May I Write 2023

di TheSlavicShadow
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 01. Rapito, Scelte di vita sbagliate, Sta soffrendo molto + immagine [E3490, WYWG] ***
Capitolo 2: *** 02. Potenza, immagine (manette) [RuPru] ***
Capitolo 3: *** 03. È uno spettacolo, immagine (mare) [Hetalia, UsUk+Sealand] ***
Capitolo 4: *** 04. Scusa per averti disturbato, Sta tutto il giorno così [X - SeishiroSubaru] ***
Capitolo 5: *** 05. Fare la barba, Preferisco così [Hetalia - Spamano] ***
Capitolo 6: *** 06. Togliersi dal ruolo, È la cosa più difficile da imparare [Hetalia - Inghilterra] ***
Capitolo 7: *** 07. Sembra un duro, ma in realtà; imbranato + immagine (edificio abbandonato) [Hetalia - RuPru] ***
Capitolo 8: *** 08. Mi ha accompagnato per anni; Whoa, certo che è bravo [Saiyuki - Son Goku] ***
Capitolo 9: *** 09. Schiena, Tutte le tue storie, Ho sbagliato, Ciò che non sono riuscito a spiegare [Hetalia - UsUk] ***
Capitolo 10: *** 10. Scusa se mi intrometto, taglio di capelli [Hetalia - fem!Prussia] ***
Capitolo 11: *** 11. Ma come ti salta in mente, X ha la febbre alta [Hetalia - SuFin+Ladonia] ***
Capitolo 12: *** 12. Lamentele, Come la vuoi la pizza? [Hetalia - Spamano] ***
Capitolo 13: *** 13. Giù le mani, Ma quanto sei scemo [Hetalia - PruHun] ***
Capitolo 14: *** 14. Qualcosa che lo stimoli, Vai tu [Marvel MCU - Stony] ***
Capitolo 15: *** 15. X va a vivere da Y, erotico [Marvel - Stony ***
Capitolo 16: *** 16. Traumi del passato, Devi dimenticarmi [Hetalia - FraJeanne] ***
Capitolo 17: *** 17. Non sei più in quel posto, immagine (gatto che dorme) [Hetalia - Germania e Prussia] ***
Capitolo 18: *** 18. Tormento, Quando ci sei tu [Hetalia - Gerita] ***
Capitolo 19: *** 19. Mano ferma, Non è successo niente, Rimani seduto [Hetalia - RuPru] ***
Capitolo 20: *** 20. Lentiggini, Devo salvarlo [SnK - JeanMarco] ***
Capitolo 21: *** 21. No, non mi da fastidio, Siamo arrivati alla fine + immagine (divorzio) [Hetalia - AusHun] ***
Capitolo 22: *** 22. Respira dalle narici, Leggerezza [Hetalia - Prussia e HRE] ***
Capitolo 23: *** 23. Momento di relax, X si vergona della sua famiglia [Hetalia - Germania] ***
Capitolo 24: *** 24. Hai proprio bisogno di una lavata, Io lo conosco bene... + immagine (foresta) [Hetalia - Impero Romano/Germania] ***
Capitolo 25: *** 25. Commozione, Devi solo dirmi di... +immagine(scontri con polizia) [Hetalia - RuPru] ***
Capitolo 26: *** 26. Scopamici, La città non dorme, Brutta giornata [Marvel - Stony] ***
Capitolo 27: *** 27. Sta per esplodere, Non lo ricordi più? [Hetalia - Inghilterra, Francia, Prussia] ***
Capitolo 28: *** 28. Dieci anni in meno, X ha tutto, forse anche troppo + immagine (Tour Eiffel) [Marvel - Stony] ***
Capitolo 29: *** 29. Mi hai dato molto, Serotonina [Marvel E3490 - Stony] ***
Capitolo 30: *** 30. Tatuaggi, Da persona per bene [Hetalia - UsUk] ***
Capitolo 31: *** 31. E' per questo che sono qui, E' il più amato, X chiama Y con un nomignolo, Cosa vuoi che ti dica +immagine (preti) [Hetalia - RuPru] ***



Capitolo 1
*** 01. Rapito, Scelte di vita sbagliate, Sta soffrendo molto + immagine [E3490, WYWG] ***


Prompt: Rapito, Scelte di vita sbagliate, "Sta soffrendo molto", immagine
Fandom: Marvel Earth3490 (missing moment della fic "Wherever you will go")
Personaggi: Natasha Stark (Ho Yinsen)
Pairing: Stony
TW: rapimento, ferite varie, chi ha letto la fic originale sa ^^'



Afghanistan, luglio 2005

 

Stava per morire. Ne era certa stavolta. Non sapeva dire cosa le stesse facendo più male in quel momento. Le ossa, i muscoli, gli organi interni. Aveva sete, ma non aveva nemmeno la forza di alzare una mano, figuriamoci mettersi seduta su quel letto improvvisato. Aveva anche perso il conto di quanto tempo avesse ormai trascorso in mano ai suoi aguzzini. Aveva tenuto il conto per un po’. Adesso le sembrava una infinità.

Avrebbe dovuto dare retta a sua madre e le infinite volte in cui le aveva ripetuto di lasciar perdere l’università, le Stark Industries, le sue invenzioni, e di sistemarsi. Mettere la testa a posto e trovare un bravo uomo in quel frangente le sembrava la cosa più logica da fare. Avrebbe anche potuto trovare un ottimo partito col suo nome. Avrebbe potuto essere la moglie trofeo di chiunque e passare una vita all’insegna di feste di gala e frivolezze. E non le stava sembrando male in quel momento. Qualunque cosa sarebbe stata meglio di quella fredda e umida caverna. Qualunque cosa sarebbe stata meglio di quella maledetta febbre che non la stava abbandonando. 

“Sta soffrendo molto.” Aveva sentito dire al suo compagno di sventure. Qualcuno dei loro carcerieri sarà venuto a vedere se era ancora viva, ma non riusciva nemmeno ad aprire gli occhi. “Ha bisogno di medicine. Non posso fare nulla per contrastare l’infezione se non mi date degli antibiotici.”

Aveva dovuto dare ascolto a Pepper che le diceva che non era il caso andasse di persona a dimostrare il funzionamento del Jericho. Ma il suo ego aveva prevalso sul buon senso, ancora una volta. Doveva magari restare attaccata al fianco di Rhodes e non sarebbe successo nulla. O avrebbe finito per far morire anche lui come quei poveri soldati che erano con lei? 

“Steve…”

Oh no, perché le veniva in mente quell’uomo? Era il suo passato e li sarebbe dovuto rimanere sepolto. Che pro poteva avere ricordarlo in quel momento? Stava davvero morendo? Era vero che negli ultimi istanti della nostra vita ci facessero visita tutte le persone che avevamo amato in vita?

Aveva sbagliato così tanto in vita sua. Era una strada costellata di sole scelte sbagliate che l’avevano portata a quel momento. Se solo fosse stata un po’ più sincera con sé stessa adesso poteva essere a Malibu con Steve. Magari potevano essere sposati. Che fantasia sciocca ed infantile. Oppure potevano essere genitori? Poteva credere che Steve avrebbe davvero voluto fare famiglia con lei, no? Steve l’aveva amata molto, di questo era certa, avrebbero potuto costruire una famiglia. Poteva già vederlo con in braccio loro figlio, crescerlo insieme e dargli tutto l’amore di cui erano capaci. Lei sarebbe stata un disastro, ma Steve no. Steve avrebbe saputo cosa fare. Steve sarebbe stato magnifico. 

Steve non le avrebbe mai permesso di fare quel viaggio da sola. Sarebbe venuto con lei e l’avrebbe protetta. Non avrebbe permesso a nessuno di toccarla nemmeno con un dito. Ma lei se ne era andata. Aveva abbandonato quel porto sicuro in cui avrebbe potuto sempre nascondersi per trovare conforto, e adesso sarebbe morta in una lurida caverna per una sepsi senza possibilità di rivederlo.

 

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Capitolo 2
*** 02. Potenza, immagine (manette) [RuPru] ***


Prompt: Potenza, immagine
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru
TW: menzione di stupro


Berlino, 196*

 

Impotente osservava quello che succedeva nella sua città, nella sua casa. Non sapeva nemmeno se poteva ancora chiamarla casa sua. Non se ne sentiva più proprietario in alcun modo. Altri avevano preso il controllo di tutto e la sua bella Berlino non era più sua. 

Non era sicuro su chi gli desse più fastidio, se quei spocchiosi inglesi o quei stupidi americani. Sicuramente i secondi, soprattutto perché America era uno stupido ragazzino che non aveva capito un cazzo della vita vera e pensava di ottenere tutto con la forza. 

Esattamente come l'uomo che si aggirava per il suo appartamento in quel momento. Forse era lui quello più fastidioso. Sicuramente lo era. Ostentava la sua potenza sempre. E doveva mostrare a tutti che lui gli apparteneva

“Ivan, mi puoi togliere queste manette?” Aveva sbuffato, comodamente seduto sul proprio divano, ma con le manette troppo strette attorno ai polsi. Aveva sbagliato lui. Era uscito senza permesso per andare a bere con lo Stato francese in visita al proprio settore della città. Aveva voglia di normalità. Aveva voglia di non pensare al fatto che fosse diventato un ostaggio, un bottino di guerra. Erano quasi 20 anni che viveva con Ivan, e questi era ancora maniacale nei suoi confronti. 

Non c'era nulla di sano o di normale in tutta quella situazione, non c'era in realtà mai stato tra di loro, ma si era abituato. Era abituato al modo di comportarsi di Ivan. Sapeva poi quanto fosse ossessionato da lui. Saperlo fuori con un altro uomo, un uomo con cui aveva avuto qualche flirt in passato, lo aveva mandato fuori dai gangheri. Doveva prevederlo, ma se ne era fregato altamente. 

Voleva normalità. Voleva tornare a vivere come prima della guerra. Voleva essere semplicemente libero. 

“Ivan, sto parlando con te, maledetto bastardo. Potresti anche rispondermi.” Era abituato anche a quello. Al silenzio dopo una sfuriata violenta. Soprattutto fisicamente violenta. Era caduto nel circolo vizioso di giustificarlo ogni volta che gli imponeva o lo forzava a qualcosa. Aveva sempre la scusa pronta anche se sapeva che doveva smettere di giustificarlo. 

Ma la storia non era stata clemente con nessuno dei due, ancora meno col Russo che finiva per sfogare tutto questo malcontento su di lui. 

“Ivan.”

“Ci sei andato a letto?”

Aveva schioccato la lingua tra i denti, fissando la schiena del biondo. Non lo aveva guardato in faccia da quando si erano svegliati. Lo aveva ignorato, come ogni volta che gli usava violenza per un motivo o per l'altro. 

“Farebbe qualche differenza adesso, dopo stanotte?”

Sapeva che poi Ivan si sentiva in colpa. Lo giustificava per questo. Questo era l'unico modo che credeva di avere per tenerlo sottomesso. Gli sarebbe bastato ascoltarlo per sapere che non era così. 

“Non sopporto quando lo vedi.” 

“Io non sopporto quando mi stupri.”

A quelle parole il Russo si era voltato verso di lui. Voleva sputargli in faccia per quello che gli aveva fatto e per lo sguardo pieno di sensi di colpa che gli mostrava adesso. 

“Sai che non voglio che lo incontri. Quello non mi piace.” 

“Se avessi voluto farmi scopare da lui sarei stato più furbo, non credi? Di certo non sarei tornato a casa sapendo che tu eri qui, coglione. Toglimi le manette adesso. Voglio andare a farmi una doccia e togliermi il tuo odore di dosso.”

Aveva osservato ancora Ivan. L'uomo aveva morso con forza un labbro mentre gli si avvicinava. Aveva sbagliato e lo sapeva. Lo sapeva come ogni volta, ma come ogni volta aveva dovuto imporsi su di lui per dimostrargli la sua potenza e ottenere la sua sottomissione. Sempre lo stesso pattern. E non ne vedeva una fine.

 

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Capitolo 3
*** 03. È uno spettacolo, immagine (mare) [Hetalia, UsUk+Sealand] ***


Prompt: "E' uno spettacolo", immagine (mare)
Fandom: Hetalia
Personaggi: America, Inghilterra (bonus Sealand perché sì)
Pairing: UsUk
TW: MPREG


 

Regno Unito, 1967

 

Alfred non aveva dormito tutta la notte. Lo avevano spedito a casa, dicendogli di ritornare il mattino seguente, ma non era riuscito ad abbandonare i corridoi dell'ospedale. Vagava lungo il corridoio come un'anima in pena. Se cercava di sedersi, l'attimo dopo era in piedi. Si affacciava alla finestra. Si appoggiava contro il muro. 

Non era mai stato così tanto nervoso come in quel momento. Non era stato così nervoso nemmeno quando aveva dichiarato guerra ad Arthur. O quando gli si era dichiarato. Non era stato così tanto in ansia nemmeno durante tutta la durata della seconda guerra mondiale o quando i tedeschi avevano bombardato Londra. 

No, non riusciva a trovare un attimo della sua vita che lo avesse reso così tanto nervoso ed ansioso come quel momento.

Credeva che l'apice del nervosismo lo avesse raggiunto quando Arthur gli aveva sganciato la bomba senza alcun preavviso. Decenni interi, più di un secolo senza nemmeno pensare ad un risvolto simile. Era impossibile, gli avevano sempre detto tutti. Era rarissimo per le coppie di Stati eterosessuali, figuriamoci quanto sarebbe stato possibile per una coppia come la loro. Impossibile all’ennesima potenza. Non sarebbe mai potuto succedere.

Eppure eccolo lì a fissare fuori dalla finestra ancora una volta. Ormai era l’alba e lui non aveva chiuso occhio. Il sole baciava con delicatezza gli edifici di Londra e aveva pensato subito che fosse una giornata magnifica per venire al mondo. 

Era stata una giornata di sole anche quando Arthur si era presentato alla sua porta qualche mese prima. Nervoso, pallido, e gonfio. E quel nervosismo glielo aveva trasmesso subito.

Arthur Kirkland era alla sua porta con una sorpresa troppo grande da poter essere gestita in un modo maturo per il suo cervello da criceto sulla ruota. 

“Ma è mio?” Gli aveva stupidamente chiesto provocando una sfuriata senza precedenti da parte dell’Inglese. Non lo aveva visto così incazzato nemmeno quando gli aveva dichiarato guerra due secoli addietro. E quella volta era stato molto molto incazzato con lui. 

“E’ impossibile.” Aveva aggiunto mentre Arthur gli urlava contro, eppure eccolo mesi dopo a vagare per una notte intera tra i corridoi di un reparto che non credeva avrebbe mai visto. Era stato minacciato da quella che doveva essere la capo infermiera perché continuava a fermare ogni infermiera che incontrava, ma nessuna che gli dicesse quello che voleva sentirsi dire. Sentiva tutto attorno a sé pianti di neonati. Sicuramente il corridoio e le stanze si sarebbero riempiti velocemente di padri e parenti che erano in attesa di quelle nascite. 

Tra poco sarebbe stato padre anche lui. Era un concetto così strano. Era così inaspettato. Ed era soprattutto qualcosa che era sicuro non avrebbe mai sperimentato. Non in un modo così naturale. Aveva pensato che magari avrebbe potuto fare da figura paterna ad un giovane stato, non che sarebbe stato padre.

Arthur e lui sarebbero stati padri. Avrebbero fatto quella esperienza insieme. Avevano affittato una casetta poco fuori Londra dove stare tranquilli per i primi mesi. Affacciava sul mare, e quello era stato un esplicito desiderio di Arthur. Voleva che la stanza del nascituro fosse quella più vicina alla spiaggia. Non lo capiva, forse era davvero qualcosa che aveva a che fare con il cervello da gravidanza di cui aveva sentito parlare, ma lo aveva accontentato. Lo aveva accontentato in tutto in quei mesi. Non erano stati facili. 

E ora erano alla fine di quel percorso e l’inizio di un altro. 

Aveva guardato l’orologio per l’ennesima volta. Era ancora così presto eppure gli sembrava davvero una attesa infinita. Avrebbe voluto essere accanto ad Arthur durante tutto il travaglio. Non voleva lasciarlo da solo in un momento così spaventoso - o era spaventoso solo per lui? -  ma lo avevano cacciato fuori dalla stanza intimandogli di tornare il giorno dopo. Come potevano essere così crudeli verso un uomo che aveva passato alla fine tutta la notte lì a vagare come un fantasma in pena? 

“Signor Jones.” Si era voltato di scatto vedendo una giovane infermiera accanto a lui. Gli sorrideva dolcemente, e questo era bastato a pietrificarlo. “Congratulazioni.”

Quella parola era bastata per farlo scattare. In poche falcate aveva raggiunto la stanza in cui sapeva essere Arthur e si era bloccato davanti alla porta aperta. 

Arthur era seduto sul letto con diversi letti dietro al schiena. Sembrava stravolto, come se fosse appena uscito da una tempesta, ma sorrideva.

E stringeva la braccia qualcosa di minuscolo. Dalla sua posizione riusciva solo a vedere una piccola mano stretta attorno ad un dito della mano di Arthur. E aveva un groppo in gola. 

“Smettila di stare sulla porta e vieni qui, idiota.” Arthur lo aveva guardato, la sua espressione si era trasformata e lo guardava corrucciato. “Guarda cosa mi hai fatto fare!”

Era accanto al letto in un attimo, ipnotizzato da quella immagine sul letto. Non l’avrebbe mai scordata, ne era certo. L’espressione stanca e felice di Arthur. Era sicuramente dolorante, ma non lo dava a vedere. Ma soprattutto quel minuscolo fagottino che aveva tra le braccia.

“E’ un maschio, se ti interessa.”

“Sta bene? Stai bene? Ero qui fuori, ma non mi facevano entrare. Mi hanno avvertito solo adesso.” Si era seduto sul bordo del letto non riuscendo a togliere gli occhi dal viso addormentato del bambino. Di suo figlio.

“Lo so che eri qui fuori, ridevano tutte le infermiere che sanno chi sei perché non credevano che ti avrebbero visto così in pena tutta la notte.” Arthur gli aveva tirato una guancia, ma lui non aveva reagito. Non riusciva davvero a togliere gli occhi da quella creatura.

“E’ uno spettacolo, Arthur. Guardalo. E’ un’opera d’arte. E lo abbiamo fatto noi. Ti rendi conto?”

