Piume di Cenere

di Emma Speranza
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 - La casa sul mare ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 - Il giuramento ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Di vasi e famiglie spezzate ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Burattini ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - La lettera ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Il Censimento per i Nati Babbani ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Sangue nell'oscurità ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Promesse ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Il ritorno degli eroi ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Pandizenzero ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Il male del silenzio ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - La bambina dai capelli rossi ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Paul Kenston ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Il giovane mago e il suo Patronus ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - Il sottoscala ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - Mostri ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - La famiglia de Montfort ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - Cuor di Panna ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - Vortici e tempeste ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 - La sconfitta dei pedoni ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 - La torretta ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 - Tutti i motivi per restare ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 - La stella di Ecate ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 - Per tutta l'eternità ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 - La promessa ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 - Menzogne e verità ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 - Il Luna Park ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 - La via del mare ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 - Eimhir Morrison ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 - Il debito ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 - Di fenici e memorie ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 - Eileen Moore ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 - La spiaggia delle speranze infrante ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 - Piume di Cenere ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 - La Battaglia di Hogwarts ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 - L'alba ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 - Il prezzo della vittoria ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 - La pace degli illusi ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 - La solitudine dei sopravvissuti ***
Capitolo 40: *** Sei anni dopo ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 - La casa sul mare ***





Prima Parte



Capitolo 1
 
La casa sul mare

 
 
La casa era completamente in disordine, i cassetti vuoti, i mobili spostati. Alcuni scatoloni occupavano il centro di quella che fino a pochi giorni prima era la sala da pranzo che la famiglia Merlin usava solamente per le occasioni speciali, o i pranzi di Natale. Anche le foto che in passato decoravano il corridoio erano scomparse, ora non si poteva più vedere una neonata diventare bambina nell’immagine successiva, e ragazza dopo altre ancora. Il primo compleanno, i primi passi e il primo giorno di scuola erano scomparsi completamente da quella casa. Anche se quest’ultimo era stato rimosso da più tempo, visto che, come la signora Merlin continuava a sostenere, era stato proprio quello l’attimo in cui le loro vite tranquille erano state distrutte.

Lydia non avrebbe mai creduto di darle ragione fino a quel momento. 

Teneva la cornetta del telefono tra l’orecchio e la spalla, in precario equilibrio, mentre cercava di mettere le ultime cose nello zaino, muovendosi nello spazio limitato che le consentiva il filo. 
«Non puoi farlo!» si ritrovò ad urlare, poi si guardò attorno nonostante fosse consapevole di essere da sola in casa. Appoggiò nuovamente sul tavolo i libri che stava tentando di infilare nello zaino già fin troppo pieno e prese il telefono in mano. «Non penserai davvero di farlo!» esclamò a voce più bassa «Come fai a pensare anche solo per un istante che quelli ci lasceranno le bacchette? Hai visto anche tu gli articoli sulla Gazzetta, sai cosa fanno a quelli come noi. Ci odiano, siamo carne da macello per loro. Non dureremo neanche un giorno dopo l’interrogatorio!»
Ma la sua amica Alice James aveva ben altre idee. «Non ho intenzione di vivere nella paura, né di nascondermi per delle sciocche supposizioni. Sii realista, Lydia. Siamo in troppi. Non possono fare niente contro di noi, non possono imprigionarci e neppure ucciderci. Se lo facessero non esisterebbero più i maghi: ormai i Purosangue si contano sulle dita di una mano. Vogliono solo registrarci e poi potremo tornare alle nostre vite.» 
Lydia si sfregò gli occhi. Sapeva quanto Alice fosse testarda e avevano avuto la stessa discussione da settimane ormai, dal giorno dei funerali di Albus Silente. Per quanto Lydia l’avesse pregata, minacciata o cercato di costringerla, Alice non aveva cambiato idea, e in quell’istante, Lydia perse ogni speranza. Avevano affrontato gli ultimi anni della loro vita sempre insieme, sin dalla mattina in cui si erano incontrate sul treno, dirette verso la loro nuova scuola, fino all’ultimo giorno del settimo anno e dopo ancora, in quei due anni in cui sembrava che tutto il mondo fosse cambiato, reso cupo dalla presenza costante della paura. Era davvero arrivata la fine. Sarebbe dovuta partire senza lei al suo fianco. 
Non si era mai sentita così sola in tutta la sua vita.
Respirò profondamente, e con gli occhi lucidi e la voce spezzata riuscì a sussurrare: «Non mandarmi nessun gufo, potrebbero rintracciarmi. Buona fortuna, Alice. Spero che tu abbia ragione.»
Non attese la risposta dell’amica e riattaccò il telefono. 

Stava perdendo tutto. La sua migliore amica, ancora alcuni minuti e non avrebbe più avuto neppure un posto da chiamare casa. Tra pochi giorni lei stessa non sarebbe più esistita; perché per quanto volesse credere veramente che Alice avesse ragione, si era resa conto da troppo tempo che non era così. I Mangiamorte non avrebbero mai perdonato i Sanguemarcio per la loro esistenza. Li avrebbero sterminati fino all’ultimo bambino. 
Ed ora era arrivato il momento di scappare.

La porta sul retro si aprì, rivelando la signora Merlin carica di borse. Si bloccò trovandosi una bacchetta puntata contro.
«Abbassa quello stupido legnetto.» disse avvicinandosi al tavolo e cercando uno spazio libero dove appoggiare le borse. 
Lydia spostò qualche ingrediente di Pozioni per lasciarle il posto. «Questo stupido legnetto ė quello che ci salverà la vita.» sbuffò la ragazza. 
«Ci salveremo la vita solamente se ti sbrighi a finire i bagagli. Tra poco arriveranno quelli del trasloco.»
«Ho quasi finito.» sospirò Lydia, svuotando completamente lo zaino. Lo riempì con più ordine e questa volta riuscì a fare spazio anche per il kit di pozioni. Ora aveva finito. Le sembrava impossibile essere riuscita a comprimere la sua vita in poche valige e scatoloni. 
«E vedi di non dimenticare niente. Non ho intenzione di fare su e giù per mezzo Paese solo per prendere un calderone, dei guanti di drago o alcune delle vostre altre diavolerie.»
Lydia fece una smorfia. «Ho tutto quello che mi serve. E poi la casa della nonna non è poi così lontana.»
«E’ lontana abbastanza da dover abbandonare ogni cosa.» Lydia si voltò a guardare sua madre: un velo di tristezza le adombrava il volto. «Sei proprio sicura… che dobbiamo andare?»
«E’ l’unico modo.» 
«E’ solo che…» La voce di sua madre si spezzò «E’ la nostra casa. La nostra vita.»
Lydia avrebbe voluto darle una risposta diversa. Dirle che potevano restare, che non avrebbe dovuto abbandonare la sua casa, il suo lavoro e tutto ciò che conosceva solo per salvare la vita di sua figlia. Ma non poteva. Avevano pensato ad ogni soluzione possibile. Questa era l’unica praticabile. L’unica che le avrebbe garantito almeno una possibilità di sopravvivenza. 
Le sembrava di vivere un incubo. Doveva scappare da ciò che era solo perché un pazzo aveva deciso che quelli come lei non avevano diritto di vivere liberamente. E la riempiva di rabbia il fatto che anche i suoi genitori ne erano rimasti coinvolti.
«Scusa.» strinse la mano della madre ed appoggiò la fronte sulla sua spalla. «Scusami tanto.»
Le due donne rimasero immobili per diversi minuti, perse nei ricordi di una vita intera trascorsa in quelle mura.
Poi si sentì il rumore di un camion che faceva retromarcia sul vialetto, accompagnato dall’urlo del signor Merlin. «Sono arrivati!» E il tempo dei ricordi e dei rimpianti era finito.
Lydia sospirò e si allontanò dalla madre con una stretta al cuore. 

La macchina partì lenta a causa del peso eccessivo, seguita dal camion dei traslochi. I vicini che abitavano nella villetta a fianco alzarono la mano per salutarli, ma Lydia era troppo tesa per riuscire a ricambiare il saluto o anche solo a rivolgere loro un sorriso. Guardò un’ultima volta la sua casa, mentre si allontanavano sempre di più. Non sapeva se sarebbe mai potuta tornare in quel posto. Fino a quando Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato fosse stato in vita, nessun luogo sarebbe stato sicuro per quelli come lei. 
Si sforzò di distogliere lo sguardo dalla villetta e la nostalgia scomparì, rimpiazzata da quella perpetua sensazione di pericolo che la accompagnava da un anno intero. Sfilò la bacchetta dalla tasca e la strinse, ripassando mentalmente tutti gli incantesimi che sarebbero stati utili in caso di un attacco.
«Non possiamo andare più veloci?» Non riusciva a sopportare di stare ferma in quel piccolo abitacolo, con il terrore di vedere comparire nel cielo quelle maledette ombre nere.
«Tesoro, sai bene che ci vorrà qualche ora prima di arrivare dalla nonna. Noi poveri babbani non siamo veloci come voi.» rispose suo padre.
«Infatti potevamo Smaterializzarsi direttamente a casa della nonna.» sibilò Lydia tra i denti. Odiava quella situazione: aveva tentato per giorni interi di convincere i suoi genitori a rinunciare al vero e proprio trasloco e a fidarsi dei mezzi di trasporto dei maghi, ma ovviamente nessuno dei due aveva voluto darle retta, sostenendo che i vicini si sarebbero insospettiti se fossero semplicemente svaniti nel nulla. E l’ultima cosa che volevano, avevano continuato, era ritrovarsi anche la polizia babbana a dare loro la caccia. Lydia aveva preferito evitare di ricordare che i babbani avevano già troppe sparizioni o morti sospette tra le mani per interessarsi ad una famiglia allontanatasi da casa senza avvisare i vicini. 
Quindi era costretta a rimanere chiusa in una macchina per le ore successive. 
O almeno così pensava. 
Iniziò a capire che qualcosa non andava quando, dopo un’ora dalla partenza, suo padre fece scattare la freccia destra e svoltò in una via secondaria. La motivazione più logica era che stesse facendo una strada più lunga ma altrettanto sicura. Spiegazione che si infranse definitivamente quando si fermarono di fronte ad un condominio. 
«Cosa stiamo facendo?»
«Dobbiamo dare un passaggio.»
Doveva essere un incubo. Per forza. Perché suo padre non poteva essersi messo davvero in testa di dare un passaggio ad uno sconosciuto durante una fuga. I suoi genitori non avevano capito il concetto di scappare senza farsi notare: prima il camion dei traslochi, poi questo. Stavano cercando di farsi uccidere, non c’era altra spiegazione. 
«Papà... parti.» Sua madre non disse una parola, si limitò ad aprire la portiera ed andare verso il citofono. «Mamma! Torna qui!» Lydia pensò anche di bloccarla con un Petrificus Totalus ma si rese conto che una persona pietrificata all’ingresso di un condominio sarebbe parsa sospetta. «Che state facendo?! A questo punto mandate un gufo direttamente ai Mangiamorte!»
«Non dirlo neanche per scherzo. Dobbiamo solamente dare un passaggio ad una famiglia, amici di tua nonna, o almeno, il nonno del bambino era amica di tua nonna, così mi pare di aver capito. Penso che si stiano trasferendo per lavoro.»
«Pensi?!» il livello di esasperazione di Lydia rasentava l’isteria. «Perché non me l’avete detto?»
«Perché a volte sei troppo melodrammatica.» rispose il padre con un sorriso.
«Cosa vuol dire ‘melogrammatica’?» chiese una vocetta sconosciuta «Ciao, sono Henry. E tu chi sei? Hai i capelli rossi! Li vedo sempre nei cartoni. Cosa hai in faccia? Perché mi stai guardando male? E’ perché parlo troppo? I miei amici mi dicono sempre che parlo troppo...» e il bambino sbucato all’improvviso al suo finestrino continuò a parlare a raffica; parole che non arrivarono al cervello di Lydia, troppo intenta a guardarlo con timore e preoccupazione e rabbia. 
«PAPA’!» strillò spalancando la portiera e spostando di peso anche il bambino. «Non puoi avermi fatto questo!» cercò di mantenere lo sguardo più feroce del suo repertorio, ovviamente inefficace contro la persona che l’aveva cresciuta. «Guido io. Ce ne andiamo.» cercò di aprire la portiera del guidatore ma suo padre aveva avuto la prontezza di chiudersi dentro. 
«Posso guidare io?» si intromise il bambino, infilandosi sotto il braccio teso di Lydia. «Noi non abbiamo una macchina, ho solo le macchinine ma non sono macchine vere, lo sai?»
«Papà!» Lydia picchiò sul vetro del finestrino. Il bambino la imitò. «Smettila.» lo rimproverò.
«Come ti chiami?» 
«Lydia.» rispose con poco entusiasmo, al contrario dell’energia che sembrava emanare il bambino, il quale aveva anche iniziato a saltellare sul marciapiede, su e giù dallo scalino. «E tu?»
«Te l’ho detto: Henry! Assomiglia a Har...» 
«Henry!» lo richiamò la madre. Lydia si voltò a guardarla. Aveva lunghi capelli neri, non dimostrava più di trent’anni ma la preoccupazione sul suo viso le creava delle rughe sulla fronte e attorno agli occhi. Solo in quel momento Lydia guardò bene il bambino, che nel frattempo aveva smesso sia di saltare sul marciapiede, sia di parlare. Aveva i capelli della madre, neri e ricci, gli occhi blu troppo grandi per il suo viso rotondo. Doveva avere all’incirca quattro anni. «Siamo pronti.» disse la donna, rivolgendosi al padre di Lydia. 
Avevano solo due valigie. Non sembravano attrezzati per trasferirsi per lavoro, forse stavano andando in vacanza. In ogni caso non avrebbero dovuto accompagnarli loro. Per quanto Lydia volesse lamentarsi e rifiutarsi di partire con i due sconosciuti, un’occhiata di sua madre la costrinse a sedersi di nuovo al suo posto.
Stai calma.’  pensò. Per sicurezza, tornò a stringere l’impugnatura della bacchetta sotto la felpa. Dopo aver caricato le valigie nel baule, nel poco spazio rimanente, madre e figlio si sedettero nei sedili posteriori accanto a lei. Henry era in mezzo. «Si parte per l’avventura!» urlò. 
Gli adulti sorrisero, Lydia sospirò pensando che quella giornata non avrebbe potuto andare peggio. 
Avrebbe dovuto aspettare a pensarlo. 

Il viaggio fu lungo. Henry era troppo emozionato per riuscire a rimanere seduto e continuava a spostarsi nel poco spazio consentito dalla cintura di sicurezza. La maggior parte delle volte si buttava addosso a Lydia cercando di guardare qualcosa fuori dal finestrino. Un campo, una mucca, una nuvola, un lampione, qualsiasi cosa; e non stava mai zitto. I genitori di Lydia ridevano e lo facevano chiacchierare, solo Lydia e la madre del bambino non erano altrettanto loquaci. Un'altra nota negativa furono le tre fermate agli autogrill per andare in bagno, specialmente l’ultima, quando suo padre le passò il portafoglio, chiedendole di andare a comprare dei panini. «No.» sbottò lei, rifiutando di prendere i soldi «Vai tu. Vi aspetto qui.»
«Devo andare in bagno e siamo in ritardo.» rispose pazientemente lui. Henry era già tornato in macchina e aveva iniziato a raccontare in ogni minimo particolare il bagno dell’autogrill, fu questo a convincerla ad uscire dalla macchina. 
Come ogni volta che si trovava in pubblico, coprì il volto con i capelli e cercò di tenere la testa bassa, senza molti risultati. Poteva intravedere lo stesso la gente che si spostava, o i loro sguardi pieni di compassione, o qualche madre che prendeva la mano del figlio e lo invitava a guardare da tutt’altra parte, verso lo scaffale dei dolci. Ogni volta Lydia cercava di autoconvincersi che ormai era abituata. Comprò i panini il più velocemente possibile e tornò di corsa in macchina, dove Henry stata continuando la sua descrizione dei bagni. Solo un’ora, cercò di tranquillizzarsi Lydia. Doveva resistere solo un’ora e poi quel viaggio da incubo sarebbe finito.

La casa di sua nonna era isolata dal resto del paese, si affacciava direttamente sul mare ed era abbastanza grande da poter ospitare tutti i parenti, come accadeva ogni estate per una settimana, quando l’intera famiglia Merlin di riuniva per passare qualche giorno insieme, prima che i ragazzi iniziassero le scuole. Quell’anno nessuno aveva proposto di passare quella settimana in compagnia. Non dopo quello che era successo l’anno precedente. Neanche Lydia avrebbe voluto tornarci. 
Il furgone dei traslochi era già davanti al cancello di ingresso, gli addetti stavano scaricando gli scatoloni. La porta di ingresso era spalancata e sua nonna osservava la scena con la solita espressione corrucciata. «Cercate di non distruggermi le rose, fannulloni, con tutta la fatica che ho fatto per farle crescere in un modo decente. Tutta colpa di questa aria salmastra, l’ho sempre detto a mio marito, pace all’anima sua, che non dovevamo prendere una casa al mare. E lui, testardo come un mulo... Voi! Finalmente siete arrivati!»
Lydia sorrise. Le erano mancate le chiacchiere di sua nonna, capace di parlare e borbottare anche per ore intere prima di rendersi conto che nessuno la stava più ascoltando. Si mise in spalla il suo zaino e superò con un balzo la recinzione in legno.
«Quante volte ti devo dire che non sei uno stambecco? Cammina come una signorina dovrebbe fare.»
«Anche tu mi sei mancata, nonna.» Lydia raggiunse l’anziana signora e la abbracciò. Adorava sua nonna e l’affetto era reciproco sotto quel tono burbero. Lydia sospettava che fosse per il fatto che lei era l’unica della famiglia a mostrare la provenienza scozzese dei nonni, come dimostrato dai suoi capelli rossi e occhi blu, uguali a quelli di sua nonna in gioventù. ‘Sei uguale a mia sorella quando aveva la tua età.’ le aveva ripetuto praticamente da quando era nata. Almeno fino all’anno scorso. 
«Ehi, voi!» esclamò la nonna, si staccò dall’abbraccio per puntare un dito contro un operaio «Quel mobile lo dovete mettere di là! Cara…» aggiunse ritornando ad interessarsi alla nipote «Puoi controllare che non mi distruggano la veranda? Devo parlare con i tuoi genitori.»
Lydia accettò volentieri e sperò che Henry non la seguisse, senza sapere che, in realtà, il bambino tentò davvero di gettarsi al suo inseguimento ma sua madre lo prese in braccio, interrompendo immediatamente la sua fuga.

Lydia rimase in veranda fino al tramontare del sole, quando finalmente gli addetti terminarono di portare dentro casa le scatole e risalirono sul loro camioncino. Chiuse il libro che teneva sulle ginocchia e prese la bacchetta. 
I fari del camioncino si allontanarono fino a scomparire dietro la collinetta che separava la casa della nonna dalle altre. Lydia uscì dalla porta posteriore; la casa l’avrebbe protetta da sguardi indiscreti. Alzò la bacchetta e iniziò ad intonare gli incantesimi che per quasi due anni aveva perfezionato nel tentativo di rendere sicura la sua casa. Finiti quelli di base, passò ad altri più complessi, che stava studiando ormai da settimane. Sapeva perfettamente che l’unica protezione davvero efficace sarebbe stato un Incanto Fidelius, ma per quanto avesse studiato il procedimento non era ancora in grado di compierlo. Non era mai stato nei programmi di Hogwarts. Inoltre non sarebbe mai riuscita a convincere sua nonna a non uscire più di casa, era già stato difficile spiegarle il motivo per il quale si stavano nascondendo senza rivelarle che nel mondo magico era scoppiata una guerra. Aveva solamente compreso, come tutti i babbani, che quelli erano periodi molto pericolosi. Le persone venivano trovate morte nelle loro case, molte delle quali senza ferite evidenti. Nessuno credeva più alla scusa delle fuoriuscite di gas. 
Terminato anche l’ultimo incantesimo, Lydia lasciò il suo nascondiglio e si avviò verso casa. Quando entrò si trovò completamente circondata da scatoloni e valige.
«Non riusciremo mai a sistemare tutto.» sentenziò «A casa non mi sembrava ci fossero così tante cose.» si avvicinò ad una valigia rossa. Era sicura che non fosse né loro né di Henry «E questa da dove viene?» chiese incuriosita.
La madre rispose dalla cucina. «Abbiamo già portato la tua nella tua nuova camera.»
«Non è quello che ho chiesto.» borbottò Lydia, scavalcando tutti gli ostacoli che la separavano dalla cucina. «Volevo solo sapere di chi sono alcune valigie.» raggiunse la porta della cucina e si bloccò sulla soglia. 
Suo padre le si avvicinò. «Zia Maisie starà qui con noi per qualche tempo.» disse incerto.
Maisie Merlin era seduta a tavola e la guardava, il volto pietrificato in un’espressione indecifrabile. Lydia la fissava di rimando, senza riuscire a distogliere lo sguardo, il respiro incagliato nella gola. Un rantolo fu tutto quello che riuscì ad uscire.
«Lydia.» Il padre le aveva poggiato una mano sul braccio. Voleva essere di conforto, Lydia lo sapeva, ma tutto quello a cui riusciva a pensare, era quanto le mura si stessero stringendo attorno a lei. Doveva respirare, doveva muoversi, doveva scappare. Si voltò e, senza dire una parola, tornò verso la porta d’ingresso. 
«Lydia, fermati! Dove stai andando?» 
«Vado a controllare che non ci sia nulla di pericoloso nei dintorni, magari ci hanno inseguiti.» Era una scusa patetica, ma l’unica che si era fatta largo nella sua mente intorpidita.
Suo padre continuava a seguirla. «Non sapevamo come dirtelo. Quando ho detto alla zia che ci saremmo nascosti qui ha voluto trasferirsi con noi ad ogni costo. Ho provato ad impedirlo ma tua nonna ha accettato.»
Lydia si fermò sul vialetto. «Non è colpa tua, papà.» cercò di tranquillizzarlo. «Ho solo bisogno di stare un attimo da sola. Torno presto.» e prima che il padre potesse fermarla corse verso la strada che si affacciava sul mare.
Tutto questo non era nei suoi piani. Aveva progettato di andare a vivere nella casa della nonna proprio perché sua zia non voleva rimetterci piede. E invece avrebbe dovuto condividere la casa con lei, vederla ogni giorno per molti mesi, fino a quando quella stupida guerra non sarebbe finita. Oppure fino a quando i Mangiamorte non l’avessero trovata ed uccisa. 
Non c’era altra via di fuga. O forse sì? Se fosse andata all’interrogatorio con Alice… 
No, Lydia scosse la testa, per scacciare quei terribili pensieri che si affollavano nella sua testa, impedendole nuovamente di respirare. Come poteva pensare di presentarsi all’interrogatorio se era proprio quello il motivo che l’aveva spinta a cercare rifugio da sua nonna? 
Ma avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non dover affrontare zia Maisie. 
Le ultime parole che sua zia le aveva rivolto mesi prima si ripetevano nella sua mente, assordandola. Lydia raggiunse lo steccato che la separava dalla scogliera. Strinse il legno tra le mani fino a quando le sue nocche divennero bianche. 
«Ti prego, non farmi questo.» Non sapeva neanche a chi si stesse rivolgendo 
Si passò una mano sul volto. Era stanca e abbastanza sicura che stare fuori casa non avrebbe risolto la situazione. Doveva tornare indietro ed affrontare le conseguenze. Aveva i suoi genitori, aveva sua nonna, provò a convincersi. 
E sarebbe tornata indietro se qualcosa non l’avesse distratta.
Due figure si muovevano nell’oscurità sottostante, in riva al mare. La mano di Lydia corse automaticamente a stringere la bacchetta. Non sembravano minacciosi, anzi, uno dei due era molto basso, pareva quasi un bambino. Forse erano solo un padre ed un figlio che tornavano a casa. Eppure c’era qualcosa di strano nel loro modo di camminare; si muovevano alla svelta, e l’adulto sembrava quasi trascinare il bambino. Lydia si trovò a scendere silenziosamente le scalette che la separavano dalla spiaggia. I suoi piedi non fecero nessun rumore quando atterrarono sulla sabbia, e riuscì a mettersi sulle loro tracce senza farsi notare.
«Dove stiamo andando?» Lydia fece fatica a sentire la voce sottile del bambino a causa delle onde che si infrangevano, eppure la riconobbe subito. L’aveva sentita tutto il pomeriggio.
Strinse convulsamente la bacchetta e si avvicinò ai due. Dove era la madre di Henry? Era impossibile che fosse stato rapito, non con la nonna a controllarlo (nessuno poteva sfuggire al controllo di sua nonna). C’era qualcosa di strano, sapeva di dover intervenire, ma l’istinto la bloccava. Sentiva che le mancava un tassello del puzzle per comprendere quello che stava accadendo. Una sensazione di famigliarità si insinuò nella sua mente.
Accorciò silenziosamente le distanze. Cinque metri. Quattro, tre, due. E poi l’uomo si voltò e la vide. 
Fu questione di un istante. 
Lydia lo riconobbe, e anticipò la sua reazione. Si slanciò verso di lui e gli afferrò il braccio proprio mentre l’altro, allarmato, si Smaterializzava. 


Sentendo la famigliare stretta della Smaterializzazione, Lydia strinse con maggior forza la presa, mentre il ragazzo tentava in tutti i modi di sfuggirle. Dopo un piccolo salto nel vuoto, quando tornarono ad appoggiare i piedi su un terreno solido, non erano più in spiaggia. Dell’erba si stendeva sotto di loro. Lydia alzò immediatamente la bacchetta, puntandola contro il ragazzo che a sua volta la minacciava con la propria. Henry invece teneva le mani sulla pancia, molto probabilmente alle prese con gli effetti della sua prima Materializzazione.
 Il ragazzo fu il primo a parlare. «Lydia?! Cosa diavolo hai fatto?!» 
«Ti ho seguito.»
«Non dovresti essere qui!» disse ruotando per un attimo la testa verso destra. Sembrava che avesse controllato qualcosa ma Lydia non riusciva a capire cosa. Non c’era nulla nei dintorni. Si trovavano in un prato immenso, circondato in ogni suo lato da foreste. Forse stava aspettando qualcuno. Il ragazzo riprese la mano del bambino e lo nascose dietro di lui «Cosa ci fai qui?»
«Te l’ho detto: ti ho seguito. Piuttosto cosa ci fai tu qui?»
«Niente.» rispose velocemente l’altro, senza neanche cercare una scusa veritiera. «Cosa… ti è successo?»
Lydia sbuffò, non aveva dubbi riguardo a cosa si stesse riferendo. «Non hai mai visto una cicatrice in vita tua, Lance?»
«Avevo capito che era una cicatrice, ma...»
«Allora smettila di fare domande stupide!» lo interruppe lei. 
Rimasero in silenzio, puntandosi addosso le bacchette e sarebbero rimasti nella stessa posizione anche per tutta la notte se il bambino non avesse iniziato a vomitare proprio sulla scarpe di Lance. 
Una smorfia disgustata apparve sul volto del ragazzo, mentre Lydia non poté fare a meno di sogghignare. 
«Scusa.» borbottò Henry pulendosi la bocca con la manica della felpa. 
«Dovresti ripulirti.» disse Lydia.
Lance non si lasciò ingannare e continuò a tenerla sotto tiro, nonostante la puzza che si stava diffondendo ai suoi piedi, mentre il vomito gocciolava dall'orlo dei pantaloni e raggiungeva l’erba. «E comunque non faccio domande stupide, sei tu che non rispondi. Cosa hai fatto? Perchè mi hai seguito?»
«Perché sembravi un ladro di bambini.» rispose Lydia, togliendosi un ciuffo di capelli che gli era scivolato davanti agli occhi. «A proposito, perché stai rubando un bambino?” indicò il piccolo con un gesto veloce della bacchetta, tornando poi a puntarla contro il ragazzo. Il braccio iniziava a farle male a causa dei nervi tesi. «L’ultima volta che ti ho visto stavi dimostrando il tuo lato Tassorosso aiutando una signora a raggiungere il Ghirigoro.»
«Quella stessa signora che tu, con il tuo grande spirito da Grifondoro, avevi ignorato.» ribatté Lance, imperturbabile.
«Ero in ritardo, dovevo andare al lavoro.» Lydia aveva sperato che l’altro non si ricordasse di quel particolare. «E tu sei sempre stato pieno di pregiudizi contro noi Grifondoro.» Continuò ricordando i sette anni che avevano condiviso ad Hogwarts e le lunghe discussioni riguardo a quale Casa fosse la migliore.
«Lydia… tu lavoravi al Ghirigoro.»

Questo riuscì a zittire la ragazza, ma l’effetto non durò a lungo, per quanto Lance avesse sperato di chiudere quella discussione. «Sono passati due anni, vuoi criticarmi per quello che ho fatto due anni fa?!» esclamò Lydia, indignata.
«Non ti sto criticando. E io ti avrei rivista volentieri in questi due anni se solo avessi risposto ad almeno una mia lettera. Le hai ricevute le mie lettere, vero?» chiese, con la flebile speranza che Lydia confermasse la teoria che si era costruito in quegli anni. Che non avesse risposto semplicemente perché non le aveva ricevute. Ma il lampo di colpa che attraversò il volto di Lydia fu una risposta sufficiente. 
«Sono stata impegnata.»
«Impegnata?» ripeté Lance, incredulo «Talmente tanto impegnata da non avere il tempo di rispondere anche solo con una riga? O fare una telefonata?» Lance non riuscì a trattenere un accenno di rancore nel pronunciare quelle parole. Il bambino gli tirò la manica, ma Lance lo ignorò completamente. Perché Lydia Merlin non aveva nessun diritto di ricomparire all’improvviso nella sua vita dopo averlo ignorato per così tanto tempo. «Ti ho scritto per mesi, Lydia! Pensavo che fossimo amici, e invece sei stata solo un’egoista.»  Non le aveva mai parlato in quel modo in tutta la sua vita. E l’istante successivo lo aiutò a ricordare il motivo per cui non lo aveva mai fatto prima.  
Si pentì di aver pronunciato quell’ultima parola quando ormai era troppo tardi. Gli occhi di Lydia sembravano volerlo incenerire senza l’uso della magia, e Lance sapeva fin troppo bene che non si doveva mai offendere Lydia Merlin se si voleva andare via camminando sulle proprie gambe e non su una barella evocata dal nulla per essere portato nell’infermeria della scuola. Il bimbo tirò nuovamente la manica di Lance ma lui stava cercando di ricordare qualsiasi incantesimo protettivo per difendersi dall'inevitabile.
«Io un’egoista?» Il bambino si nascose di nuovo dietro Lance, terrorizzato dalla vista della strega dai capelli rossi e per sfuggire dal suo sguardo di fuoco.
 Qualche scintilla esplose dalla punta della bacchetta di Lydia. «Lurido tasso, tu non puoi dirmi che sono un’egoista, non hai nessun diritto di farlo.» fece un passo in avanti, mentre le scintille continuavano a sgorgare senza controllo. 
Lance balbettò delle parole senza senso. Avrebbe voluto ribattere, spiegarle che sì, lui poteva darle dell’egoista considerando che lei non aveva mai risposto ai suoi messaggi per quasi due anni, ma non era mai stato capace di ragionare lucidamente quando era sotto pressione e si ritrovò con la mente piena di frasi sconnesse che non trovavano la via per uscire da lì. Vedendo la strega avvicinarsi cercò di sfuggirle arretrando, ma in questo modo si trovò il bambino aggrappato alla sua gamba, che gli impediva ogni altro movimento. L’unica soluzione possibile per uscirne indenne era un incantesimo. 
«Protego
Una forza invisibile si pose tra di loro, facendo cadere entrambi a terra. Lance alzò immediatamente la gamba destra, per impedire che il bimbo venisse schiacciato e pensò compiaciuto che il suo incantesimo aveva avuto gli effetti sperati: era riuscito a sfuggire alla furia di Lydia. Certo, era caduto a terra anche lui, ma poteva vedere chiaramente che la bacchetta rotolata fino ai suoi piedi era proprio quella della ragazza. 
Fu in quel momento che si rese conto dell’orribile verità: non era stato lui a lanciare l’incantesimo. L’aveva pensato, ma non era stata la sua voce ad essere risuonata nel prato, e neppure quella di Lydia, e ovviamente non era stata neanche la voce di un bambino.
Una figura gli dava le spalle ma Lance poteva vedere perfettamente che puntava la bacchetta contro il viso sfregiato di Lydia, ormai disarmata.
«Ciao papà.» sussurrò Lance. 




Note 
Curiosità: ‘Piume di Cenere’ è nata tra dicembre 2015 e gennaio 2016 come esercizio di scrittura, per essere poi ripresa a marzo 2022, ed ha subito numerose revisioni e riscritture nel corso degli anni per giungere alla versione definitiva che leggerete. I primi capitoli sono tra i pochi rimasti della versione originale e di conseguenza sono anche quelli che hanno subito i maggiori cambiamenti. 

La storia è già stata interamente scritta e revisionata, verrà pubblicato un nuovo capitolo ogni settimana.

Per tenervi sempre aggiornati e scoprire altre curiosità o anticipazioni, visitate la pagina Instagram ufficiale:
@piumedicenere.

Grazie a voi che avete letto il primo capitolo, con la speranza che questi personaggi possano entrare nel vostro cuore come hanno fatto nel mio.
A settimana prossima, 
Emma Speranza



 
'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere

 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 - Il giuramento ***


Capitolo 2

Il giuramento


 
«Mi avete veramente legata ad una sedia come nei film babbani?» 

Lydia non sapeva neppure che emozione provare in quel momento. Rabbia, per come era stata trattata da Lance dopo più di un anno in cui avevano perso ogni contatto, felicità perché, anche se non lo avrebbe mai ammesso, le era mancato moltissimo, oppure se sentirsi stupida per come era stata facilmente catturata. 
Non aveva neppure sentito l’uomo avvicinarsi. Non lo aveva visto fino a quando era stato troppo tardi e, per quanto volesse con tutto il cuore incolpare Lance per averla distratta, sapeva perfettamente che era solamente colpa di se stessa. Si era lasciata travolgere dall’adrenalina tanto da non essere più stata capace di ragionare lucidamente. La sola consolazione era che neanche Lance aveva visto il padre avvicinarsi. L’unico che si era accorto della sua presenza era stato Henry, il bambino infatti aveva subito sottolineato, con una punta di orgoglio: «Io l’ho visto, e ti tiravo la manica per dirtelo, ma voi siete stupidi e non mi ascoltate.»
E sentirsi chiamare stupida da un bambino di quattro anni non aveva aiutato per niente Lydia a superare la fase in cui voleva prendere a testate il tavolo per la propria ingenuità.
L’unica sensazione che mancava era la paura. Quella stessa paura che l’accompagnava ovunque andasse da oltre un anno era completamente sparita, nonostante fosse in netta inferiorità numerica, legata ad una sedia, in una casa sconosciuta. 
E nonostante il signor O’Brien fosse capace di incutere timore in chiunque. 
Conosceva già i signori O’Brien, anche se non si erano mai scambiati molte parole tranne i rituali saluti all’inizio e alla fine di ogni anno scolastico alla stazione. Si ricordava ancora il primo incontro, al ritorno dal loro primo anno ad Hogwarts. Erano uguali ad allora, il signor O’Brien aveva ancora quell’aria da nobile ma soprattutto quello sguardo profondo e intimidatorio, la grande altezza di sicuro non aiutava a mitigare quella sensazione. Anche la moglie aveva sempre dato a Lydia l’impressione di essere una donna forte e decisa. L’unica cosa di cui Lydia era certa però, era che Lance non parlava quasi mai della sua famiglia. C’era stato un periodo, nella loro amicizia, in cui aveva sperato di poter fare davvero la conoscenza dei genitori di Lance (soprattutto per poter raccogliere qualche aneddoto imbarazzante sulla sua infanzia), anche se di sicuro non si sarebbe mai aspettata che potesse capitare in una maniera simile: con loro nella versione di rapitori e lei legata ad una sedia e impossibilitata a muoversi. 
«La mamma dice sempre che un mago senza bacchetta è un Babbano.» esordì Henry, sorseggiando la sua tazza di tè. 
La signora O’Brien lanciò uno sguardo carico di preoccupazione al marito e si alzò, avvicinandosi al bambino. «Henry caro, puoi finire di bere in sala. Ti accompagno.» cercò di prendere la sua mano, ma il piccolo sfuggì alla presa e si posizionò al fianco di Lydia. 
«Sono arrivato con lei e resto con lei!» I quattro adulti nella stanza lo squadrarono. 
La prima a cedere fu la stessa Lydia. «Bene, ora ho anche un avvocato.»
«Esatto!» esclamò Henry, con gli occhi luccicanti dall’emozione. Si avvicinò all’orecchio di Lydia, gesto che provocò il terrore della famiglia O’Brien, prima di rendersi conto che voleva solamente sussurrarle all’orecchio. «Ma io non so cosa è un avvocato.»
Lydia sarebbe scoppiata a ridere se la situazione non fosse stata già così assurda. «Non ti preoccupare, sarai un avvocato perfetto, devi solo ascoltare e difendermi.» gli avrebbe dato una pacca sulla spalla se non avesse avuto le mani legate allo schienale della sedia. 
Solo Lance si era seduto e guardava il tavolo senza sollevare lo sguardo, sembrava particolarmente interessato alle lineature del legno. Non aveva pronunciato più alcuna parola dopo il saluto al padre, il quale aveva reagito afferrando Lydia per un braccio e portandola nel palazzo che si era rivelato all’improvviso ai suoi occhi. A causa del buio della notte e della fretta del suo rapitore, non era riuscita ad osservarlo meglio, l’unico aspetto che aveva colto era che la stavano portando in un edificio enorme, impressione confermata dal grande salotto che era stata costretta ad attraversare per arrivare alla cucina in cui ora si trovava.
I signori O’Brien, al contrario del figlio, rimasero in piedi, la madre preoccupata e il padre furioso. 
Lydia si accorse che il signor O’Brien stava per parlare, ma lei non gli diede il tempo neppure di iniziare la frase. «Andiamo dritti al punto cruciale senza tanti giri di parole: siete Mangiamorte?»
I tre sobbalzarono. Fu il signor O’Brien a rispondere. «No.»
«Come faccio ad esserne sicura? In fondo lei e il fratello di Lance siete entrambi Serpeverde.»
«E poi sono io quello pieno di pregiudizi.» borbottò Lance, senza alzare lo sguardo dal tavolo.
«Non tutti i Serpeverde sono crudeli.»
Lydia lo sapeva, infatti il suo primo fidanzato era stato proprio un Serpeverde, anche se la conclusione non era stata delle migliori visto che la Grifondoro gli aveva rovesciato una caraffa piena di succo di zucca sulla testa davanti all’intera Sala Grande. 
«E quindi come mai rapite bambini?»
«Non siamo qui per parlare di questo.»
«E io non sono stato rapito.» concluse Henry.
«Tu dovresti darmi ragione, ragazzino! Sei un pessimo avvocato.» Henry si rese conto dell’errore commesso ed arrossì, bisbigliando quella che sembrava una scusa. Lydia si rivolse nuovamente ai suoi rapitori. «E quindi di cosa dobbiamo parlare?» Non ebbe neppure bisogno di una risposta, nel momento stesso in cui aveva elaborato quella domanda si era già data una risposta: avrebbero fatto ciò che avrebbe fatto lei nella situazione inversa. 
«NO!» cercò di alzarsi in piedi, ma avendo sia le mani che i piedi legati, riuscì solamente al alzare di qualche centimetro la sedia prima di ricadere. «Non potete farmi dimenticare, non potete! Lance, dillo anche tu a tuo padre!» Ma Lance non ricambiò il suo sguardo.
«Mi dispiace.» disse il signor O’Brien alzando la bacchetta. Lydia si agitò sulla sedia, cercando in tutti i modi di slegarsi, ma le corde erano troppo strette, non riusciva a spostare neppure le mani. Lanciò un ultimo sguardo implorante all’uomo, che rispose con la semplice parola «Oblivion
Lydia seguì l’istinto, che la portò a fare una cosa che avrebbe definito in seguito abbastanza stupida, come se gli eventi di quella strana serata non lo confermassero abbastanza: spinse tutto il suo peso sul lato destro della sedia e cadde insieme ad essa, sfuggendo così al raggio dell’incantesimo. Strinse i denti sentendo il dolore esplodere alla spalla. 
«Per tutti i troll!» esclamò una voce che Lydia non riuscì ad identificare, mentre anche la testa iniziava a farle male. «Slegatela immediatamente!»
Delle mani estranee iniziarono a tirare le funi, senza alcun successo. «Diffindo.» Questa volta Lydia era abbastanza sicura che fosse stata la voce del signor O’Brien a pronunciare l’incantesimo. Sentì la corda cedere lasciandola libera, rotolò, altra decisione dolorosa visto che nel farlo posò per un istante tutto il suo peso sulla spalla ferita, ed allungò una gamba, facendo cadere qualcuno. Si alzò di scatto, cercando di non pensare alla spalla e tentò di raggiungere la porta.
Ovviamente fu bloccata da Henry. 
«Non puoi andartene! Ora devi restare qui con me!»
Lydia Merlin era stata fermata da un bambino di quattro anni e senza due denti.
Avrebbe potuto spostarlo di peso, o superarlo spingendolo di lato, ma qualcosa nel suo sguardo le impedì di muoversi. 
Sospirò, non sarebbe comunque riuscita ad andare molto lontano senza la sua bacchetta. E così si voltò, trovandosi due bacchette puntate contro il petto. 
«Voglio aiutarvi.» esordì guardando negli occhi il signor O’Brien.
«Cosa?» esclamò stupito Lance, abbassando l’arma.
«Voglio aiutarvi.» ripeté Lydia «Lance, ti conosco abbastanza bene da sapere che non saresti mai in grado di rapire un bambino. Sinceramente non saresti capace di far male ad una mosca, senza offesa...» Il padre del ragazzo non aveva ancora lanciato alcun incantesimo, segno che forse la sua curiosità gli avrebbe impedito di Schiantarla e cancellarle la memoria, che lei lo volesse oppure no.  «E quando ci siamo Materializzati non ho visto la casa, questo significa che è circondata da incantesimi, se non da un vero e proprio Incanto Fidelius, e gli amici dei Mangiamorte non avrebbero nessun motivo per farlo, quindi molto probabilmente siete dei fuggitivi anche voi. E se la vostra casa è così ben protetta, perché rischiare e fare uscire Lance? A meno che fosse per un motivo straordinariamente importante…» prese un respiro profondo «State facendo qualcosa contro di lui, vero? Contro Voi-Sapete-Chi.»
Era sicura di aver detto la verità e il silenzio della famiglia O’Brien confermò i suoi sospetti.
«L’unica questione che non capisco» concluse «E’ che cosa state facendo esattamente.»
La prima persona a parlare fu l’ultima che Lydia si sarebbe aspettata. La signora O’Brien si avvicinò al figlio. «Possiamo fidarci di lei?» 
Il ragazzo la guardò e Lydia aspettò con il fiato sospeso il suo responso. Non aveva la minima idea di cosa avrebbe potuto rispondere. Certo, erano stati amici durante i sette anni di scuola, avevano passato così tanto tempo insieme, eppure era da anni che Lydia aveva tagliato ogni rapporto. Per quale motivo Lance avrebbe dovuto fidarsi ancora di lei?
«Sì.»
Lydia cercò di nascondere il proprio stupore. 
La signora O’Brien annuì e si rivolse alla ragazza. «Allora è meglio se ti siedi, così ti controllo la spalla.»


Era bastata una crema dagli effetti curativi della signora O’Brien per trasformare il dolore di Lydia alla spalla in un leggero pulsare. L’unica consolazione per quando riguardava il mal di testa era sapere che non era la sola ad essersi fatta male, aveva infatti capito che, nel suo tentativo di fuga, Lance era stato il malcapitato ad essere buttato a terra.
Così ora erano in due seduti sul divano con un sacchetto di ghiaccio a testa sulle relative fronti. Il signor O’Brien era seduto in poltrona e si stava accendendo una sigaretta con la punta della bacchetta. La signora O’Brien invece aveva accompagnato Henry al piano superiore, tra le sue rumorose proteste. Lydia aveva dovuto promettergli che sarebbe rimasta e si sarebbero rivisti il giorno successivo, e solo con questa promessa Henry aveva accettato di andare a letto.
Lydia non era ancora del tutto convinta che non si trattasse solo di uno strano sogno. O un incubo, a seconda dei punti di vista. Stentava a credere che solo un’ora prima si trovava a casa di sua nonna. 
«Okay…» ragionò Lydia, incapace di rimanere in silenzio un secondo in più «Ora che abbiamo stabilito che nessuno di noi è un Mangiamorte possiamo cercare di capire cosa siete realmente, cosa fate e soprattutto quante probabilità c’erano che il bambino a cui ho dato un passaggio finisse nelle vostre mani?»
Fu Lance a risponderle «Come direbbe la professoressa Cooman ‘solo il fato o il destino può saperlo’.»
«O la sfiga.» replicò Lydia «Anche lei avrebbe difficoltà a pensare che il nostro incontro sia stato orchestrato dal destino.»
«Quella era fuori di testa, ti ricordi che durante nostra prima lezione ha predetto il Gramo a…»
«Non so per quale motivo vi siate incontrati.» si intromise il signor O’Brien. «Nella lettera della madre di Henry diceva solamente che aveva trovato un rifugio da un’amica di famiglia per una notte e abbiamo organizzato sulla spiaggia il punto di incontro.»
L’amica di famiglia doveva essere la nonna.
«A proposito di punto di incontro… ecco, parliamo di quello. Perché vi siete incontrati e perché avete portato Henry qui? Tra quanto tornerà da sua madre?»
«Temo di non poter rispondere immediatamente alle tue domande.»
«Sta scherzando!?» esclamò incredula Lydia.
Il signor O’Brien si limitò ad espirare una nuvoletta di fumo. «Scoprirai che tendo ad essere particolarmente serio. E ci sono due motivi per cui non posso rivelarti tutto subito. Primo: non ho intenzione di dirti niente fino a quando non avremo stretto il giuramento. Secondo… stiamo aspettando mia moglie, si infuria quando prendo decisioni per la famiglia senza che lei sia presente.»
Lance ridacchiò. Come se fosse stata convocata, la signora O’Brien comparì in cima alle scale. «Dorian O’Brien! Dimmi che quella non è una sigaretta!» esclamò.
«La regola era niente fumo davanti ai bambini.»
«Anche Lance e Lydia sono bambini!»
«Ehi!» protestò offeso Lance. Probabilmente anche Lydia si sarebbe ribellata se non fosse stata concentrata su due parole pronunciate dai signori O’Brien. Giuramento e bambini. 
«Avete iniziato?» chiese la signora O’Brien sedendosi sulla poltrona di fronte a Lydia.
«Ti stavamo aspettando, tesoro.» il signor O’Brien fece roteare la sigaretta tra le dita e quella scomparve in uno sbuffo di fumo. 
«Ha parlato di un giuramento.» constatò Lydia. Spostò il sacchetto di ghiaccio dalla fronte alla spalla. «Volete farmi stringere un Voto Infrangibile?» Ecco, su quello non sarebbe stata particolarmente d’accordo. Sapeva cosa era un voto infrangibile da quando Blake Moore aveva cercato di stringerne uno con lei per scherzo. Conosceva anche quali erano gli effetti per chi lo infrangeva e non aveva nessuna intenzione di sperimentarli. Ripensò al giuramento che aveva stretto qualche minuto prima con Henry: un semplice intreccio di mignoli accompagnato da una promessa intonata a voce solenne. Ecco, non potevano farne uno simile?
«Nessun Voto Infrangibile.» la tranquillizzò il signor O’Brien. «Abbiamo altri metodi.» Ecco, non era più così tranquilla. 
«Tesoro, smettila di cercare di spaventarla.» lo rimproverò di nuovo la signora O’Brien.
«Già.» aggiunse Lance «Tanto non ci riesci. Anzi, possiamo sbrigarci? Ho talmente tanto sonno che potrei addormentarmi qui.» E confermò le sue parole sbadigliando vistosamente.
«E allora facciamolo.» Il signor O’Brien si alzò in piedi, e Lydia lo imitò. Il ghiaccio dimenticato cadde a terra. L’uomo le porse una mano e lei la strinse, sperando che non si notasse troppo il suo tremolio (e i palmi sudati).
Il signor O’Brien puntò la bacchetta verso le loro mani unite ed iniziò ad intonare un lungo incantesimo. Lydia si pentì immediatamente di non aver chiesto più dettagli rispetto a questo giuramento, ma non avrebbe mai permesso a Lance di anche solo sospettare che lei fosse davvero spaventata o insicura. Ci volle un minuto intero per formulare tutto l’incantesimo, e Lydia riuscì a distinguere solo poche parole, tutte rigorosamente in latino.
Cosa stava facendo? Non era da lei farsi coinvolgere negli affari degli altri. Per tutta la sua vita si era tirata fuori da qualsiasi cosa e ora si trovava nel salotto di alcuni semi sconosciuti a stringere un patto magico. 
Il signor O’Brien finì di pronunciare il lungo incantesimo. «Giuri di mantenere i segreti di questa famiglia e di non rivelare a nessuno il luogo dove ci troviamo e la missione che siamo chiamati a compiere?»
Eppure Lydia si accorse che, nonostante gli anni trascorsi lontani, non aveva mai smesso di fidarsi di Lance.
E così rispose con un tono che sperò essere altrettanto solenne. «Lo giuro.» Un filamento di magia violetto si strinse attorno alle loro mani, per poi dissolversi nell’aria. 
«Benvenuta tra noi.» sorrise la signora O’Brien. 
«Sicuri che non era un Voto Infrangibile, vero?» 
Il signor O’Brien tornò a sedersi sulla poltrona. «Quel tipo di giuramento non è poi così infallibile come molti maghi credono.»
«Ma se lo si infrange la pena è la morte.» Anche Lydia riprese il suo posto sul divano accanto a Lance, che le porse il ghiaccio ormai parzialmente sciolto. 
«Chi ha stretto la promessa muore dopo averla infranta. Significa che potresti rivelare la nostra posizione ai nemici e poi sì, pagare con la tua vita, ma ormai sarebbe troppo tardi per noi. Il giuramento che abbiamo stretto invece è di un altro tipo e può essere considerato anche più efficace in caso di una tua possibile cattura. Era un vecchio trucco delle famiglie di maghi nobili nel Medioevo, lo usavano sui propri servitori per non permetterli di diffondere i loro segreti. Avendo stretto il patto non potrai pronunciare una singola parola riguardo alla nostra missione o alla nostra locazione fino a quando non ti libererò dall’incantesimo.»
«E’ meno drastico e più sicuro.» riassunse la signora O’Brien.
«Ora possiamo passare alla parte che penso ti interessi di più: conoscere il vero motivo per cui stiamo chiedendo la tua collaborazione.» 
«E perché avete portato Henry qui.» annuì Lydia «E cosa è questo ‘qui’?» aggiunse guardandosi attorno. 
«Una cosa alla volta.» constatò il signor O’Brien.
«E’ la casa di famiglia.» rispose nello stesso momento Lance, ancora nascosto sotto il suo sacchetto di ghiaccio. 
«Mi avevi detto di abitare in un appartamento ad Oxford.»
«Infatti prima vivevamo lì.»
Il signor O’Brien li interruppe. «Se mi lasciate il tempo di parlare potrai capire tutto.» Lydia si zittì all’istante. 
E il signor O’Brien iniziò a raccontare. «Sin da quando Harry Potter è uscito dal labirinto della Terza Prova del Torneo Tremaghi sostenendo il ritorno del Signore Oscuro, abbiamo creduto alle sue parole. Sapevamo di essere in pericolo perché con lui sarebbero tornati in azione anche i suoi fidati Mangiamorte, e, non ne sono fiero, anche alcuni dei miei parenti sono tra le loro fila.» fece una smorfia.
«Alcuni dei suoi parenti?» chiese Lydia. Si mise più comoda sul divano, lasciando cadere sul bracciolo il sacchetto del ghiaccio ormai caldo. 
«Ho avuto la sfortuna di nascere in una famiglia Purosangue, non certo una delle più fanatiche, ma che comunque condivideva le ideologie sulla purezza del sangue, ritenendosi per questo superiore. Io stesso, da ingenuo, sono entrato ad Hogwarts con tale convinzione. Mi occorse poco tempo per rendermi conto che le mie convinzioni erano fondate su menzogne, che anche quelli che i miei genitori chiamavano Sanguemarcio erano in realtà maghi in molti casi più abili di me. Una volta scoperta la verità, ho cercato per lungo tempo di nascondere la mia nuova consapevolezza alla mia famiglia, questo non è stato più possibile quando ho incontrato Rose. I miei genitori non avrebbero mai accettato di vedermi sposato con una babbana.»
«Sua moglie è babbana!?» Lydia non voleva sembrare così sorpresa, eppure negli anni di amicizia con Lance, lui non aveva mai accennato al fatto che sua madre non possedesse la magia. La signora O’Brien si lasciò sfuggire un sospiro. «Non che ci sia qualcosa di male.» si affrettò ad aggiungere Lydia «I miei genitori sono babbani. Solo che… non me l’ha mai detto.»
«Lance ha la tendenza a non raccontare molto di sé agli altri.» la tranquillizzò la signora O’Brien.
«Forse se in questa famiglia ci fossero meno segreti racconterei qualcosa in più.» replicò Lance. Teneva gli occhi chiusi e se non avesse parlato, Lydia avrebbe pensato che si fosse addormentato.
«Non ora.» lo bloccò immediatamente il padre. «Tornando alla nostra storia sì, Lydia, Rose è babbana e come potrai immaginare i Purosangue non vedono di buon’occhio una possibile parentela con persone normali. Erano anni difficili. Il Signore Oscuro era nel pieno della sua prima ascesa al potere, i suoi ideali attiravano giovani di famiglie Purosangue come api al miele, e tra coloro che rimasero incantati dalla prospettiva di un mondo senza contaminazioni di sangue, vi furono anche alcuni miei parenti. In particolare un mio cugino. Tentò di convincermi ad unirmi a loro. Sapeva della mia storia con Rose, mi disse che ucciderla sarebbe stato il mio rito d’iniziazione. Per questo motivo decisi di scappare da casa.»
«Lei è scappato di casa?!»
«Anche io avevo ho avuto la stessa reazione quando me l’ha raccontato per la prima volta.» disse Lance. 
«Posso continuare?» Il signor O’Brien sembrava infastidito. 
«Giusto... Cercherò di stare in silenzio...» 
«Stavo dicendo che sono scappato di casa. E Rose, da vera incosciente o incredibilmente coraggiosa, mi ha seguito. Mio cugino comprese subito il mio tradimento, e giurò di darmi la caccia fino a quando non mi avrebbe ucciso, per purificare la mia famiglia dall’onta che avevo causato con la mia scelta. Sapevo perfettamente che non saremmo stati al sicuro nel mondo dei maghi, e quindi ci nascondemmo tra i babbani, con l’aiuto di mio fratello, l’unico che ha accettato la mia decisione. Ci creammo una vita lontano dagli orrori della guerra, una vita alla quale non rinunciammo neanche dopo la caduta del Signore Oscuro. Anche dopo quel fatidico ottobre, continuammo a vivere tra i babbani, nonostante i miei genitori erano ormai deceduti e mio cugino rinchiuso ad Azkaban.» 
«Il mondo magico si è ripresentato nella nostra vita quando il nostro figlio maggiore ricevette la lettera di Hogwarts. E’ stato in quel momento che abbiamo dovuto affrontare una scelta rimandata da anni: dovevamo continuare a nasconderci in un mondo senza magia oppure fare di nuovo il nostro ingresso in quello della stregoneria? Avevamo costruito dal nulla la nostra famiglia, ed eravamo davvero felici tra i babbani. Ma come potevo negare ai miei figli la gioia di frequentare Hogwarts? E così abbiamo sperato che il Signore Oscuro fosse davvero morto, e mio cugino, colui che non ha mai accettato mia moglie e ci ha dato la caccia negli anni della prima guerra, rimanesse in carcere fino al suo ultimo respiro. Ma questo non è accaduto. Il Signore Oscuro è tornato e una delle sue prime azioni è stata liberare i suoi fedeli servitori da Azkaban. La sera stessa in cui è stata comunicata la notizia dell’evasione di massa, ci siamo nascosti di nuovo. E per tornare alla tua domanda di prima, il nostro appartamento ad Oxford non era più sicuro, per questo abbiamo deciso di trasferirci qui. Questa casa appartiene alla nostra famiglia da generazioni, sui suoi confini erano già presenti numerose protezioni contro gli intrusi, babbani o maghi che fossero. E’ bastato modificarle e accrescerle e si è trasformato nel rifugio ideale.» Il signor O’Brien scambiò una rapida occhiata con sua moglie.
«E non è preoccupato che suo cugino venga a cercarla qui? In fondo se appartiene alla vostra famiglia sarà il primo luogo che sospetterà…» constatò Lydia.
«Sei sveglia.» commentò il signor O’Brien. «Ma no, nessuno sa che questo palazzo ci appartiene, solo mio fratello ne è a conoscenza.»
«Ed è per questo motivo che non ci vediamo da praticamente due anni.» aggiunse Lance, ancora con gli occhi chiusi, come se si volesse giustificare.
Lydia lo ignorò come sempre. «E Henry? Come mai è qui? E perché vi serve il mio aiuto?»
«È tutto nato da un’idea di mio fratello.» riprese a raccontare il signor O’Brien «Il giorno del funerale di Albus Silente comparve sulla nostra porta portando una bambina tra le braccia. Ci ha spiegato che era la figlia di un suo amico Nato Babbano che era stato ucciso quel giorno stesso dai Mangiamorte. La bambina non poteva stare con i nonni, non sarebbe stata al sicuro, aveva bisogno di un mago o di una strega che la proteggesse. La nostra casa era il luogo ideale. E in quel momento abbiamo capito che potevamo ancora fare qualcosa oltre a nasconderci aspettando la fine della guerra. E così abbiamo aperto le nostre porte ad altri bambini bisognosi di un luogo sicuro in cui rifugiarsi. Abbiamo iniziato da poco ma le richieste di aiuto sono già molte. Proprio questa settimana mio fratello ha già contattato altre due famiglie costrette alla fuga, con figli piccoli. Uno di questi era Henry.»
«Ma se è suo fratello a trovare i bambini come mai è stato Lance ad andare a prendere Henry?»
«Mio fratello lavora al Ministero, grazie alla reputazione dei nostri genitori e al fatto che nessuno sa che ci ha aiutati in questi anni e che siamo rimasti in contatto, gode della totale fiducia dei Mangiamorte, primo fra tutti di mio cugino. Grazie alla sua posizione ha accesso ai nomi dei ricercati, li riesce a contattare con l’aiuto dei suoi figli, ma non si può esporre troppo andando a prenderli di persona. Questo compito spetta a me e ai miei figli. Ma non saremo in grado di gestire il numero di bambini che chiederanno il nostro aiuto dalla prossima settimana.»
«I Nati Babbani che non si presenteranno all’interrogatorio.» concluse Lydia ripensando ad Alice, così decisa ad andarci per poter vivere in tranquillità.
«Esatto! Molti si nasconderanno nelle loro abitazioni, altri cercheranno di fuggire dal Paese, altri ancora dovranno scappare cambiando dimora di giorno in giorno, ma una vita in fuga da assassini non è sostenibile per i bambini, quindi offriamo loro un riparo.»
«E come fate con la Traccia? I bambini compiono spesso magie prima dagli undici anni e il Ministero le sa rintracciare.» Lydia l’aveva già visto accadere. «E da quando il Ministero è caduto anche i Mangiamorte hanno accesso a quelle informazioni.»
«Qui arriva il bello!» disse Lance.
«Questo palazzo nasconde molti segreti, Lydia.» spiegò il signor O’Brien «Non solo il giuramento che abbiamo stretto. Vi sono anche ricette di pozioni talmente antiche e superate da essere sconosciute persino ai più grandi pozionisti. Tra queste abbiamo avuto la fortuna di trovare quella di una pozione che se viene assunta ogni quindici giorni elimina completamente ogni magia involontaria nei bambini e, di conseguenza, anche la Traccia.»
«Cosa?» Lydia era certa di non aver capito bene.
«Tale pozione necessita di ingredienti difficili da reperire, questo è vero, ma gli effetti sono miracolosi. Veniva utilizzata durante la caccia alle streghe del XVI secolo. Prima dello Statuto di Segretezza i babbani perseguitavano i maghi e molti di essi venivano scoperti proprio a causa delle magie involontarie dei loro figli. Per tale motivo venne inventata questa pozione, poi dimenticata con il passare dei secoli. È una fortuna che la nostra famiglia sia sempre stata affascinata dal sapere antico.»
«Quindi come funziona? Dove recuperate i bambini? Come?»
Il signor O’Brien la interruppe. «Temo che ormai sia tardi per ulteriori spiegazioni. Ora sei a conoscenza di quale sia il nostro compito, cosa facciamo e hai un’ultima occasione per tirarti indietro. Se non vuoi aiutarci sentiti libera di non accettare. Ma questa volta non potrai sfuggire all’Oblivion.»
«No!» rispose immediatamente Lydia. «Voglio farlo. Voglio aiutarvi.» Qualsiasi cosa pur di non rimanere a casa di sua nonna con la zia Maisie. Era la perfetta via di fuga. 
Lance si sollevò per guardarla meglio. «Lydia Merlin che decide di aiutare qualcuno senza chiedere nulla in cambio? Stai bene? Sei sicura di non aver sbattuto la testa troppo forte prima?»
Lydia dovette trattenersi dal tirargli un pugno sul braccio. Ma poi si bloccò. Si rivolse di nuovo al signor O’Brien «Effettivamente avrei una richiesta.»


Si Materializzarono a qualche metro dalla veranda.
«Puoi aspettarmi qui?» chiese Lydia, il pensiero già rivolto a quello che sarebbe successo una volta entrata in casa. 
«No, assolutamente no. Ho sonno, sono stanco e non ho nessuna intenzione di aspettare fuori al gelo.» Lance sembrava convinto, ma bastò una semplice occhiata da parte di Lydia per fargli cambiare idea. «Un giorno o l’altro smetterà di terrorizzarmi.» borbottò iniziando a controllare i confini.
«Mai.» sentenziò Lydia, sorridendo. 
Non indugiò sulla porta, prima sarebbe entrata meno sarebbe dovuta rimanere in quel luogo che fino a quella mattina aveva pensato essere il miglior rifugio possibile per lei. Entrò in casa, tutte le luci erano accese e appena mise piede nel salotto si ritrovò stretta nell’abbraccio di sua madre. 
«Come hai potuto fare una cosa del genere?!» la signora Merlin la lasciò andare per controllare che fosse ancora tutta intera. Come al solito fece una smorfia, ormai involontaria, alla vista della cicatrice. Sua madre non riusciva proprio a sopportare che il bel viso della sua unica figlia fosse stato rovinato in quel modo. «Prima ci costringi ad abbandonare la nostra casa e poi scappi senza neanche una parola! Vuoi farci morire di paura?»
Lydia però non aveva nessuna voglia di affrontare una discussione con sua madre, nonostante sapesse che i suoi genitori meritavano delle spiegazioni.
«Stai bene?» chiese semplicemente il padre.
Lydia non rispose, guardò invece verso la cucina. La porta socchiusa non poteva impedirle di intravedere sua nonna e sua zia sedute al tavolo. Non poteva rimanere un attimo in più in quella casa.
Riuscì a sfuggire dalla presa della madre e a superare suo padre, salì di corsa le scale e si precipitò in quella che sarebbe dovuta diventare la sua camera. Come aveva pensato, i suoi genitori avevano posato sul letto lo zaino e la valigia. Afferrò entrambi e scese di nuovo in sala.
«Dove pensi di andare?» strillò sua madre, cercando di prenderle la valigia.
«So che sei spaventata ma sei al sicuro qui, vedrai che andrà tutto bene.» Anche suo padre fece un passo verso Lydia, deciso a fermarla in tutti i modi. Fu costretto ad arretrare quando la figlia gli puntò contro la bacchetta. Il silenzio calò nella stanza. 
«Cosa stai facendo?» Le lacrime rigavano il volto della signora Merlin. 
Anche sua nonna e zia Maisie fecero la loro comparsa. «Cosa diavolo sta succedendo qui?» sbraitò la nonna, mentre la zia divenne pallida alla vista della bacchetta.
«Ora mi ascoltate bene.» Lydia sperò che la sua voce risultasse decisa come avrebbe voluto. «I Mangiamorte non verranno a cercarvi, non se io non ci sono, ma dovete tenere comunque un profilo basso. Cercate di non farvi notare, e se vedete qualcosa di strano o solo somigliante ad una magia tornate qui, immediatamente. La casa è protetta da incantesimi, sarete al sicuro. E non cercate di contattarmi.» Sua madre sembrò volerla interrompere, scossa dai singhiozzi, ma Lydia non le lasciò il tempo. «Non posso restare. Devo...» le mancò la voce. Non poteva dire ai suoi genitori quello che avrebbe fatto realmente, il giuramento glielo impediva. Cambiò la frase. «Vado in un altro posto, non posso stare chiusa qua dentro, non riesco.» Si mosse verso l’uscita, continuando a tenere la sua famiglia sotto tiro. Il cuore batteva all’impazzata, era il momento di salutarli. 
Sua madre piangeva, stringendosi le mani al petto, suo padre invece fece qualche passo verso di lei, cauto. «Lydia, posa quella bacchetta. Qui sei al sicuro, l’hai detto tu stessa, non ti verranno a cercare e...»
«Non so per quando tempo non riusciremo a vederci.» lo fermò Lydia «Molto probabilmente fino a quando questa maledetta guerra non sarà finita.» Non riusciva più a guardare i suoi genitori, il loro sguardo disperato. «Mi dispiace. Giuro che sarete al sicuro.» bisbigliò. «Protego.» Corse verso la porta e la spalancò. Appena superato il confine della proprietà di sua nonna, la mano di Lance le sfiorò il braccio e insieme si Smaterializzarono nell’oscurità.






Curiosità: Il secondo capitolo è l’unico che è rimasto per la maggior parte invariato durante gli anni. Questo perché la missione della famiglia O’Brien, il dare un posto sicuro a tutti i bambini figli di Nati Babbani o traditori del loro sangue, è stata proprio l’idea che ha dato origine alla storia. Un’idea nata dopo aver scritto la tesina della maturità sull’educazione dei bambini durante la seconda guerra mondiale, in contemporanea ad una rilettura della saga di Harry Potter.
Informazioni: Ho deciso di velocizzare la pubblicazione dei primi tre capitoli, essendo molto legati tra loro e fondamentali per l’avvia della trama vera e propria, per questo motivo il terzo capitolo verrà pubblicato giovedì 17 agosto.
                      
Sulla pagina Instagram della storia (@piumedicenere) potete trovare una piccola illustrazione per ogni capitolo pubblicato e, nei prossimi giorni, un estratto del capitolo successivo.
 
Grazie di cuore a voi lettori,
Grazie a chi ha lasciato una recensione,
Grazie a chi ha inserito questa storia tra le sue preferite, da ricordare o da seguire.
Grazie mille, non sapete quanta gioia mi avete donato
Un abbraccio,
Emma Speranza


'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Di vasi e famiglie spezzate ***


Capitolo 3

Di vasi e famiglie spezzate


 

La luce del sole filtrava attraverso le tende andando a posarsi sulla guancia di Lydia. La ragazza si nascose sotto le coperte, mugugnando quello che sarebbe dovuto essere un: «Ancora cinque minuti». Poi fu come se il suo cervello si svegliasse all’improvviso, collegando che quello non era il suo letto, non era a casa sua e aveva una missione da compiere. 
Fu questo pensiero a farle spalancare gli occhi. 
Si mise seduta, sfregandosi il viso e sbadigliando. E quando tolse la mani dal volto si rese finalmente conto di essere osservata. Cinque bambini la guardavano incuriositi, circondando il letto. E Lydia, forse a causa del fatto che si era appena svegliata, fece l’unica cosa che le sembrava plausibile: ripiombò nel cuscino sperando che fosse solo un incubo. Lei che non voleva avere niente a che fare con dei bambini si ritrovava, praticamente di sua scelta, circondata da loro appena sveglia.
Qualche bimbo rise e uno di loro saltò sul letto, Lydia lo stava per scaraventare giù quando si accorse che era Henry ad essersi sdraiato praticamente sulla sua faccia, in un gesto che per il bambino avrebbe dovuto essere un abbraccio. «Sei rimasta!»
E Lydia avrebbe voluto rispondere una frase ad effetto come «Te lo avevo promesso.», ma aveva problemi a respirare e non sarebbe stata sicuramente in grado di formulare una frase così lunga. 
«Henry!» esclamò una voce, a cui Lydia non riuscì a dare un volto, visto che aveva la visuale completamente coperta dal capelli ricci del bimbo. «Henry! La stai soffocando!»
Il bambino venne sollevato e posato a terra, Lydia riuscì nuovamente a respirare e avrebbe ringraziato la sua salvatrice se non si fosse trovata davanti una ragazza uguale identica a Lance. 
La sconosciuta si sedette sul letto accanto a lei. 
A primo impatto sembrava proprio una versione femminile di Lance, dopo aver superato il primo istante di stupore però, Lydia iniziò a notare le differenze. Era vero, i capelli biondi e gli occhi celesti erano dello stesso identico colore, ma il viso era diverso, meno squadrato, gli zigomi erano più alti e la fronte meno ampia e, soprattutto, Lance era sempre incline al sorriso mentre la ragazza la stava scrutando con uno sguardo inquisitorio e le labbra strette in una linea sottile. Lydia si sentì a disagio e cercò di coprirsi meglio con le lenzuola. La sconosciuta invece non si fece problemi a continuare a fissarla.
«Emh… ciao.» disse Lydia.
«Fuori di qui.» ordinò la ragazza. I bambini scattarono sull’attenti e corsero via senza dire una parola, Henry compreso. E poi la sconosciuta le rivolse un sorriso.
«Ciao Lydia! Finalmente ci conosciamo di persona!»
Lydia si riscosse e sperò che la sua faccia non stesse esprimendo tutto lo stupore che provava. «Ah, sì, ecco… tu saresti…?» Non trovò nessun altro modo gentile per farle capire che non aveva la minima idea di chi fosse, né di cosa ci facesse sul suo letto.
La ragazza si accigliò. «Il fatto che tu non mi riconosca mi offende. Sono Caitlin.»
Lydia decise di non rivelare che quel nome non significava assolutamente nulla per lei. Per togliersi dall’imbarazzo cercò di trovare qualcosa di intelligente da dire, qualsiasi cosa, quando fu salvata da un rumore che somigliava terribilmente a dei vetri in frantumi.
«Non ci credo!» esclamò Caitlin «Hanno di nuovo rotto il vaso della nonna!» e uscì a grandi passi dalla stanza lasciando Lydia da sola ad osservare la porta lasciata spalancata.
«Dove sono finita?» si chiese confusa. Poi decise che forse era meglio alzarsi ed andare a controllare che non stesse ancora sognando. 
Ancora mezza rintontita dal sonno, si avventurò fuori dalla stanza, nel breve corridoio che la separava dalle scale. Incominciò a scendere gli scalini e scoprì che la scena del crimine si trovava sul pianerottolo del primo piano.
«Eccola!» Una bimbetta la indicò, mentre Henry corse a prenderla per mano e spingerla verso i cocci del vaso. «Riparalo!» esclamò con quell’entusiasmo che sembrava non abbandonarlo mai.
«Cosa?» chiese Lydia. Cercò il supporto di Caitlin, la quale però era troppo intenta a minacciare due bambini che stavano cercando di scendere le scale sul corrimano per ricambiare il suo sguardo.
«Non sai come si fa? Allora non sei una vera strega!»
«Certo che è una vera strega, Simon!» ribatté Henry. «E ora devi ripararlo!»
Lydia era ancora confusa ma non si lasciò pregare, prese la sua bacchetta e con un semplice «Reparo.» Il vaso tornò alla sua bruttezza originaria.
«Avete notato qualcosa?» domandò il bambino che doveva chiamarsi Simon.
«I pezzi si sono mossi in modo diverso, più lenti e non si sono scontrati come ieri...» rispose un altro bambino.
«Non è cambiato nulla invece!»
E così iniziò una vera e propria discussione su cosa fosse successo durante l’incantesimo. Caitlin si avvicinò a Lydia, la quale continuava a guardare la scena senza capire. 
«E’ un loro esperimento.» sbuffò infastidita «Vogliono cercare di capire se la magia cambia di mago in mago, e da quando gli ho proibito di fare esperimenti bruciando le tende hanno iniziato a rompere il vaso. Penso che vogliano anche scoprire dopo quante volte non è più possibile ripararlo. Non che mi importi. Ho sempre odiato quel vaso, e anche le tende, ad essere sincera. Li ho fermati solo perché avevano usato il mio accendino e non volevo che la mamma lo scoprisse.»
«La colazione!» urlò la signora O’Brien dalla cucina. I bambini si buttarono quasi letteralmente dalle scale, e in pochi istanti erano scomparsi sia loro sia Caitlin. 
E per la seconda volta, rimasta sola con il vecchio vaso, Lydia si chiese dove fosse capitata. 
Scese la scale e seguì il rumore di voci e di piatti fino alla sala da pranzo. Il signor O’Brien era seduto a capotavola e alzò gli occhi brevemente solo per sorridere a Caitlin, che cercava in tutti i modi di far sedere la ciurma di bimbi. 
«Io voglio Lydia!» Henry riuscì con la sua poca forza a far cadere dalla sedia il bambino che aveva tentato di sedersi vicino a lui.
Lydia non ne aveva la minima intenzione e cercò di trovare un’altra sedia libera. Ma in ogni angolo in cui guardava c’era un bambino diverso, con le loro urla e mani appiccicose. Meglio scegliere il male minore. 
«Sì!» esclamò Henry quando la vide prendere posto accanto a lui. E iniziò a parlare a ruota del suo nuovo letto, della camera, degli altri bambini che aveva appena conosciuto e così via in un turbine senza fine di parole. Per un attimo Lydia rimpianse il fatto che Lance non fosse ancora arrivato. Avrebbe preferito litigare con lui che ascoltare un bambino di quattro anni sovraeccitato.
Henry non smise di parlare neppure quando i piatti cominciarono a librarsi in volo dalla cucina e posarsi sul tavolo, per essere presi d’assalto dalle mani dei bambini appena toccarono la tovaglia. Caitlin scosse la testa «Sono degli animali.» borbottò guardando disgustata le manine che afferravano i pezzi di salsiccia. 
«Anche se ho solo quattro anni la mia mamma mi ha insegnato a scrivere, i miei amici non sanno scrivere, neanche leggere!» continuava invece Henry «La maestra mi ha detto che sono bravo, posso averne anche io?» indicò il caffè che Lydia si stava versando.
«Neanche per sogno.» rispose immediatamente Lydia. Quel bambino era già abbastanza agitato, avrebbe distrutto il palazzo se avesse bevuto della caffeina.
«E all’asilo a volte leggo i libri davanti agli altri bambini!» Henry prese una porzione spropositata di uova e iniziò a mangiarle velocemente, continuando a parlare nonostante avesse la bocca piena.
«Ti verrà il singhiozzo.» Lydia si versò un’abbondante dose di zucchero nella tazzina.
Henry si limitò a scrollare le spalle e continuò il suo intenso racconto, senza accorgersi che Lydia stava solo fingendo di ascoltarlo. 
Le sembrava così strano trovarsi in quella stanza insieme a dei perfetti sconosciuti. Dove era Lance? Se proprio Lydia doveva sopportare lo strazio di una colazione con le urla di bambini nelle orecchie, allora anche Lance avrebbe dovuto condividere la stessa tortura. 
Come se fosse stato convocato, Lance comparve sulla porta della sala. «Papà. C’è un nuovo messaggio.»
Tutti si zittirono tranne Henry, che continuò per qualche secondo il suo monologo prima di rendersi conto che gli altri si erano voltati verso Lance. Il signor O'Brien arrotolò il giornale con un’espressione imperturbabile, lo posò sul tavolo e uscì senza dire una parola, seguito da Lance. I bambini cominciarono a parlare tra loro, sembravano emozionati.
Lydia si chinò verso Henry. «Cosa significa? Che messaggio?» 
«Boh!» Il bambino si strinse nelle spalle.
Fu Simon, il bimbo che si trovava di fronte a loro, a rispondere. «Di solito quando arriva un messaggio arriva anche un bambino.» e immerse le dita nel vasetto della marmellata scatenando un conato di vomito in Caitlin, seduta accanto a lui. 
«Come funziona?» chiese Henry, ma ormai Lydia era già corsa fuori dalla stanza, alla ricerca di Lance e del signor O’Brien.

Li cercò al piano terra senza successo. Proseguì la sua ricerca ai piani superiori, salì la prima rampa di scale e udì delle voci in lontananza. Le seguì fino in fondo al corridoio. 
«Duncan e Katherine non sono ancora tornati, devo andare io.» stava dicendo la voce di Lance. «Non possiamo aspettare che tornino.»
«Il Censimento non è ancora iniziato, potranno certamente tenerlo al sicuro per qualche giorno, o almeno fino a domani.» rispose il signor O’Brien.
«Perché non mi lasci andare? Ieri sono andato bene, ho portato Henry fin qui!» Lance sembrava risentito.
«E hai portato la ragazza con te.» 
Lydia, che era ormai giunta davanti alla porta socchiusa, si bloccò. 
«Ma hai detto tu stesso che può essere una risorsa preziosa! Può aiutarci.»
«Non è questo il punto!» Una nuvoletta di fumo uscì dallo spiraglio della porta, probabilmente il signor O'Brien aveva acceso una sigaretta. «Se fosse stato un Mangiamorte? O una persona di cui non ci si poteva fidare? Conosci perfettamente le procedure nel caso qualcuno riesca ad afferrarti durante la Materializzazione e invece l’hai portata dritta in casa nostra. Sei stato irresponsabile. E non posso permetterti di fallire una seconda volta.»
«Non puoi - »
«Aspetteremo tuo fratello.» concluse perentorio il signor O’Brien.
Senza ulteriore indugio, Lydia spalancò la porta. «Lance non sbaglierà. Andrò io con lui.» esclamò decisa, attirando l’attenzione dei due uomini.

Lance sobbalzò. «Non bussi mai?» 
Lydia lo fulminò con lo sguardo. 
«Lance ha commesso un errore.» Suo padre, ancora seduto alla scrivania, non parve altrettanto sorpreso dall’irruzione di Lydia «E Lydia, per quanto io apprezzi la tua determinazione, non hai l’esperienza e non conosci la procedura per affrontare questa impresa. Starete entrambi a casa. Quando arriverà Duncan sarà lui a compiere la missione, e tu, Lydia, lo accompagnerai così potrai sperimentare e studiare il nostro sistema operativo.» Chiuse la lettera nel cassetto della scrivania, facendo comprendere ai ragazzi che per lui la conversazione era terminata. 
Lance sospirò e si avvicinò alla porta, solo quando era ormai sulla soglia si rese conto che Lydia non lo stava seguendo. Aveva le braccia conserte e rivolgeva al signor O’Brien una di quelle occhiate che Lance conosceva fin troppo bene e sapeva che non portavano a nulla di buono.
Anche suo padre se ne accorse e alzò lo sguardo dalla sua sigaretta. «La questione è chiusa.» Indicò la porta.
«Forse per lei. Non per me.» replicò svelta Lydia.
«Come, scusa?» 
«Forse per lei un giorno può sembrare un breve periodo di tempo ma nessuno può dire che cosa potrebbe accadere nel corso di ventiquattro ore. Siamo in guerra, ogni giorno viviamo su un filo sottile che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro. Guardi cosa è successo con il Ministero. Il giorno prima sembrava che gli Auror dovessero salvarci tutti e il giorno dopo la maggior parte di loro era al servizio di Voi-Sapete-Chi. Per questo non riesco a spiegarmi per quale motivo lascereste un bambino anche solo un giorno in più senza la vostra protezione. E se decidessero di anticipare il Censimento? O di andare di persona ad arrestare tutti quelli che sono stati convocati? E non so esattamente dove sia Duncan, ma da come ho capito nessuno sa quando potrebbe tornare esattamente… E se ritardasse? Davvero lascereste questa famiglia ad aspettare il vostro aiuto per giorni interi se non settimane? Lance avrà anche sbagliato, e io sono impreparata, lo ammetto, ma in questo momento siamo la migliore possibilità per salvare quel bambino.»
Il signor O’Brien si limitò a fissarla. Poi, dopo quelle che erano parse ore, annunciò «Partirete tra due ore. Ma commettete un singolo errore.» spostò lo sguardo sul figlio «E non vi permetterò mai più di uscire da questa casa.»

Era fatta. Lydia avrebbe avuto la sua occasione, poteva dimostrare il suo valore e far comprendere al signor O’Brien che non aveva commesso un errore a fidarsi di lei, a lasciarla entrare nella sua dimora. Le sfuggì un sorriso.
«Non rallegrarti. Sarà più difficile di quanto tu possa immaginare.» disse il signor O’Brien «Andate a prepararvi, vi aspetto davanti alla porta alle dieci esatte. E ora, fuori dal mio studio.»
Questa volta Lydia non se lo fece ripetere due volte e seguì Lance di corsa.
«Non posso crederci. Non riesco a crederci che lo hai fatto davvero.» stava ripetendo Lance, ammirato.
«Credici.» rispose Lydia continuando ad allontanarsi dallo studio. «E avrei anche bisogno di sapere che cosa devo fare esattamente per prepararmi. Tuo padre poteva essere un po’ più specifico.»
Lance tossicchiò. «Penso che intendesse che non puoi venire in pigiama.»
Lydia si fermò di colpo ed abbassò lo sguardo. Era stata talmente presa alla sprovvista da Caitlin e il vaso rotto da essersi dimenticata di cambiarsi. «Giusto.»
«Per il resto non ti preoccupare, prenderemo la pozione Polisucco quindi non devi preoccuparti neanche per…» la voce di Lance si spense per l’imbarazzo, ma a Lydia non serviva che completasse la frase per capire a cosa si stesse riferendo. Con un gesto involontario si portò una mano sul volto. Sapeva come appariva, la cicatrice era talmente vivida da risaltare costantemente e il solco le attraversava praticamente metà viso. «Scusa, non volevo.» si affrettò ad aggiungere Lance.
Ma stranamente, per la prima volta, Lydia non ebbe alcuna reazione a sentire nominare la sua cicatrice. Solitamente il povero sventurato avrebbe trascorso una mezz’ora a pentirsi amaramente di averla anche solo guardata. Eppure si accorse che con Lance era diverso, anche se Lydia non ne capiva il motivo. E non voleva capirlo, decise scuotendo la testa. «Vado a cambiarmi.» e salì di corsa le scale diretta verso la sua camera.

Lydia si presentò all’ingresso a cinque minuti alle dieci. Lance si trovava già lì, seduto su un divanetto, intento a leggere delle carte e delle mappe e a cercare di ignorare Caitlin. 
«Sei il solito fortunato.» gli stava dicendo la ragazza «Puoi uscire due giorni di seguito! Mentre io sono rinchiusa qui da non so quanto tempo!»
«Cait…»
«Lo so, lo so, sono cose pericolose e bla bla bla, ma almeno tu ti diverti, vedi della gente, esci da questa stupida casa…»
«Caitlin!» Questa volta fu la signora O’Brien a parlare. Era appena uscita dalla cucina insieme al marito. Caitlin sbuffò e si alzò dal divanetto. 
«Lo so, è per il mio bene e cose così. Bah, che strazio.» e detto questo si allontanò a grandi passi e si rinchiuse in cucina con i bambini.
La signora O’Brien si rivolse a Lydia con un sorriso di scuse. «Perdonala, di solito non è così. E’ solo scossa per questa situazione.» 
Il verso di scherno di Lance dimostrò il contrario.
Ma Lydia voleva tenersi lontana il più possibile dai drammi famigliari e si limitò a chiedere: «Dove dobbiamo andare?»
«Lance conosce il luogo dell’incontro.» rispose il signor O’Brien «Lydia, ascolta tutto quello che dice mio figlio, obbediscili in qualsiasi caso. E cosa più importante, se incontrate un Mangiamorte e per caso quel Mangiamorte ti afferra mentre ti stai Smaterializzando, non portarli qui. Conducili in qualsiasi altro posto, preferibilmente uno deserto, una foresta o un altro luogo in cui puoi trovare facilmente riparo. Conosci un posto del genere?»
Lydia ci pensò per qualche secondo. Aveva in mente una possibile destinazione, vicina al paese dove da piccola passava le vacanze con i suoi genitori. Era una foresta nella quale suo padre le aveva sempre impedito di avventurarsi a causa della mancanza di un sentiero. «Sì, lo conosco.»
«Bene, avere una via di fuga pronta è la difesa più importante. Ora passiamo alle pozioni.»
La signora O’Brien le diede una borsa. «Qui ci sono rimedi babbani e magici per la maggior parte delle ferite. E anche qualcosa da mangiare.» 
«E infine questa.» Il signor O’Brien consegnò a Lydia e Lance due boccette che contenevano rispettivamente una miscela dorata e una marrone. «Bevetene un sorso appena starete per varcare il nostro confine, se tra un’ora sarete ancora fuori bevete anche la seconda parte. Di più non possiamo darvene, le scorte sono limitate.»
«Quanto limitate?» chiese Lydia guardando la sua boccetta dorata.
«Troppo.» rispose Lance. «Ma nei sotterranei ne abbiamo un calderone pieno, dovrebbe essere pronta tra pochi giorni.»
«Quindi cercate di tornare il prima possibile.» concluse il signor O’Brien «Lydia, tu avrai l’aspetto di una giovane donna. Scegliamo sempre persone giovani che abbiano la vostra altezza e corporatura. Per te è stato facile, hai le stesse misure della fidanzata di Duncan. Ti assicuro che sarebbe molto scomodo dover camminare in un corpo troppo diverso dal tuo e risultare allo stesso tempo naturale. In ogni caso non abbassate la guardia.» estrasse l’orologio dal taschino. «E’ ora di andare. Buona fortuna.»
La signora O’Brien abbracciò entrambi. «Tornate presto.»
«Lo faremo.»

Si Materializzarono in un vicolo, tra i bidoni dell'immondizia e dei gatti affamati che scapparono appena li videro. «Comunque questa ragazza è più bassa di me.» borbottò Lydia cercando di sistemarsi i pantaloni che le coprivano le scarpe.
«È solo perché Katherine è più bassa di pochi centimetri. Penso che papà abbia già scritto a mio zio per avere dei capelli di qualcuno che sia davvero come te. Per ora devi solo sopportare.»
Lydia sospirò e fece un risvolto all’orlo dei pantaloni. «Ora che mi viene in mente… come mai ieri sei venuto a prendere Henry con il tuo vero aspetto? Non hai usato la Pozione Polisucco?»
«L’ho usata. Ma siete arrivati più tardi del previsto, l’effetto era già svanito, e non volevo tornare a casa senza il bambino. Non sai quanto ho dovuto pregare i miei genitori per farmi uscire da solo. E Caitlin mi avrebbe preso in giro per il resto della mia vita.»
Lydia si limitò ad annuire. «Dove dobbiamo andare?» Legò di nuovo i capelli diventati biondi, più corti dei suoi. Lasciò una ciocca di capelli libera per coprirsi bene la parte sinistra del volto, per abitudine. 
«Il bambino si trova poco lontano da qui. Sfortunatamente la casa in cui abita è in una zona molto trafficata, nella piazza dove ci sono tutti i negozi della città, ma può risultarci utile per confonderci tra la folla.» Lance si accertò che la sua bacchetta fosse ancora nascosta sotto la giacca leggera. Lydia controllò di riflesso anche la propria. La giacca era utile per coprirla, e non avrebbe insospettito visto che in quei giorni si era assistito ad un calo drastico delle temperature in metà del Paese. «Andiamo.» 
La strada in cui si trovavano era deserta, nessuno avrebbe potuto accorgersi che erano appena comparsi dal nulla e Lydia capì che era quello il motivo per cui non si erano Materializzati più vicini alla casa. 
«Il problema è che il nuovo Ministero si è circondato di una serie di spie. Sospettiamo che abbiano liberato i prigionieri di Azkaban. In cambio della libertà loro controllano le strade babbane, se succede qualcosa di sospetto, chiamano i loro nuovi amichetti che sono subito pronti ad intervenire.» Una macchina sfrecciò accanto a loro.
«Avranno dovuto fare spazio per i Nati Babbani, immagino che terranno chiusi lì dentro tutti quelli che si presenteranno all’interrogatorio.»
Svoltarono l’angolo e si trovarono su una strada affollata. Stavano tutti correndo, cercando di terminare le loro commissioni e tornare preso a casa. L’inquietudine aveva raggiunto anche i babbani.
«Dubito che li lasceranno uscire con le loro bacchette.» La voce di Lydia si ridusse ad un sussurro, temendo che qualcuno li sentisse parlare di bacchette e prigioni magiche «Di sicuro le confischeranno, ma come potrebbero accertarsi che i Nati Babbani non riescano a recuperarne altre? Penso che ci considerino troppo pericolosi. E se davvero, come dici tu, i prigionieri sono stati lasciati liberi allora vuol dire che hanno svuotato la prigione e hanno in mente un nuovo scopo per Azkaban.»
«Hai ricevuto anche tu la lettera?»
Lydia scrollò le spalle. «Non ho intenzione di andarci, se è quello che vuoi sapere.» La strada era talmente affollata che diverse persone li urtavano senza neppure accorgersene. «Ma passiamo ad argomenti più interessanti.»
Lance la guardò perplesso. «Più interessanti della guerra?»
«Sì. Come, per esempio, chi è Caitlin.» Lance si bloccò di colpo, Lydia lo strattonò e lo costrinse a ricominciare a camminare. «Sei impazzito? Non dobbiamo dare nell’occhio!»
Lance respirò profondamente. «E’ mia sorella.» Questa volta fu lui a prendere Lydia per mano e a costringerla a continuare a camminare.
«Cosa!?» chiese Lydia con voce strozzata. 
«Gemella.» concluse mestamente Lance.
Lydia non riusciva a crederci. «Ho notato che ti assomigliava ma pensavo fosse tipo una cugina, o qualcosa del genere… non tua sorella!» Gemella aggiunse mentalmente, come se ripeterlo potesse renderlo più verosimile. 
Si fermarono pochi secondi per controllare a destra e a sinistra e poi attraversarono velocemente la strada. «Non mi hai mai detto di avere una sorella!»
Lance si passò una mano nei capelli, un gesto abitudinario ma che non sortiva lo stesso effetto con i capelli a spazzola che gli aveva conferito la Pozione Polisucco. «Di sicuro l’ho accennato qualche volta.»
«Sono sicura che me lo ricorderei.» rispose ironica. 
Come aveva potuto nasconderle una cosa del genere? E come aveva fatto Lance a non nominare mai la sorella nei sette lunghi anni che avevano trascorso ad Hogwarts? Alcune volte si erano incontrati anche d’estate a Diagon Alley, e Lydia era sicura che in quelle occasioni aveva visto la famiglia di Lance ma mai Caitlin. «Mi hai mentito!»
«No!» esclamò Lance. Per fortuna in quel momento stavano passando accanto ad un cantiere e il suo urlo si confuse con il suono di un martello pneumatico. «Non ti ho mai mentito.» si affrettò ad aggiungere Lance a voce più bassa «Non ne abbiamo mai parlato, è diverso.» Lydia si limitò a guardarlo, scettica. 
«E perché non ha frequentato Hogw- la nostra scuola?» si corresse lanciando una veloce occhiata ai loro dintorni. Nulla di strano, nessuno li osservava. 
«Ha studiato a casa.» Lydia stava per ribattere ma Lance la bloccò «Senti, Lydia, mi dispiace, va bene? Ma ne parliamo dopo… non vorrei che…» si guardò attorno furtivo.
«Qualcuno ci sentisse.» concluse Lydia al suo posto.
Lance annuì. Lydia ebbe la tentazione di aggiungere una frase ad effetto tipo «Non è finita qui.» ma si trattenne all’ultimo secondo. 
Camminarono ancora per dieci minuti tenendosi nella strada principale, per confondersi con la folla. «Siamo arrivati.» disse infine Lance. 
Si trovavano in una piazza ai cui lati alcuni mercatini mostravano la loro mercanzia, principalmente prodotti locali e souvenir. «Questa è una zona turistica, con così tanti stranieri nessuno riconoscerà il bambino che porteremo con noi, ti posso assicurare che non è affatto piacevole quando qualcuno pensa che tu sia un ladro di bambini, soprattutto quando si mette in mezzo la polizia babbana.»
«E come hai fatto ad uscirne?» Lydia finse di esaminare una bancarella.
«Mio fratello ha usato l’Incantesimo Confundus sul poliziotto che era intervenuto. Il problema è stato quando ha iniziato a starnazzare come una gallina.»
«Stai scherzando?»
«A volte gli incantesimi hanno strani effetti sui babbani.» Lance fece finta di essere molto interessato ad alcune magliette in vendita, in realtà Lydia si accorse che stava esaminando le case che circondavano la piazza. «Eccola, numero 13, di fronte al banchetto delle borse.»
Lydia annuì. «Andiamo.» Si fermarono ad altre tre bancarelle prima di dirigersi verso il loro obiettivo. Quando finalmente lo raggiunsero, si guardarono un’ultima volta attorno e Lance suonò deciso il campanello. Aspettarono per un minuto intero, fino a quando infine la porta si socchiuse.
«Ciao zio Steve!» esclamò Lance con talmente tanto entusiasmo da sembrare davvero che stesse salutando uno zio che non vedeva da tempo. Lydia si stupì: Lance non era mai stato particolarmente capace di mentire. O forse era solo perché lei capiva sempre quando lo faceva. «Ti presento Eliza!» continuò Lance, facendo un cenno verso Lydia.
Lydia sorrise. «É un piacere conoscerla!» Strinse la mano di Steve.
«Il piacere è mio, Oliver mi parla sempre di te.» Anche Steve stava cercando di sorridere, ma appariva teso, i suoi occhi passavano in rassegna spasmodicamente la piazza alle loro spalle. «Entrate, Daniel vi aspetta.»
Appena si chiusero la porta alle spalle i sorrisi si spensero e la recita terminò. 
Una donna fece capolinea dalla cucina, tenendo la mano di un bambino. Piangevano entrambi. 
«Non voglio!» urlava il bambino, aggrappandosi alla gamba della madre.
«Daniel, starai con loro solo per poco. Stasera torniamo a prenderti.» Il tono del padre era risoluto, prese uno zainetto e lo mise a forza sulle spalle del bambino, per fare in modo che non vedesse cosa conteneva. 
«Ma la mamma ha detto che devo fare il bravo e piange, perché piange?»
Steve si irrigidì. «Stasera veniamo a prenderti.» disse deciso. 
Anche se tutti, tranne il bambino, erano consapevoli che non si sarebbero rivisti per molto, troppo tempo.
Il padre abbracciò Daniel. «Ci vediamo stasera.» e fu il turno della madre di salutare il figlio. 
Steve si avvicinò a Lydia e Lance e li condusse di nuovo davanti alla porta di casa, lontani dalle orecchie del bambino. «Grazie, non so come avremmo fatto senza di voi. Mio fratello… mio fratello ha tentato di scappare dall’Inghilterra, l’hanno catturato a causa della Traccia del figlio.» la sua voce si spezzò. «Potete promettermi che sarà al sicuro?»
Fu Lance a rispondere, senza nessuna esitazione. «Sarà ben protetto.»
Stephanie e Daniel si accostarono a loro. 
«É ora di andare!» esclamò Lance e prese la mano del bambino. «Vedrai che ti divertirai.» Era un bravo attore.
Daniel non sembrava molto convinto ma tirò su con il naso, salutò con la mano i genitori e uscì di casa, lasciandosi guidare da Lance. 
Lance aveva sempre avuto il talento di far sentire chiunque a proprio agio e tranquillo.
«Grazie.» bisbigliò Stephanie stringendosi al marito, mentre le lacrime inondavano di nuovo il suo viso. Lydia annuì, incapace di dire altro e uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Lance stava raccontando al bambino qualcosa riguardo a dei parchi divertimento che aveva visitato qualche anno prima. Lydia non ne era sicura perché la sua mente si era improvvisamente concentrata su altro. Appena aveva messo piede fuori dalla casa di Daniel un senso di inquietudine si era impadronito di lei. Sentiva che qualcosa non tornava, eppure non riusciva a capire cosa di preciso. Lydia riprese a guardarsi attorno mentre iniziavano ad allontanarsi dalla casa, cercando allo stesso tempo di tenere un’andatura normale e tranquilla. I turisti continuavano ad affollare la piazza, guardando i mercatini o scattando foto. Lydia tastò la giacca, sentendo il rigonfiamento della bacchetta si tranquillizzò, ma il dubbio si fece in poco tempo di nuovo spazio nella sua mente. 
«E tu, Eliza?»
Lydia guardò Lance. «Cosa?»
«Daniel voleva sapere se hai mai visitato Disneyland Paris.» 
Lydia si concentrò sul bambino. «Una volta, con i miei genitori.» Il suo istinto però la portò ad interrompere il discorso e a guardarsi di nuovo attorno.
E si rese finalmente conto di ciò che non andava. Un uomo li stava osservando. Era appoggiato al muro di fronte al banchetto dove si erano fermati prima, indossava un cappotto logoro e aveva un cappello calato che gli copriva parzialmente il volto, ma quel legnetto che stava facendo roteare tra le mani era di sicuro una bacchetta. 
Lydia si costrinse a stare calma. 
C’era un mago in quella piazza, ma non poteva certo essere sicura che fosse un Mangiamorte o una delle loro spie. Poteva essere chiunque. E come poteva sospettare che loro due non fossero una normale coppia che stava facendo una passeggiata con un bambino? A meno che non stesse sorvegliando la casa di Daniel da prima del loro arrivo. Lydia rabbrividì. No, era abbastanza sicura che all’andata non ci fosse nessuno ad osservarli, doveva essere comparso nei pochi minuti che avevano trascorso in casa. In ogni caso dovevano rimanere in guardia, pronti ad ogni eventualità, e soprattutto dovevano allontanarsi il più possibile senza però farsi notare. Lydia prese l’altra mano di Daniel e sussurrò a Lance: «C’è un mago che ci fissa.» Fece un sorriso per non far insospettire l’uomo. 
«Ho visto.» replicò Lance. «Dobbiamo cercare di andarcene il prima possibile o creare un diversivo.»
Il bambino intanto continuava a guardare indietro verso la porta della sua casa da cui si stavano allontanando sempre di più, completamente ignaro del loro discorso. «Ho dimenticato la mia macchinina.»
Lydia ebbe la tentazione di ignorarlo, ma Daniel ripeté la stessa frase a voce più alta, strattonando leggermente le loro mani per farli fermare. «Cosa?» disse Lydia, temendo ciò che sarebbe successo.
«Dobbiamo tornare indietro.» rispose infatti Daniel.
«NO!» esclamarono in coro Lydia e Lance, prima di rendersi conto dell’errore compiuto. Lance cercò di rimediare. «Siamo in ritardo, non possiamo tornare indietro.» e per sottolineare le sue parole, accelerò il passo. Lydia sincronizzò la sua camminata mentre Daniel fece l’esatto opposto e tentò di fermarsi. 
«Ma siamo ancora vicini.» La testardaggine di un bambino di sei anni sarebbe stata la loro rovina. 
«Te ne compriamo una dopo!» Lydia disse la prima cosa che le venne in mente. «Te lo prometto, una bellissima macchinina rossa splendente, che ne dici?»
Nel frattempo continuavano a camminare, ormai trascinandosi dietro Daniel. Erano quasi usciti dalla piazza, ancora pochi metri e sarebbero stati fuori dalla traiettoria. Solo pochi metri.
«Voglio la mia macchinina.» Uscirono dalla piazza. «Voglio la mia macchinina!» Daniel si mise ad urlare. La via secondaria era ancora affollata come all’andata. Dovevano allontanarsi ancora di più. Qualche turista si voltò verso di loro. 
Ecco. 
Avevano fatto l’unica cosa che non dovevano fare: attirare l’attenzione. 
Ora dovevano cercare di non infrangere la seconda regola: non farsi ammazzare. 
Lydia si voltò a guardare l’ingresso della piazza e si accorse con orrore che l’uomo li aveva seguiti e proprio in quel momento stava alzando la bacchetta verso le loro schiene, incurante delle persone che si trovavano tra di loro.
Lydia parlò prima di pensare. «GARA DI CORSA!» urlò e incominciò a correre. Lance recepì all’istante il messaggio, prese in braccio il bambino e seguì il suo esempio. Il problema fu che anche l’uomo capì di essere stato visto e si mise a correre al loro inseguimento. Lydia percepì dell’elettricità statica alle loro spalle e spinse Lance e Daniel dietro un angolo della strada giusto in tempo per non essere colpiti dalla maledizione dell’uomo. Daniel aveva ricominciato a piangere spaventato, scalciava e voleva scendere dalle braccia di Lance, che si limitò a stringerlo più forte. 
«Protego!» urlò Lydia. Anche l’uomo aveva voltato l’angolo e aveva lanciato loro una seconda maledizione. Zoppicava leggermente, Lydia sperò che bastasse per distanziarlo. «Dobbiamo andarcene da qui!» urlò continuando a correre. 
«Dobbiamo essere sicuri che non ci raggiunga mentre ci Smaterializziamo!» replicò Lance con il respiro spezzato. Daniel continuava ad agitarsi e urlare. Lydia si accorse a stento che il resto della gente che li aveva circondati fino a qualche secondo prima stava facendo lo stesso: scappava urlando e chiamando soccorsi. «Giù!» Riuscirono ad abbassarsi ed evitare un incantesimo che volò sopra le loro teste ed andò a schiantarsi contro la vetrina di un negozio. Il vetro esplose in mille pezzi. Il suono dell’antifurto del negozio si aggiunse al frastuono generale che si era andato a creare. 
Lydia lanciò un’altra occhiata alle loro spalle. La fuga della gente stava dando loro un vantaggio. Le persone non si accorgevano che la fonte delle esplosioni era l’uomo con il cappello quindi, nella loro fuga, qualcuno si metteva sulla sua strada, urtandolo senza neanche rendersene conto e così rallentandolo. Tra quello e la sua andatura zoppicante, erano riusciti a guadagnare diversi metri di distanza. L’uomo imprecò sonoramente, sollevò di nuovo la bacchetta e scomparve nel nulla. Lydia rallentò stupita. 
Perché aveva desistito a seguirli? 
In seguito si diede della stupida per quell’esitazione. L’uomo non era semplicemente scomparso, ma si era Smaterializzato per comparire davanti a Lance, che fu costretto a fermarsi di colpo. Il peso di Daniel lo fece sbilanciare, riuscì a riprendere l’equilibrio ma il portare il bambino in braccio non gli permetteva di estrarre la sua bacchetta. Era completamente disarmato. 
Lydia si riprese all’istante, lo superò di corsa e si mise tra lui e il loro inseguitore. «Stupeficium!» urlò. Un flusso di luce rossa si irradiò dalla punta della sua bacchetta e l’uomo fu costretto a gettarsi di lato per evitarlo.
Quel momento di distrazione permise a Lance di voltarsi e correre indietro, tornando nella direzione dalla quale erano arrivati. Ora dovevano riguadagnare quei metri preziosi che li avrebbero permesso di avere il tempo di Smaterializzarsi in sicurezza. 
 «Avada...»
«Confringo!» Lydia puntò la bacchetta ai piedi dell'uomo. Il marciapiede esplose nel punto di impatto sollevando macerie e polvere che bloccarono la corsa e la visuale dell’uomo. Lydia approfittò del momento e si lanciò all’inseguimento di Lance. L’esplosione aveva fatto guadagnare loro secondi preziosi ma dovevano andarsene prima che l’uomo potesse cercare di nuovo di tagliarli la strada. 
Dovevano scappare, subito. Lance si era bloccato al rumore dell’esplosione, appena vide Lydia avvicinarsi di corsa le tese la mano, lei lo afferrò e nello stesso istante in cui si toccarono, si Smaterializzarono, lasciando dietro di loro una scia di caos e panico, e un uomo furibondo.
Comparvero a pochi centimetri dai confini di casa O’Brien, senza perdere altro tempo si affrettarono a superare il cancello e, giunti finalmente sotto la protezione dell’Incanto Fidelius, si piegarono, completamente senza fiato. Lance lasciò scendere Daniel dalle sue braccia, il volto era paonazzo e Lydia sapeva di essere nello stesso stato. 
«Non diciamo niente a mio padre.» sentenziò Lance quando riuscì a racimolare abbastanza fiato.
Lydia non poteva essere più d’accordo.




Note: E con questo si concludono i capitoli sopravvissuti della versione originaria della storia, e ammetto, quelli che meno mi convincono nonostante tutte le riscritture che hanno dovuto subire considerando quanto è cambiato il mio stile di scrittura negli anni trascorsi tra questi primi tre capitoli e quelli successivi.
Per ringraziare tutti coloro che mi stanno dando fiducia leggendo la mia storia, voglio donarvi una piccola anteprima (tratta dal capitolo 25), perché, anche se il racconto è ambientato durante la seconda guerra magica, non dobbiamo dimenticarci che in fondo Hogwarts resterà sempre la nostra casa.

 


«Perché proprio a noi?» Il lamento di Paul si diffuse nell’aria immobile della foresta.
Alice bisbigliò la risposta.
«Perché siamo stati noi a far cadere l’intero scaffale di ingredienti nell’aula di Pozioni.»
Il tono di Paul divenne isterico. «Non bastava averci fatto ripulire tutto a mani nude? Perché siamo qui!?»
Anche Lydia si chiedeva la stessa cosa.
Certo, avevano rovesciato lo scaffale delle scorte, ma non era stata interamente colpa loro. Prima di tutto si erano solo trovati nel banco accanto al muro durante la lezione sbagliata. Che colpa avevano se il calderone di Diana Clarke era esploso e loro si erano gettati a terra per evitare di essere colpiti dai suoi resti o da intrugli tossici? E se, nello slancio, uno dei quattro si era trascinato dietro anche il loro calderone, buttandolo proprio sullo scaffale degli ingredienti? Era stato solo un incidente, di cui non sapevano neanche chi fosse l’esatto colpevole; certo, Lydia aveva sentito, durante la caduta, la manica rimanere impigliata, anche se non lo avrebbe mai confessato ad anima viva (Nick-Quasi-Senza-Testa le aveva suggerito di non dire niente e lei si fidava del giudizio di un fantasma quasi decapitato).
Ma nonostante tutto concordava con Paul. Le tre ore di punizione che avevano dovuto servire dopo le lezioni le sembravano già una pena sufficiente per il danno causato, di sicuro non era necessario mandarli proprio lì!

«Beh, ho sempre desiderato esplorare la Foresta Proibita.»Con il suo commento, Lance si guadagnò una serie di occhiatacce ed una pigna in testa.
 
 
Vi aspetto su Instagram alla pagina: piumedicenere
 
A settimana prossima con il quarto capitolo!
Un abbraccio,
Emma Speranza

 


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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Burattini ***


Capitolo 4 

Burattini
 
 
«Allora, come è andata?»
Lydia guardò il pavimento della cucina, nella vana speranza che potesse spalancarsi sotto ai suoi piedi ed inghiottirla. E poi, vedendo che le piastrelle si ostinavano a rimanere fisse al loro posto, sperò che qualche bambino decidesse di distruggere il vaso nelle scale proprio in quell’istante, o appiccasse un incendio, o causasse un qualsiasi disastro che potesse distrarre i signori O’Brien, intenti a fissare lei e Lance in attesa di una risposta.
Fu a quel punto che si ricordò della minaccia più grande.
Lanciò una breve occhiata verso Lance e si accorse che sì, poteva anche essere diventato un bravo attore quando si trovava in missione, ma dalle gocce di sudore che gli scivolavano sulla fronte, si capiva perfettamente che era rimasto lo stesso ragazzo che di fronte ai professori rischiava sempre di farsi scoprire. Presa dal panico, Lydia si affrettò a dire «Tutto bene, nessun problema!» quando la sua voce fu coperta da un pianto improvviso e disperato.
«Oh, piccolino!» La signora O’Brien corse verso Daniel, che singhiozzava inconsolabile, e Lance ne approfittò all’istante per urlare a voce troppo alta «Vado da Caitlin a dirle che siamo tornati!» e scappare dalla cucina con una velocità tale che sembrava si fosse Smaterializzato.
Lydia non sapeva se essere contenta della sua improvvisa fuga che gli avrebbe impedito di confessare la verità, o offesa per il fatto di essere stata abbandonata. Nel dubbio, iniziò ad arretrare verso la porta, cercando di muoversi lentamente e di non fare alcun rumore, uno sforzo che si rivelò superfluo considerando che i signori O’Brien erano talmente concentrati su Daniel da non accorgersi neppure della sua fuga.
 
E così nessuno chiese i particolari della missione, Daniel era troppo sconvolto per raccontarli, e il giorno seguente la questione sembrava essere stata messa da parte.
 
«Dovrebbero già essere qui…»
La signora O’Brien e Lydia erano le uniche sveglie quella mattina, il resto della casa era ancora avvolto da quel silenzio che Lydia stava iniziando ad adorare. Nessun bambino, nessun vecchio compagno di classe che poteva confessare una fuga disperata. Ed era stata una gioia ancora più grande quando, vedendola entrare, la signora O’Brien le aveva preparato un piatto di bacon e uova strapazzate così che potesse godersi la colazione senza manine appiccicose e vocine fastidiose. Sarebbe stata una mattinata perfetta, se non fosse stato per i sospiri preoccupati della signora O’Brien.
«Torneranno presto.» provò a dire Lydia, anche se in realtà non era neppure a conoscenza dei dettagli della sparizione di Duncan, il fratello maggiore di Lance. Sapeva solo che durante una missione di recupero qualcosa era andato storto, talmente tanto da costringere lui e la sua ragazza a rifugiarsi in una delle case sicure che la famiglia O’Brien sembrava avere, disseminate in metà Regno Unito. Non aveva chiesto altro, in fondo a lei non dispiaceva particolarmente l’assenza di Duncan. Avevano trascorso insieme solo alcuni anni ad Hogwarts ma erano stati sufficienti per sviluppare una reciproca antipatia. Per educazione disse comunque: «Sono sicura che stanno bene. Vedrà che torneranno sani e salvi.»
La signora O’Brien le rivolse un debole sorriso, tra le mani una tazza di tè ormai freddo. «In ogni caso non vedo l’ora che siano di nuovo qui con noi, al sicuro. Per la loro incolumità, questo è certo, ma sono preziosi anche per la gestione dei bambini, soprattutto adesso che continuano ad aumentare…»
Lydia riuscì a tramutare uno sbuffo in un colpo di tosse improvviso. Perché pensare a Duncan O’Brien come un aiuto prezioso per tenere a bada dei bambini era un’immagine comica e surreale. Accettò il bicchiere di succo di zucca che la signora O’Brien le stava porgendo, e con l’espressione più neutra che riuscì a mantenere disse solamente «Non vi dovete preoccupare, saranno presto di ritorno.» Bevve un sorso di succo e si avventò sul bacon, nell’innocente convinzione che la conversazione fosse conclusa.
«Hai ragione, e in ogni caso adesso ci sei anche tu.» La signora O’Brien posò la tazza di tè e si chinò sopra il tavolo, verso di lei, e Lydia, senza saperne il motivo preciso, percepì un brivido di terrore «Dovrai aiutarmi tu, Lydia cara.»
Lydia rischiò di strozzarsi. «Come, scusi?» riuscì a rispondere quando, dopo alcuni brutti colpi di tosse, le sue vie respiratorie si liberarono.
Sapeva che prima o poi quel momento sarebbe arrivato ma aveva sperato di trascorrere giornate piene di missioni o altre incombenze che le avrebbero permesso di tenersi il più lontana possibile dai bambini. Li vedeva già abbastanza durante i pasti, quella colazione sarebbe dovuta essere il suo momento di pace, non di condanna!
«Dovrai aiutarmi tu con i bambini.» ripeté la signora O’Brien.
«Io...» Lydia fissò il suo piatto pieno, l’appetito ormai completamente dimenticato, la mente alla ricerca di una risposta, una scusa qualsiasi che potesse portarla lontana dallo sguardo attento della donna e da qualsiasi essere umano di età inferiore ai dieci anni «Non posso.» Poi si maledisse per la scarsa inventiva. Era fuori allenamento, a Hogwarts aveva sempre avuto una scusa pronta per tutto, cosa le era successo?
Le conseguenze della sua risposta furono un’occhiata particolarmente contrariata della signora O’Brien e la convinzione che sarebbe stata bandita da quella casa quella mattina stessa.
«Sei qui solo da due giorni, lo so.» Le narici della signora O’Brien fremevano «Ma devi sapere che in questa casa ci aiutiamo a vicenda. Daniel è ancora sconvolto, e non possiamo permetterci di lasciarlo con gli altri bambini se non vogliamo che anche loro inizino a soffrire di nostalgia, e Lance è impegnato a preparare le pozioni, mio marito sta cercando di organizzare le prossime missioni di recupero e Caitlin ha bisogno di qualche giorno di riposo. Quindi o resti con Daniel, o ti occupi degli altri bambini.»
Agli occhi di Lydia entrambe le opzioni erano terrificanti. Daniel si era accorto che i suoi genitori non sarebbero tornati presto a prenderlo come avevano promesso, e passava tutte le ore di veglia aggrappato alla signora O’Brien, aveva anche la tendenza di scoppiare a piangere all’incirca ogni trenta minuti, e per Lydia stare da sola con un bambino con il moccio al naso e gli occhi rossi per il pianto era un’eventualità più spaventosa di affrontare un Dissennatore. Ma anche il pensiero di dover gestire quella che a lei sembrava una marea di bambini era altrettanto repellente.
E così Lydia, presa da un senso crescente di panico, si guardò attorno alla ricerca di una via di uscita, che si presentò sotto forma di una scopa e di una paletta lasciate nell’angolo della cucina. «Questo posto ha bisogno di una pulita.» esclamò «Ci penso io.»
E senza lasciare il tempo alla signora O’Brien di replicare o fermarla, corse fuori dalla stanza.
 
