i ricordi del tempo

di Juls18
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Prologo

Il temporale che si era abbattuto la notte non aveva lasciato traccia di se. La mattina era stata accolta dai caldi raggi del sole, che sembravano avere spazzato via ogni singola nuvola con la loro luce, lasciando vedere il meraviglioso cielo azzurro terso del mattino a chiunque avesse voluto. Ma stessa luce, quella mattina, sembrava essere desiderosa di farsi vedere da chiunque e così penetrò senza sforzo nella grande casa, colpendo il volto dell’uomo che dormiva ancora nel grande letto bianco. Disturbato da quel fascio luminoso, l’uomo si svegliò dal sonno e istintivamente allungò una mano verso l’altra parte del letto. Ci mise qualche secondo prima di capire che era vuoto. Aprì gi occhi di scatto e si ritrovò a constatare con la vista ciò che il tatto aveva già scoperto. Ancora non riusciva a farci l’abitudine. Per più di cinquant’anni aveva dormito in quel letto con la stessa donna, era andato a dormire e si era svegliato con lei, sempre al suo fianco. E anche se era ormai un anno che non c’era più, tutte le mattine la cercava ancora. L’uomo si mise a sedere e si guardò attorno. Ogni cosa ancora parlava di lei. Sua figlia aveva insistito per tanto tempo per cercare di togliere alcune cose, ma lui non aveva voluto. Non perché sperasse in un suo ritorno, sapeva che non sarebbe mai potuto accadere, e sapeva che quegli oggetti non avrebbero mai potuto riempire l’enorme vuoto lasciato da lei, ma il solo vederli lì, al loro posto, gli faceva ricordare le mattine dove veniva svegliato dalla sua risata, o dal profumo del caffè che lei gli portava quando si doveva fare perdonare qualcosa. Si ricordava di quando avevano dormito la prima volta lì, con solo un materasso e una coperta, e di come poi, piano piano, avevano portato quella grande casa alla vita, risistemando le stanze, e portando ogni singolo oggetto, mobile o suppellettile che fosse. Aveva amato quella casa dal primo momento, e l’aveva amata così tanto perché lei era accanto a lui. Se non fosse stato per lei, non avrebbe avuto quella magnifica famiglia, non avrebbe avuto tutti quei ricordi, e non avrebbe avuto, ora, cinque magnifici nipoti che venivano lì ogni estate per passare del tempo con il loro vecchio nonno. Erano stati proprio i suoi nipoti a farlo andare avanti. Era il patriarca della famiglia, e doveva pensare a loro. Non poteva smettere di vivere, preso dalla tristezza, e dimenticarsi di chi era rimasto. Così si alzava tutte le mattine e si occupava delle solite cose. Controllava che la casa fosse in ordine e soprattutto, si occupava della grande tenuta. Era stato fortunato nella vita, e potersi occupare della grande tenuta con i suoi campi coltivati e il bosco, lo aveva riempito di gioia. E così, come ogni mattina, si era alzato, vestito, aveva fatto una piccola colazione, caffè nero amaro e due fette biscottate e si era avviato verso la stalla, dove i suoi fedeli compagni lo attendevano. Non poteva pensare di iniziare la sua giornata senza quei due animali, che piano piano, erano entrati a far parte della famiglia. Il cane lupo era l’ultimo di una lunga stirpe.  Da oltre cinquant’anni li aveva sempre avuti al fianco, fedeli, leali e buoni amici. Se vedeva il cane tranquillo, lui sapeva che andava tutto bene. Come ogni mattina il cane, Wolf, lo aspettava davanti alla porta della stalla. Sapeva che il suo padrone iniziava il giro da lì, e lo aspettava. L’uomo passo una mano sulla testa del cane e gli grattò dietro l’orecchio.

-Bella mattina per fare una passeggiata, giusto?-

Il cane si limitò a farsi accarezzare, compiaciuto del saluto che il suo padrone gli stava riservando. Dalla stalla, intanto, si sentivano alcuni rumori. L’uomo sorrise

-Sembra che anche Storm abbia voglia di uscire oggi-

Il grande purosangue nero stava sbuffando dentro la stalla, pronto per la sua galoppata mattutina. La passione per andare a cavallo non l’aveva mai avuta da bambino, era arrivata con il tempo, da adulto, quasi per caso. Era stato sfidato a salire su un cavallo. Gli sembrava ancora di sentire quella voce allegra, mentre lo provocava

-Dai, vediamo se sei così bravo anche in questo…-

Ricordava la luminosità di quegli occhi marroni che lo fissavano, un misto di divertimento e provocazione che lo faceva impazzire ogni volta. Tutto partiva sempre da lei, e lui si era sempre lasciato trascinare, fidandosi ciecamente. E grazie a lei aveva scoperto l’equitazione e la gioia che gli dava cavalcare la mattina, lanciare il cavallo al galoppo e sentire l’aria colpirgli in viso. Ovviamente, ora che l’età era avanzata, non correva più come prima, non spronava più il cavallo al galoppo come un tempo. Ma non aveva mai voluto rinunciarci. E così aveva mantenuto quella routine mattutina. Sellato il cavallo e fatto uscire dalla stalla, l’uomo si preparò a salire, ma fu interrotto da una voce

-Nonno non c’è acqua calda… di nuovo-

Voltandosi, vide una ragazzina di quindici anni, visibilmente annoiata e scocciata, che lo fissava. Era incredibile come assomigliasse a sua moglie. Tra tutte le sue nipoti, era l’unica che la ricordava veramente tanto, tranne che per gli occhi. Quegli occhi blu che la fissavano erano in sostanza identici ai suoi.

-Anne, ho chiamato ieri l’idraulico. Deve sostituire un pezzo, che arriverà domani. Perciò come ti ho detto ieri sera, niente acqua calda fino a domani-

-Ma io mi devo fare la doccia, subito-

-Non morirai se salti un giorno-

Anne, alzò gli occhi, esasperata.

-Se la nonna fosse qui avresti già risolto il problema-

Quello voleva essere un colpo basso, ma l’uomo si limitò a scuotere la testa, mezzo divertito. Come se non sapesse come un adolescente arrabbiato e annoiato potesse comportarsi.

-Se la nonna fosse stata qui, avrebbe aspettato, esattamente come te. Anzi, non si sarebbe neanche lamentata…-

-Non si può stare senza acqua calda nonno-

-Siamo stati sei mesi senza acqua calda un anno-

Anne lo fissò, bocca aperta e spalancata

-Te lo stai inventando…-

-Tuo padre aveva all’epoca sei anni, quindi parliamo di parecchi anni fa… stavano facendo dei lavori sulla strada, qualche kilometro a distanza da qui, e hanno avuto un incidente. Scavando per ampliare la strada, hanno rotto i tubi di collegamento dell’acqua. Fin qui tutto normale, un paio di giorni e avrebbero dovuto risolvere, se non fosse stato che togliendo i tubi per sostituirli con i nuovi, gli operai si accorsero di un particolare abbastanza preoccupante-

-Sarebbe?-

-I tubi erano di piombo-

-E allora?-

-Il piombo può uccidere se preso in dosi elevate. E c’era una legge che imponeva l’uso solo dell’acciaio per le tubazioni dell’acqua. Ovviamente hanno dovuto sostituire tutte le tubazioni dell’area-

-E siete stati senza acqua per sei mesi?-

-Praticamente-

-E come avete fatto a sopravvivere?-

Un’improvvisa idea passò per la testa dell’uomo

-Sella Stella e ti mostrerò come abbiamo fatto-

Nonno e nipote si fissarono per qualche secondo. Entrambi sapevano come sarebbe andata a finire quella sfida.

 

La foresta al suo interno era quasi sempre in penombra. Non era molto fitta, complice anche i numerosi sentieri che la attraversavano, ma le folte chiome degli alberi creavano una penombra quasi sempre costante. Tuttavia, una strana luce la illuminava, rendendola accogliente. Anne seguiva suo nonno, in silenzio. Il nonno guidava con mano sicura Storm, il grande purosangue nero che rispondeva solo ai suoi comandi, e Anne non era preoccupata di perdersi in quella foresta. Il nonno la conosceva alla perfezione e, in ogni caso, Wolf avrebbe sicuramente trovato la strada di casa. Tuttavia, quel giorno, invece del solito sentiero, il nonno si era avventurato in un percorso diverso, che evidentemente era poco battuto. Lo dimostrava il fatto che l’erba, in molti punti era particolarmente alta, e il sentiero, se non si prestava attenzione, si confondeva con la vegetazione circostante e ci si poteva poi perdere nell’intrico dei tronchi degli alberi. Il viaggio era talmente tanto tranquillo che Anne si ritrovò persa nei suoi pensieri. Sapeva perché i suoi genitori l’avevano spedita lì.

-Stai un po’ con il nonno e cerca di distrarlo… tutto solo in quella grande casa, non gli fa bene. Lo so che ti chiedo un grande sacrificio, ma il nonno ho bisogno della tua compagnia-

Così era stata spedita lì, in mezzo al nulla, a passare tre settimane delle sue vacanze estive. Tutte le sue amiche erano al mare, a godersi il sole dell’estate, e lui confinata là, in campagna. Almeno la grande casa era dotata di una biblioteca enorme, e Anne aveva deciso di passare quasi ogni momento là dentro. E pensare che da piccola adorava quel posto. Sembrava di vivere in un palazzo, con tutte quelle stanze, tutte diverse l’una dall’altra, il grande salone delle feste, dove lei e la nonna si divertivano a fare finta di partecipare a balli incantati, il grande giardino, dove era possibile giocare a qualsiasi cosa venisse in mente, e la foresta, dove andava con il nonno ad esplorare, in sella al cavallo, come un eroina delle favole. Ma senza la nonna, sembrava che qualcosa si fosse spezzato, come se una sorta di incantesimo fosse stato lanciato sulla proprietà e sul nonno. Tutto sembrava più freddo, e la gioia che la pervadeva quando andava da piccola sembrava come sparita. Anche se c’erano dei momenti in cui tornava, come quando montava a cavallo. Il ritmo costante del passo dell’animale, il rumore degli zoccoli sul terreno, il lento ondeggiare, avevano il potere di calmarla e di farle spuntare un sorriso sul volto. Adorava chiudere gli occhi e lasciarsi guidare, ed era quello che stava facendo, quando sentì l’animale fermarsi. Aprì gli occhi e si ritrovò a fissare il volto di suo nonno, che la stava fissando

-Siamo arrivati-

Le disse, mentre lentamente smontava e si apprestava a liberare il cavallo dalle redini. Anne non vide nulla di speciale all’inizio, ma vide poi che il sentiero curvava leggermente, e uno strano rumore si sentiva provenire da dietro alcuni alberi. Fissò il nonno, e l’uomo le fece semplicemente cenno con la testa di andare a vedere. La ragazza si avvicinò  al limite degli alberi e ciò che vide la lasciò senza fiato. Era una piccola radura, di forma quasi perfettamente circolare, dove al centro un lago rifletteva i raggi del sole. Una piccola cascata, formata dal dislivello del terreno, sembrava l’unica cosa in movimento in quella piccola radura nascosta. Ma la cosa veramente sorprendente, era il profumo sprigionato da una miriade di fiori che crescevano lungo tutto il bordo del lago e si espandevano fin quasi al limite della radura. Un piccolo sentiero di terra battuta portava al laghetto, e, guardando con attenzione, si poteva vedere che curvava, seguiva il limite del lago, e proseguiva fino dall’altra parte, verso alcuni alberi dove, volendo, ci si poteva riposare all’ombra delle loro lussureggianti fronde.

-Tua nonna veniva qui ogni volta che aveva voglia di stare da sola, o aveva bisogno di riflettere. Diceva che il rumore dell’acqua l’aiutava a concentrarsi-

Improvvisamente Anne sentì come una presenza, una piccola carezza sulla guancia, come era solita fare sempre la nonna ogni volta

-E’ come se fosse qui-

Suo nonno le sorrise

-In un certo senso è così… ogni fiore che vedi, il sentiero, gli alberi laggiù… ha fatto tutto lei-

-In che senso ha…-

Anne non riuscì a finire la frase, perché il nonno le diede tra le mani un diario, anzi, due diari. Avevano entrambi la copertina rossa, di velluto, e sopra era stata ricamata in uno una rosa bianca, nell’altra una rosa blu.

-Cosa sono?-

-Inizia da quello con la rosa blu-

-Ma…-

-Erano della nonna. Fidati, se li leggi, capirai-

Anne osservò suo nonno dirigersi verso il suo cavallo e rimontare in sella.

-Ti vengo a prendere tra un paio d’ore-

-Che cosa?-

Ma suo nonno non le disse altro, fece fare un piccolo giro al cavallo e si diresse verso il sentiero, sparendo presto in mezzo agli alberi. Anne rimase perplessa ad osservare il punto in cui l’uomo era sparito. Era appena stata abbandonata in mezzo al nulla con due libri da leggere. Senza avere altra scelta, seguì il sentiero, e si sedette sotto l’ombra dei grandi faggi. La giornata era piacevole, non faceva troppo caldo, e un leggero venticello aveva iniziato a soffiare, facendo frusciare le foglie, creando un suono che si pervadeva in tutta la foresta. Trovata la posizione, Anne prese il diario con la rosa blu sopra e lo aprì. Subito, inconfondibile, riconobbe la calligrafia della nonna, dove in lettere chiare aveva scritto, subito nella prima pagina, un nome e una data.

                        ” Mimi, 2024”

Senza perdere altro tempo, Anne voltò pagina, e iniziò a leggere ciò che sua nonna aveva scritto, più di quarant’anni prima.

 

 

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Buongiorno a tutti, benvenuti e spero, bentornati. Per chi non sapesse chi sono, e ormai inizio a pensare che non lo sappia più nessuno, dovete sapere che qeusta sotria è la sexonda versione di una vecchia storia che avevo iniziato a pubblicare molti anni fa. Ovviamente crescendo, è cresciuta anche la storia e la usa idea, e mi osno ritrovata con il bisogno di rimettere mano fin dall’inizio e cambiare un sacco di cose. Chi, infatti, dovesse avere letto la prima versione, vedrà che il primo prologo e questo non hanno nulla in comune, ma vi posso assicurare che la sostanza della storia rimarrà praticamente uguale, ci saranno dei considerevoli cambiamenti, ma l’idea di fondo, quello da cui ero partita anni fa è smepre quella. Ora spero solo di riuscire a scriverla e a dare giustizia all’idea che ho in testa, e spero che ci sia ancora qualcuno che voglia accompagnarmi in questa avventura folle, forse esageratamente grande per una piccola persona come me, ma spero che mi ridarete una chance e, nonostante i miei sicuri ritardi negli aggiornamenti, i miei abissali errori, perché nonostante io rilegga mille volte un capitolo prima di pubblicarlo qualcosa salta sempre fuori, nonostante la mia mente contorta, spero vivamente che tutto questo vi possa piacere e che qeusta lettura vi regali emozioni, come le regala a me nello scriverla.

Buona giornata, un bacione grande grande come smepre dalla vostra

Juls

 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Capitolo 1

 

Trovare un inizio preciso a questa storia non è così semplice. Ci sono volte in cui ho come l’impressione che abbia sempre fatto parte di me. Altre, invece, che tutto sia piombato nella mia vita all’improvviso e per puro e semplice caso. In qualunque modo io la voglio vedere, tuttavia, l’unica costante è che il risultato è sempre lo stesso: la mia vita è cambiata per sempre. Non è stato un percorso semplice, anzi, è stato un percorso lungo, complesso e doloroso. Ma ciò che ho trovato lungo la strada è ciò che mi ha reso la donna che sono, la moglie che sono diventata e la mamma che sono oggi. E sono stata portata a scrivere questa storia, in questa notte insonne, da una sensazione. Non lo sto facendo per me, io la storia la conosco dopotutto, avendola vissuta in prima persona, perciò la sto scrivendo per te, che un giorno leggerai di questa folle, assurda ma incredibile avventura. Non so cosa penserai finita la lettura, se mi crederai o se la riterrai un vaneggio di una pazza, ma per me, il risultato che conta, è che questa storia non vada di nuovo perduta. È compito mio scriverla, raccontarla e preservarla. Lo devo fare per me, per mio marito e per loro, che ci hanno illuminato la strada e ci hanno fatto capire tante cose su di noi e sul perché è importante non dimenticare mai.

