Ruh Love

di Exentia_dream2
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***



Capitolo 1
*** 1 ***


Angolo Autrice:



Il mio angolino oggi si trova in alto per chiarire alcuni punti prima della lettura.
Questa storia nasce dalla necessità di uscire dalla mia comfort zone, di scrivere qualcosa che alleggerisca un po' il peso che sento addosso quando scrivo. E per farvi sorridere e farlo insieme a voi, almeno spero. 
É una long che non avrà pretese, con capitoli brevi e forse per questo risulterà un po' lenta.
Il titolo è stato deciso su due piedi, ma credo si adatti perfettamente a quello che racconterò in questa storia: infatti, Ruh in arabo significa psiche e Love, beh, lo sappiamo tutti.
Ovviamente, spero di avere un vostro parere a riguardo.
Ora vi lascio al capitolo, a presto.




 
Ruh Love
 
Capitolo 1: 






Stava immobile, senza emettere un suono, con la bocca leggermente schiusa e le braccia aperte come una qualsiasi bambola gonfiabile. I gemiti del ragazzo che da qualche mese era diventato ufficialmente il suo promesso sposo le riempivano l'orecchio sinistro.
Anche quella volta, come le altre, aveva avanzato l'idea di fare qualcosa di nuovo (le sarebbe andato bene anche fare sesso con le mani ferme sulla testa da quelle di lui) e aveva ricevuto in risposta un aspetta che prometteva un cambio di posizione a breve.
E lei aspettava, aspettava sempre — da più di una dozzina di anni ormai — ma non succedeva mai: lui si spostava poco prima dell'orgasmo e rigettava tutto in uno dei fazzoletti che teneva fissi nel primo cassetto del comodino.
Quando finivano, lei leggermente appagata e lui sudatissimo, Hermione si riscopriva gelosa delle performance che Ginny Weasley le riportava nei minimi dettagli.
Stesa sul letto, si chiedeva sempre per quale motivo lui continuasse a mostrarsi così ritroso e timoroso a provare quelle meravigliose posizioni descritte nel libro del Kamasutra o perché, quando lei provava a parlargliene, agitava la mano e le chiedeva se non fosse contenta di quello che facevano.
Certo che lo era, ma era anche annoiata: insomma, che almeno facesse andare lei per una volta sopra! Non erano poche le occasioni in cui aveva provato, soprattutto dopo il fidanzamento, a prendere in mano la situazione, approfittando di qualche scena più spinta di un film o di un completino intimo che sembrava fatto apposta per essere sfilato con i denti e invece no. Non le dispiaceva la posizione del missionario, ma anche basta… 
Le capitava (capitava, sì, quando Ginny le raccontava come Harry l'avesse presa qui o lì) di avere fantasie erotiche in cui veniva spogliata lentamente e stesa a pancia in giù sulla spalliera del divano o del tavolo, altre in cui lui la raggiungeva nella vasca da bagno, facendole poggiare la testa sul petto e poi cominciasse a toccarla. Fantasie che ovviamente rimanevano tali, perché lui era troppo tradizionalista persino sul posto in cui fare sesso e l'unico promosso era stato appunto il letto.
Ed era proprio lì che Hermione si chiese perché  dopo l'amore seguissero sempre la doccia e poi le coccole post coito  rigorosamente in quest'ordine — mai una volta che lui si fermasse a darle un bacio in più, a ritardare il momento di levarsi dalle sue cosce, a dirle che.
Insomma, quella mattina era iniziata decisamente male. E, in più, aveva un mal di testa terribile, che martellava contro le tempie e le faceva chiudere gli occhi dal dolore, però il suo capo l'attendeva con la relazione che lei aveva completato con una settimana di anticipo e che non si dicesse mai che Hermione Granger fosse una scansafatiche!
 

••••
 

"Non capisco" stava dicendo alle due donne che sedevano di fronte a lei. "siamo cresciuti insieme, ho accettato tutti i cambiamenti del suo corpo, è diventato un bellissimo ragazzo… perché è ancora così insicuro di se stesso?"
"Hai mai pensato che magari quello sia l'unico modo in cui gli piace?" 
Hermione alzò lo sguardo sul viso dell'amica e scosse la testa. "Lo sai" disse sicura di sé. "Non esiste uomo a cui non piaccia ogni forma di sesso."
"Forse lui non è quel tipo di uomo?"
Trasse un respiro profondo che le riportò una certa pazienza nella voce, spostando le mani sul tavolo fino a congiungerle a quelle dell'unica interlocutrice — Padma sembrava essere su un altro pianeta e le si leggevano chiaramente sul viso le ore piacevoli che aveva trascorso in compagnia dell'uomo dei suoi sogni — e disse: "Ginny, ascoltami, per quanto un soggetto possa sembrare ritroso, non è detto che lo sia davvero. All'univers-"
"Sì, lo sappiamo: hai studiato psicologia, ti sei laureata con la lode, ma questo non significa che tu sia in grado di capire il tuo uomo. Insomma, guardati: non fai altro che lamentarti di lui. A volte mi chiedo perché abbiate deciso di sposarvi."
"Perché ci amiamo" rispose troppo velocemente e, per questo, anche Padma cominciò a guardarla con occhi sospettosi. 
Hermione si sentì leggermente in imbarazzo e slacciò la presa dalle mani di Ginny, finse di sistemare le pieghe invisibili sulla giacca e poi il tovagliolo accanto al vassoio con i biscotti al burro, ma quando terminò quelle improrogabili incombenze, le due amiche erano nella stessa identica posizione in cui le aveva lasciate. L'unica differenza, forse, era il sorriso consapevole in cui una di loro (o tutt'e due) stava atteggiando le labbra.
"Perché ci amiamo. É ovvio, no?" aggiunse quando il muro della diffidenza che aveva di fronte cominciò ad avere un peso corporeo: si posò sulle spalle, anche un po' sul cuore, insinuandosi proprio lì dove i battiti avevano origine: una piccola radice che cominciò a germogliare lentamente e senza che lei se ne rendesse conto, una goccia d'acqua alla volta, fino a fiorire come nella più bella delle primavere e, nel suo cervello, si insinuò un dubbio piccolo piccolo. In realtà, dal momento in cui aveva accettato la proposta di matrimonio, aveva cominciato a porsi domande a cui sembrava sempre più difficoltoso trovare risposte: per esempio, si era chiesta come si sarebbe vista da lì a dieci anni e l'immagine che le era apparsa non le era piaciuta particolarmente; si era chiesta quale nome avrebbero scelto per i loro figli ed era quasi inorridita al pensiero e aveva deciso seduta stante che no, figli non ne voleva affatto; si era interrogata sulla propria pazienza, ma aveva preferito non rispondere perché nell'ultimo periodo era facilissimo farla sbraitare come una forsennata e, soprattutto, aveva visto il limite della sua tolleranza diventare sempre più sottile quando il pensiero di fare sesso sempre allo stesso modo le aveva attraversato la mente — una vita vissuta in loop, ogni giorno e ogni notte: la colazione, un bacio prima del lavoro, la cena, la posizione del missionarario, la doccia, il bacio della buonanotte. É solo stress prematrimoniale si diceva e no, Ginny e Padma non potevano avere ragione. E poi, con quale coraggio si arrogavano il diritto di giudicare la sua storia d'amore se era stata proprio lei a presentarle alle loro rispettive anime gemelle, a farle conoscere indirettamente le meraviglie del sesso, a farle (a detta loro) vivere i migliori orgasmi mai avuti in tutta la vita? Semplicemente non potevano.
"E poi stiamo insieme da così tanto tempo" riprese, allungando la lista dei motivi per cui lei e il suo fidanzato avevano finalmente deciso di convolare a nozze. "siamo gli unici a non essere ancora sposati, abbiamo l'età giusta per farlo, percepiamo degli ottimi stipendi. È per chiudere un cerchio che abbiamo cominciato a disegnare insieme e vissero per sempre felici e contenti" concluse con un sorriso tirato.
In fondo, erano proprio quelli i motivi che spingevano due persone a decidere di fare un passo tanto importante: la profonda conoscenza reciproca, la possibilità di sostenere le spese, cominciare a pensare alla vecchiaia e a una ristretta cerchia di amici con cui trascorrere le sere d'estate e, per lei che era cresciuta con le favole della buonanotte lette da papà, quello sembrava essere il coronamento di un sogno (non per forza suo: la nonna aveva insistito tanto per vedere la sua unica nipote percorrere la navata in abito bianco e bouquet di roselline). E, poi, da bambina aveva creduto al vero amore, alle fiabe in cui il principe azzurro combatte contro i cattivi per salvare la sua principessa e cos'aveva di diverso lei da Biancaneve o da Aurora? I capelli, certo, e i vestiti, la voce quando provava a intonare una canzone e sicuramente non aveva la capacità di parlare con gli animali o di fare amicizie con un gruppo di nani, non era nemmeno stata disegnata dall'abile matita del signor Disney, ma, a parte questo, non c'era proprio niente a renderla diversa.
O, almeno, quello era stato il suo pensiero fino ai quindici anni, quando — dopo esattamente trentasei mesi di frequentazione assidua con il suo futuro marito — si era resa conto che non tutti i principi avevano la buona sorte di sfuggire all'acne giovanile o alla costrizione degli occhiali da vista, e non tutte le principesse potevano scampare alla trappola mortale e dolorosa che era l'apparecchio per i denti (ripensando al periodo della pubertà, Hermione paragonava entrambi a due ranocchi con alcuni chili in più e qualche difetto estetico di troppo e che fortunatamente erano stati capaci di trasformarsi, se non nei più belli del reame, almeno in qualcosa di decente: un pettirosso, un gabbiano, insomma, erano cresciuti bene viste le premesse!). 
Quando si rese conto che le due amiche stavano continuando a fissarla, sollevò un sopracciglio e scosse di nuovo la testa per non dar loro modo di credere che, nel silenzio che si era protratto, si fosse chiesta quale fosse il motivo reale per sposare una persona. Perciò chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e con una nota leggermente isterica nella voce asserì: "Siete assurde."

