(Non) Scriviamoci

di R_just_R
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Ilya e John ***
Capitolo 3: *** Distrazione ***
Capitolo 4: *** Pausa primaverile ***
Capitolo 5: *** Aeroplani ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Disclaimer: Questa storia non appartiene a me ma alla sua autrice. Inoltre, questa traduzione si basa su quella inglese che potete trovare qui

Autrice: R_just_R
Traduzione dal russo all’inglese: rdirf

Titolo originale: (Не) Пиши мне – (Ne) Piši mne
Titolo inglese: (Don’t) Write to Me

Sinossi: “Qualsiasi cosa venga scritta sull’avambraccio compare anche su quello della propria Anima Gemella.
America e Russia, però, non hanno idea di essere legati dal filo rosso del destino e, sebbene durante le riunioni si scaglino l'uno contro l'altro, quando sono soli si scambiano messaggi inconsapevolmente.”



 
(Non) Scriviamoci 

Prologo

 
 
Anime gemelle. Due parole meravigliose, non è vero? E la bellezza non sta solo nel loro dolce suono, in qualche modo incantevole, ma nel significato stesso dell’espressione. Una persona che è legata a te, l’altra metà che ti completa, migliore amica e amante allo stesso tempo.
La gente si cerca continuamente, si sforza così tanto per incontrare al più presto possibile la propria persona speciale, l’unica e sola. La Dea Bendata è abbastanza caritatevole da aiutare coloro che si cimentano in questa impresa – concede l’opportunità di mettersi in contatto con la propria metà una volta raggiunti i sedici anni. Armati di penna, adolescenti da ogni parte del mondo attendono, fanno il conto alla rovescia dei minuti che li separano dal momento in cui potranno finalmente scrivere sul polso il fatidico: “Ciao, sono la tua anima gemella”. Aspetteranno per qualche istante trattenendo fiato. E che spettacolo i sorrisi – così pieni di meraviglia, entusiasmo e tenerezza – quando sulla pelle comparirà infine una risposta.

I paesi, però, non possono permettersi il lusso di rimanere intrappolati nell’ingarbugliato filo del destino. Non tengono conto dell’esistenza della loro anima gemella, della sorte o di qualsiasi altro tipo di felicità. Da secoli vige una regola non scritta, ma puntualmente rispettata, che scoraggia le nazioni a ricercare la compagnia della propria anima gemella. Non perché temano una punizione – tutt’altro – piuttosto perché ciò andrebbe a discapito del paese stesso.

Nessuno ricorda più con certezza chi per primo fece comprendere alle nazioni che esse sono condannate ad un’esistenza avvilente e desolante. Pare che sia stato Francia, quando scoprì che la sua anima gemella era una giovane umana con un’aspettativa di vita piuttosto breve. Francis, devastato dalla sua morte, divenne debole, trascurò le sue responsabilità e perse interesse per i propri affari internazionali. Quest’errore madornale valse da lezione per tutti gli altri paesi. Non era escluso che loro anima gemella potesse essere un umano, sarebbe stato dunque meglio non correre il rischio e resistere alla tentazione di scrivere qualcosa sul proprio braccio. 

Ovviamente, come spesso accade, la curiosità non poteva che avere la meglio su alcune nazioni. Russia, ad esempio, a partire dal sedicesimo secolo iniziò a scrivere dei messaggi alla sua potenziale anima gemella, ma senza successo. Non ricevendo mai nessuna risposta, la delusione di Russia cresceva sempre di più. Osservava tutte le persone felici che lo circondavano e, sopraffatto dall’invidia, anche le sue parole si facevano sempre più dure e sarcastiche. Sapeva che quell’atteggiamento non avrebbe portato a nulla di buono, così, verso il diciannovesimo secolo, Russia decise che era ora di porre fine a quei vani tentativi di rintracciare la sua anima gemella, possibilmente scomparsa da molto tempo, e concentrarsi sul bene del suo paese.
Il giorno stesso in cui prese questa decisione avvolse della stoffa intorno al braccio e per lungo tempo allontanò dalla mente qualsiasi pensiero avesse a che fare con le “fiamme gemelle” e simile robaccia.
Per Ivan tempi duri si avvicinavano: le rivoluzioni, le guerre, la perestrojka... con gli anni avrebbe acquisito esperienza, saggezza e potere, avrebbe fatto passare una vita o forse due e solo allora avrebbe osato rimuovere la stoffa, quando le anime gemelle non avrebbero più esercitato alcun fascino su di lui. Infatti, ormai non era che un osservatore spassionato che si approcciava alla questione con una buona dose di sano scetticismo.   

Un’altra nazione che infranse il tabù fu America – mosso da pura curiosità infantile. Liberatosi da poco dal giogo coloniale, Alfred diventava più forte di giorno in giorno, ma rimaneva un ragazzino ingenuo. Nel diciannovesimo secolo compì sedici anni e, andando contro gli insegnamenti inculcatigli da Inghilterra durante l’infanzia, con una penna d’oca ed estrema cura scrisse: “Ciao” sul polso. Quella notte Alfred non riuscì a dormire, troppo preso dal controllare in continuazione il punto in cui la sua grafia si era già sbiadita.
Non apparve alcuna risposta.
Provò ancora ed ancora, ignorando gli sguardi carichi di disappunto di Messico, Canada e delle altre potenze europee che si accorgevano delle tracce d’inchiostro sulla sua pelle. Alfred si scarabocchiava il braccio con la punta affilata della penna, strofinandolo fino a causarsi arrossamenti ed infiammazioni, ma tutto in vano.
Il mondo però cambiava in fretta e lo stesso faceva Alfred, che passò dal voler trovare la sua anima gemella al diventare una superpotenza. Tutto il resto divenne insignificante.
La sua giacca logora venne rimpiazzata da un bomber, iniziò a sfoggiare ghigni impertinenti invece che timidi sorrisi, gli occhiali che gli brillavano sul naso vennero sostituiti con una montatura nuova e il braccio venne coperto con una benda nera che Alfred tolse solamente alla fine della Guerra Fredda. 

Sia Russia che America avevano accettato la loro solitaria vita da nazioni e avevano trovato la felicità in altre cose. Tra queste, la competizione.

 
* * *


Ivan, seduto nella sala riunioni, stancamente e con lentezza stava riponendo i documenti nella sua carpetta nera di cuoio. La stanza si era svuotata piuttosto rapidamente: i rappresentanti cinesi si erano affrettati a prendere l’aereo e quelli russi erano di sicuro andati a casa. Fuori si era già fatto buio e la luna era alta nel cielo, come a volergli ricordare che un altro giorno era passato.

«Um, mi scusi, è lei Ivan Braginsky?», un’assistente gli si avvicinò da dietro, seguita dallo scalpiccio dei tacchi sul pavimento in legno. La donna gli rivolse un sorriso imbarazzato, avendo notato la sua aria assonnata, e si sistemò nervosamente la gonna. «Mi è stato chiesto di riferirle che per domani è stata fissata un’assemblea parlamentare alle tre del pomeriggio. Si discuteranno le modifiche alle leggi riguardanti la produzione e la diffusione di alcolici e superalcolici.»

Imprecando sottovoce, Ivan roteò gli occhi. Perché i politici dovevano affrontare proprio quella questione, tra tutte? Solo perché le loro mogli avevano proibito loro di bere avevano deciso di rovinare la vita anche a tutti gli altri? Ivan scosse il capo, afferrò la penna che la donna teneva tra le dita sottili e, non trovando fogli di carta sul tavolo, scrisse l’appunto direttamente sul proprio polso.
 

 
* * *

 
Alfred si rotolò di fianco e si stiracchiò, mentre i tiepidi raggi del sole primaverile gli pizzicavano il viso. Fece un fragoroso sbadiglio ed allungò la mano verso il cellulare per controllare che gli fosse arrivato qualche nuovo messaggio, ma si immobilizzò non appena dei segni blu cominciarono a delinearsi uno dopo l’altro sul suo polso.

