velocemente assemblatasi all’imboccatura del condotto. Quando, dalla palla di fuoco che seguì la distruzione del vascello nemico, comparve la Voyager, tutti furono presi da un momento di sorpresa, non aspettandosi di certo di vedere, dopo tanto penare, la nave federale data lungamente per dispersa.

L’Ammiraglio Paris fu il primo a riprendersi, affrettandosi a chiedere l’apertura di un canale di comunicazione con la classe Intrepid e, pochi istanti più tardi, il ponte di comando della Voyager comparve di fronte allo staff di ufficiali variamente assemblati all’interno dei laboratori ospitanti il Progetto Pathfinder.
Di tutte le parole che si dissero in quel frangente, solo una rimase impressa nella mente di tutto l’equipaggio presente in quel momento nella plancia del vascello finalmente ritornato a casa, un’unica parola detta dall’Ammiraglio Paris: Bentornati.

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Capitolo 2
*** ATTO UNO - DATA STELLARE 55000.5 ***


SISTEMA SOLARE, U.S.S. PROMETHEUS (NX-74913) - MENO DI UN ANNO LUCE DALLA TERRA

«Per quanto ancora ci faranno girare in tondo, secondo voi?»
Sam Lavelle, che al suo primo incarico aveva prestato servizio a bordo dell’Enterprise-D, era stato trasferito a bordo della Prometheus dietro esplicita richiesta del Capitano Taanis, andando a ricoprire l’incarico di ufficiale operativo e membro dello staff di comando, ottenendo il rango di Tenente Comandante. Giovane prodigio, nonostante la sua smania di scalare le gerarchie della Flotta Stellare il più velocemente possibile e riuscire a battere Kirk, non era ancora riuscito nell’impresa, probabilmente perché, a differenza del leggendario Capitano, tendeva a giocare molto più pulito e a rispettare le regole.

Fu Ferrari, in quel momento seduta sulla poltrona normalmente occupata dal loro ufficiale comandante, a rispondergli, mentre analizzava alcuni dati che le venivano trasmessi dalle varie stazioni presenti sul ponte: «Fino a quando non saremo certi che i Borg non ci abbiano lasciato qualche brutto scherzo, Sam. Non vogliamo un altro Wolf 359, se possiamo evitarlo.»
«Mi sembra giusto,» commentò, dal timone, Rouest, mentre si assicurava che il vascello mantenesse la rotta ordinata, prima di lasciare la plancia, dal Capitano. Dei tre, nessuno si era anche solo lontanamente avvicinato a Wolf 359 durante gli scontri tra la Federazione e i Borg, risalenti al 2367, quando Jean-Luc Picard, trasformato in Locutus, era stato costretto a vedere morte e distruzione causate per suo tramite. Le ripercussioni di quello scontro, però, erano state tali che anche sulla Terra, comunque a diversi anni luce dal luogo del massacro, le notizie di quanto accaduto erano arrivate in un battibaleno, mostrando morte e distruzione su scala tale che solo in un’unica altra occasione, con la Guerra del Dominio, si sarebbe riusciti a fare di peggio.

«Le altre navi di pattuglia hanno rilevato qualcosa valevole di nota?» Ferrari, questa volta, diresse la domanda a Ro Laren, il Tenente che, in quel momento, occupava la postazione tattica normalmente gestita da Ferrari stessa. Oltre alla Prometheus, alla quale l’Ammiraglio Paris aveva ordinato di perlustrare la zona immediatamente circostante l’uscita del condotto transcurvatura borg da dove la Voyager aveva fatto la sua maestosa entrata qualche ora prima prima, erano stati dispiegati altri vascelli a controllare l’area, per coprire in breve tempo uno spazio maggiore e avere, al contempo, una piccola forza pronta a rispondere immediatamente al pericolo, in attesa dei rinforzi.
«Niente da riportare, Comandante,» rispose prontamente Ro, dopo aver dato una veloce occhiata alla propria console e verificando, per buona misura, il collegamento con gli altri ufficiali tattici, tramite i quali la piccola flotta si coordinava. Le navi che, con la Prometheus, si erano ritrovate ad affrontare nell’immediato l’arrivo della temuta flotta di invasione Borg, erano state inviate come scorta della Voyager fin verso la Terra. A scandagliare la zona, facendo riferimento alla stessa Prometheus, si erano invece dedicati i vascelli richiamati da alcuni dei settori più lontani e che erano sopraggiunti sul luogo solo in un secondo momento.

«Mhm,» mugugnò, senza troppa convinzione, Ferrari. Sospettosa di natura, soprattutto dopo alcuni eventi chiave della sua carriera (che avevano accentuato di molto questo suo tratto di personalità), non credeva essere tempo perso mostrarsi cauti, in particolar modo nei confronti di un avversario temibile e inesorabile quanto potessero essere i Borg.
«I nostri sensori continuano a non rilevare l’ammiraglia Klingon,» continuò Ro, anticipando la domanda successiva dell’altra donna. Il vascello in questione sembrava essere svanito nel nulla poche ore prima, senza lasciare traccia rilevabile ai sensori, il che, ovviamente, costituiva un serio problema diplomatico: l’Impero Klingon, da poco rientrato all’interno degli Accordi di Khitomer dopo esservene uscito unilateralmente agli inizi della Guerra contro il Dominio, era sempre disponibile ad aprire una faida quando l’occasione si presentava.
«Voglio continue scansioni dell’area, signori,» ordinò Ferrari, senza troppi giri di parole, «quella nave dev’essere da qualche parte, non può essere svanita nel nulla. I nostri sensori devono aver rilevato qualcosa, non è possibile che una nave scompaia senza che ne rimanga traccia.»

Un coro di «Sì, signore,» seguì l’ordine. Ferrari aprì, a quel punto, un canale con la sala macchine: «Capo, è possibile migliorare ulteriormente la sensibilità dei nostri sensori?» La risposta del Tenente Comandante T’Sarla, Capo Ingegnere della Prometheus, non si fece attendere: «I sensori sono già al limite, Comandante.» Ferrari inarcò un sopracciglio: «Trovate il modo, Capo. È fondamentale non lasciare nulla al caso. Plancia, chiude.»

