The last of the Starks

di bimbarossa
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I fratelli Lannister ***
Capitolo 2: *** Sandor ***
Capitolo 3: *** Robert ***
Capitolo 4: *** Joffrey ***
Capitolo 5: *** Ditocorto ***
Capitolo 6: *** Petyr Baelish ***
Capitolo 7: *** Cersei ***
Capitolo 8: *** Yoren ***
Capitolo 9: *** Dontos ***
Capitolo 10: *** Gendry ***
Capitolo 11: *** Osha ***
Capitolo 12: *** Sandor ***
Capitolo 13: *** Jamie ***
Capitolo 14: *** Tyrion ***
Capitolo 15: *** Renly ***
Capitolo 16: *** Sam ***
Capitolo 17: *** Cersei ***
Capitolo 18: *** Brienne ***
Capitolo 19: *** Clegane ***
Capitolo 20: *** Jeyne ***
Capitolo 21: *** Roose Bolton ***
Capitolo 22: *** Jojen Reed ***
Capitolo 23: *** Theon ***
Capitolo 24: *** Ygritte ***
Capitolo 25: *** Luwin ***
Capitolo 26: *** Ilyn Payne ***



Capitolo 1
*** I fratelli Lannister ***


“Che ne pensi di questa gente del Nord? Dei famosi Stark?” gli domandò Tyrion mentre si toglievano gli stivali umidi davanti al fuoco.

“Che sono freddi come il loro cazzo di clima. Hai mai sentito un'aria così aspra in estate?”

“L'estate non durerà per sempre, fratello. Comunque a me il banchetto di benvenuto di stasera è piaciuto, hanno dell'ottimo vino per essere così vicino alla Barriera.”

“Ribadisco, hanno il ghiaccio al posto del sangue. Perlomeno la maggior parte di loro.”

Brandon Stark non contava più, era sottoterra da un pezzo.

Il Folletto saltò sulla sedia più vicina alle braci ardenti mostrando uno strano sorrisetto. “Non mi convincono. Ho sentito dalle servette che sotto questo castello c'è niente di meno che un drago, o qualcosa di simile, che alimenta il calore dentro queste mura, forse nato dall'uovo deposto dallo sfortunato Vermax.”

“I draghi non esistono, fratello. E poi Vermax non era un drago maschio?”

“D'accordo, ammetto la faziosità dei miei ragionamenti. Ma gli Stark, non so...sembrano tanto pallidi e glaciali fuori...ma scommetto che dentro sono fuoco e sangue, rossi come i capelli che gli dei -e la loro madre del sud- ha donato a quattro di essi. E no, non guardarmi così, nella figlia più piccola c'è più estro di quello che puoi immaginare. Non vorrei essere in Ned Stark quando dovrà maritarla.”

Jamie si scolò una brocca di vino del nord, che alla luce delle fiamme risultava fastidiosamente indistinguibile se fosse bianco o meno.

“Ho notato quanto estro ha messo nel tirare cibo alla sorella maggiore. Comunque io vado, ci sono passatempi migliori che parlare di questi Stark.” Era stufo di quelle chiacchiere, Cersei gli mancava terribilmente dopo settimane di forzata astinenza; chissà, aveva già adocchiato un posto in cui l'indomani avrebbero potuto vedersi, se quell'idiota di Robert fosse andato a caccia con il padrone di casa. “Buonanotte fratello, e mi raccomando, stanotte controlla che il drago degli Stark non venga a divorarci tutti.”

 

 

Questa è una raccolta di frash-fic senza pretese, leggere e veloci, perché l'ultima generazione di Stark merita tutto l'amore e le attenzioni del mondo.

 

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Capitolo 2
*** Sandor ***


“È stata solo una piccola baruffa, niente di grave. Joffrey si deve abituare ad avere a che fare con ragazzi più esperti e maturi di lui.”

Il fratello nano della regina si stava ubriacando già di prima mattina, e forse era per questo che non riusciva a vedere la portata dell'enorme cazzata appena detta.

Quel ragazzino, Robb Stark, di sicuro non era stato abbastanza maturo da non aver capito che ogni insulto sputato fuori in quella “piccola baruffa” contro il principe, durante l'allenamento nel cortile di Grande Inverno, Joffrey se lo sarebbe legato al dito in un nodo dolorosissimo, Sandor ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Anche se lui il fuoco lo temeva più della morte.

Lasciato il Folletto alle sue sbornie, si diresse verso il luogo dove era avvenuto poche ore prima l'alterco, pensando che quel cazzo di nord fosse più freddo delle cosce di una vedova. Come facevano a viverci quelle persone?

Gli altri fratelli Stark li aveva solo intravisti, uno che pareva sparuto e sinistro come un corvo e l'altro, il più piccolo, manco se lo ricordava.

Con un boccale di vino dell'estate appena riempito, pensò che magari quei due avrebbero fatto una fine migliore del maggiore, un ragazzo troppo impulsivo, avventato, che molto probabilmente sarebbe caduto su una sciocchezza, uno di quelli che inciampavano e morivano su un'innocua e piccola radice che spunta dal terreno piuttosto che in una grande battaglia con la spada in mano.

Sulle figlie femmine neppure ci si sarebbe soffermato se solo non le avesse intraviste, nascosto da un palo di sostegno di una tettoia, camminare spedite attraverso il cortile dirette agli appartamenti della famiglia Stark, seguite da una septa impettita e arcigna mentre parlottavano concitate.

Non sapeva cosa si stavano dicendo, e neanche gli fregava, però si era messo lì ad osservarle sperando che Joffrey non lo chiamasse proprio in quel momento per uno dei suoi incarichi del cazzo.

Quella bassina che doveva essere la minore era il ritratto sputato di Stark, secca, scura e tutta nervi, l'altra...l'altra degli Stark non aveva niente, alta, aggraziata, uguale a tutti quegli uccellini colorati che seguivano Cersei ovunque laggiù, nel caldo di Approdo del Re. Non avrebbe voluto notarne il collo sottile, o la treccia di un chiaro rame brunito, o il vestito azzurro cucito su misura, però lo notò lo stesso, cazzo se lo notò.

Il vino speziato gli pulsò in gola come fuoco liquido e le cicatrici sul volto, con quelle folate di vento freddo che gli venivano addosso, bruciavano più che mai.

Decisamente il nord non gli piaceva, per niente.

 

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Capitolo 3
*** Robert ***


Ned era invecchiato più in quei pochi giorni che nei nove anni in cui non si erano visti, dopo la ribellione delle piovre.

Robert avrebbe voluto dire qualcosa che facesse stare meglio l'amico di una vita e sua moglie, ma cosa si diceva in questi casi?

Il ragazzino non si era ancora svegliato dopo la tremenda caduta dalla torre, e Catelyn stava per l'intero giorno al suo capezzale, mentre quel grosso meta-lupo grigio non faceva altro che ululare tutte le notti.

