The spellbinding love of a wiccan

di Nemesis01
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ragazzo col cappellino ***
Capitolo 2: *** La festa ***
Capitolo 3: *** Il vento mi ha parlato ***
Capitolo 4: *** Eliminare le energie negative ***
Capitolo 5: *** Di erbe e altri rimedi ***
Capitolo 6: *** Scontri con la realtà ***
Capitolo 7: *** Impronta sui tuoi passi ***
Capitolo 8: *** Mama ***
Capitolo 9: *** La scossa ***
Capitolo 10: *** Colpi ***
Capitolo 11: *** Quello che è successo ***
Capitolo 12: *** Etichette ***



Capitolo 1
*** Il ragazzo col cappellino ***




Disclaimer!
Questa storia tratterà di un pairing slash (male-to-male), se non siete interessati al genere vi chiedo il favore di non iniziare a leggere.  
Grazie mille.

*




Capitolo 01.
Il ragazzo col cappellino



 

- Guarda che non c'è bisogno di rispondere così, Lockhart, io ti ho solo fatto una domanda. -
- Era una domanda stupida. Se abbiamo detto di vederci alle sei da Wild Boar, vuol dire che ci vediamo alle sei da Wild Boar, non che me lo devi chiedere ogni mezzo secondo per accertarti del fatto che abbia capito. Me lo ricordo, l'ho proposto io. -

 

- Dai, allora, ci vediamo stasera? Ci vieni alla festa? -
- Certo che ci vengo! Ti pare che mi perdo tutte le matricolette? -
- Eh, infatti! -
Un ragazzo biondo ben piazzato aveva salutato un altro giovane più bassino con un cappellino nero, che a sua volta aveva allungato il braccio per fare "ciao" con la mano, sorridendo. E no che non se lo sarebbe perso quel party di benvenuto, con tutti i nuovi ragazzi da conoscere? Ci sarebbe andato anche da malato terminale.

 

- Oh, ma vaffanculo Lockhart, vacci da solo allora! -
Moyra aveva appena lanciato un paio di fogli contro un ragazzo che era rimasto impassibile mentre sedeva su una panchina nel cortile del Robert Gordon's college di Aberdeen. Benjamin Lockhart, così si chiamava, leggeva un libro di ricette. Nulla avrebbe distolto la sua attenzione da quello che amava di più al mondo, la cucina, nemmeno la rabbia di Moyra e la buca che gli aveva appena tirato.

Il ragazzo col cappellino stava per dirigersi proprio in direzione di quella panchina quando notò il gesto poco cordiale della ragazza, allora mise su una smorfia di finta compiacenza anche se suonava più divertito che contrito. - Bello, proprio una principessa! - Esclamò con candore rimanendo a guardare lei allontanarsi per qualche istante con una mano su un fianco, poi raccolse i fogli che erano svolazzati a terra. Non l'aveva mai visto, quindi il ragazzo doveva essere nuovo. Proprio carino, con quei bei capelli lunghi e l'aria di chi ce l'ha con il mondo. - Questi sono tuoi? -
- No, - rispose il ragazzo dai capelli rossi, troppo attento alle pagine su quel libro per poter sollevare lo sguardo verso l'altro. - Sono della principessa di cui sopra. -
- Mh, - s'incuriosì l'altro e si sedette sulla stessa panchina a gambe incrociate a leggere quei fogli, poi trattenne una risatina. - Vedi che la principessa ti aveva prenotato una bella seratina romantica, a quanto pare! -
- Sì, lo so, - disse Benjamin, roteando gli occhi. - Wild Boar, alle sei, - commentò, arricciando le labbra a quella che gli sembrava proprio una ricetta da provare.
- E non ci vai? - chiese il ragazzo gesticolando con quei fogli in mano nel venticello. Rivolse uno sguardo al ragazzo seduto accanto a sé, incuriosito dalla sua concentrazione nel leggere quel libro.
- Non credo, - rispose. Poi, come se si fosse reso conto soltanto in quel momento di star parlando con qualcuno, batté gli occhi verso di lui. - E a te che importa? Vuoi uscirci tu? -
Il ragazzo col cappellino vagò con gli occhi chiari sul viso dell'altro per diversi secondi prima di mettere su un sorriso. Era proprio bello. - Perché stasera c'è una festa per le matricole, e tu sei una matricola, quindi dovresti venire! -
- Tecnicamente non sono una matricola, - lo corresse Benjamin. Chiuse il libro e recuperò la messenger bag. - Ho di meglio da fare. Divertiti alla festa. - Dopo averlo salutato con un gesto della mano si allontanò: voleva leggere in pace.
- Sì che lo sei, non ti ho mai visto in giro! E non scappare, sai! - rise il ragazzo, seguendolo fino ad affiancarlo, poi allungò una mano per presentarsi. Aveva dei tatuaggi che spuntavano dalla manica del cappotto. - Ciao, io sono Ismael, e tu sei? - Sorrideva sempre e il suo sorriso era contagioso. Non per quello sconosciuto dai capelli rossi, però.
- Mi sono trasferito da poco, ma sono già al terzo anno, - rispose l'altro fissando la mano di lui senza però prendergliela e strinse le spalle. Aveva un paio d'occhi verde smeraldo che non sembravano neanche veri. - Benjamin. -
- Benjamin, non fare lo scorbutico, su, - l'esortò Ismael prendendogli la mano di prepotenza per stringergliela. Terzo anno? Era proprio una maledizione, allora, con quelli più piccoli. - Piccino. Io sono al quinto! -
Benjamin roteò gli occhi e gli lasciò la mano con la stessa prepotenza con cui lui gliel'aveva presa. Detestava quando gli si stringevano le mani in quel modo, l'aveva sempre odiato anche nella scuola elementare, quando gli insegnanti dicevano che dovevano scegliere un compagno con cui mettersi in fila. - Allora non dovresti stare a studiare per l'esame? -
- Ecco, ti avevo capito subito, tu studi troppo, - commentò Ismael. - Ormai è ora di pranzo, mica studi anche a pranzo? -
- No, - disse Ben, che non aveva mai smesso di camminare. Raggiunse l'edificio scolastico e si addentrò in uno dei corridoi. - Senti, non ce li hai degli amici? Perché mi stai seguendo? -
- E allora pranziamo insieme! - concluse Ismael, senza nemmeno declinare la frase come fosse una proposta, e lo prese sottobraccio trascinandolo verso la mensa. In realtà l'intenzione era di tornarsene a casa, ma perché perdere l'occasione?
- Ho già pranzato, - mentì Benjamin mentre raggiungeva la porta dei bagni scolastici. - Ora, se non ti dispiace, avrei bisogno di un po' di privacy, quindi... - e lasciò cadere la frase accompagnandola con un gesto della mano, come a salutarlo, per poi entrare. Odiava essere disturbato mentre leggeva e non gli piaceva minimamente avere persone intorno. Non era un campione di socialità.
- Uuuh, che acidello. Vedi che finché frequenti le principessine la frustrazione non ti passa, eh, - commentò Ismael, seguendolo nel bagno e avvicinandosi poi a uno specchio per controllarsi. Si tirò giù una palpebra inferiore e fece una smorfia nel guardarsi. Benjamin l'ignorò e si sedette sul wc, con addosso i vestiti, e aprì di nuovo il libro. Dentro quel cubicolo, pensò, nessuno l'avrebbe disturbato. Certo che Ismael avrebbe desistito, si concentrò sulla lettura ancora una volta.
- Allora, dimmi, perché ti fingi etero? Paura? - provò a domandare Ismael avvicinandosi alla porta chiusa del bagno e incrociando le braccia dopo essersi poggiato contro di essa.

Benjamin si disse che se non gli avesse risposto probabilmente quel tizio avrebbe colto l'antifona: in realtà ne aveva già fin sopra i capelli di lui, senza nemmeno aver bisogno di conoscerlo, eppure lo conosceva già, con quella sua aria da "sono il più popolare della scuola", uguale al tizio che l'aveva preso a pugni nell'istituto precedente, quello dalla quale era stato invitato a lasciare. Lui le persone le detestava, perché non poteva starsene in pace almeno al bagno, in una scuola nuova e in una città che non era la sua?

- Aaahh, ho capito, beh, mi sembra un'ottima motivazione! - rispose l'altro annuendosi con sarcasmo. - Allora, ci vieni alla festa? Non fare l'asociale, che fai tutto solo a parte leggere ricette improbabili? -
- No, non ci vengo, - rispose Benji ancora con quel libro in mano, ancora seduto sulla tazza del water, preso per sfinimento. - Ora hai finito di stressarmi? -
Ismael roteò gli occhi, poi entrò nel cubicolo accanto al suo e si affacciò oltre il muro stando in piedi sulla tazza, a braccia incrociate e sorridendo. - Ma non hai niente di meglio da fare, perché non vieni? -
- Perché non mi piacciono le feste, né le persone, - sbuffò Benji, scorciandosi le maniche della t shirt bianca che indossava perché doveva star sentendo caldo.
- Ma è una festa tranquilla, dopotutto è per le matricole! Mica come quelle solite, - borbottò Ismael che intanto lo osservava da quella posizione privilegiata, tenendosi una tempia col pugno chiuso. - Ti divertiresti un casino, bello di zio. -
- Prima cosa, non sei mio zio, - chiarì Ben. Aprì la porta del cubicolo per uscire, visto che stava lì lì per soffocare dal caldo, e, approfittando di non trovare il ragazzo nell'antibagno aggiunse: - E poi non mi piace la gente! - ripeté. Per coerenza, scappò disperdendosi nella calca che si era creata in corridoio per l'inizio delle lezioni pomeridiane.


*
ndA
Benjamin Lockhart è un personaggio (uno dei milioni) che avevo creato millemila anni fa e che, come tanti altri, non era ancora uscito allo scoperto. Sento che è arrivato il momento di portarlo alla ribalta... e niente, spero anche di riuscire a tornare a disegnare (ma in questo momento mi sembra più probabile vincere al Lotto) per poter creare un ritratto di questo giovincello!
E comunque, che sia messo per iscritto, Aberdeen non è proprio la mia città preferita... ma vale la pena vederla, anche solo una toccata e fuga. W la Scozia.
Un saluto a tutti e grazie per aver letto fin qui!

PS: la storia è presente anche su wattpad, dove verrà aggiornata ogni venerdì. La trovate cliccando qui.


 

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Capitolo 2
*** La festa ***


Capitolo 02.
La festa



- Ecco, mi ha dato buca. Me lo sentivo troppo, - borbottò un ragazzo seduto al bancone dello Slains Castle. Il locale era pieno zeppo di teenagers vestiti di nero che se la spassavano ballando al ritmo di musica elettronica ad altissimo volume. - Un altro coca e rum... -
- Ssshh, attento che ti sentono, -  rispose l'amica seduta accanto a lui al bancone. - Poi Kelly viene a saperlo e buonanotte! -

- Sono £6.50, - disse un ragazzo dai capelli rossi, lo stesso di quella mattina. A differenza di tutti gli altri, che erano mascherati per mantenere viva l'ambientazione horror del locale, indossava dei semplicissimi abiti scuri e un panciotto gessato abbinato alle converse. Non aveva l'aria di uno della famiglia Addams, ma poteva passare per una vittima innocente senza alcun problema. Benji aveva gli occhi piantati sulla macchinetta del chip&pin dopo che il ragazzo gli aveva dato una carta, Lui lì nemmeno ci voleva andare, era colpa di suo padre: per favore, vieni, ti diverti, conosci qualche bella ragazza, poi di quello nuovo non mi fido ancora, se si prende i soldi, mica posso fare tutto io... e allora si era lasciato convincere, come sempre, e, sorridendo di circostanza, restituì al ragazzo la carta con lo scontrino.

- Bah, Kelly, - commentò il biondo nel pagare poi, tutt'a un tratto, la persona che lo stava facendo penare comparve dietro di lui, dandogli una pacca sulla spalla.
- Ehi! - esclamo Ismael, proprio lui, stavolta senza cappellino e coi capelli corvini sistemati in maniera completamente casuale.  - Scusa per il ritardo, ho avuto un contrattempo! -

Anche Benjamin ricordò la voce del ragazzo appena arrivato e trattenne uno sbuffo mentre prendeva un altro ordine, sperando di non essere notato dallo stalker del bagno.