Arthur aveva riso e lo aveva guardato. Arthur era felice. Arthur era felice come forse non lo aveva mai visto. E lui in quel momento si era promesso che avrebbe protetto quel sorriso, quella felicità, con tutte le sue forze. Per Arthur, per sé stesso, e soprattutto per loro figlio.

 

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Capitolo 4
*** 04. Scusa per averti disturbato, Sta tutto il giorno così [X - SeishiroSubaru] ***


Prompt: "Scusa per averti disturbato" "Sta tutto il giorno così"
Fandom: Tokyo Babylon/X
Personaggi: Subaru Sumeragi (+Kamui Shiro)
Pairing: Seishiro Sakurazuka/Subaru Sumeragi
TW: deathfic??


 

Tokyo, 1999

 

“Sta tutto il giorno così.” Aveva sentito pronunciare da qualcuno della sua squadra. Era ancora corretto definirli tali? Non lo sapeva, non lo credeva nemmeno. Non era nemmeno sicuro lo fossero mai stati. Erano con molta probabilità solo un gruppo di disperati che cercava in qualche modo di restare in vita. Sempre se quella poteva definirsi tale. 

Aveva portato lo sguardo sulle sue mani. Erano sporche di sangue. Del suo sangue. Era diventato ormai scuro e secco. Era freddo. Era morto come il suo proprietario. 

Seishiro era morto. 

Seishiro era morto tra le sue braccia. 

Seishiro era morto per mano sua. 

E tutto ciò lo aveva lasciato vuoto, totalmente svuotato. La morte di quell’uomo, del Sakurazukamori, lo aveva lasciato in uno stato quasi catatonico. In uno stato peggiore di quando lo aveva tradito cercando di ucciderlo. Quella volta era solo una bambola senza emozioni. Ora era peggio.

Ora era vuoto. 

La sua morte lo aveva spezzato. Lo aveva distrutto. Perché a distruggerlo erano state le sue ultime parole. Quelle che quando era uno sciocco ragazzino aveva sempre sperato di sentirgli pronunciare. Parole di cui aveva paura, ma che desiderava più di ogni altra cosa al mondo. Avrebbe abbandonato il suo lavoro, avrebbe abbandonato il suo clan. Sarebbe stato davvero capace di abbandonare tutto e tutti se solo Seishiro non lo avesse preso in giro. 

Se solo non fosse stato una preda del Sakurazukamori. 

Se solo non fosse stato un succulento piccolo Sumeragi da aggiungere nella collezione infinita delle vittime del Ciliegio. 

E se solo lui non fosse stato pronto a farsi uccidere da Seishiro, solo per avere per un istante l’attenzione di quell’uomo.

Troppi se che continuavano a tormentarlo e tutti che portavano ad un’unica scena.

Lui che uccideva Seishiro, senza nemmeno volerlo. Senza averlo mai desiderato in realtà. Avrebbe voluto vendicare sua sorella in un primo momento, ma subito dopo aveva solo desiderato morire anche lui per mano di quell’uomo.

E questo lo tormentava, perché adesso nessuno avrebbe più potuto ucciderlo. Avrebbe dovuto continuare a vivere fino a quando la morte non fosse sopraggiunta in modo naturale, perché lui non aveva più nessuno da amare. L’unica persona per la quale avesse provato un amore totalizzante era morta.

E adesso sapeva. Adesso questa verità lo torturava e non riusciva a non pensarci. Adesso aveva preso il suo posto. Ricordava che Seishiro glielo avesse raccontato prima di cercare di ucciderlo anni addietro. Glielo aveva detto. Il Sakurazukamori per succedere al Sakurazukamori precedente doveva ucciderlo. Seishiro aveva ucciso la sua stessa madre. Lui aveva ucciso Seishiro. 

Aveva preso il suo posto e ora nessuno avrebbe potuto succedergli.

Il Sakurazukamori poteva essere ucciso solo dall’unica persona che fosse in grado di amare. 

Solo per questo era riuscito ad ucciderlo. Solo perché Seishiro provava amore per lui e forse lo aveva davvero provato sempre, anche quando gli diceva che non era così. Avevano perso tutti e due così tanto, solo perché Seishiro aveva creduto di non essere capace di amarlo.

“Subaru, dovresti cambiarti.” Il giovane Kamui era entrato nella sua stanza. Un’altra povera pedina di quel gioco al massacro da cui nessuno sarebbe uscito vincitore. Perché anche il suo desiderio era irrealizzabile. “Scusa se ti sto disturbando, ma sei seduto qui da quando la barriera  è crollata. Da quando ti abbiamo trovato…” 

Le parole gli erano morte in gola, perché lo avevano trovato con il corpo di Seishiro ancora tra le braccia. Aveva sperato che il crollo del Rainbow Bridge uccidesse anche lui, ma non era stato così. Lo avevano trascinato alla loro base. Come un fantasma si era mosso fino alla propria stanza e lì era rimasto. Anche se non era più quello il suo posto. Non era più in grado di erigere una barriera. Non era probabilmente nemmeno più il capo del clan Sumeragi. 

Aveva preso il posto di Seishiro. Era il nuovo capo del Clan Sakurazukamori. E con questo, il suo posto non era più lì.

 

“Non tutti sono destinati ad essere felici.”

 

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Capitolo 5
*** 05. Fare la barba, Preferisco così [Hetalia - Spamano] ***


Prompt: 05. Fare la barba, "Preferisco così" [Hetalia - Spamano] 
Fandom: Hetalia
Personaggi: Spagna, Francia, Prussia
Pairing: Spamano



 

Madrid, marzo 1861

 

“Sei in uno stato pietoso, mon cher. Non ti si può davvero vedere così.”

“Tu sei sempre in uno stato pietoso, ma ti teniamo così lo stesso senza fartelo notare.”

“Tu sei l’ultimo a poter parlare di stati pietosi. Non farmi dire cose di cui poi ti pentiresti a voce alta.”

“Cosa stai insinuando, Francis? Io sono sempre magnifico!”

“Lo eri anche l’ultima volta che hai litigato con Ivan? No, perché io mi ricordo di aver recuperato una massa informe e sudicia in un vicolo. Puzzavi di carogna.”

“Ti confondi con il tuo odore naturale.”

“Oh, non mi sembrava ti facesse così schifo mentre eravamo a letto.”

“Non parlare di questo pubblicamente!”

“Non ti facevo nemmeno così pudico dopo quello che hai fatto.”

“Smettila, ti ho detto!”

Aveva osservato i suoi due migliori amici che battibeccavano di fronte a lui. Sarebbe stato quasi esilarante starli ad ascoltare, ma in quel momento la sua testa era lontana da quel posto. Lontana da quella casa in cui aveva vissuto così tante cose. Ovunque posasse lo sguardo aveva un ricordo. Per lo più belli. Aveva in testa solo i ricordi belli, e questo probabilmente stava rendendo difficile tutto il resto. Non che non avesse previsto una cosa simile. Era sicuro sarebbe successo prima o poi, ma sperava sempre che succedesse più in là possibile.

“Se dovete litigare per questioni vostre irrisolte, potete anche uscire da qui.” Si era alzato dalla poltrona su cui aveva passato ore interminabili, forse giorni. Aveva appoggiato la bottiglia di vino su un tavolino. E aveva guardato con disgusto il tavolino pieno. Non ricordava nemmeno se avesse mangiato in quei ultimi giorni. Erano piuttosto confusi da quando era rientrato dall’Italia. Non sapeva nemmeno quantificare quanti ne fossero passati.

“Intanto abbiamo avuto una reazione da parte tua, mon frère. Ed ero sicuro di trovarti in uno stato simile per questo sono qui. L’amico Fritz si è aggiunto a caso.”

“Guarda che ero preoccupato anch’io. Se ti ricordi sono passato io a prenderti, bastardo di un mangialumache.”

Si era voltato a guardarli e voleva in realtà buttarli fuori a calci. Era sempre felice di vederli. Anche quando i loro regnanti si facevano la guerra ed erano nemici sul campo di battaglia, era sempre felice di trascorrere del tempo con loro.

“State di nuovo intrattenendo una relazione sessuale voi due?”

“Non è colpa mia se tu non vuoi più partecipare.” Francis aveva allargato le braccia e aveva sorriso. Quel suo sorrisetto da conquistatore che faceva cadere ai suoi piedi quasi tutti. Anche lui per un periodo. “Hai bisogno di un bel bagno, Antonio. E di una sana chiacchierata tra amici per sfogare quello che hai nel cuore.”

“Non c’è nulla di cui parlare. Sapevamo tutti che sarebbe successo.” Si era però diretto verso il bagno e aveva notato la vasca già piena di acqua. Come sempre Francis era un uomo previdente e anche molto attento agli altri. Anche se nessuno lo avrebbe detto. 

Aveva buttato i vestiti sporchi a terra ed era entrato subito in acqua. Era ancora calda e profumata. Anche questa era una premura del suo amico francese. Amico che in un attimo era seduto sul bordo della vasca. 

“Sai che non è perduto, Antonio.” Francis gli aveva sorriso con dolcezza. “Sta solo crescendo e la ribellione fa parte della crescita di tutti noi. Tutti ci siamo ribellati a qualcuno prima o poi.”

“Puoi sempre fargli la guerra e conquistare tutta la penisola. Se ne hai bisogno, io ci sono.”

“Tu non hai detto che ti vuoi alleare con Feliciano?”

“Contro Roderich. E’ diverso.”

“Gilbert, per favore, stai zitto.”

“Preferisco così, ragazzi.” Gli altri due si erano ammutoliti e lo avevano guardato. “Non ha mai voluto stare qui. Ha sempre ripetuto quanto mi odiasse, quanto odiasse questo posto. Che lo tenevo prigioniero e tutte queste cose. Va bene così. Se è felice, preferisco che vada così.”

Era andato in Italia. Gli aveva fatto gli auguri per l’unificazione della penisola in un unico regno. 

“Io invece non preferisco così. Ho perso anch’io una colonia a cui tenevo moltissimo, ma non mi scoraggio.”

“Te le hanno rubate le tue colonie.”

“Gilbert, giuro su dio che chiamo Ivan e ti faccio confinare in Siberia.” Aveva guardato male il prussiano e poi si era nuovamente concentrato su di lui. “Sai cosa faremo? Ora ti sistemi, piangi un po’, ci ubriachiamo ancora, e poi torni a trovarlo. Gli porti un mazzo di fiori, magari i suoi preferiti se ne ha, e stai con lui. Non come lo Stato sotto cui stava, semplicemente come Antonio.” Francis si era alzato per prendere qualcosa sul mobile dall’altro lato della stanza. Aveva davvero preparato tutto e lui nemmeno se ne era accorto. “Alza la testa.”

Gli aveva obbedito, e Francis non aveva perso tempo a coprirgli le guance con la crema da barba. Con movimenti lesti e precisi aveva poi iniziato a passare il rasoio sulla sua pelle. 

“Victoire è molto più lontana di Lovino, ma pensi che questo mi vieterà di riaverla in un modo o nell’altro? Assolutamente no. Non oggi, non domani, ma lei sarà di nuovo con me un giorno. Non come colonia, ma come mio pari. E per te e Lovino sarà lo stesso. Non è più un tuo protetto. Da adesso in poi sarà tuo pari.”

“Lo è sempre stato per me. Questo lo sapete entrambi.”

“Certo che lo sappiamo. Sono secoli che ci svanghi le parti basse su quanto sia prezioso per te, ma per lui non era così. Pensaci. Lo hai praticamente cresciuto tu.” Gilbert si era inginocchiato accanto alla vasca e aveva puntato i suoi occhi rossi su di lui. Era serio, e vederlo così serio quasi lo stupiva. “Lasciagli tempo, Antonio. Ma quel ragazzino tiene a te più di quanto tu stesso non lo creda. Sono secoli che vi osservo, e come tu non hai occhi che per lui, per lui vale lo stesso. Quindi smettila di piangerti addosso.”

Li aveva osservati ancora. Avevano sicuramente ragione. Lo conoscevano. Li conoscevano entrambi. Erano sempre stati con loro. 

“Avete ragione. Non l’ho ancora perso. E’ solo un po’ più distante, ma non l’ho ancora perso.” 

 

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Capitolo 6
*** 06. Togliersi dal ruolo, È la cosa più difficile da imparare [Hetalia - Inghilterra] ***


Prompt: Togliersi dal ruolo, "È la cosa più difficile da imparare" 
Fandom: Hetalia
Personaggi: Inghilterra (+America)
Pairing: //



 

Londra, 6 maggio 2023

 

Se ne stava seduto quasi nelle ultime file, nascosto tra gli invitati più anonimi. Aveva preferito così questa volta. Aveva preferito rimanere totalmente nell'ombra per quella incoronazione. Anche molto attesa in realtà.

Sapeva che prima o poi sarebbe successo. I re andavano e venivano, solo lui rimaneva lì ad osservarli. 

C'era quando era salito al trono Carlo I. C'era quando è stato decapitato. 

C'era quando Carlo II è dovuto scappare in Francia. E c'era quando era ritornato per riprendersi il trono. 

Aveva assistito a più incoronazioni di quante pensava. Pensava che sarebbe giunto prima o poi anche per il momento di una fine. Francia, Austria, Italia, Russia, avevano tutti prima o poi abbandonato le loro monarchie. 

Lui rimaneva assieme a pochi altri. 

Aveva osservato la corona poggiarsi sulla testa di Carlo. Carlo III da ora in poi. Aveva osservato l'uomo ormai anziano e aveva ricordato il bambino che aveva visto correre per i corridoi e giardini di Buckingham Palace così tanti anni addietro.

E questo gli aveva fatto ricordare le prime volte in cui aveva davvero visto e conosciuto Elisabetta. Era una bambina allora, quando suo padre era stato incoronato. Ed era lì quando lei stessa era diventata Regina, incoronata sempre alla abbazia di Westminster. 

La Regina. 

Quella che aveva accompagnato così tante generazioni britanniche e mondiali. Si stupiva sempre come gli occhi del mondo fossero puntati sempre sulla sua famiglia reale, ma erano del resto quelli con i pettegolezzi più succulenti da dare in pasto alle masse. 

Non si era ancora ripreso del tutto dal lutto. Non era mai facile quando si era affezionati a qualcuno per così tanti anni. Ma la sua vicinanza con la Regina lo aveva effettivamente portato a conoscere bene anche il suo nuovo Re. Un Re tanto chiacchierato. Un Re che continuava a dividere l’opinione pubblica. 

Ma era il suo Re. Era il bambino che aveva visto crescere e diventare un uomo costretto ad un ruolo da qui non si era mai riuscito a togliere. Era l’erede al trono. Ci aspettava un certo tipo di comportamento da parte sua, imposto dalla rigida etichetta di corte. E quelle regole gli erano state probabilmente troppo strette da sempre.

Ma eccolo adesso lì, con la corona creata per il suo quasi omonimo. Con la stessa corona che tutti i regnanti prima di lui hanno indossato al momento dell’incoronazione. Sua madre compresa. Quella corona che anche lui aveva posto sulle teste reali un paio di volte. 

“Arthur, tutto bene?” Alfred, in piedi accanto a lui, aveva lievemente sfiorato la sua mano. 

“Questa è sempre la cosa più difficile da imparare. Non ci riesco proprio mai a lasciar andare il passato per il futuro. Sono troppo vecchio, ed ho visto troppi Re sedersi su quel trono.” Aveva ridacchiato. Era felice, questo era innegabile. La sua monarchia continuava. C’erano altri eredi al trono presenti. Ma in un piccolo angolo del suo cuore c’era malinconia. Quella malinconia che c’era ad ogni cambiamento. Era normale, si ripeteva sempre, ma non riusciva mai a farci l’abitudine.

 

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Capitolo 7
*** 07. Sembra un duro, ma in realtà; imbranato + immagine (edificio abbandonato) [Hetalia - RuPru] ***


Prompt: Sembra un duro, ma in realtà; imbranato + immagine (edificio abbandonato)
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru
TW: guerra, politica attuale



 

Russia, 202*

Gilbert Beilschmidt aveva guardato quasi con disgusto l’edificio abbandonato di fronte a cui lo avevano portato i suoi piedi. Disgusto verso il luogo, ma anche verso sé stesso. Soprattutto verso sé stesso perché doveva farsi gli affari propri, non correre alla prima telefonata che riceveva a cercare un deficiente. Non doveva nemmeno essere lì. Se suo fratello lo avesse scoperto era sicuro che una ramanzina non gliel’avrebbe tolta nessuno.

Assurdo. Farsi fare la paternale da uno che era nato praticamente l’altroieri. Ma West era così. E con molta probabilità aveva assolutamente ragione perché nessuno sano di mente sarebbe venuto lì con il solo proposito di cercarlo.

Non in un momento simile. Non quando aveva letteralmente tutto il mondo contro. 

Non sapeva nemmeno perché avesse in realtà risposto al telefono. Perché non avesse riattaccato. Perché si fosse preso lo sbattimento di andarlo a cercare. 

Con disgusto aveva percorso i corridoi pieni di detriti e spazzatura del vecchio edificio di periferia. Era una vecchia scuola. Lasciata ormai a marcire. E loro erano stati presenti alla sua inaugurazione. 

“Spiegami perché cazzo sei in questo posto?” 

Lo aveva trovato seduto al vecchio pianoforte. I gomiti appoggiati sui tasti e la testa tra le mani. Vederlo così faceva sempre uno strano effetto.

Il grande e potente Russia, che nella realtà dei fatti era solo un ragazzino perennemente spaventato. Peggio di lui.

“Perché sei qui?”

“Perché la tua cara sorellina psicopatica ha continuato a telefonarmi finché non ho risposto, e io sono un coglione che si è lasciato convincere troppo velocemente.” Si era chinato a raccogliere un vecchio spartito. 

Doveva correggersi. Non era così vecchio. Anche l’edificio in realtà era stato abbandonato solo da mesi. Da quando le offensive belliche di entrambi gli schieramenti avevano iniziato a bombardare i centri abitati sui confini.

Non avrebbero mai imparato nulla, vero? Così tanti secoli di storia. Così tanti secoli a farsi la guerra gli uni con gli altri. E ancora non imparavano nulla.

“Non so come fermarlo. Non so come fermare i miei capi e tutto questo.”

“Dovevi piantargli una pallottola in fronte quando ne avevi l’occasione. Te l’ho sempre detto. Guarda quante volte ho permesso alla mia gente, anche ufficiali della Wehrmacht, di fare attentati contro Hitler. Non hanno funzionato, ma non li ho di certo impediti io. E il tuo capo si sta comportando proprio come lui, compagno Braginskij.”