Sicuramente quella disgrazia era un presagio nefasto, un segno che gli dei stavano preparando qualcosa di sinistro per lui e per la sua famiglia, di questo Robert ne era certo da un pezzo. La guerra era alla porte, per questo era andato fin lassù, in quel cazzo di buco di culo di Nord a prendersi Ned per aiutarlo. Ed ora quell'incidente inspiegabile.

Come ogni mattina faceva visita al ragazzo.

Vicino a Catelyn aleggiava come un gufo il maestro di Grande Inverno, sussurrandole parole che Robert non poteva e non voleva sentire. Gli bastava lo sguardo allucinato della donna, i capelli rossi arruffati e il vestito scuro spiegazzato per afferrare tutto ciò che c'era da sapere.

In quel momento con lei nella stanza c'erano le due figlie, una seduta accanto all'altra, gli occhi rossi di pianto e l'aria pallida.

Per un attimo, forse per un gioco di ombre, al suo sguardo acquoso e appannato i due volti delle ragazze di Ned si sovrapposero fino a diventarne uno solo, un volto spavaldo ma gentile, fiero ma nobile, selvaggio ma impassibile e pieno di segreti. Un volto che conosceva bene. Un volto ancora amatissimo.

Poi, in un battito di ciglia, l'illusione cadde, si sciolse, si spaccò in tanti pezzi, e le due giovani tornarono ad essere quelle che erano.

Dirigendosi verso i quartieri dove stavano Cersei e i ragazzi pensò che chissà, forse in futuro, se le cose sarebbero andate come dovevano andare, avrebbe avuto una nipote in cui avrebbe potuto vedere davvero qualcosa di Lyanna, un luccichio degli occhi, un sorriso, o il modo in cui avrebbe cavalcato.

Sì, un giorno, se gli dei fossero stati buoni.

“Non dirmi che sei già ubriaco di prima mattina.” La voce di sua moglie aveva un che di sottile e malevolo, come un ago pronto ad essere infilato sotto la pelle. “Il fanciullo come sta?”

“Sicuramente è spacciato.” Robert era troppo ubriaco per zittire quello stronzetto di suo figlio. E poi Joffrey non aveva tutti i torti.

“Ancora vivo, ma con la schiena spezzata.” Il vino gli stava impastando la lingua, facendogli dire cose che non era tanto sicuro di pensare. “Abbattiamo i nostri cavalli quando si azzoppano, e uccidiamo i nostri cani quando diventano ciechi. Ma siamo troppo deboli per essere ugualmente misericordiosi verso i nostri figli storpiati.”

“Hai ragione, padre.” Joffrey si mise a tagliare la carne di cinghiale con insolito buonumore. “La pietà è la virtù più importante di un re.”

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Capitolo 4
*** Joffrey ***


“Ahia, mi fai male!”

Joffrey si morse la lingua per non dire altro. In fondo stava parlando con sua madre e doveva moderare i termini, anzi, se avesse saputo quali parole gli erano uscite durante lo scontro con quell'orribile Stark, non l'avrebbe passata così liscia.

Il solo ricordo di ciò che era accaduto sul Tridente gli fece scricchiolare i denti dalla rabbia.

“Quella maledetta! Deve essere punita come si conviene, madre, non mi importa che sia figlia del Protettore del Nord.”

“Ned Stark non è solo il Protettore del Nord adesso. Sarà anche la prossima Mano del Re.” La regina Cersei tamponò ancora per un po' la ferita sul polso del figlio, da cui ormai non usciva più nemmeno una goccia di sangue. “ E poi sai che tuo padre gli è affezionato.”

Joffrey non poté fermare il ringhio gutturale che gli uscì direttamente dalla gola.

“Li odio gli Stark. Quei bifolchi! Quanto vorrei dare una lezione a tutti loro. La ragazzina e il bastardo, sai che parlottavano tra loro mentre Robb Stark mi insultava, durante l'allenamento nel cortile di quel loro stupido castello gelato e pieno di spifferi? Devono pagarla, Robb, Arya e il bastardo, e anche quello piccolo di cui non ricordo neppure il nome. Voglio che paghino tutti, anche Sansa, quella stronzetta...”

“Sansa diventerà tua moglie, ricordalo.”

“Madre, devo proprio sposarla?” All'inizio non l'aveva trovata così male, la Stark più grande, ma adesso il pensiero di trovarsi sposato con lei era insopportabile.

“Si, tesoro, ho paura di sì, ma basterà che tu le dia dei figli che mettano al sicuro la tua discendenza, e per il resto potrai fare quello che vuoi, con chiunque tu voglia.”

“Ma io odio gli Stark...”

“Gli Stark ci servono. Ci servono i loro vessilli e i loro eserciti.” La ferita era stata pulita e fasciata, e sotto le maniche di broccato del principe spariva completamente. “ Sansa è carina, piccolo mio, un cucciolo adorante e stupido tutto da addestrare.”

“Ma quella bastarda ha buttato Dente di Leone nel fiume...”

“Shh, devi riposare Joff. Hai affrontato una grande prova contro quella bestia mostruosa. Dormi un po', il viaggio fino ad Approdo del Re sarà ancora lungo.”

Dal gigantesco carro a due piani dove stava la famiglia reale non si poteva vedere fuori dato che non c'erano finestre, ma Joffrey sentiva ancora puzza di Incollatura, quell'odore di palude e acqua sporca che aleggiava da giorni.

Sì, si sarebbe vendicato di ogni Stark.

Aveva già cominciato, anche se nessuno lo sapeva. Mai novanta corone d'argento erano state spese così bene.

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Capitolo 5
*** Ditocorto ***


Doveva essere lui.

Ned Stark.

Erano anni che Ditocorto assaporava il momento in cui avrebbe visto suo marito, finalmente. Per studiarlo, per soppesarlo, per giocare con lui al gioco che lo avrebbe condotto alla rovina.

Un gioco che lui giocava da anni, mentre Stark non sapeva neppure quali fossero le regole.

Stavolta non sarebbe andata come con Brandon.

“Non dubito che lady Catelyn ti abbia parlato di me.”

Quando era entrato nella sala del concilio, impolverato, sudato, con l'odore di cavallo addosso, quasi aveva visto Renly ridacchiare e Varys, il caro Varys, sorridere di un sorriso simile ad una lama.

“L'ha fatto. So che hai avuto il piacere di conoscere anche mio fratello Brandon.”

Fai pure tutti i commenti taglienti che vuoi, Stark, la lama di quello sciocco mi ha fatto molto più male, e se sono sopravvissuto a quello, tu non puoi nulla.

“Fin troppo bene. Porto ancora addosso un pegno della sua stima. Brandon ti ha parimenti parlato di me?”

“Spesso, e con un certo calore.”

