Sognando

di candidalametta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** tenebrous queen of hearts & I darken crazy hatter ***
Capitolo 2: *** il guanto ***
Capitolo 3: *** scacco matto alla Regina ***



Capitolo 1
*** tenebrous queen of hearts & I darken crazy hatter ***


SOGNANDO

“che cos’è?” chiese la regina chinandosi sulla figura stesa sotto di se che lambiva l’orlo della gonna steccata, “temo sia una bambina” rispose grave il cappellaio accarezzando la lepre tra le sue braccia con le lunghe dita bianche.
“una bambina! Che cosa originale” ridacchiò la regina osservando come la piccola dormisse placidamente ai piedi del suo rosaio preferito, con le mani giunte come cuscino sotto la guancia arrossata. “già, non lo trovate alquanto disdicevole vostra maestà?” chiese l’uomo mentre il leprotto sfuggiva dalle sue braccia per atterrare vicino la bambina, “in effetti è inappropriato che continui a dormire nonostante la mia regale presenza” sbottò mortificata oscillando senza intento lo scettro sul capo dell’addormentata.
“forse non si accorge della vostra imponenza” sospirò petulante il cappellaio fingendo di controllare le pieghe perfette del pizzo nella sua manica. “siete invitato a non parlare in codesto modo alla vostra regina! Ricordatevi che non siete altro che un miserabile venditore di cappelli!” strillò la donna mentre chiazze rossastre le marcavano le gote. “ne convengo” assentì placido il cappellaio, “ma trovo comunque inopportuna e pericolosa la presenza della bambina in questo luogo”.

Il cappellaio matto si sporse vagamente incuriosito sulla figura dormiente della piccola che si mosse impercettibilmente quando i baffi del leprotto bisestile le sfiorarono il volto, la regina rossa si guardò intorno con disappunto, oltre a loro e il roseto c’era solo uno spesso strato di nero, come un dipinto non cominciato. Lo stesso spaventoso vuoto che avreste trovato alla fine dell’universo.
“dove siamo?” chiese infine esasperata, “come fate a non saperlo!” proruppe fintamente sorpreso il cappellaio, “siete la regina e non sapete dove vi trovate?”.
Sua maestà gonfiò il petto in un respiro potente, “so che questo è il mio regno! Tanto basta affinché tutto sia consono alla mia persona, per i dettagli ci sono i servitori” disse puntando lo scettro contro l’uomo al suo fianco che si tolse in cilindro dal capo in una cascata di carte multicolori.
“desolato vostra maestà, sono solo un brav’uomo” disse il cappellaio raddrizzandosi in una posizione più consona, “di questo discuteremo in sede adeguata” decretò la regina con serietà, “per ora non siete che il mio suddito e perciò vi invito a dirmi dove siamo”.
Il cappellaio restò un attimo con il cilindro in mano mentre si grattava nervosamente un orecchio. “gradite una tazza di tè?” chiese improvvisamente affabile l’uomo, “senz’altro” assentì la regina.

Le tenebre intorno a loro si spostarono di qualche metro rivelando un tavolino a tre gambe oltre la macchia scura che li avvolgeva senza che nessuno dei due si sorprendesse, “la prego, si accomodi alla mia tavola” esortò galante il cappellaio, scostando una sedia e controllando che fosse abbastanza vicina, sedendosi poi compostamente incrociando le caviglie sotto la sedia, “è la ‘mia’ tavola, qui tutte le cose mi appartengono” disse con susseggio la regina, “certamente” mormorò accondiscendente il cappellaio.