SISTEMA SOLARE, U.S.S. VOYAGER (NCC-74656) - ORBITA DELLA TERRA

«Non credevo saremmo riusciti mai a rivedervi, Kathryn,» ammise senza peli sulla lingua l’Ammiraglio Owen Paris, accomodato al fianco del Capitano Kathryn Janeway, ufficiale comandante della U.S.S. Voyager, nella saletta tattica a bordo del vascello di classe Intrepid. L’ammiraglio era stato al comando della Icarus quando la donna si era diplomata all’Accademia, iniziando la carriera proprio come ufficiale scientifico junior prestando servizio sotto Paris prima sulla Icarus e, successivamente, sulla Al-Batani (una classe Excelsior), per poi indirizzare il proprio percorso lavorativo verso il curriculum di comando.

«Ammetto di aver avuto anche io dei momenti di scoramento, Ammiraglio,» commentò Janeway, sorseggiando da una tazza metallica, con il logo della Federazione Unita dei Pianeti, del caffè bollente replicato. Appoggiata comodamente al divanetto dov’erano entrambi seduti, osservò con attenzione il suo superiore, trovandolo molto cambiato dall’ultima volta che avevano avuto modo di vedersi l’una di fronte all’altro. Ma non dubitava che, agli occhi di lui, anche lei non fosse più la stessa persona che era un tempo, quando la Voyager le era stata assegnata con l’incarico di inseguire una nave Maquis, la Val Jean, nelle Badlands, un’area di spazio collocata poco distante da Deep Space 9 e conosciuta per le intense tempeste di plasma e anomalie gravitazionali che ne rendevano ardua la navigazione.

«Quando il Tenente Barclay,» continuò Paris, «mi disse di aver trovato il modo di mettersi in contatto con voi, e che lo si potesse fare in pianta stabile, anche se una volta ogni 30 giorni, non ci volevo credere.» Scosse la testa, per poi bere a sua volta dalla tazza di tè che Janeway gli aveva offerto: «Barclay è sempre stato visto come un tipo strano, nervoso, con poca fiducia nelle proprie capacità e con problemi a relazionarsi con le persone attorno a lui. Nonostante i rapporti del Capitano Gleason e del Comandante La Forge, Ingegnere Capo dell’Enterprise, parlassero bene di lui, il Comandante Harkins non sembrava accordargli lo stesso riguardo. Eppure, Barclay ha dimostrato ancora una volta che tutti noi ci sbagliavamo. Gleason e La Forge avevano ragione, su tutta la linea.»
Janeway sorrise: «Dobbiamo al Tenente Barclay molto, Ammiraglio. Il suo lavoro ha migliorato e rafforzato notevolmente l’entusiasmo dell’equipaggio e, inoltre, la possibilità, negli ultimi mesi del nostro viaggio, di poter contattare giornalmente, anche se per pochi minuti, i nostri cari… non sapete davvero quanto abbia aiutato.»
L’uomo ricambiò il sorriso, stringendo con affetto la mano dell’altra ufficiale: «Ha migliorato la giornata a molti di noi, Kathryn. Sono davvero molto contento che, alla fine, siate riusciti a ritornare da noi nonostante gli imprevisti a cui siete andati in contro.»

Con un’ultima stretta, lasciò andare la mano della donna e si sporse ad appoggiare la tazza sul tavolino da tè collocato proprio di fronte al divanetto, con l’intento, poi, di alzarsi in piedi, il tono nuovamente formale: «Ci vorrà un po’ prima che il Comando della Flotta Stellare dia il via libera per farvi finalmente sbarcare una volta per tutte sulla Terra, Capitano.» Janeway, a sua volta alzatasi dopo aver appoggiato la propria tazza al fianco di quella di Paris, annuì: era comprensibile che il Comando volesse almeno completare gli esami di routine sull’equipaggio e effettuare una valutazione psicologica prima di autorizzare lo sbarco. Si trovò, comunque, costretta a osservare: «Ammiraglio, per quanto comprenda la necessità di tutte queste precauzioni, posso assicurarvi che il nostro ufficiale medico è stato piuttosto scrupoloso e meticoloso nei suoi rapporti. Se avessimo avuto qualcosa di infettivo, non sarebbe stato permesso a nessuno di salire a bordo della Voyager, men che meno a un Ammiraglio della Flotta Stellare.»
«Lo so,» rispose Paris, alzando le mani in segno di pace, «ma il vostro medico, dopotutto, è solo un ologramma… ha operato, ininterrottamente, per sette anni. Oltre a essere, ormai, un modello obsoleto, può essere che il suo programma abbia iniziato a corrompersi… vogliono solo essere cauti.»
«La cautela, Ammiraglio, è qualcosa che posso accettare,» rispose risentita Janeway, cercando comunque di trattenere le parole più aspre: «il Dottore è a tutti gli effetti un membro del mio equipaggio; un membro chiave. Senza il quale non saremmo sicuramente sopravvissuti per tutti questi anni, lontani dalla Federazione: la sua scrupolosità e competenza sono fuori discussione.»
«Non se la prenda a male, Capitano, dopotutto io sono qui. Non è questo un gesto di fiducia?» Janeway inarcò un sopracciglio, ma non disse altro; piuttosto, accompagnò Owen Paris fino in plancia, da dove l’Ammiraglio venne scortato fino alla sala teletrasporto più vicina dal Tenente Ayala e altri due ufficiali appartenenti al complemento della sicurezza.

*

L’Infermeria della Voyager, nonostante l’agognato ritorno nel Quadrante Alpha fosse stato finalmente conseguito, risultava sorprendentemente affollata: nonostante fossero passati già diversi giorni dal parto, infatti, il Dottore aveva preferito tenere sotto osservazione la piccola Miral Paris e la madre, il Capo Ingegnere Torres, per assicurarsi che non ci fossero problemi di alcun tipo - le avrebbe dimesse giusto quel pomeriggio, ad accertamenti terminati.
Il Tenente Paris, che negli ultimi anni aveva servito come infermiere - andando a sostituire, de facto, Kes, dopo la partenza di quest’ultima - stava monitorando, con un tricorder medico, il livello dei neuropeptidi di Tuvok, il Capo della Sicurezza della Voyager, che al momento era sedato su un lettino. Il Vulcaniano aveva subito un trattamento d’urgenza nel quale aveva ricevuto dal figlio primogenito, ora nuovamente a bordo dello spacedock in orbita attorno alla Terra, una intensa fusione mentale, una pratica vulcaniana denominata Fal-tor-voh, necessaria per curarlo da un disturbo degenerativo che l’aveva colpito nel Quadrante Delta. La procedura sembrava andata a buon fine e, stando alle analisi, il Vulcaniano pareva non rischiare ricadute successive.
Sette di Nove e Icheb, i due ex Borg residenti a bordo della Voyager, erano in attesa del loro check up di routine, che il Dottore eseguiva regolarmente una volta al mese, con l’intenzione di monitorare costantemente gli impianti Borg ancora presenti nei rispettivi organismi.