- Oh, eccoti! Sapevo saresti arrivato amico, figurati, ero qui ad aspettare, - rispose il ragazzo biondo e l'amica scosse la testa, dato che fino a due secondi fa si stava disperando.
Ismael gli cinse le spalle con un braccio e rise. - Bella festa, eh? - chiese, mentre il biondo sembrava imbarazzato e si guardava intorno preoccupato.
- Non qui, - bisbigliò.
Tuttavia, Ismael non si mosse e sorrise dolcemente in direzione del barista, riconoscendolo. - Ah, ecco, quindi lavori qui! Scommetto che nessuno t'aveva detto niente. -
Benjamin scrollò le spalle e fece cenno di "no" con la testa, poi riprese a ignorarlo mentre prendeva le ordinazioni dei drink. Aveva il suo fascino, soprattutto vestito in quel modo, e non erano poche quelle che lo fissavano da lontano sperando di esser guardate. Ma Ben sorrideva di circostanza quando restituiva le carte o dava il resto, e soffriva nel non potersi grattare gli occhi per non far sbavare il kajal.
- E quando finisci di lavorare? - chiese Ismael, fissandolo a sua volta mentre il biondo sembrava seccato per un paio di validi motivi. Lo smanicato di pelle che indossava era costellato di borchie che scintillavano sotto i fari colorati.
- A orario di chiusura, - rispose, con tono d'ovvietà, il ragazzo che sussultò quando un collega fece cadere un bicchiere per terra.
- Scusa Benji, io... -
- Tranquillo, non fa niente! -
- Allora c'è tempo! - rispose Ismael sorridendo ancora in quel modo anche se il barista non lo calcolava nemmeno di striscio, poi osservò la sua reazione tranquilla e gentile al piccolo disastro del collega. Chissà, forse era proprio lui a stargli sulle scatole e perciò l'ignorava così anche se cercava di fare conoscenza.
- Tempo per cosa? - domandò Benjamin. Poi si chinò a raccogliere i cocci del bicchiere, con Arnold che gli diceva di prestare attenzione.
- Per una chiacchierata? - propose Ismael con aria ovvia e innocente, sporgendosi oltre il bancone per guardarlo. - Dato che sei qua, pur involontariamente... -
Benjamin roteò gli occhi e buttò i cocci nella pattumiera, per poi sciacquarsi le mani sotto l'acqua bollente.  - Non sono un tipo da chiacchierata. -
Ismael fece spallucce e si rivolse al biondo che gli stava accanto. - Tutti così, voi finti etero. Scorbutici e repressi. -
- Finti etero? - domandò Benjamin, guardandolo stranito. Ma cosa voleva quel ragazzo da lui? E che cosa poteva mai saperne, lui, del suo orientamento sessuale?
- Finti etero gnorri, - si corresse il ragazzo ridendo, poi poggiò i gomiti sul bancone. - Un Jaeger, bellino! -
- Sono £8.00, bellino, - rispose l'altro facendogli il verso, poi fece segno ad Arnold di preparare il drink.
- Oh, che dolce, - rispose genuinamente Ismael, trattandolo un po' da ragazzino dato che era comunque più giovane di lui di un paio d'anni. Cercò il portafogli nella tasca del giubbotto e gli porse la carta. Ben gli rivolse un sorrisino acido, poi afferrò la carta di lui e la inserì nella macchinetta che porse all'altro.
- Sei carino quando fai le faccette! - esclamò Ismael, ammiccandogli, e rimase a guardarlo mentre terminava la transazione restituendogli il terminale. Il biondo attendeva pazientemente e intanto teneva il braccio attorno alla vita di Ismael con discrezione, nascosto dal bordo inferiore della giacca di quest'ultimo, ad accarezzargli piano un fianco. Benjamin tolse poi la carta dal terminale e gliela restituì insieme allo scontrino. - Tieni, tra due secondi avrai il tuo drink, - disse, e bisbigliò qualcosa all'orecchio di Arnold prima di uscire dal bancone e dirigersi verso la porta d'ingresso del locale.

Ismael sbuffò vagamente per non essere stato considerato dopo il complimento, poi lo seguì con lo sguardo e domandò all'altro barista: - Ma che fa? -
Arnold rise piano porgendogli il bicchiere con il drink, e gli si rivolse un tono gentile. - È andato a fumare! -
- Aaahh, quasi quasi mi faccio una sigaretta anche io! - Ismael sorrise e si liberò dalla presa del biondo che fece per protestare ma lui gli posò un dito sulle labbra. - Un attimino! È una questione di principio, - gli disse, e si allontanò verso l'uscita dimenticandosi dello Jaeger.
Benjamin era poggiato contro un muretto, con una mano nella tasca e l'altra a reggere una sigaretta che aveva appena allontanato dalle labbra per cacciare via il fumo. Ismael lo osservò un istante e pensò che se solo fosse stato un poco più avvicinabile sarebbe stato proprio carino passare un po' di tempo con lui. Con quell'aria da etero convinto. Sì, lui proprio non aveva dubbi a riguardo del fatto che fingesse.
- Mi offri una sigaretta, bellino? - gli chiese con un sorriso, poggiandosi proprio accanto a lui.
- Se te la offro, la smetti di seguirmi? - domandò di rimando Benjamin, allungandogli il pacchetto.
- Forse, - concesse il ragazzo ridendo, pensando che scherzasse, o forse perché ne aveva visti tanti di scorbutici come lui. Gli sorrise e prese una sigaretta, mettendosela tra le labbra per poi sporgersi verso di lui per farsela accendere.
- Pure! - esclamò Benjamin roteando gli occhi, per poi avvicinare l'accendino alla sigaretta di Ismael, per accendergliela.
- E dai, non fare lo stronzetto, - gli intimò Ismael fingendosi minaccioso, ma in realtà sembrava solo un ragazzino irriverente. - Perché fai sempre l'antipatico? È per salvare le apparenze? - chiese. Sembrava farsi serio.
- Oh ma sei fissato, tu, le apparenze, il fingersi etero! Ma che problema hai? - domandò Benjamin facendo un altro tiro alla sigaretta.
- Quindi mi sono sbagliato? -  chiese suonando innocente e genuino. - È che mi sembri proprio il tipico finto etero, e di solito ci prendo! Senza offesa, eh, non ho niente contro gli etero, - specificò, in uno strano paradosso, facendo anellini di fumo.
- Perché non dovrei essere etero? - domandò Benjamin che, in fondo, si era sempre immaginato etero, anzi aveva dato per scontato di esserlo, ma non si era mai davvero interrogato sulla propria sessualità. Una volta era uscito con una ragazza, si erano dati un bacio, gli era piaciuto, lei gli aveva anche fatto una sega, e andava bene così. 
- Non lo so, è che il mio gaydar è impazzito appena ti ho visto! - rise l'altro gesticolando teatralmente con la mano che teneva la sigaretta. - Forse è il mio subconscio che spera vivamente tu sia gay davvero, boh! -
- Quindi ci vuoi provare con me? - domandò Benjamin con curiosità, sollevando un sopracciglio.
- Se mi fai questa faccina scazzata come faccio a dire di no? - rispose Ismael, e gli soffiò il fumo in faccia prima di fare un altro tiro. Benjamin spostò via il fumo smuovendolo con la mano, poi scrollò le spalle.
- Mi dispiace per te, ma non sono interessato, - rispose Benjamin. Fece poi l'ultimo tiro, gettando il mozzicone in un cestino lì vicino.
- Ma non può essere! Il mio gaydar non sbaglia mai! - Ismael si si avvicinò al ragazzo e poggiò il mento sulla sua spalla, guardandolo da vicino. - Scommettiamo? -
- Fa un po' come ti pare... - disse Benji, scrollando le spalle mentre lo guardava di sottecchi. Sbuffò e poi si staccò da lui. - Ora torno a lavorare. Goditi la tua festa. -
Ismael non gli diede il tempo di allontanarsi che lo attirò per la nuca e lo accostò a sé per pressare le proprie labbra contro le sue. Provò una violenta scarica elettrica nel farlo e perciò sgranò gli occhi per un istante, poi sorrise e lo lasciò con uno schiocco.
- Ma che fai? - domandò Benjamin, che sembrava mantenere una certa calma, o meglio, non mutare affatto quel fare scostante di sempre. Scosse la testa, perché non voleva neanche parlare di quel bacio che lui gli aveva rubato e tornò al bancone del bar. Era la prima volta che un ragazzo lo baciava.

Ismael rimase a osservare il ragazzo andare via in silenzio mentre gli ultimi millimetri di sigaretta prima del filtro si fumavano da soli. Anche se Benjamin aveva reagito in quella maniera fredda e indifferente, magari anche un po' schifata, lui sorrise tra sé e sé perché era proprio bello ed era contento di averlo baciato. Spense il mozzicone contro il muretto e lo gettò oltre quest'ultimo. Chissà, forse si era sbagliato davvero.

Tornò in sala e si avvicinò al ragazzo che l'aveva atteso tutta la sera.

 


*
ndA
Spoiler-non spoiler: non sono riuscita a disegnare, ma questo ce lo aspettavamo tutti.  
Nel frattempo, vi ringrazio per aver letto fino a qui e vi ricordo che la storia verrà aggiornata ogni mercoledì su wattpad e ogni giovedì su efp. 
Un abbraccio a tutti <3

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Capitolo 3
*** Il vento mi ha parlato ***


Capitolo 03.
Il vento mi ha parlato



Erano circa le tre del mattino e lo Slains Castle si era ormai svuotato; tutti i ragazzi erano tornati a casa e avevano lasciato poche cose sul pavimento del locale: qualche bicchiere sporco, pezzi di carta, mozziconi di sigarette, un paio di telefonini, dei sottobicchieri e Ismael MacGairbheith.

- Ben, ma lo conosci quello? -
- Mh, sì e no. -
- Sai dove abita? -
- No, papà. -
- Ma è un tuo compagno di scuola! -
- Pa', è un compagno di scuola  e io non lavoro mica per le pagine bianche... -
- Ah, quando andavo a scuola io... -

Il ragazzo roteò gli occhi già annoiato da quello che lui definiva "il pippone": io ero il più popolare, conoscevo tutti, uscivamo sempre dopo la scuola, avevo un sacco di amici... tutte di cui Benji era già a conoscenza e dalle quali si teneva ben alla larga. Così, mentre Arnold ripuliva il pavimento e il signor Lockhart chiudeva la cassa, Benjami si avvicinò a Ismael che tutto sembrava fuorchè lucido. - Ehi, bellino. -

- Oh, meno male, pensavo che mi avrebbero lasciato qua fino all'alba, - borbottò il ragazzo che se ne stava seduto per terra accanto al dancefloor con un bicchiere vuoto in mano e i jeans mezzi slacciati. - La fidanzata di Connor non l'ha presa troppo bene quando è arrivata, - aggiunse un po' a caso, cercando di rimettersi in piedi.  
- Cosa non ha preso bene? E chi è Connor? - domandò Benji mentre cercava di aiutarlo a rimettersi in piedi. Di ubriachi come lui ne aveva visti molti nel corso della sua breve vita, forse troppi per un sedicenne.
- Il tipo biondo che mi aspettava stasera, - rispose lui, poi si lasciò aiutare e gli sorrise. - E non ha preso bene che fosse venuto, appunto, a vedere me. - Ok, era ubriaco, ma un minimo di lucidità gli era rimasta. Forse. - Devo vomitare. -
- Non qui, per favore, - disse Benjamin portandosi un braccio di lui intorno alle spalle mentre cercava di andare verso i bagni. - Ma mi era parso di sentire che Connor stesse con una... come si chiama... Kelly? -
- Vabbè, tutti quelli con cui esco sono fidanzati con ragazze, - rise Ismael e sembrava assumere un colorito verdognolo.
Benji sembrò confuso ma accompagnò il ragazzo in bagno facendo attenzione a reggerlo bene visto che, pur essendo più piccolo, era più alto di lui. - Puoi far sfogare il tuo stomaco, se vuoi. -
- Ma poi non posso sbaciucchiarti più, - obiettò l'altro e si mise in ginocchio davanti al water con l'asse alzata giusto in caso gli fosse venuto davvero l'estremo stimolo.
- Non potresti comunque, perché non sono interessato, - gli spiegò Benjamin, incrociando le braccia mentre lui era seduto lì a terra.
- Il fatto che tu eventualmente non sia gay non mi impedirà di farlo, proprio come prima! - esclamò Ismael con un indice puntato per aria, poi abbracciò la tazza come fosse la sua migliore amica. - Domani smetto. Giuro. -
Benjamin scrollò le spalle, perché anche quella era una scena che aveva visto più volte. Sebbene avesse aperto volentieri una discussione sul consenso, preferì conservare l'argomento per una remota prossima chiacchierata. - Vuoi un caffè? -
- No, resta qui, - gli sorrise il ragazzo, e allungò un braccio per fargli cenno di restare o magari prendergli la mano.
- Ok, resto. - Benji si poggiò con la spalla contro lo stipite della porta e incrociò le braccia. Begli amici che aveva il ragazzo, a lasciarlo lì ubriaco.
Ismael ritirò il braccio, dato che il ragazzo non gli aveva preso la mano, e vi poggiò su la testa dopo averlo incrociato con l'altro sul bordo della tazza come fosse affacciato a un balcone. - Pensavo te ne saresti andato, - commentò, poi sorrise tra sé e sé. 
- Customer service, - rispose l'altro, stringendosi nelle spalle. - Gli ubriachi mollati qui sul dancefloor sono i miei preferiti. -
- Aaaahh, - rispose l'altro, spostandosi i capelli all'indietro e scorciandosi le maniche, scoprendole ricoperte di tatuaggi almeno fino ai gomiti. - Pensavo fosse perché ti ho baciato. E comunque non sono ubriaco. -
- Meglio così, - disse allora Benji, - perché qui stiamo chiudendo. Quando hai finito al bagno sai dov'è la porta, - sancì prima di uscire. Arnold l'aveva appena chiamato.
Ismael lo fissò andare via per l'ennesima volta dopo averlo piantato in quel modo, incredulo, e scosse la testa impercettibilmente. - Che stronzo, - commentò tra sé e sé, e poi trattenne un conato. Cercò disperatamente di reprimerlo ma poi non ce la fece più e vomitò qualcosa come una dozzina di drinks. Evviva.

- È solo un graffio, Arnold, non c'è bisogno di chiamare l'ambulanza! -
- Ma fa malissimissimo, Ben, mi brucia troppo! -
- Va bene, siediti, prendo il disinfettante e un cerotto, ok? - Senza nemmeno aver finito di dirlo, Benji era già seduto di fronte ad Arnold e lo aiutava nel disinfettargli la piccola ferita che si era procurato mentre ripuliva il pavimento. Intanto Ismael aveva smesso, e dopo aver trascorso qualche minuto lì accanto senza riuscire ad alzarsi si era trascinato fino al lavabo e si era sciacquato la bocca e il viso ripetutamente per riprendersi. Giudicò di avere un aspetto orribile, ma non era affatto vero. Uscì dal bagno e tornò in sala barcollando un poco. Vide poco distintamente i lunghi capelli di Benjamin che era di spalle intento a medicare il collega barista. Pensò che avrebbero composto una coppia davvero carina. Poiché il ragazzo gli era parso sempre meno propenso ad avere a che fare con lui, decise di non fermarsi a salutare, dirigendosi invece verso l'uscita.