Quella giornata di pulizie volontarie si rivelò la scelta migliore in quanto le diede per la prima volta l’occasione di visitare in libertà casa O’Brien. Il palazzo si articolava su tre piani. Il piano terra, l’unico che aveva già esplorato nei due giorni precedenti, era composto da cucina, sala da pranzo e tre diversi salotti, tutti altrettanto enormi. Il primo piano invece, si rivelò essere completamente disabitato (e talmente pieno di polvere che Lydia lo saltò completamente nelle sue pulizie), il secondo era dove si trovavano le camera da letto, e scoprì infine che l’ultimo era completamente riservato ai bambini, scoperta che la fece fuggire in tutta fretta per la paura di essere vista e fermata da qualcuno. Alla fine si concentrò sul piano terra, il più lontana possibile dai bambini e dalla signora O’Brien, e, nonostante l'uso della magia, nell’intera mattinata riuscì a pulire solo due dei tre salotti e la sala da pranzo. Quella casa era enorme.
Fece una pausa solo all’ora di pranzo.
Fu un grave errore.
La famiglia O’Brien al completo la aspettava per ricordarle che l’impegno che aveva stretto con loro non consisteva solamente in missioni di salvataggio ma anche in collaborazioni domestiche.
«Anche pulire è un compito domestico.» provò a ribattere Lydia, senza successo.
La signora O’Brien iniziò un discorso riguardante l’impegno e la dedizione o qualcosa del genere, Lydia si era persa dopo un solo minuto e fingeva di ascoltare mentre allo stesso tempo cercava di finire il suo pranzo il più velocemente possibile per scappare di nuovo.
Fu salvata nel modo più inaspettato possibile: dal rumore della porta d’ingresso che si spalancava e una voce maschile che dichiarava: «Siamo tornati!»
Lydia impiegò diverso tempo per riconoscerla, la famiglia O’Brien invece reagì all’istante. Scattarono tutti in piedi all’unisono, correndo verso l’ingresso.
Nel vederli uscire alla spicciolata dalla sala da pranzo, a Lydia sfuggì un sospiro di sollievo. Era salva, almeno per il momento. Avrebbe escogitato una scusa entro cena, e se tutto fosse andato secondo i suoi piani, avrebbe fatto desistere i signori O’Brien dal chiederle il suo aiuto per un bel po’ di tempo.
Solo l’essere colpita in testa da un fagiolo la risvegliò dai suoi pensieri, facendole notare la terribile verità.
I signori O’Brien, Caitlin e Lance erano corsi verso l’ingresso appena si era aperta la porta. Questo significava anche che Lydia al momento era l’unica adulta rimasta in sala da pranzo con i bambini.
Simon lanciò un altro fagiolo, che questa volta atterrò con un piccolo tonfo in un vaso di fiori appoggiato sulla credenza, scatenando nei suoi piccoli e tremendi amici una serie di applausi e urla, che, nel tempo di un respiro, si trasformarono in una vera e propria sfida a chi riusciva a far atterrare più fagioli possibili nel vaso.
E Lydia fece l’unica cosa che le sembrò sensata.
Scappò.
L’idea era di fuggire nella sua camera, una prospettiva che dovette subito accantonare. L’intera famiglia O’Brien aveva occupato la sala, rendendole impossibile riuscire a raggiungere inosservata le scale. L’unica soluzione che riuscì ad escogitare fu rimanere in disparte, addossata al muro della cucina e nell’angolo opposto rispetto a dove si trovavano gli altri, con la speranza che i signori O’Brien fossero talmente concentrati sul figlio e sulla sua fidanzata appena tornati da non accorgersi della sua presenza.
Duncan e Katherine erano esattamente come Lydia li ricordava dagli anni di scuola. L’unica differenza principale di Duncan era la barbetta sottile sul viso, dovuta ai giorni trascorsi senza un rasoio, e le profonde occhiaie sotto i suoi occhi scuri. Katherine invece era rimasta la stessa. Gli occhi grigi, i capelli corvini e lunghi, la pelle scura e il sorriso che le illuminava il volto, lo stesso che le rivolgeva sempre quando si incrociavano nei corridoi. Anzi, ripensandoci, Lydia non ricordava di averla mai vista senza un sorriso. 
I due erano circondati dalla loro famiglia, sembravano stanchi ma illesi, tranne per qualche graffio sulle braccia e sul volto. La signora O'Brien, li stava abbracciando e controllando agitata tutte le loro piccole ferite.
«Non è nulla» cercò di tranquillizzarla Duncan «siamo dovuti scappare in un bosco e ci siamo graffiati correndo tra i rami.»
Lydia, dal suo angolino, si accorse che solo una persona non sembrava particolarmente entusiasta del ritorno di Duncan. Lance si manteneva a distanza, vicino alle scale e con le mani in tasca. Lydia non si stupì. Durante gli anni che avevano condiviso ad Hogwarts, Duncan non era mai stato il ritratto di un fratello amorevole, anzi, Lydia ricordava ancora le umiliazioni a cui li costringeva avvalendosi del suo ruolo da Prefetto. Lance non lo sopportava e Lydia neppure.
Al contrario, Caitlin non faceva altro che saltellare per la felicità e ripetere «Finalmente il mio fratello preferito è tornato!»
Lydia cercò di vedere la reazione di Lance ma quest’ultimo le dava le spalle.
«Anche io sono contento di vederti, Cait.»
Il signor O’Brien era l'unico che sembrava ancora preoccupato. «Cosa è successo?»
«I ragazzi sono stanchi, Dorian.» provò a farlo desistere la moglie «L’unica cosa di cui hanno bisogno ora è una doccia e una giornata di riposo assoluto.»
 «Non fa niente mamma, ci riposeremo dopo.» rispose Duncan.
Katherine si sedette sul divano aggiungendo «Però un tè lo berrei volentieri.»
Il signor O’Brien fece un elegante movimento con la bacchetta e una teiera fumante, due tazze e una scatola di biscotti volarono fuori dalla cucina per posarsi delicatamente sul tavolino della sala.
«Prima di tutto la missione è fallita, non abbiamo recuperato il bambino.» sentenziò Duncan. Dal tono della sua voce si poteva capire quanto gli costasse pronunciare quella frase e ammettere il proprio fallimento. Lydia sbuffò. Era arrogante come ricordava.
«Non ti preoccupare di questo, il bambino è in salvo.»
«Cosa?» L’intera famiglia guardò stupefatta il signor O’Brien.
«Ve lo spiego dopo.» e fece un cenno al figlio, invitandolo a continuare il racconto.
Duncan non sembrava molto convinto, ma riprese a raccontare. «Quando ci siamo Materializzati nella via vicino alla casa del bambino ci siamo subito accorti che qualcosa non andava: la porta d’ingresso era socchiusa, e la strada di fronte era stranamente deserta. Ci siamo insospettivi, ma non volevano andarcene senza aver controllato, nel timore che si trattasse di un falso allarme e la famiglia ci stesse aspettando.»
«Non dovevate!» li rimproverò la madre «Abbiamo sempre detto che se trovate qualcosa di sospetto dovete andarvene il più velocemente possibile e chiedere rinforzi!»
«Vostra madre ha ragione, siete stati degli incoscienti.»
Katherine versò il tè nelle due tazze ed immerse un biscotto nella sua. «Non potevamo andarcene senza verificare. Volevamo controllare se la famiglia era al sicuro» ed era talmente decisa in questa affermazione che nessuno cercò più di rimproverarli. Lydia pensò che anche lei avrebbe fatto la stessa cosa, però probabilmente non con l’obiettivo di salvaguardare la sicurezza di quella famiglia, ma più per il suo tremendo istinto che la portava a cercare guai.
«Cosa era successo?»
«I Mangiamorte erano arrivati prima di noi.» disse Duncan, con voce grave «Abbiamo ipotizzato che sapessero della presenza in quella casa di una Nata Babbana e del marito Babbano e abbiano voluto controllare che non stessero progettando la fuga come tante altre famiglie. La buona notizia è che sono riusciti a scappare. Quando siamo entrati nell'ingresso della casa abbiamo sentito chiaramente un uomo urlare che si erano Smaterializzati uscendo da un porta nascosta sul retro. Ma immagino che questo lo sappiate già.» aggiunse guardando il signor O’Brien che si limitò ad annuire. «Appena abbiamo capito che erano al sicuro abbiamo cercato di tornare indietro, ma ci hanno visti...»
«Precisamente è stato un ragazzino ad accorgersi di noi, si trovava sulle scale e appena ci ha visti ha chiamato i rinforzi.» disse Katherine, infastidita. «Siamo stati degli stupidi, non abbiamo ragionato prima di entrare in quella casa.» Doveva essere dura per una Corvonero ammettere un proprio errore, di non aver ponderato tutte le soluzioni possibili e scelto quella che avrebbe comportato meno rischi. 
«Mi è sembrato anche di riconoscerlo. Ricordo che era un Serpeverde e aveva più o meno la vostra età.» Duncan indicò Lance e Caitlin. «Comunque era un ragazzino e lui da solo non era una minaccia, abbiamo agito all’istante, siamo riusciti a neutralizzarlo ed uscire di corsa dalla casa, e qui sfortunatamente abbiamo commesso un altro errore.»
Katherine intervenne di nuovo. «Alcuni Mangiamorte, o meglio, tirapiedi dei Mangiamorte, erano usciti usando la porta sul retro, quella usata anche dalla famiglia per scappare, e ci aspettavano proprio fuori dall’ingresso. Lo ammetto, ci siamo lasciati prendere dall’agitazione e ci siamo Smaterializzati.»
«Non qui!» si affrettò ad aggiungere Duncan «Almeno abbiamo avuto il buon senso di andare nella foresta, vicino alla baita.» Lydia immaginò che la baita fosse una delle famose case sicure della famiglia O’Brien.
Katherine fece qualche colpo di tosse, cercando di mascherare un sorriso.
«Va bene... Lei ha avuto il buon senso...» Lydia sentì a stento la voce di Duncan. 
Katherine non aggiunse nient’altro, limitandosi a sorseggiare il suo tè.
«Sfortunatamente un Mangiamorte ci ha afferrati e appena siamo arrivati nella foresta, ha avvisato i suoi amichetti. Ne sono arrivati due. Uno di loro è stato sin troppo furbo, ha lanciato un incantesimo anti-Materializzazione e così siamo stati costretti a correre.»
«E’ per questo che siamo pieni di graffi.» Katherine fece un cenno verso i segni sulle loro braccia.
«Fortunatamente Katherine ci aveva Materializzati a poca distanza dalla baita. Siamo riusciti a distanziare i Mangiamorte e in pochi minuti eravamo già nelle protezioni della casa.»
«Ovviamente i Mangiamorte hanno capito che non potevamo essere troppo lontani. Hanno continuato a pattugliare la zona per giorni interi.»
«Ed è per questo che non siete tornati.» concluse il signor O’Brien.
Duncan annuì. «Stanotte hanno finalmente deciso che non eravamo abbastanza importanti per mantenere impiegati tre soldati e se ne sono andati. Abbiamo aspettato qualche ora e poi siamo potuti finalmente tornare qui.»
«Per fortuna questa storia si è conclusa bene.» La signora O’Brien strinse di nuovo in un abbraccio il figlio «Non sapete quanto ci avete fatti preoccupare…»
«E abbiamo una novità!» esclamò Caitlin «C’è una nuova ragazza dalla nostra parte, Lydia Merlin!»
Katherine sorrise e strinse la mano di Duncan. Era radiosa. «Anche noi dobbiamo darvi una notizia...»
«A proposito di Lydia…» Lance si voltò verso la cucina, e Lydia non fece in tempo a nascondersi dal suo sguardo. Accorgendosi che Lance si era interrotto improvvisamente, anche il resto della famiglia si voltò in direzione della cucina trovando Lydia appoggiata al muro, parzialmente nascosta alla loro visuale dalle scale, ma comunque ben riconoscibile.
«Non stavo origliando.» mentì spudoratamente Lydia.
Lance sorrise, il resto del gruppo non si dimostrò altrettanto comprensivo.
«Se tu sei qui allora chi-»
Un pianto improvviso scoppiò inconfondibile dalla sala da pranzo.
«-Sta guardando i bambini?» concluse la signora O’Brien in un soffio, prima di correre nella sala da pranzo, seguita da Lance, il marito e una titubante Lydia.
Daniel piangeva disperato dal suo posto al tavolo, mentre Simon continuava a parlare. «E’ andata proprio così, il mostro ha divorato quel mago tutto intero, cappello compreso, e l’ha digerito due giorni dopo!» Alcuni degli altri bambini avevano una faccia disgustata, altri erano terrorizzati.
«Simon, smettila subito!» lo rimproverò la signora O’Brien, correndo a confortare Daniel, che continuava a singhiozzare impaurito. Lydia si mantenne sulla porta, pronta a scappare. Come si era aspettata infatti, l’ira della signora O’Brien passò da Simon a lei. «Li ha spaventati! Per questo cerchiamo di non lasciare mai da soli i bambini per lungo tempo.»
«Saranno stati solo dieci minuti.» provò a giustificarsi Lydia.
Lance corse in suo aiuto. «Era solo curiosa, mamma, in effetti nessuno le ha detto di rimanere con i bambini.»
«Mi aspettavo più buonsenso da te!» ribatté la signora O’Brien.
E Lydia non riuscì a trattenersi. «Io ho accettato di salvare questi bambini non di fare la baby sitter!»
Il viso della signora O’Brien si oscurò. «Non vuoi custodire i bambini, e va bene, sei appena arrivata e hai bisogno di tempo da ambientarti, ma sappi che in questa famiglia ci aiutiamo a vicenda e adesso che vivi con noi dovrai imparare a farlo anche tu.»
«Rose…» provò a dire il signor O’Brien.
Lydia però era già fuori dalla porta.
Ignorò completamente Katherine, Duncan e Caitlin, che dal modo in cui la fissavano, dovevano aver sentito tutta la discussione dal divano della sala, e salì di corsa le scale. Il suo primo istinto fu di andare nella sua stanza, ma sapeva anche che sarebbe stato il primo posto in cui l’avrebbero cercata. Doveva trovare un altro nascondiglio.
«In famiglia ci aiutiamo a vicenda
Lydia aveva molto da ridire su questa frase. Svoltò in un corridoio del primo piano, diretta in una delle stanze polverose e abbandonate che aveva esplorato in mattinata.
Per quanto la signora O’Brien potesse dire che la sua famiglia era perfetta, Lydia sapeva che la realtà era completamente opposta. Durante gli anni di Hogwarts aveva assistito ai momenti di rivalità tra Lance e Duncan, che non avevano mai rappresentato l’ideale di fratellanza. Senza contare il fatto che Lance non aveva nominato nemmeno una singola volta Caitlin, la sua sorella gemella, in sette anni di amicizia (né nelle lettere che le aveva scritto nei due anni successivi e a cui lei non aveva mai risposto), e neanche il loro rapporto, da quel poco che era riuscita a vedere in quei due giorni, era dei più idilliaci.
«In questa famiglia ci aiutiamo.»
Lydia sbuffò camminando avanti e indietro in quella stanzetta piena zeppa di cianfrusaglie, sollevando nuvolette di polvere.
E poi lei davvero aveva accettato di salvare i bambini, non si era mai presa un impegno diretto anche a gestirli e accudirli. Più le stavano alla larga meglio era. Tranne Henry, ecco, avrebbe potuto fare una piccola eccezione per lui, ma solo per venti minuti al giorno, non di più.
Lydia starnutì.
Stupida polvere. Stupida giornata e stupida lei quando aveva accettato di aiutarli. Si lasciò cadere su una sedia abbandonata accanto alla finestra. Perché aveva accettato? Non era praticamente uscita di casa per due anni, cosa le era saltato in mente di lasciare la sua famiglia per quella missione strampalata.
Lasciò scorrere lo sguardo fuori dalla finestra, sui giardini immensi che circondavano la casa.
Era sempre stata così, aveva il vizio di gettarsi a capofitto nei guai senza pensare alle conseguenze, e…
Un movimento attirò la sua attenzione. Usò la manica della maglietta per pulire il vetro sporco.
E riconobbe Lance.
Si trovava in una specie di orto in un angolo del giardino, era inginocchiato a terra e sembrava intento a strappare delle erbacce.
Lydia sentì la rabbia iniziare a scemare.
Forse le avrebbe fatto bene un po’ di aria fresca. Era ancora agosto, ed era una bella giornata. E quell’orto era lontano dalla casa e non sembrava visitato da altri componenti della famiglia O’Brien.
Senza ulteriori indugi, abbandonò la stanzetta, scese con cautela le scale e quando ci accorse che gli altri si trovavano ancora nella sala da pranzo e Caitlin, Katherine e Duncan avevano abbandonato la sala, Lydia si affrettò verso la porta d’ingresso, la spalancò e si diresse verso l’orto.
Ad ogni passo che la avvicinava all’orto, i suoi contorni cominciarono a diventare sempre più nitidi. Era un orto, di quello ne era sicura, ma era molto diverso dai corrispondenti babbani.
Superò il piccolo cancellino arrugginito.
L’orto era una vera e propria esplosione di colori. Steli, alberi e fiori di ogni tipo crescevano rigogliosi in quelle che all’origine dovevano essere file ordinate ma che crescendo si erano intrecciate l’una con l’altra. Riconosceva alcune piante dalle lezioni di Erbologia e Pozioni, altre potevano essere trovate in qualsiasi orto babbano e altre ancora le era completamente sconosciute ma dall’aspetto poco rassicurante.
Nonostante il cigolio del cancello, Lance non diede segno di averla sentita e continuò a strappare le erbacce (che però, a differenza di quelle babbane, urlavano con la loro vocina stridula ogni volta che venivano estirpate). Lydia mise le mani in tasca e si fermò alle spalle di Lance. «Così ti sei dato al giardinaggio.»
Lance strappò un’altra erba e la buttò in un sacchetto. «Può essere utile coltivare personalmente alcuni degli ingredienti per le pozioni.»
«Giusto. Il tuo amore per Pozioni allora è ancora intatto.»
Lance rise. «Se non è riuscito ad ucciderlo il professor Piton in sette anni direi che nessuno ci riuscirà mai.» Anche Lydia sogghignò, la mente invasa da ricordi di lezioni disastrose e calderoni in fiamme.
Affiancò Lance per vedere meglio cosa stava facendo. Di specifico stava litigando con un’erbaccia testarda che aggrappava le sue radici al terreno urlando tutto il suo disappunto. «Penso che ti stia maledicendo.»
«Probabile. Ma l’erba canterina è un ingrediente fondamentale per la pozione Voce Chiara, uno sciroppo per quando si perde la voce. E queste furbette hanno anche il brutto vizio di infestare le altre piante.»
Lydia si guardò di nuovo intorno. Alcune piante avevano un aspetto davvero terribile, altre invece erano bellissime, oltre ad espandere nell’aria un profumo delizioso che le sembrava di aver già sentito da qualche parte. Il tutto creava un’atmosfera in cui Lydia sentì la sua rabbia evaporare, lasciandole uno strano senso di calma. «Posso aiutarti?»
Lance si voltò finalmente a guardarla, il suo sorriso era inconfondibile. «Certo!»
Lydia si inginocchiò al suo fianco, prese la piccola zappa che Lance le stava porgendo ed iniziò a rovistare la terra, per staccare le radici dell’erba testarda. Le sue urla assomigliavano al rumore di un insetto. Erano quasi piacevoli.
Il lavoro manuale aiutò Lydia a distendere i nervi, tanto che dopo alcuni minuti, pronunciò una frase inaspettata. «Mi dispiace per prima.»
Lance scrollò le spalle. «Non hai fatto niente di male.»
«Lo so ma… avrei dovuto spiegare a tua madre… non lo so… avrei dovuto rispondere in un altro modo.» Lydia scosse la testa.
«Non importa, Lydia, davvero. Nessuno dovrebbe obbligarti a fare qualcosa che non vuoi o non te la senti di fare. Stai già facendo tanto rischiando la tua vita per aiutarci.»
Lydia strappò un’erbaccia e si accanì contro un’altra. «Grazie.» rispose dopo qualche secondo di silenzio.
«E ci sono tanti altri modi in cui potresti aiutarci: le pulizie, cucinare, sistemare la finestra della cucina, aggiustare il lampadario della sala da pranzo, oppure fare giardinaggio. Sei un’ottima giardiniera.» scherzò Lance indicando la piccola pila di erba canterina ammucchiata al suo fianco.
«Ehi! Ricordati che ho preso un M.A.G.O. in Erbologia.» Lance ridacchiò e sull’orto calò di nuovo il silenzio.
Lydia continuava a strappare l’erbaccia, il movimento meccanico delle sue mani la aiutò a liberare la mente come non le accadeva ormai da tempo. Era piacevole stare lì. Il profumo delicato, gli uccellini che cinguettavano dagli alberi della foresta, il sole che la scaldava e il silenzio confortante che ammantava ogni cosa.
Quasi le dispiacque interromperlo. «Comunque non pensare che mi sia dimenticata.»
Lance si fermò per guardarla. «Di cosa?»
«Del nostro discorso di ieri. Quel discorso che siamo stati costretti ad interrompere per colpa di un pazzo omicida che ha iniziato ad inseguirci.» Visto che Lance aveva ancora un’espressione confusa dipinta in volto, Lydia precisò «Riguardo a Caitlin.»
«Oh.» si limitò a rispondere Lance. Tornò ad attaccare l’erba canterina.
«Niente ‘Oh’. Continuo a non capire come hai fatto a non nominarla in tutti questi anni. Mai neanche una parola. E non provare a mentire!» lo anticipò agitando la piccola vanga nella sua direzione «Sono sicura che mi ricorderei di una sorella gemella.»
Lance alzò le mani sporche di terra. «Non mi sognerei mai di mentirti. Prima però ti dispiace se ci spostiamo vicino all’asfodelo? Queste piccole canaglie sono arrivate anche lì e devo strapparle prima che intacchino le radici.»
Lydia annuì e si spostarono davanti ai fiori. Lance iniziò a strappare le erbacce più vicine allo stelo. «Hai ragione. Non penso di averla mai nominata.»
«E mi hai detto che ha studiato a casa.»
«E’ vero.»
Lydia smosse le terra vicino all’erbaccia che Lance stava cercando di strappare. «Ma tuo padre l’altra sera ha detto che non avrebbe potuto negare ai suoi figli la felicità di frequentare Hogwarts ed è per questo che siete tornati nel mondo dei maghi. Ecco, avrebbe poco senso averlo fatto solo per te e tuo fratello. Quindi… perché lei ha studiato a casa?»
Lance sospirò, guardò brevemente Lydia e poi chiuse gli occhi. «Caitlin non possiede la magia.» disse tutto d’un fiato.
«Oh.» rispose Lydia. In effetti aveva senso.
Lance riprese a lavorare intorno alle piantine di asfodelo. «Ecco, vedi, questo è da buttare.» Prese la vanga dalle mani di Lydia e allargò il buco che aveva scavato con le dita. Indicò l’ammasso di radici. «Le radici dell’erba canterina si sono avviluppate intorno a quelle dell’asfodelo, vuol dire che ormai sono contaminate e non possono più essere usate.» Lydia guardò nel buco. Le radici verde scuro dell’asfodelo erano circondate da quelle sottili e violacee dell’erba canterina.
Ma la mente di Lydia era concentrata su altro. «E vai d’accordo con tua sorella?» chiese senza riuscire a trattenersi. «Da quel poco che ho visto… sembrate…» Lydia cercò una parola carina per dirlo.
«Poco affiatati?» propose Lance. Continuò a scavare intorno alla malcapitata piantina di asfodelo, portando alla luce le sue radici infette. «Diciamo che Caitlin ha avuto da ridire quando il gufo ha portato solo a me la lettera di Hogwarts, il giorno del nostro undicesimo compleanno. E non ha mai accettato che io sono un mago e ho potuto frequentare Hogwarts mentre lei no. Pensavo che la situazione sarebbe migliorata negli anni ma…» afferrò con entrambe le mani lo stelo dell’asfodelo. «Non l’ha ancora del tutto superata.» Con un colpo secco sradicò la piantina.
«Ma non è colpa tua!» esclamò Lydia.
«Ora che siamo costretti a stare chiusi in casa insieme abbiamo iniziato a parlare, il che è già un progresso. E’ occorsa solo una guerra magica per riuscire a rimanere nella stessa stanza senza sbranarci a vicenda o ignorare la reciproca esistenza.» provò a scherzare.
Lydia prese un sacchetto della spazzatura e lo allargò mentre Lance vi buttava dentro la piantina. «Ma davvero, non è colpa tua! Da come ho capito nelle famiglie composte da un mago e un babbano può succedere che anche i figli siano babbani! Quindi essendo tua mamma babbana, era probabile che uno di voi nascesse senza magia. Mi dispiace per lei ma tu non hai nessuna colpa! E poi» aggiunse con una smorfia «In questo momento è meglio essere babbani che Mezzosangue. Non so fino a dove si spingerà il nuovo Ministero in questo stupido Censimento.»
Lance si sfregò la mani per pulirle dalla terra. «E’ meglio rientrare, per oggi abbiamo finito.» Si alzò e le porse la mano. Lydia reagì con una smorfia. «Dobbiamo proprio? Si sta così bene qui.» Solo in quel momento si accorse di un riverbero particolare nel cielo.
Lance seguì il suo sguardo. «E’ la cupola che protegge l’orto e tiene lontani i bambini.»
«Motivo in più per non uscire da qui.»
Lance si limitò a ridere. «Se vuoi ti aiuto ad evitare mia madre.» Lydia sospirò, afferrò la mano di Lance e si rialzò. Strofinò i pantaloni per ripulirli dal terriccio.
«Dici che mi becco una ramanzina?»
«No, mia mamma si arrabbia parecchio sul momento, poi se le dai un’oretta di tempo si calma e torna tranquilla.»
Lydia non ne era altrettanto convinta. «Penso che resterò qui fuori ancora per un attimo.»
«Oh.» Lance fissò il sacchetto di erba canterina ai loro piedi e poi di nuovo lei «E’ solo che l’erba deve essere subito immersa nell’acqua del calderone per non perdere le sue proprietà curative…» Sembrava sinceramente addolorato, quasi come se desiderasse rimanere lì fuori con lei.
Lydia accantonò immediatamente il pensiero. «Mi limito a dare un’occhiata al giardino e poi torno subito dentro.»
«Ci vediamo dopo, allora.»
«A dopo.»
E Lydia si trovò sola, con l’improvviso impulso di inseguire Lance e chiedergli di poter trascorrere insieme ancora qualche minuto. Si riscosse e, per cercare di scappare da tali pensieri, uscì di tutta fretta dall’orto, facendo attenzione a chiudere il cancellino dietro di sé, e si diresse verso una panchina all’ombra di un albero che si trovava poco distante. Era stata una giornata difficile, aveva solo bisogno di un attimo di riposo, la panchina di legno era la soluzione ideale.
Si sedette, chiuse gli occhi e respirò a pieni polmoni.
La sua calma però, durò solo pochi minuti. Un fruscio alle sue spalle la fece voltare di scatto, la bacchetta già in mano e puntata contro Katherine.
«Scusa! Non volevo spaventarti!»
Lydia ripose la bacchetta nella tasca. «Non ti preoccupare.»
Katherine si sedette accanto a lei. «In questi tempi si vive con i nervi sempre tesi, è un bene essere all’erta ma allo stesso tempo non si riesce mai a rilassarsi. Comunque, non mi sono ancora presentata formalmente… ciao, sono Katherine! Non so se ti ricordi ma ci siamo conosciute diversi anni fa ad Hogwarts.»
Lydia cercò di ricambiare il sorriso. «Sì, certo, se non ricordo male ero al terzo anno, mi hai aiutata con il tema sui rischi della Trasfigurazione.»
Lydia ricordava vagamente il loro incontro. Era in biblioteca a scrivere un tema che la professoressa McGranitt le aveva dato come punizione per aver quasi trasformato un suo compagno di classe in uno scarabeo, quello lo ricordava bene, era impossibile dimenticare la mezz’ora di predica che aveva dovuto sorbirsi dopo l’incidente, anche se l’unica colpa di Lydia era stata puntare la bacchetta troppo in alto. Ripensandoci, la McGranitt non aveva tutti i torti a cercare di farle capire la pericolosità della trasfigurazione umana, soprattutto considerando l’altro incidente che Lydia aveva causato durante il suo quinto anno. Comunque ricordava che era andata in biblioteca per cercare il materiale e aveva scoperto con orrore che tutte le copie sull’argomento erano in prestito. Katherine Frost l’aveva trovata proprio lì, seduta in biblioteca, intenta a prendere a testate il tavolo chiedendosi come avrebbe fatto a consegnare il tema la mattina successiva. E dopo aver scoperto che cosa la affliggeva, le aveva prestato la sua copia personale del libro e non solo, l’aveva anche aiutata a scrivere il tema lei stessa. Era stata l’unica occasione in cui si erano parlate, oltre ad un breve cenno di saluto quando successivamente si incontravano nei corridoi. Di lei sapeva solo che era una Corvonero dello stesso anno di Duncan.
«Sono contenta che sei dei nostri.» le disse Katherine «Ammetto di essere sollevata all’idea di non essere più l’unica non O’Brien adulta in casa.»
«Sei qui da tanto?»
«No, in realtà mi sono trasferita solo poche settimane fa, poco dopo la caduta del Ministero, ma era da mesi che facevo avanti e indietro da questa casa. Ero l’addetta a portare notizie dal mondo esterno. E conosco la famiglia O’Brien da anni ormai.»
Ecco un altro particolare che ricordava di Katherine: di averla vista diverse volte nei corridoi in compagnia di Duncan.
«Comunque non volevo disturbarti, volevo solo parlare un po’ con te.»
Lydia si irrigidì. Si trattenne a stento dal toccare la sua cicatrice. Negli ultimi tempi era l’unica cosa che interessava alle persone e non aveva la minima intenzione di parlarne con qualcuno, tantomeno con una ragazza che conosceva appena.
«Di cosa in particolare?» chiese a bassa voce.
«Di tutto e di niente.» rispose Katherine. «Tu non hai presente quanto mi sia mancato parlare con qualcuno che non sia un bambino o un O’Brien! Non fraintendermi» si affrettò ad aggiungere «Adoro ognuno di loro, ma è difficile passare dal lavorare a stretto contatto con le persone a dover nascondersi e uscire solo per le missioni.»
Lydia pensò che per ora non aveva avuto lo stesso problema, anche se probabilmente dipendeva molto dal fatto che aveva passato la maggior parte degli ultimi due anni chiusa in casa e a cercare di evitare la compagnia di qualunque essere umano. Cercò di sviare l’argomento.
«Che lavoro facevi?»
Gli occhi di Katherine si illuminarono. «Giornalista!»
Lydia cercò di dilungare il discorso per evitare che Katherine rivolgesse a lei qualche domanda. «E per che giornale lavoravi?»
Il sorriso di Katherine si incrinò «La Gazzetta del Profeta.»
«Oh…» si limitò a commentare Lydia. Negli ultimi anni non aveva avuto particolare simpatia per la Gazzetta, e le era bastata un’occhiata all’edizione del giorno successivo alla caduta del Ministero per confermare l’idea che aveva sempre avuto: quel giornale era corrotto ed ora era sotto le mani dei Mangiamorte. Non che prima fosse molto più attendibile considerando l’impegno impiegato nella campagna discriminatoria verso Albus Silente e Harry Potter.
Katherine riuscì a intuire i suoi pensieri solo guardando la sua espressione. «Lo so, lo so. Non è un granché… ma ho iniziato il mio tirocinio lì l’anno dopo essere uscita da Hogwarts ed era il giornale più rispettabile del mondo magico inglese. E quando ha iniziato a declinare ero talmente ingenua da pensare di avere qualche possibilità di cambiare la sua reputazione e riportarlo ad essere la più autorevole fonte di informazioni del Paese. A volte la passione per il proprio lavoro può essere una condanna.»
«Di cosa ti occupavi?» L’interesse di Lydia verso quella conversazione era molto basso ma avrebbe fatto di tutto per impedire a Katherine di chiederle quello che sapeva le avrebbe domandato alla prima occasione.
«I primi anni di intermezzi pubblicitari e necrologi, e probabilmente mi avrebbero lasciata lì per tutta la vita se non mi fossi impuntata. Ho chiesto di essere spostata per mesi interi senza ricevere risposta, e allora ho seguito un’indagine di nascosto e il mese successivo mi sono presentata nell’ufficio del direttore con un articolo sul contrabbando di uova di Selma dalla Norvegia. Ovviamente non l’hanno pubblicato, hanno mandato alcuni dei loro giornalisti ad indagare e le mie fonti si sono rivelate attendibili. Un altro si è preso il merito per la mia indagine ma a me non è importato, perché il giorno stesso in cui il suo articolo è comparso sulla Gazzetta, mi hanno offerto un posto come apprendista nella redazione della cronaca locale. Lì si che accadevano cose interessanti. E’ occorso impegno e sin troppe notti insonni, ma finalmente l’anno scorso mi hanno offerto un lavoro vero e proprio come reporter.» A questo punto il sorriso di Katherine svanì del tutto.
Lydia si voltò a guardare casa O’Brien. Quanto avrebbe voluto trovarsi nella sua camera in quel momento. Cosa le era saltato in mente di rimanere fuori senza Lance? Qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di trovarsi lì, a condividere i ricordi di una mezza sconosciuta fin troppo espansiva. Forse se fosse rimasta in silenzio, Katherine si sarebbe stancata e sarebbe rientrata senza prolungare oltre quella tortura.
Eppure Lydia si ritrovò a parlare. «Cosa è successo dopo? Perché sei qui nascosta e non al lavoro? Tu sei una Purosangue, giusto?»
«Sono figlia di due Mezzosangue. Sì, per ora il mio sangue è considerato accettabile.»
«E allora perché sei scappata?» chiese Lydia di getto, senza ragionare oltre e riuscire a fermarsi. Si pentì appena Katherine sospirò: Lydia non era mai stata brava a consolare gli altri, quella era una specialità di Lance o Alice.
Katherine proseguì senza accorgersi di nulla. «Sarei voluta rimanere. Dopo tutti gli sforzi, gli anni passati in quegli uffici, dopo tutte le lamentele e gli insulti che mi sono dovuta sorbire per riuscire a fare carriera… avrei voluto restare lì, continuare a lavorare anche e soprattutto in questi tempi bui. All’inizio della guerra ho pensato davvero di poter fare la differenza. Harry Potter aveva annunciato al mondo il ritorno di Tu-Sai-Chi, e quella notte stessa siamo stati richiamati tutti in redazione per una riunione straordinaria in cui ci hanno informati degli accadimenti della terza prova del Torneo Tremaghi.» Lydia rabbrividì. Aveva assistito di persona al momento in cui Harry Potter era uscito dal labirinto, ed era ancora nei suoi incubi. «Mentre il direttore parlava stavo già pensando ai titoli dell’edizione straordinaria, agli approfondimenti e alle raccomandazioni che avremmo potuto inserire, quando ecco comparire il Primo Ministro della Magia in persona, Cornelius Caramell. Era trafelato, sosteneva di essere giunto direttamente da Hogwarts e, indovina un po’? Ha iniziato a raccontare che si trattava solo di voci, assolutamente nulla di vero. Era successo solo un incidente, un tragico incidente, così lo ha definito, dove un giovane studente aveva perso la vita, e che gli studenti erano talmente sconvolti dall’accaduto da aver ingigantito la notizia. E quando ho visto il direttore annuire ho capito che era tutto finito prima ancora di iniziare.»
«E così è iniziata la campagna contro il professor Silente e Harry Potter.» continuò Lydia, suo malgrado incuriosita dal racconto.
Katherine annuì. «Le hai viste le edizioni di quell’anno. Per mesi ho tentato di convincere i miei colleghi a non pubblicare quegli articoli. Non sai quante volte hanno minacciato di licenziarmi. In realtà in quel periodo ho seriamente pensato di licenziarmi io stessa e passare ad un altro giornale, anche uno babbano. Ma ogni volta qualcosa mi tratteneva. Forse il pensiero che un giorno si sarebbero svegliati e il nostro giornale sarebbe stato un faro in questi tempi bui. E così è stato. Quando il Ministro ha visto di persona Tu-Sai-Chi all’interno dello stesso Ministero della Magia, si è finalmente ricreduto e il nostro giornale è stato libero da vincoli. Abbiamo potuto tornare ad essere dei veri giornalisti, e io ho creduto veramente che da lì in avanti saremmo stati liberi e non più dei semplici burattini in mano ai politici.»
«Non è durata molto.» commentò con una smorfia Lydia.
«No. Ho sperato che potessimo resistere, ma siamo stati i secondi a cadere dopo il Ministero. Una sera cinque impiegati del Ministero si sono presentati nei nostri uffici, mi ricordo che erano vestiti bene e sembravano rispettabili, ma poi hanno iniziato a parlare di una ‘nuova rotta’ che la Gazzetta doveva intraprendere, sulle bugie che erano state raccontate e sulla pericolosità di Harry Potter e dei Nati Babbani. Abbiamo impiegato solo pochi minuti a capire che erano lì per conto dei Mangiamorte. Un cambio di rotta, come lo chiamavano loro, così repentino voleva dire solamente che quello che più temevamo era accaduto e che il Ministero era caduto nelle mani di Tu-Sai-Chi.» Anche Lydia se ne era subito accorta proprio vedendo i titoli in prima pagina della Gazzetta del Profeta della mattina successiva. «Lo sapevamo tutti ma nessuno ha avuto il coraggio di ribellarsi. Abbiamo notato che gli impiegati del Ministero erano arrivati insieme a delle guardie del corpo che si aggiravano alle nostre spalle, le bacchette già in mano. Erano Mangiamorte, ne sono sicura, erano lì in caso ci fossero stati dei problemi, e sapevo anche che non si sarebbero fatti scrupoli ad ucciderci se avessimo aperto bocca. E così siamo rimasti seduti terrorizzati sul pavimento, pregando di poter tornare a casa dai nostri cari. E nel nostro silenzio abbiamo accettato di essere di nuovo dei burattini, questa volta nelle loro mani.» Katherine appoggiò la schiena alla panchina e socchiuse gli occhi. La luce del sole brillò sulla sua pelle scura. «Era una mossa intelligente. Se ci fossimo ribellati ci avrebbero ucciso sul colpo. La nostra vita valeva più delle parole stampate, o almeno è quello che ho pensato quella notte per poter convivere con i sensi di colpa. Il giorno dopo mi sono presentata al lavoro come se fosse una giornata normale. E poi ho scoperto che tutti i miei colleghi Nati Babbani erano stati sospesi a effetto immediato, in attesa di verifica. Non solo, a quelli che si erano presentati in ufficio quella mattina avevano anche sequestrato le bacchette, promettendo che sarebbero state riconsegnate dopo il Censimento. E non sono stati i Mangiamorte a farlo, ma gli addetti della sicurezza che fino al giorno prima erano loro amici e colleghi. Ho capito che per una volta nella vita non avrei potuto pensare alle conseguenze, che dovevo agire per la giustizia. E così due giorni dopo ho consegnato al mio caporedattore un articolo di denuncia sulla crescente violenza verso i Nati Babbani, sulla discriminazione con cui questo nuovo Ministero li condannava. Due miei colleghi hanno fatto lo stesso, scrivendo articoli sulla fuga dei Dissennatori da Azkaban e sulla corruzione negli uffici pubblici. Quel pomeriggio stesso sono stata convocata nell’ufficio del mio caporedattore.»
«Ti aveva denunciata.» immaginò Lydia.
«No. Ho scoperto che tutti gli articoli che consegnavamo venivano prima letti da un nuovo Ufficiale di Verifica, un nuovo nome per svolgere la cara e vecchia censura. Era stato lui a denunciarmi e il mio capo mi aveva chiamata in ufficio per avvisarmi di andarmene subito dall’edificio e scappare in un luogo dove non avrebbero potuto trovarmi. Ha rischiato tanto con quella soffiata. Mi ha detto che gli ricordavo sua figlia, quella stessa figlia che i Mangiamorte avevano minacciato per fargli eseguire i loro ordini. Sono corsa fuori, ho fatto appena in tempo a recuperare la mia borsa che le guardie erano già nel corridoio. Non so ancora come ho fatto a scappare. Mi hanno vista mentre imboccavo le scale e mi hanno inseguita, ho dovuto contrattaccare e penso di averne mandato uno al San Mungo.» aggiunse con una certa soddisfazione.
Lydia era senza parole. «Mi dispiace…Deve essere stato terribile.»
Katherine scosse la testa. «Sono riuscita a scappare, i miei genitori sono al sicuro in Francia insieme a mia sorella, io sono qui con Duncan e non desidererei essere in nessun altro posto. Non è stato difficile per me. Lo è stato per i miei due colleghi. Anche loro avevano scritto i propri articoli cercando di andare contro la censura, ma nessuno li ha avvisati delle conseguenze. Prima di riuscire a scappare li ho visti venir trascinati fuori dalle guardie. Sono stati arrestati e non ho la minima idea di dove possano essere ora. Né se sono ancora vivi.» La voce di Katherine si spezzò. «Avrei potuto fare di più per loro. Avrei potuto avvisarli, fermarmi quei due secondi necessari per dire loro di seguirmi. Nessuno li aveva informati, non avevano avuto la mia stessa fortuna. Avrei potuto combattere per loro. Avrei potuto salvarli.»
E a quel punto calò il silenzio. Lydia sollevò il viso per guardare la foresta che si estendeva fuori dai confini della casa. La fresca brezza che fino a un momento prima era stata rilassante, ora sembrava pesare come un macigno, rendendo l’aria irrespirabile. Lydia sentì l’istinto urlarle di scappare, di nascondersi da quei discorsi troppo pesanti. Aveva già troppi orrori nella testa per pensare anche agli effetti che quella dannata guerra aveva sugli altri. A quante persone oltre a lei stessero soffrendo, a quante persone oltre quei bambini potevano essere salvate.
Lydia si alzò di scatto, spaventando Katherine.
«Si è fatto tardi.» disse come un automa, senza guardare in faccia Katherine «E’ meglio rientrare.»
«Oh, sì, in effetti siamo state qua fuori un bel po’.» rispose Katherine, non del tutto convinta.
«Sì, bene, ciao.» E senza lasciare il tempo a Katherine di rispondere, Lydia tornò a passo di marcia verso la casa, il respiro sottile e la mente completamente persa nei suoi pensieri più bui.
 
 
 

 Curiosità: Durante la settimana ho riletto questo capitolo per prepararlo alla pubblicazione e ammetto che il mio animo perfezionista mi ha costretto a riscrivere alcune parti che non mi convincevano (spero che nessun errore di battitura sia sfuggito alle due successive riletture). Questo capitolo è per me molto importante perchè è stato il primo che ho scritto dopo due anni di fermo, e la scena nell'orto e la storia di Katherine rimangono ancora tra le mie preferite. 
Finalmente tutti i personaggi principali sono entrati in scena, e non vedo l'ora che possiate conoscerli meglio nei prossimi capitoli!

Note: Non fidatevi delle conoscenze sulla genetica magica di Lydia, essendo Nata Babbana, non Corvonero e non avendo nessun corso ad Hogwarts di scienze, potrebbe non essere molto affidabile... Ma ne riparleremo tra qualche capitolo ;)


Grazie a tutti voi che avete letto questa storia,
Grazie di cuore a chi ha recensito i capitoli precedenti, ogni recensione mi dà una gioia immensa ed è bellissimo poter scoprire cosa vi sta piacendo di più!
Grazie davvero a tutti voi!

Ricordo la pagina instagram: piumedicenere per piccole anticipazioni e illustrazioni!
Appuntamento alla settimana prossima!

Un abbraccio,
Emma Speranza

 


'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - La lettera ***


Capitolo 5 

La lettera


 
 
Le parole di Katherine avevano avuto un effetto catastrofico sulla mente di Lydia.
Quella notte Lydia non riuscì a chiudere occhio, il giorno successivo fece finta di niente e si presentò con le sue occhiaie a colazione. Si intrattenne anche in una breve conversazione con gli altri commensali, ed una molto più lunga con Henry, durante la quale, fortunatamente, fu più il bambino a parlare. Per il resto della giornata cercò di impegnarsi nel pulire il primo piano della casa tentando nel frattempo di nascondersi dai signori O’Brien per evitare che le chiedessero nuovamente di badare ai bambini. E quella giornata terminò nella tranquillità.
La mattina successiva invece Lydia non riuscì ad alzarsi dal letto. Quella notte era riuscita a dormire ma appena si era svegliata, la sua mente l’aveva trascinata in una serie di pensieri senza fine.
Iniziavano sempre quando ripensava alle parole di Katherine.
«Avrei potuto fare di più per loro. Avrei potuto salvarli.»
Quante volte anche Lydia si era ripetuta quelle stesse parole nei mesi precedenti? E quante altre volte avrebbe dovuto ripeterle prima di costringersi finalmente ad agire? Era stata talmente concentrata sul suo dolore prima, e sulla nuova missione con gli O’Brien dopo, da aver dimenticato che c’erano anche altre persone che avrebbe potuto salvare, se solo avesse voluto. Persone a lei care e che avrebbero sofferto se non fosse intervenuta.
Si sollevò a sedere nel letto e allungò una mano verso la borsa appoggiata sul comodino. La setacciò trovando infine quello che stava cercando: la lettera di convocazione al Censimento. La aprì e la rilesse per la centesima volta. Era talmente concentrata nei suoi pensieri che sobbalzò quando qualcuno bussò delicatamente alle sua porta. Nascose velocemente la lettera sotto il cuscino.
«Lydia, sei sveglia?» Era Katherine «Ti stiamo aspettando per la colazione.» disse gentilmente, la voce ovattata dalla porta.
«Sì, sì, sono sveglia!» rispose ad alta voce Lydia «Ma non scendo…» si guardò attorno in cerca di una scusa. «Non mi sento molto bene!» Peggio di una bambina dell’asilo. Eppure funzionò.
«Oh, mi dispiace, vuoi che ti porti qualcosa?» chiese Katherine, genuinamente preoccupata.
«No, grazie, ho solo bisogno di un po’ di riposo.» E con un’ultima raccomandazione, Katherine si allontanò lasciandola nuovamente sola. Lydia sospirò e si accasciò sui cuscini. Odiava quelle giornate. Quelle in cui la sua mente si rifiutava di collaborare e se ne andava a zonzo nelle zone più buie del suo cervello, riportando in superficie tutte le sue paure e i suoi ricordi peggiori.
Strinse gli occhi cercando di scacciare quelle immagini.
Quelle stesse giornate in cui non riusciva a fare nulla, neanche alzarsi dal letto o ad avere a che fare con altre persone, soprattutto se sconosciuti. No, non tutti sconosciuti, pensò quando qualcuno bussò di nuovo alla sua porta.
«Lydia? Come stai?» Lance era preoccupato e Lydia si sentì in colpa per aver inventato di stare male.
«Ho solo un po’ di mal di stomaco.» mentì di nuovo.
«Vuoi una pozione? Ne abbiamo una riserva per ogni malanno, se vuoi te la porto su e…»
Lydia lo interruppe. «No, grazie, sono a posto…» E lo sarebbe stata se l’avessero lasciata stare.
«Oh, va bene…Se hai bisogno di qualcosa chiamami.» Lance non sembrava contento della sua risposta. Peggio per lui, decise Lydia, lei non aveva bisogno di compagnia né di pozioni, solo tempo per pensare, o meglio, per provare a non pensare. Non rispose e dopo un minuto circa, sentì i passi di Lance allontanarsi. Sospirò di sollievo e si accomodò meglio nel letto.
Era stata colpa sua. Negli ultimi tre giorni aveva pensato di aver finalmente risolto tutti i suoi problemi accettando di lavorare in quella missione quando in realtà non aveva fatto altro che accantonarli ed ora si erano già presentati a reclamare tutta la sua attenzione.
I suoi genitori non erano ancora al sicuro, lei si trovava lontana da casa ed era una fuggitiva. O almeno, lo sarebbe stata nel giro di una settimana, quando non si sarebbe presentata alla sua convocazione al Ministero.
Aveva visto il giuramento con gli O’Brien come una possibilità di un nuovo inizio, ma era stata un’ingenua. Non avrebbe mai potuto cancellare la sua vita precedente. In fondo ne aveva un promemoria ben visibile su metà del suo viso. E nella sua fretta di voler ricominciare, aveva dimenticato della persona che le era sempre stata accanto in quegli anni. Alice.
Lydia aveva trovato una protezione nella famiglia O’Brien e negli ultimi giorni era talmente presa a capire come il suo mondo si fosse rivoluzionato da aver dimenticato la sua migliore amica, e il fatto che anche lei avesse bisogno della stessa identica protezione. Anche lei era una Nata Babbana, anche lei si era ritrovata da sola ad affrontare una guerra che neanche comprendeva.
Lydia infilò la mano sotto il cuscino per toccare la famigliare pergamena della convocazione.
Anche Alice si era trovata a scegliere tra scappare o provare a farsi accettare. Per Lydia quest’ultima scelta non era mai stata un’opzione realizzabile: lei sapeva che i Mangiamorte non avrebbero mai avuto pietà, e non solo loro. Aveva visto come l’odio si era diffuso a macchia d’olio, tanto che quelle che all’inizio venivano considerate solo come convinzioni di pochi pazzi si erano ormai tramutate in un pensiero discriminatorio comune. Anche persone che fino a qualche mese prima vivevano la loro vita normalmente, ora avevano iniziato a credere che i Sanguemarcio fossero il male della comunità magica. Era stata proprio Alice a raccontarle delle discriminazioni che aveva dovuto affrontare in ufficio dopo la morte di Silente, prima ancora della caduta del Ministero, da parte di colleghi che fino a qualche giorno prima le avevano regalato torte fatte in casa.
Per Alice la scelta più logica era accettare di sottoporsi al Censimento, per Lydia scappare.
Quante volte avevano litigato nelle ultime settimane proprio per questo motivo? Lydia l’aveva pregata di scappare con lei, di rifugiarsi insieme a casa di sua nonna. Alice si era sempre rifiutata categoricamente. Forse però, Lydia aveva rinunciato troppo presto a farle cambiare idea.
Sentì un nodo alla gola.
Era così. Aveva provato a convincerla ed aveva fallito, e cosa le aveva detto? Di non provare a contattarla.
Che razza di amica era?
Si coprì il volto con le mani. Aveva rinunciato senza neppure provarci realmente. Era talmente preoccupata per se stessa da non aver davvero provato a convincere anche la sua amica a fare lo stesso.
Ma la situazione era cambiata, pensò. Prima l’unica alternativa che le aveva dato era stata un nascondiglio nella casa di un’anziana signora babbana, ora le avrebbe potuto offrire la protezione di una casa sotto Incanto Fidelius.
E allora forse non era arrivata troppo tardi come Katherine.
Avrebbe potuto ancora salvarla.
Un pensiero le affiorò nella mente. E se Alice avesse detto comunque di no?
Si stupì di quanto velocemente si diede una risposta.
In quel caso avrebbe cercato un’altra soluzione. L’avrebbe aiutata a qualsiasi costo. Estrasse la lettera da sotto il cuscino e la rilesse attentamente.
Il Censimento era la settimana successiva, aveva ancora tempo per decidere il da farsi. Eppure, in fondo al cuore, Lydia aveva già preso la sua decisione.
 
Lydia rimase nascosta in camera tutto il giorno, ben intenzionata ad approfittare di quella giornata in cui i signori O’Brien non avrebbero potuto chiederle di collaborare nella gestione dei bambini, e la sua scusa funzionò talmente bene che anche il giorno successivo fece finta di stare male e si godette così un altro giorno di tranquillità. Certo, se ci fossero state delle missioni e dei bambini da recuperare sarebbe uscita di corsa dalla stanza, ma visto che le giornate si prospettavano monotone ne approfittò.
Scese solo una volta in cucina, il secondo giorno. Era ancora affamata dopo la zuppa che Lance le aveva portato per pranzo e vedendo che erano tutti in giardino a godersi la giornata di sole, Lydia si arrischiò a scendere le scale per cercare qualcosa di più sostanzioso da mangiare. Ed era proprio in cucina a riempirsi le tasche del pigiama quando sentì la porta della sala da pranzo aprirsi improvvisamente.
Lydia trattenne un’imprecazione e si rifugiò nel primo nascondiglio visibile, nell’angolino dietro alla porta, così se qualcuno fosse entrato in cucina non l’avrebbe vista, coperta come era dalla porta aperta. Da quella posizione, riuscì a distinguere le voci provenienti dalla sala da pranzo.
«Sto solo dicendo che spero sia stata la decisione giusta.» stava dicendo la signora O’Brien. Lydia sentì le ante di un mobile cigolare e il rumore delle stoviglie spostate. Sembrava che stesse cercando qualcosa.
«Ne abbiamo già parlato, Rose.» rispose il signor O’Brien.
Tra tutti gli abitanti della casa, dovevano essere proprio loro a rischiare di beccarla in pigiama in cucina e con le tasche piene di cibo.
«Se ne sta chiusa in camera da due giorni!»
E ovviamente stavano parlando di lei.
«E’ una situazione difficile per lei. Si trova in una nuova casa, in mezzo a persone per lo più sconosciute e braccata dai suoi stessi simili. Di sicuro impiegherà un po’ di tempo per ambientarsi.» Lydia fu stupita. Il signor O’Brien stava prendendo le sue difese. Si trovò a spostarsi per appoggiare l’orecchio all’intercapedine della porta e poter così sentire meglio.
«E infatti lo capisco, ho un cuore anche io, Dorian. Ma pensavo che potesse offrire a tutti noi una boccata d’aria fresca. Pensavo che una persona in più potesse aiutare a risolvere i nostri problemi.»
«Per quello abbiamo già Katherine.»
«Non avevamo già abbastanza problemi con Caitlin, Duncan e Lance? Che bisogno avevamo di avere in casa un’altra ragazza problematica?» Lydia si sentì offesa. Non era poi così problematica. Anche se il chiudersi in camera due giorni perché sull’orlo di una crisi di panico non deponeva a suo favore.
Il signor O’Brien sospirò. «Forse hai ragione, cara. Forse anche Lydia ha bisogno di aiuto. Così come forse siamo proprio noi a poterla aiutare. E chi ti dice che non possa essere comunque una risorsa preziosa anche per risolvere le discordie tra i nostri figli.»
La signora O’Brien non sembrava molto convinta. «A volte sei troppo ottimista.» E a quel punto Lydia sentì l’anta del mobile sbattere e le voci dei due coniugi allontanarsi dalla sala da pranzo, rendendo incomprensibili le loro parole. Lydia aspettò un paio di minuti e poi corse di nuovo nella sua camera.
 
La conversazione origliata in cucina, convinse Lydia ad abbandonare la sua camera il giorno successivo. Ma non era stata abbastanza per convincerla a stare con i bambini oltre ai pasti. La signora O’Brien tentò solo due volte di persuaderla, bloccata infine dal marito.
«Quando Lydia se lo sentirà, te lo dirà.» disse. Lydia lo ringraziò, senza aggiungere di mettersi tutti il cuore in pace perché non sarebbe mai accaduto.
 
La mattina del primo giorno del Censimento, Lydia non scese a colazione con gli altri. Se ne stava seduta sul letto, la pergamena stropicciata stretta tra le mani. Il sigillo del Ministero la fissava beffardo dalla busta. La mente di Lydia era di nuovo persa negli stessi pensieri dei giorni precedenti. Il momento della verità si stava avvicinando inesorabilmente.
Qualcuno bussò alla porta e Lydia si affrettò a nascondere di nuovo la lettera sotto il cuscino. «Sì?»
Katherine fece capolino dalla porta socchiusa. «Ti disturbo?» chiese con un sorriso.
«No, stavo solo…» si guardò attorno. «Sistemando…» Effettivamente aveva ancora la valigia spalancata per terra e solo pochi oggetti personali avevano trovato un posto nella sua nuova camera: la bacchetta e una piuma appoggiati sul comodino, il resto era ancora stipato nella valigia e nello zaino.
Lydia si alzò dal letto a disagio. Negli ultimi giorni Katherine aveva tentato in diverse occasioni di parlarle nel tentativo di fare amicizia, e Lydia era scappata ogni singola volta.
«Il signor O’Brien ci vuole tutti nel suo studio!» Katherine rimase sulla soglia. «Penso che finalmente potremo tornare in azione!» Sembrava davvero entusiasta di poter di nuovo uscire da quella casa. E anche Lydia sentì un’ondata di sollievo a quelle parole. Era grata per la protezione che la casa le offriva ma ammetteva di aver voglia di uscire a fare concretamente qualcosa. Da quando erano tornati non c’erano state missioni, il fratello del signor O’Brien non aveva dato sue notizie per molti giorni, impegnato ad organizzare il Censimento del Ministero e segretamente intento a contattare le famiglie che necessitavano del loro aiuto.
«Due minuti e arrivo.» Katherine richiuse la porta. Lydia si prese il tempo per sciacquarsi il viso con la speranza che l’aiutasse a cancellare dalla mente il pensiero del Censimento almeno per la prossima mezz’ora, tentativo che si dimostrò fallimentare considerando che passò il breve tragitto a pensare esclusivamente a quello. Furono infine le parole del signor O’Brien a risvegliarla drasticamente.
«Sanno che qualcuno prende in custodia i bambini.» esordì.
«Cosa!?» Le esclamazioni dei quattro ragazzi risuonarono nello studio.
«Qualcuno ha parlato?» chiese Duncan. «Di sicuro non è colpa mia o di Kate. Certo, ci hanno visto, ma non è possibile che abbiamo capito che eravamo lì per il bambino! E la famiglia era chiaramente scappata. Hai detto tu stesso che il bambino è al sicuro.»
Il signor O’Brien scosse la testa. «Non lo sappiamo. Potrebbe anche non essere colpa nostra, se di colpa vogliamo parlare. Non siamo gli unici a farlo.» Vedendo l’espressione sorpresa di Lydia, il signor O’Brien spiegò in breve «Mio fratello mi ha comunicato che altre due famiglie stanno accogliendo nelle loro case tutti i bambini che necessitano di aiuto. E’ una di queste case ad aver accolto il bambino che Duncan e Katherine non hanno potuto salvare l'altro giorno. Questo va decisamente a nostro favore, avremo così meno bambini di cui occuparci e meno missioni per recuperarli.»
Katherine si sedette sulla sedia di fronte alla scrivania, Duncan seguì il suo esempio. Lance incrociò le braccia e si appoggiò alla parete. «Per fortuna. La nostra casa è gigante ma stiamo già impazzendo così… immaginate se avremmo dovuto accogliere tutti i bambini magici della Gran Bretagna.»
Duncan sbuffò. «Forse se qualcuno ci aiutasse invece che starsene chiusa in camera saremmo tutti più tranquilli.»
Lydia serrò la mascella e si costrinse a non rispondere.
Lance non fu altrettanto bravo nell’autocontrollo. «Sta zitto, Duncan!» borbottò infuriato.
Il signor O’Brien fece un semplice cenno con la mano e la discussione si fermò lì, anche se Lydia poteva ancora vedere la rabbia di Lance, ben leggibile sul suo volto, e perfettamente rispecchiante la sua.
«La notizia più importante» proseguì il signor O’Brien come se non fosse mai stato interrotto «è che abbiamo trovato un modo per rintracciare tutti i Nati Babbani che quest’anno hanno ricevuto la lettera di Hogwarts. Questo significa che prossimamente dovremo affrontare la nostra missione più pericolosa. E adesso che al Ministero circola la voce di controllare chiunque si aggiri con fare sospetto con un bambino, la pericolosità delle nostre azioni è aumentata a dismisura. Dovrete stare ancora più attenti. Immagino di non dovervi ricordare cosa stiamo rischiando.»
Le sue ultime parole furono accolte dal silenzio. E da parte di Lydia anche dall’inquietudine, non per quello che rischiava, ma per un dubbio atroce che le si era insinuato nella mente.
E se fosse stata colpa sua e di Lance e della loro catastrofica prima missione? Sentì una stretta al cuore. Non poteva aver già fallito così clamorosamente. Cercò in tutti i modi di rimanere impassibile. No, non poteva essere vero, forse era solo una suggestione e in realtà il Ministero non era a conoscenza di nulla.
Aveva bisogno di parlare con Lance.
«Dacci una buona notizia, ti prego.» sospirò Katherine.
«Posso solo dirvi che abbiamo trovato molto più sostegno di quanto pensassimo.» Prese una mappa e la aprì. Mostrava l’Inghilterra e sembrava una semplicissima cartina babbana. «Ora che il Censimento ha avuto inizio, il tempo per fuggire delle famiglie è agli sgoccioli. Nei prossimi giorni saranno costretti ad abbandonare le loro case visto che sarà quello il primo posto in cui il Ministero li cercherà quando non si presenteranno all’interrogatorio. L’ideale sarebbe stato riuscire a recuperare tutti i bambini prima che i genitori fossero costretti a scappare, ma non ho intenzione di gettare all’aria la cautela ora che abbiamo i Mangiamorte sul collo. Per questo ci servono dei luoghi sicuri in cui i genitori potessero lasciare i loro figli prima di scappare, in attesa del nostro arrivo, e li abbiamo trovati.»
Il signor O’Brien sfiorò la cartina con la bacchetta, sussurrando una parola d’ordine a voce talmente bassa che nessuno dei quattro ragazzi riuscì a decifrarla. Sulla mappa si illuminarono dei puntini, alcuni verdi e solo due di colore rosso, accompagnati dalle diciture delle vie in cui si trovavano. «Si tratta di famiglie che non hanno nulla da temere, essendo il loro sangue pulito, ma che comunque non accettano le ingiustizie che stanno avvenendo. Sono tutte persone che conosciamo bene e assolutamente fidate. Abbiamo impiegato giorni a contattarle tutte ed accertarci della loro lealtà, ma hanno accettato di nascondere in casa loro per qualche giorno alcuni bambini, in caso di necessità.»
«Quindi i genitori porteranno i bambini in una di queste case e noi andremo a recuperarli lì.» riassunse Lance.
«Esatto! Esistono solo tre mappe, una in ogni Casa Sicura. Questo dovrebbe garantire la sicurezza dei nostri collaboratori.»
«Quindi ci aspettano due missioni.» Duncan indicò i puntini rossi.
Il signor O’Brien annuì.
«A che ora partiamo?» chiese Katherine sedendosi sul bordo della sedia, pronta a scattare.
«Non oggi.»
Lydia vide l’entusiasmo di Katherine sgonfiarsi come un palloncino.
«Nessuno di voi si muoverà da questa casa per il momento. Con la scusa dell’inizio del Censimento oggi i controlli in tutto il Paese sono triplicati. Si aspettano fughe di massa dal Paese, eventualità che effettivamente sta avvenendo, e stanno organizzando retate contro Materializzazioni e Passaporte illegali. E’ troppo pericoloso uscire. Mio fratello mi ha informato che solamente tra tre giorni si tornerà alla normalità, fortunatamente per ora non hanno le risorse sufficienti per tenere sotto controllo l’intero Mondo Magico per più di qualche giorno. Le vostre missioni saranno in giorni separati. Duncan, Katherine. Voi partirete tra tre giorni per recuperare questo bambino.» indicò uno dei due puntini, quello verso la costa sud dell’isola. «Lance, Lydia, voi andrete tra cinque giorni.» I due ragazzi si avvicinarono per osservare meglio il loro puntino. «Vi informo che sarà una missione pericolosa, dovrete essere molto attenti. La bambina si trova a Londra, che di sicuro sarà meglio sorvegliata rispetto al resto del Paese anche nei giorni successivi all’allerta.»
«Allora perché ci mandi loro?» lo interruppe irritato Duncan. Lydia era talmente vicina a Duncan da avere la tentazione di gettargli una fattura.
Questa volta il signor O’Brien rispose prima che Lance potesse replicare. «Perché mi fido di loro. E perché anche la vostra missione sarà altrettanto complicata. Pochi giorni fa sono stati riportati dei danni in quella città da attribuirsi a gruppi di seguaci del Signore Oscuro. Quindi occhi ben aperti e questa volta dovrete seguire alla lettera le nostre istruzioni e scappare al minimo segno di pericolo, senza correre rischi inutili.» continuò minaccioso «Avete capito?»
«Sì, signore.» risposero in coro Duncan e Katherine.
Il signor O’Brien parve soddisfatto della loro risposta. «Per ora godetevi il vostro meritato riposo.» disse rivolto a Duncan e Katherine. Loro annuirono e uscirono dalla stanza, Lydia fece per seguirli ma il signor O’Brien non aveva ancora finito con lei e Lance. «Ho detto di fidarmi di voi. La mia fiducia è ben riposta, non è vero?»
La mente di Lydia tornò immediatamente ai terribili sospetti di qualche minuto prima e anche Lance si immobilizzò e impallidì. Lydia si trattenne dall'insultarlo: come farsi scoprire senza neanche aprire bocca.
«Con il ritorno di Duncan e Katherine non ho più avuto modo di chiedervi come è andata la vostra prima missione insieme.» Il signor O’Brien li guardava attentamente.
Lydia mantenne un’espressione che sperava non fosse compromettente. «Benissimo. Niente di sospetto né fuori dall’ordinario.» disse decisa. Lance annuì con un entusiasmo tale da essere poco convincente.
Il signor O’Brien guardò il figlio con sospetto. «Sicuri?»
«Sicurissimi.» disse di getto, per evitare che Lance rivelasse la verità.
«Lance, tu hai qualcosa da dirmi.» Conosceva troppo bene il figlio.
Lance si fece prendere letteralmente dal panico «Io...»
«Ci siamo fermati a mangiare un gelato!» urlò Lydia, inventando la prima scusa che le venne in mente, qualsiasi idea era meglio che confessare che qualcuno li aveva visti ed inseguiti.
Lance si limitò a fissarla con un’aria ebete e questa volta Lydia dovette fare un grande sforzo di volontà per impedirsi di tirargli un pugno. Dovette bastare il suo sguardo omicida, visto che Lance si affrettò a riprendersi dalla sua apatia e annuire di nuovo vistosamente. «Sappiamo che non dovevamo, ma eravamo nella piazza del mercato e ci siamo fermati solo un paio di minuti. Ci ha aiutati a mimetizzarci.» Almeno Lance sapeva ancora mentire per salvarsi da una punizione. Non era poi così cambiato da Hogwarts.
Il signor O’Brien toccò di nuovo la mappa con la bacchetta, cancellando tutte le prove della sua magia. Si alzò dalla scrivania e diede loro le spalle per riporla al sicuro nell’armadio. Lydia approfittò del momento per dare un pugno leggero sul braccio del ragazzo.
«Ahi.» mimò offeso Lance, massaggiandosi il punto colpito. Poi il signor O’Brien pronunciò una frase che non si aspettavano. «Mi dispiace davvero tanto che siate costretti a stare qui dentro senza un minimo svago. Siete giovani, questi dovrebbero essere gli anni migliori della vostra vita e invece sarete costretti a passare qui dentro Dio solo sa quanto tempo. Ma se questo vi tiene al sicuro, sapete benissimo che dovrete sopportare.»
«Lo sappiamo, papà. Non lo faremo più.» si scusò Lance, impaziente di finire il prima possibile quella conversazione.
«Lo spero.» il signor O’Brien tornò a sedersi sulla sua poltrona. «E ora andate a godervi anche voi questi giorni di tranquillità.» I due ragazzi scattarono verso la porta prima di essere di nuovo fermati dal signor O’Brien «E, Lydia? Non preoccuparti per mia moglie. Le ho detto di lasciarti tranquilla in questi giorni visto che dovrai arrivare ben riposata e concentrata alla missione.»
Lydia ripensò alla conversazione che aveva origliato qualche giorno prima. «Grazie.» rispose sinceramente.
Detto questo Lydia e Lance si affrettarono ad uscire dallo studio. Appena chiusero la porta alle loro spalle sospirarono di sollievo. Non erano stati scoperti. Questo però non impedì a Lydia di sentirsi in colpa. E se fosse stata davvero colpa loro? E se non confessando ciò che era realmente accaduto avessero peggiorato la situazione?
«Perché ogni volta che facciamo qualcosa insieme combiniamo dei disastri?»
Lydia si stava ponendo la stessa identica domanda.
 
I giorni successivi passarono in fretta. Tutti si godevano quelle giornate di pace e caldo. I bambini passavano la maggior parte del tempo nel giardino, mentre gli adulti li controllavano, per fare in modo di fermarli se si fossero avvicinati troppo al cancello.
Tutti erano tranquilli, tranne Lydia.
La ragazza sapeva che si stava avvicinando il giorno della missione e della sua decisione, e negli attimi di tempo libero, quelli passati seduta oziosamente sulla panchina del giardino, il suo pensiero continuava a perdersi nei suoi dubbi.
Almeno la tregua concessa dal signor O’Brien le permise di mantenersi distaccata dai bambini, e a volte anche dagli adulti, facilitata dal fatto che Lance aveva passato la maggior parte di quelle giornate rinchiuso nel suo laboratorio visto che diverse pozioni erano in una fase critica in cui dovevano essere monitorate costantemente.
L’unico che Lydia non riusciva ad allontanare era Henry.
Quel bambino non faceva altro che avvicinarsi di soppiatto appena la vedeva e a tormentarla con le sue chiacchere. Certe volte Lydia sopportava, altre si alzava senza dire una parola e si chiudeva in camera.
Fortunatamente Caitlin passava la maggior parte del tempo con Duncan e Katherine, e quest’ultima tentava ancora di fare conversazione con Lydia ma limitandosi ad argomenti banali. Niente più tentativi di fare amicizia, almeno per il momento. E Lydia era grata per questo.
Infine arrivò il giorno della missione di Katherine e Duncan, una giornata piena di angoscia per la signora O’Brien, restia a lasciare uscire di nuovo il suo figlio maggiore dopo il pericolo corso l’ultima volta. I figli e il marito cercarono in tutti i modi di distrarla, senza successo. Rimase per un’ora intera nel giardino di casa, davanti al cancello, aspettando che i ragazzi tornassero a casa. Fortunatamente essi non tardarono a ritornare, portando tra le braccia un bambino di sei anni, Tristan Berkley, ed un giornale.
Il signor O’Brien fu il primo a leggerlo e appena lo terminò, Lydia fu la più veloce a rubarlo.                        
Era strano leggere notizie provenienti dal mondo esterno dopo essere stata chiusa in quella bolla, isolata da tutti. La prima pagina era occupata quasi interamente da una foto di Harry Potter, accompagnata dalla scritta ‘Indesiderabile Numero Uno’. La notizia a fianco della foto riguardava invece il Censimento.
 
Il Censimento dei Nati Babbani è un’opera nobile che ha il fine di comprendere come essi siano entrati in possesso di segreti magici dopo che recenti studi hanno dimostrato che la magia può essere trasmessa solo per via riproduttiva (per ulteriori informazioni leggere l’articolo ‘Come i Nati Babbani si sono impadroniti della magia per secoli’ a pagina 36). Ricordiamo inoltre che la convocazione è OBBLIGATORIA, chiunque non si presenti sarà perseguibile per legge, secondo l’articolo 5 del Decreto Ministeriale 31/A del 1 agosto 1997.
 
Lydia sospirò e si ritrovò a fissare il volto di Harry Potter.
Era davvero il Prescelto come dicevano tutti? Sarebbe stato proprio lui a sconfiggere Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato? Quando sarebbe successo? Quanto sarebbe durata ancora quella guerra? E dove si trovava in quel momento il famoso Ragazzo Sopravvissuto?
«Anche lui ha una cicatrice come te.» disse una vocina vicino al suo gomito. Lydia si accorse che apparteneva ad Henry, che quasi in punta di piedi osservava la foto, appoggiandosi al tavolo con le mani. «Ma la sua è diversa.» indicò la fronte del mago.
«Non tutti si possono permettere cicatrici a forma di fulmine.» ‘e non tutti si possono permettere di sopravvivere ad un anatema che uccide, anzi, diciamo nessuno’ pensò con amarezza. Piegò il giornale, perdendo tutto l’interesse di leggere le altre notizie. In fondo, come aveva ammesso Katherine, l’intera redazione era sotto il controllo del Ministero. Da lì non avrebbe potuto scoprire nulla di utile.
«Chi te l’ha fatta?» chiese Henry con la solita curiosità dei bambini.
Lydia non rispose, si limitò ad alzarsi e lanciare il giornale a Duncan, sdraiato su uno dei divani del salotto. Henry non recepì il messaggio e la seguì, senza demordere. «Hai sconfitto anche tu un cattivo?» La fantasia del bambino iniziò a galoppare. «Ti hanno attaccato venti maghi e tu li hai sconfitti, tutti da sola e senza bacchetta.» Lydia velocizzò il passo, rimpiangendo di essere così lontana dalla sua stanza. «Hai salvato qualcuno, come hai fatto con Daniel?» e a quel punto non si trattenne e scappò dall’entusiasmo del bambino. Raggiunse di corsa la sua camera e si chiuse dentro, scagliando, per sicurezza, un «Colloportus» sulla porta.
 
Due giorni dopo fu il turno di Lance e Lydia di affrontare la loro missione.
La bambina che dovevano recuperare si chiamava Emily Coleman, sei anni, figlia di due Nati Babbani che avevano deciso di affrontare il Censimento. Erano stati chiamati all’interrogatorio il primo giorno e non erano mai tornati a prenderla.
Lance e Lydia sapevano che tutto poteva andare storto in qualsiasi momento. Sentivano ancora i sensi di colpa per aver rischiato nella scorsa missione e avevano intenzione di riscattarsi in questa. Si Materializzarono in una via laterale, e Lydia si affrettò a nascondere la boccetta di Pozione Polisucco nella borsa.
Lydia non conosceva quella zona di Londra, ma avevano passato tutto il pomeriggio precedente a studiare le mappe e cercare ogni possibile via di fuga in caso qualcosa fosse andato storto. Questa volta non si sarebbero fatti trovare impreparati. Raggiunsero la casa senza difficoltà, i pedoni erano tutti impegnati nelle proprie commissioni, nessuno faceva caso ai due ragazzi, ma avevano imparato a proprie spese di non fidarsi troppo. Il recupero fu estremamente rapido: l'anziana signora che aveva tenuto nascosta la bambina in quei giorni sembrava fin troppo contenta che fossero arrivati a prenderla, e la bambina li seguì senza dire nulla. Si limitò ad afferrare la mano di Lydia senza lasciarla per tutto il tragitto. Lance procedeva qualche passo davanti a loro, la mano sprofondata in tasca e stretta sull’impugnatura della bacchetta. Camminavano senza fretta, nonostante desiderassero correre e tornare il più in fretta possibile a casa, o almeno Lance lo voleva.
Lydia sapeva che le sue preoccupazioni non sarebbero finite una volta rientrati a casa O’Brien.
Riuscirono a tornare senza impedimenti sulla strada dalla quale erano arrivati, una via laterale occupata solo da vecchi negozi con le serrande abbassate. Si voltarono solo un istante per controllare di essere soli, e Lance si arrischiò a lanciare un semplice incantesimo per accertarsi che lo fossero realmente. Nessuna imboscata, nessun attacco.
Lydia prese in braccio la piccola Emily, che non aveva ancora pronunciato una parola. «Possiamo andare.» Lance le mise una mano sulla spalla e i tre si Smaterializzarono silenziosamente.
 
Comparvero davanti al cancello di casa O’Brien, la bambina si stringeva con tutte le sue forze a Lydia, quasi soffocandola.
«Per una volta è andato tutto bene.» sospirò di sollievo Lance. Lydia rimase in silenzio. Per lei non sarebbe andato tutto bene. Aveva temuto quel momento per tutta la settimana, da quando aveva parlato con Katherine. Sapeva che non sarebbe riuscita a mettere in atto il suo piano una volta entrati in casa. Era arrivato il momento di agire. Ma stranamente faceva più male di quanto pensasse.
«Prendila.» Lydia passò la bambina nelle braccia del ragazzo.
«Andiamo, non vedo l’ora di dimostrare a mio fratello che non combino sempre guai.» rise Lance attraversando il cancello.
Lydia non lo seguì. «Mi dispiace.» sussurrò, incapace di guardarlo negli occhi.
Sentì i suoi passi fermarsi, lo percepì voltarsi verso di lei. Lydia si costrinse ad alzare lo sguardo. Lance era confuso, l’attenzione della bambina invece non era rivolta verso la loro conversazione ma guardava a bocca aperta la casa che le era comparsa all’improvviso davanti agli occhi.
Lydia prese un respiro profondo. «Non ho intenzione di tradirvi, non lo farei mai, lo sai vero? Anche senza giuramento manterrei il vostro segreto e farei di tutto per tenervi al sicuro.»
«Lo so, ma come mai me lo stai…» Lance si interruppe e Lydia riconobbe il lampo di comprensione nei suoi occhi. Agì all’istante: afferrò il cancello e lo serrò di colpo, chiudendosi fuori. Un rapido gesto della bacchetta e sigillò l’ingresso.
«Lydia!» Come previsto Lance era impedito nei movimenti a causa della bambina, e per aprire il cancello occorreva un contro incantesimo.
Lydia aveva ancora pochi secondi a disposizione. Strinse le sbarre del cancello. «Mi dispiace, Lance.» e senza lasciare il tempo a Lance di rispondere, si voltò e si Smaterializzò.
Un grido riempì l’aria ormai vuota.
 
«Lydia!» urlò Lance, ma Lydia era ormai scomparsa. «LYDIA!» Posò a terra con troppa fretta la bambina e riuscì finalmente a recuperare la bacchetta dalla tasca.
«Alohmora!» il cancello si spalancò per la forza dell’incantesimo e Lance lo attraversò di corsa. Si fermò nel punto in cui Lydia era scomparsa nel nulla, rendendosi conto di non poter fare niente. Non sapeva dove la ragazza si fosse Materializzata.
Lance si mise le mani nei capelli e serrò gli occhi. Dove poteva essere andata? Si costrinse a pensare a tutte le soluzioni possibili mentre il suo cuore continuava a battere all’impazzata. Poteva essere ovunque, ma doveva cercarla e per farlo avrebbe dovuto iniziare dai luoghi più ovvi: la casa di sua nonna o la vecchia villetta a schiera dei suoi genitori. Oppure da Alice, anche se Lance non sapeva dove abitasse ora, ricordava che nella sua ultima lettera aveva scritto di essersi trasferita in un appartamento a Londra, senza specificare dove di preciso. Meglio iniziare dalla casa di sua nonna, si decise cercando di placare il panico crescente. Si costrinse a respirare profondamente e a concentrarsi per Materializzarsi in sicurezza. Fissò nella mente l’immagine della casa affacciata sul mare della nonna di Lydia e si sarebbe Smaterializzato se qualcuno non gli avesse strattonato un braccio.
«Cosa sta succedendo?» chiese Duncan, furioso.
Ci mancava solo lui. Sapeva che cosa avrebbe pensato. Lance vide il resto della famiglia raggiungerli velocemente. Sapeva che cosa avrebbero pensato tutti loro. «Io…»
«Dove è Merlin?» sibilò Duncan.
Il signor O’Brien fu il primo a raggiungerli. «Duncan, lascia andare tuo fratello.» Duncan lasciò il braccio di Lance, dandogli prima un ultimo doloroso strattone. A Lance non importava. Stavano perdendo tempo prezioso. Doveva andare a casa della nonna di Lydia a cercarla. A chiederle spiegazioni, e riportarla indietro. «Cosa succede?» chiese suo padre. Il suo tono quieto aiutò Lance a calmarsi a sua volta e a fermarsi.
«Se ne è andata.» si ritrovò a dire. Le reazioni di Duncan e del padre furono diametralmente opposte. Duncan si gonfiò di rabbia, il volto divenne paonazzo ed iniziò ad imprecare a voce talmente alta che Lance vide sua madre coprire le orecchie della piccola Emily, la quale continuava ad assistere alla scena senza capire. Il signor O’Brien invece si limitò a raddrizzare la schiena e dire: «Tutti in casa. Ora.»
Lance avrebbe voluto ribattere. Voleva tentare di andare a casa di Lydia, magari stavano facendo tutto quel trambusto quando lei aveva semplicemente deciso di tornare dai suoi genitori. E l’avrebbe fatto se Duncan non gli si fosse avventato addosso strappandogli la bacchetta di mano. «Non provarci neanche.» ringhiò, avendo compreso esattamente le sue intenzioni.
«Duncan, basta!» sentenziò il signor O’Brien, requisendo a sua volta la bacchetta di Lance dal figlio. Lance allungò una mano per riprenderla ma suo padre si limitò ad infilarla in tasca. «Lance, in casa.»
E senza via di fuga, Lance fu costretto a seguire la sua famiglia.
 
«Dobbiamo andarcene.» sentenziò Duncan appena anche Lance e il padre entrarono in cucina. L’intera famiglia O’Brien e Katherine si era trasferita lì, lasciando per il momento i bambini a giocare da soli in sala. Il signor O’Brien chiuse la porta «Dobbiamo andarcene. ORA!» urlò di nuovo Duncan.
«Cosa succede?» chiese Caitlin. Lance si era stancato di sentire quella frase ed ignorò la domanda.
«Dobbiamo andare a cercarla.» Lance si rivolse al padre. «Penso che sia andata dai suoi, mi ha detto che non ci avrebbe mai tradito prima di andare. E’ tornata a casa, ne sono sicuro. Possiamo andare là e chiederle come mai l’ha fatto. Magari voleva tornare a proteggere i suoi genitori e sua nonna… potremmo portare qui anche loro! Perché non ci abbiamo pensato prima? Potrebbero venire qui, abbiamo talmente tanto spazio che…»
Il signor O’Brien lo interruppe. «Portarli qui è un rischio che non possiamo correre. Sai bene che dobbiamo essere sempre pronti a scappare e avere altri babbani con noi ci rallenterebbe e basta.» A Lance non sfuggì lo sguardo furioso di sua sorella.
Duncan si intromise. «E’ questo il momento di scappare, papà! Era proprio quello che temevano, ed è successo anche prima del previsto. Dobbiamo andarcene!» Se l’avesse ripetuto ancora una volta, Lance gli avrebbe tirato una fattura. Prima però doveva recuperare la sua bacchetta.
«Non possiamo prendere una decisione del genere senza pensare bene a tutte le conseguenze. E prima di tutto dobbiamo capire come mai se ne è andata senza dirci nulla.»
Katherine si avvicinò a Duncan. «Non parla quasi mai, non mi stupisce che non ci abbia avvisato delle sue intenzioni.»
«Forse non parla perché voi non l’avete mai accettata.» rispose stizzito Lance.
Questa volta fu la signora O’Brien a rispondere. «Le stavamo lasciando tempo per ambientarsi. Le abbiamo concesso tutto il periodo che le serviva e lei ci ha lasciati così.» si rivolse al marito «Ha ragione Duncan, dobbiamo andarcene per sicurezza. Almeno per qualche giorno, finché non capiamo cosa è successo.»
Duncan batté le mani soddisfatto. «Grazie, mamma! Direi di prendere solo lo stretto necessario.» disse dirigendosi verso la porta socchiusa. «Non sappiamo quanto tempo abbiamo e ne abbiamo già perso abbastanza. Possiamo nasconderci in uno dei nostri rifugi e poi chiedere asilo a casa dello zio o in un’altra Casa Sicura. Ci servono delle scorte di pozioni, Lance, renditi utile e va nel tuo laboratorio a impacchettare.»
Lance aprì la bocca per insultarlo ma fu nuovamente fermato dal padre. «Non faremo nulla di tutto questo, Duncan, e ti prego di ricordarti che in questa casa siamo io e tua madre a prendere le decisioni per la nostra sicurezza. Non tu.» disse guardando torvo il figlio, che divenne di nuovo paonazzo per la rabbia. Il signor O’Brien sollevò una mano per fermarlo. «Non è il momento di discutere di questo. Come dicevo la priorità è capire dove sia Lydia e perché abbia deciso di andarsene. Non rischierò la vita dei bambini portandoli in un luogo con meno protezioni senza avere prove concrete del suo tradimento. E anche in quel caso vorrei ricordarti che questa Casa è sotto Incanto Fidelius.» Duncan aprì la bocca per ribattere ma il padre non gli lasciò il tempo «E anche se Lydia riuscisse a rivelare la nostra ubicazione, sono io il Custode Segreto di questa casa. Finché sono in vita nessuno di loro potrebbe vederla o entrarvi.»
«Saremmo in trappola!» esclamò Katherine.
«Pensate davvero che non abbia delle vie di fuga alternative, in caso di necessità? Finché non avremo prove certe del tradimento di Lydia, questo rimane il posto più sicuro. Resteremo qui. Ora, Lance dice che potrebbe essere tornata a casa sua.» Lance annuì stringendo i pugni. Fremeva per andare a cercarla e non ne poteva più di quelle discussioni inutili. Avrebbe voluto strappare la bacchetta dalla tasca del padre ed andarsene all’istante. «Ed è lì che inizieremo. Io e Lance andiamo a casa di sua nonna, Duncan, tu resti qui e cerchi di calmarti. Rose, i bambini ti stanno aspettando, non voglio che capiscano che c’è qualcosa che non va, devono rimanere tranquilli. Katherine, Caitlin, voi invece…» Il signor O’Brien aggrottò le sopracciglia perplesso «Dove è Caitlin?»
Come per risposta la porta alle loro spalle di spalancò ed entrò Caitlin, con lo stesso sguardo furioso di prima. Lance non si era accorto che era uscita dalla stanza, e dalle espressioni stupite degli altri, capì che anche per loro era lo stesso. Caitlin lanciò una pergamena sul tavolo e si sedette pesantemente su una sedia, sollevando i piedi sul tavolo ed incrociando le braccia al petto. «L’inutile babbana si è resa finalmente utile.»
«Cara, non...» intervenne subito la madre.
Caitlin continuò imperterrita. «Sono andata nella stanza di Lydia a cercare degli indizi e ho trovato questa sotto il cuscino.»
Duncan sbatté una sedia contro il tavolo. «Non abbiamo bisogno di leggere le sue patetiche scuse!»
Lance invece corse ad afferrare la lettera ma Caitlin la riprese prima che riuscisse a raggiungerla e, con un sorrisetto soddisfatto, lesse ad alta voce:
 
«Gent.ma sig.na Lydia Merlin,
Con la presente lettera la informiamo che la sua presenza è richiesta per sottoporsi ad interrogatorio presso la Commissione per il Censimento dei Nati Babbani (secondo l’articolo 3 del Decreto Ministeriale 31/A del 1 agosto 1997) al Ministero della Magia, alle ore 14 del giorno 16 agosto.
Cordiali saluti,
Dolores Umbridge
Direttore della Commissione per il Censimento dei Nati Babbani»
 
Lance fu il primo a parlare. «Maledizione!»
 
 
 

Note: Ed eccoci al quinto capitolo. Come anticipato la pubblicazione proseguirà con un capitolo nuovo ogni giovedì, sia per motivi lavorativi (ebbene sì, anche per me sono finite le ferie - inserire lacrime e disperazione per la fine dell'estate) sia per lasciare il tempo a tutti voi di leggere il nuovo capitolo prima di pubblicare quello successivo (ho questo brutto vizio di scrivere capitoli veramente lunghi, perdonatemi xD)

Ringrazio tutti voi per il vostro sostegno, per qualsiasi dubbio o informazione rimango a vostra disposizione, sia qui che sulla pagina Instagram 'piumedicenere', dove potrete trovare anche delle piccole illustrazioni per ogni capitolo pubblicato <3

Un abbraccio,
Emma Speranza


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Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Il Censimento per i Nati Babbani ***


Capitolo 6
Il Censimento per i Nati Babbani
 

 
Lydia Merlin era una bambina particolare.
E non solo per i capelli rossi e il carattere a volte irascibile, ma soprattutto perché nel giorno del suo undicesimo compleanno aveva scoperto di essere una strega. Era stato difficile per lei convincersi che non si trattasse di un grande e terribile scherzo, ma dopo una visita piuttosto traumatica da parte di un vero e proprio mago del Ministero della Magia, terminata con sua madre inseguita da un tostapane particolarmente arrabbiato, aveva cambiato idea.
La magia era reale.
Ed aveva appena attraversato un muro di cemento della stazione di King’s Cross per arrivare alla fermata 9 e tre quarti. Non poteva crederci. E così neanche sua madre. «Deve esserci una spiegazione scientifica.» stava bofonchiando la signora Merlin. «Forse si tratta di un’illusione ottica. Ma certo, deve trattarsi di quello.»
Il padre di Lydia alzò gli occhi al cielo. «Ricordati del tostapane, cara. Ricordati del tostapane.» E quello bastò per zittirla. Lydia ridacchiò. Lo spettacolo attorno a lei era sensazionale: una miriade di bambini e adulti vestiti nei modi più bizzarri trasportavano bauli e animali di ogni genere. Forse avrebbe dovuto ascoltare il suggerimento di suo padre e comprare anche lei un animale che le facesse compagnia durante i lunghi mesi che avrebbe trascorso a scuola. Certo, avrebbe potuto chiedere al padre di regalargli il gufo che aveva acquistato lui. “Per tenerci sempre in contatto.” Aveva detto, anche se Lydia sapeva che l’aveva preso solo per se stesso. Tra i tre componenti della famiglia Merlin, era lui quello che si era più esaltato per la scoperta di un intero mondo magico. Aveva approfittato della loro visita a Diagon Alley per comprare quanti più libri possibili sull’argomento, oltre che caramelle dai gusti improponibili e, appunto, un gufo. Aveva cercato anche di farsi vendere una bacchetta ma il venditore, un certo Olivander, si era categoricamente rifiutato. «Solo per motivi accademici» aveva provato a ribattere suo padre «La vorrei analizzare da vicino, scomporla in parti e capire il suo funzionamento.» Al pensiero di una delle sue opere fatta a pezzi, il proprietario aveva sbattuto il povero signor Merlin fuori dal suo negozio.
La signora Merlin, al contrario, aveva trascorso l’intera giornata di compere a ripetere che tutto quello non era possibile, che doveva esserci di sicuro una spiegazione scientifica e che si trattava solo di trucchetti da quattro soldi di una compagnia teatrale o di un circo. E anche la sua prima visita al binario 9 e tre quarti si stava svolgendo nello stesso identico modo.
Si fecero largo tra la folla superando diverse famiglie che stavano facendo le ultime raccomandazioni ai figli e salutandoli. Lydia ne intravide una composta da talmente tanti bambini dai capelli rossi che si chiese come facessero a non dimenticarne qualcuno in giro. Una madre invece stava cercando di convincere la figlia a sistemarsi il naso (infatti, al posto del naso, aveva un grugno di maiale).
Infine riuscirono a raggiungere il treno. «Vuoi che salga con te per portarti il baule?» chiese suo padre, emozionato.
«No, grazie papà, faccio da sola.» Lydia vide l’entusiasmo di suo padre sgonfiarsi come un palloncino.
«Ma è pesante.» ribatté «E poi vorrei tanto vedere come è il treno all’interno…»
«Papà, è solo un treno!»
Il signor Merlin cercò di contestare ma una rapida gomitata di sua moglie lo bloccò. «Va bene, tesoro, come vuoi tu.»
La signora Merlin ne approfittò per abbracciare stretta sua figlia un’ultima volta. «Mi raccomando Lydia, fai la brava. E stai attenta. E ricordati di lavarti i denti tre volte al giorno, non prendere freddo, appena inizia l’autunno devi promettermi che metterai la sciarpa e i guanti che ti abbiamo preso, e ricordati di…» a quel punto Lydia aveva già smesso di ascoltarla. In fondo erano le stesse raccomandazioni che le ripeteva da oltre un mese, curiosamente però non le raccomandava mai di impegnarsi negli studi.
«Mi dispiace, abbiamo provato a convincerla ma non è voluta venire.» Ecco, quella sembrava una conversazione più interessante. Lydia si arrischiò a lanciare una rapida occhiata indagatrice verso la famiglia alla sua sinistra. Una signora dai capelli biondi stava accarezzando il volto del figlio, mentre un signore, il padre, immaginò Lydia, si teneva leggermente in disparte guardando l’orologio da taschino. «Ha solo bisogno di tempo.»
«Infatti non possiamo fermarci tanto. Non voglio lasciarla a casa da sola più del necessario. Mi dispiace, figliolo, dobbiamo proprio andare.»
Lydia non riusciva a vedere il volto del bambino ma la sua voce era intrisa di tristezza. «Va bene. Salutatemela voi, allora. Ditele che le scriverò tantissime lettere.»
La madre del bambino aveva le lacrime agli occhi. «Ma certo.»
«Mi stai ascoltando!?» Lydia sobbalzò e rivolse di nuovo tutta la sua attenzione a sua madre.
«Certo. Mi laverò i denti, farò la brava e prometto che cercherò di non litigare con nessuno.» annuì Lydia. Sua madre la guardò con rimprovero e probabilmente avrebbe ricominciato da capo il suo elenco se suo marito non l’avesse fermata. «E’ ora di andare, Lydia.» la strinse in un forte abbraccio, a cui seguì a ruota quello della madre. «Scrivici spesso.» si raccomandò il padre. «E cerca davvero di non litigare con nessuno. O meglio. Cerca di fare tante amicizie.»
 

Lydia si aggirava per le vie di Londra con il suo vero aspetto. Come aveva previsto, la Pozione Polisucco aveva perso tutti i suoi effetti e la cicatrice era tornata a solcarle il viso, scatenando occhiate intimorite in alcuni babbani di passaggio. Per la prima volta non le importava. La sua priorità era un’altra.
Quando si era Materializzata nella via di Londra, aveva passato i primi cinque minuti nel panico totale e assalita dai sensi di colpa per aver lasciato in quel modo Lance, senza neppure una spiegazione. Eppure cosa avrebbe potuto dirgli senza che lui la seguisse in quella missione suicida? No, meglio così, si era fatta coraggio stringendo nelle tasche gli unici averi che aveva portato con sé: da una parte la sua bacchetta e dall’altra una vecchia piuma, ed aveva iniziato a percorrere le strade trafficate di Londra.
Riconosceva vagamente la zona, una volta suo padre l’aveva portata lì per vedere i luoghi magici più importanti della città dopo che aveva letto una guida al riguardo. Per essere pronta ad ogni evenienza, le aveva detto, e l’aveva portata davanti all’ingresso del San Mungo, insieme a diverse piazze della città in cui si ricordavano eventi magici passati. Quel giorno suo padre era preso da un entusiasmo fuori dal comune e le aveva chiesto di leggergli tutte le iscrizioni dei monumenti che lui da babbano non poteva leggere. Lydia lanciò un’occhiata ad una targa sul muro della piazza che stava attraversando. Recitava di un poeta nato in quel palazzo ma, proprio mentre lo stava leggendo, le parole iniziarono a roteare davanti ai suoi occhi e andarono a formare scritte completamente diverse, descrivendo che era in quel palazzo che era stata firmata la Pace di Ströls, dichiarante la tregua tra troll e maghi dopo le rivolte del 1785.
Lydia sollevò il cappuccio della felpa fermando il fiume di ricordi in cui si era persa. In quella gita suo padre l’aveva portata anche all’ingresso del Ministero della Magia. Di sicuro non immaginava che ci sarebbe tornata così.
Sospirò e rivide il volto di Lance prima che si Materializzasse. No. Niente sensi di colpa, pensò con fermezza. Era la cosa giusta da fare, lo sapeva.
Aveva avuto fin troppo tempo nell’ultima settimana per pensarci. Come poteva salvare delle persone sconosciute e non tentare di portare in salvo la sua migliore amica? La sera prima era uscita di nascosto da casa O’Brien e aveva raggiunto l’appartamento di Alice trovandolo completamente svuotato. Si era trasferita, ma Lydia non aveva la minima idea di dove fosse andata. Sapeva solo dove sarebbe stata esattamente tra venti minuti, se aveva conservato la sua convinzione di presentarsi al Censimento.
Lydia aveva formulato un piano ben preciso: avrebbe raggiunto Alice prima che si presentasse al Ministero e l’avrebbe convinta a scappare. Per il momento si sarebbero nascoste in qualche angolo sperduto del Paese, poi Lydia avrebbe provato a contattare la famiglia O’Brien e avrebbe chiesto rifugio per tutte e due. Se avessero accettato tutti i loro problemi sarebbero finiti. Avrebbero avuto un posto sicuro in cui passare il tempo necessario finché la guerra non fosse finita, e se invece la famiglia O’Brien si fosse rifiutata visto il comportamento di Lydia… avrebbe trovato un’altra soluzione. Questo però era meglio non dirlo ad Alice.
L’importante era agire in fretta, pensò guardando l’orologio da polso ed accelerando il passo. Doveva raggiungere Alice prima che entrasse al Ministero oppure sarebbe stato praticamente impossibile uscire. Svoltò l’angolo e si trovò nella piazzetta che suo padre le aveva indicato diversi anni prima come l’ingresso principale al Ministero. Si trattava di una semplicissima porta di un edificio in declino, eppure Lydia sentì il cuore sussultare al pensiero di cosa significasse per lei trovarsi lì. Si avvicinò a piccoli passi, un lieve terrore si diffuse dentro di lei. Diverse persone stavano passando davanti al portone ma nessuna di loro era Alice. E se era già entrata? Controllò di nuovo l’orologio. Mancavano dieci minuti all’orario del ritrovo. Non era arrivata in tempo.
«Ehi, tu!» esclamò una voce femminile a poca distanza da lei. Lydia si voltò di scatto, la mano già chiusa attorno all’impugnatura della bacchetta. Una donna dai capelli bianchi e stopposi era appoggiata ad un lampione a qualche metro da lei. Lydia si costrinse a distogliere lo sguardo dal porro gigante che la donna aveva sul naso a punta e nel farlo si accorse dello stemma che aveva ricamato sul suo maglione. L’emblema del Ministero della Magia. «Sei qui per il Censimento?»
«Sì.» rispose a bassa voce Lydia, un velo di sudore le coprì la fronte. Strinse con maggiore intensità la bacchetta. Poteva ancora scappare.
La strega si grattò un orecchio. «Devi andare di là.» ed indicò una via laterale avvolta nella semioscurità. «E’ lì che vi radunano.»
Lydia si limitò ad annuire e senza dire altro si avvicinò al vicolo. Era una giornata nuvolosa ma non abbastanza da rendere quel vicolo stretto così scuro senza l’influenza di una qualche magia. Non vedeva cosa la aspettava. E se non fosse più riuscita a tornare indietro? Esitò, poi si diede della stupida. Non poteva rinunciare così a salvare Alice. Doveva almeno tentare di trovarla. Trattenne il fiato ed iniziò ad avventurarsi lentamente nella semioscurità mentre la voce della strega le urlava: «Prego, è!»
Gli occhi di Lydia impiegarono diversi secondi per abituarsi alla poca luce, ma quando ci riuscì, sentì un’ondata di sollievo attraversarla. Una cinquantina di maghi e streghe la circondava. Erano ancora fuori dal Ministero e significava che aveva ancora la possibilità di trovare Alice e trascinarla via. L’unico problema era trovarla.
«Scusi.» Lydia si avvicinò ad una signora che stringeva la borsetta convulsamente. La donna sussultò vedendo il volto rovinato della ragazza. «Volevo solo chiederle se sono nel posto giusto.»
La donna distolse lo sguardo dalla cicatrice. «Sei qui per il Censimento?» la sua voce cedette nel pronunciare l’ultima parola. Lydia annuì. «Siamo quelli del turno dalle due. Hanno detto che dobbiamo aspettare che ci lascino entrare.»
Quindi era confermato che Alice si trovava lì. Mancavano solamente cinque minuti alle due, doveva sbrigarsi se voleva avere una possibilità di andarsene senza attirare l’attenzione. Ma era più difficile del previsto. Era circondata da più di cinquanta persone che parlavano tra di loro, l’ambiente era stretto e le impediva di muoversi facilmente.
«Alice?» chiese. La sua voce si perse nel rumore. «Alice?» Si fece strada tra la gente, gli occhi spalancati per riuscire a riconoscere l’amica tra quei visi sconosciuti e nella penombra che avvolgeva ancora tutti loro. «Sto cercando Alice James.» tentò. Nessuno le rispose.
«Ho portato il mio albero genealogico.» stava dicendo un mago con il panciotto. «Il mio bis bis nonno aveva un fratello che ho scoperto ha frequentato Hogwarts.»
Una strega di mezza età invece stava facendosi aria con un ventaglio decorato. «Non so neppure per quale motivo sono stata convocata. Ho fatto innumerevoli donazioni al Ministero negli ultimi vent’anni, ho intenzione di fare reclamo per questo affronto.» Le onde raffigurate nel suo ventaglio si infrangevano contro il bordo ogni volta che veniva mosso.
Lydia si alzò in punta di piedi per vedere oltre la signora. Ancora nessuna traccia di Alice. Superò un uomo tozzo che si stava asciugando il viso con un fazzolettino di stoffa. «Ho detto a mia moglie di andare via, Chris.» stava dicendo ad un altro mago, altrettanto agitato. «Le ho detto di andare da sua madre fino a quando non torno.»
«Hai fatto bene.» disse l’altro «Il mio compagno invece mi aspetta all’aeroporto. Abbiamo il volo per Malta questa sera stessa. Che si prendano pure la mia bacchetta, basta che ci lascino andare via da questo Paese. Ho chiuso con la magia.» Lydia si fece largo tra di loro, il respiro affannato. Dove era Alice? «Alice!» provò di nuovo a chiamare.
«Silenzio!» ordinò qualcuno, e nonostante non avesse usato un incantesimo, tutti obbedirono all’istante. Il respiro di Lydia cominciò a mancarle. Il tempo era scaduto. Un uomo, vestito con la divisa dei Tiratori Scelti, era davanti al muro del vicolo. Sembrava comparso dal nulla. «Siete stati convocati per essere giudicati dalla comunità della Magia. Coloro che dimostreranno di non aver rubato la magia o la bacchetta saranno liberi di andare, gli altri verranno trattenuti fino a nuovo ordine. Faremo un appello, le persone che non si sono presentate saranno giudicate colpevoli e perseguitate in nome della legge del Ministero.»
Nessuno parlava.
«Dopo l'appello dovrete avvicinarci uno alla volta al muro e attraversarlo. Al di là dal muro vi chiederanno la vostra bacchetta, dovrete consegnarla affinché venga schedata. Se dimostrerete la vostra innocenza durante l’interrogatorio, potrete tenerla e sarete liberi di tornare alle vostre famiglie.»
Lydia strinse convulsamente la bacchetta. Non voleva lasciarla, sapeva che non l'avrebbe mai più rivista. Tornò a guardarsi intorno, alla ricerca frenetica di Alice.
Nello stesso momento il Tiratore Scelto iniziò a leggere una serie di nomi.
«Bell, Margaret.»
«Burke, Atlas.»
«Burton, Poppy.»
«Burton, Molly.»
Molti non rispondevano. Stavano chiamando seguendo l'ordine alfabetico, quindi Alice sarebbe stata chiamata prima di lei, aveva tempo per raggiungerla e Smaterializzarsi, facilitata anche dal fatto che gli addetti scrivevano degli appunti a fianco di ogni nome, impiegando quindi più tempo.
«Hayes, Frida.»
«Herin, George.»
«James, Alice.»
Lydia si bloccò, smise persino di respirare per concentrarsi.
«Presente.» riconobbe la voce dell'amica, si trovava verso destra e tra le ultime file. Si voltò e tornò sui suoi passi. Spintonò le persone che si trovavano sulla sua strada, doveva raggiungerla prima che finissero l'appello. E finalmente la vide. Per un attimo si chiese se fosse davvero lei, ma appena Alice sollevò gli occhi non ebbe altri dubbi.
«Alice!» urlò lanciandosi verso di lei e stringendola in un abbraccio.
«Lydia?» chiese Alice, senza poter credere ai suoi occhi. «Hai deciso di presentarti? È fantastico!» esclamò stringendola a sua volta.
Lydia si allontanò per poterla guardare in volto e capì come mai non l’aveva trovata prima.
Alice era irriconoscibile.
Dal terzo anno di scuola ad Hogwarts, Alice aveva iniziato a presentarsi ogni primo settembre e al ritorno dalle vacanze di Natale con un nuovo taglio e colore dei capelli. L’ultima volta che l’aveva vista erano blu e le arrivavano alle orecchie, ora invece erano del colore castano che ricordava avere da bambina e legati in una semplice coda. Anche i vestiti che indossava erano molto diversi dai suoi soliti, sostituiti da un completo di sartoria e un leggero mantello da strega. Lydia rivolse lo sguardo verso le mani che stringeva ancora tra le sue. Il tatuaggio sulla mano di Alice era completamente scomparso. Scosse la testa e si costrinse a mettere da parte quei pensieri per riuscire a concentrarsi sull’unica cosa importante. «Dobbiamo andarcene.» esclamò decisa.
«Cosa?» Alice lasciò le sue mani e si allontanò di qualche passo, nel poco spazio rimasto.
«Dobbiamo andarcene! Sono venuta a prenderti. Ho un piano ma dobbiamo sbrigarci, non so per quanto durerà ancora l’appello.» bisbigliò annullando la breve distanza che Alice aveva creato. «Ho un posto sicuro dove andare. Se ne avranno bisogno anche i tuoi e tua sorella ci potranno raggiungere.»
«Loro sono in vacanza in Italia…» rispose confusa Alice.
«Meglio ancora, lì dovrebbero essere al sicuro.» Lydia si guardò attorno. Tutti i maghi e le streghe che li circondavano erano concentrati sull’addetto del Ministero. Si trovavano in fondo al gruppo, sarebbe stato semplice andarsene senza dare nell’occhio. Prese la mano di Alice ed iniziò a dirigersi verso l’uscita del vicolo.
Alice rimase immobile. «No!» esclamò cercando di liberare la mano dalla presa di Lydia, senza successo. «Te l’ho detto: non ho nessuna intenzione di scappare! Voglio vivere la mia vita in pace e tornare il prima possibile al mio lavoro. E poi hai presente quel mio prozio in Italia? Quello che indossava sempre pantaloncini e camicie hawaiane anche in pieno inverno e il suo gatto lo seguiva ovunque andasse? Ho fatto un po’ di ricerche e penso proprio che sia un mago! Certo, se avesse risposto al mio gufo mi avrebbe semplificato la vita, ma ho usato i miei contatti al Dipartimento degli Affari Esteri Italiano e ho trovato il suo nome in uno dei loro registri! Ho portato le carte timbrate e le copie dei registri ufficiali.» sventolò la cartellina che aveva in mano. «Penso che lunedì potrò già tornare al lavoro.»
Lydia era senza parole, completamente incredula. Conosceva Alice, sapeva che la sua amica era testarda e quando si fissava su una cosa era impossibile farle cambiare idea, ma ora era tutto diverso. Lydia si riscosse dal suo stupore e strattonò nuovamente il braccio di Alice. «Dobbiamo andare.» ripeté con voce fredda.
«Ma Lydia, ho le prove per dimostrare il mio Stato di Sangue! E anche tu hai quella parente di tua nonna strega, giusto?»
«Ora!» E senza aspettare altro, Lydia strinse la mano di Alice e cercò di Smaterializzarsi. Non accadde nulla. Tentò di nuovo. Riaprì gli occhi e scoprì di essere rimasta ferma immobile.
«C’è un incantesimo anti Materializzazione.» disse semplicemente Alice indicando in alto. Lydia alzò lo sguardo e gemette quando vide il riverbero quasi invisibile dell'incantesimo. Prima non era presente, dovevano averlo lanciato all’inizio dell’appello. Doveva tornare al piano originale, retrocedere fino alla fine del vicolo e tornare nella piazza principale. Strattonò Alice con tutta la forza che aveva, riuscendo finalmente a spostarla tra le sue colorite proteste.
«Larson, Mayson.»
Il mago accanto a loro fece un passo in avanti per rispondere «Presente.» dando modo così a Lydia di vedere l’ingresso del vicolo, sorvegliato da tre Tiratori Scelti che bloccavano la via. Lydia impallidì. Quello non l’aveva previsto. Si guardò freneticamente intorno, la mente che correva a vagliare tutte le soluzioni possibili. «Lydia.» Alice strinse gentilmente la mano di Lydia, costringendola a voltarsi verso di lei. Le regalò un sorriso «Andrà tutto bene. Te l’ho detto, non possono farci nulla. Ci registreranno e potremo tornare alla nostra vita. Me l’hanno detto alcuni colleghi. Vogliono solo capire come funziona la magia e da dove deriva la nostra, per quello stanno facendo il Censimento. Ma noi non abbiamo rubato le nostre bacchette, il nostro sangue è magico tanto quanto il loro, quindi possiamo stare tranquille ed entro un’ora saremo di nuovo a casa. Lunedì potrò anche tornare al lavoro. Magari potresti fare richiesta anche tu, stanno cercando una segretaria nel mio Dipartimento.»
Le emozioni di Lydia iniziarono a turbinare. Avrebbe voluto urlare contro Alice per farla rinsanire. Dirle di svegliarsi, di non fidarsi dei suoi colleghi, che poi erano ex colleghi visto che era stata sospesa alla caduta del Ministero, e che avrebbe preferito gettarsi in un Tranello del Diavolo piuttosto che andare a lavorare nel Dipartimento degli Affari Esteri. Eppure non pronunciò neanche una parola. Non era il momento per litigare, anzi, non voleva proprio litigare con lei. Alice era una delle poche persone che le erano rimaste. Alice era stata al suo fianco in tutti quegli anni, soprattutto negli ultimi mesi di inferno che aveva passato. Alice aveva fatto di tutto per lei.
«Merlin, Lydia.»
Lydia si sentiva muovere al rallentatore. Si voltò verso l’ufficiale del Ministero che si guardava attorno per capire se era presente o era un’altra fuggitiva. Il silenzio parve protrarsi all’infinito, fino a quando Lydia si trovò a rispondere «Presente.» Poi rivolse di nuovo l’attenzione verso la sua amica. «E se non fosse così?» chiese con un filo di voce, mentre l’appello proseguiva. «Ci odiano, Alice, lo sai e l’hai sempre saputo. Sai cosa fanno a quelli come noi, lo sai! Come fai a credere ancora alle loro bugie?»
Il sorriso di Alice si incrinò. «E’ diverso, Lydia.»
«No!» esclamò Lydia. «Sai quello che fanno! E lo faranno anche a noi se non ce ne andiamo subito da qui.» Lydia sentì la sicurezza rimpossessarsi di lei, non era tutto perduto. «Abbiamo ancora le nostre bacchette. Se attacchiamo i Tiratori che proteggono l’uscita, gli altri saranno bloccati da tutta questa gente. Impiegheranno secondi preziosi a raggiungerci, ma noi saremo già in piazza e da lì possiamo Materializzarci. Te l’ho detto, conosco un posto sicuro.»
L’addetto del Ministero chiamò l’ultimo nome della sua lista, Wright Alexander, un mago che non si era presentato. Quindi arrotolò la pergamena e disse: «Ora vi prego di seguirmi.» E con un cenno del capo scomparve attraverso il muro. Le persone in prima fila iniziarono ad attraversarlo a loro volta.
Alice smise completamente di sorridere. «Non lo farò, Lydia.»
«Ascoltami!» esclamò Lydia esasperata.
«No!» urlò Alice, attirando l’attenzione delle persone accanto a loro. «Da quando ti conosco non ho fatto altro che ascoltarti! Sono stata al tuo fianco ogni singola volta, sono finita nei casini perché ti seguivo anche quando combinavi dei disastri. Ma l’ho sempre fatto perché sei mia amica! Ora invece sei tu a dovermi ascoltare. Ho preso la mia decisione e non ho intenzione di cambiare idea per te. Per anni ho fatto solo quello che volevi tu. E’ ora di prendere in mano la mia vita e seguire il mio di istinto. Tu fai come vuoi, Lydia, ma poi non venire a lamentarti da me, come fai sempre.» E detto questo si voltò, si fece largo tra la folla e, senza voltarsi indietro, attraversò il muro, scomparendo nel nulla.
Lydia tentò di richiamare l’amica, spalancò la bocca per urlare il suo nome ma non uscì nessun suono. Tentò di nuovo. Alice era ormai scomparsa, la folla si stava assottigliando mentre una alla volta ogni persona presente attraversava il muro. Ma Lydia non si voleva dare per vinta: aveva abbandonato Lance e aveva sacrificato la sicurezza di casa O’Brien per Alice. Non se ne sarebbe andata da lì senza di lei. Lydia doveva seguirla.
Mosse qualche passo seguendo la folla. Cosa sarebbe successo? La tentazione di scappare era forte ma si costrinse a mettere un piede davanti all’altro, avvicinandosi sempre più all’ingresso del Ministero.
Doveva raggiungere Alice, poi avrebbe pensato a cosa fare. Con la sicurezza di questo nuovo piano, Lydia si rilassò e la sua mente si concentrò su un altro particolare che non quadrava.
Come mai non era riuscita a chiamare Alice?
Un dubbio si impossessò di lei.
Si bloccò e provò a pronunciare un semplice ‘Ciao’, la bocca si mosse ma non produsse alcun suono. In quel momento qualcuno le afferrò il braccio e la spinse indietro verso il muro da cui si stava allontanando. Lydia, presa dalla sorpresa, urlò senza voce e comprese il motivo per cui non riusciva a parlare. Le avevano lanciato un Incantesimo Silenziatore. Scosse il braccio, ma la presa era troppo forte, e allora reagì nell’unico modo che le venne in mente: tirò un pugno sul volto del suo aggressore. Il ragazzo lasciò subito la presa per portare le mani sul naso, con un lamento di dolore. Nella concitazione del momento, Lydia si ritrovò a pensare che forse avrebbe fatto meglio ad accettare il consiglio di sua madre e partecipare ad un corso di auto difesa.
Senza perdere altro tempo, approfittò della distrazione del suo aggressore e cercò di slanciarsi verso l’ingresso del Ministero, ma l’uomo si riprese prima del previsto e le strinse le braccia attorno alla vita bloccando il suo tentativo di fuga.
«Lasciami!» provò a gridare Lydia.
«Lydia, sono io.» le sussurrò all’orecchio l’uomo. Lydia si voltò di scatto, la voce era sconosciuta ma riconobbe all’istante l’intercalare del suo nome.
«Lance?» chiese, anche se l'incantesimo ammutolente le impediva ancora di parlare.
«Mi hai rotto il naso!» protestò l’amico lasciandola andare. Lydia riuscì ad osservare bene lo sconosciuto non proprio sconosciuto che si trovava di fronte a lei, riconoscendo così gli effetti della Pozione Polisucco. Aveva lo stesso aspetto della loro prima missione insieme, tranne il naso sanguinante, quello era nuovo. «Finite incantatem.» borbottò Lance, tamponandosi il naso con un fazzoletto comparso nell’aria.
Lydia iniziò a parlare a raffica. «Alice è entrata, ho provato a fermarla ma non mi ha ascoltata. E adesso è dentro. Devo andare con lei, la raggiungo e la porto fuori, tu aspettami qui.» Sperava che Lance la capisse, e invece lui come risposta lasciò cadere il fazzoletto per terra e la afferrò di nuovo per il braccio.
«No!» sibilò «E’ troppo pericoloso, non sappiamo che cosa vi aspetta lì dentro. Adesso torniamo a casa!» disse determinato. Ormai erano rimaste solo cinque persone nel vicolo, oltre ai Tiratori Scelti, i quali non si erano ancora accorti della scena a causa della penombra che avvolgeva ancora il vicolo.
Lydia scosse la testa «Non capisci… Devo andare con Alice, non posso abbandonarla!»
Lance la guardò negli occhi. «E io non posso abbandonare te.» Lydia riconobbe il suo sguardo dietro alle iridi marroni, così diverse dalle sue reali. Per un istante pensò di seguire davvero Lance, di andarsene da quel luogo, ma poi ripensò ad Alice, alla sua migliore amica, alla stessa amica che aveva considerato come una sorella negli ultimi dieci anni. Alice le aveva detto che l’aveva sempre seguita in tutto quel tempo. Era vero, Lydia se ne accorse solo in quel momento. Ogni volta che aveva preso una decisione stupida, Alice era sempre stata lì. Era ora di ricambiare. Strattonò il braccio con maggior forza e questa volta riuscì a liberarsi. «Mi dispiace.» disse a Lance per la seconda volta in quel giorno. «Non posso abbandonarla.» Si voltò verso l’ingresso del Ministero, dove ormai erano rimaste solo altre due streghe in fila, ma prima che potesse fare anche un solo passo, crollò a terra svenuta.
 
 
Cerca di fare tante amicizie.
Lydia sbuffò. Non era mai stata particolarmente brava a fare amicizia con gli altri bambini e di sicuro non avrebbe iniziato ora. Infatti, appena era salita sul treno, si era allontanata dalle carrozze occupate dagli altri ragazzi del primo anno, ben riconoscibili dalla mancanza di simboli delle Case, e si era rifugiata in uno scompartimento vuoto verso metà treno. Per fortuna suo padre non era salito sul treno con lei. Ma da quando aveva litigato con la sua amica del cuore Beth, Lydia si voleva tenere ben lontana da altre possibili amicizie e conseguenti dolori. In fondo negli ultimi mesi di scuola era stata bene anche da sola.
Certo, ad Hogwarts non ci sarebbe stato suo papà ad insegnare come nella sua scuola elementare e a passare con lei i suoi intervalli. E non sarebbe neanche tornata a casa tutti i pomeriggi, constatò con una stretta al cuore. Era sola. Riguardò fuori dal finestrino cercando di riconoscere i suoi genitori nella marea di gente che affollava la banchina. Faceva ancora in tempo. Poteva scendere e tornare a casa. Sua madre sarebbe stata felicissima, il padre non così tanto. Quante volte negli ultimi mesi le aveva ripetuto che era fortunata ad essere nata strega? Di quanto significasse per tutti loro. Sarebbe stato deluso e tutti i suoi sogni di conoscere meglio il mondo magico si fossero infranti per colpa sua. Fu questo pensiero a convincerla a rimanere seduta sull’espresso di Hogwarts ed incominciare la sua nuova avventura. Questo e la porta dello scompartimento che si aprì di scatto rivelando una bambina del primo anno con capelli corti, frangetta e un rospo sulla spalla.
«Ciao! Posso sedermi qui con te? Il treno è pieno zeppo e sono stanca di trascinarmi dietro il baule.»
Lydia guardò un’ultima volta la banchina. Il fumo della locomotiva aveva avvolto tutti in una nebbia spettrale. Stavano per partire. Si voltò di nuovo verso la nuova arrivata. «Sì» rispose semplicemente.
«Oh, bene!» esclamò l’altra. Trascinò il baule dentro lo scompartimento e lo spinse sotto il sedile con una delicatezza maggiore rispetto a come aveva fatto pochi minuti prima Lydia, la quale si era limitata a prenderlo a calci fino a quando si era incastrato al posto giusto. La bambina con il rospo si sedette di fronte a lei e le rivolse un caldo sorriso. «Io sono Alice James, e lui è Rapa.» si presentò «Vuoi una caramella?» chiese allungando una liquirizia verso l’altra bambina.
Lydia esitò solo qualche secondo. «Lydia Merlin.»
Accettò la caramella che Alice le offriva, insieme alla sua amicizia.

 
 


Curiosità: Ebbene sì, da questo capitolo in poi iniziano una serie di flashback che aiutano a conoscere un po’ più a fondo il passato dai personaggi, e ammetto che non vedo l’ora che possiate leggerli perché sono stati tra le parti più belle da scrivere! Tornare ad Hogwarts è sempre un'emozione indescrivibile!
Note: Continuo a ringraziare con tutto il cuore tutti voi che state leggendo questa storia, ogni visualizzazione, ogni recensione è sempre una gioia immensa. Piume di Cenere significa così tanto per me, e il pensiero che qualcun altro possa apprezzarla è più di quanto io abbia mai immaginato.

Grazie ancora!
Un abbraccio,
Emma Speranza
 
'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Sangue nell'oscurità ***


Capitolo 7
Sangue nell’oscurità
 
 
«Lydia! Lydia!»
Le voci si ripetevano nella sua testa, assordandola.
«Vi prego… vi prego…»
Lydia avrebbe voluto urlare di scappare. Tentò in tutti i modi di farlo. Ma non riusciva a muoversi, i suoi muscoli erano irrigiditi impedendole di compiere movimenti, impedendole persino di respirare. Le mancava il fiato. «Scappate!» pensava, eppure era ancora immobile.
Fino a quando tutto scoppiò e il suo mondo si tinse di rosso. Era ovunque: sulle sue mani, sul suo volto, sul nero infinito che la circondava. Il sangue era viscido e caldo. E non era il suo.
Lydia spalancò la bocca e finalmente riuscì a gridare a pieni polmoni. Urlò e urlò ancora per scappare dal sangue prima che la inghiottisse.
Sbarrò gli occhi verso un soffitto famigliare, il respiro a rantoli, il cuore che batteva talmente forte da sembrare che volesse esploderle dal petto. Si sentiva ancora soffocare. Scalciò le coperte, pesavano come mattoni.
Era solo un incubo. Solo un incubo, provò a convincersi senza successo.
Si passò una mano sul volto nel tentativo di calmarsi. Cosa le diceva sempre suo papà? Respiri profondi. Tentò di inspirare ma i polmoni non si riempirono, facendola sprofondare ancora di più nel panico. Si sollevò dal letto, appoggiando la schiena alla testiera. Tentò di nuovo di inspirare, ancora senza successo. Le sfuggì un rantolo disperato e sprofondò il viso tra le ginocchia. Le lacrime le inondavano il volto ed iniziò a singhiozzare, la sua mente ancora persa nel suo incubo e nell’impossibilità di tornare a respirare. Nella sua disperazione sentì una porta spalancarsi, la corrente d’aria le solleticò il volto e una mano calda si posò gentilmente sulla sua spalla, ancorandola alla realtà. Lydia si concentrò su quel contatto. L’altra persona era vicina, abbastanza da poter percepire il suo respiro, le venne naturale focalizzarsi su quello per riuscire a coordinare il suo.
Inspirare ed espirare, ecco come si faceva a respirare.
«Lydia…» disse Lance. Lydia ignorò il suo richiamo, intenta a seguire il suo respiro.
Inspirare ed espirare.
Un altro singhiozzo interruppe brevemente la sequenza, ma Lydia riuscì a ritrovare il ritmo. E man mano che passavano i minuti, anche il suo cuore si decise a terminare la sua corsa infuriata. Solo i singhiozzi continuavano a tradimento. E si rese conto di star tremando.
Come un’onda che si infrange sugli scogli, la mente di Lydia fu invasa dai ricordi del Ministero.
Non aveva salvato Alice.
Le sue mani si erano macchiate di altro sangue.
A quel punto il tremore divenne incontrollabile e il respiro tornò a spezzarsi.
Non aveva salvato Alice.
«Lydia…» la chiamò di nuovo Lance. Lydia tentò di seguire ancora il suo respiro e riuscire così a ritrovare la tranquillità, ma questa volta era un’impresa impossibile.
Perché non aveva salvato Alice.
Non riusciva a smettere di piangere, di tremare, di respirare. Finché la mano di Lance le sollevò il volto, costringendola a guardarlo. Non c’era compassione nei suoi occhi, né pietà, solo risolutezza mentre le porgeva una boccetta contenente un liquido blu. «Bevi la pozione.» le stava dicendo «Dopo starai meglio.» Lydia sollevò una mano tremante e con fatica afferrò il contenitore e ne bevve il contenuto. Lance la aiutò a sdraiarsi di nuovo nel letto.
«Ora riposa.» disse un'altra voce. La signora O'Brien si trovava all’altro lato del letto e le stava rimboccando le coperte.
La pozione stava già facendo il suo effetto. A Lydia sembrò quasi un miracolo sentire i muscoli rilassarsi, il respiro tornare normale e il cuore decelerare i suoi battiti. Un’immensa pace la pervase. Il viso le ricadde sul cuscino, gli occhi improvvisamente pesanti. Ogni battito di ciglia era sempre più lungo, e tra uno e quello successivo, vide che c’erano altre persone alla porta della sua camera. Riconobbe il signor O’Brien, Katherine e Duncan, quest’ultimo era infuriato, ma la mente di Lydia non registrò questa informazione, persa nella sua nuova e beata tranquillità.
Prima di addormentarsi cercò la mano di Lance e la strinse per ringraziarlo.
 
Quando aprì nuovamente gli occhi, la luce inondava la stanza. Rispetto al suo primo risveglio, questa volta riconobbe subito il luogo in cui si trovava. La sua nuova camera a casa O’Brien. E questo significava solo che la sua fuga al Ministero era fallita.
Alice. Il suo pensiero le fece venire la nausea. Mentre si risvegliava completamente, i ricordi del giorno precedente le tornarono alla mente. Era fuori dal Ministero, Alice le aveva dato dell’egoista e aveva attraversato il muro, e Lydia aveva provato a seguirla ma… era arrivato Lance! Si ricordò Lydia. E poi era svenuta. Come aveva fatto a svenire così?
«Bentornata tra noi.» disse una voce soffice alla sua destra. Lydia si voltò da quella parte. Lance era seduto su una sedia accanto al suo letto, i capelli in disordine e delle profonde occhiaie che gli solcavano il volto. Lydia tornò a guardare il soffitto del suo letto a baldacchino. Il silenzio era interrotto dal cinguettare degli uccellini che svolazzavano in giardino.
«Mi dispiace.» disse infine Lydia.
«Già detto e già perdonata.» rispose Lance.
Lydia sapeva che il resto della famiglia non sarebbe stato altrettanto comprensivo, ma si ritrovò a pensare che non le importava. Lance non era arrabbiato con lei, e questo era abbastanza.
Si voltò di nuovo verso l’amico. «Cosa è successo? Come avete…» si interruppe, senza sapeva bene come completare la frase.
Lance capì lo stesso ed iniziò a parlare. «Caitlin ha trovato la tua lettera del Censimento.» Lydia gli fu riconoscente per non aver ricordato nel suo racconto il momento in cui era scappata. «Il giorno e l’orario corrispondevano, abbiamo subito capito che eri andata lì. Eravamo convinti che avessi deciso di consegnarti a loro. Avevi lasciato qua tutte le tue cose, è la prima spiegazione che ci è venuta in mente.»
«Volevo andare da Alice.» si affrettò ad interromperlo Lydia.
«Lo so. Adesso lo so.»
Lydia si mise a sedere a disagio. Lance percepì il suo stato d’animo e ricominciò a raccontare. «Quindi abbiamo deciso di venirti a prendere e costringerti a tornare a casa.»
«Immagino che Duncan avrebbe preferito lasciarmi là.»
«Non posso mentire. Sì, diciamo che Duncan non era proprio dell’idea di una missione di salvataggio.»
«In realtà lo capisco. Probabilmente avrei fatto la stessa cosa.»
«No, non lo avresti fatto.» rispose senza esitazione Lance, continuando poi nel suo racconto. «Abbiamo perso tempo a decidere chi sarebbe andato a Londra. Mio padre voleva venire a tutti i costi ma mia madre lo ha convinto che era troppo pericoloso per lui avvicinarsi al Ministero. Alla fine hanno optato per una via di mezzo: faceva la guardia nella piazza principale mentre io e Duncan siamo venuti a cercarti.»
«C’era anche Duncan?» chiese stupita Lydia.
Lance sorrise ironico. «Ha detto che era per tenermi d’occhio ed impedirmi di combinare i miei soliti casini. Che amore di fratello. Comunque, io e Duncan abbiamo fatto finta di essere dei Nati Babbani, una strega in piazza ci ha anche insultati perché eravamo in ritardo per l’appello. Pensavo che fossimo arrivati troppo tardi. E invece ti abbiamo trovata. Ho visto che parlavi con una persona e quella che si allontanava.»
«Era Alice.» sussurrò Lydia.
«Non so come ho fatto a non riconoscerla…» disse Lance perplesso. «Comunque ho visto che stavi per urlare e non volevo che attirassi delle attenzioni su di te, e così ti ho Silenziata…»
Ed ecco spiegata la mancanza di voce, proprio come aveva immaginato.  «Duncan è rimasto nelle retrovie. C’erano dei Tiratori Scelti alla fine del vicolo e, stando indietro, è riuscito a rimanergli alle spalle, fuori tiro, mentre io ho fatto finta di essere in ritardo e sono riuscito a superarli per raggiungerti.»
Lydia conosceva già quella parte di storia, la ricordava bene. Solo un ultimo particolare non le tornava. «Sono svenuta.» ricordò.
Lance iniziò ad esaminare le stringhe delle sue scarpe, imbarazzato. «E’ l’unica soluzione che mi è venuta in mente. Volevi andare nel Ministero e sapevo che non sarei riuscito a farti cambiare idea in così poco tempo e quindi ti ho Schiantata. Ho detto ai Tiratori Scelti che eri svenuta per l’agitazione, mi hanno subito creduto, mi sa che è già successo, e hanno abbassato la guardia. Così Duncan li ha presi alla sprovvista, siamo riusciti a metterli fuori gioco e a scappare. E poi papà ci ha riportati subito qui.»
Il silenzio calò di nuovo sulla camera. «Mi dispiace.» disse infine Lydia.
Lance scosse la testa e si chinò verso di lei. «Lo so, Lydia. Ho capito che eri realmente dispiaciuta dalla prima volta che me lo hai detto, quando hai chiuso il cancello. E davvero, ti perdono. L’unica cosa è che avrei voluto che mi avvisassi, non ti avrei impedito di andare da Alice, lo sai, ma insieme avremmo potuto pensare ad una soluzione. Siamo amici, Lydia, mi sembra quasi che tu l’abbia dimenticato.» E forse Lance aveva ragione. Lydia aveva passato talmente tanti mesi da sola da aver dimenticato cosa volesse dire avere degli amici.
Solo in quel momento si rese conto di quanto le fossero mancati, ma soprattutto, di quanto le fosse mancato Lance. Era l’unica persona al mondo capace di farla sentire di nuovo bene, capita ed in un certo senso intera.
Lydia chiuse gli occhi. Sentiva ancora gli ultimi effetti della pozione Calmante in circolo che le impedivano di ritornare nel panico.
«Comunque avevamo sbagliato. Avevi portato qualcosa con te.» Lydia riaprì gli occhi incuriosita. Lance stava guardando il suo comodino, o meglio, un oggetto appoggiato sulla sua superficie. Una piuma arancione e rossa che Lydia aveva nella tasca della felpa durante la sua ultima avventura. Qualcuno doveva averla trovata e messa sul comodino. Lance la prese delicatamente tra le dita e se la avvicinò al viso per osservarla meglio. «Ce l’hai ancora.»
Lydia scrollò le spalle, cercando di minimizzare. «E’ un ricordo.»
«Lo so.» disse Lance appoggiandola di nuovo sul comodino. «Anche io ho tenuto la mia.» E la conversazione terminò lì.
Lance rimase per qualche altro minuto, per assicurarsi che Lydia non presentasse degli effetti collaterali alla Pozione Calmante che le aveva somministrato, e poi dovette tornare nel suo laboratorio a controllare la nuova scorta di Pozione Polisucco. E così Lydia si ritrovò di nuovo sola. Il giorno precedente avrebbe dato qualsiasi cosa per poter stare da sola in camera, senza essere costretta a conversare con nessuno né ad incontrare bambini ad ogni angolo. Ora invece il silenzio pesava come un macigno, rischiando di portare con sé le ansie e il panico che aveva provato durante la notte. Aveva bisogno di muoversi, di sentire voci umane oltre al cinguettare allegro degli uccellini fuori dalla finestra. E così fece una cosa che stupì anche sé stessa: si vestì e scese a cercare gli altri abitanti di casa O’Brien.
Controllò l’orologio e scoprì che era ora di pranzo. Ecco spiegato il motivo di tanto silenzio, si trovavano tutti in sala da pranzo.
Il silenzio la accompagnò mentre scendeva le scale fino a quando raggiunse la porta socchiusa della sala da pranzo. Un brusio era attutito dalla porta. Lydia strinse la maniglia, pronta ad aprirla.
«Lydia?» chiese una voce alle sue spalle. Lydia sobbalzò e si voltò di scatto. Il signor O’Brien stava scendendo le scale. «Sono contento di vedere che stai bene. E sono sicuro che sarai affamata dopo tutte le avventure di ieri, ma ti dispiacerebbe venire un attimo nel mio studio? Penso che sia ora di fare due chiacchere.»
E Lydia si sentì di nuovo la se stessa undicenne richiamata nell’ufficio della McGranitt. Deglutì. «Certo, signor O’Brien.»
Mentre risalivano le scale in silenzio, iniziò ad agitarsi. Di sicuro il signor O’Brien voleva parlare delle conseguenze della sua fuga. E se aveva intenzione di cacciarla da quella casa per come si era comportata? Lance avrebbe potuto fare cambiare idea al padre? Ora che aveva perso Alice, Lydia non aveva motivi per lasciare casa O’Brien.
Erano arrivati nello studio.
«Accomodati.» disse il signor O’Brien indicando due divanetti sistemati davanti al camino spento, separati da un tavolino da caffè. Lydia si sedette sul bordo della poltrona ed iniziò a tormentarsi le mani, i nervi tesi. Gli ultimi effetti della pozione Calmante vaporarono completamente.
Perché non le avevano permesso di seguire Alice al Ministero piuttosto che riportarla a casa per scacciarla subito dopo? Cosa avrebbe fatto una volta che la porta di quel palazzo si fosse chiusa alle sue spalle per sempre? Il pensiero di tornare a casa di sua nonna le fece venire il voltastomaco.
Il signor O’Brien aprì un armadietto all’angolo della stanza ed estrasse due bicchieri ed una bottiglia. Quando la posò sul tavolino di fronte a Lydia, riconobbe il Whisky Incendiario che conteneva. «Non sono un esperto di pozioni come mio figlio.» spiegò il signor O’Brien «Quindi mi affido ai vecchi metodi quando c’è bisogno di calmare i nervi.» E né verso una piccola quantità nei bicchierini.
Lydia esaminò sospettosa il bicchiere di fronte a lei. Seguì l’esempio del signor O’Brien ma si limitò a berne solo alcune gocce. La aiutarono comunque a sbloccarsi e dire la frase che aveva pronunciato più volte negli ultimi due giorni «Mi dispiace. Davvero, non volevo mettervi nei guai.»
«Lo so.» rispose il signor O’Brien, sul suo volto ancora la stessa espressione indecifrabile.
Lydia prese un respiro profondo. «E se volete cacciarmi lo capisco.» disse velocemente.
Il signor O’Brien la fermò. «Se è questo che temi puoi tranquillizzarti. Non ho nessuna intenzione di buttarti fuori di casa.»
Lydia si lasciò sfuggire un sospiro di sollievo, subito rimpiazzato da una nuova preoccupazione. «Ma lei e sua moglie dovete essere furiosi, vi ho lasciati senza spiegazioni e anche prima non vi ho aiutati con i bambini e…» Lydia si ritrovò a pensare che era davvero brava ad auto sabotarsi.
Il signor O’Brien si accomodò sulla poltrona di fronte a lei e sorseggiò elegantemente il suo Whisky Incendiario. «Nulla di tutto questo. Anzi, scoprirai che Rose è abbastanza colpita dai motivi che ti hanno portata a presentarti al Ministero. Mia moglie ha un particolare affetto verso chi dimostra spirito di sacrificio per le persone che ama.»
Lydia abbassò lo sguardo, con le dita grattò un angolo del bicchiere. «Sapete di Alice.»
Il signor O’Brien annuì. «Lance ci ha raccontato tutto appena ti abbiamo riportata a casa, e tu stessa hai ripetuto più volte, durante il tuo risveglio notturno, di non aver salvato Alice.»
Le guance di Lydia si tinsero di un lieve rossore al pensiero della figura fatta durante quella notte. Odiava avere gli incubi e odiava il panico che di solito scatenavano, non si era neppure accorta di aver parlato ad alta voce durante quei minuti concitati. Strinse con forza il bicchiere, continuando a fissarlo. «Comunque mi dispiace. Ha ragione Lance, dovevo avvisarvi. Avrete pensato il peggio di me…»
«Non è importante ciò che abbiamo pensato quando non conoscevamo le tue intenzioni, ma quello che pensiamo adesso. Il gesto che hai fatto è stato altruista ma anche molto incosciente. E per quanto io e mia moglie abbiamo apprezzato il tuo coraggio, non possiamo dire lo stesso della tua totale mancanza di giudizio. Avresti potuto-»
«Sì, sì, lo so.» lo interruppe Lydia, cercando di giustificarsi «Avrei dovuto dirvelo e insieme avremmo trovato una soluzione… Ci ha già pensato Lance a farmi capire quanto sono stata stupida.»
«Non stupida.» la corresse il signor O’Brien «Avventata, direi che è una descrizione più appropriata. E mio figlio ha ragione, insieme avremmo potuto escogitare un piano, ma non per questo avrebbe funzionato.» Lydia alzò lo sguardo, stupita. «Non voglio che tu ti prenda colpe che non hai. Sì, avremmo potuto ideare un piano per farti andare in quel vicolo con adeguate protezioni ed una via di fuga ben preparata, ma questo temo che non avrebbe cambiato il risultato. Da come ho capito la tua amica non si è lasciata convincere a scappare con te, e neanche la nostra presenza avrebbe potuto farle cambiare idea.» Era consolatorio sentirlo dire, anche se Lydia non riuscì a convincersi sulla veridicità di tali parole. I dubbi le sarebbero rimasti, così come la sensazione di aver condannato la sua migliore amica ad un destino terribile, se non alla… No, non doveva pensarlo. In quel momento fu veramente grata per il Whisky Incendiario e lo bevve senza esitazioni. «So anche di non poterti convincere, ma spero che ragionerai sulle mie parole e che possano aiutarti a trovare un po’ di pace.» continuò il signor O’Brien «So cosa vuol dire convivere con i sensi di colpa e non lo augurerei neanche al mio peggior nemico.» E considerando che i suoi peggior nemici erano i Mangiamorte voleva dire tanto. «Penso anche che gli avvenimenti di ieri possano essere considerati come un avvertimento di cosa potrebbe succedere se non impariamo a superare le nostre divergenze e a lavorare insieme. Siamo stati fortunati che Caitlin abbia trovato la lettera e Lance abbia subito compreso il tuo piano, o a questo punto chissà dove saresti.» A Lydia si strinse lo stomaco. Non voleva pensarci. Chissà dove si trovava Alice ora, mentre lei sorseggiava Whisky Incendiario circondata da una delle protezioni più sicure dell’intero mondo magico. «Ma la prossima volta potremmo non essere così fortunati.» proseguì il signor O’Brien «La nostra sicurezza sarà possibile solo se riusciremo a creare un senso di fiducia e di appartenenza a questa squadra, a questa famiglia.»
Lydia tornò a fissare il suo bicchiere ormai vuoto. Erano belle parole, eppure si era sentita sola per così tanto tempo da sembrare impossibili. «Proverò. Vi prometto che farò il possibile per inserirmi nella vostra squadra.»
«E nella nostra famiglia.» la corresse gentilmente il signor O’Brien. Riprese a parlare prima che Lydia potesse sentirsi imbarazzata. «E ricorda che non è un lavoro che dovrai fare solo tu, ma anche tutti noi, tranne Lance ovviamente. Il senso di fiducia deve essere reciproco affinché la nostra collaborazione possa funzionare. E per fondare le basi di questa fiducia credo che sia ora di parlare con chiarezza riguardo i motivi che ti hanno spinta ad accettare la nostra proposta.» Lydia si irrigidì, il viso improvvisamente esangue. La cicatrice spiccava sul volto pallido e Lydia la sentiva pulsare. Avrebbe voluto urlare e scappare dalla stanza. Il signor O’Brien le versò altro Whisky Incendiario nel bicchiere. Lydia lo bevve in un solo sorso. Il bruciore alla gola e allo stomaco causati dalla bevanda la aiutarono ad ancorarsi alla realtà. «Non c’è bisogno che tu mi racconti quello che è successo, se non te la senti. Non posso negarti che so già tutto.» Lydia lo guardò con gli occhi sbarrati.
 «Chi gliel'ha detto?» chiese Lydia, la voce strozzata.
Il signor O’Brien si alzò dalla poltrona per raggiungere la sua scrivania. Aprì un cassetto ed iniziò a parlare «Per quanto mio figlio abbia passato praticamente tutte le vacanze da quando vi siete conosciuti a tessere le tue lodi, quando sei comparsa di fronte a casa mia e ti sei unita a noi non potevo essere assolutamente sicuro che tu fossi una persona fidata.» spiegò «Quella notte stessa ho contattato mio fratello, gli ho chiesto di trovare tutte le informazioni che ti riguardavano.» estrasse dal cassetto un’anonima cartellina blu e tornò a sedersi di fronte a Lydia. Appoggiò la cartellina sul tavolino che li separava e la allungò lentamente nella sua direzione. Le mani di Lydia tremavano mentre la apriva, rivelando una serie di fogli. Sul primo erano scritte le sue generalità, la sua data di nascita, il suo indirizzo ed una data a lei completamente sconosciuta risalente a quando aveva pochi mesi, l’intestazione al suo fianco recitava ‘Data della comparsa dei primi segnali magici’. Sparpagliò i fogli successivi sul tavolo e ne riconobbe diversi, tra cui la sua iscrizione ad Hogwarts con le firme dei suoi genitori, ricordava ancora perfettamente il giorno in cui l’avevano firmata, i risultati dei suoi G.U.F.O. e dei M.A.G.O. e persino una copia del suo contratto stagionale al Ghirigoro. «Il Ministero tiene traccia di tutti i maghi inglesi ed in questo ultimo mese i documenti dei Nati Babbani sono stati messi sotto esame dalla Commissione per il Censimento dei Nati Babbani. E mio fratello ha cercato informazioni su di te anche nel mondo babbano.» Sotto tutti quei fogli Lydia riconobbe il simbolo della polizia locale. Bastò quel semplice stralcio per mandarla nel panico. Il signor O’Brien recuperò tutti i fogli e li rimise al loro posto nella cartelletta. «Preferisco che tu sia consapevole del fatto che sono a conoscenza di quello che è accaduto quel giorno, e spero che tu mi possa prima di tutto perdonare per aver indagato su di te. Dovevo proteggere la mia famiglia. Ma è stata proprio questa scoperta a farmi capire che potevamo fidarci di te.» Con un semplice gesto della bacchetta la cartellina si librò in aria e volò docile nel cassetto della scrivania. «Volevo anche tranquillizzarti, solo io e mio fratello siamo a conoscenza del contenuto del tuo fascicolo. Sarai tu, a tempo debito, a raccontarlo a chi vorrai.» Questa volta fu Lydia a servirsi da sola del Whisky Incendiario. «Mi dispiace averti messa in questa situazione. Non volevo farti rivivere terribili ricordi, ma stiamo rischiando la vita ogni singolo giorno e, come ti dicevo, solo stando davvero uniti e fidandoci gli uni degli altri potremo sopravvivere.» Lydia lo capiva, non per questo però era semplice affrontare gli inevitabili incubi che la perseguitavano.
Il signor O’Brien si alzò dalla poltrona e le posò una mano sul braccio per tranquillizzarla. «Torna a riposare adesso, ne hai bisogno. Dirò a Lance di passare con un altro po’ di pozione Calmante, ti aiuterà.»
«No!» esclamò Lydia alzandosi a sua volta. «Niente pozione, sto bene.»
Il signor O’Brien la accompagnò alla porta. «Ne sei sicura?»
«Sì.» rispose decisa Lydia. 
«Allora se vorrai ti aspettiamo per cena. I bambini sentono la tua mancanza.»
Lydia ne dubitava. Eppure all’ora di cena si alzò dal letto e ripercorse la strada di poche ore prima. Aveva passato già troppo tempo chiusa nella sua camera con i suoi pensieri. Aveva bisogno di cambiare aria. Di distrarsi. E così tornò nell’identica posizione dell’ora di pranzo: davanti alla porta socchiusa da cui proveniva un confortevole brusio. Questa volta nessuno la fermò mentre la apriva con lentezza.
L’intera tavolata si voltò di scatto a guardarla. Per Lydia quell’attimo di immobilità durò secoli. Poi la signora O’Brien si alzò per andare da lei con le braccia spalancate. «Cara, pensavamo che avresti dormito ancora qualche ora, oppure ti avremmo aspettata!» Lydia rimase sbalordita da quel tono gentile e premuroso. Katherine fu la seconda a salutarla con un grande sorriso. Duncan invece continuò a tagliare la sua bistecca con uno sguardo che non prometteva nulla di buono, al contrario del padre, che le fece un cenno della mano per invitarla ad accomodarsi. C’erano due posti liberi, uno per lei e uno per Lance, non ancora riemerso dal suo laboratorio.
Lydia si stupì ancora una volta quando si avviò inconsapevolmente verso il lato del tavolo occupato dai bambini per andare a sedersi accanto ad Henry. Gli occhi del bambino si spalancarono a palla, prese un lungo fiato e poi iniziò a parlare prima ancora che Lydia si sedesse. «Sei tornata! Sono contento che sei tornata! Mi sei mancata ieri a cena, volevo venire a salutarti ma la signora O’Brien mi ha detto che stavi dormendo. Avevi tanto sonno? Anche io qualche giorno ho tanto sonno. Ho tanto sonno che mi addormento prima di cena, come te. Ma la mamma mi sveglia sempre perché dice che se no la notte non riesco a sognare. E io voglio sognare. Ieri ho sognato un unicorno. Lo sai che esistono davvero? Me l’ha detto Katherine. Mi ha detto che lei ne ha visto uno a scuola, tu l’hai visto? E i draghi? Hai visto i draghi? Sono i miei animali preferiti e lo sai che Harry Potter ne ha sconfitto uno?»
Simon sprofondò la testa nel piatto, esasperato. «Non di nuovo!»
«Simon! Hai la maionese nei capelli!» lo rimproverò la signora O’Brien.
Simon afferrò la maionese rimasta nel suo piatto. «Adesso me la caccio nelle orecchie così non devo più sentire Henry.» e tentò davvero di infilarla con un dito nelle orecchie.
Caitlin fece un verso disgustato, mentre la signora O’Brien si affrettò a bloccare il bambino. In tutto questo Henry non aveva smesso di parlare. «…E una volta ha anche ucciso un basilico, me l’ha detto la mia mamma!»
Lydia si lasciò scappare una piccola risata. «Oh sì, me lo ricordo anche io di quando ha ucciso il basilico! Lo sai che quel mazzetto di basilico stava terrorizzando la scuola da mesi?»
Questa volta fu Caitlin a fare un verso esasperato che si confuse tra le urla contrariate di Simon, mentre la signora O’Brien gli stava pulendo energicamente con un tovagliolo capelli e orecchie. «Così impari a cacciarti il cibo nelle orecchie! Ma cosa vi salta in mente a volte?»
Per Lydia fu il primo pasto spensierato in casa O’Brien. E il senso di pace continuò anche quando Henry interruppe il suo monologo per dirle: «Sono contento che sei qui. Voglio stare qui con te. Ieri mi sei mancata tanto. E quando non ci sei, penso alla mia mamma, e voglio la mia mamma. Se ci sei ci sto bene qui. Ti prego, resta.» E per la seconda volta, Lydia si ritrovò incastrata da un bambino senza due denti ma con un grande cuore.
«Va bene. Resto.»
Quando rialzò lo sguardo, Lydia vide che Lance era entrato nella stanza e si trovava di fronte a lei, un caldo sorriso gli illuminava il volto. Lydia si ritrovò a sorridere a sua volta.
Un calore si diffuse nel suo cuore facendola sentire in pace per la prima volta da molto tempo.

