Come i fiori di jurda

di Felixia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il bambino in cima all'albero ***
Capitolo 2: *** Mi ricordi qualcuno ***
Capitolo 3: *** Diverso, eppure così simile ***
Capitolo 4: *** Lentiggini e carboncino ***
Capitolo 5: *** Tra il mare e le stelle ***
Capitolo 6: *** Il mare lava il male ***
Capitolo 7: *** Anche solo per un'ora ***
Capitolo 8: *** Doppia trappola ***
Capitolo 9: *** Lascia piovere ***
Capitolo 10: *** Cinque estati ***
Capitolo 11: *** In ogni universo ***



Capitolo 1
*** Il bambino in cima all'albero ***


Wylan non credeva che si sarebbe abituato così in fretta alle sveglie improvvise nel cuore della notte. Anzi, era convinto che sarebbe stata una tortura doversi alzare dalla comodità del suo letto e sgattaiolare in gran segreto fuori dalla villa per correre tra le strade fredde di Ketterdam. Eppure, ogni volta che usciva dalla porta di servizio cercando di non fare il minimo rumore, ogni volta che il vento gelido gli si insinuava sotto il cappotto, ogni volta che accelerava il passo per evitare le zone più pericolose del Barile, ogni volta che era fuori di casa ad insaputa di suo padre, si sentiva di nuovo vivo.
Così, anche quella notte, non fu affatto difficile affrontare la sveglia che reclamava la sua attenzione. Erano appena le due di notte quando la luce lampeggiò sul suo viso destandolo dal sonno con un enorme sbadiglio. Aveva ancora la sensazione del sogno che stava facendo calda sulla pelle. Non gli capitava spesso di sognare cose piacevoli, così cercò di rimanere ancorato a quell’immagine che gli baluginava nella mente mentre si apprestava a spegnere il congegno che lui stesso aveva assemblato.
Gli impegni notturni di Wylan dovevano rimanere nascosti e una sveglia rumorosa avrebbe annunciato a tutta la residenza Van Eck che il signorino stava facendo chissà cosa ad un’ora così tarda. Qualche mese prima una tra i professori dell’università di Ketterdam, la professoressa Levi, gli aveva regalato una novità tecnologica opera dei migliori Fabrikator di Ravka. Era uno strano bulbo di vetro sottilissimo con all’interno un filo metallico in tungsteno che, una volta portato all’incandescenza, produceva luce. La chiamavano “lampadina”.
Wylan non sapeva esattamente perché la professoressa gli avesse ceduto quel bene così prezioso, doveva costare una fortuna. Ma supponeva che la professoressa Levi non fosse granché interessata al valore economico delle cose. Gli sorrideva sempre, con quelle sue labbra sottili increspate dai segni della vecchiaia, quando lo invitava a trattenersi oltre l’orario di lavoro per mostrargli le nuove scoperte, per leggergli le ultime pubblicazioni o anche solo per chiedergli come stava.

Tutto era iniziato perché voleva contraddire suo padre. Quando suo figlio compì sedici anni, Jan Van Eck decise che avrebbe smesso di pagare i suoi insegnanti privati, dato che sarebbe stato uno spreco di tempo per loro e di denaro lui. Inizialmente per Wylan fu un duro colpo. Passò i primi mesi a suonare e piangere dalla frustrazione. Andava a dormire tutte le notti con gli occhi gonfi e le dita piene di calli. Si sentiva privato della sua dignità e sapeva di non avere una voce per difendersi dal giudizio di suo padre perché ogni argomentazione sarebbe stata inutile, non sarebbe stata presa in considerazione.
Finché un giorno Alys non si fermò ad ascoltare la canzone che stava scrivendo. Le parole della giovane matrigna e l’espressione orgogliosa con cui lo guardò sarebbero sempre state scolpite nella sua memoria: «Wylan, sei davvero un piccolo genio».
In quel momento Wylan capì: non aveva nessun bisogno di dimostrare a suo padre di essere intelligente, perché Jan Van Eck non lo avrebbe mai capito. Era un concetto troppo difficile per lui. Era sufficiente che una sola persona credesse in lui: se stesso.
Così prese la sua vita in mano; convinse Gerta, la domestica più anziana e permissiva, la stessa che da bambino gli dava la cioccolata quando nessuno li vedeva, a farlo uscire di nascosto una mattina. Direzione: quartiere universitario. Obiettivo: passare la mattina a imbucarsi a una lezione dopo l’altra per scoprire se era davvero così scemo come suo padre amava ripetergli.
E in questo modo aveva scoperto che suo padre aveva davvero torto. Non solo lui non era senza speranza, ma, anzi, tutto quello che ascoltava in classe gli sembrava quasi semplice: la chimica, la fisica, l’algebra, la biologia, tutto era logico ed ordinato davanti ai suoi occhi, non scappava dalla sua vista come le parole scritte.
Wylan però era stato ingordo, non si era accontentato di seguire una lezione o due e di vivere il resto della sua vita recluso e felice di aver dato torto a suo padre, voleva sapere, ancora e ancora. Aveva continuato a frequentare ogni lezione che poteva, trovando un sotterfugio dopo l’altro per uscire di casa.
Poi un giorno, alla conclusione di una lezione di chimica organica, la professoressa Levi lo aveva fermato prima che potesse uscire dall’aula: «Mi perdoni, giovanotto. Posso rubarle un minuto? Avrei una domanda da porle». Wylan ricordava ancora il terrore che lo aveva immobilizzato davanti all’anziana docente.
«Sarei davvero curiosa di sapere perché il mio miglior studente non è, nei fatti, un mio studente». La pausa che aveva seguito le parole della donna era stata una tortura. «Lei non è iscritto a questa università».
«No», confermò lui con un filo di voce. La sua mente aveva iniziato a immaginare la reazione di suo padre ora che era stato smascherato, l’ansia lo stava divorando.
«Mi chiedevo perché un giovane ragazzo, che non è uno studente presso la nostra istituzione, dovrebbe passare tutte le sue giornate ad eccellere nella mia materia. Come si chiama?»
«Wylan… Hendriks», mentì istintivamente. «Io… Mi dispiace, io… Volevo solo imparare. Mi dispiace di essermi introdotto illegalmente nella sua aula».
«Accetto le sue scuse, ma perché? Signor Hendriks, perdoni l’insolenza, ma non può permettersi la retta?» Wylan rispose scuotendo leggermente la testa. «Questa non è comunque una giustificazione. Abbiamo borse di studio che offriamo volentieri a studenti capaci come lei».
«Lo so, ma io… Non sono in condizione di fornire le mie generalità». Almeno questa non era una bugia: era vero che non poteva dare il suo vero nome e sicuramente non avrebbe potuto dare quello falso, si sarebbero accorti che non esisteva nessun Wylan Hendriks.
«Capisco», si era limitata a concludere la professoressa. Wylan era pronto a dire addio ai suoi giorni universitari, pensò che se l’era goduta finché era durata.
«Con permesso», fece per congedarsi con le lacrime che già gli inumidivano gli occhi per l'umiliazione.
«Aspetti, signor Hendriks», la professoressa lo chiamò un’ultima volta. «Sarebbe interessato a un lavoro?»
Ed era così che Wylan aveva firmato un contratto come inserviente nell’università di Ketterdam, un lavoro per cui i docenti, consapevoli della raccomandazione della professoressa Levi di cui godeva quello strano ragazzo, chiudevano un occhio ogni volta che lo trovavano con la scopa in mano in un angolo della classe più intento ad ascoltare la lezione piuttosto che a spazzare il pavimento.
Non c’erano molte persone gentili a Ketterdam, ma la professoressa Levi lo era stata con lui e Wylan non lo avrebbe mai dimenticato. Aveva accettato tutta la sua bontà: aveva imparato molto da lei e aveva messo a frutto i suoi doni. Con la lampadina aveva costruito quel suo congegno di sveglia silenzioso per non avvertire nessuno in casa delle sue sveglie notturne, mentre con il prototipo del fonografo che gli aveva mostrato era riuscito a creare un piccolo registratore automatizzato su cui aveva inciso se stesso che suonava il flauto, così da far credere che fosse in casa. Grazie alla combinazione di queste due cose poteva sgattaiolare fuori di casa ad ogni ora del giorno e della notte, così da andare a vendere le sue bombe artigianali nel Barile, la zona più pericolosa della città.
Spaventosa, certo. Ma la paga non è affatto male. E tu hai troppo bisogno di soldi per farti lo scrupolo di chiedere a cosa diavolo gli possano servire tutti quegli esplosivi. Si ripeteva Wylan anche quella notte.

L’umidità dei canali entrava fin dentro le ossa e il cielo di Ketterdam riusciva a mantenere un aspetto grigiastro anche nel buio. Wylan si strinse nel cappotto e cercò di scaldarsi con il ricordo del sogno di quella notte. Il cielo limpido e blu di Novyi Zem, il sole caldo che illuminava i campi di jurda e il ragazzo Zemeni dal sorriso spavaldo del suo passato che si divertiva a scolorirne i petali con il solo tocco delle sue dita. Se si concentrava abbastanza poteva ancora riportare alla mente l'esatta gradazione di grigio dei suoi occhi. Wylan non potè fare a meno di sorridere a sua volta ricordando quel ghigno soddisfatto che gli vedeva stampato in faccia ogni volta che si esibiva in qualche prodezza con i suoi poteri. Aveva pensato spesso a lui, a come quel ragazzo, sempre in movimento, sempre sorridente, fosse un po’ come la jurda con cui giocava: dall’aspetto splendido, come il suo fiore arancione, e dall’incontenibile energia, come la sostanza eccitante che, effettivamente, la jurda era.
Wylan sapeva che avrebbe avuto impresso per sempre nella memoria il momento in cui lo vide per la prima volta. Aveva appena otto anni, suo padre lo aveva da poco portato a Novyi Zem dicendo che l’aria buona gli avrebbe fatto bene ai polmoni, ma non ci volle molto perché Wylan capisse che era solo una scusa per toglierselo dai piedi. Erano passati pochi giorni dal trasferimento e Wylan stava esplorando il giardino della villa. Non aveva mai visto delle farfalle così colorate, a Ketterdam non c'era una natura così rigogliosa da attirarle, così aveva iniziato a seguirle incuriosito, tracciando con gli occhi i movimenti delle ali frenetici e delicati allo stesso momento. Una delle più belle si era appena posata su un fiore non troppo distante e Wylan si era avvicinato silenziosamente per non spaventarla, quando una voce dall’alto lo chiamò: «ehi!»
Sui rami di un albero abbastanza alto da superare la siepe che separava la proprietà dei Van Eck dall’esterno c’era appollaiato un bambino Zemeni. Disse qualcosa in una lingua che Wylan non conosceva.
«Scusa, non ti capisco», tentò comunque di rispondere.
«Parli Kerch?» Gli chiese il bambino con un sorriso smagliante e Wylan annuì. «Anche io! A casa parliamo Kerch e Zemeni, e poi so anche un po’ di Kaelish».
«Sono tante lingue», constatò Wylan mentre osservava il bambino dondolare su quel ramo come se cadere da lì non fosse un tuffo nel vuoto da circa tre metri di altezza.
«Mia ma’ dice che imparo in fretta. Mio pa’ invece non è tanto bravo, ha un accento strano quando parla Zemeni con ma’, però io lo capisco comunque quello che dice. Ma’ è Zemeni e pa’ è Kaelish. Io sono tutte e due».
Wylan non sapeva come rispondere. Non solo era sbalordito dallo stare conversando con un bambino in cima ad un albero, ma non era neanche mai stato abituato a parlare con altri bambini. Era sempre stato in mezzo agli adulti, dove l’unica cosa che poteva fare era tacere e le uniche parole ammesse erano “per favore” e “grazie”. Per fortuna sembrava che l’altro bambino avesse abbastanza energia per entrambi, passava da una frase all’altra senza riprendere fiato un attimo.
«Come ti chiami? Io mi chiamo Jesper. Jesper Fahey. Si scrive J-E-S-P-E-R F-A-H-E-Y. Però il secondo nome non te lo dico perché sennò mi prendi in giro».
«Io sono Wylan Van Eck».
«E come si scrive?»
«Non lo so», ammise Wylan vergognandosi un po’.
«Okay. Vuoi venire a giocare? Ti faccio vedere un posto dove trovo sempre i gusci delle cicale. Fanno super schifo». Wylan si sorprese della velocità con cui Jesper avesse sorvolato sulla sua confessione e fosse già passato al prossimo argomento, ma ne fu anche grato.
«I gusci? Intendi l’esoscheletro?»
«L’esoche? No, no. La cosa che fa schifo, quella che rimane attaccata agli alberi. Mio pa’ dice che se lo tolgono perché hanno caldo».
«Non credo che sia quello il motivo. Diventano troppo grandi per la corazza e fanno la muta».
«Ma che ti importa? Vieni o no?»
«Non posso uscire».
«Perché?»
«Mio padre non vuole che esca di casa».
«Perché?»
«Non lo so, non me l’ha detto».
«Quindi non puoi uscire?»
«No».
«Okay, allora vengo io». Non aveva dato un attimo a Wylan per reagire, Jesper si era immediatamente lanciato dal ramo cadendo a un metro da lui.
«Ti sei fatto male?» Gli era subito corso incontro.
«Solo una sbucciatura», rispose Jesper mostrando il ginocchio scorticato con ancora qualche frammento di sassolini nella pelle. «Ma lo rimetto a posto in un attimo», e con un gesto veloce della mano tutti i detriti erano spariti dalla ferita lasciandola pulita, anche se ancora sanguinante.
«Come hai fatto?» Wylan non riusciva a smettere un attimo di rimanere allibito davanti a qualsiasi cosa Jesper facesse.
«Sono zowa. Anche ma’ è zowa e sa fare un sacco di cose pazzesche. Però dice che mi insegnerà a fare tutto quello che fa lei».
«Che significa zowa?»
«Mi sa che in Kerch significa “benedetto”. Ma’ dice che negli altri paesi ci chiamano “grisha”. Vuoi vedere che cosa so fare con i legnetti? Ma’ mi ha fatto vedere come appiccicarli assieme. Andiamo a raccogliere tutti i legnetti che troviamo e ti faccio vedere». Poi lo aveva preso per mano e lo aveva trascinato per tutto il giardino alla ricerca di bastoncini e rametti con cui giocare. Wylan si era dimenticato completamente delle farfalle.

Wylan si concesse un sospiro nostalgico immaginando di avere dentro al naso il profumo dell’estate a Novyi Zem e non l’odore di alcol e fumo che impestava il Barile. Poi bussò su una porticina nascosta sul retro del Club dei Corvi: tre battiti veloci, una piccola pausa, altri due battiti veloci. Aspettò un altro secondo prima di spalancare la porta e infilarsi velocemente nella stanza buia.
«Sei in ritardo, Hendriks», Kaz Brekker non alzò nemmeno gli occhi dai fogli che stava leggendo. Non aveva neanche bisogno di fare il suo solito sguardo truce per risultare intimidatorio.
«Mi dispiace», bisbigliò Wylan avvicinandosi alla scrivania e piazzandoci in fretta tutto il materiale che aveva portato con sé. Esplosivi di ogni genere, fumogeni vari, anche qualche bomba luce ancora da testare sul campo.
«Non ci faccio niente con il tuo dispiacere. Arriva in orario la prossima volta». Kaz fece scorrere sul tavolo una busta da lettere. Wylan sapeva che all’interno ci avrebbe trovato il suo compenso e non una sola riga scritta, come tutte le altre volte che era stato lì. Eppure continuava a trovarlo ancora crudele. Manisporche, anche se inconsapevolmente, riusciva a puntare dritto alla sua debolezza.
«A quando la prossima partita?» Wylan non vedeva l’ora di andarsene.
«Avrai notizie dal mio Spettro», rispose lui facendo un cenno alla ragazza Suli seduta con grazia sul davanzale della finestra alle sue spalle. Wylan si accorse di lei solo in quel momento. Non era la prima volta che si sorprendeva della sua capacità di non dare nell’occhio, ma l’abilità dello spettro continuava a stupirlo.
«Grazie», afferrò velocemente la busta che lo attendeva sul tavolo e si voltò per andarsene. «Buonanotte», rivolse il saluto ad entrambi, ma solo la ragazza gli rispose con un lieve sorriso, Brekker era già tornato a prestare tutta la sua attenzione ai suoi affari.

La strada per tornare a Geldstraat sembrava sempre più lunga di quella che percorreva per andare al Barile. Eppure era la stessa, Wylan ne era consapevole. Sotto il cappotto stringeva forte la busta con i soldi. Appena tornato a casa li avrebbe nascosti al solito posto, sotto un’asse del pavimento che era riuscito ad alzare quanto bastava per nasconderci tutto quello che possedeva: il che non era molto.
Però sarebbe diventata una somma decisamente più cospicua una volta comprate le azioni di quella compagnia navale Shu che importava té di cui aveva tanto sentito discutere, mesi prima, suo padre e alcuni suoi colleghi del Consiglio dei mercanti. I signori in giacca e cravatta avevano passato la serata a fumare sigari e bere brandy questionando sul come e sul perché quella piccola compagnia fosse ancora viva in un mercato già saturo come quello del tè di Shu Han. I più avevano concluso la conversazione affermando che sarebbe stato un investimento inutile e che non avrebbe sostenuto ancora per molto la concorrenza delle ben più note compagnie. Quello che Wylan però sapeva e che tutti quei ricchi mercanti non sospettavano minimamente era che quella compagnia non si limitava al trasporto di tè, ma era specializzata nel rifornire il Barile di oppiacei e sostanze allucinogene che erano molto in voga nella parte malfamata della città.
Mentalmente ripassò tutte le cose che avrebbe dovuto fare l’indomani mattina: svegliarsi alle cinque; andare silenziosamente nella camera della musica e impostare il contaminuti collegato al fonografo, perché alle nove esatte si azionasse la registrazione di se stesso che suonava il suo flauto; correre al quartiere universitario e passare le successive quattro ore a pulire le aule e i bagni della facoltà di medicina e chimica farmaceutica, origliare quanto gli fosse possibile; chiedere alla professoressa Levi qualche consiglio su come migliorare la formula della sua bomba luce senza farle capire che stava realizzando e vendendo armi illegali; rifornirsi di tutti i materiali necessari per la prossima consegna da preparare per gli Scarti; passare in banca per investire circa un terzo dei suoi risparmi; infine, tornare a casa per mezzogiorno in punto per presenziare al quotidiano pranzo con suo padre in cui si sarebbe sentito ripetere che non sarebbe mai riuscito a fare niente nella vita se non soffiare nel suo stupido piffero.
Wylan fece un respiro profondo e imboccò l’ultima curva per arrivare alla residenza Van Eck. Era davvero stanco, ma non poteva assolutamente riposarsi. Anzi, doveva muoversi in fretta, non aveva molto tempo. Nel giro di tre settimane suo padre gli avrebbe annunciato che sarebbe andato a studiare musica a Belendt, lui avrebbe accettato entusiasticamente la notizia e poi avrebbe corrotto chiunque suo padre avesse assunto per ucciderlo con quel pretesto così prevedibile.
Per tutta la sua vita Wylan aveva disperatamente desiderato che suo padre smettesse di sottovalutarlo, che si rendesse conto che non era un idiota. Ma poi aveva lo aveva origliato organizzare il piano del suo assassinio e si era detto che, in fondo, non era una cosa così sconveniente che suo padre fosse così cieco davanti alle sue capacità cognitive. Sarebbe stato molto più semplice sopravvivere se Jan Van Eck avesse continuato a credere di avere un figlio troppo stupido per difendersi.

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Capitolo 2
*** Mi ricordi qualcuno ***


Jesper era in anticipo. Questa sì che era una novità, veramente un evento più unico che raro.
«Tu prendi un po’ troppo alla lettera l’espressione "elegantemente in ritardo”» gli aveva detto una volta Inej.
«Soprattutto la parte sull’eleganza, direi» aveva risposto lui facendole un occhiolino e sistemandosi la giacca.
Eppure quella sera era stato il primo a ritrovarsi davanti al laboratorio dove Kaz aveva dato a tutti loro appuntamento. Subito dopo l’irruzione nell’Anticamera dell’Inferno si erano tutti separati, così sarebbe stato più facile non farsi notare: le ragazze erano rimaste con il fjerdiano sulla barca che le avrebbe condotte al rifugio, Nina si assicurava che il gigante non si svegliasse e Inej era la più brava quando si trattava di muoversi senza farsi notare; Kaz era tornato al Club dei Corvi per recuperare velocemente i documenti che gli servivano; e Jesper invece era andato dritto al punto di incontro prestabilito. L’aria era fredda e non aspettò un momento di più per entrare nel locale, ma quando aprì la porta, non vedendo nessuno all’interno, si chiese se fosse nel posto giusto. Kaz aveva detto che li aspettava l’ultimo membro della banda che aveva messo su per il colpo, ma, come al solito, non aveva aggiunto altro. La luce era soffusa e le uniche cose che Jesper poteva vedere erano un disordine totale sul pavimento, un enorme tavolo da lavoro ricoperto di ampolle e sostanze chimiche, scatoloni e scaffali carichi dei più disparati materiali e nient’altro.
«Ehi? C’è nessuno qui?» Fece un tentativo.
Una testa di capelli scompigliati fece capolino da sotto il tavolo. «Oh… Ciao!» Il ragazzo si alzò di scatto in piedi e gli rivolse uno sguardo sbalordito. Jesper si chiese ancora una volta se fosse nel posto giusto, il ragazzo non sembrava neanche maggiorenne e lo guardava come se non riuscisse a capacitarsi di avercelo davanti. Kaz lo aveva avvertito che sarebbero arrivati tutti lì? «Io non-non… Ciao. Non mi aspettavo di vederti» gli sorrise scostandosi dal viso alcuni ricci ribelli.
«E tu saresti?» Jesper si avvicinò al tavolo ed iniziò a giocherellare con la prima ampolla che si trovò a portata di mano.
«Noi… Noi eravamo…Tu non…?» Il ragazzo balbettò parole senza senso, poi fece un respiro e riuscì ad articolare una frase per intero «Uh, mi chiamo Hendriks».
«No, voglio dire. Perché Kaz ha detto di incontrarci qui?»
«Oh. Credo di… Ehm, essere il vostro nuovo esperto di demolizioni.»
«Tu? Tu hai ancora tutte le dita attaccate». Jesper tornò a guardarlo e non poté che essere scettico. Davanti a lui c’era quello che sembrava un principe dai riccioli morbidi e dalla pelle delicata, sicuramente non aveva l’aspetto di un artificiere con esperienza. Per un attimo si soffermò sugli occhi di un intenso blu. Aveva la sensazione che gli ricordasse qualcuno, ma non sapeva esattamente chi. Forse lo aveva già incrociato in qualche locale del Barile? Se ci fosse andato a letto, se lo ricorderebbe sicuramente.
«Magari è perché sono prudente», rispose stizzito mentre gli toglieva dalle mani la boccetta che si stava rigirando tra le dita distrattamente.
«Prudente è qualcosa che impari a essere quando perdi le dita», Jesper gli sfiorò la mano e lo vide distogliere lo sguardo imbarazzato per quel contatto inaspettato.

Il rumore della porta che si spalancava alle loro spalle catturò la loro attenzione, Kaz entrò nella stanza senza rivolgergli né una parola né uno sguardo. Ma Jesper non se ne sorprese, era semplicemente Kaz che si comportava da Kaz.
«Allora questo novellino dice che è il nostro nuovo esperto di demolizioni» Jesper si rivolse al suo capo come se non avesse davanti la persona di cui parlava «Raske è meglio, o anche Pim».
«Eppure quello che ho assunto è Hendriks», rispose asciutto Kaz.
Jesper si voltò di nuovo verso il ragazzino che nel frattempo si era messo ad applicare etichette sulle ampolle. «Non dovresti laurearti e, non lo so, andare a fare un lavoro d’ufficio?»
Hendriks gli lanciò un’occhiataccia rimanendo in silenzio, fu Kaz a rispondere al posto suo: «Dove pensi che abbia preso tutte quelle bombe negli ultimi mesi? È lui il mio fornitore».
«Ma avrà sedici anni al massimo».
«Ne ho ventidue», questa volta Hendriks rispose alla provocazione.
«Se devi inventare balle, fai in modo che sembrino realistiche», rise Jesper. Sembrava che il ragazzino fosse pronto a rispondere a tono, ma che si stava mordendo la lingua per evitare di far uscire le parole.
Iniziava a diventare divertente per Jesper punzecchiare il nuovo arrivato, aspettava di godersi la sua reazione quando il richiamo di Nina li interruppe: «Un aiutino? Matthias è bello pesante».
«Kaz?» Jesper lo guardò in cerca di aiuto, ma l’unica risposta che ricevette fu l’indice guantato del capo che puntava alla sua gamba debole. «Oh, certo, molto comodo giocare la carta dello zoppo adesso». Kaz fece spallucce.
«Perché è legato?» chiese Hendriks mentre preparava una sedia dove sistemare il corpo privo di sensi del fjerdiano.
«Scoprirai che è più amabile così», rispose Nina con il fiato corto dalla fatica.
«Legatelo stretto. Zenik, tieniti pronta a svegliarlo tra qualche minuto» ordinò Kaz prima di tornare ai documenti che aveva lasciato sparsi sul tavolo.
Inej strinse in fretta i nodi intorno alle caviglie, mentre Jesper si occupò dei polsi. L’adrenalina della giornata gli scorreva ancora in corpo e la stanchezza iniziava a farsi sentire, aveva proprio bisogno di sedersi. Doveva essere così anche per gli altri perché Nina e Inej si lasciarono cadere sul divanetto a fianco a lui. Poco distante Hendriks aveva preso una sediolina e si era avvicinato a loro, se ne stava seduto con la schiena dritta e gli occhi rivolti a Kaz, in attesa. Ogni tanto Jesper si rendeva conto che il suo sguardo si rivolgeva verso di lui, saettava su Matthias ancora incosciente, per poi tornare velocemente a Kaz.
Jesper ruppe il silenzio che andava avanti da una manciata di minuti: «Beh, visto che che Kaz non fa le presentazioni. Inej, Nina, questo è Hendriks, il nostro nuovo esperto di kaboom».
«Lo so, ci conosciamo da qualche mese», Inej si sporse dal divano e sorrise a Hendriks che ricambiò con espressione nervosa. «Ero io a portargli gli ordini per gli Scarti».
«Io invece ti conosco per fama, le voci corrono alla Casa della Rosa Bianca» Nina stava sbocconcellando dei biscotti che chissà da dove aveva preso.
«Che voci?» il tono di Hendriks si fece ancora più ansioso del normale, sembrava davvero agitato.
«Voci che dicono che Brekker lavora con un ragazzino dall’aria innocente che fa bombe decisamente pericolose per quel faccino d’angelo che si ritrova», rispose lei ficcandosi un altro biscotto in bocca con un ghigno di soddisfazione di aver fatto diventare rosa gli zigomi di Hendriks.
«Quindi alla fine sono sempre io l’ultimo che viene a sapere le cose», sospirò Jesper affondando sempre di più tra i cuscini del divano.
«Zenik, ora» Kaz, con la sua solita delicatezza mise fine allo scambio di convenevoli. Nina mandò giù quel che stava mangiando e con un suo rapido movimento delle mani il respiro di Matthias si fece più rapido, le palpebre cominciarono a sbattere alla ricerca di luce.
«Buongiorno, raggio di sole», lo salutò Nina quando lui si guardò intorno.
«Strega», la risposta di Matthias era stata pronunciata con così tanto odio che Nina non riuscì a controbattere. Non era da lei rimanere in silenzio davanti a un insulto, Jesper non poté che meravigliarsi dell’espressione genuinamente ferita che non aveva mai visto sul volto della Grisha, sempre così fiera.
«Certo, non c’è bisogno di ringraziare per averti fatto evadere, figurati», Jesper cercò di sdrammatizzare perché era troppo difficile vedere Nina con quella faccia triste che non le si addiceva affatto.
«Bene, ora che siamo tutti presenti» Kaz li riportò all’attenzione e tutti si concentrarono su di lui. «Un’opportunità si è presentata. Il lavoro più remunerativo che abbiamo mai accettato. Esiste una nuova arma che è stata messa sul mercato. Se viene usata, farà sembrare la distruzione della Faglia come un picnic primaverile. Ogni angolo del mondo ne subirà gli effetti. È una droga chiamata jurda parem. Crea fortissima dipendenza. E se la assume un Grisha, il potere aumenta di mille volte tanto. Il chimico che l’ha sintetizzata, Bo Yul-Bayur, è uno Shu arrivato a Kerch. Quando si è reso conto di quello che aveva creato, era troppo tardi, i fjerdiani l’hanno preso. Adesso aspetta la sua sentenza. Se i fjerdiani usano questa droga come un’arma, le conseguenze saranno inimmaginabili. Tutto quello che conosciamo, tutte le capacità su cui ci appoggiamo, tutto distrutto. Domande?»
Fu Inej la prima a parlare. «In che consiste il lavoro?»
«Far evadere Bo Yul-Bayur dalla Corte di Ghiaccio», rispose Kaz come se non avesse appena detto la cosa più assurda che Jesper avesse mai sentito.
Matthias fece una risata crudele, ma onesta: «Non ci riuscirete mai».
«Per questo abbiamo bisogno di un esperto della Corte di Ghiaccio. Sarai tu a darci le indicazioni per rubare alla tua gente».
«E perché dovrei farlo? Ho già tradito la mia patria per quella strega e guarda cosa ci ho guadagnato».
«Tutti hanno un prezzo».
«Lasciamela uccidere e ti dirò come entrare, demjin».
Nina si guardava i piedi, sembrava che non avesse le forze di seguire la conversazione a testa alta. Jesper si mise a giocare con i suoi anelli facendoseli girare tra le dita per combattere l’impulso di piazzare un pugno sul naso del fjerdiano. Doveva solo tacere e lasciar fare a Kaz, come sempre.
«Posso darti un premio di valore più alto: tornare a casa». Kaz sventolò davanti alla faccia di Helvar il documento che dichiarava il suo rilascio permettendogli di tornare tra le fila dei Drüskelle. «Interpreterò quello sguardo omicida come un “accetto il patto”».
«Chi ci ha assunto?», chiese ancora Inej una volta che la trattativa sembrava conclusa.
«Jan Van Eck», rispose Kaz senza far trasparire nessuna emozione.
Calò il silenzio nella stanza, gli occhi di tutti si cercarono come per chiedere conferma di aver capito bene. Jesper notò gli occhi neri di Kaz fissi su Hendriks, si chiese se non si fidasse ancora abbastanza della nuova recluta e lo stesse studiando per calcolare le sue reazioni e prevedere i suoi pensieri.
«Chi è?» Chiese Matthias, l’unico che non aveva avuto abbastanza esperienza di Ketterdam da conoscere uno dei nomi più importanti della città.
Kaz non aveva mosso un muscolo, teneva ancora gli occhi puntati su Hendriks con quel suo sguardo intimidatorio. «Perché non ce lo facciamo dire da suo figlio?»
Hendriks, che fino a quel momento era rimasto seduto, cercando di occupare meno spazio possibile, si alzò di scatto, rosso in volto. Jesper si chiese se fosse umiliazione o rabbia, ma non poté fare a meno di ridere e godersi la rivelazione, una vera e propria sceneggiata che Kaz aveva messo in piedi.
«Ma certo, sei figlio del Consigliere Van Eck, ecco perché mi ricordavi qualcuno» si rese conto improvvisamente Jesper, spiegandosi così quella sensazione che aveva avuto non appena aveva incrociato il viso del ragazzino. Aveva già visto la faccia di Jan Van Eck in più occasioni, la somiglianza era evidente. Gli occhi blu di Hendriks scattarono verso i suoi e quella volta non c’era modo di fraintendere, quella che gli arrossava le guance era chiaramente rabbia, uno sdegno tale che Jesper non riusciva a capire che cosa avesse detto perché fosse rivolto proprio a lui.
Hendriks tornò a rivolgersi a Kaz con i pugni serrati sui fianchi che tremavano appena. «Quindi è per questo che mi hai assunto, per il mio nome».
«Dovresti essere grato del tuo nome, ti ha salvato la vita. Non ti sei mai chiesto come mai, durante le tue gite notturne al Barile, tu non sia finito morto dissanguato in un vicolo?»
«Kaz ti ha messo dietro la protezione degli Scarti», rispose per lui Inej, che nemmeno per un secondo aveva mostrato un minimo di sorpresa, a differenza di tutti gli altri. Jesper si chiese quanti segreti conservasse per Kaz.
«L’hai sempre saputo?». Chiese ancora Hendriks che cercava disperatamente di sostenere gli occhi spietati di Kaz.
«Non faccio affari con chi non conosco. E sapevo che avere in busta paga il figlio di un membro del Consiglio poteva rivelarsi utile, se mai avessi avuto bisogno di qualcosa come una garanzia su 30 milioni di kruge».
«30 milioni? Mio padre non ha tutti quei soldi».
«Il Consiglio delle Maree sì».
«Se ha messo in mezzo il Consiglio, è una cosa davvero grossa».
«Lo è. Da domani mattina inizieremo con lo studio della Corte di Ghiaccio, grazie al gentile aiuto del nostro simpatico amico fjerdiano,» Matthias rispose con un ringhio basso, «tenetevi pronti a fare rifornimento di tutto il necessario e non parlate a nessuno di questo lavoro. Segretezza assoluta».
Non appena finì di pronunciare la frase, Kaz prese le sue cose e si allontanò verso l’uscita a passo svelto nonostante il bastone. Jesper aveva ancora una marea di domande, ma si disse che poteva aspettare l’indomani mattina. Evidentemente Hendriks non era dello stesso avviso perché Jesper lo vide correre dietro al capo chiedendogli di aspettarlo. Anche se non era esattamente vicino a loro, riuscì a sentire la brevissima conversazione che ebbero.
«Kaz, se sai di mio padre… Conosci il mio nome completo?»
«Certo».
«Perché non l’hai detto davanti a tutti?»
«C’è più guadagno nel mantenere alcuni segreti nascosti. Penso che tu possa essere d’accordo con me».
«Sì…Grazie».
«Perché mi ringrazi? Ti sto usando come ostaggio».
«Sei troppo sveglio per pensare che mio padre possa davvero farsi condizionare da me».
«Tutti hanno almeno una debolezza».
«Io non sono quella di mio padre».
«Staremo a vedere».
«Voglio solo dire… Non contare sull’affetto di mio padre per vincere questo gioco, perderesti».
«Lo sai qual è la cosa più importante per vincere al gioco, Hendriks?»
«Avere fortuna?»
«Barare».
E con quest’ultima battuta Kaz era uscito dal laboratorio lasciando Hendriks interdetto e nervoso. Jesper rimase a guardarlo mentre nella testa gli ronzavano mille domande. Qual era il suo vero nome? Perché non aveva mai sentito parlare di un figlio di Van Eck? E perché diavolo un mercantuccio del genere sapeva costruire bombe e aveva lasciato la sua vita da riccone per andare a vivere nel Barile?
E poi Jesper aveva ancora quella sensazione che non riusciva a giustificare concretamente; c'era qualcosa nel mercantuccio, nel suo modo di parlare controllato, nel suo sguardo intelligente e ingenuo, nel suo modo di muoversi nella stanza come se avesse paura di dare fastidio con la sua sola presenza che gli faceva rimbombare nella testa la stessa frase: "Mi ricordi qualcuno".

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Capitolo 3
*** Diverso, eppure così simile ***


Wylan si rigirava tra le mani la lettera ormai rovinata dal tempo, la carta era tutta spiegazzata e sgualcita sui bordi. Quando aveva deciso di scappare di casa e aveva accettato di lavorare a tempo pieno per Kaz Brekker, sapeva che non poteva portare molte cose con sé.
La prima cosa che prese era il suo flauto. Ovviamente non avrebbe mai potuto rinunciarci, anche perché ne aveva bisogno per recitare la parte del bravo figliolo che si imbarcava per la famosa scuola di musica in cui il suo così misericordioso padre, nonostante tutte le sue mancanze, gli aveva assicurato un posto.
La seconda cosa era sempre parte del suo piano per sfuggire all’agguato del padre, anche se avrebbe preferito che non lo fosse. Dopo la morte di sua madre, tutto ciò che Marya possedeva era sparito dalla casa. Wylan non aveva neanche voluto chiedere a suo padre che fine avessero fatto tutti i dipinti, i pennelli, i vestiti, i gioielli di Marya. Forse, nel profondo, Wylan voleva credere che Jan Van Eck fosse genuinamente addolorato per la perdita della moglie e che si fosse sbarazzato dei suoi possedimenti per non soffrirne troppo l’assenza. Era meno doloroso immaginare che suo padre potesse davvero averla amata, che fosse effettivamente in grado di amare qualcuno. Anche se lo stesso discorso non valeva per il suo figlio difettoso.
Quando Wylan era tornato dagli anni a Novyi Zem, aveva trovato la magione completamente diversa da come l’aveva lasciata. E per quanto avesse cercato in ogni stanza un indizio che Marya fosse effettivamente vissuta lì, l’unica cosa che era riuscito a trovare era stata una spilla. Un cammeo montato in oro che rappresentava Sankta Maradi. Sua madre gli aveva raccontato la storia della santa: Maradi era una donna Zemeni che aveva protetto l’amore di due giovani pescatori, Duli e Baya. Gli innamorati appartenevano a due famiglie rivali, il loro era un amore impossibile, l’unico modo che avevano di incontrarsi era sul molo di Maradi. Quando però i genitori scoprirono che avevano intenzione di fuggire insieme, cercarono di impedirlo distruggendo la barca della ragazza. I due innamorati si cercarono nelle acque tempestose e fu solo grazie a Maradi, che con i suoi poteri rischiarò il cielo notturno, se si ritrovarono.
Wylan adorava quella spilla, anche se sua madre gli aveva detto un’infinità di volte di non giocarci, lui la prendeva di soppiatto dal portagioie e la teneva sotto il suo cuscino. Gli piaceva guardare le linee delicate del viso della santa e i ricci morbidi che le cascavano sulle spalle. Era proprio nella sua camera che l’aveva trovata anni dopo, era finita sotto il letto ad aspettare che qualcuno posasse ancora una volta gli occhi sul suo intarsio prezioso.
La mattina della partenza per Belendt, Wylan si era ficcato in tasca la spilla, l’aveva portata con sé nel caso in cui i soldi non fossero bastati a corrompere i due assassini assoldati dal padre. Aveva pregato Sankta Maradi di non essere separato dall’unica cosa che era rimasta a rappresentare l’amore di sua madre. Ma le preghiere, come spesso aveva potuto notare durante la sua breve vita, poche volte si rivelano utili. E così, per avere salva la vita, aveva rinunciato al cammeo di Marya.
La terza cosa, ancora una volta, era puramente pratica e funzionale al suo piano di fuga. Un cambio di abiti, che fossero abbastanza umili da non farlo notare per le strade del Barile. Subito dopo aver convinto i due brutti ceffi al silenzio, si era nascosto in un vicolo e aveva indossato gli abiti con cui poco dopo si era presentato alla porta del Club dei Corvi.
Le ultime due cose che aveva portato con sé, invece, erano semplicemente sentimentali e non avevano nessuna utilità pratica. Un set piuttosto elegante di pennini e vari materiali per il disegno; ovvero uno dei pochi gesti d’affetto che aveva ricevuto da suo padre negli ultimi anni. Difficile rinunciare a quella piccola illusione che forse, in fondo in fondo, per un breve istante, Jan Van Eck gli avesse voluto bene. E poi una lettera che non aveva mai aperto, sulla quale aveva potuto riconoscere solo il suo nome scritto con una calligrafia vivace e frenetica, esattamente come il suo mittente.

Lo aveva rivisto. Jesper, il bambino in cima all’albero. Il suo primo amico, forse l’unico vero e proprio che avesse mai avuto in tutta la sua vita. Non avrebbe mai potuto immaginare di incontrarlo ancora, completamente diverso, eppure così simile al suo ricordo che lo riconobbe istantaneamente. E come non avrebbe potuto? Aveva ritratto così tante volte quelle labbra dalla forma perfetta, gli occhi grigi sempre socchiusi in un sorriso e il collo lungo ed elegante. L'aveva conosciuto come un ragazzino semplice ed estroverso che lo trascinava a giocare e lo faceva ridere, adesso si trovava davanti un uomo adulto, il playboy pistolero al servizio di Brekker di cui aveva già sentito parlare nelle strade che attraversavano lo Stave Est e Ovest.
Quanti anni erano passati dall’ultima volta che si erano parlati? Dieci, se i suoi calcoli erano esatti. E, a quanto pare, un decennio era la giusta quantità di tempo per cancellarlo dalla memoria di Jesper. Wylan non riusciva a smettere di pensare a quanto Jesper fosse stato importante per lui e a quanto, evidentemente, lui non lo era stato per Jesper.
La lettera di carta leggera era diventata incredibilmente pesante tra le mani di Wylan, lo stesso peso lo sentiva sul petto e gli rendeva difficile respirare. Non l’aveva mai aperta. Che senso avrebbe avuto provarci? L’unica cosa che sapeva era che un giorno l’aveva trovata tra le sbarre dello stesso cancello da cui scappava insieme al suo amico per andare a giocare. Da quel momento in poi, Jesper non si era mai più fatto vedere. E, dopo qualche tempo, Wylan era tornato a Ketterdam per volere di suo padre.
Wylan non sapeva bene cosa fare, adesso che Jesper era di nuovo nella sua vita. Avrebbe dovuto parlargliene? O forse era meglio non rivangare il passato? In fondo Jesper aveva deciso di smettere di andare a trovarlo, probabilmente non voleva più vederlo. Forse era arrivato ad odiarlo, esattamente come suo padre. E allora il fatto che non si ricordasse di lui poteva solo essere un’occasione per ricominciare tutto da capo, per fingere di non essere il ragazzino fastidioso di Novyi Zem. Per non essere più Wylan, ma per essere Hendriks.

 

«Buongiorno, mercantuccio». La voce di Jesper lo colse di sorpresa, immediatamente nascose la lettera nella tasca dei pantaloni pregando che non lo avesse notato.
«Le ragazze sono già andate a recuperare un po’ di roba per il viaggio. Pronto ad andare o sua maestà ha bisogno di più tempo?» Jesper si faceva danzare tra le mani uno dei rotolini di kruge che Kaz gli aveva affidato la sera prima.
Wylan roteò gli occhi al cielo. «Sei tu quello in ritardo, ti stavo aspettando», si buttò la borsa su una spalla e uscì dal laboratorio con passo spedito.
«Sei tu quello che ha bisogno della scorta, farei più in fretta se non dovessi accompagnare il Signorino Sono-troppo-facile-da-derubare». Le gambe di Jesper erano così lunghe che in un paio di passi lo aveva già raggiunto.
«Parole forti per qualcuno che ha bisogno della bambinaia» Wylan ricambiò la presa in giro e rise quando Jesper fece un’espressione offesa. «Hai ancora tutte le kruge, vero?» Jesper rispose con un occhiolino. Wylan cercò di sorridere, ma quello che sentiva era solo apprensione. Jesper era sempre stato un tipo impulsivo, anche da bambino non rifletteva, lui agiva. Ma scoprire che aveva sviluppato una vera e propria dipendenza da gioco d’azzardo era doloroso.
«Allora, ora che siamo solo noi due» Jesper lo stava guardando con lo sguardo impertinente che gli aveva già visto così tante volte in faccia. «Perché diavolo hai lasciato Geldstraat per… Beh, questo?» Chiese con un largo gesto del braccio che abbracciava tutto lo spettacolo demoralizzante che era la strada del Barile in cui stavano camminando. Un mendicante stava rubando dalle tasche di un ubriaco svenuto vicino al canale, una senzatetto era impegnata a scavare in un bidone dell’immondizia alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti, un buttafuori stava cercando di allontanare la carcassa di un topo morto dall’entrata del suo club.
«Ho le mie motivazioni», rispose Wylan evitando lo sguardo indagatore di Jesper che sembrava non avere nessuna intenzione di lasciar perdere.
«Devono essere davvero buone. Cos’è successo? Qualche scandalo? Papino ti ha cacciato di casa perché ti ha beccato a letto con un istruttore privato?»
«Ah, mi piacerebbe essere così interessante. Ma niente scandali, sono desolato» Wylan fece spallucce sperando che Jesper si accontentasse e smettesse con le domande.
«Non ci credo per niente. Quelli che sembrano più innocenti nascondono sempre qualche segreto. Alcuni potrebbero persino non usare il proprio nome. Riesci a crederci, Hendriks?» Jesper lo guardò intensamente mentre marcava con veemenza il suo nome falso. Wylan si irrigidì.
«Hai ascoltato la mia conversazione con Kaz».
«Non avete esattamente bisbigliato».
«Perché ne stai parlando? Vuoi sapere il mio vero nome?»
«Sono solo curioso. Non ho neanche mai sentito che Van Eck avesse un figlio».
«Questo non mi sorprende», la risata di Wylan era tutt’altro che felice. Jesper lo guardò perplesso, ma lui non aggiunse altro. Non aveva davvero voglia di parlare di quanto suo padre si fosse adoperato per fare in modo che tutti si dimenticassero di lui. Anche quando i membri del Consiglio erano ospiti nella magione, lui era tenuto a rimanere in disparte, in silenzio. Certe volte non si accorgevano neanche che lui fosse nella stanza finché uno dei domestici non gli si rivolgeva.
«Okay, ho capito che non mi racconterai niente. Ma dimmi almeno una cosa».
«Va bene, ti concedo una sola domanda», Wylan sospirò esasperato.
«E risponderai sinceramente?»
«Anche se te lo promettessi, come faresti a sapere che non mento?»
«Hai la faccia troppo pulita per dire bugie».
«Non so se prenderlo come un complimento o un insulto».
Jesper rise e Wylan sentì lo stesso calore che aveva dimenticato di provare in continuazione, soli dieci anni prima. Ancora una volta si chiese: come poteva essere tutto così diverso e al contempo così simile?
«Dipende, forse nei bei salotti dell’alta società è un complimento, qui nello Stave è solo inutile. Non serve a niente essere onesti».
«Penso che mi ci dovrò abituare. Allora, questa domanda?»
«Beh, fammi pensare» Jesper si picchiettava l’indice sul mento come se stesse cercando di controllare le ondate di pensieri che gli si accavallavano in testa. «Sicuramente non mi dirai il tuo vero nome, né tanto meno perché sei andato via di casa… Allora dimmi perché “Hendriks”».
«Perché “Hendriks”?» Ripeté Wylan colto alla sprovvista.
«Sì, perché hai scelto proprio “Hendriks”? Potevi scegliere qualsiasi altro nome quando hai smesso di essere un Van Eck. Perché proprio questo?»
«Era… il cognome di mia madre». Le parole gli scivolarono dalla bocca come un sussurro. Non aveva più parlato di lei con nessuno da anni e solo in quel momento se ne era reso conto. Marya, nonostante fosse sempre al centro dei suoi pensieri, non era più stata presente in nessuna conversazione. La realizzazione lo lasciò spiazzato.
«Capisco. È un’ottima scelta». Jesper gli sorrise, ma questa volta non sfoggiava la sua solita espressione beffarda. Gli occhi grigi sembravano malinconici e gli angoli della bocca erano piegati appena. Era un sorriso morbido, ma anche un po’ forzato. Wylan si chiese se provasse pena per lui, se quello fosse il suo modo di consolarlo. Si sentì un po’ patetico.
«Grazie» si ritrovò a rispondere.
«Bene, ora sono soddisfatto» Jesper era già tornato a mostrare la sua tipica leggerezza, gli piazzò una pacca sulla spalla come per mettere un punto alla conversazione. «Dove si va?»
«Io devo andare nel quartiere universitario».
«Cosa diavolo devi fare nel quartiere universitario?»
«Diciamo che… il mio fornitore si trova lì».
«E io che pensavo che il Barile fosse la zona corrotta di Ketterdam. Forse c’è qualcosa che non va nell’acqua di qui». Wylan rise piano. Forse il problema era davvero l’acqua, se fosse stato uno studente avrebbe potuto scriverci una tesi. Chissà se la professoressa Levi avrebbe approvato.
«Allora prima ci fermiamo a comprare le mie munizioni, poi ti accompagno all’università». Wylan aveva risposto con un cenno della testa e lo aveva seguito come meglio poteva, cercando di mantenere il ritmo di quelle gambe così lunghe.

 

Era solo una questione di qualche minuto. Wylan doveva solo entrare dalla porta di servizio della facoltà di Scienze e Tecnologie e filare dritto verso il magazzino del dipartimento. Aveva detto a Jesper che non ci avrebbe messo molto e che si sarebbero rivisti all’entrata del quartiere, lui aveva acconsentito senza fare domande. Il che era strano, conoscendolo, ma in quel momento era utile. Wylan non poteva assolutamente fargli scoprire quanto conoscesse quel posto, avrebbe fatto solo altre domande a cui non avrebbe potuto né voluto rispondere.
Arrivato sul retro dell'edificio era andato tutto liscio, come previsto, la porta era stata lasciata aperta dagli inservienti che uscivano per fumare. Non era consentito accendere fiamme in tutto lo stabile dato che aleggiavano nell’aria sostanze chimiche di ogni genere. Wylan si era infilato velocemente nell’edificio ed era corso fino al magazzino, benedicendo tutti i santi per non aver incontrato nessuno nei corridoi. Anche il magazzino era vuoto, così poté cercare comodamente tutti i materiali di cui aveva bisogno. Nel corso dei suoi studi aveva memorizzato l'intera tavola periodica, ricordava perfettamente i nitroderivati più efficaci e si era appuntato l’ordine esatto in cui le sostanze venivano conservate nel magazzino, così non aveva bisogno di leggere nessuna etichetta. Aveva già iniziato a sistemare nella borsa alcune boccette e fiale, quando alla sue spalle una voce lo fece saltare dallo spavento.
«Signor Hendriks, sono giorni che non si presenta al lavoro. E adesso la trovo qui a rubare?» La professoressa Levi lo osservava con aria severa dalla soglia della porta. Wylan non riuscì a far uscire nemmeno un suono dalla sua bocca. Quella donna riusciva a terrorizzarlo, per quanto fosse una vecchietta inoffensiva.
«Mi faccia vedere cosa ha preso». La professoressa fece un passo in avanti e Wylan istintivamente si ritrasse indietro. Aveva escogitato un piano di fuga, nel caso in cui qualcuno lo scoprisse e avesse bisogno di darsela a gambe, ma non aveva previsto che avrebbe dovuto usarlo contro di lei.
«Professoressa, io... La prego, mi lasci andare», la supplicò Wylan mentre con una mano cercava la fiala che aveva nascosto in caso di emergenza nella manica della sua giacca.
«Hendriks, non mi costringa a chiamare la sicurezza. Lasci immediatamente quello che ha preso ed esca da qui».
«Non posso, mi dispiace.» Ed era vero. Wylan era davvero dispiaciuto quando gettò a terra la fiala, alzò velocemente il bavero per non respirare il fumo che ne era uscito. Vide la sua mentore inalare il gas narcotizzante con espressione sbalordita e perdere velocemente i sensi. Wylan riuscì a prenderla prima che cadesse a terra, la sistemò come meglio poteva sul pavimento. Doveva davvero andarsene, in tutta fretta prese ciò di cui aveva bisogno e se ne andò evitando di guardare il corpo della professoressa inerme sulle piastrelle fredde del magazzino.