- Ecco qui, - disse Ben, mettendo un cerotto sopra la ferita, - ora torna pure a sistemare il bancone, finisco io sul dancefloor, va bene? -
- Sì... grazie Ben! -
- Di nulla, figurati. -
Benjamin si voltò verso il ragazzo che stava per lasciare l'edificio e sembrava fissarlo attentamente mentre barcollava. Anche suo padre se ne era accorto, e non passò troppo tempo prima che il signor Lockhart fermasse Ismael. -  Aspetta ragazzino, ti chiamo un taxi! -
- Oh no, non si preoccupi signore, io torno sempre a casa così! - rise Ismael facendo gesto di no con la mano, e intanto tirò fuori un mazzo di chiavi dal giubotto. - Grazie del pensiero e della serata, - aggiunse cordialmente nonostante fosse sotto gli effetti dell'alcol.
- Beh, non dal mio locale, - si impuntò il signor Lockhart, fermandolo. - Mi permetto di insistere. Hai troppo alcool in circolazione e sono sicuro che hai appena vomitato. -
- Perché, si sente fin laggiù? - chiese sconvolto Ismael, alitandosi poi contro il palmo della mano e annusando poi l'aria. - Davvero, non si preoccupi, starò bene. Grazie, però! -
L'uomo dovette arrendersi e allora lo lasciò andare, sospirando. - Fai attenzione però, sei così giovane. -
- Papà, smettila di tirare le cuoia alle persone! -
- Mi trovo d'accordo col suo intransigente figliolo, - rispose Ismael e sorrise verso Benjamin. Com'era bello, gliel'avrebbe detto se solo lui non fosse stato così inscalfibile e gelido nei suoi confronti. - Arrivederci, - salutò e si diresse verso il parcheggio del locale. Vedeva tutto appannato e dovette fermarsi per un poco prima di entrare in auto, che poi era un pick up. Chissà perché aveva un pick up invece di una macchina.
- Lasciamo tutto così e andiamo a casa tutti quanti, - propose il capo sorridendo. - Ci sarà tempo domani per sistemare tutto questo macello, ora è meglio andare a riposare. - 

Furono tutti felici e, dopo qualche minuto, spense poi le luci del locale prima di uscire. Faceva molto freddo, come sempre. Aberdeen era una città costantemente investita dal vento. Benjamin si fermò un attimo. Chiuse gli occhi e allargò i palmi delle mani, come a voler assorbire il potere del vento, il profumo del mare del nord, la tempra del freddo. Quando riaprì gli occhi, erano andati quasi tutti via. Suo padre e Arnold chiacchieravano del più e del meno in fondo alla strada, altri camerieri erano saliti a bordo dell'unico autobus che era passato nella strada deserta e poi c'era un pick up. E proprio al volante di quel pickup Ismael si era addormentato, a braccia incrociate e con le chiavi inserite, troppo stanco e devastato dalla sbornia per mettersi davvero a guidare.

Dopo aver acceso una sigaretta, Benjamin si avvicinò al pick up e si affacciò per vedere dentro. Voleva accertarsi che non si fosse sentito male nessuno, poi realizzò che Ismael sembrava aver perso i sensi. Avvertì una strana sensazione, il vento lo spinse un po' verso l'auto, e allora batté un paio di colpi sul finestrino.
Furono necessari più di due colpi prima che Ismael accusasse il colpo. Si riprese di botto come se gli avessero buttato acqua gelata addosso. - Che... cosa...?! -
- Che ci fai ancora qui? Non ti senti bene? - domandò Benjamin inclinando la testa. Il vento gli smuoveva i capelli lunghi che sembravano danzare una melodia tutta loro. Non diede tempo all'altro di rispondere e aprì lo sportello. - Scendi. Non puoi guidare in queste condizioni. -
Ismael ridacchiò e provò un'espressione ammiccante. - Ti stai preoccupando per me? -
Benjamin scrollò le spalle. Che bisogno c'era di porgli quella domanda? Era chiaro che fosse così. Non riusciva a capire il bisogno costante degli esseri umani nel sentirsi dire cose ovvie e già risapute. - Allora, scendi? -
Ismael sorrise ancora e obbligò il proprio corpo a scendere dall'auto. Si ritrovò di fronte a Benjamin, pericolosamente vicino al suo corpo, e provò la stessa scossa di poco prima. Che cosa voleva dire? - Credevo che quel bacio non ti fosse piaciuto. -
- Non vedo cosa c'entri, Ismael, - obiettò Benjamin. Sembrava essere un ragazzo molto assennato, nonostante tutto. - Mi hai baciato, non mi hai ucciso il gatto. Non meriti di essere lasciato qui alla mercé della morte. Ti chiamo un taxi. -
- Hai un gatto? - domandò Ismael dal nulla. - No, niente taxi. -
- Certo che ho un gatto, - rispose Benjamin, come se fosse una cosa ovvia che uno come lui fosse tipo da gatti. - Allora dirò a mio padre di accompagnarti a casa. -
- No! - obiettò ancora Ismael. 

Il vento si placò. Il centro di Aberdeen era caduto nel silenzio più totale. C'era un'energia strana, Benjamin poteva percepirla. Doveva esserci un motivo per fare tutte quelle scene, non era solo l'alco, né potevano essere soltanto capricci. - Allora vieni a dormire a casa mia. -



*
ndA
Ho ormai già rinunciato all'idea di disegnare (troppe cose per la testa, mannaggia a me), ma sono riuscita a creare qualcosa con picrew. Popolo, vi presento com'è Benjamin nella mia testa! Vogliategli bene. <3


 

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Capitolo 4
*** Eliminare le energie negative ***


Capitolo 04.
Eliminare le energie negative


 

La camera di Benjamin era ancora in work-in-progress. Sembrava essere una stanza che prima aveva un'identità diversa; forse era un salotto oppure uno studio, insomma, sicuro non era una cameretta. Sotto al tetto obliquo c'era un letto king, sfatto ma profumatissimo. Non c'erano comodini, se non un paio di scatoloni pieni che adempivano alla funzione di "lo poggio qui così è più comodo". In un angolo c'era una pila di cartoni infinita: alcuni erano scatoloni di mobili da assemblare, altri parevano essere pieni di oggetti o vestiti da smistare. Di fronte al letto c'era una scrivania spoglia, con su solo una lampada e qualche penna sparsa, circondata da piccole pile di libri alcuni dei quali dall'apparenza antica. E poi c'era una finestra, coperta da tende nere oscuranti, sul cui davanzale vivevano cinque piantine che, sprezzanti del pericolo, cercavano di resistere alle intemperie e rubare un giorno di vita alla morte.
Benjamin aveva davvero un gatto. Era un adorabile felino dal pelo lucido e nero, con un paio di occhi gialli e vispi, che non riusciva a stargli lontano: lo seguiva ovunque, perfino in bagno, e al giovane Lockhart andava bene così. Voleva molto bene al suo gattino e non perdeva occasione per fargli qualche carezzina o assecondare la sua bramosia di potere e dominazione. 

Nel ritrovarsi lì, Ismael fu molto sorpreso. Aveva fatto una doccia lunga, ricevuto un pigiama in prestito e ora era steso su un letto molto comodo in una casa accogliente, sebbene la stanza fosse ancora da completare. Socchiuse gli occhi. Andava molto meglio, dopo aver fatto la doccia: il mal di testa gli era passato, lo stomaco girava molto meno, si sentiva molto più rilassato. Nella camera c'era un buon profumo, sembrava di essere in mezzo alla natura.

Quando Benjamin rientrò in camera erano ormai quasi le cinque del mattino. Fuori era ancora buio, ma a questo ci erano abituati tutti gli scozzesi: durante l'inverno, la luce del sole non era altro che un tiepido ricordo. Benji si accomodò per terra a gambe incrociate. Ismael avvertì dei rumori strani, come di legno e vetro che toccavano il pavimento, e si sporse a guardare. 

- Ti prego, dimmi che non stai per fare un rito satanico. -
- Non sto per fare un rito satanico, - lo rassicurò Lockhart. Il gatto gli si accovacciò sulle gambe e allungò le zampette per stiracchiarsi.
- Come si chiama la bestia? - 
- Anakin. -
- ...Anakin? -
- Sì. -
- Come quello di Star Wars? -
- Sì. Ti spiace restare in silenzio? Devo fare il mio rito non satanico. -

Ismael ammutolì, ma restò lì fermo a guardare. Benjamin aveva acceso una candela con un fiammifero, e con la candela bianca aveva acceso un piccolo bastoncino di legno che rilasciò un profumo caldo con sentori di vaniglia, agrumi e menta. Nel complesso, l'odore del Palo Santo  che iniziava a diffondersi era piacevole e infondeva una sensazione di calma e tranquillità.  Nonostante l'aria fredda che entrava prepotente attraverso la finestra, nella stanza si era creata un'atmosfera di relax totale. Anche il micio aveva chiuso gli occhi, pertanto Ismael si sentì autorizzato a fare lo stesso. Ismael cominciò con avvertire un senso di calma e comfort, una diminuzione della tensione fisica e della pesantezza degli arti e i suoi pensieri più turbolenti gli sfuggirono dalla mente di corsa. Il suo corpo e la sua mente diventano mano a mano più leggeri, distaccandosi dall'ambiente circostante, fino a quando non piombò in un sonno profondo.

 

*

 

Benjamin riaprì gli occhi a mezzogiorno inoltrato e solo perché Anakin, preoccupato, aveva cominciato a miagolargli nelle orecchie. 

- Sono vivo, Anakin, - borbottò Benjamin. Tuttavia aveva ancora molto sonno e non gli andava di alzarsi dal letto. Abbracciò il felino e chiuse nuovamente gli occhi con l'intento di dormire ancora una mezz'oretta. Poi, d'un tratto, sgranò gli occhi e si voltò lentamente a guardare: Ismael stava ancora dormendo, lo teneva stretto e riposava beato. Avevano dormito tutta la notte/mattinata così. Benjamin rimase immobile e cercò di comunicare telepaticamente col gatto come per chiedergli aiuto. Peccato che il felino non se ne preoccupasse affatto e, anzi, aveva cominciato a giocare col suo naso. - Smettila, Anakin, - gli ordinò il ragazzo invano. - Ho detto smettila, mi fai male! Maledetto gatto, - sbuffò e lo spinse fuori dal letto. Anakin miagolò ancora, indispettito. Come osava cacciarlo dal tepore delle coperte? Doveva fargliela pagare, e iniziò a graffiare le coperte e a miagolare più forte.

Ismael sbadigliò. Erano mesi che non dormiva così bene; si sentiva riposato e carico di energie. Stropicciò gli occhi e si voltò a guardare il ragazzo accanto a sé. - Oh, buongiorno. -

- 'giorno, - mormorò Ben. - Non volevo svegliarti, ma questa bestia ha deciso che era ora di alzarsi. -

Ismael scrollò le spalle e poi si sporse per prendere in braccio il gatto. In un primo momento, Anakin sembrò agitarsi, ma poi si arrese dopo le prime carezzine sulla testa. Compiaciuto che gli umani fossero tornati a venerarlo, il gattino concesse al giovane il vanto di poterlo coccolare ancora un po'. 

- Ora che abbiamo dormito insieme, smetterai di fare il finto etero? - chiese Ismael con nonchalance, continuando ad accarezzare il gatto.
- Il mondo non si divide in etero e gay, Ismael. E non vedo perché dormire insieme debba mettere in discussione la mia presunta eterosessualità. -

Ismael non parve convinto da quella risposta, ma decise di non continuare su quella scia. Benjamin era stato gentile, lo aveva ospitato e ora gli stava lasciando l'opportunità di giocare con il suo gatto. Era bello stare lì anche solo ad accarezzare l'animaletto. Il ragazzo fece per dire qualcosa, ma riuscì a malapena ad aprire la bocca prima di essere interrotto dalla voce del signor Lockhart che li chiamava dal piano di sotto.

- Ben! BEEEN! Sei sveglio?! -
- Che c'è, pa'?! -

L'uomo non rispose, ma pochi secondi dopo entrò nella stanza del figlio. - Che disordine, e guarda, fosse l'ultima cosa che faccio, io oggi ti monto quei mobili, ma che figura che facciamo con il tuo amico?! -

- Pa'... hai mai sentito parlare di bussare? -
- Ops, - ridacchiò l'uomo. 
- Non si preoccupi, signor Lockhart, anzi, è stato molto gentile da parte sua ospitarmi, nonostante non debba averle fatto una bella impressione. La ringrazio. -
- Che ragazzo educato, - commentò il genitore. - Comunque, puoi chiamarmi Edgar, "signor Lockhart" fa molto uomo di mezza età. -
- Tu sei un uomo di mezza età, - lo rimproverò il figlio.
- Sei pesante, - l'ammonì il padre. - E io che ero venuto con le migliori intenzioni... -
- Sì, - rispose subito Benjamin. - Ho fame, che cosa hai preparato? - Poi si voltò verso l'altro ragazzo. - Tu hai fame? -

Ismael annuì, sorpreso dall'intuizione del ragazzo. Se fosse stato l'inverso, se Benjamin fosse rimasto a dormire a casa sua, i suoi genitori non sarebbero stati così gentili e ospitali. A pensarci, non aveva ancora visto la madre di Benjamin, ma sperava fosse migliore della propria. Chissà se la signora MacGaibheith si era preoccupata per il figlio, chissà se aveva provato a chiamare, chissà se continuava a pregare per la sua redenzione. Suo padre, poi... meglio non parlarne. Nulla a che vedere con l'accomodante signor Lockhart, che si era anche impegnato nel preparare un brunch. 

