Lunga notte a Water Seven

di robyzn7d
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Fragilità Maschile ***
Capitolo 2: *** Fragilità femminile ***



Capitolo 1
*** Fragilità Maschile ***


 
 
Capitolo I
Fragilità maschile 
 
 
 
 
 
 
 
Nami non avrebbe mai immaginato che loro avrebbero potuto vivere una situazione irregolare e atroce come quella; come non avrebbe mai veramente creduto che quella persona avrebbe potuto metterli in una simile situazione; così come non avrebbe potuto prevedere che la pericolosa conseguenza l’avrebbe subita per prima il suo cuore.
Se si soffermava a pensare troppo a lungo che sarebbe scomparso dalla sua vita in questo modo, per questo motivo, con questa facilità stupida e disarmante che la faceva sentire impotente, veniva sopraffatta dalla sua stessa rabbia divoratrice. 
Si trattava solo di stupidi giochi da maschi egocentrici e orgogliosi. Giochi che la rendevano nervosa, e orgogli pericolosi che la facevano sentire ferita.
Dopo così tanto di vissuto insieme, dopo continui momenti intensi, capaci di colmare una vita intera, con ricordi tanto significativi quanto preziosi, si trovava ad affrontare, con ogni suo sforzo mentale, una crepa talmente poco resistente da poter diventare ancora più frangibile. Scosse la testa per scacciare via più di un ricordo caro che, a furia di essere analizzato, avrebbe potuto rovinarsi, diventare logorante, se non anche terribilmente fastidioso.
Lei era stata libera di vivere i suoi amici e se stessa, convinta che il male non avrebbe mai più potuto scalfirle l’anima, perché era al sicuro, protetta da un gruppo solido affidabile di compagni impareggiabili cui rifugiarsi per avere e dare conforto. Ma stava permettendo l’innestare in lei di quel dubbio, quell’estenuante paura di vedere tutta quella certezza scivolarle da dosso come fosse stata solo un semplice abito che aveva indossato con vanità. E stava diventando sempre più faticoso, quel dubbio, nel momento in cui le conseguenze di quel diverbio, litigio, stupidaggine insensata e ottusa di orgoglio sensibile le rimbombavano nella mente con prepotenza, nell’eco di una fragilità maschile. 
Quelle tante parole che erano state sputate fuori da più voci del coro, erano state colme di animi feriti, o, forse, erano rimasti solo animi feriti vuoti di parole. Aveva provato ad avere un confronto, ma non aveva potuto impedire lo scempio, poiché non c’era spazio per la sua voce da donna ragionevole in quella disputa stupida e priva di ogni lucidità. Aveva provato a mettere in luce le priorità nel momento in cui aveva sentito l’obbligo di mettere da parte l’orgoglio per il bene comune, in una opprimente necessità di far ragionare quelle cape testarde e piene di sé dei suoi compagni uomini. Ma niente da fare, anzi, in un batter di ciglia, la situazione si era trasformata in peggio. In un peggio equivalente ad un attimo di buio. Un buio soffocante, opprimente, stressante, faticoso, orrendo. Quelle parole, quelle conclusioni, quella minaccia, erano il risultato di quel diverbio sciocco, scriteriato, ottuso, inutile, diventato più grande e ingombrante del problema stesso.
Non era riuscita a reggerlo quel sintomo, trasformato in una paura criptica, oscura, che l’aveva portata ad implodere interiormente per tutta la giornata, fino a desiderare di sfuggire agli sguardi non appena aveva potuto farlo. 
Così, con la scusa di una boccata d’aria, aveva lasciato i suoi compagni, ancora provati, nel rifugio in cui stavano alloggiando ospiti della Galley-la Company, per passeggiare in solitaria tra i vicoli di Water Seven. 
 
Non aveva corso a perdifiato fino a sentire i polmoni bruciare, come invece per un attimo, aveva creduto di voler fare. Non si era nemmeno più di tanto arrabbiata come al solito, seppur quella espressione sul volto, che le faceva piegare leggermente le labbra verso il basso, suggeriva che non vedesse l’ora di liberarsi di quel peso emotivo. Non aveva portato con sé il sacchetto coi denari, né un lumacofonino, e nemmeno qualcosa per coprirsi le spalle dall’umidità. Le sue gambe si erano mosse come se lo avessero fatto di loro spontanea volontà, facendola immergere nella strada trafficata, una strada che non conosceva nemmeno così bene come aveva creduto all’inizio, o, forse, in realtà, non aveva nemmeno pensato di volerla conoscere. Era passata per Piazza Liguria e anche per il famoso mercato della città, ma non aveva nemmeno fatto caso a cosa le stava intorno. Portava addosso la sola costante sensazione di non aver compreso qualcosa, qualcosa di essenziale. E quando, per un attimo, aveva creduto di averla quasi raggiunta - quella rivelazione - una luce di un lampione le aveva schiarito il sentiero davanti agli occhi, portandola a riconoscere le retrovie che conducevano ai cantieri dei carpentieri. Aveva sospirato - forse un po’ allietata dal non essere stata del tutto imprudente - mentre poteva sentirsi meno sperduta, dal momento che si trovava nuovamente nelle vicinanze del loro alloggio. Ma questo, forse, sarebbe stato davvero proficuo se solo avesse chiaro in mente cosa fare per attenuare almeno quella sua ansia. 
La luna in fase crescente, come spuntata appositamente per monitorarla, e, forse, giudicarla, nel cielo diventato scuro, faceva da spettatrice nel suo essere così inquieta. L’odore di acqua piovana stagnante si stava mischiando in un tocco bizzarro agli aromi della città, e i suoni della vita notturna accesa, con i versi dei Yagara che in lontananza ancora traghettavano le persone felici da un punto all’altro, rendevano allegra e confortante un’atmosfera che faceva solo eco dentro di lei, che si sentiva come una casa vuota senza arredamento, spogliata di ogni colore e rassicurazione. 
Tante erano le domande, fin troppe. Ma ancor di più pericoloso era che si stavano tramutando in dubbi. Davvero avrebbero ripreso il viaggio senza uno di loro? E sarebbero ripartiti senza nemmeno averci provato abbastanza? 
Tormentandosi non solo la mente, ma anche la pelle con le dita delle mani che continuava a pizzicare con le unghie, in preda al nervosismo, continuava a camminare, rendendosi conto solo troppo tardi della strada percorsa, riflettendo perciò solo in quel momento dei possibili rischi di quell’avventatezza. 
Era sola. 
Era devastata. 
Era una casa vuota con l’eco di quella minaccia che la tormentava. 
 
 
 
“Ma guarda un po’ … la ragazza scostumata!”
 
Risvegliatasi obbligatoriamente da un intorpidimento dei sensi e da un estraniamento quasi invisibile da fuori, Nami, aveva costretto sé stessa, in modo inconscio, a riemergere dal caos interiore, per sprofondare con naturalezza in quello reale. Quando aveva alzato leggermente la testa e aveva guardato dritta davanti a sé, senza effettivamente muoversi, e con espressione stupita, il suo sguardo si era scontrato con un altro, un viso diverso dai soliti che era abituata a vivere, ma che, comunque, conosceva, anche se, nonostante ciò, stava impiegando più tempo del dovuto per rendersi conto a chi appartenesse. 
“Copriti quelle gambe! Ti avevo avvisata che in questo cantiere ci stanno solo uomini!” 
“Ah, Pauly?” 
“Pensavi di incontrare qualcun altro?”
Il carpentiere si trovava affacciato in un terrazzino di una piccola palazzina affiancata a tante altre, distante di pochi metri da uno dei cantieri, in una veste diversa da come aveva avuto modo di conoscerlo nei giorni precedenti: a petto nudo e con addosso solo dei jeans sbiaditi; in testa si scorgeva l’assenza dei suoi fidati occhiali, ma in bocca era immancabile il suo dannato sigaro. 
Dimenticando per un solo attimo del vuoto che si portava dentro, osservava l’uomo incuriosita, richiamata involontariamente a stare attenta a ciò che le si presentava davanti, a coglierlo. E nel momento stesso in cui stava per riprendere a sentirsi esausta da quella giornata, s’incuriosì per il modo in cui quell’uomo la osservava con insistenza. E così che un pensiero disinvolto la distrasse.
“E tu perché non indossi la camicia?” 
“Io sono un uomo!” 
“Me ne frego!” 
Nami era riuscita a separare i suoi pensieri dalle sue parole e azioni, non battendo ciglio in quel nuovo diverbio che avrebbe potuto portare ad un risvolto interessante. Lo aveva sentito battere i denti e grugnire, imbestialito, nel momento in cui lei aveva portato le braccia sotto al seno, sottolineando le sue forme dentro quella canottiera scollata. Non poteva non darle sui nervi quell’atteggiamento maschilista, e, per questo, non poteva non raccoglierne la provocazione. Pensava che se fosse stato quell’uomo ad estenuarla, a sfinirla più del dovuto, non avrebbe potuto farlo più nessun altro.  
Quell’altro… 
“Svergognata!” 
“Ma Piantala!” 
“Non ti sei portata nemmeno una giacca?”
“Ma non fa freddo!”
“Stupida! Non é certo per il freddo che te lo dico! 
Piuttosto, si può sapere che diavolo fai qua? Ma non vi avevo avvisati di non farvi vedere da queste parti?”
Il carpentiere ispirò il fumo del suo sigaro con una improvvisa agitazione, ricacciandolo fuori, mentre era chiaro che cercasse di calmare i nervi che lei con la sua sola presenza gli aveva fatto saltare, ma senza smettere però di tenerla d’occhio. L’aveva osservata quel poco che bastava per capire che c’era qualcosa che le frullava in testa, costatando quanto fosse spaesata e meno sicura di sé di quando l’aveva vista la prima volta, e quelle successive. Continuava a squadrarla, cercando il più possibile di non posare gli occhi sulle sue forme tentatrici, concentrandosi allora sul quel viso che lo incuriosiva, a metà strada tra l’essere fragile e innocente, ed essere totalmente seducente, quasi provocatorio. Anche se, come a confermare i suoi dubbi, riusciva a capire che quell’anima stava vivendo un momento cagionevole; lei provava a nasconderla, ma lui l’aveva colta proprio grazie a quel suo viso, in quel momento meno incantatore, più concentrato a nascondersi che ad apparire, anche se, e questo lo faceva sentire confuso e a disagio con se stesso, quella stessa fragilità lo ammaliava in egual modo. Non aveva obblighi verso di lei, e non voleva avvicinarsi troppo a quel “diavolo con la gonna”, ma… 
 
 
“Vuoi salire?” 
 
 
 
 
Un piccolo e caldo alloggio che sapeva di gelsomino invecchiato. Le pareti giallo senape, un colore che mai avrebbe considerato per arredare casa, ma che un po’ le ricordavano un parco di girasoli, riuscivano a darle l’impressione di un ambiente ordinato e affatto minaccioso. Era tutto abbastanza in ordine per essere vissuto da un uomo solo, un carpentiere, anche se per quanto bizzarro in alcuni lati del suo carattere, poteva affermare istintivamente che Pauly non sembrava affatto stravagante. Tutto perfettamente rifinito a regola d’arte, dal tavolo con le sedie alla panca in legno, dalle mensole sulle pareti sopra il letto, al mobile chiuso a due sportelli sopra al lavabo. Tutto lavorato egregiamente in legno, maneggiato con cura ed incredibile passione. Lo stesso tavolo al quale Nami aveva preso posto, in preda alla più strana confusione che la spingeva nel continuare a guardarsi intorno, era splendidamente rifinito, tanto da farle venir voglia, per la prima volta, di avere simili arredi nella sua stanza nella futura imbarcazione. Qualcosa che prima non aveva mai creduto di desiderare. Oggetti essenziali, ma tutti posizionati secondo uno schema ben preciso. Qualche giacca e qualche jeans quasi dello stesso modello appesi in un armadio aperto affacciavano sulla parete dall’altro lato del tavolo, forse, l’unico dettaglio che poteva suggerire quasi un po’ di disordine. Non poteva mancare un abbondante rifornimento di sigari, posati su quel tavolo senza una macchia o un segno che indicava di essere stato abbastanza vissuto, che fremevano di essere consumati. Una bottiglia d’acqua sostava accanto ad essi, con un bicchiere pulito rovesciato al fianco; e, infine, un tappeto blu, unica fonte di vero colore di tutto l’ambiente che sostava sotto ai suoi piedi, e una porta accanto al terrazzino, che suggeriva l’ingresso per i sanitari, concludevano la sua rapida perlustrazione visiva.
“Com’é che esci da sola di notte?”
Le interruppe bruscamente i pensieri per la seconda volta in quella serata, mentre s’inchinava al frigo per cercare qualcosa da offrirle, ma trovandolo tristemente vuoto, dettaglio visibile dal suo leggero imbarazzo per essersi scordato di rifornirlo. In realtà, non avrebbe potuto far la spesa, comunque, dal momento che aveva speso tutti i suoi denari al gioco.
“Mi dispiace, non ho niente!”
“Guarda che sono una donna adulta, posso uscire da sola quando e quanto mi pare!”
La voce di Nami si fece ancora più scorbutica, quell’uomo aveva del talento nel farla velocemente indispettire. Non aveva smesso di tenere le braccia al petto, spostando lo sguardo esageratamente infastidita nel suo atteggiarsi drammatico.
Lo sentì camminare verso il tavolo e riempire d’acqua quel bicchiere che aveva già avuto modo di notare, con il rumore del liquido trasparente che riempiva quella stanza troppo silenziosa. Lo sentì ancora muoversi verso di lei e prendere posto sulla sedia al suo fianco. 
“Tò. Bevi.” 
“Com’é che non hai nient’altro?” 
La rossa non accettò il bicchiere, continuando a tenere il broncio come segno di protesta, o marchio indelebile del suo carattere guardingo, in quella posizione altezzosa che voleva significare che aveva bisogno di proteggersi da qualcosa che ancora non era chiara. 
“Te l’ho detto, non ho comprato niente…ho lavorato alla vostra nave tutto il giorno, e”
“Intendo alcol!”
“Non ti farò certamente ubriacare! Sei una donna!”
Con i denti a puntino, il carpentiere scuoteva la testa, totalmente allibito da una simil richiesta oltraggiosa. 
Nami si voltò a guardarlo in viso, in un cenno di sfida, che però, in quel momento, ricordava, era solita dedicare a qualcun altro. 
“Guarda che è impossibile che tu conosca qualcuno che possa reggere più di me un giro di bevute.”
“Così mingherlina? Non credo proprio!”
Pauly era serio, non scherzava, non stava solo sfogando tensione, era davvero così dannatamente rigido. 
Era possibile, si chiedeva Nami, che fosse così tanto intimidito dalle donne?
“To, bevi quest’acqua, fammi il piacere.” 
Ma lei aveva continuato col suo gioco, e, sbuffando scocciata, non aveva impiegato troppo tempo a ignorare il bicchiere senza sentirsi affatto maleducata, cambiando discorso di punto in bianco. 
“Non è che per caso hai bisogno di un prestito?”
Niente poteva infiammarla più di un’occasione propizia come quella di intrappolare un uomo senza soldi nel suo giro di interessi. “Potrei aiutarti a risolvere i tuoi debiti di gioco in modo definitivo”. 
Già poteva annusare quella sensazione di potere che le faceva sentire dei formicolii continui per tutto il corpo. Sarebbe tornata da lui, prima o poi, a riscuotere. Ma c’era qualcosa che non aveva preso in considerazione in quel suo rapido calcolo mentale, qualcosa che, nonostante quella fausta opportunità, le cadde sulla testa come un macigno. Un ricordo, un pensiero, un déjà-vu. 
“Tu risolveresti i miei problemi?”
Esultò svelto, nonostante fosse ancora oltraggiato, ma diventando immediatamente serio quando in lei, sotto quell’espressione intimidatoria, aveva scorto qualcosa, una crepa forse, una crepa che conteneva una nota di acuta tristezza. Quella luce di poco prima, in quegli occhi, si era spenta. Era come se l’avesse persa da qualche parte, nei profondi meandri della reminiscenza. E Pauly non poteva saperlo, di quanto quella resa sul rinunciare ad un’occasione come quella, fosse un segnale di gravità di proporzione colossale. La guardava attratto e spaesato allo stesso tempo: voleva saperne di più. 
L’aveva seguita con lo sguardo anche quando l’aveva vista alzarsi dalla sedia, senza poi dire una parola, diretta verso il terrazzino aperto, lo stesso da cui lui l’aveva avvistata, e da cui lei era sembrata incuriosita.  
Si era ritrovata affacciata al cornicione, a scrutare il cantiere sottostante, e, per un solo momento, aveva provato a scorgere anche il casolare che ospitava lei e i suoi compagni, senza però riuscire a vederlo.
Era normale sentirsi sopraffatta da un ricordo? Era consueto provare improvvisamente una confusa nostalgia, mentre stava solamente a due passi da loro?
“Screanzata!” 
Ancora una volta, le sue riflessioni malinconiche venivano interrotte da quell’uomo che sentiva borbottare alle sue spalle, tanto da farla voltare verso di lui ancora più scocciata, forse più per il fatto di non riuscire realmente a distrarsi come aveva immaginato all’inizio. Il carpentiere aveva le guance rosse per via dei pensieri che la vista delle gambe scoperte di Nami e della sua gonna corta, risalita leggermente verso l’alto, nel momento in cui si era sporta, gli aveva provocato.
“Si può sapere che ho fatto?” 
“Non devi sporti in quel modo!”
“Ma quale modo?”
Lo vide improvvisamente agitato mentre cercava di riaccendere il sigaro che gli si era spento tra le labbra, con lo sguardo accigliato verso il basso, costringendosi a non alzare la testa.
“Non avrei dovuto farti salire! Sei la peggiore tra le tentatrici!”
“Ma che cosa stai farneticando?”
Seccata da quell’atteggiamento, ma soprattutto dal sentirsi così poco se stessa e confusa - una casa vuota con l’eco di quella minaccia che la torturava  -  Nami era rientrata in casa, e, indecisa se assestargli un pugno per farlo calmare – più che altro tacere - o andarsene direttamente, optò per la seconda, dal momento che era troppo abbattuta e stranita per prendersela anche con quell’uomo e le sue ossessioni. 
“Ho capito…” sospirò, dirigendosi alla porta, “…ti saluto!”
Ma, mentre avvicinava la mano alla maniglia per aprirla, abbastanza sicura di aver scelto bene, aveva sentito un tocco bruciante sul dorso, accompagnato da un tepore di un’altra mano, più grande e più calda, in un tocco che stranamente era stato delicato. 
“Aspetta!” 
Sul volto un’espressione stupita, volta a guardare negli occhi il proprietario di quella mano, improvvisamente così vicino a lei.
“Non voglio che tu te ne vada.” 
Il tempo di due parole stranianti, che Nami aveva già ritratto la mano rapidamente, sfuggente come al solito, invasa dalla sensazione di un inspiegabile timore e, non volendo reggere quello strano e inusuale calore bulicante sulla pelle, stava indagandosi per cercare di capire cosa significasse.
“Non sono il diavolo tentatrice?”
Smorzò l’atmosfera, orgogliosa come al solito, decidendo di prenderlo in giro, ma anche prendendosi un po’ di rivincita. 
Lo vide assicurarsi che la porta fosse rimasta chiusa, per poi ricambiare lo sguardo anche lui e sospirare come conseguenza alle sue parole. 
“…lo sei…”
Nami lo sentì farsi più vicino con quel volto serio, forse un po’ meno incline nel giudicarla rispetto a poco prima. “Però…”
“Però?” 
Lo incitò, stranita da quell’atteggiamento che non riusciva a decifrare. Lei era abituata ai pervertiti o ai suoi compagni, per niente non curanti di gentilezze o atteggiamenti troppo calorosi nei suoi confronti – è vero, aveva pur sempre Sanji, ma lui era una figura amorfa, inspiegabile, unica nel suo genere, e ad ogni gentilezza corrispondeva una dose di perversione quotidiana.  
“Preferisco lo stesso che tu rimanga.” 
La rossa aveva alzato un sopracciglio incredula. Le aveva davvero detto questo, quell’uomo che non faceva altro che giudicarla e criticarla? 
Eppure, quel contatto caldo di quella mano rude le ricordava qualcosa. Quel carattere giudizioso le ricordava un posto sicuro. Quella strana attenzione nei suoi confronti le ricordava qualcuno. 
Con una complicata sensazione addosso, e un’annebbiamento momentaneo, ebbe quasi un capogiro, finendo dritta dritta nella presa del biondo, che, con uno scatto automatico del braccio destro, l’aveva afferrata per la vita evitandole una caduta sul pavimento. 
“No, no…sto bene, sto bene!”
Cercò di rimediare velocemente al danno, provando a divincolarsi da lui, da quella miscela di sentimenti, ricordi, percezioni che le stavano mandando tutto il suo mondo allo sfacelo. Ma inutili i tentativi di divincolarsi, ormai, quello, non l’ascoltava più. 
“Col cavolo!” aveva grugnito spazientito, “Ma che fai, mi svieni addosso? Ma mangi abbastanza?”
L’aveva saldamente tenuta per la vita e aiutata a raggiungere il letto in un corto ma intenso tragitto. 
“Siediti” le aveva quasi ordinato, celando la preoccupazione con il fastidio. Quella donna già una volta lo aveva ingannato, facendogli credere che fosse distrutta e in preda alle lacrime, quando invece era solo un peperino in preda all’adrenalina e dalla forte determinazione. Lo aveva già fatto preoccupare a vuoto, e, stavolta, non ci sarebbe cascato facilmente. 
Nel frattempo, Nami si stava mettendo comoda, e, accettando l’idea di fermare per un attimo la sua angoscia e relative preoccupazioni, mentre cercava di riprendersi da quel marasma di emozioni, lasciava scivolare le scarpe dai piedi che finivano dritte sul pavimento, senza fare troppi complimenti. 
Pauly aveva allungato l’altro braccio verso il tavolino riacciuffando il bicchiere colmo d’acqua di poco prima, porgendoglielo svelto, in uno sguardo che sarebbe stato immobile ad infierire su di lei finché non lo avesse buttato giù. “E bevi sta dannata acqua!” 
Arresa a quell’insistenza, Nami accettò, sognando però, per tutto il tempo, di poter ingurgitare altro, qualcosa di cui aveva davvero bisogno quella sera; per poi riconsegnarlo al suo “temporaneo aguzzino”. Stesasi sul letto, su quelle lenzuola che, per suo stupore, profumavano ancora di ammorbidente, come se non ci fossero mai state prove dell’esistenza di Pauly, aveva del tutto accettato l’idea di compagnia del carpentiere. 
Arreso anche lui a quella presenza cui non riusciva a fare a meno, e in fondo già lo aveva previsto che sarebbe stato così, si apprestava a raggiungerla sul letto, sedendosi parallelamente alle gambe di Nami, e, quando si accorse della cosa, trovandosele nude davanti agli occhi, trattenne un’imprecazione che avrebbe fatto rivoltare nella tomba anche il più maleducato dei pirati. 
“Copriti, dannazione!”
“Devi smetterla!” 
Lei, che si sentiva da sola la temperatura con la mano, e dopo aver appurato che stesse bene e che fosse stato per lo più il caldo a farla cedere – come preferiva raccontarsi - aveva piegato i muscoli in segno di rilassamento, ignorando beatamente le proteste del suo ospite. Quello, di tutt’altro avviso, con le guance nuovamente rosse, cercava di non guardarla, ma senza troppo successo. E lei lo vide diventare sempre più rosso, quasi come se gli stesse per scoppiare il sigaro da un momento all’altro. 
“Sono solo gambe, idiota! “
“Sono gambe di una donna!”
“E allora?”
Per infastidirlo, lei ne allungò una, muovendo il piede sopra di lui, andando a torturarlo sul braccio, fregandoglielo sopra. “Ti piace così?”
Lo vide voltarsi a guardarla quasi in procinto di vomitare, mentre lei sghignazzava. 
Era quasi immobile, come se stesse per alzarsi ma non ci riusciva. Nami continuava a torturarlo, ridendo divertita di quella sua stramba reazione, senza risparmiarlo, muovendo il piede sopra di lui. D’altronde, diceva cose fuori dal mondo, perciò era sicura se lo meritasse. 
“Ti ricordo che sei tu quello senza la maglia addosso…”
Si mosse ancora su di lui, infierendo, in modo quasi sensuale, provando un senso di estraniamento a tutti i suoi problemi. Lo vide avvicinarsi col busto a lei per urlarle contro con un’espressione imbronciata e un tono alterato, di uno che non ce la fa più. E non poteva che esserne felice del risultato ottenuto. 
“Quante volte devo ripeterti che io sono un uomo!?” 
Nami aveva alzato la testa dal cuscino, fintamente infastidita, accettando quella strana battaglia senza senso, squadrandolo male, ma con un certo gusto che veniva celato in modo furbesco dal suo tono di voce. 
“Ti ho detto che me ne frego!” 
“Tu…te ne freghi?”
Continuò imperterrito, avvicinandosi ancora a lei col busto, trovandosi quel viso, che vedeva come incantatore, proprio davanti ai suoi occhi increduli. 
“Me ne frego!” 
La replica di lei gli faceva allargare ancora di più le pupille, fino all’inverosimile. Senza accorgersi l’aveva quasi sovrastata col fisico. E con il respiro infievolito, iniziò a sentirsi sempre più strano, completamente rapito da quella presenza che non riusciva a smettere di guardare, nonostante non condividesse il suo atteggiamento sfrontato e continuamente ammiccante, anche quando non lo faceva di proposito. E, mentre lei lo fronteggiava a testa alta, gli successe una cosa inusuale: il sigaro gli cadde dalla bocca. Lo aveva sentito scivolare e stanziarsi sul lenzuolo giallo e perdersi dentro di esso, ma, per la prima volta, non se ne curò affatto, poiché non riusciva ad interrompere il contatto visivo con Nami. La stessa donna che, imperterrita, non avrebbe accettato l’idea di abbassare per prima lo sguardo, considerato da entrambi, stupidamente, come un segno di resa. Così, ignorando la bizzarria della cosa, con le mani che si muovevano ormai da sole, le aveva improvvisamente afferrato il viso, e con una spinta su sé stesso, si era avvicinato abbastanza a lei da catturarle le labbra in un bacio coraggioso. 
Di reazione, una Nami sbalordita aveva poi poggiato le mani su quel torace ponderoso, spingendolo via con la sua forza, ma, anche, nello stesso secondo, in quel suo stato attonito, aveva quasi ceduto per un piccolo attimo a quello strano trasporto, decidendo, inconsciamente, di lasciarsi andare. Ma durò veramente il frammento di un attimo, di un pensiero, di un sospiro. 
 