Jesper lo aspettava con la schiena appoggiata ad un lampione, giocherelleva con una moneta che si faceva saltare tra pollice e indice.
«Ce ne hai messo di tempo. E perché hai questo odore addosso?» Arricciò il naso in un’espressione disgustata.
«Ho avuto un contrattempo. Su, muoviamoci, siamo in ritardo» Wylan cercò di tagliare corto, non aveva nessuna voglia di raccontare a Jesper di aver messo k.o. l’unica persona in tutta Ketterdam che credeva in lui.
«La storia della mia vita» Jesper fece spallucce e lo seguì a passo spedito.
La strada per tornare al laboratorio fu molto più silenziosa di quanto Wylan si aspettasse. Jesper non disse una parola per tutto il tragitto, l’unica cosa che faceva era gettare occhiate furtive verso ogni vicolo. Sembrava che entrambi fossero troppo presi dai loro pensieri per affrontare una qualsiasi conversazione. Wylan sentiva ancora il panico che gli si scatenava nelle viscere e gli faceva muovere le gambe con scatti nervosi e rapidi. Non riusciva a togliersi dalla testa l’espressione delusa e amareggiata della professoressa. Quando oltrepassò la porta del laboratorio pensò: Questa era la parte facile, aspetta di arrivare alla Corte di Ghiaccio.
Sistemò rapidamente tutto ciò che aveva recuperato sul tavolo da lavoro, poi si lasciò cadere sul divano con un sospiro enorme. Jesper si aggirava per la stanza posizionando le sue cose nella borsa con cui sarebbe partito, finché a un certo punto Wylan non lo vide tornare verso la porta e piegarsi a raccogliere qualcosa dal pavimento. Quando si rimise dritto aveva tra le mani una lettera. Wylan immediatamente si alzò e cercò in tasca, ma la sua lettera era ancora lì dove l’aveva lasciata. Jesper si voltò verso di lui.
«Papino ti ha cercato», gli disse mostrandogli la busta. Wylan riconobbe anche da lontano la cera lacca con lo stemma del Consiglio delle Maree. Sul bordo della busta una calligrafia rigida e spigolosa recitava, probabilmente, “Jan Van Eck”.
Suo padre lo aveva scoperto. Non solo sapeva che era vivo, ma sapeva anche dove si trovava in quel momento. Questo complicava il suo piano di fuga.

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Capitolo 4
*** Lentiggini e carboncino ***


Trigger warning: minaccia di suicidio.

Ancora prima che fosse iniziata l’impresa impossibile di far evadere dalla Corte di Ghiaccio quel pazzo di uno Shu che aveva deciso di inventare un’arma di distruzione di massa, tutto sembrava già andar male.
Quella mattina, mentre Hendriks era andato nel quartiere universitario a recuperare i materiali che gli servivano per creare i suoi esplosivi, Jesper aveva avuto un incontro poco piacevole con uno dei Centesimi di Leone. Non era abituato ad essere messo all’angolo, non aveva fatto in tempo a mettere le mani sulle rivoltelle che era stato sbattuto contro un muro dall’energumeno più grosso al servizio di Rollins. Si era sentito davvero patetico a pregarlo di dargli altro tempo, a promettere che sarebbe tornato da un lavoro fuori Ketterdam con una cifra enorme di lì a pochi giorni. Era stato umiliante, ma in quel momento l’unica cosa a cui riusciva a pensare era la faccia che avrebbe fatto suo papà se avessero perso la fattoria.
Da quel momento in poi, Jesper era stato piuttosto silenzioso. Anche quando aveva trovato la lettera di Jan Van Eck nel laboratorio, era stato zitto. In realtà non aveva fatto in tempo a fare domande perché Hendriks gli aveva strappato di mano la busta ed era uscito in tutta fretta senza dire una sola parola. Dopo un paio d’ore era tornato al laboratorio e aveva passato tutto il tempo a preparare le ultime bombe che potevano essere utili per il viaggio. Non ne avevano più parlato.
Jesper aveva accennato a Kaz della lettera e della reazione di Hendriks, ma il boss si era limitato ad ordinare a Inej di seguire il mercantuccio, per assicurarsi che non ci fosse nessuna riconciliazione dell’ultimo momento tra padre e figlio. Probabilmente non era successo niente del genere visto che quella sera, sul molo, Hendriks era pronto a partire con loro.
Ed era proprio sul molo che Jesper si era reso conto per la prima volta di quanto fosse pericoloso quello che stavano facendo. Era pronto alle sparatorie, al sangue, alle urla. Ma non era per niente preparato a vedere Inej priva di sensi, stesa su un tavolo per giorni e giorni a lottare per sopravvivere. Nina a fianco a lei sembrava infinitamente stanca. Jesper le portava spesso spuntini, ma la grisha non poteva mai davvero distrarsi per troppo tempo o Inej avrebbe rischiato di morire proprio lì, in una nave in mezzo al mare, ancora prima di arrivare al loro obiettivo.
Avrei dovuto fare qualcosa, proteggerla… E se non uscissi vivo da questa pazzia? Tutto questo non sarà servito a niente, lascerò pa’ pieno di debiti e gli toglieranno la fattoria. Non posso permetterlo, lì c’è ma’, non posso davvero permetterlo.
Era difficile ignorare la vocina che gli rimbombava nella testa, ma sulla Ferolind non c’era altro da fare se non pensare e pensare. Jesper non riusciva a fermarsi un attimo, le gambe lo portavano da poppa a prua e viceversa alla ricerca di una qualsiasi distrazione. In quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per dimenticare per un attimo quell’affollarsi di pensieri ansiosi, ma sembrava che nessuno fosse disposto ad aiutarlo. Nina e Inej naturalmente non potevano fare niente per lui, Matthias non era di gran compagnia, passava il tempo a borbottare lamentele in fjerdiano, mentre Kaz se ne stava per conto suo con quello sguardo torvo e aveva smesso di parlare con chiunque da quando Inej era stata ferita.

L’ultimo rimasto era Hendriks, che probabilmente era ancora più nervoso di lui. Se ne stava seduto contro il parapetto, con la testa riccioluta piegata sugli schemi della Corte di Ghiaccio che lui stesso aveva disegnato. Ripassava ossessivamente i progetti mordicchiandosi un pollice.
«Vuoi aiutarmi a ripetere il piano?» Gli aveva chiesto all’improvviso con la testa ancora china sui fogli.
«Ti prego, lo sai già a memoria. Potresti recitarlo al contrario, a testa in giù, con Inej che ti tira coltelli addosso». Jesper si sedette a fianco a lui. «Ho solo bisogno di una qualsiasi cosa per non annoiarmi a morte o giuro che mi butterò dal parapetto prima dell’ora di cena».
«Veramente dobbiamo ancora pranzare». Hendriks aveva finalmente alzato gli occhi dai disegni.
«Scherzi? Credevo fosse già pomeriggio, che ore sono?»
«Le 10.15 del mattino».
«Solo?! Non ne posso più, se lucido ancora una volta le mie pistole diventeranno trasparenti».
«Non è così che funziona il metallo».
«Certo, perché tu sai ogni cosa. Non è vero, mercantuccio?»
«Non c’è nessuno al mondo che sappia ogni cosa, però mi piacerebbe capire come funzionano le tue pistole. Le posso smontare?»
«Stai lontano da me». Jesper portò istintivamente le mani alle fondine per proteggere i suoi tesori.
«Calmo, stavo solo scherzando. Anche se…»
«Anche se?»
«Non ti servono ora. Dammene una, prometto che te la restituisco come nuova».
«Dovrai passare sul mio cadavere». Il mercantuccio rise e Jesper sorrise della novità. Di solito Hendriks se ne stava in silenzio, o con un’espressione corrucciata, preoccupata.
«Ti sono riuscito a distrarre un po’?» Gli chiese appoggiando la testa contro il parapetto, gli occhi blu strizzati per proteggersi dalla luce del sole.
«Se il tuo intento era farmi passare l’ansia, sei riuscito a crearmene un’altra. Adesso andrò in giro con il terrore che tu mi abbia rubato le pistole di nascosto».
«Come sei drammatico». Hendriks roteò gli occhi con un ghigno divertito.
Jesper spalancò gli occhi, trattenne il fiato per un secondo prima di mettersi una mano sul petto con un gesto teatrale e dire con tono indignato: «Drammatico io?!»
Hendriks ridacchiò un’altra volta. Jesper non lo aveva notato prima, ma quei pochi giorni in mare dovevano avergli fatto spuntare più lentiggini. «Va bene, niente disassemblaggio delle tue rivoltelle. Ci rinuncio. Allora cosa suggerisci di fare?»
«Parliamo di quella lettera». Hendriks si irrigidì. Jesper non aveva fatto più domande, ma a questo punto era diventato impossibile ignorare la questione. «Che dice paparino? Tutto bene a casa?»
«Non lo so, non l’ho aperta». Hendriks aveva distolto lo sguardo, era chiaro che non voleva discuterne.
«Non l’hai aperta?»
«No». Hendriks frugò nel suo zaino e tirò fuori la stessa busta che Jesper aveva trovato nel laboratorio. «Vedi? Ancora sigillata».
La ceralacca era effettivamente integra. «E come faccio a sapere che non l’hai richiusa? Basta sciogliere di nuovo la cera quel tanto che basta per chiuderla nuovamente e il gioco è fatto».
«Tu, sicuramente, lo sapresti subito». Era vero, qualunque Durast ci sarebbe riuscito. Gli sarebbe bastato passare un dito sulla cera per rendersene immediatamente conto. Jesper lo sapeva, ma Hendriks non poteva averne idea. Eppure il modo in cui aveva marcato il “tu” gli aveva fatto sentire un dito puntato contro, come se quella fosse una frecciatina diretta proprio a lui.
«Perché proprio io dovrei saperlo?» Jesper si mise istintivamente sulla difensiva. Ogni volta che sospettava che qualcuno sapesse il suo segreto, non poteva farne a meno. Hendriks aveva uno sguardo indecifrabile, ma Jesper sostenne il peso di quegli occhi blu.
«Perché sei un gran ficcanaso». Hendriks gli fece una smorfia e Jesper sentì la tensione allentarsi, le spalle tornare morbide.
«Forse è vero, io l’avrei aperta alla velocità della luce. Non capisco tu come faccia a portartela in giro senza impazzire dalla voglia di aprirla».
«Non avrebbe senso». Hendriks si limitò a fare spallucce. «Puoi averla tu, se vuoi. Io non me ne faccio niente». E senza esitazione gli porse la busta attendendo che Jesper la prendesse.
«Sei sicuro?» Jesper avvicinò la mano cautamente, ma Hendriks si limitò a fare cenno di sì con la testa. Ripose la busta in tasca con delicatezza, più tardi l’avrebbe data a Kaz. Era la cosa più furba da fare.
«Vuoi giocare a carte?» Gli propose Hendriks di punto in bianco.
«Giocheresti a carte con me? Nessuno vuole mai». Ora questa sì che sembrava una distrazione allettante per Jesper.
«Perché?»
«Scoprilo da solo». Jesper fece un ghigno e senza farselo ripetere due volte, tirò fuori dalla tasca interna del suo cappotto il mazzo che portava sempre con sé. Gli occhi del mercantuccio seguivano le sue mani che veloci mescolavano le carte e le distribuivano ora davanti al suo avversario, ora davanti a lui.
«Mi puoi spiegare le regole?»
«Oh, mercantuccio, se me lo chiedi con quella faccia così carina come faccio a dirti di no?» Gli fece un occhiolino e sentì il sorriso allargarglisi sul volto quando le guance di Hendriks si fecero più rosee. Se c’era una cosa che Jesper aveva capito in quei giorni sulla nave era che era davvero spassoso flirtare con il mercantuccio. Non poté resistere alla tentazione di punzecchiarlo ancora un po’. «Che ne dici di strip poker?» Jesper fu molto soddisfatto del rosso intenso che colorava le orecchie di Hendriks.
«Se ci tieni tanto a vedermi senza vestiti, potresti almeno invitarmi a cena fuori, prima». Gli occhi del mercantuccio erano ancora bassi per l’imbarazzo, se possibile le sue guance erano diventate ancora più scure, ma la risposta fece scoppiare a ridere Jesper.
«Eh, ci ho provato». Jesper fece spallucce con un tono scherzoso. «Dai, vieni qui che ti spiego come funziona».

Forse era stato un errore sfidare a carte il mercantuccio. Jesper non aveva idea di come, ma lo stava stracciando. Dopo una prima partita per fargli capire il meccanismo, Hendriks aveva accumulato una vittoria dopo l’altra. La fortuna del principiante iniziava ad essere una scusa poco convincente. Magicamente riusciva a capire ogni volta che Jesper bluffava, non si fermava nemmeno un secondo a rifletterci. Jesper lo osservava da un po’, ogni volta che Hendriks pescava una carta socchiudeva gli occhi per un istante, concentrato. All’ennesima volta che Jesper glielo vedeva fare, gli sorse un dubbio.
«Mercantuccio, ma stai contando le carte?» Gli chiese di colpo.
«Sì», rispose con aria innocente, quel maledetto imbroglione con gli occhioni da cerbiatto.
«Non ci posso credere. Chi te l’ha insegnato?»
«Mh? Nessuno, mi hai spiegato tu come si gioca. Ho solo pensato che se avessi tenuto a mente le carte che erano già uscite potevo calcolare le probabilità delle prossime che sarebbero uscite».
«Questo si chiama imbrogliare».
«Ah, sì? Questo è barare?»
«Certo, è il metodo migliore per farsi cacciare da un club. Santi, ho creato un mostro».
«Allora Kaz sarebbe fiero di me». Hendriks rise soddisfatto.
«Ma come diavolo hai fatto? Meno male che non abbiamo giocato a strip poker o sarei dovuto andare alla Corte di Ghiaccio in mutande». Jesper non riusciva a capacitarsi che quel ragazzino dalla faccetta innocente gli avesse tirato un tiro mancino del genere. «Sei un genio».
«No, non lo sono». Di colpo Hendriks si era incupito, teneva ancora strette tra le mani le carte, ma faceva di tutto per non incrociare lo sguardo di Jesper.
«Smettila di fare il modesto. Quando uno è bravo in qualcosa deve dirlo. Appena ti ho spiegato le regole del gioco mi hai subito battuto. Hai ricostruito completamente la mappa della Corte di Ghiaccio solo con le descrizioni di Helvar, persino Kaz si è complimentato. E poi sai costruire bombe assurde che solo i santi sanno come».
«Non so che farmene, a me neanche piace così tanto la chimica. Sono pessimo come esperto di demolizioni».
«Rincuorante da sentirsi dire subito prima di fare irruzione in una prigione di massima sicurezza». Jesper provò a scherzare, ma Hendriks non sorrise. «Che cosa ti piace allora?»
«La musica, il disegno». Questa volta l’espressione del mercantuccio sembrava ammorbidita. Il solo pensiero doveva avergli fatto tornare un po’ di buon umore. «I numeri e le equazioni mi piacciono, perché… non sono come le parole. I numeri non si mischiano tra loro».
«Se potessi parlare alle ragazze con le equazioni».
Ci fu un silenzio che a Jesper sembrò lunghissimo, gli occhi di Hendriks erano tornati a fissare i suoi. «Soltanto alle ragazze?»
Jesper trattenne un sorriso, con poco successo. «No. Non soltanto alle ragazze».
Il mercantuccio cercava di coprire il viso con le carte, ma Jesper poteva intravedere il rossore delle sue guance. Poi all’improvviso le abbassò e posizionandole davanti a lui disse con tono trionfante: «Scala reale».
Jesper aveva davvero creato un mostro.

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Era stato tutto così improvviso che Jesper aveva avuto l’impressione che il tempo si fosse fermato. Era bastato un attimo, un cambio di prospettiva e di colpo aveva capito.
Erano giorni e giorni che Jesper vedeva gli stessi occhi blu brillanti, gli stessi capelli ricci indomabili, lo stesso sorriso timido, ma solo quando alla Corte di Ghiaccio erano iniziati gli spari aveva finalmente ricollegato i puntini. Istintivamente si era gettato sul mercantuccio per proteggerlo dai proiettili e quando aveva guardato in basso, quelle lentiggini ricoperte di fuliggine della canna fumaria gli avevano immediatamente ricordato le lentiggini sporche di carboncino di Wylan.
Le aveva viste talmente tante volte quando erano bambini. Un giorno aveva notato una serie di carrozze andare e venire dalla villa disabitata poco distante dalla fattoria di famiglia. Jesper aveva solo nove anni ed era curioso di vedere chi si era appena trasferito in quella casa così bella ed elegante, ma mamma e papà gli avevano detto di non disturbare i vicini. Quello a Jesper era sembrato un chiaro invito a sgattaiolare di nascosto fuori, così, non appena i suoi genitori furono distratti dagli impegni giornalieri della fattoria, corse verso la villa. Non si riusciva a vedere molto da fuori, le mura erano troppo alte e una folta siepe separava la casa dall’esterno. Jesper non ci pensò due volte e si arrampicò in fretta sull’albero più alto che c’era lì intorno. Si sporse su un ramo e vide un bambino mingherlino, vestito come un piccolo adulto, con una camicia e un papillon tutti ordinati e puliti. Aveva una testa piena di ricci rossicci e teneva il naso puntato all’insù. Jesper si chiese cosa stesse facendo, poi notò la farfalla che stava seguendo con lo sguardo.
Sembrava solo. Jesper pensò che somigliava al principe imprigionato in un castello della storia che sua mamma gli aveva letto tempo prima. Divennero subito amici. Jes e Wy.
Dopo quel primo incontro non ci volle molto per Jesper per creare una chiave che aprisse il cancello sul retro del giardino. E da quel momento in poi ogni occasione era buona per prendere Wylan per mano e trascinarlo ovunque fuori dalla villa. Il sorriso che gli vedeva stampato in faccia quando varcavano quel piccolo cancelletto era così raggiante che Jesper avrebbe voluto portarlo via per sempre e guardarlo sorridere così per tutta la vita. Passavano il tempo a giocare nei campi di jurda, a rinfrescarsi nel torrente, a sonnecchiare sotto i salici. Wylan ogni tanto portava con sé il suo flauto e suonava per lui. Altre volte invece portava fogli e carboncini e passava il tempo a disegnare ogni cosa che aveva davanti. Le foglie secche che cadevano dagli alberi, le libellule che saltellavano sull’acqua del torrente, le farfalle che si posavano stancamente sui fili d’erba più lunghi e verdi.
Jesper era uno dei suoi soggetti preferiti. Aveva visto spesso i suoi stessi lineamenti sui quaderni di Wylan. I suoi occhi, la sua bocca, le sue mani. Certe volte aveva pensato che se era cresciuto così vanitoso era colpa di Wylan che lo aveva sempre ritratto come fosse splendido. Lo osservava come fosse un meccanismo da comprendere, i suoi occhi blu studiavano ogni sua piccola forma e poi le sue dita sottili correvano veloci sulla carta e Jesper si vedeva riflesso sul foglio.
Quando Wylan era molto concentrato si mordicchiava il pollice. Capitava che a volte non si accorgesse di essersi macchiato le mani con il carboncino e così finiva per ricoprirsi le guance, il mento, il naso di nero. Jesper rideva di lui e con la maglietta cercava di pulirlo, spesso finendo per peggiorare la situazione ed allargare ancora di più le macchie.
Il ricordo era così limpido nella sua mente. Lentiggini e carboncino sul viso di Wylan. Dieci anni dopo aveva rivisto le stesse lentiggini macchiate dal nero della fuligine. Ma stavolta non erano in mezzo a un prato fresco di Novyi Zem, erano sul pavimento gelido della Corte di Ghiaccio, sovrastati dai proiettili, Inej poco più in là, intenta a manovrare il carro armato che da lì a qualche minuto li avrebbe fatti fuggire da quell’inferno.

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Non c’era stato il tempo di elaborare un solo pensiero. Era stato tutto troppo veloce per soffermarsi a riflettere. In qualche modo erano tutti sopravvissuti, a bordo di un carro armato avevano attraversato la città. Nina aveva distrutto l’armata di Brum e se stessa. Per quella che era sembrata un’eternità c’era stato un chiasso insopportabile, urla, spari, panico. Ma adesso che erano salpati e attorno a loro c’era solo il mare, il silenzio era ancora più assordante. Adesso che finalmente Jesper aveva un attimo per pensare, nella testa gli rimbombavano solo il senso di colpa e la confusione.
Nina si era sacrificata per tutti loro e lui l’aveva lasciata fare. Jesper era un grisha tanto quanto lei, avrebbe potuto essere lui quello a mettersi in pericolo. Eppure adesso era Nina quella che rischiava di non sopravvivere alla droga. Il ponte della Ferolind era vuoto e Jesper si sentiva solo, ma non sarebbe mai stato desolante come la cabina in cui Nina stava rinchiusa a urlare di dolore. Probabilmente Matthias era lì a tenerle stretta la mano, questo almeno un po’ lo consolava.
E poi c’era Wylan. Non si riusciva a capacitarsi di essere stato così cieco per così tanto tempo. Dal primo momento in cui l’aveva visto aveva percepito qualcosa in lui, un sentore che ci fosse qualcosa che avrebbe dovuto intuire, ma non era riuscito a dargli un nome. Adesso il nome ce lo aveva: Wylan. Ne era sicuro, era lui. Ma allora perché non aveva detto niente? Anche Jesper non era stato riconosciuto?
Sentiva il bisogno di parlarne con qualcuno, di raccontare tutto. Sapeva che avrebbe dovuto aspettare, erano tutti stremati dall’impresa, ma sentiva che se fosse stato fermo ancora un secondo sarebbe esploso. Su quella nave c’era una sola persona che lo avrebbe ascoltato, così si diresse verso l’infermeria dove Inej si stava medicando. Non avevano più la loro grisha per guarirla, ma le sue ferite dovevano essere trattate e le medicine avrebbero fatto il loro lavoro, per il momento.
Jesper stava già schizzando verso la sua meta, quando da sottocoperta sentì la voce di Wylan: «Kaz, devo parlarti». Lo vide infilarsi nella cabina del capitano e chiudersi la porta alle spalle con un tonfo.
Non era il suo solito tono. Soprattutto non davanti a Kaz. Jesper si sarebbe aspettato un “posso parlarti” pacato e cauto, ma quello sembrava quasi un ordine e suonava così strano nella bocca di Wylan.
Jesper era stanco di pensare così tanto, perciò fece quello che gli riusciva meglio: agì. Si avvicinò a larghi passi alla porta e delicatamente la aprì di quel tanto che bastava per farci passare attraverso le voci e farle arrivare fino alle sue orecchie.
«No, non allungherò la rotta per te. E poi ci servi a Ketterdam per l’incontro con Van Eck. Dopo potrai andare dove ti pare per quello che mi interessa». Sembrava che avessero già iniziato a discutere. La voce di Kaz era stanca e rauca, ma non aveva abbandonato la minaccia che c’era sempre celata dietro.
«Devi ascoltarmi, non funzionerà usarmi come leva contro mio padre», Wylan lo stava praticamente supplicando.
«Questo me lo hai già detto, ma non scarto un asso nella manica perché un ragazzino fa i capricci». Kaz non sembrava cedere minimamente davanti a quel tono implorante.
«Kaz, ti prego, fammi scendere a Novyi Zem». Jesper sentì il cuore mancare un battito quando sentì Wylan pronunciare il nome di casa sua. O forse era meglio dire casa “loro”.
«Ti illudi di pensare che qui ci sia margine di contrattazione, ma ti ricordo che tu sei praticamente un ostaggio. Non hai potere decisionale».
«Ho fatto la mia parte, lasciami andare. Non posso fare più niente per voi e a Ketterdam non ci posso tornare».
«Non sono conosciuto per essere una persona paziente e, se non fossi necessario al piano, a questo punto ti avrei già buttato in mare».
«Fallo. Preferisco essere un naufrago che rivedere… mio padre». C’era quasi una nota di disgusto e paura in quell’ultima parola.
«Se odi così tanto tuo padre, perché hai accettato un lavoro commissionato da lui?»
«Perché avevo bisogno di soldi! Come tutti qui!» Wylan sbottò. Jesper riusciva a percepire la sua frustrazione nel modo in cui gli tremolavano in gola le parole. «E poi non è che avessi tanta scelta, no? Sono il tuo ostaggio».
«Tu non hai bisogno di soldi, torna a casa dal paparino e ne avrai quanti ne vuoi».
«Tu non capisci!» Wylan sembrava sull’orlo del pianto.
«Mi pare che sia tu quello che non capisca». Kaz fece una leggera pausa, Jesper udì qualche passo che si avvicinava e trattenne il fiato. «Ho letto la lettera».
Un’altra pausa, questa volta più lunga. Poi Wylan sussurrò appena: «Che cosa dice?»
«Quindi davvero non l’hai letta».
«Che cosa dice?» Ripeté Wylan, questa volta con un chiaro singhiozzo.
Jesper sentì un rumore di carta. Immaginò perfettamente le mani guantate di Kaz mentre spiegava la lettera e recitava: «”Figlio mio, se stai leggendo, allora sai quanto desideri riaverti a casa. Soffro immensamente a saperti lontano. Prego che tu legga queste mie parole e ti renda conto di quello che ti sei lasciato alle spalle. Nessun padre vorrebbe un figlio che non risponde alle sue lettere, scrivimi presto e fammi sapere quando tornerai. Ti aspetterò ogni giorno nella speranza che tu sia sano e salvo, con affetto tuo padre, Jan Van Eck”» Kaz si fermò per qualche istante prima di chiedere: «Commovente, non è vero?»
Se c’era qualcosa che Jesper non si aspettava di sentire in quel momento era la risata amara che uscì dalla bocca di Wylan. «Riesce sempre a essere così crudele», disse con un sospiro rassegnato. «Kaz, ti sto implorando. Lasciami scendere a Novyi Zem».
I passi cadenzati dal bastone di Kaz si fecero sempre più lontani, finché Jesper non sentì il rumore di una sedia che veniva spostata. «Sono francamente stanco di sentirtelo ripetere. Tu che ne pensi, Jes? Dovrei dargli una scialuppa e lasciarlo al suo destino?»
Jesper si immobilizzò. Lo doveva immaginare che Kaz si sarebbe accorto di lui, probabilmente lo sapeva fin dall’inizio. Sospirò ed entrò in cabina sotto lo sguardo atterrito di Wylan e quello indifferente di Kaz.
«Perché Novyi Zem?» Jesper cercò gli occhi di Wylan, ma quello, appena si era ripreso dalla sorpresa, aveva nascosto il viso. Si potevano ancora intravedere il naso e gli occhi arrossati dalle lacrime silenziose che gli dovevano essere scese negli ultimi minuti.
«Che ti importa?» Gli aveva chiesto lui.
«Wy…» A sentire il soprannome di tanti anni prima Wylan si era voltato di scatto verso di lui con gli occhi sgranati. «Perché vuoi tornare a Novyi Zem? Da chi vuoi tornare?»
Il silenzio era durato un istante, poi era corso verso Jesper e gli aveva intrecciato le braccia intorno al busto. «Da quanto lo sai?» La domanda arrivava attutita da contro il suo petto, dove Wylan aveva nascosto il viso.
«Poco». A Jesper venne spontaneo posare le mani sulla sua schiena e stringerlo a sua volta. «Tu lo sapevi? Perché non hai detto niente?»
Ma Wylan non rispose. Passarono svariati secondi prima che Jesper sentisse la presa di Wylan farsi più lieve per poi staccarsi all’improvviso. Con un rapido movimento si era allontanato da lui di un paio di metri, ora si trovava contro un angolo della stanza e si stava puntando contro la tempia una rivoltella. Le mani di Jesper guizzarono verso le fondine. Una delle due era vuota.
«Wylan, fermati! Che stai facendo? Mettila giù!» Il panico lo fece urlare.
«Fammi scendere dalla nave vivo, o a Ketterdam mi dovrete riportare morto». Wylan aveva gli occhi puntati su Kaz, non prestava alcuna attenzione a Jesper.
«Se ci tieni così tanto a morire». Manisporche fece spallucce. Lo guardava come fosse una scocciatura in più a cui badare.
«Io non voglio morire. Ma se mi riconsegnerai a mio padre sarà lui a farmi fuori. E allora tanto vale che mi ammazzi prima io. Se me ne devo andare, preferisco farlo da solo». Era evidente che Wylan fosse fuori di sé e Jesper sapeva che una persona spaventata può prendere decisioni insensate.
«Wy, smettila», cercò di attirare la sua attenzione.
«E tu ne saresti soddisfatto?» Chiese Kaz, aveva l’aria di qualcuno genuinamente curioso.
«Soddisfatto?» Wylan sembrò rifletterci.
«Pensi che così gli toglierai il piacere di farlo con le sue mani? Che cambierebbe? Se tuo padre ti vuole morto e ti uccidi, fai solo il suo gioco. In ogni caso vince lui».
«Kaz, per i santi. Basta giochetti, fermalo».
«Taci, Jesper». Gli occhi neri di Kaz lo incenerirono prima di tornare su Wylan. «Io ho una proposta migliore da farti, mercantuccio. Collabora un’ultima volta con me, ti prometto che sarà molto più piacevole che spiaccicare il tuo bel cervello sulle pareti della mia cabina».
Wylan era così concentrato sulle parole di Kaz che per un attimo Jesper notò l’esitazione delle sue dita sul grilletto. In un battito di ciglia agì; si avventò su Wylan e con un gesto veloce toccò la rivoltella: il tamburo si aprì e tutti i proiettili caddero ai loro piedi. Wylan immediatamente cercò una via di fuga, ma Jesper fu più svelto e lo bloccò prima che potesse fare altri danni.
«Jes… Lasciami…» Wylan aveva il fiato spezzato dalla sua stretta, ma Jesper non aveva alcuna intenzione di allentare la presa.
Kaz aveva accorciato le distanze tra di loro, adesso si trovava a un passo dal naso di Wylan. «Ascolta che cosa ho da proporre. Un ultimo patto, poi sarai libero di fare quello che vuoi della tua inutile vita».
Wylan aveva rinunciato a divincolarsi, troppo stanco per reagire fissava Kaz in silenzio, finché dopo un lungo sospiro non disse: «Matthias ha ragione. Sei un demone».
La bocca di Kaz si piegò per un attimo in quel suo ghigno che faceva rabbrividire tutto il Barile. «Jesper, lascialo», gli ordinò alzando gli occhi sui suoi.
Jesper mollò la presa cautamente, si aspettava qualche reazione, ma Wylan non fece nulla. Lo vide rilassare le spalle e riempire i polmoni d’aria. Solo in quel momento riuscì a rilassarsi a sua volta e a tornare a respirare regolarmente.
«Prova ancora a fare una scenata del genere e sarò io a togliere la soddisfazione di ucciderti a Jan Van Eck. E ti prometto che tra noi tre sarei il meno misericordioso». Kaz guardava Wylan senza tralasciare nessun sentimento. Jesper si chiese come fosse possibile riuscire a mantenere quella faccia impassibile in ogni situazione. Poi Kaz alzò lo sguardo glaciale verso di lui: «Esci. E questa volta fa’ in modo che la porta sia chiusa per bene».
A quella minaccia Jesper uscì dalla cabina, gettò un ultimo sguardo a Wylan che tremava, ma non riuscì a incrociare i suoi occhi, li teneva bassi sul pavimento. Quando Jesper chiuse la porta come gli era stato ordinato si rese conto che anche le sue mani tremavano appena. Fece un respiro profondo. Aveva davvero bisogno di bere qualcosa di forte.

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Capitolo 5
*** Tra il mare e le stelle ***


Nel momento esatto in cui Jesper si era chiuso la porta alle spalle, Wylan aveva sentito le gambe farsi deboli, la testa aveva iniziato a girare. Rimanere in piedi sembrava un’impresa impossibile. Fino a quel momento aveva agito d’istinto, ora che si era fermato sembrava che il peso di tutte le parole che erano state dette, di tutte le azioni che erano state fatte, gli fosse ricaduto addosso e lo stesse trascinando sul pavimento. Sentì il collo inumidirsi di sudore, il tremito alle mani farsi più spasmodico e la nausea impadronirsi di lui. Si portò una mano davanti alla bocca e sentì sulle dita l’odore del metallo, come se la rivoltella fosse ancora lì. Il fiato gli si fece sempre più corto, sapeva che il suo corpo stava per cedere al panico.
«Vedi di non sporcarmi il pavimento», Kaz gli avvicinò un secchio con un colpo deciso del suo bastone.
Wylan non riuscì più a trattenersi, umiliato cadde sulle ginocchia e vomitò aggrappandosi disperatamente al secchio. I conati si susseguivano, era come se il suo corpo stesse cercando di scappare da se stesso, troppo terrorizzato per rimanere attaccato al resto di lui. Non era la prima volta che sentiva quella sensazione angosciante; le palpitazioni violentemente rumorose nei suoi timpani, lo stomaco furioso e la pelle ricoperta di brividi.
Aveva studiato in biologia quale fosse la funzione dell’adrenalina: un ormone che, una volta rilasciato in circolo, aumentava la frequenza cardiaca, restringeva il calibro dei vasi sanguigni, dilatava le vie aeree bronchiali, insomma, preparava tutto l’organismo a difendersi dalla minaccia. Rendeva il corpo una macchina pronta a reagire. Tuttavia, sapere tutte queste cose non lo aveva minimamente preparato a come si sarebbe sentito dopo che l'adrenalina avrebbe smesso di circolare. Wylan aveva presto scoperto che quella era la parte peggiore.
Era successa la stessa cosa subito dopo che era scappato dai due assassini che suo padre aveva assunto. Nel vicolo in cui si era nascosto, aveva liberato lo stomaco tra i singhiozzi e i tremori. Prima di allora credeva che il momento in cui si rischiava di morire fosse il più spaventoso, ma lì aveva compreso che sopravvivere e ricordare lo spavento di essere scampato alla morte era ancora peggio. Sperava di non dover sperimentare mai più quella sensazione del panico puro della consapevolezza. Eppure eccolo lì, ancora una volta in ginocchio a vomitare e piangere, ma ora di fronte al Bastardo del Barile in persona.
Quando finalmente alzò la testa dal secchio, la mano di Kaz gli stava porgendo un fazzoletto. Wylan non riuscì a capire se quello che leggeva nei suoi occhi era disgusto o indifferenza.
«Grazie», riuscì a dire con la voce spezzata e affaticata.
«Sei stato decisamente poco credibile come aspirante suicida», rispose glaciale Kaz. «Dovresti lavorare sulla tua capacità di bluffare».
Wylan sapeva già di essere un pessimo bugiardo, ma sapeva anche che, poco prima, era sinceramente convinto di preferire piantarsi un proiettile in testa piuttosto che darne occasione a suo padre. Nonostante ciò, era evidente anche per lui che non ne avrebbe mai realmente avuto il coraggio, era troppo attaccato alla vita per rinunciarci.
«Te l’ho già detto. Io non voglio morire», cercò di rimettersi in piedi, barcollando un po’.
«Non mi basta che tu abbia troppa paura per spararti in testa», Kaz lo guardava dall’alto in basso e Wylan si sentì arrossire, mortificato da quello sguardo sdegnoso, perché aveva ragione: non era abbastanza forte per premere quel grilletto. «Se è vero che ci tieni a vivere, dimostramelo. Dimostrami di non essere solo un piccolo scarafaggio terrorizzato dallo stivale che sta per calpestarlo».
«Che cosa vuoi da me?»
«Abbiamo bisogno di una leva con Van Eck e, se tu sei davvero sicuro che la vita del suo amato figliolo non basti…»
«Lo sono». Wylan cercò di mantenere il tono il più composto possibile, voleva che Kaz capisse che non mentiva, né tanto meno esagerava.
«Cosa te lo fa dire con così tanta certezza? La lettera-»
«Io non so leggere», Wylan lo interruppe prima che potesse citare ancora quel che suo padre aveva scritto. Sentiva le guance avvampare, le parole erano uscite dalla sua bocca con decisione, ma la voce si fece sempre più flebile davanti al silenzio di Kaz. «Io… Non posso proprio, non ne sono capace. E mai lo sarò. Mio padre mi odia per questo, perché sono un figlio deficiente che non potrà mai ereditare i frutti del suo grande lavoro. Quella lettera l'ha scritta solo per umiliarmi e ricordarmi che non mi vorrà mai bene perché sono… difettoso». Respirò a fondo prima di continuare, poi con un sorriso amaro concluse: «Ma adesso, grazie a Ghezen, c’è un nuovo erede in arrivo, si può liberare di me».
«Stento a credere che un padre possa essere così spietato», finalmente Kaz parlò.
«Posso assicurarti che appena ne avrà occasione tenterà di uccidermi».
«Chiamami sentimentale, ma non riesco proprio a immaginarmi un padre che fa fuori un figlio per un motivo così futile».
Wylan rimase interdetto. Non si aspettava la comprensione di Kaz, era già sorpreso che non gli fosse scoppiato a ridere in faccia non appena aveva confessato la sua mancanza. Ma adesso, scoprire che il Bastardo del Barile fosse più magnanimo del suo stesso padre, che il famigerato Manisporche lo ritenesse degno di vivere nonostante il suo difetto, mentre un uomo rispettabile con Jan Van Eck fosse disposto a macchiarsi le mani dell’omicidio del suo stesso figlio per lo stesso motivo, era una scoperta inaspettata. Non sapeva bene come reagire, era la prima volta che ammetteva a qualcuno di non saper leggere e Kaz l'aveva definita una cosa “futile”, come se non fosse una carenza gravissima. Era la prima volta che la vedeva da quella prospettiva.
Nonostante la realizzazione che, forse, lui non era così deprecabile come suo padre gli aveva sempre fatto credere, Wylan sapeva che per Jan Van Eck nulla sarebbe cambiato. Non sarebbe mai stato della stessa opinione, non c’era speranza che lo accettasse con la stessa semplicità di Kaz.
«Sono pronto a scommetterci i miei 4 milioni», rise appena, anche se non era affatto divertente.
«Ho già in squadra uno scommettitore che perde tutti i suoi soldi, non me ne serve un altro», Kaz fece un gesto eloquente verso la porta dove poco prima era sparito Jesper. «Però ci sto, sono disposto a giocarmi un centinaio di kruge che Van Eck non avrà il fegato di ammazzare suo figlio a sangue freddo solo perché non è come lo voleva».
«Come vuoi», Wylan gli tese la mano e subito quella guantata di Kaz la strinse.
«In ogni caso, se Jan Van Eck è davvero immune agli affetti familiari, useremo qualcosa a cui sappiamo che tiene davvero: i soldi». Il ghigno sulla faccia di Kaz avrebbe fatto rabbrividire il ghiaccio stesso.
«Spiegati, qual è il tuo piano?»
«Fatti modificare da Nina».
«Cosa? Perché?» Tra tutte le cose che poteva ordinargli, Wylan non si aspettava questa. Eppure Kaz sfoggiava quell’espressione che aveva sempre stampata in volto quando stava tramando qualcosa di grosso.
«Nina ti farà identico a Kuwei Yul-Bo, sarai la nostra esca. Ti daremo a Van Eck spacciandoti per lui, così, quando sicuramente cercherà di non rispettare i patti, non avrà alcun potere su di noi perché avremo il vero Kuwei ben nascosto».
«Pensi che funzionerà? So che la parem fa fare ai grisha cose impensabili, ma Nina può davvero modificare così tanto i miei connotati?»
«Suppongo che lo scopriremo presto, se sei disposto a rischiare». Kaz fece una piccola pausa, con gli occhi puntati su Wylan pronti a studiare ogni minima reazione, aggiunse: «Potrebbe essere permanente.»
Wylan tacque. La mente gli si aprì alle possibilità, stava cercando disperatamente di vagliare qualsiasi altra opzione, ma questa sembrava davvero la migliore. Dopo l’inganno a suo padre avrebbe fatto comodo non avere più la sua faccia. Con un nuovo aspetto avrebbe più facilmente potuto abbandonare il suo passato per sempre, nessuno lo avrebbe mai più potuto riconoscere come Wylan Van Eck, nessuno lo avrebbe mai potuto ricollegare alla sua famiglia. Sarebbe stato il modo migliore per ricominciare la sua vita, lontano da Ketterdam, spacciandosi per uno Shu qualsiasi. Ma avrebbe davvero rinunciato ad essere se stesso, se il prezzo era la libertà?
Wylan stava ancora ragionando, quando Kaz ruppe il silenzio: «Sono il demone a cui hai già venduto l’anima, no? Dammi anche tutto il resto e il patto sarà completo».
Con un sospiro di rassegnazione, Wylan rispose: «Spero davvero che questa follia funzioni».
«Funzionerà». Per un istante baluginò sul volto di Kaz un ghigno soddisfatto, Wylan pensò che fosse ancora più terrificante della sua espressione intimidatoria. «Ora basta chiacchiere, non sappiamo per quanto tempo ancora Nina avrà in circolo la parem. Va’ da lei e prega che quando io torni non riveda la tua faccia, ma una copia di quel piccolo chimico di uno Shu».
Wylan gli volse le spalle ed uscì dalla stanza, incredulo di quel che aveva appena accettato di fare.

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Wylan sbatté piano le nocche sulla porta, nel giro di qualche istante si ritrovò davanti Matthias che copriva con tutta la sua altezza quel poco della stanza che si poteva intravedere.
«Che vuoi?» Il tono del fjerdiano lasciò Wylan immobilizzato, sembrava un animale che difendeva la sua tana, come se ci fosse un cucciolo ferito dentro. E forse effettivamente era così che si sentiva in quel momento Matthias. Wylan non trovava le parole per spiegare quello di cui aveva bisogno: come poteva chiedere aiuto a Nina dopo quello che aveva già fatto per tutti loro a Djerholm? Se erano vivi era solo grazie a lei.
«Facci entrare, ci serve Nina». Kaz era appena arrivato alle sue spalle, subito dietro di lui c’era Kuwei con un’espressione confusa.
«Vattene, demjin», Matthias aveva tentato di richiudere la porta, ma il bastone di Kaz ci si era infilato con un gesto talmente veloce che Wylan non se ne era neanche reso conto.
«Apri. Non possiamo rimandare, ci serve adesso che è ancora sotto gli effetti della parem».
«Non ha già fatto abbastanza per te? Nina potrebbe non sopravvivere a quello schifo di veleno Shu, che altro vuoi da lei? Vattene, finché te lo chiedo gentilmente». Gli occhi chiari di Matthias non ammettevano repliche, ma quelli scuri di Kaz non sembravano subire alcun effetto.
«Matthias, calmati». La testa di Nina spuntò da sopra la spalla del fjerdiano. «Puoi andarmi a prendere un po’ d’acqua, per favore? Sto morendo di sete».
«Nina…» Cercò di argomentare lui, per niente convinto.
«Per favore, Matthias». La voce di Nina suonava dolce e Wylan lesse immediatamente il cambiamento nel volto del ragazzo. Ma l’espressione ammorbidita durò poco, Matthias ritornò in fretta ad aggrottare le sopracciglia. Fece un grugnito di disapprovazione ed uscì dalla stanza lasciando libero il passaggio. Era bastato così poco ad addomesticare il lupo? "Vera e propria stregoneria", pensò Wylan.
«Che ti serve?» Nina aveva già abbandonato il tono mellifluo quando si rivolse a Kaz qualche istante dopo. Wylan la osservò meglio, era evidente che stesse cercando di mascherare la stanchezza. La pelle era pallida e umida di sudore, le occhiaie erano profonde e le pupille talmente dilatate da lasciare pochissimo spazio alle iridi verdi.
«Modificalo». Kaz diede una piccola spinta a Wylan per farlo avanzare verso la grisha. «Fa’ in modo che siano identici».
«Stai scherzando?»
«Ho mai scherzato, Zenik?»
«Beh, questa deve essere la prima volta perché non puoi essere serio». Nina lo guardava alla ricerca di una conferma. «Kaz, non posso farlo. Non puoi costringerlo a-»
«Non mi sta costringendo», Wylan la interruppe. «Ho dato il mio consenso».
«Hendriks, sei sicuro di aver capito che significa? Potrebbe non esserci modo di tornare indietro»
«Lo so. Sono sicuro». Tentò di esprimere tutta la determinazione che aveva, a quel punto forse era più giusto chiamarla “disperazione”.
«Un attimo. Aspetta», si intromise Kuwei che fino a quel momento non aveva dato segni di seguire la conversazione, ma ora gli aveva posato una mano sul petto, come per fermarlo dalla sua avanzata. «Tu fai questo per salvare me?»
«No, non per te. Non sono così altruista».
«E allora perché tu fai questo?»
«Abbiamo bisogno di un’esca, serve a tutti a noi per uscirne vivi. Noi due abbiamo una corporatura simile, la stessa altezza. Sono la scelta più sensata».
«No, io intendo dire… Non so come si dice… » Kuwei disse qualcosa in Shu rivolgendosi a Nina che annuì per confermare di aver capito.
«”Non saltare nel buio se non hai gli occhi del gatto”», tradusse per Wylan. «È un modo di dire Shu. Significa che non dovresti tentare una sciocchezza che non sai dove ti potrebbe portare».
«Sì, io volevo dire questo», confermò in fretta Kuwei.
«Kuwei ha ragione, sai? Questa è una follia, non devi per forza farlo. Sono sicura che ci sia un’altra soluzione».
Ma Wylan non retrocesse, ormai era sicuro della scelta che aveva fatto ed era stanco di dover convincere anche gli altri. «Questa è la migliore opzione che abbiamo contro mio padre, è l’unico potere che possiamo avere su di lui».
«Hendriks…» Provò ancora Nina.
«Wylan», la corresse d’impulso.
«Come?»
«È il mio nome. Quello vero». In quel momento Wylan pensò che l’unica cosa autentica che sarebbe rimasta di lui poteva essere il suo nome, ora che stava per rinunciare alla sua faccia.
«Grazie per avermelo detto, Wylan», gli sorrise Nina. «Ti si addice, è un bel nome».
«Grazie», rispose un poco imbarazzato per il complimento.
Per un brevissimo istante Wylan si era sentito felice di sentire il suo nome pronunciato da Nina, finché Kaz non aveva battuto l’indice sull’orologio che aveva al polso: «Se avete finito con le smancerie, ci sarebbe un lavoro urgente da fare».
«Okay, okay. Placati, ora mi metto al lavoro», lo zittì scocciata la grisha. «Sedetevi qui, uno a fianco all’altro così posso vedervi per bene. Kaz, chiuditi la porta dietro quando esci, non far rientrare Helvar o cercherà di impedirmi di usare i miei poteri».
La serratura della porta che girava fu l’ultimo rumore che Wylan udì prima di chiudere gli occhi e lasciare che le dita di Nina gli sfiorassero ogni centimetro del viso. Cercò di sgombrare la mente, ma nel buio delle sue palpebre serrate rivide Jesper. Sembrava passata un’eternità da quando, abbracciandolo, aveva nascosto il viso nel suo petto. Finalmente era stato riconosciuto, Jesper aveva ricordato chi era. Fino a quel momento non si era reso conto di quanto lo avesse desiderato. Ironico che adesso non lo avrebbe potuto più fare, ancora una volta sarebbe diventato solo un nuovo volto sconosciuto per lui.