“Questo non è comunismo, Gilbert. Lo sai anche tu questo.”

“Assurdo che sia Lenin che Putin condividano lo stesso nome, ma non lo stesso ideale politico.” Solo allora Ivan lo aveva guardato. Non aveva spostato la testa dalle proprie mani, ma aveva girato un po’ il viso. “Come ho potuto fare questo a mia sorella? Lei non si merita una cosa simile. Si meritava di essere sempre protetta dal mondo intero, non questo.”

Schatz, te l’ho detto. Una pallottola in fronte e il problema è risolto. Pagherai qualche danno di guerra come si faceva ai vecchi tempi e io ne sono un esperto, e tanti saluti, tutti amici come prima. Hanno perdonato a me l’Olocausto, possono perdonare a te questo scempio idiota.”

“Lei non mi perdonerà mai, Gilbert.” Era solo un bambino imbranato. Grande, grosso, all’apparenza così duro, ma nella realtà dei fatti era un bambino imbranato. Forse peggio di lui. E ce ne voleva.

“Ci scommetto quello che vuoi che la tua stupida sorellona non ti sta incolpando nemmeno adesso di quello che sta succedendo. Ho vissuto troppi anni con voi da sapere che le tue sorelle ti staranno sempre accanto. E ora alza il culo da quella sedia e torna da Natalija perché non ho alcuna intenzione di parlarle ancora. E fatti mettere un localizzatore nel culo la prossima volta che scompari così.”

Aveva visto l’ombra di un piccolo sorriso sulle labbra di Ivan. Piccolo, impercettibile. E stanco. E lo capiva. Erano ormai troppo vecchi e stanchi per godere delle guerre e delle battaglie.

 

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Capitolo 8
*** 08. Mi ha accompagnato per anni; Whoa, certo che è bravo [Saiyuki - Son Goku] ***


Prompt: Mi ha accompagnato per anni; Whoa, certo che è bravo
Fandom: Saiyuki
Personaggi: Son Goku
Pairing: 3x9



 

Se questo luogo si fosse trovato nelle profondità della terra non avrei mai desiderato il sole...

Se questo luogo si fosse trovato nelle profondità della terra non avrei mai conosciuto la libertà e la solitudine. Mi ha guidato fuori dalle oscure, oscure tenebre... Mi ha donato un mondo splendente, splendente ancor più del sole... Non so perché, ma lo ricordo bene, io conosco questi sentimenti da un tempo molto, molto remoto... Non voglio perderlo!


“Whoa, certo che è bravo per essere un monaco così giovane!” Ogni volta che sentiva qualcuno tessere le lodi di Genjo Sanzo Hoshi a quel modo si sentiva contemporaneamente orgoglioso e divertito. Perché Sanzo, il suo Sanzo, poteva anche essere uno dei bonzi più forti del mondo, ma non aveva davvero nulla di sacro. Non lo aveva probabilmente mai avuto, ma a lui questo non era mai importato veramente. 

Se fosse stato un bonzo qualunque non lo avrebbe mai tenuto al suo fianco. Lo avrebbe scacciato dal tempio velocemente, o peggio. Non lo avrebbe mai salvato da quella grotta in cui era stato rinchiuso senza conoscerne il motivo. 

Anche se con molta probabilità Sanzo non se ne rendeva nemmeno conto, lo aveva salvato sotto ogni punto di vista possibile. Gli aveva dato un posto che poteva chiamare casa, delle persone che poteva chiamare famiglia. Sanzo gli aveva fatto conoscere sentimenti che non credeva esistessero. 

Lo aveva accompagnato per tutto quel tempo che era in realtà così breve, ma a lui era sembrata una eternità. Era come se la sua anima conoscesse quella dell'altro uomo da un tempo molto più antico. Forse quella reincarnazione di cui parlavano le scritture e i bonzi esisteva davvero. Forse le loro anime si erano già incontrate in un tempo remoto e si erano legate in qualche modo. 

Un pensiero sciocco, da parte di un ragazzino sciocco. 

Sanzo se ne era andato. Si erano separati e lui doveva trovare un qualcosa in cui credere. E la cosa che più gli dava conforto era pensare che almeno le loro anime potessero sempre essere in contatto in qualche modo, che non si sarebbero mai perse nonostante la lontananza fisica. 

Era questo che succedeva alle anime gemelle, no? Non si perdevano mai. Anche con il passare delle stagioni rimanevano sempre indissolubilmente legate. 

Hakkai aveva sorriso quando glielo aveva chiesto come conferma, perché Hakkai aveva sempre tutte le risposte. Gojyo aveva soltanto riso sguaiatamente e aveva proferito qualche oscenità come suo solito. Ma lui aveva bisogno di credere. Aveva bisogno di credere che si sarebbe ricongiunto con Sanzo ancora una volta. Che avrebbero portato a termine quel viaggio. E che sarebbero tornati a casa. Non importava dove casa fosse, perché bastava essere insieme. Ma doveva crederci. 

Sanzo lo aveva trovato già una volta. Aveva detto che sentiva la sua voce fastidiosa, nonostante lui non avesse mai chiamato nessuno per tutti gli anni di prigionia. Ma Sanzo, e solo lui, lo aveva sentito ed era accorso in suo aiuto. Gli aveva teso la mano e senza esitazione lui l’aveva presa e stretta con forza.

E non avrebbe mai voluto lasciarla. 

Per questo voleva credere che le loro anime erano ancora connesse. Per questo non voleva pensare che Sanzo lo avesse abbandonato perché un demone. Voleva aggrapparsi con tutta la forza d’animo che gli rimaneva a quella piccola speranza di riunirsi ancora.

 

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Capitolo 9
*** 09. Schiena, Tutte le tue storie, Ho sbagliato, Ciò che non sono riuscito a spiegare [Hetalia - UsUk] ***


Prompt: Schiena, Tutte le tue storie, "Ho sbagliato", Ciò che non sono riuscito a spiegare
Fandom: Hetalia
Personaggi: America, Inghilterra
Pairing: UsUk



 

Somewhere, 18**

“Ho sbagliato.” Aveva mormorato a sé stesso, sicuro che nessun altro lo potesse sentire. Era una ammissione che non faceva mai a voce alta, perché lui non sbagliava mai. Era questa la facciata che aveva costruito negli anni dopo la sua indipendenza. Grande, potente ed infallibile. Le sue scelte erano sempre quelle giuste, anche quando non lo erano. Doveva essere così. Doveva credersi così. Altrimenti la sua ribellione non avrebbe avuto alcun senso. 

Soprattutto perché Arthur aveva appena ripreso a rivolgergli la parola dopo diversi decenni. Sapeva benissimo quanto avesse ferito l’Inglese, anche se non credeva che non gli avrebbe più parlato.

Arthur gli aveva sempre raccontato delle guerre che succedevano su suolo europeo. Si facevano la guerra dall’alba dei tempi, ma sembravano tutti amici. Non aveva rotto i rapporti con nessuno. Nemmeno con la Francia che lo aveva aiutato così tanto nella guerra di indipendenza. Solo a lui aveva smesso di rivolgere la parola.

E questo lo metteva in uno stato di agitazione che non gli piaceva. Lui era grande, potente. Si stava espandendo verso Ovest conquistando tutti i territori che prima gli erano preclusi. Stava diventando uno Stato che avrebbe avuto qualche rilievo nella politica mondiale. Eppure si sentiva ancora un bambino piccolo quando aveva a che fare con il suo vecchio protettore. 

Aveva osservato la schiena di Arthur, che era dall’altra parte della stanza a parlare con un uomo. Quando era piccolo, solo una colonia, aveva sempre odiato guardare quella schiena. Voleva sempre dire che Arthur stava partendo e che non lo avrebbe rivisto per molto tempo. E quel tempo gli sembrava sempre infinito. 

Aveva sistemato il cravattino, la giacca. Si era specchiato sulla prima superficie riflettente che aveva a portata d’occhio e aveva sistemato una ciocca ribelle di capelli. Voleva sembrare decente, più che decente. 

Lentamente si era avvicinato e aveva finto un colpo di tosse quando era ad un passo da Arthur. L’uomo aveva lentamente voltato il viso verso di lui, e il sorriso che aveva fino a quel momento sulle labbra si era spento.

“Alfred.” Aveva fatto una smorfia quasi di disgusto dopo averlo osservato da capo a piedi. Aveva cercato di vestirsi nel modo più impeccabile possibile. Voleva fargli una bella impressione, anche se sembrava impossibile. “Speravo di non vederti qui oggi.”

“Ne ho diritto, me lo sono conquistato.” Aveva fatto un broncio, mentre l’interlocutore di Arthur si allontanava. 

“Conquistato. Se ti piace pensarla così.” Arthur aveva incrociato le braccia sul petto e lo aveva osservato. “Bene, ora che mi hai salutato, puoi anche andare a tormentare qualcun altro.”

“Ho già salutato tutti. Sei rimasto solo tu.” 

Arthur aveva sospirato, e con quel sospiro sembrava avesse abbassato la guardia. 

“Mi sembra che tu stia bene, Alfred. Mi sembri ancora più alto, bastardo.” 

A quelle parole la giovane nazione aveva ridacchiato. Si sentiva anche lui più rilassato rispetto a quando era entrato nella stanza. 

“Sì, sono cresciuto di un paio di centimetri ultimamente. Tu sei sempre uguale, invece.”

“Più vecchio e con più mal di schiena però.”

“Sei sempre stato vecchio dentro, Arthur. In tutte le tue storie su quello che era successo in Europa in passato, tu c’eri. Sarai vecchio come il mondo.”

“Oh, che simpatico. Non ricordavo che la mia vecchiaia fosse un problema mentre ti raccontavo quelle storie per farti dormire.”

“La tua vecchiaia non è mai stata un problema per me. Dovresti saperlo.”

Aveva visto Arthur arrossire e distogliere lo sguardo. C’erano state cose che avevano lasciato in sospeso, di cui non avevano mai voluto più parlare. Cose che Arthur aveva bollato come pensieri sciocchi di un ragazzino, e le cose erano poi precipitate. Se Alfred aveva trovato il coraggio per dichiarare i propri sentimenti, anche se in un modo goffo, Arthur aveva tagliato subito corto dicendo che non era possibile. 

E lui si era sempre sentito incompreso, come se non fosse riuscito a spiegare quello che provava davvero. Come se Arthur avesse potuto fraintendere quello che lui gli aveva esternato. 

Era poi tutto precipitato. Era come se la sua dichiarazione avesse provocato una reazione negativa in Arthur, forse era davvero così, forse era anche arrabbiato. Forse era anche disgustato da lui. 

“Non dire queste cose. La gente potrebbe fraintendere.”

“Cosa dovrebbero fraintendere?” Aveva ridacchiato ancora, fin troppo imbarazzato. “Quello che ti ho detto oramai così tanti anni fa lo penso ancora oggi. Non ho mai smesso di pensarlo e soprattutto provarlo, nonostante tutto.”

“Proprio questo potrebbero fraintendere. Tu eri una mia colonia. Io ti ho cresciuto, non è una cosa accettabile.” 

“Adesso però sono uno Stato indipendente. Posso fare le mie scelte senza che tu venga giudicato per questo.” Non sapeva dove avesse trovato quella sicurezza improvvisa. Non la aveva avuta in passato. Era stato spaventato all’inverosimile, e non credeva nemmeno ne avrebbero più riparlato dopo come si era conclusa la guerra tra di loro. Lo aveva combattuto con ferocia, usando tutto ciò che poteva contro di lui, anche perché era ferito. Era ferito dal rifiuto. Ferito per non essere creduto. Ferito perché i suoi sentimenti erano stati sminuiti. Ma non erano mai scomparsi.

Amava sempre quell’uomo. I suoi sentimenti erano cresciuti con lui. Da amore fraterno che aveva provato da bambino, si era trasformato in qualcosa di molto più profondo. Qualcosa a cui non aveva saputo dare un nome per molto tempo. E quando poi ci era riuscito si era trovato di fronte ad un muro insormontabile.

“Posso venire a trovarti a Londra uno di questi giorni?”

Arthur non gli aveva risposto. Lo aveva guardato ed era arrossito, prima di fare un piccolo debole cenno col capo che lui aveva interpretato per un sì.

 

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Capitolo 10
*** 10. Scusa se mi intrometto, taglio di capelli [Hetalia - fem!Prussia] ***


Prompt: Scusa se mi intrometto, taglio di capelli
Fandom: Hetalia
Personaggi: Fem!Prussia, Francia
Note: ho questo headcanon di fem!Pru coi capelli lunghi durante il regno del vecchio Fritz per colpa di una doujinshi, e non me lo toglierò mai



Potsdam, agosto 1786

“Oh, ma chérie, ma ne sei proprio sicura?”

La voce lamentosa del suo migliore amico le giungeva alle orecchie, mentre lei si guardava allo specchio. Vedeva riflessa una giovane donna, una visione di sé stessa che non aveva mai avuto se non in quell’ultimo periodo. Era abituata a veder riflesso un ragazzino imberbe, come tutti la percepivano sempre. 

Era un soldato. Era sempre stata un soldato. E anche quando la moda del momento faceva portare agli uomini i capelli lunghi, lei li aveva sempre tagliati cortissimi. Era abitudine. Prima per nascondere il proprio sesso ed essere più credibile come combattente. Poi solo per una questione di abitudine. Soprattutto per lei che scendeva sempre in ogni battaglia. Era decisamente più facile tenere i capelli corti rispetto a dei capelli lunghi che avrebbe dovuto pettinare ed acconciare. 

“Guarda come sei bella così. Sei sempre bella, ma così sei proprio un incanto.” Francis era comparso nello specchio, tenendo una ciocca dei suoi capelli in mano. La guardava e le sorrideva. Francis adorava i capelli lunghi. Lo aveva sempre detto che le donne dovessero per forza portarli lunghi, che quello gli dava un fascino tutto particolare. E lei di solito rideva quando glielo sentiva dire. Anche perché di solito era discorsi in seguito a qualche boccale di birra o bottiglia di vino. “Non puoi decidere di tagliarli proprio adesso.”

“Li tenevo lunghi solo per soddisfare un qualche desiderio strano di uno stupido vecchio. E quello stupido vecchio non c’è più.” 

L’averlo detto a voce alta sembrava così strano. Lo aveva visto nascere, crescere, diventare re. Aveva combattuto per lui. Gli era rimasta sempre fedelmente accanto. Aveva provato un affetto che non aveva provato per tantissimo tempo per un comune umano. 

Federico l’aveva colpita da subito. Dal suo primo vagito ne era rimasta totalmente rapita. E il suo istinto non l’aveva delusa. Quell’uomo incarnava tutto quello che lei desiderava come Regno. L’espansione. La potenza. L’essere militarmente superiore a tutti gli altri. 

Aveva ammirato l’artista. Aveva ammirato lo stratega. Aveva ammirato il giovane ribelle che voleva per sé una vita diversa.

“L’hai appena seppellito, Gil. Dovresti darti del tempo per metabolizzare tutto. Sai che non è sempre facile superare le loro morti.”

“Perché tra tutti quelli che conosco proprio tu sei dovuto venire qui?” Si era voltata a guardarlo e non voleva pensare alle sue parole. Aveva provato affetto per diversi umani nel corso dei secoli. Non ne aveva amato nessuno come era successo al suo amico. Un amore romantico per fortuna non lo aveva provato per nessun umano. Nemmeno per Federico. Provava per lui un amore quasi materno e forse era questo il dolore che in realtà provava e non riusciva a capire. “Sapevo che sarebbe morto prima o poi. E’ solo un umano. Però ero presente quando è nato. L’ho anche tenuto in braccio appena nato. L’ho fatto in realtà anche coi due maschi nati prima di lui. Povera Sofia, ne ha sfornato praticamente uno all’anno perché quell’altro pazzo era ossessionato dal lasciare un erede maschio.”

Si era allontanata di qualche passo, aprendo un cassetto in cui sapeva ci fosse un paio di forbici. Aveva portato quei capelli così lunghi per troppo tempo. Solo per compiacere ad un re che le piaceva e che la amava sinceramente. E con molta probabilità lei davvero lo aveva amato come una madre avrebbe amato un figlio. Lo aveva seguito e supportato in ogni sua scelta, ancora prima di vederlo incoronato. 

“Scusa se mi intrometto nei tuoi pensieri, ma da quello che mi risulta anche Ivan ti preferisce coi capelli lunghi.”

Non era riuscita a trattenere una risata a quella frase. 

“Ivan può fottersi in questo momento. Non è nemmeno qui per impedirmi di tagliarli, ma sarà a fare orge con la sua zarina. E pensare che gliel’abbiamo data noi Caterina.” Aveva borbottato tra sé e sé quella frase. Era stato Federico a spingere per una principessa prussiana come zarina. E ci era riuscito. Era riuscito in tutto quello che si era prefissato. E questo l’aveva sempre riempita di orgoglio. L’avrebbe per sempre riempita di orgoglio quello che era riuscito a fare con un piccolo regno su cui nessuno avrebbe davvero scommesso. “Puoi tagliarmi i capelli ora, per favore? Tanto lui non può più vederli.”

Aveva porto le forbici al proprio migliore amico e con un sospiro Francis le aveva prese.

 

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Capitolo 11
*** 11. Ma come ti salta in mente, X ha la febbre alta [Hetalia - SuFin+Ladonia] ***


Prompt: "Ma come ti salta in mente", X ha la febbre alta
Fandom: Hetalia
Personaggi: Finlandia, Svezia, Ladonia
Pairing: SuFin


 

Aveva guardato malissimo il marito. Avrebbe quasi voluto urlare, ma non voleva svegliare la giovane nazione che finalmente si era addormentata. 

Come poteva Berwald essere così calmo mentre il figlio aveva la febbre alta proprio non riusciva a capirlo. Lui non ci riusciva. Appena aveva visto il viso tutto rosso della giovane nazione si era preoccupato e gli aveva toccato la fronte. Era bollente. Bollente come poche volte lo aveva sentito.

“Ma come ti è saltato in mente di farlo giocare nella neve tutto il giorno?” Aveva sussurrato allo Svedese nel tono più minaccioso di cui era capace. Aveva messo il giovane Ladonia a letto dopo mille proteste. Era riuscito in qualche modo a dargli una medicina per far scendere la febbre, ma quel ragazzino era troppo testardo.

“Era solo un po’ accaldato stamattina. E non voleva sentire ragioni.” L’uomo con gli occhiali lo aveva guardato, piuttosto tranquillo, come se non fosse successo nulla. 

