Hey ciurmaglia! Ecco il secondo
capitolo, che ci terrei ad avvisare contiene un alto tasso di seghe mentali, prima di iniziare vorrei
ringraziare in particolare AngelinaSpring
che ha speso una piccola parte
del suo tempo per lasciare una recensione. In più ringrazio anche chi ha messo
Sette Giorni tra le storie seguite.
Chissà forse un giorno dopo
questa mi darò allo slash.
[inutile informazione di
servizio]
2. Venerdì
Alla fine
ieri ero tornato a casa decisamente prima del previsto, camminando senza vedere
realmente dove andavo. Dopo che Gio’, il mio amico che faceva battutacce da scaricatore
di porto davanti ad ogni bella ragazza, aveva sputato il rospo ero rimasto lì
totalmente rincretinito ad ascoltare i pensieri urtarsi e scontrarsi per poi
cadere nel vuoto.
-Ti prego
fa qualcosa, dì qualcosa- aveva sussurrato con vece sepolcrale con la testa
ancora sulla mia spalla
-Che cosa
dovrei dire?- avevo soffiato fuori senza riuscire neanche a pensare a cosa dire, e cosa c’era da
dire in fondo?
-Quello
che vuoi! Che ti faccio schifo, che sono un pervertito, che…-
-Sta
zitto!- avevo esclamato poi.
Sconvolto
o no, pensare che credesse che potessi dirgli crudeltà del genere mi stava
irritando. Ma la cosa che più mi stava sconvolgendo (oddio il coming-out, o
com’è che si chiama, rimaneva al primo posto in ogni caso…) era che non me
l’aveva detto.
A me.
Il suo
migliore amico, praticamente un fratello.
Ed ecco
che una dopo l’altra le domande si erano affastellate nella mia testa, un
caotico ciclone di cose da chiedere per capire se ero stato io il cieco o lui a
non volermi far capire.
-Perché non me l’hai detto- ecco
una cosa per volta, partiamo dalle domande più urgenti.
-Non lo so perché non te l’ho
detto, io…- aveva cominciato e si era scostato da me allungando le gambe
davanti a sé –Avevo paura, della tua reazione- aveva aggiunto piano.
-Avevi
paura di me?!- gli avevo chiesto incredulo
-Oh andiamo!- aveva esclamato lui
recuperando un po’ della sua tipica baldanza –Hai sempre fatto quello a cui gli
omosessuali non sono mai piaciuti, non dico che sei un omofobo ma… non mi
sembra neanche che tu non l’abbia presa molto bene…- aveva aggiunto accendendo
una sigaretta nervosamente.
-Ma cosa pensavi?! Che ti avrei
dato una pacca sulla spalla e la mia… “benedizione”… così come se nulla fosse?
Accidenti!, siamo quasi fratelli e tu hai avuto paura di me!- avevo
controbattuto mentre lui si riprendeva dalla cupezza di poco prima: il
battibecco stava stimolando il suo lato bisbetico, in barba all’atteggiamento
triste e sconsolato di poco prima.
-Avevo paura di perderti! Mi
credevi lo spaccone puttaniere mentre invece mi piace…- lo avevo interrotto.
–Sì, sì ho capito…- a mia volta
avevo acceso rabbiosamente una sigaretta ed aspirato con violenza sentendo il
fumo entrare nei polmoni con forza. Non avevo detto più nulla per un po’
limitandomi a fumare con foga crescente mentre lui stava in silenzio a
scrutarmi cercando di capire cosa mi passava per la testa esattamente come
avevo fatto pochi istanti prima io con lui. Stavo vivamente rimpiangendo di non
essermi fatto gli affari miei per una volta, avrei dato qualsiasi cosa per…
tornare indietro, per ricucire il tremendo strappo che si stava creando fra me
e una delle persone che più amo al mondo, o anche solo per continuare a
chiudere gli occhi e non capire la verità delle cose. Beata ignoranza…
Poi aveva deciso di anticipare le
mie domande. Aveva cominciato a dirmi che era poco in fondo che aveva
“scoperto” (ma si può scoprire una cosa del genere? Non la si dovrebbe sapere?,
eppure è pur sempre qualcosa che fa parte del più profondo del nostro essere) le
sue tendenze, neanche un anno. Al che avevo alzato un sopracciglio come a dire
che quasi un anno era un bel po’ di
tempo in cui avrebbe potuto dirmelo, poi mi era venuta in mente una cosa.
