Algea

di De33y
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Teaser ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Bonus ***



Capitolo 1
*** Teaser ***


Disclaimer: Non possiedo i diritti di Supernatural né dei personaggi riconoscibili presenti in questa storia. L'idea originale è merito di Eric Kripke ed i diritti, al meglio delle mie conoscenze, appartengono allo studio CW. Questa storia è scritta per puro divertimento e non ha scopi di lucro.
Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie.
N.d.A.: Ho seguito Supernatural in inglese, qualche dialogo potrebbe non suonare fedele alla versione italiana, sto provando a fare un po' di ricerca in proposito. Se qualcuno lo ha visto in italiano e vuole dare una mano ne sarei grata. Per chi sa l'inglese, sto pubblicando la storia in parallelo anche su fanfic.net https://www.fanfiction.net/s/14261138/1/Algea
Questo è una sorta di Teaser. 
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Sam si svegliò al rumore di qualcosa che si schiantava sul pavimento accanto a lui. Anni di esperienza lo resero immediatamente vigile. Accese la luce con una mano, mentre con l’altra afferrava il coltello sotto il cuscino.
Dean dall’altro lato si svegliò ancora un po’ stordito quando la luce invase la stanza, ma brandendo un coltello a sua volta. Aveva il respiro affannato ed era aggrovigliato nelle coperte. Il braccio che spuntava aveva un livido di un rosso acceso.
“Un altro incubo?” chiese Sam. Dean guardò al macello sul pavimento, realizzando che doveva aver urtato la lampada sul comodino del motel, che cadendo si era trascinata dietro la sveglia. Massaggiò il punto dolente sul braccio e con un po’ di vergogna confermò quello che gli indizi suggerivano.
“Sì, scusa per averti svegliato”
“Di nuovo l’inferno?”
“Sì.” Dean ammise, suonando più assonnato che infastidito dalla domanda.
“Quale parte?”
“La peggiore” Disse rigirandosi nel letto e rimettendosi a dormire. Sam lo fissò ancora per qualche momento, desiderando di sapere come aiutarlo. Quando Dean era appena tornato aveva incubi ogni notte, adesso la situazione stava migliorando, ma continuavano ad essere più frequenti di quanto gli piacesse. Erano una delle ragioni che lo spingevano a lavorare con Ruby. Le tre domande erano diventate parte di una routine, un modo per Sam per restare informato, senza che Dean si dovesse aprire troppo. C’era voluta una settimana di discussioni continue per arrivare a quel compromesso. Con il tempo, Sam aveva imparato che “la peggiore” era dopo che Dean era passato da vittima a carnefice. Dean non aveva ancora fatto pace con se stesso in proposito, e conoscendolo, Sam non era sicuro se suo fratello ne sarebbe mai stato capace.
 Sam spense la luce e tornò lui stesso a dormire.

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Disclaimer: Non possiedo i diritti di Supernatural né dei personaggi riconoscibili presenti in questa storia. L'idea originale è merito di Eric Kripke ed i diritti, al meglio delle mie conoscenze, appartengono allo studio CW. Questa storia è scritta per puro divertimento e non ha scopi di lucro.
Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie.


UN PAIO DI GIORNI DOPO

"Sei sicuro che questo sia il posto dove è scomparso Matt?" Dean chiese guardando il bosco che si infittiva.
"Questo è quello che ha detto la madre. Stava giocando al limite del giardino, ma quando lo ha chiamato per cena non ha risposto e si è allarmata." Sam recitò le informazioni raccolte durante il giorno, mentre scrutava il terreno e gli alberi alla ricerca di qualche traccia.
"Quale razza di genitore decente lascerebbe giocare un bambino nel bosco al crepuscolo?" Dean si abbassò a controllare un mucchietto di foglie smosse di recente e perse interesse pochi istanti dopo realizzando che non aggiungevano molto alla storia.
"Davvero lo chiedi? Come se noi non l'avessimo mai fatto." Sam si abbassò per passare sotto ad un ramo mentre si inoltrava ancora di più nel bosco.
"Non eravamo esattamente bambini normali, quanto ha Matt? Undici anni? A quell'età se non ti facevo da baby-sitter, cacciavo." Dean si allargò verso sinistra, espandendo di un paio di metri la loro area di ricerca. Il terreno era pieno di impronte. Ci fu un momento di silenzio, in cui Dean percepì l'esitazione del fratello. Dannazione, l'aveva fatto di nuovo, quando avrebbe imparato che Sammy era sensibile sull'argomento?
"Non era quello che volevo dire, non mi dispiaceva tenerti d'occhio."
"Lo so, è solo che...papà. Non avresti dovuto....lo sai. Mi dispiace Dean."
"Non hai niente di cui scusarti." Ribadì brusco. Avranno avuto quella conversazione almeno un migliaio di volte. Sam sentiva di essere stato un peso sull'infanzia di Dean. Non importava quante volte Dean avesse cercato di convincerlo del contrario, non riusciva a togliergli quell'idea dalla testa. Lasciò cadere l'argomento. E tornò a fare domande sul caso.
"Hanno già setacciato il bosco?" Domandò, mentre ispezionava l'ennesimo rametto spezzato sul terreno.
"Sì, il padre ha chiesto aiuto alla sua squadra di baseball, che a loro volta hanno coinvolto le famiglie. La polizia locale è stata chiamata in causa. Hanno controllato il bosco e l'area circostante nell'ultimo paio di giorni. Hanno trovato tracce di Matt all'ingresso del bosco e poi niente per almeno un raggio di venti chilometri. Proprio come con gli altri due bambini."
"Non sembra molto su cui basarci. C'è altro?" Dean prese il lettore EMF dalla tasca e lo accese. C'era un segnale debole che era probabilmente dovuto alle linee dell'alta tensione poco lontane.
"Non saprei. Stando alla madre, Matt era triste prima di scomparire."
"Era ‘altro di rilevante’. O vuoi chiamare Azkaban per sentire se gli manca un dissennatore?"
"Perché non ci provi tu allora? E già che ci sei, dimmi anche cosa hanno in comune i bambini ad eccezione di essere, beh, bambini. Non si conoscevano, le loro famiglie avevano vite talmente diverse che non si sarebbero mai incontrate, facevano sport diversi, scuole diverse, dannazione Dean, Fran neanche ci stava andando a scuola da quando si era rotta il braccio due mesi fa."
"Ehi calma, ho capito. Diamo un'occhiata in giro, e se non troviamo niente ritorniamo sui nostri passi e ricominciamo da capo."  Dean stava provando a seguire il segnale dell'EMF. Come previsto lo strumento impazzì, appena si voltò verso le linee dell'alta tensione. Ma ad ogni modo tenne gli occhi inchiodati al quadrante, sperando in qualche altra traccia. "Potremmo eserci persi qualcosa. Sam, ci sei ancora?" Dean chiese quando si accorse di non sentire i passi del fratello. Nessuna risposta. Si voltò in allerta. Frugò con gli occhi lo spazio tra gli alberi che stava diventando sempre più cupo con il calare del sole. Sam non c'era. Da quanto tempo i passi di Sam si erano fermati?
"Sam! Sam!" chiamò mentre i battiti del suo cuore già acceleravano. Si girò franticamente cercando di abbracciare con lo sguardo quello che poteva.
"Sammy!" Chiamò di nuovo.
Non ebbe il tempo di realizzare che l'EMF stava impazzendo indipendentemente dalla direzione in cui lo puntava. Sentì un colpo alla nuca e poi più niente.

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Disclaimer: Non possiedo i diritti di Supernatural né dei personaggi riconoscibili presenti in questa storia. L'idea originale è merito di Eric Kripke ed i diritti, al meglio delle mie conoscenze, appartengono allo studio CW. Questa storia è scritta per puro divertimento e non ha scopi di lucro.
Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie.
N.d.A.: So che i capitoli precedenti erano corti, ma quello sembrava il punto giusto dove chiuderli. Qui qualcosa di un po’ più corposo.


Dean riprese conoscenza quando qualcosa lo scosse per la spalla non troppo delicatamente. Aprì gli occhi e c’erano due grandi occhi verdi che lo fissavano. La faccia era vagamente familiare. Si issò sui gomiti cercando di capire dove fosse. Come si mosse, sentì uno scalpiccio di passi leggeri andargli incontro. Adesso tutti e tre i bambini scomparsi lo stavano fissando con curiosità, la buona notizia era che erano ancora tutti e tre vivi.
Un gemito familiare alla sua destra reclamò l’attenzione di tutti. I bambini corsero incontro alla nuova figura che si stava svegliando incuriositi, proprio come avevano fatto con Dean. I due adulti si scambiarono un breve cenno del capo per dirsi che stavano bene e Sam portò l’attenzione sui bambini per fare loro la stessa domanda.
“State bene?”
 Un’ombra di incertezza sembrò attraversare il gruppo dei bambini, ma con un po’ di esitazione annuirono uno dopo l’altro.
Sam si presentò e presentò loro Dean, poi chiese ai bambini i loro nomi. La bambina che stava fissando Dean con tanta curiosità quando si era svegliato, adesso di colpo era troppo timida per parlare. Alla domanda si nascose dietro al bambino più grande che prese la parola.
“Sono Matt, questa è Fran e lui è Johnny.”
“Piacere di conoscervi. Dean e io siamo qua per aiutarvi e riportarvi dalla vostre famiglie. Andrà tutto bene.” Sam disse nella sua voce più calma, e i suoi occhi da cucciolo. Quel trucco funzionava a meraviglia sugli adulti. Dean aveva provato a imitare il modo di parlare del fratello, il linguaggio, il tono, le pause, ma non era mai riuscito ad avere lo stesso effetto. Ma i bambini ne erano immuni.
“È normale che abbiate paura. Scommetto che c’è qualche mostro in agguato da queste parti. Siete fortunati perché noi siamo cacciatori di mostri, e vi prometto che tornerete a casa.” Incalzò Dean, sfoderando il suo tono da fratello maggiore.
“Davvero? Come pensate di uscire da qui?” chiese Matt.
Dean guardò in direzione di Sam per chiedergli aiuto e tutti e due si guardarono sommariamente intorno. Il pavimento era di solida pietra, tre muri erano in cemento e sul quarto lato della stanza sbarre di metallo si affacciavano su un pannello di legno, che impediva di vedere al di là delle pareti della cella.
“Su quello ci stiamo ancora lavorando.” Dean ammise.
“Se vi hanno catturato vuol dire che Lupe a Ania sono più brave di voi?” Johnny chiese.
 
La conversazione fu interrotta da due voci eccitate che arrivavano dall’altro del pannello in legno e sembrarono avvicinarsi. I bambini corsero nell’angolo più lontano della cella. Dean e Sam invece si alzarono in silenzio avvicinandosi e restando in allerta.
“Cos’è questo profumino?” La pima voce femminile con una voce melodiosa.
“Li ho trovati!” cinguettò un’altra donna.
“Non ci credo.”
“Ti dico che sono loro questa volta. Forza, forza,  usa il tuo naso se non mi credi.” La sfidò la seconda. Dean lanciò uno sguardo confuso in direzione di Sam, che lo guardò altrettanto perplesso e scosse il capo. I mostri di solito non erano gourmet, ma finché parlavano di pranzo erano al sicuro.
“Devo ammettere che c’è un certo je-ne-sais-quoi che è inebriante.”
“Il meglio che la Terra ha da offrire. Stagionato all’Inferno, mia cara.” La tensione tra Sam e Dean aumentò notevolmente al riferimento all’inferno. Forse non era il pasto che Dean aveva in mente.
“E la consistenza del legame,- disse sospirando -oh credimi, mi ci è voluta tutta a riportarli qua senza rovinarmi l’appetito con qualche assaggio.” Continuò la stessa voce particolarmente acuta ed entusiasta.
“Okay, riconosco che sono molto più promettenti dell’ultimo paio. Quelli neanche erano fratelli.” Sam sillabò un ‘noi’ in direzione di Dean, che in risposta scrollò le spalle sconsolato. Sembrava sempre più probabile. Merda. Non erano pezzi di torta.
“Sì, va bene, l’ultima volta mi ero sbagliata. Quanto a lungo pensi di continuare a rinfacciarmelo?” Ormai dovevano essere dall’altro lato del pannello.
“Sei sicura di non essere finita in un’altra convention di Supernatural?”
Dean si fece improvvisamente serio, arcangeli o meno voleva strangolare Chuck. Se c’era una cosa peggio, dell’essere catturati dai mostri, era essere catturati da mostri che avevano avuto accesso a tutta la loro storia e i loro pensieri. Guardò brevemente i bambini e poi Sam, non aveva idea di come sarebbero usciti da questa situazione.
“Sono loro. Guarda da sola.”
Il pannello di legno scivolò di lato con facilità e due donne sulla trentina apparirono dall’altro lato. Si assomigliavano vagamente con profili snelli e lineamenti del viso marcati. Una bionda con occhi viola scuro, l’altra rossa con gli occhi grigi.
“Oddio” la voce melodiosa e cantilenante apparteneva a Occhi Viola.
“Te l’avevo detto!” tornò a strillare Occhi grigi, la sua voce sembrava ancora più acuta da vicino al punto che faceva male alle orecchie.
“I fratelli Winchesters.” C’era una certa soddisfazione nel modo in cui lo disse.
Il loro nome detto faccia a faccia era solo la conferma di una serie di indizi iniziata molto prima, ma sembrò far affondare un peso nello stomaco di Dean non di meno. Se c’era qualcosa come un pessimo inizio, quello decisamente si qualificava.
“Oddio scusate, sono così eccitata che siete qua, che ho dimenticato le mie buone maniere. Io sono Lupe.”
“E io sono Ania.” Occhi Viola, o meglio Ania, si affrettò ad introdursi nella conversazione.
Sam provò a piazzare i nomi che suonavano vagamente familiari, ma non riusciva a ricordare dove li aveva sentiti.
“Immagino non ci sia bisogno che ci presentiamo.” Sam disse a metà tra una domanda e un’affermazione.
“Abbiamo sentito parlare mooolto di voi” Ania disse schioccando le labbra.
“Non dovreste credere a tutto quello che sentite.” Dean rispose, cercando di suonare affascinante.
“E sembrano così forti.” Lupe commentò leccandosi le labbra famelica e ignorando Dean. “Credo che ci soddisferanno per molto molto tempo.”
Il pannello di legno scivolò di nuovo al suo posto con altrettanta facilità, lasciando solo un piccolo margine. Dean spinse la mano tra le sbarre e cercò di aprire di nuovo il pannello di legno, per cercare possibili vie di fuga. Dopo un paio di tentative falliti ad aprire il pannello, Sam si aggiunse a dargli una mano. Insieme e non con poco sforzo riuscirono a muovere il pannello di pochi centimetri, ma era così pensante che non riuscirono a fare di meglio.
Lasciando perdere tornarono ad occuparsi dei bambini. Almeno li avevano trovati.
 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Disclaimer: Non possiedo i diritti di Supernatural né dei personaggi riconoscibili presenti in questa storia. L'idea originale è merito di Eric Kripke ed i diritti, al meglio delle mie conoscenze, appartengono allo studio CW. Questa storia è scritta per puro divertimento e non ha scopi di lucro.
Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie.
N.d.A.: Mi scuso per il ritardo. Qua iniziamo a conoscere un po’ meglio le sorelle. Spero che vi piaccia e che questo capitolo non vi suoni troppo debole. Chiedo scusa in anticipo anche per come finisce il capitolo…
 
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“Non mi piacciono le sorelle” Piagnucolò Fran, teneva ancora il braccio vicino al corpo probabilmente un abitudine che non era ancora riuscita a perdere da quando si era slogata il polso. Quel gesto così protettivo le dava un’aria ancora più fragile di quanto già non fosse data la sua età.
“Loro non ci sono ora, ma noi sì okay? Non lasceremo che ti facciano niente, che facciano niente a nessuno di voi.” Dean era in ginocchio accanto a lei e la stava fissando negli occhi. Quando Fran sembrò calmarsi passò velocemente in rassegna anche gli altri due bambini. E poi tornò a parlare con Fran, cercando di tenerla impegnata.
“Ci sono solo loro due? Ania e Lupe?”
“C’è anche Ashosh.”
“Achos.” La corresse Matt.
“Giusto Achos, ma non c’è quasi mai e non è mai quando ci fanno m…si nutrono.” Cambiò la frase all’ultimo secondo dopo che Matt l’aveva calciata su una scarpa in gesto di avvertimento. Poi smise di parlare come spaventata. Matt le dette un cenno di assenso. Dean decise di allontanarsi un attimo e lasciare spazio a i bambini finché la situazione non si fosse rilassata. Matt era stato l’ultimo ad essere stato rapito, eppure sembrava già essersi posto come punto di riferimento.
“Lupe, Ania, Achos…” Sam ripeté quei nomi tra sé, cercando di ricordare dove li avesse già sentiti.
“Non mi interessa come si chiamano. Se scopro che hanno alzato anche solo un dito sui bambini avranno una morte lenta e dolorosa.”
“Dolore giusto! Ce l’ho.” Sam esclamò d’un colpo.
“Di che si tratta?” lo incalzò Dean.
“Lupe, Achos, e Ania sono le tre Algea. Secondo la mitologia greca, erano le divinità di dolore, lutto e pena.
“Pena? Chi Campanellino?”
“Sì, ne sono abbastanza sicuro.”
“Abbastanza? I bambini sono spaventati a morte, abbiamo bisogno di qualcosa di meglio.”
“Ok, sono sicuro.”
“Ok, ammettiamo che siano loro. Come facciamo fuori queste alghe?”
“Algea, Dean. Algea, non alghe. Paletto di legno nel cuore?”
“Ha funzionato in passato. Ammesso che un cuore ce l’abbiano.”
 
