L’Isola dei Dannati [A.o.T. Mission-almost-Impossible]

di kamony
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il greve, il novizio e il mostro d’intelligenza ***
Capitolo 2: *** Le verità nascoste ***
Capitolo 3: *** La isla bonita ***
Capitolo 4: *** Informazioni attualmente disponibili ***
Capitolo 5: *** Incontri ravvicinati del quarto tipo e della tipa con la quinta! ***
Capitolo 6: *** Mr. & Mrs. Smith! ***
Capitolo 7: *** In Bourbon Veritas ***
Capitolo 8: *** Benvenuti a Marley ***
Capitolo 9: *** (The) Damned ***
Capitolo 10: *** Vamos a la playa ***
Capitolo 11: *** L'occasione fa il cavallo ladro ***
Capitolo 12: *** Carte in mano e carte in tavola ***
Capitolo 13: *** Monsters & co. ***
Capitolo 14: *** 14 Secrets and lies ***
Capitolo 15: *** Pensiero stupendo ***
Capitolo 16: *** Un trio all’erta e pieno di brio! ***
Capitolo 17: *** The Call ***
Capitolo 18: *** Eta Beta vs Mary Poppins ***
Capitolo 19: *** La talpa ***
Capitolo 20: *** Calma apparente ***
Capitolo 21: *** La verità è che non gli/le piacevi abbastanza ***
Capitolo 22: *** Time out ***
Capitolo 23: *** Scusa se ti amo ***
Capitolo 24: *** Vertigo ***
Capitolo 25: *** Nella tana del serpente ***
Capitolo 26: *** Titani all'attacco - parte prima ***
Capitolo 27: *** Titani all'attacco - parte seconda ***
Capitolo 28: *** The king’s gamblit ***
Capitolo 29: *** La tela del ragno ***
Capitolo 30: *** Crazy stupid love ***
Capitolo 31: *** C'eravamo tanto amati ***
Capitolo 32: *** Avengers o Xmen? ***
Capitolo 33: *** Catch me if you can ***
Capitolo 34: *** Ehi tu, *Porko*, levale le mani di dosso! ***
Capitolo 35: *** Orgoglio e pregiudizio ***
Capitolo 36: *** The day after ***
Capitolo 37: *** L'isola che non c'è ***
Capitolo 38: *** E vissero tutti... Felici e contenti? ***



Capitolo 1
*** Il greve, il novizio e il mostro d’intelligenza ***


C’è poco da dire, ho fatto una caxxata che mi è costata cara.
Volevo correggere una cosa e ho avuto la brillante idea di farlo dal cellulare e, grazie al maledetto touch screen, innavvertitamente ho cancellato la storia.
Non vi dico come ci sono rimasta… Dopo un primo momento di assoluto sconforto e giramento di gonadi a turbo mi sono detta che era inutile stare a piangere sul latte versato e sulla perdita di 100 e passa recensioni, ormai il danno era fatto. Per fortuna ogni capitolo prima di essere postato era stato salvato su una specie di Cloud on line, almeno non ho perso niente e posso ripostare tutto da capo. Penso, se ce la faccio, tipo 4 o più capitoli al giorno per ritornare in pari al 25esimo.
E niente, ovviamente sono mortificata e molto dispiaciuta, soprattutto per le recensioni è ovvio, ma comunque le avevo lette e apprezzate.
Chi è causa del suo mal pianga se stesso!
Chiedo scusa a tutti voi e spero che continuare a seguire questa storia come avete fatto fino al guaio.
Quindi ricominciamo!

Ed ecco qua la mia primissima AU in assoluto in questo fandom.
E dire che io ho sempre storto il naso di fronte alle AU, ma è bello cambiare idea no?
Una cosa ci tengo a sottolineare è una AU, ma mi sono attenuta il più possibile al canon, certo non vi ripropongo la storia pari pari al canonverse non avrebbe senso, ma ho fatto del mio meglio perché “respiraste comunque quell'aria”. Spero di esserci riuscita...
Basta tediarvi, ci rivediamo a piè di pagina
Per ora vi auguro Buona (spero) lettura

Questa fanfic è un’opera di fantasia basata sul manga e anime Shingeki no Kiojin proprietà intellettuale di Hajime Isayama. Tutti i personaggi di SNK appartengono a Hajime Isayama e questa fic non è scritta con scopo di lucro.
Luoghi, eventi e fantapolitica qui narrati, sono il frutto della fantasia dell’autrice e sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con fatti reali è da ritenersi puramente casuale.



L’Isola dei Dannati

A.o.T. Mission-almost-Impossible

                                              

1

Il greve
il novizio
e il mostro d’intelligenza



Il rumore del campanello pareva ovattato. Sembrava quasi appartenere a un altro mondo. Era oltremodo fastidioso. Levi stava dormendo profondamente, cosa che tra l’altro gli accadeva di rado. Aveva avuto una nottata molto movimentata e quindi per una volta tanto era caduto tra le braccia di Morfeo come un bimbo.
Quel suono molesto però non la smetteva di trillare. Il suo richiamo irritante sembrava arrivargli dritto dentro il cervello.
«Levi… il campanello…» masticò sospirando la donna accanto a lui. Era quella che aveva notevolmente contribuito alla nottataccia.
Levi grugnì appena, aprì un occhio e poi l’altro.
«Non potevi rispondere tu invece di svegliarmi? Per una volta che dormo!» abbaiò, prima di scostarsi il lenzuolo con stizza e alzarsi per far tacere quel rumore odioso.
Lei non aveva risposto e si era coperta la testa con il cuscino, girandosi dall’altra parte.
Ma chi cazzo può essere a quest’ora?
Pensò infastidito mentre apriva la porta.
Il fattorino strabuzzò gli occhi. Quell’uomo era nudo come un verme e aveva un’espressione che tagliava come un rasoio, sembrava molto più che contrariato.
«Scu… -coff coff-… si» tossicchiò imbarazzatissimo, fissando il pavimento per non incorrere nelle pudenda di quel tipo, che pareva una sorta di sociopatico con manie da esibizionista.
«C’è… un plico per… lei» disse infine porgendoglielo e continuando a fissare ostinatamente un punto indefinito a terra.
«Dovrei rispondere: grazie, ma mi hai svegliato, perciò se devo firmare tira fuori la penna e poi levati dalle palle».
«No, no. Solo consegnare… dovrei…».
Levi lo fissò un attimo e capì al volo.
«Sempre peggio, sempre più in basso» commentò arcigno, quindi gli sbatté direttamente la porta in faccia e si diresse in cucina masticando una litania di parolacce da far impallidire tutti i peggio farabutti di Brixton.
Aprì il plico, c’era solo un biglietto da visita.
Mercoledì ore 8,30 am, presso Maeci, consolato italiano Park Avenue, New York.
Prese un accendino, bruciò il biglietto e tornò a letto. Lei si era riaddormentata, ronfava beata, come un angioletto, gli venne una gran voglia di svegliarla con un urlaccio, ma non lo fece, in fondo Levi era molto meno stronzo di quello che appariva, quindi si infilò sotto le coperte e richiuse gli occhi.
Ovviamente non dormì più.

 

*

 

Armin era appena arrivato in agenzia. Era poco prima delle nove di mattina.  Sottobraccio aveva la sua cartella, che conteneva alcuni documenti e il suo prezioso notebook. Nell’altra mano aveva un cappuccino aromatizzato alla nocciola, bello fumante. Stava salendo le scale quando lo raggiunse trafelato un collega, o almeno uno che riteneva tale, dato che lavorava lì da poco e non conosceva ancora tutti.
«Devi analizzare i resoconti dalla Siria» gli disse mentre salivano le scale.
«Abbiamo tre agenti dispersi e uno sicuramente catturato».
Armin lo guardò con fare interrogativo.
«Ma io non mi sono mai occupato di analizzare i rapporti della Siria» rispose perplesso.
«Ordini del capo» tagliò corto l’altro.
«Ma…» provò ad obiettare il giovane, intanto il tipo era già sparito nel corridoio del primo piano, lasciandolo con un enorme faldone in mano, che gli aveva appioppato senza aggiungere altro.
Il suo lavoro gli piaceva, ma ancora non aveva ben capito che cosa lo avessero assoldato a fare, dato che stava dalla mattina alla sera a trascrivere conversazioni registrate, ad analizzare rapporti di agenti sul campo. Tutte cose utili per carità, ma era stato addestrato anche e soprattutto per fare altro.
Tuttavia era molto paziente e molto determinato, inoltre il suo QI sfiorava livelli ben sopra la media, e quando gli si accendeva una lucina in testa, era certo che bollisse qualcosa in pentola, non sbagliava mai. Ancora però non era accaduto niente in tal senso, non sapeva bene come e quando, ma  era sicuro che il vento sarebbe cambiato. Quello che stava facendo non era quello per cui lo avevano ingaggiato. Aveva capito che doveva avere pazienza, che era come sotto osservazione, in prova.
Quella mattina, dopo un primo attimo di smarrimento, la famosa lucina brillò e capì subito che era arrivato il suo momento. Quello sbaglio, non era uno sbaglio!
Raggiunse il suo ufficio in fretta e si mise a sfogliare con impazienza il faldone, alla ricerca di qualcosa che corroborasse la sua tesi.
Quel qualcosa si materializzò una mezz’era dopo, sotto forma di biglietto da visita allegato con una grappetta, ad un resoconto su un ospedale di Aleppo.
Mercoledì ore 8,30 am presso Maeci consolato italiano Park Avenue, New York.
Gli brillarono gli occhi. Ecco arrivata la sua occasione. Si guardò intorno. Era ancora un neofita ma sapeva che cosa dovesse fare. Sbriciolò il biglietto, poi andò in bagno, lo gettò nel water e tirò l’acqua.


                                         

*


Hanji quella mattina aveva un gran mal di testa, ciò nonostante si era comunque presentata in auditorium in perfetto orario e stava tenendo la sua conferenza sulla chimica inorganica.
I ragazzi l’ascoltavano rapiti. Hanji non era una donna che si potesse definire canonicamente bella, ma aveva un viso davvero particolare, degli occhi grandi e così luminosi, che sembravano riflettere la sua grande intelligenza, oltre che lo smisurato amore per il suo lavoro. Era alta, slanciata, molto magra, con un fisico androgino e una forte personalità. Aveva uno stile tutto suo che non la faceva mai passare inosservata. Gli studenti, quando andava a fare quei meeting di approfondimento, pendevano dalle sue labbra. Molte ragazze la ammiravano e avrebbero voluto essere come lei.
La dottoressa Zoe era una persona molto giovale e molto disponibile, salvo quando si trattava del suo altro lavoro, allora in quel caso si trasformava completamente, ma questo i ragazzi dell’ateneo non l’avrebbero mai saputo.
Per loro era solo la dottoressa Hanji Zoe con ben tre lauree: matematica, chimica e biologia. Un vero mostro d’intelligenza, ma non era questa la sua principale occupazione. Quella della scienziata studiosa, che ogni tanto deliziava le università delle sue preziose lezioni, era solo una copertura.
Quella mattina avrebbe preferito rimanere a casa perché davvero le stava scoppiando la testa, ma era troppo ligia al dovere, così eccola che stava terminando il suo ennesimo seminario sui reagenti di atomi di idrogeno.
Una robetta semplice.
Aveva appena finito e stava raccogliendo i suoi appunti per metterli in una cartellina, quando fu avvicinata da una ragazza che le sembrò un po’ troppo impacciata e un po’ troppo a disagio.
«Che c’è cara? Qualcosa non ti è chiaro?» le chiese con quel suo modo affabile, nonostante la tremenda emicrania.
«Vorrei lasciarle una relazione sui materiali strutturali dei gruppi fosfato che formano lo scheletro del DNA» le rispose quella tutta d’un fiato.
«Cara ma io non sono una professoressa, sono solo una scienziata che ogni tanto tiene delle lezioni-seminario nelle università» le rispose gentile.
«Sì, lo so, ma questa relazione le interesserà si fidi».
Hanji non era mai scortese, ma quel giorno le sembrava di avere un martello pneumatico in testa, la sera prima aveva bevuto troppo vino e ora ne pagava le conseguenze.
«No cara, non mi interesserà. Fidati tu, e ora se mi vuoi scusare» concluse prendendo la sua cartellina dato che aveva appena finito di riporvi i suoi preziosi appunti.
La ragazza che evidentemente era un po’ imbranata fu presa dal panico e le arpionò il braccio strattonandola appena. La guardò implorate e poi parlò: «La prego non mi faccia licenziare, prenda la relazione e se la porti via!».
Hanji allora ebbe un’illuminazione e scoppiò a ridere «Ahhhh! Sì, certo cara. La prendo non temere, potevi dirlo subito senza menare troppo il can per l’aia, però» flautò e poi le scompigliò i capelli con fare materno, scioccando la giovane agente che pensò che forse le mancasse una rotella.
Quindi trovò subito ciò che cercava: un biglietto da visita che era poggiato sul primo foglio stampato della relazione.
Mercoledì ore 8,30 am presso Maeci consolato italiano Park Avenue, New York.
Non sapendo come sbarazzarsene in fretta, ed essendo una donna pratica, lo strappò in tanti piccoli pezzi, poi se lo mise in bocca e ci bevve dietro mezza bottiglietta d’acqua, che aveva in borsa. Una volta inghiottito girò i tacchi e se ne andò.

*

«Bene, sembra che i nostri messaggi siano giunti a destinazione senza troppi problemi» disse l’uomo più anziano rivolto al più giovane.
«Sì, ma è solo un primissimo piccolo passo. Ora bisogna convincerli ad accettare la missione senza fare troppe domande» rispose l’altro.
«Tu sei un maestro nel motivare gli agenti. Rifila loro quella stronzata di offrire i loro cuori, e se stessi per la sicurezza della nazione. Il sacrificio di pochi per il bene di molti, eccetera, eccetera».
«Dimentichi che non sono reclute, non posso abbindolarli e soprattutto dimentichi chi sia Levi. Lui sarà l’osso più duro».
«Beh per questo conto su di te, quindi spremi quelle meningi e confeziona una bella e nobile motivazione che convinca questi soggetti a partecipare a questa missione suicida. Il mondo è in serio pericolo, non possiamo perdere tempo, diamine!».
L’uomo più giovane annuì con la testa, poi portando le braccia dietro la schiena, guardò fuori dalla finestra.
Sembrava facile a parole, ma quella era una missione che avrebbe decretato se l’umanità avesse potuto avere ancora un futuro oppure no. Aveva una sola settimana per preparare un piano, doveva davvero dare il meglio di sé.


I monologhi dell’autrice
I titoli di questa fanfic saranno quasi tutti ispirati a titoli di film, canzoni, anime, proverbi e non solo.
Se ce la faccio posto entro oggi altri tre capitoli, grazie e scusate ancora!
Grazie a te che hai a letto sin qua!

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Capitolo 2
*** Le verità nascoste ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 2 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando.
Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

2
Le verità
nascoste



Mercoledì ore 8,30 am
Maeci consolato italiano
Park Avenue, New York.

«Salve sono Marco, il segretario del console e le dò il benvenuto».
Levi mostrò il suo tesserino e il ragazzo lo accompagnò attraverso la lunga scalinata di quel palazzo stile europeo. Attraversarono un corridoio e poi il giovanotto lentigginoso aprì la porta e lo introdusse nella sala conferenze.
«Ben arrivato Levi, accomodati» disse Dot Pixis facendogli un cenno con la mano.
«Il capo della CIA in persona» commentò sardonico, poi dette un’occhiata agli altri «Erwin il suo braccio destro» aggiunse.
«Ciao Levi» lo salutò il vicecapo.
«E questo biondino chi è?» chiese squadrando severamente Armin. Non lo conosceva, ad occhio e croce doveva avere sui vent’anni o giù di lì, gli pareva un po’ troppo giovane.
«È un analista di Langley. L’ho reclutato io» disse Hanji uscendo da un cono d’ombra che l’aveva temporaneamente nascosta alla vista dell’uomo, il quale fu colto di sorpresa, ma non lo palesò. La guardò con la sua tipica espressione a metà tra l’annoiato e l’infastidito.
«Ci mancavi solo tu, ora sì che si profila come una missione di merda!» commentò.
La donna invece di offendersi sorrise divertita. Lo conosceva molto bene e sapeva leggere perfettamente certe sue reazioni. Non se la prendeva mai per quel suo modo di fare e di apostrofarla. Sapeva che le uscite di Levi non erano mai veramente acide come sembravano, non nei suoi confronti almeno.
Armin invece era piuttosto perplesso, come tutti gli agenti della CIA conosceva Levi di fama, era una leggenda in seno all’agenzia, ma se lo sarebbe immaginato diverso. Era molto basso, molto elegante e molto… come dire, indisponente, oltre che sboccato come uno scaricatore di porto. Cosa tra l’altro che strideva tantissimo con il costosissimo completo Burberry che indossava. Pareva anche una persona per niente accomodante e poi come faceva ad avere quella fama se a stento arrivava, forse, al metro e sessantacinque?
«Cerchiamo di non perdere tempo in chiacchere inutili» li richiamò Pixis.
Levi lo ignorò palesemente.
«Perché siamo nel consolato italiano, che c’entra con la CIA?» chiese con sospetto.
«È una missione molto delicata e molto pericolosa. Abbiamo scelto un posto neutro, che non desse nell’occhio, per alzare il livello di sicurezza. Nessuno penserebbe mai che degli agenti della CIA organizzerebbero un incontro di reclutamento, per una missione segreta, al consolato italiano» spiegò Pixis.
Levi li guardò non troppo convinto, ma non sillabò.
«Va bene abbiamo capito, ma veniamo al sodo, come mai ci avete fatti venire qui?» chiese Hanji
Pixis continuò. «Per farla breve un luminare della medicina stava lavorando ad una cura super innovativa per curare una malattia autoimmune. Qualcosa che ha dell’incredibile, ma che è assolutamente Top Secret. Un miliardario che si fa chiamare Fritz ha voluto scommettere su di lui e ha finanziato il suo progetto.
Quando, contro ogni aspettativa ciò che ha scoperto è andato oltre ogni più rosea previsione, il medico è misteriosamente scomparso».
«Abbiamo il sospetto che possa essersi venduto a qualcuno, o che sia stato rapito» continuò Erwin «Almeno questo è ciò che si dice in giro».
«È tutto troppo nebuloso. Intanto in cosa consiste questa cura?» chiese Levi.
«Top Secret» tagliò corto Pixis.
Levi lo fulminò con lo sguardo e subito incalzò: «E il medico scomparso chi è?»
«Top Secret».
Avrebbe voluto prenderlo per collo ma sapeva che sarebbe stato inutile, quei due non gliela la contavano giusta, aveva già capito l’antifona.
«Senza stare a perdere altro tempo ci potete dire cosa non è Top Secret, e caso mai perché dovremmo accettare questa missione che mi puzza come una cacata di mucca fumante?» disse infine.
«Tralasciando la colorita similitudine di Levi, concordo con lui. La faccenda è molto nebbiosa. Non ci vedo chiaro neppure io» s’intromise Hanji, poi continuò «Erwin se sarai tu a capo dell’operazione come credo, ti chiedo per favore di fare un po’ di chiarezza. Non potete pretendere che accettiamo alla cieca».
«Neanche io conosco bene tutti i dettagli» cominciò Smith «In tutta onestà posso dirvi che è un’operazione ad alto rischio, per questo vi abbiamo reclutati. Abbiamo pochissime informazioni, ma sappiamo che ne va della sicurezza nazionale, addirittura mondiale. Abbiamo bisogno dei migliori, cioè di voi».
«E ancora non ci hai detto niente» brontolò Levi.
«Sappiamo dove è stato avvistato l’ultima volta il medico».
«Che non sappiamo come si chiama…» scappò detto ad Armin che fino ad allora aveva ascoltato in religioso silenzio.
«Non stiamo cercando solo lui in realtà» disse Erwin.
«Ah no?» chiese il ragazzo stupito. Ora non ci stava davvero capendo niente neppure lui.
«E chi stiamo cercando, di grazia?» chiese Levi che stava perdendo la pazienza.
«Uno dei miei» proseguì Erwin «È andato sotto copertura a Paradise un’isola vicino al Madagascar, un posto defilato che non è neppure segnato sulle cartine geografiche. Avevamo avuto una segnalazione che il professore potesse essere lì».
«Invece no?» chiese Hanji.
«Purtroppo più notizie del nostro contatto: Damned. Era sotto copertura ma è svanito nel nulla» precisò Erwin.
«Damned? Ma che nome è? Davvero Erwin sei serio?» commentò Levi che ancora non aveva capito dove volessero andare a parare. Li conosceva quei due, partivano da una parte per poi portarti da tutt’altra. Non erano mai chiari, con loro era tutta una sorpresa e quasi mai gradevole.
«È un semplice nome in codice, non sottilizzare Levi. Ad ogni modo temiamo che sia stato scoperto. Forse è morto, o forse, come speriamo è prigioniero. Abbiamo bisogno di fare una ricognizione con eventuale estrazione in loco».
«Perché?» chiese Levi scrutandolo.
«Che domande! È uno dei nostri» sbottò Erwin.
«Pensi che me la beva? Difficilmente sei tornato indietro per qualcuno, se questa volta vuoi farlo ci deve essere un motivo molto forte a monte e io voglio saperlo, o non se ne fa di nulla».
Erwin era conscio che sarebbe arrivata quella domanda e giocò d’astuzia.
«Mi dispiace non posso dirtelo. Ma quanti anni sono che mi conosci? Ti ho reclutato io. Sai che c’è sempre un’ottima ragione dietro quello che faccio. Appena mi sarà possibile vi dirò tutto, ma ancora neppure io sono al corrente di ogni particolare e parlarne potrebbe compromettere tutta l’operazione. Devi fidarti di me» concluse fissandolo dritto negli occhi senza avere un solo secondo di cedimento.
«Quanto è pericolosa questa faccenda da uno a dieci?» chiese infine Levi.
«Cinque, forse sei» rispose Erwin.
Levi pensò che se aveva detto così, il rischio era davvero alto forse anche dieci su dieci. Conosceva bene Erwin e sapeva pesare le sue parole.
«E saremo solo noi?» chiese serio e poi aggiunse «Mi spiegate casco d’oro cosa ce lo portiamo dietro a fare? Mi pare che sia una matricola no? Non mi sembra il caso di trascinarci dietro un cadavere che cammina».
«Ti sorprenderai di quanto potrà essere utile. Comunque è una matricola, ma di tutto rispetto! È stato uno dei primi nel suo corso di addestramento sul campo, proviene dal fantastico gruppo del centoquattresimo reggimento Navy Seal. È un top gun!» specificò Hanji non senza una punta d’orgoglio.
«Ah beh allora!»  fece Levi sarcastico e poi aggiunse «Comunque in caso te ne prendi carico tu, non possiamo certo rischiare la vita per star dietro ad un moccioso appena uscito dall’accademia!» disse più per protesta, che per reale convinzione. Levi era uno che davvero non lasciava mai indietro nessuno.
Anche se aveva accettato di fidarsi di Erwin, quella faccenda gli puzzava troppo, qualcosa non lo convinceva e se doveva andare sul campo, voleva gente di livello, non analisti.
«Signore con tutto il rispetto non sono un moccioso ho ventisette anni e sono uscito dall’accademia da più di un anno» specificò serio Armin, anche un po’ frastornato da quel batti e ribatti e da tutte quelle informazioni, non informazioni, che gli ronzavano in testa come uno sciame d’api.
«Ora basta polemizzare Levi» tagliò corto Pixis «Non facciamo mai niente a caso, tu questo lo sai bene. Comunque non sarete soli ma sarete affiancati anche da tre agenti speciali dell’FBI. Come ha detto Erwin è un’operazione congiunta, l’allerta sicurezza e altissima: livello tre, quindi capirai bene che il pericolo del controspionaggio è praticamente una certezza. Per tutti questi motivi gli agenti che parteciperanno alla missione dovranno fidarsi ciecamente di Erwin e accettare il fatto di scoprire le strategie in corso d’opera».
Fu a quel punto che Levi ed Hanji si scambiarono un’occhiata d’intesa.
E poi annuirono entrambi.
«Va bene, ci sto» disse Levi annoiato.
«Anche io» gli fece eco la donna decisamente più entusiasta.
«Se mi volete ci sono!» s’intromise Armin, che comunque si sentiva a un po’ a disagio.
«Bene. Allora siamo a posto. Levi sarai tu il mio braccio destro» e questa fu la ciliegina sulla torta da parte di Erwin per sedare ogni restante dubbio a Levi.
Forse…

*


Levi in verità non si fidava neppure della sua ombra. Cercava sempre di giocare d’anticipo con il nemico e di avere la situazione sott'occhio, anche perché era un vero maniaco del controllo.
Per questo motivo appena uscito era andato a procurarsi un cellulare prepagato usa e getta. Qualche ora dopo stava chiamando chi di dovere.
Dall’altro capo, il modo di squillare del telefono, gli fece subito capire che il contatto con cui stava cercando di interloquire era sicuramente all’estero.
«Pronto» gli rispose dopo molti squilli.
«Ciao Scarface abbiamo solo trentotto secondi e poi potrebbero intercettarci» disse.
«Ti ascolto nano-malefico».
A Levi scappò un mezzo sorriso, quei nomi in codice erano proprio una stronzata, ma funzionavano senza dover dar adito a troppi preamboli. Certo Scarface non aveva mai apprezzato quell’appellativo e per vendetta lo aveva a sua volta battezzato: nano-malefico, ma a Levi non importava, non si lasciava toccare da questo genere di cose.
«Il cacciatore ha preparato l’esca» rispose.
«lo so» commentò Scarface.
«Sei già in gioco?» chiese Levi.
«Sì. Ho avuto ordini e consegne».
«Quindi mi dai conferma che se avrò bisogno mi coprirai le spalle».
«Affermativo nano-malefico!».
E a quel punto dopo trentacinque secondi esatti, la conversazione si concluse.

I monologhi dell’autrice
Buonsalve!
I primi due capitoli sono tornati al loro posto, la pausa pranzo però è finita, quindi se ce la faccio continuo stasera, almeno altri due.
Grazie della comprensione!

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Capitolo 3
*** La isla bonita ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 3 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

3
La isla
bonita

 

Quartier generale FBI
36 ore Dopo.

«Sasha ti odio!»
«Uh?» fece la ragazza mentre stava ingurgitando un doppio cheeseburger farcito di ogni cosa possibile e immaginabile.
«È la terza colazione che fai! Tra non molto sarà ora di pranzo e continuerai ad ingozzarti, il tutto senza mettere su neanche etto! TI ODIO, sì!».
«Credo sia colpa del metabolismo, forse della tiroide, ma ho sempre fame, che ci vuoi fare» rispose a bocca piena alla collega mentre  continuava a trangugiare il suo panino.
«Scusa ma non dovevi andare al poligono oggi?» le chiese l’altra d’un tratto ricordandosi ciò che le aveva detto il giorno prima.
«Accidenti!» sbuffò Sasha prima di infilarsi il resto del cheeseburger tutto in bocca «Sì, ed è tardissimo! Scappo!» farfugliò masticando.
E se la dette letteralmente a gambe. Doveva attraversare tutto l’edificio, dato che il poligono era dalla parte opposta di dove si trovava al momento.
Arrivò trafelata. Jean e Connie erano già lì, ma non stavano sparando.
Con loro c’era anche un tizio che però lei non aveva mai visto.
«Sasha, sei in ritardo di quasi quindici minuti e hai la bocca piena, ma che ti dice il cervello eh?» la rimproverò Connie severo non appena lei gli fu accanto.
La ragazza roteò gli occhi con fare scocciato. Sapeva di essere in torto non c’era bisogno di farla tanto lunga. Quei due erano insopportabili a volte.
Jean scosse la testa, Sasha gli rispose con un occhiataccia. Da quando era stato promosso era diventato insostenibile. E poi aveva iniziato a tenere sempre quella barbetta incolta di due tre giorni, forse pensava di essere figo? Era solo ridicolo!
Connie, per non essere da meno, s’era rasato nuovamente i capelli, non si rendeva conto che stava molto meglio quando li aveva fatti crescere? Anche lui lo aveva fatto per via della promozione, diceva che gli dava un’aria più da duro, mah… se lo diceva lui, pensò Sasha.
Lei invece, per la sua di promozione, si era finalmente fatta il gel alle unghie e poi si era concessa una cena nel miglior ristorante specializzato in carne alla griglia, della città. Si era mangiata una doppia porzione di bistecca. Era una ragazza pratica, di poche pretese e follemente amante della carne.
«Bene, ora che ci siamo tutti mi presento. Sono Dallis Zacklay responsabile capo del Federal Bureau of Investigation, meglio noto come FBI. In pratica sono il vostro capo supremo, per così dire».
I tre rimasero di sasso. Ora, era pur vero che erano stati promossi da non molti mesi, che erano tre agenti tra i migliori, se non i migliori in assoluto, ma che addirittura si scomodasse per loro, era davvero una cosa senza senso.
«Signore!» dissero tutti e tre facendo il saluto d’ordinanza.
«Vi chiederete perché sono qui».
«In effetti è una cosa piuttosto inconsueta» commentò schietto Jean.
«Già!» gli fece eco Connie.
«Perché è qui, signore?» chiese Sasha senza girarci troppo intorno.
«Ho visto i vostri files e vorrei reclutarvi per una missione Top Secret ad altro rischio».
Rimasero tutti e tre abbastanza sorpresi. Non che non sapessero che potesse accadere, ma pensavano che sarebbe successo più avanti.
«Che dovremmo fare signore?» chiese Jean sospettoso.
«Dare supporto ad un’azione congiunta con la CIA» disse Zacklay.
«E da quando lavoriamo con loro?» chiese Sasha accigliata, quelli non le erano mai piaciuti. Erano intrallazzoni internazionali, mentre loro si occupavano veramente della sicurezza della loro nazione.
«Da quando c’è una minaccia di terzo livello» disse il capo supremo «Vi spiego i dettagli, seguitemi».
«Speriamo bene… che non sia la nostra prima e ultima missione» sospirò Connie seguendo l’uomo e i colleghi.

 

*

 

«Signor Smith. Signora Smith» disse la hostess controllando i biglietti  e i documenti di Levi ad Hanji.
«Signori Bennet» disse poi all’indirizzo di Erwin e Armin.
«Prego, potete salire sull’aereo» fece loro cenno sorridendo.
I quattro facendo finta di non conoscersi, due a due, avanzarono dentro il tunnel che li avrebbe introdotti nel velivolo.
«Mi scusi, ma perché Levi e Hanji hanno usato il suo cognome e io un falso cognome uguale al suo?» chiese perplesso, ma in modo discreto Armin ad Erwin.
«Sai che non usiamo mai le nostre reali generalità. Per quanto riguarda Levi e Hanji è diventata una sorta di scaramanzia, è capitato che sia stato utilizzato per sbaglio una volta e da allora lo usiamo spesso. Smith è cognome piuttosto comune del resto. Per noi due è stata fatta questa scelta perché abbiamo tratti somatici abbastanza simili, tanto da poter passare per padre e figlio, o fratelli. È sempre meglio usare voli civili, mantenere un profilo basso è di vitale importanza per la sicurezza» spiegò Erwin.
Armin non commentò. Pensò solo che Hanji e Levi come coppia dessero moltissimo nell’occhio. Lei alta, androgina, con un completo di taglio maschile e scarpe allacciate all’inglese. Lui molto più basso di lei, dieci centimetri buoni, vestito praticamente con un completo quasi uguale a quello della donna. Erano tutto meno che anonimi.
«Lo so che cosa stai pensando, in realtà quei due stanno dando proprio nell’occhio, ma va bene così. È esattamente quello il punto. Nessuno che volesse nascondersi, farebbe come loro e questo li rende insospettabili e credibili» gli spiegò Erwin come se gli avesse letto nel pensiero.
Armin sorrise e annuì. In effetti il discorso non faceva una piega.
Sull’aereo erano sistemati abbastanza lontani gli uni dagli altri.
Levi volle il posto lato corridoio lasciando ad Hanji il lato finestrino.
«Ti avverto che non ho voglia di fare conversazione» disse alla donna e si mise subito gli auricolari. Dalla sua playlist di musica classica selezionò la sinfonia numero tre di Brams. Se la sparò a tutto volume negli orecchi, voleva rilassarsi e quella era l’unica musica adatta al caso.
Hanjie non fece una piega, tirò fuori dallo zaino un libro sulla successione aurea di Fibonacci e si spaparanzò sulla poltrona. Era felice di poter leggere in santa pace. Erano in prima classe, questa volta era toccata a loro. Se la giocavano a poker ogni missione, avevano vinto a mani basse. Del resto con una poker face come quella di Levi era difficile perdere. Era stato un baro da dieci lode, facendo divertire moltissimo Erwin, che sapeva che giocarsela in coppia con Armin, sarebbe stata sconfitta sicura, ma anche quella era diventata una divertente consuetudine prima di ogni missione. Un modo anche per dar nuova linfa al cameratismo e allentare la tensione.
Dopo alcune ore di volo erano finalmente sbarcati sull’isola di Paradise.
Faceva molto caldo, l’aria era umida. Furono accolti da una vegetazione molto fitta e molto ricca. Usciti dall’aeroporto c’era un tizio, in un mini van, che era venuto a prenderli per portarli alla loro destinazione.
«Signori, mi chiamo Floch e sarò il vostro riferimento nell’isola. Per qualsiasi bisogno rivolgetevi pure a me».
Erwin scoccò un'occhiata ad Armin, il quale estrasse dal suo zaino una specie di tablet che invece era un sofisticatissimo mini computer, collegato tra l’altro, con gli archivi della CIA. Arlert controllò velocemente e poi girò lo schermo verso Erwin.
Floch risultava essere un agente dell’FBI in congedo temporaneo. Erwin non disse una sola parola e fece solo un lieve cenno al ragazzo, come per dire che era tutto a posto.
«Bene lo terremo a mente signor Floch» rispose poi affabile al tipo.
La loro sistemazione per la notte era un’abitazione che dava direttamente sulla spiaggia. Una casa abbastanza solitaria e dall’aria molto vacanziera. Una collocazione apparentemente da turisti.
Levi appena entrati cominciò a passare in rassegna i mobili, per vedere se ci fosse della polvere. Naturalmente ne trovò e fece una faccia disgustata, mettendosi poi sorprendentemente a spolverare.
Armin lo guardava sempre più incuriosito. Era proprio un tipo singolare, forse un ossessivo compulsivo?
Sistemarono le loro cose nelle rispettive camere e poi si ritrovarono in veranda.
«Floch, che nome da imbecille» commentò sprezzante Levi. «E magari lavora in coppia con Flich. Stiamo proprio raschiando il barile! Comunque di quello lì, con quel ciuffo anni novanta, phonato male, non mi fido per niente!» concluse torvo. E di solito, se dalle parti di Levi tuonava, la pioggia era imminente.
Ad Hanji scappò da ridere, dovette constatare che in effetti aveva ragione «Sei sempre così pungente Levi, ma estremamente acuto, neanche io ho avuto buone vibrazioni. Il ragazzo appariva un po’ troppo servile. I lecca chiappe non li ho mai digeriti» commentò infine la donna.
«Non soffermiamoci troppo sui gregari. Direi di concentrarci su cose più serie» tagliò corto Erwin.
«Già, perché non ci dici esattamente che cosa dobbiamo fare e come dobbiamo muoverci Erwin?».



 

*

Nel frattempo, con un altro volo, erano arrivati a Paradise anche Sasha, Jean e Connie. Erano abbigliati come tre ragazzi che erano in vacanza, con grossi zaini sulle spalle. Camicia e bermuda per Jean. Canottiera e calzoncini di jeans per Connie. Top e shorts per Sasha. Tutti e tre molto gasati e neanche tanto per finta, dato che era la loro prima missione importante, insieme e in un’isola che pareva davvero il paradiso terrestre. Presero un autobus e si diressero verso la loro destinazione: un alberghetto fuori mano, ma in linea d’aria abbastanza vicino alla casa degli agenti della CIA, che sapevano avrebbero dovuto incontrare a breve. Presero possesso ognuno della propria camera, si fecero una bella doccia, poi a tutti e tre contemporaneamente arrivò un messaggio sul cellulare.

La vostra guida per la vostra vacanza a Paradise è arrivata. Ricordate le vostre password. Buona permanenza

Si riunirono subito in camera di Connie, che era sempre il più agitato. «Per password intendono la parola d’ordine vero?» chiese.
«No, ma cosa dici? Vogliono quella del tuo homebanking!» lo prese in giro Jean.
«Ragazzi basta per favore!» esordì Sasha «Jean lo sai che Connie a volte è ansioso e comunque meglio che chieda, piuttosto che combini qualche casino».
«Scusate, lo so che sono una frana, ma tutte queste stronzate di parole d’ordine da agenti segreti mi fanno ridere, io preferisco l’azione» si giustificò Connie.
«Va bene, stabilito che il nostro contatto è arrivato e che ricordiamo le parole d’ordine. Procediamo» disse Shasha.
«Comunque questa volta la penso come te Connie, paiono davvero delle cazzate» concluse Jean e si diressero verso la Hall dell’albergo.
Appena sul posto furono avvicinati da un ragazzotto biondo dallo smaccato accento italiano.
«Sthoess, Trost, Shiganshina?» chiese.
I tre si girano e insieme risposero alla parola d’ordine con la loro: «Maria, Sina, Rose!».
«Sono Niccolò e sono il vostro contatto nell’isola. Adesso venite con me, vi porto dagli altri agenti» disse sorridendo e facendogli strada verso la sua macchina.
Mentre erano in auto, Connie, che era sempre il meno tranquillo decise di fare un controllo. Prese il cellulare e inviò una foto, che aveva fatto al biondo di soppiatto e la inviò al Bureau.
«Che stai facendo?» bisbigliò Jean. Loro due erano dietro e Shasha invece era nel sedile davanti, che chiacchierava con Niccolò, sgranocchiando della frutta secca che aveva portato via dalla sua camera.
«Controllino veloce. Meglio non fidarsi» disse piano Connie.
«Ma se sapeva la parola d’ordine?» rispose bisbigliando Jean.
«Ecco il risultato, testone» bofonchiò Connie passando il telefono al compagno.
Niccolò risultava essere un agente della CIA in congedo temporaneo.
«Uhm» commentò criptico Jean. Certo era un’operazione congiunta, ma perché non mandare uno dei loro, invece che uno della CIA?
«Hai visto? Stiamo in campana!» convenne Connie.
L’altro annuì.
Dopo circa venti minuti di macchina arrivarono alla casa sulla piaggia.
Furono accolti da Erwin, che era andato loro incontro in camicia bianca e bermuda color senape, in perfetto stile vacanziero. In mano aveva un cocktail che sembrava davvero invitante pensò Sasha, oltre al fatto che era un gran bell’uomo.
«Benvenuti a Paradise!» disse loro accompagnandoli verso la veranda.
Niccolò nel frattempo si era congedato e se n’era andato.
Quando Armin li intravide da lontano saltò in piedi di scatto.
«Ohi? Ti ha morso una tarantola?» gli chiese Levi guardandolo di sbieco.
«Io li conosco!» rispose il ragazzo euforico «Eravamo tutti nei Navy Seals nel corso del centoquattresimo!».
«ARMIN!!!» urlano in coro i tre non appena misero a fuoco il vecchio compagno.
Si gettarono gli uni nelle braccia dell’altro, sinceramente felici di essersi ritrovati.
«Mi ci gioco il culo, e mi rimane vergine, che questa cosa è una tua idea» disse Levi scrutando Erwin di traverso.
«A parte il fatto che adoro le tue similitudini, così intrinsecamente poetiche, sì, è ovviamente una mia idea. Questa missione è molto pericolosa, voglio una squadra coesa e compatta, gente che sia disposta a morire per i propri compagni se mai fosse necessario».
«Direi che un’ottima mossa Erwin, sebbene siano tutti dei novellini» commentò Hanji guardando i ragazzi. Sembravano davvero felici di essere insieme. Sicuramente ancora non avevano idea di cosa li aspettasse e questo le fece un po’ stringere il cuore, sperava sinceramente che potessero tornare tutti sani e salvi a casa. Averli arruolati, da parte di Erwin, era stata una mossa azzardata e molto rischiosa, ma lei non voleva gettare benzina sul fuoco e soprattutto si fidava di lui.
Levi non rispose subito. Rimuginò un po’ e poi disse: «Qualcosa in questa storia non è chiara, ma ovviamente come quattrocchi, ho accettato questa missione solo perché a capo ci sei tu e nonostante il tuo modo di fare contorto, mi fido di te, anche se questa delle reclute è una mossa a dir poco rischiosa, per loro e per noi».
«Sono certo che cambierai idea» concluse Erwin forte delle sue scelte.
Levi come spesso accadeva optò per la saggia via del silenzio, anche perché Erwin avrebbe fatto comunque come aveva già deciso.


I monologhi dell’autrice

Il ripostaggio continua…
Di cuore un GRANDE GRAZIE a chi ha già rimesso la storia tra seguiti preferiti e ricordati, e a chi molto carinamente mi ha sostenuto con messaggi d’incoraggiamento! 
🌷❤

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Capitolo 4
*** Informazioni attualmente disponibili ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 4 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

4
Informazioni
attualmente
disponibili

 

Una volta che furono tutti riuniti Erwin cominciò a spiegare le fasi salienti della loro missione.
«Dobbiamo addentrarci nell’interno dell’isola e raggiungere la capitale: Eldia. Lì un nostro contatto ci attende. Ha notizie sul mio infiltrato, che spero a sua volta abbia importanti notizie sul medico che stiamo cercando. Non abbiamo certezze ma pare che quello che ha involontariamente prodotto, potrebbe rivelarsi un’arma che nelle mani sbagliate avrebbe conseguenze inenarrabili».
«Ma quando ci hai proposto la missione ci hai detto che questo medico aveva scoperto una cura» obiettò Levi accigliato.
«Tra l’altro è uno dei motivi per cui ho accettato a scatola chiusa» intervenne Hanji.
«Non vi ho mentito. Di fatto è stata concepita come cura ma poi si è tramutata in qualcosa di diverso, o almeno queste sono le frammentarie informazioni che ci sono arrivate».
«Cos’è una nuova droga da dare ai soldati per indurli ad abbassare il livello della loro paura?» chiese Connie come se avesse già capito tutto.
«Non conosciamo niente di realmente concreto al momento».
«Ma non si può sapere qualcosa di più preciso?» chiese Sasha prima di continuare a sgranocchiare la sua frutta secca.
«Tutte queste cose, piuttosto lacunose a dire il vero, le ha scoperte il mio uomo che spero di riuscire a rintracciare».
«Quindi suppongo non si tratti solo di trovare questo uomo, ma piuttosto di assicuraci che questa presunta arma non finisca nelle mani sbagliate» commentò a voce alta Armin.
«Esattamente» confermò Erwin, e continuò «Purtroppo parrebbe siano in molti interessati a questa faccenda».
«Lo sapevo che c’era la fregatura!» commentò caustico Levi.
«Per fortuna pare che per adesso sia tutto circoscritto qui nell’isola e questo ce lo conferma anche l’intelligence».
«Non mi fido dell’intelligence» commentò scuotendo la testa Jean che fino ad allora era stato zitto.
«Noi sì, ciecamente, sono dei nostri» lo tranquillizzò Erwin, «Comunque siamo qui anche per capire chi è invischiato e chi no».
«Insomma come dobbiamo muoverci?» chiese Jean.
«Domani partiremo per la capitale Eldia. Ci faranno da supporto due agenti dormienti, che avete in parte già conosciuto: Floch e Niccolò. Saranno le nostre guide».
«Il rosso phonato male, con la ritrosa, non mi piace Erwin» disse Levi a bassa voce.
«Stai tranquillo» lo rassicurò.
«Mi scusi, ma se lo conosceva perché mi ha lasciato cercare informazioni su di lui?» chiese Armin leggermente indispettito. Si era sentito preso in giro.
«Intanto per testare tua velocità nel recupero informazioni sul campo e poi un controllo in più non fa mai male. Come vi ho detto il controspionaggio è praticamente una certezza. Quindi non bisogna mai abbassare la guardia. Tutti potrebbero essere potenziali nemici. Ho fortemente voluto questa squadra con Levi e Hanji che ormai conosco da anni, e voi ragazzi siete la mia scommessa. Ho avuto modo di parlare a lungo con Dallis Zacklay e non vi abbiamo scelti a caso. Siete tre agenti con doti significative e attitudini che servono a questa missione. Inoltre Hanji mi parlava entusiasta di Armin qualche tempo fa, ho ricollegato che avevate fatto l’accademia insieme e il fatto che lei ti avesse reclutato mi ha dato la spinta finale per arruolarvi. Sappiate che ripongo in voi la mia più grande fiducia. Metto la mia vita nelle vostre mani, così come voi dovete mettere la vostra nelle nostre. Solo se ci fidiamo gli uni degli altri questa missione avrà successo».
«Non c’è bisogno di chiedere la mia fiducia Erwin, tu sai che te l’ho accordata dal momento che ho accettato di far parte di questa missione» disse Hanji, poi si rivolse ai ragazzi «Voi siete giovani, per certi versi inesperti, ma avete quella dose di incoscienza ed entusiasmo che io amo moltissimo. Se Erwin vi ha scelti, io non ho alcun problema a fidarmi di voi».
Smith si girò verso Levi come per incitarlo a parlare.
«Odio questi cazzo di discorsi motivazionali» masticò in prima battuta, poi aggiunse convinto: «Non ho paura di morire, né di ammazzare per aiutare i miei compagni, ma se mai dovessi rendermi conto che tra voi ci fosse un traditore, sappiate che gli taglierei la gola nel sonno» disse con uno sguardo che pareva il filo di una lama.

 

*

Connie, Armin e Sasha erano rimasti a passare la notte al cottage. L’indomani mattina tutti insieme sarebbero partiti all’alba.
Erwin, Levi e Hanji si erano ritirati in casa, mentre i ragazzi erano rimasti in veranda a ricordare i vecchi tempi.
Si scambiarono opinioni sul tipo di lavoro che avevano scelto. Avevano fatto quel corso di addestramento per diventare agenti segreti. Tutti in realtà per lavorare per l’FBI, ma poi Armin era stato reclutato da Hanji nella CIA e aveva fatto una scelta diversa da loro.
«Ti fidi? Insomma sono degli intrallazzoni spesso non fanno i veri interessi della nostra nazione» disse Sasha riguardo agli agenti della CIA in generale.
«Per ora ho fatto solo l’analista e posso dire che sì, per quanto mi riguarda mi fido e fanno i nostri interessi, soprattutto a livello della sicurezza contro i terroristi» rispose serio Armin.
«Li conosci bene quei tre?» chiese Connie, che dei cinque era il più preoccupato di tutti per quella missione che a lui faceva un po’ paura.
«Conosco solo Hanji e lei è una forte. Ha un quoziente intellettivo enorme ha tre lauree e poi spara da dio, credo che con lei andrei tranquillamente in guerra senza paura. Gli altri li ho conosciuti da poco. Certo Levi è una leggenda, ma mi ha fatto uno strano effetto, lo immaginavo diverso. Erwin mi sembra un uomo tutto d’un pezzo».
«E meno male che ci sono io che ho fatto i compiti» commentò Jean.
«In che senso?» chiese Sasha.
«Che ho ravanato negli archivi».
«Cosa? Hai ravanato negli archivi in modo illegale? Ma sei scemo?» gli chiese Connie «Vuoi che ci degradino e ci buttino fuori?».
«Senti se devo affrontare una missione quasi suicida, devo sapere con chi ho a che fare! Stai tranquillo ho fatto fare tutto a una della sezione archivio agenti. È cotta di me. È bastato portarle un cappuccino e prometterle un invito a cena, che mi ha fatto avere ciò che chiedevo in mezza giornata. Del resto le agenzie si tengono d’occhio le une con le altre. È tutto uno spiarsi continuo!» rispose con aria da saputello.
«Insomma che hai scoperto?» gli chiese Armin tagliando corto.
«Ecco il fascicolo» disse Krischtein ed estrasse un finto kindle dallo zaino, dove con uno stratagemma aveva fatto caricare i documenti trafugati dalla tipa. Lo mostrò ai ragazzi perché lo leggessero e se lo passassero.

Informazioni Base Attualmente disponibili


Erwin Smith anni dichiarati 44
Laureato in Ingegneria aeronautica e psicologia.
Padre ex agente morto sul campo.
Madre pediatra.
Figlio unico.
Reclutato da Keith Shadis per la CIA.
Attualmente vice capo della CIA.
Nome in codice: Comandante.
Abilità:
Ottimo stratega.
Freddezza.
Tiratore scelto.
Resistenza al dolore.
Manipolazione mentale nelle tecniche d’interrogatorio.

 

Hanji Zoe anni dichiarati 39
Laureata in matematica, chimica e biologia.
Padre veterinario
Madre pittrice.
Figlia unica.
Reclutata dall’MI6 appena uscita dall’accademia.
Passata dopo tre anni alla CIA sotto reclutamento di Dot Pixis.
Attualmente agente speciale in forza alla CIA
Nome in codice: Caposquadra.
Abilità:
Quoziente intellettivo sopra la media.
Forti capacità decisive sul campo.
Tiratore scelto.
Resistenza al dolore.
Abilità particolari nelle tecniche d’interrogatorio.

 

Levi Ackerman anni dichiarati 41
Laureato in lettere e filosofia.
Madre entraîneuse. Deceduta.
Padre ignoto
Figlio unico(?)
Reclutato a 26 anni nel Mossad da Kenny Ackerman
Passato dopo quattro anni alla CIA sotto reclutamento di Erwin Smith
Attualmente agente speciale scelto in forza alla CIA
Nome in codice: Capitano
Abilità:
Straordinaria resistenza al dolore
Abilità specifiche nelle tecniche d’interrogatorio
Abilità specifiche nell’uso di tutte le armi, in particolare delle armi da taglio.
Risolutore Letale

 

«Laureato in lettere e filosofia?» si chiese Armin stupito «E chi l’avrebbe mai detto?».
«Levi è una leggenda. Si dice che sia capace di ammazzare chiunque, e che abbia affrontato anche cinque uomini armati fino ai denti da solo. E tu pensi all’università che ha fatto?» chiese Jean.
«Beh mi fa strano visto come si esprime in modo colorito…».
«Mah forse è solo un atteggiamento» commentò Connie.
«Comunque anche Hanji sembra in gamba» disse Sasha.
«Erwin Smith è un pezzo da novanta ed è un eroe nazionale» puntualizzò Connie
«Credo che possiamo fidarci, sono agenti di un certo livello. Comunque tra di noi ci guarderemo le spalle e ci salvaguarderemo gli uni con gli altri ad ogni costo» disse Jean.
«Sono d’accordo» gli fece eco Armin.

*

«Scommetto che avergli fatto avere quelle schede su di noi, è opera tua» chiese Hanji divertita. Conosceva molto bene il modus operandi di Erwin.
I tre veterani sapevano perfettamente costa stessero facendo in veranda i ragazzi.
«Sì, sapevo che le cercavano ed era necessario dar loro delle informazioni base, giusto per temerli buoni. Me ne sono occupato io» confermò Smith.
«Mi chiedo se c’era il bisogno di fargli sapere i cazzi nostri» disse Levi che stava sorseggiando un tè freddo.
«Siamo spie e facciamo il nostro lavoro: spiare, e loro pure. Lasciamogli credere di essere dei dritti, aumenterà la loro fiducia. Del resto come vi ho detto inter nos questa missione potrebbe rivelarsi molto pericolosa, il fatto che si informino e si guardino le spalle mi conforta non poco. Ho voluto persone alla prima missione, perché il contro spionaggio è in agitazione. Tutti i servizi segreti mondiali sono in fermento. Questa faccenda scotta da morire. Non posso permettermi un traditore in casa».
Levi continuò a sorseggiare il suo tè poi aggiunse: «Credo che la verità sia che siano stati scelti dei novellini perché sono sacrificabili, in caso di necessità» e guardò Erwin dritto negli occhi.
«È tutto piuttosto criptico Erwin. Non ti nascondo che anche io sono piuttosto tesa» ammise Hanji, che s’intromise nella discussione tra i due perché avvertiva la pericolosità della faccenda.
Erwin evitò di rispondere direttamente alla domanda di Levi e aggiunse: «Questa operazione è stata concertata da Pixis e Zacklay insieme. Hanno voluto unire le forze perché fossimo noi e non altre nazioni, ad impossessarci della formula. I ragazzi sono stati caldeggiati da loro. Non me li hanno imposti, ma dopo un’attenta analisi ho convenuto che fossero adatti e non perché sacrificabili. Posso dirvi che questa cura ha qualcosa di incredibile, di fantascientifico quasi, ma anche io vi assicuro non so molto. Quello che so per certo è che il mio uomo è scomparso in questa isola. Dobbiamo trovarlo e insieme a lui dobbiamo impossessarci sia dell’arma che della formula».
«Il medico invece lo facciamo andare a zonzo a riprodurre la formula dove più gli aggrada?» chiese Levi alzando un sopracciglio.
«È chiaro che dobbiamo recuperare anche lui, che comunque, come il mio contatto è sparito qui» confermò Erwin.
«Non capisco perché deve essere tutto un fottuto puzzle! Si svela solo un pezzettino per volta, questa cosa mi manda in bestia!» commentò Ackerman frustrato.
«Nonostante tu faccia finta di scordarlo è il nostro lavoro Levi» gli disse calma Hanji «Lo sai che la sicurezza viene prima di tutto. È come una partita a scacchi, ogni mossa va ponderata, studiata e rivelata solo all’ultimo momento per non favorire l’avversario» concluse la donna. Capiva il punto di vista del collega, ma capiva anche l’enorme responsabilità di Erwin. Anche loro tre come i ragazzi dovevano darsi man forte, spalleggiarsi e coprirsi le spalle

*


Intanto, da qualche parte nell’isola…

«Dunque sta per arrivare la cavalleria».
«Così pare».
«Bene, bene, bene! Eravamo pronti per questa evenienza. La cosa non mi turba».
«Invece dovrebbe turbarti, hanno mandato la CIA, non prenderli sotto gamba».
L’uomo fece un sorrisino compiaciuto
«Ma io ho un grosso asso nella manica. Vedrai sarà una passeggiata liberarsi di quegli insetti molesti e portare avanti il piano!».




I monologhi dell’autrice

Per stasera il ripostaggio si ferma qui. Riparte domani.
Un paio comunicazioni.
1) Come avrete notato i nostri protagonisti sono tutti più grandi che nel canon, questo perché, pur essendo un AU in un mondo fittizio molto simile al nostro, non sarebbe comunque stato credibile avere degli agenti di 19 anni. Quindi diciamo che le età dei novellini sono sopra i 25 e quelle dei veterani quelle che avete letto or ora!
2) Mi scuso per le molte parolacce che troverete nella storia, ma è Levi è Levi e lo sappiamo, ma pure gli altri non sono esattamente mammolette appena uscite dalle Orsoline e un linguaggio più colorito mi sembra più plausibile in un contesto come questo, anche se io non amo molto il turpiloquio.
Credo che sappiate tutti che il Mossad sono i servizi segreti israeliani e l’MI6 i servizi segreti inglesi.

 

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Capitolo 5
*** Incontri ravvicinati del quarto tipo e della tipa con la quinta! ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 5 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

5
Incontri ravvicinati
del quarto tipo e
della tipa con la quinta!

 

 

«Ma quanto tempo ci vuole per arrivare a Eldia?» chiese Jean, prima di darsi uno schiaffo sul collo nel maldestro tentativo di spiaccicare un fastidiosissimo mosquito.
«Più o meno un paio d’ore, ci fermeremo a mangiare da qualche parte lungo il tragitto» gli rispose Floch.
Nella Jepp guidata dal rosso spettinato, erano presenti: Jean, Connie, Armin e Levi, che aveva insistito per sedere accanto al guidatore.
«Fa un caldo tremendo» si lamentò Connie che era sudato fradicio.
«Vedrai, Eldia è un po’ più a nord circondata dalle montagne, si sta molto meglio rispetto a qua, nonostante si affacci comunque sul mare» lo rassicurò Floch.
«Come mai quest’isola non è sulle carte geografiche, sebbene sia molto grande?» chiese Levi indagando. Quel tipo non gli voleva proprio piacere.
«Non ne ho la più pallida idea e confesso che in geografia ero davvero una capra».
«Solo in geografia?» gli chiese il capitano sarcastico. Quella risposta non lo convinceva, ma del resto come tutta quella storia. Non vedeva l’ora di venire a capo della faccenda per sapere che cosa, e chi, avrebbero dovuto affrontare.
Floch si lasciò scappare una risatina nervosa, molto probabilmente perché non sapeva che dire. Intanto Armin lo osservava molto interessato, Connie invece era perso nei suoi pensieri e Jean stava continuando ad ingaggiare una lotta furiosa contro mosquitos e zanzare.
«Sono un bravo agente in realtà» disse alla fine Floch, come se avesse pensato a cosa dover dire.
«E come mai così giovane fai quasi il dormiente?» gli chiese a sorpresa Armin.
Levi fu piacevolmente colpito da quella domanda.
«Voglio andare sotto copertura. Tutto qui».
Dopo di che calò il silenzio più assoluto.
Levi si astenne dal fare altre domande perché ritenne che fosse inutile.

 

Arrivarono ad Eldia che era tardo pomeriggio.
Erano equipaggiati come se stessero facendo il giro dell’isola per turismo.
Erano divisi in due gruppi e viaggiavano su due Jeep.
Sostarono in un albergo tipico da vacanzieri, proprio per non dare nell’occhio. Erwin portava con sé anche una tavola da surf,  i ragazzi racchette da spiaggia e tutte quelle cose che fanno pensare a una comitiva in vacanza.
Questa volta quasi tutti avevano una camera propria, come se fossero un gruppo di un viaggio organizzato. Così avevano modo di muoversi anche singolarmente senza dare troppo nell’occhio.


Durante la sosta pranzo avevano parlato e stabilito che una volta a Eldia, Erwin e Levi si sarebbero recati da soli all’appuntamento con il contatto, con il quale si sarebbero dovuti incontrare in un pub, subito prima di cena.
Il comandante e il capitano si ritrovarono all’ora stabilita nella reception, proprio come avrebbero fatto due turisti, che avendo fatto amicizia, decidono di andare farsi un drink.
Erwin aveva optato per un look total white: camicia bianca morbida, semi sbottonata portata sopra un paio di pantaloni di lino, anch’essi bianchi e ampi. Lo sguardo ceruleo era celato da occhiali da sole Persol. Ai piedi aveva dei sandali di cuoio.
Levi invece indossava occhiali Rayban a goccia, che gli davano un’aria da duro, un paio di bermuda caki e una maglietta nera a maniche corte, che metteva in risalto i suoi pettorali, sulla quale c’era stampata in bianco la scritta: Bitch Please!
Ai piedi, invece, aveva un paio di Nike air force one anch’esse bianche.
«Bene, sembriamo proprio due cazzoni in ferie» sentenziò il capitano «Dov’è l’appuntamento?».
«Dobbiamo andare in un pub qua vicino» rispose Erwin sorridendo. «Quella maglietta ti si addice proprio» commentò sornione.
«Anche il tuo abbigliamento alla Grande Gasby!» ribatté prontamente Levi.
Il pub si chiamava: La chica loca ed era stato concepito in stile sud americano. Gli avventori erano pochi e scarseggiava anche la luce. Si presentava come un ambiente piuttosto buio, nonostante ci fossero molte lampade, alcune delle quali emettevano una un’aura rossastra che rendeva tutto molto ovattato. Sembrava più una bisca clandestina che un pub. L’aria era satura di fumo. Un odore forte ed acre che fece storcere il naso a Levi. La visuale in quel buco era ridotta ai minimi termini, ma dovette ammettere che era l’ideale per incontrare qualcuno e non dare nell’occhio.
I due si misero a sedere al bancone e furono raggiunti dalla bartender. Una tipa che aveva due tette enormi, strizzate in un crop-top aderentissimo e un paio di short di jeans strappati, che mostravano una generosa porzione delle sue natiche, quasi come se indossasse un tanga.
Sorrise e poi li guardò come un topo guarda un pezzo di formaggio incustodito.
Si distese sul bancone per pulirlo con uno straccio, mettendo così in bella vista i suoi due meloni siliconici. Si soffermò soprattutto dalla parte di Erwin.
«Ciao straniero. Che posso darti?» gli chiese ammiccando, ponendo l’accento sul doppio senso, ovviamente voluto.
Levi la guardò come se fosse un insetto molesto. Gli si smossero i geni da serial killer di Kenny, ma si trattenne, almeno per il momento.
«Ciao, per me un Old Fashioned, grazie».
«E per te piccolino?» chiese a Levi sorridendo zuccherina.
«Un Negroni» chiosò lapidario Ackerman, ma quanta fatica fece a stare zitto!
Erwin si stava divertendo un sacco. Quando andavano in missione era uno spasso, perché dovevano sostenere situazioni che nella vita reale difficilmente avrebbero affrontato. Quel tipo di locale non era roba da Levi, per non parlare poi della barista.
Una volta avuti i loro drink, si accomodarono a un tavolo, per poter parlare in pace e aspettare indisturbati il loro contatto.
Presero a sorseggiare i cocktails a guardarsi intorno.
«Lo conosci questo tipo che stiamo aspettando?» chiese Levi.
«Non personalmente. È un informatore dell’agenzia, almeno così mi è stato detto, quindi in teoria dovrebbe essere uno fidato. Ad ogni modo in qualche maniera bisognerà pur venire a capo della faccenda, no?».
Furono interrotti dalla solita barista che aveva portato loro delle noccioline, delle patatine e altri stuzzichini, sorridendo in modo sempre più lascivo a Erwin.
«Senti abbiamo capito che hai un bel culo e le tette grosse, ma non ce ne frega un cazzo, quindi evita di scodinzolarci intorno» le abbaiò contro Levi, che questa volta non ce la fece a tacere.
«Che c’è piccolino, sei geloso?» disse lei per niente turbata. Era così certa della sua avvenenza, che scioccamente pensava che provandoci  palesemente con Erwin, lui si fosse sentito punto sul vivo perché non considerato.
Levi si alzò e le si parò davanti. Le arrivava proprio ad altezza tette, dato che la donna portava dei trampoli a zeppa di quindici centimetri, ma la cosa non lo turbò minimamente, ci voleva ben altro: «Certo che sono geloso!» le disse in modo molto convincente. Lei sorrise sorniona e allungò una mano come per volergli fare una carezza sul viso, ma lui la afferrò regalandole uno dei suoi sguardi taglienti e aggiunse «Di lui. Non certo di te, signorina-tutta-tette-e-culo! E ora sparisci!» grugnì sperando di averla scoraggiata una volta per tutte.
«Scusalo. Ha le sue cose» intervenne Erwin mentre la tipa stizzita se ne andò.
«Ti stai divertendo eh?» gli disse Levi.
«Non hai idea quanto» ammise il comandante.
Erano già al secondo giro quando un uomo li avvicinò.
«Turisti?» chiese.
«Sì» rispose Erwin.
L’uomo si frugò in tasca e mostrò una carta da gioco raffigurante un Jolly.
Era il segno di riconoscimento.
Levi lo squadrò: era piuttosto giovane, più o meno dell’età di Erwin. Alto, abbastanza robusto, capelli e barba biondi, portava un paio di occhialini tondi che lo facevano sembrare un professore sfigato. Gli si accese una luce, gli ricordò Walter White
(1) e nonostante si trattasse di un personaggio di fantasia, questo non gli piacque per niente. Solitamente quando la sua testa faceva queste associazioni d’idee, una campana suonava a morto!
«Mi chiamo Zeke e ho importanti informazioni per voi» disse sedendosi  con loro e poggiando la sua pinta di birra sul tavolo.
«Siamo tutti orecchi barbetta» enunciò Levi puntandolo dritto negli occhi.
«Nella parte ancora più a nord di quest’isola c’è un piccola città, che in realtà è una sorta di colonia militare, si chiama Marley. Non è molto grande ed è un posto molto particolare. È famosa e tutti ne stanno alla larga, ci si può entrare solo lasciando i documenti ad una specie di posto di controllo. Diciamo che è una sorta di area protetta. Ci abitano tutti quelli che lavorano e lavoravano alle piattaforme petrolifere. Il vostro uomo è stato avvistato lì non molti giorni fa».
Erwin lo stava osservando molto attentamente. Quell’uomo stava parlando di cose che tecnicamente non avrebbe dovuto sapere.
«E come le hai avute queste informazioni?» gli chiese, anche se immaginava che ci doveva essere qualche doppiogiochista che sapeva dove il medico, probabilmente, aveva condotto i suoi esperimenti.
«Molti sanno cosa è realmente Marley, anche se dovrebbe essere un segreto. Tra questi ci sono anche io. Il vostro uomo andava in giro fare molte, troppe, domande. Diciamo che non si preoccupava di dare nell’occhio».
«Dammi una buona ragione per fidarmi di te» gli disse diretto Levi che ci stava capendo sempre meno ed era in allerta.
Zeke lo guardò con aria sorniona: «Mi piacciono i tipi come te. I veri duri. Quelli sempre sulla difensiva» lo provocò con un sorrisetto ironico.
«Non sono un duro, sono pragmatico. Sto cercando di capire se devo fidarmi, o accoltellarti. E devo dire che per ora non stai andando proprio benissimo» gli rispose serafico. Non gli piaceva niente di quello che stava dicendo quel tipo, sentiva puzza di guai lontano un miglio.
L’uomo sorrise apertamente e sembrò rilassarsi «Verrò con voi a Marley. Verrò disarmato, e comunque oltre me non troverete nessuno disposto a portarvi là, in quell’inferno. Marley è una sorta di terra di nessuno. Ci sono confinati a lavorare i peggio delinquenti autoctoni e anche molti arrivati dal continente».
«Dimentichi che siamo agenti della CIA» affermò Erwin serio, che comunque intuiva che non stesse dicendo tutta la verità.
«E voi non sapete che entrare in quel posto, è come diventare bersagli mobili. Dovreste entrarci con un blindato, ergo avete bisogno di uno che sappia come muoversi in loco, e quello sono io».
«E come mai sei così sicuro di saperti come muovere a Marley?» gli chiese Levi.
Zeke finì la birra tutta d’un sorso, poi con il dorso della mano si ripulì la bocca e sorrise: «Perché io ci sono nato in quell’inferno».
«Se tenti di fregarci, o peggio portarci dritto in un’imboscata, ti garantisco che all’inferno ci andrai davvero e senza passare dal via!» gli disse tagliente Levi. Non stava scherzando, era serio e Zeke lo capì, quindi per una volta tanto  tacque evitando di fare una delle sue solite battutine stupide.
Terminarono l’incontro prendendo accordi sul risentirsi quando tutto fosse stato pronto per andare a Marley: il dado era dunque tratto, e a breve la missione sarebbe finalmente entrata nel vivo.

 

I monologhi dell’autrice
Buongiorno, continuo con la mia maratona di ripostaggio siamo a due capitoli di pausa pranzo e due la sera, per ora, sembra possa reggere il ritmo.
Questo è uno dei miei capitoli preferiti, nonostante tutto sono felice che non sia andato perso.
Nota 1) - Walter White è uno dei protagonisti della serie culto Breaking Bad (non avete visto Breaking Bad?  Dovete farlo SUBITO è una delle più belle serie nella storia delle serie!) Mi piaceva fare questa citazione dato che anche Isayama è fan di BB e Better Cal Saul (serie spin off di BB) tanto da disegnare alcuni giganti simili a questi famosi ed amati PG, che appaiono sia nel maga che nell’anime. Grazie a te che stai leggendo!

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Capitolo 6
*** Mr. & Mrs. Smith! ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 6 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

6
Mr. & Mrs.
Smith!

 

Levi era appena rientrato con Erwin dall’incontro con Zeke al Pub.
Gli accordi erano che entro qualche giorno si sarebbe fatto sentire e li avrebbe accompagnati a Marley.
Dopo aver strisciato la chiave della sua camera nella feritoia era entrato.
Si era subito fermato sulla soglia ad osservare Hanji che indossava i suoi boxer.
Era mollemente adagiata su letto, appoggiata alla testiera di giunco, con un cuscino sotto la testa. Ci sarebbe aspettati da lei una posa scomposta, ma Hanji non era così. Era una donna molto aggraziata, molto di più di certe fatalone tutte tette e culo, tipo quella tizia del pub.
Dovette ammettere che quelle mutande le stavano pure meglio che a lui. Stava leggendo. Ancora quel libro su Fibonacci, una vera fissazione pensò.
Era così assorta, che neanche si era accorta che fosse entrato.
Aveva in capelli sciolti e sopra i boxer portava una canottierina fine. La trovò incredibilmente sexy. Adorava la naturalezza con cui si appropriava delle sue mutande e le rendeva un abbigliamento quasi erotico, ma senza neanche pensarci, o rendersene conto. Era quello che più gli piaceva di lei: la sua spontaneità, quel suo essere femminile e sensuale, senza sbatterlo in faccia. Hanji in quei termini si svelava solo nella loro intimità, e solo a chi aveva l’intelligenza di andare oltre il suo modo di apparire. Non che si vestisse in un certo modo perché aborrisse le gonne, o gli abiti. Semplicemente era pratica e per il lavoro che facevano, la praticità era tutto.
«Allora il prossimo Natale ti regalerò una fornitura completa di boxer» esordì per palesarle la sua presenza. Era così presa dalla lettura che non si era neppure resa conto che fosse presente nella loro camera.
Già… la loro camera.
Erano gli unici due che erano stati messi in camera insieme, a parte Armin e Connie.
«Come è andato l’incontro al pub?» gli chiese lei poggiando il libro sul comodino, per poi aggiungere «Guarda che io adoro i tuoi di boxer, però se me li compri, perdo il gusto di fregarteli».
«Il contatto non mi piace per niente» le rispose severo.
«Perché» gli chiese curiosa.
«Ha la faccia a culo! E mente male».
«Ma smettila e sii serio!» ridacchiò Hanji.
«Sono serissimo, ad ogni modo tra qualche giorno ci accompagnerà dove dovrebbe essere l’uomo di Erwin. Se tenta di fare il furbo ci penserà la mia pistola, o meglio ancora il mio coltello, a levargli quel sorrisino da ebete che si ritrova».
Poi le spiegò a sommi capi di cosa avessero parlato durante quel breve incontro. Lei non si sorprese più di tanto, immaginava che qualche rogna, prima o poi sarebbe saltata fuori. Certo questa ricognizione a Marley non si profilava come una passeggiata, ma sapeva che Erwin non era uno sprovveduto.
Decise però di non replicare, né approfondire, quando Levi era in quel mood era meglio lasciarlo sfogare. Era consapevole che non fosse uno stupido e che sicuramente i suoi dubbi avevano un qualche fondamento, ma a volte con le antipatie a pelle esagerava. Era comunque chiaro che qualcosa dovesse aver notato per parlare così, era un acuto osservatore, anche se a volte era troppo prevenuto nei suoi giudizi. Stava sempre troppo in guardia, sebbene per il loro mestiere non era certo un difetto.
«Comunque a parte questo, ti sei resa conto che lui sa, vero?»  le disse interrompendo il corso dei suoi pensieri.
«Dici?» gli chiese per niente preoccupata.
«Secondo te questa manfrina ad oltranza di Mr. e Mrs. Smith è pura casualità? Il frutto innocente di uno sbaglio? No. Te lo dico io: lui sa».
«Immaginerà che ce la intendiamo» buttò lì la donna.
«Ci potrebbe costare il posto».
Hanji lo fissò seria: «In realtà non è proibito, ma solo mal visto e  francamente non me ne importa una cippa!» le scappò detto, più sincera di quanto avrebbe voluto essere.
Lui nel frattempo si era spogliato ed era rimasto in mutande.
«Ti sembrerà una follia» cominciò a dirle «ma se la per caso CIA mi buttasse fuori, non ne farei un dramma. Potrei sempre tornare al Mossad» commentò pensoso. Ultimamente le loro missioni erano state davvero toste e tutti e due ne portavano ancora il peso sulle spalle.
«A volte mi piacerebbe che mollassimo tutto. Che ce ne andassimo solo io e te da qualche parte, lontano, e ci godessimo la vita come due persone normali, liberi da questa follia» sospirò Hanji.
«Sì, io e te in una baita in montagna. Tu cucineresti per me, e io andrei a spaccare la legna, fanculo Zoe! Resisteremmo al massino un mese toh!» bofonchiò divertito.
Il fatto di condividere la camera con lei lo metteva di buon umore.
Hanji si sistemò gli occhiali sul naso «Hai ragione, ho detto una cazzata» ammise. «Ma se davvero lui sa, potrebbe usare questo contro di noi. Potrebbe…» aggiunse.
«Per quanto stronzo possa essere Erwin non lo farebbe mai Hanji!».
«Ma potrebbe farlo se gli convenisse».
«Allora ci parlerò e metterò le cose in chiaro».
«Sì, ma non sbottonarti troppo, magari non sa proprio tutto» e lo guardò con aria tra il divertito e il colpevole.
«Non mi ci far ripensare» disse Levi poggiandosi una mano su gli occhi nel maldestro tentativo di nasconderle sguardo.
«Guarda che la colpa è tua!» lo canzonò Hanji.
«Non sono io che sono voluto andare a vedere Il Cirque du Soleil a Las Vegas, appena di rientro da quella missione. Semmai avrei preferito l’incontro di pugilato Canelo Alvarez vs Dimitry Bivol».
«Ma ero ubriaca fradicia, mi avresti anche potuta portare alla sagra dei marshmallow che sarebbe stato lo stesso» controbatté fintamente piccata.
Il fattaccio accadde quella volta che erano di ritorno da una missione che li aveva coinvolti in un modo molto duro. Avevano dovuto condurre un interrogatorio. Un interrogatorio che non era stato ufficialmente autorizzato. Era una cosa che l’agenzia doveva far finta di non sapere. L’ordine, però, era farlo parlare ad ogni costo e con ogni mezzo.
Benché fossero preparati e addestrati, non era stato facile picchiarlo a sangue, strappargli le unghie e torturarlo. C’erano voluti un paio di giorni per farlo cantare ed era stata un’esperienza davvero dura. Hanji soprattutto ne era uscita con le ossa rotte. La cosa che l’aveva sconvolta era che non aveva provato niente. Aveva fatto il suo lavoro con una sconvolgente meticolosità. Si era come scissa da se stessa. Non pensava che avrebbe potuto diventare così efferata. Questa cosa, a mente fredda, l’aveva davvero devastata. Levi aveva condiviso la sua pena, ma aveva reagito in modo diverso. Avendo avuto una giovinezza molto turbolenta, era più avvezzo di lei ad un certo tipo di violenza. Nonostante questo non era un uomo sadico, né uno che faceva il suo lavoro con compiacimento. Torturare quel prigioniero non era stata una passeggiata neppure per lui. Andava fatto e lui aveva portato a termine la missione, ma lei era provata e Levi detestava vedere Hanji star male, così una volta congedati, prima di rientrare a casa, le aveva proposto di fermarsi da qualche parte. Lei aveva espressamente chiesto di andare a Las Vegas a far baldoria.
Solo che la cosa era loro leggermente sfuggita di mano…
«Io ero più ubriaco di te, altrimenti col cazzo che mi trascinavi alla cappella di Elvis perché volevi assistere ad un matrimonio!».
«Dopo tutto quel dolore, volevo vedere una cosa bella!» protestò lei.
«Sì certo, vedere una cosa bella: ma non farla! Cazzo! Un matrimonio a Las Vegas! Non ci posso ancora credere» disse Levi scuotendo la testa,  ma sotto sotto era divertito. Aveva un mezzo sorrisetto che gli increspava le labbra.
«Levi lo sai vero che non è valido fuori dallo stato del Nevada e noi abitiamo a Londra».
Lui la guardò serio «Non mi fa incazzare il fatto che ci siamo sposati, ma che abbia officiato la cerimonia uno travestito da Grinch
(1)» disse fintamente indignato.
Nulla di tutto ciò era previsto quando erano andati a quella cappella veramente solo per assistere ad un matrimonio, ma poi la cosa era misteriosamente sfuggita loro di mano e avevano finito per ritrovarsi a farlo per davvero.
«Ti ricordo, se la mente e l’alcool non mi ingannano, che sei stato tu a pretendere l’officiante travestito da Grinch!».
Si guardarono un attimo trattenendosi a stento dal ridere.
«Levi non posso credere che l’abbiamo fatto davvero».
«Oh sì, credici e ti sei anche voluta vestire di bianco. Hai scelto l’abito più tradizionale che offriva il pacchetto all inclusive
(2)».
Questa volta fu Hanji a coprirsi il viso con le mani.
«Eri bellissima» le disse lui serio.
«Ma smetti!» protestò lei.
«Lo penso davvero. Senti non mi importa. Io non lo voglio annullare».
«Sul serio?» gli domandò lei aprendo un po’ una mano, sbirciandolo di sottecchi.
«Perché ti fa così schifo essere mia moglie?» protestò appena indignato.
«No, sciocco! Ti amo lo sai vero?» lei glielo diceva sempre di continuo.
All’inizio per Levi era stato un problema, quelle due parole gli facevano proprio venire l’orticaria e brontolava sempre qualcosa tra i denti. Ora si era addolcito e anche abituato. Gli piaceva sentirselo dire. Era una cosa avvolgente, come un abbraccio.
Hanji era l’unica donna che avesse conosciuto che lo facesse sentire veramente bene. Con lei era se stesso, ma non solo il se stesso sarcastico e pungente che aveva sempre la battuta pronta. Con lei si lasciava andare a mostrare anche il lato più morbido e scherzoso. Era l’unica che lo rilassava, che lo faceva sentire al sicuro, libero.
«Idem!
(3)» le rispose e si buttò sul letto vicino a lei. Allungò il viso e le catturò le labbra con le proprie, regalandole un bacio tenero.
Ai suoi ti amo, più di idem non aveva mai risposto. Sebbene l’amasse davvero era pur sempre abbastanza refrattario a certe cose. Preferiva dimostralo a fatti, più che sperticarsi in parole sdolcinate e promesse varie.
Hanji gli passò una mano dietro la schiena e gli carezzo i muscoli dorsali, per poi graffiarlo delicatamente con le unghie, rispondendo a quel bacio con slancio.
Poi si staccarono bruscamente.
«I patti sono patti. Niente sesso in missione» disse lui serio.
Non erano stati molto insieme gli ultimi mesi. Avevano portato a termine varie operazioni, ma sempre separati.
Si erano ritrovati da poco, quella famosa notte in cui lui era stato reclutato proprio per questa missione.
«Vero! Concentrazione innanzi tutto» protestò sommessamente Hanji.
«Riguardo il matrimonio… » cominciò lui guardingo.
«Lo annulleremo appena possibile, tranquillo».
«Fammi finire!» sbottò lui contrariato.
«Non dirmi che invece vuoi renderlo legale in Inghilterra?» lo guardò lei stupita.
«No» le disse secco «Ma…» aggiunse e continuò a scrutarla, anche lui voleva capire che cosa ne pensasse. Hanji era una donna molto libera, non era certo che quello che stava per dirle, le facesse piacere.
«Ma?» gli chiese lei sulle spine.
«Sappi che quando meno te lo aspetterai farò una cosa stucchevole, molto stupida e assolutamente anacronistica. Una cosa che non è proprio da me, ma che per qualche motivo idiota voglio fare» concluse molto serio, compito e anche un pochino sulle spine.
«Cioè?» gli chiese lei lievemente turbata, ma anche eccitata e curiosa.
«Ti farò fare una delle figure di merda più epiche della tua e della mia vita. Come un perfetto imbecille mi inginocchierò e ti chiederò di sposarmi. E tu mi risponderai: , sennò ti ammazzo. Lo giuro!».
Lei inaspettatamente si commosse.
«Oddio Levi questa è la più bella dichiarazione d’amore che potessi farmi, visto quanto sei refrattario a certe cose. E io che pensavo che fossi infastidito per questo matrimonio capitato a caso».
«Perché dovrei? Tu sei l’unica persona che voglio accanto a me, anche quando ci non voglio nessuno! Con te ho capito che l’amore è impazzire con qualcuno non per qualcuno, quindi siamo la perfezione. Ora credo che possa bastare. Mi sembra di aver mangiato un barattolo di miele, cazzo!».
Perché fossero finiti a fare quel genere di discorsi era un mistero.
Non li facevano mai, ma questa faccenda del Mr. e Mrs. Smith li aveva come sbloccati in certo senso. Forse lo zampino di Erwin era di natura diversa da quello che credevano loro. Chissà!
«E se la CIA ci caccia fuori, anche io verrò nel Mossad!» dichiarò giuliva Hanji.
«Saremo alle solite. Magari dovresti farti riprendere dall’ MI6».
Solo che lei sembrava non ascoltarlo più e adesso lo guardava in un certo modo…
«Hanji avevamo detto…»
«Sì, niente sesso in missione, ma le regole sono fatte per essere infrante. Marito!» e calcò il tono sull’ultima parola.
A lui scappò un altro mezzo sorriso, non c’era niente da fare lei sapeva proprio come prenderlo.
Le si avvicinò, la prese per la vita e la fece scivolare sul materasso facendola sdraiare.
«E allora infrangiamole queste cazzo di regole: moglie
I boxer di entrambi, seguiti dal resto, svolazzarono per aria,  sparpagliandosi per la stanza.
Si accese e divampò così, un’altra delle loro proverbiali notti molto movimentate!

I monologhi dell’autrice
Ci rivediamo questa sera!
PS adoro anche questo di capitolo!
Nota 1) - Sembrerebbe una mia simpatica invenzione e invece no, proprio nella famosissima cappella di Elvis (a dire il vero ne ho cercate altre, per essere meno banale, ma pare che l’unica che abbia una certa rilevanza sia solo questa) si può avere anche l’officiante vestito da Grinch, quindi secondo voi potevo non mettercelo?
😆
2) - Diverse cappelle matrimoniali a Las Vegas offrono davvero dei pacchetti in cui è possibile scegliere anche un abito da indossare per gli sposi ed eventuali damigelle e addirittura il mazzo di fiori!
3) - “Ti amo” risposta: “Idem” è chiaramente una citazione dal film Ghost.
Hanji e Levi sono solo la prima OTP che troverete in questa fanfinc perché ce ne sono altre che scoprirete leggendo. 

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Capitolo 7
*** In Bourbon Veritas ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 7 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

7
In Bourbon
Veritas



 

La notte ad Eldia era sempre più fresca del giorno. L’aria frizzante era ravvivata da una brezzolina leggera che veniva dal mare. Nonostante questo l’insonnia non dava tregua a Levi.
Erano già trascorsi quattro giorni dall’incontro con Zeke e ancora non si era fatto vivo.
Tutti erano in attesa e in allerta. Ogni giorno cercavano di studiare strategie per poter ovviare a problemi, o imprevisti, che sarebbero potuti accadere sul campo, soprattutto per questa ricognizione che avrebbero dovuto fare a Marley, se, quel barbetta di merda, come amava definirlo Levi, si fosse deciso a ricomparire.
Stare fermi ad aspettare era sfiancante un po’ per tutti, quindi anche non riuscire a dormire era normale amministrazione.
Levi era sgusciato dal letto facendo attenzione a non svegliare Hanji che dormiva profondamente. Ogni tanto invidiava questa sua capacità di riposare così bene, cosa che a lui non riusciva da anni, soprattutto in missione. Era uscito fuori dalla loro stanza e si era diretto alla veranda dell’albergo, per stare un po’ al fresco. A sorpresa ci aveva trovato Erwin che evidentemente, come lui, non aveva sonno.
Era appoggiato alla balaustra che osservava il mare in lontananza. Ancora prima di vederlo, fu l’odore acro e pungente che emanava, a fargli capire che stava fumando un sigaro.
Gli si avvicinò guardingo, ma lui lo avvertì e si girò.
«La tua solita insonnia?» gli chiese.
«Proprio quella, e tu?».
«Stavo riflettendo su alcune cose riguardanti questa missione» ammise sincero.
«Come mai fumi quella merda? Tra l’altro puzza da fare schifo» brontolò Levi.
Erwin guardò il suo sigaro «Non lo so. Ogni tanto mi piace. Avrei voluto farmi un buon bicchiere di Bourbon, ma bere da solo è veramente deprimente».
«Se vuoi compagnia, io ci sto» propose Levi, l’alcool poteva essere un alleato contro l’insonnia.
«Certo! Mi sono portato dietro una bottiglia di roba veramente buona. Che dici facciamo qui?».
Levi si guardò intorno. «Non credo ci sia nessuno nascosto a spiarci. E comunque non dobbiamo mica parlare di niente di segreto. Cerchiamo di non diventare paranoici per favore!»
«Levi era per dire!» fece Erwin divertito «Quello un po’ paranoico mi sembri tu. Dai, abbiamo proprio bisogno di una bella bevuta e di rilassarci un po’! Aspettami qui che vado a prendere il liquore».
Poco dopo arrivò con il suo Bourbon invecchiato ben dieci anni e due bicchieri.
Levi nel frattempo era andato a procurarsi del ghiaccio al distributore automatico dell’albergo.
«Uhmm… » fece prendendo la bottiglia e osservando l’etichetta «roba di primordine!»
«Mi piace trattarmi bene» asserì Erwin mentre gli versava il liquido color miele nel bicchiere con il ghiaccio.
Il primo giro se lo fecero in silenzio. Seduti sulle poltroncine di fronte al parapetto che si affacciava sul mare. Ognuno dei due sembrava concentrato sui propri pensieri, che probabilmente erano anche i colpevoli della loro mancanza di sonno. Il loro mestiere era pericoloso, pieno di incognite e insidie. Era normale stare sempre un po’ sul chi va là. Dopo l’incontro al pub non c’era poi da stare tanto sereni.
«Ti fidi di quello Zeke?» gli domandò a bruciapelo Levi.
«Se devo essere completamente onesto, le uniche persone di cui mi fido siete solo voi. Intendo tu, Hanji e i ragazzi. Per il resto non mi fido proprio di nessuno» rispose.
«Secondo te che non si faccia sentire che significa?».
«Può voler dire tante cose e non necessariamente tutte negative…».
«Lo sai vero che questa attesa ci rende molto più vulnerabili? E se si stesse invece organizzando per farci qualche scherzetto?».
«Probabilmente sta proprio facendo quello Levi, ma come sempre ci faremo trovare pronti. Non siamo dei novellini sprovveduti!» rispose Erwin, il suo sguardo però tradiva una certa preoccupazione che non sfuggì all’occhio attento di Levi.
«Questa missione è molto pericolosa, vero?» commentò laconico il capitano.
«Già» ammiccò Erwin serio.
Levi lo guardò scuro «Ma tu già lo sapevi».
L’altro sospirò e buttò giù una generosa sorsata del suo whisky.
«Non conosco proprio tutti i dettagli, ma sapevo che è una missione tra le più pericolose che abbiamo mai affrontato» ammise scolando il resto del liquore.
«Perché non ce l’hai detto?».
«Avrebbe cambiato qualcosa?».
«No. Ma una volta tanto gradirei che ti fidassi di noi al punto di renderci partecipi dei tuoi magheggi del cazzo!».
Erwin piegò le labbra in un mezzo sorriso amaro «Andiamo Levi lo sai come funziona il giochino. È il peso che mi devo portare addosso avendo scelto questa carriera. Non posso proprio essere chiaro, è la condicio sine qua non del il mio lavoro, se voglio preservare la sicurezza nazionale».
«Pensavo di essere un cinico di alto profilo, ma giuro che tu mi batti alla grande» brontolò Levi.
«Pensi che questa cosa non mi pesi?» gli chiese  «È vero sono stato addestrato ad avere le risorse mentali per sopportare questo carico emotivo, ma a tratti è davvero dura. Mi schiaccia come un macigno».
Levi gli versò un altro bicchiere di Bourbon e fece altrettanto per sé. Quella sera decise che voleva mettere in chiaro le cose, quindi cambiò radicalmente discorso e andò dritto al punto: «Da quanto sai di me e Hanji?» gli chiese senza mezzi termini.
Erwin questa volta sorrise apertamente «Da sempre! Levi, anche un cieco se ne accorgerebbe».
«Perché non ci hai detto nulla? Non è ben visto avere relazioni tra agenti. Se venissimo scoperti la nostra potrebbe posizione diventare scomoda».
«Perché sto cercando di far cambiare le cose, e perché fondamentalmente non me ne frega niente con chi andate a letto. Mi interessa solo la vostra resa sul campo. Vi conosco da anni e so che la vostra relazione non influirà mai sul vostro operato. In una missione di questo tipo non avrei voluto altri che voi due al mio fianco».
Levi era piuttosto sorpreso «Non mi dire che lo sa anche Pixis?».
«Non ti facevo così ansioso» ribatté Erwin.
«Sono solo geloso dei cazzi miei».
«Non vi abbiamo mai spiati, stai tranquillo. Comunque, sì, lo sa e la pensa come me».
Levi aggrottò le sopracciglia, non sapeva dire se era più sollevato, o irritato da questa scoperta.
«Forse avresti preferito se avessi reclutato solo uno di voi per questa missione?».
«No. Quando abbiamo deciso di dare una chance alla nostra storia sapevamo chi siamo, cosa facciamo e cosa rischiamo. Preferiamo farlo insieme, che saperci in chissà quale parte del mondo, senza possibilità di contatto alcuno».
«Immaginavo» asserì Erwin.
Intanto si versarono il quarto bicchiere di Bourbon.
«Tu invece hai deciso di fare il monaco? Votato interamente alla causa di riabilitazione di tuo padre, vero?».
Ormai il tasso alcoolico era alto e la lingua era molto più sciolta del solito.
«È una cosa che mi porto dietro fin da ragazzo. È morto con disonore. Come se fosse un traditore doppiogiochista. Invece sono certo che è stato sacrificato per nascondere qualche scandalo. Non avrò pace finché non ne verrò a capo».
Levi si scolò l’intero bicchiere e poi annuì «Posso capire le tue ragioni molto bene. La rabbia e il rancore sono motivi potenti che danno un senso alla vita. Quella gran testa di cazzo di Kenny una cosa giusta me l’ha insegnata: ognuno ha bisogno della sua droga per dare un senso alla sua esistenza. Anche se io non la definirei così, ma piuttosto direi: il suo scopo. Questo è il tuo. Però Erwin ci sono degli scopi estremamente limitanti. Io l’ho capito da quando mi sono innamorato di Hanji» si fermò un attimo, sentirsi ammetterlo a voce alta gli fece un certo effetto. Certo era il wisky che lo faceva aprire in modo così inaspettato, ma ormai i freni inibitori si erano allentati.
«Non avrei mai pensato che sarei vissuto abbastanza da sentirti ammettere una cosa del genere» rise genuinamente Erwin. Erano al quinto bicchiere e quasi completamente ubriachi. La bottiglia era già a meno della metà. Quelle confessioni erano catartiche per entrambi, anche alla luce del fatto che, seppure non ne parlassero apertamente, non era scontato che tornassero tutti vivi a casa.
«Che cosa hai capito Levi?» gli chiese un  po’ più serio.
«Che la vita non può essere un sentiero unico. Che si può cambiare strada. Idea. Prospettive. Mi hai reclutato tu. Conosci la mia storia molto bene. Sono stato un ragazzo molto problematico, per usare un eufemismo. Non ho mai accettato il lavoro di mia madre. Quando è morta non sapevo dove incanalare la mia rabbia e sono diventato un delinquente e un violento. Ho Passato la mia prima adolescenza nei sobborghi di Londra, tra pestaggi e accoltellamenti. Poi un bel giorno ho conosciuto mio padre. Quello stronzo non si era mai fatto vedere, non avevo idea di chi fosse, ma mi disse che mi voleva pagare gli studi. In un primo momento volevo farlo fuori, ma poi ho accettato e sai perché? Quello voleva mettersi a posto la coscienza. Mia madre era morta e non era venuto neanche una volta in ospedale a trovarla. La amava, ma si vergognava di lei. Ho capito quanto fosse debole e non ho voluto essere come lui. Non lo sarò mai. Ho preso i suoi fottuti soldi e ho studiato. Ho voluto provare a costruire il mio futuro senza fare l’orgoglioso del cazzo, che rimane a sguazzare nella merda per non accettare i soldi di un padre assente. Ho semplicemente preso l’unica cosa buona che era in grado di darmi e l’ho girata a mio favore. Da quel momento la mia vita è svoltata».
«C’è stato un tempo in cui anche io ho pensato di costruire qualcosa» ammise serio Erwin «Ero all’accademia, volevo seguire le orme di mio padre, ma non avevo le idee ancora così chiare. Lei lavorava alla mensa, si chiamava Marie. Mi faceva sentire sempre sulle spine. Non era lei, ma quello che provavo per lei. Era qualcosa che non riuscivo a controllare. Lei mi destabilizzava ed era una sensazione nuova e sconvolgente per me. Mi innamorai e iniziammo una relazione. Poi un giorno venne da me. Era spaventata, ma nonostante ciò i suoi occhi tradivano una luce insolita».
L’uomo si prese una pausa e bevve di nuovo. Levi notò che era sofferente e si stupì, erano più di dieci anni che lo conosceva e non lo aveva mai visto così fragile. Rispettò però il suo silenzio senza incalzarlo.
Dopo aver bevuto l’ennesimo bicchiere di Bourbon Erwin continuò: «Aveva un ritardo. Pensava di essere incinta ed era felice. Io invece ero terrorizzato. Lei già volava con la fantasia e io, benché non l’avrei certo lasciata al suo destino, mi sentivo a disagio. Mi sentivo legato ad un laccio prima ancora di esserlo effettivamente. Alla fine risultò un falso allarme e il mio sollievo dovette essere davvero evidente, perché lei se ne rese conto e da lì la cosa si incrinò, fino a rompersi del tutto».
Erwin sospirò e si ravvivò i capelli che erano un po’ scomposti.  Non aveva mai parlato con nessuno di questa cosa, ma con Levi c’era un rapporto di stima molto forte. Certo non erano amiconi, non di quelli che si frequentano al di fuori dal lavoro, o da grandi pacche sulle spalle. Forse in quel senso lo era più con Hanji, almeno fino a quando non si era messa con Levi. Ad ogni modo non ne aveva mai parlato neppure con lei. Era una cosa che aveva semplicemente deciso di accantonare e di tenere a cuccia da qualche parte, fingendo di essersene dimenticato per sempre.
«Alla fine ci siamo lasciati, lei si è licenziata e non ne ho più saputo più nulla. Fine della storia».
«Capisco» disse semplicemente Levi. Non era molto bravo in questo genere di cose, però avvertiva quanto Erwin fosse turbato «Forse non era la persona giusta per te. O forse semplicemente non era il momento giusto, non eri preparato, non è detto che non ci siano altre occasioni».
Erwin ridacchiò «Sai che sentirti parlare così mi fa uno strano effetto? Non sembri più tu. Credo che stare con Hanji ti abbia fatto bene».
«Sennò che cazzo ci starei a fare scusa?» puntualizzò Levi.
Bevvero l’ennesimo bicchiere di Whisky la bottiglia era quasi finita e loro erano decisamente ubriachi, ma ancora abbastanza lucidi, e anche molto sciolti.
«Mi sono sempre chiesto come mai fra tante donne proprio lei. Siete così diversi» commentò a voce alta Erwin.
«Intanto perché non è una figa di legno» commentò serio Levi «Con lei posso essere me stesso fino in fondo. Lei mi capisce. Ha migliorato la qualità della mia vita. È tutto molto più semplice di quello che andiamo cercando da un rapporto di coppia. Quando con una persona non hai bisogno di fingere e sei in grado di mostrare i tuoi malumori, ma soprattutto le tue debolezze, senza che lei ne approfitti, allora è quella giusta. Con lei sto bene anche in silenzio, anche se capita di rado, sai quanto possa essere logorroica. Poi che posso dirti? Lei mi piace, la trovo bella, sexy e adoro il suo cervello, mi prende un casino, ma più che altro lei mi calma, mi da tranquillità».
«È bello sentirti parlare in questo modo» disse Erwin alzandosi e dando una pacca sulla spalla a Levi. «Chissà, magari un giorno riuscirò anche io ad avere qualcuno così accanto. Ma prima devo capire che è capitato a mio padre…».
Si era alzato anche Levi «Te lo auguro, ma Erwin, devi volerlo. Non capiterà mai qualcuno ti venga a cercare bussandoti alla porta di casa. Ora sarà meglio andare a letto, o non smaltiremo mai tutto questo alcool!» concluse.
«È stato davvero bello, come ai vecchi tempi, bere e ubriacarci come nelle nostre prime missioni in Afganistan» commentò Smith ancora un po’ frastornato da tutte quelle confidenze che si erano scambiati.
Rimasero un attimo in silenzio, forse anche un po’ in imbarazzo per come si fossero aperti l’un l’altro, cosa che non avevano mai fatto prima.
«Senti Levi… questa conversazione…» cominciò a dire Erwin.
«Non è mai avvenuta!» concluse Levi serio troncando il discorso.
Smith fece un cenno d’assenso e ognuno dei due, barcollando appena, si diresse verso la propria camera.