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Capitolo 2
*** 2 ***


Capitolo 2:




Quella domenica mattina Hermione aveva lasciato il letto con tanti buoni propositi e la promessa di passare a salutare la nonna, ma aveva capito fin da subito che non tutto sarebbe andato secondo i suoi piani.
Prima di tutto, per un motivo che non riusciva a capire, l'intensità del mal di testa con cui era andata a dormire era aumentata — non c'entrava assolutamente nulla il fatto che avesse rifiutato di prendere qualsiasi tipo di antidolorifico — , perciò si era seduta sul divano ad occhi chiusi mentre massaggiava metodicamente le tempie. 
Alzò gli occhi per posarli su una foto che ritraeva lei e il suo futuro marito in un viaggio di qualche anno prima e sorrise dolcemente: lui era arrivato in un momento particolare della sua vita, quando intorno a lei le amiche di classe sbocciavano come fiori e parlavano di mestruazioni come fossero donne vissute, mentre lei rimaneva piatta e non sapeva nemmeno cosa fosse un assorbente e si vedeva brutta, bruttissima, piccola, insignificante rispetto alle altre che ricevevano bigliettini anonimi e cioccolatini a forma di cuore. Era alienante osservare le altre crescere e vedersi sempre uguale alla bambina che era, rendersi conto di essere esclusa dal gruppo di amiche che ormai non avevano più niente da raccontarle: cosa poteva saperne lei della sensazione meravigliosa che si provava indossando una maglietta e vederla aderire perfettamente alla rotondità del seno? Cosa poteva saperne, lei che era rimasta piccola in un mondo che cresceva, di cosa significasse diventare grandi? Lui si era avvicinato in uno di quei giorni, durante un pranzo in solitaria, e le aveva detto che era la più bella di tutte: aveva gli occhi bassi, le guance rossissime e forse il suo principe azzurro non sarebbe arrivato in sella a un cavallo bianco, ma indossando un paio di Nike blu e nere. Quando era tornata a casa, con l'alone umido del bacio che le aveva lasciato sulla guancia, Hermione s'era guardata allo specchio e aveva piegato le labbra in un sorriso dolcissimo.
Lo stesso che aveva adesso, eppure il tarlo del dubbio che Ginny le aveva stillato continuava a rodere in qualche parte della sua mente: rosicava, bucava, entrava in profondità, tanto da farle domandare se fosse ancora amore, il sentimento che li legava, o se fosse tornato a essere l'affetto che li aveva uniti quando avevano appena dodici anni.
Al solo ripensare a quei momenti, Hermione sentì un nodo stringerle la gola e la paura di star facendo un passo falso le fece tremare il cuore, ma continuava senza sosta a chiedersi per quale motivo, a pochi mesi dal matrimonio, tutto il suo mondo sembrava traballare di incertezze; cominciò a tranquillizzarsi soltanto quando la razionalità le suggerì di esporre i propri dubbi all'uomo con cui avrebbe di lì a breve condiviso la vita, analizzando insieme tutti quei punti che ora erano buio pesto. Quasi le venne da ridere: si era laureata in psicologia solo l'anno precedente, scavava nell'animo delle persone fino a denudarle, ma proprio lei, che aveva fatto dello studio della mente una missione, di fronte alla propria psiche alzava bandiera bianca e si arrendeva.
 
••••
 
Nonostante le sensazione di quella mattina, i piani domenicali di Hermione seguirono il proprio corso: il mal di testa si era affievolito dopo un'ora trascorsa al buio, era riuscita a preparare due dolci (uno per lei e uno da portare alla nonna) e aveva trascorso il resto del pomeriggio in compagnia della propria famiglia. Erano state ore piacevoli, durante le quali ovviamente si era parlato dell'imminente matrimonio, della trepidazione che ogni sposa viveva durante i preparativi e che lei non provava.
"Sei troppo rigida, Hermione. Dovresti lasciarti andare, vivere le tue emozioni e basta" l'aveva ammonita Ginny che, seduta sul divano accanto a Harry mano nella mano, non smetteva di guardarla con lo sguardo che le aveva rivolto qualche giorno prima: ebbe l'impressione che la stesse rimproverando, ma scrollò le spalle e rispose con pacatezza che probabilmente la sua assenza di euforia era dovuta alla sicurezza che riponeva in quella decisione.
Era strano il modo in cui si sentiva giudicata da quella che ormai riteneva una sorella, ma comprendeva il suo punto di vista: era già capitato (da quando erano bambine) che non si trovassero totalmente d'accordo su qualcosa, ma ne discutevano e riuscivano sempre a trovare un punto comune da cui diramare le proprie opinioni, evitando liti inutili, e questo dialogo costante stuzzicava in maniera esagerata la sua voglia di approfondire certi pensieri e, forse, erano stati proprio i battibecchi con Ginny ad avvicinarla al fascino dello studio della mente, a spingerla a frequentare la facoltà di psicologia. Però, quello che doveva essere il lavoro dei suoi sogni era diventato il suo modo di essere e di agire nella vita di tutti i giorni: Hermione psicanalizzava tutto, cercava la logica in ogni cosa e aveva smesso di seguire l'istinto per farsi muovere soltanto dalla ragione: le emozioni, a suo parere, erano brividi sopravvalutati, scudo di coloro che giustificano tutto con un battito di cuore, come se poi le capacità cognitive fossero dietro lo sterno e non tra le pareti craniche, come se da lì partissero gli incipit per muovere le mani, le braccia e tutto il resto del corpo. Anche se poi, raramente, le scelte di cuore, si scoprivano quelle giuste. Lui, per esempio, era tra queste: avevano dodici anni quando si erano scambiati i primi bacetti innocenti, poggiando soltanto le labbra, e quasi quattordici quando avevano cominciato a far scontrare i denti , imparando insieme il modo in cui muovere la lingua per rendere un bacio degno di essere chiamato tale, e quasi diciassette quando si erano spogliati per la prima volta, arrossendo di fronte alla loro nudità, toccandosi piano quasi per paura di rompersi e, in quel preciso istante, Hermione si chiese se non fosse stato in quel momento che avrebbe dovuto comprendere la sua ritrosia a scoprire il sesso, quando a ogni spinta le chiedeva se stessero facendo la cosa giusta — cogliere qualche segnale, chiedergli: cos'è che ti spaventa di me, di noi? — e, invece, aveva creduto fosse l'inesperienza a parlare per lui, la paura di star abbandonando l'infanzia e l'adolescenza e valicare il confine dell'età adulta insieme (il primo bacio, la prima volta, il primo amore).
"Lo sai" disse Ginny, distraendola dai pensieri che le tenevano compagnia sul porticato. "dovresti smetterla."
"Di fare cosa?"
"Qualsiasi cosa tu stia facendo. Non credi sia strano avere questi dubbi?"
"Io non ne ho alcuno."
"Certo, è quello che dici, ma lo sai meglio di me che la bugia più credibile è quella che non somiglia per niente alla verità. Io non dico che lui non sia quello giusto per te, ma forse tu non sei ancora pronta a impegnarti così."
"Sono già impegnata, Ginny: viviamo insieme da quasi quattro anni. Il matrimonio è solo una formalità."
"Appunto…"
"Cosa stai cercando di dirmi?"
"Credo sia abbastanza chiaro."
Quando rientrò a casa, Hermione si sedette sul divano e mosse nervosamente le mani e attese che lui tornasse: parlare con Ginny l'aveva messa di fronte a una realtà che lei non voleva accettare, convinta dei propri pensieri, ma ancora una volta si chiese se era quella la vita che voleva vivere davvero — sposarsi, aprire uno studio, sostenere gli studi del compagno e il suo percorso da fitoterapeuta che lo impegnava anche di domenica e spesso per intere settimane — e perché la sicurezza che aveva avuto quando avevano deciso di prendere casa insieme adesso vacillava al solo immaginare l'anello nuziale intorno all'anulare: era forse la paura di legarsi? La consapevolezza che per sempre fosse davvero troppo tempo da trascorrere insieme? O il problema era che quella che lei aveva definito formalità era una gabbia che avevano costruito senza rendersi conto di ciò che in realtà fosse e, adesso che si era chiusa all'interno, aveva l'impressione di star soffocando? Scosse la testa, perché sapeva che la paura era un'emozione primaria, insita nell'essere umano dalla nascita, quindi l'unica cosa che le restava da fare era affrontarla, prenderla di petto e non permettendo ai meccanismi di difesa che l'avevano sempre distinta di attivarsi: non lo avrebbe evitato, né attaccato, né sarebbe scappata via a gambe levate (anche se era l'unica cosa che avrebbe realmente voluto fare in quel momento e al diavolo il tulle dorato, le roselline e tutto il resto!); avrebbe aspettato di sentirsi pronta per dialogare, per spiegare nella maniera più logica i sentimenti che provava ogni volta che pensava al suo abito da sposa, ai preparativi in corso, per raccontare l'ansia che l'animava ogni volta che facevano l'amore e poi, dopo il sì, lo voglio, magari avrebbe riso insieme a suo marito del malessere che l'aveva accompagnata nel periodo precedente al matrimonio, perché era questo il modo migliore per affrontare le proprie paure — lo aveva studiato, ci aveva scritto una tesi di cento pagine con interlinea singola, mica roba da niente! — e finalmente sarebbe uscita dallo stato di catalessi e nevrosi in cui piombava ogni volta che le si chiedeva qualcosa a riguardo. O forse no, perché quando sentì il rumore della chiave inserita nella toppa, Hermione si irrigidì come un manico di scopa.