***
 
Sam stava giocando con Fran e Johnny quando sentirono dei passi avvicinarsi al pannello in legno. Matt era in un angolo con l’aria di volersene rimanere per i fatti suoi. Il gioco si interruppe all’istante.  Quando Lupe aprì il pannello con la solita facilità i bambini si schiacciarono contro il muro e Sam prese posizione di fronte a loro.
“È l’ora della pappa.” Chiamò Lupe. Piegò il collo per vedere intorno alla mole di Sam e guardò dritto in direzione di Johnny.
“Hei tu. Tu piccolino, vieni qua.”
Johnny afferrò la gamba di Sam e non si mosse.
“Se hai sentito parlare di noi quanto dici, pensi davvero che ti lasciamo mangiare un bambino?” Dean chiese muovendosi in direzione della dea. Cercò di rimanere tra lei e Matt, ma tenendo d’occhio anche la posizione di Sam.
“Mangiare il bambino? Che idea assurda.” Rispose lei.
“Scusa per il malinteso, ma hai appena detto che …”
“Mi nutro di dolore, non di umani. Ho solo bisogno che soffra, solo per un pochino, sai procurargli un paio di lividi, magari dargli una ripassata con il bastone o la frusta.” Sam stava avendo il voltastomaco all’idea, sperò solo che Dean non facesse qualcosa di avventato in risposta. Lupe se ne dovette essere accorta perché sembrò cercare di giustificarsi. “ Non vi preoccupate, niente di permanente, i bambini guariscono facilmente.”
“Ho capito bene? Vuoi torturare quel bambino?” Dean chiese puntando il dito verso Johnny. Sam sapeva che si stava trattenendosi a stento dal metterle le mani al collo o qualcosa del genere, lo vedeva dalla tensione del corpo e dalla piega dura della sua mascella. Sarebbe stato del tutto inutile. Lo sapeva anche Dean, ma spesso questo non era un motivo sufficiente per Dean per trattenersi.
“L’hai già preso ieri…” tutti si voltarono verso Fran che si nascose dietro Sam, la bambina afferrò l’altra gamba di Sam, conficcandogli le dita nella carne.
“Esatto, è proprio quello che cercavo di dire Fran, grazie.-Lupe continuò con un enorme sorriso stampato in faccia.- Vedete che l’ho riportato sano e salvo…più o meno.” Dean scrutò in direzione di Johnny, cercando di capire se quel bambino così piccolo e taciturno poteva veramente essere stato vittima di una cosa tanto orribile solo il giorno prima. E quale genere di ferite potesse star nascondendo. Il modo in cui tremavano e si afferravano a Sam era una risposta sufficiente per farlo andare su tutte le furie.
“Scordatelo.” Sam disse a denti stretti.
“Il bambino viene con me, ora.” Ordinò Lupe in risposta. Sam non si mosse e allungò le braccia a proteggere quanto più possibile Fran e Johnny.
“Oppure?” Dean chiese facendo un altro passo avanti e trovandosi faccia a faccia con Lupe. A quella distanza riusciva a coprire sia Matt, sia Sam e i bambini.
“Oppure questo bocconcino.” Lupe agitò leggermente la mano e Dean volò contro la parete dal lato opposto della cella, sbattendo violentemente contro il muro.
“Oh sì.” Gemette Lupe. Dean cercò a fatica di rialzarsi sotto lo sguardo inquisitorio di Sam. Annuì leggermente con la testa per confermare al fratello che era ancora tutto intero. Sapeva che doveva tornare almeno in posizione di proteggere Matt.
“Ania è così fissata con i bambini che avevo quasi dimenticato quanto fossero saporiti gli adulti.” Continuò Lupe riportando l’attenzione su di sé.
“È da un po’ che non mi concedo uno sfizio. Ho una proposta, solo per oggi, nessuno alzerà un dito sul bambino, ma Sam prende il suo posto.”
“Non esiste.” Gridò Dean. Incespicando verso le sbarre.
“Aggiudicato!” Esclamò Sam quasi nello stesso momento.  Dean si bloccò di colpo.
“Sammy, che diavolo stai facendo?”
“Ania credo che questo non te lo vuoi perdere” Lupe chiamò la sorella.
“Cosa sto facendo? Cosa stai facendo tu piuttosto. Se vuole far del male a qualcuno. Tra me e un bambino sembra una scelta abbastanza semplice.”
“E che mi dici della parte dove negoziamo e nessuno si fa torturare?”
Ania arrivò ridacchiando.
Sam inghiottì e guardò fuori dalla cella alle due divinità.
“Non credo che funzioni nella situazione attuale.” Disse ripensando a come erano stati messi entrambe fuorigioco nel bosco senza neanche una possibilità e a come Dean fosse stato scaraventato solo pochi secondi prima.         
“Siete così appetitosi.” Ania commentò.
“Dai retta a tuo fratello, Dean. Ha ragione la gente, lui è sveglio.” Lupe lo prese in giro.
I primi sentori di disagio attaccarono Dean all’idea di non essere in grado di proteggere suo fratello, le memorie dell’inferno lo aggredirono più violente del solito. Orrori che Sammy non avrebbe mai dovuto scoprire, tanto meno sperimentare. Cambiò tattica.
“E tu? Mi sento tradito, pensavo avessi detto che ero delizioso.” Dean provò dando a Lupe il tono ed il sorriso che usava per rimorchiare le ragazze nei bar e guadagnandosi un “Seriamente?” da Sam.
“E lo sei bocconcino-Lupe rispose con lo steso tono voluttuoso- infatti, tu ti lascio per il dolce.” Chiuse la frase con un sorriso.
“Dai Lupe. Lasciagli avere la sua parte.” Ania si intromise “Gli possiamo dare una bella lama sbrilluccicante e lo mettiamo dall’altro lato.” Gli occhi le brillavano di emozione al solo pensiero.
“Per caso avete un paletto di legno?” chiese Dean, mantenendo lo stesso tono anche se aveva la pelle d’oca.
“Bel tentativo. Ho in mente un paio di modi interessanti in cui usarlo” Lupe rispose altrettanto seduttiva.
“Lupe, dovresti sentire cosa sta venendo fuori da questi due adesso. Erano anni che non assaggiavo niente del genere.” Ania disse. Ania era pena. Sam pensava di sapere esattamente a cosa si stava riferendo, ma anche sapendolo non poté fare a meno di preoccuparsi per Dean e per i bambini
Lupe invece sembrava più incline concludere quella conversazione che a giocare. “Quindi abbiamo deciso tuo fratello per me. Che ne dici, e tu che fai il lavoro, così mia sorella è contenta?” Lupe ripeté i termini dell’accordo
“No. Scordatelo. Non esiste.” Sam vide Dean fare un passo indietro ed impietrirsi.
“Ma come nessuna questione da risolvere tra di voi? È un peccato. Pazienza, penso che un bersaglio così grande sia un ottima occasione per far iniziare ai bambini a far un po’ di pratica con la frusta.” Rispose Ania.
“Cosa hai detto?” Dean chiese con un nodo in gola. Lupe continuò. Sam trattenne il fiato.
Lupe iniziò a parlare, ma Ania le fece segno di aspettare e inspirò a fondo. Sembrava estasiata.
“Figlia di puttana, non hai diritto di..”
“Oh dolcezza, non hai idea.” Ania gli rispose ancora sognante.
“Lupe, ho fame anch’io se permetti.” Le si rigirò Ania. “Però hai ragione, sembra divertente.” Mi sta venendo a noia di dover fare sempre tutto da sola. Sai è un po’ come per voi umani cucinare un pasto. A volte vuoi andare a una tavola calda e mangiare qualcosa, senza dover lavorare per quello.”
Dean e Sam erano senza parole a quel punto.
“Non possiamo dargli la possibilità di ripensarci?” Ania chiese con una punta di delusione.
“Okay.” Lupe sospirò esasperata “Dobbiamo comunque preparare diversamente per un adulto.” Poi si rivolse di nuovo a Dean. “ Fammi un favore bocconcino. Scegli uno dei bambini per me.” Gli fece l’occhiolino e sparì chiudendo il pannello.
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Disclaimer: Non possiedo i diritti di Supernatural né dei personaggi riconoscibili presenti in questa storia. L'idea originale è merito di Eric Kripke ed i diritti, al meglio delle mie conoscenze, appartengono allo studio CW. Questa storia è scritta per puro divertimento e non ha scopi di lucro.
Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie.
N.d.A.: Capitolo un po’ povero di azione, ma spero intenso di emozioni.
                                                                                   ***
“Non ti voglio far male” piagnucolò Johnny, “neanch’io” si aggiunse Fran singhiozzando ed entrambi si aggrapparono a Sam come se non lo volessero più lasciare andare. Sam aveva scritto in faccia “Dobbiamo parlare” ma non aveva idea di come liberarsi dai bambini e Dean decise di ignorarlo per il momento. Era ancora arrabbiato per quel colpo di testa, Sam non poteva fargli una cosa del genere.
Matt era in un angolo, cercando di sembrare spavaldo. Dean si rivide ragazzino. Era la stessa aria di quando stava per fare qualcosa che odiava o che lo spaventava, pensando di tenere Sam al sicuro. Gli bastava vedere il modo in cui Matt guardava in direzione di Fran e Johnny, per sapere che Matt si sarebbe offerto volontario, per proteggerli. Dean chiuse gli occhi, cercando di chiudere fuori anche i lamenti di Johnny e di Fran. Quando li riaprì si avvicinò a Matt e si appoggiò al muro accanto a lui. Sapeva che il bambino aveva solo undici anni, ma in quel momento con quell’espressione sembrava cresciuto troppo in fretta proprio come aveva fatto lui.
“Ti hanno mai fatto del male le sorelle?”
Matt non guardò in direzione di Dean, ma alzò un lembo della maglietta rivelando dei lividi violacei che arrivavano fino alle costole e scomparivano sotto il resto del tessuto. Le sorelle avrebbero pagato caro. Mise da parte la sua rabbia finché non fosse stato in presenza di chi la meritava.
“E hai mai fatto qualcosa… del genere?” Dean chiese come se non volesse pronunciare le parole ad alta voce di fronte ad un bambino. E forse non voleva davvero pronunciarle perché aveva paura della risposta.
La spavalderia di Matt sparì per un secondo, non era vergogna, soltanto paura. E Dean capì. Matt non era come era lui. Matt conservava ancora un’innocenza che Dean alla sua età aveva perso da tempo. Non c’era neanche bisogno che rispondesse.
“No, ma…”
“Bene, continua così.” Dean lo interruppe arruffandogli i capelli.
Matt per la prima volta girò lo sguardo verso Dean sorpreso, senza credere a quello che aveva appena sentito.
“Facciamo così, tu ti prendi cura di Fran e Johnny, okay? Io e mio fratello sappiamo badare a noi stessi.”
Matt saltò su e corse verso gli altri due bambini eccitato, gettando qualche occhiata di gratitudine verso Dean. Prese i due bambini più piccoli per mano e li allontanò da Sam.
Sam si affrettò a raggiungere Dean. Anche senza aver seguito quello che Dean e Matt si erano detti il comportamento del bambino era chiaro come il sole. Sam ritirò le labbra come faceva spesso quando stava soppesando le parole da dire. Ma fu Dean a parlare per primo e a sorprendere Sam.
“So che sono il primo a dirti di non usare i tuoi poteri, ma…”
“Ho già provato, niente. Sono dee o semidee o qualcosa del genere, il grosso del mio potere funziona solo sui demoni. Ho anche provato la porta, ma…”
“Non posso Sammy. Mi dispiace, non ce la faccio, non a te. Non ora, non dopo…tutto. Ma quale scelta ho qui? Lasciare che sia uno dei bambini a giocare all’aguzzino? Sarebbero segnati a vita.” Sam non aveva visto Dean così spaventato da quando aveva i cerberi alle calcagna e forse neanche in quell’occasione. Gli poggiò le mani sulle spalle per tenerlo ancorato alla realtà.
“Lo so Dean. L’hai detto da solo, non c’è altra scelta. Non abbiamo altra scelta.” Appoggiò la sua fronte contro quella del fratello.
“Pensala così, quante volte uno di noi è stato posseduto ed ha attaccato l’altro?”
“No, non capisci. Sarò in controllo delle mie azioni.” Dean si allontanò di scatto.
“No Dean, saranno loro in controllo. Ma se ti fa sentire meglio, quante volte da un litigio abbiamo sfociato in una scazzottata?”
“Vorresti dirmi che la tortura a sangue freddo è uguale a una scazzottata? Hai idea di quel che vuol dire?” Sam si pentì immediatamente di quello che aveva detto. La verità era che non c’era un’ottica migliore in cui metterla. Quella era la versione peggiorata dell’incubo che tormentava Dean.
“Aiuterebbe?” Provò a chiedere ad ogni modo per sdrammatizzare, senza sapere cos’altro fare.
Dean guardò in direzione dei bambini e poi tornò a guardare Sam, il momento delle confessioni era finito.
“Lascia perdere. Dovremmo preoccuparci di te che stai per essere torturato, non di me.”
“Dean.”
Come se fosse stata in agguato, Ania fece scorrere il pannello di legno. Lasciando entrare un leggero odore di carbone bruciato.
“Quindi vuoi fare il difficile?”
“No” Sam guardò in direzione di Dean un’ultima volta mentre andava verso le sbarre, gli fece un leggere cenno con la testa per dargli coraggio, per dirgli che qualsiasi cosa fosse costretto a fare sarebbe stato tutto okay, per dirgli che lo perdonava. Poi con la coda dell’occhio controllò che i bambini fossero lontani e non si movessero. Dean seguì il suo sguardo e l’obiezione che stava per fare gli morì in gola.
Lupe raggiunse Ania, pronta in caso qualcuno avesse fatto una mossa falsa. Ma Sam uscì pacificamente dalla cella appena Ania aprì le sbarre.
Appena Sam fu fuori Ania lo afferrò per un braccio e Lupe chiuse le sbarre. Poi fissò Dean.
“Allora bocconcino, chi sarà il fortunato?” chiese riferendosi al punto rimasto aperto su chi avrebbe dovuto torturare Sam.
Anche se tutti sapevano la risposta, la tensione era palpabile. Dean esitò.
“È l’ora di scegliere…”
“Io” rispose Dean a denti stretti.
“Come non ho sentito?” Lo provocò Ania, la Dea sembrava completamente distratta il dolore di Dean le stava dando alla testa. Sam ne approfittò per cercare di divincolarsi, ma Ania fu rapida a recuperare la presa sul suo braccio e a rispondere con un pugno nello stomaco che lasciò Sam piegato in due.
“Figlia di puttana lascialo stare.”
Di tutta risposta Ania mugulò di piacere.
“Chi?” Chiese sperando di rincarare la dose.
“Io, okay. Io. Ma se lo sfiori di nuovo ti ammazzo. E stai alla larga dai bambini.”
Ania e Lupe sembrarono soddisfatte e condussero Sam lontano dalla cella, senza preoccuparsi di richiudere il pannello di legno. O forse lo avevano fatto di proposito, lasciando che Dean vedesse la stanza, ma che soprattutto vedesse Sam.
Era la quiete prima della tempesta, Dean lo sapeva. Era la migliore occasione che avesse per escogitare un piano di fuga, per trovare un’uscita, o almeno un indizio su dove erano tenuti prigionieri. Ma la sua attenzione continuava ad andare su Sam. I bambini si erano avvicinati alle sbarre e anche loro stavano fissando Sam. Johnny stava singhiozzando piano con Fran che cercava di consolarlo, ma sembrava altrettanto vicina alle lacrime.  Matt stava dicendo qualcosa, forse un grazie o un mi dispiace, ma Dean non riusciva ad ascoltarlo. Lo spazio circostante non rivelava granché, pareti di cemento bianco ovunque e una porta di legno standard che poteva condurre su una strada o su delle scale. Non c’erano rumori particolari che indicassero una cosa o l’altra e se c’erano erano coperti dal ronzio del panico nelle sue orecchie.
Il suo treno di pensieri fu interrotto da Ania, che in qualche momento non ben precisato si era avvicinata di nuovo alle sbarre. Probabilmente nello stesso momento i bambini si erano ritirati. Dean si rimproverò di essersi assentato così tanto dalla realtà.
“Grazie per l’antipasto-disse in tono cospiratorio-gli ultimi dieci minuti sono stati….wow. Lupe ha ragione, sei davvero così delizioso. L’inferno ti ha marinato a dovere.”
Dean si morse la lingua per sopprimere qualsiasi commento la sua mente gli suggeriva. Ania e il  modo in cui la dea si cibava dei suoi sentimenti e della sua disperazione lo faceva sentire violato. Ma non lo avrebbe mai ammesso.