“dove siamo?” ripeté la regina dimostrando di avere una buona memoria, “sapete, non è consigliabile non rispondere alle domande della vostra regina …” e qui la donna si chinò sul tavolo costringendo il cappellaio ad avvicinarsi a lei attendendo il segreto, “temo che se non lo facciate vi taglierà la testa” mormorò divertita.
“Ne siete sicura vostra maestà?” chiese incredulo il cappellaio rizzandosi a sedere, “oh si!” esclamò la regina ridendo, “con estrema facilità!” concluse girando il cucchiaino le suo tè.
“immagino allora che al condannato non sia data la possibilità di difendersi” borbottò il cappellaio rigirando il coltello del burro tra le dita, “assolutamente no” sbottò la regina guardando con apprensione la lama smussata del coltello tra le mani del cappellaio
. “che peccato” sospirò l’uomo passando l’indice sulla lama tonda dell’oggetto d’argento, le sue dita lo strinsero più forte e il coltello sparì nel nulla senza suono mentre qualche petalo delle rose cadeva ondeggiando sulla figura addormentata.
“dov’è finito?” chiese spaventata la regina, “vi proibisco di nascondere il coltello del burro! Potreste attentare alla vita di sua maestà!” strillò la regina ormai isterica, “non sono stato io” le rispose calmo il cappellaio, “temo che a lei non siano piaciute le mie intenzioni” disse indicando la bambina che dormiva forse ancora più pesantemente.

“cosa potrebbe saperne lei?” sospirò la regina bevendo un sorso del suo te, “lei sa tutto” le rispose il cappellaio alzando la sua tazza in un cerimonioso saluto.
“sa anche dove siamo?” chiese la regina osservando il buio intorno a se, “ne sono certo” osservò l’uomo versando il contenuto della tua tazza nel piattino e abbassandolo a terra. Immediatamente il coniglio si allontanò dal roseto e si concentrò sul tè a sua disposizione.
“bene” esclamò la regina, “allora vado a chiederglielo” e si alzò con intenzione ma il cappellaio le lanciò il cilindro ed essa per prenderlo dimenticò la direzione per la ragazzina e si mise a fissare le rose rosse.
“sono molto belle” sospirò il cappellaio raggiungendola, “stupende, il mio roseto preferito” gongolò la regina orgogliosa, “non vi consiglio di svegliarla sua maestà” mormorò tetro l’uomo.
“perché no? Lei sa dove ci troviamo e quindi come potrò tornare la mio castello!” esclamò la regina, “se voi lo chiederete gentilmente è probabile che ve lo darà lei stessa” constatò il cappellaio, “come potrebbe ‘darmelo’? Suvvia non scherzate, ricordatevi che ne va della vostra testa” lo ammonì gioiosamente con un dito.
L’uomo deglutì con rumore, “ne varrà molto di più se la sveglierete poiché noi esistiamo solo grazie al suo sogno”.

“cosa vorreste insinuare!” sbraitò isterica la regina, “io esisterei tranquillamente di mio, ricordatevi chi sono!” continuò a voce alta indicando la corona che portava sul capo, “io sono una regina, esisto per il solo motivo che il mondo senza di me non avrebbe senso”, guardò con disprezzo il cappellaio, “ma voi potreste anche essere il parto di qualche fantasia contorta, dopotutto, non siete che un miserabile venditore di cappelli” sorrise crudelmente, “per di più matto” concluse.
“se questa è la vostra opinione maestà” disse il cappellaio inchinandosi con un sorriso sornione sulle labbra, “lungi da me farvela cambiare, ma ricordate che esistete come esisto io e come esiste il coniglio bisestile”, “quello non conta” s’intromise la regina, “gli mancano troppi venerdì!”.
Il coniglio girò appena il muso verso di lei e si chinò di nuovo a bere in tè con aria stizzita, “esiste, esiste” borbottò il cappellaio, “come me e voi” rise sfacciatamente alla donna incredula, “d’altronde, siete soltanto la regina di un mazzo di carte!”, “è il seme più importante di tutto il mazzo non lo sapete forse?”, ostentò con orgoglio mentre tremava per la paura di aver torto, “o dovrei tagliarvi la testa per controllare cosa c’è realmente in quella zucca vuota?” esclamò cercando la sua ragione.
Il cappellaio ormai rideva isterico, “e cosa credete di potermi fare mia regina? Finta come siete non riuscireste neanche a comprarvi un mio cappello!”, “io non sono finta!” urlò preoccupata e il tavolino con il tè venne inghiottito nuovamente tra le tenebre, il coniglio bisestile tornò con due salti tra i piedi del cappellaio che lo prese in braccio con apprensione.

