Bitter Water

di berettha
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo. Nel nord della Francia, c'erano due bambini. 1972. ***
Capitolo 2: *** Primo anno - Capitolo 1. Con amore. ***
Capitolo 3: *** Primo anno - Capitolo 2. Natale. ***
Capitolo 4: *** Primo anno - Capitolo 3. Acque amare. ***
Capitolo 5: *** Secondo anno - Capitolo 4. Ritagli di giornale. ***
Capitolo 6: *** Secondo anno - Capitolo 5. Tredici anni. ***
Capitolo 7: *** Secondo anno - Capitolo 6. James al Lumaclub. ***
Capitolo 8: *** Secondo anno - Capitolo 7. L'estate del matrimonio. ***
Capitolo 9: *** Terzo anno - Capitolo 8. Suonavano gli ABBA. ***
Capitolo 10: *** Terzo anno - Capitolo 9. L'anatomia di un abbraccio. ***
Capitolo 11: *** Terzo anno - Capitolo 10. L'estate più calda degli ultimi dieci anni. ***
Capitolo 12: *** Quarto anno - Capitolo 11. Burrobirra e Pus di Bubotubero. ***
Capitolo 13: *** Quarto anno - Capitolo 12. Il cliché dell'Armontentia. ***
Capitolo 14: *** Quarto anno - Capitolo 13. Ricordi l'estate delle piogge? ***
Capitolo 15: *** Quinto anno - Capitolo 14. Scoprire le carte. ***
Capitolo 16: *** Quinto anno - Capitolo 15. Lezioni di nuoto. ***
Capitolo 17: *** La Guerra - Capitolo 16. Nel nord della Francia, c'era un ragazzo. 1977. ***
Capitolo 18: *** La Guerra - Capitolo 17. Abitudini. ***
Capitolo 19: *** La Guerra - Capitolo 18. Mele, labbra umide. ***
Capitolo 20: *** La Guerra - Capitolo 19. Per i ragazzi. ***
Capitolo 21: *** La Guerra - Capitolo 20. Dove giacque la speranza. ***
Capitolo 22: *** La Guerra - Capitolo 21. Maschere. ***
Capitolo 23: *** La Guerra - Capitolo 22. L'ultima preghiera di Regulus Black. ***
Capitolo 24: *** Epilogo. Nel nord della Francia, non c'è nessuno. ***



Capitolo 1
*** Prologo. Nel nord della Francia, c'erano due bambini. 1972. ***


 
“Europa: This is the Tome of Immobility, of respite, of cessation. 
Drink of its bitter water once, Prophet, and never thirst again.” 
Angels in America,Tony Kushner. 
 
“Well, I taste you on my lips,  
lovely bitter water. 
The terrible fire of old regrets is honey on my tongue.” 
The Oh Hellos. 
 
Prologo. Nel nord della Francia, c’erano due bambini. 1972. 
 
Nella campagna francese, tra i campi di lavanda e le colline, c’era la vecchia magione dei Black: grandi finestre permettevano alla luce del sole di entrare a qualsiasi ora del giorno, illuminando gli altrettanti grandi salotti di marmo bianco italiano. Sul retro, file immense di alberi da frutto, una piscina in roccia, qualche statua su cui Sirius soleva sedere a cavalcioni. 
Ad una copia di Paolina mancava il naso, scalciato via erroneamente dal bambino durante quella che era stata una scalata molto difficile, ma era talmente buffa quella statua adesso che avevano deciso di lasciarla così. 
Per sei settimane l’anno, Regulus era orgoglioso di poterla chiamare casa. 
Sei settimane, che per due bambini equivalevano ad una vita intera, lontano dall’opprimente grigiume di Grimmauld Place. 
Ma soprattutto lontano dalla madre, che non avrebbe lasciato Londra neanche se fosse stata sotto attacco: niente schiaffi, niente urla, niente punizioni. Niente Orion che si chiudeva in ufficio per non sentirli piangere. 
Per sei settimane, il suo unico pensiero sarebbero state le ginocchia sbucciate, i pantaloncini corti, le mani costantemente sporche di terra senza nessuno che gli costringesse a lavarle, la torta alle pesche e il gelato alla vaniglia. 
Zio Alphard li portava al mare durante il weekend, e sebbene Regulus non si fosse mai avvicinato all’acqua, adorava perdersi in buche e castelli di sabbia. 
La sera invece scendevano nel villaggio vicino e Sirius, era sempre al suo fianco.  
Che si trattasse di esplorare qualche angolo remoto della magione nella speranza di scovare un Molliccio, oppure di correre a nascondersi nell’orto tra le file di pomodori, sporcandosi i piedi nudi di fango e terriccio, lui si trovava lì. 
 
C’era stato un momento durante la sua vita -e Regulus lo ricordava bene-, dove Sirius era stato tutto il suo mondo. 
Dove sapeva che avrebbe potuto girarsi, in qualunque momento, e trovarlo lì. Allungare la mano, e subito trovare la sua. 
Dove le lacrime gli venivano asciugate solo da lui, così come le ginocchia scorticate baciate, e le favole lette. 
Si sentiva amato, molto e profondamente, dal fratello. 
 
Sentimento che invece non riusciva realmente a sentire da parte dei genitori. 
Li amava, quasi quanto amava Sirius: ma non poteva non tremare di fronte agli occhi della madre, quando tirava fuori la bacchetta dalla manica. Non poteva non sentirsi in colpa, di fronte invece a quelli del padre, sempre tristi, spenti. Grigi, come quelli di Sirius, ma senza la stessa bellezza. I suoi invece erano verdi, come quelli della madre. 
Ricordava sua cugina, Andromeda, accarezzargli il volto e mormorargli “Da grande farai innamorare tutte con quegli occhioni.”  
*̥˚✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
Regulus amava andare sull’altalena, anche se chiamarla “altalena” era farle un complimento: un’asse di legno che gli lasciava le cosce piene di schegge legata al ramo di un limone. 
“Penso di esser riuscito a scorgere un fiume!” Urlò al fratello, che si trovava a leggere una rivista di Quidditch all’ombra dello stesso albero. “Dici che era la Senna?” 
“Non puoi scorgere proprio nulla lì sopra, non vai abbastanza in alto. Dovresti avere una scopa. E poi la Senna? Davvero?”  
“Vorrà dire che quando imparerò a volare ad Hogwarts, tornerò e ti farò vedere che avevo ragione. È proprio la Senna quella.” 
“Sei un idiota.” Sirius aveva chiuso la rivista, rabbioso. Da quando era tornato a casa, qualche mese prima, non solo sembrava diventato molto più intollerante alle regole, ma anche alla presenza di Regulus e lui non riusciva a capire come mai.  
Eppure, doveva essere Regulus quello arrabbiato. 
Per tutto l’anno passato, aveva aspettato con ansia una lettera dal fratello, correndo ogni giorno in salotto quando sapeva che sarebbe arrivato il gufo di famiglia.  
Ma ogni giorno, nulla. Forse una letterina o due, sotto il periodo di Natale, ma dal contenuto talmente insignificante che gli era scivolato via dalla memoria qualche minuto dopo averla letta. 
 
Ciao Reg.  
Io e James abbiamo volato sopra il Lago e ci hanno messo in punizione. 
Salutami tutti, ciao! 
Sirius. 
 
Tu sei un idiota.” Frenò con i piedi, sporcandosi le scarpe di polvere. 
“Tu.”  
“Tu all’infinito.”  
Sirius alzò gli occhi al cielo, spostandosi una ciocca di capelli dalla spalla. Durante l’anno passato ad Hogwarts, erano cresciuti tantissimo, arrivandogli fino alle spalle. Sua mamma li aveva guardati con disgusto, ma a Regulus erano piaciuti da morire. Anche zio Alphard li portava in quel modo. “Sei proprio un bambino qualche volta.”  
E poi se ne andò, lasciandolo solo. Il sole non aveva ancora iniziato a tramontare, e mancava ancora molto all’ora di cena. Percorse con la punta delle scarpe i solchi che aveva lasciato poco prima sull’altalena. 
“Kreacher.”  
Un famigliare crack risuonò al suo fianco. “Dica pure a Kreacher padron Regulus, signorino.” 
“Sei mai stato ad Hogwarts?” Una zanzara gli si posò sulla pelle nuda della gamba.  
“No, signorino.” 
“Lo sai che ci sono tantissimi elfi domestici? L’ho letto in Storia di Hogwarts.” 
“Kreacher è felice di apprenderlo.”  
“Vorresti venire con me a settembre?” Scacciò la zanzara con un gesto della mano. Iniziava già a prudere. 
“Lo scopo di Kreacher è quello di servire la nobile famiglia Black, e non potrebbe mai lasciare la sua cara padrona, sebbene Kreacher sarebbe molto felice di stare con il signorino Regulus...”  
Ingoiò le lacrime che iniziavano a bruciargli gli occhi.  
Sua mamma odiava quando piangeva.  
E anche lui aveva iniziato ad odiarsi. “E poi ci sarà suo fratello, con lei, padrone.” Aggiunse l’elfo. 
“Ho paura che non mi voglia più.”  
 
“Parlami ancora di Hogwarts.” Regulus si aggrappò con entrambe le mani alla maglia del fratello, tirandola verso di sé. 
“Smettila, ti ho già detto tutto un milione di volte almeno.”  
“Parlami delle scale!” Gli comandò il più giovane, aprendosi in un sorriso tutto gengive e niente incisivi superiori. 
“A loro piace cambiare.” Risponde controvoglia, spingendolo via in malo modo. 
“E poi?”  
“E poi cosa?”  
“Fanno altro?”  
Si fermarono sulla soglia della camera di Sirius. 
I quadri alle pareti seguivano la conversazione con scarso interesse, intimando solo di tanto in tanto ai due bambini di smetterla di litigare. Non c’erano tanti come a Grimmauld Place, ed erano sicuramente più simpatici e meno spioni di quelli che erano a casa loro.  
“Per Merlino, Reg, sono scale, cosa ti aspetti? Che cantino la Marsigliese?”  
“Sarebbe fic-” Ma la porta della stanza si chiuse sul suo naso, prima che potesse finire di parlare.  
“Quel grossier petit garçon.” Borbottò zia Aeglé alle sue spalle, sporgendosi per quanto poteva dal ritratto.  
Regulus si voltò verso di lei, le guance arrossate ma non per il sole preso il giorno prima. “Ma cosa ne vuoi sapere, che sei solo un quadro!” Le urlò rabbioso.  
Zia Aeglé tirò su col naso, indispettita. “Si tu étais mon fils, tu ne t’en sortirais pas comme ça!”  
 
C’era stato un periodo, nella vita di Regulus, in cui sapeva che avrebbe potuto scendere dal letto in piena notte per raggiungere la camera di Sirius, e trovare la porta aperta.  
Non troppo, solo uno spiraglio. Abbastanza per fargli sapere: vieni quando vuoi. Sono qui, ti aspetto. E quindi Regulus non si preoccupava più di incubi o Banshee sotto al letto, perché a qualche metro di distanza, dall’altra parte del corridoio, c’era Sirius.  
 
Ma quel pomeriggio, nel luglio più caldo degli ultimi dieci anni, la porta rimase chiusa.  
E per la prima volta, Regulus rimase fuori. 






Note: 
Ciao!! Grazie per aver letto fino a qua, <3 
Spero ti sia piaciuta (ogni piccolo commento, recensione o dm è ben accetto!), per adesso!
I primi capitoli sono molto soft, ma ho lo stesso messo il raiting rosso per delle scene un po' forti che ci saranno in futuro, ma tranquill* che avvertirò con un tw!
Penso aggiornerò settimanalmente, o massimo due volte a settimana. Quindi, beh, alla prossima!
😊  
 

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Capitolo 2
*** Primo anno - Capitolo 1. Con amore. ***


Primo Anno, capitolo uno. 
Con amore. 

“Sbrigati, perderemo il treno!” Regulus lo supplicava, scuotendolo per la spalla. “Sono le dieci e quaranta! E quaranta! 
“C’è ancora un sacco di tempo, smettila! E fai la guarda alla porta!” Gli intimò, rabbioso. 
Ovviamente non erano partiti in ritardo. Anzi, Regulus si era svegliato di buon'ora proprio per arrivare in anticipo a King’s Cross. 
Il problema, era stato Sirius. 
Come c’era da aspettarselo Walburga gli aveva tagliato i capelli il giorno prima. Nemmeno se ne era accorto, all’inizio.  
Regulus, che era di fianco a lui, aveva semplicemente visto le ciocche cadere, mentre sua madre passava accanto a loro con la bacchetta levata.  
“Sembravi trasandato.” Non era una giustificazione per il gesto, ma un dato di fatto. La mamma non giustificava mai le sue scelte.  
Forse pensava di non averne bisogno.  
Per questo, alle dieci e quaranta, dopo aver salutato Kreacher che li aveva portati fin lì con una Smaterializzazione congiunta, si erano chiusi in un bagno della stazione cercando di far ricrescere i capelli.  
“Non puoi usare la magia!” Sussurrò Regulus, guardando con apprensione la porta alle loro spalle.  
“Non lo scopriranno mai.” Rispose risoluto l’altro, puntandosi la bacchetta alla testa. 
“E se perdiamo il treno?”  
“Non succederà.” Provò con qualche altro incantesimo, riuscendo ad allungarli almeno fino al mento. Non sembrava soddisfatto, mentre osservava con attenzione il riflesso dello specchio davanti a lui. Fece pure qualche smorfia, provò a spettinarseli con le mani. “Che dici può andare?”  
, ma per favore andiamo.” Lo pregò per l’ennesima volta.  
“Tu non vuoi fare niente per i tuoi?”  
Regulus si guardò allo specchio, alzandosi sulle punte dietro al fratello. Aveva ancora il naso spellato per il sole, qualche lentiggine che poi sapeva sarebbe sparita nel giro di qualche giorno. I capelli, praticamente rasati, non gli avevano mai dato noia, non fino a quel giorno. 
Era semplicemente una cosa che aveva accettato, sua madre non voleva che li avesse troppo lunghi, e tenerli corti era l’unica alternativa.  
“Oh andiamo, tanto non avremmo avuto tempo in ogni caso.” Forse ci mise troppo a rispondere, perché fu Sirius questa volta ad afferrargli il braccio per portarlo fuori dal bagno, a rotta di collo verso la Piattaforma. 
“Avevi detto che avevamo tempo!” Gli urlò Regulus, sudato e ansimante, mentre si trascinava dietro il baule.  
“Mi sono sbagliato, fammene una colpa!”  
 
Il treno scintillava davanti a loro, rosso e brillante da ferire gli occhi.  
Già gremito di studenti, Sirius e Regulus dovettero sgomitare per raggiungere lo scompartimento degli amici del primo, dove li stavano aspettando tenendoli i posti. 
“Siri!” Lo salutò un ragazzo con gli occhiali.  
Sirius lasciò la mano di Regulus, per cui lo aveva trascinato fino a quel momento per evitarlo di perderlo tra la folla di studenti, per andare a salutare il suo amico. 
Siri?” Chiese Regulus, inarcando un sopracciglio. 
“Vogliono darsi per forza dei soprannomi, io l’ho detto che è stupido.” Gli disse il ragazzino alla sua sinistra, per rispondere alla sua confusione. “Sono Remus, comunque.” Aggiunse poi, offrendogli la mano. Lo sorpresero le fini cicatrici che incorniciava il suo volto, ma cercò di non fissargliele troppo. 
Regulus sorrise, mentre gliela stringeva. “Regulus, piacere.”  
In fondo alla carrozza, un ragazzino soffocò una risata. “E’ un nome buffo.” Si giustificò, quando quello-con-gli-occhiali-che-aveva-chiamato-suo-fratello-Siri gli lanciò un’occhiata assassina.  
“James Potter.” Si presentò successivamente, “E quello là è Peter, ma qualche volta è più simpatico.” 
“Hey!” 
“Zitto, Pete.”  
Ah! Il famoso James, quello degli scherzi, delle punizioni.  
Gli sorrideva dall’altra parte dello scompartimento, con il colletto della polo rossa e le ginocchia dei jeans macchiate leggermente d’erba. Walburga non avrebbe mai permesso che Regulus o Sirius uscissero di casa in quel modo... 
Sirius non lo considerò molto, per il resto del viaggio, e Regulus non considerò molto loro. 
Guardava fuori dal finestrino, mentre loro parlavano di persone che non conosceva, racconti che non aveva vissuto, luoghi che non sapeva dove fossero. 
Forse non gli aveva scritto alcuna lettera lo scorso anno perché erano semplicemente successe troppe cose, troppi nomi, troppi fatti per farli stare in qualche pagina di pergamena.  
O forse, Regulus era semplicemente passato in secondo piano.  
 
Arrivarono ad Hogsmeade, che si era già fatta sera. 
Una quarantina di ragazzini terrorizzata arrancavano dietro il guardiacaccia di Hogwarts, cercando di non calpestarsi i mantelli a vicenda o di non cadere nel Lago al momento di salire sulle barchette che li avrebbero condotti alla scuola.  
Regulus si stringeva nel mantello, coprendosi il naso già infreddolito, mentre guardava l’acqua scura agitarsi sotto la sua imbarcazione. 
“Mi hanno detto che c’è una piovra gigante.” Gli disse la ragazzina davanti a lui, osservandolo con due grandi occhi curiosi. Teneva i capelli biondi raccolti con in una crocchia in cima alla testa, con in mezzo la bacchetta per tenere insieme le ciocche. 
“Anche a me l’hanno detto.” Rispose Regulus, cercando di essere gentile. Ricordava vagamente che Sirius l’avesse accennata a quel Remus Lupin, durante il viaggio in treno. 
Cazzate.” Rispose il bambino alla sua destra, sputando fuori la parolaccia, dandosi delle arie. “Mio padre non mi avrebbe mai mandato in una scuola con qualcosa di così figo.”  
Da quando si era seduto, quel bambino, non aveva fatto altro che osservarlo, e Regulus si era sentito così tanto in imbarazzo. Erano i capelli? Lo stava guardando per i capelli?  
Sirius aveva ragione, avrebbe dovuto sistemarli in qualche modo. 
E pure, si muoveva talmente tanto che non solo non faceva altro che sfiorarlo accidentalmente, ma Regulus aveva pensato che sarebbe potuto cadere da un momento all’altro giù dalla barca, dritto nelle fauci della piovra.  
Ebbe un brivido, pensando a cosa potesse nascondersi sotto di loro, quali altre creature terribili potevano nascondersi tra le alghe e le rocce.  
Non gli era mai piaciuta l’acqua. 
̥˚✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
Tutti lo avevo guardato, e lui lo aveva odiato.  
Poi avevano applaudito, e un po’ aveva odiato anche quello. 
Era scivolato sulla panca della sua Casa, tenendo lo sguardo basso mentre Lucius si alzava per andare vicino a lui. Gli mise un braccio sulle spalle, sussurrandogli all’orecchio: “Saranno tutti molti orgogliosi a casa.” Forse gli aveva voluto fare un piacere, ma invece gli era sprofondato il cuore sotto ai piedi. 
Tutti, tranne una persona, quello sarebbe stato evidente. 
Il Cappello Parlante aveva avuto qualche istante di indecisione: Grifondoro? Vedo tanto coraggio, ti sarà utile in futuro. Scelte difficili ti verranno poste... 
E poi Regulus, semplicemente, aveva avuto paura e tutto quel coraggio non era proprio riuscito a sentirlo. 
Paura di sua mamma, della sua bacchetta, della porta chiusa dell’ufficio del padre che rimaneva chiusa, non importa quanto avesse potuto batterne il legno con i pugni. Di Sirius, che era tanto lontano. Lo avrebbe protetto? O sarebbe stato troppo occupato con James Potter?  
Aveva avuto paura Regulus, dell’acqua scura del Lago, di quello che avrebbe potuto fargli Walburga, di sua cugina e del suo ragazzo che lo guardavano dal tavolo del Serpeverde con gli occhi ridotti a fessure. 
Sei sicuro? Aveva domandato il Cappello, per l’ultima volta. 
Sì, aveva risposto Regulus con il cuore in gola. 
Non voglio avere paura. 
Aveva volontariamente ignorato lo sguardo di Sirius, mentre si andava a sedere al tavolo dei Serpeverde, e sperava che non avrebbe dovuto affrontarlo prima di domani mattina a colazione. O a pranzo, se fosse stato fortunato e Sirius avesse mantenuto il vizio di saltarla per dormire qualche minuto in più. 
Vicino a lui, prese posto il ragazzino della barca, che scoprì chiamarsi Crouch Bartemius Junior. E pensare che quel Peter Minus aveva osato ridere del suo, di nome. 
Di nuovo, gli si sedette così vicino che non riuscivano a non toccarsi. Regulus dovette nascondere l’imbarazzo. “Barty.” Gli sibilò, mentre cercava di controllare un tic alla bocca. “Barty, mi chiamo Barty.”  
“Okay?” 
Non mangiò troppo, lo stomaco ancora chiuso per gli avvenimenti del giorno. 
Quando Lucius e Narcissa si alzarono -rispettivamente Caposcuola e Prefetto- per portare i ragazzi in Dormitorio dopo il banchetto, Regulus trattenne a stento un sospiro di sollievo. 
Non vedeva l’ora di scivolare nel suo letto, addormentarsi e cacciare via tutto dalla sua testa. Sirius era un problema del giorno dopo, ormai.  
Provò a salutarlo con la mano, mentre gli studenti si incamminavano fuori dalla Sala Grande in lunghe file disordinate, ma era talmente occupato a scambiarsi figurine delle Cioccorane con Peter che nemmeno se ne accorse.  
Fu James, invece, a ricambiare il saluto, aprendosi in un sorriso. Regulus si vergognò molto, mentre un grumo di bile e gelosia prendeva possesso del suo stomaco. 
̥˚✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
Il dormitorio somigliava terribilmente alla sua camera di Grimmauld Place, cosa che gli fece provare un forte attacco di malinconia mentre chiudeva il baldacchino del proprio letto. 
Stesse pareti verdognole, stessi rosoni con intricati mosaici di serpenti e altre creature striscianti. Lì però non entrava la luce del sole, ma quella del Lago.  
Cercava di non pensarci troppo, ma il pensiero di trovarsi sotto quelle acque scure ed agitate che aveva visto qualche ora prima, gli dava i brividi. Non osava avvicinarsi troppo alle finestre, per paura di veder un grande occhio giallo fissarlo al di là del vetro, un tentacolo bussare per venirlo a prendere. 
Barty non aveva smesso un secondo di parlare, da quando erano arrivati: addirittura, quando era stato il suo turno per usare il bagno aveva tenuto la porta aperta, per poter continuare a parlare.  
Parlò di tutto, condendo il discorso con un centinaio di imprecazioni e bestemmie varie, la maggior parte contro il padre che a quanto sembrava, doveva esser stato severo quasi quanto la Walburga.  
“Bart?” Lo chiamò un ragazzino alto e magro di cui Regulus non aveva afferrato bene il nome. Zabini, forse? 
“Sì?”  
“Ti prego sta zitto.”  
Si alzò qualche risata, mentre le luci si spegnevano e la maggior parte dei respiri diveniva regolare.  
Pensò a Sirius, che probabilmente non si era ancora neanche infilato il pigiama nonostante l’ora.  
Ripensò a quando a Grimmauld Place erano soliti infilarsi sotto le coperte, per poi rimanere a parlare per ore e ore: “Ma secondo te, tra un Lupomannaro e un Molliccio, chi potrebbe vincere? No, perché il Molliccio prenderebbe la forma della paura del Lupo, quindi, sarebbe più forte e poi...” E Regulus pendeva dalle sue labbra. 
Avrebbe potuto dirgli che il cielo era viola, le nuvole rosa e il mare della Normandia una lastra di ghiaccio che lui ci avrebbe creduto.  
 
Il giorno dopo, puntuale come un orologio per la colazione, arrivò il gufo di famiglia portando una lettera per Regulus.  
 
Caro Regulus, 
Abbiamo saputo del tuo smistamento grazie ad un gufo di Cissy. 
Siamo incredibilmente orgogliosi di te, scrivici presto. 
Con amore, Papà e Mamma. 
 
Sentì un leggero rossore diffondersi sul suo volto: scritta totalmente di suo pugno, suo padre gli aveva addirittura inviato una lettera. E pure la mamma l’aveva firmata, con amore. 
Qualche volta si rendeva conto di esser amato, davvero.  
Si percepiva dalle attenzioni che gli venivano date a casa, dai vestiti nuovi piegati sul letto, o quando suo padre tornava a casa con un giocattolo nuovo, ma averne la certezza, scritta nero su bianca, era tutta un’altra storia.  
“Mio padre voleva inviarmi una Strillettera, ma mamma lo ha fermato.” Barty si sporse sulla sua spalla per leggere la lettera che teneva ancora tra le mani, la voce impastata per il quantitativo di porridge che si era infilato in bocca con una sola cucchiaiata.  
“Come mai una Strillettera?”  
“Papà preferiva che finissi in una Casa più tranquilla mi sa, e poi il solito: la mia intelligenza è sprecata e bla bla bla.” Gli sputacchiò qualche briciola sulla divisa scolastica, mentre si cimentava nell’imitazione di Crouch senior.  
Anche mamma inviato a Sirius una Strillettera, solo un anno prima. La ricordava ancora in abito da notte chinata sullo scrittoio, che muoveva la piuma furiosa sulla pergamena rossa. 
“Mi dispiace.” Mormorò, ma la sua attenzione era già scemata verso il tavolo dei Grifondoro: come aveva sperato la sera precedenza, Sirius non era lì. 
Nessuno dei suoi amici c’era, in realtà. 
Poco male. 
 
Le lezioni iniziarono col botto.  
Letteralmente. 
Per la sua prima lezione di Pozioni, fu messo in gruppo con Evan Rosier, un ragazzino pallido e allampanato, e ovviamente Barty che sembrava gli volesse stare più attaccato possibile. 
Regulus capì in fretta come mai il padre di Barty pensasse che fosse sprecato, con i Serpeverde: quel ragazzo era geniale.  
Non solo aveva risposto a tutte le domande correttamente, lasciando a bocca aperta pure Lumacorno - “Dovrò dire al signor Piton che ha un degno rivale in questa materia!” aveva tubato allegro.-, ma la pozione Obliviosa che stava preparando sembrava essere del livello di un pozionista molto più esperto. 
Sembrava, almeno finché Rosier preso dal panico aveva aumentato le dosi delle bacche di vischio, portando il risultato ad una consistenza molliccia e verdastra che esplose fuori dal calderone, macchiando le loro divise. 
Non pensava di aver mai riso così tanto in vita sua, gli faceva male la pancia e si sentiva le guance accaldate, mentre invece Evan sembrava sinceramente dispiaciuto “Ci siamo giocati il primo voto dell’anno...”  
“Non mi importa nulla dei voti.” Gli rispose Barty, risoluto.  
Anche la prima lezione di volo fu grandiosa, ad Erbologia si punse con un Pungitopo ma nulla di grave e prima che potesse rendersene conto fu già ora di pranzo.  
Adesso avrebbe sicuramente incontrato Sirius, e avrebbe dovuto affrontare quello che stava rimandando ormai da ore. Mentre Evan e Barty parlavano di Quidditch, dei provini che avrebbero sicuramente superato brillantamente, lui cercava di tenere a bada l’ansia. 
“Terra chiama Reg Black, ci sei?” Evan gli sventolò una mano davanti agli occhi, per richiamarlo alla conversazione. 
“Uhm?”  
“Farai anche tu i provini, no?”  
“Penso di sì.” 
“Che posizione?”  
“Cercatore.”  
Cercatore?” I ragazzini si voltarono verso la voce. Regulus trasalì leggermente. “Non dovresti prima imparare ad andare sulla scopa senza pisciarti sotto?” Sirius si avvicinò al fratello, mettendogli un braccio attorno alle spalle. “Sto scherzando, non fare quella faccia.”  
“Okay?” Da quando era tornato da Hogwarts, gli era sembrato diverso, adesso capiva come mai. Con la camicia abbottonata male, la cravatta allentata sul colletto e i capelli sparati in ogni direzione, non sembrava solo più felice o rilassato: era sé stesso, sudato e con gli occhi che brillavano. Regulus sapeva già da tempo quando stretto si sentisse Sirius confinato a Grimmauld Place, ma non pensava così tanto.  
C’era pur sempre lui, laggiù a Londra. Non era più abbastanza?  
“Serpeverde, comunque, bravo. Ben fatto Reggie, scommetto che mamma si è addormentata piangendo di gioia.”  
Non riusciva a capire se fosse ironico o meno. Lo guardava sorridendo, ma il sorriso non si estendeva agli occhi.  
Si voltò verso i suoi amici, Evan che evitava accuratamente di guardare la scena, concentrandosi sulla cinghia della sua borsa, Barty che invece fissava Sirius in cagnesco con aria di sfida, sebbene fosse svariati centimetri più basso.  
“Mi ha mandato una lettera, questa mattina...”  
il sorriso di Sirius iniziò a vacillare. “Oh.” 
“Ha detto che ti saluta, anche papà.” Era bravo a mentire, al contrario di Sirius.  
“Va bene. Salutameli anche tu, se gli rispondi.”  
“Va bene.” 
 
Si chiese se d’ora in avanti le loro interazioni sarebbero state tutte così, mentre leggeva per la sesta volta lo stesso paragrafo di Trasfigurazione. 
La legge di Gamp sulla Trasfigurazione degli Elementi rappresenta la legge magica... 
Evan, davanti a lui, sonnecchiava con la testa in mezzo ai libri, mentre Barty si scarabocchiava le mani impaziente di scendere in Sala Grande per la cena.  
...a fondamento della Trasfigurazione. Essa stabilisce... 
La scuola non era iniziata nemmeno da un mese, che già Sirius era stato beccato da Gazza riempire gli armadi delle scope di Caccabombe, non una ma ben due volte.  
La sera prima, lo aveva visto aggirarsi per i sotterranei armato di secchio d’acqua e mocio, seguito dalla Signora Norris. Papà gli aveva inviato un altro gufo, rammentandogli quanto orgogliosi fossero di lui, ma soprattutto di non perdere tempo dietro al fratello maggiore e ai suoi amici.  
Essa comprende... No, no, essa stabilisce... 
Stava mentendo ad entrambe le “fazioni”. Ad Hogwarts mentiva a Sirius sulle lettere che riceveva, i gufi che mandava mentivano sul suo rapporto con Sirius,  
Non è possibile evocare dal nulla... No, è possibile, ma non sarà duraturo... 
Chiuse il libro con uno scatto, svegliando di soprassalto Evan. 
Regulus, e questo lo sapeva bene, era un ragazzino estremamente arguto per la sua età.  
Si sarebbe inventato qualcosa. Sirius avrebbe fatto pace con la mamma e di conseguenza con papà. 
Sarebbe andato tutto bene. 
Doveva solo capire come fare. 
 
 
 
 
 
Note: Ciao! Primo capitolo vero e proprio pubblicato, <3  
Qua iniziamo a conoscere i vari personaggi, oltre a Reggie e Sirius. :’)  
Ci sentiamo la prossima settimana, grazie mille per aver letto. <3

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Capitolo 3
*** Primo anno - Capitolo 2. Natale. ***


Primo anno, capitolo due. 
Natale. 
 
“Se avessi potuto scegliere avrei preferito rimanere ad Hogwarts.” Barty stava seduto sul suo baule, cercando di chiuderlo con la bacchetta.  
“Io sono felice di tornare, mamma fa il pasticcio di noci.” Rispose invece Evan, dall’altro lato del dormitorio.  
“Sono felice anche io di tornare.” Era sincero, Regulus. Era davvero felice di rivedere i suoi genitori, di poter stare nuovamente con Sirius. 
Solo, con Sirius. C’erano così tante cose che aveva bisogno di dirgli! 
Si premurò anche di mettere il set per Sparachiocco che gli aveva prestato un ragazzo più grande nel baule, almeno avrebbe potuto farglielo vedere una volta arrivati a casa.  
Barty alzò gli occhi al cielo. 

Lucius lo stava aspettando all’entrata, con Narcissa attaccata al suo braccio.  
“Preso tutto?”  
La Sala Comune era più agitata del solito, tra chi si salutava, chi invece finiva di fare le valigie all’ultimo e chi ancora, sapendo di dover rimanere per le vacanze di Natale, si apprestava già a decorare la stanza con agrifogli e candele fluttuanti. 
“Mh mh. Sirius dove ci aspetta?” 
Non avrebbero preso il treno ad Hogsmeade, come gli altri studenti: si sarebbero Smaterializzati con Lucius appena fuori i confini di Hogwarts, “Sirius prende il treno.” Rispose quello. 
Oh. 
“Perché non viene con noi?” Cercò di dissimulare la delusione. Il treno ci avrebbe messo ore in più. 
E Regulus aveva così tanto da dire da non riuscire quasi a stare fermo. 
“Non vuole! Arriverà lo stesso, usa solo un altro mezzo.” Si intromise nella conversazione Narcissa. 
“Non posso andare a salutarlo prima?”  
Lucius sbuffò. “Ha detto che ci raggiungerà in ogni caso. E tua madre mi ha chiesto di scortarti a Grimmauld Place il prima possibile, andiamo.”  

Londra, non gli era mancata poi così tanto.  
Il profumo della resina degli alberi e degli aghi di pino che marcivano sotto la coltre di neve di Hogsmeade fu quasi immediatamente spazzato via da quello pesante e tagliente dello smog della città. 
Poca neve, sporca e sciolta, era stata spazzata via dalla strada, andandosi a radunare solo negli angoli e nelle poche aiuole che decoravano il marciapiede. 
Mentre Narcissa si fermava a salutare Lucius, Regulus trascinò il baule sulle scale di casa, e si fermò qualche istante sull’uscio, prima di spingere la porta.  
Un respiro profondo. Poi un altro.  
Sperò che ci fosse anche suo padre, quel giorno, ad aspettarli. 
La porta si aprì con uno scricchiolio sommesso. 
Se fuori aveva visto qualche decorazione a rammentargli che il Natale era vicino, in casa Black sembrava non conoscessero neanche il significato di quella festa.  
Il solito lungo corridoio color mogano, le stesse teste imbalsamate di elfi ed altre creature che lo scrutavano con i loro vuoti occhi di vetro. 
E Sirius non sarebbe tornato prima dell’ora di cena. Si sentì molto solo. 
“Mamma?” Chiamò, lasciando cadere il baule dietro di sé con un tonfo. La sua voce risuonò piccola, tra le innumerevoli stanze di Grimmauld Place. “Kreacher?”  
Al suo fianco di Materializzò subito l’elfo, prostrandosi in un profondo inchino, tanto che la punta del naso gli toccò terra.  
“Padron Regulus, signorino, il povero Kreacher la stava aspettando. Sua madre l’aspetta nel suo studio, lasci che sia Kreacher a portare le sue cose in camera, caro Padron Regulus.” 
Fu felice che ci fosse qualcuno ad accoglierlo con un sorriso. “Grazie, Kreacher.”  
Lo studio della madre non si trovava sullo stesso piano di quello del padre, ma vicino alle cucine, nel piano sotterraneo.  
Era solita dire che il sole e la luce le facevano venire mal di testa, ed evidentemente i pesanti tendaggi scuri di velluto che aveva appeso ad ogni finestra della villa non erano abbastanza per filtrare ogni pallido raggio di sole inglese che riusciva a far capolino dalle nuvole. 
Con il cuore in gola, iniziò a scendere le scale che lo portavano allo studio. 
Uno, due, tre. Li contava mentre con una mano sfiorava la fredda parete di marmo. 
Quindici scalini, tutto.  
Ogni volta che era dovuto scendere, spesso con il fratello, altre volte da solo, non era mai stata un’esperienza... piacevole. 
Al decimo scalino si fermò, perché le mani avevano preso a tremare. 
Era stato bravo. Aveva preso bei voti, Barty lo aveva aiutato in quasi tutte le materie. Non aveva combinato nulla. Ascoltava Narcissa, che era Prefetto, consegnava sempre le pergamene in tempo. 
Non lo avevano mai beccato fuori dal dormitorio.  
Tutti i suoi amici erano Purosangue, e sapeva quanto questo fosse importante per loro. 
Era stato bravo, lo era stato davvero.  
Non doveva avere paura. 
Undici, dodici, tredici, quattordici. 
Scese l’ultimo con un saltello, il corridoio era forse ancora più buio del resto della casa.  
Un respiro profondo, intrappolandolo nel petto. Senza lasciar uscire l’aria, bussò. 

“Avanti.”  
Sua madre era dietro la scrivania chinata su una Gazzetta del Profeta, gli occhiali in equilibrio sul naso e i capelli raccolti come suo solito. 
“Mamma, sono tornato.” Si fermò davanti sull’uscio, indeciso sul da farsi. Non voleva chiudere la porta dietro di sé, quel piccolo studio senza finestre gli dava i brividi: sembrava ci fosse sempre poca aria. 
Il cuore perse un battito, quando vide la bacchetta poggiata davanti a lei, in bella mostra. Come da monito. 
Era stato bravo. Era stato bravo. 
“Vedo. Come è andata a scuola?”  
“Bene. Sono già riuscito a Trasfigurare la mia pium-” 
“Mh. E Sirius?” 
Era stato bravo, davvero.  
“Sirius?”  
“Siete stati insieme?” 
“Non facciamo lezioni con quelli più grandi, mamma. E poi lui è in Grifondoro, io invec-” 
“Non avete tempo libero?” Alzò per la prima volta lo sguardo dalla Gazzetta, scrutandolo da sotto gli occhiali, il volto indecifrabile. 
“Sì, ma abbiamo amici diversi, non ci vediamo tanto...”  
Lei sorrise. “Pensavo che foste uniti. Non lo siete più?” 
“Sì.” 
“Sì cosa, tesoro?” 
Chiuse il giornale, allungando la mano verso la bacchetta.  
“Siamo uniti ma-” 
“Lo sai chi è il suo migliore amico?”  
“Sì, io-” 
“Il figlio di Fleamont Potter. Ricordi lo scorso anno quanti grattacapi ci ha dato? Con le sue leggi per la salvaguardia dei mezzosangue?” Sputò fuori la parola mezzosangue con tutto il disgusto di cui fosse capace. 
Ovvio che se lo ricordava Regulus: erano state settimane di fuoco, in casa. Politici e funzionari del Wizengamot giravano per casa ad ogni ora del giorno, parlando mesti con suo padre.  
“Sì mamma.” Le parole gli uscirono con un soffio. 
“Devi riportarlo da noi, Reggie.” Si alzò, battendosi la bacchetta sulla mano. Ne scaturì qualche scintilla, che morirono nell’aria qualche secondo dopo. “Devi essere bravo e devi essere forte. Sei un Black. Ma anche Sirius, è un Black. E non devi farglielo dimenticare.”  
Sono stata bravo. Davvero.  
“Sì, mamma.”  
Gli si avvicinò, baciandogli la fronte. Il gesto, all’apparenza dolce, fu solo un pretesto per premergli la bacchetta contro il fianco: la punta attraversava la stoffa della camicia, gli bucava la pelle, gli faceva male. “Non voglio doverlo fare, lo sai. Sei un bravo bambino, il migliore.” 
Regulus soffocò un singhiozzo.  

Sirius arrivò qualche ora dopo, accompagnato da Kreacher che andò a prenderlo a King’s Cross. 
La discussione con la madre aveva scosso Regulus più di quanto sarebbe stato disposto ad ammettere, e nemmeno dopo due docce e dopo aver fatto trafugare all’elfo qualche dolce dalla cucina era riuscito a sentirsi meglio.  
Non voleva essere lui, a dover dire a Sirius di non parlare più a James. Non voleva averlo lui, quel peso.  
Era ancora abbastanza stranito quando il fratello irruppe nella sua stanza: teneva i capelli sciolti sulle spalle, ed indossava un maglione che Regulus non aveva mai visto prima, rosso fuoco con una mazza da battitore ricamata sul davanti. 
“Me lo ha fatto Effie, sia io che James siamo entrati nella squadra, a gennaio iniziamo i primi allenamenti.” 
“Effie?” 
“La mamma di James!” Sirius si sedette sul suo letto, portandosi accanto a lui. “Non ti ho visto con Crouch e Rosier sul treno, e nemmeno alla stazione. Ti hanno accompagnato?” 
Regulus ingoiò un grumo di bile. “Sono venuto con Lucius. Mi hanno detto che non volevi venire a casa con noi e preferivi venire col treno...”  
“Infatti non volevo.” Rispose subito Sirius, distogliendo lo sguardo. “Malfoy è uno sfigato, Narcissa è stupida a perderci tempo e tu pure un idiota che ci parli.”  
Regulus non rispose, si limitò ad alzare le spalle.  
Gli tornarono in mente le parole della madre: Devi riportarlo da noi, Reggie. Non l’aveva mai chiamato il quel modo: solo Sirius lo faceva. 
Si chiese se non lo avesse fatto apposta. 
“Tutto bene?” Sirius lo squadrò da capo a piedi, preoccupato. La sua attenzione nei suoi confronti lo fece vergognare. “Ti ha fatto qualcosa mamma?” Sussurrò poi.  
“No!” Rispose troppo forte, troppo velocemente. Sirius non ci credette, vide il dubbio nei suoi occhi. “Sono solo stanco. Penso farò un pisolino.” 
“Oh, Okay. Ti lascio solo allora?”  
“Per favore.”  
“Ci vediamo a cena.”  
Sirius uscì dalla sua camera, le spalle basse. “Ti voglio bene, Reggie.”  
“Anche io.”  
Gli lanciò un’ultima occhiata, prima di chiudersi la porta alle spalle.  
Sbuffò, pensando di prendere calamaio e pergamena per scrivere a Barty: Adesso ti capisco. Anche io avrei preferito rimanere a scuola. 
Ma la mamma controllava la posta, quella che ricevevano e quella che inviavano; quindi, avrebbe dovuto aspettare la fine delle vacanze per parlare con i suoi amici di qualcosa che non fossero insulse lettere sul Quidditch o la lista dei regali ricevuto per Natale. 
Adesso capiva la rabbia di Sirius, l’estate precedente. 
̥˚✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
I giorni che li separavano dal Natale si susseguirono più in fretta del previsto, e prima ancora che Regulus avesse avuto il tempo di disfare completamente il baule –che aveva spinto in malo modo sotto al suo letto- avevano già apparecchiato il tavolo della sala da pranzo principale per accogliere la famiglia Black, e Kreacher stava servendo loro le migliori portate.  
I primi ad arrivare alla cena furono Bellatrix e Rodolphus, freschi di matrimonio, seguiti da Narcissa e dalla madre Druella: “Lucius è veramente contento di venirci a trovare più tardi!” tubò allegra, specchiandosi nel riflesso dell’argenteria. 
L’invitato per cui i fratelli Black furono più entusiasti, però, era sempre lui: lo zio Alphard. Quell’anno aveva portato ad entrambi delle nuove Gobbiglie e una fetta della famosa torta alla vaniglia della sua elfa domestica, Minmey.  
“Andromeda non viene?” Domandò ad un certo punto della cena Sirius; sulla tavola sembrò cadere il gelo mentre Narcissa e Belletrix si scambiarono uno sguardo. 
Druella fissò Sirius, le labbra ridotte ad una linea sottile. “No.”  
“Perché?” Il fratello fissava Druella con la stessa intensità che gli era riservata.  
“Sirius...” Iniziò Alphard, ma fu interrotto da Druella con un gesto della mano. 
“No, no. Diciamolo pure al bimbo. Andromeda si è rivelata una traditrice. Ha voltato le spalle ai nostri valori, al sangue, alla famiglia, per seguire quelli di un sudicio mezzosangue. 
Non risponderle, Sirius. Pensava Regulus, non risponderle. Se avesse potuto esprimere un desiderio, lì, su due piedi, avrebbe chiesto di essere un Legilimens per vedere quello che passava per la testa di Sirius e fermarlo.  
Ma Sirius rispose. 
“Anche secondo me questa ossessione per il sangue non porta da nessuna parte. Uno dei miei amici, Remus, ha la mamma babbana e...”  
Druella fu talmente veloce che Regulus non si rese nemmeno conto che aveva tirato fuori la bacchetta, finché uno schizzo di sangue non gli arrivò a sporcare il viso.  
Sirius, rosso in volto e furioso, si teneva la mano sulla guancia, tra le dita piccole gocce vermiglie. 
"Dovresti controllare meglio i tuoi figli, Orion. Fare attenzione alle loro parole. Viviamo in un periodo pericoloso per la purezza di sangue, e se queste sono le nuove generazioni non so proprio dove andremo a finire.”  
“Druella, non mi sembra il caso di-” lo zio per parlare si alzò dal suo posto, spingendo la sedia indietro che cadde a terra con un tonfo. 
“Oh! Non ti ci mettere anche tu Alphard!” Lo interruppe, brusca. 
Regulus si ripulì il viso con la manica della camicia, sporcandola di rosso. Sirius tremava, accanto a lui, schiumando di rabbia.  
Ma quello che lo preoccupava, erano gli occhi della madre puntati su lui che bruciavano peggio di una Maledizione Senza Perdono.  

“Non hai neanche provato a difendermi! Io per te lo avrei fatto.”  
Era sgusciato fuori dalla sua camera quella notte, dritto in quella di Sirius. 
Lo so. “Lo sai com’è fatta la zia...” 
“Lo so! E lo sai anche tu! Questi ti fanno fuori se non inizi a far vedere i denti.”  
“Questi ti... Cosa?”  
“Non vorrai mica dirmi che credi in tutto quello.” Sirius alzò il braccio, verso la porta della sua camera. “In tutti quei discorsi sul sangue, sulla purezza, quella roba lì. Non puoi dirmi che ci credi davvero, Reggie.” Suonava disperato.  
Regulus si guardò i piedi, imbarazzato. In testa le parole della madre, lancinanti come coltelli: Devi riportarlo da noi.  
Devi riportarlo da noi. 
“Reggie.” Sirius richiamò la sua attenzione. “Tu non ci credi, vero? Hai conosciuto Rem. Lo sai quanto è brillante.” 
“Io no-non lo so...” 
Regulus. 
“Se ci credono ci sarà un motivo, no? E poi non sono mica gli unici! Papà ha tutti quegli amici al Ministero ch-” 
Sirius lo guardò come se non lo conoscesse: come se quello davanti a lui non fosse Regulus, ma un estraneo. “Vai a dormire Reg, ci vediamo domani mattina.”  

In camera sua, Regulus si strinse nelle coperte, tirandosele su fino alla testa. 
Chiuse gli occhi, strizzandoli più forte che poteva.  
Non voleva piangere, non voleva proprio.  
 

Reg, 
Bart è venuto a trovarmi per le vacanze e siamo andati fino a Diagon Alley.  
Abbiamo visto la nuova scopa della Nimbus Racing Broom, sembra abbastanza veloce.  
Si vedrà. 
Bart è una scheggia nel culo e si lamenta costantemente dei suoi; quindi, non vedo l’ora di tornare a scuola per sentir parlare di qualcosa di diverso.  
Ci sentiamo presto,  
Ev. 
La posta arrivò presto quella mattina, mentre Regulus radunava i libri di scuola che durante le vacanze si era persi in ogni angolo della camera di letto. 
Dopo la discussione avuta con Sirius non avevano avuto modo di parlare molto, specialmente perché il fratello sembrava deciso ad ignorarlo il quanto più possibile, e sapeva che ad Hogwarts la situazione non sarebbe stata tanto diversa. 
Si immaginava di aver avuto un’aria veramente sconsolata in quell’ultima settimana di vacanza, perché il giorno prima suo padre lo aveva invitato anche lui nel suo ufficio per una “chiacchierata”. 
Non era stato agitato come lo era stato con sua madre quando si era ritrovato a salire le scale per andare all’ultimo piano, dove la mansarda era stata trasformata in un grande e luminoso studio.  
Le pareti erano quasi completamente ricoperte da enormi ed altissime librerie, ad ogni angolo svettavano candelabri con lo stemma dei Black, che però non venivano mai usati: il sole che entrava dall’enorme rosone alle spalle della scrivania del padre era abbastanza per illuminare tutto l’ambiente. 
Nulla a che vedere con quello della madre, scuro e spoglio.  
E soprattutto, non era mai successo nulla di brutto lì dentro. Non una volta la madre aveva osato alzare le mani o la bacchetta in quel luogo. 
“Papà? Volevi vedermi.”  
“Vieni, vieni, Regulus. Stavo giusto leggendo questo libro, cosa te ne pare?” 
Glielo aveva passato, togliendosi gli occhiali da lettura con l’altra mano.  
La copertina era rovinata, staccata in più punti, le pagine ingiallite e macchiate dal tempo. 
“È un libro... babbano?” Chiese, rigirandoselo tra le mani.  
“La Gerusalemme Liberata, Torquato Tasso. Babbano, decisamente.”  
“Come mai lo stavi leggendo?” Si morse la lingua, frenando quello che avrebbe voluto dire dopo Mamma lo sa?  
Orion odiava quando le sue scelte doveva esser giustificate alla moglie. 
“Perché sebbene non siano come noi, sono egualmente affascinanti. Capaci di pensieri e sentimenti complessi quasi quanto i nostri, sembra. È interesse, poi, avere un’altra visione della situazione.”  
Regulus non rispose, aprendo una pagina a caso del libro O tu, che porte, che corri sì? - Risponde: -E guerra e morte. -Guerra e morte avrai, disse. 
È una brutta fase, quella che sta passando Sirius, ma sono sicuro che tornerà sui suoi passi, il sangue è troppo forte. Non puoi spezzare certi legami, non importa quanto ci provi. Se ne accorgerà presto.” 
Gli accarezzò la guancia, sporgendosi sulla scrivania. “I miei bambini. Tanto diversi... Ricordo ancora quando eravate piccoli e la governante vi portava giù al parco...”  
Regulus capì che stava cercando di confortare più sé stesso che lui. 

 
 
 
 
Note: Lo so, sono in anticipo di un giorno. Ma sono a casa con l’influenza (sigh) e ne ho voluto approfittarne! : )  
Also: lo so la storia per adesso è un po’ lenta ma VI GIURO!!! che appena Regulus inizia a crescere iniziano le avventure xD  
Spero vi sia lo stesso piaciuto questo capitolino, <3 Ci sentiamo la prossima settima –e grazie mille per aver letto, significa tantissimo per me!  

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Capitolo 4
*** Primo anno - Capitolo 3. Acque amare. ***


Tw: Scene un po’ forti, nulla di grafico comunque.
Primo Anno, capitolo tre.  
Acque amare. 
 
Dietro alla scrivania della madre, nel suo ufficio, c’era una porta piccola piccola: talmente tanto che Walburga doveva abbassarsi per passarci attraverso senza battere la testa sull’architrave. 
Piccola piccola, di vecchio legno gonfiatosi per l’umidità e piena di buchi per le tarme che anni prima avevano deciso di banchettarcisi.  
Dentro, c’era solo una piccola vasca di pietra, incastonata nel muro. Un poco di luce entrava da un altrettanto piccola finestrella rettangolare posta sopra di essa, che dava direttamente sul livello del giardino sul retro.  
Prima ancora che Regulus avesse avuto l’opportunità di studiarle a scuola aveva imparato che esistono tre Maledizioni Senza Perdono: L’Avada Kedavra, Crucio e la Maledizione Imperio. Gliele aveva insegnate sua madre, sia a lui che a Sirius, e c’era stato un periodo in cui aveva veramente pensato che non potesse esistere qualcosa di più terribile della maledizione Cruciatus: si aggirava per la casa in punta di piedi, attento a non fare troppo rumore o a dire qualcosa di sbagliato, temendo la volta in cui la madre avrebbe alzato la bacchetta. 
Finché non aveva provato l’Imperius.  
Dietro alla scrivania della madre, nel suo ufficio, c’era una porta piccola piccola.  
Aguamenti.”  
Regulus osservava l’acqua agitarsi sotto i suoi occhi, mulinare contro le pareti di pietra che la imprigionavano. 
“Quando sarai grande mi ringrazierai, Regulus.” Aveva una voce così dolce, la sua mamma. 
Dentro, c’era solo una piccola vasca di pietra. Regulus chiuse gli occhi e prese un respiro profondo, cercando di tenerselo per quanto possibile nel petto. Sapeva cosa stava per succedere. 
Imperio.”  
Regulus si avvicinò alla vasca, senza potersi fermare. Cadde a terra, sbucciandosi le ginocchia sul pavimento umido. Sapeva cosa stava per succedere, lo sapeva sempre.  
✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
L’ultima partita dell’anno, Serpeverde contro Grifondoro, si tenne uno dei pomeriggi più caldi di maggio.  
Regulus, Barty e Evan arrancarono per il parco del castello sudati ed accaldati, sapendo di essere in ritardo e senza neanche la certezza di riuscire a trovare dei posti decenti.  
“E’ colpa tua Ev, se non avessi preso quella punizione con Lumacorno saremmo potuti uscire prima!” 
“Ma se sei tu che c’hai messo tre ore per decidere che maglia metterti, vi stavo aspettando in Sala Grande da dieci minuti prima che arrivaste.”  
“Dai muovetevi!” Urlò Regulus agli altri due, che erano rimasti indietro per bisticciare.  
In lontananza, si sentiva già la cronaca della partita e gli schiamazzi degli spettatori.  
“Hunter ha la pluffa, la tira... No, viene rubata da Knight, che si dirige verso la porta dei Grifondoro... Attenzione al bolide! Black non scherza oggi!”  
Con il naso all’insù, Regulus osservava la partita cercando di non perdersi neanche un passaggio, ma a quella distanza i giocatori sembravano delle formiche, e se non fosse stato per le divise di diverso colore sarebbe stato impossibile capirci qualcosa.  
“Chi ce l’ha la pluffa adesso?” Chiese Barty. 
“A vederci qualcosa...” Rispose Regulus, socchiudendo gli occhi per il sole. 
“Bells ha visto qualcosa, si è tuffato... forse il boccino? Lo segue Fortescue... Ouch quello deve aver fatto proprio male! Sembrano aver perso di vista il boccino... Oh! Potter segna! POTTER SEGNA! 80 a 20 per i Grifodoro!”  
Evan, accanto a lui, si lasciò andare ad una serie di coloriti insulti che avrebbero fatto sbiancare anche quello sboccato di Mulciber, ma che andarono persi tra le urla del Grifondoro che festeggiavano il goal. 
James volava sulla folla, lanciando baci e accogliendo ogni esultanza: da quando era entrato in squadra, non c’era stata una volta che avesse sbagliato un lancio, un volo, una finta. Nei corridoi si iniziava addirittura a parlare di uno dei giocatori più promettenti degli ultimi dieci anni. E con Black formavano una squadra perfetta: Potter non aveva niente su cui concentrarsi se non la pluffa, perché Sirius era sempre lì a coprirgli le spalle, e mai aveva mancato un bolide.  
“Potter torna in possesso della pluffa.. E accidenti, mi colpisca un Bolide se sbaglio, era una Back Balai Wall quella?! Assurdo, quel giocatore è assurdo!” 
“Minus! Sii più imparziale!” La voce della professoressa McGranitt squillò tutto intorno a loro, mentre sgridava il commentatore. 
“Mi scusi professoressa... Ruby Plums di Serpeverde adesso ha la pluffa... si avvicina alla rete dei Grifondoro... Paciock! Paciock respinge la pluffa!...”  
Un ululato di dispiacere si levò dalle file dei Serpeverde. Barty si lasciò cadere su Regulus, nascondendo il volto sulla sua spalla. “Perderemo, perderemo...” 
“Non essere drammatico Bart.” Lo consolò, battendogli piano con la mano sulla schiena, senza però staccare mai gli occhi dalla partita che si svolgeva sopra le loro teste.  
I suoi capelli gli solleticavano la guancia, e sentiva il suo respiro, caldo e appiccicoso, attraverso il tessuto leggero della maglia. Piccole scosse elettriche, dove la loro pelle nuda si taccava: la sua fronte, vicino al suo collo... 
Provò ad allontanarsi, nascondendo il disagio. 
“Eccolo! Fortescue ha visto il boccino! Si sta lanciando... Heiden Bells la sta inseguendo... Ci siamo! CI SIAMO! ALICE FORTESCUE HA PRESO IL BOCCINO! GRIFONDORO VINCE! GRIFONDORO VINCE IL CAMPIONATO!” 
“Cazzo!” Urlò Evan, calciando il vuoto davanti a lui.  
Regulus si unì agli schiamazzi delusi dei Serpeverde, ma sotto sotto era felice per la vittoria dei Grifondoro: era felice per Sirius. 
E, diamine, anche per James, un pochino.  
“Voi andate pure al castello, voglio salutare mio fratello.” Disse ai suoi amici, che stavano già seguendo la folla che si apprestava a tornare dentro alla scuola.  
Barty lo guardò un po’ confuso, ma non disse niente. Da quando erano tornati dalle vacanze di Natale, si erano parlati a malapena lui e Sirius, e la rivalità tra case aveva iniziato a farsi sentire le settimane prima della finale della Coppa del Quidditch: per ben due volte era finito in mezzo agli scherzi dei Malandrini, e sebbene Sirius gli avesse chiesto scusa più volte, non sembrava mai essersi veramente dispiaciuto. 
Aspettò davanti agli spogliatoi che uscissero, indeciso se bussare o meno per annunciare la sua presenza.  
Alla fine non fece niente, lasciando ricadere la mano lungo il fianco. Si sedette lì fuori, e aspettò.  
Era ancora caldo, ma il sole iniziava a tramontare dietro le montagne che circondavano la vallata e le ombre che iniziavano ad allungarsi raffreddavano la terra sotto le sue gambe. Si era alzata anche un po’ d’aria, che faceva danzare l’erba davanti a lui, puntellata di fiori selvatici. 
Un corvo gracchiò, lontano, mentre sorvolava l’orto del guardiacaccia. 
Si strinse le ginocchia al petto, chiudendo gli occhi. 
Amava veramente, Hogwarts. E più il tempo passava, più si rendeva conto di come mai Sirius avrebbe voluto non lasciarla mai.  
“Black-quello-piccolo?” Una ragazza alta con i capelli rasati aveva aperto la porta, trovandolo lì raggomitolato: Alice Fortescue, la Cercatrice dei Grifondoro. “Vuoi che ti chiamo tuo fratello?”  
Regulus, imbarazzato, si alzò di scatto, pulendosi le mani ai pantaloni. Forse annuì un po’ troppo vigorosamente, arrossando profusamente, perché Alice ridacchiò leggermente prima di tornare dentro a chiamare Sirius. 
“Regulus!” Sorrideva da un orecchio all’altro. “Hai visto che partita?”  
“Sì, siete stati bravi.”  
“Se vi impegnate abbastanza il prossimo anno forse, potreste addirittura tenere in mano la pluffa per più di cinque minuti.”  
Regulus alzò gli occhi al cielo, scatenando le risate di Sirius.  
Qualche volta, pensava Regulus, sembrava di tornare a quando erano ancora bambini.  
“Ti voglio bene, Sirius.”  
L’altro sembrò sorpreso. Lo guardò un poco, prima di passargli un braccio sulle spalle, attirandolo verso sé.  
“Anche io, Reggie.” 