 
 


Curiosità: ‘Harry Potter e la vendetta del basilico’ di Henry Carter, disponibile prossimamente. xD
Henry e Simon sono due personaggi che adoro, così come gli altri bambini che potrete conoscere meglio nella seconda parte!


 
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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Promesse ***


Capitolo 8
Promesse
 
 
La prima sera dopo il suo ritorno dal Ministero, Lydia era emotivamente esausta. Tutti quei discorsi con Lance e suo padre l’avevano prosciugata, eppure quando si svegliò la mattina successiva dal suo ennesimo incubo, il mondo le sembrò meno buio. Non sapeva nemmeno il perché, in fondo il senso di colpa per non essere riuscita a salvare Alice era ancora presente, ma allo stesso tempo le parole del giorno prima del signor O’Brien e di Lance avevano iniziato a farsi largo nella sua mente. E per ringraziarli del sostegno che le avevano dimostrato, quella mattina Lydia si alzò e raggiunse gli altri in tempo per la colazione.
E così avviò una nuova routine.
La signora O’Brien non solo evitava di chiederle di curare i bambini, ma le proponeva attività completamente diverse che Lydia accettava con piacere. Passò i giorni successivi a curare il giardino, fare pulizie, preparare la tavola o aiutare il signor O’Brien a cucinare.
Le giornate passate in casa erano inframmezzate con altre in cui Lydia, Lance, Katherine e Duncan si alternavano ad andare a recuperare altri bambini. In quei giorni infatti, tre nuovi bimbi vennero accolti in casa O’Brien.
La ciurma si allargava e anche i danni che combinavano. Bastò un solo giorno di pioggia per fare constatare a tutti che un inverno intero con i bambini chiusi in casa sarebbe stato insuperabile, per questo motivo furono tutti coinvolti in un nuovo progetto che avrebbe reso una parte del giardino vivibile anche durante i mesi più freddi. Iniziarono montando un vecchio tendone che la famiglia O’Brien aveva immagazzinato nel seminterrato.
«Come minimo tutta questa fatica non serve a un bel niente. La guerra deve finire prima dell’autunno, non posso perdere un altro semestre.» si lamentò Caitlin, trasportando uno dei grandi pali di sostegno. Gli altri la lasciarono parlare. Sapevano fin troppo bene che la guerra non sarebbe terminata tanto velocemente ma nessuno di loro ebbe il coraggio di accennarlo a Caitlin.
Una volta montato il tendone, con l’aiuto di un pizzico di magia, Lydia e Lance furono incaricati di occuparsi dei giochi da sistemare al suo interno.
«Abbiamo solo una vecchia altalena e uno scivolo arrugginito. Dovrete andare a comprarne dei nuovi.» disse una mattina il signor O’Brien, estraendo dal portafoglio diverse banconote babbane.
Caitlin, che era stata intenta fino a quel momento a lamentarsi per la noia, sdraiata sul pavimento, si rialzò di colpo. Gli occhi le luccicavano per l’emozione. «Vado anche io!» urlò e corse nell’atrio ad indossare le scarpe.
Il signor O’Brien sospirò impercettibilmente. «Mi dispiace cara, ma devi restare qui.»
Caitlin riemerse dal ripostiglio con un cipiglio minaccioso. «E invece vado.»
«E’ troppo pericoloso.»
Lydia osservava con curiosità lo scambio di battute, mentre Lance si limitava a fissare il soffitto, del tutto indifferente alla scena a cui stavano assistendo.
«Vanno a fare la spesa, papà! La spesa! Cosa ci può essere di pericoloso nel fare la spesa!?» urlò Caitlin.
«Magari potrebbe caderti accidentalmente una palla in testa.» rispose Lance, che alla fine non era così indifferente al discorso «O una casetta, sai, come alla Malvagia Strega dell’Ovest.»
Caitlin rivolse la sua rabbia verso Lance. «Tu stanne fuori.»
Lance si limitò ad un sorriso sghembo e si avviò verso il ripostiglio. «Fate come volete, io intanto mi preparo.» disse frugando per terra alla ricerca delle sue scarpe. Anche Lydia avrebbe dovuto seguire il suo esempio ma la scena a cui stava assistendo era più interessante.
Caitlin tornò a rivolgersi a suo padre. «Come dicevo, nessun pericolo. Tranne il dover sopportare la stupidità di Lance.» Si piegò mentre un calzino disperso nella pila di scarpe e lanciato da Lance le volava sopra la testa. Lydia decise che era meglio allontanarsi prima che si scatenasse un pandemonio e così si avvicinò alla porta d’ingresso, pronta a scappare in caso di bisogno.
«Ti ho detto di no, Cait.»
«No!» protestò Caitlin «Tu hai detto che non potevo partecipare alle missioni, ma non hai mai detto nulla sull’uscire per fare compere.»
«Cait…»
«E’ vero, papà! E sai che sono chiusa qua dentro da un mese! Hai presente cosa vuol dire? Non so più neanche se esiste ancora un mondo là fuori! E ho bisogno di uscire, ne va della mia salute mentale.»
A Lydia non sfuggì lo sbuffo ironico di Lance, e neanche a Caitlin considerando l’occhiata che gli lanciò. Lydia mise una mano sulla maniglia della porta d’ingresso. «Insomma, papà» continuò Caitlin «non ti sembra che io stia già soffrendo abbastanza? Vuoi negarmi anche questa piccola gioia?»
 
Un’ora dopo, Lydia si stava aggirando in un negozio babbano di giocattoli, Caitlin accanto a lei, chiedendosi ancora come avesse fatto il signor O’Brien a cedere alle suppliche e minacce della figlia. Caitlin, invece, era al settimo cielo, e saltellava da una parte all’altra del negozio. Non si poteva dire la stessa cosa di Lance, che passò la maggior parte della loro uscita senza dire una parola e con un’espressione torva stampata in viso. Certo non aveva aiutato il fatto che, durante le loro spese, Caitlin era scomparsa mandandoli nel panico e tornando tranquillamente dieci minuti dopo come se nulla fosse. Lydia aveva deciso che era meglio tenersene fuori e non aveva indagato. E così avevano ripreso il loro giro.
Era una giornata calda di fine agosto e per sopportare l’afa decisero di infrangere una delle regole fondamentali e fermarsi in un chiosco a prendere un gelato, promettendosi a vicenda di non raccontare a nessuno di quel piccolo strappo. Senza neanche sapere il perché, Lydia capì che Caitlin l’avrebbe riferito a Duncan appena tornati a casa. E dopo quella breve pausa furono pronti a concludere i loro acquisti.
«Che cosa ci manca?» chiese Lydia cercando di spiare dentro la sua borsa. Il signor O’Brien l’aveva incantata per renderla infinitamente più spaziosa e dall’apertura poteva intravedere gli scatoloni dei giochi da esterni. Era stata una bella idea ma era anche stato imbarazzante dover andare a nascondersi in tutti i vicoli che trovavano per infilare quei giochi nella borsa, senza parlare del fatto che per farli passare avevano strappato praticamente metà cerniera.
Lance avvicinò la testa per guardare anche lui. «Le altalene ci sono, gli scivoli sì…» iniziò ad elencare. «Le casette dove sono finite?»
Lydia cercò di spalancare ancora di più la cerniera, provocando una piccola lacerazione accanto ad essa. «Ops…Comunque ci sono, sono sotto l’altalena. Non mi ricordo più cosa ci ha detto di prendere tuo papà… Aveva parlato di qualcosa per arrampicarsi?»
«Bella domanda…» rispose Lance infilando la mano nella borsa per accertarsi che le casette ci fossero davvero. «Ha fatto un elenco anche dei giochi vietati ma non lo stavo ascoltando.»
«Neppure io.» ammise Lydia.
«Ragazzi.» Lydia e Lance si voltarono verso Caitlin, che li guardava con un misto di frustrazione e divertimento. «Forse è meglio se la smettete di fissare una borsetta minuscola, e Lance, hai perso metà braccio.»
Al rallentatore, Lydia e Lance abbassarono nuovamente lo sguardo verso la borsetta e il braccio di Lance ancora dentro di essa, che effettivamente, visto dall’esterno, sembrava tranciato di netto. Con la stessa lentezza rialzarono gli occhi verso un vecchietto che li guardava esterrefatto da una porta in fondo al vicolo. Caitlin gli rivolse un cenno di saluto. Lance ritirò il braccio come scottato.
«Siamo illusionisti!» sparò Lydia, sperando di essere convincente.
Il vecchietto intanto stava continuando a ripetere le stesse azioni, come bloccato in un circolo senza fine: a bocca spalancata si toglieva gli occhiali, li puliva in un angolo della camicia e poi li indossava di nuovo, strizzando gli occhi come se potesse aiutarlo a capire le stranezze a cui stava assistendo. Caitlin ridacchiò. «Oh, dai.» sbottò Lydia «Non si vedeva solo metà braccio, se questa è la cosa più strana che abbia mai visto ha avuto una vita monotona.»
«Non penso che sia per quello.» continuò a ridacchiare Caitlin. «Ma più per tutto il resto.» disse indicando i volti dei due maghi.
Lydia si portò una ciocca di capelli davanti agli occhi. Stavano tornando rossi. Si voltò verso Lance e scoprì che anche su di lui gli effetti della Pozione Polisucco stavano svanendo, facendolo tornare quello di sempre. Caitlin, che aveva mantenuto per tutto il tempo il suo vero aspetto, trovava quella situazione molto divertente. Lo stesso non si poteva dire del povero vecchietto, che continuava a pulire ostinatamente i suoi occhiali, tanto che Lydia temette potessero rompersi a forza di sfregarli. «Dici che fargli un Oblivion è immorale?»
«Non penso che sia un problema.» rispose Lance.
«Andiamo, di solito sei tu la mia bussola morale!» protestò Lydia.
Lance si rivolse al vecchietto. «Mi dispiace signore, ora dobbiamo proprio andare, venga a trovarci al nostro spettacolo domenica pomeriggio al parco comunale. La aspettiamo!» e con un piccolo inchino afferrò Lydia e Caitlin e iniziò a camminare a grandi passi per le vie del paese, gli effetti della pozione Polisucco completamente svaniti.
«Non ci credo!» protestò Lydia «Hai detto la frase che ho usato io al campeggio! Mi hai rubato l’idea!»
Questa volta Caitlin esplose in una vera e propria risata. «Pensa a quel povero signore quando domenica arriverà al parco e non vi troverà… gli si spezzerà il cuore!»
«E poi dove stiamo andando? Ci mancano i tavolini!» si ricordò Lydia, mentre Lance continuava imperterrito a camminare «E qualcosa su cui arrampicarsi. Forse.»
«Siamo in ritardo! Papà mi sbrana se non riporto Cait a casa in tempo!»
E Lydia capì il ragionamento che aveva fatto Lance. Se la loro pozione Polisucco aveva perso l’effetto voleva dire che erano passate le due ore che il signor O’Brien aveva concesso loro. «Ah.» disse semplicemente. Sì, erano nei guai. Lydia era appena entrata nelle grazie della signora O’Brien e aveva tutta l’intenzione di rimanerci il più possibile. «Dobbiamo tornare indietro.» sentenziò, accelerando il passo per seguire Lance.
Caitlin invece si limitò ad alzare gli occhi al cielo e continuò a farsi praticamente trascinare da Lance. «Quanto siete noiosi.» bofonchiò «E’ la mia prima giornata di libertà da non sapete quanto tempo! Voglio stare fuori ancora un po’. E poi il papà si arrabbia ancora di più se torniamo a casa in ritardo e senza aver comprato tutto quello che ci ha detto di comprare. Arrampicata compresa.»
Lydia e Lance si fermarono per riflettere.
«Effettivamente ha ragione.» dovette ammettere Lydia.
Lance sospirò. «E va bene. Ma solo dieci minuti, entriamo nel negozio e prendiamo il primo tavolino che troviamo.»
«Venti minuti.» sentenziò Caitlin.
«Perché devi sempre ribattere?» chiese Lance, infastidito.
Caitlin si strinse nelle spalle con una finta espressione innocente. «Perché mi sono appena ricordata che abbiamo dimenticato il tappeto elastico.»
Con un verso esasperato, Lance ammise la sconfitta.
 
E così mezz’ora dopo si ritrovarono fuori dal negozio con delle scatole talmente grosse che rinunciarono a priori di farle stare nella borsetta, accettando di doverle trascinare nel vicolo più vicino per Materializzarsi a casa O’Brien.
«E ora diretti a casa.» sentenziò infatti Lance, il volto madido di sudore per lo sforzo di spostare lo scatolone del tappeto elastico.
«Altro che non dare nell’occhio.» sibilò Lydia, guardandosi attorno freneticamente per controllare che non ci fosse nessuno di sospetto nei dintorni. Per fortuna erano appena usciti da un rinomato grande negozio di giocattoli e lì era normale vedere persone in quelle condizioni. Per sicurezza si nascose lo stesso il più possibile il viso con i capelli. Rimpianse la Pozione Polisucco che le permetteva di muoversi senza attirare attenzioni sul suo volto. Le mancava passare inosservata, ora invece sentiva addosso gli occhi di tutti anche se nessuno la stava guardando, però avevano dato fondo a tutta la Pozione a loro disposizione e non potevano assumerne altra, le ultime riserve erano conservate solo per estrema necessità o per le missioni ufficiali. Per fortuna entro pochi giorni sarebbe stata pronta quella nuova. In ogni caso era un motivo in più per aspettarsi la furia del signor O’Brien una volta tornati a casa. Nessuno aveva voglia di affrontarlo eppure anche Caitlin decise che era meglio non tirare troppo la corda e tornare a casa.
«Bene!» sospirò di sollievo Lance, asciugandosi il sudore con un braccio «Allora possiamo and- dove stai andando?» chiese stupito.
Lydia lo ignorò e, dopo aver lanciato un’occhiata alla vetrina del negozio di giocattoli, tornò dentro di corsa. Riemerse pochi minuti dopo, intenta a cercare di richiudere la cerniera rotta della borsa. Alla fine si arrese e mise la borsa sotto il braccio per tenerla chiusa. «Adesso possiamo andare.»
 
Appena misero piede in casa capirono che la signora O'Brien era furiosa.
«Come hai potuto, Dorian?» Le sue urla rimbombavano dalla sala da pranzo, raggiungendo i tre ragazzi appena entrati dalla porta d’ingresso.
«Lo sapevo.» sospirò Lance. Caitlin si limitò ad alzare gli occhi al cielo e a bofonchiare qualcosa sulle madri troppo protettive. Nel frattempo la signora O’Brien continuava a riversare la sua rabbia sul marito. «E senza avvisarmi! Potevi consultarmi e invece no, hai fatto di testa tua come al solito e adesso Caitlin è lì fuori da ore!»
«E se ce ne andassimo direttamente nelle nostre camere e scendessimo tra poco dicendo che siamo qui da un bel po’?»
Lydia era favorevole alla proposta di Caitlin. Anche Lance considerò l’idea e avrebbe potuto accettare se una voce alla loro destra non avesse urlato. «Sono tornati!» I tre ragazzi si voltarono di scatto verso Duncan, comparso all’improvviso dal salottino con un ghigno stampato sul volto. «Mi è toccato sentire queste urla tutto il pomeriggio, adesso è il vostro turno.» E schizzò via, su per le scale proprio mentre la porta della sala da pranzo si spalancava sbattendo contro il muro.
«Questa me la paga…» sibilò Caitlin.
«Eravamo preoccupati per voi!» urlò la signora O’Brien andando verso di loro a grandi passi. Il signor O’Brien si avvicinò più lentamente, le mani dietro alla schiena e stranamente sereno per essere uno che aveva dovuto sorbire le urla della moglie per ore. «Cosa vi è saltato in mente di stare fuori tutto il pomeriggio?! Senza neanche avvisare! Lance, come hai potuto accettare di portare Caitlin con te? Sai quanto è pericoloso là fuori!»
«Ma è stato papà a dire che poteva!»
«Quando mai hai ascoltato tuo padre!? E tu!» continuò la signora O’Brien puntando l’indice verso Lydia, la quale reagì d’istinto alzando le braccia per dichiarare la propria innocenza «Mi aspettavo un minimo di maturità almeno da te!» Ecco. Come aveva temuto, era stata poco tempo nelle grazie della signora O’Brien. Adesso avrebbe ricominciato a tormentarla per tenere i bambini, ne era sicura. «Sono delusa da tutti e tre.» disse accennando a Lydia, Lance e il marito. Lydia si chiese come mai Caitlin fosse stata risparmiata dalla sua furia. «E se provate ancora una volta a...»
Furono letteralmente salvati dai bambini che si stavano precipitando giù dalle scale, attirando per questo le attenzioni e i rimproveri della signora O’Brien. «No, Simon! Scendi dal corrimano!» urlò correndo verso la ciurma di bambini e dimenticandosi completamente di Lydia, Lance e Caitlin.
Katherine superò i bimbi e si avvicinò ai tre ragazzi. «Ho sentito le urla e ho portato i rinforzi.» ammise.
Lance la guardò ammirato «Ma tu come fai a stare con Duncan?»
Katherine rispose con una risata.
Il loro sollievo però durò poco, perché se la presenza dei bambini li aveva salvati dalla furia della signora O’Brien, ora dovevano fare i conti con i bambini stessi, che iniziarono a saltellare attorno a loro, cercando di spiare nella borsa rotta di Lydia. «Cosa avete preso?» stava chiedendo qualcuno.
«Ci sono le altalene?»
«E i palloncini?»
«E la giostra dei cavalli?»
Uno di loro tirò un lembo pendente della borsetta per riuscire a vederne il contenuto, strappando però del tutto il tessuto e causando la caduta di uno scatolone comicamente grande rispetto alla borsa stessa. Lydia si affrettò ad afferrare il lembo e stringerlo prima che ne cadessero altri e passò la borsetta a Lance, scaricando l’incombenza di impedire che gli scatoloni fuoriuscissero travolgendo i bambini. Il ragazzo afferrò la borsetta e la strinse in un abbraccio per bloccare la forza di gravità.
«Smammate.» ringhiò Lydia cercando di scacciare i bambini con le mani. Loro non recepirono il messaggio e continuarono a saltellarle intorno tutti emozionati. Solo un bimbo si teneva lontano, cercando allo stesso tempo di stare più vicino possibile alla signora O’Brien. Nonostante si trovasse lì ormai da qualche tempo, Daniel continuava a non riuscire ad accettare completamente la situazione e spesso preferiva la compagnia degli adulti rispetto a quella dei suoi coetanei.
Lydia spostò il braccio di Lance a forza, riaprendo uno spiraglio della borsetta e infilando una mano per recuperare l’ultimo oggetto che vi aveva messo. I bambini andarono completamente fuori di testa nel vedere il suo braccio scomparire e appena Lydia si allontanò avendo trovato quello che cercava, presero di nuovo d’assalto Lance per provare l’ebrezza di farsi scomparire anche loro un arto. Lydia ignorò le lamentele di Lance e si avvicinò a Daniel, inginocchiandosi davanti a lui.
«Ciao.» disse semplicemente il bambino, stupito dall’improvviso interesse di Lydia e torcendosi le mani. Fece un passetto verso la signora O’Brien, che di solito usava come scudo in qualsiasi rara interazione con gli altri.
«Ho qualcosa per te.»
Daniel bloccò immediatamente la sua fuga appena vide l’oggetto che Lydia gli stava porgendo.
«E' per me?» gli occhi di Daniel luccicavano, ma questa volta Lydia era certa che fossero lacrime di gioia.
«Ti avevo fatto una promessa.» sorrise lei.
Daniel fissò incantato la macchinina rossa fiammeggiante, ancora incredulo. Non era come la sua macchinina preferita, ma era comunque un giocattolo bellissimo, ed era solo suo. Lydia l’aveva intravista nella vetrina del negozio e le era tornata in mente la promessa che aveva fatto a Daniel durante la loro rocambolesca fuga.
«Grazie!» urlò Daniel abbracciando di slancio Lydia.
Appena sentì il bambino stringersi a lei, Lydia si irrigidì. presa completamente alla sprovvista da quell’improvvisa manifestazione d’affetto, ma il bambino non capì e si allontanò in fretta per andare a provare la sua nuova macchinina. Henry fu il primo ad avvicinarsi a Daniel, il quale per la prima volta non scappò a cercare la signora O’Brien ma gli mostrò orgoglioso il suo nuovo giocattolo ed iniziarono insieme a toglierlo dall’involucro di plastica. In pochi secondi furono circondati da tutti gli altri bambini.
«E’ ora di cena.» Katherine li spinse verso la sala da pranzo.
«Tutto bene?» Lance si era avvicinato a Lydia, ancora inginocchiata, immobile, persa nei suoi pensieri.
«Tutto bene.» rispose Lydia, e per una volta non mentì.
 
 
La cena fu disastrosa in quanto, nonostante i tentativi di Katherine di stemprare la situazione, la signora O’Brien si limitò a riprendere a riversare la sua ira sui tre ragazzi, incredula che fossero stati così incoscienti da passare un pomeriggio in giro tranquilli senza preoccuparsi né dei Mangiamorte né di loro che li aspettavano a casa preoccupati. Lydia iniziò a sentirsi davvero in colpa e fu l'unica ad ascoltare fino in fondo la ramanzina della signora O’Brien. Lance e Caitlin, invece, abituati ai rimproveri della madre, si erano distratti subito, fingendo solamente di ascoltare ed intenti in realtà a contendersi l’ultima fetta di pane, infine ingenuamente afferrata da Katherine.
Ma alla fine della cena, la signora O'Brien non desisteva e, quello che era iniziato come un rimprovero per essere stati fuori senza avvisare del ritardo, si era trasformato in un lamentarsi di tutto quello che i figli le avevano fatto passare da quando avevano cinque anni. A quel punto Lydia fu ben lieta di avere avuto la pazienza di ascoltare tutto il monologo della signora O’Brien, venendo ora premiata dal racconto di alcune perle con cui avrebbe potuto ricattare Lance per l’eternità.
«E sai cosa hanno fatto quei due?» domandò la signora O’Brien in modo retorico a Lydia «Hanno rubato la nuova bacchetta di Duncan e sono andati in giro per il paese a colorare tutti i gatti che trovavano.»
Il resto del tavolo era distratto. Il signor O’Brien stava cercando di far finire ai bambini le verdure scatenando le loro sonore proteste, Lance e Caitlin stavano ancora bisticciando per la fetta di pane rubata, mentre Katherine e Duncan, seduti di fronte a Lydia e Lance, stavano parlottando tra loro. Qualcosa sul non essere mai il momento giusto.
«Non so neppure come abbiano fatto! Di sicuro era un'idea di Caitlin e ovviamente Lance si è lasciato convincere che sarebbe stata una fantastica avventura!»
«Dovremmo dire una cosa.» Katherine cercò di attirare l’attenzione della tavola, senza successo. Lydia la zittì, presa dal racconto della signora O’Brien.
«Appena ce ne siamo accorti, Dorian è uscito a cercarli, non è stato difficile trovarli, ha solo dovuto seguire la scia di gatti color arcobaleno e trasformarli di nuovo nel loro colore naturale prima che qualche babbano li vedesse! Ci stavamo nascondendo e non volevamo essere raggiunti dalle squadre del Ministero, ma i miei figli non hanno mai capito cosa significa essere discreti.»
«Scusate...» tentò di nuovo Katherine.
«Sono riuscita per un soffio a distrarre la signora Jacobson prima che si rendesse conto che il suo prezioso gatto, vincitore per tre anni consecutivi del premio ‘il gatto dell’anno’ del paese, era diventato verde! Sai che cosa avrebbe fatto se lo avesse scoperto?»
Lydia annuiva, la storia si stava facendo sempre più interessante.
«Signora O’Brien?» la chiamò Katherine. La donna le fece cenno di aspettare.
«E loro cosa hanno fatto il giorno dopo? Hanno rubato la bacchetta di Dorian! E hanno ricolorato i muri della nostra casa rendendola fluo, ti giuro che illuminava tutto il quartiere! Avevano appena imparato i colori all’asilo ed erano un po’ troppo entusiasti sull’argomento. Quello sì che è stato un problema. Noi eravamo in casa e quindi non ci eravamo neanche accorti fino a quando quella sera due poliziotti babbani hanno bussato alla nostra porta con un ordine di ripittura immediata dell’immobile e multa per i danni conseguiti. A causa della nostra vernice, alcune macchine avevano rischiato di scontrarsi perché gli autisti erano rimasti accecati dalla nostra casa. Non sai che vergogna e che…»
«Mamma!» urlò infine Duncan per richiamare l'attenzione della madre. Lydia si voltò a guardarlo infastidita. Doveva proprio interrompere il discorso sul più bello?
«Ma che modi sono?» chiese la signora O’Brien, offesa. Lydia si rese conto che tutta la tavolata, bambini compresi, aveva smesso di parlare come Katherine aveva chiesto, tranne loro. «Sono sicura di averti insegnato le buone maniera, ragazzino. E non puoi trattarmi in questo modo, sono pur sempre tua...»
«Ci sposiamo!» esclamò Katherine esasperata. Lydia spalancò gli occhi presa totalmente alla sprovvista. «E’ da quando siamo tornati dal rifugio che volevamo dirvelo ma non abbiamo mai avuto occasione.» Katherine strinse la mano di Duncan, guardandolo teneramente negli occhi «Ci sposiamo e non potevamo tenerlo segreto un momento di più.»
 «Sei sicura?» le chiesero all'unisono Lydia e Lance «Sei ancora in tempo per ripensarci.» continuò Lance.
«Sì, ne sono sicura.» rise Katherine. Caitlin urlò di gioia e corse ad abbracciare il fratello, seguita a ruota dalla signora O’Brien, con già le lacrime agli occhi. Andò dal figlio e lo stritolò in un abbraccio che Lydia non avrebbe pensato possibile per una donna così minuta. Il signor O’Brien si unì ai festeggiamenti mentre la moglie iniziava a singhiozzare emozionata, aggiungendo Katherine nel suo abbraccio spezza costole. Alla fine anche Lance superò il suo stupore e si alzò da tavola per andare a congratularsi con i futuri sposi. I bambini urlavano e saltavano, anche se forse non tutti avevano capito cosa stesse succedendo.
E Lydia non fece altro che alzarsi in piedi e fissare la scena imbarazzata.
Si sentiva un'intrusa nel vedere la famiglia O’Brien festeggiare. Una fitta di nostalgia le strinse lo stomaco, pensando ai suoi genitori e alla nonna, che in quel momento si trovavano dall'altra parte del Paese.
«Congratulazioni.» disse alla coppia, mentre sulla tavola comparivano torte, pasticcini, una bottiglia di Champagne e delle bibite babbane per i più piccoli. Lydia si guardò attorno alla ricerca di un posto dove andare per sentirsi meno in imbarazzo. Alla fine optò per avvicinarsi ad Henry, anche se l’effetto non fu quello sperato. Il bambino per una volta stava ascoltando rapito un discorso di Daniel e così Lydia si trovò senza il conforto delle sue chiacchere infinite e a sorseggiare il bicchiere di champagne, chiedendosi dopo quanto tempo avrebbe potuto defilarsi in camera sua senza mancare di rispetto a nessuno.
Fino a quando Lance si lasciò cadere sulla sedia accanto alla sua.
Lydia gli lanciò un’occhiata carica di dubbio e lui scrollò le spalle, allungandosi sul tavolo per recuperare un bicchiere di bollicine. «Non sembri tanto felice.» constatò Lydia mentre Lance beveva in un solo sorso tutto il contenuto del suo bicchiere.
«Io e mio fratello non abbiamo il rapporto migliore del mondo, diciamo che ci sopportiamo a stento. Caratteri troppo diversi.» si giustificò Lance, prendendo un nuovo bicchiere pieno. Lydia ricordava che durante gli anni passati insieme ad Hogwarts, Lance parlava a stento al fratello, non si avvicinava quasi mai a lui, o, in generale, al tavolo dei Serpeverde, e lei ne era sempre stata sollevata perché le poche interazioni che aveva avuto con Duncan erano state tutte spiacevoli e piene di saccenza. Ma in fondo Lydia non sapeva molto della famiglia di Lance considerando che aveva scoperto dell’esistenza di una sorella gemella solo quando se l’era ritrovata davanti.
«Come mai non vi sopportate?» Era una domanda che voleva porgli da anni e quella sembrava l’occasione giusta.
«Come ti sei procurata quella cicatrice?»
Lance bevve l’ultimo sorso di champagne mentre Lydia impallidiva, presa alla sprovvista dal repentino cambio di argomento. Sapeva che Lance se lo chiedeva da quando si era rincontrati ma di sicuro non si sarebbe aspettata la domanda a bruciapelo durante gli improvvisati festeggiamenti per Duncan e Katherine. Lance si accorse che le sue parole avevano dato l’effetto sperato e sorrise per rassicurarla «Abbiamo tutti qualcosa di cui non vogliamo parlare. Questo è il mio segreto, la cicatrice è il tuo.»
Lydia annuì, mentre il suo volto tornava lentamente al suo colore naturale. Le parole successive furono probabilmente frutto dello champagne bevuto più che della razionalità. «Potremmo fare un patto... Quando ci sentiremo pronti tu mi dirai il tuo segreto e io ti dirò il mio.» Appena pronunciò quelle parole si rese conto che effettivamente il pensiero che Lance scoprisse il mistero della sua cicatrice non le faceva così tanto ribrezzo. Strano per una che non lo aveva raccontato a nessuno tranne ad Alice, e anche in quel caso, perché praticamente costretta dai suoi genitori.
«Va bene.» concesse Lance, alzò il bicchiere vuoto «Festeggiamo questo patto con un brindisi. Anche se non si può brindare con un bicchiere vuoto, aspetta.» e con un colpo di bacchetta ne attirò un altro pieno nelle sue mani. «Ai nostri segreti!» esclamò infine alzando il bicchiere. Lydia alzò anche il suo e sancirono la promessa bevendone il contenuto.
 





Curiosità: Eccoci arrivati all’ottavo capitolo, un capitolo che, come avrete capito, ha la funzionalità di intermezzo. Mi serviva un momento di tranquillità che mostrasse Lydia iniziare ad essere immersa nella quotidianità di casa O’Brien, oltre che a concludere alcune sotto trame iniziate (vedi la promessa di Daniel), prima di immergervi nei prossimi quattro capitoli, che saranno tutti connessi tra loro e facenti parte della stessa sotto trama, oltre che a portare alla conclusione della prima parte della storia!
Non vedo l’ora che possiate leggerli, soprattutto perché saranno legati ad una parte importante della trama di ‘Harry Potter e i doni della morte’!

Note: Grazie di cuore a tutti voi che state seguendo la mia storia!
Lasciatemi fare un ringraziamento in particolare a starlight1205 e PrimPrime per il loro costante supporto! A tal proposito, anche loro hanno scritto storie ambientate nel mondo di Harry Potter, invito tutti voi ad andare a leggerle <3

Grazie ancora a tutti voi,
Un abbraccio!
Emma Speranza


 
 
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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Il ritorno degli eroi ***


Capitolo 9
Il ritorno degli eroi
 

La vita a casa O’Brien procedette in maniera relativamente tranquilla considerando la convivenza forzata tra la famiglia e i bambini sempre più numerosi. Gli stessi bambini che diventavano più scalmanati e ingestibili man mano che superavano di numero gli adulti della casa. Passavano infatti la maggior parte delle giornate ad escogitare marachelle e scherzi, oltre che a tentare di far prendere un colpo alla signora O’Brien e Katherine (e talvolta a Lance). Con Lydia non avevano lo stesso effetto, anzi, quando una mattina, mentre stava facendo le sue pulizie di routine, aveva trovato un bambino appeso al corrimano che tentava di scendere le scale come una scimmia, Lydia si era limitata ad agitare la bacchetta e con un incantesimo non verbale lo aveva sollevato e riposato con leggerezza sul pavimento, alzando a stento gli occhi dal suo lavoro. Il bambino l’aveva ringraziata con un «Uh-uh!» grattandosi la testa, ancora immedesimato nella scimmia, prima di saltellare di nuovo di sopra.
Il passatempo preferito da tutti i piccoli rimaneva però quello di distruggere il vecchio vaso della nonna di Lance e chiedere a qualunque mago talmente sventurato da passare di lì in quel momento, di sistemarlo per loro. L’avevano già rotto così tante volte che ormai quando i maghi e le streghe di casa sentivano il rumore dei cocci infranti, si dileguavano, ricomparendo dopo ore pur di non doverlo riparare di nuovo. Un giorno Lydia era rimasta nella sua camera per quattro ore pur di non essere presa di mira, ma quando era scesa per cercare uno spuntino, era stata placcata da Simon, che si era aggrappato alla sua gamba cercando di spingerla verso i resti del povero vaso. Lydia aveva così scoperto che i bambini avevano organizzato dei turni di guardia in attesa che uno sfortunato passasse dal pianerottolo. Il giorno dopo aveva usato un incantesimo di Disillusione per camminare indisturbata, passando sotto al naso di Daniel senza che lui si accorgesse di nulla.
Alla fine, presi dalla disperazione, Lydia e Lance si offrirono volontari per montare i giochi acquistati. Tutto pur di far uscire i bambini di casa per più ore possibili. Cercarono di coinvolgere Caitlin nel progetto considerando che anche lei li aveva accompagnati durante gli acquisti, ma la ragazza si dileguò all’istante lamentandosi di un improvviso e fastidiosissimo mal di testa che le avrebbe impedito di lavorare sotto il sole.
«Non saremo sotto il sole!» urlò Lydia mentre Caitlin saliva di corsa le scale per tornare in camera. «Li costruiamo sotto il tendone! E se ne è andata…» sbuffò «Fa niente, siamo comunque in due, li monteremo in un battibaleno.»
«Ci sono anche io!» Lydia e Lance sobbalzarono e si voltarono di scatto per vedere chi li aveva spaventati comparendo improvvisamente alle loro spalle. Non c’era nessuno. Abbassarono lentamente lo sguardo e trovarono Henry, un sorriso gigante che mostrava chiaramente i due denti davanti che stavano sbucando dalla gengiva. Saltellava sul posto, esaltato all’idea di poterli aiutare a costruire.
Lance posò una mano sulla testa di Henry per farlo smettere di saltare. «No.» sentenziò.
Il sorriso di Henry si spense all’istante. «Ma io voglio aiutarvi. Aiuto sempre la mia mamma a fare i lavoretti. So usare il martello!» Lydia immaginò Henry con in mano un martello e si affrettò a negare anche lei il permesso, per evitare di rimanere senza qualche arto entro la fine dei lavori.
«E allora io non gioco con voi.» E anche Henry si allontanò di corsa su per le scale.
Lydia cercò di ignorare il minuscolo senso di colpa che avvertì nel suo cuore. «Forza! Prima iniziamo prima i bambini saranno fuori casa! Quanto vuoi che ci impiegheremo a montare alcuni giochi?»
 
Un’ora dopo Lydia stava rasentando la disperazione.
«Ci rinuncio!» sentenziò. Lasciò cadere a terra i pezzi di plastica che aveva cercato di unire fino a quel momento.
«Abbiamo iniziato solo un’ora fa e già rinunci?» Lance, al contrario, sembrava deciso a completare il proprio lavoro, anche se gli effetti non erano molto diversi.
«Siamo maghi!» esclamò lei spazientita «Non siamo capaci di fare queste cose babbane.» guardò con disprezzo i pezzi di plastica e le viti che la circondavano.
Lance iniziò a stringere una vite, o almeno tentò visto che stava ruotando il cacciavite dalla parte sbagliata, ma Lydia decise di non farglielo notare. «Certo, siamo maghi, ma abbiamo vissuto entrambi undici anni come babbani, circondati da babbani a fare cose babbane.»
Se avesse ripetuto un’altra volta ‘babbani’ Lydia lo avrebbe colpito con il martello che si trovava lì vicino sul tappeto di gomma, nella confusione che regnava attorno a loro. Almeno sarebbe tornato utile visto che fino a quel momento avevano utilizzato solamente due cacciaviti.
Si trovavano nel tendone che Duncan e il signor O’Brien avevano innalzato qualche giorno prima. Il soffitto era aperto e lasciava entrare il sole mattutino, e infatti, all’inizio dei loro lavori, Caitlin aveva spalancato la finestra della sua camera per urlare. «Visto? Siete sotto il sole! Povera la mia testa.» per poi chiudere violentemente la tapparella, anche se Lydia era convinta che li stesse tuttora spiando.
«Dai, non vorrai far vedere a mio fratello che un Grifondoro si tira indietro alla minima difficoltà.» Lance sapeva perfettamente come motivare Lydia.
«Questa non è una difficoltà, è proprio una missione impossibile! Sarebbe più facile sfidare un basilisco ad una sfida a chi tiene lo sguardo più a lungo.»
Lance si grattò il mento con la punta del cacciavite. «Effettivamente sarebbe una sfida interessante. Ipotizza che indossi gli occhiali, allora verresti pietrificato e potresti mantenere lo sguardo all’infinito e…»
Lydia schioccò le dita davanti al volto di Lance. «Concentrati, Lance.»
E così tentarono di nuovo, decidendo di abbandonare lo scivolo e lasciarlo distrutto per potersi dedicare all’altalena, che dalle istruzioni sembrava un progetto più semplice. O meglio, il libretto delle istruzioni aveva molte meno pagine. Invece quando arrivò l’ora di pranzo erano ancora al punto di partenza, ma con molti più oggetti a ricoprire il pavimento del tendone tanto da non riuscire più a vederlo.
«Venite a mangiare?» li chiamò gentilmente la signora O’Brien dall’ingresso di casa.
«No!» urlarono entrambi, e la signora O’Brien decise che per quella volta era meglio non insistere e si limitò a portare due panini imbottiti e delle bottigliette d’acqua fresca, utili per combattere l’ora più calda del giorno.
 
«Il pezzo A deve essere unito al pezzo B.» Lydia indicò il libretto delle istruzioni, che recitava, in modo molto più complesso e con mille giri di parole, la stessa identica cosa.
«Ma come facciamo a capire quale è il pezzo A e quale il pezzo B?» Lance stava esaminando le sbarre di ferro, sperando che le lettere fossero marchiate lì, o che un segnale divino gli indicasse la differenza.
«Perché non fanno dei disegni?» L’istinto di Lydia le urlava di distruggere quei fogli, incenerirli, andare a dormire e dimenticare quella giornata infernale. Era illegale trascorrere un giorno intero alle prese con dei dannati giochi e ritrovarsi al punto di partenza. L’unica cosa che le impediva di arrendersi era il suo spirito da Grifondoro, o meglio la rivalità contro i Serpeverde, in quel caso rappresentati da Duncan, che a metà pomeriggio era passato a vedere a che punto fossero e se ne era andato ridendo senza ritegno. Lance aveva dovuto gettarsi addosso a Lydia per impedirle di lanciargli un cacciavite appuntito. Non che questo avesse migliorato la situazione: Lance si era ritrovato praticamente sdraiato sopra Lydia proprio nel momento in cui Caitlin era passata accanto al tendone, il suo finto mal di testa completamente dimenticato, e anche lei si era allontanata ridendo come una pazza.
«Quello è il pezzo A.» disse una vocina alle loro spalle. Henry indicava una sbarra che si trovava a qualche metro di distanza da loro.
«E tu come fai a saperlo?» chiese sospettosa Lydia.
Il bambino alzò le spalle, senza rispondere.
Lance si slanciò verso la sbarra indicata, spargendo nel frattempo sul pavimento un contenitore pieno di viti. «E sai quale è il pezzo B?»
Henry indicò una sbarra a diversi metri da loro.
«Henry, come fai a saperlo?» ripeté invece Lydia con un tono fin troppo calmo.
«Che cosa importa! Basta che ci aiuti ad uscire da questo incubo!» sospirò Lance alzandosi per recuperare la sbarra. Barcollò, le gambe mezze addormentate dopo essere rimasto seduto per tante ore di seguito. Vedendo i movimenti sconnessi del ragazzo, Lydia si alzò e si massaggiò leggermente le gambe, per far riprendere la circolazione, prevedendo quello che sarebbe accaduto entro poco.
Continuò a fissare Henry. Sapeva che il bambino avrebbe ceduto molto presto, infatti bastò una semplice occhiata per farlo confessare.
«Quando stamattina non mi avete voluto con voi ho preso tutti i libretti delle istruzioni, ho tolto le prime pagine con le immagini e li ho scambiati tutti!» disse spaventato «E’ colpa vostra! Dovevate lasciarmi stare qui con voi!»
Lance si bloccò sui suoi passi per fissare Henry con uno sguardo tra l’ammirato e lo scioccato. «Quel bambino è un genio del male.» commentò e scambiò un cenno di intesa con Lydia.
«Henry.» Lydia incrociò le braccia sul petto e sorrise. Per un attimo Henry si sentì al sicuro, lo avevano perdonato! E invece: «Ti consiglio di iniziare a correre.» e il bambino non se lo fece ripetere. Corse verso il giardino, inseguito dai due ragazzi.
Fecero due volte il giro della casa, fino a quando Henry decise che il posto più sicuro sarebbe stato a fianco della signora O’Brien. Aprì di scatto la porta d’ingresso, andando a colpire Duncan sul volto (e, grazie a questo, Lydia decise che forse poteva perdonarlo) e si diresse verso la cucina.
«Ma quanto corre veloce quel bambino?» chiese senza fiato Lance «E dire che noi siamo anche scappati da uno stupido Mangiamorte, dovremmo essere in forma!»
«Che cosa avete fatto voi?» Lydia e Lance si bloccarono sul posto, impietriti. Il signor O’Brien li fissava con uno sguardo torvo dalle scale.
«Niente!» esclamò subito Lydia «E’ una storia che abbiamo inventato per impressionare Henry.» sorrise.
«Ma non mi avete mai detto...» Henry, appena comparso dalla porta della cucina si rimangiò subito le sue parole, troppo spaventato dall'occhiataccia di Lydia.
«Ora dobbiamo andare a finire il nostro lavoro.» Lance cercava di sembrare innocente ma non era molto convincente.
«Dobbiamo proprio andare.» gli diede corda Lydia, indietreggiando. Afferrò il braccio del ragazzo e si dileguarono con la stessa velocità con la quale erano arrivati.
 
Solamente alle tre di notte riuscirono a portare a termine il duro lavoro.
«Come ti sembra?» chiese assonnata Lydia, osservando i risultati da una delle finestre della casetta appena costruita. Ma nessuno rispose. «Lance?» Il ragazzo si era addormentato. Sdraiato occupava praticamente metà della costruzione, la parte davanti alla porticina. Per poter arrivare al suo letto, Lydia avrebbe dovuto scavalcarlo, camminare fino all'ingresso, salire le scale che nella sua mente sembravano infinite, e attraversare un intero corridoio. Troppa strada. E così si sdraiò nel poco spazio rimasto e non appena appoggiò la testa al pavimento di gomma si addormentò, nonostante la posizione scomoda e il leggero russare di Lance.
E sarebbe andato tutto bene se la mattina dopo non fossero stati scoperti a dormire nella casetta proprio da Caitlin e da un’orda intera di bambini. Scoprirono solo in seguito che Caitlin li aveva spiati per tutto il tempo proprio come sospettato da Lydia, e quando si era accorta che nessuno dei due si trovava nella propria camera, aveva preso l’iniziativa di portare i bambini a vedere i loro nuovi giochi. La signora O’Brien era rimasta profondamente commossa dall’altruismo di Caitlin, senza sospettare minimamente le sue vere intenzioni. E così Lance e Lydia si erano svegliati quando i bambini erano corsi nella casetta calpestandoli senza pietà, e si erano dovuti sorbire per tutto il giorno le domande curiose dei bimbi sul perché avevano dormito all’aria aperta e se potevano farlo anche loro, oltre che alle frecciatine e i sorrisetti di Caitlin, la quale non aveva perso tempo per raccontare l’intera vicenda a Duncan, facendo in modo che anche lui iniziasse a dare loro il tormento, nonostante i tentativi di bloccarlo da parte di Katherine.
Continuarono in quel modo per l’intera giornata, fino a quando, durante la cena, il signor O’Brien entrò nella sala da pranzo vestito con il mantello da viaggio e un sorriso soddisfatto sul volto. «Ci siamo messi in contatto con l’Ordine della Fenice!» A quelle parole il cucchiaio scivolò dalla mano di Lydia ricadendo nella zuppa e schizzando i suoi vicini.
«Quell’Ordine della Fenice?» chiese senza fiato.
«Quando sei uscito?» domandò invece Caitlin, contrariata. In effetti non lo avevano visto per qualche ora, ma avevano dato tutti per scontato che si trovasse nel suo ufficio a studiare la mappa, come faceva spesso negli ultimi giorni. «Ecco, avevi detto che eri bloccato in casa anche tu visto che sei il nostro Angelo Custode o come si dice e invece esci sempre quando vuoi! Perché solo io non posso uscire? Sono maggiorenne, ho tutto il diritto di andare fuori casa quando voglio come fate tutti voi e…»
«Caitlin. Ora la smetti, oppure vai in camera tua senza cena.» disse semplicemente la signora O’Brien, zittendo in un colpo solo la figlia, la quale però incrociò le braccia al petto offesa e squadrò l’intera tavolata.
Il signor O’Brien proseguì come se nulla fosse successo. «Proprio quello.» si sedette al suo posto e si riempì il piatto di zuppa, incurante degli sguardi sbalorditi che i suoi commensali gli stavano lanciando (tranne Caitlin, chiusa ora in un mutismo totale).
«Non ci posso credere!» Lydia si alzò in piedi e si diresse velocemente verso di lui, sedendosi sulla sedia accanto, la quale era già occupata da Lance, che fu costretto ad aggrapparsi al tavolo per non cadere a causa della spinta della ragazza.
Il primo libro magico che Lydia aveva mai letto riguardava storia contemporanea. Lo aveva comprato suo padre perché voleva informarsi riguardo all’attualità del mondo dei maghi e così si era ritrovata anche lei a leggere le cronache riguardo alla prima guerra contro Colui Che Non Doveva Essere Nominato. Nel libro veniva nominato un gruppo di resistenti: un certo Ordine della Fenice. La ragazzina di undici anni che si apprestava ad entrare nel mondo magico era rimasta affascinata da quel gruppo misterioso che lottava contro il male, una reazione completamente opposta a quella del padre, il quale si era preoccupato all’idea che nel mondo magico fosse appena terminata una guerra ingiusta e sanguinaria. In ogni caso, per Lydia, sapere che quel fantomatico Ordine esisteva davvero e che il signor O’Brien era riuscito addirittura a mettersi in contatto con loro, aveva riacceso la sua curiosità e l’ammirazione che provava. «Come sono?» chiese ignorando i tentativi di Lance di riconquistare la sedia.
«Alcuni li conosci.» rispose il signor O’Brien. A questo punto anche Lance gli prestò la sua completa attenzione, accontentandosi di poter rimaner seduto su un angolo minuscolo della sedia.
«Chi?»
Il signor O’Brien abbassò la voce e parlò solamente a Lydia e Lance, non che gli altri fossero molto interessati: Caitlin continuava ad essere offesa per il fatto che suo padre fosse uscito di casa, i bambini avevano ricominciato a giocare con il cibo, non molto entusiasti della cena a base di zuppa, e la signora O’Brien era intenta a rimproverare i bambini mentre tentava allo stesso tempo di far ragionare la figlia. Duncan e Katherine invece parlavano tra loro, da come avevano reagito si capiva che quella storia non li era del tutto nuova e probabilmente avrebbero chiesto aggiornamenti in un momento successivo, in un posto meno rumoroso.
«La professoressa McGranitt.»
L’intransigente professoressa di Trasfigurazione faceva parte di un gruppo che lottava contro Colui Che Non Doveva Essere Nominato?
«E’ fantastico!» esclamò Lydia.
Aveva da sempre un misto di ammirazione e terrore nei confronti della professoressa McGranitt e, pensandoci bene, non la stupiva il fatto che fosse in prima linea nella battaglia.
«Ovviamente nessuno deve saperlo, è un’informazione strettamente confidenziale che condivido solo perché mi fido di voi e della vostra discrezione. Non fatemi pentire.» Lydia annuì energicamente, qualsiasi cosa pur di continuare il discorso. Il signor O’Brien si tranquillizzò ed iniziò a mangiare la sua zuppa tiepida. «La professoressa McGranitt tornerà ad Hogwarts ad insegnare ed è meglio che nessuno sappia della sua appartenenza all’Ordine o sarebbe immediatamente scacciata dalla scuola, se non peggio.»
«E all’Ordine fa comodo avere occhi e orecchie anche nella scuola...» concluse Lance.
«E anche a noi! E’ proprio lei ad averci procurato i nomi dei Nati Babbani che dovrebbero iniziare a frequentare Hogwarts quest’anno!» Si vedeva che il signor O’Brien era orgoglioso del suo lavoro. Non solo aveva contattato un’organizzazione nascosta al mondo, ma con questo contatto sarebbe riuscito anche a salvare dei ragazzini. «Settimana prossima saranno loro a dover affrontare il Censimento, proprio pochi giorni prima dell’inizio dell’anno scolastico. Abbiamo scoperto che sono stati divisi in due turni, uno giovedì e uno venerdì ma agiremo lo stesso giorno per tutti i ragazzi. Abbiamo concordato di andare a prenderli questo sabato, per concederci un lasso di tempo in caso le cose non vadano secondo i piani. Sarà una missione delicata e dovremo organizzarci alla perfezione, tanto che non potremo farlo noi da soli ma avremo bisogno di collaborare con i ragazzi delle altre Case Sicure, e l’Ordine stesso ci aiuterà fornendoci gli indirizzi dei ragazzi e rinforzi in caso di necessità. Oltre che una nuova scorta di Pozione Polisucco.»
«Anche la nostra è quasi pronta.» si affrettò ad aggiungere Lance.
«Lo so, ma è una Pozione delicata da preparare e hai visto con quanta velocità la consumiamo.»
Lydia invece era rimasta letteralmente a bocca aperta: avrebbe collaborato con l’Ordine!
«Lydia, chiudi la bocca...» sospirò Lance, che non capiva l’entusiasmo dell’amica e vedeva il salvataggio di sabato non molto differente da tutte le altre missioni.
«Dove ci incontreremo?»
«In uno dei nostri rifugi. Sono i più sicuri in cui stabilire la nostra base operativa.»
«E Harry Potter è con loro?» chiese Lydia, piena di speranza. Se Harry Potter faceva parte dell’Ordine della Fenice, loro avrebbero potuto avere notizie riguardo al ragazzo che sembrava essere destinato a salvare il mondo magico e ai suoi progetti per concludere quell’insensata guerra. Anzi, avrebbero potuto persino collaborare con lui ed aiutarlo in quella missione che sembrava impossibile.
Il sorriso del signor O’Brien si incrinò e così tutte le fugaci speranze di Lydia. «No, è stato costretto alla fuga il giorno della Caduta del Ministero.»
«Vuol dire che è scappato?» Questo Lydia non se lo aspettava. Pensava che Harry Potter avrebbe combattuto in prima linea contro il nemico, non che fosse scomparso nel nulla il giorno stesso in cui Colui Che Non Doveva Essere Nominato aveva conquistato definitivamente il potere. In fondo durante gli anni che avevano condiviso ad Hogwarts non era mai scappato di fronte al pericolo: aveva ingannato un drago, scacciato centinaia di dissennatori al termine del suo terzo anno con un incantesimo che si imparava solamente al settimo e ucciso un Basilisco a soli dodici anni! E queste erano solo poche delle voci o dei fatti riguardanti le sue imprese. Per un attimo ripensò alle calunnie e alle critiche che avevano accompagnato Harry Potter durante quegli stessi anni, riguardo al fatto che in realtà non avesse compiuto nessuna di queste imprese, godendo invece della popolarità che aveva acquisito sopravvivendo all’Anatema che Uccide. Lydia aveva sempre negato quelle voci, andando a volte contro Alice e Paul per questo. E se invece avessero avuto ragione? Scosse la testa per rimettere in ordine i pensieri.
«Lo sapevo.» Duncan si intromise nella conversazione dando inconsapevolmente voce ai dubbi di Lydia «E’ solo un ragazzino spaventato! Altro che ‘Prescelto’.»
Pur di non essere d’accordo con Duncan, Lydia tornò immediatamente dalla parte di Harry. «Sei solo invidioso.»
Duncan scoppiò in una risata di scherno che attirò l’attenzione del resto dei commensali «Perché mai dovrei essere invidioso di Potter? Ma non puoi negare che il tuo eroe è scomparso quando il mondo magico ha avuto e ha tuttora davvero bisogno di lui. Tutte le bugie raccontate negli anni stanno finalmente venendo a galla.» Dopo questa frase, Duncan si beccò una gomitata leggera da parte di Katherine, che però non sortì alcun effetto. «Colpa nostra, che ci siamo bevuti ogni singola fesseria. A forza di credere che lui sia il salvatore, tutti i maghi hanno perso la volontà di lottare. E’ comodo vivere con la convinzione che qualcun altro risolverà tutti i nostri problemi.»
«Duncan, smettila.» lo rimproverò Katherine.
«Sto solo dicendo che dovremmo prendere in mano la situazione e lottare tutti in prima persona contro Voi-Sapete-Chi, senza aspettare che un tizio a caso venga a salvarci.»
Su questo Lydia concordava, ma un vecchio orgoglio la portò a ribattere. «Harry Potter è sopravvissuto due volte ad uno scontro con Tu-Sai-Chi!»
«Il fatto che sia sopravvissuto all’Anatema che Uccide è stato solo un caso, lo sai anche tu questo.» Duncan continuava a parlare con tranquillità, come se stesse spiegando dei concetti elementari ad una persona poco sveglia, comportamento che fece infuriare ancora di più Lydia.
«Ha ucciso un Basilisco!»
«Hai mai visto il cadavere?»
«Duncan, Lydia, ci sono i bambini!» provò a fermarli la signora O’Brien, anche lei senza riscuotere alcun successo.
Lydia continuò imperterrita «E la seconda volta che ha affrontato Tu-Sai-Chi? Ha duellato contro di lui, circondato dai Mangiamorte ed è riuscito a tornare ad Hogwarts.» Ormai la tavolata assisteva incantata alla scena, muovendo le teste all’unisono come se fosse un incontro di ping pong.
«Peccato che l'unico che potesse testimoniare la verità di quella scena sia morto.» Lydia percepì Lance irrigidirsi accanto a lei. «E se davvero la coppa Tremaghi era una Passaporta come dicono loro, perché Potter non l’ha ripresa subito appena si è accorto di essere uscito dai confini di Hogwarts? O avrebbe potuto farlo Diggory, anche se non era un ragazzo molto sveglio.»
L’allusione a Cedric Diggory fu la goccia che fece traboccare il vaso. Lance si alzò di scatto rischiando di far ribaltare Lydia dalla sedia e prendendo la bacchetta dalla tasca. La puntò alla testa di Duncan, gli occhi infuocati e la mano che stringeva convulsamente la sua arma. Lydia non lo aveva mai visto così infuriato. Faceva quasi paura.
«Lance!» esclamarono in coro i signori O’Brien. Caitlin dimenticò completamente di essere offesa ed iniziò a seguire la scena con un entusiasmo fuori luogo. I bambini invece non riuscivano a capire cosa stesse succedendo.
«Ripetilo, se ne hai il coraggio.» sibilò Lance.
«Ho detto solo la verità.» rispose Duncan.
«Non osare dire una parola su Cedric!»
Duncan ridacchiò. «Se no che fai? Mi trasformi in un ingrediente per le tue stupide pozioni?»
Dalla bacchetta di Lance sfuggirono alcune scintille azzurre che si avvicinarono pericolosamente al viso di Duncan, il quale reagì alzandosi di scatto e mirando la sua bacchetta contro Lance, estratta dalla tasca con un movimento talmente veloce da essere stato invisibile agli occhi degli altri. Vedendo Duncan minacciare Lance, Lydia agì d’istinto. Si alzò facendo cadere la sedia con un tonfo e puntò la sua bacchetta sulla fronte di Duncan.
«Duncan! Lydia! Non iniziate anche voi!» La signora O’Brien era talmente stupita da rimanere paralizzata sulla sua sedia.
Il marito invece si alzò in piedi e tentò di calmare le acque. «E’ meglio discuterne in modo civile, e in privato.»
Duncan ignorò i suoi genitori. «Abbassa quella bacchetta, scricciolo.»
«Prima ritira quello che hai detto su Cedric.»
Lydia sapeva perfettamente il motivo dell’improvviso scoppio d’ira di Lance: Cedric Diggory aveva solo un anno in meno rispetto a loro, era un Tassorosso e per questo motivo Lance lo conosceva molto bene e aveva stretto con lui un’amicizia durante gli anni di Hogwarts. Lydia ricordava bene il momento in cui si erano accorti che Harry Potter aveva riportato dal labirinto il cadavere di Cedric. Le urla di orrore risuonavano ancora nelle sue orecchie e Lance non era stato più lo stesso dopo quel giorno. Duncan non aveva nessun diritto di parlare in quel modo di Cedric.
«Mi hai sentito, ritira quello che hai detto su Cedric!» ripeté Lance, il braccio della bacchetta teso a tal punto da far risaltare i muscoli e le vene.
«Basta così!» Il signor O'Brien aveva perso il suo solito contegno e guardava Lydia e il figlio minore con rimprovero «Mettere via quelle bacchette, immediatamente!» e se Lydia fosse stata sola l’avrebbe fatto, ma Lance non sembrava avere intenzione di cedere e lei si sarebbe comportata di conseguenza nello stesso modo.
Il tavolo era stranamente silenzioso, anche i bambini, di solito entusiasti alla vista delle bacchette, erano ammutoliti e li fissavano sconcertati, alcuni con le lacrime agli occhi.
Vedendo che il fratello non aveva intenzione di rispondere, Lance continuò «Lydia ha ragione. Sei solo invidioso, perché tu non vali neanche la metà di Harry Potter e ti pesa il fatto che sia lui il Prescelto mentre tu sei una nullità in confronto. Vorresti avere il potere che ha lui, l’importanza che il mondo magico gli ha dato, ma ti do una notizia: tu non sei nessuno e al mondo non gliene frega nulla di quello che pensi.»
Duncan reagì velocemente, con un gesto fluido sferzò la bacchetta e lanciò contro di loro un incantesimo.
La reazione di Lydia fu guidata dall’istinto più che dal buon senso. Rimasta stupita che Duncan avesse davvero lanciato un incantesimo, fu presa alla sprovvista e reagì in modo irrazionale nonostante la bacchetta alzata. In quel millisecondo tra l’inizio dell’incantesimo e l’impatto contro di loro, pensò da babbana: si buttò a terra trascinando Lance con sé e, per errore, l’intera tovaglia a cui Lance si era aggrappato quando si era sentito spingere, iniziando una reazione a catena che li portò ad essere circondati da stoviglie rotte e pezzi di vetro. E a quel punto Lydia fece una cosa ancora più stupida. Nel tentativo di rialzarsi, spinse inavvertitamente la sedia vicina contro il tavolo, ma questa si inclinò all’indietro e cadde verso di lei, che per schivarla rotolò su se stessa finendo proprio sopra i pezzi scheggiati di un bicchiere. Un urlo di dolore le sfuggì dalle labbra quando sentì il vetro penetrare nella pelle e nel muscolo della spalla.
Un rumore di vetri che stridevano sul pavimento e Lance fu immediatamente al suo fianco «Lydia!» la afferrò ed aiutò a mettersi seduta, allontanando con la mano avvolta nella maglietta i cocci e la zuppa ormai fredda rovesciata attorno a loro. Lydia avrebbe voluto ringraziarlo ma al momento era concentrata sulle fitte di dolore che si irradiavano dai punti in cui si erano conficcati i frammenti di vetro più grossi.
Il signor O’Brien stava urlando contro Duncan, anche se Lydia non riusciva a comprenderne le parole a causa dei pianti di alcuni bambini, spaventati dall’incantesimo e dal rumore di stoviglie rotte. Inoltre, sentendo il liquido scendere copioso dal braccio, si rese conto che una pozza di sangue si stava allargando ai suoi piedi, mischiandosi alla zuppa rovesciata e creando una poltiglia sul pavimento che le diede il voltastomaco.
Lance le stava osservando preoccupato le ferite e Lydia si sentì in dovere di rassicurarlo, riuscendo a recuperare la voce «Guarda che ho sentito di peggio.» con la mano non ferita indicò la guancia attraversata dalla cicatrice. Era vero, il dolore che provava ora alla spalla e al braccio non erano nulla in confronto a quello che aveva sentito quel giorno infernale e le settimane successive.
«Ma quella volta non era colpa mia.» Lydia si accorse che Lance evitava il suo sguardo, per questo posò la mano destra sul volto del ragazzo, costringendolo a guardarla negli occhi.
«Non è colpa tua.» disse decisa e avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro per convincerlo, ma il signor O’Brien decise proprio in quell’istante di rivolgersi a loro, dopo aver strigliato Duncan.
«E sono profondamente deluso anche da voi! Siete stati degli…» ma non seppero mai cosa erano stati in quanto l’uomo, impegnato prima a deviare l’incantesimo di Duncan e poi a rimproverarlo, non si era reso conto fino a quel momento del sangue che gocciolava sul pavimento. «Caitlin, vai a prendere la borsa del primo soccorso.» disse invece.
Lydia riuscì a rimettersi in piedi barcollando e intravide la signora O’Brien che faceva uscire dalla stanza tutti i bambini, aiutata da Katherine. Lance continuava a sostenerla e Lydia gli fece notare con un sorriso che riusciva a camminare da sola. «Davvero, guarda che non mi fa neanche male!» Una bugia a fin di bene, o meglio, per non far andare Lance completamente nel panico.
Lydia si raddrizzò e, mascherando il dolore, raggiunse il divano del salotto, seguita a ruota da Lance e dal signor O’Brien. Caitlin era già seduta sul tavolino, intenta a rovistare in una borsa con il simbolo del pronto soccorso. Estrasse soddisfatta un paio di pinzette appuntite contenute in un sacchetto di plastica sigillato, una boccetta di disinfettante e alcune bende. Lydia sentì le ferite bruciare alla sola vista del disinfettante rosso. Quando lo odiava. Con uno sbuffo si lasciò cadere sul divano e allungò una mano per prendere le pinzette.
«Che fai?» le chiese Caitlin recuperando anche un paio di guanti di lattice.
«Mi tolgo i vetri.» rispose Lydia come se fosse la cosa più naturale del mondo. Si era già tolta delle schegge e dei piccoli pezzi di vetro da una mano una volta (una lunga storia che coinvolgeva una manticora molto arrabbiata). Certo, i frammenti che ora spuntavano dalla sua spalla erano di dimensioni maggiori, ma era sicura di potercela fare. Forse.
Caitlin alzò gli occhi al cielo e si infilò i guanti. «Non fare la stupida. Ci penso io.» Strappò l’involucro delle pinzette. Lance si sedette accanto a Lydia sul divano, stringendo tra le mani un asciugamano e indeciso se poteva usarlo per tamponare le ferite senza causare danni maggiori.
«Emh… no, davvero, posso farlo io.» replicò Lydia, incerta su come e se ammettere che, per quanto poco la conoscesse, non si fidava di Caitlin.
Fu il signor O’Brien ad intervenire per tranquillizzarla. «Non devi preoccuparti, Caitlin ha seguito diversi corsi di primo soccorso.» Lo stupore le fece dimenticare per un secondo il male. Solo per un secondo perché quello successivo Caitlin aveva già strappato un pezzo di vetro dal braccio facendola trasalire per il dolore.
«Volevo fare il medico. Ho iniziato a seguire i corsi di primo soccorso perché volevo portarmi il più avanti possibile.» spiegò Caitlin facendo ricadere il vetro sporco di sangue in un contenitore di metallo fatto comparire dal nulla dal padre. Strappò dalle mani di Lance l’asciugamano che lui aveva provato ad avvicinare alla nuova ferita aperta di Lydia. «Sai quanti germi ci sono qui sopra? Vuoi ucciderla?» buttò per terra lo straccio e imbevve un batuffolo di cotone con il disinfettante. «Ecco, renditi utile ed usa questo.» Il modo in cui fu trattato aiutò Lance a riprendersi dal senso di colpa. Si imbronciò e tamponò con delicatezza la ferita di Lydia.
Sì, Lydia odiava profondamente il disinfettante.
«Comunque adesso ha cambiato idea.» disse Lance.
«Che utilità può avere un dottore se voi potete curare le ossa rotte in una notte con i vostri disgustosi intrugli?» ed estrasse un altro pezzo di vetro facendo sibilare Lydia.
«L’unico motivo per cui voleva diventare medico era perché pensava che noi non fossimo capaci di curarci. Poi quando sono stato ricoverato al San Mungo per intossicazione da Actaea, ha scoperto che noi ce la caviamo abbastanza bene nella medicina, o meglio in quei ‘disgustosi intrugli’, come li chiama lei.»
Se Lance era delicato nei movimenti nonostante la rabbia, Caitlin invece non aveva lo stesso sangue freddo e strappò il vetro successivo con una forza eccessiva. «Insomma!» protestò Lydia ritirando il braccio dalla presa di Caitlin, mentre delle lacrime le scorrevano sulle guance.
«Ragazzi, vi prego… Non di nuovo.» Il signor O’Brien era esausto e anche i suoi tentativi di bloccare i figli erano sempre più deboli.
«E’ stato Lance!»
«Ha iniziato lei!»
«E’ il mio braccio!» protestò Lydia.
Vedendo la sua faccia dolorante gli animi si calmarono per i successivi dieci secondi.
«E comunque sì.» proseguì infine Caitlin, mentre estraeva con delicatezza una delle schegge più grandi. «Ho cambiato idea, e ho deciso di studiare per diventare ricercatrice.»
«Per dimostrare al mondo che la magia non esiste e che ogni incantesimo è spiegabile con la scienza.» Lance buttò il cotone nel contenitore di metallo e ne prese uno nuovo, schiacciò il disinfettante facendone finire qualche schizzo anche sulla sua maglietta.
«Lance! Adesso basta!»
«Non ti preoccupare, papà. Ha ragione.» Caitlin scrollò le spalle «Tanto non è un segreto, anzi, è il mio obiettivo di vita. Un giorno leggerai un saggio con il mio nome stampato sopra che confermerà tutte le mie ipotesi.» A Lydia sembrò un proposito molto triste, anche se non lo ammise ad alta voce e non lo avrebbe mai confessato. Almeno Caitlin aveva un obiettivo nella vita, non come lei che non aveva la minima idea di quale strada prendere né di cosa volesse diventare. «Quando ero a scuola ho iniziato a fare ricerche sul DNA. Il mio professore di biologia era talmente contento del mio impegno da mettermi in contatto con il Dipartimento di Biologia dell’università di Cambridge, e così ho potuto partecipare ad un progetto di ricerca. Ho chiesto loro di esaminare il mio DNA e di confrontarlo con quello di Lance. Hanno accettato subito visto che stavano portando avanti uno studio sulla genetica dei gemelli, mentre io volevo solo scoprire cosa ha portato lui ad avere i poteri mentre io non ho nulla.»
«Caitlin… sai che non è co…»
Caitlin interruppe il padre. «Comunque non hanno scoperto niente.» Distese un lungo pezzo di garza ed iniziò ad arrotolarlo attorno al braccio di Lydia, partendo dalla mano. «Nessuna anomalia strana o alterazione genetica. Quel giorno sono uscita dal Dipartimento delusa e per puro caso sono passata accanto ad una dimostrazione del Dipartimento di Fisica in cui usavano dei magneti per far levitare oggetti di varie forme e dimensioni. Avevo visto papà fare quell’incantesimo milioni di volte ed è stata una gioia infinita vedere alcuni babbani fare la stessa identica cosa senza avere nel corpo neanche un goccio di magia. Ho pensato che sarebbe stato grandioso scoprire altri fondamenti della fisica che potessero spiegare scientificamente le vostre ‘magie’.» Fissò la benda ed osservò soddisfatta il suo lavoro. «E così dopo aver finito la scuola mi sono iscritta a Fisica, e un giorno leggerai un saggio-»
«Con il tuo nome stampato sopra e bla bla bla.» completò Lance mentre cercava di pulirsi la maglietta dal disinfettante con una salviettina recuperata dal kit di pronto soccorso.
Caitlin fremette per il nervoso. «Ridi quanto vuoi, ma quel giorno anche i tuoi stupidi e disgustosi intrugli diventeranno inutili e saranno considerati per quello che realmente sono: una cialtroneria.» e chiuse di scatto la borsa del pronto soccorso, per poi allontanarsi a grandi passi con il naso all’insù e profondamente offesa, seguita dal signor O’Brien che le diceva qualcosa sul non essere inutile e sulla ricchezza del diverso. Lydia evitò di ascoltare, era più interessata a Lance, ancora intento a pulirsi la maglietta. Con la salviettina in realtà aveva peggiorato la situazione. Ora le macchie si erano allargate talmente tanto da occupare metà del tessuto. Scoraggiato, buttò la salviettina nel contenitore di metallo ancora pieno dei vetri sporchi di sangue, e quando sollevò lo sguardo trovò Lydia intento a studiarlo. Lance sospirò. «Ora hai visto con cosa ho a che fare dal nostro undicesimo compleanno.» Lydia non lo invidiava nemmeno un po’.
La signora O’Brien comparì in cima alle scale e corse da loro. Al contrario di quanto si aspettava Lydia, non era arrabbiata ed era più preoccupata per la sua salute rispetto al fatto che aveva puntato la bacchetta contro il figlio maggiore. La accompagnò in camera, ripetendo diverse volte che doveva riposare dopo le brutte ferite che aveva riportato. Lydia provò a protestare, più che altro per evitare che Lance ricadesse di nuovo nei sensi di colpa, ma la signora O’Brien non volle sentire ragioni. Ordinò a Lance di andare a prendere delle pozioni contro il dolore e per la rimarginazione delle ferite e poi aiutò lei stessa Lydia a mettere il pigiama, visto i movimenti limitati che riusciva a fare con il braccio bendato, arrivando persino a rimboccarle le coperte. Anche se Lydia aveva il sospetto che il suo vero obiettivo era bloccarla a letto e impedirle di rialzarsi.
Tempo dieci minuti la signora O’Brien le aveva augurato la buona notte e aveva costretto Lance, appena tornato per consegnarle le pozioni, ad uscire dalla stanza, buttandolo letteralmente fuori. Con un ultima raccomandazione sull’importanza del riposo, la signora O’Brien aveva spento la luce e chiuso la porta, lasciando Lydia nell’oscurità.
Solo una volta rimasta sola, Lydia ripensò alle facce dei bambini quando lei e Lance erano caduti a terra, ma soprattutto a due occhioni blu che aveva iniziato a conoscere fin troppo bene. E così ignorò completamente il volere della signora O’Brien, riuscì a districarsi dal bozzolo di coperte e si avviò di soppiatto verso il piano superiore.
Lydia era stata su quel piano solo nei momenti in cui i bambini erano fuori, per pulirlo, trattenendosi sempre solo lo stretto indispensabile. Sapeva che era diviso in diverse stanze e che per ora i bambini erano divisi tra maschi e femmine. Si diresse silenziosamente verso la camera dei maschi. Aprì la porta con un pizzico di terrore.
E se fossero stati svegli?
Sarebbe scappata.
Optò per aprire solo uno spiraglio e ci infilò la testa, strizzando gli occhi per riuscire a distinguere qualcosa in quella penombra. Nell’oscurità le sembrò che tutti i bambini stessero dormendo tranquilli nei loro lettini, solo quando le sue pupille si abituarono al buio riuscì a distinguere dei movimenti agitati da uno dei lettini in fondo alla stanza. Il bambino si era coperto anche la testa ma dal leggero tremore delle lenzuola, si capiva che stava piangendo, fatto confermato dai singhiozzi sottili che risuonavano nel silenzio.
In che guaio si era cacciata?
Doveva andare a chiamare la signora O’Brien. Ma in quel caso la madre di Lance si sarebbe arrabbiata con lei per non averla ascoltata e non essere rimasta a letto. Rassegnata, Lydia aprì del tutto la porta, scivolò dentro la stanza e la richiuse prima che la luce della luna proveniente dai finestroni del corridoio svegliasse gli altri bambini. Un bambino poteva anche gestirlo, una dozzina no. Lydia si avvicinò in punta di piedi al lettino. Uno sguardo veloce allo zainetto appoggiato sotto il comodino confermò i suoi dubbi su chi fosse il bambino in questione. Lydia si chinò sul lettino e ripiegò le coperte scoprendo il viso intriso di lacrime di Henry.
«Ehi.» Lydia si sedette sull’orlo del letto.
«Ciao.» gracchiò Henry, si asciugò le lacrime con la manica del pigiama.
«Perché piangi?» Che domanda stupida, si rimproverò Lydia. «Non devi piangere. Era solo un litigio, abbiamo già fatto la pace.» Una grossa bugia considerando che Duncan si era eclissato non appena Caitlin aveva iniziato ad estrarle i pezzi di vetro dal braccio.
«Non piango per quello...» Il bambino singhiozzò e altre lacrime resero lucidi i suoi occhi blu. «Harry Potter non ci ha abbandonati!» esclamò infine con rabbia.
«Shh!» sibilò Lydia facendogli segno di abbassare la voce e guardandosi intorno freneticamente, con il terrore che si fosse svegliato qualcun altro. Daniel, sdraiato sul letto accanto a quello di Henry, borbottò qualcosa, si voltò dall'altra parte e si riaddormentò all’istante. Vedendo che tutti gli altri stavano continuando a dormire tranquilli, Lydia rivolse di nuovo la sua attenzione ad Henry. «No, non ci ha abbandonati.» sussurrò, e con le maniche del pigiama asciugò il volto del bambino. «Vedrai che tornerà.»
Henry annuì «Mamma dice sempre che lui ci salverà da Tu-Sai-Chi. La mia mamma dice che è l’eroe più forte. Lo sai che la mia mamma mi voleva chiamare Harry quando sono nato ma papà non voleva, e mi ha chiamato Henry.» La mamma di Henry aveva trovato una buona soluzione considerando l’assonanza tra i due nomi «Quando la mia mamma è andata ad Hogwarts aveva paura di dover tornare a casa perché i nonni sono babbani, ma invece Harry Potter ha sconfitto il cattivo e lei è rimasta una strega.»
Dal tono di voce del bambino, Lydia capì che Harry Potter era davvero l’eroe preferito da Henry e questo le fece provare una tenerezza per quel bambino indifeso che non sentiva da tanto tempo. «Harry Potter non è scappato.» Questa volta lo disse con maggiore sicurezza «Ci ha sempre salvati e lo farà anche questa volta, solo che serve tempo per questo genere di cose. Gli serve avere un piano e non farsi scoprire. Noi invece dobbiamo solo avere pazienza ed aiutarlo nel suo compito. Ora dormi, è tardi.» E seguendo quella tenerezza che le scaldava il cuore, baciò la fronte del bambino e gli sorrise ancora una volta. «Buonanotte, Henry.» Inconsapevolmente rimboccò le coperte di Henry con gli stessi gesti con cui la signora O’Brien aveva rimboccato le sue pochi minuti prima.
Con un ultimo saluto, Lydia fece per andarsene ma Henry la fermò «Puoi restare?» chiese con voce supplicante, il volto rigato da nuove lacrime.
Lydia si ritrovò di nuovo impossibilitata a resistere a quegli occhioni e, con delle pacche leggere sulla spalla di Henry, lo fece spostare e si infilò anche lei sotto le coperte.
«Tu conosci bene Harry Potter?» chiese Henry non appena Lydia ricoprì entrambi con le lenzuola.
Lydia sprofondò nel cuscino, lo sguardo perso nell’oscurità in cui era stato inghiottito il soffitto. «Sì.» In realtà aveva parlato con lui solo in poche occasioni, la maggior parte di esse per congratularsi per le vittorie a Quidditch, ma sapeva che quella era la risposta che Henry voleva sentirsi dire e che gli serviva. Era chiaro che Henry aveva una fiducia illimitata verso Harry Potter e se questo l’avrebbe aiutato ad affrontare i mesi difficili che si prospettavano davanti a loro, Lydia avrebbe fatto di tutto per mantenere intatta quella convinzione. E avrebbe potuto convincerlo solo facendogli credere che lei conoscesse bene il Prescelto. «Lo sai che al suo primo anno ha rubato la Pietra Filosofale dalle mani di Tu-Sai-Chi?» Il bambino spalancò la bocca stupito e Lydia non aspettò la sua domanda per raccontare il resto della storia «Aveva solo undici anni eppure è riuscito, con l’aiuto dei suoi amici, a superare le prove che i professori di Hogwarts, i maghi più saggi che esistano al mondo, avevano progettato per mantenere al sicuro la Pietra Filosofale.» e continuò a bisbigliare il suo racconto fino a quando Henry cadde nel mondo dei sogni, popolati da animali fantastici ed eroi invincibili.
 
 
 
 Curiosità: La scena della costruzione del parco giochi in giardino era originariamente contenuta in una serie di one-shot che descrivevano la vita quotidiana in casa O’Brien, ma ammetto di aver cambiato idea e deciso di inserire molte di esse nella storia principale perchè mi permettevano di far evolvere le relazioni tra i personaggi e i loro caratteri. A tal proposito, ieri sera ho avuto un momento di pentimento perchè durante l'ultima rilettura, il capitolo mi era parso troppo lungo (o sono io che ormai li conosco tutti a memoria xD), ma l'unica soluzione sarebbe stata cancellare la parte iniziale, ma come avrei mai potuto fare questo a Henry? E poi, la scena in cui sbatte la porta in faccia a Duncan meriterebbe duemila parole solo per quella!
 
 Note: Il capitolo è dedicato a Michael Gambon, il nostro Albus Silente, che ci ha lasciati oggi all'età di 82 anni. 

 
 
 
'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 
  

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Pandizenzero ***


Capitolo 10
Pandizenzero
 

Era tutta la vita che Lance O’Brien aspettava con impazienza il giorno del suo undicesimo compleanno. Sin da quando aveva memoria, ricordava gli incredibili racconti su Hogwarts della sua famiglia, sui luoghi stregati, i fantasmi che giravano indisturbati nel castello, oltre che le straordinarie magie che venivano insegnate in quelle mura. Tutte le sere, prima di addormentarsi, provava ad immaginare i grandi saloni, le sale comuni, la guferia, il Lago Nero e la capanna di Hagrid, e ogni compleanno che passava significava che era un anno più vicino a realizzare tutti i suoi sogni.
Prima arrivò la lettera per Duncan. Lance urlò di gioia e saltellò per tutta la casa quando vide il gufo arrivare e consegnare il suo prezioso carico nel piatto della colazione di Duncan, ed era altrettanto agitato durante gli acquisti a Diagon Alley e quando accompagnarono Duncan al binario nove e tre quarti il primo settembre. Era talmente felice di essere lì: poteva finalmente vedere il luccicante Espresso di Hogwarts con i suoi occhi, insieme ad una folla di giovani maghi e streghe pronti ad andare nel posto dei suoi sogni. Era così su di giri da non accorgersi degli sguardi preoccupati dei suoi genitori, di quanto si sentissero fuori luogo durante il loro ritorno nel mondo magico.
«Calmati, Lance.» Caitlin gli diede una gomitata. Lance non se ne accorse neppure, era intento a guardare estasiato uno studente con un rospo su una spalla. Un rospo. Su una spalla! «Tanto tra pochi anni saremo noi su questo treno, e vedrai che noia che diventerà dover andare a lezione tutti i giorni!»
«Noia? NOIA?» strillò Lance «Potremo imparare dai più grandi maghi del mondo! Albus Percival Wulfric Brian Silente sarà il nostro Preside! E impareremo a volare, a fare magie e vedremo animali fantastici…» I suoi occhi si spalancarono «Magari ci faranno vedere un drago!» E al pensiero del drago ricominciò a saltellare attirando alcune risatine da chi si trovava nei dintorni.
«Piantala, scricciolo!» borbottò Duncan trascinando il suo baule «Non farmi fare brutta figura.»
«Gliel’ho detto anche io!» esclamò Caitlin.
«Ma ci sono i draghi!» urlò Lance, incapace di comprendere come mai sua sorella non saltasse di gioia come lui.
«Dopo questa: ciao, io non vi conosco e voi non conoscete me, non so se torno alle vacanze di Natale, ci vediamo quest’estate.» e detto questo Duncan si eclissò sull’Espresso di Hogwarts senza voltarsi a salutare i fratelli.
Per far calmare Lance, suo padre si fermò in un negozio di giocattoli accanto alla stazione di King Cross e gli comprò un peluche a forma di drago.
 
Quello stesso peluche fece compagnia a Lance negli anni successivi, passati nella sempre più impazienza di poter finalmente essere ammesso ad Hogwarts. Impazienza alla quale però, a volte, si mischiava una certa inquietudine.
«E se non mi accettano?» aveva chiesto la sera del suo decimo compleanno, mentre sua mamma gli rimboccava le coperte. «Magari si dimenticano di me. O la mia lettera si perde. O decidono che non sono abbastanza per Hogwarts.»
«Oh, piccolo mio, sono sicura che tra un anno esatto starai festeggiando l’arrivo della tua lettera. E tu e tua sorella potrete andare ad Hogwarts e vivere le vostre avventure. Devi solo avere pazienza!» e con un ultimo bacio ai figli, era uscita dalla stanza chiudendosi la porta alle spalle.
La voce di Caitlin si alzò nell’oscurità. «Ha ragione la mamma. Tra un anno arriveranno le nostre lettere e andremo ad Hogwarts.»
Lance si rigirò nel letto, stringendo al petto il suo pupazzo drago. «E sarai mia amica anche ad Hogwarts, vero?» chiese preoccupato. Lui e Caitlin avevano vissuto tutta la loro vita uno a fianco dell’altra, sempre nella stessa sezione all’asilo e nella stessa classe a scuola, avevano gli stessi amici e passavano ogni singolo giorno insieme.
«Ma certo, stupido!» Caitlin sembrava offesa «Non ti ricordi? Dobbiamo andare nella Foresta Proibita insieme! Me lo hai promesso!»
«E nuotare nel Lago Nero.»
«Per conoscere le sirene!»
«E dobbiamo essere nella stessa Casa!» continuò Lance sollevato.
«Quello di sicuro. Dove ci smisterà il Cappello Parlante?»
Lance si voltò di nuovo a guardare il soffitto e le stelline luminescenti che papà vi aveva appeso anni prima. «Non lo so… Penso Serpeverde. La nostra famiglia è Serpeverde da generazioni… E Duncan è stato Smistato in Serpeverde.»
Caitlin ci pensò per alcuni minuti «Serpeverde non è male.»
Lance rimase in silenzio.
«Comunque non importa. L’importante è che saremo lì insieme.» continuò convinta Caitlin.
Il Fato però, aveva altri progetti.
 
 
Il giorno prestabilito per la missione arrivò più in fretta del previsto e i quattro giovani maghi di casa O’Brien lasciarono le mura protette per dirigersi verso uno dei tanti rifugi della famiglia. Questo rifugio in particolare, scoprì Lydia, apparteneva al fratello del signor O’Brien. Era un piccolo cottage sperduto in campagna, lontano da qualsiasi altra abitazione; abbastanza grande da poter ospitare tutti nel suo salotto e completamente abbandonato considerando la polvere che si addensava su tutte le superfici e l’odore di stantio che permeava ogni stanza. Oltre ai quattro ragazzi, erano presenti i rappresentanti delle altre due Case Sicure che collaboravano con loro: due signori di mezza età, due ragazze e un giovane della casa degli Yorgenben, e le due donne della casa Austen, dove avrebbero trovato rifugio i ragazzini che stavano per salvare. Inoltre c’era anche un ometto con un cappello particolarmente vistoso che era lì in rappresentanza dell’Ordine della Fenice.
L’improbabile gruppo stava attendendo che arrivasse l’ora prestabilita per l’inizio dell’operazione, sfruttando il tempo rimasto per rivedere le mappe e ricalcolare le vie di fuga disponibili. Si sarebbero mossi tutti contemporaneamente, così non avrebbero lasciato il tempo al Ministero di accorgersi che gli undicenni stavano cominciando a scomparire. Per questo motivo sarebbe stata necessaria la tempestività, il che significava che quel giorno avrebbero dovuto correre dei rischi pur di fare in modo di riportare tutti nel rifugio prima che i Mangiamorte potessero intervenire. E proprio per non perdere tempo prezioso, in quello stesso momento, un altro componente dell’Ordine della Fenice stava facendo il giro delle case per avvertire i genitori che i figli sarebbero dovuti partire prima del previsto. Così al loro arrivo, i ragazzi avrebbero già avuto il baule pronto e non sarebbero stati rallentati da genitori apprensivi. Mandare una persona in avanscoperta era stata una decisione rischiosa, per un breve periodo avevano considerato anche l’idea di rapire i bambini stessi durante la notte ma avevano constatato che avrebbe comportato rischi maggiori. Dovevano solo sperare che il mago o la strega dell’Ordine fosse così abile nel confondersi nella folla come continuava a ripetere l’ometto.
Mentre aspettavano il via libera, stanca di stare a guardare le mappe che ormai conosceva a memoria, Lydia passeggiava avanti e indietro in un angolo della sala. Odiava le attese. E non aiutava il fatto di trovarsi in un luogo ristretto con così tante persone. Si rese conto di non essere più abituata: in casa O’Brien avevano così tanto spazio da aver dimenticato cosa si provasse a stare in una stanza affollata.
«Come va il braccio?» Lydia alzò lo sguardo rivolgendolo stupita verso Lance. I due non avevano parlato molto i giorni precedenti, troppo presi dalla preparazione del piano, e il ragazzo l’aveva evitata per tutto il tempo libero. Conoscendolo doveva sentirsi in colpa per le sue ferite.
«Sto benissimo.» Lydia agitò il braccio per far vedere che riusciva ad utilizzarlo senza fatica, nonostante la mano e la spalla fossero ancora avvolte nelle bende.
Non avrebbe mai ammesso neppure sotto tortura che in realtà sentiva ancora delle fitte di dolore se lo usava troppo, o sarebbe stata messa in panchina. E non avrebbe di certo lasciato tutto il divertimento a Lance, Duncan e Katherine.
Iniziava a capire cosa doveva provare Caitlin.
«Lo sai che non è colpa tua, vero?» chiese fermandosi «Sono stata io ad essermi comportata da stupida dopo l’attacco. Potevo lanciare uno scudo difensivo senza buttarmi a terra e farmi investire da un intero servizio di stoviglie e zuppa.»
Lance scosse la testa affranto. «Era una questione tra me e mio fratello, non dovevi andarci di mezzo.»
«Se non volevo essere coinvolta non gli avrei puntato la bacchetta contro. Lance, sono adulta e diplomata. Ho preso la mia decisione.» Lydia si avvicinò alla lampada che si trovava in quell’angolo e tirò la cordicella per vedere se si accendeva. Rimase spenta. «E poi tu sei sempre stato al mio fianco a scuola, è ora che io ricambi il piacere.» Almeno da lui poteva farsi perdonare.
E forse glielo avrebbe anche detto se la porta del rifugio non si fosse spalancata di colpo andando a sbattere contro lo stipite ed attirando l’attenzione di dodici maghi con i nervi a fior di pelle. I due ragazzi sulla porta non sembrarono affatto turbati nel trovarsi presi di mira da una dozzina di bacchette. Il più basso di loro si limitò a spalancare le braccia e urlare con un sorriso a trentadue denti: «Siamo arrivati! Non volevate rubarci tutto il divertimento, vero?»
Lance fu il primo ad abbassare la bacchetta e dirigersi verso i due nuovi arrivati con un sorriso. «Certo che no.» disse «Ci sono abbastanza Mangiamorte per tutti!» e abbracciò il primo dei ragazzi. «Ciao Silas, ciao Cyril, che bello rivedervi!» Anche l’altro, Cyril, entrò nel rifugio, richiudendosi la porta alle spalle.
«Amici vostri?» borbottò uno degli Yorgenben.
«Cugini.» rispose Duncan andando a salutare i nuovi arrivati. A quelle parole anche gli altri maghi abbassarono le bacchette, tornando alle loro occupazioni.
Lydia invece rimase a fissare i due nuovi arrivati. Era sicura di averli già conosciuti. Assomigliavano in maniera spaventosa al signor O’Brien, più dei suoi stessi figli, anche se i loro occhi avevano un’espressione completamente diversa. Il più alto aveva qualche anno in più dell’altro, portava un orecchino a forma di dente di drago, i capelli corvini erano lunghi e legati in un codino, e la sua bacchetta era appesa alla cintura come se fosse una spada. Il fratello invece indossava una camicia con disegnati tanti boccini d’oro, parzialmente coperta da un mantello rosa, e sulla testa portava un cilindro nero. Era una vera e proprio accozzaglia di colori che eppure gli donava.
«Spero che tu abbia portato il cambio.» gli disse Duncan prima di scambiare una stretta di mano con entrambi e, miracolo dei miracoli, rivolgergli un sorriso sghembo.
Lydia era sicuro di averli già visti da qualche parte, ma dove?
«Katherine!» esclamò Silas «Che piacere rivederti!»
Lance tornò al fianco di Lydia. «Se non fanno un’entrata ad effetto non sono contenti. L’ultima volta che li ho visti hanno organizzato un vero e proprio spettacolo di fuochi d’artificio prima di Materializzarsi al centro di un cerchio di fuoco. Solo che stavamo per entrare in clandestinità quindi sono scattati gli incantesimi di protezione e si sono ritrovati con ustioni su tutto il corpo. Ho dovuto passare le successive ventiquattro ore chiuso in laboratorio a creare galloni interi di crema Rigenera Pelle e olio Allevia Bruciore.»
Silas si voltò verso di loro. «Lydia! Che piacere rivederti!» disse facendo un piccolo inchino e togliendosi il cilindro. Entrate ad effetto. Inchino. La conoscevano.
«Ci siamo visti alla Coppa del Mondo!» ricordò finalmente Lydia.
«Proprio così.» rispose Silas rindossando il cilindro.
Ma a quel ricordo se ne susseguì un altro. «Emh… non ci siamo più scusati per la tenda.»
«Nessun problema! Oltre a quella che vi avevamo prestato anche la nostra è finita in cenere… Quei Mangiamorte non hanno proprio rispetto per le proprietà altrui.» scherzò. «Allora, come stai?»
«Bene.» rispose Lydia, più per cortesia che per altro.
«Ho visto che ti sei procurata una bella cicatrice in faccia.» A queste parole Lydia spostò i capelli da dietro l’orecchio per lasciarli ricadere sul volto e coprirlo il più possibile. Serrò le labbra in una linea sottile e incrociò le braccia al petto. Se non fosse stato per la presenza di Lance si sarebbe voltata e se ne sarebbe tornata a casa. «Cyril ti invidierà da morire. Ha sempre desiderato una cicatrice tutta sua, dice che migliorerebbe i nostri affari.» Lydia decise di non voler sapere di quali affari si trattassero. Per fortuna Silas non si fermò ad attendere una risposta da parte di Lydia e continuò imperterrito il suo discorso. «Allora, come va a casa O’Brien? Ti hanno già fatta impazzire? Si sono già squartati? Io e Cyril abbiamo fatto una scommessa su quanto riusciranno a resistere quei tre prima di farsi fuori a vicenda.» disse indicando con un cenno Lance, non proprio contento della piega che stava prendendo la conversazione.
Lydia non riuscì a trattenersi. «Penso che dovreste scommettere su quanto tempo impiegheranno a scannare me.» disse ridendo, pentendosi appena vide l’espressione sul viso di Lance. Il ragazzo aprì bocca ma Lydia lo fermò prima che potesse espirare. «Se dici ancora una volta ‘scusa’ ti butto in pasto ai Mangiamorte. Lo giuro.» E bastò a zittirlo.
«Adesso sì che la situazione si è fatta interessante. Anche perché era una scommessa noiosa. Avevamo scommesso tutti e due che sarebbe stata Caitlin l’unica a sopravvivere e quindi ci è toccato scommettere contro papà, ora invece…» si grattò il mento pensieroso. Lydia si ritrovò a pensare che la signora O’Brien non avrebbe particolarmente gradito tali discorsi.
«Comunque bel mantello.» disse Lydia per togliersi dall’imbarazzo, ma Silas non recepì il messaggio e continuò a rimuginare.
«Silas ha una collezione di mantelli.» rispose Lance per lui. «Il suo sogno più grande è poter un giorno avere il Mantello dell’Invisibilità, ma si deve accontentare di possedere solo le sue copie scadenti.»
Le parole di Lance furono in grado di attirare l’attenzione di Silas. «Cugino! Non nominare il Mantello Che Non Deve Essere Nominato, lo sai che sarà sempre il mio più grande cruccio.» disse in un tono altamente drammatico e sventolando una mano.
Lance si avvicinò a Lydia e le sussurrò all’orecchio. «E anche la sua più grande spesa. Quattro anni fa ha contattato un rivenditore di Nocturn Alley che sosteneva di possedere il vero Mantello dell’Invisibilità. Ha sborsato mille galeoni per poi scoprire che il famoso Mantello era solo un mantello babbano maculato da signora.»
«Guarda che ti sento.» disse Silas. «E comunque non ho completamente buttato quei soldi. Quel mantello è uno di quelli che uso più spesso in inverno, è fenomenale contro il freddo e mi fa un figurino da far invidia a tutti voi.»
Lydia non riuscì a trattenere una risata, seguita a ruota da Lance.
«Ridete, ridete.» bofonchiò Silas sistemandosi il mantello rosa «Vedrete come sfigurerete questo inverno accanto a me.» Lydia cercò di fermare la risata, scatenando la reazione opposta e provocando un nuovo attacco di risate anche in Lance.
«Scusate.» Katherine era arrivata alle loro spalle, con un piccolo sorriso sulle labbra. Lydia tentò di ricomporsi e si asciugò di nascosto gli angoli degli occhi. «Vorrei parlarti un attimo.» disse sorridendo. Lydia si stupì ancora una volta nel constatare che quella ragazza non smetteva praticamente mai di sorridere o trattare con gentilezza chiunque, forse era questo il motivo per cui era l’unica a sopportare Duncan (se non si considerava Caitlin).
«Lance!» La voce poderosa che lo chiamò apparteneva ad uno degli Yorenberg, un omone grande come un armadio, con dei baffi a punta e la testa pelata. Era seduto al tavolo e osservava le mappe, solo che, viste le sue dimensioni, sembrava un adulto seduto ad un tavolino per bambini e Lydia doveva trattenersi dal ridere ogni volta che si voltava nella sua direzione.
Lance si scusò e si allontanò, lasciando Lydia ad affrontare da sola l’eccessiva gentilezza di Katherine. O meglio, aveva anche Silas considerando che era rimasto e sembrava intenzionato ad ascoltare tutto il discorso.
«Dimmi.» disse Lydia «O vuoi… emh… spostarti da un’altra parte?» Sperò che Silas recepisse il messaggio, invece il ragazzo si limitò a togliersi il cilindro per spazzolarlo, neanche minimamente intenzionato ad allontanarsi.
«Non fa niente. Silas è di famiglia.» Capendo che non si sarebbero mossi da lì, Lydia decise che tanto valeva mettersi comode e si sedette sull’orlo di una poltrona coperta da un lenzuolo, sollevando una nuvoletta di polvere che la fece starnutire. Katherine stava tormentando l’anello di fidanzamento. «Volevo dirti che mi dispiace per quello che è successo.» Silas smise subito di pulire il cilindro e si avvicinò di un altro passo per non perdersi neppure una parola. «Avrei voluto dirtelo prima ma… Comunque mi dispiace davvero, quando vuole Duncan sa essere veramente testardo, però dovevi vederlo dopo l’incidente. Gli è dispiaciuto che tu ti sia fatta male.»
Lydia stentava a crederlo. Posò lo sguardo su Duncan: sentendo chiamare il fratello aveva interrotto la sua conversazione con Cyril e si era avvicinato anche lui ad osservare la mappa con Lance e l’uomo gigante. Lance non doveva aver apprezzato la sua intromissione, infatti se ne stava in piedi rigido accanto al tavolo, senza rivolgere né una parola né uno sguardo al fratello. «Non sei tu a doverti scusare. Dovrebbe farlo Duncan.» E Lydia era sicura che non l’avrebbe mai fatto in tutta la sua vita. «E non dovrebbe scusarsi solo con me ma anche con Lance. Non aveva nessun diritto di dire quelle cose su Cedric.»
«Duncan ha solo detto quello che pensava. Non voleva offendere nessuno, e di sicuro non un ragazzo che è stato assassinato da Tu-Sai-Chi stesso. E’ solo che… ecco, lui e Lance non hanno mai avuto un bel rapporto ed hanno entrambi le loro ragioni per portare rancore.» Lydia dubitava anche che Duncan potesse portare rancore per qualcosa che aveva fatto Lance: quel ragazzo era un santo!
Eppure anche Silas stava annuendo energicamente. «Quei due è da anni che hanno dei problemi.» sentenziò sedendosi con un tonfo sulla poltrona su cui era seduta anche Lydia, scatenando una nuvola gigantesca di polvere, altri starnuti da parte della ragazza oltre che un vero e proprio senso di disagio in lei nel trovarsi così a stretto contatto con uno sconosciuto. D’istinto spostò di nuovo i capelli sul volto. «Anche papà dice sempre che è preoccupato per loro. E che ha già visto troppe famiglie rovinarsi per piccoli rancori diventati -come dice lui?- insormontabili.»
Il sorriso di Katherine si spense, un’evenienza più unica che rara. «Ci mancherebbe solo quello. Dovremmo intervenire prima che le loro discordie diventino davvero insormontabili.»
Lydia si rialzò e cercò di spazzolare i pantaloni per togliersi la polvere di dosso. «Penso che siano solo affari loro.»
 «Vorrei solo che imparassero a comunicare e collaborare…» rispose Katherine.
«Penso anche che noi non dobbiamo intrometterci nelle loro questioni private.»
 «Ma tu l’hai fatto quando hai puntato la bacchetta contro Duncan.»
«Questo sì che è interessante!» esclamò Silas.
Lydia scrollò le spalle. «Quello non era intromettersi. Era aiutare un amico, è una cosa diversa.»
Katherine si sedette sulla poltrona che Lydia aveva appena liberato, accanto a Silas e per niente imbarazzata dalla vicinanza. Rialzò un’altra nuvola di polvere che fece starnutire di nuovo Lydia. «Forse hai ragione.» disse pensierosa «Dovremmo starne fuori e aspettare che risolvano i loro problemi.»
Lydia si legò i capelli, lasciando una ciocca libera per continuare a coprire almeno un minimo la cicatrice ed ignorando il leggero dolore al braccio. «Comunque dovrai armarti di pazienza. Penso che dovremo aspettare ancora un po’ per vedere questa situazione risolta. Forse qualche mese, o qualche decennio. O ce li vedrei bene a perdonarsi sul letto di morte.» e li indicò proprio mentre Lance lanciava al fratello un’occhiataccia e si allontanava dalla mappa per tornare da loro.
Silas unì le dita delle mani e le avvicinò alla bocca, pensieroso. «Oppure dovreste trovare un modo per farli superare i loro problemi adesso.»
E fu in quel momento che Katherine si alzò di scatto dalla poltrona, Lydia poteva quasi vederle una lampadina accendersi nel cervello e si chiese se c’era un modo per spegnerla subito prima che potesse coinvolgere anche lei in qualsiasi cosa le fosse appena venuto in mente. «Ho un’idea!»
Troppo tardi.
Lydia odiava questa frase, era una delle espressioni che lei stessa aveva pronunciato più spesso durante i suoi anni ad Hogwarts quindi sapeva perfettamente che a quelle parole seguivano sempre disgrazie e catastrofi. Immaginava cosa poteva accadere se a pronunciarla era una persona che voleva portare la pace nel mondo, o pensando in piccolo, in quella strana famiglia in cui si era ritrovata. «Dovremo convincerli noi a parlarsi. Io convinco Duncan e tu Lance.» Katherine abbassò la voce per non farsi sentire da Lance, che era stato fermato a metà strada dal ragazzo della casa degli Yorenberg (quello che aveva la strana abitudine di giocherellare costantemente con uno yo-yo).  «Dobbiamo solo convincerli a confrontarsi senza bacchetta in mano, non dovrebbe essere così difficile.» Lo diceva lei che era riuscita a sfuggire da una retata sul suo posto di lavoro. Per Lydia invece sembrava impossibile. «Così potranno finalmente parlare dei loro problemi e riusciranno a risolverli e tornare a comportarsi come normali fratelli.» Per essere una giornalista aveva una fervida immaginazione.
«E’ davvero una grande idea!» esclamò Silas alzandosi in piedi a sua volta e battendo le mani. «Avranno finalmente l’occasione di parlare a cuore aperto dei loro sentimenti e dei loro traumi e così torneranno di nuovo ad amarsi e giocare insieme. No, mi sa che per quello è un po’ troppo tardi.» continuò del tutto serio.
«O si ammazzeranno a vicenda nella maniera babbana. E in quel caso tu e tuo fratello avreste vinto la scommessa.» Lydia non apprezzava il piano, soprattutto considerato il patto che lei e Lance avevano stretto. Lance non voleva parlare di Duncan e Lydia lo capiva perfettamente, le sembrava ingiusto costringerlo a confrontarsi con il fratello con l’inganno. «E poi, hai appena detto che dovresti lasciare che siano loro a risolversi i loro problemi!»
Katherine si limitò ad alzare le spalle «In un certo senso li risolveranno da soli, noi cercheremo solamente di creare la circostanza giusta. Allora siamo d’accordo.» E allargando il suo perpetuo sorriso, Katherine si allontanò senza lasciare il tempo a Lydia di spiegarle che il suo piano non poteva funzionare e che lei non voleva avere nulla a che fare con tutto questo.
«Perché?» esclamò disperata Lydia.
Silas le diede qualche pacca sulla spalla per dimostrarle il suo supporto. «Dai, se proprio andasse male ti prometto di darti una percentuale della somma che mi dovrà papà per aver perso la scommessa.» Non le fu di nessun conforto.
 
Lydia non era agitata per la missione, di questo ne era certa. La sua unica vera preoccupazione in quel momento era il guaio in cui la troppo-gentile-troppo-sorridente Katherine l’aveva messa. Aveva cercato di rincorrerla per dichiararle tutte le sue perplessità e la sua ferma intenzione di non fare nulla del genere, ma sfortunatamente, proprio in quel momento, l’ometto dell’Ordine della Fenice ricevette un messaggio dal suo compagno che lo informò di aver finito il giro. Era ora di partire. E visto che ogni secondo era fondamentale, Lydia si ritrovò incastrata in quella situazione sin troppo scomoda. ‘Ehi, Lance, hai presente tuo fratello? Quello che odi (sentimento condiviso anche dalla sottoscritta, a proposito) e di cui non vuoi parlare? Ecco, penso che sarebbe un'ottima idea costringerti a dialogare con lui e sistemare tutti i vostri problemi.’ Come se i risentimenti di una vita intera potessero scomparire nel giro di un secondo.
Eppure aveva l’idea che Katherine l’avrebbe tormentata se le avesse comunicato il suo disappunto. «Un piano, mi serve un piano.»
«Ti ricordi il piano?»
Lydia sobbalzò e con un tono di voce più alto del normale esclamò «Non sto facendo nessun piano!» per poi realizzare che non era quello che l’amico le aveva chiesto. Il suo viso divenne dello stesso colore dei capelli e borbottò qualche parola senza senso mentre il suo cervello cercava di trovare una via di fuga dal guaio che aveva combinato (o una via di fuga generale).
«Lydia, cosa vuoi fare?» Lance si stava trattenendo per non alzare gli occhi al cielo e fare la sua solita faccia esasperata, Lydia ne era convinta.
«Intendevo...» Lydia si sistemò una ciocca di capelli sfuggita dalla coda «Che...» cercò di guadagnare tempo senza alcun successo «Che non ho intenzione di inventare un piano che non sia quello che abbiamo concordato.» sentenziò infine soddisfatta.
«Non che il piano sia così complicato.»
«E allora perché mi chiedi se me lo ricordo?»
«Perché quando siamo insieme tendiamo a non fare mai niente seguendo un piano.»
«Non è colpa mia!» si sentì in dovere di dire Lydia. ‘Non sempre’ aggiunse mentalmente, non volendogli dare la soddisfazione di condividere i suoi stessi pensieri. Aveva solo un piccolo problema… «A proposito, quale è il piano?»
«Le vostre pozioni.» Duncan si trovava al loro fianco da un po’ di tempo, di questo Lydia ne era certa, o non l’avrebbe guardata così male, o meglio, così peggio del solito. «Cercate di non rovinare tutto come sempre.»
Se questo era il tentativo di Katherine di far parlare i due fratelli, stava fallendo miseramente. E Lydia non aveva voglia di sentire di nuovo le loro liti e rimetterci anche l’altro braccio quindi prese la boccetta di pozione che Duncan le stava porgendo e la bevve in un sorso, sforzandosi per non vomitare davanti al Serpeverde. «Buona fortuna.» disse, e si avvicinò alla porta mentre sentiva il suo corpo cambiare lineamenti.
 
Il piano era semplice. Erano divisi in cinque coppie: Lydia e Lance, Katherine e Duncan, Cyril e Silas (che era stato costretto a lasciarsi trasfigurare i vestiti nonostante le minacce di trasformarli tutti in scarafaggi se avessero osato toccare il suo mantello), l’omone armadio (che si era trasformato, con grande stupore di Lydia, in un uomo mingherlino) e il ragazzo Yorgenben, e infine le due ragazze Yorgenben. Le due donne Austen invece erano tornate alla loro Casa Sicura, pronte ad accogliere tutti i nuovi arrivati. Infine l’ometto dell’Ordine della Fenice (Lydia non riusciva a ricordarsi il suo nome) era rimasto nel rifugio e sarebbe stato il loro punto di riferimento in caso si fossero verificati problemi. Ogni coppia aveva diversi ragazzi da andare a prendere, due se abitavano in zone critiche come le grandi città o Londra, tre se si trovavano in piccoli paesi. Dovevano andare nelle loro case, recuperare i bambini e poi dare loro una Passaporta che li avrebbe portati al sicuro.
A Lydia e Lance erano stati affidati tre ragazzi da recuperare in altrettanti luoghi sperduti della Gran Bretagna. E fu un grande sollievo quando le missioni per il salvataggio dei primi due ragazzi andarono alla perfezione. L’unico problema in cui incapparono furono gli strani comportamenti delle famiglie. Quando arrivarono a casa del primo bambino, i genitori aprirono loro la porta con gli occhi annebbiati, per poi salutare con voce fredda il figlio. Presero delle valigie che erano appoggiate in fondo le scale e uscirono, per salire in macchina e sparire all’orizzonte. Lydia rimase ad osservare la scena senza capire cosa stesse succedendo. «Pensi che siano sotto Imperius?» chiese preoccupata.
«Allora non stavi davvero ascoltando il piano!»
Lydia si voltò offesa verso Lance. «Certo che l’ho ascoltata, mi sono persa solo un attimo.» Ed era vero, quando il membro dell’Ordine della Fenice stava spiegando quella parte del piano, l’omone della famiglia Yorgenben aveva fatto il suo ingresso nel rifugio e non era da tutti i giorni vedere un uomo che poteva rivaleggiare Hagrid.
Lance estrasse dalla tasca un portachiavi e lo porse al bambino, anche lui ancora perplesso per il comportamento dei genitori. «Si comportavano così da quando è passata quella tipa.»
«La tipa è la strega dell’Ordine della Fenice.» spiegò Lance «Ha lanciato un Confundus su tutti i genitori in modo che lasciassero la casa appena arrivati noi.» Il bambino davanti a loro scomparve all’improvviso, la Passaporta a forma di portachiavi stretta nella mano. «Non volevamo che si trovassero qui quando arriveranno i Mangiamorte a cercare i ragazzi.»
Anche con la seconda ragazza si ripeté la stessa identica scena. Guardarono i genitori andare via con la stessa espressione trasognata e consegnarono la Passaporta alla bambina, aspettando che si attivasse per essere sicuri che non ci fossero dei problemi. Avevano deciso che il metodo delle Passaporte sarebbe stato più sicuro delle alternative, tra cui portare direttamente con la Materializzazione i ragazzi nella Casa Sicura o portarli con loro nella missione successiva: con le Passaporte programmate sarebbero arrivati subito al sicuro e allo stesso tempo loro non erano costretti a correre il rischio che tutti coloro che stavano compiendo le missioni fossero a conoscenza dell'ubicazione esatta di casa Austen.
Lydia sapeva che era ancora troppo presto per sentirsi soddisfatta, in fondo avevano portato in salvo due ragazzi ma ne mancava ancora uno. Eppure era sempre più convinta che sarebbe andato tutto per il meglio.
Ovviamente si sbagliava.
In un primo momento tutto andò come previsto: trovarono il ragazzo ad aspettarli nella cucina della sua casa, con il baule pronto, e dopo aver salutato i genitori, aveva preso in mano la paperella di gomma che fungeva da Passaporta e pochi secondi dopo era scomparso nel nulla, diretto verso quella che sarebbe stata la sua nuova casa. I genitori nel frattempo avevano ripetuto il siparietto già visto nelle altre case: avevano recuperato le valige e senza neanche aspettare che i due ragazzi uscissero, abbandonato la casa.
Dieci minuti dopo essere entrati, Lydia e Lance erano già sulla porta del retro pronti a tornare nel rifugio e vedere se anche a tutti gli altri era andata bene come a loro.
«Missione completata!» gioì Lance, la sua postura si rilassò visibilmente. Dovevano solo Materializzarsi e tornare a casa.
«Oh no.» Lydia si rese conto del grande errore che avevano commesso. Sapeva che mai e poi mai bisognava festeggiare prima che tutto fosse realmente terminato. Era una lezione di vita che aveva imparato soprattutto durante i lunghi anni passati ad Hogwarts. Portava solo guai.
E infatti i guai non tardarono ad arrivare sotto forma di un grido.
«LANCE!» Lydia e Lance si bloccarono, bacchetta alla mano e un incantesimo pronto sulla punta della lingua. Occorsero solo pochi istanti a Lydia per capire che l’uomo e la donna che stavano correndo verso di loro erano i travestimenti di due maghi che conoscevano molto bene.
«Katherine? Duncan? Cosa ci fate voi qui?» domandò stupita.  E dopo dicevano a loro di seguire perfettamente il piano. Lydia era sicura che questo non ne facesse parte, o forse sì? Lo ammetteva, non era stata molto attenta durante il riepilogo finale, tutta colpa di Katherine e delle sue idee strampalate.
E se invece quell’improvvisata faceva parte proprio del suo piano malefico?
«Vi stavamo cercando. Dobbiamo andarcene. Ora.» Detto questo, Duncan afferrò il braccio di Lydia e quello di Lance mentre Katherine si aggrappava alla mano libera di Lydia. Girarono su loro stessi. E non si mossero di un centimetro.
«Questo è il momento in cui ci Materializziamo, ne sei capace?» borbottò Lydia, infastidita dalla presa ferrea dell’altro.
Duncan li lasciò andare senza alcuna delicatezza e tornò a stringere la bacchetta. «E’ troppo tardi…» I suoi occhi guizzavano da una parte all’altra della strada completamente vuota davanti a loro. «ABBASSATEVI!»
Non si fermarono a riflettere. Obbedirono semplicemente all'ordine e si buttarono a terra, mentre una maledizione volava sopra le loro teste, perché nonostante tutte le loro incomprensioni, se Duncan diceva di buttarsi a terra, loro si buttavano a terra.
Non ci fu bisogno di aggiungere altre parole. Lydia e Lance capirono all'istante: erano stati trovati.
«Correte!» Lydia fece leva sulle braccia per rialzarsi, ignorando completamente la fitta di dolore che ne scaturì ed iniziò a correre, seguendo gli altri nella direzione opposta rispetto a quella da cui era provenuta la maledizione. Non aveva mai corso così velocemente in tutta la sua vita, eppure le sembrava di non fare abbastanza. Alle sue spalle si alzarono delle urla e degli ordini. Erano nei guai.
Se l’ultima volta lei e Lance si erano trovati ad affrontare un solo mago, adesso ce ne erano di sicuro diversi e Lydia non si voltò a guardare quanti fossero per paura di rimanere indietro.
Un lampo rosso la mancò di pochi centimetri andando a centrare una macchina parcheggiata sul bordo della strada e facendo scattare l’antifurto.
Come avevano fatto a trovarli? Come mai Katherine e Duncan erano arrivati prima di loro? La mente di Lydia era piena di domande a cui non poteva dare una risposta, non ora che correva per salvare la propria vita. Non potevano Smaterializzarsi, Lydia aveva compreso che sulla strada era stato gettato lo stesso incantesimo anti-materializzazione che si trovava anche nel vicolo del Ministero. Katherine era la prima della fila, seguita a ruota dagli altri, solo Duncan si voltava indietro a lanciare maledizioni contro i loro inseguitori, gli altri erano concentrati sul muoversi il più velocemente possibile evitando i getti di luce che provenivano dalle loro spalle. La strada era stata fino a quel punto circondata da villette a schiera, ma queste si stavano diradando lasciando il posto a prati sempre più ampi. Un cartello stradale segnalò che la via era diventata a fondo chiuso e l’inizio, a pochi metri di distanza, di un percorso pedonale. 
«Confringo!»
I quattro ragazzi furono costretti a buttarsi di nuovo a terra per evitare la maledizione e persero così alcuni preziosi secondi.
«Dobbiamo seminarli.» constatò Lydia alzandosi di scatto e ricominciando a correre ancora più veloce.
Erano arrivati alla fine della strada, il sentiero che iniziava da lì era ghiaioso e portava dritto ad un boschetto.
«Seguitemi!» urlò Duncan superando Katherine ed imboccando un bivio che Lydia non avrebbe mai visto se fosse stata sola. Forse se fossero riusciti a nascondersi in una parte del bosco abbastanza fitta avrebbero potuto gettare intorno a loro degli incantesimi difensivi e sfuggire almeno dalla loro vista. Ma Duncan non sembrava intenzionato a fermarsi, continuava a correre seguendo il sentiero.
«Dobbiamo nasconderci!» cercò di protestare Lydia. Si pentì immediatamente di aver perso quel fiato prezioso, incominciava a sentire i muscoli delle gambe bruciare e i polmoni reclamare più aria. E Duncan continuava a correre sul sentiero senza dare segno di averla sentita. Lydia contemplò l’idea di afferrare Lance e cercare un’altra via di fuga, se si fossero separati avrebbero avuto più possibilità di salvarsi.
«Attenti!» urlò Lance, dietro di lei. Gli altri si abbassarono mentre due incantesimi li raggiungevano. Senza l’avviso del ragazzo, Katherine sarebbe stata colpita. Dovevano andarsene dal sentiero! Lydia rallentò per affiancarsi a Lance, pronta a spingerlo tra gli alberi sempre più fitti, ma Lance si limitò ad accelerare e superarla. «Siamo a Pandizenzero?» chiese sorpreso.
Duncan continuò a non rispondere, così come Lydia continuò a non capire. Pandizenzero?
Ci vollero solamente pochi secondi per vedere cosa era realmente Pandizenzero.
Il sentiero finiva in una radura completamente vuota, o almeno all’apparenza. Duncan prese Katherine per mano e si volatilizzarono nell’aria.
‘E’ finito l'incantesimo di anti-smaterializzazione.’ pensò Lydia. Si sbagliava. Lance imitò il fratello, la prese per mano e percorsero l’ultimo tratto insieme, proprio mentre i Mangiamorte stavano recuperando terreno. Ed improvvisamente non vi era più solo una radura vuota, davanti ai loro occhi comparve una minuscola casa dalle pareti di sassi e il tetto spiovente. Katherine e Duncan erano già alla porta. Con un Alohmora fecero saltare la serratura, Katherine entrò mentre Duncan rimase indietro a tenere aperta la porta, la bacchetta puntata sul bosco che circondava la radura. Lance e Lydia non si fecero attendere, superarono Duncan ed entrarono a ‘Pandizenzero’.
Duncan fu l’ultimo ad attraversare la porta per poi sbarrarsela alle spalle. Erano tutti completamente senza fiato, i loro respiri erano affannati e le gambe bruciavano per lo sforzo, ma non persero tempo. Katherine era già alla finestra, Lydia la raggiunse cercando allo stesso tempo di regolarizzare il respiro. Scostò la tenda per vedere meglio, riuscendo finalmente a dare un’occhiata più precisa ai loro inseguitori. Si trattava di una decina di maghi e streghe a viso scoperto. Altri due rimasti indietro durante la corsa raggiunsero i confini della proprietà ed iniziarono ad aggirarsi intorno come gli altri, lanciando incantesimi e maledizioni per far cedere le protezioni. Delle crepe iniziarono a crearsi nell’aria sopra di loro. Katherine non perse tempo, socchiuse la finestra lo stretto indispensabile per riuscire a far passare la bacchetta ed iniziò a cantilenare nuovi e complessi incantesimi di protezione.
Fece appena in tempo.
Le protezioni originali esplosero con uno scoppio di energia che fece tremare l’intero edificio e buttò a terra anche alcuni dei loro nemici. Lydia si addossò alla parete finché le mura smisero di tremare, Katherine rimase impassibile e continuò i suoi incantesimi come se nulla fosse successo.
Lydia si scosse di dosso la polvere che era caduta dal soffitto e si rialzò per guardare fuori dalla finestra. Una nuova cupola di un tenue color oro si era creata sopra di loro. «Dici che reggerà?» chiese cercando di mascherare il terrore che provava. Katherine non rispose, troppo concentrata sul suo compito.
Lance si avvicinò alla finestra e guardò anche lui verso il cielo. «Riconosco quell’alone dorato.» sussurrò «E’ un vecchio incantesimo di protezione che abbiamo usato attorno alla nostra casa. E’ talmente antico che loro non dovrebbero conoscere il contro incantesimo.»
Lydia non riuscì a tranquillizzarsi. «Lance… se ci prendono…» Non riuscì neppure a finire la frase. Nelle settimane che ormai aveva trascorso a casa O’Brien il pensiero di trovarsi a dover affrontare i Mangiamorte l’aveva sfiorata qualche volta, ma senza dargli troppo peso, ora che invece si trovavano a soli pochi metri di distanza e avevano già fatto saltare le loro protezioni originali, la storia era diversa.
Terrore puro si diffuse nelle sue vene al pensiero di cosa avrebbero potuto fare a tutti loro se li avessero presi. Fu solo un tocco leggero su un braccio che le evitò un attacco di panico. «Lydia. Sono protezioni sicure. Resisteranno abbastanza a lungo da difenderci fino all’arrivo dei rinforzi.» La voce di Lance la calmò, i battiti del suo cuore decelerarono e si costrinse a respirare profondamente. Quando si voltò verso Lance fece finta che nulla fosse successo e sperò che anche lui facesse lo stesso. Per fortuna, Katherine era completamente immersa nei suoi incantesimi e non sembrava far caso a loro e Duncan si trovava sul lato opposto della stanza a controllare dall’altra finestra le retrovie. «Allora quale è il piano?»
Non che i piani funzionassero molto quando si trattava di loro.
Katherine smise di intonare i suoi versi e guardò preoccupata la piccola folla ammassata ai confini. Visto che gli incantesimi non facevano alcun danno alla nuova barriera, alcuni di loro si misero a tirare dei pugni, creando delle lieve increspature sulla superficie dorata. «Se ne chiamano altri siamo morti.»
Duncan tornò verso di loro e allontanò con delicatezza la fidanzata dalla finestra. «Non lo faranno, staranno cercando di individuare anche gli altri o rintracciare le Passaporte. E i tuoi incantesimi di protezione sono perfetti. Per ora siamo al sicuro.»
Il cuore di Lydia era tornato a battere ad un ritmo che poteva considerarsi quasi normale, ma il suo fiato era ancora dimezzato a causa della corsa e dello spavento. «Come avete fatto a trovarci?»
Fu Katherine a rispondere «Avevamo appena portato in salvo l’ultima ragazza quando ci siamo accorti che due tipi sospetti si stavano avvicinando. Ci siamo nascosti, e li abbiamo sentiti lamentarsi di essere arrivati troppo tardi, ma che ce ne erano ancora molti da controllare. Abbiamo subito capito che si erano accorti che i ragazzi stavano scomparendo e siamo corsi da voi...»
‘Ci avete salvato la vita...’ pensò Lydia, senza dirlo ad alta voce, un po’ per la mancanza di fiato, ma soprattutto per non dare la soddisfazione a Duncan di ammettere di essere ancora viva grazie a lui.
Lance si sedette per terra e Lydia lo seguì a ruota. Un sottile strato di polvere ricopriva la superficie ma non le importava, le sue gambe non l’avrebbero retta un secondo di più. Le massaggiò per cercare di lenire il bruciore dei muscoli.
«Avremo fatto scattare i sensori quando siamo entrati.» disse ricordando le misure di sicurezza concordate con il signor O’Brien «Quindi ora dobbiamo aspettare qui fino a quando vostro padre verrà a cercarci, giusto? Si accorgerà dei Mangiamorte e verrà con dei rinforzi. L’Ordine della Fenice ha promesso il suo aiuto in caso qualcosa fosse andato storto e direi che qualcosa è proprio andato storto.» Il silenzio accolse le sue parole. Lydia guardò gli altri perplessa. «Arriveranno i rinforzi, vero?» O si era persa un’altra parte fondamentale del piano?
Duncan e Lance si scambiarono uno sguardo e già questo preoccupò Lydia.
«Vostro padre arriverà, giusto?» chiese di nuovo, mentre un dubbio si insinuava nella sua mente.
Lance fissò un punto imprecisato del soffitto. «Il problema è che papà non sa che abbiamo protetto anche questa casa...»
«Lo sapevo!» esclamò Katherine inorridita «Non era nelle mappe, non aveva senso!» poi si rivolse al suo fidanzato «Perché ci hai portato qui? Come hai potuto fare una cosa così stupida?»
Duncan sollevò le mani in segno di resa. «Ci siamo salvati la vita solo perché ci trovavamo così vicini a questa casa! Pensa a quanto siamo stati fortunati che ci abbiano beccato proprio dove avevamo un rifugio a sole poche centinaia di metri di distanza!»
Fortuna o erano loro che possedevano edifici in mezza Gran Bretagna e probabilmente anche oltre, pensò Lydia.
Katherine invece era furiosa. «Rifugio, è così che lo chiami?» gridò «Quelli hanno impiegato un minuto per distruggere le vostre misure di sicurezza, ci stavano per ammazzare tutti!» Lydia si stupì nel constatare che anche Katherine era un essere umano capace di arrabbiarsi invece che sorridere in ogni istante della sua vita.
«Le ho create un po’ di anni fa, non ero molto esperto.» bofonchiò Duncan. Lydia trovò interessante vedere il suo comportamento con Katherine. Se fossero stati lei o Lance a insultarlo così li avrebbe buttati direttamente nelle mani dei Mangiamorte, i quali continuavano ad urlare dal limitare del bosco.
«E perché le hai create allora!?» urlò Katherine «Perché avete tenuto nascosta la casa a vostro padre?»
«Perché non sa che l’anno scorso facevamo uscire di nascosto Caitlin. In un paese qui vicino vive una sua amica, di solito uno di noi la accompagnava e in caso di emergenza ci trovavamo qui. Operazione Pandizenzero.» A Lydia sembrò di intravedere un piccolo sorriso sulle labbra di Duncan, cosa che poi dichiarò impossibile.
«E non possiamo mandare un Patronus a vostro padre per dirgli dove siamo?» chiese Lydia.
«Non con così tante persone lì fuori a fissarci» rispose Katherine squadrando ancora con occhi di fuoco il fidanzato «Se intercettassero il mio Patronus potrebbe condurli dritti a casa O’Brien.» E così erano tagliati fuori da ogni comunicazione.
Lance tentò di cambiare argomento. «Il tuo incantesimo è ancora la soluzione più sicura ma dobbiamo comunque rafforzare le difese. In caso qualcos’altro vada storto.»
Lydia era ancora sdraiata sul pavimento impolverato, i muscoli le facevano talmente male che le tremava tutto il corpo, ma si rialzò comunque a fatica. Lance aveva ragione, dovevano fare in modo che quelle difese riuscissero a resistere anche ad un attacco massiccio considerando che non sapevano per quanto avrebbero dovuto trattenersi, oppure si sarebbero trovati in trappola.
Senza dire una parola aprì la porta e si fermò nella piccola porzione di foresta compresa nella cupola dorata, Lance e Duncan seguirono il suo esempio.
I Mangiamorte stavano ancora tentando di distruggere le loro protezioni, urlando ordini e imprecazioni, girando attorno ai confini in cerca di una falla. Per quanto Lydia sapesse che c’era un forte incantesimo a dividerli, il suo cervello le stava urlando di scappare, nascondersi, mettersi in salvo. Le occorse una grande forza di volontà per ignorare il suo stesso istinto e compiere il suo dovere. Ripensò a tutti gli incantesimi studiati il mese precedente e durante gli anni di scuola ed iniziò a recitarli, la bacchetta puntata verso il cielo, un sottile filo argenteo che raggiunse la cupola d’oro e si intrecciò ad essa creando una rete sopra di loro.
Era difficile concentrarsi con le urla dei Mangiamorte e il rimbombo delle loro maledizioni fallite. Seguendo l’istinto, Lydia si avvicinò a Lance e non appena le loro braccia si sfiorarono si sentì meglio.
Non era sola, aveva qualcuno al suo fianco.
Si focalizzò solamente su quel pensiero. Chiuse gli occhi e svuotò la mente, si concentrò sul calore del corpo di Lance e sugli incantesimi che stava pronunciando, riuscendo così ad escludere i rumori provenienti dall’esterno. Erano ancora lì, in sottofondo, ma le facevano meno paura.
«Non possiamo fare più di così.» Duncan si massaggiò il braccio rimasto sollevato per diversi minuti di fila. Anche il braccio di Lydia aveva perso la circolazione ed era attraversato da un lieve formicolio che si aggiunse a quello che già provava nelle gambe oltre che all’altro braccio ferito. «Farò io il primo di guardia. Voi cercate qualcosa da mangiare.» Lydia e Lance non provarono neanche a convincerlo a cambiare idea. Era innegabile che Duncan fosse meno stanco di loro. Lydia voleva solo sdraiarsi sul divano che aveva intravisto e riposare i muscoli per qualche ora, ma soprattutto, voleva allontanarsi dalle figure nere che continuavano ad aggirarsi intorno alla proprietà.
Mentre loro erano fuori, Katherine aveva reso la casa di nuovo vivibile: la polvere era scomparsa, le finestre spalancate cercavano di scacciare l’odore di muffa e alcune luci magiche erano accese in tutta la stanza andando a sostituire le lampade non funzionanti a causa della mancanza di corrente.
«Abbiamo solo cibo in scatola, mi dispiace.» detto questo Katherine uscì a fare compagnia al fidanzato.
Lydia e Lance erano troppo stanchi per protestare, presero due scatolette tra quelle contenute in uno scomparto della minuscola dispensa, fecero comparire due bicchieri e aprirono la spina scoprendo che non c’era acqua corrente, un problema facilmente risolvibile con un semplice incantesimo. Sfortunatamente con il cibo non sarebbe stato altrettanto semplice. Stupide Cinque Eccezioni alla Legge di Gamp.
Si sedettero al tavolino della cucina. Lydia approfittò di quel primo momento di quiete per guardarsi attorno. La casa era davvero piccola, dalla porta aperta intravide una sola camera da letto e un’altra porta che doveva condurre al bagno; la sala in cui si trovavano era adibita metà a cucina e l’altra metà a salotto con un divano, una poltrona e pochissimi mobili. La stanza era divisa a metà dal tavolo al quale erano seduti. Le pareti erano spoglie, negli angoli del soffitto erano visibili delle macchie nere incrostate di muffa. Sembrava una casa vecchia che aveva un urgente bisogno di una ristrutturazione. Lydia strappò la linguetta della sua scatoletta scoprendo di averne aperta una di funghi, una delle poche cose che non sopportava. Ma Katherine aveva detto che le provviste erano limitate e quindi ignorò il proprio disgusto e ne mangiò due cucchiaiate prima di gettare la spugna e decidere che era meglio sopportare la fame. Visto che Lance sembrava apprezzare la sua porzione, Lydia rovesciò anche la sua parte nel piatto del ragazzo. Troppo stanca anche solo per spostarsi sul divano, rimase seduta sulla sedia, i gomiti appoggiati sul tavolo e picchiettò le dita della mano sana sulla superficie di legno.
Si accorse che anche le urla dei Mangiamorte erano scemate, una piccola speranza si accese nel suo cuore ma bastò un’occhiata alla finestra per mandarla in frantumi: erano ancora tutti lì fuori e non sembravano intenzionati ad andarsene. 
«Come mai siamo ancora vivi?» Lydia non poté trattenersi. Ora che si era seduta ed allontanata dai Mangiamorte, il pensiero era tornato sulla loro fuga e sulla fortuna che avevano avuto ad arrivare lì. Si ritrovò a non riuscire a pensare ad altro.
«Solo fortuna, suppongo.» rispose Lance terminando la sua cena improvvisata.
Lydia scosse la testa. «Molta fortuna. Se Duncan e Katherine non fossero venuti ad avvisarci, se non fossimo stati così vicini ad un rifugio... Ora saremmo...» Un pensiero orribile le si insinuò nella testa. Si massaggiò le tempie cercando di scacciarlo. Lance le posò una mano sulla spalla ma Lydia non voleva essere consolata, in fondo tutti e quattro si trovavano nella stessa situazione. No, lei voleva solo capire come poteva essere scampata da morte certa per due volte. Perché lei sì e altri no? Si alzò di scatto, sfuggendo al contatto con Lance. Prese il suo piatto e quello vuoto di Lance e andò al lavabo; in mancanza di acqua corrente si limitò a pulirli con un Gratta e Netta.
«Lydia...»
«Dovremmo dormire.» tagliò corto lei posando i piatti con più forza del dovuto accanto al fornello.
Si vedeva che Lance non voleva lasciare cadere l’argomento ma lo sguardo di Lydia lo fece desistere. «C’è solo un letto matrimoniale in questa casa. Tu e Katherine potete dormire lì. Io starò qui con Duncan.» Dal tono di voce la prospettiva non lo allettava.
«Perfetto!» Lydia si avviò verso la porta aperta che portava alla camera da letto. Si fermò sulla soglia e si voltò di nuovo verso Lance. «Lo sai che Duncan ci ha salvato la vita, vero?»
La smorfia di Lance fu inequivocabile.
Lo sapeva e non gli piaceva per niente.
 