Alfred balzò in piedi e, districatosi dalle lenzuola, si precipitò verso il bagno a sciacquarsi il viso con dell’acqua fredda. Una volta sicuro di essersi svegliato completamente, con cautela esaminò la scritta che, dopotutto, esisteva davvero. Non era qualcosa che si era solo sognato.
15:00 с. в К.[1], recitava la dicitura.
Alfred ingollò, ricalcando con la punta delle dita quei simboli imprecisi, e con uno scatto tornò nella sua stanza per prendere una penna.

Sì, America aveva promesso a se stesso che avrebbe smesso di provare, ma adesso era certo che la sua anima gemella fosse viva e che la potesse contattare. La tentazione era semplicemente troppo forte. Forse stava commettendo uno sbaglio, ma doveva essere destino che gli eventi prendessero una piega così interessante.


[1]Riunione al Cremlino alle 15:00

Translator's notes
Ciao! Sono sempre io e, questa volta, ho deciso di cimentarmi in una traduzione. 
Onestamente, amo davvero tantissimo questa storia ed infatti sono davvero felice di aver ricevuto il permesso di tradurla in italiano. Spero che possa piacere anche a voi tanto quanto piaccia a me! Trovo che sia davvero un gioiellino. 
E poi, amo tantissimo questa coppia <3 
Per quanto riguarda la frequenza degli aggiornamenti, credo che tradurrò un capitolo al mese. 

Come sempre, ringrazio tantissimo chi abbia letto questo prologo e queste note, spero che decidiate di dare un'opportunità a questa storia. 
Grazie ancora e ci vediamo al prossimo capitolo, 
bye <3  

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Capitolo 2
*** Ilya e John ***


Ilya e John 
 

Russia entrò nel suo appartamento, premette l’interruttore della luce con il gomito e lanciò la ventiquattrore su uno scaffale, poi si levò il cappotto di dosso e si avviò verso il salone. Una volta lì, crollò sul divano e provò un senso di sollievo quando finalmente chiuse gli occhi ed inspirò il dolce profumo di frittelle che aleggiava nella stanza da quella mattina. Ivan non aveva voglia di fare nulla, si sentiva privo di ogni energia. Riuscì giusto a raccogliere le ultime forze e prendere la sua agenda dal tavolino per appuntare gli impegni dei giorni successivi. Russia la aprì, prese la pagina al volo e diede uno sguardo al programma della settimana (dibattiti, negoziazioni, conferenze e nessun giorno libero) e storse le labbra, poi spostò lo sguardo sul suo polso.

Ciò che vide lo fece quasi soffocare. Infatti, proprio sotto la scrittura dello stesso Ivan, spiccavano dei segni scoloriti ma ancora visibili.
Ehi!, lo salutavano allegramente quelle poche lettere. 
Russia strinse il setto nasale tra le dita ed imprecò. La giornata era stata già abbastanza dura anche senza il verificarsi di quell’evento. O meglio, di quel problema.

Eppure, non avrebbe dovuto considerarla una seccatura. Sarebbe bastato ignorare l’altra persona e questa lo avrebbe lasciato in pace. Ma Ivan non sarebbe stato Ivan se non avesse ingaggiato una guerra contro se stesso, una battaglia all’ultimo sangue tra i vantaggi e gli svantaggi del rispondere al messaggio. Da un lato, era ovvio che non avrebbe dovuto farsi coinvolgere da un umano, avrebbe portato solo guai.
Ivan era a conoscenza della dolorosa esperienza di Francia e di qualche altra nazione e, naturalmente, non voleva fare la loro stessa fine. Eppure si sentiva fremere d’orgoglio, si diceva che senza dubbio sarebbe stato più forte di Francia, che avrebbe saputo gestire la situazione. In più, una curiosità fanciullesca, che credeva svanita dopo la rivoluzione, rinacque dalle proprie ceneri per stuzzicarlo seducentemente. Uno dopo l’altro, pensieri pericolosi si fecero strada nella mente di Russia: era perfettamente normale comunicare con la propria anima gemella, non c’era assolutamente nulla di rischioso nel farlo e niente di cui preoccuparsi. Ivan aveva tutto il diritto di chiacchiere con la sua metà. Inoltre, era da un po’ che si sentiva estremamente solo. Ucraina lo ignorava nella maniera più assoluta, Bielorussia si stava occupando di alcune questioni economiche, Cina era sempre impegnato e non aveva tempo per parlare con Ivan se non negli incontri ufficiali e la primavera aveva risvegliato in Francia il suo animo da Don Giovanni, perciò in quel momento non aveva che ragazze per la mente. E in fondo, Ivan non voleva altro che scambiare quattro chiacchierare con qualcuno.
Tutto qui.

Arrendendosi ai suoi desideri, Russia finalmente scrisse una risposta, tracciando a rilento ogni lettera poiché la penna si rifiutava di funzionare a dovere sulla pelle, quasi volesse fermare il suo proprietario dal commettere un errore.

Ciao, è un piacere fare la tua conoscenza, rispose Russia educatamente ed attese. Della sua stanchezza non ne era rimasta più alcuna traccia.


 
* * *


America era sul punto di abbandonare ogni speranza visto che non aveva ricevuto alcuna risposta.
Temeva che la sua anima gemella fosse piombata ancora una volta nel silenzio o che la sua si fosse rivelata una connessione a senso unico. Era raro, ma poteva accadere: si poteva essere legati a qualcuno che, in cambio, aveva un’anima gemella diversa. Era per questo che alcune persone rimanevano da sole per tutta la loro vita. E, nel caso la propria anima gemella fosse morta, l’avambraccio sinistro sarebbe diventato nero così da non poterci più scrivere. Ovviamente, vi erano anche persone nate senza nessuna anima gemella. Venivano chiamati “solitari” e di solito ricevevano retribuzioni e assistenza sociale da parte dello stato per danno psicologico. L’assenza di un’anima gemella era addirittura reputata una patologia in alcuni paesi dato che poteva avere conseguenze sulla psiche umana, inoltre i solitari dovevano sottoporsi ad un controllo medico una volta ogni mese, al massimo ogni due.

Fortunatamente Alfred non rientrava in nessuna di queste categorie. Mentre faceva colazione, infatti, delle parole si delinearono sul suo polso. Notandole, il biondino sorrise e lesse cosa vi era scritto. Per qualche ragione la semplice certezza di non essere solo, sapere che da qualche parte nel mondo vi era la sua altra metà, era un pensiero confortante che aveva in sé qualcosa di magico.
Dopotutto, America era convinto che non avrebbe mai sperimentato niente di simile.

Piacere mio, scrisse Alfred ma si fermò, pensando ad un modo per continuare la conversazione.
Perché non mi dici qualcosa di te?


 
* * *


Ricevuto il messaggio, Ivan si immobilizzò a fissare il vuoto per qualche istante. Doveva pensare accuratamente ad una risposta, soprattutto per quel che riguardava le indicazioni sulla sua identità. Tanto per cominciare, non poteva presentarsi con il suo vero nome: nonostante Ivan non fosse registrato da nessuna parte come nazione, era conosciuto come politico e delle informazioni su di lui erano reperibili su internet. E navigare sulla rete era un modo parecchio comune per le anime gemelle di scoprire qualcosa di più l’uno dell’altro. Ivan decise di non nominare neppure la sua carriera politica.
Avrebbe fatto finta di svolgere un lavoro tranquillo e rispettabile.

Dopo aver fatto mente locale, iniziò a scrivere.

D’accordo. Mi chiamo Ilya Romanov, vivo a Mosca –Russia si fermò un secondo per calcolare la sua età “umana”– ho ventisette anni e sono un professore di Lingua e Letteratura Russa. Mi piace suonare la chitarra, leggere e andare a teatro. Per ora penso che sia abbastanza, man mano scoprirai anche il resto.

Russia lesse le ultime frasi con una punta di malinconia. Quelli erano i suoi hobby veramente, ma non aveva più alcun tempo per dedicarvisi.
Quand’era stata l’ultima volta che aveva preso in mano la sua chitarra? Ivan non ricordava neppure dove l’avesse lasciata ad impolverarsi. E che dire del teatro? Era riuscito a prendersi almeno un giorno libero per assistere ad una rappresentazione durante quell’ultimo anno? Un tempo gli impiegati al botteghino lo riconoscevano anche per strada e adesso... Russia non ricordava nemmeno il nome di molti teatri.
Un peccato, ma che si poteva fare quando gli impegni erano così vincolanti?


