Rentrée

di epices
(/viewuser.php?uid=1126458)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 (I) ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 (II) ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 (I) ***
Capitolo 21: *** Capitolo 19 (II) ***
Capitolo 22: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 26 (I) ***
Capitolo 29: *** Capitolo 26 (II) ***
Capitolo 30: *** Capitolo 27 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


I personaggi non mi appartengono; il merito, come noto a tutti, va esclusivamente a R. Ikeda
 
Strofinò la mano impolverata lungo la coscia, sulla stoffa marrone dei pantaloni, avvertendone, sotto le dita, la consistenza ruvida e un po' lisa, per nulla confacente ad un membro della più antica e blasonata nobiltà francese. Era però la più resistente e adatta ad ogni tipo di allenamento, in grado di sopportare eventuali affondi del suo avversario, nel caso non fosse riuscita a pararne i colpi. Ma, a sua memoria, non era mai successo; non i colpi di spada, almeno.
Era il tipo di pantaloni che usava abitualmente durante gli allenamenti da che il suo corpo, dopo aver abbandonato le forme acerbe della ragazzina smilza che era stata, aveva assunto quelle aggraziate e, da sempre celate, della donna che era diventata.
Anche Andrè ne aveva di uguali; anzi, quelli che stava indossando in quel momento erano proprio i suoi, adattati alla perfezione dalle mani abili della nonna da che lui non li aveva più utilizzati. E sfoggiavano diversi rammendi perchè lei, qualche volta, anche se non del tutto volontariamente, era andata a segno.
Povera Marie! All'inizio si era rifiutata categoricamente di fare una cosa del genere e di far indossare alla sua nobile padrona gli indumenti dismessi del nipote, ma sotto l'insistenza di Oscar aveva dovuto cedere. Lei non aveva voluto venissero buttati, non aveva voluto sprecare niente.
E anche la nonna, alla fine, aveva dovuto arrendersi.
Le fasciavano alla perfezione le gambe snelle e affusolate, mantenute in una postura talmente usuale da risultare naturale.
La postura perfetta. Elegante ed efficace.
La gamba destra un passo indietro rispetto all’altra e le ginocchia appena abbassate per mantenere l'equilibrio. I piedi leggermente divaricati, alla stessa larghezza delle spalle.
Gli occhi ridotti ad una fessura per poter mettere meglio a fuoco il bersaglio nell'abbagliante riverbero di quel tramonto di fine estate. Le giornate si erano fatte più corte e più fresche ma sembrava che il sole avesse deciso di non abbandonare i cieli di Francia ancora a lungo, per fortuna.
Temeva l'inverno.
Inimmaginabile come gli eventi della vita abbiano il potere di alterare le percezioni, anche quelle da sempre ritenute immutabili.
E pensare che c'era stato un tempo in cui lo preferiva a tutte le altre stagioni dell’anno, quasi che nascere in un mese di dicembre qualsiasi, le avesse donato un'affinità particolare con quei giorni tinti di bianco.
Una volta le piaceva l'inverno.
Le piaceva al tempo in cui era l'infanzia spensierata a dettare le sue regole; quando significava infinite battaglie a palle di neve, solenni sgridate per aver inzaccherato i vestiti e latte caldo, dolce di miele perchè l'erede della casata Jarjayes non doveva e non poteva proprio ammalarsi.
Troppo pericoloso a quei tempi in cui le polmoniti erano in grado di abbattere i rami di interi alberi genealogici!
E anche quando significava mettersi a leggere nel vano delle vetrate, nella timida luce di un pallido mattino, capace però di trasformarsi in chiarore abbagliante nel momento in cui i raggi del sole iniziavano a giocare con la coltre di neve sui davanzali. E allora tutta la stanza veniva avvolta da un candore ovattato ed irreale, messaggero impalpabile di assoluta armonia e della certezza che lì, tra quelle pareti, nulla di male avrebbe mai potuto accadere.
E poi ancora quando significava un bicchiere di vino davanti al fuoco e una sensazione di calore intimo, resa ancora più avvolgente dall'allegria di un amico sincero, dispensatore instancabile di uscite argute e sagaci, con  il potere di farla sorridere e, talvolta, anche ridere di gusto per poi affrontare la notte a cuore leggero.
Poi era cambiato tutto.
Ora temeva le notti più lunghe dei giorni che lasciavano troppo tempo ai pensieri per affastellarsi, contorcersi, avvinghiarsi gli uni agli altri per poi, alla fine, sciogliersi ma soltanto per ricominciare, da lì a poco, a vorticare in una spirale infinita.
E i vestiti bagnati addosso a memoria di quel giorno che non avrebbe mai voluto facesse parte dei suoi ricordi.
E temeva il gelo ad intirizzirle le membra, consapevole di non essere più in grado di ritrovare il giusto calore.
A volte le capitava di pensare che ogni persona sfiorata anche solo per sbaglio, potesse percepire tutto il freddo che sentiva dentro...e forse era proprio così visto che, da tempo, certi appellativi nei suoi riguardi si sprecavano. Evidentemente anche il resto del mondo pensava che, in qualche remota piega del tempo, l'inverno l'avesse plasmata a sua immagine e somiglianza.
L'algido comandante De Jarjayes- la definivano a Corte per l'inflessibilità e la severità con le quali infarciva il suo ruolo. Come dar loro torto?
Oppure c'era quell'altro epiteto - il più subdolo - quello che riassumeva tutto ciò che non avrebbe dovuto essere e che non avrebbe voluto rappresentare. Serpeggiava a bassa voce, soffocato da ventagli di piume e provvidenziali colpi di tosse. Librava nell'aria, leggero come le note di un'arpa ma pungente come uno stiletto e, alla fine, era arrivato anche alle sue orecchie. E proprio nel momento in cui faceva più male. Tutti lo pensavano, nessuno lo esternava ad alta voce.
Maledetti cortigiani pettegoli, vacui e curiosi!
La vergine di ghiaccio - così l'avevano etichettata.
La donna – sì, la donna - visto che ormai nessuno ci credeva più all'espediente usato da suo padre per ingannare il destino, incapace di provare la men che minima emozione. Ma cosa ne potevano mai sapere loro?
Portò il braccio destro a formare un angolo perfetto con la linea del corpo.
Socchiuse appena l'occhio sinistro.
Era quella l'ora in cui tutta la campagna veniva inondata dalla luce aranciata del sole, basso sulla linea dell'orizzonte. Il suo bagliore infuocato risaltava dietro le chiome degli alberi che stavano già iniziando ad imitarne il colore e dietro i tronchi, resi neri in quel frangente, come se davvero, investiti dalle fiamme, si fossero trasformati in carbone e cenere.
Carbone e cenere...
C'erano state volte in cui anche lei avrebbe voluto diventarlo per non sentire più nulla e poter smettere di fare a pugni con la propria coscienza, unico ed imbattibile avversario di infinite schermaglie.
Non avrebbe mai rivelato ad alcuno che in quella radura, la canna della pistola era stata un richiamo suadente in più di un'occasione...
Ma invece era ancora lì, al suo posto, come una perfetta statuina di ceramica di Sèvres in bella mostra su uno scaffale di rappresentanza. Il silenzio della campagna era interrotto soltanto dai richiami degli uccelli migratori  che, disposti in schieramenti perfetti, stavano riunendosi ed organizzandosi per partire e andare lontano. E lei cosa diavolo ci faceva ancora lì quando anche il sole, tutte le sere, tramontava ad ovest, spegnendosi tra le acque dell'oceano Atlantico?
Se lo era domandato infinite volte negli ultimi anni quando cercava di darsi una spiegazione e di sopravvivere ad un'altra notte.
Era ancora lì per proteggere la Regina; glielo aveva chiesto lui prima di partire, prendendole le mani tra le sue e suscitandole sensazioni che non aveva mai provato prima.
Di certo non le avrebbe mai più provate dopo.
E lei aveva promesso, ammaliata dal suo sguardo seducente, dalle morbide carezze delle sue dita che le accarezzavano i polsi e da tutto ciò che le sembrava di poter provare in sua presenza.
Allora non sarebbe stata davvero in grado di rifiutargli nulla.
Era rimasta come imponevano il suo ruolo, il suo grado, il senso del dovere e le regole della buona società e della buona creanza.
Era rimasta al fianco di Maria Antonietta, della giovane Regina che aveva pianto senza vergogna quando un messo reale, impettito e ligio al dovere, aveva portato la notizia.
Le navi erano salpate; le truppe francesi erano in viaggio verso l'America!
Lei invece non aveva potuto permetterselo; soltanto dopo, nascosta dall'abbraccio ombroso delle fronde del parco, accasciata a terra con la schiena contro un albero, aveva potuto dar sfogo al suo dolore e alla sua angoscia. Era rimasta per compiere il suo dovere al meglio delle sue possibilità. Tutti i giorni.
Anche quando si sentiva mancare l'aria perchè di notizie dall'America non ne arrivavano.
Non ne arrivavano mai. Nemmeno una dannatissima lettera.
Le bottiglie erano disposte alla perfezione sullo steccato. Le ombre dei bersagli si stavano allungando lentamente, mangiandosi l'erba dorata di fine estate.
Sincronizzò lo sparo con la respirazione.
Ogni suo movimento era plasmato fino alla più impercettibile delle sfumature dalle pagine dei migliori manuali d'armi, imparati a memoria in tenera età, come le preghiere della sera. E da anni di allenamenti interminabili.
L'indicazione sempre la stessa, quella di sparare subito dopo l'espirazione. Quello è il momento ottimale e inoltre - aspetto fondamentale - l'indice va tenuto saldamente sul grilletto, non lo si deve mai rilasciare immediatamente dopo lo sparo ma è necessario rimanere immobili come ci fosse una calamita che collega la punta della pistola al bersaglio e rilasciare il grilletto solo dopo l’inspirazione.
Fuoco!
La prima bottiglia si disperse in mille pezzi così come, parecchio più in alto, lo schieramento degli uccelli impauriti dal fragore improvviso.
Ricaricò la pistola con rapidità ed efficacia.
Fuoco!
Anche la seconda bottiglia andò in frantumi.
Movimenti rapidi e ripetuti, frutto di anni di esercizio.
Fuoco!
Fuoco!
E ancora fuoco!
Dio, quanto aveva bevuto negli ultimi tempi? Almeno quelle notti di oblio alcolico avevano una controparte utile...
Era stata Nanny a suggerirle, involontariamente, l'idea. Lo sapeva che non approvava minimamente certi suoi atteggiamenti ma, con l'affetto che le portava e il ruolo che ricopriva, non si permetteva certo di parlarle apertamente. Però lo vedeva il suo sguardo sofferente, dietro gli occhiali tondi, quando la mattina raccoglieva le bottiglie vuote lasciate a casaccio sul tavolo o sulla mensola del camino, mentre scuoteva la testa in segno di disapprovazione, mordendosi le labbra per non lasciarsi sfuggire frasi inopportune. E notava anche la sua schiena, sempre più curva, piegata dall'inesorabile scorrere del tempo e da un dolore che cercava di non ascoltare per poter continuare a sopravvivere.
E per poter continuare a prendersi cura di lei.
Una mattina in cui non era riuscita a tacere, mentre, apparentemente noncurante, riponeva nei cassetti la biancheria pulita, le aveva parlato con un'ironia che non le conosceva ma di cui le era ben nota la provenienza. E che spazzava via inutili formalismi e forme di cortesia, lasciando solo poche lettere a comporre il suo nome.
“Oscar, hai deciso di incrementare gli allenamenti con la pistola? Con tutti questi vuoti si potrebbe addestrare un reggimento!” - aveva esordito senza il coraggio di guardarla in volto.
Lei aveva distolto lo sguardo dalla giubba dell'uniforme che stava abbottonando con cura poichè l'ordine e il rigore che si imponeva da sempre, sembravano essere gli unici appigli per non cedere e lasciarsi andare verso qualcosa a cui, talvolta, anelava con tutta l'anima.
L'aveva fissata stranita, dapprima incerta di aver capito bene e, in realtà, anche un po’ stupita da come la vecchia governante avesse assorbito, negli anni, un lessico militare che non le apparteneva.
Anche se a volte, in quella casa, sembrava davvero che il titolo di “Generale” non appartenesse soltanto a suo padre.
Poi aveva abbassato lo sguardo sorridendo ironicamente di se stessa e dandosi della stupida. Ma non riusciva proprio a comportarsi diversamente.
“Potrebbe essere un'idea...raccoglile in una di quelle grandi ceste che avete in cucina, per favore” - aveva risposto piano, garbatamente, sapendo di essere nel torto ma con orgoglio sufficiente a non ammetterlo.
Era troppo il bene che le voleva e non riusciva ad essere sgarbata con lei anche se a volte la nonna era davvero impertinente.
Ecco da chi suo nipote aveva ereditato quella caratteristica...
Aveva scosso il capo con forza, quasi fosse necessario quel movimento energico a scacciare i pensieri molesti, e si era diretta, ad ampie falcate, verso le scuderie ad iniziare una delle sue solite giornate ricche di impegni ufficiali ma davvero povere di vita. E in fin dei conti, poi, cosa importava? Una vita valeva l’altra, a quel punto...
“Quante bottiglie abbiamo ancora?”
“Tre”
“Bene...posizionale sullo steccato, equidistanti l'una dall'altra per quanto possibile”
Ricaricò nuovamente la pistola e assunse la posizione idonea allo sparo.
Fuoco!
Qualcosa cambiò in quota e la brezza della sera iniziò a farsi sentire, scompigliandole i capelli. Con un gesto rapido della mano li portò dietro l'orecchio destro e si preparò a sparare di nuovo.
Fuoco!
Ne rimaneva soltanto una.
Con la coda dell'occhio intravide un animale impaurito, probabilmente un gatto, nascondersi poco più in là, tra i covoni di fieno settembrino, lasciati ad essiccare nei campi, allo scopo di foraggiare gli animali di stalla nelle giornate fredde, ormai prossime.
La brezza, ancora tiepida e recante il profumo fragrante dell'erba tagliata, si insinuò sotto la leggera camicia di batista, facendola rabbrividire.
Il braccio destro formava di nuovo un angolo perfetto con la linea del corpo.
Socchiuse appena l'occhio sinistro e sincronizzò la respirazione. Quello era il momento ottimale, l'apice della concentrazione. Era come se, dai suoi occhi, potessero partire strali appuntiti rivolti direttamente alla bottiglia, inchiodandola alla sua posizione. In quelle condizioni nessun bersaglio, mobile o immobile, avrebbe mai potuto sfuggirle.
Fuoco!
Ancora una volta la bottiglia esplose in mille pezzi.
Ma non era stata colpita dal suo proiettile!
Una frazione di attimo prima di premere il grilletto era partito un altro colpo e la consistente esperienza balistica le suggerì in un istante che il punto di origine fosse dietro le sue spalle.
Si voltò di scatto, furente. Gli occhi fiammeggianti d'ira e di spavento.
“Chi è stato?”- intimò con tono feroce, lo stesso che usava per redarguire le nuove reclute quando aveva il sentore non le prestassero la dovuta attenzione.
Sul basso argine che separava la tenuta da uno dei tanti canali confluenti nella Senna, trasformato dal genio di qualche sconosciuto in valida fonte per l'irrigazione dei campi, erano comparse due figure, due uomini a cavallo. Il riverbero del sole non le permetteva di distinguerli adeguatamente ma uno dei due teneva tra le mani un fucile. La canna sembrava ancora avvolta da un’ombra di polvere da sparo.
Se ne stava lì, ad aspettare una risposta sensata mentre stringeva saldamente la pistola tra le dita, preparandosi a sparare se fosse stato necessario; pur consapevole che di colpi in canna ne era rimasto soltanto uno e, senza ombra di dubbio, non sarebbe stato sufficiente per far fronte a due uomini armati.
Ma non arrivò nessuna risposta, non ancora.
Invece, nel silenzio attonito della campagna risuonò, forte, una risata.
L'unica con il potere di fermare il tempo.
Il suono della sua risata.
Quella che aveva chiuso a doppia mandata in fondo all'anima affinchè nessuno mai potesse giungere e pretendere di portargliela via.
Quella in grado di far ripartire il cuore.
Ma non poteva essere. Era un altro subdolo inganno della sua mente che ancora non si arrendeva, nonostante tutto.
Infine, uno dei due parlò. C'erano una risata trattenuta e un impronta di allegria nella sua voce.
“Madamigella Oscar, non prendetevela per questa sciocca dimostrazione...rimanete sempre voi il miglior cecchino di Francia!”
“...Ma chi?...”
Non riusciva a capire. E forse non lo voleva nemmeno. I sensi impazziti bramavano una risposta che però non sembrava essere quella giusta.
“Non mi riconoscete? Non posso darvi torto...sono il Conte Hans Axel di Fersen, appena tornato dall'America”
Hans Axel di Fersen” sussurrò piano tra le labbra puntando su di lui due occhi azzurri increduli, ridotti a poco più di una fessura, per trovare il giusto punto di fuoco. Era così diverso quell'uomo dai lunghi capelli chiari e dall'aspetto trasandato dal raffinato nobiluomo che aveva conosciuto. Ma a dar credito alle sue parole c'era quell'accento inconfondibile che tanti anni in Francia non erano riusciti del tutto a cancellare...
Fersen...Fersen...sì, poteva essere davvero lui. Allora, forse...
Se Fersen era tornato, allora...
Finalmente poteva sperare di...
Si portò una mano alla fronte, a cercare di mitigare, per quanto possibile, il riflesso del tramonto.
Era davvero Fersen? Certo che lo era...
Ma perchè allora? Eppure...
Per un attimo le era sembrato...
La sua mente galoppava veloce ma la stava tradendo fino a quel punto? Sì, era sicuramente così...i cocci delle bottiglie sparsi nella radura probabilmente erano la risposta ai suoi dubbi.
Avanzò di un passo; stava per corrergli incontro ma si bloccò di colpo, incespicando quasi, inchiodata sul posto da un pensiero improvviso che le fece assottigliare lo sguardo per poi puntarlo come un rapace sull'uomo di fianco al Conte, cercando di delinearne i contorni mentre la mente lavorava veloce a cercare il motivo per il quale l’altro cavaliere non si era nemmeno presentato, pur essendosi permesso di sparare.
Sì, era stato lui…
E Fersen lo aveva lasciato fare, aveva lasciato si cimentasse in quell’esibizione goliardica, del tutto fuori luogo. Avrebbe potuto aspettarselo dal Conte, non di certo da….da chi? Un valletto...un attendente?
La sorpresa andava amalgamandosi sempre più profondamente con l'inquietudine.
La sua posizione in controluce la poneva in notevole svantaggio. Affilò ancora di più lo sguardo sul cavaliere che la osservava in silenzio, con il fucile adagiato alla spalla, la canna  rivolta al cielo. La stava guardando dall'alto della sua posizione e, trovandosi in condizioni favorevoli, riusciva bene a distinguere l'espressione della donna, sgomenta e confusa che si era, però, rasserenata per un momento quando aveva compreso di trovarsi di fronte al Conte di Fersen.
Aveva percepito il suo desiderio di corrergli incontro così come pure il motivo che l'aveva frenata.
Leggendo il vuoto nei suoi occhi, sospirò piano e spronò il cavallo a fare qualche passo in avanti per uscire da quel gioco di luce a lei avverso.
Ecco, così poteva bastare…
E allora il mondo smise di girare. E gli uccelli di cantare, l’acqua di scorrere, il vento di soffiare.
Forse anche il cuore cessò di battere per un istante per poi ripartire a ritmo così forsennato da togliere completamente il respiro.
Con un tonfo sordo la pistola cadde ai piedi di lei che ebbe la netta sensazione di udire gli ingranaggi del tempo stridere per poi fermarsi.
Non le riusciva di muovere un passo; ad articolare qualche parola nemmeno a pensarci. Soltanto l'onda dorata dei suoi capelli fluttuava leggera, sospinta dalla brezza della sera.
Alla ricerca di un appiglio - uno qualsiasi - Oscar si portò, di scatto, entrambe le mani alla bocca, del tutto insensibile al sottile sentore di polvere da sparo che le inondò le narici. Tutta la sua attenzione era rivolta ad un viso abbronzato, incorniciato da capelli corvini, folti e ribelli, lunghi fino alla base del collo. Le dita invisibili della brezza ne scompigliavano le ciocche divertendosi a scoprire gli occhi profondi, dello stesso colore dell'oceano che avevano attraversato.
“Scusami se ti ho rovinato l’allenamento. Ciao Oscar”- e c'era ancora l'eco della risata di poco prima in quella voce dal tono pacato e inconfondibile, stemperato in un sorriso, lo stesso che ricordava e che un giorno lei stessa aveva contribuito a spegnere, a stirare le labbra.
Oscar iniziò impercettibilmente a tremare mentre l'equilibrio era pericolosamente sul punto di abbandonarla. Deglutì più volte mentre sentiva le lacrime spingere lì, dietro le ciglia, senza distogliere mai lo sguardo dall'uomo a cavallo.
“Monsieur...Monsieur Oscar, va tutto bene? Devo andare a chiamare qualcuno?”- pronunciò una voce intimorita, che ancora non aveva abbandonato del tutto i toni dell'infanzia.
Poche parole che ebbero il potere di riallacciarla al tempo e allo spazio.
Quando le parve di riuscire ad emettere un filo di voce, pur avvertendo un senso di vertigine alla sensazione, mai percepita con tale intensità, dell’aria che scivolava lenta ad espanderle i polmoni, tolse lentamente le mani dalla bocca, facendole scivolare piano lungo il collo, fin sul petto, nel tentativo di stringere insieme i lembi della camicia e il cuore, diventato impossibile da governare e, con voce tremante, si rivolse, senza voltarsi, al ragazzino rimasto immobile alle sue spalle.
Dal viso spolverato di efelidi era scomparsa ogni traccia della fierezza del suo ruolo, quello di apprendista attendente di Monsieur le Comte. Ora c'era soltanto spavento per lo sparo inatteso e preoccupazione per la reazione inaspettata del Colonnello, come rivelavano le piccole perle di sudore sulla fronte, tra i capelli della stessa consistenza della stoppa, della quale avevano rubato anche il colore.
“Pierre, per favore...corri a Palazzo. Riferisci a tua madre e alla nonna che stasera abbiamo ospiti”
 
 
 
Questi miei vaneggiamenti sono stati scritti e accantonati tanti mesi fa, quasi un anno forse, per diversi motivi, insieme ad altri vaneggiamenti che dovrebbero seguire questo primo capitolo. L'idea è abbozzata, il tempo è poco ma proviamo a salpare l'ancora e partire...poi vedremo dove ci condurrà la navigazione che non sarà più rapida di quella di una barca a vela, temo.
Genere e rating potrebbero anche cambiare in corso d’opera e, a tal proposito, visto che so di essere una frana nell’assegnare caratteristiche, accetto ben volentieri ogni suggerimento di modifica se ne ravvisate la necessità.
Grazie a tutti coloro che avranno voglia di passare di qua con critiche, spunti di riflessione e anche in silenzio.
Dimenticavo di ringraziare l'inconsapevole ruolo di "spinta motrice" alla pubblicazione svolto da Hebert 80 con l'ultimo capitolo della sua "Next to you". Lui non ha fatto nulla, a parte scrivere un capitolo bellissimo, ma leggere le sue righe, con le quali mi sento molto in sintonia (e lui lo sa) mi ha fatto venire voglia di rispolverare queste mie farneticazioni.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Si trovavano seduti attorno al tavolo riccamente imbandito, tutti e tre e solo in quel momento ad Oscar sembrava di star ritrovando il ritmo regolare dei respiri.
Era stata completamente travolta, dalle emozioni prima e dalla nonna poi. Nonostante non sapesse neppure di cosa stesse parlando, l'aveva trascinata con sè in giro per stanze e corridoi, in un mondo a lei del tutto sconosciuto, aprendo bauli di cui solo la governante stessa conosceva esattamente il contenuto ed estraendone meraviglie e ricercatezze come la tovaglia di fiandra che aveva scelto per la cena; raffinata ma non appariscente, impreziosita da inserti in pregiato pizzo di Calais. Una di quelle che facevano ai tempi del matrimonio di Madame, e che in quegli anni era difficile trovarne di uguali...e poi i candelieri d'argento e i bicchieri di cristallo…
Sembrava quasi volesse l'approvazione ad utilizzare suppellettili così pregiate per una cena che vedeva suo nipote come ospite.
Lavorava a Palazzo da decenni e sapeva come andavano fatte certe cose ma non osava decidere di far sedere il suo ragazzo allo stesso tavolo di nobili di così alto rango, nonostante la felicità di averlo rivisto e il desiderio intimo e segreto di accoglierlo proprio così, con tutti gli onori.
Come lei, nel profondo del cuore, pensava meritasse.
Oscar era troppo frastornata per opporsi a quell'uragano rappresentato dall'anziana governante...alla fine si era ripresa molto più in fretta di lei che aveva finito con l'approvare ogni cosa. Cercando di rimanere presente a se stessa mentre i pensieri vagavano in una direzione che, al momento, non osava scandagliare, aveva ribadito ciò che pensava fosse già noto.
“Nonna, hanno combattuto la stessa guerra; non importa se uno come ufficiale e l'altro come soldato semplice. Mi conosci da sempre...lo sai che ti direi la stessa cosa anche di fronte a degli sconosciuti. A maggior ragione, stiamo parlando di Andrè...è tornato a casa...”
Ed era strana la sensazione di avere il suo nome di nuovo sulle labbra. Inaspettata, potente.
E bellissima.
“Sei sicura Oscar? Potrà davvero restare?”- aveva chiesto la donna, con un tono che tradiva, insieme, timore e speranza. E cercando di osservare bene le emozioni che passeggiavano sul volto della ragazza o, almeno, quelle che lei lasciava trapelare.
“Sì...se lo vorrà...”
Aveva risposto piano, quasi timidamente, consapevole del fatto che, forse, tale decisione non dipendeva esclusivamente da lei...
Non sapeva cosa aspettarsi, le sue uniche certezze erano il fatto che fosse ancora vivo e la felicità della nonna che non stava più nella pelle. E non avrebbe potuto essere altrimenti.
Aveva dovuto prepararla però; non sapeva come avrebbe potuto reagire a quella situazione assolutamente inaspettata ed improbabile. O meglio, impossibile, volendo dar credito alle scarne informazioni che avevano ricevuto in quegli anni.
Proprio per questo, tornando dalla radura, aveva pregato i due uomini di aspettare ai margini del parco e si era incamminata, in preda ad una matassa di emozioni impossibile da sbrogliare, verso la porta delle cucine. Sicuramente, dopo la notizia anticipata da Pierre, si era già messo in moto quel meccanismo perfetto volto ad accogliere tutti i personaggi più illustri con l'eleganza sobria ed il lusso misurato caratteristici della famiglia Jarjayes; non conoscendo il grado di importanza degli ospiti di quella sera, certamente si stava puntando al meglio.
E lei non avrebbe voluto niente di meno.
Si era affacciata alla porta della cucina e, scrutando tra le domestiche indaffarate, aveva scorto la nonna impartire ordini dall'alto di un piccolo sgabello, posto in posizione tale da non intralciare il lavoro ma efficace affinchè lo sguardo potesse abbracciare tutta la stanza ed avere sotto controllo l'attività di ciascuno. Tra le mani brandiva un cucchiaio di legno che faceva ondeggiare in ogni direzione come se, in quel modo, potesse spostare - o scaraventare, a seconda della situazione - le persone esattamente dove lei pensava andassero collocate.
Non aveva potuto fare a meno di sorridere, poi l'aveva chiamata con voce ferma ma spolverata di una nota di dolcezza al pensiero di quanto meritasse quella felicità che stava per donarle.
“Nonna, vieni qui fuori per favore, ti devo parlare”
Lei si era voltata di scatto, con le mani sui fianchi, un po' infastidita da quella interruzione.
“Oscar! Ma cosa dici! Con tutto quello che c'è da fare! Chi sono queste persone...Pierre dice che sono in due...”
Poi, attirata da qualcosa oltre la testa della ragazza, si sollevò sulle punte dei piedi per vedere meglio.
“Annette...Annette!...ANNETTE!!! Ci vogliono più patate in quello stufato! Altrimenti il sugo non avrà mai la giusta consistenza! E tu ti vorresti sposare in primavera!?! Ma cosa mai farai mangiare a quel povero ragazzo! Oh! Santa Pazienza...non posso credere che siamo ancora a questo punto!”
Oscar non era riuscita a trattenere una risatina divertita di fronte alle modalità organizzative della donna che le aveva fatto da madre. Per fortuna c'era stata lei...
“Solo un minuto, ti prego...”
Di fronte al tono, tornato serio, la governante aveva dovuto, a malincuore, lasciare le sue incombenze e aveva raggiunto Oscar oltre la soglia.
“Vieni, sediamoci un attimo” - aveva proposto la ragazza, indicando la panca di pietra posta a lato dell'uscio. Sulla seduta ancora si percepiva la tiepida carezza del sole di quel pomeriggio. La nonna l'aveva osservata sospettosa fino a quando l'espressione indecifrabile del suo viso aveva iniziato a preoccuparla.
“Allora, vuoi dirmi cosa succede?”
Oscar aveva preso fiato, si era girata verso di lei e aveva preso, tra le sue, le piccole mani callose, testimoni di una vita passata al servizio della sua famiglia. Si era sentita travolgere da un'onda di affetto al pensiero di tutto ciò che aveva fatto per lei, di tutte le volte che l'aveva vista piangere e di tutte le volte che si era asciugata le lacrime di nascosto.
Con i pollici, aveva iniziato, quasi senza rendersene conto, ad accarezzarle lievemente le dita.
“Nonna, le due persone che sono arrivate oggi, senza preavviso...giù alla radura...le conosci anche tu” - aveva iniziato con lo sguardo basso, cercando di rovistare nella mente per trovare le parole più adatte affinchè la rivelazione non risultasse troppo sconvolgente anche se era sicura non ci fosse un modo per non renderla tale. La governante la scrutava senza parlare, perplessa da quella reticenza, che nulla aveva a che vedere con i modi, solitamente sbrigativi, della sua padrona.
“Una è il Conte Hans Axel di Fersen...ti ricordi di lui?”- aveva iniziato, alzando lo sguardo per osservare la sua reazione. La nonna aveva annuito in silenzio.
Sì che ricordava quel giovane straniero bello come un angelo; aveva frequentato assiduamente il Palazzo, tanti anni prima. Le era sembrato fossero amici lui e Oscar. A lei si illuminavano gli occhi all'annuncio delle sue visite come mai era successo con nessun’altro...aveva sospettato provasse qualcosa per quel giovane ma correva voce fosse l'amante della Regina. Chissà se poi era davvero così o se si trattava di uno degli innumerevoli pettegolezzi della Corte; la gente che non aveva niente da fare doveva pur trovare un modo per far passare il tempo!
Poi non era più venuto a Palazzo...aveva sentito vociferare che fosse partito per la guerra americana e anche Oscar glielo aveva confermato, in seguito. Se era lì quel pomeriggio significava che era tornato sano e salvo. Almeno lui. Che inutile spreco di giovani vite, la guerra!
E un'emozione che cercava, da tempo, di seppellire in fondo al cuore aveva iniziato a riemergere, inumidendole gli occhi. Aveva lasciato le mani di Oscar per asciugarli rapidamente con il grembiule.
“Nonna...”- aveva ripreso lei, indovinando i suoi pensieri e prendendole di nuovo le mani tra le sue. La donna, passato il breve momento di commozione, era tornata a guardarla in volto. La giovane aveva le guance arrossate, era chiaro fosse emozionata.
“L'altra persona...”- si era fermata, non avendo quasi il coraggio di dirlo. Aveva fissato gli occhi nei suoi stringendole più forte le mani.
“L'altra persona è...Andrè”
Ecco...lo aveva detto.
La nonna l'aveva guardata come se le avesse appena parlato in un'altra lingua. Era rimasta immobile, in silenzio, non riuscendo a dare un senso a ciò che aveva appena udito.
“Nonna...hai capito?”- Oscar aveva scrutato ogni piega del suo viso, inclinando il capo, preoccupata. Aveva sentito dire che un’emozione smisurata potesse essere fatale ad un cuore non più giovane e già provato.
“Sì...No...Non credo...non è possibile”- aveva balbettato, abbassando lo sguardo e scuotendo piano la testa.
“Nonna...guardami. Non mi potrei mai sbagliare e non ti potrei mai mentire su una cosa come questa. Lì, oltre quei cespugli, c'è Andrè...”- aveva ripreso piano, con tono pacato, allungando il braccio per indicare il luogo a cui si stava riferendo.
La nonna aveva scosso la testa con forza, ad occhi chiusi, quasi a non volersi lasciare andare a quell'illusione che, troppe volte, aveva sognato si avverasse. La voce già sporcata dal pianto.
“Andrè...Andrè...il nostro Andrè? Ma come è possibile? E' proprio vero? Oscar, dimmi che è vero!”
Lei aveva annuito, sorridendo e stretto al petto la vecchina ormai sopraffatta dall'emozione. Non era più riuscita a trattenersi - come lei poco prima del resto - e da dietro gli occhiali le erano scese copiose lacrime che le avevano inumidito la camicia. Tutto il suo corpo era scosso da violenti singhiozzi. Erano rimaste così per un po', strette una tra le braccia dell'altra, come avevano fatto allora. Ma queste lacrime avevano tutt'altro significato.
Poi un sentore riscoperto da poco l’aveva raggiunta, insieme alla certezza che lui adesso fosse lì, a un passo da lei, dopo aver osservato, a distanza ravvicinata, le reazioni dell'unica parente che gli era rimasta. Aveva alzato gli occhi lucidi mentre sembrava che nulla potesse placare la reazione della governante.
“Nonna...”- la voce roca e profonda, da uomo fatto, era risuonata in quel luogo che ancora custodiva l'eco della sua vocetta squillante di bambino. L'anziana donna si era immobilizzata all'istante, poi aveva girato appena il capo, notando dapprima solo gli stivali consunti. Lentamente aveva alzato lo sguardo, facendolo scivolare sulla figura di quell'uomo ora presente al posto del ragazzo che abitava i suoi ricordi. La figura forse più snella che la guerra si era fatta sentire, il torace più ampio e le spalle più larghe. I capelli erano più corti - arrivavano appena alla base del collo - ma quando arrivò al suo viso e trovò i suoi occhi, ogni incertezza venne fugata.
Se la panca di pietra fosse diventata all'improvviso rovente, non avrebbe potuto alzarsi più rapidamente, gettandoglisi addosso, continuando a singhiozzare ancora più forte e a tastarlo con le piccole mani per convincersi che fosse davvero lui, che fosse davvero lì.
“Andrè! Andrè! Sei proprio tu! Credevo fossi morto, che non ti avrei mai più rivisto!”
Lui l'aveva stretta forte, sollevandola quasi da terra e stampandole un grosso bacio su una guancia. Anche la sua voce era strozzata.
“Sì nonna, sono io...sono tornato”
Oscar li aveva osservati, commossa. Quante volte la nonna aveva provato a chiederle se avesse avuto qualche informazione, se poteva sperare e credere che lui sarebbe tornato...
Poi un giorno era diventato inutile parlarne; da quando le mezze notizie erano diventate una certezza; da quando aveva incontrato quel soldato, reduce di guerra. E da allora non aveva più voluto parlarne...come se quello fosse stato il rimedio...
Aveva accompagnato quell’uomo fin dagli anziani genitori di un commilitone caduto, ad esaudire il desiderio di un amico morente.
E aveva provato a chiedere, a capire. Qualcuno avrebbe pur dovuto conoscere Andrè Grandier, soldato semplice, classe 1754.
Senza crederci troppo aveva provato a descriverlo; era sicura non fossero in molti come lui...probabilmente nessuno.
Ma per una fortuita coincidenza il soldato lo ricordava. Si erano salutati pochi giorni prima della sua partenza...non avrebbe mai dimenticato un tipo singolare come Andrè, l'unico che possedeva un libro e un taccuino in quella sua sacca rattoppata e, la sera, se era possibile, leggeva poesie in francese ai ragazzi che morivano di nostalgia sognando la patria lontana. Oscar ricordava di aver sorriso richiamando quell'immagine; sì, era proprio da lui fare una cosa del genere...
Il soldato Grandier avrebbe dovuto imbarcarsi su una certa nave, qualche giorno dopo di lui. Ma c'era stata una forte tempesta al largo delle coste del Massachusetts e quella nave aveva subito danni irreparabili; correva voce che la quasi totalità degli uomini fosse andata dispersa in mare...
Del Conte di Fersen, invece, non sapeva nulla.
Quel giorno era sprofondata in una voragine dalla quale non era più riuscita a risalire. Non sapeva nemmeno come aveva fatto a sopravvivere; forse di qualche utilità erano state le parole della nonna: “Lui non avrebbe mai voluto vederti così!”
Sì,era vero...ma cosa avrebbe fatto lui al suo posto!?!
Da allora erano trascorsi più di due anni. E lei aveva smesso di chiedere, di informarsi e di interessarsi a tutto ciò che poteva avere una qualche attinenza con ciò che stava accadendo oltreoceano. La guerra era finita e le persone a lei care non erano tornate in patria; si era chiusa in un guscio di dolore e aveva pensato di non avere più lacrime.
Fino a quel pomeriggio.
 

Non appena Pierre, ubbidendo ai suoi ordini, era corso via, si era lasciata cadere sulle ginocchia, il viso nascosto tra le mani, in un gesto per lei del tutto inusuale. Troppo grande il carico di emozioni per poterlo reggere stando in piedi. Non voleva la vedessero piangere come una bambina, ma le sue spalle sussultavano senza tregua. Non si era così accorta degli sguardi allusivi intercorsi tra i due uomini; il Conte di Fersen aveva guardato Andrè in modo interrogativo, aprendo le braccia in un gesto di stupore e impotenza, come se lui potesse avere la soluzione di quella situazione a portata di mano. Il Conte, Oscar così fragile non l'aveva mai vista e nemmeno immaginata.
Andrè, con un cenno del capo gli aveva fatto intendere di avvicinarsi a lei e Fersen, annuendo in silenzio, aveva accolto quel tacito consiglio. Era sceso da cavallo e le si era portato di fronte, inginocchiandosi per poter essere alla sua altezza.
“Madamigella Oscar, perdonatemi per quest'improvvisata...forse avremmo dovuto annunciarci, venire a Palazzo...”
Non sapeva bene cosa dire il Conte, non aveva certo immaginato di trovarsi in una simile situazione. Oscar, per lui, era sempre stata la roccia contro la quale si infrangevano le onde della sua vita. Parlando si era avvicinato ancora di più, le aveva appoggiato le mani sulle spalle in una carezza gentile che voleva essere insieme una consolazione e una richiesta di scuse. Non riusciva a capire se lei lo stesse ascoltando; singhiozzava sempre più intensamente e lui non aveva saputo far altro che portarsi la sua testa alla spalla per darle un sostegno.
Lei si era lasciata guidare, aveva appoggiato la fronte alla giubba morbida anche se troppo consunta per le abitudini di un nobile, grata per quel conforto, ma non si era mossa da quella posizione accartocciata su se stessa.
“Credevo foste morti...vi credevo morti...” - ripeteva come una litania, tra le lacrime e i singulti.
“Buon Dio, Madamigella, non fate così...vi prego...”
E aveva iniziato ad accarezzarle piano la schiena come gli era capitato di fare ogniqualvolta si era ritrovato a consolare...una donna.
Sì, proprio così.
Ed aveva rivisto tutte le immagini di lei, adolescente sfrontata, orgogliosa ed incredibilmente coraggiosa. E poi giovane donna generosa che la preoccupazione per le sorti della sua Regina aveva fatto danzare in alta uniforme una notte intera.
Ora invece era una donna adulta – bellissima tra l'altro – che, mostrando una fragilità sconosciuta, piangeva tra le sue braccia e forse lo aveva aspettato e aveva pregato affinchè tornasse vivo. Era quasi commosso e non potè fare a meno di stringerla un pò di più.
Si ritrovò a pensare, suo malgrado, che se quanto aveva udito in quella notte americana rispecchiava davvero la realtà, forse allora...
Aveva provato a buttarla anche sull'ironia il Conte, con un mezzo sorriso nella voce.
“Spero queste non siano lacrime di disperazione per avermi rivisto...so di avervi dato diversi grattacapi. O per aver rivisto Andrè, forse? Lui è un uomo adulto, giuro sul mio onore di non essere responsabile delle sue azioni!”- aveva concluso non riuscendo poi a trattenere una risata fragorosa.
Già, Andrè...
Perchè non era Andrè che le stava parlando?
Oscar aveva sollevato il volto e aveva rivolto a Fersen uno sguardo stranito, quasi non capacitandosi di essere lì, tra le sue braccia. Guardandosi intorno con il viso rigato di lacrime, aveva osservato Andrè poco più in là, accovacciato con l'evidente intento di raccogliere le pistole e riporle nella loro custodia.
Con la cura che aveva sempre riposto in ogni cosa, le sue dita si muovevano in modo leggero ma deciso, accarezzando dapprima il metallo delle armi, definendone ogni dettaglio, poi i bordi della piccola valigia fino a farne scattare la serratura e risvegliando in lei ricordi lontani e sbiaditi ma mai cancellati e ora riemersi più vividi che mai.
No, non avrebbe dovuto farlo lui...
Si sollevò barcollando leggermente e lo raggiunse, posando una mano sulle sue per fermarlo.
“No, no...lascia stare...” - quasi gli sussurrò, probabilmente troppo vicina ma non riusciva a stargli più lontana di così.
Aveva sollevato il capo Andrè, ritrovandosela accanto di nuovo, dopo tutti quegli anni e la paura di non poterla più rivedere e di morire senza averle detto di persona ciò che le aveva scritto in quel foglio stropicciato che forse lei non aveva mai letto.
La paura di non potersi tuffare, per l'ultima volta, ancora nei suoi occhi.
Persi e lucidi di lacrime, in quel giorno lontano.
Esattamente come ora.
I suoi occhi...
Si erano incrociati gli sguardi e c'era stata esitazione nei gesti ma poi, spinti da una forza invisibile, si erano mossi contemporaneamente l'una verso l'altro, stringendosi in un abbraccio reciproco, di quelli che avevano fatto parte della loro vita, una vita fa.
Prima delle Guardie Reali, di Versailles, di Fersen, di loro adulti e di tutto il resto.
“Pensavamo fossi morto...” - era tutto ciò che lei riusciva a dire tra i singhiozzi.
Avrebbe voluto chiederle tante cose Andrè ma non riuscì ad aprire bocca. L'aveva solo stretta più forte che poteva come se ogni domanda non fatta avesse il potere di aumentare l'intensità di quell'abbraccio. E lì, questa volta con il viso affondato sulla spalla del suo vecchio amico, Oscar aveva dato sfogo a tutte le lacrime trattenute in quegli anni.
Fino a quando un familiare sentore di cuoio, frammisto ad una nuova nota salmastra, era riuscito a placare l’inquietudine del suo animo. Andrè le aveva accarezzato piano i capelli, in silenzio, appoggiando una guancia sulla sua nuca.
E aveva continuato fino a quando le sue spalle non avevano smesso di tremare.


Ora i due uomini stavano mangiando di gusto con grande soddisfazione della nonna; Fersen non lo aveva mai visto mangiare così voracemente e in modo tanto rilassato; evidentemente i mesi di traversata si erano fatti sentire. Andrè...beh, Andrè era sempre Andrè da quel punto di vista...
Stavano raccontando allegramente, tra un boccone e l'altro, le loro avventure americane. Con ironia, cercando di sdrammatizzare. Oscar aveva capito, era pur sempre un militare...Andrè voleva nascondere a sua nonna tutta la cruda realtà delle battaglie combattute corpo a corpo, i rischi che aveva corso e le angherie probabilmente subite dalla popolazione. La cosa stupefacente, a cui non era affatto abituata era l'affiatamento tra i due; si erano capiti al volo.
Che il Conte fosse un ospite gradevole e un conversatore brillante lo aveva sempre saputo.
La vera scoperta era Andrè.
Le sue qualità le aveva sempre apprezzate ma ora era davvero incontenibile. Aveva un eloquio fluido e divertente, la sfrontatezza dell'adolescenza accompagnata dall'esperienza della vita vissuta e stava dimostrando tutto il suo acume e la sua intelligenza; non parlava più solo se interpellato e aveva imparato a non abbassare più lo sguardo...anche se con lei non lo aveva mai fatto...
Era un uomo libero adesso.
Scosse impercettibilmente il capo mentre, con la forchetta, rovistava piano nel piatto per cercare, almeno, di dare l'impressione di mangiare. C'era un'atmosfera particolare quella sera nell'antica dimora dei De Jarjayes.
La nonna aveva voluto che i due reduci si lavassero accuratamente prima di cena; aveva fatto scaldare tanta acqua che ci si sarebbero potuti annegare. Ma il bagno non era riuscito a cancellare del tutto quella vena di trascuratezza, probabilmente inevitabile dopo mesi in mare, che conferiva loro qualcosa di ferino e selvaggio, incredibilmente affascinanate. Oscar stessa ne era ammaliata; non riusciva a distogliere lo sguardo da chi le stava di fronte nonostante tutti gli sforzi che stava facendo per non risultare inopportuna.
E aveva notato che tutte le domestiche, probabilmente, condividevano il suo pensiero. Non ci avevano nemmeno provato a nascondere espressioni di apprezzamento e risatine eccitate quando, nel pomeriggio, richiamate dal pianto rumoroso della nonna, si erano affacciate alla soglia della cucina. In un battibaleno avevano affollato lo spiazzo antistante, dove i carretti dei fornitori abitualmente consegnavano le merci necessarie alle numerose esigenze di una dimora nobiliare. C'era stato un attimo di stupore e immobilità generale quando avevano notato i due uomini, perchè anche Fersen, nel frattempo, si era portato al fianco di Oscar e incrociandone lo sguardo, aveva sorriso, sinceramente contento, di fronte a quella scena di ricongiungimento familiare.
Raggiunta la consapevolezza di ciò che stava accadendo, era stato il caos più totale. Fersen nessuno lo aveva riconosciuto o aveva dato segno di riconoscerlo; soltanto una graziosa cameriera, probabilmente pescando nella sua memoria, gli si era avvicinata, nell'euforia del momento ed esibendosi in un inchino aggraziato, aveva osato dargli il benvenuto.
“Bentornato anche a voi, Signore..”
Ma tante erano state le occhiate fugaci di apprezzamento dirette al Conte svedese. Nulla di nuovo in fondo.
Andrè invece, che in quella casa ci era cresciuto, era stato letteralmente travolto da un'onda di gonne e cuffiette candide che cercavano un abbraccio, una stretta di mano, un bacio sulla guancia. Oscar sospettava che, senza la sorveglianza vigile della nonna, qualcuna gli sarebbe saltata addirittura in braccio. Alla fine era stato salvato dall'anziano giardiniere che, riuscito a farsi largo, gli aveva piazzato due sonore pacche sulle spalle e lo aveva abbracciato commosso.
“Ragazzo, pensavamo di non vederti più...mi devi raccontare tutto. Ho da parte una bottiglia di Calvados che aspetta solo di essere aperta! Te lo ricordi, vero? Quello che portava Jacques dalla Normandia!”
La nonna aveva colto l'attimo e, sbraitando ordini, aveva disperso la piccola folla, non prima di aver ordinato di accogliere il Conte con tutti gli onori. Poi aveva rivolto ad Oscar una muta domanda e, al suo cenno di assenso, aveva preso il nipote sottobraccio, avviandosi verso l'interno.
“La tua vecchia stanza è ancora libera. Ma mi dovrai raccontare molte cose, scriteriato di un nipote! Sembra quasi che non ti abbia cesciuto io! Mai una lettera in questi anni! E la guerra è finita da tempo...per chi mi hai preso! Credi che non lo sappia!?!”
Non senza prima aver notato Oscar e Fersen seduti a chiacchierare amabilmente sulla panca con il sorriso che lei gli rivolgeva reso ancora più luminoso dalla luce calda del tramonto, Andrè aveva fornito una risposta divertita, inghiottita però dall'uscio delle cucine.

 

Ma proprio di quello si stava parlando in quel momento.
“Hans si è ammalato; è stato colpito da una febbre sconosciuta proprio quando dovevamo imbarcarci. Abbiamo rischiato la vita insieme talmente tante volte che non mi sembrava proprio il caso di lasciarlo solo. Anche se in quell'occasione non sapevo assolutamente come aiutarlo. Per fortuna c'era un medico che sapeva il fatto suo...”
Hans? Faceva uno strano effetto sentire Andrè chiamare per nome una persona che in passato nemmeno avrebbe potuto salutare per primo...
“Già...Andrè è stato un'ottima spalla, il miglior compagno d'armi che potessi desiderare. Insostituibile direi. Non che avessi molti dubbi a riguardo, dopo averlo visto per anni al Vostro servizio, Madamigella Oscar. Siete d'accordo?”
Oscar sorrise in segno di assenso ma quando incrociò gli occhi di Andrè non potè fare a meno di abbassare lo sguardo.
Cosa dovrei rispondere Fersen? Lo so...lo so bene...
“Di sicuro, per i meriti conseguiti in battaglia, gli verrà conferita qualche onorificenza o qualche carica. Mi piacerebbe poter continuare a lavorare con lui, sempre che voi, Oscar, siate d'accordo. D'altronde è passato talmente tanto tempo che vi sarete abituata a farne a meno”
Oscar si irrgidì e sbarrò gli occhi, senza osare guardare nulla, se non la bordura dorata del piatto.
“Avete intenzione di fermarvi in Francia, dunque, Fersen?”- riuscì a rispondere dopo aver deglutito più volte.
“In realtà no...solo il tempo di riprendermi dalle fatiche del viaggio di rientro in Europa. Poi la mia intenzione sarebbe quella di tornare nel mio Paese, manco ormai da troppo tempo. Ma Andrè potrebbe venire con me...”
Oscar percepì gli angoli del cuore accartocciarsi e le dita si strinsero più forte attorno alla forchetta.
“Come avete osservato correttamente voi, Fersen, Andrè non è più al mio servizio. E' libero di prendere qualsiasi decisione. Credo che l'unica persona con cui dovreste parlarne sia proprio lui”
“E' una cosa a cui sto pensando solo da qualche giorno. Mi sono talmente abituato alla sua presenza che non so se riuscirei più a farne a meno. E' stato un'ottima compagnia anche al di fuori dei campi di battaglia...ce ne sono capitate delle belle!”
E su queste parole esplose in una sonora risata prima di sporgersi verso Andrè e colpirlo con una cordiale spallata. Allungando poi il braccio destro attorno alle sue spalle e tirandoselo contro con fare ammiccante, cercò conferma alle sue parole.
“Non è vero My sweet love?

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


“Proprio così Darling”- fece il verso l'altro, sghignazzando tra sè, a quello che sembrava uno scambio di battute ben collaudato ma cercando, allo stesso tempo, di allontanare Fersen per ridarsi un contegno. Percepì, Andrè, che almeno da parte sua, la spontaneità e l'irriverenza che avevano sempre accompagnato quei dialoghi, si erano infrante quel giorno contro i cancelli di palazzo Jarjayes.
Oscar sollevò il capo di scatto, abbandonando i propri pensieri, incredula per ciò che aveva appena visto e udito. Nozioni di lingua inglese ne aveva rispolverate, suo malgrado, anni addietro, quando cercava di interpretare dispacci e comunicazioni di vario genere per provare a farsi un'idea della sorte dei suoi commensali di quella sera.
Per un istante, agli occhi della mente le si affacciò il viso di Andrè bambino, alterato da una smorfia disgustata mentre cercava di bere senza lamentarsi l'orribile tè nero senza zucchero che Lord Barrington, il loro vecchio precettore, pretendeva venisse consumato, rigorosamente amaro, per carpirne al meglio l'aroma, come era abitudine – a suo dire - dei suoi connazionali e per potersi meglio immedesimare nella cultura del popolo inglese. Non aveva mai compreso come mai un sedicente Lord di re Giorgio III fosse in Francia ad impartire lezioni dell'idioma d'oltremanica a quella sorta di scavezzacollo che erano stati loro due ma non aveva dimenticato quanto aveva odiato quella sua abitudine di fissare sempre le lezioni nel pomeriggio, quando lei e Andrè, ormai stanchi, avrebbero voluto soltanto dedicarsi ai loro giochi. Solo più avanti nel tempo aveva capito che il fine ultimo era l'ottimo tè che la nonna preparava grazie alle pregiate miscele stipate nella dispensa, frutto dell'amicizia di suo padre con alti esponenti della Compagnia delle Indie e che faceva in modo fosse pronto in tempo per la pausa delle lezioni, stabilita dall'insegnante immancabilmente alle cinque. Non un minuto prima, non un minuto dopo.
E colpì forte la certezza che quelle stesse nozioni imparate insieme da bambini erano servite, con ogni probabilità, ad Andrè per vivere la sua vita senza di lei.
Anche la nonna, che invece non aveva capito nulla, si era immobilizzata a mezza via tra il tavolo e il carrello delle vivande, stringendo una pila di piatti tra le mani; faceva davvero fatica a credere che suo nipote e un nobile di alto lignaggio, straniero per giunta, si comportassero come due compari da osteria.
Osservando, con la coda dell'occhio, l'espressione delle due donne, Andrè decise non fosse la situazione adatta per proseguire su quei toni.
“Forse però non è il caso di parlarne ora” - concluse, cercando di chiudere quella parentesi.
Fersen si contenne a stento; dopo tutti quegli anni in guerra, l'abitudine a discorsi da uomini e battute che potevano contenere tutto lo scibile umano delle volgarità del vecchio e del nuovo mondo era talmente radicata che non si era proprio avveduto potesse essere fuori luogo. Anche perchè al suo fianco, come era stato negli ultimi anni, c'era sempre Andrè. Sollevando il capo e rendendosi conto dell'espressione allibita dipinta sul volto della sua ospite, si allontanò da lui e, soffocando una risata, provò ad argomentare.
“Perdonateci Madamigella Oscar, siamo diventati inqualificabili. Conto che la Francia ci dia una bella raddrizzata”
Lei continuava a stare in silenzio, le sopraciglia aggrottate, stupita e frastornata e un guizzo di presunta comprensione attraversò gli occhi dello svedese.
“Non guardatemi così vi prego, non siamo impazziti di colpo. E non abbiamo neanche sviluppato inclinazioni, come dire, fuori dall'ordinario...” - provò a spiegare Fersen portandosi le braccia dietro la nuca in una posizione completamente rilassata, sottolineata da un sorriso sereno. La mente ancorata a chissà quale giorno di quegli anni trascorsi in America.
“Non mi sognerei mai di rivolgermi deliberatamente ad Andrè in quel modo. E' che lontano da casa, in una situazione precaria come è stata la nostra per così tanto tempo...”- sospirò il Conte prima di tornare serio.
“C'è bisogno di trovare qualche svago, immagino. Sì...lo capisco” - disse lei abbozzando un sorriso. No, quel dubbio che Fersen stava cercando di allontanare, non l’aveva nemmeno minimamente sfiorata. Erano la complicità e la confidenza possibili tra uomini a lasciarla senza parole; il rapporto tra lei e Andrè, il loro legame...ora si rendeva conto che aveva sempre avuto sfumature diverse...ma, in quella casa, se non da suo padre, lei non era mai stata considerata veramente un uomo...lo aveva ben compreso...
“Già...questa è solo una sciocchezza, un nomignolo stupido affibbiato ad Andrè talmente tante volte che alla fine è entrato nel nostro linguaggio comune”
“E chi glielo avrebbe affibbiato, di grazia?”- chiese lei, di nuovo colta alla sprovvista sia dal gergo ben poco nobile sia dalla conferma che non si trattava poi di una completa invenzione.
“Beh, soprattutto Miss Simmons....Rosemary... ma...”- iniziò Fersen, assumendo una posizione più comoda sulla sedia per inizare a raccontare.
“E chi sarebbe questa Rosemarie?”- si intromise la nonna con un tono di voce del tutto idoneo ad incidere il vetro, anticipando di molto la sua padrona, scrutando il nipote in tralce e lei con la coda dell'occhio.
“Una fidanzata che hai lasciato in America!?!? Bada Andrè...che se vengo a sapere...ti credevo morto fino a questo pomeriggio...e posso sempre rimediare!”- sbraitò senza preoccuparsi di trovarsi in presenza di uno degli esponenti della migliore aristocrazia d'Europa.
Fersen scoppiò a ridere. Una risata allegra e sincera, uscita di getto e talmente improvvisa da fargli quasi perdere l'equilibrio sulla sedia. Quel clima familiare, così informale e così inusuale nel mondo dell'alta aristocrazia, lo aveva sempre rasserenato in passato, quando si presentava a palazzo oppresso dalle sue pene.
“Ma dai nonna! Che opinione hai di me! E' un'amica...la figlia del medico che ha curato Hans.” Cercò di ribattere Andrè, decisamente imbarazzato e anche infastidito dalla piega che aveva preso la conversazione.
“Bisognerebbe capire se lei è d'accordo con questo concetto...” - provò ad inserirsi Fersen, ricevendo in tutta risposta una vigorosa gomitata da colui che sedeva alla sua destra, deciso più che mai ad interrompere quello scambio di battute.Oscar si rese conto di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo ma la spiegazione di Andrè non aveva chiarito per niente il motivo per cui una donna, dall'altra parte dell'oceano, si permetteva di chiamarlo in modo tanto intimo. Ma cosa c'era poi da capire? Non aveva mai avuto bisogno le venisse sottolineata l'evidenza…
Sì ma fino a che punto...
E immaginò ci fosse stata anche più di qualcuna che si era invaghita di Fersen - in Francia erano parecchie, la nutrita schiera aveva annoverato anche lei - ed aveva preso a chiamarlo in modo altrettanto stupido.
E pungeva l'ansia sottile di sapere in lotta con la voglia di non sapere nulla. Si rese conto, però, di non essere in grado, in quel momento, di gestire una conversazione su quei toni anche se forse, una volta congedata la nonna, la faccia vera della guerra, quella cruda e spietata, sarebbe emersa.
Ma ci sarebbe stato tempo di raccontare.
Sentì improvvisamente il bisogno di ritirarsi nella solitudine amica della sua stanza e provare ad ascoltare il suo cuore in delirio. Appoggiò il tovagliolo sul tavolo e si alzò lentamente.
“Scusatemi...per me si è fatto tardi...domani mi aspetta una giornata pesante. Fersen, fate come foste a casa vostra. Andrè vi mostrerà il salotto...i liquori sono al solito posto, non è cambiato niente. E' tutto a vostra disposizione….di entrambi intendo” - aggiunse in ultimo rendendosi conto di essersi rivolta indirettamente ad Andrè come se non fosse mai partito.
Da quando se lo era trovato davanti, ore prima, ancora non avevano avuto modo di scambiare due parole e, di questo, ancora non sapeva dire se fosse più dispiaciuta o sollevata.
“Grazie Oscar, ci penso io...e scusaci per lo scompiglio che abbiamo creato”
Fintanto che lei parlava, apparentemente concentrata sulle fiamme ondeggianti delle candele, Andrè l'aveva osservata attentamente cercando un qualsiasi appiglio per interpretare i suoi gesti e le sue espressioni e una chiave per penetrare i suoi pensieri. Ma non ci riusciva, non più o non ancora almeno. Però qualcosa nello sguardo di lei aveva fatto trasparire lo sgomento di un'anima tormentata al punto di ritrovarsi a pronunciare parole che pensava, in tutta onestà, non avrebbe mai più ripetuto. Lo fece mentre lei stava per lasciare la stanza.
“Hai bisogno di qualcosa, Oscar? Hai fatto tanto oggi...se posso...”
Lei si bloccò sulla soglia, accarezzando lo stipite. Il suono di quelle poche parole gentili, quelle che le aveva riservato da sempre, la sferzò con l'intensità di una frustata. E un'emozione, da lontano, tornò a capovolgerle il cuore.
“No, grazie Andrè”
Era possibile scambiare frasi tanto banali con qualcuno di così caro che si credeva perduto? Non poteva certo accomiatarsi in quel modo...Cercò, trovandolo, un sorriso da indossare e si voltò verso i due uomini provando a sfoderare un tono allegro.
“Fersen, mi farebbe molto piacere che restaste qui per riprendervi dalle fatiche del viaggio, tutto il tempo che ritenete opportuno. Credo sappiate di essere una presenza gradita e poi il racconto di sette anni di avventure americane non si può certo esaurire in una sera!”
Poi guardò Andrè e il sorriso, per un attimo, raggiunse lo sguardo.
“La nonna non ti darà tregua, preparati! Credo rimpiangerai gli inglesi”
“Su questo non ho alcun dubbio!”- ribattè Andrè ridendo e fingendo di credere alla leggerezza di quel momento.
“Vi ringrazio davvero di tutto Madamigella Oscar, è bello tornare e trovare una persona come voi”- concluse Fersen osservando la sua figura snella sparire nel buio dei corridoi. Ci fu un momento di silenzio quando i due uomini rimasero soli; Andrè trascorse alcuni istanti a tamburellare le dita sul tavolo, poi sospirò profondamente.
“Va tutto bene Andrè?- chiese il Conte quasi con timore, un po' per l'amico, un po' per se stesso. Lui scosse piano il capo con una smorfia sul viso ad indicare che no, non andava bene per niente.
“Non sarei mai dovuto tornare qui...che idiota! Sono veramente un'idiota! Ma volevo delle risposte”
“E le hai avute?”
Si passò le mani sul viso in un gesto che lasciava trapelare anni di stanchezza e disillusione.
“Alcune sì ma, forse, già le conoscevo. Anche se c'è stato un tempo in cui pensavo potessero essere cambiate.”
Si guardarono i due uomini, a lungo. Fersen scrutò attentamente gli occhi di Andrè, alla ricerca di una verità della quale - percepiva - ancora gli sfuggiva l’esatta essenza. Fin da quel giorno d'estate in cui si erano incontrati a bordo di una nave che aveva appena salpato le ancore.

Si trovava a poppa Fersen, quel giorno. Nel punto debole della nave, come ribadivano quelle nozioni di nautica militare che aveva dovuto far sue. Senza la protezione delle paratie trasversali, un colpo d'infilata che avesse centrato il vascello in quel punto, avrebbe potuto provocare danni devastanti.
Il punto debole
Ebbene, tutto aveva un punto debole; lui se ne stava andando proprio per quello. Il profilo della costa francese diventava sempre meno definito nella luce rarefatta del primo mattino, mentre la scia della nave si allungava sempre di più, trasformandosi in un sentiero bordato di spuma. Aveva fatto di tutto per ritagliarsi quel momento di solitudine, per poter pensare a lei un'altra volta, libero di sfoggiare occhi innamorati e sorrisi malinconici dei quali solo la brezza del primo mattino sarebbe stata testimone. Nessun cortigiano pettegolo, nessuna cameriera invadente.
Sì, era così...pensare a lei lo faceva sorridere, di tenerezza e nostalgia, per tutto ciò che, negli anni, aveva imparato della sua vita. Per come l'aveva vista bambina, attraverso i racconti che non poteva condividere con nessuno come se la sua infanzia in Austria non fosse mai esistita. E per come si contorceva, ridendo, al suo tocco sui fianchi. Aveva scoperto insieme a lui quanto soffrisse il solletico; nessuno mai l'aveva sfiorata così, solo per il piacere di stare insieme e poter condividere un'intimità nuova.
Non l'aveva nemmeno salutata.
Si era chiesto infinite volte cosa poteva aver pensato alla notizia della sua partenza. E chissà se era stata informata dalla voce calda e amica di Madamigella Oscar o da quella atona ed indifferente di una figura anonima, magari avida di carpire tutte le espressioni del suo viso, confidando in qualche lacrima da rivendere poi a qualche infido autore di pamphlets.
Si era chiesto infinite volte se avesse capito. Certo che lo aveva fatto! Era una donna eccezionale la sua Antoinette.
Sua
Magari lo fosse stata davvero.
Quanto avrebbe voluto che quell'aggettivo corrispondesse a verità. Suo era il suo cuore; il re di Francia poteva vantare, se mai avesse voluto, solo l'incantevole involucro di un'anima che si era donata a lui e a lui soltanto. Eppure, era sempre lui quello che all'alba restava a stringere tra le mani niente più che la foschia del primo mattino, dopo aver cercato di trattenere il più possibile quelle di lei, delicate e capaci, al riparo del buio, di donargli carezze e sensazioni impossibili poi da dimenticare. Avrebbe portato con sé come un talismano il ricordo del loro ultimo incontro; ancora non lo sapevano, allora, che non si sarebbero più rivisti ma i loro cuori, forse, già lo sentivano.
Non si erano spogliati completamente, non lo facevano mai. Era troppo pericoloso. Ma quella era stata una serata tiepida e lei era uscita di soppiatto dalle sue stanze indossando un abito semplice, di mussola leggera, senza corsetti ne sottogonne ad intralciare i movimenti. Soltanto un ampio mantello scuro gettato sulle spalle e sui capelli biondi, a confondere la figura esile con le ombre della notte e a proteggere le spalle scoperte dal tocco della rugiada che, ore più tardi, si sarebbe fatta sentire. Nemmeno una forcina imprigionava le sue ciocche. Ricordava di aver pensato le mancassero solo un paio d'ali trasparenti, tanto somigliava ad una magica creatura dei boschi. Era spuntata tra le fronde, piccola e silenziosa, annunciata soltanto dalla nota fresca del bergamotto che sfumava, pian piano, nella fragranza della rosa e del gelsomino. Giunta ad un passo da lui, aveva intuito una nota speziata e, forse, il sentore di una qualche essenza d'Oriente.
Diavolo di un Fargeon!(1) Quel profumiere sapeva il fatto suo! Aveva creato un connubio inebriante, capace di irretire la mente; gli aveva riempito le narici non appena l'aveva avuta tra le braccia, accrescendo la voluttà dei suoi baci ai quali lei rispondeva con trasporto forse ancora maggiore, ebbra delle sensazioni regalatale dalle sue mani.
Incredibilmente sottile la stoffa dell'abito; era come averle sulla pelle.
E lui, all'improvviso, si era fermato, impreparato a quella consistenza inaspettata e meravigliosa. E l'aveva staccata un attimo da sé per poterla osservare meglio, per quanto fosse possibile nell'impalpabile luce di una falce di luna. Le aveva allargato le braccia soffermandosi dapprima sul bel viso arrossato dall'ardore e dai suoi baci e, quando lei aveva sorriso, complice, lo sguardo aveva abbracciato tutta la sua figura.
E allora un'espressione furfante e vorace si era impossessata del bel volto dai lineamenti nordici; l'aveva presa tra le braccia sollevandola e facendola ridere come una bambina, poi con mezzo giro su se stesso l'aveva addossata con la schiena al tronco di una grossa quercia dove il nastro di seta che fermava l'abito subito sotto il seno era diventato rapidamente un lontano ricordo.
Su quel legno odoroso di notte e di muschio lei lo aveva avvinghiato a sé e aveva smesso di ridere. Aveva compreso la sua necessità di sentirlo addosso, ancora di più quando lo aveva guidato sotto la stoffa morbida della gonna, unico nascondiglio per la sua pelle di madreperla. Lo aveva pregato di prenderla lì, in piedi, contro quell'albero, come fosse stata una ragazza qualunque. Lui aveva esitato, all'inizio. Era abituato a portarla al piacere molto più lentamente, ricoprendola di attenzioni. Ma lei era stata incredibilmente suadente e deliziosamente impudica, spogliandolo rapidamente di quel tanto che bastava.
“Facciamo finta di essere due ragazzi qualsiasi, due ragazzi che si sono incontrati ad un ballo e si sono piaciuti all'istante. Talmente tanto da pensare di poter esistere solo uno sulla pelle dell'altro... ”
“E' solo la verità...”
“Sì...ma allo stesso tempo non lo è...”
La voce di lei, roca e già spezzata dal desiderio, aveva vinto le sue deboli resistenze e lui l'aveva accontentata. E, per un istante - uno soltanto - aveva desiderato di non dover assolvere a quell'obbligo che invece le doveva. Aveva desiderato di non doverla lasciare quando ormai l'aveva sentita tremare e poi sciogliersi tra le sue braccia.
Ma aveva vinto l'amore per lei. Se avesse dato alla luce un figlio, quello doveva essere il legittimo erede al trono di Francia. Non se lo sarebbe mai perdonato altrimenti. Dopo c'era stato tanto tempo anche per baci ardenti e carezze proibite, reciprocamente donati senza limiti ne pudore e lei gli si era dedicata completamente perchè mai lui avesse dovuto rimpiangere quell' atto di rispetto. Si erano ricomposti soltanto quando un timido chiarore aveva iniziato a colorare il cielo a Oriente e lei, silenziosa come era arrivata, se ne era andata per riposare un po', prima alla cerimonia del lever.
Non aveva mai rivelato a nessuno di quegli incontri nel parco, anche se tutti ne parlavano, come se tutti sapessero. Tuttavia, in mancanza di prove certe rimaneva pur sempre un semplice pettegolezzo, anche se molto pericoloso. Nemmeno a madamigella Oscar, che pure sapeva dei suoi sentimenti, aveva mai fatto cenno di nulla. Qualcosa gli diceva che non avrebbe capito, ne tantomeno, approvato. Si sentiva quasi in colpa nei suoi confronti, mettendo a repentaglio tutto ciò che lei, da una vita, cercava di difendere. Ma proprio lei era stata l'ultima persona che aveva salutato e a cui aveva affidato ciò che aveva di più caro...

Quando la costa era definitivamente scomparsa oltre l'orizzonte, si era avviato verso la sua cabina e l'aveva visto. La divisa, quella dei soldati di fanteria, giustificava il fatto se ne potesse stare lì a far niente. In quel primo atto gli attori pricipali erano i marinai, impegnati nella buona riuscita delle manovre di abbandono del porto e dell'ingresso in mare aperto. Se ne stava sotto l'albero di trinchetto, seduto sulle assi del ponte di coperta, la schiena appoggiata ad un barile.
Guardava in alto quel soldato, del tutto simile ad Andrè Grandier.
Sembrava completamente avulso da tutto ciò che stava succedendo su quel ponte, nonostante le grida e gli schiamazzi. Forse osservava le vele; una nave simile doveva essere una novità per lui, ragazzo del popolo ma non per questo ingenuo sempliciotto. Al contrario, uomo smaliziato, perfettamente a conoscenza delle regole del bel mondo e istruito come un nobile grazie alla generosità e alla follia di quel matto di Jarjayes. Tante volte lo aveva sentito definire in tal modo a Corte e lo aveva pensato anche lui-oh se lo aveva pensato!-quando aveva scoperto che il coraggioso Comandante delle Guardie Reali era, in realtà, una donna.
Di una bellezza inusuale quanto straordinaria.
Gli era capitato diverse volte di pensare che se, a quel dannato ballo in cui la sua vita era cambiata per sempre, Madamigella Oscar avesse accompagnato la Principessa in vesti femminili, forse lui ora non si sarebbe trovato su quella nave.
O forse ci si sarebbe trovato comunque.
L'avrebbe voluta per sé e probabilmente non avrebbe trovato grosse difficoltà se lei fosse stata cresciuta per la splendida donna che era. Aveva tuttavia la convinzione che il suo sentimento per la regina fosse un'entità capace di squarciare i veli del tempo, di colmare infiniti spazi. Qualcosa che se ne sarebbe stato a covare sotto la cenere aspettando solo il momento opportuno per esplodere in una miriade di scintille.

E allora lei sarebbe diventata solo una tra le altre, la più bella tra le altre, probabilmente la sua preferita. Quella che avrebbe cercato nelle notti più disperate per perdersi nel suo corpo e sfogare con lei la voglia che aveva dell'altra. Trovava però davvero difficile, dopo averla conosciuta, pensare di inquadrare Madamigella Oscar come un'amante qualsiasi. Era un pensiero che gli faceva ribrezzo se la mente correva al coraggio di lei, alla sua intelligenza e perspicacia, alla sua generosità fuori dal comune...
Era capitato si fosse chiesto, stupendosi profondamente di ciò, se avesse mai potuto chiederla in moglie...se l'avesse conosciuta come una donna. E la risposta era stata un sì. Certo che avrebbe potuto, avrebbe fatto felice suo padre in Svezia e probabilmente anche il Generale; sapeva di essere un ottimo partito come sapeva non sarebbe mai stato un marito fedele. Non se lo sapeva spiegare ma qualcosa, nel profondo, gli diceva che sarebbe comunque arrivato a lei, sospinto dall'onda lunga del destino...

Comunque, Andrè Grandier- ormai era certo fosse lui, era troppo vicino per sbagliarsi - non lo aveva visto. Era intento nella contemplazione delle vele, o delle nuvole o di chissà cos'altro; sembrava quasi stesse sondando ogni più piccola frazione del celeste di quel cielo d'estate; solo dopo avrebbe compreso che cercava l'esatta sfumatura d'azzurro dei suoi occhi.
Cosa diavolo ci faceva Andrè Grandier su quella nave? E perchè lui non ne era stato informato?
Poi aveva scosso il capo dandosi dello stupido. Chi avrebbe poi dovuto informarlo che un soldato semplice, uno qualunque, fosse sulla nave?!? Uno qualunque per tutti...tranne che per lui e per Madamigella Oscar.
C'era da capire come mai lei non lo avesse informato...sarebbe bastato così poco...un dispaccio affidato ad un messaggero qualsiasi, uno di quelli che facevano la spola tra Parigi e il porto...
Lei sapeva dove trovarlo...
Poi gli occhi si erano assottigliati sotto il peso di un pensiero improvviso.
Lei sapeva dove trovarlo...ma sapeva dove era lui?
“Andrè...Andrè sei proprio tu? Cosa ci fai qui?”
L'aveva guardato con la coda dell'occhio Andrè, senza alcuna reazione particolare. Non sembrava stupito di vederlo e nemmeno felice.
“Sto osservando le vele...ancora ho dei dubbi sui nomi esatti. Sono però abbastanza certo che la trinchettina sia una di quelle vele triangolari a prua” - aveva risposto in modo atono, ignorando deliberatamente il reale significato di quella domanda.
“Ma che importa? Non devi fare il marinaio...” - per un istante Fersen si era lasciato ingannare dall'assurdo tentativo di deviare la conversazione.
“Mi piace capire bene le cose...in caso di necessità saprei cosa fare” - l'altro continuava a non guardare l'ufficiale, concentrandosi sul movimento delle vele, gonfiate dai venti che si rincorrevano sull'oceano.
Ma non era quello il punto. Un velo di apatia sembrava essersi posato sul giovane allegro che aveva conosciuto a Versailles. Non una parola in più di quelle necessarie a rispondere alle domande era uscita dalla sua bocca.
E si decise Fersen ad affrontare di nuovo la questione, scegliendo meglio le parole per non farsi mettere ancora in scacco.
“Ma perchè sei su questa nave? E perchè non ne ho saputo nulla? Avreste potuto avvisarmi...”
Avreste...
Un verbo declinato involontariamente al plurale...sembrava quasi inconcepibile pensare a lui senza di lei...
“Non ho mai pensato avessi velleità di arruolarti...mi sbaglio? E' forse cambiato qualcosa?”

Se e' cambiato qualcosa....

Non potete neanche immaginare quanto...

Non aveva risposto Andrè, solo aveva spostato lo sguardo su di lui, intrecciando gli occhi ai suoi come mai aveva fatto e come mai non avrebbe potuto permettersi di fare.
E a Fersen era sembrato di avere davanti uno specchio.
In quegli occhi il Conte ci aveva visto un profondo dolore.
E il suo stesso, immenso amore.
Ricordava di aver pensato che i pezzi di una verità di cui aveva avuto, da sempre, il sentore e di cui era stato estraneo spettatore si stavano ricomponendo per mostrarla in tutta la sua disarmante semplicità.

Sì, ora è tutto chiaro.

Si era sentito un ladro Fersen, per quel segreto di cui si era appena appropriato e, quasi vergognandosi di quell'intrusione, quale gesto di discrezione, rivolse lo sguardo alla vastità dell'oceano mentre una domanda – l'unica possibile – gli era salita alle labbra.
Lei lo sa?”
Inseguendo il filo di un pensiero noto a lui soltanto, Andrè aveva abbozzato un sorriso triste e aveva annuito.
“Ormai dovrebbe saperlo...”

Giunta davanti alla porta della sua stanza, Oscar si aggrappò alla maniglia mentre con la fronte adagiata al legno laccato e gli occhi chiusi, cercava di fare ordine dentro di sé, realizzando quanto il tempo e la distanza avessero fatto bene il loro lavoro. Nei primi tempi dalla partenza si era concentrata esclusivamente sulla necessità di reperire notizie certe, poi, sopraffatta dagli eventi, aveva perso ogni speranza. Si rese conto di non aver mai pensato davvero a come avrebbe potuto essere la vita dopo il ritorno di Andrè e quale Andrè avrebbe ritrovato, se mai fosse tornato; forse immaginava ci sarebbe stato il tempo di comprendere, il tempo di spiegare...
E invece avvertiva che l'immensa gioia di saperlo ancora vivo veniva soffocata, pian piano, dalle spire di un dolore sottile alla percezione di sentirsi scivolare tra le dita tutto ciò che avrebbe desiderato trattenere.
Sospirò piano e si decise ad entrare nella stanza ma, quando fece per chiudere tirandosi dietro la porta, una mano gentile, posandosi delicatamente sulla sua, glielo impedì.
Non ebbe bisogno di voltarsi; non si era aspettata di essere seguita ma non si stupì quando vide la nonna infilare la porta dietro di lei prima di richiuderla.
Si ritrovarono una di fronte all'altra, in silenzio. Fu la governante a parlare per prima, sottovoce, quasi temendo di iniziare quella conversazione. Si rivolse a lei, osservandola con grande attenzione alla luce tiepida delle candele che aveva portato con sé.
“Va tutto bene bambina?”
Lei rimase in silenzio per un po', poi annuì con lo sguardo fisso al pavimento. Un istante e un pensiero improvviso le fece sollevare il capo; negli occhi limpidi, piantati in quelli della nonna, un lampo di caparbietà e determinazione.
“Non dirai niente, vero? Promettimelo”
Prendendole il viso tra le mani e lambendole dolcemente le gote con i pollici, come a scacciare qualcosa che, su quel volto dai lineamenti perfetti, non voleva più vedere, la nonna, con un sorriso e il tono più deciso che conosceva, cercò di rassicurarla.
“Te lo prometto tesoro. Sarai tu a parlare...se e quando lo vorrai...”


(1) Profumiere di Maria Antonietta. Le essenze nominate sono quelle presenti nel profumo ideato da una nota maison francese fondata da un apprendista di Fargeon nel 1794, che ha preservato la formula di una fragranza al tempo commissionata dalla Regina Maria Antonietta e ha permesso di ricreare il profumo che, si racconta, la sovrana portasse sempre con sé, custodendolo in un piccolo flacone di giada nera per proteggerlo dalla luce del giorno.

 

Devo ringraziare in modo particolare Dorabella27 e Settembre17 per aver utilizzato un po' del loro tempo in ricerca e analisi del testo (loro sanno a cosa mi riferisco).

Inoltre ringrazio davvero di cuore chi ha voluto condividere con me pensieri ed opinioni: sono una forza motrice fondamentale.

E, ovviamente, grazie a tutti coloro che leggono; nessuna storia avrebbe senso senza i lettori.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Non fece in tempo a varcare la soglia della stanza, Andrè, che tolse quasi con rabbia la camicia lanciandola sul letto, accanto alla biancheria pulita, puntualmente fattagli trovare da sua nonna.
Per un attimo l'ombra di un sorriso carico di affetto gli stirò le labbra pensando alla vecchietta che, inconsciamente, non si era arresa e aveva conservato le sue cose a dispetto delle speranze affievolitesi negli anni, ogni giorno di più, fino a spegnersi definitivamente sulle parole di un uomo che aveva sfiorato solo fugacemente la sua vita.
Gli aveva raccontato tutto nel pomeriggio, mentre gli si affacendava intorno. Delle ricerche vane di informazioni, dell'angoscia crescente, del dolore che aveva provato, giorno dopo giorno, a spingere in fondo al cuore.
Si guardò intorno facendo scivolare piano lo sguardo su ogni elemento di quel mobilio sobrio ma caldo e accogliente, quasi a chiedere il permesso di poter tornare ad aggirarsi in quegli spazi. Qualche ora prima la presenza pressante e affettuosa di sua nonna non gli aveva lasciato un istante per pensare. E forse era stato meglio così.
Ora però non aveva nessuno che facesse da scudo alle lunghe dita della notte, capaci di infilarsi in ogni più recondito anfratto della mente, passando troppo accanto al cuore, ad afferrare un qualcosa che, fosse stato per lui, avrebbe fatto volentieri a meno di riportare a galla.
Era un ricordo amaro...eppure così bello...
Nonostante la luce fioca delle candele, non fu difficile rendersi conto che era cambiato meno di nulla intorno a sè; ogni cosa occupava esattamente il posto in cui si trovava allora.
E si rivide, più giovane, i capelli più lunghi, seduto su quello stesso letto, nella mattina luminosa in cui l'aveva lasciata. Strano come un tale particolare insignificante fosse rimasto impresso in modo indelebile nella memoria; la ricordava inondata di luce quella stanza, come mai lo era stata.
Si ritrovò ad accarezzare piano le coltri, con la stessa prudenza con cui stava sfiorando un pensiero che, però, gli fece scuotere fiaccamente il capo.
Quel giorno rappresenava un ricordo doloroso, l'esperienza più difficile di ciò che era stata la sua vita fino ad allora.
Poi c'era stata la guerra che aveva cancellato ogni precedente scala di misura.
In un angolo era stato preparato tutto il necessario affinchè potesse radersi. Si avvicinò al catino e versò un po' d'acqua fresca dalla brocca lì accanto, bagnandosi poi più volte il viso per cercare di schiarirsi le idee, incurante dei rivoli d'acqua che scendevano sulla pelle nuda, solcando muscoli e ferite ormai rimarginate, per andare poi a morire sul bordo dei pantaloni.
Quella stanza non era mai stata angusta o polverosa. Al contrario, aveva sempre pensato fosse stato un atto di generosità encomiabile da parte del Generale o, forse, di Oscar attraverso il padre – non aveva mai saputo quale fosse la versione esatta - concedergli di avere una stanza ampia ed ariosa di cui poter disporre come meglio credeva.
Eppure in quel momento sentiva di aver bisogno di respirare aria pura, aria pura e fresca che gli espandesse i polmoni per scacciare quella sensazione di soffocamento riproposta esattamente uguale ad allora, dal ricordo di quella mattina lontana.
La stessa che lo aveva preso quel giorno, alle parole di lei.
Aprì la finestra, lasciandosi accarezzare dall'aria ancora incredibilmente tiepida, intrisa del profumo delle rose tardive che ricordava bene essere le ultime pennellate di colori pastello sparse, apparentemente a casaccio, per il giardino prima che lo stesso venisse inondato dai toni infuocati dell'autunno.
Chiuse gli occhi inspirando profondamente quella fragranza delicata, insieme ad un'altra che nessuno avrebbe mai potuto imitare: il profumo di ricordi di giorni lontani, il profumo di lei.
Dio, come aveva fatto anche solo ad illudersi di averlo dimenticato?
Non sarebbe mai dovuto tornare lì...cosa pensava di dimostrare a se stesso?

Sono soltanto un uomo...

Era bastato ritrovare la figura di lei, snella e attraente, stagliata nella luce del giorno morente affinchè intuisse di aver perso la sua battaglia; quella che, con incredulità crescente, pensava di essere finalmente riuscito, invece, a vincere. I suoi movimenti, i suoi gesti, le espressioni del suo viso, anche quelle di cui lei neanche si accorgeva, avevano iniziato a togliere polvere da sentimenti che pensava sepolti nei crateri scavati dalle palle di cannone.
Quando poi l'aveva avuta tra le braccia, ore prima, aveva compreso di essere sul punto di imboccare la via per perdere se stesso, di nuovo.

Comprendimi ti prego!

Dopo averla rivista in lontananza non poteva negare di aver avvertito il cuore stringersi in un sussulto per poi iniziare impercettibilmente a tremare. E aveva fatto in modo di non averla così vicina, affinchè il loro ritrovarsi si limitasse ad un cordiale scambio di mano, ad un affabile saluto tra vecchi amici.
Perchè così doveva essere; per dar tempo a se stesso di riabituarsi ad averla accanto, come era stato quei primi giorni in cui un bambino timido, impaurito ma allo stesso tempo affascinato, aveva iniziato la sua vita a palazzo Jarjayes.
Ma, appunto, il loro legame risaliva all'infanzia e l'affetto che li legava da allora aveva avuto la meglio. Anche lei, sempre schiva e sfuggente, era stata sopraffatta dalla commozione.
Gli voleva bene, questo lo aveva sempre saputo.
Anche sua nonna gli aveva ribadito quanto Madamigella Oscar si fosse spesa nei suoi confronti, quanto fosse preoccupata di non ruscire mai ad avere un'indicazione certa e puntuale.
Gli aveva raccontato di come anche lei avesse pianto quando avevano saputo della tempesta sull'oceano, in quel luogo di cui non riusciva nemmeno a pronunciare il nome.
Se non mi fossi aggrappata a lei sarei caduta a terra. Non abbiamo potuto fare a meno di abbracciarci anche se per lei era...è così insolito; io ero così disperata Andrè...sei il mio unico nipote, il mio bambino...e poi mi sono accorta che anche lei piangeva in silenzio, sembrava quasi non mi volesse disturbare, come se il mio dolore fosse più importante del suo. Lei mi vuole bene Andrè...”

Lo so nonna...non potrebbe essere altrimenti”

E lui lo sapeva bene che quel “mi” in realtà era un “ci”. Ma era talmente radicata quell'abitudine a cercare di sottolineare le distanze che avrebbero dovuto intercorrere tra loro, che neanche dopo diversi anni e una presunta morte, sua nonna riusciva a dimenticare certe consuetudini. Sembrava quasi lo facesse apposta!
Sospirò Andrè; non c'era nulla di strano in fondo. La loro amicizia così sfrontatamente sbattuta in faccia al mondo dorato che, forse, non sapeva nemmeno che farsene di un sentimento così sincero, non poteva essere dimenticata ne cancellata dal tempo e dalle distanze.
Così era stato per lui e così doveva essere stato anche per lei, nonostante tutto.

Va bene così...

Ma non poteva rischiare, per nessuna ragione al mondo, di ritrovarsi nella situazione in cui lei gli era completamente esplosa nel cuore.
L'equilibrio o, forse, quella parvenza di equilibrio, che credeva di aver trovato doveva essere il gancio al quale aggrapparsi con tutte le sue forze per non ricadere nel pozzo profondo di sentimenti a senso unico.
Avrebbe voluto chiederle tante cose...come stava e se era stata bene, chi l'accompagnava nelle sue giornate, se era mai tornata a vedere le albe ad Arras, come facevano da ragazzi e Dio solo sapeva quanto ci aveva pensato alla quiete di quei momenti quando sembrava che i rumori assordanti delle battaglie avessero poi cancellato la capacità di udire ogni suono, se era riuscita a dimenticare...
Avrebbe voluto chiederle se quelle parole - parole di carta – che continuamente incespicavano nei suoi pensieri erano state sufficienti a spiegare...
E pensare che c'era stato un tempo in cui credeva di aver dimenticato anche quelle.

Comprendimi ti prego!

Ma, forse, avrebbe dovuto aspettare fosse lei a parlarne.

Si aggrappò con le mani al davanzale ed inspirò profondamente; era una notte chiara e, dietro le chiome degli alberi, iniziò a mostrarsi, sempre più sfacciatamente, la luna.
Ironia della sorte, una luna a metà, enorme, quasi un faro nella notte. Esattamente come quella in grado di far risplendere la superficie scura del mare, la sera in cui si era ritrovato, per caso e ormai in un'altra vita – o almeno la sensazione era quella - alle porte di Brest, in Bretagna.
Allora aveva pensato rappresentasse bene il suo cuore strappato in due; con sè aveva portato solo il minimo indispensabile per sopravvivere, il resto lo aveva lasciato là, tra le sue mani.
Sotto la luce fredda si stagliavano le fortificazioni in costruzione che Luigi XVI aveva dato ordine di ergere a difesa del porto allo scopo di proteggere la base navale da cui partivano le truppe dirette oltreoceano.
Brest...l'ignaro artefice di ciò che era stata la sua vita negli ultimi giorni si trovava lì, dietro quei bastioni.
Il Conte di Fersen.

Si era allontanato da Parigi giorni prima, dopo aver chiuso il suo mondo, talmente esiguo da poter comodamente stare in una sacca da viaggio, in fondo all'unica che possedeva, senza pensare ad una meta precisa. Gli facevano compagnia soltanto le parole di lei - le ultime - e la voglia di strapparsi il cuore dal petto per portarglielo su un vassoio d’argento e mostrarle quale posto occupasse da sempre...da sempre.

La verità più salda…

Però non era tornato indietro.
Era arrivato alla città portuale dopo un itinerario apparentemente senza meta che aveva toccato Arras dove non era stato facile schivare persone che avrebbero potuto riconoscerlo e lui voleva assolutamente evitare domande a cui sarebbe stato facile rispondere con frasi alle quali non aveva alcuna voglia di pensare.
Aveva poi seguito la costa ritrovandosi ai margini della tenuta Jarjayes in Normandia. Da lontano aveva accarezzato con lo sguardo il profilo ben noto, inconsapevole del fatto che lei era proprio lì, a poche decine di metri, sul terrazzo, sola e persa ad osservare lo sciabordio delle onde come se le profondità del mare fossero depositarie di una verità arcana e sconosciuta. Ancora troppo frastornata per comprendere che le profondità da sondare erano ben altre e si trovavano tutte racchiuse in quel cuore di donna che aveva iniziato a reclamare spazio per sè.
Si era reso conto, Andrè, che, forse, inconsciamente, lo scopo di quel suo vagabondare era proprio quello di rivedere i luoghi cari al cuore, quelli che aveva conosciuto con lei, quasi così potesse rivolgerle un ultimo saluto prima di andare...dove?
Cosa doveva fare? Non aveva nessun progetto, non ci aveva mai pensato.
Nessuno aveva detto che dovesse essere per sempre ma, in quel momento, non riusciva davvero ad immaginare come potesse non esserlo.

Il caso o il destino, che poi forse – aveva pensato - sono la stessa cosa, avevano fatto in modo si ritrovasse in prossimità della città portuale.
Il via vai era frenetico nonostante l'ora tarda. Brest era diventata un punto nevralgico per la politica e l'economia della Francia; carri carichi di merci, probabilmente destinate alle scorte delle navi da guerra, entravano senza tregua attraverso le porte della città; soldati, mendicanti, artigiani costruttori con ancora gli attrezzi legati alla cintola che lì non ci si fermava mai, neanche di notte, andavano e venivano. Notò anche alcune donne abbigliate in modo che lasciava ben immaginare quale fosse il loro ruolo, addentrarsi e sparire nelle vie della città. Si perse per alcuni istanti ad osservare una brunetta con i capelli raccolti sulla nuca. Sulla pelle chiara spiccavano labbra rosse e carnose, cariche di promesse.
Era giovane, era troppo giovane per quel mestiere. Possibile non si potesse fare nulla in quel Paese per ragazze come lei?
"Ehi tu! Valle dietro, invece di stare qui impalato a guardarla! Non ti dirà di no!" - aveva udito da una voce sguaiata dietro di sè.
"E' brava...la cercano anche gli ufficiali!" - aveva fatto eco un'altra voce impastata, accanto alla prima.
"Ti fa anche lo sconto se ce la fai due volte in mezz'ora!"
"E comunque spostati dalla strada...lascia passare i soldati francesi! I futuri eroi del Nuovo Mondo!"
Uno scroscio di risate grasse e ubriache, sempre più vicine, accompagnavano quelle frasi strascicate dal sapore di vino.
Voltandosi si era ritrovato faccia a faccia con due uomini all'incirca della sua età che si reggevano a vicenda, le giubbe delle divise aperte e il fetore di alcol scadente insieme all'odore rancido di qualche intingolo ad intridere l'alito e la stoffa. Un riflesso involontario gli aveva fatto arricciare il naso.
"Che hai da guardare?" - aveva esordito uno puntandogli un dito sul petto con l'evidente intenzione di attaccar briga che una scazzottata a tarda ora era un ottimo modo per concludere la serata e sfogare la paura dell'ignoto che li prendeva tutti, uno dopo l'altro, senza distinzione di sorta. Avevano solo due modi per farlo, anzi tre; il vino, i pugni e le femmes de joie, diversamente combinati in base al momento e alle opportunità.
E quello sembrava uno facile da mettere al tappeto, senza doverci rimettere un dente o la linea all'incirca regolare del naso, con quell'aspetto raffinato e il viso pulito o, almeno, era ciò che intravedeva attraverso i fumi dell'alcol.
"Nulla...mi stavo solo chiedendo se qui avrei visto i valorosi soldati in partenza per le americhe" – aveva risposto, cercando di celare un sorriso ironico, che a lui il fare a pugni proprio non mancava per niente e sapendo di essere in notevole vantaggio intellettuale su due menti offuscate da chissà quale intruglio alcolico.
"Siamo a Brest! Chi pensavi di trovare? Fate e folletti? E poi come parli tu!?!" - biascicò quello, avvicinando il viso al suo per osservarlo meglio. L'olezzo per un istante gli era sembrato insopportabile e aveva ricacciato indietro un'ondata di nausea.
"Oh beh...qualche fata c'è" – si era intromesso l'altro, accennando con il capo ciondolante ad una donna bionda abbigliata con un abito verde intenso ed una scollatura talmente pronunciata che Andrè, per un attimo, si sentì avvampare, nonostante non fosse del tutto estraneo a certe frequentazioni. Se ne stava languidamente abbracciata ad un soldato, il seno quasi completamente scoperto un pò per l'abito succinto e molto per le mani dell'uomo che, avide, stavano rimuovendo quel poco di stoffa, a rivelare il suo personale paradiso, accuratamente selezionato per quella sera. Si trovavano a ridosso del muro di cinta della città, ben illuminati dalle fiaccole necessarie a rischiarare gli ingressi, così che era evidente come lei lo trattenesse a sè facendo presa sui pantaloni ed esibendosi in uno sfacciato movimento ancheggiante, che lasciava ben intendere come sarebbe finito quell'incontro, al riparo delle ombre ma, con ogni probabilità, a pochi passi da lì.
E i due avevano iniziato a ridere come se quella fosse la battuta più divertente mai udita da quelle parti.
"E tu cosa ci fai qui, bellimbusto? Vuoi arruolarti con noi? Secondo me non sai neanche tenere in mano il fucile!" - avevano proseguito sull'onda euforica della sbronza.
E poi giù a ridere di nuovo, aggrappandosi l'un l'altro per non cadere.

Arruolarsi? No, non voleva arruolarsi...non ci aveva mai pensato...
Sbarrò gli occhi fissando, incredulo, i due che continuavano a darsi sonore pacche sulle spalle e che gli avevano fornito un'inaspettata visuale del suo futuro.
Lui non voleva arruolarsi...non ci aveva mai pensato...
Tutto, lì intorno, venne inghiottito dal riecheggiare delle parole di lei, distanti eppure ancora così vicine.

Si è arruolato, lui se ne andrà...
Una rabbia improvvisa lo aveva colto; sì lui se ne sarebbe andato ma non per lei, non per lei!

Come può esistere un amore così grande, Andrè? Io non ne avevo idea...
Lui se ne andrà...
Non odiava Fersen, non lo aveva mai fatto.
Qual'era, in fondo, la differenza tra loro? Un titolo nobiliare e ricchezze incalcolabili? Bene!
Facevano la differenza? No!
Era sicuro che il Conte avrebbe barattato volentieri grossa parte dei suoi patrimoni con la possibilità di avere lei...
A conti fatti era soltanto un uomo schiavo di tutto l'amore che sentiva nel cuore...proprio come lui.
Il destino era stato crudele con l'uomo più affascinante d'Europa, quello che avrebbe potuto disporre liberamente di tutte le donne del mondo e invece si era innamorato, verosimilmente davvero e per l'unica volta, della prima dama di Francia. La sola con la quale avrebbe condiviso una vita che non poteva vivere.
E che aveva scelto di salvaguardare anche da se stesso.

Lui se ne andrà...
Non riesco ad immaginare azione più nobile che un uomo possa compiere in nome del vero amore...(1)
No, non odiava Fersen ma ce l'aveva con il mondo, con il cielo, con Dio e con qualsiasi altra forma di entità sovrannaturale venerata in quel tempo.

Il vero amore...credi che lui sia l'unico?
Andrei fino all'inferno, Oscar....per te...solo per te...
E forse è dove merito di stare...

E se la cosa più simile all'inferno era un campo di battaglia, che allora fosse così!
Aveva spostato gli occhi dai due ubriachi al profilo della città, notando in quel momento quanto l'oscurità fosse chiara. Alzando lo sguado aveva notato la forma dell'astro notturno e, con una rassegnazione ben nota al suo cuore, aveva sorriso e innalzato un pensiero a chi non lo poteva sentire, sperando potesse arrivare, in qualche modo, a destinazione.

Ti lascio metà del mio cuore...fanne ciò che vuoi...

Nonostante l'elevato grado di ubriachezza era riuscito ad avere tutta l'attenzione dei due compari quando, in modo categorico, aveva rivolto loro una domanda che non avrebbe mai immaginato di poter porre.
"Dove posso trovare l'ufficio arruolamenti?"

E da allora erano passati sette anni; il lento defluire dei giorni non aveva minimamente intaccato l'immutabilità di ciò che non può cambiare. La luna era ancora lì, sempre uguale, così come il resto...

La verità più salda…
Amore mio...

Il ricordo di suoni e rumori del passato si confuse per un istante con tocchi più vicini che, inizialmente, non gli sembrarono reali, tanto era assorto nei suoi pensieri.
Poi un altro tocco alla porta...e un altro ancora.
Aggrottò le sopraciglia, confuso; non riusciva proprio ad immaginare chi diavolo potesse aggirarsi per i corridoi a quell'ora.
Un altro tocco.
Ormai l'attenzione era catturata e - ammise a se stesso - l'idea di distogliere i pensieri dalla via che avevano imboccato quella sera era troppo allettante. Poi gli sarebbero di nuovo caduti addosso, più pesanti di prima, insieme a decisioni da prendere e ad una vita da reinventare.
Ma, forse, per quella sera – per quella prima sera - poteva bastare.
Chiuse la finestra, infilò rapidamente la camicia e, senza aver finito di allacciarla, aprì la porta.
“Ti va di farmi compagnia?”
Lui rimase spiazzato per un istante, poi annuì, sorridendo e cercando di convincersi che quello era proprio ciò di cui aveva bisogno. E poi, dopo tanto tempo, non se la sentiva proprio di rifiutare.
"Ma si, perchè no?"
Dopo, forse, sarebbe riuscito a dormire.

 

(1) Frase riportata dal manga o, almeno, nella versione che si trova nella mia libreria

Angolo dei ringraziamenti:

Grazie a Nisi che mi ha fatto notare un refuso nel capitolo precedente. Ho provato a correggerlo ma senza successo; evidentemente io ed epf ancora non siamo molto in sintonia.
Grazie di cuore e anche oltre a Lenovo2015 per l'incoraggiamento e l'affetto...è arrivato tutto, davvero.
Grazie a chi continua a spronarmi, anche dietro le quinte...giuro che faccio del mio meglio per aggiornare in tempi accettabili.
E grazie a chi continua a dedicare tempo a queste righe, anche in silenzio.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Forse appena un paio delle stelle che avevano illuminato il cielo quell'ultima notte si erano spente e soltanto una sottilissima lama di luce si intravedeva laggiù, verso Parigi, quando Oscar terminò di allacciare l'ultimo bottone della camicia.
Era troppo presto per recarsi a Versailles e per fare colazione; probabilmente troppo presto per qualunque cosa, tranne per il suo intimo bisogno di addentrarsi in quella zona di confine tra luce e buio e recarsi laggiù, dove aveva imparato a parlare con il vento e ad affidare i propri pensieri ai raggi del sole o alla pioggia, in base al trascorrere delle stagioni; gli unici elementi in grado di far visita, senza preavviso alcuno, a quella terra al di là del mare, nell'irrazionale desiderio di avere, così facendo, una minima possibilità di comunicare con lui.
Lanciò una rapida occhiata al letto sfatto; le lenzuola aggrovigliate e i cuscini sparsi ovunque, tranne nella posizione in cui avrebbero dovuto trovarsi, erano indici inequivocabili di una notte in cui il sonno era stato bandito da quella stanza.
No, quella decisamente non era stata una buona notte per dormire. Non lo erano da anni ma a differenza di tante altre, la stanchezza, per poche ore - decisamente troppo poche - aveva avuto la meglio anche senza il sussidio delle cantine Jarjayes.
Quando aveva aperto gli occhi nel buio, con la coscienza che ancora faticava ad emergere tra l'inconsapevolezza e il sogno, ammesso che sognasse - non lo ricordava mai - non si era resa immediatamente conto di quanto quello fosse un giorno diverso da tutti gli altri vissuti nell'ultima parte della sua vita.
Poi la realtà era capitombolata all'improvviso e senza remore davanti ai suoi occhi. Lui era tornato.
Si avvicinò alla finestra ponendo una mano sul vetro in un tocco lieve, sfiorandone piano le trasparenze come stesse strofinando un'improbabile lampada magica ad evocare le prestazioni di un genio benevolo che le indicasse la cosa migliore da fare (1)
Erano numerosi i pensieri che si rincorrevano in fretta, talmente tanto da non riuscire ad afferrarne nessuno e ci sarebbero state così tante cose da dire senza, tuttavia, nessuna garanzia che lui le avrebbe volute ascoltare.
E poi il dubbio e il timore di non sapere cosa fosse rimasto dell'Andrè che conosceva in quell'uomo affascinante tornato dall'altra parte del mondo.
Le era sembrato così enigmatico a tratti, quel sorriso e, probabilmente, nascondeva già pensieri e decisioni che non la includevano. E non avrebbe potuto essere diversamente; le loro vite si erano divise, senza preavviso alcuno, sette anni prima. E sette anni erano davvero un'infinità di tempo.
E non sapeva proprio quali sarebbero state le parole giuste per dirgli tutto, per dirgli che lì, senza di lui, non era rimasto molto. Per non parlare poi di quella macchia indelebile che le tingeva il cuore. Non se ne sarebbe mai andata.
Nascose il volto tra le mani premendo sugli occhi con le dita, facendole poi scivolare sulle tempie ad imprimere un lieve massaggio, come servisse ad ordinare i pensieri. Aveva perso il conto delle volte in cui aveva provato ad analizzare ogni frase, ogni parola, per provare a darsi una spegazione.

Lui se ne andrà...
Come può esistere un amore così grande, Andrè? Io non ne avevo idea...

Scosse lievemente il capo sorridendo ironicamente ed esclusivamente a se stessa.
Ora sì che ne aveva un'idea ben chiara.
Ora sì che comprendeva pienamente il tipo di sentimento che aveva visto nascere a Versailles, sotto i propri occhi, di certo inesperti, ma in grado di cogliere sfumature di cui non pensava nemmeno essere in grado di percepire il colore di fondo.
Ora sì che era riuscita a tradurre ogni sillaba del suo cuore di donna, il quale, da consumato oratore, aveva imparato ad esibirsi in monologhi senza fine.
Ma non avrebbe detto nulla. Il momento era passato.
L'aveva percepito così lontano, a tratti rigido, come cercasse di mantenere distanze mai esistite prima tra loro.

Già...prima.

Se ami qualcuno devi essere in grado di lasciarlo libero – era una verità alla quale era giunta, non senza fatica, nelle lunghe cavalcate solitarie che, a dispetto dell'assenza, parlavano soltanto di una vita vissuta in due.
E quella libertà lui se l'era presa da solo, o meglio, era stata lei a fornirgli la chiave per aprire una porta sul mondo che lui aveva spalancato e attraversato, tagliandola fuori.
Ed ora lui viveva là, in quella dimensione alla quale lei non apparteneva, colma di cose che non conosceva e nella quale, con ogni probabilità, già volteggiava leggiadra una donna che non era lei.
Se solo fosse arrivata in tempo allora...ma magari non sarebbe servito a niente.
Si era sentita talmente in colpa, colpevole di tutto. Senza nessuna possibilità di appello.
Non aveva certo detto che dovesse essere per sempre...
Non avrebbe mai immaginato sarebbe andato tanto lontano. Ma cosa si era immaginata in fondo?
Nulla
Aveva parlato soltanto lei quella mattina, non gli aveva lasciato ne il tempo ne il modo di ribattere alcunchè.
Ricordava il suo sorriso, dapprima tenero e preoccupato, poi triste e rassegnato che infine si era spento insieme all'ultimo moccolo di candela.
Non farti carico di colpe che non hai...” E lo pensava davvero, allora. E anche adesso.
Lo avrebbe fermato se avesse potuto farlo...se solo avesse saputo prima. Ma lo aveva fatto apposta, il maledetto.
Maledetto pazzo!
Aveva calcolato perfettamente i tempi. Lo sapeva, lo aveva sempre saputo che con i numeri e la logica era imbattibile, anche se faceva finta di niente, anche se faceva finta che ogni risposta accuratamente ponderata fosse stata dettata dal caso o che magari fose stata decisa da lei stessa.

Cosa dici Oscar? Potrebbe essere così?”