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Disclaimer: Non possiedo i diritti di Supernatural né dei personaggi riconoscibili presenti in questa storia. L'idea originale è merito di Eric Kripke ed i diritti, al meglio delle mie conoscenze, appartengono allo studio CW. Questa storia è scritta per puro divertimento e non ha scopi di lucro.
Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3 e alcuni elementi dalla stagione 4.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie.
N.d.A.: Chiedo scusa per il ritardo, nelle ultime settimane ho fatto un trasloco internazionale che mi ha drenato di energie e di tempo. Ancora fatico ad aggiustarmi e a trovare i miei tempi per la scrittura, ma volevo mettere almeno un capitoletto.
 ***

Dean guardò attraverso le sbarre mentre Lupe faceva spogliare Sam. Le mani della dea indugiarono un po’ troppo a lungo sulle spalle di suo fratello e Dean si ritrovò a domandarsi che genere di appetiti avessero veramente le sorelle. Doveva ammettere che in circostanze diverse le avrebbe potute trovare attraenti, nonostante all’aspetto fossero un po’ più grandi di lui.
Quando Sam fu rimasto in boxer, Lupe gli mise delle manette attorno ai polsi e poi gli spinse le braccia verso un uncino di metallo che pendeva dal soffitto, appendendolo come un macellaio appenderebbe un pezzo di carne. Anche da quella distanza vide lo sforzo sulla faccia del fratello quando il peso ricadde interamente sui polsi e sulle spalle, prima che ritrovasse l’equilibrio in punta di piedi. Era sufficiente a fargli voler uccidere le sorelle.

Almeno Sam non era sul tavolo di Alastair.
 Almeno l’uncino passava attraverso gli anelli tra le manette e non attraverso la carne.

Dean cercò inutilmente di rassicurarsi. Con la coda dell’occhio vide Ania fare l’occhiolino a Lupe. La stronza si stava di nuovo cibando delle sue emozioni. L’idea lo pervase di un senso di vulnerabilità che lo faceva sentire ancora peggio.
Si concentrò sui bambini. Sarebbero stati al sicuro. A scapito di quanto avevano passato in quei giorni erano ancora sufficientemente innocenti da fidarsi che Sam e lui li avrebbero protetti.

Perché li avrebbe protetti, giusto?

Dopo pochi minuti Ania chiamò Dean.
“Sei pronto? Lupe ha fame e vuole qualcuno che le serva la portata principale.”
Dean sentì le sue gambe farsi pesanti. Il petto si strinse e all’improvviso il semplice atto di respirare richiedeva più energia di quello che doveva. Non sapeva ancora se sarebbe stato capace di fare del male a Sam. Guardò di nuovo in direzione del fratello e anziché l’uomo che era, vide quel bambino di vent’anni prima che lo seguiva ovunque. Gli si seccò la gola, qualsiasi desiderio di parlare e il suo solito sarcasmo dimenticati completamente.
“Matt, sembra che il tuo amico ci abbia ripensato. Tocca a te.” Ania chiamò in direzione del bambino più grande e tutti e tre i bambini gemettero di paura.
“No” Dean riuscì a dire, sputò fuori le parole, come avrebbe fatto con un pezzo di cibo avariato, e obbligò le sue gambe a muoversi.

Un passo, solo un passo, respira, un altro passo. Solo il prossimo passo, niente di più.

Ripensandoci i cerberi non erano stati così male, ripensandoci forse neanche l’inferno era stato così male al confronto.

Continua a tenere gli occhi aperti, ci dev’essere una via d’uscita.

Era la voce di suo padre quella che gli riecheggiava in testa. Quella che gli aveva ripetuto un milione di volte di prendersi cura di suo fratello.
Non era sicuro di come fosse arrivato di fronte a Sam, ma quando gli fu davanti era come se la stanza fosse sparita intorno a lui. Qualsiasi tentativo di concentrarsi sul mondo che lo circondava cancellato dallo sforzo di camminare.
Sam lo fissò negli occhi e gli fece un segno di assenso con la testa, il loro modo di dire che era tutto okay, anche quando tutto stava andando a puttane.
“Ora Dean, se ti comporti bene, Lupe si abbasserà per metterti questo intorno alla caviglia.” Ania disse indicando un anello di metallo che sembrava più appropriato per lavori idraulici che per legare una persona. “Prova  a fare qualche scherzo e finisce intorno al tuo collo.”
Dean non si mosse. La facilità con cui le sorelle avevano fatto scivolare il pannello di legno mentre lui e Sammy a malapena riuscivano a muoverlo di qualche centimetro, la diceva lunga su quante poche chance di successo una qualsiasi ritorsione potesse avere. Sam e i bambini avrebbero probabilmente pagato il prezzo del suo fallimento. Quindi Dean decise di fare il bravo fino a che non avessero trovato una via d’uscita. Restò in silenzio anche se Sammy era carne da macello e lui era legato come un cane.

L’anello stringeva attorno al suo polpaccio al punto che faceva male. Lo ignorò. I suoi occhi erano fissi su Sam. Suo fratello, proprio come Matt prima, stava cercando di assumere un’aria spavalda. Avrebbe potuto trarre in inganno le sorelle forse, ma Dean lo conosceva talmente bene da riconoscere le linee intorno ai suoi occhi e notare che le curve dei suoi muscoli erano un po’ più tese del normale.
Ania e Lupe sorridevano come se stessero guardando un porno. C’era qualcosa che faceva sentire Dean sporco nel modo in cui lo guardavano. Soprattutto Ania.
“Mi dispiace sorellina, ho fame anch’io” dichiarò Lupe. Mise un coltello a serramanico sul pavimento al limite dello spazio che Dean poteva raggiungere e fece un paio di passi indietro.
“Lama in acciaio inossidabile, con manico in fibra di carbonio. Ripulito di qualsiasi cosa possa uccidere un essere soprannaturale, ma è perfetto sugli umani. Farai bene a non mettere alla prova la mia pazienza.” Annunciò Lupe.
Ania fece una risatina accanto a lei.
Dean zoppicò verso la lama, quella dannata catena stava già tagliando il flusso di sangue nel piede. Aprì il coltello e lo soppesò in mano. Era molto più leggero del coltello in argento a cui era abituato.
Zoppicò indietro verso Sam. Avevano bisogno di trovare una via d’uscita e in fretta, ma non ne vedeva alcuna. Nel panico, si rese conto che c’era un cosa importante a cui non aveva pensato: da dove iniziare. Se doveva fare quel lavoro, voleva stare alla larga dalle aree più dolorose e voleva che Sam non dovesse vedere le cicatrici ogni volta che si guardava allo specchio. Probabilmente doveva anche scegliere in modo che Sam fosse ancora in grado di correre quando sarebbe arrivato il momento di scappare.
“Inizia dal petto” ordinò Lupe interrompendo i suoi pensieri.
“E se invece…”
“Fai come ti è detto.” Ania lo interruppe.
“Ma…”
“Fai come ti è detto o ti lego al muro e ti faccio guardare mentre insegno ai bambini come si fa.”
Dean si morse la lingua.
Di nuovo, guardò Sam negli occhi, chiedendogli il permesso per violare il suo corpo. Senza sorprese Sam annuì stoico.
C’era un disegno che usava all’inferno quando voleva iniziare lentamente, seguiva le linee delle costole. Iniziò alla destra dello sterno con un taglio leggero. Il suo intero corpo si ribellò a quell’azione. Suo fratello strinse i denti, ma non si lasciò scappare più di un sibilo.
Iniziavano tutti così.
 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


Disclaimer: Non possiedo i diritti di Supernatural né dei personaggi riconoscibili presenti in questa storia. L'idea originale è merito di Eric Kripke ed i diritti, al meglio delle mie conoscenze, appartengono allo studio CW. Questa storia è scritta per puro divertimento e non ha scopi di lucro. Le Algea sono state introdotte da Esiodo nella Teogonia, ma data la scarsità di fonti ho lavorato di fantasia per la loro caratterizzazione e attualizzazione.
Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3 e alcuni elementi dalla stagione 4.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie.
N.d.A.: Questo è uno dei capitoli più cupi e violenti di questa storia, non dite che non siete stati avvertiti. Questo capitolo è un po’ il fulcro da cui ho iniziato a scrivere Algea ed è interamente dal punto di vista di Dean. Credo sia una delle cose più complicate da scrivere con cui mi sia mai cimentata. Spero di aver reso giustizia a quesot passaggio e che non resterete delusi.
 
 
Dean fissò il taglio che aveva appena fatto sul petto di Sam colorarsi di rosso sangue poco a poco. La mano gli sudava al punto che pensava che il coltello sarebbe scivolato tra le dita. Lupe sembrò soddisfatta e per un momento Dean sperò che per la dea fosse abbastanza.
“Vai avanti bocconcino. Voglio altro sangue.”
Dean sentì il sapore della bile che gli risaliva in gola. Ingoiò cercando di ricacciarlo indietro. Dubitava che Lupe e Ania sarebbero state contente se avesse vomitato nel mezzo del loro gioco.
Guardò di nuovo Sam, una di quelle conversazioni di sguardi che avevano affinato in anni di caccia. Ma questa volta non sapeva neanche lui se gli stava chiedendo il permesso con gli occhi o semplicemente se fosse pronto. Il dolore non era ancora scomparso dalla faccia di Sam, ma Sam acconsentì non di meno. Questa volta Dean tagliò seguendo la costola superiore sinistra, la memoria muscolare di tutte le volte che l’aveva fatto all’inferno prese il sopravvento e il gesto gli sembrò quasi naturale. Si odiò per questo.
Quando anche la seconda linea sul petto di Sam iniziò a colorarsi di sangue, Dean iniziò a riconoscere il disegno familiare. I ricordi dell’inferno quando si divertiva a torturare le sue vittime si sovrapposero a quell’immagine, Dean li scacciò con tutte le sue forze. Sam era la tela su cui stava lavorando adesso. Non esisteva universo in cui se lo sarebbe fatto piacere.
Dean prese tempo.
“Ti dico io quando fermarti, bocconcino.” Disse Lupe.  Ania sghignazzò in sottofondo.
Dean guardò su. Cercò di nuovo gli occhi di Sam. Adesso poteva vedere chiaramente il dolore scritto sulla faccia del fratello, non solo un’ombra come era stato al taglio precedente. Sam annuì di nuovo.
Dean si sentì un nodo in gola. Chiuse gli occhi, inghiottì e prese un bel respiro prima di avvicinare di nuovo la lama alla carne del fratello. Se chiunque altro avesse fatto qualcosa del genere a Sammy non sarebbe vissuto per vedere un altro giorno, non era ancora sicuro di fare un eccezione per sé stesso. Il movimento familiare e meccanico del coltello era in qualche modo confortante.
“È la tua natura” suggerì la voce di Alastair nei suoi ricordi era nitida come se fosse stato nella stanza in quel momento.
No.
Prese tempo di nuovo.
“Ehi, penso che sia…”  ma Lupe si portò un dito alle labbra in segno di silenzio e indicò con la testa la cella dei bambini prima ancora che lui finisse la frase, lasciando aleggiare la minaccia.
Questa volta non guardò Sam negli occhi. Non era sicuro era se poteva vedere quanto dolore stesse infliggendo ed andare avanti nel suo macabro lavoro. Sapeva già quale sarebbe stata la scelta di Sam e a ruoli invertiti sarebbe stata anche la sua scelta. A ruoli invertiti Sam non sarebbe stato così debole come era lui in quel momento. A ruoli invertiti sarebbe stato tutto più facile.
Iniziò ad arricchire il disegno sul petto di Sam, prendendo tempo tra un taglio e l’altro, studiando il corpo, la sua tela.
Sam era un bravo soldato, non faceva un suono. L’ironia di quella scelta di parole nella sua mente non sfuggì a Dean. Era quello di cui l’accusava Sam ogni volta che litigavano su loro padre. Cosa avrebbe pensato loro padre di lui se lo avesse visto in questo momento?
Si concentrò sulla sensazione meccanica della lama che attraversava la carne. Le sue mani sapevano cosa fare anche quando la sua mente era riluttante. Anche quando la sua mente voleva fuggire altrove. Si lasciò prendere dalla familiarità dei movimenti, perché era l’unica cosa che avesse senso, l’unica su cui pensava di avere controllo e continuò ad eseguire l’ordine.
Dean aveva smesso di guardare Sam negli occhi, guardava ‘la tela’ o guardava Lupe. Non si poteva permettere altrimenti. Non poteva fermarsi a pensare su chi stava lavorando o il mondo sarebbe andato in frantumi.
Lasciava solo i suoi muscoli fare il movimento familiare.
Ad ogni volta che la dea gli diceva di continuare una parte di Dean moriva.
Solo un altro taglio.
“Devo chiamare Matt?”
Smise di guardare anche Lupe, sapeva che non avrebbe fatto differenza.
Solo un altro taglio.
Ad ogni taglio la presa sul coltello si faceva più rilassata.  La lama scivolava naturale sulla pelle, sulla tela.
Vide il disegno venire alla luce piano piano: splendido rosso sangue su una tela di pelle bianca.
“Sei un artista Dean” Alastair lo complimentava nella sua mente.
Solo un altro taglio.
È solo un disegno.
Solo un altro taglio.
Il coltello era una sensazione familiare nella sua mano.
Solo un altro taglio.
Piano piano la sua mente si lasciò andare.
C’era una voce distante che scompariva in sottofondo. Urla? Non poteva pensarci. Proprio come gli era stato insegnato.
“Concentrati sul disegno, senti il potere che hai sulla tua vittima”. La voce di Alastair echeggiava nella sua testa. No, non ricordava perché ma sapeva che non doveva farsi piacere quel potere, non poteva. Doveva solo andare avanti con il disegno.
Il disegno.
Il coltello era diventato un estensione del suo corpo.
Solo un'altra linea. Un altro taglio.
Voci lontane. Urla di dolore.
“Il disegno.” Alastair fece eco ai suoi pensieri.
Il disegno era perfetto.
Alastair era fiero.
No. Alastair non c’era. O forse sì?
Rosso sangue sulla pelle bianca.
Ogni goccia di rosso era potere nelle sue mani.
Rosso sangue sulla pelle bianca.
Un capolavoro.
“Dean. Dean, basta.”
Sentire il suo nome lo riportò violentemente alla realtà. Fece un passo indietro dalla tela e vide Sam. E vide il groviglio di sangue che attraversava il petto di Sammy. E vide la ragnatela di tagli sui fianchi.
No, non poteva aver fatto tutto quello. No.
Sam stava piangendo e urlando di dolore.
“Dean aspetta ti prego.”
Dean vide le sue proprie mani coperte di sangue. Il sangue di Sam. Il coltello era ancora stretto nel pugno.
Sam aveva il respiro mozzato dai singhiozzi.
Dean arretrò di un altro passo. Gridò con quanto fiato avesse in corpo.
Dolore. Disperazione. Colpa. Vergogna.
Lasciò andare il coltello e cadde in ginocchio vomitando.
“È abbastanza” dichiarò una delle sorelle. Dean era d’accordo con lei. Era fottutamente abbastanza.
“Che serata! E quest’ultimo boccone…” L’altra strascicò le parole, ubriaca. Le loro voci sembravano lontane anni luce.
“Tiratelo giù!” Ordinò Dean senza riuscire ad alzare i suoi occhi dal pavimento. La sua voce tremava al pari del suo corpo.
“Forse più tardi.” Lo rimbeccò Lupe.
“No, no. Tiralo giù, ti prego.” Dean cercò di alzarsi su gambe e braccia che tremavano.
“Non credo proprio, mi piace dove sta. Lo trovo artistico. Hai fatto davvero un capolavoro.”
Dean sì voltò ancora carponi per avventarsi su Lupe, ma il suo debole tentativo morì sul nascere. La dea fece un passo di lato e lo schivò agilmente lasciandolo cadere di nuovo carponi sul pavimento.
Dean sentì una mano scorrergli lungo la schiena e palpargli il sedere.
“È l’ora del dessert.”
 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Disclaimer: Non possiedo i diritti di Supernatural né dei personaggi riconoscibili presenti in questa storia. L'idea originale è merito di Eric Kripke ed i diritti, al meglio delle mie conoscenze, appartengono allo studio CW. Le Algea sono state introdotte da Esiodo nella Teogonia, ma data la scarsità di fonti ho lavorato di fantasia per la loro caratterizzazione e attualizzazione. Questa storia è scritta per puro divertimento e non ha scopi di lucro.
Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3 e alcuni elementi dalla stagione 4.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie.

N.d.A.: Intanto volevo ringraziare chi sta seguendo e recensendo la storia. Il vostro entusiasmo è contagioso. Questo capitolo come il precedente è incentrato su Dean, perché Sam non è nella sua forma più smagliante al momento. Ma non vi preoccupate più avanti ci sarà spazio anche per Sam e per il suo punto di vista su questi eventi.