“Lad ha la febbre altissima. Domani mattina dovremo chiamare il medico se non scende, lo sai questo?” Tino aveva appoggiato le mani sui fianchi, infastidito da quella situazione. Anche se Ladonia faceva tanto il duro, era uno che si ammalava piuttosto facilmente. E quando aveva la febbre era intrattabile. E più testardo del solito. E sarebbe toccato come sempre a lui occuparsene. 

“Gli passerà come sempre, Tino.” Berwald lo guardava ancora, ma aveva distolto velocemente lo sguardo sotto quello truce del Finlandese. “Non credevo che sarebbe salita così tanto. Non aveva nulla quando siamo usciti stamattina.”

Tino aveva sospirato, sedendosi poi accanto a lui sul divano. 

“Lo so, lo so. Sono solo preoccupato perché quando gli sale così alta sta male per giorni. E diventa davvero intrattabile, come se non lo fosse già normalmente.”

Lo Svedese gli aveva preso una mano. Aveva intrecciato le dita con le sue e lo aveva guardato ancora.

“Me ne occuperò io stavolta.”

“Basta che non lo fai uscire nella neve. Ti prego.” Aveva sospirato ancora un volta, guardando il marito. “Domani devo lavorare per forza e non posso restare a casa. Con molta probabilità rientrerò pure tardissimo, quindi ti prego, non farlo uscire e tienilo qui al caldo.”

Berwald aveva annuito, guardandolo negli occhi. E lui sperava davvero che riuscire a contenere quel ragazzino fin troppo testardo.

 

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Capitolo 12
*** 12. Lamentele, Come la vuoi la pizza? [Hetalia - Spamano] ***


Prompt: Lamentele, "Come la vuoi la pizza?" 
Fandom: Hetalia
Personaggi: Spagna, Sud Italia
Pairing: Spamano

 

Aveva preparato tutto. Aveva fatto la spesa quella mattina dopo aver accuratamente studiato tutti gli ingredienti che doveva prendere. Farina, sale, lievito, mozzarella, passata di pomodoro. L’avrebbe poi farcita con le verdure del suo orto, oppure con prosciutto cotto e funghi, quella di solito piaceva a tutti. O magari avrebbe fatto una semplice Margherita per andare sul sicuro. La Margherita doveva piacergli per forza. L’aveva inventata lui del resto, aveva pensato Antonio mentre guardava il piano della cucina pronto per iniziare ad impastare.

Non preparava spesso la pizza, praticamente mai. Di solito questo compito spettava a Lovino, ma per una volta voleva fargli una sorpresa. 

Lo aveva invitato a cena, e solo dopo aveva pensato che poteva provare a preparargli una pizza. Era sicuro che Lovino avrebbe avuto da ridire. Lo faceva ogni volta che si cimentava in qualche piatto italiano, ma ormai era abituato. Lo conosceva così bene che non gli faceva più effetto. 

Aveva iniziato a preparare l’impasto, canticchiando e fischiando. Quella era la parte facile. Aveva impastato così tante volte che ormai gli usciva naturale. Gli era sempre piaciuto cucinare, soprattutto preparare il pane, infornarlo e poi mangiarlo fresco. Lovino gli diceva che si comportava a volte come un vecchio con quei modi di fare, e forse lo era davvero.

Avrebbe lasciato poi riposare il tutto, e si sarebbe occupato di preparare la tavola per l’arrivo del suo ospite. Era sempre impaziente quando doveva vedere Lovino, nemmeno fosse un ragazzino al primo appuntamento. Ma non poteva farci nulla. Lovino era la sua persona importante. La più importante che avesse mai avuto. Ed era sempre fin troppo felice quando doveva incontrarlo. 

Più si avvicinava l’ora del loro incontro, più iniziava ad essere impaziente. Voleva che fosse una cena perfetta, nonostante non fosse alcuna occasione speciale. Era solo un appuntamento come tanti, una delle tante volte in cui andavano uno a casa dell’altro. 

“Come la vuoi la pizza, mi querido?” Gli aveva chiesto non appena lo aveva fatto accomodare. Era andato a prenderlo all’aeroporto, come ogni volta.

“Non preparata da te, questo è poco ma sicuro.” L’Italiano aveva appoggiato la borsa e la giaccia sul divano, prima di dirigersi in cucina. La sua domanda lo aveva sicuramente incuriosito. “Cosa cazzo stai preparando? Davvero la pizza?”

“Doveva essere una sorpresa.” Lo Spagnolo aveva messo il broncio, appoggiandosi allo stipite della porta e incrociando le braccia al petto. “Dici sempre quanto adori la pizza.”

“Cucini di merda, quindi sicuramente non adoro la tua pizza.” 

Se lo avesse detto qualcun altro si sarebbe offeso a morte, ma detto da Lovino era quasi un complimento. Anche perché si lamentava sempre della sua cucina, da quando lo conosceva, ma poi mangiava sempre tutto ciò che preparava senza ulteriori proteste. Era anche sicuro che se si fosse avvicinato al compagno in quel momento lo avrebbe visto con le guance rosse. Ma non si sarebbe avvicinato, non in quell’istante. Gli piaceva sempre osservare Lovino nella sua cucina, mentre curiosava e commentava tutto.

“Guarda qua. Che razza di passata è questa? Dovevi dirmelo e te ne portavo una delle mie. Non voglio nemmeno sapere che mozzarella hai preso. Sicuramente qualcosa che mi offenderà nel profondo.” Lo aveva osservato aprire il frigorifero e guardare tutto con il viso imbronciato e le guance ancora rosse.

Aveva sorriso e allora aveva deciso di avvicinarsi. Si sarebbe sicuramente fatto aiutare nella stesura della pizza, giusto per non farsi urlare contro ancora di più.

 

 

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Capitolo 13
*** 13. Giù le mani, Ma quanto sei scemo [Hetalia - PruHun] ***


Prompt: Giù le mani, "Ma quanto sei scemo"
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Ungheria
Pairing: PruHun


 

Europa orientale, 16**

Si era sempre sentito uno stupido quando si trovava in compagnia di quella donna. Si conoscevano da troppo tempo, da troppi secoli. La conosceva da quando lei si credeva ancora un maschio a cui prima o poi sarebbe cresciuto il pene, e avrebbe per sempre continuato a prenderla in giro per questo. 

La conosceva da così tanto tempo che l’aveva vista trasformarsi da un bruco ad una bellissima farfalla. E mentre la osservava, sentiva anche i suoi sentimenti che si trasformavano di conseguenza. 

Ed erano sentimenti stupidi, perché lei non aveva mai accennato nessun tipo di interesse nei suoi confronti. Era solo il suo compagno di battaglie, più spesso su due fronti opposti. Erano compagni di addestramento quando non avevano voglia di combattersi. 

Potevano forse definirsi amici. Confidenti. Ma per lei non era nulla di più. Forse non se ne rendeva conto nemmeno lei mentre gliene parlava, ma a lui era così chiaro che quella giovane donna fosse innamorata persa di quel damerino che lui aveva sempre mal sopportato. 

Gilbert aveva sempre osservato quella ragazza combattere per il bene di Roderich. L’aveva guardata innamorarsi ogni giorno sempre di più, e non aveva mai detto o fatto nulla. La guardava amare un altro, mentre lui amava lei e non glielo avrebbe mai detto. Lei non lo avrebbe mai ricambiato. Soprattutto non aveva speranze visto che era ricambiata dall’Austriaco.

Gradualmente l’aveva vista abbandonare gli abiti maschili optando per abiti sempre più femminili. Ed era davvero bellissima. Lo era da sempre. Anche quando sembrava un ragazzino e lui aveva messo in dubbio il proprio orientamento sessuale per lei. 

“Si sta facendo tardi. Devo rientrare o Roderich si preoccuperà e manderà qualcuno a cercarmi.” Si erano incontrati per una passeggiata al mercato, come facevano ogni tanto. Giusto per tenersi informati su cosa stesse succedendo nella vita dell’altro.

“Dovresti dichiarare la tua indipendenza e fargli il culo a strisce come in passato.” Si era fermato quando erano arrivati ai loro cavalli. 

“Oh, non parlare così. Non è così male vivere con lui. Dovresti trovare anche tu una donna, anche se mi rendo conto sia piuttosto difficile vivendo in un monastero con soli uomini.”

“Finché avrò guerre in cui perdere tempo, non ne avrò per una donna.”

L’aveva guardata mentre cercava di salire a cavallo, ma l’abito lungo che indossava le dava qualche problema. Senza pensarci aveva messo le mani sui suoi fianchi per aiutarla a salire in sella.

“Ehi, giù le mani!” 

“Dopo andrò a confessarmi per aver toccato un corpo di donna. Non ti preoccupare.”

“Ma quanto sei scemo.” Aveva ridacchiato, nascondendo la bocca con una mano. E poteva andargli bene essere considerato tale se questo gli permetteva di vederla ridere.

 

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Capitolo 14
*** 14. Qualcosa che lo stimoli, Vai tu [Marvel MCU - Stony] ***


Prompt: "Qualcosa che l* stimoli", "Vai tu"
Fandom: Marvel MCU
Personaggi: James Rhodes, Steve Rogers
Pairing: Stony


 

(post Infinity War)

 

“Vai tu.” James Rhodes aveva guardato con la coda dell’occhio l’uomo che gli stava accanto. Aveva il desiderio di dargli quantomeno un pugno per come si era comportato e per come avesse abbandonato il suo migliore amico, ma non era quello il momento. Ci avrebbe pensato più avanti.

“Non ci penso nemmeno. Se mi vede entrare in quella stanza richiama come minimo un’armatura.” Steve Rogers era rimasto davanti alla stanza in cui riposava Tony Stark da quando lo avevano costretto ad un riposo forzato. Aveva dormito su una sedia la notte prima e qualcuno, probabilmente Natasha Romanoff, gli aveva messo addosso una coperta. Lo aveva trovato così quando era andato a controllare Tony quella mattina.

“Qualcuno dovrebbe parlargli e tu sei quello più adatto. Questo lo sai meglio di me.”

“Non credo però che Tony voglia parlare con me. Non vuole nemmeno guardarmi.”

“Tony è una prima donna, altra cosa che dovresti sapere meglio di me. E’ ferito e tu lo hai ferito, per questo non riesce a perdonarti.” Non voleva essere lui quello che faceva questo discorso a Steve. Non era probabilmente nemmeno compito suo. Ma aveva visto il modo in cui Tony gli si era aggrappato addosso appena sceso dalla navicella. Aveva visto lo sguardo disperato di Tony e il momento di sollievo quando aveva visto Steve vivo. Non era compito suo, ma era l’unico che poteva farlo. “Steve, Tony ha aspettato il tuo ritorno ogni giorno da quando vi siete separati.”

“Non potevo fare diversamente.”

“Stronzate. Sono solo un mucchio di stronzate. Pensi che quello stupido avrebbe permesso a Ross o a chiunque del governo di metterti le mani addosso e sbatterti in qualche prigione per supereroi?”

“Wanda era in prigione. Anche Sam.” 

“E Tony aveva già tutto pronto per liberarli. Legalmente.”

Lo aveva visto stringere con forza le labbra e guardare ancora Tony seduto nel letto. Restava ad una distanza di sicurezza. Lo vedeva attraverso il vetro, ma non aveva il coraggio di avvicinarglisi.

“Tony non mi ha detto nulla.”

“Perché tu gli hai dato il tempo di parlartene? Sei partito in quarta non appena hai sentito nominare Barnes. Non sapevi nemmeno che Tony voleva aiutarti a tenerlo al sicuro. Credi davvero che avrebbe permesso che succedesse qualcosa al tuo migliore amico?” Rhodes aveva continuato a guardare l’uomo che aveva accanto. Si era fatto pensieroso, più di quanto non lo fosse stato da quando Tony era tornato. Da quando gli aveva detto della morte del giovane Peter Parker. Da quando lo aveva aggredito di fronte a tutti. Ma Rhodes conosceva troppo bene Tony. Aveva tenuto i propri sentimenti soffocati per troppo tempo ed era ovvio che sarebbe scoppiato prima o poi. “Quell’idiota ti ama così tanto che tu nemmeno te lo immagini.”

“E’ tornato con Pepper.”

“Aveva bisogno che qualcosa lo stimolasse, Capitano.” Stavolta si era mosso. Gli si era messo di fronte in modo da invadere il suo campo visivo e gli occhi di Steve erano subito su di lui. “Tu non c’eri. Non hai visto come lo avevi ridotto. Te ne sei fregato altamente mentre giocavi a fare il fuggitivo e lui ne pagava le conseguenze. Quindi ora, con tutto rispetto verso un membro anziano della nostra società, muovi il culo ed entra in quella stanza, Capitano.”

Steve aveva fatto una smorfia, ma si era mosso entrando nella stanza. Sapeva che non doveva essere facile nemmeno per lui, ma quello non era il suo problema. A lui importava solo di Tony. Voleva far stare bene il suo amico, voleva vederlo di nuovo felice in qualche modo. E temeva che quell’uomo fosse l’unica cose che potesse davvero renderlo felice.

 

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Capitolo 15
*** 15. X va a vivere da Y, erotico [Marvel - Stony ***


Prompt: X va a vivere da Y, erotico
Fandom: Marvel
Personaggi: Tony Stark, Steve Rogers
Pairing: Stony
Warning: io ci provo a scrivere vm18



Non sapeva esattamente come fosse iniziata quella convivenza. Prima era stata una maglietta dimenticata. Poi era diventato un cambio di vestiti per ogni evenienza. Molto spesso quell’uomo non passava nemmeno la notte con lui. Si divertivano. Passavano qualche ora insieme, e poi ognuno a casa propria. E non si era praticamente reso conto che ad un certo punto tutto questo era cambiato. 

Steve era andato a vivere da lui. 

E se ne era reso conto trovandolo nella propria cucina a preparare la colazione. Nessuno aveva mai preparato la colazione per lui in quella cucina. Nessuna delle sue mille conquiste. Nemmeno Pepper. 

Steve sì. Steve ogni mattina preparava la colazione con cura. Ogni mattina qualcosa di diverso. Ogni mattina lo svegliava con il caffè appena fatto e la tavola già pronta. 

Con molta probabilità non aveva mai fatto colazione in vita sua. Forse solo quando era un bambino e viveva a casa dei suoi genitori. 

Ed era allora che si era reso conto che Steve non stava più andando nel proprio appartamento. Steve usciva per andare al lavoro, e poi tornava da lui. Ed era stato tutto così naturale che non ci aveva fatto caso.

Steve Rogers viveva con lui. Capitan America, l’uomo più retto d’America - in tutti i sensi - aveva scelto lui, Tony Stark, come compagno di vita. Ed era tutto successo in un modo così semplice che adesso si trovava sulla porta del suo bagno privato ad osservare il vetro appannato della doccia. Era appena rientrato dal lavoro e la sua intelligenza artificiale lo aveva avvertito che il Capitano Rogers era già in casa. 

Ed era ora di fronte a due possibilità. Aspettare che Steve finisse in pace la propria doccia e dargli così un po’ di privacy. Oppure raggiungerlo e sfogare così tutto lo stress che aveva accumulato andando in ufficio. Pensava sul da farsi, ma aveva già sbottonato la camicia, lanciandola in un angolo della stanza. 

Quando mai nella vita avrebbe avuto a disposizione un tale esemplare di maschio alpha tutto per sé? Doveva assolutamente approfittarne prima che Steve rinsavisse e si rendesse conto che poteva avere molto di più di un uomo di mezza età.

Aveva aperto la porta della doccia e il biondo si era voltato immediatamente. Dopo un primo attimo di stupore, gli aveva sorriso con dolcezza, ma in quel momento lui voleva fargli tutto tranne che qualcosa di dolce.

“Non ti ho sentito rientrare.” Steve lo aveva attirato verso di sé, permettendogli di bagnarsi sotto il getto dell’acqua. 

“Volevo farti una sorpresa.” Gli aveva accarezzato il petto mentre si avventava sulle sue labbra, baciandolo subito con passione. E Steve non si era fatto pregare. Aveva risposto subito al suo bacio, passando un braccio attorno alla sua vita. 

Non aveva smesso di baciarlo. Baci che si facevano sempre più passionali, e lui che senza alcuna vergogna aveva iniziato a strusciarsi e stringersi al corpo dell’altro uomo. E il fatto che Steve non le stesse allontanando in alcun modo voleva solo dire che aveva la sua stessa idea. 

Si era staccato dalle sue labbra solo per poterlo guardare meglio. Aveva portato una mano tra i loro corpi, stringendo il sesso eretto di Steve. Sapere di fargli quell’effetto lo eccitava. 

“Giornata dura, Capitano? Hai bisogno di rilassarti, sembrerebbe.” Aveva sorriso, inginocchiandosi e prendendo il sesso di Steve subito in bocca. Lo aveva sentito mugugnare quella che era sicuramente una parolaccia, ma non si sarebbe allontanato o fermato. Lentamente aveva mosso la testa, prendendolo sempre più in profondità nella propria bocca. Era eccitante vederlo così preso dal piacere per così poco. Sentirlo gemere. Sentire le sue dita stringere i suoi capelli mentre accompagnava i suoi movimenti. 

Aveva morso con delicatezza la punta, sapendo che questo lo avrebbe fatto impazzire, e sentiva già il sapore di qualche goccia di sperma sulla propria lingua. Questo lo aveva incoraggiato a prenderlo nuovamente in bocca, quanto più poteva, muovendo la testa e la mano per dargli piacere. 

“Tony… Tony… Basta. Così vengo.” La voce di Steve era bassa, e proprio per questo lo invogliava a continuare a dargli piacere. Vederlo all’apice dell’orgasmo era sempre bellissimo, non si sarebbe mai stancato di guardarlo in quei momenti. 

Ed era ancora più eccitante sapere che Steve non era un uomo che si saziava con un solo orgasmo.

 

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Capitolo 16
*** 16. Traumi del passato, Devi dimenticarmi [Hetalia - FraJeanne] ***


Prompt: Traumi del passato, "Devi dimenticarmi"
Fandom: Hetalia
Personaggi: Francia, Jeanne D'Arc
Pairing: FraJeanne



30 maggio 202*

 

Ogni anno, come si avvicinava quella data, faticava a dormire. Ogni anno le sue notti diventavano sempre più movimentate e veniva tormentato dai rimorsi e dai rimpianti. Erano passati quasi seicento anni, ma per lui a volte sembrava fosse passato nemmeno un giorno. 