Chakotay, l’ufficiale esecutivo della Voyager, entrò in Infermeria pochi istanti dopo la dimissione di B’Elanna e di Miral, con il Dottore che si era appena dedicato ai controlli di routine su Sette di Nove, canticchiando una delle sue arie preferite, tratte da Giuseppe Verdi, La donna è mobile.
«Dottore,» esordì l’uomo, rivolgendosi all’ologramma, «il Dipartimento Medico della Flotta Stellare ha nuovamente richiesto i file medici dell’equipaggio. Quando sarà possibile inviarglieli?»
«Non appena avrò concluso i controlli su Sette e Icheb, Comandante,» fu la pronta risposta del medico, mentre continuava, senza apparente fretta, il suo lavoro. «Stiamo anche aspettando i risultati delle analisi che il Tenente Paris sta effettuando sul Comandante Tuvok. Da quello che possiamo vedere fino a questo momento, comunque, l’intervento del figlio non poteva essere più tempestivo di così: se fossimo arrivati sulla Terra secondo la timeline dell’Ammiraglio Janeway, le sue condizioni sarebbero degenerate al punto tale che difficilmente si sarebbe stati in grado di intervenire.»
«Qual è la sua stima, Dottore? Per i rapporti completi,» aggiunse Chakotay, leggendo la domanda negli occhi del collega. «Per le 1200 il Dipartimento Medico avrà tutto il necessario, Comandante,» gli rispose il Dottore, tornando a concentrarsi sul proprio lavoro, aggiungendo quasi come se fosse un ripensamento: «La terrò informata.»

Chakotay sorrise appena, prima di lasciare l’Infermeria: il Medico Olografico d’Emergenza della Voyager, un Mark I, era migliorato molto nel proprio rapportarsi con il resto dell’equipaggio. Programmato per entrare in azione nei momenti di crisi, in cui lo staff medico aveva bisogno di una mano aggiuntiva, con l’arrivo burrascoso del vascello federale nel Quadrante Delta, si era ritrovato costretto a rimanere attivo per tutto il viaggio di ritorno. Questo peculiare fatto aveva portato quello che era un ‘semplice’ programma a superare la propria programmazione di base, fondamentalmente diventando una forma di vita totalmente nuova e inaspettata; nonostante le difficoltà iniziali - l’equipaggio ci aveva messo diverso tempo ad accettare a tutti gli effetti il Dottore come uno di loro, ma alla fine ne era diventato un membro prezioso.
Ma ora che avevano finalmente raggiunto l’obiettivo tanto agognato, si era trovato di fronte a un problema non da poco - in precedenza già affrontato, almeno in parte: la natura e la definizione di ‘forma di vita senziente’ che poteva o meno essergli attribuita, in base a stilemi etici non ben definiti. Non era la prima volta che accadeva una situazione del genere, considerando che Data, secondo ufficiale a bordo dell’Enterprise, era stato protagonista, diversi anni prima, di una diatriba molto simile - il Comandante Bruce Maddox, infatti, aveva fatto di tutto per dimostrare che l’androide fosse più un oggetto che una forma di vita senziente, quindi di proprietà della Federazione, senza però riuscire nel proprio intento.
C’era il rischio che si ripetesse un discorso simile anche con il Dottore della Voyager, motivo per cui, il prima possibile, Chakotay si era ripromesso di parlarne con Janeway. Considerando che l’appuntamento con l’Ammiraglio Paris era programmato per terminare di lì a poco, l’ufficiale esecutivo si diresse, a passo sicuro, verso la plancia e l’ufficio del Capitano.

SISTEMA SOLARE, U.S.S. PROMETHEUS (NX-74913) - MENO DI UN ANNO LUCE DALLA TERRA

«Rapporto!» ordinò il Capitano Taanis, entrando in plancia con passo deciso e guardando verso la stazione operativa di Sam Lavelle; Ferrari, che fino a quel momento aveva occupato la poltrona del Capitano, lasciò il posto al proprio ufficiale comandante, dirigendosi verso la propria postazione tattica, rilevandola a sua volta dal  Tenente Ro che si spostò a una postazione tattica secondaria; un passo indietro rispetto a Taanis, seguiva il Comandante Raynolds.

«La Leonidas ha rilevato strane anomalie sui suoi sensori, Capitano,» esordì Lavelle, ricontrollando i suoi strumenti, «a meno di mezzo parsec dalla nostra attuale posizione.» Al timone, il Tenente Rouest aggiunse: «ETA alle coordinate in dieci minuti.»
A quel punto, fu Ferrari a prendere la parola: «Le anomalie rilevate sono coerenti con tracce Borg e Klingon, Capitano. Spiegherebbe come mai,» continuò, alzando lo sguardo dalla propria consolle e verso i suoi superiori, «non riuscivamo più a rilevare la nave del Capitano Klang sui nostri sensori.»
Taanis guardò il proprio ufficiale tattico con una peculiare intensità negli occhi: «Dove vuole arrivare, Comandante?»
Ferrari inarcò un sopracciglio: «Solo una ipotesi, signore. Ritengo sia plausibile credere che i Klingon si siano ritrovati ad avere a che fare con qualche relitto Borg ancora parzialmente attivo e che ne siano stati sopraffatti.»
«Secondo la sua analisi, la conseguenza vorrebbe che i Borg abbiano mascherato, fino al contatto con la Leonidas, le emissioni del proprio vascello e di quello di Klang?»
«La Leonidas non era sufficientemente vicino alla fonte per poter esser certa del tipo di emissioni, Capitano. Al momento, non è logico proporre alcun tipo di analisi… ci sono solo ipotesi da verificare.»
«Dove si trova la Leonidas, adesso?»
«Secondo l’ultima rilevazione, dovrebbe arrivare sul posto, seguita a stretto giro di boa dalla Challenger, tra otto minuti e trenta secondi,» rispose, dalla propria postazione, il Comandante Lavelle, che si era preso l’incarico di monitorare e coordinare, dietro ordine di Ferrari, gli spostamenti dei tre vascelli.