 


 

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Capitolo 5
*** Di erbe e altri rimedi ***


Capitolo 05.
Di erbe e altri rimedi



Per qualche motivo non ben definito, Ismael aveva finito con il rimanere a casa Lockhart un'altra sera. Era come se non riuscisse davvero ad andare via, non voleva allontanarsi. La casa era davvero un posto accogliente e lì si sentiva al sicuro, molto più che nell'abitazione in cui era cresciuto. Lui, Benjamin ed Edgar avevano trascorso il pomeriggio a montare i mobili per la stanza di Benji (in realtà, Ismael aveva fatto ben poco: aveva cambiato le canzoni su richiesta, passato gli strumenti, spostato i cartoni fuori dalla stanza) e, quando Edgar era andato via per aprire il locale, i due ragazzi erano rimasti soli con Anakin. Se fosse stato un comune sabato sera, Ismael sarebbe uscito in cerca della prossima festa, avrebbe limonato con qualche altro "finto etero", si sarebbe ubriacato e in qualche modo sarebbe tornato in camera sua dopo una strigliata dai genitori; invece, era rimasto lì a sistemare libri strani su uno scaffale già ricolmo. 

- Avresti dovuto comprare una libreria in più. Tu leggi troppo! -
- Leggere non è mai abbastanza, - sentenziò Benji. Trattenne uno sbadiglio e si sentì improvvisamente stanco, per cui si sedette due secondi ai piedi del letto. Anakin gli si avvicinò per fargli le fusa.
Ismael prese un altro libro dalla scatola, l'ultimo, e diede uno sguardo al titolo prima di riporlo sullo scaffale. - "The Mystic's Tome: A Comprehensive Guide to Magical Herbs and Botanicals". Stai cercando di farti ammettere a Hogwarts? -
- No, - rispose Benji con serietà. In realtà la battuta gli era piaciuta e aveva anche accennato a un sorriso, ma non voleva darlo a vedere. Si stese a metà sul letto e allungò le braccia per stiracchiarsi. Anakin ne approfittò per salirgli addosso e stendersi sulla sua pancia. 
Ismael sfogliò rapidamente il volume e fu sorpreso dal profumo che sprigionò. Dentro c'erano dei fiori secchi, delle erbette essiccate usate come segnalibro, ma anche la carta usata per la stampa... era una carta ruvida che aveva assorbito gli odori che lo avevano attraversato durante gli anni. Avvertì subito la manifattura pregiata e si sentì stupido per averlo preso in giro. Ripose il volume sullo scaffale e si voltò verso il ragazzo. - È un cimelio di famiglia? -
Benjamin annuì.  - Quel libro appartiene alla mia famiglia da generazioni, e mia madre ha ritenuto opportuno che lo portassi con me. - 
- Sembra uno di quei libri d'esoterismo... a me fanno un po' paura, - gli confessò Ismael. Chissà perché sentiva di potergli parlare con tanta confidenza. 
- Perché? -
- Non lo so, - disse Ismael inizialmente. - È che... boh, sai, se ne sentono di tutti i colori, tra sette strane e violente... -
- Uno degli errori più comuni è quello di associare l'esoterismo a qualcosa di negativo. Nell'immaginario collettivo esistono solo i satanisti e i ciarlatani, come quei maghi della TV... il discorso è molto più ampio di così. -
- Tipo? -
- Tipo... - Benjamin si prese qualche attimo per riordinare i pensieri mentre continuava ad accarezzare il micio. - Puoi scegliere in cosa credere e in cosa no. C'è chi crede nell'esistenza di uno o più Dei, chi invece che la dea sia Madre Natura. A me piace credere che la terra abbia un'energia sua, e che la usi e la sprigioni attraverso le piante o i fenomeni atmosferici. Mi piace pensare che ci sia una sorta di connessione tra tutti gli esseri viventi, un qualcosa che non sia solo scienza, e che ogni pianta, ogni gesto, abbia delle proprietà che vadano... che vadano oltre... - Il ragazzo, poi, restò in silenzio. Forse aveva parlato troppo, o aveva detto cose senza senso, o stava spaventando Ismael ancora di più. Perché d'improvviso si preoccupava di spaventarlo? 
Dal canto suo, Ismael aveva ascoltato con aria quasi affascinata. Si era seduto accanto a lui e gli aveva accarezzato i capelli sotto lo sguardo inquisitore del gattino. Chissà se Anakin era geloso del suo amico umano o se si sentiva indispettito perché non era lui a beneficiare di coccole e attenzioni. E comunque, finalmente Benjamin sembrava essere meno ostile nei suoi confronti, il che rendeva Ismael felice. Era bello poterlo guardare così da vicino, accarezzarlo, respirare il suo profumo. - Quindi... studi queste cose? - domandò.
- No, - rispose Benji. - È il mio credo. Sono un wiccan, - sentenziò. Era già pronto a sentirsi piovere addosso una lunga serie di sfottò, a essere deriso, agli sguardi misti di pietà che volevano tradursi con "poverino, che sciocco, sembrava tanto un ragazzo normale". Gli era capitato spesso anche a Inverness, soprattutto da quando sua madre aveva deciso di aprire un piccolo negozio d'occulto.
Ismael, invece, rimase tranquillo e non mutò atteggiamento. Anzi, approfittò di quella calma apparente per poggiare la testa sul suo petto e innescare una guerra di sguardi con Anakin per la dominazione del territorio. - È offensivo chiederti se, quindi, sai fare quelle cose tipo leggere i tarocchi, le rune o i fondi delle tazze di tè? -
Anakin soffiò contro il ragazzo e gli mostrò gli artigli. Era un gattino dispettoso. - Stai buono, tu, - lo rimproverò Benjamin senza cattiveria, anzi, quasi ridendo. Gli fece qualche carezzina sulla testa per calmarlo, anche se poteva avvertire il brusio del suo astio. - No, non è offensivo. Non sono bravo con quelle cose. Mia madre, invece, lo è parecchio! Stava anche provando a insegnarmi, ma poi mi sono trasferito qui. -
- Bene, allora presentami tua madre! - esclamò Ismael. - Dov'è che è? -
- A Inverness. -
- ...a Inverness? - ripeté Ismael, poi ci pensò su un attimo: Benjamin aveva un accento leggermente diverso, non lo aveva mai incontrato prima nemmeno a scuola (e Aberdeen non era proprio una metropoli), i mobili nuovi, gli scatoloni... si sentì scemo per non averci pensato prima. - Ah, ecco perché! Dicevo io, conosco praticamente tutti... era impossibile che tu mi fossi sfuggito, bellino! -  Si schiaffeggiò la fronte in segno di presa coscienza. L'arcano era stato svelato. - Invece abitavi a Inverness, ti nascondevi nelle Highlands! E dimmi, questo mostriciattolo pure abitava con te? - chiese, toccando la fronte del gattino con l'indice. Anakin miagolò e provò ad afferrare il dito del ragazzo.
- Sì. L'ho trovato un anno fa, ha iniziato a seguirmi ovunque... fuori scuola, fuori casa, al negozio di mamma! Alla fine ho pensato che volesse restare con me e l'ho adottato. La veterinaria ha detto che era un cucciolo, che poteva avere al massimo sette-otto mesi... e me lo sono tenuto, - commentò, poi fece finta di attaccare il gatto e intraprese una vera e propria lotta con il felino. Anakin sembrava essere divertito da quelle attenzioni, non smetteva mai di guardarlo. Era davvero un micio fedele.
- Ho sempre sognato di avere un gatto. Mi piacciono moltissimo, - commentò Ismael. Prese Anakin in braccio e lo accarezzò a sua volta.

Benjamin sorrise e poi si alzò in piedi. Stiracchiò le braccia, aprì la finestra e guardò fuori. Erano le nove di sera, ma sembrava notte inoltrata; il buio era fitto e grave, pioveva, faceva freddo. L'aria parve essere troppo opprimente, la testa iniziò a farsi pesante, provò una sensazione di fastidio diffusa senza nemmeno sapere perché. Decise di bruciare qualche foglia di salvia direttamente nel bastoncino e ne diffuse il fumo e il profumo soffiandoci sopra delicatamente con le mani. Si assicurò che l'aroma si propagasse in tutta la stanza, si concentrò sugli angoli dove le energie si accumulavano maggiormente.
Quando la stanza gli parve profumata e l'aria più respirabile, soffiò sul bastoncino per spegnerlo. 
Si sentirono tutti più leggeri.

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Capitolo 6
*** Scontri con la realtà ***


*

!Disclaimer

Questo capitolo contiene scene crude che potrebbero urtare la sensibilità del lettore.


*


Capitolo 06.
Scontri con la realtà




Mentre era sulla via di casa, alla guida del suo pick up, la mente di Ismael volò indietro nel tempo, a qualche anno prima, a quando aveva fatto coming out con sua madre Jezabel. Sapeva che non sarebbe stato facile, ma sperava che lei lo avrebbe amato ugualmente. Tuttavia, quando Ismael aveva trovato il coraggio di dire a sua madre che era gay, la sua reazione non fu quella che si sarebbe aspettato. All'inizio, la donna aveva cercato di dissuaderlo, di negare l'evidenza, e disse cose come "Sei sicuro di non essere confuso?", "Sei sicuro che non sia solo una fase?" e "Forse ti serve un supporto psicologico". Ismael, allora, aveva provato a essere più chiaro e aveva spiegato alla madre che no, non era una fase, e che sì, gli piaceva il cazzo. Non aveva mai visto sua madre tanto arrabbiata come quel giorno. Jezabel aveva iniziato a lamentarsi di come l'omosessualità fosse un peccato e di come andasse contro tutto ciò in cui credeva. A Ismael si spezzò il cuore. Era sempre stato vicino a sua madre e non riusciva a capire perché il suo amore per lui dipendesse dal suo orientamento sessuale. Nei giorni seguenti, lei non faceva altro che guardarlo e piangere. Per amore suo, Ismael si lasciò convincere ad andare in chiesa a parlare con il prete. Quest'ultimo gli sputò addosso la solita manfrina sul peccato, la famiglia tradizionale, l'immoralità, l'uomo e la donna, il sesso solo per procreare... ma niente, Ismael continuava a essere gay, come il chierichetto che lo aveva scopato la settimana prima, come il giovane sagrestano a cui aveva fatto un pompino, come il fidanzato di sua cugina Jenny. Ismael ricordava quell'avvenimento come il punto di rottura nel rapporto con la madre, un vero e proprio momento di non ritorno. Quando rientrarono in casa, anche suo padre fu messo al corrente della sua omosessualità.

Ismael svoltò a destra e tirò un respiro profondo. Era quasi arrivato. Si sentiva agitato, e più la sua mente viaggiava verso il passato, più le mani gli tremavano. In una casa in cui l'amore doveva essere un santuario, si ritrovò intrappolato in un mondo in cui non poteva esprimersi liberamente. Suo padre John era un uomo con forti convinzioni, rigide ideologie e un'omofobia profondamente radicata, esattamente come la moglie. Mentre il mondo fuori dalla loro porta si evolveva lentamente, abbracciando l'amore e l'accettazione, John era ancorato al suo pregiudizio e alla sua ignoranza. La sera del coming out, dopo una discussione particolarmente accesa, Ismael si ritrovò a nascondersi sotto al letto, ricoperto di sangue e lividi. 

Era quella la sorte che lo attendeva una volta tornato, lo sapeva già, poteva avvertirlo nelle viscere. Parcheggiò il pick up appena fuori dal vialetto e si prese due minuti prima di scendere.

Aveva tentato di fuggire, lui. Una notte era scappato, ma lo aveva beccato la polizia. Ismael aveva tentato di spiegare la situazione, ma non aveva aiutato granché. Si era ritrovato i servizi sociali a casa, ogni tanto passavano a controllare, e ogni volta suo padre lo menava come se non ci fosse un domani.  Se i servizi sociali non lo avessero trovato a casa, sarebbe andata anche peggio. Perciò lui restava lì, fino al diploma come stabilito, e sopportava. Subiva gli schiaffi, le cinghiate, le umiliazioni. Ogni colpo era seguito da un "Dio, perdonalo" o "Sei la vergogna della nostra famiglia!". Contava i giorni come una prigionia, ne mancavano centotrentotto.

Quando scese dall'auto, si pentì subito di averlo fatto. Faceva davvero freddo. Raggiunse la porta di casa, faticò a deglutire la saliva e infilò le chiavi nella serratura. Socchiuse gli occhi e si immaginò ancora a casa Lockhart, con Anakin che gli scaldava le cosce e Benjamin che dispensava profumo nella stanza mentre canticchiava. Se si concentrava abbastanza poteva sentire il profumo di incenso, i ronzii soffusi di Anakin che faceva le fusa. Girò le chiavi, mandò giù la saliva ed entrò.