 

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Il processo non era stato lungo. La pelle gli aveva pizzicato per qualche minuto, gli occhi si erano seccati appena e aveva sentito il cuoio capelluto prudere, ma solo per un po’. Tutti quei lievi fastidi erano però spariti in fretta. Era stato tutto così veloce e leggero che Wylan si era chiesto se avesse davvero funzionato. Ma non gli servì uno specchio per averne la conferma.
Non appena aveva riaperto gli occhi e aveva incrociato lo sguardo di Nina, aveva notato che il sorriso che gli stava rivolgendo era forzato, lo guardava con apprensione, quasi come se gli stesse silenziosamente chiedendo scusa. Kuwei, ancora seduto al suo fianco, non riusciva a smettere di fissarlo. Doveva essere strano vedere la sua stessa faccia sul corpo di una persona che conosceva a malapena. Non bastavano Nina e Kuwei ad osservarlo con così tanta insistenza, presto la porta a cui Matthias già bussava da un po’ venne aperta e immediatamente dietro di lui Kaz e Inej entrarono nella stanza.
Gli occhi di tutti erano puntati su di lui, per Wylan era impossibile non sentirsi in soggezione. Matthias con l’espressione ancora più contrariata del solito, Inej stupita, forse un po’ preoccupata e poi Kaz con il suo sguardo cinico e calcolatore. Per diversi secondi, tutti erano così intenti a studiare la sua faccia da dimenticarsi di parlare.
«Ottimo lavoro, Zenik». Kaz aveva spezzato il silenzio per primo. «La parem fa davvero miracoli».
«Se la parem ti fa fare complimenti, posso confermare che fa davvero miracoli», rispose Nina prima di lasciarsi cadere su una sedia. Doveva essere veramente esausta, Wylan sospettava che le fosse salita la febbre per quanto era alta la temperatura delle sue mani quando l'aveva toccato durante tutto il corso della modifica.
«Andate tutti a riposarvi adesso. E mi raccomando: non fatene parola con Jesper. Ne va della riuscita del piano», ordinò Kaz prima di uscire dalla stanza, seguito da Inej che si era congedata con un piccolo cenno del capo e una buonanotte appena sussurrata.
Questo punto del piano aveva lasciato Wylan perplesso. Credeva che Kaz si fidasse di Jesper, era il suo braccio destro da anni. Non capiva perché fosse così importante tenerlo all’oscuro, ma in fondo quella per lui era un’ottima scusa per evitarlo. Non aveva idea di che cosa gli avrebbe detto dopo quella sera. Si era sentito così vulnerabile e patetico. Non aveva le forze di confrontarsi con lui, quindi avrebbe obbedito alle direttive di Kaz senza obiezioni.
Wylan si rivolse a Nina che, visibilmente esausta, si reggeva a fatica sulla sedia: «Nina, io volevo… Grazie per tutto quello che hai fatto oggi».
Lei gli aveva sorriso, ma non sembrava convinta. Wylan si vergognò di averle costretta a fare qualcosa che l’avesse messa a disagio. Era evidente che lei non approvava quella scelta, ma aveva eseguito comunque il lavoro e aveva dato il meglio di sé nonostante le condizioni in cui si trovava.
«Adesso andatevene, Nina deve riposare». Matthias si era intromesso e guardava Wylan e Kuwei con rimprovero. Non se lo fecero ripetere due volte, uno dopo l’altro diedero la buonanotte ed uscirono dalla stanza.
Wylan era già pronto a buttarsi su una qualsiasi brandina e abbandonarsi al sonno, ma prima che potesse fare un passo si sentì afferrare per il braccio. Kuwei, che non aveva smesso per un istante di fissarlo, adesso lo stava trattenendo.
«Che c’è?» Chiese Wylan, involontariamente brusco a causa della stanchezza.
«No, scusa… Io… Hanno tutti sempre detto che io molto simile a mio padre». Kuwei aveva iniziato a spiegare, ma per Wylan non era facile seguirlo con quel suo forte accento. «Scusa se io fisso, ma non avevo mai creduto. Ma adesso che io vedo te, io credo. Io sono proprio uguale a lui da giovane».
Wylan sentì un tuffo al cuore. Era stato così concentrato su come si sentiva lui, sui suoi problemi, da non fermarsi a riflettere su come si potesse sentire quel ragazzo. Kuwei era stato catturato e imprigionato, suo padre era stato ucciso e ora lui si trovava su una nave piena di sconosciuti diretta in un paese che non aveva mai visto, pronto per essere venduto a gente che lo avrebbe sfruttato per sintetizzare la droga di suo padre. E adesso lo guardava così intensamente con quello che Wylan aveva pensato fosse stupore, ma che doveva essere in realtà solo un profondo dolore. Perché quando si vedeva riflesso in Wylan non vedeva se stesso, ma il padre che lo amava così tanto da rischiare tutto alla ricerca di una vita migliore per suo figlio grisha, il padre che era morto giusto qualche giorno prima e che lui doveva aver pianto in una cella della Corte di Ghiaccio, completamente solo.
Kuwei lasciò andare la stretta sul polso di Wylan, ma lui in fretta riprese la sua mano e la strinse. Wylan sapeva che non esisteva nessuna parola al mondo che avrebbe potuto consolarlo, ci era passato anche lui, ma tentò comunque.
«Mi dispiace per tuo padre», disse con un sussurro. «Anche io ho perso mia madre, so quanto può fare male».
Gli occhi ambrati di Kuwei si fecero più lucidi, accennò un piccolo sorriso, come per ringraziarlo, prima di salutarlo e andarsene in direzione opposta alla sua. Wylan lo capiva, anche lui in quel momento voleva scappare da tutti. Recuperò una coperta di lana e cercò il posto più isolato che poteva trovare nel magazzino sottocoperta, lì nessuno lo avrebbe disturbato. C’era un angolo poco illuminato dove erano state accatastate alcune casse e funi, non l’ideale per la comodità, ma a quel punto ogni giaciglio gli sarebbe sembrato un letto a baldacchino. Si accomodò come meglio poteva, stretto alla coperta fu finalmente libero di singhiozzare. Pianse per quelle che gli sembrarono ore, pianse finché i pensieri non si fecero incoerenti e crollò addormentato senza neanche rendersene conto.

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La notte era stata uno scandirsi continuo di incubi e risvegli improvvisi. Il sole era sorto da poco quando Wylan si era svegliato per l’ennesima volta e aveva rinunciato ufficialmente al sonno. Il resto della giornata l’aveva passata sul ponte a osservare le onde, affogando nei suoi stessi pensieri. Continuava a immaginare come sarebbe andato l’incontro con suo padre, ogni possibile scenario era peggiore del precedente, ma non riusciva a smettere di crearne sempre di nuovi nella sua testa. E che altro avrebbe potuto fare? Non aveva il suo flauto con sé e comunque sarebbe stato impossibile suonare, solo in cinque sulla nave sapevano che lui non era davvero Kuwei e, se così doveva rimanere, non poteva improvvisare un concerto che avrebbe notificato immediatamente a tutti che era un falso. Questo gli impediva anche di disegnare e di parlare con chiunque non fosse al corrente del piano, Jesper incluso. Non aveva molte opzioni: a Nina aveva già chiesto troppo, inoltre Matthias lo avrebbe divorato se avesse disturbato ancora il suo riposo; Kuwei faceva fatica a parlare Kerch e poi potevano incontrarsi solo di nascosto o chiunque avrebbe potuto vedere che il ragazzino Shu aveva improvvisamente acquisito un gemello; Kaz sicuramente non aveva intenzione di avere nessuno intorno, a parte forse Inej, che però sembrava molto impegnata a fare domande un milione di domande su come si gestisce una nave.
"Almeno qualcuno si diverte". Si disse Wylan con un sospiro quando la vide chiacchierare allegra con alcuni membri della ciurma che stavano controllando le cime dell’albero maestro. L’odore del mare gli impregnava le narici e il suono delle onde rimbombava ritmico sul corpo della Ferolind. Nel giro di qualche giorno sarebbero arrivati a Ketterdam, tanto valeva godersi quegli attimi prima della prova finale.

Quando il sole era ormai tramontato, neanche la stanchezza che gli pungeva gli occhi lo aveva convinto ad andare a dormire. Gli incubi della notte precedente lo avevano scosso e aveva davvero poca voglia di tornare a svegliarsi di soprassalto dal terrore onirico. Gli occhi puntati al mare, ora che era arrivato il buio, avevano iniziato ad esplorare il cielo. Erano anni che non vedeva così tante stelle, a Ketterdam era impossibile godersi quello spettacolo.
«Ehi, come va? Ti piace il mare?» La voce di Jesper lo fece saltare dalla sorpresa. Doveva essere così assonnato da non essersi reso conto che si era avvicinato a lui, con i gomiti appoggiati al parapetto paralleli ai suoi. Wylan, preso alla sprovvista, era rimasto in silenzio, così Jesper aveva aggiunto: «Non capisci quello che dico o sei solo timido?»
Wylan alzò due dita, sperando che Jesper capisse che stava cercando di indicare la seconda opzione. Dovette funzionare perché Jesper gli sorrise. Wylan aveva passato tutta la giornata ad evitarlo, solo ora che lo aveva così vicino ebbe occasione di notare che aveva gli occhi gonfi, un poco arrossati.
«A me non piace il mare, mi annoia da morire. È sempre tutto uguale, cosa c’è di divertente da guardare?» Jesper non era cambiato, riusciva a portare avanti una conversazione completamente da solo. A Wylan veniva da ridere, si sentì felice. Dopo tutto quello che era successo negli ultimi giorni, era una strana sensazione.
Con un ampio gesto della mano gli indicò il cielo, sopra le loro teste brillavano le stelle e, incredibilmente, Jesper capì che cosa voleva dire.
«Beh, su questo non posso darti torto. Quello è decisamente più interessante da guardare». Jesper si voltò di spalle al parapetto e ci appoggiò la schiena, il naso puntato verso l’alto. «Quando ero piccolo avevo un amico che mi aveva insegnato tutto sulle stelle e questa roba qui. Vivevo in campagna, a Novyi Zem, e lì si vedevano davvero bene. Qualche volta, d’estate, uscivamo di nascosto di notte e lui parlava ininterrottamente di stelle, pianeti, meteore… Mi aveva anche detto tutti i nomi delle costellazioni, chissà se me ne riesco a ricordare ancora qualcuno».
Wylan trattenne il respiro. Jesper stava parlando di lui. Quando aveva 11 anni, suo padre aveva assunto un nuovo insegnante privato, che era davvero appassionato di astronomia, e Wylan si era innamorato dell’argomento, non faceva altro che parlarne. Non poteva credere che Jesper se ne ricordasse. Lo guardò con gli occhi sgranati e la bocca semiaperta in un sorriso.
«Che c’è? Vuoi che te ne dica alcune?» Gli chiese Jesper quando si accorse che Wylan lo stava fissando.
Wylan annuì energicamente senza riuscire a trattenere il sorriso che gli spuntò sulla faccia.
«Wow, quanto entusiasmo», Jesper ridacchiò della sua reazione esagerata, ma a Wylan non importava. «Allora, vediamo un po’... Vedi quella che fa tutta una curva strana? Si chiama l’Artiglio d’orso Sherborn, perché dovrebbe sembrare un po’ un artiglio, anche se io non riesco proprio a vederlo. E poi lì vicino c’è quella lunga lunga che si chiama la Tigre Bianca, penso che sia perché la cosa lunga dovrebbe essere la coda. E poi, e poi… Vediamo, che altro c’è? Ah! Sì! Quella là, la vedi quelle due linee che si incrociano? Quella è la Spada di Sankt Juris».
Wylan era consapevole che avrebbe dovuto guardare il punto dove il dito di Jesper stava indicando, ma i suoi occhi continuavano a tornare sul suo profilo illuminato dalla luce notturna. Le iridi grigie splendevano della luna riflessa, ogni volta che sbatteva le palpebre sembrava catturarla con le ciglia, così nere. Anche se arrossati e circondati dai segni della stanchezza, gli occhi di Jesper erano comunque splendidi.
«Jes». L’arrivo improvviso di Inej fece voltare di scatto entrambi.
«Per tutti i santi, Inej. Mi hai fatto venire un colpo», Jesper si portò una mano al petto, come se avesse appena corso per chilometri e chilometri. Inej sorrise come una bambina che era riuscita nel suo scherzo.
«Ti stavo cercando, non ti ho visto per tutto il giorno. Ma che… Che hai fatto?» Chiese quando anche lei notò la faccia sfatta di Jesper.
«Okay, crudele. Uno si aspetta un po’ di sostegno da un’amica, potresti almeno fingere che non abbia un aspetto terribile».
«Cos’è successo?» Insistette a chiedere lei.
«Wylan, è successo», rispose Jesper secco. Per un attimo gli occhi di Inej scattarono su Wylan, ancora lì al fianco dello Zemeni, e probabilmente entrambi ebbero la stessa paura: Jesper lo sapeva? Come aveva capito che non era il vero Kuwei e quando?
«Che… Intendi dire?» Inej lo prese per un braccio e insieme si allontanarono di qualche passo. Wylan distolse in fretta lo sguardo, si voltò di nuovo verso il mare fingendo di ignorarli.
«Lo so che Kaz ti racconta tutto. O almeno ti racconta molto di più che a chiunque altro». Jesper la fissava, in attesa di qualche segno, ma lei rimase in silenzio, immobile.
«Va bene, continua pure a fare la finta tonta», disse scocciato Jesper.
«Jes, se ne vuoi parlare, forse dovremmo…» Wylan notò con la coda dell’occhio che Inej stava facendo cenno in sua direzione, come per intendere che non era il caso di affrontare quella conversazione in sua presenza.
«Non credo che capisca granché di quello che diciamo», fece spallucce Jesper. «Non cambiare argomento. Quanto ne sai davvero? Sapevi che è figlio di Van Eck ancora prima che Kaz lo annunciasse a tutti. Sapevi anche il suo vero nome non è Hendriks, non eri affatto confusa quando poco fa quando l’ho chiamato “Wylan”. Che altro sai? Sai anche perché è andato via di casa?»
«Ho indagato per Kaz, lui tiene d’occhio tutti i nuovi arrivi al Barile. Figurati uno che si presenta a tutte le gang proponendo di vendergli bombe di propria produzione».
«E…?» La invitò a continuare, impaziente.
«L’ho pedinato fino a Geldstraat, l'ho visto rientrare nella magione dei Van Eck. Quindi sì, Jesper, ho sempre saputo che era un Van Eck. Hai finito di farmi l’interrogatorio adesso?»
«No. Voglio sapere perché se n'è andato».
«Chiedilo a lui», rispose stizzita lei.
«L’ho già fatto, non me l’ha voluto dire. Tu cosa sai?»
«Niente, solo delle voci».
«Che voci?»
«Jesper, non qui-», cercò di farlo ragionare lei, ancora una volta con il capo accennava a Wylan aggrappato al parapetto, poco distante.
«Inej, che voci?», ripeté Jesper ignorandola.
«Che è stato cacciato di casa perché è stato trovato a letto con un tutore». A quel punto Wylan sentì le guance avvampare. Come faceva a rimanere impassibile mentre a pochi passi da lui stavano parlando della sua vita sessuale?
«Cazzate, non arrivi a volerti ammazzare perché tuo padre ti becca a scopare», rispose Jesper con rabbia.
«Jesper, smettila ora. Perché non-», provò a calmarlo lei, ma subito Jesper la interruppe.
«No, non la smetto, Inej. Devo sapere cosa è successo per farlo arrivare a fare una cosa del genere».
«Perché ci tieni così tanto? Sei sparito tutto il giorno perché avevi ancora i postumi? Ti sei annegato nell’alcool per quello che è successo ieri?» Per un po’ Jesper tacque, se ne stava con gli occhi bassi di vergogna mentre Inej lo incalzava, ma non durò a lungo. «Capisco che tu ci abbia fatto amicizia, ma se non ha voluto parlatene dovresti accettarlo e basta. Lo conosci solo da qualche settimana, perché insisti tanto a-»
«Tu hai i tuoi segreti, io ho i miei!» Come uno sparo nella notte, la voce di Jesper si era imposta su di lei con violenza, un vero e proprio grido esasperato che aveva impedito ogni replica. Wylan si era così sorpreso di sentirlo urlare da voltarsi immediatamente verso di loro, immemore del proposito di fingersi estraneo allo scambio. Vide che Inej si era allontanata con un’espressione attonita. Jesper ricambiava lo sguardo, come se lui stesso fosse incredulo di aver prodotto lui quel suono.
«Scusa, non avrei dovuto urlare. Ho esagerato», si affrettò a dire allungando la mano nella sua direzione, ma Inej fece un altro passo indietro, sottraendosi istintivamente al suo tocco. «Scusami», disse ancora, questa volta la voce ridotta a un sussurro leggero. Non si trattenne ad assicurarsi che Inej lo avesse effettivamente perdonato, prima ancora che lei potesse reagire, lui le aveva già voltato le spalle e si era diretto verso le cabine.
Wylan aveva provato ad avvicinarsi ad Inej, sembrava scossa. Ma non aveva fatto in tempo a fare un passo nella sua direzione che lei era già scappata via, lasciandolo solo sul ponte della nave, tra il mare e le stelle.

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Capitolo 6
*** Il mare lava il male ***


Anche quella sera Jesper se ne stava sul ponte della nave, seduto su una cassa a pulire le sue rivoltelle. Poco distante da lui, Kuwei Yul-Bo gli teneva compagnia. Non diceva nulla, qualche volta annuiva o sorrideva quando Jesper parlava con lui. Difficile capire se era solo un tipo strambo o non capisse niente di quello che diceva. Però almeno Jesper si sentiva meno solo, era rassicurante sapere che ogni notte lo avrebbe trovato lì. E questo lo aiutava a distrarsi un po’ dalla confusione che regnava nella sua testa.
Quel viaggio era stata l’esperienza più disorientante della sua vita, su questo non c’erano dubbi. Alcune immagini sarebbero per sempre rimaste impresse nella sua memoria. Un colpo alla Corte di Ghiaccio era pericoloso, questo lo sapeva bene ancora prima di partire. Era consapevole che avrebbe potuto perdere la vita in quella prigione fjerdiana. Quello che non si aspettava era stato invece di perdere l’idea che aveva di se stesso.
Aveva rifuggito il mondo dei Grisha per così tanti anni, da essere convinto che non lo riguardasse. Eppure non riusciva a togliersi dalla testa quella donna Scuotiacque che urlava nel cortile dei drüskelle. E adesso senso di colpa che gli era montato in petto al pensiero che il gesto eroico di assumere la parem lo avrebbe potuto compiere lui, invece di lasciarlo a Nina.
Si era sempre considerato il carismatico tiratore scelto degli Scarti, senza nessuna altra caratteristica se non essere eccezionale a sparare e pessimo a sapere quando è il momento di alzarsi dal tavolo da gioco. Ma ora iniziava a metterlo in dubbio. Chi era davvero? Avrebbe dovuto vivere come Grisha o continuare a nascondersi? Forse, se ci fosse stata ancora sua mamma, la risposta sarebbe stata più semplice da trovare. Ma sua mamma non c’era più, se n’era andata proprio perché era una Grisha. E Jesper era da solo a cercare di capire cosa farne della sua vita.
Si sentiva frammentato, diviso in tanti pezzetti che non sapeva come ricomporre. Non sapere più chi era, era già una preoccupazione abbastanza grande. Ma poi si era dovuto aggiungere un amico d’infanzia che era riapparso all’improvviso e aveva dovuto sconvolgergli l’esistenza. Questa novità decisamente non aiutava i suoi nervi.

Wylan era diventato introvabile, ma dove diavolo poteva nascondersi? Erano su una nave, non poteva certo scappare da qualche parte. Lo stava forse evitando? E perché avrebbe dovuto? Jesper non aveva fatto niente di male, anzi, era lui quello che avrebbe dovuto essere arrabbiato. Wylan lo aveva riconosciuto, chissà da quanto tempo, e non aveva accennato una parola. E se non ne avesse parlato perché era rimasto deluso da lui? Magari Wylan non aveva più voglia di avere a che fare con lui ora che era cresciuto e si era rivelato un ratto del Barile, uno Scarto, uno squattrinato che non riusciva a smettere di buttare nei club i pochi soldi che possedeva.
Jesper cercava di scacciare il pensiero, si ripeteva che Wylan non era mai stato uno snob. Era sempre stato evidente che fosse ricco, anche quando erano bambini era lampante la differenza tra le loro famiglie. Ma Wylan non lo aveva mai fatto sentire inferiore per questo motivo. Del resto, però, il Wylan che Jesper conosceva risaliva a 10 anni prima e tante cose possono cambiare in 10 anni. Aveva avuto tutto il tempo per crescere nella sua meravigliosa villa di Geldstraat, servito e riverito, e per diventare uno dei tanti mercanti con la puzza sotto al naso che guardavano la gente come Jesper con sufficienza.
Fatto stava che Jesper non conosceva questo nuovo Wylan. Aveva avuto a malapena il tempo per imparare a conoscere Hendriks e, inaspettatamente, gli era piaciuto quel mercantuccio. Era un tipo silenzioso, persino schivo, ma quando apriva la bocca sorprendeva con qualche osservazione intelligente o con una battuta inaspettata. Si imbarazzava quando Jesper flirtava con lui, ma non si tirava indietro, anzi stava al gioco. Gli si leggeva ogni emozione in faccia, non era bravo a mentire, ma quanto c’era di vero? Quell’Hendriks che si era presentato agli Scarti poteva benissimo essere un personaggio che Wylan aveva costruito ad arte, per quanto ne sapeva. Più Jesper ci ragionava su e più si rendeva conto che non riusciva a inquadrarlo. L’immagine che aveva del piccolo e timido Wylan di Novyi Zem era ancora lontana da quella che si era costruito di Hendriks, il mercantuccio esperto di bombe. In qualche modo però quelle due persone si sovrapponevano, il punto era capire come.
Che cosa diavolo poteva essere successo in quegli anni in cui avevano perso contatto per farlo diventare quello che era adesso? Cosa gli doveva essere capitato nella vita per arrivare a tradirlo in quel modo? Lo aveva trattato da idiota fingendo di non conoscerlo per settimane e, come se non bastasse, quell’abbraccio che sembrava così genuino, così affettuoso, si era rivelato solo uno stratagemma per sottrargli una pistola e usarla per negoziare la sua stessa vita con Kaz Brekker. Jesper si era sentito usato, preso in giro. Se all’inizio aveva provato solo il terrore di vederlo morire proprio di fronte a sé, senza la possibilità di fare niente, successivamente quella paura si era trasformata in astio per il trattamento che gli aveva riservato. Ma in un istante quel rancore perdeva ogni senso di esistere, non appena ricordava l’espressione di Wylan, quella era la supplica di un uomo disperato, disposto a fare una follia così assurda. Chi arriverebbe ad un gesto del genere se non ci fosse un buon motivo? Che cosa diavolo gli aveva fatto suo padre per farlo arrivare a puntarsi una pistola alla tempia? C’era ancora da qualche parte un rimasuglio del Wylan dei suoi ricordi o era perso per sempre?
Dopo il litigio con Inej, non aveva più ripreso l’argomento con nessuno. Sperava davvero che lei lo avesse perdonato. Pregava di non averle scatenato qualche ricordo legato al periodo passato al Serraglio. Ma l’espressione spaventata che gli aveva rivolto era abbastanza esplicativa. Odiava averla fatta sentire in pericolo, soprattutto perché c’era voluto tanto tempo perché lei si fidasse abbastanza per concedergli il lusso del contatto fisico. Jesper era stato così felice la prima volta che si erano abbracciati. Da quel momento in poi aveva considerato Inej la sorella che non aveva mai avuto. E ora l’aveva ferita perché non era riuscito a controllarsi.
Il problema Wylan rimaneva un tarlo fisso nel suo cervello. Avrebbe voluto parlarne con il diretto interessato, ma Kaz gli aveva ordinato di smettere di chiedere a tutti dove fosse. A quanto pareva, Wylan passava intere giornate nella cabina di Nina per monitorare il processo di disintossicazione dalla parem, era pur sempre il loro chimico, quindi non aveva “tempo da perdere con lui”; queste erano state le esatte parole di Kaz. Le domande di Jesper avrebbero dovuto aspettare almeno finché non fossero arrivati a Ketterdam.

Jesper sbadigliò. La pistola era talmente tirata a lucido che ci si poteva specchiare sopra. Si alzò in piedi e la fece roteare intorno all’indice. Quando la rivoltella raggiunse la velocità adatta, la lanciò in aria. Quella continuò a ruotare per un metro sopra la sua testa e, quando l’arco che aveva disegnato tornò verso il basso, Jesper era già pronto a farla cadere elegantemente nel suo fodero.
Kuwei sorrise del suo piccolo gioco di prestigio. Jesper fece un piccolo inchino, soddisfatto che il suo pubblico avesse apprezzato il trucco, e Kuwei rispose roteando gli occhi, ma senza smettere di ridacchiare. Si ostinava a non parlare, ma in qualche modo riuscivano comunque a scherzare tra di loro.
«Ti ho mai raccontato di come ho ottenuto queste due meraviglie?» Gli chiese Jesper indicando le pistole che splendevano attaccate alla sua cintura.
Kuwei scosse la testa, con gli occhi fissi su di lui in attesa che continuasse la storia.
«Allora tieniti pronto, perché è una storia piena di intrighi, tradimenti, furti di identità, appassionanti storie d’amore e colpi di scena», Jesper si sedette a fianco a lui e iniziò a raccontare. «Era una notte buia e tempestosa. Inej era appena tornata al Club dei Corvi dal suo giro di ronda con una novità interessante su un certo quadro di un artista famosissimo, che ora non mi ricordo più come si chiama. Ma comunque, Kaz lo conosceva bene, infatti ha organizzato subito questo piano che…»

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Finalmente a terra. A Jesper era davvero mancata la città, lo spazio così aperto e vuoto del mare era poco stimolante. Invece tutti quei negozi, le insegne, la gente. Quello sì che faceva per lui; adorava il caos di Ketterdam. Eppure era quasi destabilizzante essere tornati alla normalità. Dopo tutto quello che era successo e quello che aveva visto, era strano che lui si sentisse così cambiato quando la città era rimasta esattamente identica a come l’aveva lasciata.
L’incontro con i rappresentanti del Consiglio dei Mercanti si sarebbe svolto a Vellgeluk all’alba del giorno dopo. «Wylan verrà con noi all’incontro con Van Eck?» Domandò a Kaz mentre remavano verso la Ferolind, dove avrebbero passato la notte.
«No» rispose lui con gli occhi puntati verso la nave che si iniziava a scorgere in lontananza. «Ci sarà Matthias con noi, e qualcuno dovrà restare con Nina. E poi, se ci servirà usare Wylan per forzare la mano di suo padre, è meglio che non scopriamo le nostre carte troppo presto».
Aveva senso. Come ogni cosa che Kaz organizzava, gli ingranaggi si incastravano perfettamente e si muovevano esattamente come aveva previsto. Jesper non chiese altro, ma fu comunque deludente non trovare Wylan sul ponte insieme a loro la mattina dopo. Aveva intuito che lo stava evitando, ma in fondo sperava che li venisse quantomeno a salutare prima dell’incontro.
«Una sola scialuppa? Dov’è l’altra?» chiese Jesper mentre saliva a bordo.
«A riparare. Una basta e avanza» rispose asciutto Kaz.
Sulla scialuppa la tensione era palpabile. Jesper ringraziò di essere impegnato a remare insieme a Matthias, perlomeno poteva sfogare l’ansia. Si leggeva in faccia a tutti il nervosismo, ma Kuwei in particolare sembrava sul punto di svenire o vomitare da un momento all’altro. Lo Shu stava seduto di fronte a lui e a Matthias, al fianco di Inej. Doveva essere evidente anche per lei quanto quel ragazzino fosse nel panico, perché gli posò una mano sul ginocchio e lo strinse. Si scambiarono uno sguardo, come se volessero darsi sostegno a vicenda. Jesper si chiese quando erano diventati amici quei due. Inej non era solita concedere a chiunque il contatto fisico.
“Forse è semplicemente impietosita, si vede che lui è spaventato a morte”. Si spiegò Jesper e continuò a dare colpi di remo mentre Vellgeluk si faceva sempre più vicina.
Quando attraccarono, si presero tutti un attimo per sistemarsi. Matthias si sciolse le enormi spalle, con il fucile che aveva a tracolla, sembrava ancora più grosso del normale; Inej sussurrava in Suli con le dita delicatamente posate su i suoi pugnali, uno alla volta li aveva sfiorati tutti; le mani di Jesper si erano saldamente ancorate al calcio delle sue rivoltelle. Kuwei li aveva osservati in silenzio, mentre Kaz aveva già lo sguardo verso il brigantino ormeggiato al largo della riva opposta dell’isola.
«Bene» disse Kaz. «Andiamo a diventare ricchi.»
«Nessun rimpianto» li salutò Rotty, mettendosi comodo nella scialuppa ad aspettare.
«Nessun funerale» replicarono gli altri.

Si avviarono verso il centro dell’isola, gli stava venendo incontro un intero squadrone della stadwatch, armati di manganelli e fucili a ripetizione, due di loro trascinavano a fatica un baule pesante. A guidare il gruppo un uomo con i tipici vestiti neri da mercante accompagnato da uno Shu.
Jesper riconobbe immediatamente Jan Van Eck. Non era la prima volta che lo vedeva, ma adesso non riusciva a non notare quanto effettivamente somigliasse a Wylan. Il viso era così simile, il naso dritto, la forma della bocca, gli stessi occhi blu, completamente privi della gentilezza che invece era così presente in quelli del figlio. Quello che però li differenziava davvero era la capigliatura, se Wylan aveva una testa carica di ricci rossicci, Jan Van Eck sfoggiava un’attaccatura piuttosto alta e una chioma platino pettinata rigorosamente all’indietro.
Tuttavia, per quanto Jesper potesse essere curioso di studiare Jan Van Eck, la sua attenzione fu irrimediabilmente attratta dal baule, come d’altronde quella di Kaz. Presto avrebbero finito e se ne sarebbero andati con il loro premio, se la scialuppa non fosse affondata sotto tutto il peso di quel denaro.
«Soltanto lei, Van Eck?» Kaz non si fece remore a prendere per primo la parola. «Il resto del Consiglio non voleva essere disturbato?»
«Il Consiglio ha ritenuto che io fossi il più adatto per quest’incarico, dal momento che abbiamo già avuto modo di trattare in passato». La voce di Van Eck era esattamente come Jesper si aspettava; svuotata di qualsiavoglia trasporto. Era un uomo che esponeva fatti, non c’era spazio per nessuna emozione.
«Bella spilla» lo provocò Kaz lanciando un’occhiata all’enorme cammeo intarsiato d’oro attaccato alla cravatta di Van Eck. «Ha fatto bene a cambiare, questa mi piace di più».
Van Eck piegò leggermente le labbra, come se quel mezzo sorriso volesse nascondere il fastidio. «Io preferivo l’altra. Ma questa è un cimelio di famiglia. Ebbene?» chiese poi allo Shu accanto a lui.
Quello replicò: «Quello è Kuwei Yul-Bo. È da un anno che non lo vedo. È un po’ più alto adesso, ma è la copia sputata del padre». Poi aggiunse qualcosa in Shu accompagnando le parole con un piccolo inchino. Kuwei però, prima di ricambiare, si voltò verso Kaz come per chiedere conferma. Quel ragazzino era così nervoso da essersi dimenticato come ci si saluta nel suo paese?
Evidentemente questo era tutto quello che gli serviva, quando Van Eck ebbe la conferma che gli avevano davvero portato lo Shu giusto, fece depositare il baule di fronte a Kaz. Non ci volle molto per accertarsi che fosse realmente pieno di banconote su banconote, la mano guantata di Kaz aveva esplorato fino al fondo.
«Ci sono tutti» confermò, poi fece segno a Kuwei di farsi avanti e il ragazzo eseguì. Jesper lo osservò mentre percorreva quella breve distanza e si piazzava al fianco di Van Eck, come da sua indicazione. Quando il mercante gli posò una mano sulla schiena Kuwei sussultò, ma Van Eck non la spostò e a Jesper quasi venne da ridere quando il ragazzino fece una faccia che sembrava di puro disgusto.
Kaz si alzò dal baule ancora spalancato di fronte a lui. «Bene, Van Eck. Mi piacerebbe poter dire che è stato un piacere, ma non sono unbugiardo di quel livello. Noi togliamo il disturbo.»
Van Eck si mise davanti a Kuwei. «Temo di non poterlo permettere, signor Brekker».
Kaz, appoggiato al suo bastone, lo guardava intensamente. «C’è qualche problema?»
«Più di uno direi, purtroppo. Non è possibile, per nessuno di voi, andarsene da quest’isola». A quel punto estrasse un fischietto e ci soffiò dentro una nota acuta e stridula. Al suo segnale gli uomini di Van Eck si palesarono come Scuotiacque e Chiamatempeste dall’aspetto distrutto dalla dipendenza dalla parem. Jesper schioccò le dita con un sorriso. Il gioco stava per diventare interessante, finalmente era il suo momento di brillare.

Non c’era assolutamente niente da sorprendersi se Van Eck si era appena rivelato un truffatore che aveva agito alle spalle del Consiglio per essere l’unico a beneficiare del commercio della jurda parem. I Grisha al suo servizio avevano già iniziato ad attaccare ogni via di fuga possibile, la scialuppa su cui stava Rotty era stata distrutta e lui ne era scampato per un pelo.
«Nessuno di voi lascerà quest’isola, signor Brekker. Svanirete tutti nel nulla, e a nessuno importerà. È questo il vantaggio di fare affari con la feccia del Barile, nessuno ne piange la scomparsa.» Con un gesto della mano indirizzò gli Scuotiacque verso la Ferolind.
Jesper sentì il cuore saltare un battito. Wylan e Nina erano ancora a bordo. «No!» gridò d’istinto, ma Van Eck non reagì alla sua supplica.
«Van Eck!» lo chiamò con un urlo Kaz. «Suo figlio è su quella barca.»
Questo sembrò fermarlo. Soffiò nel fischietto e gli Scuotiacque arrestarono le onde che incombevano minacciose sulla Ferolind.
«Mio figlio?» chiese il mercante con l’aria interdetta.
«Sì, suo figlio. Wylan Van Eck.» confermò Kaz. «Adesso ho la sua attenzione? Sicuramente non vuole che il suo unico figlio ed erede rimanga ferito.»
Van Eck scoppiò a ridere, genuinamente divertito. La risata calda e gioviale di quell’uomo lasciava l’amaro in bocca.
«Lasci che le racconti di mio figlio» sputò quell’ultima parola come fosse veleno. «Quel ragazzo era destinato ad ereditare un impero commerciale e un patrimonio che tutta Kerch gli avrebbe invidiato. Fondato da mio padre, e dal padre di mio padre. Ho lavorato così tanto per tutta la vita per espandere sempre di più il nostro commercio, l’ho reso così grande. Ma mio figlio non è neanche capace di fare quello che fa un qualsiasi bambino di sette anni. Quello stupido, idiota, inutile ragazzo si è ostinato a non voler imparare a leggere. Ho provato qualsiasi cosa, i migliori precettori, specialisti, ipnosi, vietargli cibo e acqua, riempirlo di botte, legarlo a un sedia di fronte a un libro finché non lo leggeva. Niente l’ha fatto desistere dalla sua idiozia e alla fine l’ho accettato: Ghezen mi ha maledetto con un figlio difettoso.»
Jesper voleva tapparsi le orecchie, ma non riusciva a staccare gli occhi da Van Eck. «La lettera…» disse a denti stretti, le sopracciglia aggrottate in un’espressione di puro odio. «Non lo stava pregando di tornare. Lo stava deridendo. Lei è un mostro. Wylan è suo figlio, come può-»
«No, non è mio figlio. È un errore. Che presto sarà corretto. La mia giovane adorabile moglie è in attesa di un bambino, sarà lui il mio erede, non quell’idiota smidollato che non sa leggere nemmeno il libro degli inni, figuriamoci un libro mastro, non quel cretino che ridurrebbe a uno zimbello il nome dei Van Eck».
«È lei il cretino» sbraitò Jesper, ormai fuori di sé. «Wylan è più intelligente della maggior parte di noi messi assieme, e si merita un padre migliore».
«Si meritava» lo corresse Van Eck prima di soffiare nel fischietto. Prima che chiunque potesse protestare, gli Scuotiacque avevano già scatenato delle onde talmente tanto grandi sulla Ferolind da annientarla istantaneamente con un sonoro boato.
Jesper era già pronto ad aprire il fuoco su Van Eck, ma Kaz lo bloccò. Jesper provò a protestare, fin dove poteva arrivare quel cervello calcolatore? Wylan e Nina erano appena stati uccisi davanti ai loro occhi, se c’era un momento per trivellare di colpi quel bastardo di Van Eck era proprio ora.
«Fermo» gli ripeté Matthias posandogli una mano sul braccio e guidandola per abbassare le pistole. Inej a sua volta stava facendo cenno con la testa, lo stava supplicando di fidarsi. Jesper li guardò confuso, come potevano essere così calmi?
«Signor Brekker, nessuna lacrima? Il suo equipaggio è appena andato perso. Vi crescono senza cuore al Barile» commentò beffardo Van Eck. Jesper stava stringendo talmente tanto in pugni che le unghie conficcate nella pelle gli stavano iniziando a far male.
«Senza cuore e prudenti» rispose Kaz tranquillo. «Ma piuttosto lei, Van Eck, farà penitenza? Ghezen disapprova chi viola i contratti.»
«Ghezen mostra i suoi favori a coloro che li meritano, a coloro che costruiscono le città, come me, non ai ratti che ne divorano le fondamenta, come lei. Lei scomparirà, e io prospererò. Questo è il volere di Ghezen.»
«E ci potrebbe anche riuscire, se avesse Kuwei Yul-Bo.»
«Siete circondati, come pensa di portarmelo via?»
«Non ho bisogno di portarglielo via. Non l’ha mai avuto. Quello non è Kuwei Yul-Bo.»
«Un pessimo bluff, mi creda.»
«Io non amo molto bluffare, vero, Inej?»
«Generalmente, no.»
Van Eck aveva gli occhi ridotti a una fessura blu. «E come mai?»
«Perché preferisce barare» Kuwei parlò, ma dalla sua bocca uscì la voce di Wylan. Jesper lo guardò incredulo, la stessa espressione sbalordita si trovava sulla faccia di Jan Van Eck. «Salve, padre. Non sei felice di rivedermi?»
«Miserabile» sibilò al figlio con il volto stravolto dalla furia. «Sapevo che eri un cretino, ma sei anche un traditore?»
Wylan fece un passo nella sua direzione, annullando la distanza lo guardava fisso negli occhi. «Traditore? Perché ti ho deluso come figlio? Allora siamo pari, perché tu mi hai deluso come padre.»
«Dov’è Kuwei Yul-Bo?!» urlò a Kaz con lo sguardo spiritato.
«Per quanto ne sa potrebbe essere stato sulla nave che lei ha appena trasformato in uno stuzzicadenti.» rispose lui facendo spallucce.
Van Eck ancora immobilizzato li osservava ad uno ad uno, come fosse alla ricerca della prossima mossa da fare. «Perché per una buona volta non mi fai il piacere e sparisci per sempre?» chiese al figlio con tutto l’astio che riusciva ad esprimere.
Il viso di Wylan si contrasse in una smorfia. «Non mi sembrava corretto che fossi sempre solo tu quello che tentava di uccidere me, sono qui per ricambiare il favore.» Non gli diede il tempo di reagire, con un colpo deciso Wylan gli piantò un coltello nella spalla. Jan Van Eck crollò in ginocchio e Wylan gli si avventò contro. Immediatamente i Grisha si fiondarono contro di loro, Wylan si alzò in fretta e corse a riunirsi al resto del gruppo. Jesper estrasse le pistole, Inej aveva pronti i suoi coltelli e Matthias aveva imbracciato il fucile, ma Kaz prontamente li fermò.
«Ci uccida, e non troverà mai Kuwei.» gli intimò. Van Eck, ancora piegato su se stesso, la mano con cui si stringeva la spalla ferita era ormai pregna di sangue. Uno dei soldati gli porse la mano e lo aiutò a rialzarsi.
«Uccidete tutti tranne Brekker.» gli ordinò.
Lo scontro divenne subito un caos incontrollabile, Jesper non aveva mai assistito a niente del genere. Wylan aveva trovato riparo dietro lui e Matthias, che sparavano all’impazzata verso i Grisha di Van Eck. Lo scontro andò avanti finché improvvisamente l’ordine del mercante non cambiò: «Lasciate perdere gli altri! Prendete i soldi e la ragazza!» aveva gridato.
Qualsiasi cosa che avevano tentato non era riuscita, Inej aveva lottato senza risparmiare nessun colpo, Kaz aveva provato a mettersi in mezzo, Matthias e Jesper avevano colpito il maggior numero di soldati che potevano. Ma il Chiamatempeste era comunque riuscito a prendere Inej e tutto il seguito di Van Eck era salpato in fretta e furia sul brigantino, lasciandoli a Vellgeluk a guardarli sparire verso Ketterdam.
Quella era stata l’ultima volta che avevano visto Inej.

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«Perché diavolo hai fatto una cosa del genere?» Jesper prese Wylan per un braccio. Aveva la paura che fosse già pronto a sparire di nuovo. Lo guardò attentamente in viso alla ricerca di qualsiasi cosa che potesse ricordarglielo, ma erano spariti i ricci ramati, gli occhi blu, le lentiggini. Non era rimasto più niente di lui.
«Era la nostra migliore opzione contro mio padre.» rispose divincolandosi dalla sua presa.
«È stata Nina? Con la parem?» Jesper non aspettò una risposta, gli occhi adesso ambrati di Wylan parlavano per lui. «Wy, potresti rimanere così per sempre, non capisci che-»
«Non mi importa. Ha funzionato, Kaz ha avuto una buona idea.»
«Come fa a non importarti?»
«E perché a te invece interessa così tanto?»
«Non lo so! Forse mi piaceva la tua stupida faccia.» rispose con un tono esasperato. Poi si voltò verso Matthias. «Tu lo sapevi? Anche Inej, vero? Ero io l’unico a non saperne niente?»
Kaz intervenne pungente: «Chiediti come mai.»
«Come mai?» ripeté infastidito, saltellava da un piede all’altro incapace di contenere l’agitazione.
«Sei stato tu a venderci a Pekka Rollins.» Kaz gli puntò contro un dito accusatorio. «Sei tu il motivo per cui ci hanno teso un’imboscata quando abbiamo provato a lasciare Ketterdam. Per poco non ci hai fatto ammazzare tutti.»
«Io non ho detto niente a Pekka Rollins. Io non ho mai…»
«Tu hai raccontato a uno dei Centesimi di Leone che stavi lasciando Kerch, ma che ci saresti tornato pieno di soldi, non è vero?»
Jesper deglutì. Ricordava bene lo scagnozzo di Rollins a cui aveva implorato di avere più tempo. Era successo subito prima che partissero, mentre aspettava che Hendriks… No, che Wylan tornasse dal quartiere universitario. Ma Jesper era stato costretto a dire qualcosa, qualsiasi cosa, non aveva altra scelta. «Ho dovuto. Mi stavano addosso. La fattoria di mio padre…»
Kaz non gli diede il tempo di concludere, il suo tono tagliente non lo fece sentire ancora una cosa con le spalle al muro, impotente: «Ti avevo detto di non dire a nessuno che stavi andandotene. Ti avevo avvisato di tenere la bocca chiusa.»
«Non sapevo che sarebbe andato da Rollins. O che Rollins sapesse della parem. Stavo solo cercando di guadagnare tempo.»
«Non hai imparato proprio niente a stare con gli Scarti? Sei ancora lo stesso sempliciotto di campagna appena sbarcato da Novyi Zem, pronto a farsi svuotare il portafogli in tutti i club della città.»
«E per questo non mi hai detto di Wylan? Mi hai fatto credere che fosse morto! Cos’è, volevi punirmi?» Jesper aveva smesso di giustificarsi, adesso sentiva solo rabbia.
Dopo qualche istante di attesa, Kaz rispose freddo: «Sì.»
Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, Jesper scattò verso di lui, pronto a scaricargli addosso tutta la sua frustrazione. Kaz non sembrava da meno, gli si leggeva la violenza nello sguardo. Jesper non fece in tempo ad acciuffarlo per il bavero della giacca, che Matthias si mise in mezzo. Con la sua mano gigante li aveva separati senza nessuna fatica.
«Smettela. Smettetela subito.» aveva ordinato, come se fossero sui soldati e lui fosse tornato tra i ranghi dei Drüskelle. Ma Jesper continuava a spingere per liberarsi dal fjerdiano e Kaz non aveva smesso per un attimo di tirargli coltellate con gli occhi.
«Jes.» una leggera pressione sulla manica lo fece voltare; Wylan gli aveva posato una mano sul braccio. Non lo stava trattenendo, gli stava solo chiedendo attenzione. Poi si voltò verso Kaz: «Jesper ha commesso un errore. Uno stupido errore, ma non ha mai voluto tradire nessuno.»
Kaz sembrò soppesare le sue parole per un istante prima di allontanarsi di scatto. Jesper fece altrettanto, in minima parte si era sentito sollevato che Wylan lo avesse difeso.
«Possiamo parlare?» gli chiese prima che potesse defilarsi di nuovo. Wylan rispose con un cenno del capo, incerto. Ma lo seguì quando Jesper si diresse verso una zona dell’isoletta in cui sarebbero stati abbastanza lontani dal resto del gruppo.

«Perché non me l’hai detto?» chiese Jesper fissandolo negli occhi, ma Wylan non fu capace di sostenere il suo sguardo.
«Kaz ha detto che era parte del piano, io non…» provò a spiegare, ma subito Jesper lo interruppe.
«Non sto parlando di… questo.» disse indicando il volto ormai irriconoscibile. «Perché non hai detto niente quando mi hai riconosciuto?» Wylan tacque, non sapeva dove guardare, mentre con una mano stringeva nervosamente qualcosa che Jesper non poteva vedere. «Non ti sei fermato neanche un attimo a pensare a come mi sarei sentito a scoprire che fingevi di non conoscermi? E quando hai cercato di ammazzarti di fronte a me? Ci hai pensato almeno un secondo a quello che ho provato quando ho visto quella barca andare a pezzi?»
«Non… Ci ho voluto pensare.»
«Ti rendi conto di quanto io sia arrabbiato con te?»
«Io non pensavo che ti interessasse di… me.»
«Wylan, quando eravamo bambini, tu sei stato il mio migliore amico. Che mostro pensi che io sia, se credi che non importi se vivi o muori? Certo che mi importa di te! Come puoi-»
«Tu mi hai dimenticato! Ti sei sentito ferito perché ho fatto finta di non conoscerti? Beh, io mi sono sentito ferito perché tu non mi hai neanche riconosciuto!» Wylan aveva sbottato. Se fino a un secondo prima aveva sopportato a testa basta ogni accusa di Jesper, adesso aveva mostrato che anche lui aveva una rabbia inespressa. «Come avrei potuto immaginare che te ne potesse importare qualcosa di me? Neanche ti ricordavi chi ero!»
Allora fu il turno per Jesper di zittirsi. Wylan lo guardava con un misto di astio e tristezza. La faccia gli era diventata rossa per lo sforzo di urlare. Dopo quell’esplosione improvvisa di voce era tornato il silenzio tra di loro.
«Eri tu?» chiese finalmente Jesper, quasi con un sussurro. «Tutte quelle notti, quando pensavo fosse Kuwei. Eri tu?»
Wylan lo scrutò per qualche istante dritto negli occhi, prima di rispondere: «Sì.»
«Perchè? Se volevi evitarmi, perché mi venivi a cercare?»
«Mi mancavi.» Quella confessione aveva colorito le guance di Wylan di un rosso ancora più intenso. Jesper non riusciva a fidarsi completamente. Sembrava sincero quando lo guardava in quel modo imbarazzato, ma gli aveva mentito fin dal primo momento che si erano incontrati e aveva continuato per mesi. Eppure in Jesper sopravviveva ancora quell’affetto che aveva sentito anni prima per il piccolo ragazzino nel giardino di una villa troppo grande per un bambino solo. Come avrebbe potuto cancellare ogni residuo di sentimento? Il passato era ancora tutto lì dove l'aveva lasciato.
«Che cos’hai lì?» domandò indicando la mano che Wylan teneva chiusa con forza.
Wylan allentò la presa e sul suo palmo Jesper vide un cammeo dorato, lo stesso che Kaz aveva notato sulla cravatta di Jan Van Eck non appena era iniziato l’incontro.
«Era di mia madre.» spiegò Wylan. «Non potevo lasciarglielo.»
«E il pugnale? Da dove l’hai tirato fuori?»
«Inej.» sorrise in risposta.
«Pensi che riusciremo a salvarla?» gli chiese d’istinto, quasi dimenticandosi che era ancora arrabbiato con lui.
«Jes, io non rimarrò.»
«Cosa? Che stai dicendo?»
«Il patto era di rimanere per lo scambio. Ho fatto la mia parte, questa è la mia ultima occasione per scappare.»
La rabbia gli era tornata nella voce. «E Inej? Non ti importa di lei?»
«Hai visto com’è mio padre! Non posso rimanere! E poi voi non avete mai avuto bisogno di me, vi servivo solo come leva. Al Barile ci sono tanti altri esperti di bombe, non devo per forza essere io.»
«Bene. Preferisci scappare per sempre? Fai come ti pare.»
«Jes, aspetta…» provò a fermarlo, ma Jesper era già partito per raggiungere Matthias, Kaz e Rotty. In lontananza si iniziava a vedere la scialuppa con cui Specht stava arrivando per recuperarli da quella stramaledetta isola.

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Kaz, ovviamente, aveva un piano. Gli era bastato il tempo che erano stati su Vellgeluk in attesa di Specht per scegliere la loro nuova base operativa e la prossima mossa per colpire Van Eck. Al Velo Nero avrebbero goduto della segretezza che al Barile non era più possibile trovare, ora che probabilmente tutta la città sapeva che l’ostaggio di più valore dell’intero globo era in loro possesso. Non era piacevole nascondersi in una tomba, ma almeno lì non sarebbero stati uccisi a vista dal primo membro di una gang che li beccava a passeggiare allegramente per le strade di Ketterdam.
Nel giro di qualche ora Rotty gli aveva portato tutto ciò che era riuscito a recuperare dal Club dei Corvi. Cambi di vestiti, scorte di cibo, coperte. Tutto il necessario per passare le prossime settimane chiusi in un cimitero. Rottu aveva anche fatto sosta al laboratorio di Wylan e aveva arraffato tutto quello che poteva. C'era rimasta qualche bomba e altri materiali che avrebbero potuto fare comodo.
Wylan non aveva aspettato oltre, dopo che Rotty aveva finito con lo scarico merci, si era fatto accompagnare al molo a bordo della barchetta. I saluti erano stati brevi, tutti erano ancora scossi dal rapimento di Inej e la partenza di Wylan non aiutava gli animi.
Jesper lo guardò dalla distanza mentre abbracciava Nina, stringeva la mano e Kuwei e infine si lasciava piazzare una pacca sulla spalla da Matthias, perdendo un poco l’equilibrio all'impatto. Poi Wylan si era avvicinato a Kaz e gli aveva porto quello che Jesper riconobbe subito come uno dei pugnali di Inej. Per un brevissimo istante sul viso di Kaz si intravide il segno di un’emozione. Jesper se ne sorprese, ma se c’era qualcuno che poteva addolcire il cipiglio di Kaz, era sicuramente Inej.
“Ce la riprenderemo”, si era detto senza cedere un passo alla sfiducia. Anche quella volta avrebbero risolto tutto, come facevano sempre. Kaz non si sarebbe fatto fregare una seconda volta da Van Eck, di questo Jesper era sicuro.
Wylan strinse la mano guantata di Kaz a lungo, Jesper vide che le sue labbra si muovevano, ma non riuscì a sentire quale saluto gli rivolse. A quel punto Jesper rientrò nella tomba, prima che Wylan potesse incrociare il suo sguardo. Forse era meschino lasciarlo partire senza un addio, ma Jesper aveva smesso di dire quella parola.