Taanis annuì, soddisfatta della sinergia del proprio equipaggio, mentre si sedeva sulla poltrona al centro della plancia, tra quella del Primo Ufficiale, alla destra e occupata da Raynolds, e quella del Consigliere, alla sinistra e, al momento, lasciata vacante.
«ETA in cinque minuti,» aggiornò Rouest, dal timone, senza che ci fosse bisogno di chiederlo. «La Leonidas e la Challenger riportano di essere entrambe uscite dalla curvatura,» notò Lavelle, «e hanno iniziato a scansionare con i sensori a medio e lungo raggio la zona, al momento con risultati inconcludenti.»
«Comandante,» ordinò Raynolds, «raccomandi estrema precauzione. Se davvero venissero confermate le tracce Borg, non vogliamo ritrovarci in una situazione ad alto rischio: sappiamo quanto sia difficile abbattere anche solo una delle loro navi. Non possiamo ritentare il colpo sferrato dalla Voyager, si saranno sicuramente adattati.»
«Trasmettendo, signore,» annuì Lavelle, «sia la Leonidas che la Challenger confermano. Dalla Leonidas ci informano di aver lasciato una boa impiegata come ricetrasmittente, come ulteriore precauzione.»
«Capitano,» intervenne Ferrari, «consiglio di uscire dalla curvatura con gli scudi alzati e le armi pronte, in caso ci ritrovassimo ad affrontare una qualsiasi emergenza. Non vorremmo,» aggiunse, «lasciarci prendere alla sprovvista.»
«Proceda come ritiene più consono, Comandante,» le rispose Taanis, annuendo, «in questa situazione, mi affido totalmente alle sue competenze.» Ferrari si limitò a obbedire all’ordine, senza aggiungere altro.

SISTEMA VULCANO, U.S.S. ENTERPRISE (NCC-1701-E) - IN ROTTA VERSO LA TERRA

«L’Ammiraglio Paris ha richiesto la sua presenza sulla Terra, Consigliere,» iniziò a dire il Capitano Jean-Luc Picard al proprio Consigliere Capo, il Comandante Deanna Troi, mentre appoggiava un PADD sulla scrivania del proprio ufficio. Poi si corresse: «In realtà, più che ‘richiesto’, direi che abbia ‘ordinato’ la sua presenza sulla Terra.»
Il Consigliere sembrava perplessa esattamente quanto lo era stato il suo Capitano una volta contattato da Paris: «Come mai questa richiesta, Capitano?»
«Il Comando della Flotta Stellare ritiene che, con l’esperienza accumulata negli anni passati a bordo dell’Enterprise, lei, Consigliere, sia la persona più indicata per coordinare il gruppo di terapisti che sarà approntato per effettuare le valutazioni psicologiche e psichiatriche dell’equipaggio della Voyager
«Sono onorata che il Comando mi abbia in così alta opinione, ma non penso di essere l’unica persona con questo bagaglio esperienziale sulle proprie spalle all’interno dell’intera Flotta Stellare,» osservò, gentilmente, Deanna. Picard annuì, concorde, ma aggiunse: «Nonostante io condivida la convinzione espressa, Deanna, ritengo comunque che non potessero scegliere professionista migliore. Sono sicuro che riusciremo a sopravvivere per qualche settimana senza di lei a bordo, pur non potendo che sentire la sua mancanza, come è doveroso che sia.»

I due si scambiarono un sorriso, tradendo gli anni passati in prima linea fianco a fianco, in una missione dopo l’altra, prima di continuare la conversazione, con Troi che chiese se si sapessero già i componenti che sarebbero andati a formare il team di specialisti assemblato per l’incarico. Picard scosse la testa, essendo totalmente all’oscuro della cosa: «L’unica cosa che so, da quanto mi è stato riferito, è che il suo secondo sarà una certa Tenente Ezri Tigan, distaccata dalla Prometheus.» Allo sguardo sorpreso della donna di fronte a lui, domandò: «Per caso la conosce?»
Troi annuì, con un leggero sorriso a incurvarle le labbra: «Durante gli stadi finali finali della Guerra contro il Dominio, Ezri Tigan prestò servizio prima a bordo della Destiny, un vascello di classe Sovereign, e successivamente a bordo di Deep Space 9, poco dopo l’incidente che vide il Cardassiano Dukat distruggere una Lacrima dei Profeti.» Picard le fece cenno di continuare, avendo ben presente l’avvenimento dai rapporti della Flotta: «Essendo diventata, anche se solo brevemente, la terapista di Eva Ferrari, eravamo entrate in contatto per capire in che modo organizzare le sedute. Ma non avevo idea che avesse deciso di farsi trasferire sulla Prometheus, dopo il termine degli scontri.»
«Beh, da quanto leggo sul suo file, sembra essere un’ufficiale piuttosto capace e preparata, altrimenti non avrebbe ottenuto l’incarico di capo dipartimento a bordo del suo attuale imbarco. Confido non vi siano problemi di collaborazione, quindi…?»
«Assolutamente no, signore. Mi farebbe piacere, anzi, potervi avere a che fare in prima persona,» rispose prontamente Deanna, davvero contenta di fronte a tale possibilità. «Se non c’è altro,» aggiunse, «andrei a informarmi sull’equipaggio della Voyager e sui colleghi che mi aiuteranno durante tutto il mese prossimo, signore?»
«Vada pure, Consigliere,» le fece cenno Picard, «ma si ricordi che la voglio nuovamente a bordo dell’Enterprise una volta terminato il grosso del lavoro.»
«Ha la mia parola, signore,» gli rispose Troi, prima di alzarsi e lasciare la sala tattica, diretta verso il proprio studio.

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Capitolo 3
*** ATTO DUE - DATA STELLARE 55001.2 ***


SISTEMA SOLARE, U.S.S. PROMETHEUS (NX-74913) - UN PARSEC DALLA TERRA, PLANCIA

«Usciremo dalla curvatura in meno di dieci secondi,» riportò il Tenente Rouest, teso come una molla, dalla propria postazione al timone. Il mood della plancia si era fatto così denso che era quasi possibile tagliare l’aria con un coltello: il timore che ci si potesse trovare nuovamente di fronte a una qualche ulteriore minaccia Borg - e la conseguente anticipazione alla possibile battaglia - avevano di certo contribuito ben poco alla distensione degli animi.
La Challenger e la Leonidas non avevano ancora riportato sostanziali anomalie, nonostante avessero iniziato nuovamente a rilevare tracce di propulsione Borg e Klingon, ma i dati riportati dai sensori sembravano essere parecchio confusi, nonostante entrambi i vascelli fossero stati dotati delle attrezzature più aggiornate di cui la Flotta potesse disporre in quegli anni. Il che, considerando che si usciva da un lungo periodo di guerra, implicava una certa attenzione per la tecnologia strettamente di ambito militare, quale poteva essere quella relativa ai sensori a diversa definizione.