Quasi gli rise in faccia per davvero. “E io che pensavo che voi Stark e il calore non andaste d'accordo.” Ditocorto desiderava provocare Eddard Stark fino al punto di rottura. Si era preparato a questo ogni notte da chissà quanto tempo, forse dal giorno in cui aveva scritto quella lettera a Catelyn a Delta delle Acque, dopo che quell'idiota del suo promesso sposo aveva gridato a Rhaegar Targaryen sotto le finestre della Fortezza Rossa di scendere giù e sfidarlo.

“Qui nel Sud, si dice che siate fatti di ghiaccio e che solo nel momento in cui superate l'Incollatura cominciate a sciogliervi.”

Per un attimo pensò di essersi spinto troppo oltre, di aver rovinato il fantastico piano progettato per distruggerlo, ma il volto lungo della nuova Mano del Re rimase tranquillo, gli occhi grigi come acqua solidificata.

“Non ho intenzione di sciogliermi in tempi brevi, lord Baelish. Su questo ci puoi contare.”

Si volse verso il vecchio Pycelle, non degnandolo più di un'occhiata.

Parlarono di tasse, soldi, tornei, premi e debiti.

Tutte cose che dovevano essere lunari per uno come Stark, glielo si leggeva in faccia. Sicuramente amministrare la giustizia del Re in quelle lande desolate doveva essere tutt'altra cosa.

Oh, mia adorata Catelyn, non so se compiangerti od odiarti. Forse provo entrambe le cose, ma continuo ad amarti oggi come allora. Faccio tutto questo per te.

Ned Stark poteva trattarlo come e più gli pareva, fare il duro ed integerrimo uomo del nord, ma niente lo avrebbe salvato.

Anche il ghiaccio più spesso, sotto la giusta pressione di un dito minuscolo, poteva riempirsi di crepe.

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Capitolo 6
*** Petyr Baelish ***


Il sole di quel giorno benedetto dal Guerriero pareva rimbalzare sulle ciocche della ragazzina, che mandavano baluginii di un chiaro rame brunito come un fuoco appena acceso, e che accostati mirabilmente al vestito verde indossato, risaltavano nella folla come un'unica stella nel cielo nero della notte più buia.

Accanto a lei c'era la septa, una bambina scura dal volto allungato e tetro riconoscibilissimo anch'esso, e un'altra ragazza dai tratti scoloriti, confondibili, dimenticabili.

Quest'ultima non resse mentre la Montagna Che Cavalca impartiva il suo tocco a Ser Hugh, quasi collassò davanti a tutti e dovette essere portata via dalla livida septa.

Con un sorta di personale compiacimento si avvide che le due Stark non avevano battuto ciglio davanti a quello spettacolino crudele, niente lacrime, strepiti o drammi.

Non si avvicinò subito, aspettò che la septa tornasse. Non si fidava, non si fidava di sé stesso in particolare.

Aveva impiegato anni a diventare Ditocorto, fin nella più piccola parte di lui, ma era bastato incontrare la copia di Cat, la figlia che lui e Cat avrebbero potuto avere, che Petyr Baelish, il povero ragazzino proveniente dalle Dita con sangue braavosiano nelle vene facesse capolino.

Si dovette toccare la spilla, l'usignolo che chiudeva la sua cappa e che temeva volasse via, che sparisse nel vento, per ricordare chi fosse e quanta strada avesse fatto da allora.

“Voi dovete essere le sue figlie.” Alla fine non aveva resistito. Da vicino la somiglianza della più grande era quasi dolorosa. “Hai i lineamenti dei Tully.”

“Sono Sansa Stark. Questa è mia sorella...”

“Arya Stark.”

La forza che mise nel pronunciare il cognome che possedeva quasi lo fece ridere.

Bambina cocciuta quest'altra tua figlia, mia dolce Cat. Ha il tuo temperamento sfacciato e irresistibile.

“Non si interrompe qualcuno che ti sta presentando, Arya,” abbaiò la septa inflessibile.“Dolci fanciulle, questi è lord Petyr Baelish, membro del Concilio ristretto del Re.”

“E un tempo vostra madre era la mia regina di bellezza.”

L'usignolo dentro di lui aveva smesso di cantare la melodia del freddo gioco del trono, ora ne cantava un'altra più dolce, più malinconica, ma altrettanto potente e spietata.

Quietamente, senza spaventarla o urtare l'arcigna septa, le accarezzò velocemente una ciocca di capelli, quelli che sua madre le aveva dato tramite il sangue che le scorreva nelle vene, e se ne andò senza aggiungere altro.

La figlia mia e di Cat se solo il destino avesse deciso altrimenti.

Figlia mia e di Cat.

Figlia mia.

Mia.

Aveva progettato un piano. Anni e anni per curare ogni dettaglio. E come tutti i piani arrivava sempre un imprevisto imponderabile.

Ma non importava, anzi. Sansa Stark era appena diventata la pedina fondamentale e più preziosa del grande gioco, e quando l'avrebbe avuta avrebbe potuto, finalmente, accettare di aver perso Cat.

L'usignolo tacque, e quello che rimase fu solo il silenzio pericoloso di un gigante.

 

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Capitolo 7
*** Cersei ***


Quella sciocca ragazzina!

Cersei si stiracchiò leggermente come una gatta nel suo abito nero da lutto (detestava indossare il nero) pieno di rubini rossi simili a lacrime sul corpetto.

Arys Oakheart era appena uscito scortando galantemente, come un vero cavaliere, quella stupida della figlia di Ned Stark. Una figlia che aveva appena tradito il padre, per tutti i Sette Dei.

Con espressione afflitta, la cara bambina era corsa nelle prime ore del mattino a chiederle udienza, e più compita che mai con quegli occhietti azzurri fermi e decisi, le aveva riferito che suo padre intendeva riportarla a Grande Inverno e farla sposare ad un signorotto di campagna, in qualche posto sperduto e freddo del Nord, mentre lei amava con tutto il cuore il “suo caro e dolce principe”, e che mai avrebbe tradito il giuramento che la legava a Joff e alla promessa di sposarlo.

Stolta. Stolta come suo padre!

Quell'idiota di Ned Stark aveva avuto il fegato e la sfrontatezza, pochi giorni prima, di confessarle ciò che sapeva di lei, intimandola all'esilio e alla rinuncia di tutto quello che aveva costruito in quegli orribili anni accanto a quel balordo ubriacone del suo amico. Come se un lupo spelacchiato e stupido venuto da chissà dove potesse domare un leone della Rocca!

Con uno sbuffo felino mandò a chiamare quel raccattamonete di Ditocorto.

Idiota anche lui, ogni volta che vaneggiava di quanto la piccola Sansa fosse il ritratto sputato di sua madre, proponendosi addirittura di sposarla una volta venutole il primo ciclo.

La più piccola, quella cosetta scura e magrolina a cui Jamie avrebbe dovuto tagliare la mano per l'incidente al Tridente, lei sì che era uguale alla figlia di Hoster Tully.