 
“Nessuno è mai bocciato agli esami del primo anno, Rosier.”  
“E se fossi il primo?”  
“SILENZIO LAGGIU’ IN FONDO!”  
La voce della professoressa McGranitt risuonò in tutta l’aula, ammutolendo all’improvviso Regulus e Evan, che abbassarono subito gli sguardi sui loro compiti di Trasfigurazione.  
Non si sentiva troppo nervoso, aveva studiato sugli appunti di Bart e non c’era motivo di preoccuparsi: erano perfetti, come sempre.  
Evan, d’altro canto, si era svegliato di buon’ora quella mattina per ripassare assieme ai compagni ma tutto quello che era riuscito a fare era stato chiudersi in bagno con la nausea. 
Adesso lo osservava, seduto nel banco vicino al suo, tormentarsi la camicia della divisa con le mani e sudare copiosamente sulla pergamena davanti a lui. 
Il giorno prima era toccato all’esame di Difesa Contro le Arti Oscure, dove era convinto di aver preso uno dei voti più alti della classe. Incantesimi: un po’ meno bene, ma aveva copiato da Barty quindi era fiducioso.  
Stava per consegnare Trasfigurazione, dopo di che sarebbe toccato a Pozioni e poi avrebbero potuto finalmente godersi gli ultimi giorni di scuola. 
Il massimo, per Regulus, sarebbe stato andare da King’s Cross direttamente in Francia, dallo zio, ma sapeva che sarebbe stato impossibile: sua madre non li avrebbe mai fatti partire senza averli prima visti almeno una volta. 
Specialmente, non senza aver visto prima Sirius.  
Come aveva parlato poco a Sirius, dopo le vacanze, così era stato con i suoi genitori: nessuna lettera, nessun pacco, in mano sua solo poche notizie che gli erano state date da Narcissa. 
Non che lo facesse soffrire più di tanto: certo, c’erano momenti in cui gli mancava casa, ma era così occupato ogni giorno con la scuola, i compiti, il Club di Scacchi, che non aveva avuto neanche il tempo di pensarci, ai suoi genitori. 
Sulla Gazzetta del Profeta era comparso un paio di volte il nome di suo padre, Orion Black, sempre immischiato in qualche strana legge per il controllo della magia dei nati babbani, ma nessuno sembrava averci dato troppo peso: si era chiesto se avesse dovuto scrivergli qualcosa, ma non sapeva cosa. “Ben fatto, papà!”? Gli sembrava inutile.  
E poi, non erano quasi mai articoli dove lo elogiavano: sembravano più che altro prese in giro. 
Aveva visto Sirius alzare gli occhi al cielo o fare delle smorfie, dopo aver letto gli stessi articoli al tavolo dei Grifondoro, durante la colazione; quindi, aveva deciso di non parlarne neanche con lui: non voleva intavolare un’altra discussione e rischiare di andare a rovinare quello che erano riusciti a costruire dopo la partita di Quidditch. 
Che era poco, ma era pur sempre meglio di niente. 
 
̥˚✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
 
Davanti a loro, il mare. 
Il vento e la sabbia gli facevano bruciare gli occhi, e Regulus si era arrotolato i pantaloni fino alle ginocchia, lasciando che le onde gli lambissero le gambe. 
Non era entrato in acqua con suo fratello, proprio non riusciva a farsela piacere. 
Ma stava bene, davvero. 
Anche così andava bene, senza avvicinarsi troppo. Grigia e agitata, rifletteva i colori dei nuvoloni carichi di pioggia che si stavano addensando all’orizzonte. 
Non erano state delle buone giornate: Sirius, in treno verso casa, aveva convinto il suo amico Lupin a tagliarli i capelli, per non farlo fare alla madre, e Walburga si era arrabbiata molto quando aveva varcato la porta di casa con quello strano taglio.  
Lo aveva afferrato in malo modo per un braccio, trascinandolo fino al bagno dove lo aveva rasato con un colpo di bacchetta. Poi se l’era presa con Regulus, perché non lo aveva fermato. 
Ed era stato inutile spiegarle che avevano percorso il viaggio in due vagoni differenti, quando si arrabbiava non voleva sentire ragioni.  
Lei e Sirius erano stati sul piede di guerra fin dal primo giorno, e nessuno dei due sembrava deciso a mollare l’osso per primo, tanto che il solito viaggio in Francia dallo zio Alphard stava per essere annullato, come punizione. Nel mentre, il padre praticamente viveva al Ministero in quei giorni, ma la sua presenza era sempre talmente flebile che non avrebbe fatto alcuna differenza averlo vicino.  
La cura dei figli e della casa, non sembrava essere un suo problema. 
“Non vai a giocare con Sirius?” Gli chiese Alphard, alle sue spalle. 
“Non mi piace molto l’acqua.” 
Lo zio si avvicinò a lui, bagnandosi l’orlo dei pantaloni. Le onde stavano diventando più grandi. 
“No? Eppure, mi sembra di ricordare che il dormitorio dei Serpeverde si trovi proprio sotto il Lago. Non dirmi che non ti sei ancora abituato!”  
Regulus scosse la testa, sconsolato. “Mi chiedo come facciamo le finestre a non esplodere per la pressione.”  
“Pressione?” Lo zio si lasciò andare ad una risata. “Un castello intero che si tiene su con la magia, e pensi alla pressione dell’acqua?” 
Regulus si strinse le spalle, mentre Alphard richiamava Sirius a riva. “Cinque minuti e vengo!” Urlò quello in risposta, mentre veniva scaraventato sotto la superficie dell’acqua da un’onda.  
“Sicuro, Reg, che non vuoi raggiungerlo? Tra poco andiamo a casa.”  
Regulus fece un passo indietro, rabbrividendo al pensiero di trovarsi sott’acqua al posto di Sirius “Sicuro.”  
 
“Senti, Reggie, puoi inviare questa lettera al posto mio?”  
Sirius entrò in camera sua senza bussare, mentre Regulus preparava il baule per Hogwarts. Aveva ripiegato la divisa nuova con cura, comprata qualche giorno prima con Kreacher a Diagon Alley: durante l’estate era cresciuto di svariati centimetri e tornato a Grimmauld Place si era reso conto che pochissimi dei vestiti che aveva gli stavano ancora senza lasciargli scoperte le caviglie.  
“Per chi è?”  
“Rem.”  
Regulus inarcò un sopracciglio.  
“Remus Lupin, lo conosci.” Riprese Sirius, “Io non posso inviarla, mamma mi legge la posta.”  
“Quindi? Legge anche la mia.”  
“Cosa? Veramente?” 
“Sì.” 
“E ti va bene?” Sirius lo guardò incredulo, se non disgustato. Il suo sguardo lo fece vergognare, e cercò di svincolare dalla situazione iniziando a sistemare i libri.  
“Senti, tanto tra poco lo rivedrai alla stazione. Non gli puoi parlare e basta?”  
“Non è questo il punto. Da quando mamma legge quello che mandi?”  
“Da sempre?” 
Sirius sbuffò rumorosamente, “Non riesco a capire come tu faccia a rimanere così calmo. Cioè, che gliene frega a chi o cosa scrivo? Sono fatti miei. Anzi, adesso sono fatti nostri...”  
“Sirius, non voglio litigare per delle lettere.” 
“Non sono solo le lettere il problema è tutto il-” 
“SIRIUS DANNAZIONE!” Lasciò cadere a terra il libro di Cura delle Creature Magiche che stava mettendo dentro al baule, e il rumore spaventò Sirius che ammutolì d’un tratto. O forse fu il tono di Regulus a coglierlo di sorpresa, per una volta. Si chinò presto a raccoglierlo, per nascondere il tremolio delle mani. “N-non voglio discutere per queste cose. Okay?” E soprattutto, non voleva punizioni.  
Sirius rimase in silenzio, rigirandosi tra le mani la lettera indirizzata al suo amico. 
“Okay.” Disse infine, la voce ridotta un sussurro. 
“Grazie.” Chiuse gli occhi, per non piangere. Un respiro profondo, prima di ricominciare a parlare. “Puoi andartene per favore? Voglio finire di fare il baule.”  
Sirius sembrò lì per lì di dire qualcos’altro, alzando una mano come per andare a toccare Regulus sulla spalla.  
Ma la fece ricadere sul fianco, senza dire nulla. Uscì dalla camera, richiudendosi la porta alle spalle. 
Regulus si pulì il volto con la maglia, arrabbiato con sé stesso per non essere riuscito a fermare le lacrime, che avevano iniziato ad uscire quando Sirius si era voltato per andarsene e che sembravano non aver alcuna intenzione di fermarsi. 






Note: Nuovo mercoledì, nuovo capitolo!  
Spero che la primavera vi faccia sentire BENE come fa sentire BENE (perdonate il maiuscolo, ma ci vuole enfasi. Immaginate che l’abbia detto URLANDO se vi stare BENE. Lmao.) me. 
Quindiiii beh, cosa dire? Spero vi sia piaciuta questa nuova parte. 
Fatemi sapere, vi mando tanti abbracci e antistaminici contro il polline. 😊🐸🌻🐛 
 

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Capitolo 5
*** Secondo anno - Capitolo 4. Ritagli di giornale. ***


Secondo anno, capitolo quattro.  
Ritagli di giornale. 
 
Il secondo anno, partirono preparati. Sirius conosceva esattamente che incantesimo fare per farsi ricrescere i capelli, e Regulus rimase di guardia fuori dal bagno questa volta.  
Altri ragazzini, più o meno della sua età, si trascinavano per i binari con al collo pesanti borse e bauli vari, altri invece venivano trascinati per la mano dai genitori, in mezzo alla folla babbana  
Regulus riusciva quasi immediatamente a capire se si trattassero di maghi o babbani: i primi non sapevano assolutamente vestirsi. Gli faceva ridere come il concetto di maglia più pantalone fosse assolutamente estraneo ai più, che si trovavano ad andare in giro con giarrettiere, corpetti, panciotti e lunghi soprabiti a coda di rondine, attirando risate e occhiatacce da parte dei babbani. 
Si disse che probabilmente anche lui doveva risultare... interessante, ai loro occhi, con le sue vesti da mago. 
“Ragazzino, ti puoi spostare?” Una guardia babbana, si pose davanti a lui, incrociando le braccia al petto per farsi più grosso. Non che ne avesse bisogno, era già enorme di suo, specialmente di fronte a Regulus. 
“C’è mio fratello, in bagno.”  
“E cosa sta facendo, chiuso lì dentro? Siete a conoscenza del fatto che questo è un bagno pubblico?”  
“Sì, lui-” 
“Sai cosa vuol dire pubblico?” Lo interruppe.  
“Sì...” 
“Bene, allora spostati da lì e fammi dare una controllata.”  
Oh. Quante regole avrebbero violato? Lo Statuto Internazionale di Segretezza, probabilmente. Poi, i minorenni non potevano fare magie fuori dalla scuola teoricamente.  
Avrebbero avvertito il Ministero per una cosa del genere? O solo i genitori? 
Tra Azkaban e sua madre, forse, avrebbe preferito la prima.  
Poi si ricordò che era un’isola, circondata dal mare. Acque scure, profonde e salate pronte ad afferrarlo per le gambe e a trascinargli la testa sott’acqua. 
“No.” Rispose. 
Il babbano rimase interdetto, prima di scoppiare a ridere. “No?” 
“No.” La voce gli iniziava a tremare. Avrebbe voluto urlare a Sirius di uscire, di sbrigarsi. Doveva solo farsi crescere i capelli, accidenti, quanto ci stava mettendo?  
“Spostati o dovrò spostarti io.”  
“Non ti conviene.” Regulus si voltò verso la voce, dove Carrow, un Serpeverde più grande stava osservando la scena, con il baule tra le gambe e le mani dietro alla schiena. Rideva, divertito dalla scenetta, mentre la sorella di fianco a lui osservava con occhi vacui il tutto, non interessata. 
“Ragazzo, non mi f-”  
“Bla bla bla.”  
La guardia assunse una malsana colorazione bordeaux, la stessa che Regulus aveva visto solo in Gazza quando aveva beccato il fratello e i suoi amici a ricoprire di gelatina verdognola ogni singola sedia dell’aula di Incantesimi. 
“Voi babbani.” Sputò a terra Carrow, “Chi pensate di essere per dirci dove e come muoverci...”  
“Come mi hai chiamato?”  
L’uomo portò la mano al manganello che aveva attaccato alla cintura. Regulus avrebbe voluto urlargli di andarsene, che quei due non sembravano fregarsene troppo dello Statuto e che probabilmente lo avrebbero fatturato lì alla stazione, in mezzo a tutti. 
Ma se ne stesse zitto. 
“Reggie?” Sirius aprì la porta, finalmente. “Che succede?”  
Ecco perché ci aveva messo così tanto: i capelli, adesso lunghi fino alle spalle, erano pettinati -o meglio spettinati- alla perfezione, le sue vesti da mago erano scomparse favorendo un paio di jeans strappati e una maglia gialla che diceva qualcosa su una regina.  
“Sparite da qua se non volete che chiami immediatamente i vostri genitori.” Sputò fuori la guardia, livida di rabbia.  
“Ora andiamo.” Regulus prese per il polso Sirius, trascinandolo via, senza curarsi di salutare i fratelli Carrow. 

Contro ogni aspettativa, la materia per cui sembrava essere più portato era Difesa Contro le Arti Oscure. 
“Sono rimasto l’unico normale, sono circondato da secchioni.” Bofonchiò Evan, che invece lo studio lo annoiava e non c’era verso di fargli aprire un libro.  
Solo in sporadici momenti di stress dava il meglio di sé: riusciva a scrivere tre pagine di pergamena sulle rivolte dei Goblin in qualche manciata di minuti mentre dava le spalle a Ruf, se aveva la giusta dose d’ansia in corpo. 
“Non sono un secchione, sono semplicemente più sveglio di te.”  
“Come vuoi, Bart.”  
All’interno della scuola, le notizie arrivavano quasi censurate, o meglio mitigate, dai professori, che ogni giorno dovevano dedicare un’ora alla spiegazione di certi articoli che venivano ritagliati e fatti passare da studente a studente. Un po’ dalla Gazzetta del Profeta, un po’ dal Settimanale delle Streghe e altre testate giornalistiche non proprio raccomandabili: gli argomenti spaziavano da terribili ingiustizie contro i nati babbani, e interviste a chi invece inveiva contro di loro, dicendo che era solo un modo per distogliere l’attenzione e corrompere le famiglie puro sangue. Ci fu un periodo dove sembrò che la scuola stesse precipitando nel caos, tutti divisi con le loro idee. 
Qualcosa là fuori si stava muovendo, e la comunità magica iniziava ad agitarsi. 
Regulus ne aveva già avuto il sentore l’estate prima, a Grimmauld Place: sua madre e Orion si chiudevano per molte ore al giorno nei loro rispettivi uffici, e pure Lucius passava spesso a trovarli, portando lunghe pergamene di nomi e leggi e statuti che avrebbero potuto presentare al Wizengamot i giorni successivi. 
Prossimo al matrimonio con Narcissa, e fresco di M.A.G.O, aveva trovato lavoro al Ministero al fianco del padre di Regulus, e non c’era stato momento in cui Walburga non lo aveva fatto pesare a Sirius: Lucius di qua, Lucius di là. Prendi esempio, fai così e così, ottenendo come risultato un figlio maggiore ancora più agitato ed arrabbiato del solito.  
“Ah, non ditelo a mio padre, ma secondo me Malfoy e tuo padre hanno ragione Reg.” Gli disse una volta Barty, sporgendosi sopra la sua spalla per vedere l’articolo che stava leggendo sulla Gazzetta:  
 
“NATI” BABBANI E BACCHETTE, ARYA JUNEBERLY ARRESTATA PER FURTO. 
29 Novembre 1973, Ministero della Magia Inglese.  
Era solo qualche giorno fa, che la segretaria Juneberly, dal lignaggio non ben definito, si prodigava per la salvaguardia della comunità nata-babbana, ma già erano fioccate le prime accuse di furto di bacchetta (ndr, nove pollici, legno di frassino e anima di crine d’unicorno, leggermente flessibile per chi dovesse riconoscerla). 
Oggi, all’entrata del Ministero, è stata presa in custodia da un plotone di Auror e portata ad Azkaban, in attesa che l’alta corte del Wizengamot decida della sua sorte. 
Non ha voluto rilasciare interviste prima dell’arrivo dei Dissennatori. 
Orion Black, il più famoso sostenitore della Tradizione della Purezza della Razza a tal proposito... 
 
Alzò gli occhi dall’articolo, incontrando quelli di Barty.  
“In che senso?”  
“Questi vengono qui da noi, ci rubano le bacchette, lavorano pure al Ministero magari togliendo lavoro a persone come me, o te, o Ev che, insomma, ci siamo nati in mezzo alla magia... Sicuramente so meglio io cosa serve al Ministero della Magia che una babbana che ha imparato ad agitare una bacchetta... Insomma, non mi sembra giusto.” 
Regulus annuì, decidendo di rimanere in silenzio. 
Anche i Carrow sembravano della stessa opinione, e alla discussione si aggiunsero pure Avery e Mulciber.  
“Tu cosa ne pensi, Black?” Piton si rivolse direttamente a lui, parlando ad alta voce per sovrastare quelle dei compagni. “Ho saputo che tuo fratello va a fare il difensore dei babbani assieme a quel Potter, sei della stessa idea?”  
L’antipatia che intercorreva tra Sirius e Piton, era risaputa in ogni angolo della scuola. Probabilmente se un qualsiasi studente di Hogwarts fosse andato a chiederlo a Mirtilla Malcontenta, gli avrebbe saputo dire pure lei come e quando era iniziata e quale era stato il motivo dell’ultima rappresaglia.  
“Non penso nulla, Piton.” Rispose, piegando il giornale che stava leggendo sulle sue ginocchia.  
“Tuo padre sembra avere le idee molto chiare, e pure tuo fratello. Impossibile che non le abbia pure tu.” Continuò, sorridendo. Ma non c’era traccia di alcuna gioia in quel sorriso. 
“Lascialo stare, Sev, e poi non hai la fidanzatina mezzosangue?” Si intromise Barty nella conversazione.  
Piton arrossì furiosamente, ma continuò a tenere gli occhi su Regulus. “Tutto suo fratello, il nostro Reggie, il santo dei babbani.”  
“Non sono per niente come mio fratello.” Strinse i pugni, tirando fuori la bacchetta dalla divisa.  
Non era coraggioso come lui. Non era amato come lo era lui. Non riusciva neanche a fare un bagno in mare, per Salazar. Ma non tremò, quando levò la bacchetta puntandola contro il viso di Piton. Non indietreggiò, quando anche Piton sfilò la sua. Almeno, a mentire, era bravo. Più di Sirius, probabilmente. “Non me ne frega un cazzo dei babbani, contento? Li arrestassero tutti, per quel che mi importa. Ora sparisci Mocciosus.”  
“Arrestarli. Oh, faremo molto di più, Reggie.” Mormorò Piton, allontanandosi dalla sua bacchetta.  
 
̥˚✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
 
Regulus, poi, era bravo a volare.  
Non fece il provino più brillante della storia, -nulla che vedere con quello di Potter che quasi due anni dopo esser entrato nella squadra era ancora oggetto di discussione tra gli appassionati- ma non andò neanche male come Barty, che cadde giù dalla scopa a metà allenamento, senza neanche riuscire ad afferrare la pluffa che gli venne tirata. Tra mille imprecazioni, dovettero addirittura immobilizzarlo prima di riuscire a portarlo da Madama Chips.  
“Black, Larch e Rosier, siete dentro.” Tuonò Knight, che era diventato capitano quello stesso anno. “Polliwog e Zabini, sarà per la prossima volta. E ditelo anche a Crouch, non ho voglia di andare fino in infermeria.”  
Regulus e Evan si scambiarono un sorriso, entrambi sudati e sporchi in una divisa da Quidditch che non era la loro.  
Avrebbero giocato la loro prima partita di lì a qualche tempo, probabilmente verso gennaio, dopo le vacanze di Natale, lui come cercatore (dopo che Bells si era diplomato, la posizione era rimasta vacante e si era scambiati il ruolo a turno i Cacciatori della squadra, con scarsi risultati.) mentre Evan come portiere. Con un morso allo stomaco, Regulus si rese conto che nello stesso periodo, un anno fu, anche Sirius stava entrando nella squadra di Grifondoro. E nello stesso periodo, a gennaio, aveva giocato la sua prima partita.  
Non importa quante cose facesse, sembrava sempre essere il riflesso di quello che il fratello aveva fatto poco tempo prima.  
E nonostante tutte le premure e le buone parole che gli rivolgevano i genitori e le cugine, non si sentiva mai totalmente all’altezza. Perché non importava quante volte la madre avrebbe fatto finta di preferire il suo operato, a quello di Sirius: sapeva che non era altro che la sua copia sbiadita.  
Come del resto, lo era la sua intera persona. 

Quella sera, Narcissa si sedette di fronte a lui, durante la cena. La sua spilla da Caposcuola scintillava sotto le innumerevoli candele della Sala Grande, assieme all’anello di fidanzamento che non perdeva occasione di sfoggiare. 
“Cercatore! Non vedo l’ora di dirlo alla zia!” Gli disse, mandando giù una forchettata di pasta. Quella sera gli elfi doveva essersi imbattuti in un libro di cucina italiana.  
“Grazie Cissy.” Si chiese se lo scorso anno fosse andata anche da Sirius a congratularsi. Probabilmente no, sennò lo avrebbe notato.  
“Sai che a luglio mi sposo, vero?” Continuò, sorridendo tra un boccone e l’altro. 
“Sì, me lo ha detto mamma.” 
“Volevo chiederti se volessi venire con noi, quest’estate, al magione dei Malfoy.”  
Oh. “Zio Alphard...” 
“Walburga non pensa sia una buona idea, andare fino in Francia. Non per quest’anno. Stanno succedendo tante cose, in questo periodo-” Misurava ogni parola, scrutandolo per annotare qualunque reazione. Regulus si costrinse ad assumere un viso impassibile, come quando la mamma lo puniva. “-e la cosa migliore è rimanere vicini. Tutta la famiglia.” Allungò la mano verso la sua, stringendola. 
“Anche Sirius è invitato?” Osò, e quando Cissy strabuzzò gli occhi, Regulus seppe di averla presa contro piede.  
“S-sì. Certo. Lucius e suo padre saranno contentissimi di avervi entrambi... Potrete imparare tante cose.”  
“E Andromeda?” Passò qualche secondo, dove Regulus si obbligò a mangiare, come se nulla fosse successo. Come se il nome della sorella di Narcissa non avesse gettato un manto gelato sulla conversazione. 
“Sei ancora un bambino, Regulus, ma non sei stupido.” Cissy ritrasse la mano, senza più sorridere. “Sai quali sono le decisioni da prendere. Sai quali sono le cose giuste da fare. La zia non fa altro che ripetere quanto tu sia buono e ubbidente, non deluderla.” 

 
 

 

 

 

Note: Buon mercoledì!! 
Capitolo nuovo, come ogni settimana!  
Spero vi stia piacendo, per adesso! <3 Alla prossima settimana! 

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Capitolo 6
*** Secondo anno - Capitolo 5. Tredici anni. ***


Secondo Anno, capitolo cinque.  
Tredici anni. 
 
Il compleanno di Regulus, spesso, passava in secondo piano.  
Cadeva tra Natale e Capodanno, e con il continuo viavai di ospiti che entravano e uscivano da Grimmauld Place, sicuramente sua mamma non avrebbe mai perso tempo ad organizzargli una festa con altri bambini della sua età. 
Da piccolo, lo festeggiava con Sirius: un dolcetto trafugato dalla cucina sotto gli occhi di Kreacher, che faceva finta di non vedere, e l’atteso regalo da parte di zio Alphard, che non tardava mai ad arrivare. 
“Te ne vuoi andare? Proprio oggi?”  
“Reg se non me ne vado oggi che sono occupati non lo faccio più.”  
Si attendeva un ospite importante, per quel pomeriggio. Orion si era chiuso nel suo studio, come faceva quando era agitato, e Walburga si affaccendava a destra e a sinistra, avvisando gli altri membri della famiglia e ordinando a Kreacher di lucidare l’argenteria migliore.  
I due fratelli Black, invece, si trovavano in camera del maggiore, occupato a infilare quanti più averi possibile in un piccolo baule, ovviamente senza piegare alcun capo di biancheria.  
Non si prospettava un buon tredicesimo compleanno. 
“E’ il mio compleanno!”  
“Infatti, ti ho chiesto se volessi venire anche tu! Più volte!” 
E aveva sempre rifiutato.  
Per quanto invitante fosse, passare il Capodanno dai Potter assieme agli amici di Sirius, non poteva semplicemente prendere e andarsene.  
Non riusciva neanche ad immaginare quale sarebbe stata la sua punizione se fosse uscito dalla finestra di nascosto, come stava facendo Sirius, per di più per scappare da una famiglia come i Potter.  
O forse sì, pensando con un brivido alla vasca di pietra nello studio di mamma... 
“Sirius per favore! Aspetta almeno fino a domani!”  
“Domani non saranno così distratti, Reggie, è un’occasione d’oro. E poi ha già deciso.” Chiuse le cinghie del baule con uno scatto, ponendo fine alla discussione. 
Regulus si lasciò cadere sul letto del fratello: sopra di lui, ragazze babbane senza vestiti gli ammiccavano, con gli occhi vuoti e immobili come statue. Più immobili di alcune statue, in realtà. 
Si chiese cosa ci trovassero, i babbani, in quelle foto. E poi, cosa ci trovasse Sirius.  
Il loro eterno sfiorarsi lo fece sentire a suo agio. 
“Va bene. Salutami i tuoi amici.”  
“Oh, sicuramente! E non dire nulla alla mamma, okay?”  
“Okay.”  
“Promesso, Reggie?”  
Si voltò verso di lui, che stava già aprendo la finestra per calarsi al di sotto di essa. Avrebbe preso i mezzi babbani fino a Londra, dopodiché il treno per Godric’s Hollow. Era un bel piano, glielo aveva illustrato la sera prima con gli occhi che gli brillavano.  
“Promesso, Sirius.”  
Sorrise, prima di lasciarsi cadere in strada. 

Regulus non aveva idea di chi fosse quell’uomo. 
“Mio Signore, non riesco neanche a esprimere quanta gioia ci dia la sua presenza in questa casa.” Bellatrix si aggrappò al suo braccio, leziosa, mentre lo conduceva in sala da pranzo.  
“Un onore, un grandissimo onore!” Le fece eco Walburga.  
Indossava una lunga veste da mago, nera e polverosa, la pelle innaturalmente pallida brillava quando veniva toccata dalla luce delle candele, così come gli occhi che sembravano quasi incendiati. 
“Un onore è avere qualcuno così legato alla causa, come lo sono io.” 
Il suono della sua voce fece tremare anche le ossa di Regulus: fredda, distante e melliflua, non conteneva però alcuna traccia di gratitudine, al contrario delle sue parole. 
Già seduti al tavolo, Lucius e Orion si alzarono di scatto alla comparsa dell’ospite. Indeciso sul da fare anche Regulus li imitò, tenendo però gli occhi bassi. Suo padre non era seduto al solito posto, capotavola: stava a destra, la sedia che normalmente veniva occupata dalla madre.  
Immaginò che avesse lasciato il posto all’ospite, e così fu, osservandolo con la coda dell’occhio sedersi davanti a loro. 
Quando tutti si furono accomodati, pensò che fosse il momento giusto per rimettersi a sedere, cercando di sprofondare il quanto più possibile sulla sua sedia. Se avesse potuto si sarebbe raggomitolato su sé stesso fino a rendersi invisibile, fino a scomparire. 
Pregò che nessuno tirasse in ballo la sedia alla sua destra che era rimasta vuota, dove avrebbe dovuto esserci seduto Sirius. 
“State facendo un ottimo lavoro, al Ministero-”  
Bellatrix, con i gomiti sul tavolo, si sporse così tanto verso l’ospite che i lunghi capelli neri arrivarono a sfiorare le posate. Pendeva dalle sue labbra. “-Ma, e potrete convenire con me, non è abbastanza.”  
Regulus poté vedere l’esatto momento in cui il cuore della cugina si spezzò.  
“Cosa stiamo sbagliando, mio Signore? Ce lo dica, faremo di più.” La sentì mormorare, con il labbro inferiore che tremava e il volto stranamente pallido. 
L’ospite sorrise. “Ci serve più organizzazione. Unione.” 
Orion annuì, grave.  
“I mezzosangue si stanno infiltrando non solo nelle più grandi famiglie purosangue, intaccando il nostro sangue, le nostre tradizioni e la forza della nostra magia, ma anche nelle scuole, negli ospedali, nella vita quotidiana di noi maghi...” Fece una pausa, saggiando con gli occhi la famiglia Black. Si leccò le labbra, soddisfatto, quando capì che tutti avevano attenzione solo per lui. “...Dobbiamo puntare a questo. Iniziare ad attaccare dalle strade, dal piccolo. Dove la feccia pensa di riuscire a nascondersi meglio tra di noi, dove agiscono indisturbati contro di noi.”  
“Sì, sì, assolutamente, mio Signore! Lo faremo! Lo faremo!” Bellatrix si alzò talmente di scatto che fece cadere la sedia all’indietro, ma non sembrò neanche accorgersene.  
“Tempo al tempo, Lestrange. Prima, dobbiamo rafforzare la nostra Unione... E non penso sia argomenti da discutere davanti a un bambino.”  
Il suo sguardo si posò su Regulus, che trasalì. Quello che aveva pensato fosse solo il riflesso delle candele, non era altro che il colore dei suoi occhi.  
“Regulus, vai in camera tua.” Ordinò il padre, senza osare guardarlo.  
Regulus si alzò, le gambe che sembravano fatte di gelatina.  
Un passo, poi un altro. Forse, Reg, puoi farcela. Sentiva gli occhi dell’ospite bruciarli addosso, scavare nella sua anima, tirare fuori quello che avrebbe voluto rimasse nascosto nei meandri della sua memoria. 
Sirius che gli sorrideva mentre saltava giù dalla finestra, i Carrow che lo difendevano alla stazione, Barty che gli passava gli appunti di Incantesimi, la sua discussione con Piton.  
“Saremo felici di averti con noi, dopo esser cresciuto un po’.” Gli sorrise, toccandolo sulla schiena quando passò di fianco a lui per uscire dalla sala. Era freddo come il ghiaccio.  
“Grazie, signore.” Mormorò, la voce che grattava dolorosamente la sua gola dopo aver passato così tanto tempo in silenzio.  
Dopo che si chiuse il portone che conduceva alla sala da pranzo alle sue spalle, corse a rotto di collo su per le scale, fino alla sua camera, senza fermarsi a prendere fiato finché non ebbe chiuso la porta della sua camera con un incantesimo. 
Colloportus.” Biascicò, cercando di tenere ferma la bacchetta con le mani che tremavano.  
Andò a nascondersi nel suo letto, avvolgendosi completamente con le coperte.  
Avrebbe voluto Sirius, vicino a lui.  
E invece non poteva neanche mandargli una lettera.  
Ingoiò il disappunto e la paura e provò a dormire.  
✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
“Cosa significa che non sai dove si trova?” 
 
L’ospite se n’era andato qualche ora dopo, lasciando tutti gli altri in un profondo stato d’agitazione. Dalla sua camera, Regulus riusciva a sentire chiaramente Rodolphus e Lucius litigare, mentre Bellitrix rideva sguaiatamente con Walburga che la intimava al silenzio.  
Nessuno venne a chiamarlo per la cena, nemmeno Kreacher, quindi rimase chiuso nella sua camera, scivolando tra il sonno e la veglia fino alla mattina seguente. 
 
“Cosa significa che non sai dove si trova?” Gli chiede di nuovo la madre, leggendo la Gazzetta del Profeta. Il padre fece colazione in silenzio, e velocemente si ritirò per andare al lavoro. 
“Non lo vedo da ieri, mamma.” Regulus cercò di concentrarsi sul suo porridge, controllando il respiro. 
“Non ti ho chiesto questo, Regulus.” Gli rispose, calma. “Perché mi stai mentendo?”  
“Non ti sto mentendo, mam-” Lo zittì con uno schiaffo.  
Il cucchiaino con cui stava facendo colazione cadde a terra tintinnando.  
“Non ci si comporta in questo modo, Regulus. Non si mente alla propria madre.” 
La guancia bruciava dolorosamente. 
“Dove è andato, Sirius?” Gli chiese nuovamente, la voce che diventava sempre più dura così come l’espressione nei suoi occhi. 
“Non lo so, mamma.”  
Piegò il giornale, mettendoselo sottobraccio. Con straordinaria lentezza, si alzò da tavola, ordinando a Kreacher di iniziare a mettere a posto. 
Si rivolse poi a Regulus, “Raggiungimi nel mio studio, tra mezz’ora. Non tardare.”. 
L’elfo gli si avvicinò di soppiatto, posando una delle sue lunghe mani rughese sopra al suo braccio, “Oh, Signorino Regulus...” Mormorò, concedendogli un sorriso tirato. 
Non riuscì a finire il porridge. 
 






NoteEccociiii, FINALMENTE inizia un po' d'azione, xD 
Vi prometto che da questo punto in poi inizia a succedere veramente qualcosa, ahah.
E (spoilerone) la prossima settimana inizia pure il grande gay la romance, <3
Quindi grazie se siete sopravvissuti ai primi capitoli d'introduzione, vi voglio bene. Grazie per ogni lettura, per ogni persona che ha salvato la storia nelle seguite, per ogni messaggino. 






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Capitolo 7
*** Secondo anno - Capitolo 6. James al Lumaclub. ***


Secondo anno, capitolo sei.  
James al Lumaclub. 
 
“Black, l’altro Black, non Sirius, sembra aver visto qualcosa... No, falso allarme... Potter ha la pluffa, si tuffa in avanti, supera Knight... ED È GOAL! Grifondoro rimonta con 80 a 120!”  
Regulus volava avanti e indietro cercando il boccino, e nel mentre sperava di non morire di freddo. Quel giorno pioveva a dirotto, e il vento era tanto forte che doveva tenere entrambe le mani sulla scopa per non venir spazzato via.  
“Forza, Reg!” Gli urlò Evan quando gli passò davanti.  
Il boccino, doveva trovare il boccino, prima che Grifondoro facesse un altro goal e soprattutto prima di Fortescue. Ma era difficile concentrarsi, quando i capelli bagnati non facevano altro che appiccicartisi sugli occhi. 
James Potter gli filò davanti, la pluffa sottobraccio diretto verso Rosier, in porta. Lo vide agitarsi sulla sua scopa, indeciso su quale dei tre anelli difendere.  
“Attenzione al bolide, Potter!” 
“Minus! Non sta a te avvertire i giocatori!”  
“Scusi prof.”  
Evan non riuscì a parare, rischiando anche di cadere giù dalla scopa. Volò vicino a lui per aiutarlo a rialzarsi, quando lo vide.  
Un luccichio, tanto piccolo da non farci neanche caso.  
Si voltò per Fortescue, ma non sembrava averlo visto: volava dalla parte totalmente opposta.  
Allora, si buttò. 
Era troppo vicino a terra, si sarebbe schiantato.  
Si sarebbe schiantato.  
Il freddo gli fece lacrimare gli occhi. 
Si sarebbe schiantato. 
Ecco, ci siamo. 
Allungò la mano verso il boccino... 
“BLACK HA PRESO IL BOCCINO! Cazzo, Alice, ma COSA STAVI FACENDO?!”  
“MINUS! TI STAI PER BECCARE UNA PUNIZIONE!”  
“OH, ANDIAMO PROFESSORESSA!” 

La Sala Comune di Serpeverde era in visibilio.  
Non avrebbero vinto la Coppa del Quidditch, erano sotto di troppi punti, ma avevano finalmente vinto la prima partita dell’anno. Ed era merito di Regulus. 
Amycus Carrow lo prese sulle spalle, mentre i più grandi si passavano qualche bottiglia di Whisky Incendiario, Acquaviola, rum e gin. La musica era alta, Aladdin Sane risuonava in ogni angolo del dormitorio, il tono delle voci anche. 
“Prendi Black!” Gli urlò Knight, passandogli un bicchiere. Fu prontamente fermato da Narcissa, che glielo strappò di mano. “E’ un bambino, Maynard.” 
“Lascia che si diverta, Cissy!”  
“Sì, lascialo divertire!” Si intromise Barty. 
Quella sera, Regulus, ebbe la sua prima sbronza. 
Il Whisky scendeva giù meglio, ma gli bruciava la gola. Allora provò uno shot di gin, ma il sapore era troppo forte.  
Con Barty si divise una bottiglia ghiacciata di Snakebite.  
Aveva sempre pensato che la sua prima volta sarebbe stato con Sirius: si immaginava spesso, da piccolo, fare le cose da grandi. Un bicchiere prima di andare a letto, come suo padre. Dare un tiro alla pipa del nonno di nascosto.  
Ma andava bene anche così. 
“Reg.” Biascicò Evan. “Bart, anche tu. Venite qui.”  
“Oh Ev, ma che vuoi.” Barty buttò le braccia al collo dell’amico.  
“Vi voglio bene, ragazzi, dico sul serio.”  
“Hai bevuto troppo.” Ma Regulus sorrideva.  
“Reg, Greengrass ti sta guardando.” Evan gli girò il volto con le mani, facendolo voltare verso Violet Greengrass, che sì: lo stava assolutamente guardando.  
La ragazza, imbarazzata, arrossì violentemente prima di distogliere lo sguardo. Avrebbe dovuto esserne felice? Perché non sentiva nulla? Evan erano mesi da stava morendo dietro Pandora, della Casa dei Corvonero, ma Regulus, d’altro canto... 
“Non mi interessa, Ev.”  
“Non ti interessa?!” Quasi urlò, scioccato da tale affermazione. “Reg, è uno schianto. E ha un anno più di noi! È più grande. Sei cieco, per caso? Non ci sono altre spiegazioni.”  
Barty si mosse a disagio tra di loro, abbassando lo sguardo, “Nemmeno a me piace, Ev. Odiosa so-tutto-io.” 
Regulus lo osservò incupirsi, come se una nuvola fosse passata sul suo volto, portando pioggia.  
“Ohw, sei geloso, Bart?” Evan gli sfiorò il viso con la mano, che venne ricacciata in malo modo con un gestaccio, “Bart vuole tutta per sé la Greengrass?”  
“Sei un tale coglione Rosier.” 
“Andiamo a vedere Knight fare il Burrobirra pong?” Regulus cercò di sviare il discorso, mettendosi in mezzo ai due. 
Barty annuì, ancora scuro in volto, le mani che adesso si scavavano nelle tasche dei suoi pantaloni. 
Evan invece scosse la testa, in dissenso “Sei strano Reg, ma è anche per questo che ti vogliamo bene.”  
E forse era vero, Violet Greengrass era davvero uno schianto, con i suoi capelli lunghi e le labbra sempre truccate di rosso, ma era difficile far battere il cuore a Regulus Black.  
C’erano stati dei momenti in cui aveva provato... qualcosa. Ma li aveva sempre messi a tacere, nascosti sotto al tappeto assieme alla polvere e a tutte le cose che non riusciva a dire.  
Perché a soli tredici anni, Regulus, sapeva di essere ancora un ragazzino e non pretendeva di sapere come il mondo dovesse girare, ma era abbastanza sveglio per capire che certe cose non si dovevano provare.  
Che era sbagliato, sporgersi dalla scopa, perdere di vista il boccino, per osservare Potter spettinarsi i capelli con la mano come se il vento non lo avesse fatto già al posto suo, avvicinarsi a Sirius per dargli una gomitata, vederlo chinarsi sulla scopa per dire qualcosa al portiere. 
Che era sbagliato, guardare Barty mordicchiare la punta della piuma e sporcarsi il mento di inchiostro, e voler allungare la mano per aiutarlo a pulirsi. Sentirsi strano quando poggiava il mento sulla sua spalla per aiutarlo nei temi, con i suoi capelli castani che crescevano sempre in modo buffo solleticargli il collo... 
Prendeva tutto questo di peso e lo nascondeva. Scuoteva la testa per farsi uscire i pensieri sbagliati dalle orecchie. 
E per un po’, questo bastava, davvero. 
 
Quella mattina il mal di testa e la nausea non tardarono a presentarsi. Regulus si trascinò fino alla Sala Grande per la colazione desiderando di essere preso in testa da un lampadario, almeno avrebbe avuto la scusa per chiudersi in infermeria a luci spente e non uscire fino alla fine di quell’orribile sensazione.  
Barty lo seguiva, nervoso e affamato, mentre Evan aveva deciso di rimanere nel dormitorio.  
“Portatemi un toast.” Aveva bofonchiato, la testa sepolta dentro al cuscino. 
“Te lo scordi, Ev.” Aveva risposto Regulus, uscendo. Barty non aveva spiccicato parola.  
“Festa grande ieri sera, fratellino?” Lo salutò allegro Sirius che invece stava uscendo proprio in quel momento dalla Sala Grande assieme al suo amico Potter, forse alludendo alle sue occhiaie.  
O alla cravatta allacciata male.  
O ai capelli spettinati. Chi lo sa. 
Si era guardato poco allo specchio, quella mattina. La luce del bagno gli aveva dato fastidio agli occhi. 
“Sirius, sta zitto.”  
“Ow, sta diventando grande!” Ridacchiò, allontanandosi con James, che invece lo salutò con un gesto della mano e un gran sorriso.  
Teneva i capelli scompigliati, come suo solito, da sotto la camicia slacciata si intravedeva la maglietta dei Chudley Cannons. Qualcosa si mosse nello stomaco di Regulus, ma diede la colpa all’Acquaviola della sera precedente.  
“Cosa abbiamo alla prima ora?” Chiese Barty, sbadigliando. Non fecero in tempo a prendere posto al tavolo dei Serpeverde, che già si era riempito il piatto con ogni tipo di genere alimentare. Regulus aveva lo stomaco così a soqquadro che faticò anche solo a finire il suo panino. 
“Incantesimi.”  
“Era meglio se stavamo a letto.”  
“Sei sempre in tempo per raggiungere Evan.”  
“Ormai Vitious m’ha visto in piedi, mi tocca.”  
Continuarono a mangiare in silenzio, entrambi desiderando al più presto finire le lezioni per poter tornare a letto quando furono approcciati da Violet Greengrass, che sembrava non aver avuto alcun effetto dalla serata appena passata.  
“Regulus?”  
“Mh?” Alzò lo sguardo, verso la ragazza, non senza prima aver dato un calcio sotto al tavolo a Barty che sembrava aver scordato come si respirasse.  
“Il professore Lumacorno mi ha chiesto di darti questa.” Gli passò una lettera, sorridendo. “Anche per te, Crouch.” Cambiò improvvisamente tono, rivolgendosi al suo amico.  
“Grazie, Violet.” 
La ragazza sorrise prima di andarsene, e Barty gli lanciò un’occhiataccia, mentre pugnalava l’uovo nel suo piatto con la forchetta. 
“Lumaclub, prossima settimana.” Disse, leggendo la lettera.  
“Sarà una noia mortale.” 
“Probabile.”  
 
Salutarono Evan alla Sala Comune, lasciandolo nel bel mezzo di una partita a scacchi “Divertitevi, io non vi invidio affatto.” Disse, mentre una delle sue pedine divorava il cavallo avversario.  
E sinceramente, nemmeno Regulus sarebbe stato invidioso al posto suo. 
L’ufficio del professor Lumacorno presentava una notevole quantità di piccoli premi e trofei, foto ricordi, antefatti magici antichissimi, “Questo è un regalo della carissima Annaliese Cups, una delle più brillanti Indicibili del nostro tempo... Viaggia molto, sa, signor Black? Viene dall’Egitto! Terra curiosa...”  
“Assolutamente, professor Lumacorno.” Sorrise educato, facendo domande e chiedendo informazioni: Lumacorno ne era entusiasta. Non si poteva certo dire che Regulus non fosse bravo in questo tipo di situazioni formali, grazie a tutti i balli e le cene e i ricevimenti a cui aveva dovuto partecipare da bambino. 
Sorrideva educatamente, parlava poco, faceva molte domande fingendosi interessato: il suo atteggiamento mansueto e l’aria da piccolo lord attiravano presto la simpatia degli adulti e la loro benevolenza. 
Furono interrotti da una ragazzina con una lunga cascata di capelli rossi, che approcciò il professore tenendo tra le mani una grossa ampolla di vetro, piena d’acqua. “Professore, ho perfezionato l’incantesimo... se vuole, glielo potrei mostrare.” Un’affermazione che suonava più come una domanda. 
Lumacorno batté le mani, entusiasta. “Certo, certo! Signor Black, questa comunque è Lily Evans, dei Grifondoro... Un’alunna davvero brillante, se posso permettermi di un giudizio! Vieni, andiamo, mostrami questo incantesimo...” Se ne andarono, lasciando Regulus davanti alla vetrina contenente gli antefatti. Da dietro il vetro, la foto di una strega con i capelli rasati gli fece la linguaccia. Aveva un dente scheggiato.  
Si guardò in giro, cercando Barty, ma trovandolo occupato in un’accesa discussione con un Tassorosso del quinto anno decise anzi di tornare al tavolo del buffet per riempirsi un bicchiere di Burrobirra. 
“Annoiato?”  
Regulus trasalì, rovesciandosi un po’ di drink sulla divisa scolastica “Potter?”  
“Al suo servizio.” Gli passò un fazzoletto, e nel prenderlo le sue dita sfiorarono le sue. Aveva le mani veramente calde. 
“Non pensavo facessi parte anche tu del Lumaclub.” Era sembrato troppo sorpreso? Si sarebbe offeso? O meglio: perché gli importava così tanto, di come avrebbe preso le sue parole. Era solo il migliore amico di suo fratello. 
Nient’altro. 
“Oh sì, beh, penso di essere qui perché mio nonno ha inventato una pozione per capelli penso- sicuramente non per i miei voti in Pozioni, che sono tutto merito di Rem.” 
“Ohw.”  
“Sì, non dirlo a Lumacorno però va bene?”  
“Non lo avrei mai fatto!”  
“Lo so.” Gli sorrise, “Era solo per sicurezza!”  
E poi parlò. Parlò molto. Di scuola, per chi sa quale motivo della Evans, della collezione di Gobbiglie di Minus, della scopa nuova che gli aveva regalato suo padre per Natale, di Quidditch... 
“Hai visto la finta che ha fatto Wronski dei Grodzisk Goblins, Polonia Ungheria, sotto dicembre?”  
“Io- Non ho avuto molto tempo di guardare il Quidditch, abbiamo avuto... ospiti.” Pensò con un brivido all’incontro con quell'uomo. Il modo in cui tutti stavano pendendo dalle sue labbra. Una fitta di dolore sulla schiena, il ricordo di dove lo aveva sfiorato. 
“Oh, già.” James sembrò... triste? Deluso? Non aveva idea di quello che era successo durante Polonia-Ungheria, non aveva idea di come continuare il discorso. 
Ed eccolo, si disse Regulus. Il momento in cui Potter avrebbe capito che con Sirius condivideva solo il cognome. Il momento in cui avrebbe capito che non era simpatico, intelligente, affabile, interessante come il fratello.  
Con i suoi compagni di Casa, era facile brillare. Non avevano conosciuto Sirius, o se lo avevano fatto sicuramente non correva buon sangue. Ma con una persona che tutti giorni poteva vedere quanto invece fosse brillante Sirius? Non aveva speranza.  
“Mi dispiace, Reg. Davvero.”  
“No, no, è uguale, cioè Evan mi ha raccontato quello che mi sono perso, tornato a scuola... E poi non è che segua così tanto il Quidditch-”  
“No, dico...” Lo osservò mordersi il labbro, guardarlo strano da dietro le lenti spesse degli occhiali. “Sirius ci ha raccontato tutto.”  
“Tutto?”  
“Della vostra mamma. Di quello che vi fa, che hai avuto paura a venire da noi, lo scorso inverno...” Non avrebbe voluto, ma arrossì violentemente.  
Non rispose, e allora James riprese “E beh, mamma e papà hanno detto a Sirius che può venire da noi quando vuole, e anche tu sei vuoi. Abbiamo veramente tante stanze, non devi aver paura, puoi venire quando vuoi.”  
Regulus strinse i pugni, mentre l’imbarazzo iniziale si trasformava in rabbia. “Sirius ha detto tante cazzate, allora.” Sputò fuori, tremando.  
Vide James trasalire, allontanarsi da lui. “Reg io-”  
“Non capisci nulla, Potter.”  
Per la prima volta ad Hogwarts, si sentì impotente. Non aveva bisogno d’aiuto. Non aveva paura. Non in quel momento, con i pugni tanto stretti da iniziare a sentire le unghie penetrare nella carne dei palmi. 
Ma cosa poteva saperne, Sirius? Negli ultimi anni non c’era mai stato. E anche quando era lì con lui, non c’era davvero.  
Non si ricordava nemmeno l’ultima volta che aveva parlato. Parlato per davvero. A Grimmauld Place, a Hogwarts, da zio Alphard: tutto gli era sembrato... superficiale. Parlava con James, adesso?  
“Reg...” Sembrava sinceramente ferito dalla sua reazione.  
“Non chiamarmi così, non sono uno dei tuoi amici.”  
 



Note: Hello! 
Questo capitolo li avevo in testa prima ancora di dover iniziare la storia eheh, spero vi sia piaciuto! 
Il James che vuole sempre salvare tutti e che è buono per il semplice fatto di essere buono ha un posto speciale nel mio cuore e scriverlo è una gioia <3 
Ci sentiamo? Vediamo? la prossima settimana! 
Vi spoilero che il prossimo capitolo avrà uno scontro assurdo tra i fratelli Black che segnerà un punto decisino nella loro relazione quiiiindi, vi consiglio di non perdervelo! 
Alla prossima <33

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Capitolo 8
*** Secondo anno - Capitolo 7. L'estate del matrimonio. ***


Tw. Omofobia interiorizzata, esteriorizzata.

Secondo anno. Capitolo sette. 
L’estate del matrimonio. 
 
La magione dei Malfoy gridava opulenza ovunque ti voltassi.  
Dai pavoni bianchi che infestavano il parco, alle grandi colonne corinzie che decoravano le mura della villa, fino alla piscina dietro alla proprietà.  
Fu la prima estate di Regulus senza lo zio Alphard, senza la Francia, senza le lunghe passeggiata in spiaggia al fianco di Sirius. Fu un’estate che estate non sembrò affatto, nonostante le maniche corte e il caldo che si infrangeva contro le grandi finestre della biblioteca, dove Regulus aveva iniziato a trovar rifugio.  
Qualche volta veniva raggiunto da Sirius, che sembrava però essere sempre troppo occupato a rendere la vita di tutti gli altri un inferno, insofferente agli incantesimi di lacerazione che usava la madre per punirlo o alle sue urla, ma spesso era solo. Aveva iniziato a trovare conforto, nella solitudine.  
Anche la biblioteca, ovviamente, rifletteva a pieno titolo lo spirito dei Malfoy: lunghi tavoli di marmo, scrittoi e altissime librerie in mogano, grandi poltrone rococò dal tenue colore verdastro. 
Potevi, però, trovarci ogni tipo di libro: da antichissimi manuali di magia oscura, a normalissimi testi di Trasfigurazione base, fino alle biografie dei più illustri maghi antichi o alle più ricercate e costose prime edizioni.  
La categoria preferita di Regulus, però, erano i libri dei babbani.  
Si ricordò delle parole che gli aveva rivolto il padre, qualche anno prima: creature tante curiose, i babbani. 
Scovati nell'angolo più remoto della biblioteca, tra un trattato di Newt Scamander per la legislazione dei Lupi Mannari in Gran Bretagna e un noioso saggio sull’accoppiamento dei Marciotti, avevano su di loro uno strato così spesso di polvere da far intendere che nemmeno Abraxas Malfoy -e tanto meno il figlio, Lucius- sapessero della loro esistenza. 
Probabilmente, Regulus, era l’unico in tutta la casa ad averli scoperti. 
Il primo libro che lesse fu Don Chisciotte della Mancia, seguito da Frankenstein, e I Miserabili di Victor Hugo, che divorò in pochi giorni. Ma il suo preferito, fu sicuramente Maurice, la cui spoglia e scura copertina mai gli avrebbe potuto far immaginare il dolore che gli avrebbe fatto provare. 
Perché tra una lettura e l’altra, qualcosa si mosse tra le costole e il cuore, stringendo e strizzando e dilaniando, lasciandolo sdraiato a letto con il libro aperto posato sul petto e lo sguardo rivolto al soffitto. 
Qualcosa che, forse, sarebbe stata meglio tenerla nascosta, anche a sé stesso.  
E c’erano davvero stati momenti in cui aveva pensato di strappare il libro, lanciarlo fuori dalla finestra e fare finta di essere normale 
Era qualcosa di viscerale, terrificante, nuovo. Qualcosa che lo lasciava senza fiato nel cuore della notte. 
Il sogno di sguardi color nocciola che sapeva non avrebbe mai dovuto voler desiderare. 
 
Ma intanto, Narcissa e Lucius decisero di sposarsi l’ultima settimana di luglio, in quella che avrebbe dovuto essere la prima giornata di sole dopo una settimana di piogge torrenziali. 
Tra gli ospiti invitati alla festa, anche la famiglia Greengrass, che arrivò qualche giorno prima della cerimonia ufficiale: con loro, ovviamente, la figlia maggiore Violet Greengrass.  
E Regulus fece quello che ogni ragazzo nella sua condizione avrebbe fatto: provò a farsi piacere Violet. A godersi ogni bacio scambiato con lei nascosti nello sgabuzzino vicino alle cucine, il sapore del lipgloss alla fragola che si metteva e quello della gomma che aveva il vizio di masticare nonostante i rimproveri della madre. 
Sperava che ogni bacio, sempre troppo umido, troppo appiccicoso, troppo superficiale, potesse scacciare via James Potter dalla sua testa. 
James Potter che correva per i corridoi con la camicia fuori dai pantaloni, James Potter che si cambiava al volo prima di giocare a Quidditch, James Potter che si tirava gli occhiali sulla testa, per portarsi i capelli via dalla fronte. 
Jamesjamesjamesjamesjames... 
James Potter alla festa di Lumacorno, che lo guardava deluso.  
A Sirius non aveva detto nulla, né del loro litigio né della proposta del suo amico di aiutarlo, e non ne vedeva il motivo. Probabilmente lo aveva saputo da Potter stesso molto tempo prima, e se non aveva tirato fuori il discorso con Regulus fino a quel momento, c’era sicuramente stato un motivo.  
Sperò che il motivo fosse stato il suo essere stato abbastanza convincente, che no, non gli serviva aiuto. Specialmente il loro. 
E Violet era fantastica, lo era davvero.  
Regulus, se fosse stato diverso, sapeva che non avrebbe faticato a volerla vicino. Le piaceva leggere, l’Erbologia, e Cura delle Creature Magiche. Teneva i capelli castani sempre raccolti in una treccia lunghissima, non aveva paura di sporcarsi di terra quando giocava a Quidditch fuori nel parco. Ed era simpatica, divertente, senza mai essere cattiva.  
Ma era Violet. Solo, Violet. 
E non riusciva ad apprezzarla come avrebbe voluto, nonostante gli sforzi. 
 
“Black, ci sei?” Violet gli schioccò le dita davanti al naso, per attirare la sua attenzione. 
“Uh?”  
“Non può funzionare tra noi.” All’inizio glielo disse come uno scherzo, un sorriso sulle labbra brillanti che iniziò però presto a scemare, “Sei carino, ma è come se con me non ci fossi mai, veramente.” 
Regulus evitò di rispondere, abbassando lo sguardo colpevole. 
“Non ti dispiace neanche un po’?” Continuò, e sembrava ferita. Si sentì in colpa.   
No, non come dovrebbe davvero dispiacermi. “Sì che mi dispiace, Violet.” 
Lei sorrise appena. “Farò finta di crederti.” 
✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
Violet non fu però l’unica persona che baciò quell’estate, perché dopo di lei, arrivò Rabastan. 
Mollò la scuola quando Regulus era al primo anno, prima ancora dei G.U.F.O, era il fratello minore di Rodolphus Lestrange e Sirius non lo sopportava: ogni occasione era buona per una discussione. Che si parlasse di Quidditch, o di Incantesimi, e, Salzar non voglia, di politica. 
A Regulus, invece, affascinava. E Forse erano i modi, i capelli che arrivavano all’altezza delle scapole ed il volto affilato o forse era semplicemente il fatto che era più grande, ma qualche volta, solo qualche volta, il suo stomaco smetteva di stringersi al pensiero di James. 
 
Quella notte Narcissa danzava con Lucius, sotto le innumerevoli luci del gazebo, il vestito bianco da sposa che sembrava opalescente come le madreperle del suo diadema. 
“Vieni fuori?” Gli chiese Rabastan, sorseggiando un Whisky Incendiario.  
“A fare cosa?”  
“Due chiacchere.” Si strinse le spalle, invitandolo ad uscire dal patio. 
Lontano dalla confusione, dalla musica e dalle risate, l’unico suono che riusciva a sentire Regulus era quello dell’acqua delle fontane del parco e il frinire dei grilli. 
“Come te la cavi in Astronomia?” Gli chiese, alzando il naso all’insù. 
“Non l’ho ancora studiata, è un argomento del terzo anno.”  
Rabastan ridacchiò, avvicinandosi a Regulus. Gli passò un braccio sulle spalle, non senza avergli prima sfiorato la nuca con le dita. Con un brivido, si chiese se lo avesse fatto apposta.  
“Quello, sei tu.” Con l’altro braccio gli indicò la volta celeste davanti a loro. “Regulus, nella costellazione del Leone. Il cuore, del Leone. Più su, il Cancro, ancora più in alto Pollux.”  
“Lo hai studiato a scuola?”  
“Da solo. Credimi, Hogwarts è una scuola solo sulla carta. Ha smesso di insegnare qualcosa di utile da quando è diventata filo-babbana con quel preside amico dei mezzosangue, per questo me ne sono andato.” Aggiunse, poi, con un filo di voce che a stento non ne tradiva l’eccitazione, “Ho anche trovato insegnanti migliori.”  
“Tipo chi?”  
“Tipo il Signore Oscuro.”  
Regulus distolse lo sguardo dalle stelle, per posarlo su quello di Rabastan. 
“Chi sarebbe?”  
“Oh, lo hai già conosciuto, fidati. E te lo ricordi anche, perché è impossibile scordarselo.”  
Lo guardò in modo indecifrabile, prima di ritirare il braccio che lo stava stringendo. 
La sua mano indugiò nuovamente sulla sua nuca, giocando con i ricci all’attaccatura dei capelli.  
Fallo, pensò Regulus. Fallo, adesso, almeno ne avrò la prova. Voglio essere cattivo, sbagliato, disgustoso fino in fondo. 
E Rabastan, come se avesse potuto leggergli nel pensiero, lo fece.  