 
Il giorno dell’undicesimo compleanno di Lance e Caitlin, i due bambini si svegliarono presto. Corsero a spalancare la finestra e rimasero lì, fermi e immobili nonostante il vento freddo che entrava, a fissare il cielo. E poi ecco finalmente qualcosa muoversi nel cielo terso, un movimento lontano di qualcosa di infinitamente piccolo. Ad ogni secondo si avvicinava sempre più ed aumentavano le sue dimensioni, i suoi lineamenti si delineavano. Prima intravidero le ali, poi riuscirono a distinguere chiaramente il gufo che stava volando inconfondibilmente verso la loro finestra. Caitlin cercò la mano di Lance e la strinse forte. Lance fissava il gufo senza sbattere le palpebre, per paura che potesse scomparire. E infine il gufo arrivò, planò sopra la loro testa arruffandoli i capelli ed atterrò con grazia sul tavolo della cucina.
I loro genitori furono i primi a comprendere che c’era qualcosa di sbagliato.
I bambini corsero invece verso il gufo accorgendosi solo all’ultimo di quel particolare. «Solo una lettera? Pensavo ne mandassero due.» disse Caitlin. «Avranno risparmiato sulla carta.» si rispose da sola alzando le spalle e allungando una mano verso la zampa del gufo.
«Cait…» la chiamò suo padre. Sembrava triste. «Dovrebbero essere due…» disse semplicemente.
«Oh…» commentò Lance, interdetto «Non importa, sarà in ritardo l’altro gufo.»
«Giusto.» annuì Caitlin «Allora aspettiamo anche l’altro, così le apriamo insieme.» Ed ignorando completamente la lettera appena arrivata, corsero verso la finestra per tornare a fissare il cielo.
Essendo girati di spalle non videro il padre prendere la lettera appena arrivata e leggere l’intestazione, non videro la madre stringersi le mani al petto con gli occhi intrisi di lacrime. Non sentirono i loro bisbigli preoccupati.
«Un gufo!» urlò Lance agitando le braccia. Per un secondo i loro genitori ebbero la speranza che fosse stato solo un equivoco. Ecco l’altro gufo, era davvero solo in ritardo. Ma man mano che l’animale si avvicinava, riconobbero il gufo del loro figlio maggiore, così come fecero Caitlin e Lance. Caitlin prese il pacchettino dalla zampa di Argus che gli becchettò una mano e poi si avventò sul tavolo della cucina per rubare del cibo. Il maestoso gufo della scuola lo squadrò con disprezzo per poi ricominciare a bere il succo contenuto in un bicchiere. Lance prese la lettera incastrata nel nastro del pacchetto e la lesse velocemente. «E’ di Duncan. Ci fa gli auguri di buon compleanno e dice di scrivergli appena riceviamo la nostra lettera.» I bambini misero da parte lettera e pacchetto ancora incartato per riprendere a fissare il cielo. I due gufi intanto si erano ristorati e ripresero il volo per tornare a scuola.
Passò mezz’ora.
Un’ora.
Lance e Caitlin continuavano ignari a guardare il cielo, i loro genitori pregavano per un miracolo. Ma dopo un’ora e mezza dovettero arrendersi all’evidenza ed accettare il triste destino.
«Certo che è proprio in ritardo questo gufo…» commentò Caitlin sbuffando.
«Pensi che gli sia capitato qualcosa di brutto?» chiese Lance, preoccupato.
«Lance, Caitlin…» prese coraggio loro padre «Non c’è nessun altro gufo.»
I bambini si voltarono di scatto verso i genitori. «La lettera è davvero per tutti e due?» chiese Caitlin «Potevate dircelo subito! Non sento più le gambe a forza di stare qui in piedi!» e con un balzo raggiunse il tavolo ed allungò una mano verso la lettera che la madre stava tormentando. Lance corse al suo fianco.
«No, Caitlin…» Il padre guardò la moglie in cerca del coraggio per affrontare quel momento «Non c’è nessun altro gufo e non c’è nessuna altra lettera.»
Il significato di quelle parole si riversò su Lance e Caitlin come una doccia fredda.
Lo sapeva. Lance lo sapeva da anni, se lo sentiva di non essere abbastanza per andare ad Hogwarts. E anche Caitlin si voltò verso di lui. «Mi dispiace, Lance. Dovevamo andarci insieme…» Gli occhi di Lance si riempirono di lacrime.
«Cait…» disse la madre «La lettera è per Lance.»
E così il mondo di Lance si sgretolò in un istante.
 
 
 

 
Curiosità: Chi ha capito chi sono i due componenti dell’Ordine della Fenice apparsi nel capitolo vince un premio! Scrivete i nomi nelle recensioni e vi dirò se avete indovinato xD
Note: Un capitolo fondamentale per la storia e che ho amato scrivere, sia nella parte ambientata nel presente sia nei flashback, fondamentali per me per riuscire a raccontare nella sua interezza la storia di Lance e Caitlin...
Oltre al fatto che mi ha permesso di introdurre uno dei personaggi che più adoro; Silas è stata la mia fonte costante di allegria durante la scrittura e spero che anche voi possiamo adorarlo come l'ho adorato io xD

Alla prossima settimana,
Un abbraccio!

Emma Speranza

 
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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Il male del silenzio ***


Capitolo 11
Il male del silenzio
 

Caitlin smise di parlargli quel giorno stesso.
Corse nella loro camera e si chiuse dentro, i genitori la seguirono chiamandola e implorandola di ascoltarli. Nella fretta avevano lasciato cadere la lettera di Lance sul pavimento.
Lance si sentiva ovattato, tutto il mondo si muoveva al rallentatore ai suoi occhi. Si chinò a raccogliere la lettera. La busta era rovinata, sua madre l’aveva stropicciata nell’agitazione e angoscia, un angolino si era strappato.
Lance si sedette alla sua solita sedia. Sentiva i suoi genitori parlare nel corridoio. Così lontani. Mise la lettera sul tavolo e tentò diverse volte di appiattirla con il palmo della mano. Spezzò il sigillo di Hogwarts ed estrasse la lettera. Anche quella non era stata risparmiata dalla presa dei suoi genitori. La pergamena era sgualcita e anche lei stracciata in un angolo, o meglio, in diversi punti, constatò quando la aprì. Tentò più volte di leggerne il contenuto, ma non riusciva a comprendere le parole che vedeva. Il suo sguardo continuava a tornare sulla prima frase.
‘Caro signor O’Brien,’
E rimase per ore lì, seduto immobile al tavolo della cucina apparecchiato e con la torta di compleanno già pronta e completamente dimenticata da tutti. Caitlin e i suoi genitori riemersero dalla cameretta solamente nel pomeriggio e quella sera stessa Caitlin si trasferì a dormire nella stanza degli ospiti. Il giorno dopo aveva già spostato tutte le sue cose nella sua nuova camera, lasciando Lance completamente solo per la prima volta nella loro vita.
Lance tentò più volte, nei giorni successivi, a convincere la sorella che non era colpa sua, che lui avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di andare ad Hogwarts con lei, ma ogni volta Caitlin non rispondeva, non lo guardava neppure, nonostante i loro genitori tentassero di farle comprendere la stessa cosa e far tornare tutto come era prima.
Ma non era possibile, nulla sarebbe più stato lo stesso.
E così passarono le settimane e Lance si sentiva sempre più solo. Era come se gli avessero amputato metà cuore.
Solo il ritorno di Duncan dalle vacanze estive cambiò la situazione. Caitlin tornò a parlare con la vivacità di un tempo, anche se sembrava forzata, e continuando a rivolgere meno parole possibili al suo gemello. Solo sguardi freddi e parole altrettanto gelide.
Lance non era mai stato così triste.
 
 
«E’ giunto il momento del nostro piano!» annunciò a gran voce Katherine rientrando in camera. Era il secondo giorno in cui si trovavano in quel rifugio, eppure i loro inseguitori continuavano a rimanere intorno alla proprietà, pronti a stanarli appena avessero tentato di uscire.
«Hai trovato il modo per andarcene da qui?» chiese Lydia.
Il sorriso di Katherine si incrinò. «No...»
«Allora sai come contattare i signori O’Brien?»
A questo punto il sorriso si spense del tutto. «No.» Il suo malumore però non durò a lungo, sostituito da quell’entusiasmo che Lydia stava cominciando a temere «Ma è arrivato il momento di far parlare quei due!»
Lydia si era quasi dimenticata del piano ideato da Katherine due giorni prima, e aveva sperato che lei avesse fatto lo stesso, ma in fondo doveva saperlo che da vera Corvonero, non avrebbe mai rinunciato a mettere in pratica un suo piano, per quanto impraticabile fosse.
Katherine si sedette sul letto, accanto a Lydia, che grugnì e si voltò dall’altra parte, coprendosi la testa con le lenzuola. Katherine non recepì il messaggio e continuò a parlare. «Abbiamo già aspettato fin troppo. Ammetto che l’essere stati inseguiti da un gruppo di pazzi assassini ha rallentato i miei piani, ma dovremmo vederla come un’occasione d’oro!» Lydia grugnì e prese il cuscino di Katherine per coprire ancora di più il volto. La voce ovattata di Katherine giunse lo stesso fino alle sue orecchie. «Siamo in un luogo senza distrazioni! Non ci sono bambini, né genitori invadenti né Caitlin, potrebbe non presentarsi mai più un’occasione del genere!» Era confortante sapere che c’era la possibilità che non si dovessero mai più trovare in una casa sperduta circondata da maghi che li volevano morti. «Lydia, ti dico che è il momento perfetto per il nostro piano!»
Lydia mugugnò rinunciando definitamente all’idea di poter dormire ancora qualche minuto. Spostò il cuscino e ripiegò le coperte, trovandosi accecata dalla luce del sole che stava calando oltre le fronde degli alberi. Katherine doveva aver aperto le imposte con un incantesimo non verbale. Lydia riprese il cuscino e se lo premette di nuovo sul viso, degli aloni di luce erano ormai impressi nelle sue palpebre.
 «Sono già rimasti da soli le sere scorse, cosa ti fa pensare che oggi si parleranno?»
La sua domanda fu accolta dal silenzio, cosa che le fece abbassare il cuscino. Quando riuscì a mettere a fuoco il viso di Katherine si accorse di un particolare. «Stai ghignando per caso?» Non era possibile. Non la cara e dolce Katherine, l’unica normale nel quartetto, o in generale di casa O’Brien, se si considerava anche Caitlin. Lydia provò una fitta allo stomaco ripensando a Caitlin in quanto quel nome era collegato inequivocabilmente a quello di Henry e di tutti gli abitanti di casa O’Brien. Negli ultimi due giorni si erano spremuti le meningi nel pensare ad un modo sicuro per contattare la loro famiglia e far sapere che stavano tutti bene, ma non erano riusciti a trovare nessuna soluzione, soprattutto considerando che non erano disposti a correre rischi inutili. Era meglio che pensassero che fossero stati rapiti o uccisi piuttosto che esporli al pericolo che qualcuno seguisse il loro messaggio arrivando a casa O’Brien. Allo stesso tempo però non sapevano quanto avrebbero potuto resistere senza rinforzi.
La risposta di Katherine fu provvidenziale per non farla cadere nel vortice di ansia e tristezza che provava ogni notte al pensiero della presenza dei Mangiamorte a pochi metri di distanza da loro. «Sì, sto ghignando, come dici tu. E il motivo è semplice. Effettivamente i giorni scorsi Lance e Duncan si sono trovati da soli nella stessa stanza ma ogni volta uno dei due stava dormendo e l’altro era troppo stanco per parlare dopo il turno di guardia. Ora invece sono freschi e riposati e nessuno di loro ha un turno fino a domani mattina. Ho appena finito il mio turno ed ora tocca a te.»
«No, adesso tocca a Lance.»
«Ma tu prenderai coraggiosamente il suo posto, mentre io sono stanca e penso che me ne starò qui a letto per riposare un po’, il che significa che quei due avranno tutta la serata per stare insieme e parlare.»
«Aspetta, cosa!?» Lydia abbracciò il cuscino. «Ho sonno e non ho intenzione di fare di nuovo il turno di notte!» Una volta le era bastata. Aveva passato tutta la notte precedente seduta sulla porta d’entrata mentre un Mangiamorte la fissava senza in realtà vederla a soli cinque metri di distanza. Per non parlare del momento inquietante in cui un gruppetto era comparso all’improvviso nell’oscurità della foresta per dare il cambio ai loro compagni, facendola spaventare talmente tanto che il suo primo istinto era stato quello di rientrare in casa a chiedere a qualcuno di darle in cambio. Poi si era immaginata come avrebbe reagito Duncan, sicuramente le avrebbe dato della codarda, e solo quello l’aveva fatta desistere e rimanere seduta lì, pregando che il mattino arrivasse presto.
«Lydia, devi pensare a Duncan e Lance. Il loro rancore non fa bene alla squadra, pensa alle meraviglie che potrebbero fare se solo si decidessero ad andare d’accordo durante questo terribile momento. Sono sicura che se riuscissero a collaborare riusciremmo anche ad inventarci un piano per uscire da qui, e invece è impossibile se quei due continuano a bisticciare per ogni cosa!»
Lydia sbuffò ma Katherine aveva toccato le corde giuste. La dolce prospettiva di poter lasciare quel posto infermale e tornare a casa O’Brien la spinsero a trovare il coraggio per alzarsi dal soffice letto ed infilarsi le scarpe. «Solo perché voglio tornare a casa.» sentenziò.
Katherine si alzò dal letto con un’esclamazione di gioia e la abbracciò. «Grazie!»
Lydia si irrigidì. «Prima però mi lasci il tempo di cenare.»
«Tutto quello che vuoi!» disse lasciandola andare.
Lydia sospirò chiedendosi in che guaio si fosse appena cacciata. Uscì dalla stanza proprio mentre Lance stava aprendo la porta d’ingresso. «Aspetta.» disse con poco entusiasmo. «Faccio io il turno di notte.»
Lance la guardò perplesso. «Pensavo che avessi odiato il turno di notte.» Duncan se ne stava seduto al tavolo della cucina, ignorandoli completamente.
Lydia aprì l’anta della dispensa e guardò sconsolata le lattine impilate una sopra l’altra. Funghi, piselli, carne in gelatina e altre schifezze simili. Afferrò la scatoletta di carne ed una forchetta andando a sedersi di fronte a Duncan. Il tavolo era piccolo e non poteva sedersi più lontana di così. «No, cosa te lo fa pensare?» tirò la linguetta della scatoletta rivelando il contenuto, che sembrava più appropriato come cibo per gatti che per umani.
Lance aveva la mano ancora appoggiata alla maniglia. «L’hai detto tu stamattina. ‘Odio il turno di notte, odio i Mangiamorte e odio anche voi’. Testuali parole.»
Lydia scrollò le spalle fingendo indifferenza. «Ero solo stanca.» Prese una forchettata di carne e la mise in bocca. Iniziò a masticare lentamente, aveva scoperto a sue spese che aiutava a tenere a bada la fame. Lance richiuse la porta e andò a sedersi sull’unica sedia rimasta libera, ancora non del tutto convinto. Lydia deglutì prima di riprendere parola. «Però odio davvero i Mangiamorte.»
Duncan smise di fingere indifferenza. «Quelli non sono Mangiamorte.» A Lydia andò di traverso la carne in gelatina ed iniziò a tossire, Lance le diede alcuni colpetti sulla schiena.
«Cosa vuol dire che non sono Mangiamorte?» chiese Lance sorpreso.
«Quello che ho appena detto. Quelli lì fuori non sono veri Mangiamorte, e non lo erano neanche quelli che ci hanno inseguito fino a qui.»
Visto che Lydia continuava a tossire, Lance fece apparire un bicchiere d’acqua e glielo passò. Lydia ne bevve avidamente il contenuto, riuscendo finalmente a tornare a parlare nonostante la voce rauca e le lacrime agli occhi.
«E tu come fai a saperlo?»
«Avevo già i miei dubbi. E’ da mesi se non anni che ci sono voci di alcuni gruppi di sostenitori delle opere del Signore Oscuro e dei suoi fedeli Mangiamorte. Persone normali che condividono i loro valori sulla purità del sangue e l’ascendenza magica e agiscono di conseguenza, seviziando babbani e Nati Babbani.»
«Non è possibile che ci siano maghi o streghe rispettabili che farebbero cattiverie del genere senza aver stretto un patto con Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.» disse Lance.
Duncan lo squadrò. «Non essere stupido, Lance.» Una maschera calò sul volto di Lance. «Esistono eccome persone così e sono più di quante pensi. Pensaci un attimo, se davvero tutti i maghi e le streghe fossero a favore dell’uguaglianza, allora il Signore Oscuro non sarebbe riuscito così facilmente a far cadere il Ministero, la Gazzetta e ad istituire il Censimento.» Lydia abbassò lo sguardo, il suo pensiero rivolto ad Alice. «Lo zio ha detto che al Ministero alcuni suoi colleghi hanno iniziato a denunciare i famigliari degli altri per discendenza incerta. Hai sentito cosa è successo ai colleghi di Katherine, senza che nessuno facesse nulla per aiutarli. Il male si presenta in molte forme, Lance, a volte si cela anche nel silenzio delle persone.»
«E come hai fatto a capire che le voci sono vere?» chiese Lydia.
Duncan si passò una mano sul volto, lasciando intravedere per soli pochi secondi la stanchezza che provava. «Ho riconosciuto uno di loro. L’altro giorno, fuori dalla casa del nostro ultimo bambino, era lì che si guardava attorno con fare sospetto e bacchetta pronta alla mano. L’ho subito riconosciuto, era un Tassorosso del mio stesso anno, è per questo che io e Katherine ci siamo immediatamente accorti di essere stati scoperti e siamo riusciti a raggiungervi in tempo. Anche due di quelli là fuori mi sembra di averli già visti a scuola. E se le voci sono vere significa che anche quello che avevo sentito su altri studenti di Hogwarts è altrettanto vero.»
Lydia raddrizzò la schiena. «Sai chi è passato dalla parte di Tu-Sai-Chi?»
«Alcuni erano prevedibili: figli di famiglie Purosangue sempre state troppo legate alla purità del Sangue; altri insospettabili. Ho sentito che Aleck Byrne, Sienna Walsh e Oswin Robertson sono tra i sostenitori del Signore Oscuro, anche Thaddeus Mills, forse conoscete suo fratello, se non sbaglio era del vostro anno.» Lydia lo conosceva fin troppo bene.
«Praticamente sono tutti i nomi della lista.» disse Lance.
«Quale lista?»
Lance scrollò le spalle. «Era una lista di nomi che il Preside ha dato a noi Prefetti. C’erano i nomi degli studenti da tenere particolarmente d’occhio e riferire se compivano atti di bullismo. Se devo essere sincero era una cosa completamente inutile. Non sai quante volte li ho denunciati e nessuno ha fatto nulla al riguardo. Venivano convocati nell’ufficio del Preside e uscivano dieci minuti dopo con una caramella al limone in mano.» Lance fece una smorfia. «E dopo se la prendevano con me e ricominciava tutto daccapo.»
Duncan continuò il suo elenco. «Cyril mi ha detto che anche Zachary Harris e Miles Carter sono stati visti girare con compagnie sospette. E se non sbaglio anche Eileen Moore si è unita al loro gruppo.»
Gli occhi di Lydia schizzarono verso Duncan al sentir nominare quel nome. Prima che gli altri potessero accorgersi del suo improvviso interesse, cercò di mascherare la propria espressione ed iniziò a rigirare la carne rimasta nella scatoletta. «E si sa qualcosa di suo fratello?» chiese con finta indifferenza.
Anche se non lo stava guardando, percepì Lance irrigidirsi improvvisamente. Gli lanciò un’occhiata di sottecchi e scoprì che stava stringendo un bicchiere, le nocche bianche e i nervi rigidi.
Duncan non si accorse di nulla. «Blake, giusto? No, di lui non so niente.»
Lydia cercò di mascherare il suo sollievo e, per evitare domande inopportune, si alzò e buttò nel cestino la sua scatoletta vuota. «Bene, è già tardi. Buona notte.» E senza voltarsi indietro uscì dalla casa.
La luce del giorno era svanita, l’oscurità aveva iniziato ad ammantare la foresta attorno a loro, i rami degli alberi sembravano dita scheletriche, e i Mangiamorte, o meglio, i seguaci di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato, seduti sotto i loro tronchi, non contribuivano certo a rendere più idilliaco il paesaggio. Lydia rabbrividì.
Fece un giro veloce attorno alla casa accendendo delle piccole luci su tutti i lati e tornò alla postazione davanti alla porta. Nell’oscurità, l’alone dorato e argento degli incantesimi di protezione era poco visibile, doveva concentrarsi in un punto preciso prima di riuscire ad intravederlo e questo non aiutava ad attutire la punta di terrore che provava ogni volta che vedeva i loro nemici a così pochi metri da lei.
Odiava quel turno e si sarebbe vendicata di Katherine.
La temperatura stava calando di giorno in giorno e infatti quella notte era più fresca rispetto alla precedente, Lydia si pentì di non aver preso una coperta per superare le lunghe ore che la aspettavano. Ma non aveva neppure intenzione di rientrare e dover affrontare Lance. Si sarebbe scaldata nei suoi giri programmati attorno alla casa.
Solo il leggero frusciare delle fronde riempiva il silenzio notturno. Lydia sentiva le palpebre pesanti e non riusciva a smettere di sbadigliare. Almeno si augurava che tutto quello fosse valso a qualcosa, Duncan e Lance stavano di sicuro parlando, Katherine non avrebbe permesso loro di fare altro, solo che la porta chiusa le impediva di sentire qualsiasi voce. Peccato, sarebbe stato un ottimo modo per rimanere sveglia e scoprire quale segreto nascondessero i fratelli O’Brien. Ma doveva rispettare il patto stretto con Lance ed aspettare che fosse lui a parlargliene.
Si strofinò gli occhi.
«A noi tocca sempre il turno peggiore, vero?» chiese al Mangiamorte, o qualunque cosa fosse, riconoscendo nell’oscurità lo stesso viso che aveva visto la sera precedente. In realtà la notte prima aveva fatto il turno che andava dalle due fino all’alba, altrettanto buio, altrettanto pessimo. «Cosa sei? Una specie di tirocinante delle forze del male? Per questo ti mettono negli orari peggiori?» Le sfuggì una risatina al pensiero, subito zittita da un lieve movimento del Mangiamorte stesso. Rimase in attesa con il cuore in gola. Sapeva che non poteva sentirla ma la paura la avvolse lo stesso. Il ragazzo si limitò a spostare alcuni rametti e risedersi, appoggiando la schiena ad un albero. Lydia fece un sospiro di sollievo e si mise a sua volta comoda, sprimacciando il cuscino con cui avevano cercato di rendere più accogliente la postazione di guardia. Non faceva molto effetto considerando che rientravano sempre tutti con il mal di schiena.
Lydia soffocò un altro sbadiglio. «Forse riuscirei a rimanere sveglia se potessimo fare una chiacchierata.» continuò «Potrei chiederti come mai sei diventato un tirocinante del male. O cosa mai ti abbiamo fatto per farci odiare così tanto. Pensi anche tu che abbiamo rubato la magia o vuoi solamente avere più potere in questo mondo?» Per quanto ci pensasse, Lydia non riusciva proprio a capire. «Per quale motivo segui gli ordini di un mostro? Come potete pensare che sia possibile creare un mondo magico formato solamente da Purosangue? Siete in via di estinzione, fatevene una ragione.» Si sfregò gli occhi, un leggero dolore alla schiena si stava già diffondendo nelle sue ossa. Il Mangiamorte si alzò in piedi provocando una nuova ondata di panico in Lydia, che sobbalzò ed impugnò saldamente la bacchetta prima di rendersi conto che l’uomo stava solamente facendo qualche passo per sgranchirsi le gambe. Lydia sospirò «Siete patetici.» e il discorso si concluse. Cercare di trovare delle risposte a dei quesiti che si poneva da anni non la aiutava, non poteva conoscerne la risposta, forse nemmeno quei burattini avrebbero potuto risponderle. 
Cercò di trattenere uno sbadiglio. Non doveva addormentarsi. Eppure più pensava a quanto fosse necessario rimanere svegli, più la sua mente le ricordava la sua stanza in casa O’Brien, quel letto morbido, il silenzio confortante delle notti e le urla dei bambini come sveglia. Lo doveva ammettere, le mancava.
E si sarebbe persa in altri ragionamenti simili se una voce non avesse interrotto la quiete della sera. «MI HAI COSTRETTO!»
Lydia controllò che il Mangiamorte di fronte a lei non avesse sentito, scordandosi per un momento che le protezioni avrebbero impedito a qualunque rumore di superarle. La risposta di Duncan non superò la porta, non si poteva dire altrettanto della voce di Lance. «NON PROVARE A DARE LA COLPA A ME.»
La colpa di cosa?
La curiosità era grande e Lydia avrebbe potuto ascoltare anche le risposte di Duncan con un semplice incantesimo, eppure si trattenne. Aveva già abbastanza preoccupazioni e motivi per odiare il Serpeverde anche senza aggiungere quelli di Lance. Appoggiò nuovamente la testa alla porta, tanto ci avrebbero pensato le urla di Lance a tenerla sveglia.
«Non ricomincerai con questa storia!»
Attimi di silenzio.
«Ha fatto quello che pensava fosse giusto, lo stesso che hai fatto tu, no?» Il sarcasmo dell'ultima frase era chiaramente distinguibile. Lydia creò una minuscola lucina che si mise a volare accanto al suo viso. Un passatempo che risaliva agli anni di Hogwarts e che il gatto di Alice aveva sempre amato. «Almeno la tua fidanzata sa come tratti le ‘persone che ami’?» Altro sarcasmo. Lydia guidò la lucina negli alberi ancora compresi dall’incantesimo e tentò di farla ruotare attorno senza colpire il tronco. Le prime tre volte fallì, la luce si bloccò in alcuni rami bassi dell’albero, ma al quarto tentativo riuscì a farla volare intorno e farla tornare verso la porta. Sorrise soddisfatta. Ormai era quasi l’ora di fare il giro di controllo, magari sarebbe riuscita a togliersi quella sensazione di gelo se si fosse mossa. E si stava alzando quando si accorse di non sentire la voce di Lance da qualche minuto. Dovevano aver smesso di litigare. Si stiracchiò le braccia e fece due saltelli sul posto per attivare la circolazione delle gambe. «NON OSARE DIRE NIENTE CONTRO DI LEI, BASTARDO!»
Lydia si bloccò, si voltò di nuovo verso la porta e il tono di voce di Lance la spinse ad andare a controllare. Entrò in casa in tempo per vedere Lance e Duncan che puntavano le bacchette uno contro l'altro dai due lati opposti del salotto.
«Cosa state facendo?» chiese mentre anche Katherine compariva dalla stanza da letto urlando di fermarsi.
Lydia rimase sulla soglia della porta aperta. «Non vorrete fare la replica dell'altra sera. Se volete uccidervi a vicenda ditemelo che almeno esco prima che qualcuno faccia di nuovo male a me.» Nonostante le sue parole, aveva il braccio della bacchetta teso, pronto per essere usato in caso la situazione degenerasse.
Katherine nel frattempo si era messa in mezzo ai due fratelli. «Non è questo il modo per risolvere la questione.» tentò di essere diplomatica «Dovete calmarvi e cercare di capire uno le ragioni dell’altro.»
Lance non sembrava intenzionato a calmarsi «Ti fai anche proteggere dalla fidanzata ora?»
«Mi sembra che anche la tua si sia messa in mezzo.» replicò Duncan mantenendo il suo solito tono di voce, con un autocontrollo che Lydia avrebbe apprezzato se non si fosse soffermata su una parte di quella frase.
«Io non sono la fidanzata di nessuno.» disse con una smorfia. Duncan, Lance e Katherine si voltarono a guardarla. Lydia non ne comprese il motivo, ma almeno sembrava aver distolto per un attimo i due fratelli dall’intento di maledirsi a vicenda. «Se avete finito di urlarvi contro, io torno a fare la guardia, oppure se volete uccidervi a vicenda potete semplicemente attraversare il confine e consegnarvi a Voi-sapete-chi. Fate come volete.» Detto questo uscì di nuovo e sbatté la porta alle sue spalle. «Per colpa vostra divento anche l'unica responsabile nel gruppo.» borbottò rivolgendosi al Mangiamorte, ancora fermo al suo posto.
La porta si riaprì dopo pochi secondi. A Lydia non servì neanche sollevare lo sguardo per capire di chi si trattasse, il suo ‘scusa’ le bastò per riconoscerla.
«I tuoi piani non funzionano.» constatò Lydia tenendo lo sguardo fisso sul Mangiamorte. «Non va contro i tuoi principi da Corvonero?»
«Sono loro ad essere troppo testardi…» rispose Katherine stizzita, colpita nel suo orgoglio.
Lydia non si soffermò troppo sulla questione, preoccupata da un problema più urgente. «E ora chi dorme sul divano? Se li lasciamo tutta notte nella stessa stanza potrebbero distruggerla e facilitare il lavoro a questi qui fuori.» indicò il bosco attorno a loro e si ricordò che nella fretta di separare i due fratelli non aveva fatto il giro d’obbligo per controllare la situazione alle spalle della casa. Abbandonò Katherine sull’ingresso e si affrettò a correre intorno alla casa. Tutti i Mangiamorte erano rimasti ai loro posti, non avevano sentito la discussione e sembravano ancora più annoiati e insonnoliti di prima. Tirò un sospiro di sollievo e si sedette sul cuscino. «Facciamo così.» guardò in alto verso Katherine «Io dormo sul divano e tu e Duncan dormite nel letto matrimoniale.»
«Sicura?»
Lydia annuì e soffocò uno sbadiglio. «E visto che sono così clemente pretendo una tazza gigantesca di caffè.» Fu accontentata nel giro di cinque minuti.
 
Il resto della notte trascorse tranquillo e alle due e mezza, Lydia si alzò a fatica dalla postazione, andò a svegliare Duncan e, senza aspettare una sua risposta, si diresse trascinando i piedi verso il divano, lasciato libero da Lance, che dormiva invece sul pavimento sopra un ammasso di coperte, in una posizione che doveva essere molto scomoda. O almeno, tentò di raggiungere il divano. In realtà, mentre guardava Lance e si chiedeva come facesse a dormire in quel modo, non si accorse di essere sopra al suo piede ed inciampò. Il sonno non aiutò: nel giro di pochi attimi si trovò con un ginocchio per terra e con un Lance che con voce impastata chiedeva «Tutto bene?»
Lydia si mise a sedere sul pavimento, accanto al ragazzo. Prima di poter rispondere, Duncan fece il suo ingresso nella sala e li oltrepassò senza rivolgere loro neppure un cenno. Chiuse la porta d’ingresso dietro di sé con un tonfo.
«Niente di strano.» le sembrava davvero di essere tornata ad Hogwarts. Tranne per il fatto che a scuola non dormiva con Lance, né era costretta a nascondersi, né aveva la cicatrice. In effetti era cambiato fin troppo in quei pochi anni. «Mi dispiace per te e tuo fratello.»
«No che non ti dispiace.» Lance si sfregò gli occhi e si voltò verso di lei.
Lydia ci pensò un attimo. «No, in effetti non mi dispiace. Sai che non ho mai sopportato Duncan.»
«E lui non ha mai sopportato te.» Nel silenzio successivo si potevano sentire i passi di Duncan attorno alla casa «Penso che sia per questo che Caitlin voleva tanto conoscerti. Io parlavo bene di te e ogni volta lui rispondeva dicendo cose orribili sul tuo conto, e la situazione non finiva mai bene, soprattutto da quando siamo tutti e due maggiorenni.»
A Lydia sfuggì un sorriso, invisibile agli occhi di Lance a causa dell’oscurità. «Oh, quindi parlavi molto di me.» scherzò, Lance rispose con un verso indefinibile. Lydia sbadigliò per l’ennesima volta, gli occhi le si chiudevano e non aveva nessuna voglia di alzarsi per raggiungere il divano. Si tolse le scarpe e si sdraiò accanto a Lance, ancora intento a trovare una risposta valida alla sua osservazione. «Accio cuscino.» Lo posizionò sul pavimento proprio mentre Lance aveva finalmente trovato qualcosa da dire. «Mi servivi come esempio per dimostrare che i Grifondoro non sono poi sempre così male.»
Lydia cercò a tentoni una coperta e appena trovata la spinse leggermente verso di sé. «Sai, anche io parlavo spesso di te a casa.» Per la prima volta non sentì l’angoscia tipica di quando ripensava ai suoi genitori. «Ma non come esempio di Tassorosso. Volevo solo raccontare di te.» e si addormentò nel silenzio successivo.
 
«Geminio.» I barattoli raddoppiarono lasciando ben evidente agli occhi di tutti quali fossero quelli originali. I colori sgargianti della scatola non erano venuti bene, come se fossero stati fotocopiati troppe volte e l’inchiostro stesse finendo.
«Finiremo avvelenati.»
«Dobbiamo andarcene.» dissero nello stesso momento Lydia e Lance.
Era passata una settimana da quando erano arrivati al rifugio e sentivano tutti la necessità di uscire da quel posto e tornare a casa O’Brien. Certo, uno dei motivi principali per cui volevano andarsene era per scappare dai loro nemici, ma soprattutto per tornare in quella casa talmente larga da non essere costretti a vedersi in ogni singolo istante della loro giornata. A Lydia non dispiaceva la compagnia di Katherine, anzi, nei giorni trascorsi insieme avevano iniziato a parlare più di quanto avessero mai fatto in casa O’Brien, e di sicuro non aveva problemi a passare tutto il giorno con Lance. Ma quando si trovava con Duncan la storia era diversa. Per evitare di far precipitare la situazione, Lance e Duncan avevano tacitamente deciso di non parlarsi, evitando così discussioni che avrebbero facilitato il lavoro ai seguaci di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato. Inoltre a tutti loro mancavano i confort di casa O’Brien, tra cui una doccia funzionante, dei vestiti che non fossero trasfigurati da alcuni stracci e cibi non preconfezionati.
Senza contare il fatto che Lydia e Lance soffrivano ormai di un perenne mal di schiena causato dai turni di guardia e dal dormire sul divano o sul pavimento. Lydia aveva provato a trasfigurare l’ammasso di coperte in un vero letto ed era riuscita con grande successo: il materasso era soffice al punto giusto e confortevole e Lance aveva dormito bene per la prima volta in tre giorni. Ma Lydia aveva sempre avuto dei problemi di concentrazione nelle sue Trasfigurazioni e così, dopo due ore di sonno, Lance era ripiombato improvvisamente a terra, il letto tornato alla sua forma originaria. La botta lo aveva lasciato bloccato con la schiena per l’intero giorno successivo. Anche Katherine aveva tentato di aiutarli ma, quando aveva lanciato l’incantesimo, l’ammasso di coperte si era trasformato in un’orda di topi che aveva creato una baraonda tale che persino i Mangiamorte fuori dalla loro porta avevano sollevato la testa credendo di aver sentito dei rumori. E così avevano scoperto che Katherine era una frana in Trasfigurazioni, anche se non lo avrebbe ammesso mai. Dopo l’esperienza dei topi Lance si rifiutò categoricamente di provare a fare lui l’incantesimo sentenziando che preferiva dormire per terra piuttosto che rischiare di svegliarsi in un cumulo di ratti o chissà quale altra stregoneria. Duncan ovviamente non si era neanche proposto di aiutarli.
E infine a Lydia mancava un’altra cosa di casa O’Brien, qualcosa che non avrebbe mai ammesso neppure sotto tortura, eventualità molto probabile visto che si trovavano circondati da esperti assassini e torturatori. Le mancavano i bambini. In quei giorni trascorsi lontani, si era resa conto che i bambini sapevano come rallegrare le persone accanto a loro. Quella casa invece, oltre ad essere terribilmente piccola, era troppo silenziosa e piena di rancori.
Anche senza pensare alla mancanza ormai imminente di cibo, non sarebbero resistiti per molto loro quattro da soli, si sarebbero uccisi o si sarebbero buttati a vicenda nelle mani dei loro nemici. No, dovevano trovare un modo per uscire da lì.
«Troveremo un piano.» disse decisa Katherine voltando le spalle alla loro misera riserva di cibo per guardare i suoi compagni. «Siamo un Corvonero, un Tassorosso, un Serpeverde e un Grifondoro. Insieme abbiamo tutti gli elementi giusti per trovare un modo per scappare.» Detto questo si avviò verso l’esterno facendo segno agli altri di seguirla.
«O per ucciderci a vicenda.» rispose Lydia esprimendo ad alta voce i pensieri di poco prima ma seguendola comunque nel piccolo pezzo di foresta compreso nel loro incantesimo. Le guardie erano ancora lì, ne contavano una mezza dozzina che circondavano la casa, ed erano ormai sicuri che ce ne fossero altre nascosti nelle retrovie.
«Sembra l’inizio di una pessima battuta.» replicò Lance «Un Corvonero, un Tassorosso, un Serpeverde e un Grifondoro entrano in un bar…»
«Racconteranno la nostra storia ad Hogwarts, diventeremo la barzelletta del secolo.» annuì Lydia.
«State zitti.» Duncan stava ringhiando, e Lydia avrebbe voluto farglielo notare ma in fondo era davvero stanca di dovergli parlare così tanto. Per una volta si sarebbe impegnata per uscire da lì piuttosto che iniziare una discussione come era accaduto per tutti i sei giorni precedenti.
Prese un sasso da terra e lo lanciò contro la barriera. Katherine sosteneva che era un ottimo modo per testare le difese. A seconda della luce che emanavano colpendole si poteva capire se erano ancora in ottimo stato o dovevano essere rafforzate. Nel punto di contatto la recinzione eterea emise un fascio di luce bianco, per poi tornare al suo solito colore. Le protezioni erano ancora intatte. «Ci sono sei nemici, più tre nelle retrovie e chissà quanti altri. Per non contare l’incantesimo contro la Materializzazione.»
«Di sicuro non si estende per molto terreno considerata la velocità con cui si procurano il pranzo.» osservò Katherine.
«Se riuscissimo a colpire i due che continuano a girare senza che gli altri se ne accorgano, poi potremmo metterci ognuno davanti ad uno di loro e uscire dalle protezioni nello stesso momento. Li coglieremmo di sorpresa e faremmo in tempo a metterli fuori gioco prima che possano chiamare rinforzi.» gli occhi di Lance si illuminarono, accesi da una nuova speranza.
A Lydia dispiaceva distruggergli anche quell’unica idea «Quelli hanno l’Avada Kedavra facile. E ti dimentichi degli altri tre tizi che girano nei boschi qui attorno. Non appena ci vedranno ci uccideranno, soprattutto se siamo da soli.»
Le spalle di Lance si curvarono. Prese a calci un sasso che andò a scontrarsi contro la barriera creando un nuovo fascio di luce. Lydia si massaggiò il collo, cercando di pensare a qualcosa di intelligente, ma l’unico pensiero coerente nella sua testa era quanto gli mancasse il suo letto. Katherine scomparve in casa per qualche minuto e tornò con quattro tazze in precario equilibrio nelle mani. Lydia presa la sua con riconoscenza e sorseggiò il caffè. Anche quello stava perdendo sapore. La caffeina era destinata a scomparire lasciando alla bevanda un semplice sapore di acqua sporca. «Lasciamolo come piano d’emergenza per non morire di fame.»
«Prima o poi si stancheranno, no?» disse Lance. Guardarono il nemico davanti a loro. Inconsapevole di essere osservato, era impegnato a distruggere i rami di un albero per passare il tempo.  «Quando siete stati costretti a nascondervi l’ultima volta è stato così, no? Si sono stancati e siete riusciti a tornare a casa.»
«Ma con noi non erano certi che ci trovassimo lì.» rispose acido Duncan «Loro invece lo sanno e non hanno i nostri stessi problemi di cibo e l’impossibilità di muoversi. Possono star lì fuori mesi interi per farci morire di stenti o portarci a compiere scelte stupide come quella che hai appena proposto tu.»
Lydia si infuriò. «Almeno lui ha avuto un piano. Tu cosa hai fatto da quando siamo qui?»
«Non ricominciate.» L’ammonizione di Katherine fu sufficiente a zittirli tutti. Seguirono minuti di silenzio, ognuno era perso nei propri pensieri. Lydia sorseggiò l’ultimo sorso di caffè e posò la tazza per terra accanto a sé. Per quanto le costasse ammetterlo, Duncan aveva ragione, i Mangiamorte erano capaci di aspettare fino a quando fossero stati sicuri che la casa nascondesse solamente cadaveri. Si sfregò gli occhi.
Non voleva morire così.
Dopo tutto quello che aveva passato, dopo essere sfuggita alla morte nei casi più impensabili, le sembrava ridicolo morire di fame rinchiusa in un bozzolo di protezioni. No, piuttosto che morire in quel modo avrebbe provato in qualunque modo di liberarsi. Avrebbe preferito un Anatema che Uccide piuttosto che lasciare quel mondo senza neppure tentare di liberarsi. Ed era abbastanza sicura che anche gli altri condividessero i suoi pensieri. Dovevano solo trovare il coraggio di azzardare, sapendo che le possibilità di sopravvivere non erano poi così alte. Eppure, Lydia non era spaventata. Dovevano farlo, e se gli altri non fossero stati d’accordo avrebbe tentato da sola. Lance si sedette accanto a lei. No, lui non le avrebbe mai consentito di uscire da sola, di questo ne era assolutamente sicura. Non riuscì a trattenersi, cercò la sua mano e non le sfuggì l’espressione stupita comparsa sul volto di Lance.
«Cosa fanno?»
Lydia lasciò andare di scatto la mano di Lance, ma Duncan non si stava riferendo a loro. Guardava i Mangiamorte. Lydia e Lance si alzarono notando anche loro che i nemici si erano radunati tutti in un piccolo spiazzo alla loro destra. Si muovevano concitati e, anche se le voci non arrivavano fino alla casa, si poteva chiaramente intuire che erano agitati. Uno di loro stavano abbaiando ordini ma le sue parole si persero tra il canto degli uccellini e il fruscio del vento. I quattro ragazzi si avvicinarono il più possibile al limitare delle protezioni. Altri due nemici si avvicinarono di corsa dalle retrovie.
«E’ successo qualcosa.» constatò Lydia. Un ultimo ordine e metà gruppo si avviò di corsa verso il cuore della foresta, scomparendo in lontananza. «Se ne vanno!» Lydia sapeva che anche gli altri stavano osservando la scena, ma non poté trattenersi dal commentare. Solo tre sgherri erano rimasti lì, uno di loro indicò agli altri di riprendere i loro posti. Ma a Lydia non importava.
Era la loro occasione. Potevano tornare a casa.
Lydia si voltò verso gli altri. Nei loro sguardi si era accesa la stessa speranza.
«Potrebbe essere una trappola.» Katherine si dimostrò ancora una volta la più ragionevole del gruppo, ma non sarebbe riuscita a fermare gli altri, lo sapeva.
«Dobbiamo tentare.» rispose infatti Duncan. «Andremo a coppie, io e Katherine ci occupiamo di quello sul retro, Lance e Lydia, voi dovete mettere fuori combattimento questo.» indicò l’uomo davanti a loro, che camminava avanti e indietro guardandosi nervosamente attorno. Teneva la bacchetta puntata, ma i due ragazzi lo avrebbero stordito prima ancora che si potesse rendere conto della loro presenza. «Poi ci troviamo a metà strada e sconfiggiamo il terzo. Potrebbero essercene altri quindi occhi aperti e bacchette pronte.»
Katherine provò nuovamente a farli ragionare. «E se fosse una trappola?» A Lydia non importava, poteva esserci anche Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato in persona ad attenderli nel bosco, le bastava uscire da lì e tentare con tutte le sue forze di scappare. «E se gli altri si sono solo nascosti? Dobbiamo analizzare la situazione, creare un piano, controllare-»
Duncan la bloccò. «Potrebbe essere la nostra unica occasione, non possiamo sprecarla. E non abbiamo nulla da perdere.»
E così anche Katherine dovette arrendersi all’evidenza. 
«Se proprio vogliamo fare questa pazzia almeno facciamola bene. Non possiamo rischiare con il terzo, potrebbe accorgersi mentre attacchiamo gli altri due e chiamare rinforzi. Duncan tu ti occupi di quello sul retro. Lance e Lydia, questo qui è tutto vostro.» disse indicando il tizio davanti a loro, intento ora a grattarsi il naso. «Ci penso io al terzo.» Duncan provò a protestare ma bastò una semplice occhiata di Katherine per farlo desistere. «Poi la nostra priorità sarà superare le barriere anti-Materializzazione, appena sarete fuori Smaterializzatevi all’istante. Se incontrate altri Mangiamorte e sono troppo vicini ricordatevi di non andare direttamente a casa ma in un luogo in cui sia facile seminarli. Avete capito?» Gli altri annuirono.
«Aspettate il mio segnale, quindi colpiteli e correte più velocemente che potete.» riassunse Duncan.
Lance strinse i pugni. «Abbiamo capito, Katherine è già stata abbastanza chiara. Non c’è bisogno di ripeterlo.»
«Considerando tutti i casini che avete combinato non ne sarei così sicuro.»
Lydia si offese per le parole di Duncan, e Lance reagì peggio di lei. Fu solo l’intervento tempestivo di Katherine ad evitare che la discussione degenerasse. «Non è il momento.» sillabò «Il tempo scorre. O andiamo adesso o mai più.» E questo bastò a raffreddare gli animi. Poi il suo volto si distese in un timido sorriso. «Buona fortuna, ragazzi. Se tutto va bene ci rivediamo a casa.»
Lydia si limitò ad annuire, la gola improvvisamente secca. Era arrivato il momento, e nonostante lo attendesse da una settimana intera, non era sicura di essere pronta.
 
 
Lance guardò il fratello scomparire dietro l’angolo della casa.
Non gli aveva neppure augurato buona fortuna, né lo aveva semplicemente salutato. Non era riuscito. Potevano morire e lui non era riuscito a superare tutti i rancori e scambiarsi un ultimo saluto con il fratello.
Guardò il bosco. Anche se prima non lo aveva ammesso ad alta voce, era convinto che si trattasse di sicuro di una trappola: avevano messo in scena una farsa per farli uscire e ucciderli non appena avessero fatto un passo fuori dalle protezioni. Oppure era davvero successo qualcosa di grosso.
«Pronto?» chiese Lydia. Chiunque l’avesse vista avrebbe pensato che non fosse agitata, in realtà Lance la conosceva abbastanza da capire che quella calma apparente era solo una facciata, tradita dalla stretta ferrea attorno alla bacchetta e da un lampo di agitazione intravisto nei suoi occhi.
«Andiamo.» rispose Lance alzando la bacchetta. Dovettero attendere solamente pochi istanti prima di sentire l’ «Ora!» urlato da Duncan dall’altro lato della casa. Lydia fece all’istante un balzo uscendo dalla barriera dorata. L’uomo sobbalzò nel vederla apparire all’improvviso davanti agli occhi, Lance approfittò di quei secondi di stupore per uscire a sua volta e Schiantarlo nello stesso istante in cui un getto di luce rossa usciva anche dalla bacchetta di Lydia. Due Schiantesimi in pieno petto. Sarebbe rimasto fuori gioco per un bel po’. Ma non avevano tempo per pensarci. Si scambiarono un rapido cenno di intesa e si buttarono a capofitto nella vegetazione.
La tentazione di correre alla loro massima velocità come avevano fatto una settimana prima era forte, ma entrambi si costrinsero a prestare maggiore cautela e rallentare il passo quel che bastava per tenere d’occhio i dintorni. L’ultima cosa che volevano era buttarsi a capofitto in una trappola. Lydia controllava la strada davanti a loro, lo stesso sentiero che avevano percorso all’andata, mentre gli occhi di Lance saettavano da destra e sinistra alla ricerca di minacce. Dopo una settimana costretti negli ambienti ridotti del rifugio, Lance si sentiva fuori allenamento. Dopo qualche metro il fiato iniziava già a mancargli, e anche Lydia non era messa meglio. Fecero altri due metri e quello che temevano accadde.
Sentirono prima un’imprecazione, poi dei passi alle loro spalle, seguiti a ruota da un incantesimo che li mancò solamente di pochi centimetri, passando sotto al braccio di Lydia. Lance accelerò il passo fino ad affiancare Lydia.
«Stupeficium!» urlò Lydia senza neppure guardarsi indietro. I passi continuarono e si avvicinarono. L’uomo reagì lanciando verso di loro lo stesso incantesimo e Lance fu costretto a gettarsi di lato per evitare la luce rossa intravista con la coda nell’occhio. Riuscì a non cadere, afferrò il braccio di Lydia e cambiarono direzione, lasciando il sentiero. «Confringo!» si guardò alle spalle per prendere meglio la mira ma l’uomo si buttò a terra evitando l’incantesimo che andò a schiantarsi contro un cespuglio mandandolo in frantumi. Avevano comunque guadagnato qualche metro prezioso. Lydia rallentò e tentò di Smaterializzarsi senza alcun successo. «Devono aver allargato la protezione.» e riprese a correre.
«Stanno scappando!» urlò l’uomo che li stava inseguendo, e non era un bel segno se lo gridava in quel modo. Infatti altre due paia di passi e voci si unirono al loro inseguimento.
La situazione stava definitivamente degenerando, c’era solo un lato positivo: se erano tutti intenti ad inseguire loro voleva dire che Katherine e Duncan non avrebbero incontrato problemi. Una magra consolazione.
Una scarica di incantesimi si riversò su di loro, Lydia ebbe la prontezza di fermarsi e urlare «Protego!» Il contraccolpo degli incantesimi sul suo scudo fu talmente forte da farla retrocedere di alcuni passi. Da dietro il suo scudo, Lance riuscì a mandare a segno uno Stupeficium, facendo crollare a terra uno dei loro inseguitori, una giovane strega.
Lance afferrò il braccio di Lydia e la costrinse a ricominciare a correre, mentre i loro nemici facevano lo stesso. Cambiarono nuovamente direzione, mentre il cuore aumentava i battiti e le gambe incominciavano a tremare. Lance spalancò la bocca tentando di ritrovare il fiato necessario per provare a colpire i loro inseguitori. Lydia continuava a lanciare incantesimi alle loro spalle senza neanche guardare, con l’intento di distrarli e rallentarli più che di colpirli.
“Almeno hanno inseguito solo noi. Gli altri saranno al sicuro.” Lo pensò e, come se fossero stati convocati, quasi si scontrarono con Katherine e Duncan, provenienti dalla direzione opposta. Duncan guardò con orrore alle spalle del fratello le figure al loro inseguimento e, senza dire una parola, si unì alla loro corsa, tenendo Katherine per mano. Solo vedendoli, Lance si rese conto che teneva ancora il braccio di Lydia. Le urla alle loro spalle si avvicinavano troppo velocemente. «Saremo arrivati ormai!» constatò Lydia con l’ultimo fiato rimasto.
«Guardate!» Con la mano libera, Katherine indicò il soffitto di foglie e rami che li sovrastava. Lance alzò il volto e per poco non inciampò su una radice, ma si accorse di cosa intendeva la ragazza. A pochi metri da loro i colori delle foglie e dei rami cambiavano leggermente diventando più accesi. La fine della barriera. Fecero un ultimo scatto, superarono il confine, Lydia afferrò la mano libera di Katherine, la quale si concentrò per portarli via. E in quei pochi attimi Lance si guardò indietro.
Un Mangiamorte stava lanciando una maledizione contro la schiena di Lydia e Lance si mosse per istinto.
 

La gita a Diagon Alley per comprare il suo materiale scolastico fu molto diversa da come Lance aveva sempre immaginato. Caitlin si rifiutò di partecipare e Duncan e la mamma rimasero a casa con lei, così Lance fu costretto ad andare solo con suo papà. Si notava che suo padre cercava in tutti i modi di renderlo felice, gli comprò più cose del necessario e quando entrarono da Olivander, incoraggiò suo figlio dicendogli che avrebbe ricordato quel momento per il resto della sua vita. Lance si limitò ad annuire.
Un velo di tristezza offuscò anche il momento in cui venne scelto dalla sua bacchetta. «E’ un’ottima bacchetta, Lance, vedrai, farai degli incantesimi straordinari e diventerai un grande mago.» diceva suo padre con tono fintamente allegro mentre stavano pagando. Lance annuì. Poi alzò lo sguardo verso il vecchio mago che stava incartando la sua bacchetta. Suo papà aveva detto che era il miglior fabbricatore di bacchette del Paese, e tra i migliori al mondo. «Mi scusi…» chiese Lance. Il signor Olivander si chinò sul bancone per guardarlo. «Volevo chiederle se posso comprare una bacchetta anche per mia sorella.» Suo padre divenne di ghiaccio.
Il signor Olivander rise. «Quando tua sorella riceverà la sua lettera per Hogwarts potrà venire da me a comprarla, signor O’Brien. Come le ho spiegato, è la bacchetta a scegliere il mago, per questo deve venire lei di persona.»
«Ma mia sorella non ha ricevuto la lettera per Hogwarts.» Il signor Olivander scambiò uno sguardo con suo padre e gli bastò per capire. Il padre di Lance prese il pacchetto e dopo aver ringraziato, condusse il figlio fuori dal negozio e verso il Ghirigoro. Lance si lasciò guidare e quando entrarono in libreria si fermò davanti al primo scaffale, mentre il padre si diresse verso il commesso per prendere tutto il necessario.
Lance fissava i libri senza vederli. Doveva esserci un modo per comprare una bacchetta anche a sua sorella. Magari poteva darle la sua! Il signor Olivander aveva detto che ogni mago aveva la sua bacchetta ma Lance e Caitlin erano gemelli! Di sicuro se andava bene per lui andava bene anche per Caitlin! Anche se aveva smesso di parlargli… si ricordò con tristezza. Gli mancava vivere ogni avventura con sua sorella, scherzare insieme e parlare con lei. Lance si asciugò le lacrime con l’orlo della maglietta.
«Papà, hai già preso cento libri, possiamo uscire adesso?» chiese una voce dall’altra parte dello scaffale.
«Cento? Ma se sono solo una ventina!» rispose un’altra voce, questa volta maschile.
Lance spostò alcuni dei libri dal ripiano, creando uno spiraglio attraverso il quale poté spiare la scena dall’altra parte dello scaffale. Una bambina dai capelli rossi stava guardando con le braccia sui fianchi e uno sguardo severo quello che doveva essere suo padre. L’uomo aveva le mani cariche di libri e teneva la pila ferma usando il mento.
«Abbiamo già comprato i libri di scuola!» continuò la bambina. «La mamma ormai li avrà già pagati e ci sta aspettando fuori!»
«Ma Lydia!» esclamò il padre «Sono libri magici! Magici! Come possiamo lasciarli qui? Hai presente quante cose ci sono da imparare?» La pila di libri cominciò a scivolare verso destra e l’uomo dovette contorcersi per riuscire a rimetterla in equilibrio. «Ne ho trovato uno sulla storia moderna, un altro sui folletti e un altro ancora sui draghi! I draghi, Lydia! I draghi esistono!»
La bambina sollevò gli occhi al cielo.
«E guarda quello!» urlò il padre attirando l’attenzione di metà avventori della libreria e qualche commento incivile sussurrato sui babbani che invadevano il loro spazio. L’uomo non se ne accorse e continuò ad indicare con dei cenni della testa un libro in fondo allo scaffale, ben lontano dallo spiraglio da cui stava spiando Lance. «Guarda! ‘I misteri delle tecnologie babbane. Magie o inganno?’.»
La bambina prese il libro ed esaminò il retro. «E’ sugli elettrodomestici.»
«Mettilo sulla pila!» il padre sollevò il mento per far spazio al nuovo libro rischiando nuovamente di far cadere tutti gli altri.
«Ma papà, è un libro sugli elettrodomestici.» ripeté la bambina «Noi sappiamo come funzionano, non abbiamo bisogno di un libro per scoprirlo.»
«Ma di sicuro sarà utile per capire come vedono loro i - come ci chiamano? - babbani, che idee si sono fatti su di noi. Dal punto di vista sociale potrebbe essere rivoluzionario! Forza, mettilo sulla pila!»
La bambina guardò di nuovo il libro prima di sospirare rassegnata. «La mamma non sarà contenta.»
«Basta non dirglielo, tu la distrai mentre io pago queste cose, va bene?» Ma il padre non riuscì a proseguire nel descrivere il suo piano perché appena la bambina appoggiò il libro in cima alla pila, quella iniziò ad ondeggiare selvaggiamente e nonostante i tentativi dell’uomo di raddrizzarla, i libri iniziarono ad inclinarsi verso terra. Lance socchiuse gli occhi per prepararsi al botto che infatti arrivò nel giro di un secondo.
BAM!
Il padre guardava sconsolato i suoi preziosi libri sparsi sul pavimento, mischiati ad altri che erano caduti dallo scaffale durante il capitombolo. La bambina invece si coprì il volto con una mano, esasperata.
Vedendo la scena comica, Lance sentì il vuoto nel suo cuore riempirsi lentamente.
E rise per la prima volta da mesi.
 
 




 Curiosità: Alcuni personaggi nominati da Duncan potrebbero presto tornare…
Inoltre il prossimo capitolo sarà l'ultimo della prima parte! Ma non temete, ce ne saranno altre due pronte ad attendervi!

 Note: Grazie di cuore a tutti voi che state leggendo la mia storia, se volete lasciare un pensiero o una recensione, o avete dubbi, io sono qui! 

Un abbraccio a tutti!

Emma Speranza


 
'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 
  

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - La bambina dai capelli rossi ***


Capitolo 12
La bambina dai capelli rossi
 

Il primo settembre del suo undicesimo compleanno, Lance lo visse in un modo completamente opposto da come aveva sognato per tutta la sua vita.
Arrivarono al binario quando ormai mancavano solo pochi minuti alla partenza del treno, Duncan li salutò velocemente e poi andò a cercare i suoi amici, ignorando completamente il fratello. Lance invece stringeva tra le braccia la gabbietta del suo nuovo gufo, a cui non aveva ancora dato un nome. Aveva sempre sognato di avere un gufo tutto suo, ma quando era tornato a casa da Diagon Alley, Caitlin gli aveva lanciato un’occhiata e aveva detto «Sembra malaticcio.» E così Lance aveva perso tutto il suo entusiasmo, talmente tanto da aver lasciato il suo nuovo animale senza nome per giorni.
Si fermarono sulla banchina, vicino ad una porta del treno. «Mi raccomando, Lance» iniziò sua madre «Scrivici spesso, stasera stessa voglio un racconto del tuo Smistamento, va bene?» Ormai Lance riconosceva il falso entusiasmo nella voce della madre. Si limitò ad annuire.
«Perché Cait non è venuta?» chiese, continuando a fissare il vagone davanti a lui.
I suoi genitori si scambiarono un’occhiata intrisa di tristezza. Fu infine sua madre a rispondere. «Mi dispiace, abbiamo provato a convincerla ma non è voluta venire.» Gli accarezzò dolcemente il volto. Il padre invece non disse nulla, si limitò a controllare per l’ennesima volta il suo orologio da taschino.
Il motivo per cui erano arrivati in ritardo era proprio perché i genitori avevano cercato di convincere Caitlin ad accompagnare il fratello in stazione, per salutarlo prima che andasse via per mesi. L’avevano pregata, ricattata e infine promesso in cambio qualsiasi cosa desiderasse, senza successo. Lance aveva assistito a tutta la scena, incapace di comprenderne il motivo. Se la lettera fosse arrivata a Caitlin lui ci sarebbe rimasto malissimo, sì, ma sarebbe anche stato contento per sua sorella.
«Ha solo bisogno di tempo.» continuò sua madre.
«Infatti non possiamo fermarci tanto, non voglio lasciarla a casa da sola più del necessario. Mi dispiace, figliolo, dobbiamo proprio andare.»
Lance non riuscì a trattenere la tristezza che intrise la sua voce. «Va bene. Salutatemela voi, allora. Ditele che le scriverò tantissime lettere.»
La madre lo guardò con gli occhi offuscati dalle lacrime «Ma certo.»
Suo padre raccolse il baule dal carrello e lo caricò sul vagone davanti a loro. «Buona fortuna, Lance.» disse stringendo il figlio in un abbraccio, seguito dalla moglie con le sue ultime raccomandazioni. E poi si allontanarono in fretta, senza neanche aspettare che Lance salisse sul treno, lasciandolo lì, solo per davvero per la prima volta nella sua vita.
Lance si guardò attorno, sapeva di dover salire sul vagone, ma non era così che aveva immaginato quel viaggio. Lui non voleva restare da solo. Si voltò nella speranza che i genitori fossero tornati indietro per vederlo partire, ma erano già scomparsi tra la folla.
«Starà bene. Sì, starà bene.» Una coppia di genitori a poca distanza da lui stava fissando il treno. La madre continuava a ripetere la stessa frase come se stesse cercando di convincersi. «Starà bene… No. Non starà bene. Come può trasferirsi in quella scuola per mesi? Questi maghi sono insensibili, io non mando mia figlia in collegio. Adesso salto sul treno e la riporto a casa. Potranno venire a minacciarci con tutti i tostapane che vorranno ma non permetterò a mia figlia di andarsene via di casa. Ha solo undici anni!»
«Cara…» provò a fermarla il marito.
«No! Sei stato tu a convincermi in questa follia!»
«Perché è la cosa giusta da fare. E’ quello il suo posto, e lo sai anche tu.» La donna non sembrava particolarmente convinta ma allo stesso tempo non pareva neanche pronta a salire sul treno per riprendersi la figlia. «E poi» continuò il marito, e la sua voce si riempì di entusiasmo «Hai presente quante cose interessanti potrà scoprire? Lo sapevi che i maghi volano sulle scope? Proprio come nelle leggende! E hanno inventato uno sport sui manici di scopa, ho letto il libro ma non ne ho capito neanche una parola. Ho letto però su ‘Storia di Hogwarts’ che anche lì fanno un torneo tra Case, dovrò chiedere a Lydia di raccontarmi tutto e…» il fischio del treno coprì le parole successive, ma a Lance erano bastate per riconoscere l’uomo.
Era lo stesso che aveva incontrato a Diagon Alley! E aveva detto che la figlia aveva undici anni ed era il suo primo anno ad Hogwarts, proprio come lui!
Lance saltò sul treno mentre il capostazione iniziava a chiudere tutti i portelloni. Recuperò il suo baule e il suo gufo ed iniziò a vagare per il treno.
Se anche quella bambina era del suo stesso anno ed era una Nata Babbana (i suoi genitori erano inconfondibilmente babbani alle prese per la prima volta con il mondo magico), allora anche lei era lì da sola, come lo era lui. Doveva solo trovarla e chiederle se potevano fare il viaggio verso Hogwarts insieme, così si sarebbero sentiti meno soli.
Lance iniziò a controllare dentro tutti gli scompartimenti alla ricerca dei capelli rossi che ricordava da Diagon Alley. Il treno fischiò un’altra volta ed iniziò a muoversi lentamente. Lance spiava da tutte le finestrelle, a volte spalancava la porta per poi richiuderla, senza dire una parola, quando vedeva che la bambina non c’era.
E avrebbe continuato così per tutto il treno se non avesse avuto la sfortuna di aprire la porta dello scompartimento di Duncan.
Appena il fratello lo vide, calò il gelo. Anche i suoi amici si voltarono a guardare quello strano ragazzino biondo con un gufo sotto braccio; uno di loro lo riconobbe. Lance lo aveva visto l’estate prima ma non ricordava il suo nome. «Ragazzi, lui è il fratello di Duncan!» disse il ragazzo alzandosi in piedi per mettergli un braccio attorno alle spalle. «Sarà una nuova recluta dei Serpeverde!» Gli altri reagirono con grida di incoraggiamento e qualche pacca di benvenuto sulla spalla. Finché Duncan si alzò dal suo posto, afferrò il fratello per la collottola e lo trascinò di nuovo in corridoio, senza dire una parola. Sbatté la porta dello scompartimento alle sue spalle e guardò dall’alto in basso il fratello, con gli occhi infuocati. «Ti avevo detto di stare alla larga da me e i miei amici.» sibilò.
Lance cercò di liberarsi dalla sua presa, il suo gufo fischiava ed agitava le ali nella gabbietta. «Non stavo cercando te!»
«E chi stavi cercando allora? Tu non conosci nessun altro qui!»
Lance decise di rimanere in silenzio piuttosto che ammettere la verità. Duncan allora iniziò a trascinarlo per il corridoio, nonostante le sonore proteste del fratello che cercava contemporaneamente di liberarsi e di mantenere la presa sulla gabbia del gufo e sul suo baule. Duncan si fermò infine davanti ad uno scompartimento completamente deserto e gettò Lance su uno dei sedili. La gabbia sfuggì alla sua presa ed atterrò sul sedile accanto, rivoltandosi su un fianco. Il gufo urlò tutta la sua protesta.
«Stai qui.» ringhiò Duncan puntandogli il dito contro. «Tu resti qui per tutto il viaggio e anche quando saremo arrivati cerca di starmi fuori dai piedi, hai capito?»
Lance non fece in tempo a rispondere che Duncan era già andato, chiudendosi la porta alle spalle. Lance sbuffò e cercò di sistemarsi la maglietta dal collo ormai sformato. «Stupido, stupido, stupido.» borbottò. Eppure la minaccia ebbe effetto e Lance, per quanto lo desiderasse, decise che era meglio seguire l’ordine di Duncan piuttosto che incorrere una seconda volta nelle sue ire.
Avrebbe cercato la ragazza più tardi.
In fondo non era ancora troppo tardi per trovare un amico.
 
«-portarmi con te.»
«Ne abbiamo già parlato. E’ troppo pericoloso. Tu starai qui con tua madre.»
«E’ ingiusto! Allora neanche tu ci vai, manda qualcun altro!»
«Avevamo concordato una settimana, l'Ordine non li ha trovati e non possono continuare ad aiutarci. E’ una mia responsabilità adesso andare a cercarli.»
«Ma non puoi andare tu! Manda lo zio!»
«Caitlin, tuo zio non può esporsi...»
Le voci familiari risuonavano a poca distanza da Lydia, il tono agitato e con un inconfondibile preoccupazione, parzialmente coperte da un fischio fastidioso nelle orecchie. Avrebbe voluto intervenire, dire che nessuno doveva più andare a cercarli, che erano tornati a casa, ma le mancava il fiato.
Ricordava gli ultimi istanti prima di Materializzarsi, un incantesimo urlato e un’esplosione proprio nel momento in cui avevano lasciato la foresta. Ricordava il forte rumore, la terra che si sollevava ed andava a colpirli, così diversa dall’erba che ora le pungeva il naso. L’odore di terra le riempiva le narici. Katherine li aveva portati via da lì appena in tempo, anche se l’atterraggio non era stato dei migliori. Lydia aprì gli occhi. Sentì dei lamenti provenire dalla sua destra, tentò di sollevare il busto ma scoprì che la sua mancanza di fiato dipendeva soprattutto dal peso che aveva sulla schiena. Senza neanche aver bisogno di controllare sapeva di chi si trattava.
«Lance, spostati.»
Lance rotolò con un gemito di dolore su un fianco a cui rispose un altro lamento a poca distanza da loro.
«Per la barba di Merlino!»
Lydia sollevò lo sguardo giusto in tempo per vedere il signor O’Brien spalancare il cancello e correre a grandi falcate verso di loro, seguito a ruota da Caitlin, un sollievo indescrivibile sui loro volti.
«State bene?» Il signor O’Brien stava quasi urlando, arrivò da Lance e lo sollevò a forza, iniziando a controllare che fosse tutto intero. Caitlin li superò di corsa per raggiungere Duncan.
Lydia grugnì e fece leva sulle braccia per rialzarsi. Si sentiva completamente intontita, il fischio nelle orecchie si era tramutato in un ronzio. Agitò il braccio ormai libero dalle bende ma comunque dolorante. Ovviamente era atterrata sopra a quel braccio nella sua caduta.
Dopo aver constatato che Lance fosse ancora tutto intero, con grande stupore di Lydia, il signor O’Brien le posò una mano sulla spalla. «Stai bene?» Lydia si limitò ad annuire e il signor O’Brien le strinse la spalla prima di andare ad aiutare Duncan ad alzarsi.
«Siete vivi!» esclamò Caitlin, attaccata al braccio di Duncan.
Lydia prese un grande respiro, la sua cassa toracica protestò lievemente. «Come mai continui a cadermi addosso?» chiese sovrappensiero a Lance, massaggiandosi lo sterno.
«Pensavamo foste morti!»
«Grazie per la fiducia, Caitlin. E Lance, potresti rispondermi?» Si tolse una foglia secca incastrata nei capelli. «Perché inizio a pensare che lo fai apposta.» Ne sfilò un’altra «Mi ricordo perfettamente che eri accanto a me prima di Smaterializzarci e ora invece...» Si bloccò nell’atto di togliere una terza foglia, un dubbio insinuato nella sua mente. Si voltò lentamente verso Lance.
 
Per Lance era sempre stato facile capire i sentimenti delle persone, soprattutto quando erano arrabbiate o qualcosa le disturbava; e con Lydia in modo particolare. Il suo spirito di sopravvivenza aveva imparato a riconoscere anche la minima avvisaglia di un cambio radicale dell’umore della ragazza, proprio come stava succedendo in quell’istante. Lo stesso istinto lo portò a fare un passo indietro. Ora era infuriata, questo era sicuro, così come conosceva il motivo di quella rabbia improvvisa. Si guardò intorno nel tentativo di cercare una via di fuga prima che quella stessa furia scoppiasse.
Suo padre era intento a controllare che anche Duncan e Katherine stessero bene, Caitlin si voltò verso Lance e fece un passo nella sua direzione, per poi bloccarsi appena vide lo sguardo di Lydia. Lance avrebbe tanto voluto implorarla di aiutarlo. Ma non ce ne fu bisogno. Alla fine fu Katherine a salvarlo, anche se in un modo che lui di certo non si aspettava. Se ne stava lì, a fianco di Duncan, e mentre quest’ultimo iniziava a raccontare al padre quanto era capitato, con una tranquillità sovrannaturale Katherine si limitò a dire: «Penso di essermi Spaccata.» sollevando pacificamente il braccio che aveva tenuto nascosto dietro la schiena fino a quel momento. La mano era completamente coperta di sangue, che zampillava sul prato. Le gocce rosse spiccavano sul verde dell’erba.
Le sue parole gelarono la scena, gli sguardi di tutti si mossero all’unisono verso la mano di Katherine, in un silenzio assoluto.
Dopo tre secondi scoppiò il pandemonio.
Duncan strinse il fianco di Katherine, iniziando a parlare a raffica chiedendole se le faceva male altro, perché non lo aveva detto subito e altre cose del genere, Caitlin si allontanò talmente veloce che sembrava si fosse Materializzata accanto a Lydia, la quale aveva dimenticato la sua rabbia e sembrava fin troppo pallida.
Il signor O’Brien iniziò a dare ordini a tutti i presenti ma fu solo Lance ad ascoltarlo correndo in casa per raggiungere il suo laboratorio e le sue pozioni. Spalancò la porta d’ingresso e corse così velocemente attraverso l’atrio che sentì le parole di sua madre solo quando raggiunse le scale nascoste dietro l’armadio del salotto. «Lance? Per la stirpe di Merlino, Lance!» Ma Lance non poté rispondere, era ormai arrivato alla porticina che portava al suo laboratorio. La spalancò e si prese un solo istante per guardarsi intorno. Il suo cervello registrò con orrore il fumo nero proveniente da uno dei suoi calderoni, ed un altro ripieno di una poltiglia grigiastra invece della crema dorata che avrebbe dovuto contenere. Suo padre non era mai stato particolarmente portato per Pozioni e questa era la conseguenza di lasciare i preziosi preparati nelle sue mani per sette giorni consecutivi. Ma non era il momento di pensarci. Spalancò l’armadietto delle scorte e bastò un’occhiata per trovare l’unguento che cercava e correre di nuovo di sopra. Quando sbucò dalle scale segrete rischiò di schiantarsi contro sua madre, che nel frattempo aveva attraversato il salotto, seguita da tutti i bambini. Si ritirò di scatto per evitare una testata. «Lance! Sei tornato!» La madre provò a stringerlo in un abbraccio ma Lance non aveva tempo. Si abbassò per evitare il braccio teso della madre e, senza dire una parola, corse di nuovo verso l’esterno.
La scena era identica a come l’aveva lasciata, tranne che ora Lydia sembrava sul punto di vomitare e Caitlin la guardava con orrore allontanandosi anche da lei. Lance raggiunse Katherine che continuava a parlare tranquillamente come se non si stesse dissanguando fuori dal cancello di casa. «Davvero ragazzi, sto bene. Mi sono distratta solo un secondo, non è niente di grave!»
«Ti manca metà mano!»
Katherine guardò con aria severa il suo fidanzato. «Non essere drammatico, mi manca solo un po’ di pelle. E forse un pezzo di muscolo. Dici che posso aver perso anche quello? E comunque non mi fa male.»
Lance non perse tempo e stappò la bottiglietta di Essenza di Dittamo. Prese delicatamente la mano di Katherine dalle dita rimaste sane e fece cadere alcune gocce sulla ferita aperta, poco visibile a causa dello spesso strato di sangue che la ricopriva. L’effetto fu miracoloso, sotto il sangue Lance poteva già vedere i lembi della pelle iniziare a rigenerarsi.
«Se vomiti tu, vomito anche io.»
Appena fu certo che la mano di Katherine fosse sulla via della guarigione, Lance si arrischiò a guardare dietro di sé. Lydia ritrovò un po’ di colore mentre diceva a Caitlin di non dire una parola.
«Ma se vomiti tu, vomito anche io, ho il riflesso!»
«Tu non sei esperta di ferite e cose del genere? Perché non vai ad aiutarli?»
Caitlin arricciò il naso schifata. «Quella è una ferita causata dalla magia, risolveteli voi i vostri casini. Anzi, tu concentrati solo a non vomitare.»
Ma Lydia non sembrava più sull’orlo di star male, al contrario, le parole di Caitlin le avevano fatto riprendere il cipiglio che aveva prima dell’emergenza di Katherine.
Fortunatamente si presentò un’altra distrazione, questa volta al cancello. Sua madre lo aveva seguito fuori di casa, ovviamente circondata dai bambini che ora gridavano tutta la loro felicità nell’averli rivisti.
«Non uscite dal cancello!» li fermò suo padre. Il gruppetto di fuggiaschi si avviò di corsa verso la sicurezza della barriera. Lance fu il primo ad entrare e anche il primo ad essere abbracciato dalla madre, che continuava a ripetere che era un miracolo. Lance riuscì a sfilarsi dall’abbraccio e Lydia fu la vittima successiva. La ragazza si immobilizzò non del tutto convinta di cosa stesse accadendo. Lance approfittò del momento per dirigersi velocemente verso casa, convinto di essere scampato dal pericolo. Entrarono tutti nel salotto, Duncan accompagnò Katherine su uno dei divani, continuando a rivolgerle talmente tante premure che Lance si chiese se avesse battuto la testa durante la fuga. Magari si era Spaccato anche lui durante la Materializzazione ed aveva perso una parte di cervello. Non che si trattasse di una grande perdita. O forse era un Mangiamorte sotto copertura. Anche Caitlin condivideva il suo stesso pensiero.
«Dici che sta bene? O dobbiamo preoccuparci?» gli chiese guardando con stupore l’intera scena.
Lance non sapeva come rispondere. E anche se avesse avuto la risposta pronta non avrebbe avuto occasione di pronunciarla visto che Lydia si piantò proprio di fronte a lui.
«Non farlo mai più.» sibilò ignorando completamente Henry, aggrappato alla sua gamba. Si vedeva che si stava trattenendo, eppure il suo tono riuscì a catturare l'attenzione di tutti.
«Lydia, stai bene?» La signora O’Brien la guardava preoccupata.
«Sto fin troppo bene. Non è vero, Lance?» Lydia continuò a fissarlo negli occhi e il suo sguardo mandava scintille.
Lance prese coraggio. «Siamo stati fortunati.»
«Ci stavano per colpire.»
«Ma ci è andata bene. Quel Mangiamorte aveva una mira talmente pessima da averci mancati di diversi metri.»
Lydia prese fiato, per poi bloccarsi di colpo. Lance sapeva che Lydia stava per urlargli contro, aveva riconosciuto il modo in cui aveva strizzato gli occhi e la ruga che le era comparsa sulla fronte, doveva essersi fermata solo perché si era accorta di aver inavvertitamente attirato l’attenzione dell’intera sala. L’unico a non guardarli era Duncan, ancora troppo intento a controllare che la mano di Katherine stesse guarendo nel modo corretto. Lance si augurò che non le rimanesse neppure una cicatrice oppure suo fratello se la sarebbe presa di sicuro con lui. Ma era meglio affrontare un problema alla volta e il più impellente si trovava di fronte a lui nella forma di una strega dai capelli rossi parecchio furiosa. 
Henry si staccò di colpo dalla gamba di Lydia con una risatina. «Mi hai dato la scossa!»
«Posso parlarti un attimo in privato?» sibilò lei indicando con un breve cenno il soffitto.
Lance non disse una parola, si limitò a seguirla verso le scale come un condannato a morte.
 
«Perché l'hai fatto?» fu la domanda che lo accolse non appena entrò nella camera di Lydia.
Poteva rispondere con un generico ‘non so di cosa tu stia parlando’ e negare qualunque cosa lei avesse affermato, di solito era la sua tattica preferita, ma sapeva anche che con Lydia non avrebbe funzionato.
«Ho visto che puntava la bacchetta verso di noi e mi sono messo alle tue spalle, semplice.» Provò a dirlo nel modo più distaccato possibile, mise le mani in tasca e si guardò attorno per evitare lo sguardo della ragazza. La camera era esattamente come la ricordava dopo l’incubo del Ministero, disadorna e con pochi averi personali, qualche libro sul comodino insieme ad una lucente piuma rossa e arancione. Nessuna foto, nessun ricordo.
«Non dovevi farlo!»
«Ma quello aveva una mira pessima, quindi non è successo niente.»
Lydia strinse i pugni. «E se fosse stato più bravo? Lance, non dovevi farlo e non lo dovrai fare mai più.» In lontananza si cominciò a sentire il rumore di passi in avvicinamento, oltre alle grida tipiche di tanti bambini in movimento.
Lance si voltò verso Lydia, non riusciva a capire per quale motivo stesse reagendo in quel modo. «Ho solo cercato di proteggerti!»
«E' questo il problema!» urlò lei. Chiuse la porta della camera per non farsi sentire dai bambini che stavano salendo rumorosamente le scale. «Non ho bisogno della tua protezione, non ne ho avuto bisogno ad Hogwarts e non ne ho bisogno neanche ora. So cavarmela da sola.» I suoi occhi lampeggiavano, la cicatrice spiccava particolarmente sui suoi lineamenti. Lance tentò di difendersi ma Lydia non gli lasciò il tempo. «Non provarci mai più. Giuro che se capiterà un’altra volta, se ti metterai ancora in mezzo convinto di potermi salvare, me ne andrò da questa casa e non mi rivedrai mai più, hai capito?» Ma per quanto Lydia cercasse di mascherarsi dietro alla sua rabbia, Lance percepì chiaramente che sotto a quella furia si celava qualcos’altro. Sembrava spaventata, e Lance continuava a non capire il perché di una reazione tanto irrazionale. «Non permetterò che tu ti faccia ammazzare per colpa mia.» e la mano di lei scattò verso la cicatrice, un tic che ormai Lance aveva imparato a conoscere. Era anche abbastanza sicuro che Lydia non si rendesse neanche conto di farlo.
Lance per un secondo pensò di mentirle. Sarebbe stato così semplice risolvere la questione con un’innocente bugia, ma le parole che pronunciò furono molto diverse. «Non posso prometterti che non lo farò di nuovo in futuro.» disse sinceramente.
«Devi, o me ne vado.»
«Lydia…»
Lydia si avvicinò di un passo. «Promettimelo. Non voglio avere anche il tuo sangue sulle mie mani.» Un lampo di dolore le attraversò il volto. «Non posso.»
Fu proprio il dolore nei suoi occhi a convincerlo a pronunciare le parole che lei voleva sentire. «Va bene allora... Te lo prometto.»
Una promessa destinata a non durare.
 
 
Lydia si ritrovò di fronte ad un piatto pieno di arrosto. Nonostante la dieta forzata dell’ultima settimana, la porzione era talmente abbondante che non sarebbe mai riuscita a finirla tutta, ma la signora O’Brien era stata perentoria. «Mangiate. Siete dimagriti troppo.» Solo a quel punto Lydia si era resa conto che effettivamente la signora O’Brien aveva ragione. I loro visi erano tirati, anche se probabilmente era causato più dalla stanchezza e dalla paura che dalla mancanza di cibo non inscatolato. Katherine era ancora piuttosto sottosopra, ma la sua mano era già in via di guarigione. Grazie all’essenza di Dittamo, la ferita sembrava già vecchia di diversi giorni e non di solo un’ora. Nonostante questo, Duncan le stava incollato come una cozza, talmente tanto che non si era neppure rinfrescato il viso o tagliato la lieve barba che era cresciuta a lui e Lance durante i lunghi giorni trascorsi lontani da casa. Lydia sollevò la forchetta e prima di rendersene conto, si avventò sul cibo. Gli altri tre ragazzi seguirono il suo esempio.
I bambini intanto erano sfuggiti al controllo di Caitlin (o Caitlin stessa li aveva fatti scappare per poter tornare dai fratelli) e ora accerchiavano i quattro osservandoli mentre ingoiavano l’arrosto ad una velocità impressionante. Il signor O’Brien era seduto a capotavola, stava accennando a qualcosa riguardante la loro ricerca, ma i ragazzi erano troppo intenti a mangiare per prestargli effettivamente attenzione.
«…E Silas continuava a dirci che era colpa sua e del suo piano.» Una parte del cervello di Lydia, quella non completamente concentrata sull’ingozzarsi di cibo, recepì le ultime parole del signor O’Brien e mandò un segnale di allarme al resto del corpo. Lydia sollevò di scatto la testa e ingoiò intero il pezzo di carne che stava mangiando, che finì per andarle di traverso e farla lacrimare. Tentò di tossire mentre il signor O’Brien continuava imperterrito il suo discorso, Lance le diede qualche pacca distratta sulla schiena.  «Vi siete inventati un altro piano che è andato all’aria, vero? Sapete che rischi avete corso? Se decidiamo di seguire un piano, voi-lo-seguite! Potevate morire, o essere…»
Lydia sollevò le mani per bloccare la ramanzina, la gola che prudeva. «Silas intendeva un altro piano.» Vedendosi tutti gli occhi puntati addosso, Lydia fu costretta a specificare. Si schiarì la voce e continuò «Avevamo parlato di un progetto per una cosa completamente diversa, che non c’entrava nulla con la missione.»
«Un piano per cosa?» chiese Lance.
«Era un piano privato.» tagliò corto Lydia. Katherine continuava a mangiare il suo pranzo, doveva aver perso più sangue di quanto pensassero per non essersi accorta del pericolo che avevano appena corso. Ci mancava solamente che Duncan e Lance scoprissero del loro stupido intento di farli parlare.
Il signor O’Brien non sembrava molto convinto, ma lasciò cadere il discorso con grande sollievo di Lydia, che si gettò nuovamente sul cibo come se nulla fosse successo. Non si accorse neppure che Lance non si era lasciato ingannare dalla sua vaga spiegazione.
Prima di quanto immaginasse, il suo piatto si svuotò, avrebbe voluto chiederne ancora ma la signora O’Brien non si lasciò convincere. «Rischiereste di star male.» spiegò loro. Lydia cercò di riempirsi lo stomaco bevendo un bicchiere d’acqua. Bevve fino all’ultimo sorso e prese la bottiglia per riempirlo ancora. Il tempo di sollevarla e al suo fianco comparve all’improvviso un faccino sorridente. Lydia si riempì bicchiere fino all’orlo. «Ciao Henry.»
Henry prese il suo saluto come il segnale per poter iniziare a parlare. «Cosa è successo? Dove siete stati? Avete visto dei cattivi?» Lydia si ripromise di non salutare mai più Henry. Alla fine fu Duncan a rispondere alla valanga di domande, anche se lo fece solo rivolto ai suoi genitori ed ignorando completamente il bambino. Henry non se ne accorse neppure, era troppo intento a saltellare al fianco di Lydia.
Duncan iniziò raccontando la partenza dal rifugio, le loro missioni e di come avevano aiutato i ragazzi a prendere la Passaporta. Henry nel frattempo non si perdeva una parola, continuando a saltellare eccitato. Lydia gli posò una mano sulla testa e lo costrinse a fermarsi. Duncan era arrivato della scena a cui lui e Katherine avevano assistito dopo aver messo in sicurezza l’ultimo bambino quando successe una cosa mai capitata nelle settimane in cui Lydia aveva vissuto in quella casa.
Suonò il campanello.
Il suono riverberò nella stanza, profondo e denso, e Lydia impiegò qualche secondo per capire che era davvero un campanello, e che gli altri abitanti di casa O’Brien non erano per niente turbati da tale avvenimento, come confermato dal fatto che Duncan, Katherine e Lance ripresero a mangiare tranquillamente come se nulla fosse successo. Solo alcuni bambini si guardarono intorno frenetici per capire da dove proveniva quel suono.
Lydia allungò il collo per riuscire a vedere la porta, parzialmente visibile dalla sala da pranzo. La signora O’Brien si alzò da tavola e si diresse tranquillamente ad accogliere il nuovo arrivato. Lydia si spostò di qualche centimetro verso sinistra per cercare di vedere dietro alla schiena della signora O’Brien, continuando allo stesso tempo a tenere una mano sulla testa di Henry per impedire che il suo eccessivo entusiasmo la facesse impazzire. Non riuscì a vedere il misterioso avventore, ma vide Caitlin che stava ritornando dal bagno. La ragazza alzò una mano e disse «Ciao zio!»
Vedendo la posa di Lydia, il signor O’Brien sorrise. «E’ arrivato mio fratello.»
 
Anthony O’Brien era uguale a suo fratello. Si assomigliavano talmente tanto che Lydia era tentata di chiedere loro se fossero gemelli. Stessi capelli e occhi scuri, stessa statura e dimostravano la stessa età. Si distinguevano solamente per il portamento, se il signor O’Brien sembrava costantemente avvolto da un’aurea di autorità e saggezza, Anthony O’Brien pareva il suo esatto opposto. Nonostante i vestiti eleganti, la sua postura era rilassata, le mani si stringevano nervosamente tra loro e un caldo sorriso gli illuminava il viso, che divenne ancora più luminoso quando vide i suoi nipoti seduti al tavolo da pranzo sani e salvi. Corse ad abbracciare Lance e Duncan, quest’ultimo non particolarmente contento di quella manifestazione d’affetto. «E’ da tutta settimana che cerco vostre notizie» disse lo zio stringendo Lance in un abbraccio da strizzare le costole «Non sapete quanto ci avete fatti spaventare!» Lo lasciò per controllare che fosse tutto intero. «Ho provato ad indagare ma al Ministero evitano tutti di parlare apertamente di Mangiamorte o di Voi-Sapete-Chi… E in questi giorni basta sbagliare a dire una parola per finire denunciati o sotto indagine.» Lydia ricordò che il signor O’Brien le aveva raccontato del fratello durante la sua prima sera. Se ricordava bene lavorava sotto copertura al Ministero della Magia.
Tentando di non farsi scoprire si soffermò ad esaminare l’uomo. Per quanto ci provasse non riusciva proprio a vederlo come il tipo capace di fare un lavoro da spia. Ma sapeva anche quanto le apparenze potessero ingannare.
Anthony si tolse il cilindro e lo posò sul tavolo davanti a lui. Il cappello sbuffò una nuvoletta di fumo verde e con un piccolo salto si ripiegò su se stesso fino a diventare poco più grande di una noce. Henry, ancora immobilizzato da Lydia, emise un verso strozzato che attirò l’attenzione del mago. Anthony ridacchiò vedendo gli occhi strabuzzati del bambino e si mise il cappello rimpicciolito nel taschino. «E’ un piccolo trucchetto che ho dovuto imparare a mie spese. Ogni volta dimenticavo in giro il mio cappello. Certo, adesso mi capita spesso di dimenticare di averlo messo nel taschino e metà dei miei cilindri finiscono in lavatrice, ma quella è un’altra storia.» Lydia sentì sotto le dita Henry che prendeva fiato, certamente per iniziare la sua infinita catena di domande sulla magia appena vista, ma la signora O’Brien fu più veloce di lui e costrinse i bambini a seguirla fuori dalla stanza e tornare di sopra, in modo che gli adulti potessero parlare tranquillamente. In realtà provò a convincere anche Caitlin ad andare con loro, ma la ragazza si sedette accanto a Duncan e protestò sonoramente, utilizzando parole volgari che costrinsero la signora O’Brien a rinunciare immediatamente e portare fuori i bambini prima che potessero ripetere le sue imprecazioni.
«Ci avete fatto preoccupare da morire.» continuò Anthony «Silas era nel panico, neppure Cyril è riuscito a tranquillizzarlo. Non vedo l’ora di dargli la bella notizia.»
Certo, collegò Lydia, Anthony O’Brien era il padre di Silas e Cyril. Ora che ci pensava era facile notare le somiglianze tra padre e figli, specialmente con Silas.
«Perché non ci avete avvisati subito? Avreste potuto evitare un tracollo mentale a mio figlio…» scherzò Anthony.
«Siamo riusciti a scappare questa mattina.» spiegò Lance.
«Scappare?» Lo zio si sedette sulla sedia lasciata libera dalla signora O’Brien «Allora è successo proprio quello che temevamo? Siete stati rapiti?»
«Non proprio.» rispose Duncan allontanando il piatto vuoto «Siamo riusciti ad arrivare ad un rifugio giusto in tempo.»
Il signor O’Brien si accigliò. «Quale rifugio? Non è scattato nessun allarme e i vostri cugini li hanno controllati tutti.»
«Ve lo spiego dopo.» provò a deviare il discorso Duncan, anche se dal suo tono si capiva perfettamente che non aveva nessuna intenzione di ammettere l’esistenza di un rifugio segreto. «In ogni caso le protezioni di Katherine hanno retto e ci hanno tenuti al sicuro per tutta la settimana. Siamo riusciti a scappare solo stamattina perché i Mangiamorte che ci stavano sorvegliando sono dimezzati all’improvviso. Abbiamo approfittato del momento e siamo scappati.» Il signor O’Brien era intenzionato a scoprire di più ma fu bloccato dal fratello.
«E io so perché si sono dimezzati!» Anthony sorrise, incapace di non far trasparire l’evidente emozione che provava. «Sono tutti corsi da noi al Ministero!»
Quelle parole furono sufficienti per distrarre il signor O’Brien e fargli dimenticare per il momento il mistero del rifugio segreto. «State tutti bene? Vi hanno scoperti?» chiese con un cipiglio preoccupato.
Anthony si slacciò il mantello continuando a sorridere. «Mai stato meglio! Harry Potter ha fatto irruzione al Ministero!»
Lydia si ritrovò a bocca spalancata, mentre gli altri iniziarono ad inondare di domande lo zio alla stessa velocità di quelle di Henry di poco prima. Anche il signor O’Brien e Duncan, che di solito si dimostravano i più composti, si sporgevano verso l’uomo stupiti.
«Quando?»
«E’ riuscito a scappare?»
«Cosa ha fatto? Ha attaccato il Primo Ministro?»
«L’Ordine della Fenice era con lui?
«Vuol dire che la guerra è finita?»
Anthony sembrava orgoglioso di trovarsi al centro dell’attenzione e agitò le mani per far segno agli altri di tranquillizzarsi, come se si potesse stare tranquilli dopo una notizia del genere.
«L’ho solamente intravisto mentre scappava con alcuni Nati Babbani che dovevano affrontare l’interrogatorio. Li ha salvati tutti, vi rendete conto?» Lydia pensò ad Alice con una stretta al cuore. «Era circondato da agenti del Ministero ma li ha comunque salvati, ed è riuscito a scappare pure lui!» gli occhi di Anthony brillarono di orgoglio «Io stesso ho rallentato alcuni dei suoi inseguitori! Ho finto di essere troppo sconvolto per quello che vedevo e mi sono messo in mezzo tra lui e gli altri! Ovviamente mi hanno subito spostato di peso, ma gli ho fatto guadagnare secondi preziosi.»
I pensieri di Lydia vorticavano ad una velocità spaventosa. Harry Potter era vivo ed era entrato al Ministero. Aveva liberato dei Nati Babbani. Un piccolo pensiero malevolo si insinuò nella sua mente. Era arrivato troppo tardi per salvare Alice. Lydia lo scacciò subito. Scosse la testa per ritrovare il filo di pensieri. Si chiese per quale motivo il ricercato numero uno d’Inghilterra si fosse presentato nel luogo che veniva ormai considerato come il fulcro del potere di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato. Magari voleva davvero fare un attentato al nuovo Primo Ministro. Oppure era un messaggio rivolto a tutti i maghi e le streghe della Gran Bretagna. Forse in quel gruppo di Nati Babbani si trovava qualche suo conoscente, magari quella sua amica Nata Babbana con cui girava sempre, Hermione Granger, se ricordava bene.
Nel frattempo gli altri stavano esprimendo ad alta voce tutte le loro domande, a cui Anthony non riusciva però a dare risposta. Sapeva solo quello che era riuscito a vedere con i suoi occhi, il resto era subito stato messo a tacere. «Ma avete capito? Ho aiutato Harry Potter!» continuava a ripetere. Lydia pensò a quanto dovesse essere difficile lavorare al Ministero in quei tempi, fingere di approvare tutte le iniziative orribili che stavano mandando avanti, con il terrore di venire scoperti. Provò un enorme rispetto nei confronti di quell’uomo.
«Non ci ha abbandonati…» la voce di Katherine tremava «E anche se lui non lo sa, ci ha salvato la vita.»
Era la pura verità. Se non si fosse presentato al Ministero chissà se e quando avrebbero avuto un’altra possibilità di uscire da quel rifugio e tornare a casa. A mente fredda, Lydia sapeva che senza l’involontario aiuto di Harry Potter per loro le opzioni percorribili sarebbero state due: rimanere nel rifugio sperando che i Mangiamorte desistessero, rischiando però di morire di fame, oppure tentare comunque la fuga. Ma se erano riusciti ad uscirne a stento con i Mangiamorte dimezzati, era inutile illudersi che sarebbero sopravvissuti contro dei nemici così numerosi. Lydia soppresse un brivido e cercò di convincersi che era inutile pensare a come sarebbe potuto andare tutto storto. Erano riusciti a tornare a casa, quella era l’unica cosa importante. Se mai avesse incontrato Harry Potter lo avrebbe ringraziato per quella strana e provvisoria coincidenza che aveva salvato loro la vita. A quel pensiero, un dubbio si insinuò nella mente di Lydia, ma non riuscì ad esporlo agli altri, ancora troppo presi ad interrogare lo zio alla ricerca di risposte che lui non poteva fornire.
«In ufficio ne abbiamo parlato.» stava dicendo Anthony «Pensiamo che abbia voluto fare un gesto simbolico. Dimostrare che può arrivare anche al centro del nuovo potere di Voi-Sapete-Chi. Ha liberato i Nati Babbani per dimostrare che lui è più forte.»
Aveva senso. Era stato un simbolo, che aveva riacceso la speranza in tutti loro. 
«Quindi la guerra non è finita? Mi tocca stare ancora chiusa qui dentro?» Forse non proprio di tutti.
«Voglio vedere la reazione di Henry quando lo scoprirà.» rise Lydia. Anthony O’Brien si fermò a osservarla, come se si fosse accorto solo in quel momento della sua presenza. Sotto quello sguardo scrupoloso, Lydia si sentì in imbarazzo e disse un semplice «Salve.»
Anthony ritrovò il suo sorriso e spalancò le braccia. «Tu devi essere Lydia Merlin! So che Lance parla spesso di te.»
Lydia lanciò un’occhiata a Lance, intento a mangiare gli ultimi pezzi di arrosto «L’ho sentito dire.» sorrise, e fu il turno di Lance di ingozzarsi con il cibo. Si voltò soddisfatta di nuovo in direzione di Anthony. La loro conversazione però ebbe vita corta.
Henry spalancò la porta della sala da pranzo e si gettò nella stanza fermandosi a pochi centimetri da Anthony. «Harry Potter? Hai visto Harry Potter?» urlò, gli occhi sgranati per l’incredulità. Anthony sussultò e scambiò uno sguardo con il fratello.
«Tu come fai a saperlo?» Lydia guardò verso la porta, in tempo per vedere comparire due teste di bambini che scomparvero con la stessa velocità con cui erano arrivate. Simon e Daniel dovevano imparare a non origliare, e soprattutto a non andare a riferire ogni cosa che sentivano ad Henry.
Henry ignorò la sua domanda e concentrò tutte le sue attenzioni verso Anthony, il quale confermò tutto con un sorriso, e il bambino iniziò a fargli talmente tante domande che l’uomo guardò di nuovo suo fratello intontito. «Come è? Hai visto la cicatrice? E’ ancora come un fulmine? Era da solo? E’ alto? Ha detto qualcosa? Ha sconfitto i cattivi? Ha fatto un incantesimo?» e così via, parlando così veloce che alcune parole si fondevano tra loro, non si prendeva neppure il tempo di respirare «Ha una fenice? O un unicorno? Ha una spada?» Frase che alle orecchie di tutti suonò più come «Ha unfeniceounnicornouspada?»
Il signor O’Brien tentò di soccorrere il fratello. «Henry, devi tornare di sopra. E anche Simon e Daniel.» alzò la voce e dalle risatine che giunsero dalla sala si capì che il messaggio era stato ricevuto ma nessuno aveva intenzione di seguirlo. «Henry, torna da Rose.» Ma Henry stava continuando a parlare senza neppure capire che il signor O’Brien si stava rivolgendo a lui. «Vi prego, qualcuno può accompagnarlo di sopra?» Anche i ragazzi fecero finta di non sentire il signor O’Brien. Katherine si lamentò del dolore alla mano, scatenando una reazione spropositata da parte di Duncan, che cominciò a subissarla di talmente tante domande da far rivalità ad Henry.
«E’ un vampiro?»
«Dove ti fa male?»
«E’ un licantropo?»
«La mano o il braccio?»
«Ha le zanne?»
«Vuoi che ti porti qualcosa?»
Lydia faticava a seguire entrambe le conversazioni. E poi come era finito Henry a parlare di zanne, vampiri e licantropi? Caitlin intanto era ben piantata sulla sedia e senza nessuna intenzione di alzarsi, ancora scocciata per il fatto che Harry Potter non avesse posto fine alla guerra, mentre Lance stava cercando di terminare in pace il suo piatto di arrosto.
«C’erano i suoi amici con lui?»
«Vuoi una crema?»
«Anche loro sono vampiri?»
«Forse è meglio bendarla?»
Lydia non riuscì a trattenersi. «Adesso basta!» strillò. Il suo urlo ebbe l’effetto sperato e fece calare il silenzio sulla stanza. Ma attirò anche l’attenzione di tutti i commensali e dallo sguardo del signor O’Brien, Lydia capì chiaramente di essere finita nella sua trappola. Con un grugnito, Lydia scalciò la sedia e si alzò. «E va bene. Ci penso io.» si avvicinò ad Henry e strinse le braccia intorno alla sua pancia, sollevandolo di peso. «Ma solo per questa volta.» minacciò Lydia.  «E’ stato un piacere conoscerla, signor O’Brien.»
«Il piacere è tutto mio.» Anthony si alzò, da vero gentiluomo e abbassò leggermente il capo per salutarla. Lei sorrise e passando dietro a Duncan non poté fare a meno si sussurrargli «Perché non hai ereditato la gentilezza di tuo zio? Potrei persino sopportarti in quel caso.» e fuggì dalla stanza, mentre Henry cercava di liberarsi dalla sua presa e di chiedere quali azioni avesse compiuto esattamente Harry Potter. Appena uscì dalla stanza, intravide con la coda dell’occhio due testoline che tentavano di nascondersi dietro ad un divano. «Andiamo, voi due.» Simon e Daniel schizzarono fuori dal loro nascondiglio e la procedettero sulle scale, continuando a ridere, almeno fino a quando giunsero al terzo piano e trovarono una furiosa signora O’Brien ad aspettarli.
«Mi avete fatto prendere un colpo!» stava urlando mentre i quattro salivano gli ultimi gradini. «Se vi dico di rimanere qui, voi dovete ascoltarmi! Come posso correre dietro a tutti se continuate a scapparmi?» Lydia aggiustò la presa sulla pancia di Henry, non lo aveva ancora lasciato per paura che scappasse e tornasse da Anthony. L’ultima cosa di cui aveva bisogno era di correre su e giù dalle scale all’inseguimento di un bambino. Anzi, non vedeva l’ora di tornare nella sua camera e farsi un riposino, o un bagno caldo, o entrambe le cose contemporaneamente. «Siete in punizione!» continuò imperterrita la signora O’Brien. «Tutti e quattro!»
Lydia contò velocemente i bambini che erano saliti con lei. Simon, Daniel ed Henry. No, erano ancora in tre. E gli altri bambini erano fuori portata, si sentivano le loro voci provenire da una stanza alla loro sinistra. Senza chiedere ulteriori spiegazioni lasciò andare di colpo Henry, che atterrò con un botto per terra. «Allora io vado.» disse con un cenno di saluto.
«Dove pensi di andare?» Il tono della signora O’Brien non prometteva nulla di buono. Lydia cercò di arretrare, pronta a battere in ritirata.
«In camera.» rispose innocentemente.
«Ho detto che siete in punizione tutti e quattro.» gli occhi della signora O’Brien si assottigliarono, le braccia sui fianchi.
Tutti e quattro. Simon, Daniel, Henry e… lei.
Lydia tentò di protestare. «Non ho fatto niente! Li ho solo portati di sopra come mi avete chiesto!»
«Infatti sei in punizione per essere stata via una settimana!»
Lydia non credeva alle proprie orecchie. «Ma eravamo bloccati dai Mangiamorte! Cioè, non proprio dai Mangiamorte, da delle sottospecie di Mangiamorte da come ha detto Duncan… ma le assicuro che erano altrettanto spaventosi e…»
«In un rifugio di cui non eravamo a conoscenza!» replicò la signora O’Brien. I bambini intanto assistevano alla scena muovendo avanti e indietro la testa. «Cosa vi è saltato in mente di tenerci nascosto un nascondiglio? Abbiamo dei protocolli di sicurezza per un motivo. Nei prossimi giorni aspettatevi un ripasso completo di interrogazione, signorina, tu e gli altri tuoi amici.» Lydia si trattenne dal commentare che solo uno degli altri ragazzi era effettivamente un suo amico. In ogni caso si arrese all’evidenza e decise di accettare la punizione piuttosto che rimanere per altro tempo su quel pianerottolo a subire le ire della signora O’Brien.
Aveva appena ceduto quando sentì un singhiozzo levarsi al suo fianco. Daniel lo ripeté. «Rose… mi fa male la pancia.» e accompagnò il singhiozzo a degli occhioni talmente innocenti che per un istante Lydia credette alle sue parole.
La signora O’Brien ci cascò in pieno, si sporse verso di lui per stringerlo in un abbraccio. «Se ti fa tanto male è meglio se vieni con me.» disse con un tono completamente opposto a quello che aveva usato fino a quel momento. Daniel annuì e tirò su con il naso. La signora O’Brien continuò a parlargli dolcemente mentre lo spingeva gentilmente verso la stanza in fondo al corridoio. Vedendo che si era completamente dimenticata di loro, Lydia sperò di essere riuscita ad evitare la punizione, ma neanche il tempo di pensarlo che la signora O’Brien si voltò di nuovo, puntandole un dito contro. «Voi tre, punizione!»
Il mezzo sorrisetto di Lydia le sparì completamente dal viso, Simon protestò pestando i piedi, mentre Henry sospirò affranto. E in tutto questo, la signora O’Brien continuò ad allontanarsi stringendo a sé Daniel. Il bambino si voltò un’ultima volta verso di loro, giusto il tempo di una linguaccia prima di sparire dietro alla porta. Le proteste di Simon si levarono ancora più rumorose e Lydia dovette trattenersi dal fare altrettanto.
Così Lydia si ritrovò chiusa contro la sua volontà in una stanza tramutata in un’improvvisata aula scolastica. Era la prima volta che si trovava lì in presenza dei bambini. Di solito saliva al terzo piano solo quando era assolutamente sicura di non trovarci nessuno, e anche in quei casi cercava di evitarlo il più possibile. E invece era costretta a stare lì a preparare cartelloni con i nomi e le immagini di animali per le lezioni che sarebbero iniziate entro pochi giorni, con Simon, che non aveva smesso un secondo di lamentarsi, ed Henry, che continuava imperterrito a parlare a raffica.
«Harry Potter è andato al Ministero!»
«Henry…»
«Harry ha sconfitto tutti i Mangiamorte!»
«Basta.»
«Ucciderà tutti i cattivi!»
«Fallo smettere!» Simon si coprì le orecchie, le mani appiccicose a causa della colla gli si incollarono sui capelli andando solamente a peggiorare la situazione.
«Non so se hai notato ma non mi ascolta…» Lydia cercò di staccare la mano di Simon dalle orecchie. Non era stata una buona idea aggiungere un incantesimo alla colla per farla attaccare meglio e cercare di finire prima. «Henry, lavora o domani sarai ancora in punizione.» provò comunque a dire, senza alcun effetto sul bambino che continuò imperterrito a saltare sulla sedia. Lydia tirò con tutte le sue forze la mano di Simon. Non si smosse di un centimetro. «Non viene via…» lasciò andare il polso di Simon, non si ricordava nessun incantesimo che non comprendesse il tagliare o le mani o le orecchie.
Simon scosse la testa (e le mani) «Mi va bene anche rimanere così, basta che lo fai stare zitto.»
Lydia recuperò la bacchetta da sotto una decina di animali di carta e la puntò contro Henry. «Silencio
«E Harry Potter non ha paura! Ha sconfitto i cattivi tutto da solo!» Il primo tentativo di silenziarlo fallì a causa dei troppi movimenti del bambino, l’incantesimo passò sopra la sua testa evitandolo e colpendo al suo posto un cartellone sull’antica Mesopotamia, bruciacchiandolo in un angolo. «Ed era al Ministero! Anche lo zio Anthony l’ha aiutato, hai sentito Lydia? Anche lo zio Anthony è un eroe! Come Harry Potter.» continuava a dire saltellando «No, Harry Potter è un supereroe ma anche lo zio Anthony non è male.»
Solo al terzo tentativo Lydia riuscì a colpirlo, ma questo non scalfì l’entusiasmo di Henry che era talmente preso nei suoi discorsi da non accorgersi neppure che nessun suono usciva dalla sua bocca in costante movimento, e continuò così ad agitarsi anche senza poter parlare.
Lydia scrollò le spalle e si concentrò di nuovo sul il suo lavoro. «E’ il massimo che posso fare.» Decise di ignorare completamente sia Henry che Simon, ancora bloccato con le mani sulle orecchie e tagliò il contorno di una scimmia. La incollò in cima ad un nuovo cartellone. «Mi passi il pennarello marrone, Simon?»
«Eccolo.» rispose una voce ben diversa.
Lydia non sollevò lo sguardo dalla sua scimmia. «Fammi indovinare. Sei anche tu in punizione.» Scrisse il nome dell’animale a grandi lettere al fianco dell’immagine.
Lance spostò lo sgabello e si sedette al suo fianco, incrociando le braccia sul tavolo con aria imbronciata. «Ero solo passato a vedere dove eri finita ma ho incontrato prima la mamma. Come mai Simon non si toglie le mani dalla testa?»
«Colla.» rispose vaga Lydia.
«E perché Henry parla ma non pronuncia nessun suono?»
«Incantesimo.» rispose ancora più vaga. Lance decise di non indagare e si limitò ad annuire pensieroso.
«Per quanto tempo pensi che sia moralmente giusto lasciarli così?»
Questa volta Lydia considerò veramente la questione. «Direi almeno venti minuti. Ce li meritiamo.»
Lance annuì di nuovo e prese il foglio con il disegno di una tigre, iniziando a ritagliarne i contorni. Dei venti minuti che avevano programmato, riuscirono a passarne in pace solo cinque. Dopodiché Simon iniziò a protestare dicendo che non sentiva più le braccia mentre Henry si era finalmente accorto di essere stato Silenziato e si vedeva che era combattuto tra il sentirsi offeso o esaltato per il fatto di essere sotto un incantesimo.
«Sento le formiche… Ho delle formiche sul braccio? Toglietemele, toglietemele!» urlò Simon agitando l’intero busto.
«Voglio parlare, voglio parlare!» urlava senza voce Henry, o almeno, era quello che sembrava dal labiale. Era una delle due ipotesi di Lydia, o quello o «Voglio ballare, voglio ballare!».
Alla fine si vide costretta a togliere l’incantesimo ad Henry, che, appena lo capì, spalancò la bocca per recuperare gli ultimi minuti di conversazione persa. Lydia lo bloccò all’istante. «Provaci e ti trasformo in una rana.» minacciò.
«Guarda che può farlo davvero. Ha la passione nel trasformare le altre persone in animali.» ricordò Lance con un brivido.
Lydia protestò. «E’ stato solo un incidente!»
«Ma è successo tre volte!»
«Un incidente ripetuto.» si limitò a rispondere Lydia, agitando lievemente la bacchetta in direzione di Simon. Le sue mani rimasero inchiodate dove erano. «Mi fanno male i muscoli!» ululò Simon.
«E va bene.» borbottò Lydia rialzando la bacchetta. «Finite incantatem!» pronunciò con maggiore convinzione, riuscendo così a liberare Simon. Il bambino iniziò a dondolare le braccia per far riprendere la circolazione. Lydia e Lance tornarono alla loro punizione, uno ritagliava mentre l’altra incollava e scriveva il nome degli animali. Simon ed Henry avevano iniziato a discutere tra loro su un coniglietto o qualcosa del genere, Lydia aveva smesso di ascoltarli appena li aveva sentiti parlare.
«E pensare che solo qualche ora fa eravamo circondati da maghi pronti ad ucciderci…» Lance osservò l’ultima immagine rimasta da sistemare. «Questo che animale è? Un pappagallo? O una gallina?» lo ruotò più volte, cercando di interpretare il disegno della sorella, non molto portata all’arte. «Potremmo mettere un punto di domanda e far decidere i bambini.» lo girò ancora una volta «O lo facciamo semplicemente sparire.» decise infine.
Lydia, nel frattempo, annuiva, in realtà senza prestare attenzione. Le prime parole di Lance le avevano riportato la mente a quella mattina. Nella fretta della fuga non aveva riflettuto molto su cosa stesse succedendo, ma ora, nella tranquillità di casa O’Brien, poteva permettersi di ripensare a quegli attimi terribili. E più ci pensava più qualcosa non le tornava, ma non riusciva a capire cosa.
Scosse la testa, tentando di tornare al presente, infastidita da quella sensazione di aver perso un pezzo importante, di non aver capito qualcosa di fondamentale. Odiava quella sensazione, era come quando si dimenticava qualcosa e sapeva di averlo dimenticato ma non riusciva a ricordare di cosa si trattasse. Sapeva anche che avrebbe continuato a darle fastidio fino a quando non avrebbe trovato una soluzione. Alzò un pennarello, decisa ad aggiungere qualche foglia per decorare il cartellone e cercare così di distrarsi. Si immobilizzò tenendo il pennarello verde davanti agli occhi. Verde.
«Non ci hanno uccisi.» sussurrò. Henry e Simon erano troppo impegnati a litigare tra loro per prestare attenzione alle sue parole, ma Lance le capì perfettamente.
Il ragazzo cosparse il retro dell’animale sconosciuto di colla «Non vorrai lamentarti per non essere stata uccisa, spero!» appoggiò il disegno sull’angolo libero del cartellone e fece pressione per farlo incollare bene.
Quando rialzò lo sguardo si rese conto che Lydia lo stava fissando. «No, non hai capito. Loro non ci hanno uccisi!»
Lance cercò di non perdere la pazienza «Ho capito, e ti ripeto che dovresti esserne contenta.» e pensando che la conversazione fosse finita, rubò il pennarello rosso dalle mani di Henry e disegnò un punto di domanda a fianco dell’ultimo disegno di Caitlin. Il bambino si affrettò a riprendersi il suo pennarello, lanciandogli uno sguardo offeso.
«Lance!» esclamò spazientita Lydia «Non hanno neanche provato ad ucciderci!» Lance si limitò a guardarla come se stesse dicendo cose senza senso. «Pensaci! Quando abbiamo incontrato quell’uomo in città, quando siamo andati a prendere Daniel, quel tipo ha cercato di ucciderci. Lo hai sentito anche tu! Ha provato a lanciare un Anatema che Uccide! Ma stamattina non hanno usato nessun Avada Kedavra. Neanche uno. E neppure altre maledizione che avrebbero potuto ucciderci!» e sventolò il pennarello verde per sottolineare il concetto.
«Ma hanno cercato di disintegrarci…»
«Ragiona! Siamo stati troppo fortunati! Katherine si è Spaccata, ma nessuno di noi è rimasto ferito nella fuga… Pensi davvero che tutti quelli che ci stavano inseguendo avessero una mira tanto pessima? Sono degli stupidi ma non penso proprio che abbiano lasciato dei completi idioti a sorvegliarci.»
Lance si fermò a riflettere, ricordando la mattinata. In effetti non erano stati colpiti nemmeno di striscio da nessun incantesimo troppo potente, erano tutti andati contro alberi e cespugli. C’era un’unica risposta possibile. «Non ci vogliono più uccidere.»
«Qualcosa è cambiato.» confermò Lydia. «E tuo padre ha detto che sospettano che qualcuno prende i bambini, se ha ragione, se davvero loro lo sanno, allora c’è solo un motivo per cui non ci vogliono morti…»
«Vogliono scoprire dove nascondiamo i bambini.» completò la frase Lance. Entrambi si voltarono a guardare Henry e Simon, ancora presi dal loro innocente litigio. Lydia sentì una forte ondata di nausea al pensiero che quei due bambini potessero finire nelle mani dei Mangiamorte, così come gli altri bimbi che finora avevano trovato rifugio a casa O’Brien.
Solo in quel momento Lydia si rese conto che avrebbe fatto di tutto per difenderli, non avrebbe permesso a quei mostri di toccarli o anche solo di avvicinarsi a loro.
Aveva fallito troppo volte. Aveva fallito con Alice, aveva fallito con… Lydia scosse la testa per allontanare gli incubi. No, aveva fatto una promessa, aveva stretto un giuramento, ma più di tutto lo doveva a se stessa e a quei bambini.
Li avrebbe difesi contro il male, o sarebbe morta provandoci.
 
 
Quando l’Espresso di Hogwarts giunse infine alla stazione di Hogsmeade, il buio era già calato e rendeva difficoltoso riuscire a distinguere i volti degli altri studenti. Sembrava una massa conforme, soprattutto avendo tutti indossato la stessa identica uniforme nera, che rendeva ancora più difficile riconoscere qualcosa. Capelli rossi. Doveva cercare dei capelli rossi, pensò Lance alzandosi in punta di piedi senza riuscire però a distinguere il colore dei capelli di nessuno. Provò anche a salire in piedi su una panchina ma ancora nulla.
«Primo anno! Primo anno!» Un uomo gigantesco li stava chiamando da un angolo della banchina. Ma certo, doveva essere Hagrid! Lance si era dimenticato che l’ingresso ad Hogwarts per gli studenti del primo anno avveniva con le barche, il che significava che stava davvero per incontrare la bambina dai capelli rossi. Lance scese con un salto dalla panchina e perse leggermente l’equilibrio a causa del peso del suo gufo sulla spalla sinistra. Il Prefetto che aveva fatto il giro del treno gli aveva detto di lasciare i suoi bagagli sul treno e che li avrebbe ritrovati nel suo dormitorio quella sera stessa, ma Lance non aveva voluto abbandonare il suo gufo, e così aveva aperto la gabbietta e quello, invece di volare verso la guferia della scuola, si era posato sulla sua spalla e non era ancora sceso. A Lance non dispiaceva. Lo faceva sentire meno solo.
Si fece largo tra la folla, tenendo come punto di riferimento la testa di Hagrid che sovrastava tutti, e quando riuscì finalmente a raggiungere il gruppo del primo anno, iniziò a guardarsi attorno per cercare la bambina dai capelli rossi, senza trovarla.
«Dovremmo esserci tutti!» disse Hagrid battendo le mani e causando una corrente d’aria che costrinse il gufo di Lance ad agitare le ali per mantenersi dritto.
Lance percepì la tristezza tornare nel suo cuore. Non aveva trovato la ragazza. E se si era confuso? Forse la bambina non frequentava il primo anno, magari era già al secondo e in chissà quale Casa.
«E’ un bel gufo.» disse una voce alle sue spalle. Lance si voltò e vide con enorme stupore davanti a sé la bambina dai capelli rossi. Non ci poteva credere. «Mio papà voleva prendermi un gufo ma io non ho la minima idea di come ci si prende cura di un gufo, e allora l’ha comprato lui.» Un’altra bambina era accanto a lei e si guardava attorno rapita. «Il tuo come si chiama?»
Lance abbassò lo sguardo imbarazzato. «Non gli ho ancora dato un nome.»
La bambina si avvicinò per osservare meglio il gufo. «Cosa ne dici di Teseo?»
«E’… è un bel nome.» ammise Lance, totalmente nel pallone. Aveva finalmente trovato la bambina, ma ora che l’aveva incontrata non sapeva cosa dirle. Come poteva chiederle di fargli compagnia per farlo sentire meno solo? E poi sembrava aver già fatto amicizia con l’altra bambina.
«Forza, è ora di andare!» esclamò Hagrid allontanandosi a grandi passi. Gli studenti del primo anno dovettero cominciare a correre pur di stargli dietro, con il terrore di perdersi in quei posti sconosciuti, e nella fretta di seguire il Custode, Lance perse di vista la bambina dai capelli rossi.
Corsero fino ad arrivare alle sponde del lago, dove li aspettavano delle piccole barchette. Lance sapeva cosa li attendeva, avrebbero navigato sul lago fino ad arrivare a scorgere Hogwarts, in una visione spettacolare. La sua famiglia ne aveva parlato talmente tanto che a Lance sembrava di averlo già vissuto. Salì sulla prima barchetta libera e fu per puro caso che la bambina dai capelli rossi e la sua amica salirono sulla stessa imbarcazione, insieme ad un ragazzo paffutello. Prima che Lance potesse pensare a cosa dire, le barchette iniziarono a muoversi da sole e, tra i mormorii estasiati dei bambini, la traversata del Lago Nero cominciò.
Il momento in cui finalmente svoltarono l’angolo e videro per la prima volta il castello di Hogwarts, fu per Lance uno dei più belli della sua vita.
Eccola lì, la scuola che aveva sempre sognato, così bella e maestosa, ricca di nuove possibilità. La luce della luna si rifletteva sulla superficie del lago rendendo la visione ancora più grandiosa. Lance era completamente senza parole. Fino a quando la bambina dai capelli rossi gli parlò.
«Comunque sono Lydia. Lydia Merlin.» e stese una mano verso di lui.
Lance si fermò un istante a guardare la mano tesa. «Lance O’Brien.» disse infine.
E i due bambini si strinsero la mano, mentre Hogwarts si stagliava maestosa dietro di loro.
 