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Capitolo 3
*** 3. ***


Capitolo 3:






La schiena dritta, i palmi delle mani poggiati sulle ginocchia, le gambe unite, le dita dei piedi arricciati, gli occhi spalancati e la bocca serrata. Fu così che lo accolse, quando lui rientrò dal lavoro. 
Le era presa una sorta di ansia che non sapeva spiegare, qualcosa che le aveva intirizzito muscoli e nervi e le impediva di muoversi. Avrebbe voluto alzare un dito, spiccicare le labbra per chiamare il suo nome, ma niente: Hermione Granger era una mummia e, anche quando lui si avvicinò per lasciarle un bacio sulla fronte, lei rimase immobile.
Non ricordava di essersi mai sentita in questo modo in sua presenza, anzi: il solo fatto che lui fosse nei paraggi l'aveva sempre tranquillizzata e non era raro che, nelle situazioni di maggiore stress, Hermione cercasse il suo sguardo per sentirsi in pace con il mondo ed era una prerogativa solo sua, lo sarebbe sempre stata — questo era uno dei motivi per cui gli aveva detto di sì quando le aveva chiesto di sposarla — e proprio nel momento in cui sembrava stesse andando in iperventilazione, lui si sedette al suo fianco e le prese le mani tra le proprie.
"Va tutto bene?" le chiese, disegnando dei ghirigori astratti sul dorso.
Era una domanda che le rivolgeva ogni sera quando rientrava, ma in quel preciso istante le sembrò uno di quei quesiti da un milione di sterline e sentì la stessa angoscia che provavano i concorrenti in quei programmi in cui c'erano troppe opzioni tra cui scegliere per essere davvero sicuri che quella data fosse la risposta giusta: ma lei quante ne aveva? Doveva replicare, lo capiva dall'attesa che lui aveva nello sguardo, eppure non sapeva come dirgli che niente sembrava andar bene, che aveva l'impressione che tutto le stesse sfuggendo dalle mani e che i dubbi sulle decisioni che avevano preso — ponderandole al limite della normalità, snocciolando pro e contro in ogni loro aspetto — l'assillavano da un paio di settimane a quella parte, puntuali come i rintocchi del Big Ben, piccoli tarli che avevano scavato buchi troppo profondi e che non riusciva a riempire con le sue sole certezze: forse, se lui avesse aggiunto le proprie, tutto sarebbe tornato come prima.
Si guardò intorno, alla ricerca di quell'unico dettaglio sbagliato che avrebbe fatto desistere entrambi dall'idea di giurarsi amore eterno, ma non ne trovò alcuno: era stato naturale decidere di andare a vivere insieme, entusiasmante prendere appuntamenti per visionare le piccole villette a schiera che li avevano colpito e scegliere l'arredamento, battibeccare sul colore delle pareti. Era nato spontaneo il desiderio di allargare la famiglia, decidendo anticipatamente di volere due figli a distanza di pochi anni l'uno dall'altro e, per mettere alla prova le loro capacità genitoriali, avevano adottato un gatto e lo avevano chiamato Grattastinchi per la sua mania di strusciarsi contro i polpacci, trovandosi immediatamente d'accordo come sempre (o quasi) : era palese chi dei due fosse quello permissivo e chi quello severo e, anche su questo punto, si era chiesta per quale motivo lei fosse capace di imporre le proprie ragioni e lui no; non avevano mai litigato, se non quella volta in cui Hermione era stata spodestata dal suo trono di unico amore per una pianta scoperta nella foresta Amazzonica, che lui era volato a studiare nonostante la paura dell'aereo, o quella volta in cui a causa della sua allergia all'Hydnora Africana che lui aveva adottato e accolto in casa come fosse una bambina: Hermione non era mai stata molto d'accordo, a causa della forma che le ricordava l'organo riproduttivo femminile (e che quindi le ricordava la sua monotona vita sessuale), per l'odore molto sgradevole e per il fatto che le impedisse di respirare normalmente — ogni respiro equivaleva a tre starnuti! — , ma ringraziando il cielo, era durata pochi mesi: innaffiare il terreno con il cloroformio e, a giorni alterni, una tazza di candeggina si era rivelata un'ottima idea. 
Curvò leggermente le spalle sotto il peso degli occhi che aveva addosso e, finalmente, si degnò di guardarlo: il sorriso appena accennato, l'espressione tranquilla di sempre e non lo sopportò perché lei, di quella serenità che lui ostentava sempre, non ne aveva nemmeno un briciolo. Fu questo a innervosirla maggiormente, a farle chiedere perché i pensieri nella sua testa dovessero rovinare quella pace che avevano costruito insieme dal primo giorno, mattone dopo mattone, credendo nelle promesse che si erano fatti in silenzio ad ogni anniversario: dodici anni in cui avevano imparato a conoscersi e riconoscersi in quei piccoli momenti bui che avevano attraversato di tanto in tanto senza chiudersi in se stessi per lasciare che il destino facesse il proprio corso; dodici anni in cui avevano gioiti dei traguardi raggiunti, sostenendo i sogni dell'altro, appoggiandosi a vicenda quando credevano di non essere capaci di riuscire e adesso tutte quelle cose belle — le prime volte in tutto, la gioia di scoprirsi affini — veniva oscurato da quell'ansia che la stava divorando e che lei non riusciva a gestire: era facile ascoltare gli altri e trovare le soluzioni giuste ai problemi che le venivano raccontati, ma Hermione era diventata ciò che non avrebbe mai voluto essere (un mostro che puntava il dito, che seguiva la regola anomala del predica bene e razzola male, creando quella dissonanza tra il dire e il fare che aveva sempre criticato) e, di fronte a quella consapevolezza, si chiese come avrebbe potuto avviare un'attività in proprio se sentiva lei stessa di aver bisogno di uno psicanalista esperto.
"Ti va di parlarne?" le chiese ancora, il tono di voce paziente, forse una piccolissima nota di panico che Hermione non riuscì a cogliere.
"Io…" disse con poca enfasi.
"Sì?"
"Ricordami perché stiamo per sposarci…"
Lui sembrò sorpreso, tanto da sobbalzare e allontanarsi leggermente e, dove prima c'era serenità, adesso sembrava esserci un lieve turbamento e anche lei parve sentirsi punta sul vivo, infatti si ritrasse e calò lo sguardo.
"Beh" cominciò timidamente Neville "perché stiamo insieme da tanti anni e, insomma, è la cosa giusta da fare, credo. E poi se lo aspettano un po' tutti, no? Mia nonna, i tuoi genitori, i nostri amici…"
Fu con quell'ultima affermazione che gli ingranaggi nella testa di Hermione scattarono e formularono il pensiero che, forse, l'idea di matrimonio fosse nata dalle intenzioni degli altri e non dalle loro, che tutto quello che concerneva i preparativi — la scelta del tema, i colori, il giorno e il mese — fosse stato scelto per accontentare i familiari e non i futuri sposi. Allora si azzardò con voce bassissima a chiedere: "Pensi che sia cambiato qualcosa nel nostro rapporto?"
A quella domanda seguirono minuti interminabili di silenzio e lei tornò con gli occhi su di lui, gli mise una mano sotto al naso per accertarsi che fosse ancora vivo, che respirasse ancora e, per la prima volta da quando la loro storia era iniziata, si sentì offesa nel profondo: per un diritto che aveva arrogato unicamente a se stessa, lei sarebbe dovuta essere l'unica a sentirsi in dubbio riguardo a una qualsiasi decisione, la sola a poter fare un passo indietro. Perciò, quando capì che anche per lui qualcosa non andasse, che i dubbi che le avevano mandato in pappa il cervello avevano avuto lo stesso effetto su quello che sarebbe dovuto essere il suo futuro marito, incrociò le braccia sul petto e corrugò le sopracciglia.
Adesso, l'insicurezza che Neville dimostrava sotto le lenzuola, si stava palesando in una risposta che non riusciva a sormontate l'ostacolo dell'arcata dentale. 
"Allora?" chiese ancora, muovendo nervosamente un piede.
"Da quando ti sei laureata… sei sempre lì a psicanalizzare ogni piccola cosa."
"Non lo faccio di proposito. Credo sia deformazione professionale."
"Sei insopportabile!"
"Mi dispiace che tu mi veda in questo modo, ma comprendo il tuo punto di vista. Hai mai pensato che questa tua insofferenza possa essere dov-"
"Lo stai facendo anche adesso."
"Scusa."
"E poi pensa alle tue, di insoddisfazioni… sono giorni che sei distante, che non ti lasci nemmeno accarezzare" concluse con le guance tinte d'imbarazzo. 
Di fronte a quel rossore, Hermione si sentì come un toro in un'arena piena di drappi rossi (strusciò il piede con forza sul parquet, sollevò la testa in uno sguardo orgoglioso che l'avrebbe sicuramente portata a sbattere la testa da qualche parte).
"É perché dovrei? Per ritrovarmi stesa sul letto a scopare come due adolescenti?"
Lui strinse le labbra, la mascella tesissima e una sorta di rabbia dolorosa che gli offuscò per un secondo lo sguardo. "Vado nel mio studio" annunciò.
"Certo! Corri dalle tue dannate piantine tossiche!"
"Non sono tossic-"
"Ma tu sì! Uno Tsukiwi, ecco cosa sei: un allucinogeno! Mi hai sempre fatto credere che avessimo una vita perfetta!"
"Si dice Tsuwiri. E, comunque, sono anni che non mi ascolti quando ti parlo dei nostri problemi: sei sempre stata con il naso sui libri, non hai mai avuto tempo per ascoltarmi. Quella che ha costruito questa bolla di finta perfezione sei tu!"
Fu lei la prima ad alzare la voce quando emanò un verso incomprensibile e chiamò il suo nome: "Neville!"
"Va bene, va bene" riprese, quando sembrò aver trovato di nuovo la calma. "Starò via per qualche settimana… nel frattempo, pensiamoci un po', mh?"
Hermione annuì appena e, quando lui le posò una mano tra i capelli e le diede un bacio sulla fronte, pigolò un piccolo sì.