Prima fu solo un soffio, uno sfiorarsi di labbra. Poi tornarono più aggressive, premendo nuovamente su quelle di Regulus, più forte questa volta, costringendole ad aprirsi.  
La sua lingua scivolò dentro, aggressiva, ingorda di tutto quello che poteva assaggiare.  
E non era nulla come Violet, pensava Regulus mentre anche le sue mani andavano tra i capelli di Rabastan, tirandoli, avvicinandosi a lui con tutto lo spazio e la forza di cui era a disposizione. 
Con lei, chiedeva solo un attimo di tregua. Con lui, non osava neanche interrompere il bacio per riprendere il respiro, per quanto sbagliato sapeva che fosse. 
“Reggie?” 
Rabastan lo scostò di colpo, rosso in volto e spettinato.  
Guardò Sirius, che altrettanto rosso in volto osservava la scena a distanza, e mentre spostava lo sguardo su entrambi i fratelli Black per un po’ nessuno parlò. 
Il silenzio fu interrotto proprio da Rabastan, che spinse Regulus sull’erba, lontano da sé. “Stai lontano, finocchio del cazzo.” Bofonchiò, mentre Regulus cadeva all’indietro, incapace di dire anche solo una parola. 
Non riuscì a vedere quello che successe dopo, occupato a rialzarsi col desiderio di essere ingoiato in quel momento, tutto intero, dalla terra sotto il suo corpo; quando alzò lo sguardo, vide solo Rabastan tenersi il volto con entrambe le mani, il colletto della camicia e le dita sporche di sangue. 
“Me la paghi, Black.”  
“Ah sì? E io dico a tuo padre che ti ho visto infilare la lingua in bocca a mio fratello. È per quello che ti ha ritirato da scuola, no? Altro che sono troppo bravo per i G.U.F.O e bla ba bla, ti hanno beccato a fotterti Allock nel dormitorio dei Corvonero, me lo ricordo.”  
Rabastan alzò la bacchetta, il naso gonfio e rosso di sangue, e per un attimo Regulus pensò fosse davvero pronto a colpirli e la sua mano scivolò sul manico della sua bacchetta, che teneva nella tasca posteriore dei pantaloni. 
Ma poi quello l’abbassò, e lasciò il parco, furente e senza mai guardarsi indietro. 
“Cosa volevi, Sirius?” Regulus si sentiva ancora scosso, la sua voce uscì flebile come un soffio. Avrebbe voluto dire che era per quello che era appena successo, ma in verità stava ancora pensando al bacio ricevuto, a come aveva reagito. La ragione gli diceva che avrebbe dovuto provare disgusto, invece ne avrebbe voluto ancora. 
“Nulla, ti stavo solo cercando... Alla festa non c’eri più, e non volevo rimanere da solo.”  
“Proprio adesso, non volevi stare da solo?” Gli scappò, e subito dopo si odiò per quello. Nell’ultimo periodo era diventato molto bravo a ferire le persone che tenevano a lui, e non gli piaceva per niente. 
Sirius lo guardò con la bocca socchiusa dalla sorpresa, “Io- no, senti non importa. Cosa diavolo era quello?” Gli chiese poi, indicando con una mano la direzione dove Rabastan si era ritirato pochi attimi fa. Aveva le nocche arrossate. 
“Nulla.”  
“Nulla? A me sembrava qualcosa.”  
“Non era nulla.” Evitò di guardarlo negli occhi.  
“Lo sai cosa potrebbe farti la mamma se lo venisse a scoprire?”  
“Nulla. Perché non c’è niente da scoprire.” 
“Vuoi far cadere questa maschera da figlio perfetto e ascoltarmi un secondo, Reggie?” Sirius aveva alzato la voce, portandosi una mano ai capelli. “Non posso andarmene e lasciarti così, dobbiamo parlarne, per favore.”  
“Non è successo nulla.” Iniziava a tremargli la voce, mentre faticava a trattenere le lacrime. 
“Per Godric, Reggie, smettila. Solo, smettila! Questi vanno in giro a torturare nati-babbani per gioco, hai idea di cosa potrebbero farti? Devi parlarmi, Reggie, dobbiamo fare qualcosa! Devi andarten-”  
“Sono la nostra famiglia, Sirius!” Urlò, “E poi non è successo nulla, non capisco perché devi sempre insister-”  
“ZITTO REG. Godric, smettila di dire cazzate per un secondo. Una famiglia che ci ama non ci tratterebbe così!”  
Regulus rimase in silenzio, le lacrime che gli bruciavano sul volto. Se le pulì via con il dorso della mano. 
Anche Sirius stava piangendo, provandolo a nascondere abbassando il volto, lasciando che i capelli lo coprissero.  
“Perché hai detto a James che ho mentito? Sulla mamma?” Gli chiese infine. Regulus aveva temuto quel momento, e finalmente era arrivato.  
Non rispose, e i minuti passavano. Lenti, inesorabili. Ogni secondo di silenzio andava a posare un mattone sul muro che aveva iniziato a formarsi tra di loro. 
“Mi dispiace, Reggie, ma se davvero hai intenzione di difenderli fino allo sfinimento, non abbiamo molto da dirci.”  
Si ritirò, attraversando il parco a grandi falcate.  
E Regulus, rimase da solo. 






Note: Uhlalà.
Buongiornissimo, caffè? 
Sono sincera, ho letto e riletto questo capitolo un milione di volte eppure c'è sempre qualcosa che mi urta allo stomaco, non saprei dire cosa però.
EEEEH, spero comunque che vi abbia trattenuto abbastanza da farsi sospirare in attesa del prossimo mercoledì (eheh, scherzo ovviamente. Ma se così fosse, ditemelo perché mi farebbe sorridere.).

 

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Capitolo 9
*** Terzo anno - Capitolo 8. Suonavano gli ABBA. ***


Terzo anno, capitolo otto.  
Suonavano gli ABBA. 

“Vi ho cercato ovunque.”  
Regulus aprì la porta scorrevole dello scompartimento, trascinando dentro il baule non senza qualche lamento. 
“Vieni Reg, t’ho tenuto il posto.” Barty si spostò verso Evan, lasciandogli un angolo a ridotto del finestrino. 
Lo scompartimento non era mai stato così pieno: schiacciati nelle poltrone, davanti a loro, Violet Greengrass stava seduta in braccio a Maynard Knight, che condivideva il posto con i fratelli Carrow e un ragazzino minuscolo che doveva essere sicuramente il fratello minore di Knight -stesse lentiggini sul lungo naso aquilino, stessi piccoli occhi neri e capelli castani.  
Dall’altra parte, Evan, Barty e Severus Piton. 
“Siediti, Black, ti stavano aspettando per iniziare.”  
“Iniziare cosa?”  
Prese posto, accanto a Barty. Erano così stretti che non solo le loro braccia si sfioravano, ma la sua gamba aderiva completamente a quella di lui. Non aveva indossato ancora la divisa e i suoi pantaloncini gli lasciavano scoperta la pelle nuda: Regulus cercò di non pensare a quanto calda fosse, a contatto con i suoi pantaloni. Durante l’estate si era anche lasciato crescere i capelli, che adesso gli ricadevano quasi fino al mento, e il sole li aveva schiariti talmente tanto che adesso presentavano un leggero biondo sporco, al contrario del solito castano chiaro. 
Gli lanciò un sorriso, e se Regulus non avesse tirato indietro la testa contro il finestrino probabilmente i loro nasi si sarebbero scontrati. 
Aveva una crosta sopra al labbro, un po’ gonfio, uno degli incisivi sembrava sbeccato. Non si erano scritti molto quell’estate e si sentì in colpa per quello, così occupato a casa Malfoy si era completamente scordato di quanto fosse dura per Barty tornare a casa sua, quanto suo padre fosse... severo, per certe cose.  
“Cosa sapete di quello che è successo quest’estate?” Knight iniziò a parlare, leccandosi le labbra. 
Evan abbassò lo sguardo, imbarazzato, lo stesso fece Violet. “Poco.” Rispose invece Barty, che non aveva peli sulla lingua. “Nulla, oserei dire.”  
Severus rimase in silenzio, le braccia incrociate al petto.  
“Ci sono stati degli attacchi, ci stiamo muovendo.” Riprese il Serpeverde più anziano, prima di essere interrotto nuovamente dall’altro. 
“Muovendo chi? Noi, chi?” Barty socchiuse gli occhi, iniziando ad agitarsi sul posto. Si spinse accidentalmente contro Regulus, che adesso era totalmente schiacciato contro il finestrino. 
Noi, che crediamo in lui.” Fu Alecto Carrow a rispondere, aprendosi in un sorriso verso il ragazzo più piccolo.  
“Potete parlare chiaramente?” Sbuffò Evan.  
“Stanno parlando di Voldemort. Manda avanti una politica anti-babbani e anti-mezzosangue da anni ormai. Mi sorprendo che tu, Rosier, non ne sappia nulla considerando la rilevanza che ha la tua famiglia in quell’ambiente. Anche te, Black, non mi aspettavo di trovarti così silenzio.” Piton si alzò dal suo posto, sempre le braccia incrociate al petto. “Cosa state cercando di dirci?”  
Regulus iniziò a comporre di pezzi del puzzle.  
L’ospite che era venuto a casa sua un anno prima.  
Il Signore Oscuro di cui aveva parlato Rabastan.  
Più volte, aveva captato i suoi genitori discuterne, quell’estate, assieme alla famiglia Malfoy. 
“Ci sarà una guerra, Severus. E se ci facciano notare adesso quando avremo finito la scuola potremmo combattere tra le sue fila. E quando vinceremo, saremo ricompensati.”  
Una guerra?  
“Contro chi?” Barty aveva iniziato a mangiarsi le unghie, mentre fissava dritto davanti a sé. 
Nonostante il posto che aveva lasciato Severus Piton alzandosi, non si era allontanato da Regulus nemmeno di un centimetro.  
E sperò che non lo facesse, perché avere qualcuno così vicino era in qualche modo confortante. 
“I traditori dal sangue sporco. I mezzosangue che vogliono rubarci la magia. I babbani.”  
“Non ho letto nulla sulla Gazzetta del Profeta quest’estate.” Violet si girò verso Knight, con aria interrogativa.  
“Il Ministero è pieno di adoratori dei mezzosangue, non possiamo fidarci delle informazioni che ne derivano. Senza offesa, Crouch.”  
Barty alzò le spalle, non curante dell’affermazione contro suo padre. 
“Mangiamorte.” Disse infine Regulus. “Si chiamano Mangiamorte, i suoi seguaci. Ho sentito mio padre che ne parlava con mia cugina e suo marito, i Lestrange.” 
Severus non perse occasione di canzonarlo, sorpreso dal suo intervento. “Oh, sembra che il gatto abbia sputato la lingua di Black...”  
“Zitto, Piton.” Barty lo guardò con disgusto. 
“Non litighiamo tra di noi!” Knight si mise in mezzo tra i due. “Vi abbiamo voluto parlare di ciò perché ci fidiamo, e sappiamo dove cade la vostra lealtà. Fidatevi, quest’anno ne vedremo delle belle.” 

Evan non aveva ancora finito il suo budino che, con uno schiocco delle dita del Preside, Albus Silente, tutto il cibo scomparve dalla tavola, lasciandolo stranito con un cucchiaio vuoto in mano. 
“Benvenuti ad un nuovo anno ad Hogwarts, spero abbiate passato delle buone vacanze e che il banchetto sia stato di vostro gradimento!” 
“Se avessi potuto finirlo...” Bofonchiò Evan, scuro in volto. Regulus gli chiede una gomitata nel fianco, soffocando le risate.  
“Questo sarà un anno particolare. Girano voci su un certo gruppo di maghi... oscuri, che vanno in giro a farsi chiamare Mangiamorte.” La parola causò un eccesso di mormorii per la Sala Grande, che furono presto richiamati all’ordine da un cenno del Preside. “Ma non c’è motivo di preoccuparsene, non ad Hogwarts. 
Sempre, la scuola sarà aperta a chiunque, sempre offrirà aiuto e protezione a chi lo chiede. Indipendentemente dalla sua famiglia.”  
Un ululato a supporto delle sue parole si levò dal tavolo dei Grifondoro, dove Regulus vide suo fratello e James alzarsi in piedi per applaudire il Preside, presto seguiti da molti altri studenti.  
“Grazie signor Potter, e signor Black, ma gradirei rimaneste seduti al vostro posto.” Sorrise gentile, mentre James dal posto gli urlava le sue scuse. 
 
Quella notte, nel dormitorio, Regulus rimase sveglio a lungo. 
Ripensava a sua cugina, Bellatrix, che entrava nel maniero dei Malfoy fasciata in un lungo abito nero, la bacchetta infilata nei capelli e lo sguardo da pazza. Sorrideva, però. “Salite in camera vostra!” aveva ordinato a lui e a Sirius la madre, mentre si affrettavano tutti intorno a Bellatrix per avere notizie di cosa fosse successo.  
Lui e il fratello si erano nascosti in cima alle scale, attenti a non fare il minimo rumore per non farsi scoprire. Quasi, non osavano respirare, mentre ascoltavano Bellatrix farneticare su un incendio in un villaggio su un'isola a nord dell'Irlanda. 
“Tra poco saranno abbastanza grandi, zia! Fammeli portare con me, si divertiranno!” 
“A tempo debito, Bella.” Avevano sentito la voce di Orion rispondere, al posto della madre. 
Lui chiede una prova della vostra lealtà, quale modo migliore se non-”  
“E l’avrà.”  
Aveva visto Sirius tremare di labbra, le labbra ridotte ad una linea sottile e le sopracciglia corrucciate.  
Regulus sbuffò.
In quel momento, nel buio della loro stanza, Evan che russava piano e il respiro regolare di Barty erano gli unici suoni, assieme allo scoppiettio del fuoco nella stufa.
 
Si alzò dal letto, incapace di mettere a tacere i pensieri. Da prima ancora di tornare ad Hogwarts, era come se tutti implicitamente gli stessero chiedendo di prendere posto, di fare una scelta.  
Si trovava di fronte a un bivio, ma non importava qualunque strada decidesse di intraprendere, avrebbe perso in ogni caso.  
Si avvicinò alla finestra, stretto in una coperta di pile. 
Non c’erano le stelle, solo l’acqua che turbinava scura. 

✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚
Divinazione era una delle prime materie nuove che avrebbero affrontato quell’anno.  
L’aula si trovava si trovava in una delle torri del castello, e appena varcata la porta vennero investiti da un forte odore di sandalo, di fiori secchi e frutta andata a male. L’intero pavimento era coperto da innumerevoli tappeti a forma di cuore, e le finestre erano chiuse, coperte da degli enormi tendaggi di velluto che se non fosse per il loro colore rosa shocking a Regulus avrebbero ricordato quelli di Grimmauld Place. 
Quel giorno condividevano l’aula con i Corvonero, e la professoressa Opunzia, una vecchia donna secca come un chiodo, tanto magra da pensare che un soffio di vento potesse portarla via, pensò che fosse una buona idea mischiare le due classi, per avere delle letture più oggettive delle loro mani. 
Regulus finì in coppia con Sibilla Cooman, che lo scrutava da dietro gli occhiali spessi come se avesse dovuto leggergli l’anima, e non la mano. 
“Vengo da una nota famiglia di Veggenti, quindi non ti stupire per l’accuratezza delle mie letture.” Gli disse, afferrandogli la mano per attirarla a sé, in un tintinnio di braccialetti e anelli. “Dammi la mano, fammi vedere, fammi vedere...” 
Regulus si guardò in giro, a disagio. Evan, che era finito in coppia con Pandora Lovegood, era rosso come un peperone e le teneva la mano come se si trattasse di una reliquia sacra.  
“Quasi fatico a distinguere le varie linee, brutte mani, proprio brutte...” 
“Beh, grazi-”  
“Shh. Significa poca fortuna. Sei un ragazzo sfortunato, ne deduco. Io mi terrei al corrimano se scendessi delle scale. Sia la linea dell’amore, che quella della vita si intersecano. Morirai giovane, ma consolati! Amerai tanto. O sarai amato, tanto.”  
“Come fa a consolarmi?” Regulus ritirò la mano, offeso, ma lei la riprese con più forza di prima.  
“Due linee! Sei in mezzo ad un triangolo amoroso per caso? Alla fine, dovrai fare una scelta.”  
I profumi degli incensi che bruciavano nei bracieri iniziarono a dargli alla testa, e la vita orribile che gli aveva appena predetto la sua compagna stavano iniziando ad innervosirlo.  
“Tocca a me adesso.” Disse brusco, aprendo il libro di Divinazione alla pagina della lettura dei palmi. 
“A me non servono certi strumenti, sai, il contatto con il superiore o ce l’hai o non ce l’hai, non è mica una cosa che si impara.”  
Ignorando il suo commento, le afferrò la mano -non proprio gentilmente-, confrontandola con l’immagine del libro. 
“Avrai una vita insignificante e un lavoro che odi.” 
“Non è vero!”  
Regulus le spinse il libro davanti. “Controlla tu stessa allora.”  
Sibilla aprì la bocca per protestare, quando la professoressa annunciò che la lezione era finita.  
Si sbrigarono a buttare giù su un foglio di pergamena le letture appena fatte, prima di caricarsi la borsa con i libri sulle spalle per incamminarsi verso la prossima lezione.  
Sibilla era talmente infuriata che non si preoccupò nemmeno di salutare Regulus, mentre gli dava le spalle per uscire dall’aula.  
“Cosa vi hanno detto?” Chiese Evan, il quale era stato il primo a finire il compito. Li aveva aspettati davanti all’aula, per uscire tutti assieme. 
“Avrò una vita lunga ma di merda, la mia anima gemella morirà giovane, non una gioia né una fortuna.” Rispose Barty, scendendo le scale davanti a lui e a Evan.  
“Pure io. Però mi tocca pure morire giovane.” Rispose Regulus.  
“Pensa te! Anche io!” Evan gli chiede una pacca sulla spalla, ridendo. 
“Alle nostre corte e schifose vite senza amore allora.” Barty si voltò verso di loro, alzando la mano come se stesse fingendo un brindisi con i suoi amici. 
“Alle nostre corte e schifose vite.” Gli fecero eco gli altri due.  
Erano degli idioti, ma a Regulus erano mancati da morire.  

Mentre gli alberi perdevano le loro foglie, arrivarono anche le prime partite di Quidditch. 
La prima la persero, contro Tassorosso. La seconda, contro Corvonero, vinsero con enorme vantaggio, rimontando dei punti persi. 
Knight, che era ormai al suo ultimo anno, li costringeva ad allenarsi quasi tutti i giorni, occupando il campo ogni volta che gli veniva permesso: che ci fosse la pioggia, il vento o che gli anelli fossero ancora ghiacciati per il freddo della sera precedente. 
“Ottimo lavoro ragazzi, Moss ottimo lavoro con quel passaggio, sei stata grandiosa.” Atterrarono che il sole stava già iniziando a tramontare, era quasi ora di cena. Quel giorno gli allenamenti si era accavallati, e dovettero dividere il campo con la squadra di Grifondoro. 
Non gli era sfuggito il modo in cui Sirius aveva cercato di attirare l’attenzione su di lui, per tutta l’ora passata, dal colpire il bolide con la punta della mazza fino ad una Bludger Backbeat che avrebbe fatto impallidire qualunque giocatore professionista.  
O forse non lo aveva neanche fatto apposta, gli risultava difficile a Regulus capire appieno suo fratello nell’ultimo periodo. Quello che era stata metà della sua anima, si stava trasformando in un estraneo.  
“Sirius.” Gli andò vicino, tenendo la scopa con una mano mentre l’altra la teneva nascosta dentro la manica della divisa da Quidditch, totalmente congelata.  
“Reggie.” Lo salutò con un sorriso, non molto sentito.  
“Tra poco è il tuo compleanno, volevo sapere se ti andasse di fare qualcosa...” Lo disse con nonchalance, stringendosi le spalle. La verità è che gli mancava, suo fratello, e nell’ultimo periodo aveva pensando tante volte di andargli a parlare, senza mai trovare la giusta occasione.  
“Oh. In realtà ho già organizzato qualcosa, con gli altri Grifondoro...” 
“No, tranquillo. È uguale. Dimentica che ti abbia chiesto qualcosa.” Si era aspettato, una risposta del genere.  
Non importava, si disse. Lui aveva la sua vita, Regulus la sua.  
Raggiunse Evan negli spogliatoi dei Serpeverde, sudato ed arrabbiato con sé stesso, per essersi reso ridicolo con quella richiesta infantile ma soprattutto per esserci pure rimasto così male di fronte al suo rifiuto. 
Magari se avesse avuto il coraggio di chiederglielo prima... 
Non sarebbe cambiato nulla.  
Si era rotto qualcosa tra di loro. Ma non riusciva a capire il momento esatto in cui ciò era successo, non importava quante volte provasse a tornare indietro con la mente, a riavvolgere il nastro.  
“Reg?”  
Evan gli picchiettò sulla spalla, destandolo dalle proprie autocommiserazioni, “Evs, dimmi.”  
“Fuori c’è James Potter che ti vuole parlare.”  
Si tolse velocemente la maglia sudata, cambiandola con il maglione della scuola. Non si curò di mettersi la camicia sotto, mentre usciva di fretta. Forse non avrebbe dovuto farsi vedere così entusiasta di parlare con James, ma in quel momento non gliene importava assolutamente.  
Si era già rovinato l’umore abbastanza, poteva permettersi di emozionarsi per qualcosa.  
“Potter, Evan ha detto che dovevi parlarmi.”  
James gli sorrise, ancora nella sua divisa da Quidditch rossa e oro.  
“Vieni al compleanno di Sirius.” 
“Non penso sia il caso-”  
“Non è una domanda. Vieni. Gli farebbe un sacco piacere. Posso aiutarti a sgattaiolare fino alla tua Sala Comune finita la festa, se hai paura di esser beccato da Gazza.”  
“Non poteva invitarmi lui, allora?”  
“Lo sai come è fatto, è un po’ così, uno zuccone segaiolo del cazzo.”  
Regulus sospirò, soffocando una risata. “Va bene. Ci sarò.” 
Tornato dentro lo spogliatoio Evan lo guardò con gli occhi fuori dalle orbite “Ci andrai davvero? Ad una festa dei Grifondoro? Gli stessi che hanno liberato quel Doxy addosso a Piton?”  
“Stavi origliando?”  
“Ovviamente, Reg.”  
Regulus alzò gli occhi al cielo, “E’ il compleanno di mio fratello. E poi verrete anche tu e Barty.”  
“Te lo scordi, amico.”  
“Vedremo.”  
 
Il tre novembre, si ritrovarono tutti e tre dinanzi alla Casa Comune dei Grifondoro, indecisi sul da farsi.  
“Parola d’Ordine?” Canticchiò l’arazzo, per l’ennesima volta. “Senza non posso farvi entrare.”  
“Andiamocene a letto, tanto non si sposta.” Bofonchiò Evan, guardandosi alle spalle. Era terrorizzato dal fatto che Gazza, o la sua gatta, avrebbero potuto sorprenderli fuori dai loro letti a quell’ora.  
“Non puoi entrare e chiedere a qualcuno di farci entrare? A Sirius Black?” Provò nuovamente Regulus. 
“Tsk tsk tsk.” Scosse la testa la donna nel quadro. “Non è così che funziona, tesorini.”  
Barty, al suo fianco, iniziava ad agitarsi. Si batteva la bacchetta sulla coscia ad un ritmo sostenuto, scaturendo di tanto in tanto qualche scintilla.  
“Leone? Grifone? Godric? Coppa delle Case?” Provò ad indovinare Regulus. 
Ad ogni parola d’ordine errata la donna nel dipinto sospirava in modo sempre più drammatico.  
“È inutile, Reg, questo non si sposta.”  
Questa? Bada a come ti rivolgi alle signore, Bartemius Crouch.” Si girò offesa, dando loro le spalle.  
“E sa pure il mio nome. Imbarazzante.”  
“Quindi che facciamo?”  
“Aspettiamo?”  
“No, voi. Io me ne torno al dormitorio.” Evan si incamminò per il corridoio, salutandoli con la mano. 
“Dannato lurido traditore.” Bofonchiò Barty, lasciandosi cadere a terra, le spalle contro al muro dove era poggiato l’arazzo.  
Alla fine, furono salvati da Peter Minus, che veniva dalle cucine con le braccia cariche di cibo. 
“Siete fortunati che ho deciso di essere gentile con voi, per questa volta.” Tirò su il mento, orgoglioso, mentre li faceva entrare nel tunnel.  
“Già, salvati da Minus. Eroe misericordioso.” Gli fece eco Barty, alzando gli occhi al cielo.  

Nella Sala Comune di Grifondoro regnava il caos.  
Un gruppo babbano del quale sapeva pure troppo per colpa del fratello suonava da un giradischi stregato per far partire i dischi senza l’aiuto di nessuno, le luci viola e rosse che illuminava la sala ad intermittenza facevano venir a Regulus mal di testa.  
James li fu subito addosso, con le guance rosse e leggermente sudato, “Ce l’hai fatta!” lo abbracciò, buttandogli le braccia al collo.  
Nonostante Regulus fosse più piccolo di lui, lo superava in altezza, e i capelli di James gli solleticarono la guancia: profumava di shampoo all’albicocca, Acquaviola e deodorante fruttato.  
“Ho portato anche Barty Crouch, è un problema?” James si scostò da lui, senza però lasciarlo; 
“Non so neanche chi sia!” Sorrise felice, ondeggiando al ritmo di musica. Immobile, con le braccia lungo i fianchi, Regulus non osava neanche respirare troppo, per paura di dover toccare James con un centimetro in più del suo corpo. Se lo avesse fatto, sarebbe caduto a pezzi. Ne era certo. 
Barty sbuffò rumorosamente, incrociando le braccia al petto. “Vado a prendermi una Burrobirra...” Borbottò, allontanandosi scuro in volto verso il tavolo del buffet, vicino al caminetto.  
“Sirius è andato con Rem a stregare i palloncini, ti porto da lui?”  
“Sì volentieri.”  
Gli prese la mano, conducendolo tra la folla. Regulus, nel mentre, andava a fuoco. 
Non aveva mai pensato di poter sentire così tanto caldo, in vita sua. Non con Violet, non sicuramente con Rabastan.  
 

Darling, I know 

We gotta have patience 
Love isn't just a sensation 
Some of the time it gets rough 
Love isn't easy but it sure is hard enough 

 
Sirius sembrava davvero felice di vederlo. Anche lui accaldato e rosso il volto, si lasciò andare ad un abbraccio, sprofondando tra le braccia del fratello minore. Regulus pensò che forse, poteva anche funzionare tra di loro. Forse non aveva perso davvero Sirius, non per sempre, non ancora.  
Il resto della serata, sembrò passare liscia. Sirius era simpatico, i suoi amici pure. James, dopo aver tormentato Lily Evans costringendola a ballare, si era lasciato cadere sulla stessa poltrona dove si era raggomitolato Regulus, con Barty che sbuffava annoiato seduto sul bracciolo, vicino a lui. 
“Penso di amarla.” 
Regulus si era mosso a disagio, allontanandosi da lui, il cuore sotto le scarpe e un buco nello stomaco che ruggiva contrariato. 
Non seppe dire esattamente perché ci rimase così male: James non aveva mai mostrato il minimo interesse in lui, non in quel senso, almeno. “Chi?” Provò a sembrare indifferente, ma la voce gli uscì più alta di qualche nota.  
“Lily Evans, ovvio.” Lo aveva guardato come se fosse pazzo, inarcando un sopracciglio. “È fantastica, come potrei non amarla.” Aveva sospirato poi, guardandola ballare con una sua amica,  
“Ma è una mezzosangue.”  
“Cosa?” James aveva smesso di sorridere, voltandosi verso Barty, che aveva appena appena spiccicato le prime parole della serata. 
“Ma è una mezzosangue.” Ripeté Barty, inflessibile. Regulus sentì chiaramente il momento in cui la sala aveva trattenuto il respiro, mentre la temperatura sembrava abbassarsi improvvisamente di qualche grado. Barty e la sua innata incapacità di stare zitto. 
Fece scivolare una mano sul suo ginocchio, ma Barty lo spostò stizzito, scrollandosi il suo tocco di dosso. 
Regulus, già provato per la dichiarazione di James, sentì il cuore stringersi in una morsa. 
“Non si dicono queste cose.” James parlava piano, mentre il colorito che l’alcol aveva dato alle sue guance iniziava a scemare. 
“Beh? Perché? È quello che è.”  
“Crouch.” Fu l’amica di Lily a parlare, che aveva captato la conversazione e la piega che stava prendendo. “Ti conviene abbassare la cresta, sai?”  
Barty rispose con una risata, tirando fuori la bacchetta, “Perché?”  
Regulus si alzò di scatto, quando anche la Grifondoro tirò fuori la sua. “Andiamo, Barty.”  
Ma Barty lo ignorò, avanzando verso la ragazza, “Dai dimmi, perché? Andate in giro tanto orgogliose, MacDonald, del vostro sangue. Non posso dirlo anche io, quello che siete? Mezzosangue.”  
“Reggie, è meglio se porti il tuo amichetto a casa.” Fu Sirius a parlare, freddo. Lo fissò direttamente negli occhi, mentre anche lui tirava fuori la bacchetta.  
Sentiva l’aria farsi più pensante ad ogni respiro. “Sirius...”  
“Andate, per favore.”  
Non c’era gentilezza, nella sua voce.  

“Che ti è preso là dentro?” Sussurrava per i corridoi, mentre furente se ne tornavano alla Sala Comune di Serpeverde, cercando di non farsi scoprire dal custode.  
“Che ti è preso a te? Pensavo fossimo sulla stessa onda. 
“Non urlare, Bart.”  
“Non mi importa un cazzo se ci scoprono.” 
Regulus sospirò, scivolando contro al muro. Era stanco, voleva solo arrancare verso il suo letto e dormire fino al giorno successivo. “Barty.”  
“Pensavo fossi dalla mia parte.” Ripeté, lasciandosi cadere al suo fianco. Aveva un piccolo tic all’angolo della bocca che si faceva più evidente quando era nervoso: la sua lingua sgusciava fuori, nervosa e tremante, andando a toccare il suo viso mentre strascicava ogni parola. 
Allungò una mano, picchiettando il dito contro la sua guancia, umida di saliva. Era convinto che Barty lo respingesse per l’ennesima volta, come aveva fatto pochi istanti prima alla festa. 
Invece sussurrò, nuovamente, “Pensavo fossi dalla mia parte.” 
Regulus ripensò a Sirius, che lo abbracciava solo poche ore prima.  
Ma poi ripensò anche alla notte del matrimonio, alla punizione ricevuta per aver coperto la sua fuga anni prima. Ripensò alle poche lettere ricevute durante il suo primo anno ad Hogwarts. A come lo aveva tagliato fuori.  
A James Potter, allungare le mani per prendere quelle della Evans. 
Cercava l’amore dove sembrava non esserci mai. 
O forse c’era, ma non per lui. 
Intanto Barty si stringeva il corpo con le braccia, rannicchiato al suo fianco, il mento poggiato sulle ginocchia.  
Regulus allungò un piede, andando a toccare con la punta della scarpa la sua caviglia, “Lo sono.”  








Note: 
Bentornati ai vecchi lettori e benvenuti ai nuovi! 
Uso questo specchietto per andare a spiegare una cosa: il cognome di Pandora. Ho immaginato che fosse Xenophilius a prendere il suo cognome dopo il matrimonio, per poi darlo di conseguenza a Luna! Nel canon è descritta come una strega brillante, stravagante, geniale e... Perché no? Un po' di sano girl power, e poi non sapevo che cognome affibbiarle.
Spero vi sia piaciuto questo nuovo capitolo, <3 
La canzone all'interno del testo è Love isn't easy, degli ABBA (per questo il titolo!).
Alla prossima settimana!!

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Capitolo 10
*** Terzo anno - Capitolo 9. L'anatomia di un abbraccio. ***


Terzo anno, capitolo nove.  
L’anatomia di un abbraccio. 
 
Walburga camminava davanti a loro, le mani dietro alla schiena. Regulus non poteva vederla, ma sapeva che tra le maniche del vestito aveva nascosto la bacchetta. Stava solo aspettando il momento adatto per tirarla fuori. 
 

Era iniziato tutto quella mattina, il terzo giorno delle vacanze di Natale. 
Se esser riuscito a trascinare Sirius da King’s Cross fino a Grimmauld Place senza fargli commettere alcun danno gli era sembrata un’impresa, Regulus non avrebbe mai potuto immaginare quanto difficile sarebbe invece stato tenerlo tranquillo in casa.  
Già da un po’ di tempo, si sentiva lui il fratello maggiore: quello che copriva gli incidenti dell’altro e controllava che non superasse il limite. E lo odiava, con tutto sé stesso.  
Il primo giorno, liberò i due bolidi che si era portato a casa da Hogwarts al secondo piano, facendo cadere tutti i quadri dal muro e rischiando di rompere il candelabro sul soffitto. 
“Li odi quasi quanto li odio io.” Gli aveva detto Sirius, senza neanche tentare di giustificarsi, quando lo aveva colto seduto a terra con Kreacher che cercava di riparare al danno prima che i suoi genitori avessero avuto il tempo di scoprirlo. 
“Non è questo il punto.” Aveva risposto, e Sirius gli aveva voltato le spalle alzando gli occhi al cielo.  
Lo sentiva nervoso e agitato, forse più del solito. 
Ormai aveva capito quanto il fratello odiasse tornare a casa, e dopo la scenata di Barty alla sua festa aveva l’impressione di essere un pochino odiato pure lui, senza però avere il coraggio di ammetterlo. 
 
“Avete intenzioni di dirmi chi è stato?”  
Né Regulus né Sirius risposero, il primo abbassando lo sguardo, il secondo cercando quello della madre con aria di sfida.  
“Pensavi fosse divertente, vero? Stregare le sedie della sala da Pranzo il giorno in cui Rabastan avrebbe preso il Marchio.” Si risolve a Sirius, indicando con un cenno della testa Rabastan Lestrange dietro di loro, che osservava la scena attento. Probabilmente non gli era ancora passata, per il pugno ricevuto l’estate precedente; il suo naso, adesso, pendeva leggermente a destra. 
Anche Narcissa era presente, le braccia conserte e lo sguardo perso nel vuoto. 
“Perché chiedi chi è stato se lo sai già?” Chiese Sirius, sorridendo. Insolente, come suo solito. 
Regulus osservò la madre ridurre gli occhi ad una fessura, mentre sfilava la bacchetta e mormorava il primo incantesimo.  
Sirius cadde all’indietro, mentre un taglio si apriva a destra della sua bocca.  
“Lasciatemi sola con lui.” 
Regulus non si mosse dal suo posto, mentre tutti uscivano. Il Marchio, fresco e lucido sul braccio di Rabastan, sembrò ammiccargli, le orbite vuote del teschio dritte verso di lui. Voi siete i prossimi, sembrava gli volesse dire. 
“Hai idea di quanto imbarazzo tu abbia causato alla tua famiglia? Di fronte ai Suoi servitori? Come potrai entrare nelle loro file se non-”  
“Oh, ma non voglio, sta tranquilla,” Sirius adesso aveva preso a ridere, ancora a terra. “siete un branco di pazzi, con idee da pazzi e qualcuno finirà per ammazzarlo.”  
Regulus trattenne il respiro. 
Walburga, fece lo stesso, mentre Sirius continuava a ridere. Coraggioso, insolente, Sirius. 
Crucio.”  
Fu uno sventolio di bacchetta quasi impercettibile, l’incantesimo mormorato con le labbra serrate. Non aveva mai usato quella Maledizione, non fino a quel giorno, e Regulus non avrebbe saputo dire cosa si sarebbe aspettato da essa: ma certamente, non quello. 
Iniziò quasi immediatamente ad urlare, Sirius, la risata che gli si strozzava in gola mentre il corpo veniva scosso dai brividi. 
“Mamma, smettila.” Mugugnò, incapace di distogliere lo sguardo da Sirius. 
Regulus, in quel momento, pensò che se l’avesse visto ancora per qualche istante in quelle condizioni, sarebbe impazzito. 
“Mamma, basta, lo uccidi, mamma ti prego.” Le lacrime iniziarono a sgorgare, ma Walburga non dava segno di averlo sentito. Nemmeno sembrava pronta ad abbassare la bacchetta, mentre il figlio maggiore si rannicchiava su sé stesso, come se stesse cercando di proteggersi, in qualche modo, ma le gambe scalciavano in modo convulso, e le braccia non riuscivano a raccoglierle. 
E continuava ad urlare, mentre con le unghie si scavava la pelle del viso. 
E allora Regulus, che non era insolente, tanto meno coraggioso, e sapeva di non possedere metà della forza del fratello, fece l’unica cosa che si sentiva in grado di fare: corse via.  
Uscì dalla sala da pranzo, su per le scale, fino alla mansarda. Bussò una volta, poi due. Percosse la porta dello studio di suo padre con entrambi i pugni, prima di iniziare a prenderla a calci. Urlava al padre, “Lo sta ammazzando! Fa qualcosa, cazzo, lo sta ammazzando!”, buttandosi su essa con tutto il peso del suo corpo. 
Ma la porta rimase chiusa.  
E ad un certo punto, le urla cessarono.  
Regulus si accasciò contro il muro, incapace di respirare, di formulare un pensiero coerente. 
Ora vomito, se Sirius è morto vomito e poi mi ammazzo. 
Si costrinse a scendere le scale, scosso dai singhiozzi. Un gradino, due. Si resse al corrimano mentre cercava di tenere a freno la nausea. 
In sala da pranzo, era rimasta solo la madre.  
Seduta capo tavola, gli dava le spalle e Regulus immaginò stesse osservando Kreacher riordinare la tavola in silenzio, il pranzo che non avevano consumato. 
“Mamma?”  
Lei non si voltò. 
“Dov’è Sirius?”  
“Se n’è andato.”  
“Mamma...”  
“Dai Potter, suppongo. Parla sempre di loro, che vada pure a viverci.” 
“Che vada a viverci...?”  
“Hai finito di ripete tutto quello che dico?” Gli gridò, furiosa. 
È vivo, Sirius è vivo. 
Si lasciò cadere a terra, battendo dolorosamente le ginocchia. Non si era nemmeno reso conto che stava trattenendo il respiro; adesso boccheggiava in cerca d’aria, facendo affiorare il ricordo dello studio della madre.  
“Regulus?”  
“Sì, mamma?”  
Lei distolse lo sguardo da Kreacher, portandolo su di lui. Aveva gli occhi rossi, il viso rigato di lacrime. 
“Puoi venire qui?”  
“Sì, mamma.”  
Si trascinò carponi fino alla sua sedia, posando poi la testa nel suo grembo. Lei si chinò a baciarli la fronte, gli accarezzò i capelli, sfiorando ogni riccio, stringendolo a sé come quando ero bambino.  
Piansero entrambi, l’uno tra le braccia dell’altra.  
 
Evan e Barty vennero a trovarlo qualche giorno dopo, passato il suo quattordicesimo compleanno.  
Nessuno parlava più di Sirius.  
Una mattina Regulus si era svegliato e aveva trovato la tappezzeria del salotto bruciata, dove si trovava l’albero genealogico dei Black: il nome di suo fratello, cancellato. E come se non fosse mai esistito, la vita a Grimmauld Place andava avanti. Il padre lavorava, parlava poco con la famiglia, usciva presto di casa e non tornava fino all’ora di cena, la madre si chiudeva nel suo studio, in fondo alle scale.  
A costo di provare qualcosa che non fosse la grigia apatia di quei giorni, pregò anche che la madre trovasse un motivo per punirlo: avrebbe preferito seguirla nel suo studio, che continuare in quel modo. 
Godette un po’ della compagnia di Kreacher, finché anche quella non fu più abbastanza, per questo decise di scrivere una lettera veloce a Barty, cercando di convincerlo a passare da lui assieme a Evan. 
Arrivarono da casa di Evan con la Metropolvere, Apparendo nel camino del salotto principale, sporchi di fuliggine e vagamente verdi in volto,  
“Volevamo comparire nel caminetto della tua stanza ma abbiamo mancato la fermata!” Lo salutò Evan, inciampando nel braciere. 
“Mai più.” Aggiunse invece Barty, sputando un po’ di cenere. 

La loro sola presenza fu veramente gratificante per l’umore di Regulus, che in quei giorni non aveva trovato una singola ragione per stare bene.  
Era già stato solo, in passato, ma mai in quel modo.  
In camera sua, non parlarono molto. Evan si sdraiò sul suo letto, dalla parte opposta a Regulus: i piedi sopra al cuscino, e la testa poggiata contro la spalliera.  
Barty al suo fianco, gamba contro gamba e braccio contro braccio, la testa sulla sua spalla. Sapevano quello che era successo: a Regulus non sfuggirono le occhiate di Evan all'arazzo bruciato dove una volta stava il nome di Sirius, accanto a quello del fratello minore. Ma non chiesero.  
In quel momento, se qualcuno avesse chiesto a Regulus di descrivere l’amore, avrebbe pensato ai suoi amici. 

Il primo ad andarsene, quella sera, fu Evan. Si salutarono con una pacca sulla spalla, prima di scomparire tra le fiamme verdi della metropolvere.  
Poi toccò a Barty, che però cercava di perdere tempo. Regulus immaginò fosse per suo padre, che a quell’ora doveva già esser tornato dal Ministero, così ne approfittò.  
Tirò fuori una lettera tutta spiegazzata, scritta giorni prima e tenuta dentro la tasca posteriore dei pantaloni per tutto quel tempo.  
“Devi inviare questa, da parte mai.”  
Regulus gliela mise in mano, guardandolo negli occhi.  
 
Come stai? 
Mi manchi,  
R.A.B 

Era indirizzata al cottage dei Potter, di cui sperava di aver indovinato l’ubicazione. Sapeva che Sirius non avrebbe potuto rispondere, o che se anche l’avesse fatto Walburga non avrebbe mai consegnato la lettera a Regulus, ma non importava. Sirius doveva sapere che a Regulus importava. Che Regulus gli voleva bene.  
Barty se la rigirò tra le mani, leggendo l’indirizzo sul treno. Non avrebbe dovuto essere un problema per Barty, i cui genitori erano in ottimi rapporti con quelli di James Potter. 
“Sei sicuro?” Gli chiese. 
“Sì.”  
Allora annuì, grave. 
Poi fece qualcosa di inaspettato.  
Lo afferrò per le braccia, attirandolo verso di sé. 
Il cuore di Barty batteva contro il petto di Regulus, le sue braccia gli cingevano forte la vita, mentre nascondeva il volto tra il collo e la sua spalla. Le sue dita giocavano distratte con la stoffa del maglione che cadeva sui suoi fianchi, e il respiro di entrambi si fece più calmo mentre si sincronizzava.  
“Come stai?”, gli mormorò, e sentì la pressione delle sue labbra, da sopra il maglione di lana pesante che indossava. Avrebbe voluto strapparlo via, e si trattene con tutte le sue forze per non alzare una mano e toccarsi, lì dove il fiato umido e caldo di Barty si era posato. 
Nessuno dei due sembrava in grado di allontanarsi per primo, di sciogliere l’abbraccio. 
“Qualche volta vorrei smettere di respirare.”  
Barty lo strinse un po’ più forte. 
✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
Tornare da solo ad Hogwarts fu più difficile del previsto. 
“Mi puoi accompagnare fino al binario?” Chiese a Kreacher, mentre prendeva il baule con entrambe le mani.  
L’elfo gli aveva lanciato un’occhiata triste, “Lo sa che non può, il buon Padron Regulus, non possono vedere il vecchio Kreacher, lo ha detto la Signora.”  
“Grazie lo stesso, Kreacher.” 
Nella solitudine di Grimmauld Place, Kreacher era divenuto il suo più grande alleato, e gli dispiaceva doverlo lasciare per tornare a scuola. 
Con gli occhi cercava i suoi amici, mentre attorno a lui decine di ragazzini con i loro genitori si affrettavano nei vagoni e sul binario, salutandosi dopo le vacanze di Natale, “Tranquilla, Amy, in meno che non si dica tornerai a casa”, sentì una madre dire alla figlia, una bambina piccola e paffuta con la divisa dei Grifondoro. Piangeva aggrappata alla tunica della madre. 
“Black!”  
Si girò verso la voce che lo chiamava, e vide Knight che lo salutava sventolando la mano. “Aspetta, ti aiuto.” Gli disse dopo essersi avvicinato, aiutandolo a portare il baule su per le scale del treno.  
A Regulus sembrò di intravedere Sirius, che insieme a Potter entrava in un altro vagone. Alzò la mano per salutarlo, prima di vedere la sua nuca scomparire dietro alle porte, assieme ad altri ragazzi.  
Probabilmente non lo aveva neanche visto, ma c’era tempo. Lo avrebbe visto al banchetto, quella sera. 

“Hai ricevuto la lettera?”  
Regulus si sedette al tavolo dei Grifondoro, dopo il discorso di bentornati del Preside, scivolando tra Remus Lupin e Peter Minus, che si spostò per fargli spazio lamentandosi ad alta voce. Troppo agitato per mangiare, non aveva toccato neanche il piatto e si era alzato subito per raggiungere il fratello.  
“Sì.” Non alzò il volto verso di lui, continuando a riempirsi il piatto di patate al forno. 
“E...?”  
“E cosa, Regulus?”  
“Come stai?” 
Sirius alzò finalmente lo sguardo, incontrando il suo. “Ah, quindi te ne frega?”  
Regulus aprì la bocca per ribattere, ferito. Certo che mi frega, sei mio fratello. Certo che me ne frega, ti voglio bene. Ma non gli uscì nulla, se non un verso strozzato.  
“Se non ti dispiace, vorremmo mangiare.” Con la forchetta a mezz’aria gli indico il tavolo dei Serpeverde, alle sue spalle, invitandolo ad andarsene.  
“Sei ingiusto, Sirius.” Gli uscì in un soffio, mentre già si stava alzando.  
Io? Io sono ingiusto?” Batté la mano sul tavolo, rovesciando il bicchiere pieno d’acqua che aveva davanti. “Calmati, Felpato.” Gli mormorò Remus, allungando una mano verso quella di suo fratello, ma quello sembrò non averlo neanche sentito, “Tu sei scappato e io sono quello ingiusto. Capisco.”  
“Non sono scappato! Ero andato a cercare aiuto!”  
“Da chi? Dagli altri Mangiamorte?”  
Regulus non rispose, perché se avesse aperto la bocca si sarebbe messo a piangere, davanti a tutti.  
Gli diede le spalle, tornandosene al suo posto, i pugni stretti e tremanti lungo i fianchi. Mentre si allontanava sentì James Potter, che fino a quel momento non aveva detto nulla, borbottare al fratello, “Ma non sarai stato troppo duro?”, e questo lo fece infuriare ancora di più.  
Non aveva bisogno della pena di un traditore di sangue. Non aveva bisogno del fratello, che non aveva capito assolutamente nulla.  
Regulus avrebbe potuto cavarsela da solo, come aveva sempre fatto. 







Note: Buongiorno! 
Aggiornamentino veloce veloce, perdonate la lunghezza del capitolo mi è venuto un po' cortino eeeh.
Finalmente è avvenuta la famosissima fuga di Sirius! La bruciatura sull'arazzo, la litigata micidiale con la mamma. 
E un po' di Evans e Barty che sono coccolosini.
Il titolo del capitolo è tratto da un'opera d'arte, "Anatomia di un abbraccio" di cui consiglio la visione. :)
Spero vi sia piaciuto, grazie mille per le letture che ho visto stanno aumentando tanto da quando ho iniziato a pubblicare!! E' un buon segno, no? 

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Capitolo 11
*** Terzo anno - Capitolo 10. L'estate più calda degli ultimi dieci anni. ***


TW: Scene un po' crude, angst, abusi psicologici e fisici, autolesionismo.  Nulla è descritto nei dettagli ma solo in modo lieve.

Terzo anno, capitolo dieci.  
L'estate più calda degli ultimi dieci anni. 

 
Come l’estate precedente, anche quella la passò al Maniero dei Malfoy.  
Fu la prima estate della sua vita senza il fratello maggiore e nemmeno ebbe il tempo di sentire la sua mancanza: la madre e Lucius avevano avuto altri piani per lui. 
“Tieni dritto il braccio.”  
“Lo sto facendo.”  
Il sole batteva irruento contro la pelle che i vestiti gli lasciavano scoperta, arrossandola. La gola gli bruciava, quasi non riusciva a parlare, ma non avrebbe chiesto dell’acqua. O una pausa. Non a lui. 
“Non nel modo corretto.” Lucius gli si avvicinò, pungolandolo con la bacchetta. Bruciava così tanto che gli lasciò un forellino della manica della camicia dove lo aveva toccato, ma sarebbe anzi morto che farsi vedere dolorante. “Il braccio deve rimanere teso.” 
Regulus si rimise in posizione, mentre il più grande lo osservava. 
Sarebbe stato presentato al Signore Oscuro quella stessa estate, e sua madre lo voleva perfetto per l’occasione: per questo aveva deciso di affidarlo agli insegnamenti di Lucius. 
E non si poteva dire che il marito della cugina non avesse preso l’impegno sul serio.  
Crucio.” Dalla sua bacchetta non uscì nulla. Non una scintilla.  
Si asciugò il sudore sulla fronte. Erano ormai settimane che si allenava sull’incantesimo, eppure nulla. 
“Devi volerlo, Regulus.” Gli si avvicinò, colpendolo con il retro della bacchetta sulla nuca. “Non vuoi essere utile al Signore Oscuro? Non vuoi vincere la guerra?”  
“Lo voglio.” Mormorò a denti stretti. 
“Allora concentrati sulla Maledizione! Ricominciamo.” 
Walburga non diceva niente.  
Osservava la scena all’ombra di un gazebo, con aria severa.  
Crucio.” Dalla bacchetta, non uscì nulla. Di nuovo.  
La mano iniziava a tremargli terribilmente mentre si sforzava di tenerla ferma e piccoli puntini neri iniziarono a ballargli davanti agli occhi.  
Crucio! Crucio! Crucio, cazzo!” Ancora nulla. 
“Il ragazzo non è motivato.” Sua madre si era alzata, portandosi vicino a lui. “Lucius, ti dispiace se prendo il tuo posto?”  
L’uomo sembrò innervosito, ma non si disse nulla. Si ritirò in silenzio, lasciando lo spazio a Walburga. 
“Puntala contro di lui.” Gli disse lei, inflessibile.  
Regulus strabuzzò gli occhi, quando capì che la madre stava indicando Lucius, che sembrava confuso quasi quanto lui. “Puntala contro di lui. È impossibile imparare senza avere un obiettivo.”  
E tu lo avevi, mamma? Contro chi hai imparato ad usarla? 
Senza dire nulla, Regulus si mise nuovamente in posizione. Chiuse un occhio, per allineare la bacchetta sul volto di Lucius, che lo osservava furente. 
Crucio.”  
Questa volta un filo di luce rossa scivolò fuori dalla bacchetta, ma fu facilmente respinto da un movimento veloce dell’altro.  
“Visto?” Walburga si rivolse direttamente a Lucius, e senza degnarlo di uno sguardo si ritirò nuovamente sotto al gazebo. “Per oggi basta. Va a farti una doccia, sei indecente.” 

Sarebbe diventato un Mangiamorte.  
Aprì l’acqua della vasca, guardandola mentre si riempiva fino all’orlo. Sarebbe diventato un Mangiamorte, e avrebbe combattuto. Ormai, era guerra.  
Poco prima che tutti lasciassero Hogwarts per le vacanze, Evan lo aveva rincorso per i corridoi, ancora nella divisa da Quidditch e con alle costole Barty. 
“È vero, Reg?” Gli aveva chiesto. 
“No, assolutamente no!” Aveva risposto. 
“Ma lo diventerai, vero?” Evan gli aveva afferrato il braccio, portandolo verso di lui. La pelle pulita dell’avambraccio sembrava una bugia. 
Regulus non aveva risposto, Evan aveva capito lo stesso.  
“Ti seguirò, Reg.” Aveva detto serio poi, con Barty che annuiva. 
E qualche tempo prima, mentre sistemava l’aula di Pozioni dopo il gruppo di studio di Piton, aveva sentito fuori dalla porta James borbottare con suo fratello, così, con un incantesimo di Disillusione addosso era sgusciato via, e senza farsi vedere li aveva pedinati. 
“Sarà difficile battere i Serpeverde, devi concentrarti!” A giudicare dall’abbigliamento stavano andando ad allenarsi giù al campo. 
“Ramoso, per favore. Sii serio. Difficile? I Serpeverde?”  
“Sii serio tu! Hai visto Regulus come vola?” 
Si era irrigidito, sentendo il suo nome.  
“Grazie al cazzo, ha una Nimbus ‘74. Anche io sarei così veloce, con una Nimbus ‘74!”  
“Forte, comunque, non l’avevo mai vista dal vivo. Ma rimango fedele alla Firebolt.”  
“Sarà stati il regalo di mammina per aver preso il March-”  
“Felpato!” James si era bloccato in mezzo al corridoio, costringendo Regulus ad infilarsi dietro un arazzo. Si sentiva infantile, ma ormai c’era dentro. Tanto vale sentire fino in fondo. “Non dire quelle cose!”  
“Pensi che non ne sia in grado, Ramoso? È una piccola serpe, come tutti gli altri. Letteralmente, una Serpe.”  
“Pensi che abbia davvero... Cioè, è davvero dalla parte di Voldemort?”  
“Senza ombra di dubbio.”  
Regulus quel giorno strinse i pugni tanto forte da ferirsi le mani.  
 
Si spogliò, entrando nella vasca. Le bruciature sulle sue braccia e sulle costole causate dalla bacchetta di Lucius bruciarono terribilmente a contatto con l’acqua calda, prima di iniziare a trovare sollievo. 
Non aveva avuto neanche la possibilità di scegliere: per tutti era già diventato un Mangiamorte, prima ancora di ricevere il Marchio. 
Non osava chiedersi cosa avrebbe fatto, se avesse avuto il coraggio e la determinazione di Sirius. Si consolava nell’ignoranza, nel non sapere che tipo di persona fosse. 
La sua famiglia gli aveva dato in mano una spada, e lui l’aveva semplicemente impugnata. Non l’aveva mica raccolta da solo. E alla fine, doveva pur valere qualcosa, no? 
Contò fino a cinque.  
Uno, due, tre. Un respiro profondo. Quattro, cinque. Si immerse completamente. 
Quando sua mamma lo puniva, non pensava. Era troppo occupato ad annaspare in cerca d’aria.  
Ed in quel momento aveva bisogno di non pensare. 
 
“Cosa significa, mamma?” 
Quella mattina, per colazione, uova alla coque. Il tuorlo luccicava, in contrasto alla tovaglia bianca, così pulita e candida che sotto il sole di agosto feriva gli occhi, anche a quell’ora della mattina.  
Era Narcissa che insisteva per mangiare all’aperto, tutti gli altri sembravano infastiditi da questa sua scelta. Per Regulus, era indifferente.  
Walburga alzò lo sguardo dalla Gazzetta Del Profeto, incontrando quello sconvolto del figlio, “Hai sentito bene. Alphard è morto.”  
Voleva vomitare. Guardava il piatto davanti a sé e si malediceva per quanto aveva mangiato poco prima, perché adesso sembrava pronto a distruggergli le pareti dello stomaco.  
“Come?”  
“Ha voluto aiutare la persona sbagliata.”  
“Chi?”  
“Non ti riguarda.” 
Un vento leggero scuoteva le fronde degli alberi attorno a loro, un cuculo in lontananza riempì il silenzio con il suo canto. Era tutto così bello, e Regulus lo odiò. Gli alberi avrebbero dovuto perdere tutte le loro foglie, i fiori i loro petali. Il nido di quel cuculo avrebbe dovuto cadere per terra, le sue uova spaccarsi. Non era giusto che ci fosse tanta bellezza al mondo. 
“Ho sentito che ha lasciato la sua intera eredità a Sirius.” Fu Narcissa a rompere il silenzio, facendo tintinnare la tazzina di caffè contro il piattino. 
Non ti riguarda.” Ripeté la madre, questa volta rivolta alla nipote. 
Non sarebbe più tornato in Francia. Non ne avrebbe più visto il mare, non sarebbe sceso giù al villaggio con lo zio e Sirius. Si chiese come stesse il fratello, se anche lui aveva appreso la notizia. Poi pensò a Minmey, la sua elfa domenista: era piuttosto vecchia, l’avrebbero liberata? Forse sarebbe passata a Sirius anche lei. 

Crucio.”  
“Non mi hai neanche sfiorato.” Lucius alzò la bacchetta, respingendo la Maledizione con un gesto annoiato.  
Crucio! 
Di nuovo, riuscì a respingere l’incantesimo senza alcuno sforzo. “Diffindo.”  
Si aprirono nei nuovi tagli sul petto di Regulus, andando a sporcargli di sangue la maglia. 
Crucio!” Questa volta riuscì a colpirlo, facendolo retrocedere. Lucius si portò una mano al petto, sorridendo. 
“Bravo bimbo.”  
Per riuscire nella Maledizione, doveva volerlo. E voleva davvero ferire Lucius, toglierli quel sorriso dalla faccia una volta per tutta.  
Crucio. 
Lucius cadde all’indietro, boccheggiando in cerca d’aria mentre Regulus tremava dalla testa ai piedi, nonostante il caldo di quell’estate. Al contrario della precedente, non aveva piovuto un singolo giorno e l’erba del parco che costeggiava il maniero dei Malfoy inizia a seccarsi.  
“E’ pronto per andare in missione?” Chiese la madre, chiudendo il libro che stava leggendo, rivolgendosi a Lucius.  
Il momento che aveva temuto con tutto sé stesso, per tutte quelle settimane. 
“Sì. Tra due notti.” 
✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
Tra St Just-In-Penwith e Camborne, sul mare, si ergeva un piccolo villaggio di Nati-babbani.  
Protetta da qualche incantesimo, la comunità mezzosangue della Cornovaglia si era riunita per cercare conforto gli uni con gli altri, per scappare dagli attacchi dei Mangiamorte e dalle politiche anti-babbane di Voldemort.  
Il sole tramontava lentamente sul mare, tingendolo di rosso. Regulus respirava male, dietro una maschera d’argento che non era la sua, troppo grande e pesante, ed il mantello nero si era già riempito di sabbia e di polvere. 
Non si sentiva coraggioso, non si sentiva forte: a dirla tutta, si sentiva un po’ stupido. Un bambino che giocava alla guerra. 
“Quando andiamo?” chiese a Bellatrix.  
“Quando è buio.”  
“Così non ci vedranno, è come attaccarli alle spalle.”  
“Oh,” ridacchiò, torcendosi una ciocca di capelli con la bacchetta, “il piccolo Grifondoro, hai preso dal fratellino?”  
Regulus non rispose, fissando il suo sguardo sul sole.  
Mancava poco, al crepuscolo. E aspettò. 
 