 

I monologhi dell’autrice
Ciao il ripostaggio continua.
Grazie a chiunque legga e/o rilegga!

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Capitolo 8
*** Benvenuti a Marley ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 8 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

8
Benvenuti
a Marley

Zeke finalmente si fece vivo.
La sera prima di recarsi a Marley fecero un breve briefing per mettere a punto alcuni dettagli.
«Ragazzi domani non sappiamo a che cosa andremo incontro.
Speriamo sia una ricognizione tranquilla, cercheremo di reperire informazioni su Damned, ma se qualcosa dovesse andare storto dobbiamo restare uniti. Non sparpagliamoci e non disperdiamoci. Facciamo quadrato e copriamoci le spalle» spiegò Erwin.
«Se avete qualche dubbio, o vi trovate in una situazione difficile, la cosa migliore è agire d’istinto. Nessuno vi può dire a priori cosa sia giusto, o cosa sia sbagliato. Fidatevi del vostro sesto senso, quello non vi mentirà mai e non avrete rimpianti» aggiunse Levi.
«Non usate le armi se non è strettamente necessario. Non andiamo lì per fare del male ai civili» concluse Hanji.
I ragazzi ascoltarono, annuirono e non dissero niente. Sapevano per esperienza che era meglio restare concentrati e affrontare eventuali problemi al momento che si fossero presentati, almeno così erano stati addestrati a fare.

La mattina seguente, arrivati a Marley constatarono che Zeke aveva detto il vero, l’area era tutta recintata. Era una specie di ghetto, o peggio una sorta di colonia penitenziaria. Non si capiva bene. Vi si poteva accedere solo dopo aver lasciato le generalità, a quello che sembrava un posto di controllo. Fu Zeke a registrarsi e a garantire per loro, sembrava popolare e molto conosciuto, quindi i guardiani non mossero nessuna obiezione a farli passare.
Ad Erwin questa cosa dette nell’occhio, ma non solo a lui. Levi lo guardò e si capirono al volo. Sarebbe stato l’ombra di Zeke, qualunque passo falso avesse tentato di fare, ci avrebbe pensato lui.

Appena all’interno, si resero subito conto del degrado di quel posto. Gli edifici erano vecchi, sudici, con le facciate usurate dal tempo e dalla salsedine. Molti muri erano danneggiati da varie crepe e imbrattati da graffiti strani. Le strade erano semideserte e sporche, con mucchi di spazzatura abbandonati un po’ ovunque. L’aria era fetida e regnava un silenzio sinistro che prometteva guai.
«Lasciate le Jeep qui. Proseguiamo a piedi. Aspettaci dentro le macchine» disse Zeke a Niccolò e Floch.
«Ehi barbone, chi cazzo ti ha dato il comando?» gli chiese Levi piuttosto infastidito.
«Zeke è esperto del luogo, ci farà solo da guida » tagliò corto Erwin per non attizzare il fuoco tra i due.
Hanji si scambiò un’occhiata con Levi, in quel momento capì perché quello non gli piacesse.
«Il capitano sembra non fidarsi di questo Zeke» commentò a bassa voce Jean.
«Io non mi sento di dargli torto» rispose Armin.
«Questo posto mi mette i brividi!» aggiunse Connie guardandosi in giro.
Sasha si passò una mano dietro la schiena e accarezzò la sua fida balestra: «Quando ho con me la mia bambina non temo nessuno!».
«Lo sai che un’arma fuori ordinanza, vero?» la riprese Jean.
«Siamo in una missione a dir poco inusuale, mi riservo di portare con me le armi che mi fanno sentire più al sicuro».
«Se avete finito di fare conversazione possiamo andare. Indossate tutti il giubbotto antiproiettile?» chiese Levi.
«Sissignore!» risposero in coro.
«Ti piace comandare eh Levi? Cos’è, ce l’hai piccolo?» lo apostrofò Zeke beffardo. Lo stava provocando e a Erwin questa cosa non piacque per niente.
«Ancora fissato con le misure del tuo cazzetto, barbone? Non sei abbastanza grande da capire che non importa la grandezza ma sapere come usarlo bene?».
Levi non cadeva mai in questi tranelli era troppo intelligente.
«Sembrate due ragazzini stupidi, che ne dite di farla finita? Siamo qui per una cosa seria» sbottò Hanji che invece era nervosa. Non le piaceva niente di quella situazione. Esigeva che fossero concentrati e non distratti a punzecchiarsi.
«Questo tuo modo di fare Zeke non è serio e non va bene. Ti sto dando il beneficio del dubbio solo perché mi serve il tuo aiuto, ma non fare mosse sbagliate. Potrei farti conoscere la mia parte meno gentile» gli disse Erwin con uno sguardo che metteva paura.
«Chiedo scusa, mi piace scherzare» si giustificò l’uomo facendo la faccia più innocente possibile «Non si ripeterà più, scusami Levi, sono stato un vero stupido!» aggiunse.
Barbone di merda! pensò il capitano a denti stetti, senza però degnarlo di una parola.
«Facci strada» gli intimò Erwin.
«
È più sicuro se camminiamo in fila indiana rasenti ai muri, armi in pugno. Questo silenzio e questa strana desolazione non piace neppure a me. Potremmo essere attaccati dai residenti da un momento all’altro, qui i visitatori non sono mai i benvenuti» spiegò Zeke, che pur essendo disarmato s’era messo in testa alla fila.
Hanji non capiva perché se c’era tutto questo pericolo, quel tipo si perdesse a provocare Levi e poi si esponesse così, senza neppure l’ausilio di una pistola, la cosa non le quadrava.
Fece cenno ai ragazzi di stare in guardia. Avanzavano compatti e con circospezione, guardandosi spesso alle spalle.
«In quella casa laggiù ci dovrebbe essere chi ci darà le informazioni che cerchiamo!» li avvertì Zeke, indicando un palazzo più fatiscente di quelli che avevano visto sino ad allora.
Stavano procedendo con cautela quando improvvisamente sentirono una sorta di grido agghiacciante che sembrava il verso di un animale, ma che non lo era. Una sorta di urlo-ululato-ruggito.
Come dal nulla spuntò qualcosa che si muoveva veloce. Attraversò la strada, correndo a quattro zampe.
Non fecero in tempo a rendersi conto di quello che stava succedendo che quella specie di ominide mutarforma, spiccò un salto e piombò su Zeke.  Tirò fuori gli artigli e gli squarciò il petto, poi urlando e ruggendo lo azzannò ad un braccio e lo trascinò via scomparendo dietro un vicolo. Sentirono subito l’uomo che urlava in maniera disumana dal dolore. Poi dei versi, come se quella cosa se lo stesse mangiando a morsi.
Fu una cosa indescrivibilmente orrenda e terrificante.
Erano tutti pietrificati, completamente attoniti, non avevano avuto il tempo di reagire, anche perché si era svolto tutto in un lampo.
«Presto mettiamoci al riparo» urlò Erwin il quale intuì che non fosse finita lì.
«Faccio un giro di ricognizione» disse Levi mettendo mano ad una delle sue Sig Sauer
(1) calibro nove.
«Stai attendo, mi sembra molto pericolosa la faccenda» lo ammonì Erwin.
«Non preoccuparti». E sparì dietro un palazzo correndo rasente il muro.
«Che diamine era quello!» chiese Connie atterrito mentre si stava nascondendo tra una parete e un auto.
«Non lo so, se non fosse una follia direi che sembrava una sorta di zombie-animale-mutaforma» rispose Sasha che l’aveva raggiunto e s’era accovacciata accanto a lui.
«E che cazzo! Siamo finiti in film di Romero?» chiese retoricamente Jean levando la sicura alla sua Glock
(2) semiautomatica. Era pronto a vendere cara la pelle. L’adrenalina gli scorreva già copiosa in corpo.
«Ma… ma… se l’è mangiato?» chiese Connie sempre più terrorizzato.
«Parrebbe di sì» confermò Sasha che aveva appena impugnato la sua balestra. Stranamente era fredda, come se quello scempio appena accaduto non l’avesse minimamente toccata.
Dalla parte opposta del vicolo, dietro un rientro, spuntò la capigliatura bionda di Erwin: «Ragazzi state calmi, non muovetevi, non sappiamo se se n’è andato davvero, o se ce ne sono altri. Restiamo in attesa della ricognizione di Levi. Hanji intanto sta cercando informazioni con il satellitare. Poi batteremo in ritirata».
«Non riesco a trovare niente di niente, la linea è disturbata, non c’è connessione» disse la donna che era riparata qualche metro più avanti dietro un furgone.
All’improvviso sentirono di nuovo un verso inquietante, ma diverso dal precedente.
Poi silenzio.
«State tutti fermi!» intimò Erwin.
C’era una calma strana: loro, la strada deserta e dei rumori sinistri che si avvicinavano sempre più.
Era difficile stare immobili, in attesa, ma quelli erano gli ordini di Erwin.
All’improvviso si palesò un altro mostriciattolo. Non era spaventoso come quello che aveva aggredito Zeke. Aveva le fattezze di un uomo, più alto della media, forse due metri, si muoveva veloce e molto scoordinato.
I suo aspetto però era raccapricciante. Era sproporzionato in un modo bizzarro e aveva l’espressione vacua, persa nel vuoto, la bocca aperta e piena di bava. All’improvviso si fermò di colpo e prese ad arrampicarsi su un muro come fanno i ragni, intanto sembrava annusasse l’aria.
«E questo da dove cazzo spunta?» chiese Connie sempre più agitato.
«Non ho idea, ma la cosa non mi piace» commentò serio Jean.
«Erwin aveva ragione ce ne sono altri» commentò sommessamente Armin che stava cercando di capire in quale girone infernale fossero finiti.
«Allora quello che azzannato Zeke se n’è andato? Ma lui sapeva dell’esistenza di queste creature? Perché ci ha portati qui?» si interrogava a voce alta Hanji molto turbata.
«Sembra che ci stia cercando» bisbigliò Armin ad Hanji.
L’uomo tipo aracnide era arrivato proprio sopra di loro.
«Non fare un fiato» disse pianissimo la donna ed estrasse la sua pistola.
Intanto quello, a sorpresa, prese a spostarsi lateralmente, in direzione di Sasha, Connie e Jean. Non aveva molto senso quello che stava facendo, sembrava si muovesse a caso.
«Oddio che schifo sembra un ragno gigante!» commentò Jean che non aveva molta simpatia per quelle bestiole.
«Ma non possiamo sparagli?» chiese Connie.
«Aspettiamo il via da Erwin» li fermò Sasha puntandolo con la balestra.
In quel momento si spalancò una finestra, era di un appartamento proprio sotto quell’uomo. Sbucò Levi che impugnando tutte e due le sue Sig Sauer calibro nove,
cominciò a crivellarlo di colpi. Quello fece per ripararsi, ma i colpi lo raggiunsero numerosi, riducendolo un colabrodo. Cominciò ad urlare in un modo agghiacciante e poi cadde a terra.
Sembrava morto.
Con prudenza uscirono dai loro nascondigli e gli si avvicinarono sempre con le armi in pugno. La cosa curiosa che li colpì era che dai fori di proiettile usciva del fumo piuttosto copioso, come da un comignolo in pieno inverno.
Levi si lanciò dal davanzale della finestra e atterrò con eleganza in un terrazzo, poggiò le mani sulla ringhiera e con uno slancio balzò ancora  a un piano inferiore, per poi atterrare vicino alla sua vittima. Praticava parkour
(3) da quando era stato nel Mossad ed era agilissimo, oltre che veloce, la sua corporatura brevilinea lo facilitava molto.
Come fu vicino a quello che tutti ritenevano ormai un cadavere, si rese conto che le ferite si stavano magicamente rimarginando.
«Che razza di diavoleria è mai questa?» commentò Jean a bocca aperta.
«Ragazzi stiamo attenti» disse Erwin preoccupato. Le cose erano assai peggio di come credesse.
Non ci fu modo di dire altro perché si accorsero che stavano arrivando, di corsa, un gruppo di esseri simili all’aracnide venuto male, che puntavano dritti su di loro.
«Via, via via! Corriamo alle Jeep!» urlò Erwin.
Cominciarono a sparare più che poterono e poi presero a correre  all’impazzata.
Più correvano e più sembrava che quei mostri gli fossero vicini. Con la forza della disperazione raggiunsero il luogo dove ci sarebbero dovute essere le Jeep.
Ma non erano lì…
«Cazzo! Dove sono finiti quei due?» grugnì Levi e si guardò veloce intorno. Bisognava pensare e agire in fretta, o non sarebbero usciti vivi da quel posto.
Lo precedette Armin. Aveva adocchiato un autobus: «Presto dobbiamo salire tutti sul tetto» disse concitato indicandolo. Aveva capito che stare in alto poteva essere un’ancora di salvezza.
«Come facciamo a salirci?» chiese quasi disperato Connie.
Levi saltò su cofano di un’auto, poi sul tettino, quindi balzò sull’autobus.
«Forza muovetevi veloci!» li incitò ad imitarlo «Ottima pensata Armin!» disse poi rivolto al ragazzo mentre lo aiutava salire.
Abbastanza rapidamente si ritrovarono tutti in cima al mezzo.
«Cercate di tenerli occupati! Io vedo di far partire quel pik up. Non possiamo rubare due macchine, non faremmo mai in tempo» disse Levi, facendo un cenno con la testa verso quel mezzo lì vicino.
I mostri intanto si erano tutti addossati all’autobus, urlavano e si dimenavano, questione di poco tempo e lo avrebbero ribaltato, oppure si sarebbero arrampicati.
«Non ce la puoi fare Levi» disse Erwin molto preoccupato.
«Sì, invece» gli rispose caparbio il capitano «Distraeteli e sparate a più non posso!» disse prima di buttarsi giù dall’autobus, atterrare elegantemente a terra, per poi lanciarsi in scivolata dietro un’automobile, per ripararsi.
Era stato fortunato non lo avevano notato.
Procedette accucciato dietro le auto parcheggiate fino ad arrivare al pik up. Grazie al suo passato da delinquente non gli ci volle molto, con una gomitata ruppe il vetro, entrò, e lo mise in moto facendo una semplice modifica ai cavi di trasmissione.
Per facilitare gli altri a saltare dietro, nel vano scoperto della vettura, arrivò veloce in retromarcia vicino all’autobus, dalla parte opposta di dove erano ammassati i mostri.
«Forza Ragazzi. Veloci!» intimò Erwin mentre continuava sparare senza posa contro quegli esseri disumani.
Il primo a saltare fu Connie, seguito da Armin e poi Sasha.
Stava per saltare anche Jean, quando alcuni dei mostri fecero il giro del mezzo e tentarono di gettarsi contro il pick up.
«Tenetevi forte!» urlò Levi e cominciò a guidare come un pazzo cercando di liberarsi da loro.
Purtroppo nel frattempo gli altri mutaforma erano riusciti a ribaltare l’autobus.
Erwin, Hanji e Jean ora si trovano in grave pericolo. Erano a terra forse anche malconci per la caduta e quegli esseri li stavano circondando. Loro tre si erano messi in cerchio, schiena contro schiena, e sparavano come dei pazzi in tutte le direzioni per tenerli a distanza e non farsi sopraffare.
Levi allora fece un testa coda e schiacciò l’acceleratore a tavoletta, puntando dritto contro i mostriciattoli. Era una mossa disperata ma non c’era molto altro da fare.
L’impatto fu tremendo e il pick up si rovesciò su un lato. Armin, Connie e Sasha furono sbalzati fuori. Levi rimase dentro incastrato dall’air bag.
Era finita. Non avevano scampo.
«EHI!» sentirono urlare dall’alto.
«Tutti al riparo! PRESTO!».
Alzarono lo sguardo e videro sul tetto dell’edificio sopra di loro Mikasa Ackerman che impugnava un enorme lanciarazzi. Inguainata in una tuta nera si stagliava fiera, come una novella Minerva contro l’azzurro cobalto del cielo di Marley. Una sciarpa rossa le sventolava al collo. Sembrava davvero una dea della guerra!
Una dea con una tempistica ottima tra l’altro.
Non ci fu tempo neppure per rallegrarsi, si sparpagliano e velocissimi andarono al riparo, mentre la ragazza sparò con precisione millimetrica la prima granata, che fece saltare in aria un buon numero di quei mostri, che presero a fumare. Poi estrasse una specie di pistola, che teneva infilata in un cinturone che aveva sui fianchi. La puntò al palazzo di fronte e mirò. Non uscì un proiettile ma un cavo d’acciaio con un rampino che arpionò il muro, permettendole di scendere molto veloce e sparare una seconda granata in picchiata.
Arrivò quindi al pick up dove Levi si stava per liberare e lo aiutò.
«Finalmente sei arrivata! Alla buon ora eh?» bofonchiò il capitano.
«Ho fatto del mio meglio, nano-malefico».
«Non dovresti usare i nostri nomi in codice» la brontolò.
«Forza muoviti. Dobbiamo evacuare. Subito!».
«Mikasa! Ma sei davvero tu?» le corse incontro Armin.
«Sì, ragazzi sono proprio io, ma i convenevoli rimandiamoli a dopo, ora bisogna fuggire al più presto da qua!».
Raggiunsero non senza fatica il mezzo della ragazza, in qualche modo entrarono tutti dentro e poi se la diedero a gambe levate.
Forzarono il posto di blocco all’uscita della recinzione, rischiando di investire i custodi, ma alla fine, miracolosamente, ce la fecero a lasciare Marley sani e salvi.

 

I monologhi dell’autrice
Stasera mi porto avanti e posto 4 capitoli invece dei canonici 2
Sto cercando di mettermi in pari il più in fretta possibile!

Note:
(1) e (2) ho fatto una breve ricerchina su internet data la mia assoluta ignoranza in merito e sembra che le Sig Saur e le Glock siano delle pistole famose e usate nei vari corpi, anche speciali, tra cui la CIA.
(3) Il parkour è uno sport che nasce in Francia negli anni ottanta, il suo fine è lo spostamento di sé nel miglior modo possibile, al fine di sfruttare al massimo l’efficienza del proprio fisico in funzione della velocità. Non esiste un ostacolo in grado di fermare che pratica il parkour, si passa ovunque e nel più breve tempo possibile, nonché nel modo più adatto rispetto all’ostacolo. (fonte www.sapere.it)

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Capitolo 9
*** (The) Damned ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 9 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

9
(The)
Damned


Si erano riuniti in camera di Erwin, perché dopo quello che era accaduto dovevano assolutamente fare il punto della situazione.
«Bene ci siamo tutti» disse il comandante molto serio «lascerei la parola a Mikasa. Lei ha condotto in loco alcune indagini per nostro conto».
Levi era davvero contrariato, tutti e due gli avevano taciuto informazioni importanti e questo non gli andava giù. Hanji a differenza sua era più propensa a dar loro almeno il beneficio del dubbio.
Comunque una cosa gli era chiara: Erwin sapeva molto di più di quello che aveva detto loro sino ad allora.
Gli altri erano fuori da certe dinamiche ed erano solo felici di essere  tornati alla base sani e salvi, ma soprattutto di aver ritrovato un’altra vecchia compagna di corso del centroquattresimo.
La ragazza, molto seria, sospirò e poi prese la parola: «In questa isola si conducono esperimenti di modificazione genetica su esseri umani».
«In che senso?» chiese Armin davvero sorpreso.
«Li modificheranno come fanno per la frutta e la verdura no?» commentò Connie con fare da saputello.
«In realtà la faccenda è molto più complicata» li interruppe Mikasa.
«E allora spiegaci. Sono molto curiosa. Questa cosa mi affascina moltissimo, non vedo l’ora di saperne di più!» commentò Hanji con gli occhi che le brillavano.
Ti pareva! Pensò Levi che intanto guardava Mikasa di traverso, era molto arrabbiato con lei, ma la ragazza sostenne il suo sguardo aveva i suoi buoni motivi per averlo tenuto all’oscuro.
«Ti prego vai avanti» la invitò Smith.
«A largo di questa isola furono scoperti svariati giacimenti di petrolio,  così molti immigrati vennero qui a lavorare sulle piattaforme per estrarlo. Era un’occasione ghiotta, si guadagnava bene. In un secondo tempo, grazie alla sua posizione strategica e oscurata dalle cartine geografiche, questo posto, da parte del governo, fu trasformato in un centro segreto per esperimenti nucleari di nuova generazione ».
«Come mai quest’isola non è segnata nelle cartine geografiche? Non mi sembra proprio un sputo di terra, anzi» chiese Levi.
Fu Erwin a prendere la parola questa volta: «Paradise fa parte di un progetto militare. È un’isola completamente artificiale. Un esperimento che è stato portato a termine per capire se, in questo modo, si potranno terraformare un giorno pianeti come Marte. È una sorta di enorme satellite ma poggiato sulla superficie marina, con tutte le caratteristiche di un’isola vera. In più è protetto da una sofisticata rete di ologrammi che la occultano, mostrando solo la percezione di una piccola isoletta
(1). Questi particolari sistemi fanno anche in modo che non entri mai in collisione con navi, natanti di ogni genere, e non sia rilevata da alcun radar, neanche quelli più avanzati. Un esperimento che è stato utile sia a livello scientifico, che a livello di sicurezza militare. Paradise è comunque considerata una specie di seconda Area 51, ma sul mare. Nelle alte sfere si sa che esiste, ma non se ne parla mai apertamente. Queste sono quel genere di informazioni riservatissime a cui pochissimi alti funzionari hanno accesso. È tutto Top Secret. Ovviamente gli abitanti che risiedono qui da quando gli fu fatto credere che fosse stata “scoperta” ne sono del tutto ignari. Che sia un’isola che si può visitare è poi un’ottima copertura. Così come la nomea di Marley che tiene alla larga curiosi da quello che è il fulcro di ciò che abbiamo visto e di quello che succede realmente qui».
Erano tutti a bocca aperta.
«Se lo sapeva, perché non ci ha detto niente?» chiese Armin.
«Già perché Erwin?» rincarò Hanji.
«Ordini tassativi dall’alto, e quando dico alto, mi riferisco direttamente il Presidente in persona, potevo solo obbedire. Continua pure Mikasa» concluse rivolto alla ragazza.
«Come stavo dicendo Paradise era per lo più abitata da migranti, che lavoravano nelle piattaforme, e nessuno fu avvisato degli eventuali pericoli relativi agli esperimenti, che furono condotti segretamente. Gli effetti prodotti da questo comportamento criminale da parte del governo furono devastanti. Le persone cominciarono ad ammalarsi e a morire come mosche. Fu creata una bugia di facciata e fu data la colpa al petrolio, all’inquinamento e al cibo geneticamente modificato, che ormai era quasi su tutte le tavole. Questa bugia per un po’ resse, ma quando cominciarono a nascere bambini già malati e gravemente deformati, la verità cominciò a farsi strada, così il governo, prima che trapelassero queste notizie dall’isola, avviò un progetto per cercare una cura. Lo chiamarono progetto Ymir.
Il medico che state cercando, tra tutti gli scienziati di fama mondiale, fu quello che miracolosamente trovò una sorta di cura. Venne mandato qui, per testarla, poi un bel giorno se ne sono perse le tracce, come già sapete. Quegli esseri che avete visto sono il risultato dei suoi esperimenti, di cui so veramente poco in realtà. Più o meno quello che avete potuto vedere anche voi».
Hanji la ascoltava rapita «Tutto ciò è meraviglioso!» le scappò detto emozionata. La scienziata che era in lei cozzava malamente con il suo essere agente segreto.
«Meraviglioso un cazzo!» sbottò Levi, poi aggiunse «tutte queste informazioni dove le hai reperite?» e si girò di scatto verso Erwin «Tu sapevi anche questo vero?».
«Sapevo degli esperimenti, non potevo dirvi che andavamo a dare la caccia ad esseri umani geneticamente modificati, come minimo mi avreste riso in faccia! È una faccenda seria Levi, se questa cosa esce da quest’isola, t’immagini quello che potrebbe accadere?».
«Anche a me dispiace non averti detto nulla quando ci siamo sentiti, ma davvero non potevo» si giustificò Mikasa.
«Ma chi ti ha rivelato tutte queste cose?» chiese Jean che voleva capire.
Sasha era rimasta in silenzio, tra tutte le follie che avesse potuto immaginare in merito, questa era in assoluto la più incredibile di tutte.
«La maggior parte mi sono state fatte da una persona direttamente coinvolta, altre le ho sapute da chi sta cercando di arginare il problema in loco» cominciò a spiegare guardinga.
«Non farti problemi parla pure» la esortò Erwin.
«La persona direttamente coinvolta è… Eren…» confessò in fine. «EREN???!» chiesero esterrefatti in coro Jean, Armin, Connie e Sasha. Anche lui era un altro del centoquattresimo.
«Ma quello schizzato, non è stato buttato fuori dall’agenzia per gravi problemi psicologici, che diavolo ci fa qua?» chiese irritato il capitano.
«Levi vacci piano, ti ricordo che io ed Eren dovevamo sposarci» lo fulminò Mikasa con uno sguardo semi-omicida.
I ragazzi intanto ascoltavano allibiti.
«E ringrazia tutti i Santi del Paradiso che quel piccione non ti abbia cacato in testa ricoprendoti di merda!».
«Levi finiscila, o mi incazzo per davvero» lo ammonì Mikasa.
Fu a quel punto che Hanji lo toccò su un braccio e lo guardò severa. Non lo faceva mai, se non quando lui andava assolutamente fermato, come in questo caso.
«Eren in realtà è il nostro uomo. È lui Damned. Era sotto copertura. Per nessun motivo potevamo svelare il suo nome».
«Non mi dire! Top Secret anche questo?» chiese molto sarcastico Levi.
«Lo sai come funziona è inutile che te la prendi con me. Alcune cose posso condividerle, altre no. Anche io devo rendere conto ai miei superiori!» sbottò Erwin, poi si rivolse alla ragazza «Mikasa sei riuscita a sapere se Eren ha rintracciato il medico e chi sia?».
La ragazza annuì «Il medico in questione è suo padre… Grisha Jeager».
Ancora una volta rimasero tutti sorpresi.
«Ecco il tassello che mi mancava» commentò il comandante.
«Eren non è mai stato in buoni rapporti con lui. Soprattutto per quel fattaccio di cronaca nera accaduto quando era un ragazzino. Vi ricordate vero che la sua ex moglie si presentò a casa loro e sparò in testa a Carla, la madre di Eren? Poi ci andò di mezzo proprio suo padre, lui era presente e vide tutto, non sapeva neppure che su padre avesse avuto un’altra moglie. Credo che i suoi problemi nacquero in quel momento, poi il mestiere che ha scelto ha peggiorato ulteriormente le cose. È come se il suo cervello, ad un certo punto, fosse andato in corto circuito».
Prese un attimo fiato e poi continuò «In realtà Eren, come ha detto Erwin, non ha mai smesso di lavorare per l’agenzia. Hanno sfruttato i suoi problemi per mandarlo allo sbaraglio in questa isola, a cercare il medico. Uno come lui non ha paura di morire, né di fare cose eticamente sbagliate. Una manna per la CIA».
«Quindi ora che si fa?» chiese Levi, che evitò di esternare ciò che pensava su tutta la faccenda.
«Dobbiamo riorganizzarci. Per affrontare quei mostri dobbiamo avere le giuste armi, avete notato vero che sparandogli non muoiono? So chi può aiutarci. Se non saremo pronti ci faranno fuori come mosche, e teniamo conto che ora siamo bersagli mobili, soprattutto se ci ripresentassimo a Marley. Inoltre voglio assolutamente salvare Eren. Voglio portarlo via di qua e voglio che si curi. Su questo non transigo, o me ne chiamo fuori subito».
«Penso di parlare a nome di tutti noi del centoquattresimo: siamo d’accordo con Mikasa, dobbiamo salvare Eren».
«Parla per te Armin» lo corresse Jean «Per me Eren può anche andare a farsi fottere. Non credo che rischierei la mia vita per quella grandissima testa di cazzo».
Mikasa gli si avvicinò «Perché fai lo stronzo?» gli chiese.
Lui la guardò come si guarda una di quelle cose bellissime, che però portano con sé la consapevolezza che non saranno mai tue. «Me lo chiedi pure?» le chiese scuro. Poi le scostò i capelli e passò l’indice sulla cicatrice che aveva sullo zigomo «Ti ha quasi ammazzata» le disse ricordando quando in preda ad una delle sue crisi isteriche e rabbiose, durante un’esercitazione, aveva preso a sparare all’impazzata colpendo di striscio Mikasa al volto.
Lei si scostò appena da quel contatto. Lui non seppe dire se era per via che era infastidita, o turbata.
«Jean lo sai che non voleva farmi del male e io so che tu non lasceresti mai indietro un compagno. Dici di odiarlo, ma non è così»
«Tu non sai cosa sento, né cosa provo. Non sai niente di niente. Se lo farò, sarà solo per far piacere a te. Di certo non per lui».
Lei aveva sempre avuto il potere di fargli cambiare idea.
«Grazie» gli disse sinceramente grata e poi guardò Levi, aveva bisogno di lui e della sua forza, da sola non ce l’avrebbe fatta.
«Va bene. Ti aiuterò anche io» le rispose scocciato, ma lei già sapeva che neppure lui si sarebbe tirato indietro.
«Siamo tutti con te Mikasa. Porteremo via Eren e suo padre. E metteremo fine a questa follia» disse infine Erwin.


*


Più tardi nella sua camera Mikasa stava ripensando al suo ultimo incontro con Eren di qualche giorno prima. Era stato davvero devastante.
Lo aveva trovato completamente diverso. Più magro, i capelli lunghi fino alle spalle, la barba di tre giorni, gli occhi vacui e infossati. Sembrava sotto stupefacenti. Aveva una sorta di lucida follia che gli brillava nelle iridi, faceva accapponare la pelle.
Le aveva raccontato che cosa accadesse realmente in quell’isola e poi aveva cominciato una sorta di delirio d’onnipotenza che l’aveva devastata.
Blaterava di una fantomatica missione che doveva portare avanti a qualsiasi costo. E lei credette si trattasse di quella della CIA.
«Mikasa a volte ho come un nido di scorpioni che mi brulicano nella mente, senza posa» le aveva confessato in un attimo di semi lucidità e poi l’aveva guardata come se non la vedesse, come se fosse allucinato.
Si teneva la testa tra le mani e digrignava i denti «Devo fare qualcosa capisci? Questo mondo è malato, sta morendo e deve essere radicalmente riedificato. Siamo esseri indegni, bisognerebbe davvero trovare coraggio di estinguere la razza umana, perché solo questo ci meritiamo».
Lei era rimasta completamente spiazzata nel vederlo così fuori di sé. Non capiva che cosa gli passasse per la testa e aveva paura.
La guardava con quegli occhi verdi, che spesso l’avevano fatta fremere e che ora sembravano due pozze d’acqua torbida.
«Ti ho voluta accanto a me perché tu potresti diventare parte di un grande progetto se lo vorrai. Rimarremo in pochi alla fine, ma avremo il mondo ai nostri piedi».
«Eren io non capisco di cosa tu stia parlando».
«Sei sempre stata al mio fianco, mi hai sempre coperto le spalle. Voglio che tu continui a farlo».
«Ma infatti sono qui. Mi hai chiamata e sono corsa da te, nonostante la nostra storia sia finita…» ammise amaramente.
Non ne avevano più parlato da allora, anzi lui era proprio sparito.
Eren la guardò come se volesse indovinare i suoi pensieri.
«Dimmi Mikasa, che cosa sono io per te? Perché se io ti chiamo, tu corri subito da me, anche se ci siamo lasciati?» le aveva chiesto a bruciapelo come se volesse mettere a nudo i suoi pensieri.
Lei sentì davvero male al cuore nel sentirsi fare quella domanda. Era andata da lui perché ancora gli voleva bene, era tanto difficile da capire? L’amore può finire, ma l’affetto no, quello può durare tutta la vita. Almeno per lei era così. E vederlo dissociato dalla realtà, era penoso.
«Sei uno di famiglia Eren. Tu per me sei come un fratello che ha bisogno di aiuto. Lasciati aiutare».
«E tu mi darai la tua forza? Diventerai un’eletta?».
«Eren ti prego smettila, non so neanche di che cosa tu stia parlando».
«C’è bisogno di una svolta, bisogna fondare una nuova era! Possiamo addirittura distruggere la vita umana sul pianeta, se vogliamo. Ci sarà una nuova generazione fatta di superuomini e superdonne».
Lei pensò che stesse vaneggiando. Forse era davvero drogato. Di sicuro era fuori di sé. Gli si avvicinò e gli toccò delicatamente un braccio: «Eren ti prego, dobbiamo tornare a casa. Dimmi dov’è tuo padre».
Le labbra di lui si incurvarono in un ghigno malevolo.
«Ecco, finalmente hai svelato il vero motivo per cui sei qui: mio padre. Sai ti preferivo quando mi sbavavi dietro come un docile cagnolino» le disse cattivo.
A questo punto lei si ribellò, aveva toccato un tasto davvero dolente. «Anche io ti preferivo quando eri meno stronzo» gli disse adirata e poi aggiunse «È stato molto bello tra noi finché è durato, ma poi tu hai fatto la tua scelta Eren. Non puoi incolpare me. Sei tu che hai mandato tutto a puttane. Sono cresciuta, non sono più la ragazzina che trattavi male, che però poi cercavi quando ti andava. Ho sempre giustificato i tuoi atteggiamenti per i traumi che hai subito, ma ad un certo punto la misura si è colmata anche per me. Non stai bene, non sei in te, devi accettare il fatto che hai bisogno di aiuto. Io sono qui per questo, perché ti voglio bene».
«Stai zitta! Un giorno ti pentirai amaramente. Che stupida!» le disse con uno sguardo torvo che non prometteva niente di buono. Si era completamente trasformato sembrava un altro e metteva i brividi.
«Le persone non sono cose che si lasciano e si riprendono a piacimento Eren. Tu hai bisogno di cure. Prendiamo tuo padre e andiamocene, tu sai dove sia?».
Lui le si era avvicinato minaccioso e poi l’aveva spinta in malo modo «Levati dal cazzo Mikasa. Cosa ne vuoi sapere tu del peso che mi porto dietro? Sono stato scelto per compiere una missione che cambierà questo modo malato e marcio. Non puoi capire. Nessuno può capire. Dimentica che esisto. Dimentica me e mio padre, o sarò costretto a farti del male sul serio» e detto questo, urtandola con una spallata, se n’era andato, lasciandola sola e molto amareggiata.
La ragazza non aveva tentato di fermalo perché gli ordini erano stati chiari. Doveva tenerlo d’occhio e scovare dove fosse il medico, perché quella era la priorità. Nessuna iniziativa personale prima che l’intera squadra arrivasse a Paradise.
Inoltre doveva assolutamente capire di che parlasse, se quello che diceva fossero solo deliri schizzoidi, o se ci fosse un fondo di verità, ma per carpirgli qualche informazione più chiara, doveva farlo calmare e prenderlo per il verso giusto e al momento opportuno.

 

 

I monologhi dell’autrice

Note:
(1)Questo stratagemma, tipo pianeti artificiali nascosti da ologrammi è comune a molti prodotti di fantascienza, quindi, no, non mi sono inventata niente, ho solo usufruito di un’idea comune nel campo dello Shi Fi e l’ho applicata a questa isola. Cose similari  si possono trovare per esempio nelle serie di Star Trek, ma anche in anime come Capitan Harlock, tanto per citarne un paio.

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Capitolo 10
*** Vamos a la playa ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 10 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

10
Vamos a
la playa

Mikasa stava cercando di prendere contatto con chi li avrebbe aiutati a equipaggiarsi in modo che potessero tenere testa a quei mostri.
Erano stati giorni molto duri per lei. Era molto combattuta tra il suo senso del dovere e ciò, che malgrado tutto, la legava ancora ad Eren.
Così quando Erwin aveva proposto a tutti una giornata di relax, ne era stata felice.
Il comandante aveva pensato che un po’ di svago avrebbe allentato la tensione, in attesa di quella che si preannunciava una dura operazione, piena di rischi e incognite.
Del resto stare rintanati in albergo a fare congetture su una situazione così incredibile, a cosa sarebbe servito?
Nessuno li avrebbe attaccati in un posto turistico svelando che cosa realmente si celasse in quell’isola.
Inoltre egli stesso aveva bisogno di scaricare un po’ l’irrequietezza derivata dalla grande responsabilità, che si era preso a coinvolgere tutti loro in questa missione quasi suicida.
Fu deciso di passare una giornata in spiaggia. Proprio come un gruppo di compagni di viaggio, che alla fine di un estenuate tour dell’isola, si concede un momento di relax.

Copertura perfetta.

Erwin aveva sottobraccio la sua tavola da surf ed era in testa al gruppo.
Seguivano Levi e Hanji. Il capitano indossava una camicia hawaiana aperta su un costume a calzoncino nero e aveva l’espressione di chi sta andando al patibolo. La donna invece indossava un costume olimpionico e aveva con sé l’immancabile libro su Fibonacci. Ormai era in fissa.
Seguivano a ruota i ragazzi tutti con costume tipo boxer, salvo Sasha che indossava un bikini multicolor. Mikasa aveva lasciato detto che sarebbe arrivata più tardi.
La spiaggia, situata a ridosso dell’albergo, era un brulicare di gridolini e cicalecci, accompagnati in lontananza dallo sciabordio della risacca. Era una giornata piuttosto calda, anche se per fortuna il vento increspava le onde quel tanto che bastava a rendere possibile una bella surfata.
Ewin respirò a pieni polmoni quel salmastro e si sentì subito meglio.
«Oggi possiamo davvero essere come dei turisti, mi raccomando seguite comunque le regole base del manuale da applicare in questi casi».
Quindi si avviò subito verso l’acqua.
Levi e Hanji, insieme agli altri  si accomodarono sotto un gazebo molto ampio.
«Ragazzi andiamo a fare una bella partita di beach volley?» propose Connie.
«Ci sto!» disse Jean.
«Bene allora dato che tu sei il più alto di tutti ti becchi Armin, così io e Shasha vi faremo il culo a strisce» ridacchiò impunemente.
«A parte che non sai neppure come gioco, ma per quale motivo decidi tutto tu?» sbottò Arlert.
«Io propongo, io decido. Semplice no?».
«Lascialo fare Armin a me sta bene. Vedremo CHI farà il culo a strisce a CHI!» sentenziò Jean.
Levi alzò gli occhi dal Daily Mail, che stava sfogliando on line in cerca di notizie fresche sulla Premier League.
«Senti che casino! Si comportano ancora come dei ragazzini» borbottò «non c’è disciplina!».
«Ma smettila! Piuttosto invece di stare lì a fare la muffa perché non ti applichi in qualcosa di più costruttivo che leggere il giornale?» lo canzonò Hanji
«Disse la Fibonacci addicted!» rispose prontamente Levi.
«In realtà sto cercando di capire alcune cose» gli confessò la donna «credo tu abbia notato che di quei mostriciattoli ce ne sono di vario genere. Ho pensato che magari alcuni sono venuti meno bene di altri».
L’uomo la guardò interessato «In effetti è una cosa plausibile» ammise.
«Devo scoprire come diavolo ha fatto a legare i DNA per ottenere le mutazioni genetiche. Qualcosa mi sfugge».
Levi a quel punto le levò il libro di mano «Basta così. Oggi giornata relax, ricordi?».
Hanji allora si alzò e si rivolse ai ragazzi che stavano per cominciare a giocare «Chi vince tra voi sarà sfidato da me e Levi!» affermò soddisfatta.
«Chi ti dice che io voglia giocare scusa?» si risentì il capitano.
«Lo dico io! Forza levati quella camicia che ti metto un po’ di crema. Sei bianco come un cadavere!».
Intanto Erwin era già in mare, sdraiato a pancia in giù sulla sua tavola, si stava dirigendo a largo per prendere qualche onda. Sasha se ne accorse e interruppe la partita.
«Fermi tutti! Fatemi vedere quella prova dell’esistenza di Dio che surfa!» disse ammaliata.
Quelli la guardarono male e sbuffarono contrariati.
«Ma la smetti di sbavare dietro il comandante! È una cosa invereconda!  Non si fa» l’ammonì Connie.
«Se non sapessi che sei come un fratello direi che sei geloso».
«Affogati Sasha!» le rispose indispettito.
«Bene allora subentriamo io e Levi, Sasha può rifarsi gli occhi e poi tu e lei giocherete contro chi vince tra noi quattro» propose Hanji.
Levi la guardò malissimo.
«Non c’è verso di leggere in pace oggi!» si lamentò. Poi si alzò, si levò la camicia, inforcò i suoi rayban e raggiunse gli altri.
I primi a battere furono proprio Levi e Hanji.
Dopo un paio di scambi Levi alzò la palla alla compagna, che schiacciò proprio in mezzo a Jean e Armin segnando punto. La partita si fece subito accesa.
Intanto Sasha era sulla riva che ammirava Erwin.
Sembrava uno di quei ragazzi cresciuti sulle coste dell’Orange County. In equilibrio sulla tavola, gambe piegate, leggermente reclinato in avanti, muoveva il bacino, con torsioni più o meno accentuate, di modo da cavalcare le onde fino ad attraversarle, come se fossero dei tunnel. Con le braccia aperte a fare da perno, i capelli scomposti dal vento, si sentiva libero e rilassato. Tutti i muscoli erano in tensione, delineati dallo sforzo di mantenere l’equilibrio e di dirigere la tavola dove volesse lui. A tratti con una mano sfiorava l’acqua per poi sterzare e continuare a cavalcare l’onda. Era davvero uno spettacolo. Sembrava quasi una divinità greca che sfidava il mare.
Ad un certo punto prese un’onda anomala, perse l’equilibrio e finì in acqua. Riemerse abbracciato alla tavola, con i capelli bagnati scomposti sulla faccia illuminata da un sorriso divertito. Sasha era incantata. Non che anelasse ad avere una storia con lui. Non ci pensava neppure, però era innegabile che fosse un bel vedere e lei non se lo voleva perdere.
Intanto la partita era entrata nel vivo. Levi e Hanji  stavano vincendo il primo set per due punti, Jean ed Armin erano agguerriti e non volevano perdere. Proprio in quel momento segnarono punto. Armin dette il cinque a Jean.
«Che dici donna, li facciamo vincere?» bisbigliò speranzoso Levi ad Hanji. Voleva archiviare la pratica quanto prima.
«Ma neanche morta! Piuttosto smetti di fare il lavativo, dato che hai una discreta elevazione. Vedi di alzare!».
«Comandi!» la canzonò Levi rispondendole in gergo militare. Quindi Appena fu possibile le alzò la palla e Hanji schiacciò con tutta la forza che aveva in corpo. Jean che era alla ricezione, proprio in quel momento vide Mikasa che stava passando, si distrasse e si prese la palla in pieno viso.
«Cazzo!» disse subito portandosi la mano sul naso che aveva cominciato a sanguinare.
«Oh cielo ti sei fatto male?» disse subito preoccupata Hanji.
«No… almeno credo. Connie mi sostituisci?» disse poi abbandonando il campo.
Raggiunse Mikasa che intanto si era tolta la maglietta e i pantaloncini.
Si fermò un attimo a guardarla. Era davvero uno schianto. Oltre ad avere un viso davvero fine e delicato, aveva un corpo da urlo. Cesellato dall’allenamento, ma anche prorompente e morbido nei punti giusti. Gli girò un attimo la testa e non per via della pallonata.
«Ti prendo del ghiaccio» disse la ragazza riportandolo alla realtà.
«No. Non importa non è niente, ora passa» rispose Jean mettendosi sulla sdraio con la testa reclinata all’indietro, per far smettere l’epistassi.
Lei non lo aveva ascoltato ed era andata procurarsi del ghiaccio secco al bar.
«Grazie, non era necessario» le disse quando glielo porse.
«Stai sanguinando, certo che era necessario» rispose seria, poi si mise anche lei distesa su una sdraio accanto a lui.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Jean non ce la fece e dovette farle quella domanda.
«Che cosa è successo tra te ed Eren?».
«Che cosa ti fa credere che abbia voglia di parlarne con te?» gli rispose piuttosto scocciata.
«Non intendevo metterti in imbarazzo, ma solo sapere. Abbiamo passato dei bei momenti al centoquattresimo. Tutti sapevano…» e si interruppe «no, niente, scusa, sono stato indiscreto» concluse premendosi il ghiaccio sul naso, dandosi dello stupido.
«No, dimmelo, sono curiosa. Esattamente che cosa sapevate tutti?».
Lui sospirò e poi sbottò, non era uno molto paziente, né diplomatico. «Che morivi per Eren e che lui faceva il sostenuto. Che poi vi siete messi insieme… ma che eravate sempre in bilico… hai detto che dovevate addirittura sposarvi».
«No, guarda non sapete proprio niente invece!» si rabbuiò lei. Che fastidio sapere che era stata al centro di pettegolezzi, lei che era così riservata.
Ci fu un altro lungo momento di silenzio.
«Perché ti interessa?» gli chiese poi diretta.
«Ti chiedo scusa. Non volevo fare l’impiccione» disse. Mica poteva dirle che erano anni che era cotto di lei? Non lo aveva mai considerato, figurarsi se avrebbe cominciato adesso.
«Siete tutti uguali: immaturi!» lo accusò.
«Io non sono proprio per niente uguale a quello lì».
«Beh dovresti considerarti fortunato».
«In che senso scusa?».
«Perché Eren ha dei problemi. Credo che soffra di qualche disturbo borderline» si risolse a dirgli.
Jean rimase colpito da quella confessione. Mikasa era strana, una ragazza chiusa, molto introversa, ma sembrava quasi che all’improvviso, quel giorno, volesse essere spinta a parlare.
«Mi dispiace Mikasa, davvero. Per te però, non per lui. Sia chiaro. Se ti vuoi sfogare io sono uno che sa ascoltare».
Lei forse non aspettava altro, o forse fu solo un momento di debolezza, fatto sta che si lasciò andare. Probabilmente aveva solo bisogno di sputare fuori il rospo per sentirsi meglio.
«Lo so che siete tutti dispiaciuti» ammise «non è stato facile. Con lui era sempre un’altalena. C’era sempre qualcosa che lo rendeva inquieto. Mai soddisfatto. Era pieno di sogni e di desideri, ma quando otteneva qualcosa, invece di essere felice era triste. Un eterno scontento. Non si godeva mai niente, era sempre insofferente. È stato difficile stargli accanto. Credevo che amandolo con tutta me stessa lo avrei guarito. Invece più andavamo avanti più ero io che stavo male e soffrivo. Un giorno sfioravo le stelle con un dito, il giorno dopo riusciva a farmi sprofondare sotto terra».
«Narcisista di merda!» scappò detto a Jean.
«Non farlo!» lo redarguì Mikasa «io l’ho amato moltissimo e gli voglio ancora bene. Non voglio che qualcuno si permetta di giudicarlo. Nessuno conosce i demoni che lo divorano. Eren è la prima vittima di se stesso».
Jean capì che forse quella ferita sanguinava ancora un po’.
«Scusa. Lo sai che sono un impulsivo».
«E io lo so che avete ragione. Anche Levi è arrabbiato. Il punto è che Eren è stato il mio primo amore. Ero una ragazzina triste. Avevo perso i genitori. Lui è stato la mia ancora di salvezza».
«Lo capisco» ammise Jean, anche se gli faceva male sentirla parlare con slancio di Eren.
«Ingenuamente ho sempre pensato che fosse la mia anima gemella, il mio principe azzurro e invece… è finita nel peggiore dei modi» le scappò detto.
«Cioè?».
Mikasa sospirò ed evitò di guardarlo in faccia. Le bruciava ancora, ma era in vena di confidenze e vuotò il sacco fino in fondo.
«Ha messo incinta Historia» sparò come una fucilata.
«COSA?» saltò su Jean.
Lei si girò e finalmente lo guardò, il ragazzo lesse ancora del dolore nei suoi occhi scuri, e quell’ombra ferì anche a lui.
«Scusa ma non è quella influencer soprannominata The Queen?».
«Sì, proprio lei. Eravamo tutti compagni di liceo: io, lei, Eren e Armin. Sembra si siano ritrovati per caso una sera in un pub. Da cosa nasce cosa…».
«Ma… stavate insieme?».
«È stato poco prima che decidessimo la data del matrimonio. Ha cominciato a diventare insofferente. Temevo che cambiasse idea. Era sempre più instabile… poi è scoppiata la bomba» sospirò.
«Oddio, mi dispiace tanto. Sul serio, non so che dire…» affermò sincero e poggiò una mano sulla sua, ma la ragazza la ritrasse subito rifuggendo quel contatto. Lui ci rimase male ma non disse niente.
«Mi raccontò che era capitato. L’aveva messa incinta per caso, ma che era deciso di prendersi le sue responsabilità. Lui che pareva uno zombie, che cambiava idea e umore come si cambiano le mutande, ora voleva fare il padre. Stronzate! Io invece credo che abbia colto l’occasione al volo per mandare tutto a monte e lasciarmi».
«Se anche fosse non hai perso niente!».
«È più complicato di così Jean».
«E allora cosa vuoi fare, crogiolarti nel ricordo, o nell’illusione di ciò che era, o che poteva essere?».
Lei lo guardò e non rispose.
«Mi pare un po’ prestino per vestire i panni della vedova bianca!».
Questa volta lo sguardo della ragazza era più rassegnato che triste.
«Non lo so che cosa voglio fare e non so neppure perché ne ho parlato con te. Tra tutti sei proprio l’ultima persona con cui avrei pensato di confidarmi».
Jean stava per rispondere ma furono interrotti dall’arrivo degli altri.
Connie era gasato perché lui e Armin avevano vinto la partita.
«Lo ammetto sono stato stupido. Dovevo sceglierti fin da subito!» disse al compagno giulivo.
«Siete tutti pieni di pregiudizi, dovrei snobbarvi» lo canzonò Armin.
«In realtà vi abb… » una gomitata di Hanji dritta tra le costole zittì Levi.
Lo guardò torva facendogli gli occhiacci.
«Volevo dire» riprese il capitano guardando a sua volta male la donna e massaggiandosi il fianco «che è vero: vi abbiamo sottovalutati».
Hanji gli sorrise amabilmente. In realtà alla fine li avevano fatti vincere per davvero, perché Levi si era stufato di giocare, ma non c’era bisogno di spiattellarlo, potevano anche fargli godere quel momento senza rovinarlo.
Arrivò anche Sasha che aveva abbandonato la visione di Erwin per ben due hot dog, che si stava divorando con gusto.
«Oh, mai una volta che tu pensi anche agli amici. Ingorda!» l’apostrofò Connie.
Lei con la bocca piena biascicò qualcosa, ma nessuno capì niente.
«E queste facce da funerale?» chiese invece Armin a Mikasa e Jean.
I due fecero spallucce, come per dire che non c’era niente di che.
Levi invece si avvicinò a Mikasa «Io e te dobbiamo fare un discorsetto quanto prima» le bisbigliò di modo che non li sentisse nessuno.
Lei stava per rispondere, quando la loro attenzione fu catturata da un ragazzo con una felpa smanicata e il cappuccio calato su gli occhi. Camminava a testa bassa con le mani in tasca e si dirigeva verso di loro. Aveva senza dubbio qualcosa di familiare, ma il viso per più di metà celato, impediva loro di capire chi fosse.



I monologhi dell’autrice
E per stasera è tutto. Buonanotte!
Sotto vi lascio Il mio commento originale del primo postaggio. Grazie a chiunque abbia letto si qui!

Tadan! Ho sparato la prima bordata! Ovvero il quasi crack pairing Eren+Historia/Krista.
A dire il vero questa coppia a me non è mai dispiaciuta e io sono tra quelle che ha sperato fino all’ultimo che il figlio di Krista potesse essere proprio di Eren e allora perché non sfruttare questa cosa, per dare appunto una svolta divergent alla trama canon? E poi c’è un però, che però (scusate la ripetizione) scoprirete solo moooooooolto più avanti nella storia che giustificherà in qualche modo questa mia scelta. Spero di non aver scioccato nessuno! 
😆
Questo capitolo è tra i miei preferiti, anche se non ha chissà quale rilevanza, mi è piaciuto molto scriverlo. Mi ha concesso di poter usare una leggerezza  verso alcuni personaggi, che nel canon non avrei mai potuto esprimere così bene.

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Capitolo 11
*** L'occasione fa il cavallo ladro ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 11 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

11
L’occasione
fa il “cavallo” ladro


Non appena fu loro vicino il tipo si scoprì la testa abbassando il cappuccio della felpa.
«Niccolò!» fecero tutti insieme i ragazzi, sorpresi.
«Dov’eri finito? Tu e quell’altra testa di cazzo ci avete quasi fatti ammazzare. Per chi lavori? Parla?» lo aggredì Levi prendendolo per il bavero.
Il ragazzo aveva gli occhi gonfi e il naso tumefatto, probabilmente anche il setto rotto.
«Io non centro niente! È Floch che ci ha traditi!» piagnucolò.
«Levi lascialo parlare» disse Erwin, che era arrivato giusto in tempo.
«Quando ve ne siete andati con quel Zeke, Floch mi ha aggredito. Mi ha colto di sorpresa e mi ha stordito. Poi è arrivato qualcuno che credevo fosse suo complice. Infatti sulle prime mi hanno impacchettato e infilato nella mia macchina, che guidava proprio quel tipo, poi si sono diretti fuori Marley, dove pensavo che mi avrebbero ucciso, invece era un’imboscata per Floch. Lo hanno catturato, poi mi hanno liberato e mi hanno curato».
«Molto comoda questa storiella» commentò Jean.
«Lascialo finire. Malfidato!» lo redarguì Sasha.
«Che c’è ti piace anche lui?» la canzonò Connie.
«Ma la smetti idiota!».
Connie ridacchiò sguaiato «Mi diverto a farti arrabbiare».
«Perché sei qui?» chiese Erwin riportando un po’ d’ordine.
«Come stavo dicendo mi hanno salvato. Si sono definiti: la resistenza. Poi oggi a sorpresa mi hanno detto di venire da voi e dirvi che hanno accettato la richiesta di red-scarf».
«E chi cazzo sarebbe red-scarf?» chiese Levi.
«Sono io. Hanno usato il nome in codice che gli ho dato per farmi capire che a rispondermi sono proprio loro».
«Io non mi fido» disse Jean.
«Certo è tutto un po’ strano, ma il suo volto tumefatto e il fatto che conoscano il nome in codice, fa pendere la bilancia dalla sua parte» commentò Armin.
«Non sto mentendo» disse timidamente Niccolò. Capiva il loro punto di vista, ma lui se l’era vista brutta davvero.
«Non preoccuparti, vai pure avanti» lo esortò Hanji regalandogli un sorriso. Era certa che non mentisse, così almeno le suggeriva il suo sesto senso.
«Non ho molto altro da dire. Sono stati piuttosto criptici, credo che anche loro si fidino poco di tutti» spiegò.
«Dato che hanno accettato l’incontro, cercherò di mettermi nuovamente in contatto con loro per definire i dettegli» commentò Mikasa.
«Bene allora rientriamo in albergo» disse Erwin «E tu starai in camera con me. Preferisco averti sott’occhio» disse rivolto a Niccolò.


*


Più tardi  Mikasa, che per comodità logistica aveva preso anche lei una camera in quello stesso albergo, sentì bussare alla porta.
Ancora prima di aprire immaginò chi potesse essere, nonostante non avesse una gran voglia di discutere, aprì comunque.
Come aveva previsto era proprio Levi.
«Red-ScarfScarface, o come cazzo ti fai chiamare, io e te dobbiamo parlare!» le disse entrando deciso nella sua stanza.
«Prego accomodati» fece lei infastidita «Comunque preferisco di gran lunga red-scarf e tu lo sai, nano-malefico!».
«Fammi indovinare, è per via di quella sciarpa di Valentino che ti fu regalata da quello lì?».
«Quello lì ha un nome e si chiama Eren» sbottò.
«Devi spiegarmi proprio un bel po’ di cose, soprattutto riguardo il tuo ex fidanzato».
«Che cosa vuoi sapere?» si arrese a chiedergli.
«Intanto quando ti ho contattata, perché non mi hai detto che c’era di mezzo lui? Ero certo che Erwin ti avesse messa in gioco mandandoti in avanscoperta. Sei forse il miglior agente che abbiamo, ma mi aspettavo un po’ più di sincerità da parte tua per il tuo mentore».
«Ho ricevuto gli ordini direttamente da Pixis. Era certo che Eren mi avrebbe contattata prima o poi, e quando lo ha fatto, mi ha raccomandato di mantenere il segreto. Sono venuta qui per provare a carpirgli dove fosse il medico, che poi ho scoperto essere suo padre. Gli ordini di Pixis erano chiari, per la sicurezza di Eren non dovevo farne parola con nessuno, così come non dovevo fare nulla di più che indagare, finché non foste arrivati voi».
«Perché io sento un gran puzzo di merda?».
«Perché probabilmente ci vedi lungo. Senti Levi io sono molto preoccupata. In questa isola accadono cose fuori dal mondo. Eren era fuori di sé. Molto peggio di quando credevamo fosse stato congedato per i suoi problemi da stress post traumatico. Sembra un allucinato che parla di fine del modo e cose del genere. Non vorrei gli fosse capitato qualcosa che gli ha veramente mandato in corto il cervello».
«Sinceramente io ho cercato di aiutarlo in tutti i modi. Ad un certo punto però non l’ho più capito, qualcosa mi diceva che non faceva il bene dell’agenzia. Certo era uno dei cocchi di Erwin. Secondo lui aveva grandi capacità, e forse un buon potenziale lo aveva davvero, ma non è mai stato tutto sano. Non hai mai avuto autocontrollo. Ma ti ricordi sì, come ti trattava? Non voglio neanche parlare di cosa sia stato il vostro rapporto, la parola tossico non rende neanche lontanamente l’idea» commentò serio Levi.
«Ecco non ne parlare e fatti i fatti tuoi! Ti comporti da fratello maggiore, quando siamo a malapena parenti alla lontana, per favore queste considerazioni non richieste tienitele per te, mi fai incazzare quando fai così! Non siamo qui per parlare dei miei trascorsi, ma del pericolo che cova in quest’isola, di cui tra l’altro non sappiamo quasi niente» lo interruppe risentita la ragazza.
«Beh non saremo parenti diretti, ma io ci tengo a te, in fondo ti ho reclutata io. Vederti sbavare dietro quello psicopatico mi faceva proprio girare le palle!» puntualizzò Levi.
«Hai finito?».
«Comunque condivido in pieno le tue preoccupazioni e spero che davvero questa resistenza possa aiutarci, o saremo tutti fottuti. Per caso hai sentito Kenny?» le chiese tornando all’argomento principale.
«Lo sai che io e lui non siamo particolarmente vicini, perché avrei dovuto sentirlo?».
«Non lo so, ma mi pare strano che il Mossad non sia a conoscenza di questa isola e di quello che succede. Sono proprio il tipo di cose con cui un intrallazzone come lui andrebbe a nozze!».
Mikasa non ne poteva più, desiderava solo che se ne andasse e così decise di giocargli un tiro mancino, anche per metterlo in imbarazzo e rendergli la pariglia.
«Credo che Hanji ti stia aspettando alzata. Abbiamo parlato abbastanza, non mi pare gentile farla attendere oltre» disse sibillina.
Levi non fece una piega. Certo, si rese conto che ormai la sua vita privata  era praticamente in piazza, ma indossò la sua solita maschera impenetrabile per non darle soddisfazione, né tanto meno conferme.
«Quindi tu ti fidi di questa fantomatica resistenza?» le chiese spostando nuovamente l’attenzione su altro.
«Certo che sì. Qualche giorno dopo aver incontrato Eren volevo tornare a Marley, per vedere se reperivo nuove notizie. Sono riuscita ad eludere la sorveglianza e sono entrata. Poco dopo sono stata attaccata da quei mostri come voi. Sono stati loro a salvarmi. Mi avevano seguita per capire chi fossi e che volessi fare. Se ho potuto venirvi in aiuto con il lanciarazzi è stato grazie a loro. In fondo ho fatto proprio quello che mi avevi chiesto: ti ho guardato le spalle».
Ci sarebbero state un altro paio di domande che avrebbe voluto farle, ma preferiva rivolgerle ai diretti interessati, quindi senza aggiungere altro si congedò.

 

*

 


Finalmente c’era stato il contatto tanto atteso ed era stato stabilito un incontro.
«È stato deciso di trovarci su territorio neutrale e sicuro per tutti. C’è un party su una spiaggia a pochi chilometri da qui. Si trova esattamente a metà strada tra noi e loro. Questa festa è una consuetudine turistica annuale: una grigliata sulla spiaggia» stava spiegando Erwin.
«Ma così potrebbero attaccarci facilmente da terra e da mare!» commentò Armin.
«Sì, potrebbero, ma non avrebbe molto senso. Mi sono informato è un evento che raccoglie un sacco di gente. Non conviene a nessuno fare una carneficina, che farebbe da cassa di risonanza mondiale sulle problematiche di questa isola» spiegò il comandante.
«Quindi ci fidiamo e basta?» sentenziò Levi.
«Dato che dovremmo passare per turisti avremo con noi degli zaini, oltre alle nostre armi potremmo portare delle granate fumogene. Ci fosse bisogno potrebbero coprire la nostra fuga» propose Hanji.
«Sì, ottima idea. Per quanto riguarda le armi invece, solo pistole» e Erwin dette un’occhiata eloquente a Sasha. Poi continuò: «Non credo che ci saranno problemi, ma in caso sappiamo che fare. Quando arriveremo sul posto cerchiamo di non dare nell’occhio per nessun motivo. Teniamo un profilo basso. Siamo turisti in cerca di una serata piacevole. Attenetevi al protocollo» e si riferiva in particolar modo ai ragazzi.
«Io che faccio? Vengo, o resto qui?» chiese Niccolò.
«È ovvio che verrai con noi e starai attaccato a Levi ed Hanji, se ti azzardi a fare un passo più lungo del dovuto sono autorizzati a fermarti in qualsiasi modo» disse severo Smith, poi concluse «Se non ci sono domande possiamo andare a preparaci. L’appuntamento è tra due ore».

 

*



La spiaggia era disseminata di varie torce che con le loro fiammelle danzanti illuminavano debolmente vari gruppetti di persone. Alcuni erano in piedi con in mano birre, o bibite. Altre erano accomodate in terra su sedute di fortuna arrangiate su teli da bagno, o piccole sdraio portatili.
Sul lato destro c’era una enorme griglia, dove gli organizzatori cuocevano pesce espresso da mangiarsi in un cartoccio.
Si guardarono intorno. Sembrava la classica festa pro loco estiva a favore dei turisti, niente lasciava presagire pericoli imminenti. Decisero comunque di cercare un posto un po’ defilato e lì si misero a sedere tutti insieme in cerchio.
Mikasa invece, essendo il punto di contatto, era rimasta vicino alla griglia ad aspettare. Indossava un vestitino fiorito e corto, aveva i capelli sciolti, i piedi scalzi e si guardava intorno. Sembrava una normale ragazza in attesa di qualcuno.
Un tipo poco distante la puntò. Era difficile rimanere insensibili alla sua bellezza. Nonostante non facesse niente per apparire era comunque notevole e non poteva nasconderla, né mimetizzarla in alcun modo.
Il tizio si avvicinò e cominciò a coniare una serie di frasi fatte per cercare di impressionarla. Mikasa cercò di stare tranquilla e gentilmente gli disse che stava aspettando il suo ragazzo, giusto perché si togliesse dalle scatole, ma quello insisteva.
Erwin guardava la scena un po’ preoccupato, a volte nelle missioni i fastidi maggiori venivano proprio da certi stupidi inconvenienti. Stava per fare qualcosa quando si alzò Jean. «Ci penso io» disse piano ma deciso e s’incamminò verso la ragazza. Pochi passi e la raggiunse. Sfoderò il suo miglior sorriso: modello faccia da schiaffi. Una volta che le fu vicino le posò una mano su un fianco, Mikasa, leggermente turbata ne avverti il calore attraverso la stoffa sottile dell’abito.
«Eccomi tesoro» le disse, e prima che lei potesse dire, o fare alcunché, le stampò un morbido bacio sulla bocca.
Il tizio capì che non era aria e borbottando, con la coda tra le gambe, se andò.
«Stupido!» si arrabbiò lei con le guance in fiamme.
Non seppe neanche lui da dove gli venisse tutta quella baldanza, ma era così tanto che desiderava farlo che d’istinto prese l’occasione al volo. La guardò dritta negli occhi inchiodandola, poi le prese il viso tra le mani e questa volta la baciò sul serio, indugiando sulle sue labbra fino a schiuderle.
Quel bacio sfacciato e dal sapore sconosciuto sorprese Mikasa, ma per poco, ben presto si riprese. Si staccò da quella vertigine che l’aveva coinvolta più di quanto avrebbe voluto. D’istinto alzò il braccio per schiaffeggiarlo, ma lui fu più veloce, lo bloccò intrecciando la mano con la sua.
«Questa me la paghi! Giuro che te le suono, guardati le spalle!» lo minacciò furiosa. Ma era ammattito? Certo forse era anche colpa sua, il fatto che gli avesse raccontato tutte quelle cose su lei ed Eren… pensò subito incolpandosi.
«A parte che ne sarebbe comunque valsa la pena, ma ti dice nulla la parola: copertura? È così che dobbiamo fare no? Fingiamo di sembrare due che stanno insieme. Ora nessuno verrà più ad importunarti e potrai aspettare quelli della resistenza senza più noie».
Sembrava serio, ma lei notò un certo luccichio nel suo sguardo. Fu come se lo vedesse per la prima volta. Non era più un ragazzino. I capelli lunghi e quell’accenno di barba gli donavano, gli davano un’aria più vissuta, aveva l’aspetto di un uomo. Si rese conto che aveva ancora la mano intrecciata alla sua. La ritrasse come se scottasse e avvampò di nuovo, ma che diamine le stava succedendo?
«Vado a prendere due birre» disse lui capendo che forse era il caso di darci un taglio. Non aveva ben compreso le reazioni di Mikasa. Prima pareva arrabbiata, poi imbarazzata, ad un certo punto gli era pure sembrato che ricambiasse con slancio quel bacio, ma alla fine si convinse che erano tutte illusioni e preferì abbandonare il campo, del resto quello che doveva fare l’aveva fatto.
Mikasa stava cercando di riprendersi quando arrivò il contatto. Lo conosceva, era un ragazzo di circa la sua età, castano con gli occhi verdi e sfrontati.
Si salutarono e lo condusse subito dagli altri.
«Salve sono Galliard
(1)» disse «come segno di buona volontà sono venuto da solo e sono disarmato» pronunciò con una certa spavalderia, come a sottolineare che non li temesse.
Un'esca perfetta! pensò subito malfidato Levi, ma per il momento tacque.
«Benvenuto, accomodati» disse Erwin e intanto fece le presentazioni.
«Mikasa ci ha detto che sareste disposti ad aiutarci per poterci difendere da quegli esseri» cominciò a chiedergli cauto.
«Sembra che abbiamo un obiettivo comune, liberare quest’isola e debellare questa minaccia, quindi sì, vi aiuteremo e voi aiuterete noi».
«Sai darci qualche informazione su quelle creature?» chiese speranzosa Hanji. Fremeva di saperne di più.
«Sappiamo tutto quello che c’è da sapere, ma ne parleremo a tempo debito» chiosò Galliard sempre molto sicuro di sé.
«Io invece vorrei capire perché siete accorsi in aiuto di Mikasa, mentre noi ci avete bellamente ignorati» chiese Levi con fare provocatorio.
«Perché eravate con Zeke e non sapevamo da che parte steste» fu la risposta secca e a sorpresa del ragazzo.
«E questo cosa significa?» s’intromise Connie.
«Non lo sapevate vero? Zeke è uno di loro!» svelò lasciandoli tutti sorpresi.

 

 

I monologhi dell’autrice
Buondì!
Grazie ad un fortuito numero di coincidenze riesco a ripostare qualche capitolo in più


Note:
(1) Scusate ma non ce la posso fare a chiamarlo Porko, quindi ho invertito il nome con il cognome 

Ci tengo a precisare che personalmente non mi piace l’appellativo faccia da cavallo dato a Jean che è anche uno dei miei personaggi preferiti, ma in questo titolo ci stava troppo bene, scusami Jean!

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Capitolo 12
*** Carte in mano e carte in tavola ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 12 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

12
Carte in mano e
carte in tavola

Galliard si era rivelato solo un portavoce, l’incontro vero e proprio si tenne un paio di giorni più tardi, in una fabbrica abbandonata, un po’ fuori mano rispetto Marley. Un posto in rovina, con i vetri delle finestre rotti e nell’aria un vago sentore di ruggine che pizzicava le narici.
Erwin e tutti gli altri, non senza titubanza, avevano accettato forti del fatto che Mikasa li conoscesse e garantisse per loro.
A sorpresa si trovarono davanti ad un gruppetto risicato e molto eterogeneo.
C’era il solito Galliard, una ragazza dall’aria stanca che disse di chiamarsi Piek, e due tipetti più giovani, di cui una sembrava alquanto agguerrita. L’altro piuttosto timido disse di chiamarsi Falco. La ragazza dallo sguardo bellicoso invece si chiamava Gaby.
Quello che si identificò come una sorta di loro capo si presentò come Onyankopon.
«Benvenuti» li accolse in tono cordiale «Sapevamo che prima o poi il mondo esterno si sarebbe accorto di quello che sta accadendo in questa isola. Sono contento che il governo abbia mandato qualcuno a sistemare la faccenda».
«Abbiamo bisogno di conoscere come stanno realmente le cose» esordì serio Erwin.
«Gli altri dove sono?» interruppe Levi.
«Non ci sono altri» sostenne spavaldo Galliard.
«State scherzando? Tre adulti e due ragazzi sarebbe la famosa resistenza?» commentò il capitano molto scettico.
«Lasciami spiegare» disse Onyankopon.
«Sì, spiegaci dettagliatamente fremo di saperne di più!» s’intromise Hanji che pregustava nuove interessanti scoperte.
Armin invece li osservava molto serio e pensoso.
Jean era accanto a Mikasa, che però non lo degnava di uno sguardo. La ragazza stava cercando di rassicurare Connie che come sempre era il più preoccupato.
Sasha invece ascoltava e sgranocchiava noccioline accanto a Niccolò, il quale appariva piuttosto a suo agio tra i suoi salvatori.
«Mikasa vi ha spiegato cosa facesse il medico, giusto?» chiese Onyankopon.
«A grandi linee, ma non sappiamo come gli siano usciti fuori quei mostri» rispose Jaen.
«Ora vi racconto i dettagli. Dunque, dopo che ci fu il problema relativo agli esperimenti nucleari, furono ingaggiati vari luminari per risolvere la situazione. Fu un filantropo miliardario con interessi anche politici di nome Fritz, che volle finanziare questo progetto denominato: Ymir. Il Governatore Reiss accolse a braccia aperte questo benefattore e fu ben contento di accettare i suoi fondi. Alla fine, tra tutti gli interpellati, chi riuscì nell’intento fu Grisha Jeager. Ebbe un’intuizione facendo esperimenti ai limiti dell’etica, combinando vari tipi di DNA animali, da ibridare con gli umani malati. Tutto ciò per creare un qualcosa che producesse un sistema immunitario talmente forte da contrastare questa malattia devastante, che a causa della contaminazione nucleare aveva stravolto la genetica.
Cercando poi di migliorare questa cura, per puro caso, si imbatté in un animale preistorico perfettamente conservato. Stava selezionando esemplari del regno acquatico per i suoi esperimenti, quando incappò in una Hallucigenia
(1), una sorta di millepiedi del Cambriano, che si pensava fosse estinto. Fu ritrovato nelle acque di un’antichissima grotta carsica in Italia. Quel ritrovamento fortuito e del tutto inaspettato fu la svolta. Con il DNA di questo particolarissimo e antichissimo simbionte(2), riuscì a legare i DNA di varie specie animali, che poi miracolosamente attecchivano, curando e non solo, i contaminati».
«Ecco il tassello che mi mancava!» saltò su eccitata Hanji.
«Quindi?» chiese Levi torvo con le braccia incrociate al petto.
«Cominciò a sperimentare la cura su cavie volontarie. All’inizio pur di guarire in molti si offrirono per testarla. Ci furono però diversi problemi. Alcuni morirono all’istante. Altri ebbero effetti collaterali bizzarri. Altri ancora acquistarono delle potenzialità strabilianti. Ma quasi tutti morivano poco dopo».
«Vedi era come immaginavo io!» bisbigliò Hanji a Levi tutta soddisfatta.
«Puoi essere più specifico per quello che riguarda le varie mutazioni?» chiese serio Armin. La sua testolina stava elaborando dati alla velocità della luce.
«Quando in alcuni malati, cominciarono a svilupparsi queste capacità straordinarie il governatore Reiss, fece in modo di estromettere Fritz, usando il suo potere politico per farlo fuori dal progetto. Chiese a Grisha di perfezionare queste mutazioni e se potesse sperimentarle non solo sui malati, ma anche su persone perfettamente sane per vedere se durasse di più nel tempo. Di fatto voleva creare una sorta di esercito di esseri supremi e magari chissà, intentare un colpo di stato. Grisha acconsentì, ma il problema era sempre lo stesso: ogni fisico reagiva in modo diverso e i più non sopravvivevano».
«Quindi esiste un vero e proprio esercito?» chiese allarmato Erwin.
«Non proprio» rispose Onyankopon.
«Facciamola breve, quanti sono e come si possono fermare» tagliò corto Levi.
«Per ora sono ancora in una fase sperimentale, non tutti superano il mese di vita. Le cavie adesso sono poche, capite bene che non si può obbligare qualcuno a sottoporsi ad un rischio del genere» continuò Onyankopon.
«Ti prego di essere più chiaro» lo invitò Erwin.
«All’inizio promettevano soldi. Poi visto che alcuni morivano sul colpo e altri rimanevano rovinati a vita, tipo gli esemplari che hanno attaccato voi, hanno cambiato politica. Hanno radunato qui vari delinquenti e gli hanno proposto di fare queste sperimentazioni in cambio di sconti sulle loro pene detentive».
«Ha senso» commentò Erwin.
«La cosa importante che non sapete è che qualche raro esemplare è diventato davvero superdotato. È rimasto senziente e può controllare la mutazione. Per farla breve sono quelli che sono riusciti bene, per così dire» spiegò Galliard.
«Cosa sono in grado di fare?» chiese ansiosa Hanji.
«Dipende dalle loro abilità specifiche. Possono essere velocissimi. Possono avere una forza sovrumana. Possono mimetizzarsi e più che altro come i grandi predatori possono uccidere facilmente chi gli si para davanti. Sono capaci di fare una strage in pochi minuti» chiarì pacata Piek.
«Non è finita qui. Possono anche diventare grandi, molto grandi, giganteschi» aggiunse Gabi allargando le braccia con enfasi.
«Poi qualche altro super potere? Tipo volare, no eh?» chiese Levi con il suo solito sarcasmo.
«Sì, ma solo uno di loro può farlo!» rispose entusiasta il giovane Falco.
Galliard lo fulminò con un’occhiataccia.
Ad Armin non fuggì la cosa e pensò: qui gatta ci cova!
Ci fu un momento di pesante silenzio. La situazione sembrava molto peggio del previsto.
«E voi siete riusciti a combatterli da soli? E comunque nessuno si è mai accorto dell’esistenza di queste creature?» chiese incredulo Connie.
«Abbiamo armi specifiche e sappiamo quali sono i loro punti deboli. I titani sono tutti confinati a Marley. Non sono mai usciti di lì. La loro   manifestazione è conosciuta dagli abitanti autoctoni che sono anche in parte coinvolti personalmente come cavie» spiegò sbrigativo Galliard.
«Inoltre abbiamo anche una sorta di arma segreta» aggiunse Onyankpon criptico.
«In sostanza come potete aiutarci?» chiese Erwin.
«Dobbiamo addestrarvi. Dovete imparare ad usare gli M3D
(3) e il RIP(4)».
«E di grazia cosa sarebbero?» chiese Jean.
«Gli M3D sono quella specie di pistole, che però non sono armi, le ho usate anche io quando sono accorsa in vostro aiuto. Lanciano delle corde d’acciaio che tramite dei rampini molto sofisticati si aggrappano ai muri e servono per salire, o scendere dai tetti, o da varie altezze, in velocità. Aiutano a scappare dalle grinfie dei mostri» spiegò Mikasa.
«A proposito noi li chiamiamo titani, come i figli degli dei della mitologia greca» precisò Onyankon.
«Tutto ciò è estremamente affascinante» commentò Hanji con gli occhi che le brillavano.
«E il RIP cos’è?» chiese Levi prima che la donna potesse lanciarsi a fare mille domande.
«Un proiettile con la punta costruita come se fosse una corona a più punte, quando viene piantato nella nuca di un titano si apre, si espande ed è in grado di produrre lacerazioni profonde, tanto da ucciderlo. RIP: riposa in pace. L’unica pallottola che piantata nella nuca, e solo lì, è in grado di terminarli in modo definitivo, perché la cura attecchisce al midollo spinale dell’ultima vertebra celebrale. Come avrete notato hanno capacità rigenerative, che gli derivano dal DNA modificato e potenziato delle lucertole. Per questo se colpiti in punti diversi dalla collottola non muoiono, ma ci sono dei trucchetti per rallentarli, come il lanciarazzi, o altri che poi vi spiegheremo».
«Quando possiamo cominciare l’addestramento?» chiese Jean.
«Prima di parlare dell’addestramento io vorrei sapere dov’è Floch e vorrei anche interrogarlo» s’intromise Levi.
«Se volete possiamo farvelo incontrare anche subito!» disse serafico Onyankpon.
Erwin fece un cenno di assenso.
«Comandante io ho un sospetto» ne approfittò Armin bisbigliando.
«Quale?» chiese Erwin.
Anche Levi ed Hanji  si avvicinarono per ascoltare.
«Credo che anche tra loro ci siano dei titani… sono abbastanza certo che Falco sia un mutaforma».
«Credo tu abbia ragione! Quando ho parlato di volare il ragazzo s’è galvanizzato. Sembrava non stesse nella pelle e stava per dire qualcosa, ma quel Galliard lo ha fulminato» commentò Levi.
«Beh questo spiegherebbe perché sono così pochi, ma in grado di combattere gli altri mostrilli!» considerò Hanji.
Furono interrotti dall’irruzione nella fabbrica di una tipa strana, con i capelli simili a quelli di Armin. Trascinava di peso Floch legato mani e piedi e con la bocca tappata da una corda legata stretta intorno alla testa.
Si dimenava come un’anguilla, ma la valchiria bionda lo strattonava a forza portandoselo appreso.
«Quindi non siete solo voi» puntualizzò polemico Levi.
«Lei è Yelena, solo una collaborazionista» si affrettò a spiegare Onyankopon.
Levi, non disse altro ma si avventò su Floch, gli liberò la bocca perché potesse parlare, e poi gli sferrò un calcio nello stomaco, che lo fece guaire dal dolore.
«Adesso brutta testa di cazzo phonata male, ci dici perché ci hai tradito e per chi lavori, altrimenti assaggerai il resto delle mie suole!».
«Secondo me ti conviene parlare. Levi è uno a cui piace particolarmente prendere a calci la gente» rincarò Erwin.
«Non mi fate paura!» rispose Floch mostrando sicurezza.
«Non voglio farti paura, ma procurarti dolore!» ribadì Levi rifilandogli un altro colpo ben assestato.
«Tanto siete finiti, non ce la farete mai contro gli Jeageristi!» gli urlò contro tossicchiando, aveva accusato il colpo.
«Jeageristi?» chiese Hanji perplessa aggiustandosi gli occhiali sul naso.
«Forse volevi dire Jihadisti, capra di merda che non sei altro» lo aggredì Levi abbaiandogli contro.
«No, sei tu che non capisci» tossicchiò ancora quello.
«Allora se non vuoi assaggiare un altro dei miei calci, parla!».
«Sono un devoto seguace degli Jeager. Mi sono votato alla loro causa e qualsiasi cosa vorrete farmi, non mi importa, non tradirò mai chi rifonderà l’umanità!».
«Cosa stai vaneggiando imbecille?» tuonò Levi.
«Floch ti conviene parlare, sei comunque un agente dell’FBI. Sei chiaramente un traditore. Sei prigioniero e sarai condannato, non hai via di scampo. Noi invece possiamo aiutarti. Possiamo testimoniare che hai collaborato. Otterrai uno sconto di pena» gli disse serio Erwin, cercando di accattivarselo.
«Non casco nei vostri giochini: sbirro-cattivo, sbirro-buono».
«È inutile, non parlerà. Ci abbiamo già provato noi» disse molto irritata la ragazza di nome Gabi.
«Se ci hai provato tu ci credo» ridacchiò Connie.
«Sono il miglior cecchino di tutta Paradise testa a uovo! Tu invece?» gli rispose rabbiosa.
«Ehi datti una calmata ragazzina sono un agente scelto dell’ FBI e so il fatto mio» gli si avventò contro Connie.
«Lasciala stare!» disse Falco mettendosi tra loro.
«Basta, fate silenzio!» saltò su irritata Sasha.
«Chi sono esattamente gli Jeager?» chiese poi Mikasa seriamente preoccupata. Immaginava potessero essere Eren e il padre, ma una strana sensazione la stava innervosendo, aveva bisogno di conferme.
«Ti piacerebbe saperlo eh?» le rispose strafottente Floch provocandola.
«Che palle! Lo so io chi sono, ma dove vivete mi domando?» disse con aria annoiata e saccente Yelena.
Si girarono tutti a guardarla, dato che anche quelli della resistenza sull’argomento non erano esattamente al corrente dei particolari e quell’uscita suonò nuova anche a loro.
«PARLA!» dissero quasi tutti in coro.
«Sono i fratelli Jeager. Mi pare ovvio» rispose come se fosse stata la cosa più risaputa al mondo.
«Fratelli?» chiese Onyankopon «Perché Zeke ha dei fratelli?» disse senza rendersi conto che aveva sganciato una notizia bomba per gli altri.
«Frena, frena. Come scusa? Zeke fa di cognome Jeager?» chiese Jean stranito.
«Certo è il figlio del medico, sennò come farebbe ad essere uno di loro. Lui è stato il primo titano senziente dalle capacità sovraumane sopravvissuto, anche se non è proprio quello riuscito meglio» spiegò Onyankopon.
Mikasa fece un passo indietro, ebbe una sorta di malessere, Jean se ne rese conto e la sorresse, ma lei lo allontanò bruscamente.
«Menomale che è morto!» commentò Sasha.
«Io non ci giurerei» ridacchiò Floch.
«Quindi se Zeke è figlio del professore...» fece Hanji meditabonda
«Eren è suo fratello!» concluse la frase Armin.
«Fratellastro per l’esattezza» li corresse Floch.
«Tappa la bocca a questo imbecille, o gli spacco tutti i denti» tuonò Levi. Era molto preoccupato, così come Erwin che non aveva ancora detto una parola.
«E la volete sapere una cosa idioti? Vi hanno pesi per il culo e ci siete cascati con tutte le scarpe» riuscì a dire Floch, che non si conteneva più. Era così esaltato che aveva dovuto spiattellarlo prima che Yelena lo riducesse al silenzio tappandogli la bocca e lo ritrascinasse via dalla fabbrica.
«La situazione è molto grave» commentò Erwin a voce alta «Devo mettermi subito in contatto con il mio superiore per capire come procedere».
«Dot Pixis, immagino» dichiarò Onyankopon facendogli chiaramente capire di conoscerlo.
Un lampo di sorpresa attraversò lo sguardo di Erwin, ma fece in modo di non tradire alcuna emozione, salvo alzare appena un sopracciglio.
«Sì, proprio lui» confermò.
«Lo so che avete molti dubbi, ma siamo dalla vostra parte» disse ancora Onyankopon.
«Beh anche voi avete dei dubbi nei nostri confronti, altrimenti non ci nascondereste informazioni di vitale importanza» esordì serio Armin.
«Tipo?» chiese Galliard.
«Che anche tra voi ci sono dei titani, per esempio» sparò sicuro Arlert.



I monologhi dell’autrice

Bene, no, anzi male! Purtroppo mi si è ANCHE rotto uno dei due portatili, così ieri non ho potuto far nulla. E vabbé ora va così. Intanto riposto questo, poi non dico nulla, vediamo cosa riesco a fare oggi
Grazie a tutti delle nuove letture e della pazienza!