 
 FINE PRIMA PARTE

 


Ebbene sì, eccoci arrivati alla fine della prima parte. E' una grande emozione per me pubblicare questo capitolo per due motivi: prima di tutto perchè questa prima parte è stata quella che più mi ha accompagnata in tutti questi anni, quella in cui vi sono più tracce della storia originale che ho iniziato a pensare così tanti anni fa. Il secondo motivo è che da settimana prossima potrò iniziare a pubblicare i capitoli della seconda parte, quelli a cui più sono legata e che, personalmente, rimangono i miei preferiti e per questo motivo non vedo l'ora che anche voi possiate leggerli!

Curiosità: "Piume di Cenere" è composta da tre parti, lunghe dodici capitoli ognuna, più una piccola parte finale che funge da epilogo. Quindi Lydia, Lance, Katherine, Duncan, Caitlin, i signori O'Brien e tutti i bambini hanno ancora molte avventure ad attenderli (oltre a diversi salti nel passato...), e ci saranno anche tanti altri personaggi che faranno la loro comparsa e che saranno fondamentali per l'evolversi della storia!

Grazie a tutti voi che avete letto la prima parte, se volete lasciare anche solo un commento per farmi sapere quale è il vostro capitolo o il vostro personaggio preferito, sapete dove trovarmi <3 
Grazie a tutti voi che avete recensito,
Grazie a chi ha inserito "Piume di Cenere" tra le storie seguite, ricordate o preferite,
Grazie di cuore per tutto.

A settimana prossima per l'inizio della seconda grande avventura!

Un abbraccio,
Emma Speranza

 
 
 
'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 
  

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Paul Kenston ***


Capitolo 13
Paul Kenston
 

Hogwarts era esattamente come Lance aveva sempre sognato. Il castello era enorme, la magia pulsava in ogni suo angolo, le sue mura trasudavano storia e mistero.
E Lance pensò per l’ennesima volta a quanto sarebbe stato più bello poter vivere il primo ingresso in Sala Grande con Caitlin al suo fianco. Era più forte di lui, per quanto tentasse in ogni istante di non pensarci, la sensazione che a quel momento meraviglioso mancasse qualcosa era sempre presente. E neanche la presenza della bambina dai capelli rossi, Lydia Merlin, al suo fianco mentre attraversavano le grandi porte per raggiungere il Cappello Parlante, poteva smorzarla del tutto.
Almeno non era solo.
Lydia le aveva presentato una bambina che aveva conosciuto sul treno, una certa Alice, anche lei del primo anno. E si sentì meglio ad ascoltare il canto del Cappello Parlante con loro al suo fianco. Anzi, per un breve istante provò un senso inebriante di felicità e dimenticò l’assenza di Caitlin, semplicemente pieno di gioia per essere arrivato al momento che aveva sempre desiderato da quando aveva memoria. O almeno lo fu fino a metà Smistamento, quando venne chiamata «James, Alice», l’amica di Lydia, e fu Smistata in Grifondoro. Non che ci fosse nulla di male, ma Lance sapeva che non sarebbe finito nella stessa Casa. Non si era mai sentito particolarmente coraggioso, e, ad essere sincero, non gli stavano molto simpatici i Grifondoro che aveva conosciuto fino a quel momento. Aveva sperato che sia lui sia le due bambine appena conosciute potessero essere Smistati nella stessa Casa e poter conservare così la loro neonata amicizia. Beh, si trovò a pensare, magari sarebbe comunque finito nella stessa Casa di Lydia. Sarebbe stato fantastico.
E così riuscì a tranquillizzarsi, mentre la professoressa McGranitt continuava a leggere l’elenco e i bambini del primo anno si sedevano terrorizzati sullo sgabello, in attesa di scoprire a chi sarebbero appartenuti per i successivi sette anni della loro vita.
«Kelsey, Maverick.»
«Corvonero!»
«Kenston, Paul.» Un bambinetto dai capelli neri e con occhialini di plastica si avvicinò tutto tremante allo sgabello. Il Cappello impiegò un minuto intero prima di sentenziare «Tassorosso!»
«Leach, Florence.»
«Serpeverde!»
Le mani di Lance iniziarono a sudare, ormai mancava poco, gli studenti del primo anno ancora in attesa erano sempre meno e presto sarebbe arrivato il suo turno.
«Mallory, Rowan.»
«Corvonero!»
«Merlin, Lydia.» La bambina dai capelli rossi sollevò il mento e si diresse decisa verso il Cappello Parlante. Non sembrava aver paura. Lance incrociò le dita dietro alla schiena, mentre la professoressa McGranitt calava il Cappello sulla testa di Lydia. Appena si poggiò sul suo capo, uno strappo si aprì sulla stoffa e il Cappello Parlante gridò «Grifondoro!»
Lance sentì la terra scomparire sotto i suoi piedi, il cuore un tamburo impazzito nel petto. Non era possibile.
«Moore, Blake.» Eppure era vero, perché mentre il nuovo bambino chiamato si avvicinava allo sgabello, Lydia correva verso Alice ed andava a prendere il suo posto al tavolo dei Grifondoro, accolta da applausi e pacche sulla schiena.
Lance invece si ritrovò di nuovo solo. Fermo in mezzo alla Sala Grande con un’altra manciata di studenti non ancora Smistati. E con una stilettata al cuore, percepì nuovamente l’assenza di Caitlin. Il suo pensiero tornò alle sere in cui i due gemelli fantasticavano sul loro ingresso ad Hogwarts, a Caitlin che giurava che sarebbero stati nella stessa Casa e che nessuno avrebbe potuto dividerli.
«Serpeverde!»
Il ragazzino, Blake Moore, corse verso il tavolo dei Serpeverde, Lance lo inseguì con lo sguardo e, senza volerlo, lo lasciò scorrere sul tavolo, trovando infine Duncan in quella folla. Mentre tutta la tavolata stava accogliendo il nuovo arrivato, Duncan stava guardando Lance, e gli rivolse un cenno che se Lance non avesse conosciuto così bene suo fratello, avrebbe potuto scambiare con un tentativo di incoraggiamento.
«O’Brien, Lance.»
Lance si sentiva come in una bolla. Tutta la scena si muoveva al rallentatore, la Sala intera sembrava cristallizzata nel tempo. Si avviò verso la professoressa McGranitt e il suo destino. Magari essere un Grifondoro non sarebbe stato così male. Forse aveva troppi pregiudizi nei loro confronti, magari si sarebbe trovato bene e così avrebbe potuto continuare ad essere amico di Lydia Merlin.
Quei pensieri gli donarono coraggio e si sedette sullo sgabello con la nuova convinzione di chiedere al Cappello Parlante di poter essere Smistato nella casa dei coraggiosi e degli intrepidi. Ma scoprì che era difficile discutere con il Cappello Parlante, soprattutto se quello aveva le idee ben chiare su quale Casa fosse la più giusta per uno studente. E così Lance non riuscì neanche a formulare un pensiero chiaro che il Cappello Parlante aveva già gridato «Tassorosso!»
Lance rimase attonito, tutti i suoi piani andati in fumo all’istante. E fu solo per un colpetto da parte della professoressa McGranitt che riuscì a risvegliarsi dal suo stupore ed alzarsi dallo sgabello per dirigersi verso la tavolata dei Tassorosso, che applaudivano educatamente il nuovo membro. Si sedette accanto ad un altro studente del primo anno che era stato Smistato prima di lui, e si voltò verso il tavolo dei Grifondoro.
Lydia Merlin lo stava guardando.
I loro sguardi si incrociarono; la bambina dai capelli rossi lo salutò con una mano e un sorriso sulla labbra. Ma erano troppo lontani, e quando gli altri ragazzi si avventarono sul cibo improvvisamente comparso sulle tavolate, Lance la perse di vista. Si voltò tristemente verso il suo piatto vuoto. Aveva davanti a se’ le pietanze più gustose eppure il suo stomaco era chiuso e un senso di nausea lo assaliva.
«Se tu non mangi, questo lo prendo io.» disse il bambino seduto al suo fianco. Aveva il piatto straripante di pudding, le guance gonfie di focaccine e la mano tesa a prendere una coscia di pollo dal vassoio davanti a Lance. Notando lo sguardo di Lance, il bambino deglutì il boccone che aveva in bocca. «Ho dimenticato il pranzo a casa.» spiegò semplicemente prima di avventarsi sulla coscia di pollo.
Lance ridacchiò. «Allora era meglio se ci incontravano sul treno. Mia mamma mi ha riempito la borsa di talmente tanti panini che penso di averne una scorta per un mese.»
«Beh, almeno nel nostro dormitorio avremo qualcosa per lo spuntino di mezzanotte per molto, molto tempo.» rispose l’altro bambino con un sorrisetto. «Comunque sono Paul. Vuoi un po’ di pudding?»
Il sorriso di Lance si allargò. «Ne voglio una padella intera.»
 
Ottobre. La nuova normalità, per quanto comunque fuori dall’ordinario, durò fino ad ottobre.
I giorni scorrevano tranquilli, agitati dai soliti guai quotidiani comuni nelle case abitate da una ventina di bambini e cinque ragazzi, di cui solo una abbastanza responsabile da sopravvivere alla situazione senza dare di matto. Gli altri quattro, invece, se chiusi tra le mura domestiche, mostravano il peggio di loro.
Nessun attacco, nessun Mangiamorte fuori dalle protezioni, nulla.
La relativa tranquillità fu consolidata grazie ad una nuova routine da cui Lydia si teneva ben alla larga. Come organizzato, la seconda settimana di settembre erano iniziate le lezioni per i bambini, divisi tra asilo ed elementari. Era inutile sognare che la situazione si risolvesse presto e per questo la signora O’Brien aveva deciso che era il momento di introdurre la scuola. In questo modo i bambini, una volta tornati alle loro vite, non sarebbero rimasti troppo indietro rispetto ai loro coetanei. Tutta la famiglia era coinvolta nel progetto, anche se Lydia, con il supporto del signor O’Brien, era riuscita a farsi affidare solamente i ruoli di pulizia della casa e mantenersi così il più lontana possibile dai bambini.
Va bene, ammetteva che Henry, Simon e Daniel le stavano leggermente simpatici, in particolare il primo, ma non lo avrebbe mai confessato e in ogni caso era ben contenta di non vederli troppo. Anche la signora O’Brien aveva acconsentito, anche se Lydia sospettava che la sua mancanza di proteste fosse dovuta al fatto che gli effetti della sua colla magica avevano lasciato Simon con le mani che si appiccicavano ad ogni superficie che toccava per un giorno intero.
Katherine e Duncan erano ormai gli unici che avevano il permesso di uscire di casa, soprattutto per fare compere, nonostante le continue proteste di Lydia e Lance, e di Caitlin, ancora infuriata per il fatto che fosse costretta a stare chiusa in casa e così facendo, non avrebbe potuto riprendere a frequentare l’università neppure quel semestre. Quando i genitori le avevano dato la notizia, le sue urla erano risuonate nell’intero edificio, provocando una fuga generale: Lance nel suo laboratorio, Lydia nell’orto mentre Katherine e Duncan avevano organizzato una gita in giardino con tutti i bambini. Dopo quattro giorni chiusa in un imperturbabile silenzio, Caitlin pareva essersi arresa e la situazione sembrava essersi tranquillizzata. In seguito a quell’episodio, la vita tornò regolare per le settimane successive.
Erano ormai staccati dal mondo, in una piccola bolla di quasi felicità in un Paese che sembrava aver dimenticato i periodi spensierati. Stavano bene, erano in salvo e le loro vite sembravano al sicuro. E loro cercavano di godersi questi momenti.
Ovviamente la tranquillità non poteva durare per sempre, qualcosa era in agguato, pronto a distruggere tutte le loro sicurezze e quella piccola serenità che erano riusciti a costruirsi a fatica fino a quel momento.
E quel qualcosa sarebbe stato orribile.
 
 
«88, 89, 90!» Lydia si alzò di scatto, ribaltando il tavolino e le pedine del gioco dell'oca «HO VINTO!»
Lance, con un colpo di bacchetta, sistemò il disastro combinato dalla ragazza e riportò le pedine al loro posto, facendo attenzione a mettere la sua rossa nella casella 30, che tristemente recitava ‘stare fermi due giri’.
«Hai barato.» disse tranquillamente, memore dei pomeriggi piovosi ad Hogwarts, passati in Sala Grande a giocare a quel gioco babbano.
«Concordo.» Caitlin squadrava la sua pedina nera, ancora bloccata alla casella 67 «Non ti sei mai fermata nemmeno per un giro.»
Lydia scrollò le spalle, incapace di far sparire il sorriso dalle labbra «Siete voi ad essere incapaci di perdere.» e si risedette, sprofondando nella poltrona. Posizionò di nuovo la sua pedina fortunata nell'ultima casella.
«Lydia, metà delle volte ti è uscito dodici.» Lance prese i dadi e li lanciò sul tabellone. Questi segnarono due miseri uno «Perché a noi continuano a uscire numeri bassi?»
«È solo sfiga.»
«Te la do io la sfiga.» borbottò Caitlin, meno abituata del fratello alle continue sconfitte. Di solito era lei quella che vinceva praticamente tutte le partite nei giochi da tavolo contro la famiglia, e non voleva assolutamente essere spodestata. E per rimarcare il fatto lanciò una delle sue tipiche occhiate omicide.
Il sorriso di Lydia questa volta non fece fatica a scomparire completamente. «Sai, a volte penso che la Natura non ti abbia dato i poteri magici per non farti diventare la nuova Tu-Sai-Chi.» spostò le tre pedine al punto di partenza e tolse, cercando di non essere notata dai gemelli, l’incantesimo dai dadi.
Preferiva subire una schiacciante sconfitta che essere vittima della vendetta di Caitlin O'Brien.
I primi a lanciare furono Lance e Caitlin, forse per assicurarsi che i dadi non fossero davvero incantati, e furono soddisfatti dei risultati: un otto e un dieci. Lydia sospirò e lanciò a sua volta i dadi sconfortata, sapendo che di solito non riusciva neanche a raggiungere il sei, figurarsi un numero abbastanza accettabile da riuscire a partire in vantaggio.
I dadi ruotarono in un movimento che agli occhi di Lydia parve al rallentatore, finché… Dodici.
«Non ci posso credere!» esclamò Lydia, incredula «Non ci posso credere!» scattò di nuovo in piedi, questa volta senza distruggere niente, e nel farlo alzò gli occhi verso la finestra «Non ci posso credere.»
 
«Sì, abbiamo capito.» Lance prese i dadi e li ruotò nella mano. La reazione di Lydia l’aveva involontariamente smascherata. Aveva fatto un tiro fortunato ma Lance era pronto a prendersi la sua rivincita. Rivolse un sorriso sghembo a Lydia «Ma come mai sei così contenta se prima ti è uscito il dodici almeno tre volte e... Che succede?» Lance fissò senza capire il volto improvvisamente pallido di Lydia. Un minuscolo angolo del suo cervello si stupì per l’ennesima volta di quanto la cicatrice risaltasse sul volto della ragazza ogni volta che impallidiva. «Non ti senti bene?»
 
«Penso di avere le allucinazioni.» disse lei senza distogliere lo sguardo dalla finestra. E lo sguardo era ricambiato. No, doveva avere sicuramente le allucinazioni, aveva mangiato troppe caramelle, questa era l'unica spiegazione possibile. Oppure Lance e Caitlin avevano capito già dalla scorsa partita del suo imbroglio e si erano vendicati dandole una pozione, o nel caso di Caitlin, direttamente un veleno.
Perché non poteva esserci un gufo fuori dalla finestra.
Non era possibile.
«Lydia, le mie preoccupazioni per la tua salute mentale stanno aumentando. Ad una velocità impressionante.» Lance, completamente ignaro dell’intruso presente alla finestra alle sue spalle, tornò a guardare il tabellone. Sapeva che cosa stava tentando di fare Lydia: visto che non poteva stregare i dadi ben stretti nel pugno di Lance, stava provando a distrarre lui e Caitlin per maledire il tabellone. Ne era convinto.
Anche Caitlin doveva aver fatto lo stesso ragionamento perché rivolgeva alla strega lo stesso identico sguardo intimidatorio di prima e si allungò sul tabellone per impedire qualsiasi incantesimo. «Questa volta non ci freghi.» sibilò.
Lydia li ignorò completamente, ancora intenta a fissare la finestra e tentare allo stesso tempo di non sbattere le palpebre, per paura che l’intruso svanisse. «Lance… c'è un gufo.»
Lance scoppiò a ridere «Sì, e magari anche un asino volante. Forza, hai già tentato di fregarci con questo trucco, possiamo tornare a giocare regolarmente?»
Lydia scosse la testa e con più convinzione indicò la finestra «Ti ho detto che c’è un gufo!»
Lance continuò a ridere, aumentando solamente l’irritazione di Lydia, che, per farla finita, appoggiò un ginocchio sul tavolino schiacciando involontariamente la mano di Caitlin, ancora mezza sdraiata sul tabellone, e si lanciò verso Lance. Con una mano si appoggiò alla sua gamba per tenersi in equilibrio mentre con l’altra gli afferrò il mento e lo costrinse a voltarsi a guardare la finestra alle sue spalle.
«Oh. C’è un gufo.» constatò Lance.
«Che intuizione geniale.» commentò Lydia.
«Spostati!» disse nello stesso momento Caitlin, intenta a strattonare la mano nel tentativo di liberarsi, dando delle pacche alla gamba di Lydia per costringerla a spostarsi. Lydia sollevò il ginocchio, senza perdere tempo a chiedere scusa.
Se lo meritava per non averle creduto.
Il gufo intanto era ancora al suo posto. Volava in lontananza, fuori dal cancello, e cercava di superare le barriere senza alcun successo. Si buttava contro la protezione invisibile, il colpo lo rispediva indietro ma lui imperterrito svolazzava un po’ intorno e poi ripartiva all’attacco. Se non altro era un gufo molto determinato.
Lance scattò in piedi e corse alla porta, seguito da Lydia ed una confusa Caitlin, che scuoteva la mano dolorante. «Come è possibile?»
«Dovresti chiamare tuo padre.» propose Lydia, mentre il trio superava a grandi passi il giardino, tenendo gli occhi incollati al gufo che continuava la sua impossibile impresa. Caitlin non la ascoltò, si limitò a superarla e con uno scatto finale fu la prima a raggiungere il cancello. Allungò una mano verso il chiavistello. Lydia balzò e le afferrò il braccio tirandolo indietro. Caitlin cercò di nuovo di scrollarla via. «Ma la smetti di farmi male?»
 «Dobbiamo controllare che non sia una trappola!» disse Lydia stupita dall’incoscienza dell’altra. Lance nel frattempo le aveva raggiunte. «Dobbiamo chiamare vostro padre e… Ma che fai!?» Ormai era troppo tardi, Lydia mollò la presa sul braccio di Caitlin per buttarsi contro il cancello, ma Lance lo aveva già spalancato aprendo così anche uno spiraglio nelle protezioni, permettendo al gufo grigio di entrare e svolazzare bubolando soddisfatto sopra alle loro teste.
Lydia sguainò la bacchetta e la puntò verso il cielo, ma questa volta fu il turno di Caitlin di bloccarle il braccio costringendola ad abbassarlo, con una presa talmente ferrea che si capiva che si stava vendicando. «È di Paul.»
«Paul?» E Lydia si sentì terribilmente in colpa per essersi completamente dimenticata di lui negli ultimi mesi. Ora che ci pensava, non aveva neppure chiesto se stava bene. A sua discolpa, Paul non doveva trovarsi in una situazione spinosa come la loro: la sua famiglia era composta interamente da maghi, non Purosangue ma comunque erano ormai tre o quattro generazioni che i babbani non si presentavano nel suo albero genealogico, o almeno, così le sembrava di ricordare. Inoltre era impossibile immaginare Paul avere dei guai. Era sempre stato un ragazzo tranquillo, costantemente spaventato dal mondo, e da Lydia stessa. Certo, negli ultimi anni di Hogwarts aveva sviluppato un carattere che lo portava a lamentarsi di tutto e di tutti (specialmente di Harry Potter), ma Lydia si era convinta da tempo che fosse solo un atteggiamento usato nel tentativo di nascondere la sua paura e invidia.
«Sa che sono nascosto. Deve trattarsi di un’emergenza se ha mandato il suo gufo.» Lance allungò un braccio e il volatile si posò delicatamente sul suo avambraccio. Arruffò le penne ed allungò una zampetta, rimanendo in equilibrio mentre il ragazzo slegava la lettera arrotolata. Non appena Lance ruppe il sigillo della busta, il gufo spalancò le ali, scompigliando i capelli già disordinati di Lance e, senza aspettare la solita ricompensa, si sollevò in volo, attraversò il cancello rimasto aperto e volò via, allontanandosi velocemente e scomparendo dalla loro vista. Se non fosse stato per la lettera nelle mani di Lance, Lydia avrebbe seriamente continuato a pensare di essere vittima di allucinazioni. Si riscosse dal suo stupore e si gettò sul cancello, chiudendolo e sigillando le protezioni.
Gli occhi di Lance saettavano da una parte all’altra della pergamena ancora lievemente curvata sugli angoli. Lydia si avvicinò.
«Cosa dice?» Lydia e Caitlin cercarono di spiare dalle spalle di Lance ma la scrittura di Paul era proprio come Lydia ricordava: praticamente impossibile da decifrare. «Riesco solo a leggere il tuo nome, il resto è incomprensibile…» sentenziò Lydia con un certo disappunto, soprattutto per il fatto che Lance non sembrava aver voglia di leggere ad alta voce cosa Paul voleva comunicargli con così tanta urgenza. «Questa è un ‘oggetto’ o ‘armadio’?» chiese indicando la prima frase.
«È ‘scritto’.» rispose Caitlin, che, quando si accorse dell’occhiata stupita di Lydia, si limitò ad alzare le spalle e spiegare «Spiavo sempre la loro corrispondenza, sono diventata abbastanza brava da decifrare almeno alcune frasi.»
«E cosa dicono?»
Fu Lance a rispondere. «Che Paul è completamente impazzito.»
 
Cercarono il signor O’Brien in tutta casa per scoprire infine che lui e Duncan erano usciti per delle commissioni e non sarebbero tornati prima di cena.
I tre ringraziarono la signora O’Brien per l’informazione e, senza dirle il reale motivo per cui lo stavano cercando, richiusero la porta dell’aula vuota in cui si erano rifugiati. «Neanche per sogno!» esclamò Caitlin «Non ci pensare nemmeno!»
«Non ho scelta.» rispose grave il fratello. Teneva ancora tra le mani la lettera, ormai mezza distrutta.
Caitlin tentò di strappargliela dalle mani. «Allora vengo anche io.»
Lydia assistette impotente alla lotta tra i due fratelli per il possesso del foglio e dopo averli lasciati fare per qualche secondo, decise che la sua pazienza era al limite «Volete spiegarmi?»
«Lance sta per fare qualcosa di incosciente e come al solito non vuole che vada con lui.» Caitlin riuscì ad afferrare un lembo della lettera, che si strappò.
Lance riprese la parte strappata e aggiustò la pergamena. «Caitlin, vuole solo parlare con me.  E lo sai che non posso farti uscire di casa.» passò il foglio a Lydia, gesto inutile visto che lei, anche facendo attenzione, riusciva a capire solamente alcune parole. «Perchè c'è scritto Dragon oley?
«Diagon Alley! Vuole incontrarlo a Diagon Alley. È da anni che non ci vado ed è da mesi che non vediamo Paul. Vengo anche io, punto e basta.»
«Perché vuole incontrarti a Diagon Alley?»
«Suo fratello gestisce una piccola attività nel centro, molto probabilmente pensa che così daremo meno nell’occhio.»
Lydia faticò a trovarne il senso. «E per non insospettire nessuno ci fa andare lì? A questo punto poteva decidere anche di incontrarci al Ministero!»
«Ci?» chiese Lance, stupito.
«Pensavi che ti avrei lasciato andare da solo? Tu sei pazzo!»
La reazione di Caitlin non si fece attendere. «Lui non andrà da solo, ci vado io!»
«Neanche per sogno.», «Assolutamente no!» risposero in coro Lydia e Lance.
Il viso di Caitlin divenne paonazzo dalla rabbia, prese fiato e posò le mani sui fianchi nella posa più minacciosa che possedeva. «Voi siete pazzi se pensate che vi lascio andare. O mi portate con voi o dico tutto a mamma!» Il silenzio degli altri due fu una risposta sufficiente. «E va bene, l’avete voluto voi!» Detto questo prese la chiave appesa al muro, uscì dall’aula e chiuse la porta a chiave, come se quello potesse fermare i due maghi.
Lydia si voltò verso Lance. «Sei proprio sicuro di voler andarci?»
«Ha scritto che ha bisogno di me...»
«La tua lealtà da Tassorosso sarà la tua rovina.» sospirò Lydia.
«Tu sei corsa a cercare di salvare Alice.»
Lydia lo guardò stupefatta. Da quando era tornata dal Ministero nessuno aveva più nominato Alice. Ma in fondo Lance aveva ragione: Lydia era corsa a cercare di salvare la sua migliore amica e, nonostante i rischi corsi, l’avrebbe rifatto se fosse stato possibile. Sarebbe stato sciocco ma soprattutto ingiusto cercare di dissuadere Lance. «Dobbiamo uscire prima che tua sorella torni con Katherine, o peggio ancora, con tua madre...»
«Ci vado da solo. Non posso farti correre…»
«Non azzardarti neanche a finire quella frase.» lo minacciò Lydia.
Lance la prese in parola e non tentò di ribattere oltre, limitandosi ad aggiungere: «Abbiamo solo un problema.» Lydia, pensando fosse un altro modo per cercare di farla restare a casa, lo ignorò completamente dirigendosi a grandi passi verso la porta. Prima uscivano, maggiori probabilità avevano di riuscire a rientrare senza essere scoperti dai signori O’Brien, o da Duncan o Caitlin, prontissimi a fare le spie ai loro genitori. Ruotò la maniglia ma questa non scattò. Tentò di nuovo facendo maggior leva, ma la porta continuò a stare ostinatamente ferma. «Perché non si apre?»
Lance indicò la porta. «Il problema che ti stavo dicendo. Caitlin e mamma hanno delle chiavi speciali. Sono per queste stanze e per il terzo piano. In caso entrasse un nemico in casa, loro potrebbero usarle per chiudersi dentro insieme ai bambini: si attivano una serie di incantesimi di protezione per la singola stanza. La chiamiamo ‘L’ultima difesa’.»
«E perché non ne sapevo nulla?» tirò un calcio alla porta. Non si mosse nemmeno di un millimetro.
«Perché noi possiamo chiuderci dentro con la magia. Ti va di giocare a tris?» aggiunse facendo comparire davanti a sé un foglio e due matite.
Lydia scosse la testa. «E come si fa ad uscire?»
«Di solito si dovrebbero usare le chiavi appese nella stanza, ma Caitlin le ha prese.»
«Non possiamo uscire dalle finestre?»
«Secondo te siamo così incoscienti da lasciare le finestre senza protezioni?» Lance prese una delle matite «E l’impiccato?»
«Hai davvero intenzione di aspettare? Tuo padre non ci lascerà mai andare, o dovremo portare Duncan con noi!» Lance fece una smorfia al nome di suo fratello e si appoggiò allo schienale della sedia. «Caitlin mi ha già incastrato due volte con lo stesso trucchetto, e non sono riuscito ad uscire in nessun modo, anzi, l’ultima volta ho tirato un calcio talmente forte alla porta da essermi rotto un dito del piede. Per ora ci tocca aspettare. Troveremo il modo di uscire nei prossimi giorni, appena abbasseranno la guardia.» Sembrava arreso. Lydia, al contrario, era intenzionata a finire quella storia il prima possibile. Bussò alla porta, o meglio, tentò di sfondarla con i pugni. «Caitlin abbiamo capito, non andiamo!» si sentirono dei passi nel corridoio «Caitlin! Devo andare in bagno!» continuò a mentire.
Lance scoppiò a ridere. «Devi andare in bagno? Una scusa migliore non la potevi inventare?»
Lydia lo ignorò. «Caitlin, davvero, se ci lasci uscire prendo tutti i tuoi turni di lezione ai bambini per un mese!» I passi si fermarono. Si sentì il rumore della chiave che girava.
«Ha funzionato?» Lance aveva smesso di ridere.
La maniglia si abbassò. «Davvero prendi il suo posto?»
Lydia non se lo aspettava. «Henry? Non dovresti essere al terzo piano?» In realtà era una domanda retorica: Henry lasciava il terzo piano quasi tutti i pomeriggi, di solito in cerca di Lydia o Lance. Sentirli parlare nella stanza doveva averlo attirato. «E come hai fatto ad aprire?»
«Ho girato la chiave.» Caitlin doveva essere stata così sicura di averli intrappolati da averla lasciata nella toppa. «Dove volete andare?» chiese Henry battendo le mani per l’entusiasmo.
«Da un mio amico.» rispose Lance mentre, nello stesso istante, Lydia diceva «Non puoi venire con noi.»
Tra tutti i bambini, Henry era quello che sopportava meno il rimanere chiuso in casa e ogni volta tentava di uscire con loro, cosa che non gli permettevano mai, neppure per andare a fare la spesa. Di sicuro non lo avrebbero portato con loro per andare in uno dei luoghi più pericolosi del Paese. «Devi restare qui, e ti daremo un compito preciso!» Era l’unico modo per tenerlo tranquillo. Ora doveva solo inventare un compito.
A questo ci pensò Lance. «Dovrai tenere occupate mia mamma e Caitlin! Fai in modo che non si avvicinino a quest’aula! E...» li guidò fuori dalla stanza, la richiuse alle loro spalle e tolse la chiave. «Per sicurezza devi tenere nascosta questa chiave. Conosco mia sorella. Se tornasse qui e non sentisse le nostre voci, vorrebbe di sicuro controllare prima di dichiararci fuggitivi. Da piccolo, quando mi arrabbiavo, mi chiudevo in camera e non le rispondevo più. Questo dovrebbe rallentarla.»
«E noi potremmo riuscire a tornare prima che se ne accorgano!» esclamò Lydia. Per la prima volta erano riusciti a creare un piano che avrebbe potuto funzionare. «Dovrai coinvolgere anche qualche tuo amico per riuscire a tenere occupate sia la signora O’Brien che Caitlin e Katherine.» tornò a rivolgersi ad Henry. «Qualcuno di cui ti fidi e che sa mantenere un segreto.»
 
Ci vollero solo cinque minuti per la loro fuga. Henry corse via verso il terzo piano dopo aver nascosto la chiave, pronto a fare la sua parte. Lance andò di soppiatto nel suo laboratorio, dove recuperò due dosi di Pozione Polisucco, mentre Lydia recuperò i vestiti adatti. Al sesto minuto erano fuori dal cancello, le loro sembianze cambiate e pronti a Materializzarsi a Londra.
Il viaggio si rivelò più semplice del previsto. Le vie della città erano quasi deserte e le poche persone che le attraversavano guardavano dritte davanti a loro senza prestare attenzione a nient’altro. La tensione salì appena si avvicinarono al Paiolo Magico. Decisero di usare la stessa tattica dei pedoni della Londra Babbana. Guardare dritti davanti a loro e camminare decisi verso la loro meta. Il metodo funzionò alla perfezione. Riuscirono ad attraversare indenni il locale, nonostante la tentazione di Lydia di guardarsi attorno per osservare quei posti che non vedeva da anni, ma le bastò una fugace occhiata per capire che la compagnia che frequentava il bar in quei tempi non era la stessa degli anni precedenti. Tipi loschi che sembravano usciti direttamente dai suoi incubi sedevano al bancone. Lydia trattenne un brivido fingendo di sistemarsi il colletto del cappotto verde scuro che indossava. Per fortuna avevano scelto di indossare degli abiti consunti che ben si sposavano con la nuova atmosfera che si respirava, o meglio, erano stati fortunati che quelli erano i primi della pila.
«E ora cosa facciamo?» Lydia non sapeva rispondere alla domanda di Lance. Come al solito avevano pensato alla fase iniziale, ma non a come affrontare davvero il problema del dover attraversare metà Diagon Alley senza destare alcun sospetto. Di solito a questo punto, ad Hogwarts, era Alice a cercare di risolvere tutti i problemi, lamentandosi dei comportamenti infantili degli altri due. Ma ora erano soli davanti al muro di mattoni, che prendevano finalmente consapevolezza del rischio enorme che stavano correndo.
«Direi di vedere come è la situazione, magari non è così male come pensiamo.» propose Lance mentre il muro si apriva davanti ai loro occhi.
L’ottimismo di Lance ebbe vita corta.
Il muro si stava ancora muovendo per creare il varco quando scorsero ciò che era diventata la via principale di Diagon Alley. Il cuore di Lydia si strinse a quella visione.
Come poteva essere la stessa via di tanti anni prima? Era proprio quello il luogo in cui si era finalmente accorta che la magia esisteva davvero, in quella via di negozi così bella, colorata e piena di vita. Ricordava ancora l’energia che sprigionava, le stranezze di cui era piena e quel senso di gioia che la avvolgeva ogni volta che vi metteva piede.
Ora era solo desolazione e terrore.
Non c’era altro modo per descriverla. Più della metà dei negozi aveva le vetrine rotte, i locali erano antri scuri e polverosi, tappezzati di fogli di giornali e travi di legno. A terra sporcizia e polvere, e trafficanti che si contendevano con i topi le loro mercanzie.
Il varco si era aperto del tutto e stavano già attirando qualche sguardo indesiderato nel rimanere fermi ad osservare lo sfascio che Diagon Alley era diventata. Era il fantasma di quello che era stato in passato. Ma non c’era tempo per il lutto. Lydia cercò la mano di Lance e cominciò a camminare guardando dritta davanti a lei.
«Gioielli! Gioielli per la bella signorina!» esclamò con voce roca il primo mercante della strada, porgendo verso di loro le mani piene di ninnoli pacchiani.
«Amuleti contro i lupi mannari!» disse una strega curva, sostenuta dal suo bastone d’argento.
L’uomo di fronte sventolò un grosso ciondolo viola. «Un talismano per riconoscere i Sanguesporco!» Lydia dovette usare tutta la sua volontà per non voltarsi a guardarlo mentre lo superavano. Si limitò a stringere con forza la mano di Lance, il terrore che le stringeva il petto. Ma passarono indenni e il talismano doveva essere un falso come tutto quello che si trovava in quella strada.
Altri mendicanti tentarono di attirarli con le loro merci, ma riuscirono a rimanere concentrati e non lasciarsi distrarre, aiutati anche dall’arrivo di altre persone sulla via.
Lydia si concesse un altro rapido sguardo nei dintorni. Stavano passando accanto alla gelateria dove lei, Lance, Paul e Alice si fermavano sempre dopo gli acquisti per Hogwarts; ogni anno avevano la stessa tradizione di mangiare un gelato prima di salutarsi e tornare dai rispettivi genitori.
Ora la gelateria non esisteva più.
Una parte era bruciata, l’altra era tappezzata dagli stessi giornali delle altre vetrine.
Solo in quel momento Lydia si accorse del volto raffigurato su ognuno di quei fogli. Harry Potter. L’Indesiderato Numero Uno.
Cercò di tornare a guardare davanti a sé, ma il suo sguardo ora continuava a ricadere su quei giornali, sulle assi di legno, sui muri anneriti e sul mondo della sua adolescenza che non esisteva più. Una parte di lei aveva sperato che almeno Diagon Alley fosse stata risparmiata dalle grinfie di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato e dei suoi Mangiamorte. Ma ormai sapeva fin troppo bene che il loro compito era distruggere tutto ciò che c’era di bello nel mondo magico. Se avevano fatto tutto questo a Diagon Alley, chissà cosa era diventata Hogwarts. Si ritrovò a desiderare di non scoprirlo mai. Almeno la scuola avrebbe dovuto continuare a vivere integra nei suoi ricordi, piena di quella gioia e allegria che le aveva sempre trasmesso.
Svoltarono in una via secondaria, sfuggendo così ai mendicanti ma non ad altre eventuali minacce. Anche quella via era frequentata da brutti ceffi; sembrava che Nocturn Alley si fosse riversata a Diagon Alley.
«Siamo quasi arrivati.» sussurrò Lance. Lydia ricordava vagamente il negozio dei genitori di Paul. Qualche volta erano passati da lì durante le loro visite estive; ricordava che vendevano oggetti di cartolibreria ma poco altro. Eppure lo riconobbe comunque quando furono abbastanza vicini da vedere l’insegna Piume e pergamene di Kenston e figli, mezza staccata dal suo gancio e che cigolava lugubre sulle loro teste.
Lance non perse tempo. Aprì la porta ed una campanella risuonò ad avvertire del loro ingresso. Il suono allegro stonava con il luogo in cui si trovavano.
Anche il negozio di Paul rispecchiava l’atmosfera che si respirava nelle vie. Era completamente deserto, la merce era distribuita sugli scaffali, in alcuni punti ricoperta da alcuni centimetri di polvere.
L’istinto urlava a Lydia di prendere Lance e scappare all’istante. Non era sicuro stare lì. Cosa le era saltato in testa di andarci senza rinforzi? E se fosse stata una trappola? E se Paul fosse stato preso prigioniero e costretto a scrivere quella lettera? Lydia si maledisse per essere stata così impulsiva da buttarsi in quella situazione senza ragionare su tutte le cose che avrebbero potuto andare storte. Strinse la mano di Lance e gli sussurrò: «Andiamocene finché siamo in tempo.»
Ma Lance si limitò a stringerle la mano cercando di rassicurarla e si diresse verso il bancone, trascinando Lydia con sé. «C’è qualcuno?» chiese rivolto verso una porticina dietro al bancone. La porta si socchiuse ed un ragazzo sgusciò fuori. Portava i capelli lunghi ed una nuova montatura di occhiali, ma era di sicuro Paul Kenston.
«Scusate.» disse asciugandosi le mani in uno strofinaccio. «Abbiamo avuto un problema di tubature nel retro.» Si raddrizzò gli occhiali sul naso. «Cosa volete?» chiese tetro.
«Se è così che accogli i nuovi clienti ho capito come mai siete vuoti.» disse Lance senza riuscire a trattenere un sorriso. Lydia gli strattonò la mano. «Che c’è?» gli chiese il ragazzo. C’era che non era sicuro rivelare chi erano senza assicurarsi che Paul fosse davvero Paul, ma ovviamente Lance non comprese e si rivolse di nuovo verso l’amico. «Siamo arrivati il prima possibile.»
Paul strinse gli occhi, come se potesse così riuscire a vedere oltre i loro travestimenti.
«Sono io.» si limitò a dire Lance alzando la mano libera in un cenno di saluto.
Lydia capì che ormai il danno era fatto e non poteva fare nulla per fermarlo, se non sigillare la porta alle loro spalle ed impedire che qualcun altro entrasse nel negozio e si accorgesse della presenza di due fuggitivi. Lance e Paul non erano mai stati discreti. E infatti il volto di Paul si illuminò, spalancò le braccia e abbracciò con forza l’amico. «Lance! Sei qui!»
«Shhh!» sibilò Lydia guardandosi intorno freneticamente e sollevando la bacchetta. «Abbassa la voce o tanto vale che lo vai ad urlare per strada!»
«Lydia?» chiese perplesso Paul.
Ops. Lydia non era mai riuscita a trattenersi dal rispondere male a Paul, era più forte di lei. Ma poi lo sguardo di Paul si abbassò verso le mani intrecciate di Lydia e Lance, e lei allontanò la mano come se si fosse scottata e voltò il viso verso la vetrinetta più vicina per impedire che gli altri vedessero il rossore sulle sue guance. Gli scaffali erano ripieni di piume di varie fatture e dimensioni.
«Cosa ci fai qui?» chiese Paul.
«È una lunga storia.» rispose Lance per lei.
«Una storia che non è il momento di raccontare.» proseguì Lydia voltandosi di nuovo verso di loro. «Allora, perché siamo qui?»
«In realtà io ho invitato solo Lance.»
Paul che ribatteva? Questa sì che era una novità.
«Siamo un pacchetto completo.» ribatté Lydia.
Paul esitò, il suo sguardo si abbassò di nuovo verso le loro mani ora separate, e Lydia si pentì immediatamente della risposta che aveva appena dato.
Lance posò una mano sulla spalla dell’amico. «Nella lettera non hai spiegato molto. Cosa succede? Stai bene?»
Paul si appoggiò al bancone. «Sto benissimo.»
«E i tuoi?»
«Anche loro. Si sono ritirati all’inizio della guerra, ora siamo solo io e i miei fratelli a portare avanti il negozio. Mia sorella ha avuto un bambino a settembre!»
Lydia alzò gli occhi al cielo. «Se volevi solo informarci delle novità della tua famiglia potevi anche evitarci un viaggio nel luogo più pericoloso della Gran Bretagna dopo il Ministero. Bene, complimenti a te, buona pensione ai tuoi e tanti auguri a tua sorella. Ora andiamo.» afferrò la manica di Lance e lo spinse verso l’uscita.
«Ripeto: io ho chiamato solo Lance, non te.»
Lydia si bloccò e dovette trattenersi dal lanciare una fattura contro Paul. Da un lato si stupì di provare così tanta rabbia nei confronti del ragazzo, dall’altra la sua mente tornò all’ultima volta che avevano parlato, l’ultimo giorno di scuola. Non era stata una conversazione piacevole, e Lydia aveva sempre avuto difficoltà nel perdonare le persone e voltare pagina.
«Ma ci sono anche io.» sibilò. «E se hai qualcosa da dire dillo subito o noi andiamo via.»
«Non ascoltarla.» Mancò poco che Lydia ringhiasse contro Lance.
Paul si limitò ad un sorrisetto che provocò un’ondata di nervoso in Lydia. «Ovviamente non ti ho chiamato solo per sapere come stavi. A proposito stai bene?» Lance annuì. «E Caitlin?»
«Come al solito.»
«Ancora infuriata con il mondo?»
«Con il mondo e con me. Guerra nuova, sorella vecchia.»
Lydia alzò le braccia al cielo. «Avete finito? Dobbiamo andare!» Come aveva fatto a ridursi ad essere l’unica ragionevole tra i tre? Cielo, quanto le mancava Alice. Come aveva fatto lei a sopportare tutti loro per sette lunghi anni?
«E va bene.» sbottò Paul accomodandosi meglio sul bancone, con una posa che Lydia non gli aveva mai visto. Se non lo avesse conosciuto, avrebbe pensato che Paul fosse sicuro di sé. Ma era impossibile. Era Paul Kenston. «Ho un affare da proporti.»
Lydia lo guardò allibita. Non era sicura se voleva ridere o piangere. «Sono sicura che a Lance piacerebbe molto unirsi a te nella gestione di questo incantevole negozio.» disse con la voce intrisa di sarcasmo, facendo un ampio gesto per indicare le mura fatiscenti. «Ma, forse non te ne sei accorto, siamo in guerra.»
«Ovviamente non intendevo il negozio.»
«E allora cosa, vuoi aprire un’altra attività? Guarda, ti consiglio di inaugurare un giornale complottista, se non ricordo male era la tua specialità.» Eccolo lì, l’elefante nella stanza, o meglio, nella testa di Lydia da quando aveva rivisto Paul. E anche Paul capì perfettamente a cosa si riferiva.
«Ancora con quella vecchia storia?»
«Vecchia non tanto. Sono passati solo due anni.»
Paul ridacchiò. «Ti eri proprio arrabbiata.»
Lydia vide Lance scuotere la testa e cercare di fermare l’amico. La conosceva fin troppo bene, ma non sarebbe stato abbastanza per salvare Paul dalla furia di Lydia. Ridusse gli occhi a due fessure e, se avesse potuto, avrebbe sputato fuoco. «Arrabbiata? Forse è meglio che ti rinfreschi la memoria visto che non mi sembra che ti ricordi la stessa scena.»
«Lydia…» provò a fermarla Lance.
Lydia allontanò la sua mano e fece un passo verso Paul. Sotto la sua nuova maschera di arroganza vide un guizzo di quella vecchia paura che aveva sempre provato nei suoi confronti. «Ultimo giorno di scuola dell’ultimo anno. Lago Nero. Cedric Diggory, un vostro amico, morto durante l’ultima prova del Torneo Tremaghi, Silente che ci informa del ritorno di Tu-Sai-Chi, e tu, Paul, -come è che hai detto? - C’è qualcosa di sospetto
«Me lo ricordo benissimo.» Paul tentò di ritrovare la sicurezza di prima.
«E allora ti ricordi anche delle stronzate che hai detto dopo. Di quando hai sostenuto che era stato Harry Potter ad uccidere Cedric Diggory, quello te lo ricordi?»
Paul cercò di allontanarsi ma il bancone gli impediva la fuga. «Non l’ho detto così.»
«Ma era quello che volevi dire.»
«Non l’ho detto così!» ripeté Paul a voce stridula. «Diglielo anche tu Lance.»
Ma Lance stava osservando la collezione di vecchie piume e, sentendosi richiamato, si limitò a voltarsi e scrollare distratto le spalle. «Lo sappiamo tutti che era quello che volevi dire, è inutile negarlo.»
Lydia sorrise di trionfo.
«Lance, fermala!»
Lance riprese ad esaminare la vetrina. «Era ora che qualcuno te lo dicesse. Penso che la lascerò sfogarsi un po’.» E Paul squittì. «Ringrazia il cielo che non abbia il suo vero aspetto. Questi occhi sono meno spaventosi dei suoi.»
«Grazie, Lance.» disse sinceramente Lydia.
«E va bene!» esplose Paul accasciandosi sul bancone. «Pensavo che Harry Potter avesse ucciso Cedric per vincere il Torneo Tremaghi!»
Lydia si allontanò di qualche passo soddisfatta, tornando al fianco di Lance. «Così va meglio.»
Paul si rialzò. «Ma poi ho capito di essere stato stupido. Voi-Sapete-Chi è davvero tornato. E anche i suoi tirapiedi.»
«L’abbiamo notato.» rispose con una smorfia Lance.
Paul si riassestò la camicia. «Ed è per questo che ti ho chiamato. Io e i miei fratelli abbiamo un’idea.»
«Di cosa si tratta?» chiese Lance, ma a Lydia non sfuggì il tono di quella domanda. Sembrava che conoscesse già la risposta, e Lydia temeva di saperlo anche lei. E infatti i suoi timori vennero confermati dalle parole di Paul.
«Hai visto cosa hanno fatto a Diagon Alley. Nessun negozio è al sicuro. Quelli arrivano in qualsiasi momento, ti chiedono di pagarli e se non lo fai ti riducono a pezzi la bottega. E non sai quello che fanno fuori da qui, ai babbani. Si parla di intere bande che razziano e assalgono sia maghi che non. Ma adesso basta. È ora di finirla. È ora di smetterla di nasconderci ed iniziare a combattere!» Lydia si rese conto che non erano tanto le sue parole a metterla a disagio, quanto i suoi occhi. Sembrava come… spiritato. Preso da una mania che poco gli si addiceva.
«Quindi tu e i suoi fratelli vorreste andare contro orde intere di Mangiamorte.» chiese senza ironia. «In quattro contro decine se non centinaia.»
«Cinque. Anche mia sorella è dei nostri.»
Lydia si voltò di scatto verso Lance, pronto a fermarlo anche solo dal considerare la scelta, ma si accorse che non era necessario. «Allora siete in cinque pazzi. Come ti salta in mente di poter competere contro di loro? Sono spietati, alcuni di loro sono assassini e non esiterebbero a far fuori te e tutta la tua famiglia.»
Paul spalancò la bocca sorpreso. «Come puoi dirmi di no? Sai cosa stanno facendo! Qualcuno deve fermarli! Non vorrai che continuino a distruggere e uccidere tutti quelli che incontrano!»
Lance raddrizzò la schiena. «Ovviamente no. Ma sono anche abbastanza intelligente da capire che non abbiamo nessuna possibilità contro di loro. Non siamo un esercito, per quanto possiamo essere allenati non abbiamo le competenze per combattere da soli contro di loro.» Lydia sapeva che aveva ragione, nelle ultime settimane li avevano incontrati due volte di troppo e l’unico motivo per cui erano ancora vivi era che avevano tentato la fuga appena li avevano visti.
Il viso di Paul divenne paonazzo. «Sei un codardo.»
«Non osare.» sibilò immediatamente Lydia, stringendo la presa sulla bacchetta.
Lance alzò una mano per fermarla. «Essere coraggiosi a volte significa anche capire i propri limiti. Paul, ti prego, non correre rischi inutili.»
Paul si voltò verso Lydia. «E tu sei d’accordo con lui?»
Lydia annuì decisa.
«Allora è vero quello che dicono. Negli ultimi mesi ti sei rammollita.»
Lance non fu abbastanza veloce per bloccarla, Lydia era già saltata addosso a Paul, puntandogli la bacchetta alla gola con una forza tale da percepire la sua trachea sotto la punta. Paul boccheggiò e si piegò all’indietro per allontanarsi. Lydia avrebbe voluto urlargli contro, sbraitare e insultarlo, ma la sua mente era ingarbugliata nei pensieri e le impediva di parlare. Cosa sapeva di preciso? Come faceva a saperlo? E come osava dirle una cosa del genere?
Lance le strinse le braccia attorno al busto e la trascinò indietro, separandola da Paul, che si piegò in due massaggiandosi il collo. Lydia ansimava, il corpo scosso dalla rabbia. Lance la costrinse a guardarlo negli occhi. «Respira. Ora torniamo a casa.» Il pensiero di casa O’Brien la aiutò a tornare in se’. Respirò profondamente concentrandosi sulla mani di Lance sulle sue spalle e sul pensiero della casa che li stava aspettando.
Quando Lance capì che si era calmata, si voltò di nuovo verso Paul. «Mi dispiace, ma non siamo interessati.»
Paul continuò a boccheggiare. «Ma Lance, quelle persone hanno bisogno di aiuto…»
«Lo so.» lo interruppe Lance, un lampo di dolore negli occhi.
«E allora perché non fai nulla per aiutarli!?»
Lance sospirò. «Te l’ho già detto Paul. Quelli non scherzano. Non siamo più ad Hogwarts, qui se sbagliamo non ci mettono in punizione, quelli ci ammazzerebbero senza neppure pensarci. Ti prego, Paul, non farlo.»
Paul sbatté una mano sul bancone. «E invece mi sembra di essere tornato ad Hogwarts.» Indicò sprezzante Lydia. «È tornata lei e tu hai ricominciato a comportarti come hai sempre fatto: con lei che ti dà ordini e tu che la segui come un cagnolino.»
Lydia fece per alzare di nuovo la bacchetta ma un solo sguardo verso Lance la bloccò. Il ragazzo stringeva i pugni, il volto trasformato in una maschera di granito. «Ho sempre fatto solo quello che volevo fare, ad Hogwarts, e lo stesso sto facendo ora. Non ti sto dicendo di no solo perché Lydia non vuole, lo sto facendo perché è la decisione più giusta per me e per la mia famiglia. E ti prego di fare lo stesso anche tu.»
Paul sbuffò contrariato e tornò verso la porticina che portava al retro, battendo pesantemente i piedi a terra. «Mi hai deluso, Lance. E sono sicuro che un giorno ti pentirai della tua scelta.» E senza neanche salutare, sparì dietro alla porticina, lasciando Lance e Lydia da soli nel negozio.
Tutta la rabbia provata da Lydia sino a quel momento evaporò all’istante quando si accorse dello sguardo pieno di dolore di Lance. Gli si avvicinò e gli picchiettò delicatamente sul braccio. «È ora di andare.» disse sottovoce. Lance si risvegliò dai suoi pensieri, scosse lievemente la testa e sollevò la bacchetta verso la vetrinetta con le piume pregiate.
«Alohomora.» bisbigliò. Il lucchetto si aprì con un click, che risuonò nel silenzio della stanza. Lance iniziò a frugare nella vetrinetta e prese una manciata di piume.
Lydia lo guardò esterrefatta. «Stai davvero rubando nel negozio del tuo migliore amico?»
La voce di Lance era fredda. «Siamo stati qui troppo tempo. Dobbiamo far credere di essere stati impegnati negli acquisti se non vogliamo insospettire nessuno.» si diresse dietro il bancone ed aprì deciso un armadietto in basso a destra, ripieno di sacchetti di carta e custodie per le piume. «Prendi anche tu qualcosa.»
Senza prestare attenzione a ciò che raccoglieva, Lydia fece un rapido giro del negozio recuperando alcuni quadernetti, oltre che boccette d’inchiostro di diversi colori. Se non altro sarebbero tornati utili ai bambini. Appoggiò sul bancone la sua refurtiva, aggiungendo all’ultimo una manciata di matite colorate. Lance si affrettò ad impacchettare il tutto ed infilarlo in due borsette di carte, su cui era stampata l’insegna del negozio ‘Kenston e figli’. Infine si frugò nelle tasche e lasciò sul bancone diverse monete d’argento.
Ora sì che Lydia lo riconosceva. Ma evitò di commentare. Lance le porse di nuovo la mano e Lydia la accettò con piacere.
La via su cui si affacciava il negozio era completamente deserta, ma non per questo erano fuori pericolo. Senza dire una parola tornarono alla strada principale, facendo attenzione di andare abbastanza veloci per uscirne il prima possibile senza però correre e dar così troppo nell’occhio.
Era difficile trattenersi dal correre verso casa e mettersi quella brutta storia alle spalle.
Gli ambulanti tentarono di nuovo di attirarli verso le loro merci, ma loro continuarono dritti sulla loro strada, o almeno così pensò Lydia. Ad un certo punto però, Lance sterzò verso sinistra e Lydia dovette trattenere un gridolino di sorpresa. Si morse la lingua per impedirsi di urlare, o di chiedere spiegazioni. Doveva solo fidarsi. Ma era difficile avere fiducia in mezzo ad una strada affollata da potenziali spie e assassini. Si tranquillizzò quando vide dove erano diretti. Entrarono nel negozio dello speziale. Lydia aveva sempre odiato quel posto da quando vi aveva messo piede la prima volta ad undici anni. L’odore putrido, i pezzi di insetti e altri intrugli schifosi che si trovavano ovunque lei guardasse. Lance le lasciò la mano e si rivolse al negoziante, chiedendo una lista di ingredienti altrettanto ripugnanti. Eppure Lydia capì il motivo per cui si erano fermati. Era un’ottima copertura, in fondo avrebbero dato meno nell’occhio se fossero sembrati impegnati in un pomeriggio di compere diverse piuttosto che in un solo negozio in tutta Diagon Alley, e, se non aveva capito male, Lance stava comprando ingredienti che era difficile reperire o far crescere nel suo orto. Certo, sarebbe stato difficile spiegare al signor O’Brien o a Duncan come fossero arrivati a casa visto che loro due in teoria, in quel momento, dovevano trovarsi chiusi in un’aula del primo piano, ma a quello ci avrebbero pensato dopo. Un’altra strega entrò nel negozio, le verruche le coprivano completamente il naso e tossicchiava in un fazzoletto lercio. Lydia distolse rapidamente lo sguardo appena lei alzò la testa, direzionandolo verso una bacheca a lato della cassa. Il ritaglio di giornale con il volto di Harry Potter che riempiva Diagon Alley si trovava anche lì, ma al suo fianco vi era un foglio di pergamena completamente diverso. Sembrava un proclama, o qualcosa del genere. Cercando di non dare nell’occhio, Lydia si avvicinò di qualche passo; il negoziante era intento a impacchettare gli acquisti di Lance mentre la strega dietro di loro aveva iniziato a picchiettare su delle boccette esposte all’ingresso del negozio.
Il foglio era davvero un proclama, su carta bollata del Ministero della Magia.

Il Ministero della Magia, in collaborazione con la Commissione per il Censimento dei Nati Babbani, dichiara ufficialmente fuori legge i seguenti individui, come prescritto dall’articolo 5 del Decreto Ministeriale 31/A del 1 agosto 1997.
Essi verranno considerati dalla data odierna (15 settembre) criminali e come tali dovranno essere trattati. Chiunque sia in possesso di informazioni è pregato di rivolgersi all’Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia.
Sarà prevista una ricompensa per qualunque mago o strega che collabori nella cattura di tali criminali.
 
Ringraziando per la Vostra Collaborazione,
Pius O'Tusoe, Ministro della Magia;
Dolores Umbridge, Direttore della Commissione per il Censimento dei Nati Babbani
 
Le firme del Ministro e di quella Umbridge erano accompagnate dal timbro ufficiale del Ministero della Magia e da un elenco di nomi che sembrava infinito.
Lydia scorse il più velocemente possibile la lista di nomi. Erano in ordine alfabetico. Tanti, troppi, erano a lei famigliari, si chiese quanti altri ne avrebbe riconosciuti ad un esame più attento.
Lance porse le monete allo speziale, che le contò lentamente. Lo sguardo di Lydia scattò di nuovo verso il foglio, dritto verso la lettera M. Una miriade di nomi ricopriva la pergamena eppure le fu facile riconoscere il proprio.
Merlin Lydia.
Deglutì a fatica e si raddrizzò in tempo per imitare Lance nel salutare cordialmente lo speziale ed uscire velocemente dal negozio.
Era una criminale.
Lo sapeva, ormai da settimane, eppure era molto diverso averne consapevolezza rispetto al leggerlo nero su bianco in un proclama ufficiale.
Era una fuori legge, una ricercata.
Quella consapevolezza non fece altro che farle venire voglia di tornare immediatamente al confortevole riparo di casa O’Brien. Solo la presenza di Lance le impedì di cominciare a correre mandando all’aria tutta la prudenza.
Ora che lo aveva visto da vicino, si accorse che il proclama del Ministero della Magia si trovava ovunque, le parole troppo piccole per essere riconosciute da lontano, eppure il timbro del Ministero risaltava nella penombra della via. Il suo pensiero corse ad Alice, si chiese se il suo nome compariva nella lista. E poi pensò ad Henry e tutti i bambini che avevano trovato rifugio a casa O’Brien, chissà se anche i loro genitori si trovavano sull’elenco, o erano stati già catturati.
Fu proprio quel pensiero a spingerla a compiere una follia: senza farsi notare dai mendicanti o da Lance stesso, Lydia si avvicinò impercettibilmente verso il muro, e, approfittando di un dislivello tra un edificio e quello successivo che creava una zona d’ombra proprio davanti ad una di quelle pergamene, allungò una mano e con uno strappo deciso staccò il foglio dal muro, facendolo sparire all’istante dentro la tasca del cappotto. Poi proseguì come se nulla fosse, nonostante il cuore le battesse all’impazzata.
E se qualcuno l’avesse vista? Cosa le era saltato in mente? Ma in fondo quella giornata sembrava costellata da decisioni incoscienti, una in più non avrebbe cambiato nulla, o almeno così sperava.
Superarono finalmente anche gli ultimi mendicanti, Lance batté la bacchetta sul muro e il varco cominciò ad aprirsi con una lentezza estenuante. Lydia fissava i mattoni nonostante l’istinto le gridasse di controllarsi le spalle, di assicurarsi che nessuno avesse qualche sospetto su di loro. La stessa ansia la accompagnò mentre attraversavano il Paiolo Magico e neppure nella Londra babbana si sentì al sicuro. Fu con infinito sollievo che riuscirono finalmente a raggiungere una via desolata da cui si Materializzarono direttamente davanti i cancelli di casa O’Brien.
Alla vista del palazzo, Lydia si ritrovò finalmente a respirare di nuovo. Ma poi si voltò verso Lance e si accorse che i problemi non erano ancora finiti. Per andare sul sicuro, avevano assunto abbastanza Pozione Polisucco da durare un’ora, la loro visita a Diagon Alley però era stata più breve e così si trovavano a casa, ma con l’aspetto ancora alterato. Sarebbe stato difficile da spiegare a Katherine o alla signora O’Brien. Senza contare il fatto che se Caitlin li avesse visti avrebbe subito compreso che erano riusciti a uscire e avrebbe spifferato tutto. Pensandoci, non sapevano neppure se Henry era riuscito a tenere lontano dall’aula le tre donne rimaste in casa.
«Per Natale voglio un Mantello dell’Invisibilità...» sussurrò Lydia aprendo con cautela la porta d’ingresso. La via sembrava libera, ma la prudenza non era mai troppa. E così si ritrovarono a sgattaiolare per i corridoi di casa O’Brien, finché si imbatterono in un bambino nascosto dietro una pianta in vaso. Dire nascosto era un’esagerazione. Il fusto della pianta non copriva neanche due centimetri del volto di Henry, ma a lui sembrava bastare.
«I soggetti sono tornati alla base, ripeto, i soggetti sono tornati alla base.» borbottò rivolto alla pianta.
Lydia lo guardò perplessa.
Henry scrollò le spalle e si raddrizzò. «Simon mi ha detto di dire così quando tornavate. E di dire ‘via libera’. Ah, no, forse ha detto che dovevo controllare il corridoio prima di dirlo.» si catapultò fuori dal suo ‘nascondiglio’ con una capriola e si guardò attorno. «Via libera.»
Per quale motivo avevano affidato la loro fuga nelle mani di un bambino di quattro anni? Lydia aveva compiuto molte scelte incoscienti nella sua vita, ma si accorse che quella poteva rientrare tra le più folli. Sospirò. «Come è andata? Ci ha cercati qualcuno?»
«No, no. Potete tornare a nascondervi.» Henry estrasse dalla tasca la chiave dell’aula.
Forse non era stata una decisione poi così avventata. «Bravo.» gli disse Lydia mentre il bambino apriva la porta della stanza che in teoria doveva essere la loro prigione temporanea. «Allora adesso devi impedire che entrino per ancora…» guardò l’orologio. «Circa dieci minuti. Pensi di potercela fare?»
Henry scattò sull’attenti. «Signorsì, signora.» E li chiuse di nuovo nell’aula scappando via con la chiave. Lance si lasciò cadere sulla sedia che occupava prima della partenza. «Non posso credere che sia andato tutto bene...»
«Aspetta a dirlo...» brontolò Lydia guardando con disgusto i capelli neri che era costretta ad avere ancora per dieci minuti. «Vuoi giocare a tris?» propose riprendendo i fogli e le matite che Lance aveva fatto apparire prima. Disegnò lo schema e una x nel riquadro nel centro. Alzò la testa e notò che Lance aveva lo sguardo perso nel vuoto e probabilmente non aveva ascoltato una parola di quello che aveva detto. «Lance?» chiese scuotendo la matita davanti ai suoi occhi. Lui si limitò a prenderla e segnare un cerchio nel posto in alto a destra. Lydia prese l’altra matita e segnò la sua x accanto al cerchio. «Stai pensando a Paul.» constatò. Lui annuì e disegnò il cerchio sotto a quello già segnato. Lydia bloccò immediatamente il suo tentativo di fare tris. «Hai preso la decisione giusta.»
Lance disegnò il cerchio nel riquadro in centro nel basso. Lydia completò il suo tris e lo sottolineò con un sorriso.
Il silenzio di Lance però le fece alzare lo sguardo. «Hai fatto la cosa giusta.» ripeté per assicurarsi che l’amico non si stesse pentendo della decisione presa.
Lance giocherellava con la matita. «Non mi pento di avergli detto di no…»
«Sento un ‘ma’ in arrivo…»
«Ma…» disse infatti Lance con un mezzo sorriso «Forse non ha tutti i torti… ci sono davvero persone che avrebbero bisogno del nostro aiuto…»
«Sì, ci sono, e le stiamo già aiutando prendendo in casa i loro figli.»
«Non solo loro. Noi siamo rinchiusi qua dentro e non sappiamo neanche la metà degli orrori che stanno compiendo i Mangiamorte.» Lydia stritolò la matita. «E poi hai visto Paul… Sono sicuro che non mi ascolterà e lo farà lo stesso. E se si mettesse nei guai perché ho deciso di non aiutarlo?»
Lydia lasciò cadere la matita, scocciata. «Stai parlando dello stesso Paul che ti ha sbattuto la porta in faccia senza neppure salutarti.»
«Non è più o meno quello che ha fatto Alice con te?»
«Non è la stessa cosa.» sibilò Lydia.
Lance lasciò cadere il discorso. «È solo che…» si passò una mano tra i capelli «Per tutta la vita ho sempre saputo che cosa volevo, e che cosa era giusto fare… mentre ora… non ci capisco più niente.»
E Lydia si ritrovò a non sapere cosa rispondere.
Il momento di silenzio fu interrotto da alcuni colpi provenienti dalla porta. «Ragazzi, tutto bene? Ho chiamato Katherine, ci penserà lei a farvi ragionare.» Poi la sua voce risuonò ovattata, come se si fosse allontanata di qualche passo dalla porta. «Forza Katherine, diglielo anche tu che non possono uscire senza di me.»
Nonostante la spessa porta che li divideva, Lydia e Lance sentirono chiaramente il sospiro esasperato di Katherine. «Te l’ho già detto. Non voglio neanche sapere che cosa state combinando. E poi io sto cercando Henry, Daniel e Simon. Sono scomparsi da un’ora, li sento ridacchiare da tutte le parti ma non riesco a raggiungerli… SIMON! HENRY!» La voce risuonò nella stanza come se si trovasse lì con loro «VI HO VISTE PICCOLE PESTI! TORNATE SUBITO QUI!» E sentirono Katherine allontanarsi di corsa.
«Inutili… qui siete tutti inutili.» Caitlin tirò un altro pugno alla porta. «Allora vi do un’ultima possibilità, avete deciso di portarmi con voi sì o sì? Vi ho lasciato un’ora intera per ragionare, spero che abbiate avuto il tempo di prendere la decisione giusta, anche perché Duncan e papà stanno per tornare. Volevo venire prima ma Simon mi ha incastrata facendomi vedere il suo nascondiglio di merendine.»
«HENRY! LASCIA IL VASO DELLA NONNA, NO, NO!» La voce di Katherine proveniva dalle scale. «Non osare…» Il rumore di porcellana infranta rivelò l’ennesima triste fine del vaso della nonna. Lydia si pentì di non poter assistere di persona alla scenetta.
«Aspetta un attimo…» continuò Caitlin «Dove è la chiave? KATHERINE, HAI VISTO IN GIRO UNA CHIAVE?»
«ORA VI PRENDO PICCOLI DISGRAZIATI!»
«Lo prendo per un no.» borbottò Caitlin, poi bussò di nuovo sulla porta. «Ragazzi, piccolo problema, non c’è la chiave, vado a cercarla, così intanto vi lascio ancora un momento per decidere di portarmi con voi. Va bene?»
Lydia alzò gli occhi al cielo. «Lo sai che non puoi uscire di casa.» ribatté con un tono di voce più secco di quello che avrebbe voluto. O forse... diverso? Lance la fissava con gli occhi spalancati.
«Lydia, sicura di star bene? Hai una voce strana.»
No, non strana. Aveva letteralmente la voce di un’altra persona! Tirò una ciocca di capelli davanti agli occhi ma erano ancora completamente neri. «Cosa facciamo?» bisbigliò disperata. Lance aveva la sua stessa espressione, anche lui però su un viso diverso dal proprio. «Stupida pozione!» imprecò a denti stretti.
I colpi sulla porta diventarono più forti. «Lydia!?» la chiamò di nuovo Caitlin. «Lydia, dimmi che stai bene! Se ti è successo qualcosa mentre eri chiusa qua dentro mamma e papà mi uccidono!» E senza aspettare la risposta di Lydia, urlò di nuovo a Katherine «DOBBIAMO TROVARE QUELLA DANNATA CHIAVE!» Katherine dovette rispondere qualcosa di inudibile alle loro orecchie perché dopo cinque secondi Caitlin urlò di nuovo «Sei una strega, fai un incantesimo!»
Questa volta sentirono anche la risposta di Katherine, doveva essersi avvicinata alla porta. «Non posso! Ho preso Simon e Daniel, se li lascio andare scappano di nuovo. E poi lo sai che gli incantesimi non funzionano se hai chiuso a chiave!»
I borbotti e i lamenti dei due bambini confermarono la loro cattura. Almeno Henry era ancora libero e in possesso della chiave. Ma al peggio non c’era mai fine, concetto confermato dalle voci di Duncan e del signor O’Brien che si aggiunsero a quelle già presenti nel corridoio affollato. «Cosa succede?» chiese Duncan.
«Lunga storia.» rispose Caitlin agitata «Li ho chiusi dentro ma non trovo più la chiave, e penso che Lydia stia male, ha una voce strana!»
«Tieni i bambini.» disse Katherine, e un «Ehi!» di disaccordo da parte di Duncan fece capire che i due bambini erano stati lasciati nelle sue mani.
Lance si alzò e prese la bacchetta. «Dì che ti sta solo uscendo del sangue dal naso!» sussurrò.
«Che cosa?»
«La voce della babbana è più bassa, può essere una scusa credibile, e i dieci minuti stanno finendo.» aggiunse controllando l’orologio da polso. Lydia esaminò per la terza volta i capelli e questa volta si iniziavano ad intravedere dei riflessi ramati. Un minuto, dovevano resistere un minuto. Ovviamente in quel momento i lamenti di Henry si aggiunsero a quelli di Simon e Daniel, e Katherine urlò da dietro la porta «Trovata!» e infilò la chiave nella toppa. Siamo finiti, pensò Lydia sentendo il rumore della chiave che girava, la maniglia si abbassò e... la porta non si aprì.
Lance puntava la bacchetta contro la porta. Aveva creato una barriera che per il momento reggeva. Lydia osservò i suoi capelli schiarirsi e diventare biondi, gli occhi colorarsi di celeste, i lineamenti del volto tremavano mentre tornavano nelle loro fattezze naturali. Anche Lydia percepiva il proprio corpo rimodellarsi, si affrettò a trasmutare i travestimenti che stavano ancora indossando, sperando che non rimanessero in mutande (una volta le era capitato per sbaglio). Tutto andò bene e mentre Lance scioglieva l’incantesimo alla porta, Lydia tirò un sospiro di sollievo.
Almeno finché il ragazzo si voltò e le puntò la bacchetta sul volto.
 
“Lo odio.” pensò cinque minuti dopo, seduta su una sedia dell’aula e con un fazzoletto davanti al naso. In realtà non le faceva male, Lance si era limitato ad un incantesimo per fare sanguinare il naso senza provare alcun dolore, ma era fastidioso, troppo fastidioso. Accartocciò il fazzoletto ormai completamente rosso e ne prese un altro.
«Scusa, scusa, scusa, scusa, scusa, scusa.» stava cantilenando Lance. Stringeva tra le mani una scatola di fazzoletti puliti, passandogliene uno ogni volta che le serviva. «Scusa, scusa, scusa.»
Lydia avrebbe voluto tranquillizzarlo, ma soprattutto dirgli che era incredibilmente sospetto che lui continuasse a scusarsi quando avevano inventato che il suo naso aveva iniziato a sanguinare da solo, senza una ragione apparente.
«Perché continui a scusarti?» chiese infatti Caitlin mentre spostava la mano di Lydia e le esaminava il naso.
«Emh...» esitò Lance «Io... emh... non mi ero accorto che stava sanguinando!» usò troppo entusiasmo per la seconda parte della frase. Era un pessimo bugiardo, e di sicuro non poteva mentire a sua sorella gemella, come dimostrò lo sguardo scettico che lei gli riservò.
«Quindi non ha niente a che fare con Paul...» disse stringendo con troppa energia il naso di Lydia.
«Ahi...» si lamentò Lydia, ora provando davvero dolore.
«Quindi non avete usato della Pozione Polisucco e non siete andati a Diagon Alley.» aggiunse Caitlin, tamponando con forza.
«No...?» rispose senza convinzione il fratello.
«Non sono stupida.» Caitlin lasciò cadere sul banco il fazzoletto e se ne andò senza aggiungere altro.
«Ahi.» ripeté Lydia massaggiando il naso «Tua sorella è un pessimo medico.» si lamentò.
«Scusa, mi dispiace tantissimo...»
«Non ricominciare!»
«Io volevo solo farti uscire poche gocce di sangue! Ma tu ti sei mossa!»
«Scusa tanto se mi sono spaventata quando mi sono vista una bacchetta addosso!»
Lance replicò con uno sguardo ancora più addolorato. «È l’unica soluzione che mi è venuta in mente. E poi lo sai che non ti farei mai del male.»
«Lo so.» sospirò Lydia, prendendo l’ennesimo fazzoletto «Ma il mio istinto di sopravvivenza non ne è del tutto a conoscenza. Pensi che tua sorella lo dirà a tuo padre?» chiese per cambiare argomento e per pensare ad un altro dei loro infiniti problemi.
Lance si sedette per terra, al suo fianco. «Non credo...»
«Non lo farò.» confermò la voce di Caitlin, riapparsa sulla soglia «Ma solo se mi dite cosa voleva Paul.» concluse poggiando senza delicatezza una stoffa avvolta attorno a cubetti di ghiaccio sul naso di Lydia. «Non so quanto possa servire visto che il sanguinamento è dovuto ad un incantesimo...» spiegò secca.
«Voleva il nostro aiuto.» rispose Lance, continuando a guardare il naso di Lydia. «Si sta gonfiando?»
«No.» replicò Caitlin senza neppure guardare. «Per cosa?»
«Tanto abbiamo risposto che non siamo interessati.» tagliò corto Lydia, alzò il sacchetto del ghiaccio per appoggiarlo meglio. Era già completamente ricoperto di sangue. «Possiamo chiamare vostro padre? Forse lui può aggiustarmi il naso.»
«Non è rotto.» Caitlin lo dimostrò dandole un pizzicotto proprio sulla radice del naso. «E che cosa voleva di preciso da voi?»
«Che combattessimo con lui contro i seguaci di Tu-Sai-Chi.» rispose sinceramente Lance.
«Sono combattuta tra il pensare che sia un’idea molto coraggiosa o molto stupida.»
«Solo molto stupida.» borbottò Lydia scuotendo la testa. Delle goccioline rosse caddero a sprazzi sul tavolo.
«E avete convinto Paul a non fare nulla di stupido.»
Lance non sembrava intenzionato a rispondere per questo fu Lydia a prendere la parola. «È maggiorenne, sa a cosa va incontro e abbiamo già rischiato abbastanza ad essere andati da lui oggi.» I fratelli O’Brien non parevano altrettanto convinti, ma Lydia aveva altri problemi molto più incombenti, il primo tra tutti il fatto che si stava dissanguando. Allontanò lo straccio completamente zuppo. «Possiamo davvero chiamare vostro padre? Diremo che è l’effetto di uno scherzo idiota.»
Caitlin si alzò. «Spero solo che abbiate ragione.» e andò a chiamare il signor O’Brien.
Da quel giorno non parlarono più di Paul Kenston per molto tempo.
 
 



Curiosità: Nella scena dello Smistamento compare il nome di "Leach Florence", un riferimento alla città di Firenze perchè il giorno in cui ho scritto questa scena è stato anche quello in cui mi sono finalmente decisa di prenotare un albergo e visitare questa bellissima città che desideravo vedere da anni! Un piccolo tributo per una città spettacolare!

Note: E la seconda parte ha ufficialmente inizio! Prima di tutto chiedo perdono per la lunghezza del capitolo (11050 parole...), vi rassicuro dicendo che sono solo pochi quelli così lunghi, anzi, se non ricordo male questo è il più lungo in assoluto xD La lunghezza dei capitoli dipende molto dalla mia volontà di rendere ognuno di essi una storia a sé, che può essere letta (o riletta) da sola e ben distinti tra loro. 

Grazie mille per il vostro sostegno, spero che questo capitolo vi sia piaciuto! <3
Alla prossima settimana!

Un abbraccio, 
Emma Speranza
 
'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 
  

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Il giovane mago e il suo Patronus ***


Capitolo 14
Il giovane mago e il suo Patronus
 

Come aveva fatto a trovarsi in quella situazione?
Lydia non riusciva proprio a comprenderlo.
Solo venti minuti prima se ne stava tranquilla nella sua camera… come avevano fatto a convincerla?
«Lydia! Ci leggi una favola?»
No, non riusciva proprio a capire.
 
Era una tranquilla serata di inizio novembre, una settimana esatta dalla lettera di Paul e la conseguente scampagnata a Diagon Alley. Lydia e Lance, ancora increduli del fatto che nessuno oltre a Caitlin avesse scoperto della loro piccola avventura, avevano deciso di comune accordo di non fare più parola di quanto era accaduto, per paura che la loro fortuna si esaurisse e i signori O’Brien o Duncan scoprissero tutto.
Era una sera normale che Lydia stava trascorrendo chiusa nella sua camera, leggendo un libro prestatole da Katherine. Era stato un leggero languorino a farle lasciare quello spazio sicuro per avventurarsi al piano di sotto.
«Tutto bene?» le chiese il signor O’Brien appena la vide comparire sulla soglia della cucina, il libro ancora stretto tra le mani, l’indice chiuso tra le pagine per tenere il segno.
«Solo un po’ di fame.»
Il signor O’Brien le rivolse un sorriso. «Allora ho quello che fa per te.» Solo in quel momento Lydia si accorse che l’uomo stava mischiando qualcosa in un padellino. Si avvicinò di alcuni passi e il profumino non le lasciò dubbi.
«Cioccolata!» esclamò sognante.
«Direi che la meritiamo, non credi?»
La cioccolata era completamente bandita alla presenza dei bambini e concessa solamente quando questi andavano a dormire, per Lydia fu impossibile dire di no.
E così, cinque minuti dopo, si trovò sdraiata su una poltrona del salotto, il libro appoggiato sulle ginocchia e una tazza di cioccolata bollente stretta tra le mani. Finalmente regnava il silenzio, evenienza alquanto rara nelle altre ore della giornata. Lei leggeva il suo libro, il signor O’Brien il giornale che Duncan aveva recuperato quella mattina e la signora O’Brien stava finendo di decorare la torta che avrebbero utilizzato il giorno successivo per festeggiare il compleanno di una delle bambine (anche se Lydia non riusciva a ricordare quale delle tante).
Un momento così perfetto non poteva durare a lungo in casa O’Brien.
E infatti la fine della tranquillità e l’inizio di quell’incubo ad occhi aperti si era presentato nella forma di una Caitlin barcollante e con un orribile mal di testa. «Mi sta venendo l’influenza... Lydia, potresti mettere tu a letto i bambini?»
Lydia aveva strabuzzato gli occhi. «Neanche per idea.» fu la naturale risposta.
«Ma sto male.» si lamentò Caitlin.
«Non mi sembri così moribonda.»
«Mi fa male la testa.»
«Devi solo aspettare che si addormentino.»
«E mi sta venendo la tosse.»
«Non ti ho mai sentita tossire.»
Un attimo di silenzio e poi… «Cough cough.»
Lydia spalancò la bocca. «Era una tosse falsa! L’avete sentita tutti che era una tosse falsa, vero?» chiese sbalordita.
Il signor O’Brien sollevò il giornale per nascondersi, la moglie invece non alzò la testa dalla torta, limitandosi ad annuire distrattamente. «In effetti Lizzie e Tristan non sono stati bene ieri, magari l’hai presa da loro.»
I signori O’Brien non avevano ancora rivolto uno sguardo verso loro figlia, ma Lydia si accorse benissimo del sorrisetto di trionfo che comparve sulle labbra di Caitlin, e stava appunto per farlo notare anche ai genitori della ragazza quando questa si sedette sul bracciolo della sua poltrona e le strappò la tazza di cioccolata dalle mani, sporgendosi verso di lei e sussurrandole: «Mi devi un favore. Oppure potrebbe sfuggirmi un commento su quanto sia bella Diagon Alley in questo periodo dell’anno.»
Lydia cercò di darle una gomitata ma Caitlin si rialzò e andò a sedersi di corsa vicino al padre, portando con sé la preziosa tazza di cioccolata. Il signor O’Brien piegò l’angolo del giornale per riuscire a vedere Lydia. «Non sei costretta a farlo.» disse sinceramente.
«E infatti non lo farò.» sbuffò Lydia riabbassando lo sguardo verso il suo libro. Ecco, aveva perso il segno.
La voce di Caitlin risuonò con un tono esageratamente innocente. «Sai papà, dovresti proprio chiedere a Lydia e Lance…»
Lydia scattò in piedi, spaventando sia Caitlin che i signori O’Brien.
«Stai bene?» chiese la signora O’Brien.
Lydia annuì, ma la sconfitta le bruciava. «Ho deciso di andare a far addormentare i bambini.» Pronunciò quelle parole come se stesse leggendo la propria sentenza di morte.
Ma la signora O’Brien non si accorse del tono, solo del contenuto, e i suoi occhi brillarono. «Oh, ma davvero Lydia? Grazie, grazie mille. Per tutti i troll, lo sapevo che prima o poi ti saresti affezionata a quei piccoli terremoti.»
Lydia si limitò ad annuire, intenta a comunicare con lo sguardo a Caitlin di non osare dire neppure una parola. Per sottolineare il messaggio le lanciò il libro in grembo mentre la superava per andare verso le scale. Iniziò a risalirle sbattendo i piedi, quando il signor O’Brien prese di nuovo la parola. «Cosa dovrei chiedere a Lydia e Lance?»
Lydia si immobilizzò, un piede sospeso nell’aria, il respiro mozzato.
Caitlin rispose con lo stesso tono di voce di prima, caratterizzato da un’innocenza che non le apparteneva. «Solo di comprarti un giornale nuovo, questo è vecchio di due settimane.»
Lydia sospirò di sollievo e poi si diresse verso la sua condanna.
 
Quando raggiunse il terzo piano si rese conto che era la prima volta che si avventurava in quello spazio con la consapevolezza che i bambini si trovavano proprio lì incustoditi. Di solito aspettava che uscissero a giocare prima di raggiungerlo per fare le pulizie, e anche in quel caso si intratteneva il meno possibile per evitare di imbattersi in qualche bimbo disperso. Ora invece si trovava lì di sua spontanea volontà (minacce a parte) ad osservare le porte che la dividevano dai bambini, sperando ardentemente che si fossero già tutti addormentati da soli e lei potesse tornare così al rifugio della sua camera.
E per sua fortuna nella camera delle bambine andò proprio in quel modo; molte di loro erano già addormentate, le altre si limitarono a reclamare un bacio della buonanotte e, stanche dopo un giorno intero di giochi e studio, si addormentarono tutte entro dieci minuti. Questo contribuì enormemente a risollevare il morale di Lydia e farle prendere una sicurezza che non pensava possibile.
In fondo se per quel gruppo era andato tutto così liscio non sarebbe stato difficile far addormentare anche gli altri bambini.
Le sue illusioni si infransero nello stesso momento in cui aprì la porta del dormitorio maschile.
Una scena da film horror si spalancò davanti ai suoi occhi. I bambini erano in piedi sui letti, saltavano, urlavano e si tiravano addosso i cuscini; uno era nascosto sotto il letto, altri due erano impegnati a strapparsi i capelli e gli ultimi erano intenti in una gara di corsa. Lydia richiuse la porta con uno scatto, il silenzio calò di nuovo sul corridoio.
«No.» disse semplicemente. E poi si avviò verso le scale e le ridiscese. «No, no, no, no, no.» continuò a ripetere ad ogni gradino, arrivando infine al piano terra dove Caitlin esclamò un «Ho vinto!» vedendola arrivare e reclamò una banconota da venti sterline dal padre. Ma Lydia non si fermò e proseguì il suo viaggio verso la scaletta che portava al seminterrato o, più precisamente, alla stanzetta mal illuminata e completamente invasa da fumi e vapori. «No, no, no.» Afferrò il povero Lance, il quale fece appena in tempo a lanciare un incantesimo di stasi verso i suoi calderoni prima di essere trascinato su per le scale senza capire cosa stesse succedendo. Ripassarono davanti a Caitlin e i signori O’Brien, e questa volta fu la signora O’Brien a reclamare una banconota da venti sterline sia da parte del marito sia della figlia, e risalirono le scale fino al terzo piano.
Lance doveva aver capito che cosa stava succedendo. «Perché!?» chiese disperato entrando nella stanza dei bambini.
«Perché se proprio devo sopportare tutto questo» con un ampio gesto delle braccia indicò il caos che stava avvenendo attorno a loro «Qualcun altro deve farlo con me.»
«Non potevi chiamare Katherine? Sarebbe contentissima di aiutarti, anzi, ora vado ad avvertirla.»
Ma Lydia non lo lasciò uscire dalla stanza e lo fece usando il metodo più subdolo. «Henry, guarda chi è venuto a darti la buonanotte.»
E così Lance si trovò bloccato nella stanza con lei e con una decina di bambini completamente esagitati. Scoprirono che Simon aveva trovato il cassetto delle scorte di cioccolata di Duncan ed aveva scatenato così il delirio a cui stavano assistendo. Alla domanda su come lo avesse scoperto, Simon si limitò a rispondere: «Ho visto Caitlin che ne prendeva un pezzo.» Ma Caitlin non si sarebbe mai fatta vedere da nessuno a rubare un pezzo di cioccolata; non avrebbe mai condiviso un segreto del genere senza un secondo fine.
«Te l’ho già detto che non sopporto tua sorella?» chiese Lydia prendendo di peso Daniel e costringendolo a mettersi sotto le coperte.
«Condivido il sentimento.» rispose Lance, intento ad aiutare Mike Spencer (‘capelli castani, naso a punta e denti davanti giganti’) a scendere dall’armadio e tornare nella direzione giusta.
Dopo settimane di convivenza, Lydia si era trovata costretta ad imparare i nomi dei bambini, che però ai suoi occhi risultavano tutti uguali (tranne Henry, Simon e Daniel, gli unici che riconosceva all’istante senza alcun problema) e per poterli distinguere tra loro aveva attuato un metodo di classificazione ben preciso. Collegava il nome del bambino ad una serie di loro caratteristiche particolari e così Mike Spencer era appunto il bambino dai ‘capelli castani, naso a punta e denti davanti giganti’, oppure Ewart Parker era ‘riccioli d’oro, ciabatte rosse’, e così via. 
Lydia si trovò a costringere Matthew Riley (‘occhiali blu, con la disgustosa abitudine di scaccolarsi in ogni momento della giornata’) a smettere di tirare i capelli a Lucas Khan (‘cresta, braccialetto nero’) e allo stesso tempo convincere gli altri che era arrivato il momento di dormire. Fu un’ardua impresa, decorata da diversi urli, strilli e minacce di teste di orsetti mozzate, ma alla fine tutti i bambini si trovavano nel proprio letto.
Rimaneva solo un piccolo problema: nessuno di loro aveva la minima intenzione di addormentarsi. E fu in quel momento che Henry pose la fatidica domanda che venne accolta a gran voce dai suoi compagni e che rovinò del tutto la serata di Lydia.
 
«Ci leggi una favola?»
 
Una favola? Quale favola? Lei non era capace di raccontare favole!
Rivolse uno sguardo supplichevole a Lance, stravaccato sopra una seggiolina, provato dall’ardua impresa appena compiuta. Eppure comprese il panico di Lydia e con uno sbuffo e uno scricchiolio, si rialzò. «Aspetta qui.» disse uscendo dalla stanza e scomparendo dalla loro vista per diversi minuti, durante i quali Lydia si autoconvinse che in realtà si era trattato solo di un piano geniale da parte dell’amico per dileguarsi nel nulla e tornare nel suo laboratorio. Anche i bambini avevano poca pazienza e tempo un minuto le loro voci si alzarono inesorabilmente provocando in Lydia un panico sempre maggiore. Ecco, era stata abbandonata da Lance. E ora cosa doveva fare? Dichiarare la sconfitta e chiedere aiuto ai signori O’Brien? No, quello mai, oppure Duncan e Caitlin non avrebbero smesso di tormentarla per quella storia. Forse poteva Schiantare tutti i bambini, in fondo nessuno sarebbe venuto a saperlo, no? E non avrebbe avuto conseguenze troppo gravi sui loro cervelli ancora in sviluppo, vero? O magari del tranquillizzante, Lance doveva averne una boccetta nel suo laboratorio. Per fortuna non dovette mettere in pratica nessuno di quei folli piani, Lance tornò e Lydia non sapeva se abbracciarlo per la gioia di rivederlo o trasformarlo in un tasso per averci impiegato così tanto.
Nell’indecisione decise di rimanere immobile, seduta sulla sedia minuscola dei bambini. Lance le si avvicinò e le porse un libricino con la copertina praticamente distrutta e le pagine ingiallite per l’età, poi prese un'altra sediolina e si sedette accanto a lei.
«Le fiabe di Beda il Bardo?» chiese Lydia scettica, leggendo quel poco che si intravedeva sulla copertina.
«È un libro di fiabe magiche. Me l'ha regalato mio papà quando avevo cinque anni, Appartiene alla nostra famiglia da generazioni.» rispose Lance con orgoglio.
«E come mai sulla copertina è disegnato un teschio se è un libro per bambini?»
Lance non rispose. Non significava nulla di buono.
Lydia aprì il libro ad una pagina a caso, più o meno a metà e l’immagine che si trovò davanti la fece rabbrividire di disgusto. Un uomo, con la testa sul grembo di una donna, entrambi con uno squarcio al posto del cuore. Lydia richiuse il libro di scatto. «Hai sbagliato libro.» sentenziò cercando di togliersi dalla testa l'immagine che aveva appena visto; era solo un disegno, ma che orrore!
«No, è quello giusto.» Lance alzò le spalle, per niente colpito dall'immagine.
Ma Lydia era abbastanza sicura che non potesse assolutamente trattarsi di un libro per bambini, e decisa a dimostrarlo anche a Lance, prese il coraggio di riaprirlo. Lo toccò solo con le punta delle dita, trattandolo come se fosse il Libro Mostro dei mostri che Hagrid li aveva costretti a comprare durante il loro sesto anno. Arrivò all’indice che si trovava proprio tra le prime pagine. «Lo stregone dal cuore peloso?» si voltò verso Lance, sperando che questa volta potesse spiegarle il motivo di un titolo del genere su un libro di fiabe.
«È da quella che è tratta l’immagine che hai visto prima!» Il sorriso nostalgico di Lance era sin troppo sincero. Ricordava quella storia e gli piaceva.
«Allora non la leggiamo.» Non aveva intenzione di far venire gli incubi a quei bambini, poi sarebbe toccato a lei sorbirsi i loro pianti. Fece scorrere il dito sui vari titoli sino ad arrivare all’ultimo della lista. «La storia dei tre fratelli. Dal titolo sembra quella più normale.» Sfogliò il libro sino a raggiungere il numero di pagina indicata nell’indice, ma bastò una sola occhiata per farle capire che non avrebbe letto mai e poi mai neppure quella. Un teschio e una bacchetta erano rappresentati sopra il titolo. «Ma insomma!» sbottò contrariata.
«Che c’è? È stupenda!»
«È la mia preferita.» Henry sbadigliò dal suo lettino e affondò la testa nel cuscino. «Parla della Morte e di tre fratelli che devono attraversare un fiume.» incominciò a raccontare il bambino, con gli occhi chiusi dalla stanchezza.
«Non voglio saperlo, grazie.» lo zittì Lydia. «Come è possibile che sia concesso leggere storie del genere a dei bambini?» Lance pareva particolarmente divertito dalla reazione di Lydia, cosa che fece imbestialire maggiormente la ragazza. «Inizio a capire perché la maggior parte dei Purosangue sono degli psicopatici assassini... Se da bambini leggevano queste storie non bisogna stupirsi.» disse Lydia disgustata, chiudendo definitivamente il libro, con l’intenzione di non aprirlo mai più in vita sua. «Non lo leggerei mai ai miei figli!» consegnò il libro a Lance, felice di esserselo tolto dalla vista.
«Anche io ho letto queste storie da bambino e sono normalissimo!» Lydia rispose con uno sguardo scettico. «Quasi normale.» concesse Lance. «Non che le fiabe babbane siano migliori... Hai mai letto il vero finale della Sirenetta?»
«Ma noi abbiamo i cartoni animati che le sistemano!»
Lance le sfilò il libro dalle mani e lo sfogliò delicatamente. «Comunque ci sono altre storie meno macabre, La fonte della Buona Sorte era una delle mie preferite.»
«Fammi indovinare, annegano qualcuno in un pozzo? Il fatto è che non ho intenzione di leggerle, piuttosto mi invento qualcosa.» e si rivolse di nuovo ai bambini «Quale storia volete sentire?» Nessuno rispose. Scoprirono così che durante il loro battibecco i bambini erano crollati addormentati uno dopo l’altro; era bastato loro appoggiare la testa al cuscino per far emergere la stanchezza della giornata. Il sollievo invase Lydia, in fondo non era stato così difficile.
Fece un cenno a Lance in direzione della porta e i due vi si diressero in punta di piedi.
«Dove andate?» chiese una vocina proveniente da uno dei lettini. Gli occhi e il nasino di Henry sbucavano dalle coperte.
E il sogno di Lydia di poter tornare in camera sua evaporò all’istante. «Devi dormire adesso.»
«Ma ci avete promesso una storia!»
«Tutti gli altri stanno dormendo.»
«Ma io no!»
E come si poteva discutere con questo? Lydia e Lance si scambiarono un’occhiata e tornarono verso il lettino di Henry, sedendosi uno alla sua destra e l’altra alla sua sinistra. Lance cercò di riconsegnarle il libro di fiabe. «Assolutamente no.» rispose Lydia. «Non hai qualche altro asso nella manica?»
Lance appoggiò il libro sul comodino di Henry, accanto ad alcuni pacchetti di figurine mezzi stracciati ed un bicchiere d’acqua. «Ci sarebbe una storia che mi raccontava sempre papà. Era la mia preferita.»
Lydia spostò Henry con alcuni colpetti e si sdraiò al suo fianco. «Siamo pronti, vero Henry?»
Il bambino annuì energicamente. Lance sorrise e allungò le gambe sull’angolino di letto che gli era rimasto, appoggiando la testa alla spalliera. «Allora ve la racconto proprio come me la raccontava papà.» Si schiarì la voce ed iniziò a narrare.
C’era una volta in un regno lontano, un piccolo villaggio circondato da alte montagne e condannato all’inverno eterno. I monti che accerchiavano il piccolo paese erano gremiti di Dissennatori, talmente tanti che gli abitanti erano costretti a vivere giorno e notte con i loro Patronus, per tenere lontani i mostri. La gente del villaggio era bruta, sempre scorbutica e costantemente infelice. Le feste erano bandite, le risate una condanna e il valore dei maghi e delle streghe veniva definito dalla potenza dei loro Patronus. Solo i maghi che riuscivano ad invocare un Patronus potente potevano rimanere al villaggio, gli altri erano condannati all’esilio e a perdere la propria anima.
Il capo del villaggio era il mago più bruto di tutti, il suo Patronus a forma di drago era capace di allontanare centinaia di Dissennatori in un colpo solo, e per questo aveva immense aspettative nei confronti del suo unico figlio. Tutti nel villaggio confidavano che il figlio avesse ereditato dal padre la sua immensa magia ed essere così un degno successore.
Per questo motivo, il giorno del compimento dei suoi 16 anni, ricorrenza in cui i giovani maghi e streghe del villaggio dovevano dimostrare il loro Patronus, fu organizzato un banchetto celebrativo da fare invidia a un re (e la cosa più vicina ad una festa che fosse permessa). Fuochi stregati illuminavano a giorno le strade, bandiere sventolavano alle finestre rotte, e l’intero villaggio si presentò alla cerimonia, scommettendo sulla forma che avrebbe assunto l’incantesimo del giovane. Quando giunse il momento tanto atteso, tutti si fermarono ad osservare quel piccolo ragazzo, i Patronus smisero di svolazzare e sembrò quasi che anche i Dissennatori osservassero la scena da lontano. Il giovane pronunciò il sortilegio, tutti trattennero il fiato pronti a grandi meraviglie e dalla bacchetta spuntò… una formica!
Era talmente piccola che molti abitanti non capirono cosa fosse successo. Ma il capo, che si trovava in prima fila, vide bene il minuscolo Patronus che zampettava lentamente nell’aria e divenne rosso dalla rabbia, le sue orecchie iniziarono a fumare mentre delle scintille esplodevano dalla sua bacchetta, incendiando le barbe dei vicini.
«ESILIO!» tuonò all’istante. Il giovane tentò di far ragionare il padre, ma il capo non volle sentire ragioni. «Sei bandito per il resto dei tuoi giorni. Se tornerai sarai condannato a morte!» e si voltò, ignorando completamente il proprio figlio.
Il giovane, con una tristezza inconsolabile, preparò un piccolo bagaglio e abbandonò il villaggio, accompagnato solo dalla sua piccola formica. Fu per miracolo che riuscì ad attraversare le montagne che separavano il suo villaggio natio dal resto del mondo; qualcuno narra che la sua tristezza era talmente profonda che persino i Dissennatori si rifiutarono di cibarsi di essa.
E così il giovane, senza più un villaggio dove tornare, iniziò a girare il mondo, il suo Patronus sempre al suo fianco, per cercare un nuovo luogo da poter chiamare casa.
Passarono i mesi e visitò molti paesi, ma in nessuno di essi si sentì a casa. Prese una barca che lo portò su isole sperdute, senza trovare un rifugio neppure in esse. Si spinse oltre, fino a raggiungere altri continenti, ma anche lì non riuscì a trovare la sua felicità.
Dopo anni di ricerche, aveva ormai perso le speranze. Aveva visto luoghi incredibili e meravigliosi, conosciuto culture straordinarie, ma provava ancora una voragine nel cuore.
Fu per caso che si fermò in una vecchia locanda a sud del mondo e fu ancora per caso, o qualcuno dice per Destino, che vide una giovane strega invocare il suo Patronus: una semplice formica. Il giovane fece amicizia con la strega, e scoprì così che anche lei era sola al mondo e alla ricerca di un luogo da chiamare casa. Così i due decisero di proseguire il loro viaggio insieme, le loro due formiche sempre al loro fianco.
Vedendoli passare, qualcuno rideva di loro, altri provavano pietà, fino a quando, in una notte tempestosa nella giungla, incontrarono un uomo che li fermò e con un colpo di bacchetta rivelò il suo Patronus, anche esso a forma di formica. Così anche l’uomo si unì alla loro ricerca.
Proseguirono per le strade del mondo e in ogni luogo che visitavano, altri maghi e streghe si univano a loro. Provenivano tutti da etnie diverse, con differenti culture, lingue e colori della pelle, ma avevano tutti, nessuno escluso, due caratteristiche in comune: un Patronus formica ed erano alla ricerca di un luogo che potesse essere la loro casa.
E man mano che il gruppo cresceva, coloro che li vedevano passare non ridevano più nel vedere quella folla di gente e le loro innumerevoli e splendenti formiche ad illuminarli la via.
Continuarono a percorrere le strade del mondo fino a quando raggiunsero la fine del loro viaggio. Quella sera, il giovane si sedette sconsolato al confine del mondo. Aveva visitato tutti i paesi della terra e non aveva trovato nessun luogo da chiamare casa.
«Basta.» disse con tristezza. «Il mio viaggio è finito. Torno al mio villaggio, preferisco morire nella mia vecchia casa piuttosto che essere condannato a vivere in terre sconosciute.»
La giovane strega che per prima si era unita al suo viaggio, si mise al suo fianco. «Io vengo con te.» disse.
«Anche io.» disse l’uomo partito dalla giungla.
E uno alla volta, tutti i maghi e le streghe della compagnia e le loro formiche decisero di accompagnare il giovane alla sua casa e alla sua condanna a morte. Quella sera il giovane provò per la prima volta quel sentimento che viene chiamato felicità.
E così la compagnia di maghi, streghe e formiche si rimise in cammino dai confini del mondo. Questa volta i lunghi anni di viaggio furono ricchi di canti, balli e risate, per allietare l’ultimo viaggio del loro più caro amico. Il giovane scoprì così il suono delle risate, le allegrie delle feste e la gioia di stare insieme, e fu proprio ridendo e ballando che infine affrontarono le montagne che li dividevano dal suo villaggio. I loro Patronus formica brillavano luminosi della loro gioia, rischiarando le tenebre a giorno. Gli abitanti del villaggio intanto, furono risvegliati dal suono sconosciuto dei canti che si avvicinavano e corsero sulle strade ad assistere a quello strano corteo. Tutti riconobbero il figlio del capo che guidava il gruppo e qualcuno fu tanto coraggioso da andare a riferirlo al capo stesso. Appena sentita la notizia, il capo corse in piazza in camicia da notte.
«E così hai scelto morte!» sbraitò appena vide il figlio, ma nessuno lo ascoltò. Perché quando l’allegra compagnia arrivò al centro del villaggio, avvenne una cosa molto strana. I Patronus formiche svolazzarono nell’aria sopra i loro maghi e danzando tutti insieme, provocarono delle esplosioni di Luce azzurra che si diffusero nel cielo e nelle montagne circostanti. I Dissennatori tentarono di combattere la Luce ma questa era troppo potente e, con urla disperate, le migliaia di Dissennatori che avevano infestato quei luoghi per secoli, vennero colpiti dalla Luce e disintegrati all’istante. La neve smise di scendere e l’alba portò con sé un sole caldo che sciolse l’eterno inverno.
Il giovane, incurante delle meraviglie che stavano accadendo, si inginocchiò davanti al padre. «Sono pronto a ricevere la mia condanna.»
I canti e le risate erano terminati, il silenzio accompagnava la nascita della Primavera. Il capo guardava interdetto il figlio, incapace di comprendere cosa fosse successo. Fu il figlio stesso a spiegarglielo. «Avevate ragione. Il mio Patronus da solo non era in grado di sconfiggere i mostri. Ognuno di noi» disse indicando il suo gruppo di viandanti «da solo non aveva forza a sufficienza per combattere l’oscurità, ma tutti insieme siamo diventati forti e abbiamo imparato a sconfiggere la tristezza. Ora però sono pronto a scontare la pena per il mio ritorno con la mia stessa vita.»
Il capo, che era sempre stato un uomo bruto e inflessibile, si preparò a colpire il suo stesso figlio. Nel silenzio sollevò la bacchetta, cominciò a formulare l’incantesimo della Morte, finché… una risata risuonò nel silenzio.
Un bambino del villaggio stava ridendo vedendo i fiori comparire sotto la neve che si scioglieva. E poi un altro bimbo cominciò a ridere di felicità, e un alto e un altro ancora. Poi fu il turno degli adulti. Le loro risate erano lente e gracchianti, era la prima volta che ridevano in tutta la loro vita e non sapevano come si faceva.
E il villaggio fu inondato per la prima volta da risate e felicità. Sempre ridendo, gli abitanti del villaggio si avvicinarono al giovane e lo sollevarono sulle loro spalle, portandolo al centro della piazza dove fu proclamato come nuovo capo.
La giovane strega si avvicinò e il giovane mago le chiese perché quella sera ai confini del mondo avesse scelto di seguirlo.
«Perché è da tempo che ho capito che la mia nuova casa sei tu.» E il giovane si accorse che anche lui aveva provato lo stesso sentimento quella sera di tanto tempo prima e aveva confuso quella sensazione mai provata prima per felicità quando in realtà era amore. Tutti loro avevano già trovato da tempo la loro casa e per questo il viaggio di ritorno era stato pieno di gioia, canti e balli. Finché sarebbero rimasti insieme, sarebbero stati felici.
Il giovane regnò a lungo con la sua sposa. Il loro regno fu il più felice di tutti i tempi e nessun Dissennatore osò mai più avvicinarsi al villaggio e al suo esercito di formiche. 
La voce di Lance si spense nel silenzio della stanza.
Lydia rimase sdraiata immobile per diversi secondi, il racconto di Lance aveva creato un’atmosfera magica e aveva paura che una sola parola potesse rompere quella piccola bolla di tranquillità in cui si trovavano. Un lieve russare si alzò dal suo fianco, Henry doveva essersi addormentato già da diverso tempo, ma Lydia era stata talmente immersa nel racconto da non essersene accorta. Lance fu il primo ad alzarsi e a rimboccare le coperte di Henry, con un sorriso che ancora gli incurvava le labbra.
Il pensiero di tornare nella sua camera a leggere da sola come aveva desiderato solo pochi minuti prima, si era smorzato in Lydia. Ora avrebbe voluto invece rimanere lì per sempre. Eppure si costrinse ad alzarsi e, dopo una carezza sui capelli di Henry, seguì Lance in punta di piedi. Uscirono dalla stanza e Lydia chiuse la porta facendo attenzione a non fare troppo rumore.
«Funziona sempre.»
Lydia appoggiò la schiena al muro. «Devo dire che non era così male come favola.»
«Era la mia preferita. Da piccolo chiedevo sempre a papà di raccontarmela, a Caitlin però non piaceva.» Lance si avvicinò al suo fianco, la voce ridotta ad un sussurro. «Diceva che era troppo ‘mielosa’ e scontata, e che i protagonisti erano zucche vuote e senza carattere. Così dovevamo sempre aspettare che lei si addormentasse e poi papà si metteva sul mio lettino e la raccontava solo a me.» raccontò con nostalgia.
«È una bella storia. E forse questa la racconterei ai miei figli.» scherzò Lydia.
La luce della luna filtrava dalle vetrate riempiendo il corridoio con il suo dolce chiarore. Le sembrava ancora di essere nella storia, in quel mondo magico in cui le persone erano più forti se stavano insieme e potevano così combattere i loro demoni, un mondo così diverso dal loro. Lydia scosse la testa, era un momento troppo tranquillo per rovinarlo con i suoi soliti pensieri deprimenti.
«Comunque grazie… per avermi aiutata.»
«Te lo dovevo.»
«Non mi dovevi nulla.» rispose sinceramente Lydia. «È solo che non volevo affrontarli da sola… tutto sembra più facile quando siamo insieme.»
Lance picchiettò un dito contro il muro. «Questa sera dovrei raccogliere nell’orto la verbena, la luna è alta e nell’inclinazione giusta… Vuoi venire con me?»
Lydia si staccò dal muro. «Dammi il tempo di prendere la giacca e sono pronta.»
Il sorriso di Lance sembrò illuminare l’intero corridoio. «Allora ti aspetto giù!»
E l’avrebbero fatto. Sarebbero usciti sotto la luce della luna a raccogliere le foglie di verbena se non fosse stato per una minuscola bambina che comparve improvvisamente davanti a loro. Una sola occhiata in direzione della stanza delle bambine ed intravidero tanti altri occhioni intenti a fissarli dalla porta aperta.
«Ci leggi anche a noi una favola?»
Sarebbe stata una lunga serata.
 
 



Curiosità: La scena in cui Lydia entra nel dormitorio e trova i bambini intenti in una gara di corsa può sembrare surreale ma mi è capitata veramente un paio di anni fa xD Un grande insegnamento di non lasciare MAI i bambini in dormitorio da soli, neanche il tempo di farne uscire uno già sveglio, neppure se dormono ancora profondamente, loro percepiranno la vostra assenza e i guai sono dietro l'angolo xD

Alla prossima settimana!
Un abbraccio,
Emma Speranza
 
  
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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - Il sottoscala ***


Capitolo 15
Il sottoscala

 
 
16 ottobre 1988
 
Lydia Merlin era fiera della sua Casa.
Sin da quando suo padre aveva letto il libro Storia di Hogwarts e le aveva raccontato delle distinzioni tra le quattro Case, Lydia aveva desiderato con tutto il cuore di poter diventare una Grifondoro. Sarebbe stato fantastico poter entrare a far parte dei coraggiosi e degli intrepidi. E quando il Cappello Parlante aveva proclamato all'intera Sala Grande che lei era davvero una Grifondoro, per la prima volta da quando era iniziata quella strana avventura sentì di appartenere veramente a quel mondo.
Il suo entusiasmo non era sfumato e nonostante fosse ad Hogwarts ormai da un mese, continuava a guardare con orgoglio i colori della sua divisa e non avrebbe permesso a nessuno di insultarli.
Nemmeno a Lance O’Brien.
Dopo aver affrontato insieme il primo viaggio in barca verso la scuola, Lydia aveva pensato che potesse essere l’inizio di una nuova amicizia, proprio come le aveva raccomandato suo padre al binario, ma la realtà a scuola era stata ben diversa. L’appartenere a due Case diverse non aveva aiutato a mantenere i contatti, e così Lydia e Lance si erano trovati semplicemente a salutarsi cordialmente ogni volta che si incrociavano nei corridoi o a lezione, senza andare mai oltre. Proprio come era capitato quella mattina. I Grifondoro e i Tassorosso del primo anno stavano aspettando l’inizio della loro lezione di Trasfigurazione nel corridoio di fronte all’aula. Lance O’Brien era appoggiato al muro e stava parlando con il suo migliore amico, Paul Kenston. Lydia si trovava per caso accanto a loro, era seduta sul pavimento di pietra e stava controllando il tema sui fondamenti della Trasfigurazione che avrebbero dovuto consegnare a lezione, quando le parole di Lance la raggiunsero.
«I Grifondoro sono solo degli sbruffoni, hai visto cosa hanno fatto a Francis Wood del quinto anno?»
Lydia alzò lo sguardo dalla pergamena per lanciare un’occhiataccia al Tassorosso. Lance, ignaro di essere ascoltato da orecchie indiscrete, continuò imperterrito. «E non fanno altro che vantarsi, ma Archie Leeman mi ha detto che il loro Cercatore negli allenamenti ha perso tre Boccini d’Oro. Madama Bumb è furiosa, è dovuta andare a cercarli nella Foresta Proibita.»
«Che scemenze.» Lydia non riuscì a trattenersi.
Lance si limitò a guardarla. «È tutto vero.»
«Sono solo voci che hanno messo in giro i Serpeverde perché sono gelosi.»
«Magari sono davvero solo voci. Ma è vero che i Grifondoro sono degli sbruffoni vanitosi e ignoranti.» disse tranquillamente Lance, senza accorgersi del pericolo che stava correndo.
«Cosa hai detto?» ringhiò infatti Lydia. Alice si accorse subito del disastro che era sul punto di accadere e tentò di bloccare l’amica, ma Lydia si limitò a scrollarla di dosso ed alzarsi in piedi. «Cosa hai detto?» chiese di nuovo. Alice scosse la testa affranta e si allontanò.
Paul Kenston iniziò a balbettare, terrorizzato dal tono di voce della bambina. Lance invece non si lasciò intimorire. «Siete solo degli sbruffoni.» ripeté guardandola negli occhi. «E prepotenti.»
«Non è vero!» esclamò Lydia.
«E i vostri scherzi sono di pessimo gusto.» continuò imperterrito Lance.
«Solo perché voi non avete senso dell’umorismo, e non sareste mai in grado di fare scherzi neanche al gatto di Gazza.»
Il battibecco tra i due iniziò ad attirare l’attenzione dei compagni, che abbandonarono le loro chiacchere o le ultime correzioni dei compiti per assistere alla scena.
«Credete di essere i migliori, ma sai una cosa?» Lance stava alzando la voce. «Non lo siete! Non siete migliori dei Serpeverde, dei Corvonero e neppure di noi Tassorosso; ci considerate lo scarto di Hogwarts ma in realtà siamo tutti migliori di voi, infatti è da anni che non vincete la Coppa delle Case, o il torneo di Quidditch!»
Lydia strinse i pugni, infuriata, ma Lance non le lasciò il tempo di replicare.
«Non vi siete neanche accorti che non vi sopportiamo più.»
«Sta zitto!» urlò uno dei Grifondoro che assisteva alla scena. Anche il resto della folla iniziò ad agitarsi.
«Perché dovrei?» Lance non si lasciava scoraggiare. «Siete stupidi, prepotenti e cattivi!»
Lydia replicò nell’unico modo che le venne in mente in quel momento di rabbia. Gli diede un pugno sul volto.
 
«Mamma! Non ho intenzione di salire tre rampe di scale portando sulle spalle questo coso!» Lance tirò un calcio al banco più vicino.
«Ti farà bene!» ribatté la madre. Tentò anche di sfilargli la bacchetta dalla mano, ma il figlio strinse la presa con entrambe le mani e cercò di scappare «Lance O’Brien, non fare il bambino!»
Lydia sospirò, stanca della scenata che si protraeva ormai da cinque minuti scese dal banco su cui si era seduta «Expelliarmus.» La bacchetta di Lance le volò in mano e la porse subito alla signora O’Brien «Possiamo andare ora?»
Di certo non si aspettava che la madre di Lance reclamasse anche la sua arma, lasciandola completamente senza magia e con un banco troppo pesante da portare dal primo al terzo piano.
Da quando avevano iniziato le lezioni, avevano progettato le aula nelle stanze inutilizzate del primo piano, ma in una recente riunione famigliare, avevano constatato che la soluzione migliore era trasferire anche le classi al terzo piano e creare nuove protezioni in modo che, in caso di attacco improvviso, quello stesso piano si potesse trasformare in una roccaforte. E, ovviamente, appena avevano distribuito i ruoli per quella riprogettazione Caitlin si era dileguata. E così si era dovuti arrangiare. Il signor O’Brien avrebbe tenuto a bada i bambini mentre Katherine e Duncan avevano il compito di liberare lo spazio della stanzetta al terzo piano che sarebbe diventata la nuova aula. Lydia e Lance invece si erano trovati a dover spostare tutti i banchi e le sedie da soli, supervisionati dalla signora O’Brien. Lydia aveva pensato che sarebbe stato facile. Qualche incantesimo e tempo venti minuti avrebbero terminato. Di sicuro non aveva prevista la mossa subdola della signora O’Brien.
«Potete andare ora.» disse soddisfatta la signora O’Brien nascondendo le bacchette dei due ragazzi nella manica e scomparendo subito dopo, diretta verso la cucina.
Lance si accasciò sul suo banco. «Sei contenta ora?»
«Ehi, sei tu ad aver distrutto mezze scale con le tue sedie volanti!» Gli diede una leggera pacca sulla schiena per costringerlo a rialzarsi.
«E tu hai fatto cadere il vaso della nonna.»
Lydia rispose con un’altra pacca, questa volta abbastanza forte da far alzare Lance. «Ma quello lo distruggono sempre anche i bambini!» si affacciò alla ringhiera delle scale. «È la sua vendetta perché non vogliamo aiutare con le lezioni.» disse a voce abbastanza alta da essere udita anche dal piano terra «E non ci farà cambiare idea!» gridò proprio nello stesso momento in cui Lance urlava disperato «Faremo qualunque cosa!»
Lydia sapeva che era quello il motivo, se lo sentiva in ogni fibra del suo essere, e anche perché la signora O’Brien non aveva cercato in modo particolarmente attento di nascondere le sue vere intenzioni. Per la signora O’Brien era come se l’aver fatto addormentare i bambini la notte precedente fosse un segno che Lydia era ormai pronta ad occuparsi attivamente della gestione dei bambini. Ma Lydia non ne aveva la minima intenzione, le era bastata quell’unica esperienza. Era stato un incubo dover fare addormentare di nuovo tutte le bambine, in più il libro della fiabe di Lance era rimasto sul comodino di Henry e piuttosto che correre il rischio di svegliare i bambini, Lydia aveva improvvisato una versione molto corta e succinta della fiaba di Cenerentola. Ma le bambine non erano rimaste impressionate dalle sue capacità narrative e avevano preteso altre storie costringendo Lydia e Lance a rispolverare tutti i loro ricordi sui cartoni animati usciti fino a quel momento. Alla fine le bambine erano crollate per sfinimento, ma ormai la sera si era protratta nella notte e Lance era scappato in un lampo per correre a cogliere le foglie di verbena nel poco tempo rimasto («Sono riuscito a prenderne solo due manciate!» si era lamentato al risveglio «Che nessuno chieda lo sciroppo contro la tosse notturna per i prossimi due mesi!») e così Lydia non aveva potuto accompagnarlo ed era stata costretta a tornarsene a letto.
«Ti prego, accetta di fare una lezione e la mamma smetterà di tormentarci.» la supplicò Lance.
«Sei il solito.» sbuffò Lydia, incapace però di nascondere una vena divertita. Ogni traccia di divertimento scomparve appena tentò di alzare il banco. Oltre ad essere incredibilmente pesante, era scomodo, il legno scheggiato le pungeva la pancia, come se la volesse infilzare, e le sue dita iniziarono a implorare pietà. Non era sicura di riuscire a fare tre gradini con quello tra le braccia, di sicuro non due piani. Il banco ricadde con un forte tonfo sul pavimento.
La voce della signora O’Brien si levò dalla tromba delle scale. «E non provate a rovinare le piastrelle oppure niente cena per voi questa sera!»
Fu una motivazione sufficiente per entrambi. I due ragazzi presero immediatamente un banco a testa e, ignorando il dolore e il fastidio, si avventurarono sulle scale. Lydia fu la prima ad iniziare la salita. Per i primi gradini andò tutto bene, anzi, stava iniziando a pensare che non era poi così impossibile, ma alla prima svolta si pentì amaramente di averlo anche solo pensato, alla seconda pensò che fosse una punizione per aver sopravvalutato le proprie forze e arrivata al secondo piano rimpiangeva la settimana trascorsa a Pandizenzero accerchiata da Mangiamorte. Sentendo le braccia cedere si fermò sul pianerottolo per riprendere fiato. I muscoli delle sue braccia erano completamente indolenziti, così come la zona della pancia su cui posava l’altra parte del peso del banco. Lance si fermò accanto a lei, nel suo stesso stato. «Non siamo allenati. Per niente.» sentenziò con il poco fiato rimasto.
«Ad Hogwarts dovrebbero fare educazione fisica.» Lydia tese le braccia indolenzite e le piegò, ripeté il processo più volte per riattivare la circolazione del sangue. «Mia mamma ha ragione quando dice che siamo troppo indifesi senza bacchetta…» E involontariamente si diede una motivazione per ricominciare l’avanzata. Pur di non soffermarsi a pensare a sua madre, Lydia riprese il banco e, senza aspettare Lance, salì l’ultima rampa di scale.
Arrivata al pianerottolo del terzo piano mollò il banco di colpo, il quale atterrò con un tonfo tale da far tremare il pavimento.
«Ce l’ho fatta!» tentò di urlare, ma quello che le uscì fu più un lamento a causa della totale mancanza di fiato.
Lance non fu altrettanto forte e si bloccò a quattro gradini dall’arrivo, con il banco inclinato sulle scale e trattenuto solo dal suo corpo. «Basta, ci rinuncio.» borbottò afflosciandosi di nuovo sul banco. «Lasciatemi qui.»
«Sei il solito.» rispose Duncan. Lui e Katherine erano appena usciti da quella che sarebbe diventata la nuova aula delle elementari.
«Potevate anche aiutarci.» sbottò Lydia.
«Vi stavamo aspettando. Dove eravate finiti?» chiese Duncan irritato «Abbiamo cambiato idea.» continuò senza attendere la risposta «Qui non c’è abbastanza spazio, teniamo le aule al primo piano.»
E questa volta fu Lydia ad accasciarsi sul tavolo, mentre Lance esclamò una serie di imprecazioni, con l’unico inconveniente che, nel farlo, si spostò e senza più il suo corpo a bloccarlo, il banco iniziò la sua ripida discesa. Lance tentò di fermarlo ma era troppo tardi. Il banco prese slancio e ridiscese le scale accompagnato da botti e stridii, un rumore assordante che riempì l’intera casa. Ad ogni scalino Lydia socchiudeva gli occhi, fino ad arrivare all’ultimo grande tonfo, il quale fece tremare il pavimento. Seguì un istante di silenzio.
«LANCE O’BRIEN E LYDIA MERLIN, STASERA NIENTE CENA!»
«Ops.»
Lydia avrebbe voluto lanciare il banco in testa a Lance.
 
Alla fine la signora O’Brien preparò loro lo stesso la cena. E Lydia avrebbe dovuto immaginare che il vero motivo era un altro e non il suo buon cuore. Infatti a metà piatto di lasagne, la signora O’Brien sganciò la bomba. «Non potevo lasciarti senza cibo, hai bisogno di forze per affrontare quei bimbi domani.» Lydia lasciò cadere la forchetta mentre tutta la tavolata si voltava verso di lei.
«È vero? Domani resti con noi?» chiese Henry, già esaltato anche solo all’idea.
Come aveva potuto la signora O’Brien farle questo?
«Domani ci insegna Lydia!» urlò Ewart (‘riccioli d’oro, ciabatte rosse’).
«Sarà la più bella lezione di sempre!» ululò Emily Coleman (‘una non salutare ossessione per gli unicorni’).
Non c’era modo di fermare quei bambini, Lydia lo sapeva, e di sicuro ne era a conoscenza anche la signora O’Brien. L’aveva fregata. Il signor O’Brien pareva contrariato del metodo della moglie e Lydia sperò con tutto il cuore che dicesse qualcosa in suo favore e le evitasse quella follia, ma l’uomo si limitò a scuotere la testa e tornò a mangiare le sue lasagne, come se nulla fosse, come se Lydia non stesse sprofondando in un incubo. Il suo sguardo implorante allora percorse la tavola, rivolto prima a Katherine, che non recepì il messaggio (o fece solo finta di non capire) e poi a Lance, il quale rispose con delle scuse. «Vorrei tanto aiutarti ma domani è una giornata critica per la preparazione della pozione Anti-Traccia. Devo controllarla a vista e devo girarla venti volte in senso antiorario ogni sette minuti.» Le uniche opzioni rimaste erano Caitlin, particolarmente interessata alla besciamella sparsa sul suo piatto, e Duncan. Ma Lydia si sarebbe Cruciata piuttosto che chiedere aiuto a Duncan.
Era stata sconfitta.
«Vuoi iniziare con asilo o elementari?»
 
E così la mattina successiva si era trovata a cercare di convincere la sua nuova classe di bambini a sedersi per terra e disegnare un gatto sul loro foglio, dopo aver letto Il gatto con gli stivali. Nonostante fossero solo otto bambini la situazione era decisamente critica, nessuno di loro sembrava intenzionato a fermarsi il tempo necessario per finire il disegno, tutti impazienti di tornare a giocare. Fu una vera e propria impresa convincerli a stare fermi, costellata da minacce e rimproveri. Dopo mezz’ora la situazione era diventata anche peggiore considerando che i più grandi avevano già finito il loro lavoro ed erano finalmente liberi di correre da una parte all’altra della stanza, mentre quelli più piccoli stavano ancora disegnando, continuando a chiedere se andava bene fatto in quel modo.
«Ewart, ti assicuro che assomiglia ad un gatto.» Lydia cercò di sorridere per incoraggiarlo.
Ewart indicò Tristan. «Ma lui dice che è un topo!»
«Non è un topo, è un gatto. Vai a finirlo, vedrai che sarà bellissimo.» Ewart non era tanto convinto ma tornò al suo posto per terra e calcò la matita sul disegno, offeso dall’insulto di Tristan.
Lydia vide il momento stesso in cui avvenne il disastro, senza avere la tempestività di intervenire ed evitare che accadesse. Vide Tristan chinarsi verso Ewart, e lo sentì chiaramente bisbigliare. «E comunque è un topo.»
Il grido di guerra di Ewart risuonò nell’aula richiamando l’attenzione anche dei bambini che si rincorrevano. Solo i riflessi ottenuti dall’essere stata braccata ripetutamente dai Mangiamorte aiutarono Lydia ad avere l’istinto di gettarsi su Ewart ed afferrarlo prima che si avventasse sull’altro bambino usando la matita come un pugnale. E ovviamente la signora O’Brien decise di entrare nell’aula proprio in quel preciso istante, trovandosi davanti agli occhi Lydia che teneva stretto Ewart, intento ad urlare selvaggiamente contro Tristan, il quale ridacchiava per nulla impressionato.
«Non è come sembra.» fu la risposta automatica di Lydia.
«Tristan ha criticato il disegno di Ewart e lui vuole accoltellarlo con la matita.» disse la signora O’Brien.
«È proprio come sembra.»
La signora O’Brien sospirò e prese in braccio Ewart. «Fanno così ogni volta, il trucco è farli sedere il più lontano possibile l’uno dall’altro.»
«Ha visto? Non sono adatta per occuparmi di loro. È stato un piacere ma a mai più, grazie.» Lydia cercò di defilarsi verso la porta.
«Hai solo bisogno di un po’ di pratica, domani mattina ti aspettiamo ancora, vero bimbi?»
Si sollevò un coro di voci angeliche. «Sì!»
Il grugnito di Lydia fu una risposta sufficiente.
«Comunque Dorian ti sta cercando.»
Lydia non aspettò di sentire altro e corse a cercare il signor O’Brien. Qualsiasi cosa pur di andarsene da lì. Non impiegò molto a trovarlo; si diresse decisa verso il suo ufficio e infatti lui era proprio lì ad aspettarla. E Lydia si rese conto che effettivamente c’era qualcosa di peggio del trovarsi da sola in una classe di bambini irrequieti: trovarsi da sola nella stessa stanza con il signor O’Brien e Duncan.
«Eccoti qua, Lydia!» esclamò il signor O’Brien. «Vieni pure, vuoi una tazza di cioccolata?»
«No, grazie.» rispose Lydia, sospettosa.
Duncan la ignorò completamente, stava sorseggiando la sua cioccolata fissando un foglietto appoggiato sulla scrivania.
«Sua moglie mi ha detto che mi cercava.»
Il signor O’Brien le fece cenno di sedersi sulla poltrona accanto a Duncan. Lydia avrebbe preferito stare il più lontano possibile dal ragazzo ma si sedette, rimanendo però sull’orlo della poltrona. «Cosa succede?»
«Abbiamo una piccola emergenza.»
Lydia non lo lasciò neppure terminare. «È successo qualcosa?»
«Niente di grave.» si affrettò a rassicurarla il signor O’Brien. «È più un’emergenza che riguarda Lance.»
Questo la fece preoccupare ancora di più. «Si è fatto male?» Lydia scattò in piedi, già pronta a correre a cercarlo. Lo sapeva che prima o poi una pozione gli sarebbe scoppiata in faccia. La sua reazione attirò l’attenzione di Duncan, che continuò a sorseggiare la sua cioccolata ma ora osservando Lydia con attenzione.
«Lance sta bene!» aggiunse di nuovo il signor O’Brien.
Duncan appoggiò la tazza alla scrivania. «Hai un modo di dire le cose che sembra sempre che sia morto qualcuno.»
Il signor O’Brien non sembrò particolarmente offeso per il commento del figlio e continuò imperterrito. «Nessun morto e nessun ferito grave, ma potrebbe succedere se non ci sbrighiamo.»
Duncan tossicchiò. «Come dicevo, una disgrazia per ogni frase.»
Lydia intanto non ci capiva più niente.
«Intendevo…» proseguì il signor O’Brien, questa volta infastidito dalle parole di Duncan «Che in questo stesso momento Lance sta preparando una nuova scorta di Pozione Anti-Traccia.»
«Lo so.» disse Lydia «Da girare venti volte in senso antiorario ogni sette minuti.»
«Esatto.» Il signor O’Brien fece comparire nell’aria un pentolino volante (e abbastanza scontroso) e versò una nuova generosa dose di cioccolata nella sua tazza. «Abbiamo riscontrato solo un piccolo problema. Ci siamo appena accorti che le foglie di Biancospino sono state rosicchiate dai topi e per questo sono inutilizzabili.»
Lydia aveva molte domande a proposito. Prima tra tutte la presenza di topi in quelle mura che già le faceva venire voglia di correre fuori e non rientrare mai più, ma decise di formulare solo il secondo quesito ad alta voce. «E come avete fatto a non accorgervene fino ad adesso?»
«La stessa cosa che ha chiesto Duncan…» Il signor O’Brien soffiò sulla tazza fumante. «Ieri sera abbiamo fatto l’elenco di tutti gli ingredienti e vi assicuro che erano intatti. Il problema è che abbiamo dimenticato di rimettere lo Saratio di nuovo nel suo contenitore e le radici di Saratio hanno la brutta tendenza di attirare i topi che si trovano nel raggio di tre chilometri.»
«Quindi non solo non avete più queste foglie ma abbiamo anche un’infestazione di topi?» Ora sì che Lydia voleva scappare.
Il signor O’Brien invece sorseggiava la sua cioccolata come se nulla fosse. «Dell’infestazione me ne sono già occupato io, ma le foglie di Biancospino sono completamene distrutte. Questa pozione è in preparazione da quasi tre settimane e non faremmo in tempo a ricominciarla da capo. Per fortuna sono facilmente recuperabili, sono vendute nella maggior parte dei negozi babbani. E qui entrate in gioco voi.»
Lydia comprese subito quale sarebbe stato il loro compito. «Dobbiamo andarle a comprare.»
«Esattamente!» sorrise il signor O’Brien. Con un colpo di bacchetta fece ricomparire il pentolino nell’aria (che fece una lunga pernacchia contro Lydia) e si riempì nuovamente la tazza. «Ci servono entro le 18 di questa sera, quando Lance passerà alla fase finale di preparazione della pozione.» Fece per prendere la tazza fumante ma la mano di Duncan fu più veloce e andò a coprirla.
«Quindi dobbiamo andare noi due?»
No, di sicuro il signor O’Brien aveva qualche altra soluzione. «Sì.» rispose invece «Lance non può spostarsi dal calderone per più di sette minuti, Katherine è a letto con l’influenza e io sono bloccato qui. Rimanete solo voi due. Ora puoi ridarmi la tazza?»
«No.» rispose Duncan, lo sguardo severo. «Hai il colesterolo alle stelle.» Prese la bacchetta e la picchiettò sull’orlo della tazza, facendola scomparire nel nulla. «E posso andare da solo.»
Lydia non sapeva se sentirsi offesa o sollevata. «Anche io posso andare da sola.»
Il signor O’Brien sospirò, con un mano si massaggiò la fronte. «Non è questo il punto. Sapete che dovete sempre uscire in due per coprirvi le spalle e in questo caso siete solo voi ad essere liberi. Vi prego di non comportarvi come dei bambini, di mettere da parte le vostre divergenze e agire da adulti.»
Questo riuscì a zittirli entrambi.
 