- Finalmente ti sei degnato di tornare, - commentò Jezabel. - Dopo due giorni e senza uno straccio di telefonata, nemmeno un messaggio! -
Ismael avrebbe voluto dirle "venerdì c'era una festa, sono stato male, un amico mi ha portato a casa sua e sono rimasto lì fino a quando non sono stato meglio", ma sapeva che sarebbe stato fiato sprecato. Sua madre non voleva capirlo e né riusciva a compatirlo in alcun modo. A volte, Ismael aveva la sensazione che Jezabel lo volesse morto. 
- Mi senti? - rimbeccò lei. - Non riesco a capire perché stai sempre con quei tuoi amici froci. Ne ho fin sopra i capelli! -
- Mamma, ho diciotto anni, una vita e ho bisogno di un po' di libertà. -
- Libertà? È così che la chiami? Sai cosa penso del tuo stile di vita, Ismael. - 
Come se fosse un copione scritto, Ismael recitò senza particolare tono di vice. - Non devi essere d'accordo con tutto quello che faccio, ma devi accettarmi per quello che sono. -
- Accettarti? Come posso accettare qualcosa che va contro tutto ciò in cui credo? - 
Ismael sbuffò. Avrebbe potuto continuare il solito botta e risposta, ma poi ripensò all'atmosfera in casa Lockhart. Edgar che preparava da mangiare, Benjamin che gli correggeva la ricetta, Anakin che faceva le fusa a tutti... perché lui non poteva vivere in un ambiente così? Perché lui doveva essere spaventato nel tornare a casa, un posto in cui avrebbe dovuto sentirsi sicuro? Strinse forte i pugni. - Siamo nel cazzo di 2023, mamma. Ti affidi a degli scritti che risalgono a più di quattromila anni fa, dove la società era diversa, dove la tolleranza non era contemplata. Potremmo star parlando di quanto è figo Johnny Depp, invece perdiamo il tempo a discutere. Non puoi redimermi. Puoi urlarmi contro quanto vuoi, io sarò sempre gay. -

Avrebbe dovuto prevederlo, avrebbe potuto scostarsi, e invece lo schiaffo della madre lo colpì diritto sulla guancia. Ismael abbassò lo sguardo, deluso, e, senza aggiungere altro, provò a salire le scale per raggiungere la propria camera. Quello che Ismael non aveva tenuto in considerazione, però, era suo padre; dato l'orario, lo aveva immaginato al bar con i suoi amici a bere birra fino a farsi esplodere il fegato e a parlare di sport (o di quanto i veri uomini siano forti e virili, insomma, tutte cose che Ismael reputava tossiche ai fini di una piacevole convivenza), e invece John era a casa e aveva sentito tutto. Udì lo schioccare delle due estremità della cintura di cuoio e l'aria faticò ad arrivargli ai polmoni.
Il suo istinto di sopravvivenza gli fece fare uno scatto verso la porta, ma lui era basso e mingherlino mentre suo padre era alto e robusto, oltre che più atletico di lui, e gli bloccò la via d'uscita.
Ismael deglutì, certo che le prossime ore non sarebbero state facili per lui.

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Capitolo 7
*** Impronta sui tuoi passi ***


Capitolo 07.
Impronta sui tuoi passi



 

Benjamin sedeva a gambe incrociate sul pavimento freddo della sua stanza scarsamente illuminata, circondato dal caldo tremolio delle fiammelle delle candele. Era il suo momento preferito della giornata, quello in cui poteva lasciare andare tutti gli eccessi d'energia negativa e defaticare la sua aura. Si era preparato meticolosamente: l'aroma dell'incenso al legno di sandalo riempiva l'aria, stringeva un cristallo di ametista tra le mani, il cerchio era ben delineato con del sale grosso. Era il suo rituale spirituale serale, l'attimo in cui poteva fuggire dal caos del mondo e trovare la pace interiore.

Benjamin chiuse gli occhi e iniziò a concentrarsi sul suo respiro, il cui ritmo era in perfetta armonia con il tremolio delle candele. Lentamente, avvertì il peso del mondo sollevarsi dalle sue spalle mentre la sua mente cominciava a svuotarsi, consentendo una pura connessione con il mondo. Improvvisamente, senza preavviso, tutte le candele si spensero all'unisono. La stanza era immersa nel buio pesto e il tremolio delle fiamme fu sostituito dell'oscurità. Fu abbastanza per scuotere Benjamin dalla sua pace, e aprì gli occhi di scatto. 

Anakin si ridestò dal sonno e cominciò a guardarsi intorno con circospezione, poi iniziò a miagolare verso la finestra aperta.  Rialzandosi, Benjamin attraversò barcollando la sua camera da letto, alla disperata ricerca di risposte, era tutto in ordine ma le candele erano rimaste scure e fredde. La natura improvvisa dell'avvenimento spaventò Benjamin, lasciandogli un senso d'irrequietezza. Il suo pacifico santuario era stato invaso e non riusciva a scrollarsi di dosso la sensazione che qualcos'altro fosse nella stanza con lui.

- Anakin, vieni qui, - chiamò il ragazzo. Aveva bisogno di sostegno, era spaventato. Anakin non se lo fece ripetere due volte e zampettò fino a raggiungere il corpo del padroncino per fargli le fusa. Benjamin lo accarezzò e cercò di assorbirne un po' il calore. - Secondo te cos'è successo? - chiese, come se il gatto potesse rispondergli per davvero. - Dici che è un segno? C'è qualcosa che non va? -

Il micio si liberò dalla presa e camminò lungo la stanza facendo attenzione a non calpestare il cerchio. Era ben addomesticato oltre che molto intelligente. Si guardò intorno con circospezione, annusò qualche angolo, acciuffò qualche batuffolo di polvere e poi si soffermò su un paio di mutande pulite lasciate penzolare dalla sedia. Miagolò. Benjamin si avvicinò e notò che quelle doveva averle dimenticate Ismael. Appena le sfiorò, una folata di vento gelido entrò dalla finestra costringendo le ante a restare aperte. 

- Ismael? - si chiese. Anakin miagolò ancora e si avvicinò alla porta della cameretta. Benjamin osservò i boxer-briefs in questione, poi la finestra, poi le candele spente. Il gatto miagolò ancora una volta.
 

*


Senza una macchina sua e senza un indirizzo preciso, Benjamin decise di usare la bicicletta per raggiungere casa di Ismael. Anakin, rannicchiato comodamente in un cesto attaccato al manubrio, miagolava e osservava il panorama bagnato di Aberdeen. Mentre percorrevano la strada, la pioggia cominciò a cadere più forte. Benjamin lottò per mantenere ferma la bici, e si sentì furbo per aver indossato un impermeabile lungo e scuro. Anakin, invece, era ben coperto da un k-way. Nonostante il tempo, non riusciva a scrollarsi di dosso l'urgenza di trovare Ismael. Il ragazzo gli aveva più o meno descritto dove abitava ma, quando poco prima gli aveva scritto un messaggio per chiedergli l'indirizzo preciso, Ismael non aveva risposto e a Benji non era rimasto altro che addentrarsi nella città alla ricerca del suo amico e con la guida del micio.

Con qualche difficoltà, Benjamin e il suo gatto riuscirono a notare un pick up dall'aria familiare. Il ragazzo ne era certo, quello era il pick up di Ismael. Parcheggiò la bici vicino al palo della luce, prese in braccio il gatto e si avvicinò al campanello. Il cognome sulla porta diceva MacGairbheith, era nel posto giusto e suonò.

Ad aprire la porta fu un uomo molto alto, robusto e spigoloso. Doveva essere il padre di Ismael. L'uomo lo squadrò da testa a piedi e sollevò un sopracciglio per il look inusuale del ragazzo. Conciato così, Benjamin poteva passare per un vampiro con la passione dell'heavy metal. 

- Chi sei? - domandò l'uomo ostico. 
- Buonasera, - salutò il ragazzo con educazione. Nonostante l'apparenza, era di buone maniere. - Sono Benjamin Lockhart, un amico di Ismael. Per caso lui è in casa? -
Un lampo squarciò il cielo e la pioggia cominciò a farsi più fitta.
L'uomo assottigliò lo sguardo e gli si rivolse con sdegno. - Cos'è, sei uno dei suoi amici froci? Te lo sei scopato anche tu? -
Benjamin non riusciva proprio a capacitarsi di tutto quell'astio e si limitò a scuotere la testa e a tenere fermo Anakin che aveva preso a soffiare contro l'uomo. - Ehm, no, signore, deve esserci un equivoco... -
- Non ce li voglio altri froci in casa mia! - gridò l'uomo. Anakin ricambiò con un miagolio eccessivo e sfoderò gli artigli: nessuno aveva l'autorizzazione di rivolgersi a Benjamin così, quantomeno non in sua presenza. - Metti via quella bestiaccia! -
- È irritato, signor MacGairbheith, ma non le farà del male, - rispose il ragazzo che, tuttavia, accarezzò il cucciolo per calmarlo. Non avrebbe nemmeno avuto senso provare a intavolare un discorso perché, e Benjamin ne era convinto, se anche gli avesse detto che non era gay non lo avrebbe lasciato entrare ugualmente. - Mi spiace, non volevo infastidirla. Dovevo restituire una cosa a Ismael, ma lo farò domani a scuola, - aggiunse e inchinò il capo. - Mi dispiace ancora del disturbo. Le auguro una buona serata, - disse e si voltò verso la bici.
L'uomo chiuse la porta con violenza e non si sprecò nemmeno a salutare.
- Non mi piace, Anakin... avverto un sacco di vibrazioni negative, - gli confessò.  Ismael, come poteva mai vivere in una casa con quel tipo di atmosfera? Con quell'uomo tanto intransigente? - Io... noi, Anakin, io e te, non possiamo lasciarlo qui, - disse. Chissà poi perché se lo era preso tanto a cuore, chissà perché voleva aiutarlo proprio lui che era più piccolo e con meno mezzi a disposizione. Allarmato, abbracciò Anakin. - Che cosa facciamo adesso? Chiamo papà? -

Il gatto miagolò verso l'albero in giardino. Benjamin si voltò e si avvicinò alla pianta: era un albero robusto, solido, ben piantato. Sembrava un po' scivoloso a causa della pioggia, ma tutto sommato sicuro per potersi arrampicare. - Secondo me stiamo facendo una cazzata, - disse al micio, ma poi cominciò a ispezionare l'albero alla ricerca dei punti d'appiglio migliori. La pioggia cominciò a intensificarsi, ma Benjamin si rifiutò di lasciarsi smorzare il morale. Salì più in alto, il suo cuore batteva più forte a ogni passo. Alla fine raggiunse un ramo da cui poteva vedere l'interno di una stanza. Era poco illuminata ma riconobbe la silhouette dell'amico e provò a chiamarlo. - Ismael! - 
Niente. Allora riprovò con voce più alta, ma senza esagerare: non voleva farsi beccare dall'omaccione di poco prima. - Ismael! -
Ancora niente. Non aveva il suo numero e il messaggio di Instagram non era ancora stato letto. - Ismael! - provò di nuovo. Stanco di dover aspettare, e con l'aria di chi pensa "devo sempre fare tutto io!", Anakin sfuggì alla presa di Benjamin e miagolò. Camminò con fare sinuoso lungo il ramo e gnaulò per un paio di minuti buoni prima che qualcosa si muovesse.

Per un attimo, Benjamin pensò di aver disturbato ancora una volta il signore, poi vide Anakin saltare verso la finestra aperta e lo sentì fare le fusa. Aprì gli occhi e vide Ismael. 

- Ismael! -
- Ehi, bellino, - l'apostrofò lui sorpreso. Aveva l'aria stanca, sembrava triste, e si muoveva con estrema lentezza. Parlava con voce bassa e spezzata. - Che ci fate voi due qui? -
Complice l'oscurità, Benjamin non riusciva a vedere bene la faccia dell'amico. - Avevi dimenticato una cosa a casa mia, credevo ti servisse, - spiegò. Che poi era vero, solo che l'urgenza della consegna era dovuto a fattori diversi. - Come stai? -
- Bene, - mentì lui. Avrebbe voluto dire il contrario, avrebbe voluto poter piangere o tornare a casa Lockhart. - Cosa avevo dimenticato? -
Benjamin tirò fuori una bustina ripiegata dalla tasca interna del cappotto e gliela lanciò. - Lo vuoi il mio numero? - gli chiese.
Ismael smise di coccolare il felino solo per il tempo necessario di afferrare il pacchettino. - Ci stai provando con me? - chiese il ragazzo divertito. - Mi pareva di aver capito che non eri gay. -
- Non devo essere gay per preoccuparmi per te. -
- E che non ti piacessero le persone! -
- È così, ma ormai Anakin si è affezionato a te, non posso spezzargli il cuoricino. -
Ismael sorrise e memorizzò felice il numero del ragazzo. Poi Anakin diventò nervoso, rizzò la coda e fissò la porta della camera. - Devo andare, - disse Ismael con urgenza. Suo padre stava per arrivare per il secondo round. Diede un bacino sulla testa al gattino e lo spinse fuori. - Ci vediamo domani a scuola, ok? -
Benjamin annuì preoccupato. - Ehi, Ismael, - lo chiamò. Gli lanciò un piccolo oggetto, un braccialetto fatto con il cristallo di shungite, e gli sorrise mentre tirava via il gatto. - A domani, - salutò. Ismael afferrò il bracciale e lo mise al polso senza farsi troppe domande, gli rivolse un occhiolino e chiuse la finestra. 

Il giovane Lockhart poteva udire delle urla, si sentì impotente. Scese dall'albero e raggiunse la bici in preda all'ansia e alla preoccupazione. Avvolse il gatto in un abbraccio e non si vergognò di lasciare cadere qualche lacrima.