Note:
(1) L'allucigenia (gen. Hallucigenia) è un animale marino estinto, probabilmente appartenente ai lobopodi, vissuto tra il Cambriano inferiore e il Cambriano medio tra 520 e 505 milioni di anni fa (fonte wikipedia) ed è a questo medesimo esemplare che Isayama si è ispirato per inventare quella creatura che viveva nella cavità di un albero, dove cade Ymir e che è la “madre” di tutti i giganti.
Io ho elaborato la faccenda a modo mio e ho fatto finta che non si fosse estinto, ma che come accade  nella realtà, per minuscoli granchi preistorici, vivesse ancora nelle acque delle grotte carsiche (in fondo alle note c’è una piccola foto di questo essere estinto riprodotto al computer e del disegno del medesimo di Isayama)
(2) L’Hallucigenia ho immaginato fosse un simbionte (parassita simbiotico) come in SNK che però fungesse da lega per i vari DNA e una volta incorporato in essi, andasse ad attecchire sulla colonna vertebrale nella nuca vicino al cervelletto. I miei titani non hanno l’ospite umano, semplicemente l’umano si trasforma in essi. Ho evitato tutti questi spiegoni nella storia e ve li ho messi qui per non tediarvi troppo!
(3) M3D acronimo per “movimento tridimensionale” per abbreviare e per non essere proprio identica al canon. L’ho immaginato come gli ultimi modelli e un pelino più sofisticato ispirandomi anche alle funi d’acciaio che usano i corpi speciali dell’esercito per fare irruzioni dall’alto.
(4) RIP se pensavate che fosse una mia invenzione, beh questo è il caso in cui la realtà supera davvero la fantasia. Questa pallottola esiste davvero ed è considerata la più letale al mondo ed è esattamente come ve l’ho descritta (Fonte: R.I.P.: la pallottola più potente e pericolosa al mondo - fidelityhouse.eu 
)





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Capitolo 13
*** Monsters & co. ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 13 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

13
Monsters & co.


Pixis aveva richiesto ad Erwin una call conference a cui avrebbero partecipato tutti, compresi quelli della resistenza.
Si ritrovarono nuovamente alla fabbrica abbandonata, dove era stato arrangiato un tavolo con delle sedie per seguire la riunione.
Con Dot, dall’altra parte dello schermo, era presente anche Dallis Zacklay, capo supremo dell’FBI.
«Vi ho voluti tutti qui perché è ora di chiarire le cose. La situazione è grave e il presidente in persona ci ha chiesto di risolvere la faccenda. Sappiate che il governatore Reiss, messo a custodia di questa isola, sta veramente tramando per effettuare un colpo di stato, facendosi forte di questi esseri geneticamente modificati. Quindi va assolutamente fermato».
«Ovviamente ci manderete dei rinforzi» chiese speranzoso Erwin.
«Non possiamo mandarvi nessuno per ora, perché non abbiamo la certezza che non ci siano talpe. Dovete agire prendendoli di sorpresa. Non devono sospettare che siamo a conoscenza dei loro piani» spiegò Zacklay.
«Ma non ce la faremo mai da soli!» piagnucolò Connie.
«Lascerei la parola a Onyankopon. Vi spiegherà alcune cose fondamentali» aggiunse sbrigativo Pixis.
«Come ha intuito il vostro compagno alcuni di noi sono dei titani, quindi possiamo combattere ad armi pari. Sappiamo che di mutaforma sensienti ce ne dovrebbero essere solo altri tre rispetto a noi».
«Quattro» lo corresse Pixis «Scusa se ti interrompo ma è giunto il momento di svelare una grande verità che il presidente in persona mi aveva ordinato di tacere, almeno fino a questo momento».
Tutti pendevano dalle sue labbra, la faccenda si stava veramente facendo intrigata, al limite del surreale quasi.
«Il quarto titano di cui siamo a conoscenza è Eren» disse senza girarci troppo intorno.
Si alzò un brusio di sconcerto e sorpresa.
Mikasa ne fu devastata.
Hanji invece era la meno sorpresa di tutti.
«Dì la verità donna, te lo immaginavi vero?» le chiese Levi che la conosceva come le sue tasche.
«Beh, il sospetto mi è venuto quando ho scoperto che quello Zeke è suo fratello e sono figli di Grisha, non è che ci volesse molto a capirlo. Sono due mele cadute dallo stesso albero. Un albero che guarda caso produce titani».
Erwin era molto scuro. Non ne sapeva niente neppure lui di questa sorprendente novità. Era il vice capo della CIA ed era stato estromesso da un particolare fondamentale. Non gli andava giù. Per una volta tanto provò l’amarezza che spesso toccava ai suoi sottoposti.
Pixis era conscio del torto che gli aveva fatto, ma non aveva avuto scelta.
«Mi scuso con tutti voi, specialmente con Erwin, ma non è dipeso da me tacere alcune cose rispetto ad altre. Ad ogni modo dobbiamo focalizzarci sulla nostra missione. Abbiamo degli infiltrati tra le linee nemiche, sappiamo con certezza che Eren è il titano meglio riuscito e il più forte in assoluto».
«Tutto molto interessante, ma da che parte sta costui?» chiese Levi spiccio.
«È ovviamente uno dei nostri. Non vi ho mandati allo sbaraglio. Al momento opportuno farà quello che deve».
«Eren è stato riconosciuto mentalmente instabile da un’equipe di psicologi ed è stato congedato dalla CIA, come fate a fidarvi di lui? E come cazzo avete fatto a reintegralo?» chiese Levi piuttosto alterato.
«Non è mai stato realmente congedato e i suoi problemi non erano così gravi» chiosò sbrigativo Pixis senza aggiungere ulteriori spiegazioni.
«Al tempo, per costruire la sua copertura ho dato anche io il mio beneplacito a questa cosa. Personalmente ho piena fiducia in Eren» aggiunse Smith.
«C’è una cosa che mi sfugge, ma questi mostri non sono mai stati notati da nessuno in quest’isola?» chiese Armin.
«Giusta osservazione. Nessuno può vederli perché tutta Marley è schermata da ologrammi di nascondimento. Quanto i titani si trasformano nessuno li nota se non chi è a Marley che è direttamente coinvolto. Le loro scorribande vengono intese come fenomeni naturali: terremoti» spiegò asciutto Zacklay.
Ma che geni! Pensò Levi stizzito, ma si limitò a mostrare il suo disappunto solo aggrottando severamente le sopracciglia, si trattava dei suoi superiori e c’era poco da polemizzare.
«Onyankopon ti prego di rendere partecipe la squadra di ciò di cui siete capaci» aggiunse poi Pixis
«Ragazzi è il momento della verità» enunciò lui rivolto ai suoi compagni della resistenza.
E loro si fecero avanti. Uno alla volta.
«Mi chiamo Galliard Porko. Ho partecipato al progetto Ymir per aiutare la mia famiglia. Davano un sacco di soldi e io ho colto l’occasione. Il mio titano è soprannominato: Mascella. I DNA animali con cui sono stato ibridato sono il coccodrillo, lo squalo tigre, il puma e come tutti la lucertola. Il mio punto di forza, oltre ad una buona velocità di movimento è ovviamente il morso, sebbene possegga anche artigli di un certo rilievo. In battaglia sono piuttosto letale».
«Io sono Pieck Finger. Ho aderito al progetto Ymir per poter permettere a mio padre di curarsi il cancro. Non avevamo l’assicurazione e questo era l’unico modo per aiutarlo. Il mio titano è soprannominato: Quadrupede o Carro. I DNA, a parte quello comune della lucertola, appartengono a formichiere, levriero, guanaco e camaleonte. Non sono tra i titani da combattimento corpo a corpo meglio riusciti, ma posso trasportare armi e persone, posso appunto diventare appunto una sorta di carro. Ho una discreta velocità, una buona capacità mimetica e comunque so difendermi anche in battaglia».
«Il mio nome è Falco Grice. Ho partecipato a questo progetto appena la resistenza stava nascendo. Ho voluto fortemente dare il mio contributo alla causa e mi sono offerto volontario per acquisire un potere per aiutare i miei compagni. Ho millantato un gran bisogno di soldi e sebbene sia il più giovane che abbia mai partecipato al progetto, hanno abboccato e mi hanno accettato. Data la mia età si sono spinti oltre i limiti fino ad allora consentiti, sono il primo e credo unico mutaforma di nuova generazione. Il mio titano porta il mio nome: Falco. Con me il dottor Jeager ha voluto provare un nuovo esperimento. I DNA animali con cui sono stato ibridato sono: la solita lucertola, il falco pellegrino e l’aquila reale e poi ho anche parte del DNA del titano Mascella e del titano Scimmia. Posso volare, sono veloce ed estremamente aggressivo. Il mio becco è letale».
Hanji che aveva ascoltato tutto in religioso silenzio non stava più nella pelle «Dimmi Falco, che cosa significa quello che hai appena detto?».
«Il medico conserva una fiala con il DNA di ogni titano che sopravvive. Ha provato a fare un ulteriore incrocio e io sono il suo primo tentativo sopravvissuto di mutaforma volante».
«Io devo sapere, capire che cosa provate, cosa sentite, come reagisce il vostro corpo». disse Hanji eccitata avvicinandosi a loro e palpandoli come se fossero alieni, o giù di lì.
«Devo assolutamente parlare con Eren. Dobbiamo fare in modo di avvicinarlo io e te da soli» bisbigliò Mikasa all’orecchiò di Armin approfittando della confusione creata dall’entusiasmo di Hanji.
«Voglio sapere tutti i dettagli, come controllate la trasformazione. Come fate a diventare molto grandi, perché lo diventate e come fate a tornare normali. Insomma sono affamata di informazioni!» trillò la dottoressa Zoe in fibrillazione.
«Io invece vorrei capire chi sia la scimmia, anche se una mezza idea ce l’avrei…» mugugnò Levi sarcastico.
«Il titano scimmia è Zeke, è stato ibridato solo con primati» confermò Gabi.
«Lo immaginavo. Quel barbone di merda non poteva che essere una scimmia del cazzo! Speriamo almeno che sia una scimmia morta» borbottò poi quasi tra sé e sé.
«Per effettuare la mutazione abbiamo bisogno di un forte picco di adrenalina. Ce lo procuriamo con un’autolesione. La durata allo stato di mutaforma varia a seconda delle forze che sprechiamo nel combattimento, e delle energie che disperdiamo nell’autoguarigione causate dalle ferite inferte dal nemico, ma comunque dura poche ore. L’accrescimento corporeo è possibile attraverso l’ingerimento di una capsula contenente il DNA puro dell’Hallucigenia al momento della trasformazione, o successivamente. Si può fare solo per tredici volte. Poi si muore» spiegò asciutto Galliard.
«In realtà non sappiamo molto su quello che provocano a lungo termine le trasformazioni. Probabilmente non abbiamo un a lunga aspettativa di vita neanche noi» disse tristemente Pieck.
Nessuno in realtà poteva sapere che cosa comportassero quegli esperimenti così al limite dell’etica morale.
«Pixis che cosa vi aspettate da noi?» chiese Erwin che era stato ad ascoltare meditabondo e davvero molto preoccupato.
«Quello per cui siete pagati: estrarre Eren e suo padre, distruggere il laboratorio e bonificare dai titani Marley» rispose serafico l’altro.
«Ci sono ancora un paio, cose che non mi tornano» s’intromise Armin.
«Parla pure» lo esortò Pixis.
«Eren, Galliard, Piek e Falco. Sono anche loro dei titani, devono essere terminati?» chiese diretto.
«È un’ottima domanda, ma al momento non posso risponderti con certezza, posso solo dirti che stiamo lavorando alacremente per poterli salvare».
«State lavorando in che senso?» chiese Hanji sospettosa. Era certa che fosse una menzogna di facciata e che alla fine avrebbero dovuto far fuori anche tutti loro.
«State tranquilli. Sapevano a cosa saremmo andati incontro quando abbiamo aderito alla resistenza. Siamo pronti a morire purché il mondo non debba conoscere una realtà spaventosa come la nostra» spiegò Pieck. Sembrava quasi che avessero tutti uno spirito da kamikaze. La cosa non piacque ad Hanji, né a Erwin, né tanto meno a Levi, ma tutti e tre scelsero, per il momento, la via del silenzio.
Hanji, era consapevole che il peso che questi ragazzi si portavano addosso dovesse essere enorme, si ripromise di fare il possibile per evitare loro una morte ingiusta.


*


La call conference era finita da qualche ora. Armin era in camera di Mikasa, che si stava preparando. Voleva sgusciare via dall’albergo e recarsi da Eren. Voleva assolutamente parlargli.
Certo non era una mossa molto furba, ma lei era decisa. Lo aveva contattato e si erano dati appuntamento su quella spiaggia dove si erano recati per l’incontro con Galliard.
«Mikasa è troppo pericoloso. Puoi mettere a repentaglio l’operazione» cercava di farla ragionare Arlert.
«Io devo assolutamente parlare con lui».
«Perché?».
«Armin tu non l’hai più rivisto è completamente fuori di sé. Devo capire cosa sta realmente accadendo. Pixis è convinto che stia dalla nostra parte. Io non so più cosa pensare».
«Temi possa fare il doppio gioco?».
«Non lo so, davvero, ma ho una strana sensazione. Non lo faccio solo per lui. Vorrei evitare che morissimo tutti!».
«Va bene andiamo allora. Ma usiamo la massima prudenza. Non una sola parola su ciò che sappiamo. Facciamo esporre lui, d’accordo?» disse Armin.
Mikasa annuì.
Come uscirono dalla porta della camera si ritrovarono di fronte Jean, Connie e Sasha.
«Non so deve state andando, ma veniamo con voi» disse Jean.
«Neanche per idea!» rispose stizzita Mikasa.
«Perché scusa? Non ti fidi di noi?» le chiese Sasha.
«Già, non ti fidi Mikasa o hai tu qualcosa da nascondere?» rincarò Connie
Discussero animatamente per un po’, poi la ragazza si arrese, le stavano facendo perdere tempo prezioso, spiegò loro sommariamente che doveva incontrare Eren, ma per un motivo strettamente personale e si avviarono tutti insieme alla spiaggia.
Fu deciso che Connie, Sasha e Jean sarebbero rimasti in disparte, nascosti senza farsi vedere per non stizzire Eren.
Poco dopo erano tutti sul luogo dell’incontro.
L’ora era molto tarda. La spiaggia era deserta e molto buia.
Una fievole falce di luna si specchiava timidamente su un mare nero e placido. Solo il ritmo lento della risacca spezzava appena il silenzio che regnava sovrano.
Mikasa e Armin stavano vicini, senza parlare, in attesa che arrivasse Eren, gli altri erano nascosti più lontano dietro ad un mucchio di sdraio.
Per un momento ebbero il dubbio che non venisse, invece all’improvviso se lo trovarono davanti. Procedeva verso di loro a spalle incurvate, come se fosse schiacciato da un carico pesante. I lunghi capelli legati dietro la nuca. Appena li raggiunse notarono subito il suo sguardo opaco cerchiato da occhiaie bluastre.
Li guardò con un misto tra noia e fastidio, poi si focalizzò sul vecchio compagno e amico.
«Ma guarda chi si rivede. Da un senza palle come te mi sarei aspettato una carriera comoda, in un bell’ufficio a Langley, invece ti ritrovo sul campo, allora ti sono cresciute alla fine!» disse beffardo ad Armin, che però fece finta di niente.
«Eren che cosa sta succedendo? Ti prego sii sincero» gli chiese preoccupata Mikasa.
Il ragazzo la guardò stranito «Niente che non ti abbia già detto».
«Mikasa dice che vuoi rifondare il mondo, ma almeno ti rendi conto di quello che dici?» gli chiese Armin piuttosto seccato.
«Certo che mi rendo conto. Presto salverò la terra dal suo male peggiore: il genere umano» rispose catartico.
«Esattamente cosa intendi?» chiese Armin, doveva capire se stesse realmente delirando, o se bluffasse.
«Parlo della sovrappopolazione mondiale. Abbiamo ridotto questo pianeta ad una discarica a cielo aperto. Siamo l’infestazione peggiore che esista. Quindi vi porrò un rimedio definitivo».
«Eren in che modo intendi farlo?» gli chiese Mikasa.
Avevano concordato con Armin di non rivelargli che sapessero fosse un titano.
«Ho un potere così grande che se volessi potrei essere venerato come un dio. Non posso perdere il mio tempo a spiegare i miei intenti a menti limitate come le vostre. E non sono uno stupido Mikasa!» tagliò corto fissandola severo e poi aggiunse «Vi consiglio di lasciare quest’isola quanto prima, se volete vivere. Sarà la prima che cancellerò dalla faccia della terra».
«Eren ti prego smettila! Stai barando. Io ti conosco. Tu non sei così» disse Mikasa accorata toccandogli un braccio. Purtroppo le sembrava molto, troppo convinto di ciò che stava dicendo e le faceva davvero paura.
Lui si scostò da quel tocco infastidito «Tu non mi conosci per niente. Io sono così, sono sempre stato così. Sai c’è un particolare della morte di mia madre che non sai. Ho ucciso io Dina, non mio padre per legittima difesa, come invece crede la polizia. Non ho problemi ad ammazzare la gente è una cosa che non mi fa né caldo, né freddo» le disse mentre un lampo sinistro illuminò quelle iridi di giada.
«Lo sapevo già…» ammise Mikasa «Me lo avevi confessato una volta da ubriaco, ma eri devastato».
Lui sembrò molto infastidito da questa rivelazione.
«Ad ogni modo sono venuto solo in nome del passato. Dopo tutto mi dispiacerebbe vedervi morire. Vi preferirei al mio fianco: uniti per una grande causa, ma Mikasa mi ha dato il ben servito e tu non credo abbia gli attributi per unirti a me, ma se doveste cambiare idea, sarò lieto di accogliervi tra le mie fila».
«Ma che dici Eren? Noi siamo al tuo fianco, dovresti saperlo» disse Armin per indurlo a confermare ciò che aveva detto Pixis.
«Per favore non cominciare con i tuoi giochini Armin, ti conosco troppo bene. E tu Mikasa renditi conto di una cosa una volte per tutte. Non sei la mia salvatrice, non puoi fare nulla anche perché non sei niente per me. Non ti ho mai amata, anche se stare insieme a te, devo dire che mi piaceva…».
Non fece in tempo a finire la frase perché la ragazza gli assestò un destro ben calibrato che lo fece barcollare fino quasi a cadere a terra.
Eren sputò una boccata di sangue sulla sabbia, si rimise dritto e si pulì la bocca, poi la guardò e gli scappò una risatina nervosa.
«Ecco ora che ti sei sfogata, possiamo andare ognuno per la propria strada» disse voltando loro le spalle «Salutatemi anche Jean, Sasha e Connie. Sono un po’ grandicelli per giocare a nascondino, non credete?» sghignazzò «Ah! Quasi dimenticavo, portate anche in miei più sentiti omaggi a quel rincoglionito di Pixis».
E detto questo, sparì camminando lentamente, testa bassa e mani in tasca inghiottito dal buio della spiaggia.
«Che ha voluto dire secondo te?» chiese Mikasa.
«Che sa che sappiamo. Sa tutto. Siamo alla sua mercé. Mi auguro sia davvero dalla nostra parte… » commentò molto serio e preoccupato Armin.



I monologhi dell’autrice
Grazie a chiunque legga o rilegga 

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Capitolo 14
*** 14 Secrets and lies ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 14 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

14
Secrets and lies


Erwin, Hanji e Levi si erano ritrovati per fare il punto della situazione.
Il comandante aveva chiesto ad Armin, e solo a lui, di raggiungerli pregandolo di tenere la cosa per sé.
«Pare che la faccenda sia molto più seria di quello che temevamo» esordì Smith «Dobbiamo capire molto bene come muoverci e soprattutto di chi possiamo realmente fidarci».
«Una cosa che proprio non mi è per niente chiara, è che fine abbia fatto Grisha Jeager. Tutti ne parlano con malcelata nonchalance, ma di fatto sembra più una presenza onirica che reale» commentò Hanji.
«Credo che non serva un genio per capire che sicuramente nella resistenza qualcuno fa il doppio gioco. E non parlo di quella Yelena che è palese quanto sia infida. Sono abbastanza certo che c’è qualcun altro che le tiene mano» fece Armin pensoso.
«Sinceramente non so neppure quanto possiamo fidarci di Eren. Mikasa è molto preoccupata del suo stato psicologico. Non capisco come faccia Pixis a contare su di lui» aggiunse Levi.
«In realtà è la risorsa su cui abbiamo puntato più di tutte le altre. È infiltrato nelle linee nemiche, dovrebbe essere la nostra ancora di salvezza, la cosa che mi sconvolge è che anche lui sia un titano. Questa proprio non me l’aspettavo e sono piuttosto sconcertato di non esserne stato messo a conoscenza» ammise Erwin.
«Pixis non è un cretino, se ha agito così deve avere i suoi buoni motivi» osservò Hanji.
«A meno che dietro non ci sia un piano governativo molto più complesso e intrigato di cui noi siamo le ignare pedine. Non sarebbe la prima volta che quei porci di politicanti ci usano per i loro luridi scopi. Il puzzo di merda aumenta, vediamo di non affogarci!» valutò sprezzante Levi. Non amava favorire i giochi di potere.
«Quindi che facciamo?» chiese Armin.
«Credo che dovremmo far finta di aderire al piano della resistenza, farci addestrare per imparare a difenderci dai titani e poi faremo la nostra contromossa» illustrò loro Erwin.
«E quale sarebbe?» gli chiese Hanji.
«Andremo a prelevare Eren Jeager. Zeke si spera sia realmente morto, quindi dobbiamo capire che cosa ha in testa, se questa faccenda degli Jeageristi è una cosa seria, o una bufala. Dovrà dirci perché e come è diventato un titano, e soprattutto dovrà consegnarci suo padre, con le buone, o con le cattive, il quale poi dovrà trovare un modo per impedire la morte di Eren e degli altri ragazzi titani» illustrò ancora Erwin.
«Cerchiamo, almeno per il momento di tenere fuori Mikasa. Non è mai troppo obiettiva quando si tratta di lui, non vorrei che anche inavvertitamente facesse qualche sciocchezza. Ci sono troppe vite in ballo» consigliò Hanji.
«Concordo» fu il commento lapidario di Levi.
«Sì, ci avevo pensato anche io» disse il comandante.
Armin era molto indeciso se parlare del loro incontro con Eren, ma prudentemente pensò di informare solo Erwin, ma in separata sede. Non perché non si fidasse di Hanji e Levi, ma perché la situazione era già abbastanza delicata senza mettere altra benzina sul fuoco. Per quanto riguardava Mikasa decise per il momento di attenersi alla richiesta di Smith.

 

 

*

 

Era appostato da più di mezz’ora. L’aria era piuttosto afosa anche se il sole era calato da un po’, per fortuna spirava una leggera brezza che impediva al sudore di appiccicarsi ai vestiti, scongiurando spiacevoli conseguenze come l’acre olezzo di sudore.
Il suo presunto contatto era in ritardo e per quanto ne sapeva poteva essere anche una soffiata non attendibile, ma se c’era una cosa di cui non mancava era la pazienza di aspettare, d’altronde il suo lavoro era fatto di attese lunghe ed estenuanti.
Si era acceso da poco una paglia quando qualcuno gli picchiettò su una spalla.
Si girò e intravide una figura esile non molto alta.
«E tu nanetta chi saresti?» le chiese l’uomo che aveva i capelli lunghi, con la sigaretta che gli pendeva mollemente al lato della bocca e che si muoveva ogni volta che parlava.
Aveva le mani in tasca e l’occhio attento, anche se l’oscurità ne nascondeva parzialmente i tratti spigolosi del volto. Stava di tre quarti, un po’ incurvato, una postura classica di chi sta sul chi va là.
«Una messaggera amica» rispose calma la ragazza dai capelli chiari, che si intravedevano spuntare dal cappuccio della felpa che indossava. Anche lei evidentemente non voleva essere riconoscibile.
«E dimmi, che notizie porti messaggera amica?».
«So dove si trova Eren Jeager».
«Interessante, ma io questo già lo so».
«E sai anche qual è il suo piano?».
«Direi che questa ormai è voce di popolo».
«Però scommetto che non sai qual è il suo segreto».
L’uomo fece una pausa. Aspirò una generosa boccata di fumo per poi buttarlo fuori sotto forma di anelli, che si dissolsero vicino al viso della ragazza.
«No. Questo non lo so ed è un notizia che mi interessa molto» disse.
Poi con uno scatto felino tentò di avventarsi contro di lei per immobilizzarla e farla parlare senza perdere altro tempo prezioso.
Non ci riuscì perché un braccio poderoso lo agganciò da dietro e gli strinse la gola fino quasi a soffocarlo, mentre alla tempia avvertì la pressione fredda di una canna di pistola.
«Non si fa così. Lei viene in pace per darti informazioni preziose, e tu cerchi di farle la festa?» disse con voce bassa il possessore dell’arto che lo stava quasi soffocando. Era possente e alto forse più di lui.
«Fermi. Troviamo un accordo. Il mio governo vi pagherà tanto oro quanto pesate» riuscì a dire tossicchiando, prima che la sigaretta gli cadesse a terra.
«Ora cominciamo a ragionare» disse la messaggera amica «vogliamo tanti soldi, talmente tanti da non riuscire a spenderli in una sola vita!».
«Troveremo un accordo, ora però mollami il collo!».

 

 

*


Levi rapido e sicuro volteggiava mostrando una padronanza dell’M3D invidiabile. Passava agile, da un muro all’altro con grazia e precisione, per poi girarsi su se stesso, in una sorta di elegante piroetta che gli consentiva di trovarsi proprio all’altezza di dove sarebbero state le nuche dei titani. Estrasse con rapidità la sua pistola e piantò ben quattro pallottole RIP, in sequenza perfetta, sulla nuca di una delle sagome di cartone progettate e usate per allenarsi da quelli della resistenza.
Quindi scese a terra e rinfoderò l’arma.
«Ma siamo sicuri che non si sia già allenato?» chiese Galliard stupito rivolto ai suoi compagni. Quell’uomo bassino, dalla lingua tagliente, aveva una facilità di movimento impressionante. Sembrava non avesse fatto altro in vita sua.
«Levi è micidiale. Dategli un’arma e lui ne farà l’uso più letale e preciso che esista» confermò Erwin.
«A proposito ma che significa l’acronimo M3D?» chiese curioso Connie.
«Una roba tipo movimento tridimensionale, quei cervelloni, che sono gli ingegneri dell’esercito, lo hanno inventato per poter fare irruzioni dall’alto senza essere scoperti. Per il nome sembra si siano ispirati ad un meccanismo di un famoso manga giapponese, roba da nerd!» spiegò accademico Falco.
«Non si usa più dire nerd, ma otaku, aggiornati che sei antico forte» lo apostrofò saccente Gabi.
Falco ci rimase un po’ male, non capiva perché quella ragazza, di cui tra l’altro era anche cotto marcio, lo trattasse sempre con sufficienza. Eppure lui era sempre carino con lei. Sembrava che le avesse fatto  chissà quale torto e questo lo faceva soffrire.
Intanto Levi aveva terminato la sua sessione d’allenamento con dieci  centri su dieci. Erano tutti a bocca aperta.
«Ora tocca me!» enunciò Hanji galvanizzata.
Arpionò con l’M3D la cima di un palazzo; si trovavano in una zona disabitata vicino alla fabbrica dove si incontravano di solito. Anni addietro c’era stato un grosso incendio e quel quartiere, molto povero, non era mai stato rimesso in piedi, era di fatto disabitato e fuori mano. Un luogo ideale per la resistenza, che ne aveva fatta la sua base operativa.
Una volta sul tetto, la donna corse veloce in direzione delle sagome cartonate, che erano mosse la alcuni ingranaggi elettrici per simularne i movimenti reali.
Sparò il rampino a metà del muro di fronte e si gettò di testa in picchiata verso di esse, per poi sterzare all’ultimo momento e, agganciandosi ad una colonna, proprio dietro le sagome estrasse l’arma e planò come un angelo vendicatore su di loro. Emise un grido argentino di soddisfazione e poi sparò con precisione millimetrica facendo tre centri concentrici sulla nuca del fantoccio davanti a lei.
«Però!» commentò ammirata Piek.
«Che credevi che fossimo degli scappati di casa?» la apostrofò Jean.
Fu il suo turno e anche lui non sfigurò. Finse un attacco frontale per poi aggirare le sagome all’ultimo momento e fare tre centri su quattro.
Connie seguì l’esempio del compagno e si difese dignitosamente e così anche Sasha, che risultò precisa e accurata.
Erwin non ebbe alcun problema, calibrato e letale non fu da meno di Levi ed Hanji, anche lui sembrava fosse già pratico nell’uso di quel dispositivo.
Poi fu la volta di Armin.
Era il meno abituato ad agire sul campo, di fatto questa era la sua prima vera missione. Scelse un approccio differente da tutti gli altri. Corse a terra verso i fantocci, quando fu loro abbastanza vicino, scagliò il rampino ad un muro di fianco e mentre saliva, con la pistola, sparò dritto all’altezza degli occhi della sagoma centrandoli, poi la aggirò e centrò la sua nuca.
«Bravo!!!» lo applaudì orgogliosa Hanji.
«’Sti cazzi casco d’oro» commentò Levi piacevolmente stupito.
«Ottima intelligenza tattica, ci ha preceduti. Questa mossa, insieme a quella di sparare alle articolazioni e ai tendini delle gambe, sono strategie di rallentamento quando sono in troppi e vanno in qualche modo fermati per poterli abbattere meglio» spiegò Onyankopon.
Era rimasto molto colpito da tutti loro.

 

Gli allenamenti erano finiti da poco e Mikasa stava rientrando nella stanza in albergo. Di lato alla porta della sua camera intravide un’ombra scura. Velocissima estrasse la pistola e gliela puntò contro.
«Ehi calma! Sono io, Jean. Abbassa la pistola» disse il ragazzo. Lei accese la luce del corridoio e si rese conto che non era solo, c’erano anche Connie e Sasha.
«Mikasa perché non ci spieghi che sta succedendo?» chiese diretta la ragazza all’amica ed ex compagna del centoquattresimo.
«Siete matti? Potevo spararvi!» rispose rinfoderando la sua arma.
«Allora?» la incalzò Connie.
Jean invece la guardava senza dire nulla.
Per precauzione li fece entrare nella sua stanza.
«Capisco il vostro punto di vista, ma non vi ho chiesto io di venire all’appuntamento l’altra sera. Era una cosa personale, non di lavoro» rispose loro.
«Sì è vero, però tu a suo tempo ci hai chiesto di aiutarti a portare in salvo Eren, l’hai posta come condizione per partecipare alla missione, o sbaglio? Non credi che meritiamo di sapere la verità?» le chiese ancora Connie.
«Tu, che fai? Non devi accusarmi di niente?» chiese frustrata a Jean. Lo stava usando come valvola di sfogo. Del resto era ancora arrabbiata con lui e poi era agitata, questa improvvisata non le piaceva, come non le piaceva mentire del resto.
Lui non rispose ma la guardò molto serio. Ultimamente, la indagava sempre con uno sguardo intenso che le faceva avvertire uno strano disagio.
«Ho detto che ti avrei aiutata mi pare. Lo faccio per te non per lui. Spero solo che non ci farai ammazzare tutti per questa tua insana forma di protezione per quello» le rispose asciutto. Era snervante per lui soprattutto dopo quei baci rubati la situazione era molto peggiorata.
«Sto ancora aspettando le tue spiegazioni» chiese duramente Sasha.
«Lo avete visto no? Sta male. Ha bisogno d’aiuto. Io non mi sento di voltargli le spalle» dichiarò Mikasa.
«Che cosa ti ha detto esattamente? Noi eravamo lontani, vi scorgevamo solo a tratti e non abbiamo sentito una parola» le domandò Connie.
«Niente di speciale. Sapete i problemi che ha. È sotto copertura, sta rischiando grosso, volevo solo dargli il mio supporto e confortarlo. Tutto qui. Siete voi che vedete cospirazioni ovunque. Non vi ho impedito di venire, ma sapevate che per lui poteva essere pericoloso!» mentì sperando ardentemente che nessuno di loro avesse visto il pugno che gli aveva sferrato.
Connie e Sasha si guardarono. Non erano molto convinti, ma tacitamente si trovarono d’accordo sull’abbozzarla, almeno per il momento.
«Va bene, diciamo che scegliamo di crederti, ti diamo fiducia in nome dei vecchi tempi. Cerca di non fare cazzate » tagliò corto Sasha.
Jean non fiatò, quindi uscirono tutti dalla sua stanza.
Mikasa si lasciò cadere sul letto.
C’è mancato poco… pensò.
Si sentiva in colpa. Non intendeva tenere i suoi compagni all’oscuro. Anzi era decisa anche a parlare con Erwin, ma non era ancora sicura di niente. Era troppo emotivamente coinvolta e non riusciva ad essere perfettamente lucida.
Decise di farsi una doccia, quindi si spogliò e si chiuse in bagno.
Rimase a lungo sotto il getto freddo dell’acqua. Aveva proprio bisogno di schiarirsi le idee. Era giusto quello che stava facendo? Tutti erano concordi nel dire che Eren non era affidabile. Forse era stato davvero sincero quando aveva detto che lui era stato sempre così. Se ci pensava doveva ammettere che poteva anche essere la verità. Eren non era una persona matura e centrata, non lo era mai stato, probabilmente la situazione attuale non aveva fatto altro che complicare tutto. Lei sapeva che c’era del buono in lui. Sapeva anche che mentiva spudoratamente quando cercava di ferirla dicendole che non l’aveva mai amata, ma ora non si trattava più solo di loro due e della loro storia. In ballo c’erano cose ben più grandi e gravi. Bisognava decidere che cosa fare e da che parte stare fino in fondo, senza troppi indugi. Di certo non poteva tenere il piede in due scarpe, né tanto meno mettere a repentaglio la vita dei suoi compagni, o la riuscita della missione.
Chiuse lentamente la doccia e l’acqua smise di picchiettarle addosso, i capelli le erano rimasti appiccicati ai lati del viso e sul collo. Si frizionò con un asciugamano e indossò l’accappatoio.
Uscì dal bagno e sentì bussare alla porta.
Sbuffò scocciata. Non volevano proprio lasciarla in pace.
Aprì contrariata, era di nuovo Jean.
«Che c’è ancora? Mi state rompendo le palle!» sbottò.
«Dobbiamo parlare» le disse severo.
«Anche no!» rispose la ragazza infastidita e stava per sbattergli la porta in faccia, ma lui la bloccò con un piede.
«Gli altri non si sono accorti, ma io ti ho vista ammollargli un destro! Mi devi delle spiegazioni».
A quel punto Mikasa si sentì in trappola e suo malgrado si spostò e lo fece entrare.
«Ho appena fatto la doccia. Chiariamo e poi vattene» gli disse in malo modo. Era in torto e detestava esserlo, con lui poi, ancora più che mai. Le faceva una rabbia ultimamente, non lo sopportava proprio.
«No guarda, quella che deve chiarire sei solo tu. Che sta succedendo Mikasa?».
«Niente!» sbottò.
«Quindi lo hai picchiato per sport?».
«Mi ha detto una cosa e non ci ho visto più!» ammise frustrata.
«Tu lo ami ancora» affermò serio.
«A parte che non sono fatti tuoi, ma no, NO! Non so più come dirvelo a tutti! È così difficile da capire che si può volere bene ad un ex in nome di quello che è stato senza amarlo più?».
«Sono fatti miei perché sono in ballo in questa missione davvero pericolosa, e ancora non riesco a capire il vero ruolo di Eren quale sia. E poi lo sai Mikasa, smetti di far finta di nulla, io ci tengo a te».
«Non lo so neppure io quello che gli passa per la testa e sono molto preoccupata, contento?» gli disse stancamente.
«No, per niente e mi fa male vederti così. Vorrei aiutarti».
«E come? Baciandomi a tradimento? O pure ti aspetti che apra l’accappatoio e mi distenda sul letto per offrirmi a te? È questo quello che speri Jean?» lo sfidò rabbiosa.
«È vero ti ho rubato un bacio. E se devo essere onesto non sono affatto pentito. Ma se credi che mi accontenterei di essere per te una sorta di conforto, beh allora hai capito male. Non voglio essere la seconda scelta di nessuno. E per quanto riguarda il tuo ex a cui vuoi ancora tanto bene, vedi di non anteporlo alle nostre vite, o per lo meno mettici al corrente dei suoi intenti se li conosci, credo che abbiamo il diritto di sapere che cosa rischiamo, anche se tu non tieni a tutti noi quanto a lui! E ora se vuoi scusarmi, prima che tu faccia altri film mentali su ciò che voglio, o non voglio, tolgo il disturbo» le disse risoluto e decisamente contrariato prima di girare sui tacchi e lasciarla nuovamente da sola con nuovi pesanti interrogativi su cui riflettere.



I monologhi dell’autrice
Come avrete notato non ho ripostato nessuna fanart, purtroppo mi prenderebbe troppo tempo ripostare anche quelle, vedrò di rifarmi una volta in pari:
Grazie a te che hai letto sin qui


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Capitolo 15
*** Pensiero stupendo ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 15 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

15
Pensiero stupendo


«I ragazzi sono in agitazione» esordì Levi rivolto ad Hanji. Era appena rientrato, non prima di aver notato il via vai nella stanza di Mikasa. Per un attimo aveva creduto che avesse una tresca con Jean, ma il poco tempo che lui era rimasto in camera, glielo aveva fatto subito escludere.
«Questa tua mania di fare l’investigatore anche quando non serve ha del patologico Levi» gli rispose serafica la donna.
«Non è stata una cosa voluta è capitata e comunque c’è qualcosa che ci tacciono, credo come al solito riguardi Eren e che Mikasa, ovviamente, sia la capobanda».
Hanji sospirò «Quand’è che abbiamo cominciato a perderlo quel ragazzo?» commentò dispiaciuta «Ricordo il suo entusiasmo voleva spaccare il mondo. Voleva essere un buon agente, anzi voleva essere il miglior agente. Poi d’un tratto s’è come spento…».
«Non lo so... all’inizio era fin troppo galvanizzato e obbediente, quasi ossequioso con me ed Erwin, poi man mano che prendeva confidenza con le armi e il suo ruolo, diventava sempre più ingestibile. Ho provato a raddrizzarlo, ma non è mai stato stabile. Non ragionava era tutto impulso e niente razionalità. Una vera mina vagante per il nostro mestiere».
«Mi preoccupa il fatto che sia un titano. Ci conosce bene sa come ci muoviamo. Potrebbe anche ammazzarci tutti. Non lo so, sono molto preoccupata» sospirò Hanji.
«Col cazzo! Prima che ci riesca gli avrò piantato quattro pallottole nella nuca, per donargli il riposo eterno!» ringhiò Levi.
«Lo ammazzeresti così senza remore? In fondo è uno dei nostri. L’hai anche addestrato…».
«Se dovesse provare a fare del male a te, a Mikasa, o a chiunque degli altri lo farei senza problemi».
Hanji lo guardò seria «Sì, hai ragione, penso che se fosse necessario non esiterei neppure io. Ci sarebbe però il dilemma Mikasa, non credo che lo permetterebbe».
«Mikasa è un mio problema, me ne occuperò io in nel caso dovessimo terminare Eren».
«Sono felice di essere in questa missione con te. Non so come avrei potuto affrontare la questione se fossimo stati divisi, se tu fossi stato sul campo e io no» confessò Hanji carezzando il viso dell’uomo che amava. Avvertiva delle vibrazioni molto negative.
Levi poggiò la propria mano su quella di lei.
«Ohi? Che ti prende donna?» le chiese serio.
«Ma niente, sono riflessioni a voce alta. Sono felice che possiamo coprirci le spalle».
La conosceva troppo bene e aveva capito che era preoccupata. Ma chi non lo era? Si trovavano di fronte ad una cosa che aveva del fantascientifico, con un grado di rischio altissimo, con probabilità di riuscita vicine allo zero.
«Hanji non cedere alla paura» le disse con quello sguardo serio, che era il suo tratto distintivo, ma che con lei sapeva anche addolcirsi «non permetterò che accada nulla a nessuno. Pixis ed Erwin per quanto intrallazzoni siano, non ci userebbero mai come carne da macello. Erwin poi rischia quanto noi».
«Hai ragione dobbiamo stare concentrati e non dobbiamo farci sfuggire niente» commentò la caposquadra più risoluta.
«Esattamente. Ora più che mai dobbiamo stare in campana e non fidarci di nessuno».
«Se però le cose dovessero mettersi male, promettimi che starai attenta. Che non farai nulla di sciocco, o avventato» le disse Levi accorato.
«A te non lo chiedo neppure di stare attento, tanto so già che ti butterai nella mischia e sarai spericolato come sempre» gli rispose Hanji, consapevole di che cosa comportasse avere una relazione con lui.
«Ma io ho i geni del fottuto terminator. Non vorrai mica che mi faccia far fuori da quei mostriciattoli scoordinati vero?» le disse cercando di smorzare la tensione.
«Idem» gli rispose lei guardandolo dritto negli occhi. Quella parola assumeva in quel contesto un doppio significato: concordava, ma Hanji in quel frangente l’aveva proferita anche con l’intento che la usava lui rispondendo ai suoi ti amo. Non voleva calcare la mano, perché non voleva portare la cosa su un piano troppo emotivo, sarebbe stato molto pericoloso per la missione. Dovevano restare lucidi e concentrati, non in ansia l’uno per l’altra.
Si guardarono intensamente negli occhi senza aggiungere altro.
Poi le labbra di Levi cercarono quelle di lei, prima di baciarla la strinse a sé, come per infonderle sicurezza e infine le regalò un bacio tenero. Fu un gesto delicato, di profonda intimità tra due persone che si amano e che hanno bisogno di dirselo almeno con il corpo, per placare i morsi dell’ansia, che quella situazione così complessa e intricata non stava risparmiando a nessuno dei due.
Furono però interrotti da un lieve bussare alla porta della loro camera.
Levi, si scostò riluttante da Hanji e si mosse per andare ad aprire la porta. Era Erwin.
«Posso?» chiese cercando di non sbirciare all’interno.
«Certo, accomodati» gli disse Levi facendosi da parte per farlo entrare. La sua espressione accigliata non prometteva nulla di buono.
«Ciao Erwin che succede?» gli chiese subito Hanji.
«È venuto Armin da me. Mi ha confessato che lui e Mikasa hanno incontrato Eren da soli».
«Quella mi vuol fare incazzare davvero!» ringhiò Levi.
«Cosa ti ha detto?» andò al sodo Hanji.
Erwin raccontò loro cosa gli aveva riferito Armin, che poi era quello che effettivamente era accaduto, battutina sarcastica su Pixis compresa.
«Cosa ne pensi?» gli chiese la donna.
«Che la cosa non mi piace per niente» disse Erwin.
«Qualche giorno fa ho parlato con Mikasa e ha ammesso che anche lei non ci vede chiaro» confermò Levi
«Dobbiamo agire. Dobbiamo andare ad estrarre Eren e dobbiamo farlo noi tre da soli» spiegò Erwin.
«Sai già dove si trova?» gli chiese Levi.
«Sono in contatto con l’intelligence, a breve dovrei avere informazioni in tal senso».
«Hai già un piano?» si informò Hanji.
«Prima dobbiamo scoprire dove fa base, poi elaboreremo un piano.
Ma dobbiamo procurarci gli M3D e le RIP».

 

*

 

Nel frattempo Mikasa  si era recata sulla terrazza dell’albergo a riflettere. Sopra di lei luccicava un meraviglioso cielo stellato. Il mare con il pigro  andirivieni delle onde accompagnava i suoi pensieri. Prima di raggiungere quello spazio all’aperto aveva scorto, senza volerlo, Erwin che bussava alla stanza di Hanji e Levi. Questa cosa l’aveva messa subito in allarme. Il comandante non faceva mai niente a caso. Era un uomo di una meticolosità impressionante, studiava tutto nei minimi particolari, lo sapeva bene lei che aveva condiviso con lui varie missioni e ricognizioni sul campo. Se era andato da quei due, sicuramente c’era in ballo qualche blitz e il suo intuito le diceva che non poteva che trattarsi di Eren.
Eren che nonostante tutto era sempre lì, nella sua testa, come un chiodo piantato nel muro.
Di ciò che aveva appena visto ne avrebbe parlato con Armin, l’unico che la capiva e la appoggiava. Come poteva essere diversamente del resto? Loro due ed Eren si conoscevano dai tempi del liceo. Erano un trio inseparabile. La loro amicizia sembrava più forte di ogni cosa, tanto da portarli a scegliere  di diventare agenti, ma poi le cose avevano preso una piega diversa. Sospirò. Era molto combattuta anche se in cuor suo sapeva bene quale fosse la strada giusta da percorrere, solo che i suoi sentimenti ancora la frenavano.
Era intenta a districare la matassa dei suoi pensieri, quando un vociare misto a risate sguaiate, proveniente dalla spiaggia, attirò la sua attenzione.
Intravide due sagome che procedevano malferme. Erano un ragazzo e una ragazza, ed era chiaro che fosse lei che sorreggeva lui. Non era curiosa ma qualcosa nella postura di quel tipo le era familiare. Aguzzò la vista e alla fine riconobbe chiaramente Jean, che era insieme a qualcuno che le sembrava di aver già visto da qualche parte.
Ridacchiavano e lui pareva davvero alticcio. Ad un certo punto riuscì suo malgrado anche a sentire che cosa si stessero dicendo.
«Hai bevuto troppo. Mi toccherà portarti in camera» stava commentando la ragazza semiseria con una vaga aria saccente, ma chi era?
«È colpa sua» biascicò Jean.
«Non so di chi tu stia parlando, ma deve piacerti parecchio per ridurti in questo stato».
«Ma taci! Sei tu che mi hai fatto bere» masticò ancora in modo appena comprensibile il ragazzo.
Fu in quel momento che riconobbe chiaramente la tipa. Era Hitch Dreyse. Anche lei una ex recluta del centoquattresimo Navy Seals che poi aveva scelto, con Marlo Freudenberg, di andare niente meno che al Dipartimento Affari Interni.
Che diamine ci faceva lei lì?
Stupito idiota! Non ti è venuto in mente che lo facesse per carpirti informazioni!
Pensò adirata e molto in allarme Mikasa.
«Che noioso! Non hai fatto che parlare di questa fantomatica lei. Non si fa così quando sei in compagnia di qualcun altra» lo rimproverò fintamente adirata Hitch cercando di mantenerlo in piedi.
Jean disse qualcosa, ma la sua voce questa volta era davvero troppo impastata e Ackerman non capì una parola. Le montò il nervoso.
Che cretino! continuava a pensare irritata mentre quei due sghignazzavano senza ritegno.
Hitch non aveva l’abitudine di essere molto fisica nei suoi atteggiamenti, ma improvvisamente abbracciò cameratescamente Jean e fece per stampargli un bacio sulla guancia, per consolarlo, solo che lui girò maldestramente la testa e quel bacio si stampò sulle sue labbra.
Mikasa dalla sua postazione non capì bene cosa stesse succedendo, vide solo che si baciavano e colta da una collera improvvisa, intervenne. Li raggiunse prima che entrassero nella Hall dell’albergo.
«Ciao Hitch, che fortunatissima coincidenza ritrovarti, per caso, proprio a Paradise. Ferie?» l’apostrofò beffarda.
«Oh ma guarda! Ciao Mikasa. Vi ho riportato Jean» disse con studiata noncuranza l’altra.
«Perché usi il plurale maiestatis? Siamo io e lui soli. Noi siamo davvero in vacanza» rispose piccata calando l’accento sull’ultima frase sperando che se la bevesse.
«Oh sì certo, come me e Marlo del resto. Tutti vacanzieri siamo!» Hitch aveva mangiato la foglia.
Mikasa allora afferrò Jean per un braccio e lo strattonò
«Veni brutto idiota che ora facciamo i conti!» gli disse più sincera del dovuto. Voleva sembrare una fidanzata gelosa e la parte le veniva fin troppo bene.
«Così vorresti farmi bere che state insieme?» la sfidò Hitch.
«No! Mikasa, no es mi casa» le interruppe Jean farfugliando, convinto di aver fatto la più grande battuta del secolo, per esplicare che lei non se lo filava proprio.
«Oh mio Dio! Dopo questa freddura oscena me ne vado sul serio. Ci si vede ragazzi!» flautò Hitch roteando gli occhi e girando i tacchi.
«Ti rendi conto di quanto sei imbecille?» tuonò Mikasa a Jean che però a sorpresa scoppiò a ridere.
«E tu ti rendi conto che sembri gelosa per davvero?» la sua voce magicamente non era più impastata. Il bastardo stava fingendo.
«Gelosa di te? Manco morta!» gli ringhiò contro e poi lo aggredì: «Che ti è saltato in mente? Che sei andato a fare con quella. Sei stato attento a ciò che hai detto?»
«L’ho beccata in un pub dove ero andato a farmi una bevuta in solitaria per i cazzi miei. Come si è avvicinata mi sono finto alticcio forte. Ha cercato di attaccare bottone, ma ovviamente l’ho depistata alla grande. Mi sembra che l’ubriaco mi sia venuto bene, Hitch ha abboccato! Comunque dovrò avvertire Erwin».
«Perché l’hai portata all’albergo?  Così ora sa dove siamo!».
«A parte che già lo sapeva. Lavora per il dipartimento, non so se mi spiego» le rispose sarcastico «e comunque se non ci avessi interrotti me la sarei portata in camera. Hitch è una gran figa e avrei passato una bella serata, se tu con le tue manie da non so cosa, non ci avessi interrotti!» sbottò dicendo una cosa non del tutto vera, ma voleva farle rabbia. Voleva che sapesse che poteva anche desiderare una donna che non fosse lei.
Mikasa prima spalancò la bocca sdegnata, poi diventò paonazza, infine come mossa da entità aliena gli ammollò un cazzottone che lo fece finire a gambe all’aria per terra.
«Avevo voglia di farlo da quel giorno del bacio sulla spiaggia, sei proprio un grandissimo deficiente Jean Krirschtein!».
E se ne andò via indignata e con la mano che le faceva male.
Jean rimase a sedere a gambe larghe sulla sabbia, completamente attonito. Lei aveva avuto la delicatezza di risparmiargli il naso colpendolo sulla gota destra che si stava inesorabilmente gonfiando.
Però non sentiva neppure male, se ne stava lì, con gli occhi che sbattevano dallo stupore e la bocca aperta. Con lo sguardo seguiva la figura mi Mikasa che camminando con piglio deciso si stava allontanando, mentre nella sua testa risuonava martellante questo pensiero: Oddio, ma mi ha cazzottato come ha fatto con Eren… allora…
forse le piaccio un pochino?

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Capitolo 16
*** Un trio all’erta e pieno di brio! ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 16 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

16
Un trio all’erta
e pieno di brio!

 

I suoi trascorsi come delinquente nel famigerato quartiere a luci rosse di Peckham, nel sud di Londra, gli tornavano sempre molto utili, ma mai come questa volta.
Con suoi personali ferri del mestiere stava cercando di far scattare la serratura della porta del magazzino sotterraneo, dove la resistenza teneva le armi e gli M3D.
Lo aveva adocchiato durante la sessione di allenamento. Di guardia non c’era nessuno perché di fatto quello era un posto segreto, e poi quella botola era nascosta alla vista di occhi non esperti come quelli di Levi.
Erwin ed Hanji intanto erano fuori a fare da palo. La prudenza in certi casi, non era mai troppa.
Era concentrato, i due ferretti inseriti nel buchino della toppa però giravano a vuoto, senza fa scattare la molla. Probabilmente era una serratura simile al cilindro europeo, ma questo non scalfì Levi che tirò fuori una chiave autocodificante
(1). Armeggiò ancora un poco e tic, finalmente la molla scattò e la porta si aprì.
Per scendere occorreva una scala che non c’era e si accorse che dentro lampeggiava anche una lucetta rossa. C’era affettivamente un allarme.
Nella sua vita da delinquente era stato anche un rapinatore e un topo da appartamento, riconobbe subito il dispositivo a raggi infrarossi del tipo: passive infrared.
(2)
Sono stati furbi a far credere che fosse tutto facile, così da far calare l’attenzione a possibili intrusi, per poi farli cadere dritti nella trappola per far scattare l’allarme! p
ensò Levi che quel sensore lo conosceva bene. Per non farlo scattare doveva abbassare la temperatura corporea e calarsi nella botola, quindi disattivarlo e rubare ciò che serviva loro. Non c’era tempo di riorganizzare il tutto per un’altra volta, andava fatto ora e subito.
«Ragazzi ci sono gli infrarossi. Qui vicino c’è una sistola, presumo ci sia anche dell’acqua, mi serve del ghiaccio. Tanto ghiaccio» disse tramite ricetrasmittente ad Hanji ed Erwin.
«Dici nulla! Dove lo troviamo del ghiaccio a quest’ora? E poi a cosa ti serve?» chiese Hanji.
«Mi serve per non far scattare l’allarme, devo abbassare la temperatura corporea» precisò Levi «Dobbiamo darci una mossa» aggiunse.
Ci fu un attimo di silenzio, poi intervenne Erwin: «Ho un’idea, spero che funzioni. Cerco di essere il più veloce possibile nel realizzarla» buttò lì.



 

Non appena arrivò davanti al Chica Loca si rese conto con sollievo che era ancora aperto. Si guardò nello specchietto retrovisore dell’auto, si riavviò i capelli e indossò il suo miglior sorriso accompagnato dal suo miglior sguardo da seduttore. Entrò deciso nel locale sperando che lei fosse di turno.
Era decisamente la sua serata fortunata. La fatalona dalle tette enormi era proprio al bar e manco a farlo apposta lo riconobbe subito.
«Ehi splendore! Non avrei mai pensato di rivederti da queste parti, da solo poi!» flautò zuccherina appoggiandosi sul bancone e allungandosi languidamente verso di lui.
Erwin pensò che Levi avesse ragione, quella tipa era molto, troppo entrante e lui aveva fretta, doveva gestirsela bene.
«Ciao sono felice che ti ricordi di me» le disse sorridendo amabilmente.
«Cosa ti porta in questi luoghi a quest’ora della notte? Stiamo per chiudere sai?» gli disse lasciva. Sperava ardentemente che fosse venuto per lei.
«Un problemino da risolvere. Avrei bisogno di ghiaccio, molto ghiaccio e anche di borse termiche se ne avete».
Lei lo guardò perplessa «Ma a che ti serve?» le venne spontaneo chiedergli.
«Ti ricordi il mio amico? È caduto dall’alto e si è fatto male ad entrambe le gambe, mi serve per non fargliele gonfiare» buttò lì sperando che se la bevesse.
«Scusa, portalo all’ospedale!».
Fu a quel punto che lui si avvicinò, le prese le mani tra le sue e la guardò intensamente «Non mi hai mai detto come ti chiami» le mormorò con voce bassa e roca.
Lei rabbrividì appena «Selvaggia» dichiarò con il cuore in gola.
«Che nome ricco di promesse» commentò lui sornione continuando a tenerla incatenata con lo sguardo.
La donna si umettò le labbra e cominciò ad avvertire caldo.
«Vedi, Selvaggia, il mio amico ha dei problemini con… diciamo… le forze dell’ordine. Quindi no, non posso portarlo all’ospedale. Per questo mi serve davvero tanto questo favore. Sei l’unica che possa aiutarmi».
«Si vedeva che è un tipaccio… e tu, invece?».
«Devo confessare che neppure io sono proprio un santo» .
Aveva perfettamente individuato il soggetto e se la stava rigirando come un pedalino.
«Io ho un debole per i cattivi ragazzi con la faccia d’angelo!» disse lei mordendosi il labbro inferiore.
«E io per le ragazze selvagge!» replicò con fare complice Erwin che voleva darsi una mossa e concludere, ma non nel senso che sperava lei.
«Allora mi potresti accompagnare a casa. Sto per finire il turno».
«Ho davvero bisogno di quel ghiaccio e devo aiutare il mio amico, poi se mi lasci l’indirizzo ti raggiungo; Selvaggia» e calcò l’accento sul suo nome come a far intendere che la notte sarebbe stata bollente e  torbida, all’altezza di quel suo nome.
La tipa con la mente già proiettata in immagini simil pornazzo, abboccò all’esca. Andò nel retro dove c’era la macchina del ghiaccio e gli procurò ciò che gli serviva Lo sistemò poi in quattro borse termiche che tenevano nel magazzino, in caso si fosse rotta la macchina e avessero dovuto procurarselo altrove, poi gli passò un fogliettino con il suo indirizzo.
«Allora ci vediamo dopo figaccione». Era così ammaliata da quell’uomo che non si era neppure resa conto che lui non gli aveva neppure detto come si chiamasse.
«Contaci!» le rispose in modo equivoco Erwin, che però ovviamente lei non colse, poi lesto uscì dal locale, si infilò in macchina e a gran velocità si diresse al magazzino.
Levi era già in mutande e si era già bagnato più volte con l’acqua della sistola. Era una serata molto più fresca del solito dato che aveva piovuto tutto il giorno e la temperatura si era abbasta di qualche grado. Hanji nel frattempo aveva riempito un bidone vuoto che aveva trovato abbandonato lì vicino. Appena arrivò Erwin ci rovesciarono il ghiaccio e Levi ci infilò subito dentro.
«Cazzo, cazzo, cazzo! È freddissima! Ma dove l’hai trovato tutto questo ghiaccio?» chiese mentre si immergeva fino al collo.
«Ho fatto un salto al Chica Loca ti ricordi la barista?».
«Chi tette-e-culo?» chiese Levi che cominciava battere i denti.
«Si esatto!» confermò Erwin.
«Ti toccherà farci sesso?».
«No, grazie!».
«Voi due siete pessimi» ridacchiò Hanji che suo malgrado, conosceva quelle dinamiche tra loro due.
Levi rimase a mollo per circa un quarto d’ora. Il tempo necessario per  far scendere la sua temperatura corporea di modo che non fosse percepita dai raggi infrarossi, quindi fradicio, tremante fin nelle ossa e con le mutande appiccicate alle natiche si diresse alla botola.
Si calò con una corda aiutato da Erwin e Hanji. Dopo di che con circospezione e movimenti lenti, aggirò i raggi infrarossi, che non lo rilevarono. Lesto tagliò i fili disattivando l’allarme. Si procurò tre M3D e due scatole di pallottole RIP, poi strattonò la corda e si fece tirare su.
«Devo fare una doccia calda. Muoviamoci» disse infilando in macchina in mutande, senza neanche perdere il tempo a rivestirsi».

 

*

L’intelligence aveva fornito ad Erwin l’indirizzo di dove si trovava Eren e si stavano preparando per andare a prenderlo.
«Spero vada tutto bene e che non ci sia bisogno di usare queste» disse Hanji osservando la particolare punta a corona della RIP, che si rigirava tra le mani.
«L’idea è proprio quella. Un lavoro pulito, veloce e senza l’uso delle armi» rispose Levi mentre stava sistemando le pistole nelle fondine «Non dipende solo da noi però» concluse allacciandosi il cinturone dell’M3D.
«Speriamo che Eren dorma così da coglierlo di sorpresa. Del resto è notte fonda».
«Speriamo piuttosto che Erwin si dia una mossa» disse guardando l’orologio.
Come evocato dai suoi pensieri, il comandante bussò alla porta della loro camera

 

«Che ti dicevo?» commentò Mikasa rivolta ad Armin.
Erano appostati dietro una colonna in prossimità della camera di Levi.
«Okay hai ragione ma non possiamo interferire in un’operazione dei nostri superiori».
«Non interferiremo, li obbligheremo a portarci con loro!».
Armin sospirò roteando gli occhi stava per dire qualcosa ma Mikasa era già davanti alla porta che stava bussando.
«Che cazzo ci fai tu qui?» la apostrofò in malo modo Levi non appena se la ritrovò davanti dopo aver aperto.
Domanda retorica. Lo sapeva bene che ci facesse. Allungò il collo e vide Armin «Mi sembrava strano non ci fossi anche tu casco d’oro…».
Una volta dentro la ragazza chiese lumi ad Erwin.
«Non sono tenuto a dirti niente» gli rispose molto garbato, ma assolutamente deciso e severo il comandante.
«Lo so che si tratta di Eren! Non potete escludermi io vengo con voi».
«Mikasa forse non è il caso» provò dirle Armin per calmarla.
Levi lanciò un’occhiata d’intesa ad Hanji e la donna le si avvicinò furtiva a da dietro. Quindi l’afferrò saldamente immobilizzandola.
Il capitano aprì il cassetto del suo comodino ed estrasse un paio di manette.
«E quelle cosa sono?» gli chiese Erwin stranito.
«Perché non lo vedi?» rispose l’altro un po’ infastidito.
«Ma noi non le abbiamo in dotazione…» commentò il comandante che cominciava a capire. Gli scappava da ridere ma cercava di essere contegnoso.
«Non una parola!» lo fulminò Levi mentre ammanettava Mikasa alla testiera del letto.
«Quante storie! È chiaro no? Servono per dar vita a momenti ricreativi alternativi» disse serafica Hanji.
Levi la trapassò con un’occhiataccia, ma lei scoppiò a ridere.
«Dovreste essere i nostri superiori e fate pure i cretini!» sbottò veramente arrabbiata Mikasa.
«Hanji adora fare la testa di cazzo. Le piace e le viene naturale. Queste sono di Jean. Come agente FBI lui sì che ne è dotato e io gliele ho rubate, perché ero certo che saresti venuta a rompere le palle!».
«Armin te l’affido, la libereremo appena rientreremo. Falle compagnia e non fate sciocchezze. Ti riterrò responsabile» intimò loro Erwin.
«Sissignore» asserì compito Arlert.


 

Eren era alloggiato in un appartamento al terzo piano di un palazzo popolare appena fuori Marley.
Arrivati tirarono fuori le pistole M3D. Si guardarono intorno, sembrava non ci fosse anima viva in giro. La finestra dell’appartamento faceva bella mostra di sé illuminata da un lampione. Era un po’ rischioso salire tutti e tre contemporaneamente, se fosse arrivato qualcuno li avrebbe colti facilmente sul fatto.
Hanji fece cenno agli altri due di controllare la strada, intanto lei sparò M3D sul tetto, mentre saliva in velocità con un calcio di una precisione millimetrica,  ruppe la lampadina del lampione e spense la luce che evidenziava la finestra.
Subito salì Erwin seguito da Levi e si ritrovarono tutti e tre sul tetto.
«Se facciamo irruzione da qui, gli diamo un vantaggio» commentò Erwin.
«Possiamo vedere se dall’altra parte c’è un terrazzino, o un’altra via d’entrata» commentò Hanji.
«Dovrebbero esserci le scale antincendio. Di solito sono dalla parte interna del palazzo e non accessibili dalla strada» spiegò Levi.
Si mossero veloci e raggiunsero il lato opposto. In effetti c’erano proprio come previsto.
«Basterà entrare nel palazzo, poi troveremo l’appartamento di Jeager» annunciò il capitano sicuro del fatto suo.
Scesero furtivi alcune rampe delle scale antincendio, quando furono in prossimità del terzo piano, con molta facilità aprirono la porta d’accesso e subito furono dentro l’edificio.
Procedevano in fila indiana armi in pugno comunicando esclusivamente con le mani e cenni delle testa.
Quando furono davanti alla porta dell’appartamento di Eren, Levi, con i suoi ferri l’aprì abbastanza facilmente. Dentro c’era buio, tranne che per un sottile spiraglio di luce, che sicuramente proveniva dalla camera del ragazzo, facendo capire chiaramente che ci fosse anche una TV accesa.
I tre comunicarono muti ancora a gesti. Levi si mise davanti seguito da Erwin e Hanji chiudeva la fila.
Il momento era delicatissimo, dovevano essere invisibili, silenziosi e velocissimi.
Si mossero felpati come tre felini. In breve furono davanti alla camera dove c’era la TV e la porta accostata. Si accordarono con uno sguardo. Levi la spalancò con un calcio e subito fecero irruzione tutti e tre contemporaneamente, armi in pugno, per non dargli la possibilità di reagire.
Il letto sfatto però era vuoto e sulla TV accesa,  qualcuno aveva messo in loop la famosa scena del Joker interpretato Phoenix, che beffardo ballava su una lunga scalinata.
«Cazzo!» sbottò Levi frustrato «Ci ha fregati!».
«Non credo…» disse Hanji controllando la finestra da cui loro avevano scelto di non entrare. Era accostata e c’era un taglio circolare nel vetro, fatto con un attrezzo da professionisti, mentre i frammenti dello stesso erano sparsi per terra.
Erwin stava controllando il letto e si trovò tra le mani una freccetta anestetica.
«L’hanno sedato, sapevano che è un titano e deve anche aver tentato di difendersi dato che il primo colpo è andato a vuoto».
Levi silenzioso e seccato guardava la stanza, Hanji, Erwin e la TV.
«Chiunque sia stato è un professionista» commentò la Zoe facendo scricchiolare i frammenti di vetro sotto le suole dei suoi anfibi.
«Abbiamo un bel problema adesso» ammise molto preoccupato Erwin.
«Credo di sapere chi potrebbe essere stato. Inoltre sembra proprio che volesse che lo capissimo».
Hanji intuì subito a chi si riferisse Levi.
«Comunque prima di formulare ipotesi dobbiamo assolutamente reperire informazioni. L’intelligence dovrà ricorrere al contro spionaggio. Se Eren dovesse uscire da Paradise saremmo tutti fottuti!» dichiarò molto impensierito Erwin.

 

*

«Mikasa ma sei fuori? Ti rendi conto che hai rotto il letto!» commentò Armin esterrefatto. La ragazza aveva presto a calci quella testiera di vimini finché non aveva ceduto. Ora era libera sebbene ancora ammanettata, Levi faceva le cose per bene come suo solito.
Non le interessava del danno doveva raggiungerli ad ogni costo. Senza neppure curarsi dell’amico uscì dalla stanza dirigendosi di gran carriera verso quella di Jean.
Bussò energicamente con la punta delle scarpe scalciando. Da dentro sì sentì un brontolio indistinto, del resto era notte fonda.
«Ma chi è?» biascicò il ragazzo insonnolito aprendo la porta. Era a torso nudo con i capelli arruffati e gli occhi abbottonati.
Quando lei se lo trovò davanti seminudo diventò paonazza.
«Copriti cretino!» lo aggredì avvampando.
Jean ci mise qualche secondo a capire che era sveglio, che Mikasa nel cuore della notte aveva bussato alla sua porta, che era ammanettata e che come suo solito era incazzata con lui.
Sbadigliò in modo sguaiato grattandosi la testa e poi la guardò alzando un sopracciglio.
«Fammi capire, mi bussi in piena notte e pretendi pure di trovarmi agghindato di tutto punto? Se volevi fare i giochini erotici dovevi venire prima!» le disse per dispetto, osservando stranito le manette.
Gli arrivò un calcio in uno stinco che lo fece guarire come un lupo preso in una tagliola.
«Ma che sei scema?».
«Jean, si vuole liberare. Ha le tue manette e spera che tu abbia le chiavi di riserva» spiegò Armin che sbucò da dietro al ragazza.
«Ma voi non dormite mai la notte?» brontolò «E no, non possono essere le mie» aggiunse infine.
«Certo che sono le tue!» sbottò Mikasa.
«No. Le mie le ho lasciate in cassaforte a casa. Non si portano le manette in missione» rispose stancamente.
«Quello stronzo nano di merda!» sbraitò frustrata Mikasa.
«Oh ma che è ‘sto casino?» esordì Connie facendo capolino dalla sua stanza anche lui in mutande.
«Ma basta!» gli fece eco Sasha che uscì dalla camera di Niccolò, al che tutti e quattro la guardarono neanche tanto sorpresi.
«Lo sapevo io che te la facevi con quello!» disse Connie puntandole l’indice contro.
«Perché io a differenza di voi tutti ho una vita! E comunque sto solo facendo il mio lavoro: lo tengo d’occhio!» puntualizzò.
«Seee!» fecero in coro Connie ed Armin.
«Insomma mi aiutate a liberarmi da queste manette?» sbottò Mikasa.
«Tranquilla ci pensa il nano di merda, che ti conosce molto bene e sa come metterti fuorigioco» la colse di sorpresa la voce di Levi  alle sue spalle, che era appena rientrato e a quanto pare aveva origliato.
«Ragazzi domani mattina dobbiamo fare un briefing. La situazione è precipitata hanno rapito Eren!» disse Erwin mettendo fine a quel teatrino.

 

*

Eren si era appena ripreso.  Era legato con le mani dietro la schiena e le gambe unite. Stava in posizione prona, quasi come se fosse incaprettato. In questa maniera non poteva muoversi in alcun modo. In bocca aveva una barretta d’acciaio legata saldamente dietro la testa da una catena, fine ma robusta. Non poteva parlare, né chiudere la bocca. Non poteva fare praticamente niente.
L’uomo dai capelli lunghi era seduto su uno sgabello davanti a lui. Indossava un cappello tipo quelli da cowboy calato sugli occhi. Si accese una sigaretta e ne aspirò una generosa boccata, trattenne un po' il fumo e poi lo espirò in faccia al ragazzo che tossì malamente.
«Oh che bello! La principessa sul pisello è finalmente sveglia!».
Eren grugnì qualcosa di incomprensibile e cominciò ad agitarsi, ma l’uomo restò beffardamente impassibile e continuò a fumare la sua sigaretta.


I monologhi dell’autrice

Questo è un altro tra i miei capitoli preferiti, non potete immaginare quanto mi sono divertita a scriverlo!

Note:
(1) Chiave autocodificante  o meglio conosciuta come “Grimaldello Bulgaro”, altro non è che un attrezzo da “lavoro”, realizzato da serraturieri esperti, un grimaldello specifico che non è affatto una chiave, o un passepartout, ma un attrezzo con la caratteristica (non unica nel suo genere) di essere autocodificante, adatto per l'apertura impropria di serrature a doppia mappa. (fonte: www.falegnameriaboschi.com)
(2) PIR (Passive InfraRed) è la sigla con cui si va ad identificare il sensore a infrarossi passivo, un sensore elettronico progettato per rilevare la presenza e il movimento entro una determinata area. Un dispositivo in grado di rilevare il movimento e, dunque, una variazione nei livelli di radiazione. Il sensore deve essere installato lontano da fonti di calore e da tutti quegli oggetti che producono variazioni di temperatura come i radiatori, i ventilatori o i condizionatori (fonte: www.pgcasa.it) 
Ovviamente mi sono ispirata a queste info per inventarmi la faccenda della temperatura corporea, che mi era assai utile ai fini narrativi, ma che ovviamente è solo frutto della mia fantasia.

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Capitolo 17
*** The Call ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 17 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

17
The Call

 

Il briefing sarebbe dovuto cominciare già da venti minuti, ma di Erwin non c’era traccia.
«Sarà chiuso al cesso. Ora gli sfondo la porta della camera!» sbottò Levi molto infastidito. Proprio in quella situazione così delicata e pericolosa, il comandante si faceva trovare in difetto. Gliene avrebbe dette quattro non appena si fosse palesato.
«Io invece sono preoccupata» gli bisbigliò Hanji vicino l’orecchio.
«Per cosa? Per un ritardo? Io invece sono solo stufo. Non c’è disciplina. Siamo nella merda e non c’è tempo da perdere!».
«Non è da lui» commentò la donna non senza ansia.
Levi la osservò accigliato e dovette ammettere che in effetti non aveva torto, Erwin era preciso come un orologio svizzero e per un momento gli si ghiacciò il sangue nelle vene.
«Senti vai a vedere nella sua stanza, ma con discrezione. Non allarmiamo tutti senza motivo» lo incitò Hanji.
Levi andò e bussò alla porta della camera del comandante. Silenzio. Bussò con più vigore. Ancora silenzio.
Ebbe la tentazione di buttare giù la porta, ma i proprietari già si erano risentiti vibratamente per la testiera del letto sfasciata da Mikasa, era il caso di darsi una calmata, o avrebbero dovuto ripagare i danni. Prese la sua carta di credito e fece scattare la serratura. Un gioco da ragazzi per lui.
«Erwin? Che cazzo stai facendo?» disse per palesare la sua presenza nella stanza.
Niente di niente.
Letto intonso.
Bagno vuoto.
Tutta la sua roba al suo posto…
La faccenda aveva un che di inquietante.
Qualcosa poi attirò la sua attenzione, un biglietto appoggiato sul cuscino.


Abbiamo Erwin.
Ci faremo sentire noi.

Imprecò a denti stretti appallottolando la carta tra le dita.
Rientrò nella stanza dove erano tutti riuniti. Erano stati convocati anche quelli della resistenza, nonostante lui non fosse stato molto d’accordo con quella decisione presa da Erwin stesso.
Chiuse la porta dietro di sé e con studiata nonchalance si avvicinò ad Onyankopon. Fulmineo estrasse la pistola e gliela puntò alla tempia.
Tutti si irrigidirono di colpo.
Galliard digrignò i denti, ma subito fu affiancato da Jean che lo disarmò. Mikasa intanto immobilizzò Piek.
Falco sgranò gli occhi e Gabi, più svelta di Levi, estrasse la pistola e la rivolse proprio verso di lui.
«Lascialo andare o ti faccio saltare le cervella!» gli intimò.
«Non penso proprio!» disse Connie puntando il suo revolver sulla nuca della ragazzetta.
Falco a quel punto stava tent
ando di sfoderare a sua volta l’arma, quando Onyankopn parlò: «Fermi tutti, abbassate le armi! Levi che diamine ti prende?».

«Hanno rapito Erwin e secondo me voi c’entrate qualcosa» ringhiò il capitano.
«COSA!?!» fecero tutti insieme scioccati.
«Non so di cosa tu stia parlando» ribadì l’uomo.
Tirarono avanti così per alcuni minuti accusandosi e discolpandosi a vicenda, fin quando il telefono di Levi squillò.
Sul display apparve la scritta: numero sconosciuto.
«Pronto?» fece guardingo il capitano.
Una voce metallica e distorta enunciò: «Abbiamo Erwin. Voi avete Eren. Dobbiamo fare uno scambio».
«Non abbiamo Eren. Chi siete?».
«Se non avete Eren allora avete un bel problema, perché se non ce lo consegnerete entro ventiquattrore, noi faremo a pezzi il vostro amico».
«Siete sordi? Noi non abbiamo Eren volevamo estrarlo, ma quando siamo arrivati qualcuno ci aveva preceduto!» spiegò Levi.
Un click seguito dal classico tu-tu gli fecero capire che avevano riattaccato.
Merda! masticò a denti stretti.
«Che succede?» chiese Hanji preoccupata.
«Credono che abbiamo Eren».
«Volete spiegare anche noi?» sbottò Onyankopon.

 

Due ore dopo erano nella fabbrica abbandonata.
La prima cosa che poterono constatare fu che qualcuno era entrato e aveva rubato ben tre M3D e due scatole di RIP. A quel punto Levi calò la maschera e spiegò che erano stati loro.
Poi, grazie ad un fugace controllo di Onyankopon, scoprirono che Yelena e Floch erano spariti nel nulla. La cosa non sorprese minimamente né Armin, né Levi.
I ragazzi della resistenza invece erano piuttosto sconcertati, sembrava avessero fatto molto affidamento su quella spilungona.
«È bene che sappiate che sull’isola ci sono anche quelli dell’intelligence-affari interni» disse Jean rivelando il suo incontro con Hitch e Marlo.
«Dobbiamo contattarli» commentò Armin.
«Se sono qui il quartier generale dovrebbe saperlo. Mi metto in contatto con Pixis» aggiunse Hanji.
«Noi nel frattempo cerchiamo di capire che fine abbia fatto Yelena» dichiarò Onyankopon.
«Vengo con voi» disse la caposquadra «E tu starai con Levi» aggiunse rivolta a Galliard.

 

Pixis, come immaginavano, fu in grado di dar loro un sacco di informazioni provenienti proprio dal contro spionaggio.
La prima certezza fu che Rod Reiss, grazie ai titani, volesse realmente fare un colpo di stato tramite una strage.
La seconda fu che c’era qualcuno oltre loro che stava tramando nell’ombra per fermarlo. Chi fosse però non era dato saperlo.
La terza invece era un’informazione apparentemente gossippara e inutile, ovvero che l’influencer The Queen da quasi dieci milioni di followers, non si chiamava veramente Historia Lenz, come tutti credevano, ma Krista Reiss
(1) ed era proprio la figlia di quel Reiss.
La quarta informazione, che poteva essere anche abbastanza intuibile, era che Erwin era stato rapito dagli Jeageristi.
«Non capisco che cazzo ce ne freghi a noi della reginetta di Instagram!» sentenziò infastidito Levi.
«Te lo spiego io» si fece avanti Mikasa scura.
«Sono tutto orecchi!».
«È incinta di Eren».
Ci fu un attimo di silenzio sconcertato. Non lo sapeva nessuno a parte Jean, che non mosse un solo muscolo del viso.
«Quindi Eren potrebbe essere in combutta con il quasi-suocero, e aver fatto il doppio gioco» rimuginò a voce alta Armin.
«Potrebbe anche aver inscenato un finto rapimento solo per decapitare la nostra squadra eliminando Erwin!» sbottò Jean.
A quel punto anche Mikasa non potette più tacere e raccontò ogni cosa, anche la più assurda, che le aveva rivelato Eren.
«Qualcosa non torna» commentò Levi meditabondo.
«Anche io la penso così. Perché Eren avrebbe addirittura dovuto fingere un suo sequestro per far rapire Erwin? Anzi avrebbe potuto tranquillamente fare il doppio gioco e attirarci tutti in una trappola a Marley per farci fuori in un solo colpo» commentò Armin.
«Devo fare una telefonata» disse Levi assentandosi un attimo.
«Ci sono troppe cose che non quadrano. Dobbiamo metterci tutti insieme con calma e analizzare capillarmente la situazione, o non ne verremo a capo» suggerì Galliard.
«Aspettiamo che rientrino gli altri e poi facciamo il punto» concordò Sasha.
Connie restò in silenzio, era molto preoccupato.

 

Più tardi di nuovo tutti assieme e attorno ad un tavolo, stavano mettendo al vaglio tutte le informazioni a loro disposizione.
Di Yelena non avevano avuto nessuna notizia utile ma era ormai chiaro che facesse anche lei parte degli Jeageristi
«Allora, riassumendo» cominciò Hanji molto seria. Era stata scelta tramite votazione quasi unanime per fare le veci di Erwin «Eren è il figlio di Grisha e il fratello di Zeke. È un titano e ha un potere molto grande. Attraverso i titani e il suo potere, a quanto pare, vuole rifondare il mondo. Inoltre ha messo incinta Krista Reiss che è la figlia di quel Reiss che vuole fare un colpo di stato. Attualmente sembra sia stato rapito, ma non abbiamo idea da chi e perché».
«Dobbiamo metterci in contato con gli Jeageristi» disse serio Onyankopon.
«E come facciamo?» chiese Piek.
«Lo so io!» esordì Niccolò. Non si era mai espresso ed era sempre stato un passo indietro per via che percepiva che non si fidassero di lui, ma ora aveva l’opportunità di aiutare «Ho il numero di telefono di Floch, ce lo scambiammo quando ancora non sapevo che fosse un traditore» enunciò soddisfatto. Sasha fu contenta che il ragazzo si mettesse in buona luce.
«Dovremmo rintracciare anche Historia, Krista o come si chiama quella tipa di Instagram» propose astutamente Gabi.
«Mikasa tu hai un qualche suo recapito?» le chiese Jean facendo lo gnorri.
Lei lo fulminò con un’occhiataccia «Ma secondo te come cavolo faccio ad aver il suo recapito?».
«Ragazzi calma, ragioniamo, contattiamola tramite il suo numero per le collaborazioni su Instagram» suggerì Armin.

Krista aveva risposto subito, e non si era tirata indietro quando aveva capito la situazione. Fortuna volle che anche lei fosse a Paradise. Sembrava molto preoccupata e anche molto collaborativa. Si era detta disposta a incontrarli, soprattutto per il bene di Eren di cui non aveva più notizie da giorni. Sembrava davvero fuori da ogni dinamica del padre e del fidanzato, ma comunque decisero di non fidarsi e di stare all’erta. La situazione era troppo delicata e niente doveva essere lasciato al caso.
Il numero di Floch risultava attivo, ma squillava e lui non rispondeva alle chiamate di Niccolò. Era dalla sera prima che provano a chiamarlo, quindi erano in attesa di un qualche sviluppo, dato che le ventiquattrore stavano per scadere e ancora non sapevano da che parte rifarsi per poter aiutare Erwin.
Hanji e Levi nel frattempo si erano ritirati in camera loro, erano davvero molto preoccupati per come si stavano svolgendo i fatti. Si sentivano abbandonati al loro destino, senza aiuti esterni e senza un piano, né una pista da seguire per poter aiutare Erwin e liberarlo.
«Ho provato a contattare Kenny» disse il capitano molto serio «Ma non ho ottenuto risposta. Questo mi fa supporre che sia in azione e io sono sicuro che sia qui a Paradise. Non mi stupirebbe se fosse stato proprio lui a rapire Eren. Quella TV accesa e quella scena di quel film sono esattamente cose da lui».
«È vero l’ho pensato anche io, ma potrebbe anche essere un depistaggio» rifletté Hanji pensosa. Anche lei sembrava non cavare un ragno dal buco
Levi annuì «Se è vero come penso che Eren non è stato rapito per finta, credo che gli Jeageristi abbiano bluffato. Non uccideranno Erwin anche se stanno per scadere le ventiquattr’ore. È l’unica moneta di scambio che hanno, non possono buttarla nel cesso così».
Hanji sospirò forte «Lo spero ardentemente anche io».
«Siamo legati mani e piedi, non possiamo far nulla se non attendere, non sappiamo bene chi, o cosa e questo mi manda davvero in bestia!» masticò amaro Levi.
Hanji stava per rispondere ma un bussare intenso allo loro porta li interruppe.
«Che c’è?»  chiese Levi contrariato
«È arrivato un pacco e Floch ha richiamato Niccolò. Vuole parlare con lei» disse Armin piuttosto agitato.
Levi schizzò fuori dalla camera seguito da Hanji.
Si avventò su Niccolò e gli strappò il telefono di mano.
«A quanto pare possiamo giocare a carte scoperte» gli disse beffardo un Floch molto sicuro di sé «Vi comunico che sono il capo degli Jeageristi ufficialmente investito dai grandi Jeager».
«Dimmi dov’è Erwin e come sta, forse ti risparmierò la vita» gli sibilò Levi che non aveva voglia di perdere tempo con quel megalomane.
«Devi stare calmo, non sei tu che hai il coltello dalla parte del manico» gli rispose sprezzante.
È la tua fortuna, imbecille. Quando mi sarai a tiro, con il mio coltello ti sfiletterò come un branzino, brutta testa di cazzo! pensò Levi costringendosi a tacere.
«Non abbiamo Eren. Lo stiamo cercando anche noi» ribadì tentando di apparire calmo. Dentro di lui stava formicolando una strana sensazione che di solito portava con sé sempre cattive notizie.
«Non abbiamo potuto ancora appurare se mentite, o no. Per questo dobbiamo farvi capire che siamo uomini di parola e che non scherziamo» sentenziò Floch molto duramente.
Questa frase gli fece accapponare la pelle.
«Avanti, apri il pacco» aggiunse Floch.
Levi lo mise in viva voce e fece cenno agi altri, che erano stati riuniti da Armin e Mikasa, di fare silenzio, poggiando l’indice sulle labbra.
«Aprite quel pacco» ordinò poi.
«Lo faccio io!» si propose Connie e subito si mise all’opera.
Non appena riuscì ad aprirlo, i suoi occhi furono dilatati da un lampo di terrore e raccapriccio. Non fece neppure in tempo ad emettere un suono che dovette spostarsi di corsa per vomitare sul pavimento tutto quello che aveva in corpo.
«Che caz…» imprecò Levi colmando la distanza tra lui e l’involucro, con tre falcate, ma non appena scorse il contenuto, le parole gli morino in gola.
Nel pacco c’era un braccio mozzato…

 

I monologhi dell’autrice

Note:
(1) Ho voluto scambiare i nomi perché Historia è po’ troppo strano per un contesto più moderno.
A questo proposito vorrei rinfrescarvi la memoria su un fatto non  trascurabile. Questo AU in cui si svolge questa storia è un contesto simile al nostro mondo odierno, ma NON lo è. Si tratta di un mondo simile e parallelo ma non proprio identico in tutto e per tutto al nostro mondo. reale 

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Capitolo 18
*** Eta Beta vs Mary Poppins ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 18 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

18
Eta Beta
vs
Mary Poppins


Tutti erano sconvolti dalla macabra scoperta.
Floch era stato di parola e stava letteralmente facendo a pezzi il povero Erwin.
Alla telefonata era seguito un invio di immagini in cui si documentava che il braccio amputato fosse proprio quello del comandante, anche se fortunatamente l’atto dell’amputazione non era stato mostrato nella sua cruda ferocia.
Erwin veniva ripreso mentre era in un letto. Curato. Con una flebo attaccata al braccio buono, mentre l’altro, quello mozzo, era accuratamente fasciato. Il volto appariva cinereo, sofferente, non doveva essere stata una passeggiata, anche se come agenti segreti erano stati addestrati a sopportare le torture. L’unica cosa che li confortava era che almeno non sarebbe morto, ma la menomazione che gli era stata inflitta era davvero terribile.
Hanji e Levi invece di lasciarsi alla disperazione e ad una legittima preoccupazione per lo stato di salute del loro amico e compagno, si misero subito a darsi da fare per elaborare un piano.
Come al solito si erano tutti riuniti. Ora più che mai dovevano essere coesi e soprattutto rapidi nella risoluzione della faccenda.
«Dobbiamo restare lucidi e freddi. Non è proprio il caso di farsi prendere dalla rabbia, o dall’ansia» commentò seria Hanji motivando i presenti.
Levi avrebbe volentieri elucubrato vari modi per dare una morte lenta e dolorosa a Floch, ma come diceva la donna non era il momento di perdersi dietro desideri di vendetta. La sua fredda determinazione gli venne in aiuto come sempre.
«Per quanto efferato, quell’imbecille non può essere la mente di tutto ciò» commentò a voce alta.
«Che possiamo fare per aiutare il comandante?» chiese accorata Sasha.
«Dobbiamo studiare un piano. Un buon piano, che sia plausibile e che ci permetta di avvicinare questi Jeageristi. Così poi ce la giochiamo come sappiamo fare e riportiamo a casa Erwin» spiegò Hanji.
«Noi siamo con voi al cento per cento» disse Onyankopon.
«Possiamo anche trasformaci in titani se serve» aggiunse Galliard.
Furono interrotti da Armin: «Sta arrivando Krista!» enunciò giulivo. Era lui che l’aveva contattata e invitata poi successivamente al loro albergo.
Mikasa si rabbuiò, cosa che non sfuggì a Jean, ma anche per loro non era tempo di soffermarsi su queste cose, erano ben altre le priorità.
Krista Reiss era indubbiamente bella. Lunghi capelli biondi le danzavano armoniosi sulle spalle. Occhi grandi di un blu intenso. Sorriso solare. Un corpo ancora tonico e snello nonostante la gravidanza avanzata. Fu come se nella stanza fosse entrato un raggio di sole. Questa cosa non sfuggì a Mikasa che pur essendo lei stessa una bellissima ragazza, al suo cospetto si sentiva inadeguata. Scacciò subito questi pensieri e si impose di fare qualunque cosa avesse potuto aiutare Eren ed Erwin.
Dopo alcuni brevi convenevoli, Hanji passò subito al sodo.
«Tu sai qualcosa di questi Jeageristi?».
La ragazza si lisciò una ciocca di capelli, si schiarì la voce e vuotò il sacco.
«Eren me ne aveva parlato. Stupidamente io credevo che fosse un’associazione senza scopo di lucro. Un sorta di gruppo di militanti nel campo ambientale» raccontò mogia.
«E di tuo padre che ci dici?» la incalzò Levi.
«Mio padre?» chiese allarmata irrigidendosi.
«Sì, tuo padre: Rod Reiss».
Krista guardò timorosa quell’uomo basso ma dall’espressione così minacciosa da farle tremare le gambe.
«Dovrebbe essere un segreto che sono sua figlia» rivelò timidamente.
«Spiegati, non abbiamo tutto il giorno. La vita di due persone dipendono da noi!» sbottò infastidito Levi, l’unico che era rimasto totalmente immune al fascino della bella influencer.
«Sono figlia di terzo letto di Reiss. Mi ha riconosciuta perché mia madre gli ha piantato un casino minacciando di sputtanarlo su tutti i tabloid del pianeta, ma io non uso neppure il suo cognome. Non ci sentiamo quasi mai. Mio padre non sopporta che io sia una influencer. Credo che mi detesti. Mi dispiace ma non so assolutamente cosa possa tramare».
«Dice la verità. Ho fatto un controllo veloce in centrale non appena ho saputo che sarebbe venuta da noi. Le informazioni sulla sua natalità e conseguente riconoscimento sono confermate» rivelò Connie solerte con il portatile in mano.
Hanji stava rimuginando.
«Quindi tu sei conosciuta dagli Jeageristi… loro sanno chi sei, giusto?» chiese alla ragazza.
«Sì, certo, sono venuti spesso da Eren. Non partecipavo alle loro riunioni, ma lo confermo: ci conosciamo».
«Ho un piano» enunciò la caposquadra soddisfatta «dunque dobbiamo far credere agli Jeageristi di aver recuperato Eren e addirittura di avere anche la sua compagna incinta, poi gli chiediamo lo scambio con Erwin».
«E di Eren quando ci occuperemo?» saltò subito su Mikasa.
«Una cosa alla volta Ackerman! Non è lui che stanno letteralmente facendo a pezzi!» sbottò spazientita Hanji.
«Ma salverete anche lui vero?» chiese timidamente Krista.
«Certo cara» la rassicurò la donna.
Levi che aveva capito al volo il piano della sua compagna, aggiunse: «Ora dobbiamo solo capire chi vestirà i panni di Eren e chi quelli di Krista».
Piek con le mani sui fianchi prese a girare intorno ad Armin valutandolo da capo a piedi con lo sguardo.
«Non conosco Eren, ma questo qui, con una parrucca bionda e un cuscino legato in vita sarebbe una Krista perfetta!» commentò sorniona.
«Eren lo faccio io!» si propose Jean facendo un passo avanti. Non seppe neppure lui perché lo stesse facendo, o forse sì.
«Ma è proprio necessario?» chiese Armin deglutendo. Era la sua primissima volta sotto copertura ed era molto agitato. Interpretare una donna incinta non era proprio nelle sue corde, né la sua massima aspirazione.
«Non abbiamo tempo da perdere. Armin non discutere, muoviamoci!» lo esortò Levi.