***
 
“È l’ora del dessert.”
Nel suo stato di shock Dean si perse completamente il riferimento, finché qualcosa non l’afferrò per i capelli e lo trascinò in piedi.
Improvvisamente si fece un’idea ben precisa di cosa volesse Lupe per dessert. Non gli importava. Niente poteva essere peggio della consapevolezza di ciò che aveva fatto a Sammy. Lupe gli chiese di spogliarsi, ma Dean era ancora troppo sconvolto per reagire.
Non era nemmeno sicuro di quanto danno gli avesse inferto, non si era dato la briga di controllare. Ora era tardi. Sammy era fuori dal suo campo visivo. Ma sentiva ancora che stava cercando di controllare i suoi lamenti.
La dea tirò la catena che era ancora fissata al polpaccio di Dean facendolo cadere nuovamente in ginocchio davanti a sé. Strappò la t-shirt come se fosse un pezzo di carta. Gli afferrò le braccia e lo ammanettò.
Dean fissò quel metallo come se fosse intorno alle mani di qualcun altro. L’acciaio lucido si era già macchiato di sangue attorno alla mano che fino a poco prima impugnava il coltello.
Cosa aveva fatto? Un altro conato di vomito gli salì in gola, ma cercò di soffocarlo.
Lupe afferrò la catena tra le due manette e tirò in direzione della parete. Dean fu trascinato sul pavimento come una bambola di pezza. La dea arrivò fino a dove la catena legata intorno al polpaccio di Dean le permetteva di arrivare senza mollare la presa e oltre. Teneva le manette a metà altezza e Dean sentì il suo corpo tendersi come una corda di violino tra le catene che gli cingevano i polsi e quella attorno alla gamba che era ancorata al pavimento. Lupe lo stava sollevando senza sforzo e Dean temette che la dea non si sarebbe fermata fino a che non gli avesse strappato un arto.
“De..an”. Sammy.
Se doveva perdere un arto sperava fosse la mano con cui teneva il coltello. Potendo se la sarebbe tagliato da solo.
Invece la dea fissò le manette, bloccandolo in quella posizione. Le braccia che tiravano indietro e verso l’alto e la gamba che tirava verso il basso in direzione opposta. Il peso del corpo ricadeva ad un angolo strano tirando tutti i muscoli fino al punto in cui il dolore era quasi insopportabile. La gamba libera era di poco aiuto. L’ultima volta che Dean aveva provato qualcosa del genere era stata all’inferno.
Almeno questa volta se l’era meritato.
Fiera del proprio lavoro, la dea accarezzò con le dita il petto nudo di Dean, scendendo fino a sfiorare la zona pubica.
Dean si rese conto che non sentiva più Sam, non un gemito, non un singhiozzo o un sospiro mozzato. Si stava controllando così bene o era svenuto?
Ti prego fa che sia svenuto. Fa che non senta niente.
Avrebbe voluto averne la certezza, ma non vedeva Sam da quella posizione. E non era sicuro di voler vedere di nuovo quel groviglio di sangue ancora ben impresso nella sua testa. Quello stupido disegno.
Lupe aprì la costrizione attorno al polpaccio di Dean e il corpo di Dean ricadde sotto il proprio peso. In automatico, cercò di mettersi in piedi per allentare la tensione sui muscoli delle braccia, ma Lupe stava già tirando le manette verso l’alto fino a che Dean non si trovò a sfiorare il pavimento con i piedi proprio come la dea aveva fatto con Sam.
Sam.
Ingoiò il nodo che gli si stava formando in gola.
La dea fece scorrere le sue mani sul corpo di Dean, provocando la zona sensibile sui fianchi, ripercorrendo l’orlo dei jeans, girando intorno a lui fino a sparire alla sua vista. Le sue mani che non avevano lasciato per un secondo la sua pelle risalirono lungo i muscoli della schiena.
Dean chiuse gli occhi cercando di ricacciare indietro lacrime che niente avevano a che fare con i tocchi della dea.
La mano di lei lo afferrò possessivamente per i capelli esponendo il collo. Sentì il respiro della dea vicino al suo orecchio. Dean non aveva idea se la dea da un momento all’altro l’avrebbe stuprato, torturato, o semplicemente gli avrebbe tagliato la gola. La morte non lo spaventava, il dolore nemmeno, ma non sopportava di diventare la puttana di quella stronza. Aveva già fatto fin troppo del suo sporco lavoro.
Rigirò i polsi nelle manette e sentì il sangue non suo che si era indurito lungo la pelle del braccio. Sarebbe dovuto rimanere all’inferno.
Quando il primo colpo del gatto a nove code schioccò sulla sua schiena fu quasi grato.  Se l’inferno lo raggiungeva di nuovo in quella stanza sulla Terra, che così fosse. Chiuse gli occhi. Si rifugiò nella sua testa e la lasciò fare. Il dolore fisico che l’avrebbe fatto a pezzi in un giorno qualunque, a malapena scalfiva i suoi pensieri in quel momento.
All’improvviso esplose il caos.
Lupe urlò.
Ania urlò.
Dean spalancò gli occhi e vide entrambe le dee volare, scaraventate all’altro lato della stanza da una forza invisibile. Dean si girò nella direzione opposta, aspettando un nuovo pericolo. Fu colto di sorpresa quando riconobbe due angeli.
“Non possiamo permetterti di danneggiare ulteriormente questo umano.” Dichiarò uno dei due. Dean ricordava il suo nome. Castiel. Era quello che lo aveva portato fuori dall’inferno.
Altrettanto repentinamente le manette attorno ai polsi di Dean si aprirono. Castiel l’afferrò al volo impedendogli di rovinare al suolo. Dean cercò Sam con lo sguardo, pentendosene quando vide il corpo coperto di sangue che pendeva inerme dal soffitto.
“Dobbiamo portarti fuori da qui.” Castiel disse.
C’era qualcosa di sbagliato in quella frase. Dean lo sapeva.
“Aspetta! Aspetta un attimo!” Prese tempo per mettere insieme i pezzi del puzzle.
Figli di puttana.
“Prima i bambini.” Ordinò Dean. La sua voce era talmente carica di rabbia che perfino Castiel rimase impietrito e guardò verso il suo capo, Zaccaria.
Zaccaria non si scompose.
“Non siamo qua per salvare i bambini. I bambini non sono importanti. Tu sì.” Zaccaria dichiarò secco, ma Dean non poteva accettarlo.
“Portate i bambini fuori da qui e Sam, o giuro che la prossima cosa che faccio sarà di marciare dritto verso questo posto.”
“Buono a sapersi. Ti lasceremo sul lato opposto del mondo. Per quando sarai riuscito a tornare qui, non ci sarà niente da trovare.” Zaccaria rispose calmo.
Scordatelo stronzo.
“Figli di puttana. Vi servo vivo? Bene. Provateci e andrò a cacciarmi in qualsiasi guaio riesca a trovare sulla strada da là a prendervi a calci in culo. Sarete talmente impegnati a cercare di tenermi vivo che pregherete per un po’ di riposo.”
Castiel guardò in direzione di Zaccaria aspettando istruzioni. Dean ebbe la sensazione che stava convincendo almeno uno dei due, ma gli angeli erano così pezzi di merda che non ne era sicuro.
Zaccaria annuì infastidito, non aveva tempo né voglia di mettersi a discutere con quella scimmia. Agitò la mano nell’aria un paio di volte: prima si aprì il pannello di legno e poi la porta della cella.
Quando i bambini videro la scena che si parava di fronte a loro rimasero paralizzati. Guardavano impietriti Sam,  capivano che c’era che qualcosa che non andava con Dean e quell’estraneo che lo stava tenendo. Le sorelle non erano in vista.
Dean urlò loro di correre e trovare il primo poliziotto che avrebbe potuto portarli a casa. Fu abbastanza. Matt reagì per primo spronò Fran e Johnny verso l’unica porta della stanza, ma senza distogliere lo sguardo dai due angeli. Dean fissò Zaccaria vedendo la porta ancora chiusa, una muta richiesta nei suoi occhi. L’angelo riluttante la fece saltare dai cardini e un rivolo di aria fresca e umida invase la stanza.
“Ora Sam!” Dean ordinò. Il fatto che l’adrenalina del momento gli stesse dando la capacità di reggersi in piedi con le sue forze anziché con l’aiuto di Castiel dette un po’ più di peso alle sue parole.
Castiel si prese il compito di liberare il più giovane dei Winchester, lasciò il braccio di Dean e si avvicinò a Sam. Dean incespicò dietro di lui appena in tempo per afferrare suo fratello mentre stava cadendo a terra. Il corpo quasi gli scivolò tra le braccia a causa del sangue. Dean perse l’equilibrio e caddero entrambi. In tutta quella commozione Sam si svegliò lasciandosi scappare deboli lamenti di dolore che ghiacciarono il sangue di Dean. L’angelo si avvicinò a loro, allungò un braccio in direzione di Sam come se stesse per fare qualcosa, ma si fermò con la mano vicina alla fronte di Sam. Esitò per qualche secondo. Poi con una strana smorfia appoggiò una mano sulla spalla di ciascun fratello.
Dean e Sam si ritrovarono davanti alla porta di Bobby Singer. Gli angeli erano spariti.

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Disclaimer: Non possiedo i diritti di Supernatural né dei personaggi riconoscibili presenti in questa storia. L'idea originale è merito di Eric Kripke ed i diritti, al meglio delle mie conoscenze, appartengono allo studio CW. Le Algea sono state introdotte da Esiodo nella Teogonia, ma data la scarsità di fonti ho lavorato di fantasia per la loro caratterizzazione e attualizzazione. Questa storia è scritta per puro divertimento e non ha scopi di lucro.
Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3 e alcuni elementi dalla stagione 4.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie.

N.d.A.: Capitolo un po’ più lungo del solito. Promesso è l’ultimo senza Sam.
 
CASA DI BOBBY-SIOUX FALLS, SOUTH DAKOTA
Dean balzò in piedi trascinando Sam con se. Batté il pugno sulla porta chiamando Bobby a gran voce. Sam si stava lamentando debolmente in sottofondo.
Perché era così testardo da non svenire di nuovo?
Quando Bobby aprì la porta una battuta gli morì in gola. Dean era mezzo nudo e sporco di sangue. Sam era anche peggio e sembrava sull’orlo di perdere i sensi o peggio da un momento all’altro.
“Che diavolo è successo?” Chiese facendo passare un braccio sotto alle spalle di Sam e dirigendoli verso la camera al piano terra.
“Coltello a serramanico, niente di soprannaturale, lama da 15 centimetri, nessun organo interno intaccato.” Dean disse brevemente come se stessero facendo un triage.
Adagiarono Sam nel letto. Bobby gli restò accanto, preparando garze e bende mentre Dean corse a prendere dell’acqua. Sembrò che l’acqua ci mettesse una vita a diventare anche solo tiepida.
Quando Dean tornò nella stanza, gli occhi di Sam erano chiusi e il suo corpo era immobile.  
“S…Sam?”
Dean rimase paralizzato sulla porta, quasi facendo cadere l’acqua. Non poteva essere. Il disegno. Era sicuro che nel disegno non ci fosse nessuna ferita fosse mortale.
“Gli ho dato qualcosa per il dolore e per farlo dormire.” Bobby spiegò.
Dean ricominciò a respirare. Attraversò la stanza e appoggiò la bacinella con l’acqua accanto a Bobby.
“È bene che il sadico figlio di puttana che ha fatto questo preghi che non lo trovi.” Bobby disse mentre immergeva una garza nell’acqua e iniziava a pulire le ferite.
Dean stava scappando dalla stanza prima ancora che Bobby avesse modo di finire la frase. Non poteva stare lì. Non poteva vedere Sam così immobile. Non poteva vedere il disegno che riemergeva.
“Dean, la tua schiena…” sentì Bobby che lo chiamava alle spalle. Se ne era completamente dimenticato, ma si rese conto che gli faceva male.
“Sto bene, prenditi cura di Sam.” Rispose secco senza neanche voltarsi. Non poteva guardare Bobby. Magari suo padre non era lì a giudicarlo, ma sapeva quanto Bobby sarebbe rimasto deluso quando avrebbe scoperto la verità. Aveva ragione. Era stato un sadico figlio di puttana. Con Sammy.
Salì le scale, prese una t-shirt di scorta dal borsone che tenevano lì di emergenza. Andò in bagno, lo specchio gli restituiva l’immagine impietosa di lui coperto dal sangue di Sam. Doveva esserselo spalmato addosso quando erano caduti.
Iniziò a lavare via il sangue. Ma più cercava di lavarlo via, più le sue mani sembravano tingersi di cremisi. Le mani di un sadico figlio di puttana.
Doveva andare via da lì, doveva allontanarsi prima di fare di nuovo del male a qualcuno. Ma non poteva farlo fino a che non fosse stato sicuro che Sam fosse fuori pericolo. Aveva bisogno di sapere che stava bene, ma se non aveva il coraggio di andare a vederlo. Si sedette sul divano, a metà strada tra l’andare e il rimanere, tendendo l’orecchio per sentire qualsiasi cambiamento.
 
***
 
Ci vollero un paio d’ore prima che Bobby riemergesse dalla stanza. Aveva ricucito tutte le ferite che ne avevano bisogno, adesso dovevano solo aspettare e lasciarlo riposare.
“Fammi dare un occhio alla tua schiena.” Offrì Bobby.
Dean gli urlò di lasciarlo in pace, che stava bene.
“Abbassa la voce ragazzo, tuo fratello ha bisogno di riposare. Non lo vuoi, problema tuo. Non mi venire a cercare quando farà infezione.” Bobby lo rimproverò duramente. Poi senza cambiare tono aggiunse. “Cosa diavolo è successo?”
Dean rimase in silenzio. Il pensiero che poteva aver appena svegliato Sam con la sua esplosione di rabbia gli provocò un’altra ondata di senso di colpa. Quanto ancora avrebbe cercato di fargli del male prima di decidere ad andarsene?
“Dean?”
Non poteva raccontare a Bobby cosa era successo con le sorelle. Cosa lui aveva fatto.
“Vi siete materializzati mezzi nudi davanti la mia porta. Dal nulla a meno che la tua macchina non sia diventata invisibile. Non so se te ne sei accorto, ma Sam è stato Torturato. Torturato con la T maiuscola. In un giorno qualsiasi, se quel ragazzo ha anche solo un raffreddore, ti devo prendere a calci in culo per farti fare una doccia perché non lo vuoi lasciare solo. E ora, che è passato per le mani di qualche fanatico dei coltelli corri via dalla stanza senza neanche voltarti?” Bobby era furioso.
“Starà bene?” Chiese Dean esitante. C’era talmente tanto dolore nella sua voce che Bobby non riuscì negargli una risposta nonostante la frustrazione di non sapere cosa era successo.
“Voi Winchester siete duri come rocce. Gli resterà qualche cicatrice, ma a parte quello starà benone.”
Nascondendo la testa tra le mani Dean prese un lungo sospiro e si concesse di sentirsi sollevato per un momento, suo fratello sarebbe sopravvissuto. Sammy era tutto ciò che aveva. Probabilmente tutto ciò che aveva avuto. Sapeva che nel momento in cui si sarebbe svegliato il loro rapporto sarebbe finito. Per sempre. Proprio come per sempre Sam avrebbe visto le cicatrici nello specchio.
Dean sentì gli occhi di Bobby sulla sua nuca, il vecchio stava aspettando per un commento o una qualche reazione. Dannazione se la meritava, ma Dean non ci riusciva. Non ce la faceva a scendere a patti con la verità. Con quello che aveva fatto. Con il sadico figlio di puttana che abitava negli angoli della sua mente. Sei un artista. La voce di Alastair continuava a perseguitarlo anche adesso. Strizzò gli occhi, pigiandoci sopra con una mano cercando di scacciare quei pensieri.
“Dean?”
Silenzio.
Bobby decise di andarci piano.
“Dov’è l’Impala?”
“Alexandria.” Sembrava una domanda semplice con una risposta semplice.
“Stiamo parlando di Alexandria in Sud Dakota or Alexandria in Minnesota.”
“Indiana”
Dean vide Bobby levare le braccia al cielo, la sua poca pazienza messa a dura prova.
“E potrei sapere di grazia, come siete riusciti ad arrivare qui da Alexandria, Indiana, con Sam che non si regge neanche in piedi?” Bobby chiese come se si stesse rivolgendo ad un bambino.
“Castiel”
“Chi? L’angelo?”
“Sì. Un momento eravamo ad Alexandria e l’attimo dopo eravamo qui.”
Bobby stava per bofonchiare una risposta, ma Dean si alzò dal divano per evitare altre domande. La conversazione era finita. Bobby continuò a seguirlo fino a che Dean non si fermò sulla porta. Rimase di spalle senza voltarsi.
“Bobby, potresti andare di là e stare con Sam? Non voglio che sia da solo quando si sveglia.” Si ricordò di quando si era svegliato all’inferno. Solo, urlando e supplicando qualcuno di aiutarlo. Invocando Sam pur sapendo che non lo avrebbe sentito. Le sue dita si serrarono sulla maniglia della porta.
“Dovresti farlo tu.” Dean chiuse gli occhi, il senso di colpa lo avvolgeva completamente. Voleva essere là, essere sicuro che Sammy sarebbe stato bene. Ma ancora di più voleva tenere quel sadico figlio di puttana dentro di lui il più lontano possibile da suo fratello.
“Per favore” Sentì la gola bruciargli mentre supplicava.
“Va bene.”
 