“temo che non dovreste urlare maestà” mormorò l’uomo, “e cosa dovrei fare allora?” chiese esasperata in un bisbiglio la regina, “credo” disse il cappellaio accovacciandosi a terra accanto alla bambina, “credo che dovremmo dormire mia regina”, “perché?” domandò lei accasciandosi vicino al roseto.
“perché così potremo sognare questa bambina, così che lei diventi solo un nostro sogno e sarebbe costretta a sognarci per non sparire nel nulla”.
La regina sbadigliò poggiando la testa vicino al coniglio accovacciato tra di loro, “quindi devo sognarla”, “già” assentì il cappellaio con gli occhi chiusi e il cappello poggiato di traverso vicino al suo viso, “così potrò esistere davvero”, continuò la regina con la voce impastata, “esattamente” bisbigliò il cappellaio respirando lievemente, “tagliatele la testa” rantolò la regina prima di cadere in un sonno profondo.



Dedico questa one shot al mio fedele cappellaio matto, finito come me in uno strano paese delle meraviglie dove tutte le strade sono mie nonostante lui ne conosca l’utilità.
A Leonardo, nella speranza che si avvicini l’ora del tè.


n.d.a. i personaggi di “Alice nel paese delle meraviglie” non mi appartengono, la regina rossa, il cappellaio matto e il leprotto bisestile, fanno parte di questo racconto pazzo e inquietante. Tutti i riferimenti alla storia originale sono da considerarsi un omaggio a quel mattacchione di Carroll e non ad un plagio.

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Capitolo 2
*** il guanto ***





Giro su me stessa, solo buio e radici di alberi contorti, strani occhi gialli mi fissano dall’oscurità. Bisbiglii inesistenti si perdono nello spazio immenso, il tonfo morbido di un coniglio sull’erba, un sospiro di impaziente regalità e il taglio spezzato di un’accetta su un ceppo vuoto, ticchettii inutili di ore sbagliate e lancetta lente come anni. E l’aria odora di fiori di campo e fumo da tè, chiedendomi se non sia il mio stesso respiro a formare la nebbia.

E tendo le mani cercando un misero appiglio al mio inevitabile cadere, e le dita scivolano su ruvidi peli di strani animali, tralci di rose di cui non rimangono che petali macchiati di rosso.

 Gocciolanti di vernice fresca.

E ho paura mentre tutto prende il colore di una nebulosa in esplosione, miliardi di scintille che si fondono con il nero dell’universo.

C’è intorno a me un mondo che non riesco a vedere, che sfugge al mio controllo mentre longitudine e latitudine si invertono inevitabilmente, e nemmeno il contrario è assicurato nel definire stabilità.

Perché qui non c’è nulla di certo, e il possibile deve essere rimasto intrappolato insieme al mio nastro per capelli in quel rovo, accanto la tana del coniglio.

Ecco ricordo.

E urlo, perché cado più veloce ora che capisco di essere precipitata in un abisso che mi stava solo aspettando.  Il vento freddo contro il viso, prima di fermarmi, sospesa tra candele e in lontananza e una luna crescente che sembra sorridermi curiosa.

“non devi avere paura Alice, questo mondo è qui per te, ti stavamo aspettando”

È una voce gioiosa, che mi fa rabbrividire, cosa c’è da essere felici nel trovarsi qui?

“volevamo incontrarti da tanto! La regina non fa che lamentarsi, vuole davvero qualcuno con cui giocare a crochet …”

E la sua mano stringe la mia, con la morbidezza fredda di pelle conciata mentre il suo respiro si fa vicino e non riesco a scorgere che un cappello rammendato e occhi illuminati di follia.

“sai di buono Alice, potresti passare per una margherita tra i fiori, credo che la rosa ti perdonerà di non avere spine se sarai educata con i boccioli”

La voce è affettata di accenti stranieri, come lande di esotica estensione.

 “ti aspettava con impazienza, dice che gli porterai qualche poesia sbagliata …” e sembra tornare quasi serio mentre rabbrividisco, “ma anche io ti aspettavo … il tempo mi ha odiato da quando gli ho detto che saresti arrivata, non riesco più a prendere il tè di venerdì con il leprotto … ma almeno lui può distrarsi con la marmellata, ti piace ancora vero? Te la darò ogni domani, quando organizzerò una festa per te … faremo cantare la finta tartaruga mentre bolle a fuoco lento per il brodo”.