Il ricordo di quei giorni lo tormentava. Davanti ai suoi occhi l’aveva vista ardere sul rogo, e non aveva potuto fare nulla per salvarla. 

Ci aveva provato. Oh, se ci aveva provato. Ma a nulla erano valsi i suoi sforzi. Era rimasto alla fine al limitare della piazza, trattenuto con la forza da alcuni suoi fedeli soldati. Ricordava le proprie urla. Ricordava le proprie lacrime.

Sarebbe successo in ogni caso prima o poi, si era sempre detto. Amare un essere umano era impossibile perché le loro vite erano così brevi, sembravano solo un battito di ciglia se comparate alle loro vite molto più lunghe.

Ma la sua Jeanne era così giovane. Era un fiore appena sbocciato e che nessuno aveva mai colto. Ne aveva così tanto rispetto, che non l’aveva mai sfiorata nemmeno con un dito, anche se l’amava. Oh, se l’aveva amata. Era stato l’amore più puro che avesse mai provato per qualcuno.

“Monsieur Francis, ancora?” Un viso giovane, incorniciato da capelli chiari, era comparso di fronte a lui. “Non avevamo detto basta con questi sogni?”

“Anche se mi sforzo, a quanto pare è impossibile.” Aveva allungato la mano, accarezzando il volto di quella giovane donna. Solo perché era un sogno. Nella realtà non aveva mai osato nemmeno sfiorarla per paura di sporcarla con i propri pensieri.

“Sono passati troppi anni, Francis. Devi dimenticarmi. Andare oltre.”

“Temo che questo sia impossibile, dovresti saperlo. Sei così famosa nel mondo che ogni anno ti ricordano ovunque per le tue gesta.”

“Sì, lo so. Ci sono anche dei miei lontanissimi parenti che partecipano in queste cose, no?” Aveva ridacchiato e quella risata gli mancava sempre. 

“L’ultima ragazza che ha preso il tuo posto mi ha fatto davvero ricordare te a cavallo. Era bellissima.”

“Quanto sei sciocco. Smettila di partecipare a queste rievocazioni storiche. E torna a Parigi. Sei a Rouen adesso, vero?”

“Domani c’è la messa per te. Non potrei mancare, anche se Dio l’ho abbandonato quel giorno.”

Un delicato dito aveva raggiunto le sue labbra. Lo guardava negli occhi ed era così bella. Come il giorno in cui l’aveva persa per sempre. Bella e troppo giovane. 

“Non dirlo. Non è stato Dio a mettermi sul rogo, sono stati gli uomini.”

“Sarei davvero curioso di sapere se avresti continuato ad avere questa incrollabile fede adesso.”

La ragazza lo aveva guardato con dolcezza, quasi con compassione. Lo sapeva. Lo sapeva da solo. Non serviva che lei dicesse nulla, perché lo sapeva.

“Francis, non sarei mai arrivata a vedere il 2000. Per questo devi davvero passare oltre.”

“Non posso. Ti amo ancora come allora, non è mai cambiato nulla di quello che provavo per te.”

“Ma sono solo un fantasma che popola i tuoi sogni. Vivi. Vivi anche per me.”

Le labbra di lei si erano appoggiate sulle sue, leggere come le ali di una farfalla. E subito erano scomparse, lasciandolo sveglio in una stanza buia, completamente da solo. Fuori il sole sarebbe sorto tra poco, su quello che per lui era il giorno più duro dell’anno.

 

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Capitolo 17
*** 17. Non sei più in quel posto, immagine (gatto che dorme) [Hetalia - Germania e Prussia] ***


Prompt: "Non sei più in quel posto", immagine (gatto che dorme)
Fandom: Hetalia
Personaggi: Germania, Prussia
Pairing: RuPru


 

Berlino, 1991

 

Ludwig Beilschmidt era sempre stato un uomo mattiniero. Aveva imparato a seguire una routine quasi militare da parte di suo fratello. Da quando l’uomo aveva iniziato a crescerlo, lo aveva sempre visto svegliarsi all’alba. Lo aveva visto allenarsi e aveva iniziato a fare come lui. 

Aveva continuato ad allenarsi anche dopo la fine della guerra. Usciva a correre ogni mattina. Lo aiutava a pensare e contemporaneamente a tenere la stessa sgombra da pensieri spiacevoli. Per più di 40 anni aveva continuato a pensare a come riprendersi il fratello. Voleva riaverlo a casa. Voleva tornare ad essere un unico Stato assieme a lui. Poteva accettare ogni compensazione di guerra che gli chiedevano, ma voleva riavere suo fratello con lui. Gilbert aveva fatto tantissimo per unificare la Germania in un’unica nazione, per poi vederla di nuovo divisa. 

“Fratello.” Aveva bussato leggermente alla porta della camera da letto del fratello. Erano passati pochi mesi da quando si erano riuniti nuovamente, e aveva notato le nuove abitudini di suo fratello. Dormiva sempre fino a tardi. O meglio, tardi per gli standard a cui erano abituati. “Fratello, sono quasi le 10.”

“Lasciami dormire, West. E’ domenica.” L’uomo dai capelli quasi bianchi aveva portato le coperte sopra la testa. Anche se lo aveva notato stiracchiarsi come un gatto sotto quelle coperte. 

C’era qualcosa fuori posto, o così gli sembrava. Sembrava che suo fratello non fosse totalmente felice di essere a casa dopo tutti gli anni che aveva passato sotto il dominio russo. Sapeva qualcosa dei trascorsi di suo fratello con il Russo, ma non aveva mai chiesto di che natura fosse la loro relazione. Gilbert non ne aveva mai parlato, e lui per rispetto non gli aveva mai chiesto nulla. 

Gilbert era stato accompagnato da Ivan la notte in cui i berlinesi avevano abbattuto il muro. Non era sicuro di quello aveva visto, ma gli era sembrato che suo fratello avesse accarezzato la guancia del Russo. Ma poteva tranquillamente averlo sognato. Sicuramente lo aveva sognato. 

Gilbert era stato una compensazione di guerra che il Russo aveva voluto. Aveva distrutto tutto ciò che di importante c’era per il Prussiano. Aveva distrutto la Konigsberg di cui Gilbert si vantava sempre. E aveva tenuto in pugno tutto l’est della Germania. 

Pensare che potesse esserci una qualche relazione romantica tra i due non poteva avere alcun senso. 

Eppure da quando l’unificazione era stata ufficializzata suo fratello era diventato strano. Con la caduta del muro di Berlino, era iniziato anche lo disfacimento dell’Unione Sovietica. Russia non era più potente come lo era alla fine della guerra, ma suo fratello non sembrava goderne.

“Gilbert, va tutto bene?” Si era avvicinato al letto da cui sbucavano solo i capelli del fratello. Questi aveva mugugnato qualcosa di incomprensibile prima di scostare le coperte e guardarlo negli occhi.

“Ti sembro uno che sta male?”

“Non è questo, ma non sei più in quel posto eppure non ne sembri contento.” Ludwig aveva sospirato mentre l’altro uomo si metteva seduto. Lo aveva osservato stiracchiarsi e poi alzarsi dal letto per mettersi qualcosa addosso. 

“E’ complicato, ma sono felice di essere qui. Era quello che desideravo dopotutto.” Gilbert si era voltato verso di lui, ghignando. Quel suo ghigno tipico con cui affrontava tutto nella sua vita. Ma a Ludwig non sembrava lo stesso. “Mi capita solo di pensare a come se la passano gli altri. Ci ho comunque vissuto assieme per troppo tempo.”

“Anche a Ivan?”

Aveva visto sparire il ghigno dal suo volto e zittirsi. Era troppo pensieroso da quando il muro era caduto. Ancora di più dopo l’unificazione. 

“Con Ivan è sempre tutto complicato. Sempre e da sempre.” Gli aveva messo una mano sulla spalla mentre lo superava per uscire dalla stanza. “Non abbiamo tutti un piccolo dolce Feliciano a nostro fianco, fratellino.”

Era arrossito di colpo fino alla punta delle orecchie. Non parlavano di quelle cose normalmente. Ma con quella frase credeva di aver messo insieme almeno un pezzo di un puzzle molto complesso e che avrebbe sempre faticato a comprendere.

 

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Capitolo 18
*** 18. Tormento, Quando ci sei tu [Hetalia - Gerita] ***


Prompt: Tormento, "Quando ci sei tu"
Fandom: Hetalia
Personaggi: Germania, Nord Italia
Pairing: GerIta


 

194*

 

Era una spina nel fianco. Una di quelle che non riesci a togliere perché entrata troppo in profondità, nonostante sia così grande da essere vista a occhio nudo. Gli avevano detto tutti di liberarsene, di non firmare alleanze, ma non era riuscito a fermare il suo capo. Forse gliene era anche grato. Non avrebbe dovuto averlo per nemico questa volta, non avrebbe dovuto puntargli addosso un fucile. 

Era stato difficile per lui farlo durante il conflitto mondiale precedente. Comportamento davvero sciocco e deplorevole per un soldato, ma era davvero difficile.

Questa volta aveva voluto giocare d’anticipo, portarlo dalla sua parte così almeno non avrebbe dovuto combatterlo. 

Ma forse non era stata nemmeno quella una buona idea. 

Era un tormento. Gli faceva venire gli incubi e l’ulcera. Si metteva a letto la sera e l’ansia non gli permetteva di dormire. Cosa avrebbe combinato il giorno dopo? Dove avrebbe avuto bisogno di aiuto per l’ennesima volta?

Suo fratello rideva. Gilbert lo prendeva in giro e rideva sguaiatamente mentre gli diceva che quelle erano le conseguenze dell’amore giovane ed impulsivo. Inutile dirgli che lui stava facendo di peggio e che aveva sempre fatto peggio con uno dei loro nemici, col suo nemico storico per giunta. Rideva anche allora suo fratello, mentre preparava un attacco dopo l’altro sul fronte orientale. 

Non lo avrebbe mai compreso quell’uomo. Suo fratello trattava ogni guerra come se fosse un gioco, o così poteva sembrare a chiunque. Anche se non aveva mai conosciuto stratega migliore. Aveva ancora così tanto da imparare da lui. 

Anche come trattare con i loro alleati mediterranei. Quei due fratelli erano più un problema che un beneficio alla loro causa. Il maggiore gli era apertamente ostile e lasciava per questo motivo il compito di trattare con lui al proprio di fratello.

Mentre il più giovane. Il più giovane era quello che lo torturava nei sogni e nella realtà. I sentimenti romantici che provava per lui, e che erano ricambiati, gli avevano completamente offuscato la mente e non riusciva più a pensare razionalmente quando si trattava di lui. Avrebbe dovuto abbandonarlo al suo destino. Era anche più vecchio di lui, avrebbe dovuto avere molta più esperienza di lui con le guerre. Ed invece era sempre lì ad aiutarlo. Aveva già posticipato troppe volte le proprie partenze per un fronte o l’altro, solo per prestargli soccorso. 

“Grazie, Ludwig.” Gli aveva detto candidamente una sera, dopo che era accorso per l’ennesima volta in suo aiuto. “Quando ci sei tu sembra sempre tutto più facile.”

Aveva semplicemente annuito. Sentiva le guance andare in fiamme, ed erano queste le cose per cui suo fratello rideva a squarciagola e lo prendeva costantemente in giro.

“Dovresti però cercare di fare meno affidamento su di me. Non riesco ad essere sempre qui.” Anche se lo vorrei, aveva aggiunto mentalmente. Nonostante il loro rapporto non fosse più solo platonico da qualche tempo, non riusciva mai a dirgli certe cose apertamente. Non come faceva Feliciano. Per lui sembrava sempre così semplice dire a voce alta le cose che provava. 

“Ci proverò, mi impegnerò di più… Ma grazie in ogni caso.”

Lo aveva guardato, e Feliciano gli sorrideva ancora dolcemente. Sarebbe stato la sua rovina, ne era certo. Quel sorriso lo avrebbe portato alla morte prima o poi, e non se ne sarebbe pentito in realtà.

 

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Capitolo 19
*** 19. Mano ferma, Non è successo niente, Rimani seduto [Hetalia - RuPru] ***


Prompt: Mano ferma, "Non è successo niente", "Rimani seduto"
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru


 

Jena, 14 ottobre 1806

 

Era un incubo. Tutto quello era solo un pessimo, bruttissimo incubo da cui doveva svegliarsi velocemente. Perdere in modo così catastrofico non era accettabile. In alcun modo. Non per lui. Non per come si era imposto sulla scena politica europea. Non con tutta la fatica che ci aveva messo per arrivare dov’era. 

Era stato sconfitto su tutta la linea da uno che fino al giorno prima non riusciva a tenere nemmeno sotto controllo il suo stesso popolo. Da uno che faceva decapitare i propri regnanti. Da uno che sopravviveva ai secoli senza che lui potesse capire come. E che era un miracolo non fosse sifilitico la maggior parte della sua esistenza.

“Stai giù.” Una mano ferma sulla sua spalla lo aveva costretto a rimanere sdraiato sulla branda di quell’accampamento provvisorio. 

“Devo tornare a Berlino.” Aveva guardato negli occhi l’uomo che era al suo capezzale e che aveva medicato le sue ferite. Sperava si rimarginassero velocemente, ma ne dubitava. Il suo esercito si era disgregato. Gli uomini si erano dispersi ovunque per le campagne, e non voleva nemmeno sapere quanti ne fossero stati catturati dai francesi. Non era nemmeno sicuro di trovarsi in un campo prussiano in quel momento. 

“Ora devi recuperare le forze. Poi andremo a Berlino e cercheremo di fermarlo.”

“Ti stai cagando addosso anche tu, vero?” Glielo aveva chiesto dopo un attimo in cui si era permesso di osservare il volto dell’altro. Non si aspettava di trovarlo lì, non in un momento così precario per tutta l’Europa. Quel pazzo francese li stava minacciando tutti con le sue manie di espansione. Non era la prima volta che le guerre di espansione minacciavano questo o quel confine, ma questa volta era diverso. Questa volta gli equilibri erano stati completamente stravolti.

“Non proprio, ma non lo voglio a casa mia. A te potrebbe fare piacere visti i vostri trascorsi. A me no.” Ivan lo aveva guardato seriamente negli occhi e lui aveva riso.

“Non è mai successo niente oltre ad un po’ di sesso! Sei davvero qui per un motivo così stupido?” Gilbert aveva guardato l’altro uomo negli occhi, sfoggiando il proprio migliore ghigno. Gli faceva male ogni muscolo del suo corpo, ma in quel momento avrebbe tanto voluto alzarsi ed abbracciarlo. Era così grande e grosso, e completamente insicuro.

“Ehi, rimani seduto. Se ti si riaprono le ferite non potrai andare a Berlino in tempi brevi.” Ivan lo aveva nuovamente fermato mentre cercava di alzarsi. Era quindi rimasto seduto, continuando a guardarlo.

“Non è la mia prima guerra e non sono le mie prime ferite, Ivan. Tu dovresti saperlo.”

“Se sono io a procuratele è diverso. Sono gli altri che non devono permettersi di toccare ciò che è mio.”

Gilbert aveva riso di nuovo. Gli faceva maledettamente male ovunque. Aveva la sensazione che da un momento all’altro i suoi organi interni sarebbero fuoriusciti dal suo corpo. Ma Ivan non cambiava mai. Ivan aveva sempre motivi personali quando si trattava di lui.

“Non sono tuo. Il fatto che venga a letto con te è solo un caso. Anche se in questo momento un po’ di aiuto temo mi servirebbe. Non riesco letteralmente a stare in piedi.” Faceva male ammetterlo. Fosse stato chiunque altro di fronte a lui non lo avrebbe mai fatto. Si sarebbe alzato in piedi a costo di dissanguarsi pur di non mostrare la sua debolezza. Con Ivan purtroppo o per fortuna riusciva ad ammettere almeno in parte se qualcosa non andava come avrebbe dovuto. 

“Ti accompagnerò a Berlino. Poi dovrò tornare velocemente a casa perché stanno minacciando anche i miei confini con tutte queste avanzate. E poi valuteremo come vendicarci e fargliela pagare.” Ivan aveva sorriso, quel suo sorriso che gli faceva gelare le viscere ogni volta. Quel sorriso che non prometteva nulla di buono e che gli faceva provare pena per le persone o Stati verso cui era rivolto.

 

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Capitolo 20
*** 20. Lentiggini, Devo salvarlo [SnK - JeanMarco] ***


Prompt: "Lentiggini", "Devo salvarlo"
Fandom: Shingeki no Kyojin
Personaggi: Jean Kirschtein, Marco Bodt
Pairing: JeanMarco


Quando chiudeva gli occhi, ogni volta, ogni notte, davanti ai suoi occhi compariva sempre lo stesso volto. Sempre lo stesso sguardo dolce. Sempre lo stesso sorriso amorevole. Gli compariva ogni volta un volto pieno di lentiggini. 

E faceva male. Faceva maledettamente male ogni volta che lo sognava. Perché non potevano essere altro che sogni. Nulla di più. Solo questo gli rimaneva. Sogni e rimpianti. 

Devo salvarlo.” Continuava a ripeterselo in continuazione, ad ogni sogno, ogni notte. Due parole che continuavano a tormentarlo perché Marco aveva salvato lui. Marco lo aveva salvato da morte certa. Mentre invece lui era da tutt’altra parte quando Marco è morto. Morto sotto gli occhi di quelli che aveva creduto suoi compagni. Sotto gli occhi di chi aveva creduto essere dei amici. 

Devo salvarlo.” Cercava ogni notte nei suoi sogni di salvarlo, ma il risultato era sempre lo stesso. Lo ritrovava sempre nello stesso punto. Lo ritrovava sempre lui. 

La sua morte, anche dopo tutti quei mesi, aveva sempre continuato a perseguitarlo. Non l’avrebbe mai superata. Anche dopo tutto quello che avevano affrontato. Anche dopo tutto quello che gli era successo e i lutti che aveva subito. Lui non riusciva a toglierselo dalla mente.

Perché lo hai amato.” Si era detto per l’ennesima volta mentre in sogno Marco gli sorrideva. Non poteva farci nulla. 

Non dovevi lasciarlo da solo. Non dovevi separarti da lui. Dovevate arruolarvi insieme nella polizia militare e vivere felici.” Continuava a ripetere a sé stesso, mentre nei suoi sogni, nei suoi incubi, continuava a piangere sul suo corpo, sulle sue ceneri. Era troppo giovane per portare già dentro quel dolore. Dovevano solo essere felici e spensierati. Scoprire lentamente quanto potesse crescere quell’amore sincero che provavano uno per l’altro. Avevano tutto il diritto di essere felici. Avevano il diritto di amarsi e crescere insieme. 