 

Ma ogni storia ha sempre un principio, dopotutto. E il mio principio, dovendone scegliere uno, è un normale mattino di settembre. Stavo andando a scuola, come ogni mattina, divisa ordinata, capelli sistemati e la mia borsa carica di libri e quaderni pieni di appunti, la maggior parte incomprensibili anche se li avevo presi io stessa. Ero tornata da un paio di mesi a casa, nel mio Giappone, dall’America, e piano piano mi ero riabituata allo stile di vita nipponico, dimenticandomi quasi completamente quello americano. Tuttavia, pur essendo tornata a Tokyo, una cosa non era affatto cambiata rispetto a quando vivevo in America ed era andare a scuola in treno. E io odiavo farlo. Ero obbligata, tutte le mattine a prenderlo, e anche se il sistema ferroviario giapponese era decisamente migliore di quello delle metropolitane di New York, il sovraffollamento mattutino era lo stesso. E io stavo iniziando seriamente ad odiare il forzato contatto fisico con degli estranei, la sensazione di claustrofobia e, soprattutto nei mesi più caldi, l’odore che l’umanità produceva in un ambiente piccolo e sovraffollato. L’unica consolazione era che lungo la mia stessa linea salivano per andare a scuola anche alcuni amici, quindi il percorso molto spesso lo passavo in compagnia. Quella mattina tuttavia, la mattina in cui tutto ebbe inizio, o almeno, il momento che ricordo per primo così vivamente collegato alla vicenda che sto per raccontare, ero sola. Non avevo incontrato nessuno dei miei amici ma, stranamente, ero riuscita a trovare un posto libero, così mi ero seduta tranquilla e aspettavo l’arrivo alla mia stazione di destinazione. Fu durante quel viaggio, seduta su quel sedile scomodo di plastica del treno, che ebbi uno strano episodio, il primo, purtroppo, di una lunga serie che mi stava aspettando. Mi ero trovata a fissare una pubblicità di una mostra che si stava svolgendo a Tokyo, una mostra di ritratti di nobili europei del diciassettesimo e diciottesimo secolo. Era una mostra che stavano pubblicizzando molto in città, e stava anche riscontrando un enorme successo a quanto diceva il notiziario. Se ne parlava così tanto che persino mia madre aveva insistito con mio padre per andare a vederla. E la città era letteralmente tappezzata di cartelloni pubblicitari che la promuovevano. Erano ovunque, persino alla radio era pubblicizzata quasi costantemente ed era impossibile non esserne bombardati durante la giornata. Ed è così che è iniziato tutto, mentre guardavo quella pubblicità, che ancora ricordo perfettamente. Era il ritratto di una famiglia di uno dei pittori più illustri della mostra, un ritratto con lo sfondo tipico della campagna inglese e ricordo di essermi soffermata proprio sul paesaggio, così ricco e verde, un chiaro riferimento alla prosperità della famiglia ritratta nel quadro. Ero così intenta ad osservare quel paesaggio lussureggiante e avvolgente, che, senza rendermene conto, mi ritrovai in mezzo ad una campagna coltivata. Ero in un campo di grano, giallo e maturo, pronto per essere colto, e io mi trovavo su una strada sterrata, unica guida in mezzo a quel mare giallo. La percorsi, sicura della mia direzione, quando ad un tratto mi accorsi di essere seguita. Mi girai, e vidi un uomo in sella ad un cavallo, un bellissimo cavallo nero. L’uomo cavalcava dritto verso di me, e io mi soffermai a vederlo, impaziente. Il mio cuore prese ad accelerare mentre una sensazione di fermento e gioia si insinuava dentro di me, ma prima che riuscissi a vedere chi era il misterioso cavaliere, mi svegliai di colpo, riportata alla realtà dalla fermata del treno e dall’arrivo alla mia stazione. Quando feci per uscire, mi accorsi di avere addosso una strana sensazione. Mi sembrava di percepire l’odore di erba appena tagliata e il rumore di acqua corrente in lontananza, come se scorresse nelle vicinanze un veloce ruscello di campagna. Scossi la testa per allontanare quella sensazione, e diedi la colpa di quello strano fenomeno, come dello strano sogno, al manifesto pubblicitario, e mi affrettai veloce verso la scuola. Ancora non potevo sapere che quell’odore di erba tagliata e il suono del ruscello mi avrebbero accompagnata ancora per molto tempo.

 

Inutile che stia qui a tediarvi su quanto potessero essere noiose le lezioni a scuola, quindi non ho molto da raccontare sulla mia vita scolastica. Era come tutte le altre, fatta di lezioni, compiti e studio  intramezzata da risate con gli amici e pause pranzo in compagnia. Era quella la parte che preferivo della giornata, il pranzo, o meglio, quell’ora e mezza di pace e tranquillità lontana dai libri con i miei amici. Avevamo l’abitudine, infatti, di ritrovarci tutti insieme, io, Sora, Tai, Izzi e Matt ogni giorno a pranzo. Eravamo amici da sempre, anche se la nostra amicizia si era cementata e fortificata durante gli eventi del campeggio estivo dei miei dieci anni. Ma quella è tutta un’altra storia e purtroppo qui non avrei il tempo necessario per parlarne con tutta la calma che anche quella storia merita. Ora, eravamo adolescenti, e come ogni adolescente che si rispetti eravamo convinti di avere capito tutto della vita, credevamo di sapere esattamente cosa fosse la vita e come gestirla e come quasi ogni volta eravamo intenti in quella pausa pranzo, a lamentarci della nostra triste sorte di incompresi e di persone pronte a cambiare il mondo alla prima occasione. In realtà eravamo solo un gruppo di adolescenti, in bilico tra infanzia e vita adulta e spaventati dal futuro nebbioso e incerto. Almeno io lo ero di sicuro. Ero in quell’età, i sedici anni, dove ci si chiede quasi ogni giorno quello che si vorrà fare da grande e il non avere una risposta chiara o precisa di cosa volessi realmente fare, mi rendeva agitata e nervosa, soprattutto a confronto con chi le idee le aveva invece molto chiare. La realtà in cui mi trovavo era quella in cui i miei sogni, in quel momento, erano tutte cose altamente impossibili da realizzare. E ovviamente, non facevo che pensare a quello, a quel tremendo paradosso che credevo di vivere. E durante quella pausa pranzo, in un giorno qualunque della mia vita scolastica, nel mezzo di una routine quotidiana, avvenne il secondo evento che diede il via a tutto. Ero seduta al mio solito posto, in mensa, dove ci sedevamo sempre tutti insieme. Stranamente ero stata la prima ad arrivare, così, mi ero sistemata, e avevo iniziato a mangiare il mio pasto. Il rumore di una sedia di fronte a me che si spostava mi fece alzare gli occhi e io mi trovai a osservare un paio di occhi azzurri, inconfondibili

-Matt. Ciao-

Matt mi diede un semplice cenno con il capo, il massimo del saluto che mi aveva sempre riservato. Sapevo che non parlava molto, almeno non con me, ma questo non mi aveva mai impedito di provare ad avere una conversazione civile con lui. E quel giorno non faceva eccezione

-Solo? Dove sono gli altri? Sora e Tai?-

-Neanche Izzi è qui-

Mi rispose, mentre si mangiava il suo panino. Non feci troppo caso al fatto che avesse risposto ad una mia domanda con una domanda a sua volta, ma il solo fatto che avesse pronunciato più di una parola era per me già un incredibile evento

-Izzi è impegnato con il suo club di informatica. A quanto pare uno ha aperto un file non sicuro e ha infettato uno dei computer-

Matt fece solo un cenno con il capo, di nuovo. Non era affatto un tipo di molte parole. Così rincalzai ancora

-Sora e Tai?-

-Sora aveva una convocazione urgente al club di tennis. Tai è stato convocato in aula inseganti-

-Si è addormentato ancora in classe?-

Matt sorrise e annuì. Io mi limitai ad alzare gli occhi al cielo e a farmi una risata. Questo fu tutto quello che ci dicemmo in quella pausa pranzo, eppure, quell’ora passata in silenzio, insieme, ognuno perso nei propri pensieri, fece cambiare qualcosa nel nostro rapporto. So che sembra una cosa folle e assurda, ma quella risata, quel piccolo momento spensierato, ci fece avvicinare. Anche se ancora non lo sapevamo.

 

I sogni iniziarono ad arrivare poco dopo l’episodio che avevo avuto sul treno. Non ne ebbi una percezione netta all’inizio, ma all’improvviso mi resi conto, di fare sempre lo stesso identico sogno, da più di una settimana. Ogni notte, si ripeteva, uguale e preciso. Era una cosa inquietante e snervante, perché dopo essermi svegliata da quel sogno, non riuscivo più a dormire. Ero incapace di tornare nel mondo dei sogni, tormentata da una sensazione di angoscia e ansia. Il risultato fu che dormivo sempre meno la notte e i segni di questa privazione iniziarono a farsi vedere sul mio viso, soprattutto per l’incremento spropositato delle mie occhiaie.

-Sei sicura di stare bene?-

Mi chiese allarmata una mattina Sora, guardandomi. Eravamo solo in tre quel giorno a mensa, stranamente. Sora e Matt erano arrivati senza Tai, in punizione di nuovo, e Izzi era ancora disperso nel suo mondo cibernetico. Forse fu proprio il fatto che fossimo solo noi, o il fatto che Sora mi conoscesse troppo bene, che non si era lasciata ingannare dallo strato di fondotinta che avevo passato sopra le occhiaie, in un vano e disperato tentativo di coprirle. Sapevo che se ne sarebbe accorta, così mi limitai a fare segno di sì con la testa, anche se, in realtà, di stare poi così bene non ne ero molto convinta

-Non è che hai la febbre?-

Sora, da mamma del gruppo quale era sempre stata, mi si avvicinò e appoggiò la sua mano sulla mia fronte, intenta a sentirmi la temperatura.

-Sora non ho la febbre, sto bene. Ho solo dormito poco, tutto qui-

-Sei così da una settimana-

-È una settimana che faccio fatica a dormire-

-Non è una cosa normale. Forse dovresti andare dal medico e parlarne-

La guardai e mi trovai a fissarla con tutto l’affetto che potevo provare per la mia migliore amica. di slancio mi lanciai tra le sue braccia

-Sora, lo sai che ti voglio bene, vero?-

Lei rispose al mio abbraccio ma il tono preoccupato nella sua voce non era sparito

-Perché non vai in infermeria? Magari la dottoressa può darti qualcosa per farti dormire. Ti accompagnerei io ma devo andare al campo da tennis. Anche se potrei tardare un po’…-

Lei mi guardò con lo sguardo addolorato

-Sora non ho bisogno di andare…-

-L’accompagno io-

Io e Sora ci voltammo di colpo, spaventate e sorprese per quell’improvvisa interruzione nella nostra conversazione. A parlare era stata l’ultima persona che tutti ci saremmo aspettati di sentire parlare. e io mi trovai a guardare spaesata quel paio di occhi azzurri

-Matt sei sicuro?-

Sora, titubante e spiazzata guardò Matt come se gli fosse cresciuta una seconda testa sulla spalla. Matt annuì deciso

-Si, nessun problema. Tanto non ho nulla da fare in questo momento-

Io e Sora guardammo Matt, confuse. Ma Sora, troppo preoccupata per me per preoccuparsi dello strano comportamento di Matt, annuì sollevata

-Matt sei un angelo. Assicurati che arrivi in infermeria e che ci rimanga-

-Ehi, non sono mica una bambina piccola-

Protestai, leggermente offesa

-Lo so, ma sei testarda. Ti devi riposare, ne hai bisogno. Io ora devo scappare, Matt ti devo un favore. Mimi ti passo a prendere appena sono finite le lezioni. Non ti muovere dall’infermeria e aspettami per favore-

Detto questo ci salutò e sparì veloce dalla stanza. Io mi limitai a fissare il vuoto che aveva lasciato, poi spostai lo sguardo su Matt

-Non voglio andare in infermeria, sto bene-

-L’hai sentita. Tu vai in infermeria-

-Ma io…-

-Mimi, non stai bene. Fatti vedere dall’infermiera-

Non so cosa mi convinse, se la stanchezza cronica ormai che mi accompagnava, la preoccupazione di Sora, o quegli occhi azzurri puntati su di me. Ricordo solo di essermi alzata dal tavolo e di essermi incamminata verso l’infermeria. I passi di Matti si affiancarono presto ai miei e insieme ci incamminammo nei corridoi. Non parlammo, non ci scambiammo nemmeno uno sguardo, tuttavia, invece di essere a disagio ero perfettamente tranquilla. Forse era perché ci conoscevamo da quando eravamo bambini, forse era perché conoscevo il carattere di Matt, ma stranamente trovavo la sua compagnia silenziosa molto più piacevole di tante altre. Quando arrivammo in infermeria ricordo poco cosa mi disse precisamente la dottoressa, ricordo solo che mi fu ordinato di mettermi nel letto e di dormire. Mi voltai verso Matt salutandolo ma lui mi guardò scuotendo la testa

-Non me ne vado-

Lo guardai perplesso

-Non vado via finché non ti addormenti-

Mi disse calmo e come se fosse la cosa più normale del mondo. Lo guardai allibita

-Non ce n’è bisogno e poi dovrai andare in classe ormai e..-

Ma Matt mi diede una scrollata di spalle e si sedette su una sedia.

-No, tanto ora dovremmo avere matematica. Non ho bisogno di seguire matematica-

Lo guardai, seduto su quella sedia e mi trovai a sorridere

-Non devi inventarti scuse. Dillo che lo fai perché te lo ha chiesto lei-

Non c’era bisogno che dicessi quel nome, sapevamo entrambi a chi mi stavo riferendo. Ma, con mia sorpresa, lui mi guardò con uno sguardo vagamente stupito

-Non è perché me lo ha chiesto Sora. E poi cosa c’entra lei ora? E non perdere tempo, sdraiati sul letto e dormi-

Obbedii senza esitare, ma mi voltai verso di lui

-Non volevo offenderti è solo che pensavo…-

-Cosa?-

-Voi due siete stati insieme-

Lui mi guardò perplesso

-Alle medie. Ci siamo lasciati due anni fa-

-Si ma da quello che mi dice Sora è come se non fosse cambiato poi molto il vostro rapporto. Cioè uscite lo stesso, se capita anche da soli, vi sentite per messaggio o chiamata. Insomma non è che tu abbia messo un muro tra voi due-

-Perché dovevo mettere un muro tra me e Sora? Rimane comunque una mia amica. Anzi, è sempre rimasta una mia amica. forse non è mai stata più di quello-

-Ma siete stai insieme per due anni, se ricordo bene e…-

-E questi sono fatti nostri, non vedo perché lo dovrei dire a te-

Non risposi, forse perché era vero quello che mi aveva detto. Certo io e Matt eravamo amici, ma non eravamo mai stati come quelli che si dicevano tutto davanti ad una tazza di the. Non avevo il rapporto che avevo con Izzi, con cui parlavamo di qualsiasi cosa e di cui conoscevo ogni singolo aspetto della vita del mio amico maniaco di tecnologia. Con Matt non avevamo mai avuto una conversazione di quel tenore. Quindi mi limitai a stare in silenzio e a non dire niente. Rimanemmo così per qualche minuto. Poi, i ricordi si fanno annebbiati e confusi, credo che, alla fine, il sonno arretrato di quei giorni avesse avuto il sopravvento e io sia sprofondata lentamente nel mondo di morfeo. Ed è per questo che non posso dire, con assoluta certezza, se quello che ricordo poco prima di essermi addormentarmi sia successo veramente o sia solo successo in un sogno. So solo che credo di avere sentito la voce di Matt, bassa e profonda, mormorare qualcosa.