Io pensavo...ma magari mi sbaglio...”. E invece sapeva già tutto.

Più volte si era chiesta cosa mai sarebbe potuto diventare Andrè con la testa che si ritrovava e con le qualità che possedeva, invece di andare a buttare la vita in un campo di battaglia.
Buttare la vita...
Ed era davvero inimmaginabile come fosse cambiata la sua visione delle cose. Le avevano insegnato, da che aveva memoria, che la guerra significasse gloria e onore, che fosse occasione di fama e prestigio.
Sì ma per gli ufficiali! Per gli ufficiali!
Che ne era dei soldati senza nome, disposti in prima linea, che non sarebbero mai tornati in patria? E che sarebbero stati sepolti, ignoti, nella vastità di quelle terre lontane?
Non ricordava nemmeno quante volte si era svegliata di soprassalto, senz'aria, al pensiero non esistesse nemmeno un posto dove poter andare a parlare con lui. Per dirgli ciò che non aveva avuto occasione di fare. Per poterlo salutare un'ultima volta come, invece, non aveva fatto.

Andrè aveva fatto in modo di informare sua nonna il giorno esatto, chissà, forse nello stesso momento in cui quella dannata nave aveva salpato le ancore.
Aveva ancora davanti agli occhi il viso sgomento della governante la mattina in cui si era presentata alla sua porta, la busta in una mano, la lettera, appena recapitata, nell'altra.
Non aveva capito, non voleva capire...le aveva porto i fogli come se lei avesse avuto la soluzione ad un problema altrimenti indistricabile.
Se ne era andato da diverse settimane ormai.
All'inizio non si era preoccupata affatto, nemmeno un pò. Era un uomo perfettamente in grado di badare a se stesso e stava facendo esattamente ciò che lei gli aveva chiesto.
Anche lei se ne era andata approfittando di parte del congedo concesso periodicamente ai componenti delle guardie reali. Quando era tornata dalla Normandia con la paura smisurata e l'inconfessabile voglia di cedere ai sussurri del proprio cuore, aveva però trovato un'atmosfera fosca.
La nonna, nonostante cercasse di nasconderlo dietro lo zelo abituale, aveva un atteggiamento cupo e scostante.
Sembrava quasi avesse timore di parlare con lei.
Aveva attribuito quell'inspiegabile modo di fare alla preoccupazione per il nipote che ancora non si era fatto sentire.

“Hai avuto notizie di Andrè?”- le aveva chiesto una sera, mentre l'aiutava a prepararsi per il bagno. Era stata una giornata scandita da noiose riunioni, ravvivata soltanto da una seduta di presentazione di nuove reclute, tutte talmente incapaci, a suo avviso, che aveva deciso di lasciare il comando nelle mani del tenente Girodel.
E si era ritrovata a chiedersi da quanto fosse diventata così maldisposta e suscettibile.
E si era ritrovata a chiedersi come avesse fatto a non capire quanto lui le sarebbe mancato.

“No, nessuna”

Era stata una risposta secca ma dal tono indefinibile; vi aveva percepito una miriade di sensazioni impossibili da interpretare anche perchè la governante le stava dando le spalle e sembrava non avesse nessuna intenzione di interrompere ciò che stava facendo.

“Quando è partito non ti ha detto dove aveva intenzione di andare?” - aveva provato ad indagare.

“No...solo che ormai era tempo di provare a seguire le proprie attitudini. Ha detto che te ne ha parlato e tu eri d'accordo...che a lui piacerebbe scrivere. Ha anche aggiunto che avrebbe informato tuo padre di questa decisione”

Lei aveva spalancato gli occhi stupefatta; mai si era immaginata un simile scenario e il sottile sentore che potesse essere vero iniziò ad insinuarsi tra i pensieri, strisciando, insieme alla sorpresa di scoprire che, forse, lui avesse sempre voluto di più dalla propria vita, invece di un posto da attendente al suo fianco.

“Vedrai che scriverà presto...starà aspettando di avere qualcosa di bello da raccontarti”

La nonna aveva annuito in silenzio ma continuando a sistemare gli oggetti da toeletta, come volesse interrompere al più presto quella conversazione.
E a quel punto lei aveva iniziato a preoccuparsi seriamente.

 

Alla fine le notizie erano arrivate ma di bello non c'era proprio nulla.

"E' una lettera di Andrè...dice che partirà...in America. Ma cosa significa Oscar? Perchè dovrebbe andare laggiù...e poi, quanto è lontana l'America?"

Le aveva preso i fogli dalle mani guardandola negli occhi, inizialmente confusa. Ed era poi bastato dare una rapida scorsa alle righe vergate con quella calligrafia ordinata ed elegante a capire che avrebbe dovuto fare in fretta.
Diceva che partiva, di non preoccuparsi per lui. Diceva che era un uomo, anche se era sicuro sua nonna non lo vedesse mai adulto abbastanza. E lì le era sembrato di udire la sua risata impertinente...era riuscito anche a fare dell'ironia, lo sbruffone!
Diceva che anche Oscar avrebbe capito. Capito? Ma che diavolo andava dicendo? Lei capiva solo che non c'era nessuna garanzia sarebbe tornato vivo!

Ma perchè Andrè? Per quale motivo dovresti andare a combattere una guerra non tua? Non hai pensato minimamente...non ti importa davvero nulla?

Era volata fuori dalla stanza terminando di infilarsi la giubba mentre si scapicollava giù per le scale.

Maledizione Andrè! Non ci provare! Ti devo almeno parlare...”

E voleva dirglielo di quell'emozione giù nella gola, così intensa da togliere il respiro; e di quei sorrisi, sempre meno sommessi e sempre più simili a risate argentine che esplodevano nel suo cuore, della sua anima in volo...

Possibile che tu non ci abbia mai pensato?”

Aveva trovato Cesar già sellato poichè le esigenze di Monsieur le Comte andavano soddisfatte comunque, che Andrè fosse presente o meno, e si era precipitata a corte.
In fretta
Ancora più in fretta
Doveva pur esserci qualcuno in grado di saperle dire dove trovarlo, se c'era un modo per poterlo raggiungere. Se aveva ancora un po' di tempo...
Ma di tempo non ce n'era più.
Quello stesso giorno a Versailles era arrivata la notizia della partenza delle navi, accolta con trionfo dal Re e da tutti i fautori di quell'alleanza, fortemente voluta con le delegazioni americane.
C'era, nell'aria, un senso di soddisfazione generale, il sentore della gloria, la promessa di nuove conquiste.
Nel clamore generale soltanto due persone avevano il cuore stretto.
Due giovani donne, schiacciate dal peso di quella notizia, al punto di poter quasi scomparire, fagocitate da tanta euforia, se non avessero rivestito ruoli troppo in vista.
Una, riccamente agghindata, troppo trasparente e spontanea, non era riuscita a trattenere le lacrime, nonostante una corona mai risultata così pesante da indossare.
L'altra, sorretta esclusivamente dalla divisa da ufficiale, non aveva potuto permetterselo; soltanto dopo, nascosta dall'abbraccio ombroso delle fronde del parco, accasciata a terra con la schiena contro un albero, aveva potuto dar sfogo al suo dolore e alla sua angoscia (2)

Oscar gettò il mantello sulle spalle e uscì accostando piano la porta per non far rumore. Non voleva svegliare nessuno che potesse turbare il silenzio di quel tempo sospeso tra il giorno e la notte, del cui silenzio voleva godere pienamente. Lo trovava confortante, un vero balsamo sul suo animo tormentato. Ed estremamente necessario.
Il corridoio del piano nobile era deserto, e diversamente non avrebbe potuto essere visto che lei era l'unica componente della famiglia presente in casa.
Quella mattina però qualcosa stonava nel ritmo regolare dei passi sul marmo. Voci sommesse seguite dal cigolìo di una porta che si apriva la stupirono e la misero in allarme ma rapidamente rammentò che un altro Conte aveva dormito sotto quel tetto. Evidentemente quella era la stanza in cui era stato ospitato Fersen.
Ma non aveva voglia di parlare con lui, non ancora almeno.
Aveva bisogno di quel rituale mattutino che si era creata suo malgrado.
Magari più tardi quando probabilmente, anzi sicuramente, si sarebbe trasformata nell'ospite impeccabile che era sempre stata per lui. Non si chiese neanche perchè fosse già sveglio.
Era ancora sufficientemente lontana da non farsi scorgere e fu semplice fare un passo indietro e nascondersi nel buio, al riparo di un mezzo busto di chissà quale avo.
Ma non era di Fersen la figura che stava uscendo dalla stanza. Fece capolino, invece, una giovane donna, la cuffietta candida tra le labbra, mentre stava cercando di acconciare i capelli lunghi in un crocchio sulla nuca. Le vesti ancora un pò scomposte che tanto in giro a quell'ora non avrebbe dovuto esserci nessuno.
Giselle - le sembrava si chiamasse così – la domestica che aveva riconosciuto Fersen e gli aveva regalato un aggraziato inchino il giorno prima, stava uscendo ad un orario decisamente improprio dalla sua stanza. La situazione non dava certo adito a dubbi di interpretazione.
Fersen non aveva trascorso la notte da solo.
E figurarsi un'altra porta e un'altra donna intenta a riassestare i vestiti fu tutt'uno.
Chiuse forte gli occhi a scacciare l'immagine molesta; non ci voleva proprio pensare in quel momento.
Non appena fu certa di non essere vista proseguì per la sua strada e si diresse alle scuderie.

Oltre quella porta Fersen aveva abbandonato l'idea di rimettersi a dormire, un pò per quell'abitudine alla vita da campo che, verosimilmente, solo il tempo avrebbe cancellato e un pò per il risveglio completo dei sensi che quella mattina gli aveva regalato.
Indossando una vestaglia pesante, necessaria in quell'alba già fresca, si avvicinò alla finestra, scrutando i profili ordinati degli alberi e delle aiuole che stavano iniziando, lentamente, a svelarsi. Era davvero incredibile potessero esistere tale serenità e armonia quando c'erano terre e luoghi feriti al cuore. E lui non aveva visto altro negli ultimi anni.
Lì il tempo sembrava essersi fermato.
Non si sentiva perfettamente a suo agio dopo gli eventi di quella notte; non che si sentisse in torto ma una lieve sensazione di inadeguatezza non lo voleva proprio abbandonare.
Eppure succedeva di continuo, in Francia e altrove. E gli era già capitato in passato.
Conosceva fior fiore di nobili illustri che non si facevano nessuno scrupolo a vantarsi di ricevere “un trattamento di favore esclusivo” quando si recavano in visita in determinate residenze.
A suo avviso, lì a Palazzo Jarjayes il trattamento di favore davvero impareggiabile era sempre stata l'amicizia sincera della padrona di casa che lui cercava di ricambiare al meglio delle sue possibilità.
E non avrebbe voluto davvero nient'altro.
Ma quando Giselle gli si era presentata la sera prima recando tra le braccia asciugamani ancora profumati di bucato, e gli aveva fatto capire chiaramente che era disposta ad allietare le sue notti, non era riuscito a dire di no.
Non ricordava nemmeno quanto tempo era trascorso dall'ultima volta. Di certo non era mai successo da quando aveva intrapreso il viaggio di ritorno verso l'Europa.
“Se avete altre necessità signor Conte, non avete che da chiedere”- gli aveva detto guardandolo negli occhi, il tono un pò incerto, dopo aver appoggiato la biancheria e la cuffietta sul cassettone e iniziando a sfilare le forcine una ad una, permettendo così ad una folta matassa di capelli color miele di ricadere libera sulle spalle. Gli si era avvicinata con fare languido benchè timido, attorcigliando una ciocca attorno ad un dito, forse nell'intento di mascherare l'imbarazzo di quella proposta ardita. Fersen aveva compreso all'istante ma aveva esitato, all'inizio.

Mademoiselle io...non so se...”

“Non vi dovete preoccupare...conosco le regole del gioco e non chiedo nulla in cambio. E nessuno lo verrà a sapere...”

Arrivata ad un passo da lui aveva posato le mani sul suo petto, non senza arrossire, facendogliele poi scivolare lungo la camicia di seta fin dietro il collo, tra i capelli.

“Non pensate male di me ve ne prego; non mi comporto così con qualunque ospite. Ma mi ricordo bene di voi. Come si dimentica un uomo della vosta bellezza?” - e intanto, con movimenti circolari delle dita, aveva iniziato ad accarezzargli la nuca.
Lui aveva provato a restare impassibile ma quella pressione leggera subito sopra il collo e la netta percezione di ogni curva di quel corpo contro il suo, già stavano risvegliando qualcosa che aveva ben poco a che fare con la ragione.
Si era perso nella contemplazione dei lineamenti graziosi del viso, probabilmente più di quanto avesse voluto, tanto che lei aveva iniziato ad indietreggare, scoraggiata da quella mancanza di reazione ma prima che fosse troppo lontana, l'aveva fermata, afferrandole delicatamente il polso.

"Posso sapere il vostro nome mademoiselle?" - gli sembrava davvero il minimo, considerando come avrebbe potuto proseguire quella serata.

"Giselle"

Portandosi la mano della ragazza alle labbra, vi aveva deposto un bacio leggero sul dorso e dichiarato la sua resa.

"Giselle...sarò felice di accettare la vostra generosa offerta"

E poi non era più stato tempo per le parole; si era perso in quel corpo morbido e caldo, tra le lenzuola odorose di lavanda, ancora e ancora, finchè la stanchezza non aveva avuto la meglio su entrambi.
Si era risvegliato solo poco prima, quando l'aveva sentita muoversi per iniziare a rivestirsi. L'aveva afferrata piano per i fianchi, tirandosela addosso in una sorta di ringrazamento per la notte appena trascorsa. Non aveva trovato alcuna resistenza da parte di lei se non poche parole a sottolineare che di tempo non ce n'era poi molto.

“Devo essere in cucina tra poco”

Ma quel poco era stato sufficiente. Il desiderio, a lungo sopito e risvegliato da quelle forme tenere e burrose, era tale da non ammettere nessun ritardo.
Mentre i pensieri vagavano a ruota libera dal corpo di Giselle a quale senso dare ora alla propria vita, intravide Oscar oltrepassare i cancelli al trotto. Solo al di fuori della proprietà lanciò il cavallo al galoppo, lasciandolo ad interrogarsi su dove se ne stesse andando in un'alba appena accennata di fine settembre.

 

  1. “Aladino e la lampada meravigliosa”, racconto de “Le mille e una notte”, appare per la prima volta nell'edizione francese di Antoine Galland (1646-1715). Magari Oscar avrebbe potuto leggerlo...

  2. Riferimento al Capitolo 1

 

Questo capitolo doveva essere un pò diverso ma, tanto per cambiare, mi sono lasciata prendere la mano...sarebbe diventato un qualcosa di lunghissimo! Ho dovuto fare delle scelte e dividerlo, tanto non ci corre dietro nessuno:-)
La cosa positiva è che il prossimo capitolo è praticamente pronto, devo solo rivedere un paio di cose.

Come sempre un ringraziamento a chi passa da queste parti, in modo più o meno evidente e a chi continuerà a seguire da lontano.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


Ci ho messo più del previsto perchè ho rimaneggiato un po' le cose, aggiungendo una parte ex novo. In questo modo posso ragionevolmente dire che questo capitolo dovrebbe essere l'ultimo di “attesa”. Dico “dovrebbe” perchè non si sa mai; la maggior parte di voi che dedicate tempo ed energie mentali a questa storia siete anche autori, tutti splendidi (ci ho fatto nottate, solo per dirne alcune, con un amore nato a Brighton, o con Andrè relegato a Chablis o con una passione travolgente esplosa tra Palazzo Jarjays e le grotte di una spiaggia normanna...ma la lista sarebbe molto più lunga) e sapete bene che quando si inizia le idee poi si intrecciano in modi impensati prima. Ma farò del mio meglio per arrivare al dunque ;-)

Grazie, sempre, per i vostri riscontri e a chi segue e partecipa da lontano.


Andrè si svegliò di soprassalto, infastidito da un raggio di sole che, sfacciatamente, attraverso le finestre prive di tende, andava a colpire proprio lì, sul filo delle ciglia.
Gli fu necessario un po' di tempo per mettere a fuoco il luogo in cui si trovava. Non lo riconobbe immediatamente e un timore ben noto gli attanagliò le viscere.

Lo stesso di quando si risvegliava di colpo, laggiù, in America.
La stessa angoscia, la stessa paura strisciante prima di riconoscere i respiri tranquilli dei compagni che ora però erano stati sostituiti dal cinguettìo degli uccelli e da un defluire d'acqua che, per un istante, la mente ebbe difficoltà a collocare. Aguzzò la vista e riconobbe elementi noti, tornati alla memoria giusto in quel momento. Sulle pareti bianche di calce, arnesi da lavoro, un tavolo semplice e la branda sulla quale si ritrovava.
Era solo, nel capanno dietro le scuderie.
Mise un braccio sul volto per dare tempo agli occhi, protetti dall'incavo del gomito, di abituarsi gradualmente alla luce mentre cercava di mettere a fuoco quanto accaduto nelle ore precedenti, ma un dolore puntuale, proprio dietro la fronte, gli impediva di concentrarsi completamente.
Uscì per lavarsi il viso con l'acqua fredda del pozzo; l'effetto rigenerante fu immediato ma non sufficiente. Sentiva la gola riarsa. Tra i secchi lì accanto utilizzati per il trasporto dell'acqua si trovavano alcune ciotole di legno; ne afferrò una e, dopo averla sciacquata più volte, la riempì e inizò a bere a piccoli sorsi.
Mentre si guardava intorno riflettendo sul fatto che lì davvero non era cambiato nulla, udì caratteristici rumori di stalla provenire dalle scuderie. Si affacciò con l'intenzione di attaccar discorso, sperando si trattasse di qualche dipendente di vecchia data della famiglia Jarjayes, tanto per iniziare a capire in quale realtà era tornato.
Nella penombra vide però soltanto un ragazzino, lo stesso che accompagnava Oscar il giorno prima, intento a distribuire la biada ai cavalli, con un forcone di dimensioni decisamente spropositate per la sua taglia e che ancora faceva fatica a maneggiare agevolmente.
Si appoggiò di schiena allo stipite della porta, la ciotola con l'acqua ancora in mano, e si rivolse al ragazzo.

Bonjour
“Oh buongiorno, Monsieur...” - il ragazzino si voltò sorpreso ma non impaurito.
“Nessun Monsieur...solo Andrè. Hai bisogno d'aiuto?”
L'altro scosse più volte la testa in segno di diniego.
“Tu chi sei?” - gli sorrise incoraggiante Andrè.
“Pierre” - e gli occhi iniziarono ad illuminarlglisi di comprensione e di qualcosa di molto simile all'ammirazione.
Smise di lavorare e si concentrò sul suo interlocutore.
“Ma tu sei proprio quell'Andrè?”
“Che io sappia sì...perchè, ce ne sono altri?”- indagò Andrè aggrottando le sopraciglia mentre prendeva un altro sorso d'acqua
“Quello della dama?”
“La dama? Quale dama?”- Andrè si ritrovò a grattarsi la fronte con la mano libera. Proprio non gli sembrava di aver conosciuto nessuna dama degna di nota. Non recentemente...e poi era appena tornato.
“Quella che ho nella mia stanza...Monsieur le Comte mi ha detto che l'hai fatta tu”
“La tua stanz....oh! Ora capisco...” - e le dita andarono a tamburellare la fronte nel tentativo di risvegliare la mente ancora, in parte, annebbiata.
La dama...il jeu aux dames
E le immagini tornarono in un istante, più vivide che mai.
Inizialmente aveva pensato di regalare una scacchiera, intagliandone anche tutti i pezzi, a quel bambino sveglio e curioso che spesso si ritrovava intorno nelle cucine e lo spiazzava con osservazioni dedotte chissà come.
Avrebbe poi trovato il modo di insegnargli.
Subito però si era reso conto di quanto fosse un qualcosa di troppo impegnativo, sia per il poco tempo che aveva a disposizione, sia per l'età del bambino che, all'epoca era davvero piccolo.
E così aveva optato per il jeu aux dames, che aveva regole più semplici e più alla portata del futuro giocatore. E gli era sembrato un lavoro più accessibile anche se poi produrre quelle maledette pedine tonde, tutte uguali, si era rivelato più complicato del previsto.
“Sei il figlio di Mylène, quindi?” - un'espressione di puro stupore si dipinse sul volto di Andrè, mentre l'altro annuiva più volte con il capo.
Era cresciuto molto, non lo avrebbe mai riconosciuto.

“Quanti anni hai?”
“Dodici. E tu?”
La prontezza di risposta di certo non gli mancava; nascondendo un imbarazzato colpo di tosse nella mano chiusa a pugno, sorrise tra se dell'innocente impertinenza del suo interlocutore.
“Beh..questo non è importante. Diciamo molti più di te...”
“Sei cresciuto molto da come ti ricordavo. Non dirmi che lavori già qui a Palazzo?” - buttò lì Andrè indicando il forcone con un cenno del capo ma senza crederci per niente. Ricordava se stesso bambino provare ad intraprendere mestieri per nulla adatti, solo per dimostrare che era grande abbastanza.
Ma Pierre sfoderò un'aria soddisfatta ed annuì con vigore.
“Sono l'apprendista attendente di Monsieur le Comte...”
Ad Andrè andò l' ultimo sorso d'acqua di traverso ed iniziò a tossire sul serio. Come poteva quel soldo di cacio far fronte a tutte le esigenze di un ufficiale...di Oscar?
“Tu...l'attendente???”
“Apprendista”
“Oh è vero, scusami. E chi andrai a sostituire?”- il tono interessato per dare soddisfazione a Pierre, in parte nascondeva la curiosità di conoscere come si erano evolute le dinamiche di Palazzo. Ora era completamente presente a se stesso e gettò l'acqua restante sulla terra battuta ai suoi piedi, appoggiando poi la ciotola su uno sgabello lì accanto.
“Nessuno”
Andrè lo guardò con aria interrogativa e lui si sentì in dovere di continuare.
Monsieur le Comte non ha più un attendente”
“Quindi ce n'era uno...cosa gli è successo?”
“Eri tu”
E su quelle parole entrambi si incupirono improvvisamente.
Andrè provò un’angoscia indicibile immaginando quanto dovesse essere stata solitaria l'esistenza di lei, e si chiese come mai avesse fatto a sopravvivere senza una risata, un momento di svago o, perchè no, qualcuno da prendere semplicemente a pugni quando la rabbia e la frustrazione avevano la meglio su ogni altra emozione. Possibile che il ricordo di Fersen fosse stato sufficiente a colmare ogni vuoto?
Pierre, invece, abbassò lo sguardo mentre cercava, invano, di trattenere una domanda.
“Adesso tornerai ad essere tu il suo attendente?”
Andrè sorrise scuotendo piano il capo e comprendendo quel velo di delusione sul viso fanciullo. Gli si avvicinò ponendogli le mani sulle spalle per dare maggior credito alle sue parole.

“No...stai tranquillo. Non succederà”
“Andrè?” - Pierre era tornato a guardarlo, il viso già rasserenato. E l'uomo pensò che quella era un'età davvero meravigliosa, bastava così poco per spazzare via le nuvole...
“Sì?”
“Tu quanti anni avevi quando sei diventato l'attendente del Conte?”
“Quindici...oh ma tu, forse, lo diventerai prima” - si affrettò ad aggiungere, che a quell'età tre anni sembrano un'infinità di tempo.

Già, aveva solo quindici anni quando lui e Oscar si erano avviati, una mattina di primavera, verso la loro vita a Corte, perfettamente addestrati ma assolutamente impreparati a ciò che la vita avrebbe loro riservato negli anni a venire.
La voce squillante del ragazzino, il quale già si stava rivolgendo ad altri pensieri, deviò i suoi dalla via che stavano per imboccare.
“Ora devo andare, la mamma mi starà cercando per la colazione”
“Pierre?”
Si fermò sull'uscio della scuderia, voltandosi a guardarlo con aria interrogativa.
“Se vuoi ti insegno a giocare a dama...”
Lui scosse il capo, facendo spallucce.
“Non serve...mi ha insegnato Monsieur le Comte” - girò sui talloni per correre via ma si bloccò di colpo pensando di aggiungere quell'informazione di cui andava particolarmente fiero.
“E' stato quando l'ho battuto che mi ha chiesto se volevo provare a fargli da attendente...”
E scappò via.

Andrè rimase solo, in piedi sull'uscio, le mani dietro la nuca e i gomiti allargati a reggere la testa nella quale si rincorrevano immagini per nulla sfocate.
Sorrise rivedendo se stesso e Oscar, le teste vicine, ad intagliare i minuscoli pezzi. O meglio, lui intagliava, lei dipingeva. Si era offerta di aiutarlo in quell'impresa quando aveva scoperto il motivo che lo induceva, la sera, a ritirarsi nella sua stanza prima degli orari abituali.
Quindi, valutò, Oscar aveva finito ciò che lui aveva iniziato anche se era davvero strano pensarla intenta a trascorrere del tempo con un ragazzino con cui aveva ben poco a che fare. C'era davvero di che rimanere a bocca aperta...non avrebbe mai finito di stupirlo!
In realtà il jeu aux dames, materialmente, l'avevano finito insieme; erano stati fierissimi di quel lavoro di squadra. Una volta conclusa l'impresa avevano brindato alla buona riuscita e giocato la partita inaugurale, ma...
Strofinò il pollice sinistro sull'indice dove si percepiva ancora l'ombra di una cicatrice mentre un sorriso amaro gli stirava le labbra. Quella linea sottile quasi scomparsa era stata davvero danno di ben poco conto...se solo non avesse scatenato tutto il resto.
Sollevando lo sguardo intravide una donna dirigersi verso la sua direzione.
La riconobbe subito. Mylène era arrivata a Palazzo poco più che bambina per dare un aiuto economico alla sua famiglia, alla quale spediva regolarmente buona parte della paga.
Lei si fermò di colpo, gli occhi grigi spalancati per la sorpresa. Evidentemente non si aspettava certo di incontrarlo lì.
“Andrè!”
“Se cerchi Pierre è appena corso in casa”- accennò con il capo al retro del palazzo, dove si intravedeva l'ingresso delle cucine.
“Grazie...lo devo sempre rincorrere al mattino...”- si fermò ansante, cercando di riprendere fiato.
“A me è sembrato un ragazzino sveglio...”
Lei sorrise senza guardarlo in volto.
“Sì, lo è”
Fece una pausa, necessaria per pescare chissà dove un'idea.
“Se penso che potrebbe essere tuo figlio...”
E allora fu lui a sorridere, di un ricordo lontanissimo, senza rimpianti ne nostalgia.
“Sai benissimo che non è vero...”
Lei allora lo guardò, le labbra impegnate in una smorfia divertita.
“Già...ma se fosse stato per me...”
“Eravamo due ragazzini...ti è andata meglio così, credimi. E tuo marito è un uomo fortunato...a proposito, come sta?”
“Bene, sta bene. Ora non c'è...è andato a far visita a suo fratello a Rouen, pare abbia diversi problemi di salute”
“Mi dispiace, spero non sia nulla di grave”
“Ancora non so nulla, dovrebbe rientrare domani. “
Poi sospirò rumorosamente.
“Eravamo tutti molto preoccupati Andrè, anche per tua nonna. Sai quanto tutti, qui, le vogliamo bene. Pensavamo davvero che fossi morto e che lei, prima o poi cedesse al dolore”
“Mi dispiace...a ripensarci, avrei dovuto scriverle” - ammise lui con tono mesto.
“Sì, avresti dovuto...”- sottolineò lei con tono di leggero rimprovero, quello di una donna abituata a fare anche la madre.
Poi gli sorrise apertamente, guardandolo negli occhi.
L'ombra di quell'amore remoto definitivamente fugata.
“Sono felice che tu sia tornato a casa. Fatti abbracciare Andrè!”
Lui non rifiutò quel gesto di affetto sincero che ricambiò con gratitudine mentre Oscar varcava i cancelli ad un trotto leggero.
Non potè fare a meno di irrigidirsi un istante prima di fermare il cavallo ed affidarne le redini ad un ragazzo che sembrava uscito dal nulla, cercando si sfoderare l'aria più indifferente possibile.
Quando Andrè sollevò lo sguardo fece solamente in tempo a vedere la sua schiena scomparire dentro il Palazzo, realizzando in quel momento che quello era un orario davvero anomalo per tornare da una cavalcata.
Oscar varcò, perplessa, il portone di ingresso, cercando di trovare una spiegazione logica al fatto che Andrè si trovasse, di primo mattino, abbracciato alla madre di Pierre, il cui marito era altrove per motivi familiari.
Si era appena tolta i guanti, godendo del leggero tepore che avvolgeva l'ambiente, non eccessivo ma di certo in piacevole contrasto con l'umidità del mattino, quando scorse Fersen scendere lo scalone di marmo e venirle incontro. Si sorrisero cordialmente, in un muto scambio di saluti ma quello di lei si appannò rapidamente alle parole del Conte.
“Avete per caso visto Andrè? Mi hanno indicato la sua camera ma non l’ho trovato. La porta non era chiusa a chiave ma forse ho sbagliato stanza...non conosco bene Palazzo Jarjayes...lì sembra non ci abbia dormito nessuno”

All'incirca in quel momento un'altra porta si aprì, su un altro lato della dimora. In cucina entrò, con passo strascicato, un uomo non più giovane, sbadigliando rumorosamente.
“Marie non è che potrei avere un pò di pane e del tè?”
Sedette al lungo tavolo di legno, quello utilizzato per i pasti della servitù, rassegnato e ben consapevole della sfuriata che stava per abbattersi su di lui.
“Guillome! Esci subito di qui oppure stammi lontano! Scommetto che la tua puzza di alcol la sentono fino a Parigi! Non dovresti essere fuori a potare gli arbusti? Ormai sul vialetto qui dietro non si riesce quasi a passare!”
“Non urlare cosi! Sento la testa scoppiare...”
Nascose il viso tra le mani, quasi potessero proteggerlo dalle grida, poi appoggiò la testa sulle braccia, incrociate sul piano del tavolo
“Non urlare così? Ma come ti permetti...”
“Dai Marie, non farla tanto lunga...” - provò a ribattere con il tono insofferente di chi è abituato a sentire le stesse cose da sempre.
“E poi è tutta colpa di tuo nipote...”- provò a giustificarsi mentre mascherava un altro sbadiglio.
Lei lo guardò con aria interrogativa, le mani sui fianchi.
“Andrè? Cosa c'entra Andrè?“
"Dai, non fare finta di non saperlo...io e lui passavamo delle belle serate una volta” - e sul volto dell'uomo passò un sorriso un po' ebete e poco lucido. Poi prese a fissarla con fare cospiratorio.
“Marie, ascoltami...bisogna capire cosa gli hanno fatto in America...non regge più l'alcol!”
“Si può sapere cosa diamine vai dicendo? Oh, ma perchè devo sentire certe cose di primo mattino?”
E Marie alzò gli occhi al cielo in una muta preghiera a chiunque fosse in ascolto in quel momento.
“Cosa sto dicendo?!? Sto dicendo che dopo solo due bicchieri è crollato sulla branda come un sacco di patate! Io poi non ho più trovato il tappo e non potevo lasciare la bottiglia a metà...sai bene che l'alcol evapora!” - concluse sghignazzando ed autocompiacendosi della risposta che aveva trovato per giustificarsi.
“Adesso per favore, dammi po' di tè altrimenti dovrai andarci tu a sfoltire gli arbusti!”

***

Quel risveglio fu il primo di diversi altri per gli ospiti di Palazzo Jarjayes.
Andrè, in realtà, era tutt'altro che un ospite; al contrario, stava cercando di riacciuffare parte del tempo non trascorso con sua nonna, sollevandola, per quanto possibile, dalle incombenze più pesanti. Si era reso conto di quanto fosse invecchiata e si ritenne fortunato di averla potuta ritrovare al suo ritorno.
Lui e il Conte di Fersen trascorrevano diverso tempo da soli ma sembrava non avessero voglia di parlare del futuro; si godevano quella parentesi di apparente armonia cercando di rimandare il più possibile qualsiasi decisione.
Conclusi gli impegni di servizio, Oscar si univa a loro e li osservava sfidarsi in ogni specialità, dalla spada alle corse a cavallo, alle partite a scacchi. Mostravano l’esuberanza e la spensieratezza di due ragazzini, come se affrontassero ogni cosa per la prima volta. E forse era proprio così, immaginò. Evidentemente avevano riscoperto a piene mani la gioia per le piccole cose, dopo quegli anni trascorsi a chiedersi se avrebbero mai visto il giorno successivo.
Lei si teneva ai margini, non partecipava alle loro sfide, sostenendo di non aver bisogno di allenarsi più di quanto già non facesse. Regalava però sorrisi di approvazione dopo una stoccata vincente e non si faceva problemi a deridere bonariamente ora l'uno, ora l'altro, se cadevano in fallo. Invece faceva bene attenzione a non mostrare gli sguardi furtivi con i quali accarezzava Andrè, scoprendo, ogni giorno di più, piccoli e nuovi particolari che lo rendevano sempre più unico ai suoi occhi, che fosse il gesto sconosciuto con cui si scompigliava i capelli, mai portati così corti o la malinconia che gli leggeva nello sguardo quando lo sorprendeva immerso in chissà quali pensieri. E non potendo fare a meno di chiedersi quali fossero.
“Hai pensato alla mia proposta di venire in Svezia?” - azzardò Fersen, un giorno, dopo l'ennesima cavalcata mentre prendevano fiato seduti su un prato.
“Non molto ancora...hai proprio deciso di partire, dunque?”
Fersen annuì mentre spiegava le sue motivazioni.
“Non c'è niente che mi leghi alla Francia se non la mia amicizia per te e Madamigella Oscar...e in effetti non è poca cosa. Ma mio padre è ormai molto anziano e, dopo tanto tempo, sento il bisogno di rivedere la mia famiglia”
Era un pensiero che Andrè condivideva pienamente ma si chiese se davvero l’altro non volesse nemmeno passare a Corte.
“E lei?”
Come di consueto, come era sempre stato in quegli anni, non c'era bisogno di fare alcun nome, ne per uno, ne per l'altro, anche se quell'argomento era diventato sempre meno frequente, trascinato un po' più a fondo da ogni giorno che si aggiungeva alla loro permanenza lontano dalla Francia.

“Andrè...io...credo di essere riuscito a togliermela dal cuore”

“Davvero?”

“Sì, ne sono sicuro”

“Sei fortunato”

Sul volto di Andrè, rivolto all’orizzonte come quello di Fersen, passò un’espressione di accondiscendenza. Non ci credeva minimamente, ma forse Fersen ne era davvero convinto. Non osò contraddirlo. E sperò, per il suo bene, che fosse davvero così.
“Tu cosa pensi di fare?”
“Non ci ho ancora pensato”
Andrè sospirò e si sdraiò sull'erba, le braccia dietro la nuca, lo sguardo fisso al cielo. Fosse dipeso da lui non se ne sarebbe mai andato e anche ora, il solo prendere in considerazione una cosa del genere era una spina nel cuore.
Per anni, dopo la partenza aveva avuto costantemente il viso di lei davanti agli occhi, il suo profumo nelle narici; perfino nella Morte, che lo aveva sfiorato più volte, ci aveva visto le sue sembianze.
Era il suo rimorso eterno, il suo rimpianto senza fine. Aveva combattuto fino allo stremo delle forze, impegnando il corpo all’inverosimile per lasciare libera la mente dal perenne ricordo di lei.
E aveva anche combattuto affinchè Fersen, che lei amava, potesse tornare sano e salvo.
Non si riteneva certo un Santo per questo. Indubbiamente l’avrebbe preservata da un dolore inaffrontabile ma in fondo, non aveva difficoltà ad ammettere che c’era stata una vena di egoismo nel suo agire, almeno all’inizio.
Non voleva Fersen diventasse un martire, immolato alla causa di un amore impossibile.
L’eroe romantico per eccellenza.
Allora sì, lei non l'avrebbe mai scordato e non sarebbe mai più stata in grado di liberare il cuore che aveva, invece, uno spassionato bisogno di volare. E non importava verso chi, purché fosse in grado di riconoscere in lei la meravigliosa creatura che era.
Anche se non si trattava di lui.
Una volta sbarcati oltroceano, l'ufficiale svedese aveva fatto in modo che il soldato Grandier venisse assegnato al suo battaglione e, nonostante non fosse tenuto ad essere sempre in prima linea, se lo trovava nei paraggi in qualunque battaglia. Sembrava un tacito accordo a guardarsi le spalle a vicenda e forse anche Fersen lo faceva per Oscar, oltre che per se stesso.
Per non pensare, esattamente come lui.
Poi, non sapeva nemmeno come, era accaduto che erano diventati amici. Si erano ritrovati a confrontarsi su diversi argomenti quando la sera si ritrovavano a parlare in una tenda da campo e Fersen, talvolta, portava con sé una bottiglia di Bourbon che riusciva a sottrarre alle scorte per gli ufficiali.
Ognuno per conto proprio si era reso conto di attendere con impazienza quei momenti in cui cercavano di stemperare l’angoscia di una vita in bilico e a confidarsi i reciproci timori.
Come stava accadendo in quel momento.
“Sono un po' preoccupato per Madamigella Oscar...”
Andrè si girò a guardarlo con aria interrogativa e lui continuò.
“Esce molto presto tutte le mattine, prima del sorgere del sole”
“Tu come lo sai?”- chiese stupito, cercando di stabilire mentalmente la posizione della stanza assegnata all'altro.
“Beh...la vedo dalla finestra...mi sveglio più volte, per via degli incubi...forse succede anche a te”
Ed era la verità anche se sorvolò sul fatto che in quelle occasioni c’era però chi era in grado di alleviare i suoi tormenti.
“Già”
“Se si trattasse di una qualsiasi altra donna penserei ad incontri galanti, al riparo da occhi indiscreti, ma...” - Fersen intraprese, con tono incerto, quella che sapeva benissimo essere un’arrampicata sugli specchi.

“Ti ho già detto come stanno le cose” - tagliò corto seccamente Andrè.

Si fissarono per un istante, non potendo fare a meno di tornare a quella notte americana. Era un periodo in cui la situazione era calma e la stanchezza del corpo non raggiungeva livelli sufficienti a sedare la mente. E allora bisognava ricorrere al leggero oblio garantito dall’abituale distillato di mais, che, in dosi superiori alle solite, quella sera aveva sciolto le lingue.
Inizialmente aveva avuto un ricordo molto vago di quella rivelazione, ad esempio non ricordava come fossero finiti a parlare di Oscar. Cercava di farlo il meno possibile.
“Lei è innamorata di te...” - e gli sembrava di non averle pronunciate davvero quelle parole, che fossero rimbombate solo nella sua testa.
“No, non posso crederlo” - Fersen aveva strabuzzato gli occhi dallo stupore ma l’espressione vuota e rassegnata dell’altro gli aveva fatto immediatamente capire che, probabilmente, quella non era una frase dettata dall’alcol.
“Per questo ti sei arruolato?”- aveva provato a chiedere, non riuscendo a concepire quella realtà.
Ma non aveva ottenuto risposta. E se aveva imparato un po' a conoscere Andrè non avrebbe più cavato un ragno dal buco proseguendo con quella conversazione.
Mentre stava per andarsene l'altro lo aveva fermato.
“Hans?”
“Si?”
Il tono improvvisamente fermo, arricchito da una nota dura, solitamente estranea ad Andrè. Gli occhi ficcati a forza nei suoi.
“Se torneremo in Francia...o se solo tu tornerai...e se la farai soffrire, giuro su Dio che, ovunque io sarò, ti troverò e te la farò pagare cara”
Un angolo della mente di Fersen ancora si rifiutava di credere a quella rivelazione, tanto che provò a sondare quanto ferma fosse la convinzione di Andrè.
“E se io mi innamorassi di lei? Supponiamo per un istante...”
Andrè aveva bloccato quell'ipotesi sul nascere, alzando il tono di voce.
“SE tu ti inamorassi DAVVERO di lei...e quel “davvero” credo tu sappia cosa significa, allora vi potrei solo augurare di essere felici”
E quella risposta non avrebbe potuto essere più lucida e coerente.
Da quel giorno Fersen l'aveva guardato in modo diverso, forse chiedendosi come fosse possibile regalare il proprio cuore ad una donna innamorata di un altro.
Ma non avevano più toccato l'argomento in seguito.

Invece in quel momento Fersen provò ad abbozzare uno scenario diverso.
“Ma in questi anni potrebbero essere cambiate...”
Lui chiuse gli occhi e scosse il capo non potendo fare a meno di pensare alla figura esile di lei che vagava, sola, nel buio.
E quell’idea abbozzata che lo pungolava da giorni divenne sempre più prepotente: non poteva e non voleva più allontanarsi troppo dalla sua vita.
Anche se lei non fosse stata d’accordo. E anche se non sapeva ancora come fare.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Capitolo in tre parti, ben segnalate...nel caso ci fosse bisogno di una pausa caffè ;-)

Marie Grandier non pensava certo che la presenza silenziosa di Andrè alle sue spalle fosse dettata dall'ambiente particolarmente gradevole di cui si poteva beneficiare, quella sera, nelle cucine di Palazzo.
Il tepore del fuoco andava dissolvendosi, concentrandosi in quelle poche braci necessarie a poter riattizzare le fiamme prima delle prime luci dell’alba, che le notti ormai erano lunghe e non si poteva certo attendere la comparsa del chiarore del giorno per mettersi all'opera. Ma dal piano in ghisa della stufa andava intensificandosi l'effluvio agrumato delle prime arance della stagione. Le bucce, poste ad essiccare, sprigionavano quell'aroma lievemente pungente che andava ad avvolgere, in un abbraccio perfetto, l'odore caldo dei dolci appena sfornati, da servire con la colazione del mattino.
Mancava all'appello soltanto il profumo fragrante del pane ma quello seguiva orari tutti suoi, raggiungendo l'apice dell'intensità appena prima dell'alba, e Marie Grandier si stava appunto prodigando affinchè quel rituale quotidiano avvenisse senza intoppi. Era intenta ad amalgamare gli ingredienti necessari ad ottenere l’impasto ottimale, omogeneo e idratato al punto giusto.
Era inquieta.
Come avesse a disposizione tutto il tempo del mondo, suo nipote se ne stava seduto al tavolo della cucina, intento a sfogliare il registro dei fornitori, quasi gli interessasse davvero. Ma era sicura fosse soltanto un modo per far passare il tempo.
Era certa che stesse aspettando solo il momento buono, quello in cui sarebbero rimasti soli, per poter parlare in tranquillità.
Lo faceva anche da bambino, nei primi tempi dopo che l'aveva condotto con sé a Palazzo. C'erano state sere in cui, nonostante la sua nuova vita apparentemente serena, succedeva venisse travolto dalla nostalgia di casa e allora, per la vergogna di farsi scoprire triste dai padroni che tanto stavano facendo per lui e, soprattutto, affinchè il diavoletto biondo del piano di sopra non avesse da pensare che non fosse contento di passare le giornate al suo fianco, si rifugiava in cucina e le chiedeva di raccontargli qualche aneddoto sui suoi genitori.
E lei raccontava; raccontava fino a quando non vedeva i suoi occhi tersi iniziare a rasserenarsi. Raccontava fino a quando tutto l’amore che nutriva per quel suo bambino rimasto solo troppo presto la faceva anche lavorare di fantasia, pur di vederli brillare.
E ora si interrogava sul motivo che lo stava trattenendo in cucina così a lungo, a differenza di tutte le altre sere, quando, spesso, si era allontanato per dirigersi a Parigi.
Il cuore fece un balzo al pensiero volesse comunicarle la sua decisione di ripartire. Le aveva accennato di qualcosa, là in America, ma si era sempre tenuto sul vago. Oppure c'era sempre quell'idea balorda di andare in Svezia che lei sentiva aleggiare come una minaccia impalpabile e che ogni tanto rispuntava nei momenti più impensati.
E il Conte del Nord lo aveva chiesto anche a lei cosa ne pensasse, un giorno, mentre gli sgombrava il tavolo della colazione, come se quello fosse il momento ideale per fare conversazione quando, invece, c'era tutta una dimora da gestire!
Le aveva assicurato che si sarebbe trovato bene, il suo Andrè; che avrebbe vissuto in qualunque modo avesse scelto, anche perchè, probabilmente, di lì a pochi giorni sarebbe stato insignito di un titolo dalla Corona, per i meriti conseguiti in battaglia.
“Non saprei...io non conosco il Vostro Paese..”- era stato tutto ciò che si era sentita di rispondergli. E allora lui glielo aveva raccontato il suo Paese, mentre lei spostava il peso da un piede all'altro, impaziente, con parte della mente già rivolta alle incombenze che la attendevano dabbasso.
Glielo aveva raccontato con tutto l’affetto e la nostalgia di chi manca da troppo tempo. Quelli che fanno sembrare gradevoli anche gli aspetti meno piacevoli, i meno amati, i più odiati.
Lei era una donna pratica, abituata al lavoro da che aveva memoria e aveva capito subito che qualcosa non andava ma se lo era tenuto per sé. Poi ci aveva riflettuto nei giorni seguenti a come mai si poteva pensare di vivere in un Paese in cui può essere sempre notte...oppure sempre giorno.
C'era da diventare matti, ecco cosa.
Forse sarebbe stato meglio che suo nipote vivesse in qualunque modo avesse scelto, lì in Francia, dove il ciclo del sole era quello giusto e dove lei si stava riabituando alla sua presenza ed, egoisticamente, sperava di averlo vicino il più possibile negli anni che le rimanevano da vivere ma si rendeva perfettamente conto di non poter pensare di avere molta voce in capitolo.
E poi...
E poi temeva per Oscar, la sua splendida Oscar. Le era stata vicina in tutti i modi che aveva ritenuto utili e possibili, aveva cercato di sostenerla e di proteggerla.
Ma infinite volte si era chiesta se aveva agito nel modo giusto...
Sospirò, mascherando la preoccupazione con uno sbuffo di fatica dovuto al movimento energico che doveva tenere per far incordare l'impasto.
Alla sua sinistra due cameriere erano in procinto di terminare la sistemazione delle stoviglie pulite sui ripiani in pietra della dispensa, pronte per essere utilizzate di nuovo il giorno seguente. Temeva un po' il momento in cui si sarebbero ritirate per la notte, lasciandola sola con Andrè.
Perchè accidenti non se ne era andato a Parigi anche quella sera?
Non appena le ragazze si furono allontanate augurandole la buona notte, suo nipote chiuse il registro.
Il momento era dunque giunto.
Quasi volesse togliersi il peso di quella conversazione il più rapidamente possibile, si affrettò a parlare per prima. Il tono forse un po' troppo brusco, dettato dalla tensione. Le parole, forse un po' troppo veloci, dettate dalla smania di sapere.
“Andrè cosa ci fai ancora qui? Non hai niente di meglio da fare stasera?”- chiese, senza mai interrompere il lavoro.
“No. E poi avevo voglia di parlare un po' con te”- il timbro calmo e rassicurante, tipico di lui, forse rivelava che non c’era poi nulla da temere.
“Di qualcosa in particolare?”- indagò, sfumando la tensione in una nota più dolce al pensiero che suo nipote, ormai uomo, tenesse ancora tanto in considerazione le sue opinioni. Ma quel sentimento di calore appena affacciatosi al suo cuore, insieme al tepore dell'ambiente, vennero annullati all'istante dalle parole di Andrè.
“Oggi ho visto la mia tomba”- proclamò in tono neutro, noncurante quasi, carezzando i bordi del libro come fosse fondamentale ricercarne le imperfezioni.
Lei si voltò di scatto, le mani imbrattate di impasto a mezz'aria. Non disse una parola che tanto gli occhi sbarrati di sorpresa e di apprensione parlavano per lei.
Lui sollevò lo sguardo, fino a quel momento rivolto al ripiano del tavolo.
“Immaginavo...”- e piegò le labbra in un accenno di sorriso. Quello di chi è consapevole di essere nel giusto.
“...e volevo chiederti perché a Sainte Cécile c’è una croce che porta il mio nome”

Marie si irrigidì e strinse le labbra talmente forte da percepire in bocca il sentore ferroso del sangue, ma fu rapida a riprendere il controllo delle proprie emozioni. Si voltò di nuovo e tornò a dedicarsi al panetto di impasto che ripiegò più volte su se stesso per impartire le pieghe necessarie a favorirne la lievitazione. Sospirò rumorosamente.
“Secondo te Andrè!?!”
Il tono era stanco ma, quasi ad evitare eventuali risposte diverse da quella che doveva essere per forza quella giusta, si affrettò a proseguire.
“Sai già che ti credevamo morto. Ma anche a chi muore lontano dal proprio Paese spetta un degno funerale. Anche Madamigella Oscar era di questo avviso. Abbiamo fatto dire una messa in suffragio e lei ha insistito per acquistare quel piccolo lotto di terreno.”
Poi sospirò di nuovo...un sospiro triste questa volta.
Lui annuì. Era all'incirca ciò che aveva ipotizzato.
“Mi dispiace nonna, ti...vi ho fatto preoccupare...avrei dovuto scriverti...avrei...”
Sentiva tutto il peso di ciò che la donna aveva dovuto patire negli anni in cui era stato lontano mentre gli si snocciolavano davanti agli occhi tutte le cose che avrebbe potuto fare per evitarle quella pena.
“Ma io...”
“Basta così Andrè...sei qui, sei vivo. Quel tempo è finito...”
Ed era quasi una supplica quella di non rivangare i giorni bui, di non farle rivivere situazioni che l'avevano quasi annientata.
Lui annuì di nuovo ma con meno convinzione, inseguendo il filo di un pensiero di cui non riusciva ad intravedere la fine.
“Visto che sono qui, sei d'accordo che non è più necessario andare a pregare sulla “mia” tomba?”
“Sì...ovvio che sì...”- rispose incerta, non riuscendo ad immaginare dove volesse portare quella conversazione.
“Sai spiegarmi perchè Oscar ci va tuttora?”
“Tu come lo sai?”- la donna si voltò bruscamente, gli occhi assottigliati come una fiera pronta a lanciarsi per proteggere i cuccioli.
“L'ho seguita stamane”- e abbassò lo sguardo quasi vergognandosi della sua intromissione in quella sfera intima che apparteneva soltanto a lei.

Sì, aveva seguito Oscar quella mattina.
Aveva ripensato a lungo alle parole di Fersen, diventando impotente spettatore di una battaglia tra la razionalità che gli imponeva di non intromettersi nella sua vita e l’istinto innato, risvegliato dai comportamenti di lei. L'aveva osservata a lungo in quei giorni, riscoprendone i tratti, le luci e le ombre. E anche particolari cancellati dal tempo o, forse, del tutto nuovi. E si era accorto di quel velo di maliconia, degli sguardi rivolti al nulla, dei sorrisi lievi a mascherare la mente imprigionata altrove. Del desiderio, a volte troppo evidente, di restare sola.
E faceva ancora male vedere tutto quello struggimento ed essere perfettamente consapevole che non c’era proprio alcuna via d’uscita. Poteva però starle vicino e tentare di ricostruire quel loro rapporto unico ed inimitabile, quello di prima che, forse, avrebbe reso il suo fardello più leggero. Quando lei avesse voluto poi, avrebbe provato a spiegarle…
Per farlo era ben conscio di doverla lavorare ai fianchi che lei, probabilmente, non avrebbe concesso nulla.
I suoi complici erano stati il buio, la bruma del mattino e l'addestramento militare, i quali gli avevano permesso di seguirla senza destarne l'attenzione.
La chiesa sorgeva su un'altura, lambita da boschi di castagni e faggete. Tutto intorno solo i rumori del bosco tra i quali primeggiava lo scroscìo allegro di un ruscello, inaspettatamente utile a confondere ogni suono, compresi i suoi passi.
Era un edificio piccolo, in pietra grigia, a tre navate. La semplicità dello stile romanico che caratterizzava anche il campanile, le impartiva un'essenziale sacralità, perfetta per preghiere che dovevano arrivare direttamente al destinatario.
Attorno ad essa si estendeva il cimitero, delimitato da un muretto a secco. A ridosso della chiesa le lapidi più antiche e consunte sulle quali ormai i caratteri si leggevano a fatica. Sul retro, al confine del bosco, una zona più recente che non ricordava.
Ed era lì che Oscar si era diretta.
L’aveva vista varcare il cancello, evidentemente sempre socchiuso, e percorrere il vialetto di ghiaia che portava all'ingresso principale per poi girare attorno all'edificio e dirigersi in fondo, nell'estremità più lontana, in una zona ombrosa e protetta dagli sguardi, dove le croci bianche svettavano tra il verde dell'erba, resa rigogliosa dalle piogge di quei giorni. E dove, in primavera, probabilmente, occhieggiavano anche fiori di campo. Decisamente un bel posto per il riposo eterno.
L'aveva osservata da lontano, tra le fronde di rami non ancora spogli, quasi senza respirare e continuando a chiedersi quale diritto potesse mai avere di trovarsi lì, sulla soglia dei più intimi segreti di lei, senza essere stato invitato. Sul confine di un dolore che lei, evidentemente, non voleva mostrare al mondo. Ed affondando nella curiosità di sapere a chi appartenesse quella tomba.
Dapprima aveva tolto foglie secche da una croce, per poi sedersi davanti ad essa, sul proprio mantello, con disinvoltura, come fosse una consolidata abitudine.
Non sapeva quanto tempo fosse rimasta, ma di certo sufficiente affinchè il suo cavallo iniziasse a dare segnali di impazienza, nonostante tutti gli espedienti che conosceva per tenerlo tranquillo. Solo quando stava pensando di allontanarsi per legarlo più a valle, l'aveva vista alzarsi per tornare indietro.
A quel punto era stato semplice ripercorrere i suoi passi e scoprire una croce in pietra semplice, sulla quale non era stata incisa alcuna data, solo alcuni svolazzi decorativi a tema floreale e un nome: Andrè Grandier.

La governante tornò a dargli le spalle e si aggrappò al ripiano marmoreo della cucina, quasi la sua solida freddezza potesse trasmetterle la forza necessaria a rispondere. Iniziò quasi balbettando.
“Sono stati anni molto duri...anche per lei...lei...non aveva più nessuno…”
Nel silenzio che seguì, Andrè sperò sua nonna continuasse senza doverle tirare fuori a forza le frasi di bocca ma non si aspettava le poche parole che arrivarono.
“Andrè ti prego...lei...non deve più stare così...”
Lui aggrottò le sopracciglia, turbato, predisponendosi ad ascoltare spiegazioni che, però, non arrivarono.
“…e ora me ne vado a dormire”- concluse rapidamente, dopo essersi ripulita le mani, cambiando completamente tono e lasciandolo invischiato nei propri pensieri.

Lei...non aveva più nessuno
Lei che aveva mantenuto vivo il suo ricordo nella memoria di un bambino, figlio del popolo
Lei che aveva protetto senza remore la donna amata dall'uomo che amava
Lei che aveva pianto per lui
Lei che nascondeva il suo cuore tra le nebbie dell'alba
Lei...così immensa eppure così fragile
Lei...l'unica
Lei... che non doveva più restare sola

***

Lei che qualche piano più in alto, nel salotto di rappresentanza, stava conversando con Fersen, come ormai era abitudine da settimane. Conversavano di guerra e di politica, nel tacito accordo di non oltrepassare mai quel confine che lui aveva tracciato con la sua partenza.
Ma quella sera, mentre roteava tra le mani un calice risplendente di un rosso rubino, lei toccò un argomento che aveva evitato fino a quel momento.
“Avete già deciso quando partire Fersen?”- chiese quasi indifferente, fissando il fuoco.
“Non ancora”
“Non passerete nemmeno a salutare le Loro Maestà? Sareste il benvenuto...corre voce vi siate distinto in modo particolare durante l'assedio di Yorktown...”
Lui sorrise tra sé, indovinando il reale significato di quella domanda che Oscar, riservata com'era, non avrebbe mai posto in altro modo. Scrutando attentamente il calice a cui stava imprimendo un movimento analogo a quello di lei, parve trarne dal contenuto, le parole più adatte.
“No, no Oscar...io...lo so che sembra impossibile...voi c’eravate...ma credo di esservi riuscito. So che capite a cosa mi riferisco”
Lei alzò lo sguardo su di lui, incredula, soffermandosi su ogni particolare di quel viso avvenente, per cercare di smascherare un'evidente bugia. Ma il volto di Fersen sembrava impassibile.
Lo aveva udito una volta e lo percepì di nuovo, chiaro e netto, il fragore derivante dal frantumarsi di un sogno, il cui cristallo più puro e lucente giaceva ora, in frammenti, ai loro piedi.
Portò il calice alle labbra, a portare ristoro alla gola, improvvisamente secca.
Lui proseguì.
“Sto solo aspettando vengano riconosciute le onorificienze di guerra, vorrei perorare la causa di Andrè...non c'è nessuno che meriti più di lui”
“Verrà con voi...in Svezia?”- alla fine la domanda che l’aveva angustiata nelle ultime settimane era uscita da sola, così, senza chiederle il permesso.
Si rese conto di stare trattenendo il fiato, in attesa, ma non riuscì ad impedire un tremito delle mani, che non sfuggì a Fersen.
Stava tremando per lui? Al pensiero di una sua partenza, stavolta magari definitiva?
Faticava ancora a crederci.
Spostò l'attenzione dalle mani al suo viso, rivolto alle fiamme del camino. Era diventata splendida Madamigella Oscar; i lineamenti delicati che da adolescente potevano portare a scambiarla per un ragazzino imberbe, ora disegnavano un profilo di rara bellezza. I capelli biondi, portati sempre sciolti, lunghi fin oltre la vita stretta, ben rappresentavano la sua natura inconsueta e ribelle, di fascino indiscusso. Le lunghe ciglia adombravano due gemme di una sfumatura d'azzurro talmente particolare da ricordare i fiordalisi o gli zaffiri, o entrambe le cose, sapientemente miscelate da un pittore celeste. Seguendo la linea del mento incontrò il colletto della camicia e, incredulo, si ritrovò a seguirne il bordo fin dove si apriva lasciando intravedere, appena accennato, l'incavo tra i seni, le cui forme si potevano ben intuire sotto la carezza morbida della seta. Distolse lo sguardo imbarazzato e anche un po' colpevole; proprio non osava scendere oltre.
Rimase senza parole; era di una femminilità disarmante. E comprese Andrè un po' di più.
E le sue mani tremavano.
Sospinto da un'intuizione improvvisa le afferrò delicatamente un polso, costringendola a guardarlo negli occhi e rispondendole con un'altra domanda.
“E voi Oscar? Voi verreste con me in Svezia?”
Lei strabuzzò gli occhi; mai si sarebbe aspettata una domanda simile. E non ci aveva proprio mai pensato ad abbandonare la vita che conosceva, neanche quando era stata ad un niente dall'innamorarsi perdutamente di lui. E, di certo, non poteva pensarci in quel momento.
“Io? Perchè mi fate questa domanda?”
Lo smarrimento nei suoi occhi fu sufficiente a farlo allontanare da lei e a farlo abbandonare in modo rilassato contro lo schienale della poltrona.
Sorridendo intimamente concluse che lei poteva essere stata addestrata esageratamente bene a fingere indifferenza o, in alternativa, che le cose potevano essere davvero cambiate. Senza distogliere lo sguardo dal suo viso, riportò il discorso là dove l'aveva interrotto.
“Comunque, riguardo ad Andrè...credo non abbia ancora deciso. Ma dovrà pensare ad un posto dove stare, avrà bisogno di un indirizzo stabile per farsi recapitare la corrispondenza, per gestire i suoi affari”
Lo stupore negli occhi di lei lo indusse a continuare.
“Voi forse ancora non ne siete a conoscenza ma non è un segreto. Andrè non è certo rimasto con le mani in mano dopo la fine della guerra...”
Sì, non le suonava per niente strana una cosa del genere. Non ricordava una sola occasione in cui lo aveva visto inoperoso e si era chiesta spesso come potessero quelle mani far risultare perfetta ogni cosa in cui venivano impiegate. Una volta le aveva addirittura cucito un bottone dell'uniforme, facendo comparire da chissà quale tasca, una scatolina con ago e filo, imitando perfettamente le perle di saggezza di sua nonna: “Nella vita bisogna saper fare un po' di tutto. Tu sei il suo attendente; spetta a te fare in modo che sia sempre impeccabile! Se si stacca un bottone, lo devi riattaccare!
Il tono tono stridulo e la postura che non ammetteva repliche gli erano riuscite così bene che avevano passato il resto del pomeriggio a ridere a crepapelle, lei in maniche di camicia, seduta a cavalcioni al contrario su una sedia, i gomiti sullo schienale mentre osservava, incantata, i movimenti fini delle sue dita; lui seduto sul divanetto dell'ufficio alla Reggia che, con smorfie buffe, cercava di infilare la cruna. Ma il lavoro, alla fine, era risultato perfetto. E l’ilarità era andata in crescendo man mano che si svelavano particolari delle lezioni di cucito impartite da sua nonna e al rincorrersi delle battute.
Andrè, e se io non lo avessi più ritrovato il bottone?”
Semplice Oscar...sai cosa direbbe mia nonna? Andrè, lo dovevi trovare! Cosa sarà mai ispezionare un’ intera reggia rilucente di stucchi dorati alla ricerca di un bottone d’oro!?!?”
E davvero non ricordava come avessero fatto a smettere di ridere, quel giorno.
Ma ricordava bene la magìa delle sue mani.
Le sue mani...

“...ma forse avrebbe piacere di parlarvene di persona.”
E, tra le immagini vive, risultò così estranea quella voce che, per un istante, si chiese a chi appartenesse.
“Nei due anni che è rimasto con me si è dato parecchio da fare. Io ero molto debole per la malattia tanto che il medico che mi ha curato ci ha ospitato a casa sua per potermi seguire da vicino. Mi sono chiesto spesso cosa scarabocchiasse continuamente ogni volta che mi visitava...pagine e pagine di appunti. Devo essere stato un caso davvero interessante!”- e scoppiò in una risata fragorosa, facendo sorridere anche lei.
“Invece lui... sembrava non volesse avere un attimo di sosta...e...sì, c'è stato un tempo in cui ho davvero pensato non volesse più tornare in Francia”
Fersen la osservava di sottecchi e gli risultava estremamente facile scrutare le reazioni di parole appositamente pesate, sul viso di lei, rivolto costantemente al pavimento.
“Alla fine però è tornato con voi..”- provò ad aggrapparsi lei, con poca convinzione, a quel dato di fatto.
“Già...credo volesse rivedere sua nonna”- buttò lì Fersen con una vena ironica che non venne colta dalla sua interlocutrice, e scrutandola minuziosamente, riproponendosi di prendere tempo per interpretaare i segnali che credeva di aver intravisto.
Ad Oscar sembrò che il calore del fuoco fosse diventato troppo intenso. Sentì improvvisamente di non essere più in grado di proseguire quella conversazione. E di avere bisogno di uscire.

***

Il buonsenso le aveva suggerito di portarsi una giacca che stava stringendosi addosso quasi fosse una seconda pelle, completamente inutile a contrastare una forma di gelo indipendente dalla temperatura esterna.
L'unica cosa di cui si rendeva conto era lo scricchiolio della ghiaia sotto gli stivali. Era talmente assorta che non si accorse di una figura seduta sul bordo della fontana, evidentemente altrettanto immersa nei propri pensieri, tanto da sobbalzare quando se la ritrovò accanto. La notte era buia, solo poche stelle occhieggiavano tra nubi invisibili e l’alone caldo di una lanterna a olio, posta a fianco dell’uscio di servizio, creava un cono di luce utile soltanto a non inciampare nei propri passi.
Ma ciascuno riuscì a percepire un velato stupore che sfumò in sollievo evidente nel riconoscersi l’uno negli occhi dell’altra.
“Scusami Andrè, ti ho spaventato”
“No..no, figurati”
Il silenzio e il buio mettevano a riposo sensi superflui a percepire i tremiti dei respiri, sferzati da qualcosa che non aveva nulla a che fare con la paura. Lei assecondò la richiesta di conforto proveniente direttamente dal centro del petto, che sembrava poter essere soddisfatta solo lì, accanto a lui.
“Posso sedermi un po' qui? ”
“Certo che puoi Oscar... ” - e ancora si stupiva di come lei avesse il potere di rivolgersi a chiunque, fosse anche l’ultimo dei servitori, come si trovasse di fronte ad un principe del sangue; di come sembrava non si sentisse padrona di nulla, nemmeno a casa propria.
Era sempre lei, solo lei, quella che ricordava. E anche il cuore tremò.
Per un istante calò il silenzio. Carico di dubbi e di cose non dette in cui ciascuno si sentiva impantanato in domande ostinate, sempre le stesse.

Perchè non dici niente? Le mie parole non hanno davvero significato nulla?
Perchè non dici niente? Mio Dio, non ci credo...

Ma le frasi che ruppero il silenzio furono di tutt'altro genere.
“Non riesci a dormire Oscar?”
“A quanto pare neanche tu...”
“Già...ci sono sere in cui ho timore di addormentarmi”- ed era vero. Era dannatamente vero.
“Ho visto e vissuto cose orribili Oscar. So che mi capisci, siamo stati addestrati alle armi fin da piccoli.”
Lei annuì, girandosi ad osservare il suo profilo, regolare e bellissimo, che la distanza ravvicinata le permetteva di scorgere, nonostante il buio.
“Ma viverlo...viverlo... Dio Oscar, tu non puoi immaginare che cos'è! Ragazzi più giovani di me sono morti per mano mia. E ho dovuto uccidere amici, compagni...per evitare loro sofferenze atroci. Mi hanno implorato di farlo!”
Si piegò su se stesso, i gomiti sulle cosce e le mani sul viso come a volersi proteggere dall’assalto di quei ricordi. Erano immagini crudeli, strazianti; le stesse che, per tanto tempo, avevano annullato il ricordo di lei. Perchè non era possibile pensare di sopravvivere a tutto quell'orrore, di avere un'altra possibilità.
Lei ruscì a percepire tutta la sua disperazione nel tono quasi singhiozzante, nella postura annientata di quel corpo solido, ora piegato come un giunco.
“Mi dispiace Andrè...”- e non c’era proprio altro da dire anche perché quel groppo alla gola fomentato dalla visione di lui, curvo e vinto, non permetteva di aggiungere altro.
Lui sospirò e si ricompose ma sussultò di nuovo nel percepire le dita di lei che, leggere, gli sfioravano una mano, ora rilassata sul bordo della fontana, e si aggrappavano al suo mignolo in un timido tentativo di fargli sapere che lei c'era per lui, che ci sarebbe stata sempre.
Era poco, era davvero poco; un segnale quasi impercettibile ma ad Andrè bastò e gli sfuggì un sorriso lieve, lievissimo, all'immagine delle loro dita intrecciate, prima di scuotere piano il capo e parlare soprattutto a se stesso, con amarezza e disincanto.
“La guerra...e il viaggio...cambiano un uomo...irrimediabilmente”
Sospinte dalla brezza di quella verità, le dita di lei scivolarono via. Si sentiva incredibilmente piccola e insignificante, lei che trascorreva le giornate tra parate agghindate e ronde di guardia sempre all'interno degli stessi cortili, degli stessi viali, degli stessi giardini. E lo percepiva così immenso da restare senza fiato...

Quanto sei cambiato Andrè?

“Non è detto sia una cosa negativa”- buttò lì lei per alleggerire i toni, forzando un sorriso.
“No...no infatti. Si conoscono nuove idee...nuove persone...”
Lei deglutì
“Ho saputo da Fersen che avete avuto un'ottima accoglienza in America, durante la sua malattia”
“Sì, abbiamo conosciuto delle brave persone...poi credo fosse anche un modo per ringraziarci della nostra partecipazione alla loro causa. Senza contare che lui è un Conte svedese..si sono fatti in quattro per rimetterlo in sesto, e poi...” - ma si fermò valutando che avrebbe potuto ferirla con le sue parole.
“Cosa?”
“Ma no, niente...sciocchezze...”- e con un gesto della mano evidenziò la scarsa importanza di quegli argomenti.
Sul viso di lei comparvero un sorriso ironico e una smorfia allusiva a sottolineare che aveva capito.

E tu Andrè? Quante donne hai stretto tra le braccia?

“Volevo chiederti scusa, Oscar...per...tutto e...per...non aver mai dato mie notizie in questi anni. E anche ringraziarti per esserti presa cura di mia nonna”
Lei scosse il capo come a dire che no, non importava, non importava davvero. Che in realtà era stata Marie a prendersi cura di lei...
“Ma io..”
“Non mi devi alcuna spiegazione Andrè”- sorrise. E lo pensava sul serio. Aveva avuto modo di pensarci fino allo sfinimento.
“Fersen mi ha detto che hai degli affari in America...ho quasi timore a parlare con te...mi sembra di non riconoscerti più
“E’ per i capelli vero? Stanno tanto male?”
Il tono fintamente accorato la costrinse a voltarsi di scatto, spiazzata. Gli occhi resi più grandi dallo stupore. Ma al suo fianco ritrovò lo sguardo impertinente e quel suo sorriso scanzonato che gli illuminava il viso a giorno.
E quando faceva così non gli si poteva proprio resistere. Non ci era mai riuscita. Avvertì le labbra stirarsi in un sorriso, sempre più ampio fino a tramutarsi in una risata schietta, che immediatamente contagiò anche lui, trionfante per quel risultato. E ridendo rispose con ciò che riteneva essere semplicemente la verità.
“No, non direi. Stai benissimo così...”
Andrè era talmente preso dalla reazione di lei che non si era nemmeno reso conto di quel complimento, per nulla velato.
Perchè era meraviglioso vederla così, come nessun altro mai era sicuro avesse fatto. Era la sua risata argentina ora a riempirgli il cuore; l'aveva sempre sentita talmente sua in quei momenti, molto più di un'amante. E sapere che era lui ad avere il potere di trasformarla in quel modo lo rendeva gongolante d'orgoglio.
E sarebbe stata tanta la voglia di dirle che non c'era stata che lei nei suoi pensieri, che c'era stata sempre. Anche quando sembrava non ci fosse. E di dirle che era bellissima, ancora più di quanto ricordava e che avrebbe voluto stringerla come quel primo giorno e...
Ma non poteva farlo. Tutto ciò che gli uscì furono invece parole banali. Ma che la fecero rabbuiare.
“Tu invece sei sempre la stessa”

La stessa?

Lei lentamente smise di ridere e le ombre della notte si allungarono sul suo viso, riflettendosi pian piano, anche su quello di lui.
E si ritrovò in bilico, sulla sponda del mare dei suoi occhi esattamente come allora, quando anche l’universo intero si era fermato per potercisi tuffare.
Distolse lo sguardo da lui, rivolgendolo altrove e scuotendo piano la testa, mentre cercava di nascondere un sorriso amaro dietro la cortina dorata dei capelli.
E la memoria le si inondò di luce, tanta luce.
Strano come un tale particolare insignificante fosse rimasto impresso in modo indelebile nella memoria; la ricordava straripante di luce quella stanza, come mai lo era stata.
Le tende non erano state tirate. E chi ci aveva pensato alle tende!?!

La stessa? No, Andrè, non lo sono più. Non lo sono più da quella mattina luminosa in cui mi sono svegliata nel tuo letto con addosso nient'altro che le tue braccia

 

 

Un ringraziamento particolare a Mareggiata per le utili dritte... e tutto il resto. E per lei anche un pensiero: continua a scrivere!

Grazie davvero per tutti i messaggi che ho ricevuto e un grazie speciale a chi continua a seguirmi (e correggermi) da lontano.

E, come sempre, grazie a tutti coloro che passeranno da queste parti.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Prima di tutto mi scuso per la lentezza di aggiornamento ma questo novembre sta pretendendo un pò troppo da me. Però arrivo portando un omaggio da parte di Galla88 che ringrazio di cuore e che mi ha detto potrebbe non essere l'unico ;-)
Come sempre grazie per i graditi messaggi e a tutti coloro che spenderanno un pò di tempo tra queste righe.

E d'un tratto diventò più freddo. Lo smorzarsi di quella risata limpida sembrava aver spalancato le porte all’inverno, in realtà ancora in là da venire.
“Oscar, va tutto bene?”
Andrè, del tutto disorientato dal cambio repentino di atteggiamento, cercava di sporgersi il più possibile per sbirciare oltre il muro dorato che lei aveva improvvisamente eretto tra loro, provando a resistere alla tentazione di tuffare le dita tra le ciocche per scoprirle il viso e interrogandosi su eventuali responsabilità in quel mutamento. Ma questa volta no, non gli sembrava proprio di aver detto o fatto nulla di sconveniente.
“Sì...scusami”- lei tornò a guardarlo, profondamente decisa a non lasciar trascorrere invano quei momenti insieme, fin troppo consapevole che avrebbero potuto essere gli ultimi. Non sapeva cosa si agitasse nell'animo di lui ma era ben conscia avesse davanti un ventaglio di possibilità di assoluto interesse. Da una parte la proposta di Fersen che, vista l'amicizia tra i due, era sicura Andrè avrebbe, se non altro, preso in considerazione. Se poi ci si aggiungeva il fascino di quelle terre ricche di leggende di Dei ed Eroi vichinghi che tanto li avevano ammaliati da bambini e la voglia d'avventura che avevano condiviso da ragazzi quando, stesi su un prato, con il cuore leggero, fantasticavano di come sarebbe stato prendere e partire così, solo loro due, cavaliere e scudiero, era stata praticamente certa lui avrebbe accettato.
Poi si era presentata, prepotente, anche quell'altra possibilità e quell'altra vita che lo reclamava oltreoceano.
“Ma dimmi dei tuoi affari in America...se non sono indiscreta. Fersen mi ha accennato qualcosa ma lascia a te l'onore di ogni spiegazione!”
Cominciò, abbozzando un sorriso e cercando di virare su un tono volutamente lieve ed allegro.
Anche lui parve rasserenarsi, fermamente convinto che qualsiasi argomento poteva andar bene pur di restare lì a parlare con lei e tentare di ritrovare quella speciale alchimia che non aveva mai avuto bisogno di parole ma ora invece, per riemergere, ne richiedeva parecchie.
Si rilassò allungando le gambe davanti a sé ed incrociando i piedi uno sull'altro mentre, con la coda dell'occhio, accarezzava il suo viso cercando di capire se davvero le interessasse l'argomento. Non voleva certo sprecare quell'occasione di riavvicinamento annoiandola con qualcosa che avrebbe anche potuto aspettare.
“Non è un segreto, solo ancora non c'è stata occasione di parlarne...”
“Mi piacerebbe molto se mi raccontassi qualcosa”
Andrè sorrise di quella curiosità sincera, galvanizzato dalla sensazione di non essere il solo a voler riannodare fili tranciati di netto.
“In realtà non è niente di straordinario...solo un appezzamento di terreno...” - iniziò, passandosi una mano tra i capelli in un gesto antico che tradiva quell'abitudine all'umiltà, da sempre compagna delle sue azioni.
“E' tuo?”
“Sì...l'ho acquistato con i miei risparmi e la diaria di soldato...”
Oscar era consapevole che la somma in questione poteva essere tutt'altro che scarna; lui aveva sempre speso pochissimo per sé, sostenendo di non aver bisogno di molto altro oltre a ciò che possedeva e l'attendente di un ufficiale di alto grado, almeno a Palazzo Jarjayes, veniva equamente ricompensato per i suoi servigi.
Una folata di imprecisata gelosia venne messa istantaneamente a tacere da quella parte del cuore che esultava e traboccava d'orgoglio per ciò che era diventato quel bambino sparuto e solo, conosciuto un giorno di primavera, a pochi passi da dove sedevano in quel momento.
“A che scopo?”
“Coltiviamo tabacco”
Andrè sorrise apertamente per l'espressione di puro stupore comparsa all’improvviso sul viso di lei. Le labbra socchiuse in quel modo che, in parte, gli ricordava la bambina curiosa che era stata e, per il resto, la donna così innocentemente sensuale che gli aveva fatto perdere del tutto la ragione, lo riempì di qualcosa a cui non riusciva nemmeno a dare un nome, o meglio, ci riusciva benissimo ma ai fini di quella serata era meglio non pensarci nemmeno.
Cercò di concentrarsi sull'immagine più remota, quella bambina e, con un autocontrollo che pensava di non possedere più, si limitò a darle un buffetto sul naso, come faceva allora, quando lei gli allontanava poi bruscamente la mano come fosse una mosca fastidiosa. E come fece, in un movimento incondizionato, anche in quel momento, facendo risplendere sorrisi impacciati sulle rive opposte degli stessi ricordi sereni.
Al momento gli unici a cui potersi aggrappare per evitare di inciampare e sbucciarsi di nuovo l'anima.
“Tabacco? Ma tu che ne sai?”
Dalle labbra di Oscar sfuggì un lieve grido di sorpresa, insieme ad una risatina divertita. Lei del tabacco sapeva soltanto che era un'importante fonte di reddito per la Corona e che aveva fruttato una quantità ingente di livres alle casse dello Stato così come alle tasche dei più rinomati gioiellieri di Parigi, i quali, cavalcando quella moda, si ingegnavano a produrre un'ampia varietà di tabacchiere, alcune vere opere d'arte, sfoggiate poi senza riguardo alcuno, al solo scopo di dimostrare che si era abbastanza ricchi da potersele permettere.
Anche suo padre aveva ceduto a quel vezzo e lei aveva ben presente le scatole cesellate e smaltate, in bella mostra sulla scrivania nello studio al primo piano. E anche il lieve e acre sentore di fumo che aleggiava costantemente tra quelle pareti calde di boiserie, luogo di decisioni che avevano costellato e segnato la sua vita.
Non si era mai resa conto o meglio, non si era mai soffermata a pensare di avere sempre associato il tabacco ad un uomo che amava e ammirava.
E il destino, con il suo opinabile umorismo, aveva deciso dovesse continuare ad essere così.
Si morse la lingua a quella domanda inequivocabilmente stupida, realizzando che l'altro aveva avuto tutto il tempo per approfondire argomenti e creare mondi che lei neanche immaginava.
“So tutto sulla coltivazione del tabacco...potrei scrivere un trattato, cosa credi!?!”
Le rispose simulando un grave risentimento, mentre sul viso gli si dipingeva una delle sue espressioni giocose.
“Ma come fai ora?"
Era evidente che lui non poteva di certo aver lasciato tutto incustodito. E anche che, verosimilmente, non avrebbe mai abbandonato tutto ciò a cui aveva dedicato dedizione e pazienza.
“Sta gestendo tutto quanto Jason”
“Non credo di conoscerlo...”
“No infatti. E' il figlio del medico che ha curato Hans”
Si guardarono in silenzio, ciascuno avvertendo tutta la stranezza di quel loro tirar tardi come vecchi amici, a scambiarsi parole neutre quando, dietro ciascuna, si nascondeva l'eco di istanti trascorsi a rubarsi il fiato e graffiarsi la pelle, tra desiderio e follia.
“Ci ha ospitati nella sua casa di Richmond, in Virginia per poterlo seguire meglio. Era molto preoccupato all'inizio...e anch'io...quella dannata febbre non scendeva e quando sembrava si fosse sulla via della guarigione, ecco che si ripresentava, come non se ne fosse mai andata...”
L'espressione di lui divenne improvvisamente cupa e impenetrabile e tutta l'ansia e la paura accumulate laggiù, si materializzarono di colpo tra loro. Ad Oscar sembrò persino di vederli i suoi pensieri, scivolare lentamente altrove, in una dimensione a cui lei non aveva accesso. Ma non era disposta a permetterlo. Non più.
Voleva riportarlo lì e tenerlo accanto a sè, in quella notte in cui stavano ritrovando un po' di ciò che erano stati. E che forse le sarebbe bastato, almeno per un pò, dopo la sua partenza.
“Così avete conosciuto tutta la famiglia....”- si intromise, guardinga, allo scopo di interrompere il flusso ramingo dei suoi pensieri.
“Sì..in realtà sono solo in tre nonostante la casa possa ospitare tranquillamente una decina di persone. Il dottore è vedovo e vive con i suoi figli, Jason, appunto, e Rosemary”
E allora fu lei ad incupirsi perchè quel nome le si era conficcato nella mente come una spina fastidiosa. Di quelle che per quanto tu prema, non trovano mai la via per uscire.
Lui non colse il suo disappunto; non sembrava imbarazzato ne tantomeno emozionato al ricordo di quella donna che, però, secondo Fersen, sembrava vantare un rapporto di assoluta intimità nei suoi confronti.
“Non saremmo potuti capitare meglio Oscar. La defunta moglie del dottore apparteneva alla piccola nobiltà francese, quindi non ci sono mai stati problemi di comunicazione. Tutti in quella famiglia parlano correttamente la nostra lingua...soprattutto Rosemary che è perdutamente innamorata della Francia”

E forse anche di te - non potè esimersi dal pensare.

“Ha vissuto qui, dunque?”
“No, no Oscar. Anche se le piacerebbe tantissimo visitare il nostro Paese. La sua è una passione nata dai racconti della madre e dai libri. Ha la testa piena di sogni. Lei è una ragazza spigliata e socievole, anche se, in tutta onestà, un po' viziata dal padre. Ma credo sia inevitabile quando ci si ritrova a crescere, da soli, una figlia femmina...”- e sorrise, nel buio, pensando che lui si sarebbe comportato esattamente allo stesso modo, che non sarebbe riuscito a negare proprio nulla ad un esserino con gli stessi occhi che lo stavano scrutando attentamente in quel momento.
“Sembri conoscerla bene...”- il tono era indefinibile. Voleva apparire noncurante e distaccato ma nascondeva una nota anomala impossibile da identificare.
Scrollò le spalle come a sottolineare l'ovvio.
“Beh...due anni possono essere infinitamente lunghi in un luogo sconosciuto. Lei mi ha fatto molta compagnia nei primi tempi, mi ha spiegato come funziona la società laggiù...insieme al fratello mi hanno introdotto in diversi ambienti, ho potuto vedere con i miei occhi condizioni di vita diverse, l'organizzazione di uno Stato che non fa più capo ad un Re...”

Poi, improvvisamente, Andrè si rese conto di non voler essere il solo a parlare.
Aveva voglia di ubriacarsi della sua voce, assaporandone ogni sfumatura, per tutte le volte in cui l'aveva sognata e mai ritrovata al risveglio.
E per tutte le volte in cui, quel timbro unico, lo avrebbe voluto accanto prima di dormire per non dormire poi affatto. E anche per tutte le notti in cui l'aveva desiderato sul cuscino, sfatto di gemiti languidi, simili a quelli di una realtà che aveva preso la consistenza del sogno. Ma che aveva fatto molto più male.
Desiderava scoprire come aveva impiegato ogni singolo istante in cui lui era stato lontano, e sì, era consapevole di provare invidia per chiunque avesse avuto l'occasione di sfiorare la sua vita; dalla cameriera che ogni mattina le aveva aperto le tende, nonchè dello stalliere che ogni giorno, magari, le aveva passato le redini e di ogni singolo cicisbeo della Corte che aveva potuto ammirare il suo passo elegante, mentre, fiera, attraversava corridoi e saloni, dirigendosi verso i suoi doveri quotidiani.
E anche di sua nonna.
Soprattutto di sua nonna.
La sola che avesse accesso, da sempre, a quella sfera intima e segreta, preclusa al resto del mondo e ingegnosa artefice delle soluzioni più adatte a rendere compatibili gli inconvenienti di una vita di donna con quella di un militare.
Era evidente, ai suoi occhi, l'evoluzione del legame tra le due, arricchitosi di elementi nuovi, compreso quel loro modo silenzioso di comunicare. Tanto che non aveva potuto fare a meno di chiedersi se sua nonna sapesse.
Ma si era anche risposto che non poteva essere. E se così non era stato...Dio, come aveva fatto lei a lasciarsi scivolare addosso tutto quanto?
“Ma dimmi anche di te, cosa hai fatto in questi anni?”
Lei lo osservò in silenzio, alla ricerca delle parole più adatte, ammesso ce ne fossero.
Le uniche possibili riguardavano il disordine che aveva cercato di ripristinare. Quello che lui aveva lasciato nella sua vita obbedendo alle sue stesse richieste.
Ma che aveva anche continuato, imperterrita, la sola vita che conosceva; l'unica in grado di garantire l'integrità e i valori di cui era sempre andata fiera. E di permettergli di avere rapidamente sue notizie, grazie al ruolo che ricopriva.
Il solo modo di non affondare. O almeno, le era sembrato di non conoscerne altri.
Ma che avrebbe avuto tanto bisogno di lui.

“Io? Io sono rimasta qui...”

Furono i pensieri di lei, questa volta, a vagare lontano, tra pagine che raccontavano di giornate interminabili, orfane della sua presenza, trascorse provando a dare un senso ad una vita che sembrava averli persi tutti.
E per farlo aveva dovuto chiedersi come si sarebbe comportato lui in determinate circostanze.
Lui che proveniva da un mondo diverso e che, pur non essendoci cresciuto ne conservava un particolare legame, fondamentale per cogliere particolari sottili, con il tempo divenuti evidenti anche a lei.
Provò a concentrarsi su un argomento che da tempo la impensieriva.
“Sono molto preoccupata Andrè. Ho assistito a situazioni...ho udito discorsi...e ho il sentore che lo scontento popolare vada aumentando di giorno in giorno. I sovrani dovrebbero fare qualcosa. Perchè Sua Maestà non mi chiede di scortarla per le vie della città per rendersi conto delle condizioni di vita di chi ci vive? Non l'ha mai fatto! Mi rammarica molto questa mancanza...”
Oscar parlava stringendo i pugni dall'indignazione come se la furia della tempesta incombente che avvertiva dentro e fuori si sè, potesse essere arginata solo tra le sue mani.
“Se tu vedessi che madre meravigliosa è diventata! E pensare che potrebbe essere anche una grande Regina, se solo lo volesse...ha tutte le qualità per poterlo fare!”
Andrè era molto colpito da quello sfogo inaspettato. Percepiva tutto il profondo affetto per l'altra; lo stesso che aveva visto nascere sotto i propri occhi, insieme a quella devozione che ora Oscar stava cercando di mantenere salda nel proprio cuore.
“E il popolo invece non lo sa! Le condizioni dei cittadini peggiorano di continuo e la gente muore per le strade...i più deboli, i bambini...”
Il tono di lui si fece serio.

“Sono cose che hai sentito?”

“Sono cose che ho visto!”

Era sempre più tesa e ora stringeva le mani in grembo, un pugno serrato dentro l'altro perchè altro non c'era, di più solido, per reggere la potenza di quell'onda d'urto.
Ed iniziò a tremare di rabbia.

“Dove?”

“A Parigi...e nelle campagne”

In un groviglio di affetto, pena e dolore, Andrè, delicatamente, le afferrò una mano, la più vicina, ancora talmente serrata che dovette forzare per infilarci le dita ed intrecciarle a quelle affusolate di lei, palmo contro palmo, in una presa forte e decisa, sperando capisse il significato di quel gesto.
Poteva e voleva essere lui la sponda in grado di accogliere l'onda di piena.
Almeno quello glielo doveva.

“Lo so”

“Come fai a saperlo?”- gli chiese mentre la collera svaporava, sorpresa ma neanche troppo, che lui ne aveva sempre saputa una più del diavolo.

“In queste settimane ho osservato e ascoltato molto, in città”

Ed era molto preoccupato. Avrebbe dovuto parlare con Hans, anzi era deciso a portarlo con sè una sera di quelle, perchè se gli avesse taciuto ciò che pensava, era sicuro non l'avrebbe mai perdonato. E, soprattutto, era preoccupato per Oscar. Poteva solo immaginare come fosse diventata consapevole di certe situazioni ma sapeva per certo che il dolore insito in esse poteva avere effetti devastanti per chiunque; figurarsi per un'indole generosa e giusta come la sua.
E si era sbagliato. Non era vero che era sempre la stessa.

“Per questo te ne vai a Parigi la sera?”

“Sì, voglio capire come è cambiato, in questi anni, il mondo che conoscevo...”

Lei si passò fiaccamente la mano libera sul viso, facendosi sfuggire un sospiro quasi liberatorio, che chissà mai cosa si era immaginata.
Ed era così sollevata. E rincuorata. E grata ci fosse qualcuno con cui condividere quel tedio opprimente che gli si sarebbe gettata tra le braccia a farsi raccontare bugie, perchè tanto lo aveva capito che il futuro non sarebbe stato facile ne roseo. Ma nel buio, stretta a lui, a sentirlo dalla sua voce, avrebbe anche potuto crederci.
E per un attimo ci pensò davvero a chiedergli di stringerla, per scomparire sotto il lino della sua camicia e non pensare a nulla di diverso che non fosse il suo calore e la sua essenza inebriante che non aveva mai compreso cosa fosse. Ma che era semplicemente la sua.
Ancora di più quando avvertì carezze lente e circolari sul dorso della mano stretta a quella di lui che, distrattamente, ne lambiva la pelle con il pollice, quasi fosse un modo per allontanare i pensieri bui.
E ci stava riuscendo.

La magìa delle sue mani...

Quell'intreccio in chiaroscuro lo rivide vicino al viso, sul candore del cuscino, un istante prima di essere completamente travolta dall'onda impetuosa alimentata dal suo farsi strada, tenerissimo ma implacabile, dentro di lei.
E al riparo della notte, attratti da un magnetismo sempre più palpabile, stava diventando sempre più difficile staccare lo sguardo uno dall'altra.

“Oscar, io...”

Alla fine non resistette più Andrè e le tuffò davvero le dita in quella cascata d'oro che erano i capelli di lei.
Con la mano libera le portò una ciocca ribelle dietro l'orecchio, seguendone poi la curvatura in una carezza lieve, fino al lobo che, per un istante, racchiuse delicatamente tra due dita prima di proseguire e andare a disegnare il profilo della mandibola.

“Mi sei mancata...”

Oscar sembrava non riuscire a muoversi, quasi davvero quello fosse il tocco di un esperto incantatore che la teneva lì, soggiogata da una malìa sconosciuta.
Solo quando avvertì il dorso delle dita di lui sul bordo del mento, pronte a lasciarla, le fermò con una mano premendovi contro il viso.

“Anche tu...”

“Andrè! Puoi venire ad aiutarmi per favore?”
Il timbro acuto e forzatamente stridulo di Marie Grandier ricadde su di loro come un potente antidoto, in grado di spezzare qualunque incantesimo fosse stato lanciato quella notte.
Sobbalzarono entrambi, frastornati come appena strappati ad un sogno, di quelli che non si vorrebbero mai abbandonare, e si voltarono verso l'uscio dove si stagliava la figura florida della governante, già pronta per la notte, con uno scialle pesante sulle spalle e un candelabro tra le mani.

“Nonna, cosa fai ancora sveglia?”

“Mi sono ricordata di avere ancora alcune cose da fare...su, vieni ad aiutarmi!”

“A quest'ora?”

“Sì, a quest'ora! E visto che è tardi, non farmi perdere tempo!”

Andrè si grattò la testa poco convinto ma non potè impedirsi di sorridere di quella vecchietta caparbia. Se aveva deciso di sbrigare incombenze a quell'ora, non ci sarebbe stato verso di farle cambiare idea. Scosse il capo, rassegnato, prima di portarsi due dita alla fronte, in un improvvisato gesto militare e si predispose a seguirla.

“Agli ordini Generale Grandier!”

Prima di muovere un passo si regalò un ultimo sguardo ad Oscar e a lei regalò un sorriso carico di tutto ciò che non poteva e non riusciva a dire.

“Buona notte Oscar”

E lei, all'improvviso, sembrò ricordare una cosa importante e lo richiamò con una certa urgenza.

“Andrè?”

“Sì?”

“Se dovessi aver bisogno...per i tuoi affari...sono sempre un Comandante delle Guardie Reali...sì insomma...conta su di me...”

Nel raggio di luce di una lanterna che si sarebbe consumata prima dell'alba, Oscar riuscì a vedere distintamente lo sguardo di lui cambiare e riempirsi di qualcosa che aveva invaso anche il suo animo. Non sapeva esattamente quale miscela di sentimenti contenesse ma ora sì, potevano davvero ricominciare.

“Grazie Oscar. A domani”

A domani
Due parole qualsiasi, insipide, banali. Ma sapere che almeno quel domani lui ci sarebbe stato, le riempiva di tutt'altro sapore.

 

Marie Grandier non aveva potuto fare a meno di intervenire; era stato più forte di lei quando li aveva visti attraverso i vetri. La sagoma di suo nipote era inconfondibile e l’oro dei capelli di Oscar brillava comunque, brillava sempre, anche nella luce fioca di una vecchia lanterna. E aveva voluto provare a fare in modo che le cose restassero quelle di sempre, almeno per un altro po' ancora, almeno finchè non avesse capito come era cambiato, negli anni, il cuore di Andrè. Perchè quello di lei era cambiato, e tanto. Forse così tanto da non riuscire ad immaginare come sarebbero potute evolvere le cose tra loro.
La sua stanza era al pianterreno, piccola ma accogliente, e la finestra dava proprio su quella parte del parco dove loro erano cresciuti a suon di spade ed inaspettati tuffi nella fontana. Quest'ultimo aspetto riguardava soprattutto Andrè e soprattutto nei primi tempi; poi era sempre riuscito a tenere testa a Madamigella Oscar anche se riuscire a batterla, quella era tutt' altra storia.
Li aveva visti crescere lì, tra stoccate e risate, tra lividi e sudore, simulando futili rancori e beffeggiamenti reciproci.
Ma l'affetto no, quello era vero.
Lo era sempre stato e lei lo aveva sempre saputo.
Si capiva da ogni gesto e da ogni parola taciuta, come quando lei gli porgeva una mano per aiutarlo a rimettersi in piedi dopo un affondo vincente e, posata la spada, gli toglieva terriccio e fili d'erba dai vestiti, sorridendogli come a dirgli che non importava, che la volta successiva sarebbe andata meglio.
O come quando lui, pescando un fazzoletto dalla tasca, le asciugava il sudore dalla fronte prima di passarlo a lei perchè si rinfrescasse come meglio credeva.
Erano gesti semplici ed apparentemente innocenti ma era la modalità con cui venivano eseguiti a colmarli di significato. Non riusciva nemmeno a spiegarselo ma le era sempre sembrato che ciascuno indugiasse troppo sull'altro, che fossero sempre troppo vicini, insomma, che una contessa e suo nipote non potessero comportarsi così. Anche se nessuno ci faceva caso.
Poi era giunto il tempo per Oscar di scegliere del suo futuro e l'infanzia spensierata era stata avvolta per sempre tra le pieghe candide di un'uniforme nuova di zecca. E allora le cose erano cambiate, almeno all'apparenza.
Ma sul quel prato, quello ritagliato dal quadrato della sua finestra, vinceva sempre la complicità nata da bambini. Quella che puoi sforzarti quanto vuoi di fingere non esista più ma basta un niente, un nome, un gesto, per riportarla a galla.
Anche quella sera aveva già vinto.
Era lì, a covare sotto la cenere ma pronta a riemergere, insieme ad altro che frenava i gesti e faceva battere il cuore.
E aveva fatto danni irreparabili.
E lei aveva cercato di arginarli, per quanto possibile.
Da tempo aveva imparato a memoria le parole di suo nipote, quelle che aveva scritto per lei ma che non erano mai giunte a destinazione.
Aveva trovato quell'ultima lettera nascosta tra gli spartiti sul pianoforte, dove solo Oscar metteva le mani. Ma quella mattina, quella in cui lui se n'era andato fornendole spiegazioni che magari avevano anche un fondo di verità ma, di certo, in quel momento non erano quelle giuste, alla fine se n'era andata anche lei.
L'aveva vista scendere le scale con una striminzita sacca da viaggio che non sapeva nemmeno dove avesse trovato, preparata di fretta e in solitudine. Si era giustificata, simulando un sorriso sereno, dicendo che un soldato deve pur essere pronto ad ogni evenienza e lei, in quel periodo di congedo appena inziato (1), aveva voglia di respirare l'aria di mare.
“E Andrè?”- le aveva chiesto stupita di non vederlo già pronto e di non averlo visto nemmeno in cucina dove andava a rifocillarsi abbondantemente prima di ogni partenza.
Lei aveva deglutito e abbassato lo sguardo.
“Lui ha altri progetti...”- era stata la risposta laconica.
“Ma cosa significa, Oscar? E chi penserà al cavallo? E non avrai mica intenzione di viaggiare da sola?”
Marie aveva sfoderato una domanda dopo l'altra insieme ad un tono lamentoso, molto più di quanto in realtà avrebbe voluto ma l'apprensione stava iniziando ad offuscare la lucidità dei pensieri.
“Non ti devi preoccupare. Davvero. Mi so arrangiare e conosco la strada”
Dopo averla seguita con lo sguardo fin oltre i cancelli, come faceva tutti i giorni ma quella volta più preoccupata di sempre, era salita per riassettare i suoi appartamenti, con la mente in subbuglio e un timore nefasto ad avvinghiarle il cuore.
Aveva aperto i vetri per permettere all'aria tiepida di quella primavera avanzata di danzare nei locali, portando il calore del sole e il profumo dei roseti in fiore ma una folata di vento aveva scombinato tutte le carte e la sua vita.
Si era data della stupida, che non avrebbe dovuto aprire le finestre tutte insieme. Ma quel giorno era troppo sconvolta ed ora ci mancava solo avesse ingarbugliato documenti importanti!
Con pazienza e cercando di vincere il dolore alla schiena che si ripresentava, puntuale, tutte le mattine, si era chinata a raccogliere i fogli caduti dallo scrittoio, rendendosi ben presto conto che anche gli spartiti avevano fatto la stessa fine. Sconsolata, aveva constatato che sul leggìo non ne era rimasto nemmeno uno.
Non aveva molta scelta; avrebbe dovuto dire a Madamigella Oscar di quell'incidente che lei non sapeva in quale ordine andassero tutte quelle pagine fitte di righe e scarabocchi.
Ma sotto una pagina che aveva creduto essere la prima, visto che almeno portava un titolo -”Mozart, sinfonia n. 25 in sol minore (2)”- aveva riconosciuto la calligrafia del nipote su un foglio vergato in modo ordinato ed elegante.
La curiosità aveva avuto la meglio sulla discrezione in quella giornata così strana e non aveva potuto fare a meno di leggere.
Se non si fosse trovata già a terra sarebbe stramazzata al suolo senza ritegno. Non ricordava quanto tempo fosse rimasta seduta sul pavimento nella stanza di Madamigella Oscar a fissare il vuoto con quel foglio tra le mani ma, di sicuro, doveva essere stato tanto perchè era riuscita anche a ragionare a mente fredda, dicendosi, con un sorriso mesto, che non poteva andare che così.
Sarebbe stata una lettera da bruciare all'istante, al fuoco della prima candela capitata a portata di mano. Invece l'aveva ripiegata e posta nella tasca del grembiule, rivolgendo silenziosamente una preghiera alla Santa Vergine per averla fatta trovare proprio a lei.
In quel momento non sapeva che non l'avrebbe mai consegnata. Non sapeva proprio nulla in quel momento.
L'aveva però custodita gelosamente, ancora di più dopo la notizia della morte di Andrè. Era come avere un pezzo del suo cuore sempre con lei. Quello più segreto e, per questo, più prezioso.
E non lo sapeva nemmeno lei quante volte, la sera, aveva aperto il suo baule e, dal doppio fondo, dove teneva i pochissimi oggetti di valore in suo possesso – un crocifisso e l'anello della madre di Andrè che ormai non avrebbe più potuto ornare l'anulare di nessuna moglie - aveva tolto quel foglio ormai ingiallito per figurarselo un pò lì accanto. Per ricordarlo bambino, per ricordarli felici.
Ma sapeva che, non rivelando nulla, forse lei avrebbe potuto dimenticare. O almeno questo le aveva suggerito il cuore.
Per questo motivo, le ultime parole di suo nipote, le aveva custodite gelosamente per sè.
Solo per sè.

 

Amore mio,
permettimi di chiamarti così almeno per una volta, anche se soltanto attraverso parole di carta.
Avrei voluto dirtele mentre ti tenevo stretta a me, adagiata sul mio cuore ma non mi hai voluto ascoltare, nonostante questa sia la verità più salda su cui poggia la mia intera esistenza.
Ma va bene così. Andrò via, lontano da te come mi hai chiesto.
Dopo tutto la colpa è mia, non sarei mai dovuto arrivare a tanto.
Vorrei però raccontarti la mia verità, vorrei spiegarti che quanto successo tra noi, per me, non si riduce al tempo di una follia, ad una notte di passione impetuosa.
Per me non è stato uno sbaglio, o meglio, lo è stato, uno sbaglio immane, perchè avrei dovuto, a dispetto di tutto, aver cura di te anche contro di te, contro di noi.
Ma Dio, Oscar, sono soltanto un uomo! Un uomo innamorato di te da che ha memoria. Comprendimi ti prego!
Ti ho sentita così vicina, così vera, così simile a me ieri sera; un'anima che urlava alla notte tutto il suo bisogno d'amore, proprio come la mia. Ed era un bisogno che non poteva essere annegato nel vino, non stavolta...neanche il tuo.
La mia mente avrebbe dovuto ribellarsi a ciò che il mio corpo e il mio cuore urlavano così intensamente ma io ti amo Oscar, ti amo da sempre e questa volta non sono riuscito ad essere razionale.
Perdonami se ti dico queste cose, perdonami se ti dipingo una verità diversa da quella che hai sempre creduto e che, forse, ti farà soffrire. Ma che senso avrebbe mentire ormai?
Voglio tu sappia che stanotte hai fatto l'amore con un uomo che ti ama più della vita, non scordarlo mai.
E' così che deve essere; non posso sapere cosa ti riserverà il futuro ma non elemosinare mai amore da chi non è in grado di dartelo. Non lo meriti.
Ed io stanotte ho fatto l'amore con te, la meravigliosa creatura sbocciata al mio fianco giorno dopo giorno, perchè volevo te, soltanto te. Ti prego, non pensare mai che sarebbe successo comunque, che sarebbe successo con chiunque.
Ora fa male, fa male da morire sapere di doverti lasciare sola ad affrontare qualcosa a cui non eri assolutamente preparata...ma non ero preparato nemmeno io, credimi.
Non voglio però andare contro la tua volontà ed importi una presenza che ti ricordi costantemente tutto ciò che vuoi dimenticare. Da parte mia posso solo dirti che ogni singolo attimo di questa notte appena trascorsa, ogni bacio che ti ho dato, ogni carezza, ogni silenzio, ogni battito di cuore, è stato amore.
Non ti dimenticherò mai Oscar. Sei stata e sempre sarai la persona più importante della mia vita.
Ma tu invece fallo, se necessario! Dimenticati di me e di questa notte! Fallo se servirà a tornare quella che eri, quella che ho intravisto in questi ultimi giorni e che tanto somigliava alla mia amica d'infanzia.
Io vorrei tu fossi felice. E' il mio unico desiderio e tutto ciò che posso chiederti.
Cerca di esserlo, ti prego.
Addio

Andrè

 

  • https://journals.openedition.org/crcv/12083 : R. Ikeda ci ha regalato una vicenda meravigliosa e immortale ma la realtà storica era un pò diversa. Esistevano infatti 4 compagnie di guardie del corpo dei sovrani (3 francesi e 1 scozzese), ciascuna comandata da un Capitano delle Guardie (Oscar avrebbe dovuto avere 3 “colleghi”) che prestavano servizio a trimestri presso la Corte.

  • Composta nel 1773 a Salisburgo dove Mozart era stato assunto, l'anno precedente, dall'arcivescovo come Konzertmeister. Lo stile di questa sinfonia è definito “drammatico ed emozionante”... da Oscar insomma ;)


 


 

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


 

Da alcuni giorni le colazioni solitarie non erano più contemplate a Palazzo Jarjayes; Andrè era entrato a gamba tesa nel ritmo statico e ordinato delle giornate, plasmandolo su ciò che aveva sempre messo al primo posto nella sua personale scala di priorità.
Lei
Quella mattina però, senza troppo entusiasmo, aveva ceduto all'insistenza di Fersen e lo aveva accompagnato in visita al segretario di Stato per la guerra, il marchese Philippe Henri de Ségur. (1)
Uomo intelligente e capace che, non a caso, era stato nominato Marèchal de France; in due parole, togliendo il de, la più alta distinzione militare del regno.
Oscar aveva letto con attenzione, apprezzandoli in tutti gli aspetti, i suoi regolamenti per la gestione delle caserme, introdotti dopo la fondazione di uno Stato Maggiore permanente, di supporto a chi della guerra non ne aveva fatto un mestiere.
Fersen aveva già avuto diversi colloqui con lui ed aveva avanzato il nome di Andrè per una ancora imprecisata decorazione militare che, tuttavia, al diretto interessato non sembrava importare granchè.
Oscar aveva notato che si innervosiva quando si cadeva sull'argomento ma per rispetto verso l'impegno dell'altro, non osava contraddirlo.
Sapeva che non sentiva l'esigenza di tutto quel chiasso, lui che dei quarti di nobiltà si era sempre fatto beffe, nel vero senso della parola. Come quando, sulla via di casa, commentava gli atteggiamenti e le conversazioni di nobili illustrissimi e fatui, incrociati nei saloni che si erano appena lasciati alle spalle.

Oscar ma non pensi che al Duca di Monfort manchi un quarto? Propenderei per quello superiore, dove è collocata la testa...”