 

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Capitolo 8
*** Mama ***


Capitolo 08.
Mama



- Allora, Lockhart? Mi stai ascoltando?! - Moyra batteva il piede per terra come per attirare l'attenzione di Benji che, pensieroso, riponeva i libri nell'armadietto. 
- Scusa, in realtà no. -
- Ma si può sapere dove hai la testa? Non mi hai nemmeno chiesto scusa per venerdì! Dopo come ti sei comportato... sei stato un cafone! -
- Ma io non ho fatto niente! - obiettò Benjamin. Le persone ad Aberdeen erano ancora più strane. - Mi hai dato buca tu, e sono andato a lavorare con mio padre, non capisco. -
Moyra sbuffò e incrociò le braccia, spazientita. - Guarda che lo so, eh, me lo hanno detto. Aberdeen è una città piccola, in fondo. -
- Cosa ti hanno detto? -
- Che... quello lì... Coso... come si chiama... MacGairbheith è tornato a casa con te! -
- E quindi? È vero, - rispose il ragazzo senza comprendere la gravità della situazione.
Moyra sbuffò e gli poggiò entrambe le mani sulle spalle, scuotendolo un po'.  - Oh, e svegliati! Sei nuovo di questa scuola, non conosci bene come stanno le cose. -
- E come starebbero le cose? -
- MacGairbheith è uno stronzo, - sentenziò la ragazza. - Ha rubato i ragazzi a quasi tutte le mie amiche. Ho sentito che... - abbassò poi la voce, come in un sussurro, - che venerdì, alla festa, ha limonato pure con Connor, il fidanzato di Kelly! -
- Ma scusa, mica è solo colpa sua. Se non volevano limonare con lui bastava dire di no, - obiettò Benjamin. In fondo, non era quello che era successo a lui? -
- Va bene, ok, ma non ci provi con uno che è fidanzato! -
- Che ne sai, magari era innamorato. -
- Di tutti? -
- No? -
- Andiamo, Ben. Sei più sveglio di così, - sbuffò lei. Lo cinse per le spalle e fece esplodere un palloncino con la chewing gum. - Senti, te lo dico perché ti voglio bene: fossi in te, starei alla larga dai guai. E guai, qui, significa Ismael. -

Ismael che, per inciso, non si era fatto vivo. Non gli aveva telefonato, non gli aveva risposto su Instagram, non era andato a scuola per i due giorni successivi. Benjamin aveva pure provato a sbirciare nelle classi dell'ultimo anno, ma di Ismael non c'era stata traccia. Aveva atteso a lungo anche dopo la scuola, ma niente. Così, sconsolato, era andato allo Slains Castle. Suo padre gli aveva preparato un hamburger con delle patatine che Benji mangiava controvoglia seduto al banco. 

- Che c'è? - domandò Arnold. - Sono due giorni che ti porti dietro quella faccia. Sembri preoccupato! -
- Lo sono, - confermò Ben. Intinse una patatina nel ketchup e la mandò giù senza mena. 
- È successo qualcosa a scuola? -
- No... no, niente, è che... - Benjamin sbuffò. - Arnold, posso chiederti una cosa? -
- Certo, tutto quello che vuoi! -
- Se tu avessi, come dire, un'opinione quasi fondata che mio padre mi picchiasse, e io non mi presentassi a scuola per qualche giorno... e non rispondessi ai tuoi messaggi... ecco... cosa faresti? -
Arnold poggiò il canovaccio sulla spalla ed entrambe le mani sul bancone, poi lo guardò fisso negli occhi. - Tuo padre? Ma se non farebbe del male a una mosca... -
- Non è mio padre, è un esempio! Che faresti? -
- Non saprei, - rispose Arnold. - Forse mi sentirei come ti senti tu ora. -
- E? -
- E... niente... cosa potrei farci? Magari troverei una scusa per venirti a trovare, per assicurarmi che tu stia bene. -
- E se non potessi? Cioè... se mio padre ti odiasse e quindi... magari... venendomi a trovare peggioreresti la situazione? -
Arnold ripulì una macchia con il panno. Strofinò forte sul legno verniciato del bancone, quasi come se quel gesto fungesse da carburante per pensare a una risposta seria. Bevve un sorso d'acqua e poi guardò Benjamin con intensità. - Ben, hai sedici anni. Non sei grande abbastanza per risolvere queste situazioni, - rispose Arnold con una maturità che Benjamin non gli avrebbe mai affibbiato. - Perché non ne parli con tuo padre? -

E cosa avrebbe dovuto dirgli? Benjamin sbuffò di nuovo e masticò un'altra patatina. In quel momento gli mancò sua madre. Lei gli avrebbe detto qualche parola misteriosa, un paio di avverbi che gli avrebbero fatto avere un'idea geniale... o gli avrebbe letto i tarocchi e, insieme, avrebbero potuto trovare una soluzione. Ben voleva bene a suo padre, ma lui sarebbe stato più pratico: conoscendolo, si sarebbe presentato a casa di Ismael e lo avrebbe portato a casa loro manco si trattasse di un gatto randagio. Che, forse, per Ismael non sarebbe stato nemmeno male, ma chi erano loro per arrogarsi questo diritto?

Sconfortato, alla fine Benjamin decise di tornare a casa a piedi. Lungo il tragitto fece una telefonata a sua madre. 

- Ehi tesoro, come stai? -
- Ciao ma'! Ti disturbo? -
- Mai, lo sai, la mamma è  sempre qui, - rispose la donna. Skye River, così si chiamava la signora, era decisamente sopra le righe. La donna aveva i capelli lunghi e fluenti e indossava sempre abiti colorati e larghi. Strati di collane e braccialetti di perline le adornavano le braccia e il collo, completando il look bohémien che portava con fierezza. Di natura pacifica e di spirito libero, rimaneva sempre spensierata e gioiosa. - Stai bene? - domandò. 
- Sì ma', tu? -
- Non mi hai chiamato per sapere come va alla tua vecchia, - rispose la donna. Skye stava lavorando con qualcosa perché Benjamin poteva udire rumori di metallo e vetro. - Cosa è successo al tuo amico? -
- ...ma'! Come fai a saperlo?! - domandò Benji. - No, senti, lascia stare, non voglio saperlo. - Il ragazzo sbuffò. Non era mai stato capace di mantenere un segreto con lei, scopriva sempre tutto in anticipo. 
- Una mamma queste cose le sa, - disse Skye. - Ma non ho capito, è un amico o un'amica? -
- Che differenza fa?! -
- Nessuna, tesoro, ero solo curiosa. C'era un motivo per cui era necessario ti trasferissi ad Aberdeen, lo sentivo attraverso la Forza della Natura. Era scritto nelle stelle che tu aiutassi una persona, volevo solo sapere chi fosse il fortunato o la fortunata. -
Benjamin sospirò affranto. - Ma quale aiutare, ma'... chi devo mai aiutare? Sono solo un coglione che nemmeno riesce a farsi degli amici, - si lamentò. 
- Ma cosa dici, amore, non voglio sentire queste cose! - lo rimproverò la donna. Il figlio non era né antipatico né cattivo. Skye sapeva che Benjamin era solo molto timido e che, nonostante la giovane età, fosse stato già discriminato abbastanza. - Che cosa è successo? -
Benjamin si fermò su una panchina e decise di raccontare alla madre tutto l'accaduto, senza omettere alcun dettaglio, alla ricerca di un consiglio.
- ...ma quindi ti piace?! -
- ...mamma, ti ho fatto un discorso enorme e tu stai riducendo tutto a questo?! Che ne so, non lo so, è un maschio, perché dovrebbe piacermi?! -
- Beh, tesoro, la vita è troppo breve per precludersi delle esperienze. Prendi me, prima di conoscere tuo padre... beh, erano gli anni sessanta, però insomma... c'era questa tipa, Lillith, orgasmi come quelli non li ho più provati in vita mia! -
- MAMMA, SMETTILA! - gridò Ben imbarazzato. - Non mi va di sapere le tue prodezze sessuali. Vorrei solo capire cosa mi sta succedendo, - ammise il ragazzo sconfortato. - E anche cosa devo fare. -
Skye rimase in silenzio ad ascoltare il figlio, poi gli si rivolse in tono accondiscendente. - Troverai la via, Benjamin. Guarda nel tuo cuore, - gli disse affettuosa, - farai la cosa giusta. - La donna chiuse la chiamata e poi sospirò. Avrebbe voluto aiutarlo un po' di più, ma in certe cose non poteva interferire, e andò a prepararsi un tè.

Rimasto col telefono a mezz'aria e la connessione interrotta, Benjamin rimuginò sulle parole della madre. "Guarda nel tuo cuore, farai la cosa giusta": che diavolo significava? E da quale serie TV di scarsa categoria l'aveva riciclata? Sbuffò e si diresse verso casa. La cosa giusta... quale sarebbe la cosa giusta? E giusta per chi? Per lui, per Ismael, per Ecate, per Madre Natura? Per chi?
Stanco di quelle domande senza risposta, svoltò l'angolo. 

- Credevo di aver sbagliato posto. -

Un momento. 

- Ismael? -

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Capitolo 9
*** La scossa ***


Capitolo 09.
La scossa



Ismael indossava degli occhiali da sole del tutto superflui e nascondeva la testa sotto al cappuccio della felpa grigia che indossava. Era chiaro che cercasse di passare inosservato. Si martoriava le mani nascoste nella tasca e si mordeva le labbra con fare nervoso. 
Benji sgranò gli occhi, sorpreso. - Ismael! Sei tu? -
Il ragazzo annuì.
- Che cosa è successo? Stai bene? Non hai risposto ai miei messaggi, non mi hai richiamato... Vogliamo salire? - disse quasi d'un fiato Benjamin e aprì la porta d'ingresso, captando l'urgenza del momento. 

Furono subito accolti da Anakin e andarono in cucina. Senza aggiungere altro, Benjamin si lavò le mani e cominciò a sminuzzare delle erbe fresche; recuperò passiflora, tiglio, biancospino e lavanda e preparò una tisana.
Restarono in silenzio fino a quando il bollitore non fischiò, e solo davanti alla tazza fumante Ismael ebbe il coraggio di togliere gli occhiali. Un alone violaceo gli circondava l'occhio sinistro.

- Ismael... - Benjamin abbassò lo sguardo sulla tisana. - Ismael, cosa ti è successo? -
- Sono... sono caduto dalle scale, - mentì lui. Che cosa gli era saltato in mente? Perché era corso a casa Lockhart? Non doveva stare lì, sarebbe dovuto rimanere in ospedale. E poi per quale motivo voleva a tutti costi raggiungere Benji? Non erano nemmeno amici. Ma chi erano i suoi amici? Connor, Ayrton, Phil e tutti gli altri finti etero con cui aveva scopato?
- Non dire bugie, - l'ammonì Benjamin. - Guarda che con me puoi parlare. Io l'ho visto. L'ho sentito, - spiegò. Nel frattempo, il gattino era corso a strofinare la faccia contro il viso di Ismael.
- È stato mio padre, - ammise Ismael in un soffio, come se stesse facendo la confessione più pesante che potesse fare in vita sua. Poi cominciò a piangere senza fare rumore, come era solito fare sotto i colpi infertagli dal genitore. 
Benjamin gli si avvicinò, libero i suoi capelli dal cappuccio e notò i lividi anche sul collo. Sembrava come se qualcuno avesse provato a strangolarlo. Gli mancò l'aria.
- Sto bene, - disse Ismael per rassicurarlo, anche se era lui che voleva essere rassicurato. Era stanco. Aveva bisogno di un posto in cui potersi sentire debole, piangere e riposare. E quel posto arrivò, insieme all'abbraccio di Benjamin.

*

Era quasi ora di cena e Benjamin, forte dell'ultimo libro letto, stava preparando la cena. Adorava cucinare quanto mangiare, e gli piaceva provare sempre nuove ricette. Ismael si sentiva un po' meglio anche se sembrava stare sempre sull'attenti a ogni rumore sospetto. Anakin rimaneva di guardia, pronto per farsi coccolare o per giocare con la sua pallina da tennis preferita. 
La cucina profumava di buono, l'odore di basilico si stava diffondendo nell'aria e lo stomaco di Ismael fece un leggero rumorino. Doveva aver fame. Tutto era tranquillo, almeno fino a quando il cellulare di Benjamin squillò. 
- Puoi rispondere tu? - chiese Lockhart. - Ho le mani sporche! -
Ismael annuì e lesse "Nessie" sul display. - Nessie?! - rise il ragazzo.
- È mia mamma, - rispose Benjamin. - Fidati, ha senso. -
 - Oh-oh, conosciamo la mamma di bellino, - lo prese in giro Ismael, e rispose. - Pronto? -
- BENJAMIN, NON TI DIMENTICARE I PRESERVATIVI, - urlò la donna dall'altro capo del telefono.
- ...preservativi? - 
- Ma cos--- attacca, attacca subito!!! - ordinò Benjamin allarmato. Anakin miagolò per sottolineare l'impellenza della situazione.
Ismael, invece, sembrò divertito. - Perché preservativi?! -
- Perché nella vita non si può mai sapere, - rispose Skye. - Oh, tu sei Ismael, giusto? -
- Mi conosce? -
- Benji mi ha parlato di te, - disse la donna, sollevata nel sapere che fosse al sicuro. Il figlio si era dato tanta pena per lui, quindi ora doveva sentirsi sicuramente meglio. - Senti, Ismael, anche tu, non ti dimenticare i preservativi! Dillo anche a mio figlio! -
Ismael si trattenne dal ridere. - Tua mamma dice di non dimenticarti i preservativi! -
- Attacca immediatamente! - ordinò Benji mentre cercava, disperato, uno straccio con cui pulirsi le mani.
- È diventato rosso come i suoi capelli, vero? - 
- Sì signora, devo dire che è ancora più carino! -
Skye ridacchiò. - Allora vi lascio. Ci vediamo presto, - disse la donna e attaccò nell'esatto momento in cui Benjamin riuscì a recuperare il telefono. "È ancora più carino!", aveva detto Ismael. Perché improvvisamente sentiva qualcosa nello stomaco?
- Troppo tardi, - commentò Ismael con aria sornione. - Simpatica tua mamma. -
- Parla a vanvera, non ascoltarla! - Benjamin, ancora rosso in volto, stava pensando a un modo in cui recuperare dalla figura pessima che sua madre gli aveva fatto fare. Chissà a cosa pensava Ismael, chissà che idea si era fatto, mannaggia a quella lingua lunga, come poteva recuperare e dirgli che no, non aveva parlato con sua madre di sesso né  tanto meno di sesso con Ismael? - La chiamo Nessie perché... -

Ma Benjamin non fece in tempo a completare la frase che si ritrovò le labbra di Ismael attaccate alle proprie. Era la seconda volta che lo baciava a tradimento. Il profumo del pesto appena preparato aleggiava nell'aria mescolandosi con il profumo delle spezie per il tè. La mano di Ismael si allungò, le sue dita sfiorarono leggermente il dorso della mano di Benjamin, inviandogli una scossa elettrica lungo il braccio. Il respiro di Benji sembrò fermarsi qualche attimo, il cuore gli martellava nel petto e la sua mente gli mandava dei messaggi contrastanti. Gli piaceva baciare Ismael, aveva delle belle labbra morbide; al contempo, non sapeva se fosse il momento giusto per un bacio. Eppure, quando le loro labbra si incontrarono, in un bacio quasi cauto, il mondo sembrò svanire; le loro bocche si fondevano insieme in una conversazione silenziosa che prometteva molto di più, una promessa, un suggello.
Quando si staccarono, le loro fronti si toccarono, i loro respiri entrarono in sincronia. La mano di Ismael scivolò dalla vita di Benjamin alla sua schiena, stringendolo in un tenero abbraccio. Rimasero così per un momento, senza sapere cosa dire, fino a quando non udirono un rumore provenire dall'ingresso.