Si misero subito all’opera.
Hanji stava ravanando dentro il suo trolley da camuffo come lo aveva ribattezzato lei stessa. La prendevano tutti in giro, Levi in testa alla fila, tant’è vero che l’aveva soprannominata: Mary Poppins, perché da quel trolley poteva uscire qualunque cosa.
«Ecco qua!» fece soddisfatta estraendo una bella parrucca bionda.
Armin la guardava sconcertato dato che aveva con sé anche un beauty case pieno di trucchi.
«Vedrai come ti sistemo. Sono una maga del camouflage! Ti faccio sparire la barba tramutandoti in una dolce donzella dai boccoli biondi!».
Levi, silenzioso, stava a sua volta rovistando dentro una valigia che si era portato appresso da casa con fare misterioso. Hanji lo osservava a metà tra il curioso e il divertito.
L’uomo improvvisamente tirò fuori una pancia in silicone, da indossare sotto un vestito con una sorta di bretelle.
«O questa?» chiese stupita la caposquadra.
«Fa parte del mio kit da travestimento. Il nano grasso, goffo e con i baffi manubrio è un mio classico» sentenziò Levi arcigno. Odiava travestirsi ma a volte nel loro lavoro era necessario. E sebbene detestasse ammetterlo, l’idea di lei di portarsi dietro anche quei ferri del mestiere, spesso e volentieri si era rivelata una mossa molto azzeccata. Così questa volta aveva deciso di imitarla, e non si sarebbe mai congratulato abbastanza con se stesso per averlo fatto, dato che era stata una scelta provvidenziale.
«Ma tu guarda…» commentò Hanji stuzzicandolo. Intanto stava iniziando la lunga e sapiente trasformazione di Armin in Krista.
«Pochi commenti donna. Sì, è vero, ho preso esempio da te, contenta? E ne sono fiero, questo mi aiuterà a fare fuori nel modo più lento e doloroso possibile quel Floch».
Hanji sapeva quanto fosse in pensiero per Erwin perché a lei stessa sanguinava il cuore, ma dovevano comunque essere distaccati e lucidi e l’ironia, così come il sarcasmo, li aiutava molto in tal senso.
«Ti promuovo a mio assistente ufficiale! Da oggi sarai il mio Eta Beta, dalle cui tasche può uscire perfino una pancia, all’abbisogna!».
Mikasa, nel frattempo, stava acconciando i capelli di Jean, prima ci aveva spuzzato uno spray colorante al mallo di noce per scurirli e ora li stava sistemando con quella mezza coda rincalzata nell’elastico, come usava portarli ultimamente Eren. Oltretutto Jean li aveva un po’ più corti e se non li avesse legati, lo avrebbero sgamato subito. Stava in silenzio mentre la ragazza lo stava preparando. Gli toccava i capelli ed era una sensazione estremamente piacevole. Anche se non era certo il momento, né il luogo, non poté fare a meno di pensare come sarebbe stato se lei lo avesse toccato solo per il puro piacere di farlo.
Sospirò.
«Stai tranquillo ci saremo noi con voi»  disse Mikasa per rassicurarlo, scambiando quel sospiro per preoccupazione.
«Guarda che non ho mica paura» si risentì lui piuttosto scocciato. Si considerava un duro e gli rodeva che lei non se ne accorgesse.
La ragazza nel frattempo, non volendo gli tirò i capelli.
«Ahia!».
«Finiscila!» lo rimbrottò «sei grande e grosso e fai la scena per una tiratina ad un ciuffo!».
Jean abbozzò e non le rispose perché da quando era arrivata Krista l’aveva vista incupirsi. Le si era velato lo sguardo di tristezza e lui non voleva darle il tormento, si rassegnò a farle da capro espiatorio. Certo, avrebbe voluto consolarla, ma sapeva che non era il momento. Forse non lo sarebbe mai stato, anche se in quei giorni si era permesso di indulgere in qualche morbida illusione.
Intanto Hanji stava sapientemente truccando Armin quando Krista, che si era appartata qualche minuto per fare una chiamata, arrivò trafelata.
«Ho notizie su Eren!» disse attirando l’attenzione di tutti i presenti.
Si mise a sedere e sorrise soddisfatta «Ho chiamato mio padre. Ho bleffato fingendo di essere certa che lui lo avesse fatto rapire. L’ho ricattato minacciando di diffondere la notizia di me con la pancia in evidenza che lo accusavo di avermi privata del padre di mio figlio e ha funzionato! Ha ammesso di essere stato lui, ma mi ha assicurato che Eren non rischia nulla è solo una cosa precauzionale».
«E dove si trova?» chiese subito Mikasa.
Krista sospirò «Non sono riuscita a farmelo dire. Ma posso ritentare…» ammise sconsolata.
«Sei stata molto brava. Adesso sguinzagliamo l’intelligence  e il controspionaggio. Sicuramente ne verremo a capo, altrimenti farai un altro tentativo» le disse Hanji, poi fece un cenno a Levi.
Armin era pronto e anche Jean. La trasformazione era terminata e da lontano sarebbero facilmente passati per Eren e Krista.
«Ma sai che mi verrebbe quasi voglia di farti il filo?» disse Connie ad Armin che gli digrignò i denti.
«Ma dai si scherza!» cercò di rimediare, ma Sasha gli ammollò un sonoro scappellotto che lo fece sobbalzare.
«Ma perché devi sempre fare il cretino? Ti pare il caso? Ma ti rendi conto che hanno tranciato un braccio al comandante? Ma non ti vergogni?».
Connie abbassò lo sguardo e divenne paonazzo, masticò due scuse ad Armin e non aprì più bocca
Levi intanto prese il cellulare di Niccolò e chiamò Floch.
Ovviamente quello, da esaltato qual era, si fece attendere un bel po’ poi finalmente rispose.
«Abbiamo recuperato Eren e la sua dama con tanto di pagnotta in forno. Se non volete che cominciamo anche noi a farli a pezzi, troviamoci per lo scambio» disse Levi in modo assolutamente convincente.
«Vogliamo le prove!» saltò su l’altro stizzito. Sperava fosse un bluff. Se davvero avevano anche Krista e gli avessero torto un solo capello, sapeva che Eren li avrebbe uccisi con le sue stesse mani!
Levi, giocando sporco gli riagganciò loro il telefono in faccia.
Poi si rivolse agli altri: «Presto! Legate Jean mani piedi e tappategli la bocca, mettetelo in ginocchio, di spalle, nella zona con meno luce della stanza. E tu…» disse rivolto a Krista, «devi fare la scena. Jean possiamo inquadrarlo solo di spalle e puntargli una pistola alla nuca, ma tu sei qui e devi tenerci il gioco. Ti legheremo e ti punteremo una pistola, ovviamente scarica, sulla pancia. Devi urlare piangere e implorare. Ce la puoi fare?».
La bionda influencer annuì decisa.
Levi rimase piuttosto ammirato, la ragazza aveva dimostrò di non essere solo un bel faccino, ma di avere anche gli attributi. La sua performance fu talmente convincente che lo scambio fu fissato per la sera stessa.
Prima di spiegare a tutti il piano e come procedere, Hanji manifestò le sue perplessità su probabile stato di salute di Erwin.
Si fece avanti Onyankopon: «Sono laureato in medicina e a Mitras, il quartiere abbandonato dove c’è la fabbrica e il nostro quartier generale, abbiamo arrangiato un ospedalino di fortuna. Ho alcuni collaboratori in gamba: Petra Ral, Rico Bretzenska e Ghunter Shultz. Sono in grado anche di operare, se necessario, ci sono stati utilissimi, si occuperanno di Erwin finché non lo trasferirete via da Paradise». Aveva precisato dando le generalità dei tre perché così potessero controllare le credenziali e accertarsi che non fossero spie nemiche.
Levi d’un tratto aveva cambiato espressione ed era rimasto molto sorpreso pur non dicendo una sola parola. Hanji se n’era accorta subito, ma avrebbe chiesto spiegazioni in un secondo momento, ora era tempo di mettere a punto il piano e tirare fuori Erwin, possibilmente senza nessuna perdita.


Falco per facilitare le cose si era trasformato e si era presentato già sotto forma di titano. Aveva trasportato Gabi, Sasha, Mikasa, Galliard, Piek e Onyankopon, sul tetto di un edificio a Marley, in prossimità di dove sarebbe dovuto avvenire lo scambio di lì a poco.
Così avevano baipassato ogni controllo.
Era notte fonda e per fortuna la luce fioca dei lampioni non era stata sufficiente a farli scoprire. Fino ad ora il piano stava funzionando bene.
I sette erano appostati, armati fino ai denti. Non sapevano che cosa li attendesse, ma erano pronti a dar battaglia e a cogliere il nemico di sorpresa se fosse stato necessario.
«Falco devi andare via, devi tornare da Niccolò, Connie e Krista al magazzino» gli disse Onyankopon.
Il mutaforma scosse il becco in senso di diniego.
«Non voglio discutere con te! Non puoi mandare all’aria l’operazione. Vuoi farci scoprire? Non sei esattamente un passerottino! Ci sono Piek e Galliard se serve. Tu vattene» gli ribadì deciso.
«Non farmi incazzare Falco!» aggiunse Gabi puntando contro di lui il suo fucile.
A quel punto il ragazzo si arrese, non voleva essere d’intralcio, spiegò le ali e spiccò il volo.

Intanto i falsi Eren e Krista legati e imbavagliati, venivano condotti da Levi ed Hanji verso il punto di scambio concordato.
Li stavano trascinando in malo modo per rendere tutto più credibile.
«Siamo quasi sul posto, voi siete arrivati?» chiese Hanji parlando alla mini ricetrasmittente posizionata sul cinturino del suo orologio da polso.
«Siamo appena atterrati» rispose Mikasa.
«Bene state all’erta pronti ad intervenire se ce ne fosse bisogno».
«Ricevuto!».
Non fecero in tempo ad interrompere la conversazione che dal buio della strada emersero Floch e Yelena che stavano trascinando su una lettiga di fortuna Erwin.
«Manteniamo la calma. Sapete bene cosa fare e quando agire» disse Levi.
Si fermarono di colpo fronteggiandosi da non molto lontano, ma abbastanza perché la pantomima potesse funzionare.
«Voi ci consegnate Erwin e noi poi vi diamo Eren e Krista» disse Hanji con calma.
«Sì, certo, e io sono babbo natale!» li schernì Floch.
«Faremo lo scambio contemporaneamente. Prima Krista e poi Eren» disse Yelena con un tono che non ammetteva repliche. Dovevano mettere al sicuro il futuro figlio di Eren, o lui, ne era certa, gliela avrebbe fatta pagare. Inoltre era l’unica di cui avessero avuto la certezza fosse proprio lei.
Levi arpionò il braccio di Armin e lo strattonò trascinandoselo dietro.
Il ragazzo incespicò con le mani legate dietro la schiena cercando di tenere il passo. Faceva tutto parte della sceneggiata.
Dal lato opposto avanzava Yelena trascinando la lettiga.
Sembrava andare tutto bene.
«Mandate avanti la ragazza» comandò Yelena.
«E tu avanza con Erwin» ribatté Hanji.
Ma all’improvviso, ci fu uno strano fenomeno. Il cielo fu parzialmente illuminato da un lampo silenzioso a cui seguì qualcosa che somigliava alla detonazione, totalmente afona, di una bomba.
Dalla polvere di quella specie di esplosione silente e inaspettata emerse una scimmia enorme dai denti aguzzi, che sghignazzava sguaiatamente.

 

I monologhi dell’autrice
Il ripostaggio continua, oggi sto recuperando anche quello che non ho potuto fare ieri.
Grazie della pazienza!

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Capitolo 19
*** La talpa ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 19 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

19
La talpa

«Lo sapevo io! Quella scimmia di merda è viva!» ruggì Levi fermandosi di colpo ed estraendo la pistola che puntò alla testa del povero Armin, il quale se la stava per fare sotto.
«Cazzo, che facciamo, mi trasformo anche io?» chiese subito Galliard pronto.
«Atteniamoci al piano. Lasciate che Levi ci dia il via, prima di allora nessuno si muova» comandò Onyankopon.
«Ehi Zeke, sei fai un passo le faccio saltare le cervella» disse Levi.
«Uh uh uh!» sghignazzò lo scimmione «Il piccolo Levi ha scoperto il mio segretuccio!».
«Hai capito barbone di merda? Ho detto che le sparo!».
«Non me ne frega nulla di quella lì. Fai pure. Io voglio solo il mio fratellino».
«Ma capo che dice? Eren andrà fuori di testa se capita qualcosa a Krista!» disse Floch sbigottito.
«Che devo fare io?» chiese Yelena annoiata tenendo saldamente la lettiga con Erwin.
«Intanto vorrei rendere partecipe il nostro amato nano che sono stato io in persona a recidere l’arto ad Erwin» e parlando mostrò le sue unghie affilate come lame «Ho fatto un lavorino di fino, un taglio oserei dire da professionista».
«Lo sai vero che ti darò una morte lenta e molto dolorosa!» gli disse con una calma carica di odio Lei. Faceva paura era freddo come non mai.
Anche Hanji era concentrata pronta a dare battaglia.
«Certo, come no, piccolo insetto, sono proprio curioso di vedere come farai».
Improvvisamente si sentì la terra come se tremasse e un orda di titani scoordinati apparve in lontananza.
«PIEK, MIKASA» urlò Levi «ORAAA!».
In pochi secondi scoppiò il finimondo.
Piek furbescamente aveva approfittato della trasformazione di Zeke per trasformarsi a sua volta e non dare nell’occhio.
Levi nel frattempo liberò in velocità Armin, che si strappò la parrucca dalla testa e impugnò le pistole. Hanji sfoderò l’M3D e arpionò direttamente una spalla della scimmia. Fu velocissima e imitò Armin nell’allenamento. Gli sparò dritto negli occhi accecandolo momentaneamente.
Nel frattempo Levi, rimasto a terra, estrasse dal dietro dei suoi pantaloni uno aikuchi
(1) affilatissimo, e come se fosse stato burro, gli recise prima un tendine d’Achille e poi l’altro. Zeke cadde in ginocchio con le mani sugli occhi e cominciò a fumare copiosamente dalle ferite appena ricevute.
Yelena rimase immobile come se fosse spaesata, ma Piek arrivò a sorpresa alle sue spalle e con una mossa rapida e precisa prese in bocca la lettiga con Erwin, quindi smanacciò colpendola e lasciandola a terra dolorante. Poi fuggì veloce correndo a quattro zampe.
Zeke fu subito circondato da un elevato numero di titani che lo proteggevano mentre cercava di rigenerarsi.
Floch non si diede per vinto e cominciò a sparare come un pazzo. Per poco non ferì Armin. Levi scansò agilmente le sue pallottole e rispose al fuoco, ma lo mancò.
Floch allora si lanciò di corsa verso colui che credeva Eren e quando arrivò da Jean, prima che si rendesse conto della truffa, l’altro approfittando del caos si era liberato le mani (era stato legato in modo che al momento opportuno potesse farlo) arpionò un muro e mentre saliva fece una piroetta tendando di colpire Floch, ma non ci riuscì neppure lui. Quel tipo sembrava addestrato a schivare i colpi, era veloce in modo impressionante.
Ma anche la fortuna ha una data di scadenza e dal tetto, una concentratissima Gabi, in modalità cecchino, prese la mira e sparò a Floch colpendolo in pieno, infatti stramazzò al suolo.
Nel mentre Mikasa, lasciandosi dietro una scia di cadaveri fumanti, grazie al lancia granate, si era spostata sui tetti molto in avanti per sparare nel mucchio dei titani scoordinati. Il suo scopo era di farne fuori più possibile, o per lo meno di rallentarli.
Zeke intanto tentava in tutti i modi di stare al riparo, soprattutto era concentrato a proteggere la sua nuca perché non fosse impallinata da una RIP.
Levi, con l’auto di Hanji, Armin e Jean, si stava preparando ad attaccarlo per terminarlo e ci sarebbero sicuramente riusciti, se all’improvviso, il fumo molto denso prodotto dalla rigenerazione di Zeke, non avesse creato una gran confusione, seguita da un fuggi fuggi generale. Per proteggersi aveva dilaniato lui stesso dei mutaforma il cui miasma lo aiutava a stare nascosto e al sicuro. Tutto questo aveva anche reso vana la trasformazione di Galliard che non riusciva a vedere ad un palmo dal suo naso.
Mikasa intanto indefessa continuava a lanciare granate sui titani scoordinati in un tripudio di teste, gambe e braccia che volavano in aria, uccidendone anche molti, mentre altri cercavano riparo per aspettare la rigenerazione.
Ci sarebbe voluto più di qualche minuto perché si disperdesse tutta la caligine da lei stessa causata.
Nessuno poteva far nulla se non asserragliarsi per scongiurare attacchi a sorpresa.
Infatti, un nutrito gruppo di Jegeristi cominciarono a far saettare dei proiettili che spuntavano da quella nube enorme tentando di coglierli di sorpresa.
«Dobbiamo ritirarci!» gridò a gran voce Levi «ragazzi palesatevi e ditemi che avete capito».
Risposero tutti all’appello tranne Mikasa e Onyankopon.
«Vado io a recuperare Mikasa! Voi cercate Onyankopon!» disse subito Jean puntando l’M3D sul tetto e salendo in velocità. Una volta arrivato su cominciò a correre in direzione del rumore del lancia granate. La visuale era ancora inibita dalla fitta nebbia dei titani, ma la ragazza si era spinta molto in avanti per contrastarne l’avanzata e dove si trovava il fumo era ora più rado e l’angolazione di tiro molto buona. Era pericoloso per lei, perché poteva essere esposta al fuoco nemico, anche se sembrava ci fossero solo titani che si muovevano senza senso.
L’aveva quasi raggiunta, quando sbucò all’improvviso Yelena che, seppur malferma, estrasse la pistola e mirò verso di loro.
Jean capì subito le sue intenzioni, non c’era tempo doveva agire ed essere velocissimo.
«MIKASAAAA!» la chiamò urlando più forte che poteva, poi con uno slancio disperato si proiettò verso di lei, l’afferrò per le spalle e con forza la obbligò a fare un mezzo giro su se stessa, mentre la riparava con il proprio corpo dando le spalle ad Yelena, che prese la mira e premette il grilletto. Jean con tutta la forza che aveva in corpo cercò di trascinarla a terra.
Mentre stavano cadendo fu colpito in pieno e urlò di dolore.

 

*

Erwin era sedato. Qualcuno tra quei delinquenti sapeva il fatto suo in fatto di medicina e chirurgia. Era stato medicato e ricucito bene, inoltre lo avevano quasi sempre tenuto incosciente. L’amputazione per fortuna era stata eseguita decentemente. Ora si trattava di tenere sotto controllo il moncherino e scongiurare infezioni.
Era stato affidato alle cure della dottoressa Petra Ral.
Ad Hanji non sfuggì l’occhiata che la donna e Levi si erano scambiati, non appena erano giunti in quell’ospedale. Lui era impenetrabile come sempre, ma lei era senza dubbio in imbarazzo. Si era comunque dimostrata una professionista molto seria.
«Faremo tutta una serie di esami per controllare che non ci siano infezioni in corso. Ad un primo esame superficiale sembrerebbe in buone condizioni, la ferita si sta rimarginando, non sappiamo però quando sangue abbia perso. Forse potrebbe necessitare di una trasfusione, ma per ora sono solo congetture. Aspettiamo che si svegli. Nel frattempo lo teniamo monitorato, la setticemia è attualmente il pericolo più grave che potrebbe correre» spiegò Petra, dando di tanto in tanto delle fugaci occhiate a Levi che invece sostenne il suo sguardo senza battere ciglio.
«Siamo felici che sia arrivato vivo e che sia affidato alle vostre cure» constatò Hanji.
«E di Onyankopon non sapete nulla?» chiese Petra dando le spalle a Levi, cercando qualcosa da fare per mascherare il suo disagio. Era una cosa stupida, ma era più forte di lei, non poteva farci niente. E poi era stata colta alla sprovvista.
«No. Non abbiamo notizie. È sparito nel nulla.» rispose Levi molto serio e pensoso.
«Capisco…» commentò lei esibendo un sorriso tirato di circostanza.

Qualche metro più avanti in un’altra stanza un dolorante Jean stava facendo a pugni con il suo orgoglio.
Rintuzzato nel lettino stava rivivendo l’attimo in cui aveva fatto l’eroe salvando Mikasa. Sarebbe andato tutto a meraviglia se quel maledetto proiettile non avesse deciso di colpirlo in un posto davvero inglorioso, ovvero una chiappa.
Alla fine era stata lei a trarlo in salvo trascinandolo via con sé. Si sentiva così idiota. Sospirò e aprì gli occhi.
La vide subito. Era lì, accanto al letto che lo stava vegliando con aria preoccupata.
Il suo cuore mancò un battito e gli venne da tossire nervosamente.
«Ehi? Stai bene?» gli chiese lei avvicinandosi.
«Sì… io… credo di sì» farfugliò confuso arrossendo come uno scolaretto. Che fosse al suo capezzale non se lo sarebbe mai aspettato.
Fece per tirarsi su a sedere, ma una fitta dolorosa alla natica gli mozzò il fiato.
«Cazzo se fa male!» guaì digrignando i denti.
«Sei stato fortunato. Il proiettile ti ha colpito di striscio. Potevi compromettere l’uso della gamba».
«Che figura di merda farsi colpire al culo!» brontolò abbassando lo sguardo.
«Sei stato eroico, mi hai salvato la vita. Hai dato la schiena al nemico per proteggermi, avresti potuto morire. Non lo dimenticherò mai» gli disse poggiando una mano sul dorso della sua.
Jean si sentì come divorare da una sensazione che lo turbava in un modo strano, avrebbe dato un braccio per avere la sue attenzioni, ma nella realtà era bastato farsi sforacchiare il sedere.
«Sciocchezze. Anche tu l’avresti fatto per me. Siamo una squadra no?» si sminuì.
Lei si sporse ancora un po’ avvicinandosi al suo viso, i suoi capelli lo solleticarono gentilmente, poi se li spostò dietro l’orecchio e gli posò un bacio lieve su una guancia.
Questa volta il suo cuore perse diversi battiti per poi cominciare a galoppare come un cavallo imbizzarrito e cominciò quasi a boccheggiare, avrebbe potuto approfittarne ma rimase immobile.
«L’ho sempre immaginato che dietro quel fare da spaccone eri un bravo bravo ragazzo. Sei stato un eroe, goditi il tuo momento» gli disse alzandosi e regalandogli uno di quei sorrisi che di solito erano appannaggio esclusivo di Eren.
«Riposati. Ci vediamo presto» disse infine lasciandolo lì come un baccalà.
Qualcosa gli diceva che forse aveva una remota speranza. Tra pugni e bacetti sulla guancia forse…
Con un sorriso ebete stampato sulla faccia si lasciò scivolare disteso, ignorando il dolore causato dall’ingloriosa ferita.

 

*

«Sono quasi certo che Onyankopon abbia approfittato della confusione per passare al nemico, a patto che non sia sempre stato uno di loro» commentò pensoso Levi.
«Ma sei sicuro?» chiese scossa Hanji che era incredula.
«Lo ha detto Gabi, ha notato che si allontanava insieme ad Yelena. La sua faccia, mentre me lo raccontava, tradiva una delusione che è difficile simulare ameno che tu non sia un brillante attore».
«Quindi pensi che sia un infiltrato? Un doppiogiochista? Una talpa?».
«Francamente non so proprio cosa pensare, ma ho chiesto a Gabi di tenere la bocca chiusa finché non avremo certezze. Non divulgheremo niente senza prove certe».
«Sì, approvo. Ora bisogna occuparci della salute di Erwin e di recuperare Eren, poi penseremo a eventuali traditori». Detto ciò ci fu un attimo di silenzio poi Hanji gli fece quella domanda che le pizzicava la punta della lingua già da un po':
 «Senti, ma tu conosci la dottoressa Ral?».
«Sì» rispose lapidario Levi con lo sguardo fisso sulla strada. Erano in macchina e stava guidando per raggiungere il magazzino della resistenza.
La donna capì che era un argomento spinoso, ma voleva sapere. Del resto era curiosa per natura.
«Strano che non vi siate salutati, o scambiati dei convenevoli».
Levi continuava a guardare la strada accigliato.
«Sii diretta Hanji e chiedimi che cosa vuoi sapere».
«Perché avete finto di non conoscervi, quando era palese il contrario?».
«È una lunga storia» tagliò corto l’uomo.
«Sono tutta orecchi. Del resto so veramente poco della vita passata di mio marito».
Levi sbuffò, era una cosa di cui non aveva molta voglia di parlare ma conosceva Hanji, non gli avrebbe dato tregua. Lei e la sua maledetta curiosità!
«L’ho conosciuta quando Erwin mi arruolò alla CIA. Era l’assistete del medico che ci faceva i corsi di primo soccorso, utili per le missioni di guerra».
Prese fiato e scalò di marcia rallentando l’andatura dell’auto.
«Ero molto più chiuso all’epoca. Non davo confidenza. Risultavo arrogante e asociale, molto più di adesso» ammise.
«Indossavi ancora la tua spessa corazza allontana-persone» gli disse la caposquadra sorridendo.
«Già, ma per qualche strana ragione che non ho mai compreso, questo atteggiamento mi rendeva molto popolare tra le donne» ammise ancora piuttosto sorpreso. Era una cosa che aveva mai capito: gli uomini lo detestavano e le donne lo trovavano intrigante. Bah… per lui erano tutte matte.
Hanji ascoltava curiosa e anche un po’ sulle spine a dire il vero. C’era una gran parte della vita dell’uomo che amava che le era totalmente oscura.
«Insomma per farla breve lei aveva una cotta per me. Non l’ho mai incoraggiata. Insomma Petra era ed è davvero carina, una ragazza dolce, ma anche risoluta, una con le palle, ma non ho mai voluto averci a che fare».
«Non ti piaceva?».
«Cazzo Hanji ma dobbiamo proprio sviscerare la cosa?».
«No se non vuoi, ma magari ti fa bene». Aveva intuito che tra loro ci fosse una sorta di irrisolto che lo faceva star male. Era chiaro da come stesse reagendo.
«Sì mi piaceva ma non ero pronto per una storia, avevo troppi casini in testa quindi le sono stato alla larga, poi una sera…».
Hanji si domandò se avesse fatto bene a insistere, all’improvviso lui era in difficoltà e Levi non era mai in difficoltà. Che provasse ancora qualcosa per lei?
«Insomma una sera ero ubriaco e ci stavo per andare a letto. Per fortuna però alla fine non è accaduto nulla. Il giorno dopo l’ho trattata davvero male solo per ristabilire le distanze e toglierle ogni illusione».
«L’amavi?» le scappò detto con più ansia di quello che avrebbe voluto.
«Ma certo che no!» si stizzì lui «Mi piaceva perché era dolce e gentile, ma come puoi amare una persona con cui non hai alcun tipo di rapporto se non quello di lavoro?».
Hanji si sentì stranamente sollevata e il suo viso la tradì perché lui se ne accorse subito.
«No dai, non dirmi che sei gelosa! Non è da te» la rimproverò quasi.
«Un po’ di ansia me l’hai fatta venire, abbi pazienza, che ne so io che cosa c’era, o c’è tra voi, permetti che mi possa preoccupare almeno? Poi tu sei così misterioso riguardo il tuo passato».
«Il fatto è che lei il giorno dopo ebbe un brutto incidente con la moto. Si schiantò contro un albero e rimase in coma. Andai a trovarla e suo padre mi disse che le aveva confidato di essersi innamorata di un collega, che immaginai potessi essere io. Questa cosa mi devastò. Mi sentii responsabile di quello schianto, così sparii e non mi feci più vedere. Non sapevo neanche che si fosse ripresa così bene. L’ho semplicemente cancellata dalla mia vita».
Fermò di colpo la macchina si girò verso di lei, il suo sguardo era ferito tradiva un dolore mai sopito.
«Non parlo molto del mio passato, perché Hanji, credimi, ero davvero una persona di merda. Anche con lei sono stato una vera testa di cazzo. Invece di rimanere ad aiutarla sono scappato come un codardo. Il suo incidente mi ricordava troppo la morte di Farlan e Isabel, che come ti ho raccontato si schiantarono con la macchina. Non riuscii a gestire la faccenda perché il dolore per la morte dei miei due fraterni amici, oggi come allora, è ancora vivido dentro di me e mi condizionò, la fuga sì presentò come l’unica soluzione per me. Credimi non ce l’avrei fatta a sopportarlo una seconda volta…»
«Non è esattamente così Levi, vedi io credo…» cominciò a dirgli per tranquillizzarlo, ma il suo cellulare stava squillando insistentemente e dovettero interrompersi.
«Pronto?» fece la donna.
«Sono Connie tra quanto arrivate al magazzino?» le chiese il ragazzo agitato.
«Siamo sulla strada» rispose Hanji e poi aggiunse «Oh no ma come? Arriviamo subito».
«Che succede?» chiese Levi rimettendo in moto l’auto.
«Si sono fatti scappare Krista!» spiegò la donna agitata.

 



I monologhi dell’autrice

Note:
(1)
L'aikuchi (
合口匕首) o anche kusungobu (九寸五部) era una particolare tecnica di montaggio delle lame giapponesi in epoca medievale che poi ha dato anche il nome ad un tipo particolare di pugnale giapponese con lama di tipo Tanto montata su Tsuba con decorazione.
Avrei potuto usare un normale pugnale in dotazione all’esercito o alle forze speciali, ma essendo il nostro Levi, nel canon, un maestro nell’uso di lame e coltelli, l’ho immaginato come un cultore di armi da taglio e ho pensato che un’arma giapponese di foggia antica che veniva spesso usata anche dai Samuari potesse essere più appropriata al personaggio 
😉
Sotto potete trovare una fotina esplicativa!



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Capitolo 20
*** Calma apparente ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 20 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

20
Calma apparente

 

Erwin stava decisamente meglio. Si era svegliato e aveva confermato quello che aveva detto Zeke, ovvero che era stato proprio lui a menomarlo.
«Deve essere stata un’esperienza terribile» commentò Hanji accorata.
«Non ricordo molto a dire il vero. Mi sono ritrovato per strada a Marley tra Floch e Yelena, poi è apparso quello scimmione che con una zampata mi ha reciso di netto il braccio e… sono svenuto».
«Quindi quell’infame ti ha aggredito ancora prima di minacciarci?» sibilò Levi.
«Ormai non ha più importanza» disse Erwin serio. Non lasciava trasparire quanto stesse soffrendo e quanto gli pesasse quella situazione, ma Levi lo intuiva ed era furioso.
«Lo farò a pezzi!» aggiunse invelenito.
Erwin tossicchiò «Vorrei proprio vederti…».
«Gli infilerò una granata su per il buco del culo e una in bocca, vediamo se poi avrà ancora voglia di fare lo spiritoso».
«Potremmo farlo in contemporanea, tu ti occupi del culo e io della bocca» aggiunse Hanji seria.
Nonostante la tragicità del momento, ad Erwin scappò un mezzo sorriso. Li conosceva bene e sapeva che era il loro modo per fargli sentire la loro solidarietà.
«Ragazzi davvero sto bene. Sono felice di essere vivo e vi sono grato per avermi salvato, ma ora più che mai è necessario essere freddi e lucidi. Dobbiamo lasciar perdere le vendette personali e focalizzarci sulla missione».
I due annuirono. Il capitano era comunque determinato ad uccidere Zeke, ma per il momento non ne parlò più rispettando il volere di Erwin. Poi insieme gli dettero le ultime (brutte) notizie. Ovvero che Krista era sparita e Onyankopon era quasi sicuramente un traditore.
«Posso capire la ragazza. È incinta, probabilmente ama Eren che è il padre di suo figlio, ma Onyankopon mi ha colto di sorpresa. Pixis contava davvero su di lui e poi ha messo in piedi la resistenza, che senso ha il suo voltafaccia? Qualcosa mi sfugge…» disse toccandosi il moncherino. Hanji notò che lo faceva spesso, era come se volesse accertarsi che davvero gli mancasse un braccio. Come sovente accade il suo cervello lo percepiva ancora intero.
«Certezze non ne abbiamo ma Gabi è sicura di averlo visto allontanarsi con Yelena. Forse ha sempre fatto il doppio gioco, non è da escludersi, così avrebbe saputo in anticipo tutte le mosse del nemico» spiegò Levi.
Erwin sospirò.
Hanji era insolitamente silenziosa. Era preoccupata. Questa missione si stava rivelando davvero troppo pericolosa e temeva per la vita di tutti loro. Inoltre era molto avvilita per Erwin. Quella menomazione poteva mettere fine alla sua carriera nella CIA.
Stava per chiedergli come si sentisse in merito, quando irruppe nella stanza Sasha.
«È tornata Krista! Non era fuggita! Quella ragazza è una forza, ha costretto il padre a farsi dire dov’è Eren!»
«Oh bene arriviamo subito» cinguettò Hanji rinfrancata.
«Fermi! Non andate da nessuna parte. Fate venire tutti qui» dichiarò perentorio Erwin.
«Dobbiamo chiedere ai medici, non so se è il caso, questo è pur sempre un ospedale» rimuginò la donna.
«Cercavate me?» fece il dottor Ghunter Shultz che si palesò facendo capolino dalla porta.
«Ciao Gunter! Senti devo fare una riunione con i miei e vorrei farli venire qui».
«Non se ne parla nemmeno» s’intromise severa Rico, che arrivò da dietro.
Ci fu una breve discussione poi Erwin, come sempre riuscì ad essere persuasivo e gli concessero, in via eccezionale, di far venire più persone al suo capezzale.
Nel frattempo Jean stava per essere dimesso. La chiappa gli faceva un male cane ma era di buon umore. Mikasa era stata a trovarlo spesso. Certo era ovvio che gli fosse grata di averla salvata, ma lui cominciava davvero a pensare che forse, da qualche parte, per lui ci fosse una speranza.
Stava sistemando i suoi effetti nel borsone per poter uscire dall’ospedale, quando un rumore attirò la sua attenzione.
Se la trovò davanti e fu come se i suoi desideri si fossero materializzati evocandola. Le sorrise sincero, le parve più bella di sempre. Forse dopotutto non era solo pietà quella che gli riservava. Mikasa gli sorrise di rimando, schiuse le labbra per parlare, quelle labbra piene e morbide di cui ricordava ancora perfettamente il sapore.
Accadde tutto in modo molto naturale e piuttosto veloce.
Le si avvicinò, le carezzò il viso con una mano scostandole i delicatamente i capelli. Si chinò appena su di lei chiudendo gli occhi e  cercando la sua bocca. Affondò una mano tra quelle ciocche setose e con l’altra l’attrasse a sé. Le schiuse le labbra con le proprie e cercò la sua lingua che lambì dolcemente. Volle assaporare quel bacio come se fosse un frutto delicato e succulento. Si prese tutto il tempo per gustarsi e centellinarsi quel momento. Sembrava quasi poter diventare il preludio a qualcosa di più intimo ed intenso, ma non voleva aver fretta e rovinare tutto. Aveva aspettato così tanto…
Mikasa rimase sopraffatta da quell’assalto inaspettato, dolce, ma deciso, che la travolse ubriacandola. Dopo un primo momento di sorpresa, schiuse le labbra e accettò quel bacio aggrappandosi a lui. Non seppe spiegarsi perché, ma non poté fare a meno che accoglierlo. Forse lo desiderava senza neanche saperlo. Sentì il ventre sfarfallare riconoscendo quella sensazione che era così piacevole e nascondeva l’urgenza di qualcosa di più, qualcosa che non avrebbe mai lontanamente immaginato di desiderare da Jean. Si spaventò a morte, e come la puntina di un vecchio giradischi, che graffia un vinile, l’incanto si ruppe bruscamente. Con forza si staccò da lui.
Aveva il fiato corto e le gote violacee dall’imbarazzo, che la sua reazione sconsiderata le aveva provocato. Era forse impazzita?
«Ero… venuta solo per dirti che…. ci aspettano nella camera di Erwin sappiamo… dove si trova Eren» farfugliò ancora molto in confusione, con lo sguardo basso e il viso in fiamme.
Jean che non capiva perché prima gli si fosse arresa totalmente e poi si fosse staccata come se lui avesse la lebbra, a sentire quel nome perse le staffe.
«Ma vaffunculo tu e lui!» le grugnì contro arrabbiato «Basta non ne voglio più sapere di te. Sono proprio un cretino, ah ma da oggi si cambia musica! Voglio terminare questa  missione, salvare il tuo amatissimo e preziosissimo Eren e poi voglio dimenticare che tu esista. Sei una causa persa Mikasa Ackerman e io voglio, no, anzi: io mi merito di più» e detto ciò afferrò il suo borsone e zoppicando vistosamente uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Lei lo guardò andare via ancora frastornata. Si toccò le labbra ancora tumide per via di quel bacio così travolgente da aver azzerato tutte le sue certezze. Avrebbe voluto fermarlo, ma aveva la gola secca e il cuore in tumulto.
Non ci stava capendo più niente e forse era meglio così. Si sciacquò il viso al lavandino del bagno appena fuori la stanza, si guardò allo specchio e si dette della deficiente. Altro che limonare con Jean Kirschstein, c’erano cose ben più importanti da fare, si rimproverò aspra.

 

*

Krista era su di giri e stava spiegando a tutti come erano andate le cose.
«Sono scappata per minacciarlo di persona. Porgo le mie sincere scuse a tutti ma non c’era tempo per chiedere se potevo farlo o meno e ho deciso da sola, soprattutto per il bene di Eren. Ho detto a mio padre che se non mi rivelava dove fosse, passata mezz’ora il mio social manager avrebbe pubblicato tutto su Instagram, storia del rapimento compresa. Questa storia del social manager deve averlo impaurito parecchio, ha temuto per la sua carriera politica e ha cantato come un uccellino. E pensare che io manco ce l’ho il social manager!» ammise ridacchiando soddisfatta.
«Possiamo arrivare al dunque?» chiese impaziente Levi.
«Sì ecco, Eren è tenuto prigioniero in una delle ville che mio padre ha proprio qui a Paradise. Ha promesso di farmelo incontrare per rabbonirmi» rivelò eccitata. Per lei era tutto nuovo e anche avvincente.
«Sì ma suppongo ci saranno delle guardie, un sistema d’allarme» commentò Hanji.
«Di questo non abbiamo parlato, posso dirvi però che questa villa è dotata di una dependance che ospita una piccola spa e una palestra. È stata costruita davanti all’abitazione e comunica con la casa tramite dei corridoi sotterranei. Non so esattamente dove sia Eren ma voi potreste intrufolarvi da lì eludendo eventuali guardie».
«Ma dobbiamo fidarci di questa? Chi la conosce? Prima sparisce, poi torna» bofonchiò Connie.
«Credo sia sincera, io e Mikasa la conosciamo dai tempi del liceo. Histo... no, anzi, Krista forse può apparire ingenua, ma è una ragazza sveglia e leale» spiegò Armin facendosi avanti.
«Io direi di tentare, al momento è l’unica pista che abbiamo per recuperare Eren» aggiunse Mikasa suo malgrado.
«Certo! Buttiamoci in bocca al nemico in nome della salvezza di Eren!» sbottò Jean irritato.
«Ha ragione, non possiamo rischiare! Io non mi fido è una trappola!» gli dette man forte Sasha.
E cominciò un’accesa discussione tra chi era pro e chi contro.
«Basta!» tuonò Erwin ad un certo punto «Avrò anche un braccio in meno, ma comando ancora io! Fate silenzio! Penserò ad un piano. Come avrete notato quelli della resistenza non sono stati convocati. Non vogliamo ingerenze questa volta. Ergo, questa missione sarà solo roba nostra. E ora ascoltate…» si interruppe e guardò Krista: «Scusa, mi dispiace, ma tu non puoi conoscere i dettagli. Cerca di capire, non sappiamo più di chi fidarci» e la invitò ad uscire dalla stanza scortata da Mikasa.

Il piano di Erwin era semplice e sembrava anche efficace. Avrebbero agito non appena Reiss avesse chiamato la figlia per l’incontro con Eren.
Intanto sarebbero stati contattati quelli dell’intelligence per vedere di reperire ulteriori informazioni.

 

*

 

Hanji uscì dalla doccia, si stava frizionando i capelli e notò Levi con gli auricolari disteso sul letto, con le braccia incrociate sotto la testa, che con sguardo severo osservava il muro davanti a lui.
Aveva passato più di un’ora a pulire e lucidare le sue pistole, poi si era messo lì e non si era più mosso.
«Che stai ascoltando?» gli chiese guardinga, ma sorridendo.
Lui si tolse una cuffietta «Che hai detto?».
«Che ti preoccupa Levi?» gli chiese senza preamboli.
«Tutto» rispose criptico e scuro.
«Ce la faremo anche questa volta» disse la donna sedendosi accanto a lui nel letto.
Lui le regalò uno sguardo indecifrabile «Erwin è rovinato per sempre. Forse sarà addirittura congedato. Magari gli daranno una misera pensione d’invalidità…» mugugnò.
«È più forte di quello che sembra e poi fa parte del nostro mestiere correre certi rischi».
«Se capitasse a me non so come reagirei».
Hanji gli carezzò una guancia, poi allungò il collo e gli diede un bacio sulle labbra.
«Sei insolitamente vulnerabile e questo non è da te».
Lui non rispose.
«Già immagino che ti incazzerai ma te lo dirò comunque» cominciò cauta la donna.
«So bene che farti tenere la bocca chiusa è impossibile».
«Credo che c’entri quella Petra» disse andando dritta al punto.
«Senti non cominciare, non è il caso che tu mi scassi le palle con questa storia».
«Levi devi parlare con lei, devi chiarirti e…».
Lui stava per interferire ma Hanji tirò fuori gli attributi.
«Non azzardarti ad interrompermi Levi Ackerman. Per una volta tanto: zitto e ascolta!».
Sapeva che quando faceva così era determinata e non si sarebbe fermata, quindi le fece un gesto rassegnato perché proseguisse.
«Dicevo che devi chiarirti con lei. E a proposito di quello di cui parlavamo nella macchina, tu non sei affatto una persona di merda. Hai un passato di merda, quello sì, ma tu sei uno dei migliori uomini che abbia mai conosciuto. Santa pazienza Levi, chi si ferma all’apparenza del nano-incazzoso-sboccato, con manie ossessive compulsive per la pulizia, non ha capito proprio niente di te! Ma io ti conosco, so chi c’è dietro quella faccia perennemente infastidita e annoiata. Sei empatico, sei leale, sei uno su cui si può contare. Sei un brav’uomo».
«Certo, come no, infatti con lei me la sono data a gambe levate! Proprio uno affidabile!».
«Beh concediti di non essere perfetto, perché come tutti noi non lo sei, ma puoi rimediare. E quando intendo rimediare non penso a te che dilani Zeke per dare ad Erwin il tuo appoggio e dimostrargli che non lo abbandonerai come hai fatto con Petra. Dille la verità: hai avuto paura. La paura è umana Levi e non credo che tu ne sia immune».
Lui la guardò per alcuni secondi in totale silenzio, poi parlò.
«Sai ho confessato ad Erwin, in una serata di tasso alcolico molto alto, quanto tu mi abbia cambiato. Prima di adesso non avevo veramente capito quanto» ammise sincero.
Hanji gli sorrise. Era raro che dicesse cose del genere, ne fu felice e questa volta fu lei a prendere l’iniziativa. Aprì l’accappatoio e lo fece scivolare giù a suoi piedi, intanto Levi, che aveva intuito le sue intezioni, si era sfilato la maglietta e armeggiava con i pantaloni.
Quel sentore di tragedia che da qualche giorno aleggiava nell’aria, unito a quel momento così incerto e pericoloso per tutti loro, era un vivido promemoria di quanto la vita potesse essere breve. Avevano come l’urgenza di nascondersi l’uno dentro l’altra per darsi una tregua. Poi avrebbero pensato al piano, alle scuse, a smembrare Zeke e a tutto il resto, ma adesso erano solo lui e lei nella loro piccola bolla. Non intendevano sprecare neanche un minuto di quei momenti preziosi. Le loro bocche si trovarono poco prima che anche i loro corpi si incontrassero, per diventare una cosa sola, assecondando un ritmo ormai familiare, dolce, lento e armonico; mentre le loro mani e le loro lingue con languide carezze seguivano quella sensuale movenza che li avvolse come caldo e rassicurante abbraccio, regalando loro un momento di comunione e pace.

 

I monologhi dell’autrice

Oggi sono riuscita a postare un bel po’ di capitoli, questo per ora è l’ultimo. Domani non potrò postarne neppure uno, ma conto di postare i restanti 5 sabato, godermi poi la Pasqua e aggiornare, finalmente, con il capitolo nuovo la prossima settimana.
Vorrei davvero ringraziare TANTISSIMO tutte le persone che continuano numerose a leggere e/o a rileggere questi capitoli postati in massa in 4 giorni! Mi avete stupita e anche resa felice!
Grazie dal cuore

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Capitolo 21
*** La verità è che non gli/le piacevi abbastanza ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 21 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

21
La verità è che non
gli/le
piacevi abbastanza

Entrare nella villa di Reiss era stato fin troppo facile. Certo Erwin aveva studiato un buon piano, ma sembrava che avessero la strada spianata e questo dette subito nell’occhio un po’ a tutti.
Krista, come previsto, ne era rimasta all’oscuro, Erwin l’aveva fatto non solo perché non si fidava più di nessuno, ma anche per tenere in sicurezza lei e il bambino. La sua partecipazione doveva essere marginale, finale solo a raggiungere Eren per estrarlo.
Tutto però stava andando troppo liscio, Krista aveva disattivato gli allarmi, ma la villa sembrava insolitamente incustodita per l’ospite che conteneva al suo interno. Dalla dependance avevano attraversato i corridoi comunicanti ed erano stati introdotti nella casa proprio dalla ragazza, che aveva aperto loro la porta  che divideva i due edifici.
«Eren dovrebbe essere da qualche parte in casa, io sono appena arrivata, giusto il tempo di aprirvi e mio padre sarà qui a momenti, perciò dovete fare in fretta per cogliere le sue guardie di sorpresa» spiegò un po’ agitata.
Hanji non era molto convinta. Levi ancora meno, ma c’era poco da fare ormai non potevano più tornare indietro e fecero cenno agli altri di seguirli.
Avanzarono compatti fin quando non decisero di separarsi e procedere due a due per perlustrare tutta l’abitazione. Avrebbero comunicato come sempre tramite ricetrasmittenti.
La villa era molto grande e sembrava vuota. Non c’era traccia né di domestici, né di Eren. Sembrava che avessero fatto un buco nell’acqua, quando Hanji notò, in fondo ad un corridoio, una porta spalancata.
«Ehi! La vedi quella stanza laggiù?» bisbigliò a Levi.
Lui annuì ed estrasse la pistola.
Si capirono a gesti e avanzarono con circospezione.
Scorsero Eren all’interno. Era su una sedia, da solo. Le mani fermate dietro la schiena e le gambe legate tra loro, mentre la bocca era serrata da una barretta d’acciaio stretta con una catena intorno alla testa.
A quel punto Hanji con la ricetrasmittente richiamò tutti.
La cosa puzzava e non poco, era meglio essere compatti prima di fare irruzione. Poteva essere una trappola.
Quando furono tutti sul posto entrarono ad armi spianate.
Il ragazzo si agitò subito cercando di attirare la loro attenzione, ma fu tutto inutile.
Immediatamente, senza che potessero quasi accorgersene, furono circondati e tenuti sotto tiro. Nessuno di loro fece in tempo a reagire, né ebbe la possibilità di far nulla se non gettare le armi a terra e arrendersi.
Con la coda dell’occhio videro qualcuno uscire dal gruppo degli aggressori. Si muoveva molto lentamente e  con calma raggiunse Jeager palesandosi.
«Sei una vera spina nel fianco Levi».
«Kenny! Lo sapevo che c’eri tu di mezzo!».
«Sai il mio piano aveva funzionato alla grande finché non vi siete messi in testa di venire a salvare questo scherzo della natura» disse riferendosi ad Eren.
«Che piano? Che intendi fare?» gli chiese Levi temporeggiando. Erano in trappola bisognava stare calmi e cercare una qualche via d’uscita.
«È un gran casino nipote adorato temo che dovrò farvi fuori» spiegò ridacchiando.
Levi lo conosceva molto bene. Era stato addestrato da lui nel Mossad e sapeva che avesse voluto, sarebbero stati già tutti morti. Stava temporeggiando anche lui. Perché?
«Possiamo trovare un accordo» gli disse stando al suo gioco e cercando a sua volta di prendere tempo.
«Mi duole dirlo, ma non credo tu sia nella posizione di dettare delle condizioni».
Tutti gli altri erano immobili, tenuti sotto tiro dalla squadra di Kenny e avendo capito la situazione, stavano lasciando Levi libero di agire come meglio credesse, anche perché non avevano altre possibilità.
«Allora fai tu una proposta» disse il capitano.
Kenny tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni, con i denti ne sfilò una e poi con tutta la calma del mondo l’accese e ne aspirò una boccata. Espirò fuori il fumo dalla bocca e fece un mezzo sorriso.
«In effetti ci sarebbe qualcosa che ci interessa molto di più di questa cavia da laboratorio» disse sprezzante rivolto ad Eren.
«Sarebbe?» chiese Levi.
Il mezzo sorriso di Kenny si tramutò in un ghigno.
«Il mio committente non è strettamente interessato ad Eren, ma alla sua compagna» sparò come una fucilata.
Eren si agitò così tanto che ribaltò la sedia. Kenny svelto con la poderosa spinta di un piede lo rimise a posto. Gli occhi di Jeager erano furia omicida pura, ma Kenny non era uno che si lasciava facilmente impressionare.
La sua esternazione lasciò tutti di stucco. Credevano lavorasse per Reiss a quanto pare non era così.
«Non so dove sia, non possiamo aiutarti» mentì Levi sperando se la bevesse.
«Sei un terribile bugiardo» lo schernì Kenny «Sono abbastanza certo che la signorina è qui da qualche parte, me l’avete servita su un piatto d’argento».
Levi stava per controbattere ma un fischio seguito da un rumore improvviso ed assordante portò inaspettatamente un enorme scompiglio. Qualcuno aveva appena gettato contemporaneamente granate stordenti e fumogeni, creando il caos.
Ci furono delle colluttazioni, un paio di spari ferirono l’aria fumosa.
Non si vedeva più niente e si capiva ancora meno. Da nulla qualcuno che non era dei loro gridò: Tutti fuori presto!
«Mi è sembrato di riconoscere una voce amica!» constatò Levi sperando che almeno Hanji lo sentisse, poi qualcosa sibilando sfiorò la sua fronte ferendolo di striscio».


Alla fine per loro si era risolta bene. Si erano catapultati tutti in giardino a tossicchiare, con le orecchie che fischiavano, ma sani e salvi a parte qualche ammaccatura.
«È stata una vera fortuna che siamo arrivati in tempo» disse Hitch che era in compagnia di Marlo e un altro paio di tipi che però loro non conoscevano.
«Che ci fate voi qui?» chiese Connie con la gola ancora secca, tossendo.
«Oh grazie di averci salvato il culo eh?» polemizzo Hitch.
«Siamo qui in via ufficiosa. Ci ha contattati Erwin, ci ha talmente tartassati che abbiamo acconsentito a guardarvi le spalle in questa operazione. Direi che il vostro comandante, come sempre, ci vede molto lungo. È stato un bene che fossimo qui a Paradise».
«Grazie al cielo! Ora ci aiuterete a riport…» disse Sasha e s’interruppe, aveva dato una rapida occhiata in giro ma di Jeager nessuna traccia.
«Dov’è Eren?» chiese agli altri.
Mikasa come un fulmine corse dentro. Eren era rimasto esattamente dove si trovava, legato alla sedia e come la vide tornò ad agitarsi parecchio. Tossiva in modo strano per via della barretta e lacrimava come una fontanella dato che non aveva potuto coprirsi con le mani, né difendersi dai fumogeni.
Arrivò anche Jean che l’aveva seguita, poteva esserci ancora Kenny e la sua squadra, quella sciocca si era precipitata senza neppure attendere gli ordini dei superiori.
Eren però pareva davvero solo.
Mikasa gli liberò subito la bocca per farlo parlare.
«Presto slegami, muoviti!» le disse impaziente.
Lei veloce lo liberò.
«Dov’è Krista? E perché l’avete portata qui?» la aggredì Eren.
A Jean montò subito il nervoso.
«Datti una calmata, siamo qui per salvarti, potresti essere anche un po’ più gentile».
«Gentile? Hai sentito che ha detto Kenny? ».
«Magari si tratta di suo padre che vuole proteggerla» cercò di rincuorarlo goffamente Mikasa «Non è detto che…»
Ma quello la interruppe furioso.
«Mi prendi per stupido?» disse urtandola con una spalla per la fretta di passare oltre e cercare Krista.
A quel punto fu raggiuto da Jean che lo prese per il bavero e lo strattonò.
«Attento a te! Se le metti un’altra volta le mani addosso io ti ammazzo».
«Calmati tigre!» lo schernì sarcastico «che c’è ora le fai da cavalier servente? Ah già tu le sbavi dietro da anni, ma tanto lei non te la darà mai Kirschstein. Rassegnati».
Non fece in tempo ad aggiungere altro perché Jean gli ammollò un destro in pieno viso. Eren barcollò, si pulì il sangue dalla bocca e rispose prontamente con un montante che stese l'ex compagno a terra. Non contenti cominciarono a rotolarsi l’uno sull’altro e finirono per darsele di santa ragione.
Inutili furono le grida di Mikasa che cercava di dividerli, tanto che ad certo punto si arrese.
«Siete due cretini. Sapete che vi dico? Spero vi facciate male sul serio!».
Nel frattempo erano stati raggiunti dagli altri e toccò a Levi porre fine a quella scaramuccia.
Assestò un paio dei suoi calci poderosi ad entrambi e poi li divise.
«Cosa avete ancora sedici anni? Cazzo! Abbiamo un sacco di problemi e voi vi sfidate a duello per una ragazza?».
«Ha cominciato lui!» accusò Eren.
Jean stava per replicare ma fu interrotto.
«Questo è tutto l’interesse che hai per Krista e tuo figlio?» gli chiese aspra Hanji «Sono mortalmente delusa da te Eren sei rimasto un ragazzino immaturo che non sa gestire le emozioni!».
«E anche tu Jean, non è l’ora di crescere? Quando supererai questo antagonismo con Jeager che vi portate dietro dal vostro corso di addestramento? Siete due uomini santa pazienza. Dimostratelo una volta tanto!».
La ramanzina di Hanji lasciò tutti un po’ a bocca aperta lei era sempre quella gioviale, era strano vederla così severa.
«Non abbiamo trovato niente e nessuno! Spariti tutti: Kenny, la sua squadra e purtroppo anche Krista» disse Marlo irrompendo nella stanza.
«Kenny sicuramente aveva dei complici» commentò serio Levi e mentre parlava guardava di traverso Hitch e Marlo. Non si fidava più di nessuno, chissà quali complotti c’erano sotto, ma era solo questione di tempo avrebbero scoperto tutto. Ora avevano Eren e lo avrebbero torchiato ben bene.

 

*

«Levi stai sanguinando, per favore vai a farti medicare» Disse Hanji guardando la ferita che aveva sulla fronte.
Era consapevole che non gli avrebbe dato tregua, così nonostante non ne avesse alcuna voglia prima sbuffò e poi uscì dalla loro camera per andare a farsi vedere quella dannata ferita.
Si recò all’ospedale dove era ancora in degenza Erwin. Per una strana legge del karma, o forse di Murphy, il medico di turno quella sera era Petra.
Come la scorse, Levi, fece subito per svignarsela senza dare nell’occhio, ma lei lo aveva già visto.
«Ehi Ackerman, sei ferito? Vieni qua che ti do un’occhiata».
L’uomo masticò una serie di imprecazioni irripetibili a denti stretti e con la faccia scura e le mani in tasca la raggiunse.
La donna lo fece accomodare su una sedia e poi cominciò a pulirgli la ferita con del disinfettante.
«Ti hanno preso di striscio, non è niente di che, ma due-tre punti è meglio darceli».
«No grazie» le rispose lapidario.
«È da tanto che non ci vediamo. Come stai Levi?» gli chiese sorridendo.
Lui voleva solo scappare, ma si rese conto che stava facendo la stessa cosa che aveva fatto anni fa e si sentì di nuovo una brutta persona.
Petra invece era certa che la odiasse. Voleva solo essere gentile e lui la ignorava palesemente, era chiaro che non volesse farsi medicare da lei. Addirittura sembrava anche non gli fregasse niente che si fosse ripresa così bene e forse ne intuiva il perché.
«Senti, mi…» cominciò a dirle, ma una tosse secca e stizzosa gli fermò sul nascere la frase «…dispiace. È che io non sono bravo in queste cose» ammise appena riprese fiato.
Lei non disse niente e prese ad armeggiare nuovamente sulla sua ferita per ricucirla, ignorando il suo diniego di prima. Non lo avrebbe obbligato a dirle niente se non voleva.
«Quando hai avuto l’incidente, mi sono sentito tremendamente in colpa. Non sapevo come affrontare la cosa e sono fuggito» riuscì finalmente ad ammettere.
«Dispiace tanto anche a me» e lo infilzò con l’ago per mettergli il primo punto.
«Avevo detto di no!» disse sentendo un male cane, lei gli aveva praticato una blanda anestesia che evidentemente non aveva sortito molto effetto, ma non protestò, la prese come una giusta punizione per i suoi peccati del passato.
«Dicevo, che mi dispiace che tu abbia frainteso Levi. Sì è vero avevo una cotta per te, ma quella sera, quando per fortuna non è successo niente, mi sono sentita sollevata. Ero felice perché da qualche tempo c’era un ragazzo che mi faceva il filo e fino a quel momento non avevo capito quanto in realtà mi piacesse. Tu eri un po’ un sogno irraggiungibile, il bel tenebroso dal passato difficile, il classico tipo da crocerossina: Io ti salverò! Ma poi una volta salvato? E soprattutto tu volevi essere salvato? Penso proprio di no. Così quella sera stavo correndo da lui per dirgli che ero pronta ad avere una storia, ma purtroppo feci quel dannato incidente. Non so cosa ti abbia detto mio padre all’ospedale, o cosa tu abbia capito, ma questa è la verità. E mi dispiace che tu per tutto questo tempo abbia vissuto con questo peso sulla coscienza».
Non capitava spesso, ma questa volta Levi si sentì un perfetto cretino, oltre che molto sollevato.
«Sono felice di sapere che stai bene» le disse sincero, di più non riusciva proprio a fare, era troppo a disagio. Petra lo capì e aggiunse «Non ti sarò mai abbastanza grata Levi Ackerman. Sei un uomo onesto, non ti sei approfittato della mia stupida cotta, neanche quando praticamente mi sono gettata tra le tue braccia».
«Ad onor del vero ero ubriaco» ammise sincero.
«Appunto se non sei riuscito a farlo da ubriaco, significa che sei un puro di cuore in fondo» gli disse con un sorriso.
«Tutto è bene quel che finisce bene…» concluse l’uomo sempre più imbarazzato. Non era uno che incassava bene i complimenti, anzi lo mettevano tremendamente a disagio e come sempre non vedeva l’ora di darsela a gambe.
«Già» fece lei tagliando il filo dell’ultimo punto che gli aveva messo.
«Cadranno da soli, non è necessario che tu torni a togliergli» e finalmente si congedarono. Per Levi fu una liberazione, anche se scoprire la verità su Petra gli aveva fatto uno strano effetto. Era convinto che fosse cotta persa di lui, invece a quanto pare non era proprio così. Non avrebbe mai capito le donne fino in fondo, questa era l’unica vera certezza, ma era felice di essersi sbagliato e si sentiva decisamente più leggero. Hanji come sempre aveva ragione.

 

*

Eren era stato messo in camera con Armin e Connie si era trasferito da Jean.
«Armin devo parlare con Mikasa».
«Non puoi muoverti dalla stanza finché non sarai interrogato da Erwin. Questi sono gli ordini» rispose serio l’altro.
«Senti mi dispiace per quella volta sulla spiaggia sono stato uno stronzo galattico, ma ora ho bisogno del vostro aiuto per salvare Krista».
«La salveremo tutti insieme datti pace» rispose Armin.
Ma Eren non era uno che portava pazienza, né uno che accettasse un no come risposta. Aspettò che Armin si girasse, lo colpì intesta in modo da farlo svenire e furtivamente uscì dalla stanza. Sapeva che per scappare aveva bisogno di aiuto e si diresse alla stanza di Mikasa, l’aveva adocchiata mentre Armin lo conduceva alla sua.
«Ma sei matto?» gli chiese lei arrabbiata non appena aprì la porta per farlo entrare.
«Ho paura che possano fare male al bambino» le confessò.
«Avresti dovuto pensarci prima di invitarla qui a Paradise non credi?».
«Ce l’hai con me perché l’ho messa incinta vero?» l’accusò sulla difensiva.
«Non sei più il centro del mio mondo Eren» gli rispose seria.
«Ah già ora e la fai con Jean».
«Non me la faccio con nessuno, ma comunque non sono fatti tuoi. Tu hai fatto la tua scelta che vuoi da me?».
«Mi serve il tuo aiuto. Ti prego».
Nonostante tutto le sembrò davvero diverso dalle ultime volte, sembrava sinceramente in pena per Krista e la creatura. Un po’ le faceva rabbia ma non perché fosse gelosa. Le era passata da tempo, era solo amareggiata dal fatto che per lei non si era mai preoccupato così, o per lo meno non lo aveva mai manifestato apertamente, forse la verità era che l’aveva amata in modo diverso da come lei avesse amato lui, ma non era il momento di pensare al passato.
«Senti lo so che non mi comporto sempre bene, ma davvero questa volta voglio solo salvare il bambino dalle grinfie di quello psicopatico».
Mikasa stava per rispondere ma furono interrotti da Hanji che fece irruzione nella stanza.
«Hanno appena dimesso Erwin. Devi venire con me» gli disse severa puntandogli un’arma contro.
«È proprio necessario?» chiese Mikasa molto stupita da questo atteggiamento così duro della caposquadra.
«Armin è al pronto soccorso ce l’ha mandato lui con una botta in testa, ti basta come giustificazione?» le rispose la donna secca.


 

I monologhi dell’autrice
Ehilà rieccomi, il più è fatto! Con oggi credo proprio che tornerò in pari!
Continuiamo con il ripostaggio, forza e coraggio! Me le canto e me le suono!
😁

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Capitolo 22
*** Time out ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 22 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

22
Time out

Levi era rientrato in camera e aveva notato la finestra aperta, ma Hanji non c’era.
Estrasse guardingo la pistola.
«Puoi rimetterla a posto. Sono io» disse Kenny palesandosi.
«Che vuoi, che ci fai qui?» chiese a suo zio, continuando a tenerlo sotto tiro.
«Sono venuto solo per dirti che Krista è al sicuro. Credimi, il mio committente ha a cuore la sua incolumità» disse in modo che pareva sincero, ma con Kenny non si poteva mai sapere.
«Cosa c’è sotto?» gli chiese severo.
«Roba grossa».
«Quello lo immaginavo già, puoi essere più specifico?».
«Le cose spesso non sono come appaiono. Amici sembrano nemici e nemici sembrano amici. La posta in gioco è altissima: la sopravvivenza dell’umanità, per questo l’allerta è salita ad un livello che non era mai stato toccato prima. Guardatevi le spalle, sempre. Di più non posso proprio dirti. Sai come funziona il giochino. Ogni nazione deve pensare al proprio tornaconto».
«Praticamente non mi hai detto un cazzo!» sbottò Levi avvicinandosi con la pistola ancora in pugno.
Kenny si accese l’ennesima sigaretta e aspirò una boccata di fumo, era il suo modo per darsi tempo e riflettere. La sua posizione non era facile. Non poteva proprio sbottonarsi gli ordini erano tassativi, ma aveva capito che suo nipote e la sua squadra erano in alto mare. Decise che si era sbilanciato anche troppo e fece per andarsene.
«Non ti muovere!» gli intimò Levi, ma lui non se ne curò e passò oltre.
«Qualunque cosa accada fidati sempre del tuo istinto» concluse prima di uscire dalla finestra, lasciandolo estremamente frustrato.
Levi non era stato in grado di sparare. Non sempre erano dalla stessa parte e forse non lo erano neppure questa volta. Kenny aveva una bussola morale molto variabile, non era uno che si facesse problemi a superare i limiti se il “lavoro” lo richiedeva, ma ucciderlo non rientrava tra le cose che potesse fare a cuor leggero, almeno non senza un motivo davvero grave.

 

*

Erano passati alcuni giorni. C’era un’aria strana e la situazione era in fase di stallo.
Eren improvvisamente era sparito. Tutti sospettavano che fosse fuggito aiutato da Mikasa, anche se lei negava con forza.
Erwin aveva preso la cosa fin troppo bene, chissà forse era consapevole che quel ragazzo non era più un agente su cui potessero fare affidamento, o forse aveva altri motivi.
C’era un gran nervosismo che serpeggiava sia tra i veterani che tra gli agenti più giovani. Erano tutti in attesa che qualcosa si sbloccasse. Aspettavano ordini dall’alto che però tardavano ad arrivare.
Il comandante, in tal senso, aveva grossi grattacapi. Dopo essere stato dimesso dall’ospedale, il quartier generale gli stava facendo forti pressioni perché rientrasse alla base, ma lui non ne voleva sapere. Quella era la sua missione e sarebbe rimasto finché non si fosse conclusa. Così era in atto un braccio di ferro che lo snervava.

Improvvisamente una mattina radunò tutti in fretta e furia e indisse l’ennesima riunione.
«Il tempo è scaduto» esordì serissimo «Dobbiamo risolvere la questione titani e la dobbiamo risolvere in maniera definitiva. Ho appena ricevuto ordini in merito».
Si levò un brusio che accolse la notizia con approvazione.
«Io però vorrei anche capire che fine ha fatto Eren. Lei lo ha interrogato ed è sparito, qualcosa non torna» commentò pungente Armin.
«Secondo le mie fonti si è ricongiunto a suo fratello» spiegò Erwin spiccio.
«E questo cosa significa?» chiese sulla difensiva Jean.
«Onestamente non lo so. Quando abbiamo parlato sembrava tutto chiaro e a posto, la fuga non era certo contemplata. Credo e spero che sia dalla nostra parte, che abbia agito secondo un disegno a noi sconosciuto, forse ha ricevuto ordini dall’alto, ma la verità è che qualcosa in lui non va, questa ormai è una certezza con cui dobbiamo fare i conti» ammise Erwin.
«Buongiorno! Ben svegliati! Finalmente ve ne siete accorti. Astuti come cervi, eh!
(1) » commentò acre Levi.
«Ci faccia capire che dobbiamo fare?» chiese molto preoccupato Connie.
«Levi il tuo sarcasmo è fuori luogo. Sapevamo che usare Eren poteva essere un rischio, forse abbiamo scommesso sul cavallo sbagliato, ma non avevamo molta scelta vista la situazione paradossale che dobbiamo affrontare. Stare a fare polemica e dietrologia non serve. Sta per scoppiare una battaglia epica. Dobbiamo passare all’attacco di questi titani e bisogna terminarli tutti».
«Questo significa che anche Eren deve morire?» chiese subito Mikasa con una nota di disperazione nella voce.
Jean ebbe un moto di stizza che non sfuggì a Connie.
«Datti pace amico, lo sai che lei ci tiene a quel pazzoide» gli disse piano vicino all’orecchio.
Jean lo fulminò con un’occhiataccia, non era incline ad essere compatito.
«Purtroppo Eren è uno di loro, quindi sì temo che anche lui alla fine dovrà essere terminato» tagliò corto il comandante.
La ragazza stava per replicare, quando fu strattonata per un braccio da Hanji: «Ti prego di essere matura e ti ricordo che sei un agente al servizio del tuo paese. La prima cosa che deve contare per noi è salvaguardare vite umane innocenti. Eren fuggendo ha preso la sua decisione. Ergo, noi dobbiamo andare per la nostra strada».
«Forse non ha avuto scelta, ma questo voi sembrate non volerlo considerare» disse ferita Mikasa rivolta a tutti loro. Da una parte sapeva che Hanji aveva ragione, ma dall’altra accettare la morte di Eren, così a cuor leggero, era durissimo per lei.
«Nessuno ha scelta Mikasa» replicò molto severo Erwin «Io ho già perso un braccio in questa missione e ognuno di noi potrebbe perdere la vita. Quindi direi di preparaci a fare ciò che dobbiamo e ciò che ci richiede questo mestiere che nessuno ci ha imposto. Quando ci siamo arruolati sapevamo che avremmo dovuto offrire la nostra vita alla causa se fosse stato necessario» concluse lapidario.
«Sì, ma io preferirei non lasciarci le penne» ammise Connie.
«Insomma come la risolviamo da soli, me lo spiega?» chiese Sasha.
«Già noi siamo quattro gatti e non siamo neppure sicuri che l’unico mutaforma che potrebbe aiutarci lo farà» masticò amaro Jean.
«Non saremo soli. Pixis mi ha dato ordini precisi in merito. Arriveranno dei rinforzi, lo conferma anche Dallis Zacklay, e mi hanno entrambi assicurato che possiamo fidarci di quelli della resistenza».
Come finì la frase si aprì la porta della stanza dove erano riuniti e Gabi, Falco, Piek e Galliard entrarono.
«E Onyankpon? Che fine ha fatto? È vero che è passato al nemico?» chiese Armin.
«No. È dalla nostra parte e lo è sempre stato, come me del resto» disse a sorpresa Yelena che sbucò fuori da dietro i ragazzi.
«Cosa? Tu mi hai sparato!» l’accusò Jean mettendo mano alla pistola per poi fronteggiarla rabbioso.
«Sì, ma non ti ho ucciso. Credete davvero che avreste riavuto Erwin senza l’intervento mio e di Onyankopon?» disse con quella sua aria un po’ strafottente che non la rendeva proprio simpaticissima.
«Io non ti credo per me sei una doppiogiochista!» controbatté Jean avventandosi contri di lei.
«Veramente hai mirato a me» ribatté Mikasa cercando di sbugiardarla.
«Era tutta scena, per tenere in piedi la commedia, se avessi voluto tu e quello là sareste già sotto tre metri di terra».
«Questa mente, non capisco perché vi fidiate di lei» disse Jean rivolto ai veterani.
«Basta così! Ora finitela! È  tutto sotto controllo e Onyankopon è alle prese con Grisha» intervenne alla fine Erwin dimostrando di sapere già tutto.
«Volevo anche avvisarvi che Floch non è morto» aggiunse la valchiria bionda.
«Sempre ottime notizie da questa qui!» commentò Connie.
«La prossima volta mirerò direttamente alla sua testa» sibilò Gabi.
A Levi risuonarono in testa le parole di Kenny: Le cose spesso non sono mai come sembrano. Amici sembrano nemici e nemici sembrano amici.
«Allora visto che ci siamo tutti vi ragguaglio sul piano» disse Erwin.

 

*

Mikasa non lo faceva mai, non erano cose da lei, neppure quando era al liceo alle feste ma quella sera aveva proprio voglia di bere qualcosa di alcolico. Quindi senza dire niente a nessuno si era recata presso un pub vicino all’albergo, un posto frequentato per lo più da giovani, infatti ci trovò anche Piek e Galliard.
«Ehi! Vieni ti offriamo un giro» le disse la ragazza alzando il boccale di birra invitandola a sedersi con loro.
Voleva quasi declinare l’offerta, ma era lì per distrarsi dai suoi pensieri e alla fine accettò.
«Sai, anche se eravamo dietro la porta abbiamo sentito la tua appassionata difesa per la vita di Eren» cominciò con il dirle Piek.
«Vorrei evitare di discutere, già lo faccio quasi in continuazione con la mia squadra, non vi ci mettete anche voi per cortesia».
«Volevamo solo spiegarti il nostro punto di vista da titani. Titani che saranno terminati proprio come il tuo prezioso Eren» spiegò secco Galliard.
Mikasa deglutì. Non aveva considerato questa parte della faccenda.
«Ti domanderai perché ci siamo messi al sevizio della causa e perché accettiamo passivamente il fatto che ci costerà la vita» cominciò a dire la ragazza.
Mikasa annuì senza parlare. Si sentiva a disagio.
«Ci siamo ritrovati senza volerlo in una situazione più grande di noi. Ed è chiaro che tutti siamo stati vittime per prima cosa degli esperimenti fatti su quest’isola. Come vedi anche noi non abbiamo avuto scelta» le spiegò pacata ma seria.
«O meglio avevamo una scelta: morire subito o tentare questo salto nel vuoto. Certo ci hanno pagati bene per buttarci a capofitto nell’ignoto, ma poteva costarci la vita da subito e a noi è andata bene rispetto ad altri. Poi abbiamo capito che curarci non era la loro priorità, ma che questa scoperta stava per essere usata per fare del male a molta altra gente e allora l’unica scelta possibile è stata sacrificarci per un bene superiore» le spiegò Piek con tono incolore.
«Sai credo che tu sia un po’ egoista. Non fai che pensare al tuo amico, quando molte persone stanno morendo. Quei mostri che fai saltare in aria con il tuo lanciagranate erano esseri umani proprio come te e loro una scelta non l’hanno mai avuta, sono stati solo cavie: carne da macello. Il tuo amico mi pare quanto meno confuso. Insomma lui non è stato contaminato, lui ha deciso di diventare un titano, o chissà cosa, e pretendi che un’itera operazione debba ruotare intorno alla sua salvezza? E tu saresti un agente speciale adibito alla sicurezza nazionale? Siamo messi molto male» commentò severo Galliard.
Mikasa si sentì davvero una brutta persona. Non aveva considerato la cosa da quel punto di vista. Quando si trattava di Eren era di parte, forse anche troppo.
«Siamo stati insieme, dovevamo sposarci, pur non essendone più innamorata sono e sarò sempre legata ad Eren, per questo tengo così tanto a lui».
«Falco ha solo diciannove anni ed è condannato a morte certa. Sai perché ha accettato di diventare un titano? Non solo per aiutare la resistenza ma soprattutto per impedire che lo diventasse Gabi. Nessuno dei due era contaminato, ma alla resistenza serviva un altro mutaforma e loro erano in lizza. È innamorato di lei e ha voluto salvarla da un destino infame, così l’ha scavalcata. Se vogliamo parlare di scelte, questa, tra tutte, è la più nobile» raccontò con amaro distacco Galliard.
Mikasa di colpo si rese conto quanto si sbagliasse, quanto i suoi sentimenti fossero influenzati dalla tossicità del suo rapporto con Eren. Anche se non stavano più insieme c’era sempre una catena che la teneva  stretta a lui, quasi al punto di farla soffocare. Non era solo bene ma anche dipendenza. Eren era stato per tanti anni la sua sola famiglia e lo aveva eletto a suo punto di riferimento, l’unico appiglio a cui aggrapparsi.
«Non temete, non sono una stupida farò sempre ciò che devo» si sentì di dire loro. I suoi occhi tradivano la sua sincerità e i ragazzi parvero apprezzare.
«Comunque sappi che tuoi compagni ti difendono a spada tratta, ci hanno assicurato che quando c’è un pericolo non c’è nessuno meglio di te come alleato» la rincuorò Piek.
«Devo bere un’altra birra» disse Mikasa « e offro io questo giro» concluse.
Non era da lei, ma forse aveva bisogno proprio di lasciarsi andare. Di intaccare quella sua rigidità di fondo che la rendeva sempre molto trattenuta. Fatto sta che alla fine si era ubriacata fino quasi ad avere difficoltà a stare in piedi.
Non se ne era accorta, ma erano sopraggiunti anche i ragazzi della sua squadra, Niccolò compreso, che sembrava ormai fare coppia fissa con Sasha.
La osservavano da un altro tavolo, mentre lei continuava ad ingurgitare birra.
«Direi che è ora di andare a prenderla» disse serio Armin a Jean.
«Direi che non mi riguarda».
«Adesso ti ci metti anche tu a fare il sostenuto?» lo rimproverò Arlert.
«Ma che vuoi da me?».
«Lo sappiamo tutti che sei cotto di Mikasa. Tra pochi giorni affronteremo una missione praticamente suicida, vuoi davvero perdere l’occasione di fare qualcosa di buono per lei, di darle il tuo appoggio? Come credi che finirà se la lasciamo qui da sola?» gli spiegò paternalisticamente.
«Aiutatela voi!» rispose arrabbiato Jean. Era scocciato che quello avesse messo in piazza i suoi sentimenti in modo così diretto.
«Noi due non possiamo abbiamo da fare» dissero Sasha e Niccolò alzandosi e prendendosi per mano, per avviarsi all’uscita del locale.
«Io ho un appuntamento. Devo andare» li seguì Arlert.
Era chiaro che si fossero messi d’accordo prima, ma Connie non si era preparato una scusa plausibile, così se ne uscì con: «Io ho il mal di pancia e devo andare in bagno!» e scappò letteralmente.
Jean li guardò dileguarsi non sapendo se ridere o incazzarsi, poi volse lo sguardo verso Mikasa. Era strano vederla così. Non poteva lasciarla lì in quelle condizioni, quindi scolò la sua birra e andò da lei.
«Sarà meglio tornare in albergo» le disse con tono incolore.
Piek e Galliard annuirono e li lasciarono soli.
«Guarda chi c’è, super Kirschstein» biascicò la ragazza ridacchiando. Era proprio andata.
«Vieni» disse lui prendendola quasi di peso per farla alzare e tenendola per la vita la trascinò fuori con sé.
Nonostante indossasse un paio di jeans e una semplice maglietta, avesse i capelli in disordine e lo sguardo lucido per via della troppa birra che aveva in corpo, a lui parve bellissima e tenerla per la vita come se fossero abbracciati mentre lei farfugliava cose senza senso, lo turbava più di quanto volesse ammettere.
Non senza fatica arrivarono al loro albergo. Per tutto il tragitto Mikasa, aveva blaterato e ridacchiato, tanto da innervosire parecchio Jean che alla fine si trovò costretto, per portarla in camera, a prenderla addirittura in braccio perché le sue ginocchia sembravano non voler stare più dritte.
La ragazza si sentì stranamente subito a suo agio, forse era colpa dell’alcool o forse no, si raggomitolò poggiando la guancia contro il suo petto.
Questo atteggiamento così inaspettato stranì non poco il povero e già provato Kirschstein.
«Sento il tuo cuoricino che batte!».
«Menomale! Altrimenti vorrebbe dire che sarei morto» bofonchiò un po’ imbarazzato da quella situazione assurda.
C’erano già stati momenti di grande disagio quando aveva dovuto frugare nelle tasche dei pantaloni di lei per trovare la chiave della camera. Sembrava un’altra, faceva battutine sciocche, rideva, era molto disinvolta, il bere l’aveva senza dubbio disinibita e parecchio.
Ad un tratto si era attaccata a un lembo della sua camicia e aveva intrufolato il viso a contatto con la pelle del suo collo. Un brivido aveva percorso la schiena di Jean colto alla sprovvista dal quel gesto così intimo quanto inaspettato.
«Hai un buon odore Kirschstein» aveva esordito lei facendolo avvampare in viso e non solo.
«Smettila Mikasa sei ubriaca!» la rimproverò aspramente mentendola giù di colpo. La situazione stava diventando pericolosa e ingestibile.
«Non te l’ho mai detto ma sei diventato davvero un gran bel tipo!».
«Tanto smaltita la sbornia lo rinnegherai».
Lei non rispose e gli si avvicinò pericolosamente, gli franò quasi addosso e le loro bocche si ritrovarono una sull’altra sfiorandosi.
Fu un momento magico, molto intrigante, si avvertiva l’elettricità che stava correndo da una all’altro. Tutto sarebbe potuto accadere…
«Jean… devi dirti una cosa…» gli sussurrò a fior di labbra.
«Dimmi… » rispose lui trattenendo il fiato e chiudendo gli occhi.
«Ho voglia di vomitare!» sboccò quasi la ragazza.
«Cazzo! Non addosso a me!» si agitò Jean .
E corsero in bagno dove lui, pazientemente, tenendole la testa, aspettò che si liberasse di tutto ciò che aveva in corpo.

 

I monologhi dell’autrice

Note:
(1) "Astuti come un cervo” è una citazione da Amici Miei che riprende la famosa gag “sii astuto come un cervo”  che se volete potete rivedere qui: 
https://youtu.be/laRIWbSUYr8
Povero Levi lo mettiamo sempre nel mezzo, ma il sarcasmo pungente di questa frase, secondo me, gli si addice 
😉 e da toscanaccia non ho saputo resistere 😁

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Capitolo 23
*** Scusa se ti amo ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 24 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1



24
Scusa se
ti amo


La partenza anticipata di Hanji aveva avuto un motivo preciso e molto importante che Erwin aveva deciso di nascondere a tutti, compreso Levi. Scoprirono parte della verità in merito, all’arrivo alla casa sulla spiaggia, quella dove avevano fatto tappa gli agenti della CIA appena arrivati a Paradise.

Si erano da poco sistemati un po’ gli uni addosso agli altri, dato che non c’erano così tante stanze per ognuno di loro, quando Erwin ricevette una telefonata.
«Sta per arrivare Hanji con i rinforzi!» comunicò a tutti dopo che erano stati riunti per comodità in veranda.
Levi era piuttosto silenzioso avrebbe voluto domandare di più sulla faccenda, ma non voleva creare problemi così cercava di fare il bravo e stare zitto.
Armin invece osservava Jean e Mikasa. Erano molto strani. Lei ancora più chiusa e più buia di sempre. Lui agitato e un po’ sulle spine. Doveva essere accaduto qualcosa di cui non sapeva niente. Ma decise di farsi i fatti suoi, anche lui al momento non era proprio sereno e aveva i suoi grossi grattacapi con cui fare i conti.
Connie invece come sempre si divertiva a punzecchiare Sasha, la quale gli rispondeva a tono.
Falco cercava di essere gentile con Gabi, che di contro, puntualmente, gli rispondeva in malo modo zittendolo.
Galliard e Piek parlottavano e si guardavano intorno diffidenti.
Niccolò invece era concentrato e stava stilando una lunga lista della spesa per la cena che aveva in mente di preparare.
Yelena, in disparte, osservava tutti con un’aria strana che sembrava quasi divertita.
Insomma tutto era più o meno nella norma, quando alla fine Levi non ce la fece più e rivolto a Erwin disse: «Spero che questi fantomatici rinforzi facciano davvero la differenza».
«È quello che mi auguro» gli rispose senza aggiungere altro il comandante.
Hanji arrivò trafelata circa mezz’ora dopo la chiamata fatta ad Erwin.
Era sola.
«Niente. Non è atterrato nessuno all’aeroporto» spiegò costernata.
«Ma come? Non dovevano arrivare con un volo diretto?».
«Sì, le indicazioni erano quelle ma non c’era nessuno».
«Dobbiamo chiamare Pixis subito!» enunciò Erwin rabbuiato.
La chiamata fu breve e in viva voce.
«Non so cosa sia successo» cominciò Dot serio «Per quanto ne so io sono regolarmente partiti, o per lo meno così mi è stato fatto credere».
«Pensi che possano essere stati intercettati e fermati. O peggio dirottati?» domandò Erwin.
«No dirottati è impossibile. L’aereo, tra l’altro di linea, sul quale dovevano essere è arrivato puntualmente».
«Quindi c’è solo una possibilità, qualcuno ci ha scoperti e sono stati rapiti o fermati prima di imbarcarsi. Comunque tu Hanji non hai notato niente di strano tra i passeggeri atterrati a Paradise, giusto?» le chiese Pixis.
«Assolutamente no. Tutto sembrava tranquillo».
«Fatemi fare un paio di controlli con l’intelligence su chi si è imbarcato, così avremo la conferma che cerchiamo e poi vi faccio sapere. Nel frattempo non c’è tempo da perdere dovete comunque procedere con l’operazione».
Hanji ed Erwin si scambiarono uno sguardo d’intesa piuttosto enigmatico.
«Capisco la vostra preoccupazione, ma siete sul campo e siete gli unici che possono fare qualcosa prima che sia troppo tardi. Purtroppo siamo alla resa dei conti. Agite come avete sempre fatto e tirate fuori il meglio di voi. Noi confidiamo nella vostra forza come squadra e come professionisti e mi rivolgo a tutti» specificò, dato che alla call erano presenti ognuno dei ragazzi, resistenza compresa.
Nessuno fiatò, neanche Levi che però era molto accigliato.
«Non hai niente da dire?» gli chiese Hanji avvicinandosi a lui
«Avrei tanto da dire, ma forse è meglio se sto zitto, perché potrei compromettere l’operazione» sentenziò lapidario fulminandola con uno sguardo molto contrariato.
Hanji non aggiunse altro, comprendeva il suo stato d’animo, era anche conscia che non fosse uno stupido ma era importante che ora si calmassero tutti e si concentrassero sul da farsi. La situazione era grave, pericolosa e la battaglia imminente.

 

*

 

Erwin si era ritirato nella sua camera per riordinare le idee. La sua posizione era delicata e quella menomazione, anche agli occhi degli altri lo faceva apparire più debole, cosa che assolutamente non poteva permettersi. Doveva mantenere intatta la sua autorità, altrimenti si sarebbe potuto creare il caos che avrebbe solo favorito il nemico.
Avrebbe partecipato direttamente alla battaglia, su questo non aveva dubbi e stava appunto studiando il modo per poterlo fare nella maniera più utile ed efficace, quando un lieve bussare alla porta lo distrasse.
«Avanti» disse automaticamente.
«Permesso? Mi scusi comandante» esordì quasi timidamente Niccolò.
«Vieni pure. Che c’è di nuovo?» gli chiese leggermente preoccupato da quella sortita, aveva pensato potesse essere Levi, invece…
«Mi dispiace disturbarla per quella che forse riterrà una sciocchezza» cominciò a dire quasi ritrosamente il ragazzo. La sua idea ora non gli sembrava più così buona come all’inizio.
«Parla liberamente ti ascolto» lo invitò Erwin.
Niccolò deglutì un po’ di saliva e poi si lanciò a ruota libera: «Ho studiato per diventare chef e so cucinare molto bene, pensavo di preparare una cena a base di pesce per tutti, per passare una serata tranquilla prima di affrontare l’ignoto che ci aspetta a breve» disse tutto d’un fiato.
Il comandante sembrò rimuginare e poi disse «La trovo un’ottima idea. Non potrà che farci bene un momento di decompressione attorno ad un tavolo con buon cibo e buon vino. Sarà capace, almeno per qualche ora, di rinfrancare gli animi, anche quelli più esacerbati. Procedi pure hai il mio benestare, ma si deve fare tra oggi e domani» precisò secco.
«Allora direi che per domani sera è perfetto. Oggi vorrei andare a fare la spesa, posso portare Sasha con me?» chiese titubante.
Erwin lo fissò intensamente per qualche secondo e Niccolò si sentì molto a disagio, sembrava dirgli: guarda che so tutto!. Ma in realtà non profferì parola, disse solo: «Sasha e basta? Credo sia meglio tu porti con te anche qualcun altro per una spesa così importante».
Il ragazzo annuì e si congedò.
Erwin fece un lungo sospiro e si rimise al computer a continuare ad elaborare la sua strategia per l’attacco a Marley.

 

*

 

La notizia della cena era stata accolta con reazioni diverse e contrarie tra loro.
Levi non aveva mosso un solo muscolo del viso, ma aveva alzato un sopracciglio in chiaro segno di malcelata disapprovazione.
Hanji invece si era dimostrata piuttosto contenta di poter passare un momento di convivio tutti insieme, ne sentiva il bisogno per allentare la tensione che le attanagliava lo stomaco.
Sasha era super eccitata e si era proposta di aiutare Niccolò a cucinare.
Mikasa non aveva avuto alcuna reazione era rimasta indifferente come se la cosa non la riguardasse. Già aveva dovuto fronteggiare le molte, troppe, domande sul suo nuovo taglio, a cui aveva risposto piuttosto seccata che era stata solo una questione di comodità.
Jean aveva prima storto il naso, ma poi si era detto che una buona mangiata e una buona bevuta non era affatto un’idea malvagia.
Connie ne fu entusiasta e cominciò subito a dare il tormento a Sasha e Niccolò perché anche lui voleva cucinare.
Armin mostrò un tiepido apprezzamento, accennando un lieve segno di assenso.
Gabi criticò aspramente la cosa ritenendola sciocca e superflua.
Falco non disse niente, non era d’accordo con lei ma non voleva contrariarla.
Galliard a sorpresa fu abbastanza favorevole e si propose come aiuto in caso ce ne fosse stato bisogno.
Piek già di suo pareva sempre un po’ apatica e anche questa volta reagì con un laconico: ok!
Yelena come sempre stava in disparte e osservava tutto e tutti con aria di condiscendenza.
Niccolò rimase un po’ deluso da alcune reazioni e si sentì di dire la sua.
«Capisco che una cena, per qualcuno, possa sembrare una cosa fuori luogo visto il momento che stiamo vivendo. Ma il cibo non è solo nutrimento è anche condivisione. Dovremmo combattere gli uni per gli altri…» poi fece una breve pausa abbassando lo sguardo «forse qualcuno di noi non tornerà vivo…» e calò il gelo «allora perché non condividere un momento bello e piacevole tutti insieme, come buoni amici che in battaglia si guardano le spalle? Non abbiamo certezze, abbiamo paura, almeno io ne ho, ma la cucina è anche amore e io voglio, anche se solo per una sera, che questo amore avvolga tutti voi, perché magari un giorno ripenseremo a questi momenti e vorrei che fossero un bei ricordi in mezzo a questa situazione così complicata e pericolosa».

Il menù elaborato dal giovane chef era molto semplice ma gustoso.
Come antipasto: moscardini in umido e bruschette di pane, seguiti da crostini con burro e aringa.
Per primo: spaghetti alle vongole con pomodorini freschi.
Di secondo: pesce misto e crostacei al forno, calamari ripieni sempre cotti in forno e l’immancabile fritto misto. Con contorno di patate fritte e caponata di verdure. Tutto annaffiato da buon vino bianco Chardonnay d’annata.
Infine un classico: una mousse di gelato al limone.

Si rivelò una cena deliziosa che incontrò il gusto di tutti. Anche Levi sembrava quasi meno imbronciato del solito.
Ad un certo punto, nel bel mezzo del pasto, era regnato un silenzio surreale, quasi religioso, perché tutti stavano mangiando con grande piacere le pietanze preparate da Niccolò, il quale si commosse quasi.
Per lui cucinare per qualcuno significava prendersene cura, dimostrargli il suo affetto ed era felice che quelle persone con cui aveva legato, chi più, chi meno, avessero apprezzato il suo gesto. La sua idea era stata vincente perché l’aria era certamente più distesa e quasi gioviale.
Dopo cena alcuni commensali rimasero a tavola a chiacchierare ed Erwin offrì un sigaro a Levi.
«Non vorrai davvero farmi provare quella merda?» rispose lui stizzito.
«Si è quello che voglio, prova dai, dammi soddisfazione».
Levi lo guardò di traverso.
«Sei tu che mi hai detto che nella vita si può cambiare idea che ci sono vari sentieri da poter percorrere… » lo paraculò divertito il comandante.
Levi lo fulminò con un’occhiataccia «Finiscila Erwin e dammi quel cazzo di sigaro, o potrei anche io avere da dire qualcosa sul tuo passato amoroso» lo minacciò. Quella conversazione non era mai esistita, si era forse dimenticato?
Hanji li guardava indagandoli di sottecchi: «Voi due non me la contate giusta, che avete da nascondere?».
Erwin prese una generosa boccata dal suo sigaro, ma senza aspirare, per poi soffiare fuori una nuvola odorosa di tabacco bruciato.
«Nessun segreto Hanji solo cose belle, soprattutto per te» ammiccò.
Levi per zittirlo a sua volta tirò una generosa boccata, ma nella foga del gesto malauguratamente ne aspirò un po’ e cominciò a tossire come un dannato diventando paonazzo.
«Che cazzo questa merda fa proprio schifo Erwin! Spero che tu ti sia divertito abbastanza per stasera!» sputacchiò affogando quasi.
Hanji non aveva capito molto ma nel vedere Levi quasi cianotico che tossiva, non poté fare a meno di scoppiare in una fragorosa risata.
Ci volevano dei momenti così. Allentare la tensione era necessario per ricaricarsi in attesa di quello che li aspettava.

La spiaggia si apriva tranquilla davanti a loro e alcuni dei ragazzi ne approfittarono per farsi un giro.
Niccolò e Sasha si appartarono per scambiarsi qualche tenero bacio al chiar di luna.
Gabi invece era vicina al bagnasciuga, rannicchiata sulla sabbia e con le ginocchia strette al petto. Silenziosa osservava l’orizzonte nero come la pece, rischiarato solo dal il riverbero argenteo della luna, mosso appena dal frusciare delle onde che 
pigramente si increspavano.
Falco era rimasto in piedi, pochi passi più indietro che la guardava. Con lei si sentiva sempre sotto pressione. Aveva voglia di sederle accanto ma titubava.