Steso sul letto con la schiena sul materasso e con un bernoccolo di proporzioni discutibili sulla testa, Pauly faceva i conti con se stesso e di quel suo gesto imprudente che nemmeno lui si sarebbe aspettato avrebbe mai compiuto. 
“Mi dispiace…” brontolava, dolorante, con un tono di voce spezzato, mentre guardava il soffitto a bocca aperta. 
“Porco!”
Nami, ancora seduta al suo fianco, teneva nuovamente le braccia a mo di pugni, probabilmente in posizione di difesa, pronta a dargliene altri, ma, anziché pensare a quella animosità, s’interrogava su quell’unico momento in cui lei aveva deciso di lasciarsi andare per davvero. 
Quell’uomo, in un certo senso, le ricordava  qualcuno…
“Tentatrice…”
Continuava a vociferare, ancora sconvolto da ciò che aveva fatto, ma soprattutto, da come lo faceva sentire dentro.
“Ne vuoi un altro?”
Nami gli mostrò il pugno e lui però non batté ciglio, convinto fosse giusto prenderne pure degli altri. Ormai era sicuro che nonostante tutto ne fosse valsa quella sofferenza. 
“Me lo merito…”, accennò, sorprendendo la rossa che, stranamente, ritrasse la mano senza accanirsi e imperversare esageratemente su di lui. Ma, forse, solo perché continuava a pensare a se stessa, al fatto che lei aveva quasi partecipato.
“Di un po’” iniziò il discorso per calmarsi a sua volta, “ma non ci stai mai in mezzo alle donne?”
Lo vide cercare il sigaro con la mano tra le lenzuola, totalmente dipendente da esso. 
“Non vedi dove vivo? Passo al cantiere tutta la giornata…”
“Come vedi non ti fa del tutto bene…”
“Questo posto e questo lavoro sono tutta la mia vita.”
Nami si rilassò leggermente, sospirando e arrendendosi all’evidenza della situazione. D’altronde, un po’ poteva pure capirlo; tutti loro avevano una passione che portava via tutto il loro tempo. Certo, pensava, chi riesce anche a svagarsi di più, fuori dal proprio obiettivo, e chi, invece, non lascia spazio ad altro…
“Vedi i risultati? Incontri una donna per caso e subito diventi un maschio primitivo. Non sei abituato e confondi i sentimenti.”
Pauly riprendeva tra le mani il suo amato accessorio, ancora con quello sguardo stranito e immobile sul soffitto, catturato in uno strano stato di trance. 
Quel bacio l’aveva bruciato.
“Guarda che ne ho viste altre di donne, cosa hai capito!”
La rossa alzò un sopracciglio e si voltò a guardarlo nuovamente, vedendolo alzarsi appena e indietreggiare abbastanza da appoggiarsi alla spalliera del letto.
“Solo non così sfacciate come te.” 
“E allora che cos’é questo capriccio?”
Lo osservò girare il sigaro tra le dita, che nel frattempo si era spento, e riaccenderlo con calma, con piccoli gesti attenti tramite movimenti che catturavano l’attenzione e lo sguardo di Nami, come fosse ipnotizzata, mentre pensava a quanto sentisse quel sapore di fumo ancora nella bocca e quanto non le desse nemmeno tanto fastidio come avrebbe altrimenti immaginato.
“É da quando ti ho conosciuta, vista la prima volta…” riprese a fumare con una strana lentezza, o forse l’avvertiva solo Nami, “…che volevo farlo.” 
Pauly era rimasto in quella posizione in attesa di avere una risposta, o forse no, forse non ne voleva davvero una. Quel bacio lo aveva così tanto sconvolto da non importargli nemmeno della piccola confessione appena fatta.
“Perciò tutte ste scene che fai sul pudore, nascondono un tuo lato da maniaco?”
“Non sono un maniaco! Sei tu che sei così…ah, lascia perdere.”
Pauly aveva continuato però a non perderla, seguendola con la coda dell’occhio, mentre stava ancora immobile con il volto rivolto al soffitto.
Lei, d’altro canto, era irrequieta e un po’ imbarazzata, ma, in realtà, vedeva tutto talmente sfocato, da non stare capendo nemmeno più se stessa. Appoggiandosi allo schienale del letto a sua volta, aveva avvicinato a sé le gambe, stringendosi in un abbraccio solidale.  
 
 
“É per il vostro amico nasone, che stai così?”
All’improvviso un boato in quell’eco tormentato. 
“O é ancora per Nico Robin?” 
 
Ed ecco che la situazione, questione, conversazione, cosa – non sapeva come definirla - era appena diventata pericolosamente seria. Almeno, troppo seria per lei. Ma lei nemmeno lo sapeva perché era finita lì. Per non parlare? Per parlare? 
A Pauly bastavano due parole per rendere tutto così automaticamente semplice e veloce. 
Ancora…quella somiglianza. 
Lui, quasi uno sconosciuto che stava provando a leggerle dentro, a capirla; lui, che si stava interessando a lei. Era per davvero così preso da riuscire a leggerla con una pacata leggerezza d’animo? 
Era stupita, folgorata, incredula, emotiva. 
Però, forse, si stava immaginando tutto, quell’uomo non poteva fare tanto, essere tanto; è vero, la incuriosiva, c’era qualcosa in lui che l’attraeva facilmente, ma stava esagerando, tutti sapevano di cosa era successo alla sua ciurma, … di Usop, … di Robin. Tutti sapevano di quei dolori. 
Era anche fin troppo facile. 
Doveva calmarsi, smetterla di dare a vedere quel suo tormento più profondo. 
 
Nami sciolse l’abbraccio con le sue gambe, per piazzare un sorriso a metà strada tra il forzato e il sincero, tirando all’uomo una gomitata che lo colpiva al fianco, all’altezza del braccio, facendolo leggermente imprecare. 
“Se vuoi assomigliargli dovresti parlare meno.” 
“Assomigliare a chi, scusa?”
Ma lei non lo stava più a sentire, alzandosi improvvisamente dal letto alla ricerca determinata di quei famosi alcolici. Quello era il momento giusto. Quella era l’occasione per affogare con piacere i suoi tormenti.
“Sono sicura che tieni da bere nascosto da qualche parte…” chiacchierava tra sé e sé, mentre andava in perlustrazione da sola, prendendolo di sorpresa. 
Pauly allora si mise seduto per osservarla fare, mentre girava scalza in quei pochi metri quadrati di casa e apriva tutti gli sportelli senza chiedere, ignaro di quella testardaggine, e, perciò, senza pensare cosa stesse davvero cercando. 
“Te l’ho detto, non ho fatto la spesa! Se hai fame ti porto a…”
Ma quando la vide mettersi in punta di piedi e allungare la mano verso una bottiglia di vetro tenuta al sicuro in un mobile appeso in alto, si alzò rapido per fermarla, afferrandole con forza il polso.
“Sta’ ferma!”
Dalla fretta era quasi inciampato sui sandali di Nami, ma dal momento che era riuscito a mettersi tra lei e il mobile per tempo, affrontando a testa alta quello sguardo contrariato e scocciato, non se ne preoccupò più di tanto.
“Ma che…?”
“Scordatelo che ti permetto di bere qua dentro!” 
Spaventato dalla furbizia e abilità della rossa, le prese anche l’altro polso.
Lei s’infievolì, con le sopracciglia che andavano verso l’alto e il ghigno di sfida e di stupore a contornarle il volto. 
“É solo una bevuta! Qual é il tuo problema?” 
“Non rischierò di finire in una situazione compromettente. Non mi approfitterò di te quando non sarai più lucida.” 
“Idiota!” Riuscì a divincolarsi dalla sua presa di entrambi i polsi, provando lo stesso ad allungarsi e superarlo per prendere la bottiglia. “Pensi che te lo permetterei?” 
Una sola bottiglia, la stessa che lui tentò di afferrare per primo, voltandosi verso il mobile e dandole la schiena, ma che quando lei provò a sua volta a sottrargliela gli scivolò velocemente dalla mano cadendo nel lavello sottostante e andando completamente in frantumi. 
“Idiota! Sei un idiota!” Aveva iniziato a colpirlo sulla schiena coi pugni chiusi. “Che razza di spreco!” Continuava a colpirlo nervosa con attacchi quasi ridicoli, ma con tutta la sua energia impressa ad ogni colpo inferto. Forse, pensava, con quel gesto Pauly voleva ricordarle a tutti gli effetti che non era la persona che lei stava cercando, e doveva farsene una ragione subito. 
In fondo, non era per l’alcol andato sprecato, come non centrava il fatto che lui le avesse impedito di berlo. Lo sapeva nel profondo di se stessa che era emotivamente distrutta, così tanto da sentirsi frustrata solo per non essere riuscita a farsi un paio di bevute. E quell’instabilità evidentemente la si vedeva benissimo da fuori perché uno come Pauly aveva fatto di tutto per negarle quella soluzione ai tormenti. Voleva davvero il suo bene? No. Lo stava di nuovo idealizzando. Continuava ancora a paragonarlo a quell’altro. 
Ma poi lui, lui era rimasto immobile, lasciandosi colpire, mentre osservava il liquido trasparente scivolare nel buco e scomparire nel vuoto. 
Pauly non l’avrebbe ammesso, ma ne era sollevato di come erano andate le cose, e, ancora davanti al lavello, l’aveva lasciata sfogare restando in silenzio il più possibile.
 
 
 
“Il nasone tornerà con voi. Ne sono certo.” 
 
La voce pacata, quasi sensuale, con quel tono fermo e caldo, in una supposizione che voleva essere sincera ma soprattutto di conforto per lei. Per lei. 
Non la conosceva nemmeno così bene, non erano nemmeno così uniti, perché perdeva tempo a starla a sentire, addirittura a confortarla in qualche modo? 
“Lui si chiama Usop!” 
Aveva puntualizzato, nervosa da quelle attenzioni, mentre lo colpiva ancor un’altra volta, ancora e ancora, pur sapendo che in realtà quell’uomo non c'entrava niente, non aveva colpe, se non di aver fatto rovesciare il liquore.
Senza accorgersi aveva rallentato, poggiando la testa su quella schiena che prima aveva preso a pugni senza remore, sospirando forzatamente mentre cercava di ricomporsi. Quell’uomo, nonostante tutto, le dava un senso di protezione. E, d’altronde, l’aveva salvata più di una volta da quando lo aveva conosciuto.
Lui, uno sconosciuto. 
Anche se, ormai, non lo era più già da un pezzo. 
 
“…Potremmo realmente e orrendamente partire senza un compagno…, stavolta.” 
 
Non sapeva nemmeno perché lo aveva confidato. Il tono era cambiato, la voce le si era smorzata. Lo aveva detto come a voler essere indispettita di proposito. Lei non lo sapeva per davvero se le cose sarebbero finite bene o se l’orgoglio avrebbe rovinato per sempre il loro viaggio, ma confidarlo, dirlo ad alta voce, lo rendeva fin troppo reale. 
Il carpentiere era rimasto immobile tutto il tempo, forse per la serietà del momento, forse nel suo ruolo di uomo-eroe, o, forse, perché sentiva le forme di lei schiacciate sulla sua schiena…
Con il volto bordeaux, che Nami non poteva vedere, e le imprecazioni sulle labbra, aveva allora iniziato ad armeggiare con il vetro, gettandolo pezzo per pezzo nella spazzatura di fianco al lavello, provando a distrarsi da quel contatto che non riusciva - poteva - disfare. E, preso da una strana disattenzione, aveva stretto troppo e si era tagliato con l’ultimo pezzo rimasto il palmo della mano, rivelandolo con un piccolo mugugno sussurrato quasi impercettibilmente. 
“Accidenti. Devo essere proprio distratto stasera.”
“E non t’azzardare a dare la colpa a me!”
Nami, alle sue spalle, si era risvegliata da quello strano stato di trance, passando subito sulla difensiva e rendendosi conto di aver braccato il poveretto, quasi appollaiandocisi sopra. Così, per scusarsi, mentre lei stessa si sentiva leggermente in imbarazzo per essersi lasciata andare così tanto, dal momento che non era affatto da lei un simile atteggiamento, si era apprestata a far finta di nulla come nel migliore dei suoi modi. 
“Fai vedere.” 
Ma quando gli prese la mano, lui la ritrasse svelto, innervosendola immediatamente, facendole dimenticare tutto quel senso di colpa in un frangente. 
“Non importa. Sai quanti graffi e tagli hanno queste mani?”
Sorrideva, ma era più seccato, tra l’imbarazzo e la fierezza, mentre si grattava dietro alla testa con la mano sana, socchiudendo appena gli occhi.
Nami lo osservava sorpresa e sconsolata, scuotendo di reazione la testa con nervosismo. 
“Perché fate così? Perché questo dannato orgoglio misto a imbarazzo quando siete maggiormente esposti?”
Sotto lo sguardo stupito del carpentiere, Nami riprese quella mano con la sua, impedendogli di ritrarla via. Aveva aperto l’acqua da quello strano tubo curioso in cui arrivava direttamente dai canali di Water Seven, e, sciacquato via il sangue, che in quel momento scivolava via a fiotti: da quella mano passava sulla sua e poi scompariva nel condotto. 
“Siete della stessa pasta, guerrieri dalla tempra salda e dal sangue freddo in battaglia, e poi vi terrorizzate per stupidaggini di questo tipo. O per un semplice contatto femminile.” 
Controllando la ferita superficiale, Nami, che non mollava la presa,  dava l’impressione che non si sarebbe fermata anche se lui avesse insistito per lasciar perdere. 
“Adesso ti medico questa ferita, e tu la pianti di agitarti!”
 
Seduti sul letto con quel poco di materiale medico recuperato da un cassetto, Nami si occupava di quella mano con delicatezza e concentrazione. Dovendo però più volte recuperarla e appoggiarla sulla sua coscia, dal momento che quello, indispettito, la ritraeva ogni qualvolta. 
“Sei matta per caso?” Aveva la faccia rossa pronta ad esplodere al contatto con la pelle nuda di lei, portandolo in escandescenza. “Copriti prima le gambe, dannazione!”
Ma quando lui si lamentava, lei gli stringeva la ferita di proposito facendolo leggermente “ululare” di dolore. “Piantala!” lo ammoniva, riappoggiando la mano sulla sua gamba nuda ancora una volta, passando alla fasciatura. 
Lui era poi riuscito a stare in silenzio, ma con il viso pieno di colore e ogni sorta di maledizione nella mente, implodendo ogni secondo a quel contatto che lo mandava in una crisi nera. Quella donna riusciva a fargli provare delle fitte lungo tutta la schiena, fitte che non aveva mai provato prima. 
Nami aveva quasi finito di fasciare la mano, ma anche dopo aver fatto il nodo alla benda di stoffa bianca, non aveva mollato la presa su quella di lui, stringendo sempre più esageratamente. 
“Stupidi uomini orgogliosi!”, sibilava, esorcizzando un sentimento. 
“Mi stritoli” si lamentava compulsivamente l’altro, mentre provava a capire il motivo di quell’aggressione immotivata “ma poi, perché diavolo mi parli al plurale?”
 
