Danger
Come si
dice: il buongiorno si vede dal mattino.
Non appena
apro gli occhi, mi rendo conto di una cosa: mia sorella maggiore, che di solito
dorme nel letto accanto al mio e fino a tardi, non è tra le lenzuola e non c’è
traccia di lei nella camera che condividiamo pacificamente dalla nascita.
Mi tiro
lentamente a sedere, con calma, e mi stropiccio gli occhi cercando di
svegliarmi, scuotendo la testa. Lynn – mia sorella – mi prende in giro
asserendo che scuoto spesso la testa per fare in modo che i miei pochi neuroni
facciano contatto.
Molto.
Divertente.
Conclusa
l’operazione di sveglia, più o meno, provo a chiamarla.
«Lynn?»
Primo tentativo: fallito.
Mi acciglio appena – per quanto me lo permettano i miei muscoli ancora
intorpiditi dal sonno – e con molta fatica faccio scivolare le gambe giù sul
pavimento, rabbrividendo per il freddo del suolo a contatto con la pianta nuda
dei piedi.
«Lysanne?» a voce più alta, provo col nome completo, visto che lei lo
odia e tira un calcio a chiunque osi chiamarla in questo modo.
Niente.
A questo punto è chiaro che Lynn non è in camera – nascosta
nell’armadio, magari – o comunque non si trova in un luogo della casa dal quale
avrebbe potuto sentirmi. È tutto molto strano; da che io ricordi, mia sorella è
sempre stata un tipo alla buona, ritardatario e molto pigro, anche se una gran
lavoratrice.
Lancio distrattamente un’occhiata al cielo, per avere un’idea
dell’orario, e mi inquieto ulteriormente: è prestissimo, non è che si è
addormentata da qualche altra parte?
Scarto l’ipotesi: se non dorme sul suo cuscino, mia sorella
semplicemente non dorme.
Mi alzo e stiracchio ogni singolo muscolo del corpo, le mani chiuse in
deboli pugni tirate verso l’alto per tendere le braccia.
Scuoto di nuovo la testa – i neuroni fanno contatto – e mi passo una
mano fra i capelli.
Direi che
è il caso di mettersi in moto per andare a cercare quella svampita di mia
sorella, decisamente.
Dopo una
breve corsa in bagno per ovviare ai problemi mattutini, mi avvicino
all’armadio, aprendo entrambe le ante.
Su quella
sinistra svetta lo specchio che mia sorella ha fatto installare, e lancio
un’occhiata alla mia immagine riflessa: ho proprio la faccia di chi vorrebbe
passare tutta la vita a letto e non solo. Sospiro.
Lo
specchio riflette le sembianze di un ragazzo alto sul metro e settanta, dai
capelli corti e castani, perennemente scompigliati a qualunque ora del giorno,
e dai brillanti occhi verde scuro. L’unica cosa del mio viso che non mi piace è
il naso, fin troppo pronunciato, ma non sono mai stato granché vanesio, dunque
non ne faccio un dramma.
E poi
Lysanne – ops, Lynn – continua ad asserire che anche con quella patata in
faccia resto comunque un bel ragazzo. E qui c’è da aggiungere: se lo dice lei…
Scelgo scarpe
comode, un pantalone leggero e una camicia senza maniche, visto che fa un caldo
infernale e se devo correre qua e là per cercarla ho bisogno di qualcosa che
non mi faccia sudare troppo.
Una volta vestito mi guardo attorno istintivamente, senza alcun motivo
preciso, e infilo la porta uscendo nell’aria estiva che avvolge il villaggio
come una cappa.
Abitiamo
nei pressi del fiume e lì l’aria è – se possibile – ancora più calda e afosa.
Incrocio
il vecchio signor Jag, che come al solito porta il suo cane in giro per la
passeggiatina mattutina.
«Buongiorno, signor Jag!» lo saluto, per educazione.
Mi lancia un’occhiata burbera come al solito e bofonchia qualcosa che
potrebbe assomigliare a un “buongiorno”, ma solo con parecchia immaginazione e
una dose non indifferente di pazienza.
Sorrido, e mentre mi avvio alla piazza principale vengo quasi
investito da una figura coperta da uno scialle vaporoso, che mi dà una spallata
mentre corre verso la parte opposta.
A causa del leggero urto mi giro, e inconsciamente con gli occhi seguo
la figura, che senza preavviso si infila in uno dei tanti vicoli. Serro le
labbra. Ce n’è di gente strana qui, per quanto tutti conoscano tutti ogni tanto
c’è qualcuno che dà di matto.
Riprendo dunque a camminare, quando finalmente da lontano intravedo
Lynn, con i suoi inconfondibili capelli biondo cenere, che le incorniciano la
testa come una nuvola e scendono in una cascata lungo la schiena.
Faccio per sollevare un braccio e chiamarla, quando la vedo in
compagnia della vecchietta dei profumi, Amaranta.