Restò ancora un po’ in disparte, poi prese coraggio e le si avvicinò piano, quasi furtivo, tanto che lei si accorse della sua presenza solo quando era già seduto.
«Ah, sei tu?» fece distrattamente girandosi.
Lui non rispose e prese ad osservare il mare come stava facendo lei. Dopo qualche minuto che parve un tempo interminabile, finalmente le fece quella domanda che aveva in mente da tempo.
«Mi spieghi perché ce l’hai ancora così tanto con me?».
Lei strinse le spalle, sbuffò, quindi si girò e lo guardò severa: «Fai il finto tonto? O proprio non ci arrivi?».
«Ancora con quella storia Gabi? Pensavo ti fosse passata».
«Non credo mi passerà mai. Sei stato scorretto, infido, manipolatore e mi hai privato dell’occasione di poter vendicare la mia famiglia!».
Questa volta fu Falco a sospirare. Si prese nuovamente del tempo prima di parlare.
«Io sono innamorato di te» la colpì come se le avesse scoccato una freccia contro che la trafisse sorprendendola, infatti la ragazza trasalì e lo guardò con aria sia sbigottita che smarrita, stava per replicare quando lui le fece cenno di farlo finire. Non ce l’avrebbe mai fatta se avessero preso a discutere come al solito.
«Questo dovrebbe darti l’idea di quanto mi dispiacciano le tue parole, ma non mi importa. Sono felice di averti soffiato il posto e non mi interessa se mi odi, perché ti ho salvata da una morte che per tutti noi titani ormai sembra certa, oltre che da una condizione che ha ben poco di umano. Non ne parliamo mai, neppure tra di noi, ma essere ibridati ci ha cambiati nel corpo e nella mente e comunque anche se non ci avessero condannati, non sappiamo a lungo termine che cosa potrebbe capitarci. Inoltre io sono sopravvissuto, tu non è scontato che avresti avuto la mia stessa fortuna. Quindi detestami pure Gabi, io sono felice di aver salvato la ragazza che amo».
Detto questo si alzò in fretta e quasi scappò. Aveva il cuore in tumulto e sentiva il fuoco dell’imbarazzo che lo bruciava, ma almeno era riuscito a confessarle i suoi sentimenti prima dello scontro che li attendeva.
Gabi, respirava a fatica ed era rimasta immobile, stringendosi ancora più forte le braccia al petto.
«Il solito stupido Falco…» sussurrò tra sé e sé frastornata.
Qualcosa le si era rotta dentro. Fino a quel momento non si era mai accorta di provare qualcosa per lui che non fosse risentimento. Del resto era troppo concentrata sul dolore e la vendetta per capire cosa realmente si agitasse nel suo giovane cuore, ma adesso, all’improvviso, era stata investita da questa consapevolezza di fronte alla quale si sentiva disarmata. Di certo per lei era stato più semplice detestarlo che amarlo, ma i sentimenti non si possono imbrigliare, scalpitano come cavalli selvaggi che nessuno riesce a domare e che alla fine galoppano liberi.



I monologhi dell’autrice
Ci siamo quasi penultimo capitolo, con il prossimo sarò finalmente in pari!
Il titolo di questo capitolo si riferisce ad una strofa di “Imbranato” di Tiziano Ferro e credo che calzi molto bene al nostro piccolo e adorabile Falco. Personalmente voglio un sacco di bene a questo PG

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Capitolo 24
*** Vertigo ***


Se ti stai chiedendo perché stai leggendo il capitolo 23 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

23
Vertigo


 

Improvvisa, come un fulmine a ciel sereno, c’era stata una novità. Erwin aveva comunicato a tutti loro che sarebbero ritornati nella casa al mare dove avevano alloggiato appena arrivati. Si sarebbero trasferiti tutti, compresi quelli della resistenza. Lì avrebbero preparato l’attacco ai titani fin nei minimi particolari.
«Perché dobbiamo tornare indietro per poi tornare qui? Francamente non lo capisco» chiese Levi stancamente. Quell’inerzia e tutto quel fare e disfare lo stava sfiancando. Era un uomo d’azione e detestava star fermo ad aspettare il corso degli eventi in maniera passiva.
«Per diminuire la possibilità di essere spiati e perché ci raggiungeranno dei rinforzi» spiegò pacato il comandante, anche lui era stanco e ogni tanto il moncherino gli faceva davvero male, ma era abituato a mettere davanti a tutto il lavoro, quindi appariva impassibile come sempre.
«Speriamo che ci abbiamo mandato un intero plotone, o credo che non usciremo vivi da quest’isola di merda!» commentò secco il capitano.
«Ce la caveremo anche questa volta, cerchiamo di essere positivi» s’intromise Hanji cercando di smorzare i toni. Capiva il malumore di Levi e anche le sue preoccupazioni, ma lei era una che per natura cercava di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno, anche quando il bicchiere era incrinato e non c’era acqua a portata di mano.
«Cominciate a fare le valige. Domani si parte» enunciò in fine Erwin e poi andò ad avvisare anche i ragazzi.

 

*

 

Niccolò e Sasha ormai dormivano nella stessa stanza, anche se dovevano arrangiarsi su un letto singolo. La cosa a loro non dispiaceva, amavano dormire incastrati l’uno nell’altra in posizioni quasi da contorsionisti.
Avevano cercato di stare piuttosto attenti a non rendere troppo evidente la loro relazione, ma ormai tutti sapevano.
Temevano che Erwin non avrebbe gradito, ma per ora sembrava che la cosa non lo turbasse, o forse semplicemente che non si fosse accorto di nulla. Era sempre difficile intuire che cosa pensasse, o sapesse realmente il comandante.
«Non so se te l’ho mai detto» cominciò a dire il ragazzo giocherellando con una ciocca dei capelli di Sasha.
Erano a letto abbracciati e distesi una sull’altro.
«Beh? Non finisci la frase?» lo incitò la ragazza con il mento appoggiato sul suo torso.
«Scusa mi ero perso, hai dei capelli stupendi» le confessò sorridendole.
«Solo quelli?» fece finta di rimproverarlo.
«No, tu sei davvero la più in gamba e la più bella che abbia mai conosciuto» ammise sincero, poi la tirò sù e la baciò con trasporto.
«Insomma che stavi per dire? Sto morendo di curiosità!» ribatté appena le loro labbra si dettero una tregua.
«Dunque, non so se te l’ho mai detto, ma ho studiato per diventare chef, tra l’altro mi è anche stato utile come copertura un paio di volte. Vengo da una famiglia di ristoratori e mio padre sognava che almeno uno dei suoi figli potesse ricevere una stella Michelin. Ho sempre amato cucinare, ma non mi andava proprio di farlo di mestiere, però sono molto bravo. Pensavo di preparare una cena per tutti quando ci saremo trasferiti alla casa sulla spiaggia. Sai per fare qualcosa di bello e cameratesco. E poi anche perché sia di buon auspicio per la missione che dobbiamo affrontare. Sarà sicuramente molto pericolosa e una bella mangiata in compagnia magari alleggerirà per qualche ora gli animi di tutti noi. Che ne dici? Ti sembra una cosa stupida?».
«Tralasciando da parte il fatto che se mi parli di mangiare io perdo la testa, trovo questa tua pensata davvero molto carina e dolce. Non mi avevi detto che sei uno chef, mi sta quasi venendo voglia di sposarti!» gli disse scherzando ma non troppo.
Niccolò la strinse tra le sue braccia per baciarla di nuovo e lei lo accolse con passione. Si amarono con slancio, così come solo i ragazzi giovani e innamorati sanno fare. Dimenticando per quel tempo dolce e piacevole speso insieme, i problemi e le paure per ciò che il futuro aveva in serbo per loro.


*

In un’altra camera un’altra coppia stava affrontando un’altra problematica.
«Davvero pensi che ce la caveremo?» chiese Levi ad Hanji.
«Lo sai che sono ottimista per natura e poi avremmo degli aiuti no? A proposito io parto oggi».
«Questa novità da dove esce?».
«È per via di un’idea che ho avuto. L’ho illustrata ad Erwin ma mi ha dato il divieto assoluto di parlarne con tutti, compreso te. Scusami» gli rivelò mogia.
Spesso stando insieme tendevano a dimenticare che erano agenti e che Hanji aveva un grado superiore a Levi e doveva comunque rispondere direttamente al comandante.
«Non mi sorprende è tipico da parte sua agire così. Se fosse un animale sarebbe un fottuto ragno che passa il suo tempo a tessere tele appiccicose e traditrici, ovviamente noi siamo le mosche che dalla merda finiamo direttamente nelle sue fauci!».
«Mamma mia che brutta similitudine ti è venuta!» inorridì Hanji.
«Per via del ragno?» le chiese sorpreso.
«No, per averci accostato a mosche che mangiano merda!» e fece una boccaccia disgustata. In quel modo però aveva stemperato un po’ i toni perché Levi sembrava davvero contrariato e a lei dispiaceva, ma sul lavoro era seria ed intransigente. Non trasgrediva mai un ordine.
«Ad ogni modo capisco il tuo silenzio, non farti colpe che non hai. Anche io farei come te nei tuoi panni» le rispose calmo ma ancora infastidito. In realtà la cosa che più gli dava noia era quell’incertezza che sembrava non finire mai. A volte gli pesava, ma aveva imparato ad obbedire senza replicare e per uno come lui era stato un enorme passo avanti.
Hanji gli si avvicinò e gli sfiorò le labbra con un bacio, piegandosi appena. Capiva il suo disappunto e le dispiaceva, ma faceva parte del gioco.
«Cazzo Hanji ti ho detto che non c’è problema, non c’è bisogno che  tua sia condiscendente! Piuttosto mi conforta che tu abbia avuto un’idea per uscire da questo oceano di melma in cui stiamo per affogare».
«Ti è mai passato per la testa che forse ho solo voglia di darti un bacio?» gli rispose lei serafica.
Levi emise un verso gutturale non ben definito.
«Sei prevenuto. Sai che mi piace darti noia, perché non farlo adesso, c’è un veto particolare?».
Levi roteò gli occhi «Sei una donna impossibile te l’ha mai detto nessuno?».
«Sì, tu, ogni due ore al massimo. È come un mantra per te. Credo che sia la cosa che ami più di me. Il mio essere estenuante e sempre dalla parte della ragione, ovviamente» lo canzonò divertita.
A quel punto Levi si arrese e lei lo baciò di nuovo strapazzandolo a dovere.



*

«Ti ringrazio di essere venuta» disse Eren e sembrava sincero. A dire il vero sembrava proprio un altro rispetto alle ultime volte che si erano incontrati.
«Che cosa vuoi da me?» tagliò corto Mikasa.
Era andata a quell’appuntamento di nascosto e non molto convinta, accompagnata da grossi sensi di colpa. Non aveva potuto fare diversamente, quando si trattava di lui era tutto molto difficile da gestire. L’aveva cercata implorandola e lei non si era sottratta, come sempre del resto.
Il fatto che non lo amasse più non significava che non gli volesse ancora bene e che non lo considerasse più la sua unica famiglia.
«Intanto vorrei rassicurarti e dirti che Krista sta bene. L’ho sentita. Sembra che sia da qualche parte al sicuro anche se non mi ha voluto rivelare niente su dove sia e con chi. Credo che tutto sommato abbia fatto bene, non si sa mai di chi ci si può fidare e chi potrebbe ascoltare le nostre conversazioni telefoniche».
«Non ti è balenato per la testa che possa essere una trappola?» commentò seria la ragazza.
Parlava bene e razzolava male, perché anche quell’incontro poteva essere un tranello per lei e la sua squadra.
«No, quale trappola? Non mi ha chiesto di andare da lei, né di fare alcunché, quindi non vedo dove possa essere l’inghippo».
«Vabbé forse è così... ad ogni modo mi dici che vuoi? Sto rischiando grosso per te».
«Ho bisogno del tuo supporto per una faccenda delicata e non preoccuparti, il comandante Erwin sa tutto».
A quelle parole Mikasa sussultò molto sorpresa e cercò di indagare.
«Strano. Il comandate non ci ha detto nulla in merito».
«Avrà le sue motivazioni non credi? Ve ne parlerà al momento opportuno vedrai. Chi pensi mi abbia fatto fuggire?».
Mikasa era sempre più perplessa, ma Eren pareva di colpo essere tornato il ragazzo che aveva conosciuto anni prima e non il pazzoide fuori di testa dei loro ultimi incontri, anche se in quella storia qualcosa che non riusciva ad afferrare, le stonava come un gesso che stride sulla lavagna.
«Non ti fidi ancora vero?» le chiese con quegli occhi grandi e immensamente verdi in cui era affogata così tante volte da perderne il conto. In quel momento sembravano così limpidi e sinceri…
«Permetti che sia un po’ sorpresa da ciò che mi stai dicendo e da questo tuo repentino cambiamento?».
«Che c’è di strano? Diamine, sono sotto copertura, devo fregare il nemico, soprattutto mio padre. Tu sei stata la mia prova del nove, se riuscivo ad ingannare te, allora potevo ingannare chiunque» le spiegò tranquillamente, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Mikasa sospirò, poteva essere plausibile, per il momento decise di non approfondire il discorso.
«Tornando a noi, ho bisogno di te perché al momento opportuno tu faccia una cosa per me». Cominciò a spiegarle che i titani non dovevano essere considerati una minaccia, tanto meno un’arma di distruzione di massa, ma potenti opportunità al servizio della propria nazione che andavano tutelati. Era così affabile e premuroso nel decantare le lodi dei mutaforma, Zeke compreso, che non sembrava quasi lui a parlare. Nel frattempo il suo guardo era diventato leggermente vitreo e questo non piacque per niente a Mikasa, ma non lo diede a vedere.
Alla fine disse la sua.
«Questo non dipende da me, non posso certo prendere decisioni circa la vostra sorte».
Eren però non si agitò come suo solito quando veniva contrariato, continuò ad essere calmo e accomodante tanto da risultarle posticcio.
«Lo so e lo capisco ma di fatto sei l’unica che può aiutarmi. Anche Erwin si convincerà vedrai».
Le prese le mani e la guardò, una luce strana baluginava in quei due laghi smeraldini. Non seppe dire il perché, non si stava fidando di lui, ma in qualche modo, probabilmente, quel ragazzo esercitava ancora un forte ascendente su di lei, o forse voleva solo credere che fosse sincero.
«Ci penserò su» gli rispose infine.
In realtà voleva capire che avesse in mente, se era vero che Erwin lo avesse assecondato nella fuga e temporeggiare era il modo migliore per scoprire entrambe le cose.


*

Erano passati due giorni dall’incontro con Eren e Mikasa si era confrontata con Erwin su ciò che era emerso.
Era tardi, notte inoltrata e mille pensieri contrastanti affollavano la sua mente.
Si concesse una doccia calda e molto lunga per rilassarsi. Una volta uscita, con una mano pulì la patina di condensa formatasi sullo specchio del bagno e si guardò dritta negli occhi.
Si legò i capelli ancora bagnati in una sorta di treccia di fortuna, poi prese un paio di forbici e la recise proprio sotto la nuca. I capelli caddero in massa a terra e lei alzò distrattamente sguardo, prese l’asciugamano li frizionò, poi finì di sistemarsi.
Distesa nel suo letto cercava di mettere ordine tra i suoi pensieri.
Tra tutti uno era più assillante degli gli altri.
Nella sua mente, da giorni, si era come stampata l’immagine di Jean che riposava scomposto sulla poltroncina in fondo al suo letto. Era accaduto quando si era ubriacata. La mattina seguente si era svegliata perché un fascio di luce, che filtrava dalla finestra, le aveva ferito il volto. Le faceva male la testa e si era tirata su a sedere. Era stato allora che lo aveva visto, raggomitolato, con la testa reclinata di lato e la bocca semiaperta che dormiva. Si capiva che avesse ceduto al sonno contro la sua volontà vista la posa innaturale.
Si era sentita stranamente al sicuro nel vederlo lì. Non le era mai capitato prima che qualcuno la vegliasse, di solito era lei quella che assisteva Eren in certe occasioni. Fu una sensazione nuova, piacevole. Si era riaccucciata a dormire e quando si era svegliata di nuovo, lui non c’era più. Solo allora si era resa conto di essere in mutande e reggiseno. Tutti pensieri carini che aveva fatto su di lui erano stati travolti da un grande imbarazzo e dalla rabbia. Si era approfittato della situazione per spogliarla e chissà cos’altro, aveva pensato furiosa.
Era uscita dalla camera per andare a cantargliene quattro, quando si era imbattuta in Hanji che l’aveva fermata per chiederle come stesse. Era stata lei poi a spiegarle, che insieme a Sasha, l’avevano spogliata lavata e cambiata. Jean le aveva chiamate in aiuto dopo che aveva vomitato anche l’anima. Era molto preoccupato e non voleva assolutamente essere lui a toglierle i vestiti. Mikasa davanti a quel racconto era rimasta esterrefatta da tanta attenzione e delicatezza. Chi se lo sarebbe aspettato da uno sbruffone come Kirschtein un comportamento del genere? La cosa l’aveva davvero sorpresa.
Ora se ne stava lì a pensare e rimuginare su tutto quello che a breve avrebbero dovuto affrontare in quella missione e sul fatto che non l’avesse neppure ringraziato per essersi preso la briga di riportarla in albergo avendo cura di lei.
Si alzò di scatto indossò le prime cose che trovò e uscì dalla sua stanza.

Un bussare incessante svegliò di colpo Jean.
Guardò l’orario sul display del suo cellulare.
Ma chi cazzo è quest’ora? Se è Connie con una delle sue cazzate mi sente!
Pensò infastidito. Sgusciò fuori dal letto senza neppure curarsi di mettersi qualcosa addosso, menomale che indossava almeno i boxer.
Aprì la porta pronto a dare battaglia e se la trovò davanti: infagottata in una felpa oversize che copriva quasi completamente i calzoncini che indossava di sotto. Teneva le braccia strette al petto e il suo sguardo nascondeva una serie di sentimenti evidentemente contrastanti tra di loro, ne era la prova che non lo guardasse in faccia.
La cosa che lo colpì come un pugno nello stomaco furono quei capelli corti dal taglio sgraziato e vagamente maschile.
«Mikasa ma che hai fatto? Che Succede?» le chiese allungando la mano verso la sua chioma offesa.
Lei girò la testa di lato «Li ho tagliati per comodità» disse sbrigativa, per non dare troppe spiegazioni e poi aggiunse in un soffio: «Puoi metterti qualcosa addosso per favore?».
Lui non fece un fiato ed entrò di filato in camera, lasciandola sulla porta e battendo ogni record di velocità si infilò maglietta e pantaloni.
«Vuoi entrare?» le chiese timidamente. Non ci stava capendo nulla. Era appena sveglio, ancora intontito dal sonno e lei era lì, con i capelli straziati e lo sguardo addolorato, ma anche stranamente lucido. Era spiazzato non sapeva che dire, né che fare.
«No. Voglio solo dirti una cosa» cominciò la ragazza evitando sempre e comunque il suo sguardo.
Jean sentì il cuore balzargli in gola senza neppure sapere bene il perché.
«Non so se usciremo tutti indenni da quello che ci aspetta a breve» proseguì calma alzando finalmente lo sguardo.
Lui si sentì morire.
«Volevo solo che tu sapessi che ti sono grata per come ti sei comportato quando ero ubriaca» concluse con impaccio.
Il ragazzo sgranò gli occhi e fece per parlare ma lei allungò la mano e gli poggiò l’indice sulle labbra.
«Non dire niente».
Il cuore di Jean sembrava essersi tramutato in un tamburo tribale che rimbombava all’impazzata nella cassa toracica, ma il bello doveva ancora venire, infatti gli si avvicinò e gli poggiò una mano su una guancia. La guardava e gli sembrava quasi di essersi staccato da terra, non era più certo di essere sveglio, temeva fosse solo un bel sogno che a breve sarebbe svanito interrotto dal suono della sveglia. Invece Mikasa era lì e sentì le sue labbra sfioragli la guancia vicinissimo all’angolo della bocca, con un bacio morbido e fugace come una carezza.
«Qualunque cosa accada promettimi che non ti preoccuperai per me, che starai molto attento e ti guarderai le spalle» gli disse in modo sibillino, sostenendo finalmente il suo sguardo.
Il tutto durò il tenpo di un battito di ciglia, poi com’era venuta si girò e se ne andò, lasciandolo sulla soglia della porta a guardarla preda di mille emozioni.
Ma che voleva dire?
Quella ragazza lo avrebbe mandato manicomio, temeva che quando ci avesse capito qualcosa forse sarebbe morto.


Nel frattempo qualcuno furtivamente si era allontanato dalla propria camera d’albergo. Rendendosi poco riconoscibile e con il favore scuro della notte, si aggirava per le vie di Eldia recandosi ad un appuntamento importantissimo che avrebbe potuto capovolgere le sorti dell’imminente scontro tra titani e agenti.

 


I monologhi dell’autrice
Continua il ripostaggio degli ultimi capitoli e ci stiamo avvicinando a grandi passi verso la parte più densa e “battagliera” della storia.
Sì, lo so sono pessima con il trio Mikasa-Jean-Eren ma a mia discolpa posso dire che poi alla fine tutto avrà un senso. Così come tante cose che vengono buttate lì o solo accennate!

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Capitolo 25
*** Nella tana del serpente ***


Dopo aver accidentalmente cancellato questa storia in corso, finalmente sono in pari! Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1

 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

25
Nella tana
del serpente


Il camioncino telonato era guidato da Niccolò e accanto a lui era seduta Yelena.
Entrambi erano vestiti come coloro che portavano rifornimenti alimentari al laboratorio di Marley. Nel vano posteriore del mezzo c’erano varie casse, pallets e blister con deterrate alimentari
(1).
Ovviamente era un trucco per penetrare all’interno dell’edificio senza farsi riconoscere.
L’intelligence aveva procurato loro documenti falsi, dalla loro credibilità al posto di blocco dipendeva l’esito dell’intera operazione.
Il ragazzo era serio e molto concentrato. Guardava fisso la strada e cercava di tenere a bada l’ansia. Il compito che gli aveva affidato Erwin era importante e carico di grande responsabilità.
Yelena stava seduta abbastanza sguaiata, con un piede sopra il cruscotto e aveva un’aria vagamente sorniona che non sfuggì a Niccolò.
«Potresti metterti composta e levarti quell’aria compiaciuta dalla faccia? Non è che sei di molto aiuto con questo atteggiamento. Ti ricordo che dobbiamo passare inosservati e apparire normali corrieri per una consegna».
«Stai tranquillo piccolo Cracco, rilassati, fai come me. Altrimenti arriverai con una faccia tirata come una corda di violino e quello che ci farà scoprire sarai solo tu» lo schernì la valchiria.
Niccolò si ricordò di quello che doveva tenere bene a mente e tacque. Era un agente anche lui e sapeva come comportarsi anche nelle situazioni più pericolose e ambigue.

 

*

 

Dodici ore prima

Il comandante aveva spiegato a tutti la sua strategia per l’attacco a Marley e Levi richiese un incontro a tre con lui e Hanji. Da soli.
«Mi domando se tu sia lucido Erwin! Davvero vuoi mandare Yelena sul camion con Niccolò? Che poi anche su di lui, io la mano sul fuoco non ce la metterei al cento per cento» gli stava dicendo molto perplesso.
Hanji invece era insolitamente silenziosa.
«Dopo tutto questo tempo ancora non hai imparato a fidarti di me?» gli chiese Erwin tranquillo.
Si era immaginato una simile reazione da parte del capitano ed era pronto a fronteggiarlo.
«Diciamo che mi fido, ma questa volta la posta in gioco è veramente troppo alta e la missione abbastanza fuori dalla nostra portata, se vogliamo essere onesti e sinceri non sappiamo se ne caveremo le gambe e fare azzardi non mi pare molto furbo» rispose Levi molto serio.
«Proprio per i motivi che hai elencato dovresti lasciarmi fare, o credi che vi stia mandando tutti al macello?» gli chiese il comandante rabbuiandosi.
«Ma perché non affidarci solo ai nostri?» ribatté Levi.
«C’è un motivo ben specifico che al momento debito ti spiegherò. Per la riuscita del piano alcune sottigliezze vi saranno svelate in corso d’opera. Tutto è studiato nei minimi particolari per la nostra sicurezza».
Levi cercò lo sguardo di Hanji che gli abbozzò un mezzo sorriso, che significava: fidati!
L’uomo sospirò.
«Va bene allora facciamo a modo tuo».
«Ho studiato la cosa molto attentamente. Se tutto va come deve andare tra pochi giorni saremo su un aereo per tornare a casa, ma è importante che io abbia la vostra totale e completa fiducia. Dovrete obbedirmi anche se vi sembrerà che abbia pensato azioni insensate. A proposito di questo devo chiedervi una cosa, ma che deve restare assolutamente tra noi tre».
«Per me non ci sono problemi Erwin» ribadì Hanji.
«Idem» rispose secco Levi.
«Bene diamoci da fare allora!» concluse il comandante.

 

*

 

Arrivati al posto di controllo a Marley, Niccolò e Yelena ovviamente furono fermati.
Il ragazzo aprì il vano porta oggetti e mostrò loro le bolle d’accompagnamento
(2) con la lista delle merci trasportate.
«Dobbiamo vedere anche i vostri documenti personali» disse uno dei due vigilanti armati.
Niccolò gli passò la sua carta d’identità falsificata e così fece anche Yelena.
«Dunque qui abbiamo un Hans Ghotemberg, giusto?» fece osservando Niccolò. «Nato a…» e sì fermò guardandolo con aria interrogativa.
«Berlino il dodici maggio del 1996» rispose sicuro con un ottimo accento tedesco.
«Di qua invece abbiamo Andrea Rochel…» e si abbassò per guardare meglio la ragazza.
«Nato a Nantes il due giugno del 1995» rispose pronta Yelena.
«Nato?» chiese il guardiano perplesso.
«Sono trasgender, qualche problema?» gli disse seccata.
Niccolò stava sudando. Ma era scema o cosa?
«Nessun problema, anzi, complimenti per la transizione sembri proprio una donna».
«Che razza di idiota! Sono una donna, sto facendo la transizione per diventare uomo, imbecille!» gli urlò contro strappandogli il documento di mano «ogni volta è questa storia, mi avete proprio stufato, omofobi del cazzo!».
«Mi scusi, non volevo essere irrispettoso» si giustificò l’uomo mortificato. Aveva pensato di essere stato gentile e invece stava facendo una figura davvero pessima.
«Io non ci volevo venire in questo posto maledetto da Dio! La prossima volta non sostituisco nessuno, anzi sai cosa ti dico, fatta la consegna mi licenzio!» starnazzò Yelena verso Niccolò con fare isterico.
«La fai finita?» gli ringhiò lui serio, non capendo a che gioco stesse giocando.
«Va bene, passate andate e levatevi dalle palle!» disse l’altro guardiano rendendo il documento a Niccolò, che mise in moto ed entrò lesto dentro Marley.
«Ma che ti sei bevuta il cervello?» chiese subito stizzito a Yelena.
«Niente affatto, mi pare che la cosa abbia funzionato alla grande, mi dovresti ringraziare! Ma non vi insegnano proprio una mazza in accademia, eh?».
«Hai rischiato grosso! Metti che quello si indispettiva e succedeva un casino».
«Il rischio fa parte del gioco, preferisco prendermelo calcolato che ritrovarmelo addosso senza preavviso. E poi mettere in difficoltà un interlocutore ti pone in posizione di vantaggio, infatti hai visto? Ci hanno fatti passare senza neanche controllare il carico».
«Da che parte è il laboratorio?» le chiese Niccolò evitando di continuare a discutere con quella tipa davvero strana. Lei conosceva bene Marley e doveva portarlo dove sarebbero potuti entrare senza dare nell’occhio.

 

*

 

Abbastanza vicino Paradise c’era un’altra isoletta (questa non era artificiale, ma naturale) disabitata e molto piccola. Erwin l’aveva trovata semplicemente perfetta al suo scopo.
«Sinceramente non capisco che ci facciamo qui e solo noi» ammise Galliard abbastanza perplesso. Il piano del comandante appariva oltremodo ingarbugliato, macchinoso e a tratti pure senza senso. Era molto preoccupato e sulla difensiva.
«Stiamo aspettando il calar della notte. Il favore delle tenebre» spiegò serafico Erwin.
«Sì ma perché allora Falco si è già trasformato? Qualcosa mi sfugge».
«Beh abbiamo sfruttato l’ora di massima di luce della giornata per mimetizzare al meglio la sua trasformazione. Il bagliore apparso in mezzo al mare potrà sembrare l’ennesimo esperimento, o se siamo fortunati sarà stato scambiato per un lampo lontano».
«Io non so perché ma mi fido di lei. È tutto molto nebuloso, ma comprendo la sua accortezza e mi piace» dichiarò Piek.
«Ma lei crede che la mutazione possa reggere fino a buio?» rincarò Galliard impaziente. Gli rodeva stare lì su quell’atollo mentre gli altri erano già in azione a Marley.
«Lo spero, da quello che ci avete detto non avete mi provato una cosa simile. È un azzardo, ma non abbiamo molte altre alternative e l’effetto sorpresa è fondamentale per la riuscita del piano» gli rispose Erwin.
«Ammesso che funzioni e regga, crede che quelli di Marley siano degli sprovveduti? Crede davvero che non si siano accorti che qualcuno si è trasformato?».
«Forse sì, o forse no. Questo non posso saperlo con sicurezza, ma una cosa è certa, saranno quanto meno spiazzati dal fatto che una trasformazione è avventa praticamente in mezzo al mare e che, nonostante ciò, non vedano arrivare nessun titano» spiegò serio il comandante.
Il ragazzo aggrottò la fronte.
«A questo non avevo pensato…» ammise.
«Sicuramente sono a conoscenza della defezione dei nostri rinforzi. Devono sentirsi sicuri e in vantaggio, così li coglieremo impreparati e ce la giocheremo ad armi quasi pari».
«Non male. Devo dire che ora il piano mi appare più chiaro, anche se ancora non ho capito quando io e Piek dobbiamo trasformarci» ribatté.
«Ogni cosa a tempo debito, intanto speriamo che a Marley stia andando tutto bene e che i nostri riescano ad entrare nel magazzino senza troppi problemi» commentò Erwin guardando l’orologio.
Lo avrebbero avvertito solo a cose fatte, se tutto era andato secondo i piani a breve avrebbe dovuto sentirli per conferma.
Intanto Falco, trasformato, stava pazientemente acquattato cercando di risparmiare ogni singola energia che avesse in corpo. Il suo ruolo sarebbe stato fondamentale e ci teneva a dare il meglio di sé, anche se stare lì fermo senza far nulla era oltremodo snervante.

 

*

 

«Ci siamo quasi» enunciò Yelena indicando una strada stretta che si inerpicava su una breve salita.
Niccolò aveva i battiti cardiaci accelerati, dire che fosse in agitazione era poco, ma cercava di darsi un tono e di non lasciare troppo spazio alla sua ansia, anche se con quella strana donna accanto non era facile. Lo faceva sentire insicuro e questo non gli piaceva.
«Dopo la curva c’è un grosso cancello. È l’entrata al laboratorio. Dobbiamo suonare ed aspettare che che le guardie vengano ad aprirci. Ricordiamoci che noi portiamo rifornimenti alimentari. Se stiamo tranquilli andrà tutto bene».
«Speriamo. Io comunque sono tranquillo, vedi di non fare scenate come al posto di blocco piuttosto» l’ammonì il ragazzo serio. Il cuore ora lo aveva direttamente in gola, ma a lei non l’avrebbe mai fatto scoprire.
«Non ce ne sarà bisogno» rispose lei sibillina con un mezzo sorrisetto sghembo.
Cosa che non piacque per niente a Niccolò, il quale sospirò appena, ma non profferì parola.
Proprio dietro la curva apparve il cancello, esattamente come aveva detto Yelena.
Era molto grande e teneva chiusa un’alta inferriata che circondava un enorme capannone diviso in tre settori. Si notavano delle antenne particolari e dei micro satelliti che giravano su se stessi.
Il camioncino si fermò. Yelena scese e suonò il campanello, poco dopo si palesarono alcuni uomini armati.
Come al posto di blocco controllarono i documenti e poi dissero che avrebbero fatto loro strada fin dentro il magazzino dove avrebbero dovuto scaricare la merce.
Niccolò mise in moto e seguì la camionetta che i tipi guidavano davanti a loro.
«È andato tutto molto liscio» commentò senza colore. La sua preoccupazione però invece di diminuire era aumentata.
«Per ora, ma non cantiamo vittoria. Sicuramente vorranno controllare prima di farci scaricare, spero che i nostri siano pronti e veloci a sorprenderli!».
L’altro non le rispose e continuò a guidare fin dentro il magazzino. Poi spense il motore, quindi scese dal mezzo seguito dalla valchiria.
«Un momento!» e li fermarono con un gesto della mano per poi imbracciare i loro mitra.
«Dobbiamo controllare la merce» aggiunsero perentori.
Yelena sorrise divertita, a Niccolò invece si ghiacciò il sangue nelle vene perché quelli avevano erano armati e pronti all’offesa.
Il ragazzo fece per andare a scostare il telone ma gli fu impedito.
«Non ti muovere» gli intimò quello che sembrava il capo. Poi si avvicinò egli stesso e aprì deciso.
Niccolò si aspettava che da un momento all’altro i ragazzi saltassero fuori dai loro nascondigli nelle casse e ci fosse un combattimento, invece una sventagliata di mitra lo fece trasalire terrorizzato.
Stavano sparando a tutta birra proprio contro le casse.
Le sforacchiarono per bene tanto che le ridussero come pezzi di groviera. Poi quando ebbero scaricato su di esse un intero caricatore presero un piede di porco e le aprirono.
È la fine! Pensò Niccolò. Saranno tutti morti… e ora uccideranno anche me…

 

*

 

«Erwin è andato tutto secondo i piani» stava dicendo Hanji.
Era in cima ad un palazzo appostata insieme ad una parte dei ragazzi, gli altri erano con Levi, sempre appostati, ma sul tetto del palazzo di fronte.
«Se tutto è andato come doveva anche Niccolò dovrebbe essere in salvo a questo punto» rispose il comandante.
«Me lo auguro, perché se gli è capitato qualcosa non so cosa potrei fare» masticò a denti stretti Sasha.
«Stai tranquilla, sembra sia tutto calcolato» la rassicurò Connie.
«Calcolato o meno sapere le cose in corso d’opera non mi piace e sono molto in pensiero per lui!» ribatté la ragazza.
Anche loro non erano stati avvertiti di questa variante del piano che gli era stata comunicata quando erano già nelle casse.
«Erwin anche noi siamo in posizione» confermò Levi.
«Non ci resta che attendere. Si saranno già resi conto che li abbiamo fregati e verranno a cercarvi…» disse il comandante dalla ricetrasmittente.
«E noi siamo qui ad aspettarli» concluse Levi.
«La prima parte del piano è andata bene, speriamo che anche la seconda vada liscia» commentò Hanji.
Non era stato facile avvisare i ragazzi e convincerli a scappare da quel camioncino poco dopo che erano entrati a Marley. Era accaduto tutto molto in fretta, quando la strada, in un punto che era molto dissestata, aveva costretto Niccolò a guidare più piano. Svelti erano usciti dalle casse e uno ad uno si erano lanciati giù, per poi fuggire sparpagliati e ritrovarsi ad un punto convenuto.
Erwin ci aveva visto giusto, quella mossa si era rivelata vincente.
Ora erano tutti appostati con gli occhi alla strada, non poi così lontani dal laboratorio.
Nessuno di loro aveva una gran voglia di parlare erano molto concentrati e pronti all’attacco.
Tutto in torno, come sempre regnava un sinistro silenzio, spezzato solo dai loro respiri e dallo stridio di alcuni gabbiani che volteggiavano in un cielo insolitamente blu e privo di nuvole. Ormai sapevano da tempo che Marley era una città fantasma abitata solo da titani e da chi anelava diventare come loro per avere un chance di vita dopo il contagio.
Ad un tratto sentirono qualcosa che si stava avvicinando.
Si misero subito in allerta e caricarono le armi con le RIP, togliendo tutti le sicure.
«Stanno arrivando…» disse Levi ai suoi «vi voglio concentrati. Atteniamoci al piano e non facciamo una virgola in più chiaro?».
Stessa cosa, più o meno disse anche Hanji ai suoi.
Di lì a poco avrebbero dovuto affrontare l’incognita più spaventosa della loro vita, ma nessuno aveva intenzione di darla vinta a quei mostri e avrebbero venduto cara la pelle prima di soccombere!
Nel frattempo in fondo alla strada sbucò qualcosa…

I monologhi dell’autrice
E finalmente siamo in pari!!!!

Note: 1-2 Sono termini tecnici riguardanti il trasporto di derrate alimentari (detto in soldoni trasporto di cibo) avendo lavorato per oltre vent'anni nel settore della grande distribuzione alimentare ho voluto usare i termini appropriati per questo genere di trasporto

Eccomi finalmente alla fine del ripostaggio.
Vorrei ringraziare tanto FoolP e Coldcat per le recensioni d’incoraggiamento, ma anche tutte quelle persone che stanno leggendo o rileggendo la storia in 5 giorni ho ripostato 25 capitoli e sono stati incredibilmente letti da più persone, alcuni anche appena postati. Sinceramente non me lo sarei mai aspettata è stata una bellissima sorpresa di cui vi ringrazio, perché non è che proprio sono rimasta felicissima quando è sparito tutto comprese le 121 recensioni. I numeri sono numeri e non ci definiscono, di questo ne sono consapevole, però dopo lo scorno è stato bello scoprire tanto affetto GRAZIE!
♥♥♥
Auguro a tutti voi che leggete una serena Pasqua e buone vacanze.
Ci ritroviamo con (FINALMENTE!) un capitolo nuovo la prossima settimana

 

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Capitolo 26
*** Titani all'attacco - parte prima ***


L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible

 

 

26
Titani all’attacco 
parte prima

Quello che apparì davanti ai loro occhi fu qualcosa di totalmente inatteso e raccapricciante.
Io suo torso aveva le fattezze di un essere dal corpo muscoloso, simile a quello di un uomo che fa moltissima attività fisica, di altezza decisamente molto sopra la media, forse addirittura un paio metri se non di più, ma era difficile capirlo perché quell’ibrido procedeva prono e correva carponi. Al posto delle mani aveva delle vere e proprie zampe dotate di artigli retrattili, come quelle dei felini, mentre le gambe sembravano gli arti posteriori di un canide. Il viso non aveva più nulla di umano. Era molto simile a quello di un lupo, mentre le orecchie erano identiche a quelle dei gatti, così come le vibrisse che aveva intorno alla parte superiore di quello che una volta doveva essere il labbro.
I denti erano aguzzi e molto grandi, tanto da non fargli mai chiudere le fauci e regalargli un ghigno agghiacciante.
Il corpo era ricoperto da un pelo rado, nero e lucido, come quello delle pantere e gli occhi erano color arancio acceso, sembravano quelli di un vero demone.
Quella cosa era arrivata correndo, poi si era fermata proprio nel centro della strada, molto vicino al punto in cui si erano nascosti.
Annusava l’aria e il terreno, dalla bocca gli colavano copiosi fili di bava appiccicosa che andava a depositarsi a terra.
Era indubbio che li stesse cercando e che fosse una specie di segugio, per fortuna non aveva niente che confermasse il loro odore, ma comunque sembrava perfettamente in grado di captare presenze umane.
«E questo ora che cazzo è?» chiese terrorizzato Connie.
Quella cosa era schifosamente spaventosa.
«Stai zitto!» lo rimbeccò Sasha.
«Ragazzi non fate rumore» li ammonì Hanji.
Nello stesso momento dalla parte opposta di quel palazzo.
«Questa non me l’aspettavo proprio… cosa facciamo ora?» commentò Jean.
Levi e Mikasa erano silenziosi e non risposero, anzi il capitano fece cenno al ragazzo di tacere.
«Posso centrarlo quando vuole» affermò decisa Gabi con l’occhio nel mirino che puntava dritto alla sua nuca.
«Dobbiamo attenerci al piano. È ancora giorno, non sappiamo che cosa ci aspetta e quanti sono, non diamogli certezze sulla nostra posizione. Stiamo calmi. Dobbiamo ragionare» chiosò Levi.
Nel silenzio di quella città morta ora si sentiva solo il fiutare simile ad un rantolo sguaiato di quel mostro, che ad un certo punto si accucciò.
Qualcuno aveva usato una sorta di sibilo, simile ad un richiamo per uccelli e quello obbediente si era messo a cuccia.
Dal fondo della strada videro arrivare Zeke e Yelena. Procedevano affiancati e le loro espressioni parevano molto soddisfatte.
Quando Jeager senior fu vicino a quella cosa poggiò lo zaino a terra e la bestia cominciò ad agitarsi.
«Buono Cerbero, fai il bravo che il tuo padrone oggi ti fa divertire» disse con voce malignamente contenta. Poi estrasse un pezzetto di carne sanguinolenta e lacerata e gliela tirò da una parte.
Fu un attimo, quella bestiaccia la raggiunse e la ingurgitò tra versi terrificanti e schifosi in un sol boccone.
«Ecco come ha fatto quella testa di cazzo a farci credere che l’avesse mangiato» commentò Levi. Era molto preoccupato, ma purtroppo il peggio doveva venire.
«Allora?» fece Zeke alla valchiria.
«Missione compiuta» rispose soddisfatta tirando fuori dal suo di zaino alcuni indumenti, che si resero conto fossero appartenuti proprio a loro. Evidentemente li aveva rubati quando erano alla casa sulla spiaggia.
«Merda!» scappò detto ad Armin angosciato. Quella lui non l’aveva mai digerita e i suoi sospetti si stavano dimostrando fondati.
«Shhhhh!» lo ammonì Hanji. Anche lei era molto agitata per via di quello che stava accadendo, ma voleva essere lucida e rimanere fredda.
«Vieni Cerbero annusa la tua cena, piccolino» disse Zeke con una voce malignamente soddisfatta.
Quello scherzo della natura immerse il muso nei vestiti, si fermò un attimo e poi prese a ringhiare in un modo agghiacciante emettendo dei versi che non solo non avevano nulla di umano, ma neanche si avvicinavano al regno animale.
Fece gelare il sangue nelle vene di tutti quelli che erano sul tetto.
«Cazzo siamo fottuti!» disse Jean molto preoccupato.
Levi lo zittì nuovamente.
«Allora mi merito un premio o no?» chiese Yelena appoggiandosi languidamente ad una spalla di Zeke.
Quello le sorrise sornione, poi l’afferrò per i capelli e la baciò in modo molto aggressivo, quasi violento.
Non gli piaceva quella donna, anzi a dire il vero provava anche un po’ ribrezzo nei suoi confronti, ma doveva compiacerla, gli faceva troppo comodo e si era mostrata fondamentale per la riuscita del piano.
Finito di baciarla la guardò serio: «Fattelo bastare per ora. Dobbiamo portare avanti una missione e non abbiamo tempo per queste stronzate».
Lei frastornata si pulì la bocca con il dorso della mano e annuì.
Hanji vedendo quel gesto pensò che nessuno di quei due stesse a posto con il cervello e si concentrò su quell’ibrido che nel frattempo aveva alzato il muso continuando a fiutare.
Levi intanto stava pensando e analizzando velocemente alcune opzioni per decidere che cosa fare e come farlo. Per attuare il piano congeniato da Erwin era ancora presto, mancava ancora un bel po' al calar della notte. Era fondamentale per loro resistere fino a quel momento, perché non sapevano di quanti mutaforma disponeva Zeke.
Cerbero cominciò ad agitarsi, ringhiava verso l’alto prendeva la  rincorsa e cercava di scalare il muro, prima da un lato e poi dall’altro, sembrava impazzito. Le sue unghie stridevano sull’intonaco e la sua frustrazione divenne ferocia. La bava che gli si formava al lato delle fauci aumentò di consistenza producendo uno spettacolo disgustoso. Intanto più tentava di salire e più si imbestialiva perché ovviamente non ci riusciva.
Zeke alzò la testa e guardò in alto.
«Sembra ci sia qualcuno appollaiato sul tetto» commentò sardonico.
«Che intendi fare?» gli chiese curiosa Yelena.
«Andare a fargli un bel comitato di benvenuto. Questi pidocchi hanno rotto le palle, per fortuna basterà Cerbero a farli fuori».
«E se ci attaccano?» chiese lei.
«Faranno meglio a non farlo, ma in caso avranno ciò che cercano».
«Io sono preoccupata per te».
«Non mi rompere le palle spilungona, so io ciò che devo, o non devo fare».

«Riesci a vedere che cosa stanno facendo?» chiese Hanji a Levi attraverso la ricetrasmittente posizionata sull’orologio.
«No, non vedo un cazzo da quassù! Siamo tutti stesi a terra per evitare le pallottole di qualche cecchino se mai ce ne fossero nelle vicinanze».
«Capisco» fece Hanji.
«Possiamo solo aspettare. Se quello stronzo non si trasforma abbiamo qualche chance, perché quel mostro schifoso non riesce ad arrampicarsi. E comunque neppure quella scimmia di merda arriverebbe così in alto per fortuna. Dobbiamo attendere il buio».
Hanji sospirò forte. Qualcosa la inquietava e ripassando a mente tutte le informazioni che avevano su quegli scherzi della natura, si rese conto che Levi non aveva ragione al cento per cento purtroppo, ma preferì tacere. Era inutile seminare il panico prima del dovuto.
«Hanji?» la chiamò dopo qualche minuto Levi.
«Che c’è?» chiese la donna.
«Tu vedi, o senti più nulla?».
Qualche secondo di silenzio precedette un’imprecazione.
«Porca zozza! In strada non c’è più nessuno!» rispose concitata Hanji.
Levi portò la ricetrasmittente alla bocca ma un tonfo secco e una serie di urla sguaiate lo fecero trasalire interrompendolo. Fece appena in tempo a vedere quella cosa orrenda, che li aveva raggiunti dall’interno del palazzo, partire di slancio e fare un balzo verso i suoi compagni.
«Sono arrivati sul tetto!» urlò Armin alzandosi in piedi preoccupato per i compagni.
Stava per piombare addosso a loro quado Gabi lo centrò con una RIP nel fianco. Quello si accasciò di lato guaendo e cominciò a fumare. Ringhiò in modo spaventoso, poi si tirò sù e zoppicando tornò a dirigersi verso di loro.
«Presto fuggiamo attraverso i tetti con gli M3D!» urlò Hanji.
«Seguiamoli!» fece Levi ai suoi, poi si girò verso Gabi «Appena ti capita a tiro la nuca di quella cosa: abbattila!».
«Sissignore!» fece la ragazza.
Cominciarono a correre inseguiti da Zeke ed Yelena che erano spuntati alle spalle di Cerbero e che presero a sparare loro contro. In qualche modo riuscirono a schivare i colpi, poi con l’ausilio dei rampini presero a passare da un tetto ad un altro. Gli inseguitori non avendo gli M3D a questo punto dovettero per forza fermarsi, anche e continuarono a sparargli contro
La bestia si era accucciata, come se si stesse concentrando, così ci mise relativamente poco a risanarsi la ferita e riprese subito la sua caccia, ma Zeke lo richiamò, non ce l’avrebbe mai fatta a saltare e d’improvviso tutto piombò in una calma irreale.
«C’è mancato poco…» disse Jean asciugandosi il sudore dalla fronte. Poi guardò Mikasa. Sembrava in trance da quanto era concentrata.
Levi si avvicinò alla ragazza e le poggiò una mano sulla spalla: «Siamo in ballo e balleremo contro chiunque ci darà battaglia, non fare cazzate, o te la vedrai con me in persona».
Lei non rispose. Jean li guardò preoccupato.
«Non capisco però perché Zeke non si trasforma» commentava intanto Armin.
«Probabilmente non siamo i soli ad avere un piano» commentò Hanji.
«Speriamo che il nostro sia meglio del loro!» scappò detto a Connie.

«Sono soli e vulnerabili!» stava intanto constatando Yelena con Zeke.
«Così pare ma non mi fido. Ho avvertito Floch che setacci tutti i tetti e li scovi, e che si dia da fare con le nostre risorse per capire dove possa essersi acquattato il resto della banda titani compresi».
«Quindi che vuoi fare?».
«Quello che non si aspettano!» rispose l’uomo conciso.

 

Le due squadre intanto si erano spostate allontanandosi un bel po'. Erano scese a terra e stavano perlustrando la zona alla ricerca di un nascondiglio sicuro quando Sasha avvertì loro che un gruppo di Jeagheristi, che aveva avvistato con il binocolo, si stava pericolosamente avvicinando.
«Presto, muovetevi, dobbiamo riparare nuovamnete sui tetti, se ci vedono a terra è finta» constatò Levi e in men che non si dica si divisero e nuovamente si appollaiarono in cima a due palazzi adiacenti. Avevano tutti le ricetrasmittenti accese così da poter comunicare come se fossero assieme.
«Secondo voi siamo se ne sono andati?» chiese Armin.
«Non credo» rispose Hanji.
«Perché non ci uniamo tutti insieme?» domandò Connie.
«Divisi abbiamo più chances se ci attaccano» sentenziò Sasha.
«Sì lo credo anche io» aggiunse Armin.
«Ma perché dobbiamo aspettare che ci attacchino?» chiese Jean stranito.
«Gli ordini di Erwin sono chiari, dobbiamo farli venire allo scoperto, niente scontri fin quando non si saranno palesati gli schieramenti».
«Mah… a me pare che così siamo solo carne da macello» brontolò Gabi.
«Se non tacete vi sparo io!» grugnì Levi riportando il silenzio a regnare sovrano.
Hanji stava allerta, attenta ad ogni più piccolo rumore. Era calata una calma improvvisa, pure il gruppo di Jeagheristi aveva deviato dalla loro traiettoria e la cosa non le piaceva neanche un po’.
Nella staticità del momento improvviso si alzò un venticello caldo, quasi carezzevole.
Appollaiati stavano tutti all’erta, sembrava fosse tutto passato.
Quando d’un tratto la porta che dava su uno dei due tetti dove si erano rifugiati venne sventrata con rumore violento. Di colpo apparì ancora un avolta in tutto il suo orrore Cerbero, che era addirittura accresciuto rispetto a prima.
Come Levi lo vide urlò con quanto fiato aveva in gola ai ragazzi e alla ricetrasmittente: «Presto sparpagliamoci tutti e infiliamo con gli M3D dentro il palazzo. Veloci!».
La belva nel mentre fece un balzo e con una zampata lo colpì di striscio ferendolo ad un braccio. Per fortuna il capitano fece appena in tempo ad abbassarsi e fare una sorta di capriola a terra facendo in  modo che il mostro lo superasse, poi si lanciò con il suo dispositivo ed entrò nel palazzo da una finestra, dopo averla spaccata scalciando con l’ausilio dei suoi anfibi.
Si ritrovò dentro seguito da una pioggia di vetri e detriti.
Fu immediatamente raggiunto da Jean e Mikasa che si erano calati irrompendo dalla parte opposta.
«Tutto bene comandante?» chiese il ragazzo.
«Sì non è niente è solo un graffio» rispose Levi.
Mikasa fece un segno di assenso con la testa.
Jean pensò che quella ragazza fosse davvero una macchina da guerra, non aveva detto una sola parola da quando era cominciata l’operazione. Questa cosa era inquietante e affascinante allo stesso tempo. Lui si raccontava che voleva mandarla al diavolo, ma poi finiva sempre per ricadere nella sua rete.
«Hanji state tutti bene? Siete riusciti ad entrare nel palazzo?».
Silenzio.
«Hanji cazzo, rispondi! State tutti bene?».
Ancora silenzio.
«Qualcosa non va…» disse Levi serio.
«Andiamo a vedere?» chiese Jean.
«No,voi state qui, rintracciate Gabi».
Cominciò ad armeggiare con l’M3D quando un sibilo improvviso lo fece agire d’istinto, si buttò di lato schivando per miracolo una pallottola.
«Cecchini… » commentò Mikasa impugnando le sue pistole.
«Tutti a terra!» ordinò Levi.
«Avete proprio rotto le palle! Non vi lasceremo vivi» sentirono dire da un esaltato Floch equipaggiato con tanto di M3D che apparve fuori dalla loro finestra con un fucile di precisione e prese subito a sparagli  contro all’impazzata.
In breve scoppiò il finimondo.
Floch non era solo e fu ingaggiata una sparatoria, in cui Levi, Jean e Mikasa erano decisamente in numero inferiore, così arretrarono e scapparono dentro i meandri del palazzo. Ovviamente furono inseguiti.
Decisero di dividersi e ognuno si appostò in una parte lontana dall’altro sparando contro i nemici.
Molti caddero sotto il fuoco incrociato dei tre. Purtroppo non Floch che improvvisamente, senza un motivo apparente richiamò i suoi e si ritirò.
«Non mi piace per niente questa cosa» commentò Levi che poi provò a ricontattare Hanji, ma ancora una volta non ottenne nessuna risposta.
Cominciò a preoccuparsi sul serio, quando apparve trafelata Gabi.
«Quando li ho visti arrivare ho cercato di farne fuori più che potevo, ma quello stronzo di Floch sembra avere una fortuna ultraterrena che lo protegge».
«Grazie Gabi, ora dobbiamo raggiungere gli altri» tagliò corto il capitano.
«Dov’é Mikasa?» chiese Jean guardandosi intorno.
«Era due stanze più avanti se non erro» disse Levi preoccupato e corsero tutti e tre in quella direzione, ma la stanza era vuota e la finestra aperta.
«Merda!» sbottò Levi.
«Che si fa ora? Vado cercarla?» chiese Jean suo malgrado preoccupato.
«Non ti azzardare, o ti ammazzo personalmente. Faccia quello che crede io devo occuparmi di Hanji e gli altri» poi si attaccò alla ricetrasmittente: «Erwin mi senti? Stiamo affogando nella merda, vedi di cambiare il cazzo di piano abbiamo bisogno di aiuto!».
«Non ti preoccupare Levi è tutto sotto controllo, manca poco e arriviamo» rispose il comandante.
«Non ti preoccupare un cazzo! Abbiamo perso l’altra squadra Hanji compresa!».
Erwin stava per replicare quando furono interrotti dall’arrivo di Connie che paonazzo boccheggiava, sembrava aver corso oltre le sue forze.
«Capitano l’ha presa! Zeke ha preso la caposquadra!» strepitò trafelato con il fiato che gli usciva a fatica dalla gola.
«Che stai dicendo?» gli chiese Levi prendendolo per le spalle.
«Ci hanno colti di sorpresa. Poi è scoppiato un gran casino. Sasha è tornata sul tetto per tentare di abbartere quella cosa, ma non ce l’ha fatta perché sono arrivati anche dei cecchini. Non ci ho capito più niente. Alla fine si sono ritirati e Zeke che aveva Hanji sotto tiro mi ha fatto chiamare e mi ha ordinato di venire ad avvertirvi che se non andate da lui, la farà sbranare da quel mostro» spiegò concitato il ragazzo.
«E gli altri dove sono?» chiese Jean inorridito.
«Armin è sparito quasi subito, non ho idea di dove sia. Sasha invece ha intravisto Mikasa in strada e si precipitata ad inseguirla».
«Ascoltatemi bene. Andrò solo io con Connie. Loro non sanno se siamo insieme o no. Voi due dovete coprirci le spalle e se vedete qualcuno dei nostri fatevi aiutare. Intesi?».
«Levi mi senti?» fece Erwin.
«Sì».
«Tenete duro manca poco, stiamo arrivando!».
«Meglio tardi che mai!» commentò caustico il capitano e poi seguendo Connie si avviò all’appuntamento con Zeke.
Salirono sul tetto e videro una scena che fece tremare Levi fino alle ossa.
Hanji era tenuta stretta con un braccio intorno al collo da Zeke, mentre Yelena teneva a bada Cerbero. Ci doveva essere qualcosa in quel richiamo che lo inibiva condizionando la sua volontà.
«
Toh! È arrivato il Napoleone dei poveri!» gracchiò maligno verso il capitano.
«È me che vuoi. Lasciala andare e forse, dico forse, ti lascerò vivere» rispose Levi con una calma efferata.
«Sei sempre troppo ottimista. Forse non ti rendi conto che ho il coltello dalla parte del manico».
Levi non era stupido, stava disperatamente cercando di guadagnare tempo per permettere ad Erwin di raggiungeli. Così come erano messi erano totalmente alla mercé del nemico.
«Finiamola con questa commedia. Prendi me e lascia lei».
Hanji stava in silenzio. Aveva capito cosa stesse tentando di fare e cercava di non complicare le cose con sortite, che non sapeva che effetto avessero pututo avere su quello schizzato.
«Devi riunire tutti tuoi, qui, adesso» gli intimò Zeke.
Levi si rese conto che erano circondati.
«Se non fai. Cerbero avrà la sua cena!».
Capì che erano fottuti. Se non fossero arrivati i rinforzi per loro, questa volta, sarebbe davvero stata la fine.
«Allora?» lo incanzò Zeke.
«Va bene richiamo tutti!» si affrettò a rispondere.
Mise mano alla ricetrasmittente e con la disperazione nel cuore disse: «A tutte le unità ripiegare sul tetto del palazzo 14/B. Subito! Ripiegate, presto!».
«Oh cazzo!» commentò Jean.
«Ha detto due volte di ripiegare…» commentò Gabi.
«Esatto! Sappiamo cosa fare!».
«Io non vedo arrivare nessuno!» commentò Zeke piuttosto infastidito. Si stava stufando, non era poi così stupido, capiva che quelli tramassero qualcosa.
«Dagli il tempo di raggiuncerci sono sparpagliati» tagliò corto Levi.
«Mi spiace per te, ma il tempo è scaduto!» e così dicendo tolse il braccio dal collo di Hanji, che intuendo che cosa stesse per accadere assestò una poderosa gomitata alla bocca dello stomaco di Zeeke che barcollò, poi scattò in avanti e si lanciò in una corsa disperata.
Ma quel richiamo sinistro riecheggiò fendendo l’aria e Cerbero emettendo un guaito agghiacciante spiccò un enorme balzo verso la donna, con un brivido avvertì la sua presenza e si girò vedendo la sua zampa nera e artigliata che stava per ghermirla.  

 

I monologhi dell’autrice
Buongiorno e buona domenica, come state? Spero tutto bene!

Eccoci finalmente tornati alla normalità.
Sì, lo so di solito aggiorno tra venerdì e sabato, ma questa è stata una settimana intensa e quindi prima di adesso non mi è stato possibile dedicarmi a questo piacevole passatempo.
La scorsa volta mi sono dimenticata di ringraziare anche LadyFive che ho sentito in via privata e che mi manifestato il suo appoggio per il disastro cancellazione, grazie di cuore.
Ringrazio ancora una volta con piacere e gratitudine tutte le persone che stanno leggendo o rileggendo la storia, siete sempre di più e io sono stupita e colpita da questo affetto, che giuro non mi aspettavo minimamente. Grazie a chi ha voluto lasciare un commento, cosa sempre gradita e molto apprezzata, ma grazie anche a chi continua a metterla tra le seguite, ricordate e preferite.
Ci ritroviamo la prossima settimana nel WE o giù di lì
🤍

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Capitolo 27
*** Titani all'attacco - parte seconda ***


L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission-almost-Impossible

 

Avverto che alla fine del capitolo c’è un scena un po’ più “forte” del solito, anche se a dire il vero, tutto questo capitolo non è esattamente “delicato”, ma essendo abituati al manga e all’anime credo che la cosa vi faccia poco effetto, comunque ci tenevo a farvelo presente

 

27
Titani all’attacco
parte seconda


Accadde tutto in modo veloce e concitato.
Hanji per non essere ghermita, d’istinto spostò tutto il peso del corpo in avanti ma questo le fece perdere l’equilibrio, incespicò e cadde nel vuoto.
Il suo urlo disperato fece intendere che disgraziatamente non indossava l’M3D.
Connie, che era quello a lei più vicino, senza pensarci due volte azionò il suo dispositivo e si lanciò di testa subito dietro di lei come un rapace che punta una preda. Riuscì ad afferrarla per la vita in modo rocambolesco e fortuito, proprio poco prima che si schiantasse al suolo lasciando di stucco se stesso per primo. Lesto arpionò il muro loro di fronte e facendo uno sforzo disumano la tirò su con sé aiutandosi anche con le gambe, finché non fecero irruzione all’interno del palazzo gettandosi in un balcone.
Nel frattempo approfittando della confusione causata quel volo improvviso, Levi era scappato e anche lui  si era precipitato in aiuto di Hanji, ma era più lontano di Connie e si ritrovò da solo, subito inseguito e circondato.
«Non ti muovere!» gli intimò Zeke che gli era alle calcagna.
Lo teneva sotto tiro insieme a Yelena, quando a sorpresa un primo proiettile sfiorò il marleano mancandolo di poco, subito fu seguito da una pioggia di colpi che costrinse tutti a mettersi al riparo.
«Siamo qui Levi!» urlò Jean che aveva sparato per primo insieme a Gabi.
«Fate fuori quei pidocchi!» ordinò Zeke tenendo nuovamente sotto tiro Levi che non era riuscito a fuggire, grazie ad Yelena che lo aveva agguantato puntando la pistola alla sua testa.
Floch come d’incanto si palesò a capo di un nutrito manipolo di Jeagheristi, tra l’altro tutti dotati di M3D, che si misero a dare la caccia a Jean e Gabi, la quale con il ragazzo ne fece fuori diversi, ma purtroppo non abbastanza.
Ad un certo punto furono circondati e furono costretti ad arrendersi anche loro.
«Portateli qui così Cerbero, prima che perda potere, si farà una bella scorpacciata!» sentenziò Zeke.
Cazzo Erwin ora sarebbe proprio il momento giusto perché tu arrivassi! Pensò Levi seriamente preoccupato ma non ancora arreso.
Intanto era stato raggiunto da Jean e Gabi resi inermi come lui.
«Bene siamo alla resa dei conti. Mi godrò lo spettacolo» disse Zeke e quel richiamo maledetto riecheggiò, per l’ennesima volta, nel tetro silenzio di Marley.
Con quattro balzi quel mostro li raggiunse. I suoi occhi erano fiammeggianti e la bava che gli colava sovrabbondante dalla bocca sembrava resina appiccicosa. Notarono che era verdognola ed emanava un fetore tremendo che feriva le loro narici.
Jean chiuse gli occhi mentre il cuore sembrava esplodergli in petto, sentiva freddo ma nel contempo sudava. Era fradicio e vestiti gli si erano incollati addosso.
Gabi, con l’adrenalina alle stelle, invece lo fissava con aria spavalda era pronta a morire con coraggio e a non dare soddisfazione al nemico, ma nonostante ciò anche il suo cuore batteva forte.
Levi non tradiva alcuna emozione, sembrava una sfinge, dal suo viso non trapelava niente.
«State calmi e non muovetevi. Non è finita finché siamo vivi» disse ai ragazzi più per dar loro coraggio che per reale convinzione.
Cerbero si accucciò sulle zampe anteriori come per prepararsi ad attaccarli, Levi pensò che avrebbe lottato anche a mani nude prima di cedere alle ganasce di quella mostruosità, ma proprio quando tutto sembrava ormai perduto, nel cielo apparvero inaspettati quelli che sembrarono dei veri e propri angeli salvatori.
Sbucarono fieri e decisi, sfidando il vento e volteggiando liberi come un piccolo stormo di uccelli. Erano Hanji, Connie, Mikasa e Sasha supportati da Moblit Berner, Mike Zacharias e Nanaba che calarono in velocità sparando a raffica, supportati da quello che doveva essere un’evoluzione dell’M3D. Sulla schiena avevano dei Jet Pack
(1), una cosa simile ad uno zainetto, ma che in realtà era un dispositivo che grazie ad una propulsione a getto di azoto liquido, permetteva a loro di muoversi in aria liberamente e senza bisogno di appigli.
Levi approfittò della confusione e visto che si era portato dietro anche il suo fido
aikuchi(2), con una mossa letale e fulminea si avventò feroce contro Zeke. Si gettò contro di lui a testa bassa impugnando l’arma al contrario e lo aggredì aprendogli una ferita nel ventre con un solo e preciso affondo, da sinistra verso destra.
Con immensa soddisfazione sentì le sue carni aprirsi e cedere alla sua lama, mentre l'altro sbraitava dal dolore, accasciandosi a terra in un lago di sangue.
Yelena come impazzita cercò di ammazzarlo, ma non essendo lucida, lo mancò e Levi riuscì a schivare i suoi colpi gettandosi a terra e rotolando. Venne subito coperto da Hanji che cominciò a sparare contro la valchiria, che a sua volta ferita fu costretta a riparare lontano e velocemente.
Infuriò uno duro scontro a fuoco, dove i nostri si difesero egregiamente.
Gli Jeageristi, ad un certo punto, furono costretti a ripiegare per via della grave ferita di Zeke e perché Cerbero, colpito molte volte, non stava più in piedi e si trascinava come se fosse senza più forze per rigenerarsi.
Intanto, finalmente, stava calando la notte.
«Hanji stai bene?» chiese Levi alla donna non appena atterrò.
«Sì, devo ringraziare Connie, mi sono gettata d’istinto senza ricordarmi che non avevo l’M3D» spiegò sorridendo, come se le fosse capitata una cosina da nulla, ma lei era fatta così.
«Ciao Levi!» fece Mike accomodandosi vicino alla caposquadra.
«Capitano» lo salutò con deferenza Moblit.
Nanaba invece gli accennò solo un sorriso.
«Non sapete che vero piacere vedervi, siete stati letteralmente una manna dal cielo!» commentò.
«Idea sua» fece Moblit indicando Hanji.
«Quindi voi sareste i famosi rinforzi?» chiese un po’ stralunato Levi. Da una parte era felice ma d’altra erano sempre un numero esiguo e anche se gli Jeageristi avevano subito molte perdite erano sempre nettamente superiori a loro. Era ovvio che Reiss avesse mandato diversi soldati a difendere ciò che gli premeva.
«Sì, sono loro. Abbiamo giocato sporco, mettendo sù una manfrina molto articolata con Erwin e Pixis, perché sospettavamo di Yelena, volevamo depistarla e farle credere di essere senza copertura. L’idea dei Jet Pack è stata mia, è da un po’ che sono in cantiere e con l’occasione li ho fatti potenziare. Hanno una specie di leva che serve a direzionarli. Ci sono per tutti. Ma spostiamoci di qui, credo sia meglio ripararsi» disse Hanji.
Per sicurezza si recarono nell’androne di un palazzo. Era abbandonato o forse era stato sfollato, fatto sta che offrì loro un rifugio sicuro.
«Bene siamo quasi tutti, manca solo Armin» disse Hanji.
«Credi sia ancora vivo?» chiese Mikasa preoccupata.
«Lo spero con tutto il cuore, anche se questa sua sparizione improvvisa mi sembra alquanto strana» commentò meditabonda la donna.
«Sta facendo buio e sta per arrivare Erwin con gli altri» affermò Levi.
«Non ancora» precisò Hanji.
«Come sarebbe a dire?» salto sù Connie.
«Già, che significa?» rincarò Sasha.
«Probabilmente è una delle sue solite inversioni di rotta per confondere il nemico o chissà cosa, lavoro con lui da anni, ormai so che non è nuovo a questi cambi repentini di strategia» commentò Mike.
«Ad ogni modo noi dobbiamo procedere come concordato» cominciò a dire la caposquadra.
Levi ascoltava molto serio e anche contrariato, avevano rischiato grosso, a che gioco stava giocando Erwin?
«Il nostro obiettivo è il laboratorio, Grisha ed Eren Jeager. Se tutto è andato come doveva dovremmo avere la strada spianata e Niccolò che ci attende con Onyankopon».
«Quindi che si fa?» chiese Gabi.
«Intanto equipaggiatevi tutti con i Jet Pack. Purtroppo non c’è il tempo materiale per allenarsi, ma è facile guidarli, per caso giocate alla play?» chiese vispa.
«Sì!» risposero in coro i ragazzi compresa Gabi.
«No!» fu invece la risposta secca di Levi.
«Tu sei quello che meno mi preoccupa sono sicura che anche questa volta sembrerà che tu li abbia sempre usati» gli rispose Hanji.
«Vai avanti con il piano» la esortò il capitano.
«Dunque sappiamo dall’intelligence che Reiss ha mandato un piccolo esercito a difesa di Marley. Siamo sicuramente in numero inferiore, per questo dobbiamo sfruttare l’effetto sorpresa e possibilmente dobbiamo evitare che Eren si trasformi».
«Perché?» chiese subito Mikasa.
«Ordini dall’alto, probabilmente preferiscono non esporlo troppo» chiosò sbrigativa.

Come aveva detto Hanji non era stato difficile usare i Jet Pack. Era stato intuitivo e facile direzionarli. Oltretutto davano loro un’autonomia completa, consentendo anche cambi di rotta e giravolte. Si sarebbero potuti rivelare utilissimi, soprattutto nel corpo a corpo aereo con eventuali Jeageristi, che in qualche modo avevano ottenuto M3D per tutti.
Nel frattempo grazie a delle mappe avute dall’intelligence erano riusciti a penetrare dall’alto nel laboratorio, aprendosi un varco da un lucernario che si affacciava su un corridoio dell’edificio.
Stavano procedendo silenziosi quando Hanji fece cenno a tutti di fermarsi.
Qualcosa non stava andando per il verso giusto…
«Che succede?» bisbigliò Levi.
«Niccolò… avrebbe dovuto essere nei paraggi» rispose pianissimo Hanji portandosi poi l’indice sulle labbra perché tutti di tacessero.
Si sentivano delle voci alterate in lontananza.
Floch stava minacciando Onyankopon.
«Bastardo! Dicci dov’è Grisha o ti ammazzo».
«Se mi ammazzi non lo saprai mai astutillo!» lo canzonò l’atro.
«Allora ammazzo lui!» disse deciso puntando la pistola sulla fronte di Niccolò.
«Fallo pure, non te lo dirò comunque» rispose pacato Onyankopon.
Floch in preda ad uno dei suoi sciagurati deliri d’onnipotenza davvero stava per premere il grilletto, quando Grisha in persona si palesò.
«Fermo!» gli intimò «non farmi fuori nuove preziosissime cavie!».
«Come diavolo hai fatto a liberarti eri in un cella blindata del magazzino!» chiese estereffatto Niccolò.
«Sono stato io» affermò Eren sbucando di sorpresa da dietro Grisha.
«Cazzo!» scappò detto a Levi e poi arpionò Mikasa ad un braccio, le si avvicinò all’orecchio e le disse: «Se ti muovi ti sparo alle gambe».
Lei si girò di scatto «Non ho intenzione di seguirlo in questa follia, mi sembrava fosse chiaro» gli rispose infastidita.
Jean che era lì vicino rimase turbato da quell’affermazione, ma non poteva farsi distrarre da lei, non in quel momento così delicato.
«Ma che sta facendo Eren?» si chiese Mike.
«Non è il momento di farsi troppe domande» sentenziò Hanji.
E si avvicinarono tutti un po’ di più per capirci qualcosa.
«Eren devi aiutarmi a riparare tuo fratello» disse Grisha.
Il ragazzo annuì e lo seguì senza fiatare.
«Ma è una mia impressione o Eren sembra quasi soggiogato dal padre?» constatò serio Connie.
«Sembrerebbe…» ammise Hanji.
«Che facciamo allora?» chiese Moblit al suo diretto superiore.
«Aspettiamo che Grisha si sia allontanato, liberiamo Niccolò e Onyankopon» precisò la donna.
«Mi spieghi cosa sta succedendo?» le chiese Levi.
«Eseguo gli ordini diretti di Erwin» tagliò corto Hanji.
«A proposito quando cazzo si degnerà di venirci in aiuto?» abbaiò il capitano.
«Fa parte degli accordi fidarsi senza fare troppe domande, ricordi la nostra chiacchierata a tre?» lo fulminò la caposquadra.
Levi non replicò più, tanto era inutile.
Non appena furono certi che Grisha si fosse allontanato azionarono i Jet Pack e attaccarono gli Jeageristi con un’improvvisata dall’alto. Quelli inibiti dal poter usare all’interno del laboratorio gli M3D rimasero fregati da questo attacco a sorpresa.
Li disarmarono piuttosto facilmente e agganciando sia Niccolò che Onyankopon, poi fuggirono nuovamente fuori passando sempre dal corridoio e poi dal lucernario.
Si ripararono dietro il magazzino e si nascosero poco lontano, sotto una specie di loggiato in pietra diroccato, per organizzarsi.
«Dì a tutti come stanno le cose ora è il momento» disse Hanji rivolta a Onyankopon.
«Intanto lasciami spiegare che ho fatto due volte il doppio gioco» disse.
«Cioè?» chiese Mike.
«All’inizio lavoravo come assistente di Grisha. Si fidava di me. Quando fui contattato da Pixis per essere reclutato sul campo ero dubbioso, poi ho visto che cosa è stato capace di fare a molti esseri umani, compresi i suoi figli e ho capito che andava fermato, quindi ho accettato.
Una volta reclutato gli ho inventato che stava nascendo una resistenza e che stava cercando di accaparrarsi anche dei mutaforma, così gli ho detto che mi offrivo per fare la spia per suo conto, per sventarla, quando in realtà la resistenza l’ho fondata io. Grisha però non è esattamente uno sprovveduto e mi ha messo alle costole Yelena, così ad un certo punto per farle credere che ero sincero e dalla loro parte ho dovuto partecipare, mio malgrado, al rapimento di Erwin. Poi l’ho convinta a tornare sotto copertura nella resistenza promettendole di far tornare sui loro passi i titani disertori e portare Eren dalla nostra. Era l’unico modo per scongiurare la morte di Erwin. Dopo, ovviamente, per mantenere la mia di copertura sono tornato accanto a Grisha, sia per tenerlo d’occhio, sia per riuscire a rubargli una formula di vitale importanza».
«Accidenti che ingarbuglìo!» commentò Connie grattandosi la testa.
«Pixis mi aveva informata giorni fa di questo» disse Hanji.
«Eren da che parte sta?» gli chiese secco Jean.
«Per quanto ne so io dalla nostra, ma ho scoperto davvero di recente che Grisha ha un fortissimo ascendente su di lui e sembra che possa essere in grado di fargli cambiare idea. Negli ultimi giorni sembrava non fidarsi più di me e mi teneva a distanza, ad ogni modo suggerisco di dividerli quanto prima».
«Sai dove sono andati? L’hai capito?» gli chiese Hanji.
«Nel laboratorio sotterraneo, dove avvengono gli esperimenti. Hanno riportato Zeke gravemente ferito, credo stia cercando di accelerarne la guarigione».
«Come sarebbe a dire? Guariscono anche in forma umana semplice?» chiese Levi sbalordito.
«Sì, il loro DNA ormai è mutato per sempre, solo che da non trasformati ci mettono molto più tempo a guarire. Grisha però ne sa una più del diavolo e sicuramente starà tentando qualcuna delle sue ultime scoperte. Continua a perfezionare maniacalmente le sue follie. Lui e Reiss hanno perso il senso della realtà, si sono messi in testa di governare il mondo intero!».
«Quindi mi pare di capire che la priorità assoluta sia separare Eren da suo padre» commentò Hanji meditabonda.
«Se lui si mette dalla parte degli Jeageristi non avremo alcuna possibilità di spuntarla. Eren è un titano dalle caratteristiche particolari, molto più forte di qualsiasi altro» spiegò sommariamente Onyankopon.
«Come possiamo fare?» chiese Gabi seria.
«Dobbiamo studiare qualcosa e velocemente» s’intromise Mike.
Stavano ancora parlando, quando un fragore improvviso li fece sobbalzare, una delle colonne del portico era stata completamente divelta, come se qualcosa l’avesse sventrata passandoci attraverso producendo una fitta pioggia di sassi e calcinacci, che li investì di colpo, obbligandoli a proteggersi per scongiurare il peggio.
Era nuovamente Cerbero che era sbucato chissà da dove. Annusava l’aria e ruggiva in un modo che lo faceva assomigliare più ad un demone che a un animale.
Levi fece solo in tempo a sentire Hanji urlare di dolore. Poi la vide a terra dove Moblit con una mossa tempestiva l’aveva gettata facendole scudo con il proprio corpo. La donna si teneva una mano sul viso dalla parte sinistra. Perdeva sangue attraverso le dita che le colava copioso giù per la guancia, sembrava essere stata colpita all’occhio.
«Hei Hanji stai bene?» gli urlò preoccupato mentre stava sparando a Cerbero alle gambe per cercare di rallentarlo.
«Credo di sì… non ti preoccupare. Dobbiamo scappare subito» gli rispose.
«Mikasa, Gabi, con me! Dobbiamo far fuori questa bestia schifosa!» ringhiò Levi librandosi in aria.
Intanto erano arrivati anche i soliti indefessi Jeageristi che all’aperto potevano usare gli M3D. Ci fu l’ennesimo scontro.
Tutti si misero in cerchio a protezione di Hanji che era ferita, la difesero con una vera e propria pioggia di proiettili perché tra le altre cose Nanaba aveva con sé una mitraglietta.
Levi e le ragazze intanto stavano attaccando Cerbero. Lo stavano rallentando colpendolo senza posa e procurandogli molte ferite sui fianchi e alle gambe. Lui con le zampe anteriori fendeva l’aria cercando di agguantarli non riuscendoci grazie ai Jet Pack.
«Circondiamolo! Poi il primo che si trova la nuca a tiro lo abbatta immediatamente!» ordinò Levi.
Tutti e tre continuaro a crivellarlo di colpi. Alla fine lui si contorceva guaiva e latrava in un modo spaventoso. Sembrava diventato un tizzone di carbone da quanto fumava. Era uno spettacolo angosciante che faceva venire la pelle d’oca.
«Levi non si vede niente!» protestò Mikasa che continuava a sparare alla cieca.
«Non fermatevi!» ordinò il capitano continuando egli stesso a colpirlo con furore, ricaricando velocissimo le pistole senza dargli tregua.
Dobbiamo andare a sentimento pensò Gabi concentrata.
Poi ci fu un attimo in cui il fumo grazie ad una potente folata di vento, fortuitamente si diradò esponendo alla luce la collottola di quel mostro. Tutti e tre non si fecero sfuggire l’occasione e spararono all’unisono centrandola in pieno.
Cerbero, che a dire il vero non aveva neanche tentato di fuggire, si accasciò pesantemente a terra. Il fumo in pochi secondi magicamente cessò e sotto i loro occhi videro una cosa inaspettata e angosciante. Stava diventando deforme, era come se il suo corpo si stesse riadattando per prendere infine le sembianze di un giovane ragazzo.
Disteso e crivellato di colpi perdeva sangue dalla bocca, dal naso e dalle orecchie, gli occhi erano girati all’indietro e respirava a fatica.
Per un attino a tutti e tre prese un colpo. Non era più un mostro, ma un essere umano che stava lasciando la vita.
Istintivamente si avvicinarono a lui, non sapendo neppure loro perché.
Il ragazzo li guardò e alzò maldestramente la testa che però ricadde subito pesantemente a terra.
«Fina..lmente li..be..ro» disse in un soffio smozzicato e gorgogliando spirò. Il suo viso parve subito come disteso, con quasi un accenno di sorriso, come qualcuno che muore in pace.
Fu un momento terribile che li mise davanti ad una tragica realtà, non erano mostri ma esseri umani che stavano terribilmente soffrendo per via di questi esperimenti.
Nessuno di loro poteva sapere chi dei tre gli avesse inferto il colpo mortale e alla fine fu meglio così.
«Andiamo ad aiutare gli altri, qui non c’è più bisogno di noi» disse Levi stancamente.
Non fece quasi in tempo a finire la frase che la terra tremò sotto I loro piedi. Videro due giganti dalle dimensioni enormi che stavano correndo verso di loro. Uno era Zeke e stava davanti, dietro c’era l’altro che non avevano mai visto prima. Aveva le fattezze di uomo e non di un animale, solo la bocca e gli occhi avevano qualcosa di inumano.
La prima era enorme e arrivava fin quasi alle orecchie con un’apertura simile a quella di un coccodrillo, in mezzo ai denti penzolava un lingua lunga e vermiglia, mentre gli occhi erano verdi fosforescenti, come quelli di un gatto al buio. Urlava tenendosi la testa tra le mani e correva dietro Zeke, ma la sua sembrava una corsa anomala, come se si volesse trattenere e non ci riuscisse.
Il cuore di Mikasa mancò un colpo e i suoi occhi si riempirono di lacrime, prima di tutti lei aveva già capito…
«Eren…» sussurrò con dolore.

 


I monologhi dell’autrice
Buon sabato sera a todos!!!!

Note: 1 Con jet pack o rocket packrocket belt o nomi simili, letteralmente "zaino-jet" (o "zaino-razzo", "cintura-razzo" ecc.), si intende un dispositivo, solitamente indossato sulla schiena, che grazie a una propulsione "a getto" (a reazione), permette a una persona di volare. [fonte wikipedia]

2 è il coltello da samurai di Levi di cui vi ho già parlato in un capitolo precedente postando anche una foto del medesimo


Sarò rapidissima perché non credevo neppure che ce l’avrei fatta  neppure ad aggiornare, ho il tempo contatissimo!
Ringrazio TANTISSIMO chi sta leggendo o rileggendo la storia, chi continua ad aggiungerla a seguiti ricordati e preferiti. E ovviamente la mia eterna gratitudine va a chi ha il tempo e la voglia di fermarsi a lasciarmi un commento, cosa gradita e prezosa.
Felice Week End e la prossima settima salterò il turno perché sarò materialmente impossibilità ad aggiornare, ci ritroviamo tra 15 giorni!




 

 

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Capitolo 28
*** The king’s gamblit ***


L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission-almost-Impossible

 

 

28
The king’s gamblit

Zeke arrivò e ancora in corsa si lanciò allungando il braccio che era decisamente sproporzionato rispetto al suo corpo. Sembrava volesse spazzare via, con una sola manata, il nutrito gruppetto che era schierato sia a difesa di Hanji, sia all’attacco degli Jeageristi.
Ma qualcosa si frappose tra la sua mano pronta ad investire i loro corpi.
Eren inginocchiato parò il colpo, ruggendogli contro e fece loro da scudo agevolandoli nella fuga dentro il magazzino.
«Che stai facendo? Ti ordino di spostarti!» gli intimò lo scimmione con quel tono cavernoso che sembrava venire direttamente dall’inferno.
Eren cominciò a mugghiare e si tappò le orecchie scuotendo forte la testa, con la lunga lingua a penzoloni. Era chiaro che si stesse opponendo a qualunque imposizione manipolatoria di Zeke.
«Ci ha salvati!» commentò Jean stupito.
Intanto furono raggiunti da Levi, Mikasa e Gabi.
«Vi siete resi conto vero che è Eren?» disse Mikasa, mentre i due titani stavano ingaggiando una sorta di scaramuccia tra loro. Facevano a chi emetteva versi più spaventosi.
Anche gli Jeageristi si erano prudentemente allontanati perché rischiavano di essere colpiti da quei due che si stavano azzuffando.
«Hanji stai bene? Fammi vedere» fece Levi cercando di capire che le fosse accaduto, ma lei aveva già fasciato alla meno peggio la ferita con un foulard che aveva con sé.
«Tutto bene. Tranquillo» rispose sbrigativa.
Stavano riorganizzandosi ma furono interrotti da una scena che li colse alla sprovvista.
I due titani avevano iniziato a lottare tra loro, quando Zeke afferrò la testa di Eren tra le sue mani, l’altro stava cercando di divincolarsi, ma lui fu più veloce e appoggiò la sua fronte su quella del fratello e dal quel contatto tra loro brillò una piccola scarica elettrica.
A quel punto sentirono la voce di Zeke che gli diceva: «Ora vai e uccidili tutti!».
Eren ruggì poi girò la testa e puntò quello sguardo verde fiammeggiante verso il magazzino.
Sembrava una fiera alla ricerca delle prede.
«Oh cazzo!» fece Connie.
«Puoi dirlo piano e forte!» aggiunse in risposta Jean caricando le sue pistole.
«Ma che significa?» si chiese a voce alta Sasha.
«Credo che Zeke possa in qualche modo sottomettere Eren alla sua volontà» commentò Hanji esterrefatta.
«Che facciamo ora?» chiese Nanaba.
«Lo abbattiamo!» propose deciso Mike.
Levi stava a sua volta caricando le pistole e controllando quante RIP gli fossero rimaste «Dobbiamo ragionare a mente fredda. Possiamo sparpagliarci per confonderlo, non credo che voglia distruggere il prezioso laboratorio di Grisha. Eren è comunque una proprietà del governo. Nel frattempo si spera che arrivi Erwin!» commentò poi.
«Giusto! Dobbiamo recuperare Grisha prima che arrivi Erwin e scateni l’apocalisse» disse Moblit.
«E allora come ci muoviamo?» chiese nuovamente Nanaba.
«Posso provare a distrarlo» propose inaspettatamente Mikasa.
«
È troppo pericoloso!» saltò su Jean affiancando la ragazza come per proteggerla.
«Mikasa che intenzioni hai?» le chiese adombrato Levi scrutandola.
«Voglio provare a svegliare la sua coscienza, non so che artificio usi Zeke ma io ed Eren abbiamo avuto un forte legame, vale la pena tentare» disse disperatamente sincera, cosa che non sfuggì a Levi che la conosceva bene.
«Mi sembra un’ottima idea» affermò Onyankopon.
«Allora siamo d’accordo?» chiese la ragazza ai superiori.
«Per ora mi sembra l’unica carta che abbiamo da giocare» commentò Hanji.
«No!» si oppose deciso Jean.
Mikasa lo guardò con un’intensità che a lui non aveva mai riservato prima «Non farlo. Ti prego. La posta in gioco è troppo alta, non si tratta più dei nostri singoli interessi. Non ostacolarmi».
«Lasciala andare. Fidati di lei» disse serio Levi poggiandogli una mano su una spalla, poi si rivolse alla ragazza «Se vedi che non riesci a farlo ragionare torna subito indietro. Chiaro?».
Mikasa annuì tirò la leva del suo Jet Pack e uscì dalla finestra a pochi metri da Eren.
Come la vide urlò a squarciagola e cercò di afferrarla. Mikasa saettò veloce di lato e cercò di aggirarlo. Aveva bisogno di un contatto ravvicinato con lui, ma in sicurezza.
«Uccidila!» ruggì Zeke. Era importante che si piegasse totalmente alla sua volontà per raggiungere il suo scopo.
La ragazza proprio in quel momento volteggiando, si parò davanti allo sguardo ormai innaturale di Eren.
«Guardami! Sono io Mikasa!» gli urlò.
Lui per tutta risposa spalancò la bocca ed emise un grido cavernoso davvero inquietante. Era come se in un certo senso dentro di lui ci fosse una lotta.
«Eren! Calmati e ascoltami. Non sei tu questo!» continuò a dirgli cercando di scuoterlo.
Zeke si mise le mani sulle tempie e questa volta senza parlare, usando tutta la sua forza comunicò con la mente di Eren.
Devi ucciderla. Devi uccidere tutti. E devi trovare nostro padre!
Per un attimo Eren fu come in trance, prese a tremare con gli occhi girati all’indietro.
Saremo solo noi e il mondo ci venerà come dei, potremmo ricominciare tutto da capo e ne saremo gli unici artefici!
UCCIDILA!
Eren sembrò riprendersi e fissò per un secondo la ragazza, poi spalancò la bocca in modo davvero mostruoso e inquietante, un po’ come fanno i rettili quando devono mangiare una grossa preda, ma Mikasa non si fece impressionare ci saltò dentro e con il lancia granate gli bloccò la mandibola. Era un tentativo disperato e sarebbe durato poco, la potenza di lui era sovraumana. Sembrava volerla mangiare, ma sembrava anche non metterci tutta la sua reale forza.
«Che cazzo sta facendo, si farà ammazzare!» urlò Jean disperato.
Stava per lanciarsi in suo aiuto ma Levi lo fermò.
«Lasciami cazzo!» disse cercando di divincolarsi.
«Ti ho detto che devi fidarti di lei! Non abbiamo scelta» gli sibilò Levi scuotendolo.
Proprio in quel momento Eren serrò la mandibola e Mikasa sparì nelle sue fauci.
«Bravo fratellino. Ora vai e uccidi tutti gli atri!» gli comandò imperiosamente soddisfatto Zeke.
Dentro il magazzino calò il gelo perché erano tutti attoniti e scioccati da ciò che avevano appena visto. Immediatamente caricarono le armi e si misero in assetto da guerra pronti a dargli battaglia, ma inaspettatamente videro che Eren aveva appoggiato il mento alla finestra da dove era uscita Mikasa per distrarlo. Sembrava che cercasse di comunicare qualcosa ma non ci riusciva, a tratti ruggiva e tremava come se avesse le convulsioni, sembrava gli scoppiasse la testa.
Lo stavano tenendo tutti sotto tiro pronti a fare fuoco, quando spalancò le fauci e sputò fuori Mikasa che teneva arrotolata nella lingua.
«Non vi azzardate a sparare!» urlò subito Hanji.
La ragazza cadde a terra e Jean la raggiunse.
«Dio mio, stai bene?» le disse sostenendola per un braccio.
Era avvolta da una sostanza appiccicaticcia che sembrava saliva, ma più solida.
«Sì sto bene» disse prima di pulirsi il viso «Mi ha riconosciuta, una parte di lui sta combattendo per non farsi sottomettere, ma non so quanto potrà resistere» commentò verso i suoi superiori.
Nel frattempo nella concitazione di ciò che era appena accaduto Grisha ne aveva approfittato per scappare.
Raggiunse il figlio maggiore e lo rimproverò aspramente.
«Sei il solito inconcludente! Avanti entra connessione con me e poi connettiamoci entrambi con Eren. Due contro uno non potrà che assoggettarsi alla nostra volontà».
Quindi ai nostri fu chiaro che tra Grisha, Zeke ed Eren esisteva una sorta di collegamento mentale in cui l’unione faceva la forza.
Era chiaro che Eren avesse tentato di opporsi loro con tutte le sue forze, ma a questo punto era probabile che quei due se lo potessero giostrare come meglio credevano.
Infatti come ci fu il contatto elettrico tra padre e figlio maggiore, Eren divenne come pazzo. Infilò un braccio dentro il magazzino e cominciò a distruggere qualsiasi cosa arrivasse a toccare.
Ma a quel punto, inaspettatamente, si avvertirono chiaramente due titani che stavano arrivando di corsa.
Tra la sorpresa generale si palesarono di lì a poco davanti ai loro occhi. Uno ricordava vagamente La cosa dei fantastici quattro. Aveva le fattezze di un uomo ma era come se fosse corazzato, con una mandibola molto squadrata e mani spaventosamente grandi.
L’altro era una vera novità: un titano con fattezze femminili, una donna in tutto e per tutto, solo che sembrava spellata e aveva le fasce muscolari a vista. Correva velocissima e aveva qualcuno sulla spalla attaccato ad una ciocca del suo caschetto biondo.
«ARMIN!!!!!» urlarono in coro stupefatti i ragazzi, riconoscendo il piccoletto. Stava succedendo tutto troppo in fretta, anche per Grisha che fu colto alla sprovvista e per un attimo il contatto mentale tra i tre saltò.
«Fermi tutti! Dobbiamo restare dentro» disse Hanji «lasciamo che i titani se la vedano tra sé».
«Tu lo sapevi?» le chiese stupito Moblit.
«Io no, ma su Erwin non metterei la mano sul fuoco» ripose la donna.
Nel frattempo i due mutaforma erano giunti molto vicino a loro. Quello dalle fattezze femminili aveva preso Armin, lo aveva delicatamente deposto a terra e il ragazzo era corso subito dentro.
A quel punto Grishia fece l’unica cosa possibile per contrastarli e urlò con quanto fiato aveva in gola ad Eren: «TATAKAE!».
Eren ruggì e si girò cercando di colpire il titano femmina. Quella rapida si abbassò e schivò il colpo, quindi gli sferrò con un calcio volante su un fianco. Cominciarono a lottare dandosele di santa ragione sembravano impegnati in un incontro di kick boxing. Era impressionante vedere quei due colossi combattere.
Intanto Zeke aveva attaccato il corazzato. Si stavano rotolando in terra. Zeke però fu quasi subito immobilizzato con una presa al collo naked choke
(1) particolarmente letale.
Eren si difendeva abbastanza bene anche se la sua avversaria era molto più veloce di lui. Zeke invece bloccato era in grande difficoltà e latrava.
Grisha pensò bene di dare nuovamnete il comando a suo figlio minore il quale prima con un pugno poderoso atterrò la sua avversaria e poi si inginocchiò a terra serrando pugni. Spalancò la bocca e urlò così forte che tremò quasi la terra. Subito in lontananza riecheggiò un specie di terremoto sotterraneo.
«Che cazzo sta succedendo?» chiese Levi.
«Credo abbia chiamato a raccolta tutti i titani dormienti di Marley» disse serio Armin.
«Che significa? Devi dirci qualcosa tu?» lo apostrofò severo Levi.
«Vi spiegherò tutto dopo ora devo dare il segnale ad Erwin» e
lo contattò immediatamente via radio.