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Capitolo 4
*** 4 ***


Capitolo 4:




Era zuppa di sudore, come dopo interminabili ore di passione trascorse a rotolarsi tra le lenzuola, ma no: Hermione non aveva passato la notte a fare sesso, semplicemente non aveva trovato pace.
Per la prima volta, dopo anni di convivenza e con Neville in casa, aveva dormito da sola in un letto che le sembrava troppo grande e troppo vuoto senza di lui. Non sapeva se l'irrequietezza che l'aveva tenuta compagnia fosse dovuta alla discussione della sera precedente o perché sentiva ci fosse ancora qualcosa in sospeso tra di loro e ci aveva pensato fino a consumarsi le meningi, ma niente, non aveva trovato nessuna risposta a riguardo e sicuramente non si era calmata dopo la terza camomilla; e poi, vedere le valigie pronte, sapere che, al ritorno da quel viaggio, l'equilibrio che avevano raggiunto lentamente si sarebbe incrinato ancora un po', che le decisioni non sarebbero più potute essere rimandate e sarebbe stato per sempre o mai più… tutto questo le aveva messo addosso una strana adrenalina che l'aveva fatta rigirare sul materasso senza sosta.
E, quando finalmente decise di lasciare le coltri, il silenzio che la investì fuori dalla camera le fece quasi male: Neville non era una persona rumorosa, ma il piccolo trambusto di stoviglie quando preparava la colazione o la voce bassa quando canticchiava una canzone che gli era piaciuta particolarmente, per lei erano sinonimo di presenza, consapevolezza di non essere sola, certezza che la sedia accanto alla sua fosse occupata da qualcuno che le volesse bene.
Quando scese le scale, Hermione si accorse che le valigie non c'erano più e il pensiero che fosse andato via senza salutarla la innervosì, ma sul tavolo trovò un bigliettino su cui c'era scritto che l'avrebbe chiamata non appena sarebbe arrivato a destinazione. Il sorriso le nacque spontaneo sulle labbra, perché nonostante quello che si erano urlati solo il giorno prima, Neville non mancava mai di avere una piccola attenzione nei suoi confronti ed era sempre stato così: un messaggio della buonanotte quando erano lontani e sapeva che già stava dormendo, un piccolo quadrifoglio a ogni esame che doveva sostenere, un massaggio ai piedi dopo una giornata trascorsa in piedi. E in cambio chiedeva sempre e solo che la bocca e gli occhi di Hermione sorridessero. Piccoli gesti che aveva continuato a fare anche dopo aver iniziato la convivenza ma che, per qualche motivo, lei non notava più: era come se avesse messo una sorta di coperta davanti agli occhi che le impediva di vedere anche il buono della loro storia. Diceva a se stessa che i dubbi che aveva erano dettati da una paura inconscia, ma sapeva bene che qualcosa era davvero cambiato nel corso degli anni, che la crescita della propria personalità li aveva portati in qualche modo ad allontanarsi e quello che da due era diventato uno adesso si era separato nuovamente, creando quasi dal niente due esseri che, forse, in comune non avevano più niente. O non lo avevano mai avuto e le differenze sostanziali stavano venendo a galla con un tempismo perfetto — poco prima del matrimonio, per impedire a entrambi di fare la scelta sbagliati e gettare la chiave di quella gabbia — mettendoli di fronte a tutte le difficoltà che avevano affrontato, annaspando nelle incomprensioni, e credendo di averle superate, ma ora era evidente che non fosse così, che avessero soltanto tamponato i diverbi come si fa con un buco nel muro: appendere un quadro per coprirlo e via, facendo finta che non ci sia mai stato.
Sulla scia di quel pensiero, Hermione tornò a guardare il bigliettino che Neville le aveva lasciato e scomparve tutto, persino il suo sorriso e decise che no, non avrebbe saputo affrontare quella solitudine così diversa dalle altre da sola.

 
 
••••
 

Ginny Weasley non esagerava affatto quando raccontava il numero esatto delle volte in cui faceva l'amore in una sola notte. Hermione se ne era resa conto già dalle prime ore in cui si era rifugiata a casa dell'amica per sentire meno il peso dell'eremo che aveva provato quella mattina — l'unica cosa che aveva sentito era lo sbattere incessante della testiera del letto contro il muro (aveva provato a contare, ma aveva lasciato perdere nel momento preciso in cui si erano aggiunti i gemiti soffocati e chiaramente soddisfatti).
L'appartamento di Ginny era piccolissimo: un bilocale di quaranta metri quadri, con le pareti di sfoglia e le camere da letto una accanto all'altra. Quella in cui dormiva Hermione aveva una piccola finestra che affacciava sul giardino interno da cui si potevano vedere in lontananza i lampioni accesi del parco in cui, nei pomeriggi soleggiati, aveva passeggiato con Neville e (con il rintocco del letto a scandire i pensieri) si sentì più fuori luogo che mai: non avrebbe mai creduto di poter provare quella sensazione, eppure si rese conto ancora una volta che ogni singolo rumore, ogni singolo gesto tra Ginny e Harry sembrava essere un segnale pronto a suggerire che no, non doveva sposarsi. Una carezza un po' spinta davanti agli amici, un bacio in più, cose a cui prima non aveva mai fatto caso e che adesso suonavano come campanelli d'allarme nella testa. Si scoprì a provare una strana invidia nei confronti delle coppie che conosceva, una sorta di gelosia istintiva verso quei segni a cui non aveva mai dato peso e che ora le sembravano basilari ed era avvilente, per lei che comprendeva tutti e li spingeva a trovare le cause inconsce che scaturivano certi sentimenti, non riuscire a capirsi. E più provava a farlo più aveva l'impressione di schiantarsi contro un muro a tutta velocità, come uno di quei manichini usati nei crash test — e lei non aveva sicuramente la possibilità di essere montata di nuovo allo stato originale: ne era testimone il piede sinistro che, dopo un incidente e un'operazione fastidiosissima, tendeva leggermente verso l'interno. 
Sbuffò e decise che quella (che non era certa di poter definire mattina o notte) fosse l'ora giusta per preparare e bere un meritato caffè e così, mentre se ne stava seduta in attesa, Harry, con tutta la merce bene in vista, le passò davanti. Fu un attimo di imbarazzo intensissimo, durante il quale lui la guardò e le sorride e, soltanto dopo essersi reso conto della propria nudità, si portò le mani a coprire il pacco che Hermione (giurava!) non gli aveva guardato.
"I-io… credevo stessi dormendo!" si giustificò e si rese conto che Harry senza occhiali sembrava un bimbo sperduto: faceva quasi tenerezza per quanto pareva infantile in quell'istante che stava durando troppo.
"Fate troppo sesso…" fu la risposta che gli concesse e, in cambio, ricevette un'alzata di spalle che aveva un significato che lei capì al volo: lo fanno tutti gli innamorati, no? Perché noi non dovremmo farlo? Davanti a quelle domande mute, Hermione si chiese ancora una volta perché per lei e Neville non fosse così, perché non sembrava mai crearsi occasione diversa da quella stabilita il primo di ogni mese quasi come se fare sesso fosse una scadenza da rispettare.
"Siete rumorosi" aggiunse con esitazione.
"Lo sono tutti quando il sesso è piacevole, no? Immagino lo sia anche tu… e in realtà ci stiamo trattenendo. Molto."
Non sapeva spiegare se fosse stata l'idea che Harry avesse di lei durante un rapporto sessuale o il fatto che, quell'idea, fosse totalmente sbagliata e non si avvicinava nemmeno lontanamente ai lievi mugolii che caratterizzavano i suoi amplessi con Neville, ma, per un motivo o per un altro, le si attorcigliò le stomaco e si sentì come dopo aver ricevuto un ordine di sfratto — o almeno credeva che le sensazioni fossero simili.
Mise le mani sui fianchi, chiuse gli occhi onde evitare che lo sguardo cadesse in basso quando anche Ginny li raggiunse. Sapeva com'era fatta una donna e com'era fatto un uomo, ma forse per pudicizia o per non odiare la sua migliore — come avrebbe potuto guardarla in faccia se Harry fosse stato ben dotato? Non che Neville non lo fosse, eh, anzi… il problema era che lei credeva che non sapesse usarlo — e, senza lasciare la sua posa, annunciò che l'indomani sarebbe andata via.
"Ho bisogno di dormire e poi…"
"E poi?" le chiese Ginny, mandando via  fidanzato con un movimento della testa. "Io so cosa ti aspettavi da tutto questo: che Harry non fosse in giro per casa, che io mi dedicassi completamente ai tuoi patemi, non è vero?" domandò, ma era chiaro che non avesse finito di parlare e, allora, Hermione fece un piccolo sorriso.
"Ma non sarà così, perché se un giorno tu dovessi star male, nessuno lascerà la propria famiglia per salvare la tua. Io sono qui, per te ci sono sempre stata e sono pronta ad ascoltarti, ma ho una vita…"
Quando riuscì a capire il discorso dell'amica, ripeté quello che aveva già detto a Harry: "Fate troppo sesso!"
"Litighiamo da mesi, Hermione, e le cose tra noi non vanno molto bene. Non te ne sei accorta perché non ho voluto che lo facessi e l'unico modo che abbiamo per fare pace e per dirci che c'è ancora amore è il sesso. Ti sembra strano che una coppia così amorevole sia allo stesso tempo così lacerata?"
"No" rispose e dopo si lasciò stringere, poggiando la testa sulla spalla nuda di Ginny.
"Domani ho la prova dell'abito" aggiunse e capì che non sarebbe stata sola quando l'altra le disse che aveva già preso un permesso di un giorno intero dal lavoro.