-Non ho bisogno che sia Sora a dirmi di preoccuparmi per te. Mi preoccupo già da solo per te-

 

 

Raccontare il tipo di sogni che iniziarono a tormentarmi non è facile. È come ricordare qualcosa che, di per sé, non è fatto per essere ricordato. I sogni sono tali per il loro senso di vaghezza e fantasia, fatti per rendere la notte meno solitaria. Eppure eccomi qua, a dovere cercare di dare un senso logico a qualcosa che non lo dovrebbe avere. Ma tutto a tempo debito avrà un suo senso, o almeno lo spero. La prima cosa che ricordo distintamente di quel sogno è che sto correndo. Sono in mezzo ad un campo, cammino sopra quella che sembra erba e fango. Ha piovuto, perché ci sono delle pozzanghere d’acqua. Alcune le riesco a saltare, altre, invece, no e sento freddo ai piedi. Sono senza fiato, vorrei fermarmi, ma ho paura e per questo continuo a correre, anche se il vestito che indosso è troppo lungo e pesante. Non mi volto mai indietro, ma sento qualcosa dietro di me. Non sto correndo, realizzo spaventata, sto scappando. Vedo in fondo al campo l’inizio di quello che sembra un bosco. Spero nella salvezza e inizio a correre in mezzo agli alberi. Faccio uno sforzo enorme, corro ancora più veloce, ma ad un tratto, inciampo. Cado per terra e sento dolore. Il ginocchio mi fa male e io sono veramente disperata. Sento una voce che ride alle mie spalle. Mi dice qualcosa, ma io non capisco. Mi volto, ma, stranamente, non riesco a vedere i lineamenti della persona che mi stava inseguendo. Anzi, non lo vedo proprio. È come se fosse una macchia indistinta, ma so che c’è, non me la sto immaginando. Ho paura, tanta. Sento l’uomo davanti a me farsi vicino, anzi, so che è in piedi di fronte a me. Continua a dirmi qualcosa, ma io non capisco niente. so solo che percepisco il pericolo e istintivamente arretro. Il senso di pericolo è così forte che inizio a sentire le lacrime scendermi dagli occhi. Qualcuno ride, non so chi. C’è più di qualcuno attorno a me, realizzo terrorizzata. Sono circondata, credo. Ad un tratto, sento il tronco di un albero dietro la mia schiena. La mia disperata fuga è finita. Sono terrorizzata, ho paura, temo per la mia vita. L’uomo davanti a me si avvicina e mi inizia a toccare la guancia. Sento il suo sguardo addosso, ripugnante e disgustoso, anche se non vedo chi ho davanti, non distinguo i lineamenti. Mi dice ancora qualcosa e ricordo quelle risate, diaboliche che mi fanno tremare. Lo sento venirmi addosso, lo percepisco, il suo corpo che preme contro il mio e le sue mani che mi avvinghiano. Piango ora, tremo disperata, penso sia la fine della mia vita, ma ad un tratto, subentra un altro sentimento, orgoglio. Sto ancora piangendo, sento le lacrime colarmi dagli occhi, ma alzo lo sguardo e guardo l’uomo. Se devo morire, lo farò guardandolo negli occhi. Alzo lo sguardo e in quel preciso momento, sento un rumore diverso. È il suono di un cavallo, lanciato al galoppo, e un uomo che urla. L’uomo davanti a me si volta, e urla qualcosa a sua volta. Poi si sente uno sparo. E io urlo.

 

Devo avere urlato anche nella vita vera, perché sento una voce, lontana che mi chiama, preoccupato

-Mimi-

Il mio nome, produce un effetto istantaneo su di me. Apro gli occhi, di scatto e mi trovo a fissare quelli blu di Matt che mi guardano preoccupato. Senza rendermene conto, mi butto tra le sue braccia, e mi aggrappo a lui, disperata. Sento le sue braccia che mi stringono forti e decise. E in mezzo a quel calore, inizio a piangere. Tutto il terrore e la paura di quella settimana di sogni senza senso e uguali si propaga dentro di me e io piango, sfogando tutta l’ansia e l’angoscia che provavo. Non so per quanto piansi, non so quantificare per quanto tempo mi aggrappai disperatamente alla camicia bianca di Matt in cerca di rifugio e sicurezza, ma ricordo precisamente la sua mano accarezzarmi lentamente la schiena, per farmi calmare e il so respiro regolare, che mi trasmetteva tranquillità e pace. So che ad un tratto smisi di piangere, ma rimasi avvinghiata a lui. Non mi disse niente, ma lentamente mi fece ridistendere sul letto e mi continuò ad abbracciare. Mi riaddormentai e non feci più quel sogno.

 

Quando mi svegliai era pomeriggio inoltrato. Istintivamente allungai una mano in cerca di Matt, ma mi ritrovai sola. Il silenzio che mi circondava mi fece capire che c’ero solo io in quella stanza. Provai un certo senso di abbandono nel sapermi lì in quella stanza da sola, ma dopotutto, Matt non poteva avere saltato tutto il pomeriggio di lezioni per farmi compagnia. Al solo pensiero di quello che aveva fatto mi sentii arrossire profondamente, provando un enorme senso di disagio. Avevo pianto tra le sue braccia e mi ero fatta cullare fino ad addormentarmi. Chissà cosa doveva avere pensato vedendomi in quello stato. Avrei dovuto cercare di dargli una qualche spiegazione, anche se non sapevo bene io stessa come spiegare tutto quello che stavo passando. Ma non feci in tempo a domandarmi ancora per molto come dovermi comportare, che la porta della stanza si spalancò e vidi comparire i miei due migliori amici. Istintivamente sorrisi

-Sora, Izzi-

Sora mi si avvicinò veloce e mi diede una bella squadrata, soddisfatta.

-Stai meglio?-

Io annuì. Mi alzai dal letto e sfoderai uno dei miei sorrisi più convincenti

-Mi sento già molto meglio. Grazie per avermi convinta a dormire un po’-

Sora mi sorrise e mi prese sotto il braccio spingendomi verso la porta e verso Izzi

-Sapevo che ti avrebbe fatto bene. Dovresti ascoltarmi un po’ di più ogni tanto-

-Si sì, certo, mammina-

Sora detestava quando la chiamavo così, ma invece di prendersela mi sorrise soddisfatta.

-Sono contenta di rivederti allegra come sempre-

Era genuinamente contenta di vedermi stare meglio e io mi sentii molto grata ad avere un’amica come lei. Poi però spostai lo sguardo su Izzi che come sempre, quando si trovava da solo in compagnia di sole donne, anche se ci conosceva da sempre, diventata timido e faticava a parlare normalmente

-E tu come mai sei qui? Non hai una qualche crisi cibernetica da risolvere?-

-Ho lasciato il compito a Yolei. E poi qualcuno doveva pure recuperare la tua borsa e le tue cose dalla classe. Così ci ho pensato io-

Izzi mi porse le mie cose e io gliene fui terribilmente grata. Almeno così mi sarei risparmiata il ritorno in aula. Ma il fatto che la mia cartella fosse lì voleva significare solo una cosa

-Ho realmente dormito per tutto il pomeriggio?-

Chiesi perplessa. I due annuirono e io li fissai sbalordita. Ricordo di avere ridacchiato scuotendo la testa, mentre mi incamminavo per il corridoio, con lo zaino in spalla e i miei amici che mi seguivano. Non credevo di potermi addormentare così profondamente a scuola, ma la stanchezza arretrata era decisamente molto più di quella che avevo immaginato se avevo dormito per un intero pomeriggio. E tutto per colpa di quello stupido sogno ricorrente. Tuttavia era la prima volta che mi svegliavo urlando. Anzi, era la prima volta che sognavo qualcuno arrivare in mio aiuto e anche quello sparo. Ero concentrata nel pensare al sogno che non mi ero minimamente accorta che un’altra persona si era unita al gruppo fino a che non sentì una mano afferrarmi bruscamente per il braccio e trascinarmi

-Cosa..-

Bofonchiai stupita e alzando lo sguardo mi trovai a fissare di nuovo per quel giorno, gli occhi azzurri di Matt

-Si può volare solo nei sogni sai?-

Mi disse a metà tra il sarcastico e il preoccupato. Lo guardai perplessa

-Cosa?-

-Stavi per cadere dalle scale-

La voce preoccupata di Sora mi raggiunse che ancora stavo fissando Matt negli occhi.

-Le scale?-

Bofonchia intontita. Matt mi fece voltare e mi trovai così a fissare la rampa di scale della scuola. Ero così sovrappensiero che stavo per fare un bel volo di sotto. Mi allontanai spaventata e preoccupata. Mi portai una mano sul viso

-Scusatemi io… non ci sono molto con la testa oggi a quanto pare-

Mormorai sinceramente dispiaciuta. I miei tre amici mi fissavano spaventati

-Credo sia meglio accompagnarti fino a casa. Non me la sento di lasciarti sola. Solo che il club…-

Sora mi guardò afflitta. Le sorrisi

-Non ti preoccupare. Posso tornare a casa con Izzi, tanto facciamo la stessa strada e prendiamo la stessa linea del treno-

Izzi annuì

-Certo, ti accompagno io-

-Mi unisco a voi-

Tutti ci voltammo sorpresi verso Matt che mi stava guardando, preoccupato.

-Ma tu abiti dall’altra parte della città-

Gli ricordò Izzi, forse con un leggero tono infastidito.

-Ceno con mia madre e mio fratello stasera. Quindi devo comunque prendere la stessa linea del treno che prendereste voi. Non è un problema-

Izzi lo fissò e poi guardò Sora in cerca di aiuto. La rossa tuttavia alzò le spalle

-L’importante è che tu non sia sola-

Disse solo guardandomi. Io annuì e per uscire da quella situazione, presi Sora sotto il braccio

-Andiamo allora. Ti ho già fatto perdere troppo tempo, lascia almeno che ti accompagniamo al tuo club di tennis-

-Ma non devi preoccu…-

-Insisto-

Dissi decisa. Alla fine la mia amica si lasciò accompagnare e noi facemmo il tragitto chiacchierando del più e del meno. Cercavo, fin troppo poco inconsciamente, di distogliere l’attenzione da quello che mi stava capitando quel giorno. Eppure sapevo che sotto i sorrisi di Sora e Izzi si nascondeva ancora il segno della preoccupazione. Matt invece era difficile da decifrare. Non mi aveva nemmeno rivolto uno sguardo da quando ci eravamo incamminati e non partecipava minimamente alla conversazione. Era silenzioso e quasi distaccato, eppure il saperlo lì mi dava un grande senso di sicurezza, mista a imbarazzo. Una volta lasciata Sora al suo allenamento il nostro strano trio si avviò verso la stazione. Io chiacchieravo del più e del meno con Izzi, mentre Matt era sempre in uno stato di religioso silenzio. Sembrava quasi non accorgersi di me o di Izzi, totalmente disinteressato a noi e perso in non so quale tipo di pensiero. Il treno arrivò in perfetto orario e noi ci affrettammo a salire. Il vagone non era troppo affollato, ma fummo comunque costretti a rimanere in piedi, vicini l’uno agli altri. Tuttavia gli strani eventi che si stavano verificando quel giorno non erano ancora finiti. Infatti, ad un tratto, il telefono di Izzi prese a suonare. Vidi lo sguardo preoccupato del mio amico e mi preoccupai anche io

-Qualcuno di inaspettato?-

-Yolei-

Izzi disse solo, prima di rispose prontamente, e la voce urlante di Yolei si propagò in tutto il vagone ferroviario

-E’ UN DISASTRO! TUTTI I COMPUTER SONO IN TILT! IZZI DEVI TORNARE IMMEDIATAMENTE A SCUOLA-

Izzi mi guardò ad occhi sgranati, spaventato e preoccupato

-Yolei, sono già in treno e…-

-NON MI IMPORTA, DOVESSI IMPARARE A VOLARE. SEI IL PRESIDENTE DEL CLUB, DEVI VENIRE SUBITO. RISCHIAMO DI NON AVERLO PIU’ UN CLUB DI INFORMATICA SE NON RISOLVIAMO QUESTO DISASTRO-

Izzi non fece in tempo a rispondere, che Yolei aveva già chiuso il telefono, lasciando Izzi con un’espressione inebetita. Come se fosse tutto quanto orchestrato dal destino, il treno prese a rallentare, segno che ci stavamo avvicinando ad una stazione.

-Faresti meglio a scendere qui e a tornare indietro. Ci penso io a Mimi-

Le parole di Matt produssero in Izzi come una scossa, risvegliandolo da quella specie di trans in cui era caduto dopo la telefonata ricevuta. Izzi lo guardò

-No, sono certo che non sia così grave. E poi ho promesso a Mimi di riaccompagnarla e…-

-Ci penso io a lei. Per te Mimi non è un problema, giusto?-

Mi voltai verso Matt e senza rendermene conto mi ritrovai ad annuire.

-Si certo. Izzi non ti preoccupare, corri da Yolei. Se ti ha chiamato vuol dire che la situazione è veramente urgente. E io tanto abito poco lontano dalla stazione, quindi non ti preoccupare. Appena arrivo a casa ti mando un messaggio, va bene?-

Di fronte al mio sorriso sapevo che Izzi non aveva modo di resistermi. Infatti lo vidi annuire, anche se a malincuore, e non appena le porte della carrozza si aprirono, scese veloce

-Mi raccomando, mandami quel messaggio, o finirò per preoccuparmi sul serio-

-Contaci. Ci vediamo domani-

Lo salutai con la mano e lo vidi ricambiare velocemente, mentre si avviava già lungo le scale diretto a prendere un treno che lo avrebbe riportato indietro. Non appena sparì dalla vista, mi voltai verso Matt

-Sembra proprio che oggi tu sia il mio angelo custode. Ti tocca proprio occuparti di me-

Voleva essere una battuta la mia, ma uscì più come un mio patetico tentativo di chiedergli scusa. Matt mi guardò serio in volto e la sua risposta fu più glaciale di una tormenta di neve

-Se non avessi voluto farlo non l’avrei fatto-

Non riuscii a sostenere il suo sguardo e lo abbassai veloce, imbarazzata. Il treno intanto era ripartito e noi proseguimmo il viaggio in silenzio, poiché ero troppo nervosa per pensare di rivolgergli ancora la parola. Tuttavia ebbi come l’impressione di sentire, ogni tanto, il suo sguardo addosso. Ma ero decisamente troppo imbarazzate per scoprire se era vero o solo frutto della mia fantasia.

 

Il tragitto dalla stazione a casa mia passò esattamente come quello sul treno, in silenzio. Continuavo a non riuscire a guardare negli occhi Matt e per distrarmi, e cercare di calmarmi, mi ritrovai a canticchiare un motivo di una canzone che mi piaceva. Credevo di averlo fatto a bassa voce, ma ad un tratto Matt si fermò e io mi voltai verso di lui, incerta sul da farsi. Matt mi stava guardando in modo strano, quasi sorpreso

-Che c’è?-

Domandai agitata.

-Sai cantare?-

La sua domanda mi lasciò perplessa. Annuì

-Cantare forse è una esagerazione ma…-

-Sei molto intonata-

-Grazie-

Riuscii a dire, incerta se mi stesse facendo un complimento o semplicemente una costatazione. Lui riprese a camminare e io lo segui

-Che canzone stavi cantando?-

-Nessuna, è solo un motivetto così. Ogni tanto canticchiò senza senso, soprattutto se sono nervosa-

-Quindi ora sei nervosa?-

-Come?-

-Hai detto che canticchi soprattutto quando sei nervosa, quindi deduco che tu ora lo sia-

-Se pensi che io sia nervosa credi che questo tuo modo di fare ora possa aiutarmi?-

-Potresti anche non esserlo e quindi le mie domande potrebbero non avere alcun effetto. Però se rispondi così deduco che tu sia veramente nervosa. E allora perdonami, ma sono io a renderti in questo stato o altro?-

Un sorriso divertito spuntò sul volto di Matt e io lo guardai allibita. Si stava prendendo gioco di me, mi stava deliberatamente prendendo in giro. E nel farlo si stava anche divertendo

-Non darti così tante arie. Chi ti credi di essere per pensare di potermi rendere nervosa?-

-Non saprei, dovrei chiederlo a te, visto che lo sei-

-Non ho mai detto di esserlo, soprattutto non ho mai detto di esserlo per te-

-allora per cosa lo sei?-

-Io non sono nervosa! Sono solo…-

Mi bloccai, all’improvviso. Ero assolutamente nervosa e imbarazzata, ma avevo anche una sorta di orgoglio che mi impediva di ammetterlo. Così lo guardai, interdetta e in conflitto con me stessa. Stavo per dire qualcosa, quando Matt sorrise, un vero autentico sorriso, uno di quelli che non faceva quasi mai, e ridacchiò, divertito. Lo fissai sempre più sconvolta, fino a quando non capii quello che stava cercando di fare. Aveva cercato di farmi arrabbiare per farmi passare l’imbarazzo che provavo in quel momento. E ci era riuscito. Mi lascia andare ad un sorriso e gli diedi una leggera spinta sul braccio

-Grazie-

Mormorai, sincera. Matt annuì solamente, ma continuò a sorridere. Arrivammo a casa mia velocemente e io rimasi qualche secondo ferma davanti al cancello di casa mia, a guardarlo. Matt ricambiò il mio sguardo

-Devi dirmi qualcosa?-

-Credo di avere pensato solo adesso ad una cosa-

-Che cosa?-

-Che non ti conosco affatto-

Dissi quella frase in un modo così sincero e diretto che vidi Matt tornare a sorridermi, poi si avviò lentamente per la stessa strada che avevamo appena percorso. Rimasi a guardalo, poi ad un tratto lui si voltò

-Se ti interessa conoscermi, vieni domani a pranzo nell’aula di musica. Ti aspetto-

Non aspettò che gli dessi una risposta,  riprese a camminare, come se niente fosse. Dentro di me, invece, sentivo il cuore battere velocemente. Matt mi aveva appena dato una sorta di appuntamento? Era tutto decisamente così strano quel giorno, so che pensai. Con mille domande mi avviai verso casa, confusa e interdetta. Inutile dire che non feci altro che pensare a quella strana giornata per tutto il tempo, e forse a pensare un po’ troppo al mio amico dagli occhi azzurri come il cielo che non riuscivo per nessun motivo a togliermi dalla testa.