Nello stesso momento a lato del magazzino Floch con gli Jageristi stava per mettere in atto il suo piano.
«Si sono intrappolati da soli lì dentro. Buttiamo i fumogeni e facciamoli uscire, prima che si rendano conto di ciò che sta accadendo li crivelleremo di colpi abbattendoli. FORZA! Per Paradise, per una nuova era e per gli Jeager!» concluse con il pugno alzato da bravo esaltato qual era.
I suoi subito gli obbedirono e riempirono di fumo l’interno del magazzino.
I nostri furono costretti a uscire in fretta fuori e con i Jet Pack cercarono di innalzarsi il più possibile, ma questo non li mi mise al riparo dai colpi degli Jageristi. Ingaggiarono comunque una battaglia contro di loro ma nonostante avessero i Jet Pack e ottimi tiratori erano in numero troppo inferiore. Fu la donna titano a venire in loro aiuto, con un paio di sapienti manate ne abbattè una ventina.
Intanto Jean sparava a raffica su un gruppetto che tentava di circondarlo, intervenne in suo aiuto Connie e in qualche modo li sbaragliarono.
Dall’altro lato Armin, Sasha e Mikasa si stavano difendendo da un altro gruppetto, ma erano in difficoltà nonostante che anche Gabi, Moblit e Nanaba si fossero precipitati ad aiutarli stavano per soccombere. Ancora una volta la donna titano intervenne e cominciò a schiacciare gli Jaegheristi come se fossero mosche.
Eren e Zeke si erano riuniti aggredendo il corazzato che stava per essere sopraffatto, quando i titani non senzienti, giunti in gran numero al richiamo, si misero inaspettatamente ad aggredire in massa la donna titano che emetteva grida spaventose.
«Che stai facendo Levi?» chiese Hanji che vide l’uomo improvvisamente armeggiare con qualcosa di strano.
«Fosse l’ultima cosa che faccio da vivo voglio abbattere quella scimmia di merda!» le rispose estraendo una granata che la donna non aveva mai visto prima.
«E quella da dove esce?».
«Ci ho messo tre notti a metterla punto.
È una combinazione letale tra gas ed esplosivi. Voglio infilargliela in bocca, o meglio nel culo e lo voglio vedere saltare in aria e aprirsi come un fottuto cocomero!».
«Ma sei matto! È pericolosissimo, non fare lo stupido!» gli disse la Hanji preoccupata.
«Lo aiuterò io» intervenne Mike prontamente «temo che dovremmo abbatterli tutti o nessuno di noi uscirà vivo da questa isola».

 

*

 

Qualche tempo prima, di notte, ad Eldia

 

Armin non aveva capito perché Erwin gli avesse chiesto di andare da solo in piena notte ad un incontro con un importante contatto, che a suo dire aveva informazioni di vitale importanza per la riuscita della loro missione.
Gli aveva assicurato che non ci sarebbero stati pericoli, che il compito affidatogli era della massima importanza e che solo loro due ne erano a conoscenza. Nessun’altro, compresi Hanji e Levi, che non ne dovevano sapere niente. Da ciò dipendevano le loro vite.
Si era sentito investito di un’enorme responsabilità e aveva avuto una gran paura, ma non si era tirato indietro.
Stava camminando per strada, mani in tasca e cappuccio della felpa calato sugli occhi avanzando in un’Eldia addormentata e deserta. Il punto d’incontro erano i giardini pubblici. Le indicazioni erano chiare, doveva sedersi in mezzo a due altalene ed aspettare.
Dopo mezz’ora, seduto da solo e immerso nel silenzio si guardò intorno spaesato. Non sapeva bene che fare, quando qualcuno si sedette sia alla sua destra che alla sua sinistra.
Non seppe perché, ma istintivamente si girò alla sua destra ed enuciò la solita parola d’ordine:
Sthoess, Trost, Shiganshina?
A cui la persona a cui si era rivolto gli rispose: «
Maria, Sina e Rose».
Quella voce lo fece trasalire.
«Annie!» esclamò stupito, a quel punto lei si palesò scostando il suo di cappuccio.
«Ciao Armin come stai?» gli rispose in modo scarno.
«Ma… tu…» balbettò il ragazzo frastornato.
«No, non sono morta» gli confermò.
«Ehi ci sono anche io» disse l’altro alla sua sinistra e anche quella voce era familiare.
«Reiner!».
«Già».
«Non so cosa stia succedendo, ma sono felice di sapere che siete vivi ragazzi!» disse quasi commosso Armin.
Ertano stati dati per morti circa otto mesi prima in una missione ad alto rischio in Iraq.
«Scommetto che per lei sei un po’ più felice che per me» lo canzonò Rainer.
«Smettila. Non siamo qui per rivangare il passato» lo fulminò Annie.
Armin era felice e amareggiato al tempo stesso.
«Ascoltaci bene dobbiamo farti delle rivelazioni molto importanti da riferire immediatamente ad Erwin» cominciò Annie, poi proseguì «siamo entrati in contatto con un agente del Mossad: Kenny Ackerman. All’inizio gli abbiamo fatto credere di essere due mercenari e abbiamo cercato di depistarlo ma lui prima di concludere l’affare ci ha smascherati. Appena ha saputo che lavoravamo per l’intelligence americana e che eravamo agenti sotto copertura le cose sono cambiate radicalmente. Facendotela molto breve abbiamo cominciato a collaborare grazie ad un accordo fatto tra i nostri governi e ci ha aiutato a completare la nostra missione. Grazie a lui ora anche noi siamo due mutaforma».
«Cosa? Com’è possibile?» chiese esterrefatto Armin.
«Quell’uomo è entrato in possesso di alcune delle fialette di nuova generazione per creare titani, che sono state trafugate a Grisha. Non ci ha mai voluto spiegare come abbia fatto, ma non è questa la cosa importante. Il risultato è quello che conta. Noi saremo l’asso nella manica di Erwin, nessuno si aspetta che ci siano due titani potenti come lo siamo noi che possono affiancare, o competere con Eren».
«Ma allora lui sta con noi o no? Sapete nulla su questo?».
«Sì, è dalla nostra parte, ma la faccenda è molto complicata» s’intromise Reiner.
«Spiegati» lo esortò Arlert.
«Purtroppo Grisha è fuori di testa ed è una vita che sta tentando esperimenti illeciti. Abbiamo scoperto di recente che ha fatto qualcosa ai suoi figli quando erano piccoli, qualcosa che è in grado di manipolarli».
«E com’è possibile?».
«Non lo so di preciso ma sappiamo con certezza è che è u
na cosa che funziona solo tra consanguinei. Sembra avvenga tramite onde celebrali inviate da un piccolo congegno innestato nel canale auditivo, il quale attraverso gli impulsi elettrici del cervello produce vibrazioni che si tramutano, per chi li riceve, in stimoli neurali che controllano la sua volontà(2)».
«Ma Eren lo sa, ne è cosciente?».
«Sì, ma può farci ben poco. Praticamente, per dirla in soldoni, è come se fosse una schizofrenia indotta. Viene posseduto dalla personalità del padre, o del fratello e quando ciò accade lui non è più in sé».
«Porca vacca!» scappò detto ad Arlert.
«Questo ci mette in una situazione grave e pericolosa. Per questo ci siamo dovuti sacrificare e diventare a nostra volta dei titani. Non possiamo farcela se non combattiamo ad armi pari, anche se Eren possiede la voce del comando
(3) e potrebbe trovarsi costretto ad usarla contro di noi».
«Cioè?» chiese sempre più confuso Armin.
Questa volta rispose Annie: «Eren è il titano più forte sia fisicamente che mentalmente ed è l’unico, non si sa perché che capace di dare ordini ai mutaforma non senzienti, può fargli fare qualunque cosa egli voglia».
«Santa pazienza! E quanti sono lo sapete?».
«C’è una sorta di nursery, così denominata perché ci sono esemplari in letargo, pronti ad essere svegliati. Sono più di cento. Sono lì fermi in attesa di essere testati e usati come arma di distruzione contro cose e persone» spiegò seria Annie.
«Ma come avete fatto a scoprire tutte queste cose?» chiese Armin stupito.
Annie sospirò, non era facile per lei.
«Abbiamo reclutato uno di loro e lo abbiamo portato a tradirli».
«E come diavolo avete fatto?».
«Ricordati che la curiosità uccise il gatto!» lo ammonì Reiner.
«Lascia stare, tanto prima o poi lo verrebbe a sapere comunque. Tanto vale glielo dica io» lo fermò Annie.
«Ma che avete fatto?» chiese Armin preoccupato.
«Si chiamava Bertold era uno dei fidatissimi di Grisha. Mi sono accorta fin da subito di piacergli. Me lo sono lavorato bene. Gli ho fatto credere di avere un debole per lui e me lo sono portato a letto. Così lui ha perso la testa ed è passato dalla nostra parte. Durante i nostri incontri ho fatto in modo che mi spiattellasse tutto, poi quando si è reso conto di essere stato usato ha dato di matto. Si è offerto volontario per diventare un titano, ma il suo fisico non ha retto e ventiquattro ore dopo la sua trasformazione è schiattato» spiegò senza lasciar trapelare nessun tipo di sentimento Annie.
Sembrava fredda e distaccata, ma non era così, anche se era una vera maestra nell’arte della dissimulazione.
Armin era sconvolto.

 

*

 

«Sei pronto?» chiese Levi a Mike.
«Sono nato pronto!» gli rispose l’amico.
«Bene andiamo a rompere il culo a quello scimmione del cazzo!».
Tirarono le leve dei loro Jet Pack e seguiti dallo sguardo preoccupato di Hanji si diressero dritti da Zeke.

I monologhi dell’autrice
Un caro saluto a chi legge. Come state?
Spero tutto molto bene!!!

Note: 1)
Il nacked choke, è una presa che si effettua nelle arti marziali, viene praticata di schiena all’avversario. La parola “nudo" in questo contesto suggerisce che, a differenza di altre tecniche di strangolamento, questa presa non richiede l’uso di un ausilio estraneo oltre le braccia. Ha due varianti: in una versione, il braccio dell’attaccante circonda il collo dell’avversario e poi afferra i propri bicipiti sull’altro braccio. Nella seconda versione, l’attaccante stringe le mani insieme dopo aver circondato il collo dell'avversario (quella che ho immaginato io fatta da Reiner su Zeke, ma anche su Kenny).  Studi recenti hanno dimostrato che lo strangolamento posteriore impiega in media 8,9 secondi per rendere incosciente un avversario indipendentemente dalla presa utilizzata. (fonte wikipedia)
2) Per questa particolaità mi sono ispirata a Pacific Rim, un film del 2013 co-scritto, diretto e co-prodotto da Guillermo del Toro. Scritto che trae ispirazione dai Kaijū, i colossali mostri del cinema giapponese e dai vari mecha presenti in numerosi anime e manga. In cui dei soldati umani chiamati Jeager (sì, avete letto bene, questo è il loro nome) che significa "cacciatori", combattono contro giganti enormi in metallo, comandando a loro volta, giganti in metallo manovrati da loro stessi tramite una connessione neuro-mentale. (Poi, in seguito, vi spiegherò meglio il legame mentale tra Grisha, Zeke ed Eren)
3) La voce del comando (che non ho voluto chimare rumbling) è un mio chiaro omaggio a Dune in cui le Bene Gesserit possiedono questo dono innato attraverso il quale possono condizionare mentalmente gli altri

Il titolo è sia quello di un film del 2016 che anche un omaggio ad una famosa serie TV (La regina degli scacchi). Non sono la prima né sarò l’ultima che ha avuto questa idea, ormai è voce di popolo nel fandom e quindi ufficialmente fanon, che Erwin sia un abile stratega al pari di un campione di scacchi!

Eccomi come promesso anche se molto di fretta, ad aggiornare la storia. Questo mese di maggio sarà molto intenso per me, quindi potrebbe (ma non è detto) saltare qualche appuntamento settimanale (spero comunque di farcela) in caso siete avvisati.
A tutti voi che state leggendo e mettendo la storia tra le seguite, ricordate e preferite va la mia mia gratitudine, senza dimenticare chi ancora ha la voglia e il tempo di lasciare un commento, cosa sempre gradita e utile.
GRAZIE di 
♥♥♥
Ci ritroviamo con (se non ci sono intoppi) un capitolo nuovo la prossima settimana, sennò quella dopo ancora!

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Capitolo 29
*** La tela del ragno ***



L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission-almost-Impossible

 

 

29
La tela del ragno

Levi aveva il viso trasfigurato in una maschera di sangue, Hanji in preda alla disperazione stava tentando di tamponarlo come meglio poteva. L’uomo aveva lo sguardo rivolto verso di lei ma sembrava quasi non la vedesse. Il suo volto era contratto in un accenno di sorriso dispiaciuto e anche rassegnato.
Il cuore della donna era spezzato, ma la volontà di salvarlo era più forte di qualsiasi altra cosa. Non riusciva neppure a parlargli, tutte le sue forze erano concentrate sulle sue ferite. Il fiato le si accorciava sempre più, le sembrava di boccheggiare come se affogasse nell’angoscia, mentre un sudore freddo le imperlava la fronte. Nessuno era mai riuscito a mettere Levi fuori combattimento, ma quel mostro dalle fattezze scimmiesche lo aveva quasi ucciso. Mille pensieri le si affollavano nella mente aggrovigliandosi, ma non poteva perdere lucidità, la priorità ora era tenerlo in vita, solo che il sangue non smetteva di zampillare da quello sfregio che gli deturpava la faccia e soprattutto dalle altre ferite infertogli da quello scherzo della natura.  
Più avanti Mike giaceva a terra, anche lui ferito in modo grave. Onyankopon stava cercando di rianimarlo facendogli un massaggio cardiaco. Accanto, poco lontano c’era anche Zeke ancora con le fattezze titaniche di scimmia disteso a terra inerme. Sembrava morto e solo dal naso gli usciva copioso del fumo biancastro. Non accennava però a trasformarsi in essere umano. Intanto intorno a loro infuriava la madre di tutte le battaglie.
Erwin alla fine era sopraggiunto come un novello giustiziere cavalcando Falco, dal quale si erano gettati Piek e Galliard trasformandosi.
Il comandante come se fosse stato sul dorso di un drago, puntava dritto sui titani non senzienti straziandoli con l’aiuto del mutaforma dal becco micidiale, che con le sue ganasce li dilaniava. Dovevano essere sterminati tutti, nessuno di loro doveva sopravvivere, questo era lo scopo per cui aveva orchestrato quella trappola arrivando inaspettato e all’ultimo momento, facendo in modo che il nemico si fosse tutto riversato nelle strade di Marley.
Purtroppo però era giunto subito dopo l’attacco sferrato da Levi e Mike contro Zeke. Il capitano era riuscito ad infilare la granata in bocca allo scimmione dato che Mike lo aveva distratto, ma il titano con quelle sue braccia smisuratamente lunghe, pochi secondi prima che l’ordigno gli implodesse nello stomaco, aveva smanacciato e con le sue unghie affilate come lame, aveva colpito in pieno Levi ferendolo in modo grave. Mike invece lo aveva afferrato con l’intento di strizzarlo, ma l’esplosione all’interno del suo corpo lo aveva fatto cadere e inevitabilmente lo aveva trascinato con sé, facendolo sbattere con forza a terra.
Annie, ancora titano, era ferita in vari punti del corpo ma non si arrendeva e stava dando battaglia al meglio delle sue possibilità, lo stesso stava facendo Reiner anche se erano entrambi molto provati.
Galliard corse a dar loro manforte contro un Eren che sembrava ancora fresco come una rosa e molto agguerrito, infatti colpì duramente sia il titano donna, sia il titano corazzato, prima che il mascella potesse fare alcun che. Grisha ormai aveva preso pieno potere su di lui. Si era rintanato protetto dai suoi fedelissimi capitanati da Floch e da lì giostrava il figlio come una marionetta, ringraziando la sua buona stella che a perire fosse stato quel buono a nulla di Zeke.
«Li uccideremo tutti» continuava a ripetere come un mantra al figlio.
Al suo terzo tentativo Onyankopon riuscì finalmente a far ripartire il cuore di Mike.
Piek, come le era stato comandato, era subito andata a prelevare i medici per portarli direttamente sul campo a supporto dei feriti gravi.
Onyancopon lasciò nelle loro sapienti mani Mike, e Hanji a malincuore fece lo stesso, non poteva assolutamente far mancare il suo supporto alla squadra in un momento così decisivo.
Sì chinò, baciò la fronte di Levi mentre una lacrima le scivolò sulla guancia.
Ti renderò fiero di me ma tu non azzardarti a morire, mi devi ancora fare quella proposta di matrimonio e mi devi far vergognare come una ladra, devi mantenere la tua promessa, capito? Guai a te se non lo farai!
Gli sussurrò lieve ma decisa in un orecchio asciugandosi con il dorso della mano quel timido accenno di pianto subito soffocato.

«Dobbiamo stanare Grisha. Dobbiamo interrompere la connessione con Eren» stava dicendo Nanaba, quando arrivarono gli ordini diretti di Erwin tramite radio.
«Mikasa devi fare ciò che ci siamo ripromessi o non riusciremo a terminare la missione. Levi è compromesso quindi mi resti solo tu. Vai e compi il tuo dovere».
La ragazza annuì, si tirò la sciarpa rossa sul naso che si era portata con sé come feticcio e caricò il suo lancia granate.
Fu subito raggiunta da Jean, Gabi, Sasha, Connie ed Hanji.
«Che dobbiamo fare noi?» le chiesero quasi in coro.
«Dobbiamo andare e colpire Eren senza sosta finché perderà le forze e tornerà umano… poi ci penserò io» spiegò con lucido distacco.
«Nanaba, Gabi, Sasha e Connie voi dovete trovare Grisha e catturarlo» ordinò loro Erwin dalla ricetrasmittente.
«Io vado con Mikasa» disse Hanji.
«Anche io» aggiunse Jean.
«Sono con voi!» si unì Armin.
«Dove sono più utile?» chiese Onyankopon.
«Tu ci sei utile solo da vivo, quindi mettiti al riparo con i feriti. E ora andiamo e terminiamo questa missione una volta per tutte!» tuonò Erwin incitandoli e chiuse la comunicazione riprendendo la decimare titani.

Riuscire a stanare Grisha non fu impresa facile. Si era rifugiato nei cunicoli sotterranei del suo laboratorio. Connie però si era fatto mandare la planimetria dell’edificio sul suo cellulare e stava cercando di capire dove potessero essere nascosti.
Dopo vari tentativi finalmente capirono dove si fossero rintanati e si recarono sul posto a colpo sicuro.
Sorpresero il dottor Jeager che stava seduto, concentrato, sembrava assente e si premeva le tempie con con l’indice e il medio, attorniato dai suoi fedelissimi.
«Siamo troppo pochi per attaccarli frontalmente» bisbigliò Nanaba molto preoccupata. Erano in un punto dove non erano visibili al nemico ma che consentiva loro di monitorare la situazione.
«Potrei sparare dritto in testa a Grisha. Da qui lo centrerei senza problemi» propose Gabi con l’occhio già nel mirino.
«Non possiamo ucciderlo ci serve vivo» le rispose la donna.
«Dovremmo creare un diversivo» valutò Sasha.
«Grande idea e quale? Non abbiamo niente, neppure un misero fumogeno…» disse Connie sarcastico.
«Ho io qualcosa che fa il caso nostro: due bombette urticanti un’evoluzione dello spray al peperoncino. Oltre a far bruciare gli occhi provocano un fortissimo prurito in tutto il corpo. Questo dovrebbe bastare a farci fare irruzione e avere la meglio su di loro. Se siamo fortunati forse Grisha sarà pure costretto ad interrompere la connessione con Eren» spiegò con rinnovata fiducia Nanaba, nella concitazione del momento si era completamente dimenticata di avere con sé quei due preziosi candelotti.

 

Intanto sull’altro versante di battaglia Erwin continuava a sterminare i mutaforma con l’auto di Falco e Piek, la quale continuava a fare anche da ponte tra medici e feriti. Aveva aiutato a trasportare Mike in ospedale, mentre Gunter, aiutato da Petra, stava ricucendo Levi sul posto dato che aveva perso i sensi e l’emorragia andava fermata subito.
Annie e Reiner erano esausti a terra, fumanti, lei era senza mani e lui aveva la parte destra della testa distrutta, Eren, sotto le sciagurate direttive di Grisha, ci era andato davvero giù pesante con loro. Entrambi stavano cercando di rigenerarsi il prima possibile.
Galliard invece stava ancora lottando con lui, ma pur essendo molto forte e veloce, non lo era abbastanza per contrastarlo fino a batterlo, lo teneva però molto impegnato. Stava ancora dando il meglio di sé quando arrivò la squadra con a capo Hanji.
«Galliard vai ad aiutare Erwin e qui lascia fare a noi» disse la donna con determinazione. In un primo momento sembrò interdetto ma poi subito obbedì.
Nel frattempo Mikasa era immediatamente volata all’altezza dello sguardo di Eren.
«Sono qui, mi vedi?» urlò la ragazza al titano dagli occhi fiammeggianti che subito emise un urlo agghiacciante.
«Avanti, prendimi se ci riesci!» lo sfidò.
Si farà ammazzare quella pazza pensò Jean, ma si era ripromesso di non permettere alle sue emozioni di dominarlo, doveva e voleva fare il suo dovere, lo aveva promesso, quindi scacciò ogni pensiero su di lei e si concentrò al massimo sul da farsi.
Eren cercò di afferrare Mikasa che velocissima si spostò impedendoglielo, questo lo fece irritare e nel frattempo lei si proiettò in avanti, il titano subito la seguì in modo scalmanato. Fu a quel punto che gli altri, da dietro caricarono i lancia granate e cominciarono a colpirlo in successione veloce.

«Una bellissima idea la tua Nanaba, peccato però che non abbiamo maschere antigas e anche noi saremo vittime dei tuoi fantastici candelotti urticanti, esattamente come loro!» commentò aspra Gabi.
«I nostri ingegneri non sono certo degli stupidi, sono armi studiate per le situazioni d’emergenza ed è logico che non possano essere neutralizzate da semplici maschere antigas, per questo ho anche un flaconcino con delle pastiglie che dopo tre minuti dalla loro assunzione ci renderanno immuni dal loro effetto».
«Allora presto, daccele subito» la incitò Connie.
La donna passò ad ognuno di loro una pillola e si raccomandò che la facessero sciogliere sotto la lingua, poi azionò il cronometro per aspettare che facessero effetto.

Erwin era molto preoccupato non faceva che guardare l’orologio e rimuginare tra sé e sé. Si era fatto legare sul dorso di Falco per poter usare almeno il braccio buono, ma contro quell’orda infinita di titani, che sembravano aumentare sempre più, loro che erano in numero esiguo potevano fare ben poco. La situazione era grave e senza Levi era ancora peggio. Quando vide sopraggiungere il mascella si sentì riavere e insieme continuaro la bonifica dei non senzienti, anche se farli fuori definitivamente non era poi impresa così semplice, perché anche quelli andavano o decapitati, o colpiti dietro la nuca.

Nanaba allo scoccare dei tre minuti fece un balzo in avanti e prima che quelli dentro la stanza potessero fare alcunché lanciò gli urticanti.
Subito tutti all’interno cominciarono a tossire, lacrimare e a grattarsi da per tutto in modo sguaiato.
Appena si resero conto che erano tutti destabilizzati dall’effetto dei candelotti fecero irruzione all’interno, Nananba sperò che le pastiglie funzionassero, non aveva detto nulla, ma erano ancora in fase sperimentale.

Allo stesso momento, fuori stava infuriando un altro importante combattimento: quello contro Eren.
La squadra compatta stava sparando a raffica senza posa su di lui che fumava, ma non si arrendeva. Era eretto, fiero, urlava e sembrava che traesse quasi una forza nascosta da quell’attacco micidiale. Era furente, senz’altro era davvero il più forte di tutti, abbatterlo non sarebbe stato facile.
«Siamo sicuri che questo piano funzioni?» chiese Jean mentre continuava a colpirlo.
«Funzionerà!» sentenziò Armin determinato.
Mikasa era ancora davanti a lui e cercava di colpirlo negli occhi, ma Eren lo aveva capito e le sfuggiva cercando di afferrarla.
Hanji cercava di mettere a segno più colpi possibili sembrava mossa da una forza superiore.
In quell’inferno di fragore di spari, di fumo che usciva dalle ferite del titano che urlava in modo raccapricciante, improvvisamente accadde qualcosa di assolutamente inatteso. Eren si fermò di colpo e tacque spiazzando tutti. Per qualche secondo smisero di sparare e lo guardarono sorpresi, lui ricambiò i loro sguardi, come se capisse e li vedesse. I suoi occhi persero la loro fluorescenza e tornarono ad essere semplicemente verde cupo, poi crollò in ginocchio e allargò le braccia in alto inclinando la testa in avanti, come in segno di resa.
Mikasa in quel momento ebbe un a sorta di allucinazione uditiva, le sembrò chiaramente di sentire nella sua mente la voce di Eren che le diceva: avanti, fallo!
Come mossa da una volontà non sua fece un chiaro cenno alla squadra e loro ritornarono a colpirlo con i lancia granate, questa volta da molto vicino, perché lui glielo stava permettendo rimanendo immobile sotto i loro colpi, finché non cadde a terra bocconi, completamente avvolto da una densa nube di vapore.
Mikasa allora caricò la pistola con la RIP e si avvicinò a lui. Stava ritornando umano. Era completamente nudo inerme, prono a terra con a testa rivolta di lato, con la nuca alla loro mercé.

Nei sotterranei intanto, dopo un violento corpo a corpo erano riusciti  a catturare Grisha.
Floch invece stava scappando e sicuramente folle com’era avrebbe tentando il tutto per tutto, anche qualcosa di estremamente pericoloso e stupido, come forse lanciare una bomba, che sicuramnete era innescata da qualche parte per situazioni estreme come quella, pronta per essere detonata.
Prese a correre sfuggendo loro, ma fu subito inseguito da Gabi. Era chiaro che sapesse esattamente dove andare e cosa fare. Ad un certo punto la ragazza si fermò. Sapeva che la sua decisione era rischiosa, azzardata, forse anche presuntuosa perché basata troppo sulle sue capacità, ma non vedeva altra soluzione e quindi si prese la responsabilità.
Imbracciò il fucile e con il mirino inquadrò la testa di capelli spettinati di quell’essere immondo di nome Floch e senza esitazione sparò.
Lo centrò in pieno.
Il colpo gli attraversò il cranio e uno schizzetto vermiglio tinse l’aria. Floch cadde lungo disteso a bocca in avanti. La ragazza lo raggiunse e si rese conto che la pallottola era uscita dalla fronte. Era morto stecchito.
«Hai visto? Lo avevo promesso: la seconda volta non avrei sbagliato il colpo» commentò severa.
Fu subito raggiunta dagli altri che avevano disarmato tutti ammanettandoli con delle fascette di plastica, compreso Grisha che era sotto la diretta custodia di Nanaba.
«E sti cazzi no?» commentò Connie, che aveva un occhio nero perché nella colluttazione oltre che darle le aveva anche prese. Era rimasto ammirato dal lavoro di precisione di Gabi.
«Ottimo lavoro, brava! Questo stronzo finalmente non ci darà più problemi!» commentò Sasha che era ansiosa di sapere dove fosse Niccolò, in quel marasma lo aveva perso di vista quasi fin da subito.

 

Mikasa stava osservando Eren. Era devastante per lei vederlo così, ma non poteva lasciarsi sopraffare dalle emozioni.
Prono, immobile, non aveva tentato di fare, o dire alcunché, aspettava inerme e rassegnato la sua sorte.
Avrebbe voluto abbracciarlo dirgli tante cose, ma se lo avesse fatto non sarebbe mai arrivata fino in fondo. Eren era la sua unica famiglia e lei stava per sterminarla.
Stava appunto per puntare la pistola alla nuca e farla finita quando qualcuno gridò forte: «FERMA!».
Si girò e vide Onyankopon che correva verso di lei trafelato.
La raggiunse e non riusciva a parlare per il fiato spezzato dalla corsa.
Aveva in mano una sorta hypospray
(1) in acciaio.
«Sono riuscito a recuperarlo! Usa questo» le disse.
«Ma cos’è? Io devo usare la RIP e terminarlo, non c’è altra scelta!».
«Fidati. Usa questo, l’ho messo a punto io. Se non funzionasse, in un secondo tempo, potrai sempre usare la RIP».
Mikasa non capiva perché Onyankopon le proponesse questa cosa, era turbata e incerta.
«Fai come ti ha detto forse Eren potrebbe salvarsi» le disse Armin sopraggiungendo e dando man forte ad Onyankopon.
A quel punto, come in trance, la ragazza prese l’hypospray in mano. Tanto valeva tentare, anche se ci fosse stata una possibilità su un milione il gioco valeva la candela.
«Sparagli sempre sulla nuca» la avvisò Onyankopon.
Lei annuì, si inginocchiò e senza indugiare fece quello che aveva promesso ad Erwin: sparò.
Eren ebbe un lieve sussulto, il suo corpo tremò e poi chiuse gli occhi rimanendo immobile come morto.

«Comandante non ce la faremo mai! Sono troppi!»
Stava dicendo affannato Moblit che insieme a Niccolò aveva combattuto come avevano potuto per cercare di abbattere più titani non senzienti possibile.
Erwin non rispose e continuò a sparare furioso.
Furono raggiunti dalla squadra di Hanji e da quella di Nanaba che avevano portato a termine le loro missioni e tutti si misero a dare il loro contributo.
Nonostante ciò non riuscivano a venirne a capo. Quei mutaforma erano davvero tanti.
Moriremo tutti e sarà stato tutto inutile cazzo! Stava pensando Connie mentre battagliava come un leone.
Non mi importa di morire, mi basta che si salvi lei… questa era la l’unica preoccupazione di Jean rivolto a Mikasa.
Non moriremo qui, non oggi, questa è una promessa! disse a se stassa Hanji.
Non volevo che finisse così moriranno tutti e io ne sarò responsabile, Pixis non erano questi i patti! Erwin non si dava pace continuando a guardare l’orologio.
Se devo morire sono felice di farlo con lui! Pensò Sasha guardando Niccolò.
Venderò cara la pelle e combatterò fino a quando avrò fiato in corpo
pensava Gabi accanita.
Ognuno di loro stava rivolgendo un pensiero a qualcuno o qualcosa come se fosse l’ultimo, tutti in fondo erano consapevoli che la morte presto li avrebbe portati via con sé.
Sembrava tutto perduto ormai, quando dal fumo dei mutaforma abbattuti qualcosa sembrò muoversi.
Da quelle nubi caliginose apparvero come dei veri e propri salvatori Kenny Ackerman e la sua leggendaria squadra di tiratori scelti a cui si erano aggiunti anche Marlo ed Hitch e diversi altri compagni che erano con loro sull’isola.
«
È qui la festa?» disse Kenny ridacchiando e nel mentre già aveva abbattuto un titano.
«Finalmente!» disse Erwin rinvigorito «pensavo fossero saltati gli accordi!».
«E quando mai? I nostri capoccioni trovano sempre il modo di fare comunella, soprattutto quando si tratta di soldi e armi! Avevi dubbi forse?».
«Smettiamola con le chiacchiere abbiamo un lavoro da fare» chiosò Erwin.
«Non vedo il mio adorato nipote» commentò Kenny con l’immancabile cicca
(2) che gli pendeva dal labbro mentre continuava a mietere vittime come se stesse falciando l’erba di un prato.
«
È ferito e messo molto male, credo sia in ospedale» s’intromise Hanji.
Kenny cambiò espressione: «Questo mi fa parecchio incazzare!» e cambiò marcia diventando addirittura più veloce e letale di prima.

Fu una nottata lunga e faticosa, quando l’alba tinse di rosa il cielo, fece sembrare tutto quel fumo come nuvole di zucchero filato, rendendo quasi accettabile quella distesa di corpi inermi che erano il risultato della mattanza che era durata tutta la notte.
Quando il sole fu alto fu chiaro che finalmente era finita.
Esausti, sporchi e devastati si erano tutti stesi a terra a riprendere fiato, cercando di non pensare che quei morti un tempo erano esseri umani esattamente come loro.
Così il folle piano di Erwin aveva funzionato, ma nonostante ciò lui non riusciva proprio ad esserne fiero…

 

I monologhi dell’autrice
Buona domenica a chi legge. Come state?
Spero tutto bene!!!

Note: 1)
 Un hypospray è una versione fittizia di un iniettore a getto. L’ hypospray è stato inventato e sviluppato dagli sceneggiatori della serie originale di Star Trek a cui ho voluto fare omaggio, anche se questi iniettori a getto ormai sono di largo uso nelle serie shi-fi
2) Cicca in dialetto toscano la cicca è la sigaretta

Sono consapevole che questi ultimi capitoli sono un po’ più duri e meno “leggeri” degli altri, ma per quanto ci abbia messo impegno, non potevo proprio tenere in vita quella cacca di Floch, scusate!
Questa volta ce l’ho fatta ad aggiornare, spero di farcela anche la prossima, sennò come sempre vi dò appuntamento a tra 15gg.
GRAZIE di 
a chi sta leggendo questa storia, a chi continua a metterla tra le seguite, ricordate e preferite, un grande abbraccio riconoscente a chi ha il tempo e la voglia di lasciarmi un feedback, vi voglio bene!
Ci ritroviamo con un capitolo nuovo la prossima settimana, sennò più o meno, quella dopo ancora!

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Capitolo 30
*** Crazy stupid love ***


 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission-almost-Impossible

 

 

30
Crazy
stupid
love

L’autunno era esploso in tutta la sua bellezza, i colori erano cambiati tingendo di arancio e giallo il paesaggio, mentre le foglie avevano iniziato a cadere in mucchi fruscianti alle radici nodose degli alberi lungo il viale. Tutto era pervaso da un pizzico di malinconia che era il preludio ad un inverno lungo e freddo. Dalla finestra si poteva ammirare un vaporoso velo di nebbia dalle cui coltri emergevano, come da un mare immaginario, i maestosi grattaceli della città.
Mikasa sorseggiava un fumante tè al limone preso alla macchinetta del corridoio dell’ospedale militare di Boston.
Erano giorni che la ragione faceva a pugni con il suo senso di colpa.
Eren giaceva immobile nel letto dell’ospedale, in coma, da quando con quell’hypospry gli aveva iniettato direttamente nella nuca quello che aveva scoperto essere un “inibitore”, così chiamato da Onyankopon che lo aveva messo a punto sotto le direttive di Grisha. La piccola capsula era un gioiellino di nano tecnologie, secondo il medico folle, avrebbe dovuto avere il compito di stoppare il processo di trasformazione in titano, quando il medesimo rischiava dopo la prima mutazione, di morire. Secondo Grisha doveva essere una sorta di stand by che lo doveva aiutare a prevenire eventuali difetti e far morire meno cavie possibile. Onyankopon però lo aveva modificato e migliorato, il suo intento era quello di rallentare l’eventuale processo di deterioramento corporeo dei mutaforma, di bloccare il loro stato geneticamente alterato, per poi trovare un modo per farli tornare ad essere semplici esseri umani.
Eren era stato il primo in assoluto a cui era stato inoculato ed era subito andato in coma.
Mikasa era conscia di aver colto un’occasione per potergli salvare la vita, ma vederlo in un letto d’ospedale in quelle condizioni non era certo una consolazione, tanto più che a breve Krista avrebbe partorito e lui non avrebbe neanche avuto la gioia di saperlo.
Era sempre al suo capezzale anche perché non c’era effettivamente nessun’altro, a parte Armin, che potesse andare a vegliarlo.
Spesso Jean l’accompagnava e la andava anche a riprendere. Non saliva mai a trovare Eren, salvo qualche rarissima occasione e solo per qualche minuto. Non ce l’aveva con lui, anzi sperava che potesse risvegliarsi, ma il suo prestarsi era più che altro per lei, che era molto stanca e consumata da questo dovere morale che si sentiva pesare sulle spalle. Rispettava il suo dolore e il suo mai reciso legame con quello che senza dubbio era, o era stato, il più grande amore della sua vita. Aveva capito che probabilmente, nel cuore di Mikasa, il suo spazio poteva essere solo quello di un buon amico e si limitava ad essere questo, perché le voleva davvero bene. Cercava di aiutarla come poteva, sollevandola almeno dal guidare avanti e indietro tutti i santi giorni, ma era deciso a passare oltre, infatti quella sera, dopo vari ripensamenti aveva invitato a cena fuori una sua collega che sapeva essere cotta marcia di lui. Megan era bella, simpatica, disponibile e lui desiderava voltare pagina. Non era più un ragazzino e aveva accettato serenamente che era giunto il tempo di andare oltre, o almeno di provarci.

 

*

 

«Levi è troppo pericoloso, ti prego di riflettere» Hanji stava disperatamente cercando di farlo ragionare.
«Col cazzo che rimango seduto su questa sedia a vita. Preferisco rischiare e non mi farai cambiare idea neppure tu!».
La donna si  passò una mano sui ciuffi che le danzavano intorno al viso in un moto di frustrazione: «Ma così rischi  molto di più di un’infermità permanente!» sbottò.
«Senti mi mancano due dita, un occhio e sono decisamente storpio, davvero pensi che se mi si prospetta anche una sola opportunità su cento io non la coglierò?» le disse frustrato.
Hanji istintivamente si toccò la benda nera che le copriva l’occhio offeso.
Levi al contrario ostentava il suo, spento da quello sbrego che gli solcava il volto con aria di aperta sfida, come se volesse dire: mi avete spezzato ma non piegato.
Certo a lei era andata decisamente meglio, ma anche la sua menomazione la condizionava e non poco, solo che Hanji era diversa da lui e aveva un altro modo di reagire alle cose.
«Che vita sarebbe la nostra eh? Tu che mi porti al parco spingendo la carrozzina, io che faccio dieci passi con il bastone e poi mi rimetto su questo trabiccolo per tornare a casa a bere tè e leggere libri? Eh no cazzo! Io ho ancora molto da dare all’agenzia e a te. Voglio che quando siamo assieme la gente dica: ma guarda quel nano con quella figa spaziale che culo che ha, e non: guarda quei due poverini uno messo peggio dell’altro, si son proprio trovati».
Aveva ragione e Hanji lo sapeva, ma aveva tanta paura, quello che gli avevano proposto era davvero molto pericoloso, al limite della fantascienza, lo avrebbero usato come uan sorta di cavia e lei era davvero preoccupata.
«Quindi non c’è niente che io possa fare o dire, tu non cambierai idea…» si risolse a dire a voce alta, più per esprimere un pensiero, che per avere una risposta che già conosceva.
«Hanji ti amo e proprio per questo voglio farlo» le rispose spiazzandola totalmente. Non c’era bisogno che parlasse ancora, era implicito che volesse essere un compagno, un marito e chissà forse un giorno anche un padre e non un peso per lei. Non lo sarebbe mai stato ovviamente, ma poteva capire le sue ragioni e poi quel ti amo così schietto e diretto, pronunciato per la prima volta a voce alta e come rafforzativo ad una decisione che avrebbe potuto costargli la vita, la sciolse dentro come un panetto di burro in padella.
«E allora sia…» le uscì dalle labbra con le lacrime che le pungevano l’occhio sano.
Poi gli si avvicinò, si inginocchiò a lato della sua sedia a rotelle, gli prese il viso tra le mani è lo baciò con disperato ardore. Lui poggiò la mano con le dita mozze sul suo viso e chiuse l’occhio sinistro accogliendo quel bacio pieno d’amore, paura, ma anche speranza, mentre con l’altro braccio cercò goffamente di stringerla a sé.
«Guai a te se fai la testa di cazzo e ci lasci le penne, giurò che  troverò il modo di fartela pagare anche nell’aldilà, hai capito bene?» lo minacciò lei con voce rotta e lo sguardo lucido.
«Non c’è riuscita quella scimmia di merda alta quindici metri a farmi fuori, di certo non lo farà un chirurgo specializzato. Abbi fiducia donna!» le rispose tracciando il contorno del suo viso con una lieve carezza a tre dita.

 

*

 

«Hei!» le disse quasi timidamente per attirare la sua attenzione. Non era più tanto sicuro che fosse stata una buona idea quella di presentarsi nel suo ufficio senza neppure farsi annunciare.
La donna alzò la testa che aveva immersa in una babele di faldoni polverosi. Aveva i capelli raccolti alla ben meglio con una pinza e dei grossi occhiali da vista.
Guardò l’uomo davanti a sé per metterlo a fuoco e poi aprì la bocca per parlare, ma non emise alcun suono.
«Ciao Marie, sì, sono proprio io» le sorrise amabilmente Erwin. Nonostante non fosse più la ragazza di un tempo, la trovò ancora bellissima e anche se quegli occhiali le mortificano il volto, mettevano comunque in risalto quelle iridi di un verde intenso in cui era stato solito annegare quando stavano insieme.
Anche lei lo stava osservando stupita. Notò che era più serio di come lo ricordasse, forse perché una ruga profonda gli solcava l’inizio del seno nasale, proprio in mezzo a quelle due folte sopracciglia che esaltavano l’azzurro cupo del suo sguardo. Era un uomo ormai, un gran bell’uomo, distinto, sempre caratterizzato da quel portamento signorile che l’aveva incantata. Era così sorpresa e investita dai ricordi, che si accorse solo in un secondo momento che il suo braccio destro era stato amputato. Infatti la manica della giacca era piegata e appuntata mostrando chiaramente e senza vergogna la menomazione.

«Erwin…» riuscì infine a dire togliendosi gli occhiali, e aggiustando un ciuffo ribelle dietro un orecchio «che bella sorpresa, che ci fai qui? Ma soprattutto come hai fatto a trovarmi?».
Lui che aveva subito notato che non portava alcuna fede all’anulare sinistro, le sorrise scioccamente sollevato.
«Con il lavoro che faccio non è molto difficile rintracciare le persone, anche se sono andate a vivere in campagna, molto lontano dalla città e fanno un lavoro particolare, e come dire, nascosto?».
Lei che intanto aveva scaldato del caffè che teneva a portata di mano in una grande caraffa elettrica, gli porse una tazza.
«Dopo la morte di Nil ho sentito la necessità di ritirarmi. Volevo stare sola con me stessa. Così mi si prospettò questa opportunità e la afferrai al volo» gli spiegò sommariamente. Era addetta a catalogare e trasferire su computer tutti gli archivi antichi della contea, perché non se ne perdesse la memoria.
«Mi dispiace non sapevo nulla…» le disse imbarazzato, avrebbe voluto avvicinarsi a lei ma di fatto rimase bloccato sul posto, come se fosse stato inchiodato a terra.
«In realtà ci eravamo già lasciati da un anno quando scoprì di essere malato, ma decisi di stargli comunque accanto lasciando anche il lavoro e non me ne pento, ma è stata molto dura» gli spiegò spiazzandolo.
«Immagino» chiosò prima di assaporare un sorso della bevanda calda, che trovò corroborante.
Restarono qualche minuto in silenzio a sorbire il caffè, dopo che lei lo aveva fatto accomodare su una sedia di fronte alla sua scrivania. Bevevano e si scrutavano, come se volessero capire qualcosa di più l’uno sull’altra.
«Senti mi dispi…». «Ma che hai fatt… ».
Dissero contemporaneamente parlandosi sopra l’un l’altra.
Risero.
«La parola alle signore» enunciò Erwin alzando la tazza e facendo un cenno con la testa. Del resto era consapevole che fosse meglio far parlare prima lei.
Marie si risistemò per l’ennesima volta quel ciuffo dietro l’orecchio, poi lo guardò seria «Che hai fatto a quel braccio?» gli chiese diretta.
Un uomo tramutato in una scimmia geneticamente modificata me lo ha tranciato di netto durante una missione.
No, non era il caso, tuttavia non avrebbe potuto dirglielo comunque.
«Incerti del mestiere» si risolse a spiegare accennando un mezzo sorriso.
«Mio Dio deve essere stato terribile».
«Sicuramente non è stata una passeggiata, ma sono vivo e grato di esserlo. E poi, a questo proposito devo fare una cosa molto importante, ma anche un po’ rischiosa…» aggiunse.
«Di che cosa si tratta?» gli chiese lei un po’ allarmata.
«Un’operazione, o qualcosa del genere. È complicato e sono desolato, ma proprio non posso entrare nei particolari».
Marie era interdetta. Dopo che si erano lasciati non si erano più visti né sentiti, ora improvvisamente dopo anni si ripresentava così, all’improvviso e diceva, non diceva. Era tutto confuso. C’era qualcosa sotto e lo voleva sapere.
«Erwin, dimmi il vero motivo per cui sei qui» lo inchiodò andando dritta al punto.
Lui poggiò la tazza sulla scrivania e si passò la mano tra i capelli, poi la guardò dritta negli occhi.
«Prima di affrontare questa operazione volevo mettere a posto le cose. Durante la missione in cui sono rimasto menomato, una sera ho parlato a lungo con un collega, un buon compagno, potrei quasi definirlo un buon amico, quella sera ho capito che avevo bisogno di chiederti scusa. Sì lo so è un gesto davvero avventato ed egoista, molto tardivo, probabilmente inutile, ma ultimamente ho capito che non posso più rimandare le cose veramente importanti della mia vita».

 

*

 

Quella mattina il cielo era terso e azzurro. Il giorno prima aveva piovuto,  il sole che splendeva alto si rifletteva nelle pozzanghere creando tremuli giochi di luce.
Mikasa era seduta accanto al letto di Eren, all’ospedale. Come quasi ogni mattina Jean l’aveva accompagnata. Non avrebbe mai immaginato che quel ragazzo potesse essere così gentile e disponibile. Questa cosa l’aveva colpita moltissimo, ma per lei Jean al momento era un argomento tabù, anche solo con se stessa. Aveva volontariamente messo un veto su di lui. Eren era la sua priorità e il suo senso di colpa la teneva in ostaggio.
Il ragazzo che aveva tanto amato ora giaceva lì, immobile, con gli occhi chiusi e i lunghi capelli sparsi sul cuscino. Avrebbero voluto tagliarglieli ma lei si era tenacemente opposta tanto da spuntarla. Sembrava che dormisse, se non fosse stato per il respiratore sulla bocca e tutti i quei fili che lo tenevano collegato a quella macchina che emetteva un lieve suono costante lampeggiando. Il respiro era regolare e lui giaceva immobile, quasi sereno. La ragazza sospirò. In quel momento entrò l’infermiera per la detersione giornaliera. Lei si alzò e approfittò per andare a prendersi qualcosa di caldo alla macchinetta adiacente la stanza.
Tutt’un tratto un campanello cominciò a suonare senza posa e il corridoio fu investito da medici ed infermieri, che con sua angosciosa sorpresa correvano tutti in camera di Eren. Presa dal panico lasciò cadere il bicchiere di carta con il caffè, che andò a terra formando una pozza scura e fumante, poi senza curarsene si precipitò da lui.
La porta era chiusa ma non la fermò, aprì e vide un gruppo di persone chine su di lui, non fece in tempo a fare, o dire niente, perché un nerboruto infermiere la prese per un braccio.
«Signorina mi dispiace ma lei non può stare qui».
«Ma che succede?» gli chiese in pena cercando di fare resistenza.
«Non lo sappiamo ancora, stiamo cercando di capire, la prego non complichi le cose e aspetti qui» tagliò corto l’uomo portandola fuori dalla stanza e richiudendo la porta dietro di sé.
Il cuore di Mikasa sembrava esplodere. Nella sua testa, di colpo, si affollarono mille pensieri e tutti negativi.
Non seppe neppure lei perché lo fece ma prese il telefono e chiamò Jean.
Avrebbe potuto chiamare Armin, ma non le venne neppure in mente.
«Ti prego vieni da me, credo che stia morendo e io non ce la faccio a sopportare questa cosa da sola» gli disse senza neppure salutarlo, con la voce rotta dalla disperazione e dalla paura.
Lui avrebbe voluto essere in grado di rifiutarle il suo aiuto, ma di fatto non poteva proprio farlo. Sentirla così gli face male come ricevere una pugnalata. Afferrò il cappotto, chiese permesso al suo superiore, prese la macchina e si precipitò in ospedale.
La trovò in lacrime seduta fuori della stanza di Eren. Gli sembrò la scena di un film già visto mille volte, eppure era comunque lì per lei.
«Ho avvertito anche Armin e gli altri ragazzi mi sembrava giusto farlo» le disse palesandosi.
Lei si alzò di scatto e si gettò tra le sue braccia in cerca di conforto.
Jean espirò piano e prese ad accarezzarle i capelli che stavano tornado ad essere più lunghi.
«Che cosa ti hanno detto?» le chiese in un sussurro.
«Non vogliono dirmi niente. È già quasi un’ora che sono chiusi lì dentro…».
«Potrebbe essere positivo. Niente nuove, buone nuove no?» commentò cercando di fare l’ottimista.
Lei scoppiò a piangere e lui si sentì ancora più stupido, non era nenache capace a consolarla. La strinse forte a sé e prese a cullarla piano come se fosse una bambina impaurita, ma non disse più una parola. Il suo cuore era straziato dal dolore di Mikasa, ma era anche sinceramente dispiaciuto per Eren».

 

*

 

«Vorrei che tu mi lasciassi parlare senza interrompermi» esordì Hanji molto seria.
Levi la guardò alzando un sopracciglio «Come se fosse facile farlo, interromperti intendo» ironizzò.
«Non voglio dissuaderti» lo tranquillizzò «ma non posso neppure mentirti, per quanto ne abbia avuta la tentazione».
L’uomo non capiva dove volesse andare a parare, ma la cosa non gli piaceva per niente. Quell’inizio presupponeva che dovesse dirgli qualcosa che non avrebbe gradito, poi all’improvviso ebbe l’illuminazione.
«Hanji per favore non dirmi che vuoi fare quello che penso».
«Se vuoi non te lo dico, ma lo farò ugualmente».
«Perché maledizione?».
«E tu perché lo fai?».
«Perché ho una menomazione estesa e sono un rottame. Ti basta?».
«No, non mi basta».
«Quando fai così mi stai abbastanza sul cazzo Zoe».
«Oh beh, nenache io sono perfetta suppongo» gli rispose serafica.
Levi con un gesto di stizza cominciò ad armeggiare con le ruote della sua carrozzina e fece per dirigersi fuori dalla stanza.
«Vedi? Non riesco neppure ad uscire e sbattere la porta con questa carretta di merda e tu mi chiedi perché?» le sbraitò contro.
Lei gli si avvicinò «La mia era una domanda retorica, mi hai già spiegato i tuoi motivi giorni fa e sono anche i miei».
«Ma a te manca solo un occhio cazzo! Perché rischiare così tanto? Io ti trovo sexy anche con la benda e pure con un occhio di vetro se ti facesse sentire meglio» sbottò.
Nonostante tutto la fece sorridere.
«Levi anche io voglio essere al cento per cento e anche io voglio continuare a servire il mio paese al meglio delle mie capacità».
«È un rischio stupido ed inutile» le disse adirato.
«Lo so che mi ami. Lo so che vuoi proteggermi, ma sai anche che siamo ciò che siamo, fa parte del pacchetto completo. Ti ricordi in Iran quando dovevamo fuggire e ci trovammo davanti a quel salto nel vuoto?».
«Me lo ricordo sì! È stata una delle poche volte in cui ho seriamente pensato di non riportare la pellaccia a casa! Fortuna che sotto c’era quel fiume».
«Ricordi com’è andata?».
Lui la fissò serio «Certo, non abbiamo neppure parlato, semplicemente mi hai detto: giù tu, giù io, poi mi ha dato la mano e ci siamo lanciati nel vuoto senza sapere se ce l’avremmo fatta».
«Esattamente Levi: giù tu, giù io» gli disse guardandolo intensamente con tutto l’amore che sentiva per lui.
Fu come colpito da uno schiaffo, quella donna ne sapeva sempre una più del diavolo e riusciva sempre (o quasi) a metterlo con le spalle al muro.
«Sei detestabile».
«Anche tu testone».
«E sia, hai vinto anche questa volta: giù tu, giù io. Facciamolo insieme».

 

*

 

«Volevo dirti un sacco di cose ma alla fine se devo essere sincero mi sento un po’ stupido» ammise Erwin guardando il suo piatto in cui la carne era rimasta intatta con tutte le patate di contorno.
Avevano deciso di pranzare assieme per parlare, ma ora si sentiva molto inibito e a dire il vero anche molto fuori luogo.
«Sei sempre stato sicuro e deciso, questa tua nuova veste un po’ più imbranata mi piace molto» gli disse lei addentando un boccone succoso.
Erwin sorrise. Era vero che fosse molto sicuro di sé, ma più in campo lavorativo piuttosto che in quello sentimentale.
«Eravamo giovani, molto innamorati, ma anche molto immaturi, o almeno io lo ero tanto» cominciò a dire decidendosi a mangiare il suo pasto. Parlare tra un boccone e l’altro gli dava modo di poter riflettere su ciò che doveva dire.
«Non posso negare che fossi realmente sollevato dal fatto che non sarei diventato padre, la cosa sul momento mi aveva terrorizzato, non ne vado fiero, ma non ha senso mentire. Non era nei miei piani ed ero molto giovane e sprovveduto, preso da un sacco di progetti».
Lei lo ascoltava in silenzio e lo fissava dritto negli occhi.
«Con il tempo anche io ho provato nostalgia per quel momento così importante. Però mi rendo conto che all’epoca non ho minimamente capito il dramma che tu stavi vivendo, sono stato superficiale ed egoista, ma questo non significa che non ti amassi e che se fosse vissuto, non avrei amato quel bambino».
Marie stava per parlare ma lui alzò la mano e le fece cenno di aspettare che finisse il suo discorso.
«Ho capito dopo, con il tempo, maturando, che sono stato davvero uno stolto a non accorgermi di come tu stessi male per quella perdita. E ho spesso pensato a come sarebbe stato essere padre di quel figlio mai nato, non ti nascondo che un filo di rimpianto perseguita anche me quando ci rifletto. Tu giustamente mi lasciasti ma mi crollò il mondo addosso e mi gettai a capofitto nel lavoro. Ho pensato sempre molto a te. Mi chiedevo se eri felice con Nil, se vi sareste sposati, se voi avreste avuto figli, ma ad un certo punto non ho voluto sapere più nulla. Vi ho semplicemente lasciati andare. Era un gioco al massacro che mi faceva molto male, ma nonostante ciò Marie, tu sei rimasta con me, in un angolo del mio cuore, e niente e nessuno poteva cancellarti».
Prese fiato. Neanche lui avrebbe immaginato di lasciarsi andare così a cuore aperto.
Lei ora lo guardava in modo diverso, indecifrabile, sebbene a lui parve che i suoi occhi avessero una nuova luce, o forse era solo la sua speranza a darle quell’illusione.
«Quello che sto cercando di dirti è che dopo di te non c’è stata nessun’altra. Certo ho avuto dei flirts occasionali, ma mai nessuna  ha acceso in me quel sacro fuoco che scalda anima e cuore e ti fa sentire felice e fortunato. Solo tu Marie l’hai fatto e temo che non troverò nessuna che possa appiccarlo di nuovo».
Ecco lo aveva detto ammettendolo per la prima volta anche con se stesso. In quel momento il comandante Erwin Smith, la seconda testa di serie della CIA, uno degli uomini più temuti e più ammirati da tutte le intelligence mondiali, era lì, nudo e indifeso, davanti a quella donna che non aveva mai smesso di amare.

 

I monologhi dell’autrice
Buona domenica, arrivo sul fil di lana, ma arrivo! Come state?
Spero tutto bene!!!
Lo so che non è il luogo più adatto, ma ugualmente vorrei mandare un grande abbraccio a tutti gli amici romagnoli che in questo momento stanno affrontando una grande tragedia, se tra voi ci fosse qualche lettore di quelle parti di cuore vi auguro di rialzarvi più forti di prima


Tornado alla storia, ciome avrete notato, si cambia decisamente marcia e si entra nella sua terza e ultima parte, in cui il lato “romantico” la farà da padrone. Spero che gradiate questi capitoli e che vi facciano sognare almeno un po’ 😊
Il titolo del capitolo si riferisce al film del 2011 (una commedia romantica) in cui recitano due dei miei attori preferiti: Ryan Goslin e Emma Stone
GRAZIE a chi continua a seguire con interesse questa storia e la mia sincera riconoscenza, come sempre, va a chi ha mi lascia le sue impressioni, cosa che apprezzo molto e mi aiuta capire se mi sono spiegata bene per quanto riguarda ciò che volevo dire.
Ci ritroviamo con un capitolo nuovo la prossima settimana sperando che il mio tempo libero sia tornato a livelli umanamente accettabili!

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Capitolo 31
*** C'eravamo tanto amati ***


L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission-almost-Impossible

 

 

31
C'eravamo tanto amati

Al contrario dei funesti pensieri elaborati da Mikasa, Eren si era risvegliato dal coma. Medici ed infermieri si erano precipitati al suo capezzale per testarne le condizioni. Subito si erano prodigati per fare tutta una serie di analisi necessarie a capire come si stessero evolvendo le cose.
Passarono alcuni giorni in cui lei non si mosse dall’ospedale e poi poté finalmente vederlo.
Timidamente si affacciò alla porta della camera e lo scorse.
Eren era seduto sul letto appoggiato con la testa su due grossi cuscini.  Era molto dimagrito, passare del tempo fermo, immobile, non aveva di certo giovato al suo aspetto. Il tono muscolare era leggermente scemato e due grosse e vistose occhiaie violacee, gli solcavano il contorno occhi mettendo in risalto il verde delle sue iridi, che apparivano ancora più grandi del solito e anche un po’ smarrite.
Aveva una flebo attaccata al braccio e un groviglio di fili colorati, lo tenevano sotto controllo attraverso un monitor pieno di impulsi a lucine intermittenti.
A Mikasa si riempirono gli occhi di lacrime e restò in silenzio a guardarlo, non sapeva bene come comportarsi
. Era stata una liberazione da un’angoscia violenta che la stava consumando come una candela.
«Credevo fossi morto!» scoppiò tra i singhiozzi e lasciando che tutta l’amarezza e il dolore fluissero finalmente da lei svuotandola.
Il ragazzo la guardò affettuosamente «Beh diciamo che la tua intenzione non era quella, altrimenti lo sarei per davvero, non sbagli un solo colpo tu» poi la obbligò a guardarlo «Grazie di avermi salvato la vita» gli disse sinceramente grato indicandole la sedia perché si accomodasse.
«In verità il merito maggiore va ad Onyankopon, mi sono solo fidata di lui, mi sarei attaccata alle funi del cielo per impedire la tua morte, non potevo non afferrare quella speranza» ammise sincera «Come stai?» riuscì poi a chiedergli in un soffio. Aveva così tanto desiderato che non morisse che ora quasi le mancava il fiato.
Lui si portò una mano alla testa «Bene… un po’ frastornato direi».
«Che ti hanno detto? Cosa accadrà adesso con l’inibitore?».
«Sembra che funzioni e sembra che possa essere una scoperta molto utile, ma è ancora tutto in divenire».
La ragazza annuì poi prese di nuovo a guardarlo. Era felice che fosse vivo, una felicità che faceva quasi male da quanto era forte. Eren in certo senso era quasi la sua famiglia, il suo mondo, perderlo sarebbe stato devastante.

Lui non lasciava mai trasparire del tutto i suoi sentimenti e pareva molto serio «Mikasa… perdonami» le disse infine in tono grave.
«Sei tu quello che deve perdonare me, ti ho quasi ucciso, non parliamone più».
«Non dire sciocchezze hai fatto quello che dovevi. Vedi sono stato per morire e questo mi ha fatto capire che non bisogna mai rimandare niente a dopo». Il suo sguardo era così cupo che la face preoccupare. «Hai saputo più nulla di Krista?» gli chiese di getto sentendo l’urgenza di cambiare argomento. Il suo atteggiamento la preoccupava, non era certa di voler portare avanti quella conversazione.
«Ci siamo video chiamati prima che tu entrassi» le rivelò sbrigativo.
«Allora come sta? Sarai presto padre vero?» lo incalzò.
«Lo sono già… ha partorito. Ma ti prego…».
«Ma è una bellissima notizia! Mi dispiace che tu non fossi presente, allora come ti senti?».
Eren non nascose un gesto di stizza.
«La verità? Non lo so. Non mi rendo neppure conto, cosa vuoi che ti dica? Sta succedendo tutto in fretta e questa è una cosa forse troppo grande da un certo punto di vista. Sono molto impaurito. Temo di non essere all’altezza di accudire e rendere felice un essere piccolo e innocente…» poi dei forti colpi di tosse lo interruppero.
Mikasa, che era rimasta molto sorpresa dalle sue parole, subito prese dell’acqua e lo fece bere tenendogli la testa. Quel gesto però infastidì Eren.
«Sono in grado di farlo da solo!» le disse prendendole il bicchiere di mano.
«Volevo solo aiutarti» si giustificò lei mortificata.
«Lo so. Ed è questo il tuo problema Mikasa, tu sei sempre apprensiva con me, fin troppo presente e gentile».
La ragazza abbassò lo sguardo.
«Scusa, non volevo fare lo stronzo, mi dispiace» le disse sincero.
«Okay non importa» gli rispose pulendosi il naso con la manica della maglia come faceva da bambina, si sentì stupida ma non aveva più fazzolettini.
«Posso parlare? Mi prometti che mi ascolterai?» le chiese attirando la sua attenzione.
Mikasa annuì.
«Ho aspettato troppo per poterti fare questo discorso. Non sai quanto ho sofferto a volte. Purtroppo avevo fatto una scelta molto radicale e difficile, ma anche molto importante» cominciò partendo da lontano era doveroso farlo. Prese fiato e bevve un altro sorso d’acqua «I miei problemi, quelli che ho sempre avuto, ho scoperto da poco che sono in parte il frutto di certi esperimenti di mio padre, che mi ha usato come cavia, tra le altre cose, per avviare uno studio sul controllo mentale».
«Ho saputo qualcosa in merito» annuì lei.
«Quando all’epoca mi resi conto che Grisha era un pericoloso esaltato, mi sono sentito in dovere di fare qualcosa e Pixis me ne ha data l’opportunità. Non lo sapevo, ma lui già era al corrente di molti fatti perché era in contatto con l’intelligence del Mossad che era diversi passi avanti a noi e per un motivo ben specifico». S’interruppe e la guardò serio «Quello che sto per dirti è coperto da segreto militare e nazionale, non so se e quando Pixis vorrà condividerlo con l’agenzia, ma so che posso fidarmi di te, vero?» le chiese indagandola con uno sguardo severo.
«Certo» fece la ragazza piuttosto sorpresa. La faccenda le sembrava così misteriosa e strana, quasi surreale.
«Tutto cominciò quando Rod Reiss compì la sua ascesa politica. Fu aiutato da suo fratello Uri il quale, si può dire, fu il vero fautore della sua vittoria. La famiglia Reiss è molto potente e famosa, sono un clan affiatato e con i giusti agganci per arrivare in alto a livello mondiale per via della loro grande influenza e per le giuste amicizie, nonché per vari agganci con i servizi segreti di molte nazioni».
Mikasa lo seguiva molto curiosa e stupita. Non ne sapeva nulla di tutta questa storia.
«Rod era ossessionato dal potere. Non gli bastava essere un governatore e un giorno forse un presidente, voleva molto di più. Quando Uri si rese conto delle folli mire del fratello cercò di arginarlo, ma era troppo tardi. Quello aveva già contattato mio padre e insieme avevano già dato vita al progetto “Ymir”, appoggiati ovviamente da quelle superpotenze che ne potevano trarre il loro interesse. Quindi fu costretto a battere in ritirata e a fargli credere di avere campo libero per poterlo combattere da dietro le quinte, a sua insaputa. Si appoggiò ad una grande potenza che non posso nominare e, insieme al nostro presidente, dovevano fermare i progetti criminali di questi due folli».
«Ma tu ne sapevi qualcosa?» chiese la ragazza sbalordita.
«No. Ero totalmente all’oscuro inoltre avevo già le prime dissociazioni mentali, per cui a momenti ero lucido e altri ero fuori di me, in balìa di Grisha. Credevo di essere un malato mentale, uno schizofrenico, o qualcosa del genere, perché sentivo delle voci nella testa e lo rivelai al medico, il quale mi disse che se lo fossi stato realmente, non me ne sarei potuto rendere conto così lucidamente. Così il mio disagio e la mia confusione aumentava ogni giorno provocandomi gravi crisi esistenziali».
«Mio Dio! Ma perché non ne me hai mai parlato?» gli chiese la ragazza.
«Non ero in me Mikasa, non ero io. Era lui che dominava la mia testa».
«Per questo a volte eri dolce e innamorato e a volte eri fuori di te e mi trattavi da cani….» commentò a voce alta la ragazza.
«Più o meno» ammise.
Ci fu un attimo di silenzio. Mikasa era abbastanza sconvolta.
«Per farla breve Pixit mi propose un’azione sotto copertura per mettere Reiss in una posizione di grave svantaggio e soprattutto per poter fermare mio padre, che stava già compiendo esperimenti immorali e pericolosi» bevve di nuovo e la guardò serio «Ma tutto questo iniziò molto prima di quanto vi è stato detto in missione. Infatti non andai subito a Paradise perché prima mi chiese di sedurre Krista che aveva scoperto essere la figlia di Reiss. Dovevo farle perdere la testa per usarla  contro il padre e minacciare di rivelare la sua identità al mondo, per poter ricattare  Rod. Talvolta all’epoca, lo ammetto, con te ho simulato reazioni fittizie per portare avanti il piano».
Mikasa lo guardò esterrefatta stava per aprire bocca ma lui la precedette.
«Sì lo so che è folle ed è anche per questo ho mandato all’aria il nostro matrimonio. All’epoca ero certo che poi avresti capito e che avremmo potuto rimettere tutto a posto una volta finita la missione. Volevo fare il bene della mia nazione essere un eroe e volevo vendicarmi di Grisha, ma…» e si interruppe.
«Ma?»gli fece eco lei in confusione totale. Non sapeva se essere arrabbiata o cos’altro, era tutto davvero fuori da ogni logica.
Eren sospirò forte, tossì nervosamente e poi le tese la mano perché la prendesse. Mikasa non stava capendo più niente, ma accettò il suo invito.
«Siediti sul letto. Vicino a me» le chiese dolcemente.
Lei ubbidì frastornata. Era troppo confusa per opporre resistenza.
Lui la guardava in un modo nuovo, con dolcezza, ma anche con un velo di tristezza che gli offuscava lo sguardo. Soffriva era indubbio, ma quale fosse il motivo di quella sofferenza lei ancora non lo comprendeva appieno.
Quando fu pronto riprese a parlare «Non sai quanto mi dispiace averti fatto del male. Averti mentito. Averti raggirata. Vorrei però che ti fosse chiara una cosa. Non mi sono mai preso gioco di te. La nostra storia era sincera e ti ho amata davvero Mikasa. Con tutto me stesso, sebbene alla mia maniera».
Era smarrita, bombardata da informazioni che mai avrebbe pensato o immaginato, restò in silenzio. Si sentiva ancora più in colpa per non aver capito cosa lo affliggesse e il calvario che aveva patito, mentre lei era stata arrabbiata e lo aveva profondamente detestato.
«Non ho mai dubitato del nostro amore, anzi quando ti ho chiesto di sposarmi ero davvero convinto che fossi la donna della mia vita… solo che dopo, frequentando Krista, ad un certo punto qualcosa in me è cambiato. Lei è una ragazza molto dolce ma anche risoluta, non mi ha mai fatto sconti. Con il tempo mi sono reso conto che io e te, per quanto ci volessimo bene, non eravamo giusti l’uno per l’altra. Ho capito che l’amore da solo non basta, servono certe affinità che a noi mancavano e che non potevano essere compensate solo dal bene reciproco o dall’attrazione fisica».
«Ma che stai dicendo?» gli chiese ferita da quelle parole che le parvero da parte sua una scusa comoda. Non ci capiva più niente era annebbiata da troppi sentimenti contrastanti per poter ragionare lucidamente. Fino a quel momento lei era quella cattiva che si era allontanata da lui senza capirne l’effettivo dramma interiore. La superficiale che non aveva approfondito, che non aveva lottato abbastanza per il loro amore facendolo appassire e ora lui cambiava un’altra volta le carte in tavola. Quindi alla fine era tutto molto banale, come aveva sempre creduto: si era innamorato semplicemente di un’altra? E allora tutto questo discorso a che serviva? A indorarle la pillola?
«Rifletti Mikasa. Io ero sempre insofferente e non certo solo per l’influenza di mio padre. In realtà lo sai meglio di chiunque altro, io sono così, è il mio carattere. Sono un impulsivo, uno che ha problemi di gestione della rabbia, ma anche uno che vuole sempre di più, che non si accontenta mai, che ha sempre qualcosa da inseguire. Tu invece eri sempre pronta a perdonare, ad accogliere, a proteggermi, a sacrificarti, a fare un passo indietro. Per me era confortante, quasi come se mi facessi da madre. Era molto facile stare con te, un porto sicuro dove potevo sempre attraccare, perché anche se facevo qualcosa di sbagliato sapevo che tu mi avresti perdonato comunque».
La ragazza lo ascoltava incredula. Sebbene potesse sembrare che in qualche modo la stesse accusando, era stata spiazzata per come le sue parole, una dopo l’altra, stessero come scostandole un velo dagli occhi. Come se solo ora potesse vedere con lucidità i fatti. Si rese conto che stava analizzando molto freddamente il loro rapporto e che forse tutti i torti non li aveva, perché le cose che stava dicendo erano tristemente vere. Avrebbe voluto intervenire, ma lui non le dette modo di farlo e proseguì.
«Quella che doveva essere una semplice missione alla fine mi ha cambiato profondamente» gli disse serio come forse non lo aveva mai visto prima. «Doveva essere tutta una finta, ma come sai, mi sono davvero innamorato di Krista. Perdonami per quello che sto per dirti, ma credo sia giusto che tu lo sappia» era conscio che quelle parole potessero ferirla, ma sapeva che era necessario, questa faccenda era rimasta fin troppo in sospeso.
«Non preoccuparti… sputa il rospo» lo incoraggiò lei che voleva finalmente sapere tutta la verità.
«Lei non mi ha assecondato, ma mi ha lasciato libero di essere me stesso, mi ha anche cazziato a dovere in certi casi, ma allo stesso tempo mi ha dato modo di diventare quello che la proteggeva, e non quello che viene protetto, forse in un certo senso mi ha permesso di esercitare un ruolo che non avevo mai avuto modo di sperimentare con te. Vedi tu non te ne rendevi conto, ma a volte eri davvero molto pressante nei miei confronti, a tratti mi sentivo soffocare, lei mi ha responsabilizzato, mi ha instradato a fare l’adulto, ma la cosa più importante che ci ha uniti è che io e lei siamo molto vicini come esperienza di vita. Abbiamo subito traumi simili, anche se diversi, per via dei nostri genitori. È come se parlassimo la stessa lingua, non so se mi spiego. Insomma Mikasa non era previsto, né è stato cercato, ma è accaduto: ci siamo innamorati e lo sai meglio di me che l’amore non chiede il permesso, arriva ti travolge e tu non puoi che subirlo è un incantesimo a cui non puoi sottrarti. Neppure se lo vuoi».
Da una parte quelle parole facevano un po’ male, dall’altra erano rivelatrici, ma Eren non aveva ancora finito.
«Tra me e te c’era un legame bello e fortissimo, ma che non era abbastanza, altrimenti non mi sarei potuto innamorare di lei. Probabilmente essendo il nostro primo amore, che ci ha travolti da ragazzini, ma anche consumati, poi non è rimasta che solo cenere, che alla prima ventata si è dispersa. Non saremmo andati lontano comunque. Lei invece mi completa e quando è rimasta incinta non ho avuto più dubbi. Ho capito che quello era il mio futuro».
Mikasa si sorprese perché dopo quella confessione si sarebbe aspettata un dolore che le dilaniasse il cuore e straziato l’anima, oppure una grande rabbia che la divorasse come un drago, invece si sentì infinitamente leggera anche a discapito del suo orgoglio ferito. Probabilmente inconsciamente anche lei era già arrivata da tempo a quelle conclusioni, solo che non era stata ancora pronta a farci i conti.
«Forse hai ragione» ammise «non è detto che pur amandosi molto si possa vivere una vita insieme felici e contenti. Mi rendo conto che anche io ho bisogno di qualcosa di diverso da un ragazzo problematico da accudire e proteggere…» ammise.
«Lo sai vero che sarai sempre una parte importante della mia vita» le disse tendendole le braccia. Aveva bisogno di sentirla vicina.
Mikasa, che comunque gli voleva un mondo di bene accolse il suo invito e si rannicchiò nel letto contro di lui, facendo attenzione alla flebo e ai fili del monitor. Eren come sempre si sentì a casa, era sempre confortevole godere di un suo abbraccio.
«Spero che un giorno tu possa perdonarmi» le confessò alitandole sui capelli mentre la teneva stretta. Non poteva sopportare di averla fatta soffrire, anche se non era più innamorato era pur sempre la sua Mikasa.
Lei scostò la testa e fece in modo che il loro sguardo si incontrasse.
«Ti ho già perdonato da tempo, non l’avevi capito?».
Lui le sorrise appena e gli scostò un ciuffo dagli occhi: «Avevo bisogno di sentirtelo dire. Ho sofferto molto nel doverti mentire e trattare male, anche se era per il tuo bene».
«Eren ma com’è che sei diventato titano?» gli chiese all’improvviso, aveva quella domanda sulla punta della lingua da tempo.
Lui espirò forte dalla bocca.
«Io e mio fratello Zeke siamo state le prime inconsapevoli cavie di questo scempio. Grisha, quel folle, ha testato su di noi di tutto. Non eravamo figli, ma cose da usare. È stato terribile sia per me che per Zeke» disse con un lampo di dolore che gli attraversò gli occhi.
«Quindi tu eri titano già all’epoca dell’addestramento?» gli chiese infine basita.
«Sì ma io ho scoperto di esserlo solo a Paradise, quando mio padre mi ha rivelato il mio potere e mi ha insegnato come liberarlo. Ovviamente poi avvisai Pixis che fu ben contento di questa scoperta».
«Ma è terribile!» commentò angosciata.
«Lo so…» ammise amaro Eren e la strinse ancora più forte a sé. Aveva bisogno di calore e affetto, in quel momento si sentiva fragile. Krista era lontana e lui si sentiva solo ed era ancora molto prostrato per via del coma. C’era solo lei a dargli conforto. Aveva un disperato bisogno di calore umano e l’abbraccio caldo e accogliente di Mikasa era un balsamo per la sua anima tormentata. Affondò il viso tra i suoi capelli cercando rifugio in quel porto sicuro e conosciuto di cui parlava prima, per puro affetto fraterno e senza malizia alcuna.
Jean che era appena arrivato dopo che aveva saputo la notizia del suo risveglio dal coma, si fermò di colpo davanti alla vetrata adiacente la porta dato che le tende erano state scostate dagli infermieri. Li colse abbracciati stretti sul letto. Fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso e si sentì un intruso. Non fece niente, nessuna reazione, solo il suo stomaco cominciò a torcersi come se si annodasse. Non si palesò e sebbene fosse davvero contento che Eren si fosse svegliato, capì che lì non c’era posto per lui. Mestamente girò i tacchi e se ne andò silenzioso, come se non volesse disturbare, quella scena era stata una stilettata dritta al cuore.
Intanto Eren appena più sollevato si sciolse da quell’abbraccio, non aveva finito di parlarle.
«Ascoltami ciò che sto per rivelarti potrebbe costarmi la vita».
Lei lo guardò non capendo, ma non voleva che si agitasse «Allora tu non dirmelo» lo fermò preoccupata da questa sua nuova sortita.
«No, voglio che tu lo sappia è importante per tutti i titani» aggiunse serio.
«Va bene allora ti do la mia parola. Non lo rivelerò a nessuno se tu non mi darai il benestare».
«Quando Kenny mi rapì…»
Ma proprio in quel momento furono interrotti dai ragazzi, che a sua volta avvisati da Jean, si erano precipitati tutti insieme da lui. Irruppero nella stanza come un tornado circondando il letto e mettendo a disagio Mikasa che subito scattò in piedi.
«Eren! Come stai amico mio?» esordì festoso Armin.
«Ehi pellaccia lo sapevo che ce l’avresti fatta!» si unì Connie.
«Ti ho portato biscotti e dolcetti, ma se vuoi un panino, o una bella pizza basta chiedere, lo so che in ospedale il mangiare fa schifo!» gli disse Sasha facendogli l’occhiolino.
Con grande sorpresa si rese conto che c’erano anche, Gabi, Falco, Galliard e Piek oltre Annie, Reiner e Niccolò.
Mikasa sbirciò tra loro per rendersi conto di dove fosse Jean, ma lui non c’era…

 

I monologhi dell’autrice
Ciao, sono in ritardo di due giorni, ma se questo maggio non finisce io muoro!
Ben ritrovati, come state?
Spero tutto bene!!!

Allora una cosa che mi sono dimenticata di specificare la volta scorsa: ho scritto appositamente Nil e non Nile perché voglio lasciare al lettore la libertà di immaginarlo come Nile, ma anche no, ovvero come un Nil qualsiasi, non avevo voglia di rendere uguale al canon questa parte della storia riguardante Marie, suo marito ed Erwin, quindi scusatemi della dimenticanza.
Il titolo di questo capitolo si riferisce ad un film italiano del 1974 diretto da Ettore Scola.
Ringrazio ancora TUTTI i lettori in particolare chi ha sempre voglia e tempo di lasciarmi un feedback, avete la mia sincera riconoscenza
J
Sono di fretta quindi vi saluto di corsa con un avviso: non potrò aggiornare prima di martedì o giovedì della prossima settima perché il mio tempo libero non è ancora tornato a livelli umanamente accettabili… sigh….
See ya!

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Capitolo 32
*** Avengers o Xmen? ***


 

L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission-almost-Impossible

 

 

32
Avengers
o
Xmen?

Rientrati alla base ormai da qualche mese, dopo la fine della loro missione avevano vissuto tutti in un edificio militare a Boston vicino al grande ospedale, anchesso militare, dove tra le altre cose era stato curato Eren che era stato dimesso da pochi giorni, ma non era presente alla riunione che era stata indetta per mettere tutti a conoscenza della svolta che avevano preso le cose.
«L’isola di Paradise non esiste più» esordì Pixis «O meglio, esiste ancora non è stata distrutta, ma totalmente evacuata. Abbiamo fatto credere che la battaglia fosse stata in realtà una lunga serie di esplosioni nucleari e che l'intera area fosse totalmente radioattiva, quindi inabitabile e pericolosa. Grazie ai media di potere mistificare la realtà è stato un gioco da ragazzi e così direi che per quanto la riguarda l’isola in sé, la nostra missione è felicemente e positivamente conclusa».
«Che avete intenzione di fare con Grisha?» chiese Jean sulla difensiva, gli sembrava tutto molto semplicistico.
Gli rispose il suo capo
Dallis Zacklay che presiedeva la riunione assieme a Pixis. «È attualmente detenuto nel carcere di massima sicurezza per criminali con problemi mentali: Arkham Asylum(1) insieme a tutti i suoi collaboratori, Reiss compreso».
«Pensavo che quel posto fosse una leggenda metropolitana» commentò ridacchiando Connie.
«Invece esiste ed pieno di delinquenti pazzi » lo fulminò Pixis.
«Scusi ma i nostri superiori che fine hanno fatto? E perché non sono qui?» chiese Armin intromettendosi e cambiando argomento. Era da tempo che non aveva notizie di Erwin, Levi ed Hanji che sembravano spariti nel nulla.
«Lo saprete a tempo debito» chiosò sbrigativo Pixis.
«E di noi invece che ne sarà?» chiese accigliato Galliard riferendosi ai titani sopravvissuti.
«Beh che ci crediate o no, non era mai stata realmente presa in considerazione l’opzione di farvi fuori a priori. Non volevamo darvi false speranze ma ora sembra che ci potrebbe essere una via d’uscita per tutti voi».
«E sarebbe?» chiese Falco interessato.
«Per prima cosa dobbiamo testare anche su uno di voi l’inibitore, per vedere se funziona per tutti e congelare le vostre mutazioni a tempo indeterminato, così come abbiamo fatto con Eren. Poi c’è una grandissima novità, ma di questo credo sia meglio che ve ne parli, quando sarà il momento, Onyankopon è lui che l’ha studiata e la sta mettendo a punto. Piuttosto ci servirebbe un volontario per vedere se ha reazioni diverse da Eren, per ora siamo ancora in fase teorica e dobbiamo avere risposte concrete, ma non vogliamo essere noi ad obbligarvi, vogliamo sia una vostra scelta».
Galliard stava per farsi avanti ma Falco alzò la mano e lo precedette «Mi offro io».
Gabi trasalì come punta da un’ape «Ma sei scemo? Non vedi proprio l’ora di morire eh?» lo redarguì guardandolo malissimo, non le piaceva che corresse questo rischio per primo. Le incognite erano tante e pericoli ancora di più, gli era andata bene una volta quando si era fatto ibridare, perché sfidare di nuovo la sorte?
«Non credo che morirò. Eren è sopravvissuto e da qualcuno bisogna pur iniziare, preferisco togliermi il pensiero» le rispose sereno.
«Questo tuo masochismo è proprio da stupidi e tu sei di gran lunga il più stupido di tutti!».
Il ragazzo sorpreso la guardò «Allora sei davvero preoccupata per me?».
«Certo cretino!» gli ripose adirata dandogli un pugnetto su una spalla.
Istintivamente lui cercò la sua mano e la strinse, quasi come se temesse che lei potesse fuggire «Ora che ho scoperto che non mi odi più posso affrontare qualsiasi cosa» le confessò felicemente candido Falco.
Gabi non ritrasse la mano ma non rispose e arrossendo abbassò lo sguardo. Non era così che avrebbe voluto fargli sapere che lo ricambiava, ma ormai era fatta e intrecciò le dita con le sue carezzandogli il palmo con il pollice. Lui la guardò sempre più stupito e poi le sorrise. Avrebbe voluto abbracciarla e baciarla, ma lì davanti a tutti non era il caso e poi si sarebbe vergognato come un ladro.
«Non ci avete spiegato niente di concreto. Gli Jeageristi e Zeke che fine hanno fatto? E perché Eren non è qui?» puntualizzò Reiner. I gran capi erano sempre così fumosi, d’altronde facevano riferimento direttamente alla politica e di quelli sì non c’era mai da fidarsi, anche quando sembravano i buoni.
«Domande lecite Braun. Cominciamo dalla più semplice: Eren è volato dalla sua compagna per vedere dal vivo la sua bambina» esordì Pixis.
«Ma come? Davvero avete lasciato andare via uno che voleva distruggere l’umanità? E poi dov’è, si può sapere?» saltò su Annie davvero scandalizzata.
«Leonhart non è che siamo esattamente degli sprovveduti è stato accompagnato da chi di dovere ed è tenuto strettamente sotto controllo. Oltretutto, va monitorato costantemente perché Eren ha subito dei danni irreversibili grazie agli esperimenti di suo padre. Purtroppo la sua personalità borderline non potrà mai più essere del tutto sanata. Con le giuste cure però potrà fare una vita normale e sarà congedato dall’agenzia. Soddisfatta?» chiese alla ragazza, poi continuò rivolto verso Reiner «Gli Jagheristi che sono sopravvissuti alla mattanza sono stati tutti arrestati. Per quanto riguarda Zeke possiamo dire che lui non c’è più».
«Cioè è morto, giusto? Quello stronzo ha quasi ammazzato il capitano e Mike» commentò Sasha.
«No. Non è morto, ma forse sarebbe meglio se lo fosse, infatti stiamo valutando cosa farne di lui».
Si guardarono tutti senza capire, a quel punto fu
 Dallis Zacklay a sputare il rospo. «Per farla breve l’implosione della bomba che Levi gli ha fatto ingoiare ha incasinato il suo DNA, che cercando la rigenerazione in una situazione in cui i suoi organi interni erano tutti spappolati, si è come fuso amalgamandosi con l’ibridazione e la scimmia ha preso il sopravvento».
«Cioè?» chiese Armin confuso.
«Attualmente Zeke è trasformato permanentemente una scimmia di circa quindici metri. Crediamo che sia senziente ma non ne siamo certi perché ha anche perso l’uso della parola e si comporta in tutto e per tutto come un primate. Questo è quanto. Lo abbiamo messo in una area protetta dentro una gabbia, ma non possiamo fidarci, potrebbe essere tutta una sceneggiata».
Connie non ce la fece e scoppiò in una fragorosa risata «Il capitano lo ha proprio conciato per le feste!».
«Anche Zeke il capitano però» lo rimbeccò amara Mikasa.

«Per ora è tutto. Procederemo con l’inoculazione a Falco e ci aggiorneremo quando anche Erwin, Levi, Hanji ed Eren saranno presenti» concluse Pixis sciogliendo la riunione.

 

*

 

Da quando si erano rivisti non avevano più parlato, ma Armin era deciso, un chiarimento tra loro ci doveva essere.
Annie lo aveva accolto senza particolare entusiasmo, con quella sua aria priva di empatia che la caratterizzava, ma che non corrispondeva esattamente alla realtà.
«Che vuoi Arlert?» gli chiese spiccia e mantenendo una certa distanza.
«Lo sai che dobbiamo parlare, quando ci siamo ritrovati c’era una missione da compiere e non era il caso, ma ora è giunto il momento di farlo» le rispose serio.
«Pensavo non ci fosse più niente da dire».
«Capisco che tu ti senta in colpa per non avermi detto che eri viva e per quello che hai dovuto fare per l’agenzia, ma io non ti giudico. Voglio solo sapere come stai».
Lei lo puntò dritto negli occhi era conscia che Armin fosse la sola persona che avesse conosciuto, che era andata oltre quel suo atteggiamento volutamente indisponente. Aveva visto dietro la maschera che indossava con disinvoltura.
Questa sua peculiarità non l’aveva mai lasciata indifferente.
«Sto bene» rispose lapidaria.
«Perfetto, allora suppongo che me ne posso andare. Non ti obbligherò a parlare con me, né a fare niente che tu non voglia. Non posso aiutarti se tu non vuoi essere aiutata» concluse non senza frustrazione Armin, ma non poteva lottare contro i mulini a vento. Si girò e fece per andarsene, Annie lo guardò e qualcosa si accese in lei, capì che questa volta se non l’avesse fermato non ci sarebbe stata un’altra occasione. Quel ragazzo era una persona fantastica, molto intelligente, paziente ed empatica, ma come tutti aveva una linea oltre la quale non ci sarebbe stata via di ritorno. Guardandolo avviarsi alla porta ebbe la netta sensazione che stesse proprio per superarla.
«Aspetta!» gli disse di getto.
Lui sì girò e la guardò enigmatico.
Ci fu un momento di pesante silenzio, poi lui le fece cenno di parlare.
«Siediti che ti faccio un tè» gli disse con quel suo fare scarno.
Armin avrebbe voluto replicare ma volle darle il beneficio del dubbio e si accomodò sul divano.
«Latte o limone?» gli chiese qualche minuto dopo porgendogli una tazza fumante.
«Latte, grazie» le rispose abbozzando un sorriso. Le stava lasciando lo spazio necessario perché lei si decidesse a parlare.