«Scudi alzati e armi energizzate, Capitano,» disse Ferrari, «il Tenente Ro riporta che le squadre di sicurezza sono pronte a intervenire nell’eventualità in cui ci ritrovassimo ad affrontare degli ospiti indesiderati a bordo.»
«Siamo usciti dalla curvatura,» annunciò Rouest e sul visore principale, collocato di fronte alle consolle delle operazioni e del timone, i sensori a breve e medio raggio mostrarono la zona di spazio in cui la Prometheus era sbucata dalla curvatura.
«Sto rilevando la telemetria trasmessa dalla boa lasciata dalla Leonidas,» intervenne, per la prima volta, il Comandante Nella Daren, l’Ufficiale Scientifico Capo e terzo in comando del vascello, «il Capitano R’Mau sta pattugliando in direzione zero cinque zero punto cinque cinque sei, mentre la Challenger è su un vettore inclinato di 45 gradi in direzione cinque sei due punto zero tre zero.»
«Allarme giallo. Signor Lavelle, informi la Leonidas e la Challenger che siamo arrivati sul sito e mantenga un contatto aperto con entrambi i vascelli,» ordinò Raynolds, prima di rivolgersi al timoniere; «Signor Rouest, imposti la rotta per zero nove uno punto cinque zero cinque, pieno impulso.»
«Sissignore,» fu la pronta risposta di entrambi, mentre Raynolds rivolgeva la propria attenzione agli altri ufficiali di plancia: «Comandante Daren, Comandante Ferrari, scansioni a medio e lungo raggio a rilevare eventuali segni Borg. Sala macchine - disse, toccando l’interfono collegato alla propria postazione - tenetevi pronti per eventuali manovre evasive e interventi di riparazione.»

Il colore ambrato dell’allarme giallo illuminava a intermittenza l’interno della plancia, le luci soffuse rendevano l’ambiente più cupo di quanto non fosse solitamente, ma senza arrivare ai livelli di oppressione che sembravano venir raggiunti quando si chiamava l’allarme rosso.
Con studiata lentezza, la Prometheus si inoltrò all’interno dell’area dove, probabilmente, l’ammiraglia klingon era sparita, senza apparentemente lasciare alcuna traccia - fatto così sorprendente che nemmeno su Qo’noS riuscivano a spiegarsi cosa fosse accaduto (nonostante qualche vago tentativo di addossare alla Federazione la colpa, subito castrato dal pronto intervento dell’Ambasciatore Worf, in buona fede convinto che la Federazione e la Flotta non avessero responsabilità in merito).

«I sensori stanno rilevando informazioni contrastanti,» fece notare, a un certo punto, Nella Daren, osservando con attenzione il flusso di dati che scorreva sulla propria consolle. Dalla propria postazione, Ferrari stava analizzando gli stessi dati che passavano sotto gli occhi della collega, nel tentativo di scoprire se si trattasse o meno di una trappola, dovendo constatare come Daren avesse ragione: i dati erano contrastanti. E la cosa non aveva senso. Ferrari fece eco a Daren: «Rilevo un picco di cronitoni in dispersione.»
L’ufficiale scientifico disse a sua volta: «Confermo il rilevamento. Potrebbe essere collegato alla incoerenza del segnale della nave klingon. La sua traccia sembra apparire e sparire in diverse coordinate senza avere un percorso logico.»
Taanis, che si era voltata in maniera tale da poter vedere in faccia entrambe le donne, ordinò: «Raccogliete e analizzate quanti più dati possibile, tra mezz’ora voglio tutti gli ufficiali superiori in sala riunioni.» Non aspettando di vedere le due ufficiali entrare in azione, la Trill si voltò nuovamente verso prua: «Signor Lavelle, contatti la Leonidas e la Challenger e informi loro che vorrei i Capitani R’Mau e Simm partecipanti al nostro briefing

SISTEMA SOLARE, U.S.S. ENTERPRISE (NCC-1701-E) - MCKINLEY STATION, SALA TATTICA DI JEAN-LUC PICARD

«Grazie per essere arrivati così in fretta, Jean-Luc,» la voce dell’Ammiraglio Owen Paris usciva nitida dal terminale collocato sulla scrivania della sala tattica del Capitano Jean-Luc Picard, della nave stellare Enterprise, seduto dietro la propria scrivania, di fronte al computer dove campeggiava l’immagine di Paris e del suo ufficio a bordo della Stazione McKinley.
«Assolutamente nessun problema, Ammiraglio,» rispose Picard, prima di prendere un lungo sorso dalla tazza di Earl Grey caldo che si era replicato poco prima di accettare la comunicazione. «Il Consigliere Troi non vedeva l’ora di mettersi all’opera. E di ritornare a lavorare fianco a fianco al Consigliere Tigan, di cui mi ha parlato molto bene prima di arrivare qua.»

«Ezri Tigan merita tutti gli elogi fatti dai suoi superiori,» annuì Paris, «sta dimostrando di essere un ottimo ufficiale, nonostante le sue apparenti goffaggine e insicurezza.» Picard sorrise appena: «Non è sempre l’abito a fare il monaco, Ammiraglio. Guardi il Tenente Barclay: nonostante tutte le sue difficoltà, lo considero uno dei migliori ingegneri con i quali mi sia ritrovato ad avere a che fare.»
«Questo è senza dubbio vero,» rispose l’Ammiraglio, «nonostante Barclay sia probabilmente più problematico rispetto al Tenente Tigan, almeno da un punto di vista di dipendenze e di insicurezze. Il Consigliere, con l’esperienza maturata, ha avuto modo di sviluppare anche una maggiore sicurezza nelle proprie capacità e nelle proprie competenze. Il Tenente Barclay sembra sempre più a suo agio con degli ologrammi che con degli individui in carne e ossa, nonostante da quel punto di vista abbia fatto passi da gigante.»
«Non mi sembra tanto diverso dal Dottor Zimmerman,» fece notare Picard. «Non era lui a essersi circondato di ologrammi? A partire dal suo laboratorio, ma anche includendo una iguana e la sua assistente personale?»