 

L’ora di pranzo di quel giorno segnò forse in modo indelebile tutta questa storia. Per quasi tutta la mattina mi domandai se sarei veramente dovuta andare da Matt o fare invece come sempre, cioè andare in mensa, con tutti gli altri. Continuai a pensare e a ripensare a cosa fare fino all’ultimo, quando mi accorsi di avere deciso come dovermi comportare nel momento stesso in cui Izzi mi si avvicinò all’inizio della pausa

-Sto morendo di fame! Andiamo?-

Mi ritrovai a guardare i suoi occhi dolci e gentili che mi fissavano e potei quasi vedere la punta di disappunto che gli comparve quando gli risposi

-Scusa Izzi, non credo di venire a mensa oggi-

-Come mai? Stai ancora male? Hai bisogno di andare ancora in infermeria?-

Scossi decisa la testa.

-No tranquillo. È solo che devo andare a parlare con la prof di matematica-

La scusa, così platealmente assurda, mi uscì dalla bocca prima che potessi rendermene conto. Izzi mi guardò perplesso

-Dalla professoressa… perché?-

-Devo recuperare un po’ nei voti. Vorrei andare a chiederle di preciso su cosa concentrami per migliorare-

Sapevo che la storia era assurda, eppure, proprio per il suo essere così assurda poteva quasi funzionare. E fu così che le parole mi uscirono dalla bocca, in un modo così naturale che da scusa terribilmente ridicola diventò assolutamente vera e plausibile

-Mia madre vorrebbe che cercassi di migliorare la mia media, sai anche per l’università, in vista dell’esame di ammissione. Se voglio puntare ad andare in un buon posto, devo migliorare in matematica. Ed è meglio iniziare a recuperare ora che non dopo, accumulando sempre più lacune su lacune-

Izzi mi guardò, e sembrò seriamente convinto delle parole che gli avevo detto. Così si ritrovò ad annuire

-Certo, no fai bene. Ma se avevi bisogno potevi venire da me, lo sai che…-

-No Izzi, non posso correre ogni volta da te per qualsiasi cosa. Crescere vuol dire soprattutto cavarsela da sola, e questo direi che è un ottimo modo per iniziare-

Sorrisi convinta e vidi Izzi guardarmi preoccupato, ma convinto da quello che gli avevo appena detto. Tuttavia avevo sottovalutato la sua determinazione

-Almeno permettimi di accompagnarti. Farebbe bene anche a me un ripasso dopotutto e…-

Scossi decisa la testa

-Non ci provare nemmeno. Passi già troppo del tuo tempo davanti ai libri o al tuo computer. Devi mangiare e non posso permetterti di saltare il pranzo oggi. E poi lo sai, l’aula insegnati è da tutta altra parte rispetto alla mensa, ti farei solo perdere tempo. Non ti preoccupare. Ci vediamo più tardi-

Non gli diedi il tempo di replicare, e mi avvia veloce verso l’uscita dell’aula. Immagino mi abbia fissato perplesso, e tentò anche di chiamarmi, ma io non mi voltai. Sapevo che se mi fossi voltata a guardarlo Izzi avrebbe letto sul mio viso il fatto che gli avevo mentito. Dovetti fare di tutto per controllarmi dall’iniziare a correre una volta raggiunto il corridoio. Avevo apertamente mentito al mio migliore amico. Avevo mentito al mio migliore amico per andare ad incontrare Matt. Che poi, mi domandai mentre percorrevo la strada, c’era veramente bisogno di mentire sul fatto che Matt mi avesse chiesto di vederlo nell’aula di musica? Dopotutto noi eravamo amici, che male c’era nel tenerlo nascosto? Non sapevo perché ma avevo la totale certezza che dirlo a Izzi sarebbe stato un disastro. Solo più avanti avrei scoperto quanto il mio sesto senso mi avesse guidato quel giorno e in quella decisione. Arrivai forse fin troppo in fretta davanti all’aula di musica e mi fermai a guardare quella porta, chiusa. Esitai giusto qualche secondo prima di avere il coraggio di aprirla ed entrare. Matt era già in aula. Era seduto per terra, con la chitarra tra le mani e uno spartito ai suoi piedi. Aveva una penna incastrata nell’orecchio e suonava delle note, pizzicando delicatamente le corde dello strumento. Non alzò gli occhi quando sentì la porta aprirsi, ne sembrò accorgersi della mia presenza, tanto era concentrato a suonare. Mi sedetti su una sedia poco lontano da lui e mi misi ad ascoltarlo. Matt aveva un talento naturale per la musica, era veramente ammaliante quando suonava e anche quella volta mi misi ad ascoltarlo, quasi rapita. Stava suonando una melodia che all’inizio non riconobbi, poi, piano piano, mi meravigliai nel sentire quello che stavo sentendo

-E' la melodia che canticchiavo ieri!-

Esclamai sorpresa. Matt a quel punto alzò gli occhi e mi guardò

-più o meno. Mi sono permesso di aggiungere qualche cosa. Ma tutto sommato era una melodia orecchiabile…-

Disse lui, guardandomi. Ero piacevolmente stupita, lo devo ammettere.

-Sei veramente un eccellente musicista… mi hai sentita canticchiare per pochi secondi e ne hai tirato fuori una melodia. Sono impressionata-

Matt mi fissò in silenzio, ma appoggiò la chitarra per terra. Lo guardai perplessa. Il suo sguardo era pesante, e non riuscii a sostenerlo per molto tempo. Mi metteva a disagio stare così con lui, da soli. Non che stessimo facendo qualcosa di sbagliato, ma c’era qualcosa in quel momento, di non detto, che mi stava facendo imbarazzare. Ad un tratto, nel mio campo visivo, vidi spuntare la sua mano, che teneva un panino. Lo guardai perplessa

-Prendi, avrai fame-

Allungai la mano e presi il panino che mi veniva offerto.

-Spero ti piaccia-

Mi disse, quasi timido. Non riuscii a trattenere un sorriso

-Grazie-

Dissi solo, prima di dare un morso. In effetti avevo fame, dopotutto era l’ora di pranzo, e forse, per l’agitazione di quell’incontro non avevo fatto colazione la mattina e in quel momento stavo decisamente morendo di fame. Mangiammo lì, in silenzio. Fu un pranzo piacevole, tutto sommato. Era la prima volta che stavamo da soli, noi due, così, non era mai capitato di trovarci senza nessuno intorno, eppure in quell’aula, sembrava che ci fossimo sempre incontrati e che stessimo facendo qualcosa di terribilmente normale e piacevole. Matt si era preoccupato anche di portare delle bottigliette d’acqua, e così ci gustammo quel pranzo, semplice ma piacevole. Tuttavia, sapevo che non potevamo continuare a stare così e sapevo che se Matt mi aveva chiamato lì quel giorno non era per parlare di lui, come mi aveva detto la sera prima. Doveva avere in mente qualcosa di preciso. Così mi feci coraggio e lo guardai dritto negli occhi

-Allora, in tutta onestà, cosa mi vuoi chiedere?-

Lui mi guardò e vidi un sorriso sarcastico spuntargli sul volto

-Era così ovvio?-

-Era l’unica cosa ragionevole da pensare. Non sei uno che fa le cose a caso, dopotutto-

Matt mi fissò ma questa volta non mi lasciai sopraffare da quel blu intenso e sostenni il suo sguardo.

-Hai ragione, c’è una cosa che ti voglio chiedere. E non capisco perché, ma è una domanda che mi sta facendo impazzire e di cui devo sapere la risposta-

-Che domanda?-

Gli chiesi, diretta. Avevo pensato a mille possibilità sul perché Matt mi avesse chiesto di vederci lì quel giorno, ma niente mi aveva potuto far prevedere ciò che mi avrebbe domandato.

-Chi è Mathew?-

 

 

Fissai Matt con sguardo attonito. Non conoscevo nessuno con quel nome, quindi non capivo il motivo di quella domanda.

-Non so di cosa tu stia parlando-

Gli dissi. Lui mi fissò serio

-Non si direbbe da quello che ho visto-

-Matt non ti sto seguendo-

-Quando stavi piangendo, ieri, non facevi che nominare questo Mathew-

Lo fissai abbastanza interdetta

-Non è possibile Matt sono sicura che magari avrai…-

-So cosa ho sentito-

Mi disse, terribilmente serio. Lo guardai a bocca aperta, perplessa. Non aveva minimamente senso quello che mi stava dicendo, tuttavia il suo sguardo serio mi fece capire che non mi stava prendendo in giro. Era una situazione surreale

-Non ha alcun senso ciò che mi stai dicendo! Non conosco nessuno con quel nome e non vedo come mai avrei dovuto chiamare qualcuno che non conosco per di più mentre stavo piangendo-

-Magari in America? Un fidanzato di cui non abbiamo mai saputo niente?-

Fissai Matt, sconvolta.

-Io non ho un fidanzato-

Fu tutto quello che riuscii a dire, al limite dell’indignazione. Lui mi guardò, sarcastico

-Senti Mimi, il modo in cui lo chiamavi… non c’è niente di male nel fatto che tu abbia qualcuno che ti piaccia e di cui magari senti la mancanza-

Mi sentivo indignata nel sentire quelle parole e risposi forse in modo molto più duro di quanto non avrei dovuto fare

-A me non piace nessuno, chiaro! Ne qui ne in America. Non ho mai nemmeno avuto un fidanzato, e non c’è mai stato nessuno per cui io abbia provato quel tipo di sentimento-

Mi alzai dalla sedia, offesa e ferita. Come si permetteva Matt a dirmi certe cose e con un tono anche quasi accusatorio? Feci per avviarmi verso la porta, quando ad un tratto sentii la sua mano afferrarmi il braccio, bloccandomi. Lo guardai e vidi che aveva uno sguardo dispiaciuto. Mi sentii in colpa per avergli risposto così duramente, perché capì dallo sguardo che mi lanciò che anche lui si sentiva in colpa per quello che mi aveva detto. Sospirai rassegnata

-Non conosco nessuno con quel nome Matt, te lo giuro-

Lui mi fissò e lo vidi annuire

-Ti credo-

Mi disse, sincero. Ci guardammo negli occhi fino a quando non sentii un leggero imbarazzo e distolsi lo sguardo. Matt mi lasciò andare il braccio, quasi si fosse reso conto solo allora di avermi afferrato. Vidi che fece un passo indietro, per allontanarsi da me e lo sentii anche lui sospirare

-Mimi, non volevo offenderti o altro solo che non so cosa sia successo ieri, se devo essere sincero. Ti eri addormentata, ma subito dopo hai iniziato ad agitarti e hai urlato terrorizzata. Poi quel pianto, non era un pianto normale, era un pianto disperato, da cuore infranto. E continuavi a chiamare quel nome, in continuazione come se avessi perso per sempre la persona che amavi. Ti sei avvinghiata così tanto a me che non sapevo veramente cosa fare per consolarti. Sembravi devastata-

Lo avevo ascoltato dirmi quelle parole quasi come fossi in trance. Non aveva minimamente senso il comportamento che diceva avevo avuto ieri. Come potevo disperarmi in quel modo e chiamare qualcuno che nemmeno conoscevo?

-Io non ho mai amato nessuno Matt-

Gli dissi, leggermente spaventata. Mi sembrava di essere piombata in un incubo ad occhi aperti dove la realtà aveva perso ogni senso di razionalità. Quella conversazione era folle e assurda, eppure ero lì, con Matt che mi guardava preoccupato.

-Io ho avuto solo un incubo, lo giuro. Non so chi sia questo Mathew di cui parli, io… era solo un dannato incubo ricorrente Matt, davvero-

Matt mi guardò dritto negli occhi, serio

-Che cosa hai sognato Mimi?-

In quel preciso momento, so di avere dato effettivamente inizio a tutto quanto. Credo di averlo già detto fin troppe volte, ma tutto quanto si è messo in moto così, con noi due, in quell’aula, a parlare come mai avevamo fatto in vita nostra. A posteriori è facile capire quali sono i momenti fondamentali di una vita, e ora, a distanza di molti anni dai fatti di cui sto parlando, so che quello è stato il principio di tutto quanto. Se non fossi andata quel giorno nell’aula di musica, e avessi seguito Izzi e fossi andata a pranzare come sempre, forse ora non sarei qui e forse tutto questo sarebbe rimasto solo un episodio secondario e probabilmente del tutto dimenticabile della mia vita. Invece ero lì, in quel caldo primo pomeriggio di settembre, nell’aula vuota di musica della nostra scuola, con Matt, che mi guardava, preoccupato e incuriosito da tutta questa strana, folle e assurda vicenda che mi stava riguardando. E avrei, forse, ancora potuto avere una vita normale se avessi liquidato semplicemente la cosa per quello che doveva essere, un incubo, uno stupito incubo magari generato dal mio subconscio in un periodo di stress e di cambiamenti radicali della mia vita. Invece non l’ho fatto, non ho chiuso il discorso, perché ci fu qualcosa in tutto quel contesto, che mi urlò di parlare con Matt e di confidarmi con lui. E così feci, l’ho guardato dritto negli occhi e ho scatenato tutto il resto di questa storia con una semplice e sola frase

-Stavo correndo, inseguita da qualcuno, qualcuno che stava cercando di uccidermi-

 

 

 

 

 

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Ciao a tutti.

Non so cosa mi abbia spinto dopo molti anni dal primo capitolo pubblicato di questa storia, a riprendere in mano tutto quanto e a continuare. Forse il fatto che questa storia è stata la prima vera trama di una fanfiction a cui abbia mai pensato. Ovviamente la struttura è un po’ cambiata negli anni, ma i concetti fondamentali non lo sono affatto. E così in questa calda estate, ho deciso di tornare a riscriverla, e a ricondividerla con chiunque voglia leggerla. Io ringrazio chiunque abbia voluto leggere questo capitolo, chiunque abbia voluto dedicare un po’ del suo tempo a questa storia. Ovviamente se volete lasciare una recensione siete sempre i bene accetti, anche per critiche ovviamente, sono sempre contenta di leggere ciò che uno può pensare, perché magari nella mia testa tutto funziona perfettamente, ma poi in prosa no, quindi chiunque mi voglia fare notare difetti o errori, nessun problema e fatevi avanti.

Una piccola nota di precisazione: sto dando per scontato che chi legge questa storia conosca già i personaggi, ecco il motivo per cui non ho fatto una introduzione dei personaggi. Quindi non troverete descrizioni fisiche di personaggi che sono già comparsi nell’anime, ovviamente ci sarà qualcosa, ma credo che darò molte informazioni per scontate. Spero non adiate questa scelta e capiate il senso di questo discorso. Il racconto che fa Mimi è come fosse scritto sotto forma di diario, e in un diario personale, molto spesso si danno molte informazioni per scontate perché chi è destinato a leggere le cose scritte di solito è proprio chi ha scritto nel diario. Quindi questo è lo stesso approccio che ho adottato qui, ma come ho già detto, se questo mio modo fosse decisamente troppo sbagliato, fatemelo sapere e provvederò magari ad integrare delle parti.