«Non te l’ho mai detto, ma sono stata adottata. L’ho scoperto abbastanza presto e questo credo abbia fortemente condizionato la mia vita» cominciò Annie.
«Posso immaginare…» si limitò a dire Armin sorseggiando con cautela quel tè bollente.
«Ho sempre vissuto chiedendomi chi sono veramente e perché i miei genitori, o sicuramente mia madre abbiano scelto di abbandonarmi. Allo stesso tempo ero molto grata al mio padre adottivo che aveva deciso di crescermi e da solo».
Armin restò in silenzio, che poteva dire del resto? Era lei che doveva aprirsi e lui continuò semplicemente ad ascoltarla.
«Così mi è parso naturale dover continuare la strada intrapresa da lui».
Il padre di Annie era un generale dell’esercito che collaborava con i servizi segreti.
«Sono risultata bravina e anche portata, ma quando ho conosciuto voi ragazzi e in particolare te, qualcosa dentro di me è cambiato. Non senza difficoltà ho cominciato a capire che, forse, la vera Annie non era quella che arbitrariamente avevo deciso di essere» e si interruppe abbassando lo sguardo, i sentimenti per lei restavano un grande tabù. Armin lo aveva capito già da tempo, anche se non conosceva tutta la storia.
«Non devi vergognarti di ciò che sei. Sei una brava ragazza che ha dovuto fare cose molto spiacevoli, ma tutti noi le abbiamo fatte per la buona riuscita della missione».
Quello che vorrei dirti Armin è che tu mi piaci davvero ma io non ti merito e non posso coinvolgerti in una relazione, non sarebbe onesto, né giusto.
«Non credo tu che abbia mai ingannato una persona ferendola al punto di indurla al suicidio» gli disse invece.
«Non si è suicidato ha partecipato consapevolmente ad un progetto scellerato e anche tu lo hai fatto, per il bene della nazione o forse volevi morire?».
«Non cominciare a fare i tuoi giochetti psicologici! Lui lo ha fatto per colpa mia».
«Sto solo cercando di capire perché non riesci mai a darti una tregua. Anche se così fosse devi andare oltre, ormai indietro non puoi tornare».
«Ho accettato questo incarico ad altissimo rischio perché non ho mai dato un gran valore alla mia vita, in fondo sono stata una cosa abbandonata e raccolta da un essere compassionevole, ma non volevo di certo che qualcuno morisse perché l’ho ingannato. Sono un mostro!».
In quelle parole Armin colse tutto il dolore dell’abbandono che Annie probabilmente si portava dietro da una vita intera ed era quello il motivo per cui i suoi sensi di colpa erano così radicati.
«Invece sei stata coraggiosa e anche preziosa» le disse ribaltando il suo punto di vista.
Lei fece una risatina sarcastica «Preziosa!» ripeté ironica.
«Tu e Reiner con il vostro sacrificio ci avete salvati» prese fiato e ribadì «sì, tu per me sei preziosa, lo sai cosa provo per te, non te l’ho mai nascosto e non mi importa nulla di quello che hai dovuto fare sotto copertura. Per me sei e resterai sempre la mia Annie e vorrei almeno poterti esserti amico » le disse stringendole una mano.
Lei lo guardò e cercò di liberarsi da quella stretta ma lui non glielo permise «Ci sarò sempre per te io non ti abbandonerò. Neppure quando sarà il tuo turno con l’inibitore».
«Alla fine abbiamo decido di farcelo inoculare tutti assieme, senza aspettare, sarà quello che deve essere» gli confessò di getto.
«Ma come? E Pixis che ha detto?» le chiese allarmato.
«All’inizio era contrario poi pare che Onyankopon abbia dato il suo benestare e quindi ha acconsentito, lo faremo».
«Sarò vicino a te» ribadì serio Armin.
La ragazza sospirò e poi gli accennò una bozza di sorriso gli era grata per il suo appoggio. In realtà anche lei provava dei sentimenti verso di lui ma al momento non riusciva ad esternarli, lo avrebbe fatto prima o poi, questo già lo sapeva, ma non era quello il giorno, quindi suo malgrado rimase in silenzio con la mano stretta alla sua.

 

*

 

Mikasa non aveva più rivisto Jean da tempo, ma durante la riunione lui non l’aveva degnata neppure di uno sguardo. Era stato in disparte e dal lato opposto della stanza rispetto a lei.
Aveva capito che la stava evitando. Non aveva risposto alle sue chiamate se non frettolosamente e tramite stringati messaggi su WhatsApp trovando le scuse più improbabili e astruse per giustificarsi.
Lei invece scalpitava perché sentendosi finalmente libera voleva manifestargli i suoi sentimenti, ma ora un sottile filo d’angoscia gli stringeva il cuore e le insinuava il dubbio che qualcosa non andasse.
Finita la riunione aveva passato diverse ore a farsi domande e a tormentarsi finché non prese una decisione drastica. Voleva subito parlare con lui così fece una cosa inusuale per il suo carattere, incurante dell’ora tarda si presentò alla porta del suo alloggio senza neppure avvertirlo. Il cuore le scoppiava in petto, non sapeva neppure che gli avrebbe detto, forse gli avrebbe solo gettato le braccia al collo e finalmente lo avrebbe baciato senza quelle briglie che la frenavano da sempre.
Suonò il campanello e si mise a posto i capelli, mentre in petto sembrava avere un tamburo tribale impazzito. Il fiato le si era improvvisamente accorciato. Quasi subito la porta si aprì e le apparve una giovane ragazza dai capelli castani con due occhi grandi che la guardavano curiosi, mentre un gentile sorriso le illuminava il viso.
«Ciao! Cerchi Jean?» le chiese sicura.
Mikasa sentì il sangue defluirle dal corpo e sciogliersi ai suoi piedi mentre una morsa di freddo gelido la avviluppò impietrendola.
Di colpo si sentì totalmente stupida e fuori luogo, ma ricorse alla sua introversione e alla sua capacità di nascondimento, così le sorrise a sua volta, come niente fosse, come se quel maremoto che infuriava dentro di lei non esistesse.
«Sì, sono una sua collega» le uscì dalle labbra con una tranquillità che stupì lei per prima.
«Sta facendo la doccia, io sono Megan» le disse tendendole la mano «vuoi entrare?»
Sta facendo la doccia… sta facendo la doccia… sta facendo la doccia…
Quelle parole presero a martellarle la mente come chiodi che venivano piantati nella sua testa.
«Ehi tutto bene?» le chiese la ragazza.
«Oh… io… sì ecco, io mi sono appena ricordata che ho un impegno urgente. Scusa devo proprio andare» disse come se si fosse improvvisamente risvegliata da un incubo da cui doveva fuggire a gambe levate. E infatti se ne andò di corsa senza dare il tempo all’altra di poter sillabare una sola parola.

 

*

 

«Allora Erwin, mi pare venuto bene il tuo nuovo arto» disse Hanji ammirando l’avambraccio nuovo di zecca in adamantio(2) del comandante.
L’uomo sorrise e mosse le dita della mano per testarne per l’ennesima volta l’agevole funzionalità.
«Direi perfetto» ammise con un sorriso luminoso.
«Quella faccia a pesce lesso però non è solo per via del braccio nuovo vero?» lo apostrofò sarcastico Levi osservandolo di sotto in su a braccia conserte.
Era contento che fosse andato tutto bene e stuzzicarlo faceva parte del suo essere felice che fossero tutti e tre vivi e vegeti, compreso Mike, che per sua fortuna e per le ferite riportate, non aveva dovuto sottoporsi a quel tipo di intervento così particolare.
«Levi fare la comare non è da te, su via non essere curioso» lo rimbeccò Hanji mentre un guizzo attraversò il suo occhio nuovo di zecca, sembrava vero e dotato di particolari peculiarità che sarebbero state davvero utili in future missioni.
«Sai Erwin credo che per l’ennesima volta mi toccherà dare retta alla mia signora, del resto sarebbe capace di martellarmi fino a domani, quindi mi arrendo preventivamente prima che le mie palle diventino due mongolfiere!».
«Adoro il tuo romantico pragmatismo Levi. Hai appena coniato uno e cento modi darmi ragione» lo canzonò Hanji.
«Mi è toccato arrendermi alla tua logorrea!» le rispose a tono con un mezzo sorrisetto. Era uno dei loro fasulli battibecchi che si divertivano a fare quando erano rilassati.
Levi era insolitamente contento e ne aveva ben donde. Grazie all’operazione ora poteva di nuovo camminare normalmente, aveva una mano e pure un occhio nuovi di zecca. Le cicatrici però erano rimaste intonse a solcare il suo viso e le sue labbra, d’altra parte non si trattava di chirurgia estetica, ma a lui di questo non importava.
«Allora ragazzi come vi trovate con le vostre nuove abilità?» chiese loro Erwin cambiando argomento e andando al sodo.
«Oh è semplicemente fantastico! Riesco a vedere chiaramente al buio, posso mirare con precisione millimetrica, inoltre riesco ad analizzare anche temperatura e posso vedere cose che a occhio nudo ci sfuggono, praticamente ho un microscopio nell’occhio, una vera figata!» esordì Hanji entusiasta.
«In effetti sembriamo quasi dei fottuti supereroi» commentò Levi «a proposito, lo sai che tu sei sempre stato accostato al quel cazzone di Capitan America? Le reclute, soprattutto quelle femminili sono solite chiamarti così» aggiunse avvicinandosi al compagno d’arme che ridacchiava sotto i baffi.
«Mi era arrivato qualcosa all’orecchio» ammise sornione.
«Solo che con questo braccio rilucente, che può sparare dalle dita come una mitragliatrice, direi che assomigli più all’altro cazzone, il soldato d’inverno, che però nel tuo caso specifico ha infilato la testa in una pozza d’acqua ossigenata!».
Erwin rise di gusto.
«Ridi? Che credi lo sappiamo che ti schiarisci i capelli. Con quelle sopracciglia lì non sei un biondo naturale di certo» lo rimbeccò Levi.
«Chissà, magari mi tingo proprio le sopracciglia per dare più intensità al mio sguardo» lo paraculò Erwin senza scomporsi. Ne aveva sentite di ogni su quella sua particolarità cromatica, ormai c’aveva fatto il callo e da uomo intelligente qual era ci ironizzava da solo.
«Piuttosto, tu invece chi sei? L’uomo da sei milioni di dollari?
(3)» gli chiese riferendosi alla capacità acquisita da Levi di poter correre a quasi cinquanta chilometri orari, oltre alla vista come quella di Hanji.
«Io sono Levi e basta, ma se proprio dovessi accomunarmi a qualche super eroe allora sarei Wolverine» e così dicendo fece scattare i lunghi spuntoni che schizzarono fuori dalla sua mezza mano di adamantio in cui l’anulare e il mignolo potevano diventare due lame affilatissime.
«Uhhh e allora io, chi potrei essere?» chiese ai due eccitata come una bambina Hanji. Era così felice che tutti e tre fossero usciti incolumi da quella operazione-esperimento, che cazzeggiare sembrava quasi un rito liberatorio.
«Beh se avessi ancora la benda saresti stata una Nick Fury perfetta, forse ora potresti essere, che so? Ciclope?» azzardò Erwin.
«Naaa! Hanji è unica nel suo genere, non esiste un suo contraltare» esordì Levi.
«Certo che sciocco, del resto lei è già una supereroina solo perché ti sopporta» lo canzonò Erwin.
«Ma quanto sei diventato spiritoso, sarà colpa di quella tipa di cui non ci vuoi parlare?».
«Non ti facevo così curioso Levi, ma ti assicuro che quando sarà il momento tu ed Hanji sarete i primi a conoscerla».
«Al tempo ti si fatto i cazzi miei e di Hanji alle nostre spalle, ora è il mio turno di rompere le palle, non illuderti che me ne starò zitto e buono».
«Non dargli retta Erwin, siamo davvero felici per te».
«Oh sì, io sono addirittura cresciuto di due centimetri dalla gioia!» ironizzò il capitano sollevandosi sulle punte, ma sotto sotto era davvero felice per l’amico.
«Sei la mia testa di cazzo preferita Levi» gli disse il comandante assestandogli una vigorosa pacca sulla schiena che lo fece quasi incespicare.
«Ma sentilo Hanji ora dice pure le parolacce, lo stiamo perdendo del tutto, il ragazzo è proprio andato» disse alla compagna, poi incupito si rivolse nuovamente ad Erwin «mi sta bene cazzeggiare e prendersi per il culo, ma ti avverto, un’altra pacca come quella e ti giuro che ti faccio assaggiare le mie lame. La tua dama sarà vedova prima di essere qualunque altra cosa tu abbia in mente per lei!».
Levi aveva perso un occhio e due dita, ma non la sua proverbiale ritrosia ai contatti fisici, nonché il suo acido sarcasmo ed Erwin fu più che felice di constatare che quella brutta avventura e quella nuova vita non li avesse cambiati di una sola virgola.

 

I monologhi (sempre più lunghi) dell’autrice
Ciao, come state?
Spero tutto bene e buon fine domenica!!!

Note: 1
) L'Elizabeth Arkham Asylum for the Criminally Insane, noto semplicemente come Arkham  Asylum, è un luogo immaginario presentato nei fumetti di Batman, pubblicati dalla DC Comics. È il manicomio criminale di Gotham City, in cui sono detenuti i criminali più folli e pericolosi come ad esempio Joker, l'Enigmista, lo Spaventapasseri, Ra's al Ghul e Due Facce. Il nome del manicomio è stato tratto dai racconti di Howard Phillips Lovecraft, che creò la piccola cittadina di Arkham per servirsene come ambientazione narrativa.
2) L’Adamantio è una lega di metallo immaginario proveniente dall’universo Marvel Comics, tra i suoi innumerevoli è più famosi usi abbiamo: lo scudo di Capitan America, lo scheletro e gli artigli di Wolverine e le catane di Deadpool.
3) L'uomo da sei milioni di dollari (The Six Million Dollar Man) è una serie televisiva statunitense del 1976 liberamente ispirata al romanzo Cyborg di Martin Caidin.  Parla di un astronauta della NASA che a causa di un incidente durante una missione perde le gambe, il braccio destro e l'occhio sinistro. Su di lui viene quindi effettuata una ricostruzione all'avanguardia, che sostituisce gli organi danneggiati con arti bionici. Grazie a ciò acquisisce delle capacità eccezionali: le gambe gli consentono di correre a velocità altissime, il braccio è dotato di una forza fuori dal comune, e l'occhio permette una visione ravvicinata di oggetti molto lontani.

Mi è piaciuto e mi sono divertita ad usare queste “cose” tratte da fumetti, film e serie di cui sono fan: come Batman, Xmen e
 L’uomo da 6 milioni di dollari. Sono omaggi a opere che amo e ho amato. Spero abbiate gradito anche voi ;) Detto questo, sono in ritardo, ma non è tutto... purtroppo al campionato della sfiga arrivo sempre prima. Ho due computer e un tablet, ci credereste se vi dicessi che uno è passato a miglior vita, uno ha la tastiera che si fa allegramente i cavoli suoi impedendomi di poter scrivere decentemente e uno è in assistenza e non so quando me lo faranno riavere?
Perché vi racconto tutto questo? Perché alla fine tra un cavolo e l’altro mi sono raggiunta. E che vuol dire vi chiederete? Semplice che non ho più capitoli di riserva già scritti, questo era l’ultimo. Ora non manca poi molto alla fine, 3/4 capitoli al massimo, tra l’altro il 33 è quasi finito, ma essendo al momento senza materia prima adeguata, non so quando riuscirò a finirlo e a postarlo, non certo nei soliti tempi, già betare e postare questo, con la tastiera pazza è stato assai arduo, comunque spero di risolvere in un paio di settimane al massimo. Ci tenevo ad avvertirvi che se non mi vedevate puntuale c’è un motivo valido.
Ora vi lascio con un saluto veloce, perché ho scritto un tema: GRAZIE di  a chi sta leggendo e a chi mi lascia i suoi pensieri sotto forma di recensione, lo apprezzo tanto ragazze!




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Capitolo 33
*** Catch me if you can ***


L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission-almost-Impossible

 

 

33
Catch Me
If You Can

 

«Non fare la guasta feste, stasera c’è un evento davvero irripetibile ed è quasi due mesi che te ne stai rintanata in casa. Da quando la missione è ufficialmente finita e siamo in stand by, sei diventata un’ameba!».
«E tu da quando in qua sei diventato un viveur per giunta nottambulo, Armin?».
Il ragazzo guardò l’amica e sorrise: «Ultimamente ho capito che nella vita non c’è solo il lavoro e il dovere e poi solo gli sciocchi non cambiano idea, dai andiamo, vedrai che ti divertirai, ci siamo quasi tutti».
Era quel quasi tutti che le faceva da deterrente, ma per una volta decise di fregarsene.
«Va bene, vengo» si risolse a dirgli, in fondo non poteva starsene sempre rintanata in casa.
«Vestiti carina» le consigliò Armin.
Mikasa lo guardò storto.
«Si va a ballare non a fare una penitenza, voglio essere l’uomo più invidiato della sala».
«Smettila scemo!» si schernì lei arrossendo. Avrebbe voluto chiedergli di Annie, ma tra loro era stato come stipulato un tacito patto, non si parlava di questioni sentimentali, per nessuna ragione.
Tutti e due avevano la loro bella gatta da pelare in tal senso, quindi ignorare l’argomento era decisamente la cosa più saggia da fare.
Qualche ora più tardi Armin arrivò puntuale e Mikasa era già pronta. Aveva indossato un top e un paio di jeans a vita bassa, sneakers comode e il viso era ravvivato da un velo di trucco leggero, molto naturale. Il ragazzo la guardò storto.
«Sarebbe questo il tuo modo di farti carina?» le chiese una punta polemico.
«Senti io voglio ballare, mi voglio sentire libera e a mio agio. Ho l’ombelico in bella mostra mi pare abbastanza, quindi vedi di non fare il guastafeste e andiamo».
Il biondino roteò gli occhi e poi le sorrise complice «Va bene e vediamo di divertirci!» la esortò prendendola sottobraccio.

Erano diretti all’area industriale della città dove in un magazzino dismesso era stato organizzato un Dj set a cura di un disc-jokey emergente di nome Claptone(1), la cui identità era celata da una maschera bizzarra, assai simile a quelle che usavano i monatti della Firenze del 1300. Non la toglieva mai, nascondendosi e accrescendo così la curiosità intorno a lui, dando linfa al suo fascino, grazie al quale aveva conquistato in breve tempo un gran numero di ammiratori e una discreta fama.
L’evento prendeva il nome dalla canzone remixata di Troye Sivan: You Know What I Need
(2), in pratica si teneva per il suo lancio, dato che il giovane cantante australiano era alla sua prima collaborazione con Claptone.
Mikasa non appena mise piede nell’ampio loft si sentì quasi subito un pesce fuor d’acqua, quegli eventi non erano cose per lei, anche se qualche volta non disdegnava di andare a fare quattro salti. Armin invece stranamente sembrava molto a suo agio.                                            Le luci soffuse e discrete vertevano sui toni delicatamente bluastri, l’atmosfera non ancora in modalità disco, piuttosto sembrava più di essere in un lounge bar.
In fondo al magazzino c’era un palco con vari mixer in cui campeggiava il famoso Dj vestito con pantaloni e maglia nera, guanti bianchi, con in testa una mezza tuba, anch’essa nera, tatticamente calata sulla maschera da monatto color oro. Aveva la testa inclinata di lato e le cuffie sulla nuca di cui una copriva un orecchio e l’altra poggiava sulla mandibola.  Si destreggiava sicuro con le mani sui vinili, si muoveva a tempo, mixando fluidamente musica disco dagli anni 70 a oggi, tanto per scaldare la situazione. Ai lati del loft erano sistemati una serie di tavoli, che delimitavano un’area che sarebbe servita per chi avesse voluto ballare. Attualmente era ancora vuota. Dal lato opposto al palco c’era un lungo bancone d’acciaio, con ben quattro bartender che shekeravano con rapidità cocktails, che poi servivano ai numerosi avventori assiepati davanti a loro. Nonostante ci fosse molta gente era comunque un evento esclusivo in quanto si entrava solo su invito. Mikasa si chiese come avesse fatto Armin a procurarseli dato che non era certo tipo da cose del genere, ma i suoi pensieri furono interrotti da Sasha che si stava sbracciando da un tavolo, facendo loro segno di raggiungerli.
Con lei scorse l’immancabile Niccolò, poi vide anche Gabi, Falco, Piek e Galliard, stranamente mancava Connie, ad ogni modo rimase sorpresa ma anche felice di trovarli lì, si avvicinò e salutò tutti con calore.
«Vuoi qualcosa da bere?» le chiese Armin.
«Sì, grazie, ma analcolico per favore» rispose Mikasa.
«Ma dai! Sei seria?» le chiese Sasha.
«Ho già dato in tal senso, l’acool mi fa un brutto effetto».
«Ma nemmeno un prosecchino?» aggiunse Piek con aria innocente.
«E va bene, ma solo quello!» si arrese Mikasa «gli altri dove sono?»  non poté fare a meno di chiedere.
«Dove sia ultimamente Jean non lo sa nessuno» rispose Sasha con una notevole faccia di bronzo.
Mikasa s’indispettì «Veramente io intendevo Connie, Reiner e Annie» rispose acidula.
«Boh, io non li ho né visti, né sentiti» le rispose Sasha facendo spallucce.
Nel frattempo era sopraggiunto Armin con il suo cocktail e il prosecco per lei. Le luci si abbassarono di colpo e partì in sottofondo un pezzo house degli ani 90: Show me love di Robin S., un grande classico.
Tutti, compresi i ragazzi, seppur restando seduti, cominciarono a muoversi a tempo di musica continuando a bere. In breve tempo la pista cominciò a popolarsi.                                                                     
Mikasa stava centellinando il suo vino quando, dalla parte opposta in cui si trovava vide arrivare Jean per mano a quella tizia che aveva trovato quella volta a casa sua.
Per la inaspettata sortita le andò a traverso il prosecco e cominciò a tossire sguaiatamente.

 

*

 

Erwin si girò su un fianco facendo molta attenzione a non svegliare Marie. Si tirò su appoggiandosi sul proprio avambraccio e si mise ad osservarla. Era anche lei stesa di lato, respirava regolarmente mentre il lenzuolo le fasciava languidamente la curva del fianco per posarsi leggero sul seno, in un morbido vedo-non vedo. Era così serena e così bella. Improvvisamente si sentì totalmente appagato. La vita era così dannatamente semplice, bastava davvero poco per stare bene pensò quasi stupito.
Avevano ripreso a frequentarsi. Si erano detti di andare con calma senza fretta, ma dopo la sua operazione i loro buoni propositi erano andati a farsi un giro e avevano finito per ritrovarsi uno nelle braccia dell’altra a fare l’amore, fu come se tutto quel tempo non fosse mai passato.
Era stato strano e molto bello, come riprendere un discorso importante  interrotto da tempo, ma con una consapevolezza diversa. Erwin si promise che questa volta non se la sarebbe fatta scappare per nessuna ragione al mondo. Certo c’erano un sacco di cose da affrontare, come la questione del suo lavoro, ma Marie era una donna intelligente per questo era abbastanza sicuro che avrebbe capito e non le avrebbe procurato problemi. Smise subito di pensare al futuro perché in quel momento voleva solo godersi quell’attimo così perfetto. Quasi inconsapevolmente le scostò quel suo ciuffo ribelle dal viso per posarlo dietro l’orecchio, come faceva sovente anche lei. A quel tocco Marie sospirò appena, sorrise e ancora con gli occhi chiusi si stiracchiò pigramente.
«Scusa non volevo svegliarti» le disse Erwin con aria colpevole.
Lei sorrise apertamente e gli carezzò il viso «È colpa di questo maledetto ciuffo, nessuno resiste alla tentazione di domarlo!» sdrammatizzò amabilmente.
A quel punto anche Erwin sorrise e annuì, poi le lisciò una ciocca di capelli e molto serio le disse: «Sei davvero bellissima Marie» e il suo tono di voce faceva intendere chiaramente che non si trattava solo del suo aspetto meramente estetico.
  «Anche tu sei niente male sai?» gli rispose sorniona.
«Perché abbiamo buttato via tutti questi anni? È stato come se non ci fossimo mai lasciati… senti lo so che avevamo detto di andare con i piedi di piombo, ma io sono sicuro di amarti e di non volere un’altra donna che non sia tu. Ci ho messo un sacco di tempo a capirlo adesso vorrei solo che ci dessimo un’altra occasione. Vorrei provarci seriamente Marie» le confessò accorato. La donna si tirò su accomodandosi il cuscino dietro la schiena. Il suo sguardo fu subito velato da un lampo di malinconia. Fu un attimo, ma lui se ne accorse sentì una specie di morsa alla bocca dello stomaco.
«Non mi fraintendere, sono felice di averti ritrovato e sono felice di aver fatto l’amore con te, non mi pento di nulla. In questo momento mi sento leggera e serena, ma io continuo a voler andare con i piedi di piombo.  Voglio che ci frequentiamo e che ci conosciamo davvero, non siamo più i ragazzi di allora. Dobbiamo capire se questa Marie va bene per questo Erwin e viceversa» puntualizzò sincera.
«È per via di questo?» le chiese mortificato indicando il suo braccio di adamantio.
«Mio Dio, no! Non ci pensare nemmeno!» si affrettò a dirgli «il braccio non c’entra niente Erwin, ma non possiamo riprendere da dove abbiamo lasciato come se questi anni non fossero mai passati. Potrei essere io a rivelarmi sbagliata per te, ci hai mai pensato?».
«Hai ragione e ce l’avresti anche se fossi ancora arrabbiata con me per come mi sono comportato. Neppure io sono sicuro che mi perdonerei al posto tuo» le rispose davvero mogio, non poteva certo sfuggire ancora una volta alle sue responsabilità.
«Con il tempo riflettendo ho capito che non eri pronto, che hai avuto paura. Ci sta, sei un essere umano come tutti, se proprio devo farti un appunto è quello di averci messo tutti questi anni a farti vivo. Anche io ti ho pensato spesso, ma ho finito con il credere che non mi avessi mai amata veramente, altrimenti saresti tornato da me e io ti avrei perdonato. Quando sei improvvisamente ripiombato nella mia vita sono stata presa letteralmente in contropiede. Non ti nascondo che la prima reazione è stata di felicità, poi però sono stata assalita da mille dubbi e paure. Neanche io vorrei perderti di nuovo, ma è necessario che facciamo le cose con maturità, almeno questa volta. Diamoci tempo e impariamo di nuovo a stare insieme, a fidarci, a costruire un rapporto su basi solide. Poi discuteremo del futuro, di che cosa potremmo essere l’uno per l’altra e che tipo di strada potremmo fare assieme. Se intendi iniziare una relazione seria, o addirittura una convivenza, così, da un giorno all’altro, allora io mi tiro indietro, non sono pronta Erwin ho davvero bisogno di tempo».
«Ricevuto» le disse con un sorriso abbozzato. Non era del tutto convinto, infatti aggiunse: «Ho intenzione di rispettare i tuoi tempi. Non ti forzerò la mano in alcun modo, ma sappi che io faccio sul serio. Non puoi impedirmi di impegnarmi per questa relazione, tu poi valuterai quando sarà il momento e deciderai cosa fare. Qualunque cosa sia ti prometto che la rispetterò».
Non si sentì di dirglielo apertamente, ma quelle parole le fecero immenso piacere. Era felice che lui volesse rispettarla ma al contempo impegnarsi, sorrise e annuì con un semplice: okay, poi si scostò il lenzuolo di dosso e lasciò che lui l’accarezzasse con lo sguardo. Quell’azzurro cupo e intenso era più sensuale di qualsiasi tocco, si sentì sciogliere e gli si avvicinò.
«Una cosa è cambiata» le sussurrò all’orecchio mentre i loro corpi si sfiorarono.
«Sarebbe?» gli chiese lui trattenendo il fiato.
«Non pensavo fosse possibile, ma devo ammettere che sei diventato ancora più sexy Smith!» concluse per poi soffocare una risata nell’incavo del suo collo, fin quando non furono morbidamente pelle contro pelle, pronti a riprendere ciò che avevano fatto la sera precedente, prima che il sonno desse loro una languida tregua.

*

 

«Ehi ma che ti prende?» domandò Sasha a Mikasa che li aveva letteralmente annaffiati con il suo prosecchino.
«Niente, scusate…» rispose mortificata diventando rossa come un pomodoro maturo.
«Suppongo che il niente di cui parli sia in pista con una tipa» commentò sardonico Galliard finendo il suo drink alla goccia.
Mikasa non rispose e abbassò lo sguardo, tutti si erano messi a guardare Jean e quella ragazza in pista. Lui stava davvero bene, così bello non l’aveva mai visto. Capelli sempre più lunghi ingelatinati all’indietro, barba incolta, la camicia bianca, che gli fasciava i muscoli del torso ed evidenziava un’abbronzatura dorata, mentre i jeans gli mettevano in risalto i glutei e le cosce. Si muoveva molto bene a tempo di musica, in modo naturale e molto disinvolto, come se stesse alla grande. La tipa era strizzata in un mini abito borgogna che le scopriva le lunghe gambe affusolate, danzava anche lei abbastanza a ritmo, ma non senza fatica perché arrampicata su un paio sandali dal tacco molto alto. Aveva i capelli tirati su, e un bel trucco accurato, forse anche un tantino troppo carico. Teneva la mano sul petto di Jean e ancheggiava come se fosse stata una cubista.
«Ma guardatela! Sembra che stia marcando il territorio, che patetica» commentò Gabi facendo una smorfia.
«Va bene così a me non importa» si affrettò a dire Mikasa.
«Bugiarda!» la redarguì Armin.
«Tu pensa per te e a fatti tuoi!» lo rimbeccò la ragazza contrariata.
«Mi stavo domando una cosa» s’intromise a sorpresa Galliard.
«Cosa?» lo appoggiò subito Falco.
«Come mai una guerriera come te Mikasa, una che ha le palle di affrontare da sola dei mostri, diventa una colomba quando si tratta di prendersi ciò che vuole?».
Galliard era un ragazzo intelligente e molto sicuro di sé aveva capito da tempo come stessero le cose. Ammirava Mikasa era una ragazza forte che però non credeva abbastanza in se stessa.
Lei non rispose. Tutti si sarebbero aspettati che gliene dicesse quattro, invece tacque.
«Il punto è questo: sei una guerriera o no? Perché se lo sei non puoi esserlo a metà. Se davvero non ti importa una mazza di Jean, allora mettici una pietra sopra e chiudiamola qui, sennò ti posso aiutare a trovarvi».
Aiutare a trovarci? pensò confusa Mikasa anche se le parole di quel ragazzo si stavano facendo strada nella sua mente come un tarlo nel legno.
«Andiamo sei una Ackerman tu zio sarebbe già piombato in pista!» commentò Niccolò.
«Si vede che lo conosci poco» mugugnò la ragazza.
«Allora vuoi partire all’attacco o no?» la incalzò alzandosi e tendendole la mano.
«Ma che intendi fare?» gli chiese non capendo bene l’antifona.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo piuttosto platealmente: «Eddai è il trucco più vecchio del mondo! Andiamo in pista e lo facciamo schiattare».
«Che cosa stupida! Io non faccio certe scenette e poi guardalo non si è neppure accorto che sono presente. Ha occhi solo per quella lì» gli rispose contrariata.
«Senti anche un cieco si sarebbe reso conto che vi morite dietro, ma per qualche motivo vi tenete alla larga uno dall’altra».
«Credo che il motivo si chiami Eren Jeagear» sentenziò Sasha.
«Ma i cazzi vostri mai eh? Comunque con Eren siamo rimasti in ottimi rapporti, ma più come fratello e sorella, la nostra storia si è spenta pian piano e… basta, non vi riguarda, che ve lo spiego a fare?» si trovò suo malgrado a confessare. Era stufa di essere considerata come quella che si strugge per Eren.
«Stiamo perdendo tempo prezioso. Io credo che se ti interessa davvero qualcuno non te lo lasci sfuggire. Se ci tieni fai di tutto prima di arrenderti e soprattutto metti da parte l’orgoglio. Quindi la domanda definitiva è: vuoi provare a prendertelo, o lo lasci definitivamente a lei?».
Proprio in quel momento Claptone remixando fece partire You Know What I need e per un bizzarro caso del destino Jean si voltò e la vide sgranando appena gli occhi sorpreso.
Come se fosse stata spinta da una forza superiore Mikasa decise e afferrò la mano di Galliard.
«Sono pronta!» gli disse sicura.
«Ora ci divertiremo!» commentò Piek che fino a quel momento si era limitata ad ascoltare.
«Vado a prendere da bere e gli stuzzichini» trillò contento Armin.
«Siamo proprio una banda di pettegoli» disse Falco fintamente scandalizzato. Sapeva bene cosa intendesse Galliard, con lui aveva funzionato seppellire sotto terra l’orgoglio e dichiararsi a Gabi.

 

*

 

Hanji girò la chiave nella toppa e aprì la porta. C’era uno strano e inconsueto silenzio, di solito a quell’ora Levi era in modalità casalinga disperata perché si dedicava alle pulizie.
Fece spallucce e si diresse in camera, fu allora che lo vide e ci mancò poco che non gridasse dallo stupore.
Era supino sul letto, gambe e braccia aperte, indossava solo un paio di pantaloncini da corsa, aveva le cuffie era molto sudato e… russava!
Era un evento quasi mistico dato che Levi non dormiva che due tre ore al massimo per notte e assolutamente mai di giorno. Ora una persona normale lo avrebbe lasciato in pace, ma Hanji era Hanji, ovvero la curiosità incarnata. Si preoccupò per questa novità inattesa e senza pensarci gli sfilò le cuffie dalle orecchie e cinguettò allegra «Ma da quando in qua fai la pennica prima di pranzo, stai male, o cosa?».
«AHH!» fu la risposta di Levi che saltò a sedere e sfoderò dalla mano le lame di adamantio, che rivolse istintivamente verso di lei.
«Ohi, ma sei matta? Potevo farti del male!» la redarguì non appena si rese conto chi fosse.
«Scusa ma tu stavi russando Levi e non sono neanche le dodici, senza contare che è la prima volta in assoluto che ti sento ronfare così, mi è preso un colpo, pensavo stessi molto male».
Lui ritirò le lame e incrociò le braccia al petto «Ho allenato le gambe e correre due ore a cinquanta chilometri orari ti assicuro che mette ko anche me».
«Oh bene! Allora forse abbiamo superato una volta per tutte il problema insonnia, basta fare una corsetta prima di andare a nanna».
«Sì, più o meno» chiosò sbrigativamente Levi «Che schifo, sono tutto sudato e ho sporcato il letto. Ora faccio la doccia, cambio le lenzuola e pulisco la camera» sentenziò contrariato.
«Ma non importa» lo rassicurò lei.
«A te no, ma a me sì! Mi fa schifo l’idea dei miei liquidi corporali puzzolenti che ormai hanno intriso le lenzuola» ribadì indispettito.
Hanji rimase un po’ interdetta. Aveva un comportamento strano, come se fosse stato pizzicato con le mani nella marmellata e questo non aveva molto senso. Fece di nuovo spallucce e pensò di precederlo nel cambio del letto, del resto conosceva bene le sue paturnie in merito, per lei facevano parte del suo fascino tutto particolare.
Distrattamente prese il suo cellulare per appoggiarlo sul comodino, non voleva certo spiare ma era aperto su un canale youtube che inquadrava due mani, un microfono e un piumino da cipria. Alzò un sopracciglio interdetta, o che roba era? La sua curiosità ebbe la meglio sul buon senso di non guardare le cose altrui e si infilò le cuffie. Con grande sorpresa si accorse che nessuno parlava, c’erano solo dei lievi e a dire il vero anche piacevolissimi rumorini causati dal quel piumino che sfregava delicatamente sul microfono.
Il canale si chiamava: Gentle ASMR. La sua curiosità schizzò a livello super.
Dopo una breve ricerca le si aprì un mondo e scoprì che questo fantomatico ASMR
(3) era una sorta di metodo di rilassamento che addirittura conciliava il sonno. Ascoltarlo donava una piacevole sensazione, simile a quella di quando qualcuno ti massaggia la cute con i polpastrelli provocandoti dei brividini e formicolii. Dimenticandosi che stava usando il telefono di Levi e affamata dalla novità si sdraiò sul letto e si fece cullare da quei delicati fruscii.
Hanji non si addormentò ma andò in brodo di giuggiole rilassandosi, tanto che quando Levi uscì dalla doccia, istintivamente lo aggredì con il suo entusiasmo.
«Questa roba è una figata assurda!» esordì eccitata.
Lui la guardò, si accigliò e poi le disse: «Da quando in qua frughi nel mio cellulare?». Non era arrabbiato e non aveva nulla da nascondere, ma quel comportamento non era da lei.
«Non lo avrei mai fatto se per sbaglio, volendolo poggiare sul tuo comodino, non avessi visto un microfono, due mani e un piumino. Sai quanto io sia curiosa e interessata alle novità.
È stato come il canto delle sirene per un marinaio: irresistibile».
Levi trattenne a stento un mezzo sorriso, anche lei a suo modo era irresistibile, lo sapeva bene, non riuscì proprio ad arrabbiarsi e poi tanto avrebbe voluto parlargliene, solo che temeva di essere preso per scemo, per questo non lo aveva ancora fatto.
«Me l’ha consigliato un infermiere in ospedale. Lui adora i mukbang. A me invece fanno schifo e mi danno sui nervi».
«I mukache?» chiese Hanji che ovviamente era ancora una neofita del genere.
«Gente che fa rumori con la bocca mentre mangia» sentenziò.
«Oddio questo non piacerebbe neppure a me suppongo».
«Ci sono moltissime forme di ASMR ma ero convinto che fosse una gran stronzata, anzi a tratti mi dava fastidio fino a farmi incazzare, fin quando non ho scoperto questo canale in cui fanno rumori soft, molto simili a quelli che potrei fare mentre spolvero. Così immaginando che qualcuno stia pulendo è calata come una manna dal cielo, pensa riesco a dormire almeno cinque ore di filato. Un record per me» le spiegò entusiasta, oddio entusiasta alla Levi maniera s’intende. Di certo con lei alla fine si trovava sempre a suo agio, anche quando si trattava di stramberie come quella.
«Ma tu pensa! Mi sembra meraviglioso, una scoperta grandiosa».
«Fin che durerà, sai non ho grosse aspettative, temo che a breve l’insonnia farà di nuovo il suo corso» commentò laconico prima di frizionarsi i capelli e cominciare a rivestirsi.
Ad Hanji si accese una lampadina in testa e si lanciò in uno dei suoi voli  mentali. Se Levi aveva bisogno di questi rumori per dormire, e le sembrò di capire che questa, o questo Gentle ASMR faceva video del tipo, solo ogni tanto, forse avrebbe potuto farseli da solo e su misura, magari con il suo aiuto. Ma sì, chi fa da sé fa per tre e poi sarebbe stato divertente registrare un video mentre lui puliva con delicatezza oggetti e pavimenti, del resto era il top gamma nel settore. Già volava alto con la fantasia, vedeva il canale con quasi un milione di iscritti: Psychocleaner ASMR. Non era pericoloso, tanto non lo avrebbero mai visto in faccia, quindi non avrebbe interferito con il loro lavoro e allo stesso tempo, oltre che per se stesso poteva anche dare una mano a chi come lui soffriva d’insonnia. Presa dall’entusiasmo si mise al PC a reperire info su girare ed editare un video ASMR mentre un ignaro Levi si faceva la barba in bagno, molto rilassato e molto contento di avere una compagna così avanti da poterle raccontare tutto, anche le cose più strane e imbarazzanti, perché lei era sempre e comunque sua complice entusiasta.

 

I monologhi  dell’autrice
Buonsalve, come state?
Spero tutto bene e buon fine domenica!!!
Non mi attardo che le note sono lunghe assai!

Note: 1)
 - 2) 
Claptone esiste davvero ed  è un disc jockey e produttore discografico tedesco famoso in tutto il mondo ed è solito indossare una maschera dorata a forma di becco per mantenere il mistero sulla sua identità. (In realtà si è già rivelato ma a noi per la nostra fic questo poco importa). Claptone non ha mai remixato You Know What I need di Troye Sivan, cantante, attore e youtuber sudafricano naturalizzato australiano,infatti è solo una mia invenzione. La canzone è stata invece prodotta realmente da PNAU un trio musicale australiano di musica indie rock e dance-pop
3) ASMR
 acronimo di Autonomous Sensory Meridian Response, ovvero risposta autonoma del meridiano sensoriale si riferisce a una sensazione di rilassamento, spesso sedativa, che parte dal cuoio capelluto e si diffonde al resto del corpo. I soggetti possono avvertire una profonda sensazione di rilassamento, uno stato emozionale positivo e di benessere psico-fisico, associato al rilascio da parte del corpo di neurotrasmettitori come endorfine e serotonina. In alcuni soggetti l’Asmr contribuisce ad alleviare il dolore cronico, la depressione, l’ansia, il mal di testa e l’insonnia, riuscendo a conciliare il sonno, come spiega Sergio Garbarino, neurologo, docente nel Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Genova e membro del consiglio direttivo Aims, l'associazione italiana di medicina del sonno.

Posso confermare, essendo fruitrice di contenuti Asmr da ormai qualche anno, che davvero conciliano il sonno e quindi mi ha divertito immaginare Levi in una situazione del genere tanto che finita questa fic credo proprio che scriverò una oneshot sull’argomento Levi-asmr 😁 Di seguito trovate dei link su Claptone, You Know What I need di Troye Sivan e un approfondimento sull’argomento ASMR se mai vi interessasse.

CLAPTONE

YOU KNOW WHAT I NEED - Troye Sivan

ASMR

Grazie, grazie e ancora grazie a chi segue legge e soprattutto commenta questa mia fantasia.
Siamo quasi alla fine, ma purtroppo io e la tecnologia siamo ancora in dissidio, non ho ancora  i mezzi idonei (spero di cuore che la prossima sia la settimana decisiva),  per cui temo, mio malgrado, che non sarò in grado di aggiornare prima di due settimane. Vi sto facendo patire questi ultimi capitoli, ma la colpa è del fato avverso che mi intralcia.
Come sempre ho parlato più del dovuto, un abbraccio a tutti e a presto!

PS ovviamente Catch if you Can è il titolo di un famosissimo film di Steven Spielberg con protagonista Leonardo DiCaprio

 

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Capitolo 34
*** Ehi tu, *Porko*, levale le mani di dosso! ***


L’Isola dei Dannati 
A.o.T. Mission-almost-Impossible 


34
Ehi tu, "Porko", 
levale le mani di dosso!


«Mi spieghi una cosa?» chiese Mikasa a Galliard mentre si dirigevano in pista dritti verso Jean e Megan.
«Volentieri».
«Perché lo stai facendo?».
«Principalmente perché credo che mi divertirò, poi perché tu e Jean mi state simpatici, mentre Eren non mi è mai piaciuto» le rispose asciutto.
La ragazza si sentì riavere, per qualche stupida ragione aveva avuto paura che volesse provarci con lei.
«L’importante è che ti comporti da gentiluomo» ci tenne comunque a specificare.
«Tranquilla ho visto cosa sai fare in battaglia, non vorrei mai dover discutere con te e poi senza offesa, sei una bella ragazza, ma non sei proprio il mio tipo» le confessò con un sorriso sghembo che gli incurvò le labbra.
Intanto mentre loro due parlavano su come fare, cosa fare e come farlo, Jean li fissava e non si capiva se era arrabbiato, o semplicemente infastidito dalla loro presenza.
«Che c’è?» gli chiese Megan posandogli una mano sulla mandibola per farlo voltare in modo che potesse guardarla negli occhi.
«Niente perché?».
«Sembra tu abbia il torcicollo e ti verrà davvero se continuerai a stare con la testa girata da quella parte».
Come se fosse stato beccato in flagrante Jean si sentì un cretino «Ma no, ho visto solo due colleghi» smorzò.
Megan si girò e mise a fuoco «Ah ma lo sai che quella ragazza è venuta a casa tua una volta?» disse dopo aver riconosciuto Mikasa.
A quelle parole Jean trasalì «Quando?» le chiese quasi strozzato alla gola dall’ansia.
«Ma, tempo fa, non ti saprei dire di preciso. Volevo farla entrare ma lei, non ricordo che problema avesse, all’improvviso si dileguò come un fulmine».
«Perché non mi hai detto nulla?».
«Me ne sarò dimenticata e poi avevamo di meglio da fare, ma che problema c’è scusa?» gli chiese un po’ irritata da quell’interrogatorio.
«Nessun problema, Mikasa non era mai venuta da me prima d’ora, magari poteva esserci qualcosa di grave di mezzo…» disse cercando di riprendersi, questa cosa lo aveva proprio sorpreso, poi sospirò forte «…ma in realtà non l’ho mai più risentita, quindi magari era solo una sciocchezza» le spiegò cercando di giustificarsi e provando un retrogusto amaro. 
Ma non si era rimessa con Eren? E poi se fosse venuta per me si sarebbe rifatta viva, invece ora sembra stia con quel Galliard, simpatico come una spinta giù per le scale! pensò tra sé e sé contrariato. Aveva deposto le armi perché convinto che Mikasa fosse tornata insieme al suo grande amore e invece in realtà Eren era andato da Krista e la bambina, mentre lei era con quello lì a far festa.

«Allora il piano è questo: balliamo e deve sembrare che ci divertiamo e siamo in confidenza. Tranquilla non allungherò le mani, né ti obbligherò a fare nulla di sconveniente, tu però rilassati che mi sembri un paletto di legno!» esordì Galliard una volta in pista, poi prima che lei protestasse aggiunse «dobbiamo ballargli molto vicini, al momento opportuno ci penserò io a fare la mossa strategica».
«In che senso?» chiese Mikasa preoccupata.
«Devo sfruttare l’effetto sorpresa quindi non ti dico niente, ma non temere, non farò nulla che possa metterti in imbarazzo, balla e lasciati andare, se poi ogni tanto lo vuoi guardare fallo, confondilo!» le consigliò facendole l’occhiolino. 
«Mi sento proprio una cretina» ripose non troppo convinta
«Tecnicamente è proprio così, quando uno si innamora rincretinisce quindi non preoccuparti, è tutto nella norma».
Lei gli dette un pugnetto sulla spalla «Sei davvero tremendo, ma che fai di secondo lavoro, il cupido lancia frecce? Non ci credo neanche se ti vedo».
«Non me ne frega nulla di fare da ruffiano, ma abbiamo condiviso un’esperienza estrema da cui siamo usciti vivi per miracolo. Ho visto quanto hai sofferto e quanto ti negassi la possibilità di andare oltre facendoti rodere dai sensi di colpa, ma se la cosa ti crea tutte queste pippe mentali, possiamo anche concluderla qui eh? Vivo bene lo stesso anche se vuoi due continuerete a rincorrervi senza incontravi mai».
Quel ragazzo era proprio strano pensò Mikasa e mentre stava per dirgli che era davvero il caso di abbozzarla lì, per sbaglio incrociò lo sguardo truce di Jean che sembrava lanciarle strali infuocati, mentre nel frattempo come per darsi un tono ballava appiccicato alla sua bella. 
Le montò un gran nervoso.
Eccone un altro che pensa che subirò i suoi sbalzi d’umore! Col cavolo! Ora gli faccio vedere io.
«Allora che si fa, si avanti con il piano o no?» insistette Galliard.
«Facciamolo nero!» sentenziò la ragazza con aria battagliera.

«Oh! Si stanno avvicinando, ora ne vedremo delle belle!» esordì Sasha cacciandosi in bocca una manciata enorme di patatine, tanto che non riusciva quasi a masticare.
Tutti si girarono verso la pista, ma furono subito distratti dall’arrivo di un baldanzoso Reiner in compagnia di Annie. Questa volta toccò ad Armin trasalire, per fortuna senza mandare niente di traverso. Non sapeva se essere contento o adirato, da quella volta in cui si erano parlati lei non si era fatta più viva tenendolo alla larga e ora spuntava per caso proprio a quell'evento esclusivo. Certo che il mondo era un’accozzaglia di strane coincidenze, si stavano ritrovando tutti lì… pensò poco convinto il biondino.
«Non so neanche io perché sono venuto in questo posto» esordì Reiner appena arrivato al loro tavolo «a proposito, ma voi come li avete avuti gli inviti?» chiese rivolto un po’a tutti.
«Ho ricevuto due biglietti a casa» specificò Annie fissando Armin. Era certa fosse opera sua, infatti il suo sguardo lo stava indagando.
«Anche io, due biglietti d’invito in busta bianca» rispose serio Arlert fissandola di rimando per farle capire che lui non c’entrava niente.
«Ma sì, pure io nella cassetta della posta del mio appartamento, come te: due biglietti in una busta» confermò Sasha, seguita poi da Falco e Pieck che affermarono il solito modus operandi.
«Saranno stati i nostri superiori per farci una sorpresa» commentò Niccolò «ma avete sentito che per quanto riguarda il lavoro ci sono grosse novità in giro? Si vocifera un sacco sull’argomento».
«Sì e la maggior parte mi paiono delle gran cazzate» ribattè Reiner.
«A proposito come va con l’inibitore ragazzi?» chiese curiosa Sasha.
«Direi molto bene, Onyankopon dopo il primo innesto fatto ad Eren lo ha perfezionato, praticamente nessuno di noi è entrato in coma, né ha avuto rigetti, o reazioni avverse» spiegò solerte Falco.
«Fin che dura…» commentò aspramente Gabi.
«Cioè?» chiese Armin allarmato.
«Non sappiamo per quanto tempo resteremo in questa sorta di limbo in cui la mutazione è come congelata. Il fatto è che è tutto molto sperimentale per così dire. Ancora non abbiamo reali certezze sul nostro futuro e sulle conseguenze che potranno esserci tra qualche anno, ma soprattutto su quanto potrà reggere l’inibitore» gli spiegò seria Pieck.
Grazie a quelle affermazioni Armin capì al volo perché Annie fosse sparita.
Intanto in pista Galliard e Mikasa ormai ballavano a fianco di Jean e Megan. Sembravano ignorarsi, ma in realtà di sottecchi si controllavano a vista. In un momento in cui il ritmo accelerò Galliard fece la sua mossa, dribblò Mikasa sorpassandola e si infilò tra Jean e Megan, afferrò questa per un braccio e rapido se la portò via, non prima però di aver dato uno spintone a Mikasa facendola franare addosso a Jean.
Tra i due ci fu un breve ma intenso momento di forte imbarazzo.
«Ma che cazzo sta facendo quello?» abbaiò Jean «e tu non dici niente?» aggiunse scrutandola adirato e non sapendo bene che dire né che fare.
«Stanno ballando cosa dovrei dire?» gli rispose incerta, non era preparata a quell'improvviso incontro-scontro, ora si sentiva indifesa, ma perché si era infilata in quella situazione assurda?
«Chissà chi ti capisce a te! Vengo in ospedale e ti trovo a letto avvinghiata ad Eren, vengo ad una festa e ti trovo abbarbicata a quel coso. L’importante è che il due di picche sia riservato esclusivamente a me! Fai e disfai a comodo tuo e di certo ti consoli in fretta, quando ti pare»
«No, no, spetta, fermati! Ma che stai dicendo, sei fuori? A letto con Eren? Ma quando mai? Guarda che sei tu che di giorno stavi con me facendo l’amico premuroso e poi la sera ti facevi quella lì, sono venuta a casa tua una sera per parlarti e lei mi ha detto che eri sotto la doccia, mica sono scema eh?».
Erano in mezzo alla pista e invece di ballare stavano discutendo animosamente attirando l'attenzione di tutti. Era diventata una situazione comica, ma anche molto seccante, mentre i loro amici, da spettatori trepidavano, ma al tempo stesso si divertivano pure gli infingardi.

«Galliard ha avuto una pessima idea ora si menano» dichiarò sconsolato Armin.
«Ma almeno interagiscono» commentò sibillina Annie.
«Se questa l’hai tirata per me, beh, l’hai fatta fuori dal vaso, non sono io che sono sparito!» le rispose a tono. Si era dileguata e ora voleva incolpare lui?
«Touché!» ammise Annie alzando le mani «vengo in pace» aggiunse. Si era stupita quando aveva capito che non era stato lui a mandarle gli inviti, ma chiunque fosse stato le aveva fatto un gran favore perché era felice di vederlo.
«Ma che per caso siamo coinvolti in una candid camera sul gioco delle coppie?» ridacchiò Sasha osservando i due amici tirarsi frecciatine.
«Parrebbe plausibile visto l’andazzo della serata» commentò Pieck sorniona.
In quel momento Megan era riuscita a sfuggire a Galliard e si era precipitata da Jean.
Stava per aprire bocca ma lui la fermò «Per caso facevo la doccia, quando Mikasa è venuta da me?» l’aggredì piuttosto contrariato.
«Boh… sì, no,  non ricordo» farfugliò Megan assalita da una stana sensazione, tutta quella faccenda non le piaceva per nulla, qualcosa le sfuggiva. Come mai Jean se la prendeva tanto per una semplice collega? Si insinuò in lei il dubbio che ci potesse essere altro sotto.
«Cerca di ricordare perché è importante» la incalzò il ragazzo.
«Sì, e quindi?» sbottò stufa di quel teatrino.
«Che bisogno c’era di mettere in piazza una cosa del genere! Sicuramente lei ha frainteso».
«Non c’era niente da fraintendere, o non stiamo per andare a convivere, te ne sei dimenticato?» gracchiò Megan scandalizzata. 
Jean a quell'affermazione spalancò la bocca scioccato e stava per risponderle ma Mikasa lo precedette.
«Basta così! Forse è meglio se ti chiarisci le idee Jean» gli disse molto scoraggiata. Le cose non stavano affatto andando bene, almeno non come sperava, e lui sembrava quasi stare con il piede in due scarpe.
«Io ho le idee chi… » stava affermando piccato Jean, ma fu interrotto bruscamente.
«Andiamo!» esordì perentorio Galliard afferrando Mikasa per la vita portandola via da lì.
«Fidati di me» le sussurrò in un orecchio mentre se ne andavano «la bomba è esplosa, ora dobbiamo aspettare le reazioni».
«Ehi tu? Levale le mani di dosso!» strillò invano Jean perché la musica sovrastò la sua voce facendolo sembrare afono nonostante sbraitasse, ma Megan che era vicina aveva sentito eccome.
«Che situazione orribile, non mi sono mai sentita umiliata così tanto in vita mia. Sei veramente uno stronzo! Almeno abbi la decenza di accompagnami a casa» piagnucolò giocandosi la carta del farlo sentire in colpa, che in effetti ebbe il suo effetto, perché dopo tutto Jean restava un bravo ragazzo e a parte ciò avevano dato fin troppo spettacolo per quella sera, forse andarsene non era una cattiva idea.

*

«Ma tutto questo mistero era proprio necessario?» bofonchiò Levi mentre si aggiustava il collo della camicia.
«Erwin ha detto che ha organizzato tutto Marie, di cui sembra essere davvero preso, perciò noi vogliamo essere gentili con lei e quindi accettiamo di buon grado questo invito al buio» gli rispose serafica Hanji, che per l'occasione indossava un semplice tubino nero con lo scollo quasi all'americana che le scopriva le spalle e una piccola porzione della schiena.
Levi detestava quel tipo di uscite, ma sapeva che a lei le cose a sorpresa piacevano, e poi Erwin ci teneva un sacco a presentar loro la sua fidanzata ritrovata, quindi nonostante la sua innata reticenza per le serate mondane cercava di essere, a suo modo, meno misantropo del solito.
«Sarà la solita cena, o aperitivo, nel solito locale alla moda, due palle! L'unica cosa per cui ne vale la pena è poterti ammirare fasciata in quel vestito, mi verrebbero in mente le peggio cose da farti, ma so già che possiamo fare tardi quindi le terrò da parte per quando rientreremo» le confidò sornione.
«Ogni volta che metto questo abito ti parte un embolo» rispose Hanji lusingata.
«È colpa delle tue spalle, sono così sexy...» le rispose in un soffio, prima di posare le labbra su una di esse per un bacio fugace.
«Smettila subito o faremo davvero tardi e questo Erwin non se lo merita» lo redarguì Hanji con il fiato corto. Tra loro la chimica era ancora molto forte nonostante stessero insieme da un bel po'. Era meglio non soffiare sulla cenere, o il fuoco ci avrebbe messo un secondo a divampare.
Erwin e Marie, come da accordi passarono a prenderli e le presentazioni furono fatte in modo informale prima di salire in macchina.
«Lei è Marie» disse Erwin cingendole la vita e sorridendo rilassato.
«Oh che bello finalmente ci conosciamo!» trillò Hanji emozionata andandole incontro per stamparle un bacio per guancia.
Levi rimase immobile ad osservare la scena. Non era esattamente come se la immaginava, ma convenne che era il tipo di donna, almeno superficialmente, a colpo d'occhio, molto in sintonia con Smith.
Bella, sobria, con un viso aperto e solare, non troppo appariscente, una donna di classe.
«Erwin mi aveva avvertito che ti saresti comportata esattamente così. È davvero un piacere conoscerti Hanji!» reagì Marie all'assalto entusiasta della donna, poi alzò la testa e guardò Levi dritto negli occhi «Anche su di te mi aveva avvertito» e senza troppe cerimonie si avvicinò all'uomo e gli porse la mano: «Piacere di conoscerti Levi, io sono Marie».
Lui apprezzò il gesto diretto e ricambiò la stretta.
«Vogliamo salire?» invitò loro Erwin indicando la macchina.
«Ho scelto un posto inusuale, ma spero che gradirete» cominciò a dir loro Marie e Levi alzò gli occhi al cielo, mentre Hanji gli rifilò subito una gomitata, meno male che erano dietro e lei non aveva potuto vedere nulla. 
«Le ho parlato di voi fino allo sfinimento» s'intromise Erwin «soprattutto di te e delle tue particolari caratteristiche» disse cercando lo sguardo di Levi attraverso lo specchietto retrovisore.
L'altro lo guardò di traverso ma non fiatò.
«Dovevo prepararla al tuo caratterino» aggiunse Smith ridacchiando. In parte era vero che aveva dovuto rassicurarla sul fatto che se Levi fosse apparso scostante non era un trattamento che riservava a lei in particolare, ma che era semplicemente fatto così.
«Levi è come un gatto, può soffiare e graffiare, ma se lo sai prendere e lisciare dalla parte del pelo è adorabile e fa pure le fusa» aggiunse Hanji compiaciuta.
«La smettete di parlare di me come se non fossi presente? Grazie!» sbottò l'uomo leggermente infastidito. Gli ci voleva il suo tempo per entrare in confidenza con le persone e così non gli stavano certo agevolando le cose.
Marie era molto divertita dalla situazione, si girò verso i sedili posteriori e si rivolse direttamente al capitano: «Questa serata è dedicata in particolar modo a te, Erwin mi ha raccontato della vostra chiacchierata a Paradise, beh credo che io te lo deva, gli hai dato ottimi consigli».
L'uomo rimase spiazzato, tanto che commentò con un secco «Io non do mai consigli ma dico solo quello che penso. Sempre!».
La conversazione si interruppe davanti ad un elegante palazzo di una zona residenziale della città.
Non sembrava ci potesse essere un locale, sembravano semplici abitazioni e di un certo livello.
Erwin parcheggiò e Marie fece loro strada.
«Ci stiamo recando a casa di un mio carissimo amico, non vi dico altro per non sciupare la sorpresa» spiegò loro sommariamente.
«Ma che ci porta ad una rimpatriata? Quasi quasi era meglio il solito ristorante» bofonchiò sottovoce Levi ad Hanji.
«Non cominciare, almeno arriviamo e vediamo, io sono molto curiosa!».
«Te pareva!».
«So che è inusuale ma fidatevi, faremo una bella esperienza» cercò di tranquillizzarli Marie che aveva intuito le loro perplessità, ma lei sapeva bene cosa stava facendo ed era abbastanza sicura della riuscita della serata.
«Giuro che neppure io ne so nulla!» aggiunse Erwin che però era molto divertito, soprattutto dalla contrarietà di Levi.

*

Mikasa aveva un solo desiderio: sparire. Era pentita di aver ceduto a Galliard ed era sicura di aver fatto per l'ennesima volta la figura della cretina.
Quasi quasi invidiava Jean e Megan che spediti si stavano avviando all'uscita.
«Mi sa che è andata male» commentò Gabi.
«Io ancora non lo direi: non è finita, finché NON è finita» sentenziò con fare da oracolo Sasha.
«Io vorrei tornare a casa» disse stancamente Mikasa che non aveva neppure più voglia di litigare con quella banda di impiccioni.
«Aspettiamo mezz'ora e poi te ne vai. Concedigli 30 minuti» le disse Galliard.
La ragazza era così mogia che non ebbe neppure la forza di controbattere. Accettò silenziosa.
Nel frattempo Jean e Megan stavano per uscire dal locale, uno più nero dell'altra, ma all'improvviso due enormi bodyguard sbarrarono loro la strada.
«Ehi ma che cazzo fate?» sbottò malamente il ragazzo.
«Lasciateci passare!» gli fece eco Megan.
«Signor Kirschstein una persona vuole incontrarla» rispose molto tranquillo uno dei due energumeni facendogli segno di seguirlo.
«Una persona chi?» sibilò Jean.
«Quella che vi ha mandato gli inviti».
«E chi sarebbe d grazia?».
«Lo scoprirà quando la incontrerà».
La cosa si stava facendo stranamente misteriosa. Non era il modus operandi dell'agenzia, ma puzzava molto di "lavoro". Certo poteva essere una trappola, ma l'agente che era in lui capì che era meglio assecondarli.
«La ragazza non c'entra niente, lasciamola fuori» disse ai due.
«La signorina la può serenamente attendere nel privè del locale, sarà un incontro breve e informale. Tranquilli».
Jean era tutto fuor che tranquillo, ma li seguì senza fiatare.

I monologhi dell’autrice
Un caro saluto a chi legge e felice week end. Come state?
Nonostante il caldo, spero tutto molto bene!!!

Eccomi qua. Finalmente (Deo gratias!) ho il computer funzionante!
Detto questo sono ovviamente in ritardo e lo sarò fino alla fine della storia. Sto scrivendo il capitolo 35 e non credo che sia l'ultimo, ma il penultimo, almeno se riesco ad infilarci tutto quello che ho intenzione di dire, vedremo. Quindi pubblicherò quando potrò e non mi sbilancio sui tempi, state in campana, o come dicono quelli imparati: stay tuned!
Detto questo, lo ammetto: sono una  brutta persona (ma non è vero!) perché manco in 'sto capitolo Mikasa e Jean quagliano... ma come diceva qualcuno: l'attesa del piacere è essa stessa il piacere (e arrivarono le sassate!). Facendo la seria ripeto che visti i loro trascorsi, proprio per come li vedo io come coppia, non potevo fare diversamente, ma...
Come al solito mi dilungo e vi tedio fin troppo, quindi concludo dicendo a tutti voi che state leggendo, commentando e mettendo la storia tra le seguite, preferite e ricordate  GRAZIE di ♥♥♥

Il titolo è una citazione tratta da un film cult degli anni 80/90 che credo conoscano anche i muri, ci stava troppo a pennello per non approfittarne, avete capito di cosa parlo? 🤭
A presto!

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Capitolo 35
*** Orgoglio e pregiudizio ***


L’Isola dei Dannati 
A.o.T. Mission-almost-Impossible 


35
Orgoglio e 
Pregiudizio


Jean fu accompagnato nel retro del locale.
Fu molto sorpreso nello scoprire che lo stavano portando niente di meno che nel camerino di Claptone.
Ogni tanto il DJ, durante la sua performace, lasciava la sua postazione per fare degli intervalli e metteva una play list di musica soft come sottofondo, dando così modo agli avventori del locale di poter prendere fiato, farsi due chiacchiere e magari bersi un drink.
Si trovò nella stanza riservata al DJ, che lo attendeva di spalle con indosso una maglietta a maniche corte bianca. Jean stava per aprire bocca e chiedere del perché lo avesse convocato, quando quello si girò, tirò su la maschera e si tolse la mezza tuba dalla testa.
«Connie???» gli sfuggì di bocca allibito, non se l'aspettava proprio.
«Già, caro mio, sono proprio io».
«Ma... ma sei davvero Claptone?» gli chiese ancora incredulo, questa sì che era una sorpresa.
«Sì e no, per ora siamo in tre che lavoriamo su questo particolare progetto dell'agenzia. È un nuovo tipo di copertura con diversi alias in cui mi hanno inserito, per ora siamo in rodaggio per vedere se siamo credibili come unica persona e questo evento è un po' una sorta di test. Ci scambiamo a turno e testiamo se siamo verosimili, la maschera ovviamente aiuta. In più ho sempre sognato di fare il DJ» spiegò tranquillo.
«Beh, amico mio, direi che andate alla grande, io non ho notato nulla e sono del mestiere» si congratulò Jean.
«Ti pregherei per il momento di tenere la cosa per te, non la sa nessuno, neppure uno solo dei ragazzi, mi sto giocando la carriera rivelandotela perché per ora è top secret».
«Va bene, tranquillo, ma come mai quest'incontro? Non potevi dirmelo in un secondo momento? O c'entra in qualche modo il nostro lavoro?» chiese Jean un po' stranito non capendo bene che stesse accadendo.
«Caro il mio rincoglionito, non è lavoro e no, non potevo dirtelo "dopo"; sappi che ho imbastito tutto questo casino invitandovi alla festa solo per darti modo di dichiararti con Mikasa. Ero convinto che portassi lei, dato che all'ultima riunione abbiamo saputo che Eren sta definitivamente con Krista e la bambina, invece ti sei presentato con un'altra, sei proprio un deficiente!».
Jean aprì la bocca e poi la richiuse, quindi fece per parlare ma Connie fu più veloce di lui.
«Se la ami ancora va da lei e datti una mossa prima che finisca tutto a puttane definitivamente. Vediamo se salite una volta per tutte su questo treno che continuate a perdere. Muoviti, prima che lei ci salga con quel Galliard! E non preoccuparti della tua accompagnatrice, a lei ci penserò io».
L'orgoglio di Jean tentò un ultimo colpo di coda, infatti avrebbe voluto dirgli che si era dato tanta pena per nulla, che lui ormai aveva voltato pagina, ma il suo cuore sgomitò con prepotenza, si fece avanti e mise a cuccia l'orgoglio, del resto gli fu chiara una cosa, Connie aveva ragione: ora o mai più!
«Grazie amico mio, ma non sono certo che lei mi voglia» gli uscì spontaneo dalla bocca.
«Tu almeno lo sai che cosa vuoi?» gli chiese secco l'altro.
«Certo! Che domande ho sempre voluto lei e solo lei. Tu e Sasha sapete molto bene che sono cotto di Mikasa fin dai tempi dall'accademia!».
«E allora diglielo! Magari anche lei potrebbe credere come te che tu non la voglia, ci hai mai pensato? Soprattutto ora che ti ha visto con quella ragazza».
Connie ancora una volta aveva ragione pensò illuminato Jean.
«Sono proprio un coglione!» ammise.
«Bravo e ora forza, muoviti! Sei ancora qui?» lo spronò buttandolo letteralmente fuori dal camerino e dandogli anche un bel calcio nel sedere a mo' d'incoraggiamento spiccio.
«Io me ne vado a casa. Ho già chiamato un taxi» esordì Mikasa alzandosi. Era avvilita e aveva voglia di stare da sola.
Non ci fu verso di farle cambiare idea.
«Dai vengo con te, d'altronde siamo venuti insieme...» disse alla fine Armin alzandosi.
«No, voglio che tu rimanga con Annie e io comunque preferisco andarmene da sola e per una volta lasciatemi fare come più mi piace, vi prego non ne posso più delle vostre interferenze non richieste» rispose stancamente passando in rassegna con lo sguardo uno per uno i suoi amici.
Armin non se la sentì di replicare e la lasciò libera di fare ciò che si sentiva. Fu imitato dagli altri, che si resero conto di aver esagerato facendole forse troppa pressione. Anche Galliard depose le armi e non fiatò, forse Mikasa era solo una guerriera a metà.
La ragazza uscì dal locale in fretta e scomparve oltre la porta d'ingresso, in quel momento, fatalità, sopraggiunse Jean.
«Mikasa dov'è?» chiese senza perdersi in troppi convenevoli.
«L'hai mancata per un pelo è appena uscita per tornare a casa» gli spiegò Falco.
«Vedi di raggiungerla e chiaritevi, non ne possiamo più di voi due che vi rincorrete senza incontrarvi mai come fanno Paolo e Francesca nel quinto canto dell'inferno di Dante!» sentenziò Sasha sempre più compenetrata nel suo ruolo di pseudo sibilla.
Jean strabuzzò appena gli occhi non capendo bene che stesse dicendo.
«A parte che Paolo e Francesca in vita furono amanti e questi due non credo neppure si siano mai baciati sul serio, ma poi mica si rincorrevano, venivano sbattuti dal vento sulle rocce!» la corresse Armin con fare da saputello.
«Beh un bel paio di craniate contro una roccia non potrebbe essere un'idea malvagia per ammorbidire le loro testacce dure, non ho poi detto niente di così sbagliato. E smetti di fare il maestrino pensa piuttosto anche alla tua di testa dura!» gli rispose la ragazza ammiccando con lo sguardo verso Annie.
«Tu mi farai morire dal ridere!» ammise Pieck davvero divertita. Per lei quella ragazza era una forza della natura.
Un mezzo sorriso timido incurvò anche le labbra della stessa Annie a dire il vero.
«Va bene grazie!» tagliò corto Jean dirigendosi a passo spedito verso l'uscita. Lui e Mikasa avevano perso troppo tempo prezioso, tra picche ripicche e orgoglio, senza capirsi, né chiarirsi ed era giunta l'ora di farlo.
Ovviamente fuori non c'era traccia della ragazza, lui si guardò sconsolato intorno sin quando non la intravide salire su un taxi.
Ebbe un sussulto, ma non ce l'avrebbe mai fatta a raggiungerla correndo. D'istinto guardò l'orologio segnava le una e trenta passate, non era certo il caso di presentarsi a casa sua a quell'ora, l'avrebbe fatto l'indomani mattina presto, munito di cappuccino caldo, una pasta alla crema e magari anche una rosa. Voleva che tutto fosse perfetto, anche se la paura di essere respinto smorzava l'atmosfera idilliaca del film che si stava componendo nella testa. Era come se fosse eternamente impantanato in un minuetto tra aspettativa e paura che gli teneva alta l'adrenalina, ma gli frenava l'entusiasmo.
Si diresse alla macchina in preda ad un misto di delusione e attesa, mise in moto e si diresse verso casa.
Una volta arrivato parcheggiò nel posto a lui assegnato e con una certa indolenza si avviò alla porta di casa, girò la chiave entrò e accese la luce. Si lasciò cadere sulla poltrona del salotto  e si passò le mani tra i capelli come per darsi una tregua.
Ma perché si era messo con Megan? Perché aveva pensato che chiodo potesse schiacciare chiodo? E comunque se era onesto con se stesso non era stato giusto neppure nei confronti di lei, che non aveva nessuna colpa se Mikasa lo faceva sempre dannare.
Mentre era preso dalle sue considerazioni il campanello trillò insistente facendolo sobbalzare.
Sicuramente è Megan e ora mi toccherà subirmi anche una parte di merda di quelle epiche! pensò. Ebbe la tentazione di far finta di non essere in casa, ma poi si disse che se voleva davvero provare a conquistare la ragazza che amava era giusto chiudere quella parentesi. Svogliatamente andò verso la porta, che una volta aperta, gli rivelò quello che mai avrebbe immaginato: due occhi grandi e scuri che intensi si fissarono subito dentro i suoi.
Lei era lì e no, non era una visione.
Deglutì, accennò una specie di sorriso e si schiarì la voce. Era impreparato a quel volto che proprio non si aspettava di trovare dietro l'uscio, soprattutto a quell'ora.
«Mi..kasa?» gli uscì dalla bocca in un soffio incerto.
Lei sembrava molto decisa rispetto al suo solito, sostenne il suo sguardo e arrossì in maniera impercettibile. I suoi occhi lo fissavano in modo cupo e intenso e sembravano celare un'imminente tempesta.
«È tardi. Inopportuno e folle, ma devo farlo» gli annunciò  decisa e bellicosa come se fosse pronta per dare battaglia.
Lui ancora scosso e imbambolato annuì senza sapere né il perché fosse lì, né di cosa stesse parlando, non ci stava capendo nulla, ma fu un attimo e si riprese, doveva cogliere quell'opportunità al volo.
«Mikasa, senti io ...» ma l'indice della ragazza repentino gli sigillò le labbra.
«Non ora. 'Sta zitto e baciami» gli ordinò con voce bassa ma decisa.
Quelle parole furono come un innesco ad una bomba. 
Qualcosa scattò e all'improvviso fu come se si fossero rotti gli argini di un fiume in piena che strabordando furioso li investì con foga e potenza.
Jean avrebbe voluto almeno pronunciare un sì di felice accondiscendenza, ma le sue le sue labbra si erano sigillate su quelle della ragazza. Non si rese neppure conto se fu lui a muoversi verso di lei o viceversa.
In un attimo le mani di Mikasa scivolarono avide sotto quella camicia bianca per carezzare la sua pelle e sentire la consistenza dei suoi muscoli. Prima di allora non aveva mai capito quanto desiderasse realmente farlo. 
Fremiti d'impazienza la fecero tremare sotto il tocco delle mani di lui che nel frattempo si insinuarono tra il tessuto del suo top e l'epidermide della sua schiena.
Jean come se avesse assunto una droga potente fu travolto da quel crescendo di sensazioni e si ritrovò come in un altro mondo, per un attimo chiuse gli occhi e si abbandonò appoggiandosi allo stipite della porta. Lasciò che lei conducesse le danze, era pazzesco, un desiderio che si avverava e Mikasa era proprio ghiaccio bollente. Era letale e non solo nell'arte della guerra. Sembrava quasi conoscesse ogni suo punto debole. Le sue braccia lo reclamavano con decisione e lui non aveva alcuna intenzione di opporre resistenza. Anzi non appena riprese un breve barlume di controllo l'afferrò saldamente per i fianchi, scoperti da quel provvidenziale crop top che l'aveva resa a suoi occhi, più sensuale di qualsiasi altra donna avesse visto quella sera e con decisione se la tirò su a cavalcioni e lei subito incrociò le gambe dietro la sua schiena. Finalmente abbandonarono la soglia ed entrarono in casa.
Le labbra di Mikasa non davano tregua a quelle di Jean, che avido di quella bocca come se fosse acqua nel deserto ricambiava quella fame con slancio ancora incredulo.
«Sei sicura?» gli chiese all'improvviso senza fiato, interrompendo di malavoglia quella delizia, ma doveva farlo.
Gli occhi di lei lucidi, le guance in fiamme, il fiato spezzato dal desiderio crescente erano già una risposta chiara, a cui si aggiunse un sì, che gli soffiò sulle labbra prima che le loro lingue si lambissero di nuovo.
Mikasa si era resa conto di averlo sempre voluto, soprattutto quando lo negava.
Jean avvertì i suoi seni sodi e generosi premuti contro il suo petto e un brivido caldo lo pervase.
Se stava sognando che non lo svegliassero, o avrebbe ucciso qualcuno.
Finalmente trascinandola in modo anche un po' goffo, urtando un paio di volte contro il muro e gli arredi, arrivarono sul letto dove le loro bocche e le loro mani continuarono a cercarsi smaniose, fin quando lui dovette chiederle di nuovo: «Sei sicura?». La desiderava fino a stare male, ma voleva che per lei fosse lo stesso, questa volta non avrebbe accettato niente di meno.
Mikasa in preda all'ebbrezza del desiderio annuì semplicemente e poi si sfilò il top cominciando ad armeggiare febbrilmente con il reggiseno, Jean subito la imitò strappandosi quasi di dosso la camicia e guerreggiando per sfilarsi pantaloni in minor tempo possibile. In breve tempo furono liberi e nudi e cominciarono a baciarsi la pelle del collo, del viso, del seno, del petto, mentre le mani stringevano febbrili natiche, spalle, fianchi. Si esploravano avidi, centimetro per centimetro, per poi risalire e riscendere di nuovo. Gli occhi chiusi, entrambi in debito d'ossigeno con i cuori impazziti che battevano ad un ritmo impetuoso come fusi all'unisono. Le loro bocche umide si tormentavano mentre i loro corpi in un groviglio sensuale li stavano conducendo in luogo agognato e sconosciuto. Finché non aderirono perfettamente l'un l'altra, incastrati, occhi negli occhi e labbra su labbra muovendosi in armonia con esasperante e struggente lentezza, per non affrettare quel culmine che premeva impaziente, aumentando il ritmo di quel saliscendi fino a farsi divorare da quell'incendio che covava sotto la cenere e che finalmente prese fuoco e divampò devastante fino a consumarli in un'unica fiamma.

*

«Questa palazzina è di proprietà di Dae Tanaka, americano di nascita ma figlio di una coppia di immigrati asiatici. Coreano da parte di Madre e giapponese da parte di padre. Abbiamo fatto il liceo e università insieme» cominciò a dire Marie accompagnandoli verso l'androne dell'edificio.
«All'ultimo piano c'è un attico, diciamo personalizzato, ed è una sorta di "club" che si può prenotare esclusivamente per eventi privati» continuò mentre stavano salendo veloci verso la cima del palazzo con un'ascensore esterna in vetro, che dava loro modo di ammirare Boston colorata da mille lucine, che cominciavano ad accendersi timidamente su un tramonto aranciato. 
Erwin era completamente assorbito dalla sua Marie e dalla bellezza panoramica che li circondava facendo da cornice ad una serata, che sentiva sarebbe stata indimenticabile, almeno per lui. Non le staccava gli occhi di dosso ammaliato. Era davvero felice di essere lì con la donna che amava e altre due persone molto importanti della sua vita, con cui aveva condiviso esperienze pazzesche al limite del fantascientifico.
Hanji, dal canto suo voleva solo godersi la serata, dopo tutto ciò che avevano vissuto negli ultimi tempi un'uscita "normale" era oro prezioso, inoltre era sempre più curiosa e affascinata da questa singolare location che veniva loro svelata poco a poco. Levi invece era sempre più contrariato. Queste cose così particolari, un po' da ricconi annoiati, a lui proprio non piacevano, anzi gli davano molto sui nervi e se ne stava appoggiato di spalle al panorama, imbronciato, fissando ostinatamente la pulsantiera dorata. Se non diceva una parola era per rispetto ad Erwin perché sapeva quanto ci tenesse a questo strampalato incontro.
L'ascensore si aprì direttamente nell'appartamento di Mr. Tanaka rivelando un'arredo particolare tutto in legno, pietra e piante verdi, per lo più cespugliose e tagliate a sfera in grandi vasi di pietra grigia. 
Furono invitati a togliersi le scarpe nell'apposito andito adibito proprio a quello, cosa che piacque molto a Levi dato che denotava una bella attenzione all'igiene, che ovviamente apprezzava particolarmente. Sapeva perfettamente che era una tradizione culturale asiatica, ma disincantato com'era, non si aspettava che fosse rispettata anche in un locale, sebbene particolare, nel pieno centro di Boston. Benché fosse un vero maniaco in fatto di pulizia e appunto igiene, alla fine era dovuto scendere a patti con se stesso e, per quanto riguardava il suo occhio "bionico" evitava accuratamente di inserire la modalità infrarossi, o microscopio, quando non si trattava strettamente di lavoro, o avrebbe finito per perdere la ragione, scorgendo ogni singolo granello di polvero e sporco. Così preferiva ignorare, non vedere e non sapere, anche se gli ci voleva un'autodisciplina ferrea per poterlo fare senza dare di matto, ogni volta che era in posti sconosciuti.
Ad accoglierli c'era un uomo, vestito con un tradizionale kimono giapponese, molto alto con un sorriso affabile, occhi scuri a mandorla che spiccavano su un volto delicato e bianco come il latte: Mr. Dae Tanaka in persona.
«Benvenuti all'Other Hanok. Sono felice di avervi come miei ospiti» disse facendo il tradizionale inchino tipico di ambedue culture a cui apparteneva.
«Seguitemi, vi mostro la casa» fece loro cenno, e mentre camminavano cominciò a dar loro delle informazioni.
«Dunque gli hanok erano delle abitazioni tipiche della Corea risalente al XVI secolo, epoca della dinastia Joseon che governò la terra di mia madre per cinque secoli. Erano caratterizzati da un cortile centrale, ed erano progettati per essere in armonia con i flussi energetici della terra e i ritmi delle stagioni. Nulla era affidato al caso. Ho pensato di ricreare, per quanto possibile, questa corrispondenza in questo posto speciale che ho fatto arredare proprio da mia mamma, architetto e donna con grande buon gusto. Questo appartamento in qualche modo rimanda, sebbene in chiave moderna, a quel tipo di abitazione fondata sul concetto di armonia tra uomo e ambiente. Ovviamente è rigorosamente eco-friedly. Per garantire la continuità tra antico e contemporaneo, mia madre ha optato per un adattamento dello stile, sostituendo le caratteristiche porte decorate con ampie vetrate trasparenti, che danno sulla grande terrazza, che sostituisce il cortile centrale, in cui ho voluto un karesansui che voi conoscete come giardino Zen. Mi preme specificare che questo nome non è corretto e i giapponesi non lo chiamano mai così». Era affascinante come in lui convivessero, molto radicate queste due anime orientali così simili, ma anche così diverse.
Il giro della bellissima casa era quasi finito mancavano solo due stanze. 
«Prego, questa è la Tado Room» disse aprendo una tipica porta a separé che li introdusse in ambiente spartano quanto incantevole.
«Potremmo definirla "La stanza del tè". Anche questa rivista e corretta, ovviamente. Oltre al prezioso tatami e al tavolino basso in tek è stata inserita un'area lettura che ricorda gli usi della nobiltà della dinastia Joseon, che era solita radunarsi all'aria aperta per studiare, scrivere poesie e rilassarsi. Il materiale protagonista, come vedete è sempre il legno ma impreziosito da lavorazioni artigianali che ci riportano indietro nel tempo».
Era così pacato mentre mostrava l'ipnotica bellezza di quello spicchio d'oriente, che stava incantando tutti e anche Levi tutto sommato era piuttosto sorpreso. Quindi era una sala da té -per inciso la sua bevanda preferita - riservata unicamente a loro quattro e sembrava proprio di essere in Corea, neppure avessero avuto a disposizione il teletrasporto di Star Trek! Pensò piacevolmente colpito il capitano.
Hanji era senza parole, totalmente affascinata da quell'atmosfera che li avvolgeva. Grazie al suo occhio "bionico", che lei usava fregandosene della polvere, era in grado di apprezzare ogni infinitesimo dettaglio di quella meraviglia architettonica dall'arredamento di raro pregio. Con la mente vagava e sull'onda delle parole di Mr. Tanaka, già si trovava nell'epoca del Joseon, in cui i primi attriti tra Corea e Giappone erano già sorti, stupefatta da come, con così tanta dedizione, quell'uomo aveva invece ricreato una fusione tra le due culture creando quella magia nel cuore di Boston.
Nel frattempo li fece accomodare. 
Marie era molto felice e soddisfatta, si era già resa conto di avere fatto bene ad avere quell'idea ricordandosi del suo vecchio compagno. Erwin non aveva avuto dubbi sapeva quanto fosse attenta ed empatica, le aveva raccontato un sacco di cose su Hanji e Levi e lei evidentemente ne aveva fatto tesoro. Gli fu subito chiaro che il bersaglio che voleva colpire fosse il più ostico tra i due, ovvero Levi e capì che probabilmente lo stava centrando in pieno, ma non poteva sapere che non era finita lì tutta la sorpresa della serata.
Nel frattempo sopraggiunse la madre di Tanaka, vestita con il tradizionale costume coreano, l'hambock. Era una donna bellissima dall'età indefinibile, che li accolse con un tenue e dolce sorriso e li fece accomodare tutti e quattro sul tatami.
Cominciò la cerimonia del tè, facendo scivolare con grazia l'acqua calda per riscaldare le tazze da un recipiente  attraverso un cilindro di bambù. Poi preparò l'infuso mettendo del tè nella teiera e versandovi sopra acqua calda, ma da un altro recipiente adibito solo a quell'uso. Mentre aspettavano che la bevanda fosse pronta, la donna dalla voce gentile e delicata, tanto da ricordare a Levi l'ASMR, cominciò a spiegare loro il rito del tè.
«Sappiate che non siete qui per caso. Chi giunge a noi ha di sicuro un animo nobile, guerriero, ma anche empatico e gentile. Durante questa cerimonia spesso molti cuori si aprono e si illuminano quindi potreste avere delle rivelazioni interiori. Questa tradizione che ci viene tramandata nei secoli dai nostri avi presuppone che il silenzio, durante l'infusione, sia un momento meditativo di concentrazione spirituale e che sia sacro. Infatti antichi resoconti storici, narrano di cruenti scontri fra guerrieri, che a un certo punto del combattimento interrompevano il duello, deponevano le spade e si sedevano l'uno di fronte all'altro per la cerimonia del tè. In quell'intervallo di tempo ogni odio e ogni disturbo esterno doveva essere dimenticato e la mente doveva concentrarsi solo sulle azioni di questa cerimonia e sul silenzio interiore, per rigenerare lo spirito del combattente e dare pace alla sua anima. Terminata la cerimonia, si inchinavano l'un l'altro e poi  riprendevano lo scontro.
Per rispettare questo principio intrinseco, riportandolo però ai giorni nostri, gli ospiti che partecipano a questo evento di solito sono persone che colgono questa occasione per regalarsi un momento molto intimo, per rinsaldare un'intesa solida e profonda. Potete ben capire che è una cosa del tutto diversa dalle abitudini occidentali in cui sorbendo il tè, si chiacchiera del più e del meno.
Noi, rispettando questi principi, lo abbiamo trasformato in un momento in cui persone che hanno un legame speciale condividono un'esperienza diversa e intima, in armonia tra di loro e ciò che li circonda».
Poco dopo, appena conclusasi l'infusione, cominciarono a gustare la bevanda calda a base di tè bianco(1) . Scelto dalla signora appositamente per loro.
Prima della seconda tazza di tè vennero loro offerti dei dolci  tipici sia coreani che giapponesi per accompagnare il resto della degustazione, che si sarebbe conclusa con la terza tazza di tè. 
Fu un  momento molto piacevole e in certo senso anche rilassante.
Erano tutti a loro agio e per Levi era una cosa davvero inusuale.
«Ho un'affezione particolare per il tè e devo dire che ho gradito molto questo interludio orientaleggiante, senza contare che adoro il tè bianco» ammise Levi fissando Marie.
«Beh allora siamo stati fortunati perché è stato scelto da madame Yeona, la madre di Tanaka, appositamente per noi» confessò soddisfatta Marie.
«Caro Erwin direi che questa volta hai trovato la scarpa giusta per il tuo piede» ammiccò Hanji rilassata.
«Già direi proprio che se te la fai scapare sei proprio una fava(2)!» rincarò Levi con il suo modo di fare diversamente ricercato.
«Non fare caso a lui, il turpiloquio è la sua massima espressione di approvazione» spiegò serafica Hanji assaporando l'ennesimo gustoso dolcetto.
Erwin rise e si rivolse a Marie: «Vedi? sono esattamente come te li avevo descritti».
«Se avete voglia possiamo anche fermarci a cena, ma prima dobbiamo visitare l'ultima stanza» aggiunse sorniona Marie.
«Molto volentieri!» trillò Hanji eccitata, quel posto le piaceva un sacco.
Levi annuì concordando, tutto sommato quella serata si stava davvero dimostrando piacevole anche per un misantropo come lui.
Furono nuovamente raggiunti da Mr.Tanaka.
«Se avete finito, prima di accompagnarvi sul terrazzo, nel nostro karesansui, dove stanno apparecchiando per voi, avrei l'immenso piacere di  farvi visitare la mia Buki-shitsu, in pratica l'armeria, dove custodisco gelosamente la mia collezione privata di armi antiche».
«È un privilegio riservato a pochi, perché Dae non è solito mostrarla a chiunque» spiegò solerte e molto compiaciuta  Marie.
Tanaka sorrise e annuì dandole ragione. «So che tra voi c'è un fine cultore di armi da taglio e non potevo non gioire con lui della bellezza di un'autentica e rara katana appartenuta niente meno che al grande Hattori Hanzō(3)».
Levi sussultò e strabuzzò gli occhi.
Erwin rise molto divertito.
Hanji, premurosamente, si avvicinò al suo uomo e gli strinse la mano perché non avesse un mancamento.
Marie salì diretta al settimo cielo: bingo! Aveva fatto centro.
Passarono circa un'ora in quell'armeria dove Levi sembrava nel suo Eden personale, totalmente ammaliato da tanta letale magnificenza e dove si gustò ogni particolare di quelle antiche armi appartenute a famosi e indomiti samurai.
Erwin seguiva anch'egli molto affascinato e colpito da quella collezione così rara e preziosa.
Hanji e Marie pur apprezzando infinitamente tutta quella antica bellezza, colsero anche l'occasione per fare due chiacchiere rimanendo appena qualche passo indietro ai due uomini che comunque rapiti, da quelle armi di antica foggia, non le avrebbero comunque calcolate.
«Sono davvero felice che vi siate ritrovati tu ed Erwin. Non sapevo quasi nulla di te, ma mi è sempre stato chiaro che lui ti ha costantemente portata con sé. Sai non è uno che parla molto, né fa capire ciò che sente, ma io ho un'empatia particolare con gli zittoni e gli introversi, ne ho sposato uno, che sembra che si sbottoni senza filtri, ma in fatto di sentimenti è speculare ad Erwin. Perché anche se sono molto diversi, per certe cose sono davvero simili. Ho capito da tempo che si sentiva incompleto, ora invece lo vedo con una luce nuova negli occhi» confessò la caposquadra all'altra donna.
«Per me è stato più o meno la stessa cosa. Ho sofferto molto quando ci siamo lasciati, ma la vita trova sempre il modo di sorprenderti. Ancora siamo cauti e in fase di rodaggio, ma non posso nasconderti quanto io sia felice che sia tornato da me. Un regalo prezioso e inaspettato che non ho intenzione di sciupare per nessuna ragione al mondo».
La serata continuò con una cena di due portate: sushi, di parte giapponese e Bulgogi di parte coreana, annaffiati da Somaek (Soju e birra miscelati) e te macha per i più pavidi.
Mentre finivano di gustarsi la cena, in attesa dei dessert, anche quelli una gustosa miscellanea tra prodotti tipici giapponesi e coreani, da tutt'altra parte, nel quartier generale della CIA era stata convocata d'urgenza una riunione a tre tra Pixis,  Zachary è il  referente diretto del presidente in persona.
«Dopo questa novità inaspettata dovete convocare tutti  gli agenti e subito. Dobbiamo comunicargli che cosa è stato deciso del loro futuro. Prima accetteranno la loro nuova condizione e prima il progetto sarà avviato. Il tempo in certi casi è assai prezioso, quindi, forza, muovetevi!».



I monologhi dell’autrice

Un caro e sudato saluto a chiunque stia leggendo!
Sappiate che le note sono mooooooooolto lunghe, siete avvitati!
Note:
1) Il tè bianco viene così chiamato perché ottenuto selezionando unicamente i germogli di tè ricoperti di una peluria bianco-argento. Viene prodotto facendo appassire all'aria le foglie di tè dopo la raccolta. È parzialmente ossidato (l'ossidazione è una reazione chimica che avviene spontaneamente nelle foglie di tè). Per le sue peculiari caratteristiche nutrizionali, il tè bianco è considerato il più pregiato dei tè. In particolare risulta ricco di polifenoli, sostanze antiossidanti che esercitano sull'organismo dell'uomo diverse azioni benefiche e protettive: queste sono infatti in grado di ridurre i danni a carico delle cellule, con effetti antietà e antitumorali. Apportano inoltre benefici al sistema cardiovascolare in quanto prevengono l'ipertensione, l'aterosclerosi e altre patologie a carico del sistema cardiovascolare. I polifenoli del tè bianco agirebbero positivamente anche sul cervello, proteggendolo dall'invecchiamento e dalla demenza; sulla pelle, mantenendola giovane più a lungo e su denti e ossa, rinforzandoli. Diversi studi ascrivono inoltre a questo tipo di tè proprietà antibatteriche e anti-stress. (fonte: https://www.humanitas-care.it/)
2) parolaccia in dialetto toscano che letteralmente significa: membro maschile, ma che viene anche usata con l'accezione di testa di cazzo (miii paio la Treccani, ahahaha!)
3) Hattori Hanzō (Mikawa, 1541 – 23 dicembre 1596) è stato un samurai giapponese del periodo Sengoku. Conosciuto anche come Hattori Masanari o Hattori Masashige, salvò la vita di Tokugawa Ieyasu ed ebbe un ruolo chiave nella sua salita al potere e nell'unificazione del Giappone.
Un personaggio omonimo di Hattori Hanzō è stato usato nel 2003 da Quentin Tarantino in Kill Bill vol. 1; nel film, Hanzō è un maestro samurai e un abilissimo forgiatore di spade. (fonte wikipedia)

Le informazioni su usi e costumi della Corea sono state reperite su:
www.corea.it

Come potete intuire sono una cultrice delle culture asiatiche, più di quella coreana che di quella giapponese in realtà, anche se a loro modo mi affascinano entrambe.
Avrete anche potuto notare che (chi mi legge da tempo già lo sa) non metto mai nulla a casaccio (vedi Claptone) e ci tengo a specificate (anche se è un mio personale piacere) che amo molto documentarmi e curare nei dettagli ciò che scrivo. Spero dunque di non avervi annoiati con la serata Corea-giappo in quel di Boston, ma mi piaceva regalare a queste due coppie un'esperienza diversa dalle solite cene e/o aperitivi vari.
Inoltre...
EVVIVA! tanto tuonò che piovve! Jean e Mikasa hanno quagliato! Spero di essere stata all'altezza delle vostre aspettative (se mai ne avete avute)
Detto questo (finalmente) mi congedo. Ci tenevo a postare questo capitolo nei tempi semi-promessi, ma sappiate che il prossimo è letteralmente da scrivere di sana pianta, quindi suppongo (e spero di cuore) di scriverlo quanto prima, ma non ho idea di quando potrò postarlo, sicuramente entro la fine di agosto e probabilmente non sarà l'ultimo, perché in questo ho scritto la metà di ciò che mi ero riproposta, ma non volevo fare un capitolo di 20 pagine, quindi ci saranno almeno altri 2 capitoli se non addirittura 3 alla fine.
Ora basta, mi fermo davvero!
Vi auguro buone cose e ringraziando di cuore come sempre chi mi legge, mi commenta,  mi mette tra preferiti, ricordati e seguiti, ci sentiamo entro la fine del prossimo mese! 