 
* * *
 

Alfred, vedendo la risposta, aggrottò le sopracciglia e roteò gli occhi al cielo, in un silenzioso segno di biasimo. Un russo? Davvero? Quindi, era questa la sua ricompensa per aver salvato il pianeta dal comunismo e dall’ingiustizia per decadi? Be’, magari non tutti i russi erano degli stronzi come la personificazione del loro paese, giusto?
Alfred lesse di nuovo il messaggio e sorrise di sfuggita. In ogni caso, Ilya rimaneva la sua anima gemella.

«Il-ja.», America provò a pronunciare il nome ad alta voce, ma senza successo. Alfred masticava un po’ di russo ma la pronuncia rimaneva per lui un incubo. Ciononostante provò ancora una volta, sforzandosi nel dire in maniera corretta la L palatale.

«Iliya.», ecco. Già un po’ meglio.

«Amico, che nome difficile che ti ritrovi!», esclamò Alfred, dondolandosi sulla sedia e, come risultato, quasi cadde a terra ma riuscì ad aggrapparsi al bordo del tavolo appena in tempo.

Nel frattempo, un’altra scritta apparve.
E tu?

Alfred tornò in sé e si presentò con un nome fittizio, per le medesime ragioni che avevano spinto Ivan a fare la stessa cosa.

Mi chiamo John Rogers, sono di Washington D.C., ho diciannove anni e –Alfred meditò su chi volesse essere– studio Archeologia. Ah, mi piace guardare i film. Credimi se ti dico che ho visto tutto quello che c’è su IMDb!


 
* * *
 

Russia vide comparire una dopo l’altra delle lettere, nitide, ma un po' confusionarie.
Si diceva che la personalità di qualcuno poteva essere compresa dalla grafia, Ivan tuttavia non possedeva tale capacità.
La prima cosa che un po' lo infastidì fu che la sua anima gemella era un americano. Per giunta era un ragazzo, ennesima scoperta che gli fece storcere il naso. No, Ivan non era così conservatore come alcuni paesi più “tolleranti” lo accusavano di essere, ma per qualche ragione, aveva sempre creduto che la sua anima gemella sarebbe stata una ragazza. Comunque, si compiacque nel leggere che il ragazzo studiava Archeologia. Ivan addirittura si rimproverò per aver paragonato gli abitanti di una nazione intera ad una certa testa di cazzo che inspiegabilmente si ritrovava ad essere la personificazione del suddetto paese.
A Russia piaceva anche l’interesse di John per i film – il cinema era di solito accostato al teatro.

“Forse
, pensò Ivan, il destino sa meglio di me di che tipo di persona ho bisogno come partner.”

«Bene John, spero che riusciremo ad andare d’accordo.», disse Ivan con un lieve sorriso mentre scriveva quelle parole sul polso sinistro, proprio dove era possibile sentirne i battiti regolari.


 
* * *


I due parlarono per diverse ore per conoscersi meglio, studiando cautamente che persona avesse riservato loro il destino infame. Nascondendosi dietro falsi nomi, a poco a poco Ivan e Alfred si avvicinarono a vicenda, a passi piccoli e incerti. Entrambi volevano capire se gradissero la reciproca compagnia, o se vi fosse qualcosa di spiacevole nell’altro, qualche interesse sconveniente o stravagante, o qualche comportamento sgradevole.
Inizialmente, entrambi i paesi cercarono di mettere in discussione la scelta compiuta dal fato ma, a parte le loro rispettive nazionalità, non riuscirono a trovare nessun difetto l’uno nell’altro. Volendo essere oggettivi ed ignorando i rancori personali, neppure la nazionalità in sé poteva essere considerata una pecca. Alla fine, quando Ivan annunciò di andare a dormire, Alfred gli chiese perché non avesse mai scritto prima, dato che aveva già ventisette anni suonati.

Prima di tutto America era curioso e, oltre a ciò, voleva affrontare un argomento di una certa rilevanza che riguardava entrambi. Se fossero andati avanti a scriversi sarebbe stato meglio imporre dei limiti, per ragioni di sicurezza.

Ad essere sincero, non sono uno di quelli che crede nel destino, per questo preferirei evitare di incontrarci di persona. Limitiamoci ad essere amici di penna per adesso, va bene?
Rispose Ivan, già pronto ad essere criticato per quella scelta. Non avere fede nelle scelte della sorte era considerata una vera e propria mancanza di rispetto.

Eppure, quella era la risposta in cui sperava Alfred. Anzi, si meravigliò per quanto la pensassero allo stesso modo.  

Sono del tutto d’accordo con te!, scarabocchiò Alfred in risposta.

Ivan lesse e il suo sguardo si fece più rilassato.

Allora abbiamo un patto. Buona giornata, John. 

Buona notte, Ilya :)




Translator's notes 
Ciao a tutti! Prima di tutto, vi ringrazio per essere arrivati fin qui! Ringrazio anche chiunque abbia inserito questa traduzione in una delle varie liste e ovviamente, chi l'ha recensita <3 
Per quel che riguarda la traduzione in sé per sé, questo capitolo non ha presentato particolari difficoltà, ho solo sistemato di tanto in tanto qualcosa per renderlo più scorrevole in italiano. So che è superfluo aggiungerlo, ma le parti in corsivo sono i messaggi che Alfred e Ivan si scambiano, tra virgolette basse i dialoghi e tra virgolette alte i pensieri. Lo specifico perché lì per lì stavo usando il corsivo sia per i messaggi che per i pensieri, ma sarebbe risultato un po' troppo confusionario.   
Comunque, adesso "Ilya" e "John" hanno fatto conoscenza si entra nel vivo della storia! Non nascondo che non vedo l'ora di tradurre il prossimo capitolo. Ma bando alle ciance, non aggiungo altro o potrei rischiare di spoilerare qualcosa.
Grazie ancora e ci vediamo al prossimo capitolo, 
bye <3 

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Capitolo 3
*** Distrazione ***


Distrazione 


La giornata prometteva bene: il sole splendeva, il letto della camera d’hotel era largo e confortevole, Russia poteva dormire fino a mezzogiorno se voleva e, soprattutto, non aveva ancora visto nessuno degli stati membri delle Nazioni Unite. Ivan non aveva alcuna intenzione di sopportare un secondo più del necessario le loro facce arcigne e antipatiche. Con tutto il rispetto dovuto ai suoi colleghi, ma negli ultimi tempi gli davano tremendamente sui nervi. Gli ronzavano attorno come dei moscerini fastidiosi, condannavano ogni sua azione e avevano da recriminare su tutte le sue questioni governative. E poco ma sicuro, a Russia non fregava nulla delle loro “opinioni autorevoli”. Sfortunatamente non era possibile dirlo così apertamente, anche se... esistevano pur sempre delle eccezioni.

Meglio tornare a pensare positivo.

Non appena sveglio, subito Ivan scrisse il consueto buongiorno sul polso. Era il modo in cui ormai iniziava la giornata. Gli piaceva parlare con la sua anima gemella, lo distraeva da un gran numero di problemi e dal tran-tran di ogni giorno. Si scrivevano incessantemente per tutto il giorno e addirittura durante la notte, nonostante ogni tanto capitasse di dover attendere a lungo per una risposta, a causa del fuso orario. Ma, quando la risposta finalmente arrivava, qualcosa si smuoveva nel petto di Ivan e le sue labbra si curvavano all’insù senza che lui potesse farci nulla. Era passata solo una settimana e già Ivan si era accorto che parlare con John era così semplice da risultare quasi preoccupante. Si comportavano come due amici di vecchia data che non si potevano incontrare dal vivo ma che si tenevano in contatto via messaggio. Erano svariati i loro argomenti di conversazione, ma entrambi evitavano di parlare di politica, quasi come se non vivessero in due paesi tradizionalmente rivali. Ad Ivan andava benissimo comunque, dato che di politica ne parlava più che abbastanza a lavoro.

Giorno dopo giorno la fiducia di Russia nel destino aumentava. Ad ogni modo, non aveva intenzione di avvicinarsi troppo al ragazzo e men che meno incontrarlo personalmente. Se si fossero incontrati, quell’innocente connessione tra di loro sarebbe potuta diventare pericolosa, Ivan avrebbe potuto affezionarsi un po’ troppo a John e poi... Russia ovviamente era più forte di Francia, ma non era neppure fatto di ferro.
Stranamente, la risposta al suo messaggio non tardò ad arrivare.