Ma era stato tutto vano, tutto spezzato troppo presto. Ogni loro sogno infranto. E a lui era rimasto solo un senso di vendetta. Vendetta contro tutti i giganti. Vendetta contro quelli che erano stati suoi amici. Gli rimaneva in bocca solo il sapore amaro di quello che sarebbe potuto essere, di quella felicità effimera che aveva assaporato e che gli era stata portata via troppo presto.

Non gli rimaneva più nulla. Solo i ricordi di momenti felici che non sarebbero mai più tornati, che non avrebbe mai più potuto provare con nessuno. Sentiva che gli era preclusa una nuova felicità, perché il dolore che provava per la perdita di Marco non si placava mai. Anche quando sembrava che andasse tutto bene, Marco era sempre presente nei suoi pensieri. E tutto quello che faceva era soltanto per vendicare la sua morte. 

Dovevo salvarti.” Aveva sussurrato al ragazzo pieno di lentiggini che continuava a guardarlo con dolcezza, con amore, come solo lui era capace di fare. Come solo lui aveva e avrebbe mai fatto. “Scusami se ti ho lasciato da solo.” 

Marco gli sorrideva ancora. Quel sorriso gli mancava da morire. Era sicuro che Marco non lo avrebbe mai incolpato perché non era con lui. Ma lui non riusciva a perdonare sé stesso.

 

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Capitolo 21
*** 21. No, non mi da fastidio, Siamo arrivati alla fine + immagine (divorzio) [Hetalia - AusHun] ***


Prompt: "No, non mi da fastidio", "Siamo arrivati alla fine" + immagine (divorzio)
Fandom: Hetalia
Personaggi: Ungheria, Austria
Pairing: AusHun


 

16 novembre 1918

 

Aveva osservato l’uomo che le sedeva di fronte, dall’altra parte del tavolo, che si sistemava gli occhiali. Non l’aveva guardata da quando era entrato nella stanza. Si era seduto senza una parola, e non aveva guardato nessuno. Men che meno lei. 

Era già da diverso tempo che le cose non stavano andando bene. Non la guardava più, figuriamoci qualcosa di più. Avevano superato tantissime cose insieme, ma questa volta c’era uno scoglio che non riuscivano a superare. 

Aveva cercato di parlargli. Aveva cercato di spiegare le sue ragioni. E non sarebbe mai voluta arrivare a tanto.

Si erano combattuti fino allo stremo delle proprie forze da ragazzi, per poi iniziare a vivere insieme. Per quasi 400 anni erano rimasti sempre insieme e nulla li aveva mai potuti dividere. Avevano superato i problemi interni uno dopo l’altro. Si erano difesi contro gli attacchi esterni. Ne erano usciti sempre insieme, anche quando perdevano. 

Lo osservava mentre Roderich leggeva i documenti che gli avevano appena porto. Lei li aveva già firmati. Con la morte nel cuore aveva messo la sua firma per esteso e non sarebbe mai voluta arrivare a questo punto. Aveva cercato di mediare in ogni modo, ma il loro imperatore non voleva sentire ragioni. E ad un certo punto lei doveva mettere da parte i propri sentimenti personali per fare solo il volere del suo popolo. 

Roderich continuava a sistemarsi gli occhiali nervosamente. 

“Posso uscire se hai bisogno di leggere con calma, Roderich.”

“No, non mi da fastidio la tua presenza. Non lo ha mai fatto, Elizaveta.” 

L’aveva guardata e le aveva fatto un piccolo sorriso. Il primo dopo moltissimo tempo. E faceva troppo male. Faceva malissimo. Quella guerra li aveva distrutti sotto ogni punto di vista. L’avevano iniziata uniti, e l’avevano finita facendosi la guerra tra di loro.

“Eppure siamo arrivati alla fine…” Aveva sussurrato e Roderich aveva abbassato la testa. Teneva la penna in mano, ma non firmava. Sembrava non lo volesse fare. 

Una firma e finiva tutto. Finiva l’Impero austro-ungarico. Finiva la loro relazione. Finiva il loro matrimonio. Quasi 400 anni, di cui solo 50 da sposati, e bastava una firma su un foglio di carta per concludere tutto. Per separarli formalmente, per renderli due estranei che si sarebbero incontrati soltanto nelle occasioni ufficiali.

Ricordava ancora con dolcezza il giorno in cui si erano sposati. Non credeva ci sarebbero mai arrivati. Non era una cosa così scontata tra Stati. Eppure era successo e ne era stata una donna felice. Era felice di indossare un abito tradizionale del suo popolo per quella occasione. Con il copricapo ed il velo. Con un bouquet di fiori semplici ma colorati in mano. Era così felice di sposare Roderich con una cerimonia privata, solo tra loro due e pochi amici. Avevano lasciato i grandi festeggiamenti ad altri. Loro avevano scelto qualcosa di più intimo.

“Essere tua moglie è stato un vero onore.” Gli aveva detto quando erano rimasti da soli, dopo che anche Roderich aveva firmato. La dissoluzione di un impero era anche la dissoluzione del loro matrimonio. Interessi incompatibili ormai non gli permettevano di vivere serenamente. 

“Avrei voluto darti di più, ma non ho potuto. Non è dipeso da me questa volta.”

“Lo so. Questa decisione non l’avrei mai presa nemmeno io.” Gli aveva sorriso, ma sentiva che quella maschera di serenità non sarebbe durata a lungo. Non aveva mai amato nessun altro oltre a quell’uomo. Da quando era uno Stato molto più giovane aveva avuto dei sentimenti romantici soltanto per quel ragazzo così timido e schivo. E lo aveva protetto. Aveva combattuto per lui come il soldato più fedele. Aveva messo sé stessa sempre in secondo piano e non le era mai pesato. Erano felici, e solo di questo le importava. Tutto il resto era solo politica, che per lei soprattutto era solo un contorno. Solo che questa volta era diventata una cosa troppo importante. Una cosa molto più grande di loro. E loro erano solo uno strumento del loro popolo. Non potevano opporsi in alcun modo questa volta, solo essere trascinati dalla corrente e veder perso tutto quello che avevano costruito in tantissimi anni. 

“Anche se è andata così, i miei sentimenti non cambieranno facilmente.” Roderich si era alzato. Aveva sistemato ancora una volta gli occhiali, e con una mano aveva lisciato il cappotto che indossava. Era sempre così perfetto. Aveva notato in quel momento che non aveva tolto la fede nuziale. 

Era tutto finito. La loro relazione. Il loro impero. Sarebbero stati due estranei che ancora nutrivano forti sentimenti uno per l’altro, e questo non sarebbe cambiato facilmente.

“Nemmeno i miei. Nemmeno un po’.” Gli aveva sorriso, mentre il giovane uomo annuiva e poi usciva dalla stanza lasciandola da sola.

 

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Capitolo 22
*** 22. Respira dalle narici, Leggerezza [Hetalia - Prussia e HRE] ***


Prompt: "Respira dalle narici", Leggerezza
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, HRE


 

Germania, 18**

 

Napoleone Bonaparte dal suo punto di vista aveva fatto solo danni in quella parte di Europa. Non gliene importava minimamente di cosa facesse entro i suoi confini oppure nel sud del continente. Non gli importava nemmeno se minacciasse in qualche modo l’Inghilterra. Quelli non erano affari suoi.

Erano diventati però affari suoi quando il francese si era permesso di oltrepassare i confini tedeschi e minacciare così direttamente anche lui. Era un problema suo quando aveva dissolto il Sacro Romano Impero, quando aveva minacciato tutti i piccoli regni e ducati attorno a lui. Era un suo problema quando aveva minacciato direttamente l’Austria e poi anche i suoi confini. 

Per quanto tra lui e l’Impero non ci fosse mai stato buon sangue, vederlo ridotto a brandelli non lo aveva trovato in alcun modo positivo. Anche se ormai era debole e solo l’ombra di sé stesso, gli serviva da cuscinetto tra lui e la potenza occidentale. 

“Sh, piano. Sei molto debole.” Con una mano aveva fermato sul letto il ragazzino dai capelli biondi. Lo aveva guardato spaesato, totalmente smarrito, e non poteva dargliene una colpa. Non sapeva dove si trovasse. Non sapeva nemmeno chi fosse.

Aveva trovato il corpo quasi senza vita del sempre giovane Sacro Romano Impero tra le macerie di una città. Lo aveva creduto morto in un primo momento. Gli si era avvicinato perché almeno avrebbe voluto dargli una degna sepoltura. Almeno quello se lo meritava per tutti i secoli in cui aveva regnato sopra l’Europa. 

Con somma sorpresa si era accorto che un leggero battito c’era ancora. Lo spirito dell’unione dei regni tedeschi non era ancora morto. Non sarebbe probabilmente mai morto. Poteva esserlo su carta, poteva esserlo nella mente di chi non viveva in quei luoghi, ma non per loro. Per i popoli tedeschi l’unione c’era ancora. 

“Calmo, calmo. Respira dalle narici e vedrai che andrà meglio.” Gli aveva accarezzato la testa quando il ragazzino stava iperventilando. Per forza, si era detto, non lo conosceva. Non ricordava assolutamente nulla di quello che era stato. Come se con un colpo di spugna Napoleone lo avesse cancellato dalle mappe e dalla memoria. 

“Hai subito una brutta sconfitta, giovanotto. Ma non è nulla che non potresti superare. Uno come te da questa sconfitta potrebbe diventare solo più potente.”

“Non capisco di cosa parli… Non so nemmeno come mi chiamo o chi sono…” Il ragazzo aveva parlato a voce bassa. Poteva leggere il terrore nei suoi occhi nel non sapere nulla, nel non ricordare nulla. E non voleva nemmeno immaginare come potesse sentirsi.

“Il nome posso dartelo io, potresti essere il mio fratellino d’ora in poi.” Gilbert aveva ridacchiato a quella frase. Uno stato più vecchio di lui che diventava il suo fratellino lo divertiva, ma poteva funzionare. Gli serviva un po’ di leggerezza in quel momento così complesso. Aveva bisogno di fare qualcosa che potesse svagargli la testa e non farlo pensare costantemente alle battaglie che aveva perso lui stesso. “Posso insegnarti quello che ho imparato io e puoi prenderti la tua vendetta su chi ti ha portato via tutto. Potresti letteralmente avere l’Europa ai tuoi piedi con i giusti insegnamenti, ma per ora devi solo riposare. A tutto il resto penseremo in seguito.”

Il ragazzo aveva annuito debolmente, chiudendo ancora una volta gli occhi. Lo avrebbe lasciato riposare in quel luogo sicuro per tutto il tempo in cui ne avesse avuto bisogno. E poi lo avrebbe fatto risorgere più potente che mai.

 

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Capitolo 23
*** 23. Momento di relax, X si vergona della sua famiglia [Hetalia - Germania] ***


Prompt: Momento di relax, X si vergona della sua famiglia
Fandom: Hetalia
Personaggi: Germania

 

Ludwig Beilschmidt amava e odiava le festività. Erano sempre molto sentite a casa sua e suo fratello si superava ogni volta con le decorazioni. Che fosse Natale o Pasqua, casa loro sembrava sempre uscita da una qualche rivista. Suo fratello adorava spendere pomeriggi interi per rendere perfetto ogni dettaglio.

Gilbert Beilschmidt adorava i grandi banchetti festivi e quindi lui era costretto a passare ogni festa con fin troppi invitati. Avrebbe preferito una cosa più intima. Lui, Feliciano Vargas, e suo fratello. Al massimo avrebbe accettato la presenza di Ivan Braginsky solo per rendere felice suo fratello. Ma non succedeva mai un pranzo così tranquillo. Mai.

Ad ogni pranzo festivo era obbligatorio invitare i migliori amici di suo fratello che a loro volta portavano i propri partner. A questo punto Feliciano invitava il loro amico di lunga data Kiku Honda e lui non riusciva mai a dire nulla a Feliciano perché voleva soltanto renderlo sempre felice. Quando Gilbert si rendeva conto, sempre, che il numero degli invitati aumentava, ecco che invitava anche Roderich Edelstein e Elizaveta Erdevary.

Avrebbe solo voluto avere un momento di relax, passare qualche giorno in tranquillità a casa, ma ogni volta casa sua diventava sempre più caotica. Ogni anno si aggiungeva qualcuno. E ogni anno finiva sempre peggio.

Ogni anno suo fratello dava il peggio di sé facendolo vergognare davanti a tutti. Certo, non se ne sarebbe dovuto preoccupare poiché Antonio Fernandez Carriedo e Francis Bonnefoy gli davano manforte nel far vedere a tutti il peggio di sé - il Francese forse era il peggiore di tutti -, ma lui aveva una ben precisa visione del fratello e vederlo totalmente privo di qualsiasi freno lo faceva sentire in imbarazzo. Aveva troppa stima di quell’uomo, e avrebbe voluto che anche tutto il mondo lo vedesse come lo vedeva lui. 

Non vederlo bere l’impossibile. Iniziare a denudarsi. A raccontare cose imbarazzanti su tutti i presenti, compreso sé stesso. O vederlo in atteggiamenti troppo intimi con il Russo. Quello soprattutto lo trovava sempre fuori luogo. 

La cosa peggiore era che suo fratello il giorno dopo non se ne ricordava. Lui sì. Lui ricordava tutto nonostante cercasse ad un certo punto dei pranzi di bere per dimenticare. 

Ed era proprio con questo terrore nel corpo che osservava il fratello preparare la sala da pranzo. Aveva messo la tovaglia delle feste, quella che tirava fuori sono in quelle occasioni. Aveva messo l’argenteria ed il servizio di piatti buono e antico. Tra poco avrebbe anche messo in tavola i bicchieri di cristallo. A quel punto si sarebbe chiuso in cucina per preparare il pranzo. E lui avrebbe cercato di aiutarlo, come sempre, ma sempre con terrore.

Come con terrore avrebbe aspettato il campanello d’ingresso. 

Campanello che aveva suonato. Con terrore si era avvicinato all’ingresso, dopo che Gilbert aveva urlato dalla cucina di aprire. 

Ivan Braginsky se ne stava in piedi, sorridente come sempre, con le mani piene di borse. Ma non sembrava convinto nemmeno lui, come ogni anno, di quel pranzo.

“Mio fratello è in cucina. Presumo ti stia aspettando.”

“Temo di sì.” Il Russo era entrato in casa. Aveva appoggiato le borse per terra prima di togliersi il cappotto. E subito dopo gli porgeva una bottiglia di vino. “Questo è per te. Buona fortuna per oggi.”

Aveva osservato l’uomo andare verso la cucina, e sì, gli sarebbe servita tanta fortuna quel giorno.

 

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Capitolo 24
*** 24. Hai proprio bisogno di una lavata, Io lo conosco bene... + immagine (foresta) [Hetalia - Impero Romano/Germania] ***


Prompt: "Hai proprio bisogno di una lavata", "Io l* conosco bene..." + immagine (foresta)
Fandom: Hetalia
Personaggi: Impero romano, Tribù Germaniche
Pairing: Roma/Germania


Germania, II secolo D.C.

 

Aveva sospirato guardando le fronde degli alberi sotto i quali si era sdraiato. Aveva avuto bisogno di un attimo di stacco da quella che era la sua quotidianità. Aveva avuto bisogno di allontanarsi dal suo castrum. Aveva bisogno di non vedere le proprie legioni per un po’.

Era famoso per essere uno che menava le mani. Aveva espanso il suo impero a quel modo. Ma era stanco in quel momento. 

Aveva bisogno di un po’ di calma, di un attimo in cui staccare la testa da quella costante espansione territoriale a cui sottoponeva i suoi generali e le sue truppe. Era forte, era potente, nulla lo poteva fermare.

Ma aveva bisogno di staccare anche lui a volte. Di scomparire per qualche ora o giorno, per poi ricomparire quando meno se lo aspettavano carico per nuove conquiste.

“I tuoi sono in subbuglio.” Un uomo dai lunghi capelli biondi gli si era avvicinato. Non aveva nascosto la sua presenza, facendosi vedere da subito nonostante fossero ufficialmente sempre in guerra. “Da quanti giorni manchi?”

“Non troppi.” Aveva sorriso, ma non si era mosso. Non aveva intenzione di rientrare per il momento. Voleva solo restare lì. “Li stai ancora spiando?”

“Lo facciamo sempre. Voi tenete d’occhio noi, e noi teniamo d’occhio voi.”

“Credevo di avervi sottomessi.” Aveva guardato l’uomo che si era seduto accanto a lui. Era sempre così serio, ma era anche questo che gli piaceva di lui.

“Non riuscirai mai a sottometterci del tutto. Sopravvaluti le tue capacità.” Aveva fatto una pausa e lo aveva guardato negli occhi. “E puzzi. Hai proprio bisogno di una lavata. Se vuoi posso aiutarti ad annegare nel fiume.”

Roma era scoppiato in una fragorosa risata. Germania poteva avere ragione. Erano giorni che mancava dal castrum e dalle sue terme. Per qualche giorno aveva vagato senza una meta precisa. Poi aveva deciso di raggiungere il biondo. Ormai preferiva la sua compagnia a quella di qualsiasi donna, aveva pensato con un sospiro. Il grande e potente Impero Romano, che aveva avuto le donne più belle, mortali e non, che finiva per essere soddisfatto con un barbaro sgraziato, ma suo pari in forza e virilità.

“Ti conosco così bene ormai, so che non mi uccideresti. Chi ti scalderebbe poi la notte?”

“Per tua informazione ho la fila di pretendenti. Più giovani e vigorosi di te.”

Roma aveva riso ancora, cercando con la propria mano quella dell’altro guerriero. Era un uomo così orgoglioso, un combattente valido come pochi altri. Lo avrebbe sempre considerato un suo pari e avrebbe sempre ammirato il modo in cui rallentava la sua conquista di quei territori. 

“Posso restare ancora qualche giorno con te? Poi ti prometto che me ne torno dai miei.”

“I tuoi uomini non si fanno problemi a restare in modo permanente con le mie donne.” Il biondo lo aveva guardato e poi si era chinato verso di lui. Gli aveva dato un bacio. Uno di quei rari baci che si permetteva di dargli al di fuori dell’intimità. “Puoi restare quanto vuoi anche tu.”

Aveva sorriso alle sue parole. Sarebbe stato molto difficile andarsene questa volta. Davvero molto.