Rodolphus diede il via quando la prima stella iniziò a brillare nel cielo. 
La cugina lo afferrò per un braccio, le unghie che premevano forte contro la sua pelle, e prima che potesse rendersene conto si Smaterializzarono nella piazza principale del villaggio. 
Poi, iniziarono le urla e la luce di quelle poche stelle che iniziavano a fare capolino nel cielo fu rimpiazzata da quella degli incantesimi. 
Ad un certo punto scivolò su qualcosa di bagnato, troppo caldo e viscoso per essere semplicemente una pozzanghera. 
Un ragazzo, che non poteva essere molto più grande di lui gli si parò davanti, sfoderando la bacchetta. “Stupeficium.”  
Protego. 
L’incantesimo balzò lontano da Regulus, che prontamente rispose con un nuovo Schiantesimo. Il ragazzo cadde all’indietro, perdendo la bacchetta. 
“Mi dispiace,” mormorò Regulus, tirandosi in piedi, “Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.”  
Qualcun altro, non seppe vedere chi, colpì il ragazzo con un raggio di luce verde. E lui non si alzò più a raccogliere la bacchetta, mentre Regulus correva via. 
Molte persone gli si pararono davanti e tutto era buio se non per la luce del Marchio Nero, che brillava pigro sopra i tetti delle case. Correva, lanciava incantesimi, scivolava tra i Mangiamorte ed evitava di trovarsi di fronte ai mezzosangue, in un vortice confuso di mantelli e sudore. 
Finché qualcuno non lo prese per un braccio, Materializzandolo a villa Malfoy, non si rese nemmeno conto del tempo che era passato. 
Atterrarono nel parco, l’erba bagnata dalla rugiada e grigia per le pallide luci del mattino. 
 
“Come si è comportato?” chiese la madre. 
“Come un soldatino.” Canticchiò Bellatrix. 
Regulus si trascinò in camera sua, con la sua maschera stretta contro al petto. Non aveva ucciso nessuno, ma si era difeso. Aveva usato la Maledizione Cruciatus non una, ma parecchie volte, come gli aveva insegnato Lucius: il braccio teso, un colpo secco di bacchetta. E ogni volta l’aveva voluto, perché era stanco, arrabbiato e avrebbe solo voluto che tutto finisse presto. Odiava quel ragazzo per averlo attaccato, per essersi poi lasciato uccidere, davanti a suoi occhi. O forse non era vero che non aveva ucciso nessuno, forse era proprio Regulus che aveva decretato la sua fine, disarmandolo.  
Si guardò allo specchio e quasi non si riconobbe, con le occhiaie e i capelli appiccicati alla fronte, la pelle tesa e giallognola. Aveva il mento sporco di sangue: probabilmente quando era caduto si era morso il labbro e nemmeno se ne era reso conto.  
Il suo corpo non resse più, facendo uscire tutto quello che si era tenuto dentro in quei mesi: il pranzo del giorno prima, le lacrime, e quando anche tutto quello finì, iniziò a vomitare bile, il corpo sconquassato dai conati e dai colpi di tosse. 
Erano quasi le dieci del mattino quando si addormentò sul pavimento. 







Note: 
Non sono molto orgogliosa di questo capitolo, sarò sincera: quando l'ho scritto qualche mese fa mi sembrava più carino, e vabbé.
Come avrete già potuto intuire dai capitoli precedenti, le atmosfere di stanno facendo un po' più cupe: Regulus inizia a collaborare con i Mangiamorte e a fare cose non proprio buone. 
Il prossimo è molto più carino e leggero, posso assicurarvelo!!

 

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Capitolo 12
*** Quarto anno - Capitolo 11. Burrobirra e Pus di Bubotubero. ***


Quarto anno, capitolo undici. 
 Burrobirra e Pus di Bubotubero. 

 
Non seppe nemmeno esprimere a parole quanto gli erano mancati i suoi amici. 
Si ritrovò a pensarlo la prima notte del suo quarto anno, con Evan, sdraiato nel letto davanti al suo, snocciolava aneddoti sulla sua estate e mostrava orgoglioso il distintivo che lo rendeva Capitano della squadra di Serpeverde, mentre Barty occupava il bagno per le sue docce che duravano secoli. Gli erano mancati, come gli era mancato il dormitorio, la poltrona vicino al camino giù nella Sala Comune e pure l’acqua del Lago Nero che premeva contro le finestre gli dava un senso di conforto.  
Per la prima volta da settimane, riuscì a dormire una notte intera senza essere svegliato da nessun incubo. 
 
Tutti i giorni arrivavano continuamente notizie di continui attacchi di Mangiamorte sparsi per la Gran Bretagna: non c’era notte che il Marchio Nero non brillasse sopra qualche casa. 
E ogni mattina, prima della colazione, Regulus osservava i suoi compagni di scuola stringersi tra di loro, impazienti di leggere la Gazzetta del Profeta, ma allo stesso tempo impauriti di riconoscere qualche nome tra i racconti stragi, nei lunghi elenchi dei necrologi o tra le persone scomparse. 
Qualche volta, uno studente o due usciva dalla Sala Grande con gli occhi pieni di lacrime, altre volte potevano tirare un sospiro di sollievo.  
O ancora, molti venivano chiamati fuori dalle aule dal Preside, scuro in volto e profondamente amareggiato. Raramente tornavano a riprendersi gli zaini e i libri. 
Regulus guardava tutto questo, e pensava: sono io. Sono stato io, ero tra di loro, e sperava che nessuno di loro riuscisse mai a capirlo. Non poteva essere espulso da scuola, non poteva tornare dai Malfoy. 
Ma l’unico che poteva davvero saperlo era Evan, i cui genitori si erano uniti alla causa di Lord Voldemort qualche tempo prima dell’attacco al villaggio.  
Le bruciature sul suo corpo stavano guarendo in fretta, assieme alle lacerazioni causate da Lucius e quando Evan le vide, negli spogliatoi di Serpeverde dopo un allenamento di Quidditch, non disse nulla. 
Gli fu grato per quello: non avrebbe saputo spiegarsi. 
Anche a casa Crouch, a detta di Barty, la situazione era piuttosto tesa. I Mangiamorte iniziavano a dare qualche grattacapo al Ministero, minando così l’autorità di esso e dei suoi dipendenti: Bartemius Crouch senior, lo aveva preso sul personale. Quello, sommato alle idee anti-babbane del figlio, non era risultato in una gran bella estate, per Barty. Il livido che colorava di giallo e viola la sua mascella con cui si presentò a King’s Cross, ne era la prova.  
Regulus aveva cercato di sistemarglielo sul treno, ma senza grandi risultati.  
✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
“Ancora una volta, chiedimi l’Incantesimo di Adesione Permanente.”  
“Mi stai annoiando, Ev.”  
“Scusa se non sono nato intelligente come te, i comuni mortali devono studiare.” 
“Ma sta zitto.”  
Barty e Evan litigavano seduti sulle scale, mentre Regulus finiva di scrivere il tema per Difesa Contro le Arti Oscure. Era rimasto indietro con i compiti, cosa non da lui, ma non ci poteva fare molto. Nell’ultimo periodo le sue notti erano state tormentate dagli incubi, tanto vividi che era quasi come se si trovasse ancora al Maniero: lui che correva via da un villaggio in fiamme, il Marchio Nero che bruciava sopra la sua testa, un uomo che urlava e che gli chiedeva aiuto.  
Strinse gli occhi, cercando di farsi uscire quelle immagini dalla testa per potersi concentrare sul tema. 
Un gruppo di ragazzini di Tassorosso del secondo anno li superò ridacchiando, intenti a spingersi tra di loro. Era stato così piccolo anche lui?  
Si era già rimesso con la testa sulla pergamena che teneva in equilibrio precario sulle sue ginocchia, quando uno dei ragazzi scivolò lungo disteso giù per le scale, davanti a lui. 
Barty, che aveva tirato fuori la bacchetta, stava ridendo sguaiatamente.  
“Hai buttato giù il ragazzino?” Regulus dovette per l’ennesima volta abbandonare il tema, mentre il Tassorosso faticava a tirarsi in piedi, rosso in volto ed agitato. Non si era ancora reso conto di avere entrambe le gambe legate per un incantesimo, e con i suoi amici attorno che provavano inutilmente a tirarlo su la scena era piuttosto comica. 
“Erano troppo felici.” Rispose, tirando su le spalle.  
“Però non hai voglia di aiutarmi con Incantesimi.”  
Barty diede un colpo a Evan sulla nuca, senza smettere di ridere. 
Levicorpus.”  
Fu Barty adesso finire gambe all’aria, facendo cadere la bacchetta. L’incantesimo contro il ragazzino dei Tassorosso si sciolse quasi immediatamente e scapparono tutti via, mentre Evan e Regulus cercavano di capire cosa fosse successo. 
“È divertente, vero Crouch?”  
Sirius si trovava in prossimità delle scale, la bacchetta levata contro Barty, che si dimenava in aria. 
“Sirius, lascialo.” Regulus si alzò, prendendo la sua, di bacchetta.  
“Sennò?” 
Evan prese posto al suo fianco, ed è in quel momento si rese conto che c’era Sirius. Sirius, e basta. Niente Peter Minus o Lupin, né tantomeno Potter. Sorrise, sentendosi per una volta in vantaggio sul fratello. Per una volta, era lui quello ad essere solo,Impedimenta.”  
Protego.” Ma l’incantesimo di protezione fu lanciato dalla professoressa di Trasfigurazione, che si parò di fronte a Sirius assieme al Tassorosso di poco prima.  
Piccola spia. Pensò Regulus. 
“Cosa sta succedendo qui? Crouch, e lei cosa ci fa lassù?!” 

La situazione si risolse con una punizione di gruppo. Dieci punti in meno per ogni persona coinvolta nel duello, senza contare che Sirius avrebbe dovuto sistemare la Sala dei Trofei assieme a Evan, Barty avrebbe dovuto pulire i bagni del secondo piano mentre a Regulus era toccata la biblioteca. 
Si era sentito fortunato, perché anche se non lo avrebbe mai ammesso agli altri sapeva di aver ricevuto una punizione molto più semplice, rispetto a quelle dei suoi amici: immaginava che Sirius avrebbe dato filo da torcere a Evan, ed era certo che non avrebbe mai avuto voglia di passare del tempo chiuso in un bagno con Mirtilla Malcontenta.  
E poi, in biblioteca, si sentiva bene.  
Prima mise apposto tutta la categoria di Creature dei Laghi e dei Fiumi, fermandosi a leggere un estratto di Avvincini ad Hogwarts, per poi passare alla categoria di Creature Oscure. 
Era disgustato dal modo in cui gli studenti trattavano quei libri, sulla sezione dedicata ai Lupi Mannari qualcuno aveva scarabocchiato quasi totalmente ogni singola pagina:  
Falso!! Fonte: ho un amico lupo!!!!! :- ) 
Alzò gli occhi al cielo, chiudendo di scatto il libro, pronto a rimetterlo al suo posto. E fu lì, che lo vide. 
Vecchio e mangiato dall’umidità, un libricino nero con inserti argenti: sembrava essere molto antico.  
Segreti dell’Arte più Oscura, guida. 
Recitava la copertina, scritta in un corsivo elegante. 
Non era un esperto, ma era sicuro sul fatto che non avrebbe dovuto trovarsi lì: sembrava più consono al Reparto Proibito. Si voltò, cercando Madama Pince con lo sguardo, ma l’intera biblioteca era deserta. Doveva essere ora di cena, e l’unico rumore che sentiva era quello del suo stesso respiro. 
Aprì una pagina a caso, Inferi, Inferius. Corpi morti controllati dalla magia. Come crearli, controllarli... Lesse avidamente fino all’ultima riga. Poi, con un brivido, continuò a sfogliare. Incantesimi scritti in rune antiche, altri in lingue indecifrabili. Altri ancora, cancellati a penna. Ossa prelevate con la forza, patti di sangue. Adesso ne aveva la certezza che quel libro era stato messo lì per sbaglio. 
Capitolo sette, Horcrux. Per l’immortalità... 
 
Il primo Horcrux noto fu creato da Herpo il Folle, nell'antica Grecia... 
...Dividere l’anima in due parti, usando come guscio un oggetto e/o un animale... 
...L’unico modo per distruggerli... 
 
Una lettura tanto interessante quanto pericolosa, non è vero signor Black?”  
Regulus trasalì, mentre una mano si chinava verso di lui per prendergli il libro da sotto il naso, prima ancora che finisse la riga che stava leggendo. 
“Professor Silente.”  
“Non era mia intenzione spaventarla.” Si infilò il libro nella manica della lunga veste, nascondendolo a Regulus.  
“Non sono entrato nel Reparto Proibito senza permesso. L’ho trovato già qua.” Disse veloce.  
Il preside gli sorrise gentile, “Non vede il Reparto Proibito da anni questo particolare volume. Pensavo fosse andato perso molti anni fa...”  
Regulus annuì educatamente, senza rispondere. 
“Potrà immaginarsi il motivo per cui sono qui.”  
Regulus lo guardò. E poi sentì di nuovo il terreno duro dove era scivolato, il sangue fra le sue mani, le urla del villaggio. Il Marchio Nero sopra la sua testa. “No.”, rispose. “Controllare come va la mia punizione? Se ho imparato la lezione?”  
“Non sia sciocco, signor Black. So che non lo è.” Lo scrutò a lungo, dietro i suoi occhiali a mezza luna. 
“Non riesco a capire, Professore.”  
“Suo fratello, trovando rifugio dai Potter ci ha potuto raccontare delle cose... interessanti, se così vogliamo chiamarle, riguardo alla sua famiglia. Crudeli, spesso.”  
Lucius che si avvicina con la bacchetta incandescente. La madre che lo guarda senza fare niente.  
“Non ho più contatti con lui.”  
“Questo lo sappiamo bene, signor Black. Mi chiedevo quale fosse il suo ruolo in tutto questo.”  
Sirius che urla, sdraiato sul pavimento della sala da pranzo. Il Marchio Nero che illumina il villaggio. Regulus trattenne il respiro, e contò fino a cinque.  
“Non riesco a capirla. Non ho nessun ruolo.”  
Il preside sorrise, con dolcezza. “Lo sa che può scappare, in ogni momento. E che troverà rifugio, qui con noi, come lo ha trovato suo fratello. Signor Black, io non credo che lei sia una persona cattiva. Io credo che lei sia solo un ragazzo molto giovane, che sta prendendo delle scelte molto sbagliate. Non c’è alcuna vergogna nel rendersene conto e nel fare marcia indietro. Nel chiedere aiuto.”  
“Non capisco a cosa alluda, signor Preside. Non ho bisogno di nessun aiuto.”  
Il professore sospirò, guardandolo con occhi tristi. 
Fece per andarsene, per poi voltarsi nuovamente verso di Regulus, “Un aiuto verrà sempre dato ad Hogwarts a chi lo richiederà.”  
Il villaggio in fiamme. La sua immagine nello specchio. Il sapore del sangue. Le urla. 
La prima volta che usò la Maledizione Cruciatus. Il piacere nel vedere Lucius cadere a terra. 
“Lo terrò a mente, signor Preside ma non è il mio caso.”  
“Come desidera, signor Black.”  

Tornò al dormitorio che Evan già si era addormentato, mentre invece di Barty non c’era ancora traccia. Mirtilla Malcontenta sapeva essere molto testarda quando ci si metteva e se decideva che la tubatura doveva rimanere tappata e il pavimento allagato, così doveva essere. 
Andò in bagno, lasciando scorrere l’acqua fredda del rubinetto per un po’. 
Non avevano una vasca, ma solamente una doccia, inutile per quello che doveva fare.  
Lasciò l’acqua scorrere per qualche minuto, mentre il lavandino andava sempre di più riempiendosi. Arrivato quasi all’orlo, fermò l’acqua, iniziando a respirare profondamente. 
Cosa aveva raccontato Sirius ai Potter? A Silente? 
Se questa guerra sarebbe andata avanti, avrebbero veramente combattuto l’uno contro l’altro? Sirius era coraggioso, ma così tanto da alzare la bacchetta contro di lui? Rise, Regulus. Sì. Lo aveva già fatto.  
Nello studio della madre non c’erano finestre. Solo nella stanzina, dietro alla sua sedia. Una finestra tanto piccola che il sole che ne filtrava a malapena illuminava lo spazio attorno a loro. 
Prese un respiro profondo. Cinque secondi, immerse il volto nell’acqua. Sei. Sette. I pensieri iniziavano a dissiparsi. Dodici. Tredici. Iniziava a sentire il petto bruciare. Quindici. 
Tirò fuori il viso, ansimando e tossendo. 
✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
Qualcosa era successo tra Sirius e il resto dei Malandrini, come andavano in giro a farsi chiamare, ma nessuno riusciva a capire cosa. 
Anche Severus Piton ne sembrava immischiato, ma nonostante tutte le domande che gli fece Evan non ne riuscirono a cavare un ragno dal buco. 
Per i loro problemi, ne risentirono tutti gli altri: i loro scherzi, specialmente quelli di Sirius, si fecero per un lungo periodo molto più cattivi e pericolosi, coinvolgendo pure Pix il poltergeist. 
“È insopportabile.” Decretò Evan, davanti all’ennesimo corridoio inagibile per via di alcuni fuochi d’artificio che scoppiavano ormai da ore. Dovettero fare marcia indietro, per raggiungere il Sotterraneo, arrivando in ritardo a Pozioni. 
“Non lo sopporto!” Disse nuovamente quando invece gli allenamenti di Quidditch erano stati spostati perché qualcuno aveva trasfigurato tutte le pluffe, trasformandole in palle di fango. 
“È odioso.”  
“Evan?” 
“Sì?”  
“Ti stai ripetendo.” 
“Scusa Reg.”  
Ma il culmine fu quando durante la notte lasciò un Bubotubero davanti alla porta della Sala Comune di Serpeverde, che scoppiò la mattina dopo quando Barty lo calpestò senza vederlo. 
Il suo pus esplose ovunque, finendo dritto negli occhi di Barty e sporcando dalla testa ai piedi Regulus. 
“Brucia come l’inferno.”  
“Lo so, ma non fa male in realtà. È come se fosse un disinfettante.” Gli rispose Regulus. Entrambi nel bagno del loro dormitorio, Barty seduto sulla tazza del gabinetto, con Regulus inginocchiato a terra tra le sue gambe che cercava di ripulirlo con una pezza bagnata.  
“Ah! Allora mi consolo.”  
Regulus aveva riso, “Dovresti essere contento di non perdere la vista.”  
“Già. Voglio vederlo negli occhi Black quando gli spaccherò il culo.” Barty ci ripensò qualche secondo. “Senza offesa.”  
“Non mi offendo. Mio fratello è un coglione.”  
“Di prima categoria.” 
Risero entrambi.  
“Reg?”  
“Dimmi.”  
Barty gli prese la mano che teneva sul suo volto, quella che gli stava ripulendo gli occhi. Sbuffò, sfiorandogli leggermente le nocche e Regulus sentì una morsa allo stomaco, mentre il suo intero corpo si immobilizzava. 
Questa volta non aveva bevuto nemmeno un goccio di Acquaviola a cui avrebbe potuto attribuire la colpa. 
James Potter, nella sua testa, si era fatto mano a mano sempre più piccolo, riaddattandosi ad un nuovo posto all’interno della sua mente, un angolino lontano e più scuro, dove aveva rilegato anche certe cose della sua infanzia, mentre Barty Crouch jr ne prendeva sempre più spesso possesso, in punta di piedi. 
Cercava di non darci troppo peso, scrollandosi di dosso quel qualcosa che col tempo era riuscito a soffocare in un anfratto molto lontano e molto impraticabile del suo corpo. 
Ma qualche volta tornava fuori, anche se tutto stropicciato e spezzato. 
Come quando Barty gli si rivolgeva con il suo tono di voce troppo alto, quella stupida barba che gli cresceva rada e rossiccia sulle guance...  
“Nulla.” Gli disse però infine, lasciando andare la sua mano. 
Come se l’intera persona di Barty fosse stata fatta di fuoco, Regulus sentiva ancora il suo tocco sulla mano, come se lo avesse marchiato. Ma non faceva male, era un calore piacevole. Come stare davanti alla stufa del dormitorio, per scaldarsi le mani prima di andare a letto, o la Burrobirra bollente dei Tre Manici di Scopa. 
Non parlarono troppo per il resto della giornata. 
✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
Per la prima volta in tutta la sua carriera scolastica, Regulus passò le vacanze di Natale ad Hogwarts, assieme a Evan. 
Il pensiero di dover tornare a Grimmauld Place, dove ci sarebbero state anche le cugine e i rispettivi compagni gli aveva dato la nausea per giorni; non avrebbe potuto sopportare di stare in loro presenza dopo quello che era accaduto l’estate precedente.  
Aveva scritto un gufo al padre, comunicandogli la propria decisione, giustificandola con il quantitativo di compiti che aveva da fare e il fatto che era rimasto indietro con alcune materie, pensando che sarebbe stato più comprensivo della madre. 
Invece, gli aveva risposto proprio lei: poche righe,  
 
Regulus, 
Ricorda i tuoi doveri. 
 
W. Black 
 
L’aveva accartocciata e gettata nel fuoco, per dimenticarsene. 
 
Barty, nonostante le lamentele che seguirono l’avvenimento, fu prelevato personalmente dal padre ad Hogsmeade, non prima di essersi fatto promettere da Evan e Regulus di non fare –assolutamente- nulla di divertente e di scrivergli spesso. 
“Ogni giorno, Bart, come la tua fidanzatina.” Aveva scherzato Evan, soffiandogli un bacio. 
Il padre di Barty, il signor Crouch, aveva socchiuso gli occhi, mentre si colorava di una malsana gradazione di rosso vinaccia, poco lontano da loro a ridosso della banchina del treno. 
“Ti piacerebbe, Rosier.” 
Poi aveva guardato, Regulus: dal giorno del pus non avevano più avuto modo di stare da soli. Quel “Reg?” e il mistero di quello che sarebbe venuto dopo era rimasto a galleggiare tra di loro come uno spettro, ma nessuno dei due sembrava pronto a riprendere in mano il discorso. 
“Stammi bene, Black.” Si era avvicinato per abbracciarlo, solo un braccio buttato velocemente sulle sue spalle, nulla di troppo invasivo.  
“Anche tu, Crouch.”  
“Bartemius!” Suo padre lo aveva chiamato, infastidito, controllando l’ora in un orologio da taschino. 
“Arrivo, pa’! Scrivetemi, eh?”  
Poi era scomparso, Smaterializzandosi assieme al padre. 
Ad Hogwarts, oltre lui ed Evan erano rimasti anche due studenti mezzosangue di Corvonero, i cui genitori sicuramente aveva pensato fosse più sicuro per loro rimanere a scuola, e Sirius, che mangiava da solo ogni giorno guardando pesto il vuoto davanti a lui. 
Qualunque cosa dovesse essere successa, era piuttosto grave, visto che mai avrebbe saltato un Natale a casa Potter: da quello che aveva potuto raccontargli quando ancora vivevano assieme a Grimmauld Place le feste a Godric’s Hollow erano veramente fantastiche.  
Sapeva di dover andare da lui a dirgli qualcosa, ma cosa? Lo avrebbe cacciato via, gli avrebbe dato del Mangiamorte e avrebbero litigato nuovamente. 
E in un certo senso, nemmeno avrebbe avuto torto. 
Sospirò.* 
 
“Senti, cosa vuoi fare da grande?”  
Evan gli tirò una Gelatino Tutti I Gusti +1, per distrarlo dalla sua lettura. Non era più riuscito a trovare il libro sugli Horcrux, probabilmente Silente lo aveva portato via, ma intrufolandosi nel settore proibito aveva trovato altri tomi piuttosto interessanti.  
“Non lo so.”  
“Impossibile, qualcosa devi pur avere in mente. Il prossimo anno abbiamo l’orientamento.” 
“Appunto, il prossimo anno. Ho un anno e mezzo per pensarci.”  Non voleva pensarci, in realtà. Sarebbe andato in guerra. Avrebbe combattuto.  
Non riusciva neanche più a ricordarsi cosa avrebbe risposto da bambino. 
“Io vorrei dedicarmi al Quidditch. Giocare come professionista.”  
Regulus aveva alzato gli occhi dal libro, posandoli su Evan. 
“Davvero?” 
“Perché, non pensi potrei riuscirsi?” Era subito arrossito. 
“No, no!” Si affrettò a rispondere Regulus, “E’ solo che-” Cercò bene le parole. 
“È bello. Mi ha sorpreso, ecco. Non me lo aspettavo, in senso buono.”  
Evan ridacchiò, ficcandosi una manciata di Gelatine in bocca. La capacità con cui poteva mischiare quattro sapori insieme, che fossero spinaci e fragola e cerume e sapone Marsiglia, senza scomporsi era sorprendente. 
“Se questa stagione va bene, potrei anche riuscirci. Ho sentito che uno dei manager dei Ballycastle Bats era a vedere l’ultima partita, quella dei Grifondoro contro i Tassorosso. So che era qua per Potter ma-” Si strinse le spalle, sorridendo a Regulus, “-magari riesco a fare una bella figura pure io, no?”  
“Assolutamente, Ev.”  
“Quindi cerca di giocare decentemente, anziché farti distrarre da Pott-” Evan si portò la mano alla bocca, fermandosi in ogni caso troppo tardi. 
Non mi faccio distrarre da Potter.” Aveva sputato fuori Regulus infastidito. Non più, almeno, da quando gli aveva portato via il fratello. Ma questo evitò di dirlo. “E in ogni caso non capisco proprio cosa tu voglia insinuare.” Chiuse il libro così forte da strapparne un poco la copertina. 
Evan si sporse su di lui, aggiustando il volume tra le sue mani con un colpo di bacchetta silenzioso. “Ne abbiamo parlato, io e Barty. È che, non ti offendere, ma pensiamo che tu-”  
“Dillo ad alta voce se hai coraggio.” Lo interruppe, alzando la voce che adesso rimbombava nella Sala Comune vuota.  
“Dai Reg.”  
“Non capisci un cazzo, Evan.”  
“Forse. Comunque lo sappiamo che sei quella cosa, e-” 
“Non sapete nulla.” E poi rivide Rabastan che lo spingeva sull’erba, chiamandolo in quel modo. Il Marchio Nero sul suo braccio, quello sul villaggio. La pozza di sangue. Il suo volto allo specchio. E si scordò come fare per respirare, ma i pensieri questa volta non sembravano aver intenzione di andarsene. 
Il cuore nel petto gli batteva così forte da spaccargli le costole. 
“Reg, ascoltami lasciami finire okay?” Evan gli posò una mano sulla bocca, per zittirlo, quando vide che Regulus stava nuovamente per interromperlo. “Va bene così. Respira. Non lo diciamo a nessuno. Ti vogliamo bene.” Tolse la mano, posandola poi sulla sua spalla. 
“Non lo direte a nessuno?”  
“No.”  
Regulus annuì, il respiro che cominciava a tornare regolare.  
“Senti, ti va se andiamo nelle cucine e chiediamo agli elfi di farci una Burrobirra calda?” Chiese alla fine Evan, scrutandolo. 
Ancora senza fiato e con il petto dolorante, Regulus non riuscì a trattenersi dal ridere, anche se tutto quello che gli uscì fu un suono raschiante che fece inarcare un sopracciglio a Evan, confuso. “Volentieri.”  


 
Note: (*) Allora, sappiamo tutti di cosa stiamo parlando, no? L’infausto scherzo di Sirius a Piton, dove rivelò il segreto di Remus. Non sapendo come inserirlo, essendo la storia centrata sul pov di Regulus, ho deciso di dedicargli uno specchiettino. Quuuindi, eccoci, con la prima missing moments di Bitter Water (*applausi*). Ovviamente la storia si può leggere anche saltando questo capitolino aggiuntivo, è solo per completezza che ho deciso di aggiungerlo. 
La prima parte è stata scritta per una challenge sul gruppo "Non solo Sherlock - Gruppo eventi multifandom". :)
I pov sono di James e Sirius, enjoy!  

 

𝐆𝐮𝐢𝐥𝐭 𝐢𝐬 𝐚 𝐩𝐞𝐭 𝐢 𝐠𝐞𝐭 𝐚𝐭 𝟏𝟓 𝐲𝐞𝐚𝐫𝐬 𝐨𝐥𝐝. - Bitter Water 

 
La mattina dopo, dagli occhi di James. 
 
“Chi è stato?” 
Lo sguardo severo della professoressa McGranitt si soffermò su ognuno dei Malandrini, costringendoli ad abbassare il loro. 
Peter si guardò le scarpe, rosso in volto, mentre Sirius si mangiava le unghie con gli occhi gonfi ed arrossati. 
James, che fino a quel momento aveva tenuto le mani nascoste sotto alle sue cosce, si sistemò meglio sulla sedia, sedendosi in modo più ordinato. 
“Sono stato io, professoressa.” Sbuffò fuori, picchiettando con le dita sulle sue ginocchia. Aveva ancora le nocche arrossate. “Ho dato io il pugno a Piton per farlo allontanare da Rem-” 
“Potter.” Minerva prese un respiro profondo, passandosi una mano sul volto. “Lo sa cosa intendo. Chi ha detto a Severus del passaggio per la Stramberga?” 
Seduto di fronte a lui, Remus si muoveva a disagio sulla sedia, con le pesanti mani del padre che lo ancoravano ad essa premendo sulle sue spalle. 
“Con tutto il rispetto, Minerva, ma non credo che questi vogliano parlare.” 
“Lyall, li dia il tempo.” 
“Saremo espulsi?” Chiese con voce flebile Peter. 
“Lo spero.” Borbottò la mamma di Piton, alle loro spalle. “Mio figlio ha rischiato di morire stanotte.” 
“Tanto quanto il mio, Eileen.” Lyall Lupin strinse più forte le spalle di Remus, strappandogli un gemito sommesso. 
“Oh, la smetta signor Lupin, penso che un lupo mannaro si sappia difendere abbastanza bene.” 
“Mi dispiace così tanto...” Sussurrò Sirius, al suo fianco. Tanto piano che nessuno degli adulti presenti riuscì a sentirlo, troppo occupati a parlare l’uno sopra l’altro. 
James si girò a guardarlo, ma Sirius aveva lo sguardo puntato su Remus. “Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace midiaspiacemispiacemidispiace...” Non lo diceva ad alta voce, muoveva solo le labbra, mentre Remus gli restituiva lo sguardo più perso, confuso e ferito che James avesse mai visto. 
“Sono stato io.” Ripeté. 
“Potter...” 
“E’ tutta una farsa!” Urlò Piton, scivolando via dall’abbraccio della madre. Un grosso livido giallognolo gli colorava lo zigomo destro, là dove le nocche di James avevano incontrato il suo volto. “È stato Black! Me lo ricordo chiaramente! Black mi ha braccato e mi ha detto che avrei visto un vero lupo mannaro se avessi-” 
“Severus, mi sta dicendo che è andato anche se era consapevole del pericolo?” La professoressa iniziava a perdere la pazienza. 
“Per favore non iniziamo ad incolpare le vittime.” Sibilò Eileen Piton, riacciuffando il figlio per un braccio. 
James vide Piton chiudere i pugni, livido di rabbia: aveva detto troppo. 
“Sono stato io.” Ripeté quindi, ancora una volta, ma con più decisione. 
La professoressa McGranitt si sedette sulla scrivania, togliendosi li occhiali. Li passò sulla gonna della veste, come se volesse pulirli. 
“Uscite. Tutti. Voglio parlare da sola con Potter.” 
Svogliatamente, i genitori scortarono i figli fuori dall’ufficio, senza smettere di brontolare tra di loro. 
“Cosa cerca di ottenere con questo?” Glielo disse non con rabbia, ma con stanchezza. Delusione. E James ne sentì tutto il peso addosso. 
“Sono stato i-” 
“Per favore, siamo solo io e lei. Sappiamo tutti che è stato Sirius Black. Voglio solo capire perché continua a prendersene la colpa, si rende conto del male che ha fatto al vostro compagno?” 
James abbassò lo sguardo, profondamente imbarazzato. “Non lo sto coprendo. Sono stato io.” Si guardò le punte delle scarpe, sporche di fango, “Sirius non può venir espulso. Non può tornare a casa. Quello che successo è brutto. E sbagliato. Ma se torna a casa non ne uscirà vivo, e penso che nemmeno Remus lo voglia.” 
La professoressa, scese dalla scrivania, lisciandosi la gonna con un gesto brusco delle mani. 
“Verrete allontanati per il resto dell’anno scolastico dalla squadra di Quidditch, sia te che Black, e ovviamente dovrete scontare una punizione. Parlerò da sola con Lupin e decideremo assieme come muoverci personalmente con lui, ma non è necessario che altri lo sappiano. Adesso fuori, e per favore dì ai genitori di rientrare, senza i ragazzi.” 
“Grazie professoressa.” 
“Fuori, Potter.”  
 
L’aiuto, da Regulus.  
 
Regulus si sedette al suo tavolo della Sala Grande, proprio di fronte a lui. Sirius alzò gli occhi su di lui solo per qualche secondo, prima di riabbassarli velocemente sul proprio piatto.  
“Beh?” Gli fece quello. 
“Beh?” Ripeté.  
“Sembri un cane bastonato. È successo qualcosa.” Regulus allungò una mano nel suo piatto, rubandogli una patata al forno.  
Sirius dovette resistere all’impulso di piantargli la forchetta nella mano. Invece, alzò gli occhi al cielo della Sala Grande dove un grosso nuvolone temporalesco andava a formarsi tra i candelabri.  
“Non sono un cane bast-”  
“Ho detto che lo sembri. 
“E ti importa?”  
Lo vide alzare le spalle, mentre stuzzicava la sua cena con la punta delle dita. “Sì. Vuoi parlarne o no? Evan mi aspetta per scendere nel Dormitorio.”  
“Non potrei, anche se volessi. Silente mi ha chiesto di rimanere in silenzio.”  
Regulus incontrò il suo sguardo, “Silente? È grave allora. Riguarda James?” 
“No.”  
“Lupin?”  
“No.” Sentì le guance arrossarsi, mentre Regulus si fermava ad osservarlo, tra un boccone e l’altro.  
“Hai chiesto scusa?” 
Secondo te, non ho- 
Regulus alzò le mani, in segno di resa. “Era per chiedere, testa calda. 
Qualunque cosa sia successa troverete un compromesso. Sei Sirius, mh? Alla fine, riesci a sempre a risolvere le cose.”  
Sirius lo guardò alzarsi, in silenzio, “Ricordi quando abbiamo distrutto le tende della sala da pranzo? Ci hai tirato fuori dai guai, no? Lo farai anche con Lupin.” Lo salutò con un mezzo sorriso e un gesto della mano, lasciandolo con un fastidioso dolore al petto. 
 
Il rimorso, dagli occhi di Sirius. 
 

“Mi dispiace.”  
Sirius avvicinò il volto al baldacchino, quasi andandolo a sfiorare con il naso e le labbra. Le tende si muovevano sotto al suo respiro, un po’ di polvere si alzava da esse ad ogni parola pronunciata, “Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.” Continuava a sussurrare.  
Le vacanze di Natale erano terminate da qualche settimana, ma nessuno nel dormitorio aveva avuto voglia di togliere le decorazioni che penzolavano polverose da letto a letto: non James, che si aggirava per la stanza a piedi nudi cercando di sorridere, non Peter che si era ritirato dall’aria pesante che aleggiava tra di loro scendendo nella Sala Comune. 
Sicuramente non Remus, rinchiuso da quella mattina nel baldacchino.  
“Mi dispiace,” Continuava a mormorare Sirius, “Mi dispiace, mi dispiace.”  
 
Non aveva voluto fargli del male. 
Fare del male a Remus non era nemmeno l’ultimo dei suoi pensieri: era semplicemente inimmaginabile. 
Ma lo aveva fatto lo stesso. 
“Mi dispiace.” Aveva iniziato a sussurraglielo quella mattina in Infermeria, il giorno dopo lo scherzo. 
“Mi dispiace.” Quando avevano convocato i loro genitori per decidere la punizione, e Sirius aveva dovuto mettersi al fianco di un James pallido e tremante che non aveva alcuna voglia di rivolgergli lo sguardo, mentre Eufemia Potter faceva le veci di Walburga. 
“Mi dispiace.” Quando lo aveva visto prendere il treno ad Hogsmeade per tornare a casa. 
“Sirius non puoi rimanere solo a Natale.” Aveva provato a convincerlo il padre di James, Fleamont, “Lo sai che da noi sei il benvenuto.” Ma Sirius fu irremovibile: quello sarebbe stato il suo personale modo di espiazione del peccato. 
Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, lettere fitte di scuse ed imprecazione e confessioni a cuore aperto che poi erano finite nel caminetto. 
Da Remus, il silenzio. 
Silenzio in Infermeria, silenzio nell’Ufficio della professoressa McGranitt, silenzio nel dormitorio.  
Forse avrebbe preferito vederlo arrabbiato. 
Avrebbe preferito venir preso a pugni, a parole, venir spinto a terra ed insultato e preso a calci, tutto ma non quello. 
 
“Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.” 
“Dimmi qualcosa che non so.”  
La risposta arrivò un pomeriggio soleggiato. “Uh?”  
Sirius mosse le tende del baldacchino, avvicinandosi a Remus che evitava di guardarlo in volto, avvolto nelle coperte del letto.  
“Dimmi qualcosa che non so.” Ripeté quello. 
“So suonare il pianoforte. Mamma mi metteva al centro della stanza per suonare, quando avevamo ospiti.”  
“E poi?” 
“So parlare francese.”  
“Quello lo avevo capito. Si capiva dall’accento, i primi anni. Adesso ti è scomparso.” Vide Remus chiudere gli occhi, nascondere il naso nel piumone, “Vai avanti, Sirius.”  
“Il gioco preferito di Regulus era un gatto di peluche di nome Marmocchio.”  
“Qualcosa su di te.” 
“Mi dispiace per quello che ho fatto.”  
Remus aprì un occhio, “Perché lo hai fatto allora?”  
Sirius rimase in silenzio, in piedi di fronte al letto dell’amico.  
“Raccontami dello scherzo.” 
“Piton stava facendo il cretino con la Evans. James si è innervosito, è corso su al dormitorio e io-” Sirius prese un respiro veloce, “-io sono andato a dirgli del Platano. Gli ho chiesto se avesse voglia di vedere un lupo mannaro, uno vero. Lui all’inizio non ci credeva e continuava a ripetermi che non era stupido e che sapeva fosse uno dei nostri scherzi e vattelapesca.”  
“Ma alla fine lo hai convinto. Si è presentato alla Stramberga.”  
“Sì.”  
Sirius rimase in silenzio, così Remus.  
Si rese conto che erano passate settimane e settimane, da quando si erano rivolti la parola per l’ultima volta.  
Era confortante sentire nuovamente il suo nome pronunciato da Lunastorta. 
“Non posso perdonarti in una volta sola. Mi serve tempo, okay?” Mentre Sirius annuiva Remus si fece da parte, lasciando uno spazio vuoto nel letto, “Siediti. Raccontami altre cose che non so.”  
La vicinanza con Remus era così mancata a Sirius che quasi pensò di stare per scoppiare a piangere, quando sedendosi sentì il calore che aveva lasciato il suo corpo sul materasso. “Ho fatto danza, da piccolo.” 
“Che tipo di danza?”  
“Classica.” 
Per Merlino, Felpato, sei imbarazzante.”

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Capitolo 13
*** Quarto anno - Capitolo 12. Il cliché dell'Armontentia. ***


Tw. linguaggio omofobo.

 
Quarto anno, capitolo dodici.  
Il cliché dell’Armontentia. 

Le lezioni erano ricominciate da qualche mese, quando il nome del suo vecchio compagno figurò in prima pagina sulla Gazzetta del Profeta.  
 

    SOSPETTO MANGIAMORTE SOTTO LA CUSTIODA DEL MINISTERO RITROVARTO MORTO 

14 Aprile 1975, Londra, Ministero della Magia Inglese. 
Una brutta sorpresa per l’elfo Workey, il cui compito consisteva nella pulizia e della manutenzione delle prigioni del Ministero: è stato proprio lui, infatti, a ritrovare il corpo di Maynard Knight, 19 anni ancora da compiere –il suo compleanno sarebbe caduto proprio fra 3 giorni-. 
Il ragazzo, detenuto nelle celle sotterranee del Ministero in attesa della preparazione del Veritaserum per l’interrogatorio, era stato accusato di essere in combutta con i Mangiamorte, e di aver partecipato all’attacco avvenuto a nord di Kingston Uppon Hill di due mesi fa, in cui persero la vita 3 maghi nati-babbani. 
Sul corpo non sembrerebbero esser stati ritrovati segni di violenza, ma la sua morte rimane ancora da indagare. La pista dell’omicidio, sebbene sia stata scartata quasi immediatamente dal Direttore dell’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, Bartemius Crouch, sembrerebbe poter aprire ad altri più intricati sentieri: è stato ucciso per vendetta? O per coprire qualcosa? O peggio: qualcuno. Varie speculazioni sono state già messe a tacere dal Capo del Dipartimento di Applicazione delle Leggi Magiche. 
La madre, Rosalia Knight nata in Talpin, non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione.  
 

Sotto l’articolo, firmato Rita Skeeter, svettava una piccola foto di Knight, risalente ai suoi anni ad Hogwarts. Indossava la divisa di Quidditch dei Serpeverde e sorrideva alla macchina fotografica, entusiasta e sudato per la partita appena giocata. 
Quella stessa mattina, il fratellino fu ritirato da scuola dalla madre, sconvolto e in lacrime.  
Il resto dei Serpeverde passò la mattinata in lutto, aggirandosi silenziosi per i corridoi scambiandosi occhiate lacrimose, mentre tra gli studenti della scuola si iniziava a mormorare: era la prima volta che un ex studente di Hogwarts era stato accusato pubblicamente di essere un Mangiamorte, e il castello sussurrava “L’ho sempre detto che non sembrava totalmente sano.” “Ti ricordi come era aggressivo?” “Sicuramente ce ne sono altri! Probabilmente ci facciamo anche la colazione assieme.”. 
Regulus avrebbe voluto urlare, ma si limitò a gettare la Gazzetta nel camino della Sala Comune. 
Knight era stato un ragazzo gentile, e Regulus era sicuro che, qualunque fosse stata veramente la sua fine, avrebbe meritato di meglio. 
Non morire così, da solo, in un buco senza finestre sotto al Ministero. 
L’intera scuola, seppur in modi totalmente diversi, ne fu talmente sconvolta che il Preside tenne un discorso prima della cena, quella sera: qualcosa sul non perdere di vista i propri amici, fare le scelte giuste. Chiedere aiuto.  
Regulus fissava il suo piatto senza neanche vederlo e le parole lo colpivano come bolle di sapone, scomparendo qualche secondo dopo averle sentite. 
“E’ una bella merda, eh? Quella di Knight.” Disse Evan a letto, una volta tornati nel loro dormitorio. 
“Già.” Rispose Barty, che aveva accusato particolarmente il colpo: era stato suo padre a mettere Maynard lì dentro. Ne era sicuro. “Non posso crederci se ne sia andato. Pensavo che dopo la scuola... boh, non so.” Aveva sospirato. 
Regulus rimase in silenzio, lo sguardo perso tra le tende del suo baldacchino. 
✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
Barty, non era amato da suo padre.  
Probabilmente nella sua vita c’era stato un periodo di favole raccontate prima di addormentarsi, partite di Quidditch nel giardino sul retro e piscine gonfiabili durante l’estate, come c’erano state per Regulus. Lo sapeva, perché lo capiva dal suo tono di voce quando parlava di lui. 
Lo stesso che usava Sirius, prima che il risentimento prendesse il posto della nostalgia. 
Barty non era amato da suo padre, e dopo l’uccisione seguita all’incarcerazione di Knight nemmeno suo padre si poté più definire amato dal figlio. 
“Che ne pensate?”  
Barty guardava i suoi amici, entrambi chinati sopra una lunga pergamena scritta di suo pugno, dove pretendeva giustizia per la morte di Maynard, indirizzata a suo padre. 
“Non mandarla.” Rispose subito Evan.  
“Regulus?”  
Regulus alzò gli occhi, incontrando quelli di Barty, “Ha ragione. Non mandarla. Rischi di inimicartelo solamente, non ha bisogno di un ragazzino che gli spieghi come fare il suo lavoro.” 
“Evidente ne ha bisogno, se non è riuscito a farlo.” Gliela strappò dalle mani, piegandola velocemente. “Reg, mi presti il gufo?”  
“Non farlo, Reg.” Evan lo guardava supplichevole, “Ferma questa pazzia.” 
“Avrebbe preso uno della scuola in ogni caso.”  
Barty si chinò verso di lui, strappandogli un bacio sulla guancia. “Grande, Black.”, e corse fuori dal dormitorio, diretto alla guferia.  
“Cosa diavolo era, quello?” Chiese Evan, toccandogli la guancia con un dito. 
“Vorrei saperlo anche io.” 
Nel naso, ancora il profumo della sua colonia. 
 
Alla prima ora, qualche giorno dopo, avevano Pozioni. Lumacorno aveva già preparato varie miscele che ribollivano nei calderoni, e l’aula era così calda e profumata che ricordava più quella di Divinazione: il profumo delle pesche lasciate marcire sotto al sole e quello della terra umida di un orto riempivano ogni angolo della stanza, ma non riuscivano lo stesso a coprire quello della colonia di Barty che ancora pizzicava il naso di Regulus.  
“Chissà dirmi cosa abbiamo qui?”  
Barty rispose quasi immediatamente, senza alzare la mano e con l’aria annoiata. “Amortentia.”  
“Sai anche spiegare al resto della classe a cosa serva?”  
“Filtro d’amore.” Ribattè con voce monotona.  
“Bene, bene, di poche parole ma dritto al punto. Cinque punti a Serpeverde! Adesso se non vi dispiace, aprite il libro a pagina...”  
Barty sospirò rumorosamente, mentre la voce del professore si andava a perdere tra il fruscio dei libri e le prime risate soffocate da parte delle ragazze. 
“No.”  
Sia Evan che Regulus si scambiarono un’occhiata preoccupati, prima di alzare gli occhi verso Barty, che non aveva ancora aperto il libro.  
“No? Signor Crouch?” Lumacorno lo guardò confuso, aggrottando le sopracciglia. 
“C’è una guerra fuori. Non mi metto a giocare con i filtri d’amore, mi insegni qualcosa di utile.”  
Merda.” sussurrò Evan, mentre Regulus osservava il professore cambiare colore nel viso. 
“Signor Crouch, spero per lei che stia scherzando.”  
“Knight è morto. Era suo alunno. Ma a nessuno di voi frega un cazzo perché era un Mangiamorte.” Iniziò a tremare, il tic alla bocca farsi più evidente. Il resto della classe osservava la scena in silenzio, mentre i fumi dell’Armontentia volteggiavano tra i loro piedi.  
Linguaggio.” Tuonò il professore. Gli studenti lo guardarono meravigliati, non abituati a sentire il mite professor Lumacorno alzare la voce in quel modo. “È pregato di uscire dalla classe, signor Crouch. Toglierò 50 punti alla sua Casa per l’insolenza, mentre deciderò una punizione adeguata.”  
Barty raccolse la sua roba, sbattendola dentro lo zaino con forza. Lasciò la classe a grandi falcate, le mani affondate nelle tasche dei pantaloni, e senza degnarsi di salutare Evan o Regulus. 
Non rivolse loro neanche un cenno, in realtà. 
“Che gli è preso?” Sussurrò Evan, sporgendosi verso Regulus per raccogliere le uova di Ashinder.  
Regulus alzò le spalle, scuotendo piano la testa. 
Barty era tanto intelligente quanto stupido. E Regulus sapeva quanto questo potesse sembrare un ossimoro, ma non avrebbe saputo descriverlo meglio. 
E forse, era perché semplicemente, a Barty, non gli importava. 
Non gli importava dei voti, non gli importava di quello che si potesse pensare di lui, non gli importava di mettere in cattiva luce la propria famiglia, e per tanti aspetti a Regulus ricordava Sirius. 
Con gli esami di fine anno quasi alle porte e i G.U.F.O che incombevano su di loro a Barty non importava di fare una scenata nel bel mezzo di una lezione di Pozioni perché non riteneva utile la pozione che stavano per andare a fare. 
A Regulus non dava noia, però, il suo atteggiamento. Da ragazzino, lo affascinava. Adesso, aveva imparato a conoscerlo. 
Dopo la lezione Evan si affrettò a riordinare per raggiungere Barty, mentre Regulus si trattenne nell’aula.  
Quella dannata colonia gli stava facendo venir mal di testa, avrebbe dovuto dire a Barty di comprarne una nuova.  
“Professore?”  
Si avvicinò a Lumacorno, intento a segnare i voti che avevano preso quella mattina sul registro. 
“Mi dica, signor Black.”  
“Mi dispiace per come si è comportato Crouch a lezione, lui-”  
“Non è suo compito scusarsi per gli errori degli altri. Siete sconvolti per la morte del vostro compagno, e lo capisco. Ma non è una giustificazione.”  
Regulus strinse la cinghia della borsa, a disagio, “No. Mi dispiace professore.”  
Lumacorno sorrise, scribacchiando una A accanto al nome di Susan Ferrett. “Vada, signor Black. Comunicherò personalmente la punizione al signor Crouch domani mattina.”  
“Va bene.” Regulus salutò velocemente, abbandonando l’aula. 
A Difesa Contro le Arti Oscure, non si videro né Barty né Evan, e nemmeno per l’ora di pranzo.  
Regulus sbocconcellò una fetta di toast accanto a Piton, chiedendosi dove potessero essere finiti i suoi amici. 
Agli allenamenti di Quidditch, Evan si presentò in ritardo, senza indossare la sua divisa. 
“E fortuna che sei l’allenatore.” Sbuffò sarcastica una ragazzina del secondo anno. 
“Tre giri di campo, e fatemi vedere un po’ di passaggi con quella pluffa, avanti.” Rispose Evan, prendendo il volo.  
Dopo gli allenamenti, aspettò che gli spogliatoi si svuotassero prima di affrontarlo, “Hai intenzioni di dirmi cosa è successo?”  
“Reg,” Evan sembrava distrutto. La partita che aveva giocato come simulazione all’incontro con i Corvonero dei giorni seguenti era stata una tortura, sia da giocare che da assistervi: Regulus aveva giurato di vedere Violet Greengrass abbandonare gli spalti sconsolata. “vuole andarsene. Barty, dico. Vuole unirsi-” si voltò, controllando che lo spogliatoio fosse veramente vuoto, “-a loro.” 
“E’ una cazzata. Suo padre lo scoprirebbe subito e finirebbe ad Azkaban. E comunque al Signore Oscuro non servono ragazzini tra le sue file buoni solo a farsi ammazzare.”  
Non gli servono i ragazzini. Si ricordò delle lezioni con Lucius. Le piccole cicatrici che aveva sul fianco sembrarono bruciare al ricordo della bacchetta. 
“Lo so! È quello che ho cercato di fargli capire, ma è così stupido.” Si strofinò gli occhi, con l’indice e il pollice. “Gli ho detto: aspetta i diciassette anni, e lo sai cosa mi ha risposto? Vaffanculo.” Imitò la voce profonda di Barty, facendo un gestaccio con la mano. “Non lo sopporto quando fa così, Reg.”  
“Nemmeno io.”  
Stette a pensare per qualche secondo, fissando le scarpe che qualcuno aveva dimenticato, ormai torse per la condensa delle docce e l’umidità. “Senti, tu va a cena. Vado io a parlargli.”  
“Buona fortuna.”  

Nella Sala Grande, non c’era traccia di Barty. Così come nella Sala Comune. O nella biblioteca.  
Alla fine, lo trovò nella Torre d’Astronomia, intento a fare i compiti. Non lo sentì arrivare, e Regulus rimase qualche minuto sulle scale, ascoltando la sua piuma che scriveva sulla pergamena e il suo respiro. Osservando la sua schiena, che guizzava sotto la camicia ad ogni movimento, chinarsi sul telescopio ed annotare qualcosa. 
“Sembri molto preso da Astronomia, per uno che vuole mollare.”  
Barty trasalì, lasciando cadere il telescopio e il quaderno a terra. “Oh, sta zitto, Black.”  
“Dico sul serio. Che ti importa dei compiti se domani sarai tra le file di Voldemort.”  
Barty lo guardò ferito, “Non dire il suo nome. E poi-”  
“Se vuoi unirti a Lui, tanto vale imparare a conoscerlo.”  
Reg.”  
“Tu non sai come è laggiù. Io sì, ci sono andato.” Il ragazzo che cade all’indietro. Il Mangiamort-no, il suo compagno che lo uccide. Crucio. Lui davanti allo specchio, sporco di sangue. “Perché è il mio dovere. E tu non-” Si interruppe perché aveva iniziato ad urlare, obbligandosi a ricomporsi. Non voleva gridare contro Barty, non era per quello che era venuto fino lì. “E tu vuoi solo fare un dispetto a tuo padre.” 
“Regulus, mi dispiace.” Era sincero. 
“Okay.” Rimasero in silenzio, imbarazzati. “Posso aiutarti?” Disse alla fine, Regulus, per rompere il silenzio. 
Quello deglutì, “Certo.” Gli passò la pergamena e la piuma. “Io ti dico le coordinate, tu le segni. Okay?” “Va bene.” 
“Dubhe, ventisette gradi a sud-est...” 
Regulus scriveva, cercando di dimenticarsi i dettagli di quella notte che in momenti di tensione risalivano in superficie.  
Sarebbe stato sempre così? Sarebbe bastato sempre così poco per ricordarsi di quello che aveva fatto? E di quello che avrebbe fatto, dopo aver preso il Marchio?  
“...tentia?”  
Regulus alzò gli occhi dalla pergamena, realizzando che Barty aveva smesso di snocciolare coordinate. “Come?”  
“La tua Armontentia. Che profumo aveva?”  
Barty non lo guardava, tenendo gli occhi incollati al telescopio. Con una mano aggiustò la messa a fuoco. 
“Pesche.”  
“Pesche?”  
Regulus alzò le spalle, “Sì. Se non ci fosse stata la tua colonia di merda a coprire tutto magari avrei potuto darti una risposta più soddisfacente.” 
Vide Barty trasalire, grattarsi via distratto la crosta che gli si era formata sulla guancia, colpa del tic e dell’agitazione dei giorni precedenti, giocare un po’ con il sangue che ne era uscito. “Lo sai cosa ho sentito io?”  
“No.” 
Lasciò stare il telescopio, abbandonando il gruppo di stelle che stavano osservando. 
“Acqua di mare. Biancospino. Menta piperita.”  
Barty si voltò a guardarlo, e Regulus pensò che stesse per dargli un pugno per quanto sembra arrabbiato. Le labbra strette, ridotte ad una linea sottile, e lo sguardo cupo non lo aiutarono a capire quello che sarebbe successo dopo.  

Ma presto scoprì che Barty baciava come il fuoco. 
Barty era irruento, aggressivo, quasi cattivo e dietro di sé aveva la premura di non lasciare nulla. Solo le ceneri. 
Barty quando baciava, faceva terra bruciata di tutto quello che si trovava attorno a lui.  
E a Regulus andava bene. 
Perché a Grimmauld Place era sempre stato terribilmente freddo. Ogni mattina si svegliava con le mani congelate, come se le avesse immerse nella neve tutta la notte.   
Anche ad Hogwarts faceva freddo: le mura del sotterraneo dove vivevano erano sempre viscide per l’umidità, dalle finestre del dormitorio non avrebbe mai potuto entrare un po’ di sole per riscaldarlo. 
A Regulus, un po’ di fuoco, non faceva paura. Lo aveva sempre cercato, per togliersi tutto quel freddo via dal petto.  
“Bart.” Si scostò da Barty, che lo guardava rosso in volto e con le labbra martoriate. “Lo vuoi davvero?” 
Lui non gli rispose subito.  
Fece scivolare le sue mani in quelle di Regulus, attirandolo sé. Un colpo di vento sollevò gli angoli della pergamena, dimenticata sul parapetto della Torre. 
“Sì. Ma non dirlo a nessuno.”  
“Va bene.”  
Le sue labbra picchiarono nuovamente su quelle di Barty, mordendo e baciando e poi lasciandosi mordere a loro volta. 
Poi passò alla mascella, il collo, mentre Barty rideva perché il suo respiro lo solleticava. 
La camicia odorava di ammorbidente, lui di sudore, sale e terra. 
Si rese conto che, quel giorno, non aveva messo la colonia. 
 
 
Dopo quel primo bacio, se ne susseguirono altri, durante le pause delle lezioni, nei ripostigli di Gazza, nascosti dietro le tende e gli arazzi. 
Senza parlare, vergognandosi quando si trovavano a fare i conti con quello che aveva fatto. Perché a nessuno piaceva vedere due finocchi amoreggiare per la scuola, Regulus lo sapeva bene, ed era sicuro lo sapesse pure Barty. Davanti agli altri si tenevano a distanza, facendo finta che quella notte non fosse mai esistita.  
Nemmeno ad Evan dissero nulla. 
La pergamena di Astronomia fu dimenticata sulla Torre, un ragazzo del loro anno di Grifondoro la trovò e spacciò i compiti per suoi. Così Barty prese la sua prima D e l’ennesima punizione per avergli fatto un occhio nero. 
Ed a qualche giorno dalla fine delle lezioni e dal loro ritorno a casa, Regulus stava sempre peggio: il solo pensiero di dover passare l’ennesima estate dai cugini lo faceva stare male. 
La nausea si fece più forte, specialmente nelle ore serale, quando si rigirava mille volte nel proprio letto cercando una posizione confortevole, che non trovava mai.  
“Non riesci a dormire?” Gli sussurrò Barty, dietro il baldacchino chiuso. Evan russava, il rumore ottavato dalle tende e dalle coperte che si metteva fin sopra la testa. Fuori, il tempo era terribile: l’acqua del Lago scuoteva i vetri dei rosoni, e se il dormitorio fosse stato sopra il livello dell’acqua Regulus scommetteva che avrebbero sentito il vento sbattere contro le finestre. Se un’onda più forte o un vortice d’acqua li avesse spaccati, facendolo morire annegato, non gli sarebbe dispiaciuto, non in quel momento. 
Era passato dal temere l’acqua a vederla come un rifugio. 
“No.”  
“Non vuoi tornare a casa, vero?”  
Regulus si girò verso la voce, osservando le decorazioni delle tende del baldacchino. Piccoli serpenti verde scuro si inseguivano tra le stelle. “No.”  
Barty rimase così tanto tempo in silenzio, che Regulus pensò se ne fosse tornato nel suo letto. 
“Ti seguirò, Reg. Qualunque cosa succeda.”  
“Non farlo.” 
“Ho già deciso.”  
Sentì i suoi passi allontanarsi, il fruscio delle coperte mentre tornava a sdraiarsi. 
Ti seguirò, Reg. Ho già deciso. 