Nami si era improvvisamente alzata in piedi e aveva lasciato andare la mano del carpentiere che, sollevato, ricercava la sensibilità dell’arto, scuotendolo in aria.
Davanti alla porta aperta della terrazza da cui entrava una brezza che aveva scacciato via il caldo, aveva dato un rapido sguardo al cielo, serrando i pugni lungo i fianchi, con gli occhi che le brillavano in un misto tra l’essere arrabbiata ma anche, in un certo senso, ferita. 
L’uomo, rinvenuto, la osservava imperterrito, come se cercasse di leggerle ogni risposta senza chiederla, ma non che fosse così facile come credeva. Eppure, lei, forse senza nemmeno rendersene conto, il suo turbamento l’aveva scritto in faccia. E lui era improvvisamente diventato sicuro di che si trattasse, sentendosi stupido. 
“Ora ho capito.” Sospirò. “Avrei dovuto arrivarci prima.”
Nami si voltò immediata a guardarlo in viso, stupita, ma forse più impaurita da quella affermazione - o meglio, osservazione - enigmatica.
“Cosa?” 
Si era concentrata a fissare il carpentiere che, per sua risposta, indossava un’espressione improvvisamente afflitta, ma che poi si era trasformata anche in un sorriso appena accennato. Come gesto improvviso, e quasi normale, che aveva sapore più di protezione che di pudore, lo vide alzarsi e allungare la mano verso la coperta che stava sotto al lenzuolo che ricopriva il letto, avvicinarsi a lei, per poi adagiargliela sulle spalle, in un contatto così semplice ma intenso che le aveva provocato brividi inspiegabili sulla pelle.
“Non si tratta solo del nasuto. Almeno, non del tutto. E nemmeno di Nico Robin.” 
Nami era rimasta di stucco dal quel gesto caldo che non era abituata normalmente a ricevere. Come riusciva a farla sentire così emotiva? E, d’improvviso, così bisognosa? Si era resa conto di essere così facilmente emozionabile, tanto da voler cercare con urgenza di sdrammatizzare quel momento, perché viverlo la metteva a disagio. Quello sguardo, quelle sensazioni, le avevano ricordato della chimica che aveva già sentito di avere con lui quando lo aveva conosciuto. Un incontro stralunato, ma dopo qualche fraintendimento, lui l’aveva aiutata, salvata, sostenuta in un modo semplice in cui - e nemmeno si era resa conto mentre lo aveva vissuto poiché distratta da altro - era stata a suo agio. Perché sfuggiva a questo genere di accorgimenti?
“E questa?” Aveva alzato le spalle, adesso più incuriosita, mentre lo osservava muoversi nella stanza, in quel modo così fiero e, perché no, sessuale…con quel fisico scolpito, i capelli spettinati, l’odore leggero di dopobarba alla menta piperita, mentre si apprestava ad accendere un nuovo sigaro. 
“Mi stai suggerendo ancora di coprirmi?”
Pauly, ritornato a sedere sul letto, con le gambe stravaccate, armeggiava col fiammifero, concedendosi ancora quel suo piccolo vizio da cui era dipendente, ma senza guardarla più negli occhi. 
“Hai la pelle d’oca.” 
Non aggiunse altro, lasciandosi andare ad un attimo di pausa, forse sopraffatto da quei suoi stessi sentimenti.
Mentre ispirava quel sapore che amava tanto, lui, avvertì un movimento che però non ebbe il tempo di impedire. Nami lo aveva raggiunto silenziosa, gli aveva tolto il sigaro dalla bocca lasciandolo cadere sul pavimento, e quando aveva aperto gli occhi contrariato si era ritrovato quel viso da finta innocente proprio davanti, lasciandolo in balia della confusione. 
Fu un attimo che lo aveva sovrastato, piegandosi sopra di lui col busto e prendendogli il viso tra le mani, afferrandogli poi le labbra con le sue, in un bacio interessante, carico di adrenalina. 
Rosso in quel viso pronto all’esplosione, Pauly non sapeva come reagire. Voleva sgridarla, giudicarla, ammonirla per quel gesto avventato, per l’imbarazzo in cui lo aveva gettato, ma mentre quegli striduli cercavano di uscire fuori, pensava solo a quanto non stesse sognando altro fin da quando l’aveva incontrata. 
“N-non mi approfitterò di una donna che…”
Gli uscì, mentre le loro labbra furono costrette a separarsi.  
“Ma se ti dicessi che sono io quella che approfitta, ti farebbe sentire meglio?”
Di nuovo, un altro bacio, un altro sfioramento di corpi, le mani sempre sul quel volto maturo e possente di un uomo come lui, un uomo che alla fine, le piaceva. Nonostante quella sua stranezza, era stato con lei molto attento, premuroso, buono. In circostanze che solo con i sui nakama aveva vissuto. 
Il biondo stava rispondendo al bacio, per quanto ci provasse a rifiutarlo, era davvero uno sforzo che richiedeva molta più determinazione.
Le sue mani erano scivolate sulle spalle di lei e poi sulla vita, afferrandola e sospingendola sopra il materasso, sotto di lui, mentre continuavano a non respirare insieme. 
“Non va affatto bene quest-”
Aveva il fiato corto, con il volto a due millimetri da quello di Nami, che portava un’espressione enigmatica, mista tra curiosità, eccitazione e una nota di amara tristezza nostalgica che arrivava da lontano. 
“Hai veramente da lamentarti?!”
Lei gli strinse la mascella con il palmo e le dita della sua mano affusolata, interrompendolo e guardandolo intensamente, con uno sguardo sicuro e libero che lui raramente aveva modo di scorgerlo in altre donne. 
“Sei proprio sfacciata!”
“E a te piace!”
Senza rispondere, il biondo si era liberato della presa di lei, avvicinando il suo viso a qualche millimetro dal suo. Le pupille oscillavano tra gli occhi e la bocca umida semiaperta, non sapendo se rispondere, contrattaccare, se lasciarsi prendere o prendere lui ciò che voleva. Con i nasi che si toccavano, Pauly che avrebbe tanto voluto lasciarsi a lei, decise di andare in profondità alla cosa.
“É perché gli somiglio?”
Aveva esternato ad alta voce, in un attimo di consapevolezza del fatto che se anche così fosse stato, lui ci sarebbe stato lo stesso, sentendosi mai più sporco di così. “Somiglio al tuo uomo?”
Con gli occhi sgranati, Nami gli strinse ancora il viso con la mano, avvicinandolo ancora di più, per andare a riprendergli le labbra con la bocca, ma lui si era velocemente scansato quanto bastava. 
“Cosa non va tra voi?”
Pauly, nonostante la frenesia di riprovarlo ancora, aveva allontanato il più possibile il desiderio di lei in attesa di una risposta soddisfacente. 
“Sta’zitto!” 
Scocciata di quella interruzione, Nami lo aveva preso in contropiede, ribaltando la situazione e sospingendolo sotto di lei. A cavalcioni sopra di lui, aveva iniziato a giocarci, torturandolo, mentre iniziava ad accarezzargli il torace, sul quale sarebbe poi scesa con la bocca in modo sensuale in un abbandono della lucidità di cui aveva necessità di provare. 
“Raga-ragazza scost”
L’uomo non riusciva nemmeno a chiamarla per nome o rischiava di aumentare in un batter di ciglio la sua eccitazione.Ritrovando quel briciolo di forza in lui, o forse dignità, così voleva chiamarla per aiutarsi a reagire, Pauly aveva alzato il busto dal letto mettendosi seduto ma afferrando Nami per la schiena, tenendola stretta a lui in una sorta di trappola in cui con le gambe e braccia incastrate tra loro, lei era costretta a guardarlo in viso. 
“Allora?” 
“Di chi stai parlando?”
Fu costretta a risponderlo, dal momento che lui la teneva lontana e aveva momentaneamente preso le redini del gioco. 
“Lo spadaccino…”
“Com…?”
“L’ho capito che é lui il problema che ti frulla nella testa.” 
Pronta a sputare veleno, Nami cercò di ribellarsi a quella presa, da quella trappola non solo fisica, guardandolo improvvisamente in cagnesco e mandando allo sfacelo tutta quella atmosfera che si era costruita tra loro; seppur l’energia, la chimica che entrambi emanavano, si poteva quasi toccare. 
“Il biondo stravede per te, ma non ti ho vista coinvolta. Hai parlato di uomini duri e orgogliosi, sono andato ad esclusione.” 
“Ti sto concedendo un’occasione e la stai sprecando a parlare?” 
Riuscì a ritrovare un po’ di controllo riprendendo la sua fierezza, doveva nascondere le sue emozioni ad ogni costo, mentre cercava di ritornare a baciarlo sul collo. 
Pauly, che era convinto di averla in pugno, coi denti diventati a puntino, l’atterrò nuovamente sul materasso, tenendola ferma, confuso da quel gioco, afflitto da non capire che sentiero perseguire. Seguire la ragione, fare la cosa giusta, o lasciarsi andare e prendersi tutto senza remore? 
Ma lui non era così, e dannazione a lui che era un uomo d’onore. 
“Sai, anche tutto questo rientra negli interessi che dovrai risarcirmi.” 
“Che cosa??? Ma quali interessi?”
Era lei o era una corazza? Il carpentiere non sapeva rispondersi. Vedeva solo con che forza quella riusciva ad uscirne da ogni impiccio. Lo avrebbe mandato ai matti prima del tempo. Ma erano una tentazione continua, quelle labbra. Doveva però ritrovarsi, doveva ritrovare la sua moralità e non cadere nella trappola di lei. Di quella eccezionale, sensuale, determinata donna che voleva prendere subito. Che avrebbe voluto fare sua. 
Nami si era liberata, e la sua mano era tornata su quel viso a stringergli una guancia senza nessuna delicatezza, pronta a ricominciare, pronta a cingersi in un altro bacio, un altro bacio feroce, senza scampo. Ma…
Improvvisamente aveva rallentato la stretta, tenendolo fermo, ma tenendolo lontano da lei. Quei capelli biondi stavano cambiando tonalità. Quel volto rude si era improvvisamente assottigliato. La barba era scomparsa. Lo sguardo intenso che conosceva bene ora la stava giudicando seduta stante. 
Non avrebbe potuto violare quel pensiero. 
Pauly aveva allora ammorbidito lo sguardo, cercando di ricomporsi a sua volta, capendo che forse quell’idillio si sarebbe concluso a momenti. Deluso e sollevato allo stesso tempo, si rendeva conto che non sarebbe stato capace di fermarsi se fosse stato solo per sua scelta. Si sentiva così dannatamente spaesato. Quella donna lo torturava, ma allo stesso tempo ne era così ammaliato, dalla sua forza d’animo, dalla tempra, dal carattere, dalla sua bellezza, che stava scegliendo volontariamente di farsi trascinare ad ogni suo rischioso richiamo.
“Non sono io il tuo uomo.” 
Le aveva sussurrato sul volto, mentre lei ancora lo teneva bloccato, nell’oblio di ogni azione rimasta incompiuta. “E dannazione per questo.” 
“Lui non é il mio uomo!” 
Aveva puntualizzato nervosa, ma rimanendo sbalordita tutte le volte che sentiva ripetere quelle parole insieme, cambiando la portata della voce, che era diventata meno audace, ma sempre sicura e squillante nel tono. “Siamo compagni.” 
Il carpentiere aveva notato un leggero colorito sulle guance di lei quando aveva detto quella frase, lo aveva scorto per un solo momento, quel sentimento, che però si era volatilizzato, era scomparso nella stessa velocità di come era apparso. 
Nami aveva fatto cadere la sua mano sul materasso, lasciando definitivamente la presa dal viso del biondo ancora sopra di lei, senza smettere però ti ricambiare lo sguardo indagatore. 
“Sei rinsavita?”
Aveva chiesto, ansimando, ma rimanendo lucido, mentre cercava di calmare il battito del cuore. 
“Non lo so.” Aveva risposto lei con ancora il fiato corto. “Lo sono?”
Si guardarono ancora, entrambi incerti, entrambi fuori posto, entrambi presi solo dal momento, dalla voglia di assaggiare, di dimenticare, di provocare. 
Quello sguardo di lui, improvvisamente così intenso che la guardava negli occhi. Il viso che non aveva smesso di essere rosso, e gli ormoni che ribollivano in quei contatti confusionari ma voluti, desiderati, cercati. 
“Siamo compagni…” aveva ripetuto flebilmente. “Solo compagni.” 
Pauly non riusciva a fare a meno di rimanere bloccato in quella tremenda situazione che lo vedeva come il cattivo, il terzo in comodo, l’approfittatore. Non poteva sopportarlo, non poteva accettarlo. Lei lo aveva in pugno, e lui lo sapeva. Ma, d’altronde, chi poteva davvero rifiutarla? 
E lei, nonostante l’attrazione per lui fosse sincera, e lui lo sentiva, i suoi baci non lo erano affatto. 
Non sapeva se stava continuando a sabotarsi da solo, ma ad un certo punto, decise di rompere quei giochi di sguardi e prendere le redini che lei aveva lasciato sul materasso, in un gesto simbolico in cui esternava di non voler più decidere. 
La baciò lui, ma delicato, non potendo davvero rifiutare un simile invito. Ma aveva frenato gli spiriti audaci, senza voler strafare prima di sapere, prima di capire. Un bacio a fior di labbra, genuino e ardente allo stesso tempo, mentre stava in attesa di sentirla reagire ad una simile dolcezza inaspettata. 
“C-che fai?”
E fu ancora lui a baciarle il collo, in un modo che voleva essere leggero e sensuale, ma che nonostante il tentativo, risultava lo stesso più rude di quanto avesse voluto. La sentiva improvvisamente priva di ogni sicurezza, capendo perfettamente che per quanto tosta ed energica, da donna dal caratteraccio sfacciato, irascibile,  forte, che lo aveva stretto per la mandibola e si era presa le sue labbra senza chiederle, era totalmente sprovveduta e inerme quando si trattava di dolcezza e gentilezza nei suoi confronti. Soprattutto di quel tipo di premure, di quel tipo di attenzioni. Sorrise appena, prendendosi una piccola soddisfazione, mentre la sentiva rabbrividire. 
Nami era diventata strana, più strana del solito, confusa, e indugiava sul da farsi, in una situazione in cui lei stessa per prima si era gettata. 
La barba di lui le solleticava la pelle, pizzicandola, e le mani che la cingevano, iniziavano ad opprimerla. Non era abituata a questo. Non poteva sopportare tutto questo. 
Ciononostante, quella bocca calda le provocava degli spasmi, e quasi ci riusciva a distrarla, ad allontanarla da tutto. Riusciva a perdere quasi la lucidità.
Ma era inerme. 
E poi, improvvisamente, l’idea di  quell’altro  che la baciava in quel modo, la fece sentire quasi sporca, come se non avesse potuto nemmeno farli pensieri simili con lui, per lui. 
Un lui che non lo avrebbe mai permesso. 
Ma Pauly, ignaro di simil pensieri, continuava a baciarla sulla pelle in quel modo lento che indolenziva i sensi, premuroso nel non farle male, a non provocarle altro che piacere. Era attento a non tirarle i capelli corti, era attento a non schiacciarla sotto al suo corpo prorompente. 
Ma lei? Aveva perso fiducia in quello che sapeva fare meglio: essere impulsiva, essere audace, essere letale. Non era così che bisognava agire? Con la forza e la sfrontatezza? 
In quell’attimo di sensuale dolcezza, Nami si rese conto che non aveva idea di cosa un uomo era capace di offrire in quella circostanza. E quando poi lui la costringeva a ricambiare il suo sguardo, lei non sapeva più chi stesse guardando e a chi stesse pensando. 
Ancora quell’immagine che si sovrapponeva a quella reale, quei lineamenti, quello sguardo severo, quei capelli verdi. 
Immaginarlo ancora baciarle la pelle in quel modo…lento. Non era da lui. Non sarebbe mai stato da lui. Si morse il labbro in preda alla follia più cupa che le stava annebbiando la ragione. Perché aveva iniziato ad immaginarlo in questa veste? E Perché proprio adesso? 
Pauly l’aveva condizionata. Si, era stato lui. 
In un attimo, l’idea che quell’altro mai le avrebbe offerto niente anche solo di minimamente simile, la fece spaventare.
Con un gesto impulsivo, aveva allontanato l’uomo da sopra di lei, facendolo ricadere di schiena dall’altra parte del letto, uscendo da quella trappola sensuale e pericolosa diventata fin troppo intima per lei. Una cosa che proprio non le riguardava. Proprio ciò che non stava cercando. 
“Ho bisogno di un po’ d’aria.” 
 
Era rimasta seduta sul letto, respirando silenziosamente, chiudendo gli occhi e assaporando quella ritrovata libertà, mentre un Pauly accondiscendente, che già aveva preannunciato dentro di sé un simile finale, si aspettava un pugno sulla nuca da un momento all’altro. Un pugno che però non era mai arrivato, e, così, infilando la mano dentro i Jeans, aveva tirato fuori un altro sigaro che sperava di poter terminare, o, almeno, assaporare un po’ di più dei due antecedenti, come premio per aver fatto la cosa più giusta. 
 