Infine, ma non per ultimo, compariranno più o meno tutti i personaggi principali dell’anime, anzi, per alcuni ci sarà un ruolo molto importante nella storia, solo che in questo capitolo non c’era modo di inserirli già tutti.

Io come sempre, ringrazio tutti coloro che sono capitati qui e se vorrete, ci vediamo per il prossimo capitolo. Un bacione, dalla vostra

Juls

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Capitolo 2

 

Raccontai il mio sogno a Matt senza fermarmi e, soprattutto, senza guardarlo. Avevo troppo timore di vedere la sua espressione, anche perché non volevo pensasse che stessi esagerando o enfatizzando un sogno che poteva non avere nessun significato. Tuttavia Matt rimase in silenzio, ad ascoltarmi, senza interrompermi o farmi domande. Quando terminai, rimanemmo in silenzio per un po’. Alla fine mi feci coraggio e alzi lo sguardo per vedere il suo volto. Era assorto e sembrava parecchio concentrato.

-Fin troppo dettagliato per un sogno-

Mi disse. Mi trovai ad annuire

-Lo so, è per questo che dopo praticamente non riesco più a dormire. Sono così spaventata che ho paura di risognare la stessa cosa-

Lui rimase in silenzio ancora qualche secondo, prima di farmi una domanda del tutto inaspettata

-Sei sicura che sia solo un sogno?-

Lo guardai perplessa.

-Che cosa intendi?-

-Sembra più la descrizione di un avvenimento reale che non una rielaborazione di informazioni generate casualmente dal tuo cervello-

-Credo di essere abbastanza certa di non avere mai vissuto l’esperienza di essere rincorsa da non so chi e di avere temuto per la mia vita-

Matt mi guardò scocciato

-Questo lo avevo dato per scontato-

-Quindi cosa potrebbe essere altro che non un sogno?-

-Non lo so. E non ho ancora capito chi sia questo Mathew-

-Ancora con quel nome? Come te lo devo dire che non conosco nessuno che si chiami così?-

Matt mi guardò, alzando le mani, come a chiedere scusa

-Ho capito, va bene. Allora è un doppio mistero-

Lo guardai senza aggiungere niente. Era vero. Non avevo mai conosciuto nessuno con quel nome, nemmeno nei miei anni in America.

-Non so proprio perché mai io abbia chiamato quel nome… insomma l’unica persona che conosco con un nome simile sei tu-

Lui mi guardò senza dire niente. Finimmo di mangiare in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri. Prima che me ne rendessi conto, la prima delle tre campanella suonò, segnalando l’imminente fine della pausa pranzo. Non so se fosse una cosa comune di tutte le scuole, ma il nostro liceo aveva tre campanelle che segnavano la fine della pausa, forse un modo per far si che ogni studente avesse il tempo per finire il suo pranzo con calma prima di iniziare le lezioni pomeridiane.

-Sarà meglio andare-

Matt annuì. Ci alzammo in silenzio e ci avviammo verso la porta. Prima di uscire, però, Matt mi afferrò per il polso, facendomi voltare. Lo guardai negli occhi e lo vidi come indeciso, combattuto su qualcosa. Alla fine mi guardò serio

-Di solito ho il sonno leggero-

Lo guardai perplesso

-Cosa?-

-Se ti dovesse ricapitare il sogno e avessi bisogno di qualcosa io… ho il sonno leggero, puoi chiamarmi. Ti risponderò-

Lo fissai sconvolta, credo persino di avere spalancato la bocca incredula. Ma quelle parole, dette sicuramente per il forte senso di protezione che contraddistingueva Matt fin da quando era piccolo, mi scaldarono il cuore. Mi ritrovai a sorridergli, grata

-Grazie, lo farò-

Lui semplicemente annuì, ma vidi un accenno di sorriso sul suo volto. Mi lasciò andare il polso e indicò la porta

-Meglio uscire separati. Vai prima tu. Non vorrei mai che qualcuna delle mie “fan” ci vedesse e pensasse…-

Non finì la frase, ma non ce ne fu bisogno. Matt era il cantante di una band, dopotutto, una band che stava anche iniziando a riscuotere un notevole successo, soprattutto a scuola, e le sue fan si erano improvvisamente moltiplicate nel giro di pochissimo. E la più sfegatata di tutte era Jun Motomiya, sorella di Davis, non che mia compagna di classe. Mi ritrovai ad annuire

-Credo tu abbia ragione. Vado io per prima allora-

Matt annuì. Feci per aprire la porta, ma un pensiero improvviso mi attraversò la mente. Mi voltai verso di lui

-Possiamo tenere questo segreto?-

Lui mi guardò perplesso

-Ho mentito a Izzi prima di venire qui-

Gli ammisi, leggermente imbarazzata. Lui non disse niente, ma vidi una leggera sorpresa sul suo volto

-Lo so, lo so, non dire niente. È solo che… se volevo venire qui, non dovevo farglielo sapere. Così mi sono inventata che dovevo parlare con la professoressa di matematica, dato che non è proprio la mia materia preferita… e so che una parte di Izzi non mi ha creduto, però ecco se tu potessi… si insomma evitare di dire che io e te eravamo insieme oggi sarebbe meglio-

-Non è che io e Izzi parliamo di queste cose-

-Lo so, solo che… temevo che se glielo avessi detto, avrebbe iniziato a tormentarmi, chiedermi il motivo di questo incontro, il perché dovevamo vederci solo noi due e alla fine so che mi avrebbe seguito venendo qui. E se fosse stato qui con noi, noi non avremmo parlato realmente, cioè io non avrei mai potuto dirti la verità, sul sogno e tutto il resto insomma… non sarebbe servito a niente se lui fosse stato qui-

-Perché? Dopotutto è il tuo migliore amico, no?-

-Lo è davvero?-

La domanda mi uscì così spontanea che colse di sorpresa persino me, oltre a Matt. Vidi uno sguardo strano sul suo volto, un misto di curiosità, meraviglia e perplessità. Non so perché, ma mi sentii in imbarazzo e arrabbiata con me stessa. Mi trovai a scuotere la testa,

-Scusa Matt, non sono in me in questi giorni. Vado in classe ora-

Non gli diedi tempo di dire niente altro, mi avvia veloce verso la porta e non mi voltai indietro, perché sapevo che se mi fossi voltata e lo avessi guardato negli occhi, sarei scoppiata a piangere. E non volevo farmi vedere ancora così disperata davanti a lui.

 

Il pomeriggio si rivelò peggio della mattinata. Una sequenza interminabile di tediose lezioni pomeridiane, in cui sembrava che semplici sessanta minuti fossero diventati centoventi. Fu con una sorta di sollievo miracoloso che accolsi il suono della tanto agognata campanella, il segno inconfutabile della conclusione di quella giornata. Mi alzai grata e non persi tempo a raccogliere le mie cose. Volevo uscire da lì il prima possibile e arrivare a casa, buttarmi sul letto e smettere di pensare a qualsiasi cosa. Se mai ne fossi stata capace. Tuttavia il mio piano andò subito a infrangersi quando il sorriso smagliante di Izzi comparve nella mia visuale

-E' stata una pausa pranzo produttiva?-

Lo guardai un attimo perplessa

-Come?-

-Non hai parlato con la professoressa di matematica? È stato utile?-

Mi trovai ad annuire, conscia che se volevo mantenere segreto il pranzo con Matt, avrei dovuto continuare a mentirgli

-Si, certo-

-Mi fa piacere. Sei stata via tutto il tempo e non abbiamo avuto modo di parlare ed ero curioso-

Il suo sorriso fu come un colpo al mio cuore. Izzi era mosso dalle più nobili intenzioni, lo sapevo, ma nell’ultimo periodo era diventato un po’ troppo asfissiante nei miei confronti. E la cosa, stavo notando, mi stava facendo sentire leggermente soffocata

-Non devi preoccuparti così tanto Izzi… so badare a me stessa-

Lui mi guardò un attimo perplesso

-Lo so che sai badare a te stessa solo che… credo sia normale preoccuparmi per te. Siamo amici dopotutto-

Il suo viso leggermente rosso dall’imbarazzo mi fece provare una sorta di stretta allo stomaco. Si, io e Izzi eravamo amici, ci conoscevamo da tanto tempo ormai, ma non sapevo per quale motivo sentivo come una sorta di stretta al cuore ogni volta lo vedevo sorridermi così. Ero talmente a disagio che non sapevo cosa rispondergli, quando una mia compagna di classe lanciò una sorta di grido e prima che potessi capire cosa stesse succedendo mi senti chiamare dall’ultima voce che mi sarei mai aspettata

-Mimi-

Non disse niente altro, ma bastò per farmi accelerare i battiti del mio cuore in un modo totalmente imprevisto, e quasi inquietante. Mi voltai e mi trovai a vedere, fermo sulla porta della mia classe, Matt, casualmente appoggiato contro il telaio della porta. Mi stava fissando, quasi divertito, forse, dal mio sguardo meravigliato. Mi fece solo un cenno con il capo e io, come rapita, mi trovai ad afferrare cartella e tutto e a dirigermi veloce verso di lui

-Matt, che ci fai qui?-

-Cambio di programma-

Disse solo, come se quelle tre parole potessero avere un qualche tipo di senso logico in quel momento. Inutile dire che in quel momento, tutti i presenti in classe fissavano allibiti sia Matt che me. Certo, tutti sapevano che eravamo amici fin da piccoli, ma non era mai successo che Matt venisse fino alla mia classe, per me soprattutto. E la stessa meraviglia era disegnata sul volto di Izzi, che fissava Matt e me perplesso.

-Perché sei qui?-

Quasi gli bisbigliai. Lui sorrise, visibilmente divertito dal vedermi in quello stato

-Era più veloce che non mandarti un messaggio-

-Cosa?-

Gli domandai, quasi sull’orlo di una crisi di nervi. Lui a quel punto tornò serio

-Sai, per una che mi ha chiesto il favore di darle ripetizioni di matematica non sei molto cortese-

-Ripetizioni di matematica?-

Izzi, che si era avvicinato in silenzio, mi guardò perplesso

-Hai bisogno di ripetizioni?-

Mi chiese. Mi trovai inconsciamente ad annuire e, peggio, a blaterare cose

-Si, infatti. Parlando con la professoressa mi sono resa conto che le cose da ripassare sono tante e piuttosto che fare tutto da sola e perdermi nelle cose, ho chiesto a Matt una mano. Ci siamo incrociati per caso in corridoio e, come quasi fosse destino, gli ho chiesto questo favore-

-Potevi chiedere a me-

Lo sguardo addolorato di Izzi fu come una coltellata ricevuta in pieno petto. Stavo quasi per ritrovarmi a cedere e raccontare in realtà tutto quanto, quando la voce di Matt mi fermò

-Tu hai il club di informatica quasi ogni pomeriggio o sbaglio? E poi sarà utile anche a me ripassare un po’. Allenamento per i test d’ingresso all’università-

La tranquillità con cui Matt stava raccontando quella bugia mi fece capire subito che si era preparato con cura la storia da vendere agli altri sul perché mi era venuto a prendere in classe. Solo che ancora non capivo il motivo del perché lui si era presentato lì e quali fossero le sue reali intenzioni.

-E tu non hai le prove della band?-

La domanda di Izzi suonò troppo severa e accusatoria per quella situazione, tuttavia Matt rispose con calma

-Ho un paio d’ore libere prima delle prove-

Questo sembrò decretare per Matt la fine della discussione, tanto che mi lanciò un’occhiata e si voltò verso la porta

-Ti aspetto fuori-

Mi disse, prima di uscire. Prima di perdere altro tempo e ritrovarmi a balbettare cose insensate, mi voltai sorridente verso Izzi

-Allora io vado. Ci vediamo domani, va bene?-

Non diedi tempo di rispondere e uscii veloce, diretta verso Matt. Lo afferrai per il braccio e lo tirai mentre continuavo a camminare

-Non sapevo fossi così entusiasta di stare con me-

Disse ironico Matt. Si stava decisamente divertendo troppo per quella situazione così assurda. Oppure lo conoscevo veramente troppo poco da non sapere come fosse in realtà e stavo osservando il vero Matt per la prima volta. Ma non era tempo di scherzare

-Non è divertente. E poi dove sono finiti i discorsi sul non farci vedere insieme?-

Lui si fece serio. Si liberò facilmente della mia mano, non che opposi molta resistenza a quel gesto, onestamente, e prendemmo a camminare con calma

-Lo so quello che ho detto-

-Allora perché siamo qui insieme?-

Lui si prese qualche secondo per rispondermi. Sembrava combattuto

-Mi crederesti se ti dicessi che ho una brutta sensazione?-

-Brutta sensazione?-

Ripetei quasi a pappagallo. Lui sembrò non farci caso, ma annuì, serio.

-Che cosa intendi?-

-Non so perché ma, da quando ci siamo lasciati prima, non ho fatto altro che continuare a pensare a quello che mi hai descritto-

-Parli del mio sogno?-

-Si. Non so perché ma, ho come l’impressione che ci sia un particolare mancante-

-Cosa te lo fa pensare?-

-Non lo so-

-E questa brutta sensazione da dove viene allora?-

-Non lo so-

-Non sei molto d’aiuto-

-Me ne rendo conto, è una cosa che non capisco nemmeno io. Ma sono sicuro solo su una cosa, non dovevo lasciarti sola oggi pomeriggio-

Mi trovai ad arrossire a quelle parole. Non so bene se fu la frase di Matt stessa a farmi imbarazzare o il sentirmi responsabile per quella situazione. Camminammo in silenzio e senza dire altro e ci trovammo dopo pochi minuti fuori dalla scuola e solo allora, con mio grande sgomento, mi resi conto del numero incredibile di persone che ci stavano fissando, principalmente ragazze della nostra scuola che guardavano me e Matt perplesse e che presero a bisbigliare tra di loro al nostro passaggio.

-Non farci caso… se le consideri è peggio-

-Ma è sempre così?-

-Intendi dire avere mille paia di occhi che guardano cosa faccio, cosa dico, con chi sono? Si, più o meno è sempre così-

-E come fai a sopportarlo?-

-Amo troppo fare musica. Non voglio certo smettere per colpa di adolescenti poco responsabili-

Lo fissai ammirata e anche divertita. Ricordavo troppo bene quanto tempo era stato preso in giro Matt per colpa di Jun nel gruppo, ma evidentemente la sua passione superava di gran lunga quanto io potessi mai immaginare.

-Hai intenzione di farlo seriamente?-

Lui si voltò verso di me, perplesso.