Dieci minuti dopo avevano già indossato i loro travestimenti ed erano pronti ad andare e togliersi il prima possibile da quella situazione spinosa che non piaceva a nessuno dei due. Il signor O’Brien li riempì delle ultime raccomandazioni, completate da una vera e propria minaccia di tornare entro un’ora o sarebbe uscito a cercarli. «Un’ora. Non un minuto in più. E state lontani dai guai, evitate le strade isolate e…»
Il suo monologo fu interrotto dal rumore della porta che portava al seminterrato che sbatteva contro il muro (Lydia vide un pezzo di intonaco staccarsi) e da Lance che correva verso di loro, un mestolo in una mano e una piccola clessidra nell’altra. «Non posso credere che ti tocca andare con Duncan!»
Duncan sollevò un sopracciglio.
«E che non posso venire con te!» continuò imperterrito Lance. Parlava a raffica, lo sguardo che correva frenetico dalla clessidra al volto di Lydia «Mi raccomando, cerca di non combinare guai, quelli li possiamo fare solo quando siamo insieme, e non dare retta a Duncan, sa come farti impazzire ma tu non ascoltarlo!»
Duncan inarcò anche l’altro sopracciglio.
«E tornate a casa il prima possibile, e cercate di non farvi ammazzare!» La sabbia nella parte superiore della clessidra era sempre meno, ma Lance la abbassò e si concentrò finalmente solo su Lydia, guardandola dritta negli occhi. «Mi dispiace davvero averti messa in questo casino.» E poi la abbracciò. Lydia rimase per un attimo sorpresa. Poi il suo corpo rispose per lei, andando a stringersi nelle braccia di Lance. Aveva dimenticato quanto i suoi abbracci la facessero sentire al sicuro. Un calore improvviso le accarezzò la schiena, seguita dall’imprecazione di Lance, che si staccò da lei per osservare la clessidra incandescente. La sabbia era agli sgoccioli. «Devo andare, ciao!» E Lance sparì di nuovo verso il suo laboratorio, lasciando in Lydia la sensazione che si fosse trattata solo di un’allucinazione.
Ci pensò Duncan ad assicurarle che fosse successo davvero appena misero piede fuori dalla porta. «Sapevo che tu piacevi a Lance, ma non pensavo che anche lui ti piacesse.»
Lydia avvampò, diventando dello stesso colore dei suoi capelli se solo la Pozione Polisucco non li avesse appena colorati di biondo. «Non so di cosa tu stia parlando.»
«Se lo dici tu.» replicò Duncan con un sorrisetto.
Il ricordo della luna che rifletteva sul Lago Nero la sera del Ballo del Ceppo riempì la mente di Lydia. «Sta zitto!» borbottò cercando di scacciare l’immagine dalla testa.
Duncan ridacchiò ma per fortuna la conversazione terminò lì. Per il resto della strada proseguirono nel silenzio, con grande sollievo di Lydia. La situazione era già abbastanza strana senza dover portare avanti conversazioni imbarazzanti. Anche Duncan pareva dello stesso avviso, e il piacere che aveva provato prendendola in giro evaporò entro pochi minuti, facendolo tornare il solito Duncan scorbutico e distaccato. Lydia lo preferiva così.
 
«Beh, è stato fin troppo facile.» disse Lydia cinque minuti dopo all’uscita del negozio, mentre Duncan infilava il sacchettino di erbe nel taschino; come risposta si limitò ad un grugnito e, mani in tasca, ricominciò a camminare nella direzione dalla quale erano arrivati. Giunti al luogo abbastanza coperto da potersi Materializzare, Lydia strinse malvolentieri il braccio di Duncan e attese di tornare a casa.
Un secondo, due, tre.
I nervi di Duncan si irrigidirono sotto la sua stretta.
«C’è una barriera.» bisbigliò Duncan, gli occhi che saettavano nei dintorni. La relativa calma provata fino a quel momento si dissipò all’istante.
Lydia recuperò la bacchetta. «Come hanno fatto a scoprirci?» chiese incredula.
«Non è il momento di pensarci. Ora dobbiamo solo cercare un modo per andarcene da qui.»
«E scoprire con chi abbiamo a che fare.»
Erano nascosti in un angolo d’ombra tra due case, la strada al loro fianco era quasi deserta, c’era una coppia che passeggiava dall’altra parte della carreggiata e un signore a passeggio con il suo cane. Nessuno di loro pareva essere un Mangiamorte. E poi in fondo alla strada comparve un ragazzo, Lydia si appiattì contro il muro, tirando Duncan con se’ e cercando di mimetizzarsi nell’ombra.
Conosceva quel ragazzo. Era l’ex Tassorosso che li aveva seguiti fino a Pandizenzero. Era difficile dimenticare i volti di chi la voleva morta. Anche Duncan lo aveva riconosciuto; alzò la bacchetta e socchiuse un occhio per prendere la mira. C’era solo un dettaglio che non quadrava. Il ragazzo continuava a camminare tranquillo dall’altra parte della strada, le mani in tasca e fischiettando un motivetto allegro. O era un grande attore o non li aveva proprio visti. Lydia sperò ardentemente nella seconda. Ma allora cosa ci faceva lì? E come mai era stato gettato un incantesimo contro la Materializzazione?
Il signore con il cane salì i gradini che lo separavano dalla porta della casa al numero 52, borbottò cercando nel mazzo di chiavi quella giusta per aprire e quando infine la trovò, sparì nella sua abitazione. Due secondi dopo una donna uscì da una macchina parcheggiata sul ciglio della strada. Lydia non la conosceva, ma era impossibile non riconoscere il bastoncino che teneva tra le dita. Quando anche la coppietta svoltò l’angolo, un uomo fece loro un cenno di saluto abbassando leggermente la bombetta che indossava, prima di fare anche lui il suo ingresso sulla strada e dirigersi tranquillamente verso gli altri, seguito da un altro uomo e da una donna con dei fiori intrecciati nei capelli. Infine altri due ragazzini arrivarono di corsa, trafelati e borbottando alcune scuse, zittiti all’istante dall’ex Tassorosso. Tutti quanti stavano convergendo in un punto specifico della strada: l’abitazione al numero 58.
La casa era identica alle altre, una tipica villetta a schiera inglese, nessun tratto distintivo, nulla che la facesse risaltare rispetto a quelle che la circondavano, eppure quei maghi e quelle streghe la guardavano avidamente e con dei sorrisetti dipinti sui volti.
Il cuore di Lydia batteva all’impazzata.
Si trovavano esattamente dall’altra parte della strada rispetto a loro. Magari era una finta e da un secondo all’altro si sarebbero voltati e li avrebbero colpiti. Strinse la bacchetta, un incantesimo di difesa già pronto sulla punta della lingua. L’ex Tassorosso sollevò di scatto la sua bacchetta, il suo «Alhomora» si sentì a stento ma la porta della casa cedette all’istante.
I maghi iniziarono ad entrare. Un urlo si levò dall’abitazione e Lydia sentì il sangue ghiacciarsi nelle sue vene. Sapeva cosa stava succedendo. Aveva sentito Anthony O’Brien parlarne e ora stava avvenendo sotto i suoi occhi.
Una retata contro i Nati Babbani.
Prima ancora di pensarci, scattò verso la strada, ma non riuscì a fare neanche un passo che Duncan la strattonò per un braccio e la inchiodò al muro.
«Sei impazzita?» sibilò, lo sguardo ancora rivolto al numero 58. Un altro urlo si levò dalla casa. Le finestre si illuminarono di rosso, di viola e di azzurro. La donna con i fiori nei capelli era rimasta sulle scalette che portavano all’ingresso e si puliva annoiata le unghie. Una finestra esplose a pochi metri da lei. La donna si limitò a sollevare la bacchetta e la casa fu circondata dal silenzio, nonostante i lampi continuassero ad illuminare debolmente la via.
«Lasciami andare.» Lydia cercò di allontanarlo, ma Duncan non si smosse di un centimetro.
«Non fare la stupida. Quelli sono in sette, noi due. Non possiamo fare niente.»
Ma Lydia non voleva starlo a sentire. L’unica cosa che desiderava fare era correre in quella casa. Perché lì in quell’esatto istante si trovava qualcuno come lei, qualcuno che veniva considerato sbagliato e braccato per questo, qualcuno che aveva un disperato bisogno di aiuto. E lei non gli avrebbe voltato le spalle. Ma Duncan lo sapeva e senza che lei potesse fare niente per impedirlo, le strappò la bacchetta dalle mani e prima che Lydia potesse urlare, le lanciò un incantesimo Silenziatore. Lydia tentò comunque di liberarsi dalla sua presa, tentò di dargli calci e pugni ma era come cercare di muovere una montagna. Duncan non le prestava neppure attenzione, il suo sguardo era rivolto verso la casa. Lydia avrebbe voluto urlare, e tentò anche di farlo, insultò Duncan senza che nessuna parola uscisse realmente dalla sua bocca. E poi, veloce come era iniziato, lo scontro terminò. I maghi e le streghe che erano entrati uscirono alla spicciolata dalla casa, riassettandosi le vesti. Il ragazzino più giovane tentò di dare il cinque all’ex Tassorosso, guadagnandosi in cambio un’occhiata di disprezzo. L’uomo con la bombetta trascinava una donna il cui volto era per metà coperto di sangue, mentre l’altro assalitore spingeva un uomo che si teneva stretto al petto un braccio. Anche da lontano si poteva chiaramente intuire che l’osso era rotto. Vedendo i due venir trascinati via, Lydia cominciò a combattere con maggior vigore contro Duncan, riuscendo a liberarsi almeno un braccio. E con quel braccio gli diede un pugno dritto su una spalla, abbastanza forte da farlo barcollare. La ragazza approfittò di quel momento di distrazione per dargli un’altra spinta e liberarsi del tutto. Era infuriata e gli gridò contro i peggiori insulti. O almeno tentò di farlo, la voce ancora inesistente a causa dell’incantesimo. Con un altro strattone si riprese la sua bacchetta e si voltò verso la strada. Era completamente deserta. Nei brevi istanti che aveva impiegato per liberarsi, il gruppetto si era defilato.
Con un gesto brusco si liberò dall’incantesimo Silenziatore. «Da che parte sono andati?» chiese, la voce tremante dalla rabbia.
«Non lo so.» rispose innocentemente Duncan. Lo sapeva ma non glielo avrebbe mai detto. Lydia si voltò di nuovo verso la strada. Poteva andare a destra o a sinistra. Aveva il cinquanta per cento di possibilità di raggiungerli. E poi? Cosa avrebbe fatto? Con un grido di rabbia tirò un calcio ad un sassolino ai loro piedi. Ormai dovevano essersi già Materializzati. Era arrivata troppo tardi. O meglio, era arrivata giusto in tempo se non fosse stato per Duncan.
«Avremmo potuto salvarli!» urlò in faccia al ragazzo. Lui aveva ancora il suo sguardo imperscrutabile stampato sul viso.
«Erano in troppi.» replicò con eccessiva tranquillità.
«Avremmo almeno potuto provare!» gridò Lydia.
«Pensi davvero che avremmo avuto delle possibilità contro di loro?»
«L’altra volta siamo riusciti a scappare!»
«L’altra volta eravamo in quattro e siamo stati fortunati.»
Per quanto avrebbe desiderato contraddirlo, anche Lydia sapeva che era la verità. «Avremmo potuto fare qualcosa.» replicò comunque abbassando la voce. La porta d’ingresso si muoveva spinta dal leggero vento. I vetri della finestra rotta erano sparpagliati per tutto il marciapiede.
Duncan ruotò la bacchetta e un sottile strato di fumo verde si sollevò dalla sua punta. «Hanno rimosso la barriera, possiamo tornare a casa.» Provò a stringerle una mano sul braccio ma Lydia lo scrollò per staccarsi dalla sua presa. Senza lasciargli il tempo di dire altro, attraversò a grandi passi la strada.
Duncan imprecò prima di gettarsi al suo inseguimento. «Che stai facendo?» sibilò, finalmente preoccupato.
In realtà Lydia non sapeva cosa rispondere, non che ne avesse voglia. Era l’istinto a guidarla verso la porta socchiusa. L’istinto e qualcos’altro. Voleva sapere, si rese conto. Voleva capire chi aveva appena sentenziato alla prigionia, o peggio ancora. Aveva bisogno di qualcosa. Non poteva semplicemente voltarsi e tornare a casa.
«Torna indietro!» Duncan tentò nuovamente di afferrarla ma Lydia fece un salto per sfuggirgli. Sapeva che se l’avesse presa si sarebbero Materializzati all’istante a casa. «Potrebbero tornare!»
«E allora fai il palo.» disse Lydia. Senza perdere altro tempo salì con due salti i gradini ed entrò nella casa.
«Se ti fai ammazzare Lance non mi parlerà più per il resto della vita.» bofonchiò Duncan, rimanendo comunque sulla soglia a controllare che non arrivasse nessuno.
I Mangiamorte non si erano preoccupati di nascondere le loro tracce. Il salotto era completamente distrutto, i mobili a pezzi e sparpagliati sul tappeto. Un vaso di fiori era caduto a terra, il vetro era disseminato sul pavimento e si mischiava ai frammenti più grandi che fino a qualche minuto prima componevano la finestra. Un leggero venticello entrava nella stanza facendo svolazzare un calendario appeso al muro. Non c’erano foto, né averi personali. Pareva un salotto da esposizione, se non fosse stato completamente distrutto. Lydia si avventurò nella sala, il vetro che scricchiolava sotto le suole. Si avvicinò alla porta a soffietto che la separava dalla cucina, ma anche qui non trovò niente. Solo alcune pentole nel lavandino. Una scala conduceva al piano superiore, Lydia mise un piede sul primo gradino quando si fermò di colpo.
Le era sembrato di sentire qualcosa.
Smise di respirare per riuscire a sentire meglio.
Aveva ragione. C’era davvero un rumore. Una specie di ronzio.
Riappoggiò il piede sul piano e si guardò attorno, senza muoversi per paura di far rumore e non sentire più nulla. E i suoi occhi si posarono su una porticina proprio sotto le scale. Poteva provenire da lì? Il più silenziosamente possibile, Lydia fece un passo in quella direzione, allungò una mano verso la maniglia e socchiuse con lentezza la porta. La luce del giorno illuminò lo spiraglio appena aperto ed un visetto terrorizzato. Un singhiozzo.
C’era una bambina nel sottoscala.
Una bimba dai capelli castani legati in due trecce, con occhi troppo grandi e troppo spaventati, si stringeva le ginocchia cercando di farsi il più piccola possibile. Le lacrime le scorrevano sul viso, un filo di muco le arrivava alla bocca. Non disse nulla. Continuò a singhiozzare.
«Non voglio farti del male.» Per istinto, Lydia allungò una mano verso di lei, ma la bambina si ritrasse contro il muro e strizzò gli occhi, come se si preparasse ad essere colpita. Lydia ritirò all’istante la mano e si inginocchiò per terra. Muovendosi con estrema delicatezza aprì del tutto la porticina e si accorse che sulla porta era presente una grata sottile. La bambina doveva aver visto il combattimento. E i due maghi che erano stati catturati probabilmente erano i suoi genitori. Dovevano essersi accorti dell’agguato in tempo per nascondere la bambina. Il cuore di Lydia saltò un colpo, un’immensa ondata di senso di colpa la assalì. No, non era il momento per farsi prendere dal panico. Avrebbe pensato dopo alle conseguenze delle sue azioni o della mancanza di esse. Si concentrò di nuovo sulla bambina.
«Sbrigati, Lydia!» la chiamò Duncan ancora alla porta. La bambina iniziò a tremare appena sentì la sua voce.
«Shh.» provò a tranquillizzarla Lydia, senza avere la minima idea di cosa fare. «Puoi uscire adesso, ti portiamo al sicuro.» La bambina non si mosse. Cosa poteva fare? Trascinarla fuori con la forza? Ci provò, ma appena la sfiorò, la bambina emise un lamento e cercò di allontanarsi ancora di più, nonostante lo spazio fosse minuscolo e la piccola era ormai addossata alla parete. Duncan aveva ragione, i Mangiamorte sarebbero potuti tornare da un momento all’altro, soprattutto se si fossero accorti che la coppia che avevano imprigionato aveva una figlia. Sarebbe stato il primo posto in cui l’avrebbero cercata.
«Ti prego, dobbiamo andare.» Tentò di nuovo di afferrarla ma la bambina reagì dandole un calcio. Lydia si allontanò appena in tempo. Il movimento della bambina aveva scoperto la sua pancia e Lydia si accorse infine da dove proveniva quel ronzio che l’aveva condotta fino a lì. Un gattino si trovava sul grembo della bimba, nascosto fino a quel momento dalle ginocchia. Aveva la pancia e metà muso bianco, mentre la schiena, le orecchie e la coda erano di diverse tonalità di grigio, la punta della coda che terminava con un puntino bianco. Le sue fusa erano inconfondibili. «Portiamo anche il tuo gattino, può venire anche lui con noi.» provò di nuovo Lydia. Si sentiva impotente. La bambina continuava ad essere terrorizzata da lei e Lydia non aveva la minima idea di cosa fare per farle cambiare idea.
Un rumore di vetri rotti precedette l’arrivo di Duncan. Non servirono parole per spiegare la situazione, al ragazzo bastò un’occhiata. Si inginocchiò al fianco di Lydia e senza sporgersi verso la bambina, sussurrò con dolcezza. «È un bellissimo gattino, come si chiama?» Lydia non aveva mai sentito Duncan parlare così. Sembrava essersi trasformato completamente in un’altra persona. La bambina lo squadrò, poi abbassò lo sguardo verso il suo gattino, gli diede una carezza e il gatto ringraziò alzando il volume delle fusa. «Posso fargli una carezza anche io?» chiese Duncan. La bambina non si fidava ancora di loro, ma almeno non sembrava più completamente terrorizzata. Duncan sollevò una mano e la avvicinò lentamente, la bimba si irrigidì ma Duncan continuò ad avvicinarsi fino a dare una carezza dietro alle orecchie del gatto, il quale sollevò il muso per avvicinarsi alla sua mano. «È proprio soffice. Ma scommetto che è anche un gran furbetto.» La bambina sollevò lo sguardo su di lui. «E scommetto che ha anche tanta fame, cosa dici? Gli diamo qualche crocchetta?» La bambina non rispose, ma la sua postura si rilassò. Duncan si guardò attorno. «Oh no!» disse con enfasi «Non so dove sono le crocchette! Mi puoi aiutare a trovarle?» Dopo un momento di indecisione, la bambina iniziò a spostarsi verso di loro, Duncan si spostò e costrinse Lydia a fare lo stesso. Poi la piccola li squadrò di nuovo e si alzò, tenendo il gattino ben stretto al petto, e a piccoli passi, si diresse verso la cucina. «Io vado con lei.» disse Duncan seguendola con lo sguardo «Tu intanto cerca dei documenti. Dobbiamo scoprire chi è e chi sono i suoi genitori. Fai alla svelta, dobbiamo andarcene subito da qui.»
In qualsiasi altro momento, Lydia si sarebbe rifiutata di obbedire ad un ordine diretto di Duncan, soprattutto dopo quello che aveva fatto, ma non le sembrava il caso di avviare una discussione davanti alla bambina. Senza dirgli una parola iniziò a controllare tutte le stanze della casa. Al piano superiore trovò pochi oggetti personali, come era avvenuto anche nelle stanze sotto, tre valigie era appoggiate vicino al letto matrimoniale. Erano piene, mentre gli armadi completamente deserti, segno che la famiglia stava per scappare o era già in fuga. Considerando che le retate erano iniziate ormai più di un mese prima, era più probabile la seconda opzione. Lydia richiuse velocemente la valigia con i vestiti della bambina e la trascinò con se’. Una borsa era appoggiata sul comodino. All’interno del portafoglio vi erano diverse carte d’identità, le foto corrispondevano ai visi dell’uomo e della donna che erano stati rapiti, così come quello della bambina, ma erano in triplice copia e i nomi non corrispondevano in nessuna di loro. In un documento la bambina si chiamava Beatrix Harris, nell’altro Amelia Mason, e nell’ultimo Patricia Smith. Per sicurezza li mise tutti in tasca e si diresse verso il piano inferiore.
Duncan era sulla soglia, la mano stretta in quella della bambina, che teneva a sua volta il gattino. Si vedeva che quella bambina non si fidava del tutto di loro, come avrebbe potuto dopo aver appena visto i suoi genitori trascinati fuori casa in quel modo? Eppure doveva aver deciso di tentare la sorte con loro. O meglio, con Duncan, pensò Lydia ricordando il terrore puro che la bambina aveva negli occhi appena l’aveva vista. E nel suo travestimento babbano non aveva neppure la cicatrice, chissà cosa avrebbe fatto se l’avesse vista con il suo vero aspetto.
Uscirono dalla casa alla spicciolata, Duncan tirava la bambina e Lydia li seguiva trascinando il piccolo trolley e cercando di fare meno rumore possibile, non che avesse importanza considerando che prima dell’incantesimo Silenziatore della strega con i fiori tra i capelli era scoppiata una finestra e nessuno aveva messo il naso fuori casa per controllare. Attraversarono la strada e tornarono nel loro angolino all’ombra. Lydia prese il braccio di Duncan, era impaziente di tornare a casa. Il ragazzo invece si inginocchiò davanti alla bambina.
«Adesso ti sentirai strana ma non ti devi preoccupare, ti tengo stretta io, va bene?» La bambina si limitò a guardarlo, senza fare alcun cenno. «Ti fa niente se il gattino lo tengo io? Così non cade.» Alla bambina spiaceva eccome, ma nonostante la titubanza, lasciò che Duncan prendesse in braccio il gattino, il quale protestò con un lungo miagolio. Finalmente si Smaterializzarono ed arrivarono davanti a casa O’Brien.
Appena i loro piedi toccarono di nuovo terra, la bambina si riprese il suo gattino e se lo strinse al volto. Non sembrava particolarmente scossa per il viaggio magico, né sul punto di vomitare. Doveva aver già usato quel mezzo di trasporto.
Una volta entrati in casa furono immediatamente accolti dalla signora O’Brien, un’espressione di assoluto sconcerto alla loro vista. «Ma dovevate solo prendere le erbe.» disse prima di avvolgere la bambina in un grande abbraccio e condurla via da loro, verso gli altri bambini che si trovavano in un angolo del salotto a disegnare sdraiati per terra. Lydia non aveva ancora pronunciato una parola. Continuava a stringere la presa sul trolley, i suoi pensieri che ripercorrevano gli ultimi minuti appena trascorsi. La signora O’Brien aveva ragione. Erano usciti solo a comprare delle erbe, come avevano fatto a tornare con una bambina, un gatto e un senso di colpa che rischiava di annegarla? Duncan dovette leggerle lo sguardo. «Abbiamo fatto la scelta giusta.» Fu la miccia che riaccese la sua rabbia.
«Ah sì?» chiese sarcastica «Perché a me sembrava invece la scelta codarda.»
«Non è da codardi conoscere i propri limiti e stare attenti a non sorpassarli.»
«I propri limiti non si possono conoscere se prima non si prova ad agire.»
Duncan rimase calmo. «E allora a quest’ora saresti morta. O in qualche prigione. O torturata. Scegli tu l’opzione che preferisci.»
Lydia mollò il trolley. «Doveva esserci Lance, lui sarebbe subito corso a salvarli.»
«Lo so.» rispose Duncan, nel suo sguardo si accese una scintilla che Lydia non riuscì ad identificare, ma non aveva nessuna voglia di scoprire a cosa stava pensando e così si avviò verso la signora O’Brien. La bambina non parlava ancora, nonostante i tentativi della donna e degli altri bambini, anzi, sembrava voler scappare da loro. Di sicuro non aiutava il fatto che i bambini l’avevano completamente accerchiata appena si erano accorti del gattino nascosto nelle sue mani. Lydia trafficò nelle tasche ed estrasse i documenti trovati nella casa, senza dire una parola li lasciò cadere nelle mani della signora O’Brien; controllò di nuovo le tasche per essere sicura di averglieli dati tutti e la sua mano si strinse attorno ad un foglio di pergamena. Perplessa lo prese e lo aprì.
Il Ministero della Magia, in collaborazione con la Commissione per il Censimento dei Nati Babbani, dichiara ufficialmente fuori legge i seguenti individui…
Si era completamente dimenticata della lista che aveva rubato a Diagon Alley.
In seguito alla loro fuga e dopo essere stati chiusi nell’aula da Henry, Lydia aveva trasfigurato i travestimenti babbani per poi ritrasformarli solo la sera, una volta tornata nella sua camera. Nel trambusto che era succeduto agli eventi, Lydia non aveva più pensato alla lista. Ma ora che ce l’aveva di nuovo sotto gli occhi non poteva più ignorarla. Il suo nome le sembrava spiccare tra tutti. Distolse a fatica lo sguardo. «Dove è il signor O’Brien?» chiese alla signora O’Brien, che le rispose frettolosamente, concentrata completamente sulla nuova bambina e sul tentativo di capire quali dei tre nomi sui documenti corrispondessero a quello vero. «È nel suo studio.» Non volendo disturbarla e per paura che le chiedesse di aiutarla, Lydia ringraziò e si diresse velocemente verso lo studio del signor O’Brien. Bussò e senza attendere risposta aprì la porta. La stanza era deserta. In compenso la porta alla sua destra si socchiuse e nello spiraglio comparve il volto di Caitlin. «Se cerchi papà è nello studio.» Lydia si voltò di nuovo verso la stanza davanti a lei. Sì, non se l’era immaginato. Quella era la scrivania del signor O’Brien, le sue mappe e tutto il resto, non si era sbagliata. Caitlin le lesse nel pensiero. «È nel suo altro studio.» Vedendo lo sguardo attonito di Lydia aggiunse: «Piano di sopra, la porta vicino alla camera di mamma e papà.» E senza attendere risposta chiuse la porta e scomparve.
Era la prima volta che Lydia sentiva nominare un secondo studio ma non ne fu eccessivamente sorpresa: quella casa era talmente grande che continuava a riservarle sorprese. Bussò alla stanza indicata da Caitlin e la voce soffocata del signor O’Brien la invitò ad entrare. Lydia socchiuse la porta, era impossibile nascondere una certa curiosità che fu ben ripagata.
Lo studio del signor O’Brien era un vero e proprio studio d’arte. Innumerevoli dipinti ricoprivano i muri, decine di tele erano accatastate negli angoli, coperte in parte da alcuni drappi. Lydia rimase a bocca aperta di fronte a tanta bellezza. I disegni erano differenti tra loro, alcuni appartenevano chiaramente al mondo magico, raffiguravano animali fantastici o oggetti fuori dal comune, tanto che tra questi ve ne erano anche alcuni che si muovevano; altri invece erano decisamente babbani.
Il signor O’Brien si voltò giusto in tempo per capire chi era entrato prima di tornare a concentrarsi sulla sua ultima creazione. Pennello alla mano, stava correggendo alcuni particolari di un dipinto che raffigurava l’orto di Lance. Lydia entrò nello studio in punta di piedi. Per quanto tentasse di evitarlo, il suo sguardo tornava ad osservare incantato i dipinti. Si accorse che alcuni di essi erano ritratti. Lydia riconobbe in molti di essi il Lance undicenne che aveva conosciuto il primo giorno ad Hogwarts, accompagnato da una bambina che doveva essere solo che Caitlin. Una figura in particolare era ripetuta in molteplici dipinti: una giovane donna dallo sguardo deciso e perentorio. Lydia si avvicinò ad uno di questi appeso alla parete. I tratti le sembravano famigliari. Era la signora O’Brien, si rese conto, doveva avere all’incirca la sua età al momento della raffigurazione. Lydia si allontanò dalla parete per non dare il tempo al signor O’Brien di accorgersi che stava spiando le sue creazioni. «È andato tutto bene?»
Lydia ebbe una mezza idea di mentire, ma avrebbe dovuto comunque giustificare la presenza di una nuova bambina ed un gatto al piano di sotto. E così iniziò a raccontare la disavventura appena trascorsa, facendo attenzione a far capire tutta la sua avversione per il comportamento codardo di Duncan. Il signor O’Brien però non era della sua stessa opinione. «È stata la scelta più appropriata.» disse appoggiando il pennello su uno sgabello e rivolgendo la sua intera attenzione a Lydia. «Sarebbe stato un rischio troppo grande.» Lydia si morse la lingua per costringersi a rimanere in silenzio e non insultare anche il signor O’Brien.
«C’è dell’altro.» disse invece. Gli porse il foglio di pergamena spiegazzato. «Nella casa della bambina ho trovato anche questa.» mentì «È una lista delle persone che non si sono presentate al Censimento e che vengono considerate nemiche dell’ordine pubblico. Ho immaginato che potesse tornare utile.»
Gli occhi del signor O’Brien scintillarono. «Mio fratello me ne aveva parlato ma non è riuscito a farmene avere nessuna copia. Grazie.» Aprì il foglio ed iniziò a leggere l’elenco. Lydia sapeva che quello era un ottimo momento per andarsene, ma la curiosità le impedì di muoversi. Il suo sguardo approfittò della momentanea distrazione del signor O’Brien per osservare le sue opere. Era come cercare di guardare un mondo intero. I dipinti erano talmente tanti che era difficile vederli tutti. Oltre a quelli più evidenti che raffiguravano la sua famiglia in diversi anni, ce ne erano molti altri di persone che Lydia non aveva mai visto prima d’ora, alcuni nella divisa di Hogwarts. Un quadro in un angolo raffigurava un faro, la luce illuminava realmente la stanza e le piccole nuvole dipinte si spostavano sospinte da un vento fittizio che le portava a formare figure diverse nel cielo dipinto.
«Puoi guardarli più da vicino, se vuoi.» Lydia non si era accorta che il signor O’Brien aveva risollevato lo sguardo dalla lista. Senza fermarsi a pensare, la ragazza si avvicinò alle tele nell’angolo e scostò delicatamente il telo. Il signor O’Brien la seguì. «Quando sono preoccupato per voi dipingo. È l’unico modo che ho per costringermi a stare qui dentro e non corrervi dietro ogni volta.» Un sorrisetto tetro si allungò sulle sue labbra «Mi aiuta a smettere di pensare, e solo Merlino sa di quanto io ne abbia bisogno negli ultimi tempi.»
«Sono bellissimi.» disse sinceramente Lydia.
«Ti ringrazio.» Il signor O’Brien prese il telo e lo arrotolò, portando alla luce tutti i dipinti nascosti. Erano altrettanto spettacolari di quelli esposti. E meno magici, si accorse Lydia. Nessuno di loro si muoveva, ne’ salutava. «Avevo una galleria d’arte, prima della guerra.» spiegò il signor O’Brien, spiazzando Lydia.
Non aveva mai chiesto a Lance di cosa si occupasse il padre, tra una cosa e l’altra l’argomento non era mai uscito, ma in fondo Lydia non sapeva neanche dell’esistenza di Caitlin prima di arrivare lì. Eppure avendo conosciuto il signor O’Brien nelle ultime settimane non si sarebbe mai aspettata che si trattasse di un artista.
«Ho iniziato a dipingere quasi per gioco» raccontò iniziando a spulciare tra le tele coperte da un velo di polvere «Piccoli schizzi sui libri di scuola. Poi ho scoperto che disegnare mi aiutava a calmare la rabbia immensa che provavo in quei tempi, ed è sempre stato così da allora. È stato dipingere che mi ha aiutato a superare il periodo in cui sono stato diseredato dalla mia famiglia, e condannato da mio cugino. Dipingere e Rose, naturalmente.» aggiunse con un sorriso sollevando una tela raffigurante una giovanissima signora O’Brien. «È stato proprio lei ad incoraggiarmi a diventare un artista e vendere i miei dipinti.» Lydia fece scorrere il dito tra le varie tele raggruppate, spostandole di qualche centimetro per poterle intravedere. Il suo indice si bloccò quando scorse una figura famigliare. Prese per i bordi la tela e la sollevò. La luce del sole illuminò Hogwarts. La scuola era rappresentata nei minimi particolari. La torre di Astronomia, il cortile anteriore, la Sala Grande, la scalinata che saliva dall’ormeggio per le barche, le finestre illuminate. Lydia riconobbe la scena con un tuffo al cuore. Questa era la prima immagine che tutti gli studenti avevano di Hogwarts. Era la vista che si apriva davanti agli occhi di tutti i ragazzi del primo anno durante il breve tragitto in barca sul Lago Nero. Un ricordo riaffiorò nella mente di Lydia. Lei e Lance a undici anni che si stringevano la mano per la prima volta. Poi il suo sguardo si abbassò verso l’angolo inferiore della tela. Era firmata Dorian de Montfort. Le sembrava di aver già letto quel cognome da qualche parte.
«È il cognome di Rose.» Lydia aveva inavvertitamente pronunciato il nome ad alta voce. «Quando ho iniziato a vendere i miei dipinti eravamo in fuga dal mondo magico. E come misura preventiva ho deciso di firmare tutte le mie opere con il cognome di mia moglie. Il mio orgoglio mi ha impedito di utilizzare un nome falso. È stato un caso o una grande fortuna che nessuno ci abbia mai scoperti prima del nostro ritorno nel mondo magico.»
Lydia lasciò scivolare la tela al suo posto. «Non deve essere stato facile.»
«Lasciare il mondo della magia? È stato più semplice di quanto potessi mai immaginare. Per me avere Rose e in seguito Duncan, Lance e Caitlin era tutto quello che mi serviva. Siamo tornati solo per loro. E guarda dove siamo finiti.» disse con un certo rammarico.
Lydia non commentò. In fondo anche lei nell’ultimo anno e mezzo aveva desiderato più volte la stessa cosa. Non aver mai ricevuto il gufo con la lettera per Hogwarts. Poter essere una ragazza normale in un mondo normale. Ma aveva anche imparato a sue spese che concentrarsi su pensieri del genere non portava altro che ad ansie e attacchi di panico. Costrinse la sua mente a focalizzarsi su qualsiasi altra cosa che non fosse quello per evitare di cadere nelle tenebre. Ma ora che la diga si era rotta sarebbe stato impossibile arginarla. Doveva uscire da lì. Doveva prendere una boccata d’aria. «Ora devo andare.» disse semplicemente. Una bugia facilmente riconoscibile anche dal signor O’Brien considerando che era appena tornata da un’uscita e non vi erano altre incombenze imminenti. Eppure l’uomo non disse una parola, si limitò ad un cenno del capo che Lydia non vide neppure, essendosi già buttata verso la porta.
Scese i gradini due alla volta, la sua meta era il giardino e la fredda aria autunnale, ma una volta giunta al piano terra si ritrovò inconsciamente a deviare verso le scale che portavano al seminterrato.
Il laboratorio di Lance era ancora più fumoso del solito. L’esatto contrario dell’aria fresca che aveva tanto desiderato, eppure appena Lydia vi mise piede, il suo cuore le parve rallentare e i suoi polmoni espandersi. Un profumo di rosmarino aleggiava nell’aria.
Lance non si accorse neanche del suo arrivo. Era piegato sul calderone di peltro appeso sopra un fuoco vivace. Lydia si avvicinò abbastanza da intravedere la pozione dorata che bolliva al suo interno prima di accomodarsi su una poltroncina all’angolo della stanza, accanto ad una fila di calderoni. Lydia respirò a pieni polmoni. Un bruciore allo stomaco e il successivo irrigidimento di tutti i muscoli le confermò che gli effetti della Pozione Polisucco stavano svanendo lasciando il posto ai suoi veri tratti. La sua mano corse verso il viso, sotto il pollice percepì il famigliare solco della cicatrice. Ormai era diventata un’abitudine. Il ritorno della cicatrice segnalava per lei l’essere tornata completamente se stessa. Chissà cosa avrebbe fatto la bambina se si fosse vista comparire davanti Lydia nella sua vera forma dopo aver dovuto assistere alla cattura dei suoi genitori. Era così spaventata. E Lydia si era sentita completamente inutile. Se non fosse stato per Duncan ora sarebbero stati ancora in quell’appartamento, per quanto le costasse ammetterlo. E Lydia ripensò che non era la prima volta che si sentiva inutile nei confronti dei bambini. Nelle ultime settimane di convivenza le era capitato di trovarsi davanti a bambini in lacrime, con la nostalgia di casa e della loro famiglia, e lei non aveva mai saputo cosa dire per consolarli. Aveva provato solo un grande senso di imbarazzo e poi li aveva indirizzati tutti verso la signora O’Brien.
«Sei pensierosa.» Lydia alzò la testa di scatto. Lance era ancora concentrato sulla sua pozione, la mischiava con gesti decisi ma delicati.
«È stata una giornata difficile.» Non sapeva come altro definirla.
Lance iniziò a girare il mestolo in senso antiorario. «Duncan è passato prima a portarmi le foglie e mi ha raccontato tutto.»
«Ti ha raccontato proprio tutto?»
Il volto di Lance si adombrò. «Penso proprio di sì.»
«Mi ha fermata. Avrei potuto aiutarli.» sbottò Lydia.
«Lo so. Avrei fatto la stessa cosa. Però…»
Lydia inarcò le sopracciglia. «I tuoi però non promettono mai nulla di buono.»
Lance non staccò gli occhi dalla pozione. «Penso solo che non abbia avuto tutti i torti a fermarti.»
«Cosa!?»
«Non fraintendermi!» si affrettò ad aggiungere Lance «Mi sarei comportato come te se fossi stato lì con voi!»
«Avresti dovuto esserci.»
«E ora saremmo morti o catturati. E non so quale delle due opzioni sia la peggiore.»
Lydia non poteva credere alle sue orecchie. «Stai seriamente dicendo che sei d’accordo con tuo fratello?» Lanciò un’occhiata sospettosa al pentolone. «Forse gli effluvi di quella pozione ti stanno affumicando il cervello.»
«Dico solo che forse Duncan è stato più previdente di quanto noi avremmo mai potuto essere.»
«E quei due ci sono andati di mezzo. Chissà dove saranno ora… E per colpa di Duncan ora abbiamo al piano di sopra una bambina senza più genitori.»
Lance contò fino a dieci e poi fece cadere una delle preziose foglie di Biancospino nel calderone. La pozione sfrigolò e bolle dorate si innalzarono riempiendo la stanza. Lydia alzò il cappuccio della felpa per evitare che le finissero nei capelli come era successo con la pozione Invecchiante al sesto anno. Non era stato un bello spettacolo. Lance contò di nuovo fino a dieci e aggiunse una seconda foglia, scatenando una nuova ondata di bolle. Quando arrivavano al soffitto o contro i muri, al posto di scoppiare, rimbalzavano come palline da tennis. Una atterrò sul braccio di Lydia, che agitò la mano e le fece riprendere il volo. «Lo so.» disse poi Lance approfittando del momento di pausa dalla pozione per continuare il discorso.
«E quello che stiamo facendo qui non è cercare di salvare più persone possibili quando ne abbiamo la possibilità?»
Lo sguardo di Lance era perso nel vuoto. «Sto solo pensando ad una cosa che mi ha detto Duncan qualche mese fa, quando abbiamo deciso di iniziare a dare rifugio ai bambini.»
Lydia sbuffò ironica. «Sentiamo questa perla di saggezza.»
«Mi ha detto che deve esistere un limite tra il salvare le persone e salvare noi stessi e che c’è un momento nella vita in cui bisogna capire quando rinunciare all’altruismo per poter sopravvivere. Penso che per te quel momento sia stato oggi e se non fosse stato per Duncan ora avresti sacrificato te stessa per salvare loro.»
«E allora?» sbottò Lydia, pentendosi immediatamente quando vide lo sguardo preoccupato di Lance posarsi su di lei.
«Lydia…»
«Non intendevo quello.» lo bloccò Lydia, distogliendo però lo sguardo.
«Lydia, ne dovremmo parlare…»
«Non ho bisogno di parlare!» la voce di Lydia era pericolosamente alta. Altre bolle rimbalzarono sul suo cappuccio sollevato.
Lance le si avvicinò, attraversando la stanza piena di bolle. «E invece penso di sì. Non ti ho chiesto niente fino ad adesso, lo capivo che non ne volevi parlare e ho fatto finta di niente proprio come volevi tu. Ma prima Alice e il Ministero, adesso questo. Cosa ti è successo, Lydia?»
La domanda colpì Lydia come un pugno allo stomaco facendole mancare il fiato.
«Ti prego, Lydia, voglio solo aiutarti.» la implorò Lance inginocchiandosi davanti alla sua sedia e prendendole una mano.
Ma Lydia non riusciva a respirare. Gli diede una spinta e si alzò di scatto. «Non ho bisogno del tuo aiuto.» Era una bugia e Lydia lo sapeva, probabilmente anche Lance lo aveva capito. Lydia aveva bisogno dell’aiuto di Lance, ne aveva bisogno ormai da tanto tempo. Ma non avrebbe accettato di essere aiutata da nessuno. Mesi fa si era fatta una promessa. La promessa di portare solo sulle sue spalle il dolore e la colpa che provava, e non aveva intenzione di venire meno a quella promessa. Almeno una la doveva mantenere. E così voltò le spalle a Lance ed uscì dal laboratorio.
Quando la porta si richiuse alle sue spalle le bolle esplosero all’unisono, cospargendo la figura immobile di Lance di polvere dorata.
 



Curiosità: So che nel flashback di inizio capitolo Lance può sembrare diverso dal solito o, come direbbero gli inglesi, 'out of character', ma c'è un motivo preciso ed è legato alla data in cui avviene la discussione. Vi raccomando di tenerla a mente, potrebbe presto tornare...  

Note: Grazie a tutti voi che state seguendo la storia, grazie per le vostre letture, le recensioni e grazie a tutti voi che avete inserito 'Piume di Cenere' tra le vostre storie seguite, preferite o da ricordare!

Un abbraccio e alla prossima settimana!
Emma Speranza
 
'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 
  

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 - Mostri ***


Capitolo 16
Mostri
 

Lydia Merlin aveva dato un pugno a Lance O’Brien per una partita di Quidditch.
Ovviamente con quel pugno Lydia si guadagnò un mese intero di punizione e il terribile ricordo della professoressa McGranitt infuriata per il suo comportamento «estremamente infantile», ma ebbe anche una soddisfazione: Lance O'Brien dovette scontare anche lui due settimane di punizione, per aver incoraggiato la rivalità tra le Case «che dovrebbe limitarsi alle sole partite di Quidditch». Il problema era che Lydia aveva espresso ad alta voce la sua contentezza con un bel «Prenditi questa!» La professoressa McGranitt non aveva particolarmente gradito e li aveva scacciati dal suo ufficio allungando le punizioni di altre due settimane.
«Ma io non ho detto niente.» aveva protestato Lance alla porta che si era chiusa alle loro spalle.
«Così impari ad insultare Grifondoro.» aveva risposto Lydia con un sorrisetto.
 
Lydia non trovò più così divertente quella situazione quando la sera stessa si trovò immersa fino ai gomiti di ‘Schiuma mille bolle per tutti i tipi di superfici’.
«E comunque è tutta colpa tua.»
«Mia?» ribatté Lance «Sei tu ad avermi dato un pugno!» L’occhio nero risaltava sul suo viso, donandogli l’aspetto di un panda biondo.
«Ma sei tu ad avermi provocata.»
Lance fu sul punto di ribattere, aveva già il fiato pronto nei polmoni, ma poi espirò con un sospiro. «Siamo stati stupidi.»
«Ehi!» esclamò Lydia, offesa.
Lance si limitò a scuotere la testa e tornare a sfregare il pavimento, con una lentezza tale che se fosse stato da solo si sarebbe diplomato prima di pulire l’intera stanza come ordinato da Gazza. Si trovavano in una stanza del quinto piano mai vista prima, sui suoi muri erano conservati quadri di ogni genere. Mentre li condannava alla loro punizione, Gazza aveva affermato che quelli erano tra i più prestigiosi dipinti della scuola e per questo la stanza in cui erano contenuti doveva essere pulita con la massima attenzione e senza l’utilizzo della magia. Lydia aveva ribattuto che allora non era una grande idea affidarla a due ragazzini di undici anni. Gazza, in risposta, aveva lanciato ai loro piedi secchi e spugne e li aveva minacciati, ordinando che il pavimento doveva brillare al suo ritorno. «Oppure…» aveva aggiunto con un sogghigno malvagio. Lance era rabbrividito, era da anni che suo fratello gli raccontava come storia dell’orrore delle manette e catene che il custode teneva gelosamente nel suo ufficio. Lydia al contrario, aveva semplicemente scrollato le spalle, per nulla impressionata. E poi si erano messi al lavoro. Solo che il lavoro sarebbe stato più lungo ed estenuante di quanto Lydia avesse inizialmente prospettato. Il pavimento era a dir poco lercio, anni se non decenni di sporco ricoprivano le piastrelle, rendendo impossibile identificarne il colore originale, anche dopo due passaggi con lo straccio impregnato di detergente magico.
«Qui c’è scritto ‘per ogni tipo di incrostazione’» borbottò stizzita Lydia, agitando il tubetto di detergente.
«La mamma dice che quello della MagicBells non vale niente.» Lance strizzò lo straccio nel secchio e l’acqua che ne uscì era nera come pece.
«Persino nelle scuole di magia puntano al risparmio.» brontolò Lydia. Presa dallo sconforto, versò nel secchio un’altra generosa dose di detergente, nella speranza che potesse compiere il miracolo e permetterle di lasciare quella stanza entro la maggiore età. Se ne pentì all’istante. «Oh, oh.» Il secchio iniziò a ribollire. Anche Lydia, cresciuta tra i babbani, sapeva perfettamente che non era normale. L’acqua al suo interno fumava e vorticava, creando uno slancio tale da far tremare anche il secchio stesso come se fosse una trottola impazzita.
Lance scattò in piedi e si allontanò dal secchio trasformatosi in un ordigno pronto a colpire. «Cosa hai fatto!?»
«Non lo so!»
«Non bisogna mai usarne più di un misurino per ogni due litri d’acqua!»
«E che ne sapevo io?» esclamò Lydia, senza mai distogliere lo sguardo dal recipiente, che aveva iniziato a ruttare bolle grandi come palline da tennis. Una di esse colpì Lance in pieno petto. Il punto della divisa colpito si decolorò all’istante.
Lance e Lydia si scambiarono un’occhiata di puro orrore. «Dobbiamo fermarlo!»
«Ma va?» rispose Lydia con troppo sarcasmo. Si abbassò di scatto per evitare una nuova ondata di bolle di sapone che colpirono al suo posto uno dei quadri alle sue spalle. Il paesaggio lacustre rappresentato perse all’istante ogni colore, diventando lo spettro di quello che era stato fino a pochi secondi prima. Dei gabbiani stridettero la loro protesta sollevandosi in volo nel cielo ormai grigio.
«Dobbiamo salvare i quadri!» gridò Lance. Si gettò su uno dei ritratti e cercò di staccarlo dal muro, per scoprire che la cornice era incollata indissolubilmente alla superficie ed impossibile da spostare. L’unica loro fortuna era che tutti i protagonisti dei ritratti erano stati invitati alla festa di compleanno di Oscar Wilde che si stava tenendo nella taverna di Robin Hood, in un quadro al settimo piano. Almeno non sarebbero rimasti colpiti dalle bolle, anche se sicuramente non sarebbero stati particolarmente entusiasti al loro ritorno quando avrebbero scoperto che le loro dimore erano diventate in bianco e nero. Ma a Lydia bastava per non sentirsi in colpa per le parole che pronunciò: «Ma che quadri? Dobbiamo salvarci noi!» Si gettò verso la porta e la salvezza del corridoio.
«Torna qui!» provò a fermarla Lance. Un’altra bolla lo colpì su una manica.
«Non ci tengo a farmi decolorare!» urlò Lydia di rimando, già fuori dalla stanza e senza la minima intenzione di rimetterci piede.
Lance spogliò il mantello della divisa e lo usò come scudo per proteggersi dal secchio impazzito. «Ma sei stata tu a combinare questo disastro!»
La descrizione della sua vita. Non che avesse intenzione di ammetterlo. «Se proprio vogliamo essere precisi è colpa della professoressa McGranitt e di Gazza che hanno lasciato da soli due studenti del primo anno con quelle armi di distruzione.» replicò infatti Lydia «Non penso che sia neppure legale.»
«Cosa sta succedendo?»
Lydia fece un salto per lo spavento. Uno studente era comparso alla fine del corridoio. Indossava la spilletta da Prefetto e la divisa verde e argento tradiva la sua appartenenza a Serpeverde. Ci mancava solo quello.
«Niente.» rispose con la voce più innocente che riuscì a produrre. In teoria non era una bugia. In quell’esatto momento Lydia non stava effettivamente facendo nulla. Ma il Prefetto non dovette crederle perché continuò ad avvicinarsi con un’espressione minacciosa. Quando la affiancò e si voltò verso la stanza dei ritratti, rimase a bocca aperta dall’orrore.
«Ma che diavolo…?»
Lance si immobilizzò, il mantello ancora sollevato nel tentativo di difendere se stesso e i preziosi quadri dalle bolle. Un lampo di terrore gli attraversò il volto. «Ciao.» disse in un sussurro.
Il Prefetto continuava a fissarlo con gli occhi sgranati «Cosa stai combinando?»
Lance aprì e chiuse la bocca per diverse volte, come se stesse valutando in che modo potesse descrivere un tale disastro senza finire in ulteriori guai. Lydia voleva dirgli che poteva evitarsi il disturbo, era semplicemente impossibile. «Non è come sembra.» rispose infine Lance.
L’espressione di orrore del Prefetto si trasformò in un ghigno «A me sembra solo che vi siate cacciati in un mare di guai.»
Il secchio decise che quello era un ottimo momento per eruttare una nuova ondata di bolle. Doveva odiare proprio tanto Lydia e Lance.
«Ti prego, non dirlo a nessuno.» supplicò Lance con voce sottile.
Il sogghigno del Prefetto si allargò a sentire le sue implorazioni. «Penso proprio che la professoressa McGranitt debba essere subito informata.» e con un ultimo sorriso sprezzante se ne andò, lasciando Lydia e Lance di nuovo da soli con il secchio-vulcano.
«Ma chi si crede di essere?» sbottò Lydia. Se la professoressa McGranitt avesse scoperto i danni che avevano causato, la loro punizione si sarebbe davvero protratta fino al diploma.
«È mio fratello.» rispose Lance mestamente.
«Mi dispiace.» disse Lydia con sincerità.
«È la mia fine.» Lance fissava il punto in cui si trovava suo fratello fino a pochi secondi prima, ancora sotto shock. Sembrava che stesse rivivendo la sua vita prima della sua inevitabile dipartita per mano del fratello. «Se Duncan lo dice a mamma e papà, domani mattina mi troverò una Strillalettera come colazione. Senza contare la professoressa McGranitt. Lei ci trasfigurerà direttamente in rospi, e poi ci donerà al professor Piton come regali di Natale per farci diventare ingredienti di Pozioni. Sai in quante pozioni servono le code di rospo? Innumerevoli, troppe. Talmente tante che il professor Piton ha di sicuro una colonia di rospi da qualche parte nei sotterranei. E molti di loro erano studenti incoscienti come noi, ne sono sicuro.»
«Non è detto che debba finire così.»
Lance si riscosse dalla sua agonia per lanciarle un’occhiata dubbiosa. «Pensi davvero che la McGranitt ci lascerà andare senza altre punizioni dopo tutto questo?» Allargò le braccia per indicare la stanza invasa di bolle.
«No. Ci trasformerà davvero in qualche essere ripugnante se ci scoprirà, ma è proprio questo il punto. Accadrebbe solo se ci scoprisse.»
Lance esitò, poi sospirò rassegnato. «Almeno saremo utili a qualcuno. Diventare ingredienti per pozioni non sarà poi così male.»
Lydia emise un verso esasperato. «Non ti devi preoccupare di niente. Ho un piano.» e rientrò nella stanza. Strappò il mantello di Lance dalle sua mani e lo avvolse attorno al secchio, chiudendolo infine con un nodo.
«Cosa?» balbettò Lance.
«Apri la finestra.» Per fortuna Lance si riscosse abbastanza velocemente da obbedire ai suoi ordini. Le bolle iniziarono ad uscire nell’aria notturna appena spalancò la finestra. Il secchio intrappolato nel mantello invece aveva iniziato a tremare incontrollabilmente. Lydia fece appena in tempo a lasciare cadere il secchio dalla finestra, cercando di lanciarlo il più lontano possibile dalle mura. Precipitò per alcuni metri e poi… BUM!
L’esplosione scosse il vetro della finestra. Frammenti di mantello e secchio volarono leggiadri nell’aria notturna, scomparendo alla loro vista. Lance e Lydia assistettero alla scena appoggiati al parapetto della finestra. Poi Lydia si raddrizzò, sfregò le mani e disse semplicemente. «Fatto.»
Lance la fissò inorridito e poi il suo sguardo di orrore si indirizzo verso l’interno della stanza, in particolare ai cerchi bianchi e neri sui muri e sui quadri.
«Eccoli!» esclamò Duncan ricomparendo alle loro spalle. Una figura alta e sottile era al suo fianco. Non era la professoressa McGranitt.
«Buonasera signorina Merlin, signor O’Brien.»
Era Albus Silente.
Tutta la sicurezza provata da Lydia fino a quel momento si sgretolò in un istante. Era finita. La sua breve carriera scolastica era ufficialmente finita. Per un istante rimpianse la prospettiva di essere trasformata in un rospo. Fu solo lo sguardo vittorioso di Duncan che l’aiutò ad indossare una maschera di indifferenza, chiudere la finestra e dire «Buonasera, professor Silente.» con una tranquillità che non possedeva. Lance al contrario, fissava il Preside e pareva essere sul punto di crollare a terra esamine. Forse un suo svenimento li avrebbe aiutati ad uscire da quel guaio infinito.
Duncan invece gongolava nel vedere il terrore di suo fratello. «Stavo cercando la professoressa McGranitt quando mi sono imbattuto nel Preside. Ho pensato che fosse interessato a sapere cosa sta succedendo nel suo castello. Come le avevo detto, eccoli, proprio sulla scena del crimine.» continuò poi rivolto a Silente.
Il professor Silente si erse in tutta la sua statura, sovrastando i suoi tre studenti. Ecco. Era arrivato il momento. Sarebbero stati espulsi, oppure con un po’ di fortuna sarebbero stati comunque trasformati in ingredienti di pozioni. Lydia si immaginò già come ranocchia con un fiocchetto natalizio attorno al collo. «Lei mi aveva detto che la signorina Merlin e il signor O’Brien stavano operando atti di vandalismo nella stanza dei ritratti.»
«Esatto.» confermò Duncan, pregustandosi ciò che sarebbe accaduto.
«Io non vedo nulla di tutto ciò.»
Lydia spalancò la bocca, Lance parve ancora di più sul punto di svenire, mentre Duncan si voltò incredulo verso il professor Silente e poi di nuovo verso di loro, per accertarsi di non essere in preda alle allucinazioni. Ecco cosa doveva essere, pensò Lydia, un’allucinazione dovuta agli effluvi della ‘Schiuma mille bolle per tutti i tipi di superfici’. Lo sguardo del professor Silente cadde sull’angolo della stanza, in particolare sulla confezione del detergente causa di tutti i loro mali. Nella fretta di far sparire le prove del crimine, Lydia aveva dimenticato la più importante e la causa della sua prossima fine ora che era stata vista anche dal Preside. Lui, il più grande mago degli ultimi secoli, genio sconfinato del mondo magico, di sicuro conosceva gli effetti collaterali di un uso eccessivo di detergente. E infatti si passò una mano sulla barba. Lydia chiuse gli occhi, pronta a trascorrere il resto della sua breve esistenza come rana.
«Anzi,» continuò imperterrito Silente «penso che lei dovrebbe prendere ispirazione da questi due giovanotti.»
«Ispirazione?»
«Per il loro incredibile spirito d’iniziativa! I ritratti qui presenti erano stati rinchiusi in questa stanza per il loro poco fascino. Sono stati donati alla scuola dalla famiglia Harris, nello specifico da Eurence Harris, era un genio della Trasfigurazione ma non ha mai avuto particolare intuito in fatto d’arte.»
«Ma… ma loro li hanno rovinati!» balbettò Duncan.
«Rovinati? A me sembrano invece più belli che mai. Il contrasto tra i colori vividi e gli sprazzi in bianco e nero donano un giusto equilibrio tra vecchio e nuovo, sogno e vita.» Il professor Silente tornò a rivolgersi a Lydia e Lance. «Grazie a voi questa stanza non sarà più motivo di vergogna per questa scuola e unica macchia sul mio immacolato curriculum, umilmente parlando, come Preside di Hogwarts. Forse un giorno sarò ricordato proprio come il Preside che è riuscito a riqualificare la stanza dei quadri di Eurence Harris. Adesso però devo proprio andare, mi stavo dirigendo negli uffici del professor Piton per un problema di scarsità di ingredienti quando sono stato fermato dal vostro inflessibile Prefetto. A tal proposito, signor O’Brien,» continuò richiamando l’attenzione di Duncan, ancora intento ad osservare la scena come se fosse un film dell’orrore. «nel giungere fino a qui mi è parso di vedere due studenti al quinto piano. Le dispiacerebbe andare a controllare? Il coprifuoco è scattato ormai da un’ora e le mie gambe non sono più quelle di una volta. Tutte queste scale sono una vera tortura per le mie giunture.» Duncan boccheggiò ed indicò Lydia e Lance. «Non si preoccupi per loro.» continuò il professor Silente «Sapranno certamente ritrovare le rispettive Sale Comuni anche senza il nostro aiuto.» Rivolse ai due ragazzi un occhiolino e il movimento della barba diede loro l’impressione che stesse ridacchiando; poi si allontanò dal corridoio, portando Duncan con sé.
Lydia e Lance rimasero fermi a fissare la porta per cinque minuti, ancora convinti di aver appena avuto un’allucinazione condivisa, o aver assistito ai primi sintomi di demenza senile del grande Albus Percival Wulfric Brian Silente.
Quando Lydia abbassò infine lo sguardo scoprì che il pavimento era lindo e talmente lucido da riuscire a specchiarvisi.
«Non è andata poi così male.»
Lance si riscosse dalla sua trance e si voltò verso di lei. «È stato fantastico!» urlò alzando le braccia, gli occhi che brillavano dalla gioia. «Hai visto la faccia di Duncan?»
«Da pesce lesso.» rise Lydia.
«E il professor Silente…»
«‘Il contrasto tra i colori vividi e gli sprazzi in bianco e nero donano un giusto equilibrio tra vecchio e nuovo, sogno e vita’» L’imitazione di Lydia era goffa e poco rassomigliante, ma bastò a farli scoppiare a ridere.
«Non ci posso credere!»
«Nemmeno io!»
Lance chiuse gli occhi per rivivere il momento surreale appena vissuto e goderselo di nuovo. Il suo sorriso si incrinò. «Magari fosse sempre così. Duncan sarà furioso…. Vorrà vendicarsi.»
«E allora che lo faccia.» replicò Lydia, attirandosi un’occhiataccia da parte di Lance. «Che ci provi.» continuò imperterrita la bambina «Noi sapremo come difenderci.»
«Noi?» Lance non riuscì a trattenere la sorpresa.
Lydia annuì. «Non penserai davvero che ti lascerò nelle sue grinfie? Preparati. Da domani inizierà la nostra di vendetta.»
E Lance si sentì avvolgere da una felicità che non provava da troppo tempo.
Fu così che il giorno in cui Lydia Merlin colpì con un pugno Lance O’Brien, fu anche quello in cui iniziò la loro preziosa amicizia.
 
 
La brezza soffiava leggera sul volto di Lydia. Era metà novembre e quell’inverno si stava preannunciando particolarmente rigido, ma in quel momento a Lydia non importava. Fece un balzo e raggiunse il suo posto all’ombra di un frassino. Rovistò nella borsa ed estrasse tre vasetti di marmellata vuoti, svitò i coperchi e con un colpo di bacchetta accese un fuocherello in ognuno di essi. L’aria iniziò subito a riscaldarsi. Lydia si accomodò meglio, controllò di avere ancora la sua preziosa piuma in tasca, e poi strinse le gambe al petto ed appoggiò la schiena al tronco dell’albero.
La casa di fronte a lei era silenziosa. Solo dei piccoli movimenti si intravedevano da dietro le finestre coperte da alcune tendine di pizzo. Era ancora presto. Quella figura che si muoveva in cucina doveva essere sua nonna. Aveva l’abitudine di svegliarsi all’alba a bere la sua prima tazza di caffè, per poter poi mentire alla famiglia e berne una seconda con tutti loro. Lydia sorrise. Lo sapevano tutti, eppure facevano finta di nulla. Adorava le colazioni a casa di sua nonna e le faceva male non poter bussare alla porta e chiedere anche lei una tazza di caffè.
I signori O’Brien erano stati molto comprensivi quando qualche settimana prima Lydia aveva chiesto di poter andare a controllare la sua famiglia. Anzi, il signor O’Brien si era offerto di accompagnarla, forse per premiarla per aver condiviso il suo desiderio con loro e non essere semplicemente uscita di casa senza avvisare nessuno. In realtà la prima opzione di Lydia era stata proprio quella, ma poi aveva pensato al terrore che avrebbe provocato una sua improvvisa sparizione e si era trovata costretta a chiedere il permesso. O meglio, dichiarare le sue intenzioni. Sarebbe andata in qualsiasi caso, ma la compagnia del signor O’Brien era stata utile. Il mago infatti le aveva costruito una specie di rifugio magico proprio nel prato accanto alla casa di sua nonna, all’ombra del frassino. Una bolla circondata da talmente tante protezioni che nessuno l’avrebbe mai potuta vedere, o entrarci per sbaglio. Aveva anche controllato le barriere attorno alla casa di sua nonna. «Sono stato qui la notte stessa in cui hai deciso di unirti a noi e ho aggiunto alcuni degli incantesimi di casa O’Brien. Sono ancora integri e dovrebbero reggere per lungo tempo.» Lydia non aveva saputo come ringraziarlo.
E così Lydia aveva iniziato a trascorrere alcune ore alla settimana a controllare la sua famiglia, nonostante i signori O’Brien fossero stati ferrei sulle regole da seguire: doveva sempre avvisare quando usciva e rimanere fuori solo per un’ora, per non correre rischi inutili. Un minuto in più e sarebbero arrivati loro a trascinarla a casa. Per una volta Lydia non aveva protestato. Quella mattina aveva raggiunto il signor O’Brien in cucina per avvisarlo che avrebbe saltato la colazione. Lui non l’aveva fermata, sapeva quanto gli ultimi giorni fossero stati difficili, e non solo per loro ma per tutti gli abitanti di casa O’Brien.
L’arrivo dell’ultima bambina aveva destabilizzato gli equilibri. La bambina non aveva pronunciato una parola da quando l’avevano incontrata in quel sottoscala ormai quasi una settimana prima. Il signor O’Brien era riuscito a scoprire il suo nome solo grazie ai documenti rinvenuti nella casa distrutta, un Revelio lo aveva aiutato a capire quali fossero gli originali. Beatrix Harris, questo era il suo nome. Una breve ricerca sfruttando le conoscenze di Anthony li aveva informati che l’uomo e la donna che erano stati catturati non erano i genitori della bambina, come avevano pensato Duncan e Lydia, ma gli zii. I loro nomi erano contenuti nella lista dei ricercati portata a casa da Lydia. Nonostante i giorni ormai trascorsi però, Beatrix era ancora rinchiusa nel suo silenzio, alternato a momenti in cui scoppiava in lacrime e nessuno riusciva a consolarla, per quanto ci provassero. Il problema principale era che a vedere lei così triste, anche l’umore degli altri bambini si era guastato. Il tutto era culminato la sera prima a cena. Emily Coleman aveva iniziato a piangere appena seduta a tavola e con una reazione a catena anche i volti degli altri bambini si erano riempiti di lacrime. Per quanto fossero sempre capitati momenti di nostalgia, non era mai successo che colpisse tutti ed in un modo così inconsolabile. Gli adulti (Lydia compresa) avevano tentato in tutti i modi di farli tranquillizzare ma infine avevano rinunciato e la maggior parte dei bambini non aveva mangiato neanche un boccone preferendo andare a letto senza cena. Lydia era rimasta seduta sul lettino di Henry ad accarezzargli la fronte fino a quando era crollato, il cuscino intriso di lacrime. In quel momento Lydia aveva provato nuovamente quel senso di impotenza sentito per la prima volta davanti alla bambina chiusa nel sottoscala abbracciata al suo gattino. Era stato quello il motivo che l’aveva spinta, dopo una notte insonne, ad andare a controllare la sua famiglia.
La nostalgia dei bambini l’aveva contagiata. Le piaceva stare a casa O’Brien, più di quanto avrebbe potuto immaginare quella sera di agosto in cui vi aveva messo piede per la prima volta, ma allo stesso tempo avrebbe voluto poter entrare a casa di sua nonna ed abbracciare i suoi genitori.
La luce delle scale si accese e dopo qualche secondo intravide suo padre fare il suo ingresso in cucina. Fu sul punto di alzarsi e correre a suonare al campanello. Ne aveva bisogno. Ad ogni visita infilava una lettera nella cassetta della posta, per dire alla sua famiglia che lei stava bene e non dovevano preoccuparsi. E se per quella volta si fosse presentata di persona?
La risposta alla sua domanda arrivò sotto forma di sua zia, che comparve dalle scalette sul retro che portavano al mare. Un brivido attraversò il corpo di Lydia, facendole trattenere il fiato fino a quando sua zia ruotò le chiavi nella porta d’ingresso ed entrò in casa. La luce delle scale si riaccese. Quella visione fu abbastanza da convincere Lydia a non abbandonare il suo posto nella bolla. Era meglio così. La sua famiglia era più al sicuro senza lei attorno ad attirare l’attenzione. E la loro serenità le importava di più della sua nostalgia.
L’orologio sul suo polso ticchettava. Lydia sapeva che si stava avvicinando l’ora di tornare a casa O’Brien ed affrontare la giornata. Eppure se ne stava ferma sotto a quell’albero, in attesa. Lo sciabordio delle onde si levava fino a lei, riempiendo il silenzio della mattina, e le donava un senso di tranquillità che negli ultimi giorni era difficile trovare a casa O’Brien. Tranne nell’orto e nel laboratorio di Pozioni, ma Lydia aveva deciso di tenersene alla larga per qualche tempo. Per fortuna Lance era stato ancora impegnato con le sue pozioni e lo sarebbe stato anche nel prossimo periodo considerando che doveva rifornire le scorte di tutte e tre le Case Sicure. La distanza di quei giorni però non aveva attenuato la tensione del loro ultimo incontro.
Lydia si sfregò gli occhi.
Quanto avrebbe voluto tornare indietro e non pronunciare mai quelle parole. Eppure una parte di lei si sentiva sollevata. Era come se si fosse levata un grosso macigno dal petto. Il problema era che, a giudicare dall’espressione preoccupata sul volto di Lance ogni volta che lo aveva incrociato, quello stesso peso si era infranto su di lui. Lydia sospirò. Avrebbe dovuto parlargli, lo sapeva. Tranquillizzarlo, assicurargli che non aveva intenzione di fare nessuna pazzia. Ma forse Lance aveva ragione. Magari inconsciamente Lydia si era buttata a capofitto in situazioni pericolose per mettere a tacere quel sempre presente senso di colpa. Lydia scosse la testa. No, se fosse stato così allora avrebbe accettato anche la proposta di Paul, con quella sì che avrebbe avuto poche speranze di sopravvivenza.
La porta d’ingresso si aprì. Il padre di Lydia corse fuori, guardava l’orologio e non si era accorto di aver messo il cappello al contrario. Suo papà era un ritardatario cronico. Salì di corsa sulla macchina della nonna, una decappottabile rossa che era da sempre il sogno di Lydia, e sgommò verso la strada. Lydia immaginò che stesse andando al suo nuovo lavoro. L’ultima volta che era andata a controllarli, lo aveva visto partire con il modellino di una piramide azteca, il che doveva significare che era riuscito a farsi assumere come insegnante in qualche scuola nei dintorni. Era stato un gran sollievo per Lydia scoprire che i suoi genitori erano riusciti a trovare un impiego dopo aver dovuto abbandonare posti di lavoro che occupavano da anni per scappare con lei. Sua madre lavorava in banca e le era bastata qualche telefonata per farsi spostare in una filiale in un paese a pochi chilometri di distanza da quello della nonna. Suo padre invece era partito senza prospettive. Il senso di colpa aveva annegato Lydia quando suo padre aveva consegnato la lettera di dimissioni con effetto immediato. Sapeva quanto amasse insegnare, un affetto condiviso anche dai suoi studenti. I bambini delle elementari in cui insegnava lo adoravano, complice il fatto che molte volte si presentava a lezione con il suo gufo o con storie magiche. Le prime volte Lydia aveva protestato temendo un intervento da parte del Ministero della Magia, poi aveva scoperto quanto poco interessasse agli agenti del Ministero quello che faceva un semplice babbano.
La porta sul retro si aprì e sua nonna uscì in giardino avvolta nel suo scialle e apparentemente insensibile al freddo. Ovviamente aveva aspettato che il figlio uscisse di casa prima di uscire a sua volta vestita così. Lydia si ritrovò a sorridere, sapeva quanto suo padre, l’uomo più pacato del mondo, si infuriava quando vedeva la nonna infischiarsene dei possibili danni alla sua salute. La nonna iniziò a tagliare i rami più lunghi delle sue rose, per prepararle all’inverno imminente. E di nuovo Lydia si trovò a desiderare di poter correre da lei e aiutarla.
Con un sospiro svitò i tappi dei vasetti da marmellata e spense i tre fuochi, appoggiandoli poi in uno spazio vuoto alla base del tronco, ricavato da una radice leggermente sollevata. Ispezionò un’ultima volta le protezioni attorno alla bolla e alla casa, e poi applicò un incantesimo di Disillusione su se stessa, rabbrividendo nel sentire la magia scorrerle sugli arti fino ad arrivare alla punta dei piedi. Diede un’ultima occhiata a sua nonna, ancora al sicuro nel giardino e intenta a proteggere amorevolmente le sue rose. Le lanciò un bacio. Sua nonna continuò imperterrita a tagliare i rami.
Lydia uscì dalla bolla e si avviò sulla strada, nella direzione opposta rispetto a quella presa da suo padre. Un fruscio richiamò la sua attenzione. Si bloccò all’istante, i sensi all’erta, gli occhi che saettavano in tutte le direzioni. All’angolo della sua visione le parve di intravedere un guizzo, si voltò di scatto, la bacchetta sollevata. E rimase ferma immobile per diversi minuti, gli occhi che scrutavano lo spazio circostante, mentre l’oscurità lasciava il posto alla luce del giorno. Fu solo quando sentì un venticello leggero che si tranquillizzò. Ecco cosa doveva aver sentito. Un altro colpo d’aria le ghiacciò il naso e la convinse a correre verso il punto di Materializzazione.
 
Casa O’Brien si levava maestosa davanti ai suoi occhi. Le luci al terzo piano segnalavano che i bambini erano già svegli e che era solo l’inizio di una giornata impegnativa come quelle precedenti. Altri pianti, altre urla, altri litigi e altri bambini da consolare. Lydia prese un grande respiro, godendosi gli ultimi attimi di tranquillità. Poi un rumore lontano la fece voltare di nuovo di scatto verso il grande prato di fronte alla casa. Questa volta non era solo una sensazione. Questa volta c’era davvero qualcuno. E quel qualcuno si stava allontanando a grandi passi dalla casa, puntando verso la foresta che la circondava. Lydia strizzò gli occhi per cercare di vedere meglio nella luce fioca. Una ciocca di capelli biondi ricadde dalla berretta della figura sconosciuta. E Lydia la riconobbe all’istante. Con uno scatto si lanciò al suo inseguimento.
«Caitlin, Caitlin!» provò a chiamarla. La ragazza si calò il berretto sulla fronte e accelerò il passo, costringendo Lydia ad iniziare a correre. «Fermati Caitlin!» Caitlin intraprese un sentierino che si immetteva nella foresta. «Dove stai andando?»
«Lontano da qui.» rispose secca Caitlin, senza voltarsi.
«Stai scherzando, vero?» Lydia era riuscita a raggiungerla, con un ultimo salto si mise al suo fianco, cercando di sbarrarle la strada. Caitlin le sbatté contro, ricordando a Lydia di essere ancora sotto gli effetti dell’incantesimo di Disillusione. Si posò la punta della bacchetta sulla testa e tornò visibile.
Caitlin si limitò a superarla. «Rilassati Lydia, vado solo a fare un giro.» Ma nessuno poteva dire a Lydia Merlin di rilassarsi.
«Fermati all’istante o ti lancio una fattura.» replicò seria.
Neanche la minaccia funzionò, Caitlin continuò per la sua strada, immergendosi sempre più nella foresta. Lydia non sapeva dove portava il sentiero, né cosa si trovasse al di là della foresta. Per un secondo si domandò se non sarebbe stato meglio lasciare andare Caitlin per la sua strada e lasciare che fosse qualcun altro a cercare di ragionare con lei.
Caitlin scambiò il suo silenzio per approvazione. «Non dirlo agli altri, almeno quando si accorgeranno sarò già lontana da qui.»
«E dove hai intenzione di andare?» La curiosità vinse e Lydia regolò il passo per stare al fianco di Caitlin, cercando allo stesso tempo di non inciampare sul sentiero dissestato.
«Vado in paese e chiamo una mia amica dell’università. Ha una macchina tutta sua e abita a mezz’ora di distanza. Vado a stare da lei.»
«Non hai i bagagli.»
«Non volevo farmi notare. La mia amica può prestarmi tutto, poi userò la carta di credito di papà.»
Lydia saltò una radice. «E cosa farai con i Mangiamorte? Se ti beccano sei spacciata.»
Caitlin sbuffò. «Ti do una notizia: per loro sono insignificante. Non se ne fanno nulla di una Magonò, potrò finalmente ricominciare a vivere e mandare al diavolo voi e la vostra stupida guerra.» L’acidità trasudava da ogni parola, ma una in particolare aveva colpito Lydia, costringendola a fermarsi.
«Tu non sei una Magonò.» sentenziò perplessa.
Anche Caitlin si fermò. «Come scusa?»
Lydia si riscosse. «Tu non sei una Magonò. Tua mamma è babbana. E da un mago e un babbano possono nascere o maghi o babbani, o almeno così mi hanno detto.»
La risata di Caitlin fu glaciale e sembrò abbassare la temperatura dell’intero bosco. «È questo che ti hanno raccontato?»
«Me l’ha detto Paul.» E già mentre pronunciava quelle parole si rese conto che forse non avrebbe dovuto affidare le sue conoscenze sulla genetica magica su un ragazzo che non sapeva distinguere un Avvicino da un Asticello.
«Intendevo la parte su mia mamma.»
Ora Lydia era definitivamente confusa. «Cosa?»
Caitlin sogghignò di nuovo e poi ricominciò a camminare. «Niente. Sappi solo che non dovresti fidarti troppo di noi O’Brien. Siamo dei bugiardi patologici.»
Lydia decise di accantonare l’informazione per un secondo momento. Ora la sua priorità doveva essere convincere Caitlin a tornare indietro. O costringerla con la forza, se fosse stato necessario. «In ogni caso se i Mangiamorte ti prendono sei finita. Ti tortureranno per sapere dove si nasconde la tua famiglia. Vuoi davvero condannarci così?»
«Te l’ho già detto, non sanno neanche che esisto! Non sono nei loro registri, secondo loro ci sono solo Duncan e Lance. E invece nel mondo babbano usiamo il cognome della mamma. Caitlin O’Brien non esiste, da nessuna parte.»
La foresta cominciava a diradarsi. Lydia controllò l’orologio, l’ora concessa dai signori O’Brien era scaduta, presto sarebbero andati a cercarla e avrebbero pensato al peggio non trovandola a casa di sua nonna. E forse il peggio stava davvero capitando. Pensò di tornare a casa O’Brien a cercare aiuto, ma chissà cosa sarebbe potuto capitare a Caitlin in quel frammento di tempo. La famiglia O’Brien non l’avrebbe mai perdonata se fosse tornata senza di lei.
«È una pazzia.» sentenziò rimettendosi di fronte a Caitlin e allargando la braccia per fermarla. Non le sfuggì il suo sguardo scocciato.
Caitlin incrociò le braccia e sbuffò spazientita. «Sono affari miei. Tu non hai nessun diritto di fermarmi.»
Ma anche Lydia era ferma sulla sua scelta. «Sì, se metti in pericolo la tua famiglia e i bambini.»
«Puoi anche smetterla di fingere con me, lo sappiamo tutti che non te ne frega niente dei bambini e che sopporti solo Lance. Se fosse per te tutti noi altri potremmo finire direttamente ad Azkaban.»
Fu la goccia che fece traboccare il vaso. In un lampo la bacchetta di Lydia fu nelle sue mani, puntata al volto di Caitlin. «O torni indietro sulle tue gambe o ti Schianto.»
«Ho solo detto la verità.»
«Conto fino a tre.»
Caitlin sbuffò. «Fai come vuoi.»
«Due…»      
Caitlin si voltò e tornò a percorrere il sentiero. In lontananza si intravedeva la fine della foresta e una scaletta che portava verso il basso, dove doveva trovarsi il paese nominato dalla ragazza.
«Uno…»
«Mi raccomando, neanche una parola agli altri.» Caitlin sventolò la mano per salutarla.
«Stupeficium
«Caitlin O’Brien!»
Lydia sobbalzò e il suo incantesimo si schiantò sul tronco a pochi centimetri dall’orecchio di Caitlin, la quale si abbassò, gli occhi spalancati per lo spavento. Lydia non sapeva se la sua paura derivasse dall’incantesimo che l’aveva sfiorata o dal signor O’Brien, che correva furioso verso di loro. Se fosse stata in Caitlin avrebbe sperato che lo Schiantesimo l’avesse colpita. Era raro vedere il signor O’Brien in collera, o in preda a qualsiasi emozione. Eppure ora correva verso di loro in ciabatte, la sciarpa solo appoggiata sul collo e la giacca spalancata. Il volto era arrossato, un po’ per la corsa ma soprattutto per la collera.
«Papà! Posso spiegare…» Sì, Caitlin era decisamente spaventata dal padre.
Il signor O’Brien le raggiunse. «Non una parola.» sibilò.
Il tono di Caitlin si mutò in una finta innocenza. «Non ho fatto niente, stato solo facendo una passeggiata.» Si rassettò la giacca come se non avesse appena tentato di scappare di casa.
«Ho detto: non una parola.» sillabò il signor O’Brien. E dallo sguardo comparso sul volto di Caitlin, Lydia capì che era la prima volta che le sue suppliche non funzionavano sul padre. Lydia si mise da parte, sperando di poter scomparire in un tronco. Ricordava di aver studiato un incantesimo di Trasfigurazione che serviva proprio a quello scopo durante il suo ultimo anno, ma non ricordava la formula. Trunciet o era Arboriet? Per fortuna il signor O’Brien voleva solo tornare al sicuro delle mura domestiche il prima possibile, strinse una mano sulla spalla di Caitlin e la condusse sulla via del ritorno. Si soffermò per un istante davanti a Lydia. «Grazie per averla fermata.»
Lydia, ancora intenta a cercare di diventare un albero, decise di rimanere in silenzio. Li lasciò proseguire di qualche passo prima di seguirli a distanza di sicurezza. Arrivati nel prato davanti al cancello di casa, il signor O’Brien la fermò. «Potresti farmi un favore? Anche Lance e Duncan sono usciti a cercarla, potresti rintracciarli e avvisarli che Caitlin è tornata? Non possiamo mandare segnali, non voglio correre rischi inutili.» La sua presa si strinse sulla spalla di Caitlin. Era strano vedere Caitlin che cercava di farsi il più piccola possibile e seriamente preoccupata dalle conseguenze delle sue azioni. Per evitare di dover assistere alla discussione che sarebbe di sicuro esplosa appena varcati i confini di casa, Lydia accettò di buon grado la richiesta. Il signor O’Brien le indicò altri due sentieri che si diramavano nella foresta e senza neanche fermarsi a ragionare, Lydia imboccò per primo quello percorso da Lance.
Impiegò meno tempo del previsto per localizzare Lance. Agitò una mano per richiamare la sua attenzione e con una corsetta leggera lo raggiunse. «Abbiamo trovato Caitlin. È tornata a casa con tuo papà.»
«Per tutti i troll, appena la vedo la strozzo.» fu il commento di Lance.
«Prima dovrà sopravvivere ai tuoi genitori. Non ho mai visto tuo papà così infuriato prima d’ora.»
Lo sguardo perplesso di Lance fu una riposta sufficiente. «Mio papà? Infuriato con Caitlin? Sei sicura che non fosse un Mangiamorte sotto copertura?»
I due si incamminarono sulla via del ritorno. Il cielo stava iniziando a riempirsi di nuvole minacciose che promettevano pioggia. «Di sicuro i tuoi genitori sono arrabbiati, l’ha combinata grossa.»
Lance scosse la testa. «Ne ha fatte anche di peggiori e l’unica cosa che i miei genitori le dicevano sempre era di andare in camera sua.»
«Allora anche a te e Duncan è andata bene. I miei genitori riuscivano a mettermi in castigo anche quando ero ad Hogwarts.» Ricordava ancora con orrore la lettera che suo padre aveva scritto alla McGranitt dopo la loro disavventura nella Foresta Proibita. Per lei era scattato il coprifuoco alle sei per un mese intero.
Lance sollevò il cappuccio della felpa, nella fretta di uscire non aveva indossato la giacca. «Al contrario. Io e Duncan ci siamo sempre beccati le nostre punizioni e lei invece poteva fare tutto quello che voleva.» Il rancore nella sua voce era perfettamente riconoscibile.
Lydia sollevò la bacchetta ed indirizzò una folata d’aria calda verso Lance. Lui la ringraziò con un sorriso riconoscente.
Un velo di imbarazzo aleggiava tra di loro.
Erano passati giorni dalla loro ultima discussione nel laboratorio. Da quel momento Lydia aveva cercato di evitare ogni conversazione con Lance che non fosse ‘Mi passi i cereali?’ o ‘Sembra che stia per nevicare’. Le era mancato.
«Mi dispiace.» dissero Lance e Lydia nello stesso momento. Si guardarono stupiti. Fu Lydia la prima a riprendere parola, dopo aver riposto la bacchetta in tasca, vicino alla piuma. «Mi dispiace per aver reagito così. Hai tutti i motivi per essere curioso, e non mi hai mai chiesto nulla, non mi hai fatto pressione…» a differenza di tante altre persone, anche sconosciute, che aveva incontrato dal giorno dell’incidente. «È solo che… non sono pronta.» disse sinceramente. Non aveva mai raccontato a nessuno cosa era successo quel giorno. Erano stati i suoi genitori ad informare la famiglia, a dirlo ad Alice. Lei non lo aveva mai fatto.
Lance si strinse nella felpa. «E a me dispiace avertelo chiesto. Non ne avevo nessun diritto.»
Qualcosa non suonava giusto in quella frase. Lydia sapeva che la scelta migliore sarebbe stato di raccontare a Lance ogni cosa, anche solo per giustificare la sua lontananza negli ultimi mesi dopo sette anni di amicizia. Eppure Lydia continuava a non riuscirci. Sospirò, passandosi una mano sul volto.
«Volevo dirti solo questo.» concluse Lance. Lydia apprezzò enormemente il fatto che non avesse pronunciato frasi scontate come ‘Lo sai che io ci sono’ e altre simili. Le aveva sentite talmente tante volte che avevano perso ogni significato.
Le balzò in mente un’idea. «Facciamo così. Per farti perdonare posso farti anche io una domanda scomoda.» Lance si irrigidì impercettibilmente. «Se non vuoi rispondermi puoi rifiutarti e così saremo pari.»
Lance la guardò sospettoso, ma poi annuì.
Lydia scavalcò una radice. «Cosa è successo tra te e Caitlin? Sono figlia unica ma persino io so che non è normale così tanto rancore tra fratelli. Senza offesa.» aggiunse velocemente.
«Nessuna offesa.» rispose Lance e poi, al contrario di quello che aveva pensato Lydia, cominciò a raccontare. «Andavamo d’accordo, da piccoli. Eravamo legatissimi, andavamo insieme ovunque e non riuscivano mai a dividerci. La sera il nostro gioco preferito era immaginare come sarebbe stata la nostra vita nel mondo magico. Niente più metropolitana, né mestieri, né compiti di matematica. Ma poi è arrivato il giorno del nostro undicesimo compleanno...»
Fu semplice per Lydia capire cosa fosse successo. «Solo tu hai ricevuto la lettera.»
Lance annuì. «Caitlin non me l’ha mai perdonato.»
«Non è stata colpa tua.» si sentì in dovere di aggiungere Lydia.
«Lo so… ma a volte mi chiedo cosa sarebbe successo se fosse stata Caitlin a ricevere la lettera.» Casa O’Brien comparve tra le fronde degli alberi. «A volte vorrei fosse andata diversamente. Forse sarebbe stata una vita più semplice.»
«Rinunceresti davvero alla tua magia? Alle pozioni, ai ricordi di Hogwarts?»
Lance guardò il palazzo pensieroso. «Quando passi anni a sentirti dire che la magia ha sbagliato a scegliere te, dopo un po’ inizi a crederci.»
Continuarono a camminare in silenzio, ognuno immerso nei propri pensieri. Immagini di vite diverse, esistenze normali, senza guerre magiche o discriminazioni, senza persone che li odiavano per essere quello che erano.
«Mia zia pensa che io sia un mostro.» Lydia parlò prima di pensare. Il cancello si trovava a pochi passi da loro ma i due si fermarono. Lance la guardava, senza aprire bocca, sembrava volerla incoraggiare a dire di più, e per una volta Lydia lo accontentò. Fissando un’aiuola del giardino disse «Ha scoperto che sono una strega. Ho provato a parlarle ma lei… lei non ha capito.» O forse aveva capito fin troppo. «Dopo averlo scoperto mi ha detto chiaramente che per lei ero un mostro e di star lontana dalla sua famiglia.» Lydia sbatteva velocemente le palpebre per scacciare le lacrime. «Mi ha detto che avrei fatto un piacere a tutti se me ne fossi andata. E così l’ho fatto e non l’ho più rivista.» Fino a quel giorno a casa di sua nonna. Era scappata prima che sua zia potesse parlarle. Chissà cosa sarebbe successo se fossero state costrette a vivere sotto lo stesso tetto. Ma sua zia sapeva che Lydia si sarebbe trasferita lì, quindi magari era riuscita a perdonarla. Oppure voleva proteggere la nonna da lei. Lydia afferrò il cancello e lo spalancò.
«Noi non siamo mostri.» sussurrò Lance alle sue spalle.
Lydia si fermò. «Come fai ad esserne così sicuro?»
«Anche Caitlin mi ha detto la stessa cosa. Che ero un mostro, che le avevo rubato i poteri e che non li meritavo. Ma ho visto i veri mostri, Lydia, li hai visti anche tu. I mostri sono le persone che non accettano chi è diverso da loro. Chi li disprezza e li odia solo perché sono differenti. Tu-Sai-Chi, i Mangiamorte, ma non è anche quello che fanno Caitlin e tua zia? Disprezzarci solo perché siamo diversi da come vorrebbero loro?»
«Sono cose diverse…»
Lance tirò un calcio ad un sassolino. «Questo lo so. Non li metto sullo stesso piano, ma la base è sempre quella. Pensi che i Mangiamorte siano degli assassini psicopatici sin da bambini? O il loro cammino è iniziato proprio con l’odio e il disprezzo verso le persone dissimili da loro? Ha ragione Duncan, il male si presenta in molte forme.»
«Non è da te parlare così.»
Lance si riscosse. «Duncan è ancora in giro a cercarla, vado ad avvisarlo.» Si strinse nella felpa e voltò le spalle al cancello.
«Lance, non intendevo…»
«Vado.» la interruppe Lance «Ci vediamo dopo.»
«Lance!» provò a chiamarlo di nuovo Lydia. Ma era troppo tardi, Lance era già lontano.
 
 


 Curiosità: Mi sono divertita tantissimo ad inserire personaggi iconici della saga come Silente e la professoressa McGranitt e cercare di renderli il più possibile fedeli agli originali! E nella mia testa ormai è fissa l'immagine di Severus Piton circondato da rospi... xD
Come vi dicevo nel capitolo 4 le conoscenze di Lydia sulla genetica magica non erano molto affidabili, ma è finalmente arrivato il momento in cui si è accorta e nel prossimo le verrà spiegato meglio come funziona...

 Note: Grazie a tutti voi che state leggendo 'Piume di Cenere', se avete qualche dubbio o volete scoprire alcune curiosità non esitate a scrivermi o qui o su Instagram!
Grazie di cuore, un abbraccio!

Emma Speranza
 
 
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Capitolo 17
*** Capitolo 17 - La famiglia de Montfort ***


Capitolo 17
La famiglia de Montfort

 
 
Lydia guardò Lance allontanarsi verso la foresta. Aveva davanti due scelte: inseguirlo per cercare di parlargli, oppure aspettarlo a casa. Alla fine optò per una via di mezzo. Prima avrebbe controllato se i signori O’Brien e Caitlin si trovavano nel salotto, in caso positivo sarebbe scappata a cercare Lance evitandosi così ogni rimprovero; se invece la via fosse stata libera si sarebbe rifugiata nella sua camera.
Chiuse il cancello e percorse il vialetto verso casa. La priorità sarebbe stata controllare la situazione senza essere vista da nessuno. Socchiuse la porta d’ingresso e spiò nell’atrio. La parte di salotto che riusciva a vedere da lì sembrava deserta. Si arrischiò ad entrare nell’atrio in punta di piedi.
«Lo spettacolo è già finito.» Una voce nasale si levò da un divanetto nell’angolo della sala. Lydia riappoggiò i talloni a terra e si avvicinò prudente, temendo fosse una trappola. Katherine era mezza sdraiata sul divanetto, in pigiama e con una pila di fazzoletti appoggiata in grembo. «Caitlin è andata di sopra sbattendo tutte le porte possibili e Dorian l’ha inseguita.» Uno starnuto completò la frase.
Lydia si allontanò di un passo. «Tu stai meglio?»
Nei giorni precedenti Katherine era stata confinata nella sua camera con il divieto assoluto di uscire per paura di un contagio. Se i bambini si fossero ammalati sarebbe stata la fine, ci mancava solo un’epidemia per concludere alla grande la settimana. Katherine tirò su con il naso. «Almeno mi è passata la febbre.» Lydia decise comunque di starle lontana. «A parte la mia influenza, ti conviene scappare finché sei in tempo. Nelle loro urla ho capito che Caitlin è furiosa con te perché l’hai trovata e Dorian è furioso per te perché ti ha messa in pericolo.»
E l’opzione rinchiudersi in camera era archiviata. Poteva affrontare il gelo e andare nell’orto di Lance. «E ti conviene pensare in fretta ad una soluzione perché Rose è in cucina.» Se la signora O’Brien era in cucina, Caitlin e suo padre di sopra, Lance e Duncan fuori e Katherine sul divano significava che i bambini erano rimasti soli.
«Oh no.» gemette Lydia. Sarebbe toccato a lei prendersi cura di loro, ma se già non se la sentiva prima, ora che erano tutti sopraffatti dalla nostalgia era mille volte peggio.
Senza perdere altro tempo tentò di scappare.
«Lydia, sei tornata!» La signora O’Brien era stata troppo veloce. Se ne stava sull’uscio della cucina, le mani strette una all’altra ed un’espressione cupa sul volto.
Lydia sospirò e si tolse la giacca. Era inutile fuggire e doversi sorbire una predica al suo ritorno.
«Mi chiedevo se volevi bere un tè con me.» Lydia non riuscì a mascherare il suo stupore. «Solo se vuoi.»
«Ma certo!» tolse in fretta le scarpe, trasferì la piuma nella tasca della felpa e corse verso la cucina. Qualsiasi cosa pur di non andare dai bambini.
«Per questa volta ti sei salvata.» le sussurrò Katherine dal divanetto, senza farsi sentire dalla signora O’Brien, rientrata in cucina.
La tazza di tè era già posata sul tavolo, accanto ad un piatto ricolmo di biscotti. La signora O’Brien le rivolse un tiepido sorriso e versò il tè. Lydia si sfregò le mani per cercare di scaldarle. Non si era resa conto di quanto fossero calate le temperature negli ultimi giorni.
La signora O’Brien si sedette accanto a lei. «Mi dispiace.» disse mischiando lo zucchero appena versato nella sua tazza.
«Per cosa?» chiese cauta Lydia.
La signora O’Brien sembrava stanca. Delle occhiaie profonde le scavavano il viso. «Per Caitlin. Dorian ha detto che ti ha rivolto parole orribili quando vi ha trovate nel bosco. E non era tua responsabilità seguirla e cercare di riportarla a casa. Grazie per averlo fatto.»
«Non mi deve ringraziare…» Considerando come era stata trattata da Caitlin nel bosco, se Lydia avesse potuto usare una Giratempo, l’avrebbe lasciata andare per la sua strada.
«Caitlin non è cattiva.» continuò la signora O’Brien, come se le avesse letto nel pensiero. «È solo ferita. Ha sofferto molto ed è il suo modo di reagire.»
Lydia si dovette mordere la lingua per impedirsi di rispondere. Aver sofferto non significava avere il diritto di disprezzare gli altri. Ma poi si trovò a pensare che in fondo anche lei si era comportata così dopo l’incidente. Quante volte aveva ferito i suoi genitori senza neanche rendersene conto? E non aveva fatto un torto anche a Lance, non rispondendo più alle sue lettere?
«Lo vedo che non sei d’accordo con me.» La signora O’Brien le stava ancora sorridendo «E non posso darti torto. A volte Caitlin sembra avere il dono di far indispettire gli altri.»
«Non la conosco bene.» Era vero. Per quanto vivesse lì ormai da mesi, non aveva ancora avuto l’occasione di conoscere a fondo gli altri abitanti della casa che non fossero Lance e Henry. In ogni caso non avrebbe mai ammesso i suoi pensieri su Caitlin con sua madre.
«Penso che siano in pochi a conoscerla davvero.»
Lydia non seppe come replicare, così sorseggiò il suo tè temporeggiando.
«Ma penso anche che se voi due vi concedeste questa possibilità potreste andare molto d’accordo. Avete caratteri simili.» Lydia si chiese se era un modo velato per dirle che anche lei era scorbutica e prepotente. Non avrebbe avuto tutti i torti. E invece la signora O’Brien proseguì con altri aggettivi. «Siete entrambe coraggiose e decise, e affrontate il mondo a testa alta.» Lydia non ne era tanto sicura. Lei non sapeva affrontare il mondo, anzi, al contrario sentiva che ogni giorno doveva lottare per non farsi schiacciare. «Solo che questo suo carattere la porta spesso a scontrarsi con noi, o con Lance.»
Lydia trattenne il sarcasmo. «Lo avevo notato.» O almeno ci provò.
La signora O’Brien non parve farci caso. «Nella vostra amicizia Lance ti ha spiegato come mai il loro rapporto è così teso?»
«Non mi ha mai parlato di lei.» sbottò Lydia. Le dispiacque confessarlo alla signora O’Brien, di sicuro sarebbe rimasta ferita a scoprire che suo figlio non aveva mai parlato di sua sorella gemella con una delle sue migliori amiche.
«E perché avrebbe dovuto?» La stupì invece la signora O’Brien. Il dolore nella sua voce era palpabile.
«Caitlin era una bambina così serena quando era piccola. Amava i suoi fratelli sopra ogni altra cosa, e amava i nostri racconti sulla magia. Quando è arrivata quella lettera… lo abbiamo capito subito, sai? Io e Dorian, abbiamo capito ma non sapevamo come dirglielo. Ci ha presi alla sprovvista. Piccoli segni di magia hanno accompagnato tutta l’infanzia dei gemelli. Quando Caitlin era arrabbiata, tutte le luci di casa sfarfallavano. Abbiamo dato per scontato che fosse la sua magia a farlo, ma con il senno di poi era Lance. Era sempre scosso quando succedeva, e le luci reagivano alle sue emozioni, non a quelle di Caitlin. Se solo lo avessimo capito prima…l’avremmo preparata, avremmo trovato un modo per non farle subire una delusione del genere.» La signora O’Brien scosse la testa. «E invece siamo stati ciechi, non lo abbiamo visto e la nostra bambina ha dovuto pagare per la nostra inconsapevolezza. Quando è arrivata una sola lettera Caitlin pensava fosse sua, non ha nemmeno preso in considerazione l’idea che fosse Lance il mago e quando l’ha scoperto… la vita serena che eravamo riusciti a costruirci dopo la prima guerra magica si è sgretolata in quel momento. La vita che Caitlin aveva sempre sognato le è scivolata dalle mani.»
Lydia posò la tazza ormai vuota. «Anche per Lance deve essere stato difficile.»
«Lo è stato, non lo nego. Ma almeno lui ha avuto la fortuna di poter frequentare Hogwarts, ed incontrare tutti voi. Mi parlava tanto di te nelle sue lettere, lo sai?»
Lydia distolse lo sguardo, imbarazzata.
«Ma lui non ha parlato di noi con te e, come ti dicevo, aveva i suoi motivi.» La signora O’Brien sospirò, le sue spalle erano curve. «Caitlin ha accusato Lance di averle rubato la magia. Pensavo che con il tempo avrebbe capito. E invece…»
«È rimasta della sua idea.»
La signora O’Brien annuì. «Paradossalmente da quando ci siamo dovuti rifugiare la situazione è migliorata. Si sono alleati come ai vecchi tempi contro me e loro padre, dicevano che era ingiusto che dovessero rinunciare alla loro vita per una guerra che non era ancora iniziata. Come abbiamo recentemente scoperto dopo la vostra disavventura a… - come la chiamano? - Pandizenzero, si erano persino messi d’accordo su come scappare al nostro controllo per poterle far continuare l’università. È l’unica cosa buona che ha portato questa guerra. C’è ancora molta strada da percorrere, ma sono sicura che questo sia solo l’inizio. A volte li vedo, sai, quando parlottano tra di loro, li vedo come erano da bambini, sempre in cerca della prossima marachella da combinare.»
Lydia prese coraggio. «C’è solo una cosa che non capisco.»
«Dimmi.» la incoraggiò la signora O’Brien.
«Prima, nel bosco, Caitlin mi ha detto…» Prese fiato e parlò prima di cambiare idea «Mi ha detto che mi avete mentito, su di lei, e sull’essere una babbana.»
Lo sguardo della signora O’Brien era addolorato. «Mi dispiace tanto, Lydia. È stato Dorian a mentirti ma ammetto che è stata tutta colpa mia.»
Lydia rimase a bocca aperta. «Mi sta dicendo che lei è una…»
«Strega.»
«Ma… come mai…?» Lydia si ritrovò senza parole.
«Mi dispiace tanto, Lydia. Se sei arrabbiata con noi ti capisco, non è stato giusto da parte nostra mentirti.» La signora O’Brien sembrava realmente dispiaciuta.
Lydia riuscì finalmente a dare forma ai suoi pensieri. «Ma non l’ho mai vista compiere una magia!»
La signora O’Brien allontanò la tazza di tè e prese un biscotto. «È una storia lunga, se hai tempo vorrei che tu la conoscessi. Te lo meriti dopo aver vissuto così tanto tra queste mura.»
Lydia annuì. E pensare che solo pochi minuti prima avrebbe dato qualsiasi cosa per potersi rifugiare in camera.
La signora O’Brien sgranocchiò il suo biscotto ed iniziò a raccontare.
«Se non ti dispiace sarebbe meglio partire dall’inizio. Abbi pazienza e ti spiegherò tutto.» Le rivolse un sorriso. «Non sono babbana, e neanche una Mezzosangue. Sono nata in una delle famiglie Purosangue più antiche della Gran Bretagna. La famiglia de Montfort.» Era il cognome usato dal signor O’Brien nei suoi dipinti «Una di quelle famiglie che nei secoli passati ha avuto Cacciatori di babbani, Ammazzadraghi, Ministri della Magia nel suo albero genealogico. Con il tempo il nostro prestigio è stato superato da altre famiglie, come i Malfoy e i Lestrange, ma, nonostante questo, i miei nonni avevano conservato intatte le loro ricchezze e il sogno di poter tornare ai vertici del potere. Per renderlo possibile vagliarono con attenzione le possibili spose per loro figlio Humphrey, mio padre, e scelsero la candidata il cui sangue era il più puro. Nemmeno un goccio di sangue babbano o Mezzosangue aveva intaccato la sua dinastia, e questo bastò ai miei nonni per organizzare il matrimonio. I miei genitori accettarono. Non si sposarono per amore, non sono così ingenua da pensarlo, ma con il tempo riuscirono ad instaurare almeno un rapporto di fiducia e collaborazione. Il loro obiettivo? Creare l’erede ideale per le loro famiglie e per la continuazione della stirpe. Ma subito dopo il matrimonio sono arrivate le prime delusioni. I primi aborti, i lunghi periodi senza concepire e quel sogno che pensavano semplice da realizzare si rivelò più difficile del previsto. Pensavano però che potesse essere un problema facile da risolvere con le risorse che avevano. Usarono una parte della loro ricchezza per contattare i Guaritori e i Pozionisti più illustri al mondo, riuscirono persino a interpellare Juanito Andres Vallejo e Nahid Ahmed.» Lydia ricordava di aver letto quei nomi su uno dei libri scolastici di Pozioni. Lance avrebbe saputo dirle esattamente chi erano e che pozioni avevano inventato. «Ma nonostante tutto questo i risultati non arrivavano. Nessuna gravidanza portata a termine. E intanto passavano gli anni. I miei genitori si sono sposati a diciassette anni e a trentaquattro non erano ancora riusciti a generare l’erede che le loro famiglie bramavano.»
«Accusarono mia madre, sai? La accusarono di non essere abbastanza, di essere rotta ed inutile. Mio padre non fece nulla per difenderla e così mia madre iniziò a credere a quelle parole. Piangeva giorno e notte, e mio padre, invece di stare al suo fianco, iniziò a progettare con la sua famiglia una via di fuga, un modo per separarsi legalmente senza intaccare il nome della famiglia. Avevano già trovato un’altra ragazza che sembrava perfetta a ricoprire il ruolo di signora de Montfort, una giovane strega particolarmente brillante che aveva appena compiuto diciassette anni. Ma mia madre non si arrendeva. Iniziò a lottare con tutte le sue forze per mantenere il titolo; sapeva che se fosse successo, se si fosse separata dal marito, sarebbe stata esiliata dalla sua stessa famiglia, per non essere stata all’altezza delle aspettative. Scoprirai che nelle famiglie Purosangue basta poco per essere cancellati dall’albero genealogico.»
Lydia lo aveva già sentito raccontare. «E cosa successe?» Nonostante il disgusto che provava per quello che avevano fatto, Lydia non riuscì a trattenere la curiosità.
«Fu la mia balia a raccontarmelo, anni dopo. Durante un ricevimento, un’amica confidò a mia madre che anche lei aveva avuto le stesse difficoltà. Le raccontò di uno stregone nel Madagascar, possedeva conoscenze ignote ai Pozionisti più abili di tutto il mondo, ed era riuscito a imbottigliare l’essenza stessa della fertilità. Mia madre lo prese come un segno del destino. Non rivelò a nessuno, tranne alla mia balia che a quei tempi era la sua dama di compagnia, le informazioni che aveva raccolto. Il giorno dopo venne convocata dalla famiglia di mio padre. Le proposero un accordo, un accordo per annullare il matrimonio, per renderlo possibile però occorreva il consenso di mia madre. Le promisero una tenuta in campagna, lontana dagli occhi della società, con ricchezze abbastanza consistenti da farle vivere un’esistenza agiata per il resto della sua vita. Mia madre disse che avrebbe accettato solo se loro le avessero concesso un’ultima opportunità; disse che aveva bisogno di un viaggio spirituale per purificare la sua magia e il suo sangue. I miei nonni valutarono che avevano aspettato fino a quel momento, se concederle altro tempo avrebbe impedito uno scandalo, ne valeva la pena. E così la lasciarono partire, anzi, le organizzarono alcune tappe nei luoghi che erano più conosciuti per quel genere di pratiche. Sapendo quanto la purezza del sangue abbia valore per alcuni maghi non ti stupirà sapere che esistevano dei veri e propri viaggi verso la ricerca del proprio fulcro magico, né che sono pratiche tutt’ora frequentare dai più fanatici.» No, non la stupiva per niente. «E mia madre partì, in compagnia solo della sua dama. Il viaggio fu lungo e pericoloso, mia madre fu sottoposta a trattamenti a volte anche disumani.» La signora O’Brien rabbrividì e Lydia capì che le avrebbe raccontato solo una parte degli orrori che sua madre aveva dovuto sopportare. «Attraversò diversi Paesi per raggiungere la sua destinazione, ed in ognuno di essi fu costretta a sottoporsi a pratiche di ogni genere. Salassi con Dewlortes, piccoli lombrichi repellenti che succhiano il sangue delle loro vittime, intrugli con Essenza di Belladonna e Aconito, camminate su carboni ardenti o fino a raggiungere le vette di montagne invalicabili. In Tanzania la costrinsero a bere un decotto con uova di Acromantula. La mia balia la implorò di fermarsi, di tornare a casa, ma mia madre non la ascoltò. Aveva passato gli ultimi anni a sentirsi inutile, sbagliata e rotta. Aveva intenzione di dimostrare a sé stessa e agli altri che si erano sbagliati su di lei. E così proseguirono il loro viaggio e finalmente giunsero in Madagascar. La mia balia non mi rivelò il nome dello stregone, forse non era così importante o forse aveva paura che in un futuro avrei provato a cercarlo. Disse solo che era un uomo di poche parole, che leggeva il Destino nelle ossa di drago e viveva di ciò che gli donavano la Natura e la magia. Ascoltò in silenzio la storia di mia madre, lei lo implorò di darle la pozione, gli mostrò il forziere pieno di dobloni d’oro che si era trascinata sulla spalle per tutto il viaggio. Lui rifiutò i soldi, ma avvertì mia madre del grande pericolo a cui stava andando incontro; sì, forse la pozione le avrebbe dato ciò che più desiderava ma il costo sarebbe stato alto. La mia balia tentò di nuovo di far ragionare mia madre, le disse che non ne valeva la pena, che avrebbero potuto costruirsi una nuova felicità nella tenuta offerta dalla famiglia di mio padre. Ma lei non la ascoltò, anzi, la minacciò e le disse che se non approvava la sua decisione poteva anche andarsene, che poteva fare a meno di lei. La mia balia mi raccontò che in quel momento non riconosceva più mia madre. Una bramosia si era impossessata di lei da quando aveva messo gli occhi sulla pozione. Lo stregone le disse che era il cuore di drago in essa contenuta ad attrarla e a farle questo effetto. Intrapresero il viaggio di ritorno, mia madre stringeva la pozione tra le mani come se fosse già quel figlio che tanto desiderava. Quando tornarono in Inghilterra, mio padre e la sua famiglia le concessero quell’ultima possibilità che lei aveva richiesto. Sei mesi dopo avrebbero convalidato l’annullamento e il loro matrimonio si sarebbe concluso. Mia madre prese la pozione ed entro poche settimane scoprì di essere incinta di me. I miei nonni erano felicissimi, organizzarono feste e ricevimenti per celebrare il lieto evento, e mio padre proclamava a tutti quanto fosse orgoglioso di sua moglie, come se non avesse cercato di lasciarla per una donna più giovane. La gravidanza proseguì ma ad ogni mese che passava mia madre era sempre più debole. Non so quale sia stata la causa precisa, se la pozione stessa o i rituali per purificare il sangue, so solo che pochi giorni dopo la mia nascita, mia madre morì.» Gli occhi della signora O’Brien si velarono di lacrime. «La balia mi disse che morì felice. Aveva compiuto il suo dovere e moriva come Jane de Montfort, genitrice di una nuova stirpe de Montfort. Nessuno aveva avuto il coraggio di dirle che io ero femmina.»
Lydia sentiva un nodo alla gola. «Deve essere stato difficile crescere senza sua madre.»
La signora O’Brien alzò le spalle. «Avevo la mia balia. È stata come una madre per me negli anni della mia infanzia. Mio padre mi ignorava. Dopo tutta l’attesa e le aspettative non ero l’erede che aveva sempre sognato, nonostante abitassimo nella stessa casa lo vedevo poco. Questo non significava che ero libera di fare quello che volevo, no. Per lui ero comunque una risorsa preziosa: se non ero io l’erede che aveva desiderato, allora lo sarebbe stato il mio primogenito.»
«Suo padre non ha mai tentato di… avere un altro figlio?» chiese Lydia, sperando di non suonare troppo invadente.
 «Ci ha provato. Un mese dopo la mia nascita aveva già iniziato una relazione con la ragazza che aveva pensato di prendere in sposa per rimpiazzare mia madre. Non ci fu nessun matrimonio, sia perché mio padre avrebbe dovuto essere nel periodo di lutto, sia perché non voleva trovarsi di nuovo nella stessa situazione che aveva dovuto affrontare con mia madre. Per dieci anni passò da una donna all’altra, promettendo che avrebbe sposato chi di loro gli avrebbe dato un figlio.»
«E cosa successe?»
Il sorriso della signora O’Brien aveva un accenno vendicativo che Lydia non si sarebbe mai aspettata di vedere. «Mio padre fu obbligato ad ammettere l’amara verità. Non era mia madre a non poter avere figli, era lui. Anche se ovviamente tutti hanno continuato ad accusare mia madre.»
«Mi dispiace per quello che ha dovuto passare.» disse sinceramente Lydia.
La signora O’Brien guardava fuori dalla finestra, persa nei ricordi. «Almeno non sono cresciuta da sola. C’era la mia balia, l’amica più fedele di mia madre con me. Ma poi ricevetti la mia lettera di ammissione ad Hogwarts. Mi accompagnò lei al binario nove e tre quarti il primo settembre del mio primo anno. Fu il suo ultimo incarico. Venne licenziata quel giorno stesso e non la vidi mai più.»
La mente di Lydia stava cercando di processare tutte le informazioni. «Lei ha frequentato Hogwarts?»
La signora O’Brien sorrise. «Sono una Serpeverde, orgogliosa della mia Casa.»
La signora O’Brien era una strega. E una Serpeverde. A Lydia sembrò che il mondo si fosse capovolto.
«Mio padre fu per la prima volta fiero di me. Come regalo mi donò la bacchetta di sua madre, che le era stata donata a sua volta dalla mia bisnonna e così via per generazioni. Il dono più prezioso che una figlia o una moglie della famiglia de Montfort potesse ricevere. Per lui ero sulla retta via, nella stessa Casa in cui erano stati Smistati sia mio padre che mia madre prima di me. Nella Casa in cui, secondo lui, avrei stretto dei legami con le più pure famiglie purosangue.»
«E l’ha fatto? Ha fatto amicizia con loro?»
La signora O’Brien ridacchiò. «Ho fatto l’esatto contrario. Avevo già conosciuto quei ragazzi nei ricevimenti privati dell’alta società e mi stavano antipatici dal primo all’ultimo; alcuni non erano male, ma senza la spina dorsale per esprimere le loro opinioni. E così strinsi amicizia con altri ragazzi, tutti quelli che la mia famiglia sarebbe inorridita se fosse venuta a saperlo. E ovviamente vennero a saperlo. Non so chi fece la spia, ma a metà del primo anno ricevetti una lettera da parte di mio padre in cui mi ordinava di troncare subito le amicizie che stavo intrecciando o mi avrebbe ritirata da Hogwarts.»
«E lei lo fece?»
«Assolutamente no. Continuai a tenere i miei amici e minacciai mio padre. Se mi avesse ritirata da Hogwarts avrei detto a tutti che era a causa sua che mia madre non aveva avuto altri figli, ma soprattutto che la sua morte era avvenuta in circostanze misteriose. Sai quanti danni può fare una chiacchera rivolta alla persona giusta? Sarebbe bastato dirlo ad un mio compagno di Serpeverde e la storia avrebbe cominciato a girare prima ad Hogwarts e poi nei circoli più rispettabili della società magica. Alcuni Purosangue sono spietati e assassini, ma preferiscono agire nell’ombra, senza che la società venga a saperlo, per poter mantenere quella finzione di essere gente per bene. Lo avrebbero isolato all’istante e addio alle ambizioni di rendere di nuovo grande il cognome di famiglia. E così mi lasciò frequentare Hogwarts e io feci qualcosa di anche peggiore.» Lydia non riuscì a immaginare cosa. «Creai un club per i diritti dei babbani e dei Nati Babbani. Il professor Silente fu particolarmente entusiasta del mio progetto e mi fornì il suo pieno appoggio. Ed iniziò la mia piccola rivoluzione. Incominciai i miei primi comizi proprio nella Sala Grande. Ritrovai pochi consensi, la maggior parte degli studenti mi ignorava, altri mi prendevano in giro ed altri ancora mi insultavano. Uno di questi era proprio Dorian.»
«Suo marito?» chiese stupita Lydia.
«Proprio io.» disse una voce alle sue spalle facendola sobbalzare. Il signor O’Brien era appoggiato alla porta della cucina, le braccia incrociate al petto ed un sorriso che gli distendeva il volto.
«Da quanto tempo…?» Lydia non si era accorta del suo arrivo, talmente era concentrata sulla storia della signora O’Brien.
Il signor O’Brien si avvicinò a loro e si sedette accanto alla moglie. «Abbastanza. Non volevo disturbarvi.» Prese la tazza vuota della moglie e si versò il tè ormai freddo.
«Caitlin?» chiese la signora O’Brien, la preoccupazione tornata sul suo volto.
«È in camera sua. Non uscirà tanto presto.» Il signor O’Brien recuperò la bacchetta dalla tasca e picchiettò la punta sul bordo della tazza. La bevanda cominciò a bollire, una nuvoletta di vapore si sollevò prendendo la forma di un piccolo drago. «I ragazzi adoravano gli animali del tè.» ricordò con un sorriso. «Ma non stavate parlando di questo, giusto?» continuò «Piuttosto del mio essere uno stupido durante l’adolescenza. Prego, continuate pure.» Il tono scherzoso spezzò la tensione che si era creata in cucina durante il racconto.
«È proprio così.» continuò la signora O’Brien, dando una leggera gomitata al marito «Quando l’ho incontrato era un vero bastardo. Su quello non ti abbiamo mentito, Dorian è cresciuto anche lui in una famiglia Purosangue ed è entrato ad Hogwarts pensando che tutto quello che gli avevano raccontato sulla purezza del sangue fosse vero.»
«È stata lei a fargli cambiare idea?»
«Su questo non posso prendermi il merito.»
Fu il signor O’Brien a continuare il racconto, tra un sorso di tè e l’altro. «Come ho già accennato ero uno stupido, e non avevo intenzione di cambiare idea. Con i miei amici mi divertivo a fare scherzi a quelli che consideravo diversi da noi, e quando Rose ha iniziato a fare i suoi comizi ero sempre in prima fila per denigrarla. Ci odiavamo, non c’è altro modo per dirlo.» Si scambiarono un’occhiata piena d’amore. «Ne abbiamo fatta di strada da allora. Ma no, non è stata lei ad aprirmi gli occhi. È successo durante l’inverno del mio quinto o sesto anno, non ricordo bene.»
«Quinto.» tossicchiò la signora O’Brien.
«Era un inverno gelido, le temperature erano costantemente sotto zero e il Lago Nero era completamente ghiacciato. Un vero e proprio capolavoro.» Anche Lydia ricordava gli inverni ad Hogwarts, lo spettacolo del Lago Nero ghiacciato ripagava i costanti spifferi gelidi in tutti i corridoi della scuola. «Un pomeriggio io e i miei cosiddetti amici abbiamo deciso che sarebbe stata una grande idea pattinare sul ghiaccio. E sarebbe stata davvero una bella idea se qualcuno non avesse pensato bene di farmi uno scherzo. Uno di loro ruppe il ghiaccio su cui stavo pattinando facendomi sprofondare nell’acqua. Ti posso assicurare che non è piacevole trovarsi all’improvviso nell’acqua gelida del lago, uno strato di ghiaccio che ti impedisce di tornare a galla e respirare.» Lydia evitò di commentare che sapeva benissimo cosa si provava, era sicura che Lance non avesse mai raccontato quella storia ai suoi genitori. «E i miei amici? Loro si resero conto di cosa avevano combinato e scapparono. Non so se lo fecero per cercare aiuto o per evitare di essere scoperti. Non l’ho mai voluto sapere. E sai invece chi si tuffò a salvarmi? Un Sanguemarcio. Un mio compagno di classe che aveva assistito alla scena e non aveva esitato un attimo a salvarmi la vita, nonostante fossero ormai cinque anni che gli rendevo la vita scolastica un inferno. Quando sono tornato in superficie e ho capito cosa era successo è stato come risvegliarsi da un lungo sonno. E ho iniziato a mettere in discussione tutto ciò che pensavo e che ero.»
«E qualche tempo dopo si presentò di nuovo in prima fila ad un mio comizio.» proseguì la signora O’Brien «Ero pronta alle sue buffonate, e invece lui mi ascoltò in silenzio. Alla fine venne da me e mi disse che quello che stavo facendo era importante e di non smettere. Capì che era sincero e quello fu l’inizio della nostra relazione.»
«Non sapevo in cosa mi stavo cacciando.» scherzò il signor O’Brien, attirandosi un’altra gomitata scherzosa.
La signora O’Brien ricominciò a raccontare. «Avevo trovato alleati, ma non si poteva dire che mio padre fosse uno di loro. Lui disdegnava il mio impegno, ma sperava anche che con la fine della scuola e la conseguente fine dell’influenza del professor Silente su di me, avrei concluso anche quel capitolo sovversivo della mia vita.»
«E invece non lo fece.» provò ad indovinare Lydia.
La signora O’Brien annuì. «Anzi, la fine della scuola mi permise di allargare i miei orizzonti. Ci volle impegno e dedizione ma riuscii ad avviare la mia associazione per i diritti babbani e dei Nati Babbani. Il giorno dell’inaugurazione si presentò mio padre e mi rinnegò davanti a tutti. Vidi lo sdegno ma anche la soddisfazione nei suoi occhi mentre mi diseredava. Ma a me non importava. Non avevo bisogno di lui, né delle sue ricchezze, e fu quasi un sollievo per me essere libera dalla mia famiglia.»
Il signor O’Brien prese un biscotto. «Non posso dire lo stesso. I miei genitori presero ispirazione proprio dal padre di Rose per decidere di fare lo stesso con me ed eliminarmi dal loro albero genealogico. Ero scappato di casa durante l’estate prima del mio settimo anno, non sopportando le loro punizioni per il mio pensiero diverso, ma nonostante questo li consideravo ancora la mia famiglia. Fu un periodo molto duro per me.»
«Ma è lì che hai dipinto i tuoi quadri migliori.»
«Stai forse insinuando che non sono più bravo come una volta?»
«Proprio quello.» E senza rivolgere un altro sguardo verso il marito, la signora O’Brien continuò a raccontare. «Io e il mio team lavorammo strenuamente in un ambiente sempre più pericoloso. L’ascesa di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato sembrava inarrestabile e coloro che si opponevano a lui sparivano nel nulla.» Un’ombra di dolore le oscurò il viso. «Anche alcuni dei miei collaboratori subirono la stessa sorte. Ma nonostante questo, nonostante il cugino di Dorian ci odiasse e avesse promesso di vendicarsi contro di noi, fu solo quando scoprimmo di aspettare Duncan che ci trovammo a temere per la prima volta per le nostre vite. Dovevamo compiere una scelta. O continuare a combattere, o proteggere a tutti i costi la vita di nostro figlio. Fu una decisione difficile ma quando stringemmo per la prima volta Duncan tra le nostre braccia capimmo all’istante quale fosse quella giusta. Sparimmo nel nulla, volevamo far credere di essere morti, così da poter ricominciare a vivere nel mondo dei babbani, e far crescere la nostra famiglia. Fu un azzardo continuare ad utilizzare il mio cognome, ma fu anche una mia vendetta personale contro mio padre. Aveva fatto di tutto per eliminare prima mia madre e poi me dalla famiglia de Montfort. Ora avrei usato il suo cognome per la mia copertura babbana. Funzionò. Dorian iniziò a vendere i suoi dipinti mentre io venni assunta in un’associazione benefica. Furono anni pieni di gioia e spensieratezza. »
«Fino all’arrivo della lettera.» concluse il signor O’Brien.
«Prima quella di Duncan, quando ci trovammo a decidere se tornare nel mondo della magia. Il Signore Oscuro era stato sconfitto, il cugino di Dorian era rinchiuso ad Azkaban e a noi non sembrava giusto negare ai nostri figli la magia. E così accettammo. Forse avremmo preso una decisione diversa se avessimo sospettato il destino che ci attendeva.» La signora O’Brien sospirò «Come ti dicevo, quando Lance ricevette la sua lettera e scoprimmo che Caitlin era una Magonò, ci crollò il mondo addosso. E anche a lei. La mia povera bambina era spezzata. Viveva in una famiglia di maghi ma era condannata a vivere senza magia. Così presi la decisione più importante di tutta la mia vita. Se la mia bambina era costretta a vivere senza magia allora l’avrei fatto anche io.»
Lydia non riusciva a credere alle proprie orecchie. «Lei ha rinunciato alla magia?» Aveva sentito dei sussurri su persone che avevano rinunciato alle loro bacchette per amore, ma non pensava che esistessero realmente. Che l’amore di qualcuno potesse essere così grande.
«È stata dura, non lo nego, ci sono state occasioni in cui avrei desiderato usare il mio potere. E così ho eliminato la tentazione.» Lydia sentì un peso al cuore quando capì cosa intendeva dire. «Ho spezzato la mia bacchetta e ho bruciato le due metà. Non l’ho mai detto a Caitlin, non volevo che si sentisse in colpa per la mia scelta. L’ho fatto e non me ne sono mai pentita.»
Le informazioni vorticavano nella mente di Lydia. «C’è una cosa che non capisco.» si rese conto «Se entrambi siete stati diseredati dalle vostre famiglia, a chi appartiene questa casa?»
Le labbra della signora O’Brien si tirarono in un ghigno. «Questa è la tenuta di campagna che mio padre voleva donare a mia madre in cambio dell’annullamento del matrimonio.»
E Lydia finalmente ricordò dove aveva già visto il cognome de Montfort prima di vederlo sulla firma dei quadri del signor O’Brien. «Il vaso!» esclamò ad alta voce. Su un angolo della ceramica era stampato quel nome. Lydia non poteva confondersi, lo aveva aggiustato troppe volte!
«Mio padre aveva già trasferito alcune delle proprietà di mia madre in questa casa prima che lei rimanesse incinta.» le spiegò la signora O’Brien «Uno di questi era proprio il suo vaso di famiglia. Ammetto che godo ogni volta che i bambini lo distruggono. E ammetto anche che una sera l’ho buttato a terra io stessa.» continuò con una risata. «Qualche anno fa mio padre mi ha contattata. Una lunga lettera in cui mi spiegava di essere afflitto da una malattia incurabile, che gli mancava poco da vivere e desiderava vedermi un’ultima volta. Ho accettato il suo invito. I miei figli avevano già cominciato a frequentare Hogwarts, Duncan era appena diventato maggiorenne. E mio padre si è dimostrato per la prima volta nella sua vita fiero di me. Ha detto che alla fine mi ero resa più utile di mia madre, che avevo compiuto il mio dovere di generare un successore e ha nominato Duncan come erede della famiglia de Montfort. In realtà penso che neanche Duncan fosse stata la sua scelta ideale. Semplicemente non voleva che tutti gli averi della sua famiglia finissero nelle mani del Ministero.»
«Io le avevo detto di non accettare ma…» disse il signor O’Brien.
«Ma quella fortuna mi appartiene di diritto.» completò la moglie «Perché rinunciarvi solo per orgoglio? E almeno ho assicurato anche il futuro di Duncan.»
«Quindi questa casa appartiene a Duncan?» chiese incredula Lydia.
«Questa casa e tutte le altre sparse per il paese che usiamo come rifugi.» confermò la signora O’Brien «Usate per salvare i figli dei Nati Babbani che tanto detestava… mio padre si starà rivoltando nella tomba.» proseguì con soddisfazione «E sai quale è stato il momento migliore?»
Lydia scosse la testa.
«Quando ci siamo rivisti e lui ha iniziato a blaterare sul perfetto erede che Duncan sarebbe potuto diventare con la giusta motivazione, o sul fatto che fosse sempre utile avere un figlio di riserva come Lance, non ha mai neanche una volta nominato Caitlin. Non so se perché effettivamente non sapesse di lei, abbiamo tenuto la sua esistenza segreta da gran parte della società magica per evitarle pettegolezzi e altro dolore, oppure proprio per quello che era. Ma io gliel’ho detto.» La signora O’Brien era tornata a guardare fuori dalla finestra, completamente persa nei suoi ricordi. «Era sdraiato sul suo letto di morte e gliel’ho sussurrato all’orecchio. Le ho detto che aveva una nipote, che era una Magonò e che per l’amore che provavo per lei avevo spezzato la mia bacchetta. Quella stessa bacchetta che la mia famiglia aveva conservato per generazioni. Avresti dovuto vedere l’espressione del suo viso.»
«Cara, stai facendo uscire di nuovo la tua vena sadica.» la riprese gentilmente il signor O’Brien. Ma a Lydia non importava. Era come se un velo si fosse alzato e avesse visto per la prima volta i veri volti dei signori O’Brien. E le piacevano.
«Oh, giusto.» la signora O’Brien si raddrizzò sulla sedia e tornò a guardare Lydia. «Ovviamente Caitlin non è a conoscenza neppure di questo.» Lydia annuì, avrebbe mantenuto il segreto «Ma nonostante questo gesto abbia dato sollievo alla mia anima, non è stato lo stesso per la mia famiglia. Il lascito di mio padre non ha contribuito a migliorare la situazione. Lance non era geloso delle ricchezze ereditate da Duncan, anzi, era sollevato che non fossero toccate a lui, ma Caitlin non fu altrettanto contenta. Per lei avrebbe significato poter finalmente diventare indipendente e separarsi da noi, dalla nostra magia.» Le spalle della signora O’Brien si curvarono, la tristezza tornò a scolpire i suoi lineamenti. Il signor O’Brien le posò una mano su una gamba. «Ho scoperto così che avere la mia piccola vittoria su mio padre non era poi così importante per me. L’unica cosa che vorrei davvero sarebbe poter tornare a vedere la mia famiglia in pace, come negli anni passati nel mondo babbano. Vorrei poter sentire di nuovo le risate spensierate dei miei figli.»
Il signor O’Brien le strinse la mano e la moglie si riscosse. «Tutto questo per chiederti di non giudicare Caitlin. So quanto possa essere difficile, ma sotto il suo cuore di pietra si nasconde un’anima che ha solo bisogno di comprensione e di amore.» La signora O’Brien la guardava implorante e Lydia si ritrovò ad annuire.
Il signor O’Brien estrasse il suo orologio da taschino. «Per tutti i troll!» esclamò «Devo iniziare a cucinare l’arrosto se oggi volete pranzare!»
Lydia scattò sull’attenti e si alzò dal tavolo. Ma prima di uscire dalla stanza si voltò un’ultima volta verso la signora O’Brien. «La ringrazio.» le disse «Per avermi raccontato tutto.»
La signora O’Brien le rivolse un dolce sorriso. «Tu e i bambini fate parte della nostra famiglia ormai. Meritavi la verità.»
Non sapendo cosa rispondere e sentendosi in colpa, Lydia uscì dalla stanza.
 