***
 
Dean passeggiò avanti e indietro tra i rottami delle vecchie auto cercando di cacciare via i suoi pensieri. Le immagini del disegno. La voce di Alastair. Le mani di Lupe. Le risate di Ania. Doveva trovare un modo per controllare che i bambini stessero bene, assicurarsi che gli angeli avessero mantenuto la loro parola. Aveva bisogno di sapere che tutto quel sangue era servito almeno ad una cosa buona. Era sicuro che anche Sam avrebbe voluto sapere cosa fosse successo ai bambini quando si fosse svegliato. Il telefono con i numeri di telefono delle famiglie era ancora con Baby. Voleva la sua macchina, voleva sedersi dietro al volante e premere sull’acceleratore finché non fosse riuscito a seminare ciò che provava per se stesso. Poteva trovare forse il numero della polizia online. A quel pensiero si ricordò che il portatile di Sam era ancora al motel. Doveva assicurarsi di arrivare là prima che la copertura del loro anticipo scadesse tra tre giorni o forse erano due? Sammy l’avrebbe ucciso se avesse lasciato che qualcuno prendesse il suo computer.
Tornò in casa a prendere una birra. Bobby doveva averlo sentito perché entrò in cucina nello stesso istante in cui Dean apriva il frigo.
“Sam si sta svegliando- annunciò- è già stato sul punto di riprendere conoscenza un paio di volte e ti ha cercato.” Dal modo in cui Bobby diceva quelle parole era ovvio che si aspettava che Dean corresse dal fratello. Non aveva idea che probabilmente Sam stava rivivendo qualche ricordo e il nome di Dean emergeva solo perché nella sua testa lo stava ancora supplicando di smettere.
“Ottimo! Bene!” balbettò, felice e spaventato allo stesso tempo. Non era pronto ad affrontare Sam.
“Vado a prendere Baby e a recuperare le nostre cose dal motel. Sammy vorrà il suo computer quando si sveglia.” Stava dicendo la verità, eppure stava omettendo così tante cose che aveva la sensazione di mentire.
“Vai ad Alexandria, Indiana?”
“Sì.” Dean rispose senza troppa convinzione.
“Sono 12 ore di macchina. È quasi buio e Sam si sta svegliando. La stupida macchina e lo stupido computer possono aspettare fino a domani.” Bobby gli rispose aspramente.
“Ci sono anche un paio di cose che devo controllare in Alexandria, sono sicuro che Sam vorrà sentirle quando si sveglia.” Di nuovo, non era una bugia.
Bobby si morse il labbro, fermandosi a considerare se valesse la pena cercare di capire il rompicapo che erano i fratelli Winchester in quel momento o semplicemente lasciar correre per il momento. Decise per la seconda.
“Qualche chance che tu mi spieghi cosa è successo prima di partire?”
Dean rimase in silenzio.
Bobby sospirò.
“Va bene, ma se vedi quel mostro spietato che ha fatto quello…” disse puntando in direzione della camera di Sam.
Dean inghiottì.
“Sì.” Questa volta mentì apertamente, promettendo qualcosa che non sapeva come fare.
“C’è un telefono extra nel terzo cassetto, i miei numeri sono già in memoria. E Dean… non so cosa è successo, ma ti conosco. Sono sicuro che hai fatto tutto ciò che potevi per proteggere Sam…qualsiasi cosa sia successa non fartene una colpa. È vivo e starà bene.”
“Digli che mi dispiace.” Dean si affrettò a dire. I muri che aveva costruito intorno alle sue emozioni stavano crollando ad ogni parola, afferrò il telefono ed uscì dalla casa senza aggiungere una parola.
 

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Disclaimer: Non possiedo i diritti di Supernatural né dei personaggi riconoscibili presenti in questa storia. L'idea originale è merito di Eric Kripke ed i diritti, al meglio delle mie conoscenze, appartengono allo studio CW. Le Algea sono state introdotte da Esiodo nella Teogonia, ma data la scarsità di fonti ho lavorato di fantasia per la loro caratterizzazione e attualizzazione. Questa storia è scritta per puro divertimento e non ha scopi di lucro.
Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3 e alcuni elementi dalla stagione 4.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie.
N.d.A.: Ed ecco di nuovo Sam. Ho sperimentato un po’ con il flusso di coscienza. La citazione viene dall’episodio 1x22 La trappola del diavolo (Devil’s trap)
 
 
Sam si svegliò con una scarica di energia che gli attraversava il corpo. La prima cosa che notò era che stava…bene. Il dolore era sparito. La pelle non sembrava in fiamme. I muscoli non tiravano allo spasmo. Non c’era traccia del tormento che l’aveva accolto le ultime volte che si era svegliato. Aprì gli occhi e trovò un paio di iridi blu elettrico che lo fissavano un po’ troppo da vicino. Ci mise qualche secondo a mettere a fuoco Castiel.
“Ciao Sam. Le tue ferite sono state rimarginate. Zaccaria si era opposto veementemente, ma ora che è impegnato con altro ho più…indipendenza.”
“Grazie” Rispose Sam ancora frastornato. Aveva mille domande in testa, come faceva a sapere che Sam era ferito? Perché Zaccaria si era opposto?
Prima che Sam potesse dar voce ai propri dubbi l’angelo era sparito.
La prima necessità era capire dove fosse. Si rilassò quando riconobbe la casa di Bobby. Ma non aveva idea di come fosse arrivato lì.
Sam toccò esitante il petto attraverso le bende, pronto al dolore che poteva seguirne, ma niente. Si azzardò ad alzare il lembo di una delle garze impregnate di sangue. La sua pelle era perfettamente intatta, niente tagli, niente lividi, niente cicatrici. Avere un angelo dalla loro parte poteva tornare comodo.

Iniziò a togliere le bende avvolte intorno al suo petto ad una ad una, mentre cercava di mettere insieme i pezzi effimeri dei suoi ricordi. Sapeva di essere stato ferito. Sapeva di essersi svegliato più volte nelle ultime ore? Giorni? L’unica cosa che ricordava al riguardo era il dolore. Che tipo di ferite aveva? Come se le era procurate? Dean si sarebbe allarmato se gli avesse detto che non aveva idea di cosa fosse successo.

Dean. Dov’è Dean?
Poteva contare sulla punta delle dita le volge che gli era capitato di svegliarsi da una cosa del genere e non trovare Dean accanto a lui. Di solito c’erano solo due spiegazioni: Dean era nei guai o a cerca di guai. Sperò che fosse solo nell’altra stanza con Bobby, intento ad aprirsi una birra.

Cosa diavolo era successo?
Cercò di tornare al suo ultimo ricordo e iniziò a ricostruire l’accaduto da lì. Stavano investigando sulla scomparsa di un gruppo di bambini.
Erano nel bosco. Erano stati presi anche loro.
Ania. Lupe.
Il resto dei ricordi lo travolse come un onda.
All’improvviso ricordava il patto con Lupe e ricordava Dean. Un brivido freddo gli corse lungo la schiena alla memoria dello sguardo rapito di Dean e della tortura che suo fratello gli aveva inflitto. Quel ricordo si scontrava violentemente con quello in cui Dean lo guardava esitante, tremando come una foglia prima di iniziare. Quest’ultimo era il vero Dean, lo sapeva. Il fratello maggiore che era sempre stato lì per proteggerlo. Il resto era il trauma dell’inferno.
“Per te o papà, le cose che sono disposto a fare o a uccidere”. Le parole che Dean aveva pronunciato più di un anno prima dopo aver ucciso una persona posseduta da un demone gli erano entrate dentro. Ripensò a quel gesto tra loro, quando di fronte alle richieste di Lupe aveva dovuto annuire a Dean per dire ‘fai quello che devi fare’, per ricordargli che anche se Dean era quello che teneva in mano il coltello stavano prendendo insieme quella decisione. Sarebbe arrivato anche a sacrificare i bambini per lui altrimenti? Quello era Dean. Spietato, ma per amore.  Non poteva lasciare che un episodio glielo portasse via.

Si guardò intorno, alla ricerca del telefono. Aveva bisogno di parlare con Dean. Aveva bisogno di assicurarsi che non fosse nei guai. Doveva dirgli che capiva.. Assicurarsi che non andasse in cerca di guai cercando per espiare colpe che non aveva.  Sam sapeva la differenza tra suo fratello e quello che gli avevano fatto all’inferno, nonostante ciò un altro brivido freddo gli attraversò la schiena quando un dolore fantasma gli tagliò il petto. Il telefono non era in vista.

Si dette dello stupido. Non aveva mai capito a fondo quanto traumatizzato e danneggiato Dean fosse da quando era tornato dall’inferno. Suo fratello non ne parlava granché, ci girava sempre intorno senza scendere nei dettagli. Quando finalmente aveva confessato che era sulla strada buona per diventare un demone, Sam aveva pensato che stessero facendo progressi, ma il flusso di informazioni si era fermato lì. Ogni notte che lo svegliava nel mezzo di un incubo e ripetevano le tre domande di rito, Dean sembrava sempre più scocciato. Sam avrebbe dovuto sapere che Dean non poteva semplicemente lasciarsi tutto ciò alle spalle da un giorno all’altro. Dean era il suo stato il suo eroe crescendo, ma era pur sempre umano. Avrebbe dovuto cercare di aiutarlo a guarire. Avrebbe dovuto cercare di esserci per Dean, proprio come Dean c’era sempre stato per lui.
Sí, forse Dean era solo in cucina con Bobby. Doveva andare a cercarli.

Un altro dolore fantasma gli attraversò il petto, portando con sé nuovi ricordi.
La lama bruciò quando toccò le costole inferiori. La parte alta del petto era ormai tutta un dolore indistinto. Lupe continuava a guardarlo leccandosi le labbra. Ania sembrava inquieta e continuava ad adocchiare i bambini nervosamente. E la persona che aveva davanti, quella che brandiva il coltello e indossava la faccia di suo fratello, non era sicuro di sapere chi fosse.
Non c’era modo di sapere quanto quelle poche ore avessero danneggiato Dean. Ricordava vagamente aprire gli occhi e vedere Dean in ginocchio sul pavimento, incapace anche di respirare sotto il peso delle proprie azioni. Conoscendolo, non poteva nemmeno immaginare il genere di senso di colpa che potesse trascinarsi dietro al momento. Cosa gli avessero fatto dopo le sorelle e come fossero arrivati da Bobby era ancora un mistero. Ma erano al sicuro. E se c’era qualcuno capace di convincere Dean che la colpa era tutta e sola delle sorelle, quello era Bobby.

Sam uscì dalla stanza, ansioso di dire a Dean e a Bobby che stava bene, che stava più che bene dopo che Castiel lo aveva guarito. Più importante era ansioso di dire a Dean che capiva e che lo perdonava. Avrebbe avuto bisogno di tempo, non poteva mentire su quello, perché ogni volta che un flashback gli sferzava il corpo era la faccia di Dean quella che ancora vedeva. Ma aveva bisogno che suo fratello maggiore gli dicesse che tutto sarebbe andato bene. Perché parte di lui ancora sentiva che se l’avesse detto Dean allora sarebbe stato vero. Perché si sentiva a pezzi e Dean era sempre stato quello che rimetteva i pezzi insieme, non importava l’occasione. Sapeva la differenza, anche quando il ricordo del loro tempo con le sorelle lo terrorizzava.
Aveva bisogno di Dean e Dean aveva bisogno di lui.
Quando Sam entrò in cucina, Dean non c’era.

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Disclaimer: Non possiedo i diritti di Supernatural né dei personaggi riconoscibili presenti in questa storia. L'idea originale è merito di Eric Kripke ed i diritti, al meglio delle mie conoscenze, appartengono allo studio CW. Le Algea sono state introdotte da Esiodo nella Teogonia, ma data la scarsità di fonti ho lavorato di fantasia per la loro caratterizzazione e attualizzazione. Questa storia è scritta per puro divertimento e non ha scopi di lucro.
Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3 e alcuni elementi dalla stagione 4.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie.
N.d.A: Rieccomi dopo questo lungo iato, e in piena crisi esistenziale da quando prime ha tolto Supernatural, a raccontare i fatti dal punto di vista di Sam, proprio come promesso qualche capitolo fa. A presto! 