E lei se la rideva sotto i baffi, pensando non sbagliasse un giudizio e grata per quei sorrisi che le strappava senza neanche chiederglielo. E quando si voltava a guardarlo che tanto, sulla via di casa, potevano anche cavalcare appaiati, gli scorgeva addosso un ghigno divertito e smorfie bizzarre, frutto di chissà quali pensieri.
Ma Andrè conosceva bene le regole della nobiltà e aveva deciso di assecondare Fersen. Lei aveva messo a disposizione una delle carrozze di Palazzo, la più sobria, perchè il Conte non aveva ancora voluto diffondere alla Reggia la notizia del suo ritorno e, spostandosi a cavallo, temeva di essere riconosciuto.
In quel breve viaggio a Parigi, protetti da orecchie indiscrete, Andrè aveva visto l'occasione giusta per mettere a parte l' altro delle sue intenzioni.
“Hans, ti ringrazio per quello che stai facendo ma sai bene come la penso. Non è affatto necessario”
“Sì, me l'hai già detto ma ritengo sia una cosa sacrosanta. Ci sono perfetti babbei ricoperti di gloria e onore, anche senza alcun merito. Tu che ne hai più di tutti loro messi insieme, ritengo sia giusto ti vengano riconosciuti. E non credo sarà un problema, visto che in America hai un'attività fonte di notevole guadagno anche per la Corona”
“Già...”
Andrè si era incupito poi aveva puntato lo sguardo oltre il finestrino, apparentemente concentrato sul paesaggio che scorreva oltre i vetri. Raccolte le idee nel modo migliore che gli era riuscito, era tornato a guardare Fersen, trovandolo a sua volta intento a scrutare il panorama, sull'altro lato della carrozza.
“Hans, non verrò in Svezia...”
Fersen sorrise, girandosi poi a guardarlo.
“Lo immaginavo. Pensi di tornare laggiù? Dopo tutto ciò che hai costruito, lo capirei...anzi, mi dispiace non aver potuto esserti di molto aiuto...”
Andrè scosse il capo, un po' turbato e l'altro comprese che, qualsiasi decisione avesse preso, non era stata del tutto indolore.
“No. Non subito, almeno. C'è Jason laggiù e io mi fido ciecamente di lui...”
Fersen annuì ma non disse nulla, aspettando il seguito che in realtà già intuiva.
“Voglio restare accanto a lei. Non chiedermi come lo so, ma...c'è bisogno che io sia qui. Anche se...non serve ripeterlo, ne abbiamo già parlato”- concluse tornando a volgere la sua attenzione ai campi di terra grigia.
“Su quest'ultima parte ho dei dubbi...e non chiedermi come lo so”- si affrettò ad aggiungere l'altro per zittirlo, facendogli il verso e alzando contemporaneamente una mano per arrestare le sue proteste.
L'espressione interrogativa di Andrè non aveva eguali e Fersen iniziò a ridere di gusto, non resistendo alla tentazione di prenderlo un po' in giro.
Mon ami, sei tu che non giochi a carte scoperte. In tutti questi anni non mi hai ancora detto chiaramente il motivo del tuo arruolamento, anche se lo posso intuire...”
“No, non puoi...”- aveva troncato bruscamente Andrè, stringendosi nel mantello.
E per un istante si ritrovarono di nuovo sulla stessa nave in un giorno d'estate.
C’era ancora quel dolore negli occhi di Andrè. Ma anche il bagliore perpetuo di un amore tenace, sopravvissuto al tempo e allo spazio, splendente più di Alpha Lyrae, il lontanissimo diamante luminoso, incastonato nel cielo estivo che entrambi avevano riconosciuto fin dalla prima notte di navigazione. E nella cui luce azzurrognola ciascuno aveva visto lo scintillio di uno sguardo perduto.
“Scusami ma...”- disse poi senza guardarlo
Fersen sorrise tra sé scuotendo il capo, a dirgli che non importava e che andava bene lo stesso, tanto ormai non si aspettava più una risposta.
“Hans, ti devo parlare di una cosa importante. Dopo, potrai decidere ciò che vuoi ma mi devi ascoltare...”
Aveva annuito, Fersen e Andrè aveva iniziato a raccontare le sue impressioni, le stesse che lei gli aveva confidato, aggrappata alle sue dita, in una notte senza luna.

Una notte che si era rivelata un piccolo stravolgimento, stava valutando Oscar con la mente vuota o forse talmente piena da sembrare vuota, in contemplazione della sedia davanti a sé, vuota anch'essa, tornata ad essere “quella di Andrè”. Tutte le mattine, adesso, lui le sedeva di fronte, quando, insieme, rientravano dopo l'allenamento mattutino, in quelle albe fredde, già spruzzate d’inverno.
Ciascuno senza darlo troppo a vedere, pesava accuratamente le parole per non turbare l'atmosfera serena che si veniva a creare. Toccavano gli argomenti più disparati in un lento raccontarsi e riavvicinarsi, ogni giorno un passo in più. Non mancavano nemmeno gli improvvisi scoppi di risa, nel ritrovato piacere di prendersi in giro, tanto da lasciare stupefatti i domestici, che loro Monsieur le Comte in quella veste non l'avevano mai visto.
C'era un solo argomento che veniva accuratamente evitato da entrambi. Ma che riempiva tutti i silenzi e risplendeva ogni giorno di più nella sua innegabile assenza.
Lei a volte si sentiva come un ciondolo di cristallo, appesa per un filo sottile al collo di quella notte e alle parole di lui.

A domani

Le aveva detto Andrè, e lei a quel domani ci aveva pensato fino al mattino.
Anche se non sapeva di quanti domani con lui sarebbe stato ricco il futuro. Però, per un istante le era sembrato potessero essere infiniti.
E quando quel domani era arrivato lui la stava aspettando ai piedi della scalinata d'ingresso, rilassato contro la balaustra di marmo, le mani nascoste nelle tasche della marsina e due spade lì a fianco. L'aveva accolta con un sorriso timido, lottando contro il timore di essere mandato al diavolo e cercando di mascherare tutto il turbamento della sera prima, che l'aveva preso forte ad averla avuta così vicina in quel modo che non si riusciva neanche a spiegare e che era rimasto lì, alle soglie del cuore perchè per un istante gli era persino sembrato che lei....
“Ti va di batterti con me? Come ai vecchi tempi”
Aveva deliberatamente ignorato il suo abbigliamento inadatto ad un duello all’arma bianca e il mantello già sulle spalle ad indicare tutt’altro programma. Lei si era fermata, un piede ancora sull’ultimo gradino, con lo sguardo confuso e un po' assente di chi ha dormito poco ma ha ben chiaro in testa un altro ordine a scandire la giornata.
Ma in un angolo della mente già si stava affacciando la possibilità di ricomporre quell'ordine in modo diverso.
Andrè l'aveva osservata in silenzio in attesa di risposta, convinto più che mai dei propri propositi.

Lei...che non doveva più restare sola

Non sapeva quali battaglie si fossero combattute nel suo cuore in quegli anni che avevano trascorso lontani, e neanche quali si fossero concluse con una vittoria, ma aveva sentito che il loro legame esisteva ancora. E sapeva che lo aveva sentito anche lei.
E allora aveva provato a rispolverare tattiche antiche e, davanti alla sua indecisione aveva sguainato l’unica l'arma che in quel momento avesse tra le mani, quella della provocazione. Alla quale lei aveva sempre risposto. Non c’era mai stato verso di farla desistere, a costo di cacciarsi in guai seri. E lui con lei.
“Perchè tentenni? Temi che possa batterti? Avresti ragione sai? Ho fatto parecchia esperienza in questi anni...” - l'aveva punzecchiata con un sorriso di sufficienza.
Lei aveva avvertito un angolo della bocca piegarsi all'insù, in un ghigno a metà tra il divertito e l'ironico.
“Ah sì? E con chi? Con Fersen? Ti ricordo che l'ho sempre battuto in passato”
“Lui sì..”
“Anche te...”
“Allora non hai di che preoccuparti”- aveva fatto spallucce ad indicare che non c’era proprio alcuna ragione di tirarsi indietro. Poi aveva sorriso afferrando una spada e allungandola verso di lei.
“Dai Oscar! Come una volta...”

Dai Oscar, dammi la possibilità di ritrovarti...

Il richiamo era forte, la tentazione irresistibile.
Alla fine aveva sorriso e, impercettibilmente, annuito. Aveva lanciato uno sguardo dietro di sé, oltre le scale, verso la sua stanza che, improvvisamente, le era parsa troppo lontana.
“Lasciami solo il tempo di cambiarmi”
“Non mi muovo da qui...non vorrei proprio te la svignassi per timore di perdere. Eh sì...”
Andrè aveva assunto un’espressione allusiva ed allargato le braccia, sospirando di comprensione.
“Sarebbe per te il solo modo di vincere”
E si era dileguta al piano di sopra per poi scendere di nuovo le scale con passo leggero, abbigliata come lui e gli aveva tolto la spada dalle mani.
“Vediamo un po' cosa ti hanno insegnato gli yankees

Il duello era iniziato, con ritmi sostenuti fin da subito, un po' per combattere l'umidità che penetrava a fondo, fino alle ossa; un po' per la voglia di provare a ritrovare quell'età in cui bastava volteggiare con la spada in mano per sentirsi in pace con il mondo.
Tra affondi sempre più incalzanti, l'orizzonte si era schiarito e i raggi di un timido sole avevano iniziato a dileguare la foschia, mostrando i contorni di un altro duello, di un giorno più tiepido, di un cielo arrossato dal tramonto. E anche di un dolore nuovo che aveva destabilizzato un cuore troppo acerbo.
Oscar aveva ricordato a se stessa che, probabilmente, la burrasca da cui erano stati travolti aveva iniziato a mostrarsi proprio in quel pomeriggio infuocato che, lentamente, avanzava verso la sera.
Quando all'immagine nota e confortante dell'amico si era sovrapposta, per la prima volta, quella di un uomo.
Un uomo che parlava d'amore.
Senza averlo mai vissuto.
Anche Andrè aveva ricordato un altro duello e un pomeriggio trascorso a nascondere il cuore mentre lei riservava a Fersen sguardi e sorrisi.
E una donna che pretendeva di parlare d'amore.
Senza averlo mai vissuto.

Tra domande urlate al cielo e inutili tentativi di spiegarsi l'inspiegabile, lei era tornata tante volte a quel giorno in cui si erano addentrati in un territorio inesplorato.
Fersen se ne era appena andato, dopo una visita non annunciata e un pomeriggio passato a tirare di scherma per provare a concentrarsi su qualcosa che non fosse la figura aggraziata della prima donna di Francia.
Avrebbe dovuto soffocare l'amore. C'è gente che ama una persona tutta la vita senza che questa lo venga mai a sapere”
In un primo momento aveva finto di non udire le parole sommesse di Andrè, per crogiolarsi ancora un poco nei suoi patemi d'animo, sospesa tra il dolore e il sollievo di doverli celare al mondo e convinta che nessuno mai avrebbe potuto comprenderli.
Fersen e Maria Antonietta si stavano consumando al fuoco di un amore che li divorava da dentro senza avere la giusta età e la giusta esperienza per poterlo arginare. Ma, per la prima volta, anche lei stava iniziando a chiedersi come sarebbe stato bruciare di quelle fiamme, accese dallo stesso uomo stregato dalla Regina di Francia. E a come ci si dovesse sentire nella consapevolezza di amare ed essere riamati in modo così assoluto e incondizionato. Ma con tutte le sue forze stava cercando di non cedere a ciò che avvertiva come un tradimento del cuore oltre ad un atto di lesa maestà.

Taci Andrè, cosa ne vuoi sapere tu? Tu che non..?

Era la prima cosa che aveva pensato nell' udire quel ronzìo di sottofondo che l'aveva rubata ai suoi ingombranti pensieri, facendole provare un fastidio mai avvertito prima.
Si era girata, silenziosa e guardinga, ad osservare il suo amico di sempre, apparentemente assorto nella contemplazione di tutte le sfumature d’abito che può sfoggiare una mela.

Cosa ne vuoi sapere tu? Tu che non..?

Tu che non...cosa…?

Si era soffermata a pensare, mordendosi un labbro, che non c'era proprio alcun motivo per cui lui dovesse essere escluso dal poco ambito girone degli innamorati infelici.
Era successo a Fersen, era successo addirittura alla Regina di Francia, stava succedendo anche a lei, contro ogni previsione.
Perchè non a lui? Si era data della sciocca, constatando tra sé che le sofferenze del cuore non erano certo una prerogativa dell'aristocrazia.
Il tono affranto e le spalle curve in avanti, quasi fossero cariche di un peso troppo gravoso, le avevano dato una sensazione inspiegabile, come se...
Come se...stesse parlando di se stesso.

Non era cieca ne sorda anche se faceva finta di nulla, che tanto non le era mai sembrato doveroso intervenire. Ma vedeva il modo in cui le dame arrossivano e sghignazzavano dietro i ventagli intarsiati, al loro passaggio nei saloni e nei corridoi.
C'era stato un tempo in cui, stizzita, pensava fossero espedienti per catturare l'attenzione del giovane ufficiale di Sua Maestà, poi un altro in cui, stupita, e ancora più stizzita aveva capito che, in quel mondo fatuo, anche chi non aveva un titolo poteva suscitare interessi di vario genere e far sciogliere bambole ingioiellate con un semplice sorriso di cortesia.
E allora le montava una rabbia cieca perchè Andrè era suo amico. Sì, frequentava la Corte per lavoro ma non avrebbe mai tollerato venisse usato come lenitivo ai pruriti di dame annoiate, alla ricerca di un diversivo.
Sapeva fin troppo bene come funzionavano le cose; fin dai tempi della Du Barry e delle dame della sua cerchia, vere esperte della materia. Correva voce che addirittura la maîtresse en titre avesse la sfacciataggine di avere altri amanti oltre a Sua Maestà. Pur conservando un fascino notevole nonostante l'età, Luigi XV, forse, sotto le lenzuola, lasciava vuoti da colmare con un corpo più giovane e attraente. E Andrè lo era.
Giovane di certo, attraente evidentemente pure.
Nei primi tempi a Corte, grazie all'udito fino aveva captato frasi spezzate da risolini isterici su quanto fosse desiderabile l'attendente del Capitano Jarjayes; un giovane che andava “svezzato” ed “avviato a certi piaceri” da questa dama piuttosto che da quell'altra. Che tanto nessuna sarebbe stata gelosa. E lui “era così giovane e prestante che avrebbe potuto, senz'altro, soddisfarle tutte”.
Ecco, sentire parlare del suo amico d'infanzia alla stregua di un oggetto la faceva imbestialire, ancora più di quando di certi discorsi era lei la protagonista.

E aveva udito anche i commenti frivoli delle domestiche a Palazzo. Ricordava quella Mylène, ad esempio, che sembrava completamente rapita da lui. Un giorno che la nonna era impegnata altrove, lei era stata incaricata di aiutarla con il bagno ma, mostrando un'insolenza senza pari, l'aveva lasciata ad attendere, mezza svestita, perdendosi, con aria sognante, a guardare Andrè nel cortile di sotto, intento ad aiutare il mugnaio nello scaricare sacchi di farina.
Oscar l'aveva catalogata come un'insolenza ingenua, dovuta alla giovane età, quando, indossata di nuovo la giacca, l'aveva affiancata davanti alla finestra per scoprire il motivo di tanto interesse. Dopo aver alzato gli occhi al cielo in un moto di esasperazione, era stata a guardarla, a braccia conserte, in attesa e con una muta quanto evidente domanda stampata sul viso: “allora ma chère, cosa vogliamo fare?”
Sentendosi addosso lo sguardo dell'altra, Mylène era arrossita fino alla punta dei capelli e si era quasi prostrata ai suoi piedi, profondendosi in scuse, consolidando così, in lei, l'idea che Andrè non potesse avere nulla a che fare con quelle sciocche.
Lei lo conosceva bene; avevano giocato insieme, riso insieme, studiato insieme. Erano anche quasi annegati insieme. Lui di certo preferiva passare il tempo in modi più costruttivi che lasciarsi adulare da frivole smancerie.
O forse no?

Aveva indugiato con lo sguardo sui capelli scuri per poi lasciarlo scorrere sulle spalle ampie, nascoste dalla camicia, insieme alle braccia tornite dagli allenamenti e dal lavoro fino ad arrivare alle sue mani, grandi ma eleganti e curate, intente ad accarezzare distrattamente le rotondità della mela. Per un brevissimo istante, le si parò davanti agli occhi l'immagine nitida di quelle mani intente a lambire altre curve.
Ed aveva sentito montare la rabbia, inspiegabile e incontenibile. Perchè tutti sembravano conoscere qualcosa che per lei era, invece, completamente estraneo? Lei e Andrè non avevano mai toccato certi argomenti.
Ma aveva iniziato lui.
Con il suo peggior cipiglio indagatore, reso più pressante dal fastidio che avvertiva, alla fine glielo chiese.
“Stai parlando di te?”
Lui si era riscosso, spiazzato, che mai si sarebbe aspettato una domanda del genere.
Ma aveva iniziato lui, ammise a se stesso.
Non si era aspettato di dover argomentare; non era nell'indole di lei lasciarsi andare a certi discorsi. Ma evidentemente Fersen era riuscito a scalfire la scorza dura del soldato. Avvertiva il cuore scendere sempre più a fondo ma, inaspettatamente, una parte di sé gli era grata per questo.
“Come dici Oscar?”- si era girato a guardarla, sperando di aver capito male.
“Ti ho chiesto se stai parlando di te. Mi sembri molto coinvolto da ciò che dici”
Il tono era freddo e indagatore e lo aveva infastidito. Ma aveva finito con lo scusarla. Lei non sapeva nemmeno come iniziarli, certi discorsi.
Si era sentito avvampare ma aveva cercato di mantenersi impassibile. Tanto, non avrebbe mai potuto rispondere sinceramente.
“No, no Oscar. Dicevo così per dire.”
“E allora come fai a saperlo? Parli di qualcuno che conosci?”
Lui era tornato a rivolgere le sue attenzioni alla mela, cercando di mostrare un distacco che non provava per nulla.
“E se anche fosse Oscar? Che importa? Ognuno deve fare i conti con il proprio cuore”
E poi era tornato a fissarla, in modo profondo e serio. Come aveva fatto poche volte in vita sua. E in tutte quelle occasioni sembrava fosse a conoscenza di verità di cui lei, in fondo, si vergognava o delle quali non era del tutto consapevole.
“Non sei d’accordo?”
Lei aveva abbassato lo sguardo, incapace di sostenere quello smeraldino di lui, stupita dalla freddezza che emanava che per lei il verde era sempre stato un colore caldo proprio perchè era il colore dei suoi occhi. Poteva dire ciò che voleva il maître che dava lezioni di pittura alle sue sorelle e delle cui nozioni poi loro si riempivano la bocca!
“Sì”

Era calato il silenzio, un silenzio pesante, mentre lei era tornata ad osservare il mondo oltre i vetri, alla ricerca di chissà quale risposta.
“Andrè?”- lo aveva chiamato piano, quasi a scusarsi della sua uscita e dei toni di poco prima.
Lui non era riuscito ad articolare nessuna parola, in preda ad un turbamento difficile da gestire in sua presenza.
“Mmh?”
“Tu cosa avresti fatto al posto di Fersen?”

Dio Oscar, ma come faccio a risponderti!

“Non credo mi ci troverei mai al posto di Fersen”- aveva risposto tranquillamente, con un mezzo sorriso ironico, provando a concentrarsi sul fatto che gli mancavano secoli di nobiltà alle spalle e cercando di evitare il vero senso di quella domanda. Quello che intendeva lei.
“Perchè? Non hai mai provato nulla per nessuna dama, a Corte, o per nessuna delle ragazze qui a Palazzo? Quella Mylène ad esempio...”
Il sorriso da ironico divenne amaro, mentre continuava a giocherellare con la mela.
Magari avesse provato qualcosa per un’altra che non fosse lei!
“No Oscar, non ho mai provato nulla. Se vuoi sapere se mi sono mai innamorato di qualcuna di queste donne, la risposta è no”
Era la verità, in fondo. Poi, rendendosi conto di non farcela più, aveva provato a distogliere l'attenzione da se stesso.
“E poi mi sembra non sia un gran affare. Guarda Fersen ad esempio; sembra che questo grande amore gli dia più sofferenza che gioia. Ho l'impressione che si senta in colpa per quello che sta accadendo.”
Lei aveva appoggiato la fronte al vetro e parlato con rassegnazione e amarezza, rivolgendosi forse nemmeno a lui ma semplicemente a se stessa.
“Ma cosa ne sai Andrè? Se nessuna donna, là fuori, è riuscita a rubarti il cuore...come pretendi di capire ciò che prova lui?”
“Già, forse hai ragione tu...”
E le sue labbra si erano stirate ancora di più, in un sorriso di amara consapevolezza.

Ciò che non si possiede non può essere rubato...il mio cuore non mi appartiene più e tu non te ne sei neanche accorta...

E quando aveva ripreso a respirare normalmente, lei era tornata alla carica, forte di quella rabbia che le veniva dal non comprendere fino in fondo se stessa e, forse, neanche lui. Si era girata di nuovo a guardarlo, la stizza nascosta dietro le iridi azzurre.
“E allora tutti quei “discorsi da uomini” che si sentono a Corte? Ti ho sentito, a volte, sghignazzare con Girodel e il suo attendente. E non dirmi che non sai di cosa sto parlando perché i corridoi della reggia li pattugliamo insieme...”
“Sì, so di cosa parli. Dunque?”- Andrè si era passato una mano sugli occhi che quella conversazione si stava rivelando il più strenuo dei duelli.
“Non riguardano forse anche te?”
Il tono era di nuovo freddo e la voce tremava, forse di imbarazzo o forse di chissà cos'altro. Ma Andrè non aveva più le forze per pensarci, tutte impiegate nel cercare risposte che non aveva voglia di dare.
“Certo che sì! Ma questo è un altro discorso e non ho voglia di farlo...non con te, almeno”
“Perchè non con me?”
“Perchè tu NON sei un uomo Oscar! Non capiresti”- aveva alzato la voce, non lo faceva mai e se ne era dispiaciuto. Ma non era proprio riuscito a trattenersi.

Si erano fissati con gli occhi fiammeggianti. Nessuno voleva cedere terreno e abbassare lo sguardo ma la rabbia montava, per motivi diversi.
“Usciamo. Voglio battermi ancora Andrè”
“Come vuoi Oscar”
E, stremato, si era alzato. A lui sembrava di aver già combattuto abbastanza per quel giorno.

Ma si faceva sempre come voleva lei. Lui, in fondo, avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. Se quello era il modo di sfogare il tumulto che aveva nel cuore per colpa dello svedese dallo sguardo triste, che allora fosse così. Era sempre meglio che passare il tempo immersi nei discorsi di poco prima.
E lei quella volta era bellissima. Il tramonto le incendiava i capelli e il fuoco che aveva dentro le illuminava gli occhi e le imporporava le guance in un modo del tutto simile a come avrebbero potuto essere sotto l'assalto dei suoi baci.

No Oscar, non posso amare nessun'altra. Non finchè ci sarai tu in ogni mio pensiero e in fondo ad ogni mio respiro.

E anche lui non aveva potuto fare a meno di mettere anima e corpo in quel duello, per non impazzire e per averla vicina come mai altrimenti sarebbe stato possibile.
La luce del tramonto aveva giocato sporco quel giorno, dando profondità ai suoi lineamenti di uomo ed illuminando i suoi occhi che non erano mai stati di quel verde.
Ad ogni affondo lei aveva avvertito il profumo della camicia fresca di bucato, frammisto,sempre di più, a qualcosa che le aveva ricordato sottoboschi verdi di muschio giovane. Si era resa conto di come quello non fosse un sentore nuovo ma solo di non avervi mai fatto caso.
Ma qualcun'altra evidentemente sì, come era emerso dai discorsi di poco prima.
Ed ecco che l'allieva, anzi l'allievo più arguto e brillante dell'Académie Militaire, veniva superato e denigrato in un insegnamento che non sapeva nemmeno facesse parte dell'addestramento.
E la rabbia era aumentata senza sapere perchè, insieme alla velocità dei movimenti e alla forza impressa ad ogni affondo. Fino all'ultimo, in cui si erano trovati vicinissimi, ansanti e sudati, con le camicie e gli sguardi che si sfioravano, le labbra quasi.
E alla fine lei aveva vinto. Lo aveva disarmato con un abile gioco di polso.

 

Invece quel mattino di qualche giorno prima, nel loro nuovo primo duello, non aveva vinto nessuno. Avevano deciso all'unanimità per un pareggio anche se a finire a terra era stata lei, tradita da una zolla smossa. Ma avevano stabilito, ridendo, che quella non rientrava tra i contendenti.
Lui le aveva porto la mano per aiutarla a rialzarsi, perchè non si sporcasse ulteriormente con l'erba umida poi l'aveva aiutata a togliere fango dai pantaloni, come aveva sempre fatto e fin dove si poteva arrivare, facendo finta fosse normale.
“Allora è un pareggio? Sicuro che non hai niente da aggiungere?”- l'aveva provocato lei, riprendendo il tono giocoso di poco prima.
“No, confermo che ha vinto la zolla” - aveva risposto lui, forzando un sorriso distratto, la mente altrove.
“Allora vado a cambiarmi”
Non ho niente da aggiungere Oscar. Ma non capisco perchè indossi i miei pantaloni...

 

(1) Realmente esistito. Fu nominato maresciallo di Francia nel 1783

Grazie ad un'amica che mi corregge sempre, con la precisione di un cecchino e, come sempre, grazie a tutti coloro che spenderanno un pò di tempo tra queste righe.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Con una rincorsa degna di un centometrista olimpico, arrivo ad augurare ciò di cui c'è uno spassionato bisogno: un Natale e momenti sereni a tutti voi che leggete e mi dedicate tempo, pensieri, appunti e spunti.
Un ringraziamento particolare a Galla88 che mi (anzi ci) ha regalato una meraviglia, fonte di rapida ispirazione.
Ah dimenticavo: non siate troppo severi con Oscar...qui non siamo nei suoi pensieri ;)

“E così Andrè vi ha raccontato della piantagione di tabacco?”
Nel salottino da tè, illuminato da ampie vetrate appositamente studiate per catturare quanta più luce possibile anche quando il cielo ne regalava ben poca, Fersen se ne stava comodamente seduto a sorseggiare caffè, dopo una cavalcata a tre che li aveva intirizziti ma rigenerati, grazie all'aria frizzante di quei giorni insolitamente limpidi.
Aveva imparato ad apprezzare in America quella bevanda leggermente amara con il potere di rinvigorirlo nonostante la condizione fisica fosse stata a lungo lontana da quella ottimale. Spesso si era chiesto se di quella condizione di grazia non fosse responsabile chi, insieme al caffè, lo deliziava con tutt’altro genere di ghiottonerie che nulla avevano a che fare con il palato, o meglio, lo avevano, ma non nel senso più comune del termine. La nipote del suo generoso ospite, che di nome faceva Chastity, ben presto gli aveva fatto intendere di non aver nulla a che fare con quella scelta battesimale e si era resa sì disponibile a leggere per lui nei lunghi pomeriggi d’inverno ma anche, segretamente, a soddisfare ogni suo desiderio. Addirittura quelli apparentemente impossibili, gli aveva sussurrato all’orecchio un giorno, sfiorandogli il viso con i boccoli ramati, mentre gli sistemava i cuscini di velluto dietro le spalle.

Fersen era rimasto turbato dai discorsi di Andrè ma, in tutta onestà, in un Paese governato da una delle più antiche case regnanti d’Europa, con radici che affondavano nella stirpe dei Capetingi, non gli sembrava possibile si potesse giungere a certi estremi. Fin da quei tempi sconfinanti nella leggenda, il popolo francese aveva sempre vissuto all’ombra di un Re per il quale aveva imbracciato le armi, sostenendone il nome e la gloria sicchè si era convinto che l’altro avesse esagerato.
Era stato molto chiaro e, senza mezzi termini, gli aveva dipinto una situazione davvero preoccupante.
“Lo hai visto anche tu cos'è successo in America; da tanti piccoli fuochi è divampato un incendio ingestibile...e, tuttavia, credo che nemmeno laggiù la situazione sia risolta...”
Si era chiesto come facesse Andrè, tornato in patria lo stesso giorno che ci era tornato lui, a dipingere una situazione simile e la sua conclusione era stata che, magari, fosse stato abbagliato da ciò che aveva visto e vissuto in America.
“Sì, mi ha parlato del suo appezzamento di terreno...”
Oscar sollevò il naso dalla tazza di cioccolato indugiando un istante per trattenere il più possibile l'aroma confortante, da sempre foriero di ricordi sereni (1) e puntò gli occhi alla schiena di Andrè, in piedi tra loro e la finestra oltre la quale, ogni tanto, lanciava uno sguardo distratto. Non riusciva a sottrarsi, in certi momenti, al desiderio di estraniarsi per mettere in fila pensieri e sensazioni e decidere se ascoltare quella lingua bizzarra in cui gli parlava, talvolta, il proprio cuore e che, ancora non sapeva se valesse la pena imparare.
Si erano riavvicinati parecchio lui e Oscar, molto più di quanto avrebbe potuto sperare ma molto meno di quanto sarebbe servito per smettere di stringere il cuore sotto i lacci della camicia. A volte la sentiva lontana miglia e miglia, persa in una dimensione che non riusciva ad afferrare.

Sei diventata un tale mistero Oscar...

“Un appezzamento?”
Il tono stupito di Fersen distolse l'altro dai suoi pensieri e lo costrinse ad un sorriso imbarazzato.
“Un appezzamento? Ma come...”
Il tono del Conte era sempre più incredulo e Oscar, seduta di fronte a lui, vide l'espressione del suo viso cambiare gradualmente, trasformandosi in una maschera di meravigliata euforia.
Ma prima di avere il tempo di preoccuparsi, lo sentì esplodere in una risata coinvolgente, un invito a lasciarsi travolgere, se almeno ne avesse capito il motivo.
“Non cambierai mai Andrè! Un appezzamento? Oscar...Andrè è uno dei principali proprietari terrieri dello Stato della Virginia!”
Oscar lo trafisse con uno sguardo carico di domande che quell’argomento alla fine non lo avevano mica sviscerato a fondo, ma le risposte erano tutte lì, nelle parole di lui.
“Le dimensioni non cambiano la sostanza della cosa...”
“Oh sì che la cambiano! Eri...sei uno degli uomini più amati e, allo stesso tempo, più odiati di Richmond”
Lei ci conviveva da sempre con l'ammirazione e l'invidia che accompagnano imprese di un certo tenore, ma che Andrè potesse essere odiato da qualcuno non le sembrava proprio possibile.
“Perchè lo dovrebbero odiare? Immagino dia lavoro a parecchie persone se l'entità della cosa è quella che dite, Fersen”
Fu Andrè ad intervenire; il tono serio – troppo - nascondeva verità difficili da spiegare ed accettare. Oscar avvertì un brivido percorrerle la schiena.
“Perchè ho sottratto forza lavoro agli altri proprietari, anche se ho riscattato uno ad uno i braccianti che lavorano per me...”
"Riscattato?”
“Sì”
Andrè sospirò, quello era un discorso complesso e doloroso, fatto di verità che, un tempo, aveva sperato fossero solo dicerie.
“I proprietari di piantagione utilizzano lavoratori in grado di sopportare lunghe ore sotto il sole a picco, per i quali sia possibile non pagare. Il tutto è ovviamente legalizzato.”
Lei lo guardava con attenzione, assottigliando gli occhi e cercando di leggere dentro quelli di lui, iniziando a capire.
“Stai parlando degli schiavi?”
“Sì, gli schiavi della tratta atlantica. Vengono deportati nelle colonie come forza lavoro completamente gratuita. Gratuita e riproducibile...”
“Cosa significa?”
Lui scosse il capo a dirle di lasciar perdere che proprio non se la sentiva di parlare con lei di quelle pratiche così disumane.
“Non parliamone ora, Oscar ti prego...”
Un velo di amarezza scese sul viso di Andrè e anche Fersen aveva abbassato lo sguardo. Su di sé, invece, lei avvertì colare, densa e vischiosa come miele ma molto meno profumata, l’apprensione incalzante per tutto ciò che non conosceva di un mondo evidentemente ricco di lati oscuri.

Sei diventato un tale mistero Andrè...

Lui, senza nascondere l’intento di voler cambiare discorso, spostò l’attenzione su di lei
“Ma parliamo di te. La nonna mi ha detto grandi cose...”
“Oh sì, anche a me! Mi ha detto che vi siete distinta particolarmente nella vicenda dello scandalo della collana”
Fersen appoggiò i gomiti al tavolino, predisponendosi ad ascoltare, curioso e ammirato, le imprese di quella donna coraggiosa.
“Già...”
Oscar non ricordava con piacere quel periodo buio, fatto di interminabili giornate a cavallo e di serate in cui, sfinita, si addormentava in poltrona per risvegliarsi, ore dopo, dolorante e infreddolita e si trascinava fino al letto, giusto per dare appena qualche ora di sollievo alle membra sfinite, prima di ricominciare tutto daccapo.
Avrebbe voluto dimenticare il processo e tutte le ingiurie che avevano minato molte vite, compresa la sua e le mani di De La Motte attorno al collo e il suo ghigno crudele stampato in faccia. Aveva invocato il nome di Andrè, quella volta, affinchè le desse il coraggio di lasciarsi andare e le permettesse di raggiungerlo senza troppo soffrire. Ma invece aveva percepito la sua voce risalire dal profondo, impegnata in un inno alla vita; le diceva di essere forte, di non arrendersi, che non era quello il momento.
Non lo sapeva nemmeno dove avesse trovato le forze per sfilare il piccolo pugnale nascosto nella cintola e spiazzare il suo aggressore con un colpo mirato, appena sotto il costato.
Non appena De La Motte aveva mollato la presa, lei era riuscita a mettersi in salvo ed era crollata, stremata, tra le braccia di Girodel, in attesa fuori dal monastero a nascondere l’apprensione sotto una maschera di disciplina. Aveva provato ad immaginare, per un istante soltanto, che quelle fossero le braccia di Andrè ma non ci era riuscita. Anche perchè lui sarebbe sceso fino in fondo a quell'inferno, fregandosene dei suoi ordini, e l'avrebbe portata fuori, caricandola addirittura in spalla se fosse stato necessario.
Era stata una pazza! Una pazza! E per cosa poi? Loro due erano sempre stati di più, molto di più...

Ma Oscar non fece in tempo a raccontare nulla.

La grande vetrata esplose con il fragore di un colpo di cannone, amplificato dalla quiete di un pomeriggio d'ovatta e da uno scroscio di pioggia lucente, caduta inaspettatamente su di loro, travolgendoli in una miriade di gocce scintillanti e insidiose.
Travolto dall'onda d'urto, Andrè si ritrovò a terra. La chicchera in fine porcellana che fino ad un istante prima teneva tra le dita, era finita ad aggiungere altri frammenti inservibili sul marmo ai loro piedi.
Erano scattati dalle sedie all'unisono, Oscar e Fersen. Uno correndo rapidamente alla vetrata nell'inutile quanto improbabile tentativo di acciuffare il responsabile di quello scempio con le proprie mani.
L'altra volando a terra, in ginocchio, indifferente ai frammenti appuntiti, accanto ad Andrè che non si era ancora mosso.
“Andrè! Andrè, sei ferito?”
E intanto aveva infilato le braccia sotto le sue per aiutarlo a rialzarsi
“No, sto bene.”
“Ma chi è stato? Perchè lo fanno?”- con tutta l'indignazione trattenuta nei pugni chiusi, un Fersen sbalordito e incredulo osservava la carrozza anonima allontanarsi a tutta velocità lungo la via, in direzione della città.
“Parigini arrabbiati immagino. Ricordi ciò che ti ho detto dell’attuale situazione in Francia?”
Andrè, senza guardarlo, stava cercando di togliersi di dosso quanto più vetro possibile ma l'impresa più ardua si stava rivelando quella di proteggere le mani di Oscar, impegnate assiduamente nella stessa attività.
“Fino a questo punto? Fino a sparare all'interno delle case?”
“Solo a quelle dei nobili”- aggiunse Oscar.
Fersen si stupì del suo tono, privo di ogni forma di sorpresa, come fosse perfettamente consapevole della situazione. Un tono che non scusava ma neanche condannava.
Si girò a guardarli, una accanto all'altro, una addosso all'altro per eliminare ogni insidia, percorrendo ogni piega della stoffa con mani leggere ma salde come roccia sulle spalle di lui.
Lui e lei a condividere gli stessi pensieri.
Lei e lui ad affrontare gli stessi timori.
Non riuscì a trattenere un sorriso, Fersen; tra i frammenti scomposti ai suoi piedi ve n'erano alcuni che si stavano riordinando in modo inequivocabile, svelando una nuova, disarmante, verità. E si diede dello sciocco ripensando a tutte le volte in cui si era chiesto il motivo per cui Dio avesse fatto nascere donna uno dei migliori ufficiali gli fosse mai capitato di incontrare.
Guardandosi intorno si rese conto che l’unico ferito era un illustre antenato de Jarjayes, il cui sguardo altero non era stato minimamente intaccato dal colpo in pieno petto, che continuava ad osservarli dalla sua tela.
Constatata l'assenza di altri pericoli, cercò di sdrammatizzare.
“Certo Andrè che dopo tutte le pallottole schivate in guerra, rischi di farti colpire proprio nella casa dove sei cresciuto! Sarebbe stato un gran brutto scherzo del destino!”
Fersen scoppiò a ridere non mancando di notare le dita di lei avvolgere e stringere più forte le braccia di Andrè, guidate dal timore di quella verità appena scongiurata.
“Già...uno scherzo ben poco esilarante...”
Andrè continuava a scrollarsi di dosso quanto più vetro possibile cercando di ignorare le mani di lei che non lo lasciavano e continuavano a lisciare il lino, tornando in punti già esplorati, quasi fossero carezze.
Gli percorrevano la schiena scivolando dalle spalle alla vita e poi ancora su, fino a sfiorare le ciocche scure, disegnando sentieri lievi e tortuosi, copia perfetta di altri, incisi piano sulla pelle, la notte sciagurata in cui le braccia di lei erano state la sola stoffa ad avvolgerlo.
Li aveva portati addosso per giorni, quei segni, stigmate tangibili di una realtà che non avrebbe dovuto essere, fintanto che il tempo non li aveva cancellati.
Ma la memoria, come l'amore, può osservare il tempo dall’alto, con aria di sufficienza, e beffeggiarlo con sorrisi di scherno(2)

E allora ieri diventa oggi e oggi è di nuovo ieri.

L'avverte ancora tutta l'insolenza della luce molesta che filtra attraverso i vetri delle finestre appena accostate e bussa, insistente, alle palpebre chiuse; un richiamo fastidioso e arrogante che tenta di strapparlo al sonno con la complicità di un refolo d'aria tiepida, impegnato in carezze sulle braccia scoperte.
Eppure non dovrebbe esserci così tanta luce. Non può essere già così tardi.
La mente, ancora relegata oltre i confini della razionalità, non ci prova nemmeno a trovare una spiegazione. Da troppo poco ha ceduto al richiamo suadente del sonno, dopo una notte trascorsa in contemplazione di un sogno, materializzatoglisi tra le braccia così all'improvviso che non può essere altro che quello anche se sente il bisogno impellente di stringerlo a sé, ancora una volta.
Anche se non può essere nient'altro che un sogno.
Allunga pigramente la mano, accarezzando il lino tiepido e lievemente ruvido del lenzuolo e tastando alla ricerca di quell'immagine che non se ne va, che è reale come non mai.
E questa volta c'è anche il suo tepore, lì tra le lenzuola, come se avesse davvero appena abbandonato il giaciglio.
E allora i colpi alle palpebre diventano sempre più decisi fino a spalancarle con l'irruenza di un temporale di primavera. Come quello caduto su di loro solo qualche sera prima.
Un brivido.
E la memoria che, galoppando, ritorna.
Signore onnipotente! E’ successo davvero!?!
La consapevolezza delle ore appena trascorse gli piove addosso come pioggia battente, gelida ed insidiosa.
Lei dovrebbe essere lì...
E invece non c'è, non c'è...
E allora, forse, può ancora sperare che sia solo un' illusione.
Ma deve esserne sicuro. E' un timore mai provato prima che gli fa aprire gli occhi di scatto.
La vede.
La vede e il cuore gli esplode, per tutto e per il contrario di tutto.
Lei è ancora nuda, seduta sul bordo del letto, impegnata a coprire il seno con il lenzuolo, in un barlume di ritrovata pudicizia. Lo tiene stretto come ne valesse della vita e le sue spalle tremano.
Gli dà le spalle e gli toglie il respiro.
La luce bianca di un’alba quasi estiva la avvolge e, intrecciandosi all'oro dei capelli, le dona la stessa consistenza che ha sempre immaginato per gli angeli.
E anche se non scorge le ali, sa per certo che esistono perché quella notte hanno volato insieme.

L'immagine della sua schiena nuda lo annienta; vorrebbe toccarla ma non osa. Eppure è la stessa schiena che ha avuto sotto di sé ed ha solcato ripetutamente con le labbra e la lingua, seminando baci ardenti, germogliati in brividi e sospiri, poi mutati in un canto celestiale quando è sceso più in basso, oltrepassando quelle piccole, deliziose impronte lasciate dalle dita di Venere. Due complici sentinelle, ammaliate dal suo tocco, che non si sono opposte minimamente alla discesa verso luoghi inesplorati, rubati al tocco di un pittore.


 




























E lì ha perso completamente la ragione e se stesso, stordito dall'essenza lieve di rosa, presente da sempre nelle sue narici, che andava a confondersi, sempre di più, con quel sapore di donna che non aveva mai assaggiato ma di cui si era scoperto subito ingordo tanto da volerne ancora e ancora. Si era aggrappato disperatamente alle rotondità perfette, normalmente celate sotto i pantaloni, ma era certo fosse stata lei ad aprirsi di più, permettendogli di carpirne ogni stilla e accordandogli il permesso di arrivare sempre più giù, sempre più a fondo. E lui lo aveva fatto, finchè il canto di lei non era diventato un grido e, stringendogli una mano lo aveva richiamato a sé per sprofondare nella sua bocca con un bacio affamato.

“Oscar...”- era una supplica la sua, una richiesta d'aiuto graffiata di voglia, accesa dalle forme sinuose, schiacciate sotto il suo petto e dalla passione di lei. E solo lei poteva tendergli la mano e salvarlo. Ma non l'aveva fatto.
“Fallo. Fallo, ti prego...”- gli aveva sussurrato sulle labbra prima di riprendersele ancora con un gemito languido e spazzando via definitivamente quel briciolo di razionalità che tentava di riportarlo alla ragione.
L'aveva trovata umida d'amore e non c'era proprio più niente che potesse impedirgli di bloccarla sotto il suo peso ed insinuarsi, delicatissimo ma spietato, dentro di lei.
“Scusami”- le aveva soffiato all'orecchio sentendola irrigidirsi, solo per un istante, sotto di sè. Ma lei aveva scosso il capo a dirgli che andava tutto bene e aveva cercato di nuovo le sue mani. Lui le aveva racchiuse tra le dita, formando due intrecci gemelli ai lati della chioma dorata di lei.
E quell'orecchio, troppo vicino alle sue labbra, era stato bersaglio di baci voluttuosi e di parole appassionate. Non lo ricordava nemmeno quante volte le aveva detto che era meravigliosa e che lo stava facendo impazzire assecondando i movimenti lenti ma decisi che, lo comprendeva bene, stavano portando anche lei alla follia. C'era stato solo un attimo in cui aveva abbandonato la sua mano per scostarle i capelli oltre la testa e avere libero accesso al suo collo di cigno, delizioso da mordere e morbido da baciare, una volta, un'altra e poi di continuo finchè il suo grido d'estasi non si era perso in quello di lei, soffocato dal cuscino.

Ma, nonostante tutto, ora non osa toccarla perchè non sa proprio immaginare cosa succederà adesso. O forse lo sa, ma preferisce non pensarci. Non ancora.
Lei non accenna a voltarsi e allora si fa coraggio. Deglutisce e, con le nocche delle dita le accarezza piano, pianissimo, la pelle proprio al centro della schiena, lungo il solco che l'attraversa in tutta la lunghezza e la sente ritrarsi.
“Oscar...”
La sua risposta è un sussulto, seguito dal silenzio. Un silenzio che raggela l'anima e rabbuia la mente. Non resiste più, ha bisogno di guardarla negli occhi e di capire cos'è rimasto di loro. Si alza rapidamente ed infila le culottes che gli sembra sia giusto così anche se quella notte il pudore è finito in un angolo, a terra, insieme ai vestiti.
Ma adesso è giorno.
Ed è tutto diverso.
Altrettanto rapidamente, a piedi nudi, le si porta di fronte, inginocchiandosi per poterla guardare meglio in viso e forse, anche un po' per chiederle scusa che lei non era preparata a tutto quello. Ma neanche lui.
Anche se l'aveva voluto immensamente. E anche lei.
“Oscar...”
Ma lei non lo guarda. Tiene il viso abbassato, girato di lato. Lui prova a sorridere mettendoci tutta la tenerezza che gli scoppia nel cuore in quel momento.
Ma è davvero tanto il timore che sente per lei, per loro.
Prova ad allungare una mano per accarezzarla, per stringersela contro il petto, per dimostrarle che è sempre lui. Ma lei, con un impercettibile movimento del dorso, si scosta all'indietro.
“Va bene, va bene Oscar...non ti tocco. Guardami però...”
Lei continua a scuotere lievemente il capo e a tremare piano.
“Guardami ti prego...”- anche se il tono è fermo per cercare di infonderle una serenità che non prova, la sua è una preghiera spassionata.
Allora lei solleva lentamente lo sguardo mostrando due occhi persi e lucidi di lacrime trattenute.
“Stai bene?”
Lei annuisce, inizialmente, stringendo le labbra, poi, inseguendo un pensiero che lui vede nitidamente attraversare lo sguardo azzurro, scuote di nuovo il capo e torna ad osservare il tappeto ai suoi piedi.
“E’ colpa mia…mi dispiace, non avrebbe dovuto succedere”
Prova a dire, scostando i capelli sciolti per portarli dietro le spalle che non vuole niente a frapporsi tra i suoi occhi e quelli di lei e quel dannato nastro chissà dov' è finito da quando lei lo ha tolto, ore fa.
“No Andrè, non darti colpe che non hai. Io non ho fatto nulla per impedire che accadesse...anzi...”
E, con uno sguardo allusivo rivolto al nulla, tende le labbra in un sorriso amaro.
“...è solo che...come farò a guardarti ancora come ho fatto fino a ieri?”

Come faremo...come faremo Oscar, a guardarci ancora come ieri...

Vorrebbe ribattere lui, ma non sa bene come per non ferirla di più. Si sente davvero un verme ma è pur vero che lui l'ha amata con tutto se stesso.
“Oscar...”
“Non dire niente, ti prego”
E la vede mordersi le labbra mentre con le dita stringe, ancora di più, il lenzuolo. Darebbe la vita per sapere cosa pensa in quel momento.
Poi, con voce flebile, lei parla.

“Si è arruolato, lui se ne andrà...come può esistere un amore così grande, Andrè? Io non ne avevo idea....non riesco ad immaginare azione più nobile che un uomo possa compiere in nome del vero amore...”

A lui sembra che il sole si spenga all'improvviso e nota addirittura una patina grigia scendere sulla stanza e su se stesso, ma non su di lei che invece continua a risplendere.
“Lui? C'era lui, con te, nel mio letto?”
Lei alza imrpovvisamente lo sguardo, forse stupita che lui conosca quella verità ma si rende conto che non riesce a guardarlo negli occhi.
“Cosa? Io non...”
Quell'incertezza non gli va bene; sbatterebbe la testa mille volte contro il muro per non averla protetta, questa volta. Ma vuole sapere esattamente come stanno le cose.
“Pensavi a lui mentre baciavi me? Pensavi a lui quando mi hai accolto dentro di te?”
Lei scuote il capo, sempre senza guardarlo.
“No, non pensavo a lui...non pensavo a niente”
E, almeno in quel momento, lui sente che è sincera.
“Neanche adesso riesco a pensare a niente...”
Poi, all'improvviso, scorge un lampo di determinazione nei suoi occhi e si sente raggelare.
“Andrè, credo di aver bisogno di stare un po' da sola”
“Mi vesto e ti lascio preparare con calma”
Prova a suggerire, sperando di aver interpretato bene le sue parole.
“No...io intendevo...per qualche tempo. Devo capire come gestire tutto...tutto questo”
“Posso aiutarti...”
“No, ti prego...è meglio se non ti vedo...è meglio se...per un po'... ti allontani da me...”
Lui abbassa il capo, sconfitto. E' già in ginocchio e quello è il colpo del boia.
“Va bene Oscar, farò come dici”
Lei non riesce a sorridergli ma capisce che gli è grata perchè andar via è tutto ciò che, in quel momento, può fare per lei.
“Grazie Andrè...”

 

“Andrè, Andrè..stai bene?”
La voce di lei lo riportò alla realtà e la vide sporgersi oltre la sua spalla per guardarlo in volto, preoccupata.
“Sì, perchè me lo chiedi?”
“Non mi rispondevi...”
Lui sorrise ad un palmo dal suo viso. Ecco, era di nuovo troppo vicina.
“Stavo pensando che devi stare attenta con questi vetri, potresti ferirti”

Potresti ferirti

Potresti ferirti

Rapita dal profilo delle sue labbra e da quelle parole, eco di un altro tempo, dimenticò ogni attenzione e si ferì davvero. Avvertire il dolore e portarsi il dito alle labbra per fermare il sangue, in un gesto abituale e spontaneo, fu tutt'uno.
Si rese conto dello sguardo di lui, incredulo e spaventato, non di certo per l'entità della ferita, e non riuscì a reggerlo.
“Ti ho sporcato la camicia, scusa. E' meglio se vado a medicarmi”
Andrè rimase a terra e, per provare a calmare i battiti del cuore, spostò la sua attenzione su Fersen che sembrava essersi completamente estraniato dalla realtà di quella stanza. Ma nonostante sembrasse infinitamente lontano, fu lui ad interrompere il silenzio.
“Andrè portami con te a Parigi. Voglio capire cosa sta succedendo.”

  1. Riferimento ad una os di un Natale fa; vista la ricorrenza, il richiamo mi sembrava appropriato

  2. Riferimento alla citazione dell'introduzione

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


I tempi di aggiornamento purtroppo non sono quelli che vorrei, ma dipendono da me solo in minima parte. Quindi, per l'ennesima volta, grazie...anche per la pazienza.

Era tornato a Corte, infine, Fersen.
Oscar lo stava osservando dalla finestra dell’ufficio dedicato al Comandante delle Guardie mentre, a capo del reggimento del Royal Suédois, impeccabile nella sua uniforme bianca e blu con i gradi scintillanti nel sole invernale, ne stava dirigendo le operazioni di addestramento. Tese le braccia dietro la schiena per cercare di rimediare alla sensazione di intorpidimento dovuta alle ore passate seduta ad apporre firme e sigilli.
Attività noiosa ma necessaria e, quel giorno, non aveva proprio potuto sottrarvisi.
Era stato magnifico, Fersen. Davvero magnifico. In fondo lo aveva sempre pensato.
Dopo aver dato disposizioni di riaprire la dimora di famiglia, aveva messo a parte lei e Andrè delle proprie intenzioni, maturate in fretta e senza ripensamento alcuno, davanti al volto trafitto di lame di cui le sue labbra conoscevano ogni minima imperfezione.
Era sbiancato come un morto davanti ai tratti tracciati a carboncino da una mano abile ed anonima e inchiodati al legno marcio di una porta fatiscente quasi quello fosse il solo posto degno dell’Autrichienne, con l'ultima parte della parola calcata con astio perchè “cagna austriaca” sembrava essere diventato l'epiteto preferito dai parigini quando si trattava di parlare della consorte di Luigi XVI. E spesso il rancore veniva sputato rumorosamente a terra, tra catarro e saliva, ad impiastricciare il selciato già lordo di fango e sporcizia.
Non c'era alcuna possibilità di non riconoscere quel viso usato come bersaglio di un crudele tiro a segno. Aveva fermato il cavallo, Fersen ed era impietrito; negli occhi lo stupore aveva lasciato ben presto ampio spazio prima al dolore, poi al terrore.
Ma, districando il nodo che gli si era stretto attorno alla gola, era elegantemente sceso da cavallo ed aveva tolto, una ad una, le lame conficcate nei boccoli morbidi e nel sorriso di Maria Antonietta. Evidentemente la crudeltà o l’esasperazione che aveva accompagnato quel gioco malvagio era arrivata a livelli tali che l’improvvisato lanciatore non si era nemmeno preoccupato di riprendersi i coltelli nonostante, di quei tempi, fossero merce preziosa.
Quel viaggio a Parigi era stato mesto e silenzioso.
Le ombre dei vicoli altro non erano che una pallida imitazione di quelle che, ciascuno di loro, avvertiva allungarsi sulla Francia, sgusciando dagli anfratti più remoti ed improbabili. E che si avvinghiavano saldamente a quella città dagli infiniti occhi, insinuandosi in fessure imperscrutabili.
Si era scoperta spesso, Oscar, a lanciare sguardi furtivi a porte e finestre che riconosceva. Aveva scoperto luoghi di Parigi di cui non aveva mai sospettato l'esistenza e l'esistenza di persone che nessuno sospettava.
Come Arielle, resa vedova troppo presto da un calcio di cavallo in pieno volto, che viveva all'angolo tra Rue des Rats e Rue de la Bucherie e sbarcava il lunario con mezzi non sempre leciti per far mangiare i tre figli ancora piccoli. E poi c'era Gilles che, invece i figli se li era portati via la polmonite ed ora viveva con l'unico rimasto in una soffitta gelida d'inverno e rovente d'estate in Rue des Marmousets. E tutte le povere anime dell' Hopital des Enfants-Trouvés in Rue Neuve-Notre-Dame, giusto appresso alla Cattedrale.
Erano passati anni da quando aveva chiesto a Rosalie se mai avesse potuto fare qualcosa di utile con i suoi emolumenti che per una persona sola e parca erano pure troppi. Quando l'altra aveva capito che faceva sul serio, aveva annuito e, ricordando quanto poco Madamigella Oscar tollerasse l'invadenza, senza fare troppe domande, l'aveva pregata di seguirla se quel giorno non avesse avuto altri impegni.
Da allora, intabarrata in una marsina consunta e con i capelli raccolti sotto un cappellaccio di feltro, insieme a Rosalie, si era inoltrata spesso nella disperazione di un'umanità nemmeno considerata tale, recando il necessario ben nascosto in anonime ceste di vimini. Si limitava a seguirla in silenzio per evitare di tradirsi con una parola di troppo o troppo forbita.
E presto si era resa conto di quanto le fosse necessario veder fiorire la speranza su volti fanciulli o il sollievo tra le rughe di chi era invecchiato troppo presto.
Arrivare ovunque era impossibile. La fame e la miseria si espandevano sempre di più, alla stregua di morbi legati alla scarsa igiene di cose e persone che colpivano soprattuto i più piccoli, risultando spesso fatali
Non aveva potuto fare a meno di rivolgersi a Lassonne che le aveva indicato uno speziale di sua fiducia. Dopo aver ascoltato con attenzione i sintomi che un'attenta Rosalie, al suo fianco, snocciolava uno ad uno facendoli passare per quelli di un figlio inesistente, aveva preparato una mistura odorosa di salvia.

“Per gli spasmi muscolari, Monsieur...”- aveva spiegato accorgendosi dello sguardo dubbioso di chi, probabilmente, quell'aroma lo associava ad arrosti sugosi.

“Contiene anche un pizzico di oppio, Monsieur...” - le aveva rivelato, scambiandola per l'uomo della situazione, facendole l'occhiolino, a sottolineare abitudini licenziose ben lontane dalla sua persona.

“...per l'intestino troppo sollecito. E' da usare con parsimonia. Mi raccomando di attenervi alle dosi che vi indicherò”

“E se il piccolo rigetta, mi raccomando, ripetete la somministrazione Madame”- aveva spiegato con premura a Rosalie.

La ragazza aveva carta bianca sull'utilizzo del denaro che riceveva puntualmente. Oscar l''aveva anche pregata, senza successo, di trattenere qualcosa per sé. Ma la ragazzina di un tempo era una donna ormai, fiera del suo lavoro modesto che però le permetteva di avere un tetto sopra la testa, seppur condiviso con una vecchia conoscenza della madre adottiva, e un vaso di gerani rossi sul davanzale.
Sapeva che era felice. Una volta l'aveva vista arrossire al cenno di saluto di un ragazzo bruno che le aveva oltrepassate correndo e che, per un attimo, di spalle, le era sembrato Andrè.
E il sorriso che stava per nascere le era morto sulle labbra.

Quella sera Fersen aveva preso la sua decisione, alla quale Oscar si era limitata ad annuire. In fondo non si era aspettata niente di meno.
L'intento era chiaro.
Ora che le minacce erano pericolosamente reali, voleva occupare il posto che sentiva appartenergli di diritto ed essere ciò che nessun altro avrebbe potuto mai.
La sua voce tremava raccontando di lei ed Oscar era certa avesse tenuto per sé la vera essenza del loro incontro, insieme alle lacrime asciugate a suon di baci leggeri e alle carezze sui visi umidi. Li aveva immaginati abbracciati stretti, nel salotto privato del piccolo Trianon, splendenti di una felicità in grado addirittura di adombrare quel trionfo radioso di legno chiaro e colori pastello che la Regina aveva fatto allestire per dissolvere nella luce le ombre della sua esistenza.
Andrè gli aveva sorriso di approvazione e gli aveva assestato una pacca sulla spalla. Non aveva detto nulla ma i suoi occhi parlavano.
Sembrava sapesse già tutto Andrè. Quanto avrebbe voluto avere anche solo la metà delle sue certezze. Invece, a parlare in quella lingua sconosciuta, lei non trovava mai le parole giuste.
Come in un giorno di qualche estate prima quando, avvolta da un semplice abito di mussola bianca legato in vita da una fusciacca di seta e un cappello di paglia a tesa larga per proteggere la pelle delicata dal sole, Maria Antonietta l’aveva pregata di farle compagnia.

“Sedete con me Madamigella Oscar, ve ne prego...”

Lei aveva preso posto al tavolino in ferro battuto, collocato nell'ombra fresca di una macchia di alberi, arbusti fioriti e piante dall'aspetto esotico. Un' oasi bucolica frutto di scelte precise e misure accurate volte a creare la naturalezza artificiosa che tanto andava di moda.
Le dame di compagnia si godevano il tepore del sole, impegnate in un chiacchiericcio allegro, poco lontano. Non troppo per poter accorrere in caso di richieste di Sua Maestà ma ad una distanza sufficiente da non poter udire le sue parole pronunciate quasi sottovoce.

“Secondo voi è ancora vivo?”

Non l'aveva neanche guardata in viso, quasi temesse ciò che avrebbe potuto scorgervi e dando voce ad un'inquietudine che non avrebbe potuto mostrare a nessun altro.
Nonostante sul viso risplendesse il riflesso sereno dei figli intenti a giocare nell'erba, il suo sorriso era triste.
Aveva lanciato uno sguardo al Tempio d'Amore poco più in là, forse maledicendo quel dannato Dio adolescente intento ad intagliare le frecce che l'avevano condannata ad una simile situazione, poi aveva chiuso gli occhi inspirando profondamente l'aria satura dei profumi dell'estate, quasi stesse trattenendo un ricordo proibito.
Oscar aveva seguito il suo sguardo e, con amara ironia, aveva ricordato che il Tempio era stato costruito per rendere omaggio all'amore, finalmente consumato, di Luigi XVI e della sua sposa; faccenda che aveva tenuto in scacco la Corte per anni.
Ne aveva poi osservato i lineamenti delicati e le mani minute, libere da guanti, intente a tormentare le trine del ventaglio adagiato in grembo. E aveva provato al contempo una profonda pena e una smisurata ammirazione per quella donna che riusciva a scindere i desideri del cuore dagli obblighi che la politica internazionale imponeva al suo corpo.
Anche lei aveva esultato alla nascita dell'erede al trono guidando centouno colpi di pura gioia che avvertivano la Francia di spiegare le ali e prepararsi a volare di nuovo.
Poi si era rifugiata nello stesso ufficio in cui si trovava ora, dando due giri di chiave. Tanta era l'euforia che nessuno aveva fatto caso alla scomparsa del Comandante delle Guardie, così come nessuno aveva fatto caso alla donna che, in un corridoio buio, si era chiusa una porta alle spalle per non mostrare le sue lacrime in un'ora così gaia per la Francia.

“Ne sono sicura Maestà, lo avremmo saputo altrimenti” - aveva risposto con convinzione, seguendo il leggiadro candore dei cigni sul lago artificiale.
Nella grazia dirompente di quel luogo idilliaco, con la brezza estiva che le accarezzava i capelli, si rese conto di come potesse essere facile dimenticare quanto tale artificio avesse gravato sulle spalle del popolo francese.

“E allora perchè...non ho più avuto notizie...secondo voi mi ha dimenticata?”

Il tono era incerto ma trasudava una verità ineluttabile mentre lo sguardo si perdeva sulla paglia dei tetti dell'Hameau.
Oscar aveva stretto i pugni sotto il tavolo, abbassando gli occhi. Quella manciata di case in cui la miseria era stata simulata ad arte, sbriciolando intonachi, raschiando il legno e affumicando i fumaioli, proprio non riusciva a guardarle.

“E' impossibile da credere...io...ricordo tutto di lui...”

Anch'io”

Avrebbe voluto rispondere.
E non c'era niente di più vero. Il sapore amaro dell'assenza di Andrè altro non faceva che acuire il contrasto con la dolcezza dei loro giorni insieme.
Di tutti i loro giorni.
E quella dei suoi baci.
E delle sue mani sul viso che la tenevano ferma per poterla baciare sempre di più e sempre meglio.
E più la baciava, più l'incantava.
Quanto fosse diverso quel sortilegio da quello caduto su due anime che si erano promesse l'eterno non avrebbe saputo dirlo. Ma avrebbe tanto voluto scoprirlo.
Senza nemmeno accorgersene aveva schiuso la bocca per parlare ed avere finalmente le risposte che cercava. Era già capitato che l'altra le fornisse chiavi di lettura che, purtroppo, lei non aveva infilato nelle serrature giuste.

“Sì, Madamigella Oscar?”- la Regina la guardava pendendo dalle sue labbra, impaziente e preoccupata.

Si erano guardate, stupite di quel silenzio sospeso. Poi, come si fosse ripresa all'improvviso dai fumi di un'ubriacatura, aveva cercato dentro di sé, senza trovarla, una risposta lucida e rassicurante.
Anche se Fersen non aveva mai scritto. Come Andrè.
Evidentemente per gli uomini valevano regole diverse.

“Chi potrebbe mai dimenticarvi, Maestà?” - era tutto ciò che era riuscita a dire.

Ora Maria Antonietta aveva finalmente ottenuto le sue risposte.

Oscar diede le spalle alla finestra, afferrò i guanti di pelle chiara che l'attendevano sulla poltrona damascata accanto all'uscio e si decise ad avviarsi verso casa, inquieta per le conseguenze delle notizie annunciate da quel pettegolo di Girodel nel pomeriggio.

Quando la Reggia scomparve alle sue spalle rallentò l'andatura del cavallo. I pochi contadini che si attardavano nei campi e sollevavano il capo al suo passaggio, non potevano certo immaginare la quantità spropositata di pensieri che quella figura esile, stagliata nella luce del giorno morente, racchiudeva dentro di sé.
Decisamente troppi. A partire da quelli di qualche giorno prima per poi andare indietro, fin laggiù dove avrebbe voluto riportare le lancette del tempo.

Ancora non riusciva a spiegarsi come avesse fatto ad ingannare così bene il cuore.
Eppure lui urlava di voce propria, non dell'eco di un'altro amore.
Gridava tutto il suo struggimento per un amore proibito che se ne infischiava degli obblighi di nascita e di rango, di casta e di politica.
Ma lei lo aveva identificato con l'unica situazione che fosse lecito concedersi e confuso con ciò che aveva visto germogliare e prendere forma sotto i propri occhi e che sentiva dentro di sé in modo talmente viscerale da finire con il farlo proprio.
Come le parole che una giovane Regina aveva usato per spiegare l'ingiustificabile.

“Per me era previsto un destino glorioso...”
Anche per me...

“Sono arrivata a Versailles che avevo appena quattordici anni...”
Anch'io...

“A disposizione della mia Casata ho dovuto dimenticare di essere una donna...”
Anch'io...

“Ma aver conosciuto Fersen ed amarlo dà un senso alla mia giovinezza...
Anche alla mia?

“Averlo conosciuto ed esserne riamata...
Sì, è vero. Soffre di più chi ama chi ama senza essere riamato. Ma da chi?

Che stupida! La razionalità aveva seppellito un'eventualità che non poteva nemmeno essere contemplata. Ma l'istinto era riemerso, prepotente, a reclamare la verità. Insieme al suo corpo di donna che aveva vinto la gara di velocità contro il cuore.
E lei che pensava di essersi comportata come un uomo si era invece riscoperta la più innamorata delle donne. Lei che pensava di essersi comportata come Andrè che uomo lo era davvero. La differenza era tutta lì.
Tra lei che aveva scoperto ciò che significa far l'amore e lui che l'amore lo rifuggiva, come aveva ben sottolineato un pomeriggio lontano.

E poi mi sembra non sia un gran affare. Guarda Fersen ad esempio; sembra che questo grande amore gli dia più sofferenza che gioia”

Ora sapeva che nome dare alla tensione inesauribile di quel pomeriggio rosso fuoco, quando disarmarlo non le aveva dato alcuna soddisfazione, quasi fosse rimasto qualcosa di incompiuto e irrisolto tra loro. Le era rimasta addosso la voglia irrazionale di sfogarsi, di saltargli al collo e fare a pugni fino a non avere più fiato in gola quando si erano guardati, ansanti, alla fine del combattimento. Tanto vicini da percepire il calore del fiato dell'altro.
Poi lui aveva spezzato la tensione cavando dalla tasca un fazzoletto che le aveva allungato con un gesto stanco.

“Tieni, asciugati...lo sai che se la tua salute è solo meno che perfetta, la colpa non può essere d'altri che mia”

Ma a differenza del solito, invece di aspettare avesse finito di passarsi il lino sul viso e sul collo, le aveva subito girato le spalle e si era avviato per rientrare. Sembrava volesse allontanarsi da lei al più presto e il più possibile.

“Andrè?”

Non sopportava quella tensione tra loro e nemmeno fosse arrabbiato con lei, soprattutto se non ne comprendeva la ragione.

“Dimmi Oscar”

Si era fermato dandole le spalle, nella posizione un po' incurvata che assumeva quando era assillato da pensieri che preferiva non rivelare.

“Beviamo qualcosa dopo?”- aveva tentato per barattare la pace.

“No, ho da fare”

Aveva fatto per riavviarsi ma c'era stato il tempo solo per un passo prima che lei lo richiamasse.

“Andrè!”

“Non siamo in servizio stasera, o sbaglio?”

Quel tono distaccato la faceva stare male. Ma aveva ragione.

“No...non sbagli”

“Bene...allora a domani”

Quando parlava senza rivelare niente aveva il potere di indisporla e non aveva potuto fare a meno di assumere un tono seccato.

“E cosa devi fare, di grazia?”

“Non vorrai mica che ti riveli tutti i miei segreti, no?”

Lui le aveva lanciato una rapida occhiata da sopra la spalla, insieme ad un sorriso malizioso che l'aveva irritata ancora di più.
Infine si era avviato all'interno lasciandola stupita e confusa. Non poteva immaginare, lei, quanto fosse pressante quel bisogno di starle lontano. La tensione che, a differenza sua, lui conosceva bene, era diventata insostenibile, insieme alla voglia di baciarla fino a toglierle il senno.
A lei non erano rimaste molte alternative se non quella di trascorrere la serata in solitudine. In realtà era una solitudine fittizia perché lui e la sua sfuggevolezza le occupavano ogni pensiero e facevano più rumore degli arnesi di un maniscalco.
Quando la governante aveva fatto il giro con il mazzo di chiavi per chiudere le imposte non era riuscita a tacere.

“Dov'è Andrè? E' uscito?”

“No, non mi sembra. Mi ha detto che sarebbe rimasto in camera sua”- aveva ribattuto distrattamente Marie, molto più interessata a contare quante finestre avesse ancora da chiudere.

Ma che diavolo devi fare Andrè?

La curiosità era alle stelle, la stizza arrivava pure più su. Lo considerava troppo intelligente per invischiarsi in situazioni compromettenti sotto il suo stesso tetto, nella casa in cui lavorava. Non avrebbe mai osato. Eppure...
Si alzò a guardare fuori, non riuscendo ad imporsi di stare ferma. Cacciò le mani in tasca tanto per metterle da qualche parte e si ritrovò il suo fazzoletto tra le dita.
Glielo doveva restituire; quello era un buon motivo per bussare alla sua porta.
Quando si era ritrovata davanti al legno scuro, per un attimo, la sua sicurezza era venuta meno, cancellata dalla possibilità di non trovarlo solo.
Ma aveva scosso il capo. Non le sembrava possibile.
Non in quel letto che era stato bosco incantato, galeone dei pirati, avamposto di difesa contro gli indiani e anche barricata contro gli invasori con tanto di pile di cuscini, sottratti, un po' alla volta, da tutte le stanze del Palazzo.
Lo aveva sempre sentito un po’ suo quel letto e non avrebbe tollerato venisse usato in qualche attività che non la comprendesse.
Aveva fatto un respiro profondo e si era decisa a bussare.

“Entra pure Oscar...”

Come facesse a sapere che era lei rimaneva un mistero. Solo in quel momento si era resa conto di aver trattenuto il fiato che, finalmente, aveva liberato in un colpo solo.
Lui era seduto a terra, di spalle. Solo.

“Hai bisogno di qualcosa?”

Ecco, ora sembrava il solito Andrè.

“No...io...volevo solo restituirti questo...”

Lui si era voltato senza capire, poi era scoppiato a ridere.

“Beh, ho altri fazzoletti sai? Non ti dovevi disturbare per così poco, potevi aspettare domani”

Eccole di nuovo, la sua ironia, il suo calore, la risata negli occhi e...Andrè che, spostandosi, aveva scoperto alla sua vista una serie di attrezzi da falegname, alcuni ceppi di legno e listelle già levigate. Incuriosita, si era avvicinata e gli si era seduta accanto a gambe incrociate.

“Che stai facendo?”- aveva chiesto, sinceramente stupita.

“Un regalo per Pierre”

Pierre? Chi diavolo era Pierre? Perchè lui ne parlava come dovesse conoscerlo? Doveva?

“Chi è Pierre?”

Lui l'aveva guardata sgranando gli occhi che poi aveva diretto al soffitto in un moto tra il divertito e l’esasperato e aveva scosso il capo non riuscendo a trattenere un sorriso. Non sarebbe mai cambiata; tutto ciò che la toccava di striscio, veniva ricordato allo stesso modo.

“Mio figlio!”

Aveva sbottato, sputando fuori la cosa più assurda gli fosse venuta in mente.

Ma le pupille di lei si erano dilatate di incredulità e sgomento.

“Dai Oscar! Chi vuoi mai che sia?!? Il figlio di Jacques e Mylène, no? Non dirmi che non ricordi il suo nome...”- l’aveva pungolata sapendo di avere ragione.

E lì aveva allargato le braccia, i palmi rivolti al soffitto a sottolineare l'impossibile.
Lei aveva abbassato il capo ancora indecisa se buttarla in ridere o aggredirlo per quell’inaspettato colpo al cuore. Poi, il sollievo era stato tale che ammettere le sue mancanze le era sembrata cosa di ben poco conto.

“Certo che lo ricordo. Solo non stavo pensando a lui...non è tra le persone a cui penso più spesso...”

E vuoi che non lo sappia?

Andrè aveva visualizzato distintamente la divisa scintillante dei Dragoni di Svezia, indossata da un Fersen altrettanto brillante, qualche giorno prima. Ce n'era abbastanza da abbagliare l'intera Corte, almeno la metà che usava le sottogonne. Ma aveva preferito soprassedere e continuato a spiegare.

“Tra non molto è il suo compleanno. Volevo fargli una sorpresa.”

“Cosa stai costruendo?”

“Un jeu aux dames”

“Ma non è troppo piccolo?”

“Non direi. Io e te, alla sua età, già imparavamo i rudimenti degli scacchi”

“Si ma poi ci inventavamo regole tutte nostre”

“Però abbiamo imparato. Mi è capitato di trovarlo, incuriosito, accanto alla scacchiera delle nostre partite interminabili. Ma è un bambino educato e rispettoso, non ha mai osato toccarla”

Andrè aveva sorriso al pensiero delle volte in cui lo aveva trovato aggrappato con le piccole mani al bordo del tavolino e gli aveva mostrato i pezzi uno ad uno, stando poi attento a rimetterli esattamente nello stesso posto che lei altrimenti lo avrebbe accusato all’infinito di barare.

“Infatti avevo pensato agli scacchi in origine ma è un lavoro troppo lungo...e anche così non so se farò in tempo”

“Ti aiuto io”- se ne era uscita lei, in uno dei suoi slanci di generosità.

Lui l'aveva guardata in tralce, inarcando un sopracciglio, sorpreso e divertito.

“Tu??? Ma tu non sei in grado...” - si era morso la lingua, accorgendosi subito dell'errore ed aveva assunto una posizione di difesa portando le braccia a proteggere la testa dalla furia che aveva già visto montare sul viso di lei.

“Stai mettendo in dubbio le mie capacità di apprendimento!?! Mostrami cosa devo fare e vedrai se non sono in grado!”- aveva sbraitato lei.

Lui alzò le mani in segno di resa.

“D'accordo. Ma ciò implica che questa sarà la nostra attività per alcune settimane. Ti va bene passare le serate sul mio tappeto?”

“Come non l'avessimo mai fatto! Quanti libri illustrati abbiamo letto, da piccoli, su quest'isola deserta?”

E si erano davvero divertiti come bambini. Certo che lei con un arma in mano risultava sempre pericolosa e Andrè aveva pensato fosse buona cosa non farla avvicinare a scalpelli, martello e mazzuolo ma le aveva affidato la squadra perchè, con la sua proverbiale precisione, disegnasse la scacchiera e la pialla per levigare i listelli che sarebbero andati a costruire la scatola volta a contenere il tutto.
Sera dopo sera avevano ritrovato una dimensione dimenticata, insieme a gesti spontanei e affettuosi dimenticati nell'infanzia, che fosse quello di lui che le toglieva una macchia di colore dalla guancia o quello di lei che gli scompigliava le ciocche sulla fronte per togliere i trucioli.

“Hai nostalgia di quando giocavamo agli indiani?”

“Andrè guardati, sembri un pupazzo di neve!”

Si era lasciata coinvolgere completamente da quell'attività insolita, diventandone inaspettatamente parte attiva.

“Sai Andrè, oggi pensavo che potremmo fare così...”

“Oggi quando? Hai sfiancato le tue guardie per tutto il giorno...”- aveva risposto lui distrattamente, scrutando una pedina da ogni angolazione, ad ochi socchiusi, per accertarsi non ci fossero imperfezioni.

Lei si era morsa le labbra per trattenere un sorriso birichino, ma confessando le proprie malefatte.

“Quando Girodel li ha divisi in squadre per le parate...”

Lui l'aveva guardata a lungo in un silenzio stupefatto prima di scoppiare a ridere, trascinandola con sé.

Ed ora, alla luce di ciò che aveva saputo quel giorno, nonostante l'inquietudine, non le era possibile non ridere pensando a lui che canticchiava con i chiodi trattenuti tra le labbra. Oltrepassò i cancelli di Palazzo sorridendo e ancora ridacchiava quando si appoggiò a braccia conserte allo stipite della porta di cucina, ad osservare Andrè e sua nonna impegnati a strapparsi dalle mani un canovaccio.

“Faccio io, tu non hai più l'età...”

“Starai scherzando spero! Dai qua che ne so molto più di te...”

E il sorriso ancora le accendeva lo sguardo quando li interruppe.

“Pensate che questa sia un’attività che vi compete, Monsieur le Marquis?”

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


“Pensate che questa sia un’attività che vi compete, Monsieur le Marquis?”

Si voltarono entrambi, Andrè e Marie Grandier, a quel tono gaio, così raro su di lei.

“Madamigella Oscar, avete già saputo!?!”- la nonna lanciò con malagrazia il canovaccio ad Andrè, rivolgendo tutta la sua attenzione alla nuova arrivata che annuì, sorridendo. Lo aveva immaginato che la notizia avrebbe percorso più velocemente di lei lo spazio, esiguo a dire il vero, compreso tra la Reggia e Palazzo Jarjayes.

“Gli fai comunque asciugare i piatti?”- scherzò, entrando e sedendo al tavolo sul quale prontamente Marie fece comparire un piatto di biscotti accompagnato da un tovagliolo bordato di pizzo.

“Certo! E lo farò anche cucinare! Il Marchese dei miei stivali, qui, ne deve ancora imparare di cose se vuole provvedere a se stesso e poi...”- sbottò la governante in tono sostenuto e per nulla impressionata da quella novità che, forse, aveva già elaborato in un modo tutto suo.

“Quello era il gatto, nonna...”- sbuffò Andrè, spazientito, per interrompere quel flusso continuo di parole, sedendosi di fronte ad Oscar. Voleva essere lui a parlarle. Lei, che inizialmente aveva accennato un vago sorriso, ricordando le illustrazioni a colori di un libro finito chissà dove, assunse un'aria interrogativa.

“Cosa significa?”

“Sto pensando di trasferirmi a Parigi. Già da un po' in realtà. Non posso stare qui in eterno ti pare? Cosa penserebbe tuo padre? E anche tu. Non voglio certo vivere alle sue spalle, ne tantomeno alle tue”

Lei in realtà non ci aveva proprio pensato. Che Andrè vivesse a Palazzo Jarjayes le sembrava la cosa più naturale del mondo. Ma era sensato e ragionevole ciò che stava dicendo. Annuì.

“Sai già dove andrai?”- provò ad indagare, inquieta ma neanche troppo che Parigi non era mica l'America.

“Non ancora. Pensavo...”

“Voi due, perchè non andate a parlare da un'altra parte!?! Qui, tra un po' sarà pieno di gente. La cena non si prepara con le chiacchiere e sareste solo d'intralcio!”

Marie tolse il piatto, intonso, dal tavolo ad indicare che il tempo lì era scaduto ma, prima che i due attraversassero l'arco in pietra, confine dei territori su cui regnava sovrana, richiamò il nipote con il quale scambiò un'occhiata densa di significato.

“Andrè...”

Non ci fu bisogno di parole; solo un lieve cenno di assenso a rassicurarla su ciò che si erano detti poco prima, approfittando della solitudine delle cucine a quell'ora a metà tra il pranzo e la cena.

 

Cosa farai ora?”- aveva azzardato la governante non appena il nipote aveva terminato di leggere la pergamena consegnata da un messo reale, incerta su cosa sarebbe stato meglio augurarsi.
Cosa dovrei fare?”
Te ne andrai?”
Nonna, non posso vivere qui...te ne rendi conto anche tu, no?”- aveva risposto con un sospiro sfinito, come non avesse fatto altro che pensare a quello da quando aveva rimesso piede in patria.
Certo! A dir la verità mi stupisco che tu sia ancora qui. E dove andrai?”
Pensavo a Parigi...”
Solo a Parigi? Non più lontano?”- lo aveva scrutato lei, aggiustandosi gli occhiali sul naso per coglierne ogni espressione. Il tono, quello sbrigativo di chi non ha voglia di ascoltare giri di parole.
Aveva scosso il capo Andrè, pronunciando, in un soffio appena udibile, le sue intenzioni, mentre con i pollici accarezzava la carta.
Non la voglio più lasciare”
La governante aveva preso posto al suo fianco, sul bordo della sedia, e, arpionando il suo braccio, l'aveva attirato a sè, costringendolo a guardarla.
Non fare schiocchezze, Andrè. Non ferirla di nuovo”
Ferirla??? No...e poi cosa credi che io non abbia sofferto...pensarla sola dopo...dopo...”- si era divincolato e aveva calcato le mani sul viso a schiacciare dentro di sè tutto il rimorso che ancora sentiva, seguendo il filo di pensieri che non aveva mai rivelato a nessuno.
Poi la brusca consapevolezza di un'idea l'aveva indotto ad incollare lo sguardo al volto dell'anziana donna.
Nonna...tu cosa sai?”
Lei lo aveva fissato in silenzio e solo dopo essersi alzata e aver ripreso le sue faccende, l'aveva ammonito freddamente.
Anche troppo...perciò ti sto dicendo di non farvi altro male. E non ho altro da aggiungere su questo argomento.”
Il messaggio non poteva essere più chiaro.
Lui, che non riusciva proprio ad immaginare come Oscar avesse affrontato l'argomento con sua nonna o, forse, non l'aveva fatto per niente e l'altra l'aveva capito da sè che in quella casa non le sfuggiva mai nulla, nonostante si fosse premurato di disfare il letto e appallottolare le lenzuola per farne un fagotto anonimo e depositarlo nei locali della lavanderia, aveva provato a spiegare.
Tu non sai...non puoi sapere...lei...non mi basterà una vita per dimenticarla. E non credo nemmeno di volerlo fare”
Marie si era morsa le labbra mentre strofinava con vigore il ripiano della cucina.

“Pensavo di trasferirmi qualche giorno alla residenza von Fersen...”- iniziò a spiegare Andrè, chinandosi a ravvivare il fuoco nel salottino al primo piano mentre Oscar si accomodava, accavallando le gambe, su una delle poltrone di broccato chiaro.

“...ho deciso di approfittare dell'ospitalità che mi è stata offerta perchè stare a Parigi mi è più comodo per sbrigare alcune questioni”

Lei osservò le fiamme prendere vigore, avvertendone il calore avvolgerla, insieme allo sguardo di Andrè che, nel frattempo, le si era seduto di fronte, a terra, poggiando la schiena alla colonna del camino, gli avambracci sulle ginocchia, ripiegate davanti al petto.

“E poi?”

“Poi devo trovare un posto dove vivere...”

Lei affilò lo sguardo senza capire, poichè quel titolo appena acquisito, notoriamente portava con sè anche proprietà decisamente ragguardevoli. Intuendo i suoi dubbi, Andrè iniziò a spiegare.

“Oscar, questo titolo non cambia ciò che sono. E pensare sia la conseguenza di una guerra...ti giuro che lo scambierei volentieri anche con una sola delle vite dei compagni che ho perso”

“Ma purtroppo non si può tornare indietro...”- constatò lei, annuendo assorta, e riferendosi, forse, anche ad altro.

“...e non puoi rifiutare”

“Sì che posso...potrei”- si corresse

“Ma per rispetto verso Hans che si è prodigato così tanto, non lo farò. Però ho posto una condizione”

Si guardarono e, riconoscendosi in un guizzo complice, lei si rese conto di conoscere già le parole che sarebbero uscite dalle sue labbra.

“Ho detto avrei accettato solo e soltanto il titolo; non ho voluto ne rendite ne possedimenti. Lo sai meglio di me in quali condizioni versa il popolo”

Lei annuì di nuovo, rammentando un giovanissimo comandante appena nominato colonnello pronunciare le stesse parole davanti ad una principessa da poco proclamata regina.

“Resterai a Parigi, dunque?”- azzardò con timida curiosità cercando di non alimentare, non ancora, la speranza che sentiva germogliare.

“Sì...almeno per ora”- aggiunse sottovoce, figurandosi un'onda bionda che gli sfiorava il viso, mentre cavalcavano in due sullo stesso animale, sullo sfondo cobalto delle Blue Ridge Mountains stagliate in un tramonto d’albicocca.
Non sarebbe mai più andato da nessuna parte senza di lei.

“E il tabacco?”

“Gestirò tutto da qui. Con un indirizzo stabile per la corrispondenza e il supporto di un uomo di fiducia laggiù...anzi, diversi uomini di fiducia...”- stirò le labbra in un sorriso.

“Hai organizzato un plotone di sorveglianza?”- celiò lei che avrebbe passato ore a farsi raccontare la sua vita laggiù, magari con il suo braccio attorno alle spalle, dopo esserglisi accomodata accanto, per ascoltare, insieme alle parole, anche le vibrazioni della sua voce là dove nascevano, tra le labbra e il cuore.

“Meglio...ho fatto in modo, penando non poco, che i miei braccianti siano, in parte, proprietari della terra che lavorano. Mi versano una parte dei guadagni ma il gruzzolo più cospicuo rimane a loro. In questo modo il morale è alto, la determinazione tanta e siamo riusciti ad espandere la coltivazione...e a richiamare sempre più persone”

Oscar scrollò le spalle disarmata, che da lui, ormai, si aspettava qualunque cosa.

“Beh, anche questa è strategia...”

“Già. Ed è una strategia che mi dà benessere ma non ricchezza. Non mi serve e non la voglio. Non mi è mai interessato accumulare denaro o rischiare di perderlo. Diverso è il discorso per le vite umane”

“In che senso?”

“Credimi Oscar, non sono argomenti semplici da affrontare...neanche per te che hai avuto un'educazione militare”

Lo sapeva da sempre di amarla anche per quello; per come incarnava perfettamente il codice cavalleresco e il concetto di “honnête homme” che avevano studiato insieme su quel testo di cui, al momento, non rammentava l'autore anche se avrebbe potuto giurare fosse italiano. E nessuna, davvero nessuna di quelle caratteristiche, si poteva riscontrare in ciò di cui era stato testimone sull'altra sponda dell'Atlantico.
Lei non si sentì di forzarlo a proseguire e si concentrò su altro, decidendo di rimandare le spiegazioni ad un momento migliore. A quando avrebbero avuto più tempo.

“Quando pensi di andare da Fersen?”

“Domani”

Domani? Così presto?

Consatò tra se che, obiettivamente, non c'era motivo di rimandare. Solo le costava una fatica smisurata pensare di allontanarsi da lui.

“Ti accompagno”

***

La mattina dopo, di buon'ora, erano già in sella. Andrè aveva voluto partire presto, adducendo una scusa qualsiasi per non doverle dire che non voleva tornasse sola con il buio che tanto lei avrebbe sostenuto che non faceva alcuna differenza.
Nonostante il freddo pungente annichilisse i pensieri, l’andatura era lenta, come non ci fosse la minima volontà di giungere a destinazione ma solo quella di rubare, insieme, al tempo, qualche altro istante.

“Non pensare di passarla liscia sai?”- se ne era uscito lui, con un sorriso sghembo.

“Di cosa parli?”

“Ho intenzione di venire ad allenarmi con te tutti i giorni. Ti ho trovata un po' arrugginita dopo tanti anni...”- rise sotto i baffi, pregustando la sua reazione che puntualmente arrivò.

“Che diavolo dici Andrè??? Non ricordo tu abbia mai vinto!”- iniziò contrariata, prima che il suo disappunto si infrangesse contro il sorriso di lui.

“E come potrei? Sei imbattibile Oscar...lo sei sempre stata. Sono io che ho sempre e solo da imparare da te”

Ma tuttavia quello non era abbastanza; gli si stringeva lo stomaco a pensare che il tempo dei duelli sarebbe stato il solo a loro disposizione, tanto da far risalire parole che si era ripromesso di non pronunciare, non subito almeno, per non imporle la sua presenza.

“Verrai a visitare la mia umile dimora quando mi sarò sistemato?”

“Certo! Perchè non dovrei!?!”

Ma l'impulsiva sicurezza di lei sfumò rapidamente quando alzarono lo sguardo nello stesso istante, inconsapevoli di aver formulato il medesimo pensiero che aveva qualcosa a che fare con la sensazione dolorosamente dolce, giù nelle viscere, evocata dall'idea di star soli in una casa vuota.
La strada era pressochè deserta, alla stregua dell'ultima volta in cui l'avevano percorsa insieme, a senso inverso. Ma fu il gesto di lui di allungare un braccio per portare il cappuccio del mantello d'ordinanza a riparare la testa bionda -”Copriti, fa freddo!”- a farli annegare nella pioggia torrenziale di un temporale di primavera.

 

La ruota del tempo prende a girare all’indietro riportandoli là, sotto nuvole di pece intente a riversare sul mondo tutta la loro furia.
E quella investe, travolge, penetra a fondo, fino ad intridere gli abiti, scurire i capelli e sommergere il cuore, già sulla via di affondare per tutto ciò che lei non è riuscita a lasciare sull’uscio di Fersen, come invece ha fatto con il messaggio della Regina.
E' uno struggimento senza nome quel dolore nuovo dal quale desidera solo fuggire il più lontano possibile anche se non sa se esiste un luogo abbastanza remoto e abbastanza sicuro per ripararsi da ciò che avverte come inafferrabile eppure tanto vicino da poterlo sfiorare.
Ma, di colpo, mentre sprona il cavallo al galoppo cercando di seminare i pensieri molesti, si accorge di sapere che c’è.
E’oltre l’oscurità, oltre i dardi di pioggia, talmente fitti da sembrare una muraglia in movimento. Ed è vicino, sempre di più, finchè non arriva a tuffarcisi dentro. Dentro il mantello che le getta, svelto, sulle spalle e dentro i suoi occhi, che così avvolgenti non lo sono stati mai.
E quando le sorride è sicura che il sole, per un attimo, sia riuscito incredibilmente a bucare le nubi.
Arrivano a Palazzo bagnati come pulcini ed è sempre lui che le slaccia il mantello zuppo in un movimento che sembra quasi un abbraccio e che si scopre a desiderare lo diventi davvero. Perchè a volte fa bene, a volte è necessario e non puo essere tanto sconveniente. Da bambini talvolta succedeva e tanto nessuno lo verrebbe a sapere.
Lui però non la sfiora nemmeno ma, come al solito, si prende cura di lei. Dispone che venga scaldata l'acqua per il bagno che lei spera sia caldo almeno quanto il suo sguardo che ancora indugia, preoccupato, sulla sua figura madida di pioggia. Poi si ritira nella sua stanza con un ordine velato di dolcezza.

“Riposati stasera, il regalo di Pierre può aspettare”

Ma quello è solo un breve interludio e, quando si ritrova sola, si rende conto che il temporale non è cessato.
Neanche quello all'esterno.
Mentre tampona i capelli davanti al fuoco, ode qualcuno chiudere bene le finestre e qualcun'altro correre nelle scuderie per calmare i cavalli spaventati dai tuoni. Oltre i vetri, quando lampi sporadici rischiarano il buio, riesce a distinguere le sagome frondose degli alberi secolari, squassate dalla tempesta.
E si sente esattamente allo stesso modo.
Ma la bufera può imperversare quanto vuole; potrà scalfirla, forse, ma non spezzarla.
Non su quel tappeto di semplice lana grigia.
E' un istinto innato quello che, con le punte dei capelli ancora umide, la fa uscire dalla sua stanza per ritrovarsi poi di fronte alla porta di un'altra, che trova socchiusa.

“Oscar, mi farai prendere un colpo!”

Andrè, con le maniche della camicia arrotolate fin sopra il gomito, i capelli sciolti che ancora tenta di asciugare, sbuffa di sollievo riconoscendola nell’ombra alle proprie spalle.

“Scusa, la porta era aperta”

“Si vede che Mireille, prima, non l'ha richiusa. Mi ha portato gli asciugamani puliti”

Sente che qualcosa di assolutamente fastidioso le monta dentro; non sa dargli un nome ma riconosce che ha qualcosa a che fare con l'idea di una presenza estranea in quello che sente come un luogo del cuore.

“Cosa ci fai qui?”

“Non posso venire meno ai miei doveri, ti pare? Mentre finisci di prepararti io mi metto all'opera. Hai poi trovato quel pennello più sottile che dicevi?”

Lui la guarda incerto ma annuisce. Sa che qualcosa la turba nel profondo, lo sa da tanto ormai.
E sa anche che lei non lo ammetterà mai.
Lei prende posto a terra dopo aver adunato tutto l’occorrente che ormai conosce a menadito ed inizia a lavorare in silenzio, dandogli le spalle con ancora addosso la vaga sensazione di fastidio al pensiero di lui, non propriamente vestito, davanti agli occhi di una cameriera. Lo sente muoversi alle sue spalle finchè non siede di fronte a lei, perfettamente asciutto e in ordine.
Ma quella sera la sua presenza la distrae.
C'è una cicatrice sul suo polso destro; se l'è procurata insieme a lei, lo ricorda perfettamente.
Ed è normale che le sue unghie siano così curate nonostante non si risparmi nei lavori manuali?
E, sotto la camicia che lui preferisce con uno scollo generoso, perchè almeno in casa non vuole sentirsi soffocare da bottoni o fazzoletti, è lecito si intuisca un petto così incredibilmente glabro?
Risale a cercare i suoi occhi, prendendo inconsapevolmente a fissarlo.

“Ho qualcosa che non va? Mi sono sporcato?”- interviene lui, tastandosi il viso, non appena si rende conto dello sguardo azzurro e stranamente assente, su di sè.

Lei nega con il capo e, con la schiena, si appoggia alla pediera del letto.
C'è silenzio tra loro, interrotto soltanto dai colpi degli arnesi.
Lo guarda ancora, intento a lavorare di scalpello e pensa che è bello.
Bello davvero.
E improvvisamente ricorda una matrona avvizzita dal tempo sciorinare pettegolezzi ad un crocchio di dame tirate a lucido, ridacchiando vezzosa dietro un ventaglio di piume, in modo del tutto improprio alla sua età.

Mesdames, gli uomini veramente affascinanti, qui a Corte, si contano sulle dita di una mano”

Per dar credito alla sua teoria, con le dita tozze e inanellate aveva iniziato ed enumerare.

“Il Conte Fersen. Ma lui sappiamo bene che punta in alto”- e aveva cercato la complicità della dama più vicina con un'occhiata allusiva.

“Il giovane Conte Girodel...e corre voce ci sia un gran via vai dalla sua camera da letto”- qui erano seguite risatine isteriche da parte di tutto il capannello che, evidentemente, qualcuna, quella stanza l'aveva visitata davvero.

Poi aveva fatto una pausa ad effetto per innalzare la curiosità verso il pezzo forte ed anche lei che si trovava ad attraversare con passo marziale il lungo corridoio, non aveva potuto fare a meno di ascoltare anche se avrebbe voluto tapparsi le orecchie per non udire pettegolezzi su quelle persone, a lei così vicine.

“E da ultimo, ma solo perchè non è nobile, l’attendente del Colonnello Jarjayes. Altrimenti, in tutta onestà, lo metterei al primo posto”- qui le ciance si erano concluse a gomitate che intimavano il silenzio quando il gruppetto si era accorto della sua presenza. Ma ora quelle dicerie chiuse in cantina, tornano a bussare a porte molto più vicine e, inspiegabilmente, le si stringe la gola anche se riesce comunque a chiedere ciò che, all'improvviso, la tormenta.

“Andrè, tu non vorresti mai essere da un’altra parte?”

“E dove dovrei essere?”- chiede distrattamente, ancora concentrato su un listello da levigare.

“Non so, a fare un altro lavoro, a vivere con...persone diverse”

Lui sorride tra sè intuendo che quella non è serata e che il regalo di Pierre dovrà aspettare, come da previsione. Abbandona ciò che tiene in mano e si accomoda accanto a lei, a debita distanza, con la pediera del letto a fare da schienale.

“Non nego che a volte ci penso, ma...”

“Ma?”

Come fa a dirle che non riuscirebbe a vivere nemmeno un giorno senza di lei? E che quando pensa ad un altro lavoro, immagina poi di raccontarglielo, sera dopo sera, davanti al camino acceso di una casa solo per loro?

“Ma non so se saprei abituarmi a ritmi più tranquilli. Con te la vita è decisamente movimentata, sai? Forse quando sarò vecchio e lento ti chiederò di esonerarmi dal servizio...”

E accompagna le parole con uno dei suoi sorrisi impertinenti

“Sarò vecchia anch'io a quel tempo...”

E sorride anche lei non riuscendo a figurarsi come saranno allora ma con una piacevole sensazione di sereno al pensiero che, forse, saranno ancora insieme.

“Sì, ma tu scorrazzerai ancora sul tuo cavallo”

“E' possibile”- ammette lei con un sorriso stanco.

“Sei stanca vero? Te l’avevo detto che avresti fatto meglio a riposare”

Lui intuisce che la giravolta di emozioni provate adempiendo a qualcosa che può solo immaginare ma che crede di aver indovinato, deve averla sfinita.
Ma il suo spirito di contraddizione, accidenti a lei, non l'abbandona mai!

“E' successo qualcosa di importante a Corte, di cui io non sono a conoscenza?”

Quello sembra l'ordine ad un resoconto, posto però secondo l'abitudine consolidata di far conversazione. Tra loro gli ordini non sono mai stati tali.
Ma quella sera, leggendo tra le righe, comprende che non si tratta di quello, bensì di una richiesta che proviene da un altro tempo e si traduce all'incirca con un “Mi racconti qualcosa?”.
Cerca di non dar a vedere quanto sia stupito e intenerito da quel suo bisogno di distrarsi. E quale miglior modo se non i pettegolezzi più divertenti e succulenti di cui viene a conoscenza negli ambienti meno nobili della Corte? Non che a lei siano mai interessati ma sa come renderglieli appetibili.

“Poi, quando il Barone di...”- si ferma, avvertendo qualcosa adagiarsi sulla sua spalla e quasi non crede ai suoi occhi quando si vede addosso la testa bionda di lei

“Continua Andrè...” - gli intima. Ma le sue palpebre sono già abbassate.

E lui lo fa, anche se sa che ben presto non lo ascolterà più. Era così anche da piccoli; arrivava a sera stremata pur affermando il contrario e poi piombava improvvisamente nel sonno mentre leggevano insieme libri d'avventure...e sempre sul più bello!
Non fa in tempo ad uscire da quel ricordo che il respiro di lei si è già fatto regolare e gli grava addosso a peso morto.
Allora le passa il braccio attorno alle spalle e se la stringe contro per essere entrambi più comodi. Prova pena per quel suo lato fragile di cui nessuno le ha spiegato l'esistenza, che non intacca minimamente la forza e la determinazione che possiede a iosa e che, quotidianamente, mostra al mondo.
Ma si sente un privilegiato a poterlo cogliere perchè anche di quello è fatta la sua vera essenza.
Le accarezza piano i capelli ma non ha cuore di svegliarla e rimandarla in camera sua, per quell'espressione serena che ha sul viso e per quella possibilità inaspettata di averla più vicina di quanto ogni assurda regola di classe imporrebbe. Però sa che quella posizione seduta porterà ad entrambi un gran mal di schiena il mattino dopo, così allunga il braccio libero dietro di sè a cercare sul letto ciò che puntualmente trova e, attento a non svegliarla, la trascina con sè sul tappeto, con il suo petto a farle da cuscino. Poi getta addosso ad entrambi la coperta in più che sua nonna gli fa sempre trovare in fondo al letto, casomai ci fosse una notte più fredda delle altre.
Alle prime luci dell'alba si sveglia con lei ancora tra le braccia; non si è mossa di un millimetro, solo ha allungato il braccio sinistro attorno alla sua vita, per trovare una posizione più consona al riposo.
Considera che per lei potrebbe essere imbarazzante svegliarsi in quella condizione, così, lentamente si sfila dal suo abbraccio e, tenendole il capo con una mano, lo accompagna delicatamente a terra. Poi, cercando di fare meno rumore possibile, inizia a radersi per essere, anche per quel giorno, l'inappuntabile attendente del Colonnello Jarjayes.
Quando lei apre gli occhi si ritrova ad osservare il mondo da un'inedita angolazione e, stranita, per un attimo non riconosce la stanza intorno a sè. Poi la memoria torna, insieme allo sciabordio leggero dell’acqua del catino che lui non può fare a meno di evitare durante la pulizia del rasoio.

“Andrè?”

“Oh, buongiorno! E poi si dice sia io quello che non vorrebbe mai svegliarsi!”

Sbuca da dietro il paravento perfettamente sbarbato regalandole un altro sorriso, splendente e confezionato solo per lei. E, là fuori, anche il sole è riuscito davvero a bucare le nubi.

“Mi sono addormentata, mi dispiace”

“Se ti può consolare hai dato prova di saperti adattare perfettamente alle condizioni di vita da campo! Quel pavimento è scomodo come uno sterrato”

Lei sorride e di nuovo la sfiora quel pensiero.
Lui è bello.
Bello davvero.
E, una voce che subito mette a tacere, le mormora che potrebbe essere bello, bello davvero, anche dormire, semplicemente dormire, tra le sue braccia.

***

Nel frattempo, sotto gli zoccoli dei cavalli, la terra battuta lasciò il posto ai ciòttoli del pavè che sfilavano ordinati fino alla residenza Von Fersen, animata da un trambusto insolito. Oscar la ricordava una dimora elegante e malinconica, sempre troppo quieta, come se mancasse di spirito.
Invece, quella mattina era stranamente animata; la presenza di due carrozze davanti ai cancelli suggeriva la presenza di visite inattese.

“Non sapevo avesse ospiti, altrimenti non sarei venuto oggi. Vieni, entriamo, così cerco di capire quando posso tornare”

Lasciate le briglie ad un giovane garzone, vennero accolti da uno dei servitori più fidati, in realtà l'unico che Oscar conoscesse e che diede ben a vedere di gradire il ritorno tra quelle mura dello stimato Colonnello de Jarjayes. Non aveva ancora terminato di farsi consegnare i mantelli che, oltre le ante stuccate ad arte, aperte su quello che doveva essere il salotto di rappresentanza, Andrè udì e riconobbe, con enorme stupore, un noto accento americano.

 

Di nuovo grazie per il tempo, i pensieri, gli appunti e gli spunti.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Questa è la prima parte di cio che avrebbe dovuto essere il capitolo 13. Ho deciso di spezzarlo per non abusare della vostra pazienza e del vostro tempo per i quali non smetterò mai di ringraziare.
Va da sè che anche il 14 è in dirittura d'arrivo...

Oscar notò distintamente l'incredulità aggrapparsi ai lineamenti di Andrè mentre finiva di liberarsi del mantello, e lì rimase finchè non vennero accompagnati alla stanza aperta sull'androne di ingresso. Si fermarono sull'uscio, lui per inquadrare chiaramente la situazione ed adattarla a ciò che gli era parso di riconoscere; lei, al suo fianco, per tentare di comprendere ciò che aveva letto sul suo volto.
Le bastò una rapida occhiata per cogliere i particolari noti, quelli da accantonare immediatamente, all'interno della stanza che si scoprì di riconoscere, e concentrarsi invece sui tre uomini davanti al camino.
Gli ospiti erano evidentemente giunti da poco e se ne stavano, in una posizione che tradiva un certo imbarazzo, davanti al fuoco acceso, per rubare un po' di tepore a quell'unico elemento scoppiettante di colore in un ambiente altrimenti chiuso nel livido chiarore di una mattina d'inverno.
Fersen si stava prodigando negli onori di casa, di fronte ai due che lo ascoltavano con attenzione, cercando di non apparire troppo spaesati. Parlava in inglese, più per farli sentire a proprio agio che per reale necessità, valutò Oscar. Ma lo abbandonò senza esitazioni non appena si accorse dei nuovi arrivati. Tanto si sarebbero compresi tutti ugualmente e senza problemi.

“Andrè! Hai visto che sorpresa?”

Il velo di sconcerto che ancora incupiva il suo volto, si dissolse rapidamente, scacciato da un sorriso aperto, carico di tutto ciò che una sorpresa gradita può suscitare. Andrè scambiò una robusta stretta di mano con l'uomo più anziano ed un’energica pacca sulla spalla con il più giovane.
Sorrise, Oscar, sulla soglia, a quelle manifestazioni di stima e affetto reciproco ma non osò ancora muoversi, prendendosi il tempo di osservare un mondo di cui non sapeva se aveva il diritto di far parte.
Andrè dal canto suo, se avesse potuto, l'avrebbe presa per mano, per tenersela accanto mentre le presentava gli ospiti stranieri. Invece, con ancora un braccio attorno alle spalle dell'uomo più giovane, non potè far altro che richiamarla con un gesto della mano, nel tentativo di unire i due mondi tra i quali si era divisa la sua esistenza.

“Vieni Oscar, vieni a conoscere due delle persone che ci hanno fatto sentire a casa anche dall’altra parte del mondo”

“E a cui devo la vita”- aggiunse Fersen

Il Colonnello de Jarjayes, Comandante delle guardie reali, venne presentato con tutti gli onori del caso e riuscì a mettere solo gratitudine, Oscar, nello sguardo che riservò agli ospiti, anche se più sotto pungeva una punta d'inquietudine; quella di chi non sa bene cosa aspettarsi e spinge ad analizzare, con studiata precisione, ogni più minimo dettaglio.
L'uomo più anziano le venne presentato come il dottor Timothy Albert Simmons. Era più basso di lei, con i capelli ingrigiti dal tempo ordinati in onde morbide attorno al viso florido, illuminato da occhi vivaci, color delle castagne. Indossava una redingote a doppio petto, in panno di lana scura, abbottonata fin quasi al collo dove spuntava uno jabot candido e sobrio. La salutò con deferenza ma senza affettazione, con quell’atteggiamento tipico di chi è abituato a trattare tutti allo stesso modo, cosa che per Oscar fu di estremo gradimento, alla stregua del suo sguardo intelligente che molto aveva colto ma nulla si era lasciato sfuggire. In quelle poche occhiate intercorse tra loro, lei aveva compreso distintamente che il medico - e come avrebbe potuto essere altrimenti - aveva ben chiare le differenze tra le fisionomie dei due sessi.
L’altro le venne presentato come Baptiste Emmanuel de Breteuil, suo nipote. Da un primo sguardo, se paragonato a lei, lo reputò più giovane di qualche anno; sfoggiava capelli rossicci raccolti in un codino corto, alla base della nuca e occhi davvero particolari, grigi ma screziati di blu su un viso affilato e pallido, discretamente avvenente, specie se lo si abbinava alla sua statura, pari quasi a quella di Andrè. Indossava abiti sobri, come lo zio, con la differenza di un gilet e una marsina che arrivavano appena sotto i fianchi, secondo i moderni dettami di una moda che in Francia non aveva ancora preso piede.