-La musica intendo. Hai intenzione di diventare un professionista?-

Lui non rispose subito. Continuò a camminare, in silenzio. Credetti di avere chiesto qualcosa che non dovevo o a cui non volesse rispondere, soprattutto a me. Dopotutto si era vero, ci conoscevamo fin da bambini, ma di certo non si poteva dire che fossimo così legati dal parlare del più o del meno o da raccontarci i nostri sogni per il futuro in modo serio. Anzi, probabilmente, era anche la prima volta che parlavamo così tanto e in modo così sincero tra di noi, quindi non ci rimasi male per la sua mancata risposta, anzi la diedi per scontata. Quindi la mia meraviglia fu decisamente tanta quando Matt mi rispose

-Ci stiamo pensando. Non mi immagino fare altro, onestamente, se non continuare a cantare e suonare. Non mi ci vedo in un futuro a fare un rispettabile lavoro di ufficio. L’idea di vivere della mia musica è ciò che mi elettrizza di più. Ma non è facile, la concorrenza è molto più spietata di quello che può sembrare. Sai quanto è stato difficile trovare dei posti dove poterci esibire? La fortuna è che stiamo iniziando ad avere un seguito discreto, quindi molti locali ora sono più predisposti ad accettarci, ma non è sempre stato così. Però abbiamo lavorato molto per arrivare dove siamo adesso e non vorrei farlo finire così, solo perché è più accettabile andare all’università e trovare un lavoro canonico. Amo la musica, perché non dovrei avere il diritto almeno di tentare?-

-Io credo tu l’abbia questo diritto. Anzi, dovresti provarci. Se è quello che vuoi veramente fare e sei disposto ad accettare rischi e pericoli per realizzare il tuo sogno dovresti farlo. Non credo nessuno abbia il diritto di potere scegliere per te la tua vita, solo tu puoi farlo, perché solo tu sai cosa è meglio per te-

Matt mi guardò meravigliato poi sorrise

-Sei la prima a dirmi una cosa simile, sai?-

-Sul serio?-

Matt annuì

-Solo mio fratello e Tai si sono dimostrati comprensivi fino ad ora. Non posso dire lo stesso dei miei genitori-

-Non ti sono di supporto?-

-No, non è questo solo che… sono preoccupati credo. Sanno quanto possa essere difficile un futuro stabile nel mondo della musica, credo vogliano solo indirizzarmi verso qualcosa di più certo-

-Come ogni genitore, direi, dovresti vedere mia madre. È impazzita quando le ho detto che ancora non avevo deciso cosa volessi fare-

-Hai ancora tempo per pensarci no?-

Mi trovai a scuotere il capo

-Si e no. Da un lato è vero, ho ancora tutto l’anno prossimo per decidere seriamente, ma di certo non brillo molto come studentessa e le migliori università hanno dei test molto difficili, come sai e con la mia media attuale non è così facile. Già alcuni professori mi hanno fatto notare che prima scelgo cosa fare, prima posso recuperare. Alcuni mi hanno detto che altrimenti non riuscirei a recuperare in un solo anno. E così mia madre è entrata in modalità “farò di tutto per mandare mia figlia in una buona università”. È un miracolo che non mi abbia già iscritto in un qualche doposcuola-

-Ma tu hai qualcosa che vorresti fare?-

Lo guardai e per la prima volta, stavo per dire a voce alta quello che avrei veramente voluto fare della mia vita a qualcuno. Si perché dato che Matt mi aveva parlato con estrema sincerità, mi sembrava logico rispondere con la stessa trasparenza. Anche se la cosa mi metteva leggermente a disagio

-Vorrei diventare una botanica-

Matt si fermò di colpo e mi guardò ad occhi sgranati. Mi sentii arrossire

-Ti prego, non guardarmi così…-

Mormorai imbarazzata. Lui alzò le mani in gesto di scusa, ma continuò a fissarmi meravigliato

-Botanica? Sul serio?-

-Si, perché sarebbe solo il primo passo per il mio progetto-

-E quale sarebbe questo progetto?-

-Vorrei aprire un vivaio e coltivare i miei fiori personalmente-

Gli occhi blu di Matt si spalancarono e poi lo vidi scoppiare in un’enorme risata. Lo fissai allibita

-Yamato Ishida! Io mi confido con te e tu scoppi a ridere?-

Lui continuò a sogghignare

-Scusa, hai ragione solo… mi sarei aspettata tutto da te, tranne questo-

-Perché? Credi che non sia capace?-

-Non ho detto questo, solo che, non so, pensavo volessi fare una facoltà umanistica tipo-

-E questa è la stessa identica cosa che pensa dovrei fare mia madre. O izzi. O chiunque voglia darmi suggerimenti non richiesti sul mio futuro-

-Qualcosa però mi dice che alla fine farai quello che vuoi, senza che nessuno ti possa fermare. Sei sempre stata così dopotutto-

-Non saprei… è devastante a volte fermarmi e vedere che non c’è nessuno che creda possa fare quello che voglio. Insomma, mi sono spesso domandata “ma se tutti continuano a consigliarmi di fare una determinata cosa non vorrà dire che sia la scelta migliore?” Infondo sono persone che mi conosco bene, quindi dovrei fidarmi no?-

-Io non credo. Voglio dire, puoi veramente dire che quelle persone ti conoscano così bene da sapere effettivamente quale sia la cosa migliore per te? Credo che solo tu lo possa sapere. Poi è ironico che tu ti faccia influenzare da quello che pensano gli altri, quando fino a due minuti fa mi hai consigliato di decidere da solo perché solo io so cosa sia meglio per me. Se vale in un senso, il discorso, vale anche nell’altro, quindi vale lo stesso anche per te-

Non replicai, e riprendemmo a camminare in silenzio. Mi persi nei miei pensieri talmente tanto, che non mi resi minimamente conto di dove eravamo fino a quando non mi trovai di fronte l’ingresso della stazione.

-Dove stiamo andando?-

-A cercare delle risposte direi-

-Risposte?-

-Informazioni sui sogni per la precisione-

-E dove li troveremmo queste informazioni?-

-Per iniziare direi una biblioteca. Così possiamo fare due cose contemporaneamente-

-Due?-

-Ho detto no che ti avrei dato ripetizioni di matematica. Andiamo, così mentre tu studi matematica io cerco qualcosa-

Lo guardai meravigliata e divertita al tempo stesso.

-Perché fai tutto questo?-

Domandai sinceramente curiosa. Sapevo fin troppo bene che Matt era una persona disposta a fare qualsiasi cosa per aiutare gli amici, ma in quel momento mi sembrava che stesse facendo fin troppo per me. Lui si limitò a fissare fisso davanti a se e a non rispondermi. Forse in quel momento non lo sapeva nemmeno lui il perché si stava spingendo così tanto per me, ma come potevamo immaginare, fermi sul binario in attesa del treno l’incredibile svolgersi di eventi che avremmo affrontato? 

-Grazie comunque, per tutto-

Anche questa volta non mi rispose, ma vidi un leggero accenno di sorriso spuntargli sul volto. E mi ritrovai a sorridere anche io.

 

 

Ovviamente quel giro alla biblioteca si rivelò inutile, almeno per quello che riguardava il mio sogno. Non che in realtà mi fossi aspettata di trovare qualcosa, dopotutto che cosa ci poteva essere di più sotto? Invece il mio studio della matematica subì un’improvvisa accelerata e, devo ammettere, Matt era decisamente bravo a farmi capire quella materia. Così mi trovai ad uscire soddisfatta dalla biblioteca, al contrario di Matt, che sembrava contrariato

-Non ti aspettavi sul serio di trovare qualcosa, vero?-

-Certo che no-

-E allora perché hai una faccia così corrucciata?-

-Non so di cosa parli-

Lascia perdere il discorso, non volevo certo mettermi a discutere per una cosa del genere. Tuttavia, nonostante tutto quanto, mi sentivo soddisfatta

-Hai fatto anche fin troppo per me oggi-

-Ti sei confidata, direi che era il minimo che potessi fare-

-Allora è una fortuna che mi sia confidata con te. Non so quanti avrebbero fatto lo stesso-

-Tu sei piena di amici Mimi-

-No che non lo sono. Tolti voi non è che frequenti altre persone-

-Andiamo, avrai qualche compagno di classe…-

Scossi velocemente la testa

-No invece. Mi ritrovo sempre e solo con Izzi-

-Cos’è ti tiene segregata dal resto della classe?-

So che Matt disse quella frase in modo scherzoso, ma per qualche motivo, liberò un pensiero che forse si era già formato nella mia testa. Mi ritrovai a guardarlo e senza che potessi fare altro, inizia a piangere. Vidi lo stupore e un misto di terrore sul suo viso, ma senza aggiungere niente, mi afferrò e mi abbracciò stretta. Rimanemmo così per qualche tempo. Non so se si sentisse imbarazzato o a disagio, dopotutto eravamo praticamente in mezzo alla strada, ma non disse assolutamente niente, si limitò a stringermi, come aveva già fatto in infermeria. Quando fui abbastanza in grado di calmarmi mi staccai da lui e mi trovai a fissare il suo sguardo preoccupato

-Inizio a pensare di essere io a farti piangere. Due giorni su due, è un record-

Sorrisi e lo fece anche lui, poi si rifece subito scuro in volto

-Posso fare qualcosa per te?-

Mi trovai a scuotere il capo, decisa

-No, non ti preoccupare-

Lui mi guardò poco convinto

-Veramente, non ti preoccupare. È un problema mio nel caso, non ci pensare-

-Difficile dopo quello che ho appena visto-

-Matt, per favore-

Lui si limitò ad annuire, anche se dai suoi occhi vidi che non era molto convinto. Mi ritrovai a sorridergli in un vano tentativo di fargli vedere che stavo bene, ma anche questo sembrò provocare poco effetto. Tuttavia Matt lasciò perdere il discorso e io mi ritrovai a sospirare di sollievo. So che il mio sospiro non gli passò inosservato, ma facemmo entrambi finta di niente. Concludemmo così il nostro pomeriggio insieme, camminando silenziosi verso la stazione io diretta a casa, lui alle prove della band. Ci salutammo sulle scale, dato che dovevamo prendere due linee diverse, e mi trovai a pensare che mi dispiaceva lasciarlo andare via così, perché avrei voluto passare ancora del tempo con lui. Fu forse quello a spingermi a seguirlo per le scale e ad afferrarlo

-Matt aspetta-

Lui mi guardò meravigliato. Io mi trovai ad arrossire ma riuscii in qualche modo a sostenere il suo sguardo

-Posso veramente telefonarti se stanotte ho ancora quell’incubo?-

Lui mi sorrise e annuì

-Si che puoi-

-Grazie-

E presa da un raptus di pazzia, mi affrettai a dargli un bacio sulla guancia, cosa che lo lasciò decisamente sorpreso ma che lo fece anche diventare rosso in volto

-Cosa…-

Bofonchiò. Io mi allontanai svelta e mi ritrovai a ridere divertita. Mi fermai in cima alla scala dove voltandomi lo vidi ancora fermo e rosso in viso, una mano appoggiata sulla guancia dove lo avevo baciato

-Un piccolo ringraziamento per oggi. A domani-

Mi voltai veloce e sparii il più velocemente possibile. Ero stata incosciente a dargli quel bacio e ora mi stavo rendendo conto di quello che avevo appena fatto. Tornai a casa e quando mi guardai allo specchio, avevo ancora le guance arrossate dall’imbarazzo.

 

 

È incredibile come a volte, il nostro sesto senso ci faccia percepire le cose prima ancora che accadano. Ero assolutamente certa che quella notte avrei rifatto lo stesso incubo che mi stava tormentando, per questo stavo procrastinando il mio andare a dormire. Contrariamente ad ogni mio principio personale, mi misi alla scrivania e tirai fuori il mio libro di matematica. Se dovevo affrontare un incubo era decisamente meglio farlo con qualcosa di più tangibile, quindi tanto valeva fare qualche esercizio di matematica in più. Incredibilmente, le cose che mi aveva spiegato Matt quel pomeriggio non solo me le ricordavo, ma mi avevano permesso di risolvere tutti i compiti senza problemi. Ero talmente esaltata per questa cosa, che non feci caso quando sentii il mio telefono squillare e senza esitazione risposi

-Pronto?-

-Mimi ciao-

Istintivamente mi sentì gelare. Izzi non mi chiamava mai, al massimo ci scambiavamo dei messaggi sporadici. Per cui mi preoccupai tantissimo sentendolo

-Izzi è successo qualcosa?-

Non rispose subito, lasciandomi pensare a mille cose orribili che potevano essergli accadute o stragli accadendo

-No tranquilla, tutto bene-

-Oh-

La mia risposta lo dovette lasciare perplesso, perché sentì una sorta di imbarazzo nella sua voce. Il silenzio si fece sempre più pesante, tanto da farmi domandare se fosse ancora in linea

-Izzi, ci sei?-

-Si si scusa… è solo che… mi sento un po’ un idiota in questo momento-

Capì immediatamente che voleva sapere cosa fosse successo con Matt. Mi ritrovai leggermente infastidita, come se non potessi pensare di avere altri su cui contare al di fuori di Izzi.

-Matt è stato un ottimo insegnante. In mezz’ora mi ha fatto capire praticamente l’intero programma che abbiamo fatto quest’anno. Mi sono trovata molto bene a studiare con lui. Era questo che volevi sapere, no?-

-Sembri infastidita-

-Lo sono infatti-

-E' che non capisco-

-Cosa?-

-Perché sei andata da Matt e non sei venuta da me-

-Sono obbligata forse a chiedere aiuto solo a te?-

-Non ho detto questo è solo che…-

-Izzi, non esisti solo tu nel mio mondo. Per fortuna ci sono un sacco di persone su cui posso contare e Matt è una di queste. Mi ha visto in difficoltà e si è offerto di darmi una mano e ho accettato, tutto qui. E per tua informazione, ho intenzione di chiedergli ancora una mano. E con questo spero che questa conversazione sia finita qui. Buonanotte-

Non gli diedi il tempo di ribattere. Chiusi il telefono e per la frustrazione lo lancia contro il cuscino del mio letto. Fino al giorno prima non mi sarei mai immaginata di rispondere così a Izzi o di sentirmi così tanto infastidita e oppressa da lui. Era bastato parlare un giorno con Matt per farmi vedere alcune cose che forse avevo cercato di ignorare per troppo tempo. E con quel senso di frustrazione, rabbia e anche leggera angoscia mi misi a dormire, sperando che almeno quella sera i miei sogni decidessero di lasciarmi in pace.

 

 

Il sole sul viso mi fece aprire gli occhi. Mi ritrovai a fissare un soffitto che non riconobbi. Spaventata mi alzai di scatto dal letto, guardandomi intorno spaventata. Ero in una stanza, molto elegante e raffinata. La tappezzeria sulle pareti era di un verde delicato, e il mobilio era quasi interamente bianco, creando una armonia tra il piacevole e rilassante all’interno della stanza. Tre grandi finestre la illuminavano e le tende, di una tonalità di verde leggermente più scura rispetto alle pareti, erano state lasciate aperte, in modo da far entrare la luce del sole. Mi alzai titubante. Non avevo minimamente riconosciuto quel posto, non ero a casa mia. Mi guardai e vidi che indossavo un abito da notte, una finissima camicia di morbido cotone, leggermente troppo grande per me, che sapevo non appartenermi. Preoccupata mi avvicinai ad una delle finestre e mi ritrovai a fissare un bellissimo giardino. Ero sicuramente all’interno di una residenza nobiliare, ma non sapevo a chi appartenesse e perché mi trovassi lì. Mi trovai improvvisamente agitata e angosciata. Cosa era successo? L’ultima cosa che ricordavo era che ero seduta sulla mia carrozza in compagnia della mia cameriera personale e poi… i banditi, l’assalto, i colpi di arma da fuoco. Mi trovai preda del panico. Ero forse stata rapita? Ma se fossi stata rapita non mi sarei ritrovata in un posto del genere. Mi diressi verso la porta della stanza. Se ero prigioniera l’avrei trovata chiusa a chiave. Ma se fosse stata aperta? Feci per afferrare la maniglia, quando dei leggeri colpi alla porta mi fecero sobbalzare per la paura.

-Miss? Siete sveglia? Posso entrare?-

La voce era di una donna, forse più precisamente una ragazza. Non percepii nessun tipo di pericolo in quella voce, così mi trovai a rispondere, quasi inconsciamente

-Si, prego-

La porta si aprì e con mia sorpresa mi trovai ad osservare una giovane cameriera. Indossava un semplice abito chiaro e un grembiule bianco coordinato alla cuffietta per capelli. Quando mi vide in piedi, mal celò un certo stupore, ma si affrettò a farmi un inchino

-Miss, prenderete freddo solo con quella camicia da notte. Se mi permettete, vi aiuto ad indossare una vestaglia-

Detto questo si diresse verso una poltroncina dove sopra, appoggiata, era stata posta una meravigliosa vestaglia di seta, finemente ricamata con un motivo floreale. Mi aiutò ad indossarla e me la strinse dolcemente alla vita. Poi accennò alla stessa poltrona

-Se gradite, miss, vi ho portato qualcosa da mangiare. Il nostro signore si è premurato di farvi mangiare e aiutarvi in tutto quello che potete desiderare e quando sarete pronta, vi incontrerà per parlare-

Quella ragazza non mi diede il tempo di ribattere. Veloce fece un cenno e un’altra cameriera, che era rimasta fuori dalla stanza, che entrò con un vassoio su cui vidi pane, carne, frutta, verdura e addirittura un piatto di zuppa fumante. Non mi ero accorta di essere molto affamata e guardai quel vassoio con gratitudine. Senza aspettare di nuovo una mia risposta, le due cameriere si inchinarono e uscirono, lasciandomi di nuovo sola. Mi buttai sul cibo, affamata. Mangiai quasi tutto, voracemente. Era tutto squisito e quando finii mi sentii immediatamente sollevata. Poco dopo, le due cameriere rientrarono portando un abito di un tenue color giallo mattutino. Le guardai un attimo perplesse. Ora che avevo mangiato e mi ero un attimo tranquillizzata e che avevo capito anche di non essere stata rapita, volevo avere delle risposte alle mille domande che mi stavano passando per la testa

-Dove mi trovo?-

La cameriera mi guardò un attimo titubante, prima di rispondermi

-Siete a Hollyok Manor, miss. Ma non vi preoccupate, il lord vi dirà tutto non appena lo vedrete. Non temete miss, qui siete al sicuro-

Non aggiunge niente più, mi vestirono e mi pettinarono, nel silenzio più assoluto. Il vestito giallo era sorprendentemente della mia taglia, anche se leggermente datato rispetto alla moda odierna.