 
“Sei sfacciata e prepotente” 
il carpentiere sfumacchiava alle sue spalle fissando il soffitto, con ancora il cuore in tumulto “…e non hai problemi a mostrare e usare il tuo corpo!”
“Dove vuoi arrivare?” 
Nami, che era rimasta in ascolto il tempo di un respiro, si era voltata con scatto felino, in posizione di difesa, sentendosi mal provocata in un momento molto strano e insolito della sua vita. 
“Mi hai accusato di essere a disagio con le donne, ma tu hai avuto paura di un po’ di intimità con un uomo.” 
“É questo che pensi?”
“É quello che ho visto.”
Impossibilitata a rispondere se non con un brontolio, in un verso intraducibile che veniva fuori dai denti serrati, si sentiva presa in contropiede. 
“Io posso raggirare un uomo come e quando voglio.”
“Non ho dubbi su questo” cacciò fuori il fumo dal polmoni pieni “ma non é ciò che ho detto.” 
“Stai travisando…”
Ma da quel momento, le cose, nella testa di Nami, avevano iniziato a vorticare. Lei continuava ad aggrapparsi all’idea ostinata della sua capacità manipolatoria sugli uomini. E questa certezza, ne era abbastanza consapevole, Pauly, non sarebbe riuscito a portargliela via con così tanta facilità. Lei, in fondo, aveva un talento sovrannaturale, riusciva a manipolare anche uno come Zoro, orgoglioso quasi quanto lei, e per nulla assoggettato dallo charme femminile. Come poteva Pauly non vedere questa sua predisposizione? La stava sottovalutando? 
“Hai lo stesso problema con lo spadaccino. Vi ho osservati. L’intimità tra voi vi mette a disagio.” 
“Ancora?” Si stava innervosendo in quel modo che non riusciva a controllare, a spiegare a sé stessa, chiedendosi come mai stavolta non riuscisse a rispondere a tono.“Stai dicendo cose che non puoi sapere.”
Nami aveva ripreso a voltargli le spalle, stringendo le gambe e irrigidendo tutto il corpo senza nemmeno rendersene conto. Cosa stava succedendo? Cosa era quel capovolgimento della situazione? Ma non erano loro, quegli uomini ottusi, ad essere impauriti dalle donne?
“Vi ho visto quella notte, soli, nel vagone del treno. C’era una tensione che si poteva tagliare in due con la corda”. 
“Idiota!” Era esplosa, ma solo dentro alla sua testa, perché con la voce non ci riusciva più, le usciva flebile e tesa come una corda di violino. “Eravamo tutti in ansia per la terribile situazione. Chiunque sarebbe in grado di capirlo.”
Ma Pauly non voleva demordere. Doveva andare a fondo. Doveva avere la certezza che aveva rinunciato a lei per un motivo giusto e valido, o non se lo sarebbe mai perdonato.
“Quel giorno, sul treno, quando ti sei cambiata i vestiti davanti a tutti”
“Possibile che non pensiate ad altro?”
“…lui si è voltato dall’altra parte.” 
Aveva scostato le spalle dalla spalliera del letto, mettendosi più vicino a lei col busto e alzando inspiegabilmente – per Nami - la voce. Lei alzò un sopracciglio, molto, molto sorpresa da quella stranissima affermazione, ma scegliendo ancora una volta di evitare approfondimenti. 
“Stai parlando di-“
“Lo spadaccino, diamine!” 
Sbuffò sconcertata e improvvisamente quasi annoiata, come se Pauly dopo tutto non avesse poi detto niente di così assurdo o davvero insolito. Forse, se per un attimo aveva iniziato a credere, ad avere dei dubbi su sé stessa, con questa uscita, iniziava ad arretrare. Pauly si sbagliava, eccome se si sbagliava. 
“Niente di così strano come pensi, lui non é ossessionato dal corpo delle donne come tutti gli altri.” 
“Mai sentita una stupidaggine così….” 
“Umh?”
“Svegliati scostumata!”
“Smettila di chiamarmi così o te le suono.” Lo minacciò al solo sguardo. “Allora? Cosa vuoi dire?”
“Se non é interessato, cosa cambierebbe per lui guardarti oppure no?” 
“Zoro…non é un pervertito!” Iniziava a sentirsi senza controllo. Non sapeva se per le possibili accuse che il carpentiere voleva infliggere al suo compagno di cui si fidava ciecamente, o se per la paura di cosa stesse per scoprire. 
“Ma che c’entra!” Appoggiando entrambe le mani sul letto era scivolato a fianco a lei. “É così attratto da te, che non può concedersi di guardarti.” 
“Che stupidaggine.” Gli ringhiò contro anche lei.  Non poteva stare a sentire una cosa così ridicola. Non sarebbe mai potuta essere vera. 
Anche se…
 “Perché stai parlando ancora di Zoro? Ti ho detto che siamo solo compagni.” Con i visi nuovamente uno accanto all’altro di profilo, i due si ringhiavano contro, totalmente in disaccordo. “Ma poi perché stai urlando con me?”
“Perché diamine non vuoi ammettere la verità” aveva sbuffato, alzandole il viso con un dito, ma non bruscamente, non con rabbia. “Voglio almeno avere la certezza di essermi messo da parte per qualcosa per cui non posso fare nulla.” 
“Messo da parte?”
Come poteva quell’uomo riuscire a provocarle questo effetto. Perché si sentiva così indolenzita emotivamente. Perché era…commossa? 
Lo sentì sbuffare ancora, forse arreso. 
“In qualche modo, mi hai assomigliato a lui, no?”
Una verità alla quale Nami non poteva sfuggire. Una prova della vita che non poteva dire di essere riuscita a superare. Non sapeva cosa l’attendeva oltre quell’ammissione. Perciò, preferiva il silenzio, una tacita conferma, che riusciva a rendere tutto più sopportabile. 
Istintivamente, lo aveva accarezzato sulla guancia, in un gesto delicato che era solita dedicare solamente ai bambini o ai cuccioli come Chopper, forse superando un piccolo ostacolo per lei e per le sue rudi abitudini. “Mi dispiace per questa serata.” 
Pauly era esterrefatto. Per un solo attimo, avrebbe potuto giurare che le avevano brillato gli occhi. Un gesto sentito, un gesto che un po’ gli dimostrava sentimento. 
“A me no.” 
Sincero nello sguardo, e, forse, innamorato nel gesto, Pauly non mentiva per pura galanteria. Era contento di averne avuto anche solo un pezzetto di quello scoppio di vita ed energia. 
Non sapeva come altro definirla, in definitiva. 
“É vero…” era chiusa in un momento in cui non si riconosceva, in cui si sentiva fragile, ma voleva chiarire, e voleva anche sapere, bramosa di sentire qualunque cosa li riguardasse, senza però ammetterlo ad alta voce “abbiamo avuto un diverbio quest’oggi. Ma il motivo?” sospirò una bella dose d’aria, prima di proseguire a confessare il suo segreto “… Usop. Perciò, niente di personale. Mi dispiace distruggere le tue teorie d’amore.” 
Lui, alla fine, aveva deciso di rispettare la sua ostinazione, rimanendo al suo fianco e lasciandola continuare, ma senza costringerla troppo ad esternare i sentimenti. Tanto, ormai, lui lo aveva capito. 
“Le decisioni di Usop lo hanno ferito. Ma anziché ammetterlo apertamente ha solo saputo arrabbiarsi e poi…lui non è disposto a …” sentiva nuovamente il suo corpo irrigidirsi, agitarsi, dilaniarsi in un forte rimbombo.
“Fammi indovinare” gli occhi chiusi, il fumo come ossessione primaria che provava ad ammorbidirlo nella testa“…non vuole che torni con voi senza prima essersi scusato.” 
“Ma come fai a-“
“Non ci vuole molto. Mi sembra la cosa più sensata e giusta che bisognerebbe pretendere.”
Si stiracchiò le braccia verso l’alto, conscio che quella piccola conversazione stava raffreddando gli spiriti di entrambi. “Fosse stato un mio dipendente, l’avrei licenziato e mai più riassunto.” 
Nami si strinse nelle spalle arrendendosi all’ennesimo commento da maschio orgoglioso che non avrebbe accettato discussioni, abbassando il capo fino a reggerlo con le mani, sospirando demoralizzata.
“Maledetta presunzione maschile!”
“Hei” il biondo le mise una mano sulla spalla “guarda che quello più orgoglioso di tutti in questo momento é il tuo amico nasone, lo spadaccino che colpa ha, se quello non torna da voi con le sue gambe?” 
“Infatti siete tutti stupidi e babbei!” 
Continuava a reggersi la testa con le mani, in preda alle convulsioni. Ma grata al carpentiere di quel contatto sulla pelle che non la faceva sentire sola. “Sai quanti danni può fare questo maledetto orgoglio?” 
“E quanti ne potrebbe fare il non averlo, secondo te?”
Un dubbio che l’aveva portata a rialzare il capo e scontrarsi con l’uomo sedutole accanto, per l’ennesima volta quella sera.
“No, no, tu non capisci. Se anche accettassi che sia giusto questo ragionamento, se anche pensassi che Usop debba scusarsi” 
ancora una volta, quel giorno, provava a far valere la sua voce 
“é il rischio che una decisione del genere porta con sé che mi fa impazzire.” 
Si era appena liberata di qualcosa? Forse la più piccola, ma era pur sempre un punto di partenza.
“Se Usop non dovesse scusarsi con noi per orgoglio” 
e si voltò verso di lui anche col busto per guardarlo negli occhi del tutto,
 “perché sarebbe solo questo il motivo”,
lo colpì con il dito sul naso con espressione contrariata, quasi minacciosa, quella che di lei aveva imparato a conoscere bene 
“noi perderemmo un amico prezioso il cui vuoto sarebbe incolmabile, e lui perderebbe tutto.”
Il dito ancora fermo sul naso del carpentiere che imperscrutabile rimaneva immobile ad ascoltarla. 
“E se invece il capitano perdesse il proprio di orgoglio, e andasse a ripescarlo per non perderlo, allora…” quasi le tremò la mano con cui dito gli pizzicava il naso “allora…noi perderemmo…”
Pauly sentiva il tormento. Sentiva la paura mista alla rabbia sovrastarla nella voce, nella postura, nello sguardo. “Allora sarebbe Zoro, quello che se ne andrebbe, che ci lascerebbe.” 
Sembrava trattenere il respiro, come se avesse estirpato dalla testa un pensiero che aveva appena preso forma nella realtà, diventando tangibile. 
Un pensiero costante, quasi ossessivo. Così tanto da essere insopportabile.
“Così, in che universo dovrei scegliere tra un amico ed un altro? Ed é stato lui a metterci tutti in questa condizione, non lo nego, ma quel testardo di Zoro l’ha peggiorata di proposito.”
Sbuffò, esausta da quella lunga giornata che non avrebbe mai potuto dimenticare. Lunga giornata di spiegazioni, scuse, minacce, orgogli, fragilità maschili…il cui peso l’aveva stravolta, sovrastata nella voce, quasi traumatizzata. 
Pauly non aveva perso il filo del discorso, e, con facilità aveva ricomposto il puzzle. Il sentimento che era arrivato da quelle parole e tutto quanto di quella serata assumevano un senso ben preciso, guardandola con la presunzione di chi aveva ogni cosa chiarissima nella mente. 
“Oh andiamo. Avevi già capito da un pezzo che stavo così per la situazione con Usop.” 
Nami aveva nuovamente piegato un po’ il busto verso il basso, per rinfilare con urgenza le scarpe, prima la destra, con un colpo deciso, e poi quella sinistra di cui si era leggermente slacciato il laccetto della caviglia, e stava impiegando più tempo del previsto per richiuderlo. 
“É chiaro che ci stai soffrendo.” 
Ispirò il fumo lui, allungando a sua volta un braccio e avvicinando le sue scarpe al letto, capendone le intenzioni “Ma quello che ti sta facendo delirare veramente...” 
Finito di chiudere il laccetto, Nami, che improvvisamente aveva voglia di lasciare quella stanza, forse perché inconsciamente realizzava di aver raccontato troppo e che il suo reale problema stesse prendendo una forma, quella che voleva evitare a tutti i costi, iniziò a pensare alla fuga. 
Il carpentiere lo aveva già capito, e sempre con quel suo fare lento ma interessante, aveva a sua volta indossato i suoi stivali, pronto a correrle dietro. 
“Ho compreso tutto benissimo, grazie.”
Lo interruppe, facendogli segno con il palmo della mano aperto come per silenziarlo. “Ora é tardi. É meglio se faccio ritorno, prima che qualcuno si preoccupi per me.” 
Mentre si dirigeva verso la porta, lui prese rapido una maglietta a canottiera e una giacca blu dall’armadio, e, in un nano secondo, le era già dietro per le scale. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Ti vuoi decidere a indossare questa stracavolo di giacca?!”
“Dopo tutto quello che mi hai fatto, ancora continui con questo dramma?” 
Sbuffò scocciata, ma soffiandogliela comunque dalle mani, perché in realtà aveva leggermente freddo. “E va bene.” Gli diede una vittoria mentre infilava le braccia nelle maniche, nonostante l’inserimento volontario di quella provocazione. “Contento?”
“Che cosa ti avrei fatto!???”
Ma dopo un attimo di esplosione a pieni polmoni da parte di lui, lo sentì sospirare appena di sollievo. “Molto meglio se alzi anche la cerniera.”
Fianco a fianco, i due erano già arrivati ad un canale, constatando di quanto l’ora fosse diventata tarda, dal momento che di persone in strada quasi non se ne trovavano più. 
“Non c’era davvero bisogno che mi riaccompagnassi, comunque.” 
“Per così poco.” 
“Non ti stavo ringrazian- hei ma che fai!”
“Vieni! Prendiamo uno Yagara. Facciamo prima ad arrivare.”
Pauly l’aveva presa di peso per la vita e caricata su quell’inusuale mezzo di trasporto, non curandosi di tutte le proteste e insulti e pugni che gli arrivavano per reazione.
“So salirci benissimo da sola!”
Ad un certo punto sorrideva come un bambino che aveva trovato una montagna di caramelle per puro caso, e Nami stessa si era stupita di non averlo notato di come fosse bello con quella luce negli occhi mentre abbandonava per un attimo tutta quella apparenza di mascolinità. “Guarda che non facciamo prima proprio per niente.” 
“Lo so. Ma voglio divertirmi ancora un po’ con te.” 
“Idiota!” 
Ma sorrise anche lei, seduta accanto a lui, tagliando ogni distanza, e assaporando ancora un po’ di quel suo calore. 
Da fuori sembravano a pieno titolo una bellissima coppia di innamorati, perfettamente compatibili, in quelle loro stramberie e caratteri profondi. 
Ma dentro, dentro c’era un altro.  
“Non sei abituata all’intimità, non sei abituata a gesti di normale galanteria…” Pauly aveva preso le redini dell’imbarcazione, preparandosi a partire “…che non prevedano una dose di perversione, intendo.” 
Nami alzò il sopracciglio, seccata di quella rivelazione su di lei che non era sicura di capire, anzi, di volerla proprio sapere. 
“Ti ricordo che vivo con dei pirati, che sono per lo più dei bambini.” Scosse appena la testa, convinta di aver capito la realtà della sua situazione. “Aspettarsi certe carinerie é fuori discussione.” 
“Bambini, eh?”
“Babbei, più che altro. Diventano uomini solo quando è necessario.” Sospirò con fare esageratamente drammatico. “Ma va bene così.” Sul volto comparve finalmente un sorriso acceso, di quelli che difficilmente si dimenticano. Dopo tutto, per quanto potesse arrabbiarsi, non riusciva ad incolparli sul serio. In fondo, gli amava per quelli che erano. E Pauly riuscì a capirlo abbastanza in fretta. D’altronde, ne aveva già avuto una bella prova, di quell’amore – e proprio da lei - durante l’acqua laguna. 
 
Erano rimasti in silenzio per tutto quel breve tragitto, vicini, emotivi, ma con i cuori più tranquilli di poco prima. Ma Pauly sapeva di dover obbligatoriamente sferrare un forte colpo a quell’animo che sapeva ancora non stesse guardando nel punto giusto. Così, appena arrivati a destinazione, le aveva avvolto la vita con il braccio, avvicinandola a lui con ancora più insistenza, provando un po’ di rammarico mentre si perdeva in quegli occhi di fuoco nuovamente sorpresi che avevano iniziato a guardarlo senza capire. 
“Che ti prende ades-“
La tenne stretta nella presa per evitare ogni scappatoia, regalandole, ancora un’altra volta, forse l’ultima, quella protezione. “Ascoltami” sospirò più aria fresca che poté, facendo entrare nelle narici e nella gola quell’odore stagnante a cui era abituato.
“Non vorrai ancora parl”
 “L’idea che lui possa abbandonarvi ti ha terrorizzata così intensamente che hai perso la testa.” 
La vide sgranare gli occhi a metà strada tra l’essere lucidi e indiavolati, in procinto di protestare, di rifiutare la cosa – quella cosa – ad ogni costo. Era arrabbiata con Zoro, ma come era già capitato in altre occasioni. Avevano due caratteri esuberanti ed emotivi, era normale per i loro animi scontrarsi, anzi, poteva dire che era inevitabile. Ciononostante, non poteva e voleva avere brutti pensieri su di lui nella testa. Non poteva tollerare di avere dubbi su quell’uomo così importante. Proprio lui. Quello su cui più di tutti poteva contare. 
“Diavolo, mi sei quasi svenuta tra le braccia, oggi.” 
“Carenza di zuccheri. Se tu mi avessi dato qualcosa di più forte da bere, magari non sarebbe successo!”
“Che idiozia é questa?”
Ma Nami voleva nuovamente fuggire da quella presa, da quella trappola in cui avrebbe dovuto scontrarsi con la verità. Una verità scomoda. Un’altra verità scomoda come già ne aveva avuto modo di sentire quella sera. Non le reggeva tutte insieme. Pauly l’aveva confortata, fatta sentire meglio, protetta da se stessa, ma l’aveva anche spiazzata. Quelle sue continue parole avevano attraversato la sua corazza, e anche il suo cuore. I suoi occhi, che sembravano così sinceri, di uno che non voleva per niente farle del male, le suggerivano che lui avesse ragione. Una ragione che però non era pronta a condividere. 
“Non posso perdere un compagno prezioso!” 
“Non puoi perdere lui.” 
“Nessuno dei due. Nemmeno Usop. Così come non potevo perdere Robin. Lo capisci che ci starei male in egual modo?”
“Ne sono certo. Ma… 
Quando volevi salvare Nico Robin a tutti i costi, hai fatto tutto quel bel discorso del combattere per chi si ama…eppure, mi é sembrato di capire che non la conoscevate così bene, ancora.”
“Non era necessario.” 
“Non é questo il punto. Il punto è l’amore. Hai lottato così tanto per amore verso Nico Robin, che conoscevi a malapena, immagino che…”
“D’accordo, ho capito.” 
Si divincolò dalla sua presa, convinta di non aver bisogno di quella premura. Poteva farcela, poteva risolvere questa discussione da sola. “Vuoi sentirmi dire quanto Zoro é importante per me?”
“beh, l’hai mai detto ad alta voce?”
Un altro boato in quella esplosione. 
No, non poteva risolverla da sola. 
Perché bastava così poco per metterla in crisi? Perché bastava così poco per farla precipitare? 
Aveva abbandonato il suo posto, sbarcando sulla terra ferma, mentre si muoveva compulsivamente con azioni agitate ma svelte, i pugni chiusi e il nervosismo nuovamente addosso.
“Sono furiosa con lui.” 
Sospirava per calmarsi. Aveva fatto il possibile per lasciarsi alle spalle quella strana e apparentemente indecifrabile sofferenza che aveva provato. Ma niente da fare. Continuava a ritornare da lei. Voleva arrabbiarsi con Pauly per questo, ma poi cosa ne avrebbe tratto? Lui lo stava facendo per lei. Lo stava facendo per farla tornare “a casa” meno insofferente, oppure, forse, solo più consapevole. Non conoscere la natura di un dolore poteva essere peggiore di conoscerla? 
Voleva lasciarsi quella minaccia alle spalle come quando si lasciavano il sole indietro e avanzavano alla prossima avventura. Voleva non sentire il peso di quelle parole. Voleva dimenticare tutto e andare avanti. 
“Mi fa così arrabbiare che abbia impartito quell’ordine…! Con quale diritto? Se penso a quel suo dannato carattere ottuso e orgoglioso da uomo che non può mai permettersi di soffrire, mi fa incaponire la testa in un modo che-“ 
E poi si era fermata. Si era resa conto di stare mostrando quei sentimenti che aveva voluto evitare di mostrare per tutta la sera. 
In un attimo fu chiaro. Era arrabbiata perché lui, non solo avrebbe lasciato la ciurma, ma avrebbe lasciato anche…lei. Senza pensarci due volte. Senza pesare il colpo. Lui avrebbe risolto così quella situazione. Chiuso i battenti. Avrebbe detto: “addio é stato bello”; “Tanti saluti a non rivederci più”. Ma lei cosa centrava con le scelte e azioni di Usop? Lei cosa rappresentava per lui se era pronto a lasciarsela alle spalle con quella facilità?
Ad un certo punto era chiaro: niente lo avrebbe fatto arretrare. Nemmeno l’amore verso tutti loro. Nemmeno lei. Lei che non ne avrebbe avuto il potere di fermarlo, di convincerlo. Perché lui aveva già deciso. 
Poteva anche provare a capire le sue leali motivazioni, ma non avrebbe mai e poi mai accettato quella minaccia dettata da uno stupido codice di orgoglio che imponeva di essere seguito. Significava che loro, e lei, venivano dopo. Quando invece lui non sarebbe mai venuto dopo al suo di orgoglio o ad una stupida presunzione, seppur fondata. 
Ora vedeva tutto. 
“Maledizione.” 
Ed era lì, ad afferrarsi il labbro inferiore con i denti.
“Ora si, che lo stai vedendo quel tuo tormento.” 
 
 
 
 
 
In prossimità dell’alloggio che ospitava la sua ciurma, Nami non sapeva come sentirsi. Eppure, solitamente, una persona dovrebbe sapere come si sente. Ostinata dal voler superare a tutti i costi quello screzio che solo lei portava nel cuore all’insaputa di tutti, aveva rilassato la sua rabbia, accettando, forse, quella situazione. Aveva guardato Pauly camminare qualche millimetro davanti a lei, silenzioso, anche lui ostinato in quell’azione cavalleresca, e si era chiesta cosa fosse realmente successo in quella giornata. Perché non si era solo trattato di un semplice accompagnarla, ma l’aveva accolta, le aveva allungato una mano, era stato qualcuno su cui aggrapparsi in un momento instabile. Forse esagerava, ma non le importava. Quell’uomo le piaceva. E se il suo cuore non fosse stato già abitato, in un modo che stava vedendo solo adesso con più lucidità, lui sarebbe stato sicuramente un perfetto candidato. Si rese conto solo in quel momento che tutto ciò che più le piaceva di Pauly, apparteneva anche a Zoro. Naturalmente, con Pauly sarebbe stato tutto così più facile, comodo – tranne quando faceva l’indisponente verso il suo essere una donna con delle forme. Perché, al contrario, in Pauly non c’era tutta quell’altra parte, più complicata, ostile, boriosa, superba, colma di rigide regole e fortemente orgogliosa, di Zoro. 
“Ma guarda un po’ chi c’é. Quello la’ fuori mi sembra proprio il tuo spadaccino.” 
Ancora quel boato pronto ad implodere all’improvviso.
No. Doveva mantenersi salda. Doveva mostrare tutta la sua tempra.
“Ah.” Sospirò, guardando dritta davanti a loro. “Come al suo solito. E piantala di dirlo in questo modo!” 
“Dici che ti starà aspettando?” 
“Per lui é normale allenarsi a notte fonda e stare vigile mentre gli altri dormono. Non farti strane idee.” 
 