“Dal nome sembro quasi un nobile vero?”- celiò con una vena di malevole ironia, o almeno, fu ciò che ad Oscar parve di cogliere. Sembrava ansioso di colmare i silenzi, forse per mostrare una sicurezza ben lungi dal provare o forse per una sua reale tendenza alla loquacità.

“Mio padre e mia zia, erano dei de Breteuil. Entrambi hanno lasciato la Francia per il Nuovo Mondo, per motivi diversi. Io sono nato in America e di quando e come si siano volatilizzate le ricchezze dei miei antenati, lasciando poco più di un titolo, non mi è mai interessato. Forse voi, Colonnello, ne sapete molto più di me che non ero mai stato in Francia prima d'ora.”

Nel frattempo si erano accomodati attorno al basso tavolino lastronato in palissandro, sul quale due domestiche avevano approntato tutto l’occorrente per una calda colazione. Oscar, ritrovandosi ad essere l'interlocutore più prossimo del giovane americano, gli si rivolse con naturale eleganza nel tentativo di intavolare una conversazione cordiale. Ma l'altro sembrò subito punto sul vivo.

“Vostro padre di cosa si occupa, Monsieur de Breteuil?”

“Mio padre? Mio padre è morto, Conte de Jarjayes. Per la libertà! Perchè...”

“E come sta vostra sorella Baptiste?”- si intromise Fersen, con un mezzo tono in più nella voce, per interrompere un discorso già noto e che temeva potesse assumere un tenore poco adatto ad un incontro di cortesia.

“Molto bene, grazie. Chastity è una ragazza sveglia...sa riconoscere le cause perse”

Baptiste colse l'invito di Fersen ma non mancò di rivolgergli un sorriso allusivo che conteneva molto più di quanto lui si aspettasse di trovare. Ingoiò il boccone, che un po' amaro risultava sempre e, da uomo di mondo e perfetto padrone di casa qual’era, mantenne un contegno invidiabile, virando su un altro argomento e un altro interlocutore.

“E i vostri figli dottore?”

“Jason sta seguendo la piantagione con entusiasmo. Anzi, Andrè, poi ho un plico di documenti da consegnarti”

Lui approvò con un cenno.

“Mi è stato di grande aiuto. Senza di lui non so come avrei fatto, soprattutto per le questioni burocratiche. E Rose? Come sta?”

Il dottore si passò una mano sul viso, a metà tra il disperato e il divertito, poi rivolse ad Andrè uno sguardo carico della complicità di chi ha condiviso le stesse battaglie...e le ha perse tutte.

“Andrè, non sai che fatica ho fatto per convincerla a non partire. Voleva assolutamente vederti. Ma non me la sono sentita di farle affrontare un viaggio così lungo e, per giunta, via mare"

"Non mi avete ancora detto cosa vi porta in Francia. Non mi aspettavo di rivedervi su questa sponda dell'Atlantico..."

Annuì il dottore, e iniziò a spiegare.

“Non appena siete partiti ci è giunta notizia della morte di mia cognata. Di tre fratelli era l’unica ancora in vita. Era vedova e senza figli, quindi sta a noi sbrogliare la matassa dell'eredità. In tutta onestà, temevo mia figlia potesse anche esserci d'intralcio, impuntandosi a voler vivere qui. Conosci bene i suoi sogni ad occhi aperti!"

E scosse il capo, con un sorriso rassegnato.

"Non volevo ritrovarmi in una situazione simile, ma per quietarla ho dovuto prometterle di non tornare senza di te! ”- ed esplose in una risata gaia che però provocò soltanto pallidi sorrisi sui volti degli altri.

Andrè, in particolare, assunse un’espressione indecifrabile, passandosi una mano sulla fronte e tra i capelli.

“Le ho detto che le donne a bordo portano sfortuna e che non ti avrebbe mai più rivisto se la nave fosse affondata”- sghignazzò Baptiste, guadagnandosi un’occhiata tagliente da parte di Oscar al suo fianco.

“Sapete Colonnello, mia cugina ha completamente perso la testa per Andrè. Si faceva raccontare, per ore, ogni dettaglio di Parigi e della Corte. E lui è davvero bravo, bisogna ammetterlo. C'è da incantarsi ad ascoltarlo, anch'io ho imparato diverse cose. Poi, quando un giorno le ha impedito di finire sotto una carrozza che stava per investirla, vista la scarsa attenzione che riservava a tutto ciò che non fosse lui…beh, credo che ai suoi occhi non sia mai esistita prova d'amore più grande. Se già prima era evidente la sua predilezione, poi non lo lasciava un istante”

“Sarà molto afflitta ora che è tornato in Francia...”

Provò ad argomentare Oscar, cercando di mantenere un tono disinteressato, non avendo ancora inquadrato esattamente chi le stava di fronte.

Baptiste fissò Andrè con un ghigno irriverente, inoltrandosi in una sorta di sproloquio che rivelava, definitivamente, la sua spiccata loquacità.

“Oh, lei parlava già di fidanzamento, sapete? Non che io conosca i dettagli; avrà le sue ragioni, intendo. Ma credo le sia sfuggito un aspetto fondamentale. Insomma, siamo tra uomini, no? E chi di noi se ne andrebbe in un altro Continente, lasciando una donna di cui è davvero innamorato? Perdonami zio, ma sai bene come la penso”

“Non è detto debba essere così per forza”- sussurrò Andrè, precedendo qualsiasi commento, soprattutto a se stesso ma non abbastanza sottovoce. Tutti, infatti, udirono le sue parole ma solo Fersen le comprese davvero.

Oscar, che stringeva tra le mani una chicchera contenente tè bollente, più per scaldarsi che per reale intenzione di berlo, lo osservò attentamente nella posizione che aveva assunto. Una delle sue abituali, una delle sue di sempre. Era piegato in avanti con gli avambracci sulle cosce, intento a far rotolare tra le dita poche briciole di ciò che avanzava della sua fetta di torta, per poi metterle in fila nel piattino davanti a sé. Un modo tutto suo di ingannare il tempo ed ordinare, oltre ai frammenti morbidi, anche i pensieri.
Inspiegabilmente le salì alle labbra un sorriso, rivedendo un pomeriggio, anzi, infiniti pomeriggi, di tante estati lontane, sporchi di briciole e avvolti dalla morbida scioglievolezza delle galettes bretonnes e dal sapore del sale; quello di Guérande (1) sulla lingua, quello del mare scontroso di Normandia sulla pelle.
E avvertì una strana, serena, nostalgia spianare la strada ad una certezza.

Lo sa, lei, Andrè, che poi le mangerai quelle briciole, raccogliendole con il dito appena inumidito tra le labbra, affinchè si possano attaccare?
E di come saltellavamo a piedi nudi sulla battigia per cercare i granchi quando la marea si ritirava lasciando le barche in secca?
E del tuo sguardo irriverente quando combatti con me che però diventa fuoco in un duello vero? E dell'espressione un po' imbronciata che assumi quando dormi? E dei tuoi baci che possono annullare la ragione? Sì, forse questo lo sa.
E del desiderio bruciante, della passione incontenibile che ci hanno travolto in una notte profumata di tigli? Lo sa, lei Andrè?
Cosa ne sanno davvero queste persone di te? Cosa ne sanno di te con me?

Fersen e Andrè non si stupirono del modo repentino in cui Oscar si alzò, adducendo impegni di servizio che erano anche reali ma non immediati. Il generale Bouillè l'aveva, infatti, sì convocata ma non per quel giorno. L'urgenza però era un'altra; era quella di cullare nel cuore quella certezza sopraggiunta all'improvviso, la dolcezza di un'idea che voleva accarezzare finchè qualcuno, maledizione, non le avesse dimostrato il contrario!

“Bouillè non sa più dove sbattere la testa, ha diversi problemi con alcune reggimenti”- butto lì Fersen, mentre l'accompagnava alla porta.

Annuì Oscar, con la vaga convinzione che qualcuno di quei problemi si sarebbe riversato sulle sue spalle. Ma al momento la cosa non la interessava.
Prima di varcare l'uscio si voltò a cercare Andrè, si salutarono senza parlare e giurò a se stessa che, quella di Fersen, sarebbe stata l'unica porta avrebbe permesso si chiudesse tra loro.
Spronò il cavallo e corse verso casa; corse all'impazzata con l'aria gelida sul viso che scolpiva e fissava quella convinzione, tanto di più quanta più strada percorreva. Corse come allora. Quando di tempo non ce n'era più.
In fretta
Ancora più in fretta
Se solo, allora, avesse avuto un po' più di tempo...
La possibilità di non reincontrarsi più era stata reale. Vera come la Morte che li aveva sfiorati entrambi in quegli anni, in luoghi e modi differenti, ma alla fine aveva deciso di non prenderli con sè.
E dunque erano ancora lì, ancora sotto lo stesso cielo. Cresciuti, sicuramente cambiati, ciascuno con gioie e pene all'altro sconosciute. Ma se il destino li aveva fatti incontrare di nuovo, dannazione, qualcosa avrà pur voluto significare!
Lo sapeva Oscar che non si può imbrigliare il cuore, lo sapeva da tanto e, se quello di Andrè portava inciso un nome americano, non è che ci si sarebbe potuto far molto. Sapeva anche di non essere la donna che può cambiare per un uomo, nemmeno per lui.
Ma per lui avrebbe lottato senza esclusione di colpi, gli avrebbe mostrato le luci e le ombre del suo cuore. I labirinti in cui si era persa e tutto ciò che vi aveva trovato.
E che ne avevano fatto la donna che era; di certo diversa da quella che aveva lasciato ma non meno tenace.
Gli avrebbe raccontato tutto.

La confusione
La comprensione
La speranza
L'angoscia
Il dubbio
Il dolore
L'amore
Anche se non sapeva nemmeno da dove cominciare.

“...ma quanto è vero che mi chiamo Oscar François de Jarjayes, se un giorno deciderai di tornare laggiù, Andrè, farò l'impossibile affinchè tu non parta da solo”- si sentì mormorare, smontando da cavallo davanti alle scuderie di Palazzo Jarjayes e augurandosi, questa volta, di avere tempo a sufficienza.

Erano spogli, ora, i rami dei tigli. E bianchi di brina. Ma chiudendo gli occhi in una folata gelida, la percepì intensa come allora la fragranza dei grappoli fioriti, come l'avesse intrisa nella pelle. Insieme al sapore di lui, dolce e speziato, che riemerse, prepotente, sulle labbra.

 

(1) Sale di colore grigio, non raffinato, raccolto nella penisola di Guérande, nella parte nord-occidentale della Francia. Si raccoglie dai tempi dei Celti, ancora oggi secondo i loro metodi. Si utilizza per la preparazione delle galettes bretonnes, appunto. (Biscotti al burro salato, tipici di Bretagna e Normandia)

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


A fare previsioni non ci si azzecca mai ;)
ATTENZIONE: se più avanti doveste avvertire mancamenti di vario genere, per le rimostranze rivolgetevi a Galla XD
Io la posso solo ringraziare, da qui all'eternità...
E, come sempre, grazie a tutti i lettori e recensori.

 

Erano spogli, ora, i rami dei tigli. E bianchi di brina. Ma chiudendo gli occhi in una folata gelida, la percepì intensa come allora la fragranza dei grappoli fioriti, come l'avesse intrisa nella pelle. Insieme al sapore di lui, dolce e speziato, che riemerse, prepotente, sulle labbra.

***

Ed è di nuovo nella sua bocca.
E' nella sua bocca in una notte di vetri socchiusi e camini spenti dall’alito tiepido della primavera che, là fuori, volteggia con braccia cariche di nuove promesse, tutte sul punto di esplodere nella loro pienezza. E, nell'aria spruzzata di nuove fragranze, accentua quella familiare, avvolgente e mai così conturbante dei tigli in fiore.
E' di nuovo nella sua bocca. Come ci sia arrivata non lo sa e non le interessa nemmeno. Ma solo lì sta svanendo lo struggimento indefinibile di cui è preda da quando Fersen si è arruolato, insieme al tormento sfibrante di sapere che nulla è servito per proteggere quel loro amore esagerato.
Proibito.
Disperato.
Non è caduta, la Corte, nell'abbacinante inganno di una serata di gala e nemmeno la luce riflessa di mille candele sulla sua uniforme bianca è stata in grado di abbagliare occhi avvezzi agli intrighi più abietti e nasconderlo, quel sentimento, ad un mondo che improvvisamente le va stretto.
Troppo stretto tra le braccia ampie di lui.
Anche se ne conosce tutte le regole e sa che non è prevista alcuna clemenza per chi le trasgredisce.
Quella scelta da Fersen è l'unica alternativa possibile; una separazione forzata nell'estremo tentativo di proteggere un amore che, tanto immenso lei non immaginava potesse esistere.
Non sa perchè quelle evidenze, sbattute bruscamente sotto gli occhi, la turbino così tanto. Ma ha bisogno di prenderne le distanze per non cedere ad una vulnerabilità di cui non conosce esattamente le origini ne sa come contrastare.
Per quel motivo ha bussato alla porta di Andrè, poco o forse molto prima. Mai il concetto di tempo è stato così astratto come ora che non riesce a respirare se non con il fiato di lui.
Ha bussato frettolosamente, con una bottiglia del miglior rosso delle cantine Jarjayes in una mano e due calici nell'altra, che la sua compagnia, ultimamente, si sta rivelando la miglior cura alla malinconia.

“Entra!”

L'ha trovato in maniche di camicia, appena sollevato dal letto su cui era intento a leggere e ancora una volta non è riuscita a nascondere la sorpresa.

“Sapevi che ero io?”

“Sì, solo tu bussi così. Cosa succede?”- ha accennato alla bottiglia, lui.

“Visto che ieri abbiamo concluso di gran carriera il nostro lavoro, mi sembrava doverosa la partita inaugurale...ma se non ti va”- ha accennato al libro, lei. E abbozzato un sorriso impacciato, forse un briciolo deluso, che magari lui aveva altri programmi per la serata. Ha sentito vacillare la sicurezza della sua scelta ben poco ponderata ma è stata così bene, tra quelle pareti, negli ultimi tempi che le è sembrata la cosa più naturale del mondo presentarsi lì senza nemmeno un motivo valido.
Ma lui, a farsi bastare le briciole ci è abituato, e ciò che ha visto gli è stato sufficiente.

“Certo che mi va! Ti straccerò” - e, sfoderando una delle sue espressioni più impertinenti, in un balzo si è alzato in piedi per preparare il loro terreno di battaglia.

“Staremo a vedere!”

Con tono e aria di sufficienza, si è accomodata ai piedi del letto, a gambe incrociate e l'ha osservato assumere la stessa, identica posizione dopo aver lasciato le scarpe in un angolo, accanto alle sue che, per quella prova d'astuzia, tanto non servono. Si sono fronteggiati con occhiate torve, come stesse per iniziare la più epica delle battaglie, facendo a gara a non ridere.
E l’angoscia ha preso a scivolare via, sospinta dall’aria profumata, dalle sue smorfie e da qualcos'altro che non sa dove collocare.
Tra loro solo la scacchiera con le pedine perfettamente posizionate e la domanda di lui, doverosa ma consciamente inutile.

“Bianco o nero?”

“Bianco, come sempre”

La bottiglia l’hanno messa lì a fianco, a portata di mano, insieme ai due calici riempiti a metà, pronti ad essere svuotati.

“Facciamo così! Un sorso di Borgogna per ogni pedina persa e, chi perde la partita, finisce la bottiglia”

“Oscar, non mi sembra una gran penitenza...anzi!”- ha obiettato lui trattenendo una risata.

“Infatti non lo è. Pensavo piuttosto ad un premio di consolazione”- se n'è uscita, tra il serio e il faceto, non riuscendo, infine, a trattenere un sorriso mentre l’inquietudine scivolava un po’ di più e un cenno d’euforia le colorava le gote.
L'ha visto assorto per un istante, forse intento a chiedersi come mai la donna taciturna e sfuggente della quale, negli ultimi giorni, ha rispettato ogni silenzio, un po' scompaia dentro quella stanza.
Ma di preciso non lo sa neanche lei.

“Ah beh, in quest'ottica, cambia tutto...ci sto!”

E allora è arrivata davvero la risata, talmente limpida e trascinante da spazzare via ogni residuo pensiero cupo. E gli è stata così grata per quella leggerezza ritrovata che non si è nemmeno soffermata a pensare quante siano ormai le volte in cui si è scoperta a desiderare di abbracciarlo. E forse, in sogno, è successo davvero.
Però ha avuto difficoltà a distogliere lo sguardo mentre, con movimenti gemelli, hanno arrotolato le maniche delle camicie fin sopra il gomito per essere più liberi di muoversi ma scoprendo il fianco ad un nemico mai contemplato prima.
L'ha visto arrotolare la stoffa con movimenti precisi e delicati, gli stessi che gli ha visto dedicare ad ogni cosa si ritrovi tra le mani.
Per quanto ne sa, potrebbe fare qualsiasi cosa con quelle mani in grado di fomentare, per un istante, un’immagine molesta. Poi una proibita.
Un'occhiata fugace alle braccia scoperte e alla piega divertita delle labbra le hanno riportato un pensiero già fatto.
Lui è bello. Bello davvero.
L'ha visto abbassare lo sguardo quando un calore sconosciuto l'ha portata a raccogliere tutti i capelli da un lato, nell'illusione di un po' di refrigerio per il collo scoperto.
E si è accorta del momento esatto in cui lui ha chiuso la mente a tutto ciò che non fosse la loro sfida, concentrandosi completamente sulle mosse da compiere. Il gioco ha preso un ritmo incalzante mentre le pedine si accumulavano sul tappeto e il vino prendeva a scivolare giù nelle gole, riscaldando gli animi e alleggerendo i pensieri.
Non si sono risparmiati colpi. E nemmeno sorrisi ironici, di scherno e compiacimento.
E poi sguardi.
Tanti.
Beffardi, divertiti, curiosi, sempre più indecifrabili, sempre più magnetici.
Alla fine ha vinto lei.

“Ma come hai fatto!”

“Ti sei distratto...”

Certo che si è distratto. Per colpa di lei e delle sue guance arrossate anche se il fuoco è spento. Per la sua aria serena come non volesse trovarsi in messun altro luogo al mondo se non lì con lui.
E per colpa dei suoi occhi troppo luminosi quella sera, troppo irresistibili. Troppo languidi gli verrebbe da dire se si trattasse di una qualsiasi altra donna. Senza troppo successo ha provato a scacciarlo quel pensiero pericoloso.

“Un chiodo alla base non è fissato bene”- ha valutato attento, accarezzando i margini del legno.

“Ah no! Non dare la colpa ai chiodi”- ha riso lei, prendendolo in giro.

“Ma no, ti sembra?!? Ho sempre accettato la sconfitta con onore, io...” - e ha riso anche lui, accidenti a lei! E si è chiesto cosa sta succedendo quella sera; e dove sia finito il Colonnello, che un po' di timore lo incute sempre. Gli manca in quel momento perchè lui è la sua salvezza. A lui sa come resistere. A quella donna che ha davanti non ne è certo, invece. L'avverte così vera, così viva; irriverente e spensierata com'era da bambina, spontanea e ingenuamente seducente come non è stata mai.

Si è alzato in piedi per provare a deviare i pensieri su argomenti più innocui.

“Sporge troppo. Un bambino potrebbe ferirsi. Lo devo togliere e risistemare; mi serve qualcosa per far leva”

Non ci ha messo molto a rovistare nei pochi cassetti della scrivania, prima di tornare ad inginocchiarsi a terra, con un coltellino appuntito tra le mani. Ha rigirato la scatola di legno nella posizione più comoda, bloccandola tra le ginocchia e allertando il fiuto di lei per il pericolo.

“Stai attento, se ti scivola potresti ferirti tu...”

Ha provato ad intervenire, portandosi in ginocchio al suo fianco.

“Ti aiuto?”

“No, dovrei farcela”

“Secondo me è meglio se ti aiuto”

“No, stai attenta tu piuttosto! Anzi...allontanati. Certo che l'avevo fissato bene, ma...merde!”

“Vedi?!? Te l'avevo detto!”

E' stata irresistibile la tentazione di sottolineare l'evidenza con quel suo tono un pò saccente, proveniente da un passato in cui pretendeva di avere sempre ragione. E, sempre da lì, è riemersa l'abitudine antica di afferargli il dito leso per portarlo alla bocca e arrestare il flusso del sangue.
Non si è accorta degli occhi sgranati di Andrè.
Di stupore. Di terrore.
Sulla pelle lui ha avvertito labbra umide e morsi leggeri. E la sua lingua accarezzarlo piano, ripetutamente, per raccogliere ogni stilla scarlatta.
Ed era davvero terrore ciò che provava Andrè mentre strizzava gli occhi per non vederla così vicina, così bella con le guance accese e troppo desiderabile in quella situazione che – Dio del cielo! - gli faceva pensare a tutt'altro.

“Oscar, non è necessario...davvero”- con voce roca ha scandito ogni parola, invocando un aiuto celeste.

“Perchè? Non è mica...”

Non è mica la prima volta - stava per dire
Ma, alzando lo sguardo si è resa conto che invece sì, era la prima volta in cui le sue labbra ad un soffio le parlavano di dolore e meraviglia. Ed imploravano, suadenti, tutta la sua attenzione, mentre cresceva, lenta e inesorabile la voglia di toccarle.
Sono rimasti a fissarsi immobili e turbati, tentando di dare un nome a ciò che stava prendendo forma in entrambi.
Lui, che ci ha messo ben poco, ha pregato di riuscire a resistere.
Lei, che si è figurata acqua di fonte in un’estate assolata e aria fresca dopo una corsa a perdifiato, alla fine è riuscita a chiamarlo solo e soltanto in un modo.

Cos'è, Andrè, questa voglia che sento di te?

Allontanati! Perchè non ti allontani? Scappa via, Oscar, scappa via!

Ma, in un istante eterno, nessuno ha accennato a muoversi. Quando, infine, hanno iniziato a farlo, è stato in modo impercettibile, uno verso l'altra, con la sensazione di trovarsi ai margini di un crepaccio, talmente profondo da non riuscire a vedere il fiume sotto di loro, ma avvertendone lo scrosciare dell'acqua, sicuramente azzurra e limpida, probabilmente verde e profonda, e troppo invitante per pensare di poter resistere a lungo.
L'hanno percepita tutta la pericolosità di quel salto nel vuoto ma, un po' incoscienti e un po' sprezzanti, come sono sempre stati, si sono presi per mano e si sono tuffati.


Ed ora sono lì, a sfiorarsi con labbra timide e incredule, in un bacio che è solo una carezza, un battito d'ali di farfalla. Ma che scatena un uragano. Sono tocchi lievi quelli che si scambiano ad occhi chiusi e labbra schiuse, ancora intrise del sapore dell'uva matura. Talmente buono da non riuscire a farne a meno.
Le mani di lui si chiudono sul velluto delle guance per tenerla lì, nella sua bocca, perchè quel tocco così tenue non gli basta di certo. Le vuole donare tutti i baci che ha sognato per lei che, forse, ha fatto lo stesso sogno perchè se li prende uno ad uno e lo incalza, gli lascia campo libero e poi, all'improvviso affonda. Li vuole conoscere tutti i modi in cui può essere baciata, da quelli teneri e lievi, quasi timidi, a quelli più sfacciati e profondi, che tolgono il fiato e la fanno sentire audace e sfrontata, tanto da allacciargli le braccia al collo, costringendolo a sedersi per poi adagiarglisi in grembo.
E il corpo di lei addosso è una sensazione troppo agognata per non risalire le sue gambe con carezze provocanti e ardite, fino a stringersela contro in un contatto che non lascia più nulla all'immaginazione. La stagione più dolce ha alleggerito le stoffe e ciò che lei sente, schiacciata a lui, la fa sospirare e le piace, da morire, da perderci la ragione, definitivamente.
Non riesce a staccare le labbra dalle sue e ora sono davvero baci d'amanti quelli che si scambiano rincorrendosi e cercandosi, senza mai avere l’intenzione di fuggire per davvero. I baci di chi vuole tutto e tutto è disposto a concedere, in una brama sconosciuta che spegne la ragione e annulla la coscienza. E vince ogni resistenza.
Sostenendolo con un braccio e facendo leva con l'altra mano sul pavimento, lui riesce a sollevare senza fatica il corpo sinuoso allacciato al suo per deporlo sulle coltri.
Lei non fa nemmeno caso a quel ribaltamento di situazione, completamente rapita dalla magìa delle sue mani che, con tocchi d'angelo, la stanno portando alla perdizione. E allora lo vuole più addosso che non sembra mai abbastanza vicino e lei, le mani, le porta tra i suoi capelli, in carezze graffianti che hanno effetto dirompente. Su di lui, ma che ricade, immediatamente, a pioggia su di lei. Come è pioggia di seta nera quella che le si riversa sul collo, sulle spalle, sul seno che non sa nemmeno quando lui ha scoperto, nell'istante in cui gli scioglie i capelli in un impeto di desiderio.
Non sa perchè ma ci si vuole vedere in quella nicchia d'ebano, dove il mondo inizia e finisce con lui, tanto da trovare, inaspettatamente, la forza di socchiudere gli occhi e ritrovare i suoi, densi di brama e mistero mentre, affascinante più che mai, con le labbra, scosta la striscia di raso blu, ricaduta sul suo seno, per poi lambire ripetutamente il segreto che celava e spalancare le porte alla follia.
E solo di quello si tratta, poi.
Follia. Passione. Piacere. Estasi. E di nuovo follia.

***

Lo sente ancora sulla pelle l'eco di tutto ciò che l’ha trascinata via quando tenta di aprire gli occhi, ubriaca di un sonno incredibilmente ristoratore e solleticata dall'aria fresca del mattino. E' un tocco gentile ma la fa rabbrividire, spingendola a stringersi al corpo caldo al suo fianco.
Ed è una sensazione deliziosa quel tepore sulla pelle nuda ma talmente sconosciuta che fa accendere lontano, lontanissimo, un barlume di coscienza. E' solo una fessura quella che le fa scorgere il bel viso di Andrè sul suo stesso cuscino e le sue labbra disegnate, accostate alle proprie.
L'istinto fa per spingerla a catturarle di nuovo ma uno sguardo annebbiato alle loro dita ancora intrecciate le fa tremare il cuore.
C'è luce nella stanza, troppa.
Prende a schiaffi la coscienza che, svogliatamente ma repentinamente, si ridesta. Impiega poco a valutare che non può essere tanto tardi visto che la quiete è interrotta soltanto dai cinguettii degli uccelli appena oltre i vetri. Ci sarebbe il tempo di mettere in fila i pensieri se solo ci riuscisse.
Ma l'immagine di lui, nudo al suo fianco, non glielo permette.


Cosa abbiamo fatto Andrè?
Lo abbraccia con lo sguardo e non può fare a meno di sorridere, nonostante tutto. Sembra così innocuo, ora, stretto al cuscino, in quella posizione prona in cui lo trovava anche da bambino quando la sua irruenza lo strappava al sonno dei giusti.
Adesso invece è un uomo bellissimo, non finge nemmeno più di nasconderselo. E dannatamente pericoloso. L'ha constatato in prima persona quella notte, non vergognandosi di concedergli cose che lui non ha nemmeno chiesto. Un filo di amara ironia le stira le labbra al ricordo di un'altra alba, recentissima, sempre lì, sempre con lui, quando valuta che, tra le sue braccia, dormire è stata davvero l'ultima cosa che ha fatto.

Cosa abbiamo fatto Andrè?
Non riesce a capacitarsi di come abbia potuto perdere completamente la ragione ma lì, accanto a lui, in un letto sgualcito dalla passione, onestamente non riesce nemmeno a spiegarsi come avrebbe potuto non farlo.
E mezze frasi, captate negli anni, assumono un altro significato portandola a chiedersi chi, prima di lei, abbia goduto di quell'intimo punto di osservazione.
Le verrebbe quasi da poggiare una mano per sentire, contro il palmo, la consistenza dell'ombra di barba che gli oscura le guance, fino ai confini delle labbra ma le si spezza il respiro al pensiero di dove sono state capaci di spingersi quella notte.
Scorre le spalle ampie in cui ha affondato le unghie senza ritegno, sopraffatta dal vigore del suo corpo atletico e scivola giù, oltre la vita, avvertendo di nuovo una spina nel ventre, un tedio delizioso, alla sensazione delle sue forme toniche tra le mani e al ricordo delle sue parole dense di desiderio, soffiate piano all'orecchio. Un vento caldo che non ha saputo domare. Anche se avrebbe dovuto.

Cosa abbiamo fatto Andrè?

Per la prima volta nella sua vita si annovera nella categoria degli stupidi. Quelle regole su cui si sta arrovellando da giorni le ha, infine, infrante anche lei.
Tu NON sei un uomo Oscar! Non capiresti”- un altro schiaffo alla coscienza arriva senza preavviso, insieme alle parole secche di lui.
E invece vedi che capisco benissimo Andrè? Mi sono comportata allo stesso modo”- si ritrova a constatare amaramente.
Gli lascia una carezza sulla mano e si solleva dal giaciglio, dandogli le spalle e poggiando i piedi a terra che forse è ciò di cui ha bisogno per scendere da quel folle sogno. Brividi di collera le scuotono il corpo, tutta rivolta verso se stessa. Se avesse la spada tra le mani si metterebbe a tirar fendenti all'aria, ma tra le dita può afferrare solo il lenzuolo, stringendoselo addosso con tutta la rabbia che sente.

Come abbiamo fatto, Andrè, a scivolarci tra le braccia in questo modo?
Maledizione! Lui è l'affetto più caro che ha, l'unico vero amico sincero ed ora rischia molto più di qualche sterile diceria che, nientemeno, su di loro si sono sempre sprecate. Non vuole e non può permetterlo!
Parlano di rabbia e frustrazione le lacrime che sente inumidirle gli occhi e che precedono di poco un tocco lieve, proprio al centro della schiena. Non può impedire ad un brivido che non ha nulla a che fare con la collera, di scuoterla nel profondo ma ora che conosce la sua malìa, deve mettere subito un freno a quelle sensazioni. Si scosta ma lui non si arrende e se lo ritrova di fronte. E di nuovo non riesce a pensare lucidamente.
Prova a non guardarlo che forse le sarà più semplice trovare una soluzione probabilmente inesistente.
Sente che lui è preoccupato, che vuole provare a capire. Ma cosa diavolo c'è da capire? Sono due sciocchi. E lei si sente così in colpa. E’ un bene smisurato quello che si rende conto di provare per lui e che le impone di sottrarlo ai pericoli che si celeranno in ogni singolo giorno perchè non sa proprio spiegarsi come farà a non guardarlo in modo diverso. Basterà un niente, un'allusione, una parola di troppo...
Nemmeno Fersen, con il suo amore sconfinato, è riucito a trovare un’alternativa valida all'arruolamento. E' certa che anche Andrè sia consapevole della portata di quel gesto e da lì forse può iniziare a ragionare. Ma c'è poco da fare, con lui ai suoi piedi non riesce a far collimare i pensieri e, ben presto, si rende conto di riuscire a pronunciare solo frasi sconnesse.
“Si è arruolato, lui se ne andrà...come può esistere un amore così grande, Andrè? Io non ne avevo idea....non riesco ad immaginare azione più nobile che un uomo possa compiere in nome del vero amore...”
E infatti lui non capisce. E sono solo sproloqui che non riesce nemmeno a comprendere quelli che escono dalla sua bocca. Non riesce a pensare, le sembra di aver lasciato la ragione tra le sue braccia e vorrebbe quasi chiedergli di restituirla. Sa però di non voler rischiare nulla a causa di una notte traboccante di follia. Tanto più che non si tratta di proteggere alcun amore esagerato.
Proibito
Disperato
Solo la vita di Andrè. Che vale molto di più.
Comprende però che, la soluzione migliore va ponderata con lucidità, impossibile da ritrovare con lui accanto. Bisogna che si allontanino...per un po'...
Non può non capirlo se glielo chiede.
Quando si ritrova sola, lancia un ultimo sguardo al letto sfatto, sospira e inspira più volte l’aria fresca del mattino ancora intrisa della fragranza dei tigli.
Ma non sarebbe stata quella a riemergere, arrogante più che mai, nelle notti a venire.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


 

Svoltò l'angolo, Oscar, e si ritrovò all'imbocco della galleria che conduceva all'ufficio del generale Bouillé. Tre passi e, superate le colonne in marmo candido poste a designarne l'ingresso, venne investita dalla luce fredda che riusciva a filtrare dalla prima coppia di finestre. Una di fronte all'altra, una per ciascuna parete, alte dal pavimento al soffitto e costruite con lo scopo evidente di catturare quanta più luce possibile. Poca, in realtà, in quei giorni plumbei, ma sufficiente, in quell'istante, ad evidenziare frasi ben precise su di una pagina scorsa più volte.
Quelle che avrebbero dovuto comporre una storia mai narrata.
Per raccontare a lui tutto ciò che, per lungo tempo, non aveva confidato nemmeno a se stessa.

Urlava talmente forte il mio cuore, Andrè, che ho dovuto tapparmi le orecchie per non sentire male e così ho finito per non comprendere ciò che intendeva. E troppe volte ho galoppato nel vento per costringermi ad udire solo il suo fragore che credevo sufficiente ad annullare qualsiasi altro suono. Come ho fatto anche quel giorno in cui sono scappata in riva al mare. Quando pensavo di avere tempo.

La confusione

Un passo dopo l'altro sulle quadrottes in quercia del parquet fino al vano di altre finestre dove pochi raggi, pallidi e smunti, rischiararono ulteriori tasselli.

Ma, giorno dopo giorno, ho sentito montare la marea, lenta e inarrestabile, portare a galla tutto ciò che avevo cercato di sommergere. E una notte d'estate ha travolto tutto ciò che siamo stati, cancellando le immagini innocenti di bambini che giocavano a fare i guerrieri e di ragazzi che tratteggiavano il futuro, lasciando solo noi due nelle nostre ultime scene, ricamate su nastri d'argento che la luna di giugno srotolava, senza fretta, sulle onde. Una luna a metà, franco specchio di ciò che mi restava nel petto. Il resto lo avevo lasciato a te.

La comprensione

Un percorso lastricato dal suo cuore in bella mostra sembrava quel corridoio. I labirinti in cui si era persa stavano tutti lì, davanti ai suoi occhi e sotto i tacchi degli stivali, sapientemente riprodotti in robusti incastri di legno dei quali era impossibile determinare l'inizio e la fine. E risuonavano sotto i passi cadenzati mentre procedeva verso l'ufficio del generale che, giorni prima, le aveva fatto pervenire un messaggio di convocazione in forma strettamente riservata.

Altri passi e altre finestre.

E allora è emersa la voglia inconfessabile ed impossibile di viverti accanto, di viverti come non ci sarebbe stato concesso fare. E la notte Andrè...quante notti ho passato sveglia a confidare che la brezza salmastra affievolisse il desiderio infinito di te, che riemergeva sempre più sfacciato insieme al tuo sapore, ospite fisso delle mie labbra.

A quello avrei comunque rinunciato se fosse servito a non danneggiarti. Ma non a te. Non a te. Avrei cacciato tutto giù in fondo, da dove era venuto, pur di viverti accanto. Forse per me esisteva una possibilità.

La speranza. E l'amore. Esagerato, proibito, disperato. Apparteneva anche a lei.
Ancora altri passi e di nuovo finestre.
Poi c’erano stati il dubbio, l'angoscia, il dolore.
Ma se l'amore non tollera di rendere infelice l’amato, come avrebbe fatto a presentargli i tre compagni di giorni senza fine senza sentirsi, suo malgrado, un’irriducibile egoista? E poi c’era che aveva paura. Sì, una dannata paura che lui reputasse il suo racconto carta straccia.
Sospirò Oscar. Non era mai stata in grado di dar voce alle emozioni; riusciva solo a lasciarsi guidare dall'istinto. Come era stato allora e come aveva fatto due sere prima...

In fondo, oltre le ultime colonne, le si affiancò Girodelle. Si salutarono con un cenno del capo che altro non serviva. Si erano già detti tutto il giorno prima accordandosi su quell'incontro mentre, ciascuno all'insaputa dell'altro, si interrogava sui motivi della loro convocazione. Il fatto fossero stati interpellati entrambi lasciava supporre si trattasse di questioni attinenti la riorganizzazione di qualche turno di guardia, secondo nuove ed imprecisate esigenze, come accadeva in passato quando la loro giovane età nonché il fatto che il Comandante delle Guardie fosse una ragazza, ancora non aveva convinto i i vertici della gerarchia militare.
Molto prima, dunque, che puntualità e rigore facessero di loro due elementi assolutamente fidati. Percorsero in silenzio i pochi passi che li separavano dalla porta dell'ufficio di Bouillè, presidiata da due guardie impeccabili in servizio di picchetto.
Le ante si schiusero su una stanza ricca di dettagli opulenti, decisamente soffocanti, a ricordare come una lussuosa ridondanza potesse essere utilizzata quale chiaro sinonimo di potere.
Le pannellature alle pareti, precisi incastri di marmo policromo arricchiti da rilievi in piombo dorato, fornivano una preziosa cornice alla scrivania massiccia occupata dal generale.
Alla loro sinistra, incassato tra due finestre, spiccava un imponente camino in marmo rouge griotte che avrebbe dato l'impressione di irradiare calore anche senza il fuoco che invece danzava, lento, al suo interno ed illuminava la stanza, insieme alla luce diffusa da due imponenti chandeliers di cristallo sospesi sopra le loro teste. Il riflesso delle fiamme sul mogano rossastro del parquet tirato a lucido, incendiava l'atmosfera di un calore che Oscar trovò più opprimente che gradevole, tanto da trovarsi a desiderare il tocco gelido di due mani diacce.
Come due sere prima.

Bouillè terminò di firmare alcuni documenti e, senza preoccuparsi di invitarli a sedere, per garantirsi quel tanto di soggezione che bastava ad evitare ogni contestazione, con voce resa rauca dal tempo e dal fumo, iniziò ad esporre le ragioni di quell'incontro.

“Colonnello Jarjayes, Tenente Girodelle...vi ho convocati qui oggi per discutere con voi di una faccenda che ci preoccupa molto. Anche sua Maestà il Re è piuttosto allarmato”

Loro rimasero immobili, in attesa. Sapevano che il generale non si aspettava di essere interrotto.

“Colonnello, vostro padre non vi ha riferito nulla?”- fissò gli occhi scuri ed infossati su di lei, pronto a cogliere qualsiasi segnale.

“No, Signore...non lo vedo da settimane. E' lontano da Parigi con il suo reggimento...”- ribattè lei, impeccabile.

“So bene dove si trova. E noto con piacere che il riserbo assoluto rimane sempre una sua priorità ”- la interruppe, burbero, ma lascaindosi poi sfuggire un sorriso sbieco e soddisfatto.

“Ebbene, ci troviamo di fronte ad una faccenda delicata. Ci siamo prodigati per non lasciar trapelare nulla ed evitare dicerie senza fondamento che risulterebbero soltanto dannose. Tanto più che non è nemmeno la prima volta...”

Oscar affilò lo sguardo, incuriosita ed inquieta.
Bouillè vergò alcune righe su un foglio invitandola, con un cenno, ad avvicinarsi per darle modo di leggerlo. Quando vide i suoi occhi sbarrarsi di comprensione, lo accartocciò e lo gettò nel fuoco.

“Mio padre?”

“Sta bene. E questo, in tutta onestà, ci lascia ancora più sconcertati. Forse siete a conoscenza delle abitudini del generale Jarjayes. Mi riferisco al fatto che in missione ha sempre preteso, ed è tutt’ora così, gli venga servito lo stesso cibo dei soldati.”

Oscar annuì.
Lo sapeva e aveva sempre condiviso quella posizione che, ai suoi occhi, rendeva suo padre un fine stratega, anche negli aspetti più inusuali. Sosteneva che nessuno si sarebbe preso la briga di lesinare sull'appetito di un Generale e il rancio sarebbe stato così di qualità superiore anche per i subalterni, appagandone l'appetito e l'umore. Di rimando avrebbe ottenuto maggior dedizione e attenzione per le imprese sul campo.

“Immagino vi sia nota anche la sua diffidenza verso coloro che non hanno ancora avuto modo di guadagnarsi la sua stima...”

Annuì di nuovo Oscar, impedendo ad un sorriso nascente di intaccare la sua espressione intransigente. Eccome se lo sapeva! Ricordava il suo sguardo torvo e i moti d'impazienza ogniqualvolta un nuovo garzone di stalla giungeva a Palazzo e Andrè veniva investito dell' ulteriore incombenza di tenerlo d'occhio senza darlo troppo a vedere che chissà quali danni avrebbe potuto causare ai suoi preziosi purosangue.

“Per le suddette ragioni, oltre alla discrezione che mi preme rimarcare, ha richiesto la presenza solo e soltanto del suo medico di fiducia”

“Lassonne?”

Questa volta Oscar non riuscì a nascondere un moto di stupore, mentre un'idea, balzana, improbabile, decisamente improbabile ma non impossibile, riguardo la sua convocazione di quel giorno, si stava facendo strada suscitando pensieri che richiedevano una celere risoluzione.

“Esattamente. Inoltre ha chiesto che una persona assolutamente fidata possa scortarlo, previa autorizzazione da parte di sua Maestà il Re, che abbiamo già ottenuto”

“Devo organizzare la scorta?”- provò ad azzardare Oscar, valutando rapidamente che Girodelle avrebbe potuto rappresentare una valida soluzione, in virtù dell’assoluta fedeltà della Corona, della devozione al suo comandante e della sua abilità come combattente se si fosse paventata la necessità. Ma un viaggio del genere sarebbe stato sfiancante, pericoloso oltre che decisamente noioso da affrontare in solitudine. Sarebbe stato necessario affiancargli un paio di soldati per arrivare al confine.

“No Colonnello. Vostro padre ha richiesto espressamente che siate voi quella persona.”

“Ma Signore...mio padre è impegnato sulla frontiera delle Alpi”- obiettò lei che mai si era allontanata dalle sue mansioni così a lungo ma già figurandosi il percorso più idoneo, quali soste programmare nelle stazioni di posta più adeguate, come far fronte ai possibili inconvenienti con conseguenti rallentamenti, a cavalli e carrozze su strade gelate. Il tutto comportava diverse settimane lontano da Parigi…

Si riscosse ad un’immagine di due sere prima che sbirciava tra le tende della coscienza. Non era decisamente quello il momento di lasciarsi distrarre.

“Su questo posso dissentire con ragione. Il generale Jarjayes è accampato con il suo reggimento nella foresta di Compiègne, ad un giorno di viaggio da qui”.

Di nuovo presa alla sprovvista, Oscar tentò di parlare di nuovo.

“Credo non ci sia bisogno di sottolineare come gli spostamenti delle truppe non debbano essere divulgati ne tantomeno debbano essere di vostro interesse”

Con tono secco e scostante Bouillè chiuse l'argomento, incrociò le mani sul piano massiccio della scrivania e spostò poi la sua attenzione sull'altro ufficiale presente al suo cospetto.

“Tenente Girodelle”- tuonò, burbero.

Il conte si irrigidì assumendo una perfetta postura militare, rendendosi improvvisamente conto di essersi lasciato ammaliare dall'arcobaleno di espressioni comparse sul volto del suo comandante in quello stralcio di conversazione in cui lui era stato lasciato ai margini. Talmente effimere quanto rare, soprattutto quel leggero rossore che, per un istante, le aveva ravvivato le guance.
Ricordava un tempo in cui lei era appena un po' più loquace e, talvolta, si lasciava sfuggire un sorriso che lui custodiva gelosamente nello scrigno dei ricordi più preziosi. Pensandoci però, avvertiva ancora serpeggiare l'invidia per quegli improvvisati raggi di sole che solo il suo attendente era in grado di far apparire con un'abilità da prestigiatore che lui non era mai riuscito ad eguagliare.

“Dovrete sostituire il Colonnello in tutte le sue funzioni nel lasso di tempo in cui sarà lontano dalla Corte."

“Sarà fatto, Signore”- dichiarò il tenente con sollecitudine. Voleva che lei pensasse di potersi affidare a lui completamente, abbandonando altrove ogni genere di preoccupazione.

Bouillè approvò la solerzia con un cenno del capo poi si dedicò ad un altro aspetto di quella faccenda spinosa. Aveva davanti una donna, maledizione. Per quanto avesse dimostrato nel tempo di essere un ufficiale al di sopra delle righe, era comunque una donna. E lui conosceva Jarjayes dai tempi dell'Accademia Militare. Oltre al prestigio della posizione, non era forse perchè la Guardia Reale era un ambiente a rischio minimo che Jarjayes si era tanto prodigato affinchè il suo erede ne facesse parte?

“Colonnello, vostro padre è un mio buon amico; gli farei un torto se non vi fornissi il supporto adeguato per questo seppur breve viaggio. Di questi tempi non è bene viaggiare sguarniti anche se forniremo al dottor Lassonne una semplice carrozza di piazza, in modo da non attirare troppi sguardi”

Oscar annuì, approvando intimamente quella scelta.

“Sempre perché parliamo di tempi infausti non posso sguarnire ulteriormente la Guardia Reale. Senza contare che qui a Corte nessuno sembra esente dall’arte del pettegolezzo...”

Il generale scosse il capo in modo eloquente, intendendo quel modo di passare il tempo assolutamente non congeniale a chi aveva la vita scandita dalle regole dell’uniforme. Sospirò e, consapevole di non poterci fare nulla, si sporse in avanti, tolse la pipa dal supporto intarsiato ed iniziò a rigirarla tra le mani.

“...quindi ho pensato di attingere altrove...”

“Ma Signore, con tutto il rispetto...”- provò ad obiettare Oscar a quell’uscita che non le sembrava per nulla convincente. Se di estrema discrezione si stava parlando, come poter pensare di rivolgersi al di fuori delle mura amiche, per quanto di amicizia di comodo si trattasse? Senza poi considerare quanto la infastidisse il fatto di dover partire con sconosciuti di ignota abilità e loquacità. Preferiva di gran lunga scortare Lassonne da sola, almeno sarebbe stata certa di quali fossero le forze su cui poter contare.

Bouillè la zittì con lo sguardo prima ancora che con le parole.

“Colonnello, qui decido io! Diverse ragioni mi hanno spinto a prendere questa decisione...”- e, con sguardo severo, prese a riempire la pipa con il trinciato aromatico conservato in una tabacchiera di madreperla.

“Sì, Signore...”- non che ci fosse molto altro da aggiungere.

Ebbe a malapena il tempo di rispondere, Oscar, che la porta venne nuovamente dischiusa e il suono secco e deciso di stivali che scattavano sull’attenti in segno di saluto, colmò il silenzio di un attimo. Bouillè alzo gli occhi e, senza mostrare troppo interesse, continuò a dedicarsi alla sua pipa.

“Avvicinatevi Capitano, così potremo fare le presentazioni”- sospirò Bouillè.

I passi avanzarono fino a portarsi al fianco di Oscar che, per nulla persuasa da quella soluzione, alzò lo sguardo sul nuovo arrivato, già preparata a riservargli una delle sue arie più torve se si fosse resa conto di avere di fronte un perfetto incapace. In quanto a diffidenza non era molto diversa da suo padre, dopo tutto. Invece, dovette riservargli ben altra espressione.

“Colonnello, forse non c'è bisogno che vi presenti il capitano Grandier, Marchese de Boulainvilliers da poco assegnato alla Compagnia B della Guardia Metropolitana, agli ordini diretti del Comandante d’Harcourt”

Rimase senza parole, Oscar, mentre sciami di domande le ronzavano sulle labbra e nella testa ma lì, davanti a Bouillè, non poteva dar loro libero sfogo.
Non ne sapeva nulla
Ma forse lui si riferiva a quello due sere prima.
Il generale lì osservò, truce. Non avrebbe tollerato alcuna protesta a quella soluzione che considerava ottimale.
Dopo aver opposto strenua resistenza, si era trovato costretto ad accettare la richiesta di trasferimento del Colonnello D'Agout. La malattia della moglie gli imponeva necessità divenute impossibili da soddisfare dovendo aver a che fare quotidianamente con quella masnada di indisciplinati che erano i soldati della Guardia Metropolitana.
Quando il Colonnello von Fersen gli aveva caldamente consigliato Andrè Grandier come sostituto, si era chiesto chi diavolo fosse e come mai quel nome non gli risultasse nuovo. Poi, al racconto dello svedese, tutto gli si era chiarito e il neo Marchese de Boulainvilliers poteva avere davvero le carte in regola per quella posizione. Il titolo lo aveva e tanto bastava. La sua origine plebea, avrebbe forse garantito una maggiore devozione da parte di quella compagnia di balordi, sempre che non avessero deciso di pestarlo per quel suo passaggio di Stato, tanto per ricordargli che non era molto diverso da loro. Ma era un rischio che si poteva correre; lui era comunque avvezzo alla guerra sul campo e si sarebbe saputo difendere. In caso contrario ci avrebbe rimesso qualche ammaccatura ma poco importava.
Se poi ci aggiungeva che Jarjayes aveva richiesto espressamente la presenza di Lassonne e di sua figlia perchè non si sarebbe fidato di nessun altro, gli era sembrato di aver trovato l'incastro perfetto e inattaccabile. Grandier era stato l'attendente del Colonnello Jarjayes per anni, erano abituati a collaborare e si aspettava fedeltà e discrezione da un uomo che era stato nutrito e cresciuto in casa di nobili. E non nobili qualunque, ma proprio quelli a cui si richiedeva devozione e lealtà in quella missione.
E avrebbe anche fornito una scorta più che accettabile alla figlia del suo amico. E, a proposito di scorta, gli sovvenne di una richiesta precisa.

“Capitano, vi avevo chiesto di individuare un valido elemento che potesse unirsi a questa missione...”- attaccò severamente, per far comprendere a quel novizio che i suoi ordini andavano rispettati, senza alcuna eccezione e forse aspettandosi una contestazione per il poco tempo avuto a disposizione.

“Sì Signore. E' qui fuori in attesa; non era certo di poter essere ammesso al vostro cospetto”

Mostrò notevole ossequio, Andrè, ma tra le righe aleggiava un'ironia indistinta, decifrabile solo ad un orecchio allenato e ad una mente aperta. Oscar sorrise tra sé.
Lo sconcerto momentaneo lasciò il posto all'abituale alterigia e Bouillè tornò padrone di sé.

“Confido abbiate fatto giuste valutazioni. Capitano, immagino sappiate di essere sotto osservazione. Voglio avere la certezza che riusciate a mantenere l'ordine in quella dannata Compagnia!”

“Non rimarrete deluso, Signore”

Per Bouillè l'incontro era concluso. Congedò rapidamente i suoi interlocutori e si accinse ad accendere la pipa.

“Non ho altro da aggiungere, Signori. Colonnello Jarjayes, mi aspetto un dettagliato rapporto al vostro rientro”
 

Ritrovatisi in corrodoio senza troppi convenevoli, Oscar fu la prima a riprendersi dallo sconcerto per quella piega inaspettata che aveva preso la situazione. Fece finta di non notare il soldato in uniforme blu che, poco più in là, se ne stava mollemente adagiato alla parete con il cappello dell''uniforme calcato sul capo e uno stecchino tra le labbra. Congedò Girodelle fornendogli carta bianca e il tenente non potè far altro che girare i tacchi, tronfio per quella manifestazione di stima, debole conforto all’invidia che aveva rialzato la testa quando si era ritrovato davanti il redivivo Andrè Grandier.
Lei lo interrogò con lo sguardo ma ottenne soltanto un cenno, ad indicare che le avrebbe raccontato tutto a tempo debito. Quindi richiamò il soldato.

“Alain, ti presento il Colonnello Jarjayes che dovremo scortare fuori Parigi. Oscar, lui è il soldato De Soisson; ti garantisco che è un ottimo elemento anche se a prima vista non si direbbe”- e lanciò al compagno un'occhiata divertita. Il soldato abbozzò un saluto ma le dedicò non più di uno sguardo, stupendola con la sua cortese irriverenza.

“Andrè...”

“Mi devi chiamare “Capitano” adesso”- finse di rimproverarlo, guadagnandosi un'occhiata truce che svanì in un attimo quando il soldato constatò che, effettivamente, le cose stavano così.

“E mi dovresti anche dare del voi...”

“Non esageriamo...Andrè, cioè Capitano..sappiamo già la destinazione?”

“Sì ma te la comunicherò a tempo debito”

“Non è che ci spediscono in Vandea?”

“Come ti viene in mente?”- sgranò gli occhi in un'espressione tra lo stupito e il divertito.

“Te lo dirò a tempo debito...” - gli fece il verso.
"Comunque fammi sapere quanto dista questa meta che la mia biancheria di ricambio è limitata. Quando partiamo?”

“Domani”

“Accidenti, deve essere una faccenda seria allora...Capitano, ti aspetto alle scuderie. Colonnello...”- rimarcò i gradi e sollevando il cappello in segno di saluto, li superò lasciandoli soli.

Attorno a loro presero a volteggiare tutte le domande che avrebbero dovuto attendere l'indomani per le risposte. Lontano da Versailles. Ma Oscar una cosa riuscì a dirla, con convinzione e senza vergogna.

“Il blu ti dona...”- e seguendo di nuovo l'istinto, accarezzò il tessuto proprio al centro del petto, dove aveva sussurrato il suo segreto. Due sere prima.

“Donerebbe anche a te...”- fece di rimando lui, non riferendosi soltanto al fatto che si sarebbe intonato ai suoi occhi. E, stranito da quell'ultimo atteggiamento insolito, tornò a chiedersi quale fosse il tassello mancante perduto a Palazzo Jarjayes. Due sere prima.

 

Due sere prima si erano incontrati per caso, sulla porta delle scuderie; di ritorno dalla Reggia lei, di ritorno da Parigi lui, che, fin dall'alba, aveva dovuto destreggiarsi tra gli impegni degli ospiti americani, accompagnandoli nelle loro faccende. Non si era sentito di rifiutare il suo aiuto, alla stregua di ciò che avevano fatto loro a parti invertite. Ma ciò gli aveva consentito soltanto visite fugaci, anche se quotidiane, a Palazzo Jarjayes.
Lei se lo era ritrovato di fronte che era già buio, uscendo dall’edificio in cui lui stava entrando per ricoverare il cavallo. Aveva avvertito il gelo delle sue mani anche attraverso la stoffa dell'uniforme, appena sopra il fianco dove si era appoggiato per non travolgerla. E si era ritratta di riflesso.

“Hai le mani gelate”- aveva provato a sorridere per stemperare l'emozione che la prendeva sempre più forte, quando se lo ritrovava accanto.

“Scusa..”

“Dovresti indossare i guanti”

“Le vecchie abitudini sono dure a morire”- aveva cercato di scherzare, fingendo che quel contatto gli fosse indifferente. Si era affrettato a sistemare il cavallo perchè lei sembrava intenzionata ad aspettarlo.

“Andiamo dentro che qui si gela. Mentre saluti tua nonna io mi cambio. Aspettami di sopra, davanti al fuoco”- e non c’era stato bisogno di specificare in quale stanza e quale fuoco.

Quando era scesa lo aveva trovato assopito, con lo schienale del divanetto ad accogliere il capo reclinato all'indietro e le gambe stese davanti a sè. Aveva sorriso, un po' delusa. Ma forse era meglio così; si fosse invischiata in un discorso che lui, sfinito, non aveva voglia di ascoltare, non avrebbe portato da nessuna parte. Però gli si era seduta accanto, gli aveva scostato una ciocca dal viso e gli si era stretta delicatamente addosso, poggiandogli una guancia sul petto e cingendogli la vita con un braccio, ben attenta a non svegliarlo. Non sapeva quanto fosse stata lì, immobile, ad organizzare frasi che non volevano saperne di infilarsi nel giusto ordine. Solo due parole le erano uscite, sussurrate sul suo cuore che da così vicino non poteva non udirle…

Ti amo

Ed era ancora lì quando Marie si era avventurata per vedere dove fossero finiti e capire per quante persone dovesse preparare la cena. Si erano guardate a lungo, in silenzio. Marie Grandier stringendosi le mani una dentro l'altra; lei stringendosi ad Andrè.
Lui si era svegliato, infine, forse per lo scoppiettio delle braci, forse avvertendo la presenza di persone nella stanza e le aveva trovate così; sua nonna di fronte, lei addosso. Stranito, non aveva potuto fare a meno di cingerle le spalle per indurla ad alzarsi, cercando i suoi occhi per provare a comprendere.

“Mi sono addormentato. Scusami Oscar ma la giornata è stata...”

“Ti fermi a cena?”- lo aveva interrotto la governante

“No...devo andare. Domattina ho un appuntamento improrogabile, non posso fare tardi”

Non aveva detto con chi ma la risposta, Oscar, l'aveva avuta quel giorno.


Dirigendosi all’ufficio di Bouillè, Fersen li vide da lontano. Non c'era nulla di strano nel vedere Oscar François de Jarjayes e Andrè Grandier parlottare vicini, a ben pensarci. Ma quel tocco fugace sul petto di lui fu sufficiente a rendere la scena profondamente diversa da tutte le altre.
Sorrise e pensò che non avrebbe dovuto fare nient'altro.

 

Come sempre un sincero ringraziamento a chi si fermerà tra queste righe.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Questi sono tempi bui e dedicarsi a qualcosa di meno che essenziale sembra quasi inopportuno. Quindi ancora un grazie a tutti per la pazienza e, a Galla, anche per non essere riuscita a resistere al fascino della divisa ;-)

Era appena l'alba quando si erano messi in viaggio. Il nastro rosa appuntato all’orizzonte lasciava sperare che il cielo avesse dismesso gli usuali abiti grigi e promettesse, finalmente, un po’ d’azzurro. Avevano attraversato la città addormentata senza turbarne il sonno fino alle barriere ad est e la città, di rimando, non li aveva disturbati. Non si aspettavano altro in fondo, i tre militari, contando sul fatto che una carrozza pubblica sulle vie di Parigi non avrebbe destato alcuna curiosità. Ciascuno per conto proprio era convinto non corressero pericoli e ad impensierirli erano piuttosto gli eventuali intoppi dovuti al sottile strato di ghiaccio che rendeva scivolose le strade. Avrebbero dovuto procedere lentamente almeno fintanto che il sole non fosse stato alto nel cielo a rendere meno insidioso il tragitto. Come se ciascuno volesse dare agli altri il tempo necessario ad abituarsi alla presenza reciproca, il viaggio era partito all'insegna del più assoluto silenzio fin dal loro ritrovo, fissato presso l'abitazione di Lassonne, non a caso ma in quanto luogo a mezza via tra Palazzo Jarjayes e la caserma di Rue de la Chaussée d'Antin a Parigi, dove Andrè aveva trascorso la prima notte nel suo alloggio da ufficiale.

Nei recessi della sua mente albergavano ancora immagini efferate e cruente, difficili da estirpare, che gli avevano consentito niente più di un sonno agitato. Si era svegliato stanco e sudato, chiedendosi se mai un giorno sarebbe riuscito a dimenticare. Forte dell'abilità acquista in guerra di provvedere a quell’attività anche senza avvalersi dell'uso dello specchio, si era rasato alla luce fioca di un doppiere ed erano movimenti abituali e sicuri quelli con cui faceva scivolare il rasoio sulla pelle, che non richiedevano alcuno sforzo alla sua mente, libera così di perdersi in gesti nuovi, da interpretare e provare a comprendere. Quelli di lei, tocchi leggeri che avevano imposto un ritmo diverso al suo cuore e quelli scomposti di ombre nascoste sotto l'azzurro degli occhi, agitate da un vento di cui non conosceva la direzione ne la provenienza.

Si era vestito rapidamente, scansando i brividi di freddo in agguato dietro ogni movimento ma aveva atteso ad indossare la giubba dell'uniforme, chiedendosi se davvero quella fosse la soluzione giusta, come gli era parso non appena gli avevano paventato quell'incarico. Dalla finestra poteva godere di una visuale completa sul cortile delle esercitazioni avvolto nell’oscurità ma di cui si indovinava facilmente il perimetro, delimitato dagli edifici adibiti a dormitori. Aveva preferito non avvalersi di presentazioni in pompa magna, intuendo non fosse quella la modalità corretta per iniziare con il piede giusto l'avventura tra i soldati della guardia cittadina. Si era semplicemente fatto accompagnare nelle camerate dal suo predecessore e lì, con poche frasi, avevano improvvisato il passaggio di consegne. Non erano mancati sguardi biechi e poco convinti, sufficienti per comprendere di non potersi aspettare chissà quale disciplina, almeno all'inizio, ma Alain quella mattina lo aveva stupito anche se ci aveva messo poco a capire come fosse stata la curiosità a rendergli la branda meno accogliente del solito.

Era ancora in camicia quando aveva bussato alla sua porta. Si era presentato senza alcuna lanterna tra le mani, muovendosi per i corridoi bui con la sicurezza sfrontata di chi è avvezzo ad abitudini poco consone al rigore militare.
Aveva lanciato il berretto sul piano della scrivania e, scansata la sedia che vi era accostata, ci si era seduto al contrario, i gomiti appoggiati allo schienale e le mani a sorreggere il mento.

“Sei in ritardo capitano”- aveva attaccato con un ghigno sornione, cercando di trattenere tutte le domande che sgomitavano per uscire perchè l'altro non si sarebbe certo lasciato intimorire da una valanga di parole E l'effetto sarebbe stato quello di seppellire le sole che era curioso di udire.

“No, sei tu ad essere in anticipo”

Andrè si era voltato a guardarlo, serafico, intuendo come il soldato volesse sentire spiegazioni da lui prima di spendersi in un incarico di cui non sapeva nulla.

“Allora Andrè...posso chiamarti “Andrè” se non c'è nessuno intorno, vero?”

Era una domanda di cui aveva già deciso la risposta ma ne voleva la conferma per non rischiare di intaccare quell'amicizia nata per caso a cui si era scoperto di tenere più di quanto avesse immaginato. Certo, ritrovarselo davanti in divisa da ufficiale lo aveva spiazzato ma, con poche frasi azzeccate, Andrè lo aveva persuaso delle sue intenzioni, diventate ancora più convincenti quando aveva estratto, dallo stipo alle sue spalle, una bottiglia ricercata, colma di liquido ambrato e l'aveva posta tra loro, sulla scrivania. Poi, appoggiando le mani sul piano, si era sporto verso di lui, dichiarando che non avrebbe ammesso bevute in servizio ma che sarebbe stato sempre ben felice di condividere con lui il dono di benvenuto per il nuovo capitano della guardia cittadina e una serata storta. Da ambo le parti.

“Concesso...”

Andrè aveva sorriso mentre allacciava la giubba.

“ Adesso me lo dici dove siamo diretti?”

Lui aveva alzato gli occhi, divertito.

“Non molto lontano...credo che la tua biancheria sarà sufficiente”

“Questo sì che chiarisce la situazione!"- aveva ribattuto Alain portandosi le braccia dietro la testa.

“Andiamo a Compiègne, c'è un problema con il reggimento del generale Jarjayes...”

Di più in realtà non avrebbe saputo dirgli. Le poche informazioni erano quelle che gli avevano sfiorato l'orecchio sulle labbra di Oscar dopo che si era guardata intorno con circospezione in quel corridoio della reggia. Si era alzata in punta di piedi aggrappandosi alla sua manica con quel gesto nato durante la loro adolescenza in boccio; all' epoca in cui lui era cresciuto più in fretta, guadagnando su di lei un vantaggio che ancora possedeva.

“Jarjayes? Come il colonnello delle guardie reali?”- le labbra si erano piegate in una smorfia dubbiosa mentre valutava dinamiche che, evidentemente, gli erano sfuggite.

“E' suo padre...”

“E perchè hanno scelto te e, di conseguenza me, per accompagnare quel biondo? Devi pagare pegno perchè sei l'ultimo arrivato?”

Andrè sorrise tra sé, allacciando la spada alla vita.

“Anche quello sì...immagino sia così”

Poi valutò che tanto valeva scoprire subito le carte se non voleva bruciarsi la fiducia dell'amico, conquistata senza combattere, sui tavoli di una locanda a parlare di vita vissuta.

“Ma anche perchè, prima di arruolarmi, io ero l'attendente del colonnello Jarjayes. Credo che questo abbia avuto un peso”- aveva affermato assorto, senza guardarlo.

Alain si era passato più volte la mano sulla bocca, scrutandolo pensieroso e chiedendosi quante cose non gli avesse ancora detto quell’uomo che aveva combattuto una guerra non sua ed evidentemente neanche per denaro. Da quando si erano conosciuti, in una notte ubriaca per lui ma appena brilla per l'altro che l'aveva aiutato senza riserve a smaltire la sbronza, avevano parlato dell'America e della Francia, della situazione di Parigi e dei soldati di infimo ordine. Talvolta, con sorrisi compiaciuti da parte di Alain, anche degli sguardi maliardi in cui li avvolgevano le filles de joie poggiate languidamente alla balconata cui si aveva libero accesso contrattando preventivamente con il taverniere.
Le curve morbide evidenziate da bustini volutamente troppo stretti non lo lasciavano certo indifferente ma André sembrava sempre più interessato a parlare che non a lasciarsi distrarre da certi trucchi.
E visto che di solito era lui a pagare da bere, si era adeguato.
Dapprima un po' a malincuore, doveva ammetterlo, poi scoprendo il piacere di qualcosa che non aveva mai avuto. Una conversazione intelligente e disincantata, insieme al tentativo di dare risposte ragionevoli alle obiezioni che entrambi sollevavano e la ricerca di soluzioni attuabili per le ingiustizie quotidiane. Erano diventati amici in poco tempo ma, nonstante l'affinità tra loro, non si erano mai avventurati in faccende personali perchè c’è una parte del cuore in cui vengono conservate le cose inestimabili o troppo dolorose, che si vorrebbero tenere per sé, senza pensare che gli altri possano guardarci dentro. Non gli aveva detto niente, ad esempio, del suo cruccio per la madre malata e dell'affetto profondissimo, tanto da sfumare in gelosia, per la sorella.
E di Andrè sapeva solo che era stato un soldato ed aveva idee ben chiare sulle nuove teorie che spazzavano quella Francia allo sbando con raffiche continue e sempre più intense. Era abituato a farsi gli affari propri ma ci teneva a saperne qualcosa in più sul suo conto, avvertendo gli sarebbe servito ad arginare lo zoccolo duro dei compagni che mal tolleravano l'autorità.
“Il rispetto bisogna guadagnarselo” – ripetevano tanto più forte quanto più alcol avevano in corpo e Alain era pienamente d'accordo ma c'era che Andrè si era già guadagnato il suo e ci teneva a spianargli la strada.

E poi c’era quel nome – Jarjayes – che gli ronzava in testa dal giorno prima e che non sapeva spiegarsi perché non gli fosse del tutto sconosciuto.

Quando poi si erano lasciati abbracciare dalla dormiente Parigi, Andrè si era avveduto di come fosse ancora bella e quanto intenso potesse essere il suo potere di colpire al cuore per quegli scorci con i ricordi abbandonati negli angoli, in attesa di essere raccolti tra le mani. E la dolcezza di un'età spensierata insieme ad un'amarezza che non aveva dimenticato gli erano colate addosso quando aveva riconosciuto quella casa.
La prima della via sulla quale, più giù, verso il fiume, sorgeva quella di Lassonne. Sul turchese brillante degli scuri si concentrava la luce rosata dell'alba, facendoli risplendere di arabeschi luminosi e attirando tutta la sua attenzione.
Come la prima volta.

Nelle innumerevoli occasioni in cui, lui e Oscar, avevano avuto bisogno del medico, quasi sempre Lassonne era stato chiamato a Palazzo ma era anche successo che, dietro le insistenze ansiose di sua nonna, li avessero caricati in carrozza per guadagnare il tempo che un messaggero avrebbe potuto sprecare in mille modi diversi e che Marie sembrava conoscere tutti.
Ovviamente non veniva mai contemplata l'evenienza che Lassonne potesse non essere in casa.
Dovevano aver avuto all'incirca dieci, undici anni quando l'avevano vista per la prima volta quella casa in pietra con brandelli di cielo estivo alle finestre. A Palazzo Jarjayes nulla era mai stato troppo eccentrico o ricercato e quel colore così bizzarro e così vivo aveva destato sorpresa ed eccitazione sui loro volti bambini. Ciascuno aveva visto la bocca dell'altro aprirsi di stupore; anche quella di lei che, talvolta, già mostrava il cipiglio navigato di chi deve essere superiore a certe banalità e si erano aggrappati al finestrino, seguendola con lo sguardo per fugare il timore di vederla sparire come nella più consumata delle favole.

Poi era capitato che, da ragazzo, su indicazione del Generale, avesse riaccompagnato lui stesso Lassonne a casa. E quella volta, dopo l'incidente a cavallo della Delfina e dopo che Oscar si era svegliata cercandolo con quei suoi occhi luminosi, rendendo il suo cuore così leggero e così pesante allo stesso tempo, un istinto inspiegabile lo aveva indotto a chiedere al medico a chi appartenesse quella casa.

E' una coppia che viene da Hyères, dal sud...”

E lui non sapeva dove fosse quella città e nel sud non c'era mai stato. Ma mentre tornava indietro, da solo sul calesse, attraverso le finestre lasciate aperte su una giornata tiepida, aveva visto un ragazzo baciare una ragazza sorridente, con i capelli color rame e una nuvola di lentiggini sul naso, prima di uscire di casa. E per un attimo, uno soltanto, aveva visto il rame mutare in oro e gli occhi scuri rubare al legno quell'azzurro brillante. E il sorriso era lo stesso che Oscar gli aveva regalato poche ore prima. E c'era lui chino su di lei a baciarla e lei lo tratteneva come se aspettare il tramonto fosse un sacrificio troppo grande.
Poi quella ragazza l'aveva vista altre volte attraverso le finestre, il ventre gonfio d'amore e poi ancora con un bambino tra le braccia. Il viso era più stanco ma il sorriso non si era spento così come quella luce che, invece, negli occhi di Oscar non aveva più scorto. E ogni volta si era permesso di sognare l'impossibile, tutto ciò che doveva evitare per riuscire a viverle accanto nell'unico modo consentito.
Fino alla sera in cui quella luce era tornata a risplendere tanto da accecarlo e fargli perdere la strada che tanto faticosamente cercava di percorrere.

Due case più avanti, tra le ombre che sbiadivano, aveva iniziato ad aguzzare lo sguardo per trovare tracce di lei. Che era lì, in attesa davanti ai gradini di ingresso. Con una mano teneva le briglie del cavallo, con l’altra gli accarezzava dolcemente il muso, assorta nella contemplazione di qualcosa oltre le finestre o forse ancora più su, nel cielo che, lentamente, assumeva tinte dorate. Allo scalpitio dei cavalli si era riscossa e li aveva salutati con un semplice cenno del capo, attendendo che Lassonne scendesse i gradini con due borse tra le mani e si accomodasse in carrozza. Andrè si era rabbuiato a quell'atteggiamento cupo e scostante, sentore che lei potesse non gradire quella compagnia imposta dall'alto.

Oltre le barriere della città, la strada si snodava tra campi ammantati di bianco. Era nevicato nei giorni precedenti e la coltre candida investita dai raggi bassi del primo mattino abbarbagliava gli occhi. Gli alberi erano rivestiti da trine di galaverna fino ai rami più alti che si aprivano, grati, in un abbraccio al sole.

La via iniziava ad animarsi. Carri di mercanti e faccendieri si dirigevano verso la città senza fretta e procedendo con cautela. I ritmi rallentati, i suoni ovattati e quel paesaggio su cui si poteva distendere lo sguardo fino all'orizzonte, emanavano una tale tranquillità che Oscar si rilassò. Bussando al finestrino si accertò che Lassonne non avesse bisogno di nulla e si pose al seguito della carrozza, ad un trotto leggero. Alain si portò in avanti rivolgendo, di tanto in tanto, qualche battuta al cocchiere per ingannare il tempo. Andrè si affiancò a lei.

“Tutto sommato è una bella giornata per una puntata fuori città. Se solo facesse meno freddo...”- esordì banalmente, per tastare il terreno che gli era sembrato impervio poco prima, sulla soglia di Lassonne.

“Questo è niente...avresti dovuto esserci l'anno scorso”- e non era niente davvero se rivedeva se stessa alle soglie dell'ennesimo inverno senza di lui. Era sempre il periodo peggiore l'inverno.

“La prima nevicata è stata all'inizio di ottobre, il giorno del compleanno di mio padre. Completamente inaspettata. Ti lascio immaginare quanto fosse contrariata tua nonna che non ha potuto inviare nessuno a Parigi per certi acquisti, ed è stata costretta a rivedere il menù della cena. Ha brontolato fino ad aprile prendendosela poi con la primavera che non arrivava. In effetti a Pasqua c'era ancora la neve per le strade”(1)

Abbozzò un sorriso, non vista, ricordando la reazione della governante. Lui invece sentiva che faceva male tutta quella vita che non aveva vissuto con lei, le risate che non avevano fatto burlandosi di sua nonna, il fuoco che non aveva acceso per darle ristoro. Non ricordava cosa stesse facendo quel giorno esatto – non avrebbe mai potuto- ma laggiù in Virginia di sicuro faceva caldo e lui, adesso, avrebbe barattato ogni singola ora di sole per un minuto con lei sotto la neve.

Lei, poi, lo guardò. Lo sguardo tranquillo, il volto disteso.

“Non mi avevi detto niente...”

Anche Andrè si rilassò e comprese senza bisogno d'altro.

“E' stato tutto talmente improvviso...te ne avrei parlato alla prima occasione. Non mi aspettavo certo che il mio primo incarico sarebbe stato quello di accompagnare te”

Poi trovò il coraggio di dar voce a quel pensiero che lo crucciava, rendendosi amaramente conto di non sapere nulla di quali relazioni lei avesse intessuto nel tempo.

“Ti dispiace che io sia stato coinvolto? Avresti preferito un gruppo diverso?”

Per un attimo il silenzio ingigantì tutti i suoi timori. Poi lei gli rivolse uno sguardo intenso, in cui gli sembrò di scorgere quella luce...quella luce...

E parlò piano, immersa in una dimensione intima a cui però gli permetteva di accedere.

“No. E' bello riaverti con me”

E lui sorrise a quella frase così esplicita e gli sembrò che davvero potessero ripartire da quei due ragazzi con la sfida negli occhi ai lati opposti di una scacchiera. E stava per dirle che per lui era lo stesso ma lei fu più rapida.

“Siamo sempre stati un ottimo gruppo...noi due. Però non immaginavo avessi progetti di questo tipo”

Noi due...

Faticò Andrè a non soffermarsi su quelle poche lettere, ma si costrinse a rispondere.

“Nemmeno io in realtà”- ammise.

“Sai..sono settimane che ci penso. Non che prima la situazione fosse rosea ma il finanziare la guerra americana è stata una mossa che non ha portato agio al popolo. Quando mi hanno proposto questo incarico ho pensato che avrei potuto sfruttare il mio titolo per qualcosa di utile”

Lei annuì e lui continuò.

“Ci sarà pure qualcosa che posso fare con una posizione di comando...a partire dal migliorare le condizioni della caserma!"- scherzò, lanciando uno sguardo ad Alain che, solo qualche metro più avanti, riuscì a cogliere le sue parole e decise di ribadire quanto ammirasse quella sua decisione che voleva fosse compresa per bene anche da quel colonnello aristocratico.

“Eh sì, il mio nuovo CAPITANO è una persona virtuosa al contrario di quell'altro”

“Chi sarebbe quell'altro?”- indagò Andrè inarcando un sopracciglio.

Alain abbozzò un sorriso sfacciato e, senza preoccuparsi di trovare le parole più adatte, esordì senza riserve.

“Il Comandante d'Harcourt...ha le mani troppo lunghe”

“Dovresti stare attento a fare certe osservazioni. Non vorrei passare le mie giornate a tirarti fuori dai guai”- provò ad ironizzare Andrè per non appesantire l'atmosfera ma consapevole di aver scorto la verità dietro le parole dell'altro.

“Te ne accorgerai! E comunque qui non ci sente nessuno”

“A cosa ti riferisci soldato Soisson?”- intervenne Oscar, incuriosita.

Lui le rivolse uno sguardo di sufficienza e un lieve sorriso di scherno. Proprio con un nobile doveva parlare di certe cose?

“Mi riferisco al fatto che fa il cascamorto con la moglie di Jules come se lei non potesse negargli nulla solo perchè è un ufficiale, come dovesse sentirsi “onorata” delle sue attenzioni”- e sottolineò l'aggettivo con un gesto plateale.

“E anche quando viene a trovarmi mia sorella la guarda in un modo che non mi piace per niente...ma io non ho problemi a spaccargli una mascella...”

Per un attimo sembrò assorto, mentre si passava un pollice sulle labbra.

“Questo vale anche per te André...capitano”

“Me ne guarderò bene!”- non riuscì a non ridere Andrè, sollevando le mani in segno di resa.

Alain annuì pensieroso.

“Anche se, pensandoci, sai che uno come te sarebbe adatto a mia sorella? Sei un po' troppo vecchio, ma non si può avere tutto...”- lo squadrò accarezzandosi il mento con il pollice come se davvero lo stesse soppesando e valutando quella possibilità.

“Ti ringrazio per il pensiero ma non potrei mai...”- scosse il capo, mentre il sorriso si spegneva al pensiero di ciò che necessitava davvero al suo cuore.

“Perchè no? Che non sei sposato lo so già, altrimenti non avresti passato tante serate con me a Parigi a meno che....- fece scivolare su di lui uno sguardo indagatore.

“Cosa?”- Andrè lo osservava, nuovamente divertito e in realtà un po' allarmato. Era certo di non avergli rivelato nulla di compromettente ma aveva imparato che dalla bocca di Alain potevano uscire insospettabili verità.

“A meno che tua moglie non sia così brutta e insopportabile da averti indotto a fuggire in America!”

Andrè esplose in una risata travolgente e anche Oscar sghignazzò al riparo del cappuccio di fronte all'allegra disinvoltura del soldato. Ma Alain non sembrava voler interrompere il discorso. Era partito volutamente con una schiocchezza colossale, tanto per rompere il ghiaccio. Poi affilò lo sguardo e lanciò l'amo.

“Allora forse c'è una donna di cui non mi hai mai parlato...”- fece una pausa per valutare l'effetto di quelle poche parole e l'espressione sfuggente dell'altro lo indusse a continuare.

“Vuoi vedere che il mio capitano è innamorato perso di una fanciulla sconosciuta, magari americana, perchè no? Sei stato laggiù a lungo in fin dei conti...una con un nome straniero, di quelli che non capisci nemmeno se sono nomi da donna? Come quella put...cioè, quella ragazza inglese che ha conosciuto François in un bord...sì, insomma, che ha conosciuto a Calais”- si corresse rapidamente non sapendo se le nobili orecchie del real colonnello fossero avvezze ad un certo tipo di gergo. Non che gli importasse in realtà ma non voleva essere giudicato da un aristocratico effeminato che chissà poi quali strane abitudini avevano le guardie reali, con quei capelli lunghi fino alla vita. Gli venivano strani pensieri, uno peggio dell'altro, ma valutò fosse meglio tenerli per sè. Ancora rabbrividiva al ricordo di quell'altro ufficiale in divisa celeste che per fortuna era rimasto a Versailles.

“Cameron si chiamava...dice lui. O una cosa simile. Ma andiamo, non sarà mica un nome femminile! L'abbiamo preso per il cu...cioè, l'abbiamo preso in giro per giorni perchè secondo noi era troppo ubriaco per ricordarsi se fosse davvero una donna!”- sogghignò allegramente ricordando le serate balorde con i compagni.

Un lampo di trionfo gli attraversò lo sguardo quando vide Andrè nascondere sotto il tricorno un'emozione che non voleva mostrare.

"Potresti avere ragione..."

“Su quale delle cose che ho detto?”

Andrè scosse il capo, contrariato. Non era così che voleva parlare con lei.

“Non vedo perchè ti interessi tanto la mia vita privata. Perchè non parliamo della tua?”

“Perchè quella la conosco già...”- e gli rivolse il più spudorato dei suoi sorrisi.

“Comunque ho capito: non ne vuoi parlare. Va bene”

Nel silenzio che seguì ciascuno fece proprie quelle battute, rivestendole di significati diversi. Poi Alain riprese.

“Tornando al discorso di prima..”

Andrè alzò gli occhi al cielo, spazientito

“No, fammi parlare”

“Perchè, qualcuno riesce ad impedirtelo?”

“Non sto scherzando ora. Volevo dirti che apprezzo i tuoi propositi; quelli di sfruttare la tua posizione per poter fare qualcosa di utile intendo...” - e lanciò uno sguardo di sottecchi ad Oscar, simbolo vivente di tutto ciò che lui considerava sbagliato nella loro società.

“Ci vorrebbero più persone così. Come quell'uomo a Parigi...”

“Quale uomo?”

“Non te ne ho parlato? Nessuno sa chi sia...di solito compare con una ragazza, una popolana. Portano cibo a chi ne ha bisogno. Anche medicine e qualche volta denaro. Su di lui le voci si sprecano, nessuno l'ha mai visto bene perchè copre il viso con un largo cappello e alza il bavero del mantello fino agli zigomi. Lo chiamano l' homme en noir, perchè indossa sempre abiti molto scuri. Che poi siano davvero neri non lo so...”

“Alain mi sembra una pura diceria...”

“No che non lo è! E' sicuro come la morte! Quei due sono stati anche da una vicina di casa di mia madre...la ragazza pare sia bionda e graziosa ma nessuno sa niente di quest'uomo”

Andrè lo guardava con accondiscendenza e un poco di incredulità.

“Allora potrebbe anche non essere un uomo...”- intervenne Oscar con noncuranza guadagnandosi uno sguardo incuriosito da parte di entrambi. Poi quello di Andrè si addolcì ricordando una sera di mani intrecciate sul bordo della fontana di Palazzo Jarjayes.

Parlando, il tempo scivolò rapidamente e arrivarono a Nanteuil senza intoppi. Si trovavano all'incirca a metà del cammino ed Oscar decise per una sosta: era opportuno far riposare i cavalli oltre che rifocillarsi con qualcosa di caldo. La stazione di posta era affollata dal via vai di persone che ruotavano attorno al castello dei principi di Boubon-Condè ma l'edificio era ampio e non avrebbero di sicuro avuto problemi a trovare un tavolo. Varcato l'ingresso su cui spiccava lo stemma del sovrano, Alain senza troppo convenevoli si diresse al bancone.

“Colonnello avete qualche richiesta particolare?”- si ricordò di chiedere facendo un mezzo giro su se stesso al centro dello stanzone affollato.

“Andrà benissimo ciò che prendete voi”

Oscar rispose conciliante mentre prendeva posto al tavolo accanto ad Andrè e di fronte a Lassonne.

“Sembra che vi conosciate da tempo...sembrate amici”

In poche battute Andrè raccontò il suo incontro con quel soldato smaliziato dalla vita e un po' fanfarone.

“Ci siamo trovati bene. E' sveglio e schietto. Come avrai notato non teme di dire ciò che pensa....ed è anche agile in caso di combattimento...che non guasta mai...”

“Perchè le taverne pullulano di combattimenti, vero?”- rideva il suo sguardo mentre, avida, si beveva le sue parole facendoglisi inavvertitamente più vicina.

“Molto più di quanto tu creda”- lui rise davvero, passandosi una mano sugli occhi e rilassandosi contro lo schienale della panca, sul quale allungò l'altro braccio, fin oltre le spalle di lei.

“In questi giorni non abbiamo avuto modo di parlare molto. Come procedono le cose per i tuoi amici americani?”

“Bene. Probabilmente hanno trovato un acquirente per la casa...”- rispose lui un po' incerto, abbassando lo sguardo.

“Probabilmente?”- inclinò il capo, lei, cercando i suoi occhi e trattenendo in tempo la mano che stava per adagiarsi sul suo volto per indurlo a voltarsi.

“Sì, ci sta pensando”- si fece trovare Andrè, spostando gli occhi nei suoi.

Ma non le rivelò - non poteva lì, davanti a Lassonne, nel bel mezzo di una locanda – il suo desiderio di mostrargliela prima di acquistarla.

“Saranno sollevati”- fu lei ora a distogliere lo sguardo, inquieta per ciò che comportava la risoluzione di quell'affare.

“Simmons di sicuro. Baptiste non sembra molto interessato in realtà. Sta lasciando fare a suo zio; dice che si fida del suo giudizio. Come biasimarlo del resto? E' giovane, è a Parigi...non sai quali voci circolano su Parigi oltreoceano”- sorrise ricordando le dicerie maliziose sui divertissements della capitale francese.

“Spesso esce per incontrare certi suoi amici di qui che ha conosciuto in America. Finita la guerra sono rientrati in patria ma pare abbiano continuato a scriversi...”

Annuì Oscar, augurandosi una rapida risoluzione di quella vicenda a Compiègne per tentare di raccontargli l'impossibile.
Non immaginava che proprio a causa di quelle circostanze avrebbe dovuto iniziare dalla fine, tralasciando tutto ciò che veniva prima del dolore.
Intanto Lassonne, osservando quei due ragazzi con la capacità di far sparire il mondo intorno, si chiese come avesse potuto prendere un abbaglio tanto grande dopo ciò che lei gli aveva rivelato in un lontano giorno d'autunno.

(1) L'inverno 1784/85 fu molto freddo in Europa. Le prime nevicate si verificarono ai primi di ottobre, le ultime a metà aprile; si trattò quindi di una delle invernate più lunghe di sempre. Il vero genarale Jarjayes nacque il 2 ottobre: ho unito le due cose.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Capitolo 17 (I) ***


Capitolo in due parti, perchè non risulti troppo indigesto e perchè la pazienza (quella del lettore) ha un limite ;-)
Alla fine della seconda parte ci sarà un disegno ispirato ad un passaggio di un capitolo precedente, un gradito regalo che AlessandraDF mi ha fatto a posteriori, per il quale la ringrazio di cuore come chiunque si avventurerà tra queste righe.

 

(Parte 1)

Erano di nuovo in sella.
Un’alba pigra aveva avuto a malapena il tempo di allungare i suoi riflessi grigiastri fino alle brande, attraverso i pertugi delle tende da campo, che i componenti della sparuta missione si erano destati rapidamente e avevano ripreso la via del ritorno, così come era stato deciso prima che la stanchezza del corpo avesse infine la meglio sulle menti ancora abbarbicate al resoconto di Lassonne, alla ricerca spasmodica di ipotesi valide, ciascuna delle quali si impantanava dopo pochi, sterili, passi.
Un messo li aveva già preceduti, diretto a Parigi, alla bottega dello speziale Gattilier, l'apothicaire in cui Lassonne riponeva una completa fiducia, dopo decenni di collaborazioni più o meno serrate. Bisognava accertarsi sullo stato delle scorte che se non fossero state sufficienti, occorreva rivolgersi immediatamente anche ad altri. Ma Lassonne voleva parlare personalmente e nel più breve tempo possibile con quella vecchia conoscenza per discutere di grammature e altri aspetti che i profani della materia non avrebbero compreso. Voleva riportargli le sue osservazioni, ricavate durante la notte appena trascorsa, impiegata ad infilare con solerzia una tenda dopo l’altra, seguito dal generale Jarjayes e da Andrè.
Oscar, suo malgrado, aveva dovuto capitolare all’espressione rigida e allo sguardo allusivo del padre. Senza parlare le aveva imposto il divieto assoluto di accedere alle tende in cui giacevano i soldati e senza indugi aveva chiesto ad Andrè di accompagnarlo in quell’ingrato compito che, a dire il vero, non era nemmeno obbligato a svolgere ma al quale sentiva in dovere di partecipare.
Per tutta risposta lei non ne aveva voluto sapere di accomodarsi, in attesa, nella tenda del padre e aveva preso posto su un masso da cui poteva godere di un’ampia visuale sulle operazioni in corso. Non si era persa un passo dei due uomini che aveva visto entrare ed uscire dalle tende, al seguito di Lassonne, ora in silenzio, assorti, ora confabulando vicini di cose incomprensibili alle sue orecchie troppo distanti. L’aveva spiazzata quella confidenza inaspettata e le aveva fatto sgranare gli occhi e battere il cuore. Lo aveva sentito allargarsi vedendo Andrè ridacchiare ad una battuta del genitore come fossero vecchi amici che avevano dovuto interrompere bruscamente un discorso e lo avevano lasciato lì, in attesa di essere ripreso esattamente allo stesso punto. E poi farsi stretto quando, tra la stima e il rispetto reciproco che stillavano da ogni gesto, era piombata la responsabilità del suo comportamento sconsiderato che aveva privato entrambi, per lunghissimo tempo, del piacere di una compagnia gradita.
Alain, dopo aver infilato rapidamente la testa nelle prime due tende, si era ritratto disgustato e, visto che nessuno badava a lui, aveva preso posto su un masso a poca distanza dal colonnello, inspirando più volte l’aria fredda della sera per scacciare dalle narici quell’olezzo rivoltante, riempiendole di gelo e dell’odore acre che si innalzava dai bracieri. Aveva scrutato a lungo, di sottecchi, quell’ufficiale dai lineamenti delicati e sogghignato quando era finalmente riuscito a collocare il nome del suo casato, udito tra frasi insinuanti e uscite indecorose in luoghi e situazioni che faticava a ricordare perchè il gran pregio di un'alzata di gomito era quello di eguagliare gli appartenenti a diversi ceti sociali e corpi militari. Con un sorriso beffardo aveva valutato che avrebbe potuto giocarsi a colpo sicuro un anno di paga puntando sul fatto che la diceria di una donna tra le guardie di Sua Maestà non fosse pura fantasia.
Lassonne si era messo all'opera non appena raggiunto l’accampamento, con un' espressione cupa sul volto e quando,ore dopo, era uscito dall'ultima tenda, aveva richiesto tutto l'occorrente per potersi lavare alla bell'e meglio prima di esporre le sue osservazioni che, malauguratamente, non era possibile per il momento ricondurre ad una causa precisa, da estirpare all’origine come avrebbero auspicato Jarjayes e l’intero vertice militare del regno. Proprio nella tenda del generale, riscaldata da piccoli bracieri sostenuti da trespoli in ferro battuto, il gruppo si era ritrovato per approntare una strategia d’azione.

“I soldati e anche gli ufficiali vostri diretti sottoposti versano tutti nelle medesime condizioni. Chi è in grado di parlare mi ha riferito di un continuo senso di nausea e dolori discontinui all'addome”- aveva esordito Lassonne in tono grave, rivolgendosi al generale Jarjayes e sfregandosi gli occhi stanchi prima di proseguire.

“Nei soggetti più colpiti, compreso il vostro sottotenente, ho notato spasmi...contrazioni rapide dei muscoli, una sorta di guizzi sotto la pelle”- aveva cercato di spiegare, intercettando l'espressione perplessa del militare.

Per gli spasmi muscolari, Monsieur...”

Le parole scandite lentamente, affinchè tutti potessero comprendere, avevano riportato ad Oscar lo strascico di altre, udite lungo una stretta via di Parigi, in una bottega raccolta e colma di effluvi persistenti. Uno su tutti emergeva nel ricordo.

Salvia

Le note pungenti e vagamente muschiate delle sue foglie essiccate e sminuzzate si erano fatte strada per prime tra i sentieri ombrosi dell'inconscio, accompagnate poi rapidamente dall'immagine delle mani ossute di Monsieur Gattilier che sporgevano dal risvolto scuro delle maniche e si avvolgevano attorno ad un vaso panciuto, in maiolica color latte, recante con dignità i numerosi segni del tempo.
La base sbeccata e il coperchio imbrattato dai segni sbiaditi di un'imprecisata tintura, lasciavano intravedere un passato di generazioni dedicate alla galenica, succedutesi dietro quel bancone. Sullo sfondo candido del vaso spiccavano i toni vivaci di smalti colorati, sapientemente pennellati in motivi floreali e fronde arboree che fungevano da cornice a vele di antiche galee.

C'era stata una forte tempesta al largo delle coste del Massachusetts e quella nave aveva subito danni irreparabili; correva voce che la quasi totalità degli uomini fosse andata dispersa in mare...

Aveva dovuto respirare a fondo, Oscar, quel giorno, tra gli scaffali traboccanti di boccette in vetro scuro e scatolette in legno recanti il nome degli ingredienti più disparati, per non lasciarsi sopraffare dalla morsa che aveva sentito farsi più stretta attorno alla gola e riportare la mente lì, tra il calore delle pareti di ciliegio, invece di lasciarla scorrere su carte nautiche sbiadite, scovate per caso su di uno scaffale della biblioteca poco frequentato e imparate a memoria nelle notti in cui cercava di figurarsi in quale punto si trovassero i flutti che avevano avvolto Andrè nel loro abbraccio senza tempo.
Era stato uno sforzo immane quello di tenere la mente ancorata a fare ciò di cui c'era bisogno, per il popolo a cui lui apparteneva. No, a cui era appartenuto, dannazione! Proprio non ci riusciva a pensare a lui come se non esistesse più...

Per gli spasmi muscolari, Monsieur...”

Aveva spiegato lo speziale mentre pescava con una spatola minuscola all'interno del vaso e poneva il contenuto sul piatto dorato di una bilancia; sull'altro alternava una serie di pesi lucidati e lindi fino al raggiungimento di un equilibrio che sottolineava, soddisfatto, con cenni di approvazione del capo.
Ora rimbalzavano quei ricordi sulle parole di Lassonne che intanto proseguiva con le sue osservazioni.

“Come avete notato anche voi - e intanto cercava l’assenso di chi lo aveva accompagnato al capezzale dei malcapitati - sono evidenti il rigetto e una certa forma di dissenteria, spesso spiccata. Certo ci sono forme più lievi di altre ma gli uomini sono tutti affetti dallo stesso male”

Contiene anche un pizzico di oppio, Monsieur...per l'intestino troppo sollecito. E' da usare con parsimonia. Mi raccomando di attenervi alle dosi che vi indicherò”

E intanto riponeva il vaso alle sue spalle, monsieur l’apothicaire, in una nicchia della boiserie, per afferrare un flacone in vetro dei tanti riposti e conservati con cura. Aveva proseguito in tal modo fino a pesare tutti i componenti di quella mistura che aveva infine riposto in un bossolo, poi affidato all'usurato candore delle mani di Rosalie.
La pesatura minuziosa aveva implicato una sosta più lunga del previsto all'interno della bottega, satura dell'inconfondibile profumo della cera che si fondeva ora con quello sconosciuto di erbe essiccate, ora con le note fresche e leggere di agrumi conservati in chissà quale forma, ora con quelle morbide di vaniglia e miele e poi ancora con le essenze legnose, evocatrici di cavalcate nei boschi alla fine della pioggia.
Su tutti però aveva prevalso quello trasportato da navi tinte in verde bosco su di un mare di maiolica. E proprio lì non aveva potuto fare a meno di riportare lo sguardo prima di uscire in strada.

“Salvia...”

Si era ritrovata involontariamente a pronunciare, Oscar, fissandosi la punta degli stivali, mentre elaborava le informazioni ricevute nella tenda del padre.

“Come dici Oscar?”- era intervento Andrè, colpito dal vederla così seria e assorta

Lei aveva scosso la testa che tanto lui non avrebbe potuto capire e invece bisognava capire in fretta, mentre alzava lo sguardo sul volto provato di Lassonne, incrociandone gli occhi infossati.

“Come a Parigi...”

Lui aveva annuito sistemandosi gli occhiali sul naso, rammentando visite in vere e proprie stamberghe, pagate da lei che non voleva sentire ragioni e che in autonomia si rivolgeva poi alla bottega che lui stesso le aveva indicato.

***

Dopo un viaggio svoltosi in un silenzio quasi religioso, tante erano la spossatezza, la delusione e anche l’inquietudine di non essere arrivati a nessuna conclusione, ora si trovavano di nuovo alle porte della città. Vi erano giunti insieme al buio che rapidamente aveva preso possesso di strade e piazze, iniziando a far scintillare i lampioni, protagonisti assoluti delle chiare notti parigine.
I pochi elementi in loro possesso venivano rimestati da ciascuno con fatica, e incespicavano continuamente tra le spire di menti annebbiate da una notte pressochè insonne e in pensieri intirizziti dal freddo.
Lassonne, che non era mai stato un tipo particolarmente loquace, risultava ancora più ombroso e taciturno del solito. Durante le brevi soste lungo il tragitto, Oscar lo aveva visto più volte aggrottare la fronte e poi scuotere il capo come non riuscisse a distogliere la mente da un certo ragionamento che inevitabilmente lo conduceva in un vicolo cieco.
Mentre una parte della città si preparava alla notte, c'era anche una Parigi che non dormiva e, al contrario, si accendeva insieme ai lampioni dei boulevards e si animava di vita, sobillando i sensi di Oscar a stare all'erta. Si riempivano i teatri e si ravvivavano i caffè, incastonati nei piani più bassi degli alti edifici in pietra che sfilavano uno dopo l'altro dietro i marciapiedi.
Giunti al centro della città e imboccata Rue de Richelieu, Alain non riuscì a staccare uno sguardo carico di approvazione dalle forme floride di due ragazze in abiti dai colori vivaci che chiacchieravano sommessamente davanti ad un portone. Sentendosi sotto osservazione risposero con sorrisi maliziosi alle occhiate sfacciate del soldato, prima di avviarsi velocemente verso un'ignota destinazione.
Oscar invece fu attirata da una chioma rossiccia che risaltava come una fiammella sotto la luce diffusa di un lampione.

“Non è il tuo amico americano?”

Si rivolse ad Andrè che cavalcava in silenzio al suo fianco, indicandogli discretamente la direzione in cui guardare

“Sì è Baptiste”- convenne lui, individuato il soggetto.

La figura prestante e il viso aperto del giovane erano inconfondibili per Andrè che osservò il ragazzo impegnato in una fitta conversazione con due uomini all'incirca coetanei, più bassi di lui e dall'abbigliamento tipicamente francese. Li vide poi avviarsi insieme e scomparire dietro lo stesso angolo che poco prima aveva accolto anche le due ragazze, agghindate per la serata.

“Te l'ho detto che sta sfruttando tutte le opportunità di Parigi”

Andrè abbozzò un sorriso guardandosi intorno e realizzando che poco più in là si trovava l'ingresso ai giardini del Palais-Royal. Nonostante gli anni trascorsi altrove, erano state sufficienti poche occasioni per comprendere che quello era diventato il cuore della vita sociale di una Parigi pulsante, di giorno e di notte. Pur ospitando nel corpo centrale la residenza privata degli Orléans, le arcate che circondavano i giardini, si erano arricchite di attività più o meno lecite, frequentate da membri di ogni ceto.

“I giardini sono aperti al pubblico ora e...”- e non c'era proprio alcun motivo, a suo avviso, per cui un giovane scapolo in visita alla Ville Lumière non dovesse trovarsi in quei paraggi alle soglie della notte. E anche Oscar era d'accordo.

“Sì, qualche anno fa il cugino del re ha ottenuto l'autorizazione da Sua Maestà per ospitare botteghe, negozi e caffè nelle gallerie porticate”- convenne lei che di quell’argomento aveva sentito parlare fino alla nausea nei corridoi della reggia.

“E case di piacere, sale da gioco e circoli clandestini...politici intendo. Un concentrato di attività illecite dove neanche la Maréchaussée può mettere piede! O, se lo fa, viene debitamente zittita con qualche servizo di qualità”- si intromise spudoratamente Alain, strappandole suo malgrado un'espressione di accordo.

“Lungi da me fare il moralista ma lo sa tutta Parigi che il duca affitta i locali per far fronte ai debiti della sua famiglia o di chissà quale fetta di nobiltà! E si dice ci sia una lista lunghissima di potenziali affittuari perchè con l'affitto ci si garantisce l'immunità...”- ghignò di disapprovazione, Alain, prima di sfoderare un sorriso sprezzante e calcare sulla parola che, inevitabilmente, gli faceva torcere le viscere.
“...e questo è il modo in cui la nobiltà risolve i problemi...” - e si trattenne in tempo, con uno sforzo enorme, per non sputare a terra che la presenza del real colonnello imponeva una certa decenza.

“E mi ci gioco le p...gli attributi - si corresse rapidamente ad un’occhiata truce di Andrè - che quei poveracci che hanno trovato con la gola tagliata giù in Vandea avevano a che fare con questi problemi da risolvere. Sai com’è...devi pagare l’affitto, l’altro deve saldare i debiti, tu non hai il denaro il giorno stabilito...cose così...”

“Di cosa diavolo parli Alain?”- sospirò Andrè volgendosi a guardarlo con una certa aria di sfinimento sul viso. Stanchi e infreddoliti com'erano non gli sembrava proprio il caso di inalberarsi in una discussione su quei toni.

“Gérard...Lassalle. Non lo conosci? Domani te lo presento”- si infervorò Alain che ci teneva ad avvallare la sua visione delle cose, di fronte al diniego pacato del suo capitano.

“Insomma, Gérard ha una sorella. Il fratello del marito della sorella...”- si grattò il mento dubbioso prima di convincersi di essere nel giusto.

“Sì, mi sembra che la parentela sia quella. Insomma, questo tizio commercia in stoffe e fa spesso la spola tra qui e Nantes e si allunga anche fino alla baia dove pare ci siano prezzi più vantaggiosi”

“La Baia di Bourgneuf? Quella è terra di contrabbando, Soissons! Certo che ci sono prezzi più vantaggiosi. Sei sicuro che il tizio di cui parli lavori nei limiti della legalità?”- intervenne Oscar, inchiodandolo con uno sguardo allusivo.

“Beh, sì...immagino di sì”- si trovò spiazzato Alain di fronte a quella realtà che non aveva considerato e al timore di aver involontariamente messo nei guai un disgraziato che si spaccava la schiena dall’alba al tramonto.

“E' per quei poveracci con la gola tagliata che ieri mi hai chiesto se fosse quella la nostra destinazione? Saranno pure poveracci ma forse non proprio onesti...”- sottolineò Andrè con intenzione.

“Sì. Pare ci sia gente molto nervosa da quelle parti, ma come dicevo prima, considerato il modo in cui la nobiltà risolve i problemi...”

Concluse sfumando le parole Alain, decidendo di zittirsi e di deviare il discorso su strade meno scivolose. Si trovava al cospetto di un colonnello delle guardie reali anche se per tutt'altro genere di motivo e non voleva invischiare qualcuno in situazioni pericolose che, a suo vedere, chi si spaccava la schiena dall'alba al tramonto era sempre nel giusto. Si strinse nel mantello e proseguì assumendo un tono ironico e cantilenante.

“Poi per carità, qui al Palais-Royal ci sono fiori e piante di indubbia bellezza a disposizione degli occhi di tutti. E d'estate ci si può rinfrescare vicino alla fontana circolare al centro, davvero notevole non c’è che dire. E anche osservare il passaggio di medmoiselles disponibili. Ci sei mai venuto Andrè?”- concluse rivolgendogli il più sfacciato dei suoi sorrisi.


Cara amica che ti sei svegliata con un anno in più, non sono uno scrittore e non faccio dediche ma mi sono impegnata ad arrivare in tempo per oggi ;-)

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Capitolo 17 (II) ***


(Parte 2)

N.B: ho riportato in coda alcuni chiarimenti. Mi dispiace non averlo fatto subito: ci avevo pensato ma arrivo sempre di corsa ed era rimasto, appunto, un pensiero

“Lasciate che sia io per il momento a fare qualcosa per voi. Entrate a scaldarvi per qualche momento. Anche voi Alain...dico bene?”

Aveva aggiunto Lassonne alzando lo sguardo e cercando una conferma, sopraggiunta con un cenno del capo, nel volto di quel soldato che a malapena si intravedeva tra il bavero del mantello, alzato fino agli zigomi, e il copricapo, calcato con decisione sui capelli scuri.
La proposta gli era salita alle labbra dopo che Oscar era smontata da cavallo con movimenti svelti e precisi e gli si era portata al fianco, travolgendolo con l'impeto che metteva in ogni cosa le stesse davvero a cuore e dicendosi pronta a partire verso qualsiasi indirizzo di Parigi lì, subito, in quell'istante, ignorando la spossatezza inevitabile dovuta a quell'ultimo giorno in sella.
Ma lui aveva scosso il capo di fronte ai volti pallidi e tirati, addestrati a non lasciar trapelare alcun disagio e che di certo non si sarebbero sottratti ad alcuna sua richiesta. Li aveva scrutati uno ad uno i tre giovani che l'avevano scortato, anche quel soldato che non conosceva e che se ne stava in disparte, lasciando ai superiori la facoltà di decidere del suo tempo.
Poi, con il passo pesante di chi ha dovuto lasciare indietro la scioltezza della gioventù, aveva preso a salire i gradini resi insidiosi dall'alito gelido della sera, dando per scontato che i suoi tre accompagnatori lo seguissero senza ribattere.