E gemo al pensiero di poter restare per un tempo così infinitamente lungo in questo posto.

“tu sei pazzo!” esclamo.

E la verità somiglia ad una stretta intorno al collo mentre arriva, più diretta delle sue parole.

“come tutti qui ”

E piango, lacrime di sconforto e paura, “voglio andare via”

Le sua dita guantate mi scorrono sulle guance, “è davvero questo ciò che vuoi? Rinunciare a ciò che sei?”, e il basso mormorio non è più divertito.

Perché la pausa tra le sue parole serve solo a prendere troppo respiro in un urlo, voce gonfia di ira trattenuta,“vuoi fingere di essere normale? Desideri tornare al tuo mondo? Non vuoi scoprire cosa ci sarà alla fine della tana del coniglio bianco?”, stringendo la mia mano troppo forte, costringendomi ad ascoltare il suo delirio e la mia paura. “vuoi essere ordinaria?  Rinunci a comprendere quanto possa essere meravigliosa la tua vita se solo osassi, lasciandoti andare alla follia?”, e il suo ringhiare trai i denti nella collera crolla.

Lasciando un sospiro sconforto e una carezza lieve sul dorso della mia mano contusa, “se è ciò che vuoi …” , il sospiro è di pena ormai.

“va via Alice”.

E la sua voce muore, mentre singhiozzo.

Il vuoto si ferma su un nastro di passatoia rossa che porta ad un punto di luce, non troppo lontano. E corro adesso, verso il sole, lontano dalla luna che adesso lo so, sta sogghignando.

Le lacrime che si asciugano al vento mentre corro.

E poi la luce, ed il mondo.

Il nastro azzurro ancora impigliato nel rovo accanto all’albero sotto cui mi sono addormentata.

Provo a prenderlo prima che il vento lo trascini via, accorgendomi solo in questo momento di avere in mano un guanto di pelle.

Resta solo il sole non troppo basso all’orizzonte.

E in fondo la consapevolezza che il tè sia troppo amaro a quest’ora.

 

 

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Capitolo 3
*** scacco matto alla Regina ***


La regina lasciò vagare le unghie aguzze sul piumaggio del fenicottero al suo fianco, rigido di paura negli occhi vacui e il lungo collo teso.

“se un fenicottero sapesse fenicottorare voi fenicottinereste con lui” chiede dolce girandosi la punta di una piuma rosa tra le dita, sospirando.

“probabilmente no”.

E il povero animale si lasciò scappare uno stridio mentre una manciata di piume staccatasi dal suo fianco per rimaneva incastrata nel pugno chiuso della donna.

Unghia affondate nel palmo prima di allentare la presa e lasciarle cadere dolcemente nel vuoto.

E la distanza dal trono al pavimento sembrò moltiplicarsi mentre scendevano leggere e insanguinate verso le mattonelle bianche e nere. La regina si accasciò contro lo schienale, nascondendo il viso dentro l’ombra del palmo, il braccio sottile ricoperto di stoffa spessa che poggia con grazia sulla sponda dello scranno. E li accanto i pasticcini mai sfiorati, ricoperti di marmellata di ogni domani.

la regina di cuori un bel giorno, tolse gustosi dolcetti dal forno …”canticchiò una voce troppo vicina.

La regina decise di ignorarla accomodandosi meglio per osservare le paste dalla sua altezza regale.

Certo, c’erano anche loro quel giorno, quando si impose di dare un giusto processo al fante di cuori. Maledetto sia quel giorno, non avrebbe dovuto, non avrebbe potuto …

“mia regina” un coniglio bianco abbigliato da pettorina in cuori rossi attese l’attenzione della sovrana, a tre passi dall’orlo della sua veste. Debitamente a capo basso, senza mostrare desiderio o impazienza. “tagliategli la testa” mormorò la donna guardandolo distrattamente.

I fiori recisi in un vaso vicino risero divertiti.