Buongiorno :)

Quindi John non era ancora andato a letto. Ivan calcolò che se a Londra erano le nove del mattino, a Washington dovevano essere circa le quattro. Ivan roteò gli occhi. John era così  infantile a volte – quel ragazzo non dormiva abbastanza.

Andrei a letto se fossi in te, gli scrisse Ivan con qualche difficoltà dato che era ancora steso a letto.

Ma per favore! Non mi va. E non cominciare con la predica, non è che tu sia molto più grande e responsabile di me.

Russia allargò un sorrisino. Se solo John avesse saputo la sua vera età, non avrebbe scritto una cosa del genere. Oppure, se l’avesse saputa, sarebbe scappato via e avrebbe fasciato il braccio per non leggere più nulla di quello che Ivan gli avrebbe scritto. Era un bene che non conoscesse la verità.


 
* * *


Magari tra me e te, l’adulto sono io!, scrisse Alfred che poi si affrettò a specificare. Mentalmente, intendo.

Be’, era vero! Aveva molti più anni di Ilya, quindi il russo poteva anche tenere per se le sue perle di saggezza. Anche se, Alfred gli era grato per essere così premuroso. Era da un bel po’ che qualcuno non lo rimproverava per andare a letto tardi. Non che si stesse privando del sonno, comunque. In quel momento America era seduto nel sala ristorante dell'hotel e stava facendo colazione con delle uova fritte, gli occhi fissi su un panorama un po' smorto, tipicamente britannico. I tavoli attorno a lui erano vuoti e non aveva visto nessuna delle altre nazioni. Probabilmente stavano ancora dormendo. Alfred stesso se la sarebbe presa comoda se solo quel rompiscatole di Arthur non avesse deciso di ricordargli alle otto di mattina della riunione che avevano in programma.
Perché poi, c’era da chiedersi. America era dell’idea che Inghilterra si divertisse a rendergli la vita difficile.

«Perché secondo lui: “Le nazioni non hanno tempo da perdere, men che meno per restare a letto” e bla bla bla.»
America sbuffò e bevve un sorso di caffè, facendo una smorfia. In quel caspita di paese erano bravi solo a preparare il tè.

Giusto John, sotto sotto sei più saggio di Buddha, gli aveva scritto Ilya nel frattempo.
Quali sono i tuoi programmi per oggi, oh maestro?

America sorrise per quella benevola presa in giro. Aveva sempre pensato che tutti i russi fossero degli stronzi scontrosi che non volevano altro che conquistare il mondo. Aveva cambiato idea, visto che Ilya si era dimostrato gentile e divertente. Sì, qualche volta prendeva in giro Alfred e di tanto in tanto lo trattava come un bambino, ma non lo faceva con cattive intenzioni. Il russo non aveva neppure fatto commenti sul suo governo né aveva fatto malevole osservazioni sugli americani e sugli Stati Uniti in generale. Il che era... una gradevole sorpresa.

Alfred poggiò la forchetta e si sollevò meglio la manica della giacca per poter scrivere ad Ilya.

Andrò all’università, come sempre. Tu?

In pochi secondi apparve la risposta.

Ho il turno serale, quindi mi sto riposando.

Ti invidio un po’ :(

Fai del tuo meglio nello studio, la pratica rende perfetti.

Mi hai appena definito “perfetto”?

Ho solo detto che dovrai studiare per sempre. Ti tocca soffrire ancora.

Che infame.

Amico mio, meno male che eri tu quello maturo.

Con un sorrisetto divertito, Alfred prese una salviettina per cancellare le ultime scritte sul braccio e comporre un nuovo messaggio. Dal nulla però apparve Cina che corse fino al tavolo di Alfred, sbattendovi su il vassoio della colazione con un tonfo. America abbassò alla svelta la manica e accartocciò la salvietta sporca, poi guardò Yao con un'aria affabile e cordiale. In poche parole, falsa.

«Che cosa c’è, Cina?»
Gli chiese con un sorriso di circostanza.

«Mercoledì scorso stavo tornando a casa dopo un meeting in Russia e che cos’è che trasmettono in tv? Dei servizi sulla guerra nel Mar Cinese Merdionale! Che razza di storia è questa? Vuoi per caso litigare con me?»

«Assolutamente no, mi piace la nostra...», le labbra di America si storsero impercettibilmente, «... amicizia.»

«Non so di che amicizia tu stia parlando.», borbottò tra sé e sé Cina, abbastanza forte da far sì che Alfred lo sentisse. «Tieni per te i pettegolezzi. Notizie come queste mettono in allarme i miei cittadini e questo si ripercuote direttamente su di me.»

«Lo so.», disse Alfred e i suoi occhi ebbero un guizzo. «Mi dispiace ma, come tu dovresti ben sapere, non si possono incarcerare i giornalisti. Comunque, cercherò di tenere la fuga di notizie sotto controllo.»

«Sarà meglio per te.», Yao osservò Alfred di sottecchi. Infine, riprese il vassoio e se ne andò.

Alfred sospirò, passandosi una mano tra i capelli. Perché doveva avere a che fare con persone così esasperanti già di primo mattino? Di tutto quel ciarpame politico si poteva benissimo discutere durante il meeting. Alfred poteva aver lasciato trapelare alcune notizie, e allora? Ben gli stava, a Cina! Come osava spalleggiare Russia e bocciare tutti i suoi piani geniali? America aveva impartito una bella lezione al cattivo, come un vero eroe avrebbe dovuto fare!

Il biondo sollevò la manica per scrivere nuovamente ad Ilya ma, quando vide il nuovo messaggio semplicemente sorrise, genuinamente questa volta, e annuì con fare comprensivo.

John? Ti sei addormentato? Bene. Sogni d’oro :)

Ivan, nel frattempo, si era alzato, si era sgranchito le gambe ed era sceso a mangiare. La mattinata sembrava davvero promettente.


 
* * *


Russia stava assistendo al meeting, di una noia mortale, cercando di non far caso alla voce monotona di Germania – stava parlando di minacce terroristiche e del bisogno di irrigidire i controlli alle frontiere. Prussia, in piedi accanto al fratello, chiaramente non era molto interessato alla questione. Gilbert roteò gli occhi, spostò il peso da un piede all’altro, sospirò miseramente e tirò la manica di Ludwig come un bambino stanco che voleva tornare a casa. Germania fece del suo meglio per non badare al fratello, dando fondo a tutta la sua pazienza e compostezza per ignorarlo, e portò strenuamente avanti il discorso.
Finì e ringraziò i colleghi, decisamente intorpiditi. Tornò quindi al suo posto, facendo cenno a Gilbert di seguirlo. 

Inghilterra si alzò e si schiarì la gola.

«Dunque, come ultimo punto all’ordine del giorno abbiamo...»

«Sanzioni contro la Russia», recitò Ivan in coro con Arthur. Ogni riunione finiva in quella maniera, non era nulla di nuovo.

Inghilterra si accigliò, fece una smorfia di disapprovazione, ma nondimeno annuì.

«Esattamente. America?»

Alfred, che versava in uno stato di apatia tale da sembrare sul punto di addormentarsi, con un balzo scattò in piedi, quasi saltellando, e rise rumorosamente.

«Cos’altro c'è da dire che non sia già stato detto?», chiese con fare drammatico, con un largo sorriso sulla faccia. Giappone e poche altre nazioni ricambiarono il gesto, un po’ imbarazzati. «A me sembra tutto così chiaro. Non vi preoccupate, nessuno eliminerà le sanzioni! È un mio compito da eroe, riuscirò a contenere il nemico fino a quando...»

«Puoi anche finirla di fare il pagliaccio, avrei una certa fame, così come la maggior parte dei presenti.», sebbene non gli andasse di scatenare una discussione, senza scomporsi Russia interruppe l’americano.

«Che c'è, non ti manca la tecnologia europea?», lo sfidò America, assottigliando lo sguardo.

Era per caso in cerca di guai? Ivan avrebbe voluto solo andarsene senza attirare troppo l’attenzione, ma quell’idiota americano stava chiaramente cercando di provocarlo.