-Perché oggi?- al momento il racconto della sua presa di
coscienza non mi interessava
-Perché… Perché sì, ecco!- aveva
sbuffato un po’ di fumo come un draghetto seccato –perché tu… eri qui e io non
ce l’ho più fatta a tenermi tutto dentro, mi è…scappato.- borbotta
-Ah- Gli è scappato? Cioè avrebbe potuto continuare a non dirmi nulla
per un altro anno? Non sapevo se arrabbiarmi o meno…
Avevo guardato l’ora: stavamo
discutendo da quasi un’ora e un quarto tra pause e battibecchi. Decisi che per
quel giorno ne avevo abbastanza. Spenta la cicca nel posacenere che iniziava ad
essere pieno, a differenza del mio pacchetto, avevo notato stupidamente, mi ero
alzato guardandomi intorno per cercare le mie cose.
Come uno zombie mi muovevo per
l’ampio salotto mentre tutte le domande che fino a poco prima si moltiplicavano
nella mia testa ora tacevano svanite nel nulla in cui la mia mente annegava.
Gio’ mi guardava preoccupato.
-Dove vai?- aveva chiesto
ansiosamente
-Sto andando a casa.- avevo
risposto distrattamente come se fossi stato già per strada, lontano da quella
casa, da quella situazione, da lui e
le sue rivelazioni.
Solo una cosa ronzava nel mio
cervello Basta.
Avevo bisogno di pensare.
-Aspetta! Ti do un passaggio a
casa…- aveva fatto per alzarsi
-No, tranquillo non mi serve, ho…
ho solo bisogno di stare per conto mio- avevo borbottato gelido,
paralizzandolo.
Così me n’ero andato. Scappato come
un coniglio.
Del tragitto tra casa sua e casa
mia non ricordo praticamente nulla se non un vago senso di colpa, che si
sarebbe poi acuito, per averlo mollato lì a quella maniera e l’acqua che mi ero
preso perché alla fine aveva deciso di mettersi a piovere proprio mentre ero
alla fermata. Ma che bella giornata…
Una volta a casa mi ero sfilato lo
zaino di spalla per poi dirigermi in camera mia per poi chiudermici dentro, al
sicuro da tutto quello che era successo quel pomeriggio con la speranza di
ignorare per un po’ le macerie fumanti delle mie certezze più granitiche. Appena messo piede a casa mi ero
sentito incredibilmente stanco, sfilata la maglietta e i pantaloni bagnati mi
ero messo un paio di vecchi calzoni felpati, calzini di lana e pail multicolore
per poi tuffarmi, come un naufrago all’unico appoggio disponibile, sul letto
coperto da testa a piedi dal plaid. In breve un benefico tepore era corso a
lenire i miei nervi scossi, complici il calduccio e il cuscino morbido mi ero
irrimediabilmente addormentato.
--
Rumore di buste di plastica e
dell’anta del frigo che si apre e chiude, una risata gutturale che conosco
bene, Che ci fa Becca qui?, un
cerchio alla testa mi costringe a rimettere giù la testa.
Avevo fatto il punto della
situazione: mia madre era tornata con la spesa e c’era Becca a cena, in un
angolino della mia testa avevo pregato non si fosse portata dietro l’uomo. Il
resto era avvolto da una specie di nebbia dolorante, tra l’altro stavo tremando
di freddo. Vuoi vedere che con tutta
quell’acqua…
Avevo cercato di mettermi a pancia
in su distendendo gli arti che sembravano ricoperti di cemento, l’operazione
era stata più lunga del previsto dato che il mio corpo non voleva collaborare.
Mentre cercavo di capire bene
perché ero ridotto così male una testa piena di capelli castani era apparsa
nella mia visuale e mi aveva passato una mano fredda sulla fronte, Oh meravigliosa sensazione!, poi visto
che ero sveglio e si era seduta vicino a me sulla sponda del letto.