Viene chiamata così perché possiede una bottega di profumi vari, ma in
realtà tutti sanno che si occupa delle cure tramite le erbe e viene interpellata
per fare delle diagnosi quando non si capisce subito la malattia della persona
in questione.
Vedere Lysanne in sua compagnia non mi preoccupa più di tanto. Di
recente stanno spesso insieme, perché mia sorella sta compiendo presso la
vecchia un apprendistato in modo da poterla aiutare o eventualmente prendere il
suo posto, in futuro.
Continuo ad avvicinarmi, e più lo faccio più noto altre persone,
sparse in gruppetti più o meno folti, ma quello più numeroso si trova sotto la
porta della casa di Gaiwan, un mio grande amico.
Non ne comprendo il motivo e preferisco non fare ipotesi, così mi
accingo a raggiungere Lynn il più velocemente possibile.
Una volta accanto a lei mi faccio notare sia dal mio respiro vagamente
affannato, sia dal confuso «Che succede, Lynn?» che bofonchio una volta
arrivato accanto a mia sorella e alla vecchia Amaranta.
Lynn sgrana gli occhi nel vedermi, forse per la sorpresa, poi il suo
viso si trasforma in una maschera di tristezza, da quel che mi sembra di
vedere.
«Ti sei svegliato…» nota, invece di rispondere. La cosa mi tocca un
tantino i nervi, dunque chino la testa di lato, sarcastico.
«No, sono sonnambulo. Che cosa succede? Lei sa dirmelo, signora
Amaranta?» mi rivolgo dunque all’anziana donna, visto che mia sorella non è in
grado di fornirmi una spiegazione come si deve.
So che la vecchietta saprà rispondermi sinceramente: è famosa per la
sua schiettezza e la capacità di arrivare sempre dritta al punto senza perdere
tempo in giri di parole.
«La signorina Cat si è ammalata» annuncia senza alcun tono
particolare.
Cat è la sorellina di Gaiwan, ha dodici anni ed è un tesoro, sempre
pronta a dare una mano.
Sulle prime non mi allarmo granché: se la signora Amaranta è qui,
significa che non c’è nulla di cui preoccuparsi… no?
Perso in queste elucubrazioni non rispondo, accogliendo la notizia con
una calma fredda che mi fa guadagnare uno schiaffo sulla nuca da parte di Lynn.
«Non ti addormentare in piedi e ascolta il resto!» mi redarguisce.
Allora c’è qualcos’altro, mi rendo conto.
Amaranta non dà segno di essersi sconvolta per quella scenetta tra
fratelli e sospira.
«Probabilmente non guarirà più.»
Si può maledire la schiettezza delle persone?
Lysanne a quel punto non si trattiene ulteriormente e due grosse
lacrime le rigano le guance.
«Stamattina Rie è passato a chiamarmi…» racconta singhiozzando – Rie è
il suo fidanzato, nonché vicino di casa di Gaiwan – e le circondo le spalle con
un braccio. «Non sapevo cosa fosse successo e non ti ho svegliato, scusa…»
scuoto la testa, strofinandole la mano contro la spalla, a disagio.
Non sono mai stato una cima nel consolare le persone.
«Lynn, non importa, adesso sono qui. Continua» la esorto calmo,
ancora.
Lei annuisce.
«Rie mi ha detto… che Gaiwan l’ha svegliato all’alba pallido come un
cencio… dicendo che Cat era svenuta e sembrava avere un’altissima temperatura
corporea…» continua, mentre pian piano si appoggia a me. Lynn è di tre anni
maggiore ed è alta quanto me, ma quando è giù e si accoccola fra le mie
braccia, sembra una mocciosa di tredici anni, per quanto diventa piccola.
«Abbiamo chiamato subito Amaranta, mentre intanto… beh… si era sparsa
la voce…» le sue ultime parole sono una frecciatina di odio verso il capannello
di persone riunite sotto casa di Gaiwan. A quanto pare, la voce si era sparsa a
macchia d’olio.
Forse c’entra qualcosa con quella figura coperta dallo scialle che mi
aveva dato una spallata, fuggendo?
Non dico ancora nulla, visto che Lynn sembra avere altro da dire.
«Ma Amaranta ha… ha detto di non aver mai sentito di una malattia
simile e… e…» a questo punto è chiaro che mia sorella non ha più forze
psicologiche o fisiche per aggiungere altro, e Amaranta prende la parola, forse
spazientita da quel continuo balbettare.
«Ho cercato delle erbe e infusi che potessero alleviarle il dolore, ma
la bambina sembra insensibile a qualunque tentativo di dissipare il male che la
corrode da dentro» spiega, in termini semplici che anche chi non si intende di
medicina come me può comprendere.
Sospiro.
«Allora non c’è… proprio niente da fare?» soffio, arrivando al punto
della questione.
La vecchia dei profumi scuote lentamente la testa con aria grave. In
quel momento Rie esce quasi di corsa dalla casa di Gaiwan, fendendo la folla, e
sorregge Lynn che di lì a poco scoppia a piangere più violentemente di prima.