Arrivati a qualche metro dalla porta d’ingresso, nel totale e offuscante silenzio, i due rimasero solo per un attimo sotto agli occhi di Zoro, che, con la fronte madida di sudore, la maglietta fradicia e sul volto un espressione impassibile, forse leggermente infastidita, probabilmente succube del dolore da allenamento, stava seduto su una roccia di fianco all’entrata principale del casolare a gambe incrociate, tenendo in alto i suoi pesi che nessun uomo normale avrebbe potuto nemmeno sognare di sollevare.  
“Oh, Zoro.”
Nami accelerò svelta il passo, allontanandosi da Pauly prima che potesse crearsi una situazione che poteva essere fraintesa. Anche se era più che certa che lui non avrebbe mai pensato a quel tipo di situazione a cui lei si riferiva. Gli passò accanto con normalità, lasciandosi un po’ indietro un Pauly che già aveva salutato con un imbarazzante gesto della mano, evitando contatti più sfrontati, cercando di trattenere dentro di sé tutto il suo tumulto, ma rassicurata dal fatto che, nonostante tutto, nonostante la rabbia, riusciva comunque a risentirsi sé stessa quando lo aveva vicino.
“Be’, grazie per avermi accompagnata. Notte.”
Disse un po’ all’aria, un po’ ad entrambi, prima di aprire la porta velocemente ed entrare, con il bisogno di levarsi di dosso occhi che l’avrebbero forse scrutata fin troppo.  
Fuori, Pauly fece un cenno con la mano in segno di saluto, ricambiando appena in tempo prima di sentire la porta chiudersi. 
“Notte” aveva ripetuto come in automatico, pensando a quanto, nonostante tutto, Nami fosse davvero tanto chiusa in uno strano disagio quando si trattava di questo genere di gesti. Brava a dare mazzate. Provocatrice a mostrarsi. Per nulla timorosa nel parlare apertamente dell’amore per i compagni. Ma totalmente impreparata e fragile in quello scambio di normali effusioni con gli uomini. Era davvero una donna unica. 
Si accorse di essere osservato, mentre era rimasto immobile ad osservare la porta chiusa, alzando appena gli occhi e scontrandosi con Zoro che però non aveva smesso di continuare ad allenarsi. Quello spadaccino che, se non per un piccolo accennato fastidio in quell’espressione, sembrava totalmente riuscire a starne fuori da ogni cosa. Eppure, lui lo sentiva che non poteva davvero essere così indifferente. O forse Nami aveva ragione, era davvero uno tosto fino al midollo. Forse, non c’era spazio in quell’uomo per quel genere di cose. Non che questo lo rendesse meno importante agli occhi di lei, o meno buono come uomo. Questo era evidente. Nonostante tutto ciò che lei aveva provato e detto in confidenza quella sera, al ritorno era riuscita a ritrovare la pacatezza di salutarlo come niente fosse, apprezzandolo così come era. 
Il carpentiere, un po’ deluso dal non avere visto quello che voleva vedere da quell’uomo, decise di dileguarsi, alzando nuovamente la mano in aria, in segno di saluto, accompagnato da un semplice “ci vediamo.” Fintanto che non sentì più nessun rumore arrivare alle sue orecchie: il verde aveva cessato il suo movimento.
 
“Lei sta bene?”
 
Una domanda che lo aveva colto davvero alla sprovvista. Un altro uomo, forse, sarebbe scoppiato dalla gelosia. Lui, per lo meno, avrebbe reagito senz’altro così... 
Ma “quello là”, diamine, quello là riusciva a non farlo. O magari non lo era davvero. Possibile che avesse frainteso tutto? Nami aveva avuto ragione, quindi? Eppure, lui aveva sentito, aveva distinto quel qualcosa che c’era tra loro dalla più pura amicizia. E tutta quella tensione che aveva percepito allora? 
“Perché lo chiedi a me?”
Aveva risposto voltandosi nuovamente e incrociando quello sguardo rimasto identico a prima.  
“É venuta da te.”
Eccolo. Poteva forse essere quella, una prima reazione? Stava cedendo? Lo aveva messo in trappola?
“In realtà é stato un incontro casuale.” 
“..”
Pauly aveva sospirato senza farsi notare, stranito, ma con la situazione sempre più chiara davanti. Nami poteva sapere tante cose di Zoro, ma era cieca al quadrato sul fatto che lui non si preoccupasse per lei in quel modo che dava l’impressione di un cuore in supplizio, che andava anche oltre lo stesso amore di cui parlava lei. Quell’uomo all’apparenza impassibile e menefreghista, non era silenziosamente nervoso solo per via dei muscoli in tensione. 
“É arrabbiata.” 
Gli aveva confidato, riaccendendosi il sigaro, e osservandolo mentre in piedi, scendeva dalla roccia con un salto, prendeva i pesi e si preparava per tornare in direzione della porta del loro alloggio temporaneo. 
“Con te.” 
“Capisco”. 
Niente. Non voleva proprio dargliela una cavolo di soddisfazione per averci preso. O, forse, dalla fretta con cui stava rincasando, anche lui stava scappando da qualcosa? 
“Hei spadaccino! Posso farti una domanda?”
“Umh?”
Zoro non si era voltato, ma, quasi irrequieto, aveva come proteso l’orecchio in attesa di quella domanda che, senza nemmeno essere stata ancora pronunciata, creava tensione.  
“Ma tu non sei davvero nemmeno un po’ geloso?”
Sembrava irritato e imbarazzato allo stesso tempo, sicuramente si aspettava qualcosa, ma certamente non una questione simile. Però, con la sua solita irremovibile inflessibilità, era riuscito a divincolarsi, continuando ad avanzare verso la porta. 
Ma poi, con le dita ad avvolgere la maniglia, Zoro si era fermato. 
“Dovrei esserlo?”
Pauly non voleva indispettirlo, però aveva capito di averlo appena messo in una situazione in cui non si sarebbe voluto trovare, e, visto che ormai era lì, tanto valeva dargli fastidio del tutto. Così, da vero “ bastardo” gli gettò il peggiore degli ami. 
“L’ho baciata.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice______________________________
Povero Zoro. 
Immagino che concludere così il capitolo sia una bella cattiveria, ma non ho voluto farlo di proposito, è stato anzi tutto molto casuale. Inizialmente volevo chiudere prima, nel momento in cui lasciano l’appartamento. Perciò vedetela così, come un finale extra che altrimenti non ci sarebbe stato. 
 
Questa FF stava tra le mie note-bozze da circa un anno, l’ho ripresa in mano solo un mese fa e sono stata a lungo titubante sul volerla pubblicare. Ma poi ho pensato: meglio comunque qua che lasciarla in bozze. Almeno, la penserò così finché un giorno la rileggerò, la odierò e me ne pentirò. (Sono il Liam Neeson dei disagiati.)
 
Dal rating incerto, era stata pensata per essere una semplice one shot, ma si é rivelata troppo pesante per essere sopportata tutta in blocco, perciò ecco spiegata la semplice suddivisione in due capitoli. 
Oppure la lascerò così per sempre. 
 
Saluti
RobiZN
 
 

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Capitolo 2
*** Fragilità femminile ***


 
Capitolo II
Fragilità femminile 
 
 
 
Lo sfrusciare rumoroso dell’acqua, il rimbombo del suono del getto che cambiava a seconda del movimento, il ticchettio delle goccioline che scendevano a ritmo sul corpo, e lo stridio del rubinetto che veniva chiuso nel momento dell’insaponarsi erano tutto ciò che dava forma alla sua nuova tortura. 
 
L’abitacolo che li ospitava prevedeva uno spazio comune composto da una grande sala che faceva loro sia da zona giorno che da zona notte, con in più il bagno a parte. Per garantire un maggiore riposo e spazio per Robin, e ad entrambe un posto più privato in cui stanziarsi e cambiarsi, erano riusciti a ricavare un’altra piccola stanza con un letto, e Nami non poteva che esserne sollevata di quella soluzione appena diventata un salvavita in quel momento delicato. Una volta rientrata in quell’alloggio improvvisato, aveva deciso di dileguarsi proprio in quell’idea di stanza, in una fuga che raccontava di un’intenzione ben precisa: prendere del tempo, quel tanto che le serviva per ripensare a tutto quello che era successo con Pauly quella sera, per trarne le sue conclusioni ma, soprattutto, per non doversi immediatamente incontrare col suo compagno dai capelli verdi, mentre tutto il resto della loro combriccola beatamente dormiva. Compresa l’archeologa, come aveva sorprendentemente notato, vedendola collassata sul letto in uno stato quasi catatonico che non le apparteneva affatto, in contraddizione col suo essere sempre molto vigile anche nel sonno; immaginandola risentire di tutto lo stress psicologico che aveva dovuto sopportare in quelle ultime giornate. Quale soddisfazione però se non quella di vedere la sua compagna finalmente libera di rilassarsi.
E Nami era talmente assorta in sé stessa che solo dopo aver vagato ancora con la mente in pensieri su cui solitamente non si soffermava mai, mentre si avvicinava al letto, aveva notato una forma ingombrante e bizzarra con dei cappelli blu sbarazzini che stanziava accanto a Robin. Aveva sgranato gli occhi dalla sorpresa, soprattutto quella di non essersi resa conto fin dall’inizio di quella presenza, deducendo, dalla finestra sollevata verso l’alto con l’aria fresca che faceva capolinea nella stanza, un’entrata in sordina. Con la schiena poggiata al muro, il cyborg, forse sporco di fuliggine e segni del lavoro in cantiere su tutto il corpo, dormiva anche lui in bella grossa, occupando perciò parte di quella che avrebbe dovuto essere la sua metà del letto, con lo sguardo rimasto immobile su una Robin dormiente, probabilmente ignara di quella presenza al suo fianco. La mano del cyborg era anche questa rimasta immobile nel suo ultimo gesto prima di chiudere gli occhi per riposare, sporta verso quella dell’archeologa che invece stava stesa del tutto sul lenzuolo. In un’altra occasione avrebbe probabilmente preso Franky per i capelli e lo avrebbe sbattuto fuori con una bella spinta in cui avrebbe calibrato tutta la sua forza, ma stavolta no, stavolta, nella sua temporanea sensibilità, aveva sorriso col cuore. Sapeva quanto quello strano cyborg umano si era prodigato per Robin e quanto, con allegra sorpresa, le era stato il più inimmaginabile degli amici, o, forse…amanti…? Nami si rese conto immediatamente di aver azzardato qualcosa di così infondato, insensato e forse paradossale, ma dopo quella serata, dopo quell’avventura irrazionale e sciocca con Pauly, stava iniziando a dar più peso ad un suo lato che aveva bisogno di un certo…romanticismo. (?)
Ma, ancora una volta, quel fruscio dell’acqua l’aveva velocemente riportata alla realtà come uno schiaffo gelido che l’aveva fatta quasi sussultare, risvegliandola da quell’intorpidimento dei sensi in cui era caduta. 
Aveva evitato di uscire dalla stanza nel momento stesso in cui aveva sentito dei rumori provenienti dalla sala, e aveva immaginato che Zoro, rientrato subito dopo di lei, avesse fatto tappa in bagno per una doccia rapida. Le gambe le erano rimaste ben impantanate al pavimento, decidendo così che sarebbe rimasta lì finché lui non si sarebbe deciso ad addormentarsi. E, conoscendolo, sapeva che non ci sarebbe voluto poi molto tempo. Ma, nel momento stesso in cui aveva udito prima la porta del bagno chiudersi e l’acqua scorrere, aveva realizzato come tutte quelle congetture, riflessioni, osservazioni che le occupavano tutti i pensieri, l’avevano distratta da quel brontolio che sentiva nello stomaco e da quella voglia costante che richiamava un po’ di liquore a gran voce. 
Avvertiva il divampare di un incendio che le partiva da dentro. E più quell’acqua scorreva e più la sua pelle bruciava. Scosse la testa in preda ai tormenti che Pauly le aveva innescato nella testa. ‘E se non fosse più riuscita a scacciarli via?’ si chiedeva, spaventata, mentre sostava al centro dalla stanza. Si stupì di sé stessa quando mentalmente fece una supplica verso Zoro di muoversi a chiudere quell’acqua o lei avrebbe continuato a immaginarcelo sotto. 
Non sapeva cosa fare. Avrebbe tanto voluto sprofondare sotto alle lenzuola e dormirci sopra a tutto quel marasma di tormenti e congetture di quella sera, ma per poterlo fare avrebbe dovuto rovinare quella visione che aveva davanti agli occhi e che un po’ la stava commuovendo. Scosse nuovamente la testa inorridita da sé stessa. ‘Cosa stava aspettando a svegliare quell’idiota di un cyborg e cacciarlo via a calci?’ ma quelle mani che quasi si incontravano, senza sfiorarsi, erano bloccate nella sua mente come un ricordo sacro, una romantica metafora della sua stessa situazione. 
Era finita. Era una donna finita se bastava questo ad incantarla! Continuava a maledire mentalmente il carpentiere biondo con quel suo dannato sigaro sempre in bocca, perché in qualche modo le aveva fatto qualcosa, anche se non sapeva bene cosa! Anche se, pensava, forse non era del tutto colpa di Pauly, forse in quel momento vedeva solamente un uomo che senza fine personale aveva fatto tanto per salvare Robin, per aiutarla nel suo momento peggiore, e questo, per sua esperienza, significava tutto. Uscì dalla stanza, chiudendo loro la porta, lasciandoli così in pace.
Si ritrovò nuovamente nella sala e, nel momento in cui aveva superato i letti raggiungendo la cucina, venne colta da un sobbalzo improvviso quando da dietro alle sue spalle un mugugno l’aveva improvvisamente raggiunta, raggelandola; ma, voltandosi, aveva scoperto immediatamente che quel verso apparteneva ad un Chopper dormiente, preso senza indugio dai suoi sogni. La parte più a nord della stanza ospitava i letti a castello con sopra i propri compagni che dormivano esausti - nemmeno se si fosse messa ad urlare probabilmente si sarebbero ripresi alla svelta - con una luce più fiocca ad illuminare quel perimetro. 
Nami si domandava com’é che quella più pensierosa e complicata doveva essere proprio lei, quando avrebbe voluto volentieri starsene a dormire per riprendere energie, sia fisiche che mentali, mentre tutti loro dormivano alla grande nonostante quel peso che aleggiava sopra le teste di tutti.
Beh, tutti, tranne uno. 
 
Quando lo stomaco brontolante aveva preso a martoriare con insistenza, si diresse al frigo, riempendo una parte del tavolo di tutti gli avanzi che Sanji aveva rinchiuso in modo ordinato e premuroso all’interno dei contenitori. Aveva deciso di approfittare di quella doccia insolitamente lunga per fare un veloce spuntino, consapevole di non avere più un posto dove fuggire, cercando di accettare che non sarebbe riuscita ed evitare così di incontrarsi con lui faccia a faccia. Aveva però perso troppo tempo in stupidaggini, perciò, quando nelle sue orecchie risuonava solo il rumore delle ultime goccioline cadere sul pavimento, s’irrigidì. Cercò di affrettarsi nel combinare il suo panino, sperando di riuscire anche a riposizionare tutto in frigo, sentendo i battiti del suo cuore aumentare, come se avesse avuto un timer il cui ticchettio segnava i secondi che mancavano allo scoppio della bomba. I passi di Zoro che arrivava alla porta del bagno certamente non aiutavano a diminuire la tensione. 
Maledizione. 
In quel momento, Nami comprese non solo che non avrebbe mai fatto in tempo a riporre tutto nel frigo, ma anche che si stava comportando in modo esageratamente ridicolo. Doveva tirar fuori tutto quell’autocontrollo che raramente possedeva, ma a cui poteva ricorrere in caso di bisogno. L’idea di affrettarsi per non affrontarlo avrebbe potuto invece farla cogliere in fragrante mentre se la svignava, e quello sarebbe stato sicuramente più difficile da spiegare e rischioso da mettere in atto. Ma poi, si chiedeva, dove avrebbe potuto svignarsela? Con lui ci voleva sempre e solo polso duro e sicurezza, o si sarebbe insospettito. 
Ma poi, ancora continuava a macinare, per questo si era sentita così calda? Per una cosa così ridicola come un uomo nudo? Ma lui non era un uomo qualsiasi... 
Sentì un nodo alla gola e una strana nausea allo stomaco e capì di doversene andare da lì. Non era stabile. Stava però riuscendo a mantenere abbastanza il controllo di sé stessa, seduta al tavolo mentre finiva di preparare il sandwich. 
“Dannazione a quel Pauly!” esternava ad alta voce, mentre continuava a pensare a quei discorsi frivoli e inutili. E infatti, come preannunciato, in un batter di ciglio, il suo compagno era fuori dal bagno. 
Nami s’irrigidì ancora una volta quella sera, e mentre realizzava il fatto che quello si stesse per palesare davanti a lei, non poteva riuscire a pensare a chissà cosa le avrebbe detto, sempre se l’avesse pur avuta qualcosa da dirle o se si fosse diretto a dormire senza accennare nemmeno un saluto. Cosa che l’avrebbe fatta imbestialire ancora di più, così tanto da farle tagliuzzare con il coltello con più forza e precisione una fetta di pomodoro decisamente troppo grande. Ma in fondo, per loro, non sarebbe stato meglio evitare di parlare direttamente? 
Alzò la testa pronta all’ignoto, consapevole di non aver preparato nessuna difesa per proteggersi. Ma proprio in quel momento notò che il compagno appena uscito la guardava assonnato e con tanti punti di domanda che gli alleggiavano sulla testa. 
“Che fai ancora sveglia?” 
Nami, rimasta pietrificata, incurvò lo sguardo e aggrottò la fronte in preda ad un panico che stava svanendo, perdendo una manciata di anni di vita tutti insieme. 
“Rufy?” 
“Si?”
“Ma sei sempre stato tu ad occupare il bagno?” 
“Avevo caldo e ho fatto una doccia” le rispose con uno sbadiglio incontrollato e senza nemmeno portarsi la mano alla bocca per coprirlo. “Ora però me ne torno a dormire.” 
“Ma non c’era Zoro?” 
Il capitano fece spallucce dando una veloce occhiata alla stanza “Qua non c’è” le disse, prima di rubarle le fette già tagliate di formaggio e pomodoro, per poi raggiungere il suo letto a castello, dove s’era arrampicato con un gesto rapido per collassare velocemente confondendosi tra le coperte. 
“Questo potevo vederlo anche da sola!” Nami lo ignorò, riprendendo a tagliuzzare e respirare insieme. Un gesto che di conseguenza ricreava un suono che le serviva per quietare i bollori, fermare il tempo, capire dove fosse posizionato il compagno. 
Non é più rientrato? Che gli sarà preso?
Smise di tagliuzzare il frutto, componendo il sandwich con il restante avanzo lasciato dal capitano. Ma era poi rimasta immobile, con uno sguardo fermo sul panino e la mano ancora a mezz’aria su di esso. Cosa le stava succedendo? Perché doveva sentirsi spiazzata da questa sorpresa? 
Poi si rese conto di quanto fosse assurdo che Rufy andasse a fare una doccia nel bel mezzo della notte. E capì che forse non era così tranquillo come lei aveva creduto. Che forse quel momento era stato per lui un tormento che non avrebbe voluto far vedere a nessuno e che aveva tentato di scacciare via con l’acqua. E di nuovo il fantasma dell’ammutinamento di Usop occupò tutta la sala, lasciandola sprofondare in quel dolore, portandosi dietro quella minaccia che l’accompagnava, con uno Zoro le cui azioni non riusciva a comprendere. 
Il sandwich pronto da svariati minuti sostava ancora sul piatto sotto ai suoi occhi, in attesa di essere consumato. Ma in tutto quell’attimo di voltastomaco legato ad una strana e forse irrazionale paura, non sarebbe mai riuscita a buttarlo giù. Le dispiaceva per il dolore di Rufy che non poteva gridare a voce alta, in quanto capitano con delle responsabilità, costretto da Zoro ad adempierle; e le dispiaceva per Usop, che lei vedeva bene soffrire per il suo orgoglio. Tutti stavano soffrendo. Tutti loro avrebbero voluto affrontare questo dolore trovando una soluzione - tutti tranne uno
Con un gesto delicato ma deciso, aveva allontanato il piatto con la mano. “Mi é passata di nuovo la fame!” e non lo aveva in realtà annunciato a nessuno, se non a sé stessa, ma non aveva potuto fare a meno, come reazione, e senza pensarci eccessivamente, di alzarsi in piedi, raggiungere la porta e aprirla con un gesto brusco e deciso. 
E lui era lì. 
 