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«Jesper.» Dopo la rissa che avevano quasi avuto, Kaz era l'ultima persona da cui si aspettava di sentirsi chiamato.
«Che c'è?» gli chiese senza riuscire a non sembrare diffidente.
«Ha detto che voleva che l'avessi tu.» Sulla mano di Kaz brillava il cammeo dorato, in attesa che Jesper lo prendesse.
Ma Jesper non lo fece, rimase bloccato a fissare il gioiello. «Perchè?»
«Non lo so e non mi interessa.» fece spallucce Kaz. «Lo vuoi o no? Se non lo prendi tu, lo terrò io. C'è sempre posto nella mia collezione delle spille rubate ai Van Eck».
«Dammi qua.» Jesper afferrò la spilla e se la mise in tasca. «Kaz, senti… Mi dispiace per-»
«Non ti voglio sentire. Quando Inej sarà di nuovo con noi, dillo a lei che ti dispiace.»
«Dove metto questa roba?» Matthias era appena entrato nella tomba con una cassa dall'aspetto pesante tra le braccia. Nina lo aveva succeduto, si era seduta sul divanetto tutta intenta ad ascoltare qualcosa che Kuwei le stava cercando di spiegare in Shu.
«Che roba è?» chiese Kaz sbirciando il contenuto.
«Non ne ho idea, Rotty dice che l'ha trovata nel laboratorio».
«Lasciala là, poi ci darò un'occhiata.» Kaz indicò un punto indefinito della stanza con un gesto distratto. La sua attenzione era già passata ad altro. Matthias la posó nell'angolo a cui Kaz aveva accennato, poi si accomodò sul divanetto accanto a Nina e Kuwei.
Si intravedevano alcuni alambicchi e recipienti, ma in particolare uno strano marchingegno abbastanza grande da sbucare dalla cassa fuori attirò l'attenzione di Jesper. Non aveva mai visto una cosa del genere, si avvicinò per osservarla meglio. Sembrava che si trattasse di una specie di scatola di legno, al cui centro era saldata quella che sembrava la parte finale di una tromba. Estrasse l'oggetto dalla cassa, delicatamente.
«Non rompere niente.» gli intimó Kaz che lo controllava con la coda dell'occhio dall'altro lato della tomba.
«Sì, mamma. Farò il bravo.» gli rispose Jesper sarcastico. Tornò ad ammirare l'oggetto misterioso. C'era una manovella sulla base di legno, non l'aveva notata prima. Jesper sfioró la mano sulla superficie di legno, concentrandosi su quello che la manovella poteva arrivare al suo interno. Percepì un cilindro di ottone, tutto scanalato da sottili incisioni. Più guardava l'oggetto e più era curioso di capire cosa avesse davanti. "C'è solo un modo per scoprirlo." si disse, e girò la manovella.
Per quanto il suono fosse ovattato, riconobbe istantaneamente la voce di Wylan. «Questa è una registrazione privata. Si prega di consegnare il fonografo al signor Jesper Fahey.» Jesper smise di girare il meccanismo, di scatto guardò Kaz che ricambiava il suo sguardo stupito. Anche Matthias fissava il marchingegno con gli occhi chiari spalancati e le sopracciglia aggrottate dalla perplessità. Nina e Kuwei avevano interrotto la loro conversazione e si erano voltati in direzione del suono.
«Sono ancora drogata o quella cosa ha appena parlato?» chiese lei puntando il dito contro la macchina.
«Quel genietto di un mercantuccio ha creato un congegno per catturare i suoni.» constató Kaz con un sorrisetto divertito.
Jesper afferrò il fonografo, o almeno era così che la voce di Wylan aveva appena chiamato quello strano coso, e in fretta e furia uscì dalla tomba.
«Ehi! Dove vai?» gli aveva domandato Nina, ma lui senza fermarsi aveva risposto: «Non hai sentito? È privato. Fatti i fatti tuoi.»
«Antipatico!» gli aveva gridato dietro, ma Jesper era già fuori. In un attimo trovó un punto dove sistemarsi e ricominciò a girare la manovella.

Caro Jesper. È così che iniziano le lettere, giusto?
Tu non ti ricordi di me, ma noi ci conosciamo da tanti anni. Forse riesco a rispolverarti la memoria se ti dico che mi chiamo Wylan ed ero il tuo vicino di casa quando eravamo bambini?
L'ultima volta che ci siamo visti è stato 10 anni fa. È tanto tempo, lo so. Però io non ti ho mai dimenticato.
Non mi aspettavo di ritrovarti, è stato bello scoprire come sei diventato. Non so davvero come sia possibile, ma sei ancora più alto di quanto immaginavo! Ho fantasticato spesso su dove potessi essere e cosa stessi facendo, mi sono sempre chiesto se pensassi ancora a me.
Credevo che non ti avrei mai più rivisto, invece sono stato fortunato! Peccato che sia durata così poco.
Non appena saremo ripartiti da Fjerda, io dovrò sparire. Questa registrazione è la mia lettera d'addio, un po' come quella che mi hai lasciato tu, 10 anni fa. Anche se non l'ho mai letta. Mi dispiace.
Non te l'ho mai detto, ma io non sono capace di leggere e scrivere. Questo è l'unico modo che ho di salutarti e dirti grazie. Non ne ho avuto occasione prima, ma ho sempre voluto ringraziarti per essere stato mio amico. Tu sei il ricordo più bello che ho, grazie per avermi regalato quei momenti felici. Certe volte mi sono chiesto chi sarei adesso se non ti avessi conosciuto. Sono davvero grato di averti avuto nella mia vita, anche se per poco tempo.
Addio, Jes. Ti auguro che la tua vita sia bella, come i fiori di jurda.
Tuo, Wy.

Ancora prima che la registrazione terminasse, Jesper aveva iniziato a sentire un groppo in gola. Il primo singhiozzo però lo colse su quel saluto finale. Era stato così pieno di rancore fino a quel momento, adesso invece l'unica cosa che sentiva era un profondissimo vuoto. Ancora una volta abbandonato.
Si ficcò la mano in tasca, alla ricerca della spilla. La guardava come se aspettasse che quella figurina gli parlasse e lo consolasse. Ma la donna raffigurata continuava a ignorarlo e i suoi occhi erano ormai troppo appannati dalle lacrime per guardarla nitidamente. Strinse forte il gioiello e solo in quel momento percepì una piccola incisione sul retro dorato della spilla. Immediatamente la capovolse e lesse: "Il mare lava il male."
Jesper lo ricordava, era il motto di Sankta Maradi. Sua madre gli aveva raccontato così tante volte la sua storia; una donna, una Zemeni, una zowa, una Scuotiacque, la protettrice degli amori impossibili.
«Il mare lava il male.» ripeté piano, scandendo le parole come una formula magica. Poi scattò in piedi, d'improvviso. «Questo non è il momento di piangere, è il momento di agire.» disse ad alta voce, come per convincersi con più decisione. E a lunghi passi si avviò verso una delle barchette, diretto al porto dove Wylan stava per salpare.

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Capitolo 7
*** Anche solo per un'ora ***


Non era stato semplice convincere il capitano della nave Shu a farlo salire a bordo. Neanche i documenti che affermavano che lui fosse un azionista della loro compagnia di importazione erano bastati ad assicurargli un posto.
«Chi mi assicura che sei chi dici di essere?» gli aveva chiesto il capitano tenendo strette sul petto le braccia conserte, il forte accento non lo rendeva meno minaccioso. Gli occhi ridotti a una fessura ambrata lo osservavano severo. «Sei uno Shu che non parla la sua stessa lingua, non mi fido della gente che ignora la propria gente.»
«E se chiedessi ai gentili agenti della stadwatch laggiù di controllare che il vostro carico di tè non includa anche altri tipi di erbe che potrebbero interessare molto al Consiglio delle Maree?» Wylan aveva visto il capitano sgranare gli occhi alla sua domanda. La minaccia di denunciare il loro traffico di droga lo fece deglutire. Wylan vide il suo pomo d’adamo che danzava sul suo collo prima di sentirgli ordinare qualcosa in Shu al resto dell’equipaggio. In un batter d’occhio lo fecero salire a bordo. Non gli piaceva quel modo di ottenere quello di cui aveva bisogno, ma Kaz sicuramente era stato un ottimo insegnante e Wylan era sempre stato un ottimo studente.
Se già tutti quelli sulla nave gli puntavano gli occhi addosso con diffidenza, se non con astio, sentì del vero e proprio odio quando, dopo tutto il lavoro che aveva fatto per potersi imbarcare, aveva chiesto di scendere. Non appena la nave aveva lasciato il porto da poco più di un minuto, Wylan era corso verso il capitano implorando di riportarlo a terra. Tra grida e quelli che Wylan poteva intuire che fossero insulti in Shu, alla fine erano tornati ad ormeggiare sul molo e gli avevano permesso di scendere.
Ora se ne stava seduto sulla sua stessa borsa, con la schiena appoggiata su un muro a guardare il punto dove poco prima si trovava l’imbarcazione Shu che avrebbe dovuto portarlo via da Ketterdam per sempre, ormai troppo lontana per riuscire a distinguerla dal resto del mare.
“Che cosa ci faccio qui?” Si chiese come se non sapesse già la risposta. La verità era che si era sentito troppo codardo per rimanere ad affrontare ancora una volta suo padre, ma al contempo la sua coscienza continuava a ripetergli che era sbagliato andarsene. Alla fine le sue gambe avevano deciso per lui e lo avevano fatto scendere dalla nave prima che il suo cervello gli ricordasse quanto fosse un’idea stupida.
“Preferisci scappare per sempre?” Gli aveva chiesto Jesper con tono furioso e occhi delusi.
Certo che non voleva, ma che altre opzioni aveva per sopravvivere? Lui non era certo un soldato come Matthias, non era un Grisha come Nina, non era uno spettro come Inej, non era un tiratore scelto come Jesper e non era neanche un bastardo come Kaz. Lui era solo un mercantuccio, niente di più. Scappare era la mossa più intelligente, suo padre aveva tutti i mezzi per ucciderlo, e se anche avesse deciso di risparmiargli la vita, avrebbe facilmente potuto rendergliela un inferno, ancora di più di quanto non avesse già fatto per tutti quegli anni.
Ma appena ripensava a Nina ancora debilitata dalla droga, a Inej tenuta in trappola, a Kuwei nascosto per non essere venduto come un oggetto, come poteva semplicemente lasciarsi tutto alle spalle? Come poteva lasciarli da soli contro suo padre? Wylan, meglio di tutti, sapeva che persona orribile fosse.
“Fai solo il suo gioco. In ogni caso vince lui.” gli aveva detto Kaz sulla Ferolind. E Wylan era consapevole che il suo discorso fosse solo un modo per manipolarlo a seguire il suo piano, ma Kaz non aveva torto. Se Wylan non avesse nemmeno provato a contrastare suo padre, se fosse scappato lontano, se si fosse tolto di torno per sempre, avrebbe fatto esattamente quello che Jan Van Eck voleva: liberarsi di suo figlio.

Doveva assolutamente tornare al Velo Nero, ma non aveva idea di come fare senza farsi beccare dai nemici che si erano fatti a Vellgeluk e mettere così in pericolo il resto della banda. Fece un respiro profondo, si strinse le ginocchia al petto e lasciò che la sua testa ci cadesse sopra. Era strano non vedere i riccioli rossicci coprirgli la vista, ora solo qualche ciuffo nero si frapponeva tra lui e il panorama del molo.
Delle lunghe gambe gli passarono davanti agli occhi rapide e scattanti. Gli bastò quell’istante per riconoscerlo. «Jes?» lo chiamò incredulo.
Jesper immediatamente si voltò verso di lui, Wylan non fece in tempo ad alzarsi in piedi che lo Zemeni lo aveva già raggiunto e lo aveva preso tra le braccia. «Grazie ai santi sei ancora qui!» Jesper lo stringeva così forte che lo alzò di qualche centimetro da terra.
«Jes! Mettimi giù!» Wylan si aggrappò alle sue spalle spaventato di cadere a terra. «Che ci fai qui?» gli chiese quando i suoi piedi toccarono di nuovo terra.
«Tu che ci fai qui? Non dovresti essere su una nave?»
«Lo ero. Ma non ce l’ho fatta. Sono sceso.» Wylan si sentiva un idiota ad aver appena ammesso quello che aveva fatto, ma il sorriso che Jesper gli rivolse ne valse la pena. Lo guardava con gli occhi grigi pieni di tenerezza, era uno sguardo che solo in quel momento Wylan ricordò di avergli visto spesso, solo che si trattava di un Jesper piú basso di almeno 20 centimetri e con il viso più tondeggiante. Da quando si erano rincontrati, era la prima volta che Jesper gli sorrideva come era solito fare quando erano amici. Lo stomaco gli si fece leggero, era una sensazione che non sentiva da tanto tempo.
Ma non durò molto, perché d’un tratto gli occhi di Jesper si concentrarono su qualcosa oltre la sua testa. Wylan istintivamente fece per voltarsi in direzione del suo sguardo, ma Jesper lo fermò prima che potesse girarsi. Con un rapido gesto lo costrinse spalle al muro, le sue braccia gli impedivano ogni movimento, i loro petti si sfioravano ad ogni respiro. Wylan era troppo sorpreso anche solo per pensare di liberarsi.
«Stadwatch.» gli spiegò con un sussurro. I loro visi erano così vicini che Wylan non poteva non fissargli le labbra, ma riuscì comunque a vedere due figure in divisa viola che passavano a un paio di metri da loro. Da fuori chiunque avrebbe pensato, vedendoli così vicini, che fossero una coppietta come tante altre che nessuno avrebbe degnato di più di uno sguardo e non due criminali che nascondevano un fuggitivo della Corte di Ghiaccio. Non c’era nessun pericolo che li riconoscessero se non potevano vederli in faccia. Eppure il cuore martellava nel petto di Wylan a un ritmo frenetico. Era paura? O forse era il calore del corpo di Jesper che premeva sul suo a farlo sentire così accaldato?
Non appena gli agenti furono abbastanza lontani, Jesper si alzò il bavero e Wylan subito lo imitò. «Andiamo.» disse lo Zemeni, poi raccolse la borsa di Wylan e lo trascinò nel vicolo più vicino.

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Wylan credeva che sarebbe stato strano ritrovarsi di nuovo con il resto della banda, non aveva idea di cosa avrebbero detto nel vederlo tornare dopo l’addio che si erano scambiati solo poche ore prima. Ma l’abbraccio di Nina l’aveva fatto immediatamente ricredere. Matthias gli aveva scompigliato i capelli con una delle sue enormi mani, mentre Kuwei aveva sgranato gli occhi, spostandoli ora su lui e ora su Jesper, senza riuscire a trattenere un sorrisetto. Le loro reazioni lo sollevarono, non era sicuro che lo avrebbero accolto, dopo che aveva provato ad abbandonarli in una situazione così critica. Se poi c’era una cosa che Wylan proprio non si aspettava, era che Kaz non fosse fuori di sé dalla rabbia.
«Nessuno sa che sono andato al porto.» gli aveva detto Jesper poco prima, mentre remavano verso il Velo Nero. «Non vedo l’ora di sentire Kaz che mi urla addosso che sono uno scemo e che ho messo in pericolo tutti. Due volte in un solo giorno è un nuovo record.» scherzò, ma la risata che gli uscì dalla bocca era amara.
«Allora siamo in due. Anche io ero al porto.» provò a tirarlo su di morale. «E se non fossi arrivato tu, non so come avrei fatto a tornare. Mi avrebbero preso nel giro di qualche ora.» Evidentemente quella rassicurazione funzionò perché il sorriso di Jesper sembrò rincuorato. Entrambi erano certi che ci sarebbe stata presto una nuova discussione, eppure, ora che si trovavano al Velo Nero, Kaz non era miniamamente in collera, anzi, non sembrava nemmeno stupito di vedere Wylan ancora a Ketterdam.
«Tutti dentro, è già tardi e domani mattina dobbiamo organizzare la prossima mossa.» ordinò Kaz prima di sparire nella tomba buia.
Mentre Matthias, Nina e Kuwei lo seguivano, Wylan si voltò confuso verso Jesper; gli vide in volto la sua stessa espressione incredula, ma in un attimo si piegò in un ghigno divertito. «Quel bastardo lo sapeva.» Jesper rise scuotendo la testa.
«Che cosa sapeva?» gli chiese Wylan sempre più smarrito.
«Niente, niente. Non ti preoccupare.» gli rispose con un gesto della mano per minimizzare. «Piuttosto, tieni.» Dopo qualche istante di ricerca nella tasca interna del cappotto, Jesper estrasse la spilla che Wylan conosceva così bene e gliela piazzò sul palmo della mano.
«Grazie.» Non potè trattenere un sorriso, il solo vederla gli faceva sentire un calore rassicurante nel petto, anche se il metallo che la ricopriva era ancora freddo sulla sua pelle.
«Perché l’hai lasciata a me? Era di tua madre, è importante.»
«Anche tu sei importante.» La risposta gli venne così spontanea da non riuscire a controllare il rossore che sentiva già divampare sugli zigomi. «Non lo so il perché, volevo che l’avessi tu e basta.» si affrettò ad aggiungere.
«Wy, sai cosa c’è scritto?» gli chiese Jesper mostrandogli il retro del gioiello ancora esposto sul suo palmo. Wylan scosse la testa. Aveva rinunciato presto a cercare di decifrarne il significato, le lettere così arzigogolate danzavano davanti ai suoi occhi. Era assolutamente impossibile per lui distinguerle, così aveva finito per dimenticarsi dell’esistenza di quell’incisione.
Jesper gli si fece più vicino, passò un dito lungo le parole per indicare il segno, la sua mano sfiorava quella di Wylan ad ogni movimento. «”Il mare lava il male”» recitò Jesper.
«È il motto di Sankta Maradi.» disse Wylan riscoprendo un ricordo di cui non aveva coscienza.
«Lo conosci.» si stupì Jesper.
«Certo. La famiglia di mia madre, gli Hendriks, erano molto devoti a Sankta Maradi. Lo avevano assunto come loro stesso motto.» Solo in quel momento realizzò che cosa significava. I criminali a cui aveva ceduto la spilla per avere salva la vita, sicuramente avevano provato a venderla a qualche banco dei pegni e il proprietario doveva aver avvertito la stadwatch di un possibile furto a casa Van Eck non appena aveva notato il motto di famiglia inciso sul cammeo. Tutti i suoi sforzi per sfuggire al piano di suo padre erano stati inutili perché era stato lui stesso a smascherarsi. E suo padre aveva deciso di indossare la spilla per l’incontro a Vellgeluk con il preciso scopo di umiliarlo mostrandogli il suo errore. «Sono davvero un idiota.»
«Che stai dicendo?» gli chiese Jesper incapace di intuire cosa potesse stargli passando per la testa in quel momento.
«Non riuscivo a capire come avesse fatto mio padre a scoprire che sono ancora vivo. Ma sono stato proprio io a dirglielo. Sono un idiota.»
«Wy, di che stai parlando? Quando glielo avresti detto?»
Wylan non riusciva a trovare le parole per spiegarsi. Non aveva raccontato a nessuno del tentato assassinio di suo padre. Ogni volta che aveva provato a dare concretezza a tutti quei pensieri, quelli gli rimanevano bloccati in gola. Non riusciva a produrre alcun suono, come se le mani che aveva stretto il suo collo fossero ancora lì incollate a mozzargli il fiato.
«Non ce la faccio. Non ci riesco.» aveva ammesso con la voce strozzata. Jesper lo aveva afferrato dalle spalle, la sua presa era al contempo salda, per non farlo cedere all’impulso di scappare, e dolce, per fargli sentire che non era solo.
«Niente più segreti.» lo aveva guardato dritto negli occhi, le sopracciglia aggrottate lo facevano sembrare risoluto, ma nel punto in cui si arcuavano verso l’alto davano al suo viso un aspetto preoccupato. «Parlami.»
Wylan si costrinse a fare un respiro profondo prima di continuare. «Ho usato la spilla come pagamento.» disse tutto d’un fiato.
«Cosa? Perché? Per pagare cosa?»
«Era la cosa più preziosa che avevo, era l’unico modo...» Wylan si sentiva nauseato, la testa iniziava a girare. «Jes, mi sento male.» Il panico si era completamente impadronito del suo corpo e della sua voce.
«Ehi, va tutto bene. Ti tengo.» Solo in quel momento Wylan si rese conto che le gambe non lo stavano più reggendo come prima, Jesper gli aveva infilato un braccio sotto la spalla per sostenerlo. Delicatamente lo aiutò a sedersi su una lapide lì vicino. «Stai tranquillo, adesso vado a chiamare Nina, così-»
«No, aspetta.» lo bloccò prima che potesse fare un solo passo. «Nina è ancora troppo debole, non può usare i suoi poteri. Ho solo bisogno di un attimo per riprendermi.»
Jesper sembrava poco convinto, ma non si mosse. Rimase seduto al suo fianco a tamburellare nervoso sulla pietra della lapide. Wylan faceva respiri profondi e cercava di concentrarsi unicamente sul battere ritmico delle dita di Jesper. Ma non era un’impresa facile, la sua mente continuava a ricordargli quella sensazione di impotenza che provava ogni volta che suo padre lo guardava con quel suo sguardo disgustato che così in fretta si trasformava in pura ira quando il suo braccio si alzava per poi schiantarsi con violenza sul viso di Wylan.
“Aveva ragione. Sono un idiota. Un inutile idiota che non sa stare al mondo.” Il flusso di pensieri che gli vorticava in testa spingeva tutto il suo corpo verso il basso. Era seduto ma aveva ancora la sensazione di stare cadendo. “Che senso ha provarci ancora? Sarebbe stato meglio se mi fossi lasciato ammazzare.”
Sembrava che nessun suono potesse sovrastare la voce nella sua testa, finché Jesper non iniziò a cantare. Wylan non conosceva lo Zemeni, ma quella melodia non gli era nuova, gli bastò qualche nota per riconoscerla. La musica e la nostalgia lo travolsero e, prima che se ne rendesse conto, stava cantando insieme a Jesper.
«Te la ricordi.» Jesper si fermò e lo guardò con un sorriso sorpreso. Wylan di tutta risposta continuò a cantare il resto della strofa, ripescando dalla memoria quel giorno lontano in cui Jesper gli aveva spiegato il significato di quelle parole altrimenti incomprensibili per lui.

Vorrei far tornare anche solo per un’ora
Il sole caldo e il sapore di mora.
Ricordi anche tu i giorni felici,
Quando non avevamo le cicatrici?
Se questa sera nel letto sentirò salire
Il freddo solitario dell’imbrunire,
Ripenserò allora ai tuoi occhi d’estate,
Mi scalderanno le tue dolci risate.
Gli incubi non mi verranno più a svegliare,
Il nostro amore non potrà mai tramontare.
Dormi e sogna, che il cielo è sereno,
E anche questa notte passerà in un baleno.

«È la preferita di tua mamma.» ricordò Wylan dopo aver intonato l’ultimo verso.
Jesper gli sorrise malinconico: «Lo era.»
«Jes… Mi dispiace.» istintivamente Wylan gli afferrò una mano e la strinse, solo dopo aver già intrecciato le sue dita bianche con quelle scure di Jesper si chiese se avesse sbagliato a cercare quel contatto. Ma Jesper non si era ritratto. Wylan voleva credere che ne avesse bisogno, almeno quanto lui.
«Non posso credere che abbia davvero funzionato. Riesce ancora a calmarti.» L'espressione di Jesper si era fatta più tenera, anche se il sorriso sembrava ancora un po’ forzato. «Non sei un po’ cresciuto per le ninna nanne?»
All'improvviso gli fu chiaro quando gliel’aveva sentita cantare. Jesper aveva l’abitudine di usarla per consolarlo, sapeva che la musica era la cosa che lo metteva più a suo agio, e cantare per lui riusciva a distrarlo quel tanto che bastava per tranquillizzarlo.
«Mi mantengo giovane.»
Jesper rise piano. «E infatti non sei cambiato per niente. Mi spieghi come fai a essere ancora così basso?»
Wylan gli diede un calcio leggero sullo stinco, ma non poté evitare di sorridere. «Sei tu che sei mostruosamente alto! Io sono nella media.»
«Certo, Wy. Qualsiasi cosa che ti faccia dormire bene la notte.» Wylan riprese a tirargli calci, ma Jesper gli sfuggiva facilmente, ridacchiando ad ogni colpo che riusciva ad evitare.
«Anche tu non sei cambiato, sei ancora antipatico.»
«E tu sei ancora pessimo a mentire, lo so che mi adori.» Jesper rise quando Wylan rispose con un linguaccia. Ma quando la risata finì, tornò serio: «Scusa se ti ho fatto pressioni. Non dovevo. Me ne parlerai quando ci riuscirai.»
«Grazie, Jes.» Wylan si sentì rincuorato. «Hai ragione, niente più segreti.»
In quell’istante Wylan avrebbe potuto giurare che non fosse passato un solo giorno dai tempi di Novyi Zem, perché il calore che sentiva nel petto era lo stesso che lo scaldava ogni volta che Jesper lo guardava con quegli occhi grigi che lo facevano sentire come se ci fossero solo loro due al mondo. Wylan rimaneva intrappolato tra quelle ciglia lunghe e nere e dimenticava tutti i suoi problemi. Quante volte aveva rischiato di rincasare in ritardo semplicemente perché non voleva rinunciare a quella sensazione così dolce e allo stesso tempo soffocante?
«Odio interrompere questo momento romantico.» Nina era sbucata fuori dalla tomba quel tanto che bastava per osservarli con un ghigno divertito. I suoi occhi verdi puntavano dritti alle loro mani ancora strette e ai loro corpi ad una distanza decisamente intima. Wylan strappò rapidamente la presa da Jesper, il calore si era spostato dal petto alle guance nel giro di pochi secondi. «Vi devo ricordare che Kaz ama lanciare il suo bastone in testa a chi non fa come dice, o rientrate senza bernoccoli?»
Dalle risatine di Nina e Jesper, Wylan era sicuro che le sue guance e le sue orecchie erano di un rosso scarlatto. Sembravano divertirsi a vederlo imbarazzato, ma alla fine, non gli dispiaceva. Quella presa in giro sembrava quasi affermare che anche lui era parte del gruppo.

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Da quando Inej era stata rapita erano passati già diversi giorni. La tensione per la preparazione del nuovo piano di azione era sempre presente, il terrore di doversi nascondere in ogni momento non li abbandonava un attimo.
Quella sera avevano messo in atto la loro prima mossa. Wylan era un pessimo attore e non era riuscito a trattenersi quando aveva visto Jesper scommettere le sue amate rivoltelle, gli era scappato dalla bocca un “No!” allarmato. Sapeva bene che non erano solo delle armi, per Jesper quelle pistole erano la sua ancora di salvezza, un punto fermo a cui aggrapparsi quando l’agitazione costante che lo caratterizzava gli gridava di muoversi, fare qualcosa, qualsiasi cosa. Eppure la sua espressione sembrava imperturbabile quando aveva rinunciato al suo bene più prezioso solo per tenere Smeet incollato al tavolo da gioco.
Kaz e Wylan avevano appena lasciato Jesper a giocare tutto il possibile e Nina a civettare con Smeet, si erano dileguati dal Club Cumulus nascosti sotto i costumi di scena della Commedia Bruta. Mentre si facevano strada per le vie umide e buie di Ketterdam, ad ogni passo Wylan si chiedeva: “Che cosa ci faccio qui? Perché mi sono messo in questa situazione?”. La domanda riceveva subito la risposta che gli permetteva di continuare a camminare senza rallentare neanche per un istante: “Tutto questo è per Inej. Lei ha salvato le nostre vite così tante volte, non può soffrire per colpa di mio padre. Nessuno dovrebbe.”
E poi, era inutile negarlo, era anche per Jesper. L’ultima persona al mondo a cui importasse di lui era lì, come avrebbe potuto rinunciarci? Suo padre non lo aveva mai amato, sua madre era morta e ora anche la professoressa Levi gli avrebbe voltato le spalle. Gli era rimasto solo Jesper. Forse era egoista da parte sua, ma ne valeva la pena di rischiare la vita se il prezzo era passare altro tempo con lui, perché ogni istante era speciale. Quando lo chiamava “Wy”, non era molto diverso da quando erano bambini, la sua voce era diventata più profonda e baritonale, ma il tono era identico. Non dare un nome alla sensazione di calore che sentiva ogni volta che Jesper lo guardava con quel suo sorrisetto beffardo, sperava che quel sentimento fosse semplicemente come “sentirsi a casa”, niente più profondo di così.
Quella notte sulla Ferolind, poco prima che Nina lo modificasse, era stata la prima volta da tanto tempo che Jesper lo chiamava con quel soprannome. Wylan si era buttato sul petto di Jesper senza alcun ritegno, solo per poi approfittarsi di quel loro momento di debolezza. Era stato un gesto impulsivo, dettato dalla paura, dall’ansia, dalla disperazione, ma Jesper aveva ricambiato il suo abbraccio. Era bastato qualche secondo per rendere Wylan totalmente dipendente, non riusciva a smettere di pensare che ne voleva ancora.
Quand’era l’ultima volta che una persona lo aveva abbracciato? C’era stata qualche avventura notturna da quando aveva iniziato a sgattaiolare fuori dalla villa, ma era diverso. Quel contatto umano era veloce e impersonale, solo una ricerca spasmodica di uno svago che finiva velocemente e rimaneva un’esperienza svuotata di qualsiasi sentimento. C’era più significato in quell’abbraccio così breve che nelle notti che aveva passato a letto di qualche ragazzo conosciuto all’università e da cui, dalla mattina dopo, sarebbe stato ignorato e che lui stesso avrebbe fatto finta di non averci mai avuto a che fare.

Ma adesso non poteva davvero pensare a Jesper, lo sguardo severo che gli rivolse Kaz una volta arrivati alla periferia del Barile gli ricordò di mantenere la concentrazione. Si sbarazzarono in fretta dei mantelli e raggiunsero Matthias che li aspettava sotto un portico sul Canale di Handel. Il grosso Fjerdiano aveva tenuto d’occhio la casa di Smeet per tutta la sera, ma l’unica cosa che gli interessava era il resto del gruppo: «Come st…» Aveva provato a chiedere, ma Kaz lo aveva zittito: «Nina sta bene. Jesper sta bene. Stanno tutti bene, tranne me che sono inchiodato a una banda di bambinaie ansiose. Tenete gli occhi aperti.»
Wylan non sapeva con che forza d’animo Matthias non avesse ancora fracassato la testa di Kaz contro un muro, ma doveva essere il suo temperamento da soldato a fargli portare avanti la missione mettendo da parte i suoi sentimenti.
Entrare nella casa di Smeet era stato un rompicapo non indifferente persino per Kaz. Non era sufficiente essere uno scassinatore provetto, i cani da guardia non erano delle serrature da aprire. C’era voluta pazienza e osservazione per riuscire a risolvere l’enigma; con il carisma di Nina e la sua mano veloce gli avevano procurato il loro biglietto d’entrata per la casa dell’avvocato: un fischietto a cui i cani obbedivano ciecamente. Era decisamente inquietante e strano vedere Kaz grattare uno dei giganteschi cani dietro l’orecchio come fosse un tenero cucciolo, Wylan immaginava già come Jesper avrebbe riso quando glielo avrebbe raccontato al loro ritorno.
Non appena entrarono nell’ufficio di Smeet, Kaz cominciò a sfogliare i cumuli di scatole dove erano archiviati tutti i clienti dell’avvocato. Wylan si sentiva abbastanza inutile, ma non poteva fare altro che osservarlo mentre passava in rassegna i nomi.
«Quanti polli. Naten Boreg, quel miserabile stronzetto di Karl Dryden. Smeet rappresenta metà del Consiglio dei Mercanti.» mormorò Kaz con gli occhi concentrati sui registri.
«Lo so. Era spesso invitato a casa per trattare di affari.» Quella sera al Club Cumulus infatti non era la prima volta che incontrava l’avvocato di suo padre. Era impossibile dimenticare la seconda voce che veniva dall’ufficio di suo padre il giorno in cui aveva origliato del suo intento di assoldare dei sicari. Smeet non aveva voluto sapere per chi fossero destinati, aveva semplicemente offerto i suoi contatti al suo cliente, e come il bravo avvocato che era, non avrebbe violato il segreto professionale.
Passarono diversi minuti, Kaz elencava le proprietà, le attività e le aziende intestate a Jan Van Eck, quelle intestate alla sua nuova giovanissima moglie Alys, e persino qualcosa a nome di Wylan, una macchina tipografica e la Commedia di Eil, il solito vecchio scherzo per mortificare il figlio difettoso e ridere in privato della maledizione che gli era capitata nel generarlo.
«Qual era il cognome di tua madre?» chiese Kaz quando la ricerca durava da troppo tempo e sembrava non giungere a niente.
«Non c’è niente a suo nome.»
«Fammi felice.»
«Hendriks.» ammise infine Wylan.
Kaz alzò lo sguardo, il sopracciglio inarcato lo stava squadrando e Wylan sapeva perfettamente che lo stava giudicando. Fece un lungo sospiro prima di commentare: «Essere sentimentali è poco pratico, soprattutto se vuoi nasconderti da un uomo che ti vuole morto e investire nelle attività dei suoi rivali in affari». Poi si alzò e andò alla ricerca di un nuovo registro contabile.
Wylan aveva sperato con tutto se stesso che tra i documenti che Kaz aveva esaminato fino a quel momento non avesse notato il suo nome, ma ormai doveva sapere che non gli sfuggiva niente. «Non posso farci niente se ho un cuore.»
«Hai anche un cervello, se devi scegliere un organo per pensare, usa quello.» Kaz gli aveva voltato le spalle, leggeva un fascicolo che sembrava piuttosto vecchio, ma al contempo poco utilizzato. «Quand’è morta?» gli chiese senza alzare il naso dai fogli.
«Quando avevo otto anni. Mio padre diventò anche peggio dopo che lei se ne andò. Subito dopo la sua morte sono stato… allontanato da Ketterdam. Non mi permise di andare al suo funerale. Non so neanche dov’è sepolta.» Wylan non ripensava volentieri a quel periodo, nella sua memoria era tutto molto confuso perché ogni cosa era stata improvvisa e veloce. Un giorno suo padre gli aveva annunciato che sua madre si sarebbe assentata dalla casa perché non stava bene, la volta successiva che gli aveva parlato era già morta. La mattina successiva era già stato imbarcato per Novyi Zem, senza neanche aver avuto il tempo di rendersi conto che era appena diventato orfano di madre. «E comunque, perché voi dite “Nessun rimpianto, nessun funerale”? Perché non dite semplicemente “Buona fortuna” o “State attenti”?»
«Ci piace tenere basse le aspettative.» Il dito guantato di Kaz scorreva sulla carta, Wylan riuscì a intravedere una colonna di numeri prima che i registri si chiudessero davanti al suo naso. «Tuo padre fa beneficenza?» gli chiese Kaz iniziando a riordinare l’ufficio per lasciarlo esattamente com’era quando erano entrati.
«No. Paga dei tributi a Ghezen, ma sostiene che la beneficenza priva gli uomini della possibilità di lavorare onestamente.»
«Be’, negli ultimi quindici anni ha fatto delle donazioni alla chiesa di Santa Hilde. Se vuoi porgere i tuoi omaggi a tua madre, probabilmente è quello il posto da cui iniziare.»
Wylan era perplesso, non aveva mai sentito nominare quella chiesa, era forse lì che era stata sepolta sua madre? Ma più di tutto, era impossibile che Manisporche condividesse un'informazione senza che gli tornasse utile, perché glielo stava dicendo? «Cosa..»
«Se Nina e Jesper hanno fatto un buon lavoro, Smeet sarà a casa a momenti. Non possiamo essere qui quando torna o tutto il piano salta. Muoviamoci.»
Per quanto si sentisse stordito da quella conversazione, Wylan lo seguì.

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Ad accoglierli al Velo Nero c’erano le voci di Jesper e Nina, troppo intenti a discutere tra di loro per notarli arrivare. Erano entrambi parecchio nervosi, Jesper camminava a passo pesante nel cimitero mentre Nina lo rimbeccava. Il rumore del bastone di Kaz che picchiava contro una lapide li zittì, all’istante si misero in posizione da combattimento.
«Oh, siete voi.» Si rilassò Nina quando riconobbe le tre figure nell’ombra.
«Sì, siamo noi.» Kaz li spinse con il bastone. «E voi ci avresti sentiti se non foste stati così occupati a discutere. E tu, Matthias, smettila di fissare Nina come se non avessi mai visto una donna in abito trasparente.»
«Non la stavo fissando.» Il Fjerdiano stava dissimulando un contegno che gli era impossibile, Wylan sorrise divertito di vederlo in difficoltà, lui che di solito era un perfetto soldato composto.
«Stai buono, Brekker.» Nina si sistemò i capelli fluenti con un gesto ammaliante. «A me piace quando mi fissa.»
Wylan cercò con gli occhi Jesper, li incontrò presto perché anche lui lo stava guardando. Jesper si mordicchiava un labbro nel tentativo di trattenere un ghigno, Wylan dovette voltarsi e posarsi una mano sul viso per non far notare che stava ridacchiando.
«Com’è andata la missione?» domandò Matthias per togliersi dall’imbarazzo. Nina e Jesper iniziarono a raccontare, quando arrivarono alla tomba, la testa di Kuwei faceva capolino e si sporgeva ad osservarli.
«Che cosa ti ho detto?» Kaz gli puntò il bastone contro e lo fece indietreggiare.
«Il mio Kerch no è buonissimo» si giustificò lui, ma Kaz lo spinse senza remore dentro le tomba, seguito da Nina che procedeva con il suo racconto e Matthias che si sforzava di guardarla in volto mentre ascoltava.
«Hai le kruge pronte?» Jesper sorrise a Wylan. Erano rimasti solo loro due fuori dalla tomba.
«Cosa ti fa credere che vincerai tu? Quei due sono troppo imprevedibili. Potrebbero baciarsi anche adesso, stesi sul tavolo mentre Kaz lavora, oppure tra tre anni.» Wylan non poteva credere di aver davvero accettato di scommettere con Jesper su quanto ci avrebbero messo Nina e Matthias a scambiarsi un bacio. Al Velo Nero non c’era tanto da fare, così il loro nuovo passatempo era stato osservare quel disastro di tensione sessuale che c’era tra la Grisha e il Fjerdiano.
«Ne sono sicuro. Entro questa settimana ci sarà il primo bacio, poi ci toccherà trovare dei tappi per le orecchie perché non ci lasceranno dormire la notte.»
«Jes!» Wylan lo colpì su un braccio in modo scherzoso.
«Allora? È filato tutto liscio da Smeet?»
«Direi di sì, Kaz ha trovato ciò che gli serviva. Anche se probabilmente ha causato un trauma a vita a una bambina.»
«Oh no, che ha fatto?»
«La figlia di Smeet ci ha visti e Kaz ha pensato bene di minacciarla di sgozzare i suoi genitori e di strappare il cuore dei loro cani.» Jesper sgranò gli occhi, poi Wylan aggiunse: «Lo so che questa era un’opzione migliore di ucciderla, ma è pur sempre una bambina. Non è colpa sua, non ha deciso lei chi è suo padre.»
«Tu… Stai bene?» Jesper lo osservava ansioso.
«Jesper Fahey, sei preoccupato per me?» lo prese in giro Wylan. Non voleva che Jesper lo considerasse fragile, voleva dimostrargli che poteva farcela.
«Sei impossibile.» Jesper roteò gli occhi, le mani si posarono sulle fondine ormai vuote.
«Mi dispiace per le pistole» disse Wylan e Jesper gli fece un sorriso forzato. «Ci tenevo davvero tanto a smontarle.»
La risata di Jesper gli fece torcere le budella in un misto di eccitazione e gioia. Il sorriso di circostanza di qualche istante prima non gli bastava, Wylan avrebbe voluto passare tutta la vita a vederlo ridere davvero e di gusto. Quell’esplosione che sentiva dentro lo faceva sentire bene, avrebbe voluto che non smettesse mai di vederlo felice.
Ma non poteva. Il sorriso di Jesper durò qualche secondo, poi entrambi entrarono nella tomba. Il piano doveva andare avanti.

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A quanto pareva avevano più nemici del previsto. Le ambasciate si erano presto riempite di diplomatici e soldati di ogni provenienza. Zemeni, Kealish, Ravkiani. E, come se non bastasse, navi da guerra Shu erano state avvistate al porto e un intero plotone di Drüskelle era sulle loro tracce.
«Non è bello quando tutti ti vogliono?» Jesper si era buttato a sedere vicino a Kuwei e gli aveva dato un colpetto giocoso sulla spalla. Wylan sapeva che Jesper era un tipo espansivo, ma quel gesto di confidenza e gioco lo aveva infastidito. Prese una delle gallette che Jesper aveva appena rovesciato sul tavolo, sperava che mangiare qualcosa avrebbe messo a tacere quella sensazione noiosa alla bocca dello stomaco. Rimase in silenzio a sgranocchiare, mentre Kaz ragguagliava gli altri su quello che aveva scoperto da Smeet. Avrebbe voluto fondersi con la tappezzeria, si rese conto di starsi mordicchiando il pollice a disagio quando Kaz lo richiamò all’attenzione: «Come procede il tonchio?»
Wylan rispose posizionando la boccetta dove tutti potessero vederla, cercando di spiegare in parole povere che cosa fosse. Creare un mix chimico in grado di “spazzare via i conti bancari di Van Eck e la sua reputazione”, come aveva detto Kaz, era un’esperienza nuova per Wylan e non si era rivelato un compito semplice. Adesso che non aveva più i consigli della professoressa Levi sarebbe stato ancora più complicato venirne a capo.
«Ho bisogno di aiuto, è ancora in fase sperimentale. Speravo che Kuwei mi desse una mano». Con il passare dei giorni Kuwei era diventato sempre più scontroso, si era rifiutato di rivolgergli la parola, comunicava principalmente con Nina in Shu e anche adesso fingeva di non capire le minacce di Kaz. Wylan sospirò, avevano già troppi problemi per gestire anche la sua testardaggine.
Jesper diede un altro colpetto con il gomito a Kuwei. «I gentili suggerimenti di Kaz, per noi altri, si traducono in “Fai quello che ti dico o di sigillo in una di queste tombe finché non cambi idea”.» Quando Kuwei annuì intimorito, Jesper gli ficcò una galletta in bocca con un sorrisetto soddisfatto. «Il potere della negoziazione.»
Era stupido stare male per ogni piccolo gesto che Jesper rivolgeva a Kuwei, ma Wylan non riusciva proprio ed evitarlo. Si spostò nuovamente, alla ricerca di un punto della stanza in cui sarebbe stato abbastanza lontano da ignorarli, ma non appena si sistemò sull’unica panca libera, Jesper lo raggiunse. Senza nemmeno avvisarlo, si sdraiò vicino a lui, le gambe di Wylan diventarono un cuscino per la sua testa, mentre le lunghe gambe si puntarono contro il muro. Ancora una volta Wylan si sentì stupido, perché gli sembrò una piccola vittoria avere Jesper comodamente appoggiato su di lui.
Nina e Kaz stavano discutendo su quanto l’interesse del loro capo vertesse tutto intorno al denaro, il che non era niente di nuovo. Ma questa volta Wylan non ne vedeva motivo, Kaz avrebbe potuto parlare chiaro per una volta, non c’era bisogno di tutti quei sotterfugi per evitare di dire ad alta voce che teneva ad Inej. Tutti in quella stanza erano lì per lei, quale sarebbe stato il problema ad ammetterlo?
«Perché non dice semplicemente che la rivuole indietro?» sussurrò a Jesper.
«Lo conosci Kaz, no?»
«Ma lei è una di noi.»
«Una di noi? Significa che conosce la stretta di mano segreta? Significa che tu sei pronto a farti fare il tatuaggio?» Una delle lunghe dita di Jesper scivolò sull’avambraccio di Wylan, insinuandosi sotto la manica della camicia lasciando la pelle scoperta. Quel tocco così leggero e misurato lo fece rabbrividire, inevitabilmente le sue guance si scaldarono.
Osservare la mano di Jesper così vicina alla sua gli riportò alla mente quelle innumerevoli volte che si erano tenuti per mano, come fanno tutti i bambini, senza pensare a quanto avesse dato per scontato come le loro dita si incontravano e si incrociavano. In quegli anni sembrava una banalità, mentre adesso sembrava una conquista incredibile averlo così vicino. Un giorno di fine d’estate in cui tirava vento, Jesper si era presentato da lui con un aquilone. Wylan non ne aveva mai visto uno, così Jesper gli aveva mostrato come farlo volare. Lo aveva aiutato stringendo forte il laccio insieme a lui, per assicurarsi che la sua presa sullo spago fosse solida e che non volasse via alla prima folata di vento. Quando Wylan ci aveva preso dimestichezza, si era voltato verso Jesper felice e aveva visto i suoi occhi grigi illuminati dal sole che puntavano in alto, verso l’aquilone che si librava nel cielo sereno. La luce era così forte che li teneva socchiusi, ma le ciglia nere lasciavano intravedere qualche sprazzo delle iridi chiare. Poi Jesper aveva abbassato lo sguardo e lo aveva guardato con quel sorriso spavaldo che gli scaldava il cuore, lo aveva preso per mano e avevano corso facendo volare l’aquilone insieme.
Anche in quel momento, la mano di Jesper era così vicina che Wylan ebbe l’impulso di afferragliela, stringerla, magari portarsela alla bocca e baciarla. Si sentì in colpa, era talmente in imbarazzo per aver immaginato la pelle di Jesper sulle sue labbra che si abbassò la manica, interrompendo lui stesso il contatto.
«Inej fa parte della banda.» Cercò di tornare al presente.
«Sì, però non insistere troppo.»
«Perché no?»
«Perché la cosa più pratica da fare, per Kaz, sarebbe mettere all’asta Kuwei e venderlo al miglior offerente, fregandosene del tutto di Inej.»
«Non farebbe…» iniziò Wylan, ma non trovò le parole per concludere quella frase. Kaz non spiegava mai tutto il suo piano, glielo somministrava a piccole dosi. Come poteva sapere che cosa aveva in serbo per loro Manisporche? Il suo nome, in fondo, parlava da sé.
Wylan avrebbe voluto assentarsi mentalmente da tutta quella discussione, era già molto tardi ed era estenuante stare a sentire Nina e Kaz punzecchiarsi. Soprattutto quando tutti iniziarono a dire la loro sul destino di Kuwei, era difficile non empatizzare con lui, era solo un ragazzino che stava cercando di sopravvivere alle cattive decisioni che aveva preso suo padre. Non erano poi tanto diversi. Forse per queste, per quanto si comportasse in modo antipatico, non riusciva a odiarlo.
Il battibecco andava avanti, tra le rimostranze di Nina e le minacce di Kaz. All’improvviso la mano di Jesper, ancora sdraiato sulle sue gambe, si chiuse in quella di Wylan, allontanandogliela dal viso. Solo in quel momento si rese conto che si stava mordicchiando di nuovo il pollice. Gli sorse il dubbio che quella sera Jesper gli fosse venuto accanto perché aveva notato la sua agitazione, se ne sentì grato, ma al contempo esposto. Lo conosceva troppo bene, non gli avrebbe potuto nascondere ancora a lungo tutto quello che gli passava per la testa ogni volta che lo guardava con quegli occhi grigi e quel sorriso dolce e scanzonato.

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«Kuwei, puoi darmi una mano?» Wylan lo intercettò prima che potesse andare a dormire.
«Ho sonno» fu la sua risposta, possibilmente ancora più scontrosa del solito.
«Ci metteremo un attimo» gli promise Wylan.
Kuwei sbuffò. «Va bene, ma voglio uno dei biscotti di Nina.»
Wylan portò gli occhi al cielo e con un profondo sospiro gli chiese: «Posso vedere i tuoi appunti sulla parem?»
«Pensavo che tu volevi aiuto per… tonchio? Hai usato quella parola, giusto?»
«Sì, ma non riesco ad addormentarmi se penso tutta la notte a questa questione di un possibile antidoto. Al tonchio possiamo pensarci domani.»
Kuwei gli passò il taccuino che era appartenuto a suo padre con un gesto annoiato, Wylan lo prese e iniziò a sfogliarlo con cura. Per quanto Kuwei si sforzasse di essere antipatico, Wylan non avrebbe mai voluto rovinare l’ultimo ricordo che aveva del padre. Le pagine erano cariche di schemi, disegni di molecole e calcoli che Wylan non faceva per niente difficoltà a comprendere, però per il resto era completamente scritto in Shu.
«Che cosa dice qui?» domandò indicando qualche riga di testo. Kuwei Allungò il collo per guardare il punto in cui si era fermato il dito di Wylan e recitò a bassa voce quello che doveva essere il testo, prima di tradurne come meglio poteva in Kerch il significato.
La realizzazione colpì Wylan come un fulmine. Era talmente abituato a non riuscire a decifrare le combinazioni di lettere da non aver nemmeno tentato di leggere il testo, in fondo era una lingua che non conosceva, che senso avrebbe avuto? Eppure, nel momento in cui Kuwei aveva letto ad alta voce il testo, lui lo aveva seguito con lo sguardo e, miracolosamente, quell’alfabeto così diverso non era sfuggito al suo sguardo come era solito fare qualsiasi testo avesse avuto sotto gli occhi per la sua intera vita.
«Devo ripetere?» chiese Kuwei, dato che Wylan non aveva reagito in nessun modo alla sua traduzione, anzi, era rimasto imbambolato con la bocca semiaperta dalla sorpresa.
«Leggi ancora. Per favore» Wylan quasi lo supplicò.
«Vuoi che io leggo in Shu?» Kuwei era palesemente perplesso.
«Sì. Però indicami con il dito quale parola stai pronunciando.»
«Va bene.» Kuwei aggrottò le sopracciglia, ma lo accontentò. Wylan scoppiò in una risata euforica quando, ancora una volta, il testo non danzava sulla carta come un pazzo, ma rimaneva esattamente dov’era.
«Non ci posso credere!» Si passò una mano tra i capelli senza riuscire a distogliere lo sguardo dal taccuino, la bocca spalancata in un sorriso di pura gioia.
«Che succede qui? Cos’è tutta questa felicità a quest’ora della notte?» Jesper era comparso dietro di loro e immediatamente aveva posato il mento sulla spalla di Wylan per spiare cosa stavano guardando con così tanto interesse.
«Jes!» esclamò Wylan senza trattenere l’entusiasmo, si voltò di scatto verso Jesper costringendolo a spostarsi dalla comodità della sua spalla. «Riesco a leggere!»
«Ma quello è Shu.» Jesper lo guardò confuso.
«Lo so, lo so. Non sto dicendo che capisco il significato, ma riesco a tenere ferme le parole! Non so come sia possibile, forse dipende dal fatto che sia un alfabeto che funziona in modo diverso dal nostro… Lo stesso vale per gli spartiti musicali. La musica ha un suo alfabeto e la riesco a leggere. Magari se imparassi lo Shu potrei leggere normalmente, potrei fare così tante cose» Wylan aveva iniziato a parlare velocemente, il flusso di pensieri usciva dalla sua bocca senza controllo. Era talmente elettrizzato che l’agitazione gli aveva pervaso anche il corpo e aveva iniziato a saltellare appena.
«Sei carino quando sei eccitato.» Jesper rise della sua reazione così energica. Poi gli avvolse un braccio intorno alle spalle per placarlo.
«Come fai tu a riconoscere noi da dietro?» chiese Kuwei che fino a quel momento era rimasto in silenzio. Effettivamente Jesper non li aveva mai confusi in quei giorni al Velo Nero, e anche adesso si era avvicinato a loro di spalle, non aveva fatto nessuna fatica a distinguerli.
«Wy ha un neo sulla nuca, proprio qui.» Il dito di Jesper aveva premuto su un punto del collo di Wylan facendolo rabbrividire. «E poi ha le lentiggini sulle mani, vedi?» E aveva accompagnato quelle parole prendendo una mano di Wylan per alzarla all’altezza dei loro occhi. Non c’era modo di combattere la vampata che sentì scaldargli il viso e le orecchie. «Ah, ecco un’altra cosa. Lui arrossisce così.» Concluse Jesper con un ghigno soddisfatto.
«La smetti di prendermi in giro?» Wylan portò le mani alle guance per calmare il rossore.
«Smetterò quando smetterà di essere divertente.» Jesper rise quando Wylan roteò gli occhi esasperato. «Comunque, sono tipo le due di notte. Dovremmo andare a nanna.»
«Sì, tra un attimo. Volevo solo finire di vedere una cosa con Kuwei.» Wylan tornò al taccuino deciso ad ignorare qualsiasi altra provocazione.
«Non fare troppo tardi. Domani è un grande giorno.»
«Certo, certo. Buonanotte.» Lo salutò senza alzare gli occhi dai fogli.
Jesper si allontanò con un occhiolino e Kuwei lo salutò con la mano. Wylan si concentrò a sfogliare tra gli appunti, scorrendo rapidamente gli occhi sulle formule, quando Kuwei finalmente parlò: «State insieme?»
«Cosa? Chi?» La domanda lo prese alla sprovvista.
«Tu e Jesper. State insieme?» ripeté Kuwei, gli occhi ambrati puntati su di lui, le labbra strette in attesa di una risposta.
«No. Noi… Siamo solo amici, non stiamo insieme.»
«Bene, perché lui piace a me.»
Wylan ebbe la sensazione di essere stato appena colpito in pieno stomaco, la risolutezza del tono di Kuwei gli fece ancora più male. Tornò ad abbassare gli occhi sui fogli, senza sapere che cosa ribattere. «Capisco» fu l’unica cosa che riuscì a dire.
«Io vado a dormire. Ridammi il quaderno domani mattina.» E senza degnarlo di un saluto, Kuwei gli voltò le spalle e se ne andò.
Quello che Wylan provava era un misto di gelosia e invidia, perché avrebbe voluto avere anche lui tutta quella sicurezza nel dichiarare i propri sentimenti. I fogli continuavano a scorrere senza che lui prestasse più attenzione a cosa stesse guardando, finché non si imbatté in qualcosa che non era sicuramente chimica: un disegno, ma forse sarebbe stato meglio dire “scarabocchio” visto come era fatto con poca abilità e cura, che rappresentava Jesper. E subito dopo un altro, e un altro ancora. L’impulso di strappare i fogli e dargli fuoco era così forte che Wylan dovette impiegare tutto il suo autocontrollo per impedirsi di scatenare un incendio nella tomba. Chiuse il taccuino e si buttò su una sedia, il pollice già pronto per essere mordicchiato, quel giorno non aveva visto pietà.