“maestà” continuò il Bianconiglio ignorando l’ordine della regina, “ci sono disordini nel bosco senza nome; i cavalieri hanno smesso di duellare e chiedono udienza per risolvere i loro problemi, la pecora dello spaccio chiede la licenza di vendita, e non abbiamo nessuno che se ne occupi. La cuoca vuole andare in pensione ed essere pagata in pepe …” sospirò il roditore chiudendo il rotolo di pergamena macchiata problemi del reame.

Le dita ingioiellate sciolsero i capelli, tirando il manto nero sulla schiena arcuata dai troppi problemi. Dubbi che prima neanche esistevano.

Logicità.

Tutta per colpa di quella stupida bambina, che ormai è lontana in quell’insulso vestito che si spacciava per petali di fiore. La maledizione arrivata nel suo regno per portarle l’unica cosa che ha il potere di danneggiarla. Quella maledetta parola che ha cambiato il destino del paese delle meraviglie.

Il senso.

Che ormai la rincorre per le sale del palazzo, costringendola a non poter più tagliare la testa alle sue carte di corte, chiudere in prigione contesse con la lingua lunga. Non può neanche prendere un tè quando le aggrada, perché ormai il tempo scorre e non sono più solo le cinque del pomeriggio.

Stupida bambina.

Adesso il suo mondo è in subbuglio, e non solo perché humpity dumpity è caduto dal muro, e le guardie del consorte sono accampate da mesi tra i gusci rotti, no, tutto intorno a lei a preso contorni bislacchi e nessuno è contento. La finta tartaruga vuole un vero diploma e pinco panco e panco pinco chiedono la divisione dei beni per potersi separare.

Ed è tutto confuso e rotto, come un cristallo andato perduto per sempre in miliardi di schegge. Quella maledetta bambina e la sua testa vuota di boccoli biondi.

avresti dovuto tagliarle la testa quando era ancora possibile”.

Una voce oltre l’oscurità del suo trono. E la regina ha paura, come tutte le volte che il problema le si presenta, con gli occhi bassi e l’ombra di un cappello a cilindro che ondeggia appena oltre il bracciolo, costantemente incastrato in quell’angolo di spazio, attento ad ogni spostamento, solerte ai suoi passi come nemmeno la sua corte lo è mai stata.

avresti dovuto ucciderla” continua il cappellaio infilando il filo nell’ago e osservando critico la falsa cucitura di un cappello di piume, ignorando l’etichetta, approfondendo il tono confidenziale.

almeno adesso non avresti veri problemi, potresti essere libera dall’angoscia del domani, non avresti paura del futuro”, aggiunge imperterrito, osservando il cappello da diverse angolazioni, aspettando paziente.

non avresti paura di me”.

Sorride bieco, alzando il capo verso la regina, ignorando la lacrima che le scende dal volto, la rabbia ormai svanita nell’immenso sconforto.

“vattene … ti prego” biascica sconfitta.

Il cappellaio si inginocchia, poggiando il volto scavato vicino alla sua mano che profuma di oro rosso.

sai quello che voglio, non me ne andrò senza”.

La regina ritira le dita, nella paura fredda del suo respiro, “non puoi chiedermelo, davvero” soffia in un filo di voce, e l’uomo ride, alzandosi in piedi e rubandole una mano, portandosela alle labbra esangui.

devi”, sospira divertito, “perché per anni hai sfoggiato i miei cappelli mai pagati, ed ora, per legge, devono tornare a me, con tutto ciò che vi sta intorno”.

la donna si stringe la gola con mano sottile, e la testa sul suo collo elegante resta in precario equilibrio al soffiare forte degli eventi.

dovrai pur saldare il conto” sorride in un baluginare di denti aguzzi mentre la donna abbassa il capo.

Scacco matto alla regina.

“pagherò i miei debiti”.





non so se è un addio. ma ci tengo a dirvi che probabilmente non scriverò più di Wonderland per un tempo infinitamente lungo, o breve. Dipende da quanto tempo ci metterò a diventare qualcos'altro.
una mela caramellata a "il padrino", lui sa il perchè. Perdonami, avrei dovuto essere più dolce.
una tazza da tè a tutti gli altri, grazie di tutto.

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