 
12 Ottobre 1988
Ciao Caitlin,
Come va?
Qui tutto bene, più o meno. Si avvicina la prima partita di Quidditch, Grifondoro contro Corvonero. E i Grifondoro si stanno comportando malissimo. Non li sopporto più.
Scusa, avevo promesso di non parlare più della scuola. È per quello che non mi rispondi mai? Perché non vuoi sentire parlare di Hogwarts? Va bene lo stesso, Caitlin, possiamo parlare di tante altre cose belle. Come delle caramelle. Mi mancano le caramelle del mercato… pensi che se glielo chiedo la mamma me ne invia un pacchetto? O potresti prenderle tu come facevamo sempre prima della lettera.
Mi mancano le nostre giornate passate insieme.
Ti ho scritto quasi tutti i giorni, ho chiesto a mamma se le mie lettere ti sono arrivate e mi ha risposto che sei tanto impegnata con la scuola. Lo capisco. Ma ti prego, puoi rispondere almeno a questa?
Ti prego, Cait…
Mi manchi.
 
Lance (tuo fratello)




Curiosità: E' stato da questo capitolo che ho iniziato a considerare 'Piume di Cenere' una 'storia di storie'. Ogni personaggio che appare vuole raccontare la sua storia e chi sono io per impedirlo? xD Quindi aspettatevi tante altre storie nei prossimi capitoli, spero possano piacervi <3
Altra curiosità: La data della lettera finale di Lance è legata agli eventi accaduti nel flashback del capitolo 15. Come vi avevo anticipato c'era un motivo per cui Lance si era comportato in modo molto diverso dal suo carattere (causando così la rabbia di Lydia e il relativo pugno) ed è proprio legato alla lettera ma soprattutto al fatto che Caitlin non ha risposto neanche a questa. E' questo il momento in cui Lance ha smesso di provare in tutti i modi di farsi perdonare da sua sorella ed ha iniziato a vivere la sua vita, anche grazie alla nuova amicizia con Lydia. 

Note: Grazie di cuore per le recensioni, per le letture e tutto il vostro supporto!
Un abbraccio, e alla prossima settimana <3

Emma Speranza

 
 
'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 
  

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 - Cuor di Panna ***


Capitolo 18
Cuor di Panna
 

Lydia Merlin stava escogitando qualcosa. E quando Lydia Merlin lo faceva, le persone attorno a lei dovevano cominciare ad avere paura. Il problema era che in casa O’Brien solo Lance era a conoscenza di quanto potesse diventare pericolosa. Per questo motivo, la mattina successiva alla tentata fuga di Caitlin, Lance continuava a lanciare occhiate indagatorie verso Lydia. Conosceva quella faccia. Non portava mai a nulla di buono.
E infatti Lydia aveva la mente altrove, le rotelle che giravano frenetiche in cerca di un’idea mentre con la forchetta spostava le sue uova strapazzate sul piatto.
«Tutto bene, Lydia?» chiese il signor O’Brien.
Lydia si riscosse. «Assolutamente sì.» ed iniziò a riempirsi la bocca delle uova strapazzate. Alcuni bambini tentarono di imitarla, provocando le ire della signora O’Brien.
«Non con la bocca piena Ewart! Simon, stai per soffocare! E poi non dire che non ti avevo avvertito.»
Lydia nel frattempo non si rese conto di nulla, troppo intenta a rimuginare su tutto quello che era accaduto e aveva scoperto negli ultimi giorni. Quella mattina Caitlin non si era fatta vedere a colazione, ma Lydia aveva sentito chiaramente i signori O’Brien fuori dalla sua stanza che cercavano di farla uscire. La signora O'Brien l’aveva persino pregata, promettendole in cambio tutto quello che desiderava, ma non doveva aver funzionato perché Caitlin non c’era e la signora O’Brien aveva un’espressione sconfitta dipinta sul volto.
La signora O’Brien sospirò ed allontanò il piatto. «Forza bambini, andiamo.»
«Mi occupo io di loro!»
L’intera tavolata si voltò a guardare Lydia, nel silenzio più assoluto.
E Lydia si chiese che cosa le era appena saltato in mente.
La verità era che il racconto della signora O’Brien del giorno precedente l’aveva colpita e per quanto avrebbe dovuto sentirsi ferita per come le avevano mentito facendole credere che fosse babbana, Lydia comprendeva i motivi che li avevano spinti a farlo e, anzi, si sentiva grata per il fatto che ora le avessero raccontato la verità. Soprattutto quando lei aveva fatto così poco per loro. Sì, aveva partecipato alle missioni e si era occupata delle pulizie, ma oltre a quello il suo contributo era stato minimo. Si era accorta delle difficoltà dei signori O’Brien negli ultimi giorni, con i bambini affetti dalla nostalgia delle loro famiglie, Lance sempre impegnato nelle sue pozioni e Katherine malata e quindi incapace di aiutarli. Eppure Lydia aveva fatto finta di niente, lasciando che fossero loro ad addossarsi le responsabilità. Ma ora, dopo che la signora O’Brien si era confidata con lei, che l’aveva considerata una parte di quella famiglia, il senso di colpa era difficile da sostenere. Voleva fare qualcosa per lei, alleviarle almeno il pensiero dei bambini per qualche ora.
«Cosa c’è?» chiese alla tavolata ancora intenta a fissarla ad occhi spalancati.
«Hai battuto la testa?» le chiese Duncan.
Lydia alzò gli occhi al cielo. «Voglio solo aiutare.»
«Da quando?» continuò Duncan, per nulla colpito.
«Smettila, Duncan.» intervenne Lance.
La signora O’Brien aveva perso le parole.
«Grazie.» disse semplicemente il signor O’Brien «Forza bambini, avete sentito Lydia? Oggi siete con lei, e mi raccomando, fate i bravi.»
Neanche il tempo di finire la raccomandazione che i bambini esplosero in urla di felicità, sbloccandosi temporaneamente da quell’apatia che avevano provato negli ultimi giorni. Le sedie grattarono sul pavimento, alcune caddero quando i bambini si alzarono con troppo entusiasmo. I signori O’Brien cercarono di calmarli, Duncan continuava a guardarla scettico e Lance approfittò della confusione per avvicinarsi a Lydia.
«Sei sicura di volerlo fare?»
Lydia si pulì la bocca con il tovagliolo. «Sicurissima.» In realtà no, non era convinta per nulla, ma sentiva che era la cosa giusta da fare.
«Posso venire con te, se vuoi.»
«Non devi finire la scorta di pozioni mediche per le altre Case Sicure?»
Lance dovette alzare la voce per farsi sentire sopra al frastuono dei bambini. «Posso farle un altro giorno!»
La sua forza di volontà stava già cominciando a cedere. Avrebbe voluto implorare Lance di rimanere con lei ed aiutarla, ma si costrinse a sorridere. «No che non puoi, ne hanno bisogno. Me la caverò, in qualche modo.»
Lance doveva aver percepito la sua insicurezza perché continuò a guardarla lievemente preoccupato. «Se hai bisogno di qualcosa chiamami.»
Lydia annuì e si alzò. I bambini continuavano a saltellare e parlare ad alta voce.
«Silenzio o vi trasformo tutti in rane!» urlò Lydia.
La minaccia funzionò perché il silenzio calò di nuovo sulla sala. Tranne una vocina eccitata che continuò a parlare senza neppure fermarsi a respirare.
«Davvero puoi trasformarci in rane?» chiese Henry «Io voglio essere trasformato in rana, voglio vedere quanto saltano in alto e sai che le rane mangiano le mosche? Voglio provare a mangiare una mosca, secondo te di cosa sanno? Magari sono come caramelle.» Non si accorse neppure delle facce disgustate degli altri bambini (e degli adulti presenti) «E poi voglio andare in uno stagno e incontrare altre rane. Dici che mi riconoscono? Posso fare amicizia con loro?»
Fu la signora O’Brien ad avere il coraggio di interrompere il monologo. «Lydia non diceva sul serio.» Poi si voltò verso Lydia. «Non dicevi sul serio, vero?»
Lydia non rispose, si limitò a salutare ed uscire dalla sala da pranzo con una ciurma di bambini al seguito. Ma la signora O’Brien poteva stare tranquilla. La trasformazione in rane l’avrebbe tenuta solo come piano di riserva.
 
Lydia rischiò di passare al piano di riserva prima di quanto immaginasse. Per esattezza appena misero piede al terzo piano e i bambini iniziarono a tormentarla.
«Cosa facciamo?»
«Giochiamo?»
«Facciamo i compiti?»
«Io non voglio fare i compiti!»
«Voglio giocare con le macchinine!»
«Io con le bambole!»
«Io voglio fare un disegno!»
«Possiamo cantare?»
Tutto ma non cantare. «Giochiamo a nascondino!»
La proposta di Lydia riuscì a convincere la maggior parte dei bambini, anche se alcuni di loro sbuffarono.
In ogni caso tutti accettarono di giocare, tranne Beatrix (che si mantenne a distanza, il gattino ancora vicino a lei e intento a leccarsi la pancia) e per evitare litigi, dovettero scrivere i nomi di tutti su dei foglietti così da poter estrarre chi avrebbe contato.
«Avete un contenitore dove mettere i foglietti?» chiese Lydia una volta finito di scrivere i nomi di tutti.
«Io ho questo.» disse Bethany (‘capelli ricci, orecchini a forma di unicorno’) porgendole il suo pupazzo a forma di orsetto.
«Emh… non so quanto possa aiutarci…» cercò di dire Lydia con gentilezza.
«Ma ha la cerniera!» rivelò Bethany, voltando il pupazzo a pancia in giù e rivelando la cerniera nascosta sulla sua schiena.
«Oh.»
E così svuotarono il peluche delle sue interiora e raggrupparono in un angolino dell’aula la sua imbottitura, sostituendola con i bigliettini.
«Chi estrae?»
«Io.» rispose velocemente Lydia per evitare ogni litigio. Si fece coraggio e infilò la mano all’interno del peluche.
Ad Hogwarts aveva dovuto dissezionare salamandre, purvincoli e troppi altri esseri da ricordare, per ricavare gli ingredienti delle pozioni, eppure usare un peluche in quel modo le fece altrettanto impressione. Quei bambini erano sadici.
Estrasse il primo biglietto che trovò e si schiarì la voce prima di leggere a gran voce: «Lizzie Porter.»
Si levarono altre proteste, in particolar modo da parte di Simon. «Volevo farlo io…» borbottò.
«Non si discute con le decisioni di Cuor di Panna.» ribatté decisa Bethany.
«Ma io non voglio contare…» si lamentò Lizzie.
Lydia dovette sopprimere un verso esasperato. «E va bene, cambiamo.» E infilò di nuovo la mano nelle interiora del peluche.
«Ti lasciamo cinque minuti da sola con i bambini e stai già insegnando loro come dissezionare qualcuno?» Con tutti i momenti in cui Duncan poteva comparire ovviamente doveva scegliere quello.
«Che ci fai qui?» sibilò Lydia, la mano ancora bloccata in Cuor di Panna.
Duncan sorrideva beffardo dalla porta dell’aula. «Volevo controllare che non ci fossero rane saltellanti in giro per il terzo piano.»
«Come vedi stiamo benissimo.» rispose Lydia.
Lo sguardo di Duncan scese verso la mano di Lydia. «Lo vedo.» Stava trattenendo una risata.
«E allora puoi tornare a farti gli affari tuoi.»
«Penso che resterò. Non ho nient’altro da fare.»
Lydia gemette disperata. «Vai da Katherine, sono sicura che ha bisogno della tua compagnia visto che è ancora rinchiusa in quarantena!»
Il sorriso di Duncan si incrinò. «Mi ha scacciato.» Questa volta fu il turno di Lydia di trattenere una risata. «Dice che sono troppo asfissiante.»
I bambini non erano altrettanto divertiti dalla conversazione. «Allora, giochiamo sì o no?» Daniel batté un piede per terra.
«E va bene.» Lydia estrasse un biglietto dal punto in cui avrebbe dovuto trovarsi lo stomaco di Cuor di Panna. «Matthew Riley!» Matthew alzò la testa stupito, un dito ancora infilato su per il naso.
«Bene, Matthew conta fino a venti. La tana è la finestra in fondo al corridoio e il campo da gioco è il terzo piano. Vietato scendere da basso, vietato arrampicarsi sui mobili, vietato aprire le finestre.» iniziò ad elencare Lydia, mentre i bambini annuivano energicamente. «Vietato entrare negli armadi e stropicciare tutti i vestiti, vietato uscire sul balcone e soprattutto…» continuò voltandosi verso Matthew, gli occhi ridotti a due fessure. «Vietato scaccolarsi.» Le dita di Matthew si abbassarono di colpo. Lydia si voltò verso gli altri bambini e batté le mani. «Possiamo iniziare.» Ma nessuno si mosse, tutti intenti a guardare un punto alle spalle di Lydia. La ragazza si voltò e si accorse che Matthew aveva alzato la mano. «Cosa c’è adesso?» chiese esasperata.
Matthew abbassò la mano. «Io so contare solo fino a dieci.»
La risata di Duncan risuonò nell’aula. Lydia respirò profondamente per impedirsi di spedirgli una fattura volante. Aveva dimenticato che Matthew aveva solo tre anni. «Lizzie. Tu conti con lui.»
«Ma io non voglio contare!» arrivò subito la protesta di Lizzie.
Lydia la guardò minacciosa. «O conti con lui o ti trasformo davvero in una rana.» Questo bastò a convincerla e a far iniziare finalmente il gioco. All’uno pronunciato da Lizzie e Matthew, i bambini schizzarono in tutte le direzioni. Vedendo l’aula improvvisamente deserta, Lydia si chiese se l’idea di giocare proprio a nascondino fosse stata realmente brillante come pensava. Chissà cosa potevano combinare quei bambini dispersi per l’intero piano. Ma poi il suo sguardo si soffermò su Duncan e il suo stupido sorrisetto. «Tu non ti nascondi?» gli sibilò superandolo a grandi passi.
Duncan ridacchiò. «Oh no, io sono qui solo a controllare.» Lydia decise che la tecnica migliore sarebbe stato ignorarlo. Pur di non stare nella sua stessa stanza, Lydia decise di partecipare anche lei al gioco, senza troppo entusiasmo però. Aprì la porta di uno dei due dormitori e si sedette tra due letti.
«Pssst!»
Lydia ignorò il richiamo.
«Pssst!»
«Via!» urlò Matthew in lontananza.
«Pssst!» continuò la vocina, sempre più insistente.
«Che vuoi?» sbottò Lydia.
«Sono qui!»
Lydia si abbassò per evitare che Matthew o Lizzie la vedessero passando davanti alla porta.
«Sotto il letto!»
Lydia lanciò un’occhiata in direzione della porta. Forse avrebbe fatto meglio a chiuderla, ma avrebbe dato troppo nell’occhio.
«Sono sotto il letto!» ripeté la vocina.
Lydia sospirò. Di tutti i posti in cui avrebbe potuto nascondersi, doveva scegliere proprio quello accanto ad Henry?
«Ssst!» provò a zittirlo.
Il risultato fu l’opposto. «Abbiamo scelto lo stesso nascondiglio! Sono troppo contento, adesso possiamo stare sdraiati qui fino a quando non ci scopriranno!» Lydia non riusciva ancora a vederlo. O meglio, si rifiutava di guardare sotto il letto da cui proveniva la vocina. «E passeranno ore! Si sono tutti nascosti nelle aule, o negli armadi, so che avevi detto che è vietato ma loro lo hanno fatto lo stesso. Ho visto Simon che si infilava dentro il cassetto delle scarpe. Non so come ha fatto!» Dei passi risuonarono dal corridoio «Ha fatto come i gatti, sai, loro si possono cacciare ovunque e…»
«Puoi stare un attimo in silenzio?!» scoppiò Lydia, incapace di trattenersi oltre.
Un urlo di trionfo si levò dalla porta e Matthew si scaraventò nel dormitorio. «Trovata!» urlò puntando il dito contro Lydia.
«Ragazzi!» urlò a squarciagola. «Ho trovato Lydia, è la prima eliminata!»
«Scusa…» disse la vocina da sotto il letto. Matthew si chinò e sollevò il lenzuolo, spiando sotto la rete.
«Ho trovato anche Henry!»
Lizzie si precipitò di corsa nella stanza. «Ma che fai?!» chiese rivolta a Matthew «Devi correre alla tana, se no vincono loro!»
«Ops…» Detto questo, Matthew partì di corsa verso la finestra alla fine del corridoio, seguito a ruota da Henry, che sfrecciò da sotto il letto talmente velocemente che agli occhi di Lydia apparve solo come un’ombra sfuocata. Lydia si prese invece il suo tempo per arrivare alla tana. Non aveva intenzione di correre come una disperata. E infatti, prima ancora di uscire dal dormitorio, Matthew urlò trionfante. «Lydia! Henry!» Almeno neanche Henry era riuscito ad arrivare prima di lui.
Il brutto dell’essere stata scovata subito era che avrebbe dovuto passare il resto del tempo in compagnia di Duncan, ancora appoggiato allo stipite della porta dell’aula per assistere alla scena. «Complimenti.» rise «Hai battuto un nuovo record. Meno di due minuti prima di essere scoperta.»
«Almeno io ho giocato.» ribatté Lydia velenosa «Tu invece cosa stai facendo?»
Duncan sollevò le spalle tranquillo. «Sorveglianza.»
Lydia avrebbe voluto buttarlo giù dalla finestra. Con un incantesimo rimbalzante sul giardino, certo, ma quanta soddisfazione le avrebbe dato farlo precipitare nel vuoto dal terzo piano.
Henry nel frattempo non doveva aver capito di aver perso. Era ancora più entusiasta di prima e saltellava da una parte all’altra, unendosi alla ricerca di Matthew e Lizzie. «Lo sai che Simon è riuscito a infilarsi nel cassetto delle scarpe? E ho sentito Christine mentre si arrampicava sopra all’armadio della nostra stanza! E non crederete mai a chi si è nascosto nella cesta dei panni sporchi.» Lydia si chiese come avesse fatto Henry a vedere dove si nascondevano tutti nei brevi venti secondi di conta. Fatto sta che con i preziosi suggerimenti di Henry, Matthew e Lizzie fecero tana a quasi tutti i partecipanti. E anche Emily, l’ultima rimasta in competizione, fu facilmente scoperta quando Henry si mise a sussurrare freneticamente ad una tenda.
La partita era finita ma le proteste erano raddoppiate.
«Non è giusto!» disse Emily.
«Henry è uno spione!» continuò Simon.
«E la partita è durata pochissimo!»
«Voglio giocare di nuovo!»
«Ma senza Henry.»
«Sì, senza Henry!»
Lydia dovette accontentare la maggioranza dei voti che volevano Henry eliminato a vita dal gioco. Henry non si dimostrò particolarmente offeso. Anzi, andò nell’aula delle elementari e un minuto dopo stava trascinando affannosamente un tavolo per posarlo accanto a Duncan, ancora fisso davanti alla porta. «Ho voglia di disegnare!»
Lydia si rivolse a Duncan. «Se fa ancora la spia ti do il permesso di Silenziarlo.»
Duncan si mise sull’attenti. «Signorsì, signora.»
«Anche tu dovresti essere eliminata.» Lydia impiegò diversi secondi per capire che Elinor Garcia si stava rivolgendo a lei.
«Come, scusa?» chiese stupefatta.
Elinor prese coraggio. «Ho detto che dovresti essere eliminata anche tu! Ti sei fatta scoprire subito e invece il gioco è più bello quando dura tanto.»
Simon si grattò il mento pensieroso. «È vero. È una vera schiappa.»
Gli occhi di Lydia si strinsero. «Io non sono una schiappa.»
Lizzie fece un piccolo passo in avanti. «Un po’ sì. Ci abbiamo messo un minuto a trovarti, e non ti eri nascosta neanche un po’.»
Henry ricomparve dall’aula e sparse sul suo tavolino tutti i pastelli a cera che era riuscito a recuperare. «Neanche io sono stato scoperto così velocemente. Sei proprio una frana, Lydia.» disse sinceramente prima di concentrarsi sul suo nuovo disegno.
Lydia spalancò la bocca. «Ma sei stato tu a farmi scoprire!»
Un verso strozzato si levò da Duncan, una mano davanti alla bocca per impedirsi di scoppiare di nuovo a ridere. «Mi dispiace, Lydia, ma i bambini sono la bocca della verità.» E nel tentativo di sopprimere le risate si trovò piegato in due e ad emettere strani versi dal naso.
Lydia sollevò le braccia esasperata. «Ma tu non hai una vita!?»
Simon si avvicinò a Lydia e le posò una mano su un braccio. «Mi dispiace, Lydia.» disse con voce solenne «Ma come membro anziano di questo comitato-»
«Quale comitato!?» ribatté Lydia, non riuscendo a credere a come la situazione si stava inesorabilmente rivoltando contro di lei.
«Ehi, non sei il più grande qui. Ci sono anche io!» disse nello stesso momento Lizzie, scocciata.
«E anche io!» brontolò Leonard Davis, anche lui di otto anni.
Simon parlò sopra alle loro voci. «- Sono costretto a dichiararti eliminata a vita dal gioco di nascon…»
Lydia gli tappò la bocca con la mano prima che potesse finire la frase. Simon scalciò per liberarsi, senza successo. «Datemi una seconda possibilità. Non sono una perdente!»
Vedendo che Simon non riusciva ad avere la meglio su di lei, e neppure a liberarsi, gli altri bambini furono più che propensi a lasciarla giocare di nuovo con loro. E così venne estratto un altro fogliettino dalle interiora di Cuor di Panna. Questa volta sarebbe toccato ad Emily contare.
Al via i bambini scattarono ancora in tutte le direzioni, e questa volta Lydia li seguì di corsa. Prendendosi prima due secondi per lanciare un incantesimo di scossa contro Duncan, ancora intento a ridere come un disperato.
Lo ammetteva, nella partita precedente non aveva preso sul serio la sfida. Ma nessuno poteva osare dire che Lydia Merlin era una perdente. Nessuno. Nemmeno un bambino. L’orgoglio era sempre stato il suo punto debole, specialmente se schiacciato senza pietà da dei semplici bambinetti, alcuni dei quali indossavano ancora il pannolino. No. Questa volta avrebbe dimostrato loro chi era la vera campionessa di nascondino. E se per farlo doveva barare, allora lo avrebbe fatto.
Barare era una parola grossa, si disse per alleviare la coscienza. In fondo nella lista di divieti che aveva stabilito ad inizio gioco non aveva inserito ‘Niente Magia’. Come prima cosa si rifugiò nel dormitorio in cui era stata scoperta nella partita precedente, di sicuro Emily non avrebbe pensato che sarebbe stata tanto stupida da nascondersi nello stesso posto. Controllò che la stanza fosse vuota. Fortunatamente nessuno l’aveva scelta come rifugio. Il suo piano era semplice ma geniale. Doveva Disilludersi e trovare un posto dove si sarebbe potuta camuffare il meglio possibile. Fu uno di quei momenti in cui constatò che avrebbe pagato oro pur di avere un Mantello dell’Invisibilità. Con quello sarebbe diventata la campionessa indiscussa di nascondino. Lydia scosse la testa. Doveva concentrarsi. Come la professoressa McGranitt le aveva ripetuto fino allo sfinimento durante le sue lezioni, la concentrazione era uno dei principi fondamentali della Trasfigurazione. Lydia prese fiato. La formula dell’incantesimo ben stampata in mente. Sollevò la bacchetta e la appoggiò sulla sua fronte. E la porta si spalancò ed entrò un Henry urlante: «Guarda che bello, Lydia! Ho disegnato una zebra!»
In seguito Lydia si domandò come avesse fatto Henry a disegnare una zebra e rincorrerla prima dello scadere dei venti secondi. In ogni caso Lydia si ritrovò davanti alla faccia il disegno di quella che doveva essere una zebra, con la mente però ancora concentrata sul suo incantesimo di Disillusione. E così avvenne il disastro.
Capì subito che qualcosa era andato storto, prima ancora che Henry spalancasse la bocca strabiliato.
Lydia fece l’unica cosa che le venne in mente. Corse verso il bagno dei bambini. Henry non perse tempo e si mise sulla sua scia, agitando freneticamente il disegno del misfatto.
«Lo voglio anche io, ti prego, ti prego, ti prego!» urlava contentissimo.
Lydia raggiunse lo specchio sopra al lavandino e tutti i suoi peggiori timori trovarono la loro conferma. Era completamente a strisce bianche e nere. Tutto. Capelli, occhi, viso, braccia, gambe. Sollevò il maglione e scoprì che anche la sua pancia era stata vittima della stessa sorte.
«Voglio diventare anche io una zebra! Ti prego…» Lydia non aveva parole, ma Henry ne aveva a sufficienza per tutti e due. «Oppure un leone! Puoi farmi crescere i capelli come una criniera? Argh!» fu il suo tentativo fallito di riprodurre il ruggito del leone. Lydia cercò di estromettere dalla propria percezione la voce di Henry. «E poi la coda! A te è cresciuta la coda? Ah… no… puoi farti crescere la coda?» Stabilendo che era impossibile ignorarlo, Lydia lo sollevò di peso e lo buttò fuori dal bagno, chiudendosi la porta alle spalle. Henry cominciò a protestare e picchiare sulla porta.
Lydia tornò a guardarsi allo specchio. Come aveva potuto compiere un errore del genere? Lo sapeva come. Aveva ragione la professoressa McGranitt, Lydia aveva la concentrazione di un cammello in letargo. Non sapeva neanche da dove proveniva una citazione del genere, quella volta l’aveva esasperata oltre ogni dire. E probabilmente le avrebbe ripetuto la stessa frase se avesse potuto vederla ora. Lydia cercò di contenere il panico. Si prese il tempo per respirare profondamente. Niente, non era successo niente. L’aveva vista solo Henry, ma in fondo nessuno ascoltava più quello che raccontava quel bambino. Avrebbe potuto dire che si trattava sicuramente di un sogno, o di un’allucinazione dovuta ad una fuga di vapori dal laboratorio di Lance. Sì, su quello non doveva preoccuparsi. Ora doveva solo tranquillizzarsi abbastanza da riuscire a togliere l’incantesimo. Con un ultimo respiro profondo, Lydia si puntò al volto la bacchetta. «Finite incantatem.» pronunciò con calma.
Riaprì gli occhi. Le righe erano ancora presenti.
Si schiarì la voce. «Finite incantatem
Nulla. Sembrava ancora appena uscita da un film in bianco e nero.
«Fi-ni-te In-can-ta-tem.» sillabò, agitando la bacchetta con forza.
«Finite Incantatem.» La sua voce stava diventando sempre più isterica.
«FINITE INCANTATEM! FINITE!» La potenza dell’incantesimo lanciato le fece venire il mal di testa, ma il suo corpo continuava a rimanere completamente a strisce.
E se non esisteva un contro incantesimo? E se fosse stata costretta a vivere così il resto della sua vita? I suoi capelli rossi erano andati, gli occhi blu avevano perso ogni colore. La sua cicatrice spiccava ancora di più, rendendole il viso spettrale. No. Non poteva vivere così.
«FINITE INCANTATEM!»
Il panico ormai era impossibile da frenare.
Era un incubo. Sì, doveva trattarsi solo di un incubo.
Ma la dura realtà si presentò sotto forma della voce di Emily. «Trovata! Ho trovato Lydia! È chiusa in bagno!»
«Sì! È qui dentro!» confermò entusiasta Henry, inconsapevole dei danni che aveva causato.
La maniglia del bagno di abbassò e Lydia reagì per istinto. «Colloportus
Emily batté sulla porta. «Forza, esci! Ti ho beccata! Dobbiamo eliminarti a vita dal gioco! Simon ha detto che deve esserci una cerimonia, vero Simon?» Lydia non sentì la risposta di Simon, ma i passi di corsa sul pavimento le confermarono che i bambini aveva considerato la sua cattura come il termine della partita, e dai mormorii che sentiva al di là del muro capiva che erano tutti esaltati all’idea di poter assistere alla sua eliminazione.
«Ha detto di sì!» le spiegò Emily.
Poi subentrò la voce di Simon. «Dobbiamo stracciare il suo foglietto. E poi bruciarlo. E poi dovremmo farlo anche con Voi-Sapete-Chi!»
«Cosa c’entra lui?» chiese perplesso Daniel.
«Perché anche Voi-Sapete-Chi non può giocare con noi!»
Qualcuno batté sulla porta. «Forza Lydia.» disse Bethany «Dobbiamo eliminarti, insieme a Tu-Sai-Chi!»
«Non può, è diventata una zebra.»
«E i Mangiamorte. Anche loro non possono giocare con noi.» aggiunse Matthew, confermando la teoria di Lydia. Nessuno ascoltava Henry.
Ma al peggio non c’era fine. Una risata le confermò che anche Duncan si era avvicinato alla porta per godersi lo spettacolo. «Dai, Lydia!» la canzonò «Voglio proprio assistere alla cerimonia di esilio tuo e del Signore Oscuro dai giochi.»
Lydia, ormai succube del panico, improvvisò.  «Non posso! Sto vomitando!»
«Bleah!» fu la reazione schifata della maggior parte dei bambini.
Duncan non fu altrettanto impressionabile. «Non ci crede nessuno. Esci da lì, Lydia. Ammetti la sconfitta.»
«Mai!» fu la pronta risposta di Lydia. Lì si accorse di avere qualche problema di orgoglio.
«È una zebra!»
«Lo sapete che le strisce delle zebre tengono alla larga gli insetti?» si intromise Mike Spencer.
«E questo cosa c’entra?» chiese Lizzie.
«Non lo so.» rispose Mike «È Henry che ha parlato di zebre!»
Lydia voleva sotterrarsi. Guardò lugubre il lavandino. Era tutto perduto. Come poteva uscirne viva e con la reputazione integra?
«Perché Lydia è una zebra!»
Chiuse gli occhi aspettando il colpo di grazia.
«Smettila, Henry! Non stiamo giocando a scatoline chiuse…» rispose Simon.
«E comunque sei stato eliminato a vita anche da lì.» aggiunse Emily.
Lydia tirò un sospiro di sollievo.
Finché Duncan non picchiettò sulla porta. «Comunque Lydia ti conviene uscire. Ewart è corso da basso appena ha sentito la parola vomitare. I miei genitori non saranno tanto contenti di trovarti chiusa in bagno.» Dalla sua voce si capiva che stava sorridendo.
Bastardo.
«Cosa succede?» Non era la voce dei signori O’Brien.
Era peggio. Molto peggio.
«Lieto di vederti, Cait. Ti stavi perdendo un grande spettacolo.»
Cosa ci faceva lì Caitlin? Non si era chiusa in camera giurando di non uscirne mai più? Presa dalla rabbia, Lydia espresse i suoi pensieri ad alta voce. «Pensavo che avessi deciso di startene chiusa per l’eternità in camera tua.»
«Mi stavo annoiando.» rispose tranquillamente Caitlin «E stavo andando a rubare qualcosa per colazione ma ho incontrato Ewart sulle scale. Questo sembra molto più interessante.
Lydia ne aveva abbastanza. «Andate via tutti!»
Ma ovviamente tutti la ignorarono.
«Cosa hai fatto ai capelli?» chiese Caitlin. Per un attimo Lydia temette che riuscisse a vedere attraverso la porta.
«Niente.» L’ilarità nella voce di Duncan era improvvisamente svanita.
Prima che Lydia riuscisse a comprendere cosa stesse accadendo, una nuova voce si aggiunse al gruppo. «Cosa succede? Chi sta vomitando?» E tanti saluti al concedere una giornata di riposo alla signora O’Brien.
«Lydia.» rispose Lizzie.
«È una zebra!» concluse Henry.
La signora O’Brien si rivolse brevemente ad Henry. «Sì, hai disegnato proprio una bella zebra, perché non vai a finirla? Lydia, posso entrare?»
«No.» rispose secca Lydia.
La signora O’Brien dovette rimanerci male. «Come, scusa?»
Lydia guardò il proprio riflesso allo specchio. «Potrebbe essere… emh… contagioso.»
«Oh no!» esclamò la signora O’Brien «Ti sei presa l’influenza? Avevo detto a Katherine di non uscire dalla sua stanza, quella benedetta ragazza non mi ascolta mai.»
«Ehi!» protestò Duncan «Cosa c’entra Kate ora?»
«Già, cosa c’entro io?»
La situazione stava decisamente degenerando.
«Katherine! Torna subito nella tua stanza!» arrivò istantaneamente il rimprovero della signora O’Brien.
Seguito dall’ovvia lamentela di Katherine. «Ma sto bene! Ho sentito Ewart urlare sulle scale e volevo venire a vedere. Sembra interessante!»
«La smettete?» sbottò inviperita Lydia.
«Appena esci dal bagno.» rispose Duncan.
«Forse.» aggiunse Caitlin.
«A me scappa la pipì.» disse Mike.
E poi rumori di passi di corsa e un frastuono finale, come di una padella che si schiantava contro un muro. «Cosa sta succedendo? Ewart stava urlando qualcosa su qualcuno che sta morendo!»
«Lance! Dovresti essere in laboratorio!»
«Ma ho portato il laboratorio con me!» Adesso Lydia aveva proprio voglia di aprire la porta per vedere cosa stava succedendo. Ma una rapida occhiata alle sue sembianze bianco e nere la fermarono. No, doveva concentrarsi ed uscire da quel casino. Puntò decisa la bacchetta contro il proprio viso. «Finite incantatem.» sussurrò per non farsi sentire dai curiosi fuori dalla porta. Ma come risultato il nero divenne ancora più intenso, facendo risaltare maggiormente la cicatrice e donandole definitivamente l’aspetto di un mostro. «Stupida cicatrice.» sbottò.
«Ti fa male la cicatrice, cara?» La preoccupazione nella voce della signora O’Brien era sincera. Lydia provò a tranquillizzarla ma fu interrotta da Caitlin.
«Sei diventata Harry Potter ora?»
Duncan si unì subito allo scherzo. «Uh, le fa male la cicatrice, il Signore Oscuro è vicino… scappate!» Caitlin rise con lui ma la loro ilarità non durò a lungo. I bambini, ignorando che si trattasse di una burla, credettero davvero alle parole di Duncan ed iniziarono ad urlare terrorizzati e, dal rumore dei passi sul pavimento, a correre all’impazzata in tutte le direzioni. «No, fermi! Scherzavano!» provò a fermarli la signora O’Brien. «Cosa vi dice il cervello?!» Dai tonfi e i lamenti che si sentirono, Duncan e Caitlin furono colpiti da qualcosa.
«Ehi, il mio mestolo!» fu la protesta invece di Lance. Lydia approfittò del momento di panico totale per avvicinarsi alla porta, togliere l’incantesimo e aprirla di uno spiraglio largo solo qualche millimetro. La scena era surreale proprio come l’aveva immaginata. I bambini correvano all’impazzata, Duncan e Caitlin si massaggiavano la testa, e il primo aveva tutti i capelli dritti in testa, frutto dell’incantesimo di Scossa che gli aveva lanciato prima Lydia. Katherine se ne stava a qualche passo di distanza, cercando di afferrare i bambini e allo stesso tempo di smettere di ridere, la signora O’Brien teneva ancora in mano un mestolo e lo agitava cercando di riportare la calma. E in tutto questo Lance era appiattito contro un muro, stringendosi al petto un pentolone contenente una pozione rosso fuoco. «Mamma! Devo mischiarla o si condensa!»
«Immobilus!» La scena si cristallizzò. Tutti, tranne Lydia, si trovarono congelati nella posizione in cui si trovavano. Il signor O’Brien svoltò l’angolo del corridoio. «Non vi posso lasciare soli un minuto.» sospirò. «Bambini, qui siete al sicuro, non c’è nessun Mangiamorte e neppure Voi-Sapete-Chi, ma se non la smettete di urlare vi faccio mangiare rape sanguinarie per cena.» Lydia intravide gli sguardi di terrore o disgusto dei bambini. «Rose cara, restituisci il mestolo a Lance. Lance, torna nel laboratorio. Katherine, non hai ancora finito la quarantena quindi torna in camera tua o gira con un incantesimo Bolla d’aria, la scelta è tua. Duncan, Caitlin… con voi non so neanche da dove cominciare…» E poi il signor O’Brien si voltò verso il bagno, ma Lydia fu talmente veloce che chiuse la porta prima che potesse accorgersi che li stava spiando.
Il signor O’Brien riportò tutti in vita. Tra varie proteste e borbottii, ognuno di loro eseguì gli ordini.
«Lydia, è ora di uscire dal bagno. Se non ti senti bene possiamo chiedere a Lance una Pozione Rigenerante.»
«Mi scappa la pipì!» ripeté Mike «Me la sto facendo addosso.»
«Puoi andare nel bagno da basso.» rispose Katherine, la voce distorta. Doveva aver ascoltato il consiglio del signor O’Brien e usato un incantesimo Bolla d’Aria.
«È una zebra!» disse ancora Henry.
Il signor O’Brien si avvicinò alla porta. «Tornate tutti alle vostre occupazioni. Qui ci penso io.» E gli altri lo ascoltarono.
Nell’allontanarsi, Simon dichiarò: «Domani alle nove in punto ci troviamo per organizzare la squalifica di Lydia.»
Quando il silenzio si impadronì del corridoio, Lydia sentì dei tocchi leggeri sulla porta. «Sono andati tutti. Puoi aprire ora.»
Lydia non voleva ammetterlo, ma aveva bisogno dell’aiuto del signor O’Brien. E così aprì di nuovo la porta.
Il signor O’Brien non dimostrò nessuno stupore nel vederla in bianco e nero. «Anche a me capitava sempre di sbagliare Trasfigurazione. Era la rabbia della professoressa McGranitt.»
«Aveva già capito.» constatò Lydia appoggiandosi al lavandino.
«Ho capito da tempo che Henry può essere un po’ logorroico ma dice sempre la verità. Occorre solo avere la pazienza di ascoltarla.» E come se nulla fosse, con un colpo di bacchetta riportò Lydia alle sue sembianze originarie. Lydia non aveva mai amato così tanto i suoi capelli rossi. Persino la cicatrice nella forma originale le era mancata, nonostante il suo rossore perenne.
«Grazie.» disse sinceramente.
«Puoi andare a riposare, se vuoi. Dirò a tutti che hai vomitato, qualcosa sul mangiare troppe caramelle o torte al mattino, se mi permetti. Potrebbe essere una buona lezione per i bambini.» scherzò il signor O’Brien.
E dopo aver ringraziato ancora una volta, Lydia uscì dal bagno, dovendo però passare in mezzo al gruppo dei bambini per riuscire a raggiungere le scale. Caitlin era scomparsa. Rimanevano Duncan e Katherine, i lineamenti del volto di quest’ultima deformati dalla bolla attorno alla sua testa e i capelli che le fluttuavano attorno al volto come se si trovasse sott’acqua. Vedendo Lydia, i bambini fecero tutti un passo indietro e alcuni di loro usarono le maniche dei maglioni per coprirsi bocca e naso. Meglio, preferiva essere considerata contagiosa che ricevere domande indiscrete su ciò che era appena successo. Fece un cenno di saluto e superò il gruppetto, cercando di non saltellare e di mantenere un’espressione contrita. Ce l’aveva quasi fatta. Vedeva l’inizio della scala che l’avrebbe portata in salvo. Sentiva quasi l’odore della libertà. Ma poi Henry si piazzò in mezzo alla sua strada, un nuovo disegno sollevato sopra la testa.
«Lydia! Ho fatto un altro disegno! Adesso ti puoi trasformare anche in una giraffa!»
Lydia vide la scena scorrere al rallentatore. Lo sguardo dubbioso di Duncan, la scintilla di comprensione negli occhi sfuocati di Katherine e la sua dignità andare in frantumi.
«Non so come gli sia venuta in mente un’idea del genere.» tentò di salvarsi Lydia «La trasfigurazione umana è molto pericolosa e…»
SBAM!
La bacchetta di Lydia era già puntata alla finestra, l’adrenalina le vibrava nelle vene. Anche Katherine era in posizione d’attacco, mentre Duncan si era inginocchiato per uscire dalla possibile traiettoria di un attacco e aveva costretto Henry a rifugiarsi dietro alla sua schiena.
Un’ombra si era schiantata sulla finestra accanto a loro. Neanche il tempo di capire cosa fosse che la videro perdere la presa e cadere verso il basso. Lydia si lanciò verso la finestra ma l’oggetto era già fuori dalla sua visuale.
«Cosa diavolo era?» domandò Duncan.
Lydia non perse tempo a rispondere e corse verso le scale. Sentì dei passi alle sue spalle, Duncan la stava inseguendo. Scesero le tre rampe di scale saltando i gradini, spalancarono la porta d’ingresso e superarono l’angolo della casa per raggiungere il punto del giardino che si trovava esattamente sotto la finestra del terzo piano. Lance era già sul posto, inginocchiato a terra.
Duncan superò Lydia. «Spostati da lì, Lance! Potrebbe essere una trappola!»
Lance si voltò. Aveva un foglietto stropicciato in mano. Ai suoi piedi era posata l’ombra. Lydia lo riconobbe all’istante. Era un gufo. Bubolava sofferente, un profondo squarcio all’inizio dell’ala.
Lance sollevò lo sguardo. Un lampo di terrore si insinuò nei suoi occhi. Il biglietto nella sua mano era ridotto ad un brandello.
«È di Paul. I Mangiamorte lo hanno scoperto.»
 
 


Curiosità: Il gioco di scatoline chiuse è un piccolo omaggio a tutti i bambini che ho incontrato in questi anni di lavoro e che hanno ispirato i bimbi di casa O'Brien. I bambini hanno la magia di riempire ogni singolo giorno di gioia e felicità. <3 

Note: Grazie di cuore a tutti voi che state leggendo questa storia <3
Un abbraccio a tutti e a giovedì prossimo!
Emma Speranza

Ps: Perdonatemi per il cliffhanger finale, giuro che settimana prossima mi faccio perdonare!

 
 
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Capitolo 19
*** Capitolo 19 - Vortici e tempeste ***


Avviso ai lettori: presenza di linguaggio volgare

 

Capitolo 19
Vortici e tempeste

 
«Cosa significa che lo hanno scoperto?»
Lydia non capiva, e Duncan era all’oscuro di tutto. «Perché avrebbero dovuto colpirlo, hanno saccheggiato il negozio?»
Lance scambiò un’occhiata con Lydia. Duncan non aveva mai saputo del loro incontro a Diagon Alley. «Non c’è tempo per spiegare.»
Duncan bloccò la strada al fratello. «C’è tutto il tempo che vuoi.»
Lance lo guardò stupito. «Ma Paul è in pericolo! Dobbiamo…»
Lo sguardo di Duncan non ammetteva repliche. «Noi non dobbiamo fare niente. Cosa ti ha scritto? Ci ha dato qualche informazione sul luogo in cui si trova? Su quanti nemici ha attorno? O Paul vuole semplicemente che ti butti in suo soccorso senza neanche pensare di tornare a casa vivo? E come diavolo ha fatto quel gufo a superare le nostre barriere?»
Lydia si trovò d’accordo con Duncan. «Dobbiamo andare ma dobbiamo anche essere prudenti.»
«No!» la fermò Duncan. «L’unica cosa che dobbiamo fare è avvisare papà.»
Lance sembrava sul punto di esplodere. Ma poi succedette una cosa strana. Prese un respiro profondo e allungò il biglietto a Duncan. «Facciamo alla svelta, però.»
Duncan lo osservò per qualche secondo, per accertarsi della sua sincerità. «Lydia, prendi il gufo. Ha bisogno di essere medicato.» Il povero gufo di Paul bubolava sofferente, se ne stava accucciato a terra, sembrava un piccolo batuffolo grigio. Almeno il sangue aveva smesso di gocciolare. Lydia si abbassò cercando di fare meno rumore possibile per non spaventarlo. E lì succedette la seconda cosa strana, ma che in realtà, pensandoci in seguito, era molto scontata.
Lance approfittò della breve distrazione di Duncan, intento a lanciare un incantesimo sul biglietto per riuscire a decifrare l’illeggibile grafia di Paul, e di Lydia, ancora inginocchiata e con una mano tesa verso il gufo, per scattare verso il cancello. Duncan imprecò e si gettò al suo inseguimento, e Lydia, senza neanche pensarci, li seguì a ruota. Avendo capito l’intenzione di Lance, Lydia strinse l’angolo mentre correvano intorno alla casa e riuscì a guadagnare terreno, superando anche Duncan. Nonostante il suo sforzo, Lance riuscì ad aprire il cancello e buttarsi fuori. ‘No!’ pensò Lydia. Sforzò i muscoli delle gambe ad aumentare il ritmo. Un ultimo scatto. Le bastava un ultimo scatto per raggiungere Lance prima che si dissolvesse nel nulla. Lo aveva quasi preso. Allungò la mano. Le punte delle sue dita sfiorarono il suo maglione. Per poi vederlo scomparire davanti ai suoi occhi. Lydia frenò la sua corsa, incespicò e per un soffio non si trovò a terra. ‘No.’ pensò di nuovo, il fiato spezzato, le gambe che tremavano.
«Maledizione!» urlò Duncan alle sue spalle.
«No…» Lydia guardava il punto in cui si trovava Lance solo pochi secondi prima. E poi ricordò un dettaglio importante. Si voltò di scatto verso Duncan e gli si gettò addosso, strappandogli dalla mano il biglietto che ancora stringeva. La vita di Lance dipendeva da quelle poche righe.
Lance,
I Mangiamorte ci hanno scoperti! Devono averci inseguito dopo l’ultimo scontro, ci hanno circondati!
Abbiamo bisogno del tuo aiuto!
Siamo sulla spiaggia delle vacanze.
Paul
 
Duncan stava ancora imprecando. «Dove si trova la spiaggia delle vacanze?» Vide gli occhi di Lydia illuminarsi quando ricordò a che spiaggia si riferiva il biglietto. «Lo sai. Bene. Andiamo ad avvisare papà.»
Ma c’era troppa strada dal cancello alla porta d’ingresso. Sarebbe trascorso troppo tempo per cercare il signor O’Brien e spiegare la situazione, e troppo per dargli modo di ragionare sul da farsi e scegliere la via più sicura. E così Lydia prese la decisione che le sembrò più naturale. Ruotò su se stessa per Smaterializzarsi. E Duncan riuscì dove lei prima aveva fallito con Lance. Le afferrò il braccio e insieme svanirono nel vento.
 
La prima sensazione che Lydia percepì quando atterrò con i piedi sulla sabbia fu la differenza di temperatura. Nella fretta di capire cosa si fosse schiantato sulla finestra, era uscita senza giacca e mentre nel giardino di casa O’Brien si era sentita gelare, qui invece l’aria era meno fredda. O forse era l’adrenalina che le circolava in corpo. In effetti non ne era molto sicura. La seconda cosa che percepì fu Duncan, che fece leva sul braccio che le stava stringendo per buttarla a terra. La sabbia le si era già infilata ovunque. Sollevò lo sguardo. Il gesto calcolato di Duncan li aveva nascosti alla vista delle figure che si aggiravano in riva al mare. Erano ancora lontani e Lydia non riusciva a distinguerli, ma nel profondo del cuore sapeva chi erano. E provò un senso di rabbia misto a panico. Chiuse gli occhi e appoggiò la fronte alle mani. Respirare. Doveva respirare e concentrarsi. Il suo obiettivo era trovare Lance ed impedirgli di uccidersi. Era più difficile di quanto immaginasse. Risollevò lo sguardo ignorando la nausea. Il cielo era buio, nubi temporalesche appesantivano l’aria. Il mare si comportava di conseguenza. Le onde aggredivano la spiaggia, sollevando schizzi e provocando un rumore tale da sovrastare ogni altro.
«È là.» Lydia seguì il dito puntato di Duncan e riuscì anche lei a distinguere la figura di Lance. Era disteso dietro ad un duna di sabbia a poca distanza da loro, ma i suoi riccioli biondi erano inconfondibili. «Ora lo strozzo.»
«Mettiti in fila.» Lydia si sollevò sulle ginocchia e dopo aver lanciato una breve occhiata alle figure sulla spiaggia, corse verso Lance, cercando di rimanere il più chinata possibile per non farsi vedere. Raggiunse Lance con una scivolata e si ributtò a terra al suo fianco.
«Cosa ci fai qui? Dovevi andare ad avvisare papà.»
Lydia spalancò la bocca, pentendosi immediatamente perché il vento sollevò una nuvoletta di sabbia che la colpì in pieno volto. «Adesso me lo dici? Forse dovevi spiegarmi il tuo brillante piano prima di scomparire.» disse in preda ad un colpo di tosse.
Un’altra nuvoletta si sollevò quando Duncan si sdraiò accanto a loro, gli occhi puntati sulle figure in riva al mare. «Siete solo due stupidi.»
«Bene.» disse Lydia. Doveva riprendere in mano la situazione. «Abbiamo visto dove si trovano e quanti sono.» Ne contava una decina. «Ma dove è Paul?»
Duncan indicò un punto sulla spiaggia in mezzo ai tizi. «Lì. Se guardi bene a terra la sabbia cambia tonalità e altezza in mezzo a loro. Sono sicuro che Paul, e chiunque sia con lui, si trova in una bolla di protezione.» Lydia non vedeva nulla. «E se proprio voleva fare l’eroe poteva almeno informarsi che non si dovrebbe mai scegliere una spiaggia come rifugio segreto. Troppe variabili.» disse con disprezzo.
«Sorvoliamo la lezione di Difesa contro le Arti Oscure.» disse Lydia. «Adesso che sappiamo che è lì e che per ora è al sicuro possiamo tornare a casa ed avvisare gli altri. Potremmo Materializzarci da direzioni diverse e colpirli alle spalle prima che se ne rendano conto. Ma ci serve l’aiuto di qualcun altro.» valutò mentre nella sua mente continuava a susseguirsi lo stesso pensiero: ‘Niente panico. Niente panico. Niente panico.’ Come se avesse mai funzionato.
«Okay.» rispose Lance.
Duncan invece si limitò ad annuire, gli occhi ancora puntati sul circolo di sabbia che riusciva a vedere solo lui. Facendo attenzione si alzarono per riuscire a Materializzarsi. Ma delle urla si levarono dalla spiaggia, sovrastando il rumore delle onde.
«All’attacco!» Una figura uscì dal cerchio di sabbia e si buttò contro gli avversari. E c’era una sola persona che poteva aver fatto una cosa così stupida.
«Paul!» urlò Lance. Mollò la presa dal braccio di Duncan e corse verso l’amico, ignorando i richiami del fratello e di Lydia. E la scena di prima di ripeté. Con Lance che correva verso il pericolo, Lydia che lo inseguiva per impedirgli di uccidersi e Duncan che li rincorreva maledicendo entrambi. Nel frattempo, alle spalle di Paul, erano comparse altre persone che si gettarono contro i loro nemici. I lampi degli incantesimi iniziarono ad illuminare la spiaggia.
«Stupeficium!» urlò Lydia puntando la bacchetta verso lo sgherro più vicino. Lo colpì in pieno e provò un senso di soddisfazione nel vederlo cadere scomposto a terra. Uno in meno, nove ancora da sconfiggere. Il suo incantesimo aveva funzionato, ma aveva anche avuto l’effetto opposto di attirare l’attenzione di tutti gli altri. Addio effetto sorpresa.
«Protego!» Lydia si gettò alle spalle di Lance, il cui incantesimo di protezione bloccò i due attacchi successivi, e poi ripartirono all’attacco.
Paul ululava di gioia. «Siete in ritardo!»
Lydia avrebbe voluto Schiantare anche lui. «Non è il momento di fare battutine.»
«Ma quanto sei scorbutica…» Per fortuna un getto di luce verde arrivò a pochi centimetri dai piedi di Paul, costringendolo a concentrarsi di nuovo sulla battaglia che aveva scatenato. I peli sulle braccia di Lydia si sollevarono, avvisandola del pericolo imminente e lasciandole il tempo di buttarsi a terra evitando così che una maledizione la colpisse. Rotolò sulla schiena. «Diffindo!» Un urlo di dolore le confermò che il suo incantesimo era andato a buon fine.
«Incarceramus
«Impedio!» si difese Lydia, rialzandosi «Poùsikus
Un colpo di vento si sollevò strappando il cappuccio dal volto del nemico che stava affrontando. E Lydia esitò. Perché il viso davanti a lei era dolorosamente famigliare.
«Diana?» chiese strizzando gli occhi.
La sua avversaria non fu altrettanto clemente. Con un sorriso sghembo le fece un cenno di saluto. E con un colpo di bacchetta la scaraventò a terra. Lydia cercò di rotolare sulla sabbia per attutire l’impatto, ma la spalla destra ricevette il maggior colpo. Una fitta acuta di dolore le attraversò l’intero braccio e le costole, facendole mancare il fiato. Doveva alzarsi. Lo sapeva. Eppure… Diana Clarke era lì. La Tassorosso del suo anno con cui aveva condiviso le lezioni per sette anni. La stessa Diana Clarke che faceva sempre coppia con lei nell’ora di Erbologia. La stessa Diana Clarke che l’aveva aiutata ad architettare scherzi contro Lance e Paul. Diana Clarke stava cercando di ucciderla. Lydia ruotò sulla schiena e alzò la bacchetta. Il suo braccio tremava incontrollabilmente. Il suo Scudo Protettivo non fu abbastanza veloce. Diana la sollevò in aria e Lydia si trovò a fluttuare sulla scena. Ma non ebbe il tempo di vedere nulla. Perché usando la bacchetta come una frusta, Diana la gettò nel mare.
Se l’impatto con la sabbia era stato doloroso, quello con l’acqua lo fu ancora di più. Lo scontro con la superficie le acuì i dolori provocati dalla caduta, l’acqua era talmente fredda da sembrare ghiaccio. Lydia serrò la bocca e il naso ma la forza del mare le fece perdere il prezioso ossigeno che era riuscita a racimolare durante il volo. Le onde la facevano ruotare sott’acqua, rendendola incapace di distinguere il sotto e il sopra, la superficie dal fondo. Tutto era nero ai suoi occhi. Il panico le impediva di ragionare. L’unica cosa che Lydia riusciva a percepire era il gelo, la pressione dell’acqua e l’oppressione dei suoi polmoni.
Sarebbe morta.
Uccisa da Diana Clarke in una guerra più grande di loro.
Non voleva morire.
Scalciò e agitò le braccia, nella disperazione di trovare la superficie e l’ossigeno che ormai aveva esaurito. E fu lì che si accorse che per tutto il tempo era riuscita a mantenere la presa sulla sua bacchetta. C’era un incantesimo che creava una corrente d’aria che avrebbe potuto reindirizzarla verso il cielo, ma non ricordava la formula, o il movimento. La sua mente in quel momento era un buco nero alla ricerca di aria.
La sua bacchetta però agì per lei.
Come dotata di una volontà propria, creò una corrente che bloccò quella del mare. Un soffio d’aria calda la avvolse e pochi secondi dopo, il viso di Lydia affiorò dalla superficie del mare. Spalancò la bocca. L’ossigeno sembrava non bastarle mai. Boccheggiava ed agitava le braccia e le gambe per mantenersi in superficie. I capelli bagnati le coprivano il volto. I vestiti pesanti la trascinavano verso il basso. E un’esplosione lontana la riportò alla realtà. Voltò il viso verso gli scoppi di luci che provenivano dalla spiaggia.
La battaglia continuava. E Lydia aveva un conto in sospeso con Diana Clarke.
Nuotare completamente vestita nell’acqua gelida di novembre, con un trauma alle costole e ad una spalla si rivelò più difficile del previsto. Ogni bracciata era più lenta di quella precedente, e la riva sembrava non avvicinarsi mai. Le onde erano sia sue alleate, spingendola verso la battaglia, sia sue nemiche, quando la tiravano di nuovo sott’acqua, lasciandola sempre con la paura di non riuscire a tornare a galla. Lydia era quasi sul punto di cedere. I suoi arti tremavano, i muscoli imploravano pietà e i suoi polmoni erano oppressi dalla corrente. Le onde le impedivano di vedere la spiaggia. Uno spasmo alla spalla la fece smettere di nuotare. La corrente la reclamò all’istante buttandola sott’acqua. E le ginocchia di Lydia sbatterono contro il fondale. Fu abbastanza per farle ritrovare la forza di alzarsi in piedi e scoprire così di essere riuscita davvero ad arrivare fino alla riva. Si trascinò fuori dall’acqua. Era come se le sue gambe fossero fatte di cemento, ma riuscì a raggiungere la spiaggia. Le corrente l’aveva spinta ad una decina di metri dalla battaglia.
Lydia si lasciò cadere a terra ed ansimò alla ricerca di fiato. I capelli e i vestiti le si erano incollati alla pelle. Con grande difficoltà riuscì a sfilarsi il maglione. Se ne sarebbe pentita più tardi, in quel momento le bastava riuscire a muovere le braccia abbastanza da usare la bacchetta.
Mentre riprendeva fiato, si prese un momento per valutare la battaglia. Alcune figure erano a terra, uno di loro era un fratello di Paul, ma Lydia lo vedeva agitarsi. Per ora era ancora vivo. Duncan era verso la banchina e affrontava due sgherri da solo, Lance era al fianco di Paul ed impegnati in un duello contro un mago. Dalla facilità con cui schivava entrambi gli attacchi, doveva essere particolarmente abile. E dal modo in cui gli altri gli difendevano le spalle, era anche il capo di quel gruppo. I fratelli e la sorella di Paul erano sparsi per la spiaggia, ognuno impegnato nella propria battaglia.
E Diana Clarke stava per colpire Lance alle spalle.
Con un ruggito, Lydia sollevò a fatica la bacchetta e un raggio di luce rossa esplose in direzione di Diana. La potenza del colpo rigettò Lydia a terra, ma fu sufficiente a colpire anche Diana nonostante la distanza. Lydia si risollevò. La sabbia le si era incollata ovunque. Ne sputò una manciata e si pulì la bocca con l’avambraccio. «Vigliacca!» urlò dirigendosi barcollando verso Diana. Un ragazzo la vide avvicinarsi e tentò di lanciarle una fattura, ma un rapido gesto di Lydia mandò l’incantesimo verso il mittente, colpendolo. Il ragazzo si portò le mani alla gola ed iniziò a boccheggiare, cadendo sulle ginocchia. Quando Lydia lo superò, il suo volto era cianotico. Finalmente Lydia vide negli occhi di Diana un lampo di terrore. La ragazza cominciò ad indietreggiare freneticamente, tastando la sabbia alla ricerca della sua bacchetta, volata via dalla sua presa dopo il colpo subito. Ma era troppo tardi. Lydia raggiunse Diana. Una rapida occhiata alla sabbia smossa attorno a lei le rivelò subito la posizione dell’oggetto che stava cercando. Con una freddezza che mal si accostava al panico che aveva provato fino a quel momento, Lydia sollevò il piede sopra alla bacchetta di Diana. La ragazza capì all’istante cosa stava per succedere. «No!» urlò. Ma era troppo tardi. Lydia abbassò il piede, per un secondo la bacchetta sprofondò nella sabbia ma il CRACK successivo non lasciò dubbi. «Questo era per aver tentato di uccidermi.»
Diana guardò incredula ciò che rimaneva della sua bacchetta. Quando si voltò di nuovo verso Lydia, i suoi occhi sprizzavano puro odio. «Stronza.»
E Diana si trovò la bacchetta di Lydia puntata contro la fronte. «Perché?» sibilò Lydia. Perché si era unita a loro? Perché aveva tentato di ucciderla? Perché aveva dato la caccia ad un suo ex compagno di classe?
Lydia non ricevette la sua risposta.
La rabbia le aveva fatto abbassare le difese. Un colpo la ferì al fianco.
Il corpo di Lydia reagì per istinto. Mentre una mano volava a coprire la ferita, il busto ruotò e un Expelliarmus colpì di strisciò il suo assalitore. L’incantesimo non fu abbastanza forte da fargli volare via la bacchetta. Lydia indietreggiò, ad ogni passo un sibilo di dolore, ma avrebbe fatto qualsiasi cosa per non dare le spalle un’altra volta ad un nemico. Era stata una stupida. E poi riconobbe chi l’aveva assalita. Era un altro volto famigliare. Ma se Lydia non si sarebbe mai aspettata di trovare Diana Clarke dall’altra parte della battaglia, lo stesso non si poteva dire di Isaac Mills. «Lo sapevo che ti saresti unito a loro.» sibilò Lydia «Sei sempre stato scontato.»
Quanto lo aveva odiato durante gli anni di scuola.
«E tu sei sempre stata una sciocca.» rispose Mills con un sorrisetto sghembo. Le onde del mare cominciarono a lambire le scarpe di Lydia. Preferiva dare le spalle al mare piuttosto che a loro. Così aveva anche modo di vedere come stava procedendo la battaglia. Duncan aveva sconfitto uno dei due maghi, e ora stava affrontando una strega particolarmente agguerrita. Altri nemici erano a terra, un fratello di Paul stava medicando quello ferito mentre un altro copriva loro le spalle, Diana era ormai impotente senza bacchetta. La battaglia stava volgendo a loro favore. Lydia doveva solo distrarre Mills il tempo necessario per poterlo poi affrontare con dei rinforzi.
«Ma che bella rimpatriata di classe.» disse «Sai, potevamo andare a berci una burrobirra in onore dei vecchi tempi piuttosto che cercare di ucciderci a vicenda.»
Mills non rimase particolarmente colpito dal suo sarcasmo. «Ti avevo avvisata, Lydia. Ti avevo avvisata di stare attenta, che il mondo sarebbe cambiato.»
Lydia lo ignorò. «A proposito, c’è anche Harris? Di solito siete sempre in giro insieme.» Nonostante la tentazione di guardarsi attorno, Lydia tenne gli occhi fissi su Mills. E così non le sfuggì il lampo di fastidio che gli deformò per un istante il volto.
«Celia è stata una debole. Ha rinunciato.»
In effetti la Serpeverde era sempre stata la più intelligente del gruppo, invece Lydia non aveva mai capito come avesse fatto Mills ad essere Smistato in Corvonero.
Un’altra domanda rimaneva in sospeso tra loro, ma Lydia era troppo spaventata per porla. Perché a scuola con Mills e Harris, c’era un’altra persona sempre in loro compagnia. Una persona che Lydia conosceva fin troppo bene. E se anche lui era diventato un Mangiamorte? Se anche Blake Moore era caduto nel fascino del male? In fondo la sua amicizia con Mills e Harris era stato il motivo principale per cui avevano litigato e si erano lasciati. E Duncan aveva accennato che anche la sorella di Blake si era unita ad uno di quei gruppi. Lydia era sul punto di chiederlo. L’avrebbe fatto se Mills non avesse ricominciato a parlare. «Comunque grazie per essere arrivata. Iniziavo a pensare di aver sprecato il tempo di tutti.» E quella frase aveva talmente poco senso da farle dimenticare ogni domanda su Blake.
«Cosa…?» balbettò.
Diana ridacchiò. «Ci sei cascata in pieno.»
Lydia scosse la testa. «Cosa state dicendo?»
«Che non mi è mai interessato niente di Kenston e della sua patetica famiglia.» rispose Mills con un sorriso.
Lydia continuava a non capire. O forse capiva, ma non era possibile che le sue parole fossero la verità. «Stavate cercando Paul. Ha iniziato a fare quello che aveva detto, a combattervi…» Era il motivo per cui era stato circondato. Perché era stato uno stupido avventato.
Mills parlava rilassato, come se stessero conversando sul tempo e non avesse una bacchetta puntata contro e una battaglia che ancora si svolgeva alle sue spalle. «I Kenston non sono mai stati una minaccia per noi. Qualche scaramuccia ma nulla di più, non sono mai riusciti a farci nessun danno. Non sono altro che delle mosche fastidiose per noi.» E Lydia sapeva dove stava andando il discorso, ma aveva bisogno che fosse lui a confessarlo. «Stavamo cercando qualcun altro.»
«Stavate cercando noi.» concluse Lydia. Un brivido la percorse. Non sapeva bene se per il freddo e l’essere ancora fradicia oppure per la gravità della situazione. Erano stati scoperti.
«Proprio così. È stato difficile, lo ammetto. Non ci avete reso le cose semplici. Avevamo dei dubbi, sai.» continuò Mills «Tutti quei bambini che continuavano a sparire. Abbiamo catturato tanti genitori, ma chissà come mai i loro figli erano introvabili.» La bacchetta di Lydia tremò nella sua mano. Quanti genitori dei loro bimbi erano stati catturati? Qualcuno di loro era già rimasto orfano? «Abbiamo cercato di collaborare con i genitori, di spiegare loro che potevamo riunire la loro famiglia, qualcuno è stato… collaborativo.» Dal ghigno di Mills e la risatina di Diana, Lydia capì che la collaborazione di cui parlava era stata in seguito a qualche Maledizione senza Perdono. Le venne il voltastomaco. «Il problema era che hanno rivelato tutti nomi diversi… Brown, Thomson, Williams, Smith. Qualcuno diceva che era una ragazza bionda, altri un uomo di mezza età. Nessuno combaciava ad alcun mago o strega inserito nei registri del Ministero. Abbiamo subito compreso che era qualcuno che si nascondeva dietro agli effetti della Pozione Polisucco. Siete stati furbi. E probabilmente non avremmo mai capito chi eravate davvero, se solo non vi foste ostinati a voler salvare anche gli studenti del primo anno.»
«Pandizenzero…» si ritrovò a dire Lydia, provocando l’ilarità di Mills e Diana, anche se quest’ultima stava diventando sempre più isterica, il suo sguardo che tornava a ripetizione verso i resti della sua bacchetta.
«Pan di zenzero? È così che chiamate quel posto?» chiese Mills ridendo.
«C’eri anche tu tra quelli che ci hanno inseguito.»
«Oh, no. Sono arrivato dopo, quando vi avevano già circondati. Ammetto che non ero molto contento di essere messo come cane da guardia ad aspettare che faceste la vostra mossa. Ma l’attesa di quei giorni, le notti insonni a controllare i confini, il freddo e la fame… è tutto valso la pena quando avete tentato la fuga. Vi ho visti, e vi ho subiti riconosciuti. Come avrei potuto non riconoscere te o O’Brien.»
Il freddo si era insinuato nelle ossa di Lydia. «Siamo riusciti a sfuggirvi.»
Il sorriso di Mills non si incrinò. «Mi avete solo preso alla sprovvista. Una distrazione che vi ha donato quei secondi necessari per andarvene. Ma non importava, ormai sapevo chi eravate, era solo questione di scoprire dove vi nascondevate come ratti.»
«Non lo scoprirete mai.» ringhiò Lydia.
Diana si passò una mano nei capelli. «Anche i genitori dei tuoi preziosi bambini dicevano lo stesso.»
E per Lydia fu la goccia che fece traboccare il vaso. Uno Schiantesimo colpì in pieno viso Diana. La ragazza sgranò gli occhi prima di crollare a terra. Prima ancora che Mills avesse il tempo di reagire, un altro incantesimo era già volato verso di lui e riuscì ad evitarlo solo per un soffio. Lydia si sentiva goffa nei movimenti, il freddo e i vestiti ancora completamente bagnati la rallentavano, ma si rese anche conto che i diversi scontri che aveva avuto negli ultimi mesi erano stati un allenamento sufficiente da riuscire a parare senza problemi la fattura di Mills.
«Flipendo
Mills si tuffò sulla destra per evitarlo. L’incantesimo di Lydia volò oltre la sua spalla e rischiò di colpire Duncan, che stava combattendo la sua battaglia a pochi metri di distanza da loro.
«Cruciatus
Con un gesto secco del braccio, Lydia sollevò il suo scudo protettivo e la maledizione vi rimbalzò contro. Il contraccolpo scatenò in Lydia delle scariche di dolore provenienti dalle costole e dalla spalla ferita. «Cruciatus!» tentò di nuovo Mills. La parata di Lydia fu perfetta.
Si capiva che Mills si era aspettato una vittoria semplice. Lydia doveva aver rovinato i suoi piani, il che lo rese furioso. E pericoloso. «BOMBARDA!» L’incantesimo di Mills illuminò l’intera spiaggia. Lydia ebbe solo il tempo di sollevare il suo scudo, ma la forza dell’incantesimo fu tale da scagliarla indietro, di nuovo tra le onde del mare. Questa volta l’impatto fu meno traumatico. Forse perché era già bagnata e l’acqua non le sembrò più così gelida, o forse proprio perché non era la prima volta. In ogni caso Lydia strinse la bacchetta e trattenne il fiato mentre scompariva tra le onde. Il volo non era stato così lungo come quello precedente, Lydia toccò subito con i piedi il fondale. E rimase sott’acqua. Conosceva abbastanza bene Mills da sapere che sarebbe rimasto ad aspettare per accertarsi che fosse davvero annegata. Un ricordo le era affiorato alla mente, insieme ad un’idea che poteva essere geniale o maledettamente stupida. Lydia iniziò a roteare la bacchetta, un incantesimo non verbale ripetuto nella mente. Un piccolo vortice cominciò a crearsi sulla punta della sua bacchetta. Era uno stupido scherzo che Lydia, Lance, Paul e Alice facevano sempre all’inizio dell’estate ad Hogwarts. Si immergevano nelle acque gelide del Lago Nero e lasciavano che fosse la magia a fare i gavettoni al posto loro. Cambiava solo l’obiettivo, ma il fine era lo stesso. Lydia continuò a ruotare la bacchetta e il piccolo vortice prese velocità e si ingrandì. Il livello del mare diminuì, tanto che la testa di Lydia spuntò dalla superficie dell’acqua. Prese fiato e individuò subito Mills, che guardava il mare ad occhi sgranati. Lydia sentiva il mare vorticare tutto intorno a lei. Il vento sibilava, ma nulla di tutto questo la toccava. Lei era l’occhio del ciclone. Ed era pronta a colpire. Lydia allungò il braccio e il mare ruggì in risposta. Prima di riuscire a scappare, le onde raggiunsero Mills e lo risucchiarono, facendolo scomparire dalla vista. Solo allora Lydia si rese conto di non aver calcolato un piccolo particolare. L’acqua era facilmente malleabile, ma una volta scatenata era impossibile da trattenere. E così il vortice che aveva creato non si fermò ma proseguì la sua strada colpendo il corpo esamine di Diana, altri due Mangiamorte e un fratello di Paul. Lydia sapeva che avrebbe dovuto sentirsi in colpa ma l’adrenalina le scorreva in corpo rendendole difficile pensare alle conseguenze. Un effetto positivo fu che tutti gli scontri si fermarono. L’alta marea generata da Lydia aveva ricoperto la spiaggia, arrivando alle ginocchia di Mangiamorte ed alleati. Tutti quanti si voltarono a guardarla, in una scena surreale. Lydia pensò a come doveva apparire ai loro occhi: in piedi in mezzo al mare in tempesta, con l’acqua che le gocciolava da tutto il corpo e la faceva rabbrividire. Negli occhi uno sguardo molto simile alla follia. Ma non c’era tempo da perdere. Approfittando della distrazione creata, mandò a segno uno Schiantesimo e l’avversario di Lance e Paul cadde a terra, sprofondando nell’acqua. Lance immerse le mani nel mare, afferrò l’uomo per il bavero del cappotto e grugnendo lo spinse fino alla spiaggia rimasta. Duncan si unì a Lydia ed in un solo colpo riuscì a mandare a terra altri due nemici. Lydia spedì una maledizione contro una strega provocandole un profondo taglio su un braccio. Il suo urlo risuonò nonostante il rumore del mare in tempesta. Lydia si affrettò verso gli altri. Era ora di andarsene da lì, prima che i loro aggressori potessero riprendersi o chiamare i rinforzi. Ogni passo nell’acqua era uno sforzo sovrumano. Lance la vide avvicinarsi e corse verso di lei, raggiungendola a metà strada. Le mise un braccio attorno alla vita e la aiutò a guadagnare gli ultimi preziosi metri verso la spiaggia. «È stato fantastico!» stava urlando, un sorriso stampato in volto come se non fossero ancora tutti in pericolo. Anche Duncan corse verso di loro, affiancandoli. «Dobbiamo andarcene da qui, prima che riescano a riorganizzarsi.» Lanciò uno sguardo preoccupato verso il gruppetto di Mangiamorte rimasto. Erano feriti, ma erano ancora in troppi.
«Paul!» chiamò Lance. Duncan sbuffò infastidito. Se Lydia avesse avuto ancora il fiato l’avrebbe fatto anche lei. «Paul, dobbiamo andarcene!» Paul si trovava a pochi metri di distanza, con il mare che gli arrivava alle ginocchia, insieme ai suoi fratelli e sua sorella. Stavano sostenendo il fratello ferito. E stava facendo cenno a loro di avvicinarsi.
«Non possono venire loro da noi?» chiese irritato Duncan. Lydia si accorse che aveva un grosso livido sul volto. Lance invece non si lamentò e tornò verso il mare, trascinando Lydia con sé. Duncan imprecò per l’ennesima volta in quel giorno. «Perché non possiamo lasciarli qui?» si lamentò «Sono in cinque, sono perfettamente in grado di tornare a casa loro da soli.»
 «Dobbiamo controllare che stiano tutti bene. Nolan è stato colpito…» disse Lance, deciso.
Lydia inspirò profondamente, riuscendo a trovare abbastanza fiato per parlare. «Basta che ce ne andiamo prima che quelli si riprendano.» si voltò verso il gruppetto di Mangiamorte. Mills si stava riunendo al gruppo, il volto era livido e zoppicava vistosamente. Lydia sorrise trionfante. Era da anni che voleva farlo. Ma poi il suo sorriso si incrinò quando vide il gruppetto di sgherri alzare gli occhi al cielo.
Lydia si fermò incuriosita e Duncan, che la stava seguendo, le sbatté contro la schiena. «Stai attenta!» sbottò. Lydia strizzò gli occhi per vedere meglio. I volti di alcuni erano decisamente sbiancati. E poi iniziarono tutti a correre verso di loro.
«Attenti!» urlò Lydia sollevando la bacchetta e puntando i piedi per mantenere l’equilibrio.
Tremava. La battaglia e i suoi involontari tuffi in acqua l’avevano completamente sfiancata. Non era pronta per un’altra sfida. Ed erano troppo vicini. Il suo avvertimento fu completamente inutile. Ormai li avevano già addosso. Mills stava correndo dritto verso di lei. Sollevò un braccio, Lydia mosse la bocca per formulare un incantesimo e… Harris la spinse fuori dalla sua strada e la superò. Fu solo grazie a Lance che Lydia non finì di nuovo in acqua. Il ragazzo riuscì ad afferrarla e rimetterla in equilibrio stringendola a sé. Il suo calore diede un momentaneo sollievo al corpo tremante di Lydia.
«Cosa diavolo…?» chiese Duncan. I Mangiamorte li avevano sorpassati, ignorandoli completamente, e avevano fatto lo stesso con Paul e i suoi fratelli, che assistevano alla scena con il loro medesimo sguardo sbalordito. E poi uno alla volta si dissolsero nell’aria, lasciando dietro di loro un silenzio surreale. Anche il mare decise finalmente di calmarsi. Il rombo che aveva assordato le loro orecchie fino a quel momento si quietò, trasformandosi in uno sciabordio più confortevole. Lydia si accorse che Mills aveva lasciato indietro i caduti, alcuni dei quali ancora svenuti. Un bagliore sulle onde del mare attirò lo sguardo di Lydia. Il cielo era ancora scuro e non le permetteva di vedere bene. Fece un passo verso l’acqua e riuscì a distinguere dei piccoli lampi azzurri che si stavano formando in lontananza. Le onde del mare tornarono a lambirle le caviglie. Un nuovo tremito le scosse il corpo. Abbassò lo sguardo verso le sue scarpe. Un’onda la raggiunse e poi si cristallizzò. Lydia sgranò gli occhi stupita. L’onda si era ghiacciata, come bloccata nel tempo, le bollicine di schiuma completamente immobili. Lydia alzò i piedi e riuscì a liberarsi dalla presa del ghiaccio. E poi l’aria cambiò. Se fino a quel momento Lydia aveva avuto freddo, non era niente in confronto al gelo che provò improvvisamente. Espirò ed una nuvoletta di condensa si formò nell’aria. Il suo cuore batteva lento. Un fiocco di neve le cadde sul naso, un sibilo provenne dal cielo. Un sibilo ed una sgradevole sensazione. Un peso sul cuore e alla bocca dello stomaco. Lydia sentì un urlo lontano.
Fu Lance a risvegliarla, il suo grido sembrò provenire da chilometri di distanza. «Dissennatori!» Fu abbastanza da risvegliare tutti coloro che stavano assistendo alla scena.
«Maledizione.» sibilò Duncan.
Lance non si fece prendere dal panico. «Expecto Patronus!» Il suo lupo argenteo emerse dall’oscurità ed iniziò a correre tutto attorno a loro, illuminandoli e facendo tornare il fiato a Lydia. I Dissennatori continuarono la loro discesa, indirizzandosi verso il secondo gruppetto presente sulla spiaggia. Quello formato da Paul e dalla sua famiglia. La sorella di Paul fu la prima a reagire, ed un Patronus canarino si alzò a volteggiare attorno a loro, avvolgendoli nella sua luce azzurrina. Un altro fratello richiamò il suo Patronus, i primi due tentativi fallirono, ma al terzo un castoro si unì al canarino per proteggere la famiglia Kenston. Trovandosi nell’acqua al momento dell’arrivo dei Dissennatori, erano rimasti incastrati nel ghiaccio fino alla vita. Lydia li vide tentare di strattonarsi per riuscire a liberarsi dalla grinfie del ghiaccio, senza successo. La sorella di Paul cominciò a bombardare il ghiaccio, riuscendo solo ad incrinarlo. Il canto del suo canarino intanto respingeva i primi Dissennatori. Ma erano tanti, troppi. Era come se l’intero corpo di guardie di Azkaban si fosse trasferito su quella spiaggia. Il cielo era diventato nero, riempito dai loro mantelli e dai loro corpi in putrefazione. La maggior parte era ancora lontana, ma il tempo a disposizione stava per scadere, pensò con terrore Lydia. Dovevano andarsene da lì. Per un istante Lydia pensò di afferrare Lance e Duncan ed abbandonare i Kenston al loro destino. Ma ovviamente non aveva fatto i conti con la lealtà di Lance e la sua mania di voler salvare il mondo. Il ragazzo cominciò a correre sul ghiaccio e Lydia e Duncan lo inseguirono. Poteva essere il riassunto della giornata, pensò disperata Lydia. Tutti i muscoli del corpo gridavano, implorandola di fermarsi, ma Lydia si tenne vicina a Lance e al suo Patronus.
Poteva sentirlo. Un urlo nella sua mente, un eco in lontananza. Le lacrime inondarono gli occhi di Lydia, la quale scosse la testa. Qualsiasi cosa, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non sentire quelle urla. Boccheggiò ed inciampò nella cresta di un’onda ghiacciata. Almeno erano arrivati dai Kenston. La sorella di Paul puntò la bacchetta verso qualcosa che teneva in una mano. Un piccolo anello attaccato al collo con una catenella, si accorse Lydia quando la raggiunse. E poi l’anello iniziò ad ingrandirsi. Il metallo si gonfiò fino a raggiungere le dimensioni di una piccola ruota. I fratelli di Paul non attesero altro ed iniziarono ad afferrare l’anello, mentre un bagliore lo illuminava.
«Svelti!» urlò Paul.
Per una volta, Lydia si fidò di lui, e lei, Lance e Duncan, misero una mano sull’anello.
L’urlo era sempre più forte nella mente di Lydia, e poi udì un rumore altrettanto terrificante. Un rantolo, alle sue spalle. Con lentezza si voltò. Un Dissennatore stava puntando dritto su di lei. Lo vide allungare una mano decrepita verso la sua schiena, aprire le ossa delle dita per afferrarla. Lydia sentì il suo respiro, il suo odore marcio, vide la sua bocca. E l’urlo dentro la sua testa si fece assordante. Il Dissennatore si avvicinava, la sua mano stava per sfiorarle la spalla e Lydia chiuse gli occhi, pronta alla fine. E poi sentì uno strattone alla mano stretta attorno all’anello.
Non capì bene che cosa accadde dopo.
Sentì l’urlo. Un’esplosione. Il dolore sul viso. Un pianto disperato.
E poi le sue ginocchia batterono contro un pavimento in legno.
Lydia non riuscì a trattenere un singhiozzo. Le lacrime sul suo viso si erano confuse con l’acqua del mare, fu solo Lance ad accorgersene. «Siamo al sicuro.» le sussurrò prendendole il braccio per aiutarla ad alzarsi. «Siamo al sicuro.» ripeté. E Lydia avrebbe voluto credergli se non fosse stato che anche lui aveva lo sguardo terrorizzato e il sudore che gli impregnava la fronte.
«Altro che al sicuro!» esclamò invece Duncan «Ci avete portati dritti da loro!» Duncan fece un ampio gesto delle braccia e Lydia riuscì a capire dove si trovavano. Riconobbe gli scaffali e la mercanzia che aveva visto solo poche settimane prima.
Paul si mise sulla difensiva. «Abbiamo impostato la Passaporta di emergenza prima di essere scoperti…»
«Nel vostro negozio?!» Lo interruppe incredulo Duncan «Di tutti i posti della Gran Bretagna voi avete deciso di usare il vostro negozio a Diagon Alley come base sicura?»
Lydia rabbrividì. Ora che l’adrenalina la stava abbandonando, il freddo diventava sempre più insopportabile e i suoi abiti ancora completamente bagnati non la aiutavano per nulla. Cercò di puntare la bacchetta verso di sé, ma la sua mano tremava talmente tanto da rendere difficile l’operazione. Poi un getto d’aria calda si sollevò alle sue spalle, avvolgendola in un batuffolo di calore che la fece sospirare di sollievo.
Duncan rivolse poi la bacchetta verso Lance e infine verso se stesso, ignorando completamente la famiglia Kenston. Il fratello ferito intanto venne posato a terra mentre un altro usava un kit di primo soccorso tirato fuori da chissà dove per curarlo, gli altri due fratelli si misero alla finestre, le bacchette puntate contro il vetro per fermare eventuali aggressori. «Adesso ce ne andiamo a casa.» disse Duncan. Lydia annuì.
Lance invece si voltò verso Paul. «Duncan ha ragione. Il negozio non è un posto sicuro. Appena quelli smetteranno di scappare dai Dissennatori sarà il primo posto in cui verranno a cercarvi.
Paul ritrovò il suo coraggio per rispondere a tono a Lance. «E da quando tu dai ragione a tuo fratello?»
Duncan parve seccato dal commento. «Da quanto tu hai iniziato a comportarti come un deficiente.» Paul sembrava sul punto di lanciargli una fattura.
Fu la sorella di Paul ad intervenire per raffreddare gli animi. «Questo non è il momento.» disse alzando le braccia «Siamo stati scoperti, il negozio non è più un posto sicuro. Il tempo di stabilizzare Nolan e poi ce ne andiamo.»
«Noi ce ne andiamo adesso, grazie.» sbottò Duncan. Strattonò il braccio di Lance, ma lui rimase fermo sul posto, senza degnarlo neanche di uno sguardo.
«I vostri genitori sono al sicuro?» chiese Lance sinceramente preoccupato. Anche Lydia lo sarebbe stata, se i loro figli non si fossero appena dimostrati degli stupidi.
«Sì. All’inizio del nostro progetto li abbiamo convinti a nascondersi, per la loro sicurezza.» rispose la sorella di Paul «Sono insieme a mio figlio e a mio marito in un luogo sicuro.»
«Bene, siamo tutti contenti che la vostra famiglia sia protetta, ma ora dobbiamo andare ad accertarsi che anche la nostra lo sia.» continuò Duncan, tornando a strattonare Lance. Il fratello di Paul intanto stava somministrando a quello ferito diverse pozioni dall’aspetto diverso ma tutte altrettanto rivoltanti.
Lydia avrebbe voluto partecipare alla conversazione, aiutare Duncan a trascinare Lance fuori da lì. Ma era come se il suo corpo si fosse paralizzato, la mente persa nelle immagini che i Dissennatori erano riusciti a fare tornare a galla.
«Come hanno fatto a scoprirvi?» chiese Lance.
Lo strattone di Duncan sul suo braccio si trasformò in una sberla. «Ti sembra il momento di fare conversazione?!» chiese irritato. Il suo volto si stava arrossando.
Lance al contrario, era l’immagine della tranquillità. «Finché non finiscono di medicare Nolan e non si mettono in salvo io resto qui con loro. Voi dovreste tornare a casa…»
«No.» Lydia riuscì a ritrovare la voce, anche se la sua risposta fu sovrastata da quella di Duncan: «Neanche per idea!»
«Allora tanto vale cercare di capire come hanno fatto a trovarli e perché li hanno attaccati in quel modo.»
«Lo so io.» Le parole di Lydia generarono il silenzio, tutti gli sguardi si puntarono su di lei. Solo il fratello che stava medicando continuò minuzioso la sua opera. Lydia si accorse che stava ricucendo una ferita larga diversi centimetri sul fianco dell’altro ragazzo. Dovette trattenere un conato di vomito. «C’era Mills tra loro.» disse per distrarsi dal sangue «Isaac Mills e Diana Clarke.» Delle esclamazioni stupite si levarono da Lance e Paul. «Ha detto che voi eravate solo l’esca. In realtà stavano cercando noi.» E lanciò uno sguardo significativo a Lance e Duncan. Dal modo in cui il volto di Lance impallidì, Lydia capì che avevano compreso il reale motivo per cui era stata tesa loro la trappola.
Non altrettanto si poteva dire di Paul. «Voi? E perché mai dovrebbero usare noi per arrivare a voi? È perché non ti sei presentata al Censimento? Ho visto il tuo nome nella Lista.»
«Non ti interessa.» Lo fulminò Lydia. «Fatto sta che vi hanno usati come esca e voi ci siete cascati in pieno.»
Paul si offese. «Noi non abbiamo fatto nulla di male.»
«Niente di male?» La vecchia rabbia provata l’ultima volta che Lydia aveva visto Paul proprio in quel negozio riesplose. «Prima di tutti siete stati così ingenui da farvi scoprire subito. Perché non avete usato la Passaporta appena vi hanno circondati?»
Paul, circondato dai suoi fratelli, non sembrava avere più così tanta paura dell’ira di Lydia. «Perché prima volevamo sconfiggerli. Farli pentire di averci dato la caccia.» Il grido di approvazione di uno dei suoi fratelli confermò il fatto che l’intelligenza non era una dote di famiglia.
«O perché volevate farvi uccidere.» disse Duncan. Fremeva per andarsene, lo si vedeva, ma Lydia aveva un conto in sospeso da saldare prima.
Fece un passo verso Paul. «Non so cosa vi faccia pensare di essere degli eroi capaci di salvare il mondo, ma vi do una notizia: non lo siete.» Lydia vide la bocca di Paul aprirsi, pronto a ribattere. Lo fermò subito. «No. Non dire una parola. Sto parlando io ora. Ti rendi conto di cosa hai fatto? Hai mandato un gufo direttamente a casa nostra.» urlò incapace di trattenere oltre la rabbia «Se fossero riusciti a seguirlo per noi sarebbe stata la fine! Ci hai almeno pensato prima di mandarci il messaggio?» Lo sguardo di Paul era una risposta sufficiente. «Non l’hai fatto. Perché è questo che state facendo. Vi state buttando nel pericolo senza pensare alle conseguenze per voi e soprattutto per gli altri!» Il fratello di Paul aiutò Nolan a rialzarsi. Condividevano tutti lo stesso sguardo colpevole.
«Non è il momento di discutere.» intervenne Duncan «Dobbiamo andarcene da qui, siamo già stati fortunati a non essere ancora stati braccati.» Eppure c’era ancora così tanto in sospeso. Ma Duncan aveva ragione, non avrebbero risolto niente se si fossero fatti catturare in quel negozio. La sorella di Paul aprì un cassettino dietro al bancone e lanciò un oggetto nelle mani di Lance, tenendosene un altro per lei. «Un’altra Passaporta.» constatò Lance esaminando la scatolina che aveva tra le mani.
Lo sguardo di Brianna era di ghiaccio. «Non siamo così sprovveduti come pensate voi. Vi porterà vicino a un lago a sud di Chelmsford. Da lì potrete tornare a casa vostra.»
«Grazie.» disse sinceramente Lance. Poi si voltò verso Paul. «Ti prego, state attenti…»
Paul gli si avvicinò e gli strinse la mano. «So che vuoi fare la cosa giusta.»
«Si sta avvicinando qualcuno!» esclamò il fratello alla finestra. Una frenesia si diffuse nell’aria. I fratelli di Paul si strinsero attorno a Brianna, un cenno di saluto e poi scomparvero lasciando Lydia, Lance e Duncan da soli. Si sentirono delle voci avvicinarsi alla porta.
«Andiamo via di qui.» disse Lydia, sentendo l’ansia e l’adrenalina di prima tornare a scorrerle nelle vene, ma Lance non si muoveva, sembrava perso in un altro mondo. Duncan gli strappò di mano la scatolina di Brianna e buttò il coperchio a terra. Lydia diede una gomitata per risvegliare Lance e tutti e tre afferrarono la boccia di neve contenuta. Mentre il mondo si deformava davanti ai suoi occhi, Lydia vide la porta del negozio cadere a terra e delle figure nere comparire sull’uscio. Poi il buio li avvolse e un secondo dopo erano sulle rive di un lago.
L’improvvisa calma destabilizzò Lydia. Erano salvi. Non le sembrava vero.
Nel sollievo di essere finalmente al sicuro, Lydia non si accorse del bigliettino nascosto nelle mani strette a pugno di Lance.

 
 
 


Curiosità: Sin dalle prime bozze avevo la certezza di voler inserire una battaglia magica combattuta in riva al mare ma sono occorse diverse riscritture per trovare il punto giusto della storia in cui inserirla!

Note: Grazie di cuore a tutti voi che state leggendo questa storia, spero che questo capitolo vi sia piaciuto <3

Un abbraccio e al prossimo capitolo!

Emma Speranza
 

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 - La sconfitta dei pedoni ***


Capitolo 20
La sconfitta dei pedoni
 
 
Come immaginavano, il ritorno di Lydia, Lance e Duncan dalla battaglia fu poco eroico.
Appena varcarono i cancelli di casa furono assaliti (non c’era altro modo per descriverlo) dai signori O’Brien, e le loro urla e rimproveri li seguirono fino all’ingresso, dove si aggiunsero anche quelle di Katherine, anche se persero molto del loro effetto considerando che il volto della ragazza era ancora deformato dall’incantesimo Testabolla. «Si può sapere dove siete stati?!» urlava isterica, per poi correre ad abbracciarli tutti e tre «Sono così contenta che stiate bene!» colpendoli subito dopo con un giornale arrotolato «Ma siete stati degli stupidi a scomparire così! Avete presente quanto ci siamo preoccupati?!» chiese sottolineando ogni parola con un colpo di giornale. Lydia si difese scomparendo dietro a Lance e lasciando che fosse Duncan a spiegare alla sua fidanzata in preda a sbalzi d’umore tutta la vicenda. Se Lydia credeva che i signori O’Brien e Katherine rimanessero colpiti dal loro scontro con Mangiamorte e Dissennatori, fu profondamente delusa. I signori O’Brien erano completamente sbigottiti.
«È un miracolo che siate tornati!» esclamò la signora O’Brien, anche lei combattuta tra l’essere infuriata per la loro scomparsa o sollevata per il loro ritorno. Alla fine optò per una via di mezzo. «Siete in castigo.»
I tre ragazzi si lamentarono sonoramente. «Mi sto per sposare, non puoi mettermi in castigo!» esclamò esterrefatto Duncan.
«Se non può lei, posso io.» rispose Katherine, il giornale ancora minacciosamente stretto nel pugno. A questo Duncan ebbe il buon senso di non rispondere.
Lance e Lydia invece furono più difficili da zittire. «Abbiamo fatto quello che dovevamo fare.» diceva Lance, mentre Lydia borbottava «È tutta colpa di Paul, è sempre tutta colpa di Paul e… ETCIU!»
«Salute.» rispose Katherine.
«Grazie…» Neanche il tempo di rispondere che Lydia fu colpita da un altro starnuto, e un altro, e un altro ancora. Quando Lydia riuscì a riaprire gli occhi, scoprì di avere creato il vuoto attorno a lei. Persino Katherine si era allontanata, nonostante l’incantesimo attorno alla testa.
«Ti sei ammalata, cara?» chiese la signora O’Brien. Poi si voltò verso Katherine «Ecco, questo era il motivo per cui dovevi stare in isolamento.»
Lydia zittì la discussione sul nascere. «Sono solo finita in mare.» Nonostante l’incantesimo d’aria calda di Duncan, aveva i capelli ancora bagnati e si sentiva i vestiti umidi, senza contare il fatto che aveva abbandonato il maglione sulla spiaggia ed era rimasta a mezze maniche da allora. La sua risposta attirò altri sguardi straniti da parte di coloro che non avevano assistito alla scena. «Non importa, sappiate solo che non è influenza.»
La signora O’Brien fu inamovibile. «Non importa il perché ti sei buttata in mare.»
«Mi hanno lanciata!» tentò di protestare Lydia.
«Ma non possiamo sapere con certezza che non si tratti dell’influenza di Katherine… quindi sei in isolamento fino a guarigione completa.» sentenziò decisa.
«Benvenuta in prigione.» disse con tono tetro Katherine.
«Ma… no!» provò a balbettare Lydia.
«Niente ma.» continuò la signora O’Brien. «Fila a farti un bagno caldo e poi a letto, ti porterò le tue pozioni e la cena.» Poi si voltò verso Lance, ignorando completamente le proteste (intervallate da starnuti) di Lydia.
Lance si mise le mani in tasca. «Potete anche punirmi. So di aver fatto la cosa giusta.»
Lo sguardo del signor O’Brien era tetro. «Di questo ne parleremo dopo. Sappi solo che hai lasciato le tue pozioni incustodite per ore…»
Fu abbastanza per far impallidire Lance. «Maledizione.» esclamò. Poi si voltò ed entro tre secondi era già scomparso sulle scale che portavano al laboratorio.
 
E così iniziò il periodo di punizione per Lydia, Duncan e Lance. Lydia fu costretta a rintanarsi nella sua camera; se le prime ore si era lamentata di quella decisione ed aveva bussato alla porta implorando gli altri di lasciarla libera, entro l’ora di cena era già sdraiata sul letto con le ossa doloranti e la febbre che si alzava, senza contare i dolori provenienti dalle ferite della battaglia. «Non è influenza.» continuava a ripetere, ma, nonostante questo, il divieto di uscire continuò e dovette passare i giorni successivi di assoluto riposo in solitudine. Ed era proprio questo particolare che Lydia non riusciva a sopportare. La solitudine e il silenzio non facevano altro che riportarle alla mente il combattimento sulla spiaggia, le parole di Mills e Diana, ma soprattutto i Dissennatori. La sua unica distrazione erano le brevi visite che le venivano concesse. Il signor O’Brien compariva alla porta ad intervalli regolari per sincerarsi delle sue condizioni di salute e le portava pozioni e cibo a sufficienza da sfamare un esercito, che la maggior parte delle volte tornava in cucina completamente intatto. Qualche volta Lance bussava alla porta, anche se la maggior parte del tempo era costretto a rimanere in laboratorio. «Papà ha cercato di salvare le pozioni quando siamo usciti.» le aveva spiegato il secondo giorno di malattia, la porta in mezzo a loro sigillata da un incantesimo del signor O’Brien, il quale non si fidava del fatto che il figlio avrebbe rispettato l’isolamento di Lydia «Ma non è mai stato molto abile in Pozioni e così la maggior parte sono andate in fumo entro mezz’ora. Tutto quel lavoro buttato via… Una era sul fuoco da tre settimane… Tre settimane! E non doveva neanche essere toccata! Come ha fatto papà a distruggerla è un mistero.»
L’unica che poteva davvero farle compagnia era Katherine. Visto che la signora O’Brien la considerava ancora infetta, poteva entrare in camera di Lydia, con la sua fedele bolla attorno al volto come protezione. I primi giorni si limitò ad aiutarla a buttare via tutti i fazzoletti e organizzarle le pozioni medicinali sul comodino, accanto alla piuma (Lydia ringraziò più volte Merlino di non averla avuta con sé sulla spiaggia e non averla così condannata a finire dispersa in mare); dal terzo in poi, quando la febbre di Lydia si decise ad abbassarsi, si presentò con una scacchiera magica. «Non so giocare a scacchi.» fu la reazione di Lydia.
«Non ci credo, non hai mai giocato a scacchi?» chiese Katherine, posando la scacchiera sul letto di Lydia.
«Ci ho ancora giocato, ma io e Lance non conoscevamo le regole e quindi abbiamo inventato un gioco nostro. Vince chi distrugge più pedine avversarie.» Alice e Paul avevano tentato in tutti i modi di insegnare loro le regole vere, ma Lydia e Lance si divertivano molto di più usando la loro versione.
Katherine iniziò a sistemare le pedine con un sorrisetto in volto. «Allora voglio imparare anche io il vostro gioco.» E così iniziarono a giocare. Le pedine erano furiose per essere trattate in quel modo, molte volte si rifiutavano di muoversi e occorrevano tutte le lusinghe, minacce e costrizioni da parte delle ragazze per continuare il gioco, rendendo il tutto ancora più esilarante. Nel giro di poche ore quella che era iniziata come una semplice partita per distrarsi si tradusse in un vero e proprio campionato.
Il signor O’Brien fu il primo ad aggiungersi. Quando passò a recapitare le pozioni del giorno e trovò le ragazze piegate dalla risate dopo che le pedine avevano iniziato una sommossa contro di loro, lanciando i pezzi delle loro compagne sacrificate, il signor O’Brien dichiarò che sembrava un gioco interessante e chiese di poter fare una partita. Per evitare di incorrere nelle furie della signora O’Brien per aver violato l’isolamento, Katherine trasformò la porta di Lydia in una barriera trasparente. Il signor O’Brien prese una sedia e si accomodò in corridoio, mentre Lydia e Katherine sistemarono gli scacchi su un tavolino e lo posarono proprio a metà della barriera, così che una parte fosse nella camera mentre l’altra nel corridoio. La partita attirò l’attenzione degli altri abitanti della casa, facendo accendere in loro il desiderio di partecipare, e così Katherine trasformò il tutto in un torneo, con dei turni di gioco e rivincite varie. I bambini erano i più entusiasti ma di solito le partite con loro erano brevi: volevano solo far esplodere le pedine una dietro l’altra e godersi la distruzione. Per quanto riguardava gli adulti, la signora O’Brien era la più agguerrita, mentre le partite con il marito e Duncan duravano all’infinito visto che insistevano a ragionare prima di compiere qualsiasi mossa. Persino Caitlin accettò di giocare, nonostante il suo disgusto per ogni oggetto magico. Le partite contro Lance invece erano quelle in cui Lydia e Katherine dovevano armarsi più di pazienza. Lance faceva la sua mossa, poi doveva correre in laboratorio per recuperare tutto il lavoro perso durante la loro assenza, per poi tornare di corsa, compiere la mossa successiva e di nuovo via, scomparso nel seminterrato. Una volta era sparito per più di due ore e sembrava svanito completamente nel nulla, per poi tornare come se nulla fosse, spostare il suo cavallo in A7 e andarsene di nuovo per un’altra ora.
Il pomeriggio successivo una di queste pause si stava protraendo all’infinito. Katherine non c’era e Lydia odiava ogni istante in cui rimaneva da sola. La sua mente tornava inesorabilmente alla battaglia della spiaggia, ai Dissennatori, a… Scosse la testa. Non era il momento di perdersi in certi pensieri. Come se fosse così semplice riuscire a distrarsi. Guardò di nuovo l’orologio. Erano già passati venticinque minuti dall’ultima comparsa di Lance. Anche le pedine non erano particolarmente contente di quella pausa così lunga. I cavalli scuotevano la criniera mentre il re nero agitava la corona in aria. Lydia teneva le dita ben distanti. Aveva appena fatto distruggere la regina nera da un fante e il re sembrava sul piede di guerra. Dei passi sulle scale le fecero distogliere lo sguardo dalla scacchiera. «Finalmente sei tornato! La tua regina è andata, solo tre pedine e sei fuori… Oh.» disse semplicemente quando si accorse che non era Lance ad essersi avvicinato alla sua porta-vetro, ma Katherine.
La ragazza sorrideva. «Cosa dici se facciamo noi una partita?»
Lydia si spostò di lato giusto in tempo per non essere colpita dalla corona del re nero. «Sto finendo una partita con Lance.» Avevano una sola scacchiera, la signora O’Brien aveva proposto loro di usare quella d’oro zecchino rinchiusa nei sotterranei e appartenente alla sua famiglia da generazioni. Aveva detto che per lei non sarebbe esistita gioia maggiore che vedere quelle pedine completamente distrutte, ma il signor O’Brien l’aveva fermata e così il torneo si era dovuto giocare con una sola scacchiera e delle pedine sempre più decadenti.
«Allora possiamo giocare a Spara Schiocco.»
Lydia non voleva giocare a Spara Schiocco. Voleva solo finire la sfida contro Lance in santa pace. «Dopo.» sentenziò «Prima aspetto Lance per finire questa partita.»
«Ah.» rispose Katherine. E Lydia si accorse che il sorriso sul suo volto era meno sincero del solito, gli angoli della bocca erano tirati.
Un sospetto nacque in lei. «Cosa succede?»
Katherine aprì la porta e si diresse verso la finestra della camera. «Niente. Se vuoi possiamo ripassare qualche incantesimo! Ne conosco alcuni che potrebbero tornarci utili.»
Lydia si alzò dal tavolino. «Cosa succede?» chiese di nuovo guardando Katherine negli occhi.
Katherine esplose senza altre costrizioni. «Duncan e Lance sono usciti per una missione!» disse velocemente, come se volesse togliersi un peso dal cuore.
E scaricarlo direttamente sul cuore di Lydia. «Come una missione? Che missione? Erano qui venti minuti fa!»
Katherine le si avvicinò. «Nulla di grave, una famiglia ha chiesto il nostro aiuto per la loro figlia. Lo zio Anthony ha già controllato e non ci sono trappole. Dovrebbero tornare entro mezz’ora.»
Ma mezz’ora era troppo tempo da attendere per Lydia. Non era abituata, si rese conto, di solito era sempre lei ad uscire insieme a Lance, non aveva mai dovuto sopportare prima di essere in casa mentre lui era in giro a rischiare la vita. E non gli piaceva. «Potevo accompagnarli.» rispose tetra.
Katherine la guardò scettica. «Hai ancora qualche linea di febbre.»
«Non è vero.» E invece era vero, senza contare il mal di testa che la assillava costantemente e il raffreddore che si stava tramutando in una tosse che la lasciava senza fiato. Katherine si lasciò sprofondare sul letto. «E poi vedila come una punizione per essere usciti l’altro giorno senza dirci nulla.» Lydia incrociò le braccia al petto, rifiutandosi di rispondere. Stupido raffreddore, stupida febbre e stupida tosse. «Comunque se vuoi possiamo parlarne.» continuò Katherine.
«Di cosa?» sbottò Lydia, il pensiero ancora rivolto alla missione mancata e non vedendo così il sorrisetto appena comparso sulle labbra di Katherine.
«Del fatto che sei preoccupata per Lance e non riesci a stare senza di lui.» Il re nero si trovò a volare nell’aria verso Katherine, facendo scoppiare la sua bolla ed atterrandole dritto in fronte. «Ohi!» si lamentò lei massaggiandosi la testa.
Lydia non perse tempo. «Signora O’Brien!» urlò rivolta verso il corridoio «Katherine è in camera mia senza bolla!»
La signora O’Brien aveva il dono di sentire tutto nonostante passasse la maggior parte del suo tempo in mezzo a bambini urlanti, e infatti la sua risposta non tardò ad arrivare. «Katherine!» la sua voce si diffuse nella tromba delle scale ed arrivò fino a loro «Esci subito da lì!»
Questa volta fu Lydia a mostrare un sorrisetto di vittoria mentre salutava con la mano Katherine, intenta a massaggiarsi la fronte e promettere un’amara vendetta.
Se il lanciare il re e negare l’evidenza l’aveva distratta per un breve istante, ora che si trovava sola tutti i pensieri che cercava di ignorare tornarono prepotentemente nella sua testa. Mills, Diana, Paul, i Mangiamorte, i genitori dei bambini caduti nelle loro grinfie, i Dissennatori, Lance che si trovava chissà dove… Lydia sprofondò il volto nelle mani.
Forse Katherine aveva ragione. Forse Lydia era davvero preoccupata per Lance, ma questo non significava che non riusciva a stare senza di lui. Assolutamente no. Era solo preoccupata per un amico che rischiava di incontrare i Mangiamorte. Tutte le volte che si erano scontrati contro di loro erano riusciti a fuggire per miracolo, prima o poi la loro fortuna si sarebbe consumata. E se quel prima o poi fosse capitato quel giorno? Lydia sollevò il volto dalle mani e il suo sguardo cadde sulla piuma adagiata sul comodino. E se Lance si trovava già nelle mani di Mills? Per tutti i troll, cosa gli avrebbe fatto? Lo avrebbe torturato? L’immagine di Lance insanguinato le balenò nella mente, facendola rabbrividire. Doveva uscire. Doveva costringere i signori O’Brien o Katherine a dirle dove si trovava ed andare ad aiutarlo. Un po’ di febbre e un’emicrania non l’avrebbero di certo fermata. Sì, doveva andare. Lydia distolse lo sguardo dalla piuma, pronta a scattare, quando le si presentò davanti agli occhi un’immagine che le fece temere per un attimo di essere in preda alle allucinazioni.
Seduta di fronte a lei in corridoio c’era Beatrix Harris che la fissava, con i suoi occhioni e il suo gattino ben stretto tra le braccia.
«Ciao.» disse semplicemente Lydia, incapace di trovare altre parole.
Beatrix non rispose. Nulla di strano. Da quando Duncan e Lydia erano tornati a casa con lei, non aveva ancora pronunciato alcuna parola, tanto da portarli a sospettare che fosse sordomuta. Il signor O’Brien aveva iniziato a comunicare con lei attraverso la lingua dei segni, ma anche questa soluzione non aveva generato nessuna reazione. Quello che più stupiva Lydia era vederla lì in corridoio, da sola, di fronte a lei. Beatrix di solito cercava di evitare ogni contatto con loro adulti. L’unico a cui si avvicinava spesso era Duncan. Per il resto del tempo tentava di confondersi in mezzo agli altri bambini. Beatrix posò il gattino sul tavolo, vicino alla scacchiera e poi fece un cenno della mano verso le pedine. Lydia guardò prima il gatto, poi la scacchiera. «Vuoi giocare?» chiese esitante.
Beatrix annuì. Anche quello era molto strano. Nei giorni precedenti, durante le partite contro gli altri bambini, Beatrix era sempre rimasta in disparte, senza mai partecipare.
«Io…» esitò Lydia. Io devo andare a cercare Lance, era quello che voleva dire. Eppure in fondo al cuore lo sapeva che nessuno le avrebbe mai detto dove si era diretto, proprio per evitare che facesse una delle sue solite sciocchezze. Doveva aspettare. E preferiva farlo in compagnia di Beatrix e del suo gatto piuttosto che da sola e con i suoi incubi.
Senza aggiungere altro, sistemò tutte le pedine al loro posto e lasciò che fosse Beatrix a fare la prima mossa. I primi a cadere furono i pedoni, poi gli alfieri dovettero scappare per non subire la stessa fine. La partita era giocata nel completo silenzio, interrotto solamente dagli ordini di Lydia alle sue pedine. Beatrix le muoveva lei stessa come negli scacchi babbani, subendosi così diverse aggressioni alle dita. Il gattino restava seduto a fissare con le pupille dilatate ogni movimento sulla scacchiera. A volte tentava di allungare una zampa per fare cadere la torre più vicina a lui, ma ogni volta Beatrix gli abbassava la zampa facendolo desistere. All’ennesimo tentativo fallito, il gattino si decise a sdraiarsi. «È proprio un bravo micio.» disse Lydia facendogli una carezza sul dorso. Il gattino apprezzò ed incominciò a fare le fusa.
«Si chiama Lizzi.» Lydia alzò gli occhi di scatto, la mano ancora sospesa a mezz’aria sopra il gatto. Beatrix spostò il suo cavallo in A5. «È stato mio papà a darle il nome. Mamma voleva chiamarla Grace.»
«Lizzi.» Lydia riprese ad accarezzare il gattino «Mi piace come nome.»
Lydia era convinta che questo breve scambio sarebbe stato il primo e l’ultimo, e invece Beatrix la sorprese di nuovo. «Tu hai un gatto?»
Lydia cominciò ad accarezzare il mento di Lizzi e la gattina si strofinò sulla sua mano, le fusa che aumentavano di volume. «Io no. Ma la mia amica Alice ne ha uno. Era il suo animale ad Hogwarts ma non so come mai inseguiva sempre me. Era come se fosse anche mio.» ricordò con il solito peso sul cuore che provava quando ripensava ad Alice.
«Dove è adesso il gatto?» chiese Beatrix, guardandola con i suoi occhioni giganteschi.
Lydia spostò il suo alfiere in D7. «È in Italia. Con la famiglia della mia amica.»
«E dove è la tua amica?» Lydia fissò il cavallo di Beatrix che si avvicinava minaccioso al suo alfiere. Il cavallo si sollevò nitrendo sulle zampe posteriori e schiacciò l’alfiere sotto i suoi zoccoli.
La voce di Lydia si spezzò. «Non lo so.» Sentì le lacrime bruciarle gli occhi.
Dove era Alice? Dove era Lance? Perché non era ancora tornato? E se... e se avesse perso anche lui? Cosa avrebbe fatto? Inspirò a fatica. Non voleva perdere Lance. Non poteva perdere Lance.
«Ehi! Dovevamo finire la nostra partita!»
E Lydia ricominciò a respirare. La vista di Lance in mezzo al corridoio, con addosso i travestimenti e gli effetti della Pozione Polisucco che stavano svanendo, fu la più bella che Lydia avesse mai visto. Senza pensare all’isolamento, alla febbre o a nient’altro, Lydia spalancò la porta di vetro e si gettò ad abbracciare Lance. Lo strinse forte, il volto immerso nel suo collo, per accertarsi che fosse vero. Lance esitò per un istante, poi Lydia lo sentì rilassarsi e stringerla a sua volta. «Okay, per questa volta ti perdono, ma mi devi una rivincita.» Lydia sentì il sorriso nelle sue parole.
«Tanto stavo vincendo io.» rispose sorridendo a sua volta.
E poi il loro momento si guastò al suono di un «Oh!» troppo prolungato da parte di Katherine e un «Sono tornato anche io, se ti interessa.» pronunciato da Duncan. Lydia si staccò all’istante da Lance, pronta a rispondere a tono a Duncan, solo per essere fermata di nuovo da Beatrix. La bambina corse alle gambe di Duncan e lo strinse forte. Persino Duncan la guardò incredulo e con una certa esitazione le diede qualche pacca consolatoria sulla schiena, senza sapere bene cosa dire, o cosa stesse succedendo in generale. La sua esitazione non era dovuta solo dalla reazione inattesa di Beatrix, ma anche a causa della minuscola bambina che stringeva tra le braccia.
«Lei è Keira.» la presentò Lance, notando la direzione dello sguardo di Lydia. «Ha otto mesi.» Si avvicinò alla bimba e le fece un buffetto sulla guancia. Keira trillò una risata. «Suo papà vuole cercare di attraversare i confini ma è troppo pericoloso per una bambina così piccola…»
«Tutti i confini sono sorvegliati a vista.» continuò Duncan «Hanno delle spie persino negli aeroporti babbani e le Passaporte internazionali sono quasi impossibili da trovare.»
«Nel mercato nero vengono vendute a prezzi esorbitanti, e anche lì è un rischio. Ci ha raccontato di un suo amico che è stato truffato e si è trovato con un semplicissimo innaffiatoio rotto, mentre un altro è andato a ritirare il suo ordine e non è più tornato.» disse tetro Lance «Il papà di Keira sospetta che si trattasse di una trappola…» Keira nel frattempo allungò una mano e indicò con un verso il gattino, che rimaneva imperterrito ad osservare la scena dal tavolino.
«Ragazzi!» La signora O’Brien saltò gli ultimi scalini che la separavano da loro e poi corse ad abbracciare i suoi figli. «Che sollievo sapervi a casa, come è andata?»
«Tutto tranquillo.» cominciò a raccontare Duncan, ma venne immediatamente fermato da un grido della signora O’Brien.
«Cosa ci fai fuori dalla tua stanza?!» Lydia si sentì improvvisamente al centro dell’attenzione. E non le piacque per niente, soprattutto il sorrisetto di Katherine e il fatto che lei sapeva cosa l’aveva spinta ad uscire dalla sua prigione. O meglio, chi. Per fortuna la signora O’Brien non lasciò a nessuno di loro il tempo di reagire. «Torna subito dentro e non azzardarti ad uscire fino a nuovo ordine. Voi invece, con me. Mi racconterete tutto una volta lontani da qui.» E con un’ultima occhiata accusatoria rivolta a Lydia, cominciò a spingere Duncan e Katherine, i più vicini a lei, verso le scale. «E togli la giacca a quella bambina, in casa fa caldo, sta già sudando!» La signora O’Brien tolse velocemente il cappottino dalla bimba, senza aspettare l’intervento di Duncan. Lydia vide un biglietto di carta cadere dall’interno della giacca e svolazzare lento verso terra. Si chinò a raccoglierlo e neanche il tempo di sollevarlo che erano scomparsi tutti dal corridoio, Beatrix e gattino compresi.
«Cosa è?» chiese Lance alle sue spalle, l’unico rimasto. Lydia abbassò di nuovo lo sguardo verso il bigliettino. Con delicatezza lo srotolò, rivelando una grafia sottile. Senza leggerne il contenuto passò direttamente alla firma. «È firmato Augustus.»
«È il nome del papà di Keira.» rispose Lance «Ma lo abbiamo incontrato, ci ha dato tutte le carte e le indicazioni, perché ha messo un biglietto sulla bambina?»
«Magari è per lei.» suggerì Lydia. Il suo sguardo corse di nuovo verso l’inizio della lettera. «Cara famiglia Sullivans (o qualsiasi sia il vostro vero nome)…»
«È il cognome che abbiamo usato come copertura.»
Lydia seguì Lance nella sua camera e chiuse la porta di vetro, per poi farla tornare normale con un semplice contro incantesimo, in caso la signora O’Brien, o Katherine, decidessero di ritornare a controllarla. Lance si era già seduto sul suo letto. «In ogni caso è per noi.»
Lydia si accomodò al suo fianco e starnutì. «Sei sicuro di voler stare qui dentro? Con me e i miei batteri?»
Lance si limitò a passarle un fazzoletto e ad accomodarsi meglio.
La lettera tra le mani di Lydia era spiegazzata e la grafia in alcune parti era confusa, come se fosse stata scritta velocemente. Lydia iniziò a leggere ad alta voce.
«Cara famiglia Sullivans (o qualsiasi sia il vostro vero nome), per prima cosa vi ringrazio per il lavoro che farete per prendervi cura della mia piccola Keira. Seconda cosa… mi dispiace. Vi devo mentire, lo devo fare o cerchereste di fermarmi, ne sono sicuro.» Lydia scambiò uno sguardo preoccupato con Lance, e poi riprese a leggere «Cerchereste di farmi riflettere, di farmi pensare a Keira, ma io l’ho già fatto e sono sicuro della mia decisione. Dovete sapere che io e mia moglie avevamo capito da tempo cosa stava per accadere. Io provengo da una famiglia di babbani e lei viene considerata traditrice del suo sangue per avermi sposato. Così avevamo progettato di andarcene dal Paese mesi fa, quando Keira era ancora neonata. Avevamo già fatto le valigie, pronti a ricominciare la nostra vita da un’altra parte. Poi Keira ha iniziato ad avere problemi di salute, nulla di troppo grave, ma abbastanza da impedirle di usare sia mezzi babbani sia mezzi magici per andarcene. Una settimana dopo la guerra è iniziata e noi eravamo bloccati qui. Ci siamo nascosti, è l’unica cosa che siamo riusciti a fare. E pensavamo di esserci nascosti bene. Ma una settimana fa siamo stati scoperti. Io ero fuori, Keira piangeva e non riuscivamo a farla calmare. Sono uscito con lei per farle fare un giro intorno al quartiere con il passeggino. Ha funzionato, Keira ha smesso di piangere, ma quando sono tornato alla porta di casa ho visto alcuni Mangiamorte che trascinavano via la mia Allison. La mia amata Allison.»
La voce di Lydia si spezzò. Non riusciva a leggere bene le parole successive. Solo quando Lance le prese la lettera dalle mani capì che era perché stava tremando. Lance le si avvicinò, le loro spalle si toccavano. E poi iniziò a leggere con voce lenta. «La mia amata Allison. L’hanno presa e io non sono riuscito a muovermi. Avevo Keira, come potevo lasciarla da sola? Si sono Smaterializzati e si sono portati via il mio amore. E io non ho fatto niente per fermarli. Ero distrutto. E nella disperazione mi sono ricordato di una famiglia di cui ci aveva parlato un amico. Ci aveva detto che c’era una famiglia che prendeva i bambini e li portava in salvo. Aveva proposto che affidassimo loro Keira, ma io e Allison pensavamo che il posto più sicuro al mondo fosse al nostro fianco. Ma ora Allison non c’è più. Io devo andare da lei, capite? È tutta la mia vita. Siamo sempre stati insieme, tranne quel dannato pomeriggio. Devo trovarla, devo portarla a casa.» Anche la voce di Lance vacillò. Lydia vide una lacrima solitaria solcargli il viso. «Ho passato notti intere a pensarci, ma non ho trovato altra soluzione. Devo andare da lei. E l’unico modo per farlo è consegnarmi al Ministero. E lo posso fare solo sapendo che voi terrete la nostra Keira al sicuro. Vi prego, proteggetela dal male di questo mondo. E ditele che io sono andato a cercare la mamma. Che le voglio tanto bene. E che un giorno saremo di nuovo insieme. Ti voglio bene, piccola mia. E grazie a voi per averla salvata. Augustus.
»
 
La voce di Lance si spense e rimase solo il silenzio.
Un silenzio carico di angoscia.
Era quello che la guerra faceva. Portava la sua morte, la sua distruzione in ogni parte. Distruggeva e separava famiglie, amici, amori. E Lydia non sapeva se sarebbero mai stati capaci di ricomporne i pezzi.
 
 



 
Curiosità: E con questo capitolo abbiamo ufficialmente raggiunto la metà della storia! Ebbene sì, in tuto "Piume di Cenere" conta quaranta capitoli, suddivisi in tre parti e in diversi epiloghi xD
Seconda curiosità: Il nome del gatto di Beatrix è una piccola dedica a mio papà. Quando abbiamo adottato una delle nostre gatte, eravamo indecisi sul nome e tra Lizzi, il nome proposto da mio papà, e Grace, quello proposto invece da mia mamma, nella vita reale ha vinto il secondo, ma mi piace pensare che in qualche universo alternativo esisti un gattino chiamato Lizzi <3

Note: Ho deciso di lasciare nella sua forma originaria la lettera di Augustus, senza sottoporla a revisione in quanto scritta velocemente da un uomo disperato... 