Note: Uuuh capitolo un po' baciucchioso, spero non abbia annoiato! I Bartylus sono una delle otp del mio cuore, che bello che finalmente sono riuscita ad arrivare alla loro parte ;; 
Non ho nient'altro da dire onestamente, ci vediamo alla prossima! 

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Capitolo 14
*** Quarto anno - Capitolo 13. Ricordi l'estate delle piogge? ***


Quarto anno, capitolo tredici.  
Ricordi l’estate delle piogge? 
 
Hey Reg, 
Nulla di nuovo a Glasgow. 
Piove molto, sono quasi sempre in casa. Mamma ha detto che ti ha visto l’altro giorno, era in visita a Grimmauld Place. Avessi saputo prima che sarebbe venuta lì, ti sarei passato a trovare. 
Ho ricevuto un gufo da Bart l’altro giorno, gli dispiace di non poterti scrivere ma suo padre sembra essere in conflitto col tuo. Roba del Ministero, ma probabilmente già lo sai. Mi ha chiesto di dirti di non offenderti quindi se non risponde. 
Fammi sapere qualcosa, per favore, mi annoio un sacco. Non vedo l’ora sia settembre.  
E.R. 
 
Hey Reg,  
Ancora nulla di nuovo a Glasgow.  
Non ho ricevuto tue notizie da qualche tempo, quindi scusa se ti ho riscritto. Barty mi sta stressando molto per avere tue notizie.  
Sua mamma gli ha permesso di venire la scorsa settimana, abbiamo giocato un po’ a Quidditch ma è veramente una schiappa. Non dirgli che te l’ho detto. 
Per favore RISPONDII!!!!!! 
E.R 
 
Regulus Black!  
Rispondici! Siamo preoccupati. Non rispondere a questo indirizzo, manda a Evan. 
B. 
P.S Mi è caduta la pergamena in una pozzanghera. Scusa. 
 
Pioveva anche a Londra. 
Regulus aveva pensato che con così tanta pioggia si sarebbe potuto lavare anche lo sporco più ostinato. 
E invece così non era stato. 
O era semplicemente Regulus Black ad essere quello sporco? Lo sentiva su di lui, attorno a lui. Non importa quante volte avesse cercarlo di lavarselo via. 
“Mamma, ti prego.”  
Regulus piangeva, aggrappandosi alla gonna della madre. Lei lo spostò con un calcio. “Smettila di piangere. Farai come ti è stato detto, sii il mio bambino, quello bravo.”  
“No.”  
“Regulus.” 
“Non riesco!” Urlò, tenendosi la testa fra le mani.  
Regulus. 
La mano di Walburga tremava leggermente, mentre pallida in volto alzava la bacchetta, “E’ per il tuo bene, lo sai vero?” Sussurrò, chinandosi verso il figlio che singhiozzava ai suoi piedi,  “Imperio.” 
 
Lucius era arrivato quella mattina, accompagnato da Rodulphus, “Il Signore Oscuro lo vuole incontrare.” aveva sussurrato alla madre, pensando che Regulus non riuscisse a sentirlo dall’altra parte del lungo corridoio. 
“No.” Gli era sfuggito rispondendo al posto della madre, per poi portandosi immediatamente una mano alla bocca. I quadri vicino a lui presero a sussurrare. 
“Non puoi tirarti indietro adesso, dopo tutto quello che hai fatto!” Si intromise Rodulphus, arrancando verso di lui e scuotendolo dolorosamente per la spalla. 
Ma la verità è che non poteva tirarsi indietro, e basta. 
Era contento che Sirius se ne fosse andato, perché non avrebbe potuto sopportare il suo sguardo adesso. 
Era corso quindi in camera sua, chiudendosi la porta alle spalle, mentre il respiro si faceva sempre più veloce. 
Si lasciò cadere a terra, in mezzo alle lettere dei suoi amici sparse per il pavimento: alcune non aveva nemmeno avuto il coraggio di aprirle il sigillo rosso fuoco posto di loro sembrava giudicarlo. 
Regulus Black, doveva seguire gli ordini. Regulus Black era un bambino ubbidiente.  
Regulus Black era una brutta persona.  
Un singhiozzo gli scoppiò in gola mentre le lacrime iniziavano ad uscire, bagnandoli il volto e il colletto della camicia. Regulus Black voleva giocare Quidditch, assieme a Evan. Regulus, cazzo!, voleva baciare nuovamente Barty. Invece aveva dovuto spingerli via, rinchiuderli in una stanza lontano dalla sua mente e dalla sua vita, perché se ne fossero entrati in contatto si sarebbero fatti male. 
Quello che gli aveva detto Barty quella notte lo aveva tormentato come un fantasma: Ti seguirò, Reg. Ho già deciso, la sua voce si mischiava a quella di Evan, quando anni prima gli aveva detto la stessa cosa. 
E allora nei suoi sogni, il ragazzo che disarmava e che veniva ucciso aveva preso il suo volto. Poi mutava, in quello di Evan. Qualche altra volta, invece, era Knight che compariva al villaggio, bianco in volto e con le mani sporche di sangue. 
Tutto ciò che amava ed era amato da Regulus, sembrava destinato ad una fine orribile. 
Forse solo Sirius era riuscito a salvarsi, perché, per quanto faticasse ad ammetterlo, covava nel profondo del suo cuore il sentore che il fratello avesse smesso di amare Regulus molto tempo fa. 
“Regulus, apri la porta.” La voce della madre ruppe il silenzio, aldilà della porta. E Regulus, che era ubbidiente, si alzò ed aprì. “Seguimi di sotto.” Gli ordinò, con la voce inflessibile. E Regulus, lo fece. 
 
Inginocchiato di fronte alla vasca, con l’acqua limpida che roteava incantata sotto al suo sguardo, Regulus chiese pietà alla madre. 
“E’ per il tuo bene, lo sai vero?”, rispose lei, puntando la bacchetta contro la testa del figlio. “Imperio. 
Le mani di Regulus si mossero senza che fosse a volerlo, mentre la sua testa diventava più leggera. Non c’era lui, c’era solo il comando della madre. 
Un respiro profondo, e poi giù la testa nell’acqua.  
Un secondo, due. Aprì la bocca, lasciando che l’acqua lo purificasse anche dentro. I polmoni iniziarono a bruciare, chiedendo aria. 
Venti, ventuno. Ogni volta, quando iniziava a pensare: sto morendo, la madre spezzava l’incantesimo, per poi raccoglierlo tra le braccia e spiegarlo che era per renderlo forte, per renderlo ubbidiente, valoroso, resistente ed altre belle parole che per Regulus non avevano poi questo gran significato. 
Grondante, Regulus tornava sé stesso, vomitando fuori l’acqua, ogni respiro più doloroso dell’ultimo. 
La madre gli prese la testa, poggiandola sulle sue gambe: Regulus sentiva i capelli bagnati sgocciolare sul pavimento, tra le sue gonne. “Il mio bambino, il mio bambino,” mormorò tenendolo stretto, le dita che giocavano con i suoi ricci. “Così bravo. Il mio unico bambino. Renderai tanto orgogliosa la tua mamma.” Si chinò per dargli un bacio, sulla tempia. 
Regulus chiuse gli occhi. 
Ormai sapeva che però, pulito, non ci si sarebbe mai più sentito. 
✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚  
Lord Voldemort sembrava dominare sull’intera stanza. E Regulus non seppe dire se era il suo potere o se semplicemente era colpa delle persone sedute a tavola con lui, che stavano con la testa bassa e non osavano guardarlo in faccia. L’unica era Bellatrix, che dietro alla sua maschera in argento lo guardava adorante, le mani giunte come in preghiera e ciò che poteva scorgere della bocca piegata in una smorfia che ricordava un sorriso. 
Regulus sedeva nel posto più lontano, fissando un punto davanti a sé, cercando di non pensare a quello che sarebbe venuto dopo. 
Kreacher, al suo fianco, mormorava parole di conforto, cercando di non farsi sentire dagli altri: “Padron Regulus, tanto forte e gentile, farà così felice i suoi genitori...”, e Regulus ne era grato. Si girò verso la sua famiglia, e notando che nessuno stava prestando loro attenzione gli posò una mano sulla spalla, stringendo piano. Si sforzò di sorridergli, mentre l’elfo si piegava in un profondo inchino. 
“Giovane Black, mi hanno detto che lei è interessato ad unirsi alla nostra causa.”  
La voce risuonò nel salotto, facendo tremare il lampadario di cristallo. 
Tutti smisero di respirare, tranne Bellatrix che si alzò di scatto, oscillando verso di lui, “Sì, lui vorrebb-”  
“Non l’ho chiesto a te, Bella.” Replicò freddo il Signore Oscuro, zittendola con un cenno della mano. “Parla con noi, giovane Black.”  
Regulus si alzò, la sedia stridette sul pavimento di marmo. “Sì, mio Signore.”  
“Si avvicini.”  
Un passo alla volta, passò accanto a Narcissa, poi a Rabastan, infine a sua madre e a suo padre, per ritrovarsi davanti a lui.  
“Quanti anni ha?”  
“Ne farò sedici a dicembre.”  
Voldemort sorrise. “Così giovane, ancora un bambino.”  
Fece scivolare la sua mano in quella di Regulus, portandolo vicino a sé. Era così freddo che lo fece rabbrividire. Poi lo guardò negli occhi, e pensò a lui e Sirius che litigavano in corridoio, a Knight, a Evan che gli guardava le cicatrici nello spogliatoio. A Barty, che si spostava dal telescopio e lo guardava e... No. Quello no. Quello era suo. È un legilimens, realizzò e Voldemort gli lasciò la mano. 
“E intelligente.” Aggiunse. 
Regulus fece un passo in avanti, “Sono pronto.”  
“Per cosa?” Gli chiese lui, senza smettere di sorridere. Regulus lo sapeva, stava solamente aspettando il momento giusto per vederlo cadere.  
Per vederlo piegarsi, come devono fare i suoi seguaci. Allora alzò il mento, come gli aveva insegnato suo padre, le spalle più dritte. Come quando la mamma costringeva lui e Sirius ad andare in giro con i libri sulla testa, per la postura. 
“Per donarmi a Lei, mio Signore.”  
“Ma lei è davvero pronto per questo?” Gli sfiora il volto con la mano, e ancora non c’è calore in quel tocco. È la mano di un cadavere. 
“Sarebbe il più grande privilegio.” Alphard era morto, già da tempo. E allora perché in quel momento sentiva così tanta nostalgia verso di lui? Verso la Francia. Il frutteto. Il mare. 
“Sarà capace di dedicare a me il resto della sua vita? Alla causa?”  
“E’ un privilegio per me poter servire il mio Signor-”  
“Non ho chiesto questo!” Lo interruppe, battendo un pugno sul tavolo. Regulus cercò di non trasalire. “Sarà in grado di donarmi il resto della sua vita?”  
Avrebbe voluto che le mani non gli tremassero così tanto.  
Sirius si arrampicava sempre sugli alberi più alti, Regulus invece non era capace. Sirius si tuffava dagli scogli, nuotando per ore verso il largo. Regulus stava a riva, con i piedi infilati sotto la sabbia bagnata. Cosa avrebbe fatto Sirius?  
Si sentiva sempre così solo. 
No. 
“Sì, mio Signore.”  
 
“Padron Regulus?”  
“Kreacher! Mi hai spaventato! Dimmi.” Regulus si tirò su dal letto, la testa che girava leggermente.  
La ferita sull’avambraccio bruciava terribilmente, e durante la notte aveva sanguinato, così che adesso un grumo di inchiostro e sangue gli teneva la manica del pigiama incollata alla pelle. 
“C’è il signor Crouch Barty che l’aspetta, fuori. Kreacher non ha detto nulla alla padrona, si sbrighi.” L’elfo allungò la mano verso Regulus, trascinandolo fuori dalle coperte. 
Barty? A casa sua? Cosa ci faceva lì? 
Corse giù dalle scale, evitando di mettersi le scarpe per non fare rumore. Passò davanti al salotto, dove le ceneri del camino fumavano ancora. 
Dopo aver ricevuto il Marchio, Regulus si era ritirato in camera mentre la sua famiglia aveva continuato a discutere con il Signore Oscuro di politica e piani d’attacco, facendo le ore piccole. La bruciatura sull’arazzo sopra al nome di Sirius gli fece salire un nodo allo stomaco. Kreacher, che era rimasto sveglio a sistemare la tavola e la confusione che avevano lasciato doveva aver sentito Barty, che chiamava il suo nome dalla strada, ed era corso a chiamarlo prima che se ne accorgesse la madre. 
E infatti eccolo là, vestito scuro e seduto sui gradini che portavano alla porta d’ingresso. 
“Che ci fai qui?” Sussurrò Regulus, stringendosi le braccia attorno al corpo. Il pigiama leggero non era adatto al clima notturno Londinese. 
“Non ci rispondevi. Allora ho aspettato che i miei si addormentassero e sono venuto a vedere come stavi. Nottetempo, forte eh?” La sua mano stuzzicò l’irritazione che aveva sul lato destro delle labbra, mentre spostava il peso da un piede all’altro, “Come stai?” 
Rimasero in silenzio, guardandosi. Nessuno dei due aveva il coraggio di riempire lo spazio vuoto tra di loro, nessuno di loro alzò una mano per accarezzare l’altro. 
“Sto bene.” 
Barty abbassò lo sguardo verso le sue braccia. “E’ successo?”  
“Sì.”  
Annuì grave, mentre una folata di vento fece rabbrividire ulteriormente Regulus. 
“Non ci rispondevi.” 
“Lo so. Mi dispiace, è stato-” Le parole gli morirono in gola. 
Barty fece un passo avanti, accorciando la distanza tra loro. “Fa male? Il braccio? Posso vederlo?”  
Con le mani che tremavano, Regulus iniziò ad arrotolarsi la manica sopra al gomito, stringendo i denti per il dolore. La ferità si riaprì, lasciando sgorgare un poco di sangue. 
“Posso toccarlo?  
“Sì.”  
Le dita di Barty si posarono delicate sul disegno, tracciandone i contorni, sporcandosi anche lui del sangue di Regulus. Sfiorò il serpente, risalendo su fino al teschio.  
“Bart?” La voce di Regulus uscì leggera, come un soffio. Se avesse parlato più chiaramente sarebbe scoppiato a piangere. Il sole iniziava a sorgere, dietro i palazzi di Londra. 
Lui alzò lo sguardo, incontrando i suoi occhi.  
“Facciamo quella cosa. Quella della Torre.” Suonava come supplica, ma a Regulus non importava. 
Aveva bisogno di sentirsi di nuovo bene, almeno per qualche istante.  
Aveva bisogno di dimenticarsi del Marchio, di Grimmauld Place, della madre, dei Mangiamorte. Per un istante, solo per un istante, voleva tornare ad essere Reg. 
Barty si avvicinò ancora, sfiorandogli le labbra. 
Ma fu Regulus questa volta, a guidare il bacio, afferrandolo per le braccia e portandolo verso di lui con urgenza.  
“Stai piangendo.” Gli disse Barty. Ad ogni parola si interrompeva per baciargli le labbra. 
“Mi dispiace.” Rispose Regulus, portandosi una mano al volto. Lo trovò bagnato, freddo. Non se ne era nemmeno accorto.  
“Non farlo.” Sussurrò Barty. Gli prese il volto tra le mani, baciandogli una guancia, poi l’altra. Gli zigomi, poi le palpebre, per poi ripassare sulle labbra.  
A Regulus venne da ridere, e anche Barty si lasciò andare ad una risata.  
“Che cos’è questa cosa Bart?” Disse poi. Con le mani giocava con la giacca di lui, passandosi i bottoni tra le dita. 
“Non lo so.”  
“È sbagliato.” 
Ma è buona, come una torta al pan di spagna. E’ dolce, e buona. E calda. 
Pensò che Barty si offendesse, che si arrabbiasse con lui. Invece si aprì in un sorriso ancora più grande. 
“Lo so,” Rispose, strappandogli l’ennesimo bacio, “E’ anche per questo che mi piace.”  






Note: Reggie prende -finalmente- il Marchio. Uh la là. 
So che è ancora molto giovane, ma sto cercando per quanto possibile di attenermi al canon e JK Row sembra avere una passione per far passare ai ragazzi dei traumi giganteschi, xD  Silente più che dedicare attenzione al Quidditch dovrebbe trovare uno psicoterapeuta per questi figlioli.
Detto questo: spero vi stia piacendo! Ci stiamo avvicinando alla fine della prima parte, e non so dirvi quanto ne sono soddisfatta e quanto ci tenga ad essa. E' il mio Horcrux personale -no agente, non ho commesso nessun crimine, è solo un modo di dire...-, dentro c'è un pezzo della mia anima. <3 
Al prossimo mercoledì, <3

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Capitolo 15
*** Quinto anno - Capitolo 14. Scoprire le carte. ***


Quinto Anno, capitolo quattordici. 
Scoprire le carte. 
 
“Non posso crederci, siete usciti senza di me!”  
Evan si sdraiò per lungo su uno dei divanetti, occupandolo per intero. 
Davanti a lui, Barty e Regulus occupavano l’altro, il primo vicino alla porta e l’altro con la fronte poggiata al finestrino. 
“Non siamo usciti senza di te, sono andato a controllare che fosse ancora vivo.” 
Regulus si alzò per tirare giù la tenda del finestrino: il sole che entrava nello scompartimento era fin troppo caldo per essere settembre, ed obbligato alle maniche lunghe stava iniziando a sudare. 
“Potevi dirmelo, ci si andava insieme.”  
Barty alzò gli occhi al cielo, sbuffando. “Ho già avuto la ramanzina da mio padre, non mettertici anche tu!”  
“Oh no! Non Bart Crouch senior! Non puoi paragonarmi a lui.” Evan fece finta di esser stato colpito al cuore, gesticolando in modo teatrale. 
“E smettila.” Rispose Barty lanciandogli in testa la carta di un Sorbetto al limone, ma Regulus notò che stava ridendo. 
Si era lasciato alle spalle Londra più pesante del solito: il dolore sordo al braccio era un ricordo costante di quello che era diventato.  
La madre non avrebbe voluto che tornasse a scuola quell’anno, ma era stato il padre a bocciare la sua idea, ordinandole il silenzio. “Non permetterò che venga tolta la cultura a nessuno dei miei figli.” aveva tuonato, alzando la bacchetta contro il suo viso. Regulus aveva abbassato lo sguardo, mentre la madre iniziava a tremare per la rabbia. Il nome di Sirius, anche se tacito, svolazzò tra loro come uno spettro. La sua assenza nell’ultimo periodo sembrava quasi esser stata più forte della sua presenza, quando ancora i Black erano la sua famiglia. 
“Al Signore Oscuro serv-” Aveva provato a ribattere, ma Orion la interruppe prima che potesse anche solo finire la frase, “Il Signore Oscuro aspetterà che il ragazzo abbia preso i suoi G.U.F.O.”  
E la discussione era finita così.  
Al banchetto di benvenuto ci furono pochi nuovi studenti: un gruppetto spaurito di ragazzini che furono smistati dal Cappello Parlante in qualche minuto.  
Anche di studenti vecchi, non ce n’erano molti. Dei Serpeverde mancava solo Violet Greengrass, i cui genitori avevano deciso che il livello G.U.F.O era abbastanza e avrebbe intrapreso il resto delle lezioni via gufo, ma il tavolo dei Corvonero invece sembrava esser stato decimato. 
Non ci furono canti di benvenuto o molti sorrisi, e il Preside li mandò a letto velocemente con un discorso sugli orrori della guerra. 
Anche la Sala Comune era piuttosto silenziosa, e senza particolari schiamazzi se ne andarono tutti nel loro dormitorio con solo un saluto veloce per concludere la serata. 
“È cambiato tutto, vero?” Chiese Evan. “Non sarà più come prima.” 
“Mh.” Rispose Regulus, fissando il soffitto del baldacchino. 
Il braccio bruciò dolorosamente. 
Ma c’era qualcosa però che non era cambiata nel corso degli anni: Barty. 
O meglio, era cambiato, ma era sempre lo stesso. Era cresciuto di svariati centimetri, aveva cambiato pettinatura –adesso i suoi capelli biondo cenere erano sparati in tutte le direzioni-, sulla parte esterna del suo polso destro svettava un nuovo tatuaggio che si era fatto da solo l’estate passata, con l’inchiostro del calamaio di scuola e un ago da cucito rubato alla madre. 
“πῦρ, il fuoco sacro che si mangiò via la città di Troia!”, spiegò, mostrandolo ai compagni. “Ne volete uno?”  
Regulus si tirò indietro: di inchiostro, ne aveva abbastanza.  
Evan si tolse la maglia, entusiasta, indicandosi il torace. “Fai una di queste robacce babbane anche a me! Te la lascio pure decidere.”  
Mentula, a caratteri cubitali, che ne dici?”  
“Sì, sì,” annuì serio Evan, “quello che vuoi.”  
Barty aveva alzato gli occhi al cielo, sorridendo all’amico, “Sei proprio un coglione Ev.” 
Alla fine optarono insieme per l’elmo di Achille, ma Barty si rivelò un tatuatore terribile e il disegno non somigliava affatto alla loro idea iniziale; non che a Evan importasse, ne era orgogliosissimo. Anche lui, come Barty, era cresciuto, ma non cambiato, pensò Regulus mentre lo guardava specchiarsi allo specchio del bagno, spettinarsi i lunghi capelli biondi e mettersi in posa per far risaltare il tatuaggio. 
Gli era mancato così tanto ridere con qualcuno. 
Sperò di essersi sbagliato, quell’estate. Sperò con tutto il cuore, di aver commesso un errore, che non era vero che tutto ciò che amava e che lo amava a sua volta fosse destinato a scomparire.  
E diamine, se proprio aveva ragione, che se ne andassero ora, in quel preciso momento. Che gli voltassero le spalle, che iniziassero ad odiarlo.  
Lasciatemi stare, ma continuate a vivere. Giocate a Quidditch, diventate professori, occupate una posizione noiosa, che odiate, ed assolutamente irrilevante al Ministero e continuate a vivere. 
A Regulus sarebbe bastato. 
 
Nemmeno i baci di Barty erano cambiati. 
Sempre urgenti, aggressivi, rudi, da lasciarlo senza fiato. Il modo in cui lo afferrava per un braccio per trascinarlo dentro ad uno sgabuzzino, come affondava il naso tra il suo collo e la spalla, inspirando il suo odore. 
“Cosa sei, un cane randagio?” Regulus lo allontanava, fingendosi scandalizzato. 
“Un lupo.” Rispondeva l’altro, mostrandogli la lingua e il dito medio, prima di chinarsi su di lui per mordergli la guancia. 
“Sei imbarazzate.” Sogghignava, abbandonandosi contro di lui. 
Era diventato anche più temerario, per le loro avventure. 
“Ci scoprirà qualcuno, prima o poi.” Gli aveva detto Regulus, dopo che Barty lo aveva spinto contro il muro dell’aula di pozioni, finita la lezione. 
“Allora lo ucciderò con le mie mani e non dovremmo più preoccuparcene.” Barty tornò sulla sua bocca, rubandogli un bacio. 
“E se qualcuno tornasse? Un omicidio perché un ragazzino ha scordato il libro di Pozioni ed è tornato indietro a prenderlo, un bel motivo per finire ad Azkaban.”  
“Azkaban ne vale la pena.”  
“Sei un pazzo.” 
“Lo so, per questo ti piaccio.”  
Regulus scoppiò a ridere, prima di attirarlo verso di sé. 
 
E come Regulus temeva, vennero davvero scoperti alla fine. 
Era una notte particolarmente fredda. I primi fiocchi di neve stavano iniziando ad imbiancare il parco attorno ad Hogwarts, dalla capanna del guardiacaccia si levava un filo di fumo, segno che quella notte il camino era acceso.  
Con la scusa dei compiti di Astronomia da fare, si erano ritirati sulla Torre, entrambi infagottati nelle loro giacche.  
“Quello lassù sono io.” Disse Regulus, indicando un puntino luminoso nella costellazione del Leone.  
“Lo so. È così per tutti? Vi chiamate come una stella?”  
“O una costellazione, come mio padre. Orione, lassù a destra.” Rispose, infilando la mano nella tasca della giacca di Barty, cercando la sua.  
Le loro dita si intrecciarono immediatamente. 
Anni prima, sotto lo stesso cielo, aveva avuto una conversazione simile con qualcun altro: era stata la prima volta che aveva sentito nominare il Signore Oscuro. Non avrebbe mai immaginato la piega che avrebbe preso la sua vita. 
“Sempre meglio di avere lo stesso nome di qualcuno che ti odia.”  
Qualche secondo di silenzio poi un bacio per cancellare l’angoscia. 
E un altro.  
E un altro, ancora. 
Regulus sentiva di avere la punta del naso congelata, ma non si lamentò quando Barty iniziò a sfilarsi la giaccia, facendo la stessa con la sua, per poi passare alla camicia della divisa. 
Un bottone, poi un altro, con le mani arrossate e le nocche screpolate per il vento e le temperature dei giorni prima. 
“Fa freddissimo.” Si lamentò Regulus, quando Barty gli sfilò la camicia, sfiorandogli la pelle nuda con la punta delle dita. 
“Ti riscaldo io, non fare la femminuccia.”  
Come quella volta che Sirius se n’era andato, petto contro petto, Regulus sentiva il cuore di Barty battere veloce contro il suo, mentre lo attirava verso di sé in un goffo e infreddolito abbraccio.  
Fece passare le mani tra i suoi capelli, appesantiti dal gel, giù per la nuca, per poi arpionargli la schiena quando Barty si chinò a mordergli il collo.  
Reggie?”  
Barty si spinse via da solo, allontanandosi così velocemente da Regulus come fosse stato trascinato via da una forza invisibile, appellando velocemente la propria giaccia, che usò per coprirsi. 
Regulus sentì tutto il freddo di quella notte entrargli dentro le ossa, mentre davanti a lui suo fratello lo guardava corrucciato. 
Il suo amico, Remus Lupin, cercava di trascinarlo via, tirandolo per la manica del maglione, senza ottenere alcun risultato, “Andiamo, Felpato, dovevamo chiedere la Mappa a Codaliscia, okay? Andiamo, è stata colpa nostra.”, gli mormorava all’orecchio, parole che per Regulus non avevano alcun significato.  
Intanto Sirius continuava a fissare Regulus, il respiro pesante ed il volto esangue, senza degnare Barty di uno sguardo.  
“Cosa hai sul braccio?” Mormorò infine. 
Anche Lupin si bloccò, notando solo in quel momento il Marchio sul corpo di Regulus.  
E lui non rispose, portandosi il braccio incriminato contro al petto.  
“Vattene, Black.” Era Barty questa volta a parlare, puntando la bacchetta contro suo fratello. 
Felpato, andiamo.” Insisté Lupin. 
Il tempo sembrava essersi fermato, mentre i fratelli Black si scambiavano un’ultima occhiata. Sirius lo guardava come se non l’avesse mai visto prima, e Regulus cercava di non abbassare lo sguardo per primo.  
“Non lo ripeterò un’altra volta.” Sputò fuori Barty, a denti stretti, tremando di rabbia. 
Non aveva mai visto Sirius così... deluso. 
Come se avesse perso ogni briciolo di speranza che ancora covava nei suoi confronti. 
E in quel momento, Regulus seppe che non c’era più la possibilità di tornare indietro. 
“Andiamo, Lunastorta.” Prese per mano il suo amico, dando loro la schiena e andandosene dalla torre di Astronomia. 
Barty si lasciò cadere a terra, abbandonando la testa tra le mani. 
“Dirà a tutti di noi, Reg. È un casino.”  
“No, non lo farà.” Con mani tremanti, raccolse la camicia che era finita a terra, umida per il freddo.  
Se la infilò velocemente, senza fare caso a come le sue mani faticassero ad allacciare ogni singolo bottone.  
“Cosa ne sai? Ti odia. Pensi che non colga l’occasione per fare uno dei suoi dannati scherzi?”  
“Sei uno stronzo, Bart. Sei veramente uno stronzo.” 
Buttandosi velocemente sulle spalle la giacca, se ne andò anche lui, scendendo le scale due gradini alla volta.  
Non si accorse neanche della velocità con cui attraversò la scuola, per tornare nei sotterranei. Cosa ne sapeva, Barty? Cosa voleva saperne, di lui, di suo fratello, di tutto il resto? Ti odia.  
La semplicità con cui l’aveva detto.  
Era quello che sapevano tutti? Era così, che ad occhi esterni, si presentava il loro rapporto?  
Si chiuse la porta del dormitorio alle spalle, sbattendola.  
“Avete già finito i compiti?” Chiese Evan con voce impastata, probabilmente svegliato dalla confusione che aveva fatto Regulus. 
“Torna a dormire.” Rispose. 
Evan non se lo fece ripetere due volte. 
 
Quella mattina a colazione Barty si presentò al tavolo dei Serpeverde con due occhiaie profonde e il naso arrossato.  
“Devi parlargli.” Disse a Regulus, prendendo posto accanto ad Evan. Si riempì il piatto di salsicce e uova, senza però osare guardarlo in faccia. 
Mentre Evan chiedeva “A chi?” Regulus gli scoppiò a ridere in faccia, “Ah sì? Sennò? Fallo tu che se ci tieni tanto.”  
Si alzò, lasciando il suo piatto ancora pieno di cibo e il compito di spiegare ad Evan cosa fosse successo a Barty. 
Provò ad avvicinarsi a lui anche durante l’ora di Cura delle Creature Magiche, tenendo in braccio il suo Vermicolo, “Reg, per favore.”  
“Bla bla bla. Dov’è finita tutta la tua arroganza? Non dicevi saresti finito ad Azkaban?”  
Barty se ne andò, ferito. Nemmeno Regulus seppe dire come mai era stato così cattivo con lui.  
 
Lo stesso successe a Divinazione, ma l’approcciò fu totalmente diverso. 
“Regulus, mi stai facendo stancare.” Barty lo afferrò per il braccio sinistro, premendo forte sul Marchio.  
Una scarica di dolore gli attraversò ogni nervo del corpo, facendo trasalire Regulus. “Piano.” Disse, a denti stretti, tirando via il braccio dalla sua presa. Si girò verso il resto della classe, ma nessuno sembrava aver notato il loro teatrino: erano tutti occupati a sentire Sibilla dei Corvonero annunciare la morte della loro vecchia professoressa, che sarebbe avvenuta di lì a qualche anno, “Io prenderò il suo posto, ovviamente, non si preoccupi!” la sentì cinguettare, mentre la vecchia faceva il segno della croce.  
“Scusa.” Portò le mani lontane da lui, posandosele sulle ginocchia. “Reg, mi dispiace. Non so che rapporto abbiate tu e Sirius, ma devi parlargli. Per me. Non può dirlo a nessuno, e neanche Lupin.”  
Lo guardava triste, mordendosi il labbro per il nervosismo. “Se mio padre lo scopre, mi ammazza. Non scherzo, mi ammazza.”  
Regulus sospirò, e tutta la rabbia si dissolse. Conosceva bene quella sensazione.  
“Va bene. Dopo pranzo.”  
Barty gli sorrise, le spalle che sembravano perdere il peso che stavano trasportando. “Grazie Reg.” 
Aspettò un poco, prima di aggiungere. “Ti voglio bene. Davvero. Non so perché non te lo dico mai.”  
✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
Incontrò Sirius vicino al Platano Picchiatore, assieme al resto dei Malandrini.  
Le scarpe gli affondavano nella neve, bagnandoli i calzini, sentiva freddo e non vedeva l’ora di andarsene in Sala Comune per studiare.  
“Era necessario portarti la scorta, Sirius?”  
“Quello che puoi dire a me, puoi dire anche a loro.”  
Regulus alzò gli occhi al cielo,” Tipico dei Grifondoro non farsi mai i cavoli loro, no?”  
“Volevi chiederci qualcosa?” Chiese gentile James, prima che Sirius potesse aprire bocca per ribattere. Aveva il naso e le guancie spellate per il freddo, gli occhiali appannati poggiati sulla testa. 
C’era stato un periodo in cui il suo cuore si sarebbe fatto largo sprofondando tra le sue viscere, sotto lo sguardo degli occhi nocciola di James.  
Non quel giorno. Non più. 
Lupin e Minus, al loro fianco, osservavano la scena. Il primo che si mordeva le unghie, agitato, l’altro con una scintilla di curiosità negli occhi che fece innervosire Regulus.  
“Non devi dirlo a nessuno.” Sbuffò alla fine. 
Sirius fece un passo avanti, verso di lui, “Sennò? Non puoi dirmi che quei dementi dei tuoi amici non lo sanno e poi non-”  
“No, non parlo del Marchio. Dillo a tutti quello, non mi importa. Non dovete dire nulla di Barty.”  
Sirius strinse i pugni, mentre iniziava a colorarsi di rosso. “Non avrei detto nulla di quello che c’è tra te e Crouch.” 
“Meglio così.” Fece per voltarsi, ma fu richiamato dalla voce di Sirius. 
“Sei con lui quindi? È ufficiale?” Un altro passo avanti, verso di lui. “Non hai alcun rimorso, Reggie?”  
Li aveva avuti. Ma non c’era più motivo adesso per piangersi addosso. 
“No.”  
Se ne andò, lasciando i Malandrini sotto al Platano.  
Era una bella giornata d’inverno, il sole brillava e scioglieva il freddo annidato tra le ossa. La neve scrocchiava sotto le sue scarpe ed era così splendente da ferire gli occhi. 
 
Tornò nella Sala Comune, Barty appena lo vide si alzò dalla poltroncina, andandogli incontro. “Beh? Tutto sistemato?”, giocherellava nervoso con l’orlo del maglione, mentre gli rivolgeva uno sguardo preoccupato. 
Regulus ebbe voglia di baciarlo, lì e subito. Di prendergli il volto tra le mani e schioccarli un bacio sulla fronte. E se fosse stato una ragazza, probabilmente lo avrebbe fatto. 
“Sì.”  
Lo superò limitandosi ad una pacca sulla spalla, lasciandosi poi cadere sulla poltrona che aveva precedentemente occupato, sedendosi di fronte ad Evan. 
“A cosa giocate?”  
“Gobbiglie.”  
“Passa, prendo il posto di Barty.”  
“Non puoi rubare le Gobbiglie altrui in questo modo!” Si intromise Barty, sedendosi sul bracciolo, di fianco a lui. 
“Ma se è letteralmente lo scopo principale del gioco.”  
Evan tirò, e la biglia di Regulus spruzzò un po’ di liquido puzzolente, sporcandoli tutti e tre.  
“Hai capito cosa intendevo!” Rispose Barty stizzito, spingendolo con una manata sul fianco. 

Risero tutti e tre, continuando a giocare finché non venne ora di cena.
Hogwarts aveva deciso di essere dolce con lui, quel giorno.







Note: Un capitolino un po' così, un po' dolce e un po' no.
Perdonatemi il cringe totale ed assoluto di Barty ma nella mia testa è uno di quei ragazzi che condivide le foto dei lupi in motocicletta dicendo: io. 
Quiiiindi, spero vi sia piaciuto, <3.
Godetevi ora questi ultimi sbaciucchiamenti perché non ce ne saranno più e dalle prossime settimane sarà dolore puro, EHEHEH. 
Bacini e baciotti.

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Capitolo 16
*** Quinto anno - Capitolo 15. Lezioni di nuoto. ***


Quinto anno, capitolo quindici. 
Lezioni di nuoto.


Regulus, sdraiato nel suo letto a Grimmauld Place, contava tutte le volte che gli era stata offerta una mano, e tutte le volte che l’aveva rifiutata.
Sirius, per primo, poi James, il Preside. Sirius di nuovo.
Aveva passato la sua quasi intera esistenza a temere l’acqua, ad allontanarsi da essa il quanto più possibile. Ma lei tornava sempre.
E alla fine non era stato gettato in essa, come aveva temuto: si era tuffato. Lo aveva scelto.
E continuare ad annegare non aveva senso. Un respiro profondo, due, tre. 
Tanto valeva iniziare a nuotare.
“Signorino Regulus?” Kreacher entrò nella stanza, chiudendosi la porta alle spalle, silenziosamente. “Kreacher è venuto a dirle che sono arrivati i signori Rosier, il suo amico l’aspetta in sala. Il Signore Oscuro sarà qui a momenti, Kreacher la può aiutare a vestirsi?” 
Si alzò dal letto, massaggiandosi gli occhi. 
Era la sera della vigilia di Natale. 
“No, grazie Kreacher, posso fare anche da solo. Grazie per essermi venuto a chiamare.” 
L’elfo sorrise, inchinandosi così tanto che il grugno che aveva al posto del naso sfiorò terra, “Per Kreacher è un piacere aiutare il Signorino Regulus.” 
Tanto vale iniziare a nuotare. 
Si tolse il pigiama, gettandolo a terra in un groviglio di tessuti, infilandosi poi la veste nera che gli avevano fatto trovare in camera all’inizio delle vacanze di Natale, al suo ritorno da Hogwarts.
Una maschera in argento si trovava su essa, la sua personale.
Un Mangiamorte a tutti gli effetti.
La osservò, poggiandola sul suo cuscino, sfiorando con la punta delle dita i ghirigori: non era grezza come quella di Bellatrix, nemmeno però pomposa come quella di Malfoy.
Probabilmente era stata lavorata a mano dai Folletti, la fattura sembrava essere molto simile.
Resistendo all’impulso di gettarla dentro al fuoco, uscì dalla sua camera.
Avrebbe iniziato a nuotare.

Evan sembrava a disagio, seduto tra la madre e il padre su un divanetto di fronte alla tavola.
Teneva la testa bassa, i capelli che scendevano a coprirgli il viso, ed evitava di parlare se non interpellato.
Il colorito del suo volto sembrava indicare che avrebbe preferito stare immerso nel Pus di Bubotubero fino al collo, che a casa di Regulus.
Quella volta presenziava anche Narcissa, pallida e più magra del solito: anche Bellatrix non sembrava la solita, stranamente silenziosa.
Il Signore Oscuro, seduto a capo tavola, controllava la tavola con lo sguardo, severo.
“Non avete trovato alcuna soluzione?” Chiese, sorridendo gelido.
“No mio Signore,” Fu Pembroke Clockwork a parlare, alzandosi in piedi, “Stiamo lavorando s-”
“Avada Kedavra.” 
Clockwork cadde a terra, con un tonfo. Gli occhi ancora spalancanti sul nulla e la bocca semiaperta. 
Evan trasalì, portandosi una mano alla bocca per soffocare il singhiozzo di sorpresa. Si scambiò un’occhiata con Regulus, mimando con la bocca: perché? 
Regulus scosse la testa, cercando di non farsi vedere.
“Voglio idee, non scuse.” Disse calmo, posando la bacchetta sul tavolo. “Tredici seguaci, seduti con me a questa tavola –Senza contare i cari ospiti che hanno deciso di prendere parte all’incontro-” Indicò con un gesto della mano i Rosier, facendo passare Evan dal verde a un colorito grigiognolo. “E nessuno di voi ha trovato delle guardie disposte a lavorare per me?” 
“Ci sarebbero i Dissennatori, che hanno deciso di collaborare con noi, ma-” Parlò Lucius, deglutendo rumorosamente ogni poche parole, la fronte sudata. “-Il numero che Lei richiede... Il Ministero sicuramente noterà la loro mancanza ad Azkaban e-” 
“Al diavolo il Ministero.” Il Signore Oscuro batté il pugno sulla tavola, facendo tremare i presenti.
La maschera di fredda cordialità che aveva portato fino a quel momento era caduta, rivelando la sua vera persona. Gli occhi rossi fiammeggiarono su ogni Mangiamorte, la bocca digrignata per la rabbia. 
La guardia? A cosa? 
“Altre idee?” Chiese nuovamente, dopo essersi ricomposto. “Rosier?” 
Si girò alla sua sinistra, dove la famiglia sembrava volersi confondere con il divano e la carta da parati.
Nessuno di loro rispose, volgendo gli occhi arrossati verso i Black, in cerca d’aiuto. Rabastan, che si trovava in piedi di fianco a loro, scivolò via cercando di non dare nell’occhio. 
“Evan Rosier, vero?” Riprese Voldemort, gustandosi il silenzio terrorizzato che aveva scaturito, “Mi hanno detto che sei molto bravo a scuola. Cosa ci consigli?” 
No, non Evan. Lascia stare Evan. Doveva fare qualcosa.
“Inferi.” Regulus si alzò in piedi di scatto, ripensando a un vecchio libro che aveva sfogliato in Biblioteca. Gli sembravano passati decenni, da quella giornata. 
“Regulus.” Lo richiamò la madre, stringendo le labbra così tanto da scomparire. Una vena le comparve sulla fronte, livida di rabbia.
“No, Walburga, lasci parlare il bambino. Inferi, ha detto?” Adesso aveva l’attenzione di Voldemort su di sé. Lo guardò a fondo, scrutandolo con interesse. Non provò a leggergli la mente, sapeva che con Regulus non avrebbe funzionato.
“Inferi. Sono leali. La lealtà è l’unica cosa che conosco, sarebbero Suoi. Faranno tutto quello che chiede loro.” 
Si allontanò dalla sua sedia, avvicinandosi al Signore Oscuro. “So come creali, la teoria almeno.” Aggiunse, quando si trovò davanti a lui.
Nuota Regulus, pensò, continua a nuotare. Porta in salvo chi ami.
Anche Lord Voldemort si alzò dalla sua sedia, sovrastando Regulus. “In questo caso, mi mostri le sue capacità, bambino.”, poi, girandosi verso il resto dei Mangiamorte. “Prendete Clockwork, useremo lui. Almeno nella morte, forse, riuscirà a rendersi utile.” 
✧.·:¨༺ ༻¨:·.✧*̥˚
Trascinarono il corpo giù per le scale, fino nell’ufficio della madre, dove lo lasciarono sdraiato sulla scrivania. 
“Ora sta a te, bimbo.” Gli sussurrò Rabastan, prima di uscire e di chiudersi la porta alle spalle.
E ora? 
Per prima cosa, chiuse la porticina dietro alla scrivania a chiave. Gli faceva venire i brividi anche quando Walburga non era nella stanza. 
E per seconda cosa, cadde a terra, tenendosi le ginocchia strette al petto e lasciandosi andare ai singhiozzi che gli erano nati nel petto quando Voldemort si era rivolto a Evan.
Non aveva idea di dove iniziare.
Le informazioni su come creare un Infero erano poche nella sua testa, confuse e gli occhi ancora aperti di Clockwork sembravano volergli scavare l’anima.
“Kreacher.” 
L’elfo comparve immediatamente con uno schiocco al suo fianco, “Dica a Kreacher, padron Regulus, Signorino.” 
“Evan Rosier è ancora a Grimmauld Place?” 
“Sì, padron Regulus.” 
“Portalo qua, per favore.” 
L’elfo si chinò, prima di Smaterializzarsi dalla stanza. 
Velocemente, Regulus si ripulì il viso dalle lacrime con la manica della veste, alzandosi in piedi e ricomponendosi come poteva. 
“Reg?” Evan entrò, ancora pallido e leggermente sudato. “L'elfo ha detto che mi volevi...”
“Kreacher.” 
“Uh?” Evan lo guardò confuso, corrucciando le sopracciglia.
“L’elfo, si chiama Kreacher.” 
“Uhm okay.” Si avvicinò al tavolo dove Clockwork giaceva, bluastro e freddo. “Un Infero, hai detto?” 
“Non so come farlo.” 
Evan si voltò verso di lui, gli occhi sgranati. “Gli hai mentito?” 
“Ti avrebbe ucciso, per punire i tuoi genitori.” 
Si portò una mano tra i capelli, “Ma adesso ucciderà te.” 
Regulus scosse la testa, “Pensi che non lo sappia?” 
Evan rimase un attimo in silenzio, il respiro pesante, “Cosa hai intenzione di fare?” 
“Provarci.” 

Due ore dopo, non avevano avuto grandi risultati.
Regulus calciò la poltrona della madre, in un momento di frustrazione, mentre Evan si era lasciato cadere con i gomiti sul tavolo, accanto al corpo del Mangiamorte. 
“Ancora una volta, dove hai trovato questo libro?” Chiese per l’ennesima volta a Regulus.
“In biblioteca. Ma è inutile, Silente se lo è portato via.” Rispose.
Evan sbuffò rumorosamente, e Regulus tirò fuori nuovamente la bacchetta, portandola su Clockwork.
Mormorando incantesimi, cercando di ricordarsi come meglio poteva quale fosse la formula esatta, iniziava a perdere la speranza.
Aveva scalciato, agitato le braccia, tenuto la testa sopra il pelo dell’acqua, ma sarebbe stato tutto inutile. 
Sembrava esser destinato ad annegare.
“Non c’è modo di riprenderlo?” 
“No,” Gli pareva di aver visto un dito del Mangiamorte muoversi, ma probabilmente era solo il rigor mortirs. “a meno che tu non sappia come Smaterializzarti nell’ufficio del Presid-” 
Si bloccò, lasciando cadere la bacchetta. 
“Reg?” 
“Kreacher, puoi venire un attimo.” 
Il crack della sua Materializzazione fece spaventare Evan. “Padron Regulus, ha chiamato Kreacher?” 
“Sì. Devi farmi un enorme favore. Enorme. E non devi farti scoprire, questo è un ordine.” 
La voce gli tremava, mentre spiegava a Kreacher quello che doveva cercare nel castello di Hogwarts. 
Era un piano assurdo, probabilmente mal calcolato e le incognite erano innumerevoli: il libro si trovava ancora del castello? Kreacher sarebbe stato in grado di riconoscerlo? Avrebbero scoperto l’elfo? 
Ma era anche l’unico piano che avessero a disposizione.
“Mi affido a te, Kreacher.” 
“Non la deluderò, Signorino Regulus.” 
Aspettò che l’elfo si alzasse dal suo inchino, “Grazie.” 
E quando Kreacher lasciò la stanza, non poterono fare altro che aspettare.
E aspettare.
E aspettare.

Evan si era addormentato, stringendosi nel maglione per il freddo, la testa poggiata all’angolo del muro.
Regulus invece camminava nervoso per l’angusto studio, senza aver modo di capire quante ore fossero passate, se il sole fosse già sorto o se ancora fosse notte fonda. Con le sole lampade ad olio ad illuminare la stanza, sarebbe dovuto entrare nella stanzina sul retro, dove si trovava l’unica finestra per avere idea di come fosse fuori, ma non poteva. Semplicemente, no. Si sarebbe spezzato.
E non poteva permetterselo, in quel momento.
Dopo quelle che sembrarono ore, eccolo finalmente di ritorno: Kreacher, che si era Materializzato nel mezzo della stanza, tra le mani delle pagine stropicciate.
“Padron Regulus, le pagine che cercava.” 
Quasi gli mancò il respiro, per quanto sollevato si sentì in quel momento, rigirandosi i passi del libro dei Kreacher aveva strappato per lui.
Era scritto tutto lì, nero su bianco. Le stesse pagine che aveva sfogliato mesi e mesi prima, di nuovo fra le sue mani.
Poteva farcela. 
“Grazie mille, Kreacher, come hai fatto a non essere scoperto?” 
“C’è un tunnel segreto, signor Regulus. Ma quasi Kreacher è stato visto da suo fratello e i suoi amici ma Kreacher ricordava bene le parole del Signorino Regulus, non farti scoprire Kreacher.”
“Mio fratello?” 
“Stavano andando al Piede di Porco, quei furfanti, anziché tornare a casa dalla cara padrona...” si allontanò, borbottando arrabbiato, le mani che stringevano arrabbiate lo strofinaccio legato in vita.
Un passaggio segreto che da Hogwarts ti portava direttamente ad Hogsmeade. Classico del fratello, scoprire una cosa del genere.
Bravo, bravo Sirius, pensò con una fitta d’invidia tra le costole. Vivi e divertiti.
“Kreacher, aspetta!” 
Si bloccò sulla porta, come se fosse stato incantato da un Pietrificus totalus, “Servirla è un piacere, Padrone, dica.” 
“Volevo ringraziarti. Ora va’ a riposarti.” 

Lasciò Evan dormire, finché a svegliarlo non fu la porta che si apriva di scatto, “È pronto? Il Signore Oscuro non può più aspettare.” 
Lucius Malfoy entrò nello studio, attraversando con solo qualche falcata lo spazio che separava l’entrata dal tavolo, dove Regulus era chinato.
“È pronto, Lucius.” 
Lo aveva coperto con il mantello della sua veste, sotto di esso Clockwork si muoveva piano, lamentandosi. 
O quello che rimaneva, di Clockwork.
Lucius non sembrava impressionato, ma il suo corpo si rilassò quasi immediatamente. Evan, dietro di lui si stava iniziando ad alzarsi, massaggiandosi il collo probabilmente indolenzito per la posizione in cui aveva dormito, ma quando toccò a Voldemort ad entrare nella stanza si schiacciò nuovamente contro al muro, cercando di rendersi per quanto più possibile invisibile.
“Me lo mostri, Black.” Sussurrò. Al contrario di Lucius, si avvicinò al ragazzo con una lentezza disarmante. 
“Mio Signore.” Regulus tolse la veste, scoprendo Clockwork.
Gli occhi guardavano ancora il vuoto, senza sbattere le palpebre o senza vederci veramente, la bocca digrignata in quella che sembrava una smorfia di dolore. “Alzati.” Ordinò Regulus, e lui lo fece. 
“Rimettiti giù.” Fece anche quello.
Il Signore Oscuro sorrise, deliziato. “Bravo, bambino. Me ne serviranno altri, è in grado di replicare la magia?” 
“Sì, mio Signore.” 
“Bene bene.” Gli posò una mano sulla spalla. Regulus pensò che nemmeno cento docce avrebbero potuto toglierli il ricordo di quel peso dal corpo. “Rimarrà qua, a Grimmauld Place, per il tempo a venire. Dei miei fidati le porteranno altri corpi. Mi servono, in fretta. In grandi quantità.”
Guardò Evan, alle spalle di Voldemort e la realizzazione lo colpì tanto forte da toglierli il respiro: non sarebbe più tornato ad Hogwarts. Suo padre ne sarebbe stato così deluso.
Niente più Quidditch.
Niente più Gobbiglie. 
Niente più Barty. Come si erano salutati, l’ultima volta? Si erano baciati, ma avevano trovato il tempo per dirsi ciao? No? Non ricordava. 
Si era gettato dalla nave, aveva respinto la mano tesa per tirarlo fuori. Aveva deciso di nuotare.
Adesso, si andava avanti.
“Sì, mio Signore.” 
“Bene. Questo puoi tenerlo, la prossima volta dovranno rispondere ai miei comandi, chiaro?” 
Annuì Regulus, mentre Voldemort e i Mangiamorte uscivano dallo studio.
“È finita?” Chiese Evan con un filo di voce. “Come hai fatto a...?” Indicò Clockwork, con un gesto della mano.
“Magia.” Mormorò. Pembroke Clockwork lo guardava, sembrava stesse aspettando nuovi ordini. Un guscio vuoto, e Regulus si sentiva esattamente come lui, svuotato da tutta la vita, dalla speranza. “Incendio.” Sussurrò, e quello che rimaneva del suo corpo si sciolse sotto i loro occhi. 
Non ci furono lacrime, urla, preghiere. Solo pelle carbonizzata che cadeva e ossa che rotolavano sul pavimento.
Si accartocciò su sé stesso, mentre la Maledizione che lo teneva in piedi evaporò via.
“Kreacher? Scusa se ti chiamo ancora una volta. Porta le spoglie alla famiglia. Non farti vedere.”

Fine prima parte.



Note: Allora, prima di tutto perdonatemi il font che è diverso dagli altri capitoli ma ho un'influenza fortissima, dolori ovunque, word ha deciso che funzionare sul mio pc non era abbastanza cool e oggi la vita in generale non mi sorride. :( Proverò ad aggiustare la pagina più avanti! Scusate ancora!
Also: grazie per avermi seguito fno a questo punto <33 Siamo già arrivati alla fine della prima parte -e a più della metà della fic!-!!! C'è pure un'easter egg potentissima all'interno del testo che in realtà è uno spoilerone allucinante, fatemi sapere se riuscite a trovarlo eheh.
Non mi dilungo troppo perché davvero sto malissimo, al prossimo mercoledì!

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Capitolo 17
*** La Guerra - Capitolo 16. Nel nord della Francia, c'era un ragazzo. 1977. ***


Traduzioni in italiano dopo le note dell'autrice. <3

La Guerra, capitolo sedici. 
Nel nord della Francia, c’era un ragazzo. 1977.


La neve iniziava a sciogliersi a Londra. Ma se fuori le prime timide gemme iniziavano a schiudersi sugli alberi, dentro Grimmauld Place le finestre erano sempre bagnate per l’umidità, quando addirittura non ghiacciate. 
Il ghiaccio, quello era il problema: non solo Kreacher aveva un sacco di lavoro con lo spargere continuamente il sale sui gradini d’ingresso per evitare che nessuno scivolasse, ma Regulus se lo sentiva anche addosso e nello studio della madre era talmente freddo che pensava che prima o poi anche il suo sangue si sarebbe congelato.
Lavorava tutto il giorno agli Inferi, con le mani screpolate per il freddo e la schiena chinata sulla scrivania: più volte al giorno un Mangiamorte passava da Grimmauld Place, con in braccio dei fagotti neri.
Doveva essere veloce, perché non potevano accumularsi. 
Un’altra Mangiamorte, quando aveva finito, veniva, li prendeva, e si Smaterializzava qualche istante dopo.
Quelle due persone erano l’unico contatto che aveva avuto Regulus durante quelle prime quattro settimane, oltre a Kreacher che scendeva a portargli il pranzo e la cena.
“Deve mangiare Signorino Regulus, avanti, Kreacher è preoccupato, guardi come è magro...” 
Un po’ riusciva a sbocconcellare quello che gli portava l’elfo, poi gli si chiudeva lo stomaco. Ma si sentiva in colpa nei suoi confronti e la maggior parte delle volte Smaterializzava via quello che era rimasto nel piatto, per non farlo preoccupare. “Era buonissimo, grazie Kreacher.”, e lui se ne andava felice, portando via le stoviglie in equilibrio sulla testa.
Sua mamma non gli parlava da tempo: non era riuscita a perdonargli l’aver preso possesso del suo studio. 
Sto facendo tutto quello che mi viene chiesto! Avrebbe voluto urlarle, ogni volta che l’incrociava per il corridoio quando tornava nella sua stanza o la mattina, quando invece si dirigeva nello studio, sto ubbidendo, non era quello che volevi? Non era quello che mi è sempre stato chiesto? 
E invece stava zitto, guardandola passare senza degnarlo di uno sguardo. Iniziava a capire sempre di più Sirius, la strada che aveva scelto.
Se avesse chiuso gli occhi sarebbe riuscito quasi a vederlo, nel suo dormitorio ad Hogwarts, in compagnia dei suoi amici. Non era più arrabbiato, come poteva esserlo? Si era salvato, buon per lui. Non era neanche invidia quella che gli montava in petto quando ripensava a lui: era sollievo. 
Il padre invece lo aveva invitato una volta, nel suo, di studio. 
Il sole che filtrava dalle grandi finestre lo aveva quasi accecato, talmente era abituato a passare le sue giornate nella tenue luce delle lampade ad olio.
“Stai bene, figliolo?” Aveva chiesto, guardandolo serio. 
“Certo.” Si era messo le mani in tasca, vagando per l’ufficio. Non gli avrebbe detto la verità, perché tanto non l’avrebbe capita. Gli aveva invece chiesto, “Hai qualcosa da darmi?” alludendo alle grandi librerie che lo circondavano.
Uscì con Memorie di Adriano sottobraccio, seguito dagli occhi del padre che vagavano sulla sue schiena.
Forse avrebbe voluto domandargli più cose, forse avrebbe voluto parlargli del suo compito o di Sirius o della madre.
Ma era pur sempre un Black, e i Black parlano poco delle loro debolezze.
Regulus lo capiva.