Selvaggia e avventata come lady Catelyn, quella scema che non solo aveva rapito il figlio di Tywin Lannister, ma non aveva nemmeno annegato in una tinozza quel bastardo, il figlio che Stark le ha messo sotto il naso quando era ancora in fasce.

Lei non avrebbe, e non aveva, mai sopportato tanto, pensò pigramente, e quell'accenno di rimorso ai due gemelli partoriti da una serva di Castel Granito con gli occhi blu e i capelli nerissimi si accucciò di nuovo dentro di lei con la stessa fretta con cui si era destato.

Il passato era passato, però, e c'erano altri bastardi di Robert in giro per tutta Approdo del Re, doveva riscuotersi e concentrarsi su ciò che era importante per il futuro di suo figlio ora, quella piccola questione poteva aspettare.

Il cappio che si stava stringendo attorno a Ned Stark e ai suoi invece no.

“Vostra grazia, Janos Slynt è pronto.” Baelish era un'ombra che attendeva sulla porta.

“Bene, voglio vivi solo Stark e le figlie. Gli altri fatene pure pastura per leoni.”



Grazie a chi ancora segue questa raccolta, a chi l'ha recensita o messa tra le preferite. So che è da un po' che non la aggiorno, ma la vita è complicata.

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Capitolo 8
*** Yoren ***


Finalmente la ragazzina aveva smesso di dibattersi tra le sue braccia.

Lasciò la presa gradualmente però, non sicuro che la piccola Stark avesse ceduto, avesse capito che ormai non c'era più niente da fare.

Con un guizzo, e tenendola sempre rivolta verso di sé, diede una fugace occhiata verso il Grande Tempio di Baelor.

Urla e uno strano silenzio si contendevano la scena.

Una ragazza dai capelli rossi gridava disperata, per poi afflosciarsi in ginocchio come una rosa blu recisa da una mano gelida.

Doveva essere l'altra figlia di Eddard Stark, pensò il corvo; quella non altrettanto fortunata, quella che si sarebbe ricordata la morte del padre ogni notte come succedeva a lui stesso per suo fratello.

Allo scricciolo tra le sue braccia, almeno, era riuscito a risparmiare la stessa sorte.

Eppure non avrai un destino migliore, piccola.

Aveva smesso di divincolarsi, anche se la furia dentro di lei era rimasta intatta, tanto che Yoren continuò a tenerla ferma, mezza nascosta nel suo sudicio mantello nero.

Non eri male, lord Stark, ma ai leoni i lupi non sono mai piaciuti, si ritrovò a considerare. Forse perché entrambi predatori, ma di natura diversa.

E i corvi se per questo, piacevano al nuovo re e alla sua famiglia ancora meno.

“Mi conosci, vero? Bravo, ragazzino.” Sputò per terra. “Qui loro hanno finito. Tu adesso vieni con me.”

Le ridiede la spada, notando quanto fosse leggera e sottile, proprio come la sua padrona. “Spero che tu sappia come usarla, ragazzino.”

“Io non sono un...”

Spingendola contro un androne, le stritolò una ciocca di capelli scuri, avvicinandola al coltello che aveva in mano.

“Invece sei un ragazzino, e anche uno sveglio. E questo quello che volevi dire?”

Mentre la figlia di Ned Stark cacciava l'ultimo urlo soffocato, lui cominciò a tagliare.

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Capitolo 9
*** Dontos ***


Dontos aveva bevuto troppo quel mattino, davvero troppo.

Non era riuscito a fermarsi, il pensiero del re bambino e della sua nuova corte lo innervosivano e spaventavano più di quanto volesse ammettere, e più di quanto il vino potesse fargli dimenticare.

D'altronde quando mai il vino era riuscito a fargli dimenticare qualcosa, come l'orrore di Duskendale?

Nella confusione più totale non si era nemmeno accorto di avere il cazzo di fuori, barcollante ed instabile per gareggiare contro quel signor nessuno, quel Lothor Brune.

Arrivati al cospetto del re si accorse che vicino spiccava una ragazzina alta dal vestito di un porpora pallido e dai capelli rossi racchiusi in un retina, una figurina triste e senza colpe come lui, a cui la giovane età non aveva risparmiato la crudeltà della vita.

Perché Dontos aveva subito riconosciuto chi fosse.

Sansa Stark.

Ubriaco e malconcio si diresse verso la corte, inseguendo quello stupido stallone castrato che non voleva saperne di essere montato; dopo un po' ci rinunciò schiaffando a terra l'elmo piumato e cadde sul terreno smosso dai cavalli come l'anima persa che era, chiedendo vino, solo altro vino.

E altro vino arrivò.

Mentre stava soffocando nel suo rosso sapore una voce femminile parlava con il re, e poco dopo le braccia che lo stavano tenendo giù lo lasciarono cadere carponi sul selciato duro del cortile, fradicio ma ancora vivo.

Dontos alzò gli occhi pesti verso il palco reale, frustrato, arrabbiato, miserevole, grato, tutte emozioni che non lasciarono mai la sua gola secca e riarsa.

“Hai sentito la mia dama, Dontos? Da questo giorno in avanti, sarai tu il mio nuovo giullare. Puoi dormire insieme a Ragazzo di Luna e metterti il berretto a sonagli.”

“Ti ringrazio, maestà. E anche te, mia lady. Grazie.”

Non sapeva come, non sapeva perché, ma Sansa Stark gli aveva appena salvato la vita, proprio come Ser Barristan Selmy aveva fatto tanti anni prima, e se quest'ultimo non aveva mai visto il debito saldato, Dontos Hollard Nuovo Giullare di Corte si ripromise che con la piccola Stark non avrebbe commesso lo stesso errore.

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Capitolo 10
*** Gendry ***


Gendry ne aveva visti tanti di ragazzini ad Approdo del Re mentre martellava il suo elmo cornuto e le altre commissioni date da Tobho Mott, ragazzini buoni che avevano fatto una brutta fine, ragazzini incattiviti dalla vita che avevano compiuto azione scellerate degne del peggior soldato, ragazzini spezzati che volevano sopravvivere solo un altro giorno ancora e nulla più.

Il ragazzino nuovo portato dal vecchio Yoren, Bitorzolo lo chiamavano, dai grandi occhi grigi e i capelli tagliati a ciocche irregolari era tutto questo e niente di questo.

Tanto per cominciare portava uno spadino, uno spadino fatto bene, lungo e sottile, fatto sicuramente da qualcuno che ne capiva di forgiatura, e che teneva sempre alla cintola tastandone la presenza di tanto in tanto con una leggera carezza quasi furtiva.

E furtivo Bitorzolo lo era sempre, sia quando cavalcavano che quando si fermavano a mangiare o pisciare, tanto che Frittella e Lommy ManiVerdi lo avevano preso di mira con battute e oscenità quasi ridicole.