«Stai per caso insinuando...»

«Russia!», lo interruppe Inghilterra. «Basta così.»

Ovviamente. Da bravo babysitter qual era, Inghilterra correva subito in soccorso del suo petulante moccioso.

«Non ho neppure cominciato, Kirkland.», gli fece notare Russia con freddo distacco, facendo scorrere un brivido lungo la schiena alla maggior parte delle altre nazioni.

«Perché per una volta non stai ad ascoltare quello che ho da dire, eh?!», si adirò America.

«Perché ascoltarti mi risulta insopportabile.», ringhiò Ivan, ancora cercando di mantenere la calma.

«E per me è insopportabile la tua sola presenza qui, ma cerco di resistere!»

«Oh? E allora che mi dici del Gruppo dei Sette?», lo schernì Russia.

«Se non piaci a nessuno magari sei tu il problema?», gli chiese Alfred, fulminandolo da dietro le lenti degli occhiali, senza mai smettere di guardare Ivan dritto negli occhi. Bastava quello sguardo per comprendere quanto America fosse potente. Ivan si sentiva come se si trovasse sul bordo di un cratere di un vulcano. In bilico. E ne avrebbe avuto timore se anche lui non avesse avuto la sua stessa forza.

«Perché invece tu piaci a tutti, no?», ribatté Ivan sarcastico e il suo respirò si condensò in una nuvoletta d'aria gelida – la temperatura della stanza si stava abbassando a vista d’occhio e gli altri paesi rabbrividirono. «Scommetto che pure il tuo caro amico Giappone non ti ha ancora perdonato per le atomiche che hai sganciato sulle sue città.»

Kiku sussultò e abbassò lo sguardo.

Alfred stava letteralmente fumando di rabbia. A differenza di Russia, non era ancora bravo a controllare le proprie emozioni. O, come ormai Ivan sospettava, ad America piaceva fare la vittima. Era una buona trovata pubblicitaria, no?

Anche Inghilterra si alzò e fece per intervenire ma si fermò quando Francia lo chiamò per nome, sorprendentemente con un buon accento inglese. Inghilterra lo osservò e si sedette di nuovo, arricciando le labbra.

Nel frattempo Alfred aveva raggiunto Russia all’altro capo del tavolo e, con occhi traboccanti di rabbia, sibilò: «Scommetto che la tua anima gemella è felice di essere morta senza averti neppure conosciuto.»

Alfred sapeva che avrebbe funzionato. Mettere in mezzo le anime gemelle durante un litigio non era ammesso, era un colpo basso e meschino. Esattamente ciò di cui aveva bisogno. Ora Ivan avrebbe reagito e così sarebbe passato dalla parte del torto. E funzionò, Russia aveva perso la sua aria serena. Il suo viso si distorse in una smorfia di odio puro e furente strinse le mani a pugno. Alfred in silenzio iniziò a contare fino a tre.

Uno.

Ivan contrasse la mascella e si avvicinò ad America.

Due.

Altre nazioni scattarono in piedi per sedare la rissa.

Tre.

«Bel tentativo, Jones, ma non ho cinque anni.», Ivan gli mormorò all’orecchio, mellifluo, poi si voltò verso gli altri paesi che erano rimasti come pietrificati sul posto. «Me ne vado, se non vi dispiace.», rivolse loro un cenno di saluto con il capo, prese la sua ventiquattrore e lasciò la stanza.

«Maledizione.», imprecò America e a sua volta uscì dalla sala, ma nella direzione opposta.

Inghilterra appoggiò le mani sul tavolo e finalmente, concluse la riunione.


 
* * *


America si lasciò cadere sul letto e chiuse gli occhi. La camera era immersa nell’oscurità, non gli andava di accendere la luce. Aveva abbandonato le scarpe all’ingresso e si era nascosto sotto le coperte, ancora del tutto vestito, e si era rannicchiato su se stesso. Quelle liti gli lasciavano sempre un groppo in gola, facendolo sentire inerte e miserabile. Avrebbe dovuto sciacquarsi la bocca. Alfred sapeva di aver detto delle cose terribili e da qualche parte, nel profondo della sua anima se ne vergognava. Però... quel russo tirava fuori il peggio di lui, Ivan non perdeva occasione per fargli fare la figura dello stupido davanti a tutti gli altri, cercava di mettere in dubbio la sua autorevolezza che aveva guadagnato nel corso degli anni con sangue, lacrime e sudore. Alfred sapeva che su alcune cose Ivan aveva ragione – se non fosse per il potere che deteneva, a nessuno sarebbe importato un accidenti di lui. Un solo errore – e tutti gli avrebbero voltato le spalle. Perfino Arthur lo avrebbe abbandonato, alla fine che se ne faceva di uno come lui, che gli portava solamente problemi?

Alfred si coprì gli occhi con un braccio ma lo allontanò un secondo dopo, per dare un’occhiata al polso. Allungò l’altro braccio verso il comodino, accese la lampadinetta e a tastoni cercò una penna.

Puoi parlare?

, la risposta apparve subito e Alfred si sentì un po’ meglio. Com’è andata la giornata?, gli stava chiedendo Ilya.

Uno schifo. C’è un russo nel nostro gruppo, un vero stronzo. Perché non tiene mai la bocca chiusa?
Scrisse Alfred, senza starci a pensare due volte. Aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno.

Ti capisco. A scuola da noi c’è un professore americano che insegna inglese. Una spina nel fianco, non sa mai quando stare zitto.

Ecco! Perché non rimanere in silenzio invece che intromettersi quando parla qualcun altro?

Appunto. Ma tu, per un attimo non apparve nulla come se Ilya stesse esitando, tu non permettere a nessuno di metterti i piedi in testa. Prova ad uscire e a divertirti, dato che dovrebbe essere già sera da te.

Alfred diede un’occhiata fuori dalla finestra. Non gli andava di uscire. Le strade gli risultavano poco invitanti, mentre la sua stanza era così calda e accogliente.

Non mi va. Parliamo un po’ piuttosto, a meno che tu non debba andare a dormire ovviamente.

Va bene, John. Non ho sonno.

Alfred si rallegrò, come se d’un tratto il suo letto fosse diventato più comodo. Prima di rispondere si tolse la giacca e i jeans, esponendosi al desolante vuoto che lo circondava, ma di cui non aveva più paura.

Allora per questa notte sei tutto mio!

Come desideri.


 
* * *


Tre piani più sopra Russia era seduto su un divano, un accenno di sorriso gli increspava le labbra. Lì accanto, c’era una bottiglia di whisky ancora intatta. Attorno a lui però non c’era più nulla, il suo mondo si limitava alle scritte sul suo polso. Le giornate si erano ridotte alla notte e alla mattina.

Ivan divenne Ilya, Alfred – John, e tutti quegli anni passati a litigare, a prendersi a pugni e a riempirsi di insulti non esistettero più. Due anime ferite, sole, esauste si ancoravano a delle penne nel tentativo di fuggire da loro stessi.



Translator's notes 
Come ormai dovrebbe essere risaputo, io e la puntualità non andiamo molto d'accordo. Credevo di riuscire a tradurre almeno un capitolo al mese, ma mi sbagliavo (sigh). Chiedo perdono per il ritardo T.T 
Spero comunque che questo capitolo vi sia piaciuto, a me ha divertito parecchio tradurlo :) 
Come sempre ringrazio chiunque sia arrivato a leggere fino a qui e, ovviamente, chiunque abbia inserito questa traduzione in una delle varie liste. 
Ci vediamo al prossimo capitolo, 
ciao ciao :)

 

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Capitolo 4
*** Pausa primaverile ***


Pausa primaverile


America stava poltrendo sul sofà, con il mento puntellato sulla mano e gli occhi socchiusi, mentre si godeva i raggi del sole che si riversavano nella stanza tramite la finestra panoramica. Aveva il giorno libero e ciò voleva dire restare a casa a non far niente. Finito di ordinare qualcosa da mangiare, Alfred prontamente spense il cellulare, mise in un angolo della scrivania tutte le varie carte per toglierle dai piedi, prese una confezione intera di Coca-Cola riservata alle occasioni speciali e si distese di fronte alla televisione per vedere qualcosa di interessante. Per farla breve, si sarebbe preso una giornata di relax.