Qualche volta il Mangiamorte veniva portando in braccio uno di loro.
Regulus lo riconosceva dal Marchio sul braccio, quasi mai dal volto. Erano talmente in tanti...
Spesso, invece, erano semplicemente maghi e streghe che avevano avuto la sfortuna di incrociare il loro cammino. Dall’espressione spaventata, gli occhi spalancati, le mani protese contro il petto come a proteggersi e il corpo dilaniato dalle Maledizioni. I più fortunati erano quelli su cui riconosceva l’Avada Kedavra: la loro morte era stata così veloce che sembravano quasi addormentati.
Altre volte, non così rare sebbene Regulus facesse fatica ad ammetterlo, gli portavano dei babbani.
Anche quelli erano facilmente distinguibili: i più spaventati, confusi, quelli con gli occhi chiusi dalla paura e le vesti babbane sporche di umori. Chissà cosa avevano pensato prima di essere colpiti. Di essere pazzi, probabilmente. 
Oppure avevano sperato che nulla di tutto quello che gli stava accadendo era reale, che chiudendo gli occhi e riaprendoli poco dopo si sarebbero trovati nel loro letto, lontano da tutto quello.
Erano quelle le persone contro cui combattevano? Come potevano avere la forza di rubare una bacchetta, di rubar loro la magia? 
Erano anche i corpi con cui Regulus cercava di essere il più gentile possibile.
“Mi dispiace,” diceva loro, mentre sollevava la bacchetta. “Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.” 
Altre volte, perché non conosceva preghiere o litanie, sussurrava loro i passi che più gli piacevano del libro che stava leggendo: era il suo modo di fare ammenda, di riparare quella che sembrava esser stata una morte nel terrore.
Una parola gentile, prima del vuoto. A lui sarebbe piaciuta riceverla, se si fosse trovato al loro posto.
Tutto quello che riceveva in cambio erano occhi vacui, espressioni spente. Non rispondevano mai, i morti. E come avrebbero potuto? Qualche verso gutturale, quando venivano portati via.
Non che pensasse di meritarsi di meglio, ma gli mancava parlare con qualcuno.
“A cosa servono?” Provò a chiedere una volta alla Mangiamorte.
“Chi si fa poche domande, vive più a lungo.” Rispose lei, coprendosi il viso con la maschera.
✧.·:¨༺ ༻¨:·.✧*̥˚
Regulus iniziò a sbucciare il mandarino sul tavolo della sala da pranzo, lanciando le bucce nel caminetto davanti a lui. 
La madre era dai Malfoy, il padre al Ministero. Da qualche parte a Grimmauld Place, Kreacher stava sistemando la casa, lontano da lui. Avrebbe potuto chiamarlo, ma non aveva voglia di distrarlo dai suoi doveri; e poi, mamma, si arrabbia sempre molto quando Kreacher non finiva di pulire o di cucinare prima del suo ritorno, e non avrebbe potuto sopportare di vedere l’elfo punito per un suo capriccio.
Solo, di nuovo.
Come quando Sirius era andato per la prima volta ad Hogwarts.
Guardò il vecchio pendolo alle sue spalle, erano le quattro del pomeriggio.
Probabilmente Evan stava dirigendo gli allenamenti di Quidditch. Al suo posto, come Cercatore, era intervenuto Parkinson del sesto anno. Barty se lo immaginava invece in biblioteca, seduto ad un tavolo simile al suo, aperti davanti a lui minimo tre volumi e quattro fogli di pergamena riempiti di incantesimi e formule, nella sua scrittura tanto fine quanto caotica.
“Ne vuoi uno spicchio?” Chiese, porgendogli metà mandarino.
Il Barty nella sua testa alzò lo sguardò dai compiti, sorridendogli, “Passa.” Gli rispose, allungando la mano sporca d’inchiostro.
“C’è una poesia sai.” Uno spicchio a lui, l’altro a Barty. 
“Su cosa?” 
“Un’arancia.” 
“Stiamo mangiando un mandarino, non un’arancia.” Il Barty-nella-sua-stessa si mise in bocca lo spicchio, facendo sprizzare il succo ovunque. Si portò la mano alla bocca ridendo, e rise anche Regulus.
“Non essere pignolo, Crouch.”
“Parlamene.” Quasi riuscì a sentire il suo tocco, quando il Barty-nella-sua-testa gli si avvicinò, sfiorandogli le labbra con il pollice, già appiccicoso di succo.
Regulus iniziò a snocciolare la poesia, continuando a dividere il mandarino.
Il Barty-nella-sua-testa lo ascoltava serio, qualche volta lo interrompeva per dargli un bacio sulle labbra, tanto lieve, appena accennato. “...Ti amo, sono felice di esistere.”*
“E’ molto bella, Reg." Poi aggiunse, trattenendo un risata, "Un po' da femmina però.” 
“Lo so. Ma lo intendo davvero, sai? Ti amo.” 
Barty lo guardò triste, sfiorandogli il viso. “Oh. Me lo dirai quando staremo davvero insieme, eh?” 
Gli spicchi di mandarino che gli aveva passato stavano dall’altra parte del tavolo. 
Si asciugò velocemente il volto con il dorso della mano, non si era nemmeno accorto di essersi messo a piangere. 
Li prese, e buttò anche quelli nel fuoco.
Non aveva più molta fame.


̥˚✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 

Caro Reg, 
Qua va tutto alla grande. Ho preso sette G.U.F.O, Bart invece ne ha presi ben dodici! Il migliore del nostro anno.
Suo padre lo tiene in casa la maggior parte del tempo, non può neanche passare da me per una partita a Quidditch e non credo possa mandarti qualche lettera.
Vuole mollare Hogwarts, io gliel’ho detto che è un’idea stupida ma non vuole ascoltare nessuno, e così suo padre lo ha punito. È un bel casino, Reg, speriamo che la vecchia Crouch faccia ragionare il marito.
Spero che da te sia un po’ meglio. 
Manchi a tutti, fammi sapere quando posso passare a trovarti.
Evan R.


Evan, 
Sette G.U.F.O! Ne sono immensamente felice.
Se puoi, fai sapere a Barty da parte mia che è un coglione. 
Se non puoi: lo saprà lo stesso. Perché glielo abbiamo detto così tante volte che –e di questo, caro Evan, ne sono convinto- gli basti chiudere gli occhi la notte per sentire le nostri voci all’orecchio che gli sussurrano: Barty! Sei un coglione! 
Anche qua, nulla di nuovo.
Si lavora, qualche volta si sta pure bene. Mi mancate. 
Ti aspetto ogni giorno.
R.A.B 


L’estate era entrata impetuosa nella loro vita come un uragano, le sue piogge avevano riempito i fiumi, le gemme sugli alberi erano finalmente sbocciate e il sole picchiava contro i marciapiedi e le teste delle persone, schiarando i capelli e abbronzando i nasi.
L’ultimo Infero che Regulus dovette creare arrivò quella mattina stessa, assieme alla lettera di Evan. 
Senza la divisa da Mangiamorte faticò quasi a riconoscerla, ma era lei: aveva gli stessi capelli biondo platino, tagliati corti, gli occhi azzurri che facevano capolino dalle fessure della maschera ora sbarrati verso il vuoto. 
Chi si fa poche domande, vive più a lungo, gli aveva detto mesi prima. 
Le uniche battute che si fossero mai scambiati, oltre che a qualche buongiorno ed arrivederci. 
Qualunque cosa stesse architettando Voldemort, non voleva testimoni. 
E fu proprio lui a presentarsi nel suo studio –il suo studio, non quello della madre. Aveva imparato a considerarlo tale-, qualche ora dopo. 
“Verrà ripagato profumatamente, Black, quando avremmo vinto questa guerra.” Gli disse, sfiorando con il piede la creatura che giaceva rannicchiata sul pavimento. 
“Mi basta continuare ad essere al suo fianco, Mio Signore.” Rispose lui, senza scomporsi.

L'estate era il periodo più difficile per lui.
Di quei tempi, solo qualche anno prima, lui e Sirius erano soliti riempire la valigia per la Francia, farsi accompagnare poi a Diagon Alley da Kreacher a prendere quello che mancava: un costume da bagno nuovo, il lucido per il manico di scopa di Sirius. Se erano fortunati, e cioè se la madre quel giorno era talmente occupata da non badare a loro due, potevano fermarsi qualche ora in più, passare all’emporio degli animali per guardare i cuccioli e poi da Florian Fortebraccio per prendere un gelato. 
Regulus lo prendeva sempre panna e fragola, Sirius invece pistacchio e cioccolato.
“Prendine uno anche te Kreacher!” Regulus cercava sempre di convincere l’elfo a mangiare con loro, con Sirius che alzava gli occhi al cielo nascosto dietro al suo cono gigante. 
“Glielo devi ordinare! Sennò non lo fa!” 
“Ma non deve essere un ordine, lo deve prendere solo se gli va!” Rispondeva Regulus, battendo i piedi a terra. 
“E allora si vede che non gli va!” 
Finivano sempre per litigare, e il gelato gli si scioglieva tra le sue mani prima che avesse avuto il tempo di finirlo. Non quello di Sirius, lui il suo se lo divorava. 
Adesso, se la fortuna si voltava casualmente dalla sua parte veniva chiamato in qualche missione. Se lo era un po’ di meno, doveva sopportare le riunioni che si tenevano a Grimmauld Place, sorridere agli ospiti, sedersi con la schiena dritta ascoltando piani d’azione e lo sbuffare annoiato di Rabastan al suo fianco.

̥˚✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
Salì le scale a due a due, ed entrò senza bussare, “Papà?” chiese. 
Orion era chinato su un grosso tomo del Wizengamot, intendo a leggerlo con una lente d’ingrandimento grande quasi la sua testa, “Ci siamo scordati di darti un’educazione per caso?” 
“Ho un favore da chiederti.” 
Il padre sospirò, lasciandosi cadere all’indietro sulla poltrona. “Dimmi, allora.” 
“Fammi andare in Francia. A trovare lo zio Alphard.” 
“Non essere sciocco, Regulus, tuo zio è-” 
“Lo so. La sua tomba, intendevo.” 
Orion rimane in silenzio, giocherellando con la sua barba. Nonostante il caldo, a Grimmauld Place l’abito contava più del monaco, e Regulus si chiese se non stesse sudando sotto al suo panciotto e alla camicia verde smeraldo. 
Anche la madre era ossessionata dall’apparenza: non avrebbe lasciato le lunghe vesti porpora neanche sotto il sole del deserto.
Zio Alphard, invece, permetteva ai ragazzi di vestirsi leggeri, pantaloni e corti e canottiere che lasciavano scoperte interamente le braccia. Gli mancava terribilmente. 
“Non coprirò la tua assenza alla mamm-.” 
“Non mi hai mai coperto, né me né Sirius.” Vide Orion corrucciare le sopracciglia, ed aggiunse veloce, “Ma ti amo lo stesso e ti perdono. Amami e perdona questo mio capriccio.” 
Rimasero entrambi in silenzio, scrutandosi. Nessuno dei due sembrava intenzionato a lasciar cadere lo sguardo per primo.
Alla fine Orion si mise a sfogliare il libro che aveva davanti, strappandone l’ultima pagina, completamente bianca. La piuma incantata che usava per firmare i documenti si mosse su esso, scribacchiando qualcosa. 
Orion piegò il foglio, passandolo al figlio con una smorfia. “Sei cresciuto, Regulus.” Constatò, “Forse più velocemente di quanto avrei voluto.” 

Tre giorni dopo, di prima mattina, una Passaporta lo Materializzò sulla spiaggia di Arromanches-les-Bains.
“Due giorni, Regulus. Il luogo dove riposa Alphard è scritto su questo foglio. Due giorni, ti concedo, non di più. La stessa Passaporta ti riporterà a casa.” Gli aveva detto il padre, prima che Regulus venisse portato via da quella vecchia teiera di latta.
Il vento ululava, e le onde si infrangevano contro quello che rimaneva del porto di Mulberry e Regulus si strinse nel soprabito mentre il mare gli lambiva le caviglie, zuppandogli l’orlo dei pantaloni, i calzini e le scarpe.
Fece un respiro profondo, lasciando che la salsedine gli riempisse i polmoni. Di fronte a lui, la piccola città iniziava a svegliarsi, mentre le campane della chiesa squarciavano il silenzio: qualche luce timida faceva capolino dietro ai vetri delle finestre.
Non avrebbe mai pensato di tornare.
Si voltò verso il mare, dietro la spessa coltre di nuvole si riusciva ad intravedere la Gran Bretagna, la sua casa. Così vicino, allo stesso tempo così lontano.
Sirius pensava sempre che ce l’avrebbe fatta un giorno, a raggiungerla. 
Non la Gran Bretagna, la Francia. Pensava che se si fosse allenato abbastanza, avrebbe potuto tuffarsi in mare e nuotare via da Grimmauld Place, lasciarselo alle spalle e non tornare mai più.
“Ce l’hai fatta, Sirius! Ce l’hai fatta! Te ne sei andato!” Urlò al vento. Calciò un’onda ridendo, e poi cadde di schiena quando questa lo colpì ancora più impetuosa, come una dama offesa dal suo gesto. Si bagnò la giacca, la camicia, i capelli. Lasciò che le onde gli bagnassero il viso, che l’acqua gli entrasse nel naso e lo facesse tossire, amare e salata e terribile. Se fosse passato qualche pescatore, in quel momento, lo avrebbe sicuramente preso per un pazzo.
Nel piano di fuga di Sirius, Regulus, non era mai stato considerato. Regulus, che aveva così paura dell’acqua da non potersi neanche avvicinare alla battigia, non avrebbe mai potuto nuotare per così tanto tempo. E come ne era stato invidioso! 
Si trascinò a carponi fuori dall’acqua, tossendo e sputando quella che aveva bevuto. 
Sono diventato coraggioso anche io, Sirius.

L’indirizzo che gli aveva dato il padre si era cancellato con l’acqua, l’inchiostro si era trasformato in un grosso alone nero e la carta iniziava a disfarsi tra le sue mani, ma poco importava. 
Lo aveva letto così tante volte prima della partenza che ormai lo sapeva a memoria.
Il cimitero si trovava non troppo lontano da dove sorgeva la Magione dei Black, nascosto tra due colline e un campo di grano, poche lapidi messe in fila, circondate dalle alte mura che contenevano ceneri e loculi.
Nella sua immaginazione, la tomba dello zio era piccola, spoglia, abbandonata a sé stessa: non aveva mai sentito sua madre o le sue cugine parlare di venirlo a trovare, non avevano mai spedito dei fiori o dei ceri, e non era a conoscenza di altri Black ancora in vivi in Francia, ma quello che si trovò davanti fu l’esatto opposto. 
Il nome di Alphard era circondato da fiori, conchiglie e foto che lo ritraevano con una grande quantità di persone. 
Sorrideva, in ognuna di esse, e nessuna di loro si muoveva. Erano foto babbane. 
Alphard che rideva abbracciato ad una donna dai capelli ricci. Alphard seduto ad un tavolo, circondato da altri uomini e tutti che mostravano un calice di vino alla fotocamera.
Alphard in costume da bagno, al mare, vicino ad un grosso cane marrone. 
Alphard che era stato amato tanto. Innumerevoli persone continuavano a portare omaggi sulla sua tomba e Regulus non ne aveva mai saputo niente.
Una delle persone che più aveva amato, e non sapeva nulla di lui. 
Si vergognò, perché con sé non aveva portato nulla, neanche un papavero raccolto da terra. 
“Vous connaissiez Alphard?”1
Si girò verso la voce, una donna robusta vestita di bianco, con un grosso mazzo di fiori tra le mani.
“Qui, c’était mon oncle.” Rispose. Provò a sistemarsi gli abiti, preso alla sprovvista.
Aveva allacciato il soprabito in vita in malo modo, e il resto dei suoi vestiti si erano asciugati tutti spiegazzati e con ancora della sabbia tra le pieghe. 
“Inglese! Si sente dall’accento.” Si avvicinò a lui, chinandosi sulla tomba. Si baciò la punta delle dita, per poi trasferire il bacio sulla foto di Alphard. “Devi essere suo nipote, Sirius.” 
“No. Quello è il nome di mio fratello, io sono Regulus.” 
“Oui, oui, duex frères, maintenant je me souviens! Parlava spesso di questi due fratellini inglesi, e quando venivate d’estate era praticamente impossibile contattarlo, viveva solo per voi in quel momento!” 3
“Mi dispiace.” 
“No, non esserlo. Vi amava molto.” Tolse i fiori secchi, passandoli a Regulus, mentre lei puliva la lapide con un fazzoletto. “Ti dispiace darmi una mano?”
“No, affatto.” 
Si sedette di fianco a lei, aiutandola a sistemare, a pulire la cornice di ogni singola foto. 
Era una babbana, ne era sicuro. Quante persone babbane aveva conosciuto Alphard? Loro sapevano di lui? Probabilmente no, avrebbe infranto lo Statuto di Segretezza... 
Era la prima volta che aveva a che fare con una babbana, una babbana viva.
Era così... umana. Lo sorprese.
“Viene qua spesso, signora?” 
“Oh, chiamami pure Alizée, non farmi sentire vecchia con quel signora.” Si pulì le mani al vestito, alzandosi. “Quasi ogni giorno, d’estate. D’inverno lavoro, è più difficile per me ma Pierre, il custode, mantiene tutto così ordinato che non mi cruccio più di tanto.” 
“Che lavoro fa, se posso permettermi?” 
“L’insegnante. Nella scuola elementare del paese, quella davanti alla chiesa, hai presente? È lì che ho conosciuto tuo zio.”
“Anche lui era un insegnante?” 
“Oh no, no, penso che neanche gli piacessero così tanto i bambini, sai? Probabilmente tu e Sirius siete stati gli unici che abbia mai sopportato. No, no, ogni mese veniva a donarci dei libri.” Si girò verso Regulus, sorridendo. La sovrastava di una buona manciata di centimetri, ma la forza che emanava lo avrebbe potuto far vacillare. “Era un bravissimo uomo, tuo zio. Uno dei migliori.” 
“Le meilleur.” Mormorò, osservando la lapide. Alphard Black, amato dai più. Tranne che dalla sua stessa famiglia, che non ci aveva pensato due secondi a toglierlo di mezzo. 
Morto per amore.
“Le meilleur.” Ripeté Alizée. “Posso farti una domanda, Regulus?” Pronunciò il suo nome mangiandosi via la r.
“Ovviamente, mi dica.” 
“Come se ne è andato? Un jour, il était avec nous, l’autre pas. Non ci diamo pace.”4
“Non glielo so dire. La sua morte è stata inaspettata anche per noi.”
“Qualche giorno prima aveva litigato con qualcuno, sai? Uno straniero, che si era presentato giù al paese, gridando il nome di Alphard. Aveva un tatuaggio simile al tuo.” Indicò il Marchio sul braccio di Regulus. 
Regulus non seppe cosa rispondere. Gli sfuggì una lacrima, silenziosa, che andò a posarsi sulla punta del suo naso. In quei giorni stava piangendo veramente troppo.
Alizée gliela portò via allungando la mano verso di lui. “Ne pluere pas, chérie.” Gli disse, “Tu es plus beau quand tu souris.” 5

Aveva ancora un giorno pieno, prima che la Passaporta lo riportasse alla realtà della guerra. 
Affittò una stanza da una locanda sulla costa, il pescatore babbano che si era improvvisato locandiere strabuzzò gli occhi quando per pagare gli offrì dieci galeoni d’oro ma non disse nulla, intascandoseli.
Alzandosi la mattina dopo, di buon’ora, vagò in un lungo e largo per il paese, rubò due fichi al mercato lasciando sul bancone una manciata di galeoni per ripagare il gesto e si diresse verso la piazza principale.
Qui da bambino, assieme allo zio e a Sirius, soleva venire le ultime notti d’estate, prima di tornare a Grimmauld Place. 
Vicino alla chiesa, dei bambini giocavano a calcio e un uomo stanno smontando una bancarella di libri.
Regulus si avvicinò curioso, a una vecchia edizione dell’Iliade. Sorrise, ricordandosi di quando Barty e Evan si era tatuati, quella mattina ad Hogwarts. 
“Je vais démonter, ça t’intéresse?”6 Gli chiese, prendendo una manciata di libri con le mani e caricandoli sul Piaggio alle sue spalle.
“Je n’ai pas d’argent.”7
“Prends-le, petit. C’est foutu, je n’aurais pas pu le vendre.”8
C’era un uomo, non troppo lontano da loro, aldilà del mare, che progettava di ucciderli tutti. E loro, stupidi e fragili babbani, non lo sapevano. Quindi regalavano libri a ragazzi che non se li potevano permettere, vendevano frutta fresca, raccoglievano fiori da portare alle tombe dei loro cari e scendevano in mare con i pantaloni tirati su alle ginocchia per prendere i molluschi attaccati agli scogli... Si raccoglievano fuori dai bar per giocare a delle carte che non esplodevano, scattavano foto che non si muovevano ed erano gentili e vivi e umani.
“Merci.” Rispose, tenendosi stretto il libro al petto. L’uomo lo liquidò con un gesto della mano, continuando a riordinare.
Entrò in una posta babbana, pensando che se le lettere ricevute via gufo da Barty venivano controllate dal padre, avrebbe potuto raggirare il problema con una lettera inviata al modo dei babbani.
Si fece aiutare dalla signora al bancone, che lo aiutò a scrivere l’indirizzo e ad applicare il francobollo su una busta, in cui avrebbe poi infilato il libro.
Si prese anche qualche minuto, per scrivere una piccola dedica, sulla prima pagina. 
Il sole splendeva forte, il vento non era freddo e tagliente come quello di Londra, ma un caldo Scirocco e riusciva a capire come mai suo zio aveva voluto trasferirsi lì.
Magari, un giorno, finita la guerra, ci avrebbe portato anche Bart e Evan. 
Un giorno.






Note: Capitolo un po' lunghino, ma perché in realtà avrebbero dovuto essere due, ma uno era tanto striminzito che ho deciso di metterli insieme. :) 
E' uno dei miei preferiti, ho amato descrivere il breve soggiorno di Reggie in Francia, ho amato i personaggi babbani che ho dovuto descrivere, ho amato Reggie che piange davanti alla tomba dello zio. 
Se potessi tatuarmelo sulla schiena, lo farei. 
Smack. 


(*) La poesia è dei primi anni 2000, perdonatemi la licenza poetica. 
Traduzioni: 
1- Conoscevate Alphard? 
2- Sì, era mio zio.
3- Certo certo, due fratelli, adesso ricordo!
4- Un giorno era qua con noi, quello dopo no.
5- Non piangere più, amore. Sei più bello quando sorridi.
6- Sto smontando, ti interessa qualcosa?
7- Non ho soldi.
8- Prendilo pure, ragazzo. Tanto è tutto rovinato, non avrei potuto venderlo.

 

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Capitolo 18
*** La Guerra - Capitolo 17. Abitudini. ***


La Guerra, capitolo diciassette.
Abitudini.


Evan prese il Marchio all’inizio del nuovo anno scolastico, e Regulus lo seppe perché anziché trovarsi al Binario era lì a Grimmauld Place, con il braccio sanguinante e pallido da morire. 
“Quando smette di fare male?” Gli chiese piano, tamponandosi la ferita con uno strofinaccio. Regulus lo aveva portato nelle cucine, e si era seduti a terra nascosti dietro dei barili, con Kreacher vicino a loro che cucinava canticchiando allegro. 
“Non smette. Ci fai l’abitudine.” 
“Buono a sapersi.”
Anche Barty non tornò a scuola, nonostante le prediche non solo da parte della sua famiglia ma anche da parte dei suoi amici.
Bartemius Crouch senior, non volendo che il talento del figlio fosse sprecato, gli trovò un lavoro di basso rango al Ministero, al suo fianco. 
Barty, Jr, imperterrito a voler prendere il Marchio anche lui, si vide però passare davanti mesi e un miliardo di informazioni da una fazione all’altra, prima che il Signore Oscuro lo degnasse anche solo di uno sguardo.
“Non capisco cosa sbaglio.” Ammise una volta Barty a Regulus.
“Nulla.” Rispose, “Ci vuole tempo, ecco tutto.” 
Sdraiati sul letto di Regulus, davanti a loro qualche libro di grammatica francese aperto, assieme all’Iliade che gli aveva regalato l‘estate precedente e un vecchio dizionario polveroso che aveva trovato in biblioteca il giorno prima. Barty si era messo in testa di voler imparare in francese, per leggere il libro di Regulus senza dover ricorrere a traduzioni esterne.
“Non c’è voluto tempo, per te.” 
“Non voglio parlare di questo, Bart.” 
L’altro gettò uno sguardo alla porta della camera, chiusa, prima di avvicinarsi a Regulus per strappargli un bacio sulla guancia. “Scusami. Mi dispiace.” 
“È uguale. A che punto sei?” 
“Ettore contro Aiace.” 
“Leggimelo ad alta voce.” 
E Barty lo fece. 
Regulus chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal francese stentato di Barty, dal suo forte accento inglese che marcava ogni parola. La mano di lui si avvicinò alla sua, sfiorandogli le nocche, percorrendo con la punta delle dita il contorno delle sue, poi su fino al polso, disegnando piccoli cerchi sulla sua pelle. 
Ad ogni rumore fuori dalla stanza si spostavano, trasalendo entrambi, per poi riavvicinarsi dopo poco. "Se fossi una ragazza non dovremmo farlo.” Mormorò Regulus.
“Cosa?” Interruppe la lettura, posando il libro sul comodino di fianco al letto.
“Nasconderci. Spaventarci. Pregare di non venir scoperti. Il solito.” Rotolò su un fianco, posando la testa sopra il petto di Barty; il tessuto del maglione che portava gli pizzicò leggermente la guancia. L’altro, prese a giocare con i suoi capelli, distratto. 
“Vorresti che io fossi una ragazza?” Chiese alla fine.
“No.” Poi aggiunse, “Però sarebbe più facile.” 
E vorrei poterti sposare. Vederti alla luce del giorno. Combattere e vinc
ere e poi lasciare questo luogo maledetto. 
Barty rimase in silenzio per qualche secondo, prima di alzarsi e di aprire leggermente la porta della stanza, controllando che non si fosse nessuno. “Tua madre è nello studio?” 
Da quando aveva finito di lavorare sugli Inferi se ne era riappropriata, e il loro rapporto era migliorato notevolmente da quando poteva riconsiderarlo suo.
“Penso di sì. Cosa vuoi fare?” 
“Accio rossetto.” Passarono solamente pochi secondi, che un piccolo rossetto volò dalla camera dei genitori di Regulus dritto tra le mani di Barty. 
“Sei pazzo.” 
“Forse. Voglio provare una cosa.” 
Si avvicinò allo specchio sopra alla toeletta, tirando in fuori le labbra. “Come sto?”  Il rosso vinaccia non sembrava essere affatto il suo colore, ma guardò lo stesso il suo riflesso soddisfatto. “Ma mi vorresti lo stesso? Se fossi una ragazza?” Chiese, girandosi verso Regulus. Sorrideva, e uno degli incisivi era leggermente macchiato di rossetto.
“Ti vorrei in ogni modo.” Si avvicinò, baciando Barty sulle labbra. Lui dischiuse subito le sue, appiccicose, vagamente impastate di trucco. Le mani di entrambe si insinuarono sotto i loro vestiti, sfiorando, toccando, ridendo, successivamente baciando. 
Così disperati l’uno per l’altro, ricordando il tempo che avevano perso restando lontani. 
Regulus forse avrebbe preferito non averlo, saperlo al sicuro in Scozia, a chilometri a chilometri da lui ma anche dalla guerra.  Ma quando, due mesi prima, si era presentato nuovamente alla porta di casa sua, spettinato ed ansimante, il volto rosso per aver corso dalla fermata del Nottetempo fino a casa sua, non aveva potuto resistergli. Gli era mancato così tanto.
Il suo corpo aveva desiderato riavvicinarsi al suo con un’urgenza tale che tutti i suoi buoni propositi di convincerlo a tornare ad Hogwarts erano crollati come un castello di carte. 
Ti amo, avrebbe voluto dirgli. Ti amo, ti amo, ti amo e l’avrebbe potuto ripetere così tante volte da trasformarlo in una preghiera. Ti amo, ti amo, ti amo e...

...Crack.  “Padron Regulus.” 

Barty lo spinse via, tenendosi una mano sul petto per lo spavento. “Merda, Reg, questo tuo dannato elfo.” 
“Non essere cattivo, Bart.” Regulus si allontanò da lui, scendendo dal letto. Kreacher, apparso in mezzo alla stanza, si inchinò, la sua pelle era talmente rugosa e macchiata dal tempo che era impossibile dirlo con certezza ma a Regulus sembrò che fosse arrossito dall’imbarazzo. 
“Padron Regulus, Kreacher è molto dispiaciuto ma i Malfoy sono in visita e vogliono vedere la famiglia Black. Kreacher è stato mandato dalla Signora Black in persona a chiamarla.” 
“Grazie Kreacher, puoi andare. Scendo tra un secondo.” 
“La Signora Black sa che il signorino Crouch si trova qua?”
“No, e vorrei che non glielo dicessi.” 
Kreacher si prostrò nuovamente a terra, “E’ un onore servire il Padron Regulus.” 
“Grazie, Kreacher.” 
Si Smaterializzò, lasciando di nuovo i due ragazzi soli nella stanza. 
“Malfoy?" Barty guardò Regulus, corrucciando le sopracciglia, "Lucius Malfoy? Cosa vuole?” 
Regulus si portò invece le mani tra i capelli, “Vorrei saperlo anche io.” 


Dopo che Barty si fu ripulito nel migliore dei mondi, e successivamente Smaterializzato con la Metropolvere dal caminetto della sua camera, Regulus scese giù in salotto, dove le due famiglie stavano già litigando a voce alta. 
Narcissa era l’unica in silenzio, con gli occhi arrossati come se avesse pianto, mentre Walburga era quella che urlava più di tutti, sovrastando tutti gli altri.
“Che succede?” Chiese Regulus, quando si trovò sull’uscio del salotto.
Lo ignorarono tutti.
Che succede?” Chiese a voce più alta.
Lucius si voltò verso di lui, i lunghi capelli biondi spettinati. “Succede che stiamo perdendo.” 
“Baggianate.” La voce della madre ricoprì nuovamente quella di tutti gli altri. “E’ un’inconveniente. Succede in guerra. Ma cosa volete saperne voi, siete giovani e irresponsabili e-” 
“Walburga, cazzo!” Lucius si portò le mani alla testa, gli occhi fuori dalle orbite, “Hanno arrestato tredici Mangiamorte al Ministero! Tredici! E Il Signore Oscuro pretende di avere i nomi degli Auror invischiati in questo! Non li so, come posso saperli? Come? Ho già usata la Maledizione Imperio troppe volte, mi scopriranno! Finirò ad Azkaban!” 
“Linguaggio, Lucius.” Lo avvertì severo Orion.
“Linguaggio un cazzo, Orion. Sono venuto qui chiedendo aiuto per mia moglie, vostra nipote, e mi fate la morale su come mi esprimo.”
“Se il Signore Oscuro vi ha affidato questo compit-” 
“E’ una punizione! Per come si è comportato quel deficiente di Rabastan!”
“Osi andare contro il volere del Signore Oscuro?!” 
Narcissa continuava a rimanere in silenzio mentre tutti intorno a lei non facevano altro che urlare, scoccando uno sguardo triste a Regulus. 
Se la ricordava felice, splendente sotto le luci del tendone al suo matrimonio, orgogliosa tra le candele del soffitto della Sala Grande, mostrando a tutti il suo anello di fidanzamento che brillava come le stelle da cui rubavano i nomi la loro famiglia. O ancora: caritatevole, mentre preparava la merenda a lui e a suo fratello Sirius, con Andromeda al fianco.
Adesso era patetica come uno straccio bagnato.
Provò tanta pena, per lei, in quel momento. 
Sospirò, e fece un passo avanti: “So come aiutarvi.” Lo faccio per Cissy. Per nessun altro. “Ma dovete fidarvi di me. E stare in silenzio. Il Signore Oscuro avrà quei nomi, ma non ve ne prenderete il merito.” 
Sarebbe bastato poco: un incontro fugace al camino, qualche parola sussurrata. Barty aspettava solo il suo momento per brillare, non avrebbe avuto paura.

̥˚✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 
“Dorcas Meadowes, mio Signore.”
Bart quel giorno arrivò a Grimmauld Place senza annunciare la sua presenza, lasciando la porta d’ingresso spalancata ed entrando a riunione era già iniziata. Corse fino al salotto, dove si lasciò cadere sulle ginocchia, sudato e ancora vestito con gli abiti del Ministero. 
Una grossa ferita sulla fronte sporcava il suo intero volto di sangue, facendolo sembrare una maschera: Regulus si alzò di scatto dal suo posto, ma venne riportato all’ordine da Evan che lo tirò dalla manica. 
“È ferito.” Sussurrò a Evan, è successo qualcosa. Lo hanno scoperto. Lo hanno attaccato. È finita. Stanno arrivando. 
“Il suo nome.”, riprese invece Barty, ansimante, “Il nome dell’Auror che ha ucciso Mandrak, e che ha scoperto i nomi di dodici Mangiamorte. La mano destra di Alastor Moody.” Barty non tremava, di fronte a lui. Inginocchiato, con il volto però alzato verso di lui, gli occhi puntati in quelli del Signore Oscuro.
Non aveva paura, a differenza di molti altri.  "Dorcas Meadowes." Ripeté.
Un mormorio diffuso di levò dalla stanza, con Rabastan che scattò quasi immediatamente “Possiamo davvero fidarci di questo ragazz-”, ma Voldemort lo zittì alzando solo una mano.
“Come lo hai saputo?” 
Barty, dando i primi segni di nervosismo si girò verso Regulus, che gli annuì piano, invitandolo a parlare.
“Ho l’accesso a molti fascicoli privati del Ministero, Mio Signore, grazie alla posizione di mio padre. Sono semplicemente entrato nell’ufficio Auror e li ho letti.” 
“Ti ha visto qualcuno?” 
“No.” 
“Sei ferito, però.” Allungò una mano verso il suo volto, indicando il sangue che lo macchiava.
“I-io-” Si toccò la fronte, come se si fosse accorto solo in quel momento del taglio, “Ho provato a Smaterializzarmi da solo, penso di essermi spaccato, Mio Signore. Venendo qui.” 
Qualche risata si levò dal tavolo, che fu messa a tacere da Voldemort in persona.
Regulus tirò un sospiro di sollievo, posando una mano sul braccio di Evan in cerca di conforto. Lui sollevo la sua, e gliela strinse.
Barty, per quella volta, era salvo.
“Sei stato bravo, ragazzo.” Disse alla fine Voldemort, soppesando le parole “Voglio ricompensarti.” 
Regulus trattenne il respiro, stringendo ancora la mano di Evan nella sua, quando il Signore Oscuro afferrò in malo modo il braccio di Barty, tirandogli su la manica.
Un colpo di bacchetta, e un grosso squarcio di aprì sul suo avambraccio: sangue ed inchiostro iniziarono a colare dalla ferita, gorgogliando e schiumando a terra, mentre Barty iniziava a tremare per il dolore nonostante Regulus sapesse che stava facendo il possibile per nasconderlo.
“Benvenuto, Crouch.” Mormorò, lasciandolo a terra, sporco di sangue.
Incredulo, il ragazzo continuava a far passare lo sguardo dal Marchio, che adesso pulsava nero e terribile sulla sua pelle, a Regulus, alle sue spalle. “Grazie, Mio Signore.” Sussurrò.



Note: Ci siamooo, tutti i nostri bimbi adesso hanno il Marchio eee ci stiamo avvicinando sfortunatamente alla fine. :( Sono previsti qualcosa come 23/24 capitoli in totale e accidenti, come mi mancherà aggiornare il mercoledì. :,) Mi consolo: abbiamo svariate settimane davanti a noi!
Also, spero che questo capitolo vi sia piaciuto e sì, la scena tra Reg e Barty è tratta dal film As You Are, con Charlie Heaton. <3

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Capitolo 19
*** La Guerra - Capitolo 18. Mele, labbra umide. ***


tw. Sesso. Non è esplicito, tho.

La Guerra, capitolo 18.
Mele, labbra umide.


Nei primi mesi del 1978 l’egemonia di Lord Voldemort iniziava a vacillare, e questo era chiaro a tutti.
Era chiaro agli Auror, all’Ordine della Fenice, al Ministero intero ma soprattutto era chiaro ai Mangiamorte: chi non veniva ucciso in battaglia, o catturato, provava a scappare. Pochi, però, riuscivano nell’impresa. 
Voldemort sembrava in grado di riuscir a percepire il tradimento prima ancora che avenisse, e tutto si risolveva con l’uccisione del malcapitato.
Regulus pensava che, probabilmente, l’unica cosa che teneva ancora in piedi il teatrino del Signore Oscuro era la paura. 
Paura del Ministero nell’andare troppo oltre, nonostante la nuova legge che permetteva agli Auror di utilizzare l’Anantema che Uccide, paura dei Mangiamorte di ribellarsi, paura della popolazione: l’orrore e il terrore che suscitava era sufficiente a tenere ben saldi i ranghi, di qualunque fazione. 
C’era solo paura, angoscia, ansia e disperazione. Anche dove Regulus si sarebbe aspettato di veder urla e risate per festeggiare la vittoria, trovava solo sorrisi pallidi e tirati.

“Wolfhard, Leveret, Barracus e Rosier,” Lucius si sporse sul tavolo, con davanti a lui una mappa. “Prenderete Moody da questo lato, visto che uscirà dalla porta sul retro se le informazioni che abbiamo ricevuto sono sicure.” Alzò leggermente gli occhi dalla mappa, posandoli sul ragazzo in piedi davanti a lui, che si agitava nervoso.
Barty sbuffò sonoramente, incrociando le braccia al petto. “Certo che sono sicure.” Calcò molto l’ultima parola, facendo il verso. 
Lucius si limitò a lanciargli un’occhiata infastidita, mentre procedeva ad illustrare il resto del piano.
Regulus invece ascoltava in silenzio, sdraiato sul divano. Il bracciolo sotto la sua testa era terribilmente scomodo, e le gambe oscillavano dalla parte opposta, mezze addormentate; con la punta della scarpa provò a sporgersi verso Barty, sfiorandogli lo stinco. 
“Non capisco perché non posso andare io.” Interruppe nuovamente Barty, “Ho dato io le informazioni. Senza di me Wolfhard sarebbe ancora sul tetto del Ministero a fare da vedetta, senza offesa Mike.”
Wolfhard si limitò ad alzare le spalle, troppo nervoso per considerare il piccolo bisticcio fra Barty e Lucius.
“Perché, come ti abbiamo già spiegato, tu servi altrove." Lucius strinse i pugni, mentre un leggero rossore iniziava a diffondersi sul suo volto pallido, "Non possiamo permettere che tu venga catturato, e se posso permettermi un giudizio imparziale, hai la faccia di uno che si lascia catturare.”
“Beh, per me è una cazzata.” 
Bart.” Fu Evan a parlare questa volta, e l’altro ammutolì quasi immediatamente.
“Dico solo che...” 
“Bart, basta. Per favore.” 
Evan sembrava stanco, la pelle lucida e tirata sul suo volto segnato da due profonde occhiaie. I capelli, una volta biondi, adesso sembravano quasi marroni, unti e legati in malo modo come se non avesse avuto tempo negli ultimi giorni per farsi una doccia. 
Cosa che, probabilmente, era vera. 
Erano stati giorni terribili anche per Regulus, e fino a quella stessa mattina era stato assolutamente sicuro che sarebbe stato richiamato per l’attacco contro Moody e Meadowes ma, con un sospiro di sollievo, il suo nome non figurava nel piano di Lucius.
Fece vagare lo sguardo sul gruppetto di Mangiamorte che, qualche ora prima, si erano ritrovati assieme a lui al maniero dei Malfoy: alcuni, come Evan e Leveret li conosceva da Hogwarts, altri come ad esempio Wolfhard non aveva saputo della loro esistenza fino ad una settimana prima. 
Ed erano tutti giovani, terribilmente giovani. Il più grande, Barracus, non poteva aver avuto più di venti anni: una leggera barba rossiccia cresceva a chiazze sul suo volto, segnato dall'acne.
Gli adulti morivano e toccava a loro occupare le file rimaste vuote. 
Qualche anno prima aveva detto ai loro amici: Voldemort non se ne fa nulla di un gruppo di ragazzini. Ma come si era sbagliato!
“...Siete pronti? Il Signore Oscuro è ospite a Grimmauld Place, da Orion Black. Smaterializzatevi lì, quando avete finito.” 
Tutti annuirono gravi, preparando le bacchette e le lunghi vesti nere.
Regulus si alzò dal divano, avvicinandosi a Evan e lo stesso fece Barty. 
“Ci vediamo stasera, eh?” Evan fece passare un braccio attorno alle spalle di Barty, l’altro lo poggiò su quelle di Regulus, stringendoli. 
Regulus posò la sua fronte su quella dell’amico, “Ci vediamo stasera.” Odorava di un leggero bagnoschiuma alla camomilla, stantio, ma ancora facilmente riconoscibile sulla sua pelle: lo stesso che per anni gli aveva rubato da sotto il naso, nel bagno di Hogwarts. 
Barty gli schioccò invece un bacio sulla guancia, “Cerca di non farti ammazzarre.” 
“Mai! Chi terrebbe a terra quel tuo culo arrogante sennò?”
“Mi dispiace interrompere il vostro momento romantico, ma Rosier dovrebbe andare.” Lucius si avvicinò a Evan, spostando malamente Regulus da parte e sbattendogli contro al petto una cartina del Ministero. “Un ritardo rischerebbe di far arrabbiare il nostro Signore, e non vogliamo questo, vero?” 
“No.” Rispose Evan, tornato improvvisamente serio. 
Regulus sapeva che i suoi genitori camminavano su ghiaccio sottile, con Voldemort. Non poteva permettersi margine d’errore.
Ancora qualche secondo, prima di Smaterializzarsi sull’uscio del Maniero assieme a Barracus, lanciando un’ultima occhiata a verso di lui e Barty, che lo avevano seguito fuori dalla stanza, giù per le scale e verso il corridoio di marmo bianco che conduceva all'esterno. I loro passi avevano rimbombato nel silenzio, i fruiscii delle vesti come unico accompagnamento a quella piccola marcia.
Regulus non potè vedere il volto di Evans, coperto totalmente dalla maschera, ma si immaginò stesse sorridendo mentre si voltava per l'ultima volta a salutarli con un gesto della mano.
Lo faceva sempre.
Quando anche l’ultimo Mangiamorte se ne fu andato, Barty si mosse verso di lui, a disagio “E noi cosa facciamo?” chiese a Regulus.
“Se posso intrommertermi, tornatevene a casa." 
Rispose Lucius, al suo posto, nervoso. "Ho del lavoro da fare.” 
✧.·:¨༺ ༻¨:·.✧*̥˚
Regulus non era mai stato a casa Crouch, non prima di allora.
Dopo esser stati cacciati in malo modo da Lucius, Barty aveva preso la mano a Regulus, per una Smaterializzazione congiunta.
Non gli aveva detto nulla, cogliendolo di sorpresa: ma quando il mondo smise di girare e i suoi piedi toccarono terra, si ritrovò in mezzo ad un campo, la cui fine si perdeva all'orrizonte, l’erba alta ghiacciata per le basse temperature e un filo di nebbia tra le staccionate che dividevano i terreni.
“Quando hai imparato a farlo?” 
Barty alzò le spalle, sorridendo, ”Non potevo certo continuare ad usare la Metropolvere per tutta la vita.”
“Dove siamo?” 
“A casa mia. Ho pensato che visto che mio padre è occupato col Ministero e mia mamma è andata dalle zie...” 
“E’ bellissimo.” 
Barty si stinse le spalle, “E’ casa.” 
Camminarono per la strada sterrata che conduceva a casa Crouch, senza essersi ancora lasciati la mano. I sassi schricchiolavano allegri sotto le loro scarpe, e dopo essersi assicurati che non ci fosse nessuno –oltre a due cavalli che dormivano sdraiati sull’erba e ad una mucca che mangiava, sbuffando di tanto in tanto- si lasciarono andarono a qualche bacio.
Regulus sentiva la punta del naso di Barty, congelata, sfiorare la sua, le labbra secche che iniziavano ad ammorbidirsi a contatto con le sue. Sentiva Barty, ma sembrava che il suo corpo non ne avesse mai abbastanza. Voleva di più, strappare via i centimentri di tessuto che li separavano, strappare anche la sua pelle se avesse potuto e lasciarsi andare completamente a lui.
Essere uno.
Barty aprì l'uscio di casa con un calcio, senza staccarsi da Regulus, che invece quasi inciampò sul gradino d’ingresso.
Tutte le paure, le ansie, la pressione di quegli ultimi giorni sembravano essersi temporaneamente dissolte dalla sua testa: gli dispiaceva per Evan, che era là fuori in prima linea, ma adesso c’era Barty, solo Barty, con quei dannati capelli in cui metteva sempre troppo gel e quel vecchio maglione che si era bucato accidentalmente con una sigaretta accesa.
Avevano iniziato a fumare, Evan e Barty, di recente: una strana abitudine che avevano rubato ai babbani che osservavano per Londra durante le loro ronde attorno al Ministero.
Sentiva anche quello, Regulus, mentre lo baciava: un soffocante aroma di fumo, che stava imparando ad amare. 
Perché era di Barty.
Si trascirono fino in camera da letto, nel frattempo lasciando cadere a terra quello che si stavano togliendo: la giacca, una sul divano, l’altra nel corridoio, poi le scarpe, i maglioni. Con dita tremanti, sia per il freddo che per l’urgenza di fare in fretta, faticarono per slacciarsi le camicie, le fibbie delle cinture. 
Barty si chinò per baciargli il petto, le costole, i fianchi, mentre Regulus affondava le mani tra i suoi capelli. Un bacio su ogni cicatrice, lasciate da Lucius quello che sembrava esser stata una vita fa.
Poi più in basso ancora, strappando a Regulus un lamento sommesso.
E il cuore di Regulus perse un battito quando Barty si chinò ancora a baciargli le ginocchia, la pelle tesa dietro di esse, e le gambe e oh amore mio, come lo teneva con le mani, come lo solleticavano le sue dita. Non si era mai sentito così vicino a qualcuno.
Pelle contro pelle, finalmente, si abbandonarono l’uno nell’altro.
Regulus lo strinse per i fianchi, le dita che affondavano nella pelle morbida e tirata del bacino, il naso premuto tra la sua attaccatura dei capelli e la nuca.
Ti amo, pensava, ti amo ti amo ti amo. 

La camera di Barty non aveva niente in comune con la sua: era la camera di un bambino.
Di un bambino che sembrava esser stato amato, tanto e genuinamente, considerando il numero di poster, di biglietti di partite di Quidditch e foto di musicisti che aveva attaccato al muro. C’erano anche tante foto con sua madre, specialmente scattate durante la sua infanzia: un piccolo Barty, senza un dente davanti, sorrideva in svariati angoli della stanza, abbracciato ad una donna con una cascata di ricci biondi. 
Di suo padre, però, non c’era traccia in quella stanza.
Regulus si guardava intorno, sdraiato a letto, mentre distrattamente accarezzava i capelli di Barty, che invece lo abbracciava, sdraiato tra le sue gambe e la testa poggiata sul suo ventre. Fuori dal letto accarezzzava il vuoto la sua mano, con una sigaretta accessa di cui non aveva preso ancora un tiro. Si consumava, e la cenere cadeva piano sul pavimento di legno azzurro cielo.
“Quella foto di quando è?” Chiese, indicandone una in particolare dove Barty si trovava sulle spalle di sua madre, davanti ad una grande villa color crema. 
“Penso almeno cinque anni prima di Hogwarts. Ero a casa dei Potter.” 
“Potter? James Potter, il cacciatore dei Grifondoro?” 
“Proprio lui.” 
Regulus sorrise, continuando a pasticciare le mani tra i capelli di Barty. “Eravate amici?” 
“I miei genitori e i suoi. Colleghi al Ministero, solita roba.” 
“Non me lo hai mai detto!” 
Barty spostò il volto, per guardarlo bene in faccia. “Non volevo parlare di Potter! Eri cotto di lui, mi dava fastidio.” 
“Era così evidente?” Adesso Regulus rideva, mentre sentiva le guance imporporarsi. 
“Assolutamente! Dovevi vederti durante le partite di Quidditch: gli occhi a cuore! Evan aveva paura che potessi cadere dalla scopa se ti fossi sporto ancora un pochino per guardarlo mentre tirava quella dannata pluffa.” 
Il nome di Evan gettò una coltre di preoccupazione su di loro. Gli occhi di Barty si fecero remoti, mentre finalmente si sporgeva fuori dal letto per prendere un tiro dalla sigaretta. 
“Quindi mi stai dicendo che eri geloso.” Disse Regulus, per sdramatizzare.
Osservò il viso dell’altro arrossarsi questa volta, mentre tirava fuori una nuvola di fumo, ”Non ti vantare, Black, non sei l’unico che mi ha rubato il cuore.” 
“Ti ho rubato il cuore? Davvero?” 
“Oh, sta zitto.” Gli diede un morso sul fianco, scatenando altre risate.
Ti amo, ti amo, ti amo. Pensò ancora. Ti amo, ti amo, ti amo.
“Bart?” 
“Dimmi.” 
“Ti ho mai raccontato di Arromanches-les-Bains?” 
Barty gli lasciò una scia di baci sul ventre, ”Parlamene.” 

Si divisero qualche mela per cena, qualcosa di cui i genitori non avrebbero notato la mancanza, e si rivestirono velocemente, prendendo gli abiti sparsi per la casa.
Il sole iniziava a tramontare, dietro alle colline, e la madre di Barty sarebbe tornata a casa di lì a poco.
Si scambiarono gli ultimi baci sul bancone della cucina, tra le ceramiche delle spezie e una pirofila contenente gli avanzi della cena della sera prima. 
Labbra zuccherine, umide di saliva, ancora appiccicose per il frutto appena mangiato. Morbide, rosse, vive.
Regulus sentì le mani di Barty stringersi sui suoi fianchi, avvicinare il suo corpo al suo. 
“Dobbiamo andare, Bart.” 
“Lo so.” Mormorò in risposta, affondando il viso nei suoi capelli. 
Si Smaterializzarono fuori da casa Crouch, appena più lontano dal cancello di casa, apparendo davanti a Grimmauld Place.
C’era molto più freddo, e Regulus si strinse nella giacca mentre una nuvoletta di vapore si formò con il suo respiro. Barty lasciò andare quasi immediatamente la sua mano, e a Regulus già mancava. 
“Entriamo?” Chiese l’altro, affondando le mani in tasca. 
“Andiamo.” 
Ma non si mosse subito. Sentiva la solita morsa allo stomaco a bloccarlo, come ogni volta che entrava a casa sua. Quella sensazione di ansia, di angoscia e di sbagliato che sentiva da quando era bambino. 
E non c’era nemmeno più Sirius, a precederlo, ad essere il primo ad aprire la porta: un sorriso rassicurante e la promessa di tenere la porta della sua camera aperta, quella sera.
Iniziò a salire i gradini. 

C’era qualcosa di profondamente sbagliato.
Un uomo piangeva in sala da pranzo, lo potevano sentire dal corridoio.
Per il resto, il silenzio era talmente assordante che Regulus poteva sentire il rumore del suo cuore martellargli nel petto. 
Barty si girò verso di lui, mimando con le labbra Che succede? 
Regulus scosse la testa, nulla di buono, avrebbe voluto rispondere, prima di percorrere gli ultimi metri che lo avrebbero portato in sala. 
A tavola, il Signore Oscuro in persona che giocava distratto con la bacchetta. A terra,  Mike Wolfhard, il viso sporco di muco e lacrime.
I genitori di Regulus, dall’altro capo del tavolo, che si guardavano le mani giunte davanti a loro, senza alzare lo sguardo e Lucius e i coniugi Lestrange si stringevano sul divanetto in fondo alla stanza, lo stesso che anni prima fu occupato dalla famiglia Rosier.
“Perché sei qui allora, Wolfhard? Perché sei scappato?” Lord Voldemort non sembrava arrabbiato, con quel tono quasi derisorio.
“H-ho avuto paura. Dovevo andarmene mio Signore, mi avrebbe ucciso.” Mike faticava a parlare, ansimando tra un singhiozzo e l’altro. Non sembrava ferito, ma sia che la sua maschera che la veste nera erano torse di sangue, i capelli scuri incollati al volto per il sudore.
“Reg, Evan non c’è.” Sussurrò Barty al suo fianco, afferrandolo per un braccio. Si fermarono sull’uscio, in piedi, mentre il cuore di Regulus perdeva qualche battito.
“Hai avuto paura?” Ripetè Voldemort, sorridendo al Mangiamorte.
“Li hanno uccisi tutti. Tutti. Uno per uno.” Mike aveva iniziato a guardarsi attorno, cercando una via di fuga. “Non potevo rimanere, mio Signore, non potev-” 
Avada Kedavra.” 
Mike cadde a terra, con un tonfo leggero. La maschera gli scivolò dalle mani, brillante di sangue. 
“Fra tre notti. Malfoy, Lestrange e il giovane Black, verrete con me.” Si voltò verso Regulus, alzandosi dalla sedia. “Ma lo farò io stesso, visto che non ne siete in grado.” 
Uscì dalla stanza, passando in mezzo a Regulus e Barty, il secondo che venne spinto con una spallata contro al muro al suo fianco.
“Reg,” sussurrò ancora una volta Barty, pallido come un fantasma. “Evan non c’è. Non è tornato.”





Note: beh??? Che ve ne pare???? Mi dispiace avervi fatto aspettare 18 capitoli prima di un po' di spicy - a questo punto della storia sono tutti maggiorenni, tranq-, e soprattutto di aver rovinato il momento con questa botta finale XD, also, sì il capitolo è cortissimo perché doveva essere tutt'uno con quello precedente, ma mi sembrava giusto dividerli per le cose che succedevano!!!
Evan, il mio tesorino, mi mancherà da morire. 
Vorrei pubblicare un piccolo missing moments dedicato a lui, probabilmente assieme al prossimo capitolo! 
Fatemi sapere cosa ne pensate, un beso <33

 

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Capitolo 20
*** La Guerra - Capitolo 19. Per i ragazzi. ***


Tw. Sesso -sì, di nuovo-, suicidio, derealizzazione, braccia rotte e sangue. 
E grazie a Silvia e ad Eddie per avermi supportato per la scrittura di questo capitolo. 
Vi voglio bene. <3


Barty, Per il ragazzo di Glasgow.


L'estate se la dividevano tra casa Crouch, quando il padre di Barty era impegnato al Ministero, e casa Rosier, nel piccolo campo da Quidditch di fianco alla proprietà.
Casa Crouch era un tripudio di musica anni sessanta, Rosa approffitava dell'assenza del marito per salire a piedi nudi sopra al letto matrimoniale, sporgersi per raggiungere la sommità dell'armadio a ponte che si trovava sopra esso per prendere il vecchio giradischi e i suoi vinili.
Evan portava i dischi, le braccia cariche che dolevano sotto tutto quel peso, mentre Barty galoppava dietro la madre tenendo il giradischi in equilibrio sulla testa, nonostante le raccomandazioni di quest'ultima -"Lo farai cadere! Per l'amore del cielo, Barty!"-.
Mina, Città vuota, Parole parole e Nessuno e Rosa cominciava a roteare con le braccia aperte per la cucina, seguita dal figlio e dai suoi improbabili passi di danza, mentre Evan si lasciava cadere sul pavimento, la pancia nuda contro le fresche mattonelle in cotto e leggeva il retro delle copertine, curiosava tra i testi e alzava la testa solo quando Rosa Crouch, sudata e con le stesse guance arrossate di Barty non lo chiamava per chiedergli se voleva un bicchiere di limonata. E certo che lo voleva, era assolutamente squisita.
Spesso gli lasciava portare a casa qualche disco, con la promessa di trattarli bene, anche se a casa lui il giradischi adatto non lo aveva e si accumolavano sulla sua libreria, di fianco a qualche vecchio tomo di Pozioni o il Dizionario Merfolk appartenuto al bisnonno.
I suoi genitori non avevano idea di cosa fossero e lo guardavano con aria stranita, mentre saliva le scale due a due, quasi a corsa, con qualche vinile nascosto sotto la maglietta.
A casa Rosier invece si spalmavano al sole come due lucertole, le spalle scottate e quasi sempre spellate, imparando a girare un J e diventando sempre -o almeno così credevano- più bravi, tiro dopo tiro, mentre le palpebre si facevano pesanti e gli occhi si arrossavano.
Evan triturava la mista tra le mani, una chiusa a coppa e l'altra che cercava di spezzettare ogni filamento, rigirandoselo tra le dita, mentre Barty era sempre l'incaricato al filtro che ricavava dai biglietti di King's Cross.
La sera scendevano in città, Barty sempre tremante nei suoi pantaloncini corti, perché si rifiutava ogni volta di portarsi la giacca a vento e allora era Evan che "Segaiolo del cazzo, prendi la mia, tanto mica c'ho così freddo."
"Nemmeno io ho freddo."
"Seh.".
La luce dei lampioni brillava sull'asfalto, spesso lucido di pioggia, dei vetri delle auto che i tifosi del Chelsea avevano spaccato dopo il derby, della birra che cadeva dalla bottiglia di Barty perché doveva tenersi la pancia con entrambi le mani per quanto rideva.
E rideva anche Evan, in bocca il sapore dell'alcol, delle canne del pomeriggio, lo stomaco che ogni tanto gorgogliava ricordandogli quanto noiosa era la chimica.(*)
Erano le estati, il suo periodo preferito. Certo, gli mancava Regulus, la libertà che sembrava concedergli Hogwarts, lontano dai suoi genitori, dalle assurde idee del padre di voler recuperare il prestigio della famiglia Rosier unendosi ad un suo vecchio compagno di scuola -come aveva detto che si chiamava? Riddle? Aveva sentito i suoi genitori parlarne, qualche mese prima, dopo cena. Li aveva lasciati discutere, ritirandosi piano piano in camera sua, senza farsi sentire-.
Ma nulla lo faceva sentire parte di qualcosa come sdraiarsi a letto, poggiare i piedi nudi sulla pancia di Barty che invece si stendeva dalla parte opposta, con le braccia a mo' di cuscino dietro la testa: parlare del più e del meno, ridere di come Xenophilius li aveva fregati per l'ennesima volta vendendoli un'erba che era più semi che altro, assopirsi durante le ore più calde della giornata, quando dalla finestra spalancata non sembrava entrare un filo d'aria.
Svegliarsi con le coperte leggere appiccicate alla pelle, la testa leggera.
"Ev?"
Barty gli stuzzicò il piede, obbligandolo ad aprire gli occhi. "Ev?" Chiese nuovamente, con una certa insistenza.
"Ma che vuoi?" Chiese l'altro, con la bocca impastata di sonno.
"Forza bello, apri quell'ombrello, son le nove…"(**)
"Ma vaffanculo."

Quando Evan Rosier morì, un banale venerdì di inizio gennaio, il sole era già tramontato da un pezzo.
Il giradischi era sopra l'armadio, nascosto dietro una scatola zeppa di fascicoli dall'Ufficio Auror, i limoni ancora sull'albero, ma piccoli e rinsecchiti per le gelate dei giorni precedenti.
Barty tirò su col naso, entrando in casa. Si sentiva le palpebre pesanti, gli occhi arrossati, per altre ragioni che nulla avevano a vedere con quelle delle estati passate assieme al suo migliore amico.
Papà scribacchiava seduto al tavolo della cucina, la cena intoccata e ormai fredda ancora davanti a lui.
Senza salutare mamma, che era invece rannicchiata sul divano a leggere una rivista di moda, filò subito in camera sua, chiudendosi la porta alle spalle.
L'aria era pesante, viziata, nessuno aveva pensato ad aprire le finestre dopo che lui e Regulus se n'erano andati.
Non si sedette sul letto, non si sedette né alla scrivania né tanto meno a terra. Il suo corpo gli sembrava ingombrante, non sapeva cosa farsene.
Dovunque si girasse, occupava troppo spazio. Era la camera ad essersi rimpicciolita o lui ad essersi gonfiato?
Ingombrante anche quel peso che si portava in gola, che provò a far uscire infilandosi due dita in gola.
Niente.
"Barty?" La voce della mamma arrivò attuita, da dietro la porta. Probabilmente era stata attirata dai suoi conati. "Tesoro, tutto bene? Posso entrare?"
Il ragazzo aprì la porta, il movimento del braccio estraneo alla sua mente. Ma cosa stava facendo?
"Cosa c'è che non va amore?"
Rosa lo guardava preoccupata, minuscola dentro alla vestaglia di pile cremisi. Non aveva detto niente, papà? Impossibile che lui non lo sapesse di Evan.
Impossibile che fosse stato capace di rimanere impassibile davanti alla morte del ragazzino che aveva alloggiato a casa sua decine e decine di volte, che aveva mangiato alla sua tavola, che aveva riaccompagnato a casa durante le vacanze di Natale, seppur sbuffando e lamentandosi.
Una nuova carica di odio iniziò a montargli nel petto, la bacchetta nella tasca dei suoi pantaloni sembrò bruciare dalla voglia che aveva di afferrarla.
Li odiava, li odiava tutti quanti. Si credeva i buoni, capito? Ma intanto era morto. Intanto, lo avevano assassinato.
"Perché sono così, mamma?" Mormorò invece.
"Così come, tesoro?"
Barty alzò le spalle, "Così." Sputò fuori.
Rosa rimase zitta qualche secondo, lo sguardo distante anni luce. "Sei perfetto amore mio."
Ti amo, ma non mi conosci.