L'ultima volta, poco prima, era intervenuto lui stesso per difenderlo, anche se alla fine non aveva fatto poi molto.

Il ragazzino aveva riempito di botte Frittella conciandolo malissimo, tanto che si era pure cagato sotto e Yoren ancora sbuffava sull'accaduto mentre tornava all'inizio della fila.

Gendry non sapeva perché, ma Bitorzolo a lui piaceva, piaceva molto.

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Capitolo 11
*** Osha ***


L'acqua nera del laghetto termale le scivolò sulla pelle come mani liquide, calde, purificanti.

Quel posto, il parco degli dei degli Stark, era un pezzo di nord vivo ed integro, Osha ne era convinta.

Dopo che Stiv e gli altri erano morti lei era stata portata a Grande Inverno, interrogata dal ragazzo, il lord Stark, e incatenata, ma persino allora le era stato concesso di girare per il castello, prendere qualche focaccia o una coscia di pollo in cucina, pregare i suoi dei quando ne sentiva la necessità.

E dove avrebbe mai potuto alzare le sue istanze se non in quel posto, all'ombra delle alte querce dalla corteccia scura e gli alberi diga dai rami più bianchi di vecchie ossa?

Stiracchiò la sua persona alta e flessuosa scuotendo i capelli scuri e bagnati, accorgendosi delle tre figure che si stavano avvicinando.

Il ragazzino storpio era aggrappato al gigante come un ragno su un bastone, ma era il meta-lupo grigio che Osha continuò a fissare, memore della strage che lui e i suoi compagni avevano fatto nella Foresta del Lupo.

“Come mai sei qui?”

La voce del bambino assomigliava a quella di una cornacchia gentile.

“Prego.”

“Preghi anche tu gli alberi del cuore?”

Alzò lo sguardo sulla chioma rosso sangue del grande albero-diga che pareva osservarli attraverso le lacrime vermiglie che scendevano lungo il suo tronco.

“Ti chiami Brandon, ragazzino, giusto?”

“Se vuoi puoi chiamarmi Bran.”

“Ebbene lord Bran, quelli che tu chiami alberi del cuore non sono solo dei.”

“E cosa sono?”

“Sono occhi.”

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Capitolo 12
*** Sandor ***


“È una lunga caduta fino al fondo dei gradini a spirale, uccelletto. Vuoi che ci ammazziamo entrambi? Forse è quello che vuoi.”

Era riuscito ad afferrarla poco prima che cadesse, braccandole il polso sottile e profumato con la sua presa rozza ma solidissima.

Quelle scale a serpentina erano forse la parte più pericolosa della Fortezza, si diceva che il Signore delle Maree dopo che i draghi dei Targaryen si erano ammazzati a vicenda fosse proprio morto lì, mentre altri, compresa una poppante di cui Sandor non ricordava il nome si fossero rotti qualche osso nell'usarle.

Avvolta in un mantello grigio, la piccola Stark pareva un fantasma pieno di segreti, gli occhi di un azzurro ciano incredibile, denso come polle di acqua innocente, che solo a guardarlo faceva sembrare le ustioni sul suo viso più fresche, più pulite.

Se si aspettava che il menzionare quello che era accaduto sul ponte, quando le aveva impedito di tirare lei stessa e Joffrey giù con sé nel cortile sottostante, le avesse messo paura o disagio, il Mastino si sbagliava.

“No, mio lord, chiedo scusa, non vorrei mai questo.”

Gli rifilò la storia di essere andata a pregare quei suoi fottuti Dei gelati, che non solo non gli interessava ma non riusciva nemmeno a distrarlo dall'osservarla, notare i dettagli del suo corpo, di come la sua pelle luccicasse sotto la luna come acqua bianca.

“Sembri quasi una donna… la faccia, le tette. E sei anche più alta, quasi… ah, ma sei ancora quello stupido piccolo uccelletto, non è così? E canti le canzoncine che loro ti hanno insegnato… Cantala anche a me, una canzone, perché no? Forza. Canta. Una di quelle belle canzoni su prodi cavalieri e belle fanciulle. A te piacciono i cavalieri, no?”

Barcollo e cincischiò mentre la riportava al fortino di Maegor, anche se non era così ubriaco. O forse lo era, perché lei era una bambina, una bambina del nord che aveva avuto come balia asciutta un metalupo morto, una bambina che presto avrebbe sposato il suo re.

E lui era un uomo che un tempo per giocare ai cavalieri aveva barattato il proprio nome con quello di un animale.

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Capitolo 13
*** Jamie ***


Per un attimo pensò di essere tornato a casa, libero, in cima alle scogliere di Castel Granito dove il vento era il padrone insieme al cielo azzurro e al profumo del mare al di sotto di quei monoliti di roccia e oro.

Tuttavia quando aprì gli occhi e li strizzò nel buio tutte le sensazioni di costrizione tornarono, le mani strette dietro la schiena, il sudiciume che si portava addosso, il tanfo dei suoi stessi escrementi.

“Sei sveglio.”

La voce di Catelyn Tully Stark era più fredda di un blocco di ghiaccio, gelida come il cuore di una stella.

“Ho interrotto il mio sonnellino per godere appieno della vostra meravigliosa presenza, mia lady.”

La strafottenza nella propria voce quasi lo stupì.

Si sentiva uno straccio, sporco, indolenzito per il poco movimento, lontano da Cersi da mesi, eppure non riusciva a non essere quello che era.

Un Lannister.

“La tua sfacciataggine non mi tocca. Voglio solo una cosa da te. Sapere perché mio figlio è diventato storpio.”

Ma certo, il ragazzino!

Una parte di lui aveva dimenticato quello che era successo in quella torre, un'altra invece ci pensava tutti i giorni.

Così glielo disse, confessò tutto alla signora di Grande Inverno, che impettita gli stava davanti, chiara come una statua di neve, l'odio che cresceva nei suoi occhi come una creatura antica, e quando alla fine terminò essi brillavano rossi e spietati nel volto di pietra.

“Goditi ancora per un altro po' l'ospitalità di Delta delle Acque, Sterminatore di Re. Se gli dei sono giusti io vedrò la tua morte e quella di tua sorella.”

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Capitolo 14
*** Tyrion ***


Tyrion non era mai stato tanto arrabbiato in vita sua.

Aveva avvertito quella stupida di sua sorella molte volte da quando era ad Approdo del Re per conto del loro padre, di controllare quel suo marmocchio viziato almeno nei confronti di Sansa.

Possibile che non si fosse resa conto che la vita di Jamie dipendeva dal benessere della ragazzina Stark?

Appena entrato nella sala del trono quella mattina aveva sentito il Mastino contraddire il suo caro nipotino “Ora basta!” aveva detto, e così aveva capito subito quanto la situazione fosse degenerata.