 

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Capitolo 5
*** 5 ***


Capitolo 5:

 

L'abito era bellissimo e la vestiva come una seconda pelle.
Il corpetto senza maniche era ricamato con pizzo di Bruxelles fino a metà coscia, da cui partiva un sottogonna color carne a cui si sovrapponevano due strati di velo sottilissimo. Avvolta in quel bianco, Hermione era bellissima: si guardava allo specchio e sorrideva con le labbra, perché gli occhi sembravano essere diventati due biglie (inespressivi, spenti). Si chiese dove fosse l'emozione che l'aveva commossa la prima volta in cui si era guardata vestita con l'abito dei suoi sogni, quella che la faceva scalpitare ogni giorno quando spuntava sul calendario il suo personale conto alla rovescia. Quando, però, guardò verso la sua accompagnatrice, pensò che quella sorta di malessere fosse dovuto a quello che vedeva in lei: Ginny non riusciva a stare ferma sulla poltrona, si agitava in continuazione e osservava le sue reazione con curiosa criticità; sembrava sempre essere sul punto di dirle qualcosa, ma ogni qualvolta apriva la bocca, poi la richiudeva e restava in silenzio. Che c'era qualcosa che non andasse, Hermione lo aveva capito dal momento in cui si erano sedute al tavolo del solito bar e l'amica aveva ordinato una tisana thai (che non aveva bevuto) al posto del caffè e aveva preferito non chiedere, aspettando che fosse l'altra a intavolare l'argomento — in realtà stava anche provando a smettere di psicanalizzare le persone che amava — , ma Ginny non aveva spiccicato parola e Hermione aveva fatto lo stesso. Però, vederla agitarsi tanto, sapere che tra i denti ci fossero parole che non le diceva, le diede la forza di voltarsi e guardarla.
"Allora? Cos'hai?" le chiese, mettendo da parte ogni nozione imparata sulla psicologia umana e sullo studio dei segnali del corpo: per una volta, voleva essere l'amica di sempre e non la psicologa laureata con lode. Non diede peso al fatto che Ginny si stesse sfregando le mani, né che guardava ovunque tranne che nella sua direzione e nemmeno che che fosse praticamente schiacchiata contro lo schienale come per mettere distanza tra loro, perché, quando parlò, la sua voce risultò ferma e decisa: "Perché stai provando questo abito se non vi sposerete?"
"Non è detto che non lo faremo, Ginny. Non abbiamo ancora preso una decisione."
"Oh beh, avete tutto il tempo del mondo per pensarci. Più o meno ventisei giorni."
"Non mettermi pressione, per favore."
"Dimmi un po', allora: ti manca?"
"Chi?"
"Ecco, è proprio questo che intendevo. Di chi credi possa parlarti mentre stai provando il tuo abito da sposa? Di Harry o di, non so… Grattastinchi?"
Hermione incassò il sarcasmo e non si scompose più di tanto, ma non rispose e questo sembrò bastare al tarlo che le corrodeva il cervello e che riprese a lavorare, a scavare, a bucare fino a farle serrare la mascella per impedire a se stessa di dare voce a pensieri che non le piacevano affatto: si prese più tempo del dovuto ad analizzare ogni parola che le passava per la mente, cercando di scegliere quelle più appropriate, quelle che meglio avrebbero spiegato il suo stato d'animo e le trovò forse troppo tardi.
"Sì, mi manca… solo, non come dovrebbe."
"Qual è la tua paura più grande? Perché continui a fingere di amarlo?"
"Non è facile come credi, Ginny. Io lo amo, ma non capisco di quale tipo di amore. Il fatto è che non so come ci si senta a stare con qualcosa che non sia lui."
"E pensi che sia meglio fingere di stare bene, di essere felici insieme e privare anche lui della possibilità di trovare qualcuna che lo ami più di te?"
"Forse è soltanto agitazione, però. Magari sono confusa perché manca davvero poco al matrimonio…"
Ginny sollevò le mani a palmo aperto in segno di resa e non aggiunse più nulla se non i complimenti sinceri per l'abito che aveva scelto — sembrava eterea, Hermione, vestita di pizzo e velo, una vergine immacolata e bellissima — e si lasciò un po' andare alla commozione di quella visione quando la proprietaria dell'atelier completò tutto con una tiara fine.

 

••••


Quando la prova dell'abito giunse al termine, tutt'e due uscirono in strada con un peso che schiacciava il petto: Hermione perché di sentiva sporca, per niente adatta al candore del pizzo che avrebbe indossato di lì a pochi giorni e perché, ai dubbi precedenti, si era aggiunta l'unica certezza che non avrebbe mai voluto avere: non era più innamorata di Neville; Ginny perché leggeva chiaramente negli occhi dell'amica la tempesta che le si agitava dentro, che la stava portando alla deriva dell'infelicità assicurata sia per lei stessa che per quel ragazzo a cui aveva imparato a voler bene e che più volte si era dimostrato un vero amico — non aveva dimenticato le volte in cui aveva pianto sulla sua spalla, impiastricciandogli la camicia di mascara lavato di lacrime e moccio, altre in cui aveva fatto da paciere in guerre che non gli riguardavano minimamente e in cui era l'unico a incassare i pugni che lei avrebbe voluto indirizzare a Harry: Neville era stato per lei l'ennesimo fratello, quello su cui contare sempre (a ogni ora del giorno e della notte) e con cui poter parlare di ogni cosa, persino quella più intima, senza l'imbarazzo creato dal legame di sangue ed era questo il motivo per cui con Hermione si spingeva oltre, provando a farle aprire occhi e cuore per porre fine a una storia che si era arenata lentamente, quasi in silenzio e, ora che non c'era più niente da salvare, l'unico modo per entrambi di stare meno male sarebbe stato quello di vivere la vita che fino a quel momento avevano guardato da troppo lontano — una serata in discoteca, la leggerezza del non avere responsabilità tanto grandi, il brivido di sentirsi liberi davvero: aveva sempre creduto che entrambi fossero diventati una coppia troppo presto, in un'età di transizione in cui un individuo si forma facendo le proprie esperienze ed era successo a tutti, tranne che a loro due che si erano chiusi in quella storia come fosse l'unica cosa possibile da fare e così, mentre gli altri andavano a ballare, a ubriacarsi, a fare i primi tiri di canna dietro il muretto della scuola, Hermione e Neville passeggiavano mano nella mano evitando una qualsiasi follia adolescenziale.
"Questa sera voglio ubriacarmi come una liceale!" esordì Hermione, dimentica del fatto che da lì a pochi giorni sarebbe diventata una moglie o, forse, proprio se ne ricordava e voleva allontanare per un po' quel pensiero che la stava tartassando in maniera assillante e perpetua. In risposta, Ginny alzò un sopracciglio e un attimo dopo sorrise.
C'era qualcosa nella curva di quelle labbra che Hermione non riuscì a cogliere — ironia, forse malizia — e a cui decise deliberatamente di non dar peso.
"Allora?" disse ancora. "Sei o no la mia damigella d'onore? Su, accompagnami nel mondo sconosciuto e nei meandri bui dell'alcolismo."
"Oh, sì. Ho in mente il posto che fa proprio al caso tuo" il tono di voce provocante e lo sguardo di chi la sapeva lunga, anche se, in realtà, aveva intenzioni abbastanze caste e non si sentiva in diritto di portare Hermione a compiere scelte dettate dall'ubriachezza: Ginny aveva vissuto la sua adolescenza appieno, aveva affogato i tormenti che le dava Harry (quando ancora non la guardava) in una o due bottiglie di birra e qualche cicchetto di troppo e si era ritrovata anche a baciare qualche sconosciuto, provando subito dopo pentimento — la sensazione più brutta al mondo, secondo lei — e un mal di testa martellante che la inchiodava a letto per un giorno intero, obbligandola a pensare e ripensare a quello che era successo e, di conseguenza, aumentando il malessere.
Perciò sì, l'avrebbe aiutata a distendere i nervi, a farla liberare dal peso che si portava dentro e farla sfogare senza freni inibitori, ma in un posto tranquillo, dove non avrebbe potuto far cose di cui si sarebbe potuta pentire una volta passata la sbronza: c'era un nuovo bar, poco distante da casa sua, che sembrava essere il luogo ideale per trascorrere una serata tranquilla, così Ginny si mise sotto braccio di Hermione e le sorrise.
"A una sola condizione, però" aggiunse, ricevendo in cambio un'occhiata confusa da parte della futura sposa. "Offro io."
"E sia!"
Hermione non credeva nel destino, aveva sempre ritenuto che il fato fosse una conseguenza di scelte e che i se e i forse nascevano dalle decisioni non prese a cui non dare troppo peso: si era trovata più volte di fronte a un bivio e aveva sempre deciso quale strada prendere facendo una lista di pro e contro, perciò, quella che non aveva percorso, le era sempre parsa la via meno adatta a lei. Ora, però, si era lasciata guidare da un'istinto di pancia, che le aveva portato alle labbra quel desiderio sopito di essere una giovane donna e basta, senza il peso della propria laurea, senza il pensiero di un matrimonio che sembrava avvicinarsi alla velocità della luce. Voleva essere quella che non era mai stata da quando era cominciata la sua storia d'amore: una bambina che si affaccia all'adolescenza, un'adolescente che apre la porta e guarda da lontano l'essere adulta.
E chi meglio di Ginny (l'unica tra le due ad aver vissuto) poteva portarla per mano in un viaggio che lei non aveva mai compiuto?
S'incamminarono e il suono dei tacchi bassi sull'asfalto sembrava anticipare il ritmo con cui Hermione avrebbe affrontato la vita da quel momento in poi.