“Fate attenzione, si scivola”- non aveva mancato di raccomandare, avvertendo il piede destro involarsi in un movimento del tutto autonomo sulla superficie sdrucciolevole della pietra.

Quell'idea non era niente male, aveva valutato Alain, mentre scendeva da cavallo e si accodava agli altri. Si sentiva grato per la proposta inaspettata che gli consentiva di ritardare il rientro in quella sorta di seconda casa che per lui era diventata la camerata della Compagnia B, dove buona parte del riscaldamento era dovuto al tepore del fiato dei suoi occupanti. Gli scappò un sorriso di rassegnazione al pensiero che, per carità, al russare continuo ci si abituava pure, anche se certi picchi sonori particolarmente acuti erano in grado di strapparlo controvoglia al sonno tanto faticosamente raggiunto.
E l’odore, l’odore richiedeva un discorso a parte, perchè cinquanta paia di stivali abbandonati in fondo alle brande, da altrettanti cinquanta soldati che si tenevano in ordine alla meno peggio, non era propriamente quello dei ciuffi sporadici di viole che spuntavano in primavera, contro ogni regola, là dove il lastricato del piazzale di parata incontrava il muro di cinta. Ma ciò a cui lui faceva più fatica ad abituarsi era il freddo e nonostante tenesse la giubba addosso sotto la coperta non esattamente di ottima qualità, non c'era un giorno di quei lunghi, dannati, inverni che avvinghiavano la Francia del Nord, in cui al risveglio non pensasse che proprio così dovevano sentirsi i pulcini poco prima di rompere il guscio ed uscire all’esterno, con le membra intirizzite e la sensazione di poterle allungare il doppio se solo ci fosse stato un camino acceso davanti al quale potersi crogiolare.
Mentre attraversavano Parigi, il breve pomeriggio invernale era virato in una notte buia e senza stelle, dalla quale ci si sarebbe potuti aspettare anche una spolverata di neve.
Prima che Oscar girasse i tacchi e si infilasse, decisa, dietro Lassonne, lei e Andrè si erano scambiati un rapido cenno di assenso, leggendo l'uno negli occhi dell'altra lo stesso pensiero e il medesimo sospetto che quella non fosse una sosta di pura cortesia. Particolare di poco conto - si era detto Andrè – se serviva a scacciare il pallore dalle guance di lei e ad attenuare i brividi che con quel suo fare discreto di stringersi nelle spalle cercava di nascondere sotto il mantello. E che non era cambiato affatto da quello della ragazzina che gli si stringeva addosso poggiando, neanche troppo delicatamene, sulle ginocchia di entrambi uno di quei tomi che il loro precettore pretendeva conoscessero a menadito.

Voglio essere sicura che tu abbia capito Andrè, così domani non ti prenderai una sgridata...”

Era quella la scusa abituale, sfoderata fin dal primo e lontano inverno trascorso insieme e usata per nascondere il desiderio di calore gridato a squarciagola dal suo corpo esile e, forse, anche da quel cuore già talmente grande da potervi accogliere uno sconosciuto venuto dal nulla come un fratello. E lui, timoroso di fare qualcosa di sbagliato in quella casa così lussuosa di cui non aveva ancora capito tutte le regole, non diceva nulla ma si teneva addosso quel peso, di lei e del libro, e l'odore pulito dei suoi capelli, pensando che se quello era il modo in cui, da lì in avanti, avrebbe trascorso le giornate più fredde e più buie, allora poteva anche farsele piacere e smettere di augurarsi che passassero il più in fretta possibile.

Certo l'eventualità di una nevicata che avrebbe reso le strade ancora più insidiose un po' lo preoccupava ma in cuor suo aveva già deciso di riaccompagnarla, a qualsiasi orario si fossero congedati. Alla mala parata avrebbe dormito nella sua vecchia stanza con buona pace di sua nonna che di sicuro non gli avrebbe risparmiato ingiurie per non averla avvertita in tempo. Con lo sguardo acceso da un guizzo divertito osservò la figura elegante di lei che spariva oltre la porta d’ingresso e si sentì ancora quel ragazzo in marsina marrone che l’aveva accompagnata a Versailles la prima volta. Non importava affatto il tempo trascorso e nemmeno il numero incalcolabile di volte in cui si era maledetto per essersi trascinato oltre la porta della sua stanza lasciandola sola a stringersi addosso un lenzuolo sgualcito, invece di avvolgerla, in quel lenzuolo, e stringersela contro e soffiarle tra i capelli la sua verità fino a non avere più fiato in gola.
Erano sempre loro in fondo. La vita li aveva plasmati e resi artefici e depositari di esperienze uniche ma in quel cuore grande, ora ne era sicuro, lei aveva conservato il perdono per un uomo che stupidamente si era permesso di intraprendere una scalata sconsiderata verso le stelle e la cui punizione, secondo la miglior legge di contrappasso, era stata quella di sentirsi risucchiare all'inferno quando aveva capito di essere sul punto di dimenticare certi suoi gesti. C'era già stato un giorno in cui, con sgomento, non era più riuscito a richiamare il suo odore. E un altro in cui gli era mancato il timbro della sua voce e un altro ancora in cui non aveva più udito il suono delle sue risate, meravigliose e rarissime seppur mai così numerose come nell'ultimo frammento di vita vissuta insieme. Ma quel giorno, quel giorno in cui gli era parso di non ricordare il movimento secco e preciso con cui lei estraeva la spada dal fodero, si era sentito smarrito e di fronte alla possibilità concreta di una vita senza di lei, aveva scelto ancora lei. Incondizionatamente.

Si erano accomodati in un salotto semplice ed elegante; l'ampia vetrata che dava sul terrazzo lo doveva rendere molto luminoso di giorno ma ora c'erano pesanti tendoni grigi a far da scudo agli attacchi del freddo e a lasciar fuori i colori della notte. Il compito di accendere i toni azzurrini delle pareti era affidato ad un fuoco vivo e scoppiettante e alle fiammelle di diversi candelieri.
Lassonne aveva l'aria crucciata. Sedeva in poltrona puntando i gomiti sui braccioli e facendo scorrere le dita intrecciate sulle labbra in un movimento ritmico che lo aiutava a concentrarsi. Strizzava gli occhi per fissare un pensiero e poi scuoteva il capo, incapace si seguire fino in fondo l'idea che lo aveva sfiorato ma che non riusciva ad afferrare del tutto. Nemmeno approfittando di quei momenti in cui la moglie, insieme alla loro unica domestica, era indaffarata a versare un té profumato e fumante nelle tazze di semplice porcellana bianca sul tavolino basso del salotto. Era una piacevole signora di mezz'età, Madame Lassonne, e portava senza vergogna una chioma folta di capelli ingrigiti dagli anni senza ricorrere a cipria o improbabili camuffi ma valorizzandoli con onde vezzose attorno all'ovale ancora gradevole del viso. Era abituata a ritrovasi in casa ospiti variegati negli orari più disparati e non se ne risentiva mai, avendo imparato a catalogare quell'evenienza come controparte necessaria all'aver sposato uno dei medici più consultati da parte della nobiltà vicina alla corte.
Prima di lasciare la stanza aveva rivolto ad Oscar un sorriso gentile, ricambiato da un altro, lieve e riconoscente. E quando si era chinata per poggiare al centro del tavolo un piatto di biscotti spolverati di zucchero, da così vicino, al colonnello non erano sfuggiti i segni impressi dal tempo sotto gli occhi nocciola che un'altra volta aveva avuto così prossimi, sotto una fronte aggrottata, colmi della serena fiducia di chi sa che tutto andrà come deve anche se non sarà come ci si aspettava. Poi aveva poggiato una mano sulla spalla del marito, stringendola piano, in un gesto colmo di significati che Andrè aveva invidiato profondamente e si era ritirata con discrezione.

Per qualche istante ancora Lassonne continuò a tenere lo sguardo fisso sul filo di fumo che si levava dalla tazza davanti a sé, cercando le parole più adatte per riassumere le sue riflessioni, messe nero su bianco durante le ore in carrozza, sulle pagine di un taccuino che ora giaceva, chiuso, sul bordo del tavolo.
Oscar e Andrè gli sedevano di fronte e, con movimenti che neanche si rendevano conto fossero identici, si studiavano a vicenda, di sottecchi, a cercare di comprendere se l'altro potesse essere giunto ad una conclusione sensata o aver avuto una qualche intuizione provvidenziale.
Alain, non abituato a nessun tipo di salotto e alle conversazioni che in quei luoghi si potevano tenere, aveva preferito rimanere in disparte e accomodarsi su di un canapè foderato in velluto appena sotto la finestra. E mentre se ne stava lì, con il busto piegato in avanti e gli avambracci sulle cosce e valutava quanto tempo potesse occorrere per rendere bevibile il suo tè senza procurarsi piaghe doloranti sul palato che poi in caserma sarebbero state solo un inghippo, si interrogava su quali potessero essere le parole che di lì a poco sarebbero uscite dalle labbra di quell'uomo che, tutto sommato, stava iniziando a piacergli.
Lo aveva capito anche lui che quella sosta non era un mero atto di cortesia e anche se quello non era il suo mestiere e lasciava volentieri ad altri l'incombenza di capire cosa diavolo stesse succedendo, non poteva non dirsi curioso e anche desideroso di sapere se poteva essere utile in qualche modo. Perchè se quei poveracci del reggimento di Jarjayes fossero stati i suoi commilitoni o magari lui stesso, avrebbe davvero apprezzato che qualcuno si fosse dato da fare per toglierli da quella situazione il più rapidamente possibile e magari fare in modo che non ci finissero più.

"Non so bene da dove cominciare..."- attaccò Lassonne con un sospiro profondo, guadagnandosi l'attenzione degli altri. Non era semplice provare a spiegare quell'idea che veniva, lo sfiorava e poi se ne andava, perchè in quel caso le cose avrebbero dovuto essere diverse; avrebbe dovuto vedere certe condizioni che non aveva visto, eppure per un così ampio coinvolgimento di uomini la modalità poteva essere la medesima...insomma, era un bel mistero!

Afferrò il taccuino ed iniziò a sfogliarne le pagine.

"La prima cosa a cui potrei pensare in un caso come questo è un'affezione da cibo ma..."

"Ma ricevono tutti lo stesso rancio, ufficiali e non..."- proseguì Oscar asciutta - "Anche quelli perfettamente in salute, compreso mio padre"

"Che peraltro ha controllato ogni dettaglio delle forniture. Tutti ricevono lo stesso trattamento, bevande comprese”- concluse Andrè, dirimendo ogni dubbio su quell'ipotesi.

“Ci deve essere un'altra spiegazione, anche perchè lo stesso Bouillé ha accennato che questa non è la prima volta che accade ”- affermò lei convinta e tentò un suggerimento

“Non potrebbe trattarsi di un morbo trasmissibile ad esempio? Come il vaiolo....”

Non avrebbe mai dimenticato, Oscar, la malattia di Luigi XV, il timore che si era diffuso a corte e le precauzioni prese in fretta per confinare gli eredi al trono in un'ala della reggia dove fossero al sicuro dal contagio.

Lassonne scosse il capo in segno di diniego mentre sorseggiava il suo té ormai tiepido.

“Ci ho pensato ma non può essere così. Sono ore che me lo ripeto. E questo perché ci sono soldati perfettamente in salute che condividono la tenda con altri i quali, invece, manifestano sintomi pesanti. Notoriamente in queste situazioni vengono bruciati anche lenzuola e indumenti allo scopo di bloccare la diffusione...”

Oscar strinse le labbra e annuì. Lei stessa, con il cuore colmo di amarezza e speranza, aveva dovuto scortare i membri della famiglia reale fino al castello di Choisy, in attesa che la reggia venisse ripulita a dovere dopo che la salma di Re Luigi, le Bien Aimé, era stata composta in una doppia bara di piombo, aspersa di aceto e canfora ed era stata trasferita alla cripta reale nella cattedrale di Saint-Denis per una rapida sepoltura.

“Sì, sembrerebbe davvero una condizione legata ai singoli. Ma come si spiega?”

Lassonne, abbandonata la tazza sul tavolo, si portò le mani alle tempie, facendo pressione con le dita come se quel gesto potesse far affiorare l'intuizone più giusta. Poi si lasciò andare all'indietro, poggiandosi allo schienale e sospirando per quell'idea che continuava a fare capolino, non tanto per similitudine con ciò che aveva osservato a Compiégne ma per...non lo sapeva neanche lui il motivo esatto. Decise comunque di provare a parlarne che qualcosa di utile magari avrebbe potuto uscirne. Sospirò di nuovo e iniziò cautamente perchè non sapeva proprio dove lo avrebbe condotto quel ragionamento.

“Durante il viaggio di ritorno non ho potuto fare a meno di pensare a tante cose, compreso un flagello che continua a colpire intere collettività in Europa. Ve n'è traccia anche in testi molto antichi ma parlando dei nostri tempi, ci sono stati casi eclatanti all'inizio del secolo, nella Sologne o nel Delfinato. O, ancora, il caso di Lille che ci veniva portato ad esempio quando ero uno studente. Personalmente ricordo molto bene quello di Arras del sessantaquattro che, seppur di striscio, coinvolse anche Parigi”

Lassonne squadrò Oscar e Andrè seduti vicini sul divanetto dall'altra parte del tavolo, cercando in loro segni di comprensione che avrebbero reso più efficace la spiegazione.

E nel tempo in cui li osservò voltarsi uno verso l'altra, l'espressione corrucciata di lei mentre alzava gli occhi per incontrare a mezza via quelli dubbiosi di lui, già abbassati su quel frammento d'azzurro in cui speravano di trovare brandelli di vita che non riusciva a richiamare, si rese conto che loro a quel tempo, neanche erano usciti completamente dall'infanzia e avevano di certo tutt'altri pensieri.

“Ma non credo che la causa possa essere la stessa....”- concluse desolato.

“Di cosa stiamo parlando?”- chiesero loro all'unisono, il tono fermo, stupiti e anche infastiditi di non ricordare, per quanto la memoria, impegnata in una folle corsa all'indietro alla ricerca smodata di indizi, non ne trovasse nemmeno uno.

Claviceps purpurea...o seigle ergoté, se vi suona più familiare”- sentenziò Lassonne, lanciando uno sguardo rapido e furtivo ad Oscar e poi cercando esplicitamente qualche segno di comprensione sui volti che stavano riprendendo colore. Un ricordo lontano cacciato giù in fondo per non farlo riemergere proprio in quel momento così inopportuno diede il tempo ad Alain di rispondere per primo. Il suo tono sicuro e incredulo indusse tutti gli sguardi a concentrarsi sul fondo della stanza.

“State parlando del grano pazzo?”- intervenne riportando il nome popolare, usato abitualmente tra le vie meno nobili di Parigi. Poi poggiò la tazza sul pavimento, accanto ai piedi, e proseguì con l'espressione ironica di chi non prende nulla troppo sul serio, soprattutto se stesso.

“Anche se a me è sempre piaciuto di più quell'altro nome. Segale ubriaca mi si addice molto meglio”- concluse guardando Andrè con intenzione e strappandogli un sorriso. Oscar si irrigidì e chiuse gli occhi per un istante, per nascondere un guizzo che nessuno aveva visto, mentre Lassonne annuiva ed iniziava a spiegare.

“Esattamente. Già da un paio di secoli è nota l'associazione tra il grano pazzo - sorrise a quel temine che non usava mai ma c'era poco da fare gli schizzinosi, l'importante era farsi comprendere - e una serie di fenomeni che hanno afflitto, nei secoli, un numero spropositato di persone. Per farla breve, il colpevole è un parassita che cresce nelle spighe e trasforma i chicchi in piccole strutture scure a forma di corno. La farina che si ottiene dalla macinazione del grano contaminato insieme a quello sano è una farina scadente, di dubbio gusto ma...”

“...ma viene usata comunque perchè...”- si intromise Oscar per tentare di sfuggire al ricordo che aveva fatto scivolare dalle sue guance il velo rosato depostovi poco prima dal fuoco, rivelando un pallore estremo. Aveva avuto modo di constatare lei stessa di come la logica non avesse armi contro quell'avversario imbattibile che era la miseria.

“...perchè la gente che ha fame non presta attenzione al sapore del pane ma solo a riempirsi la pancia!”- concluse Alain con astio guadagnandosi un cenno di approvazione da parte di lei.

“E' dannosa solo se assunta con il cibo?”- chiese Andrè assorto, vagando tra il presente e residui di racconti in bilico tra superstizione e magia, di riti pellerossa e di sciamani, di cui la tradizione dei nativi americani pullulava.

“Che io sappia sì. Comunque le condizioni degli uomini che ho visto stanotte non possono essere imputabili al blé cornu perchè i sintomi sarebbero diversi da quelli che ho avuto modo di riscontrare”

"Quali sarebbero in quel caso?"- tentò di approfondire Andrè, pensieroso e inquieto, perchè quegli uomini li aveva visti anche lui la sera prima e mentre entrava ed usciva dalle tende non potendo far altro che ossevare in silenzio, si era sentito aggredire da un'idea vaga ma talmente flebile da poterglisi sottrarre in ogni momento.

“Spossatezza estrema all'inizio...”- prese ad elencare Lassonne - “seguita da dolori agli arti. Dolori lancinanti, in effetti, con un senso di bruciore intenso come se un ferro rovente attraversasse le carni. Da qui l'antico nome medievale, o almeno uno dei tanti, le mal des ardents. Poi...

Lassonne fece una pausa, indeciso se descrivere o meno gli aspetti più cruenti.

“Poi?”- incalzò Oscar, interpretando correttamente quel silenzio sospeso e valutando che tutti loro avevano le spalle abbastanza robuste da potere sopportare particolari raccapriccianti. Lui annuì e proseguì.

“Poi si arriva a fenomeni gangrenosi. La pelle si stacca a brandelli; nei casi più gravi si arriva al distacco delle dita o degli arti e...insomma, capite bene che stiamo parlando di tutt'altro...”

Alain lo ascoltava con involontarie smorfie di disgusto ma ormai completamente coinvolto dal racconto.

“Mia madre mi parlava anche di persone che hanno visioni, sentono dei suoni...”

Annuì di nuovo Lassonne alle osservazioni del soldato.

“Più di recente sono stati descritti anche altri fenomeni qui in Francia e più in generale nei Paesi ad Ovest del Reno”

Sembrava tentennare Lassonne, ma alla domanda diretta di Andrè che continuava a tentare di afferrare particolari sfuggevoli, non potè sottrarsi dall'elencarli.

“Aridità”

Oscar impallidì e strinse forte tra le dita il bracciolo del divano, laddove il velluto morbido che faceva da supporto per il gomito, lasciava posto al legno, più duro e resistente e inavvertitamente portò una mano alla gola, d'un tratto arida come lo era stata solo un'altra volta. Soltanto una.

La gola secca. La ricerca spasmodica dell'acqua sul comodino finchè una mano gentile non le aveva accostato il bicchiere alle labbra...e poi quel dolore, fuori e dentro il cuore...

Le avevano spiegato che il suo peso esiguo probabilmente aveva giocato a suo sfavore.

“Tremori e formicolio alle estremità”

La sensazione straniante di non poter più disporre delle proprie mani e i tremiti di rabbia e disperazione che non facevano che accrescere quel dolore, fuori e dentro il cuore...

Le avevano spiegato che normalmente non si verificava nulla di tutto ciò.

Minuscole gocce gelate presero a scenderle lentamente sul collo fino al colletto della camicia e oltre mentre lei deglutiva e toglieva un'ombra di polvere inesistente da uno degli stivali con l'unico scopo di nascondere gli occhi sotto l'onda dei capelli.

“E poi sì...deliri...uditivi e visivi”

Andrè, il suo viso che le mancava come l'aria, la sua voce che la sosteneva e la incitava e le diceva che era la persona più forte avesse mai conosciuto. La mano tesa per aggrapparsi alla sua camicia che non c'era così come non c'era il suo braccio in cui affondare le unghie per provare a resistere a quel dolore, fuori e dentro il cuore...

Le parole di Lassonne continuavano a scandire attimi di un'altra notte che non pensava potessero tornare con una forza tanto inaudita da non poterla contrastare e le fu necessario ricorrere a tutto il suo sangue freddo per riuscire a recuperare il solito contegno risoluto.

“Fa troppo caldo qui dentro...esco un istante”

***

“Credo sia ora di andare a riposare...siamo tutti molto stanchi”- osservò Lassonne distogliendo rapidamente uno sguardo discreto, mascherato dal gesto abituale di sistemarsi gli occhiali sul naso, dalla giubba rossa che stava svanendo nel buio, oltre i vetri.

“Sì...credo di sì”- approvò distrattamente Andrè che invece aveva seguito, inquieto, i movimenti di lei, notando sia la fronte imperlata di sudore sia il pallore inadeguato alla temperatura della stanza.

“Alain, sei libero di rientrare in caserma. Io non dormirò lì stanotte”

Il soldato inarcò un sopracciglio, colpito dalla stranezza della situazione ma si limitò ad annuire, raccogliendo le sue cose ed infilando la porta. Di sicuro il suo comandante era cresciuto abbastanza da poter decidere dove e con chi passare la notte.

Andrè era già in piedi quando Lassonne lo bloccò con un tocco pacato sul braccio. E scosse il capo in segno di diniego intuendo le sue intenzioni e i suoi pensieri già oltre le tende.

“Voglio solo assicurarmi che stia bene...”

“Starà bene...dalle qualche minuto”- lo rassicurò con il suo tono più convincente, lo stesso delle innumerevoli volte in cui aveva dovuto persuaderli ad ingurgitare intrugli amari e dall'odore sgradevole per abbassare la febbre.

Andrè annuì, momentaneamente convinto dalla familiarità di quella situazione.

Starà bene...

C'era però un che di nefasto in quella rasserenante certezza; gli vorticava intorno avvicinandosi sempre di più fino a colpirlo in pieno petto con la consapevolezza improvvisa e devastante di un significato occulto dietro le parole più semplici.

Si voltò di scatto ad osservare Lassonne che non aveva fatto un passo e teneva il capo chino quasi avesse timore di guardarlo negli occhi.

“Starà bene voi dite? E perchè non sta bene in questo momento?”

Andrè fece appello a tutta la sua calma per arginare l'impazienza che scalpitava e la paura che lo tormentava al solo pensiero di tutte le volte in cui gli era parsa distante e sorda alle sue uscite spiritose. Che fingesse di non ascoltarlo perchè a volte le faceva più comodo fargli credere il contrario era cosa consolidata, ma ora la sua aria assorta e il suo sorriso indecifrabile assumevano tutt'altro significato.

“Perchè non sta bene?”

Ripetè di nuovo. Il tono si innalzava ad ogni sillaba, sospinto da tutti quei giorni e tutti quegli anni vissuti su sponde diverse dello stesso mare. E gli parve di avvertirla ancora la terra che si apriva sotto i piedi, spalancandogli le porte dell'inferno di una vita senza lei.

Era tanta la voglia di dirgli tutto - ammise Lassonne alla sua coscienza - perchè lui ora era di nuovo quel ragazzo con gli occhi colmi di lei e la voce strozzata da singhiozzi che non si era preoccupato di nascondere nemmeno davanti al generale Jarjayes e che gli chiedeva di salvare Oscar, solo Oscar, senza alcun titolo davanti al nome, priva di coscienza e pallida più dei cuscini, dopo l'incidente occorso alla Delfina. Erano trascorsi molti anni da quell'accorata richiesta di aiuto ma negli occhi aveva ancora lei, e se lui, Lassonne, non si ingannava, non esisteva nessun altro al mondo che, questa volta, avrebbe potuto fare di più.
Sospirò e chiuse gli occhi dietro gli occhiali, poi si avviò lentamente alla porta che conduceva alla stanza attigua.

“Aspettami qui...”- si premurò di raccomandare, dandogli le spalle, prima di sparire oltre gli scuri.

Andrè non fece nemmeno in tempo a cercare la sagoma di lei, fuori, nel buio oltre i vetri, che lo vide tornare con un tomo tra le mani.

“Io sono un vecchio stolto Andrè...”- sorrise alla sua espressione allibita

“Sì è così...ma sono ancora in grado di mantenere una promessa. Non una parola uscirà dalle mie labbra...”

Mentre parlava gli si avvicinò e gli porse il libro dal quale sporgeva ciò che sembrava l'estremità di una busta, forse utilizzata come segnalibro.

“Lo conosci?”

Negò Andrè scorrendo il titolo dell'opera. Il Journal de Physique(1) non lo aveva mai letto, non sapeva di cosa trattasse e non ne conosceva nemmeno l'autore. Lassonne glielo porse, titubante al punto che per un attimo parve ritornare sulle sue decisioni, poi scosse il capo a scacciare ogni dubbio residuo.

“E' già alla pagina giusta. C'è anche la lettera di un amico e collega che lavora a Lione. Leggila. Forse tu saprai dare alle cose il giusto significato che a me, scioccamente, è sfuggito fino ad ora...o almeno credo”

Andrè non riuscì a proferire parola, sopraffatto dallo sconcerto e dal turbamento.

“Conosci la strada per uscire, rimani quanto vuoi...oppure portati via il testo, come preferisci. Ci saranno occasioni per restituirmelo.”

Poi lo lasciò solo a cercare di trovare risposte alla sua stessa domanda che ancora aleggiava nella stanza.

Perchè non sta bene?

Con gesti trepidanti Andrè aprì il libro, preso dal desiderio di sapere e dalla paura di ciò che avrebbe potuto scoprire. Non aveva nessuna intenzione di temporeggiare ma gli tremavano le mani, tanto da non riuscire ad impedire alla busta di cadere a terra. Si chinò a raccoglierla e ciò che rimaneva della sua razionalità gli suggerì  sarebbe stato più comodo poggiare tutti quei documenti sul tavolino che non stare a tenere tutto in bilico. Con la mano libera, scostò le tazze per farsi spazio ed iniziò a leggere. Il nome del mittente di quella missiva era vergato in una calligrafia spiccia ma ordinata e non gli diceva assolutamente nulla. Era un tale Jean-Baptiste Desgranges(2) l'autore di quelle pagine destinate a Lassonne.

Una rapida occhiata alla data, in alto a destra, gli rivelò che la missiva risaliva a tanto tempo prima, ad un'epoca in cui lui si trovava ancora a Palazzo Jarjayes e cosa c'entrasse con Oscar lì, quella sera, non riusciva a comprenderlo. Decise di dedicarsi prima al testo che forse gli avrebbe dato qualche informazione in più; notò che era stato pubblicato una decina d'anni prima ma, di nuovo, cosa diavolo c'entrassero gli utilizzi del blé cornu con Oscar, lì, quella sera, all'inizio non lo comprese. Scorreva freneticamente ora il testo, ora la lettera per rubare tempo al tempo. C'erano indicazioni per usare i grani, se solo avesse capito cosa si intendeva per grani.

...almeno quaranta o quarantacinque...

... una dose inferiore non dà gli effetti attesi...

Era tutto annotato con estrema precisione, ma mai una grafìa così pulita e ordinata gli era parsa più incomprensibile. Le lettere gli si intrecciavano davanti agli occhi, componendosi in frasi che non riusciva a decifrare.

...bollitura...

l'effetto è lo stesso che si tratti di polvere o di infuso...

Andrè avvertì la testa pesante come si fosse appena abbandonato alla più colossale delle sbronze. Tra la nebbia fitta in cui arrancava scorse, da lontano, un indizio. Il più inaspettato. Il più devastante.

...non prima di aver raggiunto una dilatazione di quattro o cinque lignes...

Quell'indizio isolato diventò prova certa quando arrivò a leggere, in fondo alla lettera, che il medico lionese aveva dato il suo nome al rimedio così minuziosamente descritto. Si sarebbe salvato dall'oblìo del Tempo, quell'uomo, grazie alla pouvre obstétricale di Desgranges...

Andrè avvertì il peso di una colpa mai sopita che spingeva a piene mani e pungeva con unghie aguzze proprio lì in mezzo alle scapole. E gli sembrò non ci fosse altro da fare che piegarsi e arrendersi a quella forza incontrastabile che lo schiacciava verso il basso e gli trapassava il petto inchiodandolo in quella posizione china, finchè, vinto, cadde di peso sui gomiti, tra quelle pagine e il loro significato, e nascose il volto tra le mani, scuotendo il capo di disperazione e rimorso. Avrebbe voluto scivolare e lasciarsi morire in quel poco di buio che i suoi palmi riuscivano a racchiudere, mentre dietro le palpebre chiuse e già umide rivedeva lei e ogni suo bacio. Lei così bella, così vera, così viva tra le sue braccia.

Grazie a chi è arrivato fino a qui e di nuovo grazie ad AlessandraDF per il bellissimo disegno.

(1) M. Parmentier, Apothicaire-Major de l'Hôtel- Royal des Invalides; Journal de Physique, 1774: pagg144-155 (si parla appunto dell' utilizzo ostetrico della Claviceps purpurea)

(2) Jean-Baptiste Desgranges (1751–1831). “Sur la proprietà qu’a le Seigle ergoté d’accélérer la marche de l’accouchement, et de hâter sa terminazione. Nel: Nouveau Journal de Médecine, Parigi, I (1818), pagg. 54-61 (E' vero: il testo è stato pubblicato in un'altra epoca ma ho immaginato che Monsieuer Degranges avesse potuto raccogliere appunti sulla sua attività e condividerli per lettera con un amico e collega. L'ho reso anche un pò più vecchio)

Segale cornuta: ciò che Lassonne racconta riguardo le epidemie verificatesi nei secoli attraverso l'Europa è tutto vero. Un estratto di questa sostanza veniva utilizzato in passato in ambito ostetrico, per accelerare e facilitare il parto; questo utilizzo è stato ampiamente descritto nei testi che riporto in nota e il rimedio venne chiamato in vari modi a seconda del Paese di utilizzo. In Francia uno dei nomi utilizzati era appunto “polvere ostetrica di Desgranges”. Oggi gli effetti della sostanza vengono utilizzati, tra le altre cose, per arrestare l'emorragia post-parto

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Un grido.
Il più acuto e straziante.
Il più lacerante di quelli affilati e velenosi che non gli davano tregua da ore.
Gli attraversò, saettando, la mente, rimbalzando da un angolo all’altro; un fulmine impazzito impegnato nell’inutile ricerca di una via di fuga per andare a scaricare altrove la furia che lo stava minando nel profondo da che quel nome sconosciuto, comparso una volta tra le mura che avrebbero potuto accogliere la sua nuova vita, era riemerso all'improvviso nella vita in cui aveva scelto di tornare, nonostante tutto, per provare ad afferrare qualcosa che ora sentiva di non meritare più.
C’era lei in quella vita, più proibita di quanto non fosse mai stata ora che la sua coscienza si era eletta a giudice supremo e, tra il sonno e la veglia, gli ripeteva ininterrottamente una sentenza senza alcuna possibilità di appello. Non c’era nessuna assoluzione per lui, nessuna possibilità di redenzione.

Desgranges

Un nome francese incontrato in un Paese dove si parlava un'altra lingua, riemerso dai fumi della memoria intrecciato indissolubilmente ad un altro. Di un'altra donna e di qualcosa che si faceva allo stesso modo ma non era amore. Un nome legato a Martha e alle sue cosce tese, di ebano liscio e lucido di sudore; minuscole stille che colavano piano lungo i muscoli torniti, fino alle dita dei piedi, puntati sulle coltri per assecondare le spinte...
I suoi diciott'anni all'incirca, forse un poco di meno, forse un poco di più; nemmeno lei aveva mai saputo dirlo con esattezza...

Desgranges

Un nome vergato in grafìa elegante su di un bossolo di legno chiuso in un cassetto e le dita di Martha avvinghiate alle lenzuola per resistere ad ogni affondo inferto al suo corpo agile di gazzella, la testa lanciata all'indietro ad esporre il collo liscio in cui pulsava distintamente la vita...
Martha e le sue labbra dischiuse in gemiti impossibile da trattenere...

Desgranges

Un grido.
Il più acuto e straziante.
Il più lacerante di quelli affilati e velenosi che non gli davano tregua da ore.
Lo strappò ad un sonno agitato in cui era precipitato senza nemmeno accorgersene, vinto dal logorìo lento degli ultimi giorni innalzatosi poi in un picco feroce nelle ultime ore.
Si svegliò di soprassalto, Andrè, sollevandosi di scatto con la camicia madida come in una notte d'agosto e un pugnale conficcato nell'anima che continuava indisturbato il suo lavoro. Era ancora vestito; aveva avuto a malapena la forza di togliere la giubba della divisa e scaraventare gli stivali non sapeva neanche bene dove, nell'inutile tentativo di alleggerire il peso che si portava addosso e nella consapevolezza che tanto non avrebbe chiuso occhio. Ci sarebbe stato tutto il tempo di rimediare ad eventuali danni prima che qualunque domestico della residenza von Fersen si fosse avventurato in quella stanza, la mattina dopo, quando forse sarebbe riuscito a pensare a mente lucida.
Non era tornato in caserma alla fine, preferendo la stanza silenziosa che Fersen gli aveva messo a disposizione e, avendo impersonato quel ruolo, la certezza di presenze discrete, che si sarebbero prodigate per non risultare ingombranti.
La stanza era ancora avvolta nel buio più completo, senza nemmeno il conforto di uno spiraglio di alba nuova, quando si ritrovò seduto sul letto con la testa tra le mani a cantilenare un solo nome, il più amato, quello da non dimenticare, in una preghiera sommessa frammista ai singhiozzi.
“Oscar...Oscar...perdonami”
Le parole affondavano, sepolte da altre, urlate in un altro luogo e in un altro tempo.

Andrè, Andrè aiutami! Aiutami!”

E poi riemergevano, disperate, perché non esisteva nulla di più importante.
“Perdonami...perdonami”
Era l'unica parola che era riuscito a spingere fuori dalle labbra quando, lottando contro la volontà che implorava tutt'altro, l'aveva lasciata sola ancora una volta per non opporsi alla sua richiesta risoluta. Non ne aveva avuto la forza - e come avrebbe potuto, proprio lui che sentiva di non meritare nemmeno di stare al mondo - quando lei, con gli occhi asciutti ma la voce che tremava, gli aveva chiesto di lasciarla andare.
Strinse con forza i capelli tra le dita come prima, in casa di Lassonne, quando aveva sollevato la testa e aperto gli occhi dopo attimi interminabili in cui si era domandato dove mai avrebbe trovato il coraggio di alzare ancora lo sguardo su di lei. Poi il lento fluttuare della tenda sospinta da bave di aria fredda attraverso la porta socchiusa, lo aveva richiamato fuori, nell'unico luogo al mondo in cui desiderava essere ma il solo in cui non si sentiva degno di stare.
Aveva scostato piano la stoffa permettendo ad una lama di luce di incidere il buio e arrivare a lambire gli stivali di lei che gli dava le spalle e stringeva con le mani il parapetto in pietra in una postura rigida che sembrava non tradire alcuna emozione.
Sarebbe sparita nel buio non appena avesse lasciato andare il drappo damascato che teneva tra le dita e aveva sentito di non poterlo più permettere.
Le si era avvicinato piano, quasi sfiorando il pavimento, con il passo smorzato da un reverenziale rispetto e attutito dal timore di varcare le soglie proibite di un cuore che avrebbe voluto tenere tra le mani e accarezzare con parole d’amore. E su quell'uscio si era fermato, pronto a bussare, ma il pugno stretto e colmo di mille frasi spezzate era rimasto sospeso a mezz'aria. Non l'aveva usato, infine, perché ad un passo da lei il cuore aveva urlato disperatamente il suo nome, aveva grondato amore e lacrime e preteso un abbraccio che attendeva da un mattino in cui lei non riusciva a guardarlo negli occhi.
Se l'era stretta addosso come avrebbe dovuto fare allora, catturandole le braccia tra le braccia, facendo aderire il petto alla sua schiena e nascondendo il volto tra i suoi capelli, senza il coraggio di dire una parola e la forza di impedire ai suoi occhi di bagnarsi in silenzio.


 

Lei aveva sgranato gli occhi sulla notte, sussultando per l'inaspettato calore che l'aveva avvolta.
Lo riconobbe immediatamente.
Era quello bramato nelle notti senza fine, dotato del malefico potere di sparire non appena il sonno si faceva più blando e la sua mano si allungava sulle coltri a sfiorare un corpo che non c'era; quello agognato senza pudore quando il fuoco che lui aveva appiccato riprendeva vigore, ardeva nel profondo e gridava insistentemente il suo nome.
Poi gli occhi li aveva chiusi in attesa che il suo cuore si abituasse alla presenza dell'altro, talmente vicino che quasi lo aveva avvertito battere al posto del proprio. In quegli attimi la sorpresa mutò nella rassegnata consapevolezza di doverlo ferire perché quella stretta disperata e i singhiozzi che gli sentiva trattenere in gola potevano avere un solo significato. Provò a parlare ma, inaspettatamente, arrivò dritta allo stomaco, come un pugno ben assestato, la certezza di non esserne in grado. Realizzò, come mai prima, che alla solitudine ci si abitua. Così anche alla dolceamara consuetudine di cullare i pensieri e tutte le loro sfumature per potercisi immergere a piacimento secondo quanto l'anima suggerisce. Era stato tutto solo suo per così tanto tempo da avvertire una forma di spiccata ritrosia nel dover condividere quei momenti trascorsi ad immaginare un futuro che non si aspettava e le ore tappezzate di dubbi in cui tentava di pensare per due.
Ma conoscendo l'animo buono di lui aveva la certezza si sarebbe caricato sulle spalle tutto il peso di un fardello troppo pesante da portare da solo. Seppe in un istante che non glielo avrebbe permesso e anche che lì, in quella casa e tra le sue braccia, non avrebbe mai trovato le parole giuste.
“Lo sai?”- aveva sussurrato stretta a lui ma senza abbandonarsi al suo abbraccio. Non c'era bisogno di tanta voce per parlarsi sul cuore, di notte, sul terrazzo di una città che ormai se n’era andata a dormire.
Non era riuscito a parlare, Andrè, sopraffatto da tutto ciò che quella donna rappresentava per lui, ma aveva annuito, sfregando la tempia contro quella di lei e affondando di più tra i suoi capelli. La notte avanzava e loro se ne erano stati lì, in un abbraccio che li riparava dal freddo ma che non sgonfiava il cuore, cercando parole difficili da trovare, con la voglia di conoscere e la paura di domandare.
Uno contro l'altra, tenendosi in piedi ad imparare che le parole possono anche non servire per fronteggiare un dolore.
“Andrè...”- aveva sussurrato lei dopo un tempo indefinibile in cui forse il mondo aveva smesso di girare.
“Non parlare, ti prego, non dire niente...”
L'aveva stretta di più per prendersi addosso frammenti di quella vita di cui non era stato testimone e un po' del suo coraggio a soppiantare quello che sentiva di non avere più. Per dirle che voleva esserci per lei che veniva pima di tutto.
Per lei che aveva sentito il tepore di lacrime non sue scenderle sulle gote e indovinato i suoi pensieri.
“Andrè...”- un altro sussurro.
Se l'era stretta addosso ancora di più mentre lei gli sfiorava una mano senza il coraggio di afferrarla.
“Andrè...non ti devi preoccupare per me, davvero...”
Lui aveva continuato a scuotere il capo, arruffandole i capelli, senza lasciarla.
“...è passato tanto tempo...”
Non accennava a muoversi, André, e la cingeva saldo come la roccia che per lei avrebbe voluto essere.
“Oscar...”- un filo di voce per tentare di chiedere ciò che non osava
“Ti dirò tutto ma non stasera, non qui, ti prego...”
Aveva annuito impercettibilmente, lui che non aveva il diritto di chiedere nulla, che tanto era impensabile non rispettare la sua volontà; aveva deglutito dolore e disprezzo per se stesso mentre sentiva una sola parola salire alle labbra.
“Per...”- perdonami stava per dire prima che il dolore, in uno dei suoi affondi, gli strappasse di nuovo la voce. Lei, interpretando erroneamente quelle poche lettere, rivelò invece la sua verità.
“Perchè qui fa ancora male”
Non la poteva certo trattenere, André, lì dove faceva male e allora aveva allargato le braccia facendole scivolare lentamente su quelle di lei e l’aveva lasciata andare.
“Perdonami”- era riuscito a dire con voce finalmente ferma mentre lei rientrava in casa dopo avergli lasciato un sorriso provato e una carezza lieve sul viso.

***

Li vide uscire, Lassonne, dalla finestra della stanza da letto che affacciava sulla strada, proprio sopra l'ingresso rischiarato da un paio di lampioni che, il caso aveva voluto, la municipalità di Parigi avesse posto alla distanza ottimale dai suoi gradini di ingresso per poter inquadrare in poche occhiate assonnate coloro che negli orari più impensati si presentavano alla sua porta facendo rintoccare in modo urgente e inconfondibile il massiccio battente di bronzo. Era una regola mai smentita in tanti anni di attività che le situazioni precarie precipitassero inevitabilmente e senza appello sempre al calare delle tenebre!
Succedeva che talvolta uscisse a scambiare due parole con Damien il lampionaio quando lo vedeva comparire in fondo alla strada al tocco della campana che designava il momento di dar luce alla città e, mentre parlavano con noncuranza del tempo, lui iniziava ad armeggiare con la scala e gli stoppini. Quando raggiungeva l'ultimo gradino e apriva lo sportello del lampione, Lassonne gli ricordava di assicurarsi che la riserva d'olio potesse garantire senza imprevisti il raggiungimento dell'alba anche in una stagione come quella, in cui le notti erano le più lunghe dell'anno. Se proprio si doveva scegliere di tenere un angolo di strada al buio per qualche ora, che almeno si trattasse di uno spazio poco frequentato in cui nessuna dama in preda all'ansia o nessun gentiluomo annebbiato dalla preoccupazione potesse rischiare di inciampare nei propri piedi o in una gonna indossata di fretta.
Li vide uscire mentre armeggiava, pensieroso, con i bottoni del gilet.
Prima lei che si calava il cappuccio sulla testa a nascondere i capelli chiari e ogni angustia quasi non volesse nemmeno un alito di vento a distrarla dai suoi crucci.

Il portamento era quello fiero e deciso, esibito in ogni occasione da che la conosceva come adulta. Quello che nemmeno le tempeste che si era portata dentro erano riuscite a scalfire.
Poi lui, poco dopo, con il passo strascicato e le spalle incurvate dal peso di una croce invisibile che sperava si sarebbe alleggerito poco a poco, con il tempo, tra le parole di lei.
Sospirò, Lassonne, consapevole di quale fardello avesse caricato sulle spalle del giovane ma anche di essere, senz'ombra di dubbio, nel giusto. Sfilò il gilet e lo adagiò sullo schienale della poltrona lì accanto, stupendosi silenziosamente di quale enorme mistero fosse la mente umana, in grado di mostrare realtà inesistenti sulla base di supposizioni completamente errate.
Se, distrattamente, ci si incamminava in un vicolo inesplorato, era poi faticoso ritornare sulla strada maestra. Ripensandoci ora non riusciva davvero a spiegarsi come avesse fatto a non comprendere immediatamente, sebbene lei non avesse mai nascosto nulla. Era solo la verità ciò che aveva raccontato; inaccettabile, certo, per i canoni di vita che le erano stati imposti e che, a detta sua - e lui ci credeva - non avrebbe cambiato minimamente.
Ma pur sempre la verità.
Quando entrambi sparirono dalla sua vista si avvicinò al letto, collocato sull’altro lato, contro la parete che dava sul giardino interno, nel tentativo di garantire un riposo che fosse il meno turbato possibile da eventuali schiamazzi di strada, quelle volte in cui non era il dovere a farlo alzare bruscamente. Sedette sul bordo e indugò sulla figura della moglie addormentata alle sue spalle.
Era diventata una presenza insostituibile, Madame Lassonne, in determinate questioni, aggiungendo alla sua innata empatia anche la preparazione, acquisita negli anni, su certi aspetti della vita femminile. Aveva compreso per caso, quando era ancora una giovane sposa, che qualunque donna, a prescindere dal gradino occupato nella scala sociale, si mostrava più serena e accondiscendente se lei era presente alle visite. Certo, poi esistevano le rare eccezioni e Oscar François de Jarjayes era una di queste, o almeno lo era stata per lungo tempo.
Eppure alla sua compagna e complice in quella faccenda come in tante altre succedutesi prima e dopo, non aveva mai rivelato nulla. Si era attenuto scrupolosamente ad un voto pronunciato senza parlare che Madamigella Oscar per prima non aveva mai infranto. Non era stato mai pronunciato nessun nome in quegli anni, nemmeno quando l'unico che brillava per la sua assenza aveva fatto di tutto per scardinargli le labbra. Quando si era ritrovato tra le mani riccioli neri come la pece...
Vagò con lo sguardo nella stanza in cui riusciva a distinguere i contorni del mobilio grazie alla tremula luce di una candela fino ad una nicchia nell'angolo opposto dove custodiva certe pubblicazioni recenti di giovani studiosi che la comunità scientifica aveva bollato come ereditaristi.
Sorrise d'ironia valutando che non c'era alcun bisogno di scomodare nomi del calibro di Aristotele e Galeno di fronte a quei due ragazzi con la capacità di far sparire il mondo intorno e all'evidenza che in intere generazioni della famiglia Jarjayes, nessun Conte o Contessa aveva mai potuto vantare un singolo capello nero sulla testa.
Eppure in un primo momento aveva preso un abbaglio enorme e ancora si vergognava della sua stupidità. A sua discolpa poteva dire di non essere, all'epoca, a conoscenza di tutti i fatti anche se non gli era mai parsa, in seguito, una scusa sufficiente e il suo orgoglio di curatore dell'animo oltre che del corpo, ancora ne soffriva. Un altro colpo ben assestato veniva dalla scoperta dell'inconsistenza delle sue convinzioni; aveva pensato che tutto fosse trascorso, che si trattasse di qualcosa di fuggevole e invece, sulla via di Compiègne, li aveva visti brillare gli occhi di quei due ragazzi che si parlavano in libertà, senza più i doverosi vincoli sanciti dai loro ruoli di un tempo. E li aveva visti ridere di fronte a lui, talmente impegnati a non lasciar trapelare troppe emozioni da non curarsi nemmeno di evitare di sfiorarsi le mani. Li aveva visti di nuovo quei due ragazzi con la capacità di far sparire il mondo intorno e allora, seduto da solo in carrozza, aveva richiamato ricordi e sensazioni portati via dal lento fluire del tempo ma rimasti impigliati giù alla foce e rigettati indietro dalla corrente improvvisa e turbolenta creata dal ritorno di Andrè.
Scosse ripetutamente il capo commiserandosi per l'ennesima volta mentre la fiamma della candela ormai agli sgoccioli, trovava la forza di rischiarare un pomeriggio di settembre.
“Conto sulla vostra discrezione”- si era raccomandata Madamigella Oscar quel giorno, dandogli le spalle ed infilando una giacca leggera, adatta alla giornata ancora tiepida, sopra la camicia candida al termine della visita a cui l’aveva sottoposta.
Si era presentata accompagnata soltanto dalla determinazione del soldato che era, pronta ad ascoltare tutto. Non aveva paura, glielo aveva letto negli occhi. Sicuramente il più timoroso era lui che, incredulo, cercava il modo più adatto per approcciarsi a quell’improbabile realtà.
“Madamigella...”- aveva esordito a bassa voce, prendendo posto alla scrivania dove sarebbe stato più semplice posare lo sguardo su qualcosa che non fosse lei. Non era mai stato così in difficoltà come in quel silenzio rarefatto che immaginava dovesse essere lui a spezzare. Ma si sbagliava.
“Ditemi ciò che devo fare...”
Si era stupito di quel tono profondo e deciso quando invece l’aveva immaginata presa alla sprovvista, spiazzata da ciò che per lei non era stato messo in conto. Aveva annuito, intimamente sollevato da quel cipiglio risoluto e aveva iniziato ad elencare le sue raccomandazioni, non riuscendo ad impedirsi di incrinare la voce di fronte all’evidenza di come la sua vita sarebbe dovuta cambiare. Lei era rimasta in piedi davanti alla finestra continuando a dargli le spalle; sembrava quasi non l’ascoltasse, ma quando si era interrotto, forse per accertarsi di non gettare parole al vento, era stata rapida a rassicurarlo.
“Farò tutto ciò che sarà necessario...non temete..”
E lui aveva proseguito, riportando le indicazioni che aveva sempre dato in ogni situazione analoga fino ad aggiungere con un imbarazzo che di solito non provava “...e poi insomma...non ci sono controindicazioni se...la vita di coppia...”
Lei, senza muoversi dalla sua posizione, aveva sospirato profondamente, non distogliendo l’attenzione dall’autunno, là fuori...
“Questo non è rilevante...”
“Scusate. Io...”
Aveva poggiato le mani sul davanzale, Oscar, e, con settembre che le tramontava negli occhi, aveva risposto alla domanda che lui non aveva osato fare.
“E' partito volontario per la Guerra d'Indipendenza americana...”
Quello era stato l'unico riferimento che lei avesse mai fatto in proposito. E lui da vecchio stolto - oh eccome se lo era stato!- si era fissato sul volontario più chiacchierato del momento. Non c'era salotto in cui non si parlasse del giovane conte svedese, tanto intimo della regina. Di quanto fosse valoroso, di quanto fosse affascinante o di quanto fosse codardo, osavano i più cinici, ipotizzando una fuga da una situazione compromettente.
E lui - stupido!- aveva ricordato la benevolenza con cui Madamigella Oscar lo accoglieva, essendone stato testimone in più di un'occasione, e di quale immagine fulgida rimandassero quei due giovani nobili e bellissimi. Era risaputo quanto il giovane Conte del Nord fosse abile alla conquista e lui, inspiegabilmente, l'aveva immaginata ingenua in certi aspetti della vita, tanto da cadere sotto i suoi sorrisi ammalianti.
Solo in seguito, dopo aver avuto tra le mani i soffici riccioli corvini che avevano fatto divampare il sospetto, dopo che tutto era finito e si era ritrovato a suggerire a Madamigella Oscar, più provata nello spirito che non nel corpo, un periodo di tranquillità, magari lontano da Parigi e magari facendosi accompagnare - e a quel punto aveva tentato la mano vincente - dal suo caro amico André, il cerchio si era finalmente chiuso. Erano passati i mesi ma lei si trovava di nuovo davanti alla stessa finestra, nella medesima posizione, anche se in quell'occasione fuori sferzava un vento gelido. Era cambiata la stagione ma non le sue parole.
“E' partito volontario per la Guerra d'Indipendenza americana...”

***

Oscar spinse piano la porta che usura e intemperie avevano scrostato sugli angoli mettendo a nudo il legno vivo. All'entrata di servizio non si faceva mai molto caso e nessuno si prendeva la briga di intervenire fino a quando Marie Grandier non decideva che il livello di decoro fosse ben lontano da quello richiesto da una famiglia nobile e rispettabile e allora tallonava insistentemente il malcapitato che avrebbe dovuto occuparsene finchè il lavoro non veniva eseguito in modo impeccabile perchè niente di meno sarebbe stato tollerato, pena il dover ricominciare daccapo. Aveva radici lontane quell'abitudine di non chiudere a chiave quando la servitù si ritirava per la notte, casomai lei e André non fossero ancora rientrati, come quella di lasciare una candela accesa ad attenderli, augurandosi potesse bastare fino al loro ritorno, in barba agli sprechi che tanto detestava. Anche quella sera la porta appena socchiusa rivelò il bagliore caldo e tremulo di una fiamma lasciata a morire sul tavolo della cucina. La presenza inaspettata era quella di Marie che dormiva, ancora completamente vestita, su una sedia, con la testa affondata nel petto e la cuffietta che ciondolava ad ogni respiro un po' più profondo. Ai suoi piedi giaceva un cumulo informe di tessuto bianco, probabilmente scivolatole dalle mani quando aveva ceduto alla stanchezza.
Sorrise, Oscar, mentre si chinava a racogliere la stoffa e la scuoteva piano in modo si accorgesse del suo rientro e si persuadesse ad andare a dormire in un letto. Sapeva che era lì per lei e ora non c'era più alcun motivo per cui dovesse passare la notte in una posizione tanto scomoda. Le mise una mano sulla spalla e le parlò piano, per non spaventarla, riuscendo ad interrompere il lieve brusìo del suo russare.
“Nonna...nonna sono tornata. Puoi andare a dormire ora”
Non riuscì ad evitarle di trasalire e si guadagnò uno sguardo vacuo, annebbiato di sonno, prima che la mettesse a fuoco, dietro le lenti.
“Come?... Chi?...Ah sei tu, finalmente!”
Non ebbe la prontezza di nascondere un sospiro di sollievo, Marie; non c'era niente da fare, che lei avesse quindici anni o il doppio, la nonna non sarebbe mai cambiata. Tentò di spiegarle, ben consapevole che avrebbe potuto risparmiare il fiato, di non angustiarsi in quel modo, che non era proprio il caso.
“Devi smettere di preoccuparti così, non sono più una bambina...da tanto tempo, non trovi?”
Lei, ormai completamente sveglia, scosse il capo, mentendo spudoratamente
“Ma non ti stavo aspettando...però...saperti in giro da sola...”
“Non ero sola”
“Ti ha accompagnato fino a qui?”- le chiese un po' incredula e un po' timorosa di quella situazione che avrebbe dovuto imparare a gestire
“No...”- Oscar abbassò lo sguardo non provando nemmeno a far finta di non capire di chi si stesse parlando. Marie, intuendo la sospensione nella frase, attese in silenzio che lei alzasse gli occhi e, abbozzando un sorriso stanco, finisse di parlare.
“...ma sono stata io a voler tornare sola...non te la prendere con lui caso mai lo dovessi sentire...”
La nonna la guardò torva; da sempre quei due, separati, la preoccupavano di più di quando li vedeva insieme e la cosa era davvero strabiliante se pensava a quanto impegno avesse messo nel cercare inutilmente di arginare nei confini di un contegno rigoroso quel loro continuo cercarsi.
Oscar si allontanò da lei e si avviò verso l'arco che dava accesso ai locali nobili del Palazzo ma prima di attraversarlo si fermò e parlò senza voltarsi.
“Lui lo sa adesso...ma ti prego....se dovesse chiedere...non dirgli niente”
“Come?...”- provò ad intervenire Marie prima di mordersi le labbra per non essere inopportuna.
Oscar si voltò leggermente solo quel tanto da mostrare due occhi stanchi, provati da troppe emozioni ma salda nella sua convinzione. Non aveva idea di cosa Lassonne gli avesse detto né di cosa lui avesse inteso.
“...voglio essere io a parlargli...non deve preoccuparsi per me. Non voglio la sua commiserazione né che si faccia carico di colpe che non ha. Perciò devo essere io a dirgli tutto”- concluse stringendo lievemente i pugni lungo i fianchi.
Marie annuì in silenzio.
“Oscar...ma cosa...”- ma non ebbe il coraggio di proseguire, Marie, forse non sapendo neanche bene cosa chiedere. Lei scrollò le spalle rivelando l'unica certezza che aveva.
“Solo che fosse felice...”
Poi sparì nel buio mentre Marie si perse ad osservare il rosso tremolìo delle ultime braci nel camino con il cuore in fondo ad un baule e la certezza che quella non sarebbe stata una notte breve.

Ma infine l'alba, agognata e temuta, stese un mantello lattiginoso sulle strade e sulle piazze per avvolgervi la parte più cupa degli incubi e donare una parvenza di normalità a chi la normalità non sapeva più cosa fosse.
Non appena il primo pallido lembo si svolse sul suo letto, André si alzò di scatto con la voglia di prendere a pugni se stesso e il mondo, di lanciare il cavallo al galoppo e gridare al cielo la sua rabbia e il suo dolore, di correre da lei fregandosene se fosse o meno il momento giusto.
Scese dabbasso scavalcando gli scalini con la gola inspiegabilmente riarsa, in cerca di acqua che sapeva avrebbe trovato sul tavolo, nella sala della colazione, sicuramente già approntata affinché gli ospiti vi si potessero liberamente servire. Così di buon’ora si aspettava e sperava di non incontrare nessuno a cui dover spiegare i suoi occhi cerchiati, perciò spinse piano la porta, per non attirare l’attenzione nemmeno dei domestici ma si ritrovò a sospirare di delusione quando, seduto al tavolo, intento a sorseggiare caffè e a leggere un plico di documenti poggiati sul tavolo, si trovò di fronte Timothy Albert Simmons che probabilmente stava approfittando delle ore più quiete per tentare di orientarsi in quel faldone che riconobbe come quello fattogli recapitare dal notaio pochi giorni prima.
Quando lo vide gli sorrise e, poggiando delicatamente la tazza sul piattino, gli si rivolse con il suo tono pacato.
“Non mi aspettavo di vederti”
“Non mi aspettavo di tornare”- sospirò Andrè, prendendo posto di fronte a lui per non essere scortese e anche per cercare di calmarsi, certo che in quelle condizioni non avrebbe combinato nulla di buono.
“Come è andato il tuo viaggio?”
Andrè scosse il capo ad indicare almeno una mezza dozzina di cose che non avrebbero dovuto essere o che avrebbero dovuto essere diverse. L'altro lo scrutò attentamente, abituato ai suoi silenzi e ai suoi tormenti che era riuscito a placare in diverse occasioni, pur non avendo la minima idea di quali fossero.
“Ti va di raccontarmi qualcosa? Quello che è consentito, ovviamente”- propose sorridendo.
Andrè ricordava l'effetto benefico delle chiacchierate con quell’uomo mite e scaltro decidendo che qualcosa avrebbe potuto raccontare, tanto non erano ancora arrivati a capo di nulla.
L'altro lo ascoltò attento, riducendo gli occhi a due fessure e fissando il cucchiaino con cui stava incidendo piccoli solchi nella tovaglia di fiandra
“Mi ricorda qualcosa...”
“Forse, Tim,...ma non saprei...non”- gli si rivolse nel modo che l'altro aveva preteso usasse nella casa di cui gli aveva aperto le porte, oltre l'oceano. Però non riuscì nemmeno lontanamente a portare la mente lì, persa com’era oltre le vetrate di una stanza al piano nobile di Palazzo Jarjayes.
“Sai Andrè...”- attaccò il medico
Ma lui non lo ascoltava più, rapito da altri pensieri e cullato da quella voce che ora riudiva in altre parole, molto più concitate.
Andrè, Andrè aiutami! Aiutami!”
Aiutami a portarla nel suo letto!”
E poi pregna di apprensione.
Corri nel mio studio! C'è un bossolo nel primo cassetto della scrivania...portamelo!”
Anche se riusciva sempre a tenerci a galla un filo di ironia
No, non sbaglierai...l'ha preparato Rose e, come sua abitudine da che sei qui, ha scritto in francese...”
Quando tra loro tornò il silenzio, il medico lo interpellò in cerca della sua opinione.
“Cosa ne pensi?”
Ma Andrè rispose con una domanda. L'unica a cui lo aveva indirizzato la voce dell'altro.
“Tim....come sta Martha?”
Erano state le grida di lei, dapprima strascicate, poi sempre più laceranti, quelle che aveva udito nel sonno breve e concitato di quella notte ma all'improvviso il capo reclinato all'indietro si era rivestito d'oro lucente ed erano le gambe seriche di Oscar, meravigliose come quando le aveva percorse con le labbra, che aveva visto spuntare dalle vesti. E sull'ultimo grido, il più lancinante, il più sofferto, si era ritrovato seduto sul letto con la testa tra le mani a ripetere il suo nome.
“André...ma mi hai ascoltato?”
Scosse il capo, André, con un sorriso di scuse e la vaga sensazione di essersi perso qualcosa di utile.
“Comunque, per risponderti, Martha sta bene adesso...e anche il piccolo André

Un sincero grazie ad Alessandra per la fanart e a Mareggiata per il "supporto tecnico" ;)
E come sempre grazie per la lettura.

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Capitolo 19 (I) ***


 

Come sempre il tempo che vorrei e quello che ho viaggiano su binari completamente diversi, quindi, al netto di tutti gli imprevisti di questo periodo, mi trovo di nuovo a dover smezzare un capitolo. Anche perchè “quei due” vanno gestiti in un certo modo ma garantisco che si stanno parlando...

Grazie di nuovo a chi passa di qua.

 

Capitolo 19 (I)

Erano trascorsi tre giorni.
Tre giorni pieni di lei e di parole mormorate in un abbraccio. Non accennavano a sbiadire ma scolorivano il mondo intorno, catturando tinte fosche, per lo più, ma anche, inaspettatamente, certi bagliori vivaci, certi spruzzi di colore di una realtà mai vissuta eppure talmente dolce da non poter impedirsi di sfiorarla con il risvolto dei pensieri.

Ti dirò tutto ma non stasera, non qui, ti prego…

E aveva pregato fosse in fretta; ovunque lei volesse purché fosse in fretta. Per non avvicinarsi pericolosamente alle soglie della pazzia e perchè se di condanna eterna si doveva trattare, voleva sapere esattamente quale fosse la pena da scontare.
Aveva visitato infiniti scenari, Andrè, alle soglie del sonno e anche a quelle della veglia, sullo sfondo silenzioso di una notte solitaria o sotto i comandi frettolosi e poco meditati di un comandante interessato a ben altro che a garantirsi la stima dei suoi soldati.
Immagini di una situazione impossibile da credere, terribili, nefaste gli suggeriva l'intuito, eppure...
Eppure quando sospirava profondamente, ad occhi chiusi, per dare una breve tregua alla mente e anche al cuore, in quell'alito di fiato c'era lei come non osava immaginarla.
Lei accomodata in poltrona, di sbieco tra il bracciolo e lo schienale, immersa nelle letture che amava tanto ma il viso, di solito sereno e concentrato, risultava alterato da un'espressione infastidita subito sostituita da una stupita che le faceva sollevare gli occhi azzurri, splendenti di un sole di cui era l'unica a conoscere il punto esatto di origine, e le faceva tendere la mano verso di lui per richiamarlo a sé e regalargli un po' di quel mistero che solo a lei era concesso conoscere. La danza inaspettata di un corpo minuscolo e di sensazioni immense, da tastare con le mani e le labbra, tra sorrisi e baci sulla pelle tesa fino ad arrivare alla bocca umida e schiusa, in attesa della sua.
Una vita. Una vita nuova dopo aver visto tanta morte.
Suo figlio. Il loro.

E allora si prendeva a pugni sulla fronte per scacciarle quelle immagini che non gli appartenevano e che non meritava.
Era un pazzo! Un folle! Un visionario!
E poi, se scendeva un po' i gradini del cuore ed arrivava più giù, in fondo all'anima, trovava quelli sempre in ombra, dove anche l’umidità scivolava su di una verità incancellabile. Non lo voleva tutto quello se non lo voleva anche lei. E si odiava per aver interferito con il suo volo, proprio lui che si era sempre prodigato, in sordina, di soffiarle vento sulle ali, sempre, in ogni occasione in cui era stato necessario.
A lei che era destinata ad una vita diversa.
A lei che in quella situazione di sicuro non ci si era mai immaginata.
Ma comuque era riuscita ad affrontarla
Dio Oscar! Ma come hai fatto, come hai fatto? E come hai potuto perdonarmi?
Ti amo. Ti amo. Credo di non averti mai amato così tanto.
E vorrei gridartelo fino a far sparire ogni altro suono intorno.
Ma te l'ho già detto e...mio Dio!
Cosa mi dà il diritto anche solo di pensarti!
Sono un folle! Un pazzo!

“Andrè...c’è qualcosa che ti preoccupa? Se vuoi ripensare ai termini della questione, noi possiamo aspettare...”

Tim Simmons, dalla sua posizione all'altro lato del tavolo allestito per la colazione che Fersen, pur trascorrendo quasi tutto il suo tempo a corte, continuava ad elargire senza sconti, sostenendo tra le risate di avere anni di debiti, osservava André sinceramente preoccupato. Gli occhi spenti e cerchiati, il suo mutismo e la mancanza di appetito denotavano uno stato di profonda prostrazione interiore. La stessa che tentava di lenire quando, tra le ombre delle colonne candide proiettate sulle assi del pavimento dal sole morente, sul patìo della sua casa in Virginia, lo ascoltava per distendere un animo annientato dalle crudeltà di una guerra terminata ma non dimenticata.
Ora anche il suo carattere aperto, il fare gioviale e la risata trascinante che avevano conquistato sua figlia e un po' tutti loro a dire il vero, tanto da fargli tradire la consueta discrezione e spingerlo a chiedergli se, casomai, ci fosse un mezzo per poterlo trattenere laggiù nel momento in cui aveva annunciato di voler tornare in patria con l’intenzione di rivedere l’anziana nonna se mai fosse stata ancora viva e, in alternativa, di portare almeno una volta fiori sulla sua tomba, erano scomparsi sotto il peso di un'insidia sconosciuta che - for God's sake - non poteva certo essere peggio di ciò che aveva vissuto laggiù e di sicuro non aveva nulla a che fare con ciò che avevano in ballo. Ma per intavolare un discorso con lui che sembrava aver dimenticato di essere in grado di parlare, in qualche modo doveva pur cominciare e quello era l'unico momento della giornata in cui si incrociavano.

“Cosa, possiamo aspettare?”

Baptiste era comparso sulla soglia calcando sulla prima parola appena prima di portarsi una mano alla bocca per nascondere uno sbadiglio ma già vestito di tutto punto, fresco e sbarbato come se non fosse rientrato solo da poche ore. Lo aveva sentito, Andrè, in un’ora in cui fuori non c’erano più nemmeno i ladri e nella sua stanza la coscienza non gli dava tregua. Per zittirla aveva valutato di mettersi a bere fino a svenire ma era arrivato poi alla conclusione di non volersi sottrarre al suo giudizio spietato.
Non potevano appartenere a nessun altro i passi strascicati che aveva udito sulle scale dell'ala destinata agli ospiti, visto che dei tre presenti in casa, due si erano già ritirati da tempo. Non essendosi fatto mancare, anni addietro, l'occasione di tornare a casa insieme ad Oscar, con troppo alcol in corpo, ne aveva riconosciuto il ritmo lento e intervallato da brevi silenzi come se colui a cui appartenevano fosse troppo ubriaco, troppo pensieroso o troppo sfatto per qualsivoglia ragione da riuscire a percorrere i gradini senza interruzioni. Non era intervenuto per non metterlo in imbarazzo e, dovendo essere onesto con se stesso, anche per evitare spiegazioni sul fatto che fosse ancora vestito di tutto punto a quell'ora della notte.

“Nulla...non ho alcun ripensamento”

“C’era questa possibilità? Avresti fatto la felicità di mia cugina!”- lo guardò divertito, osando una sfacciataggine che sapeva di potersi permettere e addentando una madeleine dopo averla cosparsa abbondantemente di miele.
Andrè si versò una cospicua dose di caffè necessaria per combattere gli effetti di un'altra notte in bianco ma da sorseggiare in fretta, con la smania di uscire e correre ad impegnare il tempo per far trascorrere più velocemente possibile tutti i minuti che lo separavano da lei anche se non sapeva quanti ne sarebbero serviti.
“Hai pensato a ciò che ti ho detto? Può esserti d'aiuto?”- il più anziano dei tre cercava di tenerlo lì, per distoglierlo da chissà quali pensieri e dunque infastidendolo ché c'era un'unica cosa a cui voleva pensare e facendolo sentire colpevole per quella missione a cui non aveva voglia di dedicarsi anche se gli avrebbe fornito una scusa più che plausibile per cercare lei.
“Sì ci ho pensato...”- non molto, in realtà, e non come avrebbe dovuto. Se ne rendeva perfettamente conto

Ti dirò tutto ma non stasera, non qui, ti prego…

Aveva rivolto le sue attenzioni, tutte, ad ogni più piccolo rumore nella notte o ad ogni passo oltre la porta del suo ufficio, augurandosi potesse essere lei. E poco rimaneva per valutare lucidamente una faccenda che, effettivamente, gli aveva lasciato un sentore di rilevanza.

“...ma non vedo come i malesseri di Joshua e degli altri possano collegarsi a tutto ciò...”

Baptiste lo guardò di sottecchi per poi dedicarsi a dosare lo zucchero nel caffè e provando ad improvvisare un discorso che aveva più volte tentato di preparare ma senza successo, augurandosi un po' di fortuna; d'altronde se aveva abbandonato la comodità appena ritrovata del suo letto, era esattamente per quello.

Conosco degli ufficiali”

Allora cerca di capire come sia stato possibile”

Ci posso provare ma...”

Vedi di riuscirci perchè c'è una falla da sanare”

Ma quelli non lo sapevano della proverbiale riservatezza di André Grandier, in grado di ammansirti con un sorriso per poi convincerti di aver iniziato un discorso al quale non avevi minimamente pensato. Decise di aggirare l'ostacolo.

“Hai intenzione di avviare una produzione di tabacco anche in Francia?”- osò con l'impertinenza schietta che l'altro aveva imparato a riconoscere ed accettare.
André lo guardò stranito, impreparato ad affrontare una conversazione diversa da quella che da giorni tentava di figurarsi con gli occhi della mente e la voce del cuore.

“No...non è questo...”

Ma l'altro proseguì, convinto delle sue affermazioni. Il resto, forse, sarebbe venuto da sè.

“Sarebbe una gran cosa, sai? Hai dato la dignità di lavoratore salariato a chi era arrivato come schiavo, consentendogli di poter sperare in un futuro...”

André annuì, consapevole di non aver mai smesso di combattere, anche senza appartenere all'esercito francese, a fianco di ottimi alleati compreso il giovane sfrontato che aveva di fronte e di aver dato vita ad una piccola rivoluzione entro i confini di cui era proprietario.

“...ne hai anche migliorato le condizioni di lavoro, favorendo i guadagni e aumentando il benessere un po' per tutti, tenendo per te niente più di ciò che ti sia strettamente necessario...”

Sapessi, Baptiste, cosa per me è sempre stato davvero necessario, capiresti quanto poco mi sia costato...

“...come quella storia dei guanti ad esempio...”

“Per quello devo ringraziare tuo zio...e le sue letture. Fosse stato per me non avrei mai saputo che in Italia qualcuno aveva scritto sull'argomento, elencando i problemi di salute degli addetti alla raccolta del tabacco”(1)

André rivolse al medico un accenno di sorriso, rimarcando le sue parole con un cenno del capo.

“Sei stato tu però ad intuire la relazione con la pioggia...”

Non disse nulla Andrè ma li aveva davanti agli occhi come fosse successo il giorno prima, gli uomini e le donne che Jason Simmons era riuscito a strappare alle aste degli schiavi provenienti dalla Windward and Rice coast, allestite là al porto dove erano sbarcati come si trattasse di pesce appena riversato dalle reti, di cui valutare il peso, l'aspetto degli occhi o il colore delle branchie.
Non riusciva a partecipare, André, se voleva tenersi lucido e fare il meglio per quella gente ma ci mandava Jason che aveva imparato tutti i trucchi della contrattazione, gonfiandogli la borsa di denaro con l'unico veto di portarsi a casa quante più persone possibili, cercando di non separare le famiglie.
Li aveva davanti agli occhi quegli uomini e quelle donne, piegati allo stesso modo dei soldati del generale, una somiglianza di situazioni talmente improbabile da non essere riuscito, sul momento, a focallizzarla. La prima volta era stata dopo un temporale che aveva spezzato l'estate e loro erano accorsi, affrettandosi a raccogliere le grandi foglie verde intenso per non buttare tutto il raccolto. Lui era lontano dalla piantagione in quell'occasione, e ci si era messo il giorno dopo a ripulire le piante, quando il caldo sole del sud aveva ormai asciugato i campi.
Ed era sempre stato bene.
Non se ne spiegava bene la ragione ma da allora aveva preteso che il raccolto iniziasse quando anche la rugiada della notte fosse svanita tra i raggi del sole. Ed aveva introdotto l'uso dei guanti; intuizione che aveva contribuito al fatto che al di là del mare ci fosse un bambino che portava il suo nome.

“Davvero Andrè...”- riprese Baptiste

“...ricordo la tua eccitazione quando hai letto la nostra dichiarazione d'indipendenza...”

Era vero. Lo ricordava perfettamente anche lui così come rammentava la propria amarezza al pensiero che si basasse sui principi sostenuti dagli illuministi francesi. Il problema era che quei principi che lui condivideva - e li avrebbe condivisi anche lei, ne era sicuro- avevano impiegato meno tempo ad attraversare l'oceano che non a prendere piede in patria, là dove erano nati.

I diritti inalienabili sono: la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità. Allo scopo di garantire questi diritti, sono creati fra gli uomini, i Governi, i quali poteri derivano dal consenso dei governati...

Si era sentito galvanizzato quando aveva letto quel testo redatto pochi anni prima perchè forse poteva essere un passo, il primo di tanti che li avrebbe portati fino in Francia, quei principi, a tenere a battesimo un mondo diverso. E in un mondo così si era immaginato di poterla corteggiare a dispetto dell'uniforme e delle camicie da uomo, incrociando il suo sguardo, per una volta almeno, con un’audacia che l’avrebbe fatta arrossire e forse allora lei ci avrebbe pensato a quel calore alle gote chiedendosene la ragione e sorridendo seduta al pianoforte, troppo distratta per scegliere il pezzo da suonare. E forse poi avrebbe cercato frammenti di quello sguardo tra i cuscini magari chiedendosi perchè si sentisse così sola tra le sue solite lenzuola. In un mondo così, forse, avrebbero condiviso molto più di una notte d'amore rubata ad un altro.

“...e anche le tue parole. Non sarebbe meraviglioso se anche qui in Francia cadesse questa monarchia antiquata e stantia?”

“Ti ricordo che il Re di Francia ha deciso di inviare le sue truppe in America a supporto del popolo americano la cui libertà ti sta particolarmente a cuore”

“Sì ma per tornaconto...”

“C'è qualche regnante che agisce in modo diverso? Tu non lo conosci...”

“Tu si?”- si stupì Baptiste che non si era mai posto il problema di come fosse la vita di André prima di imbarcarsi per l’America.

“E’ un uomo buono, forse non particolarmente lungimirante...avrebbe bisogno, forse, di consiglieri migliori..”

Sorrise ricordando di quanto a malincuore lasciasse la sua officina per andare a ripulirsi come il protocollo imponeva, prima di ogni incombenza ufficiale.

“Si è ritrovato sul trono che era solo un ragazzo...sai che è nato solo tre giorni prima di me?”

“Non ho alcun dubbio che come re saresti stato meglio tu...la popolazione è allo stremo Andrè!”

“Lo so. E non perchè me lo dici tu. Vedo che le tue frequentazioni francesi ti stanno dipingendo alla perfezione la situazione di questo Paese. Cerca di mantenere un senso critico però...”

Lo sapeva, André, che sulla Francia si stavano allungando ombre sempre più scure, sgusciando dagli anfratti più remoti ed improbabili e si chiedeva quanto potessero essere in grado di rabbuiare anche le menti più aperte.
Baptiste si morse le labbra rendendosi conto di essersi lasciato prendere troppo a discapito dei suoi propositi ma con Andrè aveva sempre pensato di avere un interlocutore dalla sua parte. Era ancora talmente infervorato da quella conversazione partita da un elemento a cui doveva tornare per forza se voleva raggiungere l'obiettivo, che non si rese conto dell'errore.

“Comunque Andrè, non è detto che tutti i soldati condividano la visione dei sovrani e, forse, potrebbero essere di aiuto alla causa del popolo francese. Perciò, come Joshua e tutti gli altri va fatto in modo che si riprendano. Come allora, devi capire da dove origina il problema”

“Certo...lo farò...ma perchè sono uomini, a prescindere dalle loro idee politiche”

Andrè assottigliò lo sguardo sul ragazzo che, impegnato a ripulire la bocca con un tovagliolo, non si accorse di come quel lago verde venne spazzato dal vento del sospetto.

 

(1) B. Ramazzini De morbis artificum diatriba”-1713 (viene considerato il primo trattato di medicina del lavoro)

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Capitolo 19 (II) ***


Capitolo 19 (II)

Erano trascorsi tre giorni.
Tre giorni pieni di lui e di parole mormorate in un abbraccio.
E anche di altre, sempre meno fugaci, sempre più nitide e necessarie a non forgiare catene fasulle, smaltate di una qualche mistura di affetto antico e assurdi doveri morali e saldate in anelli talmente stretti da non lasciare spazio a nient'altro. A nulla di ciò che invece avrebbe voluto.

Ti dirò tutto ma non stasera, non qui, ti prego…

Lo aveva compreso immediatamente che tra le mura in cui aveva vissuto in altre vesti non sarebbe riuscita a far emergere la donna che aveva imparato a conoscere, quella che ama così tanto da non poter pensare di imbrigliare ali immense e bellissime, in grado di planare sulle onde fino a sfiorare i confini di un'altra terra.
Anche se lo desiderava più di tutto di arrivare a raccontargli cosa nascondeva ogni anfratto, ogni pertugio in cui si era calata con incredulità sempre più densa e tangibile, fino alla meraviglia assoluta di fronte ad un tesoro nascosto e prezioso che non si aspettava di trovare.

Voleva arrivare a raccontargli l'amore, l'amore soprattutto.

Ti dirò tutto...

Sì, lo avrebbe fatto, ma non con la voce del cuore. Non ancora.
C'erano la lealtà verso di lui e verso se stessa, prima. Ed imponevano un dazio da pagare sul quale non voleva alcun tipo di sconto.
Aveva vissuto momenti, ai margini di giornate trascorse senza di lui, in cui si era chiesta come avrebbe potuto rivelargli la verità se mai lo avesse rivisto. Era in quei silenzi che si ritrovava prigioniera di attimi che non aveva vissuto e, tra la rabbia ed una rassegnazione ancora lontana da raggiungere, con la mano correva al ventre di nuovo piatto in quel gesto divenuto abituale all'interno di una quotidianità già tramontata.
E se lo era chiesta anche dopo, infinite volte, da quando era ricomparso nella sua vita. Lui, uomo nuovo ma sorretto sempre dallo stesso cuore grande che - ne era più che certa - avrebbe sofferto quanto il suo.

Ci ho pensato sai, ci ho pensato tante volte di non dirti nulla. Ma non riuscirei più a guardarti negli occhi e invece non voglio fare nient’altro. E voglio viverti, viverti come non ci è mai stato concesso di fare. Ma lo devi volere anche tu. Quanto lo voglio io.

Negli infiniti tentativi di intrecciare le parole più adatte ad ordire la trama del suo racconto, le era parso subito evidente che lo scenario non avrebbe mai potuto essere quello di un tavolo elegante, con loro due seduti comodamente a gustare una tazza di cioccolato fumante o il vano di un camino acceso davanti al quale sorseggiare un bicchiere di vino, avvolti dal calore accogliente del fuoco. Mai e poi mai sarebbe riuscita a parlargli così, come si trattasse di una banale chiacchiera da salotto, di un argomento qualunque.
Come se tutto non avesse significato poi tanto. Anche se così, al momento, doveva sembrare.
Solo in un modo sarebbe riuscita a farlo; lo stesso che tante volte li aveva visti vicini, lontani solo all'apparenza, immersi in silenzi così pieni da non poter contenere nessun'altra parola.
Con gesti dotati di una memoria propria, Oscar terminò di allacciare lo jabot davanti alla finestra osservando la notte che abbandonava il cielo e, mentre le ombre iniziavano a sbiadire, fece scivolare la giacca sopra la camicia, raccolse i pensieri per l'ultima volta ed uscì.

 

Nel momento in cui imboccò Rue de la Chaussée D’Antin, André aveva già relegato altrove i suoi incontri mattutini e qualsiasi riflessione si fosse contesa con lei la prima linea dei pensieri. Era stato sufficiente montare a cavallo ed addentrarsi nelle vie della città per respirarla di nuovo ovunque. C'era nell'aria fresca del mattino a lavare il torpore di notti senza sonno quando oltrepassò il deposito d'armi della brigata, proprio all'angolo con il boulevard bordato da alberi nudi che si stava lasciando alle spalle. C'era nel riflesso del sole nascente, respinto garbatamente dai vetri piombati sopra le teste dei due soldati in servizio di guardia ai lati del portone, cui aveva accennato un saluto distratto prima di proseguire a testa bassa, affondando un po' dentro il mantello, verso i cancelli della caserma. C'era nell'ombra della torretta oltre la quale si apriva l'ingresso sul cortile di parata. Era in sella, in attesa paziente, con il cappuccio del mantello calato sulla fronte. E lo vide per prima.

“Ciao André...”

“Oscar!”

Lui alzò il capo di scatto, strappato ai suoi pensieri dalla stessa voce che li occupava e fermò il cavallo a pochi passi da lei, pallida, visibilmente tesa ma con lo sguardo fermo di quando voleva arrivare in fondo.

“Ti avevo detto...”

Lui annuì piano, non staccando mai gli occhi dal suo viso e rammaricandosi di quanto poco adatto fosse quel momento. Non gli veniva in mente alcuna spiegazione plausibile che potesse giustificare un ritardo alla presa di servizio...

Raccontami tutto

...senza alcun preavviso...

Fammi respirare la tua vita

...e dopo appena pochi giorni dall'assunzione del nuovo incarico.

Tutto il resto può anche andare al diavolo

E poi non riusciva a pensare, André, davanti a lei e al suo sguardo indecifrabile, che aveva potuto posarsi su quanto a lui mai sarebbe stato consentito.

Ci penserò poi a trovare una soluzione...

Ma la soluzione l'aveva lei e, insieme, anche il motivo per cui non l'avesse cercato prima. Ed entrambi presupponevano pensieri arrovvellati attorno alla ricerca del momento migliore. Decisamente, nemmeno lei aveva pensato ad altro. E chissà quanto le era costato.

“Ho parlato con Bouillé ieri...”- fece una pausa, Oscar, quasi stesse studiando la sua reazione a quella decisione presa in totale autonomia.

“...gli ho detto che avremmo bisogno di ragionare insieme sulla questione del reggimento di mio padre e che oggi ti saresti dovuto assentare qualche ora...spero non ti dispiaccia...”

Lui scosse il capo

“No, certo che no. Oscar...”

Come stai?- avrebbe voluto chiedere ma si sentì patetico al pensiero di quante altre volte quella frase avrebbe potuto essere più opportuna.

“...se mi avessi fatto chiamare sarei venuto a Palazzo, sarei...”

Lei lo interruppe scuotendo il capo con decisione.

“No, preferisco così. Preferisco cavalcare...”

Aveva ancorato lo sguardo a quello di lui, Oscar, sperando di trovarvi le stesse motivazioni che l'avevano indotta a quella decisione. E mentre le scorgeva - tutte quante - avvertiva la gratitudine per la sua muta comprensione prendere a colare lenta, a scaldarle le vene.
Il rammarico di non avere, in quel modo, nemmeno la possibilità di provare a scovare nei suoi occhi tutto ciò che dalle labbra non sarebbe uscito venne spazzato via dal gesto rapido di lei che abbassava il cappuccio del mantello prima di avviare il cavallo al passo.

“Andiamo”

Attraversarono le vie di una Parigi sempre meno deserta senza riuscire ad infilare due parole di seguito, ora per un ragazzino che si lanciava in strada incurante del pericolo di essere travolto, ora per un carretto cigolante dietro il quale un venditore si sgolava a decantare la propria merce profondendosi in strilli acuti e ripetuti, ora per l'approccio poco convinto di una donna di strada che, con i capelli arruffati e l'aria di chi non vede l'ora di andarsene a dormire, proponeva un altro tipo di mercanzia.
Momenti persi, forse, ma necessari, si rese conto Oscar, a riprovare la parte tanto accuratamente studiata perchè con lui accanto l'effetto era decisamente diverso da come lo aveva immaginato.
Solo quando raggiunsero le ultime abitazioni affacciate sulla campagna, Oscar ebbe la certezza che nessuno li avrebbe interrotti e allora diede voce alla prima battuta.

“Cosa ti ha detto Lassonne?”- esordì, cercando di cogliere su di lui segnali utili ad indirizzare il racconto.

“Nulla...se ti aveva fatto una promessa non l'ha infranta. Non avercela con lui...”- le rivolse un rapido sguardo prima di tornare a fissare la strada a cercare di arginare la piena di domande che gli saliva alle labbra.

Lei avvertì lo stupore affondare fin dentro l'anima e tenerla stretta mentre la disabitudine a quell'André che la disarmava con la sua pacatezza e la confondeva con le sue mezze verità, la squassava nel profondo.

“...ma mi ha messo nelle condizioni di poter comprendere...”

“Di comprendere cosa esattamente?”- perchè di cose da comprendere ce n'erano parecchie in verità ed era sicura di non averle rivelate tutte, a nessuno.

André sospirò profondamente. Era la prima volta che si ritrovava a dar voce a ciò che non avrebbe dovuto essere e non sapeva bene quali termini usare per non ferirla o spaventarla, perché lei non fraintendesse, perchè non lo allontanasse di nuovo.

“Che...”- non sapeva nemmeno come iniziare

Che la donna che amo da sempre, l'unica che vorrei al mio fianco, ha messo al mondo mio figlio e io non ho nemmeno potuto starle accanto. E la cosa che più mi fa male è che se anche ci fossi stato lei mi avrebbe tenuto lontano per leccarsi da sola le ferite di cui io stesso sono responsabile. Sono io quello che avrebbe dovuto soffocare l'amore, io quello che avrebbe dovuto valutare le conseguenze.
Sono stato un pazzo! Un folle!

Maledizione! Esistevano parole, senza usare il verbo amare in nessuna declinazione possibile, per dire ciò che lo stava straziando? Sì, esistevano, anche se gli erano talmente estranee che gli sembrò di sentir parlare un altro, mentre la coscienza mordeva e reclamava il suo spazio.

“Che la nostra notte di follia...sì follia! Dio, Oscar, non avrei mai dovuto...comunque sì, che ci sono state conseguenze...”- fu invece la risposta densa di rimorso, capace di suscitare in lei una risata amara che si affrettò a soffocare. Sì, era tutto vero ma lei da tempo utilizzava altri termini quando tornava a loro due insieme, ciascuno rivisto alla luce di quel tesoro rinvenuto in un pertugio dell'anima.
Ed era difficile ridurre ad una banale conseguenza tutto ciò che riuscivano a scatenare battiti d'ali che vibravano nel profondo e tocchi di vita che l'avevano fatta sorridere fino alle lacrime.

“Come l'hai capito? No, lascia stare...non importa”- le uscirono parole più secche di quanto avrebbe voluto ma lo pensava davvero, tanto ormai non poteva ne voleva evitare di leggere le pagine che la vita aveva scritto per lei e di cui si sentiva, in parte, autrice. Ma le poteva rendere meno dolorose per lui.
Sospirò ed iniziò il suo racconto mentre il profilo dei boschi iniziava a distorcere la linea dell'orizzonte.
 

“Era quasi giugno quella mattina, ricordi? Quando...”

“Sì...”- non c'era bisogno di specificare a quale giorno lei si riferisse e sì, ricordava perfettamente lo strano fenomeno per cui il sole caldo di quella primavera avanzata, quasi estate, gli si fosse gelato sul viso non appena aveva varcato i cancelli di Palazzo Jarjayes.

“Quando l'ho compreso, alla fine dell'estate, mi sono rivolta a Lassonne...”

Era il giorno del tuo compleanno André...

Non gli disse quanto fosse stato straniante non essere insieme, quel giorno, dopo aver condiviso i respiri; così tanto da ritrovarsi a rovistare nel cassetto più basso del mobile della biancheria, alla ricerca di quel dannato coltellino che settimane prima aveva sottratto dalla scrivania di lui e che spesso rigirava tra le mani calcando sulla lama fin quasi ad incidere la pelle, convinta che nulla al mondo avrebbe potuto lasciare segni tanto profondi quanto lui. O di come, mentre frugava tra le stoffe, la sua attenzione fosse stata catturata da una pila di pezze di lino, ripiegate e riposte in un angolo, accuratamente lavate e immacolate da troppo tempo. O forse no. Non ricordava, non poneva mai troppa attenzione a certe questioni e da quando lui se n'era andato il mondo aveva preso anche a girare con un altro ritmo. Aveva afferrato la prima del mucchio e si era seduta sul bordo del letto mentre da un lontano passato riemergevano le parole ovattate di Marie, rivolte a non ricordava quale delle sue sorelle, intanto che lei, stesa a pancia in giù sul tappeto di fronte al camino, faceva ondeggiare a mezz'aria le gambette instancabili e rileggeva uno dei suoi libri preferiti.

Due cicli lunari...

Maledizione! E come si contavano? Aveva rovistato invano nella memoria per poi ritrovarsi con le mani intrecciate dietro la nuca a sospirare ad occhi chiusi.

Oh, al diavolo la luna e tutti gli astri del firmamento!
C'era ancora André l'ultima volta. Gliel'aveva portata lui quella tisana disgustosa che però - doveva ammettere - le donava un po' di sollievo e di cui gli era grata di non approfondire mai l'utilizzo.

“Ambasciator non porta pena Oscar...”- le aveva detto ridendo non appena aveva scorto il suo viso distorcersi nell'usuale smorfia di ribrezzo, al sentore di anice che emanava dal bricco.

“...il capo, là sotto, mi ha dato ordini precisi...”- e aveva continuato a sorridere sapendo quanto lei odiasse quell'intruglio ma anche quanto stoicamente non opponesse mai resistenza.

“...ti ho portato il miele ma, secondo me, se la allunghi con il cognac risolvi il problema una volta per tutte!”

E anche lei aveva riso. Con lui, in quel periodo, le capitava spesso.

Invece lì, seduta sul letto, sola, si era sforzata di stabilire una strategia per i giorni successivi e, forse, per la vita. Senza di lui.

E non immagini André, la paura e l'eccitazione. Il timore e la voglia di raccontarlo anche a te.

“Ma come hai fatto? Come..”

Quanto avrei voluto essere qui...vederti avvicinare e rivelare piano i tuoi dubbi, ad un soffio da me perchè nessun altro potesse udire...

“Fino e metà dell'autunno sono riuscita a nascondere la mia...condizione. Lassonne mi ha detto che non è infrequente quando la struttura corporea è come la mia e quando è...la prima volta”

Ed era strano e meraviglioso svolgere la vita di sempre sapendo di averti con me nel profondo.

“Ho continuato a prestare servizo a corte grazie all'abilità di tua nonna come sarta. E poi...la giubba pesante, il mantello dell'equipaggiamento invernale e la fusciacca legata in vita con un drappeggio appena più morbido sono stati sufficienti. Non mi guardare così, stavo bene e non c'era proprio alcuna ragione perchè io non facessi ciò che avevo sempre fatto...”- aggiunse risoluta, notando lo sguardo di lui che si allargava appena.

Non sai la forza che sentivo, sembrava non ci fosse nulla, intorno, che potesse scalfirmi.

“...anche se, forse, con il senno di poi, non avrei dovuto...”

Ma lo stupore di lui non derivava certo dall'immaginarla a Corte. Avrebbe voluto abbracciarla, Andrè, per la tenerezza che gli suscitava figurarsela davanti allo specchio a valutare quale fosse la piega più adatta a nascondere quel segreto appena accennato.

“Mia nonna sa tutto dunque...ovviamente”- mormorò lui spiegandosi finalmente certi atteggiamenti dell'anziana

“Sì...non avrebbe potuto essere altrimenti”

Nonna ti devo parlare...”- le aveva detto una mattina, mentre dava le spalle alla governante intenta a riassettare la sua stanza. Si era fatta trovare già vestita e con addosso anche un tipo di coraggio diverso da quello che le era proprio.
Era ora...quando nascerà?”- aveva chiesto Marie, senza scomporsi e senza interrompere le proprie faccende
Ma come...a febbraio...”- Oscar si era voltata a fissarla, allarmata e ammutolita dallo stupore.
Non ho l'età che ho per nulla, ti pare?”- aveva sorriso Marie, di quel suo lato ingenuo, cercando di nascondere il timore per ciò che, da lì in poi, avrebbe potuto accadere. Poi si era morsa le labbra e aveva proseguito.
Non hai pensato di...non tenerlo? André è partito, non lo verrà mai a sapere...”- ma lei aveva iniziato a negare scuotendo il capo con decisione.
Come sai che è lui? Come lo sai?...”- la rabbia per quella che sentiva come un'intromissione in ciò che aveva di più profondamente suo le aveva fatto alzare il tono, mentre una mano correva al ventre e si stringeva sulle stoffe. Nessun altro c'entrava, nessuno doveva avere voce in capitolo.
Marie le si era avvicinata carezzandole dolcemente una guancia, senza riuscire a spegnere le fiamme che ardevano nei suoi occhi.
Siete sempre stati troppo vicini, troppo soli...siete belli e giovani...”
Poi si era scostata abbassando lo sguardo con imbarazzo ma alla fine aveva sorriso.
...lo so che non ci crederai ma ricordo ancora cosa significa...l'attrazione...per il vigore di un uomo...e mio nipote somiglia molto a suo nonno..."
Oscar continuava a scuotere il capo, non riuscendo nemmeno a stupirsi per la piega che aveva preso quel discorso
No...non è...questo...”
Ma l'altra voleva andare a fondo, voleva capire quanto doveva essere spietata per darle una possibilità.
...ma...Sainte Vierge...e che anche lei mi perdoni...non sarebbe forse la soluzione più semplice?”
No, non ci ho mai pensato...”- aveva continuato a negare, Oscar, mentre l'altra mano si chiudeva sulla prima.
Comprese quel gesto, Marie, e in quel momento decise di seppellire per sempre le ultime parole di suo nipote

“Poi fu il turno degli scozzesi. Ricordi, vero, la rotazione delle Guardie Reali?”

“Sì”- e come non ricordarlo? Per anni avevano scommesso su quale compagnia avrebbe avuto in sorte i mesi più afosi(1), sperando di poter trascorrere qualche settimana di libertà con il vento in faccia e la salsedine tra i capelli.

“Dopo aver passato le consegne al comandante MacLeod mi sono trasferita a casa di Lassonne che mi aveva già proposto, se mi avesse fatto piacere, di trascorrere gli ultimi mesi a casa sua. Mi è sembrata una soluzione ragionevole visto che non volevo né estranei intorno né, tantomeno, allontanarmi da Parigi”

Non volevo correre nessun rischio André. Avrei dato la vita per tuo figlio.

“Oscar...ma come...e tuo padre?”- troppi scenari si rincorrevano nella mente e non si spiegava Andrè, come il Generale lo avesse accolto, pochi giorni prima, come se nulla fosse.

“Adesso tutti gli altri non contano!”- rispose decisa mentre rallentava l'andatura e smontava da cavallo.

Guardandosi intorno Andrè riconobbe la macchia di faggi che gli aveva dato riparo in un giorno d'autunno mentre cercava di nascondersi al cuore di lei.
In lontananza, la voce dell'acqua gli suggeriva una verità già intuita.

Si incamminarono fianco a fianco, lungo il sentiero in salita, nel silenzio del bosco.

“Conta soltanto che le cose non sono andate come avrebbero dovuto...”- proseguì lei

Andrè non osò ribattere mentre la osservava farsi silenziosa, ignorando il velato senso di colpa che la perseguitava da allora e la sensazione, mai dimenticata, dei vestiti bagnati addosso in quel giorno che mai avrebbe voluto facesse parte dei suoi ricordi. Non poteva sapere, Andrè, di esserle mancato ai limiti della follia e di quale supplizio fosse stato circondarsi di pareti quasi sconosciute dove niente parlava di loro.
Di quando si era risolta ad indossare abiti femminili perchè altro a quel punto non avrebbe potuto fare e, con l'aiuto di Madame Lassonne, raccoglieva i capelli - perchè non è vero che l'abito non fa il monaco, soprattutto dove non ci si aspetta di incontrare qualcuno che notoriamente calpesta altri suoli - ed usciva per le vie di Parigi, a godersi senza fretta il sole invernale, passeggiando fino a toccare i luoghi della loro vita insieme, in percorsi che le erano diventati indispensabili.
Di quel giorno limpido e ancora lontano dalla scadenza del suo tempo in cui si era spinta a camminare fino al quartiere in cui avevano incontrato Rosalie per la prima volta e poi alla piazza in cui le aveva impedito di saltare al collo del Duca di Germaine che aveva appena dato prova delle sue doti di assassino. Di come avesse perso la cognizione del tempo, quel giorno, tornando a casa solo al calar della sera, accelerando il passo, spaventata dall'improvviso umidore che aveva avvertito colare lungo le gambe.

“...era troppo presto...e io ho fatto la mia parte...”

“Quando è successo?”- riuscì a chiedere Andrè, ignorando di proposito l'ultima frase. Se anche fosse stato vero, e non era sicuro di poterlo credere, non esisteva colpa che potesse paragonarsi alla sua.

“Oggi...sono sette anni esatti”

Il cancello della piccola chiesa di Sainte Cécile era appena accostato, come sempre. Era una premura che il curato di quel luogo sacro, semplice e avvolto dalla quiete dei boschi, aveva nei confronti dei parrocchiani che potevano così accedere e trovare il conforto di cui erano in cerca, qualunque esso fosse, in qualsiasi momento del giorno e della notte. Tanto era risaputo non ci fosse nulla da rubare a Sainte Cécile; né i paramenti sacri, cuciti con semplice lino e che nulla avevano a che fare con le sete e le stole damascate appartenenti alle più alte sfere del clero, né gli oggetti liturgici che non avevano mai conosciuto i preziosi baluginii dell’oro e dell’argento.
Mossi i primi passi all’interno del muretto in pietra che entrambi superavano in altezza di tutta la testa, una sorta di timore reverenziale calò su André insieme al carico di dolore vivo che lei aveva dovuto sopportare da sola. Gli era caduto rovinosamente sul petto impedendogli di proseguire. Lei, che lo precedeva di poco, avvertì la mancanza del passo di lui nell’ombra del suo e si fermò a sua volta. Si voltò e lo vide con addosso tutto ciò che aveva già provato su se stessa ma non si avvicinò, conscia che il dolore ha bisogno di spazio. Però gli tese la mano e attese finchè non sentì il palmo di lui aderire al suo e stringerlo per trovare in quell'appiglio la forza di proseguire.
In un silenzio religioso, interrotto soltanto dalla voce limpida del ruscello più in basso e dal richiamo aspro e stridulo di alcune ghiandaie in cerca di cibo, coprirono la distanza che li separava dalla croce che André già conosceva e in cui ritrovava il gusto semplice e sobrio di Oscar, perfettamente adatto a quella che doveva essere la tomba di un attendente, ricordato con affetto ma non appartenente alla classe cui spettavano onori di guerra e decori preziosi.
Solo un dettaglio stonava. L'aveva già notata l’altra volta la raffinatezza di un delicato ramage in bassorilievo, un vezzo davvero poco affine alle inclinazioni di lei; un tralcio di foglie lanceolate e piccoli fiori appena accennati che sembrava uscire direttamente dalla terra e innalzarsi verso il cielo.
Un simbolo di vita dove di vita non ce n'era più.
Non poté fare a meno di domandarsi, André, quale moto dell'animo, in chissà quale momento, avesse indotto una scelta così poco da lei.

Proprio lì dove il bassorilievo sembrava spuntare dall'erba, in un piccolo vaso in peltro, tra tralci d'abete accuratamente recisi, occhieggiavano le bacche rosse del biancospino. Pochi rami come unico omaggio possibile in una stagione avara di fiori e segno inequivocabile di una presenza affettuosa e costante.
Rimasero muti con le spalle che si sfioravano sotto i mantelli. Lei si voltò a guardarlo.

“L'hai chiamato come me...”- “ovviamente”, si disse da solo. Quale altra soluzione avrebbe potuto essere più semplice per nascondere tutto quanto? Quale espediente migliore del nome del nipote della governante per nascondere al mondo l'esistenza di suo figlio, partorito in segreto da una nobile di alto lignaggio? Soffocò una risata amara, André, dedicata a quel mondo in cui a loro due era vietato sfiorarsi. Eppure non riusciva a non pensare che lei aveva fatto incidere sulla pietra, per l'eternità, il nome del figlio che aveva portato in grembo. Ed il cognome era il suo.

André Grandier

Lei annuì poi si abbassò portandosi in ginocchio davanti alla croce, sporcando l'uniforme e bagnandosi le ginocchia con l'erba ancora umida.

“Guarda bene André...”

Prese ad accarezzare la croce, Oscar, con le dita guantate, passandole ripetutamente sui contorni di una foglia in quella che sembrava una carezza infinita. Un piccolo ovale distorto frapposto tra il nome ed il cognome.

“...vieni qui, avvicinati”

Si avvicinò, André, grato per quella possibilità che lei gli stava dando di fare ciò che lui non avrebbe osato chiedere.

“Guarda...”

E nel movimento delle dita sottili, lo vide finalmente il segreto nascosto tra i rami di pietra. L'angolatura diversa, le dimensioni più piccole, una perfetta illusione di prospettiva. Allora comprese.

“Oscar...è un'altra e...”

Andrée

“Sì...era una bambina”

Andrée Grandier

“Ecco...ora sai tutto”- concluse sfiorando le lettere un'ultima volta

Tutto quello che serve al momento. Perchè ora soffrirai Andrè, anche se non ci avevi mai pensato, come è successo a me. E non ci sarà spazio per altro. Proverai ad immaginare i lineamenti del suo viso, il colore dei suoi occhi che nemmeno io ho potuto vedere, il suono del suo pianto che non ho potuto udire. E di come sarebbe stato tenerla tra le braccia e vederla crescere. Tu hai un cuore grande André e ora piangerai per lei e forse anche per me. E io non ho nemmeno un fazzoletto per asciugare le tue lacrime perchè a quello provvedevi sempre tu, ma ho le mie mani e il mio cuore.
E non ti lascerò soffrire in solitudine perchè quello l'ho già fatto io.

Dopo, se mi vorrai ascoltare, potrò provare a raccontarti il resto.

Lei si rialzò lentamente e rimase ad osservare la schiena del ragazzo in cui si era persa, dell’uomo che aveva compreso di amare, di un padre chino sulla tomba di sua figlia.

“Com'era?”-chiese lui con la voce incrinata

“Aveva i capelli scuri come i tuoi...e le tue labbra”- si maledisse per il dolore che lui stava provando; era esattamente per quello che non avrebbe voluto raccontargli nulla.

“Mi dispiace André...io...non avrei mai voluto che le cose andassero in questo modo. Anche se essere madre non era certo nei miei progetti fino...”

Fino a quando non ho capito di aspettare un figlio dall'unico uomo che vorrei accanto

...fino a quando non ho potuto tirarmi indietro. Ma non le avrei fatto mancare nulla, mai. Mi devi credere”

Anche lui si alzò e le si pose di fronte, la voce di nuovo ferma.

“Lo so...lo so che persona sei. E perciò ti ammiro e ti stimo da tutta la vita, infinitamente”

Non mi basta André, non mi basta...

“Perdonami, perdonami Oscar. Non avrei mai voluto tutto questo per te. Avrei dovuto essere più consapevole, più cauto...non so cosa mi sia preso, avrei dovuto mandarti via...”- la voce gli si spezzò di nuovo mentre uno sguardo colpevole correva all'erba calpestata sotto i loro piedi.

Via? Sul serio? Io rivivrei ogni attimo invece...

Lei gli si avvicinò e, con dita leggere sotto il mento, lo indusse a riportare lo sguardo sul suo viso.

“Non c'è nulla da perdonare, te lo dissi anche allora. Io non ho fatto nulla per impedire che accadesse...ciò che è accaduto. E non ti devi preoccupare per me, davvero”

Respirò l'odore dell'inverno sulla sua pelle mentre continuava ad accarezzarlo con il pollice, appena sotto le labbra, senza nemmeno accorgersi che lui le aveva passato le braccia attorno alla vita, stringendo il suo mantello e aggrappandosi all'unica persona che gli avrebbe permesso di non sprofondare.

“Davvero...”- ripetè fino a quando non lo vide annuire, convinto, prima di perdersi in pensieri identici ai suoi.

Se non riusciamo a stare lontani è solo follia?

Se il mio cuore non trova sollievo se non appoggiandosi al tuo è solo follia?

Quando non è solo follia?

“Oscar, io...vorrei tornare qui...qualche volta”

Lei annuì con le mani ancora sul suo volto

“Vieni quando vuoi...”

Tornarono a Parigi in silenzio, il solito, quello così pieno da non poter contenere nessun'altra parola, cercando, con sguardi sempre più intensi, gli effetti della verità l'uno sul volto dell'altra. Ad ogni miglio avvertirono un po' del dolore avvinghiato all'anima rotolare giù, tra gli zoccoli dei cavalli, lasciando il posto per qualcosa che entrambi sentivano meno distante.
 

Era pomeriggio quando André rientrò in caserma. Attraversò i corridoi ad ampie falcate, fuggendo gli sguardi per potersi ritagliare qualche momento di solitudine tra le mura dell'ufficio e darsi il tempo di mettere in ordine il cuore. Passando davanti all'armeria riconobbe l'aria di una nota canzone da taverna e, suo malgrado, sorrise. Si affacciò all'uscio e vide Alain intento a pulirsi il fucile, canticchiando sereno.
Provò quasi invidia per l'amico sul quale si ricordò di poter contare.

“Alain...cosa diresti se ti proponessi di non passare la serata in camerata? E forse non solo questa?”- propose pensieroso, assecondando un'idea improvvisa.

“Accetterei senza riserve! Dove mi porti?”- chiese con l'usuale faccia tosta

“Io da nessuna parte. Quando avrai finito con il fucile vieni nel mio ufficio per i dettagli. Ho bisogno che tu, DA SOLO e senza dare troppo nell'occhio, segua una persona...”
 