“Woah, dovresti essere al letto, figliolo” esclamò Bobby vedendo comparire Sam in cucina, come se non fosse arrivato alla sua porta sul punto di perdere conoscenza solo poche ore prima.
“Sto bene. Castiel mi ha guarito.”
“L’angelo era di nuovo qui?” Bobby era incredulo e oltraggiato che quell’arrogante figlio di puttana si fosse permesso di entrare in casa sua senza chiedere il permesso né annunciarsi. Ma se davvero aveva curato Sam, per questa volta avrebbe chiuso un occhio.
“Solo per poco.”
“Guarito completamente?” Lo guardò di traverso, pe cogliere qualsiasi segnale di qualcosa che non andasse, era troppo bello per essere vero.
“Sì, neanche un segno. Dov’è Dean?”
“Dean- Bobby sospirò si aspettava quella domanda.-Ormai dovrebbe essere arrivato ad Alexandria nell’Indiana.” Aveva provato quella conversazione più volte nella sua testa e alla fine aveva optato per andare dritto al sodo senza esitare. Sam sbuffò.
“Stavamo lavorando a un caso là.- a quelle parole un pensiero orribile si fece strada nella mente di Sam - Ha detto perché è andato?” Dean era tornato a dare la caccia alle sorelle? Sarebbe stato un suicidio. Purtroppo un suicidio per mano di una dea si adattava bene alla stupidità dei Winchester. Non poteva lasciarlo solo. Non adesso.
“Ha detto che andava a riprendere la macchina e la tua roba dal motel- disse studiando l’espressione di Sam con più attenzione ad ogni parola- È scappato nello stesso istante in cui ha saputo che stavi per svegliarti
Sam distolse lo sguardo per un secondo.
“Cosa diavolo è successo in Indiana?”
“Cosa ha detto Dean?”
“Niente.”
Sam sospirò, poi sbuffò. Tipico di Dean.
“Non ha voluto nemmeno dire chi è stato il figlio di puttana che ti ha fatto a fette.”
Il ricordo che fu risvegliato da quelle parole sembrò aprire una nuova ferita,  Sam fu rapido a nasconderlo. Non aveva tempo per queste cose. Ma non così rapido perché Bobby non se ne accorgesse.
“Da quanto tempo è andato via?”
“14 ore.”
Sam si ritrovò a pensare che se anche fosse partito subito, probabilmente sarebbe arrivato troppo tardi. Si tastò le tasche trovandole vuote.
“Ho bisogno di un telefono. Devo chiamare Dean.”
Bobby gli passò un telefono e gli dette il numero che aveva appena dato a Dean. Se Sam non fosse stato così agitato e appena tornato magicamente indietro dall’essere in fin di vita, l’avrebbe tartassato di domande. Si limitò a guardare mentre Sam componeva un numero dopo l’altro e lasciava messaggi sempre più allarmati sulle segreterie telefoniche senza ricevere risposta. Computer e macchina un corno, cosa diavolo era tornato a fare Dean ad Alexandria? Se gli fosse successo qualcosa, avrebbe trovato un modo per resuscitarlo solo per ammazzarlo con le sue mani.
“Sam cosa vi siete lasciati dietro in Indiana? Chi ti ha ridotto in quello stato?”
La stanza cadde in un silenzio teso e imbarazzato, che crebbe fino a diventare spiacevole quando anche l’ultima chiamata andò a vuoto.
Sam con la mano inconsciamente massaggiò il fianco e andò a sedersi. Non c’era niente che non andasse sul fianco dopo l’intervento di Castiel eppure… Bobby lo seguì con lo sguardo, senza lasciargli un attimo di tregua.
“Dean”.
“Dean? Che vuol dire Dean? Te l’ho detto è tornato a…- Appena girò intorno al tavolo, il fiato gli si mozzò in gola.  Sam stava asciugando una lacrima e chiudeva gli occhi per ricacciare le altre. I tasselli sembrarono andare al loro posto. No, non poteva essere vero. Non ci credeva, non poteva crederci.
“Stai dicendo che è stato Dean a tagliarti?”
Sam annuì, incapace di parlare. Bobby lo vide ingoiare per non cedere ai singhiozzi. Si prese mentalmente a calci per non aver cercato un modo più delicato di chiedere. Andò a prendere un paio di bottiglie dal frigo, per lasciare a Sam il tempo di riprendersi e la privacy che gli serviva.
“Da cosa era posseduto questa volta? Demone? Fantasma?” Chiese ancora di spalle mentre apriva le bottiglie. Bobby si voltò appena in tempo per vedere Sam scuotere la testa.
“Balle!”
“È complicato.” Disse Sam in tono difensivo.
“Quando non lo è con voi due?”
Il silenzio scese di nuovo tra i due. Bobby iniziò a sorseggiare la birra, mentre ripensava a quelle poche parole che era riuscito ad estorcere a Dean. Soprattutto iniziò a ricordare come avesse dato voce alla sua rabbia verso l’aguzzino di Sam. Probabilmente aveva usato più di un’ espressione colorita, ma Dean non si era mai dimostrato simpatetico con il suo odio. Si alzò sentendo il bisogno di qualcosa di più forte della birra che era già mezza vuota.
“Avrei dovuto capirlo…” stava pensando ad alta voce, senza neanche accorgersene.
“Com’era Dean è andato via?” C’era un tono di urgenza nella voce e nell’espressione di Sam.
“In che senso? Sembrava solo che Dean non sopportasse di stare nella stessa stanza dove eri tu. Avrei dovuto capire che c’era qualcosa che non andava.”
“Non potevi saperlo.” Disse Sam cercando di essere incoraggiante, ma massaggiandosi il petto con una mano. Non gli sfuggì il modo inquisitorio con cui Bobby squadrò quel gesto.
“Non fa male davvero, è più una sensazione.”
Bobby non se la beveva, ma lasciò correre.
“Voglio dire, pensi che potrebbe fare qualcosa di stupido?”
“L’acqua è bagnata?”
Sam rise amaramente, riprese il telefono e provò di nuovo a chiamare. Alla mancata risposta, Bobby prese la bottiglia e la scaraventò contro il muro.
“Se ha fatto qualcosa di stupido giuro che l’ammazzo con le mie mani.”
Sam sussultò e poi tornò a stringere la birra tra le mani, mentre fissava lo schermo inerte del telefono.
“Sai, non sono stato esattamente gentile riferendomi a chi ti aveva ferito e cosa gli avrei fatto se gli avessi messo le mani addosso. Non riusciva nemmeno a guardarmi negli occhi.”
Sam sospirò di nuovo, conoscendo il vocabolario di Bobby era sicuro che ci fosse andato giù pesante con gli insulti, un’altra pugnalata metaforica che era andata ad aggiungersi al senso di colpa di Dean.
“Gli ho pure detto che ero sicuro che avesse fatto tutto il possibile per proteggerti. Ci credo che l’idiota se l’è data a gambe levate”
Un immagine sfuocata di Dean in ginocchio che vomitava sul pavimento si fece strada tra i ricordi di Sam.
“Non lo sapevi, non ci stare a rimuginare.” Rispose brusco, mentre l’immagine continuava a vagare per la sua mente.
La rassicurazione non sembrava avere alcun effetto su Bobby. Sapevano tutti e due che effetto doveva aver avuto su Dean.
“Che diavolo è successo?” chiese Bobby di nuovo.
“Non è stata colpa di Dean.”
Bobby levò gli occhi al cielo, perché non era affatto sorpreso che le prime parole di Sam sull’argomento fossero in difesa di Dean?
“Idiota, dimmi qualcosa che non so già.”
Sam, si rigirò tra le mani la birra e si costrinse a bere un sorso che fece fatica and ingoiare.
“Non abbiamo avuto scelta. Quando Dean ha realizzato che non c’era via d’uscita…Penso di non averlo mai visto così spaventato in vita mia, neanche quando aveva i Cerberi alle calcagna.”
“A questo ci posso credere.” Bobby commentò, questa parte aveva ancora senso.
“La prima volta che ha preso in mano il coltello, tremava come una foglia, pensavo che non ce l’avrebbe fatta.”
“Aspetta rallenta un secondo. Come siete finiti alle corde in questo modo? Che forza c’è voluta per costringere Dean a puntare il coltello verso di te? Non avrei mai pensato che esistesse qualcosa abbastanza potente, inferno e paradiso inclusi.”
“Era più furbizia che forza.” Sam era d’accordo, non pensava che esistesse niente in grado di metterli l’uno contro l’altro. Raccontò a Bobby dei bambini scomparsi, di Lupe e di Ania. Si fermava di tanto in tanto per lanciare occhiate al telefono.
Bobby grugnì in un modo che Sam non seppe come interpretare, quando raccontò di come erano stati presi e si erano risvegliati nella cella, perciò proseguì.
Prese un sorso di birra. “Beh la notizia positiva era che avevamo trovato i bambini.”
Prese un altro sorso, preparandosi per quello che doveva ancora raccontare.
“Versione breve, ad un certo punto a Dean era stata lasciata la scelta se fare la parte dell’aguzzino su di me o farla fare ad uno dei bambini.”
“Balle. Non è una scelta.” Bobby quasi saltò dalla sedia
“Beh, in bocca al lupo a convincere Dean.”
“Che razza di pervertito farebbe fare a un bambino…”
“Si nutrivano di dolore e pena.” Enfatizzò Sam. “Si comportavano come se fossimo una sorta di pasto gourmet.”
“Dolore e pena un corno. A giudicare dalle condizioni in cui siete arrivati, hanno banchettato.”
Sam rise amaramente. Ingoiò un altro po’ di birra e cercò di spingere via quel prurito sulla parte bassa delle costole. Prese in mano il telefono e inviò un messaggio a Dean cercando di distrarsi. Ma quel prurito non se ne voleva andare.
Bobby vide Sam lottare con le memorie. Il suo corpo sarà stato in forma grazie all’angelo, ma  la sua mente era ben lontana dal guarire. Iniziò a pensare che forse era un bene che Dean non fosse lì. Ma non poteva aiutare nessuno dei due se non avesse saputo cosa fosse successo.
“Vai alla fine.”
“Gli hanno dato il coltello e hanno continuato a insistere per più sangue. Era come se Dean lentamente si assentasse. Aveva smesso di guardarmi in faccia e aveva continuato a tagliare. Penso che fosse qualche forma di memoria muscolare dell’inferno o roba del genere. Ad un certo punto credo che abbia smesso di essere consapevole di quello che stava facendo.” Spiegò Sam portandosi una mano al petto dove il primo taglio di quella storia era stato aperto e ingoiando a gran sorsi altra birra.
Bobby lo fissò senza sapere cosa dire.
“Credo che neanche le sorelle fossero contente.” Sam lasciò quella frase in sospeso.
“Se quello che mi ha fatto è minimamente simile a quello che ha passato all’inferno…” Sam fu percorso da un brivido al pensiero. Fissò il tavolo cercando di nasconderlo. “Come posso essere stato così stupido da pensare che fosse tutto okay?”
“Perché vuoi bene a tuo fratello. E se c’è qualcuno che può riprendersi da una cosa del genere, quello è lui.” Bobby lo rassicurò. Voleva crederci lui stesso, ma dopo le condizioni in cui Sam era arrivato aveva dei forti dubbi in proposito.
“Quindi ad un certo punto hanno fermato Dean perché hanno fatto indigestione o cosa?”
Se possibile Sam sprofondò ancora più in basso. Cercò di ingoiare, la sua gola era completamente asciutta per l’emozione, ma la birra che era riuscito a buttare giù a stomaco vuoto stava facendo il suo effetto per sciogliergli la lingua.
“L’ho supplicato di fermarsi. L’ho supplicato. È stato come se si svegliasse da una trance in quel momento. La realtà lo ha devastato. L’ultima cosa che ricordo era Dean che collassava in ginocchio per il rimorso.” Bobby  non voleva neanche cercare di immaginarlo.
“Ha passato quarant’anni all’inferno per proteggermi, Bobby. E io non ho potuto resistere per qualche ora per il suo bene.” Ora le lacrime scorrevano libere sulle guance di Sam.

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


Disclaimer: Non possiedo i diritti di Supernatural né dei personaggi riconoscibili presenti in questa storia. L'idea originale è merito di Eric Kripke ed i diritti, al meglio delle mie conoscenze, appartengono allo studio CW. Le Algea sono state introdotte da Esiodo nella Teogonia, ma data la scarsità di fonti ho lavorato di fantasia per la loro caratterizzazione e attualizzazione. Questa storia è scritta per puro divertimento e non ha scopi di lucro.
Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3 e alcuni elementi dalla stagione 4.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie.



Dean raggiunse Alexandria alle prime luci dell’alba, dopo aver guidato tutta la notte. Un sorriso si fece strada tra i lineamenti tirati dalla stanchezza e dal dolore alla vista della sua Baby che lo aspettava immacolata davanti casa di Matt. Aprì la portiera con la copia della chiave che teneva di scorta da Bobby e fu accolto dall’odore familiare della tappezzeria, mescolato a quello di tutto il cibo che mangiavano nell’auto e quello della polvere da sparo che proveniva dal bagagliaio.
Si lasciò cadere nel sedile di guida inalando a fondo, troppo esausto per pensare a qualcosa e troppo stanco per preoccuparsi della schiena che doleva. Restò così fino a che non sentì una macchina rombare nelle vicinanze. D’istinto scivolò più in basso nel sedile per non farsi vedere, provocandosi nuove fitte alla schiena. Strinse i denti per sopprimere un’imprecazione  e sbirciò fuori dal finestrino. Era il pickup della madre di Matt e sul sedile del passeggero c’era il bambino. Dean tirò un respiro di sollievo. Dopo che i due furono entrati in casa, recuperò il telefono dal vano porta oggetti per assicurarsi anche delle condizioni degli altri due bambini. C’era una chiamata di Bobby sul display, nessuna sorpresa dato che l’aveva chiamato anche sull’altro telefono, era sicuro che se avesse preso il telefono di emergenza l’avrebbe trovata anche lì.  La batteria era agli sgoccioli, ma aveva ancora sufficiente carica per contattare le famiglie degli altri due bambini. Sembrava che gli angeli avessero mantenuto la loro parola su quello e che tutti e tre i bambini stessero bene.

Tornò al motel. Davanti alla porta si rese conto che la chiave era nella tasca del giacchetto che si erano prese quelle due arpie, senza quella potevano dire addio al loro deposito. Visto che il deposito se ne sarebbe andato comunque e che non aveva nessuna voglia di parlare con il proprietario, forzò la serratura.  La stanza era esattamente come l’avevano lasciata, incluso il laptop di Sammy. Si sedette di fronte al computer a controllare le news locali. La polizia si era recata sul luogo dove i bambini erano stati tenuti prigionieri, ma non aveva trovato niente. Nel negozio dismesso non c’era nessuna traccia delle sorelle né dei loro giochi malati. Tant’è che l’indagine stava prendendo in considerazione tra le altre ipotesi che potesse trattarsi di abusi da parte delle famiglie e che il resto fosse tutta un’invenzione dei bambini. Già dalle prime indagini si capiva che la storia degli abusi non si reggeva in piedi, ma avrebbe dato alla polizia locale qualcosa da fare. Almeno nel frattempo i bambini erano al sicuro e la cittadina era sull’allerta rendendo poco probabile un possibile ritorno delle sorelle.

Dean decise che poteva concedersi un po’ di riposo. Ad ogni modo non era ansioso di andare in alcun posto per il momento. Al di là delle promesse fatte a Bobby di tornare, sapeva che non sarebbe stato più il benvenuto a casa del vecchio una volta che Sam si fosse svegliato e avesse raccontato chi l’aveva conciato in quel modo.
Sperava solo che un giorno Sam sarebbe stato in grado di recuperare, se non fisicamente almeno mentalmente. Il telefono squillò di nuovo. Lo schermo diceva Bobby, ma Dean sapeva che si trattava di Sam. Solo Sam continuava a chiamarlo con quella frequenza quando non rispondeva per più di un paio di volte. Non era pronto per sentire le sue accuse. Fu un concerto di suonerie che ignorò una dopo l’altra, aiutandosi con qualsiasi alcolico fosse rimasto nel minibar.
Non dovevano essere passate più un paio d’ore di sonno agitato prima che i telefoni cominciassero a squillare di nuovo. Si premette il cuscino sulle orecchie cercando di ignorarli ancora. Si riaddormentò e svegliò poco dopo in preda agli incubi. A cose normali si sarebbe concentrato sul lavoro o sull’assicurarsi che Sam stesse bene per allontanarli.
Quando aprì gli occhi c’era un messaggio sul suo telefono.
“Ti prego dimmi che non sei di nuovo in mano alle sorelle. Sam”
Dannazione, suo fratello riusciva a farlo sentire ancora più in colpa. Stava pensando se e cosa rispondere quando il telefono si animò ad una nuova chiamata. Non riuscì a resistere, voleva sentire la voce di Sam. Voleva sapere quanto avesse mandato a puttane la sua unica possibilità di avere una famiglia.
Premette il bottone verde.
Appena sentì la voce di Sam le emozioni presero il sopravvento. Ci volle del tempo prima che riuscisse a dire qualcosa.
“Dean ci sei? Mi senti?”
“Mi dispiace Sam.” Riuscì a dire con voce strozzata.
“Dean?”
“Mi dispiace tanto.”
“Sei ad Alexandria?”
“Sì.” Non c’era motivo per mentire.
“Hai scoperto qualcosa sui bambini?”
“I bambini stanno bene.” Disse cercando di ricomporsi. “Li hanno tenuti una notte in osservazione e li hanno già rimandati a casa.”
Sentì Sam all’altro capo del telefono tirare un sospiro di sollievo.
“Ti prego non andare a caccia delle sorelle da solo.” Dean poteva sentire la nota di paura nella sua voce.
“Sono sparite. La polizia è già stata là, non c’è traccia.” Il pensiero non gli era passato più di tanto per la testa. Non erano state le sorelle a far del male a Sam. D’altra parte adesso che ci pensava, non era sicuro di come avrebbe reagito se i bambini non fossero tornati a casa o se altri bambini fossero spariti nel frattempo.
Di nuovo Sam sembrò sollevato dalla notizia. Merda, avevano perso le sorelle, non era proprio una bella notizia.
“Hai intenzione di tornare,  voglio dire da Bobby?” La domanda lo colse di sorpresa e poteva sentire Sam che si agitava in attesa di una risposta.
“Se è per il computer posso mandarlo, non credo che tu voglia…cioè non dovremmo…Sam mi dispiace tanto.” Aveva di nuovo un nodo in gola e gli occhi che gli bruciavano ai ricordi vividi dei giorni precedenti.
“Dean torna per favore.”
“Non posso. Quello che è successo. Quello che ti ho fatto Sammy…non è una buona idea.” Dean farfugliò incapace di formare una frase di senso compiuto, mentre cercava inutilmente di cacciare dalla sua testa l’immagine del disegno che aveva tracciato sul petto di Sam.
“Sto bene, Castiel mi ha curato.”
Cosa aveva fatto Castiel?! Dean non riusciva a crederci. Un brivido lo percorse al pensiero, sarebbe stata la prima notizia davvero buona della giornata. Ma le immagini nella sua testa continuavano a tormentarlo. Non poteva stare intorno a Sam, non dopo quello che aveva fatto. Giusto? Non senza sapere cosa sarebbe stato capace di fare la prossima volta quel sadico figlio di puttana che abitava nella sua testa. Il suo silenzio stupito si protrasse un po’ troppo a lungo.
“Dean?”
“Sono ancora qui.”
“Scusa, te lo avrei dovuto dire prima. Sono come nuovo. Senti, lo so che è stato un casino con le sorelle, ma lo supereremo. Insieme. Te lo prometto. Ma devi tornare indietro.”
Lo supereremo certo, come se fosse solo un dosso o una buca nella strada. Come se non lo avesse intagliato come un pezzo di legno.
“Ho bisogno del mio fratello maggiore adesso. Ho bisogno di te, Dean.”
Dean poteva immaginare gli occhi da cucciolo di Sam, quello sguardo che abbassava tutte le sue difese fin da quando erano bambini, ma in fondo per lui a volte Sam era ancora quel bambino.
“Dean per favore torna, non posso perderti di nuovo, non ora che ti ho appena ritrovato.” Non poteva sopportare di sentire Sam che lo supplicava in quel modo. Poteva veramente riuscire a tenere a bada il mostro dentro di lui se incontrava Sam?
“Dean?”
“O…Okay.”
“Okay, vuol dire che torni? Lo prometti?”
“’Lo prometti? Croce sul cuore? Giurin giurello? Quanti anni hai?”
“Quindi?”
“D’accordo, promesso, ma che sia messo agli atti che non credo che sia una buona idea.” Ovviamente lo prometteva, non esisteva che riuscisse a dire di no a Sam quando era così distrutto. Sono io che l’ho distrutto.
“Dean, mi fido di te.” E quelle cinque parole mandarono in frantumi la sua anima.

Dean abbassò il telefono. Sentiva le lacrime scendere dai suoi occhi ed incastrarsi nella barba di due giorni. Non sapeva bene quando, ma ad un certo punto era finito a sedere sul pavimento ed ora il telaio del letto premeva contro i morsi della frusta sulla sua schiena. Non gli importava. Sam si fidava di lui. Quella era una delle stupidaggini che solo sue fratello poteva fare. Sam si fidava di lui. Se solo Sam avesse saputo quanto aveva perso il controllo solo perché aveva avuto un coltello tra le mani o quanto tutto fosse incasinato da quando era tornato dall’inferno. Come poteva Dean fidarsi di sé stesso ed essere altrettanto sicuro che non gli avrebbe fatto del male di nuovo? Ma aveva promesso, quindi si alzò, guardò con rimpianto al letto, e caricò le loro cose nell’auto.
Dette un’ultima occhiata alla stanza per assicurarsi di non lasciare niente e fece cadere il cellulare di Bobby in tasca. L’oggetto gli ricordò che Bobby era la sua garanzia. Bobby non avrebbe lasciato che facesse di nuovo del male a Sam. Al diavolo! Se Bobby sapeva cosa era successo probabilmente gli avrebbe sparato o l’avrebbe legato nel momento stesso in cui l’avesse visto.
 
 

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


Disclaimer: Non possiedo i diritti di Supernatural né dei personaggi riconoscibili presenti in questa storia. L'idea originale è merito di Eric Kripke ed i diritti, al meglio delle mie conoscenze, appartengono allo studio CW. Le Algea sono state introdotte da Esiodo nella Teogonia, ma data la scarsità di fonti ho lavorato di fantasia per la loro caratterizzazione e attualizzazione. Questa storia è scritta per puro divertimento e non ha scopi di lucro.
Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3 e alcuni elementi dalla stagione 4.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie.
N.d.A: Ed eccoci finalmente all’incontro tra Dean e Sam.
 