-Ehi dormiglione! Lo sai che ore
sono?- Mi aveva chiesto sussurrando, io avevo provato a scuotere la testa ma il
dolore si era acuito ed era stato come se un branco di spiritelli maligni mi
saltasse con scarponi chiodati sulle tempie, mugolato un ahi!, Becca mi aveva guardato e riappoggiato la mano fresca sulla
mia fronte portando un po’ di sollievo -Eh sì, sei bollente. Così impari a non
coprirti decentemente a Gennaio- aveva ridacchiato, e si era messa a riordinare
il marasma che avevo lasciato.
Tona
qui,
avrei voluto dirle osservandola mentre faceva un po’ d’ordine, lascia stare quella roba e sta qui con me…
Avevo un disperato bisogno di parlare con qualcuno. Al mio borbottio inconsulto
si era girata e aveva sorriso -Se la mamma vede questo macello ti stronca- e
aveva piegato i panni, da me lasciati a terra, sulla sedia, poi mi aveva tira
il telefono che era arrivato pericolosamente vicino alla mia testa, non ha mai
avuto una buona mira.
-Non è stato zitto tre secondi quel
coso- aveva mugugnato mentre osservava lo stato pietoso dei jeans ancora
fradici dal polpaccio alla caviglia -A proposito hai una suoneria orrenda…!-
Ignorata l’ultima frase avevo mosso
faticosamente un braccio e afferrato il telefono stringendo le palpebre
infastidito dalla luce del display che irrompeva allegramente nella penombra
della mia stanza. Tolto il blocca tasti avevo scoperto di avere cinque chiamate
senza risposta e un messaggio. Quattro chiamate erano state effettuate a
distanza l’una dall’altra di venti minuti circa e tutte dalla stessa persona,
quella più recente era di papà.
Com’è ovvio le chiamate erano di
Giovanni e credo anche il messaggio, ma avevo avuto né la forza né la voglia di
leggerlo, mi ero limitato a uno sbuffo spazientito e avevo appoggiato il
cellulare sul comodino lanciando nel contempo un’occhiata alla sveglia.
Le otto meno venti. Le otto meno venti?!
Avevo dormito quasi tre ore.
Cercando di alzarmi avevo scoperto che la testa faceva troppo male per alzarla
dal cuscino.
Stavo uno schifo.
Becca era tornata a sedersi vicino
a me e mi accarezzava piano una guancia guardandomi in silenzio.
Mia sorella è tutta la mia
famiglia. Ha quasi dieci anni più di me e da quando sono in grado di ricordare
lei c’è sempre stata, che volessi propinarle l’infinita serie di Perche?! tipica dei bambini, o avessi
paura del temporale o tante altre piccole cose. Era lei ad aiutarmi con i
compiti, a venirmi a riprendere da scuola, a prepararmi il pranzo…
La grande differenza d’età non è un
caso: io sono un fuori programma, il bicchiere di spumante di troppo per essere
chiari.
Una volta ho ascoltato una
conversazione di mia madre per caso, io ero piccolo e non ricordo bene
l’interlocutore o come fosse nata la discussione.
Ricordo bene quel che disse, cioè
che mi voleva bene, ma non abbastanza.
Il suo amore lo aveva già investito
tutto su Becca e per me non erano rimaste che le briciole. Esistevo per puro
caso, solo perché non aveva avuto il coraggio di liberarsi di quell’esserino
che le cresceva dentro.
Quanto dolore mi abbiano dato
quelle parole lo ricordo ancora meglio, perché mio malgrado si fa vivo tutte le
volte che per caso mi ritornano in mente, tuttavia col tempo ho imparato a
conviverci e a gestire la rabbia che causano. Anche se so che non è giusto. E
lo sa anche Becca, chissà forse è per questo che mi è stata così vicina… Per
un’inestinguibile senso di colpa, che bello!
O forse dovevo piantarla con la
lagna.
Normalmente mi sarei scrollato di
dosso pensieri del genere, pensieri deliranti nonché offensivi nei confronti
della mia sorellona che mi è sempre stata accanto.