Improvvisamente sentì un debole raschiare, immediatamente scattò in piedi. Ma l’istante dopo Rotty e Specht scivolarono all’interno della tomba e Wylan si tranquillizzò.
«Ciao, non vi aspettavamo. Vi chiamo subito Kaz» disse Wylan muovendosi già verso la stanza in cui dormiva Manisporche.
«Chiama anche gli altri, ne abbiamo un bel po’ da dire.» Le parole di Specht lo misero in allarme, ma Wylan fece come gli aveva chiesto senza fare altre domande. Avrebbero spiegato a tempo debito.
Gli aggiornamenti furono rapidi e tutt’altro che rassicuranti; sapevano già bene che la lista dei loro nemici si faceva ogni giorno più lunga, ma la morte di Muzzen, quello che era stato il sostituto di Matthias all’Anticamera dell’Inferno, poteva significare una cosa sola: si stavano facendo più vicini. Quanto tempo ci avrebbero messo a trovarli tutti?
«C’è ancora una cosa» disse Rotty e Wylan si ritrovò a pregare che quella giornata finisse, non ne poteva più di cattive notizie. «Qualcuno è sulle tracce di Jesper e sta sollevando un gran polverone.»
«I suoi creditori dovranno aspettare» rispose Kaz acido e Jesper trasalì mortificato, lo sguardo basso sulle punte dei suoi stivali.
«No» fece Rotty scrollando la testa. «Un uomo si è presentato all’università. Jesper, sostiene di essere tuo padre.»

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Capitolo 8
*** Doppia trappola ***


«È una trappola», aveva immediatamente detto Matthias dando voce al sospetto di tutti.
Jesper era abituato alla confusione nella testa, le sequenze di idee si alternavano sempre a velocità spaventosa e l’energia si sfogava in ogni modo che trovava. Quello a cui non era abituato era a rimanere così svuotato da ogni pensiero. Da quando Rotty gli aveva detto che c’era qualcuno in città che si presentava come suo padre, la sua mente era diventata completamente bianca per qualche interminabile secondo, per poi riempirsi dei pensieri più disparati e catastrofici.
«Vai a vederlo», gli ordinò Kaz e il panico si fece solo più forte in Jesper.
«Kaz, Matthias ha ragione, deve essere una trappola, non posso andare.» Quasi sperava che lo fosse davvero, una trappola. Qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di doversi trovare davanti a suo padre come l’inutile ratto del Barile che era diventato, costretto a nascondersi in una tomba perché era stato troppo avido.
«Non possiamo avere qualcuno che ti punta tutte queste attenzioni addosso.» Kaz era irremovibile. «Risolvi la questione in fretta.» Non c’era davvero modo di evitarlo, vero? Ma doveva essere una trappola, era impossibile che il suo Pa’ fosse davvero a Ketterdam, non avrebbe mai lasciato la fattoria. Eppure questo pensiero non lo rassicurava minimamente. Non aveva idea di quando avesse iniziato, ma si ritrovò a rigirarsi gli anelli tra le dita nervosamente.
«Vado con lui». Wylan aveva fatto un passo per affiancarlo, se ne stava con la schiena dritta e gli occhi fissi su Kaz. Jesper sapeva bene quanto fosse difficile per Wylan prendere la parola in una discussione, soprattutto se era Kaz quello con cui doveva trattare. Manisporche osservava il mercantuccio con un’espressione che Jesper non riusciva a interpretare, non aveva idea se fosse un brutto segno quel silenzio. Wylan dovette cedere alla pressione di quello sguardo indagatore, perché si apprestò ad aggiungere: «Devo comunque recuperare del materiale per il tonchio. So dove trovare quello che mi serve.»
Kaz inarcò un sopracciglio. «Vale a dire, dove?»
«La facoltà di chimica e medicina si rifornisce ogni primo lunedì del mese. I loro magazzini hanno sostanze di migliore qualità di qualsiasi altro mercante di Ketterdam.»
Nina saltò sulla sedia con un’espressione stupita. «Wylan, stai dicendo che vuoi rubare i materiali dall’università?»
Matthias scosse la testa. «Alla fine ci siete riusciti, avete corrotto anche lui».
«Perché mi credete così innocente? Li ho sempre presi da lì e sicuramente non mi sono fermato a chiedere il permesso.»
Jesper dimenticò per un attimo i suoi problemi e non trattenne una risata quando vide gli occhi di Matthias sgranarsi e la bocca di Nina allargarsi in una “o” di sorpresa. Wylan era arrossito per tutte quelle attenzioni, non era abituato a stare al centro dell’attenzione, ma sembrava comunque compiaciuto di non essersi dimostrato il solito mercatuccio ingenuotto.
«Bene. Io e Matthias vi seguiremo da lontano, se davvero fosse una trappola saremmo pronti», fu l’unico commento di Kaz e Matthias confermò con un cenno della testa e un grugnito di assenso. L’indomani mattina avrebbero provveduto anche a questo, ma in quel momento tutti avevano solo bisogno di dormire.
Rotty e Specht erano già ripartiti, Kuwei non aveva aspettato un secondo di più per allontanarsi e quando anche Matthias e Nina si erano alzati, Jesper aveva seguito il loro esempio. Passò qualche minuto prima che si rendesse conto che Wylan era rimasto indietro, così tornò sui suoi passi per vedere che fine avesse fatto.
Stava per rientrare nella stanza principale della tomba, dove lo aveva visto per l’ultima volta, quando dalla porta semiaperta sentì la voce di Wylan chiedere con un tono difensivo: «Perché lo vuoi sapere?»
«Non mi piacciono le sorprese, né le potenziali debolezze. E ora rispondi alla domanda», aveva ordinato minacciosa la voce di Kaz. Jesper era ancora bloccato sulla soglia, incerto se palesarsi e interrompere quello scambio. L’ultima volta che aveva spiato quei due discutere non era stata una bella esperienza.
«Chiedilo a Jesper se ci tieni tanto», aveva risposto Wylan tentando di tenere testa a Kaz. Sentire nominare il suo nome convinse Jesper a restare esattamente dov’era, in ascolto.
«A differenza tua, Jesper è un criminale ed è capace di mentire. Mentre io sono particolarmente incapace di mantenere ancora a lungo la pazienza, mercantuccio.» Jesper si affacciò quanto bastava per sbirciare e vide il bastone di Kaz puntato sul petto di Wylan ad impedirgli la fuga. Sentì un tuffo allo stomaco quando i suoi occhi si posarono sul volto di Wylan, così chiaramente spaventato, ma testardamente fermo a sostenere lo sguardo tagliente di Kaz.
«Non capisco perché vuoi saperlo da me. Sono sicuro che Jesper ha già raccontato tutto a Inej. Vuoi farmi credere che Inej non sia andata immediatamente da te a-» Non appena Wylan fece il nome di Inej, Jesper sapeva che aveva fatto un passo falso. Il bastone di Kaz si spostò così velocemente dal suo petto al suo collo che Wylan non ebbe il tempo di fare nulla se non emettere un suono strozzato.
«Pazienza finita», disse gelido Kaz premendo sempre più forte Wylan contro il muro. Jesper stava per scattare, quando quello che aggiunse Kaz lo paralizzò: «Ho fatto una domanda molto semplice: cosa c’è tra te e Jesper?» A quel punto Kaz lo lasciò libero quel tanto che bastava per fargli riprendere fiato.
«Noi…» Wylan iniziò a rispondere intervallando parole e lievi colpi di tosse. «Siamo cresciuti insieme a Novyi Zem». Si prese qualche istante per massaggiarsi il collo, mentre Kaz attendeva che continuasse. «Quando mio padre si è reso conto del mio… difetto, subito dopo che mia madre è morta, mi ha portato a Novyi Zem. Ha detto a tutti che soffrivo d’asma e che l’aria calda mi avrebbe fatto bene, ma nei fatti mi stava nascondendo. Lui viveva nella fattoria vicino alla villa di famiglia, così siamo diventati amici».
«Non è questo quello che volevo sapere».
«Te l’ho appena detto. Eravamo amici d’infanzia, che altro vuoi?»
«Quanto pensi sia saggio continuare a provocare l’uomo col bastone?»
Wylan si portò istintivamente ancora le mani alla gola, poi con un filo di voce disse: «Jesper è stato il mio primo amico. L’unico in realtà. Lui… È l’ultima persona che mi è rimasta e non intendo rinunciarci». Ci fu una breve pausa, Wylan teneva lo sguardo basso per l’umiliazione. «Ti basta questo?» chiese infine scontroso.
«È sufficiente», rispose Kaz posando accomodandosi su una sedia e posando il bastone sul tavolo, come per comunicare che il suo gioco di intimidazione era finito. Wylan fece per andarsene, Jesper si nascose meglio dietro la porta quando lo vide avvicinarsi, ma Kaz lo chiamò un’ultima volta con un avvertimento: «Wylan.» Il mercantuccio si voltò a guardarlo. «Te l’ho già detto oggi, ma penso che ripeterlo potrebbe essere utile: essere sentimentali è poco pratico.»
Il passo di Wylan fu così svelto che Jesper non fece in tempo ad allontanarsi abbastanza, non appena la porta si spalancò si trovarono uno di fronte all’altro. Gli occhi di Jesper caddero sul segno rosso sulla pelle candida di Wylan, dove il bastone aveva premuto a mozzargli il fiato.
«Ti piace proprio origliare» commentò Wylan dopo averlo squadrato ancora arrabbiato e scosso per lo scontro con Kaz.
«È un brutto vizio, lo so. Ma in compenso ho tanti pregi». Jesper abbozzò un sorriso, ma quando Wylan ricambiò gli sembrò del tutto forzato. Senza neanche un ultimo sguardo, si allontanò, lasciando Jesper sulla porta ormai visibile anche a Kaz. «C’era davvero bisogno di terrorizzarlo così? Tu non hai un limite.» Jesper gli andò incontro furioso.
«Vuoi rispondere anche tu alla domanda?»
«Smettila, Kaz. Sapevi già tutto. Hai ascoltato il messaggio nel fonografo.» Se Manisporche era minimamente sorpreso che Jesper lo avesse scoperto, non lo diede a vedere. Jesper era troppo impaziente per i giochetti psicologici di Kaz, non poteva sopportare il suo silenzio calcolato. «Perché mi tieni sempre nascosto tutto? Sapevi fin dall’inizio che ci conoscevamo da anni, sapevi del suo problema con la lettura, sapevi che sarebbe scappato…»
«Purtroppo no. Aveva nascosto bene quel suo marchingegno. L’ho trovato solo un paio d’ore prima che te lo facessi mettere sotto al naso da Rotty.»
«Quindi ammetti di aver architettato tutto. Sapevi che quando lo avrei ascoltato gli avrei impedito di partire. Perché hai fatto una cosa del genere?»
«Mi serve per il tonchio. Kuwei è un chimico inutile.»
«Sei serio? Così ci hai manipolati entrambi per il tuo stupidissimo tonchio?» Jesper non provava neanche più a mascherare la rabbia di essere stato usato come un burattino per l’ennesima volta.
«Perché ti comporti come se la cosa non andasse a tuo vantaggio?»
«Che intendi?»
«Rispondi anche tu alla domanda. Cosa c’è tra te e Wylan?»
«È… complicato». Neanche Jesper sapeva ben spiegarlo. C’era stato un periodo, tanti anni prima ormai, in cui Wylan era stato una delle persone più importanti della sua vita. Poi di colpo era sparito e adesso che si erano ritrovati, non era chiaro come, ma sembrava che il loro rapporto stesse ricominciando ad essere lo stesso di prima. Come se non ci fossero stati dieci anni a separarli, Wylan stava tornando al centro della sua esistenza e Jesper non riusciva a fare a meno di volerne sempre di più. Ma tutto quello che provava lo confondeva, e se c’era una persona con cui non voleva fare una discussione a cuore aperto su come si sentiva rispetto a Wylan era Kaz. «Non sono affari tuoi in ogni caso».
«Diventano affari di tutti noi se mandate all’aria il piano perché siete due imbecilli innamorati. Ho bisogno che rimaniate concentrati».
«Cosa? Chi ha parlato d’amore? Non ho mai detto niente del genere!» Jesper fece un passo indietro come se avesse appena incassato un cazzotto in pieno stomaco. Kaz aveva il potere di farlo sentire minuscolo con un paio di parole ben ponderate. «Sei davvero un ipocrita», mormorò a denti stretti.
«Prova a ripeterlo.» Kaz era scattato in piedi, la mano già stretta intorno al bastone.
«Lasciami in pace, ho troppo sonno per riempirti di botte quella faccia da schiaffi».
Jesper si era già voltato e stava uscendo dalla stanza, quando Kaz concluse la loro discussione con il suo solito tono crudele:«Bravo, va’ a dormire e vedi di non fare altri casini domani.»
«Vaffanculo». Jesper gli rivolse un dito medio senza neanche voltarsi per guardarlo in faccia, quando ormai aveva oltrepassato la porta aveva sentito la risposta di Kaz: «Altrettanto.»
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Il mattino seguente era arrivato troppo in fretta. Jesper non era mai stato un granchè con i risvegli e l'idea di ritrovarsi davanti suo padre dopo tutti quegli anni non era d'aiuto. Mentre preparava la barca per partire dal Velo Nero si chiese se fosse crudele da parte sua sperare che fosse davvero una trappola e che non avrebbe dovuto affrontare gli occhi chiari e delusi di suo padre.
«Tutto pronto?» Jesper si voltò, Wylan che lo aveva appena raggiunto. Lo squadrò per un secondo: occhi arrossati e gonfi, probabilmente per la stanchezza, le mani strette nervosamente intorno ai manici dello zaino che portava in spalla. L’istinto fu quello di stringere a sua volta le dita intorno alle rivoltelle, sentiva il bisogno viscerale di aggrapparsi alla sensazione fredda e rassicurante del metallo, ma non poteva.
Cercò di non far notare l’agitazione che avrebbe voluto sfogare camminando su e giù per tutta l’isola, ma invece si stiracchiò e fece cenno a Wylan di salire a bordo accompagnando il gesto con un piccolo inchino. «L’imbarcazione l’attende, sir. Prego, dopo di lei».
Wylan ridacchiò, gli porse la mano per farsi aiutare a salire nella barchetta e Jesper la prese con eleganza. Jesper adorava quando Wylan stava al gioco, era soddisfacente e appagante quel modo di comprendersi che avevano. Era semplicemente divertente avere il mercantuccio attorno, riusciva in qualche modo a calmarlo e alleggerirlo dalla miriade di pensieri che gli infestavano la testa ad ogni ora del giorno e della notte.
«Kaz e Matthias?» chiese Wylan quando entrambi iniziarono a remare.
«Ci seguono tra qualche minuto. Kaz dice che non è sicuro viaggiare con un solo mezzo, ne portiamo due da lasciare in due punti diversi del canale così abbiamo più vie di fuga».
Wylan annuì senza aggiungere altro. Il segno sul collo che gli aveva lasciato Kaz era ancora un poco visibile. Jesper avrebbe voluto parlare della notte precedente, ma non aveva idea di cosa dire. L’unica domanda che a quel punto gli avrebbe voluto fare era la stessa che Kaz gli aveva rivolto: cosa c’è tra noi due? Ma non era capace di mettere in ordine i pensieri, così continuò a remare cercando di concentrarsi sul movimento ritmico delle onde che sfioravano il legno della barchetta.

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Jesper sentiva di essere agitato fin dalla notte precedente, ma una volta lasciata la barca e approdati sulle strade di Ketterdam il panico era diventato insostenibile. Lui e Wylan avevano indossato in fretta i costumi della Commedia Bruta, le maschere coprivano completamente i loro volti e per un secondo Jesper si concesse di immaginare di avere al suo fianco il Wylan di qualche settimana prima, con i suoi occhi azzurri, i suoi riccioli ramati e le lentiggini che gli coloravano il naso e le guance. Certe volte trovava imbarazzante la mancanza che provava per quelle piccole cose, ma non riusciva a smettere di cercarle e puntualmente rimanere deluso ogni volta che non le trovava.
Il percorso verso il quartiere universitario gli stava togliendo il fiato, le mani gli scattarono più volte sulla cintura tristemente sfornita delle sue fondine e il movimento delle sue gambe era talmente incontrollabile che ad ogni passo sentiva di accelerare e subito dopo si costringeva a rallentare appena notava che il mercantuccio faticava a mantenere il ritmo delle sue lunghe falcate. Gli scappò un sorriso quando pensò che, nonostante avesse la faccia di Kuwei, c’era ancora qualcosa che non era cambiato.
Fin da quando erano bambini, Jesper era sempre stato il più alto dei due, ma l’anno che aveva compiuto dodici anni aveva accumulato circa quindici centimetri di differenza con Wylan che ne aveva ancora undici. Si ricordò di tutte le volte che Wylan aveva corso per cercare di stare al suo passo, quando lui nemmeno si rendeva conto di stare andando troppo veloce. E poi ripensò alla faccia offesa che Wy faceva quando Jesper rallentava dicendo “Oh, mi dispiace, gambette corte, non mi ero accorto che eri rimasto laggiù”. A quel punto Wylan correva con tutte le intenzioni di tirargli un pugno, ma Jesper lo seminava con facilità e si divertiva a vederlo tentare inutilmente di raggiungerlo. C’era stata una volta in cui Jesper, distratto a guardarlo correre verso di lui, era inciampato ed era caduto a terra. Wylan aveva corso più forte, Jesper si aspettava che ne avrebbe approfittato per tirargli quel pugno che si meritava da così tanto tempo per averlo preso costantemente in giro. E invece Wy lo aveva guardato preoccupato, con il respiro affaticato dallo sforzo gli aveva chiesto se si era fatto male.
Il Wylan dei suoi ricordi era un ragazzino troppo buono per provare rancore verso chiunque. Da quando era andato a riprenderlo a molo, Jesper si chiedeva spesso se sarebbe stato davvero capace di seguirli nel loro piano. Per quanto Jan Van Eck fosse un mostro, Jesper non riusciva proprio a immaginare che Wylan potesse odiare qualcuno tanto da volerlo vedere distrutto, non importava quanto potesse essere stato crudele con lui. Wylan non era come Kaz, non viveva per la vendetta, era solo un ragazzo che voleva scappare da una vita orribile. E forse questo sarebbe potuto essere un ostacolo quando sarebbero arrivati al momento in cui avrebbero dovuto affondare Van Eck con tutta la sua fortuna. Wylan sarebbe davvero riuscito a contribuire alla disfatta totale del suo stesso padre?

Non era davvero il caso di pensare ad altri rapporti complicati con i padri, Jesper aveva già il suo a cui pensare quella mattina. Ad ogni passo il cuore gli saliva sempre più in alto in gola, la tensione lo stava divorando vivo. Per l’ennesima volta da quando si era svegliato quella mattina, le mani avevano cercato le rivoltelle invano. In quel momento aveva un disperato bisogno di togliersi di dosso almeno un poco del peso che gli opprimeva il petto.
«Mi devo distrarre» disse con un tono urgente e Wylan lo guardò aggrottando le sopracciglia.
«Non puoi giocare, Jes».
«Lo so, lo so. Non avevo intenzione di scappare nel primo pub e pregare il barista di fare il gioco delle tre carte. Ho solo bisogno di parlare di qualsiasi cosa per distrarmi un po’ o potrei esplodere al prossimo incrocio che imbocchiamo».
«Va bene, drama queen», rispose con un sospiro Wylan. «Di che vuoi parlare?»
«Tu da quanto lo sai? Quando mi hai riconosciuto?»
Wylan voltò la testa, all’improvviso stranamente interessato dalle locandine che ornavano i muri dei locali. «Perché lo vuoi sapere?»
«Non puoi rispondere a una domanda con un’altra domanda».
«Non posso?» Wylan non riusciva a nascondere il sorrisetto divertito.
«Wy, sono a tanto così dal farti lo sgambetto», Jesper gli piazzò una mano davanti al naso per mostrargli che l’indice e il pollice stavano per toccarsi. «Dai, sono curioso perché io credo di esserci arrivato stupidamente tardi. Tu quando l’hai capito?»
«Nel laboratorio», rispose Wylan che era tornato a rivolgere il suo sguardo ovunque non incrociasse quello di Jesper.
«Nel laboratorio? Intendi dire la prima volta che ci siamo visti?»
«Sì».
«Davvero? Non hai avuto nessun dubbio? Mi hai riconosciuto immediatamente?»
«È così sorprendente da credere?»
«Sì. No. Non lo so?» Jesper fece un breve pausa chiedendosi come lo facesse sentire quella scoperta. «È che è passato tanto tempo e, insomma, so di essere bello, ma non pensavo di rimanere così impresso».
«Magari ho solo una buona memoria, a differenza tua». Wylan aveva risposto con un tono velatamente acido, ma Jesper non si era fatto sfuggire che non avesse negato che lo trovasse attraente e che le sue guance si erano appena colorate di un vivido rosa.
«Te l’ho già detto, ho altri pregi». Sfoggiò un sorriso spavaldo quando vide la bocca di Wylan piegarsi in un sorriso.
«Cerchiamo un posto per toglierci questa roba di dosso», gli ricordò all’improvviso prima che entrassero nel quartiere universitario. I loro costumi avrebbero dato nell’occhio molto più che le loro facce in quella zona della città.
«Non hai idea di quanto mi stia trattenendo dal fare una battuta sul fatto che vuoi che mi spogli davanti a te in un vicolo buio». Più volte Jesper si era chiesto se fosse una buona idea continuare a flirtare con il mercantuccio anche ora che aveva realizzato chi fosse davvero, ma a certi divertimenti non era mai stato bravo a dire di no.

«A mia discolpa è difficile dire qualcosa che tu non sia capace di dare un senso sconcio».
Jesper si piazzò una mano sul petto e spalancò la bocca in una “o” di sorpresa. «Mi stai dando del pervertito?»
«Sì, ma ho sentito dire che hai tanti altri pregi», gli rispose il mercantuccio con un ghigno prima di intrufolarsi in un vicoletto riparato, trascinando con sé nella penombra Jesper. «Da qui possiamo tagliare per il ponte e arrivare prima a Boeksplein», spiegò sfilandosi il mantello.
Era la prima volta che Jesper vedeva Wylan procedere così sicuro di sé per le strade, di solito seguiva gli altri tenendo la testa bassa. Al Barile era lampante che fosse un pesce fuor d’acqua, mentre ora Wylan non aveva dubbi su come comportarsi, dove andare, cosa fare. «Com’è che sembra che tu conosca ogni via di questa zona? Pensavo che il tuo papino ti avesse tenuto chiuso a Geldstraat», chiese Jesper mentre a sua volta si liberava del costume di scena.
«Lo pensava anche lui», gli rispose con un tono soddisfatto.
«Mercantuccio, mi stai forse dicendo che sgattaiolavi fuori di casa?»
«Ho avuto un bravo insegnante». Jesper rise al pensiero delle innumerevoli volte che lo aveva aiutato ad uscire di nascosto quando vivevano a Novyi Zem.
«E che andavi a fare di divertente con la tua libertà? Andavi in cerca di compagnia romantica?»
«Tu mi dai troppo credito, non sono una persona così spassosa. Sicuramente non andavo a scommettere alla Ruota della Fortuna di Makker».
Jesper si bloccò. Non credeva che una frecciatina così lieve potesse ferirlo, in fondo Kaz gliene diceva talmente tante che doveva essersi abituato ormai. Ma sentire quel commento sprezzante uscire dalla bocca di Wylan era stato inaspettatamente doloroso. «Questo era un colpo basso, mercantuccio», disse con una risata amara.
«Scusa, non…» Wylan tentò di rimediare, ma Jesper era troppo orgoglioso per ammettere quanto effettivamente ci fosse rimasto male e non aveva alcuna voglia di sentire delle scuse quando ciò che aveva detto era solo la verità.
«No, è okay. Insomma, avevi ragione a stare lontano, il Barile si mangia le persone».
«Può essere, ma gli affari sono affari. Le bische e i bordelli soddisfano la domanda. Offrono posti di lavoro. Pagano le tasse». Wylan fece spallucce e poi si sfilò la camicia con un gesto veloce.
«Che bravo ragazzo del Barile che sei diventato. Sembra che reciti a memoria la lezioncina che ti hanno insegnato i boss». Gli occhi di Jesper seguirono il leggero spruzzo di lentiggini che si estendeva dal collo fino alle spalle, per poi sparire sul petto.
“Erano molte di più quando eravamo piccoli” pensò ricordando i pomeriggi assolati che avevano passato a fare il bagno al fiume che scorreva poco lontano dai campi di jurda e dalla fattoria di famiglia. Era passato tanto tempo dall’ultima volta che Jesper aveva cercato una vista fugace di quella pelle talmente chiara e delicata che subito si colorava di un rosso vivace quando il sole la sfiorava. E adesso si ritrovava in un vicolo buio di Ketterdam e i suoi occhi ancora indugiavano sulla curva delle clavicole e la morbidezza del torace.
Da bambini era così semplice spogliarsi per rinfrescarsi nell’acqua e giocare senza nessun pensiero al mondo se non il divertimento del momento. Dopo il bagno erano così stanchi e affamati che Wylan aveva preso l’abitudine di rubare dalla cucina delle villa dei dolci che provenivano da Kerch e Jesper non aveva mai visto prima. Anni dopo, quando era andato a vivere a Ketterdam, ci aveva messo poco a trovare un banchetto che vendeva quei famosi Stroopwafel che Wylan gli aveva offerto talmente tante volte quando erano piccoli. Ma si era presto reso conto che non avevano lo stesso buon sapore che ricordava. All’inizio credeva che forse era la fame per aver nuotato per ore a renderli così buoni o che semplicemente nei ricordi d’infanzia tutto è meglio di come è in realtà. Ma da qualche tempo aveva cominciato a pensare che il sapore che mancava agli Stroopwafel era Wy che li mangiava insieme a lui.
«Non penso sia molto diverso dallo scommettere i tuoi averi su un carico di seta o di jurda. Quando giochi in borsa, le probabilità a tuo favore sono soltanto migliori», rispose Wylan che ormai era già del tutto cambiato e stava sistemando al meglio la camicia troppo lunga per la sua altezza infilandola dentro ai pantaloni.
Per un qualche istante di troppo Jesper era rimasto talmente immerso nei suoi pensieri da aver dimenticato di cosa stessero parlando, si scosse dal torpore di quei ricordi. «Sono tutt’orecchi, mercantuccio. Qual è la perdita maggiore che tuo padre ha subìto in un affare?» gli chiese affrettandosi a cambiarsi la camicia a sua volta.
«Non lo so proprio».
«Andiamo, davvero non hai mai ficcato il naso?»
«Oh, in continuazione, origliare i mercanti che si scambiano dritte sugli investimenti migliori è un’attività abbastanza redditizia. Il problema è che mio padre è un tipo orgoglioso, non gli piace parlare dei suoi fallimenti, gli piace solo vantarsi dei suoi successi». Non fu difficile per Jesper capire che quel tipo di ragionamento non si applicava solo per gli affari. Jan Van Eck aveva nascosto suo figlio per tutta la sua vita perché lo considerava un fallimento, alla stregua di un investimento andato male.
«Redditizia?» chiese cercando di non rievocare brutti ricordi in Wylan.
«Già. Mi è stato utile per comprare e vendere alcune azioni nel corso degli anni. Sono riuscito a mettere da parte un sommetta niente male. Ma ora non ho più niente, ho dovuto spendere tutto per una faccenda… di vitale importanza».
Ogni volta che Jesper credeva di aver inquadrato Wylan, si aggiungeva un altro tassello al puzzle che ne complicava la visione d’insieme. Ora, a quanto pare, tra le sue capacità c’era anche giocare in borsa. Forse Jesper aveva dato per scontato che non gli potesse interessare il mondo del capitalismo perché aveva rinunciato al suo nome e alle sue origini mercantili quando era scappato da suo padre, ma evidentemente non era riuscito a liberarsi completamente del pensiero affarista dei Van Eck.
Il mercantuccio sprovveduto, incapace di affrontare la realtà del Barile, che Jesper aveva conosciuto come Hendriks era al contempo il suo Wy, il bambino dolce e innocente con cui era cresciuto e che gli aveva fatto scoprire che cosa significava avere una cotta per la prima volta. E Jesper credeva di aver ormai accettato che queste due persone della sua vita fossero la stessa. Poi, improvvisamente, Wylan lo stupiva con qualcosa di inaspettato, come fabbricare bombe, affrontare la morte in una prigione Fjerdiana, rubare armi e materiali dall’università, pugnalare suo padre e persino rinunciare al suo aspetto per sempre. Quella sensazione di imprevedibilità gli ricordava il brivido del gioco d’azzardo, l’incertezza di quello che sarebbe accaduto e la speranza di sentirsi ancora una volta sorpreso e felice.
Si infilò una giacca leggera, di un beige così neutrale e poco interessante che gli fece sentire una grandissima mancanza dei suoi completi colorati e divertenti che lo aspettavano nella sua stanza al Club dei Corvi. Wylan lo osservava, già pronto per partire; il ritratto perfetto dello studente universitario con il suo zainetto in pelle sulle spalle e l’espressione determinata. Con un cenno del capo si diedero il via a partire, Jesper seguì Wylan nel tragitto che aveva scelto perché più sicuro e discreto. Dopo qualche incrocio erano già sulla soglia del cortile di Boeksplein, dove avevano appuntamento con l’uomo che stosteneva di essere suo padre.
«Non sei tenuto a venire, lo sai» disse Jesper, perché sentiva di doverlo precisare. «Hai i tuoi attrezzi da procurarti. Potresti aspettarmi qua fuori, in una caffetteria, comodo e tranquillo.»
«È questo che vuoi?»
Jesper non risposte, fece spallucce e a quanto pare questo bastò a Wylan per capire che non avrebbe potuto farcela da solo, aveva bisogno di averlo al suo fianco. Wylan gli afferrò la mano e la strinse piano per qualche istante prima di rivolgergli un sorriso rassicurante, come se volesse dirgli che non sarebbe andato da nessuna parte, che era lì con lui.
Poi voltò lo sguardo verso il cortile e vide l’uomo in piedi accanto al muro orientale, oltre la fontana c’era suo padre, nel suo abito migliore e con i capelli ben pettinati all’indietro che lasciavano intravedere, tra il rosso Kaelish, qualche ciocca grigia che Jesper non ricordava. Fece un respiro profondo e con la gola secca lo chiamò: «Pa’».

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Inizialmente sembrava che tutto andasse meglio di quello che Jesper aveva preventivato. Era convinto che suo padre sarebbe stato furioso, che lo avrebbe odiato. E non avrebbe avuto torto, lui gli aveva mentito e aveva messo a rischio tutto ciò che suo padre aveva costruito con tanta fatica per la loro famiglia. Invece Colm gli aveva sorriso e lo aveva stretto in un abbraccio così forte che gli aveva tolto il fiato e lo aveva fatto sentire di nuovo bambino, almeno per un attimo. Jesper era troppo frastornato per sapere cosa dire, poi Wylan era intervenuto e aveva rispolverato i suoi modi da mercante salvandolo dal vuoto mentale che gli aveva bloccato anche la gola. Non fecero altro che accampare scuse e mentire, ma che altro avrebbero potuto fare? Dirgli la verità sarebbe stato controproducente, avrebbe messo in pericolo anche lui e non meritava di essere coinvolto in un problema che non lo riguardava. Jesper aveva solo bisogno di un po’ di tempo per rimettere a posto il disastro che lui stesso aveva creato, avrebbe salvato suo padre e la fattoria dai suoi errori.
L’incontro in qualche modo stava proseguendo in una maniera così tranquilla che a Jesper sembrava impossibile che tutto filasse così liscio. E infatti quell’idillio durò poco, nel giro di qualche secondo iniziarono gli spari. Jesper aveva immediatamente messo al riparo suo padre, non avrebbe permesso che rimanesse ferito perché suo figlio era stato così stupido da farlo finire in una sparatoria. Kaz e Matthias, nascosti da qualche parte, li stavano coprendo rispondendo al fuoco dei loro assalitori, così Wylan approfittò del momento giusto per creargli una via di fuga: con un intero armamentario di bombe devastante era riuscito a distrarre abbastanza il nemico per poi guidare Jesper e Colm attraverso la sala dei libri rari. E ancora una volta Jesper non aveva idea di come potesse destreggiarsi in quell’ambiente come fosse casa sua, ma rimase completamente inebetito quando attivò un passaggio segreto nascosto dietro una cartina di Ravka.
«Non per essere stronzo, ma non avrei mai immaginato che tu conoscessi così bene la sala dei libri rari», commentò Jesper con un bisbiglio che suo padre non poteva intercettare. Colm si aggirava per la stanza buia alla ricerca di un modo per fuggire da lì, Jesper si era buttato sulla prima sedia che aveva trovato permettendo così a Wylan di fasciare comodamente la sua spalla ferita. Il passaggio li aveva portati al secondo piano di una tipografia abbandonata e per ora erano al sicuro, ma si sentivano ancora gli spari e le urla provenienti dalla biblioteca.
«Lavoravo qui, prima di venire al Barile. Una dei professori mi aveva trovato un impiego come inserviente, ogni tanto entravo qui dentro perché mi sono sempre piaciute le mappe. Questa in particolare aveva qualcosa di strano, un giorno ho scoperto questo passaggio».
«Lavoravi qui?» chiese Jesper sgranò gli occhi. Da quanto ne sapeva Wylan aveva iniziato a rifornire gli Scarti con i suoi esplosivi ben prima di trasferirsi al Barile, ma non aveva idea che nel frattempo avesse anche un altro lavoro nel quartiere universitario. Questo spiegava il perché conoscesse così bene le sue strade.
«Non potevo certo iscrivermi come un qualsiasi altro studente con il mio… Lo sai» Wylan fece un gesto eloquente con la mano e guardò Colm per assicurarsi che non stesse ascoltando. «Mio padre pensava che fosse uno spreco di tempo e soldi, così ho dovuto trovare un altro modo. La professoressa Levi mi permetteva di ascoltare le lezioni anche durante i turni di pulizia, altri invece erano più severi».
«Stai dicendo che è qui che venivi quando sgattaiolavi fuori di casa? A studiare?» Wylan fece spallucce, lasciando Jesper con la bocca spalancata. «Sai che c’è, Wy? Uno di questi giorni smetterò di sottovalutarti».
«E allora sarà molto più difficile sorprenderti». Il sorriso del mercantuccio gli provocò un brivido così piacevole e subito sentì lo stomaco scaldarsi, prima che potesse accorgersene ricambiò il sorriso. Quanto avrebbe voluto guardare gli occhi blu del suo Wy in quel momento. Ma forse non importava che i suoi tratti fossero completamente diversi, il modo in cui piegava la bocca e arricciava la punta del naso erano esattamente le stesse.
“Oh no” pensò quando si rese conto di quello che gli stava frullando in testa in quel momento. “Pensavo che mi fosse passata questa dannatissima cotta”.
«Ragazzi, ho trovato l’uscita. Dobbiamo andare». Colm si avvicinò a loro e prese senza troppa fatica Jesper dalla spalla sana per aiutarlo ad alzarsi, in fondo era un agricoltore ed era abbastanza forte da alzare suo figlio nonostante fosse ormai più alto di lui.
Una porticina sgangherata si apriva su una scalinata buia, uno dopo l’altro si avventurarono sugli scalini scricchiolanti e solo una volta arrivati al piano terra riuscirono a intravedere un po’ di luce. Gli occhi si erano talmente abituati all’oscurità che ci volle qualche istante per notare la figura che si stagliava davanti a loro: una donna anziana, con uno chignon di capelli bianchi che contrastavano fortemente con il lungo vestito nero che indossava.
«Signor Hendriks, la stavo aspettando», li accolse la donna con una voce rigida e flebile. Gli occhi di Jesper subito si fissarono su Wylan, che guardava la donna con un’espressione di mortificazione sul volto.
«Professoressa Levi, come…»
«Non vi dispiacerà se vi chiedo di trattenervi per qualche minuto». Con un gesto rapido delle mani, apparvero dei fili che subito si avvolsero intorno a loro bloccando ogni possibile movimento. Tutti e tre persero l’equilibrio per quell’attacco improvviso e si ritrovarono stesi a terra. Colm doveva aver battuto la testa perché quando Jesper cercò con lo sguardo suo padre lo vide sfrastornato. Aveva sottovalutato il pericolo di quella donna, avrebbe dovuto agire non appena l’aveva vista. Ma non si sarebbe mai aspettato un’agilità simile da una qualsiasi vecchietta. Evidentemente non era una fragile signora come si presentava. Quale fragile signora teneva nascoste nelle maniche voluminose del proprio vestito dei filamenti abbastanza resistenti da intrappolare i suoi nemici? “Una Grisha, ecco chi”, si rispose da solo Jesper, furioso per essersi fatto fregare come un pollo.
«Li lasci andare, loro non c’entrano niente!» Wylan aveva cercato di implorarla con il fiato mozzato dalla stretta.
«Vorrei sapere, mio caro signor Hendriks, come mai è sparito senza nessun preavviso e come mai l’ho trovata qualche settimana fa a trafugare materiali dai nostri laboratori di chimica. Deve essere qualcosa di importante visto che è arrivato persino a modificarsi il volto in maniera così invasiva. In che cosa è coinvolto?».
«Posso spiegarle tutto, se lei vorrà credermi». Wylan cercò lo sguardo di Jesper, poi i suoi occhi saettarono su una moneta d’argento che giaceva proprio al loro fianco. Jesper capì al volo che cosa stava cercando di comunicargli, riuscì ad avvicinarsi quanto bastava per prendere la moneta nell’unica mano libera che aveva, nel giro di qualche istante sarebbe diventata un’ottima arma per liberarsi da quei fili.
«Coraggio, non sia timido. La sto ascoltando». La professoressa afferrò una sedia e si accomodò con eleganza a pochi passi da loro, ancora proni sul pavimento polveroso della tipografia.
«Lei è una Fabrikator», constatò Wylan e la professoressa inarcò un sopracciglio, quasi infastidita e delusa da quell’affermazione così banale.
«Sì, non lo nego. L’ultima volta che ci siamo incontrati non mi aspettavo di aver bisogno dei miei poteri per fare due chiacchiere con lei, ma questa volta ho deciso che era il caso di attingervi. Chissà se svelarle questo mio segreto l’aiuterà a condividere i suoi».
«Perché lo tiene nascosto? Il suo è un dono». Quando il mercantuccio disse quelle parole Jesper guardò suo padre. Doveva essere ancora stordito, ma i suoi occhi si aprirono spaventati. Sapeva benissimo cosa gli stava passando per la testa, ma in quel momento non poteva pensarci, tutta la sua concentrazione doveva restare sul metallo della moneta che stava cambiando forma sotto le sue dita.
«Pensa che non lo sappia? Lo sanno tutti, per questo non posso mostrarlo ai miei colleghi. Fingersi meno minacciosi di quello che si è può risultare molto vantaggioso. Vedo che lei usa il mio stesso metodo, si nasconde dietro la facciata del dolce ragazzino bisognoso, appassionato ed emozionato di imparare, per poi voltare le spalle all’unica persona che gli aveva dato credito».
«Mi dispiace, professoressa». La voce di Wylan suonava quasi come un lamento, Jesper avrebbe giurato che stava per scoppiare in lacrime. «Non ho mai voluto farlo, ma ho dovuto».
«Si spieghi con me o dovrà farlo con le autorità quando vi consegnerò alla Staddwatch».
«No, la prego!» Jesper si costrinse a non voltarsi, vedere il mercantuccio piangere non lo avrebbe aiutato. Quello che doveva fare a quel punto era cercare con lo sguardo per tutta la stanza alla ricerca della via di fuga che da lì a un paio di minuti avrebbero dovuto prendere.
«Problemi con la legge?» Gli occhi della professoressa di fecero due fessure sottili, soddisfatta di aver provocato una reazione nel suo ex studente.
«Problemi con chi controlla la legge» rispose Wylan con un tono amaro e sconfitto che su Jesper ebbe lo stesso effetto di una pugnalata. Pregò tutti i santi che il metallo diventasse presto tagliente nelle sue mani, non sopportava di essere tenuto lì prigioniero mentre la voce del mercantuccio tremava a quel modo, ma soprattutto non poteva permettere che suo padre sapesse più di quanto avevano accordato di dirgli o avrebbe corso ancora più rischi.
«L’intero Consiglio dei mercanti o un membro in particolare?»
Wylan fece una lunga pausa prima di deglutire e rispondere con un sussurro: «Jan Van Eck». La donna alzò le sopracciglia senza riuscire a contenere lo stupore, anche Colm si voltò perplesso verso Wylan. Jesper voleva intervenire, fermarlo prima che rivelasse più di così, ma attirare l’attenzione su di lui avrebbe potuto far notare cosa stava succedendo all’interno della sua mano, così non gli impedì di continuare: «Professoressa, lei ha sentito parlare della parem?»
In quell’esatto momento Jesper decise che non poteva più trattenersi, doveva agire: infilò la lama tra i filamenti che lo trattenevano e con un colpo deciso li tranciò quanto bastava per liberarsi. In un istante si gettò su Wylan recidendo anche i suoi; il mercantuccio non aspettò un secondo di più, la mano cercò subito all’interno della sua giacca un’ampolla che con forza fece schiantare sul pavimento, proprio davanti ai piedi della professoressa che era appena scattata in piedi. Jesper sapeva esattamente cosa aspettarsi, così si coprì gli occhi quando la luce riempì la stanza, e giudicando dall’urlo straziato della donna, lei non doveva aver avuto la stessa prontezza. Al suo fianco anche suo padre aveva subìto gli effetti della bomba luce e soffriva strizzando con forza gli occhi accecati. Jesper solo in quel momento lo liberò dai lacci e, con un mugugno di dolore per la ferita ancora fresca, se lo caricò sulla spalla come meglio poteva.
«Mi dispiace così tanto, professoressa. La prego, mi perdoni». Wylan non aveva guardato la luce, ma i suoi occhi erano pieni di lacrime e Jesper dovette chiamarlo più volte per convincerlo a seguirlo fuori dalla tipografia.