(1) La realtà storica é diversa da come ci ha fatto intuire la Ikeda: esistevano infatti quattro compagnie di guardie reali (tre francesi e una scozzese) che si alternavano nel prestare servizio a corte.

Grazie, come sempre, per la lettura e a Settembre17 per aver dedicato scampoli delle sue vacanze ad una mente poco lucida che, invece, le vacanze deve ancora farle.

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** Capitolo 20 ***


Un grazie particolare a Galla per il suo lavoro di ormai diversi mesi fa; lei era stata puntuale, al contrario di me...
Avviso che il capitolo è diviso in tre parti ma lungo; a chi abbia comunque voglia di leggerlo, va un doveroso ringraziamento.

“André...”

La testa bruna di Alain sbucò da dietro il paravento dove l'altro teneva la brocca, il catino e il necessario per radersi. Non aveva ancora indossato la giacca e, con un telo di lino, strofinava insistentemente le guance appena sbarbate eliminando gli ultimi residui di sapone, incurante delle poche gocce che riuscivano a sfuggire al suo controllo e prendevano a seguire il profilo squadrato della mandibola, per poi scendere lungo il collo libero dall'usuale impedimento in cotone rosso, e lasciarsi cadere giù, fin sul petto.
Ma non ottenne risposta né attenzione dal suo capitano apparentemente catturato da un particolare oltre le finestre dello studio affacciato sul cortile di parata. La mano destra chiusa a pugno sul vetro freddo sembrava sostenere tutto il peso del corpo proteso in avanti, grazie all'unico contatto con la fronte poggiata sulle nocche delle dita.
Era lontano André, era con lei.
La raggiungeva di continuo, con la stessa urgenza del giorno in cui aveva saputo la verità, quando, al calar della sera, non aveva potuto far altro che dirigersi a Corte ed attendere con pazienza e trepidazione l'unica persona al mondo a cui sapeva di potersi aggrappare senza nemmeno doverla sfiorare, con tutta la disperazione che non necessita di spiegazioni. Era stato un dono prezioso quel suo dirigere il cavallo al passo verso di lui, dopo averlo arrestato di colpo, oltre l'ultimo cancello, visibilmente sorpresa ma con gli occhi colmi di tutta la comprensione per quel suo bisogno di essere vicini senza dover dar voce ad una pena che non si riusciva a raccontare.
Lei non lo aveva avuto quel conforto e, forse, solo in quel momento, si rese conto di quanto le fosse mancato davvero. Con un assenso appena accennato si era lasciata accompagnare e la sera dopo lo aveva preceduto facendosi trovare a Parigi, poco fuori della caserma.

Ti fermi a cena?- le era uscito di getto, giunti alle scuderie di Palazzo, conscia di quanto la notte potesse essere lunga con il cuore sommerso.

Erano entrati per la via delle cucine ed era bastata un'occhiata per individuare Marie con le maniche avvolte fino ai gomiti e le mani immerse in una ciotola capiente nella quale versava alternativamente noci sminuzzate ed uva passa. Aveva alzato gli occhi sul nipote che mai le era sembrato così imponente ma André, in un'unica stretta lieve sulla spalla piccola e curva aveva racchiuso mille parole. C'era tutto in quel gesto, dalla supplica a non crucciarsi alla certezza che avesse fatto tutto il possibile e forse anche di più. Lei aveva compreso.
Una mattina, con Oscar, si erano incontrati per caso nel cimitero sulla collina. L'aveva osservata in silenzio mentre si piegava sulle ginocchia e sostituiva con ellebori candidi i rami ormai secchi ai piedi della croce. Lui non aveva osato, per non spezzare gesti intimi e rituali consolidati dal tempo.
Poi erano usciti insieme, fianco a fianco, con le mani che si sfioravano e parevano cercarsi in punta di dita, fino a trovarsi parzialmente allacciate nel permesso accordato di poter accedere l'una al dolore dell'altro. Non sapeva, André, quanto avrebbe impiegato a sviluppare quella nostalgia serena che percepiva in lei; l'amara certezza di aver lasciato in quel luogo un pezzo di sé che ogni volta veniva ritrovato con lo stesso amore.

“André...capitano...”

Gli ultimi erano stati giorni strani, amari e sereni insieme, in cui i silenzi erano diventati sempre meno lunghi e pesanti e lei, con la curiosità di una bambina e la reticenza di una donna che non sa fin dove può osare, gli aveva chiesto della sua vita in America, perché ora sembrava lei quella bisognosa della verità. Si era divertito a descriverle la piantagione, strappandole attenzione e sorrisi. L'aveva vista spalancare gli occhi, stupita, al racconto di come fosse necessario rimuovere i fiori dalle piante per non impedire lo sviluppo delle foglie preziose e di come le stesse venissero appese per settimane, su corde ben tese, per raggiungere il giusto grado di essiccazione.
Gli era sembrato di scorgere un lampo di ammirazione, forse di orgoglio, o forse era solo il riflesso del fuoco quando le aveva spiegato, davanti al camino acceso, quanto fosse importante l'umidità per la buona riuscita del raccolto. Né troppo poca affinché non si sgretolasse divenendo invendibile ma neppure troppa perché avrebbe irrimediabilmente rovinato tutto facendo marcire le foglie. Le sue domande argute l'avevano portato a raccontarle di come le foglie venissero intrecciate e avvolte in balle protette da sacchi di tela o introdotte in botti, i barili, da anni il contenitore preferito per le spedizioni.

“Capitano Grandier! Ma cosa devo fare per farmi ascoltare?!?”- il telo umido lo raggiunse in pieno volto, sferzandolo con decisione e costringendolo ad accorgersi del tono seccato dell'altro.

“Come? Sì, scusami...stavi dicendo?”- André si voltò dando le spalle al cortile che stava iniziando ad animarsi. Era giorno di visita e, davanti alle camerate, si stavano riunendo donne avvolte alla meno peggio in scialli e mantelli consunti, con bambini aggrappati alle gonne o sorretti tra le braccia per donarsi reciproco calore; ragazze per lo più e qualcuna più attempata, tra le mani fagotti di biancheria pulita sottoposta all'ennesimo rammendo, da riconsegnare ad un fratello, un marito, un figlio. Diede le spalle al cortile per trovarsi di fronte Alain, eppure era ancora il viso di lei quello che tornava, desolato e pallido come il giorno prima, quando gli aveva mostrato un altro frammento di cuore.

André...io credo sia stata colpa mia...”
Lui aveva atteso in silenzio il seguito che non era tardato ad arrivare
...nessuna donna in quelle condizioni cavalca o esce tutti i giorni”
Le donne del popolo sì Oscar...le donne del popolo lavorano anche fino ad un tempo molto avanzato...”
Era vero, non ci aveva nemmeno pensato. Era stata testimone diretta soltanto delle gravidanze reali laddove si era fatto di tutto per garantire l'incolumità del futuro erede al trono. Indirettamente, invece, aveva vissuto l'esperienza delle sorelle le quali si erano ritirate rapidamente in qualche proprietà fuori Parigi, lontano dai clamori e dal disagio di doversi mostrare con un girovita sempre più allargato
...hai detto che stavi bene, no? Lassonne ti aveva forse raccomandato di non cavalcare nei primi tempi? O ti aveva proibito di passeggiare, di uscire di casa?”
No...”
Allora non ti crucciare...il destino ha deciso per te - per noi, avrebbe voluto dirle - non darti colpe che non hai...”- aveva concluso riportando le sue stesse parole, sperando su di lei facessero effetto perché invece lui non riusciva ad assolversi completamente

“Mi spieghi perché mi mandi in giro di notte vestito in ghingheri - non che mi dispiaccia eh, se non fosse che la tua giacca mi sta un po' stretta - se poi non mi ascolti neanche? A cosa diamine stai pensando?”- Alain annegò il rimprovero in un sorriso sornione mentre ripiegava a dovere il fazzoletto rosso abbandonato accanto al catino.

“Hai ragione...”- André si staccò dal vetro e passandosi più volte la punta delle dita sulla fronte in un movimento rassegnato, rivolse al pavimento un sorriso disarmato e colpevole, conscio di non possedere la lucidità necessaria alla situazione.

“Guarda...io apprezzo molto che tu mi metta a disposizione tutto il tuo armamentario per la toeletta...”- e Alain allargò un braccio in modo teatrale ad includere tutto ciò che aveva appena finito di utilizzare - “...e anche che tu mi permetta di dormire qualche ora sul tuo divano, almeno non devo sopportare Gautier che russa e Vincent che...va beh, lasciamo perdere...”
Diede le spalle al capitano per legare il fazzoletto al collo approfittando dello specchio e sogghignando delle smorfie che il suo volto riflesso gli restituiva.

“...e non ho mai fatto mistero di gradire la tua compagnia, ma preferisco ancora quella di mia sorella e oggi la vorrei incontrare. Quindi ascoltami così poi me ne posso andare”

“Ti ascolto”- si risolse a concentrarsi sulle parole dell'altro, André, non volendo sottrarre all'amico tempo prezioso. Non aveva ancora avuto modo d'incontrarla ma i soldati non facevano mistero di apprezzare la sorella di Alain, decantandone le grazie in modo rispettoso e sognante quando lui era nei paraggi ma anche facendo intendere, con gesti espliciti, quali pensieri poco casti potessero evocare le curve del suo seno appena accennate sotto il semplice abito di cotone, naturalmente dopo essersi guardati bene attorno per scongiurare manrovesci indesiderati.

“Veramente ti avrei già detto tutto se mi avessi ascoltato...comunque, la faccenda è questa...”

Alain stava per accomodarsi nell'abituale posizione a cavalcioni dell'unica sedia presente quando un tonfo sordo proveniente dalla stanza accanto lo ammutolì all'istante. I due si guardarono negli occhi, sorpresi ma non ancora allarmati. Il tempo di un battito di ciglia e un altro tonfo, simile ad un corpo che cade rovinosamente al suolo trascinando con sé ogni possibile appiglio, li fece trasalire davvero.

“D’Harcourt è in servizio oggi?”- Alain inarcò un sopracciglio indicando con il pollice il muro a destra, dietro le sue spalle.

“Sì, l’ho visto di sfuggita stamane”- André assottigliò lo sguardo, inquieto, vagliando rapidamente tutte le possibili fonti di quel fracasso.

Nonostante lo spessore della parete arrivarono voci concitate tra le quali, forse, quella di una donna.

“Vuoi vedere che Jules ha finalmente deciso di dargli una lezione? Non mi stupirei...quasi quasi vado a dargli una mano...”- ad Alain sfuggì un sorriso beffardo ma intanto assunse una posizione vigile, pronta a scattare al minimo cenno dell'altro. Invece fu André a scavalcare quasi la scrivania e, dopo aver scansato l'amico, si precipitò nel corridoio, gridando di rammarico.

“Maledizione! Se vengono alle mani non potrò far nulla per lui...”

Nel vano lungo e deserto, rischiarato appena dal riflesso del sole invernale che a quell'ora batteva sulle finestre dell'ala di fronte, l'unico elemento degno di nota era la porta spalancata dell'ufficio accanto, oltre la quale toni agitati rimbombavano nel silenzio.
In poche falcate André si portò sull'uscio dove si fermò di colpo con le mani aperte sugli stipiti bloccando così anche il movimento del compagno che quasi gli rovinò addosso. Sul suo volto il timore lasciò dapprima posto allo sbigottimento, poi si riprese rapido la scena mentre lui cercava di interpretare ciò che vedeva all'interno, ben distante da tutto quanto avesse immaginato fino a quel momento.
Non c'era Jules con il suo corpo smilzo ma capace di contrarsi in un fascio tenace di muscoli quando, concentrato, caricava il fucile o tentava di sedare una rissa, né la moglie che, dai racconti di Alain, lui immaginava essere minuta ma sinuosa, con una cascata di boccoli scuri portati sciolti fino alla vita e che sembrava esercitare un'attrazione irresistibile sul comandante della guardia francese.
La cascata di capelli che si ritrovò a fissare era quella bionda di cui conosceva ogni riflesso, fluttuante ad ogni movimento del capo di Oscar, impegnata a tenere sotto tiro il comandante D’Harcourt riverso a terra insieme a parte del mobilio. Gli puntava la spada sotto il mento, costringendolo a tenerlo sollevato per poterlo guardare dritto negli occhi e lo scompiglio circostante lasciava intuire quanto fosse stata efficace l'azione incalzante della lama. Dava le spalle alla porta e, con il braccio sinistro, cercava di spingere dietro di sé una giovane dai lunghi capelli castani raccolti in una coda morbida. La ragazza provava a rannicchiarsi dietro la schiena esile quasi fosse il più imponente dei bastioni e con mani tremanti tentava, senza successo, di riassestare i lembi dell'abito malamente slacciato.
La situazione era fin troppo chiara e pur non potendolo vedere, André immaginò il ghiaccio rovente negli occhi di lei che, immobile, non cedeva di un passo.

“Forse non ci siamo capiti...Colonnello...”- tentò l’uomo a terra scorrendo con lo sguardo l'uniforme vermiglia alla ricerca dei gradi. Nel trambusto pareva non essersi accorto dei due militari affacciati sull'uscio.

“...io vi proponevo una condivisione...”- e accennò una smorfia lasciva alla ragazza che non riusciva più a trattenere le lacrime, sopraffatta dall'umiliazione e dalla vergogna.

“...ma se volete l'esclusiva ne possiamo comunque parlare con tranquillità, senza bisogno di arrivare a questi estremi...”- e abbracciò con lo sguardo il subbuglio tutt'intorno, compiacendosi della sua battuta.

“Forse non avete capito voi...Monsieur...”- gli fece il verso lei mentre André indovinava il sorriso sarcastico appena apparso sulle sue labbra.

“...mi sembrava evidente che Mademoiselle non fosse interessata alle vostre attenzioni e credo conveniate con me quanto non sia ammissibile che un ufficiale del Regno tenga un simile comportamento...”- la voce si alzò di diversi toni, sospinta dallo sdegno.

“...sono il Comandante delle Guardie Reali Oscar François de Jarjayes e credo riferirò direttamente alle Loro Maestà del Vostro atteggiamento ignobile!”

“Diane...Bastardo!”- Alain biascicò poche parole rabbiose tentando di scaraventarsi all'interno, furibondo ma impreparato ai riflessi di André che lo trattenne per impedirgli di mettere a repentaglio il lavoro e la vita.

D’Harcourt poggiando un gomito a terra sollevò la schiena e rise, di un riso ironico e incredulo. Era un uomo di mezz'età ma la sua discreta avvenenza ancora resisteva all'addome prominente che tradiva il vizio per la buona tavola. I capelli di un biondo chiarissimo, tanto da far sospettare un'ascendenza scandinava, nascondevano bene i fili più grigi, inevitabili per i suoi anni e gli consentivano di non dover ricorrere a parrucche o artefatti.

“De Jarjayes avete detto? Ora si spiega tutto...”- fece scivolare su di lei lo sguardo chiaro, talmente insinuante da farle lo stesso effetto di una carezza dissoluta e sgradita. Lo mosse piano dalle caviglie avvolte nel cuoio degli stivali, lungo le gambe snelle fino ai fianchi, dove indugiò un po' più a lungo per poi ripartire e soffermarsi con intenzione sul petto prima di arrivare ai suoi occhi. E il sorriso si fece più largo.

“Cosa intendete?”- ingoiò stizza, Oscar, e si tese ancora di più, non abbassando mai la spada.

Lui le riservò uno sguardo impudico, carico di sottintesi.

“Colonnello De Jarjayes...Mademoiselle...capisco il vostro disappunto nel vedere un ufficiale del Regno rivolgere attenzioni ad una popolana ma qui non siamo a Corte e in questo lavoro, a volte, bisogna accontentarsi di frequentazioni di bassa lega...”

Poi la guardò ancora più intensamente, senza vergogna.

“...però Colonnello, seppur la ragazza sia molto graziosa, se Voi siete disponibile, per quanto mi riguarda può tornare da dove è venuta...”

André e Alain mossero un passo all'unisono ma si trattennero a vicenda perché c'era ancora margine per lasciarle risolvere la faccenda come meglio credesse. Il primo mosso dalla conoscenza dell'animo di lei, il secondo dalla curiosità.

“Se fossi in Voi, Monsieur, presterei più attenzione a ciò che dite...vi ricordo che non sono io quella a terra con una spada puntata alla gola...”- nel tono gelido si avvertiva l'ombra beffarda di un sorriso.

“Suvvia Mademoiselle, la Corte mormora...e Voi non siete certo esente da pettegolezzi...”- il sorriso era passato alle sue labbra, divenendo ancor più sarcastico.

“...comprendo il disagio per questo luogo ma a ciò si può provvedere. E anche se ammetto di trovare intrigante l'uniforme, sarebbe davvero gradevole incontrarvi altrove con un abito più consono...nulla è paragonabile alla comodità di una gonna per intraprendere un certo tipo di attività...”

Concluse con una smorfia di sfida alla quale Oscar, furiosa, rispose affondando la lama quel tanto che bastava a disegnare un rivolo rosso sul collo dell’uomo. Una piccola soddisfazione che lui avrebbe celato accuratamente sotto il pizzo di uno jabot elegante guardandosi bene dal raccontare come se la fosse procurata.

“Fermati, fermati Oscar!” - a quel punto fu rapido ad intervenire André, con un tocco deciso sul braccio che sosteneva la lama per indurla ad abbassarla lentamente.

“Non fare pazzie...” - sussurrò piano e con un sospiro di sollievo, avvertendo la sua cedevolezza

“Non ti preoccupare André...”- vibravano di rabbia le parole di lei - “non ho intenzione di privarvi di un così valido ufficiale...”

L'uomo a terra, libero dalla minaccia, si rialzò lentamente aggiustandosi l'uniforme mentre Diane, scossa e impaurita, trovava riparo tra le braccia del fratello schiacciando contro la divisa il petto che non le riusciva di ricoprire.
Con il suo secondo D’Harcourt non aveva ancora instaurato alcun tipo di rapporto che andasse oltre il mero scambio di ordini e istruzioni; non riusciva ad inquadrarlo con quella sua calma serafica a volte inframmezzata da uscite taglienti e il fatto che appena insediato fosse stato richiesto direttamente dal Generale Bouillé per una faccenda di cui nemmeno lui era stato informato, non faceva che accrescere la sua diffidenza.
Ma in quel caso l'imperativo era di ostentare indifferenza.
Si portò dietro la scrivania a tentare di nascondere la colpa e la tensione sospetta della stoffa delle brache, indotta dai pensieri di poco prima, raccogliendo un paio di dispacci e una piuma d'oca caduti a terra quando il ripiano massiccio gli era sembrata una valida alcova.

“Bene, mi fa piacere che questa divergenza di opinioni si sia conclusa nel migliore dei modi...”

“Oh, anche a me...non sapete quanto...”- borbottò Alain carico di livore e con tanta rabbia in corpo che nemmeno l'abbraccio della sorella riusciva a lenire.

Si guardò intorno con sufficienza, il comandante, alla ricerca di un modo per avere l'ultima parola

“Mi aspetto che qualcuno sistemi questo disastro. Soisson, vuoi provvedere tu?”- concluse con finta condiscendenza.

Andrè che non si spiegava come avesse resistito fino a quel punto e Alain che se lo spiegava ancora meno, si scambiarono uno sguardo denso di significato e fecero un passo avanti all’unisono. Il soldato semplice però fu più rapido e il suo gancio destro arrivò senza impedimenti sulla mandibola dell'ufficiale che rovinò di nuovo a terra con la sensazione di poter tenere salda la mandibola solo sorreggendola con la mano.

“No, non voglio provvedere...”- e girando rapidamente i tacchi tornò ad abbracciare la sorella.

“Maledetto! Ti farò deferire alla corte marziale...siete tutti testimoni!”- il dolore lancinante non impedì parole di astio.

“Oh sì, lo siamo...”- confermò Oscar ironica mentre si toglieva il mantello e lo poggiava sulle spalle di Diane, rimasta sola a tremare come una foglia al vento.

“Soisson, mi sembra che tu conosca questa ragazza”

Alain annuì senza rendersi conto che, per la prima volta nella sua vita, stava rivolgendo uno sguardo allibito ma carico di gratitudine ad un esponente della nobiltà.

“Sì è mia sorella”

“Accompagnala fuori e...non c’è fretta per il mantello”

***

La tensione scemava insieme a quel poco di sangue freddo che le era rimasto nelle vene, lasciando sul campo due mani tremanti impossibili da sottrarre allo sguardo attento di André. Conosceva quei fremiti, il ghiaccio negli occhi e l'incendio nel cuore. Si sarebbero scontrati di lì a poco ed era bene ciò avvenisse lontano da occhi indiscreti. Con un cenno del capo le indicò di seguirlo nella stanza accanto, chiudendosi poi la porta alle spalle.

“Stai bene?”- domandò piano senza aspettarsi una risposta

Lei batté il pugno destro di piatto, più volte, contro il muro accanto all'uscio poi si fermò a braccia tese con entrambe le mani aperte sulla pietra e il capo chino, il volto nascosto dai capelli.

“Maledetto! Ma chi gli da il diritto? Solo perché indossa una divisa da ufficiale!?!”

C’era il sapore delle lacrime nelle sue parole, di frustrazione per ciò che non avrebbe voluto accadesse e invece capitava di continuo. Non c’era nulla da fare se non lasciarla sfogare. Lo sapeva bene André che la osservava in silenzio, condividendo la sua ira per la situazione fin troppo ovvia.

“A volte mi vergogno...sì, mi vergogno di questa uniforme che sembra essere il lasciapassare per tutto!”

André sorrise. Erano infiniti la dolcezza e l'orgoglio che provava per lei in quel momento.

“Ma oggi è stata utile...”

“Lo avrei fermato ugualmente quel...”- e colpì di nuovo il muro ripensando alle frasi incresciose che le aveva rivolto.

“...anche a mani nude...anche senza la divisa! Anche con addosso il suo dannato abito consono!”

Tentò di alleggerire i toni, André, e lei gli stava fornendo un aiuto insperato; era furiosa sì, ma deliziosa in quel moto ardente che la induceva a proferire ciò che lui sapeva essere solo la verità.

“Su questo non ho alcun dubbio! Lui non sa a quale pericolo è scampato…”- rise di gusto tenendosi la fronte con una mano e resistendo a fatica all'impulso di abbracciarla e prenderseli in pieno petto tutti i pugni necessari a far tornare il sereno.

“...lui non immagina che non sei neanche lontanamente come le altre...che saresti in grado di nascondere un pugnale nel corsetto o un coltello a serramanico in una giarrettiera...” - le parlò con tono accorato e complice ma non riuscì, Oscar, a cogliere la dolcezza del suo sguardo dietro il fragore delle risa, incerta se la infastidisse di più il senso implicito della frase o il fatto che lui elencasse con tanta disinvoltura indumenti femminili che lei non aveva mai indossato. Non di fronte a lui, almeno.
I pugni sul muro si serrarono di più mentre l’indignazione si trasformava lentamente in amarezza.

E come sono le altre? Non mi ci vedi proprio in quel modo, vero? Neanch'io mi ci vedevo...

“Oscar va tutto bene? Vuoi bere qualcosa?”

Lei scosse il capo senza guardarlo

...eppure l'ho fatto...per lei l’ho fatto...

“No...raccontami di Simmons...sono qui per questo. Hai detto che mi dovevi parlare”

“Vieni, sediamoci...”

La furia sembrava placata e André con tocco gentile ma fermo al centro della schiena la condusse verso la scrivania dove, uno di fronte all'altro, le espose la teoria dell'ospite americano.

“Quindi, correggimi se sbaglio, stai dicendo che i soldati di mio padre e anche altri reggimenti stando a quel che dice Bouillé, si sarebbero ritrovati nelle stesse condizioni dei tuoi braccianti in Virginia? Ma come è possibile André?”- Oscar poggiò i palmi aperti sulla scrivania, protendendosi verso di lui. E oltre il dovere scorse ancora quel fiume in fondo al crepaccio, verde e invitante, che l'aveva vista spogliarsi di ogni indumento. Eppure...

Eppure non ci hai mai pensato...perché? Come sono le altre? L'ho fatto...

“Non lo so...laggiù abbiamo compreso che maneggiare le foglie, soprattutto se bagnate, poteva essere la causa dei malesseri...”

“Ma qui in Francia il tabacco si fuma, non si raccoglie! Da secoli! Anche mio padre fa in modo di non rimanere mai sprovvisto della sua miscela preferita. Sempre la stessa...da che ho memoria”

André annuì pensieroso

“Si lo ricordo. Ma poniamo l’ipotesi che lontano da Palazzo non abbia tale disponibilità. Potrebbe, secondo te, attingere a qualche altra fonte?”

Oscar scosse il capo, sarcastica.

“Ci sono cose che hai dimenticato, André...o forse a cui non hai mai pensato” - lo fissò un istante accorgendosi troppo tardi di aver dato voce ad un pensiero che non riguardava strettamente il tabacco del Generale

“Lui prepara personalmente un bagaglio essenziale che comprende, tra le altre cose, un panetto di foglie pressate da sminuzzare al momento per riempirsi la pipa. Non chiedermi se ha un nome particolare perché non lo so...dovresti parlare con lui”

Si scrutarono sempre più a fondo mentre un’idea inafferrabile iniziò a baluginare da lontano, prima di scomparire tra riflessi che indussero entrambi a guardare altrove, in direzioni opposte.

Fu André a spezzare un silenzio imbarazzato e decisamente troppo rumoroso.

“Hai saputo che Hans deve tornare in Svezia per qualche tempo? Pare sia un ordine diretto di Re Gustav III”

“No...tu lo senti certo più di me. Ti mancherà...ne avete passate tante insieme”

“Tornerà...non può fare diversamente”- fu il turno di André di alludere a tutt’altro senza nemmeno rendersene conto.

“Partirà tra qualche giorno. Mi ha chiesto di accompagnarlo a Corte domani sera, deve presenziare ad un ballo o qualcosa del genere. Sei in servizio o ci puoi fare compagnia? Sarebbe un’occasione per salutarlo…”

Lei annuì; stava predisponendo la sorveglianza da settimane ma, forse, la sua presenza avrebbe potuto non essere fondamentale.

...e lo rifarei...se fosse il solo modo...

“Devo rivedere i turni di guardia con Girodel domattina...”

***

La luce dei candelieri posizionati ad arte si infrangeva sulla superficie lucida dello specchio rischiarando i particolari più impercettibili affinché solo la perfezione assoluta potesse uscire da quella stanza. L'idea era stata sua, solo sua, eppure, per una qualche inspiegabile remora, non aveva ancora osato alzare lo sguardo sull'immagine riflessa. Teneva gli occhi fissi sulla cuffietta bianca di Marie che, davanti al suo petto, si muoveva al ritmo di sbuffi di disappunto o cenni di approvazione quando la donna, scostandosi un po' dal suo corpo, con le mani ai fianchi e la schiena dritta, valutava con occhio navigato il lavoro svolto fino a quel momento.
Non aveva ribattuto, la governante, a quella sua richiesta quanto mai bizzarra ma l'aveva osservata seria, limitandosi ad annuire.

All'ennesima occhiata truce di cui chissà quale dettaglio era il colpevole, Oscar sbuffò spazientita e si risolse a puntare lo sguardo sullo specchio per individuare il motivo di tanto disappunto. Non c'era mai stato bisogno di una preparazione tanto accurata, neanche allora quando quella versione di sé era stata dettata da pura necessità. Ma l'immagine che le rimandò era del tutto inedita. Il corsetto stretto sullo stomaco da lacci di seta accentuava la vita sottile e comprimeva il seno verso l'alto, facendolo traboccare in modo seducente. Grazie ad un numero incalcolabile di forcine i capelli erano già stati raccolti in onde morbide e attendevano soltanto di essere impreziositi con alcuni gioielli celati da una busta di velluto nero che la governante aveva poggiato sulla petineuse senza dare spiegazioni sulla loro provenienza. Alla sua sinistra, un manichino da sartoria riluceva dell'abito di seta chiara che Marie aveva confezionato in chissà quale frangente e le suggeriva l'effetto finale.

Vagò l'azzurro degli occhi. Dall'abito allo specchio e dallo specchio all'abito. Ancora e ancora.

Fece scivolare lo sguardo più volte, Oscar, finché non se la figurò, ben nitida, la sua immagine avvolta dalle pieghe soffici, cinta dalle braccia di lui in abiti eleganti, arricchiti da ricami preziosi. L'avrebbe fatta volteggiare sotto gli occhi curiosi e avidi dei cortigiani che probabilmente non l'avrebbero riconosciuta.
Ma lui sì, lo avrebbe fatto.
E forse avrebbe cercato sul suo viso la ragione di quella scelta, magari affascinato dalla pelle chiara mai così esposta in pubblico, o dai lineamenti ingentiliti dall'acconciatura raccolta sulla nuca dove a breve sarebbe anche comparso il baluginìo dell'acquamarina a richiamare il colore dei suoi occhi; così almeno aveva detto Marie, entusiasta di quel connubio.
Magari, allora, avrebbe aumentato la pressione della mano sulla schiena nuda stringendola fino a sfiorarle il viso con le ciocche corvine che ormai avevano raggiunto di nuovo una lunghezza tale da potere essere legate, poi...


Poi rivide lui con la camicia arrotolata sui gomiti, imbarazzato, abbassare lo sguardo di fronte a lei con il collo scoperto e i suoi occhi cadere nei propri. La travolsero all'improvviso tutte le risate e le carezze in punta di labbra, tornarono i capelli racchiusi tra le dita, il suo calore addosso e le poche parole che non era riuscito a trattenere, grevi di desiderio, soffiate piano all'orecchio.
Un altro sguardo all'abito e una certezza. Assoluta.
Non saremmo noi...neanche per un istante...

“Nonna fermati per favore”- il tono deciso, fermo nella convinzione di essere nel giusto.

“Cosa!?! Ma che dici? Non ho ancora finito!”- Marie alzò lo sguardo sul suo viso, le mani ancora strette attorno ai lacci.

“Fermati...”- ripeté lei posando le mani sulle sue per rafforzare la richiesta

“Ho cambiato idea...”

Oscar si staccò da lei e le diede le spalle, rifugiandosi nell'ombra proiettata dal baldacchino del letto.
La governante poggiò gli spilli che teneva ancora tra le labbra sul ripiano della toeletta e, osservando la figura di schiena riflessa nello specchio, sospirò profondamente prima di parlare, incerta.

“C'è mio nipote a questo ballo?”

Oscar non si voltò ma l'altra riuscì a scorgere i riccioli morbidi ondeggiare al ritmo di un cenno d'assenso. Allora raggiunse il letto e vi si abbandonò come non si era mai permessa di fare, sedendo sul bordo e aggrappandosi alle coltri. Scosse il capo ripetutamente quasi fosse impegnata con un interlocutore invisibile, poi, nonostante non le riuscisse di tenere salda la voce, abbandonò ogni remora.

“Non te l'ho mai chiesto...e tu non me lo hai mai detto...ho solo potuto immaginare... è sempre stato così vero? E non è cambiato niente...”

Lei non disse nulla ma quando si girò a guardarla la vide Marie, nei suoi occhi lucidi, tutta l'immensità di quella risposta muta.

Sospirò, poi puntò lo sguardo a terra e stirò le labbra decidendo di essere spietata, stavolta con se stessa.

“Hai ragione sai...lui non ha bisogno di vederti così...”

“Cosa significa?”- Oscar le si avvicinò, incuriosita dal tono mesto.

L'altra iniziò a mordersi le labbra e stringere le mani una dentro l'altra.

“Mi devi perdonare...io l'ho fatto per te...per darti una possibilità”

“Ma di che parli?

Con movimenti lenti Marie fece scivolare una mano sul grembiule fin dentro la tasca. Ne accarezzò per l'ultima volta il contenuto, con dita sempre meno esitanti, prima di estrarlo e mostrarlo alla sola persona che avrebbe avuto il diritto di leggerlo.

“Sono giorni che penso di consegnartela perché adesso...forse...esiste una possibilità...”

Marie alzò lo sguardo sulla donna che le stava di fronte e non poté fare a meno di notarne un'altra volta la bellezza straordinaria anche così, in pantaloni e corsetto, il collo scoperto da un'acconciatura lasciata a metà, in bilico tra ciò che era sempre stata e ciò che non era necessario fosse. Non per suo nipote.

“Cos'è?”- il tono di Oscar si fece sospettoso e inquieto

“Una lettera di André...per te...”- la mano tremava nell'attesa che l'altra la afferrasse

“Quando te l'ha data?”

“Non l'ha data a me...l'aveva lasciata per te...prima di partire...”

“Prima di partire? Intendi prima di trasferirsi da Fersen?

“No, no! Sainte Vierge, perdonami, perdonami!”- Marie iniziò a scuotere violentemente il capo mentre il pianto si affacciava nella sua voce.

La ragazza le si inginocchiò ai piedi e le prese le mani tra le sue.

“Va bene, calmati...prima...quando?”- ostentò indulgenza, Oscar, mentre il cuore accelerava e il tempo, al contrario, pareva dilatarsi.

“Prima di lasciare la Francia...”- riuscì a dire trattenendo in gola le lacrime.

La ragazza sgranò gli occhi e sfilò lentamente il foglio ripiegato dalle mani della donna.

“Aspetta!”- con un rapido scatto Marie bloccò la mano della giovane sulla sua coscia.

“Prima ti devo spiegare...”

L'altra non si mosse anche se era tesa come la corda di un arco pronto a scoccare la freccia.

“Quella mattina, quando tu te ne sei andata...quando lui se n'è andato...l'ho trovata sul pianoforte per caso e l'ho letta...”

Oscar non accennava a muoversi e la governante proseguì, improvvisamente calma.

“Non sapevo bene cosa avrei fatto allora...volevo solo nasconderla. Quando la leggerai ne capirai il motivo. Poi lui è andato ancora più lontano e tu...non dicevi nulla...e poi...”

“Poi cosa?”- la tensione seccava la gola

“Poi...la gravidanza...e tutto che è andato male...se tu avessi pensato che non era ciò che era forse avresti dimenticato...avresti potuto essere felice...con qualcun altro...prima o poi...”

Non capiva, Oscar, ma l'urgenza di leggere le parole di cui per anni aveva ignorato l'esistenza le stava togliendo il fiato. Si alzò in piedi con il foglio ripiegato tra le mani.

“Lasciami sola adesso...”- non c'era rancore nelle sue parole, solo incredulità e un rimpianto che montava, da lontano.

“Perdonami...se puoi...”

Oscar accennò un assenso, le labbra morse piano.

Marie si alzò senza cercare gli occhi dell'altra e, con passi strascicati, raggiunse la porta dove si soffermò serrando la maniglia

“Perdonami...”- mormorò un'ultima volta ma era già precipitata dentro un'altra stagione, Oscar, anche se le pareti erano le stesse. Lo scatto della porta che si richiudeva la richiamò al presente e la indusse ad avvicinarsi al pianoforte, incurante delle braccia nude.

Carezzò il legno del leggìo e, con un sorriso amaro, ricordò che no, allora non lo aveva nemmeno sfiorato con lo sguardo. Sedette sullo sgabello e trasse un respiro profondo, combattuta tra il desiderio di spiegare il foglio e il timore di scoprire quanto, quelle parole nascoste nel tempo, avrebbero potuto cambiare il passato e, forse, anche il presente. L'ultima immagine di lui in ginocchio ai suoi piedi, negli occhi una colpa da dividere in due, le fece rompere ogni indugio e, con un unico movimento risoluto, aprì la lettera.

Amore mio...(*)

Parola dopo parola, riga dopo riga, la presa sulla carta si fece sempre più tenace, tanto da rischiare di fare in pochi minuti tutti i danni che anni di tempo non avevano prodotto.

Amore mio...

Lesse una volta, poi un'altra e un'altra ancora sgranando gli occhi, più umidi e lucidi ad ogni passaggio.

Amore mio...

Lesse fino ad imprimere nella memoria ogni singola virgola, ogni minima sbavatura dell'inchiostro.

Quando alzò gli occhi, annientata dal frastuono di quelle parole, la vide sulla poltrona in fondo al letto la camicia di lino che vi aveva abbandonato la mattina, prima di indossare l'uniforme; l'afferrò e la infilò frettolosamente sopra il corsetto mentre già volava fuori dalla stanza.

In fretta

Ancora più in fretta

Il tempo c'era questa volta e non ne voleva sprecare neanche un istante...




 

(*) Per chi la volesse rileggere per intero, la lettera è alla fine del cap. 8

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Capitolo 21 ***


Lo schianto del cuore sul massiccio del portone sovrasta il rintocco del battente e fa vibrare la notte parigina. Un colpo, il primo.
Amore mio...
I gradini bruciati in un baleno e le mani a tastare il buio alla ricerca smaniosa di qualcosa da gettarsi addosso
Due colpi, tre e un altro. Sempre più impazienti.
Sono soltanto un uomo! Un uomo innamorato di te da che ha memoria...
Il tragitto di corsa fino alle scuderie, da perderci il fiato tanto poco ne rimane in gola e la ghiaia screziata di brina che scricchiola sotto gli stivali intimando attenzione ché nessun istante deve andare sprecato
L'anello di bronzo scaraventato con forza sulla porta, di nuovo, sempre più in fretta. Tanto da indurre qualcuno a voltarsi sull'Avenue Matignon(*) costellata di lampioni e animata da passanti e carrozze attirati come falene dallo scintillio dell'Opéra che rischiara il cielo, oltre i tetti.
Io ti amo Oscar, ti amo da sempre...
Il cavallo sellato secondo le accortezze di lui, quelle di una vita fa, con dita febbrili da far scivolare le cinghie e indurre un'imprecazione, sottovoce
“Aprite!”- una parola sola, perentoria, ad accompagnare i battiti furiosi del metallo e del cuore mentre l'altra mano stringe forte le briglie nel caso sia necessario montare nuovamente in sella.
Volevo te, soltanto te...
Un sospiro profondo da far quietare ciò che si agita dentro, solo per poco, e far rispondere finalmente le mani prima di lanciare il cavallo al galoppo verso le luci della città, verso Parigi
“Aprite!”- una parola sola, quasi urlata, per provare a riprendersi il tempo perduto
Fa male da morire...
Le strade inghiottite, le piazze ingollate come vino buono fino alla dimora elegante in pietra grigia, giù in fondo alla via
“Aprite! Sono il Colonnello...”- ma l'autorità scivola sulle parole di lui che si è portata appresso, sotto la camicia.
Io vorrei tu fossi felice...cerca di esserlo...
Impensabile senza quella risata perduta e quell'altra, mai conosciuta
“Aprite...”- e l'ordine diventa supplica, accorata ed impellente
E' stato amore...
Anche per me André. Anche per me.

***

Il bussare concitato alla porta indusse Olaf ad alzare lo sguardo appesantito dal monocolo al soffitto, in un moto esasperato. Sbuffò fuori con forza tutta l'aria contenuta nei polmoni mentre riponeva di malavoglia la bottiglia appena stappata dalla quale aveva tutta l'intenzione di versarsi una dose considerevole di punsch(**) per trascorrere qualche quarto d'ora in completa tranquillità quella sera che il Conte Hans Axel non avrebbe trascorso in casa.
Da quando c'erano gli ospiti americani rientrava più spesso e, in verità, non è che gli desse molto da fare; per lo più si ritirava nello studio a leggere o ad immergersi con aria meditabonda in pensieri di certo poco lieti considerate le ombre scure che mostrava sotto gli occhi al mattino.
Ma saperlo al piano di sopra gli rendeva impossibile valutare di mettersi comodo, magari togliendo le scarpe che dopo una giornata trascorsa in piedi gli intorpidivano le dita e sprofondando nella sua poltrona preferita, davanti al fuoco, con le gambe distese su un panchetto reso più comodo da una soffice imbottitura da dove era semplice allungare un braccio e attingere, a tratti, al bicchiere che amava tenere a fargli compagnia sul tavolino lì accanto per farsi confortare da quella loro bevanda che evocava foreste di abeti e betulle e aveva il potere di spedirti dritto tra le braccia di chiunque avessi voglia di sognare.
Il Conte lo aveva insignito personalmente del compito di provvedere alle scorte poiché nemmeno lui disdegnava i sapori della madrepatria quando, lontano da eventi ufficiali e stanco dei raffinati vini francesi, in camicia e con la vestaglia di panno gettata sulle spalle, trovava rifugio in ciò che gli ricordava un'epoca forse più serena, quando probabilmente immaginava una vita in cui tutto gli sarebbe stato consentito e una felicità ad attenderlo in uno degli angoli di mondo di cui era stato ospite.
Allora non c'era nessun Borgogna o Sauternes a reggere il confronto con il sentore acidulo di qualche agrume che non avrebbe saputo dire e quel vago retrogusto di noce moscata da esaltare facendo schioccare la lingua sul palato.
Chi fosse giunto a distoglierlo da quel suo rituale che anelava fin dal primo mattino, quando uno dopo l'altro, gli erano piovuti addosso tutti gli inconvenienti che un servitore di comprovata esperienza sa gestire al meglio ma che perciò non è detto non rappresentino notevoli seccature, Olaf proprio non riusciva ad indovinarlo.
Arrivo, arrivo....- ripeté stancamente nella sua lingua madre mentre solcava per l'ennesima volta in quella giornata il marmo dei corridoi che, poco prima, ritiratosi nelle due stanze assegnategli dal giovane Conte fin dalla loro prima visita a Parigi, aveva sperato di non rivedere fino al mattino seguente.
Cosa diavolo fosse quella frenesia da cui i francesi si lasciavano impadronire, proprio non se la spiegava, lui che veniva da un Paese dove anche il sole ci metteva mesi a tramontare.
Però i sensi si acuirono, tanto da indurlo a fermarsi e poggiare il palmo aperto della mano libera dal candeliere sui vetri di una delle finestre dell'atrio quando, alzato distrattamente lo sguardo, intravide il cavallo bianco di proprietà del Colonnello delle Guardie Reali.
Impossibile confondersi; un esemplare di quel genere non l'aveva mai visto altrove e di Paesi e città al seguito del rampollo Von Fersen ne aveva visitati parecchi!
Allungò il collo per vedere meglio. Quella visita proprio non se la spiegava; tutt'al più il Comandante de Jarjayes avrebbe dovuto trovarsi a Corte insieme al Conte Hans Axel a meno che non gli fosse accaduto qualcosa lungo la strada verso la reggia, Dieu tout pouissant!
Incredibile come ancora salissero spontaneamente alla mente e alle labbra alcune tra le poche parole che aveva fatto proprie nonostante fossero trascorsi molti anni da quando la udiva direttamente dalle labbra avide di Camille - pace all’anima sua! - compagna di piacevoli serate trascorse a scivolare sulle sue curve prosperose, intrise dell'odore fresco di lavanda e mughetto che il fratello, noto saponaio della città, utilizzava per fabbricare le profumate mattonelle note in tutta Parigi.
Aprì il portone massiccio tentando di domare l'inquietudine e si trovò davanti il viso dai lineamenti perfetti che aveva imparato a conoscere negli anni ma in una versione del tutto nuova.
Le guance ardevano dell'intensità della cavalcata e gli occhi fremevano sotto il cappuccio di un mantello troppo grande. E poi...poteva mai aver tagliato i capelli? Sarebbe stato un vero peccato perché...oh beh, non era certo affar suo e non era decoroso fissare qualcuno in modo così insistente.
“Colonnello Jarjayes! In cosa posso esservi utile?”- riuscì a profondersi nel tono ossequioso ed impeccabile che riservava abitualmente agli ufficiali in visita di cortesia non potendo immaginare che quella sera sulla soglia non c'era il Colonnello francese vicinissimo alla Corona.
“Io...sto cercando André...André Grandier...”- ad usare il titolo acquisito non ci aveva nemmeno pensato, Oscar, e forse neppure lo ricordava in quel momento in cui il solo nome che poteva salirle alle labbra era quello che aveva scolpito la sua esistenza.
“Sono desolato Colonnello...non è qui...non è più qui. E il Conte Hans Axel è già uscito per recarsi a Corte...”
“Sono partiti insieme?”- la domanda più ovvia, la richiesta di una conferma banale.
Ma una voce dalle scale tolse Olaf dall'impaccio di dover spiegare ciò di cui non conosceva completamente i risvolti consegnando a lei un altro motivo per maledire la dannata incapacità del tempo di riavvolgersi su se stesso.
“No, Colonnello. André da ieri sera non vive più qui e ora il Conte Fersen si è recato da lui in carrozza. Devono andare a Corte”
Andrò via, lontano da te...
No! Non di nuovo...
“E...dove vive ora?”- la testa prese a girare come se l’aria si fosse rarefatta di colpo e tutto il colore affluito alle gote durante la cavalcata si ritirò altrove, in qualche recesso recondito e insondabile.
A Tim Simmons non sfuggì il lieve ondeggiare del corpo in avanti, quasi fosse una vela in balia di raffiche inattese e scese rapido le scale pronto ad intervenire anche se sembrava proprio che il Colonnello non avesse intenzione di muovere un passo oltre la porta; piuttosto aveva già assunto una posizione obliqua per lanciarsi nuovamente nella notte.
“A casa sua naturalmente. Ha acquistato la dimora appartenuta a mia cognata”
Probabilmente hanno trovato un acquirente per la casa...ci sta pensando...
Gli occhi sgranati sul fondo di un pozzo in cui non si riflette la luna al pensiero inaccettabile di non sapere nulla di quello spazio in cui è libero di vivere senza per forza renderla partecipe della propria esistenza.
... lontano da te come mi hai chiesto...
L'uomo si sentì in dovere di continuare davanti ad uno sguardo troppo emozionato per essere quello di un ufficiale anche se bastò un istante per vederlo brillare di un guizzo determinato.
Non te lo lascerò fare, non questa volta...
Amore mio...
“...non è troppo lontano...se siete a cavallo potreste fare in tempo a raggiungerli...”
Amore mio
“L'indirizzo...datemi l'indirizzo...”

Il vociare al piano di sotto aveva sottratto Baptiste alla nebbia dei suoi pensieri.
Mai fino a quel momento gli era sembrato di brancolare nel dubbio.
Una strada delineata, la libertà da perseguire e raggiungere, con ogni mezzo, e un tiranno da deporre. Quella era stata la luce che aveva guidato i passi di tutti loro, messi insieme dal caso un giorno di fine estate in una taverna spartana di un altro continente, tra litri di birra mediocre e pochi, pregiatissimi sigari.
Ciò che gli era sembrato giusto allora e anche adesso, André aveva la capacità di metterlo in discussione. Ma quanto ne poteva sapere più di lui, un uomo mancato dal suo Paese per tutti quegli anni? Condividevano diversi ideali, ne aveva la certezza eppure...

Tu non lo conosci...è un uomo buono... cerca di mantenere un senso critico...

Si sbagliava di certo. Lo ammirava per tutto ciò che lo aveva visto fare, ma si sbagliava di certo.
Sospirò profondamente poi si diede slancio con le gambe, ponendo la consueta attenzione alla destra e si alzò dal letto. Udiva la voce dello zio oltre la porta che dava direttamente sul ballatoio e, incuriosito, si affacciò alla balaustra appena in tempo per vedere il portone richiudersi e Olaf riprendere la via dei locali della servitù. Scese qualche gradino senza che l'altro gli prestasse attenzione.
Era rimasto immobile, con le mani affondate nelle tasche della marsina ad osservare l'ospite che se ne andava, oltre i vetri.
“Zio, ditemi...è accaduto qualcosa? Chi era?”
Tim non si voltò così che il nipote non vide la smorfia divertita e il guizzo di soddisfazione per aver finalmente compreso. Troppo assorto per rispondere, si limitò a fissare i contorni, sempre più defilati nella notte, di una donna che correva a riappropiarsi del proprio destino.

***

La città solcata in sella e altre strade e altre piazze da divorare in fretta, rallentando solo un poco sugli incroci per gettare le iridi alle lettere delle targhe poste in alto, a marchiare l'ingresso di ogni via. Vicoli da percorrere rincorrendo il tempo e scansando gli ostacoli fin giù sul lungo Senna e poi attraverso i cordoli di nebbia stesi come fili da bucato tra l'acqua scura e i giardini sfioriti delle Tuileries.
E ancora, oltre il Pont Neuf, sull'altra sponda, incontro ad un altro groviglio di strade mentre le campane di Notre Dame ricordano che a Versailles si stanno avvitando i crini degli archetti e accordando le arpe.
Rues e ruelles fino al cuore del Quartiere Latino, straripante di porte e finestre oltre le quali si costruisce un futuro che anche lei desidera ardentemente se pensa a lui, a loro insieme. Fino alla targa in tinte chiare dove le lettere si combinano, finalmente, nel giusto ordine.
La figura imponente eppure slanciata dell’uomo che ha già un piede sul predellino di una carrozza accostata al marciapiede la fa sussultare; l’inconfondibile sicurezza che è in grado di infondere le arriva intatta anche lì, all'ingresso della via. Non ha bisogno di nient'altro per riconoscerlo ed è un attimo urlare il suo nome quando sta per sfuggirle di nuovo, all'interno dell'abitacolo.
Un uomo che ti ama più della vita...
“André! Aspetta...André!”- pare avere la potenza del tuono il fiato trattenuto fino a quel momento che all'improvviso esce di getto ed inonda la distanza tra loro. Le briglie tirate bruscamente inducono nell'animale un nitrito corto e rauco, un'altra eco che si aggiunge alla sua insieme al calpestio nervoso degli zoccoli.
Lui si volta di scatto, nel momento esatto in cui il cappuccio scivola sulle spalle nella foga del movimento. Ed è di nuovo come incontrarla per la prima volta.
Un uomo innamorato di te da che ha memoria...
Vede la fierezza e la determinazione, tasta l'urgenza nella voce e trasale notando l’assenza del manto biondo a ricoprire le spalle. Senza distogliere lo sguardo batte ripetutamente sul finestrino per attirare l'attenzione di Fersen all'interno. Poche parole per dirgli che va tutto bene, di precederlo a Corte, prima di mettersi di traverso e coprirgli del tutto la visuale. Lei è lì per lui, lo sente, lo sa anche se non ne intuisce il motivo ma avverte che ogni altra presenza sarebbe superflua e ne minerebbe la spontaneità e gli intenti.
Quella che eri...
Un assenso silenzioso da parte di un uomo che sa quanto sia possibile avere segreti con tutti ad eccezione di se stesso e il rumore delle ruote svanisce lentamente in fondo alla via lasciandosi dietro un silenzio carico di meraviglia che cresce inesorabile ad ogni dettaglio su cui si posa lo sguardo.
I capelli raccolti, il collo scoperto, alcune ciocche sfuggite alle forcine nella foga della cavalcata creano un disordine così perfetto da doverlo toccare per convincersi sia vero.
Non sono riuscito ad essere razionale...
E ancora non ci riesce. E' un impulso che non può non assecondare quello irresistibile di allungare una mano per sistemare una ciocca tra le tempia e l'orecchio mentre tra mille domande - Perché hai raccolto i capelli?Perché sei arrivata volando? Perché ti amo sempre di più? Perché...? - sceglie la più ovvia, sperando spiani la strada a tutte le altre.
“Cosa succede Oscar? Pensavo di vederti a Corte...”
“Anch'io ma...”- il petto si muove al ritmo affannato del respiro e le nuvole di fiato che si mescolano tra i loro visi parlano di un inverno di cui pare non importare a nessuno.
“...ho cambiato idea...mi dispiace per il cambio di programma...mi dovrò scusare con Fersen...”- lei tentenna nello sforzo di intimare il giusto passo al cuore.
“Non credo ti abbia riconosciuta...”- lo sguardo completamente rapito scivola su linee nuove, seguito dalle dita che non resistono dall’infilarsi nella morbidezza dell'oro inciampando, a tratti, sul metallo duro delle forcine, nel tentativo di imprimere a mente anche quell'aspetto di lei, inconsueto ma non meno affascinante di tutti gli altri.
Coglie il suo sguardo interrogativo e ingoia un po’ di amaro ma anche di dolce per quella sua ingenuità tenera o che almeno lui interpreta come tale.
Un uomo che ti ama da sempre...
“Forse solo Girodel potrebbe farlo...”- riesce a mordere le labbra in tempo, prima di addentrarsi in un territorio impervio che lei in verità ha già perlustrato perché un cuore che ama riesce senz'altro a riconoscerne un altro. E' solo l’incredulità che le fa sgranare gli occhi intuendo che lui sa, e chissà da quanto, ciò che per lei è una certezza, anche se ha sempre finto di non comprendere. Si sente colpevole, quasi fosse un altro dolore, un segreto che non gli ha ancora svelato. Un velo di rammarico scende ad ombreggiarle il viso mentre gli si avvicina di un passo.
Deglutisce e sospira profondamente perché ora è tempo di proseguire il suo racconto.
“Non...non ho bisogno di amare nessuno…”
Ti amo da sempre...
“Già...”- c’è il sapore acre della disillusione nel sorriso che André le nasconde, allontanando lo sguardo e le dita e tornando ad essere il ragazzo che nascondeva i sogni sotto il cuscino.
E c'è un silenzio teso e di attesa tra le due figure immobili sul marciapiede, un uomo che osserva il selciato e una donna che osserva lui. Tutt'intorno solo la notte che li avvolge sempre più stretti affinché non possano non toccarsi.
In un altro passo i mantelli si sfiorano e con una carezza gelata sul volto lei lo induce a guardarla ancora - vorrebbe la guardasse per sempre – e lo trascina giù, in un gorgo di acque azzurre dove lo lascia in apnea.
“Nessuno che non sia tu…”
Amore mio...
Lo sguardo di lui si allarga prima di affilarsi per tentare di dare il giusto fuoco alle poche parole che stanno per cambiargli la vita, un'altra volta.
“Oscar...io...”
Ma lei è rapida a zittirlo con la punta delle dita, una tocco lieve sulle labbra per intimargli di tacere.
Non c'è altro che lui possa dire; le sue parole per lei collocate a ridosso del cuore hanno il potere di farne scaturire altre, conservate al suo interno da una notte d’estate.
Amore mio...
“Amore mio...”- sorride, Oscar, con le labbra e con gli occhi, nell'udirsi pronunciare ad alta voce parole che gli ha rivolto mille volte in silenzio.
“...permettimi di chiamarti così almeno per una volta…poi sarai tu a decidere se potrò continuare a farlo...”- le parole, le sue, per fargli sapere che le ha lette.
“...non avevo compreso, allora...che eri già tutto questo...”- un sospiro per prendere aria e non far scoppiare il cuore. Le dita ancora sulle sue labbra perché ora vuole essere lei a vincere il tempo.
“Adesso vorrei raccontarti la mia verità...- gli occhi saldi dentro i suoi ad eliminare ogni dubbio “...non mi sono resa conto subito che la sola follia era stata quella di lasciarti andare...”- arrossisce, non è abituata a dar libero sfogo al cuore
“...ma quando l'ho fatto...”- la voce si incrina mentre con il pollice gli accarezza le labbra
“...anch'io volevo te...soltanto te...”- sgorgano dagli occhi tutti i giorni, infiniti, di solitudine, un dolore mai sopito e il timore che, vergandole per lei, quelle parole si siano poco a poco dileguate dal cuore di lui. La scuote un tremito quando quella verità custodita così a lungo l’abbandona e lascia uno spazio vuoto da colmare con ciò che lui avrà da dire. Ma non vi bada e prosegue.
“Non avrei mai dovuto né voluto farti rischiare nulla e invece...Dio, André!!! Ti ho spinto ad andare a mettere a repentaglio la vita!”- ancora lo sente il freddo del sole che muore al pensiero di lui sepolto dal mare mentre l'altra mano, adagiata al suo petto, si avvinghia con forza alle pieghe del mantello.

Sono parole che esplodono dentro, deviano argini, riscrivono il passato e disegnano un futuro che lui vuole per sé ad ogni costo. Ma il fiato per tirar fuori le frasi, da quel luogo dove le aveva rinchiuse per fomentare l'inganno più grande, per convincersi di poter vivere lontano da lei, adesso proprio non riesce a trovarlo. Allora decide di afferrarlo il futuro che lo attende negli occhi trepidanti davanti ai suoi, qualunque esso sia purché ci sia lei e quell’azzurro che lo scruta con timore e fiducia. Scivola con le mani sulle sue braccia fino alle spalle sottili e poi giù sulla vita per tirarsela addosso e stringerla, tanto stretta da lasciare appena il posto per il battito del cuore.


 

E lei gli si aggrappa forte annullando gli spazi e il tempo, si fa rivestire dalle sue braccia solide, cingere dal suo amore ancora integro.
“La tua lettera l'ho letta solo oggi...per anni ho creduto che le cose fossero diverse. Ma se la vuoi ancora André, questa donna stolta e imperfetta...”- poche parole mormorate tra la stoffa e un'altra, soffiata tra i capelli chiari.
“Sempre...”
E' fresca la pelle di lei contro la sua, d’inverno e di lacrime; un invito irresistibile per lui che vorrebbe solo sorrisi sul suo volto. E' così bella in quei momenti.
Allora si volta piano strofinando il viso contro il suo ed accarezzandola con la punta del naso in un gesto antico che di certo ricorda anche lei.

Hai un buon profumo”- non poteva fare a meno di dirglielo a volte, avvicinandosi alla sua guancia, mentre leggevano dallo stesso libro o pescavano biscotti da un unico piatto.
André smettila! Io diventerò un soldato, i soldati non profumano”- si indispettiva lei i cui anni erano ancora contenuti sulle dita delle mani
Tu sì”
Allora dirò a tua nonna che non voglio più fare il bagno...”

E infatti sboccia un sorriso sulle labbra che gli vanno incontro e sono ancora sorrisi che accompagnano i baci ed asciugano le lacrime finché il sapore dell'altro non punge il ventre, li fa vacillare e li obbliga a stringersi più forte.
Un bacio lungo una vita per ritrovarsi ragazzi, ripercorrere il tempo e dimenticare che c'è Parigi oltre quel marciapiede.
Un bacio lento per potersi raccontare la parte interna del cuore, quella segreta che solo una volta hanno potuto sbirciare, quasi per caso, nella stanza di lui.
Un bacio che sembra impossibile interrompere anche quando uno sbuffo contrariato del cavallo lì accanto li costringe a separarsi piano rubandosi risate dalle labbra con morsi leggeri, ad occhi chiusi, e li obbliga a tornare da un luogo che non hanno alcuna voglia di abbandonare.
“André...non pensi...?”- lei prova a ricordargli che qualcuno lo aspetta, che ora c'è tempo, che forse qualcosa al mondo lo possono ancora concedere. Ma lui non è dello stesso avviso.
“No, non penso...voglio baciarti! Fino a domattina...”- la sfiora di nuovo, leggero, e con gli occhi che ridono la prende per mano.
“Ma non qui al freddo...vieni!”- la serratura del cancello scatta subito e bastano pochi minuti per girare attorno alla facciata fino ad un piccolo ricovero per animali sul retro per poi salire insieme i pochi gradini che conducono al portoncino d'ingresso.
“Ecco...non che qui ci sia molto più caldo, sono arrivato solo ieri sera e non ho alcun servitore che provveda ai camini...”- tenta di scaldare l'ambiente con una risata fragorosa, André, salvo poi rendersi conto che non ve n'è alcun bisogno quando lei gli si stringe addosso cercando le sue labbra nel buio.
“Meglio così...”- arriva roca e profonda la voce di lei e una sensazione di vertigine li fa aggrappare uno all'altra per non cadere ancora tra quelle spine che tentano di pungere il ventre, riuscendoci alla perfezione al pensiero che in quella casa chiusa a chiave non può entrare nessuno. Proprio nessuno. Si costringono a fermarsi, con le mani sul volto dell'altro e il fiato corto.
“Non voglio sbagliare niente...”- le soffia sulle labbra e sente che annuisce. Anche lei è d'accordo.
“Mi hai appena detto che mi ami...non posso lasciarti gelare proprio adesso, ti sembra?”- cerca di stemperare la tensione, André. Prova a farla ridere e ci riesce. Lo sente armeggiare nel buio finché la luce dorata di un doppiere non le permette di vedere il suo volto disteso. E' felice, lo sente, lo vede in quello sguardo che non ricordava più.

“Ti prego, non giudicarmi male...è solo che è l'unica stanza in cui ho acceso il camino ed è più tiepida delle altre. Ci ho dormito stanotte. Lì sul letto ci sono un paio di coperte di lana svedese che Hans ha insistito perché portassi con me. Pare che dalle pecore allevate nei suoi possedimenti si ricavi la lana migliore di tutto il Nord Europa”- è l'André dei loro tempi migliori, quelli che finora sono stati i tempi migliori, quello che ridacchia riponendo il mantello e la marsina elegante sullo schienale di una poltrona prima di accucciarsi a riattizzare le braci nel piccolo camino di marmo bianco volto a riscaldare la camera che hanno raggiunto salendo le scale tenendosi per mano.
E' una stanza molto più piccola di quelle a cui è abituata a Palazzo Jarjayes, tanto che stando seduta sul letto, con la coperta che sulle spalle ha sostituito il mantello, allungando un piede lo potrebbe toccare. Ma l'immagine di lui chino davanti al fuoco che nasce la riempie di una nostalgia in grado di annientarla e paralizzarla. Quando le prime fiamme prendono vigore lui emette un sospiro soddisfatto e si avvicina al letto, carponi, si alza sulle ginocchia e le regala un altro bacio leggero, sfiorandola appena.
E' uno sguardo profondo e troppo denso quello che si scambiano, vicinissimi tanto da poterlo afferrare quel guizzo divertito che lei coglie negli occhi verdi subito prima di sentirsi afferrare per i polpacci e sbilanciare all'indietro.
“Ma che fai?!?”- il tono è seccato come d'abitudine ma si ammorbidisce subito di fronte alla disarmante semplicità di lui che non si scompone. Anche lui è abituato.
“Ti tolgo gli stivali”
Puntellandosi sui gomiti lo osserva di nuovo ai suoi piedi e qualcosa si smuove dentro. Non lo vuole più vedere in ginocchio come il giorno in cui l'ha lasciato andare, così asseconda i suoi movimenti per liberare i piedi più in fretta. Altrettanto in fretta si trascina al centro del letto portandosi dietro la coperta, si stende su un fianco e ne solleva un lembo per fargli spazio ed accoglierlo accanto a sé.
Si sistemano uno di fronte all'altra frementi di un'emozione che ancora non li abbandona quasi fosse superfluo scambiarsi anche frasi dopo essersi parlati con l'intensità dei baci. Allora parlano le mani con carezze sul viso e tra i capelli e le labbra che ne solcano i palmi. Ma quella non può non essere una notte di parole sussurrate piano, per mettersi a nudo senza togliere gli abiti. Una notte di troppe cose da dire tanto da rischiare di non dire niente, di voglia di sapere e di sapere tutto.
E ora che davvero si può dire tutto, la curiosità esige di essere soddisfatta e una domanda si affaccia alle labbra.
“Quella sera, da Lassonne...come hai capito...di lei?”- ha le mani giunte, Oscar, adagiate al cuscino sotto la guancia, come da bambina.
Lui le sfiora il viso non capacitandosi, ancora una volta, di tutta la bellezza che sprigiona, adesso come allora.
“In Virginia ho dovuto assistere Tim una volta. Ho visto nascere un bambino...a cui è stato dato il mio stesso nome”- sorride ripensando al piccolo ma lei si sente improvvisamente gelare all'interno di quel guscio caldo di loro che si sono costruiti attorno.

André...Andrée

Lo stesso nome ai due lati dell'oceano.
“E' tuo?”- trova il coraggio di chiedere, raggomitolandosi su se stessa per sottrarsi alla sua mano. Lui aggrotta le sopracciglia e si scurisce un po' in viso.
“No...no...ma come ti viene in mente? E' una storia lunga e decisamente poco felice...”
“La vorrei conoscere se non ti dispiace...”- è appena più sollevata ma sente che la vicenda lo tocca nel profondo e ci vuole arrivare anche lei laggiù, per vedere con i suoi occhi quel mondo di cui non sa nulla.
E allora lui racconta. Di Martha e dei suoi diciott'anni all'incirca, forse un poco di meno, forse un poco di più; di una famiglia lacerata su una banchina del porto di Richmond dove gli schiavi provenienti dalla Windward and Rice coast venivano sbarcati come si trattasse di pesce appena riversato dalle reti, di cui valutare il peso, l'aspetto degli occhi o il colore delle branchie.
Della preghiera timorosa di Joshua, un padre che non voleva rassegnarsi dall'aver perduto una figlia, anche se ne aveva altri due lì alla piantagione. Della sua ricerca meticolosa di informazioni che lo avevano portato sulla strada giusta e del suo viaggio solitario in Georgia per tentare di barattare la vita di una sconosciuta. Del suo ritorno con la ragazza rannicchiata in un angolo del calesse, timorosa anche solo di alzare lo sguardo e della scoperta, rientrati a Richmond, dello stato di Martha. Della sua intenzione di tornare al sud a prendersi anche il padre del bambino e delle lacrime di Joshua.
“Non sei riuscito a trovarlo?”
Lui scuote il capo chiudendo gli occhi per provare a non mettere tra loro altro dolore.
“Non c'era nessuno da cercare. Purtroppo gli schiavi vengono usati per aumentare la manodopera a disposizione dei padroni...”- si ferma un istante per trovare parole vere ma non troppo crudeli, non la vuole la crudeltà quella notte, in quel letto - “uno schiavo che nasce in cattività è di proprietà del padrone della madre...capisci cosa intendo?”
Lei annuisce; ha due fili umidi sulle guance per quella ragazza che nemmeno conosce ma che, come lei, ha un dolore con cui convivere e gli si avvicina per posargli sulle labbra, con le labbra, tutta la stima, l'orgoglio e l'amore che sente.
Lui sorride e le accarezza una guancia, piano, ripetutamente, in silenzio come richiede la notte che avanza, cercando di riempirsi di lei e di tutto ciò che le legge sul volto. Ed è tutto per lui, ora lo sa.
“Non voglio sbagliare niente...”- le ripete piano, sulla bocca.
Ed è quasi ipnotico quel movimento circolare che insieme al calore del fuoco è in grado di vincere la resistenza di lei e strapparla alla coscienza, solo per qualche istante o almeno così le sembra quando allungando una mano non lo trova.
Si alza di scatto e si guarda intorno smarrita finché non lo vede, assorto, seduto di sbieco sul muretto in pietra sotto la finestra, costruito con l'evidente intento di potersi ritirare in quell'angolo a leggere per sfruttare quanta più luce possibile.
“Ho chiuso gli scuri, me ne ero dimenticato”- è la risposta alla muta domanda di lei che gli si avvicina e gli passa una mano tra i capelli.
“Ma poi sei rimasto qui. A cosa pensavi?”
“A te” - sorride cingendole la vita - “E a come ha potuto esistere un tempo in cui avevo pensato di non tornare”
“Ma dopo quello che mi hai raccontato...non vorresti?”- lo capirebbe, sì lo capirebbe, se volesse tornare alla vita che aveva iniziato a costruire.
“Non senza di te”- scuote il capo, il diniego è deciso ma c'è un punto in fondo ai suoi occhi in cui scorrono giorni e persone a lei estranei, che fanno male.
“E...la figlia di Tim?”- quel tarlo non la abbandona, neanche adesso, perché l'immagine di una donna, un'altra, che ha vissuto sulla pelle, al suo fianco, le sue emozioni, i suoi successi e le sue paure le risulta inaccettabile. Per il tempo che l'altra ha avuto, per ciò che lei ha perso.
“Rose? Cosa c'entra adesso?”- è stupito, inarca le sopracciglia, cerca i suoi occhi ma lei abbassa lo sguardo, imbarazzata, alla ricerca delle parole giuste. La scruta, attento, e comprende.
Allora si alza in tutta la sua statura perché è una verità solenne quella che le sta per rivelare.
E deve arrivare dall'alto.
Se la tira addosso, stretta, affinché la possa percepire ovunque, la possa avvertire vibrare sotto pelle e riecheggiare accanto al cuore.
“Voglio che tu sappia una cosa, Oscar. E' importante, ascoltami. Io vivevo in bilico, ogni giorno poteva essere l'ultimo, la mattina non sapevo se avrei visto ancora la luna e la sera se ci sarebbe stata un'altra alba. Non potevo morire con il sapore di un'altra sulle labbra e se proprio avessi dovuto presentarmi al cospetto di Nostro Signore, volevo ci fosse l'impronta del tuo corpo sul mio; solo così potevo e avrei potuto affrontare le fiamme di qualsiasi inferno. Volevo fossi tu l'ultima...la sola che ho mai amato”- una pausa prima di ciò che mai gli era sembrato così lampante - “Dopo di te...potevi esserci solamente tu”
Gli si stringe addosso, colpita, senza la forza di aggiungere altro.

Come può esistere un amore così grande, André?

Lui ricambia l'abbraccio con la stessa intensità, intuendo tutto ciò che contiene e lasciandole una promessa.
“L’aspetteremo insieme, Oscar, la fine dell’inverno...di questo e di tutti quelli a venire”
E stringendola le mani non possono fare a meno di scorrere sulla stoffa liscia della camicia e su quella ruvida dei pantaloni.
“Questi sono miei”- sorride senza guardarla, tenendola lì.
“Come lo sai?”- domanda inutile, sorride anche lei sentendolo indugiare sul fianco sinistro e sulla coscia destra.
“Io non sono mai riuscito nemmeno a sfiorarti con la spada e qui invece ci sono due rammendi...”
Lei affonda nel suo collo e un po' arrossisce; non ha mai dovuto dare spiegazioni di quel capriccio.
“Già...è una cosa stupida, vero?”- ancora quel riserbo solo suo e il timore infondato di non essere mai abbastanza. Lei che invece incarna ogni cosa importante.
“No che non lo è...” - le bacia i capelli sentendosi sopraffare dall'immagine di lei che sceglie deliberatamente di indossare un vecchio capo sdrucito per sentirlo accanto, per essere meno sola.
“...ma se li volessi indietro?”- le dita scorrono delicate e distratte dentro e fuori dal bordo, sui fianchi. Sorride con il capo poggiato su quello di lei. E' una battuta quella, una delle sue ma lei lo sorprende e lo spiazza.
Lo stringe di più ma non le basta.
Tutto l'amore conservato per lei. Vuole che la sovrasti, che la schiacci.
Lo vuole addosso ora, di nuovo, come allora. Lo vuole tutt'intorno, fuori e dentro a spazzare via ogni giorno che hanno vissuto lontani.
E non sbaglieranno niente.

Come può esistere un amore così grande?

“Dovresti togliermeli di dosso...”

 

(*) Via in cui, secondo il manga, si trovava la residenza parigina di Fersen
(**) Tipo di punch svedese ad elevata gradazione alcolica

 

Grazie infinite a Galla che inizio a sospettare possieda una borsa piena di ore e di minuti; dovrò chiederle dove l'ha comprata ;)
E grazie, come sempre, a chi si è avventurato fin quaggiù.

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Capitolo 22 ***


A stare fermo ad aspettare gli si intirizzivano le dita nonostante cercasse di trattenerle il più possibile nell'antro caldo delle maniche della giacca. Provò allora a sfregarle e, dopo aver chiuso le mani a coppa attorno alla bocca per ammorbidirle con il calore del fiato, l'uomo biondo seduto a cavallo di una botte - una di quelle che i tavernieri accatastavano dritte appena fuori dal locale in attesa di essere nuovamente riempite - cavò di tasca le carte, allargò bene le gambe per disporre dello spazio sufficiente ed iniziò a mescolarle vigorosamente. Tagliò il mazzo più volte - cinque per l'esattezza, come d'abitudine, una per ciascun giocatore presente in quelle serate trascorse a tracciare una linea tra il nuovo e l'antico - e iniziò a stenderle sul piano di legno umido in un solitario improvvisato.
L'ampia vetrata della taverna alle sue spalle lasciava filtrare la luce calda delle lampade ad olio, più che sufficiente per rischiarare la mano che gli era toccata e ampiamente in grado di fargli desiderare di varcare la porta dietro di sé. Ma l'accordo era di incontrarsi lì fuori.

Sgranchì il collo intorpidito mentre valutava quali mosse intraprendere, dividendo l'attenzione tra il gioco appena iniziato e la strada di fronte, sperando che l'altro arrivasse in fretta.
La notte era così limpida che intuiva perfettamente il punto in cui le stelle sfumavano nelle luci della città a nord-ovest, al riparo da quei refoli d'aria fredda che invece gli si infiltravano continuamente attraverso il colletto lì dove il fiume James era già quasi oceano e spandevano nella sera quel sentore vago, a tratti pungente, di sale e di pesce di cui erano intrise le sue giornate giù al porto.
Ormai aveva imparato a riconoscere lo stato delle maree e avrebbe potuto indovinare, con minimo scarto, gli orari di variazione del livello delle onde fiutando l'aria che risultava più umida e salmastra quando il vento spingeva l'oceano dentro la baia di Chesapeake, contrastando la discesa di acqua dolce dagli Appalachi.
Un'espressione soddisfatta per la combinazione di figure creata in poche mosse rese più chiari gli occhi azzurri - ancora quelli di un ragazzo - e stava congratulandosi mentalmente per la sua abilità di giocatore quando dal vicolo più lontano vide spuntare finalmente una figura avvolta in un pastrano rosso.
Scosse il capo sorridendo, chiedendosi per l'ennesima volta da quando gli aveva visto indossare abiti civili, come mai potesse un uomo abbigliarsi con colori tanto sgargianti, nonostante nelle vene gli scorresse sangue caldo, cotto dal sole del sud.
Più la figura si avvicinava più gli risultava familiare l'andatura sciolta dell'uomo bruno tra quelle degli ultimi nottambuli che a tasche vuote si dirigevano verso casa. Quando se lo ritrovò a portata di braccio, si scambiarono una poderosa pacca sulla spalla, trasudante quell'amicizia che nasce nelle condizioni estreme e rimane sempre lì, sopita per non importa quanto ma sempre pronta a riaffiorare intatta.

“Come ti va Miguel?”- l'uomo bruno smorzò il mozzicone di sigaro contro il legno umido della botte mentre lanciava un'occhiata furba alle carte stese tra le gambe dell'altro. Non si vedevano da parecchio, i due, divertendosi a definirsi anelli vicini ma non contigui della stessa catena.

“Non sarebbe quello il mio nome...”- sbuffò il biondo con la voce più vecchia di lui, arrochita anzitempo dal fumo e ancora ricca di lettere arrotate, spie impietose della sua provenienza.

“Per me sì...lo sai che con la tua lingua ho sempre avuto problemi. Allora, come ti va?”

“Bene...piuttosto bene”- un pensiero segreto e fino ad allora completamente estraneo piegò le labbra screpolate dal sale e dal freddo in un sorriso leggero.

“Vedo...stai studiando come spillare soldi a qualcuno?”- indicò le carte, l'uomo bruno, con un cenno del mento e con l'allegria che gli accendeva gli occhi più scuri dei capelli e accompagnava un ghigno scaltro responsabile della piega assunta dalle sopracciglia folte e perfettamente tratteggiate, analoga a quella delle ali di un merlo in volo.

L'altro rise mentre radunava il mazzo e lo infilava in tasca.

“Sono finiti quei tempi. Il lavoro non manca giù al porto...e nemmeno i guadagni”- stavolta fu il suo turno di un ghigno eloquente e di una strizzata d'occhio oltremodo esplicita.

“Quando si può ripartire?”

“Non appena le condizioni del mare lo consentiranno. La stagione delle grandi tempeste sull'Atlantico non è conclusa...”- rabbrividì, il francese, mentre alzava il colletto fino alle orecchie.

“...c'è una nave alla fonda ad Hampton Roads che sta ultimando il carico per partire non appena sarà possibile farlo”

L'altro annuì aggrottando la fronte ampia e levigata, mascherando l'apprensione sotto il tono olivastro della pelle.

“Dovrai farmi sapere per tempo...senza di lui è più complicato per me...”

“Lo so ma credo sarà ancora per poco. Ormai avrà concluso e non appena si potranno sfruttare gli Alisei si imbarcherà per tornare”

L'uomo bruno emise un fischio stupito e compiaciuto.

“E tutte queste cose le hai imparate giù al porto?”

Scrollò le spalle, il biondo, e sorrise, fiero.

“Sì...la Compagnia si sta ingrandendo e ci sono buone possibilità, anche per uno senza arte né parte come me”

“Quindi riesci a sapere anche dove arriva?”- abbassò la voce, il moro, tentando di soddisfare una curiosità che lo pungolava da anni.

L'amico negò a gesti e a parole.

“Solo in quale porto arriva...sempre lo stesso. Per noi il viaggio finisce lì...questi erano gli accordi” Annuì il moro, un po' deluso, gettando distrattamente lo sguardo all'interno della taverna sempre meno affollata.

“Forse ci saprà dire qualcosa in più al rientro... ”

“Forse. Chissà che impressione gli ha fatto la Francia...”- sul volto del biondo si allargò una smorfia indefinibile che non sfuggì all'altro.

“Nessun rimpianto?”

“No...non c'era più niente per me laggiù...”- e con il capo indicò in direzione del porto, dell'oceano, dell'Europa.

“...ma Louis mi tiene informato della situazione...gli avevo chiesto di farlo quando è tornato indietro...vorrei sapere cosa ne sarà del mio Paese”- dietro il tono deciso, sbandierato con baldanza, c'era impressa un'involontaria nostalgia che entrambi finsero di non cogliere.

“Scrive anche a me ogni tanto...Le Roi”- si guardarono di sottecchi ed entrambi si persero in una risata sommessa, ricordando frammenti di giornate trascorse a non pensare al tanto temuto e agognato domani.

“E che ti dice il re?”- indagò il biondo cercando di soffocare l'ilarità.

“Che è impegnato con un fornaio, qualunque cosa voglia dire...”

L'altro lo scrutò allibito, inarcando dapprima un sopracciglio, poi entrambi.

“Ma che diavolo significa?!?” - sogghignò smodatamente finché un 'intuizione improvvisa parve chiarirgli la questione - Ti ha scritto in inglese o in francese?”

“Un po' di entrambi...”- il moro scrollò le spalle; non riteneva poi così importante capire ogni singola parola se nell'insieme gli facevano comunque comprendere il senso del discorso.

“Allora sarà fornai-a, fornai-a...”- scandì bene le sillabe, il biondo, avvicinando il volto alla faccia dell'amico per fargli percepire la differenza - “...ma come fate a capirvi?!?”

“Sarà come dici...”- l'altro non parve particolarmente interessato alla faccenda che liquidò rapidamente, distratto e attratto da una folata di aria calda sul viso, sopraggiunta all'improvviso quando uno degli ultimi avventori uscì dalla taverna barcollando.

Si stava facendo incantare dal richiamo delle luci oltre i vetri, lui, abituato a climi più miti e notti tiepide.

“Hai tempo per una birra? Offro io”- l'uomo bruno rivolse all'interno della taverna lo stesso sguardo avido che l'altro gli aveva visto tante volte sul viso nelle licenze estemporanee quando, per dimenticare la caducità della loro esistenza, si affrettavano alla ricerca di un amplesso rapido ma sufficientemente soddisfacente da poter far dimenticare l'eventualità che potesse essere l'ultimo.

“Solo per una...vorrei tonare sobrio”- il biondo abbassò lo sguardo, imbarazzato e intimamente frastornato da ciò che aveva saputo solo il giorno prima.

“Sobrio?!? Sobrio?!? La Compagnia delle Indie ti sta rovinando, amico! Lascia che ci pensi io a riportarti sulla retta via!” - rise sguaiatamente, il moro, passando un braccio attorno alle spalle dell'altro, tirandoselo contro con malagrazia.

E l'altro che si lasciò sbilanciare ma non travolgere, sorrise grattandosi la fronte.

“Tess è incinta...”

L'uomo dal pastrano rosso lo lasciò all'istante, si allontanò di un passo e, con le mani sui fianchi, scrutò l'amico da capo a piedi con un ghigno sornione.

“Tess? Quella Tess? Quella che mi hai soffiato da sotto il naso?!?”

“Non è andata proprio così...”- tentò di giustificarsi il biondo ma entrambi ridevano ben consapevoli su chi si fossero da subito concentrate le attenzioni della bella figlia del locandiere a cui avevano riempito le tasche con la loro diaria di soldati.

“E bravo Miguel! Anche in guerra eri il miglior cecchino del battaglione! Altro che mira allenata ad impallinare le lepri!

“Stupido! E smettila di chiamarmi così...davvero. Almeno il mio nome lo voglio conservare. In fin dei conti se non fossi francese non sarei mai arrivato qui e non avrei...ciò che ho adesso”- l'uomo biondo, scendendo con un balzo dalla botte, lanciò un'ultima occhiata ad est. Negli occhi un uragano di riccioli rossi rovesciato sul suo petto e nella mente un po' del suo Paese, disteso oltre il mare, dove, considerata l'ora ormai tarda, l'alba non avrebbe dovuto essere troppo lontana.

***

Voglio baciarti! Fino a domattina...”

E ancora le ha tra le sue le labbra di lei quando la luce lattiginosa del giorno bussa all'abbaino insieme a grosse gocce di pioggia che smorzano il crepitio residuo del fuoco.

E' un bussare discreto fatto per non turbare gli amanti, che ricama ombre nuove allungando le ciglia nell'attimo in cui la vede chiudere gli occhi ed abbandonare il capo all'indietro per arrendersi ancora ed accogliere la sferzata di piacere, l'ennesima, di quelle ore senza sonno. E adesso che non lo vede più quel lembo di cielo azzurro in cui vola libero da tutta la notte, non può far altro che spingersi più a fondo per raggiungerla di nuovo, là dove i pensieri si annullano e rimane soltanto, fortissima, la sensazione dei corpi impressi uno sull'altro, accentuata dalla stretta possente delle mani candide che non vogliono sciogliere l'abbraccio, come se ci fossero altre distanze da coprire, come se essere uno nell'altra non fosse ancora abbastanza.

Ti amo

Un'altra volta

Quanto gliel'ha ripetuto

Quante volte se lo sono detti, vicinissimi, cercandosi piano per assaporare ogni tocco, solcando la pelle con mani sempre più ingorde e labbra impazienti di sapori proibiti.

Ti amo

Gliel'ha detto guardandola da sotto in su quando le sue parole buttate lì quasi per caso l'hanno fatto tremare, di timore e desiderio, e ha dovuto sedersi su quel muretto sotto la finestra stringendola appena sui fianchi per cercare di tenere a bada la voglia di lei, mai sopita fino in fondo e risvegliata dalla sfumatura profonda di blu che una brama sempre più difficile da contenere ha usato per tingerle gli occhi. Non è stata difficile da riconoscere, è la stessa che lui ha sentito montare impetuosa accingendosi a travolgere ogni cosa, un'altra volta.
E' stata quella a togliergli davvero il fiato, ancora più del profumo lieve, unico e consueto insieme, di cui la sua pelle è intrisa da sempre e di cui è finalmente libero di ubriacarsi senza remore.

Ha sospirato, rassegnato a non farcela, ma tentando di appigliarsi ad una volontà certa che lei gli ha detto di condividere.

“Non voglio sbagliare niente Oscar...non più...”- ha mormorato con la fronte poggiata al suo petto ché forse non vedendoli quegli occhi che lo chiamano può resistere ancora un po' e comprendere se lei davvero è disposta a rimettere tutto sul piatto, subito, senza indugi. Se non è l'euforia di sapere che ora il suo cuore gli appartiene ad offuscargli la realtà delle cose.

“Non lo farai...”- l'ha sentita affermare decisa mentre le sue mani gli scivolavano sul collo e poi sotto le mandibole per indurlo a rialzare la testa.

“...non l'hai mai fatto...”

Allora ha chiuso gli occhi per non mostrarle le iridi umide, impiastricciate di quei giorni in cui si era sentito un ladro, dove l'unica goccia di orgoglio era stata la certezza di aver rinunciato alla propria vita con lei, per lei. A quello si era aggrappato quando aveva compreso che la morte lo teneva a debita distanza pur mostrandogli quotidianamente quanto potessero mutare le priorità di un'esistenza in bilico, di cui lei non faceva più parte.
Era arrivato ad essere fiero del suo coraggio salvo poi aver dovuto considerare che si era trattato solo di vanagloria se paragonato a quello di lei, alla sua caparbietà, allo spirito indomito con cui aveva affrontato l'impensabile.

E quella certezza era divenuta ancora più lampante qualche ora prima quando lei, stesa di fronte a lui, al caldo di una notte che avrebbe dovuto essere di sole parole, si era spogliata di ogni reticenza.
Lo aveva fatto perché lui glielo aveva chiesto, con frenesia di sapere e timore di farle male.

Parlami di lei...

Parlami di te, con lei...

Si era spogliata frugando tra momenti che aveva conservato gelosamente per lei sola, custoditi con cura quasi fossero stati riposti per poter essere consegnati a lui e a lui soltanto, in quella vita o forse in un'altra.
Lo aveva fatto con dolcezza e passione, indurendo la voce solo alla fine quando non c'era più gioia da condividere ma solo l'epilogo che già conosceva.

Era certo non sarebbe mai riuscito a darsi pace per averla lasciata sola dopo aver dimenticato tutto ciò che erano ed erano stati.
La prudenza, i ruoli, l'onore...tenerla tra le braccia senza alcun limite gli aveva fatto scordare ogni cosa come mai gli era successo in quelle poche occasioni in cui non aveva potuto non cedere al desiderio di scoperta di un corpo giovane ma adulto.
E poi c'erano state le sue convinzioni di allora, alimentate da parole tese e sconnesse, che non gli avevano consentito di guardare indietro senza rabbia verso se stesso e, in parte, forse anche verso di lei.

Quella notte...Oscar...credevo...”

Ma lei lo ha zittito di nuovo scuotendo il capo risoluta, prima di intervenire con un tono più adatto ad un ufficiale adirato piuttosto che ad una donna che si accinge a fare l'amore e affondando un po' le dita nella sua pelle quasi con quella pressione potesse trasferire anche a lui l'ardore che sentiva scorrerle nelle vene.

“No, no André...non lo devi pensare! Non lo devi mai più pensare! Ero così turbata che solo dopo ho compreso esattamente ciò che intendevi...c'eri tu con me...in ogni istante...”

Ha dovuto deglutire, lei, per tenere salda la voce, ricordando che la guerra avrebbe potuto portarglielo via con quella convinzione addosso, senza aver conosciuto davvero il suo cuore.

Ti amo

Era stata lei a dirlo, fiera e appassionata tanto da fargliele vedere offuscate le onde dorate che le lambivano il viso in quel modo nuovo di cui ancora non le aveva chiesto nulla ma del quale era certo ci fosse qualcosa da dire.
Ha raggiunto la forcina che sapeva essere là, nascosta dietro l'orecchio, togliendola delicatamente ed appoggiandola sul muretto, accanto alla coscia, perché pur essendo indubbiamente bellissima, era della sua Oscar che aveva una nostalgia struggente, quella il cui ricordo lo aveva accompagnato sempre e alla quale avrebbe dedicato anche la morte. Quella in grado di ricoprirgli d'oro il cuscino con ciocche lunghe e scomposte, da attorcigliare tra le dita.

“Sono un inutile impiccio queste forcine...”- ha sorriso continuando ad immergere le mani per liberarla da ciò che era certo per lei fosse solo un fastidio.

“...perché...?”

“Lascia stare, non importa...”

Si è stupito del suo tono adirato e dei gesti quasi rabbiosi con cui anche lei ha tuffato le dita tra i capelli per cancellare la stupidità del suo tentativo. Ha rischiato di non comprendere nulla, di nuovo e ora vuole solo far affiorare tutto ciò che fa di lei se stessa: la donna colonnello a capo delle guardie reali.
Quella che guida un reggimento ma che lui ha visto correre scalza sulla spiaggia; che potrebbe vestirsi di diamanti e invece indossa un vecchio capo sdrucito.
Quella capace di ferire a morte e di amare da morire.

“...aiutami a toglierle tutte...”

Impegnare le mani non gli ha impedito di sentirle tremare, un po' di più ad ogni ciocca che tornava a rivestirle le spalle tanto da doversi fermare un istante con l'ultima forcina tra le dita. Allora è intervenuta lei con una delicatezza inusuale ma che lui sa esistere da sempre sotto l'atteggiamento rigido e marziale, afferrandola e lasciandola cadere, prima di portarle alle labbra, quelle mani, e baciare la linea sottile sull'indice sinistro, visibile ormai solo a chi sapeva esattamente dove cercare.

“Non c'è più niente da sbagliare André...”

Ti amo

Gliel'ha ripetuto sfilando dalle asole i piccoli bottoni di madreperla, talmente candidi da risultare invisibili sulla stoffa dello stesso colore e poi andando a cercare sotto la seta un calore mai dimenticato. Ma si è interrotto subito, impreparato alla consistenza che ha avvertito sotto le dita, il volto ebbro di stupore.

“Oscar...”

Lei ha alzato le spalle ad indicare di non farci caso, che anche quello è parte delle cose da dimenticare. Ma lui non è riuscito ad essere indifferente allo splendore di quell'immagine inconsueta. Ha accompagnato la camicia lungo le braccia, lasciandola scivolare a terra per poterla ammirare, incredulo. Ben conscio che lei non è mai stata avvezza a complimenti galanti, ha sperato lo capisse dal suo sguardo quanto la trovasse bella, al di là di ogni immaginazione. Ha cercato di trasmetterle tutta la meraviglia impossessatasi dei palpiti del suo cuore attraverso i movimenti delle mani che hanno preso a percorrerla lungo la vita, sulle stecche rigide celate tra la fodera e il tessuto e poi sul bordo dove un semplice nastro di pizzo bianco sembrava quasi fondersi con la pelle altrettanto nivea del seno, coinvolgendola in un ricamo delicato.
E ha iniziato a comprendere.

“Lo sai che non è necessario, vero?”- l'ha guardata serio, con un'intensità che faceva quasi male.

Lei ha annuito in silenzio. Certo che lo sapeva, forse lo aveva sempre saputo.
Poi lo ha visto abbassare gli occhi e sorridere, rapito. Non è riuscito a trattenere una carezza lieve, in punta di dita, sulla piccola chiazza color caffè che imbratta la grana fine di una pelle impastata col latte, appena sopra l'incavo tra i seni.

“Non l'ho mai dimenticata...”

Non ha compreso, lei, all'inizio ma quando lo ha visto sparire e ricomparire sotto il suo pollice, quel punto scuro, si è sentita vibrare di un'emozione nuova, di intimo compiacimento, all'idea che anche in quel modo ha vissuto nei suoi pensieri.

“Anche questo è un inutile impiccio...”- ha cominciato a sciogliere i lacci, tirando stizzita quando il groviglio perfetto creato da Marie si è opposto ai suoi intenti.

“Lascia, ti aiuto io...”- le ha preso dolcemente le mani, lui, allontanandole e iniziando a sbrogliare l'intreccio di seta.

“Non guardarmi così...ho solo più pazienza di te...”- si è opposto con un ghigno divertito allo sguardo sorpreso e un po' torvo di lei che ha lasciato cadere ogni possibile replica sospirando di sollievo quando l'indumento è finito a terra poco distante dalla camicia.
E a terra è finito anche un foglio ripiegato, dagli angoli ingialliti, evidentemente celato sotto la seta.

Non ha avuto bisogno di chiederle cosa fosse né perché se lo fosse portata appresso.

Ti amo

Gliel'ha ripetuto prima di raccoglierla tra le labbra quella piccola goccia di caffè, trattenendo il fiato davanti a lei, radiosa come non la ricordava, forse appena più morbida, nuda fino alla vita.

Ti amo

L'ha ripetuto sulla sua pelle, ancora e ancora, aggrappandosi a lei, stringendola e facendola inarcare come un ramo giovane quando le ha posato un bacio sull'ombelico sotto il quale ora sa nascondersi la culla di una vita che non ha potuto conoscere. E per un istante, ad occhi chiusi, l'ha immaginata di nuovo la danza inaspettata di un corpo minuscolo e di sensazioni immense, da tastare con le mani e le labbra, tra sorrisi e baci sulla pelle tesa fino ad arrivare alla bocca umida e schiusa, in attesa della sua.

Ti amo

L'ha detto lei che ha compreso e si è chinata per raccogliere le labbra che in solitudine ha immaginato fare quello stesso percorso e di cui ha sentito di non poter più fare a meno.
Poi hanno annullato ogni spazio e accantonato ogni parola in quella notte che li ha visti nutrirsi d'amore, cibarsi di desiderio, saziarsi di una passione incontrollabile nel tentativo di placare un languore spietato che più hanno soddisfatto, più li ha lasciati affamati.

Hanno scoperto quanto impagabile può essere l'indugiare lento uno nell'altra, sfatti d'amore, molli d'appagamento, ascoltando il piacere abbandonarli piano; quanta pace può dare lo sfiorarsi le labbra senza fretta, lasciando scemare gli ultimi brividi per prepararsi ad accoglierne altri; quanto può essere struggente cullare insieme il ricordo di un dolore, baciando via il sapore delle lacrime che sgorgano per così tanti motivi da non sapere neanche dire quali sono.

E ora che la notte ha appena abbandonato il cielo, l'alba li trova ancora insieme e schiarisce sorrisi complici come un tempo e colpevoli come mai per essersi rubati vicendevolmente ore di riposo.

“Credo sia ora di iniziare a prepararsi...”- ci prova, Oscar, beandosi del peso di lui ancora addosso, a ritrovare un po' di rigore.

“Ti accompagno a Palazzo...”- anche lui ci prova nonostante il ritmo del cuore di lei sotto l'orecchio e il ticchettio della pioggia diano vita ad una melodia ipnotica che pare impossibile smettere di ascoltare.

“Non è necessario...”- no, non lo è. Lo sa anche lui ma è così difficile, ora, pensare di lasciarla andare. Se vuole tentare di essere razionale bisogna che si scosti da lei perché le dita leggere che gli scorrono sulla schiena lo allontanano da ogni pensiero logico. Si sistema al suo fianco tenendosi sollevato su un gomito per continuare a guardarla, lei che si stringe addosso il lenzuolo che sa di loro solo per contrastare un improvviso brivido di freddo ma si offre al suo sguardo morbida e scomposta, in un'intimità nuova che gli fa torcere il cuore.

“Oggi ho intenzione di scrivere un rapporto disciplinare a carico del mio comandante. Non voglio che Alain rischi la galera ogni volta che lo incontra...”

Lei annuisce e attende il resto che intuisce esserci nelle parole sospese.

“Anzi Oscar, vorrei chiederti un favore se ti è possibile...”

“Se si tratta di quel farabutto di d' Harcourt chiedimi tutto quello che vuoi!”

Sorride, André, di quell'ardore che conosce e che ora sa essere lo stesso di quando ama. E sapere di essere il solo a sapere che è lo stesso di quando ama, lo costringe a concentrarsi su una piega del lenzuolo sgualcito, che le ricopre le gambe.

“Ecco...vorrei chiederti di avallare le mie dichiarazioni. Credo che il tutto acquisirebbe un peso maggiore, agli occhi di Bouillé, se fosse supportato anche da te”

“Io sottoscriverò ogni tua riga. Scrivi pure ciò che ritieni giusto, con le parole sei sempre stato molto più bravo e diplomatico di me...”

Lui sorride, ironico, rincorrendo un pensiero improvviso, perso in un ricordo che lei ignora.

“Già...forse è davvero così. In fin dei conti tuo padre mi rivolge ancora la parola...”

“Cosa c'entra mio padre?”- è sorpresa e anche un po' allarmata pur non comprendendone il motivo. Lui solleva lo sguardo e le parla dritto negli occhi.

“Gli ho scritto prima di partire per l'America. Volevo ringraziarlo per ciò che ha fatto per me e salutarlo”

“Non ne sapevo niente”- affila lo sguardo, Oscar, improvvisamente all'erta.

“Beh...non mi stupisce, conoscendolo”

“Cosa gli hai scritto?”- qualcosa di indefinibile le si insinua nell'animo al ricordo di frasi lontane e di parole ostinatamente evitate.

“La verità...”

“Quale verità André?” - ora è veramente sbigottita perché se è come pensa...

“L'unica possibile...”

Me ne vado perché sono innamorato di Vostra figlia. Non riesco più a stare lontano da lei e, da uomo a uomo, credo non ci sia bisogno di altre spiegazioni...

Non lo sa perché quelle parole gli fossero uscite di getto, come se raccontare qualcosa di diverso fosse un insulto all'intelligenza dell'uomo che gli aveva donato un tetto e un'istruzione.
Forse perché solo a lui si era permesso di mostrare i propri tormenti di padre.
A lui, semplice scudiero, in quella stagione che salutava i suoi vent'anni, come se non fosse solo uno scudiero. Non aveva mai scordato il tono greve e il sospiro preoccupato che avevano accompagnato le sue parole. “
Forse sto invecchiando André”- gli aveva detto mentre osservava la figura fulgida della figlia allontanarsi al galoppo, diretta alla testa della parata che avrebbe accompagnato i Principi Reali nella loro prima visita a Parigi. “Inizio a pensare che questo incarico potrebbe essere troppo pericoloso per lei...
Non era mai riuscito a spiegarsi perché solo con lui si permettesse certi discorsi, come se avesse il potere di fare qualcosa oltre a quello di starle vicino.

“Che non ero la persona più indicata a proteggerti visti i miei sentimenti per te che avrebbero continuamente messo a rischio il tuo decoro e la tua incolumità...”- e ora è felice di averglielo detto perché, adesso che sa, vuole essere lui quello su cui caricare colpe e improperi ché con lei accanto può sopportare ogni cosa.

“Non mi ha mai detto niente...né mi ha mai chiesto niente...”- affonda nei ricordi, lei, cercando un indizio dietro il gelo di quello sguardo che talvolta le era parso ammorbidirsi inspiegabilmente.

“Te l'ho detto...lui non affronterebbe mai certi discorsi...non con te”

Lei gli afferra una mano e la tiene stretta, vuole che capisca

“Non mi ha mai chiesto niente...ma se fosse stato un maschio, avrebbe voluto nominarlo suo erede...”

Ora è lui quello sbigottito ma lei annuisce.

“Sì..tuo figlio...erede del suo casato”

“Ma come...?”

“Non lo so...ne avremmo parlato a tempo debito mi aveva detto. Poi quel tempo non è mai arrivato”

Le sfiora una guancia, lui, per togliere la patina amara scesa all'improvviso a spegnere le stelle nei suoi occhi.

“Avresti preso la decisione migliore, non ho dubbi...”

Le annuisce, incerta, chiedendosi se davvero sarebbe stato così.
Poi è un altro scroscio improvviso che si abbatte sull'abbaino a richiamarli al presente.

“Sta piovendo forte Oscar, non ti lascio tornare sola...”

“Impiegheresti troppo tempo...”

“Oggi ho chiesto di avere il turno pomeridiano. Non ho dimenticato i balli di corte ai quali partecipavo al seguito del Comandante delle Guardie Reali e ho immaginato che la notte sarebbe stata lunga...

“E lo è stata?”- finge un tono indagatore, lei, imponendosi un contegno.

“Non abbastanza...”- è intenso lo sguardo che si scambiano, arriva a fondo, laggiù dove ora sanno che corpo e anima possono incendiarsi a vicenda, accendersi e brillare avvinghiati e dove sentono nascere un altro fuoco al cui calore ammaliante è impossibile sottrarsi in una fredda mattina di pioggia.

“Ma accompagnarti la allungherebbe...”

“Ti ho detto che non ce n'è bisogno...”

“Lo so, però...”

“...ho lasciato a Girodel il turno del mattino...”

 

Stranamente non è lei la prima a svegliarsi, ore dopo.
Riesce ad aprire gli occhi solo grazie a tocchi delicati che tentano di strapparla al sonno esercitando un richiamo sempre più difficile da ignorare.

“Non vorrei svegliarti ma è ora di andare...”- è il timbro profondo di André, vicinissimo, che accompagna i suoi baci sulla pelle nuda della spalla e del collo.

Lei sospira; vorrebbe farsi cullare ancora un po' dal mormorio fine della pioggia che ha sostituito gli scrosci violenti del primo albeggiare ma se il dovere chiama, non è lecito indugiare.
Si volta verso di lui, arruffata di sonno, e si stupisce di quanto siano vividi e brillanti i suoi occhi in quella luce così pallida.

“E' molto tardi?”

“Non troppo...abbiamo tutto il tempo...”

Trasale al fragore di un tuono in lontananza che giunge come un mormorio contrariato e nella mente ancora annebbiata risuona come un rimprovero sommesso, una minaccia imprevedibile alla stregua di una burrasca quando il cielo è sereno fino all'orizzonte.
E' una sensazione confusa e sgradevole che la fa tornare completamente a se stessa e la induce a togliergli il fiato con un bacio denso di tutti quelli che non sono mai stati, ora perduti per sempre.

“Credimi Oscar, non c'è altro che vorrei fare oggi ma se non scendiamo da questo letto credo che nessuno potrà toglierci un richiamo, almeno a me, per mancata presa di servizio”- sono parole soffiate tra labbra che ancora si sfiorano e lei sa che ha ragione. Sorride, annuendo e avvertendo contro la guancia il velo appena ruvido su quella di lui.

“Comincia tu, io non devo radermi”

Segue il rumore dei suoi movimenti nella stanzetta attigua adibita a locale da bagno; attraverso la porta socchiusa lo sente versare acqua nel catino e preparare il rasoio.

“André?”- lo chiama, assorta, con il mento poggiato sulle ginocchia piegate e strette al petto

“Dimmi”- lui non si distrae e inizia a seguire con la lama il profilo del mento riflesso nello specchio.

“Immagino che adesso il dottore e suo nipote torneranno in America”

“Non subito. La stagione non è ancora quella più adatta a sfruttare le correnti che spingono le navi verso l'America del Nord. Perché me lo chiedi?”

I pensieri le si affollano nella mente ma ancora non riesce di infilarli nell'ordine giusto.

“Vorrei parlare con Simmons...”

“Certo...posso chiederti per quale motivo?”- si arresta, colpito dal tono assorto, e spalanca la porta per cogliere ogni traccia d'inquietudine. Anche lei solleva il capo, portando gli occhi dritti in quelli di lui.

“Ho delle cose da raccontarti...”
 

Ancora una volta grazie per la lettura

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Capitolo 23 ***


Un sincero augurio di un Natale sereno e di un anno nuovo che sia come ciascuno lo desidera a chi continua a leggere, a chi capita qui per caso e a tutti gli utenti di Efp
 

Era quasi ora.
Alain si stiracchiò sulla branda non riuscendo a capacitarsi di aver associato, seppur in maniera fugace e per la prima volta nella sua vita, il riposo in camerata con qualcosa di piacevole. Ma mentre osservava la crepa in una delle assi sopra la testa per accertarsi non fosse peggiorata ché ritrovarsi addosso all’improvviso e magari di notte un marcantonio come Jean-Pierre non era tra le cose che si augurava di dover affrontare, valutò che era proprio così.
Da quando ogni soldato della Compagnia B aveva ricevuto una fornitura aggiuntiva di coperte finalmente degne di quel nome, calde, spesse e ben diverse da quelle logorate da anni di lavaggi sommari di cui tutti loro erano stati muniti fino a poche settimane prima, l’umore generale ne aveva senz’altro guadagnato.
Non avrebbe dimenticato facilmente le più strane e varie espressioni di meraviglia sui volti dei compagni e i loro sguardi allibiti di fronte agli addetti al servizio guardaroba mentre poggiavano pile di nuove forniture sul tavolaccio della camerata, incredibilmente sgombro da carte e bottiglie che prendevano la via della caserma nei modi più disparati e fantasiosi.
Lui, non sapendo bene cosa pensare, aveva sciorinato silenziosamente una serie di improperi benevoli rivolti al suo capitano.

Hai capito André?!? Lui e le sue conoscenze altolocate!!! L'ho sempre detto che si riescono a scavalcare tutti i gradi gerarchici se si sa a quale porta bussare!

Ma giorno dopo giorno, assistendo alle sue chiacchierate ora con l’uno, ora con l’altro e alla dovizia di particolari che poi gli vedeva annotare su quel suo taccuino nero, era giunto alla conclusione che semplicemente André, da ufficiale atipico qual’era, fosse andato a guardare dove nessun altro aveva mai ritenuto necessario fare, tanto si era abituati a considerare la guardia metropolitana come il ripostiglio dove accatastare tutto il ciarpame della grande Casa Militare del Re di Francia.
Per una strana - ma forse neanche tanto - associazione di pensieri, aveva ricordato la sorella al riparo di spalle che, al netto della divisa rifilata d’oro, dovevano essere esili quanto le sue e allora era stato spontaneo anche chiedersi quante altre cose avessero in comune quei due che, per certi aspetti, sembravano plasmati dalla stessa mano.
Quel pomeriggio la situazione era resa ancora più gradevole dal fatto che lo stanzone fosse sostanzialmente vuoto. Solo il flebile russare di due dei ragazzi più giovani assegnatigli perché li svezzasse ai turni più scomodi aleggiava, lieve, tra le pareti e, a dirla tutta era talmente conciliante che veniva voglia di girarsi dall'altra parte e dormire fino al momento dell'odiata ronda notturna.
Odiata solo d'inverno, per quanto gli riguardasse, perché con la bella stagione preferiva di gran lunga avere sopra la testa un cielo stellato che non la branda di Jean-Pierre e nelle orecchie il frinire dei grilli invece del concerto di suoni prodotto da cinquanta uomini.