«Ah, finalmente sei arrivato!» esclama il ragazzo, guardandomi,
trafelato. Sembra sconvolto. «Gaiwan ti cerca, sua sorella…»
«È malata, lo so--»
«No, non è solo questo, dice che solo tu puoi capire che cos’ha!» il
suo tono è così convinto che, nonostante la palese assurdità delle sue
affermazioni, mi persuade a lasciare Lysanne alle sue cure e ad affrontare la
folla per riuscire ad entrare in casa.
Accarezzo i capelli di mia sorella con affetto e mi avvio verso la
porta. Chiedo educatamente permesso e riesco a guadagnarmi l’ingresso.
Salgo le scale nell’atrio e trovo la porta del loro piccolo
appartamento spalancata, forse per far passare l’aria o per permettere a
qualunque volenteroso di entrare.
«Gaiwan…?» tento, ancora perplesso dalle parole di Rie che mi
vorticano nella testa.
Non sono un dottore, non sono esperto delle cure con le erbe come
Amaranta, non me ne intendo di medicina.
Com’è possibile che solo io posso capire cos’ha Cat? Non ha alcun
senso, neanche se mi inerpico per qualche strampalata spiegazione che di reale
ha davvero poco.
«Gaiwa--»
«Shhh…» sento l’inconfondibile voce del mio amico dalla stanza di Cat,
e un attimo dopo la sua testa mora sbucare dall’uscio. «Non fare troppo rumore»
soffia, il suo tono sempre basso e calmo ora venato dalla stanchezza e dalla
preoccupazione, che l’avevano reso quasi roco.
Annuisco, senza aggiungere altro, e lo raggiungo immediatamente.
Gaiwan sospira greve e indica il letto, dove giace la sorellina. Le
coperte sono scomposte come se agitandosi nel sonno Cat le avesse spinte via da
sé.
Il respiro è veloce, gli occhi sono chiusi, serrati con forza. Il
corpo pallido ha come unica nota di colore le guance rosse. I capelli corvini
sono raccolti in due piccoli codini, e quando ci avviciniamo il fratello le
scosta amorevolmente delle ciocche libere dal viso sudato.
«Gaiwan» sussurrò il suo nome «Rie mi ha detto che--» ma vengo
interrotto ancora una volta.
Il mio amico mi osserva quasi insofferente. «Ascoltala, dovrebbe
succedere di nuovo tra poco» annuncia.
È tutto così strano, allucinante, senza nessuna spiegazione che abbia
un minimo di logica.
«Li…am…»
Una voce flebile mi riporta bruscamente alla realtà.
Abbassando gli occhi stralunati su Cat mi rendo conto che è stata lei
a parlare.
E ha pronunciato il mio nome.
«Li…am…» ripete, le labbra violacee si schiudono piano per esalare
quell’unica parola.
Che non è un sospiro solitario, come scopro qualche attimo dopo.
«Stai… attento…» drizzo le orecchie, a quella palese raccomandazione,
sebbene non abbia né capo, né coda. «Lore… è in… agguato…» Lore? È un nome di
persona? «Tu sarai… il nuovo… Orac…» a metà parola, presumibilmente, questa
specie di discorso sconclusionato e soffiato malamente si conclude, senza aver
raggiunto nessuno scopo tranne quello di avermi inquietato.
Alzo gli occhi su Gaiwan; nei suoi si legge sconforto e anche
curiosità, noto, mentre nei miei soltanto sconcerto e incredulità.
«Che cosa… significa?» domando, davvero senza comprendere.
«Io non lo so, Liam» sospira lui, a ragione.
Mi lancia un’occhiata che vuol dire tutto e niente.
«Dovresti provare a chiedere… all’Oracolo.»
«Hai colpito la bambina?»
«Sì. È tutto in ordine. Chissà se il moccioso coglierà l’amo…»
Una frecciatina, risate soffocate e uno sguardo rassegnato e scettico.
«Dovrebbe andare tutto come hai progettato, non stare a preoccuparti…»
«Sei sempre così approssimativo» un digrignare di denti lucenti brilla
nella penombra «Ricorda che me l’hai promesso!»
Un altro sorriso, stavolta strafottente.
«Ti porterò il cuore dell’Oracolo. Stanne certa.»
Ringraziamenti: alla mia neesan (Shichan) per
avermi fatto da beta, per avermi incoraggiato a scrivere e per le
recensioni/critiche costruttive che mi aiutano a migliorare. Grazie <3
Note
(non) degne di nota: grazie alla neesan e a zia Yoko per aver
commentato. Sono contenta che il
setting sia piaciuto e anche l’immagine dell’Oracolo o del Dio Bolla. Ci tengo
a loro! XD
E grazie a chi ha letto e non ha commentato, e chi so che l’ha fatto,
come Manny, Ally, Wichi, Hachi o Ve, tanto per citare quelli che mi ricordo…
grazie mille per i consigli, i complimenti e le critiche che mi avete fatto in
separata sede, non sapete quanto mi servano <3
Al prossimo capitolo!