La mattina dopo arrivò Alastor Moody in persona, una grossa benda sporca di sangue raffermo a nascondergli metà volto.
Barty lo aveva guardato discutere per una buona mezz'ora con suo padre, seduto al tavolo della cucina, prima che l'uomo lo degnasse di un saluto.
"Forse hai capito perché sono qua."
L'Auror gli si sedette davanti, trascinando una gamba. Sprofondò nella sedia con un suono che fece nauseare Barty.
"No." Rispose lui.
"Ieri un suo ex compagno di scuola, Rosier, è stata ucciso per aver resistito ad un arresto del Ministero. Stava tenendo un'imboscata con altri Mangiamorte. Ne sai qualcosa, Bart?"
Non chiamarmi in quel modo. "No. Non frequento più Hogwarts."
"Ma eri suo amico. Tu, Rosier e Black. Dicono foste un bel gruppetto."
"Sì."
"Anche la famiglia Black sembra essere immischiata con i Mangiamorte. Ne sai qualcosa?"
"Ho già detto che non frequento più Hogwarts. Non parlo con lui da anni." Poi alzò lo sguardo verso il padre, che in piedi dietro Malocchio Moody si mangiava nervoso le unghie di una mano. "Pà? Perché mi volete interrogare?"
"Non ti sto interrogando," Rispose al suo posto l'Auror, "Sto cercando di capire le prossime mosse dei Mangiamorte. Se eri amico di Rosier, fors-"
"Ma non sono suo amico."
Osservò Malocchio non riuscire a trattenere un sorriso, congiungere le mani di fronte a lui, sul tavolo di legno. "Crouch, mi va a prendere la giacca per favore? Rosa è stata così gentile da portarla nella stanza degli ospiti, mi pare. Ha ragione, suo figlio ha messo la testa a posto dopo Hogwarts. Un bravo ragazzo. Non ho più niente da chiedergli."
Aspettò che il padre lasciasse la stanza, sorridente e compiaciuto di come aveva cresciuto il figlio, di come bravo era stato a tirarlo fuori da quella brutta, brutta compagnia di Serpeverde, prima di lasciarsi cadere nuovamente sulla sedia, "Hai la faccia come il culo, Bart, o sei davvero il caro figlio di papà che tutti pensano?"
Fu il turno di Barty a non riuscire a trattenere il sorriso che iniziava a nascergli sulle labbra, "Sono un bravo ragazzo." T'ammazzo. T'ammazzo come hai ammazzato Ev.
"Voglio crederci."
"Lo faccia, signor Moody."
Dall'altra stanza si sentiva la madre canticchiare, mentre rassettava il bagno. I passi del padre si stavano allontanando, lungo il corridoio.
"Cosa nascondi sotto quell'adorabile maglioncino di lana, Bart?" Allungò una mano, non prima di prendere la bacchetta dal fodero, sul suo fianco dentro. La punta di essa vagò la dove si trovava il suo ombelico, nascosto dalla trama colorata del tessuto, ghirigori azzurri, marroni e gialli, per poi posarsi sull'avambraccio. "Qualche tatuaggio interessante?"
Barty si alzò dalla sedia, facendola stridere contro il pavimento, "Vuole vedere?" Si sollevò un lembo del maglione, scoprendo il ventre. "E' per questo che è qui realmente?" Sorrise, mordendosi il labbro inferiore, gustandosi la confusione sul volto dell'uomo, le sue labbra farsi sottili e le pupille dilatarsi.
"Vuole vedere se ho veramente la faccia come il culo?" Aggiunse poi, in un sussurro rabbioso, le parole che uscivano come veleno dalla sua bocca. "Ho ricevuto complimenti per entrambi, di recente."
"Barty?!"
Suo padre era in piedi alla fine del corridoio, che reggeva la giacca dell'Auror stritolandola tra le mani, le nocche quasi bianche.
"Stavamo parlando del maglioncino, Crouch. L'ha fatto sua moglie? Le scoccerebbe chiederle qualcosa anche per me? Una sciarpa di lana, magari." Alastor parlò senza staccare gli occhi di dosso dal ragazzo, che se li sentiva bruciare sul petto, assieme al fastidio, alla rabbia e all'odio che covava dal giorno prima. T'ammazzo, continuava a ripetersi. Prima o poi t'ammazzo.
"No, lo ha fatto mia sorella." Qualche secondo di silenzio, "La zia di Barty." Aggiunse poi, come se non fosse già abbastanza chiaro.
Inetto.
"Ah! Ma pensa! Le faccia i complimenti da parte mia, allora. E grazie per la giacca, queste gambe non lavorano più come dovrebbero. Ci vediamo a lavoro, eh?"

Barty si tolse il maglione in bagno, gettandolo nel cesto della biancheria sporca.
Non pensava che l'avrebbe mai più indossato, dopo quella volta.
Aveva giusto il tempo per una doccia veloce, prima di infilarsi qualcosa di elegante per Smaterializzarsi a Grimmauld Place, da Regulus. Il funerale di Evan si sarebbe tenuto tra qualche ora, a Glasgow. Non potevano ritardare.
Il suo sguardo fu catturato però dallo specchio, il riflesso del bagno coperto da un volto che sembrava non riconoscere, che lo guardava in mezzo alle piccole macchie di dentifricio sulla sua superficie, che si muoveva esattamente come lui, che socchiudeva gli occhi quando lo faceva lui.
Il suo corpo non era il suo corpo, il suo volto era quello di un estraneo e forse aveva voglia di piangere, forse no.
Solo la rabbia, quella sì che sapeva riconoscerla come sua.
Tutta da lui, proveniva.
Un bel mucchio di fili aggrovigliati, incadescenti come la lava, che bruciavano nel suo stomaco, acido che liquefaceva i suoi organi, un po' alla volta.
Di nuovo, forse aveva semplicemente voglia di piangere. Si chiese se non avesse bisogno di Regulus, per quello.
Lasciarsi andare era molto più facile, al suo fianco.
Da quando si era scoperto davanti ad Alastor, qualche istante prima, qualcosa sotto l'elastico delle mutande non aveva ancora smesso di pulsare. Quasi faceva male, a quel punto.
La sua mano scivolò fin lì, pensando che molto probabilmente gli avrebbe fatto bene concedersi qualche minuto per sé.
Avrebbe cercato di piangere più tardi.

 

 

La Guerra, capitolo diciannove.
Per il ragazzo di Doncaster.

A qualche chilometro di distanza, nella fumosa e gelata Londra, Regulus si chiudeva anch'esso in bagno, mentre l'acqua iniziava a riempire la vasca.
Si tolse la camicia, gettandola lontano sul pavimento in marmo, e abbassò lo sguardo sul proprio corpo: una fitta costellazione di cicatrici, quali più grandi, quali più piccole, attorno ai suoi fianchi, sul suo petto, nascoste tra le costole.
Le sfiorò con la punta delle dita, le mani pallide che tremavano.
Si soffermò poi su quella che aveva sul braccio, gonfia di inchiostro; si muoveva piano sulla superficie della sua pelle, come fosse viva: pulsava di morte, di orrore.
Regulus si disgustava.
Il suo occhio venne attirato dalla lama che usava per radersi, che sembrava quasi brillare di luce propria, sopra il lavabo.
Un oggetto tanto comune quanto affascinante.
Regulus sapeva che sarebbe bastato allungare la mano, un taglio deciso, per togliersi dalla pelle il ricordo costante delle vite che aveva preso, maledetto, distrutto.
E di quelle che aveva perso.
Forse era semplicemente la sua punizione per non aver seguito Sirius, anni prima. Per aver invece seguito il sentiero che la madre aveva con tanta cura segnato per lui anziché avere il coraggio di gettarsi a capofitto nella foresta come aveva fatto il fratello.
Più pensava ad Evan e più il senso di colpa che portava nel petto sembrava farsi più pesante. Invadeva il suo petto, lo affondava e immaginava ci fosse solo un modo per alleggerire il carino, per trovare un po' di pace.
E se fosse stato coraggioso lo avrebbe già fatto, lo sapeva.
Il Marchio sembrò sorridergli, beffardo. Se fosse stato meno codardo, meno spaventato, meno piccolo, stupido, atterrito…
"Signorino Regulus?" La voce stridula di Kreacher arrivò dall'altra parte della porta, attuita dal legno che li separava. "Il Signorino Barty Crouch è qui, ha mandato Kreacher a chiamare Padron Regulus."
"Fallo aspettare nella mia camera. Venti minuti e arrivo, grazie Kreacher."
Si immaginò l'elfo prostrarsi sul pavimento, prima di Materializzarsi da Barty. 
✧.·:¨༺ ༻¨:·.✧*̥˚
Il funerale di Evan Rosier si tenne il pomeriggio seguente, a casa dei suoi genitori, in una Glasgow grigia e piovosa: una cerimonia organizzata in tutta fretta, con il corpo recuperato in segreto dal vicolo in cui si era consumato l’attacco, cercando di non attirare l’attenzione del Ministero.

Abitava in periferia, in una villa circondata da campi: il giardino sul retro, costellato di erbacce e fiori spontanei, sembrava esser stato trasformato in un piccolo campo da Quidditch, e accanto al capanno degli attrezzi stava a prendere l’acqua una vecchia scopa con il manico consumato. Probabilmente Evan l’ultima volta che l’aveva usata si era scordato di metterla nuovamente a posto.
Magari era uscito di fretta, pensando di tornare quella sera stessa. 
Regulus si ricordava come ad Hogwarts era solito scendere prima di colazione giù al campo per fare un giro di campo con la scopa, forse aveva mantenuto la stessa abitudine anche a casa.
La bara era chiusa, circondata da qualche mazzo di fiori di campo. Una piccola foto poggiata su essa con Evan che sorrideva alla fotocamera e al fianco una sciarpa dei Puddlemore United.
Poche persone, Barty, Regulus e una manciata di parenti stretti: nessuno voleva andare ai funerali dei Mangiamorte.
La madre venne ad abbracciarli, con il volto gonfio di lacrime e il rossetto indossato in malo modo, spreciso sulle sue labbra piene di rughe. Dall’ultima volta che Regulus l’aveva vista, a casa sua, sembrava invecchiata di una decina d’anni. “Grazie per essere venuti.” Barty si lasciò andare ad un singhiozzo, affondando il volto nei capelli della donna, che lo cullò come se fosse stato suo figlio.
“Vi amava, vi amava così tanto.”
“Noi amavamo lui.” La voce di Barty era uscita con un soffio, insieme ad un altro singhiozzo. 
“Lo so tesoro mio.”
C'era qualcosa di così intimo, nel loro abbraccio, che fece sentire Regulus un estraneo. La mano che aveva sollevato precedentemente, per posarla sulla spalla di Barty, ricadde al suo fianco, immobile.
Il cumolo di ghiaccio posato nel suo petto si fece un po' più pesante.
Il padre di Evan, invece, era una maschera di dolore.
Regulus si vergognò quasi, di essere ancora vivo. Avrebbe dovuto esserci lui, al suo posto, perché se fosse toccato a lui venir ucciso suo padre non avrebbe mai sofferto così tanto, ne era sicuro.
Il corpo venne sepolto poco lontano da casa, sotto un grosso castagno. 
Di nuovo, nessuno voleva saperne dei Mangiamorte. Il custode dell’unico cimitero magico della Scozia, che si trovava a qualche chilometro da Glasgow, non aveva permesso la sepoltura all’interno dei confini di esso. Non c’era pietà per loro, nemmeno se il Mangiamorte era a malapena maggiorenne, nemmeno se il suo sogno era stato quello di giocare a Quidditch in modo professionistico, e non certamente di combattere.
Dopo la funzione, la mamma di Evan li invitò entrambi in casa, aprendo loro le porte della camera del figlio: “Prendete pure qualcosa, se volete, a lui non servirà più sicuramente...” Aveva quasi bisbigliato, come se avesse potuto disturbare quel poco che rimaneva di Evan se avesse parlato un poco più ad alta voce. Regulus si guardò intorno, entrando con circospezione: il letto era ancora sfatto, come se si fosse alzato quella mattina stessa, con il pigiama gettato in un angolo della camera, le scarpe da ginnastica che spuntavano da sotto la cassettiera.
“A Evan piaceva la musica babbana, buffo vero? Un controsenso che i suoi gli facessero tenere questa roba.” Disse Barty, sfiorando con la punta delle dita un mobile alto contenente un sacco di vinili, simili a quelli magici. 
“Che tipo di musica è?” 
Regulus non aveva mai avuto quella conversazione con lui. Adesso che se n’era andato sembrava non avessero parlato quasi di nulla. Che musica ascoltava? Qual era stata la sua materia preferita? Le domande più banali e scontate che si era scordato di chiedere.
E di cui non avrebbe mai più potuto ascoltare la risposta.
“Oh, qui abbiamo Mina, Gino Paoli, uhm, Romina Power...” Barty continua a snocciolare nomi di babbani che non significavano assolutamente nulla per Regulus. 
Ma lo conformatava sentirlo parlare.
Si sedette sul letto, e il profumo di Evan lo colpì come un pugno allo stomaco. Lo seguì anche Barty, lasciando cadere la testa sulla spalla di Regulus.
Timide, in attesa di lasciarsi andare al minimo rumore, le loro mani si intrecciarono, trovando forza l’una nell’altra.
“Se ne è andato davvero, Reg.” 
Se ne era andato davvero. 

✧.·:¨༺ ༻¨:·.✧*̥˚

Una cosa che Regulus dovette imparare in fretta, è che la guerra non si fa certamente attendere, e non ha rispetto per lutti e sepolture. 
E che tutti i giorni la gente muore, in continuazione. Muore quella della fazione nemica, se sei fortunato. Della tua, se lo sei un po’ meno. E non c’è tempo per
piangere i propri cari, per ripulirsi le mani dalla terra –o dal sangue-.
Regulus si calò la maschera sul volto, annuendo a Lucius che era pronto a Materializzarsi.
Apparvero in un vicolo poco illuminato di Londra, la strada pervasa dall’odore di fritto per i vari ristoranti sparsi nel quartiere. 
Bellatrix fece scoppiare la luce in ogni lampione, lasciandoli completamente al buio. “Andiamo?” Ululò, facendo oscillare la bacchetta verso di loro. Una scintilla si piantò tra i piedi di Regulus, mancando di colpirlo per poco.
Si incamminarono dietro di lei, lungo la strada, “Dorcas, amore? Dove sei?” canticchiava. “Moooody!” Di tanto in tanto faceva esplodere una vetrina di un negozio, o i fanali di una macchina babbana. 
Il Signore Oscuro li seguiva ad una certa distanza, ancora non aveva detto una parola. Regulus ne sentiva i passi alle sue spalle, lenti, misurati. 
Come la mamma di Evan anche lui era cambiato drasticamente negli ultimi tempi, ma non avrebbe saputo dire cosa esattamente lo avesse cambiato.
Gli occhi, sempre rossi e fiammeggianti, più affossati, la pelle più cadaverica, forse erano i suoi tratti ad essersi assottigliati imitando quelli di un serpente.
Probabilmente non era l’unico ad essersene accorto: assieme a coloro che il Signore Oscuro aveva scelto personalmente per la missione, si erano uniti alcuni volontari, Mangiamorte più anziani che Regulus aveva visto andare e venire a Grimmauld Place quando era più piccolo, e tutti sembravano aver paura di anche solo guardarlo per troppo tempo. 
La passione che provavano per la sua persona si era tramutato in cieco e puro terrore.
Dorcaaaas?” Cinguettò nuovamente Bellatrix, fermandosi davanti alla serranda di un negozio, dall’aria fatiscente. Bussò qualche volta, ridendo.
Nessuno, dall’altra parte, rispose. 
“Non vogliamo entrare senza essere invitati, tesoro! Forza apri la porta!”
Regulus la osservò, mentre si lasciava cadere con tutto il corpo sulla serranda, poggiando l’orecchio su essa come se stesse origliando.
“Spostati Bella.” Ordinò il Signore Oscuro, mettendosi davanti a loro.
Era una bella notte. La luna era quasi totalmente piena, la costellazione di Orione svegliava su di loro, luminosa e terribile sotto le Pleiadi.
Più in basso, nascosto tra i palazzi, Sirio. Regulus cercò di non pensarci. Non era neanche freddo, per essere febbraio. La neve si era sciolta da tempo e il vento quella notte sembrava aver dato loro una tregua. 
Voldemort levò la bacchetta davanti a lui, contro la serranda. “Bombarda.”, e quella esplose con un rumore sordo. “Andiamo.” 

Bellatrix fu la prima a lanciarsi al suo interno, seguita da Lucius. Regulus tossì un paio di volte per la polvere che aveva alzato l’esplosione, prima di gettarsi all’interno del negozio con gli occhi lacrimanti.
Iniziarono i primi incantesimi, lanciati sia da una parte che dall’altra. Evitò una Fattura, lanciandosi a terra all’ultimo secondo, e ricambiò con una Maledizione.
Si alzò di scatto, correndo verso il centro del locale, “Crucio!” Colpì qualcuno, che cadde a terra urlando. Rodolphus, che comparve con un balzo dietro di lui, lo finì. 
Si scrollò il fastidio di dosso, cercando di non pensarci troppo.
Sono le stesse persone che hanno ucciso Evan. Se lo meritano.
Facendo lo slalom tra i corpi che iniziavano ad impilarsi sul pavimento, reso scivoloso dal sangue, continuava a scagliare Maledizioni.
Un uomo dall’aspetto tozzo gli si piantò davanti, il volto arrabbiato parzialmente coperto da una benda, che con un Levicorpus lo sollevò in aria, sbattendolo contro il muro adiacente.
L’impatto gli fece perdere il respiro, e nemmeno si accorse di essere caduto nuovamente per terra fino a quando piccole meteore di dolore non gli esplosero dietro gli occhi. 
Era caduto di schiena, il braccio piegato dolorosamente sotto di essa. Si morse la lingua per evitare di urlare e il sapore del sangue gli riempì quasi immediatamente la bocca. 
Fa male, era l’unica cosa a cui riusciva a pensare. Fa male, fa male, fa terribilmente male.
Con l’altro braccio, l’unico che riuscisse a muovere, cercò la bacchetta che gli era scivolata di mano quando era stato attaccato: le sue dita si muovevano fra i detriti, graffiandosi su chiodi e schegge di mattoni, senza riuscire a trovarla. 
Accio bacchetta!” Urlò, continuando a cercarla. Il locale era illuminato solo dalla luce degli incantesimi, rendendo la ricerca ancora più ardua. “Accio bacchetta! Accio bacchetta!” 
Ma la sua mano rimase vuota. 
Provò ad alzarsi, ma un’ondata di nausea lo fece ricadere a terra, scosso dai conati. 
Togliendosi prima la maschera e gettandola lontana si portò la mano funzionante alla testa, sentendosi i capelli bagnati. Era caduto in una pozzanghera? Stava piovendo? No, non era nel villaggio in Cornovaglia. Quello era stato anni fa.
Era sangue, che scorreva a fiotti dai suoi capelli, inzuppandogli la veste e la schiena.
Concentrati, Regulus. Tirati in piedi e concentranti.
Il braccio pulsava, inerte al suo fianco, e la testa si stava facendo sempre più pensante.
Il suo intero corpo sembrava esser stato immerso nell'acido, tanto era il dolore. 
Si costrinse ad alzarsi, strisciando contro il muro. Un Mangiamorte cadde di fronte a lui, ucciso sul colpo, e ne approffittò per rubargli la bacchetta, che teneva stretta nei pugni.
Il mondo vorticava ad ogni passo, e iniziava a sentirsi sempre più debole. Concentrati, Reg.
Scagliò una Maledizione contro una strega, colpendola di striscio, ma lo sforzo lo fece piegare su se stesso, e il suo corpo rigettò tutto quello che aveva mangiato le ore prima.
Almeno Barty è al sicuro. Fu l’ultimo suo pensiero, prima che le tenebre lo avvolgessero.

Aprì gli occhi a fatica, incollati dal sangue. Il braccio sembrava avvolto da una cortina di bruciore, e forse fu proprio quel dolore a farli riaffiorare la conoscenza.
Andava e veniva, Regulus, mentre attorno a lui i rumori della battaglia iniziavano a scemare.
Si voltò verso la sua destra, dove sentiva ancora delle voci, ma lontane, come se fossero dentro ad una bolla. Aveva le labbra secche, la bocca impastata di polvere e bile.
Sembrava ci fosse sangue ovunque, dentro e sotto e sopra di lui.
“Non puoi combattere per sempre, Voldemort. Consegnati, è finita.” 
Una ragazza, giovanissima e della stessa bellezza terribile -quasi terrificante, quella di una bestia selvaggia, di un fiume in piena, di una tempesta- che associava a Barty, levava la bacchetta di fronte sé, puntandola verso il Signore Oscuro.
Non si mosse di un centimetro quando lui le si avvicinò, non una goccia di sudore spuntò sulla sua fronte. 
“Stai provando pietà? Per me? Non sono io doverla ricevere.” Rise di gusto, avvicinandosi sempre di più a lei, il braccio che teneva la bacchetta lungo il fianco.
“No. Ti sto dando una seconda possibilità, prima di ucciderti. Perché non sono come te. Non sono un mostro.”
Tutto si fece nero, mentre Regulus faticava per rimanere cosciente. Il sangue continuava a scorrere, lento ed inesorabile, sporcandogli la guancia. Era tutto bagnato. Se chiudeva poteva far finta di essere in Francia, giù in spiaggia, sdraiato in battigia... No. Non ora.
Avada Kedrava.” Un lampo di luce verde uscì dalla bacchetta della donna, andando a colpire Voldemort nel petto.
E’ finita, pensò Regulus, un tuffo al cuore e il respiro che gli moriva in gola. La guerra è finita.
Ma lui non cadde. Non indietreggiò nemmeno. Si portò una mano nel punto dove era stato colpito, sorridendole.
“Meadowes,” Mormorò, “Debole, proprio come tutti gli altri.”
L’Auror strabuzzò gli occhi, scagliando altre Maledizioni. Tutte, tutte, colpirono Voldemort. Ognuna di esse.
La disperazione nella voce dell'Auror si faceva sempre più evidente, i movimenti della sua bacchetta incerti.
I suoi occhi scuri, spalancati, tradivano tutto il terrore che la possedeva. 
Regulus dovette trattenersi con tutto sé stesso, per non rimettere nuovamente. Non era possibile. Quello che stava vedendo non era reale. 
Avada Kedavra.” Anche la Maledizione scagliata da Voldemort fece centro, ma al contrario di quelle di Dorcas Meadowes non fallì nell’uccidere l’Auror.
Cadde all’indietro, senza un lamento, mentre Regulus perdeva nuovamente conoscenza. L’ultima cosa che vide fu la sua pelle scura, cadere nelle polvere.

 

Si risvegliò nuovamente, per vomitare.
Il sole stava sorgendo, illuminando il locale. 
“Piano, tesoro, hai un braccio rotto.” Una voce gentile gli solleticò l’udito, mentre delle mani altrettanto gentili si posarono sulla sua testa, tirandogli i capelli indietro. Finì di liberarsi, bile mischiata a sangue e a polvere, tutto quello che sembrava esser rimasto in Regulus. 
“Chi sei?” 
La donna portava una maschera argentata, ma non aveva la veste. Aveva i capelli corti rossi, rasati, e gli occhi castani più gentili che Regulus avesse mai visto.
“Un’amica. Mi hanno mandato a recuperare i corpi, e ne ho visto uno che respirava ancora.” Gli posò l’indice sulla fronte, “La testa adesso dovrebbe essere apposto, ma non sono brava con le ossa e hai perso molti liquidi. Ti accompagno a casa, cosa ne dici?” 
Parlare gli provava dolore, la gola riarsa bruciava ad ogni parola, quindi si limitò ad annuire.
“Sei il piccolo Black, giusto? Andiamo a Grimmauld Place?” 
Regulus scosse la testa, “Doncaster.” Sussurrò, “Casa Crouch.” 
“Come vuoi.”

Un’altra donna era al suo capezzale, questa volta con dei ricci biondi e senza maschera al coprirne il volto.
Tra le ciglia, riuscì a vedere che teneva piano il suo braccio in grembo, passandoci sopra la bacchetta. Non provava più dolore, ma era così stanco. Avrebbe aspettato ancora un po’ prima di aprire gli occhi...
“Se tuo padre lo vede saranno guai, Barty! A cosa stavi pensando?” Sussurrava con un forte accento italiano, ad un’ombra dietro di lei.
“L’ho trovato sul vialetto, mamma, ed è mio amico.” Rispose l’ombra. La sua voce fece sciogliere un nodo nel petto di Regulus, che nemmeno sapeva di avere, “Non potevo lasciarlo così!”
“Hai idea di cosa significhi il simbolo sul suo braccio?” Non sembrava arrabbiata, quanto preoccupata.
“Si sta svegliando, mamma.” 
La sua copertura era saltata. Aprì gli occhi, piano, pensando di venire travolto nuovamente dalla nausea. Fortunatamente non successe.
Lo salutò un soffitto azzurro cielo, un vecchio poster dei Weezard. E una mano gentile sul suo volto.
“Reg? Stai bene? Mi senti?” 
“Barty Crouch.” Si voltò verso di lui, accennando un sorriso. Doveva avere un aspetto orribile, a giudicare da come lo guardava preoccupato. “Buongiorno.”
La madre si alzò dal suo letto, dove era seduta al suo fianco, “Vado ad arrangiare qualcosa per colazione. Torno tra poco.” E lanciò un’occhiata penetrante al figlio, che Regulus riuscì a leggere tra le righe e poi se ne deve andare.
“Che è successo, Reg?” Si inginocchiò di fianco a lui, prendendogli la mano fra le sue. Sentì le sue labbra avvicinarsi per baciargli ogni nocca, mentre i ricordi della sera prima cominciavano ad affiorare.
“Dobbiamo scappare, amore.” Un singhiozzo gli morì in gola, “Dobbiamo andarcene. Tutto questo non finirà mai. E’ immortale, quell’uomo, capisci?”
“Alastor Moody?” Lo guardava sconcertato, pulendoli le lacrime dal viso con la manica della felpa.
“No, no, il Signore Oscuro. Dobbiamo scappare. Tutto questo non finirà mai. Andiamo in Francia.”
“Reg, certo che finirà. Vinceremo. E finirà.” 
“No Bart, non vinceremo.” Si tirò su con i gomiti, per guardarlo in faccia. “Il Signore Oscuro è immortale. Continuerà a uccidere, e nessuno, nessuno può fermarlo. Dorcas Meadowes lo aveva preso, lo ha colpito. Ma è vivo.” 
“Reg,” La sua voce si fece più dura. Una nube passò sopra i suoi occhi, indecifrabile. “Non scapperò. Vinceremo. Evan non è morto per-” 
“Ma non importa più, ormai. Lo capisci che è solo morto?” Lo afferrò per il bavero del colletto, ansimando una parola tra un singhiozzo e l’altro. “E’ morto, e basta! Morto. Abbiamo perso Evan per sempre. E morirai anche tu e anche io e nessuno può fermarlo. Non saremo mai liberi, perché non riesci a capirlo? In ogni caso, quelli come noi, non vincono mai.” 
“Reg, calmati.” Gli afferrò le braccia, portandole lontane da lui.  “E’ questo il problema? Pensi che io possa morire?” 
“Barty, ti amo. Ti amo, ti amo e ti amo e non finirà mai e non potrò mai amarti come realmente desidero.”
Il suo sguardo si addolcì, lo vide avvicinarsi per un bacio. E si lasciò baciare, Regulus, perché in quel momento ne aveva veramente bisogno.
“Troveremo un modo, okay?” Mormorò, interrompendosi per un altro bacio, “Non si può sempre perdere nella vita. La ruota gira per tutti.” 
Troveremo un modo.
Cercò di calmare il respiro, prima di rispondergli, “Okay.” perché in quel momento non riusciva a dirgli altro. Regulus aveva sempre ubbidito, perché non pensava di non poter essere come Sirius. Non si sentiva coraggioso, intraprendente, forte, come Sirius.
Ma la differenza, tra loro due, è che fino a quel momento non aveva mai avuto nulla per cui combattere a differenza del fratello. 
Ora l’aveva. Lì, davanti a lui, che lo scrutava preoccupato.
Ed era coraggioso.
Ed era forte.
Avrebbe trovato un modo.
Avrebbe ucciso lui stesso, Lord Voldemort, se era quello che doveva esser fatto.
La sua redenzione. "Ti amo."
“Ti amo anche io, Reg.”



(*)= Fame chimica.
(**)= Adoro l'headcanon secondo cui Barty è italiano da parte di madre. Non so come mai, lo amo e basta. Il testo in corsivo è una parte di canzone Apri quell'Ombrello di Romina Power e Albano, nella mia testa Barty la canticchiava in italiano per svegliare Evan ma ahimè, essendo tutto scritto in italiano questo dettaglio va un po' a perdersi.


Note: AaaaAAAllora, uno: no, non è mercoledì. Ma mi sentivo un po' pazza, quindi eccoooo l'aggiornamento ben due giorni in anticipo! Hurrà! 
Also:
E' stato veramente un capitolo faticoso da scrivere, ci sono tornata su mille e mille volte.

Un altro appunto: la scena tra Riddle e Dorcas è pienamente frutto della mia fantasia, ho immaginato come -SECONDO ME- avrebbe funzionato essere solo un corpo senz'anima pensando agli Inferi.
Un Infero non puoi ucciderlo con la Maledizione Mortale perché già morto, ergo senz'anima. L'anima di Voldemort è talmente distrutta, frammentata e corrotta che ho immaginato funzionasse allo stesso modo anche lui.
Ma comunque non c'è nulla di canon, è solo la mia rivisitazione!
Detto ciò: eccolo qua.
Spero di aver reso giustizia, sia a Barty che a Regulus.
E a Evan, a cui è stato molto difficile dover dire addio.

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Capitolo 21
*** La Guerra - Capitolo 20. Dove giacque la speranza. ***


La Guerra, capitolo venti.
Dove giacque la speranza.


Per l’immortalità.
Dove l’aveva già letto? 

Regulus Black passò in rassegna ogni singolo volume della biblioteca di casa, tirando giù tomi su tomi dagli scaffali e consultando l’indice di ognuno di loro.
Pietra filosofale? No, non sembrava il caso. 
Era in possesso dell’alchimista Nicholas Flamel, e se gli fosse stata rubata, certamente si sarebbe venuto a sapere.
Teurgia? Oracoli caldaici?
Per quanto potessero risultare teorie plausibili, c’era sempre qualcosa che non tornava. 
Per l’immortalità. 
Dove aveva letto quella frase, e quando? 
Barty, quando era sicuro che Regulus fosse solo un casa, appariva grazie al caminetto della biblioteca, e rimaneva con lui qualche ora. 
“Cosa stai cercando esattamente?” 
“Non lo so.” 
“Potrei aiutarti se mi dessi qualche indizio.” Regulus scartò l’ennesimo volume, Magie Oscure dell’altopiano del Thaba Bosiu, chiudendolo in malo modo e sbattendolo tra le braccia di Barty, seduto al suo fianco.
“Non posso.” Lo liquidò. ”Quando sarà tutto finito lo saprai, okay? Fidati di me.” 
“Io mi fido di te.” Si sentì afferrare per una spalla, Barty lo stava obbligando a voltarsi verso di lui, “Ma tu non di me. Dimmi qualcosa. Sono settimane che sei rinchiuso qua dentro.” 
“Non posso.” Disse nuovamente.
Qualunque cosa avesse scoperto, Barty, non ne sarebbe dovuto venire a conoscenza. 
Barty doveva rimanere al sicuro. “Per favore, non farmi questo. Non farmi parlare.” Aggiunse, non riuscendo più a sopportare il suo sguardo, pesante. 
L’altro annuì, grave, e si sporse verso di lui, per lasciargli un bacio sulla guancia.
Regulus sentì la sua mano, calda, posarsi sulla sua coscia, avvicinarsi per rubargli un altro bacio, sul collo, la mascella, l’angolo della bocca. “E una pausa te la puoi permettere?” 
“Forse.” Il respiro di Barty sul suo viso gli fece il solletico.
Fu un bacio goffo, perché entrambi non riuscivano a smettere di sorridere.

Due missioni e un mese dopo, la situazione non era migliorata: gli scaffali della sua biblioteca si svuotavano di giorno in giorno, mentre sul suo tavolo da lavoro i libri iniziavano ad accumularsi in una pila vertiginosa.
I gemelli Prewett vennero uccisi in un attacco a Diagon Alley dove persero la vita anche altri 17 maghi, tra passanti e commercianti. Fu una bella vittoria per i Mangiamorte, e una grande perdita per l’Ordine della Fenice. E Regulus sapeva che ne avrebbe dovuto essere felice, lo sapeva davvero, ma i suoi studi lo drenavano di ogni energia.

Non c’era nulla, nulla, di quello che leggeva che si potesse applicare al Signore Oscuro.
Pensò anche che forse non era veramente immortale. Forse la sua era semplicemente una magia difensiva particolarmente potente, e quindi iniziò a consultare manuali su manuali di Incantesimi, di Fatture, Maledizioni e Duelli, anche questa volta con scarsi risultati.
Sembrava non esserci nulla di così forte da poter annullare l’effetto di un Avada Kedavra. 
Quando non passava le giornate chiuso nella piccola biblioteca a Grimmauld Place, continuava a fare il suo dovere: si metteva la maschera, la veste e partiva assieme ai suoi compagni. Levava la bacchetta, quando necessario. Faceva rapporto al Signore Oscuro, consigliava e organizzava turni di guardia assieme ai Lestrange.
Mamma gli posava una mano sulla spalla, giocava distratta con i ricci che gli crescevano sulla nuca. Parlavano poco e lui si faceva amare, per quel tanto che sua madre considerava amare.
Guardava Voldemort negli occhi, senza paura, nascondendo i suoi pensieri più oscuri: prendeva Barty, la Francia, la morte della Meadowes e li metteva dentro ad un cassetto, nell’angolo più remoto della sua mente; sapeva che non li avrebbe mai trovati lì dentro, per quanto Lui si sforzasse di scavargli attraverso.
C'era solo una cosa che cercava di non perdere mai di vista: la certezza che il Signore Oscuro fosse solo un uomo. 
Solo un uomo. Abile e potente, certamente, ma con il suo tallone d’Achille.
Sapeva che il giorno in cui si fosse fatto prendere dalla paura e dal panico sarebbe stato il giorno che avrebbe decretato la sua sconfitta. 
E adesso che aveva qualcosa per cui combattere, non poteva permetterselo.

✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 

“Il Signorino Regulus deve mangiare, lo faccia per il vecchio Kreacher!” 
L’elfo domestico di casa Black entrò in biblioteca, tenendo in equilibrio sulla testa un piatto contenente una porzione di stufato. 

Il sole era tramontato da un pezzo, e Regulus non solo aveva saltato il pranzo ma se non fosse stato per Kreacher, avrebbe saltato anche la cena. Il tempo era passato così veloce, che nemmeno se ne era reso conto. 
“Grazie Kreacher, mettilo pure qui.” Tolse qualche tomo sulla Magia Difensiva dal tavolo, facendoli fluttuare lontano con la bacchetta. “Mangio in biblioteca.” 
“Kreacher pensa che non sia sano, Signorino Regulus. Venga di là, con la sua famiglia.” Borbottò sconsolato, ma posò lo stesso il piatto accanto a Regulus, che ne prese immediatamente una forchettata, senza staccare gli occhi dal libro che stava consultando.
Con l’altra mano, intanto, cercava di prendere appunti.
“Alla signora Black si spezza il cuore, è così lontano in questi giorni, Signorino Regulus!” riprese l’elfo, impilando tra le braccia qualche vecchia edizione tascabile che Regulus aveva scartato qualche ora prima. Un piccolo cenno con la testa, ed essi si Smaterializzarono, apparendo quasi immediatamente sul loro scaffale di appartenenza, in ordine e spolverati.
“Oh, Kreacher, la sottovaluti. E’ una roccia, quella donna.”
Mentre Kreacher rispondeva, elogiando le qualità della madre, Regulus arrivò alla fine del paragrafo, ...Inutilizzabile contro la Maledizione Avada Kedavra.
Lasciò cadere la forchetta nel piatto, l’urto fece volare qualche goccia di cibo sul libro, e si prese la testa fra le mani.
Cazzo, cazzo, cazzo.
Strappò le ultime tre pagine che aveva scritto, fitte di appunti, accartocciandole e gettandole lontano.
Non sapeva più dove guardare. Mesi di studi, e ancora, non aveva nulla in mano.
Non un’idea, non un indizio su dove guardare.
Nulla.
I libri di cui disponeva, ormai era certo, non lo avrebbero aiutato. Serviva altro. La biblioteca dei Malfoy, forse? Così grande e fornita? Quell’anno, alla magione, mentre il resto della famiglia era in ansia per i preparativi del matrimonio di Narcissa, si era rifugiato solamente nella piccola sezione dimenticata dedicata alla letteratura babbana, ma conoscendo i suoi abitanti non avrebbe faticato a trovare qualcosa che facesse al caso suo.
Avrebbe potuto mandare Kreacher, di nascosto. Avrebbe potuto funzionare. Avrebbero preso solo pochi volumi alla volta per non essere scoperto e ci sarebbe voluto del tempo, ma avrebbe avuto pazienza.
“Kreacher?” 
“Dica pure a Kreacher, Padron Regulus.”
“Dovresti farmi un favore, un grosso favore. Ricordi quando sei entrato di nascosto ad Hogwart-” Regulus si bloccò, portandosi la mano alla bocca. Il cuore aveva preso a battergli nel petto così forte che iniziava a fargli male.
Quella volta che Kreacher si era infiltrato ad Hogwarts. Per l’immortalità. 
“...Signorino? E’ molto pallido...” Kreacher gli si era avvicinato, passandogli una delle sue lunghe mani rugose sul braccio.
“Sì, sì, sto bene.” Sussurrò.
Regulus lo aveva letto, molti anni prima, prima che gli venisse strappato dalla mani dal preside della scuola, Albus Silente.
Era tutto lì, come crearli, ma soprattutto: come distruggerli. Lo aveva letto.
Un’ondata di adrenalina prese possesso del suo corpo, facendolo tremare come se gli fosse salita improvvisamente una febbre. 
Un Horcrux.
Lord Voldemort aveva creato un Horcrux.

“Come mai sei così felice, stasera?” Gli sussurrò Barty da sotto le coperte, mentre Regulus gli fece segno di abbassare ancor di più la voce. Grimmauld Place era addormentata, come i suoi abitanti, e l’unica luce accesa sembrava essere quella di camera sua. 
“Perché presto sarà tutto finito.” Lo baciò sulle labbra, attirandolo a sé. “Vinceremo,” Gli sfiorò la schiena, con la punta delle dita. Sentì i muscoli di Barty rilassarsi, sotto al suo tocco, la pelle tesa sopra alle scapole sciogliersi, “e ce ne andremo via.” 
“Non vedo l’ora, odio quel lavoro al Ministero.” 
“Lo so. Non dovrai mai più timbrare il cartellino.”
Ti amo, ti amo, ti amo.
Barty gli si posò sul petto, passandogli le braccia sotto la schiena, come in un abbraccio. “Abbiamo vinto la guerra.” Lo guardò sorridente, una luce terrificante nei suoi occhi.
Spietata.
La cicatrice sul lato sinistro della bocca lucida ed eterea, illuminata dal Lumos della bacchetta posta sul comodino.
“Sì.” Rispose con sicurezza Regulus. “Abbiamo finito di combattere.” 
“Abbiamo vinto.” 
Non nel modo in cui pensi tu. Ma saremo liberi. Pensò a Sirius, lontano da qualche parte nel mondo. Forse ad Hogsmeade, forse a Londra a festeggiare con i suoi amici. Ogni occasione era buona per i Malandrini per organizzare una festa. Il pensiero lo fece sorridere. Chissà quanti M.A.G.O aveva preso. Si poteva amare una persona così intensamente, dopo aver creduto di odiarla per così tanti anni? “Saremo liberi. Tutti quanti.”
“Cosa intendi?” Si spostò, appoggiandosi sul mento. I suoi occhi marroni lo guardarono, pensierosi. “Liberi come? Tutti quanti chi?”
“Lo saprai.”
Spesso lo ossessionava il pensiero che Barty non glielo avrebbe mai perdonato, questa sua ricerca: perché Barty ci credeva davvero, in quella Guerra.
La vedeva quella scintilla nel suo sguardo prima di scendere in battaglia, come rideva tornato a casa, sempre trionfante.
Le mani sporche di sangue non lo preoccupavano e non sembravano pesargli come invece pesavano a Regulus.
Non per questo sentiva di amarlo di meno, ma se era Barty che invece lo avrebbe amato di meno?
“Sei misterioso di questi tempi. Non mi piace, rendimi partecipe.” Lo disse sorridendo, ma Regulus riuscì lo stesso a percepire un poco di agitazione nella sua voce.
Credimi, amore, se potessi l'avrei già fatto.
E qualche volta aveva paura che si stufasse di aspettare una spiegazione che sembrava non arrivare mai. Che gli desse le spalle una volta per tutte. 
E forse sarebbe stato meglio: non lo avrebbe messo in pericolo, nemmeno involontariamente.
Scosse la testa, cercando di far uscire quei pensieri da essa.
Ci avrebbe pensato se e quando fosse mai arrivato il momento.
Adesso Barty era tra le sue braccia, e le sue gambe erano intrecciate ai suoi fianchi, entrambi accaldati, sudati e leggeri.
“Presto.” Rispose, portandogli una ciocca di capelli lontana dalla fronte, “Okay?” 
“Okay.” 
Barty annuì, lasciandosi cadere su Regulus. Rimasero così, un po’ abbracciati, un po’ annodati, finché Regulus non sentì il respiro dell’altro farsi regolare.
Si districò dalle sue membra, lasciandolo addormentato nel suo letto e si sistemò sulla scrivania, aprendo il diario dove aveva annotato tutto quello che si ricordava sugli Horcrux.
Rileggerlo, in qualche modo, riusciva a dargli conforto.
La parte difficile, adesso, era capire cosa avrebbe potuto essere un Hocrux. 
Quale oggetto, il Signore Oscuro, avrebbe potuto decidere di utilizzare per tale scopo?
Per saperlo avrebbe dovuto conoscere la persona che era davvero, l’uomo che si celava dietro il nome di Lord Voldemort. 
Mentre era perso nei suoi pensieri, Barty si rigirò nel sonno, mormorando qualcosa.
Regulus si voltò a guardarlo: il suo volto non gli era mai sembrato così giovane. 
Un nodo gli si formò in gola, e Regulus tornò a letto, stringendolo a sé.
La mattina dopo si sarebbe svegliato presto, avrebbe salutato velocemente Barty che si sarebbe Smaterializato prima che suo padre notasse la sua assenza. Sarebbe sceso in sala da pranzo, saltando la colazione, avrebbe incontrato le nuove reclute per i Mangiamorte, e poi se avesse avuto tempo si sarebbe dedicato alla ricerca su Voldemort.
Ma adesso, in quella notte stranamente silenziosa, poteva permettersi qualche ora di pace.

✧.·:¨༺ ༻¨:·.✧*̥˚

Suo padre era un uomo particolarmente meticoloso.
Fin da quando lui e Sirius non erano altro che due bambini, non lo aveva mai visto muovere un passo senza una delle sue agende.

Lì dentro, era segnata una vita intera. Dagli incontri al Ministero, ai compleanni dei figli, dalle più inutili annotazioni –come: avvertire Kreacher di far scappare il Molliccio in soffitta-, fino alle riunioni con il Signore Oscuro.
Walburga gli aveva fatto cercare di capire più volte quanto pericoloso fosse avere un’agenda del genere, specialmente se fosse finita nelle mani sbagliate, ma a Orion non sembrava importare.
Aveva tutto un ordine, ogni minimo aspetto della propria vita.

Quando Regulus entrò di nascosto nel suo ufficio, in quella tiepida mattina di fine luglio, sapeva esattamente cosa cercare. 
Le teneva tutte nell’ultimo cassetto della scrivania, reso abbastanza capiente da un incantesimo di espansione: la prima era datata il giorno in cui si era trasferito a Grimmauld Place, dopo il matrimonio con la madre, l’ultima invece la portava sempre a lavoro con sé.

Facendo attenzione a non mettere troppo in disordine, cercò quella datata 1973: ed eccola, davanti ai suoi occhi, rilegata in pelle di drago, di un chiaro color verde salvia.
La sfogliò velocemente, fino ad arrivare ad una delle ultime pagine, quella del suo tredicesimo compleanno.
Il cuore gli battè più velocemente, mentre leggeva quelle poche regole: Incontro, Tom Riddle.
Se a quei tempi gli avessero detto che un uomo spaventoso come quello che si era fiondato a casa sua quel pomeriggio avesse avuto un nome banale e anonimo come Tom si sarebbe messo a ridere.
Tom Riddle.
Ricordava la paura che gli aveva annodato le membra, come lo aveva letto nel pensiero. Nel caldo della stanza, sentì nuovamente il tocco gelato di Riddle sulla sua schiena, come se non fossero passati più di sei anni da quel giorno.
Sfiorò l’inchiostro, con mano tremante. Si sentiva così vicino alla fine.
Adesso c’era solo una persona in tutto il mondo magico che avrebbe potuto dargli le risposte che cercava. 
“Krecher.” 
L’elfo si Materializzò al suo fianco, quasi immediatamente. “Padron Regulus.” 
“Portami a Hogwarts. Mostrami l’entrata segreta.” 

Un tunnel sotterraneo collegava la città di Hogsmeade alla scuola. I muri, di terra e sasso erano per lo più spogli, senza contare il nido di qualche ragno o le incisioni fatte in malo modo con la bacchetta: S + R, erano quelle che più si ripetevano.
Evidentemente parecchi studenti erano passati lì sotto.
Regulus lo percorse a grandi falcate e con un nodo in gola, arrivando velocemente nei corridoi di Hogwarts. Tutto era buio, gli studenti erano a casa loro per le vacanze estive, probabilmente anche metà del corpo docente, e pure di Mrs Norris non sembrava esserci traccia.

Aveva detto a Kreacher di tornare a Grimmauld Place: se il suo piano avesse funzionato non avrebbe avuto bisogno di lui per Materializzarsi nuovamente a casa.
Se non avesse funzionato, lo avrebbero spedito ad Azkaban e preferiva pensare Kreacher lontano da tutto quello.
Coperto solo da un incantesimo di Disillusione, e attento a non fare troppo rumore, arrivò velocemente davanti all’ufficio del preside.
La porta era aperta, come se lo stesse aspettando. Chiuse gli occhi. 
Ed entrò.

 

“Regulus Black. Si sieda, venga.” 
Il preside era seduto dietro alla sua scrivania, gli indicava con un gesto della mano la poltroncina vuota posta lì davanti.

I quadri alle pareti, tutti posti attorno a loro, dormivano, cullati dal lieve sbuffare degli innumerevoli artefatti magici che decoravano l’ufficio.
Alcuni di essi sembravano molto antichi, molto più di quelli nelle teche di Grimmauld Place.
“Vuole favorire?” Aggiunse subito dopo, e con un colpo di bacchetta sulla scrivania, comparvero stuzzichini e due tazze di thè fumanti.
Regulus si sedette, guardando Silente negli occhi. Non sembrava turbato dalla sua presenza ad Hogwarts, né spaventato. 
“Lei sa che sarei venuto qui?” 
“No. Il Frate Grasso l'ha riconosciuta mentre sgattaiolava per il corridoio del terzo piano. Oh, bergamotto, il mio preferito.” Prese una delle tazze, soffiandoci sopra piano. Con lentezza disarmante se la portò alle labbra, quasi non curante della sua presenza. Poi, sorrise, benevolo. “Suppongo non sia qui per richiedere l’aiuto che aveva rifiutato anni prima, anche se vorrei sbagliarmi.” 
“No.” 
Allungò la mano verso uno dei tramezzini, imbarazzato. Si era aspettato di dover combattere, urlare, addirittura di doverlo minacciare per ottenere le risposte che cercava.
Certamente non un pic-nic al chiaro di luna.
“Ho saputo di Evan Rosier.” Riprese Silente, “Mi dispiace. Eravate molto uniti, vero?” 
“Non può dirmi di essere veramente dispiaciuto per la morte di un Mangiamorte.” 
“No, non per quella del Mangiamorte. Ma per quella del ragazzo, sì.”
Il pensiero di Evan gli fece chiudere la bocca dello stomaco. “Sono qua per farle delle domande.” Si pulì le mani dalle briciole sui pantaloni, continuando a guardare il preside, che lo scrutava calmo da dietro i suoi occhiali a mezzaluna.
“E se è nella mia facoltà le risponderò, signor Black.” 
“Tom Riddle.” Vide la sua espressione vacillare, le labbra farsi più sottili e gli occhi azzurri dell’uomo sbarrarsi impercettibilmente. Regulus faticò per trattenere il sorriso che gli stava nascendo sulle labbra. Aveva colpito nel vivo. “Era un suo studente? Lo ha conosciuto?” 
“Era un mio studente, sì.” Rispose dopo poco, come se stesse valutando le parole da usare. “E’ da molto che non sentivo quel nome.”
“Adesso preferisce presentarsi come Lord Voldemort. Corretto?” 
“Corretto.” Lo vide posare la tazza, allontanarla da sé. Il clima di tranquillità apparente che circondava l’ufficio quando era entrato poco fa si era frantumato.
“Voldemort ha qualcosa, che lo rende quello che è. E per trovarlo, devo imparare a conoscerlo. Devo sapere chi-” Era il turno di Regulus, di soppesare le parole. “Chi è stato veramente. Mi deve parlare di lui. Di Tom Riddle. E’ l’unico modo per far finire tutto questo. Lei vuole che questa guerra finisca quasi quanto me.”
Il preside non rispose. Qualche ritratto si era svegliato, Regulus li sentiva borbottare eccitati tra di loro. 
“Possiamo davvero fidarci di lei, signor Black?” 
"No.” Rispose con sincerità. “Ma quello di cui sono venuto a conoscenza è l’unico modo per mettere un punto a tutto questo. Nessuno ne uscirà vivo, altrimenti.”
“Tom Riddle.” Quel nome, pronunciato da Silente, sembrava una maledizione. Un brivido percorse la schiena di Regulus. “Ha tempo, signor Black? Penso che ci vorranno molte ore.” 
Con la punta della bacchetta, si estrasse un filamento argenteo e brillante dalla tempia. 
Regulus annuì.



Note: Notine blandine perché non ho nulla da dire.
Al prossimo mercoledì, un bacino!

 

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Capitolo 22
*** La Guerra - Capitolo 21. Maschere. ***


La Guerra, capitolo ventuno.
Maschere.

La vita di Regulus Black aveva, per la stragrande maggioranza dei casi, seguito il sentiero designato da lui dalla madre.
Una strada dritta, senza ostacoli, bacchetta impugnata stretta nella mano sinistra, petto in fuori e mento in alto.
Un attimo di esitazione quando aveva visto il fratello, che fino ai suoi tredici anni gli aveva se non camminato propriamente al fianco, solo a qualche passo davanti,  saltare in mezzo ai cespugli, correre a capofitto nella foresta senza voltarsi una volta indietro.
Ma poi aveva continuato a camminare.
Aveva accettato le torture della madre, aveva imparato a trattenere il respiro e a non avere paura dell’acqua. Perché era quello che doveva fare.
Aveva accettato quelle di Lucius, l’odore della sua carne che veniva bruciata dalla bacchetta. Aveva accettato il dolore del Marchio, il bagno sporco non solo del suo stesso sangue ma di quelli che aveva ucciso, perché quella era la strada e quella era la vita che doveva vivere.
Come l'Ettore di cui Barty aveva letto sdraiato sul suo petto aveva preso l’elmo, l’armatura, era sceso in battaglia e mai una volta aveva voltato le spalle ai suoi obblighi e ai suoi doveri.
Ma quando la strada di fronte a lui si era bruscamente interrotta per dividersi in un bivio qualcosa era scattato in lui…
Adesso correva per la strada opposta, Regulus, febbricitante di euforia, con la testa piena di teorie, libri, riflessioni ed Horcrux.
Non si era reso conto di quanto dolore alloggiasse sopra il suo petto finché non ne sentì il peso.
Correva, Regulus.
E la selva che sembrasse aver ingoiato Sirius tanto tempo prima non era mai stata una foresta, anzi: la foresta se l’era lasciata alle spalle e quando Regulus alzava lo sguardo riusciva finalmente a vedere il sole, alto, luminoso, caldo e l’Universo sembrava finalmente pronto ad accorgersi della sua esistenza, deciso a donargli un sollievo che non sapeva di aver desiderato per così tanto tempo.
Mamma perdonami, papà perdonami. Perdonate Regulus Black, che ha finalmente potuto scegliere qualcosa.

 

Tornò a Grimmauld Place grazie ad una Passaporta, una busta di Api Frizzole regalatogli dal preside. Il sole aveva iniziato a sorgere, poche stelle erano rimaste a decorare la volta celeste e casa Black sembrava ancora profondamente addormentata.
Aveva perso il conto di quante volte era uscito di notte, per tornare ad alba inoltrata. I Mangiamorte agivano con il favore delle ombre. 
Aprì la porta di casa, che scricchiolò sommessamente. Si sfilò le scarpe, per evitare di fare troppo rumore, e filò dritto in camera sua, chiudendosi la porta alle spalle, “Colloportus.” 
Si sedette sul letto, a gambe incrociate.
Era andata bene. Ma poteva veramente considerarla una vittoria? Silente gli aveva mostrato i ricordi che possedeva del Signore Oscur-no, di Riddle, adesso doveva iniziare la ricerca dell’Horcrux.
Aveva visto un bambino arrabbiato e perso trasformarsi in un ragazzo affascinante, benvoluto e amato dagli studenti e dai professori, il fiore all’occhiello della casa di Serpeverde.
Silente lo aveva guardato strano per tutto il tempo, una leggera fiamma di curiosità nei suoi occhi, mentre Regulus bloccava ogni ricordo su Horcrux e magie oscure: quanto avrebbe potuto fidarsi dell'Ordine? Quanti di loro erano disposti a promettere una vita diversa a lui e Barty in cambio di quell'informazione preziosa sul Signore Oscuro? Ben pochi, e questo lo sapeva.
Non poteva rischiare. 
Doveva agire da solo.
E
d era da lì che avrebbe iniziato a cercare: da Serpeverde. Il luogo dove aveva imparato ad usare la magia, le cui idee riguardo la purità del sangue del fondatore furono a lui così care da essere adottare per la sua politica.
Si passò le mani fra i capelli, sentendosi d’un tratto terribilmente stanco. Erano giorni, se non settimane, che non dormiva per più di qualche ora di fila. 
Se ne avesse avuto la possibilità avrebbe potuto dormire per i prossimi quattro giorni a venire, ma una scossa di dolore sul braccio lo fece destare: Voldemort li chiamava. 
Sospirando si tirò su, chinandosi per indossare nuovamente le scarpe che aveva lanciato sotto al letto. 
Prese la maschera argentata, dal comodino. 
Presto sarebbe finito tutto, continuava a ripetersi. Presto.
Ma presto quando? 

*̥˚✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚ 

Era seduto davanti a lui, e lo osservava evitare il suo sguardo ed agitarsi sulla sedia, carico di disgusto.
I suoi occhietti acquosi non riuscivano a fermarsi su qualcosa per più di qualche secondo, le dita tamburellavano nervose sul tavolo senza smettere un secondo.
Sulla testa, una bombetta giallo senape, parte della divisa dell’ufficio del Ministero dove lavorava. Si era scordato di togliersela, o voleva darsi delle arie?
Quindi è questa la tua vera faccia, pensò Regulus. 
Evidentemente non era l’unico che teneva due volti, di questi tempi.
“Minus, Peter, dico bene?” Lo apostrofò il Signore Oscuro. Il corpo senza vita di una ragazza, che in vita aveva fatto parte dell’Ordine della Fenice, stava sdraiato sul tavolo, gli occhi sbarrati verso il soffitto e una grossa ferita sul ventre: il regalo di Minus a Voldemort.
Marlene McKinnon, Regulus se la ricordava da Hogwarts. Una Grifondoro, sempre dietro alle nate babbane Lily Evans e Mary McDonald. Una delle amiche di Peter.
Ricordava la vita che c’era sotto il caschetto di capelli biondi, le labbra sempre pitturate di rosso ciliegia e come si legava la camicia della divisa sulla pancia, lasciando scoperto l’ombelico. 
“Può chiamarmi Codaliscia, mio Signore.” Squittì quello, e Regulus si lasciò andare ad una risata amara. 
“Scusatemi, non sono riuscito a trattenermi” disse poco dopo. Barty gli lanciò uno sguardo preoccupato dall’altro lato del tavolo, che decise però di ignorare, “è un nome buffo. Vero, Petey?” 
Minus non rispose, limitandosi ad osservarlo.
Era passata una vita dal loro primo incontro sull’Espresso per Hogwarts, quando era stata invece Peter ridere per il nome di Regulus. Guarda un po’ come possono cambiare le persone.
“Codaliscia.” Voldemort sorrise -e quasi poteva sembrare gentile, agli occhi di chi non sapeva chi fosse- incurante dell’intervento di Regulus. “Essere una spia, all’interno dell’Ordine è un compito importante. Sei sicuro di poterlo portare a termine?” Mosse la sua bacchetta verso il ragazzo, e Regulus vide quello irrigidirsi immediatamente sulla sedia, allineare la schiena allo schienale e portarsi le mani in grembo.
Una spia. Ecco quello che era. Sentì un moto di rabbia esplodergli in petto.
“S-sono pronto. A combattere. Per Lei, dico.” Balbettava, torcendosi le mani nervoso. “Ho fatto quello che mi è stato chiesto. Vi ho portato McKinnon.” 
Regulus si alzò in piedi, levando la bacchetta. Se la portò al fianco, rivolgendosi al Signore Oscuro, “Come sappiamo che l’Ordine non sospetterà di lui?” 
“Non conosci tuo fratello abbastanza, forse.” Anche Peter si alzò, questa volta rosso in volto ma molto più sicuro di sé.  “Non sospetta dei suoi amici. Preferirebbe lasciarsi uccidere, che perdere la fiducia in uno di noi.” 
I suoi occhi evitavano accuratamente di incontrare quelli di Regulus, ma le sue parole lo ferirono lo stesso come lame. 
“Forse non lo conosci tu abbastanza, se pensi davvero che...” 
Regulus.” Suo padre battè un pugno sul tavolo, per richiamarlo all’ordine.
“Siamo tutti dalla stessa parte ragazz-” Barty provò a mediare la discussione, ma fu zittito dal Signore Oscuro.
Silenzio. Discutere delle qualità dei vostri amichetti in sede privata. La riunione è finita, devo discutere in privato con i padroni di casa.” 
I Mangiamorte lasciarono la sala uno dopo l’altro, con il capo abbassato. 
Peter Minus fu uno dei primi ad andarsene, con la coda in mezzo alle gambe, borbottando qualcosa su un lavoro che doveva portare a termine al Ministero.
L’ultimo che rimase, fu invece Barty Crouch, che seguì Regulus sulle scale che portavano ai piani superiori.
“Cosa era quello?” Gli chiese. 
Regulus si lasciò cadere sul primo gradino, abbracciandosi le gambe con le ginocchia. Gli scoppiava la testa.
“Non lo so.” 
“Tuo padre era furioso. E non ho neanche avuto il coraggio di voltarmi verso tua madre. Non puoi esplodermi così, Reg.” Si sedette vicino a lui, e Regulus sentì il suo braccio circondargli le spalle, stringerle a lui. “E’ il mio compito quello. Io faccio il coglione e tu mi blocchi. Non possiamo scambiarci i ruoli.” 
Regulus scoppiò a ridere, poggiando la fronte contro il petto di Barty. “Mi dispiace.” 
“Da quanto tempo è che non dormi? Hai un aspetto orribile.” 
“Un po’.” 
Sentì la sua mano sulla sua schiena, infiltrarsi sotto la sua blusa e tracciare dei piccoli cerchi sulla sua pelle.
“Va a dormire, Reg. Non a studiare o a leggere, a dormire. Se ti chiamano ti copro io, okay?” 
“E il tuo lavoro al Ministero?”
“Al diavolo. Va a riposarti.” 
Regulus annuì, piano. Avrebbe potuto addormentarsi lì, sulle scale che portavano alla sua camera, stretto a Barty.
Ma alla fine si costrinse ad alzarsi, a stiracchiarsi le membra irrigidite. Salutò Barty con un bacio sulla testa.
Profumava di colonia scadente, sudore, gel per capelli.