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Capitolo 9
*** Lascia piovere ***


Nel mausoleo c’era sempre stata tensione, fin dal loro arrivo. Ma in quel momento anche Jesper, il più baldanzoso di tutti loro, quello che cercava di alleggerire l’atmosfera e di tenere il morale alto, era ridotto a un fascio di nervi. Era stato strano vederlo con suo padre; di solito così spavaldo e con la risposta sempre pronta, davanti al genitore non riusciva a trovare le parole per spiegarsi, continuava a promettergli che avrebbe risolto tutto, che aveva solo bisogno di tempo. Wylan mordicchiava il pollice ansioso. Quella situazione gli ricordava fin troppe discussioni avute con suo padre. La voce supplichevole di Jesper era lo spettro di tutte le preghiere che si era sentito rivolgere allo sguardo severo e disgustato del suo stesso padre ogni volta che lo implorava di capirlo, di accettare che non avrebbe mai potuto dargli ciò che gli chiedeva così insistentemente.
Colm però non era Jan Van Eck. Erano scampati per un soffio alla sparatoria a Boeksplein e subito dopo avevano avuto uno scontro con la professoressa Levi, che a quanto pare era una Fabrikator potente e furiosa con Wylan. Non appena erano arrivati al Velo Nero, aveva stretto Jesper ancora più forte di quando si erano incontrati quella mattina e Wylan era riuscito a sentirgli sussurrare: “Grazie ai santi stai bene”. Come se non fossero loro la causa dell’enorme pericolo in cui aveva appena rischiato la vita, non gli importava quale fosse il problema; se suo figlio era salvo, tutto si sarebbe risolto.
«Perché ci avete messo tanto? Vi hanno seguiti?» chiese Kaz appoggiato al bastone con espressione stanca.
«No» rispose Jesper con fare sicuro.
«Wylan?» Kaz cercò conferma.
Colm si innervosì e lo rimbeccò. «Dubiti della parola di mio figlio?»
«Non c’è niente di personale, pa’. Lui dubita della parola di chiunque.»
«Le mie scuse, signor Fahey. Un’abitudine che ho preso nel Barile. Fidarsi è bene, verificare è meglio.» Kaz rimase impassibile davanti al disappunto di Colm, poi ripetè: «Wylan?»
«Non sapevano del passaggio segreto, non ci hanno seguiti.» Si fermò un secondo per raccogliere aria nei polmoni prima di aggiungere: «Però qualcuno effettivamente ci aspettava nella tipografia. La professoressa Reeta Levi, è docente di chimica nell’università. Mi ha riconosciuto.»
«Siete stati trattenuti da una professoressa?»
«Lei è una Grisha.»
Colm sussultò, ma Wylan continuò a raccontare cos’era successo nella tipografia. Aveva già notato la reazione del fattore, ma quando padre e figlio iniziarono a discutere dei solleciti della banca, dei debiti e della possibilità di perdere la fattoria, fu sorpreso di rendersi conto che nessuno dei due riusciva neanche solo a dire a voce alta la parola “Grisha”. Appena l’argomento era uscito fuori Colm era diventato guardingo, quasi stesse controllando che qualcuno non fosse lì pronto a puntare un’arma addosso al figlio anche solo per aver osato pronunciare quel termine. A Wylan cadde lo sguardo sulle sopracciglia corrugate di Nina e pensò che non era l’unico che aveva intuito il timore che avevano entrambi.
Ovviamente non potevano raccontare tutta la verità a Colm, così avevano inventato qualche bugia che potesse reggere, anche se a stento, la storia gli che stavano raccontando: dei poveri studenti truffati, indebitati, che avevano perso tutto, e il cui unico modo per tirarsi fuori da questo guaio era affidarsi a un criminale come Kaz.
«Troveremo un altro modo di ripagare il debito. O ricominceremo tutto da capo da un’altra parte.» Non era difficile immaginare perché Colm non volesse accettare, anche Kaz lo aveva detto, aveva una faccia onesta ed era evidente che lo era, un uomo onesto. Un uomo onesto che voleva solo che il figlio stesse bene. Wylan scacciò velocemente il pensiero di suo padre, di come avrebbe voluto che gli volesse bene anche solo la metà di come lo faceva Colm con Jesper. Non poteva che sentirsi invidioso da un lato, ma al contempo felice che Jesper avesse un padre che lo amava davvero. Nessuno si meritava un padre come Jan Van Eck e per un attimo rabbrividì al pensiero di Alys con il suo pancione, la promessa di un figlio che questa volta si sarebbe dimostrato degno. E se anche il nascituro non si fosse rivelato abbastanza per Jan, anche lui sarebbe finito un giorno chiuso in una tomba a progettare la fuga dal loro padre assassino?
«Non rinuncerai alla fattoria.» Jesper era irrequieto. «Lei è lì. Non possiamo lasciarla.»
«Jes…»
«Per favore, pa’. Per favore, fammi sistemare le cose. Lo so… Lo so che ti ho deluso. Ma dammi sono un’altra possibilità.» A Wylan si era stretto il cuore quando aveva sentito la voce di Jesper così flebile, non gli sembrava più lui.
Ed evidentemente la persuasione di Kaz e la disperazione del figlio avevano fatto breccia anche in Colm, che alla fine aveva accettato di seguire le direttive del diavolo in persona e di alloggiare nell’albergo Geldrenner in attesa di novità da quella banda di ragazzi che sicuramente gli sembrava troppo giovane per riuscire a tenere testa a una città come Ketterdam.
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Il piano era andato esattamente come programmato da Kaz, Van Eck aveva creduto di averli in pugno con Inej ancora sua prigioniera, ma il loro piccolo gruppetto era riuscito a raggirare il mercante e a fargli pagare il rapimento della loro amica con la sua stessa moneta. Quello che però neanche Manisporche non poteva prevedere era che Alys sarebbe stato l’ostaggio più fastidioso di tutta Ketterdam e dintorni. Nina era insofferente per le lamentele della donna, Matthias sembrava indugiare sempre più volentieri verso l’idea dell’omicidio e Kaz era decisamente pronto a mettere in atto ogni sua fantasia più violenta. Avevano bisogno di una pausa da quel continuo rumore insopportabile che era la moglie di Jan Van Eck, ma non potevano lasciarla sola nella tomba, così solo Jesper, Wylan e Kaz uscirono all’aria fresca e umida della notte al Velo Nero. Eppure, non appena liberi dal fastidio, la frustrazione era talmente tanta che la discussione si accese immediatamente.
«È solo una ragazzina incinta spaventata, se solo potessimo toglierle la benda, magari potrebbe calmarsi» provò a proporre Wylan, impietosito dalla paura che la sua matrigna doveva avere in quel momento.
«Non possiamo correre il rischio che porti qui Van Eck» fu la risposta fredda e calcolatrice di Kaz.
«Kaz, promettimi che-»
«Prima che tu finisca la frase, voglio che ti soffermi a pensare a quanto costa una mia promessa e a cosa sei disposto a pagare in cambio».
«Non è colpa sua se i suoi genitori l’hanno costretta a sposare mio padre. Inej non vorrebbe…» Wylan tentò ancora, ma Kaz lo interruppe di nuovo, questa volta bastò il suo sguardo tagliente per fargli mordere la lingua. Le sue mani guantate stringevano minacciose il bastone e il mercantuccio sentì un groppo in gola esattamente nel punto in cui era già stato stretto dalla sua presa salda.
«Dimmi ancora una volta cosa devo fare. Su, sono curioso» lo sfidò con una voce possibilmente ancora più bassa e vibrante del solito che fece fare un passo indietro a Wylan intimorito.
«Kaz, smettila». Jesper aveva posato una mano sull’avambraccio di Kaz, pronto a immobilizzarlo se ce ne fosse stato bisogno.
«La prossima volta che hai dei suggerimenti, ti taglio la lingua e la do in pasto al primo gatto randagio che incontro. Potrebbe non essere più tanto facile suonare il tuo amato flauto» disse infine con un sibilo da serpente per poi scrollarsi di dosso la mano che Jesper teneva piantata con forza sul suo braccio e dileguarsi nella tomba.
«Meglio non fare il nome di Inej se ti va di continuare a vivere» Jesper passò una mano tra i capelli di Wylan per scompigliarli un pochino, poi la lasciò scivolare sulla sua nuca dove rimase a riposarsi.
«Tutto questo non lo stiamo facendo per lei?» chiese Wylan ignorando il brivido che gli avevano provocato le dita di Jesper sulla pelle del suo collo.
«No, è per il grande piano, ricordi?» Jesper rise sarcastico e Wylan piegò la bocca in un debole sorriso. Non era assolutamente pronto a tornare dentro, ma era il momento di rientrare dato lui era probabilmente l’unico in quell’isola capace di tollerare quella donna. O almeno così credeva, invece a quanto pare Matthias era riuscito a calmarla ignorando il disappunto di Nina per la perdita delle sue scorte di biscotti al cioccolato; Alys se ne stava seduta rigida sulla sedia ma la sua espressione era più pacifica mentre rosicchiava con gusto i dolcetti.
«Allora,» Jesper afferrò una sedia con un gesto teatrale e facendola ruotare sulle sue stesse gambe ci si sedette a cavalcioni, «parlaci del tuo figliastro».
Alys si voltò verso di lui, nonostante la benda le coprisse gli occhi il suo viso cercò la provenienza della voce. «Perché? Avete intenzione di rapire anche lui?» chiese sospettosa.
«Non credo proprio, ho sentito dire che è una rogna infinita da avere attorno» Jesper sfoggiava un sorriso smagliante e Nina trattenne una risatina.
«Io ho sentito dire che è un genio incompreso» Wylan non avrebbe rinunciato a controbattere, se Jesper voleva giocare, quel gioco si poteva fare in due.
«Io lo comprendo perfettamente. Non biascica né niente. Anzi, parla un po’ come te. E sì, è molto dotato. Studia musica a Belendt.» La risposta di Alys lo colse di sorpresa, non si aspettava di essere difeso dalla matrigna. Non che fosse mai stata crudele nei suoi confronti, ma non avevano mai avuto un rapporto amichevole, c’era sempre stata una certa lontananza tra loro. Esisteva un vero e proprio muro invisibile che Jan Van Eck aveva costruito intorno a tutti quelli che circondavano suo figlio, per evitare di sentirsi in imbarazzo per quella sua prole difettosa.
«Sì, però, com’è? Ti ha mai confidato qualche paura segreta? Brutte abitudini? Infatuazioni mal riposte?» Jesper non aveva nessuna intenzione di cedere.
«Ma se mi conosci da più tempo di lei, perché le fai tutte queste domande?» gli sussurrò Wylan completamente rosso in volto.
«Beh, ma non ti vedo da 10 anni, voglio sapere come sei cambiato» fece spallucce Jesper.
«Non so di qualche infatuazione. Però una volta mi ha fatto sentire una canzone che ha scritto per un ragazzo.» Non appena Alys parlò, Wylan nascose la faccia tra le mani. Le guance totalmente rosse e calde che Nina lo punzecchiò con un dito ridacchiando per il suo imbarazzo, facendo finta di non ascoltare Matthias che le diceva di lasciarlo in pace.
«Davvero?» continuò Jesper, adesso seduto con la schiena dritta e chiaramente interessato alle informazioni che stava riuscendo a ottenere da Alys.
«Sì, era molto bella. Però non mi ricordo più il titolo, eppure mi aveva chiesto di scriverlo io stessa sulla partitura perché dice che ho una bella calligrafia. Forse era James? No, forse Joshua…»
Wylan tolse in fretta dalle mani di Nina uno dei biscotti al cioccolato che teneva lontani dalla portata di Alys e gliene mise uno in bocca prima che potesse continuare ad umiliarlo davanti a tutti. «Tieni, prendi un altro biscotto.»
«Ne ha già mangiati tre!» protestò Nina,
«Mi manca avere Wylan a casa, è sempre stato gentile con i miei uccellini. Mi mancano i miei uccellini. E Rufus. Voglio andare a casaaaa». Ormai Alys era tornata a piagnucolare e Wylan tirò un sospiro di sollievo per aver evitato il peggio.
Nina aveva imprecato a bassa voce dicendo che era stato inutile sprecare i suoi preziosi biscotti, ma da lì in poi Matthias aveva preso le redini della situazione. Wylan si era sorpreso di vederlo prepararsi per un massaggio ai piedi gonfi di Alys e altrettanto basito gli era sembrato Jesper quando si era visto chiedere di prendere l’occorrente per degli impacchi freschi. Matthias era sempre stato un soldato serio e impassibile, le uniche volte che Wylan gli aveva visto tradire un minimo di umanità era stato con Nina. Ma questo atteggiamento così dolce era un’assoluta novità anche per lei che lo guardava con un sorriso smagliante mentre si adoperava a rassicurare la povera donna gravida che avevano rapito qualche ora prima.
La scena era stata quasi confortevole finché Alys non aveva iniziato a cantare. Non era poi così male, ma Wylan sapeva bene che poteva andare avanti ininterrottamente per ore e ore. Solo che nella villa poteva nascondersi dall’altro lato della casa e non l’avrebbe sentita più, mentre nella piccola tomba dove stavano rintanati i suoi nervi non resistettero nemmeno cinque minuti. Uscì e respirò profondamente, in lontananza sentiva ancora la voce della sua matrigna, ma era così distratto e stanco da non accorgersi che Jesper lo aveva seguito.
«Allora, James?» gli domandò con un sorriso beffardo.
«Smettila, ti prego, sono qui per evitare una tortura, non infliggermene un’altra.»
« Okay, non è James. Allora, Joshua?»
«Jes…» Wylan si strofinò forte gli occhi, le sue mani scivolarono fino ai capelli pettinandoli indietro. Si sarebbe mai abituato a non sentire i ricci tra le dita?
«Inizia con la j, vero? Fermami quando indovino. Jon, Jason, Jake, Jim, Jean…»
Wylan non poteva credere di stare avendo quella conversazione, forse si sarebbe solo dovuto arrendere. «Jesper…» ripetè il suo nome, ma questa volta uscì dalla sua bocca come l’ammissione di una colpa terribile, sentiva la voce tremare e il corpo che lo pregava di scappare.
«No, dai, voglio indovinare, non me lo dire. Credo di esserci quasi-»
«Jesper! Il titolo è Jesper!» Wylan esplose e il suo cuore smise di battere per qualche istante di troppo. Jesper lo fissò in silenzio, la bocca semiaperta ma incapace di pronunciare anche solo una parola. Era terrorizzante e mortificante guardarlo, così Wylan si voltò di spalle. «Sono riuscito nell’impresa più ardua che l’umanità abbia mai compiuto. Ti ho lasciato senza parole» provò a scherzare, ma non aveva alcuna voglia di ridere.
«Wy…» il tono pietoso di Jesper fece ancora più male di un rifiuto diretto. «Non avevo capito, scusa, io… non avrei dovuto insistere…»
«Non fa niente, lascia perdere, ti prego.» Wylan lo interruppe, già era stata dura ammettere quanto teneva a Jesper, sentiva il bisogno di difendersi, giustificarsi. «È solo che tu sei stato l’unico amico che abbia mai avuto. Sono sempre stato rinchiuso dentro casa, sono sempre stato un errore da nascondere per mio padre. Te l’ho detto che è orgoglioso, non gli piace parlare dei suoi insuccessi e io sono uno di quelli. E anche quando ho iniziato a uscire di casa di nascosto, non ho mai potuto davvero conoscere qualcuno, se mi fossi fatto qualche amico avrei rischiato di far sapere in giro che il figlio di Van Eck faceva l'inserviente all’università, che se ne andava in giro per Ketterdam a fare chissà cosa. Poi mio padre mi avrebbe rinchiuso ancora meglio e quel poco di vita che riuscivo ad avere mi sarebbe stata tolta. Quindi sì, ci sei sempre stato solo tu. Non ho mai avuto un’altra persona che posso dire che mi abbia voluto bene». Le parole uscirono come un fiume in piena, tutte le cose che aveva sempre tenuto per sé, tutte le sue paure e le sue mancanze, adesso le stava dicendo ad alta voce e non aveva idea di come avrebbe potuto guardare di nuovo in faccia Jesper dopo essersi mostrato così fragile e solo.
«Tu non sei un errore, Wy, sei sempre stato un piccolo genietto. Ricordi il modellino del sistema solare che mi hai fatto costruire?» A quel ricordo Wylan si voltò di scatto, dimenticando per un attimo l’imbarazzo. Jesper gli sorrideva nostalgico, era quell’espressione dolce che gli riservava nei momenti più intimi.
«Era meraviglioso. Lo so che non lo credi, ma sei un ottimo Fabrikator.» Wylan non riusciva a credere di stare sorridendo, fino a qualche secondo prima si sentiva nel panico più totale, mentre ora la sensazione di calore lo abbracciava completamente.
«Ce l’ho ancora, quel modellino.»
«Davvero?»
«Certo, non potevo mica buttarlo. È alla fattoria di mio pa’.»
Per qualche secondo Wylan si inebriò del sorriso di Jesper e dei suoi occhi di un grigio brillante. L’aria leggera gli stava raffreddando le dita delle mani, così si strinse nella giacca prima di distogliere lo sguardo verso il cielo stellato. Non era assolutamente come le notti in mezzo al mare, le stelle erano molte meno, la loro luce era fioca, ma finché erano semplicemente loro due sotto tutto quel blu intenso che differenza avrebbe fatto? Bastava che al suo fianco ci fosse stato Jesper e avrebbe potuto affrontare qualsiasi cosa. Con gli occhi ancora puntati verso l’alto, Wylan disse piano: «A volte mi chiedo come sarei stato se non ti avessi conosciuto. Se fossi cresciuto solo con mio padre che mi ripeteva che sono un inutile idiota, pensi che avrei finito per crederci? Se non avessi avuto te che mi hai fatto vedere che non è vero, sarei riuscito a scappare da lui? Sarei riuscito a sopravvivere?»
«E io che pensavo di essere stato una pessima influenza per te» Jesper si era avvicinato, Wylan sentiva il suo sguardo addosso, ma non abbassò gli occhi dalle stelle.
«Onestamente, sei la cosa migliore che mi sia capitata.»
«Wy, ho già un ego smisurato, potrebbe essere una cattiva idea lusingarmi». Wylan rise immaginando perfettamente l’espressione furbetta che stava sfoggiando Jesper in quel momento, chiuse gli occhi prima di voltarsi e confermare che lo stava osservando esattamente con quel sorrisetto soddisfatto che si aspettava.
«Jes, perché sei andato via? Cosa hai scritto nella lettera?» gli chiese all’improvviso.
«Devo davvero parlarne?»
«No, non devi. Ma io vorrei saperlo, sono anni che me lo chiedo.»
«No, okay. Tu sei stato onesto con me, voglio esserlo anche io» Jesper sospirò prima di continuare, era evidente quanto gli costava fatica aprirsi. «Mia madre è morta. Anche lei era zowa, ti ricordi? Ed è morta proprio per questo. Ha aiutato una ragazza che era rimasta intossicata da dell’acqua contaminata, per togliere il veleno da lei ne ha assunto troppo ed è morta. Mio pa’ non era d’accordo con questo suo lato, non voleva che lei aiutasse le persone perché aveva paura che, per il bene di qualcun altro, ci avrebbe rimesso lei. Dopo l’incidente è rimasto traumatizzato ed è diventato più apprensivo, aveva paura di farmi andare in giro da solo.»
«È per questo che adesso nascondi di essere un Grisha?»
«L’ho promesso a mio pa’, era troppo terrorizzato che sarei morto anch'io. E non ha tutti i torti, non è facile la vita dei Grisha.» Jesper non aveva incrociato il suo sguardo mentre gli confidava della perdita di sua madre e della reazione di suo padre e Wylan si chiese se stesse cercando di nascondere un’espressione di dolore.
Wylan non era mai stato bravo con le parole, ma sapeva quando non c’era bisogno di usarle. Accorciò la distanza con Jesper, alzandosi sulle punte dei piedi lo strinse forte pregando i santi che potesse fargli sentire quanto lo amava e che non lo avrebbe protetto da qualsiasi cosa brutta gli potesse succedere.
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Per il giorno successivo era stato previsto lo scambio degli ostaggi. Ognuno di loro era un ingranaggio che si incastrava alla perfezione e faceva ticchettare le lancette dell’orologio che scandiva i pensieri nella mente analitica di Kaz. Sapevano che il piano di scambiare Alys e Inej poteva essere potenzialmente imprevedibile, si erano dovuti preparare a qualsiasi eventualità, ma se c’era qualcosa che nemmeno Manisporche avrebbe potuto immaginare era che Jesper e Nina sarebbero dovuti fuggire da degli invincibili soldati Shu geneticamente modificati per affrontare i Grisha, i Kherguud. La cosa più spaventosa era la loro capacità di rintracciarli, sembrava potessero fiutarli come fossero cani da caccia sulle tracce di una preda di prelibata selvaggina.
Quando finalmente erano tornati tutta a rifugiarsi ala Velo Nero, Wylan avevano notato che l'espressione di Jesper, per quanto lo Zemeni stringesse le rivoltelle che Kaz era riuscito a rubare per lui, non si rilassava nemmeno per un istante. Sarebbero mai tornati a sentirsi di nuovo al sicuro? L’unica consolazione era che Inej era tornata. Era magrissima e sembrava che un alito di vento potesse trasportarla via in ogni momento, ma era con loro.
Wylan pensava che avrebbero potuto tirare un sospiro di sollievo almeno per un giorno, finché Kaz non aveva rivelato la parte successiva del piano: distruggere i silos di Van Eck e farlo incriminare. Il piano era assurdo. Nina avrebbe accompagnato Inej che, ancora debilitata dal rapimento, avrebbe dovuto piazzare il tonchio di Wylan nei silos, ma l’unica via d’accesso possibile era dall’alto, perciò la Suli avrebbe dovuto arrampicarsi in cima ai silos e passare dall’uno all’altro usando una semplice corda e nessuna rete di sicurezza. Nel frattempo Kaz e Wylan si sarebbero dovuti intrufolare a villa Van Eck per accedere alla cassaforte dove suo padre custodiva il sigillo di famiglia. L’unico modo per aprirla era usare un corrosivo che avrebbe prodotto lui stesso, ma doveva recuperare i materiali necessari. Come se non bastasse, bisognava anche far fuggire dalla città tutti i Grisha, compreso Kuwei, prima che gli Shu e i loro inarrestabili Kherguud li trovassero. Jesper e Matthias si sarebbero occupati di loro imbarcandoli su una nave diretta a Ravka.
C’erano così tante cose che sarebbero potute andare storte che a Wylan veniva il mal di testa anche solo a pensare a tutto ciò che dovevano fare. Quella notte, la sensazione di gioia che era stata ritrovare Inej, era stata completamente sotterrata dalla preoccupazione per quello che doveva ancora arrivare. Riposarsi fu impossile.

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«È questo che insegnano all’università? Come sintetizzare… Com’è che si chiama?» Jesper se ne stava con i gomiti poggiati sulla balaustra del traghetto diretto a Olendaal.
«Acido aurico e no, non lo insegnano all’università» Wylan osservava lo Zemeni immaginando di scarabocchiare su un pezzo di carta i suoi zigomi alti, il suo collo slanciato. Il sole scaldava la pelle dei due ragazzi, mentre il vento forte del mare la raffreddava soffiandogli sul viso.
«E tu come diavolo fai a sapere come fare una cosa del genere?»
«La professoressa Levi» spiegò Wylan senza poter fare a meno di assumere un tono nostalgico. «Lei è la docente di chimica dell’università. Certe volte mi permetteva di rimanere oltre l’orario di lavoro per farmi vedere alcune sperimentazioni diciamo… poco ortodosse.»
«Chi l’avrebbe mai detto che si sarebbe rivelato utile?» Jesper ridacchiò prima di respirare a pieni polmoni l’aria salmastra e calda della primavera.
«Grazie per essere venuto con me oggi» disse Wylan, sperando che si capisse quanto fosse grato a Jesper per essere lì con lui. Aveva disperatamente bisogno di un appiglio ora che aveva deciso di salutare sua madre per l’ultima volta.
«Kaz non ti avrebbe lasciato andare da solo. E poi, te lo devo. Tu sei venuto con me a incontrare mio padre all’università, e sei intervenuto quando ha iniziato a fare domande.»
«Non mi piace mentire.»
«E allora perché l’hai fatto?» gli chiese Jesper con gli occhi rivolti all’acqua che scrosciava sotto di loro.
Wylan aprì la bocca e in un istante gli passarono per la testa talmente tante parole che non avrebbe potuto mai esprimere con una semplice risposta. Come avrebbe mai potuto spiegare come aveva sofferto a vedere il suo Jes, sempre sfacciato e sfrontato, farsi minuscolo di fronte a suo padre? E come avrebbe potuto dare un senso a quel terrore che aveva sentito quando aveva temuto che l’espressione preoccupata di Colm si trasformasse in una furia di delusione e disgusto, come aveva sempre visto fare al suo, di padre?
Semplicemente, non poteva. Così fece spallucce, prima di dire: «Ci sto prendendo l’abitudine, a salvarti. L’ho fatto per tenermi in esercizio». Jesper rise di gusto, senza badare agli sguardi che poteva attirare con quel baccano e Wylan non seppe mai se il batticuore che gli era venuto era per paura che qualcuno li notasse o per il sorriso splendente di Jesper.
Ma subito si rabbuiò e tornò a sistemare i gomiti sulla balaustra, con le mani subito impegnate a giocherellare con la tesa del cappello. «Sarei dovuto andare a trovarlo, oggi.»
«Perché non l’hai fatto?»
«Non so proprio cosa dirgli» sospirò prima di nascondere la testa tra le braccia.
«La verità è fuori questione?»
«Diciamo che preferirei evitarla.»
«Non puoi sfuggire a questa cosa per sempre.»
«Tu dici? Sta’ a guardare.» Jesper gli fece un occhiolino e gli sorrise quando Wylan roteò gli occhi al cielo senza riuscire a trattenere a sua volta un sorrisetto.
«Avrei voluto portarle dei fiori» disse Wylan concedendogli l’occasione per cambiare argomento.
«Possiamo raccoglierne qualcuno lungo la strada». All’improvviso Wylan ricordò le innumerevoli volte che aveva aiutato Jesper a raccogliere fiori per sua madre. In alcune zone dei prati incolti intorno alla villa, spesso si trovavano fiori selvatici. Jesper ne coglieva alcuni con lo stelo abbastanza lungo da farne un mazzolino per sua madre, mentre quelli più corti, non appena Wylan si distraeva e gli dava le spalle, glieli nascondeva tra i ricci. Se ne rendeva conto solo quando lo beccava a trattenere le risate, scopriva solo in quel momento di avere la testa ricoperta di fiorellini delicati. Ma Wylan non riusciva ad arrabbiarsi, per quanto Jesper lo prendesse in giro, adorava essere sfiorato da lui. Cercò di aggrapparsi a questo ricordo per il resto del tragitto.

«Questo posto mi ricorda casa. I campi a perdita d’occhio, il silenzio rotto solo dal ronzio delle api, l’aria pulita. Disgustoso». Passeggiavano in silenzio da qualche minuto quando Jesper ruppe la catena dei suoi pensieri così all’improvviso che Wylan rise, preso alla sprovvista dalla sua espressione schifata.
«Sei proprio melodrammatico. Non era così male, a me piaceva Novyi Zem.»
«Era la compagnia a renderla meravigliosa» rispose Jesper sbattendo le ciglia con fare teatrale.
«Questo è innegabile, per te deve essere stata dura fare a meno del sottoscritto quando me ne sono andato».
Jesper si bloccò, lasciando che Wylan continuasse a camminare senza seguire più i suoi passi. «Wy, hai appena rubato la mia battuta e l’hai rigirata su di te?»
«Sì. sì, l’ho fatto» ribatté mentre Jesper lo raggiungeva con un paio di falcate delle sue lunghe gambe.
«Sono così fiero di te» disse fingendo di asciugare una lacrima di orgoglio. «A proposito, non mi hai mai detto perché te ne sei andato.»
«Mio padre ha trovato uno dei giocattoli che avevi fabbricato. Li tenevo nascosti, ma a quanto pare non abbastanza bene.»
«Ti ha mandato via perché eri amico di un Grisha?» Wylan si stupì della domanda, aveva sempre dato per scontato che suo padre provasse imbarazzo per lui, non per le persone che frequentava. Ma effettivamente Jan Van Eck aveva sempre sfruttato i Grisha come dei meri oggetti, approfittando del sistema schiavistico di Kerch, come del resto facevano tutti i mercanti.
«Non credo sia per quello. Mi ha mandato via perché era convinto che tu avessi scoperto che non so leggere e che la voce si sarebbe diffusa. Disse che dovevo tornare a Ketterdam così sarei stato sotto il suo controllo e non avrei più avuto occasione di trasgredire le regole.»
«Direi che è stato un progetto fallimentare» rise Jesper e Wylan stiracchiò un sorriso assaporando quella piccola vittoria che aveva avuto su suo padre.
«Ringrazio Ghezen che mio padre sia sempre stato così sicuro che fossi un idiota da non impegnarsi mai realmente nel tenermi sott’occhio. Poi è arrivata Alys e credo che abbia semplicemente perso interesse nel torturarmi ogni giorno, aveva di meglio da fare.»
«Non tutti i mali vengono per nuocere, suppongo» Jesper lo punzecchiò con un gomito.
Wylan sentì il sorrisetto stampato in volto per qualche secondo. Non gli importò dell’espressione tonta che doveva avere, era davvero grato che Jesper fosse lì con lui in quel momento. «Jes, grazie»
«Mi hai già ringraziato per essere venuto con te.»
«No, lo so cosa stai facendo. Stai cercando di distrarmi, sai che sono nervoso perché andrò a visitare la tomba di mia madre.»
«Sono così prevedibile?» Jesper inarcò un sopracciglio.
«Ti conosco da tanto tempo.»
«Lo dici come fossimo due vecchietti sull’orlo della pensione» Jesper gli posò un braccio sulle spalle e lo avvicinò per scompigliargli i capelli. «Immagino che però prima dovremo cercare la strada che porta alla cava.»
«No, basta un emporio qualunque.» Rispose sbrigativo Wylan.
Jesper lo guardò perplesso. «Ma hai detto a Kaz che il minerale…»
«È presente in qualunque vernice e smalto. Volevo solo avere un motivo per venire a Olendaal.»
L’espressione sbalordita di Jesper e il suo respiro sonoro lo fecero ridere. «Wylan Van Eck, tu hai mentito a Kaz Brekker. E l’hai fatta franca! Tieni dei corsi?»
«L’ho fatta franca per ora, seppelliscimi vicino a mia madre quando Kaz mi avrà fatto fuori. E portami dei fiori come questi, sono belli» Wylan agitò il mazzolino che avevano messo insieme con alcuni fiori e piante selvatiche che avevano trovato lungo il tragitto per Saint Hilde.
«Tutti i fiori che vuoi, per l’uomo che ha sfidato il diavolo in persona» rispose Jesper togliendo il cappello fingendo di commemorare la sua memoria.
Wylan non sapeva esattamente perché gli venne in mente proprio in quel momento, ma all’improvviso disse: «Sai, ho comprato una casetta a Novyi Zem. Non è molto, solo un paio di stanze e un pezzetto di terra da coltivare.»
«Quando l’hai fatto?»
«L’anno scorso, con i soldi che ho guadagnato giocando in borsa. Quando Alys è rimasta incinta sapevo che sarei dovuto andarmene.»
«Ma perché proprio Novyi Zem? Ci sono tanti altri posti dove scappare.»
La risposta impiegò qualche secondo per trovare il coraggio di uscire dalla bocca di Wylan: «Perché è lì che sono stato felice per l’ultima volta.»
Jesper lo osservò con l’espressione improvvisamente addolcita. «Kaz ha ragione, sei sentimentale.»
«Tu no? Perché ci tieni tanto alla fattoria se non hai alcuna intenzione di vivere lì?» controbattè Wylan nonostante l’imbarazzo.
Anche Jesper ebbe bisogno di qualche istante di troppo per rispondere: «Perché mamma è sepolta lì. Sotto un albero di ciliegio stupendo»
«Sembra davvero bello.»
«Lo è. Ti porterò a visitarla quando andrai a vivere lì.»
In lontananza intravedevano l’ospedale, Wylan sentì le palpitazioni farsi più forti e impellenti nel suo petto. Strinse i gambi dei fiori che teneva in mano e ad ogni passo cercava di radunare i pensieri che avrebbe preso confidato ad una lapide con inciso il nome di sua madre, ma che lui non avrebbe potuto leggere.

Nell’ultimo anno Wylan era capitato in una situazione impensabile dopo l’altra. Aveva creato delle bombe per il Bastardo del Barile in persona. Era fuggito da un tentativo di omicidio. Era entrato ed uscito con successo dalla Corte di ghiaccio, scappando a bordo di un carrarmato. Aveva incontrato un Druskelle innamorato di una Grisha, un pistolero dal colpo infallibile, un uomo senza morale e dalla mente acutissima e un vero e proprio Spettro. E aveva scoperto che per quelle persone avrebbe rischiato la vita infinite volte. Aveva ritrovato il suo migliore amico d’infanzia e se ne era innamorato per la seconda volta. Aveva cambiato volto, sfidato il suo stesso padre e si era messo contro tutta Ketterdam, tutta Fjerda, tutta Shu Han.
Ormai poteva dire di aspettarsi di tutto, niente l'avrebbe più sorpreso. Conosceva bene la crudeltà di suo padre, l’aveva sperimentata per così tanti anni sulla sua stessa pelle e ora l’aveva vista sulla pelle degli altri; lo aveva visto soggiogare i Grisha alla parem per il mero interesse economico, minacciare la vita dei suoi amici e contrattare per la loro sopravvivenza come fosse soltanto un altro bene da scambiare per il suo rendiconto. Se c’era qualcosa che Wylan aveva finalmente accettato, era che che Jan Van Eck, l’uomo che lo aveva generato e cresciuto e che lui chiamava “padre”, era una persona orribile e che non sarebbe potuto esistere niente di peggio di quello che gli aveva già visto fare.
Poi vide sua madre, con i riccioli di quello stesso rosso che tende al biondo che tingeva i suoi fino a qualche settimana prima. Guardò quella donna era così simile alla Marya dei suoi ricordi eppure così miserabile, confusa e debole e capì che aveva torto: suo padre era ancora peggio di quello che aveva pensato fino a quel momento.
Wylan si sentiva sul punto di svenire. Se ne stava in mezzo alla strada seduto a singhiozzare, mentre Jesper stava al suo fianco, incerto su cosa fare per calmarlo.
«Sono stato io, sono io la causa di tutto questo» riuscì a dire combattendo il groppo alla gola che gli bloccava le parole. «Lui voleva una nuova moglie. Voleva un nuovo erede. Un vero erede, non un deficiente che riesce a malapena a sillabare il proprio nome.»
«Ehi. Ehi» Jesper, sedendosi vicino a lui, gli strinse il braccio intorno alle spalle. «Tuo padre avrebbe potuto scegliere di fare tutt’altro quando ha scoperto che non sapevi leggere. Diavolo, avrebbe potuto dire che eri cieco o che avevi problemi alla vista. O, meglio ancora, avrebbe potuto essere felice di avere per figlio un genio.»
«Come fai ancora a crederci? Non sono un genio, non avevo neanche capito che mia madre non è morta. Gli ho creduto e basta quando ha detto che si era ammalata, gli ho creduto come l’idiota che sono. Aveva ragione lui.»
«Sei ingenuo rispetto a un sacco di cose, Wy, ma non sei stupido. E se ti sento ancora darti del deficiente, dirò a Matthias che hai tentato di baciare Nina. Con la lingua.» Jesper stava cercando di distogliere i suoi pensieri da quel turbine autodistruttivo che lo voleva convincere di meritare tutto il dolore che stava provando.
«Non ci crederà mai» tentò di stare al gioco.
«Allora dirò a Nina che hai tentato di baciare Matthias. Con la lingua.» Wylan non riusciva a ridere, in quel momento però gli sembrò un miracolo persino smettere di singhiozzare rumorosamente e concentrarsi sulla voce rassicurante e profonda di Jesper. «Ascolta. Gli uomini normali non rinchiudono le loro mogli nei manicomi. Non diseredano i loro figli perché non sono come loro volevano. Tu credi che mio padre desiderasse un disastro come me per figlio? Non sei stato tu a causare tutto questo. Tutto questo è accaduto perché tuo padre è un pazzo in abito di sartoria.»
«Vero, eppure niente di tutto ciò mi fa sentire meglio.» Wylan asciugò le lacrime con la manica della giacca, ma gli occhi erano così gonfi da rimanere irritati anche solo da quel tocco così lieve.
«Beh, allora senti qua. Kaz sta per fare a pezzi la vita del tuo dannato padre.»
«No. Noi stiamo per fare a pezzi la vita del mio dannato padre.» Wylan scattò in piedi all’improvviso, la tristezza era stata sostituita da una rabbia furibonda. « Perché devo essere io a scappare? La casa è di mia madre, la riprenderò per lei. Forza, andiamo a rubare tutti i soldi del mio paparino.»
«Non sono soldi tuoi?»
«Hai ragione, devo ancora abituarmi all’idea. Andiamo a riprenderceli.»
«Non c’è niente di meglio del giusto castigo. Stimola il fegato!» Anche Jesper si alzò, gli afferrò la mano saldamente e uscirono da Saint Hilde quasi correndo, entrambi troppo agitati per contenere il movimento. Se avessero destato sospetti, in quel momento non gli importava.

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Wylan non si era mai considerato una persona rabbiosa. Per quanto provasse una profonda frustrazione nei confronti di tutto quella che era stata la sua vita fino a quel momento, aveva sempre superato quel vortice nero di odio che sentiva montargli in petto ad ogni insulto, ad ogni schiaffo, ad ogni tortura che gli era stata inflitta. Subito dopo la perdita di sua madre non si era sentito arrabbiato, ma piuttosto confuso e abbandonato. Quando il suo migliore amico aveva smesso di andare a trovarlo non aveva provato rabbia, ma solo una profonda solitudine. Persino quando suo padre aveva tentato di ucciderlo, non c’era rabbia in lui, ma terrore. Era come se per tutta la vita avesse accettato il peggio, credendo forse di meritarsi tutto quel dolore. Una specie di punizione per il suo essere imperfetto.
Ma tutto era cambiato da quando aveva trovato Marya. Adesso la sensazione che aveva in petto stava risucchiando qualsiasi altro sentimento e aveva trasformato la rabbia in puro odio. Il punto non era più salvarsi da suo padre o combattere per la sopravvivenza, la vendetta era diventata una necessità.
Quando lui e Kaz si introdussero nella villa non si sorprese neanche di vedere la sua camera da letto trasformata in una stanza per il bambino che stava per nascere. La casa era enorme, qualsiasi altra stanza sarebbe potuta diventare una nursery, ma Jan Van Eck evidentemente voleva cancellare ogni traccia che era rimasta del suo primo figlio. Peccato che il suo piccolo errore genetico non aveva alcuna intenzione di piegarsi a lui, questa volta sarebbe stato il mercante a soccombere.
Nell’ufficio di suo padre continuavano ad assalirlo i ricordi delle torture che gli infliggeva ogni volta che non riusciva ad accontentare la sua richiesta di decifrare un libro che gli aveva piazzato davanti agli occhi. La rabbia stava tornando, la sentiva sempre più forte nonostante tentasse di controllare i battiti con tutto se stesso.
Guardò Kaz aggirarsi nella stanza con quei suoi occhi schematici, osservava ogni angolo e registrava le informazioni che sembravano più inutili, ma che forse un giorno si sarebbero rivelate provvidenziali. Lungo il tragitto per arrivare alla villa Wylan si era fermato a pensare che avrebbe dovuto odiare anche lui per avergli taciuto di sua madre. Aveva sospettato che Kaz lo sapesse dal giorno in cui si erano intrufolati a casa di Smeet, le sue parole gli erano rimaste in testa: “Negli ultimi quindici anni ha fatto delle donazioni alla chiesa di Santa Hilde. Se vuoi porgere i tuoi omaggi a tua madre, probabilmente è quello il posto da cui iniziare.” Ma in qualche modo si era voluto convincere che non potesse essere stato così meschino e manipolatorio. Si era dovuto ricredere quando aveva apertamente ammesso di aver mantenuto il segreto al preciso scopo di avere una reazione da lui, da arrivare a fargli provare del sincero disprezzo per suo padre. “Eri arrabbiato. La rabbia si smaltisce. Mi servivi indignato”. Forse era quello che provava in quel momento, quella sensazione nuova di ripugnanza e astio era il prodotto di tutto ciò che gli era successo e che adesso finalmente trovava una vera e propria emozione a definirlo. Credeva che non fosse possibile odiare così tanto qualcuno, finché Pekka Rollins non apparve alla porta, a quel punto vide sul viso di Kaz una furia lucida e al contempo folle.
Anche dopo essere riusciti a fuggire distruggendo il pavimento e piombando sugli invitati di suo padre, l’indignazione era ancora lì e lo spingeva a correre più veloce verso la barca in cui Rotty li stava aspettando. Jesper, Matthias, Inej, Nina e Kuwei erano in pericolo, ma lui non poteva fare niente se non continuare a correre. Wylan lanciava bombe, razzi e tutto ciò che era riuscito a caricare a bordo, mentre Kaz e Rotty remavano con foga. Concentrarsi sull’avere salva la vita però non riuscì a scacciare il pensiero di una nuova perdita in arrivo. Non sarebbe stato tranquillo finché non avrebbe visto tutti sani e salvi.
«E fate attenzione» aveva detto Inej subito prima di salutarsi quella sera per andare a scalare quei dannati silos. «Voglio festeggiare con tutti voi quando quella nave lascerà il porto.»
«Ci sarà dello champagne?» Aveva scherzato Jesper come sempre e il suo sorriso spavaldo che nascondeva il sincero timore di non rivedersi.
Nina finì l’ultima galletta e si leccò le dita. «Ci sarò io, e io sono piuttosto effervescente.»
Wylan aveva sorriso quando li aveva salutati, sperando con tutto se stesso di sorridere ancora quando li avrebbe rivisti quella sera. La speranza era l’ultima cosa che gli era rimasta.
La mente gli tornò alle ultime parole che aveva scambiato con Jesper: «È davvero quello che vuoi? Essere un criminale? Continuare a rimbalzare da un nuovo debito a un nuovo scontro a fuoco a un nuovo incidente in cui la scampi per miracolo?»
«Onestamente?» Jesper si passò una mano tra i capelli corti e ricci prima di rispondere. «Sì, è quello che voglio». Wylan si mise la borsa in spalla cercando di non far notare la sua delusione, ma prima che potesse trovare le parole per replicare, Jesper allungò una mano e slacciò la cinghia. Senza lasciarla andare. «Però non è tutto quello che voglio.»
Wylan rimase immobile, immerso nel grigio delle iridi che lo stavano osservando da così vicino. La voce di Kaz che li riportava alla realtà fece lasciare la cinghia a Jesper, liberando Wylan dalla sua presa. «Nessun rimpianto.» gli aveva detto infine.
«Nessun funerale» aveva risposto Wylan con un sussurro e con il rimpianto di non averlo baciato in quell’esatto momento.

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«Ho fatto un errore. Ho permesso che la parte peggiore di me prevalesse su quella migliore, ma per l’amore di tutti i Santi, Kaz, andrai avanti a lungo a farmi pagare il tuo straccio di perdono?»
«Secondo te che aspetto ha il mio perdono, Jordie?»
«Chi diavolo è Jordie?»

In cima alla torre dell’orologio, Kaz e Jesper si stavano riempiendo di calci, pugni, gomitate. Ogni loro estremità andava in cerca di qualcosa da colpire, i movimenti irrefrenabili e spasmodici non davano tregua. Per quanto Wylan chiedesse l’intervento del resto del gruppo, né Matthias, né Nina, né Inej avevano osato mettersi in mezzo a quel groviglio di corpi, lividi e sangue.
Finché il signor Colm non aveva interrotto la lotta richiamando suo figlio come un bambino colpevole di qualche marachella. Prima che Jesper raggiungesse suo padre in fondo alla scala di ferro, Wylan aveva gettato un ultimo sguardo al suo labbro spaccato, poi si era voltato a guardare la stanza in cui si era appena consumata quella rissa frenetica e senza senso.
«Cosa diavolo è appena successo?» chiese quasi con un sussurro a nessuno in particolare.
Inej si allontanò da Kaz, già intento a programmare la loro prossima mossa con quel suo sguardo che prometteva di stare tramando un altro piano folle. «Wylan, andiamo di sotto», gli poggiò delicatamente una mano sulla spalla per indirizzarlo verso le scale. Troppo basito per ribellarsi, capì di dover aspettare per fare altre domande.
Wylan entrò nel salottino, aspettando di vedere Inej subito dietro di lui, ma quando si voltò non c’era traccia di lei. Si affacciò sul corridoio e la prima cosa che vide fu la schiena di Jesper, Inej al suo fianco che parlava piano. Non resistette all’impulso di tendere l’orecchio ad ascoltare: «C’è una ferita dentro di te, i tavoli da gioco, i dadi, le carte… sembrano medicine. Ti danno sollievo, ti fanno star bene per un po’. Invece sono veleno, Jesper. E tue le volte che giochi ne bevi un altro sorso. Devi trovare un modo diverso per guarire quella parte di te.» La vide posargli una mano sul petto prima di continuare. «Smettila di trattare il tuo dolore come se fosse immaginario. Quando inizierai a vedere che la ferita è reale, potrai guarirla.»
Il senso di colpa lo attanagliava e con uno scatto tornò a nascondersi dentro la stanza. Wylan sapeva perfettamente che cosa intendesse Inej, quella ferita l’aveva scorta anche lui e soffriva ogni volta che la intravedeva a sfigurare il ricordo che aveva di Jesper. La persona che era diventato dopo la loro separazione era sempre lui, ma era un Jes che si era perso e non sapeva come orientarsi nella sua vita. Poteva capirlo, anche lui si sentiva perso, ma in un modo diverso.
«Eccomi, scusa» Inej si annunciò entrando nella stanza e Wylan la ringraziò mentalmente perché non aveva minimamente notato che lo Spettro fosse accanto a lui. «Avevo un peso che volevo togliermi dal petto prima della prossima follia in cui Kaz ci butterà.»
«Perché non avete fatto niente di sopra? Potevano farsi davvero male» le chiese osservandola mentre si sedeva su una poltroncina come se il suo corpo non avesse peso. Il modo in cui si aggirava per le stanze gli aveva sempre ricordato una foglia che cade in autunno, leggera e sinuosa, si poggiava con delicatezza in un punto che sembrava casuale e al contempo perfettamente studiato.
«La pioggia fa crescere le piante» rispose lei facendo una lunga pausa per dare a Wylan il tempo di comprendere. «Ricordo che mia madre lo diceva sempre, quando c’era qualche litigio. In famiglia si discute, è inevitabile, e questo ci fanno diventare più forti. Il maltempo non piace a nessuno, ma è quello che ci fa crescere.»
«Si stavano solo riempiendo di botte, cosa c’è di maturo in una cosa del genere?»
«Kaz e Jesper non sanno esprimere a parole quello che sentono, hanno solo lo sfogo fisico. Neanche io approvo il loro modo di comunicare, ma adesso ne avevano bisogno.» Inej fece un lungo sospiro, poi distese le gambe con aria stanca. «Lascia piovere, Wylan. Le piantine cresceranno e a capiranno che la pioggia non è tutto ciò di cui hanno bisogno, abbi fiducia.»
Wylan rimase in silenzio, poi gli cadde l’occhio sulla benda che le fasciava una delle gambe. Allungando il muscolo doveva aver riaperto la ferita, perché il bianco della garza si stava tingendo di un nuovo rosso vivido. «Posso?» le chiese indicando la macchia che si allargava sul suo polpaccio.
«Sì, grazie» gli sorrise lei porgendogli la gamba per farsi medicare.

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«Mercantuccio, va’ a cercare Jesper. Mi servite tutti qui». All’ordine di Kaz, Wylan non aveva esitato un secondo. In fondo era una scusa per avvicinarsi a Jesper e in quel momento sentiva davvero il bisogno della sua presenza al fianco.
«Ma dove s'è cacciato?» bisbigliò tra sé e sé mentre percorreva a passo svelto il corridoio. «Jes?» provò a chiamarlo e in lontananza sentì il suono discordante di tasti del pianoforte premuti alla rinfusa. Accelerò il passo e appena si affacciò sulla porta aperta, ciò che vide fu come ingoiare un metallo rovente. Kuwei se ne stava appoggiato al pianoforte laccato di bianco, con una mano posata sull’avambraccio e l’altra sul petto di Jesper, i loro visi a qualche centimetro di distanza si erano voltati nella sua direzione facendolo sentire come un intruso in quel quadro intimo.

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Capitolo 10
*** Cinque estati ***


La prima estate con Wylan

Aditi stava seduta al tavolo della cucina della loro fattoria, intenta a rimuovere le macchie di fango dai vestiti di quel suo figlio turbolento quando lo vide seduto sull’uscio di casa a infilarsi le scarpe. «Coniglietto, dove te ne vai?»
«Dal mio nuovo amico.» Le rispose Jesper alzando per un attimo lo sguardo dai lacci che stava intrecciando in fretta.
«Intendi il piccolo Kerch che si è trasferito nella villa qui a fianco l’altro giorno?»
«Si chiama Wylan.» Aditi lo guardò saltellare sul posto con le scarpe perfettamente al loro posto.
«Divertiti, ma non troppo che poi sono costretta a smacchiare i tuoi vestiti per ore.» Lo rimproverò bonariamente.
«Scusa, ma’.» Jesper sfoggiò il sorriso malandrino a cui sua madre non poteva resistere, poi con una corsa veloce la raggiunse per stamparle un bacio sulla guancia, rubare uno dei biscotti che giacevano sul tavolo e infine uscire come un piccolo tornado dalla porta. «Ciao, ciao!» Jesper sentì la voce di sua madre che rispondeva al suo saluto già lontana quando si era richiuso la porta dietro alle spalle.
Fin da quando Jesper aveva memoria, la villa che confinava con la fattoria era sempre stata disabitata. O almeno era stato così fino alla settimana prima. Jesper non aveva capito bene che tipo di famiglia ci abitasse. Wylan gli aveva detto che in casa c’erano solo lui, una domestica e un tutore privato.
«E la tua mamma e il tuo papà dove sono?» gli aveva chiesto Jesper che non riusciva a spiegarsi perché un bambino non vivesse con i suoi genitori.
Wylan giocherellava con i fili d’erba, li intrecciava tra le dita senza guardarlo in faccia. «La mamma non ce l’ho più e mio padre lavora in città.»
Jesper guardò le sue lunghe ciglia castane abbassate in direzione di una coccinella che gli stava passeggiando su una mano e si ritrovò a pensare “È proprio come il principe di quella storia che mi leggevano mamma e papà”. Nel suo libro illustrato di fiabe c’era il disegno di un piccolo principe solitario dai capelli rossi, che non usciva mai dal suo castello. E per quanto il suo regno fosse meraviglioso, lui era sempre triste perché non aveva nessuno con cui godersi tutto quello che possedeva.
Sotto il sole estivo Jesper si dirigeva verso la villa, ogni tanto calciava un sasso abbastanza rotondo da rotolare via facilmente, ogni tanto strappava le foglie delle piante che gli finivano malauguratamente sotto le mani camminando, ogni tanto si fermava a raccogliere un ramo da sbattere per terra mentre teneva il ritmo dei suoi passi cadenzati. Quando arrivava abbastanza vicino al grande giardino circondato da un’alta siepe, si arrampicava sull’albero più alto. Il suo amico non poteva uscire dalla villa, così l’unico modo per giocare insieme era intrufolarsi nei confini dell’abitazione così. Arrivato in cima, cercava in basso la testolina riccia di Wylan. Appena lo individuava lo chiamava con un fischio e subito gli occhi blu del bambino scattavano verso l’alto, riempiendosi di luce. Nei giorni precedenti Jesper si era procurato una corda per calarsi più facilmente dall’albero senza riempirsi di graffi e sbucciature, anche quel giorno Wylan lo guardava ansioso mentre Jesper scendeva aggrappandosi alla corda.
«Ti piace la torta di ciliegie?» Fu la prima cosa che gli disse una volta con i piedi saldamente a terra.
Wylan piegò la testa da un lato pensieroso. «Non lo so, non l’ho mai mangiata.»
«Cosa? Non l’hai mai mangiata?» Chiese Jesper incredulo e sgranò gli occhi quando Wylan scosse la testa per confermare. «Domani te ne porto un po’.» Affermò risoluto.
«Davvero?»
«Certo, la mia mamma la fa sempre per il mio compleanno perché è la mia preferita.»
«Domani è il tuo compleanno?»
«Sì! Faccio nove anni.» Disse con tono fiero, poi si rese conto di non avere idea dell’età del suo amico. «Ma tu quanti anni hai?»
«Sette. Tra due mesi però ne faccio otto.»
«Allora chiederò a mamma se può fare la torta di ciliegie anche per il tuo compleanno.»
«Davvero? Grazie!» Wylan sorrise con entusiasmo.
Jesper si sentì felice di vedere il suo amico così elettrizzato che, due mesi più tardi, decise che una torta non era abbastanza. Per due mesi Aditi lo aiutò a capire come modellare il metallo e insieme alla fine riuscirono a realizzare quello che sarebbe diventato il regalo di compleanno di Wylan: una chiave per aprire il cancello del giardino che lo teneva confinato dentro la villa.
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La seconda estate con Jesper

«Jes! Non ci credo!» Wylan si portò le mani alla bocca che aveva spalancato per la sorpresa.
«Te lo giuro! Non sapevo neanche di essere capace di farlo, era la prima volta che toccavo un fiore e gli toglievo il colore.» Jesper gesticolava mentre raccontava di come, ad appena sei anni, avesse scritto un’enorme parolaccia nel campo di jurda della fattoria di famiglia senza neanche essere consapevole di come ci riuscisse. Da quando Wylan aveva scoperto che Jesper fosse in grado di trasferire il pigmento naturale delle piante, ogni tanto si divertivano insieme a sperimentare con i colori: Wylan portava il suo album da disegno, ci faceva uno schizzo veloce con i carboncini e Jesper rubava dalla flora circostante i colori per dipingere i suoi disegni.
«E tuo padre era tanto arrabbiato?»
«Arrabbiato?» Jesper si fermò un attimo a riflettere. «No, pa’ era solo preoccupato che lo facessi di nuovo di fronte a qualche sconosciuto.»
Wylan rimase più sbalordito dalla reazione del padre di Jesper che dalla marachella in sé. Non era normale che i papà fossero sempre arrabbiati, che urlassero e che picchiassero i figli quando questi sbagliavano?
«Qual era la parola?» gli chiese senza trattenere la curiosità del proibito.
Jesper si guardò attorno circospetto prima di avvicinarglisi. «Te la dico all’orecchio, ma tu non dirla a nessuno» si raccomandò, poi gli posò una mano sulla guancia, quel tocco leggero gli fece il solletico, ma non si sottrasse, e poi con un sussurrò Jesper gli disse la parola più oscena che Wylan avesse mai sentito.
«Jes!» gridò scandalizzato mentre il suo amico rideva.
«Sei diventato tutto rosso», lo prese in giro con le lacrime agli occhi dalle risate e Wylan non potè fare a meno di arrossire ancora di più. «Aspetta, stai fermo lì.» Jesper afferrò un fiore blu lì vicino e con un rapido tocco la tinta dei petali si trasferì sulle sue dita. Wylan lo osservava incantato e immobile, ma fece un piccolo salto quando si ritrovò le dita macchiate di colore di Jesper sulle guance. «Ecco, adesso non sei più rosso. Sei blu.»
«Jesper!» si lamentò Wylan prendendo l’orologio da taschino per vedersi riflesso nel metallo argenteo. Su entrambi i lati del suo volto si vedevano chiaramente le impronte fugaci di blu che Jesper gli aveva lasciato. «Toglimele subito!» gli ordinò, ma non appena alzò lo sguardo dal suo riflesso un altro dito gli sfiorò in fretta il naso. Immediatamente guardò la superficie riflettente dell’orologio, adesso si era aggiunta una macchia gialla sulla punta del suo naso.
A quel punto Wylan si scagliò su Jesper giusto in tempo per bloccargli una mano completamente verde di clorofilla. Purtroppo però non si era accorto che nella mano libera stringeva ancora la foglia a cui aveva rubato parte del colore e non ebbe i riflessi abbastanza veloci per fermarlo dal piazzargli la foglia in fronte, ricoprendola di un verde vivido. Jesper non si trattenne più e scoppiò in una risata rumorosa nel guardare il risultato del suo scherzo; la faccia di Wylan era un miscuglio di colori, tra il rossore delle sue guance e le macchie che gli aveva lasciato. Ma quel rossore non era più imbarazzo, lo aveva fatto arrabbiare e lo sapeva bene, perché subito iniziò a correre, mentre Wylan lo inseguiva con tutta la forza che riusciva a mettere nelle gambe.