 

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Capitolo 25
*** 25. Commozione, Devi solo dirmi di... +immagine(scontri con polizia) [Hetalia - RuPru] ***


Prompt: Commozione, "Devi solo dirmi di..." +immagine(scontri con polizia)
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru


Berlino, 198*

 

Quando tornava a Berlino, il rumore delle sirene della polizia lo teneva fin troppo spesso sveglio di notte. I tumulti e gli scontri con la polizia erano sempre più frequenti. C’erano sempre stati, da quando avevano deciso di dividere lo stato in due. Da quando avevano deciso di dividere la sua città in quattro. 

La situazione era stata tesa già dalla fine della guerra. Anche se erano loro gli sconfitti, essere smembrati in zone di influenza straniere era stato umiliante. Ed essere reclamato dal Russo come se fosse un suo possesso lo era stato ancora di più. Il suo orgoglio ne era uscito più sconfitto di qualsiasi altra cosa. Perché tra loro poteva esserci quello che si voleva, ma metterlo così alla luce del giorno non gli piaceva. Era troppo intimo, e Ivan lo aveva reso pubblico senza troppe cerimonie.

Si era affacciato alla finestra. Aveva scostato la tenda e aveva osservato la strada. Poco più in là c’era il muro che delimitava la zona Ovest. Il ghetto che avevano costruito per proteggersi dalle potenze occidentali. E in strada c’era troppa commozione. Troppa gente. Troppo tumulto. L’ennesima notte che non sarebbe finita bene. L’ennesima notte che avrebbe portato arresti e feriti, sperava non morti.

Diventava ogni notte sempre peggio. Ogni notte restava ad osservare l’evolversi della situazione. Ogni notte sperava in miglioramenti, ma non sapeva nemmeno lui quali fossero ormai, se rimanere sotto dominio sovietico o cercare in tutti i modi di liberarsene. 

“Non guardare.” L’uomo che era stanza con lui aveva chiuso la tenda da lui spostata, impedendogli così una visuale chiare della strada. Poteva tuttavia sentire la commozione della folla.

“La gente non è contenta, Ivan. E non puoi continuare a sguinzagliare la polizia ogni volta che scendono in strada. Non puoi sparargli a vista.”

“Detto da te è un controsenso. Ti devo ricordare di cosa ti sei reso complice?”

Gilbert aveva deglutito. Non era un complice. Non lo voleva essere. Non era mai stato d’accordo con molte scelte prese dai suoi capi prima e durante la guerra, ma non era mai riuscito a fermarli. 

“Non sei mai stato migliore di me in questo. Tu ancora adesso spedisci la gente nei gulag se non ti vanno a genio.” Aveva leggermente voltato la testa per guardare l’uomo che gli stava accanto e guardava attraverso le tende la strada sotto di loro. “Siamo pessimi entrambi, per questo siamo qui, no?”

“Siamo solo pedine in un gioco più potente di noi.”

Gilbert aveva riso. Conosceva quell’uomo da così tanti secoli ormai, e aveva sempre detto che tutti loro erano soltanto delle pedine su una scacchiera governata dai loro capi. Nessuno di loro aveva in realtà la libertà di scegliere quello che per loro stessi sarebbe stato meglio. Non dovevano avere sentimenti personali, per nulla. 

“Io ti odio con tutto me stesso.” Aveva guardato anche lui verso la strada. La polizia non si sarebbe risparmiata nemmeno quella notte. Avrebbe caricato contro chiunque gli si fosse trovato di fronte e il giorno dopo avrebbero tutti osservato le conseguenze.

“Se è così devi solo dirmi di andarmene, Gilbert.”

“Te lo dico da quarant’anni, ma non ti togli mai dalle palle.” Aveva sospirato e si era spostato dalla finestra. Guardare non avrebbe portato a nulla, e non poteva nemmeno scendere in piazza come avrebbe in realtà voluto. Voleva sentirsi completamente libero. Voleva avere il potere che aveva avuto in passato. Voleva tornare alle glorie passate. Anche se sapeva che quel tempo era passato. Era vivo solo per miracolo e sarebbe scomparso se non fosse finito solo il dominio di altri.

“Me lo dici da molto più di quarant’anni, in realtà.” Ivan aveva preso la sua mano e lui si era fermato. Se l’era portata alle labbra e l’aveva baciata con delicatezza. Odiava anche quei momenti, perché odiava sé stesso che provava dei sentimenti per l’altro uomo. Sentimenti troppo personali, sentimenti che provava da troppo tempo, e che offuscavano il suo raziocinio. 

Le labbra di Ivan contro la sua pelle erano caldissime. E i suoi occhi ametista incatenavano il suo sguardo. Era un rapporto malato. Lo era sempre stato. Ma non se ne era mai liberato. Nemmeno in quel momento lo stava davvero facendo. Un lato di lui voleva ritornare dal fratello. Voleva che fossero ancora una volta uno Stato unito, uno Stato potente. Ma c’era un lato di lui a cui stava bene rimanere accanto a Ivan. Rimanere accanto a lui come non avevano mai fatto in passato. E lo avevano eccome un passato insieme. 

Un passato di guerre e battaglie. Un passato di pochi attimi sereni e in pace. Un passato fatto per lo più di occasioni rubate per stare insieme. Mentre adesso vivevano insieme. Ed era questo lo rendeva così combattuto con sé stesso. Questo non gli permetteva di prendere un decisione drastica. Una decisione con cui rischiava anche di svanire per quello che ne sapeva lui. Erano questi sentimenti che aveva sempre provato per Ivan che adesso lo bloccavano dall’agire.

“Se davvero mi ami come mi ripeti sempre, lasciami andare, Ivan. Sai che alla fine non mi perderai.”

“Non lo so questo. Non lo so cosa potrebbe succederti una volta che ti sarai riunito con Ludwig. E io non voglio che tu svanisca. Non ancora.”

“Al massimo verrò a perseguitarti sotto forma di fantasma.” Aveva spostato la mano dalle sue labbra per sfiorare la sua guancia. Aveva in realtà paura anche lui, ma questo non glielo avrebbe detto.

 

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Capitolo 26
*** 26. Scopamici, La città non dorme, Brutta giornata [Marvel - Stony] ***


Prompt: Scopamici, La città non dorme, Brutta giornata
Fandom: Marvel
Personaggi: Tony Stark, Steve Rogers
Pairing: Stony
Warning: io ci provo a scrivere vm18, ma sono un fail


 

Aveva appoggiato i palmi delle mani sul vetro freddo della enorme finestra. Aveva bisogno di più freddo, di qualcosa che raffreddasse la sua pelle che sembrava bollente in quel momento. Alle mani si era aggiunta la sua fronte su quel vetro, mentre delle labbra che sembravano roventi gli baciavano il collo. E con il loro tocco si sentiva bruciare anche lui. 

Aveva aperto gli occhi osservando le minuscole luci che vedeva in lontananza. Anche se era notte, le strade erano affollatissime e sempre vive. New York era una città che non dormiva mai, ma questo non aveva mai distrubato la pace del suo attico così in alto. Il suo attico in quella torre orrenda, come l’aveva definita l’uomo alle spalle. 

“Sei troppo teso.” La sua mano calda ed enorme gli aveva accarezzato il petto, e Tony si era lasciato uscire un sospiro dalle labbra. 

“Brutta giornata sarebbe riduttivo per definirla. Davvero riduttivo.” Aveva cercato di concentrarsi sulle mani e le labbra di Steve Rogers. Lo stesso Steve Rogers che sembrava così irragiungibile e così eterosessuale, e che invece faceva spesso visita alla sua camera da letto. 

Non era nulla di serio, si erano detti. Era solo sesso. Solo per sfogare lo stress che quella vita gli causava. Erano stressati per essere supereroi. Erano stressati per il lavoro con lo S.H.I.E.L.D.. Tony era stressato per tutto il lavoro che faceva con Stark Industries, e Steve era stressato con la sua intera esistenza gettata in un mondo che non conosceva.

“Non pensarci adesso.” Steve gli aveva baciato ancora il collo e stavolta era sicuro gli avesse lasciato il segno. Era passionale. Troppo passionale per essere un ghiacciolo sbucato direttamente dagli anni 40. 

“Dovrai impegnarti molto, Capitano. E’ stata una giornata così pesante che non vedevo l’ora di staccare.” E vederti, ma questo non glielo aveva detto. Non poteva dirgli che ormai attendeva con ansia i loro incontri. Quei momenti in cui erano da soli, lontano dagli occhi del mondo intero. Momenti solo per loro due. 

“Lascia fare a me, Tony.” La mano di Steve era scesa tra le sue gambe, e aveva iniziato ad accarezzarlo. Ci sapeva fare. Il fatto che fosse rimasto vergine per tutto quel tempo gli aveva decisamente fatto avere dimestichezza con le mani. Glielo aveva anche detto una volta, e ne avevano riso insieme. 

Adorava sentirlo ridere. La sua risata gli entrava sotto pelle e gli faceva venire i brividi. 

Gli stessi brividi che ora gli causavano le sue mani che si muovevano sul suo sesso, stringendolo e accarezzandolo. 

Era un uomo con molta esperienza, si era sempre considerato tale. Aveva avuto moltissimi partner, sia uomini che donne. Ma Steve Rogers era su tutto un altro livello. Il piacere che provava con lui era una cosa nuova. Era capace di farlo rilassare con pochi tocchi, e non voleva pensare agli impliciti significati di questo.

“Che ne diresti di restare qui per stanotte?” Aveva chiesto prima di collegare il cervello alla bocca. Non restavano mai per la notte uno con l’altro. Era stata una tacita regola dei loro incontri. Era solo sesso e una volta finito ognuno per la propria strada. E ora lui aveva fatto un passo falso. 

Quasi con terrore aveva guardato il riflesso di Steve nella vetrata. Ora se ne sarebbe andato e non sarebbe tornato più. Doveva essere una cosa solo fisica, prima di sentimenti. Doveva. Ma per lui non era più così.

Aveva oltrepassato il limite e con quella domanda avrebbe fatto scappare l’altro.

“Molto volentieri, Tony. Molto volentieri.” Gli aveva sorriso, stringendolo semplicemente di più a sé.

 

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Capitolo 27
*** 27. Sta per esplodere, Non lo ricordi più? [Hetalia - Inghilterra, Francia, Prussia] ***


Prompt: "Sta per esplodere", "Non lo ricordi più?"
Fandom: Hetalia
Personaggi: Inghilterra, Francia, Prussia
Pairing: solo accennati UsUk, FraSey, RuPru


Arthur Kirkland aveva appoggiato la guancia sul legno umido e freddo del bancone del pub. Davanti ai suoi occhi, il boccale di birra era quasi vuoto e ne voleva subito un altro. Aveva mormorato qualcosa, non sapeva nemmeno lui cosa, mentre con un dito sfiorava una goccia fredda sul vetro. 

“Ma è vivo?” La voce gracchiante di Gilbert Beilschmidt aveva perforato le sue orecchie. Lo sentiva ridere, e voleva davvero rispondergli, ma non aveva la forza di alzare la testa. Forse stava bevendo troppo. Ma solo forse.

“Sta per esplodere, non temere. Tra un attimo salterà sul bancone nudo.” Francis Bonnefoy, seduto accanto a lui, sorseggiava un drink e sogghignava. Voleva dargli un pugno. Non era uno che saltava sui banconi a ballare come un qualsiasi ubriaco. 

Era solo ubriaco. Ed era uscito con gentaglia che in qualche modo poteva considerare amici. Essere preso per i fondelli da quei due era troppo davvero troppo. Mancava solo quell’idiota di uno Spagnolo e la serata sarebbe stata ancora più peggiore sé possibile.

Quale era il motivo per cui era uscito? Ah, già. Quell’idiota di Alfred. Alfred che lo aveva fatto incazzare per l’ennesima volta. Alfred che si faceva detestare dal mondo intero con la sua idiozia. Ecco perché aveva telefonato a Francis per lamentarsi, e Francis gli aveva proposto di uscire con lui e il Tedesco. E quello era sempre un errore, ma non lo imparava mai.

“Io non esplodo…” Aveva biascicato guardando male il Francese. “Sto solo bevendo… Solo bevendo.”

“Ehi, ragazzo!! Altre tre birre qui!” Alle sue spalle Gilbert aveva urlato, se aveva davvero urlato. Nella sua testa la sua voce rimbombava fin troppo. 

“Ma cher, per me un altro di questi cocktail deliziosi.” I suoi occhi erano su Francis, perché poteva anche essere ubriaco, ammesso che lo fosse, ma il suo amico aveva puntato il povero barman. 

“Sei di nuovo single?” Alla sua domanda Gilbert aveva gracchiato la sua fastidiosa risata direttamente nelle sue orecchie, ne era certo. 

“Non te lo ricordi più, Kirkland? La piccola Vittoria gli ha dato nuovamente il benservito!” Una manata di Gilbert aveva raggiunto la sua schiena, mentre questi continuava a ridere. “Con chi ti ha beccato stavolta? Povera ragazza, invaghirsi di un demente come te.”

“Sempre meglio invaghirsi di me che di Ivan.” Francis aveva guardato malissimo il suo amico che non doveva assolutamente essersi offeso dal modo in cui rideva. Probabilmente stava anche bevendo nel mentre, perché poi aveva sentito il rumore di un boccale sbattuto sul bancone. E non era stato lui a poggiarlo. Non aveva nemmeno la forza di alzare la testa, figuriamoci bere ancora. 

“Ma io ho sempre avuto un pessimo gusto in fatto di uomini! Anche di donne in realtà, ma con gli uomini proprio sono il peggio del peggio!” 

“Non chiamarlo. Ti prego. Non ho voglia di sentirlo lamentarsi perché sei sbronzo.” Francis si era lagnato, sorseggiando ancora il suo drink e continuando a mangiarsi con gli occhi il povero ragazzo che stava lavorando.

“Ehi, Ivan! No, non sono ubriaco.” Lo aveva sentito dire dopo una breve pausa. “No, non sono nemmeno con Francis. Ma c’è Kirkland qui. E’ uno spasso da ubriaco, come sempre. E’ spiaggiato sul bancone come un cadavere.”

“Non sono un cadavere!”

“Sì sì, Kirkland, certo. Continua pure a fare la muffa lì. Senti, ho davvero un pessimo gusto in fatto di uomini, vero?” Arthur lo sentiva mugugnare qualcosa, mentre Francis scuoteva la testa e buttava giù il drink velocemente. Fino a quel momento era sembrato quello più sobrio. Adesso non lo sarebbe più stato. Lo aveva visto ordinare un altro giro, mentre Gilbert riprendeva a parlare. “Ammesso e non concesso che sono Francis, che problema c’è? Sto solo bevendo un paio di birre con due amici! No, non serve che mi vieni a prendere, prendo un taxi. No, dormo a casa mia. No no. Va bene, finisco la birra e poi ti aspetto.” 

“Non solo hai un pessimo gusto in fatto di uomini, ma sei pessimo pure te.” Francis aveva guardato malissimo l’altro. “Ora se la prenderà con me perché sei sbronzo!”

“Gli faccio un pompino e gli passa tutto!” Gilbert aveva riso ancora, molto divertito da quella situazione. E lui aveva trovato da qualche parte la forza di alzare la testa e guardare male il Tedesco. 

“Devi proprio vantarti che stasera scoperai? Qui c’è gente messa male, non è bello sbatterci così in faccia la nostra miseria!” 

Aveva agguantato un boccale di birra da cui ormai era scomparsa tutta la schiuma. Ma quanto aveva bevuto Gilbert più di lui? Non lo sapeva, ma il Tedesco sembrava solo brillo e non era normale. Aveva dato un generoso sorso dal boccale di birra ormai tiepida, e l’ultima cosa di cui si ricordava di quella serata era Ivan che entrava nel pub. Il resto della notte era un blackout.

 

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Capitolo 28
*** 28. Dieci anni in meno, X ha tutto, forse anche troppo + immagine (Tour Eiffel) [Marvel - Stony] ***


Prompt: Dieci anni in meno, X ha tutto, forse anche troppo + immagine (Tour Eiffel)
Fandom: Marvel
Personaggi: Tony Stark, Steve Rogers
Pairing: Stony



Steve Rogers aveva guardato il proprio compagno. Come sempre, aveva esagerato troppo. Come sempre non aveva alcun limite nelle cose e esagerava. Aveva provato a dirglielo, ma Tony non aveva voluto sentire ragioni. Ed in un istante era seduto sull’aereo privato di Tony. Seduti comodamente a sorseggiare champagne che probabilmente costava quanto il pil intero degli Stati Uniti. Ma aveva imparato a non farsi domande.

Tony Stark era un uomo che aveva davvero tutto. Fama, soldi, potere. Aveva anche troppo, lo aveva sempre pensato. Poi aveva imparato a conoscere quell’uomo molto più intimamente, e quella ostentazione era solo apparenza. Era solo per nascondere il proprio io molto più sensibile e ferito di quella che era la sua facciata.

Aveva quindi superato sé stesso ancora una volta. 

Tony gli aveva detto di vestirsi bene, che lo portava fuori per un appuntamento elegante. Non aveva voluto dirgli altro, e nel giro di nulla era in volo. Per ritrovarsi a cena sulla Torre Eiffel. Tutto perché qualche giorno prima aveva espresso il desiderio di tornare in Francia e visitare Parigi da vero turista.

Detto fatto. Adesso stava guardando Parigi che si estendeva sotto di lui. Illuminata dalla luci che si estendevano a perdita d’occhio. Una vista che non credeva avrebbe mai visto.

“Sai che questo va molto oltre quello che aveva chiesto?”

“Non rompere e goditi il momento, Capitano.” Tony aveva sorseggiato del vino, continuando a mangiare. Sicuramente per lui non era una cosa nuova. Chissà quante volte aveva portato qualcuno a cena lì per fare colpo.

“A me bastava anche solo una passeggiata e visitare un paio di musei.” Lo aveva visto estrarre il cellulare e comporre un numero. “Non adesso, Tony! Non scomodare nessuno a quest’ora.”

Tony aveva imbronciato le labbra, mettendo subito via il cellulare. 

“Ma così potevi vedere La Gioconda senza tutta la ressa davanti.”

Steve aveva scosso la testa, ma non era riuscito a trattenere un sorriso. Era così da Tony fare una cosa simile. 

“Non serve, Tony. Davvero.” Aveva allungato il braccio sopra il tavolo per poter sfiorare la mano di Tony. “Già essere qui è troppo.”