Si voltò l’ultima volta sulla cima delle scale, guardando verso la sua direzione. 
Barty stava praticamente sdraiato, il busto appoggiando al muro e una gamba distesa lungo il gradino su cui era seduto.
I capelli spettinati, un livido sotto l’occhio destro che stava iniziando a svanire, un ricordo della sua ultima missione: Regulus pensò che non avrebbe potuto essere più bello, illuminato dalla poca luce che filtrava dalle finestre di Grimmauld Place. 
La nuova ferita apritesi accando alla cicatrice che già aveva vicino alla bocca, la spruzzata di acne sulle guance, il mondo in cui i vestiti gli cadevano sempre un po' troppo larghi, mai stirati... Se avesse creduto nelle anime gemelle, Barty sarebbe stata la sua.
Conosceva il suo corpo centimetro per centimetro, nulla gli era estraneo e allo stesso tempo la familiarità che provava nell'osservarlo non mancava mai di stupirlo.

Si scambiarono un sorriso. 
“Ci vediamo domani?” Chiese.
“A domani.” 

✧.·:¨༺ ༻¨:·.✧*̥˚

Si svegliò da quello che era sembrato essere il sonno più lungo della sua vita, e invece, controllando l’orologio di fianco al letto, vide che erano passate a malapena due ore.
Sudato, e con la gola riarsa, si alzò frettolosamente dal letto, spingendo via le coperte.
“Kreacher, puoi venire un attimo?” 
Si passò una mano sul volto. Il mal di testa, anziché diminuire, sembrava peggiorato. Si sarebbe fatto portare una Pozione Curativa dall’elfo, assieme ad un bicchiere d’acqua.
“Kreacher?” 
Rispose solo il silenzio. 
Uscì dalla camera, scendendo le scale quasi correndo, ”Kreacher?” chiamò nuovamente, senza ricevere alcuna risposta. 
Percorse velocemente il corridoio, gettando uno sguardo in tutte le stanze, alla ricerca dell’elfo. 
Trovò la madre in sala, intenta a leggere la Gazzetta del giorno con davanti una tazza di caffè. Dietro di lei, l'albero genealogico con le figure di Sirius ed Alphard bruciate sembrarono essere un cattivo presagio.
“Mamma? Hai visto Kreacher?”
“E’ col Signore Oscuro.” 
Regulus aveva capito male. Doveva, aver capito male. Con il Signore Oscuro? “Mamma dov’è Kreacher?” 
Lei lo guardò gelida, posando il giornale. “Con il Signore Oscuro, tesoro.”
“Perché?”
“Ne ha richiesto i servigi.” 
“Hai lasciato andare Kreacher con lui?!” Sputò fuori.
Lo aveva scoperto.
Tom Riddle aveva scoperto tutto. Non era stato abbastanza sveglio, abbastanza veloce, intelligente. Ma perché punire Kreacher al suo posto? Perché non Barty, o Sirius, o lui stesso?
No, non era quello.
Gli stava sfuggendo qualcosa.
Regulus. Linguaggio.”
Scosse la testa, avvicinandosi a lei. Il movimento, brusco, li diede una fitta intensa sopra alla tempia, che cercò di ignorare. “Hai lasciato andare Kreacher con quell’essere. Mamma, hai lasciato andare via Kreacher! Con lui! Perché?” Sbatté entrambe le mani sul tavolo, rovesciando la tazza. 
“Regulus, sei un uomo. Non costringermi a punirti.” 
“Non me ne frega niente, mamma, lo hai lasciato andare via! Devi dirmi perché!” Poi la terribile realizzazione “Lo ucciderà.”
“Regulus Arcturus Black.” Disse il suo nome con disgusto, scandendo bene ogni sillaba come se fosse stato veleno.  “E’ un onore lavorare con il Signore Oscuro. Se morirà, sarà per una giusta causa. Per la causa per la quale stiamo, stai, lottando da anni.”
Tremava di rabbia.
Regulus dovette circondarsi il corpo con le sue stesse braccia, lo spettro grottesco di un abbraccio, per fermare il tremore incontrollato del proprio corpo.
Se ne era andato via, si era addormentato senza neanche chiedersi cosa avesse chiesto il Signore Oscuro ai suoi genitori, dopo la riunione. Se si fosse interessato avrebbe potuto fermarli?
Forse no.
Ma avrebbe potuto ordinare a Kreacher di andarsene. 
Ad Hogwarts magari, solo per qualche ora. Gli elfi delle cucine lo avrebbero accolto, Silente protetto.
Diamine, forse sarebbe stato meglio addirittura liberarlo, anche se questo lo avrebbe spezzato. 
“Quando tornerà?” 
Walburga ripulì il tavolo dal caffè, con un movimento impercettibile di bacchetta. “Quando gli sarà ordinato di farlo, amore mio.” 

Sempre stringendosi tornò in camera sua, perché non si sentiva a suo agio da nessun'altra parte.
Doveva solo aspettare. 
E sperare.
I libri sulla sua scrivania, fitti di appunti e di pensieri, sembravano guardarlo, accusandolo di ogni atrocità compiuta fino a quel momento dall’Oscuro Signore. Non stava lavorando abbastanza in fretta, non riusciva a pensare con abbastanza scioltezza da restare al passo di Lord Voldemort.
Ripensò a quel ragazzo, al villaggio. Ancora non aveva ricevuto il Marchio, ai tempi, che già si era macchiato le mani di sangue. Quante vite sarebbero ancora dipese da lui? 
Quante vite avrebbero spezzato le sue scelte? 
In quel momento gli sembrava di averle prese tutte sbagliate. Dalla sua nascita, fino a quel pomeriggio, non c’era stata una volta in cui era stato veramente orgoglioso di sé stesso.
Regulus Black, il fratello debole, stupido, codardo.
Regulus Black, le cui azioni portavano alla morte di chi amava. 
E poi adesso c’era Peter Minus, assieme a loro. Con quale coraggio, quella mattina, si era sentito superiore a lui? Con quale coraggio, aveva giudicato il Marchio Nero sul suo braccio, identico a quello che Regulus portava da anni? 
I pensieri si affannavano nella sua testa, veloci e caotici, e alla fine altro non gli rimase che buttarsi a letto, in posizione fetale. 
Si abbracciò le ginocchia, portandosele al petto, nascondendoci il volto. 
Doveva solo aspettare.
Sarebbe tornato, prima o poi, quando gli sarebbe stato ordinato di farlo.

Quando gli sarebbe stato ordinato di farlo.

Regulus si bloccò improvvisamente, un respiro gli morì in gola con un rantolo.
“Kreacher, ti ordino di tornare a casa.” 
La sua voce sembrò rimbombare contro le pareti della camera.

 

Crack.




Note: C'ho un pochetto d'angoscia nel pubblicare questo capitolo, ma eccoci qua. 
E di nuovo, note dell'autrice blande blande perché non ho molto da dire, ugh.
Il riferimeto che fa Reg al nome risale al primo capitolo della storie, quando Peter ride di lui sul treno per Hogwarts :') 
Sono cresciuti un sacco da quel giorno, UUUUGGGHHH.
Preparatevi all'angst peso la prossima settimana. 
PREPARATEVI.

 

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Capitolo 23
*** La Guerra - Capitolo 22. L'ultima preghiera di Regulus Black. ***


Brother, forgive me
We both know I'm the one to blame
'Cause when I saw my demons
I knew them well and welcomed them
(...)
When I touch the water
They tell me I could be set free.

The Lament of Eustace Scrubb, The Oh Hellos.

La Guerra, capitolo ventidue. 
L’ultima preghiera di Regulus Black.

Crack.

L’elfo cadde al centro della stanza, pallido come il cienco che portava in vita, in quel momento fradicio e particolarmente sporco.
“Kreacher?” Regulus si gettò su di lui, sollevandolo tra le braccia. “Kreacher? Che è successo? Come stai?” 
“Padron Regulus, Kreacher sta bene.” Piagnucolò l’altro, strofinandosi gli occhi con le mani. “Il Signore Oscuro, lui- l-lui..” Il corpo iniziò a tremare, e Regulus lo zittì immediatamente.
“Non importa, Kreacher. Riposati. Parliamo dopo, okay? Dopo. Sono felice che tu stia bene.” 
Lo posò sul suo letto, ignorando le proteste dell’elfo per liberarsi dalla sua presa, ”No! Non può sdraiarsi qui! Kreacher è un servitore!” 
“Kreacher, ti ordino di riposarti. Quando starai bene potrai riprendere il tuo lavoro, okay?”
Finalmente quello annuì, rannicchiandosi sul cuscino di Regulus, ormai grondante d’acqua. 
Il ragazzo si sedette invece a terra, osservando l’alone di bagnato diffondersi sulle coperte, impregnare il materasso: qualunque cosa avesse fatto il Signore Oscuro al suo elfo, non era stato nulla di anche solo vagamente piacevole. Non lo aveva mai visto così sconvolto e mal ridotto, e se a Regulus non fosse venuto in mente di ordinargli di tornare a casa probabilmente sarebbe ci morto, assieme a Lord Voldemort. 
Non si era accorto di quanto il suo respiro si fosse fatto veloce, e si sforzò per calmarlo.
Un respiro profondo, poi un altro. Un terzo e un quarto. 
Respira, Reg. Respira. Il cuore batteva a ritmo irregolare mentre cercava di metter ordine in testa.
“Kreacher? Dove ti ha portato?” 
“Nella caverna, Signorino Regulus.”
Caverna?
“Cosa ti ha chiesto?” 
“Kreacher ha dovuto versare sangue, Padron Regulus.” Gli mostrò l’avambraccio, dove svettava un profondo taglio a zig zag, il sangue coagulato attorno alla ferita, “E ha dovuto bere una pozione.”
“Che tipo di pozione?”
“Una cattiva. Magia cattiva, che gli elfi non conoscono. Per proteggere la collana.” 
Regulus si destò improvvisamente, “Proteggere una collana?” chiese, in un sussurro.
“Una collana verde e grande, con un serpente inciso. Kreacher ne ha vista una simile al collo della Signora Black.” 
“Tipo u-un medaglione? Come era Kreacher?” 
“Pesante, cattivo. Sussurrava parole per cui Kreacher ha dovuto punirsi. Tutto era cattivo. E scuro, e morto. Kreacher ha avuto paura, Signorino Regulus.” 
Un medaglione. Magia oscura. 
No, non può essere. Non può essere così facile. Era entrato il suo elfo, e soprattutto era riuscito ad uscirne, quanto difficile o pericoloso avrebbe potuto essere? Uno scambio, era tutto quello che gli sarebbe servito. Le labbra non riuscirono a non piegarsi in un mezzo sorriso, nonostante la paura.
Uno scambio, veloce, qualche incantesimo di Disillusione per mascherare i suoi passi al Signore Oscuro finché non ci avrebbe capito meglio.
“Kreacher, devi andare in camera di mamma e prendere il medaglione che papà le ha regalato a Natale. Non devi dirglielo però, okay? E’ il nostro segreto. Poi, mi devi portare nella caverna.”
“No! Rubare alla signora?” Kreacher si alzò così in fretta che cadde dal letto, portandosi dietro le coperte e il cuscino. “Non può andare là, Signorino Regulus! E’ un luogo cattivo!” Iniziò a singhiozzare, tirando le sue orecchie per punirsi. Regulus gli prese le mani, portandole lontano dal suo volto; anche così, cercava in tutti i modi di ferirsi per aver disubbidito agli ordini.
“Kreacher, calmati! Calmati, okay? Va tutto bene. Dobbiamo farlo, okay? Per Barty. E anche per la mamma. Per Sirius! Dobbiamo fare questa cosa, e poi sarà tutto finito. Non stiamo rubando, metteremo tutti al loro posto entro sera, ma bisogna rischiare se vogliamo far loro del bene.” Parlava lentamente, scandendo le parole come ad un bambino. Sperò che fosse abbastanza per convincere l’elfo.
Quello si calmò, gli occhi gonfi di lacrime e il naso umido. “Kreacher tiene alla famiglia Black. Farà tutto, per la famiglia Black.” 
“Lo so. E ti ringraziamo per questo. Ora vai a prendere la collana, okay? Poi ce ne andiamo.” 

̥˚✧.·:*¨༺ ༻¨*:·.✧*̥˚
 

Il mare si agitava sotto di loro, scuro e minaccioso. Grigio, rifletteva le nuvole che danzavano sopra di esso, e non permetteva di intravederne la profondità.
Materializzarsi fino a lì era stato facile: nessun incantesimo li aveva respinti, nessun allarme era scattato facendogli bruciare il Marchio sul braccio.
L’aria era frizzante, leggera, quasi invitante: sembrava sbagliata in rapporto al tormento che Regulus sentiva crescere dentro di sé ad ogni respiro.
“Dove si trova la caverna, Kreacher?” Domandò, in equilibrio sopra uno scoglio.
“Laggiù Signorino Regulus.” L'elfo indicò con un dito lungo e nodoso una piccola apertura, tra due massi, dove l’acqua sembrava infrangersi con ancora più forza. “Venga, le faccio strada.” 
Saltò da uno scoglio all’altro, e Regulus lo seguì, attento a non finire in acqua. 
La camicia era già completamente torsa per gli schizzi, così come i suoi pantaloni il cui tessuto aderiva completamente alla pelle. Si tolse i capelli bagnati dalla fronte, che avevano iniziato a gocciolare sui suoi occhi, seguendo attentamente ogni passo di Kreacher.
Se non fosse stata estate, probabilmente, sarebbe morto di freddo.
Ringraziò ogni timido raggio di sole che filtrava dalle nuvole, grato per quel poco di calore che riceveva da essi.
“Di qua Padron Regulus,” Kreacher si tuffò in acqua, e arrancò dentro la caverna, combattendo contro la corrente. ”Ma Kreacher deve avvertire, Kreacher non sa come tornare a casa se entra nella grotta.” Sputacchiava acqua ad ogni parola, attento a tenere la testa sopra la superficie del mare, “Kreacher non doveva tornare a casa, è stato l’ordine del Signorino. Torniamo a casa, torniamo a casa ora.” 
Si tuffò anche Regulus, trattenendo il respiro per quanto fredda era. “Kreacher torneremo a casa, okay? Dopo però. Fammi vedere come entrare.” 
Un basso passaggio che conduceva ad un avvallamento, dove l’acqua era leggermente più alta: a Regulus arrivava quasi alla vita. Allungò un braccio verso Kreacher, per aiutarlo a mantenersi a galla. La marea alta non giocava a loro favore.
“Laggiù, su quel masso, padron Regulus. Là Kreacher ha aperto la caverna con il sangue.” 
Regulus posò la mano libera sui sassi.
Magia, magia nera per la precisione: la sentiva vibrare sotto le sue dita, scagliarsi contro la sua pelle come se volesse morderlo. Viscosa, come il sangue che richiedeva a gran voce, ferrosa come il sapore di una Maledizione.
“Sangue hai detto?” 
“Proprio lì.” 
Aiutò l’elfo a sedersi sopra uno scoglio, tirando fuori la bacchetta dalla tasca inferiore dei pantaloni subito dopo. La puntò contro il suo braccio, “Diffindo.” mormorò ed accanto al Marchio si aprì un nuovo taglio, lungo e poco profondo, ma già gorgogliante di sangue.
Con mano tremante si sporcò le dita con esso, passandole sulla roccia.
Per un’interminabile frazione di secondo, pensò che Kreacher si fosse sbagliato. Che non si sarebbe aperto nessun passaggio. 
Che sarebbero potuti tornare a casa, confusi e insoddisfatti. Che avrebbe dormito per tutta la notte in quegli stessi abiti bagnati e che il giorno sarebbe uscito con Barty, “Sai, è successa una cosa davvero curiosa.” gli avrebbe raccontato.
Barty avrebbe corrucciato le sopracciglia e avrebbe iniziato a tormentarsi la crosta vicino al labbro, e bastò solo il pensiero di quell’immagine a far desiderare a Regulus di tornare a Grimmauld Place.
Ma le rocce si aprirono.
E Regulus non poteva perdere tempo ad avere paura.
“Andiamo Kreacher, mostrami la strada.” 

Attraversarono le acque all’interno della caverna con una barchetta, tanto piccola che Regulus aveva temuto si sarebbe rovesciata da un momento all’altro.
Sotto di loro, tra le acque scure, qualche creatura girava curiosa attorno ad essa, sollevando piccole onde e creando mulinelli. Avvincini? Sirene? 
Kreacher si era rannicchiato in un angolo della barca, ai piedi di Regulus. ”No, no, no, magia cattiva.” mormorava.
“Shh, tra poco abbiamo finito. Resisti, Kreacher.” cercava di confortarlo, nascondendo il tremolio della sua voce.
Si fermarono su un piccolo isolotto, al centro di questo lago salato di cui era difficile scorgere l’orrizzonte. Una luce verde smeraldo illuminava il catino di madreperla da cui proveniva e, seppur in modo lieve, anche quello che si trovava intorno ad esso.
“Andiamo.” Mormorò a Kreacher. Scese dalla barca, facendo muovere le acque. Qualunque cosa si trovasse dentro esse si spaventò, scappando via in uno sciabordio confuso.
Mise via la bacchetta, avvicinandosi al recipiente: acque cristalline si scontravano tra di loro al suo interno, miti e placide nel loro eterno vorticare.
Le sfiorò con la mano, ma essa rimase asciutta e non un’increspatura si formò sulla superficie di esse.
Solo a quel punto notò la conghilia posta al fianco del catino.
“E’ questa la pozione Kreacher?”
“Sì, Signorino Regulus. Il Signore Oscuro gliel’ha fatta bere tutta a Kreacher, faceva male, così male...
Fece un respiro profondo, mordendosi il labbro. Qualunque cosa fosse, non sembrava esser mortale. Ce l’avrebbe fatta. 
Avrebbe scelto di essere coraggioso. 
“Kreacher, la berrò io questa volta.”
“No! Non può permettere il vecchio Kreacher di-”
“Kreacher. Ti ordino di lasciarmi bere la pozione.” Sul fondo riusciva a scorgere il medaglione: brillava d’oscurità. “Restami vicino, okay?” 
Kreacher annuì, facendo un passo avanti. Regulus allungò una mano verso la sua, mentre l’altra andava a pescare una grande cucchiaiata della pozione, utilizzando la conchiglia: come aveva immaginato essa si lasciò catturare, beffarda. “Ti dispiace stringerla?” La voce gli uscì una nota più alta, più spaventata di quanto avesse voluto.
“Va bene Signorino Regulus.” 
Trattenne il respiro. 
E buttò giù.

Il primo sorso non fu tanto male.
Imperio.” Sentì la voce della madre alle sue spalle, mentre cadeva sulle ginocchia di fronte alla vasca di pietra.
Una mano invisibile gli tenne la testa sott’acqua, mentre cercava di urlare.
Il secondo, iniziò a bruciargli lo stomaco.
Soffocò un conato, mentre le urla di Sirius gli esplodevano prima nelle orecchie, e poi tutte intorno a lui. Sentì il sapore della magia oscura nella sua bocca mentre le ossa che si spaccavano, fondersi insieme nuovamente solo per spaccarsi un’altra volta.
Acqua bollente che prendeva il posto del sangue nelle sue vene, la pelle che si scioglieva. Non sentiva Sirius,
lui era Sirius, e sentiva la Maledizione Cruciatus. E sentiva anche lui, no, non lui, sentiva Regulus urlare e piangere e poi andarsene, i suoi passi farsi sempre più distanti mentre lui rimaneva solo assieme al suo dolore.
“Forza Signorino Regulus, manca poco.” La voce di Kreacher gli arrivò lontana, eppure era lì, accanto a lui. Sentiva la sua mano stringere la sua.
Il terzo, e questa volta era al Ministero. Evan cadeva di fronte a lui e dalla bocca gli uscì un fiotto di fango nero.
Qualcuno calciò il suo volto, rovesciando i suoi occhi all’indietro così che Regulus potesse vederne solo il bianco, dilaniato dai capillari pieni di sangue. Aveva il segno dell’asfalto sulla guancia.
Chiuse gli occhi, sapendo che se avrebbe guardato ancora per poco Evan in quello stato non ne sarebbe uscito vivo, ma quando dovette riaprirli per immergere nuovamente la conchiglia nella pozione era Barty a trovarsi di fronte a lui, il volto tumefatto e sorridente, la mano del padre sulla sua spalla e i denti sporchi del suo stesso sangue.
“Kreacher non ce la faccio più.” Mormorò, e anche dalla sua bocca uscì del sangue, impetuoso come una cascata.
Ma non sapeva di sangue, era acqua di mare.
Pianse, e intanto continuava a vomitare, acqua e sangue e poi sangue di nuovo e ad ogni singhiozzo seguiva un conato fino a non riuscirne più a capire la differenza. 

L’ultimo sorso. 
L’ultimo.

Aveva vomitato, ma non era sangue.
Solo bile, che adesso gli bruciava sulla pelle del viso e gli sporcava la camicia.
Si ripulì la bocca con il dorso della mano, respirando profondamente. Kreacher, davanti a lui, teneva in mano il medaglione di Voldemort.
L’Horcrux.
Con le mani che non smettevano di tremare, si portò la bacchetta alla bocca, “Aguamenti.” 
Aveva la gola così secca e dolorante che pensava si sarebbe spezzata, se avesse parlato ancora una volta.
Ma dalla bacchetta non venne fuori nulla. Ci riprovò, gracchiando l’incantesimo. Nulla.
La gola gli doleva. 
Lo stomaco, gli doleva.
La testa non aveva smesso un minuto di pulsare, seguendo il battito del suo cuore.
Le dita con cui stringeva la bacchetta erano così deboli che quella gli sfuggì di mano, rotolando vicino all’acqua. Una mano, pallida e gonfia, uscì piano da essa, sfiorando la bacchetta. Alla fine non sembrava affatto un Avvincino.
“Kreacher, ho sete.” Sussurrò.
“Torniamo a casa Padron Regulus.”
Regulus annuì chiudendo gli occhi. Aveva l’Horcrux. Sarebbe tornato a casa, e lo avrebbe distrutto. Lui e Barty sarebbero scappati.
Fa tanto male, ma è finita. E’ finalmente finita. 
“Metti il medaglione di mamma vicino alla pozione, e poi andiamo a casa, Kreacher.” 
E dopo aver sbrigato il comando, l’elfo scomparve, con il suo solito scoppiettio.

Crack.
Lasciando Regulus indietro.

No.
“Padron Regulus, Kreacher non capisce...” Si Materializzò nuovamente al suo fianco, afferrandolo per un braccio.
Altre mani nel mentre erano spuntate dall’acqua, litigandosi la bacchetta di Regulus.
E Kreacher scomparve nuovamente.
E tornò.
E se ne andò.
Ogni volta, lasciando Regulus nella grotta.
No. Riddle, non farmi questo. Non farmi questo. “Kreacher proviamoci l’ultima volta, per favore.” 
Due occhi azzurri, spuntarono dal lago, guardando Regulus. Li conosceva così bene, quegli occhi. 
Cosa gli avevano detto? 

Chi si fa poche domande, vive più a lungo. 

“Padron Regulus, non funziona. Non funziona la magia.” Kreacher lo guardava con gli occhi colmi di terrore.
“Lo so, Kreacher, per questo adesso dobbiamo pensare a qualcos’altro.” Cercò di non piangere, di ingoiare le lacrime che gli stavano montando in gola, mentre i pensieri si facevano sempre più confusi e veloci, cercando un appiglio in qualsiasi cosa potesse fermare o quantomeno ritardare il Signore Oscuro. Non può finire in questo modo, non può, non può essere la fine. “Vai in camera mia. Prendi un foglio e una piuma.” 
Si ficcò un pugno in bocca, per fermare un singhiozzo. 
Un Infero, perché di quelli si trattavano,  uscì dall’acqua, reggendosi sullo scoglio con le braccia. 
Merda, scusa. Con un calcio diretto al suo volto, lo fece scappare di nuovo nel lago, spaventato. E’ colpa mia, se siete quaggiù. Mi dispiace. 
Quando riapparve Kreacher, si tirò su, con le ultime forze che gli rimanevano. Arrancò verso il bacile, scrisse poche righe indirizzate al Signore Oscuro e le piegò con cura dentro al medaglione della madre.

Al Signore Oscuro,
So che avrò trovato la morte molto prima che tu legga queste
parole ma voglio che tu sappia che sono stato io ad aver scoperto il tuo segreto.
Ho rubato il vero Horcrux e intendo distruggerlo appena possibile.
Affronto la morte nella speranza che, quando incontrerai il tuo degno rivale,
sarai di nuovo mortale.
R. A. B.

“Kreacher adesso devi ascoltarmi bene, okay?” Dovette ricominciare più volte, perché le parole sembravano non volessero mai uscire: solo rantoli soffocati.
Non può concludersi tutto prima che io arrivi alla fine.
Kreacher annuì, torcendosi tra le mani il suo straccio. Il pesante medaglione attorcigliato ad un braccio.
“Devi prendere il medaglione dell’Oscuro Signore e distruggerlo. Ma non devi dirlo a nessuno, va bene? Abbiamo fatto uno scambio, capito? Questo ti darà più tempo.” Le lacrime iniziarono a scorrere, calde ed inesorabili. “Ma non devi dirlo alla mamma. Non devi dirlo al papà.” Dovette fermarsi, controllare i singhiozzi che avevano iniziato a sconquassare il suo corpo, “Non devi dirlo a Barty, anche se si arrabbierà molto. Bisogna proteggerli, va bene? Saremo noi a farlo. Non devi dirlo nemmeno a Sirius. Nemmeno se lo chiedono. Lo devi distruggere e basta, e mantenere il segreto. Lo farai Kreacher?” 
L’elfo si prostrò in un profondo inchino, “Kreacher fa tutto per il Signorino Regulus. Tutto.” 
“Ora devi andare via. Okay?”
Kreacher non rispose subito all’ordine. 
Rimase a guardarlo per qualche secondo, e Regulus dovette sorridergli tra le lacrime, per infondergli coraggio.
E senza dire una parola scomparve, davanti ai suoi occhi.

Crack, mentre lo stesso Infero, assieme a due suoi compagni, si allungava verso lo scoglio.

Non era quello a cui aveva aspirato?
La fine di tutto.
La fine di quella guerra, a cui aveva tanto contribuito.
L’inizio della sua redenzione, e sperò fosse abbastanza. La sua libertà.
Poco importa, se non avrebbe potuto viverla lui stesso. Altri, ne avrebbero goduto. Sirius. Barty.
La persona per cui aveva iniziato tutto quello, in primo luogo. Niente più combattimenti per un futuro che non era mai stato il loro: al suo amore, il suo grande ed unico amore, sarebbe spettata una vita tranquilla, una casa a cui bisognava verniciare le persiane, magari un gatto e una moglie che non aveva paura di stringergli la mano in pubblico.
Un Infero lo afferrò per la caviglia, trascinandolo verso di lui. Cadde all’indietro, e i sassi sul terreno gli ferirono la schiena, ed era così stanco. Così stanco. Aveva anche perso la bacchetta, come avrebbe fatto a combattere? 
Provò a cacciarlo via, agitando la gamba. Quello si arrabbiò, e lo morse. Sentì i denti della creatura infrangersi contro le sue ossa, triturarle e scheggiarle, ed urlò a pieni polmoni.
Morire per amore, quello se lo sarebbe aspettato da Sirius. 
Era una fine nobile, coraggiosa. Degna di un Grifondoro. 
Non degna di Regulus Black.
Altre mani, lungo le sue gambe. Dita che spingevano dolorosamente nella carne morbida del bacino.
Le caviglie toccarono l’acqua gelata del lago, facendolo rabbrividire: un sollievo, almeno, per quella rotta. 
Chiuse gli occhi, perché sul soffitto della caverna non c’era che buio, e lui avrebbe voluto vedere il sole per l’ultima volta. 
Si immaginò allora la Francia. Sirius che correva lungo la spiaggia, calciando un pallone. E' uno sport dei babbani, gli aveva spiegato zio Alphard, tanti anni prima. Prima di Hogwarts, prima della Guerra, prima ancora di Barty.
Oh, Barty.
Avrebbe così tanto voluto portarcelo. Il sole gli avrebbe spellato le spalle, e lui gliele avrebbe baciate sentento sulle sue labbra il sapore acre del suo sudore, quello della crema solare e i granelli di sabbia gli avrebbero graffiato la pelle del viso.
Poi si era immaginato in quel campo di grano, circondato da papaveri, con quella donna babbana che insegnava nella scuola dove Alphard portava i libri, ogni giorno chinata sulla sua tomba. Non aveva più pensato a lei, e adesso gli sfuggiva il nome e non aveva il tempo per provare a ricordarlo un’ultima volta.
Non piangere, gli aveva detto, sei più bello quando sorridi.
Un peso che lo portava giù, afferrandolo per i fianchi. 
Improvvisamente fu avido di ogni respiro. 
E quindi respirò forte, a bocca aperta, rubando alla grotta quanta più aria riuscisse. 
E’ come quando la mamma ti punisce, non avere paura, non avere paura nonaverepauranonaverepaura

Quando mamma decideva di educarlo e lo conduceva giù, nello studio, c’era sempre Sirius che come un’ombra lo aspettava in cima alle scale, nascosto tra i tendaggi delle finestre.
E quando mamma lo spediva nuovamente in camera sua era Sirius che gli cambiava gli abiti fradici, che gli asciugava i capelli e gli pettinava i ricci, scuri come i suoi capelli che invece ricadevano lisci e morbidi sulle sue spalle.
Regulus allungava la mano verso quella di Sirius, le loro dita si stringevano mentre con l’altra mano continuava a vestirlo, ad asciugarlo: era difficile con una sola mano, si vedeva da come le dita incespicavano nei bottoni, nel sistemargli il colletto, nel legargli le scarpe, ma non lo lasciava.
Continuava a stringerlo.
Ma in quel momento aveva paura, e presto non ci fu più nulla, se non acqua scura, amara e fredda che gli bruciava nei polmoni. Tante mani che lo strattonavano in ogni direzione.
La testa non gli faceva più male, almeno quello.
Piccoli puntini bianchi iniziarono a danzare davanti ai suoi occhi. Erano stelle? Comparivano, veloci come lampi, per poi spegnersi quasi immediatamente. 
Un universo in continua creazione.
Ma non ci sono stelle, sul soffitto della grotta. Non ci sono stelle, sul fondo del lago.
Eppure quello era proprio Orione, davanti a lui. Si voltò, alla ricerca del fratello.
Sirius, nella costellazione del cane. E Regulus, il cuore del leone.
Almeno lassù, non si erano mai divisi.
Non importa se non ci sono davvero, io le vedo.
Kreacher distruggerà il medaglione, e tutti vivranno.

Regulus cadde, sempre più giù.
Una mano intrecciata nella sua, Sirius? Sei tornato per me? Portami a casa.
Portami a casa Sirius, cambiami i vestiti, sistemami i capelli dietro alle orecchie, fammi sentire il tuo tocco sulla pelle, asciugami i capelli e lascia che io posi la testa sulle tue gambe.
Raccontami di Hogwarts, di James Potter e di quella volta che avete volato sopra al Lago Nero: come era il vento? Lo sentivi tra i tuoi capelli? Ti faceva lacrimare gli occhi?, parlami di tutte le persone che ami, che ti hanno fatto ridere fino a piangere, e fa che per l’ultima volta ci sia anche io tra di loro, raccontami della dolcezza delle pesche nelle torte che ci portava lo zio, l’albero con l’altalena, di quando ci nascondevamo tra le coperte e mi leggev-

Poi uno strattone, il rumore di uno strappo, un morso o no? Forse due, e tutto si infranse in un segmento di dolore.
Alla fine, anche l’ultima stella si spense.







Note: Ci siamo. Il capitolo finale. Aggiornerò la prossima settimana con l'epilogo maaa, ci siamo.
Non posso dire che non stia piangendo mentre pubblico questo aggiornamento, ho iniziato a scrivere questa storia nel gennaio nel mentre mi sono laureata, ho cambiato tre lavori, ho iniziato a studiare per un colloquio per una scuola a cui tengo tantissimo eeee intanto Regulus cresceva. ;;
E’ sciocco sentirsi così emotivamente legati ad un personaggio che non è nemmeno mio?
Ugh.
Detto questo:
La pubblicherò in forma integrale su wattpad e su archive of our own, ora che è -quasi- completa. Se volete supportarmi con kudos e stelline anche lì basta cliccare le scrittine illuminate in blu. <3
Per i saluti e le smancicherie aspetto il prossimo mercoledì, tranquill* che ne ho anche per voi.

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Capitolo 24
*** Epilogo. Nel nord della Francia, non c'è nessuno. ***


That unapparent summer air in early fall
The quiet comprehending of the ending of it all

There it is again, that funny feeling
That funny feeling
(...)
Hey, what can you say? We were overdue
But it'll be over soon, you wait.
That Funny Feeling, Bo Burnham.

Epilogo. Nel nord della Francia, non c’è nessuno.

Tom Riddle era una persona estremamente minuziosa.
Ed è così che scoprì come Regulus Black morì.
Il suo corpo, gonfio e livido, galleggiava sulla schiena, mosso appena dalla corrente: gli Inferi si erano presto stancati del nuovo gioco e lo avevano lasciato al macero.
A quello che rimaneva del più giovane dei fratelli Black mancava un braccio, e questo lo fece sorridere.
Tom Riddle era una persona estremamente minuziosa, per questo era tornato a controllare la caverna.
“Cosa devo fare mio Signore?” Gli sussurrò Bellatrix Lestrange, stringendosi al suo fianco.
L’aveva portata con sé per la pozione, la sua diletta, la sua fidata.
Per provare la forza dei suoi incantesimi difensivi contro un umano. In quel momento poteva sentire il cuore di Bellatrix battere contro il suo braccio, la carne del petto muoversi convulsamente mentre respirava nel silenzio della grotta: ebbe un moto di disgusti nei suoi confronti.
“Nulla.” Rispose Riddle. Ci ha già pensato Black.
Tom Riddle era una persona estremamente minuziosa, ma peccava di orgoglio, e nella caverna non entrò più, soddisfatto dal suo lavoro. Ovviamente nessuno sarebbe stato mai capace di superare la forza dei suoi incantesimi, ovviamente la sua abilità sarebbe rimasta imbattuta tra i maghi e nella storia. Sciocco lui, che aveva lasciato il dubbio inquinare la propria persona.
Ma se si fosse sporto verso il bacile, avrebbe notato galleggiare nella pozione un medaglione dorato, grosso e pacchiano, ben diverso dall’antico tesoro di Salazar Serpeverde. E se si fosse avvicinato al povero corpo di Regulus, avrebbe visto una minuscola foto galleggiare di fianco a lui, due bambini dai capelli neri come la notte che si abbracciavano davanti ad una copia di Paolina, a cui mancava il naso.
Regulus aveva scelto quel medaglione con molta cura, perché sapeva che la madre non ne avrebbe mai sentito la mancanza.


Barty scoprì invece che Regulus Black era morto leggendo il giornale.
Non c’erano stati fili rossi recisi, il suo cuore non aveva perso un battito, non si era sentito mancare all’improvviso. E non aveva piovuto, il mondo non si era sposato dal suo asse e locuste, fame e morte non avevano invaso le strade di Londra. Nulla gli aveva suggerito che l’intero suo Universo era stato spazzato via.
Tutto era andato in fiamme e già le ceneri avevano smesso di fumare da un bel pezzo quando Barty si rese conto di quello che era successo.
Per tre giorni, da parte del suo ragazzo nient'altro che il silenzio. È in missione, aveva pensato. È occupato con quella sua ricerca.
Regulus Black era uno fatto così, era uno che scompare. Scompariva anche mentre gli parlavi, perdendosi con lo sguardo nel vuoto.
Amarlo significava anche fare la pace con tutto il non detto della sua persona.
E quindi si era scrollato il nervosismo di dosso, indossando la maschera dei Mangiamorte quando era stato necessario, la divisa dell’Ufficio Applicazione Legge della Magia per il resto del tempo.
“Che bella giornata, vero Crouch? Finalmente sta tornando l’autunno! C’era un vento fuori.” Coopermoore lo salutò togliendosi il cappello, mentre si avvicinava alle macchinette per prendere un caffè.
Avevano rubato l'invenzione ai babbani, e per quanto Barty faticasse ad ammetterlo, era stata un’idea geniale.
Ci passava le ore, scambiando zellini per piccole dosi di caffè o Burrobirra.
“Io preferisco l’estate. Non mi piace il freddo.” Si stiracchiò, mentre l’altro gli passava la Gazzetta del Profeta del giorno.
Era una bella amicizia, quella con Coopermoore: non parlava mai troppo e in cambio di un caffè offerto ogni tanto -e della promessa di tenere la bocca chiusa su un certo affare extraconiugale che intratteneva con la segretaria di Crouch, senior- gli lasciava parecchie ore libere da spendere come voleva tra un turno e l’altro, la possibilità di assentarsi quando riteneva opportuno e qualche rivista dall’edicola del Ministero.
“Aspetta di avere dei figli, poi vedrai che anche tu inizierai ad amare l’autunno... Mia moglie tiene un calendario in camera che segna quanto manca a settembre.”
Barty ridacchiò, iniziando a sfogliare distrattamente la Gazzetta: sempre le solite notizie.
Attacchi a Diagon Alley, bla bla bla.
Hogwarts si arma. Bla bla. Le parole del Preside a pagina centosei! Bla bla.
Regulus Black, unico erede della Casata Black, confermato morto, il necrologio e la data della funzione a pagina sette.
Altri attacchi, bla bla bla, babbani mort-
Barty si fermò.
Regulus Black.
Il necrologio e la data della funzione.
Confermato morto.
“Coopermoore sei uno stronzo bastardo.”
“Eh?” L’altro si girò a guardarlo, perso. “Che?”
“La Gazzetta. Dammi quella vera.”
“...Eh?”
Era uno scherzo. Di pessimo gusto, ma chi era per giudicare?
Lasciò Coopermoore al caffè, correndo verso l’ufficio della sua collega. Non bussò nemmeno.
“Lumière, la Gazzetta. Ce l’hai?”
Luisa Lumière, lo guardò corrugando le sopracciglia. “La Gazzetta del Profeta? Ce ne sono almeno un milione in tutto il Ministero, non puoi comprarla come tutti?”
Dammi quella fottuta Gazzetta.” Sputò, strappandogliela dalle mani.
Pagina sette.
La famiglia Black tiene a comunicare che il servizio funebre si terrà ad Highgate, il 29 agosto alle ore 17:00.
E' richiesta puntualità nel rispetto del defunto.
Regulus gli sorrideva, in una piccola foto in un angolo della pagina. In quella foto Barty era certo che non avesse avuto più di quindici anni. Nel terrore di quell’istante si chiede se i suoi genitori non gliene avessero più scattate altre.
“Siete tutti pazzi.” Mormorò Barty, uscendo dall’ufficio; se fosse rimasto qualche minuto in più avrebbe visto il faccione di Coopermoore affacciarsi dalla porta, e chiedere a Luisa, “Ma sta bene?”
E poi avrebbe visto la donna abbassarsi gli occhiali sulla punta del naso e rispondere, “E’ sempre stato un ragazzo strano.”
Scese le scale a due a due, rischiando più volte di inciampare nelle sue stesse scarpe, tenendosi con una mano sudata e scivolosa al corrimano.
Diede una spallata ad un Auror, facendole cadere tutti i fascicoli che stava portando e non chiese neanche scusa continuando la sua corsa per i corridoi del Ministero, tra persone che non capivano quanto fosse irreale quel che stava accadendo, quanto il suo corpo stesse faticando per non crollare al suolo, perché sapeva che se si fosse lasciato andare sarebbe stato impossibile da riparare.
Ed eccolo, chi stava cercando.
Prese Peter Minus per il colletto della camicia, sbattendolo con forza contro il muro.
La bombetta del Mangiamorte cadde a terra, mentre le persone attorno a loro si portavano la mano alla bocca.
“Che cazzo significa, Minus? Eh? Che cazzo significa?” Ringhiò, spingendo il suo braccio contro la sua gola.
“N-non so di c-cosa tu stia parlando...” Minus guardava intorno spaventato, con i suoi miseri occhietti acquosi che non stavano fermi un secondo.
Lo sai invece! È morto, come?
“Ma di chi stai parlando?”
Peter Minus sembrava smarrito, pallido come un cencio e impaurito dalla rabbia dalla sua rabbia.
Ma era sincero, e quindi Barty non fece resistenza quando due maghi lo presero per le spalle, allontanandolo da lui.
“Non pisciarti addosso.” Borbottò, sputando ai suoi piedi. Quello, se avesse potuto, si sarebbe tirato ancora di più a ridosso della parete, fino a scomparirci dentro se solo quella non fosse stata solida.
Intorno a loro un cospicuo numero di dipendenti osservava la scena sussurrando gli uni nelle orecchie degli altri, tra cui suo padre, che richiamato dalla confusione gli si avvicinò, afferrandolo per il braccio, “Barty tornatene a casa. Non so cosa ti sia preso, e daviolo, non voglio neanche saperlo. Vattene e smettila di farmi fare queste figure.” Gli abbaiò all’orecchio, per poi spingerlo via in malo modo, contro i ranghi serrati di curiosi che si dispersero quando Barty gli fu spintonato contro.
“Prima dammi una Gazzetta.” Gli aveva risposto.
Crouch senior lo guardò come se fosse impazzito, voltandosi verso i colleghi. Peter Minus si massaggiava il collo, su cui iniziava a formarsi un livido.
“Ne ho bisogno, papà.” Aggiunse, a voce più bassa.
Con mano tremante la sua segretaria gliene allungò una arrotolata, che teneva sotto il braccio.
Pagina sette.
Regulus Black, confermato morto.
No, no. Non fatemi questo.
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Bussò una volta, per educazione.
E quando nessuno venne ad aprirgli, bussò più forte.
Poi iniziò a prendere a calci la porta.
Crouch. Tornatene a casa.” Lucius Malfoy aprì la porta di Grimmauld Place, con sorpresa di Barty. Non l’elfo, non la vecchiaccia, o una delle cugine.
Lucius Malfoy, vestito in nero. E non era la divisa dei Mangiamorte, questa volta.
“No. Che cazzo significa?” Gli spinse nel petto la pagina strappata della Gazzetta, dove Regulus continuava a sorridergli, stropicciato. “Dov’è Reg?”
“Non ti hanno insegnato a leggere?”
Dov’è Reg?
“Se intendi il suo corpo, non penso tu lo voglia vedere, non è un bello spettacolo.” Sibilò, “La data del funerale è facilmente reperibile, non abbiamo tempo per le tue sciocchezze adesso.”
E gli sbatté la porta in faccia, prima che avesse avuto il tempo di ribattere.
Il suo corpo.
Barty si lasciò cadere sui gradini d’ingresso.
Reg che cazzo hai combinato.

Barty decise che non era vero. Non poteva essere vero, in nessun caso.
Perché era ancora estate.
E il sole splendeva, e i ragazzini di Coopermoore non erano ancora tornati a scuola, e le foglie sugli alberi erano ancora verdi e sane, i campi erano fioriti, con il rosso dei papaveri li illuminava come gocce di sangue, e i contadini non avevano ancora iniziato a raccogliere i semi dei girasoli che nascevano nei campi tutt'intorno a casa sua e ancora e ancora e ancora altro.
Come si fa a morire quando fuori è ancora tutto così luminoso?
Nessuno muore d’estate.
Non era successo a Evan, perché avrebbe dovuto toccare a Regulus?
Quando era morto il suo migliore amico era buio, faceva freddo e doveva far attenzione a dove metteva i piedi per non scivolare sul ghiaccio.
Aveva senso, che il clima riflettesse come Barty si sentisse. Non aveva senso morire d’estate, invece.
Seduto sui gradini d’ingresso di Grimmauld Place, guardava il sole fare capolino tra le nuvole, riflettersi sulle finestre dei palazzi di fronte.
E tutto sembrava distruggersi.

Al funerale cercò con lo sguardo Sirius, suo fratello, senza vederlo.
Codardo.
Non salutò Walburga, seduta in prima fila con il volto coperto da un velo nero. Strega schifosa.
Piangevano su una bara in mogano, decorata con glicini e crisantemi. Non è un bello spettacolo, aveva detto Lucius, e per tutta la funzione Barty non seppe cancellarsi dalla mente una versione verdognola, gonfia e piena di vermi di Regulus. Tutti i fiori del mondo non sarebbero mai riusciti a coprire il tanfo dolciastro della decomposizione, che aleggiava tra le panche, appesantendo l’aria.
Alcuni degli invitati tenevano un fazzoletto premuto sul naso, attenti a non farsi scorgere dalla famiglia Black.
Barty si grattò la piaga vicino al labbro, per fermare i tic, ma tutto quello che riuscì ad ottenere fu riaprire la ferita, sporcandosi le labbra e il colletto della camicia di sangue.
La lapide di fronte alla fossa dove avrebbero calato per sempre il suo Reg diceva: Regulus Arcturus Black, amato figlio, cugino e nipote.
Barty non lo aveva trovato giusto. Nemmeno fratello era stato scritto, e pensare che a Regulus era piaciuto così tanto, essere il fratello di Sirius; se lo ricordava chiaramente, come ne parlava ad Hogwarts, con quel mezzo sorriso sulle labbra e gli occhi verdi che si facevano distanti.
Se avesse potuto decidere lui avrebbe scritto: Reg, amato.

Perché, per Salazar, quanto lo aveva amato.

“Cosa gli è successo?” Chiese a Narcissa, che era scivolata sulla panca vicino a lui, allontanandosi dal marito.
“I Mangiamorte sono un contratto per la vita.” Rispose lei, senza guardarlo in faccia. Aveva gli occhi rossi, gonfi quasi quanto i suoi. Sembrava essere l’unica realmente dispiaciuta tra la famiglia Black. “L’Oscuro Signore non ci ha detto altro. Solo di fare attenzione, in futuro.”
Era questo, a cui stava lavorando? Si era messo a tramare alle spalle del Signore Oscuro? Alle spalle dei Mangiamorte, alle sue spalle?
Saremo liberi, gli aveva detto.
Reg, che mi hai combinato. Cosa hai fatto cosa hai fatto cosahaifattocosahaifatto

Reg Reg Reg

Il suo nome lo assillò per mesi.
Non aveva più motivo per dirlo ad alta voce. Nessuno si sarebbe più girato, a sentirsi chiamare in quel modo.
Eppure era sempre lì, sulla punta della lingua.
Reg. Reg sguardo eternamente febbricitante e occhiaie scure, Reg sapore di menta, labbra umide, mani fredde. Reg Reg Reg.
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Il lutto si trasformò presto in rabbia.
Come un cane ferito Barty scendeva in battaglia mordendo tutti coloro che osavano pararsi innanzi a lui, brancolando e guaendo ma senza lasciare nessuno in vita per raccontarlo. Presto divenne uno dei preferiti del Signore Oscuro, riuscendo a camminare al suo fianco, il suo braccio destro, senza però non riuscire a non voltarsi spesso a guardarlo con la coda dell’occhio, con la consapevolezza di doverlo odiare, per quello che gli aveva tolto.
Ma il potere. Oh, se riusciva a mettere a tacere tutta la rabbia che covava dentro, seppur per qualche istante.
Elettrico e terribile e mortale. Tenero, mentre si faceva spazio tra le sue costole malandate e scioglieva le sue viscere annodate e solo l’Oscuro Signore riusciva a donarglielo.

Nel mentre la guerra durò ancora a lungo, altri due anni, dopo la morte di Regulus.
Due anni, in cui pensò veramente di poterla vincere, come aveva -avevano- tanto sperato.
Ma poi Lui scomparve, in una notte identica alle altre.

“Che fine ha fatto il Signore Oscuro? Dov’è? PARLA VACCA SCHIFOSA, DOV’E’?” Urlava Bellatrix, levando la bacchetta contro Alice Paciock, una volta Fortescue.
“Lascia stare, Bella, non vuole parlare con le buone.” Mormorò Rabastan, accarezzandole invece il volto. Lei gli sputò dritto in un occhio, e Barty rise di gusto.
Poi si avvicinò a Frank, Paciock, spaccandogli il naso con il tacco della propria scarpa. L’Auror perse conoscenza, un rivolo di sangue a sporcargli il volto. Barty lo stuzzicò con la punta del piede senza riuscire a smettere di ridere.
No!” Latrò la Paciock.
“Dov’è il Signore Oscuro? Cosa è successo?” Le chiese, continuando a tormentare il viso del marito.
“Non lo sappiamo.” Piagnucolò la donna.
Reg Reg Reg. Qualche volta, tornava in superficie. Nei momenti meno opportuni, come quello.
Avevano perso, era quella la verità.
Toccava nascondersi adesso, come ratti. Dov’è che avrebbe voluto scappare, Reg? Gli sfuggiva il nome.
In Francia? Non era mai stato bravo con la geografia.
Nell’altra stanza un bambino piangeva, lamentoso.
Non era estate, ma autunno inoltrato. Così sì, che aveva senso.
“Non lo chiederò di nuovo. Cosa è successo all‘Oscuro Signore?”
Non lo so.”
C’era il mare. Si chiese come aveva fatto Regulus ad amare così tanto un luogo vicino all’acqua, ricordandosi il terrore che aveva per il Lago Nero, la sua assoluta incapacità di avvicinarsi anche solo alla riva.
Riusciva a vederlo ancora se chiudeva gli occhi, con le braccia strette al petto e le labbra tese, mentre Evan gli urlava di tuffarsi, perché non era mica così freddo, dai Reg non fare la femmina.
E invece era così freddo, Barty sentiva le gambe perdere la sensibilità ogni secondo passato in acqua, voltato ad osservare Reg che se ne stava in piedi, sulla riva, attento a non lasciare che le onde gli bagnassero le scarpe o l’orlo dei pantaloni.
Riusciva a vederlo anche ad Hogwarts, chinato sui libri o concentrato nell'allacciarsi la divisa di Quidditch, poi gli capitava di vedere il suo profilo pallido stagliarsi contro il cielo stellato durante una missione, o di ritrovarsi ad osservarlo che riposava nel suo letto, la schiena scoperta e il volto coperto dai ricci scuri.
Ma soprattutto lo vedeva sulle scale di Grimmauld Place, quella volta che si erano dati appuntamento per un giorno dopo che non era mai arrivato.
Se solo avesse allungato la mano, se solo gli avesse detto: vieni da me? Ti riposi, e poi mamma ha fatto i muffin prima di uscire. O se si fosse arrabbiato, come suo solito, se lo avesse preso per le spalle e lo avesse scosso fino ad obbligarlo a dirgli a cosa stava lavorando, lo avrebbe potuto salvare? Avrebbe potuto fargli cambiare idea?
E ancora se quella volta che si era presentato a casa sua, insanguinato e spaventato, se quella stessa volta lo avesse ascoltato e fossero scappati insieme, cosa sarebbe cambiato?
Barty conosceva solo un modo per mettere a tacere il fantasma di Reg e tutte quelle voci che non facevano altro che ricordargli quanto e come avesse sbagliato con lui:
Hey Lestrange, ti va se giochiamo un pochino coi Paciock?”
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Quando aveva conosciuto Regulus aveva undici anni ed era arrabbiato perché lui, a scuola, non voleva proprio andare.
Non voleva andare, perché ci era andato anche lui,
Barty Crouch, l’uomo da cui prendeva il nome e metà del DNA: probabilmente uno dei migliori studenti che Hogwarts avesse mai visto attraversarsi i corridoi, inferiore solo a Silente, a detta sua. Dalla morale di ferro, giusto, buono, grande, Barty Crouch.
Non come lui, l’altro Barty Crouch, piccolo, instabile, frignone, arrabbiato, ma soprattutto: mai abbastanza.
Mai abbastanza bravo, educato, silenzioso, coscienzioso, intelligente e bla bla bla.
Aveva visto Regulus per la prima volta su una di quelle barchette instabili che il guardiacaccia usava per portare i ragazzini dei primi anni nella scuola, seduto esattamente di fronte a lui.
Black? Di quella Casata Black?, si era chiesto. Impossibile. Con quelle braccine magre, e lo sguardo spento?
Quando si innamorò di lui, invece, non lo seppe mai.
Fu una cosa graduale, forse. Non riusciva più a ricordarselo.
Ma suo padre lo capì addirittura prima di lui, stupido, piccolo Barty, adesso oltre che frignone pure finocchio.
“Non puoi farmi anche questo, non puoi rovinarmi.” Sibilava, prima di prenderlo per un orecchio per trascinarlo in camera sua, la cena che ormai era diventata fredda e la madre che ci piangeva sopra sporcandosi di stufato i capelli.
Un colpo allo stomaco, un altro anche dopo che era caduto a terra. Non farmi vergognare, mentre Barty alzava le mani in segno di resa e l’altro Barty continuava ad infierire.
Ah! Se avesse saputo a quel tempo, cosa gli sarebbe toccato. Probabilmente lo avrebbe ammazzato lì seduta stante, prendendolo a calci in bocca sul pavimento della cameretta.
“Meglio un figlio frocio o Mangiamorte, papà?” Gli aveva chiesto il giorno del suo processo, poco prima di esser portato via in manette.
Lui l’aveva guardato, forse davvero, per la prima volta nella sua vita. “Non so di cosa lui stia parlando.” Sussurrò, alla sua segretaria.
Lo vide poi sporgersi su di lei, cancellare con un colpo di bacchetta quell’ultimo scambio di parole dal verbale.
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Regulus non gli fu portato via il giorno che seppellirono il suo cadavere.
Furono i Dissennatori, in una calda notte di giugno tanti, forse troppi, anni dopo la sua morte. Barty aveva visto il suo volto iniziare ad invecchiare e si era tolto i primi capelli bianchi allo specchio senza che riuscisse più a ricordarsi il suono della sua voce.
Questa volta aveva davvero fatto una cazzata, e non se ne rese conto finché non lo obbligarono ad inginocchiarsi di fronte ai Dissennatori con un calcio dato alle spalle: suo padre era morto, il campioncino dei Tassorosso era morto, il figlio di James Potter se avesse potuto lo avrebbe ucciso con le sue stesse rosee e paffute mani da ragazzino e stava per perdere quel poco che riusciva ancora a ricordare di Regulus.
Farsi strappare via l’anima non fu doloroso nemmeno la metà di quello che aveva immaginato: un istante dopo, e già se lo era dimenticato.
Assieme alla sua storia, alle piante di ciclamino all’ingresso di Grimmauld Place quando da ragazzo era andato a trovarlo (Chi?), a quel suo amico che voleva diventare una stella del Quidditch e ancora, il profumo dei panni stesi al sole dalla mamma (Chi era stata la sua mamma?), il sapore di una mela condivisa con qualcuno (Chi?) che aveva amato (Cosa è amare?).
Ciò che Barty era riuscito a condividere con Regulus si cancellò assieme alla sua anima in un battito di ciglia e a nessuno importò, perché nessuno seppe mai cosa fossero stati.
Fu ingiusto, ma non ricordò più neanche più le atrocità che aveva commesso. Tutto quel sangue e quella pazzia furono rimpiazzati da vaghi sprazzi di luce che riemergevano quando la prigionia decideva di essere clemente, sempre più saltuari anno per anno, mentre il tempo gli scivolava via dalle mani senza che neanche sapesse cosa fosse il tempo.

La vita di Regulus Black e di come si intrecciò a quella di Barty Crouch jr si perse così tra le altre, una vita come tante di una persona che forse buona non era mai stata, ma che aveva provato lo stesso a fare la cosa giusta, anche se per tutti i motivi sbagliati.

Barty Crouch tenne duro contro la sua polmonite e morì in autunno in una cella di Azkaban fredda come l’Inferno. Alcuni avrebbero potuto dire che gli furono concessi fin troppi giorni, immeritati dopo averne tolti così tanti a persone ben più buone di lui: a quel punto, i figli dei figli delle persone con cui aveva combattuto una guerra intera andavano già a scuola, ma lui non poteva saperlo.
Non seppe e non fu più nulla, finché non smise di respirare. 







Note: Ecco l'epilogo <3 
Cliccare su quel quadratino "completa" mi ha spezzato, maaaa eccoci qua. 
Grazie per essere stat* con me capitolo per capitolo e per avermi accompagnata in questa bellissima avventura, per aver amato Reg e Barty ed Evan assieme a me e per aver speso qualche minuto per lasciarmi un messaggio.
Piccolo spoiler: questa non è la fine. *rullo di tamburi*
Sto lavorando già ad un sequel che riprenderà gli avvenimenti del Calice di Fuoco, sotto il punto di vista di Barty :') Non sarà pubblicato in tempi recenti maaaa volevo solo annunciarlo, quindi insomma: non un addio, ma un arrivederci.
E nulla, grazie davvero. 
Ogni lettura mi ha scaldato il cuore.
<3

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