- Benji, sono a casa! - gridò Edgar. Poi gli suonò il cellulare e rispose. - Ah, Skye! Ciao! Sì, sono a casa... come... scusa... ma in che senso? Che c'entra Lillith?! Skye, per l'amor di Dio, puoi non parlare per enigmi? -
- Papà! - urlò Benjamin, staccandosi subito da Ismael. Non voleva mettere in imbarazzo Ismael, ma nemmeno dare modo di far pensare a suo padre che approfittava dello stare solo a casa per poter limonare con qualcuno. Oh Ecate, aveva baciato Ismael. Non era la prima volta, ma questa volta lo aveva voluto anche lui. Che cosa gli stava succedendo? Era gay per davvero? Forse sua madre aveva ragione, gli piaceva Ismael?

D'altro canto, Ismael rimase in silenzio. Benjamin si era staccato subito e rapidamente, il che lo fece sentire come se avesse fatto qualcosa di sbagliato. Non avrebbe dovuto baciarlo o insistere con lui sulla questione della sessualità; Ben era etero, doveva accettarlo. Ma quel bacio... portò le mani a sfiorarsi le labbra, rivivendo quel bacio appena trascorso. Possibile che la scossa l'avesse avvertita soltanto lui? Cos'era stato per Benji? Forse gli aveva solo fatto pena?

- ...ma che dici? No, davvero? Senti, non tirare nuovamente in ballo Lillith che lo sai che... ah! E vabbè, ma che mi... ha sedici anni! - obiettò Edgar. - Skye... Skye... sì ma... Skye, basta! - rise l'uomo. - Sì, non ti preoccupare. Sì, sì. Illibato fino al matrimonio, - rise ancora Edgar. - A dopo, scema! - la salutò affettuosamente e mise giù. Tolse le scarpe e si avviò verso la cucina.
- Ehi, scusa Ben, tua madre è veramente folle! Si è convinta che tu abbia una cotta per... Ismael? -

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Capitolo 10
*** Colpi ***


Capitolo 10.
Colpi



Seduti a tavola, i tre stavano gustando la cena preparata da Benjamin. Edgar ripensava alla telefonata della moglie, che doveva essere tremendamente perspicace per capire tutto quello solo attraverso una conversazione telefonica. Sorrise debolmente e cercò di non mettere a disagio i due. Probabilmente erano ancora confusi e di certo non si aspettavano di essere interrotti, qualunque cosa stessero facendo. 
- Cos'hai all'occhio, Ismael? - chiese l'uomo preoccupato.
- Oh, ehm, niente, io... sono caduto dalle scale, - rispose il ragazzo.
Edgar sollevò un sopracciglio. - Perché sembra una di quelle scuse dietro le quali le donne nascondevano le violenze dei mariti negli anni cinquanta? -
- Papà, lascialo stare, - lo rimproverò Benjamin. 
Edgar alzò le mani in segno di resa, poi si rivolse al figlio. - Com'è andata a scuola? -
- Normale, - rispose Benjamin. - Non mi ha preso a pugni nessuno, se era questa la domanda nascosta. -
L'uomo trattenne una risata e scosse la testa. - Meglio così. E a te, Ismael? Com'è andata a scuola? -
- Non ci sono andato, - ammise il ragazzo e abbassò lo sguardo. 
- Dolce? Qualcuno vuole il dolce? - propose Benji nel vano tentativo di smorzare l'atmosfera pesante che si era venuta a creare. O, forse, era solo lui ad avvertirne la cappa.
- E quando lo avresti preparato? - domandò Ismael incuriosito. Era stato con lui tutto il pomeriggio e non lo aveva visto alle prese con un dessert. 
- C'è il gelato, - ammise il ragazzo.
- Io passo, in realtà sono molto stanco e andrei a dormire. Ismael, tu resti da noi? - chiese Edgar sollevandolo dall'imbarazzo.

Ismael deglutì e guardò Benjamin come a chiedere la sua approvazione. Il giovane Lockhart sorrise incoraggiante: era una scelta sua, anche se a lui avrebbe fatto piacere se fosse rimasto. Non gli era piaciuto provare tutta quella dose di negatività e paura nei giorni precedenti, e poi anche Anakin avrebbe volentieri evitato una passeggiata notturna sotto la pioggia per raggiungere casa MacGairbheith. 

- Posso? - domandò Ismael insicuro.

Edgar annuì poi ripensò ancora una volta alla telefonata con la moglie: aveva sempre ragione.

*

Ismael era seduto a gambe incrociate sul letto di Benjamin e giocava con Anakin. Il micio doveva volergli davvero bene, non gli si era mai allontanato da quando era salito a casa Lockhart. Ismael gli lanciava una pallina, Anakin ci faceva la lotta e poi gliela riportava con fierezza, pretendendo anche un premio in coccole. Era un gattino furbo, ma a Ismael piaceva tanto.
Benjamin era intento in uno dei riti di purificazione ambientale, stavolta doveva aver usato dei cristalli al mentolo; il profumo era più pungente ma anche più fresco. Ismael si sentiva sempre rilassato e tranquillo in camera del ragazzo. Magari quello non era un rito, era un incantesimo.
Quando Benjamin ebbe finito, ripose tutto meticolosamente e andò a sedersi accanto all'amico. Anakin stese una zampina per attirare la sua attenzione, Benji gli fece qualche carezzina sulla testa.
- Mi dispiace, - disse Ismael a bassa voce, senza scostare lo sguardo dal gattino. 
- Per cosa? -
- Per prima... per... per averti baciato. - Ismael deglutì e accarezzò la testa del micio. - Non lo farò più, te lo prometto. -
- Ma cosa... - Benjamin sbuffò sentendosi stupido. Avvertiva una lunga serie di emozioni che lo facevano sentire confuso e impacciato, non sapeva cosa fare né cosa pensare. - È per mia mamma? Lei è un po' strana ma... -
- No, non è per tua mamma, anzi, lei mi ha fatto ridere! -
- Per mio padre? Insomma, lui fa il burbero, ma è solo che si preoccupa molto! A lui piacciono le persone e... -
- Nemmeno per tuo padre, bellino. I tuoi genitori sono fantastici. -
- ...è per Anakin? Il mio gattino ti incute timore? -
- Ammetterò che è molto geloso e possessivo, e forse un po' mi spaventa, ma no, - ridacchiò Ismael soffiando via un ciuffo di capelli. - Ma no, non è... - Ismael sospirò.  - Io lo so che tu non sei gay, Benjamin, e non posso continuare a baciarti e... e non piacerti... è solo che a me piaci, e non voglio spaventarti o allontanarti. -
- A me non piacciono le persone, - chiarì Benjamin, - e non credo di essere gay, ma... ma tu mi piaci, - ammise il ragazzo. Arrossì.  - Sono solo un po' confuso perché non capisco, perché non me lo aspettavo... -
- Scusa, puoi ripetere? - domandò Ismael stranito. - Credo di non aver capito. -
Benjamin batté gli occhi e poi scrollò le spalle. Fece come a voler dire qualcosa, ma sapeva di non potersi esprimere meglio di quanto appena fatto; allora si sporse un po' e si avvicinò a Ismael. Gli prese le mani e le intrecciò con le proprie, gli sorrise e si allungò per strappargli un altro bacio.

Anakin miagolò in cerca di attenzioni, ma si rese anche conto che non ne avrebbe avute per un po'. Indispettito, provò a graffiare i due alternativamente, senza però metterci troppo impegno poiché non voleva far loro del male. Quando capì che la situazione sarebbe andata per le lunghe, scese dal letto con un saltello e si avvicinò alla porta. Sarebbe uscito volentieri se la porta non fosse chiusa, ma udì un rumore impercettibile e tornò dai due con un miagolio più urgente.
- Sì, sì Anakin, aspetta, - borbottò Ismael.
Anakin miagolò forte e diede una testata nel fianco di Benjamin. Quest'ultimo, a malincuore, si staccò.  - Anakin, smettila di fare il geloso! -
Se il micio avesse potuto parlare gli avrebbe dato dell'idiota, questo era un dato di fatto. Anakin tornò alla porta e miagolò contrito. Benjamin si avvicinò e, pensando volesse uscire, aprì la porta.
- ...pa'? - Benji batté gli occhi. - Stavi origliando? -
- Skye, ti richiamo, abbiamo un piccolo prob... -
- MAMMA! - gridò Benji, strappando il telefono dalle mani del genitore. - Ma che cosa ti salta in mente?! -
- Tesoro, ero preoccupata! -
- No, sei... anzi, siete, tutti e due, solo degli impiccioni! -
- Ma... -
- Tu smettila di intrometterti nelle mie cose, - disse Benji alla madre, poi si rivolse al padre. - E tu... non eri stanco? Non dovevi andare a dormire?! -
- Non parlare così a tuo padre, sai! Volevamo solo capire cosa stava succedendo, - obiettò la donna. - Hai sedici anni, è un nostro diritto! -
Benjamin roteò gli occhi, seccato. - Mamma, te lo ripeto: fatti i fattacci tuoi! -
- Non parlare così a tua madre! - lo rimproverò il padre. Incredibile come fossero sempre pronti a proteggersi l'un l'altro. - Volevo solo sincerarmi che fosse tutto ok. Ismael mi sembrava un po' triste. -
- No, no che non è tutto ok, - rispose Benjamin, - ma ognuno condivide quello che preferisce, e io non voglio rendere pubbliche queste cose adesso! -
- Va bene, lo capisco, - disse Edgar. - È solo che... dopo quello che è successo a Inverness, insomma... è normale che siamo preoccupati. -
- Ecco... preoccupatevi un po' di meno, - li ammonì Benjamin e restituì il cellulare al padre. - Buonanotte! - disse, come a chiudere il discorso. Poi chiamò il gatto che lo seguì in camera, e chiuse la porta.
- Cosa è successo a Inverness? - domandò Ismael che doveva aver sentito tutto.

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Capitolo 11
*** Quello che è successo ***