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Capitolo 36
*** The day after ***









L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission-almost-Impossible





36
The day after



Mikasa fu svegliata da un allegro fischiettare che a occhio e croce doveva venire dalla cucina. Dopo essersi stiracchiata pigramente aveva avvertito un piacevole profumo dal sentore dolciastro solleticarle le narici. Girandosi sul letto sfatto aveva notato il cuscino accanto a lei dove aveva poggiato la testa Jean. Inevitabilmente aveva ripensato a cosa era accaduto tra loro arrossendo compiaciuta. Subito però i morsi dell'insicurezza le avevano attanagliato lo stomaco. Era la stessa alcova dove aveva portato anche quella Megan e quanto contava per lui? Davvero dovevano andare a convivere? Aveva fatto bene a lanciarsi andare così spudoratamente abbattendo tutti i muri, che con il tempo aveva tirato su per difendersi?
Era inutile pensarci ormai era fatta, così lo raggiunse in cucina dove lo colse in mutande (tanto per cambiare), che stava preparando la colazione a base di pancake e caffè.
Ebbe un tuffo al cuore.
Jean intento nei preparativi non si era accorto di lei e Mikasa si soffermò a guardarlo. Ora poteva gustarselo e concedersi di ammettere che le piaceva proprio tanto, non solo esteticamente, ma anche come si muoveva, come era serio con lo sguardo impegnato mentre le preparava la colazione nonostante fischiettasse ossessivamente quel motivetto già da qualche minuto. Era sempre così attento nei suoi confronti e lo apprezzava tantissimo.
Aveva apparecchiato con cura anche se aveva le tazze spaiate e i piatti da seconda portata piuttosto che da dessert. Aveva voglia di abbracciarlo ma
proprio in quel momento lui alzò lo sguardo e la vide lì, in piedi, con i capelli spettinati e la sua maglietta indosso che lo fissava.
Deglutì ancora incredulo che la ragazza dei suoi sogni fosse realmente nella sua cucina, bella come un'alba d'estate; poteva quasi sentire il profumo della sua pelle e prima che il suo corpo reagisse in maniera inappropriata si impose di pensare ad altro evitando di soffermarsi sulle sue morbide forme che si intravedevano dalla maglietta, non voleva che lei credesse che era uno che pensava solo a quello, anche se onestamente, dopo aver aspettato così tanto ora non avrebbe fatto altro per le prossime ore e forse giorni.
«Buongiorno!» le disse scacciando con prepotenza il ricordo di loro due avvinghiati nel letto e invitandola a sedersi. Nonostante tutto era agitato. Temeva che potesse tirarsi indietro, che per lei potesse essere stato un fuoco di paglia o peggio un errore di cui pentirsi e poi c'era la "questione Megan". Le sorrise prendendo a calci quei pensieri che lo deconcentravano.
«Porca puttana!» gli scappò infatti dalla bocca togliendo i pancake dalla padella. Grazie alle sue pippe mentali si erano leggermente bruciacchiati, si maledisse per essersi distratto.
«Ti sei fatto male?» saltò su lei correndo in suo aiuto.
«No ho solo un po' rovinato i pancake» disse mortificato sistemandoli sul piatto di portata.
«Non importa li grattiamo con un coltello» disse Mikasa abbracciandolo da dietro e stampandogli un bacio su una scapola, lui rabbrividì appena e si girò impedendole di dare fuoco ad una miccia che non avrebbe saputo spegnere.
Si sedettero a tavola e Mikasa con certosina pazienza raschiò via il sottile strato di bruciatura dal suo pancake.
«Mi sono arrangiato con quello che avevo in casa. Ti chiedo scusa per la colazione di fortuna, non ho neppure lo sciroppo d'acero...» le disse mentre la guardava spalmare la marmellata di more che per fortuna aveva comprato qualche giorno prima.
«Sei stato carinissimo a prepararla ed è tutto perfetto, tranquillo». Lo pensava davvero, quella sorta di normalità le piaceva un sacco, come se stesero insieme da tempo. Addentò quella specie di frittella e se la gustò facendola sciogliere in bocca mugolando appena.
Lui con i gomiti poggiati sul tavolo, il viso tra le mani e la colazione intatta la guardava incantato. Dio se era bella, anche spettinata, con gli occhi abbottonati e la bocca piena sembrava comunque una dea.
«Che c'è?» gli chiese lei sorridendo dopo aver deglutito.
«Sei uno spettacolo» le sfuggì sinceramente dalla bocca.
«Anche tu. Dentro e fuori» gli rispose di getto.
«Mikasa ti devo delle spiegazioni su Megan» si decise a dirle senza indugiare oltre. Non poteva rimandare ancora la questione.
«Jean noi due non stavamo insieme, non sono necessarie» mentì lei mentre il suo cuore aveva cominciato a battere all'impazzata per la preoccupazione di ciò che poteva dirle.
«Lo sono per me» puntualizzò lui molto grave.
«Ero convinto che tu fossi tornata con Eren. Vedervi insieme è stato un colpo da cui temevo di non riprendermi e lei, di contro, mi stava dietro da un bel po'. Ho provato a fare chiodo schiaccia chiodo, ma ho solo ferito te e anche lei, che non c'entra nulla. Ieri sera quando ti ho vista con Galliard mi sono davvero ingelosito e ho fatto lo stupido solo per ripicca, Connie dice che sono un coglione e io concordo. Inoltre sappi che quella sera della doccia non c'era stato ancora niente tra noi e se solo avessi immaginato che eri lì sarei volato immediatamente da te. Mikasa lo sai sono anni che sono perso per te e spero di non aver rovinato tutto con la mia dannata impulsività» concluse a precipizio. Voleva dire così tante cose ma aveva la gola secca e la lingua quasi annodata. Era così difficile dirle ciò che sentiva, c'era ancora tanta paura e incertezza.
La ragazza sospirò e si impose di guardarlo negli occhi. Per lei forse era ancora più difficile esprimere i suoi sentimenti.
«Parlando di coglioni, io ne sono la regina» ammise ridacchiando nervosamente «è da così tanto tempo che sono consapevole che tu mi piaci, ma l'ho sempre rifiutato con forza e ora credo di avere capito perché. Tu sei così diretto, sincero, un po' spaccone, ma anche così affidabile, presente, dolce e premuroso. Non mi è mai mancato il tuo appoggio, neanche in battaglia, neppure quando mi accompagnavi ogni giorno da Eren, nonostante ti facesse male, non credere che non lo sapessi. Non sono mai stata abituata a qualcuno che si prendesse cura di me, o che mi mettesse in alto tra le sue priorità e non parlo solo di ragazzi» lo fissò intensamente «respingevo l'idea di te e me perché avevo il terrore che tu potessi rivelarti un bluff, che prima o poi mi avresti delusa, ma quando ho capito che avrei potuto perderti per sempre mi sono resa conto di quanto fossi davvero coinvolta e che tu eri quello giusto, quello che ho sempre cercato. Credo di aver abbattuto il più mio grande tabù e spero che tu capisca quanto tengo a te, dato che sono venuta a prenderti» sputò fuori quasi senza fiato. Alla fne era stato meno difficile del previsto.
«Non sai quanto sia felice di sentire queste parole, mi sembra un sogno a dirti il vero. Non mi è mai pesato fare nulla perché potevo stare con te ed era la cosa che più desideravo, anche solo come amico» le confessò rinfrancato, poi si riprese perché aveva tralasciato un importante particolare.
«Mikasa io e Megan non abbiamo mai deciso di andare a convivere, a dire il vero io stavo meditando di lasciarla, tanto c'eri sempre tu tra di noi. Era una sua fissa, forse perché aveva capito che le stavo sfuggendo. Lo ha detto quando si è resa conto che le sue paure erano reali, solo per allontanarti. Se fosse vero non potresti essere qui con me questa mattina e anche domani, o dopo domani se vorrai trattenerti. Puoi stare quanto vuoi e andare e venire come ti pare, non ho segreti e non ne voglio avere con te».
Quelle parole le scaldarono il cuore dandole un po' di quella sicurezza di cui aveva tanto bisogno.
«Jean non importa, quello è il passato e io voglio solo pensare al futuro. E ora ti prego mangia, sono deliziosi» gli disse infilandoli un pezzo di pancake in bocca con la sua forchetta.
«Non male per essere la mia prima volta» ammise il ragazzo masticando con orgoglio e gusto.
«Davvero?» gli chiese lei stupita.
«Sì! Ho cercato la ricetta su google. In realtà volevo fare delle crepes, ma mi sono usciti fuori questi, anche perché quelle mi sono attaccate per tre volte di fila!» ammise facendogli l'occhiolino.
«Ma dai?» era sempre più stupita.
«Non ti entusiasmare non ho l'animo del cuoco e manco mi frega nulla di imparare a cucinare, ma ero così felice e volevo fare qualcosa di carino per te, qualcosa che non avevo mai fatto prima per nessuna...».
Mikasa si sciolse letteralmente, era davvero adorabile il suo Jean.
Si alzò e d'istinto andò a sedersi sulle sue gambe, quindi gli prese il viso tra le mani e lo baciò con passione. Lui le afferrò le natiche facendola aderire al suo corpo che inevitabilmente aveva reagito a quell'attacco improvviso quanto gradito. La miccia si accese nuovamente e quel fuoco, in realtà mai sopito, divampò di nuovo con inarrestabile prepotenza, facendo inevitabilmente freddare la colazione.
Se quello era l'inizio del loro futuro, allora prometteva molto bene!



*


Alcune ore prima al DJ set

«Ti confesso che avevo sperato che fossi stato tu ad organizzare tutto questo» disse insolitamente sincera Annie ad Armin. Li avevano lasciati in disparte cambiando strategicamente tavolo non appena si era palesato Connie, che aveva detto loro di essere in ritardo. La scusa reggeva visto il soggetto, quello che non capivano è perché fosse con quella Megan, ma non fecero domande in merito.
«Non è facile indovinare i tuoi desideri Annie» le rispose Armin serio.
«Non lo è neppure per me» ammise la ragazza amara.
«Quindi che ti aspetti adesso? Che vuoi veramente?».
Te.
Ma quelle dannate parole non le volevano uscirle dalla bocca.
«La verità è che sento di non meritarti» ammise.
«Che stronzata!» sbottò Armin frustrato.
«Tu e Mikasa mi sembrate sorelle separate alla nascita anche tu come lei te la fai sotto e allora è meglio non provarci neppure a stare con qualcuno, vero?» le disse severo e accigliato.
Annie rimase colpita non era mai stato così diretto con lei, ma aveva ragione la sua era solo codardia.
«Sono una frana nei rapporti umani lo ammetto» disse sincera.
«Potresti provare a migliorare, se solo lo volessi».
Annie si lisciò una ciocca di capelli dopo averla tormentata e si scolò il suo drink.
«Mi accompagni a casa?» esordì spiazzandolo.
«Sì... certo» ripose il ragazzo sbattendo le palpebre incredulo.
Quella ragazza lo faceva impazzire, non era mai scontata, meglio cogliere al volo l'occasione e non fiatò oltre seguendola.


«Quindi tu sei il miglior amico di Jean?» stava chiedendo Megan a Connie, che come promesso si stava occupando di lei.
«Sì, ed è per questo che ti ha affidata a me. Aveva una cosa urgente da sbrigare, di lavoro credo» le rispose sorridendo. Non era poi così male tenere il gioco al suo compagno.
«Lavoro, come no? Immagino che sia con quella sua collega bruna dall'aria orientaleggiante, non hanno fatto che guardarsi per tutta la sera e poi quella penosa scena in pista e tutta questa sceneggiata solo per correrle dietro...» commentò la ragazza un po' acidula.
«E va bene è inutile menartela, probabilmente in questo momento è proprio con Mikasa. Rassegnati, con lei non potrai mai farcela ne è innamorato perso fin dalla prima volta che l'ha vista»
«Grazie, che carino, sei molto d'aiuto» sbottò sarcastica.
«Che vuoi farci sono sincero e le patate bollenti capitano tutte a me, ma credimi sei davvero una bella ragazza, non ti manca nulla, non faticherai a scordarti di lui, mica stavate insieme da un secolo! E guarda che se non fossi l'amico sfigato di Jean ci avrei già provato con te, anche se capisco di non reggere il confronto» le confidò sornione.
«Tu non reggi il confronto con lui, io non reggo il confronto con lei, siamo proprio ben assortiti, senti che ne dici di farmi compagnia in pista? Ho voglia di scatenarmi per smaltire la rabbia e poi la serata va avanti e dovremmo farlo anche noi due, siamo ad una festa no? Almeno proviamo a divertirci!».
«Non chiedo di meglio, sei pratica e questo mi piace molto».

«Non ci posso credere! Quel marpione di Connie ci sta provando con la molto probabile ex di Jean» commentò quasi scandalizzata Sasha.
«Beh che ti importa scusa?» le chiese Niccolò.
«Niente, ma non si fa! C'è un codice non scritto tra amici, queste cose sono vietate».
«Non credo che a Jean importi un fico secco di Connie e quella».
«Uh guardate anche Annie ed Armin se ne stanno andando via insieme!» li interruppe Piek.
«Perché ti emozioni tanto?» chiese un po' caustica Gabi.
«Beh li considero ormai dei compagni se stanno bene io sono contenta, mi spieghi perché stai sempre sulla difensiva?».
«Non voglio giustificarla ma è molto preoccupata per me, per l'inibitore. Si è messa in testa, dopo un incubo di qualche sera fa, che mi darà problemi» spiegò Falco protettivo mettendosi in mezzo alle due ragazze.
«Non avertela a male Gabi ma per me sei un po'stronza di natura, detto ciò ti si vuol bene lo stesso!» la canzonò Galliard per stemperare la faccenda.
Gabi arrossì come colta in fallo. Era vero che fosse sempre un po' pungente, ma come spesso accade era soprattutto una forma di autoprotezione, anche per via di ciò che aveva vissuto in quell'isola e poi si sentiva in colpa per Falco che aveva messo a repentaglio la vita per amor suo, per questo era sempre poco serena.
Sasha appoggiò la testa sulla spalla di Niccolò e lui si girò a guardarla.
«Che c'è?» le chiese piano.
«Ho sonno...» gli rispose con un lampo di malizia negli occhi che lo fece sorridere.
«Allora andiamo a letto!» commentò il ragazzo alzandosi e contraccambiando quello sguardo carico di promesse.
«Andiamo anche noi? Che dici?» chiese Falco a Gabi e lei gli annuì grata. Dopo quel piccolo battibecco non si sentiva più a suo agio, quindi tutti e quattro piantarono Galliar e Piek da soli al tavolo e si allontanarono ognuno per la sua strada.
«Ma cos'è? Tromba libera tutti(1) stasera?» disse Galliard «Jean che rincorre Mikasa e se l'ha presa sarà rumba di sicuro... Connie che si sta dando da fare a più non posso per andare a meta con la tipa abbandonata, Armin ed Annie che hanno dato inizio alla fuitina e questi quattro spudorati senza ritegno ci hanno appena sbattuto in faccia che se ne vanno a casa a fare del bene!»
«Beh? E allora?» gli chiese la ragazza.
«E allora noi si fa nulla?» gli chiese allusivo con quella sua aria impertinente che piaceva tanto alle ragazze.
Piek scoppiò in una fragorosa risata «Ma sei scemo? Per me sarebbe come andare a letto con mio fratello» gli rispose facendo una boccaccia disgustata.
Già lei lo vedeva così, questo lo sapeva da tempo ma per qualche stupida ragione continuava a trovarla la ragazza più interessante e più piacevole che avesse mai incontrato. Era così accattivante Piek, così tranquilla, ma anche così dannatamente e inconsapevolmente sensuale che era difficile non cascare nella sua rete.
«Ma sì scherzavo! Lo so che sbavi dietro mio fratello!» la canzonò.
«Sempre con questa storia? Dai Galliard eravamo alle medie, ancora non hai superato la cosa?» gli rispose infastidita.
Lui rise.
«Lo sai come funziona no? Ho un debole per te perché non mi vuoi»
«Sei scontato»
«Non ho mai detto il contrario» ammise.
«Senti questa conversazione sta prendendo una brutta piega, perché piuttosto non vai a prendere qualcosa di forte per tutti e due?»
«Subito signora!» scattò lui sull'attenti.
«Che scemo!» ridacchiò la ragazza.
Gli voleva davvero bene come ad un fratello e sapeva che quella stupida cotta che diceva di avere per lei era una sorta di picca per via di Marcel.
Sospirò forte perché Galliard, forse senza neanche saperlo, aveva davvero centrato il bersaglio. Era davvero innamorata di Marcel e da tanto tempo, solo che Marcel vedeva Piek, come lei vedeva Galliard, che fregatura! Tutti e tre legati da una grande amicizia e da sentimenti non ricambiati.
Era inutile pensarci e forse l'acool avrebbe aiutato entrambi a chiudere la serata in allegria non pensando a cose che facevano solo soffrire.



*


«È da questa mattina che sei strano, che c'è?» chiese Hanji osservando Levi che pareva assente, crucciato e perso in chissà quali pensieri.
«Dicevi?» le chiese sobbalzando come se fosse appena tornato alla realtà.
«Ma che ti prende? Dopo l'uscita di ieri con Erwin e Marie sembri un altro! Senza contare il fatto che questa mattina sei sparito all'alba per tornare a casa con un muso lungo così» gli chiese la donna perplessa.
Lui sospirò forte.
A quel punto Hanji s'incuriosì, uno come lui che non rispondeva e sospirava era grave.
«Levi che cappero succede?».
Lui abbassò lo sguardo e sommessamente sospirò di nuovo e più forte di prima «Non potrò mantenere la mia promessa» sputò infine come se avesse dovuto togliersi le parole di bocca con le tenaglie.
«Eh? Che promessa, di che parli?» non capiva.
«Merda! Odio mancare alla parola data e mi prenderei a calci da solo se potessi!» abbaiò lui frustrato.
«Levi tu non stai bene, ma che stai dicendo?» non riusciva proprio a comprendere quel modo di fare che non era da lui.
«Hanji so già che tu mi perdonerai, ma mi conosci bene e sai che non sono il tipo da mettere in piazza i propri sentimenti e a dirla tutta neppure tu lo sei»
«Se ti spieghi meglio forse capisco» lo interruppe lei confusa sul serio.
«Il fatto è questo: dopo ieri sera, soprattutto grazie all'esperienza che abbiamo vissuto ho avuto modo di rifletterci sopra e di prendere una decisione drastica» enunciò serio ma continuando a restare sul vago.
«Ma cosa è che non puoi fare? Non capisco di cosa stai parlando!» ora stava quasi cominciando a preoccuparsi, ma di che blaterava?
«Non mi inginocchierò in un posto pubblico chiedendoti di sposarmi davanti ad estranei e a tutti i nostri compagni facendo la figura del cazzone e facendola fare anche a te. Ho fatto male a promettertelo e non abbiamo bisogno di fare questa stronzata. Accidenti a me e a quando mi vengono certe idee! La colpa è colpa tua che mi fai perdere la ragione!».
Hanji si rilassò di botto e si impose di non ridere era così teneramente frustrato.
«Tutto qui? Ma chi se ne frega! Mi hai fatta star male per nulla, sarai scemo?» poi aggiunse «Se proprio lo vuoi sapere non mi è mai fregato una cippa manco di convalidare il matrimonio, figurati della proposta. La trovo una cosa davvero patetica».
A quelle parole Levi aveva messo su un bel muso lungo e le sopracciglia gli si erano così corrugate che parevano quasi toccarsi tra loro.
«Ora non esageriamo» brontolò.
Hanji lo scrutò di sottecchi «Mi spieghi cosa sta tramando questa testolina?» gli chiese puntandogli l'indice sulla fronte.
«Oh insomma basta non mi riescono proprio queste manfrine di merda. Mi vuoi risposare sì o no?» le rovesciò addosso.
«Ma è una proposta?» gli chiese lei a sua volta un po' stupita.
«Sì cazzo! E non si risponde ad una domanda con una domanda, allora? Sì o no?». Perché diamine non gli aveva detto subito di sì, si chiese con una lieve punta d'angoscia.
«Se è una proposta, che tra l'altro hai appena detto di non volermi fare, allora è necessario che tu la faccia con tutti crismi del caso e dovresti inginocchiarti sul serio».
«Non ho detto che non volevo fartela. Ho detto che non l'avrei fatta in pubblico!» puntualizzò un po' stizzito.
«Ma a me piacerebbe vederti inginocchiato». A questo punto si stava divertendo un sacco, gliela stava facendo un po' pagare per l'ansia di poco prima.
«E tu hai detto che non ti importava una cippa della proposta e neppure di rendere valido il matrimonio e ora vuoi che mi inginocchi?»
«La donna è mobile, qual piuma al vento» intonò lei ridacchiando.
«Non ho l'anello» sentenziò serio.
«Ah! E che proposta sarebbe senza brillocco?» rispose lei fingendosi scandalizza e adirata.
«Perché ti paio un tipo da anello?»
«No, ma francamente una proposta senza quello non vale neppure l'inginocchiamento. Sono delusa» continuò compenetrata nella farsa.
Lui che ormai aveva mangiato la foglia e si era finalmente tranquillizzato le confesso: «Avrei dovuto avere di meglio da donarti che uno stupido pezzo di carbonio, ma non è arrivato in tempo...»
«Cosa è?» gli chiese curiosa da morire.
«Il mio fottuto regalo di nozze, una copia autentica scritta in latino antico di
Liber Abbaci(2), di quel Fibonacci da cui sei ossessionata».
«Oh... MIO... DIOOOOO!!!!» urlò lei quasi impazzita di gioia poi si coprì la bocca con le mani e lo fissò gli occhi lucidi. Non ci poteva credere quell'uomo era la meraviglia delle meraviglie, solo lui poteva arrivare a tanto per farla felice.
«Santo cielo Levi ti sarà costato una fortuna» disse appena si riprese dallo choc.
«Un po' più del carbonio in effetti, ma desideravo qualcosa di speciale per la donna che amo e che voglio sposare di nuovo» puntualizzò polemico.
Lei con il cuore in tumulto corse ad abbracciarlo e lo baciò d'impeto.
«Tu sei molto più di quanto abbia mai desiderato!»
«E tu mi fatto cacare sotto lo sai vero?» le rispose a fior di labbra.
«Sono stata un po' cattivella perché all'inizio non capivo davvero cosa avessi, poi lo ammetto, mi sono divertita molto a metterti in difficoltà, sei così carino quando esci dalla tua rude confort zone»
«Sei un'adorabile stronza!».
Hanji avvicinò le labbra al suo orecchio e sussurrò piano «Sai che anche io avrei in arrivo un regalino per te? È stato pensato senza uno scopo particolare, solo per farti contento, ma a questo punto diventerà il mio regalo di nozze per il mio marito alla seconda»
«Sì, ma le leva quella bocca dal mio orecchio o perderò quel poco di controllo che mi rimane» le rispose roco mordicchiandole il collo.
«E sarebbe un male?» gli chiese lei ignorando la sua richiesta e continuando a tormentarlo con sussurri mirati.
Lui mugugnò qualcosa di indecifrabile sulla sua pelle e Hanji continuò imperterrita la sua tortura «Da quando ci siamo operati non abbiamo più fatto l'amore...» commentò di colpo.
Levi s'irrigidì subito e la scostò da sé «Scusa, ma io non posso, ho paura che nella concitazione possa perdere il controllo delle lame e ferirti» le confidò serio gettando acqua fredda sui loro bollenti spiriti.
Ma Hanji era una donna dall'intelligenza vivace e pratica, ci voleva ben altro per smontarla «Sì può rimediare facilmente» gli disse subito con un lampo malandrino che le illuminò lo sguardo.
«Che hai in testa donna?» le chiese lui aggrottando la fronte.
«Una cosina che credo alla fine ti piacerà e parecchio» ammiccò Hanji dirigendosi verso la loro camera e invitandolo a seguirla.

«Dì la verità, lo sognavi da tempo eh? Per questo le hai sempre a portata di cassetto da camera» commentò Levi sornione una volta che lei aveva trovato l'audace soluzione.
Gli aveva infatti ammanettato la mano con le dita alla Wolwerine alla testieria del letto, così se fossero inavvertitamente scattate le lame al massimo avrebbero sciupato il muro. L'altra ere invece rimasta libera di esplorare il suo corpo e mentre lui era disteso era lei che molto soddisfatta conduceva il gioco.
«Sì lo ammetto e credo di avere una
mistress(3) sopita dentro di me che non vedeva l'ora di uscire allo scoperto!» rise di gusto.
Ben presto quella risata morì sulle loro bocche che si fusero in un morbido duello a fior di lingua, mentre a parlare rimasero i loro corpi languidamente uniti.

Per dovere di cronaca il loro matrimonio fu celebrato in forma strettamente privata pochi giorni dopo, in presenza dei soli testimoni: Erwin e Marie, tra l'altro gli unici che furono messi a conoscenza della cosa.
Il regalo di Hanji arrivò magicamente lo stesso giorno in cui arrivò anche quello di Levi. Era la riproduzione fatta a mano, da artigiani giapponesi qualificati, della famosa spada di Hattori Hanzō.
Levi quando la vide rischiò quasi l'infarto, ma essendo ancora giovane e forte il suo cuore, per questa volta, resse il colpo.



*


«Quanto tempo ci vorrà prima che possiamo effettivamente convocare tutti?» chiese Zacklay.
«Ti ho fatto venire per questo. Sono appena stato informato che il progetto ha subito un radicale cambiamento. Per apportare le nuove modifiche i tempi si sono allungati in termini di mesi. Purtroppo non possiamo fare diversamente. Come ben sai la sicurezza nazionale e di riflesso mondiale, va avanti a tutto» precisò Pixis «il presidente non dovrà lamentarsi, né tanto meno preoccuparsi dobbiamo fare in modo che tutto sia perfetto fin nei minimi dettagli. Spero solo che nessuno crei problemi...» aggiunse Dot non senza un filo di preoccupazione.
«Beh se vogliono restare in vita non possono certo opporsi. Sappiamo bene cosa accade a chi non rispetta le regole e cerca di
disertare. Come agenti più che speciali sono preparati al fatto che la loro vita non è più la loro e che questa loro scelta ha un prezzo» commentò Zacklay cinico.
«Dimentichi però che non sono esattamente dei soggetti malleabili, facendo il lavoro che fanno sono a loro modo tutti molto tosti, speriamo bene, non ci resta che attendere fin quando tutti i nostri ragazzi, Onyankopn compreso, non saranno riuniti al quartier generale per la fatidica comunicazione. Ad ogni modo per ora beviamoci su!» concluse Pixis versando al vecchio collega un brandy.
«Ai nostri futuri successi e alla nuova era!» enunciò Dallis alzando il bicchiere.
L'altro annuì e scolò il suo liquore d'un fiato versandosene subito un atro bicchiere.



I monologhi dell’autrice
Ma ciao, come state?
Spero di cuore davvero tutto bene per voi ♥

Note: 1) Tromba libera tutti è un adattamento “toscanizzato” di bomba libera tutti o tana libera tutti che altro non è che il notissimo nascondino che credo conosciate tutti. Noi toscani si dice proprio bomba libera tutti e mi ci garbava un monte come battuta spero abbiate apprezzato anche voi.
PS spero sappiate che significa in toscano “trombare” se non lo sapete, beh diciamo che un
modo slang di dire “fare all'amore”. E devo ringraziare Fool che con il suo Levi livornese rent free nella sua testa, mi ha fatto venir voglia di toscanizzare i dialoghi anche a me!
2) Liber Abbaci noto anche come Liber abaci, scritto in latino medievale nel 1202 dal matematico pisano Leonardo Fibonacci è un ponderoso trattato di aritmetica e algebra con il quale, all'inizio del XIII secolo, Fibonacci ha introdotto in Europa il sistema numerico decimale indo-arabico e i principali metodi di calcolo ad esso relativi. Se vistate chiedendo se io sia una appassionata di matematica la risposta è: per carità, no! Ma Fibonacci con la sua famosissima “sequenza” mi ha sempre affascinata per questo ne ho voluto fare il pallino d Hanji.
3) Mistress sono abbastanza convinta che tutti sappiate che cosa sia, ma nel caso così non fosse, questa è una spiegazione tecnica: mistress o domina, donna che, nelle pratiche BDSM, interpreta un ruolo dominante. La sigla BDSM sta per Bondage and Discipline (schiavitù e disciplina); Dominance and Submission (dominanza e sottomissione); Sadism and Masochism (sadismo e masochismo). Consiste in un gioco di ruolo non solo sessuale, ma anche psicologico tra partecipanti/patners consenzienti.

Dopo un mese o quasi rieccomi qua e con buone notizie!
Nel frattempo ho scritto molto e posso dirvi che il prossimo capitolo arriverà abbastanza velocemente. Siamo all'ultimo giro di boa e la storia sta lì, lì, per finire, ma non aggiungo altro.
Come avrete notato alcune storie d'amore sono state più approfondite, altre meno, alcune solo accennate e altre ancora non sono proprio sbocciate, questa è una mia scelta narrativa perché sono tante, troppe a dire il vero e avevo paura di ripetermi e anche di allungare noiosamente la faccenda, oltre che di appiattirla, infatti non è che anche nella vita reale va tutto allo stesso modo per tutti, quindi così è anche  in questa finzione.
Sperando che da voi faccia meno caldo e che stiate godendovi ferie e riposo dato che mi sono già dilungata più del dovuto, vi saluto e vi abbraccio con affetto, lo stesso con cui dimostrate di seguire questa storia e che mi fa davvero tanto piacere.
Un grazie grande e speciale va a chi si è fermato a lasciare un commento che per me è un regalo sempre molto gradito

Ci vediamo presto, buon WE!

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Capitolo 37
*** L'isola che non c'è ***


L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission-almost-Impossible





37
L'isola che
non c'è


La piccola si era svegliata e aveva cominciato a strillare. Eren si diresse subito alla culla e la prese con delicatezza come a suo tempo gli aveva insegnato Krista. Tenendole una mano sotto la testa se l'appoggiò sul petto, poi andò in cucina e si mise ad armeggiare alla ben meglio per scaldare il latte artificiale, purtroppo Krista ne aveva poco e non bastava mai a sfamarla. La bimba era vorace e cresceva in fretta, quelle giunte erano indispensabili. Fin da subito aveva voluto imparare a nutrirla e cambiarla per dare una mano e contribuire attivamente alla sua crescita.
Come sua figlia venne a contatto con il calore del suo corpo non smise di piangere, ma prese a farlo in modo più sommesso, mugolando un po' tra un vagito e l'altro, mentre si era anche cacciata una manina in bocca ciucciandola con frenesia.
Eren era sempre molto affascinato da come un essere così piccolo fosse già in grado di capire che qualcuno si stava occupando delle sue esigenze.
Era fraglie ma risoluta. Ancora non si capiva bene a chi somigliasse ma era morbida e profumava di un vago sentore di vaniglia. Un piccolo prodigio che non smetteva ma di sorprenderlo, oltre ovviamente a togliergli il sonno.
Avere avuto quella figlia gli aveva cambiato la prospettiva sul mondo e sulle cose. Restava in lui ancora quell'aura di irrequietezza, e quel
mostriciattolo che spesso aveva governato la sua mente aveva lasciato degli echi fastidiosi, ma quella creatura era una cura benefica. Si sentiva responsabile per lei e rappresentava uno scopo significativo, questo gli dava una grande forza anche per affrontare i lati più spigolosi e scuri del suo carattere. E poi c'era Krista che sapeva come prenderlo, gli dava sicurezza e lo faceva sentire importante e utile. Era sempre presente, ma mai asfissiante. Ora era davvero certo di amarla e si era scoperto molto protettivo nei suoi confronti, forse anche troppo. Mentre stava dando il biberon alla piccola si rese conto che per certi versi era diventato come Mikasa era stata con lui ai tempi della loro relazione, e pensare che l'aveva tanto criticata per questo. Sorrise di quel buffo pensiero ma fu distratto da un click; Krista lo aveva appena immortalato con il cellulare.
«Ma basta, mi avrai fatto mille foto di questo genere» finse di brontolarla.
«Siete adorabili insieme e poi stavi sorridendo ho dovuto cogliere l'attimo».
«Non dire sciocchezze da quando stiamo assieme sorrido spesso e poi lei sì che è bella, non io. Non credi che abbiamo fatto un capolavoro?» disse guardandola orgoglioso e ancora incredulo.
«Certo lei è una meraviglia e taci, anche tu sei bellissimo!» gli rispose adorandolo con lo sguardo.
Quelle sue uscite così spontanee gli arrivavano dritte al cuore e lo scombussolavano, non era abituato a certe manifestazioni così dirette, ma forse era proprio questo che amava di lei, riusciva a rendendolo inerme e forte allo stesso tempo.
Sorrise appena imbarazzato, lei sì che era bella con quella pelle candida e i capelli che le danzavano sulle spalle. Il suo sguardo profondamente blu era così luminoso e si aggrappava ai suoi occhi incatenandoli. Riusciva a farlo sentire l'uomo più amato del mondo e questo gli piaceva.
Si riprese però subito da quei rosei pensieri, perché la realtà tra le sue braccia gli imponeva di essere concreto e avevano una bella gatta da pelare per le mani.
«Spero solo di essere un padre decente. Non sono del tutto certo delle nostre scelte, forse dovremmo ribellarci, ti confesso che ho molta paura» esordì serio tirando in ballo l'argomento scottante.
«A chi lo dici. Anche io non faccio che pensarci e vivo nel terrore e nell'angoscia di non essere all'altezza come madre, di essere superficiale, egoista e avventata, di avere fatto una scelta sbagliata, ma la nostra priorità è lei e la sua sicurezza, il nostro compito è cercare di darle un mondo migliore e una vita degna per quanto possiamo».
«Hai ragione e poi credo che non avessimo altre alternative. Purtroppo quello che hanno fatto i nostri padri ha portato con sé delle conseguenze indelebili e gravi che hanno seminato molto dolore, non ne siamo responsabili ovviamente, ma forse è nostro dovere cercare di riparare con i mezzi che abbiamo a disposizione. Esattamente come ci ha detto tuo zio».
«Per questo alla fine mi sono convita, perché per il suo futuro sono disposta a tutto» annuì Krista.
«È anche per questo hai dovuto a chiudere il tuo profilo Instagram vero?» era da tempo che glielo voleva chiedere. Poco dopo partorito era stata repentina nello sparire dai social.
«In parte sì ma non è il motivo principale. Era stato aperto più per fare dispetto a mio padre, come per digli:
guardami! Io ci sono. Certo poi mi è esploso tra le mani ed è andato oltre le mie aspettative fino a diventare un lavoro ma ora le mie priorità sono cambiate. Inoltre la visibilità per noi è troppo pericolosa. Dobbiamo tenere un profilo basso. Dobbiamo essere invisibili ricordi?».
Improvvisamente furono interrotti dallo squillare del cellulare di Eren che subito rispose cambiando espressione e rabbuiandosi. La telefonata fu lapidaria e terminò con un suo laconico:
va bene.
«Perché sei diventato così serio? È accaduto qualcosa?» gli chiese Krista allarmata. Conosceva i suoi cambi improvvisi d'umore e cercava sempre di sviscerarne i motivi. Nonostante l'inibitore e la cura era comunque soggetto ad
up and dawn abbastanza frequenti e non ci si poteva fare nulla, quei danni subiti da piccolo erano permanenti, per questo era necessario distrarlo e sviarlo subito, per cercare di arginare il problema qualunque esso fosse.
«Ci hanno convocati. In pratica tutti quelli che hanno partecipato alla missione di Paradise devono essere presenti. È l'ora di affrontare le cose e speriamo che non accada nulla di grave e che fili tutto liscio, non sarà facile mandare giù questo boccone amaro».
«Ora non ti fasciare subito la testa. Sii ottimista una volta tanto» gli disse incoraggiandolo.
Lui la guardò in quel suo modo particolare e intenso, poi espirò forte «Inoltre non ho mai affrontato l'argomento, ma c'è in ballo anche la questione di mio fratello ormai ridotto ad un essere ibrido non senziente, non sappiamo se è sopravvissuto qualcosa di Zeke in quella bestia» commentò amaro.
Lei capendo il suo conflitto interiore gli si avvicinò e posò la testa sulla sua spalla. Suo fratello era anche lui una vittima di suo padre, sebbene poi avesse preso certe decisioni da solo e consapevole del male che stesse facendo.
«È terribile, me ne rendo conto, ma temo che tu debba prendere atto che sarà una di quelle cose che dovrai accettare così come sono, a meno che con il tempo e le nuove scoperte, in cui confidiamo, non riescano a ripotarlo indietro, nel qual caso andrà comunque dritto in prigione, quindi chissà, magari questa nuova vita per lui è meglio della galera» non ci credeva neppure lei a ciò che stava dicendo ma detestava vederlo soffrire e cercava a suo modo di confortarlo.
Lui scosse la testa «Nessuno meriterebbe una fine così infame, ma hai ragione, lui se l'è cercata. Il suo piano era folle e terribile, ora sta pagando le conseguenze delle sue scelte».
La bambina aveva finito il biberon e Krista gliela prese dalle braccia, la tirò su e le fece fare il
ruttino, la baciò dolcemente sulla fronte e la rimise nella culla, poi raggiunse Eren sul divano e si accucciò accanto a lui. Intrecciarono le mani e lui la guardò serio.
«Sono molto preoccupato per te e la bambina».
«E perché mai? Mica andiamo alla guerra».
«Sì, ma c'è sempre di mezzo la CIA, per me sarebbe meglio se...».
«Non ho alcuna intenzione di privare mia figlia della presenza di suo padre se non quando sarà strettamente necessario. Tanto saremo dovuti tornare ad una
vita normale prima o poi, la nostra casa non è qui. Mio zio è stato carino e adorabile nel prendersi cura di me, ma lo conosco appena, fino a qualche mese fa neppure sapevo esistesse, per tanto direi che andarsene è anche giusto. Preferisco affrontare la cosa insieme agli altri che restare con lui».
Eren la guardò indagandola «Cosa ti preoccupa Krista?».
«Niente di che, ma resta il fatto che è comunque il fratello di mio padre e come dicevamo poco fa sappiamo bene che cosa ha fatto insieme al tuo, non sono così certa che non abbia un suo personale interesse in tutta questa storia».
«Potrebbe solo volerti bene non credi? E poi anche noi siamo figli dei nostri padri, ma mica siamo come loro. Non è una maledizione che dobbiamo portarci addosso per il fatto di essere consanguinei».
«Sì forse hai ragione, almeno lo spero».
«Non mi dirai che sei diventata paranoica?» le chiese lui quasi divertito anche per stemperare i toni.
Krista rimase pensierosa.
Eren allora le mise l'indice sotto il mento e la obbligò a guardarlo negli occhi: «Non starai facendo sul serio vero?».
«Solo un po' di paturnie saltuarie, da quando sono diventata mamma sono ipersensibile e noto anche quello che forse non c'è, anche perché la nostra situazione è molto particolare e delicata non lo si può negare» ammise.
Eren si chinò a baciarla. «Guarda che il
matto di casa sono io che basto e avanzo, tu sei la mia fatina buona non scordarlo» le disse amorevolmente. Era ancora un po' goffo nell'esprimerle la sua vicinanza ed il suo amore, ma era anche tanto cambiato e lei lo apprezzava molto e lo strinse a sé grata.
«Magari fossi una fata! Con un colpo di bacchetta magica potrei risolvere tutto, pulire la casa in un batter d'occhio e fare le valige in un nano secondo».
«Ti aiuto io, approfittiamo del fatto che la cucciola dorme» si offrì lui.
«Sì, ma prima dammi un altro bacio! Ho bisogno di coccole».
Eren sorrise e non se lo fece ripetere due volte.



*


La novità che aveva colto tutti alla sprovvista era che la famosa riunione si sarebbe tenuta niente di meno che alla Casa Bianca, alla presenza del segretario di stato in persona.
Erano stati riuniti in un salone molto ampio dopo essere stati fatti passare da un'entrata secondaria, molto nascosta, al riparo da occhi indiscreti. Di fatto c'erano tutti quelli che erano stati a Paradise, tra gli altri anche Marlo, Hitch e i medici, ovvero Onyankpon, la dottoressa Ral e il dottor Schultz. A ciascuno dei presenti sembrò molto strano che ci fossero anche loro.
Come se le novità non bastassero era di fatto anche la prima volta, dopo un un po' di tempo dall'accaduto, che gli agenti più giovani rivedevano i loro superiori potenziati dall'adamantio e dagli occhi bionici. Una vera rivelazione che aveva basito tutti, ma non avevano potuto dare sfogo alla loro curiosità, perché Pixit liquidò l'argomento in quattro e quattr'otto, c'erano ben altre priorità da affrontare.
A parlare cominciò Zacklay. Per il momento il segretario di stato sembrava solo un auditore di un certo peso.
«Dunque ci sono due grosse novità una buona e una decisamente non buona».
«E te pareva!» bofonchiò Connie ravandosi i gioielli di famiglia.
«Ma che fai?» lo redarguì Galliard.
«Mi tocco contro il malocchio di questi due gufi della malora!».
«Ma sei serio?».
«Non hai notato che facce? Sembrano in procinto di andare ad un funerale. Ti ricordo che l'ultima volta che questi mi hanno mandato a chiamare poi mi hanno spedito in un isola infernale a caccia di mostri!».
«Silenzio per favore, la faccenda è grave» intimò loro Pixit.
«Vorrei far notare a lor signori che non siamo ad una scampagnata, né ad una rimpatriata tra vecchi colleghi. Siete alla Casa Bianca e siete il top gamma dei nostri agenti, quindi mi aspetto da voi un comportamento irreprensibile» gelò tutti il segretario prendendo la parola con tono autorevole e tagliente: «Prego» concluse con un gesto della mano invitando Pixit a continuare.
«Cominceremo dalla buona notizia. Dunque quando è nata la figlia di Eren sua madre ci ha donato il sangue cordonale, in gergo detto: "cordone ombelicale" per avviare una ricerca molto importante che è stata affidata al nostro staff medico di fiducia capitanato da Onyankopon».
Si alzò un brusio di commenti sorpresi.
«Credo di capire le ipotesi alla base della ricerca, del resto sono molto plausibili dal punto di vista genetico» commentò pensosa Hanji.
Levi era scuro e non rispose, altrettanto fece Erwin che pareva con la testa altrove.
«Lascio quindi la parola direttamente a lui che vi spiegherà che cosa è emerso da vari esami» concluse Pixit.
Oniankopon illustrò loro che avevano fortuitamente intuito che la bambina, in quanto frutto dell'unione tra un mutaforma e una normodotata, poteva avere delle caratteristiche genetiche interessanti e utili. Tramite qualche esame primario era emerso che queste capacità erano davvero straordinarie e particolari, per cui avrebbe potuto donare il suo DNA che avrebbe debellato, come se fosse una sorta di antidoto, la mutazione genetica, o quanto meno quella di suo padre ma quasi sicuramente c'erano ottime probabilità che la cosa, con i dovuti accorgimenti, potesse funzionare anche per tutti gli altri. Dovevano ovviamente essere fatti ancora molti test e prove di vario genere, ma era sicuramente una scoperta importantissima.
Furono tutti molto colpiti e anche piacevolmente sorpresi, soprattutto i mutaforma, mentre Eren e Krista sembravano impassibili.
Jean notò con sorpresa che Jeager non aveva fatto una piega e Mikasa doveva essere giunta alla sua stessa conclusione dato che si scambiarono un'occhiata d'intesa. Era davvero poco credibile che uno fumino come lui accettasse passivamente una notizia di tale portata.
«Ora si potrebbe sapere anche la cattiva notizia?» chiese Armin molto preoccupato.
Prese la parola Zacklay «Non esiste un modo per indorare la pillola, quindi andrò dritto al punto. Purtroppo abbiamo ancora degli ibridi, chiamiamoli dormienti, perché erano sfuggiti al nostro controllo».
Sconcerto e sgomento si impadronirono un po' di tutti.
«Ma com'è possibile? Ci avete ingannati vero?» inveii Galliard.
«Siete dei fottuti bastardi!» gli fece eco Sasha fuori di sé.
«Calmati!» le disse Nicolò fermandola prima che si scagliasse contro di loro.
«Che cosa ci avete nascosto eh?» li incalzò Armin.
«Non sappiamo come sia potuto accadere è la verità! Ma è accaduto e dobbiamo subito porci rimedio» spiego Pixit «L'unica spiegazione plausibile è che questi ibridi dormienti siano stati creati a loro insaputa. La loro natura è stata scoperta quando abbiamo fatto evacuare Paradise. Per cautela abbiamo sottoposto tutti gli sfollati ad esami specifici ed è così che abbiamo aperto il vaso di Pandora».
«Ma se noi abbiamo dovuto fare una miriade di test, prove ed esami prima di essere presi in considerazione per la mutazione, come hanno fatto a farlo a loro insaputa, me lo spiegate?» chiese Pieck affrontando Oniankopon.
«Bella domanda. Io non lo so. Posso solo supporlo dal momento che Grisha conservava il DNA di tutti mutanti è possibile che abbia sperimentato qualcosa di nuovo, qualcosa di cui ha ritenuto opportuno non mettermi a conoscenza all'epoca dei fatti» le spiegò il medico.
«Qualcuno sa sicuramente qualcosa» commentò pensosa Annie.
«Sicuramente Grisha» rincarò Reiner e puntò Eren, che però sostenne il suo sguardo senza reagire.
«Lo abbiamo interrogato ovviamente, ma si ostina a non parlare quindi per ora la nostra priorità è contenere questo pericoloso e inatteso fenomeno» spiegò Pixit «perciò i soggetti ibridati sono tutti internati come se fossero stati infettati da un pericoloso virus. Neanche loro sanno la verità».
«Bene e come intendete fare?» gli chiese secco Erwin che già era stato messo a conoscenza di questo problema, ma non della probabile soluzione il che lo impensieriva e non poco.
«Non abbiamo molta scelta e abbiamo bisogno dell'aiuto di tutti voi. Siete i soli che siete a conoscenza di questa enorme piaga e l'avete già affrontata, i soli che possono contenerla, i soli di cui ci fidiamo. Vi rispediremo tutti a Paradise e lì voi sarete i guardiani degli ibridi finché non sarà messo a punto l'antidoto».
Il brusio divenne protesta indignata. Tutti si guardarono tra di loro increduli e sconcertati da questo fulmine a ciel sereno.
«Che cosa significa guardiani?» chiese preoccupata Hanji.
«Semplice dovete contenerli nell'isola senza farli trasformare e nel qual caso dovesse accadere dovrete terminarli».
«Lo sapevo che questa storia del cazzo era finita troppo bene e troppo in fretta!» masticò Levi imprecando tra i denti.
«Quanto dovrebbe durare questa missione?» chiese Erwin molto serio.
Zacklay fece spallucce: «Un mese? Un anno? Di più? Chi può saperlo? Non abbiamo nessun tipo di certezza al momento se non che il mondo è nuovamente sotto grave pericolo».
Si scatenò il finimondo tutti cominciarono a risentirsi finché intervenne il segretario di stato alzandosi e battendo un poderoso pugno sulla scrivania «Ora basta esigo rispetto per questo luogo e per voi stessi! Smettete di fare i bambini, lo sapevate benissimo quando avete accettato di entrare come agenti speciali della CIA e dell'FBI che la vostra vita non sarebbe più stata vostra, ma che avrebbe servito il paese ad ogni costo e in ogni modo possibile e sapete bene che cosa accade a quelli come voi che si rifiutano di adempiere al loro dovere! Poche chiacchiere, i problemi sono questi e voi siete i soli che potete garantirne la soluzione e la protezione della sicurezza mondiale. Questa minaccia che purtroppo ancora incombe funesta su di noi va arginata che vi piaccia o no, altrimenti rischiate di finire davanti agli affari interni e poi in galera, se non peggio, quindi smettete di fare tutta questa caciara, chiaro?».
Si rimisero, loro malgrado, tutti in riga. Nel frattempo gli fu spiegato, anche per rabbonirli, nella famosa logica: bastone e carota, che se volevano potevano includere nel progetto i loro familiari o persone a loro care, altrimenti sarebbero stati dati per dispersi in missione e probabilmente creduti morti per molto tempo. Questa ultima sconcertante scoperta basì e non poco tutti coloro che avevano legami non inclusi all'interno dell'agenzia.
Così si andavano a rompere quegli equilibri e quella serenità tanto agognata che era fiorita per molti di loro dopo la fine della missione.
Questo stava rompendo molti equilibri faticosamente costruiti.



*


Erwin rimase davanti alla porta di Marie qualche minuto perché il suo senso del dovere stava ingaggiando una lotta all'ultimo sangue con i suoi sentimenti.
Quando la donna aprì notò subito che le si illuminò il viso. Era da qualche giorno che non le aveva fatto avere sue notizie, ma i patti tra loro erano chiari per via del suo lavoro e in caso di sparizione senza spiegazioni non poteva essere cercato, si sarebbe fatto vivo lui al momento opportuno.
«Ciao posso entrare?» le chiese abbozzando una specie di sorriso anche se Marie si rese conto che era tirato come una corda di violino.
«Certo accomodati».
Gli preparò un caffè. Stavano seduti entrambi silenziosi, quasi imbarazzati ma rispettando ognuno i tempi dell'altro.
Erwin non sapeva come fare a iniziare a parlarle di quell'enorme problema che gli era capitato tra capo e collo. Lei di contro si era subito resa conto che ci doveva essere qualcosa di abbastanza grave che non andava, ma non voleva minimamente forzargli la mano.
Dopo aver bevuto il caffè ed essersi scambiati mezzi sorrisi di circostanza Erwin finalmente parlò.
«Non dovrei essere qui, ma non potevo fare a meno di venire» sparò lapidario.
«Che sta succedendo? Qualcosa che riguarda il tuo lavoro?».
«Sì» ammise grave.
«Non devi metterti in situazioni pericolose per colpa mia. Conosco più o meno la natura di ciò che fai. Se sparisci so che poi al momento opportuno tornerai. È una cosa dura da accettare, ma dal momento che ho deciso di stare con te ne ho piena consapevolezza e mi sta bene» cercò di rassicuralo.
«Non è così semplice Marie, non questa volta» le disse con lo sguardo angosciato e non era cosa da lui farsi sopraffare dalle emozioni.
«Mi spieghi che succede o vuoi farmi preoccupare sul serio?» ribatté la donna in preda all'ansia.
«Ho passato gli ultimi giorni con la testa persa in mille pensieri. Corroso dall'angoscia e anche dalla rabbia. Ci siamo appena ritrovati e dobbiamo separarci di nuovo. Lo trovo crudele e beffardo» riuscì infine a dire.
«Ma che... dici?» chiese lei con il cuore in gola. Le sembrava di essere infilata in sabbie mobili che la stavano inghiottendo sempre più.
Lui la guardò sanguinante «Marie io ti amo, questo non devi dubitarlo, sto rischiando la carriera per essere qui da te».
Sentirlo ammettere il suo amore la fece come risorgere, come se tornasse alla vita «E allora non ci sono problemi. Io sono qui e ti aspetterò tutto il tempo necessario. Ti ho aspettato una vita, che vuoi che sia qualche mese in più?».
Lui la fissò in un modo così intenso che a Marie mancò l'aria. Era davvero disperato e non riusciva a trovare le parole adatte per non ferirla più di quanto quella notizia avrebbe effettivamente fatto. In principio aveva pensato anche di dirle che non l'amava più, ma gli sembrava una cosa molto immatura e codarda che l'avrebbe distrutta. La verità, o almeno una parte di essa era la strada più giusta da percorrere.
«Purtroppo non si tratterà di qualche mese soltanto, potrebbe volerci molto più tempo» riuscì finalmente a dirle.
Quelle parole la strozzarono e la rigettarono negli abissi dell'angoscia.
«Ma come sarebbe a dire? Io non capisco...»
«Non posso dirti niente in proposito, già rischio la carriera e se sono qui è solo per rispetto nei tuoi confronti. Ti avrebbero detto, no anzi, ti diranno che sono disperso o forse morto e non avrei mai potuto sopportare di darti un simile dolore».
«Me lo stai comunque dando» sospirò lei sconfitta.
«Mi dispiace Marie se solo avessi immaginato io... »
«Io non ci posso e non ci voglio credere! Non c'è alcun modo di risolverla diversamente? Non pretendo che tu lasci la CIA ovviamente, ma ci sarà pure un'alternativa, no?» lo interruppe seria.
«Io non... » fece lui autocensurandosi.
Lei capì che stava facendo forza su se stesso.
«Erwin ti prego non farlo di nuovo, altrimenti tutti questi anni persi non saranno serviti a niente» lo implorò.
«Non posso chiedertelo».
«Cosa non puoi chiedermi?».
«Non posso, ti prego».
«Non puoi o non vuoi?» lo incalzò severa.
«Non è tutto bianco o nero Marie, non posso rovinare la tua vita, capisci?».



*


Quando Eren e Krista li avevano invitati a casa loro, Jean e Mikasa erano rimasti molto sorpresi.
Non si erano più visti da quando Jeager si era risvegliato in ospedale e a dirla tutta non erano di certo "migliori amici". Avevano titubato un po' ma poi avevano accettato l'invito. Era un momento molto particolare per tutti loro ed era il caso di mettere da parte remore, o dispute passate. E poi volevano capire che potessero mai volere da loro.

Eren aprì la porta e li accolse con sua figlia in braccio.
Mikasa avrebbe creduto di provare disagio e un tuffo al cuore, ma non fu così. Non provò niente di particolare se non un grande piacere nel vedere una persona a cui voleva bene essere serena, almeno in apparenza.
Per Jean era stata dura accettare quell'invito, ma si era detto che se non avessero superato quella prova allora il loro rapporto non avrebbe avuto senso. Stranamente quando il suo storico rivale aveva aperto l'uscio con quel fagottino tra le braccia si era sentito più leggero, come se si fosse tolto un peso.
Krista li fece accomodare, sembrava agitata forse anche lei aveva le sue paturnie riguardo questo incontro, o forse i suoi problemi erano di altra natura.
«Siamo felici e grati che abbiate accettato il nostro invito» cominciò a dire la ragazza offrendo loro del tè.
«Lei è la nostra piccola Milae» aggiunse prendendola dalle braccia di Eren.
«È bellissima» commentò Mikasa carezzandole una guancia.
«Siamo felici per voi» tagliò corto Jean.
«Vi starete chiedendo perché siete qui immagino» esordì Eren andando al nocciolo della questione.
«Infatti» gli rispose laconico Jean.
«Il vostro invito ci ha stupito molto» aggiunse Mikasa.
«Lo capisco, ma io ed Eren ne abbiamo parlato a lungo e abbiamo convenuto che voi due eravate le uniche persone a cui potevamo chiedere una cosa così importante».
«Che cosa?» chiese Mikasa sorpresa.
«Prima dobbiamo spiegarvi un bel po' di cose e fare chiarezza su ciò che sta accadendo a tutti noi. Dopo la riunione immagino che sarete scossi anche voi» aveva precisato Eren.
«Scossi è dire poco! Pensavano di esserci lasciati tutto alle spalle e ora invece sembra che siamo tutti punto e a capo» disse Mikasa.
«Qualcosa mi dice che tu ne sai più di noi» intervenne Jean scrutandolo.
«Prima di risponderti vorrei che entrambi sapeste che vi vogliamo bene, vi consideriamo famiglia».
Jean lo fissò come si farebbe con un pazzo.
«Non guardarmi così Kirschstein! Stai rendendo felice una persona che per me è come e più di una sorella è normale che provi affetto anche per te. Non sei mai stato il mio migliore amico, ma ti stimo come uomo e come compagno di lavoro, spero che un giorno sarà lo stesso anche per te».
Jean alzò solo un sopracciglio e non proferì parola.
«Possiamo andare oltre?» chiese Mikasa in apprensione. Non voleva si mettessero certo a discutere in quel delicato frangente, cosa che visto i soggetti e i trascorsi tra loro non era del tutto da escludere.
«Quello che sta cercando di dirvi Eren è che noi saremmo e felici e molto rassicurati se voi voleste accettaste di diventare il padrino e la madrina di Milae» intervenne Krista lanciando a sorpresa la bomba e spiazzando alla grande sia Jean che Mikasa, che rimasero attoniti e in silenzio.




I monologhi dell’autrice
AVE! Un saluto a chi legge!
Come va?
Spero tutto bene ;)

Nota: In questo capitolo, è chiaro, si parla non solo di fantascienza, ma anche di fanta genetica/biologia, quindi affidatevi alla sospensione dell'incredulità e prendete per buona la mia tesi. Daltronde è un AU in universo AU non solo per SNK, ma anche riguardo al nostro mondo reale, ragion per cui le regole sono malleabili e adattabili alle mie esigenze di trama.

E come promesso in tempi abbastanza brevi eccovi il penultimo capitolo.
Vi aspettavate questa svolta, più "seria" dopo il cazzeggio e lo slice of life degli ultimi tempi?
Comunque non aggiungo altro perché oggi ve la faccio molto breve, ma preparatevi, ve la farò più lunga nel prossimo ed ultimo capitolo, che se tutto va bene posterò la prossima settimana o giù di lì, sancendo così la fine di questa avventura durata un anno!
Un caro e saluto colmo di gratitudine e affetto a chi continua ad apprezzare questa fic in tutti i modi in cui si può farlo.
See ya!

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Capitolo 38
*** E vissero tutti... Felici e contenti? ***


L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission-almost-Impossible





38
E vissero tutti...
Felici e contenti?



Jean e Mikasa si erano presi qualche minuto per metabolizzare la sorpresa, poi Jean fu il primo a parlare:«Prima di darvi una qualsiasi risposta in merito alla vostra richiesta, mi dovete spiegare perché volete affidare tale compito proprio noi due».
Mikasa rimase in silenzio.
«Io ed Eren prima della riunione alla Casa Bianca eravamo stati già messi al corrente di tutto e dobbiamo spiegarvi un bel po' di cose» cominciò alla lontana Krista «Intanto non è vero che ho donato loro il cordone ombelicale, io credevo di lasciarlo in ospedale, a beneficio dei bambini malati, invece mio zio lo ha comprato e lo ha dato allo staff medico della CIA su richiesta di Oniankopon».
«Ma non poteva dirtelo?» le chiese Mikasa molto perplessa.
«Temeva in un mio rifiuto, lui dice che lo ha fatto per i mutaforma, in particolare per Eren, ma in realtà credo che avesse questa idea in testa da quando Kenny rapì Eren per fargli fare da esca e portare via me. Credo che già avessero intuito che il nascituro avrebbe potuto garantire delle opportunità in tal senso».
«Temi quindi che ci sia qualcosa sotto? Qualcosa che ci tacciono?» intervenne Jean.
«Non lo so e spero di no, ma la posta in gioco è troppo alta per non avere dei dubbi».
«Quando lo abbiamo scoperto ci siamo opposti categoricamente» s'intromise Eren riportando il fucus su Milae e sul suo DNA.
«Che cosa ti ha fatto cambiare idea?» lo incalzò Jean.
«Pixis è molto bravo a convincere le persone. Mi ha detto che tutto questo casino era colpa di mio padre e che anche io avevo contribuito seppur manipolato; che c'erano nuovi ibridi sfuggiti al controllo, che la vita di molte persone dipendeva dalla nostra decisione, che una sorta di possibile salvezza di Zeke era nelle mie mani, insomma ha fatto leva sui miei sensi di colpa».
«Ci ha detto che nostra figlia finché ci saranno ibridi è in pericolo perché il suo sangue è prezioso, che se avessero potuto gestire la faccenda in gran segreto e con il nostro aiuto, avrebbero liberato il mondo da questa piaga veramente una volta per tutte e il suo futuro sarebbe stato al sicuro».
«E così avete ceduto» concluse Jean.
«Sì, ma ad una condizione imprescindibile, ovvero che per la sua incolumità dovevamo sparire tutti, non esistere più e quindi tornare a Paradise e per il mondo reale fingere di essere dispersi o morti».
«Quindi sei stato tu?» chiese allibito Jean.
«È una decisione che abbiamo preso insieme e non credere che non siamo consapevoli di rovinare la vita a molti di voi, ma nostra figlia è più importante di chiunque altro, anche di noi stessi. Spero che un giorno voi e gli altri possiate capirci» aggiunse Krista molto seria e determinata.
«Sia chiaro siamo i primi a sperare che quando tutto sarà finito si possa tornare alla normalità, ma nel frattempo era necessario tenerla in sicurezza» aggiunse Eren.
«E vi fidate di loro?» li interrogò Jean.
«No» gli risposero all'unisono.
«Ma dimmi, tu che avresti fatto al nostro posto? Avresti rischiato la vita di tua figlia e di altri innocenti? Avresti esposto il mondo ad altri ibridi? Abbiamo cercato, non senza dubbi e perplessità di fare la cosa giusta» spiegò Eren.
«O per meglio dire la meno sbagliata» lo corresse Krista.
Jean non rispose.
Mikasa per il momento si limitava solo ad ascoltare.
«Milae ha diritto ad una vita normale e non ad essere il bersaglio vivente per esperimenti da parte di chissà chi. Noi almeno di Oniankopon ci fidiamo. Ha permesso ad Eren di vivere, non è cosa da poco, per questo alla fine ci siamo convinti» spiegò Krista.
«Ma lo sarà per tutta la vita in pericolo, non credi?» s'intromise Mikasa.
«In effetti no. Ogni anno che passa il potere curativo del suo sangue va diminuendo. Arrivata allo sviluppo le proprietà genetiche per effettuare l'antidoto andranno a scemare drasticamente fino a diventare, in poco tempo, del tutto nulle e prima di compire vent'anni sarà libera. Questo hanno omesso di dirvelo, ma a noi l'ha spiegato bene Oniankopon».
«Quindi se ho ben capito volete che noi ci prendiamo l'impegno e la responsabilità di vegliare su di lei se vi capitasse qualcosa, nel qual caso dovremmo crescerla e proteggerla fino all'età che la renderà al sicuro, giusto?» chiese Mikasa infine.
Eren annuì «Sei l'unica di cui mi fido ciecamente e tu» disse puntando Jean «sei l'unico che farai qualsiasi cosa Mikasa ti chiederà, perché la ami e non lasceresti mai sola con una simile responsabilità. Inoltre è innegabile che sei una persona con alti valori morali e sono certo che non venderesti mai mia figlia al miglior offerente e poi cosa non trascurabile sei un ottimo agente».
Ci furono alcuni secondi di pesante silenzio che infine fu rotto da Jean:«Per me va bene» rispose spiazzando tutti. Come poteva dire di no? Sapeva già che Mikasa lo avrebbe fatto a prescindere di qualsiasi sua decisione e a parte ciò quella bambina aveva il sacrosanto diritto di essere salvaguardata.
«Grazie» gli disse Krista commossa abbracciandolo, mentre lui non sapeva bene che fare e cercò lo sguardo di Mikasa che aggiunse:«Ovviamente sta bene anche per me. Contate pure su di noi. Speriamo non accada mai, ma nel caso la cresceremo e la difenderemo come se fosse nostra».
Eren e Krista sorrisero ad entrambi e, con un cenno di gratitudine della testa, li ringraziarono ancora una volta. Non c'era bisogno di molte parole, perché nonostante tutto si volevano bene e si stimavano anche se non sempre erano andati d'amore e d'accordo.
«E ora prendetela un po' in braccio, fate conoscenza!» disse entusiasta Krista piazzando la bimba tra le braccia di Jean che s'irrigidì come uno stoccafisso.
«Rilassati Kirschstein non morde, al limite strilla e piange» ridacchiò Eren divertito dall'imbarazzo dell'altro.
Jean continuava a maneggiarla come fosse di vetro ma per fortuna la bambina era tranquilla.
Mikasa lo guardava un po' compiaciuta e un po' intenerita. Il ragazzo non era decisamente a suo agio, ma a lei piaceva quell'idea di Jean con un bambino in braccio, chissà, magari un giorno in un molto, ma molto lontano futuro...
«Milae? Milae? Sorridi allo zio Jean!» disse Krista invogliando la bambina ad interagire e a quel punto lui si sciolse e cominciò a farle dei versetti scemotti, improvvisamente però così da nulla cominciò a piangere gettandolo letteralmente nel panico. Come se la bimba scottasse la passò veloce a Mikasa. Era mortificato.
La ragazza invece la calmò quasi subito passeggiando e cullandola aumentando così la frustrazione di Jean.
«Poi imparerai come si fa, non crucciarti» gli aveva detto Eren dandogli una pacca sulla spalla.
Jean stranamente non aveva reagito, gli sembrava tutto così surreale. Lui con l'ex di Mikasa diventato padre per sbaglio, che ora faceva l'amicone, sembrava la trama di una pessima commedia, ma stranamente nonostante fosse una situazione bislacca, la cosa gli piaceva, gli dava un senso di rinnovata serenità. Aveva così tanto penato per realizzare il suo sogno con la ragazza che amava, che ora non gli faceva più paura niente, neppure Eren, o fare da padrino a Milae, o il trasferimento a Paradise. Con lei era pronto anche ad andare all'inferno se fosse stato necessario. Gli dava una sicurezza che non sapeva di avere e questo lo legava sempre di più a lei.
«Milae è un nome particolare, non l'ho mai sentito prima, chi l'ha scelto?» chiese Mikasa rivolta a Krista continuando a trastullare la piccina.
«Eren. Eravamo d'accordo che se fosse stata femmina l'avrebbe scelto lui e fosse stato maschio io» spiegò la ragazza prendendo dalle sue braccia la figlia per farla mangiare.
«È di origine Coreana e l'ho scelto perché è il più musicale che ho trovato» aggiunse Jeager.
(1)
«In che senso? Non mi dirai che non ci sono altri nomi musicali?» gli chiese Mikasa un po' stranita.
«Milae significa
futuro, concetto che mi era caro, in quanto mia figlia ha davvero cambiato me e la mia vita, e poi è semplicemente perfetto perché lei è anche oggettivamente il nostro futuro, grazie a lei ci sarà un mondo libero e sicuro per tutti!» spiegò soddisfatto.
«Ma tu guarda, sei diventato pure poetico» rimarcò Jean un po' per sfotterlo e un po' stupito, quasi non lo riconosceva.
«È colpa della paternità, vedrai quando toccherà anche a te».
«Oh andiamoci piano eh? Per ora non rientra affatto nei miei progetti».
«E nemmeno nei miei, per carità!» gli fece eco Mikasa.
Lui la guardò un po' storto perché sembrava proprio refrattaria alla cosa, ma riflettendoci su non poteva darle torto perché avevano appena cominciato a stare insieme, anche solo l'idea di un figlio era quanto meno prematura.
«Allora state attenti e soprattutto non fatevi prendere dalla foga nei momenti meno opportuni, quando non siete adeguatamente
protetti» li canzonò Krista.
Mikasa arrossì come un pomodoro fino alla radice dei capelli «Possiamo cambiare argomento per favore?» si stizzì appena.
«Credete che accetteranno tutti di venire a Paradise?» disse Eren accontentandola e tornado ad argomenti più seri.
«Mi pare di aver capito che non è propriamente una scelta» sospirò Mikasa.
«Sapevamo che questo tipo di carriera poteva farci stare sotto copertura anche per anni, quindi è normale che tutti si traferiranno, i corpi speciali sono un po' come le sette, non ti consentono facilmente di uscirne e tornare libero, se non con la pensione» sottolineò Jean pragmatico.
«E così si riparte da dove tutto è cominciato» sospirò Krista rassegnata dando il biberon a Milae.



*


Qualche tempo dopo...


«Questa moto è favolosa!» disse Mikasa ammirando la Ducati che Jean aveva appena tirato fuori dal garage. Era la prima volta che la vedeva e che l'avrebbero usata assieme.
«È una Diavel V4» spiegò orgoglioso mentre poggiava il bolide rosso fiammante sul cavalletto. «Sono contento che apprezzi, di solito molte ragazze hanno una certa avversione per le due ruote».
«Non io» puntualizzò Mikasa e si avvicinò facendo poi una sorta di carezza passando la punta delle dita sul serbatoio cromato, con gli occhi che le brillavano.
«Me la fai guidare?» esordì come un bimbo che anela di salire sulla sua giostra preferita.
«Non scherziamo» rispose lui sorridendo e alzando le mani.
«Perché no? Dai fammela guidare!».
«Mi dispiace ma sulla moto non transigo» gli rispose serioso.
Lei gli si avvicinò e gli cinse la vita cercando di ammaliarlo con uno sguardo languido.
«Non funziona, mi dispiace».
«Insomma vuoi deludere la tua ragazza?».
«Dai Mikasa fare la gatta morta non ti si addice».
«Hai ragione, allora cambio registro, vorrà dire che mi regolerò di conseguenza» lo minacciò semiseria.
Era una sorta di scaramuccia simpatica, anche se c'era effettivamente un pizzico di voglia di farlo cedere.
«Tipo?» le chiese fingendosi preoccupato.
«Prevedo all'orizzonte molti mal di testa serali, seguiti da indisposizioni di vario genere» gli rispose sibillina, ma non troppo seria.
«Ah capisco» fece lui meditabondo «ma è una punizione che estendi anche a te stessa, se ti sta bene... un po' come quello che si tagliò il pisello per far dispetto alla moglie».
«Che delusione sei il solito maschio che è geloso delle sue cose».
«Più che altro non posso dartele tutte vinte, se proprio ti va così tanto di guidarla potresti acquistarne una, ma la mia moto è sacra e la guido solo io, dai mettiti il casco e andiamo».
«Ti preferivo sottone!».
«Questo è un colpo basso, non sono mai stato un sottone e comunque andiamo che sennò facciamo tardi».
«Non ti sei mica offeso?» gli chiese visto che si era appena rabbuiato.
«No, ma non mi piace essere definito così. E comunque abbiamo problemi ben più gravi da affrontare e questa dovrebbe essere una serata spensierata prima di partire per la missione»
«Ma io scherzavo, dai! Era solo per farti dispetto perché non vuoi farmi guidare la moto».
«E non te la farò guidare lo stesso» puntualizzò imperturbabile.
Lei capì che il giochino era durato fin troppo, quindi decise di abbozzare. «E comunque sei un sacco carino quando fai il muso» gli confidò sorridendo e poi con aria davvero impertinente aggiunse «Sottone!» e scoppiò a ridere.
«Non avrei mai creduto tu fossi così perfida» gli disse lui afferrandola e attirandola a sé con finta aria di minaccia.
«Guarda che anche io sono la tua sottona, scemo!» fece appena in tempo a dirgli prima che lui le tappasse la bocca con un bacio.
A volte le loro insicurezze riaffioravano di colpo, ma bastava molto poco per soffocarle.
Si infilarono i caschi, salirono sulla moto, Jean diede gas e sfrecciarono verso la loro destinazione.



*


«Tu stai tramando qualcosa» disse Levi girando intorno ad Hanji con fare indagatore.
«Ci puoi giurare» fu la risposta diretta di lei.
«Ti pare il caso?».
«Lo so che non approvi, che tu sei per farti i fatti tuoi, ma questa volta è per una buona causa».
Levi sospirò era inutile insistere con Hanji, lo sapeva bene.
«A proposito ma di chi è stata l'idea di fare questa serata di merda?» le chiese poi contrariato.
«Dei più giovani, santo cielo però come sei acido!».
«Non stiamo partendo per un viaggio di piacere, tutte queste manfrine mi urtano e poi una serata karaoke? Vade retro, guarda meglio una missione mortale in culonia saudita!(2)».
«Ma mica devi cantare».
«Tanto lo so come vanno a finire certe cose, però potrei sempre darmi malato» disse come colto da illuminazione.
«Il fatto è che tu sei preoccupato per altro, ti conosco».
Hanji aveva centrato il punto e Levi non rispose.
«Sbaglio?» rincarò lei.
«Io non credo che le cose siamo come ce le hanno prospettate e se vuoi saperla tutta, da quell'isola temo che non ritorneremo mai più indietro».
«È probabile, anche se spero proprio di no» ammise lei «ma che possiamo fare se non accettare il nostro destino? Che ci piaccia o no come ha detto Pixis siamo gli unici che possiamo arginare il problema. Abbiamo una sorta di debito morale a cui non possiamo sottrarci. Siamo uomini e donne pronti anche alla morte per il bene comune, è ciò che facciamo da sempre».
«E diciamola tutta: è anche per questo che gli stronzi ci hanno potenziati a dovere» aggiunse Levi sardonico.
«Certamente, ne siamo consapevoli, ma il punto non è questo. Insomma questa vita ce la siamo scelta e per quanto remota fosse questa possibilità, sapevamo che poteva accadere. Ci sono agenti che hanno passato la loro esistenza sotto copertura. È raro, ma non impossibile. Quello che può cambiare la prospettiva è che siamo davvero fortunati, molti di noi hanno la possibilità di affrontare questo salto nel buio non da soli ma in compagnia di chi amano, e chi non ha un compagno, o una compagna, può sicuramente contare su dei veri amici pronti a vendere cara la pelle gli uni per altri».
«Proprio per questo motivo non appoggio la tua scelta, non puoi tirare nel mezzo una civile e condannarla ad una vita da latitante su un'isola che per il mondo non esiste! Ti rendi conto?».
«Ma questa è una decisione che non spetta né a me, né a te, ma solo a lei. Credo che sia giusto che possa disporre della sua vita come meglio desidera».
«A volte non ti capisco» commentò Levi.
«Consolati, nemmeno io» ammise Hanji sorridendo per sdrammatizzare.
«Hai la testa veramente dura».
«Senti chi parla!».
«Va bene mi arrendo, ma se scoppia un casino e scoppierà, almeno ho la coscienza a posto perché ho provato a farti cambiare idea».
«E che casino può mai scoppiare? È stato detto che i familiari possono essere inclusi nel progetto e mi sono informata ai piani alti, non importa siano legalmente sposati per essere definiti tali».
«Credi davvero che Erwin la prenderà bene? È un'enorme e inopportuna ingerenza nella sua vita privata».
«Un po' come ha fatto lui con noi. E non dimenticare che se non si fosse messo nel mezzo non sarebbero cambiate le regole e oggi noi, come altre coppie, saremo state divise da protocollo. Si incazzerà di sicuro, ma poi gli passerà vedrai. Ha diritto anche lui ad una fetta di felicità. Ed è questo che fanno gli amici: si impicciano, aiutano e soprattutto non si girano dall'altra parte».
Levi la guardò molto incupito e poi sbottò «Mi fa girare altamente i coglioni dirlo, ma hai sempre ragione!».
Hanji rise di gusto, ma decise di non infierire oltre e non commentò.



*


Davanti al locale karaoke, Canta che ti Passa, scelto ovviamente da Connie, Erwin trovò Marie che l'attendeva all'entrata.
«Che ci fai qui?» sobbalzò completamente spiazzato dalla sorpresa.
«Ho bisogno di parlarti, ti va se facciamo due passi?».
«Io... sì, va bene» farfugliò confuso «ma come hai fatto a trovarmi?».
«È stata Hanji ma ne parliamo dopo, non abbiamo chissà quanto tempo, domani è il giorno della partenza e dobbiamo chiarirci».
Quindi sapeva tutto? Erwin avrebbe strozzato l'amica, ma per il momento decise di ascoltare Marie, anche perché il suo cuore era in tumulto tra gioia e preoccupazione.
«Prima fammi finire tutto ciò che ho da dire, poi parlerai tu, promesso?».
Smith suo malgrado annuì.
«Capisco le tue ragioni nel tacermi la cosa. Non solo, credimi, le apprezzo. In questo caso hai fatto la cosa che ritenevi fosse più giusta per me, ma non puoi decidere al posto mio. Erwin qui non ho più niente che mi leghi. Nil è morto e sepolto, lavoro rintanata in un ufficio polveroso e il mio mondo si esauriva a questo e poco più, fin tanto che non sei riapparso. È vero ho avuto paura e un po' ne ho ancora, non ci conosciamo più come un tempo, ma hai ridato colore alla mia vita. Mi sento nuova e piena di fiducia in un futuro che prima aveva i toni grigi di un triste e perpetuo Novembre. La vita è comunque un salto nel buio, i progetti spesso sfumano, ma ci sono anche occasioni che vanno prese al volo e senza pensarci troppo, quindi io ho deciso, se mi vuoi starò con te a Paradise e potremmo convivere proprio come speravi prima che accadesse questo casino».
Quelle parole furono per Erwin come un picco violento di adrenalina che lo investì in pieno, in cui gioia e disapprovazione facevano a pugni mozzandogli il fiato, mentre il suo cuore aveva preso il ritmo di un assolo di batteria.
«È molto pericoloso Marie, potrebbe essere una missione senza ritorno, inoltre è una situazione al limite dell'assurdo, una vita da fantascienza io non...».
«Hanji mi ha spiegato tutto».
«Quella disgraziata mi sente! Ma lo sai che è una cosa folle? Oltretutto è terribilmente rischioso, oltre che incosciente, da parte sua averti messa al corrente di tutto ciò, potrebbe costarti molto caro! Io la strozzo!» sibilò indignato, come aveva potuto farlo e Levi? Lui che era sempre così razionale, ne sapeva qualcosa? Era scioccato.
«Non agitarti non siamo tutti matti da legare, abbiamo fatto le cose come si deve, ormai anche io faccio parte del progetto. Ho rispolverato la mia vecchia laurea di infermieristica che non ho mai voluto esercitare, darò una mano come OS nell'ospedale di Onyankopon. Ho cercato io Hanji. Ho insistito io, perché volevo capire e sapere cosa ti stesse accadendo e soprattutto non volevo perderti. Così prima che tu mi dissuadessi, o peggio mi impedissi con qualche magheggio dei tuoi di seguirti, ti ho anticipato e lei mi ha aiutata ad avere ciò che volevo. Dopo un attento esame Pixis mi ha accettata. Ha detto anche che per te sarebbe stato un bene avermi accanto».
L'uomo era rimasto ad ascoltare stupefatto e a corto di parole, sempre in bilico tra l'essere felice e l'essere incazzato nero.
«Hai detto che volevi fare sul serio ricordi? Beh ora è giunto il momento di dimostrarlo. Io ti ho appena fatto vedere quanto realmente tu conti per me, ora tocca a te» concluse Marie.
Lui sospirò forte in balia di mille sentimenti diversi. Era ammirato dalla sua determinazione, era felice di aver scoperto quanto lo amasse, ma allo stesso tempo era preoccupato, impaurito, arrabbiato e spiazzato. Era abituato ad essere sempre un passo avanti e non uno indietro, questa volta non avrebbe potuto avere il controllo su questa faccenda.
Ma era poi così male? La guardò dritta negli occhi per cercare di calmarsi e vi lesse tutta la sua risolutezza, oltre che il suo amore. In pochi secondi sì sentì come svuotato e libero da un peso, si rese conto che contrastarla sarebbe stata una battaglia già persa, quindi fece quello che non faceva quasi mai: si arrese. Si sentì improvvisamente leggero e la prese tra le braccia, poi la baciò con una tale intensità che a Marie tremarono le ginocchia. Quando si staccò da lei erano i suoi occhi che scintillavano dall'emozione: «Non ho mai voluto niente e nessuno quanto voglio te. Ti basta come risposta?».
Lei si accucciò tra le sue braccia felice e anche rasserenata, non era del tutto sicura che sarebbe andata così bene e che lui l'avesse digerita così in fretta, non era di certo un uomo abituato ad essere gabbato, o preso in contropiede, ma avrebbero affrontato il vento e le burrasche una alla volta. Ci sarebbe stato ancora tanto da chiarire e da parlare ma per il momento era giusto godersi quella neonata ed incosciente felicità.



La serata Karaoke era andata bene anche con buona pace di Levi che alla fine si era arreso e scioccando tutti aveva pure cantato. Tra lo stupore generale e facendo perdere cinquanta dollari di scommessa a Connie, si era esibito in I was made for lovin'g you dei Kiss, ovviamente dedicandola ad Hanji, la quale dopo un primo momento di shock, ne rimase lusingata e piacevolmente sorpresa, sia dal fatto che fosse intonato e sia dal fatto che sapesse pure ballare, dato che mentre cantava si muoveva a tempo di musica in modo indecentemente sexy. Quell'uomo era davvero una miniera di sorprese pensò giuliva la novella signora Ackerman, una cosa era certa loro due non si sarebbero mai annoiati insieme.
Levi non appena ebbe terminata la sua inaspettata performance, riprese il suo perfetto aplomb, come se nulla fosse accaduto, raggiunse Hanji e si giustificò dicendole che non avendo tenuto fede nel farle la proposta in pubblico, le doveva comunque una figura di merda e ora, con questa, aveva saldato il suo debito ed era a posto con la sua coscienza.
Erwin che aveva promesso fuoco e fiamme contro Hanji nel vedere Levi ballare e cantare aveva riso così tanto che alla fine aveva desistito da ogni proposito bellicoso, almeno per il momento.
A fine serata Jean aveva consegnato le chiavi della moto a Mikasa perché la guidasse adducendo come scusa che lui aveva bevuto e lei no. La ragazza si sciolse letteralmente e se aveva avuto qualche dubbio, ora più che mai aveva la certezza di quanto lui fosse speciale, anche se a volte voleva fare il sostenuto, ma del resto nessuno è perfetto.
L'indomani la partenza per Paradise era stata traumatica, ma anche carica di aspettative.
Ritornare in quell'isola come neonato Corpo di Ricerca, nominato da Pixis per via della sperimentazione e il contenimento degli ibridi nell'attesa di avere un antidoto, fu sia dolce che amaro, ma almeno questa volta erano tutti coesi e soprattutto sapevano perché fossero lì e che cosa li attendeva.
O almeno questo era ciò che sembrava sulla carta...




EPILOGO





Molti mesi dopo il loro insediamento nell'isola le loro vite erano ormai incanalate in una sorta di routine regolare e tutto sembrava procedere nella giusta direzione e senza troppi scossoni.
L'unico vero grosso problema era far mangiare Zeke che sembrava depresso, ma soprattutto tenergli Levi lontano dato che, in modo assai magnanimo voleva personalmente porre fine a quella sua vita di merda, come amava dire lui ad ogni occasione.
L'antidoto era già quasi stato messo a punto e quindi stava per essere condotta una prima prova di sperimentazione su ibrido.
Nonostante Krista si fosse opposta con tutte le sue forze, Eren si era offerto volontario e a breve lo avrebbe testato su se stesso. Poi se le cose fossero andate bene, uno ad uno anche gli altri lo avrebbero ricevuto e nel giro di un anno o poco più, tutto sarebbe finito.
Nel frattempo i così detti ibridi dormienti inconsapevoli della loro reale condizione, convinti solo di essere portatori sani di un virus letale, erano stati tutti racchiusi a Marley e per il momento nessuno di loro aveva dato grossi problemi. Insomma tutto sembrava andare per il verso giusto.


Ma qualcuno tramava nell'ombra...


«E così questo Corpo di Ricerca sta per testare l'antidoto eh?».
Uri annuì e guardò Kenny soddisfatto.
Lui non era mica stupido come suo fratello, ci aveva ragionato su e alla fine si era detto che era insensato non cogliere quell'occasione così ghiotta. Kenny poi gli aveva forzato la mano proponendosi come socio e mettendogli a disposizione i suoi contatti e la sua squadra speciale. Uri era un uomo molto influente e sapeva come muoversi e come sfruttare al meglio le opportunità e si era comportato di conseguenza.
«Quando penseranno di aver risolto per sempre la questione noi ci faremo avanti e ci occuperemo della faccenda. Se tutto andrà secondo i nostri piani avremmo in mano l'arma più potente di sempre. A quel punto potremmo dettare le nostre condizioni. Tutte le nazioni più potenti faranno a gara per accaparrarsela e noi da bravi generosi la venderemo a tutti e diventeremo straricchi!» concluse Kenny soddisfatto.
Poi aprì la valigetta in cui c'era già una fiala di siero per creare ibridi di seconda generazione e uno scomparto vuoto pronto ad ospitare il neonato antidoto appena fosse stato testato.
Uri gli ammiccò sornione era stato tutto più facile del previsto, anche se era conscio che la CIA e l'FBI non gli avrebbero di certo reso le cose semplici. Sicuramente al momento delle trattive per vendere quell'arma così potente e così preziosa qualche scaramuccia ci sarebbe stata, ma era sicuro che ogni potenza ne avrebbe voluta almeno una dose, compresa anche quella che diceva di volerla debellare dal mondo.


Brutte teste di cazzo cacate male! Ride bene chi ride ultimo! Lo sapevo io che non poteva essere tutto così semplice, ma avete fatto male i vostri conti. Al momento opportuno vi accoglieremo con un comitato di benvenuto che neanche immaginate. Di te Kenny la merda mi occuperò personalmente, infame che non sei altro!
Pensava Levi incazzato nero, mentre ascoltava la conversazione grazie alla cimice che aveva piazzato strategicamente per origliare quel gran figlio di una buona donna di suo zio. Conosceva fin troppo bene i suoi polli, aveva sentito puzzo di bruciato fin dall'inizio e aveva avuto ragione a prendere questa iniziativa senza chiedere il permesso a nessuno.
Farla a Levi Ackerman se non impossibile era senz'altro molto difficile, anche se a dire il vero Erwin lo aveva coperto e spalleggiato a sua insaputa.
E così erano davvero tornati ad un passo dal punto di partenza: altra storia, altra
guerra da combattere. Nessuno come sempre aveva imparato nulla dagli errori passati...



FINE


§



L'uomo si distrugge con la politica senza princìpi,
col piacere senza la coscienza,
con la ricchezza senza lavoro,
con la conoscenza senza carattere,
con gli affari senza morale,
con la scienza senza umanità...

Mahatma Gandhi





L'utimo monologo dell’autrice
Allora gente come va? Siete rientrati dalle ferie?
Di seguito il pippone promesso, che se non avete voglia di leggere potete skippare subito dopo le note!


NOTE
1)
La considerazione fatta da Eren in realtà è la mia che ho preso in prestito questa cosa da "Mare Fuori," dove Carmine chiama la figlia Futura ispirandosi alla canzone di Lucio Dalla, ma anche perché rappresenta il suo futuro. L'idea mi è davvero piaciuta così ho cercato un modo di dire "futuro" più musicale e più femminile possibile e ha vinto la lingua coreana!
2)Culonia saudita è uno colorito modo di dire delle mie parti che significa alla fine del mondo e oltre!


E ora vorrei spendere due parole sul perché ho scritto questa fic. La prima motivazione è molto semplice avevo bisogno di leggerezza. Volevo prendere il contesto di SNK o AOT che dir si voglia e "ammorbidirlo" senza spogliarlo però della sua essenza primaria e l'AU era l'unica strada. La seconda, che è quella che mi premeva di più, era dare quel qualcosa (chiamata anche gioia) ad alcuni personaggi a cui Isayama l'aveva negata, così ho regalato loro ciò che avrei voluto vedere nel canon.
Per quanto riguarda la fine però ho voluto essere coerente con l'Isayama pensiero, ovvero che l'uomo non impara MAI dai propri sbagli e tutto, in qualche modo, si ripete.
Se per caso vi state chiedendo se questa storia avrà un continuo la risposta è no.
Ci tengo a specificare che forse questo capitolo potrebbe apparirvi "frettoloso" o eccessivamente riassuntivo, ma vi assicuro che è nato così e così doveva essere. Potevo scrivere altri capitoli per approfondire certe cose, ma non avrebbe avuto per me lo stesso "effetto", oltre che darmi l'idea di allungare il brodo (cosa che odio),  quindi sappiate che è unicamente una mia  scelta narrativa 
ponderata.
 
Mi sono divertita come una matta a scriverla, ma vi confesso che dietro c'è stato un lavoro accurato e tanta fatica, anche per questo spero che come mi sono divertita io a scriverla, parimenti voi vi siate divertiti a leggerla, per me sarebbe la cosa più bella. Per questo mi rivolgo a te che l'hai letta dal primo all'ultimo capitolo e magari l'hai apprezzata, ti va di farmi sapere che cosa ti è piaciuto o cosa non ti è piaciuto? Te ne sarai davvero grata, non perché io sia in cerca di lodi o approvazione, ma perché vorrei capire che cosa può averti lasciato questa storia, se ovviamente lo ha fatto. Sappi che le critiche sono sempre bene accette e sono molto utili quando sono costruttive, sono la prima che ne faccio tesoro per migliorare, perché di fatto non si migliora mai abbastanza e io di strada ne ho da fare molta, ne sono consapevole.

Grazie di vero a chi mi ha accompagnata dall'inizio alla fine in questo viaggio durato un anno, ma grazie anche a chi l'ha fatto solo per una parte del percorso, so di avere tanti difetti ma non sono di certo un'ingrata e ogni recensione (anche le 100 e più andate perdute) è stata apprezzata e gradita.
In particolare vorrei ringraziare le mie fedelissime Fool e Coldcat, ma anche Jakefan e Im_notsupposedtobehere per il loro incoraggiamento (la prima) e per essere passata (la seconda), grazie anche a Lady Five, lei sa perché.
Concludo scusandomi per i vari errori di battitura che grazie a segnalazioni e riletture estemporanee sono riuscita a correggere (spero tutti).
E per chi fosse mai interessato alle mie future elucubrazioni mentali, sappiate che sto già lavorando ad una canon Levi-centrica, quindi ci rivedremo presto, ma non subito, tra un po'!
E con questo è tutto, vi ho ammorbato abbastanza, passo e chiudo.
Ad maiora semper!
Con affetto e riconoscenza
kamony
{See you soon!}

Disclaimer
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Tutti i personaggi di SNK qui citati (purtroppo) non mi appartengono, ma sono proprietà di Hajime Isayama.


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