«Vero,» ammise Paris, «inoltre il signor Barclay ha nuovamente ripreso ad andare in terapia, come lei ben sa. A differenza del Dottor Zimmerman, che è fin troppo eccentrico e non sembra voler accettare l’idea che qualcuno possa prendersi cura di lui…» Picard stava semplicemente annuendo al discorso di Paris, ricordando alcuni precedenti rapporti che volevano la presenza del Medico Olografico d’Emergenza della Voyager trasmesso nel Quadrante Alfa per circa un mese, con l’obiettivo di convincere l’irascibile ingegnere a farsi visitare un ultima volta, nell’estremo tentativo di trovare una cura a quanto rischiava di farlo morire.
«Immagino non mi abbia contattato solo per parlare delle stranezze del Dottor Zimmerman, Ammiraglio,» ne approfittò Picard, quando l’altro ufficiale smise di parlare.

«Sempre dritto al punto,» annuì l’Ammiraglio, poco sorpreso dalla perspicacia dell’ufficiale che aveva di fronte: sempre ligio al proprio dovere, Jean-Luc Picard non era una di quelle persone che si tirava indietro di fronte alla necessità, anche quando essa non era rosea per la sua nave e il suo equipaggio, come dimostrato più di una volta.
«Ho bisogno di inviare l’Enterprise su Betazed, a sostenere l’impegno di ricostruzione dopo la devastazione perpetrata dalle forze del Dominio durante la guerra e l’occupazione del pianeta…»

*

Il Consigliere Deanna Troi si era appena accomodata alla scrivania dell’ufficio assegnatole a bordo della Stazione McKinley, che il campanello all’ingresso risuonò quasi con insistenza, annunciando un visitatore inaspettato.
Con un leggero sorriso a incurvare le labbra, chiamò con un sonoro «Avanti!» la persona che si era appena presentata all’ingresso: le porte scorrevoli si aprirono, rivelando la giovane Tenente Ezri Tigan, Consigliere della Prometheus e, precedentemente, di Deep Space 9, dove le due donne si erano conosciute.

Mentre la Trill entrava nell’ufficio, lasciando che le porte le si richiudessero alle spalle, Troi si alzò da dietro la scrivania e le si avvicinò a braccia aperte, stringendola in un caloroso abbraccio: «Ezri, è sempre un piacere rivederti! Come stai?»
«Molto bene, grazie,» rispose, chiaramente a disagio persino per chi non disponesse di doti empatiche come la mezza Betazoide, la donna era un po’ in imbarazzo e sul chi vive; Deanna, perciò, cercò di metterla a proprio agio, invitandola ad accomodarsi su uno dei comodi divanetti che decoravano l’ampia stanza e offrendole qualcosa da bere.

Con in mano le tazze fumanti fornite dal replicatore in dotazione all’ufficio, Troi disse: «Mi hanno riferito che ora presti servizio a bordo della Prometheus, uno dei nuovi prototipi a disposizione della Flotta Stellare.»
La Trill sorrise, le guance leggermente arrossate per l’imbarazzo, mentre beveva un sorso del tè rigeliano che Troi le aveva offerto: «È stata il Colonnello Kira a raccomandarmi per l’incarico, un paio di anni fa. Non ho mai pensato che mi ritenesse un buon ufficiale, sembrava sempre infastidita dalla mia presenza.»
«Ho avuto la stessa impressione anche io, del Colonnello. Per quel poco tempo che sono stata sulla stazione sembrava sempre rimproverare tutti, e il suo carattere non è mai stato poi così affabile; ma ho imparato che è il suo modo di fare e, dovessi dirti, penso che il raccomandarti per un incarico di maggiore responsabilità sia stato il suo modo per dimostrare quanto ti ritenesse brava nel tuo lavoro.»
Il Tenente abbassò leggermente lo sguardo, rifugiandosi nella bevanda calda: avere a che fare con Deanna Troi, come aveva constatato proprio in quei giorni in cui si erano incontrate su Deep Space 9 ormai diversi anni prima, era per lei come sentirsi sempre sotto esame. E, anche se le due donne condividevano la stessa professione, Tigan guardava a lei come uno studente al primo anno di Accademia guarda al decano dei professori.

«Allora,» riprese a dire Deanna, cambiando discorso, «che ne dici se iniziamo a pianificare gli incontri con l’equipaggio della Voyager? Saranno settimane molto impegnative ed è meglio essere pronte a ogni evenienza.»
Ezri annuì, poggiando la tazza sul tavolo di fronte il divanetto dov’erano sedute: «Sì, volevo parlarle proprio di questo…»
Il disagio della Trill non sembrava scemare, nonostante tutto, quindi l’altra donna decise di andare direttamente al punto della questione, mettendole una mano sul braccio: «Lavoreremo assieme, Tenente, non dovranno esserci remore ad affrontare con me ogni possibile perplessità.»
Ezri non cercò nemmeno di nascondere ciò che pensava, ben consapevole che con una psicoterapeuta del calibro di Deanna Troi, perdipiù dotata, in virtù del suo retaggio genetico, di alcune delle capacità empatiche specifiche dei Betazoidi, non avrebbe avuto molte possibilità di successo: «Posso solo imparare da lei, Comandante. Lavoreremo assieme e apprezzo davvero tanto che voglia farmi sentire al suo livello, ma non penso lo si sarà mai. Voglio dire… lei è Deanna Troi
L’altra psicologa inarcò ironicamente un sopracciglio: «È un po’ presto per farmi un monumento, non trovi?» Facendo mentalmente conto dei grandi, immensi traguardi raggiunti dalla collega - e scegliendone uno - Ezri osservò: «Ma lei ha avuto in analisi Zefram Cochrane
A quel punto, Deanna non poté fare a meno di sghignazzare, sotto lo sguardo allucinato della giovane Trill al suo fianco: «Detto tra noi, più che una sessione di analisi… direi che fosse una bevuta al bancone del bar. Credimi, ho avuto esperienze migliori, durante i miei anni di servizio…»

«Ma era Zefram Cochrane…!» esclamò, quasi balbettando, l’altra. «Zefram Cochrane e il giorno del Primo Contatto. E ha salvato la storia dell’intera Federazione, io non potrò mai essere al suo livello!»
«Magari sarai anche meglio,» osservò, con nonchalance, Troi, appoggiando a sua volta la tazza sul tavolo, prima di alzarsi per andare fino alla scrivania, dove all’arrivo della Trill aveva lasciato il PADD con tutte le informazioni relative all’equipaggio della Voyager. «Quanti ufficiali della Flotta hanno salvato e continueranno a salvare la Federazione? Archer, Pike, Kirk, Garrett, Sisko, la stessa Janeway; e chissà quanti altri in futuro…» continuò, ritornando con il PADD in mano dall’altra donna e sedendosi nuovamente al suo fianco.