Capitolo 11.
Quello che è successo



Benjamin si tuffò sul letto e affondò il viso nel cuscino, affranto. - Ero in una scuola di stronzi. -
- Esiste una scuola che non lo sia? -
- Non l'ho raccontato a nessuno, - disse Benji. Sospirò, senza sapere se fosse giusto o meno parlargliene. Poi rimuginò sul fatto che gli amici sono fatti per raccontarsi le cose, e che se Ismael si era fidato di lui a tal punto da presentarsi a casa sua, forse lui poteva ricambiare e raccontargli di Inverness. - L'anno scorso è stato un anno complicato. A scuola avevano cominciato a girare voci sul mio essere wiccan... che, insomma, non c'è niente di male, ma la gente credeva che io sacrificassi le capre a Satana o giù di lì. Avevano cominciato a dirne di ogni, dai miei capelli, che erano sicuramente opera del diavolo, al mio modo di vestire o di comportarmi. A me non interessava granché, avevo i miei amici e uscivo con Joyce. Joyce mi piaceva tanto! Eravamo sempre insieme, lei era simpatica, spigliata e anche molto creativa. Mi piaceva stare con lei. Solo che, un giorno, lei ha deciso di compiere un gesto che ancora oggi non riesco a capire. Ha fatto un salto giù dal tetto della scuola. -
Ismael trasalì.
- Lei sta bene, ora, insomma, se l'era cavata con ossa rotte e aveva cominciato una terapia psicologica, ma... avevano iniziato a dire che fossi stato io a convincerla a buttarsi, che avevo fatto qualche incantesimo e le avevo annebbiato la forza di volontà... improvvisamente sono diventato un mostro, tanto da spingere la direttrice scolastica a convocare mia madre. Mamma è stata parecchio ottimista nell'aspettarsi delle scuse, quando l'intero colloquio era solo un invito a farmi cambiare scuola. -
- Per questo non ti piacciono le persone? - domandò Ismael. Nel frattempo, gli accarezzava i capelli morbidi e setosi.
Benjamin annuì senza schiodare la testa dal cuscino. - Ed è per questo che mi sono trasferito ad Aberdeen. Mi piaceva Inverness, - ammise. - E mi manca molto. -
I due non si conoscevano davvero bene, ma una delle cose che Ismael aveva apprezzato subito di Benjamin era la sua capacità di non nascondere le emozioni. Lui non si vergognava né di mostrarsi debole né di mandare a quel paese la gente. Come faceva un ragazzo di sedici anni a essere così tanto equilibrato? Ismael strinse le spalle, poi abbracciò l'amico. Gli si accovacciò addosso sotto lo sguardo minaccioso di Anakin.
- Sono scappato dall'ospedale, - disse Ismael. Lo ammise in un sospiro, a voce bassa.
- Dall'ospedale? -
Ismael annuì. - Mia madre si vergogna di me, mio padre mi odia. E non lo dico tanto per dire... lui non riesce a convivere col fatto di avere un figlio gay. Da quando lo ha scoperto lui... - il ragazzo sospirò e, un pochino a malincuore, si scostò da Benjamin e si mise in ginocchio sul letto. Tolse la maglietta e abbassò lo sguardo.
Benjamin si voltò a guardarlo e poi sgranò gli occhi. La pelle olivastra dell'amico era martoriata da segni e lividi, alcuni dei quali sembravano essere profondi e quasi diventati indelebili. E lui vedeva solo quelli sulla schiena, sui fianchi, sul petto... Il giovane Lockhart strinse i pugni, arrabbiato e triste allo stesso momento. 
- Sono due anni che vivo così, - disse Ismael rimettendosi la maglietta. Anakin gli si avvicinò e decise di allietargli lo spirito con qualche fusa. Ismael, ancora in ginocchio sul letto, ne approfittò per coccolarlo. - Non ce la faccio più. -
- So che è una domanda stupida... ma non hai pensato di... -
- Denunciarlo? Certo, l'ho fatto. Si sono messi in mezzo gli assistenti sociali, ma le cose sono peggiorate. Quando vengono loro lui si mostra il padre migliore del mondo, e appena vanno via... per me è un inferno. E se solo provo a ribellarmi, è anche peggio. -
Benjamin trattenne il fiato per non scoppiare, poi lo rilascio' in un sospiro. - Ho peggiorato le cose, vero? Quando sono venuto da te la volta scorsa... -
Ismael continuò ad accarezzare Anakin che apprezzava tantissimo tutte le attenzioni del ragazzo. - No, - mentì Ismael. - È solo che mio padre, lui... ci è andato giù pesante. Mia madre mi ha portato in ospedale il giorno dopo, mentre lui era a lavoro... non riuscivo a respirare. Poi sono scappato. E ora sono qui. -
- Ma tua mamma non dice niente? -
- Lei è tanto omofoba quanto mio padre, le faccio schifo, ma è molto più umana. - Ismael si accasciò sul letto e il micio gli si poggiò sulla pancia con l'intento di addormentarsi.
Benji non sapeva cosa dire. Era impensabile che nel duemilaventitré ci fossero ancora situazioni come quelle e si sentì fortunato, perché lui almeno poteva contare sui suoi genitori (per quanto sgangherati e fuori di testa). Lo abbracciò in silenzio, pensando a qualche soluzione che non gli venne in mente. 
- Scusami, - disse Ismael. - Non volevo farti sentire giù... -
- Non devi scusarti, sto pensando a una soluzione, ma... -
- Non spetta a te risolvere i miei casini, bellino, - lo rimproverò Ismael. - Non ti ho raccontato questo perché volevo aiuto. L'ho fatto per... - Per quale motivo lo aveva fatto, allora? Perché gli aveva spiegato tutto quello che gli era successo? Che cosa voleva da quel povero ragazzo coi capelli rossi che gli piaceva tanto? Fece un gesto con la mano come a dire di lasciar perdere e si portò un cuscino sulla testa come a voler soffocare i pensieri.
Anakin miagolò e andò a consolare Benji, perché il felino sapeva che il suo umano aveva bisogno di conforto. Benjamin gli accarezzò la testa e arricciò le labbra pensieroso. - Puoi restare qui quanto ti pare, - disse, infine.
- E tuo padre? -
- Mio padre sarà sicuramente d'accordo. -
Appena Benjamin finì la frase, suo padre bussò alla porta. - Posso? -
Benjamin si mise a sedere e lo invitò a entrare, mentre Anakin si accomodava sulle sue cosce.
- Allora, domanda uno, che ci fate ancora svegli visto che domani avete scuola? - Poi, senza attendere risposta, proseguì verso Ismael. - Non so cosa sia successo, ma io e mia moglie siamo d'accordo: puoi restare qui fin quando ti va, fin quando ne hai bisogno. Ma domani lei verrà ad Aberdeen, e farà tante, troppe, domande. Skye non si ferma di fronte a nulla. Non le sfugge mai niente. -
- Confermo, - aggiunse Benjamin. - Ma perché viene qui? Non ha da fare al negozio? -
- Ha detto, e ti cito le sue testuali parole, che sei qui solo da un paio di mesi e già hai dimenticato tutto, deve ricordarti le cose che ti ha insegnato e vedere quanto è carino Ismael. Insomma, io vi ho avvisati, - concluse Edgar.
Ismael rise, apparve anche più sereno nonostante tutto. Non gli era ben chiara la relazione tra i genitori di Benjamin, ma era evidente che gli volessero davvero bene e che fossero preoccupati per il figlio. Forse credevano che lui, come Joyce, lo avrebbe messo in difficoltà... ma no, non lo avrebbe mai fatto. Sorrise, poi, rivolgendosi all'uomo. - Grazie. Ora mi sento sotto pressione, ma cercherò di usare tutto il mio fascino per conquistare Skye. -

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Capitolo 12
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Capitolo 12.
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Non volendo scomodare Edgar, Benjamin e Ismael avevano deciso di andare a scuola a piedi. L'istituto non era lontano da casa Lockhart e, fortunatamente, non pioveva così forte da arrestare due scozzesi. Senza neanche rendersene conto, i due camminavano mano nella mano e chiacchieravano con naturalezza.
- Ok, ok, - rise Ismael. - Altre cose che devo sapere su tua mamma? Tipo, che so, le piacciono i tatuaggi? O li devo coprire? -
- Non devi coprire proprio niente, Ismael! Lei adora le persone, le piace conoscerle per quello che sono. Chi la capisce, - disse Benji.
Circa dieci minuti dopo, si trovarono fuori al cancello della scuola e si fermarono qualche secondo. Ismael aveva le mani sudate e si guardava intorno con fare circospetto. Non riusciva a staccare la mano da quella dell'amico.
- A cosa pensi? - 
- Se i miei sono qui? Se venissero a cercarmi qui? Se avessero, che so, chiamato la polizia e... -
- Se dovessero presentarsi qui, penseremo a un modo. -
Ismael annuì. Non sapeva se i suoi genitori si preoccupassero per lui a tal punto da cercarlo a scuola, ma di certo non poteva continuare a saltare le lezioni. Entrarono, poi Ismael subito gli liberò la mano. - Ah, scusa, non mi ero accorto di... - lasciò cadere la frase, ma sottintendeva "di tenertela ancora".
Benjamin lo guardò perplesso. - E quindi? -
- Siamo a scuola, no? Cioè poi magari ci vedono... -
- Ed è un problema per te? -
- No, - rispose Ismael stranito a sua volta. - Ma lo è per te. -
- No. -
- Come no? Camminare... cioè... mano nella mano... davanti a tutti... è un po' too much, no? -

La verità era che Ismael sapeva di doversi contenere in pubblico. Gli era capitato di uscire con molti ragazzi, tutti diversi, ma ognuno aveva in comune il non volersi farsi vedere insieme in pubblico. Inizialmente, Ismael aveva pensato che fosse per imbarazzo o per evitare un coming out traumatico, ma alla fine aveva capito che i motivi erano molto meno nobili. Si era adattato a questa soluzione e quindi aveva smesso di mostrarsi apertamente perché, in fondo, a lui interessava scopare e quello lo faceva lo stesso.
Ma con Benji era diverso. Non era stato in grado di capire perché, ma gli voleva bene davvero. E non era per l'ospitalità, né perché se ne era preso cura, né per l'aria buona e profumata che respirava, né per Anakin. Era proprio Benjamin.

- Hai paura che Anakin ti graffi? -
- Beh, un po' sì, - ammise Ismael, - ma non è qui, vero? O te lo sei portato nello zaino? -
- No, è a casa! -
- Allora no, non è per Anakin... è per te! -
- Hai paura che ti graffi io? -
- No, - rise di nuovo Ismael. Adorava l'espressione quasi da manga che Benjamin metteva su quando era interdetto. - Nel senso che magari ti può mettere in imbarazzo. La gente può iniziare a dire che sei gay... e tu non sei gay... no? -
- Senti, - esordì Benjamin scrollando le spalle. - Io... a me piaci tu, a prescindere dal tuo genere. Mi piaceresti anche se fossi una ragazza, una persona non binaria o una persona transgender. Mi piaceresti comunque. Quindi se non vuoi darmi la mano perché la gente può incastrarmi in qualche etichetta arcobaleno, sappi che non me ne frega proprio un cazzo, - ammise il ragazzo.  - Se imbarazza te, il discorso è diverso. -
- Non mi imbarazza, - dichiarò Ismael. - È solo che magari può darti fastidio, no? Magari vogliono incastrarti in qualche etichetta che non ti appartiene o boh... -
- Sempre meglio di una caccia alle streghe, - disse Benjamin. Poi ridacchiò, perché lui lo trovava divertente. - Va beh, comunque, fai come preferisci. Io inizio a entrare altrimenti faccio tardi, - gli comunicò e si avviò. 
- Aspettami! - lo richiamò Ismael raggiungendolo di corsa, poi gli prese la mano e continuò a  camminare insieme a lui verso l'interno della scuola.
- Ehi, Ben! - salutò Arnold, venendo subito ricambiato dall'amico. - MacGairbheith, buongiorno! Non ti ho visto in classe, tutto ok? -
- Tutto ok, - rispose Ismael sorridendo, col cuore che gli batteva forte. - Mi sono perso qualcosa di importante? -
- Nah, soliti monologhi della Flowers sulla nullafacentezza della nostra generazione predestinata all'ignoranza buia, cit. -
- Quanto mi sta antipatica la Flowers, - commentò Benjamin. Non accennava a lasciare la mano dell'altro ragazzo e si comportava con naturalezza estrema.
- Sapessi a me, mi ha messo F- due volte e solo per un piccolo errore di battitura, - sbuffò Arnold. - Comunque, Ben, domani ci vieni allo Slains o mi lasci da solo nel weekend? -
- Verrò sabato, - disse Benjamin. - Se sopravvivo a mia mamma. -
- No, - disse Arnold sgranando gli occhi. - Viene Skye? Davvero? Ma allora io passo a casa tua! -
Benjamin roteò gli occhi e non notò lo sguardo quasi ingelosito di Ismael. 

- È una tragedia! - gridò Moyra dal fondo del corridoio. Corse fino a raggiungere il gruppetto, tanto da avere l'affanno. - Una tragedia! -
- Cosa? -
Moyra si ritrovò di fronte a Benji e non poté fare a meno di notare le mani di lui intrecciate con quelle di Ismael. Storse il naso, ma cercò di ignorare la questione almeno per il momento. - La Flowers sta preparando l'aula per un test e io non ho aperto libro! -
- E tu questa la chiami tragedia? - chiese Ismael sollevando un sopracciglio. Già indispettito per la confidenza tra Arnold e Benji, aveva notato la guardataccia della ragazza.
- Io non ho voti inferiori alla A, non me lo posso permettere! - Moyra scosse Benjamin e poi gli si avvinghiò al braccio libero. - Che cosa facciamo? -
Solo in quel momento, Benjamin ebbe la percezione di quello che gli stava succedendo, allora sospirò. - Penso che mi prenderò una bella C, giusto per avere una valutazione scolastica più variopinta. -
- Cosa state studiando? - domandò Arnold a Moyra. - La Flowers fa gli stessi test ogni anno. Potrei esservi d'aiuto! -
- Oh, sì, ti prego, - disse Moyra liberando Benji e avvicinandosi all'altro ragazzo. - Che se mi affido a Lockhart va a finire che mi bocciano! -
Benji roteò gli occhi ancora una volta, poi, insieme agli altri, riprese a camminare verso le aule. Lui e Ismael, ancora mano nella mano, si trovavano a un paio di passi di distanza da Moyra e Arnold. 

- Quindi... Arnold conosce tua mamma? - domandò Ismael indispettito.
Benji faticò a trattenere una risata e annuì. 
- Fammi capire, lui conosce tua mamma! -
Benjamin annuì ancora, in silenzio. 
- Cos'è, il tuo modo di sedurre? Ci porti tutti a casa tua e ci fai conoscere tua mamma? -
- Noto un lieve sentore di fastidio nel tuo tono! -
- Lieve?! Lieve? È palese che tra te e Arnold ci sia qualcosa, l'avevo notato anche alla festa delle matricole, allo Slains. E poi, vabbè, la principessina ti mangia con gli occhi! -
- Non mi mangia con gli occhi! -
- Sì, invece! Ma quello che mi perplime di più è... perché Arnold conosce tua mamma? State insieme? Cioè, vorrei saperlo! -
- Sai qual è il cognome di Arnold? -
- No, - ammise Ismael. Sebbene fossero compagni di classe, non gli era mai capitato di approfondire la conoscenza.
- Ora è chiaro! - obiettò Benji. - Lui si chiama Arnold River. Come mia mamma. -
- ...nel senso che è un tuo fratellastro? -
- No, - rise Benjamin. - È mio cugino! -
- ...ah, - disse soltanto Ismael sentendosi uno stupido. Perché si era ingelosito tanto? E, soprattutto, con quale diritto? Solo perché Benji era stato gentile con lui, o perché non si vergognava di camminare insieme, o ancora perché avevano dormito insieme, non significava mica che era il suo ragazzo. - Scusa. -
Benji ridacchiò ancora. Era davvero carino quando rideva, gli si illuminava tutto il viso. - Mi ricordavi un po' Anakin, bellino. - 

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