Alla fine Jesper aveva riso così tanto che si era fermato per tenersi la pancia dolorante, così Wylan lo aveva raggiunto e costretto a ripulirgli la faccia. Non poteva certo tornare a casa con il viso tutto sporco.
«Signorino Wylan! Ma come ha fatto a sporcarsi così?» lo sgridò Gerta nel vederlo rientrare alla villa. Wylan si voltò verso il grande specchio del salone e solo in quel momento notò i suoi vestiti. Si era così concentrato sulle macchie di colore che aveva sul viso, ma non rendersi conto di essersi riempito i calzoncini e la camicia di fango a causa della corsa. «Su, venga che le preparo un bel bagno.» Wylan prese la mano che la domestica gli stava porgendo e le obbedì silenziosamente.
“Almeno i disegni sono venuti bene” si disse mentre si lasciava guidare da Gerta verso il bagno.

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La terza estate con Wylan

Il proiettile schizzò fuori dalla canna della pistola con una piccola esplosione e nel tempo che le ciglia di Jesper impiegarono per chiudersi e riaprirsi aveva già terminato la sua corsa. Jesper fece un sospiro frustrato quando lo vide piantarsi nel legno della recinzione anziché sulla mela che ci era posizionata sopra come bersaglio.
«La tecnica richiede pazienza, coniglietto.» La mano calda di sua madre gli stringeva una spalla. La differenza d’altezza tra i due era sempre di meno, Jesper avrebbe raggiunto Aditi e presto l’avrebbe superata, ma il nomignolo non sarebbe mai cambiato. «E per ora tu non hai nessuna delle due.»
«Ma’, non ci riesco! È troppo difficile quand’è così lontano e quella mela poi è minuscola, come dovrei fare a prenderla?» Jesper mise il broncio, le braccia incrociate sul petto e lo sguardo accigliato dal fastidio.
Aditi non rispose immediatamente alla domanda del figlio. Prima gli sfilò dalle mani la rivoltella e con un gesto rapido eseguì uno sparo che fece esplodere la mela in centinaia di pezzetti succosi. «Così, dovresti fare.» disse infine soddisfatta.
Jesper rimase senza parole davanti alla velocità e alla precisione di sua madre, lei rise della sua espressione sbalordita e posando l’indice sotto il suo mento gli chiuse la bocca ancora spalancata dall’incredulità. «Riprova, coniglietto. Questa volta ascolta bene che cosa ha da dirti il tuo strumento, lascialo cantare sotto le tue dita. E ricorda di trattenere il respiro prima di sparare.» lo invitò restituendogli l’arma.
Jesper soppesò la pistola tra le mani, quando si concentrava abbastanza poteva percepire i metalli della lega e gli intarsi di legno che si mescolavano tra di loro per darle quella forma così perfetta da essere stretta tra le dita. Chiuse gli occhi e per un istante gli sembrò persino di sentire il punto esatto in cui il proiettile riposava. Era come se stesse aspettando che il suo indice scattasse sul grilletto per prendere vita e volare verso il bersaglio. Si riempì i polmoni d’aria e lentamente la sputò fuori, mentre i suoi occhi puntava verso la mela che lo osservava dall’alto dello steccato. Quando il colpo partì, tutti i pensieri di Jesper erano rivolti a quel proiettile, quello che lo aveva cercato. Sgranò gli occhi quando il frutto si disintegrò con un solo colpo.
«L’ho presa! Ma’, ce l’ho fatta!» Saltellò come una molla, troppo carico di entusiasmo per rimanere fermo.
«Bravissimo, coniglietto.» Aditi gli sorrise orgogliosa. «Per oggi basta così, possiamo tornare a casa.» Dall’altezza del sole doveva essere tarda mattinata, presto Colm sarebbe rientrato dai campi per pranzare insieme a loro. Jesper porse la pistola a sua madre, come sempre dopo i loro allenamenti. Per quanto Aditi gli avesse promesso di insegnargli a sparare, Jesper era ancora troppo piccolo per possedere un’arma. Ma quel giorno sua madre rimase immobile, non allungò la mano per prendere la rivoltella, lasciando Jesper con l’espressione confusa e il braccio teso. «Oggi compi undici anni, sei grande abbastanza.»
Il viso di Jesper si aprì in un sorriso smagliante. «Davvero? Posso tenerla?»
«Certo.» Aditi gli accarezzò il viso. «Ma i proiettili li tengo io.» E con un gesto veloce aprì il tamburo della rivoltella e li fece scivolare tutti nella sua mano.

 

Jesper non stava più nella pelle, il suo compleanno era iniziato alla grande ed era solo destinato a migliorare. Non vedeva l’ora di andare da Wylan per mostrargli la sua nuova pistola, così camminava a passo svelto con una scatola sotto braccio con gli avanzi di torta alle ciliegie di Aditi e con la rivoltella ben sistemata nella fondina che suo padre gli aveva regalato poco prima.
«Wy!» lo chiamò con un sussurrò affacciandosi all’alto cancello che separava la villa dal resto del mondo. Ma per diversi secondi non arrivò nessuna risposta, il che era strano visto che Wylan era sempre pronto e puntuale ad aspettarlo. «Wy, ci sei?» lo cercò adocchiando tra le sbarre del cancello e le foglie della siepe.
I suoi occhi scorrevano su ogni centimetro di prato alla ricerca del suo amico, quando finalmente notò un ciuffo di capelli rossicci che sbucavano da dietro la corteccia di un albero. Ma non importava quando Jesper ripetesse il suo nome, Wylan non rispondeva. Si era addormentato lì mentre attendeva il suo arrivo? Jesper non era conosciuto per essere una persona paziente, così smise di aspettare una risposta; appoggiò con forza il palmo della mano sulla serratura del cancello e, nel giro di qualche minuto di lavoro e concentrazione, la fece scattare.
Si introdusse nel giardino come aveva fatto già centinaia di volte, pronto a trovare Wylan con la schiena appoggiata sul tronco dell’albero a sonnecchiare, ma quando si sporse oltre la grande corteccia, non vide ciò che si aspettava. Il suo amico se ne stava rannicchiato, con la faccia nascosta tra le ginocchia che teneva strette a sé.
«Wy, che c’è? Ti fa male la pancia?» gli chiese avvicinandosi a lui.
«No,» gli rispose con un tono strozzato. «Buon compleanno.» Il borbottio di Wylan arrivò alle orecchie di Jesper con grande fatica.
«Grazie, ti ho portato la torta di ma’.»
«Non ho fame, scusa.» Wylan non aveva ancora alzato la testa e Jesper continuava a sforzarsi di guardarlo in faccia.
«Va bene, puoi mangiarla più tardi.» Jesper posò la scatola per terra e si sedette al fianco di Wylan. «È andato via il tuo papà?»
«È ripartito stamattina» confermò lui, ma non aggiunse altro. Jesper non aveva idea di cosa gli stesse passando per la testa, forse si sentiva triste perché suo papà era tornato in città e lo aveva lasciato lì.
«Guarda che mi ha regalato ma’ per il compleanno.» Gli mise davanti agli occhi la rivoltella scintillante sotto i raggi del sole che filtravano tra le foglie degli alberi.
Wylan alzò il viso dal suo nascondiglio per osservare quello che Jesper gli stava mostrando. «È molto bella, Jes.»
«Vero? La adoro, mi piace troppo. Però ma’ dice che i proiettili mi insegnerà a farli quando sarò più grande.»
«Sono sicuro che sarai bravissimo.»
«Wy, ma che succede? Perché stai seduto così?» Jesper cercò di tirare il suo avambraccio per vedere il suo viso, ma non appena gli poggiò una mano sulla manica Wylan scattò. Subito si protesse il punto in cui Jesper lo aveva toccato con la mano libera e fece un sibilo di dolore. Quella reazione così istintiva aveva fatto scoprire a Wylan il viso e Jesper si era ammutolito nel vedere che uno di quegli occhi blu che conosceva così bene era cerchiato di un colore rosso violaceo che stonava enormemente con le miriadi di lentiggini marroni. «Sono caduto dalle scale.» disse immediatamente Wylan rispondendo alla domanda che Jesper non aveva ancora trovato le parole per formulare.
Jesper lo continuava a osservare. Ora che lo guardava meglio, indossava una camicia e dei pantaloni lunghi, a coprire ogni centimetro della sua pelle chiara. Eppure quel giorno era così caldo che doveva essere asfissiante un abbigliamento così pesante. «Fa tanto male?»
«Sto bene.» Wylan se ne stava ancora raggomitolato, stringeva ancora più forte le braccia intorno alle gambe, come se volesse sparire dentro se stesso. «Jes, io devo rientrare a casa.» disse alzandosi di scatto e voltandogli le spalle.
«Ma dovevamo andare a nuotare al fiume.»
«Non posso.» Wylan tirava la manica della camicia nervosamente.
«Perché non puoi? Hai detto che non fa male.»
«Invece mi è appena venuto mal di pancia, non posso più. Ciao.» Wylan non gli diede più occasione di ribattere e in un attimo sparì dentro la villa a cui a Jesper era negato l’accesso. Lui rimase per un lungo istante immobile a guardare il punto in cui il suo amico era appena scomparso, incerto se sentirsi ferito, arrabbiato o entrambe le cose. Non sapendo più cosa pensare, si alzò dal prato su cui si era accomodato per tornare alla fattoria e solo in quel momento notò un foglio di carta nell’esatto punto in cui Wylan era stato fino a quel momento. Un versione di sé ad acquerelli gli sorrideva circondato di fiori arancioni.

 

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La quarta estate con Jesper

La sera a Novyi Zem non era come quella di Ketterdam. L’aria era fresca, ma gli alberi attutivano il vento che gli sfiorava le braccia e non sentiva freddo. Wylan ormai viveva nelle campagne assolate da quattro anni e continuava a sorprendersi di quanto fossero diverse dall’umidità e il freddo a cui era abituato. Alzò il naso verso il cielo e tra le fronde degli alberi cercò la luna. Da quando era arrivato il nuovo tutore si era appassionato di astronomia, non faceva altro che parlare di stelle e di come volesse vederle. Il maestro gli aveva spiegato che proprio quel giorno c’era una grande probabilità di osservare un fenomeno che aveva chiamato “stelle cadenti” e Wylan ne era rimasto così affascinato che aveva passato l’intero pomeriggio a parlarne con Jesper.
«Cosa? Vuoi dire che non le hai mai viste?» Jesper lo aveva interrotto bruscamente.
«No» Wylan si sentì improvvisamente in imbarazzo ad ammetterlo. «Non mi è permesso uscire quando fa buio.»
«Questa cosa cambierà oggi stesso.» Jesper aveva in faccia quell’espressione decisa che Wylan gli vedeva ogni volta che stava per premere il grilletto e fare centro. Era in qualche modo rassicurante e spaventosa, non sapeva spiegarsi la sensazione che gli dava. «Questa sera fatti trovare a mezzanotte vicino al cancello, ti porto in un posto.»
Non era stato neanche troppo difficile sgattaiolare fuori dal letto in gran silenzio ed uscire dalla porta di servizio. Gerta gli ripeteva sempre che era un bambino così docile, mentre suo padre amava ricordargli che non era capace di fare niente di sua iniziativa. Quindi, forse, nessuno si sarebbe potuto aspettare che quel piccolo undicenne osasse uscire di casa di notte di nascosto.
Wylan dondolava le gambe per sfogare l’ansia di aver trasgredito le regole e pregava che Gerta non decidesse improvvisamente di affacciarsi dalla finestra. Era talmente preso dal panico che non sentì il cancello aprirsi alle sue spalle.
«Wy, andiamo» lo chiamò Jesper facendolo saltare sul posto dallo spavento.
«Arrivo» si ficcò la chiave del cancello in tasca e in tutta fretta seguì il suo amico oltre l’alta siepe. Il mondo era lo stesso di sempre, ma era la prima volta che Wylan lo vedeva avvolto nel buio e illuminato solo dalla luce della luna. Più si allontanavano dalla villa e più sembrava di un blu luminoso, piuttosto che una macchia di nero informe. «Jes, dove stiamo andando?»
«Conosco un posto, fidati di me» rispose lui enigmatico, ma a Wylan parve bastare. La strada gradualmente stava diventando una salita, sempre più ripida. Gli unici rumori intorno a loro erano i grilli, il frusciare dell’erba e quello che sembrava il gorgogliare di un torrente non troppo lontano da loro. Alzando gli occhi in alto Wylan si rese conto che la luce si stava facendo più intensa, le stelle splendevano ancora di più ora che si trovavano più in alto. Era rimasto talmente tanto preso da quello spettacolo che rischiò di inciampare nei suoi stessi piedi. «Ehi, occhi sulla strada, le stelle le puoi guardare dopo.» Jesper rise per la sua goffagine, ma poi lo prese comunque per mano per assicurarsi che non cadesse sul serio.
Dopo qualche altro minuto di camminata, nascosta dalla vegetazione folta svettava una struttura in pietra che aveva tutta l’aria di essere una vecchia torre abbandonata. Quella che doveva essere la porta d’accesso ormai era solo una grande asse di legno poggiata sull’entrata, Jesper la spostò senza troppi problemi e Wylan si lasciò guidare dentro quelle mura che avevano l’odore della muffa e dell’umidità di un luogo che non viene ventilato da tempo.
«Come conosci questo posto?» Ogni passo di Wylan era cauto e ben calcolato, sul pavimento erano cresciute erbacce e c’erano macerie sparse ovunque.
«Quando ero piccolo io e papà siamo andati ad esplorare e l’abbiamo trovata.» Iniziò a spiegare Jesper mentre aspettava pazientemente che Wylan lo raggiungesse verso la scala che portava al piano superiore. «Una volta era una torre d’avvistamento, papà dice che era stata usata in una guerra, ma non mi ricordo quale.»
«È sicuro stare qui?» Wylan si fermò indeciso davanti al primo scalino dall’aspetto poco solido.
«Di che ti preoccupi? Ci sono io con te.» Jesper era più spavaldo che mai e quella grande sicurezza che aveva in se stesso in qualche modo riusciva ad essere un conforto anche per Wylan. Salirono la lunga scalinata che si attorcigliava intorno alla torre come un serpente fino a raggiungerne la cima, non appena Wylan scorse il cielo che li aspettava dimenticò istantaneamente tutte le sue ansie.
«È stupendo.» Non riuscì a trovare altre parole per descrivere la forte sensazione di smarrimento e appagamento che gli dava vederle le stelle così grandi, così numerose, così brillanti. Trasalì quando davanti agli occhi una di loro sparì lasciandosi dietro una scia splendente.
«Ti piace?» La voce di Jesper aveva un tono soddisfatto e orgoglioso.
«Non sai quanto!» Wylan aveva voglia di saltare, ma non poteva staccare lo sguardo dal cielo nemmeno per un istante per paura di perdersi una stella cadente.
«Ho portato delle coperte, stendiamoci così è più comodo guardare in su.» In un attimo si erano sistemati, nonostante la vicinanza di Jesper e la coperta che lo copriva Wylan iniziava a sentire il naso congelato. La temperatura era scesa e il vento lì in cima sembrava essere più forte, ma non ci badò.
«Jes! La riconosco, quella è la costellazione della Spada di Sankt Juris!» Indicò un punto nel cielo dove un agglomerato di stelle aveva preso una forma precisa davanti ai suoi occhi, esattamente come il suo tutore gli aveva insegnato.
«Quale? Non la vedo.»
«Vedi lì? Ci sono due linee che si incrociano, una più corta e una più lunga.»
«Dove? Ah! Credo di averla vista. Dici quella?»
«Sì, bravo! E invece quella credo che…»
«Un’altra stella cadente!» Lo interruppe Jesper entusiasta.
«Davvero? Dove? Non l’ho vista.»
«Non fa niente, vedrai la prossima.»
Quella notte Wylan conto altre ventitré stelle cadenti. Il giorno dopo fu difficile spiegare a Gerta come avesse fatto a prendersi quel brutto raffreddore in piena estate, ma ne era valsa la pena.

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La quinta e ultima estate con Wylan

«Certo che sono veramente buoni questi stroop… come li hai chiamati?» Jesper masticava con gusto la cialda dolce.
«Stroopwafel.» Wylan si tolse un paio di briciole dagli angoli della bocca con un fazzoletto di stoffa. Jesper lo trovava tanto elegante quanto inutile, quando bastava usare le mani per pulirsi la bocca. «Purtroppo questi erano gli ultimi. Gerta dice che ha finito la cannella e che al mercato non l’ha trovata da nessuna parte. Però sono contento che ti siano piaciuti. Mia madre li adora… Adorava».
Non era una novità che Wylan facesse una piccola pausa prima di correggersi, Jesper non sapeva mai cosa dire, così aveva iniziato a fare finta di niente. Forse era da codardi, ma che altro avrebbe potuto fare? «Quand’è che torna tuo papà? Magari può portarti altri stroop…cosi.» Fece un tentativo per distrarlo.
«Sarà qui tra qualche giorno.» Wylan si stese sull’erba e con un lungo sospiro incrociò le mani dietro la testa. L’albero sotto cui erano seduti aveva la chioma abbastanza larga da coprili da sole scottante della tarda mattinata, la sensazione dell’erba sotto la pelle era ancora più rinfrescante della brezza che li accarezzava. «Ti va se di finire il libro? Manca solo un capitolo.»
Jesper cercò immediatamente nella borsa il volume ceduto da suo padre. Negli ultimi mesi Wylan non faceva altro che ripetere che la voce di Jesper si era fatta più profonda e che era stupenda. Non sapeva neanche come aveva iniziato, ma era da qualche tempo ormai che Jesper chiedeva sempre nuovi libri a suo padre solo per sentire i complimenti di Wylan sul suo tono baritonale e armonioso. Colm ne era piacevolmente stupito, suo figlio era diventato uno studente modello dal giorno alla notte e non aveva alcuna intenzione di chiedergli come mai di quell’improvviso interesse per la letteratura, lo avrebbe solo incoraggiato. «Dobbiamo ancora vedere se il pirata cattivo è morto quando si è lanciato da quella rupe.»
«Certo che è morto, come può essere sopravvissuto alla caduta?»
«Perché è caduto in acqua.»
«Ma era a decine di metri di altezza, in quel caso la superficie dell’acqua è dura come pietra all’impatto.»
«Va bene, sapientone. Adesso leggiamo questo ultimo capitolo e vediamo chi ha ragione.» Con un gesto deciso aprì il libro e iniziò a recitare il testo. Il pirata era chiaramente ancora vivo. Wylan roteò gli occhi dal fastidio, inneggiando alla “poca accuratezza scientifica” mentre Jesper si vantava: «Chi se ne frega della tua scienza, è un libro, deve essere divertente.»
«I libri non devono essere divertenti. Possono esserlo, ma non sono costretti a esserlo.» L’ultima vocale troncata da uno sbadiglio che nascose subito dietro il palmo della mano ricoperta di lentiggini. Era impressionante come non dimenticasse le buone maniere neanche quando sembrava del tutto rilassato.
«Hai sonno?»
«Un po’.» Gli occhi di Wylan si chiusero lentamente, le palpebre appesantite.
«Dormi, ti sveglio io tra mezz’ora.»
Wylan mugolò un piccolo assenso e con un sorrisetto stampato in volto si addormentò.

Jesper non era mai stato bravo a stare fermo, c’erano dei momenti in cui si sentiva come se dovesse saltare per il puro gusto di farlo. Iniziò a tamburellare sulla copertina del libro con le dita, poi si bloccò quando pensò che il rumore che stava provocando avrebbe potuto svegliare l’amico che si riposava al suo fianco. Si voltò lentamente per assicurarsi che Wylan fosse ancora profondamente addormentato.
La testa era leggermente piegata verso di lui, la fronte libera dai ricci che di solito la coprivano era rilassata. Un braccio steso lungo il fianco, l’altro posato sul petto si alzava al ritmo del suo respiro, lento e calmo. La bocca dischiusa gli dava un’espressione pacifica. Ultimamente si era ritrovato a osservare molto Wylan. Lo conosceva da anni, era il suo migliore amico, sapeva perfettamente com’era fatto. Eppure gli capitava sempre più spesso di indugiare sulle ciglia castane, il naso dritto e poi quelle labbra rosa, sottili ma con una piacevole forma arrotondata.
Non era la prima volta che Jesper guardava Wylan in quel modo diverso e nuovo, ma Jesper avrebbe ricordato per tutta la vita che quello era stato il primo giorno in cui aveva pensato di volerlo baciare.

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La quinta e ultima estate con Jesper

Erano ormai due settimane che Jesper non si faceva più vedere e Wylan non sapeva cosa pensare. Il giorno prima aveva trovato una lettera tra le sbarre del cancello, ma naturalmente non aveva idea di quale fosse il suo contenuto. L’inchiostro ballava sulla carta ogni volta che ci posava gli occhi. Così l’unica cosa che gli era rimasta era fare supposizioni.
Jesper non poteva essere malato, i Grisha non prendono il raffreddore e in ogni caso non sarebbe potuto arrivare fino lì per lasciare una lettera se stava male. Forse aveva fatto qualche marachella e i suoi genitori lo avevano messo in punizione, il che, conoscendolo, non era improbabile. Non era da escludere la possibilità che lo stesse evitando. Wylan aveva riflettuto al lungo chiedendosi se ci fosse qualcosa che aveva detto o fatto e che l’avrebbe potuto ferire o far arrabbiare. L’opzione che lo terrorizzava di più però era che Jesper si fosse accorto che Wylan aveva una cotta per lui. Se lo avesse scoperto e ne fosse rimasto disgustato? Poteva davvero essere possibile che non volesse essere più suo amico?

Wylan si avvicinò alla porta e rimase a guardare la trama del legno per diverso tempo prima di fare un lungo respiro e raccimolare abbastanza coraggio per bussare.
«Avanti.» La voce di Jan Van Eck gli arrivò attutita dalla distanza.
La maniglia di ottone brillante non doveva essere così pesante, ma gli costò un grande sforzo girarla e fare il primo passo nello studio di suo padre. «Buongiorno, padre. Volevi vedermi?» La figura autoritaria di Jan si stagliava di fronte alla finestra, in controluce Wylan non riuscì e distinguere la sua espressione e questo non fece che aumentare la sua ansia.
«Vieni, figliolo. Siediti.» Quel che suonava come un invito cordiale Wylan aveva imparato bene a interpretare come un ordine perentorio, in fretta si accomodò sulla seduta che suo padre gli aveva indicato con un cenno dello sguardo.
Il padre tuttavia non prese posto alla scrivania, ma iniziò a vagare per la stanza con le mani incrociate dietro la schiena. I suoi passi lenti e gli occhi distratti ad esplorare il soffitto gli davano l’aria di qualcuno che stesse passeggiando spensieratamente, lasciando il ragazzo confuso. Non aveva idea di che cosa stesse per succedere. Erano solo le nove del mattino, l’orario in cui suo padre gli impartiva personalmente lezioni di lettura si svolgevano solo di sera, dopo che aveva terminato il suo lavoro giornaliero. Sembrava così tranquillo, ma Jan Van Eck non lo era mai in sua presenza, era sempre nervoso, scocciato. A che stava pensando? Stava forse sperimentando un nuovo modo di metterlo alla prova?
«Come procedono i tuoi studi?» La domanda improvvisa lo fece saltare sulla sedia.
«Bene, padre.» Wylan deglutì nel tentativo di nascondere il tremore nella voce. «Il signor Thompson dice che eccello in fisica, chimica e algebra. Dal prossimo semestre inizieremo con la filosofia e sono piuttosto eccitato di conoscere il pensiero politico, etico e logico dei più grandi filosofi della storia.»
Jan Van Eck non aveva smesso per un attimo di misurare la stanza a passi misurati e quando il figlio aveva risposto alla sua domanda, non aveva dato segno di stare ascoltando. Il silenzio che era calato nella stanza aveva creato una tensione tale che Wylan, non sapeva neanche quando aveva iniziato, si stava mordicchiando il pollice nervosamente.
«Suvvia, figliolo. Non ti ho educato così.» Lo corresse il padre facendo un cenno al dito ancora serrato tra i denti. Finalmente Jan Van Eck gli stava davanti e lo stava guardando, eppure il suo viso gli appariva ancora impossibile da interpretare.
«Mi scuso.» Wylan tolse in fretta il pollice dalla bocca e si mise a sedere ancora più dritto di prima.
«E invece, dimmi,» suo padre si sedette sulla grande scrivania di quercia proprio di fronte a lui, mantenendo lo sguardo in una posizione di superiorità che faceva sentire Wylan piccolo e indifeso. «Come procede con le arti?»
«Le arti, padre?» chiese sorpreso di quell’interesse mai dimostrato prima. Jan Van Eck aveva sempre considerato la musica come una pratica per “gentaglia troppo pigra o stupida per fare qualcosa di realmente utile”. «Attualmente sto studiando un Singspiel di Mozart, Il Flauto magico.»
«No, Wylan. Non mi riferisco alla musica.» Il tono di Jan era cambiato improvvisamente, se prima era di un calmo artefatto adesso mostrava il tipico disprezzo che Wylan era abituato a sentirsi divolto. «Tu disegni, dico bene?»
«Sì, padre.» Wylan era sempre più rigido sulla sedia, istintivamente si aggrappò ai braccioli incerto su dove volesse andare a parare quella conversazione.
«E che strumenti usi di solito?» Jan Van Eck si alzò e si diresse dal lato opposto della scrivania, aprì un cassetto e vi cercò qualcosa che Wylan non riusciva a vedere da dove si trovava.
«Strumenti, padre?» ripeté sempre più confuso. «Uso della semplicissima carta, ma anche matite, inchiostro, pennelli…»
«E questo? Mi sai dire cos’è questo oggetto?» Suo padre posò delicatamente sulla scrivania il piccolo manichino di legno con le giunture mobili che Jesper aveva fabbricato per lui come regalo del suo ultimo compleanno. Wylan impallidì, dalla bocca secca non uscì alcun suono. «Serve come esempio per disegnare, dico bene? L’ho trovato stamane nel giardino, la domestica dice di non aver acquistato niente del genere. Capirai bene che la domanda mi è sorta spontanea: come hai ottenuto questo oggetto?»
«Padre, io non…» Wylan guardava in basso, incapace di sostenere gli occhi di ghiaccio di suo padre.
«Non provare a mentirmi, so che è tuo. Ti ho fatto una domanda molto semplice: chi te l’ha dato?»

La furia che si scatenò quella mattina ebbe diverse conseguenze, dalle urla di Jan Van Eck, fino a un occhio nero per Wylan. Eppure questo non bastò come punizione; il giorno stesso fecero le valigie, la vita a Novyi Zem era appena finita, da quel momento in poi Wylan sarebbe tornato a Ketterdam sotto il costante controllo di suo padre. Non era servito a niente supplicarlo di non partire, giurargli di non aver mai rivelato a Jesper il suo segreto e che non avrebbe portato vergogna sul suo nome.
Wylan avrebbe passato le estati successive a Ketterdam, a chiedersi che cosa ci fosse scritto in quella lettera e a pentirsi di non aver potuto salutare per un’ultima volta il suo migliore amico. O almeno così credeva, finché non si incontrarono ancora, in un laboratorio nei bassifondi del Barile.

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Capitolo 11
*** In ogni universo ***


Il cervello di Jesper non trovava un attimo di pace. Sentiva il petto pesante e gli rimbombavano in testa parole su parole che si accavallavano le une sulle altre. Non era più sicuro di riuscire a distinguere tra i suoi pensieri e tutto ciò che aveva ascoltato nell’ultima ora. Riascoltava a ripetizione la voce sprezzante di Kaz che gli stava facendo patire così tanto il suo errore, come se non fosse già doloroso per lui pensare di essere la causa della ferita che aveva quasi fatto fuori la sua migliore amica. Si aggirava per la suite dell’hotel e percepiva ancora sulle nocche il bruciore dei cazzotti che si erano schiantati tra le costole di Manisporche poco prima. E anche se, a dirla tutta, se le era meritate tutte quelle botte, Jesper continuava a vedersi davanti agli occhi lo spavento di Wylan, la delusione di suo padre e il compatimento di Inej. Si vergognava così tanto di aver permesso che il peggio di lui uscisse davanti alle persone migliori che conosceva.
Perché suo padre aveva già sofferto la perdita e non era giusto che avesse un figlio che lo avrebbe presto fatto finire in mezzo a un strada. Perché sua madre aveva dato la vita per il bene degli altri e adesso il suo coniglietto disonorava così il suo ricordo, rischiando di abbandonare la sua tomba per debiti di gioco. Perché Inej ne aveva già passate tante e aveva lottato così duramente per rimanere a galla in quel mare di guai che era Ketterdam, non meritava affatto un amico con un'ossessione per il gioco d’azzardo che la metteva in pericolo. Perché Kaz era un bastardo, ma in tutti quegli anni non gli aveva mai voltato le spalle, nonostante tutti i suoi difetti. Perché Nina aveva messo sempre prima il bene degli altri e aveva avuto il coraggio di somministrarsi un veleno come la parem quando lui non ci sarebbe mai riuscito. Perché Matthias era così onorevole e sincero da riuscire a cambiare idea e trasformare l’odio in amore, mentre lui era così spaventato dall’affezionarsi a qualcuno che aveva vissuto una vita di superficialità per paura di essere ancora una volta abbandonato. Perché Wylan poteva scappare quel giorno al porto, prendere quella nave e lasciarsi indietro la vita orribile che suo padre gli aveva dato, ma era tornato indietro e gli era rimasto vicino quando ne aveva più bisogno.
Forse Inej aveva ragione e Jesper aveva davvero qualcosa di rotto dentro. C’era in lui qualcosa da riparare e la stava ignorando da troppo tempo. Ora era arrivato a un punto tale che gli ingranaggi non ruotavano più su loro stessi, il meccanismo aveva iniziato a fare fumo e scintille e presto sarebbe scoppiato se Jesper non avesse fatto niente.
Eppure in quel momento ogni molecola del suo corpo lo stava pregando di fuggire, uscire in cerca del primo club e sedersi a un tavolo a perdere quel poco che gli rimaneva di denaro e dignità.

Ai suoi passi cadenzati e ai pensieri affollati nella sua testa iniziarono ad alternarsi delle note. Voltò la testa in direzione del suono. Doveva essere il pianoforte che aveva visto nel salottino in fondo al corridoio. Le sue gambe cambiarono direzione prima che la sua mente potesse allinearsi con i suoi movimenti, quando si trovò sulla porta lo vide seduto, con espressione annoiata, intento a sbattere svogliatamente l’indice contro lo stesso tasto.
«Mi piace. Ha un buon ritmo… ci puoi ballare sopra.» scherzò Jesper, Wylan si voltò e lo accolse con un sorrisetto. Jesper camminava per la stanza facendo scorrere gli occhi su tutto quello che lo circondava, dalla carta da parati viola, alle navi in vetro soffiato che lo osservavano dall’armadietto. «Mi fai sentire la mia canzone?» gli chiese avvicinandosi a lui.
Wylan rimase in silenzio e abbassò lo sguardo sulla tastiera, come se si stesse chiedendo cosa fare.
«Che c’è? Ti vergogni?» gli diede una gomitata scherzosa e si sedette al suo fianco sullo sgabello. «Giuro sul mio cappello preferito che non ti prenderò in giro.» Jesper si fece una croce sul petto e una sul cappello, in attesa di sentire la risata limpida di Wylan.
Ma Wylan continuava a non dire nulla e per quanto Jesper cercasse il suo sguardo per capire cosa gli stesse frullando per la testa, i suoi occhi ambrati rimanevano bassi. Solo quando guardò la tastiera e le mani che ci stavano appoggiate sopra capì.
«Kuwei!» Jesper si alzò di scatto imbarazzato per il suo errore. Le dita di Wylan erano più lunghe, sul dorso delle mani aveva qualche lentiggine sparsa e adesso che lo guardava da vicino si era accorto della mancanza del neo sulla nuca che lo aveva sempre aiutato a distinguerli. «Scusa, io…» Non sapeva bene cosa dire, si rese conto solo in quel momento che desiderava così tanto stare con Wylan da seguire il suono del pianoforte fino a lì e dare per scontato di trovarlo lì.
Kuwei per un attimo sembrò ferito poi immediatamente infastidito. Si mise in piedi di fronte a lui e iniziò a dire con veemenza: «Cosa ha lui che io non ho? Abbiamo la stessa faccia, perché tu guardi sempre lui?» Jesper rimase immobile, spiazzato dalla sua reazione così accesa, mentre il ragazzino Shu gli picchiettava l’indice sul petto e lo rimproverava con tono scocciato. «Tu sei Grisha, io sono Grisha. Questo non è posto tuo, lui non è persona per te. Ma tu continui sempre e solo a guardare lui e io sono stufo. Io merito qualcuno che guarda me e tu sei troppo stupido per-»
Kuwei si era talmente scaldato che le sue dita si erano surriscaldate, ma nessuno dei due se ne accorse finché il gilet color senape di Jesper non prese fuoco. «Per tutti i Santi!» esclamò Jesper e saltò dallo spavento, mentre Kuwei fece istintivamente un passo indietro, finendo così per inciampare nella panca del pianoforte e scontrarsi sulla tastiera. Nel giro di un istante però Kuwei si riprese dalla sorpresa, afferrò Jesper per il colletto per tirarlo a sé e con un tocco rapido della mano spense la fiamma.
In quell’esatto istante sulla soglia della porta comparve il vero Wylan che li guardò con un’espressione di dolore e rabbia. Jesper abbassò lo sguardo su Kuwei ancora aggrappato al suo petto e fu evidente anche per lui come doveva apparire quella scena ad un osservatore esterno.
«Oh, per tutti i Santi…» sospirò esausto e cercò di risistemarsi i vestiti sgualciti.
«Scusate se vi ho interrotto» commentò con tono acido.
«Wy…» tentò di spiegare Jesper.
«Kaz ci vuole in salotto» lo interruppe e subito si dileguò, senza dargli altra occasione di parlare.
Jesper teneva gli occhi fissi sul punto in cui Wylan era appena sparito, quando la voce di Kuwei, ancora sotto di lui, disse: «Meglio così. Tu sei Grisha lui non va bene per te.»
«Ah, sì? E chi va bene per me? Chi lo decide?» Jesper gli si rivolse con un tono talmente ostile che per un attimo non si riconobbe, ma aveva perso anche l’ultima briciola di pazienza che gli era rimasta. «Sono stanco di sentirmi dire cosa fare o non fare solo perché sono nato così, non l’ho chiesto io di essere un Grisha e non mi farò più dire da nessuno come essere me stesso.»
Con movimenti nervosi e scattanti lasciò la stanza e Kuwei alle sue spalle, l’odore di stoffa bruciata nelle narici non faceva che aumentare tutta la rabbia che gli diceva di andare avanti. Mentre camminava verso il salotto dove il resto del gruppo si era già riunito, si fermò un istante davanti a un divanetto dai motivi floreali. Strinse forte le dita sul bracciolo e i filamenti del tessuto obbedirono alla sua volontà sfilandosi docilmente dal resto della tappezzeria. Poi prese tra le dita la porzione di gilet distrutta e, concentrando tutta la mente sui filamenti bruciati dei suoi vestiti e quelli integri del divano, creò un piccola toppa con quello che era riuscito a ricostruire e ne adattò il colore come meglio poteva per farlo coincidere con l’originale. Lì vicino c’era uno specchio, si osservò soddisfatto del suo lavoro e cercò di ignorare la profonda stanchezza che si intravedeva sotto i suoi occhi grigi.
«Se domani devo morire, che almeno sia vestito bene.» mormorò tra sé e sé prima di raggiungere gli altri.

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Jesper non sapeva bene dove guardare, i suoi occhi scattavano convulsamente da Kaz, che spiegava il piano dell’asta, a Wylan, che ce la stava mettendo tutta per ignorarlo, e poi a suo padre, che sembrava così sbagliato in mezzo a quella banda di avanzi del Barile e scappati di casa.
Cercò di prestare tutta la sua attenzione ai passaggi, se qualcosa fosse andato storto, questa volta non ci sarebbero state seconde occasioni. Rimasero intere ore nel salottino, Kaz con l’aria distrutta dalla stanchezza se ne stava seduto in poltrona, con la gamba malconcia stesa sul tavolinetto, continuava a dare risposte per i loro dubbi più disparati. Ma per quanto Manisporche trovasse sempre una soluzione a qualsiasi probabile problema gli mettessero davanti, Jesper non si sentiva affatto rassicurato. Parte del piano era usare suo padre come esca, affidargli un ruolo da interpretare e pregare che nessuno si rendesse conto che quello era solo Colm Fahey, non Johannus Rietveld, il proprietario terriero arrivato a Ketterdam per affari. Ognuno aveva la sua parte di responsabilità per fare in modo che tutto filasse liscio: Matthias e Kaz avrebbero accompagnato Kuwei, quel piccoletto sarebbe stato il premio messo in bella vista per tutti gli schifosi che sbavavano all’idea di comprare un ragazzino da sfruttare come uno schiavo; Nina si sarebbe occupata di mettere in salvo i Grisha e di creargli una via di fuga con una bella dose di panico per una nuova pandemia; Inej avrebbe tenuto a bada la sua rivale sanguinaria; Jesper avrebbe dovuto fare ciò che sapeva fare meglio, cioè sparare e Wylan aveva assolutamente bisogno della sua vecchia faccia o niente avrebbe avuto senso.
«Kaz, un’ultima cosa.» Era calato il silenzio da qualche istante, finalmente le domande sembravano finite, ma il mercantuccio doveva essersi rigirato in testa per talmente tanto tempo quello che voleva dire che neanche l’occhiataccia sfinita di Kaz lo trattenne dal parlare.
«Che c’è ancora?» sospirò rassegnato mentre si stropicciava gli occhi.
«La professoressa Levi.» Wylan deglutì a disagio. «Lei non sa dei Kherguud.»
«La avvertiranno gli altri Grisha, in città ci conosciamo tutti tra di noi.» intervenne Nina per rassicurarlo.
«No, non capisci. Nessuno sa che è una Grisha, non credo che sia in contatto con nessuno. Si nasconde bene, ma non può farlo per sempre, gli Shu la troveranno.» Jesper sentì come se quelle parole fossero per lui. La loro situazione non era poi tanto diversa, per quanto ancora avrebbe potuto vivere in quel mondo che lo voleva così tanto morto? Ricordò gli occhi del soldato, il peso del suo corpo addosso, il panico di essere sicuro di non farcela quella volta.
«Se è così brava, troverà un modo.» Kaz non aveva alcuna intenzione di aggiungere un ulteriore rischio al piano già così complicato, era evidente.
«Lei è sola contro chissà quanti di quei soldati invincibili, Kaz.» Lo rimbeccò Nina con aria minacciosa.
«Se l’è cavata finora, non ha bisogno di qualche ratto del Barile per salvarla. Non è una damigella in difficoltà, è una Grisha potente.»
«Non ci posso credere, tu sei sempre-» Nina si era alzata dal divanetto con espressione indignata. Matthias la trattenne per una manica, ma lei non prestò attenzione al suo tocco.
«Nina, smettila.» Il tono perentorio di Wylan li sorprese abbastanza da creare una bolla di silenzio nella stanza. «Non è così che devi parlare a Kaz. Lui non ci arriva, non può capire.»
Gli occhi di Manisporche si fecero una fessura minacciosa e le sue mani si strinsero pericolosamente intorno alla testa di corvo argentea del suo bastone. «Mercantuccio, so che a breve ti farai sistemare la faccia. Ma credi che sia il caso di fartela riempire di botte proprio adesso?»
«Kaz…» lo richiamò Inej. Non era intervenuta fino a quel momento, i suoi occhi scattarono su Jesper preoccupati e lui si sentì ancora una volta colpevole. Le avevano già fatto sopportare una rissa inutile, quei litigi non facevano altro che rovinare il poco equilibrio che avevano ristabilito.
Wylan strinse i pugni tenendo lo sguardo alto. «Kaz non può capire perché questa non è la sua lingua. Lui comprende solo una cosa: il profitto. E io ho uno scambio conveniente da offrirgli.»
Le sopracciglia aggrottate del bastardo del Barile si alzarono appena tradendo il suo interesse. Studiò il mercantuccio con i suoi occhi gelidi prima di alzarsi e dirgli: «Seguimi finché ho ancora pazienza di ascoltare.»
Senza aggiungere una parola uscirono dalla stanza, Kaz a lunghi passi cadenzati dal tocco del bastone e Wylan affrettandosi il più possibile con aria nervosa.

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Kaz era appena tornato dal suo incontro con gli Scarti e, per quanto le cose dovevano essere andate bene, i segni sulla sua faccia dicevano che non era stata una negoziazione semplice. Non avevano però tempo da perdere, la delegazione Ravkiana aspettava alla terme dell’hotel e Kaz non aveva alcuna intenzione di fermarsi a riposare, era pronto alla sua nuova trattativa. Jesper si guardò attorno alla ricerca di Wylan e non appena lo vide lo seguì lungo il corridoio, in direzione del montacarichi che li avrebbe portati all’incontro.
«Ehi.» cercò di chiamarlo, ma Wylan accelerò il passo ignorandolo. Non che per Jesper facesse differenza, nel giro di qualche falcata lo aveva superato quanto bastava per bloccargli la strada e impedirgli di evitarlo ancora. «Ascolta, quello che hai visto… Non è successo niente con Kuwei.»
«Non mi devi nessuna spiegazione. Puoi fare quello che vuoi con chi vuoi.» gli rispose ostile, con gli occhi ambrati guardava oltre le sue spalle una via di fuga.
«Aspetta, Wy. Non ho fatto niente con nessuno. C’è stato un fraintendimento.» A quelle parole, Wylan finalmente incrociò il suo sguardo, in attesa che continuasse. «Kuwei era seduto al pianoforte, pensavo fossi tu-»
«Davvero non riesci a distinguerci?» Lo interruppe indignato. «Noi due siamo cresciuti insieme e poi Kuwei ed io non ci assomigliamo per niente! Lui non è neanche così bravo con le formule! Metà dei suoi taccuini sono pieni di scarabocchi. Per lo più di te. E anche quelli non sono un granché!»
«Davvero? Scarabocchi di me?» chiese Jesper preso alla sprovvista, ma quando Wylan roteò gli occhi scocciato si rese conto che lo stava perdendo. «No, scusa. Non è importante. Quello che volevo dire è che so cosa poteva sembrare, ma ti giuro che non c’è stato niente. Non appena mi sono accorto che non eri tu, io… Insomma, io non so esattamente cosa volessi fare, ti stavo cercando e quando ho visto Kuwei al pianoforte…» Solo in quel momento Jesper si era soffermato a pensare a cosa avrebbe fatto se seduto su quello sgabello ci avesse trovato Wylan. Le parole non gli uscivano, gli occhi gli si piantarono sulla bocca di Wylan che lo osservava perplesso e a quel punto capì quello che davvero voleva e da quanto tempo lo aveva desiderato. Era improvvisamente tornato il ragazzino che segretamente sognava di baciare il suo migliore amico. O forse non aveva mai smesso di esserlo, semplicemente aveva zittito quel fremito che sentiva dentro ogni volta che pensava a lui.
«Jes, lasciamo perdere.» Jesper era rimasto talmente frastornato, da non riuscire a colmare il silenzio e Wylan aveva interrotto i suoi pensieri. «Quello che fai non mi riguarda. Era solo questo che volevi dirmi?»
«No, volevo darti questo.» Frugò nella giacca alla ricerca della piccola tela dipinta. «L’ho presa quando eravamo a Saint Hilde. Ho pensato che sarebbe tornata utile da Genya per farti tornare a essere il vecchio mercantuccio.»
«L’ha dipinto mia madre?» Gli occhi di Wylan brillarono, prese il dipinto con una delicatezza così misurata e rispettosa di quel piccolo oggetto.
«Era in quella stanza piena di quadri suoi.»
«È come mi ricorda. Non ha potuto vedermi crescere.» Lo studiò da più vicino e anche Jesper allungò il collo per osservare le minuscole tracce di pittura che componevano quel piccolo viso. «È così vecchio. Non so se sarà utile.»
«Sei ancora tu» Jesper accarezzò con l’indice l’immagine. «Gli stessi riccioli. La stessa piccola fossetta preoccupata tra le sopracciglia.»
«E tu l’hai preso perché hai pensato che potesse tornare utile?» Wylan finalmente alzò lo sguardo per rivolgergli un’occhiata confusa.
«Te l’ho detto, mi piace la tua stupida faccia.» Jespere sorrise nel vedere le guance di Wylan arrossire come al solito. «E poi qui sei esattamente come ti ricordavo. Un piccoletto tutto lentiggini e buone maniere. Ti facevano sempre indossare quei completini che sembravi un gran mercante in scala ridotta.» La soddisfazione fu ancora più grande quando lo sentì ridere.
«Grazie, Jes.» Il tono di Wylan, il modo dolce in cui lo guardava confermarono ancora di più quello che Jesper non poteva più fare a meno di pensare: “Voglio baciarlo.”
«Non c’è di che.» Jesper esitò. «Se sei diretto alle terme, potrei venire con te. Se vuoi.» Wylan annuì ansiosamente. «Mi piacerebbe.»