Alfred iniziò a saltare da un canale all’altro, ne aveva oltre due centinaia, di cui ne conosceva appena più di una dozzina. Si fermò intorno al duecentesimo, notando l’inizio di un anime dai colori vivaci. America controllò il titolo, per essere sicuro di non averlo mai visto e fissò lo schermo, intrigato. Era un anime intenso e affascinante. Alfred non credeva che potesse piacergli, considerando che il tema dello scambio di corpi non gli risultasse nuovo e che di film romantici ce ne fossero a bizzeffe. Non c’era bisogno di specificare che metà di essi fossero dedicati alle anime gemelle e al “filo rosso del destino”. Eppure, qualcosa di quell’anime lo aveva catturato –  la sua innocente semplicità unita al suo profondo significato, persistente come il famoso filo rosso che andava da polso a polso.

Ciao, un saluto apparve sul braccio di Alfred, distraendolo per un momento.

Ehilà, che mi dici?, rispose senza neppure guardare.

Sono a cena fuori. Tu?

La risposta apparve quasi immediatamente. America non voleva distrarsi dalla visione dell’anime, ma allo stesso tempo non voleva neppure perdere l’occasione di parlare con Ilya. Era diventata una necessità più che un’abitudine. Gli piaceva ricevere quei messaggi scritti in quella grafia piccola ed ordinata, ritrovarsi a sorridere dopo averli letti ed era bello sapere che da qualche parte, lontano, un’altra persona si sentiva alla stessa maniera. Era persino pronto a perdersi un bel film, se necessario.

Sto guardando un anime. Mi piace un botto!
 
Un anime? Davvero?

Sì e allora? È un tipo di animazione che non è come quella degli altri cartoni, ma ha uno stile particolare...
Alfred si mise subito sulla difensiva, aveva già affrontato l’argomento innumerevoli volte. Aveva provato a spiegare anche ai “mentalmente più ristretti” che anche gli anime erano una forma d’arte e come tali si potevano apprezzare. Inutile aggiungere che non era mai finita bene.

Stavo solo esprimendo la mia sorpresa, una nuova scritta mise a tacere lo sproloquio di America. Di che parla?

Due persone cercano di ricordarsi a vicenda, anche se non conoscono i nomi l’uno dell’altra. Poi si scambiano i corpi. E c’è una cometa, anche. Ci sono così tante cose da dire...

E questi due, sono anime gemelle?

Sì, ma non hanno il nostro modo di comunicare. Potrebbero anche non incontrarsi.

Non pensi che sia spaventoso? Non incontrare mai la tua anima gemella?

La domanda prese Alfred alla sprovvista. Lo sorprese il drastico cambio d’argomento, d’un tratto serio. E quella domanda era di per sé difficile. Da un lato, Alfred era stato abituato a quella possibilità fin da piccolo. «Sei una nazione –Artie gli ripeteva sempre– e l’anima gemella di una nazione è il suo paese». Ma dall’altro, parlare ogni giorno con Ilya...

Sì, fa paura, scrisse cautamente, come se temesse che qualcuno lo potesse punire per averlo detto. Poi, vendendo che nessuna risposta appariva, aggiunse qualcos’altro.
Ma si può anche vivere senza.

Alfred pensò che Ilya stesse provando a suggerire di vedersi di persona. Non ne avevano più parlato, il che gli andava benissimo, ma se Ilya voleva improvvisamente che si incontrassero, Alfred doveva stroncare le sue speranze sul nascere.

È un po’ triste, scrisse Ilya; America doveva essersi sbagliato.

Ehi, ma tu hai me :)

Alfred non diceva sul serio. Non si sarebbero mai incontrati e senza alcuna vergogna stava illudendo Ilya, eppure... voleva davvero consolare la sua anima gemella, ed anche se stesso. Sì, non si sarebbero mai visti dal vivo, ma almeno per il momento erano lì l’uno per l’altro, proprio in quell’istante potevano parlare e sentirsi tramite il loro legame, nonostante l’enorme distanza.

Lo so. E ne sono felice, venne l’inaspettata risposta.

Alfred sorrise, poi guardò lo schermo della TV. I protagonisti erano su delle scale e si stavano fissando, e... i titoli di coda erano accompagnati da una canzone bellissima. America non sapeva il giapponese, ma si doveva trattare di una canzone d’amore. «Le canzoni belle parlano sempre d’amore, anche se non la pensi così», gli aveva una volta detto Francia. Alfred ricordava molte delle sue citazioni più sagge, meglio dei consigli di Arthur e dei nomi degli eroi dei fumetti. Forse perché era strano che certe cose le dicesse lo spensierato, allegro Francis o forse Alfred gli credeva semplicemente perché Francia viveva da più tempo di Inghilterra.

È un film a lieto fine, Ilya. Si sono trovati, America decise di condividere la bella notizia.

Davvero? È un po’ ingenuo ed irrealistico.

Perché? Non esiste il lieto fine nella vita vera?

Nella vita vera c’è solo una fine, John. Per tutti noi ;)

Che pessimista!

No, sono realista. È che tutti questi finali felici hollywoodiani sono... noiosi.

Capisco, a te piacciono film in stile Il Miglio Verde o Hachiko - Il tuo migliore amico, vero?

L’unico film che mi fa piangere è The Irony of Fate 2.

Alfred aggrottò le sopracciglia, cercando di ricordare quel titolo. Aveva visto così tanti film che le trame erano ormai ingarbugliate nella sua mente, per non parlare dei nomi. Comunque, America ricordava i suoi film preferiti e quelli che aveva visto più di una volta. Dopo essersi sforzato un po’, finalmente ricordò di che cosa parlava.

Aha!, scrisse tutto felice, ho visto il primo e mi è piaciuto!

Allora faresti bene a non vedere il sequel, amico mio.

Comunque, qual è il tuo film preferito?


Alfred era sicuro fosse qualche produzione sovietica. Dopotutto, non importava quanto fieramente odiasse Russia, doveva ammettere che le sue commedie non era male. La risposta di Ilya lo meravigliò. Sbatté le palpebre, non riuscendo a credere ai propri occhi.

Casablanca?!, si stupì Alfred. Perché?

Onestamente non capiva. Era un bel film, su quello non c’era dubbio. Alfred lo apprezzava come una superba prova di cinematografia americana, eppure lo aveva visto appena due volte. Era troppo... malinconico. La vincente, ma a lungo andare noiosa, combinazione di dramma e storie d’amore Alfred l’aveva vista in diverse occasioni e nelle più differenti varianti. Casablanca gli sembrava tipico nel suo genere, forse innovativo ai tempi, ma in linea di massima era sempre la stessa cosa.

È difficile da spiegare, apparve. Non sono un esperto di cinema, ma...
 Ilya era apparentemente a corto di parole.
... ma trasmette un così nobile messaggio di sacrificio. Credo che sia questo ciò che mi piace.

Uno strano sorriso illuminò il viso di Alfred. Riguardava più l’imbarazzo, quasi tangibile, del modo in cui era stato formulato il messaggio che per il significato in sé. Perché Ilya non era qualcuno che si imbarazzava facilmente. Al contrario, sembrava possedere sarcasmo ed autocontrollo. Mentre adesso... era così inusuale che si sentisse a disagio a parlare di qualcosa di cui ne sapeva di meno dell’altra persona. In realtà, Ilya avrebbe potuto scegliere un film diverso, un thriller sovietico per dirne una –cosi come Alfred si aspettava– ma aveva deciso di essere sincero, nonostante si sentisse chiaramente in imbarazzo. E, diavolo, America lo trovava così carino.

Vorrei sentire la tua voce quando sei così impacciato, scrisse America, sorprendendo entrambi.

La stanza era accogliente alla luce dei raggi che passavano attraverso la tenda. In TV stava iniziando un altro anime con una sigla tranquilla e lenta, allegra all’inizio e un po’ più triste verso la fine. Faceva caldo ma non era soffocante, si respirava aria di primavera che quasi invitava ad aprirsi, a confidarsi.

Come pensi che sia la mia voce?