“Ho prenotato anche un albergo.” Tony aveva spostato lo sguardo. Le sue guance si erano leggermente arrossate. Ed era bellissimo ai suoi occhi. “Ho pensato che poteva essere una cosa carina…”

“E’ una cosa molto carina. Davvero molto. Grazie, Tony.”

L’uomo lo aveva guardato e vederlo così imbarazzato gli trasmetteva tenerezza. Tony sembrava sempre così arrogante, ma era soltanto un ragazzino insicuro la maggior parte delle volte.

“Ah, se solo avessi dieci anni in meno non sai cosa ti farei già adesso.” 

Steve aveva riso, stringendo un po’ la sua mano.

“Non ti servono dieci anni in meno, non temere. Sei molto focoso per essere un uomo di mezza età.”

“Disse il pensionato surgelato.”

Steve gli aveva sorriso e se non ci fosse stato il tavolo tra di loro lo avrebbe baciato subito. Si sentiva fortunato ad avere quell’uomo accanto. Quell’uomo che faceva così tante cose sopra le righe, spesso solo per rendere felice lui. Anche se non si rendeva conto che la sua sola presenza gli bastava.

 

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Capitolo 29
*** 29. Mi hai dato molto, Serotonina [Marvel E3490 - Stony] ***


Prompt: "Mi hai dato molto", Serotonina
Fandom: Marvel E3490
Personaggi: Natasha Stark, Steve Rogers
Pairing: Stony


 

Aveva sempre pensato che il suo appetito sessuale fosse dovuto ad una grossa mancanza di serotonina. Il suo corpo non riusciva a produrne abbastanza da rendere il suo cervello felice almeno un minimo, almeno quel po’ che poteva essere accettabile per poter dire di essere di buonumore. Non voleva avere la presunzione di dire che fosse una persona felice. Non lo era. Non lo avrebbe mai detto a voce alta, perché era una persona che aveva letteralmente tutto. E se non aveva tutto, poteva comprarlo quando meglio credeva. Era una persona che tutti invidiavano, per un motivo o per l’altro. Per i soldi, per il potere, per le continue conquiste. La sua foto compariva sulle riviste più disparate, da quelle scientifiche o economiche, per arrivare a quelle di gossip senza mezze misure. 

Ma come le aveva detto una persona una volta, aveva tutto e non aveva niente. Quel niente le produceva poca serotonina e il suo cervello doveva trovarlo da qualche parte.

Meglio se nel letto di un bell’uomo. Meglio ancora se quell’uomo era alto, biondo, con occhi azzurri, e simbolo della rettitudine americana. 

Sfogliava svogliatamente la rivista che la sua segretaria le aveva fatto recapitare. Era stata fotografata per l’ennesima volta. Questa volta in compagnia niente poco di meno che di Steve “Captain America” Rogers. 

Non c’era niente tra di loro. Niente di sentimentale. Aveva continuato a ripeterselo senza sosta. Erano stati solo incontri casuali. Momenti dettati dal pathos del momento che li avevano portati a cercare conforto tra le braccia dell’altro. 

Eppure il suo sorriso in quelle foto sembrava sincero. Sembrava felice. 

Quella era stata l’unica volta in cui si erano permessi di uscire da soli al di fuori del lavoro. Anche perché per lavoro c’era sempre qualcun altro assieme a loro. Quel giorno invece erano usciti per un caffè, solo quello. Non aveva significato nulla, non doveva significare nulla. Era solo un caffè tra amici, nulla di più. Non doveva leggerci nulla di più di questo. Non doveva pensare al sorriso che vedeva sul suo stesso volto in quelle foto. 

Steve non avrebbe mai voluto avere una relazione seria con una donna discutibile come lei. Era solo sesso. Era solo sfogare i propri più bassi istinti. E Steve era un uomo, aveva bisogno di sfogarsi anche lui. Per questo aveva scelto lei. Non l’avrebbe di certo mai scelta per costruire qualcosa di serio.

Quel caffè non significava nulla. Quelle foto non significavano nulla. 

Un leggero bussare alla porta del suo ufficio le aveva fatto alzare gli occhi dalla stupida rivista che aveva in mano. E tutti si sarebbe aspettata di vedere, ma proprio non Steve Rogers.

“Scusami se piombo qui senza preavviso, ma…”

“Ma?” Natasha lo aveva guardato. Sorrideva leggermente, ma le sembrava preoccupato e imbarazzato. “Potevi telefonarmi, non ti avrei fatto venire fin qui.” Aveva chiuso la rivista, lasciandola sulla scrivania. Ma serviva a poco. Sulla copertina c’erano sempre loro due.

“Ah, vedo che l’hai già vista. Fury mi ha convocato stamattina in ufficio. Non ne sapevo nulla.” Si era avvicinato alla sua scrivania, guardando la rivista. Aveva immaginato che Fury non ne sarebbe stato felice. Era stupita di non aver già ricevuto qualche telefonata da parte sua. 

“Me l’ha portata Pepper poco fa. Scusami per tutti i problemi che ti potrebbe causare, non è stato intenzionale, ma mi fotografano sempre quando esco con un uomo. Soprattutto se sei tu. Sai che articolo succulento ne esce.” Aveva sospirato, invitandolo con un gesto della mano a sedersi. Doveva immaginare che non ne sarebbe stato felice. Avrebbe macchiato la propria reputazione facendosi vedere con lei.

“Problemi? Che problemi dovrebbero esserci?” Steve si era seduto, mettendosi comodo, anche se era palpabile la tensione nel suo corpo. Ora le avrebbe detto che fuori dal lavoro non si sarebbero più visti. Che i rapporti si sarebbero mantenuti alle operazioni relative agli Avengers. 

“Molti? Sono abbastanza certa che ti abbiano paparazzato anche qui fuori.”

“Credo di sì, in realtà.” Steve l’aveva guardata, e chi voleva ingannare ormai? A lei quell’uomo piaceva. Le piaceva stare in sua compagnia. Le piaceva la tranquillità che le trasmetteva. Le piaceva la sensazione di felicità che arrivava al suo cervello quando lo vedeva. “Ma non è un problema. Davvero.”

“Lo credi davvero? Non potrai muovere un passo senza essere seguito da qualcuno per i prossimi mesi, come minimo. Mi dispiace davvero, Steve. Capirò se non vorrai vedermi più.” 

“Di cosa stai parlando, Tasha? A me non dispiace.” Lo aveva guardato e lui le sorrideva lievemente. “Mi hai dato molto in questi mesi. E non credo di essermi comportato come avrei dovuto. Non ti ho mai corteggiata davvero o portata fuori a cena. Mi sono solo approfittato di te, e questo non lo meriti. Non ci si comporta così con una signora.”

“Credo di aver approfittato più io di te, credimi.” Era la fine. Le avrebbe dato il benservito. Steve era un uomo di altri tempi dopotutto. Credeva ancora nei corteggiamenti. La donna che avrebbe amato sarebbe stata fortunata. Ci sarebbero stati fiori, inviti a cena, serate romantiche. Poteva già figurarsi la futura signora Rogers. Una donna perfetta. Sempre curata. E soprattutto con una reputazione invidiabile. 

“No, non è così. Mi sono preso ciò che mi offrivi e non volevo pensare a tutte le implicazioni di questa situazione. Io ti volevo, io ti voglio. E non mi importava come lo ottenevo. E quando Fury oggi mi ha convocato per farmi vedere queste foto, mi sono reso conto che voglio di più. Voglio che questi caffè siano una cosa normale, non una eccezione. L’ho sempre saputo cosa volevo da te, ma non potevo dirtelo. O meglio, non sapevo come fare per dirtelo.”

Il suo cervello aveva smesso di funzionare. Per la prima volta non sapeva come processare le informazioni di cui stava entrando in possesso. Non era possibile che Steve le stesse dicendo proprio quello che lei sembrava capire. Era stato solo sesso tra di loro, il miglior sesso che avesse mai avuto, ma era solo quello. 

“Ho paura di star fraintendendo ciò che mi stai dicendo.” Aveva cercato di forzare un sorriso sulle proprie labbra. Aveva paura di illudersi e costruirsi castelli in aria che poi sarebbero crollati e l’avrebbero lasciata distrutta. 

“In realtà ho paura anch’io.” Steve aveva ridacchiato. Era una risatina nervosa, e non credeva fosse possibile vedere Steve Rogers così nervoso. “Temo di poter aver frainteso qualche tuo comportamento o parola. E ho paura che questo potrebbe rovinare anche solo il rapporto lavorativo. Ma volevo chiederti se ti andava di uscire a cena con me?”

Stava sognando. E se stava sognando non voleva essere svegliata. Tutto si sarebbe aspettata, ma non un invito. Non un appuntamento in piena regola. Non da Steve Rogers.

“Sì. Assolutamente sì.”

 

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Capitolo 30
*** 30. Tatuaggi, Da persona per bene [Hetalia - UsUk] ***


Prompt: Tatuaggi, "Da persona per bene"
Fandom: Hetalia
Personaggi: America, Inghilterra
Pairing: UsUk


Alfred aveva osservato la schiena del suo compagno. Aveva con un dito seguito i contorni neri del disegno. Era bello. Era ben fatto. Sembrava sempre come appena fatto ed era abbastanza sicuro che l’altro uomo lo avesse fatto ritoccare almeno un paio di volte in quei decenni. 

Era sempre perfetto, come la prima volta in cui glielo aveva visto. 

“Smettila. Sono 50 anni che ho quel tatuaggio, non è la prima volta che lo vedi.” Arthur non si era nemmeno voltato. Continuava a dargli la schiena e non sembrava avere però intenzione di spostarsi.

“E’ così strano vedertelo addosso. Da persona per bene che sei, mi stupisce sempre.”

“Persona per bene. Ragazzino, stai parlando con il grandioso Impero britannico, non dimenticarlo.” Arthur si era messo seduto, ridacchiando. “Persona per bene. Non ci credo che me lo hai appena detto.”

“Beh, sei sempre vestito come un borghese con la scopa nel culo.” Aveva riso, e non avendo mai spostato la mano dalla sua schiena continuava a sfiorare i contorni del piccolo teschio con la cresta. Lo conosceva a memoria. Ne aveva tracciato i contorni migliaia di volte. 

“Ehi, non ti ho insegnato ad essere così volgare.”

“Mi hai insegnato di peggio a dire il vero.” Aveva riso ancora e si era sporto per baciargli le labbra. “Strano tu non abbia qualche tatuaggio come ricordo del tuo periodo corsaro.”

“Non mi piacevano all’epoca. Molto spesso li avevano i galeotti, ed ero tutto fuorché un criminale qualunque.”

“Dipende dai punti di vista. Per tutti quelli che hai colonizzato in passato sei il peggior criminale di sempre e hanno fatto di tutto per liberarsi di te, cominciando da me.” Alfred aveva sfoggiato il proprio miglior sorriso, mentre Arthur lo guardava torvo. Poteva incenerirlo con lo sguardo. 

“Non è vero. Non sono tutti dei mocciosi ingrati come te. Prendi tuo fratello per esempio. Fa ancora parte del Commonwealth, e non si è mai comportato male come te.” Gli aveva preso il mento tra le dita, stringendolo forte. Non gli avrebbe mai perdonato la sua piccola insurrezione, come la definiva. Erano passati quasi 300 anni, ma glielo rinfacciava ad ogni occasione. Sempre. 

“Sarei rimasto anch’io se qualcuno fosse stato ragionevole.” Aveva mugugnato guardandolo negli occhi. “Invece no. Bisognava proprio intestardirsi a quel modo? Ho pure dovuto chiedere aiuto e sai quanto questo sia stato umiliante per me.”

“Umiliante per te? E io cosa dovrei dire? Sconfitto su tutta la linea da un moccioso!” Arthur aveva alzato entrambe le braccia al cielo. “Ma cosa mi tocca sentire. Ancora.” Si era alzato dal letto e Alfred aveva osservato ancora una volta il piccolo tatuaggio sulla sua schiena. Il piccolo simbolo della sua ribellione. Da Arthur tutto si sarebbe aspettato, tranne che vederlo con un tatuaggio punk sulla schiena. Ma del resto ricordava bene le volte in cui lo portava nei peggiori locali inglesi a sentire suonare qualche gruppo. Si era preso bene per quella rivolta sociale e l’aveva fatta sua senza mai abbandonarla in realtà. Anche adesso passava le sue serate nei locali ad ascoltare i nuovi gruppi o quelli di cover. E questa cosa non se la sarebbe mai aspettata da un uomo che di giorno era sempre uno snob borghese con la puzza sotto il naso.

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Capitolo 31
*** 31. E' per questo che sono qui, E' il più amato, X chiama Y con un nomignolo, Cosa vuoi che ti dica +immagine (preti) [Hetalia - RuPru] ***


Prompt: "E' per questo che sono qui", "E' il più amato", X chiama Y con un nomignolo, "Cosa vuoi che ti dica" +immagine (preti)
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: RuPru


 

Königsberg, 152*

 

Con un sospiro aveva ricevuto il suo ospite. Non se lo aspettava. Non sapeva nemmeno che fosse così informato su cosa stesse succedendo in quella parte d’Europa. Era convinto che fosse come sempre troppo concentrato con gli infiniti problemi che aveva a casa sua. Ne aveva sempre. In continuazione. Era messo molto peggio di lui e non riusciva mai a comprendere dove trovasse anche la forza per combattere guerre esterne ai suoi confini.

Non si era alzato dalla poltrona mentre Ivan Braginsky entrava nel suo salotto privato. Voleva sembrare annoiato. Voleva sembrare infastidito. Ma in realtà gli faceva piacere vederlo. Soprattutto in un momento delicato come quello.

Sarebbe cambiato tutto in quel momento. Tutto quello che era sempre stato sarebbe venuto meno e avrebbe dovuto sapersi riorganizzare. Per gli umani era più semplice cambiare. Per lui erano stati secoli in cui aveva vissuto sempre allo stesso modo.

“Mi sono giunte voci interessanti, Gilbert.” Il Russo gli aveva sorriso, mentre senza essere invitato si sedeva comodamente su una delle poltrone. Era ormai di casa tra le quelle mura.

“Smettila di inviare spie alla mia corte. Sono stufo di dover riempire le mie carceri con la tua gente.” Il Prussiano aveva sbuffato, appoggiando più comodamente la schiena contro lo schienale della poltrona. “Ho cose più importanti adesso a cui pensare, e non siete tu e le tue spie.”

“E’ per questo che sono qui. Voglio essere presente quando toglierai quelle tonaca monastica. Non ti si addice affatto. Troppo nero ti rende ancora più pallido, te l’ho sempre detto.” 

“Questa tonaca è la stessa che ti ha fatto il culo più volte, ricordatelo bene.”

Ivan lo aveva guardato, ma non aveva protestato. Ivan lo sapeva tanto quanto lui che loro non potevano decidere nulla, che erano in balia delle scelte di altri. Ma almeno lui non aveva dovuto fare un cambiamento così radicale.

Moj milij, come stai?”

Gilbert lo aveva guardato a sua volta e non sapeva con esattamente quanta sincerità potergli rispondere. Erano comunque sempre sul piede di guerra e ogni debolezza che l’altro mostrava veniva sempre usata per il proprio tornaconto. 

“Cosa vuoi che ti dica, Vanja?” Aveva sospirato e guardato fuori dalla grande finestra. “Alberto è un uomo ambizioso e questo mi piace molto, ma forse si è fidato troppo di persone a cui io non mi sarei affidato. Ho provato a dirglielo, ma nulla da fare. E adesso eccomi qui.” Aveva allargato le braccia con fare drammatico e lo aveva guardato sorridendo, anche se non era un sorriso di gioia. “Secoli a fare guerre di religione per rendere tutti cattolici, e ora sono dalla parte opposta. Rinnegato dalla stessa Chiesa da cui sono nato e per cui ho combattuto e finito a vivere in questi posti dimenticati da Dio e dagli uomini.”

“Resto sempre dell’idea che dovresti arrenderti e diventare parte della Madre Russia.”

Gilbert era scoppiato in una risata fragorosa. 

“Mi mancherebbe solo questo, credimi. Già ho dovuto piegare la testa di fronte ai polacchi, ma mi vendicherò di questo. Non me ne frega nulla se Sigismondo è lo zio di Alberto. Bada bene a quello che ti dico, Ivan. Cancellerò la Polonia dalle cartine d’Europa e prima o poi anche l’Impero sarà mio.”

“Per la Polonia non ho dubbi che potresti conquistarli facilmente, ma sei sicuro che il resto delle potenze europee ti permetterà di mettere le mani sull’Impero? Ti ricordo che hanno anche la Spagna adesso.”

“Non rovinarmi i miei piani di conquista così. Quel maledetto cattolico è sempre il più amato.”

“Fino all’altro giorno eri cattolico anche tu.”

“Stai zitto, non è questo il punto.”

“E quale sarebbe il punto allora? Stai pianificando vendetta contro qualcuno che al momento non puoi battere e che anzi, è meglio se ti giochi bene le tue carte, altrimenti rischi di perdere tutti i possedimenti che avevi come Stato monastico.”

Lo aveva guardato male, perché sapeva benissimo che Ivan aveva ragione. Non poteva in alcun modo dargli torto, era solo che era arrabbiato. Era nato tra monaci e cavalieri. Aveva passato tutta la sua vita fino a quel momento in un libro tra sacro e laico, ma aveva creduto. Aveva avuto fede. Era stato devoto al Vaticano più e più volte. 

Anche se aveva dovuto ammettere a sé stesso che le idee di quel Martin Luther non erano poi tanto malvagie. Rispecchiavano molto di quello che lui aveva sempre abbracciato e di cui non aveva mai parlato. E lui stesso non era mai diventato totalmente un sacerdote, nonostante conoscesse le Sacre Scritture a memoria, proprio perché non riusciva ad accettare tutto. Come il celibato. Non dopo che aveva conosciuto l’uomo che ora gli sedeva di fronte. 

Amarlo carnalmente era un peccato a cui non era mai riuscito a sottrarsi.

Si era alzato dalla comoda poltrona e aveva guardato Ivan negli occhi. Con mosse veloci delle proprie dita aveva sbottonato la lunga tonaca nera che così spesso aveva indossato e l’aveva lanciata all’altro uomo. Ivan l’aveva presa al volo con un sorriso. 

“Guardami conquistare il mio posto sul podio europeo. Diventerò una potenza che tutti dovranno temere, non solo i bifolchi che ho combattuto finora.”

“Non vedo l’ora di vederti splendere, Gilbert. Non vedo l’ora.”

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