Fu sicuramente rassicurante che l’incontro con i Grisha di Ravka non si fosse rivelato una trappola, ma modificare la faccia del mercantuccio prese diverse ore. Dopo un iniziale interesse per le grandi abilità di Genya, il temperamento tempestoso di Zoya e il carisma strepitoso di Sturmhound, Jesper aveva iniziato ad annoiarsi.
Il tempo passò tra le modifiche e i suggerimenti, ogni tanto Jesper era intervenuto consigliando di allungare le ciglia o di restringere la fronte, facendo arrossire Wylan con tutte quelle attenzioni. Ovviamente quella testolina curiosa che si ritrovava il mercantuccio non poteva farsi sfuggire l’occasione di fare domande sui Grisha. Jesper non si sentiva a suo agio e iniziò a vagare per la stanza fingendo di ignorare i racconti di Genya sulla vita a Ravka, su come i Grisha venivano istruiti a controllare i loro poteri e come questi fossero un dono e non una maledizione. Detestava ammetterlo anche solo a se stesso, ma non poté fare a meno di immaginare quel tipo di vita che se solo non fosse stato così codardo avrebbe potuto avere. Ma poi Wylan ammise di non saper leggere e Jesper si bloccò. Non riusciva a capacitarsi di come si fosse fidato così tanto da mostrare la sua più grande debolezza a una completa sconosciuta che avrebbe potuto usare la sua fragilità contro di lui. Amava il modo in cui Wylan vedeva il mondo, sempre con una lente di gentilezza. Ma certi segreti potevano uccidere e la vita glielo aveva dimostrato talmente tante volte solo nelle ultime settimane.
L’odore dell’argilla era forte e Jesper decise di prendersi una pausa da quella agonia, con la scusa di preparare del tè per tutti si allontanò dalle terme e quando tornò per un soffio non fece cadere le tazzine quando vide Wylan seduto nell’ultima ora del pomeriggio con l’aspetto del suo Wy. Gli tornò in mente la fiaba del principe solitario e sperduto, quella che associava a Wylan fin da quando erano bambini. Dopo quel tuffo nel passato gli ci volle qualche istante per tornare al presente.
Per tutto il tragitto sul montacarichi che li riportò alla suite, Jesper continuò a gettare sguardi furtivi a Wylan. Era stanco e affamato, ma sentiva una strana energia in corpo. Erano settimane ormai dal loro primo incontro nel laboratorio, eppure adesso il solo averlo vicino aumentava il ritmo dei suoi battiti, si sentiva tornato un adolescente insicuro e confuso.
Lo scoppio di un fuoco d’artificio in lontananza catturò la loro attenzione, Jesper si avvicinò alla finestra e subito Wylan lo raggiunse. Le scie colorate brillavano nel cielo ormai scuro degli Stave, era facile per lui immaginare il fermento che c’era al Barile in quel momento, in fondo ne era stato parte lui stesso innumerevoli volte. Un nuovo botto esplose, la luce del fuoco d’artificio si riflesse sugli occhi chiari di Wylan. Gli era davvero mancata quella sfumatura limpida, un cielo estivo a Novyi Zem rinchiuso in uno sguardo.
«Ti sei fatto fare più carino?» La domanda scappò dai suoi pensieri più privati senza nessun controllo.
«Forse ti eri scordato quanto sono bello.» Wylan arrossì, era chiaramente imbarazzato ma lo guardava comunque con un piccolo sorriso stampato in volto. «Non sarebbe la prima volta, dimentichi abbastanza facilmente le facce.»
Jesper rise alla sua frecciatina. «Quante volte ti devo dire che ho altri pregi?»
Wylan era tornato a godersi lo spettacolo dei fuochi che continuavano a dipingere il cielo notturno, ma Jesper aveva già perso interesse. L’unica cosa che riusciva a guardare era il riflesso di Wy nel vetro della finestra, se si fosse concentrato abbastanza forse avrebbe potuto distinguere le lentiggini che finalmente erano tornate a colorargli il naso e gli zigomi.
«Lo so che stavi facendo prima.» Jesper parlò mentre gli spari continuavano alle sue spalle. «Non c’era bisogno di confidarle che non sai leggere, è una cosa tua e non devi dirla a gente a caso solo per convincermi che non c’è niente di male a mostrare le proprie debolezze.»
Wylan lo guardò severo. «Debolezze? Pensi che essere un Durast sia una debolezza?» chiese con le sopracciglia castane corrucciate. «Jes, io proprio non ci arrivo. Ho trascorso tutta la mia vita a tenere nascoste le cose che non so fare. Perché scappare dalle cose straordinarie che tu sai fare?»
«Io so chi sono, in che cosa sono bravo, cosa so fare e cosa non so fare. Sono solo… sono quel che sono. Un eccellente tiratore, un pessimo giocatore. Perché non può bastare?»
«Bastare per chi?»
«Non metterti a filosofeggiare con me, mercantuccio.»
«Jes, ci ho pensato…»
«Hai pensato a me? A notte fonda? Che cosa avevo indosso?» Era più forte di lui, quella discussione si stava facendo troppo profonda e l’ironia era il suo modo di scappare dalla serietà dei fatti.
«Ho pensato ai tuoi poteri» disse Wylan, con le guance rosse. «Non ti è mai passato per la mente che le tua abilità Grisha potrebbero spiegare in parte perché sei così bravo a sparare? È tua madre che ti ha insegnato a usare le pistole, è probabile che tu abbia imparato a direzionare il metallo proprio perché lei-»
«Perché devi dire cose come questa? Perché non puoi lasciare che le cose restino semplici?» Il bisogno di muoversi si fece più intenso, i pensieri correvano veloci in testa e anche le gambe volevano seguire quell’esempio. Lui era un bravo pistolero, perché ci doveva essere qualcosa in più di questo? Bastava quel fatto, non c’era bisogno di cercare motivazioni aggiuntive.
«Perché non sono semplici.»
«Wylan, non sono un macchinario da smontare per capire come funziona, non puoi togliermi tutti i pezzi e studiarmi. Io non mi vergogno di quello che sono, ma sono solo me stesso, niente di più.»
«Jesper, io non ho parlato con Genya perché dovevo dimostrarti qualcosa, ma perché ho capito che mostrarmi completamente per quello che sono mi fa stare bene.» Wylan lo fissava con quegli occhi penetranti e Jesper non seppe che dire. «Sai che la prima persona a cui l’ho detto è stato Kaz?»
«Tra tutti, proprio lui.» Jesper sbuffò. Era amico di Kaz da anni, ma non era mai riuscito a sentirsi al sicuro con lui.
«L’unica persona che lo sapeva era mio padre e mi ha sempre fatto sentire così sbagliato. Mi ha costretto a lasciare Novyi Zem solo per il sospetto che tu lo sapessi. Ero convinto che Kaz mi avrebbe deriso, ero terrorizzato perché l’unica reazione che avevo sperimentato a questo mio “difetto” era la rabbia di mio padre. Ma invece Kaz non ha fatto niente del genere e la sua accettazione mi ha fatto sentire così… Leggero, autentico.»
«Quando gliel’hai detto?»
«Quella notte sulla Ferolind.» Wylan distolse lo sguardo, mortificato. Jesper ripensava spesso a quel momento e a come Wylan fosse talmente spaventato da pensare che l’unica via di fuga fosse piantarsi un proiettile nel cranio. «Ho dovuto spiegare a Kaz perché ero così sicuro che mio padre mi volesse morto, così gli ho raccontato del tentato omicidio.»
Jesper sussultò. «Di che parli?»
Wylan frugò nella tasca della giacca e ne estrasse la spilla di sua madre. «Ti ricordi che l’avevo dovuta vendere? L’ho usata per corrompere i due energumeni che mio padre aveva assoldato per farmi fuori. Pensavo di essermela cavata, ma devono averla venduta a qualche banco dei pegni che ha informato mio padre e così lui ha scoperto che non ero davvero morto. Era solo una questione di tempo, sapevo che ci avrebbe riprovato e-»
Jesper lo afferrò per le spalle e lo strinse al petto. Lo prese così alla sprovvista che Wylan non riuscì a finire la frase, ma si limitò ad avvolgergli le braccia intorno al busto e strinse con la stessa intensità di Jesper.
«Jes.» La voce di Wylan arrivò ovattata, la sua testa era ancora nascosta sul petto di Jesper. Allentò la presa per guardarlo in faccia. «Tu continui a fare finta che vada tutto bene. Passi oltre, al combattimento successivo o alla festa successiva. Che cosa temi che accadrà se ti fermi?»
Jesper si staccò completamente dall’abbraccio, le dita corsero istintivamente sui bottoni della camicia, poi immediatamente sulle rivoltelle. Ancora una volta quel bisogno frenetico di fuga.
«Fermati.» Wylan gli posò una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione e solo in quel momento si rese conto che aveva il fiato corto. «Fermati e basta. Respira.»
E Jesper obbedì. Gli occhi azzurri di Wylan lo tenevano incollato al pavimento, il suo petto si gonfiava e sgonfiava dapprima ritmicamente, poi sempre più lentamente. La mente si stava schiarendo, si iniziò a sentire di nuovo presente, la presa di Wylan sulle sue spalle e il suo sguardo cristallino puntato sulla sua bocca. Come uno dei fuochi d’artificio che esplodevano in lontananza, nella sua mente scoppiò di nuovo il pensiero di un bacio. Non fece in tempo a esprimere quel desiderio che Wylan lo esaudì. Si sporse in avanti e lo baciò.
Adesso i fuochi d’artificio li sentiva ovunque, il brivido delle loro bocche che finalmente si incontravano era tutto quello che aveva sempre immaginato. Lo afferrò per i fianchi e lo avvicinò sempre di più, fino a chiudere qualsiasi distanza fosse rimasta. Il bacio divenne sempre più profondo e intenso. Le braccia di Wylan si incrociarono dietro il suo collo, anche lui non aveva alcuna intenzione di spezzare quell’incantesimo, ma inevitabilmente, lentamente, si staccarono per riprendere fiato.
«Wy, spero proprio che non moriremo.» Le parole uscirono come un sussurro, come se gli stesse rivelando un segreto inconfessabile.
«Anch’io, Jes.» Rispose piano Wylan, le sue labbra erano ancora così vicine da poter sentirne il calore. E Jesper era pronto a ricominciare a baciarlo, ma Wylan si sottrasse. Spostò il viso nell’incavo del suo collo e Jesper per un millesimo di secondo si sentì deluso, finché la bocca umida di Wylan non iniziò a lasciare piccoli baci sulla sua pelle. «Ma se morissimo,» disse alternando il tocco delle sue labbra con parole che soffiava leggere sul collo di Jesper provocandogli brividi continui, «non pensi che dovremmo impiegare il poco tempo che abbiamo a non avere… nessun rimpianto?»
«Stai suggerendo quello che penso che tu stia suggerendo?» Chiese Jesper cercando con tutto se stesso di concentrarsi, Wylan mugolò quello che sembrava un assenso mentre continuava a sposarsi sul suo collo. Jesper si godeva ogni secondo di quella sensazione, gli occhi chiusi ad aspettare le labbra di Wylan finché all’improvviso non sentì un morso leggero vicino alla clavicola. Quello era decisamente troppo, prese Wylan dalle spalle per staccarselo dal collo e gli vide in volto la delusione di essere stato interrotto. «Hai delle ottime argomentazioni, mi hai convinto.» Gli disse sorridendo spavaldo prima di prenderlo di peso, metterselo su una spalla e trascinarlo nella prima camera vuota che avrebbe trovato. Wylan rideva e si dimenava. «Mettimi giù, Jes!»
«Te la sei cercata, mercantuccio.»

 

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«Sei sicura di voler venire?» Jesper se ne stava spaparanzato su un divano e osservava Inej controllare con cura l’affilatura dei suoi coltelli, uno dopo l’altro. Le sue ferite non erano ancora perfettamente rimarginate e il giorno dell’asta avrebbe dovuto affrontare ancora una volta Dunyasha.
«Non ho bisogno di una babysitter, Jes. So quello che faccio» rispose lei senza alzare lo sguardo dalle lame splendenti.
«Neanche io ho bisogno della scorta, ma Kaz vuole-»
«L’ultimo incontro con questa fantomatica professoressa ha dimostrato che ne hai bisogno.» Inej lo guardò con un sorrisetto sprezzante.
«Questo è un colpo basso.»
«Anche i suoi sono colpi bassi, per questo vengo con voi.» Le mani della Suli erano velocissime mentre riponeva i coltelli in tutte le fondine che erano sparse sui suoi vestiti. «Dov’è Wylan?» chiese Inej una volta completati i suoi armamenti.
«E lo chiedi a me?» Jesper fece spallucce. Il sole era tramontato da poco tempo, ma stava diventando buio in fretta e non avevano tempo da perdere.
«Lo chiedo al tizio col il collo ricoperto di succhiotti che portano la firma di Van Eck Junior.» Inej fece cenno alla scia che colorava la pelle scura di Jesper.
Lui non provò nemmeno a nascondere l’espressione soddisfatta che si sentiva crescere in volto ripensando alla notte precedente. «Mi prendi in giro solo perché non hai visto come è conciato lui.»
In quel momento il mercantuccio si affacciò nella stanza con fare urgente. «Siete pronti? Possiamo andare?»
«Siamo pronti» confermò Inej facendosi strada verso l’uscita, Jesper si alzò in fretta e li seguì nel corridoio.
Wylan era scattato avanti e li guidava verso il tetto dell’edificio. Da lì Inej li avrebbe aiutati a raggiungere il palazzo di fronte all’hotel, così avrebbero avuto una via d’uscita più discreta per il canale che li avrebbe portati al quartiere universitario.
Jesper notò che Inej fissava insistentemente Wylan, come se cercasse qualcosa. Poi lei con un sussurro lo rimproverò: «Sei il solito spaccone, non ha nessun segno sul collo.»
Jesper fece un gran fatica a trattenere una risata. «Tesoro, ha troppi vestiti addosso perché tu possa vedere la mia grande opera.»
Inej gli ficcò una gomitata nelle costole e lui fece un suono soffocato di dolore che fece voltare Wylan. «Che state facendo voi due?» chiese perplesso nel vedere Jesper piegato in due che si stringeva il fianco e Inej fare spallucce con aria ingenua.
«Discutiamo di arte» rispose Jesper dissimulando innocenza e Inej si nascose la bocca con una mano per trattenere lo sbuffo di una risata.
Wylan piegò la testa dubbioso, ma subito tornò ad arrampicarsi lungo la scaletta che portava al tetto. «Non so che mi state nascondendo e credo di non volerlo sapere.» disse sparendo verso l’alto.

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Jesper non era mai stato in quella zona del quartiere universitario. Non che lo avesse frequentato poi molto, aveva lasciato la scuola dopo pochi mesi dall’arrivo a Ketterdam, perciò non aveva esplorato oltre i palazzi della facoltà e le biblioteche. La via su cui si erano intrufolati era silenziosa e ordinata, non solo non c’erano studenti in giro, mancava qualsiasi presenza di un essere umano. Non sembrava nemmeno Ketterdam , era quasi surreale. Le case erano piccole ma signorili, alte due piani e con le pareti di mattoni, tutte uguali e in schiera.
«Il personale docente ha delle abitazioni messe a disposizione dall’università, anche se molti preferiscono avere delle case di proprietà» gli aveva spiegato Wylan qualche ora prima di partire dall’hotel.
«E come facciamo a sapere in che appartamento vive? Il cocco del prof sa anche l’indirizzo di casa?»
Wylan gli aveva fatto una linguaccia, ma era stata Inej a rispondere alla sua domanda. «L’ho pedinata ieri sera. Il posto sembra molto tranquillo, ma ci divideremo. Voi due andate insieme mentre io sto sul tetto di fronte pronta a intervenire se servisse.»
«Okay, mi sembra un buon piano. Ma come abbia intenzione di entrare? Bussare alla porta e sperare che non sia troppo tardi per l’ora del tè?»
Wylan si mordicchiava il pollice pensieroso. «Troveremo il modo quando saremo lì. Finché non vediamo il posto non possiamo sapere come entrarci dentro.»
Anche adesso che si trovavano di fronte all’elegante edificio di mattoni Jesper era dubbioso, le mani erano già pronte sui calci delle rivoltelle nel caso in cui si fosse rivelata un’idea pessima. Inej si era già volatilizzata nell’ombra, restavano solo loro due a fronteggiare un’anziana signora. Cosa sarebbe mai potuto andare storto?
«Jes» Wylan lo chiamò con un sussurro. «Riesci a capire come funziona la serratura?» Fece cenno al grande portone di legno. Jesper si avvicinò piano e con le punta delle dita percorse la superficie della porta.
«Santi» sibillò sbalordito dalla quantità di metallo Grisha che percepiva. «Non ho idea di cosa sia, penso che ci sia una combinazione esatta con cui far scattare i pistoni. Poi, vorrei sbagliarmi, ma sento un odore come di… polvere da sparo?»
«Lo immaginavo. C’è una trappola esplosiva. E probabilmente anche tutte le altre entrate hanno sistemi simili. Direi che lo scasso è fuori questione se non vogliamo saltare in aria.»
«Non potevo aspettarmi altro dalla tua insegnante.»
«Ho imparato dalla migliore.» Wylan sorrise, sembrava orgoglioso di essere stato un suo studente, era evidente quanto la ammirasse. Poi fece un passo indietro per allontanarsi dall’ingresso e rivolse gli occhi in alto, verso il secondo piano. Le finestre erano chiuse e non si vedeva nemmeno una luce accesa. «Se ha preparato un’accoglienza simile, starà aspettando degli ospiti. Penso sia il caso di annunciarci.»
«Vuoi davvero bussare alla porta? Io scherzavo-»
«Tieni, prendi questo» Wylan gli mise in mano un piccolo oggetto metallico.
Jesper si rigirò tra le mani quello che aveva l’aspetto di un rametto che si biforcava in due estremità e immediatamente si rese conto di un particolare. «È una lega miscelata con metallo Grisha. Wy, te ne vai in giro con un coso fatto di metallo Grisha.» Jesper si sforzò di tenere la voce più bassa possibile.
«Non è un “coso”, è il diapason di mia madre. Serve per accordare gli strumenti musicali.»
«E che ci devo fare?» Jesper adorava la sensazione di quel materiale sulla pelle, ma non aveva idea di che cosa stesse frullando nella testa del mercantuccio.
«Voglio che tu lo faccia vibrare.» Wylan tentò di spiegare, ma vedendo la confusione di Jesper provò ancora. «È come per i proiettili, Jes. Questo strumento è fatto per propagare una frequenza di circa 421 hertz quando viene fatto oscillare. Vedi, così.» Wylan si riappropriò del diapason e sbatté delicatamente la punta biforcuta sul terreno. La vibrazione era davvero intensa, si diffuse presto nell’aria tutto intorno a loro dando a Jesper uno strano senso di nausea.
«Va bene, fallo smettere ora.» Jesper glielo strappò di mano e non appena chiuse le dita intorno alle due punte, il metallo smise di oscillare dando pace alle sue orecchie.
«Voglio che tu faccia viaggiare la vibrazione dal diapason alla casa. Il metallo e il legno sono ottimi conduttori del suono, per questo vengono usati per costruirci gli strumenti musicali.»
«A quale scopo tutto ciò, mercantuccio?» Jesper alzò un sopracciglio in attesa della parte in cui avrebbe avuto senso tutto quello che stavano facendo.
«Per farle capire che non siamo ostili, stiamo bussando educatamente alla sua porta.»
«Cosa ti fa pensare che non ci attaccherà comunque? Lei ha già provato a-»
Wylan diventava estremamente difensivo quando si trattava di quella donna. «La professoressa Levi non ha mai avuto intenzione di farci del male, lei non-»
«Wy, ci ha incatenati con un solo gesto, come fosse una cosa da niente.» Jesper continuava a sussurrare, ma la voce gli si faceva sempre più concitata. «Non è una dolce vecchina, quella lì può ammazzarci e usare i nostri corpi per la sua prossima lezione di anatomia.»
«Non essere ridicolo, lei insegna chimica.» Wylan accennò un sorriso incerto. «Jes, ti prego. Fidati di me. E anche se andasse tutto male, tu hai le tue pistole, io ho le mie bombe e c’è Inej proprio qui di fronte.»
«E se-» Jesper iniziò a protestare, ma il mercantuccio ebbe la prontezza di guardarlo con uno sguardo supplichevole, così l’unica cosa che riuscì a fare fu arrendersi. «E va bene, proverò con il tuo piano.»
«Grazie, Jes.» Wylan gli diede un bacio veloce sulle labbra e Jesper non poté che pensare che quel ragazzo sarebbe stato la sua morte.
Fece un lungo sospiro prima di impugnare saldamente il diapason e di sbatterlo sul battiporta in ottone. La presa salda sul metallo Grisha che oscillava lo mise in contatto con ogni minuscolo frammento del portone. Percepiva il vibrare delle molecole che si diffondeva e si faceva strada sempre più lontano, addentrandosi oltre la porta e correndo sul pavimento in parquet, il corrimano in ferro battuto, le gambe di una poltroncina, un tavolino di legno di rosa, l’abat jour che ci stava poggiata sopra. Ogni sensazione materiale gli rimbombava dentro alla stessa velocità dell’onda che si propagava. Jesper si sentì quasi terrorizzato da quanto fosse appagante sentire il suo potere prendere il sopravvento sul mondo circostante, toccarlo ed esplorarlo come se fosse a sua disposizione.
Era durato qualche decina di secondi, ma a Jesper sembrarono ore. L’oscillazione gradualmente cessò lasciandogli un senso di vuoto. Wylan gli afferrò un braccio e lo allontanò dalla porta. Jesper deglutì, con le mani pronte vicino alle fondine in attesa. Ma niente sembrava essere cambiato.
«Wy, sei sicuro che-» Jesper aveva appena iniziato a parlare che un’improvvisa sensazione pungente gli bruciò il braccio, quando abbassò gli occhi vide una siringa con una punta così lunga e affilata da aver perforato la manica del cappotto fino a raggiungere la pelle.
«Jes!» Wylan provò ad avvicinarsi e subito una seconda siringa arrivò a bucare il braccio che aveva teso in sua direzione. Era passato appena qualche istante dacché erano stati colpiti, forse c’era ancora tempo per Jesper per ripulire il loro sangue da qualsiasi cosa gli avesse iniettato. Ma non aveva idea di come fare, non era mai stato un granché come Alchemi, tanto meno aveva provato a liberarsi di un veleno. Non ci sarebbe mai riuscito, non dopo quello che era successo a sua madre.
«Tiopental sodico.» La donna aveva approfittato della loro distrazione per apparire sulla soglia della porta, li osservava impassibile nella sua lunga veste nera merlettata.«In casi non l’abbia già riconosciuto, Hendriks.»
«Siero della verità…» disse Wylan con un soffio della voce. «Non è letale. Non in queste dosi.» Forse pensava di rassicurarlo, ma Jesper non si sentiva affatto meglio. Si staccò con rabbia la siringa dal braccio.
«Le vostre armi.» La professoressa diede un colpetto con il piede ad una cassetta di legno di fronte a lei. Dopo qualche istante del suo sguardo glaciale, gli voltò le spalle e sparì dentro la casa lasciando il portone spalancato.
Wylan non esitò un attimo di più, rovesciò la borsa lì dove gli era stato indicato, riempiendola di bombe luce, esplosivi vari e altre piccole ampolle con dentro liquidi e polveri di colori diversi.
«Wy, che stai facendo?» Jesper si avvicinò guardingo, con gli occhi che schizzavano dall’interno della casa al mercantuccio ancora intento a svuotarsi le tasche.
«Casa sua, regole sue» rispose rivolgendogli uno sguardo deciso. «Ci sta lasciando entrare pacificamente, vuole solo assicurarsi che non siamo un pericolo.»
«E lo chiami pacificamente infilzarci con dei dardi velenosi?» In quel momento il verso di un gufo richiamò la loro attenzione. Wylan si voltò verso il tetto da cui era arrivato il suono e rispose a Inej e imitò il suo stesso verso, per rassicurarla che fosse tutto okay.
«Noi abbiamo le nostre precauzioni,» Wylan fece un cenno a ovunque si stesse nascondendo lo Spettro, «Lei ha le sue.» Poi spostò la cassetta di legno di fronte a Jesper aspettando che anche lui si liberasse di tutte le sue armi.
«Sarà meglio che me le restituisca o giuro che mando quella professoressa in pensione anticipata.» Con aria seccata ripose le rivoltelle nella cassetta.

 

La casa era molto buia, una sola luce li guidava verso un salottino arredato in modo elegante, ma non troppo sfarzoso come Jesper aveva visto in alcune ville di mercanti in cui si era intrufolato.
«Prego, sedete pure.» La professoressa Levi si era accomodata su una poltrona in velluto, di fronte a lei un tavolino di legno accoglieva un servizio da tè. Wylan si sedette rigido sul divanetto di fronte alla donna, Jesper subito dopo di lui. «Mi sono presa la libertà di prepararvi un infuso. Non ho spesso ospiti, spero che sia di vostro gusto.» Iniziò a versare il liquido fumante in tre tazzine di porcellana, lasciandone una quarta vuota. «Se la vostra amica ci volesse raggiungere più tardi.» Spiegò quando incrociò lo sguardo perplesso di Jesper.
«Come?» chiese Jesper secco, non sapendo se si sentiva arrabbiato o spaventato. Inej si muoveva talmente leggera, era un’ombra nella notte. «Come l’ha capito?»
La professoressa accennò un sorriso, poi porse ad entrambi una tazza. «Ho i miei metodi, esistono tante trappole diverse che non lasciano nessuna traccia a chi non sa dove guardare.» Sorseggiò dalla sua tazzina e li osservò attendendo che la imitassero.
«Pensa che facendoci vedere che beve, convincerà anche noi a farlo? Non siamo scemi, lei è una maestra Alchemi. Se c’è qualche veleno qua dentro saprà sicuramente come sopravvivere.» Jesper si stupì del tono di Wylan, aveva perso la esemplare sua etichetta.
«Vedo che il siero sta facendo effetto.» Ridacchiò divertita della sfacciataggine del mercantuccio, solitamente sempre così composto. «Conosceva il suo effetto inibitorio, Hendriks?»
«Sì» ammise Wylan. «E so anche che la quantità che ci ha somministrato sarà presto assimilata dal nostro corpo. Le rimangono circa trenta minuti prima che l’effetto sparisca.»
«Allora direi che è il caso di iniziare. Sono molto curiosa di sapere cosa la porta qui, Hendriks.»
«Perché continua a chiamarmi così? Lei sa il mio vero nome.»
«Certo che lo conosco. E non è stato difficile da ricordare vista la quantità di manifesti affissi in città che offrono una ricompensa per restituirla alla sua amorevole famiglia. Confesso che non sono stati granché lusinghieri nel ritrarla. Lo stesso però non posso dire del Plasmaforme che le ha restituito il suo aspetto, che capolavoro di tecnica.»
«È stata Genya Safin.»
«Il triumvirato è qui in città?» La professoressa tradì il suo interesse, le sopracciglia le si alzarono dalla sorpresa.
«Non tutti, David Kostyk non c’è.»
«Peccato, mi sarebbe piaciuto rivederlo.» Tornò a sorseggiare il suo infuso.
Jesper non si fermò a pensare, le parole uscirono senza controllo. «Ottimo, allora vada a Ravka.»
Le labbra sottili della donna si strinsero in una smorfia infastidita. «Prego? Devo interpretare questo invito come una minaccia?»
«No, professoressa!» Wylan quasi saltò sul divanetto. «In realtà noi siamo qui proprio per questo motivo. Abbiamo delle informazioni e per la sua sicurezza è meglio che lasci la città.»
«Si spieghi.» Posò la tazzina sul tavolo, dando tutte le sue attenzioni a Wylan.
Jesper rimase in silenzio a rigirarsi gli anelli tra le dita e combattere l’istinto di muoversi, mentre ascoltava Wylan raccontare della parem, di Kuwei, dell’asta, della delegazione Shu, dei Kherghuud e del loro piano per mettere in salvo tutti i Grisha in città. «Ma lei può fuggire!» Wylan aveva un tono concitato, le parole correvano una dietro l’altra tradendo tutta la sua ansia. «Basta che segua le indicazioni che le daremo e potrà partire per Ravka, così sarà al sicuro e-»
«Wylan.» La professoressa aveva seguito il suo lungo discorso senza dire nulla, ma improvvisamente lo interruppe. «Tu sai da quanto tempo vivo qui?»
Il mercantuccio non seppe come prendere quell’improvviso passaggio al “tu”. «No, non lo so.»
«Ho giurato tempo fa che la guerra non avrebbe più condizionato la mia vita. Questa è casa mia e non esiste soldato al mondo che me la porterà via.»
«Professoressa, la prego, ci ripensi. I Grisha-»
«E tu cosa farai? Scapperai anche tu, giovane Fabrikator?» La donna si rivolse a Jesper.
«Sparerò finché avrò la forza di tenere il dito sul grilletto» rispose senza esitare. Sentì lo sguardo preoccupato di Wylan addosso, ma lei gli sorrise compiaciuta.
«Se era solo questo quello che avevate bisogno di dirmi, vi ringrazio per il pensiero. Ma sono abbastanza grande per occuparmi di me stessa.»
«No, non ho finito.» Disse Wylan con aria sconfitta. «C’è un’ultima cosa che le devo dire e poi… Avremmo bisogno del suo aiuto.»
La professoressa sospirò, poi guardò il fondo della tazza, ormai vuota. «Sospetto che avremo tutti bisogno di un’altra tazza di tè.»

Rimasero un’altra ora a parlare, Jesper osservava i due scienziati confrontarsi, valutare metodi più efficienti, considerare l’uso di nuovi materiali. Diede una mano per quanto poteva, con le sue poche conoscenze da Durast, ma, per quanto potesse essere interessante, iniziò presto ad annoiarsi e si chiese come facesse Inej a passare tutto quel tempo nell’ombra ad aspettare, studiare le persone e gli ambienti con così tanta pazienza. Quando finalmente ebbero finito, Jesper fu il più veloce ad andare verso la porta. Non vedeva l’ora di riprendere le sue pistole e uscire da lì.
«Professoressa, posso-» chiese Wylan quando erano sulla soglia della porta.
«Reeta» lo corresse lei. «Solo Reeta. Non sono più la tua professoressa.»
Jesper vide Wylan sorridere genuinamente, come quando erano bambini. «Reeta, posso chiederle delle lampadine?» Indicò con un gesto una delle strane lampade di cui era piena la casa e che, Jesper aveva notato, produceva luce tramite una specie di pallina di vetro. «Aveva detto che le erano state esportate da Ravka, dico bene? Posso chiederle come? Chi gliele ha date?»
«La prossima volta.» La donna aprì la porta per loro, invitandoli silenziosamente ad uscire. «Lasciami tenere ancora qualche segreto per questa sera.»
Sembrava quasi impossibile che tutto fosse filato così liscio, Wylan aveva l’aspetto di un bambino appena uscito da un negozio di caramelle mentre camminavano verso il vicolo in cui avevano lasciato la loro barchetta. Avevano dato il segnale ad Inej non appena erano usciti, lei li avrebbe aspettati nel canale e sarebbero immediatamente tornati all’hotel.
«Santi, quanto vi piace parlare di scienza.» Jesper si stiracchiò le braccia. All’improvviso si sentiva davvero stanco.
«Scusa, ti sei annoiato tanto?»
«No, no.» La bugia era talmente palese che Wylan rise. «Okay, un po’. Ma eri carino mentre facevi le tue cose da piccolo scienziato, cocco della prof che non sei altro.»
«Mi chiedo cosa faresti se non avessi me da prendere in giro. Come passeresti le tue giornate?»
«Probabilmente a un tavolo da gioco a dare via soldi che non ho.»
«Jes, smettila. Tu sei più di così e lo sai.» Wylan gli prese la mano e la strinse. Se non fossero stati due fuggitivi che si nascondevano in una strada buia, forse sarebbero potuti sembrare una coppia come tante altre, che passeggiava tenendosi per mano.
«Ci devo lavorare su questa cosa che non sono uno scarto. Almeno non letteralmente, perché nei fatti sono uno degli Scarti.»
Wylan lo stavo osservando con un’espressione pensierosa. «Jes, stavo pensando che, insomma, visto che la professoressa rimane a Ketterdam, sai, sarebbe logico…»
«Se continui a girarci attorno inizierai a ballare il walzer.»
«Potresti chiedere alla professoressa Levi di insegnarti a controllare il tuo potere.» disse tutto d’un fiato.
La sensazione di ansia fu istantanea. Il cervello gli urlava di scappare, fare una battuta stupida, flirtare per evitare di dover rispondere e fingere che quella conversazione non fosse mai avvenuta. Ma poi incrociò gli occhi chiari di Wylan, la sua mano stringeva ancora la sua come lo aveva stretto per non farlo scappare subito prima di baciarlo. L’istinto di fuga gli sembrò meno urgente. Forse poteva davvero fermarsi e gestire la situazione.
«Ci penserò.» E quelle parole bastarono per illuminare il viso di Wylan.
Svoltarono verso il canale, Inej nascosta dentro la barchetta li salutò con un sorriso.

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La luce del sole iniziava timidamente a farsi largo nella stanza. La testa di Wylan stava comodamente accoccolata sul petto di Jesper mentre lui passava il tempo a far sparire le dita tra i riccioli folti. Era già l’alba e nessuno dei due riusciva a dormire, l’asta si sarebbe tenuta tra poche ore ed era impossibile non pensarci, non importava quanto fosse rilassante starsene abbracciati sotto le coperte.
«Jes, posso farti una domanda?» Gli chiese voltandosi a cercare il suo sguardo e impedendogli così di continuare a giocare con i suoi capelli.
«Oh santi, devo preoccuparmi?»
«Non lo so, suppongo che dipenda dalla tua risposta. Quindi impegnati.» Wylan si era girato a pancia sotto, con i gomiti puntati sul materasso per tenersi dritto.
«Okay, sono pronto, spara.»
«Pensi sempre a sparare.» Wylan roteò gli occhi al cielo, ma non riuscì a mantenere l’espressione esasperata che subito si aprì in un sorriso quando Jesper rise. Poi continuò la domanda. «Quand’è che ti sei ricordato?»
«Oh no, ti prego, non umiliarmi così» Jesper si coprì il viso con un braccio, troppo imbarazzato per farsi vedere a quella distanza.
«Eddai, io ti ho riconosciuto subito, nonostante tu sia cresciuto di altri, quanti? Venti centimetri?»
«Da quel punto di vista tu non sei cambiato molto.» Lo prese in giro Jesper tornando a mostrare il viso e Wylan approfittò dello spostamento per vendicarsi mordendogli il braccio. «Pensavo vi educassero meglio, a voi piccoli mercanti.»
«Non ti conviene provocarmi, conosco gente pericolosa. Hai mai sentito parlare di Manisporche? E che mi dici dello Spettro?»
«Wow, non scherzavi. Quella è proprio gente brutta.»
«Ecco, allora è meglio che rispondi alle mie domande con le buone, o sarò costretto ad estorcerti tutte le informazioni che mi servono con le cattive.» Wylan fece schioccare i denti, pronto a mordere ancora.
«Mi arrendo, mi hai convinto.» Jesper fece un segno di resa alzando le mani. «Hai presente alla Corte di Ghiaccio?»
«Difficile dimenticare che abbiamo messo in atto un’evasione dalla prigione di massima sicurezza di Fjerda. Sì, mi ricordo.»
«C’erano state delle volte che mi era venuto il dubbio che fossi tu, ma mi ripetevo che se fossi stato davvero tu avresti detto qualcosa.» Wylan lo guardava con il viso appoggiato sui polsi, Jesper gli spostò un ricciolo dietro l’orecchio. «Finché non c’è stato quel momento in cui Inej è arrivata con i diamanti di Tante Heleen, io stavo cercando di intagliarli, tu dovevi montare il trapano, Inej continuava a urlare di darmi una mossa, insomma era un casino tale che avevo la testa in panne. E poi hanno iniziato a spararci addosso, Inej era già scappata via e non me n’ero neanche accorto. Ho sentito uno sparo pazzesco e ti sono saltato sopra per coprirti. E lì ho capito.»
«Sei davvero fissato con gli spari.» Wylan ridacchiò.
«Ma no, non è lo sparo che mi ha fatto capire. Senti, è imbarazzante.»
«E allora? Giuro che non ti prenderò in giro, Jesper Llewellyn Fahey.» Wylan mise solennemente una mano sul cuore per confermare il suo giuramento.
«Sei tremendo, non te lo racconterò mai» Jesper lo punì tappandogli il naso con due dita.
«E dai, ti pregooo» si lamentò Wylan con la voce nasale. «Jeeeees.»
«E va bene.» Gli lasciò andare il naso e fece un sospiro prima di continuare. «Quando ti ho visto sotto di me mi è venuto un flash, te ne stavi con gli occhi chiusi per il colpo e mi sono ricordato di una volta che ti sei addormentato sotto il salice. Ti ricordi il salice vicino al fiume? C’è stata un’estate che andavamo sempre lì perché tirava una bella aria fresca. Credo avessimo 11 e 12 anni.»
«Me lo ricordo, avevo fatto tanti schizzi sotto quel salice.»
«Lo so, mi riempivi dei tuoi disegni.»
«Beh, tu mi riempivi dei giocattolini che fabbricavi con tua mamma.»
«Cos’è, una gara?»
«No, dai, continua. Che c’entra il salice?»
«Un pomeriggio ti sei addormentato lì sotto, proprio mentre ti stavo leggendo un libro»
«Scusa» Wylan si coprì la bocca, ma la risatina colpevole riuscì comunque a uscire.
«Ho capito solo adesso perché mi chiedevi di leggere per te, dicevi che ti piaceva sentire la mia voce.»
«Beh, Non era falso. Hai una bella voce. Ma perché non mi hai svegliato?»
«Perché dormivi così bene, non volevo svegliarti. E allora sono rimasto a guardarti.»
«Mi è molto difficile immaginarti fermo senza fare nulla.» Per quanto fosse Jesper quello imbarazzato in quel momento, le guance di Wylan si colorarono di un soffice colore rosato.
«Quante volte devi farmi ripetere che mi piace la tua faccia?»
«Tu…? Già all’epoca?» Wylan sgranò gli occhi, ormai completamente rosso in volto, tentò di coprirsi con le mani.
«Ricordo di averlo capito proprio quel pomeriggio. Mentre ti guardavo ho proprio pensato che avrei voluto baciarti.» Jesper pensava che ammettere quanto fosse preso da lui sarebbe stato spaventoso, ma la reazione del mercantuccio lo stava rendendo alquanto divertente.
«Non ci posso credere» Wylan era sprofondato nel materasso, il viso nascosto tra le coperte.
«È così incredibile?»
«No, è che…» La faccia di Wylan sbucò all’improvviso dalle coperte. «Anch’io. Anch’io avevo una cotta per te.»
«Davvero?»
«È così incredibile?» Gli fece il verso il mercantuccio.
«La cosa incredibile è che ci siamo rincontrati.» Jesper gli accarezzò una guancia, sentì la sua pelle bollente e prima che potesse muoversi per baciarlo, Wylan doveva avergli letto nel pensiero e aveva annullato la distanza tra le loro bocche. Le mani di Jesper scivolarono lungo tutta la sua schiena, mentre il mercantuccio si arrampicava sempre più sopra di lui e lo baciava ancora e ancora. Quando Wylan si fermò, Jesper si prese qualche istante di silenzio assoluto per godersi il suo viso così vicino.
«Sai, mentre lavoravo all’università ho sentito i professori che parlavano tra di loro di una nuova teoria fisica per cui si postula l’esistenza di universi coesistenti al nostro ma esterno al nostro spaziotempo, come realtà parallele e diverse.» Era difficile comprendere i collegamenti mentali che potevano aver portato Wylan a pensare una cosa del genere mentre stavano beatamente amoreggiando.

«Mi sono perso» ammise Jesper inarcando un sopracciglio.
«Immagina un mondo simile al nostro, ma con qualche differenza.» Provò a spiegarsi Wylan. «Per esempio, un mondo identico al nostro, ma in cui non esistono le capre.»
«Mi sembra orribile. Se avessi una capra la chiamerei Milo.»
«Non ti distrarre.» Lo rimproverò scherzosamente.
«Okay, scusa, vai avanti.»
«Ecco, secondo questa teoria potrebbero esistere mondi infiniti, ognuno diverso dal nostro. Con qualche tratto simile e qualche tratto diverso. Però pensavo che…» Fece una piccola pausa alla ricerca del modo di esprimere quello che gli stava passando per la testa. «Lo so che è assurdo. Ma stavo pensando che ci saremmo incontrati in ogni universo. Anche in un mondo in cui non ci siamo conosciuti a Novyi Zem da bambini, non so come spiegarlo, ma ho la sensazione che ti avrei incontrato.»
«Anche se io fossi una capra?»
«Specialmente se tu fossi una capra.»
Jesper si concesse di crederci un po’ anche lui, che in ogni universo sarebbero stati loro e sarebbero stati insieme. E non fu difficile perché non era per niente complicato credere che tutto sarebbe andato bene quando il sorriso del mercantuccio era più caldo dei raggi di sole che ormai avevano invaso tutta la stanza.
«Wy?» Lo chiamò con un sussurro, come se stesse per confessare un segreto.
«Jes?» Rispose con lo stesso tono, come se fosse pronto ad ascoltare quel segreto.
«Credo di amarti.» Rivelò il segreto con un soffio di voce così leggero che sarebbe volato via se la finestra fosse stata aperta.
«Jes?» Questa fu la volta di Wylan per chiamarlo sussurrando.
«Wy?» Rispose Jesper esattamente come aveva fatto lui un attimo prima.
Wylan si avvicinò e ancora più piano gli disse nell’orecchio: «Io sono sicuro di amarti.»
Jesper non si trattenne, lo strinse a sé e rotolò sul letto finché non si trovarono a parti opposte, Wylan sotto di lui che rideva mentre Jesper sopra di lui baciava ogni centimetro della sua pelle.«Se oggi morirò, ti verrò a cercare in un altro universo.»
«Quello in cui sei una capra?»
«Specialmente quello in cui sono una capra.»

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Jesper non poteva credere di essersi sbarazzato di un Kherguud con il tonchio di Wylan, per una volta la smania di giocherellare con tutto quello che gli capitava sotto mano era risultata utile.
«Col cavolo che glielo dico che se mi sono salvato è di nuovo grazie a lui», pensò mentre correva. Aveva appuntamento con Inej e aveva già perso troppo tempo a cercare di non morire. La vide spuntare dalla porta.
«Jesper, dove…»
«Il fucile» ordinò lui e non appena lei se lo tolse dalla spalla, lui glielo strappò di mano e insieme corsero a perdifiato verso la cattedrale. Ma era troppo tardi, la sirena aveva già iniziato a suonare e dal punto in cui si trovavano non vedeva nemmeno dove fosse il bersaglio.
“Chiunque può sparare, ma non tutti sono capaci di prendere la mira.” La voce di sua madre gli parlò. “Noi siamo zowa. Tu e io.”
Ma era impossibile, non ci sarebbe mai riuscito. Però Wylan era così convinto che lui potesse fare cose pazzesche solo perché era un Grisha, magari aveva ragione. Jesper imbracciò comunque il fucile.
«Jesper?» Lo chiamò l’amica incerta.
Avrebbe voluto rassicurarla e dirle che sapeva esattamente cosa stesse facendo, ma non era vero. «Inej» disse, «se ti avanza una preghiera, questo è il momento di tirarla fuori.» Fece fuoco.

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Il viso di Wylan che fino a poche ore prima aveva ricoperto di baci, ora era ricoperto di ematomi e sangue. Jesper era seduto al suo fianco, poco più in là c’era Alys con la sua cameriera personale e un manipolo della stadwatch che faceva la guardia, impossibile capire se li stessero proteggendo o minacciando. Jesper e Wylan si stavano godendo lo spettacolo dell’intero Consiglio delle Maree che accusava un Jan Van Eck ammanettato e fuori di sé dalla rabbia e lo sconcerto.
«Che cosa succede?» chiese Alys, prendendo la mano di Wylan. «Perché Jan è nei guai?»
«Tu stai lontano da lei» ringhiò Van Eck mentre la stadwatch lo trascinava giù dal palco. «Alys, non ascoltarlo. Devi dire a Smeet di prelevare i soldi per la cauzione. Vai a…»
«Non credo che Alys sarà in grado di aiutarla» apparì Kaz e Jesper si rilassò.
Adesso dovevano solo aspettare che Manisporche tirasse i fili della commedia e presto tutto si sarebbe concluso come da copione. Sentì la mano di Wylan prendere la sua. Jesper accavallò una gamba per nascondere quel legame agli occhi dei presenti e continuò a stringerla. Ne avevano entrambi bisogno; Wylan stava affrontando la furia di suo padre e Jesper non riusciva a non pensare alla sicurezza del suo di padre. Sperava con tutto se stesso che quella storia sarebbe finita in fretta e che Colm non sarebbe mai più stato coinvolto in una follia del genere.
«Non potete dare a questo cretino il controllo dei miei capitali» gridò Van Eck, indicando Wylan con le mani nei ceppi. «Anche se volessi farne il mio erede, non ne avrebbe le competenze. Non sa leggere, sa a malapena mettere insieme una frase elementare sulla stessa pagina. È un idiota, un minorato.» Jesper strinse più forte la mano di Wylan. Si sentiva disgustato da quell’uomo e da come si rivolgeva al suo stesso figlio. Nessun essere umano merita di essere trattato così.
«Van Eck!» esclamò Radmakker, uno dei più illustri tra i mercanti. «Come fa a dire certe cose del sangue del suo sangue?»
Van Eck rise selvaggiamente. «Almeno questo lo posso provare! Dategli qualcosa da leggere. Avanti, Wylan, mostragli che grande uomo d’affari diventerai.»
Radmakker gli mise una mano sulla spalla. «Non sentirti obbligato ad assecondare i suoi deliri, figliolo.»
Wylan si alzò in piedi, Jesper lo vide scattare dal dolore per una fitta alle costole, gli si affiancò per permettergli di appoggiarsi al suo braccio. «Va tutto bene, signor Radmakker.» lo rassicurò Wylan cercando di darsi un tono nonostante il male che doveva sentire. «Sarei molto lieto di dimostrare a mio padre che “grande uomo d’affari” diventerò.» Poi fece cenno a Kaz che prontamente tirò fuori dal cappotto la miniatura del fonografo su cui avevano lavorato la sera prima con la professoressa Levi. «Se potessi essere così gentile da fare ascoltare a questi signori la registrazione.»
Kaz girò la piccola manovella del fonografo e subito uscì il suono della voce di Jan Van Eck che ammetteva ogni suo crimine: di aver assoldato degli assassini per uccidere Wylan, di aver rinchiuso ingiustamente la sua prima moglie in un manicomio, di aver agito contro il Consiglio delle Maree per avere il monopolio su una droga e di essersi alleato con Pekka Rollins pur di ottenerlo. I volti dei mercanti si fecero sempre più inorriditi mano a mano che la registrazione proseguiva, la cattiveria nel modo in cui Jan si rivolgeva a suo figlio diventava sempre più insopportabile da ascoltare ed era culminata con il suo ordine di riempirlo di botte. A quel punto Kaz smise di girare la manovella. Van Eck era bianco in volto, si era reso conto della trappola in cui era cascato. Aveva nuovamente sottovalutato suo figlio. Il mercantuccio era sempre stato un ottimo studente e perciò, come gli era stato insegnato, non si presentava a un incontro con il nemico senza un’arma segreta. Quando aveva finto di lasciarsi catturare, si era portato dietro il modo in cui avrebbe incastrato suo padre sotto forma di un piccolo e innocente fonografo.
«Vedi, padre. È questo l’uomo d’affari che diventerò.» L’espressione di trionfo di Wylan non poteva essere smorzata nemmeno dal gonfiore della sua faccia. «Uno previdente.»
«È un trucco» disse Van Eck. «È un altro dei trucchi di Brekker.» Si staccò dalle guardie e andò di corsa verso Wylan, ma Jesper gli si parò davanti, lo afferrò per le spalle e lo tenne a debita distanza con le braccia tese. «Distruggerai tutto quello che ho costruito, tutto quello che mio padre e suo padre hanno costruito. Tu… Inutile decerebrato.»
«Solo perché non posso leggere?» Wylan stava chiaramente faticando a mantenere il controllo e non urlare a sua volta. «Posso benissimo fare tutto quello che fai tu e anche meglio di come lo fai tu.»
La risata di Van Eck suonò completamente folle e incredula. «È assurdo che tu possa anche solo pensare di-»
Radmakker si frappose tra loro. «Van Eck, cosa sta insinuando? Mio padre non ha mai potuto leggere, è nato cieco eppure è stato un uomo dalle doti affaristiche insormontabili, ha salvato questa città quando l’epidemia ha rischiato di farci morire tutti di stenti. Le condizioni di suo figlio non gli impediscono minimamente di esercitare la professione.»
Van Eck era talmente frastornato che non trovò le parole, Jesper lo teneva ancora bloccato perché non si avvicinasse ulteriormente a Wylan e ne approfittò per dire con un tono abbastanza basso che nessun altro avrebbe potuto captare: «Posso leggere io per lui.»
«Ha una voce da baritono molto rilassante» aggiunse Wylan sfiorando un braccio a Jesper.
Nel giro di qualche secondo Van Eck aveva ricominciato ad agitarsi nel tentativo di scagliarglisi contro, le guardie lo trascinarono via e le sue urla si fecero sempre più lontane finché non sparirono oltre la porta della Chiesa del Baratto.

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Jesper non aveva mai creduto nei miracoli. Un giocatore sa che la fortuna non guarda in faccia a nessuno e si dovrebbe essere grati di essere toccati da lei anche solo una volta. Quando ci si siede al tavolo, si sente davvero euforia nel vincere proprio perché la norma è perdere. Eppure quel giorno ci volle credere. Credette con tutto se stesso che ogni cosa sarebbe andata bene.
Ci credette mentre combatteva contro il Kherguud che aveva seriamente rischiato di farlo fuori.
Ci credette quando sparò il colpo impossibile riuscendo a prendere Kuwei in pieno petto.
Ci credette quando guardò Van Eck venire trascinato via con la reputazione e tutto il suo impero per sempre corrotti.
Ci credette quando camminò piano verso casa Hendriks con Wylan ancora stretto alla sua mano, Alys ancorata al braccio della sua cameriera personale e Kaz che si reggeva al bastone con la testa di corvo che brillava illuminata delle lanterne.
Ci credette quando vide Inej e Rotty che aiutavano Kuwei, ancora imbrattato di sangue di maiale, a scendere dalla barca.
Ci credette quando suo padre, stanco come non lo aveva mai visto ma sano e salvo, lo strinse forte, lasciandolo senza fiato.
Smise di crederci quando notò Nina, ancora sulla barca, abbracciata al corpo senza vita di Matthias. E solo nel momento in cui sentì Wylan sussurrare “Dovevamo farcela tutti” si rese conto che lo stava pensando anche lui.
«Nessun rimpianto» si ritrovò a ripetere con la voce bloccata in gola dal dolore di trattenere le lacrime.
«Nessun funerale» sentì tutti gli altri rispondere al richiamo del Barile.

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La barca era stata preparata, l’ultima parte del piano era pronta a partire. Era arrivato il tempo dei saluti; quello con Nina aveva avuto il gusto di un arrivederci fin troppo lontano, non avrebbe voluto vederla andare via, ma sapeva che era la cosa giusta.
Kuwei aveva gli occhi gonfi di pianto, ma se lo aveva conosciuto un poco nei giorni che avevano passato al Velo Nero, aveva capito che non si faceva scrupoli quando voleva qualcosa, la chiedeva con un fare sfacciato. Così non si sorprese quando gli propose «Perché non vieni trovare me in Ravka? Possiamo imparare nostri poteri insieme» .
Quello che lo sorprese fu Wylan che si intromise sfoggiando lo sguardo truce che doveva aver imparato da Kaz. «Cosa ne dici se ti spingo nel canale così vediamo se sai nuotare?»
Jesper sorrise e scrollò le spalle: «Ho sentito dire che è uno degli uomini più ricchi di Ketterdam. Non me lo metterei contro». Jesper intrecciò le dita con quelle di Wylan e lui gli si strinse al fianco. Non aveva bisogno di dire altro.
Kuwei assunse un’aria offesa, ma subito prima di stendersi nella barca sorrise in modo giocoso a Wylan che ricambiò con una risata leggera e si strinse ancora di più al braccio di Jesper. Jesper non aveva mai capito che tipo di rapporto avessero quei due, se fossero amici, rivali o semplicemente due ragazzi che si erano ritrovati in un gruppo di criminali quasi per caso e dovevano lottare per la sopravvivenza con i pochi mezzi che avevano.
Poi vide suo padre stendersi sulla barca e cercò di scacciare via il pensiero di sua madre sul letto di morte, scossa dalla febbre dei veleni che le erano rimasti in corpo. Colm stava bene, andava tutto bene.
Per ultimo posarono il corpo di Matthias, da cui Nina aveva delicatamente tolto i fiori con cui lo avevano ricoperto tutti a turno, poco tempo prima. Quello era il saluto che aveva fatto più male, Jesper lo sentiva ancora fermo nella gola. Wylan gli accarezzò il braccio, forse aveva intuito quello che stava pensando, e solo quando si voltò per guardarlo si rese conto che le lacrime gli stavano rigando le guance.

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Erano rientrati da un’ora ormai, era notte fonda e la casa era silenziosa. Alys era già crollata addormentata da diverse ore, Inej era andata a dormire in una delle stanze degli ospiti, ma Jesper non aveva idea di dove fosse Wylan. Il mercantuccio gli aveva indicato una delle camere per gli ospiti che avrebbero utilizzato per la notte, visto che la stanza di Wylan era stata trasformata in una stanza per il bambino e non era più utilizzabile, poi si era dileguato chissà dove, in quella casa immensa. Jesper si ritrovò ad aggirarsi per i corridoi gettando occhiate in tutte le stanze che gli capitavano a tiro e aguzzando le orecchie in cerca di qualche rumore che gli rivelasse dove diavolo si fosse nascosto Wylan.
Ed ecco un indizio: il suono limpido di un pianoforte. Questa volta sarebbe stato impossibile confonderlo con chiunque altro, quando aprì la porta non poteva che essere lui ad essere seduto davanti alla tastiera con aria malinconica.
«Non sei stanco?» Chiese Jesper osservandolo dalla soglia.
«Sono a pezzi.» Wylan fece un accenno di risata, nascondendo davvero male che probabilmente stava piangendo fino a un istante prima. «Ma non me la sento ancora di andare a letto.»
Jesper si avvicinò a lui, fino a posare le mani sulle sue spalle, con delicatezza. «Puoi suonarla per me? La mia canzone?» gli sussurrò in un orecchio.
«Certo, tutte le volte che vorrai.» Wylan alzò il viso verso il suo e Jesper posò un bacio leggero sulle sue labbra. «Quindi vedi di fartela piacere.»

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