«Sì, beh, forse è ancora presto per me,» mugugnò, ancora un po’ in difficoltà Ezri, prima che Troi le chiedesse cosa volesse dirle in merito all’organizzazione delle terapie con l’equipaggio della classe Intrepid.
Quasi balbettando, Tigan rispose: «Beh, in questi giorni avrei bisogno di gestire alcuni pazienti sulla Prometheus, se fosse possibile… ovviamente lo farei da remoto, però… ecco, sarei costretta a saltare alcuni turni con l’equipaggio della Voyager. Non vorrei lasciarli senza… supporto. Eravamo arrivati a dei buoni livelli con alcuni di loro e ora hanno questa missione, insomma...»
Troi inarcò un sopracciglio: «Era questo quanto volevi chiedermi? Non preoccuparti,» aggiunse, tranquillizzandola, «anche io dovrò sistemare la mia agenda in base ad alcuni appuntamenti che non posso annullare. È per questo che volevo organizzarmi con te: lavorando assieme, riusciremo a coprirci meglio e a incastrare tutto quanto nel modo migliore possibile.»

*

«Rotta impostata per Betazed, Capitano,» osservò l’ufficiale al timone, il Tenente Kell Perim, mentre, con destrezza, allontanava l’Enterprise dalla forza gravitazionale della Terra che, per quanto debole a quell’orbita, tentava comunque di imprigionare l’imponente vascello di classe Sovereign e di trascinarlo verso il lucente pianeta sottostante.
«Proceda a un quarto di impulso, Tenente,» ordinò Jean-Luc Picard, comodamente seduto sulla propria poltrona, le gambe accavallate l’una sull’altra. «Dopo aver lasciato l’orbita terrestre, vada gradualmente a pieno impulso. Entreremo a curvatura una volta fuori dal Sistema Solare, fattore 7.»
«Sì, signore, un quarto impulso, in aumento, signore,» rispose prontamente Perim, mentre dalla postazione operativa al suo fianco, il Tenente Comandante Data, l’androide che ricopriva anche l’incarico di secondo ufficiale, riportava: «Le frequenze sul traffico di comunicazione sono passate dal Controllo Orbitale della Terra al Controllo Orbitale di Utopia Planitia.»
Qualche minuto dopo, allontanatisi a sufficienza dalla Terra e dalla Stazione McKinley, Perim aumentò la velocità a pieno impulso: fintanto che sarebbero rimasti all’interno del Sistema Solare, come in ogni altro sistema planetario, le norme di sicurezza imponevano a tutti i vascelli - federali e non - di non entrare in curvatura.

Avendo trasmesso tutti gli ordini necessari, Picard aveva tutte le intenzioni di trasferirsi nella sua sala tattica, collocata a fianco della plancia, a sistemare alcuni rapporti che richiedevano una sua revisione e valutazione diretta - come nel caso delle valutazioni sull’equipaggio fornitegli proprio quel mattino dal suo Primo Ufficiale - quando il Tenente Christine Vale, dalla postazione tattica e dopo aver silenziato alcuni allarmi, annunciò: «Signore, i sensori a lungo raggio stanno rilevando qualche lettura anomala…»
«Di che tipo, Tenente?» Picard domandò, mentre iniziava a scorrere il display tattico posto sulla propria poltrona, seguito una frazione di secondo dopo da Riker, che alla sua destra iniziò a verificare il flusso di dati che stava ricevendo al proprio terminale.
Fu il Comandante Data ad andare in soccorso alla collega, da poco nuovo capo del dipartimento tattico e della sicurezza, rispondendo: «Le sto rilevando anche io: sembrano essere fluttuazioni spazio-temporali, di matrice borg.»

Riker alzò immediatamente lo sguardo, preoccupato, incrociando gli occhi di Picard: se davvero c’era qualche residuo della Collettività Borg, nella zona, l’uomo sarebbe dovuto essere in grado di sentirli nella propria testa, come già successo in passato, durante la missione che aveva visto l’Enterprise finire indietro nel tempo al 2063, poche ore prima il fatidico primo contatto tra gli umani e un vascello di ricognizione Vulcaniano che aveva registrato sui sensori l’entrata in curvatura del primo vascello a curvatura dell’umanità, la Phoenix.
Picard si limitò a scuotere impercettibilmente il capo: per esperienza, sapeva riconoscere le voci della Collettività all’interno della sua testa e, in quel contesto, non ne aveva avuto sentore alcuno. Riportando l’attenzione verso i suoi ufficiali, Picard domandò: «Allarme giallo. Signor Data, Tenente Vale, cosa potete dirmi di più?»
Alla postazione tattica, collocata immediatamente alle spalle di Picard e Riker e della poltrona vuota del Consigliere Troi, Vale scosse la testa, esasperata dalle letture apparentemente inconsistenti che stava ricevendo sul proprio terminale: «I dati non sono chiari, signore, non riesco a venirne a capo… continuano a lampeggiare, comparendo e scomparendo senza un motivo o una logica apparenti.»

La donna non fece in tempo a continuare il suo rapporto, che un imponente scossone riverberò sugli scudi della nave, mandando gambe all’aria buona parte del personale di servizio in plancia e facendo quasi schiantare Vale sulla propria postazione, mozzandole per qualche istante il fiato e facendole vedere per qualche secondo tutto nero.
In reazione al potente colpo subito, le luci in plancia, come sul resto dell’Enterprise, si abbassarono e si passò, automaticamente, da una condizione di allarme giallo a una di allarme rosso, mentre Data, uno dei pochi a non essere stato sbalzato dalla propria postazione e forse l’unico a non sottostare a reazioni ‘umane’, ordinò via intracom tutti gli uomini ai posti di combattimento.
Qualche secondo più tardi, la roboante voce del Comandante Riker si fece strada tra la cacofonia della plancia, ordinando un rapporto su quanto stesse succedendo. Sullo schermo, posto di fronte le postazioni occupate da Perim e Data, comparve un’immagine inquietante agli occhi sorpresi degli ufficiali di plancia. Picard fece giusto in tempo a ordinare una manovra evasiva al proprio timoniere, prima che l’attacco riprendesse a martellare gli scudi difensivi dell’Enterprise.