Osservavo i suoi occhi, identici ai
miei, e avevo alzato una mano per passarla tra i suoi capelli mossi (doveva
averci dato giù di piastra la maledetta) e le avevo battuto un colpetto
affettuoso dietro la nuca. Ci eravamo guardati con un sorrisetto sghembo, poi
mi aveva aiutato a mettermi seduto districando il groviglio di coperte in cui
mi ero legato le gambe. Aveva borbottato un sembri
una mummia! mentre mi stringevo le tempie trafitte da quelle che sembravano
lame infuocate, gli spiritelli maligni di prima dovevano essersi presi una
pausa.
Spiritelli
maligni…
Me ne era venuto subito in mente uno, ma avevo scacciato il pensiero dalla mente
e aggirato anche quello dell’sms che con ogni probabilità mi doveva aver
mandato lui, stavo già abbastanza male non volevo curarmi anche di quella… faccenda.
Mentre io mugugnavo e Becca mi
sosteneva, ci eravamo incamminati verso la cucina ed era stato così che avevo
riconosciuto l’imponente figura di Adriano, il suo compagno, che tentava senza
successo di intavolare un discorso con papà che, al solito, cercava di non
tirargli qualcosa di contundente. Non è che ce l’abbia proprio con lui, ce l’ha
con qualsiasi esponente di genere maschile si avvicini troppo alla sua bambina.
Il povero uomo osservava costernato
l’aria truce del “suocero” che rispondeva ai suoi vani tentativi di
conversazione con monosillabi buttati fuori a forza dai denti, era così disperato
che quando ci aveva visto arrivare un’incredibile sollievo gli aveva illuminato
gli occhi e sembrava quasi dire “Vi prego salvatemi!”.
Era abbastanza divertente vedere la
sua faccia di bronzo mentre veniva tiranneggiato dagli sbalzi d’umore di un
uomo di mezz’età. Mia sorella lo troverà pure affascinante ma per me è solo un
emerito…
-Stai male Leo?- mi aveva chiesto
con serio interesse, sì ma era interessato a cambiare discorso.
-Tu che dici?- gli avevo risposto
così piano che mi aveva sentito solo mia sorella che aveva fatto, tuttavia,
finta di nulla
Stramazzato sulla sedia,
immediatamente i miei genitori mi avevano guardato storto: non ci si siede così Leo! era la frase non detta a voce. Poi papà
mi aveva passato una mano sulla fronte e detto marziale -Quanto è alta?-
-Papà si è appena svegliato non
l’abbiamo ancora misurata…- era stata la risposta di Becca -Scotta ma avrà solo
preso freddo-
-Un po’ di aspirina e passa tutto-
aveva aggiunto il capellone incapace di non dire la sua. Avrei tanto voluto
dirgli che con l’aspirina in quel momento non ci risolvevo nulla e poteva anche
mettersela in un certo posto ma mi ero trattenuto e avevo frenato il mio
cattivo umore. Papà lo aveva guardato omicida, lo odia poverino.
Alla fine era iniziata la cena, e
visto che stavo male mi era toccata la minestrina con buona pace delle mie
papille gustative, tra le pessime battute di Becca e della mamma, e gli sfoggi
di cultura di Adriano, che sarebbe pure simpatico non fosse per la sua
abitudine di mettersi sul piedistallo, mentre io e papà mangiamo a testa bassa.
Il pensiero di Gio’ mi tormentava.
Stava lì accompagnato da una miriade di scomode domande e un bel senso di colpa
per il mio atteggiamento.
A livello teorico, in qualità di
“fratello adottivo”, non avrei dovuto comportarmi a quella maniera, avrei
dovuto incassare elegantemente (e non stare lì come uno stoccafisso appeso
all’amo) e dire una frase del tipo Non
importa, sei sempre tu, indipendentemente dalle tue tendenze sessuali.