Dopo aver chiamato maestro Frenken per rimediare ai danni l'aveva raggiunta nella Torre della Mano, offrendole tutto quello che potesse farla stare meglio, compresa la spiegazione del comportamento di Joffrey.

“Prego solo che la guerra finisca,” si era limitata a dire, con quella sua faccia d'alabastro e gli spettacolari occhi azzurro acqua pieni di una tristezza quasi famigliare per Tyrion.

Anche Tysha aveva occhi simili, anche se più scuri, eppure rimanevano della stessa natura, abissi in cui un uomo avrebbe comunque desiderato tuffarvisi lasciandosi dietro tutto, ricchezza, prestigio e pezzi di anima.

Per un attimo, mentre ahimè stroncava le sue speranze di una vittoria Stark persino dopo il disastro di Oxcross, Tyrion Lannister guardò Sansa Stark, la guardò davvero, scordandosi che fosse una ragazzina, scordandosi che fosse un ostaggio, scordandosi che fosse una nemica della sua famiglia.

Se per un capriccio degli dei tutti i colori fossero improvvisamente spariti dal mondo lasciando solo linee e ombre e luce, bianco e nero, il viso di Sansa Stark assomigliava...assomigliava al volto serio di Jon Snow, il fratello alla Barriera con i suoi occhi imperscrutabili e l'espressione quasi stoica con cui affrontava il mondo e le verità scomode, che tanto lo aveva colpito, che tanto lo aveva scaldato nel freddo della Barriera.

“Ti rimanderò a casa, il tuo fidanzamento è stato una delle poche idee buone di Robert, ma Joffrey ha rovinato tutto.”

Tuttavia mentre lo diceva una parte di lui divenne triste al solo pensiero di dire addio a Sansa Stark.

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Capitolo 15
*** Renly ***


Renly Baratheon finalmente aveva la sua rivincita.

L'infante che aveva sofferto la fame e la paura durante l'assedio di Capo Tempesta di quindici anni prima aveva imparato bene.

Ora era lui a prendere per fame nientemeno che la capitale, banchettando in ogni castello che poteva e alimentando il suo esercito con sempre più uomini.

Sì, l'avrebbe spuntata lui, e Ned Stark era stato uno stolto quando sul ponte del Fortino di Maegor aveva rifiutato i suoi uomini, cento spade!, solo per un senso dell'onore fuori moda e pericoloso.

Tuttavia un po' se lo era aspettato.

Robert non faceva altro che parlare del suo grande amico Ned come dell'uomo più onorevole che ci fosse, alimentando la gelosia di Stannis; Renly avrebbe potuto giurare che ogni volta che Robert nominava Stark la mascella del loro tetro fratello si incrinava e strideva tale e quale allo sfrigolio di una catena e gli occhi gli si scurivano come il mare quando il cielo diventava verde per una tempesta violenta.

Non si era stupito quando aveva saputo che la sua testa fosse stata esposta su una picca lungo le mura della Fortezza Rossa, anzi, puntava tutto su quel miserabile ometto, Ditocorto, per quanto riguardava quella strana esecuzione, d'altronde come conquistare una donna se non sbarazzarsi dello scomodo marito?

Aggiustandosi la corona a forma di corna che brillava quasi di pallido smeraldo riflesso dai tendaggi color bosco del suo accampamento reale, si concesse un vago sorriso sprezzante.

Ned Stark non aveva mai capito quanto Ditocorto lo odiasse, quanto livore ci fosse in quella sua piccola stazza da raccamonete senza lignaggio. Le voci che si fosse scopato la lady sua moglie giravano per Approdo da anni, e poi il modo in cui la nominava sempre...sì, sicuramente quel miserabile di Baelish c'entrava qualcosa nel modo in cui la testa del Protettore del Nord era rotolata giù per i gradini del Tempio di Baelor.

E la stessa sorte sarebbe toccata a lui e a Loras se non fossero scappati nel buio.

“Vostra Altezza, le sentinelle dicono che lady Stark e la sua scorta si stanno avvicinando all'entrata nord. Dobbiamo lasciarli proseguire?”

Il fatto che l'oggetto dei suoi pensieri recenti si stesse materializzando nelle vicinanze quasi lo sorprese. O forse no.

“Ma certo! Non aspetto altro.”

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Capitolo 16
*** Sam ***


Samwell Tarly non si aspettava di sopravvivere alla Barriera.

Lo considerava il suo capolinea, quel muro di ghiaccio, così suo padre avrebbe potuto brindare con vino di Arbor e maiale arrosto sapendo che il figlio rinnegato non era più in questo mondo.

Però sopravvisse, Sam, un giorno dopo l'altro, un mese dopo l'altro, grazie al ragazzo di nome Jon Snow.

Forse era questo il destino che lo attendeva, che lo aveva sempre atteso.

Un paria, un ragazzo senza un nome che lo potesse proteggere, uno di quelli che suo padre avrebbe disprezzato alla prima occhiata senza pietà.

Uno come lui.

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Capitolo 17
*** Cersei ***


Quando era stata informata che la piccola Sansa non era più tanto piccola Cersei aveva aperto una bottiglia di rosso di Arbor e se l'era scolata tutta in una volta.

Solo dopo l'aveva mandata a chiamare.

“La lady ha anche tentato di bruciare il materasso dando quasi fuoco alle proprie stanze,” le avevano riferito.

Un ottimo inizio, pensò Cersei buttando giù un altro sorso.

“Eccomi, Vostra Altezza,” sussurrò la piccola Stark mentre entrava.

“Così ora sei una donna. Hai idea di cosa significhi?” Cersei prese del latte, forse le avrebbe tolto gli effetti del vino per poter affrontare l'argomento.

E sentendo le risposte ridicole di quella stupidina, la regina quasi si mosse a compassione, lasciandosi per un attimo andare a delle confidenze spiacevoli, pensando a Robert e alle sue cacce proprio quando doveva partorire, o al fatto che Joffrey piangesse sempre in braccio a lui, e di come Robert non lo sopportasse e corresse dalle sue puttane e dai loro bastardi.

“Robert voleva essere amato. Mio fratello Tyrion è afflitto dalla stessa malattia. E tu, Sansa, tu vuoi essere amata?”

Non rispose subito, e Cersei ne approfittò per osservarla.

Avvolta in una tunica di lana verde che dava al tipico pallore di chi era nella sua condizione mensile un che di fiabesco invece, a malincuore dovette ammettere che quella ragazzina era proprio bella, di una bellezza che raramente si ha a quell'età, di una bellezza che era solo il preludio a quello che sarebbe diventata un giorno.

Una bellezza che Joffrey, stando alle voci che le erano arrivate, non apprezzava e non avrebbe mai apprezzato.

“Ognuno di noi vuole essere amato.”