I loro turni diventavano tanto più massacranti quanto più la situazione in città si faceva critica e, da quando aveva anche l'impegno notturno rifilatogli da André, era arrivato a benedire - proprio lui! - la possibilità che l'altro gli forniva di riposare in solitudine ogni qualvolta rientrava in caserma a tarda ora con un permesso per gravi e comprovati motivi firmato dal capitano Grandier in una tasca e le chiavi del suo studio nell'altra.
Finché lo aveva trovato ad attenderlo per avere informazioni di prima mano, non aveva avuto alcun pudore a sistemarsi sul divanetto schiacciato contro la parete, dietro la porta ma ora si sentiva quasi a disagio ad avere libero accesso ai suoi locali privati che, nelle ore notturne, rimanevano inesorabilmente vuoti.
Aveva ricevuto solo risposte evasive ai suoi tentativi di comprendere perché André avesse smesso di dormire in caserma dalla sera precedente al ballo a cui gli aveva detto di dover partecipare insieme al colonnello del Royal-Suédois.
Lo ricordava bene quell'evento perché pensare al suo capitano in abiti di lusso ed immerso nel chiacchiericcio dei cortigiani era un'immagine più stonata di Jean-Pierre quando improvvisava a squarciagola Les Anges dans nos campagnes (*).
L'ultimo Natale avevano addirittura fatto una colletta, lui e i commilitoni, passandosi le monete di mano in mano sotto il tavolo della locanda per farlo ubriacare, rassegnati sì a doverlo poi portare a spalla ma con indubbio beneficio per le loro orecchie.

Ai suoi occhi André non poteva essere che l'uomo sobrio, elegante e sottilmente triste conosciuto per caso al bancone di una locanda, reduce da una guerra lontana. Quello che indossava uno jabot semplice ma perfettamente pulito e una marsina di buona fattura esattamente come quella che gli aveva prestato per le recenti sortite notturne e che una lieve tensione al centro della schiena ogniqualvolta allargava le braccia, gli faceva temere di scucire in almeno una decina di occasioni a sera.

Era stato proprio André a portarlo al Café de la Régence, una volta compreso che dalle chiacchiere di taverna aveva già ricavato tutte le informazioni possibili. In una sera d'autunno ancora tiepida e limpida, sporcata appena dal fumo di qualche camino acceso anzitempo, gli aveva proposto di seguirlo in quel locale all’angolo di Place du Palais-Royal, indiscutibilmente diverso dalle locande chiassose a cui era abituato fin da quando si era autoproclamato sufficientemente adulto da poter bere come un uomo.

“Oh beh, se paghi tu, un posto vale l'altro!”- gli aveva risposto con una scrollata di spalle e le mani immerse nelle tasche a contare le poche monete rimaste quando l'ultimo giorno di paga era troppo lontano, esattamente come quello della paga successiva.

André aveva sorriso e dalla sacca legata al cavallo aveva pescato abiti a cui lui non era abituato.

“Dai, cambiati, non fa freddo! Le brache e gli stivali li puoi tenere...”

“Ma tu sei matto! Dovrei vestirmi come te?!? Non so neanche da che parte girarla quella camicia...”

“Non va bene che tu venga in uniforme...l'androne di quella casa è perfetto, poi metti tutto dentro la sacca”

Dopo vari tentativi di opposizione sempre meno convinti, André aveva avuto la meglio e lo aveva trascinato con sé.

Quella prima sera era riuscito solo dopo ore, mentre osservava i calli sulle dita e sui palmi accarezzati dall’orlo perfetto delle maniche, a definire il disagio che non l’aveva abbandonato fin dal momento in cui aveva varcato la soglia. La sensazione era quella di stare di fronte ad un camino ad osservare lo sfavillio della brace sotto la cenere in attesa di capire come e quando avrebbe preso vigore travolgendo tutti gli incauti.
Era un soldato, Alain, e anche se non sempre condivideva ciò che gli veniva impartito, tendenzialmente veniva chiamato a mantenere l’ordine; lì, invece, seppur in modo sottile e sicuramente atipico, si stava fomentando il disordine assoluto con tutto quel parlare di politica, di dimissioni illustri o di nuovi incarichi a personalità che non aveva mai sentito nominare.
Aveva creduto sarebbe scoppiata una rissa la prima volta che un tale somigliante ad André come una goccia d’acqua, di punto in bianco era salito in piedi su un tavolo accompagnato dal brusio di sostegno dei compari, e aveva esposto al vasto pubblico le notizie più importanti della giornata, infarcendole - sospettava - con la sua personale interpretazione dei fatti.
Il suo futuro capitano non parlava molto ma pareva comprendere ogni cosa a giudicare da come annuiva in silenzio o a come aggrottava la fronte e ad entrambi era ben presto risultato evidente che le notizie raccolte in città spesso venivano modificate ad arte con il solo scopo di fomentare il sospetto e alimentare sommosse, secondo le idee di giovani inquieti ed impazienti di assistere all'avvento di un cambiamento per il quale tutto sembrava lecito. Anche gli atti più illeciti.

***

La prima volta che vi aveva messo piede in solitudine era stato accolto dal proprio volto riflesso in uno degli specchi d'ingresso; con l'espressione beffarda che nemmeno si accorgeva di assumere pareva schernirlo e sfidarlo a quell'impresa insolita.

La metti così?!? Ti stupirò, vedrai chi è Alain de Soisson!

Aveva raccolto il guanto di sfida contro sé stesso e, memore degli atteggiamenti di André, si era sistemato in un angolo, ad un tavolo che permetteva piena visuale sull'ingresso, maledicendo la propria assoluta ignoranza nel gioco degli scacchi.

Lì accanto, ad un capo del tavolo dedicato ai giocatori o a chiunque volesse improvvisarsi tale, sedeva, come ogni sera, il vecchio François-André Danican Philidor(**) con il quale André era in grado di intavolare sfide di ore, e sarebbe stato un diversivo perfetto se, come l'amico, fosse stato capace di concentrarsi contemporaneamente sulla partita e sulle chiacchiere intorno.
Davanti al vegliardo canuto e con i capelli radi raccolti in un codino ordinato dietro la nuca lo aveva visto sgranare gli occhi, André, forse incapace di credere che un uomo di quell'età potesse dar filo da torcere a tutti come si vociferava di tavolo in tavolo.
Non poteva sapere invece, Alain, quale tramestio quei due nomi accostati avessero indotto nell'animo dell'altro, reduce da una guerra terminata sul campo ma ancora in prima linea in quella che da anni combatteva nel cuore.
Avesse saputo giocare, almeno avrebbe dato meno nell'occhio!
Avrebbe potuto impegnare le mani invece di essere costretto a tamburellare con le dita sotto il bordo del tavolo e a concentrarsi sulla tensione che gli inumidiva le ascelle.

Con il passare dei minuti si era calmato, realizzando che nessuno lo degnava di uno sguardo perché in fondo il mondo non ha tempo di pensare ad un uomo solo seduto in un angolo.
Quando, deluso dall'attesa infruttuosa, stava ormai per andarsene, aveva visto entrare nella sala il giovane alto dai capelli rossicci a cui avrebbe dovuto stare alle calcagna. Allora aveva ordinato un'altra birra e, spargendo a caso cenni di saluto, con l'espressione accigliata di chi è alla spassionata ricerca di qualcuno, era avanzato tra i tavoli fino a prendere posto alle sue spalle.
Sulle prime si era limitato ad osservarlo in silenzio, di sottecchi, e ad ascoltare i discorsi vacui, frammisti alle risate, che scambiava con i compari.
Uno abbastanza insignificante a dire il vero; anche se avesse ammazzato qualcuno l'avrebbe fatta franca perché nessuno si sarebbe ricordato di quei capelli di un colore tanto ordinario e quegli occhi slavati, incapaci di stimolare anche la memoria più vispa. L'altro, invece, era alto e ben piazzato con il volto butterato, forse dal vaiolo.
Dopo alcune serate infruttuose in cui li aveva sentiti discorrere solo di facezie che glieli aveva fatti catalogare come una combriccola di nullafacenti buoni solo ad organizzare serate mondane rendendogli incomprensibile la loro presenza in quella sorta di culla del cambiamento, finalmente accadde.

“Ce l’hai tu quindi?”- aveva chiesto il rosso che lui sapeva chiamarsi Baptiste, abbassando la voce in mezzo ad un discorso incomprensibile.

L'uomo dal volto butterato aveva annuito distrattamente, evidentemente a disagio.

“E dove lo tieni?”

“E' un segreto”

“Anche per me, Louis?”-

“Sì anche per voi...”- rispondeva in modo elusivo quel tale che rispondeva al nome di Louis, con l'evidente intenzione di lasciar cadere al più presto l'argomento.

“E poi?”

“Poi lo consegno. Quando mi dicono di farlo...”

Chi ti dice di farlo?”

“Non lo so, cioè non so il suo nome. E non l'ho mai visto...mai vista...bene in faccia...”

Baptiste aveva corrugato la fronte e l’aveva afferrato per il bavero tirandoselo vicino.

“Ma che stai dicendo? Sei già ubriaco?”

Aveva negato l'altro, provando a giustificarsi pur senza scoprirsi troppo.

“Porta sempre un cappuccio sugli occhi. Ha lineamenti fini, da donna ma la voce...quella è di un uomo, mi ci gioco le tette di Tess. A meno che non sia molto brava a fingere”

Aveva drizzato le orecchie, Alain, a quella descrizione; le parole incerte e biascicate in faccia al rosso avevano disegnato l'immagine di qualcuno che mai si sarebbe aspettato di dover prendere in considerazione. E gli era parso che anche negli occhi di Baptiste si fosse accesa una luce di comprensione.

“Meglio se Tess la scordi all'istante! Non sei mai stato un'opzione per lei...e Michel non gradirebbe...”

“Certo...stavo scherzando...”- aveva tentato di salvare il salvabile Louis restando però nella convinzione che un seno come quello della donna dell'amico toccava in sorte a pochissimi.

“...Ma io e Joachin siamo curiosi,...”- aveva tentato l'americano.

“Lo so bene...ma non ti posso dire niente”

“Ma tu sei l'unico che sa tutto! Tu sei l'anello finale...”- aveva sibilato il rosso in faccia al compare.

“E' meglio così, dammi retta...se ho imparato qualcosa negli ultimi anni è che qui c'è gente senza scrupoli. Non metterti nei guai...”- Louis aveva affilato lo sguardo e abbassato un poco il tono di voce.

Baptiste si era convinto.

“Altrimenti sarebbe stato inutile...”- aveva mormorato pensieroso

“Esattamente. La nostra diventerebbe solo fatica sprecata. Puoi solo aiutarmi a capire come sia stato possibile...ciò che sai. Non deve più accadere, ne va della nostra vita, mia e di Robert...”

“Ho intenzione di fare un viaggio prima di tornare in America...”- Baptiste sembrava restio sull'argomento.

“Dove...?”

“Non ti dirò nulla...come tu mi insegni”- aveva sollevato il capo e zittito l'altro con una strizzata d'occhio.

Louis, suo malgrado, era d'accordo.

“Quanto pensi bisognerà aspettare per il prossimo carico? Quella persona è sempre più impaziente”

“Secondo i conti di Michel tra un paio di settimane al massimo la nave potrebbe partire”

A quel punto Alain aveva capito che c'era da stare all'erta ma anche che per saperne di più doveva entrare nelle grazie della combriccola per poterne pilotare i discorsi.
Con la coda dell'occhio aveva seguito l'avanzata faticosa di un cameriere verso i tre, le mani impegnate a reggere i boccali in bilico su un vassoio.
Rispolverando lo spirito d'improvvisazione di chi è cresciuto per strada, con tanta sapienza quanta indifferenza ne aveva intralciato il cammino, facendolo rovinare a terra in un lago di birra poi, profondendosi in scuse, si era offerto di pagare per tutti tanto André gli aveva autorizzato ogni mezzo lecito, e la serata terminata in baldoria gli aveva permesso di scoprire che i due francesi avevano combattuto in America ed erano rientrati poco dopo la firma del trattato di pace di Versailles.
Per guadagnarsi la loro fiducia aveva raccontato qualche mezza verità, mescolando il suo stato di orfano di un padre nobile decaduto con quello di André, orfano di un falegname.

“Li vedete questi abiti?”- aveva sfoderato un sorriso complice dopo che più di qualche birra aveva iniziato a scorrere loro in corpo.

“...me li ha regalati una contessa”

“E per quale motivo lo avrebbe fatto?”- aveva buttato lì l’insignificante che non si riteneva un credulone ma era ben propenso a dare fiducia a quel volto scaltro e aperto.

“Il legno delle porte delle cucine nella sua residenza fuori città era completamente marcio. Con il mio capomastro ci siamo occupati di sostituirle e...insomma...nella quiete della campagna, lontano da occhi indiscreti...lei...capite vero?”

“Ma non c'era un conte da quelle parti?”- il ghigno allusivo dell’altro faceva intendere avesse capito alla perfezione.

“Troppo impegnato con la caccia!”- aveva concluso Alain, con un'occhiata carica di sottintesi.

La loquacità della combriccola su questioni di poco conto era compensata dall'assoluto riserbo per la faccenda che Alain avrebbe voluto invece approfondire ma ogni volta che qualcuno saliva su un tavolo inneggiando alla nuova era a cui il mondo veniva considerato pronto, loro si guardavano di sottecchi, complici e orgogliosi e si univano all'oratore di turno innalzando i boccali in fragorosi brindisi.
Una sera Alain aveva provato a sbilanciarsi.

“Mi piacerebbe poter fare qualcosa per accelerare questo cambiamento...ammesso possa arrivare davvero”

“Arriverà stanne certo...come è stato in America, così sarà anche qui!”

“Come fai ad esserne certo? Non credo che il re si farà da parte tanto facilmente!”

“Certo che lo sono! Perché...”- ma dalla smorfia di dolore apparsa all'improvviso sul volto del giovane, aveva compreso che uno degli altri lo aveva zittito in malo modo, probabilmente con un calcio sotto il tavolo.
E anche che insieme, quelli, erano un muro invalicabile.

L'occasione propizia per cavar loro informazioni di bocca era arrivata la sera prima quando dalla sua postazione prediletta aveva visto Baptiste entrare nel locale nella più completa solitudine. A forza di parlare delle rispettive sorelle - e quella di Baptiste sembrava un tipetto che ad Alain era venuta voglia di conoscere - non era stato difficile fargli raggiungere il giusto grado di oblio, dopodiché il soldato aveva attaccato, attento e spietato.

“Non c'è Louis questa sera?”

“Aveva un impegno...ai piani superiori”- Baptiste lo squadrava con sguardo vacuo, il capo già in precario equilibrio sul collo.

“Bionda o bruna?”- aveva sogghignato Alain con la sua inesauribile faccia tosta.

L'altro gli aveva mostrato un sorriso ebete e quando le parole erano riuscite a cavalcare l'onda alcolica fino a depositarsi sulla riva della coscienza, era esploso in una risata, ricadendo sulla spalla del soldato

“Accidenti a te Alain! No, no..c'è una riunione...segreta”- aveva sibilato con tono da congiura contro la sua giacca, ormai dimentico di ogni accortezza.

Alain gli si era avvicinato poggiando la fronte alla sua, imitando lo stesso fare cospiratorio e scandendo bene le parole per renderle chiare anche tra i fumi dell’alcol.

“E di cosa parlano in questa riunione segreta?”

L'altro stette zitto per un po', gli occhi fissi in quelli scuri di Alain quasi lì dentro si stessero componendo le parole che cercava di mettere insieme. Poi si portò l'indice davanti alle labbra sillabando lettere impastate.

“E' segreta!”

Alain, celando la delusione dietro l’usuale irriverenza ed incerto se l'altro fosse troppo ubriaco o troppo fedele all'amico, decise di cambiare strategia.

“E Robert? E’ un po' che non si vede. Che fine ha fatto?”

Baptiste, con i gomiti puntellati sul tavolo e le dita aggrappate al volto nel tentativo di impedire al mondo di girare, era ben lontano dal riuscire a formulare una frase completa.

“Partito...” - poi era caduto con la testa sul tavolo riuscendo incredibilmente ad evitare il boccale di Alain che rimase, intonso, sul piano di legno.

Come te amico…

Con un sospiro di frustrazione il soldato trangugiò d’un fiato la birra e, passando un braccio sotto le spalle dell’americano, lo portò all’aperto non immaginando di trovare nel movimento e nell’aria fredda della notte due insperati complici.
Il solido appiglio fornito da Alain forse venne percepito dall'altro come uno molto più familiare sul quale altre volte aveva potuto contare.

“I soldati...la hierba...dobbiamo capire…”

“Cosa dobbiamo capire?”

“Lo sai...cosa...”- poi gli era crollato addosso e Alain non aveva potuto far altro che fermare una carrozza di piazza e fornire al cocchiere l’indirizzo della residenza von Fersen scribacchiato su un foglio per ogni necessità.
Anche quello avrebbe riferito ad André di lì a poco in quell'ora pomeridiana che riteneva poco consona a chi doveva preservare le forze per giungere sveglio al mattino successivo ma a nulla erano valse le sue lamentele.

Il colonnello de Jarjayes non può prima di quell'ora – non aveva ammesso repliche il capitano e, considerato che, tutto sommato, anche lui era in debito con il biondo ufficiale delle guardie reali, se lo era fatto andare bene.

***

Nemmeno la decisione di Oscar aveva ammesso repliche. Aveva ritenuto che un incontro nei locali spartani della Guardia Metropolitana, dove l’unico che si sarebbe potuto permettere di sprecare tempo a ficcare il naso in una faccenda a lui preclusa era stato allontanato in attesa di giudizio, li avrebbe messi al riparo da orecchie indiscrete e chiacchiere curiose.

Era stato sospeso infine il farabutto. Vigliacco fino in fondo se pensava quanto aveva insistito, davanti a Bouillé, nel dichiararsi estraneo alla vicenda che immaginava sollevata da un semplice soldato. Poche volte in vita sua aveva avvertito un senso di soddisfazione profonda come nel momento in cui sul volto pallido erano passate tutte le sfumature delle fiamme che ondeggiavano dietro le spalle di Bouillé quando il generale aveva estratto da un cassetto e letto con voce tonante il resoconto che lei e André avevano firmato insieme sullo scrittoio in camera di lui, a piedi nudi, con le uniformi abbandonate sul letto.

Stare lontano dalla reggia le serviva anche per tenere a bada quell’indignazione profonda che negli anni aveva cercato di quietare come meglio aveva potuto, sfruttando i privilegi della sua nascita ma che aveva rialzato la testa di fronte allo spudorato ardire del comandante D'Harcourt.

Quando varcò i cancelli della caserma il timido sole che ancora rischiarava quel pomeriggio di fine inverno parve acquistare coraggio intrecciandosi ai suoi capelli, facendo risplendere di una luce piena l’intero cortile, o almeno così sembrò ad André, in attesa dietro i vetri, mentre la osservava affidare il il cavallo ad uno dei palafrenieri.
La vide voltarsi al rumore delle ruote di una carrozza che, stridendo, si fermò davanti all'edificio, affiancare l'uomo dai capelli grigi che ne discese ed indicargli di seguirla all'interno.
Più si avvicinavano al portone più riusciva a distinguere il candore dello jabot di seta, accollato più del solito e allacciato fin sotto il mento che spiccava da sotto il mantello scuro. Sorrise di tenerezza rammentando le parole di lei, piene di ardore e in palese contrasto con il suo atteggiamento ancora restio, ancora timido.
Non voglio che tu lo faccia André - era tutto ciò che era riuscita a ribattere alla sua promessa di stare più attento mentre, quella mattina, l'aiutava a nascondere sotto la stoffa il segno inequivocabile di un bacio appassionato.

Dalla sera del ballo a cui non erano andati avevano preso a scandire le giornate secondo i dettami del cuore. Non avevano avuto bisogno di accordarsi affinché lei lo raggiungesse la sera dopo e quella dopo ancora e poi le successive.
La aspettava seduto sui gradini d'ingresso per portarla in qualche posto a cenare, la sua Oscar esile come un giunco. Se l'avesse attesa all'interno, di certo non si sarebbero poi preoccupati di uscire a mangiare. La prima volta che lo aveva trovato abbarbicato sullo scalino a ridosso del muro, si era bloccata di colpo, visibilmente preoccupata ma era bastato un po’ di quel verde brillante e malizioso per farla sorridere e annuire, subito complice.
Parlavano tanto dopo l'amore, o forse prima, difficile trovare un inizio e una fine in quella passione inframmezzata alla voglia di ritrovarsi ed era sorprendentemente facile farlo nel calore di un abbraccio, nel buio arrossato dal fuoco del camino.

“Ricordi quando siamo andati a Compiègne...i discorsi di Alain?”- gli aveva chiesto mentre osservava i capelli scuri danzarle sul ventre.

“Quali discorsi? C'è l'imbarazzo della scelta...”- aveva riconosciuto il sorriso, nella voce e tra i baci attorno all'ombelico.

“Quelli su quell'uomo misterioso di cui si parla a Parigi...”

“Quello che chiamano l'homme en noir?”

“Sì...io so chi è...”

Si era sollevato, André, e l'aveva scrutata serio, in attesa, per rendersi poi conto che non c'era nient'altro da aggiungere a ciò che aveva già intuito da sé.

“Anch'io credo di saperlo...”- aveva concluso baciandole la punta del naso.

Allora lei gli aveva raccontato tutto.

 

(*) Canto di Natale tradizionale francese, composto nel XVIII secolo. Da noi nota come Gloria in excelsis Deo.

(**) Era considerato uno dei migliori giocatori di scacchi della Francia di fine settecento. Il Café de la Régence divenne a metà di quel secolo un punto di ritrovo per i giocatori di scacchi di Parigi.

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Capitolo 24 ***


“Non hai un paio di guanti soldato?”- il tono voleva essere secco, di rimbrotto, lo stesso che usava per riprendere le guardie reali quando non adempivano agli ordini impartiti, foss’anche solo quello di mantenere il giusto grado di decoro nelle parate di rappresentanza.
Ma a sé stessa non riuscì a nascondere quella sensazione inafferrabile suscitata dalle striature rossastre sul dorso delle dita e dalla costellazione di piccole scaglie indurite sui palmi di quel soldato cui passò rapidamente le redini appena smontata da cavallo nel cortile della caserma della guardia cittadina.
“No...cioè sì, Signore, ma li ho...dimenticati...posso farne anche a meno...”- si affrettò ad aggiungere quello, abbassando lo sguardo per celare l'imbarazzo e l'espressione un po' colpevole che le sembrò di cogliere sul volto chiazzato dall'aria ancora fredda.
“...ci sono cose più importanti...”- mugugnò tra sé il militare ma non così piano da non farsi udire mentre si affrettava verso le scuderie ché quell'ufficiale evidentemente proveniente da Versailles magari l'avrebbe pure rimproverato per aver fatto prendere freddo al cavallo!

Ne posso fare a meno...sono abituato...

Era incalcolabile il numero di volte in cui, nel tempo, si era sentita rispondere allo stesso modo. Anche André non li indossava, non l'aveva mai fatto in nessuna stagione dell'anno e della vita, nemmeno quando da bambini ingaggiavano interminabili battaglie a palle di neve perché, a suo dire, in quel modo riusciva a maneggiare al meglio le preziose munizioni.
In tempi recenti, molto più recenti, glielo diceva strofinandole le labbra con le labbra, ogni volta che si ritrovavano la sera nell’atrio di quella casa a Parigi, deserto e poco illuminato ma che desideravano rimanesse tale ancora a lungo. Chiudeva la porta con due giri di chiave, si voltava verso di lei e le infilava le mani gelide sotto il colletto della divisa per raccoglierle il volto e baciarla di tutti quei baci che durante il giorno non le aveva potuto dare, increduli come fossero i primi, densi di disperata tenerezza come dovessero essere gli ultimi, trasmettendole un brivido che solo per un istante, un istante brevissimo, era di freddo.

Di quante cose avrebbe potuto fare a meno?

Lasciò scivolare lo sguardo sulle proprie mani avvolte da caldo e candido capretto e avvertì un disagio strano, che conosceva bene, quello di quando il corpo e il cuore non si trovano nello stesso luogo.
Ma lì in quel cortile era ben certa ci fossero entrambi.
Tentò di scacciare la sensazione molesta volgendo lo sguardo all'azzurro pallido del cielo, incontrando un ramo spiovente già appesantito da fitti fiori gialli, che ricadeva dal muro di cinta accanto alla scuderia. Qualche insetto operoso ronzava attorno alle corolle vivaci, vi entrava e ne usciva dopo essersi saziato della loro essenza nascosta.
E quel disagio sfuggente, insolitamente tenace, induceva a paragonare i piccoli esseri striati a qualcosa di molto più grande e sontuoso dove le essenze vere, le anime e nemmeno le più ingenue, venivano immolate all'ipocrisia e ai giochi di potere; la spontaneità alla finzione, i sentimenti a torbide relazioni per sostenere intrighi di comodo.
Si riscosse solo alla risata sincera del soldato impegnato in uno scambio manesco con un compagno appena pochi passi più in là. Suo malgrado si ritrovò a sorridere all’evidenza che no, lì non accadeva.
Non tra quei figli del popolo, sputati da una città in ginocchio all'interno di una caserma soltanto per sopravvivere.
Figli del popolo agli ordini di un figlio del popolo, il suo.

Con un sorriso invisibile al mondo, provò ad individuare le finestre di una stanza che aveva visitato una volta soltanto, in un giorno in cui ancora non l'avevano colto l'amore rimasto sospeso tra loro, a loro insaputa, senza far rumore.
E che a loro insaputa ne aveva influenzato i passi.
Come quel giorno che, con la dama sotto il braccio e un minuscolo segreto nascosto nel profondo era andata a bussare alla porta di Mylène per chiederle se per caso avesse potuto concederle un po’ del tempo del piccolo Pierre e poi quella prima volta che l’aveva avuto di fronte con la scacchiera nel mezzo e l’aria vispa seppur appena stranita, a ritrovarsi molto più stranita di lui, a chiedersi come sarebbe stato sedere davanti ad una parte di sé e se sarebbe bastato l'amore per lui a farle amare una nuova vita che, sfacciata, le si era aggrappata al ventre.
Ora che quell'amore lo avevano afferrato a piene mani, ancora più insistentemente guidava il loro cammino. Erano riusciti a riannodare i fili delle loro esistenze divise ricavandone un arazzo a tinte fosche, ancora incompleto, in cui si abbozzava la scena di una Francia impazzita che tramava contro la Francia dietro la scusa di voler costruire una nuova Francia.
Stava per avviarsi verso l'interno quando lo sferragliare di una carrozza di cui riconobbe subito il blasone nobiliare la indusse a fermarsi. Attese che Tim Simmons aprisse lo sportello finemente ornato dallo stemma araldico dei Von Fersen e scendesse dal predellino prima di affiancarlo e guidarlo verso il portone.

***

Dal soggiorno dell'elegante residenza sull'avenue Matignon, Baptiste aveva osservato distrattamente la vettura allontanarsi, senza porsi troppe domande sulla destinazione dello zio.
Si tratta delle ultime faccende burocratiche prima di partire - gli aveva risposto sommariamente il parente e a lui era bastato. Erano altre le questioni che accentravano la sua attenzione, a partire dall’idea di quel viaggio nata all'improvviso, la scusa perfetta per provare a comprendere.
Le onde impetuose dell'Atlantico...
L'infinita distesa di sabbia bagnata che rifletteva i colori straordinari del cielo quando il mare si ritirava...
L'estate trascorsa a scandagliare quel tratto prima che fosse nuovamente sommerso dalla marea alla ricerca di ostriche e molluschi...
Incredibile fossero proprio i luoghi che il padre gli descriveva da bambino quelli toccati dalla sua sete di libertà e, in quella distesa di rena umida, qualcosa evidentemente si era incagliato con il rischio di danneggiare l'intero meccanismo.
Allora sarebbe stato tutto inutile.
I sogni, l'impegno, il segreto, la catena, la lotta alla monarchia con modalità che esulavano dalla sua comprensione.
Meno ne sai meglio è - continuava a sostenere Louis ma il pensiero gentile di una cameriera, quel mazzetto di viole, le prime dell'anno, raccolte in un'aiuola soleggiata del giardino e sistemate in un vaso rotondo, di porcellana candida, riposto su un treppiede incastrato tra la finestra e il letto, spargeva in camera sua un aroma ben noto, un aroma simile a quell’altro. E allora non era più riuscito a tenere a freno la curiosità.
Louis aveva la merce, la distribuiva a certi indirizzi...
Aveva preso a seguirlo per le vie di Parigi dove l'altro si muoveva a piedi e in fretta, nascondendosi in un sicuro anonimato, garantito da un copricapo e un mantello identici a quello di centinaia di parigini. Non aveva ottenuto grossi risultati vista la scarsa conoscenza della città, non aveva potuto infilarsi in scorciatoie o anfratti per nascondersi alla vista dell'amico che, prudente, a tratti si guardava le spalle ostentando indifferenza. Era rimasto spesso indietro e si era ritrovato ad imprecare a mezza voce quando lo aveva perduto in uno dei vicoli dietro Place des Vosges mentre un sole ridente pareva burlarsi delle sue misere doti di segugio dall'insegna in legno della Boulangerie Girard che gli dondolava pigramente sopra la testa.
Uscì nell'atrio e prese a salire le scale verso il piano superiore trascinando un po' la gamba destra. Gli faceva male dopo tutto quel vagabondare per la città.
Era il suo cruccio quella gamba!
Aveva maledetto continuamente la leggerissima zoppia che lo accompagnava dalla nascita e gli aveva impedito di arruolarsi e partecipare alle campagne contro la tirannia inglese, ancora di più dopo la morte del padre.
Ci sono tanti modi di combattere per la libertà – gli aveva ripetuto tante volte, l'ultima sull'uscio prima di partire di fronte alle sue lacrime gonfie di rabbia e impotenza.
Aprì la porta della sua stanza e sedette sul letto, accanto alla sacca da viaggio riempita a metà. Si era sempre sentito in colpa per non aver partecipato alla liberazione del proprio Paese quando erano arrivati addirittura dalla Francia per quello scopo! Il Paese di suo padre, caduto in una battaglia che lui non aveva potuto combattere, aveva aiutato il suo e quando gli si era presentata l'occasione di ricambiare il favore, non si era certo tirato indietro...

Si respirava un'aria frizzante l'estate in cui, di fatto, le ostilità sul suolo americano erano terminate. La pace sarebbe stata sancita definitivamente solo un anno più tardi con la firma del Trattato di Versailles ma le maglie dei reggimenti si erano fatte più lasse e i soldati erano liberi di affaccendarsi in tentativi di normalità. Nelle strade e negli animi c'era voglia di leggerezza, quella che passa anche per le cose più banali.
Amico mi offri da bere? I soldi li ho spesi per comprare i sigari”- l'accento, quello francese che gli risuonava nelle orecchie fin dalla nascita e che aveva seppellito insieme al padre, aveva spezzato all'improvviso i suoi pensieri rivolti ai due europei ospiti a casa dello zio.
Aveva alzato gli occhi, Baptiste, sulla divisa sdrucita ma inconfondibile dell'esercito di Luigi XVI addosso ad un giovane biondo che gli si era rivolto senza troppi complimenti. Sedeva su una botte, accanto all'ingresso di una locanda di poche pretese, quasi deserta in quel primo pomeriggio caldo di sole. Non lo aveva guardato quasi, intento com'era ad accendersi un sigaro ma, in risposta al suo silenzio sorpreso, aveva sollevato un sopracciglio rivolgendogli un sorriso impertinente.
Allora?”- lui, divertito dall'atteggiamento sfacciato in cui si riconosceva a sufficienza, si era lasciato coinvolgere.
Certo...perché no?”
Aveva ancora tra i denti l'ultima parola che l'altro, portandosi il pollice e l'indice alla bocca, aveva fischiato rumorosamente per richiamare l'attenzione di tre commilitoni accomodati a terra dietro l'angolo, contro il muro di mattoni rossi, ben felici di interrompere una partita a carte che tanto non avrebbe portato soldi in tasca a nessuno.
Lo avevano fregato, c'era poco da dire, ma non poteva certo tirarsi indietro dopo aver accettato. Comunque avevano combattuto tutti per la giusta causa del popolo americano quindi, perché no?
Si erano accomodati ad un tavolaccio nella veranda dove i vetri sostenuti da una scacchiera in legno radunavano i raggi del sole convogliandoli sui tavoli tanto da pensare fosse un trucco inscenato dall'oste per tentare di incrementare i guadagni. Si erano spogliati rapidamente delle giubbe e le avevano accumulate senza troppi complimenti su una sedia vuota. Poi avevano brindato alla libertà tante, troppe volte, finché le lingue si erano sciolte tra la schiuma amarognola.
...che ci torno a fare in Francia? Non sono morto in guerra e devo rientrare per morire di stenti in un villaggio sperduto tra le montagne?”- Michel, il soldato biondo, si era perso in un sorriso amaro e in chissà quali congetture - “...sapete che vi dico? Io mi fermo qui, tanto la guerra è finita...mica mi possono accusare di diserzione! Che ci tornino gli ufficiali in Francia, a farsi ricoprire d'oro quanto pesano per qualche merito che non gli spetta!”- e per l'ennesima volta i boccali si erano alzati all'unisono accompagnati da grida di giubilo.
Ma che dici!?!”- quello che sembrava il più vecchio del gruppo, il volto butterato forse dal vaiolo o forse da qualche altra causa senza nome, aveva battuto rumorosamente la mano sul tavolo facendo ondeggiare il liquido ambrato nei boccali.
Le cose cambieranno! Dai retta a me che mi chiamo come il re di Francia!”- aveva sbraitato sporgendosi verso il biondo al suo fianco.
Quanti Luigi d'oro...”- e sghignazzando in modo incontrollato, nascondendo il viso contro il petto, aveva impiegato diverso tempo prima di riuscire a biascicare parole sbronze, in grado soltanto di aumentarne l'ilarità.
...caspita che nome importante il mio...dicevo...quanti Luigi d'oro pensi siano stati spesi per questa guerra? Sarà la rovina della Francia questa guerra...della Francia e del suo re! Lo dicono anche degli uomini a Parigi, lo dicevano già prima che decidessi d'imbarcarmi...”
E quindi? Dovrei gioirne?”- il biondo, appena più sobrio. aveva inarcato un sopracciglio, scettico.
Quindi le cose cambieranno! Sarà l'inizio di una nuova era!”- un pugno sul tavolo voleva sottolineare l'importanza dell'affermazione.
E' vero! Me lo ha scritto anche mio fratello...c'è un tale che si chiama...si chiama...Robespierre...” Un'altra voce si era alzata, ancor meno sobria delle altre e che nessuno si aspettava portasse concetti degni di nota se si considerava l'aspetto dimesso e privo di ogni interesse del soldato.
Ti ricordi anche il nome? Vuol dire che non hai bevuto abbastanza! Butta giù!”
Lo ricordo perché somiglia al mio...Rob-ert Pierr-ault...”- con un gesto bislacco aveva allontanato il boccale che Louis, fosse stato per lui, gli avrebbe svuotato direttamente in gola e tentato di sillabare parole impastate dall'alcol, il terzo francese. Ma l'ilarità aveva raggiunto livelli incontrollabili, da consentire solo risate smodate senza lasciare più spazio per le parole. Baptiste che tra loro era quello con meno da dimenticare e perciò il più sobrio, non foss'altro che doveva essere lucido per mettere mano alla borsa del denaro, si era sentito fuori luogo tra gli altri che avevano combattuto anche per lui e si era sentito di voler ricambiare con ogni mezzo. E in quel momento di mezzi non ne aveva molti. Aveva solo potuto infilare una mano nella tasca interna della giacca estraendone un astuccio di pelle liscia.
Ne sono rimasti solo due, mi dispiace...”
E di cosa? Faremo un tiro per uno...sai che novità!”
Questa è roba di qualità amico...”- il soldato moro che si era presentato come Joachin espirava lentamente, ad occhi chiusi, con la testa poggiata contro il vetro alle sue spalle e l'aria di chi sa gustare ogni singolo respiro. I riccioli neri e la pelle ambrata parlavano di un'altra etnia e tradivano il sangue spagnolo ereditato dalla madre.
...ma giù dalle mie parti, c'è un tizio che...beh insomma, se fumi quella roba puoi pensare anche di essere tra le braccia della regina di Francia...”
Per quello basta chiedere a Louis...”- Michel, senza complimenti, aveva infilato un gomito sotto il costato dell’interessato facendolo gemere di dolore - “...lui si chiama come il re!”
Ed erano seguite altre risate sguaiate ed altri incontri, talvolta più sobri, talvolta molto meno quando Joachin riusciva a portarsi appresso quell’intruglio che odorava di viole.
Poi un giorno Louis e Robert si erano imbarcati per tornare in Europa ma nessuno aveva dimenticato ciò che era nato quel giorno in una locanda di poche pretese tra cinque giovani messi insieme dal caso.

Proprio per quello doveva andare a sud ma era inquieto.
Quel pensiero fisso...
I lineamenti fini...
Le mani esili ed eleganti che sorreggevano la tazza...
Possibile che ciò che era iniziato grazie e a sua insaputa, finisse comunque vicino ad André?

Porta sempre un cappuccio sugli occhi. Ha lineamenti fini, da donna ma la voce...quella è di un uomo...a meno che non sia molto brava a fingere...

***

“Signori, ho voluto incontrarvi per fare il punto della situazione riguardo una vicenda di cui siete tutti a conoscenza”
Oscar, ritta in mezzo alla stanza, con le mani dietro la schiena e quell'espressione concentrata era incredibilmente simile al padre, valutò André, ricordando giorni in cui era sufficiente la fredda compostezza del generale a far drizzare di paura i capelli di un bambino. Si rivolse al piccolo consesso in tono tranquillo ma lo sguardo fiero che faceva scorrere su ciascuno dei presenti le conferiva un timbro solenne tanto da indurre Alain a raddrizzarsi sulla sedia che, come al solito, occupava al contrario di fronte alla scrivania del suo capitano.
Sai che così mi concentro meglio – aveva risposto ad un’occhiata severa ma non troppo di André che aveva poi ritenuto più utile dedicarsi a far accomodare i due ospiti sul divano. Oltre a Tim Simmons, Oscar aveva ritenuto opportuno convocare anche Lassonne per scandagliare ogni possibilità e sperando, in cuor suo, in un connubio fortunato con il collega d'oltreoceano.
“Vi prego di perdonare il disturbo ma avevo bisogno di parlare anche con voi...”- Oscar si rivolse al medico americano che annuì tranquillo, più incuriosito che preoccupato.
“...so che André vi ha messo a parte del problema riscontrato tra i soldati di mio padre contando sulla vostra assoluta discrezione. E se lui si fida, allora io non posso fare diversamente”- a Lassonne sfuggì un sorriso compiaciuto che si affrettò a nascondere nel bavero della marsina. Non era certo affar suo ma non poteva evitare di sentirsi più leggero sapendo che il fardello caricato sulle spalle di quel giovane stava già perdendo consistenza.
“Ebbene, al dottor Lassonne che noi tre...” - con la mano disegnò nell'aria un semicerchio per racchiudervi i due uomini in divisa - “...abbiamo scortato sul posto dietro richiesta esplicita di mio padre, quella situazione fece fare una certa associazione...”- e con un cenno d'incoraggiamento Oscar passò la parola al proprio medico di famiglia ritirandosi contro lo stipite della finestra.
Lui annuì e dopo essersi schiarito la voce con un colpo di tosse discreto e strategico, un piccolo momento per raccogliere rapidamente pensieri che ancora non riusciva a tenere legati l'uno all'altro, iniziò ad esporre i propri ragionamenti, rivolgendosi soprattutto all’unico assente in occasione del loro viaggio a Compiègne.
“Sì...considerando quanti soldati sono stati interessati dal problema – esitò, Lassonne, ma non trovò un termine migliore per definire la situazione – il mio primo pensiero è stato per qualcosa che sia in grado di coinvolgere rapidamente un elevato numero di persone. Non conosco bene la situazione dalle vostre parti, ma qui in Europa la Claviceps puprurea è un vero flagello...”
Oscar diede le spalle al gruppo e si concentrò sui movimenti lenti del soldato giù nel piazzale. Solo una lieve tensione della mascella tradiva un ricordo che non se ne voleva andare anche se faceva appena meno male.
Tim Simmons, invece, annuì.
“Sì, ne sono a conoscenza...”
“Però ciò che ho visto a Compiègne si può ricondurre a tale calamità sono solo in minima parte...”
“Volete descrivere in che condizioni avete trovato i soldati di mio padre?”- Oscar lo incalzò, impaziente di nascondere quel dannato nome dietro ad altre parole e tentando di incanalare il discorso su un sentiero tracciato appositamente.
Lassonne iniziò a parlare lentamente e con dovizia di particolari; solo André che ne aveva seguito tutti i passi nelle tende, spalla a spalla con il generale Jarjayes, annuiva di tanto in tanto.
“La cosa singolare...”- riprese la parola Oscar, ritrovando il rigore dello stratega che delinea un percorso in un campo minato - “...è che mio padre non è stato minimamente toccato dal problema
“Quindi immagino sia da escludere l'approvvigionamento di cibo e bevande...”- tentò di seguire il ragionamento, Tim Simmons, affilando lo sguardo e sistemandosi con maggior agio sul divano, una volta compreso che non gli si stava chiedendo nulla più di un consulto e una diagnosi.
La prontezza di pensiero dell'americano le strappò un assenso soddisfatto.
“Esatto. C'è però un elemento che io...noi...”- ci avevano ragionato insieme, lei e André a quel particolare, con solo le camicie addosso tra le coltri aggrovigliate, e le venne spontaneo portarsi al suo fianco, dietro la scrivania dove lui si era accomodato su una seduta che lei, in un'occhiata muta, aveva rifiutato.
“...abbiamo individuato”
Alain drizzò le orecchie più vigile di quanto non fosse stato fino a quel momento ché le teorie di quel Lassonne già le aveva sentite. Era sicuro dovesse esserci dell'altro dietro quell'incontro.
“Non sono le vivande a fare la differenza. Da che ho memoria, mio padre fa uso di una particolare miscela di tabacco, sempre la stessa. E' un abitudinario...in tante cose”
Un sorriso di assenso spuntò sulle labbra di Lassonne che conosceva il Generale da prima di lei.
“Con questa certezza e con il suo aiuto ho fatto qualche indagine. Oltre ad appurare ciò che ho appena riferito, lui mi ha confermato che i pochi ufficiali e soldati non interessati dal problema, sono coloro che non fanno mai uso di tabacco...”
“Scusate, scusate Colonnello...”- la interruppe, Alain, in modo poco rispettoso ma la fretta di comprendere non permetteva altro.
“...intendete che la causa di tutto è il tabacco? Quello che sto per dire non mi fa onore ma...”- si interruppe di colpo, lanciando un'occhiata sbieca ad André.
“Farò finta di non sentire. Vai avanti, Alain”
“...Beh...dunque...in caserma entrano diverse cose, non sempre per le vie più battute...però...”
“Però quando riuscite a procurarvi del tabacco, non ci sono conseguenze spiacevoli, vero? Come quelle che anche tu hai visto a Compiègne...”- Oscar comprese all'istante ciò che il soldato imbarazzato stava cercando di dire. Lui annuì mentre la stima per quella donna particolare cresceva di un altro gradino.
“La cosa curiosa...”- intervenne André come prestabilito, indirizzando gli altri lungo quel percorso delineato insieme ad Oscar - “...è che grazie a Tim, il problema dei soldati mi ha ricordato una situazione analoga...”
“E quale?”- Alain lo guardava incredulo, domandandosi cosa mai c'entrasse l'americano, in Francia solo per caso. Gli stranieri in quella faccenda cominciavano ad essere decisamente troppi.
“Tim, per cortesia, puoi spiegare tu? Lo sai fare certo meglio di me”- con un cenno d'intesa André passò la parola all'altro.
“Esattamente una situazione analoga a quella dei soldati del generale...mi pare di capire...”- e iniziò a raccontare senza lesinare sui particolari e cercando gli assensi di Lassonne che gli confermavano le analogie, una per una, con quello strano morbo che colpiva i raccoglitori di tabacco che lavoravano a mani nude.
“E come si spiega?!? Non è che il reggimento del generale Jarjayes sia andato a raccogliere tabacco...”- intervenne Alain con fervore ché cominciava ad intuire contorni sproporzionati alle proprie capacità e il significato di certe parole che aveva udito a la Régence.
“No, certo che no. Infatti dobbiamo capire quale sia il collegamento tra queste situazioni così distanti. Anche ammettendo che il responsabile sia il tabacco, tra i consumatori abituali non si verificano problemi...avete suggerimenti in proposito?”- dai due uomini sul divano Oscar ottenne solo un diniego pensieroso. Allora lasciò che sulla stanza cadesse il silenzio per dar modo a ciascuno di sedimentare i discorsi e poi, quando li vide tutti con il capo chino, immersi in chissà quali congetture, scambiò uno sguardo d'intesa con André e riattaccò.
“Ci sarebbe un'altra cosa di cui diciamo sono venuta a conoscenza attraverso...fonti attendibili...”
Calcando sulle ultime parole Oscar fece due passi verso Lassonne, attendendo di incrociarne gli occhi prima di iniziare a raccontare di una città ferita, spesso a morte.
Nelle narici il sentore aromatico della salvia e quello forte e pungente dell'oppio.
Negli occhi la calda boiserie di una piccola bottega di Parigi.

“Ma cosa dite Colonnello!?! Cosa c'entra !?! La gente a Parigi muore di fame! I deboli, i bambini si ammalano e muoiono per colpa di chi ha ridotto la Francia in questo stato, non certo per colpa del tabacco o... - Alain si interruppe, rendendosi conto di essersi spinto troppo oltre e proprio con una delle poche persone che riusciva a guardare oltre la punta del suo naso blasonato. Inoltre un pensiero insinuante iniziò a tormentarlo, forse lo stesso che vide nello sguardo eloquente di André, depositario di ciò che le sue orecchie udivano nei locali di Parigi.
“Alain, modera i toni! E per favore racconta anche agli altri ciò che hai già detto a me...”- come diavolo facesse André a far valere il suo ruolo di superiore e intanto a pregarlo non lo avrebbe mai capito ma il soldato si grattò la fronte come se quel gesto fosse utile a spianare la strada alle parole e si apprestò a ragguagliare il gruppo.
“Dovrei raccontarti anche di ieri sera...”
“Un motivo in più per cominciare”
Alla fine del racconto Oscar sembrava avere due lame al posto degli occhi e Tim Simmons scuoteva il capo, incredulo.
“Non capisco...anche ammettendo che sia vero...non può essere così”
André aveva ascoltato Alain in silenzio piegandosi in avanti per poter poggiare i gomiti sulle ginocchia e rigirando tra le mani un foglio appallottolato destinato al caminetto, lasciando libera la mente di spaziare a certe sere dall'altra parte del mondo.

Il fuoco spento per non rivelare la posizione...
Storie narrate per non pensare che il domani poteva essere l'ultimo giorno sulla terra...
Racconti di nativi, di spiriti e di sciamani...
I suoi sorrisi sarcastici di fronte alla superstizione e a millantati contatti con divinità delle foreste...

“Tim, che tu sappia, esiste qualcosa - di meglio non poteva dire per definire ciò di cui non conosceva nemmeno l'esistenza - che, se usato in modo inappropriato, può essere responsabile di tutto ciò?”
L'americano scosse il capo, desolato.
“No, mi dispiace. Così su due piedi non mi viene in mente nulla”
“E Baptiste? Potrebbe saperlo?”
“Non vedo come...ma proverò a capire...domani partiamo, saremo soli e avrò tutto il tempo”
“Partite?”- intervenne Oscar sospettosa - “Avevo inteso non ci fossero navi in partenza...”
“Per l'America bisognerà aspettare ancora qualche settimana ma nell'attesa mio nipote vorrebbe visitare i luoghi di cui suo padre gli raccontava da bambino. Non vogliamo restare a casa del conte Fersen, ora che lui tornerà in Svezia...”- c'era la dignità tranquilla di chi è abituato a contare sulle proprie forze ad infarcire le parole di quell'uomo modesto.
“Dove andate esattamente?”- chiese Oscar secca, dibattuta tra la fiducia che sentiva di provare per lui e il sospetto suscitato dal racconto ambiguo di Alain.
“In Vandea”- non diede peso a quella destinazione, Tim Simmons, ma gli occhi dei tre militari si incrociarono guardinghi e consapevoli di nascondere tutti lo stesso pensiero.

Alain fino a quel momento era rimasto ben dritto con le braccia conserte strette al petto, sorretto dalla curiosità e dall'atteggiamento deciso di un comandante che, a tratti, si era rammaricato non fosse a capo della loro brigata. Sopraffatto dall'evidenza potesse esistere ancora qualcosa in grado di stupirlo, si accasciò sulla sedia e, in silenzio, puntò lo sguardo oltre i vetri, al giorno che iniziava a nascondersi dietro i tetti della città, rammentandogli un impegno che gli avrebbe dato modo di pensare a quell’assurda sequela di considerazioni. Già si vedeva adagiato contro un bastione a meditare sui discorsi appena fatti, nella tranquillità di una notte in cui tanto non sarebbe accaduto nulla, non di certo lì in caserma.
“Si è fatto tardi per me...”- facendo leva con le mani sullo schienale della sedia si sollevò lentamente precedendo gli altri che parevano in attesa solo di quel segnale per alzarsi e iniziare a raccogliere borse e mantelli, ciascuno assorto in pensieri che necessitavano di essere rivisti in solitudine.
“Li accompagno io”- dopo aver rivolto un saluto militare rapido e distratto tanto da sembrare indirizzato a nessuno, si chiuse la porta dietro le spalle con tutto il vigore che le sue spalle poderose suggerivano non potesse mancare ad un uomo di tale stazza.
Al tonfo dell'uscio Oscar si allontanò dalla finestra ed iniziò a percorrere la stanza in lungo e in largo con piglio accigliato e lo sguardo fisso al pavimento dove l'imbrunire stava cancellando le ombre disegnate dal pallido sole di febbraio.
Stringeva il labbro inferiore tra i denti modulando la pressione della presa quasi potesse, in quel modo, fissare i pensieri più significativi in un elenco ordinato, da ripercorrere più volte prima di esternarlo ad alta voce.
Raggiunta la sedia che Alain aveva occupato fino a poco prima, vi si lasciò cadere in quella posizione scomposta ma comoda che assumeva spesso prima di indossare l'uniforme, prima che il rigore militare intaccasse anche la spontaneità degli atteggiamenti, con i gomiti poggiati sullo schienale e le mani a coppa sotto il mento per sostenere il viso e quei crucci che a ripensarci avrebbero fatto solo sorridere.
“Ma ti rendi conto?!? Se le cose stanno come pensiamo è quasi impossibile tornare indietro!”- passò le dita sul volto provato e sugli occhi stanchi dalle troppe congetture.
“Il re dovrebbe dare segnali di cambiamento...segnali importanti...tassare i nobili, ridurre il divario sociale...dovrebbe...”
“Lo so...e nonostante tutto potrebbe già essere troppo tardi...”- condivideva la stessa inquietudine profonda, André, e si sarebbe preso volentieri sulle spalle il peso che vedeva opprimere quelle di lei, scosse da un sussulto impercettibile sotto l’uniforme.
Non rispose Oscar, come non aveva risposto in tante altre occasioni in cui aveva assistito allo spettacolo della sua schiena flessuosa che si irrigidiva sotto la spinta di tormenti da non rivelare e dei pugni che afferravano il vuoto nel vano di una finestra, stagliata contro un tramonto rosso o una notte buia, di primavera, quando quell'uniforme ancora doveva decidere se indossarla. Gli aveva chiesto di non chiudere i vetri, quella notte, per lasciar entrare le raffiche di vento a scuotere il suo animo giovane e tormentato e a scacciare con un'altra tempesta quella che le infuriava nel cuore.
E lui aveva solo potuto annusare l'odore del temporale nell'aria satura di tensione e dei sentori di una nuova stagione, offrendole in silenzio il conforto di una presenza vicina ma sempre un passo troppo distante.
Invece adesso che quella schiena avrebbe potuto tratteggiarla a carboncino, con tutti i chiaroscuri rubati alla luce dell'alba o con le ombre calde sfumate dalle candele sulla pelle nuda, adesso che conosceva l'asperità delle scapole e la morbida tenerezza dei fianchi, le si avvicinò perché lo avvertisse anche lì, in una stanza spoglia e sconosciuta, un po' di ciò che esisteva tra loro, che vibrava in ogni tocco, in ogni sguardo, nelle sensazioni sottopelle.
Si avvicinò alla sedia e prese posto dietro di lei, raccogliendo tra le braccia la vita sottile e obbligandola a schiacciare piano il ventre contro lo schienale per farle avvertire tutta la solidità del loro essere insieme, l'impossibilità di cadere, la fermezza di una scelta.
Lei, sempre.
Lei, che da quella primavera lontana, ogni temporale portava il suo nome.
Lei, avvezza a stare sola, che avvertì fremere di sorpresa per quel contatto inatteso ma che subito si rilassò un poco contro il suo petto.
“...e io non posso fare niente...”- strinse i pugni contro le palpebre chiuse, Oscar, mentre un disagio ormai noto la riportava in una casa umile, lontano da Parigi.
“Non è vero...hai già fatto tanto...”- tento di placarne l’animo inquieto, André, ma lei scosse il capo, preoccupata e tesa, perché no, non era così che doveva essere.
“...e sarei molto curioso di vederti aggirare misteriosa, in abiti scuri, per le vie di Parigi...”- sentì che le sfuggiva un sorriso tra il viso e le mani e, soddisfatto, nascose un altro sorriso, gemello, tra i suoi capelli.
“Non deve essere così...ti ricordi di Gilbert?”- in un istante recuperò il tono secco ché era la rabbia a parlare e a sbiancarle le nocche delle dita artigliate al legno della sedia. Montava ancora, dopo tanti anni, identica a quella che nelle campagne di Arras aveva affidato a lacrime sparse nel vento.
“E come potrei dimenticarlo? Anche allora hai fatto tutto il possibile...non puoi cambiare il mondo da sola...”- mormorò lui con la fronte poggiata sulla nuca bionda.
“...ma io ci sarò per te, per le tue battaglie...le nostre...fino all'ultimo dei miei giorni...”
Si voltò Oscar, quel tanto che la presa di lui le consentiva e lo osservò seria, scrutando ogni dettaglio del viso così vicino...talmente vicino...

Fino all'ultimo dei miei giorni…

Così vicino da vedere lo sguardo limpido fisso sugli ideali che nutrivano i sogni di entrambi, sulla libertà e l’uguaglianza che li avevano visti crescere, amarsi prima ancora di dirselo, separarsi per comprendere che non era possibile lasciarsi.
Quegli ideali che ora alimentavano il loro mondo, fatto di sorrisi complici e baci sulla pelle nuda, tra ferite mai guarite e sfide per guadagnare il futuro che avrebbero voluto guardare in faccia.
Annuì piano, Oscar. Per lei era lo stesso.
Così vicino...da non poter stargli lontano e da far barcollare le labbra pur di farle cadere sulle sue.
Da volerli subito, in una stanza spoglia e sconosciuta, quei baci così profondi capaci di scaldare la bocca e la mente e le carezze in grado di raggiungere il luogo più intimo dell'anima.
Da farsi sedurre da quell’unione di aspirazioni e di intenti che era il loro fare l’amore.
Da farsi ammaliare dalla certezza di poter fronteggiare con lui il fuoco di qualsiasi battaglia perché non ne esisteva uno più grande di quello che li divorava entrambi.
“Non vuoi andare a casa? Abbiamo tutto il tempo...”- André la fermò dolcemente, forzando lievemente le mani sulle gote lisce per allontanarla quel tanto che bastava da accarezzarle le labbra con le parole.

Abbiamo tutto il tempo…

La sera prometteva di essere limpida.
Nessun tuono in lontananza avrebbe potuto ribattere con un mormorio contrariato
Con un monito sommesso
Con una minaccia imprevedibile come una burrasca quando il cielo è sereno fino all'orizzonte
E allora perché tra le sue braccia dove non avrebbe dovuto esserci nient'altro che lei, così come era stato in quel risveglio arruffato con i rumori della città smorzati dalla pioggia, avvertiva il timore di un lampo a squarciare il cielo sopra le loro teste, a dividerne i cammini, per sempre...
No, non voleva andare a casa.

Abbiamo tutto il tempo…
Il tempo era stato nemico...ma anche alleato...
Tutto il tempo...
Ma se tutto ha una fine...

E non voleva neanche parlare.
Scosse il capo e lo zittì afferrando con le labbra quelle poche parole e la sua bocca e, incastrando le dita negli spazi tra le sue, ne accompagnò la mano in una lenta discesa sull'uniforme vermiglia fino a lasciarla scivolare sulla stoffa candida che le rivestiva le cosce.

***

Quando Alain, dopo aver ordinato alle due reclute di compiere il giro del perimetro ponendo particolare attenzione a tratti in cui di sicuro non sarebbe accaduto nulla, si fu appostato nel suo punto di osservazione preferito, compiacendosi della bellezza di quella notte stellata, notò due figure, vicinissime, dirigersi verso le scuderie. La luce chiara della luna tingeva di riflessi azzurrati ciò che rimaneva dell’ultima nevicata e la chioma fluente del colonnello.
Si grattò la testa, turbato, chiedendosi quale improcrastinabile motivo li avesse trattenuti in caserma fino a quell’ora quando, improvvisamente, capì.
Era tutto in quel bacio che si scambiarono contro la porta della stalla contando sul riparo del buio e sul cortile deserto. Ma non era tanto per il bacio, di quelli ne aveva visti tanti, quanto per ciò che ne seguì. Quello stare vicini, fronte contro fronte ad occhi chiusi, respirandosi come se l'aria della notte non bastasse a sopravvivere.
Dall’alto del bastione Alain esplose in una risata sommessa ricordando una sua battuta balorda sulla strada per Compiègne
(*)

 

(*) Capitolo 16

Grazie a chi è arrivato fin qui e ancora ha voglia di leggere sopportando i miei tempi impossibili.
Tanto per avere un orizzonte, posso dire che mancano pochissimi capitoli alla fine, meno delle dita di una mano.

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Capitolo 25 ***


 

Erano trascorse oltre due settimane da che gli americani si erano messi in viaggio verso sud e una primavera capricciosa spazzava il cielo da giorni, raccogliendo in un angolo cumuli di nuvole logore, impaziente di lucidare la volta azzurra per tingerla di una sfumatura incredibilmente tersa, adatta alle pennellate di colore già distribuite nei giardini e nei viali.
Anche quel mattino il vento di marzo sibilava tra i rami spruzzati di verde sferzando le strade e la pelle; correva veloce fino a perdersi in fondo alla via per poi tornare indietro di rincorsa, increspando la superficie del fiume, a sferrare un altro affondo, ininterrottamente.
Nel suo tragitto verso la caserma André procedeva a testa bassa sfiorando quasi, con la fronte, la criniera scura del cavallo nel tentativo di contrastare le folate più insidiose che infilavano grani di polvere sotto le palpebre a grattare le iridi già provate da una notte bianca.
L'ululato assiduo dei turbini d'aria che si insinuavano sotto gli scuri facendoli vibrare incessantemente non gli aveva dato tregua così come il rigirarsi discreto ma continuo di Oscar al suo fianco che, sbuffando, non ci aveva messo molto ad incolpare il rumore là fuori della difficoltà a prendere sonno.
Fingendo di crederle e fingendo lei credesse che lui le credeva, non l’aveva contraddetta. Ma che quel suo tramestio fosse dovuto a ben altro era noto ad entrambi e, almeno per quella sera, nulla c'entrava l'apprensione per i risvolti della faccenda che erano impazienti di risolvere augurandosi ogni giorno di ricevere notizie anche solo vagamente significative da Tim Simmons.

Sono sicuro che andrà tutto bene – glielo aveva detto a notte fonda, con gli occhi aperti sul soffitto dove non arrivava la luce fioca dell’ultima candela, senza scostarsi dalla sua posizione rilassata e dalla sua parte di letto perché lei potesse macerare in ogni dubbio e in ciascuna convinzione fino a placare ogni battito d'inquietudine. E mentre avvertiva il materasso cedere sotto il peso dei suoi movimenti leggeri, non aveva potuto fare a meno di figurarsela tutte le altre volte in cui lei probabilmente si era rigirata nel buio, in una stanza vuota, per poi comparire al mattino con le decisioni già prese, la determinazione di una scelta stampata sul viso e impressa in ogni passo della sua andatura marziale.
A tutte le volte che era certo di conoscere e a quelle che poteva solo immaginare.

Anch'io - era stata la risposta ferma di lei, girata di schiena.

Aveva sorriso, nel buio, di quella sicurezza caparbia, tanto facile da esternare a parole ma evidentemente non altrettanto da far propria fino in fondo. D'altronde, al netto delle salde convinzioni che l'animavano, solo uno stolto non avrebbe avuto dubbi e non si sarebbe posto alcuna domanda. E lei stolta non lo era mai stata.

Allora perché non provi a dormire? - aveva suggerito sollevandosi e cercando a tentoni la camicia in fondo al letto ché con l'ultima giravolta lei si era trascinata appresso le coltri lasciandolo scoperto della vita in su.

Cosa fai?- il movimento insolito l'aveva indotta a voltarsi sull'altro fianco obbligando gli occhi ad adattarsi al chiarore tremulo dell'unica fiamma per cercare di comprenderne la ragione.

Mi metto qualcosa addosso o mi farai prendere un malanno!

Il rimprovero era giocoso ma lei si era sentita punta sul vivo, quasi colpevole di non riuscire a domare la trepidazione a differenza di tutte le altre notti insonni della sua vita. Ma allora era stato facile fingere una sicurezza scevra da ogni ombra; allora non c'era nessuno che potesse anche solo insinuare il contrario.

Scusami...no, lascia stare...- gli si era avvicinata sistemando le coltri poi, forzandolo a coricarsi con la pressione lieve di una mano al centro del petto, gli si era raggomitolata accanto, certa di non voler rinunciare a quel contatto di pelle contro pelle che caratterizzava le loro notti e, in un ringraziamento muto per la sua tolleranza verso quelle ore inquiete, gli aveva posato un bacio sulla spalla allungando un braccio a cingergli la vita.

Stai cercando di scaldarmi o di distrarti?- l'espressione divertita celata dal buio ma che lei doveva aveva colto nel timbro velato di un’indifferenza bugiarda, le aveva dato il coraggio di inoltrarsi su quel terreno che sentiva sempre più suo, fatto di parole segrete e desideri espressi contro l’orecchio, dei quali ancora un po' si vergognava ma che così, soffiati piano, le parevano quasi meno audaci.

Credo entrambe le cose. Vuoi aiutarmi?- aveva nascosto il viso nel cuscino, Oscar, prima di lasciarsi prendere da quella nuova forma di complicità spudorata che li univa e sorridere a sua volta contro la sua pelle.

Se ti aiuto finiremo con l'addormentarci molto tardi...- aveva tentato di ammonirla mentre si girava su un fianco, per averla di fronte e avvolgerla in una lunga carezza che scendeva dal collo attraverso la china liscia della schiena fin giù, tra le curve dolci dove già si raccoglievano i brividi.

Tanto non riusciamo a prendere sonno...

Allora aveva continuato piano la sua discesa lungo la coscia e accompagnato la gamba nuda su di sé, a cingergli il fianco per vestirsi del suo calore e della sua tenerezza. Ma in un qualche momento di quella notte, nel languore dell’amore appena consumato, dovevano essersi addormentati perché non l'aveva sentita alzarsi. Si era accorto della sua presenza in piedi accanto al letto solo quando gli aveva sfiorato le labbra già vestita di tutto punto.
Aveva allungato una mano per afferrare quella di lei, ancora china sul suo viso, ed affidare ad una stretta fugace tutto il suo sostegno e la sua forza. In quel movimento ancora annebbiato le dita si erano impigliate nel polsino della giacca e allora si era costretto ad aprire gli occhi, arrendendosi al fatto di non poter seguire l'abitudine riscoperta da poco di farsi guidare dal suo profumo.

Sei già pronta? E’ così presto...

Sì, non voglio far tardi

Sorrise, André, al ricordo dei suoi occhi splendenti nella luce livida del primissimo mattino, accesi di tensione e di eccitazione. Le aveva viste entrambe dietro lo sguardo trasparente. Dio, così trasparente ora che non gli nascondeva più nulla, neanche la più piccola emozione!

E pensare a tutte le volte che si erano presi a pugni per farle uscire! Tutte quelle che non voleva e non poteva manifestare in altro modo. E in riva al lago...se le erano date di santa ragione quel giorno in riva al lago.

Anche allora era primavera.

Conosco quello sguardo, colpisci...avanti Oscar...colpisci!

Era apparsa rapida l’immagine di lei, adolescente diafana in quell’alba lucida, lavata da un temporale già spazzato via ma che ancora le tuonava nel cuore.
E anche un po' nel suo.
Appariva quasi irreale, lei, con addosso lo stesso verde del bosco alle sue spalle, il petto che si alzava ripetutamente al ritmo affannato del respiro, la bocca schiusa, ansante per lo sforzo e le guance arrossate, in un'immagine perfetta che allora non poteva sapere sarebbe stata la stessa che avrebbe potuto ammirare ogni ogni notte stringendola nuda tra le braccia.
Un'immagine in cui lei era bella come lo era ancora in quell'epoca in cui il mondo erano loro due, loro soltanto. E non era forse ancora così per due come loro che non avevano neanche dovuto scegliersi ma si erano ritrovati uno accanto all'altra, mossi dalle spire ineluttabili del destino, senza possibilità di scampo alcuno?

Va bene, non ti trattengo – le aveva detto carezzandole il palmo con la punta delle dita e allora era stata lei a chiudere la mano per aggrapparsi un istante e portarsi via un po’ di ciò che saturava quella stanza e le colorava gli occhi di cobalto puro come quel frammento di cielo fuori dall’abbaino ancora spolverato dalle ultime stelle e come la giubba che gli aveva fatto scivolare dalle spalle ore prima, adagiata sulla poltroncina in fondo alla stanza.
Poi lei era uscita.
Presto, molto prima del necessario, ma la capiva perfettamente.
Mentre la osservava aprire la porta senza voltarsi indietro non aveva potuto non pensare a come certi momenti della loro vita, momenti feroci e delicati insieme, avessero tutti come sfondo quella stagione. Se chiudeva gli occhi li vedeva ancora i petali rosati dei meli in fiore che danzavano nella brezza e spianavano la strada verso la reggia, quel giorno che si erano lasciati l'infanzia alle spalle nelle vesti di comandante e attendente.

E poi…

E poi riusciva a sentire, più nitido che mai, il profumo dei tigli sfumato in quello di lei, insieme ad un piccolo dolore che gli si allargava nel petto.

Ancora

Sempre

Una folata più forte lo costrinse ad aggrapparsi meglio alle briglie mentre cumuli soffici e bianchi si lasciavano trascinare lontano, in balia dell'intensità delle raffiche. Anche il pensiero di lei si lasciò deviare altrove, a quella stessa mano affusolata che aveva cercato, furtiva, la sua tra le pieghe del mantello e l'aveva stretta forte davanti al bancone di quella bottega riscaldata dal ciliegio della boiserie, nell'aria odorosa, densa di effluvi, mentre attendevano che l'apothicaire Gattilier terminasse di comporre un involto da consegnare tra le mani di una ragazza minuta, dai capelli raccolti in una lunga treccia acciambellata sulla nuca e con il grembiule che spuntava da sotto lo scialle lungo fino alle ginocchia e la identificava come cameriera di qualche famiglia nobile inviata a svolgere commissioni in giro per la città.
Si era voltato a guardarla piano, lievemente allarmato per quella presa spasmodica ma lei era rimasta ferma nella sua compostezza mentre lo sguardo vagava su una serie di vasi di maiolica, lievemente sbeccati, sapientemente pennellati in motivi floreali e fronde arboree che fungevano da cornice a vele di antiche galee.
Quella visita alla bottega era avvenuta due giorni dopo la partenza degli americani. Era successo che lei lo aveva trascinato nella viuzza dietro l'abbazia di Saint Germain e lì probabilmente avevano risolto parte della faccenda. Ora erano a conoscenza di un nome, un nome esotico che sulle labbra risultava addirittura divertente come certe parole buffe e insensate che avevano inventato da bambini.

“Vi ricordate di me Monsieur?”- Oscar si era fatta avanti, accostandosi al bancone non appena la ragazza con il grembiule aveva abbandonato il locale con un saluto garbato

“Certamente Monsieur. In cosa posso servirvi?”- l'apothicaire non aveva avuto dubbi; anche se l'abbigliamento quella volta era diverso non aveva esitato a riconoscere lo sguardo acceso e tormentato dietro la calma apparente.

“Avrei bisogno di parlare con voi di una questione...”

L'uomo aveva annuito lanciando un'occhiata all'orologio sulla mensola di fronte al bancone.

“In questo caso devo farvi attendere. Ancora mezz'ora, poi vi potrò dedicare tutto il tempo che vorrete”

Dopo un rapido consulto alle lancette e stupiti fosse in realtà tanto presto, si erano diretti verso l'uscio predisponendosi ad attendere in strada. L'ansia di non arrivare in tempo li aveva fatti correre e, alla fine del suo turno, insieme a lei che lo aveva atteso in strada, si erano precipitati a quell'indirizzo non lontano dal fiume.
Lui con ancora addosso l'uniforme, lei in abiti civili.
Non aveva avuto bisogno della divisa lei; non era stata alla reggia quel giorno e nemmeno i successivi ma la sera precedente lo aveva raggiunto a casa con una sacca gonfia solo in parte di abiti. Vi aveva tolto pagine di annotazioni, un rotolo ripiegato con tutta l'aria di essere una carta geografica e un paio di tomi che ancora recavano tracce di polvere, segno inequivocabile che per decenni erano stati ospiti dell'ultimo scaffale in alto della biblioteca, quello a cui nessuna servetta arrivava, tanto nessuno si sarebbe accorto che lo straccio non era stato passato sulle nervature in rilievo. Quello a cui nemmeno loro si erano mai interessati, ritenendo molto più intriganti le vetrine chiuse a chiave, un'attrazione irresistibile per gli adolescenti curiosi che erano stati. Aveva inclinato il capo per poter leggere meglio le lettere dorate combinate nel nome dell'autore su una delle caselle del dorso.

Linneo

E aveva sorriso, lievemente disorientato dal vederla imbandire il tavolino dell'unico salotto con tutto il materiale che si era portata appresso e, poggiandosi allo stipite della porta a braccia conserte, ne aveva osservato i movimenti pensando a quanto sarebbe stato bello trovare un po' di lei in ogni stanza, tutti i giorni.

“Sono stata a corte oggi André, ho parlato con Sua Maestà la Regina...”

Non aveva commentato, lo sapeva e forse si aspettava anche il seguito.

“...ora ho un po' di tempo per sistemare tutto e per provare ad arrivare a capo di questa faccenda”

Il giorno dopo lo aveva trascinato davanti a quella bottega di cui avevano atteso l'orario di chiusura nel vicolo attiguo alla strada principale, in un silenzio interrotto solo dagli sbuffi di impazienza di lei poggiata di schiena al muro di fronte a quello che stava sorreggendo lui.
Quante altre volte lei doveva essere stata lì...
Si era sorpreso ad immaginare l'eco dei suoi passi sul selciato proveniente da sere come quella, perse nel tempo, dopo una giornata iniziata davanti ad una croce di pietra; l'aveva vista bussare alla stessa porta dalla quale erano appena usciti per poi avviarsi verso chissà quale destinazione nella parte più ombrosa della città delle luci, schivando gli sguardi e misurando le parole.
E lui dov'era in quelle sere?
La smania struggente di stringerla aveva vinto su ogni cosa. Sui lampioni già accesi che svelavano gli angoli bui, sui passanti che sfilavano davanti al vicolo, sul suo abbigliamento maschile.
La viuzza era angusta ed era bastato muovere un passo per afferrarle una mano e tirarsela addosso.

“Cosa succede?”- il tono allarmato si era sciolto in fondo a quell'abbraccio, insieme alla sua impazienza.

“Niente, non succede niente. Stai qui, solo per un attimo”

Lei aveva capito ed era restata.

E lui dov'era in quelle sere?

Era affondata nel suo mantello spingendolo contro il muro reso friabile dall'umidità del fiume, tanto da lasciar cadere briciole di polvere grigia tra i capelli ché quella domanda struggente e disperata era stata anche la sua.

“C'eri anche tu. Eri qui...con me...”

“Non è vero...io...”- ancora si avvertiva un'eco di rabbia tra i denti, quella di non aver compreso a fondo, di averla lasciata sola.

Ma lei non gli aveva lasciato modo di ribattere levandogli il tormento dalla bocca con la sua, sciogliendo lo strazio dell'anima in un languore del corpo poi, con le labbra umide, si era scostata sorridendo e aveva nascosto nel suo collo il viso acceso da un pensiero improvviso.

“Dio mio André, ci metteremo nei guai...qui in città...guardami...”

Lui aveva scrollato le spalle senza lasciarla.

“Ti guardo, ti vedo...e da sempre mi chiedo come si possa non capire che sei la donna più bella del regno, anche con questi abiti e poi...”- si era fermato per assaporare quel lampo di emozione che le era passato sul viso ma non era riuscito ad aggiungere altro perché un clangore di chiavi che giravano in una serratura, più giù nel vicolo, aveva attratto la loro attenzione. Da una porta quasi invisibile tanto si uniformava con la pietra circostante si era affacciato lo speziale.

“Ah siete qui, pensavo ve ne foste andati. Prego accomodatevi, questo è il mio retrobottega, non è enorme ma almeno vi posso far sedere...” - e così dicendo, mentre i due ospiti si guardavano intorno curiosi, aveva spolverato velocemente due sgabelli e li aveva fatti accomodare, poi il suo ruolo di padrone di casa gli aveva imposto di iniziare la conversazione.

“E' accaduto qualcosa a Mademoiselle Rosalie? Viene lei di solito, l'ho veduta spesso ultimamente”

Loro si erano scambiati uno sguardo fugace e Oscar aveva ribattuto.

“Spesso?”

“Beh...ci sono periodi in cui la vedo più spesso, altri meno...”

“Sempre per lo stesso motivo?”

“Sì...almeno stando a ciò che mi ha raccontato. Sempre le stesse situazioni, quelle che conoscete anche voi”

“Che somigliano a ciò che vi ha riferito Lassonne qualche settimana fa, riguardo un reggimento accampato non lontano da Parigi, non è vero?”

L'apothicaire si era ritratto nelle spalle guardingo, in un moto di ritrosia che non era passato inosservato e aveva lasciato intuire i suoi dubbi riguardo quanto fosse saggio proseguire.

“Non vi angustiate. Si tratta del reggimento di mio padre. Io sono...”- vacillò Oscar, non sapendo bene come presentarsi in quel momento - “...sono Oscar François de Jarjayes...sono un ufficiale del Regno e mio padre, il generale Jarjayes è a capo di quel battaglione. Lui.. - rivolse lo sguardo ad André seduto poco distante e in quei pochi attimi, proprio quando si presentava con un nome da uomo, l'apothicaire a cui mai, in tutte le volte che aveva visitato la sua bottega, erano sorti dubbi a riguardo, trovò inaspettatamente sul suo volto la dolcezza di una donna - “...lui è André Grandier, capitano della Guardia Metropolitana. Anche noi siamo a conoscenza della vicenda”

L’uomo li squadrò entrambi e annuì scorgendo la divisa e stivali indubbiamente militari sotto il mantello di André.

“Avete scoperto l'origine del problema?”- ad Oscar non sfuggì come anche a quell'uomo esperto della materia non riuscisse di trovare un termine migliore, perdonandosi in silenzio per quell'approssimazione che ancora non riusciva a correggere.

“Non ancora. Proprio per questo siamo qui”

L'apothicaire strinse gli occhi dietro gli occhiali tondi, sgomberò rapidamente una panca nascosta da alcuni sacchi e si predispose ad ascoltare poggiandosi contro il muro alle sue spalle.

“C'è una cosa che riteniamo importante...” - e raccontò Oscar, raccontò con calma e metodo le loro osservazioni, elencò tutti i punti e i ragionamenti.

“...e alla fine di tutto vi chiedo se voi siete a conoscenza, se esiste...qualcosa che possa essere responsabile di tutto ciò. Non potrebbe essere che...insomma, come si fuma l'oppio...non potrebbe essere che esista altro...che...si usi allo stesso modo? O qualcosa che normalmente ha un altro utilizzo ma se usato in modo improprio...”- Oscar aveva lasciato la frase in sospeso non sapendo bene dove andare a parare; in fin dei conti erano solo supposizioni quelle che lei e André facevano da giorni.

L'ometto ossuto incrociò le braccia con aria grave e con una folla di pensieri che gli si assembrava dietro le lenti.

“Mi state chiedendo se io sia a conoscenza dell'esistenza di qualcosa che se assunto per sbaglio o all'insaputa di chi lo utilizza, sia responsabile dei fenomeni che abbiamo elencato?”

“Sì, esattamente...”- Oscar lo guardava speranzosa perché aveva intuito una crepa nell'impassibilità del suo interlocutore che, infatti, rilasciò un lungo sospiro lasciando intuire il suo tormento.

“Vedete Messieurs, la mia attività mi porta a conoscere persone che...insomma...non faccio nulla di male...è solo a scopo di conoscenza...”

“Non una parola uscirà da questa bottega, state tranquillo”- a parlare era stata Oscar che a quel punto avrebbe perdonato anche il diavolo in persona pur di arrivare a capo di quella matassa.

“Ecco...quando si mette piede in un nuovo continente, un nuovo mondo...non si tratta solo di conquistarne i territori. Insieme ad essi si acquisisce un patrimonio inestimabile. Ci sono intere squadre di studiosi...naturalisti, botanici...spesso di varie nazioni, che grazie ad accordi tra i governi raccolgono e catalogano i più disparati elementi della flora e della fauna in svariate parti del mondo”

André aveva annuito ricordando un gruppo di giovani entusiasti con i quali più volte aveva condiviso serate cullate dalle onde per sviare la mente e schivare il ricordo di una notte che non avrebbe dovuto esistere e invece pungeva di continuo, più viva che mai.

“Ogni mondo racchiude un'infinità di segreti e io...cerco di scoprirne qualcuno. Potrebbe essere utile e poi...”- aveva fatto una pausa, l'apothicaire, riluttante a confessare il suo desiderio più intimo a due sconosciuti così lontani dal suo mondo e digiuni di quella che era la sua quotidianità.

Poi, con la vaga illusione di poter realizzare quell'ispirazione con ciò che stava per dire, aveva continuato - “...ho dei figli, un'arte da tramandare...un nome da onorare...”- tentennava ancora vagliando quale fossero le parole giuste e gli esempi più calzanti per convincerli dell'importanza delle sue scelte.

Oscar lo ascoltava seria, valutando quanto quei desideri non fossero molto diversi da quelli di suo padre. Entrambi, ciascuno con la propria abilità e il proprio ruolo si dedicavano, al meglio delle proprie possibilità, a non finire inghiottiti dai gorghi del tempo.
Dopo qualche istante di silenzio, l'uomo si era appigliato ad un esempio che riteneva fosse noto a tutti.

“Prima della spedizione di Colombo nessuno conosceva il tabacco comune e prima che il nostro connazionale Jean Nicot, ambasciatore in Portogallo, ormai un paio di secoli fa, lo inviasse alla regina Caterina come rimedio per trattare le terribili emicranie di cui soffriva uno dei figli...nessuno era a conoscenza di questo suo utilizzo...”

“State parlando della regina consorte di Enrico II di Valois?”- si interessò André, avvezzo a ricordare senza difficoltà nomi e alberi genealogici e a subire, per questo, l'invidia stizzosa della sua compagna di studi al termine di ogni lezione di storia.

“Sì, la regina che ha generato ben tre sovrani. Questa, converrete, è una cosa del tutto singolare che sottolinea come i suoi figli fossero cagionevoli di salute...ebbene, uno di questi, re Francesco II, venne trattato a lungo con polvere di tabacco per il suddetto problema”

“Tornando ai giorni nostri Monsieur, di questi segreti celati nel mondo...ne avete scoperto qualcuno?”- Oscar aveva seguito ogni parola intuendo a cosa stesse mirando lo speziale e sperando ciò coincidesse con l'obbiettivo di quella visita.

“Io...sì...qualcuno sì, credo di sì...”- l'apothicaire si era voltato per un istante verso una porta socchiusa su una stanza delle dimensioni di uno sgabuzzino e aveva sorriso con affetto e soddisfazione ad una serie di alambicchi, imbuti e vetreria di vario genere mentre gli occhi gli si accendevano come potessero concentrare tutta l'energia di quel corpo segaligno.

“ma...è complicato spiegarlo a chi non mastica la materia...spero non vi offendiate...”- era tornato a guardarli con l'educata compostezza di chi sa quel che dice.

“Non ci offendiamo Monsieur, a ciascuno il suo mestiere, no? Se ritenete di poterci mettere sulla strada giusta...”- era stata Oscar ad incoraggiare la spiegazione, sistemandosi meglio sullo sgabello, decisamente striminzito per le sue gambe lunghe.

L'apothicaire si era alzato e raggiunto uno scaffale, aveva afferrato un piccolo sacco di iuta chiuso da una cordicella alla quale era appeso un cartoncino giallastro per poi riprendere posto di fronte a loro.

“Questo forse potrebbe fare al caso nostro. L'ho avuto, insieme ad altre cose, tramite conoscenti...”

“Non importa ci diciate chi siano...”- l'uomo aveva annuito, sollevato dalla concessione di Oscar.

“Viene dai territori della Nuova Spagna. Là lo utilizzano i nativi, almeno così mi è stato detto”- André si era fatto ancora più attento sperando di trovare conferma ad un suo sospetto legato a racconti che non ci aveva messo molto a razionalizzare, riducendo apparizioni ultraterrene all’effetto di calumet colmi di miscele ignote, volte a raggiungere uno stato di estasi più o meno fittizia e poi millantare esperienze visionarie, necessarie a mantenere quell'aura divina di chi è stato designato della prerogativa di entrare in contatto con il mondo degli spiriti.

“Per rituali sciamanici?”

“Sì, anche...è una pianta da fumo. Se mi devo attenere alle caratteristiche delle foglie che ho ricevuto posso dire sia simile al tabacco tradizionale ma...con alcuni esperimenti ho scoperto che questo è molto più potente...”

“Vi potete spiegare meglio?”

“Ecco...”- l'uomo era restio, si notava quanto fosse abituato a tenere gelosamente per sé le proprie osservazioni.

“...Parigi pullula di topi, lo sapete no? Io...è l'unico modo che ho per valutare gli effetti di queste piante sconosciute”

Gli ospiti pendevano dalle sue labbra e l'uomo che ancora stringeva il sacchetto tra le mani aveva proseguito, inorgoglito da quell'attenzione.

“Ho mescolato questa polvere insieme al cibo...pane o quello che avevo a disposizione...in diverse quantità. Poi ho fatto lo stesso con il tabacco tradizionale, quello di cui anch'io faccio uso talvolta. Ebbene, a parità di quantità...e badate che parlo di quantità molto ridotte, con questo...”- e aveva fatto ondeggiare davanti ai loro occhi il sacchetto di iuta - “...con questo i topi muoiono!”

André aveva affilato lo sguardo intuendo la portata dell'osservazione - “E con l'altro?”

“Con l'altro sembrano perdere la voglia di muoversi, o tremano visibilmente e ho trovato tracce di vomito nelle gabbie...nonché escrementi in quantità...”

“Quindi Monsieur, ascoltatemi bene...”- era stato André a parlare, ordinando eventi che partivano da un altro continente - “...sappiamo per certo che il tabacco tradizionale può essere dannoso a contatto con la pelle e, voi ora affermate perché lo avete visto sui topi, anche se ingerito. Ma non nel suo utilizzo più comune, giusto?”

“Sì, è corretto. Il tabacco da fumo se usato a questo scopo non dà problemi, problemi evidenti ed immediati almeno”

“Invece quello che voi tenete in quel sacchetto e che affermate essere più potente dell'altro, potrebbe essere responsabile della situazione dei soldati del generale Jarjayes?”

“Sì, senza ombra di dubbio...se venisse usato al posto del tabacco tradizionale. Capirete anche voi che tramite una pipa o un sigaro un uomo viene a contatto solo con il fumo e non con la foglia intera...”

“E se ciò dovesse avvenire...”- era stata Oscar ad intervenire inseguendo un pensiero tortuoso ma sempre più nitido e sconvolgente - “...avete detto che i topi muoiono...”

L'uomo aveva annuito, grave.

“Sì e...”- si era fermato ad osservare un punto imprecisato tra gli scaffali ricolmi di scatole e flaconi - “...e la stessa sorte, con ogni probabilità, toccherebbe anche ad un essere umano tanto più se fosse esile, di corporatura minuta o di salute cagionevole. In tutta onestà credo che, a parità di quantità di un qualsiasi veleno, una persona di aspetto florido e corporatura robusta ne risenta molto meno. O, in altre parole, venga danneggiata da quantitativi maggiori”

Oscar e André si erano guardati annuendo e finalmente comprendendo, almeno una parte della questione.

“Questa pianta potrebbe essere coltivata in Francia?”

“Ma nessuno la conosce! Io ne sono in possesso solo perché...insomma vi ho spiegato...”- lei aveva annuito, confermandogli non ci fosse bisogno di altre parole ma era desiderosa di mettere ogni cosa al posto giusto.

“Ha un nome questa pianta?”

“Mi è stato detto che i nativi lo chiamano Mapacho...”(*) - con grande cura lo speziale aveva sciolto il nodo che chiudeva il sacchetto e, arrotolandone i bordi, ne aveva mostrato il contenuto mentre un gradevole odore di viole si era sparso nella stanza.

***

“André!”- Alain lo strappò al flusso imperioso dei pensieri che vorticavano attorno agli avvenimenti delle ultime due settimane, tanto da non farlo accorgere di aver raggiunto i cancelli della caserma.

“Ti stavo aspettando”- André si irrigidì un istante ma poi scosse impercettibilmente il capo.

No, non poteva aver già saputo.
Teneva un involto tra le braccia, Alain, e immaginò fosse biancheria consegnata dalla sorella il giorno prima in occasione della visita periodica. Perché lo avesse ancora tra le mani era un mistero.

“Alain! Cosa succede di tanto grave da attendermi addirittura al varco del cancello?”

Il soldato attaccò, spavaldo.

“Volevo chiederti se hai notizie dagli americani, sono partiti da due settimane ormai. Non ti ha scritto il dottore? André, la Vandea è terra di contrabbando maledizione! Lo so io, lo sai tu e lo sa anche il colonnello de Jarjayes...”- e anzi, era stato proprio grazie al comandante delle guardie reali che al ritorno da Compiègne gli aveva fatto notare quanto la baia di Bourgneuf fosse teatro di scambi poco leciti che aveva approfondito la questione per capire quanto un disgraziato che si spaccava la schiena dall’alba al tramonto potesse essere difeso, nel caso Lassalle o qualcuno della sua famiglia si fosse messo nei guai - “Sai immaginavo che...”

“Immaginavi bene. Gli avevo chiesto di aggiornarmi e proprio ieri ho ricevuto una sua lettera...me l'hai consegnata tu insieme al resto della posta”

“E? Puoi dirmi qualcosa o deve essere presente anche il colonnello?

“Sa già tutto...”

Alain incrociò le braccia al petto e lo scrutò attento, con aria furba e un lampo di malizia negli occhi scuri. Erano giorni che pensava a come tirar fuori l'argomento.

“In effetti hai avuto tutta la notte per raccontarglielo...”

André tentò di nascondere lo stupore dietro la solita impassibilità ma smontò da cavallo facendogli cenno di seguirlo per allontanarlo dai soldati in piantone ai lati dell'ingresso.

“Cosa vai farneticando?”- sibilò a bassa voce sperando che l'altro capisse di dover fare altrettanto. Alain comprese; non avrebbe potuto non rispettare l'intimità dell'amico, non dopo averlo visto in quel modo, con lei.

“Vi ho visti André...qui nel piazzale, quella sera che...”

Non che ci fosse bisogno di altre spiegazioni, aveva capito André e, maledicendosi per l'imprudenza, lo fermò con una mano tanta era l'urgenza di sapere.

“Eri solo?”

“Sì, avevo spedito le reclute dall'altro lato del bastione, quello laggiù da dove non si vedono le scuderie”

André si rilassò visibilmente e, dando le spalle all'altro, si avviò verso i palafrenieri con un rapido ma imperioso tienilo per te.

Ma Alain, per niente avvezzo a lasciarsi scoraggiare, tenne il passo e lo seguì, faticando a tenere quel tono sussurrato e sibilando a denti stretti.

“Cosa...che è la tua donna? Ma a chi vuoi che importi? Qui non la conosce nessuno!”

“Finora....”- borbottò André

“Ma cosa significa!?! Va bene, va bene...come al solito dovrò capire tutto da solo. Ma a questo punto nessuno mi toglie dalla testa che è lei la causa del tuo viaggio in America...sei andato in guerra per lei, ti rendi conto?!?”

“Smettila Alain! Risparmia il fiato...non ti dirò nulla...di noi...”- lo vide Alain il tormento sul fondo dell'oceano che erano gli occhi dell'altro e si sentì torcere lo stomaco come quella sera davanti a qualcosa che gli era parso tanto immenso da avvertire una fitta di gelosia per non averlo mai vissuto. Era convinto che se li avesse sorpresi a fare sesso sul lettino dell'infermeria non gli avrebbero fatto lo stesso effetto, anzi ne avrebbe riso, soddisfatto di aver scoperto una debolezza del suo impeccabile capitano. E quella convinzione, inaspettatatamente, gli dipinse una smorfia disillusa sul volto aperto.

“Come vuoi. Ma stai in guardia André...”- e li rivide stretti nel buio ad aggrapparsi una all'altro come ci si aggrappa alla vita, come se da soli non fossero in grado di respirare.

“...io non ne so molto purtroppo...o per fortuna. Ma credo...per un amore così...credo ci si possa fare anche ammazzare...e nel tuo caso, ti è già andata fin troppo bene!”

Non rispose, André, tornando con la mente ad una promessa antica sancita dal sangue giovane di lei che gli imbrattava le mani e si faceva scuro sulla divisa candida quel giorno che si era dichiarata disposta a morire per lui.  Non lo aveva forse già fatto, lei, di farsi quasi ammazzare?
Per due come loro che si erano ritrovati uno accanto all'altra, mossi dalle spire ineluttabili del destino, non c'era scampo.

“Comunque André, cambiando discorso...” - comprese che non avrebbe cavato un'altra parola, Alain, e decise di affrontare la seconda questione che lo premeva.

“Ieri Diane mi ha riportato il mantello del colonnello Jarjayes. Sapessi con che cura l’ha trattato! Tutto il tempo che è stata qui mi ha raccontato di come l’ha profumato, stirato, ripiegato...”- il soldato aveva ripreso il tono sbruffone che gli era solito e numerava sulle dita, in bella vista davanti al naso dell'altro, tutti i riguardi che erano stati dedicati a quel pezzo di stoffa.

“Cosa faccio? Lo lascio a te? Glielo dai tu?- e intanto faceva ondeggiare il fagotto, poco più di una palla di pezza tra le sue mani grandi.

“No, glielo potrai restituire di persona molto presto”

“E dove dovrei tenerlo!?! Guarda che se gli altri se ne accorgono, qualcuno cercherà di guadagnarci qualche soldo...un bel gruzzolo direi, vista la qualità dell'oggetto!”

“Glielo potrai dare più tardi”

“Più tardi?!? Ma oggi arriva il nuovo comandante! Ci sarà da esibirsi in una parata di benvenuto!”- sorrise ironico, Alain, sputando disprezzo insieme alle parole.

“Appunto...anzi, dì ai tuoi compagni di darsi una sistemata, non mi stupirei se volesse visitare la camerata...”

“Ma figurati! Chi l'ha mai fatto! Ti sembra che...”- ma André non lo ascoltava più. Alain vide un sorriso orgoglioso allargargli le labbra rivolto a qualcuno che scendeva i gradini di ingresso dall'altro lato del cortile e si dirigeva nella loro direzione. Qualcuno che esibiva una postura dritta e fiera e avanzava con falcate ampie e decise e che, quando uscì dall'ombra stampata sul pavé dall'edificio attiguo, li abbagliò entrambi con quei capelli che luccicavano come grani di sole dispersi dal vento di primavera. E il cielo terso pareva riflettersi sulla divisa blu che aveva indosso, quella della Guardia Cittadina.
Distogliendo a fatica lo sguardo dalla figura leggera che però sembrava racchiudere tutta la forza del vento e del sole, Alain fece passare lo sguardo dall'uno all'altra con ghigno sornione, soffermandosi sui gradi che decoravano l'uniforme nuova di zecca.

“Bene, bene...vado a dire agli altri di mettersi in ghingheri che stavolta abbiamo un comandante degno di questo nome!”- fece scoccare i tacchi esibendosi in un perfetto saluto militare e si allontanò quasi correndo.

Lei si avvicinò ad André trattenendosi a fatica dal posargli una mano sul petto per esternare quella felicità nuova e appagante che le brillava negli occhi. Rimasero a guardarsi in silenzio con il sorriso nascosto dietro le labbra.

“Andiamo? Voglio conoscere i miei soldati”- André annuì ma fatto un passo si fermò, pensoso.

“Ah Oscar...ho dimenticato di dirti che ho visto tuo padre ieri quando sono andato da Bouillé a consegnare alcuni resoconti...”- lei attese, appena disorientata dalla sua espressione crucciata, ricordando in quel momento che qualcosa gli aveva taciuto.

“Mi ha chiesto quando saresti tornata dalla Normandia...”

Lei scosse il capo sorridendo.

“Avrei dovuto dirtelo...è il primo posto che mi è venuto in mente...”

Ma ci fu un momento in cui la gioia assunse un sapore amaro al pensiero dell'altra volta che si era ritirata lassù, quelle settimane in cui l'amore per lui si era svelato in tutta la sua potenza e ora nessun altro rifugio avrebbe potuto esistere se non quelle poche stanze che condividevano - “...non volevo continuare a discutere per una decisione già presa. Cosa gli hai detto?”

“Che non ne avevo idea...”

Si guardarono, complici, ed insieme, fianco a fianco, sparirono nei corridoi.


(*) Nicotiana rustica. È una varietà di tabacco molto potente, originaria del Messico che contiene fino a dieci volte più nicotina rispetto alle specie comuni. Tale concentrazione nelle foglie lo rende utile per la produzione di pesticidi e ha un'ampia varietà di usi specifici per le culture di tutto il mondo, anche usi sciamanici visti i suoi effetti psicoattivi che inducono alterazioni della percezione, dell'umore, della coscienza, della cognizione o del comportamento



Un triplo grazie ad AlessandraDF per la sua meravigliosa Oscar in blu e grazie, sempre, a chi si è avventurato fino a qui.

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Capitolo 26 (I) ***


Un alito di vento, fresco e frizzante come champagne pregiato ma senza dubbio più inebriante, le pizzicava il collo, appena sotto l’orecchio in quel punto che rimaneva scoperto nonostante i capelli, lunghissimi ormai, e allungava le sue dita invisibili fino al bordo della scrivania in radica dalle linee semplici e solide, tanto invise a corte a vantaggio dello stile rococò che spadroneggiava in ogni minimo dettaglio, per arrivare ai fogli sui quali aveva appena terminato di vergare i turni dei suoi soldati per la settimana seguente, sollevandone i margini in un gioco dispettoso.
Recava suoni e odori dal mondo che circondava quei muri secolari, quello che aveva scelto come proprio, facendone traboccare l’animo di una gioia nuova e irrinunciabile. Erano refoli grevi degli improperi dei soldati che, con passo strascicato si avviavano ad un turno scomodo, di strofe di canzoni da taverna masticate per riempire il tempo tra il cortile e il dormitorio, di ordini chiari e precisi, mai abbaiati con furia o per la semplice volontà di mortificare chi gli si trovava di fronte.
Erano gli ordini di André.
Arrivavano fin dentro le pareti le sue parole secche ma premurose, più efficaci di mille rimproveri e le sue risate allegre quando con i soldati, oltre il dovere, condivideva anche i momenti di pausa. Era sempre stato così, lui. Attirava con il miele e in esso si rimaneva invischiati senza pensare di poterne fare ancora a meno. Nessuno lo sapeva meglio di lei.

“A Versailles ci rifugiavamo nel mio ufficio” - aveva provato ad obbiettare lei qualche giorno prima, nella pausa tra due esercitazioni, mentre seduti sulla scrivania di lui dividevano la stessa mela come facevano talvolta da ragazzi quando il protocollo di Corte dava un po’ di tregua e allora andavano alla ricerca di brandelli di semplicità.

“Ma adesso le mele sono nel mio...”- l’aveva guardata, sornione, prima di offrirle il frutto perché lo attaccasse di nuovo a piccoli morsi - “...anche se non ho nemmeno un coltello”

Lei aveva sorriso: “Tutto cambia, no?”

“Quasi tutto...”- l’aveva guardata intensamente ma in quel luogo era meglio ascoltare il suo lato giocoso - “...ad esempio, siamo ancora insieme a sbocconcellare una mela, non lo avrei mai creduto possibile”

“E...cosa ti aspettavi...al ritorno?”

“Di rivedere te...anche se soltanto da lontano”- aveva risposto lui masticando piano, distogliendo lo sguardo. Lei si pentì subito delle parole che le salirono alle labbra; in quell’equivoco che era stata la loro vita, a parti invertite, non sarebbe stata da meno.

“Perché non hai mai scritto?”

“L’ho fatto...ma non ho mai spedito nemmeno una lettera. L’ho fatto tutte le volte che vedevo qualcosa che sapevo avresti amato, per raccontarti di come ti sarebbe piaciuto, dei sorrisi che mi suscitava il pensarti felice, nonostante tutto. Delle volte in cui avrei avuto bisogno...”

“Le conservi ancora?” - non lo aveva lasciato finire per colpa del cuore che le si gonfiava d’amore e dolore, premeva sulle parole, per farle uscire, per la fretta di conoscere cos’era stato lui, senza di lei.

Lui aveva annuito.

“Potrei...no, niente” - aveva frenato la curiosità perché forse c’è solo un momento giusto per dire le cose ma lui aveva capito e, allungando una mano dietro la sua schiena aveva aperto il cassetto della scrivania.

“Sono tutte qui. Però Oscar, ti devo avvisare...c’è la guerra su quei fogli, ciò che mi ha fatto diventare. C’è un uomo che non conosci”

“Quello che si sveglia di soprassalto in piena notte?”

Aveva annuito di nuovo, lui, raccogliendo con il pollice una goccia di succo zuccherino dall’angolo delle sue labbra.

“Te ne accorgi allora...”

“Sì ma non ho mai voluto interferire. Ciascuno di noi sa qual’è il modo più giusto per affrontare i propri incubi...” - l’aveva guardata senza osare toccarla ma certo di voler tornare all’atmosfera serena di poco prima, quella delle piccole cose, di una mela a metà.

“Ci sei anche tu però su quei fogli...come ti inventavo, come speravo stessi vivendo. Ci sono le mie ragioni e le mie scuse...per quella notte”

“Ormai quella notte non ha più segreti...”

“No...ma io sì...” - aveva sorriso lui, piano e forte insieme - “...sono lettere scritte da un uomo affamato del tuo volto, della tua voce, di te. Sono i desideri di un uomo di fronte alla caducità dell’esistenza...forse non è bene che tu le legga” - il sorriso era diventato allusivo e complice e lei, nonostante ormai conoscesse i segreti dell’amore, era arrossita, senza riuscire a ribattere.

Altre parole per lei, altre parole di carta. Quanto era costata ad entrambi una lettera non letta?

Sono i desideri di un uomo di fronte alla caducità dell'esistenza…

Quando lui era uscito per la ronda del pomeriggio, quelle parole per lei non era proprio riuscita ad ignorarle. Contenevano miele ma anche la crudezza della vita e un’urgenza che sentiva palpitare nel profondo, come le avesse scritte di suo pugno. Quella stessa sera, i suoi desideri, con l’animo trafitto da tutti i colpi che lui era riuscito a schivare, dopo essersi sfilata l’uniforme ed infilata, nuda, tra le coltri e le sue braccia, li aveva realizzati tutti.
Senza staccare gli occhi dal foglio che stava leggendo, scostò il fermacarte più al centro della pila di documenti per non farsi distrarre, a chiudere la finestra non ci pensava minimamente. Era il sapore della sua vita quello che veniva da fuori e non aveva intenzione di rinunciarvi ma la concentrazione l’abbandonò del tutto quando avvertì sotto le dita la superficie liscia e perfetta del sasso plasmato dal mare che utilizzava a quello scopo.
Indugiò un istante sul disco piatto e grigio che una mattina di quasi otto anni prima il mare normanno, scostante come solo lei sapeva essere in certe occasioni, le aveva consegnato direttamente sui piedi nudi. Si era chinata e lo aveva raccolto, colpita e affascinata dalle due venature bianche e lucide, quasi vitree, che correvano parallele, si annodavano e tornavano a dipanarsi una accanto all’altra per poi ricongiungersi di nuovo sull’altra superficie fino ad una spaccatura resa quasi invisibile dai secoli trascorsi tra le onde, dove sparivano in profondità senza dare alcun sentore di quale fosse la loro direzione.
Non lo sapeva nemmeno per quale motivo lo aveva raccolto e conservato tutto quel tempo, inventandosi che quelle linee potessero formare un cerchio continuo, senza fine né principio e, rigirandolo tra le mani, quando la mente si allontanava e il dolore le stringeva lo stomaco in una morsa d’acciaio prima di sferzare il cuore e strattonarlo tanto forte da non poter uscire senza una nuova ammaccatura, ogni volta, tanto da chiedersi quanto avrebbe resistito.
Ora che la vita, pur con profonde differenze e lividi che a toccarli ancora si facevano sentire, era tornata a somigliare a quella che conosceva, le sembrava di essere tornata a respirare e quei refoli d’aria, ora che l’inverno era finito per davvero, le davano una sensazione di benessere inconsueta e irrinunciabile. Nel tepore dell’aria primaverile, la voce di André risuonò inaspettatamente vicina.

“Oscar, Oscar, sono arrivati!”

Lei staccò lo sguardo ma non la mente dai fogli che aveva tra le mani. André aveva bussato, non aveva perso l’abitudine di rispettare i confini di quel mondo singolare che era la vita di lei anche se adesso ne aveva libero accesso a tutte le meravigliose sfaccettature di cui era composto. Ma l’impazienza di avvisarla, per una volta, era stata più forte dell’educazione e non aveva atteso il suo assenso prima di aprire l’uscio, tanto da guadagnarsi un’occhiata infastidita e ostile, difficile dire se rivolta a lui o al contenuto delle righe – burocrazia a giudicare dai timbri e dai sigilli che vedeva impressi sulla carta - abbandonate così bruscamente. Ma non appena lo vide e comprese, annuì e si alzò senza indugi. Aspettavano da giorni, con trepidazione crescente, il rientro di Tim Simmons e del nipote dal loro viaggio sulla costa atlantica, tanto più dopo la lettera ricevuta giorni prima da André.

...non ti nascondo, André, che questo viaggio mi sta regalando emozioni difficili da esprimere. Mi trovo nei luoghi dove la mia Juliette è nata e cresciuta e in ogni strada e in ogni angolo mi ritrovo a pensare se lei abbia mai calpestato il suolo che ora sta sotto i miei piedi. Abbiamo soggiornato qualche giorno a Nantes e siamo andati alla ricerca di un vecchio indirizzo. Ora ospita la fucina di un fabbro ma osservando le finestre del primo piano, io e Baptiste ci siamo ritrovati entrambi con gli occhi lucidi sapendo che l’, in quelle stanze, mia moglie e suo padre sono venuti al mondo.
So bene che sono altre le notizie che ti aspetti da me ma abbiamo parlato tanto, io e te, negli anni che hai trascorso a casa mia, che trovo naturale esternarti queste mie sensazioni sulle quali però non voglio indugiare. Ci troviamo sulla costa adesso, in una semplice locanda e, osservando mio nipote, devo dirti che lo vedo ogni giorno più teso. Ieri, dopo aver osservato la marea che inghiottiva le strade e trasformava la penisola di Noirmoutier in un’isola – spettacolo davvero suggestivo, raramente mi è accaduto di osservarne di eguali – ci ha raggiunto un ragazzo che avrà all’incirca la sua età e, viste le circostanze, non ha potuto fare a meno di presentarmelo anche se ho notato una certa reticenza, anomala per mio nipote.
Questo ragazzo è francese, si chiama Robert e Baptiste dice di averlo conosciuto a Richmond alla fine della guerra nella quale pare abbia combattuto come soldato semplice.
Chissà, magari lo conosci…
Il ragazzo è originario di queste zone e mio nipote mi ha dato ad intendere di averlo avvisato del nostro viaggio ma la mia impressione, da alcune frasi captate per caso, è che si siano già incontrati da quando siamo arrivati in Francia. Probabilmente è lui uno di quei ragazzi di cui parlava il tuo amico Alain.
Capirai che non posso chiedere di più, mio nipote è un uomo adulto e io mai mi sono permesso di chiedere dove e con chi passasse le sue serate in città.
Dopo i convenevoli di rito, con la scusa di avere tanto da raccontasi, hanno trascorso diverso tempo a passeggiare lungo la baia e oggi sono usciti insieme. Non ho potuto unirmi a due giovani ansiosi di stare soli ma la loro assenza mi dà l’occasione di scriverti e consegnare di persona questa lettera alla stazione di posta qui nel villaggio…

Il primo giorno di Oscar come comandante della Guardia Metropolitana si era concluso nel suo ufficio dove Alain, grazie alle conoscenze fatte al Café de la Régence, aveva fornito informazioni preziose per l’interpretazione degli eventi e l’identificazione delle persone. E quel Robert, la cui descrizione fatta per lettera, talmente ordinaria da adattarsi a milioni di francesi, si adattava perfettamente a quella riportata dal soldato, era stato facile da riconoscere.