Ma a livello pratico tanta lucidità
non mi riusciva proprio. Il fatto è che non è più lui, o almeno una buona parte
di lui non è più quella che conoscevo, è qualcosa di diverso, una macchia sulla
pagina, una nota stonata…
A mettere il dito nella piaga ci
aveva pensato mamma -Poi con Giovanni? Tutto a posto?-
Lei adora Gio’, perché lui sì che è
un bravo ragazzo…
Per un istante sono stato tentato
di smontare anche le sue di
convinzioni sul mio amico (quindi in fondo lo considero ancora tale?) e risponderle “Oh sì mamma, tutto a posto, solo
che oggi pomeriggio si è confessato finocchio e che sa di esserlo da più o meno
un anno ma aveva paura di dirmelo perché mi considera uno stupido omofobo…” ma
avevo capito che non era proprio il caso, così avevo annuito e bofonchiato
qualcosa mentre mi versavo la polverina dell’Oki nel bicchiere buttando poi giù
l’acqua al gusto di menta, o di chi sa che altra porcheria.
Però Becca mi aveva intercettato,
doveva aver visto il lieve irrigidimento alla domanda di mamma. Non le sfugge
nulla, ma avevo sperato di essere graziato per il momento viste le mie
condizioni non ero in grado di reggere uno dei suoi leggendari terzi gradi.
Finita la brodaglia insipida che
avevo nel piatto buttato giù un sorso d’acqua e mi ero alzato rumorosamente da
tavola facendo stridere le gambe della sedia sul pavimento. Ero scappato da
quella bella riunione familiare sotto l’occhio invidioso di papà che avrebbe
dato qualsiasi cosa pur di non avere sottomano Adriano e di non poterlo
massacrare.
Mentre le passavo vicino Becca mi
aveva battuto un colpo sul fianco col dorso della mano ad indicare che sarebbe
passata più tardi a tormentarmi con le sue manie da psicologa, io avevo annuito
rassegnato mentre barcollavo verso la mia stanza dove mi ero infilato
definitivamente a letto a fissare il soffitto. Dopo poco era stato come se
avessero acceso un proiettore e il film della giornata era partito sotto i miei
occhi: fotogrammi che si rincorrevano insensatamente l’uno con l’altro, ora una
mano e per audio una frase slegata, Gio’ che disegna un tribale e la Iacovilli
che spiega, il sapore della pizza e il suo sguardo incupito, il fumo che
grattava in gola mentre faceva l’affermazione più importante della nostra
amicizia.
Ma io non volevo vedere nulla, non
volevo rivivere ancora quella giornata, volevo solo che finisse in fretta per
farmi una dormita decente.
Ero quasi stato sopraffatto dal
senso di protezione delle coltri col profumo delle lenzuola fresche di bucato
nel naso quando un’insistente vibrazione era giunta dal comodino a disturbarmi.
Grazie al cielo l’Oki stava facendo effetto e non avevo fatto troppa fatica
nell’allungare il braccio e afferrare con rabbia il telefono. Due messaggi.
Ero andato nel menù e aperto il primo
dei due, che mi aveva mandato poco dopo che ero crollato nel mondo dei sogni.
Dopo averli letti, avevo deciso di
averne avuto abbastanza e rifoggiata la testa sul cuscino mi ero nuovamente
addormentato.
--
-Però… Va bene che c’era qualcosa
di strano in lui ultimamente… ma addirittura un coming-out!- sento lo scatto
dell’accendino e penso che vorrei accendermene una anche io, ma se la virago mi
becca a fumare adesso sono morto.
Sono tre quarti d’ora che faccio il
resoconto di ieri a mia sorella e non sono ancora riuscito a capirci qualcosa.
Finora lei si è limitata ad ascoltare in silenzio senza commentare, ed anche se
non la vedo capisco perfettamente che ha aggrottato le sopracciglia e sta
mordicchiando il filtro tirando e soffiando il fumo nervosamente senza
prestarci troppa attenzione.
Mi passo una mano sulla fronte
umida, sto morendo di caldo sotto le coperte. Le scosto con un movimento quasi
rabbioso.
-Non me l’ha detto… Ha avuto paura.
Paura di me!- insisto, perché è una
delle cose che mi ha ferito di più è stata proprio la sua totale mancanza di
fiducia nei miei confronti
-Lo posso capire- borbotta però
Becca e subito vorrei dirle qualcosa ma mi precede -Ha sbagliato, è vero, ma
proprio perché sei una persona a cui tiene in modo incredibile non voleva
correre il minimo rischio di perderti, anche se è successo comunque… o no?-
chiede
Un attimo di silenzio -Non lo so-
rispondo sedendomi sulla sponda del letto -Non so più nulla in questo momento…-
lei mugugna in tono comprensivo poi sbuffa.