Alfred immaginò all’istante il sorrisetto con cui la domanda era stata scritta. Chiuse gli occhi un momento, cercando di immaginare la voce di Ilya, il timbro e la cadenza e come le diverse emozioni lo influenzassero.

Calma e profonda, scrisse senza guardare e dopo averci pensato un attimo aggiunse, ma non troppo bassa.

Be’, ci sei andato vicino.

Intuito. E dimmi, che aspetto hai?  

Un paio di giorni fa Alfred non se ne sarebbe curato minimamente ma adesso moriva dalla voglia di sapere tutto, ogni più piccolo dettaglio. Tutto ad un tratto sentì crescere in lui l’attrazione, inspiegabilmente, come se il fantomatico filo rosso li stesse stringendo più forte che mai.

Allora... sono alto, ho i capelli chiari, spalle larghe e il naso aquilino. Dovrebbe essere abbastanza per soddisfare la tua immaginazione.

Alfred per qualche motivo si sentì in imbarazzo e arrossì.

E tu?, chiese Ilya.

Ho gli occhi blu e un fisico atletico.
America diede un’occhiata ai suoi non-così-atletici fianchi e arricciò le labbra.
Porto gli occhiali e... ah, sono biondo, concluse un po’ sottotono, facendo una smorfia. Dopotutto, voleva fare una buona impressione sulla sua anima gemella, non ottenere l’effetto contrario.

Ma Ilya doveva essere rimasto imperturbabile dato che riprese il discorso.
Sono sicuro che sorridi un sacco... e luminosamente.
Alfred ci pensò, in effetti sorrideva parecchio in quei giorni, soprattutto quando parlava con Ilya.
Non so perché, ma mi sembri un tipo solare.

Solare? La parola lasciò Alfred senza fiato. Nessuno lo aveva mai chiamato in quella maniera. Tranne Arthur, forse, quando era ancora un bambino e Alfred non se lo ricordava bene. Le sue guance si riscaldarono e nascose il viso tra le mani come se Ilya avesse potuto vederlo. Un pensiero attraversò la sua mente: nei film di solito ci si baciava a seguito di simili parole. Alfred tastò il divano per recuperare la penna che gli era caduta e scribacchiò.
Ti bacerei subito se potessi.
Poi, come un adolescente che aveva appena confessato i propri sentimenti per la prima volta, nascose la faccia tra i cuscini, controllando il braccio allo stesso tempo spaventato e impaziente di ricevere una risposta o una reazione di qualsiasi genere.

Quando la risposta spuntò, non era ciò che si aspettava. Alfred ne fu colto alla sprovvista e si chiese se Ilya stesse provando a cambiare argomento.

Cosa hai mangiato?

Esitante, Alfred rispose. Stavo bevendo una coca.

E io del caffè. Perciò il nostro primo bacio avrebbe avuto il sapore di caffè e Coca-Cola.

America lesse, con un sorriso così ampio da fargli male alle guance. Sbuffò, arricciò il naso e si lasciò cadere sui cuscini, mentre una sensazione di beatitudine gli scorreva nelle vene.


 
* * *
 

Sei strano oggi, scrisse John e Ivan sollevò all’insù gli angoli della bocca, nascondendo dietro la sciarpa il suo involontario sorriso.

A quanto pare, quel ragazzo era riuscito a toccargli il cuore. Ed era sbagliato, disorientante e... piacevole. Russia aveva il morale alle stelle, come se non avesse sulle spalle una giornata di lavoro fatto di pile di documenti e chiacchiere senza senso. Le conversazioni con John riuscivano a ridargli forza e voglia di vivere, gli miglioravano l’umore. Anche quando John era arrabbiato per quel piantagrane russo, o quando Ivan stesso era fuori di sé, era come se riuscissero ad assorbire le emozioni negative l’uno dell’altro, mandandosi tutto il supporto possibile tramite l’inchiostro. Ogni giorno era sempre più difficile immaginare come avrebbe potuto fare senza qualcuno a cui scrivere.

Russia notò un chiosco con delle bevande e andò alla cassa, pagando con una banconota in cambio di una brillante lattina rossa di Coca-Cola.

Stento a riconoscermi io stesso, scrisse con sincerità e, ad occhi chiusi, sorseggiò la bibita. 



Translator's notes
Salve! Non ho dimenticato questa traduzione, sono solo la lentezza fatta a persona. Scusate ç.ç 

Questo è uno dei miei capitoli preferiti, soprattutto vista la sua conclusione. Infatti è stato davvero un piacere da tradurre *^*
Infine, solo una piccola noticina: per quanto riguarda il titolo "The Irony of fate 2" in italiano non è mai stato doppiato, perciò ho deciso di lasciare il titolo in inglese. 
Ci si vede al prossimo capitolo, ciao ciao <3 

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Capitolo 5
*** Aeroplani ***


Aeroplani



Le sue dita volarono sulla tastiera, seguite da un clic. Un paio d’occhi viola scansionò i risultati, cercando di trovare qualcosa di rilevante in quel mucchio di forum femminili pieni di pubblicità. Ivan esaminò alcuni articoli prima di arrendersi e cliccare sul primo link fornito dal motore di ricerca. Si trattava della classica chatroom in cui le persone rispondevano alle domande degli altri utenti. Vi erano parecchi commenti, soprattutto da parte di donne, in particolare quelle “predestinate” a essere lesbiche, per così dire. Ivan non capiva perché il pregiudizio persistesse in un mondo in cui il Creatore stesso (chiunque fosse – Ivan non era certo un esperto di religione) aveva stabilito che le anime gemelle potessero essere dello stesso sesso. Sotto questo punto di vista per le nazioni era più semplice. Ma, alla gente piaceva rendersi la vita difficile inutilmente.

Scorrendo tra i commenti, Ivan si fece una grossa risata. Alcune risposte, sia di donne che di uomini erano positive, altre meno.
“È possibile non innamorarsi della propria anima gemella? Ma ovviamente!" aveva scritto una ragazza con uno strano nome utente. “Io e la mia anima gemella siamo migliori amiche, ad esempio. Beh, a volte ci ritroviamo a farlo ma, sai, da scopamiche. È del tutto normale.”
Ivan sbuffò, coprendosi la bocca con la mano, e chiuse le schede. Chiaramente internet non poteva aiutarlo. Il che non era poi così sorprendente, dato che la domanda di per sé era sciocca. Almeno, per gli umani.

Il fatto era che gli umani avevano le proprie regole per quel che riguardava le anime gemelle, stabilite da tempo immemore, così come ce le avevano le nazioni, anche se forse non erano state apprese allo stesso modo. Primo, la gente credeva che il Fato avesse sempre ragione. Le persone non avevano mai messo in dubbio la sua scelta. E che senso aveva dubitarne dato che non si erano mai verificati errori? Non esisteva il concetto di famiglie disfunzionali o di divorzi, tranne che nel caso di persone con un legame unilaterale che cercavano di costruire una relazione con qualcun altro. In questi casi il legame si trasformava in qualcosa di molto simile ad una calamita: più si tendeva verso la persona “sbagliata”, 
più forte diventava l'amore non corrisposto per la propria anima gemella. Si pensava che fosse la punizione del Destino per aver disobbedito alla sua volontà. Ad ogni modo, la disperazione delle persone destinate ad un amore non ricambiato era perfettamente comprensibile. Tutti volevano essere felici, tutti volevano sentirsi amati. Russia non poteva davvero criticare nessuno.

La seconda regola era semplice ed era la naturale continuazione della prima: ci si innamorava sempre della propria anima gemella. Impossibile rimanere soltanto amico della propria metà, per quanto si potesse provare. Prima o poi si finirà per innamorarsi di quella persona, come due estremi che combaciano perfettamente. Alcune persone accettavano le cose per com’erano, preparandosi ad affrontare il matrimonio o facendo subito sesso. La maggior parte però preferiva ancora prendersela con calma, conoscersi meglio, assicurarsi che l'altra persona fosse davvero quella con cui si avrebbe voluto passare tutta la vita. Il risultato finale era sempre uno: il lieto fine (escludendo ovviamente morti improvvise ed altre eventuali disgrazie).