Dean spense l’auto davanti casa di Bobby. Era notte fonda, ma le luci erano ancora accese. L’idea di vedere Sam, di assicurarsi che stesse bene, lo aveva spinto durante tutti quei chilometri, ma adesso che era lì non era più sicuro di… beh di niente. Il disegno di sangue e carne stava tornando a dominare i suoi pensieri. La sua schiena bruciava come se fosse in fiamme. Ricordi e memorie che voleva, anzi doveva tener sepolte, non lo abbandonavano.
Sospirò lasciando cadere la testa contro il sedile e scrutò le ombre al di là delle finestre illuminate. Né riconobbe una alta con le spalle scolpite. Sammy era sveglio. Sicuramente aveva già riconosciuto il rumore familiare del motore dell’Impala, e anche se non l’avesse riconosciuto non c’erano molte auto che entravano allo sfasciacarrozze, soprattutto nel cuore della notte. Dean realizzò a malincuore che si era giocato la sua ultima possibilità di prendere tempo un paio di chilometri fa, quando sarebbe stato ancora in tempo per fermarsi.
Non era pronto ad affrontare Sammy, non finché non fosse stato in grado di mettere un coperchio ai ricordi dell’inferno. Non dopo quello che gli aveva fatto.
“Vuol dire che torni? Lo prometti?La voce speranzosa di Sam echeggiava ancora nella sua testa dalla telefonata. Aveva promesso.
Soppesò tra le mani la colt, l’impugnatura in madreperla rifletteva la fioca luce dei lampioni. La fissò per un istante quasi interminabile, poi aprì il vano portaoggetti e ve la ripose con cura. Senza pensarci troppo, prese il coltello che portava sempre con sé e fece altrettanto. Scese dall’auto, appena si alzò la mancanza del peso dei due oggetti fu ancora più evidente. Prima di avere il tempo di ripensarci, fece il giro dell’auto prese i due borsoni dal bagagliaio e si incamminò verso la porta d’ingresso.
Lungo il tragitto si accorse di quanto si sentisse nudo senza le armi, chiuse gli occhi per un istante cercando di allontanare quella sensazione. Memorie rosso sangue lo avvolsero.
Lo scricchiolio degli scalini di legno anticipò il suo ingresso e Sam gli aprì la porta prima ancora che avesse l’opportunità di bussare. Il tempo sembrò fermarsi. Sam era sano. Non ci credeva, niente sangue, niente cicatrici, neanche un livido. L’immagine cozzò tremendamente con l’ultima volta che l’aveva visto, nel letto coperto di tagli, immobile come morto.
Sam gli fece segno di entrare, Dean attraversò la porta e allungò un braccio per toccarlo, per provare a se stesso che quella vista era reale, che quello davanti a sé era veramente suo fratello e in salute.
Sam sussultò e si ritirò di scatto.
Sammy ha paura di me. Quel pensiero gli fece più male di tutte le ferite che portava sulla schiena. Era ovvio che Sam avesse paura, cosa si era aspettato? Che si abbracciassero, avessero un momento da femminucce e dimenticassero all’istante che l’aveva torturato?
“Mi dispiace.” Disse Sam quasi in automatico.
“è..è okay. “ rispose Dean cercando di nascondere le sue emozioni. Avrebbe voluto dire a Sam che non aveva niente di cui scusarsi, anzi che aveva tutto il diritto di odiarlo come lui odiava sé stesso, ma non ci riusciva. Lasciò cadere il braccio lungo il fianco e fece attenzione a passare a una certa distanza da Sam mentre andava a posare le borse vicino al divano. Nel percorso vide Bobby che guardava torvo nella loro direzione e gli rivolse un breve cenno di saluto che fu risposto in modo altrettanto stentato.
Lo sguardo di Dean precipitò verso il pavimento, mentre restava inerme, insicuro su cosa fare.
“Vieni qua.” Lo chiamò Sam. Quando Dean si voltò fu sorpreso di vedere che il fratello lo stava invitando per un abbraccio. Sam era teso, stava lottando contro tutti i suoi istinti per tenere le braccia allargate e fare un passo verso di lui, ma non aveva intensione di desistere. Dean voleva abbracciarlo con tutta la forza che gli era rimasta, ma aveva anche il terrore che Sam si sarebbe tirato indietro all’ultimo.
“Stai tranquillo, non c’è bisogno.” Dean cercò di minimizzare.
“Lo so.” La determinazione sul viso del piccolo- non più tanto piccolo- quasi gli portò un sorriso alle labbra. Quindi fece un passo avanti lentamente aprendo le braccia nel modo meno minaccioso possibile. Sfiorò appena le spalle di Sam per non farlo sentire intrappolato. Sam sta bene. Strinse i denti quando le braccia del fratello si chiusero sulla sua schiena. I muscoli di Sam erano tesi e controllati, quel piccolo gesto di affetto gli stava costando tutta la concentrazione che aveva per non allontanarsi di nuovo. Dean stava per interrompere quell’abbraccio forzato, quando Sam lo anticipò.
“Stai bruciando.”
“Non è niente.”
Bobby che fino a quel momento era rimasto in disparte si fece sentire.
“Balle, idiota levati la camicia e mettiti a cavallo della sedia. È l’ora che ti fai d’are un occhiata.”
“Sto bene ho solo bisogno di riposare un po’.” Rispose Dean, rabbrividendo al ricordo dell’ultima stronzetta che gli aveva chiesto di spogliarsi. Sapeva che le intenzioni di Bobby erano ben diverse. Non voleva la loro pietà dopo quello che aveva fatto a Sam. Fece un paio di passi indietro, aprì uno dei borsoni e passò il laptop a Sam sperando di cambiare argomento. Sam si avvicinò, teso come una corda di violino, prese il computer dalle mani di Dean, ma lo abbandonò immediatamente sul divano continuando a fissare il fratello.
“Dean…ora!” lo richiamò Bobby, come un padre che perde la pazienza con il figlio.
“Cosa c’è che non va con la tua schiena?” Chiese Sam, la tensione di essere vicino a Dean ancora papabile sotto alla preoccupazione nella sua voce.
“L’idiota si è fatto flagellare o qualcosa del genere. Quindi inculcagli un po’ di buon senso e convincilo a farsi dare un occhiata visto che si è perso il pronto soccorso angelico.”
“Cosa hai fatto?” Sam chiese incredulo, i suoi occhi erano grandi di paura, come se non avesse da poco subito di peggio lui stesso.
“Ho solo bisogno di una camicia pulita e di un po’ di riposo.” Voleva lasciar correre, non voleva che Sam si preoccupasse per quello, tantomeno che ne vedesse i risultati. Non aveva bisogno della loro pietà, non aveva diritto alla loro pietà. Nel silenzio che seguì, negli occhi di Sam la paura fece spazio alla preoccupazione e infine tutto svanì in una supplica silenziosa. Quei dannati occhi da cucciolo.
Giuro che un giorno imparerò a resistere.
Dean mise da parte il suo orgoglio e cedette, dopo tutto, la schiena gli stava facendo passare le pene dell’inferno.
“Sammy non c’è bisogno che tu lo veda.” Disse dolcemente. La stanchezza del viaggio iniziava a farsi sentire. Sperò che Sam ricevesse il messaggio e lasciasse la stanza, ma Sam non si mosse.

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


Disclaimer: Non possiedo i diritti di Supernatural né dei personaggi riconoscibili presenti in questa storia. L'idea originale è merito di Eric Kripke ed i diritti, al meglio delle mie conoscenze, appartengono allo studio CW. Le Algea sono state introdotte da Esiodo nella Teogonia, ma data la scarsità di fonti ho lavorato di fantasia per la loro caratterizzazione e attualizzazione. Questa storia è scritta per puro divertimento e non ha scopi di lucro.
Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3 e alcuni elementi dalla stagione 4.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie.
A.N.: siamo quasi alla fine, c'e ancora tanta tensione, ma almeno Sam e Dean sono di nuovo insieme, più o meno.

Dean si mosse impacciato mentre cercava di rimuovere la camicia di flanella che lo avvolgeva. Le braccia e le spalle sembravano pesare una tonnellata l’una. Sentiva gli sguardi di Sam e Bobby bruciare su di sé, o forse erano le ferite. In tutto quel muoversi la maglietta si torceva in modo strano, la sentiva rimanere appiccicata alla pelle, qua e là, non era sicuro neanche lui di dove. Qualche taglio si doveva essere riaperto mentre guidava. Sperò di non aver macchiato la sua Baby. Soffiò fuori tutta l’aria che aveva nei polmoni afferrando i lembi della maglietta sapeva che quelle ferite si sarebbero fatte sentire.
“Fermo!”
Era Sam. Dean obbedì in modo automatico, intontito dalla mancanza di sonno e dal dolore. Guardò Sam cercando di capire cosa stesse facendo di sbagliato. Si era forse mosso in modo troppo brusco o Sam aveva pensato che stesse prendendo la Colt?
“Dean cosa c’è che non va?”
Allargò le braccia quanto riusciva.
“Sto solo togliendo la maglietta.” Sbuffò.
Bobby gli girò intorno senza fare complimenti, quando vide la maglietta zuppa di sangue rappreso sbuffò a sua volta.
“Lascia perdere. Sam ci sono le forbici nel primo cassetto. Vado a prendere il kit di primo soccorso e quando torno voglio trovarti su quella dannata sedia.” L’ultima frase era rivolta a Dean.
Sam era ancora più sulle spine, ma sapeva di dover tenere duro per Dean. continuò a guardare il fratello dall’alto in basso finché Dean non si convinse sedersi. Quando Dean gli sfilò davanti scoprì cosa aveva visto Bobby. Avrebbe preferito non sapere.
Evitarono cautamente l’argomento.
“Quindi Cas è tornato e ti ha guarito?” Dean chiese mentre aspettavano che Bobby tornasse con il kit di primo soccorso. Sam aveva preso le forbici e aveva iniziato a fare a brandelli la maglietta. Ogni nuovo refolo d’aria fresca sulla pelle era una benedizione e le sue emozioni sembravano più sotto controllo ora che non stava più guardando in faccia Sam. Sapeva già la risposta, ma non importava.
“Sì ha detto che non poteva farlo prima per colpa di Zaccaria.”
“Quel figlio di puttana.” Sentire Sam ripetere che stava bene non aiutava a diminuire il senso di colpa.
“Stai cerando di strangolare la sedia o cosa?” Dean si rese conto che si stava aggrappando alla spalliera con tutta la forza che aveva, come se cercasse veramente di frantumarla, pochi minuti e già non era più sicuro di avere controllo sul proprio corpo.
“Okay ragazzi, basta scherzare.” Bobby li interruppe rientrando nella stanza.
“Qui ci sono gli antidolorifici.” Aggiunse mentre spingeva un bicchiere dal contenuto lattiginoso in direzione di Dean.
“Non ne ho bisogno. L’ho detto, sto bene, non è niente in confronto a…” si fermò a metà della frase rendendosi conto di aver già detto troppo. No, non voleva che gli antidolorifici gli portassero via il dolore.
“In confronto a cosa Dean?” gli chiese Sam incrociando le braccia anche se Dean non poteva vederlo.
“Niente.” Dean, portò lo sguardo sulle sue mani, aspettandosi di trovarle di nuovo coperte di sangue. Aveva torturato la persona che aveva promesso di proteggere più di ogni altra al mondo e se l’era fatto piacere. Il pensiero gli dette il voltastomaco, per fortuna il suo stomaco era vuoto. Quando aveva mangiato l’ultima volta?
“Certo nie..Dean, sei disarmato?” Sam allarmato scambiò uno sguardo incerto con Bobby che iniziò subito a perquisire Dean.
“Cosa c’è che non va ragazzo?” Bobby, tastava a vuoto i polpacci alla ricerca di pistole e coltelli. Dean non era mai disarmato, mai. Non andava neanche a dormire senza tenere una pistola o un coltello sotto il cuscino da quando aveva quindici anni. Bobby l’aveva scoperto l’anno dopo, quando aveva cercato di svegliarlo da un incubo e si era ritrovato con una lama piantata nel braccio.
“Bobby ci puoi dare un minuto?” Il vecchio sbuffò portando il suo sguardo da uno all’altro fratello mentre soppesava la decisione.
“Se è tutto a posto, vado anche volentieri a dormire e ci vediamo domattina.” Mentì, non sarebbe riuscito a dormire finché i suoi ragazzi non si fossero ripresi.
Dean Sentì un ondata di panico al pensiero di restare solo con Sam. Non poteva restare solo con Sam. Le cose potevano andare male. Bobby doveva essere lì per fermarlo. Dean prese un respiro cercando di riprendere il controllo. Per la prima volta da quando suo padre era morto, voleva pregare Bobby di rimanere nella stanza. Si rassicurò mentalmente che dopotutto era in controllo del suo corpo e dei suoi pensieri. Ricordi recenti lo provocavano e contraddicevano. Non riuscire a rilassare le mani che erano serrate intorno alla sedia sembrava raccontare una storia diversa.
Sam doveva aver annuito o qualcosa del genere, perché prima ancora che Dean divenne padrone del suo respiro udì Bobby augurare loro buonanotte ed uscire dalla stanza.
Che diavolo? Perché nessuno gli aveva chiesto la sua opinione. Decisamente non era tutto a posto se rimaneva nella stanza da solo con Sam. Chi sapeva cosa avrebbe potuto fare. Dean cercò di alzarsi, voleva allontanarsi fintanto che aveva ancora in parte il controllo del suo corpo, fintanto che non aveva ancora fatto del male a nessuno.
“Dean dove pensi che di andare? Non ti muovi da quella sedia fino a che non avremo sistemato la tua schiena anche a costo di legartici. Ma credo che ne abbiamo avuto abbastanza tutti e due di essere legati e doloranti ultimamente.” Sam lo spinse di nuovo giù sulla sedia, gentile ma deciso.
Dean oppose poca resistenza. Valutò l’offerta di Sam di legarlo, non importava quanto bruciasse quell’ultima battuta. Se fosse stato legato, di sicuro non avrebbe potuto far male a nessuno, giusto?
“Ti conviene prendere gli antidolorifici, il tessuto è entrato in metà delle ferite e alcune hanno l’aria di essere infette.” La voce di Sam, ferma e provocatoria un attimo prima era ora invece dolce e gentile.
“Fai quello che devi fare.” Non esisteva che Dean prendesse quella roba che rischiavano di annebbiargli i pensieri.
“Dean se questo è un modo per punirti…”
“Lascia stare.”
“No, finché non mi spieghi perché sei disarmato e non vuoi gli antidolorifici.”
“Peccato nessuno ti abbia dato uno specchio prima che passasse Cas, era un vero capolavoro.”
“Smettila.”
“Medica queste cazzo di ferite.”
Rimasero in silenzio per il resto del tempo.
Quando Sam ebbe finito di ripulire tutte le ferite e aveva avvolto il torso di Dean con delle bende pulite erano entrambe esausti e il sole stava per sorgere.
A discapito delle paure di Dean non era successo nulla in quella notte interminabile, aveva solo le mani indolenzite per aver stretto la sedia e la schiena che bruciava indistintamente. Si sentì tranquillo a buttarsi sul divano nella stessa stanza di Sam e a lascarsi andare al sonno, o forse era solo troppo stanco per preoccuparsene.
 