“Vedo che il tuo primo sboccio non ti reso affatto più intelligente.” Cersei si diede dell'idiota. Per un attimo aveva intravisto qualcosa in Sansa, qualcosa di duro e freddo e resiliente, il piglio di una futura regina. “Lascia che ti dia un consiglio. L'amore è veleno. Un dolce veleno, certo, ma che comunque uccide.”

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Capitolo 18
*** Brienne ***


Brienne era certa che quello fosse il giorno più bello della sua vita.

A cena, con il suo re e la corte attorno al banchetto offerto da lord Caswell per celebrare la fine del torneo di Ponteamaro dovette tenere la testa bassa per cercare di contenere tutta quella felicità.

Ora era una delle Guardie Arcobaleno. Ora poteva proteggere il suo re con la spada e con la sua stessa vita, se fosse stato necessario.

Eppure se doveva essere sincera con se stessa, e Brienne lo era sempre, c'era stato qualcosa di leggermente urtante in quella giornata.

Lady Catelyn Stark.

Fin dal suo arrivo, altera e orgogliosa, aveva in qualche modo destabilizzato il suo equilibrio interiore; o forse era la sua nobile bellezza, così diversa da quella di lady Oakherat per esempio, o persino della sposa del re, Maergery Tyrell. Una bellezza saggia, matura e...triste, sì, la bellezza data da un profondo dolore senza rimedio.

Brienne pensò a lungo a lei, dopo che con Renly si era allontanata dal banchetto, ripensò a quello che aveva detto sui cavalieri dell'estate e che l'inverno stava arrivando.

Nonostante trovasse quelle frasi incompatibili con i suoi ideali e con i suoi desideri, quando le fiaccole dell'accampamento danzarono al ritmo di insolite folate di un vento privo di calore, non riuscì a trattenere un brivido.

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Capitolo 19
*** Clegane ***


Il Mastino aveva capito subito che quel giorno ad Approdo del Re tirava una brutta aria.

Era qualcosa che si poteva quasi annusare, paura, esasperazione e rabbia. Tantissima rabbia.

La gente aveva fame, la gente moriva di fame, e leggende nere già cominciavano a circolare su come a Fondo delle Pulci anche i topi fossero finiti e le persone si mangiassero tra di loro.

Perciò non si stupì molto della carneficina che era seguita, ed ora, bevendoci su con in mano un boccale di vino speziato a festeggiare insieme ai soldati della guardia cittadina il fatto di essere sopravvissuti, non fu al re bambino che pensò, né all'Alto Septon fatto a pezzi o alla misteriosa scomparsa del moccioso Lannister sempre dietro al vecchio re.

Pensò all'uccelletto, rivide più e più volte nella mente il braccio del bifolco che stava per trascinarla giù e che lui aveva mozzato, memorizzò nelle vene dei suoi polsi ciò che aveva provato guardando quegli occhi azzurrissimi ingrandirsi per la paura fino a che non l'aveva presa con sé, per poi avvolgergli le braccia attorno alla vita e appoggiare il capo ramato sulla sua schiena.

Clegane bruciava solo al ricordo, bruciava dentro e fuori, bruciava dappertutto tranne che nel viso dove suo fratello lo aveva marchiato.

Mai quella parte di lui era stata così fredda, così morta, così dimenticata.

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Capitolo 20
*** Jeyne ***


Jeyne non avrebbe dovuto essere così nervosa, eppure non riusciva a fermare la mano che ogni poco le andava in gola tormentando la conchiglia della collana che portava.

In fondo sua madre l'aveva avvertita su cosa sarebbe successo. E così era stato.

Robb Stark aveva preso il Crag durante la notte, anche con una certa facilità, ed ora i Westerling dovevano cercare di salvarsi in qualche modo.

Castel Granito era lontana, mentre gli uomini del nord passeggiavano liberamente in casa loro.

Il Giovane Lupo è stato ferito da una freccia e adesso riposa nelle stanze di tuo fratello. Prendi questo impacco e va' a prestargli le cure più delicate che puoi.

Jeyne non ci aveva nemmeno provato a discutere gli ordini della lady sua madre, e quando era entrata negli appartamenti di Raynald e la luce del tramonto aveva incendiato di rosso i capelli del ragazzo davanti a lei il pensiero di farlo le sembrava quasi impossibile.

L'aveva guardata con occhi azzurri come un cielo morente, tanto che il cuore le era preso a battere come un tamburo; tremante gli aveva medicato la ferita, e tremante gli aveva messo una mano pallida sul braccio quando era arrivato un corvo da nord con il messaggio che un fratello non vorrebbe mai sentire.

E quello che era successo dopo...anche lì Jeyne aveva tremato, per tutto il tempo, fino a che il ragazzo del Nord le aveva detto: ora diventerai mia moglie.

Con un ultimo strattone alla collana Jeyne fece un cenno alla sua ancella, che le mise il mantello giallo ricamato con bianche conchiglie di pizzo di Myr.

Quella sera non solo sarebbe diventata una Stark, ma anche una regina.

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Capitolo 21
*** Roose Bolton ***


Eccolo, il passo falso del ragazzo.

Roose Bolton lo aveva sentito arrivare da lontano, quell'errore senza rimedio, anche se mai avrebbe immaginato che avesse la faccia di quella sciocca ed insipida fanciulla del Crag.

Finora era stato fedele al Giovane Lupo, e aveva fatto sempre quello che riteneva più opportuno affinché nessuno potesse contestare niente in merito.

Tuttavia la situazione era cambiata, e Roose con lei.

D'altronde questo era uno dei suoi pregi così come era stato per molti suoi antenati, adattarsi ai mutamenti e alle dinamiche contingenti, quello che aveva permesso ai Re Rossi di contrastare gli Stark per millenni, quello che gli avrebbe permesso, se avesse giocato bene le sue carte, di arrivare al cuore del nord e strapparlo dal petto dei dannati lupi.

Ordinò alla ragazzina che se ne occupava di staccare la sanguisuga da una delle dita, per poi rimetterla in equilibrio sulla falange accanto. Era ancora affamata, lo sapeva, ancora sazia di sangue, ancora desiderosa di sopravvivere sulla pelle di chi l'aveva nutrita finora.

Ancora, dopotutto, destinata a sparire nel fango.

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Capitolo 22
*** Jojen Reed ***


Grande Inverno era come se lo era aspettato.

Le doppie mura, il grigio onnipresente, l'odore di foglie piene di terra e di bosco profondo.

In realtà i racconti di suo padre e quello che vedeva nella sua testa durante i sogni verdi si erano così mischiati insieme che Jojen non sapeva quale parte appartenesse ai primi e quale ai secondi.

Anche i principi Stark era come se li era aspettati, come li aveva sentiti dentro di sé nelle notti in cui gli era concesso conoscere il futuro, forse anche di più. Sicuramente Brandon Stark era molto di più di quello che avevano ipotizzato lui e e il lord di Acque Grigie.