Era la seconda regola che spaventava Ivan, perché ciò che contava non erano le regole degli umani e nemmeno il Destino: le persone si innamoravano da sole, il legame non le costringeva, le indirizzava solo nella giusta direzione. E più Russia parlava con John, più capiva che innamorarsi di lui era inevitabile. Ancora un po' e sarebbe stato troppo tardi per poter tornare indietro. Doveva scappare, fasciarsi il polso e dimenticare tutto quello che era successo. Eppure, Ivan non poteva. John era una persona così calorosa, allegra, divertente e vivace. Era suo! Ora più che mai, un malcelato sentimento di invidia infantile, o meglio, di desiderio egoistico, si fece strada dentro Ivan. Perché non poteva parlare con la sua anima gemella se lo rendeva felice e lo distraeva da tutto lo schifo della politica? E anche con il rischio di fare la fine di Francia, la voglia di tenere vivo quel legame aveva avuto la meglio su di lui. Infatti, più Ivan perdeva la sua determinazione, più si affezionava alla sua anima gemella.

Russia scosse la testa, chiuse il portatile e andò in camera da letto. Fuori era già buio, era ora di andare a dormire. Ivan diede un'occhiata all'orologio: segnava le 20:00, il che significava che John stava per svegliarsi. Ivan francamente non aveva più energie. Aveva avuto una giornataccia. Quella mattina era stato costretto a risolvere una situazione assurda che coinvolgeva il procuratore generale degli Stati Uniti e l'ambasciatore russo (che razza di agenti segreti... si facevano arrestare così facilmente), poi il suo capo non aveva smesso di chiamare e lamentarsi del fatto che il giorno precedente Alfred aveva di nuovo convinto i media a diffondere voci sui presunti legami dei suoi funzionari con la Russia, facendolo esasperare. Di conseguenza, anche altri paesi si erano insospettiti, anche se Ivan poteva giurare di non avere nulla a che fare con le elezioni in altre nazioni straniere e di certo non gliene fregava niente dell’orribile palco scena politico degli Stati Uniti. Perché tutti pensavano che fosse interessato a loro? Come se non avesse già abbastanza problemi! Aveva scaricato tutto sulla segreteria di Alfred (lo stronzo stava ancora dormendo e non aveva risposto al telefono), per dargli qualcosa a cui pensare, ammesso che fosse capace di qualsiasi processo cerebrale, in modo che smettesse di perseguitare i suoi e gli altri governi.

In breve: Ivan aveva sprecato un'altra giornata con quell'idiota che riusciva a dargli problemi pur vivendo dall'altra parte del mondo. Tutto ciò che Ivan desiderava era appoggiare la testa sul cuscino, addormentarsi e svegliarsi soltanto quando Inghilterra avesse inventato un incantesimo per dare a quel marmocchio viziato americano un po' di materia grigia.

La mia mattina comincia male :(, una scritta apparve sull'avambraccio di Ivan proprio quando stava per spegnere la luce.

Che succede?, scrisse, sbadigliando.

Quel bastardo russo mi ha di nuovo rovinato l’umore.

Sai, sto iniziando ad odiarlo anche io.

Il collega di John dava parecchio fastidio a Ivan. Non riusciva a capire perché John non la risolvesse una volta per tutte, da uomo a uomo. Dannazione, se fosse andata avanti così, avrebbe scoperto dove abitava John e avrebbe pensato lui stesso a sistemare la faccenda. Ma... era impossibile, chiaramente. Che cosa gli saltava in testa?

Nessuno lo sopporta perché è proprio uno stronzo!

Russia riuscì facilmente ad immaginare il broncio con cui erano state scritte quelle parole.

Se qualcuno infastidisse me così tanto, lo avrei rimesso al suo posto già da molto tempo.

Ah sì? E che mi dici di quel professore di inglese?

Non vale la pena sporcarmi le mani per qualcuno così puerile.

“E non voglio fare il suo gioco”, pensò Ivan. Venire alle mani era esattamente ciò che America voleva: avrebbe ricordato a tutti quanto fosse pericoloso Russia. Ma Ivan, anche se si sentiva ribollire il sangue nelle vene, non avrebbe dato libero sfogo alle sue emozioni. Non ne valeva la pena.

Parliamo di qualcosa di meno fastidioso.

D’accordo. Ivan riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti, ma il bisogno di parlare con la sua anima gemella sembrava essere più forte persino della stanchezza.

Questa sera vado fuori città. Mi piace guardare le stelle e bere birra congelata immerso nel verde.

Puoi consumare alcol?


Ah, sta’ zitto :) voglio soltanto rilassarmi e staccare dallo studio, ogni tanto.

Anche a me piace osservare le stelle. Purtroppo è impossibile vederle a Mosca, al massimo si scorge la luna e gli aerei in volo.

Fingi che gli aerei siano stelle cadenti. Ah! In questo modo puoi persino esprimere un desiderio!


Ivan sorrise. Chi, se non un bambino innocente, farebbe un simile paragone? Un adulto ne avrebbe visto soltanto il lato più sinistro.

Perciò, preparati a parlare con me dello spazio questo pomeriggio ;), scrisse John, non ricevendo alcuna risposta al suggerimento di poco prima.

Sembra quasi che tu mi stia chiedendo un appuntamento.

E se fosse proprio così? Accetteresti?          

Russia inarcò le sopracciglia, sorpreso. Era dal loro “bacio” che John aveva evitato quell’argomento, che gli prendeva ora? Si era innamorato? Voleva che la loro amicizia diventasse qualcosa di più? Qualcosa che Ivan non poteva permettersi. Strinse le labbra, abbassando lo sguardo, rammaricato. Russia aveva sempre cercato di essere ragionevole, cauto, di ascoltare la sua mente, non il suo cuore ma continuava ad agire in maniera troppo impulsiva e non andava bene. Era sull’orlo della rovina. Per questo avrebbe dovuto porre fine alle... avances di John.

“Ma è solo un umano”, protestò il suo cuore, “non può farti alcun male. E lui ti piace!”. Era un’ovvia verità.

«Perché mi comporto così, non sono più un ragazzino!», gemette Russia, alzando gli occhi al soffitto.

Se solo avesse potuto lasciarsi alle spalle la fitta rete di bugie, di litigi con altri paesi e la politica, Ivan, ovviamente avrebbe provato... sapeva che avrebbe funzionato. Potevano incontrarsi, fare una passeggiata, avvertire fisicamente quel legame tra di loro. Avrebbero chiacchierato per ore, ascoltando la voce l’uno dell’altro; si sarebbero guardati voracemente, temendo di perdersi di vista da un momento all'altro. Sarebbero andati fuori città e si sarebbero seduti fuori su un balcone, avvistando aerei nel cielo. Sarebbero finalmente riusciti ad addormentarsi e svegliarsi con lo stesso fuso orario, cucinare insieme la colazione e darsi gomitate nella cucina angusta. Si sarebbero baciati per la prima volta – per davvero però, così che le vene sui loro polsi avrebbero brillato di blu, suggellando la promessa di due anime gemelle che si erano trovate in quell’enorme mondo. Ivan desiderava tutto questo da quando ne aveva memoria.

Ilya? Ti sei addormentato?, diceva la scritta sul suo polso.

Russia si alzò e si diresse alla finestra. Una piccola luce rossa lampeggiò nel cielo, sempre più in alto, iniziando un lungo viaggio o forse breve. “Spero atterri sano e salvo”, pensò Ivan. “Dove non ha importanza”. Non avrebbe espresso desideri guardando degli aerei cadenti. Poteva realizzarli da solo.

Ora devo andare a letto, John. Ci sentiamo domani. Per il nostro appuntamento.

In risposta ricevette un cuore, dalla forma imperfetta ma realizzato con grande cura.



Translator's notes
Buonasera. Un anno è passato ed eccomi con questo nuovo capitolo tradotto. Mi ci è voluto giusto un po'. Dirò la verità: sono in blocco. Per questo ho deciso di tornare a tradurre questa storia, anche se era già da qualche mese che ci stavo pensando. Tradurre è rilassante e chissà se mi aiuterà a far passare questo blocco. Detto ciò, grazie per aver letto fin quaggiù questa storia continua a piacermi davvero tanto e vorrei davvero portare a termine questo piccolo progetto. Ci si vede al prossimo capitolo che potrebbe uscire benissimo domani o tra un altro anno. 
Bye! 

 

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