 

 

Angolo Autrice:

Torno su questa storia dopo tantissimo tempo e chiedo fin da ora scusa a chi è rimasto ad aspettare (spero di trovarvi ancora) e ringrazio anticipatamente chi tornerà su questi lidi.
Questo è stato un anno particolare, bellissimo, difficile e, nonostante questa lunghissima pausa, non ho mai pensato di abbandonare la scrittura né questa storia.
Non starò qui a raccontarvi i mille motivi che mi hanno indotta a fermarmi, perché davvero non ci sono scusanti (l'unica degna di nota è che finalmente sono diventata mamma e ho una paura tremenda di non essere all'altezza di questo ruolo!).
Vi prometto che la pubblicazione di questa storia procederà spedita: ogni venerdì verrà postato un capitolo nuovo e, come dicevo sopra, spero di ritrovare chi già c'era e conoscere chi per la prima volta si affaccia su questa storia.
Spero che ogni parola sia valsa almeno la metà di quanto è valsa la vostra attesa.

A presto.

 

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Capitolo 6
*** 6 ***


Capitolo 6:



Il Ruh Bar aveva una semplice insegna al neon nera e verde a indicare l'entrata, tuttavia sprizzava eleganza e autenticità già da ogni piccolo dettaglio dell'ingresso ad arco: la porta era una lastra di vetro opaco con la cornice dorata intrecciata che rimandava ai nodi dei rami di un albero antichissimo, da cui nasceva la maniglia a forma di serpente che formava una R (la bocca aperta rappresentava la fine della lettera del nome scelto per il locale); ai bordi del vetro, delle bellissime rose intarsiate facevano da sfondo e da sipario a quello che c'era oltre, con un effetto vedo-non vedo che stuzzicava la curiosità. 
Hermione ne rimase affascinata, tanto da seguire con le dita le curve del serpente e i disegni su cui sembrava riposare, ma Ginny la spronò ad aprire la porta e a entrare e, una volta all'interno, a entrambe sembrò mancare il fiato per la bellezza che si trovarono davanti agli occhi. Per prima cosa, persero lo sguardo lungo il bancone di vetro opalescente, illuminato da led a luce calda, i cui disegni stilizzati richiamavano la cornice della porta e sulle mensole erano sistemate varie bottiglie di alcolici che creavano delle bellissime ombre sulla parete di marmo verde scuro venato d'oro retrostante; gli sgabelli alti avevano come base un cerchio dorato da cui partiva il sostegno rigido di un cilindro circondato da intrecci particolari, i cuscini rotondi, di velluto verde, sembravano invitare ad accomodarsi e non scendere mai più da quello che aveva tutta l'aria di essere un piedistallo.
Si addentrarono ancora un po' per ammirare la sala, che richiamava perfettamente l'area d'ingresso, e, se prima a tutt'e due sembrò mancare il fiato, quando alzarono lo sguardo al soffitto — Ginny ci avrebbe scommesso tutto ciò che aveva — , i loro polmoni si accartocciarono fino a diventare inutili: era una volta ad arco che raffigurava un bellissimo cielo stellato: le piccole luci led sembravano animare il disegno, illuminando di tanto in tanto una parte in particolare degli astri.
Hermione rimase colpita, senza un motivo preciso, dalla costellazione del Drago. Si disse che era soltanto a causa dello stupido nomigolo che Neville aveva dato al proprio arnese — ma poi, che senso aveva avere un drago nelle mutande e non lasciarlo sputare fuoco? — , perciò scosse la testa e indicò un tavolino appartato verso cui si diresse lentamente. Ginny la seguì in silenzio e, una volta sedute, dovettero aspettare giusto un minuto prima che una donna dall'aria severa di avvicinasse a loro: aveva i capelli neri sistemati in un caschetto elegante, un trucco leggero a mettere in risalto gli occhi chiari e un rossetto color borgogna a delineare le curve di una bocca che entrambe trovarono perfetta e, quando questa sorrise, credette che quella donna fosse un attentato alla loro sessualità: non si poteva essere così belle e camminare in quel modo, né sorridere in quel modo, né avere quel tono di voce, e usarlo senza vergogna al solo scopo di far sentire inferiori tutte le altre donne presenti sulla faccia della terra.
Hermione diede una rapida occhiata ai suoi jeans e al top sformato che indossava quel giorno e quasi si vergognò di essere entrata in un locale del genere, soprattutto visto l'abbigliamento raffinato che indossava quella che credeva fosse una cameriera: un tailleur nero composto da una gonna perfettamente aderente ai fianchi e alle cosce, una giacca dello stesso colore che delineava il punto vita sottile e un top che metteva in risalto il seno in una maniera che di volgare non aveva assolutamente niente.
Carica di vergogna, Hermione rispose al saluto.
"Benvenute al Ruh Bar, io sono Pansy Parkinson, proprietaria del locale. È un piacere avervi come nostre clienti."
Hermione e Ginny sprofondarono un po' di più nelle poltroncine su cui si erano accomodate e, senza parole, lasciarono scegliere la loro ordinazione alla visione che avevano di fronte. 
"Sarò da voi tra poco" disse Pansy. "Giusto il tempo che il nostro barman capisca i vostri gusti."
Quando questa andò via, Hermione sollevò un sopracciglio e si chiese come il barman fosse stato capace di capirle se, con loro, non aveva scambiato nemmeno una parola: si attorcigliò una ciocca di capelli attorno all'indice, strinse leggermente gli occhi per trovare una risposta al quesito che si era appena posta e si morse leggermente il labbro inferiore; Ginny la guardò fino a quando non scosse la testa e sbuffò spazientita.
"C'è qualcosa che non va?" le chiese cauta.
"Non so, mi sembra strano che una persona possa decifrare i miei gusti sulla base del niente, non trovi?"
"Beh, forse era solo un modo per incuriosirci, no?" propose Ginny, le mani unite sul marmo chiaro del tavolino circolare.
Hermione annuì appena, poi decise di lasciar perdere e diede un'altra occhiata al locale: come all'ingresso, anche nella sala le pareti erano di marmo scuro e sarebbe dovuto sembrare un ambiente tetro, forse, ma le grandi vetrate che affacciavano sul giardino retrostante illuminavano il tutto con la luce calda del tramonto; era un posto romantico, perfetto per un primo appuntamento, pensò immediatamente, per poi allontanare quel pensiero e tornare con gli occhi sulla figura della sua futura cognata.
Fece per aprir bocca e dire qualcosa, ma fu interrotta dall'arrivo di Pansy che poggiò di fronte a loro due drink.
"Martini dry per lei" disse guardando Ginny. "perché è un'esteta: ha gusto nel vestire, sa cosa le piace e ha una sensualità che parla senza parole."
Poi, si soffermò a guardare Hermione, l'espressione di bronzo che non tradiva alcuna emozione, e riprese: "Per lei un Gin tonic, perché è una persona che non ama apparire, realizzata professionalmente e restia ai cambiamenti, anche se personalmente io credo che sia molto curiosa: ho notato il modo in cui si guardava intorno prima ed è per questo che avrei associato un altro tipo cocktail, ma il nostro barman è stato irremovibile sull'impressione che gli ha dato."
Hermione ringraziò con un cenno del capo, punta sul vivo da quell'analisi quasi del tutto corretta, perciò, quando Pansy si allontanò dal tavolo, ingerì metà del cocktail in un solo sorso, subendo in silenzio lo sguardo stralunato e divertito dell'amica che le sedeva di fronte. Nonostante avesse promesso a se stessa di non pensare all'imminente ed enorme passo che stava per compiere, si ritrovò del tutto annegata nel dubbio che tutto quello che avrebbe fatto di lì a poco sarebbe stato il più grande errore della sua vita: ma come si poteva, di punto in bianco, chiudere una storia che durava da quasi dieci anni sul solo presupposto di non essere fatti l'uno per l'altra?  Metteva sul piatto della bilancia i pro e i contro di quella relazione e sì, il suo futuro marito era una brava persona — un uomo intelligente, laureato — , sempre pronto a fare nuove esperienze, studiare argomenti ai più sconosciuti, tenere su esperimenti di ogni genere (tranne nel sesso!) , eppure. Il piatto dei contro pesava sempre un po' di più: Neville aveva finto per anni che tra loro andasse tutto per il verso giusto, passava molto più tempo in compagnia di una pianta che della sua futura moglie e, quando era a casa, era sempre chino sul terreno di quella sorta di orticello che aveva voluto con tutte le sue forze: sarà la terra dove costruiremo il nostro futuro, aveva detto, e invece le uniche cose che aveva costruito erano delle piccole serre che ricreavano le temperature ideali di alcuni fiori brasiliani e una cella frigorifera in cui conservare dei particolari muschi che aveva trovato durante il suo ultimo viaggio in Finlandia.
"Ancora?" le chiese Ginny, il tono nervoso di chi vede davanti ai propri occhi l'infrangersi di una promessa.
"Scusami" rispose Hermione, che non aveva proprio bisogno di domandare a cosa stesse alludendo l'altra né aveva bisogno di fingere che il suo allontanarsi dal locale non fosse dovuto ai pensieri e ai dubbi che le suggerivano di scappare a gambe levate dal grande giorno che si avvicinava troppo velocemente. "É più forte di me."
"Sai già come la penso a riguardo…"
"Sì, beh, noi… abbiamo deciso di metterci alla prova in questo periodo di lontananza, capire se ci manchiamo e mag-"
"E ti manca?" la interruppe Ginny.
Forse, Hermione non si aspettava quell'intrusione improvvisa nel bel mezzo di un discorso che aveva preparato da giorni, perché sapeva che l'argomento sarebbe saltato fuori come una talpa dalla tana; rimase per qualche secondo imbambolata, a pensare a quale fosse la risposta giusta da dare: mentire a se stessa e agli altri dicendo che sì, Neville le mancava, o dire la verità, ammettere che, dal giorno in cui era partito, l'assenza del suo futuro marito sfumava in una leggerezza che non provava da anni: era una sensazione strana, quasi dimenticata e, a dirla tutta, Hermione non sapeva esattamente come viverla, poiché si sentiva divisa a metà tra i sensi di colpa e il benessere che questa le regalava 
Guardò in direzione dell'amica e, schivando il suo sguardo attento, con tono tremante, rispose dando voce alla propria indecisione.
"Non lo so" sussurrò. "Davvero, non lo so."