Stava seduto sulla stessa roccia su cui lo aveva trovato al suo rientro, occhi chiusi, braccia incrociate al petto, le sue due spade accanto. Era tutto lì, dunque, Zoro? Obiettivi da raggiungere, regole da seguire, sentimenti da evitare. Strinse il pugno lungo al fianco, mordendo dentro una vagonata di parole che avrebbe voluto gettargli addosso ma che per fortuna riusciva a trattenere. 
E Nami aveva iniziato a capire solo in quel momento, con la mano ancora ancorata alla maniglia della porta, che l’amore le faceva così tanta paura perché non poteva controllarlo. 
“Che cosa fai? Perché sei rimasto fuori?”
Aveva sentito subito la tensione circondarli, facendo caso all’abbondante serietà di cui quel volto ne era impresso. Lei, comunque, non si impegnava affatto a nascondere troppo quello che provava, alimentando un nervosismo già palpabile in quel modo che aveva di reprimere i sentimenti che si sentiva tutto. 
Zoro l’aveva avvertita lasciar scivolare dalla mano la maniglia della porta che le si chiudeva in automatico alle spalle, e facendola sussultare silenziosamente, aveva aperto gli occhi nel momento in cui lei aveva avanzato fino ad arrivargli davanti, mentre si stringeva inconsapevolmente nella giacca di Pauly in un'azione spontanea che venne frantumata quando lui la raggelò con un’occhiata. 
“Allora?” Nami cercava di evitare quella serietà che a volte era un porto sicuro altre sapeva essere assai fastidiosa. Lo aveva squadrato per bene, indispettita, trovandolo con lo sguardo fisso su di lei senza però risponderle, con quell’aurea da bello e dannato che si portava sempre dietro. Aveva scosso il capo, nel suo modo plateale, senza smettere mai di guardarlo, ricambiando quello sguardo enigmatico che le stava riservando e che la stava mettendo a disagio in modo che non aveva mai vissuto. E, chiedendosi cosa vagasse nella mente del compagno guardingo, continuò quel gioco non smettendo di perdere il contatto visivo con lui che sembrava lo stesso Zoro di sempre, ma con qualcosa di diverso rispetto a poco prima, quando lo aveva trovato lì fuori, senza riuscire a capire cosa fosse cambiato in un tempo così breve. 
Perché la stava guardando in quel modo ambiguo? Perché tutto d’un tratto sentiva una strana sensazione di calore nel petto? Era quella tensione di cui Pauly blaterava tanto?
Ma lei buona e calma non ci sapeva proprio stare e con un gesto irruente aveva alzato le braccia in aria nel suo fare teatrale ed eccessivamente drammatico.
“Ma insomma che diavolo ti prende?”
Aveva esagerato, come consono anche con il tono di voce, ma d’altronde era una caratteristica che le apparteneva. Scocciata per quel fastidioso mutismo, non aveva nemmeno aspettato che lui si muovesse, ed era stata direttamente lei ad avvicinarsi maggiormente, incrociando le braccia al petto mentre cercava di sovrastarlo fisicamente, sospirando agitata, in un nervosismo nascente in procinto di esplodere. Era tentata di lasciarlo stare, piegare i piedi e andarsene, tanto ormai non capiva le sue decisioni e i suoi gesti, ma qualcosa di inspiegabile la stava trattenendo lì. Forse la stessa forza invisibile che l’aveva spinta ad uscire, nonostante quella situazione era tutto ciò che aveva cercato di evitare da tutta la sera. Era esausta di dover avere sempre quel comportamento autoritario da maestrina costretta ad attirare l’attenzione di un adolescente capriccioso. 
E lui, ostinato, era rimasto in silenzio, non ignorando però le sue movenze, continuando ad indugiare su di lei. Se ne stava seduto, non proprio nascosto nel buio, dal momento che si prendeva quello spazio sulla roccia come se fosse stata solo sua, ma così, illuminato dalla luce della luna, solo, dava sempre la stessa impressione di quello che continuava a portarsi dietro situazioni che lo rendevano chi in realtà non era per davvero: un solitario. 
“Sono venuta a controllare se stessi bene”
lo guardava dritto negli occhi senza alcun timore di lui.
E lui la vedeva, così fiera, decisa, lo sguardo molto poco arrendevole. E la sentiva anche, sentiva che la stava in qualche modo indisponendo con quell’atteggiamento.
“Vedo che è così. Allora me ne torno dentro”
gli disse, stanca di non avere attenzione o uno straccio di risposta. 
Lo spadaccino, come risvegliatosi da un richiamo a cui doveva rispondere seppur contro la sua volontà di affrontare quel discorso, si era piegato un po’ in avanti, forse pronto a fermarla, a dirle finalmente qualcosa. Nami, capendone l’intenzione, rimase allora immobile, tendendo immediatamente le orecchie, in preda ad un'ansia che non sapeva spiegarsi. 
“Giacca nuova?”
La rossa strinse gli occhi più volte confusa, senza capire a cosa si riferisse, abbassando lo sguardo per guardarsi sul torace, ricordandosi d'indossare ancora quella di Pauly. Doppiamente confusa, alzò lo sguardo riscontrandosi con lui che non aveva smesso di scrutarla attentamente in volto.
“Che vuoi dire?”
“Niente.”
“Ma insomma che ti prende?”
Zoro sapeva che se anche lei si intestardiva in quel modo, e minacciava di andarsene, togliersela di torno o farla calmare, non sarebbe stato così facile, così, forse per questo, forse per altro, le gettò un amo. 
“Ho saputo…” aveva preso qualche secondo di finta calma come a concentrarsi per pensare, mentre Nami pendeva dalle sue labbra in un’attesa che la mandava fuori di testa “che sei arrabbiata con me.” 
Con le sopracciglia improvvisamente aggrottate, lei continuò a sentire quel calore divamparle dentro, cosa che la spinse ad abbassare lo sguardo per un attimo verso il basso, con la bocca semiaperta e l’ansia che le entrava da una piccola fessura tra le labbra che la faceva respirare appena. 
Immediatamente l’idea di andare a picchiare Pauly non era mai stata così forte e decisa nella sua mente, sarebbe stato la sua valvola di sfogo necessaria, l’unica soddisfacente in quel momento. Odiava sentirsi così scoperta. Ma fu quando un pensiero scabroso le aveva attraversato la mente che il mondo aveva smesso di girare, con un solo pensiero fisso, e se…Che altro aveva detto quella bocca larga di quel balordo di un carpentiere? 
Adesso sentiva di essere lei quella silenziosamente rimproverata in quel momento, benché conscia di essere ancora sotto quello stramaledetto sguardo difficile e giudizioso.
“Maledetto idiota!” aveva sibilato tra i denti senza farsi sentire, riferita al biondo. 
“Quindi é così?” Zoro, che non aveva alcuna intenzione di parlarne ma che allo stesso tempo non riusciva a trattenere troppe verità che dimoravano in lui come un parassita che stava iniziando a costruire il suo nido e voleva sfamarsi, aveva approfittato di quel momento di incertezza negli occhi di Nami per prendersi il suo spazio. 
“É stato lui a dirtelo?” 
volta a guardarlo nuovamente negli occhi, in una finta indifferenza che non riusciva a trasmettere, cercava di trattenere quella rabbia mista a vergogna che provava, incapace di gestire una situazione che aveva perso di vista, in cui le informazioni non erano più a suo favore. 
“Che altro ti ha detto?”
domandò, con le guance tra l’essere accaldate dentro e gelide come quelle di una statua fuori, impossibilitata nel trattenere questa domanda. In un primo momento era rimasta sorpresa quando aveva scorto un broncio in quell’espressione ferma e immutabile, per poi dimenticarlo in fretta, troppo concentrata in una morsa che le teneva in ostaggio lo stomaco. 
“Allora? Che cavolo ti ha raccontato quell’idiota di un carpentiere? Non credo che sia rimasto qui fuori con te così a lungo per una chiacchierata al chiaro di luna!”
Stringeva le estremità di quella giacca con tutta la forza che possedeva nelle dita delle mani, immaginando che quel tessuto duro fosse il collo di Pauly, pronto da torcere in un solo gesto deciso. 
“Noi non di certo” si alzò in piedi e, prendendo le spade in mano, le era passato accanto superandola “ma a voi sembra sia andata così.”
È stato LUI a dirtelo.
Era solo un pronome. Eppure, rimanevano tre lettere così dannatamente fastidiose per le sue orecchie. Con quel suo fare serio ma pungente, che poteva essere irritante come poche cose al mondo, Zoro aveva reagito. 
Nami si raggelò fin dentro alle vene. Lo avrebbe ucciso, avrebbe ucciso quel biondo muscoloso maschilista pieno di debiti. 
“Ma che diavolo dici?”
Gli urlò dietro come a voler mettere un cerotto all’aria, un cerotto su un’insinuazione sbagliata. 
Una frase, una reazione, un dubbio che era stato insinuato.
Non era stata una domanda ma una constatazione. E questa cosa la feriva. Perché Zoro arrivava sempre alle sue congetture senza mai prima chiedere. O meglio, senza prima indagare di più. A volte gli bastavano che poche informazioni per arrivare alle sue conclusioni. E questo era il suo più grande difetto. 
Nami non ricordava lucidamente bene cosa fosse successo con Pauly, il momento che aveva vissuto, i sentimenti che aveva provato, ma allo stesso tempo sapeva che quell'affermazione, l’allusione che Zoro le aveva appena gettato addosso era errata. E adesso, senza un motivo valido, non si sentiva bene, anzi, si sentiva improvvisamente uno schifo. 
E sapeva anche che era inutile provare a discutere con lui nel modo in cui voleva lei, spesso quando in ballo c’era troppo nervosismo, e la situazione eccedeva di sensibile complessità, tendevano a scontrarsi, così, decise di cercare di stare calma il più possibile, onde evitare di peggiorare questa falsa congettura. Lei sentiva che si trovavano dentro ad uno strano tormento, uno di quelli in cui mai avrebbe detto che Zoro avrebbe potuto sguazzarci dentro - ma in fondo nemmeno lei; e non riusciva più a ricordare quanto tempo avesse passato con Pauly, e cosa fosse successo di preciso tra loro, o meglio, a lei. Cosa avrebbe potuto dire per rassicurare il suo compagno? Ma poi, perché avrebbe dovuto rassicurarlo? Da che cosa? 
Lei era conscia del fatto che avrebbe anche potuto spiegarglielo, ciò che era successo quella sera, ma aveva anche una gran voglia di non voler dare quel genere di spiegazioni, quando lei stessa aveva solo vissuto un momento, cercato di sfogare la sua agitazione a suo modo. 
“Mi sembra che ti preoccupi un po’ troppo di sapere cosa mi ha detto quel tipo!”
Una rabbia che prendeva di nuovo a scalciare dentro di lei, non tanto quando pensava a Pauly, ma quando sentire la voce di Zoro liberare ancora quell’arroganza le faceva risentire quella sua minaccia antipatica nella testa, risentendo quelle parole che l’avevano irrimediabilmente ferita fare eco ai suoi pensieri. Sentiva di avere un grido in gola che si sforzava di reprimere, mentre pensava a cosa tutto volesse urlargli in faccia, lasciandosi alle spalle quelle allusioni che lui stava tirando in ballo. 

Allora sarò io a dire addio alla ciurma! 

Si bloccò.  Si era ripromessa che lo avrebbe trattato con freddezza per fargli sentire il gelo che aveva sentito lei a causa sua.
Ma poi, non era riuscita a farlo per davvero. 
“Zoro!”
Prese un profondo respiro e si disse che ne valeva la pena esporsi, stavolta. Per lui. Anche fosse stato gettargli tutto addosso. 
Il tono si era abbassato, la voglia di litigare quasi assopita, quella di saperne di più, invece, accresciuta.
“Avresti potuto evitare di dire quella cosa.”
“Che ti preoccupi troppo di quello che mi ha det-.” 
“Pauly non c’entra un tubo!”
Zoro non faceva il finto tonto, voleva solo sentire da lei quale fosse il vero problema, a cosa esattamente si riferisse. 
“Ah, e così che si chiama” 

Lui sapeva che doveva ringraziare la sua forza se poteva essere quello che era senza farsi troppi problemi. Essere lui sembrava difficile, e forse lo era davvero, per via dei carichi che era solito portarsi addosso, delle rinunce a cui si sottoponeva, ma a volte sembrava essere anche piuttosto facile. Si buttava a capofitto nelle battaglie che faceva diventare sue, e poi, se non fosse sopravvissuto, avrebbe concluso lì, in pace, lasciando la decisione al destino senza nessuna remora. Ma senza questa grande forza come sarebbe stato? Lo stesso così vigoroso, moralista e a suo modo violento nelle sue decisioni? Ma lui non era mai stato veramente una persona violenta, aveva solo bisogno di sfogare quella rabbia violenta che spesso si portava dentro, che effettivamente erano due cose diverse. E forse era quello che lui aveva bisogno di fare anche in quel momento. Era stato il suo modo di reagire ad una delusione grande come una casa. Una delusione da uomo d’onore, pirata, compagno fedele per la sua ciurma; un dettaglio che Nami non poteva capire. Non che per lei la fedeltà non fosse importante, in realtà era tutto ciò che voleva di più prezioso, ma lei sapeva anche andare oltre quando aveva la certezza che quell’amico in questione voleva bene a tutti loro. Ma per Zoro, e per il suo codice, era un discorso assai diverso. 

“Zoro!”
Era l’unica quando pronunciava il suo nome a fargli rabbrividire il corpo, quando anche per terrore, però.  
“Anche agli altri, quella volta, hai fatto la stessa minaccia?” 
“Umh?”
Si avvicinò un po’ di più a lui. Lui che ancora le dava le spalle, pronto per primo ad abbandonare il terreno di scontro.
“Quando sono stata io ad andarmene, a lasciarvi…”
Nami era solita, quando si arrabbiava, di reagire. E toglieva fuori tutto il suo armamentario se voleva arrivare ad un punto, o ad aver ragione. E Zoro lo sapeva molto bene. Forse più di chiunque altro.
“Non é la stessa cosa.” 
Lui voleva provarci ad essere distaccato, ma Nami aveva appena tirato fuori quella che era stata una ferita sanguinante. Al contrario di Usop, non si trattava di delusione, ma di un ricordo doloroso al sapore di ingiustizia. Nami aveva mentito, era fuggita, gli aveva abbandonati, ma se avesse potuto scegliere non l’avrebbe mai fatto. Usop, invece, stava prendendo delle scelte ben precise senza nessuna situazione insormontabile sulle spalle, se non guidato dal suo mero orgoglio. E questo in realtà lo sapevano molto bene entrambi. Ma Nami non voleva vederlo. Voleva sbatterci la testa fino in fondo alla questione. 
“Non m’importa.” 
Lei reagiva in questo modo al dolore. Lei aveva necessità di reagire e basta. Era capace di vedere oltre a queste stupide battaglie, di arrivare al punto, di vedere l’orgoglio di Usop e perdonarlo seduta stante. Lo avrebbe torturato in un secondo momento, lo avrebbe malmenato, sgridato, punito, ma solo dopo la certezza che non lo avrebbe perduto. 
“Importa invece.” 
Ma Zoro no. Zoro ci andava pensante. Zoro non perdonava scuse che non vedeva arrivare. 
“L’ho fatto anche io! Vi ho fatto la stessa cosa per mio interesse personale! Perché io sono stata perdonata e Usop non può avere lo stesso?” 
Nami sapeva che Zoro poteva essere anche forte e imponente, ma in quel momento, nel momento stesso in cui lei aveva sollevato quella questione, posto quella domanda, in cui aveva tirato fuori quella storiala sua storia, era sembrato anche e soprattutto fragile. E in un certo senso era colpa sua. Ma non riusciva a farne a meno di volerlo provocare. 
“Smettila di tirare fuori questa storia!”
Lo sentiva adesso, alzare leggermente la voce ma cercare di trattenersi, mentre voltava le spalle girandosi nella sua direzione, guardandola in faccia
“perché diavolo lo stai facendo?”
“Se tu mi dici perché stai montando tutta questa sceneggiata contro Usop!”
“Starei montando una sceneggiata, secondo te?”
Zoro non poteva crederci. Stava davvero facendo un paragone simile? Si chiedeva se lo pensasse davvero o se lo stesse facendo di proposito ad esagerare. 
“Si, stai montando una scenata capricciosa!” 
“E Usop che l’ha montata la scenata capricciosa!”
 
Lei credeva di vivere un’inferno, se pensava di doverne perdere anche solo uno di loro…ma dopo quell’esperienza assurda con Pauly era anche riuscita a capire qualcosa in più, a schiarirsi un po’ le idee, ripromettendosi di non concertarsi troppo solo su sé stessa, perché dopotutto non era l’unica a soffrire. Lì dentro soffrivano tutti e c’era chi aveva perfino la forza e il coraggio di affrontare la giornata tenendosi dentro ogni cosa, nonostante tutto. Rivide Rufy uscire dalla doccia nel cuore della notte. Doveva soffrire così tanto, e come capitano non poteva piangere sulle spalle di nessuno. 
Nami si prese un attimo per respirare, prima di riprendere a portare il compagno all’estremo delle sue emozioni. E, conoscendo Zoro, non ci sarebbe voluto poi così tanto. Era già riuscita a fargli fare un clic. Lo fissò dritto negli occhi e…
“Io non ti ho mai chiesto scusa.” 
Nami avrebbe giurato di averlo sentito smettere di respirare.
“Ti ho detto che non è la stessa cosa!”
Sentì quella voce che gli grattava la gola venire fuori a fatica in una rabbia che non aveva voglia di provare. Era troppo aggiungere questo ingrediente a quella serata, era troppo per lui sopportare anche questo tormento.
“Perché le stai provando tutte per farmi arrabbiare!?”
Il verde si era voltato a lei del tutto, con gli occhi sgranati, il cipiglio all’insù, rimasto spiazzato da simili frecciate che per lui non avevano nessuno senso logico, niente in comune come situazioni, seppur potessero sembrarlo.
“Ti sei chiesta invece se Usop vuole davvero essere perdonato da noi? Ti sei chiesta se lui pensa di aver sbagliato?
Nami non avrebbe mai voluto riassumere Zoro come un ricordo di una presenza che prima c’era e poi non ci sarebbe stata più. Non sarebbe stato il più doloroso dei suoi rimpianti, doveva vuotare il sacco, doveva farsi sentire da lui. Ma allo stesso tempo quella sua ottusità la lasciava di stucco.
“Ma come ci riesci…” voleva urlare, urlare, urlare forte “a non provare un briciolo di interesse e…di amore…?”
E per questo Nami era ancora così dura con lui, ma non poteva essere altrimenti. Non poteva aprirsi a chi invece era capace di chiuderle il cuore davanti in modo così naturale.
E aveva usato la parola amore, ancora non poteva crederci! Maledetto carpentiere!
“E questo che credi?”
“Io credo che non ne provi abbastanza. Altrimenti non potresti essere così distaccato, da Usop…da noi…”
“Anche da voi?”
“Lasceresti la ciurma per una sciocchezza.” 
“Smettila di prenderla alla leggera, Nami!” aveva sillabato a denti stretti, cercando anche lui a sua volta di non infuriarsi. 
Zoro si allontanò, proseguendo verso il nulla - dal momento che non si stava dirigendo alla porta - come se si fosse ustionato. E ben due volte quella sera. Come se avesse paura di starle troppo vicino, senza voler rischiare ancora di venire inghiottito e scombussolato da quel vortice chiamato Nami. 
Ma lei avanzava a sua volta, cercando di raggiungerlo, come se quei passi nell’ignoto anticipassero la sua ritirata. Come se vedendolo avanzare ancora avrebbe significato il non rivederlo mai più. 
“Ma quanto sei testardo!” e in quel momento per Nami quell’appellativo era paragonabile ad un insulto. Quel loro legame avrebbe dovuto essere la loro ancora di salvezza, e anche se il buio adesso era temporaneo e la mancanza di risposte su Usop li aveva abbattuti tutti, ne sarebbero potuti uscire. “Dovremmo pensare a trovare un modo per migliorare le cose affrontandole insieme, senza creare altri inutili contrasti!”  
E lei non sapeva cosa la spaventasse di più tra l'idea che Zoro non la capisse, non capisse quello che lei stava passando o il fatto che lui non fosse spaventato dall’idea di perderla, così come lo era lei.  
Non riusciva a sentirlo in quel momento, e questo perché lui probabilmente non glielo permetteva. La teneva fuori. Oppure era tutto lì, lui era quello e basta. Tutto ciò che lui dimostrava di volere, che reputava più importante, era scomparire, andarsene, se le cose si fossero svolte in quel modo che lui non avrebbe mai potuto accettare. 
E si rese conto che cercare di conoscere davvero qualcuno era davvero complicato, forse impossibile, specie con tutti quei dannati muri che si trovava ora ad affrontare. O forse non erano nemmeno dei muri, era solo Zoro. 
“É proprio nel tuo stile confondere dei principi morali per ‘inutili contrasti’.” 
Era successo, lo aveva innervosito. E infatti non lo sentì parlare con aria di trionfo, o di provocazione, tutt’altro. 
“E il tuo stile invece è sempre quello di giudicare pesantemente le persone senza prima sapere la verità!” 
“Ti riferisci a qualcosa in particolare?”
“Lo sai a cosa!”
“Se sei qua per farmi prendere una decisione diversa, sappi che non cambierò me stesso perché tu vuoi aver ragione.” 
Per Zoro quello era un concetto molto chiaro. Non aveva intenzione di creare dei muri. E non si sentiva colpevole di aver aggravato una situazione già complessa. La sua reazione, per lui, era quella giusta, quella che tutti dovrebbero pretendere, avere, rispettare. In più, non si sentiva così distaccato dagli altri sentimentalmente come lo incolpava Nami. Ci teneva ai suoi compagni. E teneva a lei. In un modo così forte che nemmeno lei poteva saperlo, tanto che ammetterlo nei pensieri era così devastante che a parole non sarebbe mai riuscito a tirarlo fuori. 
 
Nami rammentò che quelle di Zoro erano state condizioni anche di Pauly, in cui ne aveva immediatamente capito la reazione e concordato con lui. E seppur in quel momento aveva reagito male, ora vedeva che per loro c’era solo questa strada davanti. Anche sforzandosi nel trovare soluzioni, per loro c’era solamente un’opzione. Chiedevano delle semplici scuse, tutto qua. In fondo questi uomini che le rovinavano la vita non stavano nemmeno pretendendo qualcosa di troppo folle o spropositato. E lei questo lo sapeva bene, solamente che la sua filosofia di vita era differente. 
Pauly le aveva fatto capire che anche non avere orgoglio poteva essere deleterio per tutti. Ma nonostante ci provasse nel cercare di diventare complice di quella decisione, non ci riusciva. Se lui aveva i suoi principi, regole, codice morale, anche lei aveva le sue idee, e dovevano avere la stessa importanza. Lei poteva metterlo da parte l’orgoglio, per salvare un amico. 