-Cosa dice il messaggio?- si
informa allora, la correggo - I
messaggi, ne ha mandato un altro-
-Va bene. Cosa dicono i messaggi?-
quel tono condiscendente mi sta un po’ innervosendo.
Apro il menù dei messaggi ricevuti
e cerco quei due messaggi che ho letto di sfuggita ieri sera prima di crollare.
Le
leggo il primo: “Leo, lo so che è
difficile da capire: io stesso non volevo ammetterlo all’inizio. Ma non ci
possiamo fare nulla, io non ci posso
fare nulla sono fatto così. Per favore cerca di capirmi…„
Il
tono del secondo è decisamente più tipico di Gio’, meno supplichevole e
assolutamente più deciso: “Non ho la
lebbra, potresti almeno rispondere alle mie telefonate o anche soltanto mandare
un sms…„
Becca
rimane in silenzio qualche secondo -Dovresti rispondergli Leo, o quantomeno
digli che hai bisogno di pensare…-
Sbotto
-Ma che pensare e pensare!- la gola indolenzita protesta per lo sforzo di
strillare -Io non ho nulla su cui pensare… Il mio migliore amico non ha nulla a
che vedere con… questa persona!-
Mia
sorella fa uno dei suoi risolini sarcastici e io mi preparo allo scontro.
Le nostre visioni del mondo tendono
a differire costantemente, io sono il classico italiano medio forse poco più
sveglio ma sempre un po’ borghese e perbenista, Becca al contrario sembra
piovuta dal cielo in questo. Non ho mai conosciuto nessuno con una mente tanto
aperta, per questo può accettare il mio stato d’animo ma non la mia ultima
uscita.
-Non è questa persona Leo. È sempre Giovanni, che vada a letto con le
donne o con gli uomini. È sempre il tuo amico, quello che c’era quando ti sei
rotto la gamba sciando, quando ti sei preso la prima cotta, quando hai dovuto
comprare un preservativo e ti sei ritrovato allucinato davanti allo stand!-
esclama mentre prende sempre più a cuore le difese di questa ‘nuova versione’
di Giovanni.
-Io non…- tutti quei ricordi perché
vorrei tanto che Gio’ fosse rimasto la stessa persona ai miei occhi, ma le cose
sono cambiate. Per quanto vicini, per quanto ci possiamo volere bene fra noi gli
equilibri sono cambiati, le tacite regole del nostro mondo sono state distrutte
e le fondamenta del castello di carte mi sembrano dolorosamente troppo fragili
per poterlo ricostruire da capo.
Da dove vengano quest’amarezza,
questo risentimento, questa rabbia, non saprei spiegarlo.
-Tu non, cosa?- chiede inquisitoria
-Io non ci riesco- esalo -Non ci
riesco a vederlo alla stessa maniera, non… è diverso da quella persona-
-Diverso da chi? Diverso in che
senso?- continua lei senza darmi tregua e sento il mio respiro accelerare,
sento me stesso spinto contro un muro, sostenuto dall’inevitabile caduta solo
da qualcosa di irrazionale e mi sento esplodere, sento il petto gonfiarsi
seguendo il respiro più faticoso, come se una bolla piena di un liquido corrosivo
si gonfiasse nella cassa toracica fino al limite estremo. Fino all’esplosione.
-Diverso nel senso che mi ha
raccontato un sacco di puttanate, che mi ha preso per il culo facendo lo
spaccone e facendomi sentire un imbranato quando lui in realtà… - il cuore
palpita a ritmo folle e la vibrazione si propaga per le vene fino alle tempie,
ma la bolla è scoppiata e devo tirare fuori quel liquido o ne verrò soffocato
-Io… io mi sono sentito sempre in sua soggezione lo vedevo come un grande,
mentre tutte quelle storie… era tutto un bluff, una presa in giro… Tutte quelle
fisime per nulla-
Becca tenta inghiottire i
rimproveri e i tentativi di farmi vedere le cose a suo modo -Leo, non ha senso.