-Miss, da questa parte. Il lord vi sta aspettando-

La cameriera mi fece strada. Uscii dalla stanza e mi trovai a percorrere un corridoio largo e luminoso, finemente arredato. Non incontrammo nessuno lungo il percorso, che non fu molto lungo. Arrivammo presto ad una scalinata e scendemmo. Ci ritrovammo in un ampio salone, con marmo sia sul pavimento che sulle pareti. Il soffitto era decorato con affreschi e mi trovai ad osservare uno stemma, posto al centro della stanza. Uno scudo, attraversato trasversalmente da una fascia verde con un lupo in posizione araldica. Non feci però in tempo a pensare a chi appartenesse quello stemma, che la cameriera si affrettò veloce verso una porta. Bussò e senza esitare, come aveva fatto con me, mi annunciò al misterioso lord di quel maniero.

-Milord, la miss è qui-

Anche questa volta non aspettò risposta, semplicemente abbassò la maniglia e aprì la porta. Feci un passo avanti, verso la porta aperta per incontrare il misterioso signore.

E in quel momento mi svegliai

 

 

Mi sveglia di colpo, nel cuore della notte. Il buio della mia stanza si attenuò non appena i miei occhi si abituarono all’oscurità. Afferrai rapida il telefono, per controllare l’orario. Erano le cinque e mezza di mattina. Mi tirai a sedere confusa. Per essere un sogno, era stato fin troppo dettagliato. Ma la cosa che mi aveva lasciato confusa non era l’elevato livello di dettagli, quanto le sensazioni che avevo provato in quel sogno. La paura, confusione, il senso di smarrimento e di incertezza. Erano quelle sensazioni che mi lasciavano sempre stupefatta o confusa. Come il senso di paura che provavo con l’altro sogno. Erano fin troppo reali in certi momenti. Mi trovai a scuotere il capo incredula di quello che stavo pensando. Mi alzai decisa ad andarmi a sciacquare il volto e riprovare poi a dormire. Tuttavia, nonostante gli sforzi, non riuscii a riprendere sonno. E così, perplessa persino delle mie azioni, mi trovai a mandare un messaggio. Alle cinque e quarantadue di mattina.

“Vediamo se hai veramente il sonno così tanto leggero come dici”

Mi trovai a sorridere mentre lo inviavo. Già mi immaginavo il sorriso divertito che avrei avuto più tardi quella mattina, quando avrei preso in giro Matt per il fatto che aveva continuato a dormire nonostante ciò che mi aveva detto, ma ancora una volta, mi trovai stupita da quel ragazzo. Dopo poco tempo, mi arrivò un messaggio di risposta

“Dovresti sapere che non mento quasi mai”

Guardai meravigliata e sinceramente stupita lo schermo del mio telefono e quel messaggio. Era confortante sapere che c’era qualcuno sveglio come me in quel momento con cui parlare. Anche se una parte di me si sentì subito in colpa

“Ti ho svegliato… scusa”

“Sono stato io a dirti di farlo no? Non ti devi scusare. E poi ero già quasi mezzo sveglio”

“Brutto sogno?”

“Non proprio… Solo strano”

“Allora siamo in due stanotte. Anche io ho fatto un sogno strano”

“Non era lo stesso che mi hai raccontato?”

“No, questa volta no. Era come se avessi continuato lo stesso sogno…”

“Continuato?”

Mi trovai a guardare perplessa lo schermo. Come potevo spiegargli che avevo la sensazione di avere continuato il sogno che avevo fatto, ma non dal punto dove lo avevo interrotto, ma avendo fatto un tipo di salto temporale, senza sembrare un discorso pazzo e assurdo? Così mi venne in mente l’unico modo che potevo farlo senza sembrare strana.  O almeno non troppo

“Colazione vicino alla scuola, così ne parliamo. Ti va?”

Vidi che aveva letto il messaggio e che era ancora online, ma ci mise qualche minuto a rispondermi. Inizia a preoccuparmi, pensando di avere chiesto qualcosa di troppo complicato o assurdo, quando mi arrivò la sua risposta

“Il parco vicino alla scuola, quello con lo scivolo a forma di pinguino. Sai dov’è?”

Mi trovai ad annuire. Avevo capito perfettamente di che posto stava parlando

“Si so dov’è”

“Alle sette e mezza al pinguino. Porta il caffè”

“Perché lo dovrei portare io scusa?”

“Sei tu che hai fatto l’invito o sbaglio? Tocca a te oggi”

Mi trovai a sorridere non sapendo nemmeno io bene il perché.

“Va bene, ma solo per questa volta”

“Vedremo…”

Non risposi a quel messaggio, perché sapevo che non ce n’era bisogno. Appoggia il telefono di nuovo sul comodino e mi trovai a sorridere. Era stranamente piacevole sapere che ci saremmo visti prima della scuola, anche se solo per parlare di sogni assurdi e sensazioni strane. Ma era terribilmente confortante sapere di potere contare su qualcuno per poterne parlare. E fu così che per la prima volta da molto tempo, quando la sveglia suonò, mi ritrovai elettrizzata all’idea di uscire.

 

 

 Il parco era stranamente silenzioso quella mattina. La giornata era piacevole, una bella mattinata di primavera dove il sole scaldava leggermente l’aria, facendo già pregustare una voglia di estate. Quando arrivai Matt era già lì. Era seduto su una panchina, le cuffie nelle orecchie e stava mimando il gesto di suonare una chitarra, il suo strumento. Mi avvicinai. Con l’intento di prenderlo di sorpresa, ma fu tutto inutile. Aprì prontamente gli occhi guardandomi beffardo

-Saresti un pessimo ninja-

Mi limitai a fargli la linguaccia, poi gli porsi la sua tazza fumante di caffè

-Come promesso-

Mi sedetti vicino a lui sulla panchina. Presi un sorso del mio caffè e mi voltai a guardalo

-Mi dispiace veramente averti svegliato-

Gli dissi un po’ mortificata. Lui mi regalò uno dei suoi accenni di sorriso e si limitò a sollevare la tazza di caffè

-Il caffè perdona tutto-

-Venduto per del caffè, chi lo avrebbe mai detto-

Questa volta ridacchiò leggermente, ma si limitò poi ad una veloce alzata di spalle, come a dire, che ci posso fare?

-Nuova canzone? Quella che stavi provando?-

Lui annuì

-Si, o almeno ci provo-

-Problemi?-

-Niente di insormontabile. Passerà-

Lo guardai mentre bevve un altro sorso di caffè, perso nei suoi pensieri.

-So che non sono forse la persona più adatta ma… se hai bisogno di sfogarti su qualcosa, io ci sono. Magari non potrò consigliarti in alcun modo, ma posso assicurarti che dire ad alta voce alcune cosa aiuta a sentirsi meno pesante-

Lui mi guardò impassibile. Era difficile capire cosa stesse passando per la sua testa, Matt non era mai stato un ragazzo di molte parole, tuttavia notai un impercettibile cenno con il capo, che interpretai come un grazie.

-Dicevi di una continuazione del sogno?-

Matt spostò la conversazione su di me, dato che era proprio il motivo per cui eravamo lì quella mattina. Mi ritrovai ad annuire

-Si, è stato strano-

-Non che il resto lo sia da meno…-

-Lo so. Ma questo lo devi ascoltare-

Gli raccontai il sogno e lui, come la volta precedente, mi ascoltò in silenzio, senza dire una parola. Una volta che ebbi finito, mi sembrò assurdo persino a me stessa quello che avevo appena detto.

-E' tutto così senza senso…-

Dissi, più a me stessa che non a lui, per la verità. Matt mi guardò invece perplesso

-Hai detto che eri in una casa nobiliare-

-Più una tenuta, ad essere esatti. Ci saranno stati almeno due acri di terreno visibile ad occhio nudo. Decisamente era una tenuta nobiliare-

-E hai parlato di un milord-

-Mi sono svegliata prima di poterlo vedere, ma si-

-Quindi eri in Inghilterra-

La semplice constatazione di Matt mi fece sobbalzare. Lo guardai allibita

-Cosa?-

-E' ragionevole dedurlo-

-In effetti può essere. Dopotutto anche il nome che mi hanno detto sembrava anglofono-

-Nome?-

Matt mi guardò meravigliato. Annuì convinta

-Si, te l’ho detto no. Quando ho parlato con la cameriera, mi ha detto il nome del posto dove mi trovavo che è…-

Ma proprio quando stavo per dirlo, mi bloccai. Improvvisamente non riuscivo più a ricordarmi quel nome, che sapevo, però di avere saputo fino a quella mattina, anzi, fino a pochi secondi prima di dirlo ad alta voce.

-Che nome, Mimi?-

-Matt non me lo ricordo-

Lui mi guardò, ma invece di guardarmi come fossi una pazza si fece improvvisamente molto serio e pensieroso. Non ci fu però molto tempo per continuare a parlare, perché la suoneria del mio telefono interruppe quel momento. Veloce, mi affrettai ad afferrare il cellulare e sbiancai nel vedere non solo che era Izzi che mi stava chiamando, ma che erano, ormai, le otto passate

-Siamo in ritardo-

-Direi proprio di si-

Disse Matt. Si alzò e mi guardò

-Pronta a correre?-

-Io odio fare esercizio fisico-

Lui ridacchiò

-Non abbiamo scelta però-

-E andiamo-

E senza aggiungere altro, ci mettemmo a correre, il più velocemente possibile, verso la scuola.

 

 

Arrivammo per miracolo prima della chiusura dei cancelli. Non avemmo nemmeno il tempo di salutarci o di dire niente, semplicemente ci separammo, ognuno diretto verso le proprie aule. Arrivai in classe appena in tempo, pochi secondi prima dell’arrivo della professoressa in aula. Sentii lo sguardo di Izzi su di me, ma feci di tutto per ignorarlo. Ora avevo altro a cui pensare. Inghilterra. Come era possibile che stessi facendo quel tipo di sogni incentrati su un paese con cui non avevo assolutamente nulla a che fare? Insomma, l’unica cosa che poteva collegarmi, prendendola molto alla lontana, era che avendo vissuto per alcuni anni in America parlavo fluentemente in inglese, ma questo poteva bastare a farmi fare quel tipo di sogni? Assolutamente no. Non avevo parentele, non avevo nulla che mi collegasse a quella terra e improvvisamente mi ritrovavo a sognare una tenuta di campagna inglese, di cui ricordavo chiaramente nel sogno mi veniva detto il nome, ma ora, da sveglia, era l’unico dettaglio che non riuscivo a ricordare. Ricordavo perfettamente la sensazione della vestaglia di seta quando me l’avevano fatta indossare e non riuscivo a ricordare un nome. Era una cosa assurda. E totalmente senza senso. E folle. Mi trovai persa nei miei pensieri e improvvisamente si fece l’ora della pausa pranzo. Mi alzai come fossi imbambolata. Avevo passato un’intera mattinata a rivivere il sogno che avevo fatto quella notte e quello che ci eravamo detti io e Matt. Era come se avessi una possibile soluzione sotto gli occhi ma che non fossi in grado di vederla. E la cosa mi stava facendo diventare terribilmente frustrata. Anche perché una parte di me voleva disperatamente sapere perché. Perché avevo iniziato a fare quei sogni? Per quale motivo? E soprattutto, potevano avere un qualche significato? Una parte del mio cervello mi diceva che mi stavo facendo venire paranoie non necessarie, ma dall’altra parte… c’era qualcosa che mi spingeva inesorabilmente a domandarmi perché. Tuttavia, la fame dettata anche dall’orario, mi fece ricordare che non potevo fermarmi solo a pensare ai sogni, ma che dovevo preoccuparmi anche di cose più tangibili. Così mi diressi verso la sala mensa, dove non avrei certamente trovato un cibo stellato ma adeguato sufficientemente per sfamarmi.

-Mimi, aspettami-

Il suono del mio nome mi fece voltare inconsciamente, e vidi venirmi incontro Izzi. Non ero certamente dell’umore adatto per vederlo, ne tantomeno avevo voglia di parlare con lui. Ma non che avessi molte possibilità di evitarlo, così mi fermai e lo aspettai

-Stamattina sei arrivata in ritardo-

Mi disse, in modo un po’ impacciato. Annui

-Si, colpa del sonno-

Dopotutto non gli avevo proprio detto una bugia, ma mi limitai a non aggiungere altro. Lui mi guardò un attimo indeciso, ma poi continuò, imperterrito a parlarmi

-Capita a tutti ogni tanto. Se vuoi, domani mattina posso…-

-E' stato un caso. Non sei stato proprio tu a dirmi che una volta non fa la regola?-

Lo lasciai decisamente spiazzato con la mia risposta. Non sapevo nemmeno io perché mi sentissi così tanto irritata con lui, ma più cercava di parlare e sembrare gentile, più la cosa mi infastidiva. Arrivammo in caffetteria e mi misi dietro alla fila di alunni che si era formata. Izzi si mise di fianco a me, in silenzio. Restammo così per qualche secondo, prima che lui tornasse alla carica

-So che non dovrei ma… ho per caso fatto qualcosa per farti innervosire?-

Lo guardai e una parte di me si sentì mortificata dentro. Izzi, in fondo, non aveva fatto niente di male. Cioè, a parte essere forse leggermente iper protettivo nei miei confronti, ero io quella che gli stava mentendo. Però era vero, c’era un leggero sotto testo nelle sue frasi che mi dava terribilmente fastidio. Sospirai, un po’ esasperata

-Non hai fatto niente, Izzi, tranquillo-

-Sicura?-

Annuì

-Si Izzi, ne sono sicura-

Lui mi sorrise, e io mi limitai a fare  un cenno di sorriso, sperando di chiudere lì la conversazione. Ma sembrava che Izzi non volesse mollare il colpo

-Allora, mi dicevi che studiare con Matt è stato utile-

-Molto. È stato un ottimo insegnante-

-Onestamente non me lo sarei mai aspettato da lui-

Il tono della sua voce mi fece voltare verso di lui e lo guardai, leggermente arrabbiata

-In che senso scusa? Non ti aspettavi che avrebbe aiutato me? È questo che stai insinuando?-

Ammetto che ripensandoci, la mia reazione è stata del tutto esagerata. Ma c’era qualcosa, una sensazione che non mi piaceva affatto, che mi aveva fatto reagire così. La mia reazione stupì Izzi che si affrettò a spiegarsi

-No certo, non intendevo questo. È solo che non è da lui offrirsi volontario per aiutare qualcuno. E poi non è che voi due abbiate tutto questo gran rapporto, mi pare, da giustificare…-

-Giustificare? Giustificare cosa? Il fatto che voglia semplicemente aiutarmi perché, non saprei, siamo amici? Questo non basta forse?-

-Ma voi due non parlate quasi mai-

-Matt non parla quasi mai con nessuno, ma non vuol dire che non lo consideri un buon amico proprio come te-

Lui mi guardò esterrefatto e poi si intristì. Fu con quasi un filo di voce che mi parlò

-Vuol dire che non c’è differenza nel nostro rapporto tra me e lui per te?-

-Siete entrambi miei amici, Izzi-

Fu a quel punto che successe tutto in pochi attimi. Con la cosa dell’occhio vidi Matt entrare in caffetteria. Era con Tai e Sora. Insieme stavano chiacchierando, o meglio dire, sembrava che Tai stesse tenendo uno dei suoi monologhi. Matt sembrava non prestare particolarmente attenzione, perché lo vidi vagare con lo sguardo per la stanza. Poi mi vide e i nostri sguardi si incrociarono. Fu un secondo, ma mi vide. E nello stesso istante Izzi mi afferrò il polso, stringendolo con forza. Mi fece male quella presa. Mi voltai verso di lui

-Izzi mi fai male-

-Sul serio? Stai dicendo veramente che io per te non…-

Non riuscì a sentire il resto della frase, perché all’improvviso, fu come se mi sentissi catapultata verso un posto lontano. Sentii delle voci attorno a me, poi il rumore si acquietò, ma ricordo ancora adesso ciò che provai. Ebbi come la sensazione di essere stata sbattuta violentemente contro un muro e poi la voce di un uomo, che mi aggrediva

-Tu non puoi amarlo, ma non capisci? Solo io ti posso amare, non lui. Tu devi amare me, non lui, me, mi hai capito? Amami-

E con quell’eco tremendo nelle orecchie e una sensazione di terrore assoluta, persi completamente i sensi, e sprofondai in un silenzio assoluto.