Angolo Autrice:

Convinta di aver pubblicato anche qui e non solo su Wattpad, vengo qui a chiedervi scusa e, per farmi perdonare, oggi due capitoli al prezzo di uno.

 

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Capitolo 7
*** 7 ***


Capitolo 7:



Dal pomeriggio al Ruh Bar, Hermione provava la strana sensazione di essere giudicata soltanto in base al suo aspetto fisico ed era una cosa che la infastidiva al punto da sentire lo stomaco contorcersi fino a far male: si chiedeva come fosse possibile che un estraneo invisibile (perché né lei né Ginny avevano visto il barman) si prendesse la briga di sentenziare su una persona senza nemmeno averci chiacchierato un secondo.
Certo, lo faceva anche lei — era il suo mestiere, aveva passato anni interi a studiare le dinamiche comportamentali e il tono di voce degli esseri umani, a monitorare il linguaggio del corpo di ogni persona a lei conosciuta, a provare a dare una spiegazione, trovare significati nascosti anche in un semplice ciao— , ma almeno lasciava tempo ai suoi pazienti di parlare, diamine! E che spesso, più che le parole, Hermione si soffermasse a studiare i loro comportamenti, era un dettaglio alquanto insignificante in quel contesto: era pur sempre una psicologa, lei!
Quindi, con quale coraggio uno che di mestiere mescolava un po' di alcool in un bicchiere si arrogava il diritto di poter conoscere le persone e attribuire loro un cocktail? Ma quanta supponenza poteva avere un essere umano del genere? E quanta arroganza!
Sulla scia di questi pensieri, Hermione si sporse leggermente in avanti, poggiando i gomiti sulle cosce e i denti a mordicchiare la penna che teneva tra le mani.
Fu un colpo di tosse a distrarla, a riportarla nel luogo in cui era davvero (nel suo studio, con un paziente steso proprio di fronte a lei).
"Le dicevo, dottoressa" riprese l'uomo. "che sono sogni abbastanza frequenti, ultimamente e mi spaventano."
Lei si prese un minuto per far mente lucida e provare a ricordare di cosa stessero parlando prima che si perdesse nei propri pensieri; non ci riuscì e allora provò a rientrare nell'argomento nel miglior modo possibile. "E cos'è che la spaventa?"
"Ma gliel'ho detto poco fa: il fatto che in ogni singolo sogno ci siano decine, centinaia, migliaia di ragni!"
"Beh, la sua fobia è un dato di fatto, una cosa reale, tattile. Io credo che il suo subconscio le sta inviando messaggi che non riesce a interpretare perché, anche nel sogno, lei è troppo occupato a provare paura. Il fatto, poi, che ce ne siano tanti rende tutto più amplificato, ma, a livello onirico, la presenza di molti ragni rappresenta una sofferenza causata da pressioni esterne. Come va il lavoro, signor Weasley?"
"Oh, andiamo! Perché deve esserci questo distacco tra me e te quando sono qui dentro: sei la mia migliore amica e mi imbarazza il fatto che tu mi dia del lei. Dai, Hermione, smettiamo con questa pagliacciata, per favore."
"Signor Weasley, torni ad accomodarsi, gentilmente, e proseguiamo con la seduta."
Ron la guardò leggermente stupito, con l'aria di chi è sul punto di mandare al diavolo la persona che si trova di fronte, eppure, qualcosa nell'espressione di Hermione dovette frenarlo, perciò tornò a stendersi sulla chaise longue blu notte e puntò gli occhi sul soffitto. Questa, era una delle raccomandazioni che Hermione gli aveva fatto prima di accettarlo come suo paziente: gli aveva detto che lo avrebbe giudicato da un punto di vista strettamente scientifico, che non avrebbe mescolato lavoro e vita privata e che avrebbe creato tra di loro una distanza maggiore levando da mezzo ogni tipo di confidenza e familiarità; Ron aveva accettato di buon grado, ma, ogni volta che se la trovava di fronte e doveva trattarla come un'estranea, aveva la sensazione di star facendo un torto alla profonda amicizia che li legava praticamente da sempre — erigere quel muro, per lui, equivaleva a far diminuire in maniera inversamente proporzionale l'affetto che provavano l'uno per l'altra, convincendosi che più Hermione lo guardava da semplice paziente meno bene gli volesse: un conto era chiedere consiglio all'amica, tutt'altro era parlare alla psicologa. Solo in quel momento si rese conto di quanto avesse sbagliato a chiedere aiuto proprio a lei — che scavava in fondo alla sua anima, che faceva salire a galla paure ed emozioni che lui stesso faticava ad ammettere per non apparire debole, che metteva in risalto problematiche familiari che non avrebbe mai dovuto conoscere. Decise che quella sarebbe stata l'ultima seduta, che non la voleva come psicologa, ma soltanto come amica; non lo disse, però, e Hermione continuò la propria analisi su di lui.
"Non va proprio bene, giù in negozio. Credo che con gli ultimi acquisti abbiamo fatto il passo più lungo della gamba e ora siamo indebitati quasi fino al collo e… insomma, la persona che ci ha prestato i soldi non è molto paziente."
Trascorse un lasso di tempo in cui nessuno dei due parlò, poi Hermione dichiarò di aver terminato e Ron scattò velocemente in piedi.
"Ci vediamo la prossima settimana."
"Sì, sì, certo." disse lui, la voce bassissima, prima di uscire dallo studio e correre all'esterno. Hermione non lo sapeva, ma la prossima volta che avrebbe visto Ron Weasley sarebbe stato davanti a una pinta ghiacciata nel loro pub preferito, durante una rimpatriata tra amici.

••••
 


Casa era vuota; il silenzio che regnava all'interno, l'ordine e la pulizia — nessuna macchia di terreno sul pavimento, nessuna radice o foglia o ramo, niente di niente a deturpare la linearità delle superfici — le diedero una bellissima, inevitabile, magnifica sensazione di pace. E al diavolo le piante! pensò, posando le chiavi nello svuotatasche che aveva sulla mensola all'ingresso. 
Era bello, per lei, trovare tutto come l'aveva lasciato, avvertire l'odore del detersivo, non trovare impronte e arnesi in giro; poter andare in bagno e non trovarlo occupato, libero da mutande e calzini disseminati ovunque tranne che nel cesto della biancheria; bere qualcosa di fresco in giardino senza il pericolo che qualche polline a lei sconosciuto le finisse nel bicchiere, non dover sentire la voce di Neville che parlava dolcemente a dei vegetali e non a lei. Insomma, era un qualcosa che la rilassava, che in qualche modo la faceva sentire realizzata e meno stanca — non erano state poche le volte in cui, al solo pensiero di tornare a casa e dover ricominciare dall'inizio, lei si fosse sentita abbattuta e senza alcuna voglia di fare ritorno tra le mura domestiche. 
E non erano mancati sicuramente i litigi quando lei rientrava e il suo futuro marito era talmente assorto nel proprio lavoro da non accorgersi del fatto che lei fosse lì, a un passo da lui, pronta a essere accolta come ogni donna meriterebbe dopo una lunga ed estenuante giornata lavorativa. In quei momenti, Neville si agitava un po' di fronte alle accuse di Hermione, concludendo il tutto con la frase che, più di tutte, lei aveva cominciato a odiare: tu sei un essere autonomo, loro no e hanno davvero bisogno delle mie cure.
Ecco, in occasioni del genere, Hermione desiderava fortemente il potere di trasformarsi in un tubero in modo da avere finalmente su di sé l'attenzione del compagno, ricevere una carezza ardente, un bacio passionale — perché sì, orto e giardino ricevevano quello e altro da lui, come l'amore incondizionato, per esempio.
Adesso, seduta sull'altalena e a dondolare i piedi nel vuoto, Hermione ci pensava e non sentiva nemmeno lontanamente la mancanza di quella quotidianità: stava bene da sola, stava meglio e si chiese se lei e Neville non stessero insieme solo per abitudine  o perché lei fosse restia ai cambiamenti — come si era permesso di pensare quell'anonimo pallone gonfiato di un barman da quattro soldi.
Comunque, il benessere che l'aveva spinta a uscire in giardino a godere della fresca brezza del pomeriggio, con un thé freddo con una fetta di limone all'interno, a rilassarsi nel dolce far niente del dopo lavoro, però durò poco più di mezz'ora: da sola, nel silenzio quasi assoluto, Hermione cominciò a sentirsi in colpa al cospetto di quei pensieri e scosse la testa, dicendo a se stessa che no, lei amava Neville e la crisi che entrambi stavano vivendo era dettata semplicemente dalla paura del grande passo, dal terrore di non essere all'altezza delle aspettative dell'altro, di non sapersene prendere cura, di fallire ogni tentativo di fare le cose per bene.
Sì, doveva per forza essere così, e se per caso quella sua convinzione forzata non avesse corrisposto alla realtà della situazione, avrebbero sicuramente trovato il modo per far funzionare quella storia e quel futuro matrimonio: non potevano mica buttare all'aria dodici anni insieme!? No, perciò, se ne convinse, tutti e due sarebbero stati in grado di trovare una soluzione a tutti i problemi che adesso sostavano loro di fronte.
In parte sconfortata, Hermione lasciò cadere il thé non bevuto a ridosso dell'ultimo scalino, accanto a cui giacevano le spoglie di quello che sembrava essere stato un fiore bellissimo.
Fece per rientrare in casa, poi si fermò con gli occhi spalancati e si volse a guardare ai suoi piedi: un fiore bellissimo.
Un fiore bellissimo morto!
Cazzo! pensò, temendo seriamente della propria vita: aveva dimenticato l'unico compito che Neville le aveva affidato, ovvero quello di curare le piante in sua assenza, quindi, davanti al compianto cadavere vegetale che adesso si trovava a contemplare, Hermione seppe che Neville non si sarebbe mai presentato all'altare.