 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


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Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3 e alcuni elementi dalla stagione 4.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie.
A.N.: Ed eccoci arrivati all’ultimo capitolo pur sapendo tutto quello che doveva succedere in abbondante anticipo scrivere e rivedere questa storia è stata per me un’avventura emotiva. Spero che questo viaggio sia piaciuto a voi almeno quanto è piaciuto a me. Vorrei ringraziare tutti quelli che hanno commentato o messo la storia tra i favoriti. Ringrazio anche tutti quelli che dietro le quinte mi hanno ascoltato quando la raccontavo le prime volte e mi hanno convinto a tornare a pubblicare i miei scarabocchi. Per chi avesse voglia di continuare a leggermi sto mettendo qualche scenetta ispirata alla Febuwhump2024 su fanfic.net (per il momento solo in inglese, o qualcosa che ci assomiglia)
 
Dean si svegliò al profumo di uova e pancetta che aleggiava nella stanza. Il sole era già alto, a giudicare dalla luce nella stanza. Il suo stomaco brontolò, mentre cercava di cacciare via gli incubi della notte appena trascorsa. Sam stava ancora dormendo. Le sue gambe pendevano oltre la spalliera del divano. Sta bene.
Rimase a fissarlo. Studiò il ritmico su e giù del suo petto farsi più veloce. Gli occhi che si muovevano dietro le palpebre e i muscoli che si contraevano appena. Incubi, come dargli torto.
Le immagini della notte erano ancora troppo vivide. Sam sul suo tavolo all’inferno coperto di sangue. Suppliche quando mormorate quando urlate, ma sempre ignorate. Aveva continuato a rivoltarsi ai suoi incubi ripetendosi che Sam non era mai stato all’inferno. Adesso che era giorno, quelle immagini si sovrapponevano con i ricordi delle sorelle. Non importava lo scenario, lui era stato il carnefice, lui era il sadico che non si era fermato neanche davanti al fratello che avrebbe dovuto proteggere.
Sospirò. Era troppo tardi per tornare indietro.
Almeno Sam stava bene.
Alzò la testa per cercare Bobby. Lo trovò in cucina ai fornelli, da dove arrivava anche lo sfrigolio del bacon. Lo stomaco di Dean si fece sentire di nuovo. Bobby si voltò, ma nel momento stesso in cui i loro sguardi si incrociarono, Bobby abbassò gli occhi. Non serviva molto a immaginare il perché di quel gesto, dopo tutto quello che era successo. Dean non riusciva neanche ad immaginare cosa gli avrebbe fatto suo padre se fosse stato ancora vivo. Aveva avuto un tetto sopra la testa e Sam lo aveva ricucito, doveva ringraziare e ripartire prima che gli animi si scaldassero.
“Vuoi qualcosa da mangiare?”
Lo stomaco di Dean brontolò di nuovo decidendo per lui. Non era sicuro di quando avesse mangiato per l’ultima volta, forse prima delle sorelle prima di …
“Grazie.”
Bobby gli aveva messo davanti uova, bacon, pane e una scatola di fagioli. Sul tavolo poco lontano c’era una fruttiera. Dean divorò il cibo in silenzio. Bobby seduto accanto a lui non disse una parola fino a che Dean non ebbe finito di pulire il piatto.
“Senti, riguardo due giorni fa…” Dean alzò la testa nella sua direzione, aspettando la ramanzina.
“Quello che ho detto…Mi dispiace non lo sapevo.” Bobby non era John. Quello fu il primo pensiero di Dean.
“Cosa? Che ero un sadico figlio di puttana? È la verità.” Faceva un effetto strano dire quelle parole ad alta voce.
“Dean, non è giusto. Non l’avrei mai detto se avessi saputo.”
“Avrei dovuto proteggerlo...”
“Starà bene.”
“Solo perché qualche stupido angelo è arrivato e lo ha curato? Ho perso il controllo, non me ne fregava un cazzo, non era più Sam quello che avevo davanti.” Dean stava tremando di furia e terrore allo stesso tempo.
“Dean quello che è fatto è fatto. Ringrazia che ne siete usciti vivi.” Bobby lo fissò in silenzio. Non avrebbe saputo cosa dire tranne ripetere di nuovo che Sam stava bene. E non era di aiuto.
“Ha paura di me. Non so neanche da quanto tempo mi stava supplicando di smettere.” Dean disse, pericolosamente vicino a singhiozzare.
“Solo una volta.” Sam era in piedi e si stava stropicciando gli occhi, evidentemente era stato svegliato dalla discussione.
Dean lo guardò inebetito senza sapere cosa volesse dire.
“Era la prima volta che ti chiedevo di fermarti. E mi hai sentito, qualunque cosa stesse succedendo nella tua testa, ti sei fermato.” Lo diceva senza emozioni, senza rimproveri.
“Non saremmo mai dovuti arrivare a quel punto.”  Voleva John, voleva qualcuno che gli dicesse quanto aveva sbagliato. Non la pazienza di Bobby. Non il perdono di Sam.
“Quale altra scelta c’era?” Sam era più frustrato che altro. Bobby si era alzato con la scusa di servirsi la colazione.
“Tanto per cominciare, avevo la scelta di non farmelo piacere.”
“Fartelo piacere? Hai iniziato a tremare assai prima di prendere il coltello in mano.”
“Eri solo una dannata tela per me in quel momento ed ero fiero del capolavoro che stavo disegnando.”
Sam accusò il colpo. La mano andò istintivamente a massaggiare il petto, se ne accorse e la scostò di scatto, ma non prima che Dean la vedesse.
“È per quello che hai lasciato il coltello in auto ieri sera, avevi paura di iniziare un altro…disegno?”
Dean si bloccò, nudo di fronte alle accuse di Sam. Sentì gli occhi di Bobby bruciargli sulla nuca, mentre Sam continuava a fissarlo in attesa di una risposta.
“Eri solo uno tra tanti come tutti quelli che ho torturato all’inferno.”
Sam chiuse gli occhi per un istante.
“Non ci saresti riuscito altrimenti.”
“Scusa?”
“Non saresti riuscito a fare quello che le sorelle chiedevano se non ti fossi assentato in quel modo.”
Dean non l’aveva mai considerata in quel modo, vero o falso che fosse, non giustificava quello che aveva fatto. Non avrebbe mai dovuto permettersi di dimenticarsi che era Sam la sua tela.
Bobby si riavvicinò al tavolo, spostando la fruttiera per far spazio al piatto e facendo cadere una mela.
“Dean lo sappiamo tutti che quello che hai dovuto fare va contro ad ogni fibra del tuo corpo, contro ad ogni cosa che ti è stata insegnata.”
“Voi non capite.” Dean allontanò il piatto prima di cedere all’istinto di lanciarlo contro un muro. Era stato un mostro perché non volevano vederlo.
“No Dean, sei tu che ti rifiuti di vedere la realtà. Era o noi o i bambini. Né tu, né io eravamo pronti a sacrificare i bambini.”
“Forse sarebbe stato meglio.”
“Balle, non dici sul serio.”
Dean si alzò di scatto e fece un passo verso Sam che si ritrasse d’istinto proprio come la sera prima.
Bobby abbassò la testa sconsolato. Dean sentì di aver provato il suo punto.
“Hai paura.”
“Credi che non mi renda conto di quanto patetico debba sembrarti? Tu hai resistito per anni io neanche qualche ora. So che non è colpa tua Dean, ho solo bisogno di tempo.” E di sangue di demone, ma quello se lo tenne per sé.
 “Pensi che chiedere una volta di fermarmi voglia dire crollare? Non c’eri neanche vicino.”
 “Come fai ad esserne sicuro?”
“Perché ero bravo e perché ci sono passato.” Disse con tono amareggiato.
Sam si prese qualche secondo.
“Non avresti sacrificato i bambini.” Cercò di rassicurarlo Dean.
“Abbiamo salvato i bambini.” Disse Sam come se ne dovesse convincere.
“Abbiamo salvato i bambini, ma tornassi indietro...” Dean avrebbe fatto di tutto per cancellare le sue azioni, forse anche sacrificare i bambini se voleva dire salvare Sam, ma Sam scosse la testa.
“Tornassimo indietro rifaremmo tutto esattamente uguale. Non importa cosa stesse succedendo nella tua testa, se con i pensieri eri altrove o altro. Appena ho chiamato ti sei fermato e sono sicuro che lo rifaresti di nuovo”
Dean non sembrava avere la stessa certezza.
“Mi fido di te.” Ribadì Sam prima che Dean avesse la possibilità di ribadire.
Sam si allontanò di un passo prese una mela dalla fruttiera e la lanciò a Dean che l’afferrò al volo d’istinto.
“Che…?” Dean non aveva idea di cosa c’entrasse quella mela con la fiducia.
Sam non rispose e porse a Dean un coltello da cucina. La lama rivolta verso se stesso, il manico verso il fratello. Le mani che tremavano e i muscoli delle braccia tese. Dean esitò guardando quel coltello fra di loro. Un’arma. un simbolo di tutto quello che era appena successo.
“Sam?”
“Non pensare che te la faccio passare completamente liscia, mi devi almeno una colazione”
Dean afferrò il coltello e lo soppesò il coltello tra le mani. Lasciò che le parole di Sam gli entrassero dentro, gli dessero speranza. Sam non si mosse di un millimetro. Se Sam riusciva ancora a fidarsi di lui, forse un giorno Dean sarebbe stato capace di fidarsi di nuovo di sé stesso.
Aveva gli occhi annebbiati di lacrime mentre la lama incideva togliendo piano piano il rosso della buccia e lasciando il bianco immacolato della polpa. Non era così idealista da pensare che sarebbe riuscito a perdonarsi, ma per il momento si accontentava di poter fare qualcosa per Sam.
“A cubetti…”
“…non a strisce.” Dean finì la frase per Sam.
Risero entrambe ricordando quando Dean preparava la colazione da bambini.

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Capitolo 16
*** Bonus ***


Disclaimer: Non possiedo i diritti di Supernatural né dei personaggi riconoscibili presenti in questa storia. L'idea originale è merito di Eric Kripke ed i diritti, al meglio delle mie conoscenze, appartengono allo studio CW. Le Algea sono state introdotte da Esiodo nella Teogonia, ma data la scarsità di fonti ho lavorato di fantasia per la loro caratterizzazione e attualizzazione. Questa storia è scritta per puro divertimento e non ha scopi di lucro.
Spoiler warning: La storia contiene spoiler sul finale della stagione 3 e alcuni elementi dalla stagione 4.
Triggers: La storia contiene elementi di violenza, non estremamente grafici e linguaggio volgare, entro i canoni della serie. Questo capitolo contiene elementi di chirurgia fai da te, da non provare a fare a casa.
A.N.: Okay, mi sono presa un po’ di pausa per lavorare ad altri progetti. Ma alla fine sono tornata su questa storia. Visto le recensioni per quella che è sembrata una conclusione un po' affrettata, ho provato ad aggiungere qualche passaggio sulla notte trascorsa a casa di Bobby. Sam POV, con un po' di flusso di coscienza. Aspetto pareri se volete anche il POV di Dean. 
 
Sam vide le forbici nelle sue mani tremare di riflesso al tremolio delle sue mani. L’ultima volta che aveva visto Dean era con un coltello in mano. Sapeva che era una scelta che avevano fatto insieme, anzi che forse aveva fatto lui anche per Dean, ma questo non lo rendeva più facile. Era solo felice che Dean gli stesse dando le spalle aspettando che lui si occupasse delle sue ferite. Fiducia cieca fu l’unica espressione che gli venne alla mente. Si chiese se non dovesse dirgli degli esperimenti che faceva con Ruby e il sangue di demone. Pensava ad ogni volta che era sgattaiolato fuori di nascosto, alle scuse che si era inventato quando Dean svegliandosi non lo aveva trovato. Sapeva che dirglielo adesso, dopotutto quello che era successo negli ultimi due giorni, sarebbe stato gettare benzina sul fuoco. Non poteva dirglielo, non ora che nonostante tutto Dean riusciva ancora a dargli le spalle, mentre lui aveva un paio di forbici che non riusciva ad impugnare senza tremare.
Prese un respiro lento e profondo cercando di non farsi sentire da Dean. Cercò di lasciarsi alle spalle quei pensieri e di fermare il tremolio nelle mani. Tagliare il tessuto attorno alle ferite era come cercare di risolvere un labirinto con le forbici. Forbici. Lame. Coltelli. I suoi pensieri sembravano tornare sempre lì, nel sotterraneo delle sorelle. Non era la prima volta che era stato vittima di qualche mostro, ma quell’esperienza l’aveva lasciato segnato più delle altre. Ironico per qualcuno che era morto, risorto e aveva aperto la porta dell’inferno. Aveva passato il pomeriggio a cercare di lanciare un coltello a serramanico contro una pila di copertoni usati, soppesando l’arma tra le mani, accarezzandone la parte non affilata. Ore e ore di addestramento da ragazzo avevano reso quel movimento automatico e lo aiutava a sentirsi in controllo. Era così che si era sentito Dean mentre lo torturava? Era vero che John aveva resistito cent’anni prima che liberassero la sua anima? Forse loro padre aveva ragione su di lui quando diceva che era troppo debole per quel lavoro, ma con il sangue di demone stava diventando più forte. Con il sangue di demone sarebbe stato all’altezza, aveva bisogno di imparare a controllare un po’ meglio i suoi poteri, ma stava diventando più forte di loro, di Dean, di papà.
Mano a mano che faceva scivolare le forbici lungo la maglietta sentiva sulle nocche il calore che proveniva dalle ferite infette. I pezzi di tessuto che scivolavano via rivelavano fasci di muscoli tesi e Sam li seguiva fino a vedere Dean che stringeva i pugni intorno alla sedia. Sam l’aveva visto a volte attraverso la porta semichiusa del bagno stringere i pugni intorno al bordo del lavandino quando pensava che stesse per perdere il controllo. Lo aveva fatto fin da quando erano ragazzini. Ora stringeva quella sedia proprio nello stesso modo. Le armi mancanti, gli antidolorifici rifiutati, la sedia. Sam sapeva leggere i segnali. Si chiese se fosse davvero una possibilità, quella che Dean perdesse il controllo di nuovo. No, non di nuovo, non era mai successo, non aveva mai perso del tutto il controllo. Dean si era fermato. Dean non gli avrebbe fatto del male di nuovo se non fosse stato costretto. Cercava parole nella sua testa per spiegargli tutto ciò, per dirgli che anche se aveva paura si fidava, ma ogni frase che gli veniva alla mente sembrava troppo vaga e troppo superficiale per quel momento.
“Hei. Ho tolto quello che riuscivo a togliere con le forbici ora devo iniziare a pulire le ferite. Inizio da quelle in basso okay?” Anche se con i minuti si era abituato alla sensazione di impugnare le forbici, sapere di non averne più bisogno fu un sollievo.
“Kay.”
Con la scusa di far spazio alle forbici sul tavolo, spinse gli antidolorifici in direzione di Dean. Quel testardo di suo fratello vide il gesto, ma fece finta di nulla e si limitò ad abbracciare la sedia e a serrare la mandibola, Sam lo vedeva nei muscoli tesi del collo.
Sam iniziò dai tagli che sembravano più puliti, quelli in cui non c’era tessuto dentro. Quelli bastava un po’ di disinfettante. Dean sussultava leggermente al bruciore del disinfettante, ma stringeva i denti senza emettere un rumore. Sembrava di vedere se stesso con le sorelle, quando cercava di non urlare per non aggravare la situazione di Dean. Ma mentre lui aveva fallito nell’intento Dean sembrava non avere problemi.
Parlarono un po’ di cosa Dean aveva trovato ad Alessandria e si fece raccontare di nuovo dei bambini e delle indagini della polizia sulla stanza delle torture delle sorelle.
Alcuni dei tagli dove il tessuto si era appiccicato solo in superficie bastò bagnarli a sufficienza per indebolire la crosta e tirare via il tessuto. Non era piacevole, ma era sempre meglio dell’alternativa.
“Posso sapere almeno cosa ti è successo?”
“Lupe e un gatto a nove code. Ma Cas è arrivato prima che potesse fare troppi danni.”
Sam guardò la schiena di Dean, era danneggiata abbastanza, perché se volevano intervenire gli angeli hanno aspettato così tanto?
“Che ne pensi di Cas?”
“Ti ha guarito e quando uno ti trascina fuori dall’inferno, tende a guadagnare punti. Ma le cose belle non succedono per caso.”
“Credi che ci sia un secondo fine?”
“Sammy, quando imparerai che c’è sempre un secondo fine?”
“Merda”
“Che succede?”
“È già il secondo taglio dove non riesco a tirare via il tessuto.”
Dean tirò un respiro a denti stretti. Sapevano entrambe cosa andava fatto in quei casi.
“Fai quello che devi fare,” disse sconsolato. Sam notò che suo fratello aveva finalmente allentato la presa sulla sedia e decise di fare un altro tentativo.
“Sarei più tranquillo se prendessi quegli antidolorifici ora.”
“No.”
“Dean, non è colpa tua.” Gli disse frustrato.
“No, è colpa della dannata maglietta che si è infilata nelle ferite.”
“Dean…”
“Sono stanco, finisci e andiamo a dormire.”
Proprio come lui aveva fallito nel seminterrato delle sorelle, Dean fallì a rimanere in silenzio quando Sam usò lo scalpello chirurgico per allargare le ferite e riuscire a tirare fuori il tessuto penetrato in profondità. Anche se si trattava di poco più di mugolii e imprecazioni da parte di Dean, era per Sam un promemoria costante di quanto era successo a parti invertite nel seminterrato delle sorelle.
Le sue mani ricominciarono a tremare, proprio come tremavano le mani di Dean al primo taglio che gli aveva inciso sul petto. Sam fece il possibile per fermarle, sapeva che avrebbe solo recato un danno maggiore a Dean se non avesse avuto una mano ferma. Prese un altro respiro profondo.
“Ehi, se non te la senti, possiamo lasciarle così, magari chiedo a Bobby domani” offrì Dean, ma non era un’offerta che Sam potesse accettare. Aveva bisogno di essere lui ad aiutare Dean, aveva bisogno di convincere tutti e due che sarebbe stato tutto a posto.
Un paio di volte ebbe la sensazione di sentire crepitare il legno alle spalle, come se qualcuno stesse camminando nel corridoio. Non escludeva che Bobby si fosse affacciato a controllarli. Sicuramente avevano fatto abbastanza baccano da svegliarlo, ma non lo videro mai entrare nella stanza.
Quando ebbe finito di ripulire tutte le ferite erano entrambe esausti. Mentre Sam avvolgeva un bendaggio fresco attorno al torso di Dean, Dean sembrava aver mollato del tutto la presa sulla sedia e Sam lo considerò il segnale migliore di guarigione di quella notte.
Si buttarono sui due divani che occupavano la zona giorno. Sam aspettò finché il respiro di Dean non si era fatto calmo e regolare prima di lasciarsi andare al sonno a sua volta.

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