“Ti sbagli” continuava a cercare di monitorare il respiro, dominare i suoi istinti rabbiosi.
Vide Zoro voltarsi ancora una volta, sempre serio, ma sembrava anche un po’ provato da quella conversazione. O dalla serata, tutta. Ma sembrava pronto ad ascoltare il seguito. 

Allora sarò io a dire addio alla ciurma! 

Quanto faceva male quella frase.
Ma come poteva farglielo capire in altri modi che non la scoprissero eccessivamente nei sentimenti? 
Avrebbe dovuto scandire solo un paio di parole, avrebbe dovuto dire solo Te ne andresti. E mi lasceresti come se non fossimo niente per nessuno motivo che riguardasse noi.
Ma come avrebbe potuto dire una sciocchezza simile. Eppure, quelle non erano solo parole, erano un sentimento, ed era anche bello intenso. Ed era maledettamente tutta colpa di Pauly che l’aveva quasi costretta a farlo uscire, a fargli prendere una dimensione reale da cui non sarebbe più potuta scappare. 
Accettare l’idea che lui potesse sparire dalla sua esistenza a questo punto del viaggio, a questo punto del loro incontro, a questo punto di essersi abituati alla reciproca presenza, alla stregua di un doloroso tormento, dividendosi per sempre senza che non lo volessero entrambi, era davvero tanto da pretendere. O forse per lui era normale, forse lui lo voleva. E questo faceva molto più male al cuore di Nami. 
Perché era così difficile urlargli che questa sua decisione le ustionava le membra? 
Si domandava ancora in un grido silenzioso e soffocato. 
Quella mattina era riuscita ad opporsi davanti a tutti, le era venuta naturale quella reazione. E nessuno l’aveva appoggiata. Tutti erano rimasti in silenzio. Persino Sanji aveva dato ragione a Zoro. E Rufy lo aveva ascoltato seduta stante senza opporsi. Sapeva che Zoro e Usop avevano un egual importanza per il capitano, non si era mai posta questo dubbio in merito, ma allo stesso tempo Rufy stava facendo una scelta. Aveva iniziato ad assumersi le sue responsabilità nel momento peggiore - o migliore, risponderebbe Zoro. E lei non si era mai sentita così sola. Possibile che fosse stata l’unica a preoccuparsi di quella maledetta minaccia? 
Possibile che Pauly avesse avuto ragione e fosse così dannatamente innamorata di Zoro che la paura di perderlo per questo, l’aveva ferita così tanto da farle perdere la testa? E qualcuno si era reso conto della sua reazione? O erano tutti talmente orgogliosi da sacrificare i propri sentimenti in proposito? 
Era stato così strano, così incomprensibile, così…assurdo!
“Non ho mai avuto intenzione di cambiare chi sei. Ma cambiare idea su qualcosa di importante non significa ignorare te stesso.” 
In quel momento Nami non poteva sentirlo che lui era sempre stato vicino a lei, perché quella minaccia sovrastava ogni cosa, ogni gesto, ogni momento che avevano condiviso, troppo immersa com’era in quella paura che aveva di perderlo. E invece disse qualcos’altro, seppur simile di significato era lontano per impatto.
“Io vorrei solo che tu ti rendessi conto del peso e delle conseguenze di questa tua decisone. Lo sei?”
“Sono sempre pronto alle conseguenze.” 
“Ne sei così certo?”
“Sai già la risposta.” 
A Zoro sembrò di vedere gli occhi di Nami diventare lucidi. Non la capiva, non capiva a cosa volesse alludere, però una cosa gli fu abbastanza chiara, non era perché voleva solo aver ragione o vincere quella battaglia morale. Lei stava così proprio perché lui non la capiva. E Lui non avrebbe mai potuto immaginarlo cosa quella sua decisione avrebbe potuto scaturire negli altri. A lei, poi. 
E forse in quel momento la sentì di nuovo quella morsa a stringergli lo stomaco. Era già successo quella sera, quando quel carpentiere, quel tipo diventato improvvisamente uno scocciatore di primo livello, uno di quelli finiti nella sua lista di persone non desiderate alla pari di Bagy il clown, gli aveva detto quella cosa maledetta. E lei, senza poterlo nemmeno sapere, stava continuando ad infierire su di lui. 
 
Nami aveva sentito l’urgenza irrefrenabile di allontanarsi, di prendere una piccola distanza, andandosi a sedere nel posto che prima ospitava lui, lo stesso che aveva scoperto essere scomodo come nient’altro al mondo, ma rimanendovi lo stesso per via della sensazione delle gambe molli. Non ci sarebbe stato nessun Pauly a soccorrerla se fosse caduta, poiché sapeva che chi aveva vicino non era certo il cavaliere del secolo. Ma lei stessa, poi, non era realmente mai stata la damigella in pericolo. Se sveniva davanti ad un uomo solitamente era per derubarlo. Con Pauly era stato un caso. Ed era successo solo per colpa di Zoro. Così come stava succedendo anche in quel momento. 
“È evidente che ci sono cose che per te contano più di altre. Il tuo orgoglio conta più di noi. L’ho capito. Ma scusami se non lo accetto.”  
Rimase un attimo immobile, ad occhi chiusi, tenendosi la testa fra le mani. 
Non sapeva con certezza se lui avesse fatto un passo avanti o se ormai avevano finito di…spolparsi, così tanto da chiuderla lì. Ma almeno era riuscita a dire almeno una parte di ciò che avrebbe voluto. 
 
Zoro non l’aveva sentita rompersi nel momento in cui aveva esternato quell’ultimatum a Rufy, non come la vedeva adesso…ma ciononostante non avrebbe comunque potuto fare altrimenti, non avrebbe potuto lo stesso prendere un’altra decisione, fermarsi, cambiare sé stesso, infrangere il suo codice morale. 
Avrebbe voluto dirle che non avrebbe voluto mai separarsi dalla ciurma, o da lei. Solo che in quel momento non aveva pensato proprio a tutto, non aveva calcato ogni dettaglio, non aveva potuto mai credere che proprio lei ne avrebbe sofferto. Adesso come poteva rimediare? Ma allo stesso tempo non voleva rimediare, perché pur sapendo quali sarebbero state le condizioni e conseguenze, non avrebbe potuto fare altrimenti, sarebbe comunque stata quella la decisione da seguire. Gli faceva male il non riuscire a lasciarsi scivolare addosso qualcosa come quella che evidentemente faceva soffrire lei, ma perché sapeva che non si trattava di una condizione in cui mettendo da parte l’orgoglio avrebbero davvero risolto. Avrebbero dovuto affrontare il nuovo mondo, come potevano pretendere di farcela se non rimanevano saldi come gruppo?  
Se Nami lo avesse visto dentro si sarebbe resa conto che a tutto somigliava tranne che ad un insensibile, ad un demone, o a qualcosa di spaventoso come lo vedevano i nemici.
Si voltò a guardarla nel suo crollo. Scorgendoci tutta quella ferita di cui Pauly gli aveva accennato, nascosta dietro alla rabbia e, adesso, alla resa. 
Nami non era solamente preoccupata per Usop, era ridotta così per lui. 
 
 
 
“Ma tu non sei davvero nemmeno un po’ geloso?”
Sembrava irritato e imbarazzato allo stesso tempo, sicuramente si aspettava qualcosa, ma certamente non una questione simile. Però, con la sua solita irremovibile inflessibilità, era riuscito a divincolarsi, continuando ad avanzare verso la porta. 
Ma poi, con le dita ad avvolgere la maniglia, Zoro si era fermato. 
“Dovrei esserlo?”
Pauly non voleva indispettirlo, però aveva capito di averlo appena messo in una situazione in cui non si sarebbe voluto trovare, e, visto che ormai era lì, tanto valeva dargli fastidio del tutto. Così, da vero “bastardo” gli gettò il peggiore degli ami. 
“L’ho baciata.”
Zoro aveva lasciato la presa sulla maniglia, abbandonando immediatamente l’idea di entrare. Sentiva una stretta improvvisa per lo stomaco. I suoi istinti in guardia che volevano reagire, in più di un modo, ma allo stesso tempo non aveva idea del perché avrebbe dovuto reagire. Non riguardava lui. Doveva farsi gli affari suoi, ignorare quella informazione e ignorare quelle voci che cercavano di entrare nel suo cuore diventato nero. 
“Mi hai sentito?”
Quanto avrebbe voluto stritolarlo quel tipo che voleva in qualche modo dargli fastidio.
“E lo dici a me perché…?”
Pensava di essersene tirato fuori, ma capì di sbagliare quando lo sentì quasi sghignazzare alle sue spalle. 
“Perché avresti dovuto farlo tu.” 
Nemmeno quando non era riuscito a contrastare l’attacco di Lucci, aveva provato un tale gelo interiore. 
Si sentiva quasi paralizzato, dalla confusione di quella provocazione, dalla vergogna di essere invischiato in una situazione come quella, dal cuore che aveva smesso di battere. Perché doveva sentirsi così a disagio per una sciocchezza simile? Lui un ragazzino timido o innamorato non lo era mai stato all’età più indicata, figurarsi adesso. Le questioni d’amore non lo riguardavano da nessun punto di vista. Baciare Nami. Figurarsi se avrebbe mai potuto anche solo avvicinarsi ad un’idea tanto lontana da lui. E da lei. Ma poi, com’è che la strega si era fatta baciare da un uomo? Solitamente ne stava alla larga da simil situazioni. E non era certamente una donna romantica o mai gli aveva dato parvenza di aver bisogno di simili attenzioni. Ma vista come era rincasata insieme a quello, con quella complicità che aveva scorto in loro insieme – ecco nuovamente la stretta stringere forte le sue interiora – era chiaro che lei non fosse arrabbiata, inferocita con quel cavolo di carpentiere!
“O dovrei dire ‘avresti voluto farlo tu!’”
Guarda che ti stai sbagliando – voleva rispondergli immediatamente, ma qualcosa lo aveva bloccato, come se volesse andargli contro ma allo stesso tempo come se sapesse che quel tipo avesse anche ragione. 
“Straparli” aveva poi esternato in un grugnito, ma senza comunque voltarsi o decidere di entrare. Nessun uomo, avversario o no, era mai riuscito a metterlo così in difficoltà. Perché era ancora paralizzato?
“L’ho baciata più di una volta.” 
Non sentiva più niente. Solo fischi sordi. 
Era come trafitto da mille spade. E lui era uno spadaccino, le spade erano la sua vita. Ma non aveva mai provato quel dolore fisico. Perciò, se si fosse impegnato ad immaginarlo, sarebbe stato sicuramente quello il tipo di dolore che avrebbe vissuto se lo avessero infilzato, trapassato nel torace da parte a parte.
Sentiva i nervi tirare per i muscoli già tesi, sentiva ogni fibra del corpo stridere, e tirare tirare tirarsi fino a non sentire più un dolore fisico. Era tutto ovattato, distante, confuso. Un dolore infame, quello che ti trapassa il corpo con violenza. E poi non era più riuscito a non voltarsi, non era riuscito ad ignorarlo fino alla fine quel tipo, come invece avrebbe voluto.
E si guardarono, in quello strano scontro che non l’avrebbe mai visto come vincitore. Pauly teneva lo sguardo attento e dritto su di lui, con il sigaro in bocca. Lo stava provocando, era chiaro. Ma Zoro per un attimo percepì che forse non lo stesse facendo con cattivi propositi. Non del tutto, almeno. Lo aveva notato smettere di sghignazzare, era serio, era quasi trasparente nelle intenzioni.
“Mi sono innamorato come un pivello” gli aveva confessato “di Nami, intendo.” Aveva continuato a fumare cercando di scorgere altre emozioni nel viso di Zoro che in quel momento non trasmetteva niente, se non che una voglia visibile di non trovarsi lì, immischiato in una conversazione come quella. 
“Auguri allora” aveva poi risposto, tentando ancora una volta di fare dietrofront. 
“Lo dici per esperienza?”
“Senti damerino biondo” Zoro adesso iniziava ad irritarsi. Quel tipo non somigliava affatto a Sanji, ma per un attimo l’idea di detestare tutti i tipi biondi di tutti i mari esistenti sarebbe stata una sua nuova missione personale. Si congratulava con sé stesso per l’ottima idea, prima di andarsene definitivamente da lì. 
“Aspetta… guarda che lei mi ha rifiutato.”  
No, si era detto il verde, forse invece che rimango ancora un po’.
“Mi spieghi perché continui a dire a me queste cose?”
“Sei davvero così chiuso allora, proprio come ha detto Nami” 
“É venuta da te per parlare di me?” Anche in quei momenti in cui si sentiva più sconfitto che vinto non riusciva comunque a perdere quel suo ego spocchioso e arrogante. 
“Peggio” Pauly sospirò rassegnato. “Ha fatto molto peggio!” 
“E questo che diavolo vorrebbe dire?” Non si era mai sentito così esausto dopo una conversazione non voluta. 
“Che non sono io il suo uomo” disse, voltandogli le spalle per andarsene definitivamente, alzando la mano in segno di saluto.
 
 
Così, in quel momento, come un’ombra nel buio, si era mosso. 
Infatti, non era passato poi molto tempo prima che Nami ne percepisse la presenza accanto. Zoro, adesso era lui che si ergeva davanti a lei, in maniera sempre imponente e seria, ma più comprensiva. Forse quell’avvicinamento era un impegno nel voler trovare una soluzione, in fin dei conti? 
Nami sapeva che per Zoro doveva essere difficile scendere a patti con i sentimenti. E lei poteva capirlo benissimo, d’altronde sapeva che mostrarli rendeva esposti, senza più protezioni, fragili. Ma in realtà sapeva anche che non era vero per niente, erano solo illusioni che si portavano addosso fin da bambini, poiché vittime di situazioni emotivamente strazianti. 
Ad un certo punto aveva davanti lo schema: avevano idee diverse sul modo di affrontare certe questioni, ma allo stesso tempo condividevano egual principi, ed erano sempre d’accordo in quelle grandi cose che contavano di più. Se Usop fosse tornato e avesse solo chiesto scusa, Zoro non lo avrebbe mai mandato via. 
Doveva anche fidarsi di lui, di tutto quel pacchetto che era Zoro. Contrastarlo si, fargli sentire che anche lei aveva la sua voce, certo, ma poi ognuno di loro doveva seguire la propria identità. Ciononostante, vedere la soluzione era tremendamente difficile. 
Sentiva quanto in quel momento il respiro del compagno fosse diventato pesante. Sapeva che lui non si torturava con gli stessi dubbi e pensieri, ma sicuramente vederla ridotta in quello stato lo aveva spinto a fare un passo indietro. Perché lui era fatto così, non sempre sveglio e voglioso di crogiolarsi nei tormenti delle donne, compresi i suoi, poco incline a porsi mille domande o continui dubbi, per lui c’era sempre una sola domanda e una risposta. Ma stava incredibilmente attento quando chi amava soffriva davanti ai suoi occhi. 
E lei lo sentì sedersi su quella stessa roccia. Con un tonfo aveva rotto il silenzio calato di quella notte, colpa di quelle sue preziose e terribili spade che venivano appoggiate alla roccia dall’altra parte del suo fianco. 
Lo sentiva vicino. Percepiva quell’incredibile calore che emanava quel corpo. E in un attimo tutte le sensazioni di quella sera a casa di Pauly erano tornate a torturarle la mente. Perché ricordava di quando lo aveva scambiato per Zoro. 
Dannata attrazione. 
Sentì il compagno tentare di schiarirsi la voce. Forse stava per dire qualcosa. E lei aveva paura di non essere pronta a sentirla. Avvertiva che tutto di lui era caldo, persino bollente, dal suo corpo a quella voce ruvida, fino a quella frase che aveva lasciato prendesse vita. 
“Nami” 
Solo lui aveva quel potere di farle sentire un brivido per tutta la spina dorsale, quando la chiamava con quel tono meno ruvido ma comunque sempre autoritario. 
“È Usop che non riesce a mettere l’orgoglio da parte, non io.” 
Aveva messo le mani in tasca com’era solito fare quando era un poco a disagio.
“Guarda che quello più orgoglioso di tutti in questo momento é il tuo amico nasone, lo spadaccino che colpa ha, se quello non torna da voi con le sue gambe?” 
“Lo so.” 
Aveva riposto alzando il capo, ancora prigioniero delle sue mani, voltandosi a guardarlo. Cercava di respirare piano, mentre pensava al fatto che forse si stesse arrendendo a quella verità egualmente scomoda cui lei non poteva controllare, cambiare, forzare. Spettava ad Usop decidere per il suo destino. E il senso di impotenza sulle scelte degli altri, delle persone care, poteva essere devastante. 
“Il mio orgoglio è ciò che sono” rimasto serio, e sempre poco incline a diventare dolce o troppo delicato, e senza guardarla in viso, Zoro stava cercando di esprimere qualcosa di importante. E Nami ne sentiva tutta la fatica. 
“Ma se lo avessi sempre posto davanti a tutto, visto che l’hai tirata in ballo, quella volta, ad Arlong Park a riprenderti, non ci sarei mai venuto.”
Talvolta, nonostante i modi, nonostante l’imponenza, nonostante il carattere, Zoro mai aveva avuto a che fare con il gelo, il distacco, l’indifferenza…lui era caldo, e lo era sempre stato.
“E mai avrei potuto fare errore più grande.” 
Gli occhi di Nami erano rimasti fissi su di lui, senza proferire parola né esalare un solo respiro, mentre nel suo corpo oltre quella del calore, era aumentata la sensazione delle gambe molli. 
Si sentiva improvvisamente senza fiato. 
 
Ma solo interiormente, perché fisicamente, ad un certo punto aveva dovuto reagire. Era scoppiata in una risata folgorante, mista a lacrime improvvise seguite da una agitazione palpabile che la faceva strepitare come una pazza. Era stato un momento così importante e intenso che davvero non avrebbe saputo come altro affrontarlo. Fin troppo sentimentale per Zoro. E forse anche per lei. E si ricordava di quella tensione che Pauly vedeva esserci tra loro in momenti di intimità, quella che le aveva fatto notare in ogni modo e con molta difficoltà, soprattutto da parte sua di accettarla. E ora si rendeva conto di quanto quell’uomo avesse avuto dannatamente ragione. 
Zoro dall’essere stato sicuro di sé si era sentito stralunato, non pensava di aver fatto chissà quale rivelazione, ma quando lei era esplosa in quella reazione controversa lui aveva sgranato gli occhi e le aveva urlato contro arrossendo violentemente mentre ringhiava come un animale offeso. 
“Che idiota che sei” gli aveva urlato, mentre si asciugava le lacrime. Lacrime di un pianto che aveva cercato di trattenere ma non essendoci riuscita allora aveva deciso di far passare per risa. 
“Ma perché non la smetti con le tue finte sceneggiate?” Ringhiava ancora togliendo le mani dalle tasche e mettendosi a braccia incrociate sul petto, guardando dalla parte opposta, non sapendo cosa più pensare della compagna che lo faceva ammattire. 
In quel momento però Nami era certa che con quelle strane e bizzarre confessioni i loro cuori stessero entrando a stretto contatto ancora una volta. 
Nemmeno lei era mai stata romantica o eccessivamente sentimentale, e proprio per questo, e per via del suo trauma, non sempre sapeva leggere i sentimenti altrui. Ma ciò che vide nel viso di Zoro, in quel breve momento in cui si era aperto, spingendosi leggermente un po’ più in là, l’aveva sorpresa più di qualsiasi altra cosa. Quel primo tentativo di voler migliorare la questione in qualche modo era in fin dei conti riuscito. Nonostante non avessero trovato nessuna soluzione al problema originario. 
L’espressione di Nami era stata così tanto sorpresa che Zoro si era dovuto mettere per forza sulla difensiva, con sul viso la sua solita espressione imbronciata. 
 
 
Se ne stavano lì seduti in silenzio, vivendo attimi sospesi tra respiri e battiti accelerati.  
Nami aveva riabbassato la testa tenendola ferma con le mani mentre cercava di mettere tutto in ordine, per distrazione, come bisogno patologico per poter avere un quadro lucido davanti agli occhi. E, mentre pensava ad ogni cosa, nonostante quella frase confessione le rivoltasse il cuore, le era uscito un sibilo fatto di parole quasi impercettibili “Ti sei appena preoccupato per me, nonostante tutto.” 
Cercava di contenere quei suoi battiti cardiaci che voleva confondere con la trepidazione per essersi alterata. Ma non le riusciva così bene. 
Lui l’aveva sentita però e le aveva risposto con un troppo veloce “ti sbagli”, sempre voltato dalla parte opposta però, cercando di non cadere nella trappola di quel viso dai mille volti. “Non hai bisogno della mia preoccupazione.” 
“A volte non é così. A volte invece ho bisogno anche io di…” non sapeva nemmeno come terminare la frase, ma Zoro non le aveva dato il tempo di continuarla, dalla frenesia di qualcosa che dimorava e bolliva dentro di lui fin da quando lo aveva ritrovato là fuori.  
“E per questo che sei andata da quello?”
Nami scattò svelta alzando la testa dalle sue gambe. Per un attimo aveva dimenticato di questa vergogna. 
“Pauly?” aveva chiesto, pur sapendo già la risposta, ma tanto per prendere tempo. 
Vide Zoro continuare a tenere il viso di lato e grugnire in segno di risposta.
“Ma no. L’ho incontrato per caso.” 
“Quando sei sgattaiolata via dopo cena.” 
“Non avevo molta fame” alzò le spalle, prima di accorgersi di qualcosa d’importante “ma non pensavo te ne fossi accorto.” 
“Umh.” 
Nami sospirò. Continuava a provare strane sensazioni, e un presentimento che l’angustiava le volteggiava intorno. 
L’atmosfera era diventata strana. Come se anche quello fosse un confronto che non potevano ormai evitare. 
“È un grande chiacchierone dal momento che ha sentito il bisogno di dirti…” venne colta da una improvvisa necessità di inghiottire “che ce l’avevo a morte con te!” 
“Lo è.” 
Zoro aveva davvero creduto di aver perso un paio di battiti. 
Anche Nami provò la stessa terribile sensazione. Lei voleva sapere se Zoro avesse saputo molto di più di quello che le aveva detto. E lui invece voleva a tutti i costi evitare di farle sapere che era venuto a conoscenza di dettagli privati che la riguardavano, nonostante però avesse un gran bisogno di sapere qualcosa in più da lei sulla questione, non riuscendo del tutto ad astenersi dal farglielo capire.