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Capitolo 8
*** 8 ***


Capitolo 8:



La soluzione, Hermione, non la trovò nemmeno nel fine settimana appena trascorso. Aveva ceduto alla tenerezza di inviare un messaggio a Neville per sentirlo in qualche modo più vicino e, in risposta a una sorta di lettera a cuore aperto, in cui lei si dichiarava pronta ad aspettarlo per risolvere le divergenze createsi negli anni, nella confessione leggermente forzata in cui dichiarava di sentirsi un po' sola, Hermione ricevette un pollice all'insù e un cuore.
Ecco tutto.
C'erano frasi che aveva faticato persino a pensare, credendo che, comunque, alla fine, sarebbero servite a non rendere così palese la distanza che stava man mano aumentando — un allontanamento non solo fisico, ma soprattutto mentale, a livello di anima che, a volte, la lasciava senza fiato insieme al pensiero che tutto le fosse sfuggito di mano senza che se ne rendesse conto — ; c'erano pensieri così profondi e smielati di fronte a cui persino lei stessa si era ritrovata a storcere il naso, ma la convinzione di toccarlo nel profondo la spinse a proseguire con dita frenetiche a digitare lettere su lettere; parole e parole che avevano sfiorato per poco la complessità delle trame più astruse dei libri più famosi (le risultarono circa duemila caratteri, al termine di quell'immenso lavoro). E il riscontro che aveva atteso con ansia era rappresentato soltanto da due miseri simboletti colorati che le fecero quasi lanciare il cellulare dall'altra parte della stanza. Avrebbe urlato, forse, se avesse potuto, invece era stata ferma con le mani unite in grembo e il cellulare poggiato sul tavolino davanti a lei.
L'escalation di emozioni che provò in quel momento la costrinse ad alzarsi dal divano e a girare in tondo come un qualsiasi animale in gabbia che cerca la propria libertà, magari scavando un passaggio sul suolo calpestato con tanta forza. Solo che, pensò, il pavimento era troppo duro da scalfire con il solo ausilio delle mani e dei piedi, per quanta forza lei imprimesse in ogni passo, non erano di certo componenti di un escavatore. Tornò a sedersi, affranta molto più di prima, continuando ostinatamente a voler trovare un significato nascosto in quelle emoticon che aveva davanti agli occhi: non c'era ovviamente, ma a lei sembrava non importare e, anzi, con la forza di un pensiero che parve arrivare fino a Neville, ricette un altro messaggio in cui il suo promesso sposo la informava che sarebbe tornato presto, c'era stato solo un problema con una radice e che, quindi, la sua permanenza al freddo sarebbe durata una settimana in più. 
Questa volta, però, Hermione disse a se stessa che non c'erano messaggi criptati né concetti nascosti da trovare e, proprio come aveva fatto il suo futuro marito, rispose stentando un sorriso falsissimo e un pollice all'insù — troppo giallo, pensò, in un messaggio che avrebbe dovuto sancire una pace definitiva.


 
••••
 

Quella stessa sera, Hermione aveva invitato i suoi migliori amici a bere una birra in un posto in cui non ci sarebbero state coppiette affiatate pronte a giurarsi amore eterno, a sbaciucchiarsi e a promettersi di essere l'una il sostegno dell'altra, e quale luogo migliore se non il lurido pub in cui si era ubriacata per la prima e ultima volta in tutta la sua vita — era stata l'unica deviazione presa per lei che si era sempre prodigata per seguire la retta via e non andare mai contro i dieci comandamenti e le dottrine cattoliche (il fatto che avesse fatto sesso prima del matrimonio era un piccolissimo particolare su cui si poteva tranquillamente sorvolare, a detta sua!).
Comunque, aveva deciso di organizzare quella rimpatriata perché era giunta alla conclusione che i suoi studi in psicologia potessero darle risposte fino a un certo punto: il problema reale era che lei non conosceva affatto gli uomini e i loro comportamenti (se non nella teoria) e, quindi, armata di carta e penna si era messa a osservare come Harry e Ron reagissero ad alcune domande e in determinate situazioni.
Al momento erano entrambi troppo impegnati a guardare i menù e a punzecchiarsi su un qualcosa accaduto in precedenza di cui lei non sapeva assolutamente nulla e, perciò, senza conoscere il contesto, non riusciva a capire quale fosse il punto della situazione. Sembravano due bambini dispettosi, ecco. Fu questa l'impressione che ebbe quando Ron fece una linguaccia e Harry rispose con una pernacchia.
Si convinse del proprio pensiero quando Ron fece loro l'onorevole imitazione di un tricheco che beve infilandosi due patatine fritte sotto il labbro superiore e facendo bollicine con la cannuccia nella bibita che stava bevendo. Insomma, la serata non stava andando per niente come aveva sperato quando proprio l'imitatore fallito disse ai suoi migliori amici che aveva deciso di iscriversi a un sito d'incontri in cui, grazie a un questionario, venivano selezionate le persone più adatte al proprio carattere.
"Capito?" stava appunto dicendo. "Se il tuo profilo risulta quello di una persona simpatica, giovanile ed estroversa, il sistema stila una lista di persone adatte a te ed evita quelle con cui non andresti mai d'accordo. Non è male, no?"
Hermione, che ormai si era quasi rassegnata all'idea di dover mettere nel cassetto la sua laurea in psicologia per cominciare la carriera da adulta-sitter, sentì il proprio cervello mettersi in moto, arrovellarsi sul significato delle parole di Ron e l'idea che avrebbe finalmente cambiato la sua vita nacque mentre si chinava a sorseggiare quello che era rimasto della sua birra.
"Oh mio Dio, Ron, sei un genio! Come ho fatto a non pensarci prima!"
Harry e Ron sollevarono contemporaneamente le sopracciglia e la guardarono come se si fosse trasformata in un mostro a tre teste, probabilmente colpiti dal fatto che per la prima volta in una vita intera non avesse dato loro dei beoti scansafatiche, stupidi e cinici, ma é ovvio che l'amore vero esiste! — nessuno dei due sapeva cosa stesse succedendo tra le pareti di casa della futura sposa — e, solo in quel momento, Hermione si accorse di doverli informare sulla situazione attuale e cominciò a parlare piano, con voce un po' tremante.
Cercò di essere concisa (per quanto poteva esserlo una logorroica e attenta ai dettagli come lei) e di mettere da parte le emozioni, venendo meno nei punti salienti del racconto e sentendo le lacrime stare a stento in equilibrio tra le ciglia. Fu strano per lei raccontare il tutto con una certa lucidità e, anzi, più parlava e più si rendeva conto delle falle del rapporto che aveva con Neville (avevo omesso volontariamente ogni aspetto fisico della questione: non poteva mica dire ai suoi migliori amici che non le piaceva il sesso con il suo promesso? Anche perché era l'unico tipo di sesso che avesse mai provato in vita sua e non aveva nessun termine di paragone per giudicare).
Dopo più di trenta minuti e altri due giri di alcol, Hermione terminò quello che a Harry e Ron era parso l'argomento più noioso di tutta la loro esistenza e, mezzi stesi sul tavolo del locale, si azzardono a sollevare un po' lo sguardo e a chiederle in un pigolio se avesse finito di parlare?
Ricevettero in risposta un'occhiata piccata e offesa, ma Harry fu bravo a salvarsi quando disse: "Se posso darti il mio parere…"
"Sì" annuì prontamente Hermione.
A questo punto, Harry era in una difficoltà assurda; si sistemò gli occhiali sul naso e formulò mentalmente un paio di frasi melense pronte all'uso, ma Ron fu più svelto e diede voce all'unico pensiero che entrambi avevano avuto in quei minuti infiniti di agonia.
"E cosa c'entra tutto questo con l'unico complimento che tu mi abbia mai fatto?"
"Oh, ma come cosa c'entra?" chiese lei, come se tutto fosse ovvio. "Mi hai fatto venire un'idea speciale per i miei studi. Sarò una sorta di sito di incontri, solo che accadrà tutto dal vivo: proverò ad affiancare profili simili e totalmente diversi e vedrò come reagiscono insieme! Chiaro, no?"
Gli altri avrebbero voluto scuotere la testa e dire che sarebbe stata una pazzia, ma per istinto di sopravvivenza decisero di appoggiare quella che sembrava un'iniziativa fallita prima ancora di essere messa in atto.
Erano così presi ad annuire, a complimentarsi con gesti estremamente teatrali che nessuno dei due si accorse che Hermione si era messa in ginocchio ai loro piedi: aveva lo sguardo fiero che metteva su ogni volta che stava per chiedere loro qualcosa di assurdo e infatti…
"Ronald Bilius Weasley" cominciò. "sei uno dei miei migliori amici, uno dei pilastri importanti della mia vita, la persona a cui affiderei me stessa. Per favore, vuoi essere la mia cavia in questo progetto?"
Ron sembrò pietrificarsi: il suo viso era una lastra di marmo inscalfibile e, chiunque lo avesse visto in quel momento, avrebbe pensato fosse una statua di cera come quelle presenti all'interno del Madame Tussauds; l'unica cosa che tradiva il suo essere un uomo in carne e ossa era il movimento delle narici.
"Devo proprio?" chiese, faticando a trovare la voce e a scrollarsi Hermione dalle cosce.
"Fallo per la nostra amicizia, ti prego."
La risposta arrivò sottoforma di improperi detti a mezza voce, parolacce solo pensate che lasciavano fortemente la propria eco tra le pareti craniche e, solo quando Hermione uscì dal locale, lui si lasciò andare alla disperazione, intonando una sequela di lamenti composta da un'unica frase: oh, merda! E adesso cosa faccio?

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