Si era forse illuso di trovare davvero un lupo con le ali? O forse un corvo con tre occhi sepolto nella neve?

Oh no, Brandon Stark era certo tutto questo, ovvio, ma anche molto di più.

Era un albero, un albero gigantesco, un albero molto più grande di quello di Raventry Hall per esempio, un albero che arrivava fino al cielo e che sarebbe stato in grado di tirare giù persino draghi che volavano nel tramonto rosa di un giorno di battaglia.

Brandon Stark era la morte di Jojen Reed.

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Capitolo 23
*** Theon ***


Il vento freddo del nord faceva scricchiolare le due teste grigie sopra le mura di Grande Inverno come se fossero riempite di foglie secche.

Theon trattenne un conato a stento. Per un attimo i due figlie del mugnaio sembrarono davvero Bran e Rickon. Sicuramente anche loro avevano giocato ad impersonare cavalieri con spadine di legno, cacciato scoiattoli e conigli, usato la neve fresca per costruire fortini nei boschi.

Quella notte non aveva avuto incubi, e per un attimo pareva davvero che gli dei degli Stark gli avessero dato quello che lui gridava ogni volta. Pietà.

Eppure, quando le prime luci di un'alba grigia e tetra si erano fatte strada nella camera di Eddard Stark lui aveva cominciato a sognare.

Aveva sognato il trono con i metalupi ai lati su cui i Re dell'Inverno si erano seduti per millenni, e gli animali lo guardavano come se fossero vivi, i loro occhi accusatori puntati su di lui, e la neve che ricopriva quell'antico scranno come polvere di ossa azzurro ghiaccio.

L'aria attorno era fredda, viva, pareva giudicarlo.

L'inverno ha incominciato con te.

Una voce alle sue spalle lo fece voltare di scatto, ma chi aveva parlato era solo un'ombra, con una corona in testa e due occhi blu come il cielo del nord in estate.

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Capitolo 24
*** Ygritte ***


Ogni volta che sua madre si metteva vicino al fuoco Ygritte era la prima a sedersi.

Quello era il momento.

Il momento delle canzoni, delle favole sotto cieli senza stelle, dei racconti con la luna come unica testimone. E lei adorava quei momenti, li associava al caldo, al torpore delle fiamme, alla speranza che il giorno dopo sarebbe stato un giorno migliore dove avrebbero pescato un pesce più grosso o cacciato un gnu pieno di grasso.

La narrazione cambiava ogni volta.

Gli Estranei a volte cavalcavano ragni di ghiaccio, altre volte orsi dagli occhi blu che erano cadaveri che camminavano, altre invece erano lupi enormi, bianchi come la neve più crudele.

Solo una di quelle storie non cambiava mai.

Bael il Bardo e la sua rosa d'inverno.

Sua madre lo descriveva sempre alto, con la destrezza di una pantera-ombra, non parlava quasi mai quando non cantava, e quando lo faceva anche il bruciore del ghiaccio si fermava. Anche sorridere non lo faceva quasi mai, perché chi cresce all'ombra della Barriera sa che anche sorridere fa entrare freddo dentro, eppure i suoi occhi...

Ygritte fin da piccola li aveva immaginati come occhi acuti, veloci, occhi gentili.

Occhi come quelli del corvo che, dopo averle puntato una daga alla gola, nelle tenebre del passo Skirling aveva reclamato la sua vita.

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Capitolo 25
*** Luwin ***


La miriade di foglie rosso scuro frusciavano sopra di lui come un canto.

Qua e là rami bianchi come ossa parevano braccia di una creatura secca e nodosa, antica come la terra che aveva calpestato.

Alla Cittadella gli avevano spiegato cos'era la vita e cos'era la morte, che non c'era magia né nell'una né nell'altra, solo il trascorrere incombente del tempo tra di esse, capace di inghiottire ogni cosa.

Tutto qui.

Eppure Luwin guardando l'albero di lord Eddard e dei suoi figli mentre il suo corpo pulsava di un dolore costante e mortale si ritrovò ad avere dei dubbi.

Dopo aver spronato il piccolo Brandon ad essere forte -oh come avrebbe voluto asciugare le sue lacrime con le sue enormi maniche di maestro come quando era piccolo!- e aver dato le istruzioni ad Osha per porre in salvo i Principi, rivolse di nuovo gli occhi alla chioma scarlatta su di lui.

Poteva quasi vederci un disegno, in quel tripudio di sangue.

Lui sarebbe morto presto, e Bran e Rickon sarebbero stati al sicuro mentre la terra del loro padre si stava spezzando in conflitti ovunque. E poi...l'inverno stava arrivando.

Mai come in quel momento ne era sicuro, Luwin, e mai come in quel momento gli dei di lord Eddard gli parevano reali, veri, gli unici dei che avrebbero potuto salvare chi sarebbe rimasto.

Osha rimase l'unica vicino a lui mentre gli altri uscivano silenziosamente dal parco.

Lei sapeva come fare.

“Che sia veloce, ragazza, sono sicuro che non esiterai.”

L'ultima cosa di cui fu consapevole furono le radici del grande albero sotto la schiena, che lo sostenevano, lo abbracciavano, lo portavano con loro nel freddo.

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Capitolo 26
*** Ilyn Payne ***


Ser Ilyn era nato per tagliare teste, lo aveva sempre saputo.

Fin da piccolo quando c'erano esecuzioni capitali nell'ovest costringeva suo padre a portalo a vedere lo spettacolo, e quando tornava a casa sentiva come un senso di compiutezza, la giustizia del Re aveva vinto ancora, e l'uomo che l'aveva portata sporcandosi le mani era ai suoi occhi un eroe, degno delle migliori canzoni.

Neanche la perdita della lingua aveva smorzato il senso di missione che provava.

Staccare teste di uomini empi, uomini danarosi o uomini con un nobile nome bastava.

Staccare teste probabilmente sarebbe stata la sua ultima azione, se Stannis Baratheon avesse preso Approdo del Re quella notte, e quelle teste sarebbero appartenute alle nobili fanciulle davanti a lui ora, fanciulle che danzavano con la morte, fanciulle che per ordine della regina madre avrebbero conosciuto o la vittoria o il virginale sonno eterno, come Sansa Stark.

Lei lo aveva temuto dal primo momento che si erano incrociati, lì sul Tridente, Ilyn Payne se ne era accorto senza troppa difficoltà, d'altronde era la reazione che suscitava in quasi tutti. Eppure negli occhi azzurri della figlia di lord Eddard l'orrore si confondeva con un senso di timore ancestrale, come se lui fosse il protagonista di una danza macabra tutta per lei, ma che altrimenti non poteva comunque sfiorarla, danneggiarla, cancellarla.

Ser Ilyn conosceva la morte, e molto spesso conosceva chi doveva morire, avevano come un alone attorno di fine incombente.

Sansa Stark attorno aveva solo lacrime.

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