Il silenzio aveva preso il sopravvento, di nuovo. Ma loro erano i due spiriti della ciurma che bruciavano, bruciavano come legna ardente. E stavano bruciando anche in quell’istante. Erano emozioni incandescenti. E loro erano sempre i primi ad alimentarne la fiamma in fretta. 
Era sempre così quando stavano insieme, ingabbiati in sentimenti ai quali non sapevano mai dare un nome, chiusi in emozioni che bruciavano e da cui tentavano, senza riuscirci, di fuggire. Ma stavolta non erano più riusciti a trattenersi e insieme avevano parlato nello stesso momento, con lo stesso tono di voce tra l’offeso e l’arrabbiato. 
“Ti ha detto del bacio!!!”
“Com’é che l’hai permesso?” 
Entrambi si erano voltati di lato guardandosi negli occhi ancora un’altra volta, in quel terribile momento di bizzarro confronto che non avevano incluso di dover vivere.  
Quei sentimenti che diventavano così vividi. Quegli impulsi indecifrabili che non sempre si riuscivano a controllare. Quelle emozioni divoratrici che prendevano fuoco così facilmente come fossero benzina. 
Nami aveva sbuffato alla vista di Zoro che voltava nuovamente la testa dall’altra parte, forse imbarazzato, forse arrabbiato, deduzione ovvia all’udire di quei grugniti. 
E Zoro grugniva come faceva sempre.
Ma ormai lo aveva capito anche uno come lui, che provava qualcosa per Nami che era diverso da ciò che sentiva per gli altri compagni. Ma a volte, alcuni segreti, era di fondamentale importanza che se li tenesse per sé. 
“Non sono andata a cercarlo di proposito! Tuttavia, dev’essere il mio destino essere invischiata con uomini testardi, solitari e impenetrabili” aveva preso coraggio voltandosi di fianco con il viso, guardandolo, anche se lui era voltato dalla parte opposta “difficili, scorbutici, brontoloni e”
“Si si ho capito, piantala però” 
Zoro doveva solo respirare. Non avrebbe mai creduto certamente che avrebbe affrontato una conversazione come quella. Lui evitava queste situazioni imbarazzanti. Evitava i problemi di cuore. Ma in quel momento, quella loro intimità, che spesso portava con sé una dose eccessiva di nervosismo ed eccitazione, adesso sembrava necessaria da condividere. Qualcosa che lo rendeva inspiegabilmente interessato.
“Proprio non capisco perché te lo abbia detto!”
Nami tornava a tenersi il volto con i palmi aperti delle mani e con i gomiti poggiati sulle cosce. “Pensava che questo avrebbe aiutato a risolvere la nostra situazione? È chiaro che ho incontrato un altro idiota sulla mia strada.”
“Perché é biondo.” 
Lei scosse la testa incredula, capendone il sottile riferimento, chiedendosi quanto potesse essere dura a morir quella competizione estenuante. 

“Comunque”
Zoro non riusciva più a tenerlo per sé “non hai risposto alla mia domanda”
Finalmente si era voltato verso di lei. Lei, che a sua volta aveva nuovamente alzato il capo, non potendo fare a meno di scontrarsi con lui, provando un leggero imbarazzo. 
Anche se era “un duro”, proprio come quella roccia che li ospitava entrambi, e sempre estraneo da questioni così sentimentali, e anche se di quell’amore romantico con cui la gente spesso non poteva fare a meno di confrontarsi di cui lui sapeva poco, era pur sempre un uomo con degli impulsi fisici e desideri privati, e, perciò, quando provava delle emozioni, anche a lui si fermava il mondo. E il suo mondo, in quelle occasioni - il suo battito - era sempre lei. Ed era sempre stata lei fin da quando era entrata nella sua vita come una croce nel petto che non era più riuscito a togliere. E pensava a qualcosa di così macabro solo perché per lui era stato doloroso accettare di esserne succube, o per lo meno, incastrato… in quel sentimento. 
 
Nami lo sapeva di non poter fuggire dalla verità.
Lui la guardava con quegli occhi neri e profondi, il viso imbronciato, come fosse sempre Zoro, ma ferito, ferito nell’orgoglio di cui gli piaceva blaterare tanto. E sembrava davvero interessato alla cosa. Non per mero pettegolezzo, e su questo non aveva dubbi, ma come se vi fosse invischiato personalmente. 
È certo che lo era…
Io sono innamorata sfinita di te, avrebbe voluto dirgli. Ma forse tutto questo é sbagliato da far uscire adesso. 
Aveva improvvisamente caldo. Tanto caldo. Con un gesto sicuro si levò la giacca di Pauly, facendola cadere sulla roccia dietro di lei.
“D’accordo!” disse più a sé stessa che a Zoro.
Doveva fare una scelta: non dire niente e salvarsi, e però vedergli addosso quella ferita giorno dopo giorno; o rivelare il necessario, scoprendosi ma cancellandogli quel tormento dalla faccia.
“Sentivo un gran bisogno di sfogarmi dopo quella scenetta di stamattina. E avrei voluto parlare con te ma ero troppo arrabbiata.” 
“…” 
“E poi ho trovato lui.”
“E hai ceduto ad un uo-“
ma Nami lo zittì svelta con un dito sulle labbra, non distogliendo gli occhi da lui nemmeno per un secondo in quella sorta di confessione, in cui aveva racchiuso tutta la sua autodeterminazione, chiedendosi come avrebbe potuto liberare in aria un sentimento come quello. 
Si pentì di aver aperto questo argomento, non appena vide quegli occhi profondi scrutarla con un interesse che non riusciva a decifrare. Lui era davvero attento e pronto a sentire. E lei allora sarebbe stata un’anima forte.
 
“E lui…”
inghiottì saliva inesistente poiché aveva la gola totalmente secca e asciutta, “lui mi ha ricordato te.” 
 
Erano rimasti ancora lì, uno accanto all’altra. Nessuno dei due voleva andarsene. L’idea di separarsi in quel momento, dopo tutta quella lunghissima nottata interminabile, sembrava ormai l’azione più dolorosa e difficile di tutte. Ma lo era anche il parlare, dopotutto. 
 
Zoro, imbarazzato, ma più che altro sorpreso, meravigliato, stranito da quelle parole, che senza troppa attesa l’avevano quasi liberato dalla stretta che ancora gli teneva imprigionato lo stomaco, iniziava a sentirsi più leggero. 
Forse iniziava a capire le parole di Pauly.
E Nami, anche lei meno imbarazzata di quanto avrebbe creduto sarebbe stata, sentiva di essersi liberata di quel macigno, e tutto solamente per cancellare dal volto di Zoro quella ferita che aveva addosso per colpa sua e della parlantina del biondo. Era rimasta stranita e sorpresa da quella reazione del compagno che inaspettatamente però le alleggeriva la morsa che anche lei aveva sempre avuto sullo stomaco. 
Si erano sfiorati la mano nel momento in cui Zoro la stava per ficcare in tasca e Nami l’alzava per spostare il ciuffo dei capelli che le cadeva sulla fronte, dietro l’orecchio. 
Quei corpi che ancora stavano ribollendo. Quel calore che niente aveva a che fare col disinteresse o il distacco. Quelle sensazioni pari ad esplosioni che per ora potevano solo reprimere.  
Parte di quello che provavano lo avevano appena liberato all’aria per la prima volta, ma tutto il resto lo tenevano nascosto nel cuore, dove nessuno altro avrebbe potuto accedervi, dove nessuno avrebbe potuto rubare loro i sentimenti. E in un certo senso lo sapevano entrambi. E andava bene così. Nessuno avrebbe potuto intromettersi tra loro. E anche se adesso non era il tempo giusto per poter approfondire il loro amore, se qualcun altro avesse provato ad ostacolarli, sarebbero stati preparati ad affrontarlo. 

Nami aveva sistemato i capelli, e sentiva che nonostante il voler alzarsi da lì, poiché era tutto troppo per lei, non riusciva comunque a farlo. Ma anche Zoro non dava segno di volersi muovere, dopotutto. Qualcosa su cui entrambi, a quanto sembrava, concordavano. 
 
“Ehi, capo” 
 
Entrambi visibilmente storditi e provati vennero distratti da una voce, che apparteneva ad una persona sbucata all’improvviso davanti a loro; seguita poi da altre persone che sostavano dietro. 
“Vedo che la ragazza é tornata” 
“Capo?” Fece eco Nami, seguendo lo sguardo di quel tipo bizzarro verso Zoro. 
Un’espressione indecifrabile apparve sul viso dello spadaccino, che ad un certo punto si trasformò ancora in un’altra più indecifrabile, come se stesse per azzannare loro o soffocarsi lui stesso. 
“Ehi tu”,
quello stesso uomo, con i capelli sparati in aria e con indosso una aderente salopette nera, indicò Nami, tendendo il braccio e il dito verso di lei
“ti abbiamo cercata ovunque, e per tutta la sera!”
“A me? E perché mai?” Nami riconobbe che quelli che aveva davanti non erano altri che i membri di quella assurda Frankie family. 
“Ma co-“
“Non c’è bisogno che rimaniate qua a spettegolare”
Zoro si era alzato in piedi prendendo il comando della situazione in una fretta un po’ sospetta. “Potete andare adesso!”
“Si capo! Ma non vuoi sapere prima del nasuto?”
Lo spadaccino divenne improvvisamente paonazzo. 
“Aspettate un po’ voi” e Nami ovviamente non poteva non cercare di vederci chiaro. “Informate pure “il capo” di questo nasuto!” il tono di voce improvvisamente interessato e ironico “…prego.” 
Zanbai, che non si accorse minimamente del tono diabolico di Nami, prese parola ignorando l’ordine di Zoro, che in piedi adesso sbuffava scazzato.
“Si é curato tutte le ferite con i medicinali lasciati dal vostro medico. E adesso sta bene. Non rischia la pelle.” 
“Altro?”
“Non si é mosso dalla sua postazione per tutta la sera.”
Con una mano si tolse gli occhialini neri dal viso, che indossava nonostante fosse sera, “ma non dovete preoccuparvi o angustiarvi troppo, il mio uomo, Schollzo, si trova lì a controllarlo in ogni movimento.” 
Nami era allibita. Stava avendo delle idee al riguardo ma non sapeva esattamente che pensare e da dove iniziare a ragionare. 
“E così state controllando Usop?”
Incrociò le gambe, nella sua solita posa da detective, “E a voi che entra in tasca?” 
Vide i quattro membri uomini alzare tutti un sopracciglio all’insù, sbalorditi da quella domanda.
“Ma noi…vi dovevamo più di un favore, per come ci siamo comportati in passato…soprattutto a lui” Zanbai indicò Zoro, che continuava a sbuffare e suggerire loro di andarsene. “Così ci ha incaricato di venire a cercare te e il nasuto. E siamo stati felici di adempiere a questo compito. Giusto ragazzi?”
Un coro di “certamente” aveva fatto eco dentro la testa di Nami, dove tutto era diventato ovattato e anche troppo rimbombante. Qualcosa dentro di lei voleva urlare, implodere, correre, fermarsi poi correre ancora. Possibile che…?
E mentre Zoro si liberava dei quattro, Nami stava…Nami stava ridendo? 
E molto anche. 
Quando si era voltato dietro, pronto a ricevere qualsiasi cosa da lei, la trovò ancora in quello stato. 
Lui si sentiva così dannatamente scoperto adesso! Come aveva potuto permetterlo?  
Ma Nami si lasciava dietro una risata liberatoria in favore di un magnifico sorriso felice. E ciò, comunque lo faceva sentire bene, nonostante l’imbarazzo nel sentirsi improvvisamente così ridicolo. Zoro non voleva perdere la sua facciata da duro “per una sciocchezza simile”. 
“Questa non è una sciocchezza…”
Nami l’aveva quasi sussurrato, anticipandolo. 
E i ruoli si erano inaspettatamente invertiti. 
Per Zoro era normale l’essersi preoccupato per i compagni. Perché lui era sempre vigile e pronto a proteggerli tutti. Perciò sapeva di non aver fatto nulla di eclatante. 
“Non é niente di speciale!” aveva così borbottato. 
Continuava a vedere Nami ridere, che socchiudeva a tratti gli occhi che luccicavano. Una serenità che era ricomparsa su quel viso ultimamente sempre troppo angusto. 
“É tutto, invece!” gli aveva risposto a voce più alta, alzandosi anche lei e raggiungendolo. “E tu saresti quello che ci avrebbe abbandonati?”
“Nami…”
Il suo richiamo era un ammonimento che voleva dirle che lui era così, che era ancora tutto valido. 
Nami gli posò una mano sul viso, quello che adesso aveva davanti e che leggeva benissimo in quel momento, in una carezza che voleva trasmettergli quanto lei apprezzasse tutto di lui, anche dove andavano meno d’accordo, o dove non lo sarebbero stati mai. 
“Si, si…tu sei quello e sei anche questo.”
Forse dirgli ti amo sarebbe stato troppo in quel momento. Ma poteva iniziare da un caldissimo ti voglio bene. Ma lo avrebbe fatto, prima o poi, perché se non era amore quello, di cos’altro si trattava?
Quindi,
Ti voglio bene, Zoro…
Pauly aveva ragione, ancora non riusciva a dirlo ad alta voce. Ma sperava che lui ci arrivasse lo stesso da solo con quel gesto, con quello sguardo, con quel sorriso, ma anche per via di tutta quella “lotta” che significava solo quanto ci tenesse. 
non ho alcuna intenzione di lasciarti andare, di perderti. 
E Pauly aveva ragione. Perché mai sarebbe riuscita a dirlo ad alta voce, nemmeno adesso. Piuttosto si sarebbe fatta mettere un sasso in gola. Ma perché doveva essere così difficile? 
“Hai mandato qualcuno da Usop.”
“Nami”
aveva distolto lo sguardo, ma straordinariamente senza annullare il contatto con lei. Ma quel richiamo era ancora un bisogno di riprenderla, di smetterla di farlo sentire esposto, di smetterla di pensare alla non veridicità di quel suo ultimatum. 
“E hai mandato qualcuno a cercare me” il tono diventato dolce come la torta alla panna che giaceva in frigo e che adesso stava sognando di mangiare “Perché hai mandato qualcuno a cercare me?”
con la mano Nami gli aveva voltato il viso e ricostretto a guardarla negli occhi. Vedeva tutto adesso, dentro quelle pupille, quella fragilità, quella paura che lui aveva di perderla in altri modi. 
“Siamo pur sempre in pericolo. Con la Marina pronta a farci secchi.” 
E si, lei lo sentiva chiaramente che quella era solo una parte della verità. Allora gli sussurrò parole che gli arrivavano sul viso insieme al suo respiro. 
“Tutte queste cose di te mi piacciono. Mi fanno anche arrabbiare, ma senza non saresti tu.” 
Zoro si imbronciò, ancora in imbarazzo. Ma sollevato. 
Era capace di trattenere dentro uragani di emozioni e non farle trasparire. Ma Nami sapeva anche questo. 
“Ho mandato quegli idioti a cercarti stasera” aveva sbuffato, ma in modo più leggero, quasi inesistente “perché” 
“Perché?”
“Perché io mi sarei perso” 
Scoppiò a ridere. Ridere come una scema innamorata. Ridere come non rideva da prima di tutti quei problemi riguardanti Robin e Usop. 
“Finalmente l’hai ammesso!”
In fondo lo sapevano entrambi, non c’era bisogno di dover spiegare di più.
Avevano litigato e lei era fuggita via subito dopo una cena silenziosa e deprimente. E lui si era sentito strano, aveva avvertito il suo corpo e i suoi pensieri incupirsi. Avrebbe voluto parlarle. Avrebbe voluto non sprecare nemmeno una serata in quel modo, perché, e lo stavano imparando sulla propria pelle, niente dura, tutto é mutabile nel momento in cui sei più distratto. 
E poi lei era finalmente tornata…
ma con quel carpentiere al seguito. Con la sua giacca indosso. Con quella confessione che lo aveva spezzato. 
 
Quella sera, loro non avevano mai avuto nessuna intenzione di oltrepassare quel confine invisibile, ma erano stati spinti a toglier fuori qualcosa, parole di conforto, qualche maggiore sicurezza, qualche sentimento. Anche se a loro modo si erano messi a nudo, avevano dovuto farlo per darsi una chance, per non soffrire troppo. Avevano faticato a comprendere cose che li riguardavano e li confondevano fino a portarli a farsi del male, a torturarsi. Così almeno per un po’ avevano risolto, quietato le emozioni che bruciavano. Trovato una ragione a quella tensione. 
 
 
Lei aveva fatto cadere la sua mano dal viso di lui, lasciandolo. 
“Mi dispiace per Pauly” 
Gli aveva poi detto, dandogli le spalle in ritiro verso l’abitacolo bizzarro, mentre tirava all’insù il labbro in un ghigno strafottente che lui non poteva vedere. 
“Non devi scusa-”
Lo sentì subito sulla difensiva, come se non avesse ancora imparato niente. 
“Intendo che mi dispiace per lui. Ma è arrivato troppo tardi.” 
Sul viso di Zoro era comparso finalmente un sorriso acceso e irrinunciabile, mentre si accingeva a seguirla all’interno. 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non potendo riposare nel letto insieme a Robin, sempre per la presenza di Franky, Nami aveva accettato la proposta di Zoro di dormire nel letto dove avrebbe dovuto stare lui, tanto, a detta sua ‘non faceva differenza il dove mettersi a dormire’. 
E quando dopo poco aver preso sonno si era risvegliata per via di tutte quelle agitazioni dovute alle emozioni di quella giornata, qualcosa aveva catturato la sua attenzione. Zoro dormiva accanto a lei, ma seduto sul pavimento con la schiena poggiata al muro e il braccio teso verso il suo letto, con la mano a pochi centimetri dalla sua. 
Aveva sorriso, riuscendo a riaddormentarsi col cuore più leggero. 
In qualche modo quel gesto colmava quel sul nuovo bisogno di un po’ di romanticismo nella sua vita, dall’unico uomo con cui lo voleva vivere. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice_________________________
Quando parlavo della possibilità di lasciarla incompiuta non mentivo. In fondo sarebbe rimasta poetica con soltanto il primo capitolo. Con quell’alone di mistero sul possibile seguito. In realtà ognuno poteva immaginarsi il suo finale. Sarebbe stato comunque giusto. E quindi forse ho rovinato tutto. Ma questo sarete voi a dirmelo, vero? 
Spero. 
 
Per tanti mesi ho creduto dunque di non voler continuare, ma poi abbozzavo un pezzo e poi un altro e poi lo scheletro del capitolo prendeva forma. Ciononostante, ancora non ero affatto sicura. Scrivevo qualcosa ma nella consapevolezza che non l’avrei mai finita. 
Ma poi all’improvviso é arrivato tutto insieme:
l’amato canto dell’ispirazione che ho deciso di ascoltare, e le voci di chi mi legge che non ho potuto abbandonare. 
 
Comunque, il problema é che adesso, attorno a questo seguito - oppure meglio vederlo come una seconda parte - e senza volerlo, si é creata così tanta aspettativa da mettermi un’ansia illegale addosso…e sinceramente non saprei dire se sono stata capace a soddisfarla. 
Ma sappiate che ho cercato di stare il più possibile dentro ai personaggi di Oda, e spero che almeno questo mi valga 50 punti a Griffondoro!
 
beh, non ho molto altro da aggiungere. 
Come sempre specifico che non scrivo romanzi, perciò se cercate scritture più alte, ricercate e sofisticate che io non sono tenuta a soddisfare, leggete Salinger, Tolkien o Tolstoj. 
Qua troverete sicuramente errori, sbadataggini e confusioni. Ma spero venga apprezzata di più la mia passione per One Piece e per Zoro e Nami. 
 
Alla prossima storia.
Roby.
 
 
 
 
 
 

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