Sei furioso e cerchi giustificazioni, cerchi di crearti un alibi per quello che
pensi-
Scuoto la testa rabbiosamente come
se potesse vedermi -Ciao Becca- la saluto esasperato.
Non voglio ragionare, essere
obiettivo, voglio solo dare retta al caos che mi si agita dentro, alla rabbia
che cresce minuto dopo minuto.
E allora cerco di fare il silenzio
nella mia mente.
Scappare dai problemi è molto più
facile che affrontarli, e io ne ho abbastanza di cose complicate.
Un quieto vibrare, soffocato dalla
coperta mi scuote dalla piacevole apatia in cui ero scivolato per una manciata
di minuti. Guardo il soffitto a occhi sgranati mentre lo stomaco si stringe in
un nodo, non so di chi preferirei fosso il messaggio, ma più che di Giovanni mi
aspetto una replica di Becca, che all’ultima parola non vuole mai rinunciare. E infatti…
“Lo
so che ti senti preso in giro, che vorresti solo che le cose tornassero come
prima senza dover più ragionare su tutto questo. Ma non è la fine del mondo!
Cerca di capirlo e accettare le cose. Un bacio, Becca„
Chiudo gli occhi e deglutisco a
secco. Becca si sbaglia.
Per una volta si sbaglia.
Perché per me è la fine del mondo: del mio
mondo.
Naufragato contro silenzi e
menzogne.
Giovanni non è più la stessa
persona, per quanto crudele possa sembrare. Di lui avevo un immagine che
evidentemente non corrispondeva alla realtà delle cose, ma davvero ho voluto
bene a un ‘fantasma’, un sogno a occhi aperti? O ho solamente chiuso gli occhi
a un certo punto del tragitto ignorando i cambiamenti che si stavano
verificando tra di noi, in noi.
La caccia al colpevole non da
frutti e non so con chi prendermela, se con me con lui o con chissà cosa.
In tutto questo una vocina che ha
una strana affinità con la voce di Becca si chiede se ci sia davvero una colpa o
qualcosa da far scontare, che magari non esistono colpevoli e che è solo la
realtà delle cose, che sono un testone e devo smetterla di comportarmi come un
bigotto troglodita. Ma è così debole questa vocina (è forse la voce della
ragione, e perché accidenti l’ho personificata in Becca che è l’Anticristo
della ragionevolezza?) che viene uccisa, o comunque azzittita, dal turbinio
oscuro di altre voci, di altre domande che non sanno contro chi o contro cosa
indirizzare la loro rabbia, la frustrazione per quel castello di carte che era
così bello e che è stato crudelmente distrutto in una sola frase.
Dapprima è un piccolo sentiero che
si scava silenzioso e indisturbato nel disordine generale, e poi diviene sempre
più grande, il letto del fiume. Tutta la rabbia, la frustrazione si adagiano su
questo canale e il filo di pensieri è sempre più chiaro fino a che rimane un
solo pensiero:
Se
LUI fosse stato zitto ora non starei qui a rimuginare, ma col mio amico!
La sottile vocina riemerge e cerca
di urlare che la causa di quella rabbia è proprio il silenzio in cui si era
chiuso, l’assenza di parole e spiegazioni. Che quel bel castello non era
affatto splendido e accogliente ma basato su una mutua accettazione della mia
inferiorità. La sorgente di tutta la mia frustrazione.
Che magari anche lui doveva pensare
e capire come difendersi da certi idioti, fra i quali ci sono anche io…
Tale è il fastidio che reca la
ragione al mio orgoglio (sia mai che io possa essere un idiota dalla mentalità
ristretta o che possa avere un complesso di inferiorità nei confronti di
qualcuno!) che la ammutolisco, preferendo lo strano sollievo che mi da
incanalare tutta la rabbia contro un’unica persona.
E la mia mente sgombra carica sulle
spalle di colui che ho considerato fratello il fardello di tutte le colpe
decretando che il nostro mondo idilliaco è stato distrutto senza pietà da lui.
Ma così facendo, sussurra la
ragione dall’angolo in cui l’ho relegata, sono io e nessun altro che distrugge
quel mondo, che in fondo era tutt’altro che idilliaco.
E allora, tanto per cambiare, la
tacito una volta di più.