SISTEMA SOLARE, U.S.S. PROMETHEUS (NX-74913) - UN PARSEC DALLA TERRA, SALA RIUNIONI

«Abbiamo quindi ragione di ritenere che la Negh’Var sia stata investita da un massiccio fronte residuale di cronitoni, generato dalla Sfera Borg in uscita dal condotto di transcurvatura,» stava dicendo il Comandante Daren, in piedi davanti ad un ampio pannello visore, mentre illustrava in sala riunioni agli ufficiali superiori della Prometheus i dati raccolti fino a quel momento, aggiungendo le conclusioni a cui era giunta confrontandosi con il suo staff e Ferrari. Alla riunione erano virtualmente presenti, nonostante ancora a bordo dei propri vascelli, i Capitani R’Mau della Leonidas e Simm della Challenger, entrambi silenziosi.

Il Tenente Comandante T’Sarla, accomodatasi alla sinistra del Capitano, dopo aver inserito alcuni dati su un grosso PADD rosso, intervenne: «Il fatto che la Voyager abbia danneggiato la sfera dall’interno può aver causato degli squilibri al campo di contenimento cronitonico che i Borg utilizzano per compensare la transcurvatura e i relativi sfasamenti temporali.»
Sam Lavelle, che raramente perdeva occasione di punzecchiare la collega, in reazione alla severità dell’osservazione della vulcaniana, si lasciò andare ad una considerazione estemporanea, apparentemente fuori luogo, ma che sottintendeva una eventualità decisamente pericolosa, ovvero il fatto che la nave Klingon fosse stata spostata nel tempo. Ed essendo accaduto così vicino alla Terra il pensiero che fosse stata proiettata nel passato del pianeta centrale della Federazione era, a tutti gli effetti, un rischio da tenere a mente: «E quindi sarebbe finita a Bozeman nel 2063?»

I diari di bordo dell’Enterprise-E erano ormai oggetto di studio, non solo per gli allievi all’Accademia, ma anche per gli ufficiali che aspiravano a una fulgida carriera, e di sicuro Lavelle non mancava occasione per mettersi in mostra, nonostante la sua apparente sfacciataggine. Fu Ferrari a rispondere al collega, agitando vistosamente il PADD che aveva tra le mani: «No, in quel caso la sfera Borg aveva sfruttato il campo cronitonico per aprire un tunnel di transcurvatura temporale, ed era stata una mossa intenzionale. In questo caso si può ipotizzare che l’effetto sia stato del tutto accidentale.»
Taanis fece cenno a Daren di continuare: «Tenendo conto delle marcature temporali non consequenziali della scia quantica lasciata dalla Negh’Var, riteniamo che la nave klingon stia saltando nel tempo in maniera erratica, in un intervallo temporale  molto circoscritto.»

Con uno scambio di sguardi complice la parola passò nuovamente a Ferrari: «Dal momento dell’arrivo della Voyager ad… adesso. Considerando l’adesso come un momento in continuo aggiornamento.»
Taanis prese la parola: «In sostanza dobbiamo trovare una nave corazzata klingon che appare e scompare. C’è modo di predire dove e quando apparirà?»
Mentre la Trill parlava, Daren aveva ripreso il proprio posto, al fianco dell’Ufficiale Medico Capo, un Benzita di nome Barak; Ferrari, che aveva dato una veloce occhiata al PADD che si era portata appresso, incrociò accidentalmente lo sguardo preoccupato del Comandante Reynolds, il quale non perse l’occasione per imbeccare il Capo della Sicurezza: «C’è dell’altro, vero?»
«Ovviamente, Comandante - rispose in maniera asciutta Ferrari, ben conscia di dover essere lei a riportare la cattiva notizia, ma non per questo più felice di farlo - e, in questo caso, c’è davvero di peggio.»

Senza alzarsi, alla fine non ce n’era davvero bisogno, Ferrari trasmise alcuni dati dal proprio PADD al visore principale, dove fino a poco prima era stata la Daren a gestire la presentazione, illustrando la situazione studiata prima della riunione congiunta. Anche sulla Leonidas e sulla Challenger venne mostrato quanto presentato nella sala riunioni a bordo della Prometheus: una mappa dello spazio circostante, costellata da varie rilevazioni di avvistamento, a ognuna delle quali corrispondeva una marcatura temporale e una precisa frequenza subspaziale, una delle quali identificante una delle suddette rilevazioni come un vascello, di chiara origine klingon, in una data posizione in un dato momento. Ad un occhio attento poteva apparire che la frequenza di riferimento mutava progressivamente, scivolando verso cifre ben note ad ogni ufficiale della Flotta. Ferrari digitò un comando sul suo PADD e quelle marcature si convertirono in un più semplice sistema di identificazione, con la nave Klingon identificata con un logo a tre punte indicante la chiara appartenenza di quel specifico punto all’Impero Klingon. Ma più la frequenza mutava e più quel logo assumeva la forma di una verde chela Borg.

Per la prima volta dall’inizio di tutta quella riunione, il Capitano R’Mau, della Leonidas, ruppe il silenzio, grevemente: «Sono stati assimilati.» Un senso di gelo pervase tutti gli ufficiali presenti in quel momento, persino l’ufficiale vulcaniano al comando della Challenger sembrò essere preso in contropiede, nonostante non lo desse a vedere: la più potente nave da guerra klingon mai costruita era stata assimilata e ora sembrava saltare nel tempo e nello spazio, indisturbata, a due passi dal pianeta Terra.
A disturbare il momento di teso silenzio che si era andato a creare, la voce del Tenente T’Pring, rimasta a coordinare le attività della plancia durante la riunione, di stampo prettamente militare: «Capitano, stiamo ricevendo una richiesta di soccorso dall’Enterprise: sono sotto attacco e richiedono immediato intervento: è la Negh’Var

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