“D’altronde, André, se lui fa la spola tra la costa e Parigi, non potrebbe esistere una persona più adatta...”

“Già...come fai a ricordarti di qualcuno che non ha niente per farsi ricordare?”- era stata Oscar a confermare l’ipotesi del soldato, mentre osservava le luci della città, oltre gli edifici della caserma.

“E quell’altro, come hai detto che si chiama?”

“Louis...”

“Louis...lui potrebbe essere di Parigi e, per questo, sapersi muovere bene in città, essere in grado di nascondersi e sparire in caso di necessità...”- le osservazioni di André cadevano con ritmo incalzante

“Se è cresciuto in strada potrebbe sfuggire all’intero plotone delle guardie reali...”- aveva commentato sarcastico Alain, abbozzando nel mentre un gesto di scusa nei confronti del suo comandante che non aveva dato cenno di esserne turbata, consapevole della veridicità di quelle parole ma che aveva sospirato e, volgendosi verso di loro, cercato di tirare le somme.

“Quindi...sappiamo dell’esistenza di questa pianta sconosciuta in Europa che si presenta come tabacco e cresce nella Nuova Spagna, c’è un ragazzo di nome Robert che probabilmente la riceve in Vandea per farla avere a qualcuno a Parigi...e c’è questo Louis che forse la riceve personalmente o forse no e la consegna...a chi?”

“Ci sarebbe dell’altro comandante...” - Alain aveva ripreso la parola, restio e turbato. Proprio non gli sembrava possibile lei potesse entrarci in qualche modo in quella faccenda ora che la conosceva un po’ di più e, timidamente, aveva iniziato a raccontare di quella persona con lineamenti fini, da donna ma con la voce di un uomo, a meno che non fosse molto brava a fingere, studiando di sottecchi la sua reazione.

Davanti ai suoi occhi azzurri, increduli e sgomenti,ma irrimediabilmente sinceri, aveva compreso che non poteva in alcun modo trattarsi di lei, che quel timbro roco e inconfondibile, in nessuna sfumatura possibile poteva essere scambiato per ciò che non era. Ma almeno avevano un indizio.
A quella prima sera erano seguite giornate innegabilmente faticose. L’accoglienza riservata al nuovo comandante era stata tutt’altro che calorosa ma Oscar non si era aspettata nulla di meno, considerate le abitudini del suo recente predecessore.
Dal secondo giorno aveva iniziato a mettere in pratica la fine strategia imparata dal padre. Si era recata personalmente nei locali dove veniva preparato il cibo e, di fronte a due cucinieri esterrefatti che l’avevano scrutata torvi, con l’aria di chi non può più sputare nel piatto degli alti ufficiali perché quello stesso cibo poteva finire nella bocca di un uomo del popolo, aveva preteso di avere lo stesso rancio dei soldati.
In quel modo aveva riempito le pance, appagato l’appetito e migliorato l’umore dei suoi uomini che, timidamente, avevano iniziato a mostrarle una dedizione crescente anche grazie ad un Alain certo del rispetto che tutti avevano per André e che, forte di ciò, si era lasciato sfuggire, assolutamente per caso, che il loro capitano era cresciuto con quell’ufficiale insinuando l’idea che, alla luce d ciò, non potevano essere poi così diversi.
Ma ciò che l’aveva assorbita ed impegnata anche fuori di lì quando, con i resti di una cena fredda sul pavimento, con André, la sera aveva studiato le possibili vie di approvvigionamento seguite dai contrabbandieri. Erano partiti da dove tutto pareva iniziare, analizzando le tappe, una ad una.
Le merci viaggiano sull’acqua, Oscar...il fiume James viene utilizzato per trasportare materiali dalle contee più occidentali verso la costa, vedi?”- lei annuiva, pensierosa, seguendo i percorsi immaginari che le dita di lui tracciavano sulle mappe.

“Molte piantagioni hanno piccoli porti lungo il fiume per poter imbarcare il raccolto e trasferirlo verso il porto di Richmond e...verso l’Europa”

“Ne hai uno anche tu?”

“Ne ha uno la piantagione. Ti ho spiegato com’è l’organizzazione e io ora, dopo l’acquisto di questa casa, possiedo poco più di un fazzoletto di terra che Jason può facilmente gestire insieme al resto che ora è suo”

“Cosa significa?”- si era fatta seria nell’apprendere quella novità che non era sicura di gradire.

“Questa casa non l’ho pagata in denari, non ne ho così tanti Oscar, te l’ho spiegato. Ma diciamo che è stato uno scambio. Un posto a Parigi, vicino a te per terreni che so verranno gestiti da un uomo con il cuore grande”

“Come te”- aveva affermato convinta

André aveva sorriso, distogliendo lo sguardo. A lui non sembrava mai abbastanza. Lei invece non lo aveva distolto dall’uomo con cui condivideva la vita e molto altro.

“André?”

“Dimmi”

“Non devi rinunciare ai tuoi sogni per me. Io li voglio condividere, non li voglio annullare” - aveva cercato la sua mano, lei, grande abbastanza da nasconderci tutte le dita.

“Li condividiamo anche qui...”- eppure era forte il richiamo della libertà in un Paese che l’aveva già conquistata e in cui, certe battaglie, forse avrebbe potuto risparmiargliele.

“...comunque c’è ancora qualcosa di mio laggiù...magari un giorno ti ci porterò a cavalcare nelle praterie inseguendo il tramonto ma prima...”

“...prima dobbiamo far luce su questa vicenda. Come pensi Baptiste sia coinvolto in tutto ciò?”

“Lui aiuta a preparare i barili. Vengono caricati su imbarcazioni fluviali che fanno la spola con il porto dove, in attesa, ci sono le grandi navi mercantili della Compagnia delle Indie”

“E tu credi che…?”

“A questo punto sì...ma non so come e soprattutto perché...”

Poi, quando lui aveva visto la stanchezza velarle gli occhi, l’aveva attirata a sé, sedendosela in grembo per poggiare la fronte sul suo petto e trovare, lì, conforto contro ogni pensiero molesto.
Non si sarebbe mai spiegato come, dopo tutte le atrocità di cui era stato testimone, dopo gli uomini ai quali aveva dovuto togliere la vita, dopo aver compreso di potere accogliere anche la morte come una benedizione, davanti a quel seno di donna che era stato anche seno di madre, nascosto appena dalla camicia sottile, fosse ancora in grado di tremare di paura.
Era andato a cercarlo sotto la seta e lei aveva avvertito il fremito della pelle attorno alla sua, ancora sotto la stoffa, quella da raccogliere tra i palmi per suscitare giù nel ventre i morsi di una fame da saziare solo con lui addosso, senza fretta.
Lentamente gli aveva fatto scorrere le dita tra i capelli, fili di seta nera che ormai avevano raggiunto le spalle e che si ritrovava, anche in momenti inopportuni, a desiderare su di sé come la prima volta, quando il mondo oltre quella cortina morbida era sparito insieme alle sue regole.

“Sono cresciuti, peccato tu non abbia più il tuo nastro...”

“Chi ti dice che non l’abbia più? Non potevo buttarlo, tiene insieme i pezzi della mia vita con te...anche l’ultimo”- stringendole i fianchi se l’era stretta addosso avvertendo il suo vigore sbocciare sotto il peso di lei che, come lui, era tornata allo stesso istante, alla striscia di raso blu sulla pelle bianca, lì dove il suo corpo rispondeva al tocco lieve del pollice, oltre la stoffa, e si ergeva a chiamare, suadente, le labbra per farsi avvolgere ancora e ancora, come allora, spalancando allo stesso modo, le porte alla follia.
 

Qualsiasi risposta da parte di Oscar venne soffocata da un trambusto improvviso in cui entrambi riuscirono a distinguere passi concitati, sempre più vicini. Con gli occhi fissi ciascuno sul volto dell’altro per cogliere il primo baluginio di comprensione e le orecchie tese al corridoio, restarono immobili finché lo spazio non venne riempito completamente da quel baccano che si riversò sulla porta prendendola a pugni.

“Comandante! Presto!”

André che ancora teneva la maniglia stretta tra le dita, la abbassò permettendo così al soldato di apparire in tutta la sua concitazione.

“Cosa succede?”

“C’è la moglie di Jules”- ansimò Alain nello sforzo della corsa - “Presto scendi! Anche voi, comandante!”

Ordini da un sottoposto Oscar non ne aveva mai presi né nessuno si sarebbe mai sognato di impartirglieli ma il tono allarmato di Alain guidò il suo incedere trasformando le falcate veloci in una corsa agile e decisa.

“Ma che succede?”- tuonò mentre divoravano i corridoi

“Non ho capito bene ma si tratta del figlio...”

 

Sul lato del cortile adiacente l’armeria, una donna dai lunghi capelli scuri gesticolava tra le lacrime, aggrappata alla giubba di un soldato che doveva esserne appena uscito, come suggerivano le mani ancora lucide dell’unto utilizzato per la manutenzione dei fucili. Poco lontano, Tim Simmons e il nipote appena scesi dalla carrozza, assistevano costernati a quella che aveva tutta l’aria di essere una tragedia familiare e il più anziano dei due, come dettava la coscienza, aveva già mosso i primi passi verso la chiazza blu che andava aumentando di dimensioni quanto più la voce si spandeva tra i soldati.

“Jules Duval, qual’è il problema?”- Oscar che aveva impiegato una manciata di giorni per imparare a memoria l’anagrafica di ciascuno dei suoi soldati, si fece largo nel capannello di uomini incuriositi e preoccupati.

“Comandante!”

La donna bruna si immobilizzò e per un istante smise anche di respirare, avvinghiando la stoffa delle maniche del marito non appena avvertì che le sue braccia la stavano lasciando per assumere, in una sorta di riflesso involontario, una posizione più consona al grado del suo superiore.
E in quel momento lo odiò, lo odiò per il rigore e il rispetto che riservava a qualcuno che per lei non ne aveva mai avuto, per il suo dolore di madre calpestato dai nobili tacchi di un uomo tanto vile da non aver esitato ad infilarle le mani sotto la gonna nonostante i suoi dinieghi e la gravidanza evidente.

“Madame, cosa succede?”- lo sguardo umido si allargò di sorpresa al tono fermo ma gentile, alla cortesia instillata in ogni parola, ben diversa dagli approcci licenziosi che le erano stati dedicati in altre occasioni, poi si alzò sul volto del marito che le sorrise, incoraggiante. Solo allora trovò il coraggio di voltarsi lentamente e, di fronte a quegli occhi severi ma limpidissimi, anche le parole.

“Mio figlio...sta male...da stamattina...”

Oltre il crocchio di soldati Osar incrociò l’espressione turbata di Tim Simmons e, con un impercettibile movimento del capo, gli intimò di avvicinarsi.

“Madame, riuscite a raccontare qualcosa in più? Forse posso esservi d’aiuto, è il mio mestiere”- il tono garbato e il sorriso indulgente compirono la magia definitiva e la donna iniziò a raccontare.

E più raccontava più lo sgomento traspariva dai volti di chi sapeva collocare le informazioni, tanto da accordarsi con pochi battiti di ciglia.

“Mostratemi dove abitate, svelta! Vengo con voi!”

“Prendete la carrozza, farete prima. André vai con loro!”

André annuì e, passando un braccio attorno alle spalle di Baptiste che si era tenuto in disparte ma non aveva mai distolto lo sguardo da Alain, lo trascinò con sé nell’abitacolo.

“Alain, aspettami qui insieme a Duval. Devo prendere una cosa, intanto preparate i cavalli, poi andremo anche noi”

***

Io ho fatto il possibile...il piccolo è molto provato, non ci resta che attendere”- Tim, con ancora le maniche arrotolate sopra i gomiti e una mano impegnata da alcuni flaconi, chiuse la porta della stanzetta che accoglieva i giacigli di tutta la famiglia e si rivolse a Jules Duval seduto al tavolo di cucina, la testa raccolta tra le mani, insieme alla sua angoscia.

“Devi preparare tua moglie al peggio e pregare per il meglio...siamo un po’ in ritardo sui tempi...”

Il soldato neanche lo ascoltava, rimuginando colpe e pensieri.

“Dannazione! MI maledico tutti i giorni per non riuscire a dargli di più! Abbiamo appena i soldi per comprare il pane...e poco altro”

“Sì, lo so. Madame mi ha riferito che la colazione di stamane è stata una pagnotta fragrante, ancora calda di forno. Lei non l’ha toccata per permettere al piccolo un pasto più sostanzioso...sono riuscito a farlo rigettare, attendiamo. Come ho già detto siamo in ritardo sui tempi...”

Jules Duval alzò il capo di scatto - “Ma come? Non è peggio? Avrà ancora meno forze per riprendersi...”

“Era necessario farlo rigettare ma il medicamento che uso è tanto più efficace quanto più celere è il suo utilizzo. Credo che il problema sia nato proprio dal pane”

“Tim?”- André lo interrogò con lo sguardo dall’angolo opposto della stanza e lui annuì con cipiglio severo a conferma che quella era esattamente la situazione sulla quale facevano congetture da mesi, quella descritta da Oscar, quella riscontrata da Lassonne nel reggimento in capo al generale Jarjayes.

Alain, tenutosi in disparte fino a quel momento, immobile con le spalle al muro, permettendo alla sua ansia di manifestarsi soltanto attraverso un piede che tamburellava sulle assi di legno del pavimento, in due falcate raggiunse Baptiste e, senza concedergli nemmeno il tempo di trattenere il respiro, lo afferrò per il bavero sollevandolo dallo sgabello dal quale osservava il silenzio degli altri chiedendosi se potesse rendersi utile e cancellando ogni idea di casualità nel suo incontro con Alain nei locali della città.

“Adesso ci racconti tutto! Basta giocare a fare i cospiratori!”

“Che significa?”- Jules Duval si alzò bruscamente, mosso da una rabbia disperata, facendo rotolare la sedia all’indietro, pronto a sfogare la sua frustrazione di padre ferito contro qualcosa, qualunqu cosa anche se nemmeno la conosceva.

“L’amico, qui, ha qualcosa da dirci...”- sibilò Alain dritto sul viso del giovane americano che lentamente gli scivolò tra le mani crollando nuovamente sulla seduta, tremante e pallido come un morto.

“Cosa puoi raccontarci di questo?”- Oscar gli si accostò, armeggiò qualche istante sotto i capelli per sfilare una cordicella dal collo e, piegandosi sulle ginocchia, gli mise sotto il naso un piccolo sacchetto di stoffa. Dall’apertura allentata si percepiva un intenso odore di viole.

Il ragazzo sbarrò gli occhi, incredulo e spaventato mentre le mani gli scivolavano tra i capelli arruffando la chioma ordinata.

“Io non sapevo...non credevo…io...”
“Ti conviene smettere di balbettare! Che intenzioni avete tu e i tuoi compari?”

“Alain, esci per favore! Oppure calmati”- André afferrò l’unica sedia libera e prese posto di fronte a Baptiste mentre l’amico dava loro le spalle perdendosi in passi rabbiosi ma con nessuna intenzione di uscire ora che erano ad un passo dal chiarire quella faccenda.

“E’ il caso tu ci racconti ciò che sai...”- si rivolse al giovane, André, imponendosi un tono mite a dispetto della collera che gli montava dentro.

“Sei stato tu a mettermi Alain alle calcagna, vero?”
“Sì, il tuo atteggiamento mi aveva insospettito...”

“Io...André...io volevo solo...”- deglutì angoscia e lacrime Baptiste, poi con uno sforzo enorme raccontò la sua verità.

“Mio padre è morto per la libertà di un Paese che non era nemmeno il suo, per un ideale in cui credo anch’io...e ci credi anche tu André! Lo so che ci credi anche tu! Altrimenti non avresti fatto ciò che hai fatto...tu e mio cugino...in Virginia”- si protese verso l’altro, Baptiste, affinché vedesse da vicino ciò che gli animava la coscienza.

“Sì è vero...condividiamo gli stessi ideali” - concesse André, impassibile.
“Io ti stimo molto per questo, per...”

“Anch’io ti stimo...per l’aiuto che ci hai dato, per ciò che hai fatto insieme a noi. C’eri anche tu in fondo, no? C’eri anche tu a sostenerci nel tentativo di dare un nuovo corso alle cose, di segnare un nuovo cammino. Non era forse abbastanza per te? Ci sono tanti modi per vincere una battaglia, Baptiste, che significa tutto questo?”

Ci sono tanti modi per vincere una battaglia

Ancora quelle parole. Rivide suo padre in quell’ultimo giorno a casa. Le camicie infilate nella sacca da viaggio e l’ultima tazza di caffè, quasi piena, che aveva trovato sul tavolo di cucina dopo che, sull’uscio, lo aveva salutato con quelle parole.

Strinse le mani, Baptiste, e batté i pugni chiusi con forza sulle cosce.

“Ma come puoi non capire?!? Io non ho potuto partecipare André! Anche tu sei venuto a combattere una guerra non tua e io non ho fatto niente! Fossi stato in battaglia con mio padre forse sarebbe ancora vivo!”

André scosse il capo, turbato.

“O forse saresti morto anche tu. La guerra non perdona, credimi. Non avresti potuto far niente e chi torna a casa non è più lo stesso...”- sospirò, André, cominciando ad intuire.

“Quindi hai deciso di combattere una guerra non tua? Una guerra che non prevede campi di battaglia sui quali non ti è concesso andare? Per cosa, per riconoscenza, per contraccambiare un favore?”

“Per liberare un altro popolo...quello di chi è venuto a combattere per il mio!”
“Chi?!? Chi è venuto a combattere per il tuo?”

“Voi! Voi siete enuti a combattere per il mio! Alla fine della guerra, dopo che tu e il Conte Fersen siete arrivati a casa nostra, ho conosciuto dei soldati francesi...siamo diventati amici...”

E raccontò, Baptiste, dell’incontro in una taverna, dei discorsi annaffiati di birra, dei sogni e della voglia di un mondo nuovo che apparivano sempre più chiari nell’atmosfera fumosa alla quale contribuivano attivamente, anche con quel tabacco sconosciuto che uno dei ragazzi portava dalla Nuova Spagna.

“Joachin ci ha spiegato come usarlo, ne basta pochissimo per farti sentire leggero e invincibile alllo stesso tempo. Quando Luois e Robert sono tornati in Francia, il suo regalo è stato un sacchetto poco più grande di questo”- concluse rigirando tra le mani la piccola borsa che Oscar gli aveva consegnato.

“E poi?”

“Dopo qualche mese ho ricevuto una lettera. Io ero l’unico in quel momento con un indirizzo stabile e Robert mi chiedeva se fosse possibile farla arrivare in Francia in quantità più cospicue. Ricordo di aver riso pensando avesse fatto successo tra i suoi conoscenti ma poi, scorrendo la lettera, mi sono reso conto che il quadro era completamente diverso. Diceva che suo fratello, che non ho mai conosciuto, aveva degli amici convinti potesse essere utile per favorire la caduta della monarchia...”

“Come?”

“Non lo so...”

“Che significa non lo sai!?!”- Oscar, che aveva taciuto fino a quel momento con il cuore stretto in una morsa di pena e orgoglio per quell'uomo che diceva di non essere più lo stesso ma che tremava sotto le sue mani come il ragazzo che era stato, non riuscì a trattenere la furia.

Baptiste si accostò al muro alla ricerca di un riparo che ormai aveva capito non esistere.

“Giuro che non lo so. Io ho solo organizzato il trasporto. Joachin mi faceva avere le foglie e io le imballavo in un doppio fondo di alcuni barili...mi dispiace André...io non credevo...”

“E poi?”

“Mettevo un segno di riconoscimento per Michel...lui è rimasto in America, lavora per la Compagnia delle Indie. Ha avuto istruzioni precise di imbarcare questo tabacco su navi dirette al porto di Saint Nazaire”

“In Vandea?”- Oscar lo incalzava senza tregua, dirigendo le domande in una direzione precisa, dopo un muto passaggio di testimone con André, quasi che, ora che si parlava dell’arrivo nel suo Paese, si sentisse legittimata a condurre il discorso.

“Sì, in questi giorni ho capito come fanno. E ho anche compreso l’origine dell’errore che l’ha fatto arrivare ai soldati. Era importante capirlo affinché non accada più, per evitare che il nostro traffico venga scoperto...”

“Infatti lo abbiamo scoperto. E ora avresti la cortesia di spiegare anche a noi come si è verificato l’errore...”

Baptiste annuì, deglutendo.

“Le navi sostano al largo dell’Île d’Yeu, a poche miglia dalla costa, per poche ore finché non ricevono il beneplacito per attraccare non appena si libera una banchina...il porto non è grande come quello di Richmond”- André, davanti a lui, annuì per incoraggiarlo a proseguire.

“...c’è stata bonaccia nei giorni in cui la nave doveva attraccare. Ciò le ha impedito l’ingresso in porto che è stato possibile solo successivamente, contemporaneamente ad un’altra nave, estranea alla cosa ma sempre proveniente dal Nord America. Sono state confuse le casse...con Robert in questi giorni abbiamo controllato i registri di sbarco negli uffici del porto. Ha pagato qualcuno perché ci consentisse di entrare...profumatamente”

“Deve essere ricco questo tuo amico”

“No, non lo è. Ha ricevuto i soldi per risolvere questo problema”

“Da chi?”

“Non lo so”

“Chi ha confuso le casse?”- tentò un’altra strategia, Oscar, mossa dagli occhi cerchiati di una madre apparsa sulla soglia della stanza al cui interno il figlio lottava per restare aggrappato alla vita. Lui stava ancora lottando per la vita.

“Non lo so. So solo che i responsabili dell’errore sono stati assassinati. L’ho scoperto pochi giorni fa. Robert non c’era quella volta, stava male. Di solito è lui che riceve le casse a terra e si occupa del trasporto a Parigi”

“E poi?”

“Non so altro...non so cosa ne facciano e non lo sa nemmeno lui. Louis mi ha detto che meno ne avrei saputo, meglio sarebbe stato ma...”

Baptiste abbassò lo sguardo scuotendo il capo, comprendendo in quel momento quanto sarebbe stato importante saperne di più.

“...io volevo sapere...l’ho seguito, però l’ho perso”

“Dove?”- le domande di Oscar cadevano implacabili senza nessuna possibilità di sottrarvisi.

“Vicino Place des Vosges

“Vicino Place des Vosges, dove? Non ricordi nulla, un particolare, una porta, un’insegna?”

“Dietro...credo. Io non conosco la città...”

“Dobbiamo parlare con Louis e convincerlo a dire ciò che sa. Devi contattarlo, poi...”

“L’ho già fatto. Gli ho scritto che sarei tornato oggi. Siamo d’accordo di vederci, per potergli raccontare...”

“Quando?”

“Stasera”

“Veniamo con te. Se nel frattempo dovessi ricordare qualcosa...”

“No, io...”- stava per arrendersi, Baptiste, quando ricordò la sensazione di smacco suscitata da un sole ridente che pareva burlarsi delle sue misere doti di segugio dall’insegna in legno della Boulangerie Girard che gli dondolava pigramente sopra la testa.

 

Questa è la prima parte di un capitolo che non avrei voluto spezzare ma che sarebbe risultato veramente troppo lungo. Non me la sento di chiedere tanto a chi ancora segue e che ringrazio per la lettura e al pazienza

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Capitolo 26 (II) ***


Io avviso: non è breve ma a questo punto non aveva senso interrompere la narrazione.
Siamo ad un passo dalla fine; per la penultima volta grazie a chi avrà voglia di avventurarsi nella lettura.


Una carrozza anonima, recuperata in fretta per l'occasione da un vetturino di piazza cui non era parso vero di avere la borsa piena di denari senza dover lavorare fino all'alba, era posteggiata dietro edifici dove non arrivava il chiarore dei lampioni, appena dietro i boulevards animati dal variegato passaggio serale.
A pochi passi un uomo spalancò gli occhi di sorpresa e terrore quando la morsa rigida di una mano gli ghermì la bocca. Negli occhi una domanda muta, rivolta a quelli screziati di blu che aveva di fronte e che non abbandonò mai mentre veniva trascinato all'indietro cercando di opporre una resistenza inutile alle braccia solide del suo aggressore.
Erano vicini eppure non riuscì a comprendere il loro linguaggio; non riuscì a leggere il disappunto, la frustrazione, la furia per l'inganno subìto. Poteva solo scorgere minuscole stille di sudore tra le ciocche rosse che li incorniciavano, più consone ad una serata estiva che non ad una notte di primavera. Lo seguirono, quegli occhi, nel tragitto forzato verso la vettura in attesa nell’ombra, e scambiarono un cenno d'intesa con quelli verdi del cocchiere, sceso dalla sua posizione a cassetta per dar manforte a colui che lo stava infilando a forza nell'abitacolo. Lo abbandonarono solo per un istante distratti, forse, da un movimento improvviso poco lontano, un rapido ondeggiare di stoffe dileguatosi dietro un muro scalcinato che l'uomo dai capelli rossi cercò di catalogare come frutto della propria immaginazione prima di affrettarsi a salire in carrozza e prendere posto sul sedile, accanto ad un ufficiale dai capelli biondi la cui calma apparente era tradita soltanto dalla stretta vigorosa con cui stava brandendo la pistola, puntata esattamente al suo cuore.

“Ma che diavolo succede! Baptiste...Alain!”- il terrore sul volto dell'uomo si dissolse come ceralacca sulla fiamma nel riconoscere i volti noti ma si rapprese di nuovo, immediatamente, in una maschera distorta, nel rendersi conto della divisa indossata da quello che aveva considerato un semplice compagno di bevute.

“Louis...”- la voce di Baptiste tremava sotto il peso delle macerie dei propri ideali feriti.

“Che storia è questa buddy? (*) Ti avevo detto di non impicciarti...”- tentò di divincolarsi, Louis, ma la presa poderosa dei due militari tra i quali sedeva, glielo impedì.

“Louis dobbiamo parlare. Forse neanche tu sai tutto...”- prese fiato, il ragazzo, per ritardare una verità che avrebbe annientato ulteriormente le proprie certezze - “...o almeno lo spero. Non è questo quello che...”

“Non è questo quello che credevi?!? E' così? Questa è una guerra, perdio! Anche se non indossiamo l'uniforme di un esercito...il popolo francese è il nostro esercito! Ma forse tu non puoi capire...in guerra la gente muore!”- la paura lo rendeva aggressivo e gli faceva toccare tasti che sapeva essere dolenti. Non servivano parole per spiegare il motivo di quell'incontro; l'amico si era prestato a fare da esca, era evidente.

“Muoiono degli innocenti!”- Baptiste, cresciuto di anni in poche ore, non si scompose di fronte alla ferocia evidente nel tono dell'altro ma alzò il timbro, sperando di scuoterlo con quella verità.

“E allora?!? I ragazzi con cui sono partito anni fa...sai quanti ne sono tornati?!? Soltanto io! E loro che colpe avevano? Se vendersi all'esercito per mangiare è una colpa, sì...erano colpevoli!”

“Ho visto quasi morire un bambino oggi e non è ancora fuori pericolo! Non ha neanche quattro anni...”- provò ad affondare il coltello, Baptiste, sperando di trovare il cuore che sapeva esistere sotto la scorza resa tenace dalle circostanze.

“Fa parte del gioco...”- ringhiò l'altro sviando lo sguardo da lui.

Parole crudeli quelle, in grado di spezzare la calma che tutti si erano imposti di mantenere, mostrandone i profili aguzzi. Di schegge nella carne André ne aveva parecchie più degli altri e l'istinto di rispondere al dolore infliggendone uno ancora più grande si appropriò della sua mano, portandola ad afferrare l'uomo per la gola, inchiodandolo contro il sedile, con il mento bloccato verso l'alto per fargli annusare l’eventualità concreta che il tettuccio rivestito di stoffa lisa fosse l’ultima cosa che avrebbe potuto sbirciare nella vita. Nonostante la presa salda attorno al calcio della pistola, la mano di Oscar tremò, scossa dall'eco di parole difficili da scordare, parole di carta.

...ogni mattina la prima cosa che faccio è scrivervi, mia Beth, per ricordarmi che è trascorso un altro giorno. Qui si perde il senso del tempo e tracciare la data su un foglio è l'unica cosa che mi permette di non perdermi e mi fa sperare possa mancare un giorno in meno al nostro prossimo incontro...” Oggi ho sparato e ucciso, Oscar. E’ la prima volta da quando sono qui. Queste erano le frasi ancora leggibili su un frammento di foglio che ho trovato nella tasca di un soldato, dilaniato da un colpo partito dal mio fucile. Ho distrutto il futuro di due ragazzi; quelli che avremmo potuto essere noi due, in un'altra vita. Pare ci si faccia l'abitudine, dicono i veterani di altre battaglie. Ma io credo non ci riuscirò mai, non voglio riuscirci...

La furia gli sbiancava le nocche, delineava i tendini e inturgidiva le vene. Per la prima volta da quando era tornato, Oscar ebbe davvero paura.

...oggi il nemico ce l'aveva con me, Oscar, o almeno così sembrava. L'aria mossa dalle pallottole dei moschetti mi ha solleticato l'orecchio destro più volte; credo di dover ringraziare la scarsa mira dell'artigliere se sono qui a scriverti nella quiete di un tramonto d'agosto. Ti piacerebbe, sai? Ora che tutto è calmo e il cielo è solcato solo dagli uccelli, mi ricorda i cieli infuocati delle estati della nostra infanzia quando tornavamo a casa stremati, sudati e felici. Chissà se riuscirò mai a guardare un tramonto con gli stessi occhi di allora...”

Ebbe paura per quello che si portava dentro e si era divorato parte del suo animo gentile, per le ombre che avrebbero sempre oscurato momenti limpidi, per ciò che sarebbe rimasto nascosto dietro gesti semplici e che non le avrebbe rivelato.

...ho passato un giorno intero insieme ad un cadavere. Lo conoscevo quell’uomo, era originario della Piccardìa. Siamo sbarcati insieme, per questo lo ha chiesto a me. Si fidava e mi ha pregato di interrompere la sua agonia, sapeva non l'avrei fatto soffrire. L'ho tenuto stretto mentre la vita lo abbandonava, mi è quasi parso di vederla allontanarsi nel suo ultimo sussulto...”

Ebbe paura per ciò che non era ancora riuscita a lenire lasciandosi solcare e stringere da quelle stesse mani che stavano mostrando il loro lato più brutale, mani a volte rudi nella ricerca del piacere, quando il desiderio si faceva eco dell'assenza e li coglieva all'improvviso, urgente, reclamando di essere soddisfatto subito, senza tenerezza, con la mera unione dei corpi già pronti ad accogliersi e ad essere rifugio, fugace e assoluto, in cui poter sfogare il dolore.

E lei, quelle mani che avevano sparato e ucciso, stava imparando a domarle volgendo la loro foga al servizio del proprio ardore, le loro asperità alla soddisfazione della propria voluttà, sciogliendo i ricordi feroci che lo scuotevano forte nell'oblio di un'estasi che aveva imparato a rendere sempre più intensa. Lo trascinava via bloccandolo contro il suo ventre con le mani e le cosce, avvolgendolo, muovendosi impudica e affamata sotto e attorno a lui finché la voce del suo desiderio non riempiva la stanza mescolandosi alla propria e il suo piacere non le scaldava le viscere.

Poi, uno nell'altra, ascoltavano i respiri quietarsi guardandosi in faccia per dirsi senza parlare che andava bene così, che era quello che volevano, che per la dolcezza ci sarebbe stata un'altra occasione.

“Come fai...come fate ad avere così poco rispetto per la vita umana?!? C'è un soldato ora, come lo sei stato tu e come lo sono stato io, che prega per la vita del figlio. Hai sentito, no? Non ha neanche quattro anni! Di cosa mai può essere colpevole un bambino così piccolo?”

L'uomo cominciò a vacillare avvertendo l'aria venire meno sotto la pressione di una rabbia di cui non avrebbe mai potuto comprendere a pieno l'origine.

“Nessun uomo...nessun padre...dovrebbe trovarsi nella situazione di non poter vedere il proprio figlio che diventa uomo a sua volta! O donna...”

Oscar comprese.
C'era lei in quella carrozza, i sorrisi spezzati ancora prima di sbocciare, le lacrime che lui non avrebbe mai potuto asciugare, le risate e i rimproveri che mai gli sarebbero usciti dalla gola.
E faceva tremendamente male.
Si scoprì a temere per la vita di quell'uomo il cui volto stava cambiando colore sotto la pressione delle mani di André che, se avesse voluto, avrebbe potuto spezzarne definitivamente il respiro.

“André...André, basta! Basta così...lascialo!”- la voce di Oscar, diamante puro, riuscì a graffiare l'aria resa coriacea dall'amalgama di troppe vite e ad arrivare a lui, temibile e spietato in quella furia inimmaginabile, calmandolo poco a poco sotto gli occhi esterrefatti degli altri, impreparati a tanta ferocia. André allentò la presa e si abbandonò contro lo schienale lasciando fosse lei a sferzare l’uomo con la sola forza delle parole, lei che quel dolore aveva avuto più tempo per imparare a domarlo.

“Devi dirci ciò che sai...”

“No! Io non...”

“Non vuoi? Non puoi?”

“Io...voglio una nuova Francia...e la voglio vedere!”

“La vedrai”

“No, quella è gente che...”

“Devi fidarti di me...”- per la prima volta da quando era stato trascinato in carrozza, l'uomo fissò lo sguardo su di lei e, oltre la durezza, vi trovò anche la purezza del diamante, quella che aveva visto poche volte sui campi di battaglia, di chi può scegliere la morte piuttosto che tradire se stesso.

Decise di lasciarsi abbagliare.

“Cosa sanno?”- chiese rivolto a Baptiste, strofinandosi il collo per togliersi di dosso la sensazione della vita che si allontana.

“Tutto ciò che ho potuto raccontare. Ma io non so chi ha chiesto di organizzare il trasporto dall'America e a chi tu faccia le consegne

“Chi ha chiesto di organizzare il trasporto non lo so nemmeno io con esattezza. Quelli che usano credo siano nomi di battaglia. Quando siamo rientrati dall'America, io e Robert per un po' abbiamo condiviso due stanze a Saint'Antoine; una sera il fratello e certi suoi amici sono venuti a farci visita. Abbiamo parlato della guerra, volevano sapere quali idee serpeggiano oltreoceano e tra i reduci e abbiamo finito con lo scartare il regalo di Joachin...una settimana dopo un tizio di quelli è venuto a chiederne un po' e, dopo un'altra settimana è tornato per capire se potevamo farne arrivare dell'altra dall'America. Ha detto sarebbe stata utile per costruire la nuova Francia”

“Chi è costui, come si chiama?”

“Non lo so, è un uomo bellissimo...ha lineamenti fini, da donna...come voi...”- sussurrò rivolto all'ufficiale biondo - “...e badate che a me piacciono le donne quindi non sto esagerando...” - l'ufficiale non si scompose e annuì, come se già sapesse.

“In che modo dovrebbe essere utile? Come arriva lo sappiamo già...”

L'uomo sospirò profondamente e attese un momento prima di parlare, sopraffatto dall'enormità di ciò che si era prestato a fare.

“Io la distribuisco. Alcuni fornai della città vengono pagati per vendere il loro pane a prezzi più bassi...perché deve essere venduto. In questo modo non ci perdono nulla, anzi ci guadagnano, ed evitano anche eventuali assalti ai loro negozi. Non accade spesso, ma accade. E' stato facile trovarne di compiacenti”

“Chi li paga?

“Non lo so...qualcuno per cui evidentemente il denaro non è un problema...”- una frase già udita, il fulcro della questione.

“Già, il denaro compra tutto di questi tempi, anche la morale”- biascicò Alain, adagiato mollemente al sedile, certo di non aver più nulla da temere da quell'uomo.

“Loro ignorano le conseguenze. Anch'io le ignoravo all'inizio. Credo qualcuno si assicuri...voglio dire, che sia presente durante la panificazione successiva alle mie consegne”

“Miscelano la polvere alla farina? Vendono deliberatamente il pane con dentro questa roba?!?”- Alain, incredulo, si trattenne a stento dal fargli saggiare anche le sue mani sul collo.

“Sì, il piano è questo”

“Ma cosa significa? Quale piano!?!”

“Quello di sfiancare la gente, di istigarla. Chi vede patire o morire un familiare, senza avere i mezzi per poter fare qualunque cosa, si ribella. Il malcontento popolare genera rivolte...”

Era stata Oscar a rispondere dando voce a ciò che aveva immaginato; ora il quadro era completo o quasi. Tuttavia c'erano troppi segreti, troppi buchi. Nel profondo era convinta non sarebbero mai arrivati ad avere un nome certo, un mandante designato. E se mai fosse accaduto sarebbe stato un prestanome, senza dubbio. Erano troppo alti e poco nobili gli interessi in gioco.

“...e i colpevoli, agli occhi del popolo, sono sempre coloro che hanno il potere di migliorare le cose, ovvero i sovrani, le loro colpe vengono ingigantite di fronte ad una popolazione allo stremo”

“Già, il popolo ne richiederà la destituzione sempre più alacremente...sarà solo questione di tempo. Tutti questi fuochi, più o meno evidenti finiranno per confluire in un grande incendio...”- convenne André

“Sì, vogliono la rivolta a scapito dei loro stessi concittadini. Se mai dovesse capitare, Parigi sarà la prima città a bruciare, per l'entità delle masse, per la facilità di sobillarle, di far circolare un'idea”

“Louis non è questo il modo, ti prego. Scriviamo insieme a Michel, diciamogli di interrompere tutto. Lui è lontano, nessuno lo conosce, nessuno lo cercherà. E anche tu potresti ripartire insieme a me...non ti troveranno”

L’altro scosse il capo con un sorriso amaro e disilluso, certo di un'altra verità ma anche di aver tradito il suo popolo già abbastanza.

“Sì, scriviamo a Michel. Ma ormai è tardi per il carico in arrivo tra due settimane...giorno più, giorno meno...”

“Dobbiamo intercettarlo. Domani stesso chiederò un colloquio con il generale Bouillé”- Oscar armeggiò sotto il mantello e ripose la pistola nella fondina, sicura di aver conquistato la fiducia di quell'uomo che sognava un mondo giusto però nel modo sbagliato.

***

Giocare d’anticipo era fondamentale, perciò la partenza era stata fissata in modo da arrivare a destinazione un giorno prima di quello previsto per l’attracco del veliero, per garantirsi la possibilità di intercettarlo senza inconvenienti. L'incarico era stato affidato ad Oscar con piena libertà su quanti e quali uomini portare con sé. Bouillé l'aveva ascoltata in silenzio dietro la stessa scrivania dalla quale era partito l'ordine che, accidentalmente, aveva scoperchiato quel vaso di Pandora al cui interno potevano venire risucchiati la Corte, Parigi e la Francia intera e, come allora, aveva richiesto di mantenere il più assoluto riserbo sulla vicenda.
Ciò avrebbe dovuto imporre di coinvolgere gli uomini che già ne erano a conoscenza ma dopo la macabra scoperta fatta qualche sera prima, nel bel mezzo di una ronda di pattuglia ordinaria, Oscar aveva ritenuto opportuno coinvolgere anche altri soldati della brigata cui aveva fornito informazioni sommarie e promesso una paga più alta. Non fosse riuscita ad ottenerla dall'esercito, ci avrebbe pensato di tasca propria.
Tra loro c'era anche Jules Duval al quale non era stato necessario spiegare nulla; era tanta la rabbia quanto il sollievo per il pericolo scampato dal figlio, che avrebbe marciato a piedi fino in Egitto e senza compenso - così aveva detto al suo comandante - pur di fermare quei dannati bastardi. Lui in particolare, oltre la collera che avrebbe fatto da traino, era stato scelto per la mira impeccabile; gli altri per l’abilità con le armi da fuoco, valido supporto alla destrezza, sua e dei suoi due uomini migliori, nell’utilizzo dell’arma bianca.
Insieme agli uomini della compagnia B avrebbero viaggiato anche Tim Simmons e il nipote per raggiungere una locanda sulla costa dove avrebbero soggiornato fino al giorno in cui quello stesso veliero sarebbe ripartito in direzione opposta e li avrebbe riportati in America.
La mattina designata per la partenza non era ancora spuntato il sole che Oscar, seduta sul bordo del letto, stava già terminando di infilare gli stivali puntandone il tacco sul pavimento per far scorrere meglio le gambe avvolte nelle calze di seta.

“Non hai ancora detto niente a Baptiste?”

“No, non ho ancora trovato le parole per dirgli che Louis è morto...quando tutto sarà finito, allora...”

Lei annuì. Ricordò il suo viso stravolto e stanco quando l'aveva raggiunta a casa, in quella che entrambi chiamavano casa, la sera in cui avevano trovato l'uomo sgozzato in un vicolo dove, scuri sgangherati che normalmente lasciavano filtrare ogni tipo di spiffero, parevano essere diventati uno scudo impenetrabile a qualsiasi rumore di strada. Nessuno aveva udito nulla. Si era buttato di peso sul letto, scuotendo il capo, ad occhi chiusi con la bocca impastata di sgomento e timore. Lei gli si era avvicinata piano, colpita e allarmata dal suo silenzio e gli si era seduta accanto, sfiorandolo appena con il movimento del corpo. Solo allora lui aveva aperto gli occhi e, allungando una mano per carezzarle il volto, le aveva raccontato tutto.

“Lo sai che questo potrebbe significare che qualcuno è a conoscenza del nostro viaggio...e di chiunque si tratti, è gente senza alcuno scrupolo...dobbiamo cercare di proteggere almeno l'altro...è l’unico che può dirci qualcosa di utile”

“Sì, ne abbiamo già parlato...”- la guardò, André, seguendone i movimenti precisi mentre toglieva la giubba dall'appendiabiti

“Oscar...”- le si portò alle spalle, colmando in pochi passi lo spazio che li divideva, le afferrò piano le braccia e la fece voltare perché era importante dirglielo in faccia.

“...so che fa parte del ruolo, so che forse non dovrei dirtelo...ma lo farò solo una volta, qui, davanti al nostro letto perché adesso non è il soldato che parla. Fai attenzione, ti prego...”

“Anche tu...e vale anche per me...non è il soldato che parla”- si alzò sulle punte dei piedi e gli sfiorò le labbra in una promessa silenziosa desiderando fosse già tutto finito, che quel bacio avvenisse un giorno dei seguenti quando ad attenderli ci sarebbero state soltanto le beghe quotidiane della caserma. Lui sorrise amaro ché certe cose non le avrebbe mai scordate.

“Avrei voluto baciarti anche quella mattina, quando sei uscita per andare a sfidare il Duca di Germain. Era ancora buio, come adesso, e io desideravo ardentemente che qualcuno spalancasse la porta e gridasse a squarciagola che il duello era stato annullato...”

Lei avvertì lo sguardo farsi liquido. Ricordò i suoi occhi cerchiati, nemmeno lui aveva dormito quella notte, e la colazione intatta sul tavolo dove Marie l'aveva approntata con ogni cura, come fosse una mattina qualunque. E ricordò anche un vuoto allo stomaco, lo stesso desiderio di ritrovarsi dopo in quella cucina, insieme, a svuotare il piatto dai biscotti profumati e burrosi.

“Forse l'avrei voluto anch'io, anche se allora non lo sapevo...”

Poi lo baciò ancora, anche per quella mattina, finché i colpi insistenti al portone di sotto non arrivarono a sfondare l'ovatta di quell'alcova al primo piano di una dimora qualsiasi, nel cuore di una città che si stava svegliando.

“Sarà qualcuno dei soldati?”- mormorò lei, mettendo fine a quel contatto senza troppa convinzione.

“Spero di no...significherebbe che ci sono problemi. Scendo a vedere e ti aspetto giù”

Oltre la rampa di scale, colmata in brevi istanti, qualcuno continuava a battere sul portone che André si precipitò ad aprire.

“André! Quanto ci impieghi ad aprire la porta!”

“Signore...”

“Padre!”

Il volto severo e accaldato per la fretta e l'apprensione seguì il richiamo della voce della figlia, già sull'ultimo gradino, impeccabile ed elegante come le aveva insegnato ad essere.

“Oscar...ti ho cercata a Palazzo ma mi hanno detto che non torni quasi mai. E in caserma non c'eri. E' inconcepibile che io venga a sapere dove trovarti da un soldato qualunque!”- entrambi abbassarono gli occhi per nascondere il guizzo divertito suscitato dall'immagine di Alain che buttava lì, quasi per caso, un indirizzo sconosciuto all'illustre superiore.

Il Generale si guardò attorno, scivolando rapidamente sui dettagli della stanza e cercando parole adatte ad una situazione che non poteva essere più chiara.

“Allora è qui che...dormi...adesso”- due tricorni vicini, due mantelli accostati; le spade le avevano già allacciate in vita altrimenti era certo le avrebbe viste poggiate insieme, forse sulla cassapanca alla sua destra o sorrette da quella poltrona che occupava l'angolo in fondo o forse...alzò lo sguardo sulla scala che portava al primo piano e sospirò.

Lei annuì e si portò al fianco di André sfiorandogli impercettibilmente la mano in quel gesto che gli chiedeva di poter entrare tra le dita per afferrarle saldamente.

“Aver lasciato la guardia reale non implica tu debba lasciare anche casa tua”

“Signore io...”

“Non è il momento André. State per partire. Volevo solo assicurarmi che tutto fosse organizzato al meglio, Bouillé mi ha ragguagliato su ogni cosa e...mi raccomando...André...”

Mosse impercettibilmente il capo, André, come allora, quando sopraffatto dall'enormità della richiesta, non era riuscito a proferire parola. Solo a fissare lo sguardo profondo, troppo per i suoi quindici anni, nell'altro, azzurro e così simile a quello che già amava, altrettanto denso ma pieno di speranze, il giorno in cui lei aveva scelto il suo destino. Gliel'aveva affidata, quel giorno, con la stessa frase.
Con il piede destro già sul predellino della carrozza che lo attendeva in strada, tre gradini più in basso del portone, il Generale si voltò, quasi avesse rammentato di aver tralasciato qualcosa di importante e, con il solito fare sbrigativo, si rivolse ad André senza nemmeno chiamarlo per nome. Sembrò improvvisamente più vecchio o forse erano solo quelle due rughe sulla fronte, aggrottata da un passato che non aveva potuto impedire.

“Non c'è bisogno tu mi chieda niente. Io c'ero quando tu non c'eri...poi avremo tutto il tempo...”

Devi essere i suoi occhi e le sue orecchie, fiutare il pericolo che a Corte si manifesta anche e soprattutto in pettegolezzi e maldicenze.
E' forte, è addestrata, è coraggiosa; se la saprà cavare egregiamente. Devi essere il suo scudo senza ne debba portare il peso, una roccia cui poggiarsi senza debba sapere che è stata messa apposta per lei, un'ombra discreta che non ne oscura la luce. So che ne sei in grado. Te l'affido.
Mi raccomando, André

***

La costa atlantica li accolse avvolgendoli in una bellezza struggente, un susseguirsi di acqua, rocce, aria e sabbia da perderci la vista e il fiato.
Oscar, in piedi sulla riva, lontano dalle onde quel tanto che bastava per non bagnare gli stivali, inspirò profondamente trattenendo l'odore del mare e la serenità calma che da sempre le suscitava.
Lo sguardo, azzurro come la tavola liscia e sconfinata che le si stendeva davanti, si soffermò sulla linea netta dell’orizzonte, scintillante nel riflesso del sole di mezzogiorno e ancora più evidente nel contrasto con le nuvole basse e grigie sospinte dalle correnti oceaniche.

“Magari resteranno al largo, si spostano veloci. Non è detto portino tempesta”- André aveva lasciato i soldati a riempirsi le mani di sabbia e conchiglie, le orecchie del garrito dei gabbiani e gli occhi di quello spettacolo inedito per chi, quasi, non era mai stato sull'altra sponda della Senna e le si era portato accanto cercando di rassicurarla con quelle nozioni acquisite nei mesi di navigazione su di un aspetto che avrebbe reso la loro missione indubbiamente più difficoltosa. Lei annuì, silenziosa, e rabbrividì. Il tocco della brezza lieve e profumata di sale, le arrivò gelido dopo la lunga carezza del sole d'aprile, insolitamente caldo quell'anno, che li aveva accompagnati fin da Parigi. Continuò a guardarsi intorno mandando a mente elementi che sarebbero potuti tornare utili e cercando di ignorare il mormorio della risacca. Le parlava di un’altra spiaggia, di giorni lieti ma anche tormentati, di luoghi familiari e di un cavallo bianco che correva in solitudine sulla rena alzando schizzi di spuma liberi di ricadere sui capelli. E di un desiderio dimenticato.

“Non l’abbiamo mai fatto”

“Cosa?”

“Cavalcare insieme sullo stesso cavallo...sulla spiaggia”

Lui non disse nulla ma sorrise di un desiderio identico con uno sfondo diverso.

Richiamata dal vociare allegro dei soldati, annuì di approvazione notando che gli abiti indossati fin dalla partenza avrebbero potuto essere scambiati per quelli di due pescatori poco distanti, intenti a ripiegare le reti e a fiutare l'aria cercando di capire se potevano fidarsi davvero dell'oceano così stranamente calmo per quella stagione o se si trattasse soltanto della quiete prima della tempesta.
Ci aveva pensato lei a procurare i vestiti spiegando ai soldati che avrebbero dovuto passare inosservati. Il piano era chiaro. Baptiste avrebbe avvicinato l'amico Robert Pierrault quella sera stessa, con la scusa di salutarlo in vista della partenza imminente e Alain che già lo conosceva, lo avrebbe tenuto d'occhio da lontano fino al giorno seguente. La logica suggeriva che avrebbe raggiunto l'Île d’Yeu all'alba per essere certo di non perdersi l'attracco del veliero, previsto in giornata ma, essendo le navi in balia dei venti oceanici, non era possibile stabilirne il momento esatto. Fingendosi pescatori, si sarebbero mossi in modo analogo, certi di non dare nell'occhio nel momento in cui, all’inizio del giorno, le imbarcazioni sarebbero uscite per la pesca.

“Vado a contrattare per la barca. Ci vediamo dopo alla locanda”- avevano stabilito quel ruolo toccasse ad André, più affabile e avvezzo a trattare con i suoi pari, come ancora li considerava, titolo nobiliare o meno. Con un cenno chiamò a sé Jules Duval che gli avrebbe fatto da spalla fingendo una cultura del mare molto più ampia di quella carpita non ancora adolescente dal padre, barcaiolo per necessità; un poveraccio che per sbarcare il lunario trascorreva le giornate a trasportare a riva cadaveri di ogni sorta ripescati quotidianamente dalle acque della Senna, servendosi di una sorta di bagnarola che scivolava lenta lungo le acque del fiume.
Gli altri avrebbero messo a disposizione braccia robuste e fiato per remare se mai ce ne fosse stato bisogno.
Quella notte, dopo che tutti si furono ritirati e l'unico brusìo udibile rimase l'eterno dialogo tra gli scogli e le onde, lei lasciò la propria stanza per infilarsi in quella di André.

“Cosa succede?”- lui scattò dal letto uscendo in un balzo dal sonno divenuto da tempo troppo leggero.

“Niente, non succede niente...”- gli riservò le sue stesse parole, quelle usate in un vicolo di Parigi, prima di spogliarsi rapidamente e stringerglisi addosso nella nicchia tra il petto e la spalla, dove il ritmo del suo cuore aveva il potere di calmare anche il proprio.

“...prima del duello con il Duca di Germain ho dormito da sola...”

 

L'Île d’Yeu si svelò ai loro occhi poco a poco. Più si avvicinavano, più i suoi colori risultavano vivi. Macchie verdi di salici e pini spruzzate del rosso delle tegole di pochi tetti spiccavano contro l’azzurro del cielo. All'orizzonte gravavano ancora nuvole grigie ma il profumo del sale, la carezza del vento e la vastità dell'oceano silenzioso e brillante le rendeva irrilevanti nell'immensità del cielo, basso, denso, da pensare di poterlo quasi toccare. Avevano costeggiato la scogliera ed erano approdati sull'isola nel punto che Robert Pierrault, ignaro e certo quelle chiacchiere non avrebbero avuto conseguenze, aveva indicato a Baptiste come il più adatto, solo alcune settimane prima. Avevano perlustrato sentieri e valutato vie di fuga, accordandosi con cenni del capo e gesti allusivi.
Ora, nascosti tra i massi di granito arrossati dagli ultimi raggi del sole, attendevano la notte osservando il veliero avvicinarsi all'isola, in silenzio, avvolti soltanto dal frastuono delle onde che si infrangevano sulla roccia. Quando Jules Duval, steso prono su un masso a picco sulle onde vide il gatto (**) avanzare piano, rasentando la costa, la luna, piena e luminosa, aveva già compiuto oltre mezzo arco nel cielo rivelandosi una complice insperata grazie alla lunga scia che aveva srotolato sull'acqua.
Nel suo chiarore il soldato vide nettamente il timone anche se non avrebbe saputo dire se fosse montato a prua o a poppa ma i pochi rudimenti di navigazione in suo possesso gli furono sufficienti a comprendere che la possibilità di fissare il timone ad entrambe le estremità, permetteva all'imbarcazione di manovrare più facilmente. L'ideale per caricare e scaricare velocemente e fuggire dal gabello. Strisciò lentamente all'indietro e diede il segnale convenuto lanciando un sasso oltre i massi dove i compagni attendevano appostati in una caletta nascosta, poi li raggiunse per percorrere insieme a loro il sentiero tra gli scogli individuato nel pomeriggio ed arrivare a nascondersi ai margini della spiaggia incastonata tra le rocce dove Robert Pierrault attendeva il carico.
Udirono lo sciabordio delle onde farsi tanto più intenso contro la carena quanto più il gatto si avvicinava alla costa e l’acqua schiaffeggiata dagli stivali quando un uomo scese dall'imbarcazione per aiutare il ragazzo a scaricare la cassa sulla sabbia. Da quella distanza non riuscirono ad udire le parole ma la gestualità lasciava supporre rassicurazioni sul fatto di riuscire a caricare sull'altra barca. Quando sulla spiaggia rimasero soltanto i passi smorzati del ragazzo, Oscar uscì allo scoperto e gli si avvicinò insieme ad Alain e a Jules Duval, scelti appositamente per convincerlo all'unica scelta ammissibile. La sabbia attutiva i suoni e Robert si rese conto di essere accerchiato troppo tardi, troppo distante dalla propria imbarcazione e anche per pensare di mettersi a correre.

“Fermati!”- l'ordine secco di Oscar, rimbalzando sulle scogliere, si spanse nell'insenatura risultando ancora più minaccioso

“Chi siete? Cosa volete?”- il ragazzo stringeva forte la cassa quasi le doghe di legno potessero rappresentare il più sicuro dei rifugi.

“Solo parlarti e pregarti di consegnarci quella merce”

“Chi siete?”

“Soldati della guardia metropolitana di Parigi”

“Parigi? Ma come avete fatto...?”- tra le innumerevoli domande che gli si affastellavano nella mente, il ragazzo non riusciva a capacitarsi di quale fosse la più importante, la prima da porre.

“Così!”- Alain rispose richiamando l'attenzione su di sé e facendosi riconoscere alla luce diafana della luna.

“Alain!?! Ma io non ti ho mai detto niente...come...”- poi Robert sgranò gli occhi - “Baptiste!

“Sì...”

“Ma perché?”

“Perché ha capito! Ha capito tutto!- intervenne Jules Duval con un grido - mio figlio è quasi morto per quella roba!”

“Non capisco...”

“Tu sai cosa viene fatto del contenuto di quella cassa?”- Oscar riprese la parola, lucida e decisa. Gli animi andavano calmati per ottenere il risultato sperato.

“Io mi limito a consegnarla”

“Allora te lo dico io!” - la furia del soldato Duval era tangibile; la disciplina, in quell'occasione, sapeva lui dove metterla - “La mescolano al pane...è veleno per chi la mangia ignaro!”

Il ragazzo scosse il capo incredulo di ogni cosa, delle parole del soldato, di ciò che gli chiedevano di fare, di ciò che non avrebbe potuto eseguire.

“Ma io non posso...se non consegno mi uccideranno...e Louis...”- balbettava, il ragazzo, in preda all'agitazione, all'incapacità, in quel momento, di prendere qualsiasi decisione.

“Lui è già morto...questo dovrebbe facilitarti la scelta”- intervenne, brusco, Alain.

Robert cadde in ginocchio sulla sabbia gemendo e biascicando pensieri ad alta voce

“No, no...non è possibile...non si può...”

“A chi la consegni?”- di nuovo Oscar, imperiosa ed impaziente.

“Io...”

Fu allora che si udì il sibilo sordo di uno sparo. Il proiettile rimbalzò sulla roccia, sollevando schegge di granito.

“A terra! Oscar, state giù!”- André e i soldati rimasti in attesa dietro alcuni scogli, pronti a coprire le spalle ai compagni, si scagliarono contro gli uomini che, dal sentiero alle loro spalle, accorrevano agguerriti verso la spiaggia.

“Robert stai giù, pancia a terra, non ti muovere!”- il tono di Oscar non ammetteva repliche, i suoi gesti nemmeno. Con la mano sinistra calò sulla testa del ragazzo per obbligarlo ad ubbidire al suo ordine poi, con la destra, estrasse la spada dal fodero e si unì ai suoi soldati. Il clangore delle spade soverchiò il silenzio armonioso della spiaggia, il cozzare di lame rilucenti nel bagliore lunare ma sempre più sporche ad ogni affondo, spezzò la quiete della notte. Gemiti di dolore e tonfi sordi di corpi che cadevano soffocarono il suono dolce dell’acqua. La destrezza e la tecnica degli ufficiali che si muovevano di concerto come se ciascuno conoscesse in anticipo i movimenti dell'altro, unite ai metodi poco eleganti ma estremamente efficaci di Alain fu fatale agli aggressori, forse impreparati ad una difesa tanto strenua.
L'ultimo crollò mentre il cielo, ad est, iniziava a schiarire. Il silenzio della notte calò nuovamente sulla spiaggia sfumando pian piano nelle strida dei gabbiani che si alzavano in volo, indifferenti ai corpi rimasti inerti sulla sabbia. Il mare aveva ripreso a scandire il tempo degli uomini, in lontananza si vedevano già le prime barche di pescatori lasciare le rive, il fortunale che aveva interrotto la calma imperitura di quel luogo sembrava passato.

Il ragazzo abbandonò la sua posizione accucciata dietro lo scoglio dove era rimasto per tutto il tempo coprendosi la testa e le orecchie con le mani per impedirsi di sentire, per impedirsi di pensare. Trovò il coraggio di alzarsi per andare incontro ai soldati che lo avevano salvato da morte certa ma, mentre barcollava per dar tempo agli arti rattrappiti di riprendere la loro abituale agilità e osservava gli uomini riporre le spade nei foderi e i loro petti che si alzavano e abbassavano al ritmo di respiri sempre più regolari, accadde di nuovo.
Un altro sibilo.
L'aria venne trafitta da un altro sparo che andò a conficcarsi nella sabbia, poco distante da lui, cancellando ogni dubbio su chi potesse essere il bersaglio designato, quello da mettere a tacere.
Ma la sua era una voce troppo importante da ascoltare, lui doveva parlare. Il suo racconto avrebbe anche potuto non identificare nessuno in particolare ma meritava di essere ascoltato.
Un altro sparo.
Si immobilizzò, perduto.
Negli occhi i sogni e le colpe che cozzavano e si infrangevano gli uni sugli altri.

Poi l’indole alla battaglia, lo spazio tra i colpi scandito a mente, il sentore di un altro sibilo udito solo con l'istinto prima potesse intaccare di nuovo il silenzio. Oscar balzò in avanti, si gettò addosso al ragazzo per buttarlo a terra, rapidissima ma non quanto l'ennesimo sparo che riecheggiò nell'alba rosata.
André, a pochi passi, la vide sgranare gli occhi per la sorpresa, guardare in basso per sincerarsi fosse davvero suo il sangue che stava scurendo la stoffa, portarsi una mano a stringere la giacca ruvida come potesse servire a sopportare meglio il dolore ed iniziare ad ondeggiare pericolosamente.
Allora gridò.
Uno strillo acuto e profondo insieme, capace di squarciare l'aria, il grido di un'anima ferita a morte.
Un grido di battaglia cui rispose Jules Duval con il suo carico di rabbia non ancora sopita e un colpo mirato alla figura ritta sulla bassa scogliera, ora ben visibile negli abiti scuri stagliati contro i colori tenui del cielo. Jules Duval aveva una mira infallibile, lo sapevano tutti in caserma e la sagoma barcollò, inclinandosi sotto il peso del dolore alla spalla destra, lasciando libero il braccio di penzolare inerte e la mano di gettare la pistola. Nell'istante di immobilità e smarrimento che ne seguì, Alain si mise a correre per raggiungere lo sconosciuto ma quello, più agile, come un animale braccato nella forza della disperazione, scomparve oltre la scogliera, balzando sugli scogli fino ad un piccolo natante nascosto oltre i massi. Alain, con una mano sulla fronte a schermare gli occhi dal sole nascente, non poté far altro che fissare lo sconosciuto che veniva issato a bordo e raccogliere la pistola abbandonata a terra.
Sul calcio spiccavano alcune lettere; gli veniva da ridere di quell’abitudine ad incidere le iniziali sulle armi, di quel volersi presentare, con tanto di credenziali, come angeli della morte. Come se una pallottola in mezzo agli occhi non fosse comunque letale se partita da un'arma che non appartenesse a quel LSJ.
Chissà se mai se lo sarebbe ritrovato ancora di fronte quell'uomo, ora facile da riconoscere dopo che la luce del giorno ne aveva svelato la figura snella e i lineamenti fini, da donna.
E nello stesso istante André afferrò Oscar prima potesse rovinare al suolo, accompagnandola dolcemente a terra tra le sue braccia e sulle sue ginocchia che affondarono nella sabbia umida.

“Mi dispiace André...”- il tono era flebile, talmente in contrasto con la voce tonante di poco prima da lasciare straniti.

“Non parlare, risparmia le forze”- un sorriso sereno spingeva indietro lacrime amare e una mano si perdeva tra le ciocche bionde, in carezze lievi.

“...ti avevo promesso...”- il respiro divenne affannoso mentre il viso le si torceva in una smorfia di dolore.

“Non parlare, non parlare, perdio! Andrà tutto bene...”- il tono divenne sussurrato, caldo e intimo mentre cercava di soffocare i singhiozzi, André, annegandoli in un'altra preghiera a non affaticarsi, a respirare piano.

Ad ovest, al largo, si udì un mormorio sommesso, un tuono in lontananza tra le nubi grigie che non avevano abbandonato l’orizzonte.

Lei gli sorrise con dolcezza e disincanto e, con la punta delle dita, gli sfiorò una guancia.

“Avrei voluto...”- un desiderio, quello che entrambi non avevano ancora fatto salire alle labbra ma che non era nemmeno necessario pronunciare.

“Lo sei sempre stata...sei tu...”- una certezza granitica tradita dagli occhi umidi nei quali si specchiava la paura di perderla, stavolta per sempre.

“E se vorrai...”- la strinse più forte perché capisse che in ogni dove, nel buio e nella luce, avrebbe trovato il suo respiro sul viso, le sue mani tra i capelli, il calore del suo abbraccio.
Deglutì terrore e lacrime notando le palpebre, così vicine, farsi sempre più pesanti e lei che si preparava a lasciarsi andare.
Abbiamo tutto il tempo...
No, forse non era vero. Forse la fiducia incrollabile nell'esistenza di un posto per loro, insieme, nel mondo, era solo una fantasia bugiarda, un modo per convincersi che tutto quel dolore, in fondo, non era stato inutile.
Un lampo silenzioso squarciò le nubi, in fondo, tra cielo e mare.
Lei respirò forte e prima di cedere all'oblio, nell'incoerenza dei pensieri, vide la bambina che era stata saltare tra due corde bianche e lucide, quasi vitree, che correvano parallele, si annodavano e tornavano a dipanarsi una accanto all'altra per poi sparire senza dare alcun sentore di quale potesse essere la loro direzione, lasciando, però, lo spazio per precipitare.
La strinse più forte quando lo escluse dal suo sguardo.
Il nuovo giorno nasceva e lei chiudeva gli occhi.
Quel loro tempo finiva. L'amore, invece, non lo avrebbe fatto mai.

 

(*) Amico in slang

(**) barca a tre alberi lunga circa 12 metri, senza prua né poppa che veniva utilizzata per caricare e scaricare velocemente e fuggire dai doganieri.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Capitolo 27 ***


La città era fradicia di pioggia.
Un cielo di piombo aveva rovesciato acqua fin dal primo mattino e, nella luce incerta del giorno che si avviava al tramonto, ancora spremeva le nubi, stillando lacrime solitarie ed esaltando l'odore umido di terra e foglie macere di cui era satura l'aria.
Quel giorno il Conte di Fersen fece ritorno a Parigi.
Non gli era riuscito di salutare come si sarebbe convenuto né André né Madamigella Oscar in quei giorni frenetici prima della partenza, alla fine di un inverno qualunque. Li aveva spesi tutti per rubare ricordi ad una vita che non gli apparteneva, con lei che era di un altro, almeno agli occhi di quel mondo. Ma che lo aveva implorato, nel buio, di farne la propria sposa se mai si fossero riconosciuti in un altro tempo e in un altro luogo. Non aveva più ricevuto loro notizie e non le aveva nemmeno cercate, gettandosi a capofitto negli impegni militari e diplomatici in cui eccelleva. Era così che riusciva a resistere altrove, provando a convincersi non fossero setosi capelli biondi quelli che sentiva tra le mani quando, ad occhi chiusi, affondava il viso e le dita in altri, pregni di un altro profumo, qualunque ne fosse il colore.

Era stato solo un paio di mesi prima, grazie ad una lettera ancora intrisa degli scampoli di un'essenza evocatrice di mussola fine e baci proibiti, che Maria Antonietta lo aveva messo a conoscenza delle vicende e, non appena gli era stato possibile, si era precipitato a Parigi. Non sapeva come lei fosse in grado di far uscire certe missive dalle sue stanze e dalla Francia così come non riusciva a capacitarsi di ciò che aveva appreso da quelle righe.
Da allora non era riuscito a pensare ad altro.
loro con indosso abiti pressoché identici, in un passato ormai lontano che lo aveva legato indissolubilmente ad un Paese diverso dal suo, sempre sottilmente complici in quegli sguardi talvolta ironici, talvolta gravi, nei pomeriggi sereni a Palazzo Jarjayes.
loro in un passato più prossimo, ad un'esteriorità che pareva la stessa se non fosse stato per gli sguardi furtivi e sofferti di cui, almeno all'inizio, non aveva compreso il significato.
E forse, quello più profondo, non lo avrebbe compreso mai.

Mentre in carrozza attraversava l'Europa era stata l’eco di un altro ritorno a cancellare il mormorio dei boschi e il brusio delle città che sfilavano oltre il finestrino: quello insieme ad André che in silenzio fingeva, come lui, di aver dimenticato.
Le sue risate mai troppo scomposte e sempre velate di una malinconia che era stata anche sua, da scacciare con le modalità ritenute, da ciascuno, più opportune.
I discorsi a metà che tanto rivelavano e altrettanto tacevano, le verità di cui probabilmente non sarebbe mai venuto a conoscenza.
Il cielo rosso fuoco e ancora bagnato d'estate che li aveva accolti e la figura snella, incendiata dal sole morente, impegnata a rompere il silenzio con colpi cadenzati.
Un abbraccio che non era per lui.
Loro, da sempre così vicini eppure separati da una distanza incomprimibile. E quando quella distanza era divenuta incolmabile li aveva stretti insieme, sempre loro, in bilico sulle ginocchia, davanti a lui, spettatore estraneo, a segnare l'inizio di un altro tempo nella cornice del giorno che stava per finire. (*)

Non riusciva a credere fosse successo a loro. A loro!
Dio, cosa mai avrebbe fatto se la sorte avesse avuto in serbo una cosa del genere anche per lui!? Gli scoppiava il cuore al solo pensiero!

L'indirizzo di André gliel'aveva dato lui stesso, l'aveva vergato in fretta su un foglio dai margini rattrappiti quasi la carta fosse stata asciugata a forza dopo aver subito l’azione di chissà quali intemperie. Probabilmente proveniva da quel taccuino che conservava gelosamente tra il suo equipaggiamento di soldato, sul quale lo trovava chino quando il mondo intorno si faceva silenzioso e i suoi occhi, invece, erano colmi dell'eco di troppe voci.
Non sapeva nemmeno se l’avrebbe trovato in casa, era stata troppa la foga di raggiungerlo per fermarsi a pensare di avvertirlo.

Quando la carrozza si arrestò davanti al cancello, attraverso il finestrino annebbiato dall'acqua e dal fiato, scorse la facciata incupita dalla pioggia ma che, a giudicare dalle sfumature, nelle giornate di sereno doveva risplendere di un tenue color crema.
Non avrebbe potuto giurarci visto che l'unica altra volta in cui era stato lì aveva a malapena messo il naso fuori dall'abitacolo, ma era certo ci fosse qualcosa di diverso da allora, un particolare sfuggente, impossibile da mettere a fuoco in quel momento.
Superò rapidamente i tre gradini che lo separavano dal portone in legno massiccio, solo un uscio affacciato sulla città, uno scudo semplice cui era affidata la protezione allo scorrere della vita oltre quei confini, insieme ad una siepe verde e profumata di caprifoglio.
Avvertì una stretta al cuore al pensiero di quell'intimità che...maledizione! Era inutile dannarsi l'anima, la vita aveva deciso diversamente...
Vincendo la malinconia, diede un colpo di battente cui nessuno rispose. E nemmeno al secondo.

Soltanto al terzo si ritrovò, con grande sorpresa, a dover spostare lo sguardo molto più in basso per poter incrociare gli occhi vispi di un ragazzino accorso a spalancare le ante, due gemme scure incastonate tra una spruzzata di efelidi e un ciuffo scomposto di capelli del colore e della consistenza della stoppa. Non poteva avere più di quattordici anni, valutò mentre scorreva l'abbigliamento sobrio ma di buona fattura e un arnese che teneva tra le mani, probabilmente uno di quelli che usavano i fabbri. Era palese che il suo arrivo avesse interrotto la giornata operosa di qualcuno cui André aveva evidentemente affidato la cura della casa.
“Io...cerco André, André Grandier. Sono Hans Axel di Fersen”
Subito gli sembrò di aver commesso un errore ché forse con i domestici quel titolo di Marquis al quale in realtà nemmeno lui si era abituato, andava ribadito, ma il ragazzo non sembrò turbato e annuì con convinzione.
“Sì, mi ricordo di voi. André è rientrato da poco, sento se può già ricevervi...”- poi, scrutando il cielo che prometteva ancora pioggia, fece due passi indietro.
“Venite dentro, sembra proprio non abbia ancora deciso di smettere. Il mantello bagnato lo potete appendere lì”- con un cenno del capo indicò un appendiabiti accanto all'uscio, spiazzando il Conte con quella strana forma di cortesia fatta di toni premurosi ma privi di qualsiasi accenno di servilismo. Inoltre, era oltremodo evidente che, al ragazzo, l'idea di aiutarlo a svestirsi non avesse nemmeno attraversato la mente.

Fersen si guardò attorno, lievemente spaesato, nell’atrio spento di colori. La poca luce che filtrava sotto strati di nubi non era sufficiente nemmeno ad esaltare il candore di alcune rose sistemate con cura in un vaso proprio di fronte alla finestra, in grado di accentrare l’attenzione grazie al loro profumo delicato. Sorrise ricordando che a Madamigella Oscar, a dispetto del ruolo e dell'educazione ricevuta, le rose erano sempre piaciute; ne aveva viste di bellissime nella sua stanza in quelle rare occasioni in cui vi era stato ammesso. Evidentemente aveva una predilezione per quelle bianche; questo lui lo ignorava ma André non poteva non saperlo.

Da quel passato in cui erano tutti adolescenti non troppo scottati dalla vita riemerse grazie alla voce calda di André che gli andava incontro con ancora addosso l'uniforme della quale aveva soltanto fatto in tempo a sbottonare la giubba.
“Hans, che sorpresa! Dopo tanto tempo!”- la stretta vigorosa alla mano e il sorriso schietto esprimevano una gioia sincera per quella visita inattesa. Gli fece cenno di seguirlo e mentre lo conduceva attraverso il corridoio, verso una sistemazione più consona al dialogo, si rivolse al ragazzo rimasto in attesa sotto le scale, riprendendo un discorso evidentemente lasciato in sospeso.
“Pierre ci pensi tu allora a contattare il maniscalco? I turni di questi giorni non me lo permettono”
“Sì, ormai mi conosce. Finisco di là poi vado...”- nella voce squillante si percepivano la voglia di mostrare le proprie capacità e l'entusiasmo, tipico della sua età, di metterle in opera.
“E’ un ottimo tuttofare, mi è di grande aiuto”- André fece accomodare Fersen in salotto, lo stesso che era stato ingombro di appunti e libri di cui restavano solo i due tomi provenienti da Palazzo Jarjayes e che non aveva proprio pensato di restituire. Sulle rilegature preziose era tornata ad adagiarsi la polvere, anche sull’ultimo scaffale della sua libreria.
“E’ figlio di una delle domestiche di Palazzo, lo conosco da quando è nato. Voleva dimostrare di essere cresciuto, così ho pensato di offrirgli un lavoro. Meglio qui che presso sconosciuti”
Fersen sorrise e annuì lasciando scorrere lo sguardo intorno, fino al tavolo occupato soltanto da una scacchiera. Le pedine di legno, disposte secondo uno schema preciso, parlavano di una partita sospesa, di una sfida ancora in corso.
“Mi sembra che gli avversari siano ossi duri...”- buttò lì per spezzare l'imbarazzo di non saper da dove cominciare
“Sì, Pierre è bravissimo. Del resto ha avuto un'ottima insegnante. Non esiste una sola volta in cui io sia riuscito a battere Oscar...”- sorrise, André, di quel sorriso malinconico che il Conte aveva imparato a riconoscere come quello con cui si aggrappava a momenti soltanto suoi, preclusi al resto del mondo, a prescindere da chi fosse il resto del mondo.
Non poteva sapere che quel momento, in quell'istante, era fatto dei capelli di lei, raccolti da un lato in una notte tiepida e profumata; del suo collo scoperto e delle sue guance arrossate anche se il fuoco era spento, dei suoi occhi luminosi, fin troppo in quella sera lontana.
“André mi dispiace...volevo dirti che mi dispiace non esserci stato”
“Non importa. A lei non sono mai piaciute le cose fatte in grande. E neanche a me”
“Non sono nemmeno riuscito a salutarla, Madamigella Oscar, prima di partire. Quella sera pensavo di incontrarla a Corte e invece...Dio, André, non posso crederci!”- lo sguardo di Fersen cadde sulle dita dell'altro, intrecciate in grembo, e avvertì un'altra esplosione nel cuore.
“Nemmeno io ci credo ancora e...non importa, davvero...”- scosse il capo, André, per ribadire a sé stesso che quando si scende all'inferno, in ogni inferno possibile, tutto il resto non ha peso.

Un colpo, uno solo, partito dal suo fucile.
Un colpo, uno solo, partito da una pistola ritrovata sugli scogli.
Una notte d'amore
Una croce di pietra
Vite come pedine, gettate sul tavolo da gioco del destino. In ogni tempo. Sempre.

“Quella sera non avremmo mai potuto venire a Corte...”
“Era lei, dunque, qui fuori?”
“Sì...”- sorrise, André, ma non aggiunse altro, certo che il Conte si sarebbe accontentato di quella misera giustificazione, senza reclamare altre parole. Non avrebbe preteso di sapere come il ballo non fosse stato nemmeno contemplato dopo essersi ritrovati stretti uno addosso all'altra lasciando appena il posto per i battiti del cuore né avrebbe chiesto nulla di tutte le notti seguenti, quando non c'era stato più alcuno spazio tra loro, solo sussurri sommessi di anime e vibrazioni accostate per riconoscersi in ciò che erano ed erano stati, battito dopo battito, da quelli avidi, brucianti di passione a quelli lievi, appena udibili, una promessa di ritrovarsi l'indomani, prima di lasciarsi andare all'oblìo del sonno.
C'era la vita dentro quello spazio stretto, dentro le braccia serrate attorno all'altro, la loro. Tutta.

Un colpo, uno solo, partito dal suo fucile. A distanza ravvicinata.
Un colpo, uno solo, partito da una pistola ritrovata sugli scogli. L'aria salmastra a riempire lo spazio fino al bersaglio.
Brandelli di carta tra le mani.
Lei tra le braccia.
In gioco vite d'amanti, in ogni luogo. Sempre.

Lo sguardo di André si velò oscurando il presente; non riusciva a non tornare laggiù se si parlava di lei.
Al terrore freddo che risaliva dalla sabbia umida e gli ghermiva le viscere arrivando ad assordare il cuore, impedendogli di sentire anche ciò che aveva sempre percepito.
Alla paura folle, a quella dannata paura che annichiliva la mente e spegneva i pensieri, tutti.
Al sangue sulla camicia, ai sussurri sempre più flebili, agli occhi che non si aprivano, alle vele colme di vento.
A quell'abbraccio stretto, incurante dei soldati intorno, che conteneva la loro vita. Tutta.

A riscuoterlo e a fargli distogliere lo sguardo fisso sulle proprie dita perse in un movimento dettato dall'abitudine, fu il tono cristallino di Pierre che giungeva attraverso la porta lasciata aperta. Non la chiudeva mai, d'altronde in quella casa non c'era niente da nascondere a nessuno.
“André, io vado allora! E' arrivata Madame le Général, è in cucina. Le ho detto che sei qui con un ospite”- accennò un assenso, André, in direzione del ragazzo. E gli sorrise.
Sorrise anche Fersen di quell'epiteto che calzava alla perfezione a Marie Grandier, evocando, potente, l'energia e il cipiglio militare con i quali intrideva ogni gesto e ogni sguardo se riteneva le si facesse perdere tempo prezioso, compresi quelli che aveva riservato a lui quando fingeva di ascoltarlo - oh, se n'era accorto che fingeva! - quelle volte in cui aveva provato a raccontarle della Svezia rispondendo alle sue domande, poste certo per cortesia ma del cui ritorno era chiaro le importasse poco.
Molto meno dell'arrosto che cuoceva nel forno o delle lenzuola di lino da distribuire nelle stanze, almeno. Si rese conto, però, che quel modo di fare spiccio e sincero lo aveva conquistato e, in un certo qual modo, di provare affetto per la governante di Palazzo Jarjayes.
“Sono felice di poter salutare tua nonna, spero stia bene...”
André rispose con un sospiro rassegnato, scuotendo il capo.
“Mia nonna non ha ancora smesso di rimproverarmi. Neanche lei c'era, non me lo perdonerà mai. Però non...”- le labbra di André si piegarono in una smorfia che al Conte risultò indefinibile ma, soppesò tra sé, di certo non poteva essere a conoscenza di anni di battibecchi tra i due congiunti.
“André, chi...?”
Fersen spostò lo sguardo alla porta, seguendo il suono della voce e, nell'attimo racchiuso in un istante, chiuse gli occhi, scosse il capo e rise della propria stupidità. Non ci aveva proprio pensato, la sua mente aveva seguito una strada battuta troppe volte. Ma a rifletterci, era così ovvio.

Si alzo, il Conte, porgendo la mano in un saluto che non sarebbe mai riuscito a rendere diverso, neanche in quel tempo dove tutto era cambiato. André non si era alzato ma sorrideva, grato di poter assistere a quell’incontro.

Un colpo, uno solo, partito dal suo fucile. Conficcato nel cuore.
Un sogno spezzato. Il tempo che finisce.
Un colpo, uno solo, partito da una pistola ritrovata sugli scogli. Conficcato chissà dove ma non nel cuore.
Un tempo che finisce. Il sogno di sempre da riprendere.
Una vita vinta a sorte, grazie ad un abbraccio stretto che ne rivelava i battiti. Tutti.

“Che piacere vedervi!”
“Anche per me, non immaginate quanto!”
“Siete tornato da molto?”
“Oggi. Sono venuto direttamente qui. Io...non immaginavo...”
“Sì, è difficile da credere...”
Le mani si sciolsero ma la più piccola, la più affusolata, si infilò in quella di André quasi avesse bisogno di toccarla quella realtà che aveva scelto, per ribadirne la concretezza e sentirla propria, ancora una volta. E lui la strinse, guidando il movimento della figura flessuosa, esaltata dalla camicia candida infilata nei pantaloni blu, che prendeva posto sul bracciolo della sua poltrona carezzandogli una spalla con i capelli biondi.
Tra le dita, anche tra quelle dita, un bagliore nuovo.

“Sarebbe stato un onore essere presente, Oscar...”- accennò con un sorriso ai due cerchi di metallo, il Conte, ben sapendo come lei la pensasse sull'argomento se tornava a come lo aveva aggredito quando si era ventilata l'ipotesi del suo matrimonio con una donna che non conosceva nemmeno. Anche lei sorrise.
“Lo sarebbe stato anche per me ma...ho...abbiamo preferito così”
Si strinsero forte le mani mentre un ricordo greve di dolcezza e dolore montava dentro, portando immagini che nessun altro avrebbe potuto condividere.

Non poteva sapere, Fersen, di quell'abbraccio stretto, incurante dei soldati attorno e della vibrazione di un sussurro sotto la stoffa leggera. Un cuore che ne chiamava un altro, piano, lentamente, con la voce strozzata per il dolore che aveva piegato il corpo esile.
Non poteva sapere di parole lontane che sapevano di fiducia incondizionata, di un legame da poter vivere fino in fondo.
Te l'affido. Mi raccomando, André...
Delle dita sotto la camicia, infilate tra i bottoni, sulla pelle dove si avvertiva ancora il ritmo della vita e dell'effetto dirompente della speranza che scacciava la paura e rinvigoriva la ragione, impaziente di occuparne il posto, a qualsiasi condizione.
Della voglia di un altro tempo, bramato, preteso ad ogni costo; quello che stava nascendo in un abbraccio in riva al mare.
Di come da ricordi di morte erano sgorgati pensieri di vita. Uno su tutti, martellante, continuo.
Un ospedale da campo improvvisato...Tim che levava schegge di proiettili e gli ricuciva la carne, parlando, spiegando...le sue mani abili ancora lì, a poche miglia...

Non poteva sapere, Fersen, di un altro grido, colmo del coraggio ostinato di chi non vuole arrendersi e di Jules Duval ancora a pochi passi.
“Jules, dammi la tua cintura!"
“Cosa? Ma che..."
“Muoviti, dannazione! Hai capito, dammi la tua cintura!”
Del terrore cacciato indietro, dei denti aggrappati alla stoffa di quella camicia da due soldi per strapparne le fibre che - maledizione - erano fin troppo resistenti!
“Lo faccio io...”
Di Alain che, dagli scogli, aveva visto come la morte può abbattere un uomo senza nemmeno sfiorarlo ed era accorso in fretta, imprecando tra i denti, maledicendo quei due stupidi ché ad un amore così non si sopravvive da soli e asciugando con la manica gli occhi resi umidi dal vento del mattino e dalla certezza che se una cosa grande finisce, ha il potere di tagliare in due anche l'anima di chi ha creduto possa esistere ancora qualcosa per cui valga la pena vivere, vivere davvero.
Di come Alain avesse estratto il suo coltello e tagliato la stoffa della camicia di André.
“Piegala! Quante più volte riesci e mettila qui, sotto la mia mano! Muoviti!”- aveva cercato sulla pelle i margini del foro d'ingresso, in fretta sotto la camicia imbrattata di sangue e con due dita vi aveva premuto forte mentre recitava a mente una litania imparata in luoghi dove di sacro non c'era proprio nulla.
Un foro solo, da una certa distanza, il proiettile di un'arma corta, la velocità d'impatto relativamente bassa...
“Legale attorno al busto la cintura di Duval!”- sbraitava ordini André, come non aveva mai fatto e intanto sussurrava a lei parole che non poteva udire, sulle labbra. Quelle che non aveva potuto quando era crollata davanti a Luigi XV, sfiancata dalla macchia scura che si stava impadronendo dell'uniforme candida, quando il grido del suo cuore avrebbe ottenuto come risposta solo l'eco dello scandalo.
Quelle che non le diceva mai perché, in fondo, non c'era bisogno di stare a ripeterlo ciò che erano l'uno per l'altra.
Oscar, Oscar, amore...resta qui
Le stesse che non aveva potuto dirle quando era crollata a terra, di notte, trafitta alla schiena da uno degli sgherri ingaggiati da Madame de Polignac nel tentativo di mettere a tacere l'unica voce onesta che avesse un peso ai suoi occhi falsi. Anche allora il terrore l'aveva preso forte, come mai prima ma di nuovo aveva dovuto ingoiare parole mentre correvano veloci in carrozza, con Fersen di fronte e lei tra le braccia.
“Dobbiamo muoverci! Dobbiamo portarla a riva!”

Non poteva sapere, Fersen, di una mano sconosciuta, di ragazzo, che in quel momento, poggiata sulla spalla dell'altro, aveva saputo infondere il coraggio di un vecchio mentore.
“Prendiamo la mia barca, ha due vele, è veloce. Sono nato qui, conosco le correnti e i pertugi. Conosco le vie più rapide...”- aveva offerto il suo aiuto Robert, che la necessità aveva reso freddo e razionale, accennando all'imbarcazione a pochi metri.
“Quanto tempo?”- erano le sole parole che André gli aveva dedicato senza mai staccare lo sguardo dalle mani di Alain per accertarsi la fasciatura fosse abbastanza stretta.
Il ragazzo si era sollevato ed aveva osservato l'orizzonte mentre un vento nuovo gli scompigliava i capelli. Era il respiro delle nuvole grigie che non volevano abbandonare l'orizzonte e laggiù, su quello sfondo scuro, un altro lampo, lontano e silenzioso, aveva teso una corda di perle luminose che pareva unire cielo e mare.
“Si sta alzando il vento, spinge a est. Quelle nubi laggiù porteranno burrasca entro sera ma adesso ci gonfieranno le vele. In mezz'ora, al massimo, saremo sulla costa”
“Possiamo remare, andremo più in fretta...”- aveva tentato uno dei soldati, desideroso di impiegare le mani per volgere il tempo a loro favore.
“No, ci penserà Nostro Signore a remare...è più veloce di noi...”- era stato Duval mentre cercava di allacciare i calzoni alla meno peggio, a spiegare, con la calma che deriva dall’esperienza, come il vento fosse la spinta migliore in quel caso. Lo sapevano anche i barcaioli della Senna.

Non poteva sapere, Fersen, di come lui l'avesse tenuta stretta tutto il tempo per evitare sussulti al corpo violato e farle avvertire il suo calore e la promessa di un altro tempo, per loro.
Dei movimenti appena accennati delle palpebre chiuse e delle dita sul collo per accertarsi che la vita continuasse a scorrervi.
Di come fosse crollato ai piedi del letto, schiacciato dalla pena, dopo averla consegnata a Tim Simmons ma di come si fosse rialzato immediatamente per aiutarlo, conscio di quanto ogni istante potesse fare la differenza.
Delle parole dell'uomo, vere e senza fronzoli, con le quali aveva cercato di blandire il suo animo inquieto: “La sua fortuna sono stati la distanza da cui è stato sparato il colpo e il fatto che fosse in movimento; ciò ha attutito la forza del proiettile, si è arrestato contro una costa. Ha danneggiato il polmone sinistro ma l'effetto bruciante della sua cenere ha cauterizzato il tessuto ed ha impedito la fuoriuscita di aria...”
“Ha perso conoscenza...e sangue...”- si era passato le mani tra i capelli, André, deglutendo angoscia e non distogliendo mai lo sguardo dal volto esangue di lei, tra i cuscini.
Tim aveva scosso il capo e l'aveva obbligato a chinarsi, afferrandogli il capo e portandoselo alla spalla, stringendogli la stoffa della camicia e la carne al di sotto, scandendo piano le parole, per trasmettergli qualcuna delle sue certezze, per obbligarlo ad essere razionale. Perché quelle cose le sapeva anche lui, le aveva viste e doveva solo ricordarsi di conoscerle.
“Non posso credere questa sia la prima volta che te la ritrovi ferita tra le braccia. E' svenuta per il dolore, le ha spezzato il respiro. Adesso dorme sotto l'effetto del laudano, ho dovuto utilizzarlo per riuscire a togliere il proiettile. E sì, ha perso sangue; anche questo ha contribuito a farle perdere coscienza. Servirà tempo perché si ristabilisca. Io non partirò prima di una settimana e lei di certo non può viaggiare ora. Sarebbe meglio vi fermaste qui per un po' di tempo...”

Non poteva sapere, Fersen, di come l'altro avesse congedato i soldati e affidato ad Alain una lettera per il Generale e una per sua nonna in cui spiegava le sue intenzioni.
Di come fosse sopraggiunta davvero la burrasca quella notte, facendo tremare i vetri e rovesciando acqua sulla spiaggia, dal cielo e dal mare. E forse svegliando lei.
Di un tocco lieve alla mano con cui lo aveva richiamato da un incubo per trascinarlo nel suo sogno, appena abbandonato ma del quale conservava, vivido, l’intreccio. Quello di due linee bianche, in particolare.
“Ricordi quando giocavamo con le corde? Le legavamo attorno ad un albero e le facevamo ondeggiare a turno per poterle saltare...”- aveva iniziato con la voce impastata e gli occhi ancora chiusi, sorridendo della leggerezza impalpabile dell'infanzia.
“Quando tu mi facevi inciampare appositamente se facevo più salti di te?”- aveva risposto con un sorriso sporco di lacrime di sollievo, sporgendosi sul letto per scostare una ciocca adagiata sulle palpebre serrate. E il sorriso di lei si era fatto più largo ma non aveva aperto gli occhi ancora, crogiolandosi tra le carezze che avvertiva sulla fronte.
“Sì...le ho sognate. Le incrociavo in un modo impossibile da sciogliere, non riuscivo a sbrogliarle da sola. Ti chiamavo per aiutarmi ma non arrivavi...”
“Non ho risposto al tuo richiamo? Sei sicura?”- parlava piano, André, rovesciando parole sulle sue ciglia insieme a baci lievi, per indurla ad aprirle.
“Alla fine l'hai fatto...”
“E ci sono riuscito? A sbrogliarle...”
“No, nemmeno tu. Sono ancora lì, legate da un nodo indissolubile”- lei aveva aperto gli occhi e con un filo di forza ritrovata, con le dita gli aveva baciato le labbra, facendole scorrere più volte sui bordi appena screpolati da quei due giorni di vento e di sale.
“Allora vorrà dire che devono restare così...”- lui le aveva bloccate, le sue dita, e le aveva carezzato il palmo con le labbra e poi l'anulare, graffiandone piano la pelle con i denti, più volte.
“Qui invece...se vuoi...”- lei aveva annuito poi aveva richiuso gli occhi, ancora in balia del laudano - “Anche domani...”
Di come Alain fosse tornato indietro con una sacca piena di abiti puliti, travolgendolo di parole.

Tua nonna è terribile! In ogni senso possibile. Mi ha promesso guai se non le avessi obbedito! Mi ha trascinato a casa tua - non sapevo nemmeno avesse le chiavi! - e ha trasferito nella borsa tutti i tuoi abiti, in blocco, esattamente come erano riposti nei cassetti. Ha preteso ripartissi subito, dopo avermi rifocillato con tanto cibo quanto peso. E poi mi ha rifornito di viveri per arrivare fin qui, così non avrei avuto scuse per fermarmi in nessuna locanda...”

Di come tra gli abiti avesse trovato un astuccio e un biglietto: “L'ho conservato per anni in un baule, era di tua madre. Forse ti fa piacere averlo”

Non poteva sapere, Fersen, di un giorno, ai primi di giugno, quando le giornate sono lunghe, lunghissime e l'aria tiepida anche sull'oceano.
Di una finestra aperta su un mattino limpido per riempire i polmoni ad occhi chiusi e nutrirsi d'aria che sa d'estate, ricacciando indietro il ricordo del respiro che si spezza e delle forze che scivolano via inghiottite dal buio.
Di come si fossero vestiti, ai lati opposti del letto, non riuscendo a non guardarsi ma abbassando lo sguardo, divertiti o tremanti, ogniqualvolta un frammento della loro vita insieme prendeva il sopravvento e cancellava il presente.
Di come fossero usciti con l'emozione in gola, lui con le briglie di César in una mano e l'altra stretta a quella di lei e avessero camminato piano fino ad una chiesa scoperta per caso, con i gradini di pietra sporchi di sabbia.
Del volto concentrato di lei a cercare una soluzione per risolvere l'improvviso imbarazzo di doversi presentare davanti ad un altare in abiti maschili; non ci aveva pensato, aveva creduto non le importasse e invece era stata colta da un disagio sconosciuto, al quale non sapeva dare voce.
Di come lui, levando di tasca e dal passato un vecchio nastro di raso blu le avesse raccolto i capelli in cima alla nuca in una coda morbida che le scopriva il collo, della sua risata sommessa e di una certezza imperitura: “A me non importa, non mi è mai importato...ma se ti fa sentire meglio...”
Della galoppata sulla riva, dopo, fino all'altro capo della baia, con i volti accostati e le stesse briglie tra le mani in un groviglio di sfumature dove il simbolo di un tempo nuovo occhieggiava nell’azzurro.
Del racconto di un altro orizzonte solo sognato, tinto dell'indaco di montagne avvolte nella foschia invece che dal turchese del mare.
Della pelle arrossata dal sole sulla quale avevano iniziato a scorrere brividi mossi dall'afrore noto dei loro corpi accaldati, ancora sfumato nel sentore del sapone usato al mattino e accentuato da quella vicinanza continua.
Della prima notte da sposi, iniziata che il sole non aveva ancora concluso la sua discesa nell'oceano, in cui si erano amati con gli occhi bagnati da troppa vita e con le mani strette, più strette quanto più affondavano l'uno nell'altra, per morirsi addosso e riemergere insieme, una volta e un'altra ancora.
Delle parole di lui, che la passione rendeva più vere, urlate piano all'orecchio - “Non voglio più rischiare di perderti...”
E della pesante consapevolezza cui lei aveva dato un'unica voce, rovesciando fiato e parole nella sua bocca che sapeva di vento di mare - “Non ci lasceranno andar via entrambi, non subito almeno...”

Del loro ritorno a Parigi dove Bouillé le aveva conferito un avanzamento di grado ma anche la conferma di quelle certezze:“Spero tutto ciò possa far acquisire lustro ad un reggimento che non ha molta attrattiva, soprattutto di questi tempi. Inoltre mi auguro di poter contare sulla vostra presenza nonostante...tutto. Non sono in grado di sostituirvi in questo momento...”- aveva evitato qualsiasi titolo, il Generale, non sapendo bene quale utilizzare di fronte a quella novità inattesa. Lei aveva annuito senza protestare, lucida e consapevole dei loro ruoli, suo e di André, anche di quelli che ancora non ricoprivano. E aveva posto una condizione.

“Ho sentito che il Parlamento di Parigi ha iniziato a richiedere la convocazione degli Stati Generali” - Fersen accavallò le gambe predisponendosi ad ascoltare una verità che non avrebbe voluto sentire da nessun altro, sicuro che in quella casa, nulla gli sarebbe stato taciuto.
“Sì, ha criticato aspramente le proposte di Lomenie de Brienne, il Ministro delle Finanze sostenuto dai sovrani. D'altronde questo parlamento è sempre stato particolarmente ostile al Re e in contrasto con la Corte in generale. Non mi stupisce abbia respinto le proposte di un Ministro caldeggiato da Luigi XVI”- André si alzò per accendere il fuoco nel camino. Nonostante fosse la fine di agosto, la pioggia persistente aveva raffreddato l'aria e le pareti.
“Tra i membri più accaniti c'erano quelli del Parlamento di Grenoble che a maggio si sono rifiutati di applicare alcuni editti reali” - Oscar, scivolando sulla seduta ancora calda del corpo del marito, continuò a spiegare.
“Mi è giunta voce che però il re non abbia piegato la testa...”- Fersen provò a capire se l'insolita tenacia di quell'uomo mite che invidiava più di ogni altro al mondo, potesse portare benefici al Paese e quindi alla donna che entrambi amavano. Era la sua unica consolazione.
“No, infatti. Ha ordinato la soppressione del Parlamento e l'esilio dei suoi membri ma le cose non sono andate come credo immaginasse...”
“Vi riferite alla rivolta delle tegole, Oscar?”(**)
Lei annuì osservando la stoffa blu, tesa sulla schiena china innanzi al fuoco che iniziava a prendere vigore.
Non poteva sapere, Fersen, di come la notizia dei cittadini di Grenoble che avevano divelto i blocchi d'ardesia dei tetti lanciandoli poi contro i soldati del Royal-Marine, inviati laggiù per far eseguire gli ordini reali, li avesse raggiunti che erano già nella piazza d'armi con le briglie tra le mani, un pomeriggio all'inizio di giugno, due lune prima.
Di come fossero tornati a casa in silenzio, aprendo il cancello e ricoverando i cavalli senza dire una parola, entrambi consapevoli di quanto quella miccia accesa potesse essere il preludio per un'esplosione di dimensioni catastrofiche. E che a Parigi, i bersagli da raggiungere, magari in pieno petto, avrebbero potuto essere loro.
Di come, dentro casa, si fossero cercati che erano ancora contro la porta d'ingresso, sostituendo le parole con frasi fatte di carezze avide, e fossero scivolati a terra slacciando bottoni e cinture per ritrovarsi ancora pelle sulla pelle a ricordarsi che era di nuovo giugno, di nuovo estate, che erano sempre loro e i loro baci sapevano ancora di vento di mare.

“Sì, questa è un'estate difficile. Credo passerà alla Storia come uno degli anni peggiori per l'economia francese, il 1788. A partire dalla vicenda di Grenoble è stato un susseguirsi di eventi disastrosi. Non so se ne siete a conoscenza ma il mese scorso, con il grano già pronto da mietere, un violento uragano ha devastato i raccolti, facendone perdere oltre un quarto”
“Sì ne sono a conoscenza”- Fersen sospirò mestamente, consapevole della gravità degli eventi ma impensierito soprattutto per chi avrebbe dovuto trovare una soluzione che lui non intravedeva.
“E come puoi notare, non è che poi la situazione sia migliorata molto...”- André, seduto sul pavimento accanto al fuoco, accennò ai rivoli di pioggia che avevano ripreso a scorrere sui vetri - “...il cibo scarseggia, il fantasma della carestia incombe sempre più prepotentemente. Questo darà fuoco alle polveri nel ceto popolare rendendolo facile da strumentalizzare, ancora di più...”- il tono era grave, consapevole di una verità già provata sulla propria pelle.
“Sarebbe terribile, già ho saputo della rivolta dei nobili...parte del Parlamento, anche il cugino del Re...”
“E non si è ancora conclusa. Il Re, pochi giorni fa, è stato costretto a convocare gli Stati Generali per l'anno prossimo...”- il volto tirato e lo sguardo serio di Oscar rendevano l'idea di quanto fosse imminente un cambiamento epocale.
Fersen si passò una mano sul volto, incredulo; nella voce tutta l'angoscia per chi non avrebbe potuto sottrarsi a nulla.
“Domani andrò a Versailles, il mio posto è là...”
“Sarà felice di rivedervi...” - Oscar annuì, osservando il fuoco pensierosa e stranamente indifferente.
“Spero di incontrarvi a Corte...ogni tanto...”- tentò Fersen per appigliarsi ad un passato in grado di fargli credere che non tutto fosse perduto.
Oscar scosse il capo, senza guardarlo. Non cercò nemmeno gli occhi di André ma sorrise, serena.
“Ho lasciato la Guardia Reale già da tempo e...sono a debito di una cavalcata...”- a quel punto lo spostò lo sguardo dentro quello del marito che aggrottò la fronte in una muta domanda. Non capiva, non avrebbe potuto. Era sola, lei, davanti a Bouillé quando aveva posto l'unica condizione alla quale il Generale aveva alzato le mani.

Vite come pedine, gettate sul tavolo da gioco del destino. In ogni tempo.
In gioco vite d'amanti, in ogni luogo. Sempre.

Ora il caso aveva deciso di nuovo. E c'era la possibilità di un tempo, un altro ancora, per loro.

Quando Fersen si congedò aveva definitivamente smesso di piovere. Percorse i pochi gradini diviso tra la nostalgia per ciò che non avrebbe più potuto essere e la sottile ilarità che gli suscitava quel pensiero interrotto dentro casa sull'evidenza che ora, pur senza rimbrotti e occhiate truci, Madame Grandier fosse davvero un generale.
Li percorse in fretta per lasciarsi alle spalle tutto ciò che in quella casa era talmente giusto da far male al cuore. Soprattutto al suo.

Si voltò solo un istante per vederli in quel tempo nuovo, loro, sulla soglia, che già non lo stavano più guardando.
Lui che la scrutava attento e lei che gli si accostava all'orecchio per sussurrargli, impacciata, chissà quali parole capaci di irrigidirlo, poi di scioglierlo per farla scomparire nel suo abbraccio, tra la stoffa blu che indossavano entrambi.
Li vide in quel tempo nuovo, ancora loro, ancora con gli stessi abiti, sempre dalla stessa parte.
Con lo sguardo Fersen si arrampicò fino al tetto quasi potesse, lassù, respirare quella libertà che a lui non sarebbe toccata e mentre saliva la colse, finalmente, la differenza rispetto all'altra volta. Proprio sulle finestre del primo piano, appena sotto l'abbaino.
Non poteva sapere che proprio lì dietro, alle prime luci del giorno, di ogni nuovo giorno, André si svegliava e in silenzio, come aveva fatto una mattina inondata di luce, ammirava la schiena liscia abbandonata nella quiete del sonno, tra il lino e i capelli sparsi. Con le nocche delle dita ne accarezzava piano, pianissimo, la pelle al centro, lungo il solco che l'attraversava in tutta la lunghezza, certo che non avrebbe mai concesso a nessun'altra alba, in nessun luogo, la possibilità di separarli di nuovo.
Lei se ne accorgeva sempre, gli scivolava contro e gli si stringeva addosso, ad occhi chiusi, annegando nel suo odore e tra le sue braccia. Era allora, mentre la luce delineava dettagli da tastare con le labbra, che insieme rubavano al tempo qualche momento segreto e la certezza che anche per quel giorno sarebbe stata vita.
Quella importante, quella da racchiudere nello spazio stretto, dentro le braccia serrate attorno all'altro. La loro. Tutta.

Fersen scosse il capo, rivolse un ultimo sguardo all'uscio che si chiudeva nascondendo l'inizio di un bacio e, prima di salire in carrozza, sorrise di quell'idea bizzarra di tingere gli scuri d'azzurro, come fossero brandelli di cielo in cui alzarsi in volo in quell'ultimo scampolo di tramonto.


La fanart è un meraviglioso regalo di Galla88

 

(*) Capitolo 2
(**) Contestazione avvenuta a Grenoble il 7/6/1788 in cui i manifestanti affrontarono le truppe reali a colpi di tegole. Questa rivolta, preludio della Rivoluzione francese, provocò alcuni morti e feriti tra la popolazione e un numero elevato di feriti tra i membri del reggimento Royal-Marine. Fu la prima, seria insurrezione contro l'autorità reale ed ebbe un peso notevole sulla riunione degli Stati Generali del Delfinato (antica regione che corrisponde approssimativamente agli odierni dipartimenti dell'Isère e Alte Alpi), inoltre portò il Ministro delle Finanze Brienne a promettere la convocazione degli Stati Generali a Versailles per l'anno successivo.

 

Dopo quasi due anni questa avventura finisce.
Mi permetto di rubare solo qualche altra riga per un saluto e doverosi ringraziamenti:
- a R. Ikeda (ma anche a Nagahama e Dezaki) per averci donato personaggi meravigliosi e immortali. Noi li strapazziamo un po' ma li amiamo alla follia e siamo ben consapevoli che i loro sono quelli veri, quelli che nessuno potrà mai arrivare ad imitare
- a Galla88 e Alessandra DF per le emozioni che le loro splendide matite mi hanno saputo regalare
- a chi c'è sempre stato, a chi è arrivato strada facendo, a chi c'era e non ha più potuto esserci, a chi mi ha stretto la penna in mano quando l'avrei gettata altrove
- ai lettori silenziosi che hanno salvato la storia (mi piacerebbe fare tutti i nomi e ringraziarvi uno ad uno ma siamo nell'ordine delle centinaia, ne uscirebbe un altro capitolo :))
- ai lettori invisibili
Insomma...a tutti!
Altre idee ne avrei al contrario del tempo, sempre più risicato.
Al momento, quindi, mi congedo da queste pagine augurando buona scrittura, buona lettura e, soprattutto, buona vita.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3983934