 

 

Quando riaprii gli occhi ci misi qualche secondo a capire dove fossi. Ero sdraiata su un letto e una luce calda aranciata aveva come acceso la stanza in cui mi trovavo. Ci misi qualche secondo prima di capire che mi trovavo in infermeria. Ero sdraiata sul letto, ed ero sola. Mi misi a sedere, perplessa. Perché mi trovavo in infermeria? Ricordavo di essere andata in caffetteria per pranzo, di avere parlato con Izzi e poi, quella voce terrificante nelle orecchie e la paura che avevo avuto e poi, niente più. Cosa mi era successo?

-Sei svenuta-

Mi voltai verso la voce e vidi, senza troppa sorpresa devo ammettere, Matt. Era fermo vicino alla porta dell’infermeria e mi guardava, preoccupato

-Che ore sono?-

-Le sei ormai-

Sgranai gli occhi per la sorpresa. Erano passate cinque ore? Lui si avvicinò, prese la sedia della scrivania dell’infermiera e si sedette vicino al mio letto.

-Sei svenuta in piena caffetteria, davanti a tutti. Hai spaventato un bel po’ di gente-

Sentii le guance calde, segno del mio imbarazzo. Tra tutte le cose che potevano succedere, che fosse capitato davanti a tutti era la cosa peggiore

-Immagino i pettegolezzi che si diffonderanno adesso-

-Fregatene, non vale la pena pensarci-

-Facile dirlo per te, che sei praticamente un idolo di questa scuola-

 -Idolo?-

Mi domandò, leggermente divertito in verità. Lo guardai con l’espressione più truce che riuscì a fare, ma alla fine mi trovai a sorridere. Poi sospirai

-Sono svenuta davanti a Izzi-

Lui annuì

-Devo averlo terrorizzato-

-Abbastanza. Era parecchio preoccupato. E non solo lui, anche gli altri-

-Tai e Sora? Vi ho visti entrare in caffetteria insieme-

Lui annuì

-Ma non solo. C’erano anche Yolei, Kari e mio fratello-

-Praticamente tutti quanti-

Lui annuì.

-Immagino debba una spiegazione a tutti-

-In realtà no….-

Lo guardai perplessa

-Izzi ha detto qualcosa sul fatto che gli avevi detto che avevi dormito male. E dato che anche l’altra volta hai detto così, tutti hanno dato per scontato che tu abbia dei problemi a dormire ultimamente-

-Che non è propriamente falso-

-Esatto-

Lui mi guardò come fosse in attesa che aggiungessi qualcosa. Lo guardai perplessa

-Ho fatto qualcos’altro?-

-Sbaglio o ti avevo detto di chiamarmi se avevi problemi a dormire?-

Lo guardai allibita

-Ma l’ho fatto! Ti ho scritto stamattina no?-

-Si, stamattina. Ma perché non l’hai fatto prima?-

-Perché dormivo! Ti ho scritto quando mi sono svegliata-

-Non sei molto credibile dato che sei svenuta davanti a tutti-

-Ma non è stato per la mancanza di sonno è stato perché…-

Mi bloccai a metà frase. Giusto, perché ero svenuta? Mi guardai inconsciamente il polso e ricordai quella sensazione di paura che avevo provato. Guardai Matt  e lo vidi che mi guardava preoccupato

-Mimi cosa è successo?-

-Ho avuto paura-

Fu tutto quello che riuscì a dire.

-Paura?-

Annuii

-Si… è stato tutto così rapido ma… ricordo di averti visto, poi Izzi mi ha afferrato il polso e ho sentito quella voce-

-Voce?-

-Si, la voce di un uomo. Era arrabbiato e ho come avuto la sensazione… come se fossi dentro al sogno. Non l’ho visto ma… l’ho percepito-

Matt non parlava, mi fissava solo con i suoi occhi azzurri impenetrabili. Eppure, anche se non riuscivo a capire cosa stesse pensando, sapevo che non mi stava credendo pazza. E così, continuai a raccontare

-Mi sentivo come se fossi in trappola, la schiena appoggiata contro un muro, freddo e sentivo la presenza di quest’uomo che mi stringeva il polso e mi faceva male e mi diceva solo una sola frase, all’infinito-

-Che frase?-

Lo fissai dritto negli occhi e ripetei quelle parole che ancora mi rimbombavano nella testa

-Tu devi amare me, non lui, me. Solo io posso amarti. Amami-

Ripetere quelle parole mi fece rabbrividire, per la paura e per la sensazione di dolore che mi lasciarono dentro. La mia vista iniziò a sfocarsi, perché sentivo le lacrime che iniziavano inesorabili, a sgorgare. Mi coprii gli occhi con le mani e inizia a piangere, ma dopo poco, sentii le braccia di Matt avvolgermi. Mi lasciai andare contro di lui e ricambia il suo abbraccio, mentre affondai il mio viso nel suo petto. Piansi non so per quanto, ma so che ad un certo punto le lacrime smisero di scendere e io mi trovai solo ad essere cullata da Matt, in un abbraccio che nessuno dei due sembrava volere sciogliere. E fu così, in quella posizione, che ci trovarono Tk e Kari. Ci accorgemmo di loro, perché ad un tratto, sentimmo il suono di qualcuno che si schiariva la gola. Istintivamente mi ritrassi da Matt e mi trovai a fissare i miei due amici. Kari ci guardava perplessa, come se si stesse domandando se effettivamente ci aveva visti abbracciati, mentre Tk aveva sfoderato uno dei suoi migliori sorrisi e fissava me e suo fratello sorridente

-Disturbiamo?-

Ci chiese, sornione. Matt si alzò dal letto e fulminò il fratello con lo sguardo. Ne io e ne Matt rispondemmo alla domanda anche perché Kari, da ottima osservatrice quale era, vide subito i miei occhi rossi e si precipitò da me, preoccupata

-Mimi tutto bene? Perché hai pianto?-

Le feci un debole sorriso

-Sto bene, non è niente di che, sul serio-

-Ma hai pianto-

Annuii. Lei mi guardò preoccupata, poi guardò Matt

-Cosa le hai detto per farla piangere?-

-Perché dovrei essere stato io?-

-Diciamo che non brilli proprio per eleganza e tatto, fratellone-

Matt fulminò di nuovo Tk con lo sguardo, poi guardò me, in cerca di aiuto

-Ragazzi Matt non c’entra. Mi stava solo consolando a dire la verità-

-Consolare? Lui? Il lupo solitario per eccellenza?-

-Si, proprio quello che ho detto-

Tk guardò il fratello meravigliato

-I miracoli possono accadere sul serio allora-

Questa volta Matt diede una gomitata al fratello, che si finse fintamente ferito in modo grave. La scenetta provocò sia in me che in Kari una risata, e l’atmosfera nella stanza si fece molto più leggera. Tuttavia Kari non era facile da distrarre, e poco dopo, mi afferrò la mano e mi guardò, preoccupata

-Mimi è successo qualcosa? Hai un problema? Perché ci stiamo veramente iniziando a preoccupare e…-

Scossi la testa, decisa

-No Kari tranquilla. È solo veramente mancanza di sonno, niente di più, sul serio-

Cercai di tirare fuori uno dei miei sorrisi più convincenti, ma lo sguardo poco convinto della mia amica mi fece capire che non ero stata molto brava.

-Kari, sul serio, non è niente e…-

-Credo dovresti dirlo anche a loro-

Le parole di Matt mi bloccarono. Lo guardai, stupita.

-Non credo sia necessario-

-Invece io direi di si. La cosa si sta facendo preoccupante-

-Non direi invece-

-Disse la ragazza che è appena svenuta-

Non trovai niente da controbattere, ma lo fissai poco convinta. Intanto Tk spostava l’attenzione da me al fratello, visibilmente perplesso

-Dirci cosa scusate?-

-Quello che le sta succedendo-

Kari mi guardò preoccupata

-Sei malata? È per questo che sei svenuta?-

Scossi la testa nervosamente

-N non sono malata-

-Sei incinta?-

Tutti e tre guardammo Tk sconvolti. Matt gli diede uno schiaffo sulla testa

-Ti sembra una domanda da fare?-

Tk guardò me e lui con il suo sguardo da cagnolino bastonato

-Scusate ma non è così impensabile. Insomma, Mimi è una delle ragazze più bella della scuola, no? Non è strano pensare che possa avere… insomma, è svenuta poi e…-

-Ammirevole come vedi una ragazza svenire e pensi ad una gravidanza. Complimenti per il maschilismo Tk-

Disse Kary, arrabbiata. Lui la guardò pentito

-Scusate, non volevo offendere. È solo che, a quanto pare Mimi deve dirci qualcosa, ha appena pianto è svenuta… è facile fraintendere-

-Non hai tutti i torti in effetti-

-Mimi!-

Disse scioccata kary, guardandomi con i suoi occhi marroni. Le sorrisi

-Vi posso confermare che non sono incinta, anche perché bisognerebbe avere una controparte maschile per esserlo e io non ce l’ho. Non è questo il problema-

-Allora cosa ti sta succedendo?-

La voce preoccupata di Kary mi fece provare un profondo senso di disagio. Stavo veramente per coinvolgerli in qualcosa che non sapevo cosa fosse? Guardai di nuovo Matt. Lui mi incoraggiò con lo sguardo e, riluttante, abbassai lo sguardo, sconfitta

-Non lo so nemmeno io onestamente cosa mi stia succedendo. Solo che… sto facendo dei sogni strani-

-Sogni?-

Chiese Tk.

-Si, sogni. Inquietanti, terribilmente dettagliati e completamente assurdi-

-Che cosa hai sognato?-

Stavo per raccontare tutto, quando la porta della stanza si aprì all’improvviso e Izzi comparve nella stanza. Si precipitò verso di me, visibilmente preoccupato

-Stai bene?-

Lo guardai e annui. Lui sospirò di sollievo. Era visibilmente contento che stessi bene, anche se vedevo ancora la preoccupazione nel suo sguardo.

-Ti ho portato la cartella. Ho raccolto le tue cose, spero non manchi niente-

Gli feci un cenno con il capo come ringraziamento. Lui a quel punto spostò lo sguardo sugli altri

-Che stavate facendo qui?-

Tk si affrettò a fare uno dei suoi soliti sorrisi contagiosi

-Solo venuti a vedere come stava la nostra amica Mimi. Siamo stati in pensiero tutto il pomeriggio per lei, giusto Kari?-

Kari assecondò le parole di Tk

-Si esatto. E dato che l’abbiamo vista sveglia, ci siamo molto tranquillizzati. Anche se, nonostante le sue proteste, l’abbiamo alla fine convinta a tornare a casa in nostra compagnia. Stavamo giusto per andare a prenderle la cartella, giusto Mimi?-

Non so perché quei due si inventarono quella scusa, ma colsi l’occasione al volo. Non volevo stare da sola con Izzi, e qualcosa mi diceva che se avessi fatto in un altro modo, mi sarei trovata a tornare a casa con lui e non avrei retto alla sue mille domande, finendo così per raccontargli quello che mi stava succedendo. E sapevo dentro di me che Izzi non dovevo metterlo al corrente dei miei sogni, non in quel momento almeno. Così mi trovai a sorridere a Izzi

-Esatto. Mi hanno convinta dicendomi di fermarci a prendere un gelato lungo la strada-

-E dato che ho un ottimo fratello maggiore, Matt si è offerto di pagarcelo, giusto Matt?-

Matt mal celò lo sguardo di disapprovazione verso suo fratello, ma assecondò anche lui tk.

-Mi sono offerto “solo” di pagarlo alle ragazze. Al tuo ci dovrai pensare tu-

-Ma come? Non ero il tuo fratellino preferito?-

-Inizio seriamente a pensare che era meglio fossi rimasto figlio unico-

Lo scambio tra i due fece ridacchiare sia me che Kari. Izzi invece, nel frattempo, rimase come impassibile. Fissò serio Matt, come volesse cercare di capire qualcosa dal suo volto. Non persi tempo e mi affrettai ad alzarmi. Presi dalle mani di Izzi la mia cartella e lo guardai cercando di essere il più naturale possibile

-Grazie mille Izzi per avere preso le mie cose. Sono in debito con te-

Lui arrossì un poco alle mie parole e scosse la testa

-Non dire assurdità. L’ho fatto con piacere. Anzi, dato che sono libero, pensavo che magari potevo venire con voi e…-

-Tu prendi la linea verde per venire a scuola no?-

La domanda colse tutti di sorpresa. Ci girammo a guardare Matt. Lui nel frattempo si era avvicinato a me e mi aveva preso la borsa dalle mani. Feci per protestare, ma un suo sguardo mi fece desistere. Poi si frappose fra me e Izzi.

-Cosa c’entra che linea prendo?-

Chiese Izzi un po’ troppo duramente forse. Matt continuò a fissarlo, tranquillo

-Noi quattro usiamo tutti la blu, dato che abitiamo nello stesso quartiere. Tu invece abiti nella direzione opposta. Sono già le sei di sera, se venissi con noi e tutto si farebbe molto tardi per te per tornare a casa-

-Sono un uomo, Matt, grazie per la preoccupazione ma sono certo che se anche dovessi prendere il treno alle otto da solo non avrei problemi…-

-Ma tua mamma sarebbe in pensiero no? Meglio evitare per oggi, non credi?-

Se c’era un argomento che faceva sempre zittire Izzi era quando qualcuno nominava sua madre. Le voleva molto bene e non avrebbe mai fatto nulla per farla preoccupare. E anche questa volta, la frase di Matt andò a colpire a segno. Chinò il capo e si trovò a trovarsi d’accordo con le parole di Matt, anche se sapevo lo stava facendo contro voglia

-Credo tu abbia ragione. Va bene, allora ci vediamo domani. Mi raccomando però, dovesse succedere qualcosa…-

-Ti avvisiamo subito, non ti preoccupare-

La freddezza delle parole di Matt fece molto più male ad Izzi che non se gli avesse tirato un pugno in pieno petto. Lo vidi abbassare le spalle e sconfitto, ci salutò e sparì dall’infermeria. Senza che me ne rendessi conto, lascia andare un sospiro di sollievo e mi sedetti sul letto, improvvisamente molto provata.

-Chi mi spiega cosa è appena successo?-

Chiese Tk mentre ci guardava visibilmente perplesso e turbato. Io e Matt ci scambianno un’occhiata ma risposi io

-Lasciate che vi racconti tutto e vi spieghi-

 

 

 

 

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Ciao a tutti!

Eccomi con un nuovo capitolo. So che non sono continua con gli aggiornamenti, cerco di fare del mio meglio per scrivere nel minor tempo possibile, ma non voglio scrivere qualcosa di fretta, e male, solo per pubblicare prima. Quindi spero perdonerete il tempo passato dall’ultimo aggiornamento, spero di fare meglio la prossima volta.

Intanto grazie a tutti voi che avete dedicato del tempo a leggere la mia storia, grazie di cuore e se volete farmi sapere cosa ne pensate, per darmi suggerimenti o consigli, o critiche, lasciate pure un commento. Io intanto vi ringrazio per essere arrivati fino a qui, e spero ci vedremo ancora al prossimo capitolo. Un bacio a tutti, dalla vostra

Juls

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