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e grazie a tutti voi che state leggendo la storia di Lydia, Lance e la famiglia O'Brien <3
Grazie di cuore <3
Un abbraccio,
Emma Speranza


 
'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 
  

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 - La torretta ***


Capitolo 21
La torretta
 

L’isolamento di Lydia durò una settimana.
Quando finalmente tutti i suoi sintomi scomparvero e riuscì a portare avanti una conversazione senza rimanere completamente senza fiato a causa della tosse, la signora O’Brien ebbe pietà di lei e la lasciò uscire.
Tempo un’ora e Lydia aveva desiderato ardentemente poter tornare nella comodità della sua stanza.
Con l’arrivo di Keira, gli impegni di tutti si erano moltiplicati: essendo ancora sotto l’anno, qualcuno di loro doveva stare sempre insieme a lei, così da non lasciarla in balìa degli altri bambini, i quali non sembravano essersi accorti che Keira non era una bambola. Senza contare le lezioni, i pasti da preparare e la casa da rassettare. In più era successo l’inevitabile. L’epidemia di influenza iniziata da Katherine si era diffusa anche tra i bambini (Lydia continuava a sostenere che la sua invece fosse dovuta solo al tuffo in mare fuori stagione, anche se nessuno sembrava ascoltarla).
Quel giorno di fine novembre, il signor O’Brien si prese l’incarico di occuparsi dei bambini malati, Caitlin e la signora O’Brien di quelli sani, mentre Lance stava ancora cercando di recuperare le tre settimane di Pozioni che suo padre era riuscito a distruggere, e le ore in cui spariva in laboratorio si protraevano anche più di quanto avessero immaginato. Lydia invece era di turno per le pulizie ma subito dopo pranzo fu fermata da Duncan. «Stanza in fondo al corridoio del secondo piano.» le ordinò «Dobbiamo allenarci a contrastare i Dissennatori. Hai visto anche tu quanti sono stati liberati, e lo zio ci ha avvisati che cominciano ad essere avvistati anche in alcune strade babbane.»
E così Lydia si era trovata nella stanza completamente svuotata, in compagnia di Duncan e Katherine.
Katherine riuscì ad evocare il suo Patronus al primo colpo. Senza alcuna difficoltà la sua aquila cominciò a svolazzare per tutta la stanza, inondandola di luce azzurra. Lydia puntò la bacchetta verso il soffitto. Chiuse gli occhi e si concentrò sul momento a cui pensava sempre prima di dover invocare il Patronus. Un senso di calore le inondò lo stomaco e con un sorriso disse: «Expecto Patronum
Quando riaprì gli occhi scoprì di non essere riuscita a creare nulla. Nemmeno un filo di luce azzurra, neanche uno sbuffo. Niente di niente.
Si sistemò meglio, aggiustò la presa sulla bacchetta e la risollevò. «Expecto Patronum!» disse facendo attenzione a scandire bene le parole.
Nulla.
Anche Duncan aveva le sue difficoltà, ma almeno la punta della sua bacchetta si illuminava di azzurro. Lydia invece non sentiva nulla. Non capiva. Era vero che era fuori allenamento, ammetteva che l’ultima volta che aveva invocato il suo Patronus era stato durante l’esame dei M.A.G.O., ma non aveva mai avuto difficoltà ad impararlo. Sin dalla prima lezione aveva creato almeno uno scudo di energia, ed era stata l’unica del suo anno insieme a Lance a riuscire a produrne uno corporeo, a forma di lince. Aveva ricevuto una menzione per questo. Come poteva essere così difficile?
«Sei solo fuori allenamento.» le disse Katherine. Doveva aver notato il suo sguardo affranto. Lydia si passò una mano nei capelli come se nulla fosse.
«Expecto Patronum!» esclamò a voce alta. L’aquila di Katherine la stava fissando. La metteva in soggezione, magari era per quello che non riusciva nell’incantesimo. Sì, decise, era di sicuro per quello. Voltò le spalle all’aquila e a Katherine ma facendo così si trovò a fissare Duncan che con un gesto elegante della bacchetta invocava la sua volpe.
Ecco, ora sì che si sentiva in soggezione. Era rimasta l’unica senza Patronus. E anche gli altri due ragazzi lo sapevano e la guardavano in attesa. Lydia si schiarì di nuovo la voce e chiuse gli occhi. Doveva concentrarsi sul suo ricordo felice, escludendo tutto il resto.
Eppure… C’era qualcosa di diverso, di strano. Il suo ricordo, si rese conto. Quando voleva evocare il suo Patronus pensava sempre alla festa che Lydia, Lance, Alice e Paul avevano organizzato per il termine del primo anno. Erano solo loro, che festeggiavano con succo di zucca e tramezzini in riva al Lago Nero, un momento che molti avrebbero potuto considerare troppo semplice ma che a lei dava una felicità senza confini. Perché le ricordava di come si era sentita quel giorno, circondata dai suoi amici, dopo aver superato i suoi primi esami ed essersi finalmente resa conto che non era solo un sogno, che lei era davvero una strega e che quella era la conclusione solo del primo di tanti anni della sua nuova vita.
Ma adesso… Provava ancora gioia a ripensare a quel pomeriggio, eppure era mischiato ad altro, ad un sentimento dolceamaro.
Alice si era consegnata al Ministero, Paul si era dimostrato uno stupido, il mondo a cui aveva capito di appartenere davvero quel giorno si era rivelato ben diverso da quello dei sogni. Magia, incantesimi e creature magiche erano intrecciate inesorabilmente con pregiudizi, segregazioni e assassini. Era tutto sbagliato.
Lydia deglutì. «Expecto Patronum.» Ma questa volta sapeva anche lei che non ci sarebbe riuscita.
«L’incantesimo Patronus è uno dei più complicati.» Il tono di Katherine si era fatto esitante. «Anche io ho dovuto studiare giorno e notte per evocarlo. Vedrai che con un po’ di allenamento tornerà da te.»
«Ce la faccio.» rispose brusca Lydia.
Persino Duncan evitò di commentare.
Doveva solo cambiare ricordo felice. Lydia cercò di ripensare ad un avvenimento, ad una giornata di pura gioia. Eppure la sua mente rimase vuota. C’era sempre qualcosa che ingrigiva i suoi ricordi. Hogwarts era legata alla guerra, i suoi genitori ad un’infanzia felice ma isolata. E le vacanze a casa di sua nonna… Lydia abbassò di scatto la bacchetta e prima che Katherine potesse continuare a cercare di motivarla, la porta si spalancò e Caitlin entrò nella stanza.
La volpe di Duncan scomparve all’istante, ma Katherine non fu abbastanza veloce e impiegò diversi secondi a dissolvere il suo Patronus in una pioggerellina di luce azzurra. «Oh...» disse semplicemente Caitlin.
«Devi dirci qualcosa?» chiese Duncan, sicuramente per distoglierla dal pensiero della magia a lei preclusa.
Il volto di Caitlin era indecifrabile. «Mi servirebbe qualcuno che tenga i bambini delle elementari per un’ora. Beatrix ha iniziato a vomitare quindi mamma è andata ad aiutare papà.»
Lydia afferrò l’occasione al volo. Con un balzo era già fuori dalla porta e con un «Ciao, a dopo!» corse verso il terzo piano.
Solo quando si chiuse la porta dell’aula alle spalle venne colpita da due cose: prima dal pensiero che forse non era stata la mossa più intelligente da compiere, secondo da un aereoplanino di carta che le atterrò dritto in fronte. Simon si trovava in piedi su una sedia, completamente al centro dell’attenzione ed impegnato a mostrare a tutti i suoi compagni come piegare la carta. Lydia si massaggiò la fronte, non pensava che un pezzo di carta potesse far così male. «Ragazzi...» provò a chiamarli, ma loro erano troppo concentrati e non l’avevano neanche vista entrare. «Ehi!?» si mise di fronte alla scrivania che veniva usata come cattedra. Aveva ancora la bacchetta in mano e la alzò facendo lievitare tutti i fogli e i mezzi aereoplanini dell’aula ed attirando finalmente gli sguardi offesi dei bambini. «Sedetevi.» ordinò mentre i fogli si sistemavano in una pila sulla scrivania. Di solito i bambini non erano così obbedienti, ma anche loro erano ormai perfettamente in grado di capire quando Lydia stava passando una brutta giornata e, non volendo trascorrere il resto del giorno attaccati magicamente alla sedia, si sedettero senza lamentarsi. Lydia sorrise soddisfatta e si accomodò sulla scrivania. Ora doveva solo decidere cosa fare. Dai quaderni sui banchi dei bambini si capiva che l’ora prima avevano fatto matematica, Lydia aveva odiato quella materia quando andava alle elementari.
No, serviva qualcosa di diverso, qualcosa di... magico.
«Animali fantastici e dove trovarli!» sentenziò ad alta voce. La risposta da parte dei suoi alunni fu mista, alcuni batterono le mani entusiasti, altri la guardarono perplessi. Lydia si alzò e si diresse verso la libreria della classe, sapeva che quel libro era lì, lo aveva sistemato lei stessa, e infatti lo trovò vicino a quello sugli animali della savana. Tornò al suo posto, accomodata sulla scrivania. 
«Per quelli che mi stanno guardando come se avessi detto che il cielo è viola, penso che occorra una spiegazione. Questo» alzò il libro che aveva tra le mani «È un libro che studiamo ad Hogwarts.» questa volta tutti rimasero a bocca aperta «Al terzo anno si può scegliere di frequentare Cura delle Creature Magiche, in cui si studiano gli animali magici nel mondo.»
«Hai mai visto un animale fantastico?» chiese Simon senza neppure alzare la mano.
Lydia annuì «Certo! Il mio professore li portava durante le lezioni!» sorrise, ricordando il suo stravagante professore dei primi anni, Silvanus Kettleburn. Certo, aveva mandato un po' troppi dei suoi studenti in infermeria, compresa lei, ed aveva solo un braccio e mezza gamba, ma non si poteva negare la sua passione per la materia che insegnava. «E ho anche visto dei draghi al Torneo Tremaghi!» Per fortuna Henry non era presente oppure ora la sua lezione sarebbe diventata un racconto sulle avventure di Harry Potter. A proposito di Harry Potter; lui era riuscito a scacciare un centinaio di Dissennatori al terzo anno, e lei, diplomata da più di due anni, non riusciva a creare neanche una nebbiolina. Scosse la testa. «Ma ora parliamo di queste creature!» aprì il libro a caso.
«Parlaci dei d raghi!» esclamò Lizzie.
Simon si affrettò ad intervenire «Quelli sono dappertutto...»
Prima che iniziasse una guerra su quale creatura magica trattare, Lydia abbassò lo sguardo sul libro per leggere la prima cosa che le capitasse. Ovviamente fu ‘eseguii l'Incantesimo Patronus’. Mentre i bambini iniziavano a litigare sull’importanza dei draghi nelle favole, Lydia si sfregò gli occhi convinta che la sua vista si stesse prendendo gioco di lei. Eppure sulla pagina erano scritte quelle esatte parole: si trattava della testimonianza di un sopravvissuto all’attacco di un Lethifold. Sembrava che persino Newt Scamander volesse ricordarle che non era più in grado di richiamare la sua lince argentata.
«Tutto bene?» Presa dalla lettura e assordata dalle voci dei bambini, non si era resa conto che Lance era entrato nell’aula e si era seduto accanto a lei sulla scrivania. Lydia chiuse il libro con un tonfo.
«Tutto benissimo!» si schiarì la voce e ripeté in un tono normale «Tutto bene. Cosa ci fai qui? Pensavo che la tua reclusione in laboratorio durasse come minimo altre due settimane.»
Lance fece una smorfia. «Sto iniziando ad odiare quel laboratorio.»
«Tu? Odiare Pozioni? Forse sei tu quello che non sta bene.» lo schernì Lydia, pentendosi immediatamente quando Lance riprese a guardarla preoccupato. «A proposito, hai un orologio nuovo?» chiese di getto, sperando di distrarlo.
«Sei sicura che sia tutto a posto?»
Lydia voltò le pagine del libro di scatto, un leggero crack rivelò che stava rischiando di strapparle. «Tutto a posto, tutto benissimo, mai stata meglio.» rispose decisa.
Lance non le credeva, ma, come i bambini, anche lui non sembrava intenzionato a passare il resto della giornata attaccato alla scrivania. «Ho sentito tutto questo rumore e sono venuto a controllare. Animali Fantastici!» aggiunse leggendo la copertina del libro che Lydia teneva ancora tra le mani. Lo prese e lo sfogliò. «Ti ricordi quando il professor Kettleburn ha rischiato di incendiare Hogwarts con le uova di Ashwinder?» rise leggendo la breve descrizione dell’animale.
«Mi ricordo che per un mese il corridoio davanti al suo ufficio ha puzzato di fumo.» confermò Lydia storcendo il naso ripensando a quel tanfo insopportabile. Ad un certo punto avevano deciso di rinunciare a quella scorciatoia e fare un quarto d’ora di strada in più piuttosto che passare da lì e puzzare come una ciminiera per tutte le lezioni successive. «Invece ti ricordi quando abbiamo dovuto cercare i Moke che ci aveva portato?»
«Quello era Hagrid. Le sue lezioni erano un disastro, ma come si fa a non volergli bene?»
«Quando ci hanno visti arrivare si sono ristretti così tanto che non si vedevano più da nessuna parte! Abbiamo dovuto passare il resto della giornata a cercarli, per poi scoprire che gli ultimi due in libertà erano stati per tutto il tempo nel cappuccio di Paul.»
«Racconta!» urlò Simon, con gli occhi spalancati dallo stupore. Solo con il suo intervento Lydia e Lance si resero conto che i bambini nel frattempo si erano calmati e avevano iniziato ad ascoltare le loro storie. Per Lydia fu naturale accontentarli ed iniziare a raccontare. «Dovete sapere che i Moke sono simili ad una lucertola ma hanno un’abilità: si restringono quando vogliono, o quando vedono un estraneo! Hagrid voleva mostrarceli ma abbiamo fatto in tempo a vederli solo da lontano perché, quando ci siamo avvicinati, non c'erano più! Si erano rimpiccioliti e si erano nascosti nel prato e indovinate a chi è toccato rimanere lì a cercarli? Solo perché ci dispiaceva lasciare Hagrid da solo a sistemare quel disastro...»
«Chi è Hagrid?» chiese Leonard, incantato.
Questa fu solo la prima di una lunga serie di domande che li accompagnò per il resto dell’ora, fino a quando la signora O’Brien tornò e riprese il controllo della classe, lasciando liberi Lance e Lydia.
«Non è andata così male.» dichiarò Lydia appena usciti dalla stanza.
Lance si stiracchiò. «Ti va se andiamo un attimo in giardino a prendere un po’ d’aria? Mi manca l’aria fresca.» disse guardando sognante le finestre.
«Non devi tornare in laboratorio?»
«Katherine mi ha detto di fare pure con calma. E ho intenzione di sfruttare ogni secondo libero.»
Si avviarono insieme verso il giardino, recuperando giacche e sciarpe dall’armadio. Una volta pronti per affrontare l’aria gelida, iniziarono a camminare verso una piccola torretta all’angolo est del giardino, parzialmente coperta da alcuni alberi. «Non pensavo che stare in laboratorio ti pesasse così tanto…» riprese il discorso Lydia.
Lance si sistemò la berretta sulle orecchie. «Non lo pensavo possibile neanche io ma… è diverso. Un conto è preparare pozioni per passione, un altro dover fare scorte su scorte di ogni possibile pozione curativa di questo mondo.» In assenza di guanti, le sue mani sprofondarono nelle tasche della giacca per non congelarsi.
«Ormai sei a buon punto, no?» tentò di consolarlo Lydia.
«Magari… E invece stanotte sono bloccato di nuovo lì perché la pozione Anti-Traccia è nella sua fase più delicata e non possiamo permetterci di perdere un’altra sfornata, senza considerare che Silas e Cyril mi hanno chiesto di preparare delle scorte di pozioni curative anche per loro.»
Lydia aggrottò la fronte. «Perché? Non stanno bene?» Durante la sua settimana di isolamento non le sembrava di aver sentito notizie riguardanti i due cugini.
«Loro stanno benissimo.» Lance si guardò attorno, per accertarsi che fossero realmente soli. «Non sono per loro.» continuò poi in un sussurro. «Mi hanno raccontato che la situazione nel mondo magico è un delirio. Le pozioni sono introvabili, hanno cacciato troppi pozionisti e adesso le farmacie si trovano senza qualcuno che le produca, ed alcune sono troppo complicate per essere preparate da chiunque. Senza contare il fatto che il costo delle materie prime è alle stelle. Mi hanno detto che alcuni paesi esteri hanno bloccato il traffico con la Gran Bretagna a causa della guerra, tagliandoci completamente fuori. Per fortuna noi abbiamo l’orto e quello frutta bene, ma altri non sono così fortunati. E ormai quasi nessuno si fida ad avventurarsi a Diagon Alley per comprare i pochi ingredienti ancora disponibili, e i gufi vengono aggrediti per poter rubare la merce. Come dicevo, un vero e proprio delirio.»
«Mi dispiace per loro…» disse Lydia «Ma un po’ godo al pensiero che i Purosangue si sono ritrovati altrettanto nei guai con la loro stupida guerra.»
Avevano raggiunto la torretta. Lance afferrò la maniglia della porta d’ingresso e diede diversi strattoni per riuscire ad aprirla. «Il problema è che loro hanno i soldi per potersi permettere Pozionisti privati e trasporti internazionali dai Paesi che non hanno approvato il blocco delle merci. Anzi, qualcuno sostiene che alcune famiglie Purosangue hanno comprato i prigionieri Pozionisti per usarli come schiavi. Alla fine ci sta andando di mezzo ancora la gente normale che si trova a non poter guarire i loro figli.» Si chinò per riuscire a passare sotto la bassa architrave e Lydia lo seguì. Il cambio di temperatura fu notevole. Nella torretta era diffuso un calore reso possibile grazie ai perpetui fuochi fatati appesi su tutte le pareti. Il fieno scricchiolò sotto le loro scarpe.
«Hermes?» chiamò Lance «Hermes, ti ho portato i biscotti.»
Si sentì un fruscio sopra alle loro teste. Hermes planò sfiorandoli e atterrò su un pezzo di legno posizionato apposta per lui da Duncan. «Ciao bello!» lo salutò Lance, grattandogli il mento «Come stai oggi?»
Quando erano tornati dalla battaglia sulla spiaggia, avevano ritrovato il gufo di Paul affidato alle cure di Katherine. Il lungo squarcio che gli era stato inferto dai Mangiamorte aveva impiegato diverso tempo e parecchi balsami per iniziare finalmente a guarire, ma già il fatto che riuscisse a planare mostrava grandi segnali di miglioramento. «Tra poco potrai tornare a volare.» gli promise Lance.
«Non troppo lontano.» aggiunse Lydia, guadagnandosi un’occhiata storta da parte del volatile. «Che c’è?» sbottò «Non vogliamo che il tuo padrone faccia un’altra delle sue idiozie.» Rubò un biscotto dalle mani di Lance e lo porse al gufo, per farsi perdonare. Tutti gli adulti di casa O’Brien (Caitlin compresa) erano stati d’accordo su questo punto. Hermes non poteva tornare a casa. Il rischio era troppo grande. Era già la seconda volta che Paul lo mandava a casa O’Brien, e la settimana prima era stato un miracolo che i Mangiamorte non fossero riusciti a seguirlo fino a lì. La signora O’Brien aveva proposto di cancellare la memoria del gufo, ma Katherine aveva insistito che incantesimi del genere sugli animali rischiavano di essere troppo forti e dannosi per le loro sinapsi. Anche le protezioni che impedivano agli altri gufi di avvicinarsi alla casa sembravano non funzionare su di lui. Il signor O’Brien aveva sostenuto che era perché Hermes era un gufo troppo intelligente. Anni fa aveva visto la casa e nessun incantesimo Stordente poteva convincerlo che quell’edificio non esistesse. E così l’unica soluzione possibile era stato inserirlo tra i componenti della famiglia e farlo restare nella torretta attrezzata a voliera, in compagnia dei gufi dei signori O’Brien, di Duncan e di Lance, che in quel momento dovevano essere a caccia perché di loro non c’era traccia, pensò Lydia osservando la finestrella che si apriva in cima alla torretta. Paul era stato avvisato, aveva garantito il signor O’Brien, ma Lydia non sapeva come aveva reagito a quel rapimento, né aveva intenzione di scoprirlo. Non le mai interessato granché di cosa provasse Paul Kenston, e di sicuro non le interessava adesso che aveva rischiato di farli uccidere tutti. E il gufo avrebbe dovuto essere felice di non trovarsi più con un padrone che aveva rischiato di farlo uccidere.
Hermes sollevò l’ala grigia per mostrare a Lance la ferita. Il ragazzo la esaminò facendo attenzione a non toccare i punti. «Sta guarendo bene, bravo piccolino.» Gli diede un biscotto come ricompensa. «Hai mai notato quanto assomiglia al gufo di tuo papà?» chiese Lance con un sorriso.
Lydia sentì la solita stretta al cuore che provava ogni volta che ripensava ai suoi genitori. «Sì. A volte li confondevo quando arrivavano tutti i gufi con la posta della mattina. Ma poi ho scoperto che il gufo di mio papà ha un carattere migliore.» Hermes schioccò il becco in segno di protesta. «Vedi? Era questo che intendevo. Werbley non mi ha mai trattata così.»
Lance rise e ricominciò a grattare l’ala sana di Hermes per farlo calmare.
«Ti ricordi quando Werbley è caduto nella marmellata?» ridacchiò Lance.
Lydia si unì alla sua risata. «Me lo ricordo fin troppo bene. Hai presente quanto tempo ho impiegato a pulirlo? Non riusciva più a volare e si appiccicava ovunque! Quel giorno sono dovuta andare a lezione con le sue piume attaccate su tutta la divisa.»
«E sei stata sbattuta fuori dalla lezione di Pozioni per quello.»
Lydia rabbrividì. «Anche quello me lo ricordo fin troppo bene. Piton era furioso.»
«Quando mai non lo era?»
«E la professoressa McGranitt ha pensato che fosse uno scherzo e mi ha tolto dieci punti. Dieci!» ricordò inorridita.
«E a me venti perché continuavo a ridere. Però l’ho vista veramente infuriata solo quando mi hai tra…»
«Non finire neanche la frase!» lo bloccò Lydia all’istante. «Sto cercando di eliminare quella scena dalla mia memoria.»
Lance scoppiò a ridere.
«Smettila!» Lydia gli diede un pizzicotto.
«Dai, è stata una scena memorabile, non puoi negarlo.»
Lydia alzò gli occhi al cielo. «E allora voglio ricordarti di quando hai chiesto alla Piovra Gigante di andare al Ballo del Ceppo con te!»
«Era disperato! La mamma mi tormentava, ogni giorno mi mandava una lettera chiedendomi se avevo invitato qualcuno e io non so mentire, però dopo averlo chiesto alla Piovra Gigante ho potuto risponderle sinceramente di averci provato.»
Fu il turno di Lydia di scoppiare in una grossa risata. «Sono ancora convinta che ti abbia risposto di sì. Quel tentacolo era molto lusingato.»
«Per l’amor di Merlino!»
«Poverina, chissà quanto è rimasta delusa quando non sei andato a prenderla la sera del Ballo.» continuò divertita Lydia «Magari è ancora lì ad aspettarti, indossando il suo più bell’abito da sera.»
«Ti prometto che la prossima volta che andrò ad Hogwarts le chiederò di ballare con me.» Le loro risate si spensero lentamente nella torretta.
 «Comunque non ho ancora capito perché i tuoi cugini hanno bisogno di pozioni curative.» continuò Lydia, ritornando al presente. Hermes finì di mangiare il biscotto e si fermò a fissarla. Lydia lo prese come un permesso per toccarlo, così allungò un dito ed iniziò a grattarlo sulla nuca. Hermes non disse niente ma non gli beccò neanche via il dito. Lydia lo prese come un buon segno.
«Hanno iniziato un traffico clandestino di pozioni.» disse Lance con una tranquillità che mal si addiceva alla frase appena pronunciata.
«Cosa?!» Presa dallo stupore, Lydia si bloccò ma Hermes non approvò e tentò di morderla. Lydia ritirò la mano di scatto.
«Un traffico di pozioni.» continuò tranquillamente Lance «Per tutte le persone che non si possono permettere le pozioni vendute nei negozi ufficiali. Per le malattie normali si rivolgono alle farmacie babbane, ma se si viene punti da uno stormo di Stinx o morsi da un Awtren, oppure si prende il Morbo di Vertell, allora le medicine babbane non valgono a niente. I miei cugini si sono accorti della situazione e mi hanno chiesto di aiutarli. Io preparo le pozioni, Duncan gliele consegna e loro le rivendono a prezzi ragionevoli a tutti coloro che ne hanno bisogno, anche se sospetto che molte volte non le facciano neanche pagare. Papà non ne sa niente.» si affrettò ad aggiungere Lance «E neanche mamma… E neppure Caitlin. Se parlassimo di pozioni con lei correrebbe subito a fare la spia.»
«E tuo zio?»
«Neanche lui.»
Non essendo più al centro dell’attenzione, Hermes emise un fischio risentito e saltellò di nuovo verso l’angolo più alto della torretta. «Tuo zio non rischia dei guai con il Ministero se li scoprono?»
Lance lasciò alcuni biscotti in una ciotola appoggiata su una mensola. «I miei cugini hanno la fama di essere degli irresponsabili. Lo sanno tutti al Ministero, da anni. Non penso che farebbe così tanta differenza se venissero a conoscenza del loro mercato. Penserebbero che stanno cercando di arricchirsi con le Pozioni. Hai visto anche tu Diagon Alley. Ormai pullula di mercati neri più o meno discutibili.» Il pensiero di Lydia tornò alla strega che vendeva ciondoli per smascherare i Nati Babbani. Hermes fischiò di nuovo. Lance sollevò lo sguardo. «Meglio andarcene. Sta meditando vendetta.»
Lydia fu la prima a correre fuori. Le mancava solamente di essere centrata dal gufo di Paul per concludere quella disastrosa giornata. Il suo volto si deformò in una smorfia ripensando a quella mattinata, cercò la piuma nella tasca nel tentativo di tranquillizzarsi.
«Riuscirai ad evocare il Patronus.»
Lydia lo guardò male. «Chi ha fatto la spia, Katherine o Duncan?»
«Katherine.» rispose tranquillamente Lance «Ti ha vista giù di morale ed è scesa a chiamarmi.»
 «Non ce n’era bisogno.» Lydia cominciò a camminare velocemente verso la porta d’ingresso. Lance la inseguì senza fatica.
«Hai ragione, forse non ce n’era bisogno.» Lydia rallentò per riuscire a voltarsi sospettosa verso di lui. «Volevo solo dirti che se vuoi parlarne io ci sono. E se non vuoi parlarne io ci sono comunque.» aggiunse prima che lei potesse ribattere. Lydia lo guardò, pensierosa. Non ebbe bisogno di aggiungere altro. La porta d’ingresso di aprì e comparve il volto di Katherine. «Oh, grazie al cielo sei qui, Lance. Il Distillato Soporifero ha iniziato a ribollire e non riesco a farlo ragionare.»
Lance emise un gemito e Lydia vide il suo volto rilassato scomparire. «È un egocentrico. Appena non gli dai abbastanza attenzione inizia a protestare… Arrivo subito…» disse con un sospiro. Ed entrò in casa come se stesse andando ad un funerale. Katherine corse di nuovo giù dalle scale diretta verso il laboratorio.
Lydia allungò una mano per fermarlo. «Grazie.» disse semplicemente quando lui si voltò a guardarla. Grazie per essere corso da lei, per averla distratta e averla fatta ridere. Lance capì e gli rivolse un piccolo sorriso, si avvicinò a lei e le strinse la mano.
«Lance!» urlò Katherine dal seminterrato «Lance! Sta iniziando a vomitare!»
Lance sgranò gli occhi. «Abbassa il fuoco prima che sia troppo tardi!» Lasciò la mano di Lydia e corse verso il laboratorio, lasciandola da sola nell’atrio.
La sua mano non le era mai sembrata così fredda.
 
 


Curiosità: I nomi dei gufi di Lance e Paul sono ispirati dalla mitologia greca, un piccolo tributo a 'Epic the Musical'. Io adoro quel musical e nel periodo in cui stavo facendo la prima revisione dei capitoli lo ascoltavo a ripetizione <3 

Note: Grazie di cuore a chi sta leggendo questa storia <3 
E tantissimi auguri a tutti voi di un felice e sereno Natale <3 

Come mio regalo per voi vi dono una piccola anticipazione del capitolo 23 di "Piume di Cenere", intitolato 'La stella di Ecate' e ambientato proprio durante il periodo natalizio:


Lydia si avvicinò in punta di piedi all’angolo del salotto occupato da Katherine, Caitlin e Duncan.
«Buon Natale!» esclamò Katherine. Duncan si limitò ad un grugnito, ma probabilmente la sua reazione era dovuta in gran parte al cerchietto con le corna da renna che era stato costretto ad indossare.
Caitlin, mezza sdraiata sul pavimento e già circondata da incarti di regali, le lanciò un biscotto al cioccolato. «Buon Natale, non vedo l’ora che sia sera, che tutti loro siano rinchiusi nelle loro stanza e che finisca questa giornata infernale. Ma li sentite? Come fanno a produrre dei suoni tanto fastidiosi?»
Katherine aggiustò il cerchietto di Duncan. «Oh Cait, puoi smettere di mentire con noi. Lo sappiamo tutti che in realtà i bambini ti stanno simpatici.»
«Solo Simon e David.» borbottò Caitlin. «E te l’avevo detto in confidenza. Non c’è bisogno di sventolare ai quattro venti le mie debolezze.» Lydia ridacchiò e spinse Katherine per farsi spazio sul divano.
«Le corna ti donano, Duncan.»
«Non una parola, Merlin.»
«Non ti preoccupare, Lydia. Gli ho già fatto una foto.» Lo sguardo feroce di Duncan non ebbe l’effetto desiderato sulla sorella, soprattutto perché sul cerchietto erano presenti cinque campanellini che risuonavano ad ogni suo movimento. Lydia e Caitlin dovettero mordersi il labbro per non scoppiare a ridere.
«Joy to the world!» La porta del seminterrato si aprì di colpo rivelando un Lance dalle braccia spalancate ed un enorme sorriso a distendergli il volto. «The Lord is come; Let Earth receive her King!» continuò a cantare. Superò a grandi passi lo spazio che lo separava dai ragazzi e, appena li raggiunse, li stritolò tutti insieme in un grande abbraccio. «Buon Natale a tutti voi!»
«Non respiro!» boccheggiò Katherine, rimasta incastrata da qualche parte tra il braccio di Lance e la spalla di Lydia.
«Tieni giù le mani!» si ribellò invece Caitlin.
«Dlin dlin!» protestarono le corna di Duncan.



Tantissimi auguri di buon Natale e un abbraccio a tutti voi! <3

Emma Speranza


 
'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 
  

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 - Tutti i motivi per restare ***


Capitolo 22
Tutti i motivi per restare
 

Quella notte Lydia non riusciva ad addormentarsi.
La preoccupazione per il Patronus mancante e i suoi ricordi avvelenati la tenevano sveglia. Insieme al pensiero di Lance e di come era corso appena aveva saputo che qualcosa non andava. Lydia sospirò e si voltò per l’ennesima volta nel letto, trovandosi così di fronte alla piuma adagiata sul comodino. E lei invece cosa aveva fatto? Non si era neppure accorta prima di quel giorno di quanto fosse stanco e di quanta pressione avesse sulle spalle. Che pessima amica che era. Si voltò di nuovo. Il letto ormai era completamente disfatto. Lance c’era sempre per lei e lei invece non riusciva a guardare oltre ai propri problemi. Tirò un pugno al cuscino nel tentativo di renderlo più comodo. Nel corso degli anni era ancora capitato che Paul le dicesse che era un’amica terribile. Quel pensiero la scosse. No, decise scalciando le coperte rimaste e prendendo la piuma dal comodino per infilarla nella tasca del pigiama. Avrebbe fatto di tutto per impedirsi di dare ragione a Paul Kenston.
I corridoi erano completamente deserti. Un silenzio innaturale riempiva l’aria. A Lydia faceva impressione non sentire le urla e le risate dei bambini. «Stanno bene. Stanno solo dormendo.» si dovette ripetere per convincersi a non andare al piano di sopra per controllare. «Sono al sicuro.» Scese le scale illuminate solamente dalla luce della sua bacchetta. Si fermò solo un istante per guardare fuori dalla finestra. Dei leggeri fiocchi di neve volteggiavano nel cielo, posandosi delicatamente sul prato.
«Sta nevicando.» dichiarò appena mise piede nel laboratorio di Lance. Non fu una delle sue idee migliori. Lance, preso alla sprovvista, sobbalzò e rischiò di rovesciarsi addosso la pozione che stava mischiando.
«Lydia?» chiese ad occhi spalancati. Probabilmente l’aveva presa per un’immaginazione dovuta ai fumi delle pozioni.
«Proprio io.» rispose lei. Si guardò attorno. In tutti quei mesi che aveva ormai trascorso a casa O’Brien, era scesa solo poche volte nel laboratorio, preferendo immensamente l’aria fresca dell’orto. I profumi che lì adorava, nel laboratorio le sembravano soffocanti. Per non parlare dei vasetti di ingredienti in salamoia disposti su tutta una parete, che le ricordavano troppo l’ufficio di Piton e tutte le punizioni e i brutti voti che si era presa in quel luogo ogni volta che sbagliava catastroficamente una pozione. Eppure… Ora che guardava meglio si accorgeva che il laboratorio di Lance era ben diverso dall’aula del professor Piton. Le candele diffondevano un bagliore che illuminava i muri di pietra, delle finestrelle vicino al soffitto lasciavano entrare il bagliore della luna.
«Cosa-?» iniziò a chiedere Lance.
«Non riuscivo a dormire.» disse Lydia avvicinandosi alla parete sulla quale erano disposti in fila una serie di pentoloni di tutti i tipi. «E poi ho pensato che ti serviva un po’ di compagnia. Qualcuno che ti tenga sveglio e non ti faccia addormentare dritto dentro la pozione Anti-Traccia.» Si avvicinò al primo paiolo, era di bronzo e al suo interno ribolliva un liquido verde acido. Lydia sollevò lo sguardo su un cartellino appeso al muro proprio sopra al paiolo. ‘Pozione contro tutti i tipi di raffreddori (comuni, da allergia o da polvere di Alxep)’, e subito dopo un elenco con le varie fasi per preparare l’intruglio, le prime cinque erano cancellate, quella successiva recitava ‘lasciare in stasi per sette ore’.
«Grazie.» disse Lance, ancora non del tutto convinto di non star sognando. Lydia passò al calderone successivo, che conteneva Essenza di Purvincolo, poi un paiolo di Pozione Erbicida. Scorse tutta la fila fino ad arrivare all’ultimo. Era un paiolo minuscolo in confronto agli altri e luccicava alla luce delle candele. Lydia si avvicinò e si accorse che era fatto d’oro zecchino. Sollevò lo sguardo per leggere il biglietto. ‘Felix Felicis’. Riabbassò di colpo il viso, un barlume di speranza nel cuore che si spense subito quando si accorse che il paiolo era completamente vuoto.
«Ho tentato già due volte ma non sono riuscito. Il procedimento è talmente difficile che solo pochissimi pozionisti al mondo riescono a produrla.» disse tetro Lance, accorgendosi di cosa aveva attirato la sua attenzione. E poi la pozione Anti-Traccia iniziò a ribollire furiosa e Lance dovette voltarsi di nuovo verso di essa.
Lydia spiò da sopra la sua spalla. Il liquido all’interno del paiolo era grigio, ben diverso dalle dosi di pozione azzurra brillante che bevevano i bambini. «Quando diventa azzurra?»
Lance lasciò cadere delle foglioline nel paiolo. «Solo quando viene messa nei bicchierini per i bambini. Aggiungo all’ultimo un colorante naturale. Sarebbe impossibile convincerli a berla se assomigliasse a cenere.»
«Il professor Piton diceva sempre che i coloranti vanificano l’intera pozione…»
Due giri di mestolo e la pozione si calmò. «Per fortuna la ricerca è riuscita a creare un colorante non tossico. Penso semplicemente che il professor Piton provasse piacere nel costringerci a ingoiare pozioni schifose quando finivamo in Infermeria.» L’attimo di tranquillità durò poco. La pozione ricominciò a ribollire e Lydia e Lance dovettero abbassarsi per non essere centrati dai suoi sbuffi. «Meglio se ti metti al riparo.» La voce di Lance tradiva la sua stanchezza, eppure si gettò di nuovo sulla pozione ed iniziò a mischiarla ed aggiungere ingredienti talmente velocemente che Lydia faticava a seguirlo.
Per evitare di distrarlo e fare inavvertitamente saltare in aria la casa, Lydia andò in un angolino allestito con una poltrona e un tavolino, la cui intera superficie era coperta da innumerevoli libri di pozioni ed erbologia, insieme ad una serie di riviste di “Pozionista oggi”. Accanto alla poltrona c’era un’altra fila di calderoni, quello più vicino diffondeva un profumo di vaniglia.
La luce soffusa, la comoda poltrona e il borbottio delle pozioni che sobbollivano, creavano un’atmosfera di calma che Lydia non pensava possibile. Troppa calma, pensò con uno sbadiglio. No, era scesa con l’intenzione di fare compagnia a Lance e se non poteva parlare con lui per non distrarlo, non avrebbe neppure dormito. Prese una rivista dal tavolino e la aprì a caso. Un articolo sugli usi dell’erba di Sers nelle Pozioni Cambia Pelle e sui rischi da contatto le apparì davanti agli occhi. Si ricordava dell’erba di Sers. Dove l’aveva già sentita?
Occorre prestare particolare attenzione a non porre le erbe di Sers a diretto contatto con le code di rospo’.
Leggendo quella frase un ricordo riempì la mente di Lydia.
 
Lydia non era mai stata particolarmente portata per Pozioni, ma finora questo non le aveva impedito di raggiungere dei risultati decenti, e soprattutto non le era mai capitato di far esplodere un calderone.
Almeno fino a quel giorno.
Ovviamente il professor Piton aveva sfruttato il momento per sottolineare la sua incapacità davanti all’intera classe e per togliere dieci punti a Grifondoro.
Non era colpa sua. Si era distratta solo un attimo. Un solo secondo e senza pensarci aveva versato le code di rospo troppo presto. Aveva fatto in tempo a coprirsi il viso con le braccia ed era stata una fortuna, almeno le vesciche potevano essere nascoste dalle maniche della divisa. 
«Tutto bene, Lydia?» Alice sembrava sinceramente preoccupata del comportamento dell’amica, intenta a distruggere la sua vittima, un piatto di arrosto e patate ormai ridotti a poltiglia. Lydia si limitò a rispondere con un grugnito e continuando la sua opera di distruzione. «Piton fa così con tutti… ho sentito dire che con Neville Paciock è anche peggio…»
«Non so neanche chi sia Neville Paciock…» ringhiò Lydia, prendendo il coltello.
«Hai solo fatto esplodere un calderone, Lydia. Come se non fosse capitato a quasi tutti gli studenti di Hogwarts.» Alice alzò gli occhi al cielo e si concentrò sul suo pranzo, probabilmente intenzionata a ignorare l’amica, convinta che nel giro di qualche minuto si sarebbe calmata.
Come se fosse possibile, pensò Lydia cercando di trattenersi dal grattare i segni rossi che le erano rimasti sulle mani e sulle braccia. Il professor Piton si era limitato a sostenere che sarebbero spariti nel giro di qualche ora e che sarebbero stati un giusto monito su quello che accadeva se uno studente si permetteva di distrarsi durante le sue lezioni. Lydia sbuffò sonoramente per attirare l’attenzione di Alice, la quale rispose voltandosi verso la sua vicina ed iniziando a conversare con lei sul tempo.
Lydia sbuffò di nuovo e si guardò attorno per trovare la sua prossima vittima. Non aveva ancora finito di lamentarsi del comportamento spregevole di Piton e forse sfogarsi con qualcuno l’avrebbe aiutata a distrarla dal grattarsi le braccia. Non ci mise molto ad individuare Lance e Paul al tavolo dei Tassorosso. Lydia afferrò la borsa dei libri da terra e si alzò, con un ultimo sguardo furioso nei confronti dell’amica (che continuava a commentare l’infausto tempo degli ultimi giorni come se fosse l’argomento più entusiasmante del momento), si voltò di scatto e attraversò la Sala Grande sbattendo rumorosamente i piedi.
«Ehi, tu! Spostati.» ringhiò a Cedric Diggory, che aveva avuto la sfortuna di sedersi accanto a Lance. Il ragazzo sorrise e si spostò per farle spazio. Lydia si infuriò ancora di più.
«Ha sorriso!» esclamò sedendosi «Io vi insulto e voi sorridete. Ma che razza di problemi avete voi Tassorosso? Non avete un po’ di amor proprio?»
Lance ovviamente sorrise. «Perché qualcosa mi dice che sei furiosa per la storia di Piton?»
«Ma che intuizione! Dieci punti a Tassorosso!» Lydia rubò dalle mani di Lance il bicchiere pieno d’acqua e se lo versò sul braccio sinistro, facendosi sfuggire dalle labbra un sospiro di sollievo.
«Dovresti andare a farti controllare le braccia…» tentò di dire Lance.
«Neanche per idea!»
«Ma potrebbero infettarsi.»
«Non darò a Piton questa soddisfazione.» sibilò perentoria. Lance ebbe il buon senso di desistere.
«Però Lydia potevi stare più attenta.» aggiunse Paul tra un boccone e l’altro. «Mi stavi per centrare in un occhio.»
Nonostante gli anni di amicizia, Paul non aveva ancora imparato la lezione più importante: mai stuzzicare Lydia quando era infuriata. Infatti la ragazza inspirò velocemente e la sua rabbia si sfogò sul ragazzo in una serie di insulti che costrinsero Paul ad abbandonare il suo pranzo e scappare, ricordandosi alcuni importanti compiti di Astronomia da terminare nonostante la prossima lezione sarebbe stata solo la settimana successiva.
«Sei stata troppo dura.» la rimproverò dolcemente Lance, guardando Paul scappare a gambe levate.
«Se non vuoi che lo faccia anche con te ti conviene evitare ogni commento.» Lydia versò altra acqua nel bicchiere di Lance e si lavò di nuovo le braccia, bagnando anche il tavolo. L’acqua gocciolava sul pavimento, creando una piccola pozza ai suoi piedi. Ma a Lydia non importava, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di far smettere il bruciore.
Lance picchiettò un dito sul tavolo. «Posso?» chiese infine. Lydia non replicò e si limitò ad allungare il braccio. Le dita di Lance sfiorarono delicate le sue macchie facendola sibilare per il male. «Dovresti davvero andare in Infermeria. Le code di rospo a contatto diretto con le erbe di Sers possono causare gravi reazioni allergiche.»
Lydia ritirò il braccio. «Come fai a ricordarti tutte queste cose?»
Lance sorrise. «Mi piace Pozioni.»
Lydia non riusciva proprio a capire. «Ma come fa a piacerti con un professore come Piton? Quello ci odia ed è contento ogni volta che sbagliamo! Pensaci, ti ha mai fatto un complimento?»
Lance non ebbe bisogno neppure di pensarci. «No.»
«E sei il più bravo del corso! E probabilmente tra i migliori della scuola!» Inconsciamente Lydia ricominciò a grattarsi il braccio sinistro. «Eppure niente, neppure un bravo! Ti ignora e basta.»
Lance scrollò le spalle. «Non ho bisogno della sua approvazione.»
«Beh, io invece ho bisogno che la smetta di tormentarmi!» sbottò Lydia.
Era inutile negare che Piton odiasse tutti i Grifondoro, e non faceva nulla per nasconderlo. E come potevano pretendere che Lydia andasse bene in Pozioni quando il professore criticava ogni singola azione che compiva? Lydia si accorse di avere le dita bagnate. Abbassò lo sguardo. Un rivoletto di sangue usciva da una delle pustole. Si affrettò a coprire le ferite con la manica prima che Lance se ne accorgesse.
«Non è solo Piton il problema, vero?» Lance la guardò negli occhi.
«Se quello che vuoi dirmi è che sono negata in Pozioni grazie mille, lo so già da sola.»
«Non intendevo quello e lo sai anche tu.»
Sì, Lydia lo sapeva ma non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura. Quindi si limitò a prendere la via più facile: quella della fuga. «Grazie per niente.» esclamò alzandosi in piedi e dirigendosi a grandi passi verso la porta.
«Aspetta!» Ovviamente Lance la seguì a ruota. Lydia lo ignorò e proseguì spedita uscendo in cortile. Non riuscì ad andare oltre perché Lance la raggiunse e le prese il braccio per fermarla, stringendola senza volerlo proprio sulle ferite e facendola sobbalzare per il male. «Scusa!» esclamò subito lasciandole l’avambraccio.
«Non fa niente.» Lydia si strinse le braccia al petto.
«Mi dispiace davvero!»
Lydia sospirò. «Ho detto che non fa niente.» e diceva sul serio. In fondo non era colpa di Lance se lei era così testarda da preferire soffrire piuttosto che ammettere la sconfitta.
Seguì un breve istante di silenzio interrotto infine da Lance. «Se vuoi ho una pomata contro le bruciature. Potrebbe funzionare anche sulle tue ferite.» E Lydia lo avrebbe abbracciato per il sollievo se le braccia non le avessero bruciato così tanto. «Aspettami qui, torno subito.»
Lance fu di parola, entro cinque minuti era già di ritorno e applicò una generosa dose di pomata sulle braccia sempre più rosse di Lydia. Sentirono la pelle sfrigolare a contatto con la crema, un sollievo immediato si diffuse in tutto il corpo di Lydia, facendole sfuggire un sospiro di sollievo. Chiuse gli occhi e appoggiò la testa alla colonna del muretto su cui si era seduta.
«Comunque dovresti parlarne con qualcuno.» Lance aveva il talento di rovinare ogni momento di tranquillità. «E non provare di nuovo a negarlo!» la minacciò appena si accorse del suo sguardo di fuoco. «Dovresti parlarne almeno con Blake.» Pronunciò le ultime parole come se fosse sotto tortura. Lance era amico di tutti. Tranne che di Blake.
Lydia distolse lo sguardo concentrandosi su una formica che si arrampicava sul muro accanto a lei. «Io e Blake non parliamo di queste cose.» si costrinse ad ammettere.
«E di cosa non parlate in particolare?» Lydia poteva sentire il sorrisetto di Lance nella sua voce, ma forse grazie al sollievo provato con la pomata o forse perché non lo stava guardando in volto, non le importava. «È solo che… è diventato tutto così…» Non sapeva neppure che parola usare.
«Complicato?» Come faceva Lance a capire sempre cosa provava? Era un mistero.
Lydia annuì. La formica scomparve in un cespuglio ai loro piedi.
«Gli ultimi anni ad Hogwarts sono stati sempre più strani.» ammise Lance. Strani era un eufemismo. «Ma siamo pur sempre ad Hogwarts. Siamo ancora al sicuro.»
La rabbia assopita di Lydia si risvegliò, inondandola. «Facile dirlo per te che sei Purosangue. Non tutti abbiamo la tua stessa fortuna.»
Lance le si avvicinò e le sfiorò la mano. «Lydia, dico davvero. Hogwarts è ancora il posto più sicuro, e il professor Silente è il più grande mago del mondo, troverà una soluzione.»
Lydia spostò la mano. «Vallo a dire allo studente pietrificato.»
Senza rendersene conto, Lydia era caduta nella trappola di Lance. «Vedrai che troveranno presto il responsabile.»
«Molti pensavo di averlo già trovato…»
«Sappiamo entrambi che Harry Potter non ha pietrificato nessuno…»
Lydia sbuffò. «Dovresti dirlo anche a Paul.»
Lance si strinse nel mantello. «Ho provato a farlo ragionare ma quando si fissa su una cosa non c’è modo di fargli cambiare idea…»
Un improvvisa folata di vento gelido inondò i due ragazzi facendoli rabbrividire.
Lydia saltò giù dal muretto e si rassettò la divisa. «In ogni caso non è colpa mia se Piton è psicopatico.»
«Non è psicopatico.» Lance cercò la parola giusta. «Diciamo che ha i suoi pregi e i suoi difetti. È molto competente nella materia che insegna, solo che il suo metodo lascia un po’ a desiderare.»
Lydia lo fissò.
«Cosa c’è?» chiese Lance.
«Niente. Sto solo cercando di capire come fai a trovare sempre qualcosa di buono in tutti.» rispose, leggermente scocciata.
Lance replicò con un sorrisetto. «È un talento naturale.» Ridacchiando si spostò in tempo per evitare la manciata di neve che Lydia gli lanciò addosso.
Lydia si pulì le mani bagnate sull’orlo del mantello e si voltò per rientrare nel castello.
«Se vuoi posso aiutarti io!» la richiamò Lance. «Intendo per pozioni. Lunedì prossimo abbiamo l’ultimo compito di Pozioni…»
«Nell’ultimo giorno di lezioni prima delle vacanze… è proprio uno psicopatico…» bofonchiò Lydia.
«Potremmo ripassare insieme. Sono sicuro che riuscirai benissimo a preparare le pozioni senza Piton che ti assilla.»
Lydia lo fissò negli occhi, ponderando la scelta. «E va bene.» si arrese infine. «Ma solo per questa volta.» E senza lasciare il tempo a Lance di aggiungere altro, rientrò nel castello, non vedendo così il volto del ragazzo che si illuminava per la felicità.
 
Mancavano solo tre giorni al compito in classe di Pozioni. E quattro giorni all’Espresso di Hogwarts che l’avrebbe riportata a Londra. Per la prima volta da quando aveva messo piede nel castello, Lydia non vedeva l’ora. Negli ultimi giorni la situazione a scuola era diventata sempre più difficile; tutti continuavano a parlare dei misteri che avvenivano, delle scritte sui muri e di Colin Canon, il quale si trovava ancora in Infermeria, pietrificato. Nessuno sapeva cosa fosse successo ma tutti avevano delle teorie. Anche se era una in particolare che circolava sulla bocca di tutti, avvalorata dallo spettacolo avvenuto la sera precedente durante la prima lezione del Club dei Duellanti. Lydia e Lance non avevano partecipato; a nessuno dei due stava particolarmente simpatico il professor Allock, troppo pieno di sé, inoltre durante una delle sue prime lezioni aveva esclamato che Lydia assomigliava terribilmente ad una strega mangia bambini contro la quale aveva valorosamente combattuto in Tanzania, guadagnandosi così il disprezzo di entrambi i ragazzi. Alice e Paul invece erano stati entusiasti all’idea di poter imparare a duellare ed erano stati proprio loro a correre a raccontare tutto quello che era accaduto a Lydia e Lance, appena terminato l’incontro. Non che avrebbero impiegato molto a scoprirlo. Il giorno dopo l’intero corpo studentesco ne parlava.
Harry Potter conosceva il Serpentese. Doveva essere per forza l’erede di Salazar Serpeverde.
Ovviamente né Lydia, né Lance, né Alice ci credevano, e neanche Blake ma per i motivi totalmente sbagliati. «Quel ragazzino non può essere l’erede del più grande mago mai esistito. Ma l’hai visto?» E così quella mattina Lydia aveva litigato anche con Blake. In più l’eritema sulle braccia era meno livido ma continuava a farle talmente male da impedirle di passare una notte di sonno decente, senza contare il fatto che il compito di Pozioni si avvicinava e Piton, durante l’ultima lezione, sembrava aver avuto come unico obiettivo inventare gli insulti più originali contro Lydia. «Anche un babbano riconoscerebbe la differenza tra gli occhi di Gerobillo e quelli di una Salamandra.» aveva detto a dieci minuti dalla fine della lezione, e con un colpo di bacchetta aveva fatto evaporare la pozione di Lydia lasciandola con un calderone vuoto e una furia cieca che la spinse a sollevare il mestolo pronta a colpire in testa il professore. Fortunatamente Piton non l’aveva degnata di uno sguardo e le aveva voltato le spalle, non accorgendosi così delle intenzioni di Lydia, e per altrettanta fortuna Lance era accanto a lei e riuscì a bloccarle il braccio in fretta.
Lydia aveva così evitato l’espulsione ma la sua rabbia era intatta. E lo era ancora durante la lezione successiva di Trasfigurazione. «Stupido, scemo, troll in tutù.» ringhiò agitando la bacchetta contro la sua tazzina da tè. Avrebbe dovuto trasformarla in un riccio ma la rabbia le impediva di ricordarsi persino l’incantesimo da pronunciare. Avrebbe voluto gettare la tazzina contro il muro. Quello sì che l’avrebbe aiutata.
«È stato ingiusto.» ammise Lance.
«È stato un bastardo.» replicò Lydia agitando la bacchetta. Alice, vedendo la sua furia, si era seduta dalla parte opposta dell’aula, lasciando a Lance l’ingrato compito di cercare di calmarla.
«Anche questo è vero.» La tazzina di Lance si richiuse su se stessa, la porcellana adornata di piccole spine. «Ma vedrai che il compito di lunedì andrà benissimo. Abbiamo ripassato tutte le pozioni che abbiamo fatto finora e abbiamo davanti ancora tutto il fine settimana per finire il ripasso.»
Ma Lydia sapeva che i suoi problemi non sarebbero terminati neanche dopo il compito. E la sua tazzina non era particolarmente contenta di essere la vittima di tutta la sua rabbia e paura. Il mezzo riccio di porcellana tentò di scappare buttandosi dal banco, Lydia lo riprese al volo e lo riappoggiò con tanta forza da scheggiarne un angolo. Fortunatamente la professoressa McGranitt si trovava dall’altra parte della stanza, impegnata a rimproverare uno studente che aveva trasformato la sua tazzina in un uccellino che ora svolazzava cinguettante per l’aula.
«Dovresti davvero parlarne con qualcuno.»
«Non so a cosa ti riferisci.» ribatté Lydia, senza però guardare negli occhi Lance.
«Lo sai benissimo di cosa sto parlando. E anche Alice è della stessa idea.»
Lydia strinse convulsamente la bacchetta. «E allora dì anche ad Alice che non ho bisogno di niente. Sto bene.» sibilò. Il riccio tazzina percepì il suo stato d’animo e si buttò dall’altra parte del banco. Preferiva l’autodistruzione che essere vittima degli incantesimi maldestri di Lydia.
Lance non sembrava altrettanto spaventato dalla reazione della strega. «Ci sono state minacce contro i Nati-Babbani e uno studente è stato Pietrificato.» disse impassibile
«Non ho bisogno neppure del ricapitolo. So benissimo cosa sta succedendo a scuola.» Lydia puntò la bacchetta contro la tazzina, la quale strillò terrorizzata emettendo lo stesso rumore di una teiera e si gettò di lato per evitare l’incantesimo.
La tazzina uccellino dell’altro studente svolazzò sopra le loro teste. Lydia cercò di scacciarla con la mano. La professoressa McGranitt era ancora troppo intenta a minacciare il povero studente sul suo futuro e sui prossimi G.U.F.O. per fermare l’uccellino impazzito.
«Hai tutti i motivi per aver paura, ma tenere tutto dentro non ti fa bene.» continuò imperterrito Lance.
Lydia ne aveva abbastanza. «Perché non puoi semplicemente farti gli affari tuoi?»
«Perché sono tuo amico.»
«No!» esclamò Lydia. Fissò il suo riccio tazzina per evitare di dare in escandescenze nel bel mezzo della lezione. «È solo il tuo stupido orgoglio da Tassorosso. In fondo non è quello che cercate sempre di fare voi Tassi? Cercare di aggiustare le persone? Ma non abbiamo bisogno della vostra carità, io non ho bisogno della tua carità, quindi grazie per l’aiuto a Pozioni, ma me la cavo benissimo anche da sola.»
E in quell’istante accaddero molte cose contemporaneamente.
Lydia aveva inconsapevolmente alzato la voce ad un livello tale da attirare l’attenzione della professoressa McGranitt. Appena la vide stringere le labbra nella loro direzione, probabilmente pronta ad una ramanzina sull’importanza del silenzio e della concentrazione durante le sue lezioni, Lydia puntò nuovamente la bacchetta verso la sua tazzina riccio. Solo che in quello stesso istante la tazzina uccellino cercò di posarsi sulla sua testa, e di riflesso, Lydia la scacciò sollevando il braccio della bacchetta.
Il risultato fu catastrofico.
Il getto dell’incantesimo appena pronunciato colpì in pieno Lance avvolgendolo in una luce dorata e facendolo rimpicciolire a vista d’occhio. Lydia assistette inorridita alla scena. La pelle di Lance si trasformò in un pelo ispido, il volto si allungò e comparvero delle strisce nere e bianche mentre le braccia e il resto del corpo si restrinsero. Prima ancora di rendersene conto, Lydia si ritrovò seduta accanto ad un tasso.
Aveva trasformato Lance in un tasso.
Aveva trasformato Lance in un tasso!
La classe esplose. Qualcuno urlava, qualcun altro rideva, altri ancora si alzarono in piedi per cercare di vedere meglio cosa era accaduto. Lydia non aveva mai visto la professoressa McGranitt così infuriata in tutta la sua carriera scolastica (tranne quando aveva dato un pugno a Lance durante il loro primo anno). In realtà Lydia non riusciva a comprendere neanche una parola pronunciata dalla professoressa. Continuava a fissare ad occhi sgranati il tasso. E il tasso fissava lei con uno sguardo di sorpresa misto a rassegnazione.
Come aveva fatto? Aveva appena chiamato Lance un Tasso. E il suo incantesimo doveva aver agito di conseguenza.
«In questa classe non sono ammesse trasfigurazioni di studenti, neanche se involontarie.» Stava dicendo la professoressa McGranitt.
Lance si grattò il naso. Paul stava ridendo insieme ad i suoi amici, Alice cercava di trattenere le risate e Lydia continuava a fissare il tasso.
«L’obiettivo di questa lezione era di ripassare le Trasfigurazioni da oggetti inanimati ad esseri viventi, non trasfigurare il suo amico in un tasso!» Le narici della professoressa McGranitt erano strette, lo sguardo inflessibile, e il rimprovero sembrava durare all’infinito. «I G.U.F.O. si avvicinano e pretendo da ognuno di voi il massimo impegno e la massima concentrazione. Ha capito, signorina Merlin?» Lydia annuì in automatico. «Concentrazione. Una competenza che a lei manca in quasi ogni lezione.» E continuò per altri cinque minuti buoni. Lance mosse le zampe, sembrava quasi che volesse alzare una mano. Anzi, no, stava davvero alzando la zampa.
«Emh…» provò a dire Lydia. «Penso che Lance voglia chiederle qualcosa.»
Il resto della classe scoppiò nuovamente in una fragorosa risata.
«Sì, signor O’Brien?» chiese seria la professoressa McGranitt.
Lance agitò le zampe ed emise una serie di ringhi e brontolii.
«Parli in modo più chiaro, signor O’Brien!» lo rimproverò la professoressa McGranitt.
Lance rispose con un ostinato silenzio.
«Oh, giusto.» La professoressa sollevò la bacchetta e pronunciò ad alta voce il contro incantesimo.
Ma Lance era davvero molto sfortunato quel giorno, perché ancora una volta accaddero molte cose contemporaneamente.
Proprio mentre la professoressa McGranitt pronunciava l’incantesimo si levarono delle urla dal corridoio.
«ATTENTATO! ATTENTATO!» L’intera classe si dimenticò all’istante di Lance e della sua sfortunata condizione e si voltò verso la porta chiusa. «NÈ MORTALI NÈ FANTASMI SONO AL SICURO! METTETEVI IN SALVO! ATTENTATO!» Senza attendere il permesso della professoressa McGranitt, gli studenti corsero ad aprire la porta; una serie di tonfi confermò che le urla si erano sentite anche nelle altre aule. La professoressa li seguì a ruota, e fu inseguita a sua volta da Lydia e da un di nuovo umano Lance, anche se i suoi capelli erano rimasti a strisce bianche e nere. Si trovarono in un corridoio buio, un sottile strato di fumo si alzava dalle torce spente. Ma nonostante l’oscurità la scena che si parò davanti ai loro occhi fu inconfondibile.
A terra giaceva il corpo di un ragazzo, un Tassorosso del secondo anno. Accanto a lui galleggiava il fantasma Nick-Quasi-Senza-Testa, di uno strano colore nero e fumoso, l’espressione del viso sconvolta.
Il cuore di Lydia le balzò nel petto, un forte senso di nausea la assalì. Lance le mise una mano sul fianco e tentò di spostarla alle sue spalle, per impedirle di vedere la scena. Era troppo tardi. Era ormai impressa nella mente di Lydia. Ma almeno così non si sarebbe trovata a vomitare in mezzo a tutti gli altri studenti, i quali a loro volta urlavano creando un vero e proprio putiferio. La professoressa McGranitt batté un colpo di bacchetta e riuscì a ripristinare il silenzio. Nella quiete che si era creata ordinò a tutti di tornare immediatamente nelle loro aule. Lydia avrebbe voluto obbedire, ma si sentiva paralizzata. Non aiutò la comparsa di un ragazzo del secondo anno, che appena arrivato nel corridoio, sollevò il dito contro un altro studente e urlò drammatico: «Colto sul fatto!»
Lydia seguì la traiettoria del dito puntato e si accorse della presenza di Harry Potter, schiacciato contro una parete, il volto mortalmente pallido.
La professoressa McGranitt lo zittì all’istante ma il danno ormai era fatto. Mentre gli studenti erano costretti ad allontanarsi dalla scena e tornare nelle loro aule, quasi tutti ripetevano un’unica frase. «È lui! È Harry Potter l’erede di Serpeverde!»
«Te l’avevo detto che era lui il colpevole!»
«A me non è mai piaciuto.»
Il resto fu caos nella mente di Lydia. Il suo panico le impediva di comprendere chi stesse parlando e cosa stesse dicendo. Lance intanto stava cercando di far valere il suo grado di Prefetto ed allontanare la massa di studenti dalla scena del crimine. Solo i ragazzi del primo anno lo ascoltarono.
Il resto dei ricordi di Lydia erano confusi. Non si ricordava come era uscita da quel corridoio, né che cosa fosse successo dopo.
Sapeva solo che il lunedì successivo Piton era stato inflessibile e il compito in classe si era svolto come previsto. Lydia aveva tentato di concentrarsi sulla sua pozione Ringiovanente. Sapeva che superare quell’esame era solo il primo passo verso i G.U.F.O. Ma la sua testa era completamente altrove. Anche mentre aggiungeva la polpa dei due tentacoli di Frullobulbo all’intruglio, il suo pensiero tornava agli studenti Pietrificati, alle minacce contro i Nati Babbani e al fatto che lei avrebbe potuto essere la prossima. Il professor Piton non aveva avuto alcuna pietà di lei. Dopo quarantacinque minuti dall’inizio del compito, era passato davanti al suo ripiano di lavoro. Aveva gettato un’occhiata sprezzante verso la sua pozione ed era stato abbastanza. Aveva detto qualcosa riguardo al livello necessario per passare gli esami, all’incompetenza assoluta mostrata da alcuni studenti e poi, come se nulla fosse, aveva vaporizzato la pozione di Lydia e zittito Lance quando aveva protestato, minacciandolo di fare la stessa cosa anche al suo preparato. Lydia non aveva avuto la forza di ribattere. Aveva guardato il fondale del suo paiolo vuoto ed era rimasta in silenzio.
Il suo mutismo era continuato anche la mattina successiva, sull’Espresso di Hogwarts, in viaggio verso Londra. Lydia, Lance, Alice e Paul occupavano uno scomparto, una scorta di caramelle riempiva i sedili rimasti liberi, mentre Alice trasformava con un incantesimo gli incarti in minuscole fisarmoniche che suonavano canti natalizi.
«Mamma vuole ritirarmi da Hogwarts.» Il gelo scese nello scompartimento alle parole di Lydia. Era riuscita a tenere tutta la storia dei Nati Babbani pietrificati nascosta ai suoi genitori per non farli preoccupare, almeno fino alla sera prima. Dopo lo sconforto per la bocciatura in Pozioni, Lydia aveva scritto una lettera a suo padre e la risposta era arrivata quella mattina a colazione. Suo papà le aveva detto di stare tranquilla, che Albus Silente era il più grande mago di tutti i tempi e quindi sarebbe stata al sicuro con lui, ma alla fine della lettera era stata aggiunta una postilla con la grafia di sua madre. ‘Quando torni a casa valuteremo se è un bene per te continuare a frequentare la scuola’.
«Non puoi mollare, Lydia!» esclamò Alice. Le sue fisarmoniche caddero a terra con un lamento funebre. Anche Alice era una Nata Babbana, ma lei non sembrava particolarmente scossa dalla situazione che stava avvenendo a scuola.
«Albus Silente rimetterà tutto apposto.» aggiunse Paul.
Ma Lydia non era cresciuta ascoltando le gesta eroiche di Albus Silente, per lei era solo il Preside della sua scuola. Una figura lontana che conosceva solo vagamente. Era il Preside che faceva discorsi ad inizio anno ed assegnava la Coppa delle Case nel banchetto finale. Era uno sconosciuto.
«Non puoi darla vinta a Piton.» disse Lance.
«Cosa c’entra Piton?»
Lance scrollò le spalle. «Se ti ritiri non potrai fargli la beffa di superare i G.U.F.O. con ottimi voti.»
«Non è Piton la causa!» esclamò stupita Lydia. Tra tutti pensava che sarebbe stato Lance l’unica a capirla davvero.
«Lo so.» rispose infatti Lance «Ti sto solo dando dei buoni motivi per cui non dovresti lasciare Hogwarts.»
Alice comprese al volo. «Devi far vedere alla professoressa McGranitt che sei capace di concentrarti.» disse con un sorrisetto furbo.
«Devi imparare i Patronus. È da cinque anni che stai aspettando quel momento.» continuò Lance.
Poi fu il turno di nuovo di Alice. «Devi andare nella Stamberga Strillante.»
«Devi ancora assaggiare le caramelle Trigusti di Mielandia!» esclamò Paul, avendo finalmente compreso cosa stavano cercando di fare gli amici.
«Devi vedere una sirena.»
«Devi vendicarti di Mills, Harris e dei loro compari.»
«Devi imparare a Materializzarti!»
«Devi vedere i Tassorosso vincere la Coppa delle Case.»
Lydia guardò Lance inorridita. «Questo mai!»
Lance rise, poi i suoi occhi tornarono seri. «Vedi? Hai mille buoni motivi per rimanere ad Hogwarts, e uno solo che ti spinge ad andartene.»
«Due.» replicò Lydia con una smorfia. «Per quanto amerei battere Piton, sono anche piuttosto sicura di non riuscire a passare i G.U.F.O.»
Lance scosse la testa. «Ti servono solo delle ripetizioni. Senza avere Piton sul collo pronto a sbranarti ad ogni errore. Continueremo le nostre lezioni private e vedrai che entro fine anno riuscirai a creare una Pozione Ringiovanente che renderà di nuovo bambino chiunque la berrà.»
Lydia non riuscì a trattenere un sorriso. «È una promessa?»
Lance si sporse sul sedile e allungò una mano. «È una promessa.»
Si strinsero le mani e sancirono il loro patto.
Un nuovo senso di calore si diffuse nello stomaco di Lydia mentre guardava i suoi amici tornare ai loro giochi. La loro allegria, il loro amore. Come aveva potuto pensare di rinunciarvi? Tornò a guardare fuori dal finestrino, e il mondo le sembrò un posto migliore.
 
Lydia si riscosse all’improvviso.
I ricordi erano stati così vividi nella sua mente da sembrare quasi reali. Doveva essersi appisolata. E in effetti sentiva le palpebre pesanti. Si tirò su a sedere e riprese la rivista che le era scivolata dalle mani. La aprì nuovamente a caso. Doveva solamente trovare un argomento interessante che l’avrebbe aiutata a rimanere sveglia. Lance stava ancora mischiando la sua pozione, borbottando dei rimproveri e delle invettive. Guardò decisa la ricetta sul giornale. I suoi occhi scorsero velocemente la lista degli ingredienti. ‘Coda di Tritone’ e un asterisco che rimandava alla fine della pagina. Gli occhi di Lydia scesero a leggere la postilla, ma prima che potesse interpretare le lettere, il sonno l’aveva di nuovo avvolta e trascinata nella sua oscurità.
 
«E adesso cosa facciamo?»
Le prime luci dell’alba illuminavano i resti delle tende carbonizzate e i visi sconsolati di Lydia, Lance, Paul e Alice. La loro mitica vacanza prima di affrontare l’ultimo anno di scuola era andata in fumo così come i loro sogni di relax e divertimento.
«Non voglio tornare a casa…» sospirò sconsolata Lydia. «Mi avevate detto che una partita di Coppa del Mondo poteva durare giorni interi, avevo già avvisato i miei che ci saremmo rivisti alle vacanze di Natale.»
Fu Paul a rispondere «Di solito è così. Stupido Viktor Krum.»
«E di solito non ci sono dei Mangiamorte che ti incendiano la tenda.» concluse Lance.
Lydia ringraziò il cielo che avevano avuto l’accortezza di lasciare i loro bauli a casa di Alice, oppure tutti i loro averi sarebbero andati in fiamme. Compresi i compiti di Pozioni, pensò con un brivido. Quella sì che sarebbe stata una condanna ben peggiore di un attacco di Mangiamorte.
Lance voltò le spalle ai resti della tenda per fronteggiare i suoi amici. «Non dobbiamo per forza tornare a casa.» affermò con un tono fin troppo positivo.
«Non so se ti sei accorto, ma la nostra tenda è completamente bruciata…» borbottò Lydia, poco propensa a condividere il suo entusiasmo.
«Okay… la nostra vacanza alla Coppa del Mondo è finita…»
«Esatto.» Dal tono, sembrava che Paul stesse presenziando ad un funerale.
«Ma possiamo andare da qualche altra parte!» esclamò Lance.
«Non abbiamo programmato niente.» fece notare Alice, da sempre la più razionale del gruppo.
«E allora?» chiese Lance «Facciamo qualcosa di inaspettato!»
«E dove vorresti andare?» domandò Lydia, ancora non del tutto sicura dell’idea dell’amico.
«Non lo so… A Diagon Alley?»
«Ci siamo già stati due anni fa…»
Lance non si lasciò scoraggiare. «E allora andiamo altrove. Dove vorreste andare?»
«A Londra.» propose Paul
«Stonehenge.»
«Costwolds.»
Lydia ci pensò un attimo. «Al mare.» Quell’anno, durante la tradizionale vacanza di famiglia di fine luglio, il tempo era stato inclemente e le era rimasta la voglia di godersi qualche giorno di sole in spiaggia.
L’entusiasmo di Lance esplose. «Allora è deciso!» batté le mani «Andiamo al mare!»
«Ma non abbiamo i costumi e la crema solare, i nostri vestiti sono bruciati con la tenda, e non abbiamo prenotato da nessuna parte!» protestò ancora Alice.
«E allora? Li compriamo!»
«Abbiamo ancora il nostro doblone da spendere…» rifletté Lydia.
«Allora sei d’accordo con me?» chiese Lance, gli occhi illuminati dalla gioia.
Lydia ci pensò ancora per qualche secondo. «Sì, facciamolo. Andiamo al mare.»
 
Paul fu il più facile da convincere, Alice invece si lamentò per tutto il tempo che impiegarono a pensare a dove andare e a cosa li servisse per quei giorni di vacanza. Alla fine decisero di affidarsi al caso (scatenando altra indignazione da parte di Alice) e dopo aver recuperato i pochi bagagli sopravvissuti all’incendio, si avvicinarono agli impiegati del Ministero intenti a gestire la fuga di massa scatenata dal panico per l’attacco dei Mangiamorte.
«Quindi il vostro piano è sentire dove portano le Passaporte e scegliere a caso quella che vi ispira di più?» Alice era inorridita.
«Non a caso.» rispose tranquillamente Lydia «Solo tra quelle che hanno il mare.»
Il verso esasperato di Alice si confuse con il grido dell’impiegato del Ministero. «Bristol!»
«Colchester!»
«Glasgow.»
«Preston!»
«Bournemouth!»
«Questa!» esclamò Lance «Questa è perfetta.»
E così si buttarono a capofitto nella loro nuova avventura. O almeno, Lydia e Lance lo fecero. Gli altri due ebbero abbastanza buon senso da proporre di passare prima a casa di Alice a recuperare almeno i vestiti e utilizzare il Nottetempo per raggiungere la loro nuova destinazione.
 
Lydia chiuse gli occhi. Il rumore delle onde del mare che si infrangevano sulla spiaggia, la sensazione della sabbia sotto le dita, il sole che le pizzicava il viso scaldandola. Era tutto perfetto. Anche le voci degli altri bagnanti arrivavano in sordina, coperte dal rumore del mare. Il suo respiro si regolò inconsciamente con il ritmo delle onde. Nulla avrebbe potuto rovinare quella sensazione.
Alice e Paul, stanchi di stare sdraiati, erano andati a fare una passeggiata, mentre Lydia e Lance erano rimasti al sole. Lance stava leggendo la nuova edizione di ‘Pozionista oggi’, completamente perso nella sua lettura, mentre Lydia cercava di godersi quegli ultimi giorni di sole estivo.
«Dobbiamo preparare una pozione!» Lydia socchiuse un occhio. La vocina apparteneva ad una bambina con un costume fosforescente e una bandana gigantesca sulla testa. Il viso era striato del bianco della crema solare ed era inginocchiata sul bagnasciuga, armata di paletta e secchiello. Un altro bambino, probabilmente il fratello, assisteva alla scena mentre riempiva delle formine a forma di granchio. «Ci serve per uccidere le fate e diventare noi fate!» La scena si era fatto interessante. La bambina corse nel mare a prendere dell’acqua con il suo mini annaffiatoio. Poi corse di nuovo al suo secchiello-pentolone, perdendo metà acqua nel tragitto. «Dobbiamo mettere tutti gli ingredienti! Polvere di fata!» e aggiunse una manciata di sabbia asciutta nel secchiello «Lacrime di sirene» e vi svuotò dentro la poca acqua rimasta.
A Lydia sfuggì un sorriso. Se davvero quella bambina avesse posseduto così tante lacrime di sirena sarebbe stata molto ricca: erano uno degli ingredienti più costosi nel mercato essendo ben poche le sirene che concedevano agli umani le loro lacrime. «Potere del mare!» Delle conchiglie finirono nel secchiello con un plop «Coda di tritone!» Povera bambina. Non sapeva che usare parti organiche di creature marine senzienti nelle pozioni era stato dichiarato illegale nel 1882, dopo la rivolta del popolo marino al porto di Genova.
Lydia non pensava neanche di ricordare ancora tutte quelle informazioni. Gli insegnamenti di Lance durante gli anni avevano dato i loro frutti. Lanciò una breve occhiata al suo amico, ancora completamente assorto nella sua lettura. Una brezza d’aria gli scompigliò i capelli rivelando gli occhi celesti che si muovevano sulla pagina.
«E adesso dobbiamo fare l’incantesimo!» Lydia rispostò la sua attenzione sulla bambina. Ormai stava parlando da sola, l’altro bambino aveva perso il poco interesse ed era corso a giocare con il pallone. «Potere del fuoco, potere delle stelle, fatemi diventare una fata!» Prese due manciate di terra bagnata e le lanciò nell’acqua, evitando per un soffio una coppia di bagnanti. A Lydia sfuggì una risatina che servì a distogliere Lance dalla sua lettura.
I suoi occhi erano ancora leggermente sfocati ma lo sguardo interrogativo che trasmettevano era evidente.
«Tutto bene, sto solo assistendo all’omicidio di alcune fate.»
Lance si sollevò di scatto, allarmato.
«Morite fate!» urlò drammaticamente la bambina.
Lance si rilassò visivamente. «Certo che i bambini di oggi sono proprio violenti.» scherzò riaprendo il suo giornale.
Lydia stette al gioco. «Violenti ma anche molto potenti. Sanno già come preparare delle pozioni Ruba Poteri a cinque anni.» La bambina svuotò l’intero contenuto del secchiello nel mare con una risata malefica che, con la sua vocetta, provocò tenerezza più che paura. Un’onda si avvicinò ai piedi della bambina facendola strillare e scappare dai genitori. «Diventerà una dei migliori pozionisti al mondo. E l’alunna prediletta di Piton, che dimostrerà finalmente di avere un cuore.»
«E, commosso dall’aver trovato finalmente un’alunna degna di lui, Piton deciderà di promuovere tutti per la sua grande bontà d’animo.» rise Lance.
«Beh, non poteva nascere prima quella bambina? Ci saremmo evitati i due temi che ci ha dato come compiti estivi.»
«Tre temi.» la corresse distrattamente Lance, continuando a sfogliare la sua rivista di ‘Pozionista oggi’.
«No, erano due.»
«Tre.» ripeté Lance ed iniziò a leggere un articolo sul nuovo uso delle radici di Argariva contro le insolazioni solari. Era talmente immerso nella lettura da non accorgersi che il silenzio improvviso di Lydia si prolungò per vari minuti. Solo a fine articolo, mentre valutava se nel suo kit di Pozioni aveva tutti gli ingredienti per provare quella semplice pozione, si accorse che qualcosa non tornava. D’istinto si voltò verso Lydia e la trovò trasformata in una statua di sale. O almeno fu quello che pensò visto che l’aveva appena letto nell’elenco dei possibili effetti collaterali.
«Stai bene?» si azzardò a chiedere, anche se era evidente che Lydia stesse tutt’altro che bene. Il volto era cadaverico, gli occhi fuori dalle orbite e un velo di sudore che non aveva niente a che fare con il calore estivo le impregnava la fronte. «Lydia?» chiese di nuovo Lance, iniziava a preoccuparsi per la salute dell’amica. Avrebbe dovuto leggere prima l’articolo contro l’insolazione. Lance si alzò dal suo sdraio e picchiettò sulla gamba di Lydia. «Ci sei? Lydia? Dovresti bere un po’ d’acqua. E dobbiamo andare all’ombra.»
Lydia però continuava a fissare un punto imprecisato alle spalle di Lance.
Lance non capiva. Ripensò a cosa stessero dicendo prima di leggere l’articolo. Pozioni. Stavano parlando di pozioni e di compiti e di… Fu come una doccia fredda. «Erano tre temi, Lydia. Uno sugli usi della radice di Mandragola nelle pozioni Rivitalizzanti, uno sui metodi di ricerca e sperimentazione di nuove pozioni e l’ultimo su tutti gli utilizzi delle salamandre nella stregoneria.»
Lydia bisbigliò qualcosa a voce talmente bassa da risultare indecifrabile. Lance si chinò verso di lei, accorciando la loro breve distanza e riuscendo così a capire le sue parole. «Non ho fatto l’ultimo.» Il suo respiro si trasformò in un rantolo «Come ho potuto dimenticare un tema? Piton mi ammazza. Mi ammazza e mi fa espellere.» Man mano che parlava, Lydia recuperava la voce, alzando sempre più il tono. «Mi espelle! Addio M.A.G.O., addio bacchetta, addio mondo magico.» urlò infine Lydia, completamente nel panico. Diversi bagnanti si voltarono verso di loro.
«Shh!» provò a zittirla Lance. L’ultima cosa di cui avevano bisogno era una violazione dello Statuto di Segretezza.
«Non zittirmi!» gridò Lydia «Ho tutto il diritto di agitarmi. Non ho fatto un compito per Piton! Per Piton!» si mise le mani sul volto «Dopo tutta la fatica per superare i G.U.F.O. e gli esami finali dello scorso anno e adesso avrà la scusa per buttarmi fuori dal corso.»
Lance prese le mani di Lydia e delicatamente le spostò dal viso. «Non capiterà nulla di tutto questo. Non verrai espulsa e non verrai nemmeno bocciata.» Lance usò il suo tono più tranquillizzante e già a sentire il calore delle sue mani, Lydia si rilassò impercettibilmente.
«Come fai ad esserne sicuro?»
«Perché ti aiuterò a scrivere il tema. Mancano ancora quattro giorni all’inizio della scuola. Possiamo farcela.» Le spalle di Lydia si afflosciarono. «Per fare gli altri temi ho impiegato tre settimane. In quattro giorni non riuscirò a scrivere neanche l’introduzione.»
Lance sorrise e le strinse le mani. «Però ci sono io ad aiutarti.»
«Si accorgerà se sei tu a suggerirmi… L’altra volta ci ha tolto talmente tanti punti che ci abbiamo messo un mese per recuperarli.»
«Ma sarai tu a scriverlo! Mi limiterò a dirti dove trovare le informazioni.» Lydia si ritrasse. Le mani le sembravano gelide senza il calore di Lance. «Non voglio rovinarti le vacanze.» obiettò «Tu rilassati, in qualche modo ce la farò. E magari non avremo Pozioni già il primo giorno. Dipende dal calendario, magari riesco ad avere qualche giorno in più.»
Lance la interruppe. «Ti aiuto io, non si discute. E poi preferisco passare quattro giorni a lavorare a Pozioni con te che qui in spiaggia senza di te.»
Lydia pulì la sdraio dai granelli di sabbia. «E va bene.» cedette infine con un sospiro «Ma se proprio dobbiamo soffrire lo faremo qui in spiaggia.»
E così un’ora dopo avevano sparso sulle sdraio i manuali di Pozioni e le pergamene, pronti ad imbarcarsi in quella missione disperata, nonostante Alice fosse completamente inorridita. «Non potete fare i compiti qui!» aveva esclamato appena li aveva visti, una volta tornata dalla sua passeggiata con Paul «Va contro tutte le leggi del Ministero!»
«È una questione di vita o di espulsione.» aveva ribattuto Lydia, chiudendo definitivamente la discussione. Alice aveva avuto il buon senso di non infierire oltre.
 
«Odio Piton. Odio le salamandre e odio questi libri.» sentenziò Lydia. Adocchiò il vasto mare che si estendeva di fronte a lei. Magari poteva buttarcisi e chiedere asilo politico al popolo del mare.
«Siamo a buon punto!» provò ad incoraggiarla Lance, sistemando una nuova pila di appunti sulla sdraio.
«L’hai già detto tre volte oggi.» La testa di Lydia crollò sulla pergamena di fronte a lei e, quando la risollevò, l’inchiostro non ancora asciutto le si era trasferito sulla fronte.
Lance le strofinò una mano sulla fronte nel tentativo di ripulirla.  «Questa volta è vero. Hai già elencato gli usi della coda, delle zampe e degli occhi della salamandra. Sei a metà dell’opera.»
«Questo non mi ridarà i giorni di mare persi. E neppure a te.»
«Forse no. Ma devi pensare al fatto che questi sono gli ultimi compiti estivi in assoluto. L’anno prossimo avremo tutta l’estate libera e dovremo assolutamente organizzare il viaggio del diploma! Andremo al mare così potremo recuperare i giorni persi.»
Lydia sentì il morale risollevarsi al pensiero. «Dovremo convincere Paul e Alice. Odiano la vita da spiaggia.»
«E allora faremo un altro viaggio solo noi due.» rispose Lance, aprendo il suo manuale di pozioni pieno di annotazioni.
Lydia rilesse l‘ultima riga che aveva scritto. «Sai che non sarebbe una cattiva idea?» sentenziò infine.
 
In realtà Lance aveva mentito e nonostante stessero lavorando alacremente in tutti i momenti disponibili prendendo solo piccole pause, il giorno successivo stavano ancora lavorando. Lance era stranamente riposato, Lydia al contrario, era sull’orlo di una crisi di nervi che la portò, tra le altre cose, ad urlare contro la stessa bambina di qualche giorno prima, tornata sulla spiaggia. Giocava ancora a preparare pozioni ed aveva commesso il grave errore di fingere di aggiungere dei molluschi di acqua dolce a delle alghe dei Mari Profondi. «Cosa ti salta in mente!? Non lo sai che se unisci i molluschi con le alghe Profundis rischi di avere una reazione chimica e di far esplodere tutto!? Prima devi fare asciugare le alghe per almeno tre settimane. Vuoi far esplodere Hogwarts?» Lance era scoppiato a ridere e aveva impiegato almeno mezz’ora per smettere. Alice invece era rimasta scandalizzata ed aveva passato le ore successive a controllare tutti i passanti convinta che fossero agenti del Ministero venuti ad arrestarli e a rovinarle così ogni prospettiva di carriera.
Ma infine, dopo tanta fatica e ore trascorse sulle sudate carte, quel pomeriggio riuscirono a completare il compito.
Mentre gli ultimi raggi del sole scomparivano all’orizzonte, la felicità di Lydia era infinita. Il mare tornò a sembrare il luogo più bello e rilassante del mondo e ringraziò Lance offrendogli un gelato che gustarono passeggiando su una lunga passerella pedonale che si estendeva sulle acque del mare.
«Non ci posso credere, siamo ufficialmente liberi…» Lydia spalancò le braccia e chiuse gli occhi. «Lo senti il sapore della libertà?» Una folata di vento la solleticò, facendole volare i capelli davanti al volto.
«Goditi questi momenti… domani mattina alle undici abbiamo il treno.»
Tutto il senso di libertà provato da Lydia si sgonfiò come un palloncino. «Non ricordarmelo.» borbottò. Il gelato alla stracciatella e frutti di bosco si stava iniziando a sciogliere.
«Oh, dai, non è così male tornare ad Hogwarts. Anche lì abbiamo la nostra dose di libertà. Se togli i compiti, le lezioni e la terrificante prospettiva degli esami finali.»
Lydia si passo una mano sui pantaloni per pulirla dal gelato mezzo sciolto. «Non è quello.» disse seria, un velo di preoccupazione nei suoi occhi. «È che gli ultimi anni non sono stati particolarmente tranquilli. Tre anni fa è morto il professor Raptor e qualcuno sostiene che fosse posseduto da Tu-Sai-Chi. Due anni fa l’incubo del basilisco e il terrore di essere pietrificata o uccisa. L’anno scorso c’era un pluriomicida a zonzo nei corridoi… Mi chiedo solo che cosa potrebbe capitare quest’anno.» Il vento si era calmato lasciando solo una brezza leggera che rinfrescava l’aria. «Hogwarts non mi sembra più un luogo così sicuro.»
Lance appoggiò i gomiti sulla ringhiera. «Se ci pensi non lo è mai stata. Quante volte abbiamo rischiato la vita, a volte anche durante le lezioni?»
Lydia scrollò le spalle. «È che questa volta sembra diverso. C’è un’aria strana nel mondo magico in questi tempi. Non mi piace.»
Lance si rialzò e appoggiò la schiena alla ringhiera per riuscire a guardarla in volto. «Ancora un anno. Poi non importa quello che succederà. Saremo adulti e fuori da scuola.»
Lydia osservò il mare, il suo oscillare lento, i raggi della luna che si riflettevano sulla sua superficie.
Ancora un anno. Dovevano resistere ancora un anno.
«Lydia!» una voce lontana la chiamò. Lydia si voltò di scatto per capirne la provenienza.
«Lydia!» Non vedeva nessuno rivolto verso di lei. Lance era tornato a guardare il mare, non aveva sentito nulla. Lydia scosse la testa. Doveva solo essere stanca.
«Lydia!» Qualcosa le toccò una spalla. Lydia si scostò e sbatté contro Lance. Ma il ragazzo continuava a guardare il mare con sguardo assente. «Lance?» provò a chiamarlo Lydia. Ma Lance non rispose.
«Lydia!» L’urlo era sempre più forte. Lydia conosceva quella voce.
«LYDIA!»
Lydia si svegliò di soprassalto. I suoi occhi faticarono per qualche secondo a mettere a fuoco la scena che la circondava. Era ancora nel laboratorio di Lance, seduta sulla poltrona, l’unica cosa diversa era Lance stesso. Non era più indaffarato con la pozione Anti-Traccia ma chinato su di lei, le mani che le scuotevano le spalle. «Lydia, per tutti i troll, dimmi che stai bene!» Non c’era altro modo per definire il suo tono se non disperazione.
«Sto bene!» rispose Lydia.
Lance sospirò di sollievo e chinò il volto. «Pensavo di averti avvelenata…»
Lydia continuava a non capire. E poi il suo sguardo si posò sul paiolo accanto alla poltrona. Era stato coperto da un coperchio e il suo profumo di vaniglia era completamente scomparso.
Lance si inginocchiò per terra, il sollievo gli fece scomparire le rughe dal volto. «È un esperimento che sto portando avanti nel tempo libero. Una pozione delle memorie. Utilizza gli stimoli ambientali per portare a galla ricordi. In teoria dovrebbe essere utilizzata per aiutare le persone a ricordare eventi della loro vita che potrebbero essere stati soppressi dalla mente. Ho chiesto a Caitlin di darmi una mano per la parte più scientifica ma la sua risposta è stata parecchio volgare. Dovrei buttarla via…»
«No!» esclamò Lydia. Vedendo lo sguardo perplesso di Lance aggiunse «Funziona.»
 «Hai avuto dei ricordi?» Si rianimò Lance. I suoi occhi splendevano «Di che tipo? Cosa hai ricordato?»
Lydia si concesse un attimo per rispondere. «Mi ha ricordato che mi siete mancati tantissimo.»
Lance comprese, come sempre. E i due rimasero in silenzio, vicini, con il desiderio che anche Alice e Paul si trovassero lì con loro.
 


 Curiosità: Avete presente la scena di Lydia che trasforma Lance in un tasso?
Se avete a portata di mano una copia di "Harry Potter e la camera dei segreti" provate ad andare al capitolo 11 'Il club dei duellanti' (nella mia edizione con vecchia traduzione è a pagina 179), potreste trovare una sorpresa <3


Per chi non ha a disposizione il libro vi lascio una citazione tratta direttamente dal capitolo:

Scosso da un brivido, Harry passò davanti alle classi dove si tenevano le lezioni, cercando di capire che cosa stesse accadendo dentro. La professoressa McGranitt stava rimproverando qualcuno che, a quanto pareva, aveva trasformato il suo amico in un tasso. Resistendo l'impulso di entrare a dare un'occhiata Harry passò oltre [...].

E qualche pagina dopo:

Harry si trovò schiacciato contro la parete mentre gli insegnanti chiedevano a gran voce di fare silenzio. La professoressa McGranitt sopraggiunse di corsa seguita dai suoi allievi, uno dei quali aveva ancora i capelli a strisce bianche e nere.

Insomma, i disastri di Lydia e Lance sono ufficialmente canon xD


Curiosità 2: La scena con la bambina intenta a preparare una pozione per uccidere le fate e diventare una fata è inspirata ad una storia vera, o meglio, alla mia cuginetta che ha dimostrato una vena un po' sadica durante una vacanza al mare insieme xD Visto in quel periodo stavo scrivendo proprio la scena di Lydia e Lance al mare non ho potuto fare altro che prendere appunti e riportare il tutto nella storia (in particolare la lista degli ingredienti, che sono tutti frutto della sua fantasia!).
Grazie Viola <3
Ah, potete stare tranquilli, è trascorso un anno e mezzo dalla suddetta scena, e durante la tradizionale vacanza al mare di quest'anno non ha mostrato alcuna intenzione di compiere altri omicidi xD

Note: Mancano solo due capitoli alla fine della seconda parte... Preparatevi. Vi dico solo questo.

Grazie di cuore a tutti voi che state leggendo e recensendo! Spero che la storia continui a piacervi, e per qualsiasi dubbio o chiarimento o curiosità io ci sono <3

E vi auguro buon anno nuovo!
Questo 2023 è stato speciale per me perchè mi ha permesso di concludere questa storia a cui stavo lavorando da anni, di poter realizzare un sogno che stavo rimandando da troppo tempo, ecco, auguro a tutti voi di realizzare i vostri sogni <3

Un abbraccio e alla prossima <3

 
'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 - La stella di Ecate ***


Capitolo 23 
La stella di Ecate
 

L’incidente con la pozione delle Memorie non causò gravi effetti collaterali in Lydia. Tranne il perpetuo mal di testa, la costante sensazione di vivere in un deja-vu e i ricordi che affioravano all’improvviso, senza alcun preavviso. E il più fastidioso di tutti: essere seguita da Caitlin ovunque andasse.
«Hai chiesto a Caitlin di controllarmi? A Caitlin?» aveva chiesto Lydia esterrefatta la mattina dopo l’incidente.
Lance la osservava attentamente, andando ad esaminare ogni suo minimo gesto e tenendo un taccuino a portata di mano per annotare qualsiasi comportamento fuori dalla norma. Lydia avrebbe voluto gettarlo nel camino. Il taccuino e Lance insieme a lui.  «Ho bisogno di qualcuno che ti controlli mentre io sono in laboratorio. Devi riferirmi ogni sensazione o malessere che hai, va bene? Non l’avevo ancora testata, potremmo scoprire effetti interessanti non considerati.»
«Sì, ma Caitlin
«Era l’unica disponibile. Katherine lo direbbe a Duncan, e Duncan lo direbbe a mamma, e mamma mi bandirebbe da ogni esperimento. La scelta era o Caitlin o Henry. Ma Henry si distrae facilmente. E poi Caitlin ha una formazione medica di base… sai, in caso…»
«E davvero pensi che Caitlin non andrà a spifferarlo subito a Duncan o ai tuoi genitori?»
«Non questa volta. Ho trovato finalmente qualcosa con cui ricattarla.»
«Potresti dirmi cosa? Sai, potrebbe sempre tornare utile avere un’arma contro tua sorella.»
Caitlin li guardava a braccia incrociate. «Lo sapete che sono qui, vero?»
Lydia grugnì. «E va bene. Ma ti avviso, non starmi troppo attaccata.»
Il sorrisetto di Caitlin le fece presagire guai.
 
Come aveva previsto, Caitlin prese fin troppo alla lettera l’ordine di Lance e passò la giornata incollata a Lydia come un’ombra (o una sanguisuga, come preferiva definirla lei), in un modo talmente inquietante da attirare l’attenzione degli altri abitanti di casa O’Brien. Quando il signor O’Brien le vide appiccicate ad apparecchiare la tavola, si limitò a scrollare le spalle e tornare al suo dipinto, Duncan si fermò ad osservarle per diversi minuti, con gli occhi sgranati e con il dubbio che si trattasse di una scommessa persa o un incantesimo Collante terminato in tragedia. L’unica a non trovare nulla di strano nella loro condizione fu la signora O’Brien, la quale dichiarò più volte che era una gioia per lei vedere fiorire la loro amicizia.
Caitlin non si arrese neanche quando Lydia si offrì volontaria per gestire qualche ora i bambini (o più precisamente, quelli che non erano in preda alla febbre o al vomito), anzi, fu la prima a proporre di uscire in giardino a giocare con la neve. Lydia scoprì successivamente che era stato solo un trucco per non doversi trovare rinchiusa nella stessa stanza con loro e lasciare che i bimbi si disperdessero nell’ampio giardino, allontanandosi così da Lydia e, di conseguenza, da lei. Ma ormai il guaio era fatto e Lydia si trovò in giardino con un’orda di bambini sovreccitati che giocavano a sotterrarsi nella neve e una Caitlin che continuava a fissarla come se dovesse crescerle una testa in più da un momento all’altro.
«Simon, esci subito da lì!»
«Lizzie, non nei pantaloni!»
«Ewart Parker, sputa subito quella neve!»
Dovette anche salvare Henry dal congelamento quando si convinse di essere un perfetto scheletro per un pupazzo di neve. «Vedi?» le disse mentre i suoi compagni ammontavano la neve attorno al suo corpo «Così resta su, se no cade subito.»
«È per dargli stabilità.» annuì fiera Bethany.
Lydia afferrò Henry e lo liberò dal cumulo di neve. «Il prossimo che sotterra un suo amico finisce dritto in punizione.»
Dieci minuti dopo si trovò a tirare fuori Tristan da una buca. «Tu hai detto che non potevamo sotterrare i nostri amici. Lui non è mio amico.» rispose Simon alzando le spalle, per nulla impressionato.
Caitlin si grattò il mento. «Il suo ragionamento non fa una piega.»
«Puoi smetterla almeno tu?» sbottò Lydia.
E poi i fiocchi di neve ricominciarono a scendere dal cielo. I primi erano fiochi, aleggiavano dolci nell’aria, i bambini cominciarono a saltare con le bocche spalancate nel tentativo di catturarli. L’idillio durò solo pochi minuti. Quella che era iniziata come una semplice nevicata leggera si trasformò improvvisamente in una bufera. La neve scendeva copiosa, andando a coprire tutti i bambini con il suo mantello bianco.
«È ora di entrare!» urlò Lydia.
E attorno a lei si creò il vuoto assoluto.
I bambini schizzarono da tutti le parti e Lydia non poté fare altro che guardarli attonita mentre correvano via da lei. «Cosa mi hai fatto fare?» chiese con un filo di voce.
Caitlin non era mai parsa più tranquilla. «Correre nella neve fa bene alla salute. Sei in preda ad un ricordo?»
«No!» esclamò Lydia, le mani ancora nei capelli «Sono in preda alla disperazione. E alla voglia di trasformare tutti in rane!»
Caitlin alzò le spalle. «Sei proprio fissata con le rane.»
Alla fine fu solo l’intervento miracoloso di Katherine a salvare la situazione. O meglio, il vero miracolo furono le parole magiche che urlò dalla finestra della cucina. «La cioccolata è pronta!»
Prima ancora che Lydia potesse dire qualcosa, la marea di bambini era corsa urlando verso l’ingresso, lasciando dietro di sé una scia di neve e fango.
Ma quella sembrava una giornata costellata da pessime decisioni. Sì, la cioccolata aveva convinto i bambini a rientrare in casa, ma le tre ragazze non avevano considerato un piccolo particolare. Era veloce da bere e gli zuccheri in essa contenuti potevano avere conseguenze catastrofiche se mischiati all’emozione di un pomeriggio di neve.
«Oh, oh…» disse Katherine guardando i bambini sfidarsi a chi mangiava più biscotti senza vomitare.
«Oh, oh, davvero.» Lydia si sfregò la fronte. L’unico suo desiderio era poter andare in camera sua e chiudersi nell’oscurità più totale per cercare di dare sollievo alla propria testa pulsante. Ma non poteva dirlo. Perché poi Katherine le avrebbe chiesto come mai aveva il mal di testa, e con il suo intuito da giornalista, avrebbe indagato fino a quando non avrebbe scoperto la verità sugli esperimenti illegali di Lance, e poi lo avrebbe detto a Duncan, e questo avrebbe significato la fine di Lydia e Lance.  E di Caitlin, non che lei fosse preoccupata di tale possibilità. Se Lydia era sull’orlo di una crisi di nervi, lei, al contrario, era la tranquillità fatta in persona e si limitava a sorseggiare la sua tazza di cioccolata semisdraiata su una sedia. Lydia si accorse che pareva persino godere della loro disperazione, come se stesse assistendo ad uno spettacolo di suo gradimento. «Ti stai divertendo?» le ringhiò.
Caitlin ebbe almeno la decenza di non mentirle. «Molto. Buon Natale a me!» esclamò sollevando la tazza di cioccolata per brindare.
Un lampo di dolore attraversò la mente di Lydia.
 
La folla di studenti riempiva la piccola stazione di Hogsmeade. Un’allegra confusione aleggiava sui binari, la gioia dell’inizio delle tanto agognate vacanze di Natale non poteva essere attenuata neanche dalla bufera di neve che scendeva su di loro. Una studentessa in particolare era entusiasta dell’improvviso maltempo che aveva colpito il paese.
«Così è perfetto. Nessuno si accorgerà di noi.» esclamò Lydia soddisfatta.
La neve scendeva talmente fitta da rendere difficile vedere i vagoni dell’Espresso di Hogwarts, nonostante si trovassero a soli pochi metri di distanza. E questo significava che anche dai finestrini dei suddetti vagoni sarebbe stato impossibile vedere fuori.
«La via è libera.» Lance si calò il berretto sulle orecchie congelate.
Alice invece, guardava sconsolata il treno davanti a lei. «Siamo proprio sicuri?» Aveva sperato fino all’ultimo che i suoi amici desistessero.
«Assolutamente sì.» Che ingenua. Dopo due anni e mezzo di amicizia, ormai avrebbe dovuto sapere che era impossibile far cambiare idea a Lydia Merlin. Aveva provato a fare leva sul buon senso di Lance, ma anche in quel caso si era scontrata contro un muro.
«È una splendida idea!» Le aveva ripetuto ogni volta che Alice gli aveva fatto notare tutto quello che sarebbe potuto andare storto nel loro piano. «Ci meritiamo anche noi il nostro giretto natalizio.»
«E poi se ci pensi non è colpa nostra. La colpa è tutta della professoressa McGranitt.» aveva continuato Lydia «È stata lei a metterci in punizione e a impedirci così di partecipare all’ultima gita ad Hogsmeade. Se ci avesse lasciati andare ora non dovremmo scappare dal treno.»
«Ma abbiamo incendiato mezza serra di Erbologia…» aveva provato a farla ragionare Alice «Una punizione ce la meritavamo.»
Lydia aveva sollevato le spalle. «È stato involontario. Un piccolo incidente di percorso.»
«E cosa mi dici del fatto che tu e Lance eravate sulla Torre di Astronomia in piena notte, ore dopo il coprifuoco?»
«Lance voleva solo mostrarmi una cosa.»
«La stella di Ecate.» ricordò malinconico Lance. «Era una serata perfetta. L’avremmo vista di sicuro se non fosse comparsa la professoressa McGranitt.»
Paul si tolse gli occhiali per pulirli in un angolo della giacca «E comunque non ho capito come mai ci siamo andati di mezzo anche io e Alice. Noi non eravamo sulla Torre, anzi, non sapevamo neanche che foste lì.»
«Ripeto.» replicò Alice «Abbiamo incendiato metà serra. In quell’occasione eravamo presenti anche noi.»
Era una fortuna che la punizione fosse scattata proprio dopo l’infausto incidente del fuoco fatuo e le piantine di Astel, in quel modo Alice e Paul non avevano minimamente sospettato la causa reale della loro punizione. Quando la professoressa McGranitt aveva scovato Lydia e Lance sulla Torre di Astronomia, aveva immediatamente pensato che anche Alice e Paul fossero presenti sul luogo del crimine, nascosti da qualche parte. Un effetto collaterale di essere sempre insieme. Lydia e Lance avevano costatato che era meglio lasciarli nell’ignoranza, oppure Alice e Paul non avrebbero smesso di dare loro il tormento.
Ed ecco come Lydia, Lance, Alice e Paul si erano ritrovati alla stazione di Hogsmeade all’inizio delle vacanze natalizie del terzo anno ad organizzare una fuga strategica. Lydia e Lance avevano formulato un piano a loro dire perfetto, che implicava un’invasione di grilli e una Strillalettera ben piazzata, presentato agli altri due amici con degli schemi precisi ed articolati. In realtà bastò loro semplicemente voltarsi e uscire dalla stazione con i rispettivi bagagli. Nessuno li vide e nessuno li fermò.
«Non ci lasciano mai divertire.» borbottò Lydia gettando nel primo cestino che trovò il foglio con il suo piano in sette punti per una fuga perfetta.
Paul faticava a trascinare il suo baule pieno. «Però adesso possiamo divertirci. Senza professori o genitori tra i piedi!»
La prospettiva fece tornare il sorriso a Lydia.
I bauli erano troppo pesanti per portarseli dietro per tutto il viaggio, ma Lydia e Lance avevano già pensato anche a quello. Con fatica attraversarono le vie principali di Hogsmaede e si diressero verso la parte meno frequentata, in particolare in direzione di un locale che qualsiasi mago rispettabile evitava peggio del Vaiolo del Drago.
«Il pub Testa di Porco!» esclamò Lydia quando giunsero all’uscio del bar, con un entusiasmo che nessuno degli avventori aveva mai provato nel raggiungerlo. L’aspetto decrepito e il lugubre proprietario rispondevano esattamente alla descrizione che era stata fornita a Lydia. Un luogo perfetto per poter evitare di incappare in qualcuno che si conosceva, più precisamente professori in ferie. Quando chiesero al proprietario del bar se potevano lasciare lì i loro bauli, quello rispose con un semplice grugnito, che i quattro ragazzi decisero di interpretare come un consenso. Lasciarono qualche moneta sul bancone per ringraziarlo della gentilezza, ma si rifiutarono di consumare qualsiasi bevanda per paura di beccarsi qualche malattia infettiva, e poi tornarono di corsa verso la zona dei negozi di Hogsmaede.
La loro avventura poteva avere ufficialmente inizio.
 
Lydia scosse la testa per scacciare il ricordo e le immagini dalla testa. L’effetto collaterale tanto temuto (o sperato?) da Lance si era infine presentato. E Caitlin non se ne era neppure accorta, constatò Lydia osservando la ragazza ancora sdraiata sulla sedia, un’espressione di beatitudine sul volto che mal si accordava al delirio che stava avvenendo nella sala da pranzo. La sua presenza era ufficialmente inutile, anche se Lydia non lo avrebbe mai ammesso. L’ultima cosa che voleva era trovarsi Henry come sua guardia personale, probabilmente quel bambino avrebbe spifferato tutto nel giro di dieci minuti. Il suo unico desiderio in quel momento invece era trovare un modo per calmare e tenere impegnati un’orda di bambini con troppe energie da spendere che non comportasse una Trasfigurazione in una colonia di rane.
Forse Caitlin aveva ragione, forse era davvero troppo fissata con le rane.
Lydia si appoggiò allo schienale della sedia con un sospiro. Socchiuse gli occhi sperando che potesse così contrastare l’emicrania. Non funzionò. Si voltò a guardare l’orologio, con la speranza che mancasse poco alla fine del suo incarico. Nel farlo, il suo sguardo si posò sul calendario appeso accanto all’orologio, riportandole alla mente le parole pronunciate da Caitlin prima del suo black-out. Un lampo di ispirazione le illuminò il volto.
«Oh, oh.» ripeté Katherine.
«Cosa c’è?»
Katherine fissava Lydia con gli occhi spalancati. «Conosco quello sguardo. Hai in mente qualcosa. E quando hai in mente un piano non finisce mai bene.»
Lydia ignorò le preoccupazioni di Katherine, si alzò in piedi sulla sedia e batté le mani. I bambini si voltarono all’unisono verso di lei, al contrario di Caitlin, che continuò a sorseggiare la sua bevanda senza prestarle la minima attenzione. «Ho un compito per voi!» annunciò a gran voce. Diversi sopraccigli si alzarono perplessi. «Manca meno di un mese a Natale e questa casa ha bisogno dello spirito natalizio. E chi meglio di voi può adempiere a questo compito?» L’altra metà dei sopraccigli si levarono, questa volta per la sorpresa. Aveva catturato la loro attenzione, ora bastava solo non creare un disastro. «Voglio alberi di Natale, decorazioni, ghirlande, disegni sui vetri, casette di marzapane, villaggi di Natale… qualcuno sta prendendo appunti?»
Lizzie corse a prendere un taccuino dalla sua borsa e la sua penna si sollevò in volo per poi avventarsi sulla carta, per recuperare tutti gli ordini di Lydia. «Voglio biscotti, omini di zenzero, bastoncini di zucchero, vischio, canti natalizi e bigliettini di auguri. Mi avete capito?» Lydia drizzò la schiena, in piedi sulla sedia come un generale di fronte al suo esercito.
E i bambini si misero sull’attenti.
«E allora tutti subito di sopra a dividervi i compiti!» Un gracchiare di sedie e i gridolini dei bambini che tentavano già di farsi affidare certi compiti li accompagnò mentre uscivano di fretta dalla sala da pranzo, lasciando sole le tre ragazze. Lydia scese con un balzo dalla sedia. Era soddisfatta della sua idea. Di sicuro li avrebbe tenuti impegnati per diversi giorni, anzi, se sarebbero stati fortunati anche fino a Natale. La sua soddisfazione si incrinò quando si voltò verso Katherine e la trovò ad osservarla con un sorriso malizioso. «Vischio, è?»
Lydia alzò gli occhi e le braccia al cielo con un verso esasperato. La scena bastò per attirare finalmente anche l’interesse di Caitlin. «Aspettate, cosa mi sono persa?»
«Niente.» risposero in coro Lydia e Katherine. Solo che la prima replicò quasi ringhiando, mentre la seconda con un tono fin troppo innocente.
Caitlin non ci cascò. «Accidenti, mi sono davvero persa qualcosa! Cosa sta succedendo? Dovete dirmelo.» e davanti al loro silenzio, continuò «Non è giusto! Fate sempre così, parlate tra di voi e a me non mi raccontate nulla.» E altre proteste che Lydia si rifiutò di ascoltare.
«Se vuoi mi posso occupare io del vischio.» continuò a punzecchiarla Katherine.
«Smettila.»
«Vischio? Perché il vischio?»
«Ho in mente alcuni punti della casa in cui ci starebbe benissimo…»
«Perché dovremmo mettere del vischio in casa? Non è ancora Natale!»
«In salotto…»
«Katherine, ti avviso… non un’altra parola.»
«Insomma! Dovete dirmelo!»
«Al secondo piano…»
«Katherine, ti sto per lanciare una fattura.»
«Sulla porta di un certo laboratorio…»
«Oh, cresci un po’!» sbottò Lydia, esasperata.
Il volto di Katherine si rabbuiò, il sorriso completamente scomparso. «Ho bisogno di un po’ di leggerezza, Lydia… Da quando è iniziata la guerra non so più cosa vuol dire essere spensierati.»
E Lydia si sentì vagamente in colpa. Da quanto tempo non vivevano una giornata allegra senza l’ombra della guerra ad adombrarla? Da quanto non si concedevano la possibilità di essere semplicemente felici?
Il suo sguardo si posò sulla neve candida che volteggiava nell’aria invernale, il pensiero rivolto ai tanti momenti di gioia che aveva vissuto ma che sembravano appartenere ad un’altra vita.
 
L’atmosfera natalizia rendeva il villaggio di Hogsmaede ancora più magico, e il buonumore si impossessò dei quattro ragazzi, Alice compresa. Non riuscivano a credere di essere davvero lì, liberi e senza il controllo di Prefetti, Capiscuola o professori. Acquistarono scorte di caramelle per un anno intero, si nascosero dietro un albero ad ascoltare un gruppo di cantori, si fecero scattare una foto ricordo da un fotografo ambulante e si arrischiarono persino ad arrivare fino ai cancelli della Stamberga Strillante. Lydia e Lance erano decisi ad avventurarsi al suo interno, ma Alice e Paul erano di tutt’altro avviso e alla fine il buon senso di Alice prevalse. Dopo essersi ritrovati con le dita delle mani completamente congelate, fu d’obbligo scaldarsi con delle cioccolate calde acquistate ad un banchetto nella via principale di Hogsmaede.
Lydia soffiò sulla sua tazza. «Non posso crederci che ce l’abbiamo fatta.»
«Lo devo ammettere.» disse Alice «Per una volta sono contenta di essermi lasciata convincere da voi. Ci voleva proprio una giornata così. Niente compiti, niente compagni di classe, solo noi.»
Lance non poteva essere più d’accordo. «Niente Moore, Harris, Mills e i loro compari. Già per questo è una giornata perfetta.»
«L’ultima volta che siamo stati ad Hogsmaede hanno minacciato di buttarlo nella fontana.» spiegò Paul.
Lance lo fulminò.
«Beh, sarebbe stato difficile visto che non ci sono fontane ad Hogsmeade.» La cioccolata scaldò lo stomaco di Lydia. «E comunque non pensiamo a loro oggi. L’importante è che siamo qui e ci stiamo finalmente godendo la giornata che ci meritavamo.»
«Però…» cominciò Alice.
Lydia le puntò un dito contro. «Non ricominciare con la storia della punizione meritata.»
«Però un po’ è vero.»
Lydia gemette. «Ti prego, Alice, basta con i sensi di colpa.»
«Ma la professoressa McGranitt ha avuto le sue ragioni per punirci! Lydia, abbiamo incendiato la rarissima collezione di piantine di Astel!»
«Non l’abbiamo fatto apposta!»
«Ma…»
«È stato un effetto collaterale!»
«Sì, ma…»
«E poi perché tenevano cinque dei venti esemplari al mondo di piantina di Astel in una serra aperta agli studenti? Ti sembra una scelta responsabile da parte del Preside e della professoressa Sprite?»
«No, ma…»
«Che poi noi non volevamo scatenare un fuoco. Volevamo solo scaldare la serra per riuscire a finire i nostri compiti senza rischiare l’ipotermia. È colpa nostra se alle cinque del pomeriggio le serre sono già completamente al buio e gelide?»
«Ancora no, ma…»
«Alice!» la interruppe Lydia «Giuro che se ripeti ancora una volta ‘ma’ ti sommergo di neve.»
Alice non era particolarmente colpita. «Sto solo cercando di farti ragionare.»
«Ah, ah!» la ammonì Lydia «Ultimo avviso. Non un’altra parola sulla responsabilità e sulle conseguenze delle proprie azioni!»
«Più che una parola servirebbe un saggio intero. Ehi!» La palla di neve era atterrata dritta sul suo naso, spiaccicandosi su tutto il volto. Alice si pulì con la manica della giacca.
«Ti avevo avvertita.» si difese Lydia. Batté le mani per ripulirle quando un missile la colpì sulla guancia. Si voltò di scatto verso Lance. «Questo non dovevi farlo.» sibilò. Paul guardò Lance e poi si allontanò di qualche passo, giusto in tempo per non finire travolto insieme all’amico sotto una valanga di neve.
Il volto di Lance comparve sputacchiando dal mucchio di neve che copriva interamente il suo corpo. «Non è valido con la magia!»
Lydia riprese la tazza di cioccolata dal muretto su cui l’aveva appoggiata. «Nessuno ha parlato di regole.» E una freccia di neve le colpì la mano, facendole perdere la presa sulla tazza. La cioccolata sfrigolò al contatto con il pavimento ghiacciato.
Alice si rimise in tasca la bacchetta. «Vedi? Questa è un esempio di cosa succede quando compi delle azioni senza pensare alle conseguenze.» Ma la lezione di Alice ebbe vita corta, interrotta dal fatto che fu costretta a cercare riparo dietro alla panchina più vicina per non essere colpita dalla furia di magia e neve di Lydia.
«Non osare!» la minacciò Alice, vedendo i fiocchi di neve cristallizzarsi a mezz’aria.
Un sorrisetto malefico curvò le labbra di Lydia. «Prova a fermarmi.»
«Ventus!»
Lydia si tuffò a terra per evitare i suoi stessi frammenti di ghiaccio. La risata di Alice però si spense velocemente, sostituita da un lamento quando venne colpita dietro alla testa da un’altra palla di neve.
«Perché stai sempre dalla parte di Lydia!?» borbottò esasperata.
Lance scrollò le spalle. «Perché è lei ad avermi comprato la cioccolata.»
L’urlo di vendetta di Alice riecheggiò nell’intera via.
Quella che era iniziata come una vera e propria guerra, si trasformò presto in una scherzosa battaglia, e fece dimenticare le lezioni su conseguenze e punizioni. Lydia e Lance fecero squadra contro Alice, capace di difendersi dagli attacchi di entrambi, mentre Paul cercava di colpirli da una ragionevole distanza di sicurezza. Lydia aveva appena lanciato il suo ultimo dardo quando un luccichio attirò la sua attenzione. «Fermi!» Il suo urlo congelò gli amici nell’atto di bombardare i loro avversari. Lydia si avvicinò al punto in cui aveva notato lo strano bagliore.
I suoi amici la seguirono all’istante. «Sarà un rottame sepolto dalla neve.» ipotizzò Alice chinandosi accanto a Lydia per guardare meglio.
«Oppure un antico manufatto riportato alla luce dallo scioglimento dei ghiacciai. Che c’è?» chiese Lance sulla difensiva quando gli altri lo guardarono accigliati «Nei romanzi succede sempre.»
«Oppure è un amuleto maledetto.» concluse Paul, con un pizzico di terrore. «Non toccarlo!» strillò.
Lydia ignorò il suo suggerimento e tese una mano. Con la punta delle dita toccò il gelido metallo, lo tirò e… «Un doblone!» esclamò stupefatta «Un doblone d’oro!»
Gli occhi dei ragazzi si illuminarono.
«Hai presente cosa possiamo comprare con un doblone d’oro?» chiese subito Paul, come se avessero davvero rinvenuto un tesoro nascosto.
Alice si guardò attorno. «Magari è di qualcuno.» Ma non c’era nessuno nello spiazzo in cui si trovavano, ed era stato deserto da quando erano arrivati. Era loro di diritto, e Lydia sapeva esattamente come iniziare ad usarlo.
«Un altro giro di cioccolata per tutti!» esclamò sollevando in aria il doblone. Lance, Alice e Paul esultarono con lei.
 
 
La fila al chioschetto si era allungata rispetto alla prima visita. I ragazzi attesero, impazienti di potersi riscaldare ora che la neve lanciata aveva fatto il suo effetto congelando loro le dita delle mani. Lance, stretto nel suo cappotto umido, saltellava sul posto per riuscire a scaldarsi. «Se vuoi posso usare un incantesimo Riscaldante.» propose Lydia.
«No!» urlarono Lance, Paul e Alice in coro. Gli altri avventori sobbalzarono spaventati dal loro grido. «No.» continuò Alice a voce più bassa. «Vorrei ricordarti che è stato proprio il tuo tentativo di riscaldarci ad incendiare mezza serra.»
Lance ricominciò a saltellare sul posto.
La fila scalò e i ragazzi si avvicinarono al banchetto. Ancora due clienti e poi era il loro turno.
«Non c’era bisogno di ricordarlo.» borbottò Lydia.
«Non è stata colpa tua!» si affrettò a consolarla Lance «Ti abbiamo distratta ed è successo il disastro.»
Un cliente.
Lydia studiò Lance di sottecchi. «Grazie…»
«Cosa desiderate, ragazzi?» Erano arrivati in cima alla fila e la strega addetta li guardava con un cordiale sorriso.
 «Quattro cioccolate extra calde.» Lance si strofinò le mani. Nel farlo però, urtò il gomito di Lydia, la quale stava già tendendo il doblone verso la commessa e, presa alla sprovvista, lasciò la presa. La moneta rimbalzò sul pavimento sconnesso, sotto gli sguardi atterriti dei quattro ragazzi.
«La prendo io!» urlò Lydia, gettandosi immediatamente all’inseguimento del doblone, che continuava a rotolare imperterrito sulla strada lievemente in discesa. Si allungò per afferrarlo ma le sfuggì dalle dita. «Ma insomma!» esclamò, riprendendo la sua corsa. Lance, Alice e Paul si lanciarono all’inseguimento di Lydia.
«Ce la faccio, ce la faccio!» urlava Lydia, tentando di fermare la folle corsa della moneta con mani e piedi. La scena era quasi comica. «Ce la faccio!» Lance la raggiunse. La moneta rimbalzò su un sasso e sia Lydia sia Lance tentarono il tutto per tutto e si gettarono a terra per afferrarla. Fu Lydia a riuscire a prenderla e sollevarla entusiasta verso il cielo. «L’ho presa! L’ho presa!»
Alice e Paul frenarono all’istante la loro corsa. Dalla sua posizione a terra, Lydia non poteva vedere i loro volti terrorizzati.
«Lance, l’ho presa!»
Ma Lance stava guardando verso l’alto, un’espressione di puro orrore dipinta in volto. E così anche Lydia alzò lo sguardo.
Lì, esattamente davanti a loro, ad appena un metro di distanza, la professoressa McGranitt li fissava, le labbra strette e le narici tese.
«Emh…» Lydia pensava di essersi ormai abituata a vedere la professoressa McGranitt infuriata dopo tutti i guai che lei e i suoi amici erano riusciti a combinare nel corso di soli tre anni. Si sbagliava.
Forse però c’era ancora un modo per salvarsi.
Sollevò il doblone.
«Vuole una cioccolata?»
 
 
I preparativi di Natale furono davvero un’idea grandiosa. I bambini non si erano mai mostrati così entusiasti, e anche quelli che continuavano a cadere vittime dell’influenza, trovavano un po’ di sollievo nella preparazione delle ghirlande e nello spirito natalizio che aleggiava in casa. Lydia non era mai stata una grande appassionata del periodo natalizio, eppure anche lei non poteva resistere al suo fascino e si trovava a sorridere più spesso di quanto avesse fatto negli ultimi tempi; come era successo quando Duncan era rimasto ingarbugliato in una matassa di luci ed aveva dovuto passare il resto del pomeriggio a girovagare per casa come un enorme albero di Natale perché nessuno voleva aiutarlo. Oppure quando il signor O’Brien aveva insistito per preparare dei Babbi Natale di cioccolato i cui risultati furono così catastrofici da causare nell’uomo una vera e propria crisi esistenziale. Oppure ancora quando la signora O’Brien aveva concesso ai ragazzi un’uscita fuori programma per andare a comprare i regali di Natale ai bambini.
«Puoi andare anche tu.»
Si voltarono tutti verso la signora O’Brien. Tutti tranne Caitlin, che continuò a sfogliare pigramente la sua rivista senza accorgersi di essere lei la destinataria della frase.
«Mamma…» sussurrò Duncan «Sei sicura?»
«Sono sicurissima. Prendilo come il mio regalo di Natale per te.» Ma le sue parole continuarono a non sorbire alcun effetto in Caitlin.
«Cait?» la chiamò Katherine.
«Mh?» rispose lei, senza sollevare lo sguardo dalla sua rivista. Katherine guardò i signori O’Brien e visto che nessuno parlava, fu lei a ripeterle la notizia. «Puoi venire con noi.»
Caitlin sbuffò dal naso. «Sì, certo. E Voi-Sapete-Chi ha deciso di darsi all’ippica.»
«No, Cait. Puoi davvero venire con noi.»
Il tono di Katherine fu abbastanza convincente da far alzare lo sguardo a Caitlin, la quale si trovò il resto della famiglia che la guardava con varie espressioni stupite dipinte in volto. Caitlin spalancò la bocca. La richiuse. Boccheggiò di nuovo.
Duncan si alzò in piedi. «Meglio se partiamo subito, o i bambini si accorgeranno che siamo usciti tutti insieme.» Le sue parole provocarono dei saluti affrettati ed una corsa verso l’atrio.
Lydia si stava infilando gli stivali mentre fingeva di ascoltare le infinite raccomandazioni della signora O’Brien, quando si accorse che Caitlin era ancora seduta sul divano, immobile nella stessa posizione, con il giornale dimenticato tra le mani. Tirò la manica di Lance. «Penso che abbiamo rotto tua sorella.»
Lance scrollò le spalle e si abbottonò il cappotto. «È solo sotto shock. Un ottimo motivo per lasciarla qui.» In risposta si beccò uno scappellotto sulla testa da parte della madre.
«Ho detto che viene con voi e lei viene con voi. È sotto la vostra responsabilità, se combina qualche guaio scordatevi il giorno libero a Natale.» Fu abbastanza per mettere sull’attenti sia Lydia sia Lance. Soddisfatta del risultato, la signora O’Brien batté le mani. «Op, op, Caitlin, o gli elfi di Babbo Natale partiranno senza di te.» Caitlin scattò come una molla e prima che la signora O’Brien finisse la frase era già nell’atrio, con uno stivale mezzo indossato e la berretta all’incontrario. «Avete due ore di tempo.» La signora O’Brien raddrizzò la berretta di Caitlin. «Se non tornate entro le due ore dovrete pulire i bagni dei bambini per i prossimi due mesi, capito?» Lydia e Lance annuirono energicamente.
Katherine invece ridacchiò. «Se dovessimo incontrare qualche Mangiamorte riferiremo il nostro coprifuoco.»
E così anche lei si prese uno scappellotto sulla testa.
«Non dirlo neanche per scherzo.» Katherine si massaggiò la nuca e la signora O’Brien cominciò a spingere i ragazzi verso la porta d’ingresso. Quando uscirono sulla ghiaia ricoperta dalla neve, la signora O’Brien aggiunse. «Se incontrare qualche Mangiamorte potete dirgli che se riesco a mettergli le mani addosso, saranno loro a dover pulire il bagno dei bambini per il resto della loro vita.» E richiuse la porta alle loro spalle.
Lydia fissò la porta chiusa. «Qualcuno dovrebbe riferirlo a Voi-Sapete-Chi. Sono sicura che la guerra finirebbe in un lampo se si trovasse di fronte a vostra madre.»
Gli altri annuirono in silenzio.
 
Con la decisione della signora O’Brien, lo spirito natalizio raggiunse infine anche Caitlin. Una volta ripresa dallo stupore infatti, si lasciò travolgere dalla gioia di essere finalmente fuori casa (questa volta con il benestare dei genitori) e le successive due ore si trasformarono in un viaggio nei negozi di un paesino a nord di Cambridge, alla ricerca dei regali più adatti per ogni bambino, che si tramutò a sua volta in una sfida a chi riusciva a trovare gli oggetti più bizzarri da poter regalare. Fu solo il buonsenso di Duncan che fece riportare al loro posto calzini con disegni di mucche e trombette da stadio, per optare su doni più classici e educativi come giochi, libri o dolci.
«E con questo abbiamo finito.» dichiarò solennemente Lance, prendendo busta e scontrino infinito dalle mani del commesso.
«Alleluja!» intonò Lydia. La sua mente era già rivolta verso il calore del camino e la cioccolata calda del signor O’Brien che li attendeva a casa.
«Sia lodato il cielo!» Il sospiro di sollievo del commesso fu ben poco professionale, anche se Lydia non poteva dargli torto. Lo avevano torturato nel tentativo di trovare regali adatti a più di venti bambini sotto i dieci anni. Meritava un aumento, o un giorno di riposo.
Duncan controllò l’orologio. «Giusto in tempo. Tra cinque minuti scadono le due ore.» I tre fratelli O’Brien rabbrividirono simultaneamente al pensiero della furia di loro madre e Lydia dovette trattenersi dal fare lo stesso. Aveva visto poche volte la signora O’Brien infuriata, ma le erano bastate per una vita intera. L’ultima volta era stata terrificante, e lei non c’entrava neanche! Si era semplicemente trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato, o meglio, in cucina nell’attimo in cui Simon e Daniel avevano rovesciato un’intera bacinella di farina addosso a Edrik Smith. Loro si erano difesi dicendo che si era trattato solo di un incidente ma il povero Edrik aveva impiegato ore per riuscire a scrollarsi di dosso tutta la farina e… Lydia incespicò, facendo inciampare a sua volta Lance, che comminava pochi passi dietro di lei.
«Abbiamo dimenticato Edrik.» Gli altri ragazzi non pensarono neanche di controllare se fosse vero. Edrik era il bambino più calmo e tranquillo del gruppo e tutti avevano la spiacevole abitudine di dimenticarlo. A colazione, in giardino, a lezione e… nei regali di Natale.
Senza una parola, i cinque ragazzi si voltarono ed iniziarono a correre all’impazzata verso il negozio di giochi.
«Ancora voi?» gemette disperato il commesso. Per un istante sembrò sul punto di abbandonare il posto di lavoro, preferendo un licenziamento in tronco piuttosto che avere di nuovo a che fare con loro. Ma poteva stare tranquillo. Non avevano tempo da perdere. Le due ore erano agli sgoccioli e nessuno di loro aveva la minima intenzione di subire le ire della signora O’Brien. Lydia afferrò la prima cosa che vide, Lance lanciò la banconota sul bancone e i cinque erano fuori prima ancora che la porta si richiudesse.
Fu un vero e proprio miracolo, ma riuscirono a varcare la soglia di casa allo scoccare esatto delle due ore e trovarono ad attenderli proprio la signora O’Brien, con uno spazzolone in mano ed un’espressione delusa sul volto.
«Siamo tornati in tempo!» riuscì a dire Katherine, nonostante la mancanza di fiato.
«Peccato.» rispose la signora O’Brien. «Ho sperato fino all’ultimo che foste in ritardo.»
«Cosa?»
«I bambini hanno intasato uno dei water. È per questo che ho lasciato venire Caitlin con voi. Speravo vi rallentasse abbastanza da farvi arrivare in ritardo e finire in punizione.» replicò innocentemente la signora O’Brien.
Alla fine uno di loro finì davvero in punizione, più precisamente Caitlin, che, una volta conosciute le reali motivazioni del suo permesso per uscire, si profuse in una serie di imprecazioni che le fecero guadagnare il ruolo di stura water per l’intera settimana. Neanche questa conclusione però, riuscì a smorzare il suo spirito natalizio appena risvegliato, e i giorni successivi anche la sua voce si unì alle carole natalizie, portando Lydia a sospettare che fosse proprio quello l’obiettivo della signora O’Bren sin dall’inizio.
 
Giunse infine il giorno di Natale.
La mattina fu una vera e propria esplosione di gioia. Gli intensi preparativi portati avanti dai bambini nelle ultime settimane, avevano aiutato ad impegnarli abbastanza da far superare loro la malinconia; solo alcune lacrime scesero sui loro volti al pensiero dei genitori lontani, subito asciugate alla visione dell’immensa catasta di regali comparsi sotto il maestoso albero di Natale che svettava in salone, decorato accuratamente dai bambini stessi.
Quando Lydia scese le scale li trovò già seduti proprio sotto l’albero, ad aspettare impazienti che tutti si riunissero per poter iniziare a scartare i loro regali.
Lydia fu tra gli ultimi a scendere in salone. Per la prima volta da quando aveva messo piede in casa O’Brien, si era soffermata in camera a prepararsi. Per un giorno aveva abbandonato maglioni e abiti comodi per sostituirli con un abito rosso che era finito a caso nella sua valigia. I bambini più piccoli furono i primi a notare il suo cambiamento. «Hai messo un vestito!» Ewart le corse incontro ed iniziò a tirarle la gonna.
«Non abituarti troppo.» scherzò Lydia, cercando di mettere in salvo il leggero tulle dalle mani appiccicose del bambino. Per fortuna, essendo arrivata tardi, il suo arrivo significò anche che era giunto il momento in cui i bambini potevano iniziare ad aprire i loro regali, quindi tornarono subito ad ignorarla e corsero all’attacco dell’ammasso di pacchetti. Le loro urla riempirono la stanza mentre ognuno di loro cercava il pacchetto con il proprio nome scritto sopra. I signori O’Brien stavano cercando di gestire la situazione e Lydia si avvicinò in punta di piedi all’angolo del salotto occupato da Katherine, Caitlin e Duncan.
«Buon Natale!» esclamò Katherine. Duncan si limitò ad un grugnito, ma probabilmente la sua reazione era dovuta in gran parte al cerchietto con le corna da renna che era stato costretto ad indossare.
Caitlin, mezza sdraiata sul pavimento e già circondata da incarti di regali, le lanciò un biscotto al cioccolato. «Buon Natale, non vedo l’ora che sia sera, che tutti loro siano rinchiusi nelle loro stanza e che finisca questa giornata infernale. Ma li sentite? Come fanno a produrre dei suoni tanto fastidiosi?»
Katherine aggiustò il cerchietto di Duncan. «Oh Cait, puoi smettere di mentire con noi. Lo sappiamo tutti che in realtà i bambini ti stanno simpatici.»
«Solo Simon e David.» borbottò Caitlin. «E te l’avevo detto in confidenza. Non c’è bisogno di sventolare ai quattro venti le mie debolezze.» Lydia ridacchiò e spinse Katherine per farsi spazio sul divano.
«Le corna ti donano, Duncan.»
«Non una parola, Merlin.»
«Non ti preoccupare, Lydia. Gli ho già fatto una foto.» Lo sguardo feroce di Duncan non ebbe l’effetto desiderato sulla sorella, soprattutto perché sul cerchietto erano presenti cinque campanellini che risuonavano ad ogni suo movimento. Lydia e Caitlin dovettero mordersi il labbro per non scoppiare a ridere.
«Joy to the world!» La porta del seminterrato si aprì di colpo rivelando un Lance dalle braccia spalancate ed un enorme sorriso a distendergli il volto. «The Lord is come; Let Earth receive her King!» continuò a cantare. Superò a grandi passi lo spazio che lo separava dai ragazzi e, appena li raggiunse, li stritolò tutti insieme in un grande abbraccio. «Buon Natale a tutti voi!»
«Non respiro!» boccheggiò Katherine, rimasta incastrata da qualche parte tra il braccio di Lance e la spalla di Lydia.
«Tieni giù le mani!» si ribellò invece Caitlin.
«Dlin dlin!» protestarono le corna di Duncan.
Il buon umore di Lance rimase comunque intatto. Rubò dalle mani di Lydia il biscotto al cioccolato e si sedette sul bracciolo del divano accanto a lei. «Oggi è un grande giorno!»
«Sì, lo sappiamo.» Lydia tentò di riprendersi il suo biscotto, senza riuscirci. «Buon Natale e tutto il resto.»
«Quello e ho finalmente recuperato tutte le pozioni rovinate da papà! Anzi, mi sono portato anche avanti. Abbiamo scorte per i prossimi tre mesi, il che significa…» tamburellò le dita sul divano «Niente più notti insonni e giornate intere chiuso in laboratorio! Posso finalmente tornare a vivere!» La sua felicità contagiò anche Lydia.
«Allora puoi tornare ad occuparti dei bambini.» disse Caitlin.
Lance mise le mani dietro alla testa. «Qualsiasi cosa che non sia in quel laboratorio.»
Lydia gli pizzicò una gamba. «Quindi puoi occuparti del trio malefico.» Gli sguardi dei ragazzi si rivolsero verso Henry, intento a parlare senza sosta con Daniel, occupato a sua volta a lanciare pezzetti di carta regalo nei capelli di Simon, mentre quest’ultimo legava di nascosto le stringhe di Henry tra di loro. Il sorriso di Lance si incrinò. «Non proprio qualsiasi cosa…»
I bambini nel frattempo avevano aperto i loro primi pacchetti regalo ed una valanga di caramelle babbane si erano riversate sul pavimento, confondendosi con la carta regalo stracciata.
«Caramelle?» chiese Lydia «Chi ha regalato delle caramelle?»
Lance ingoiò in un boccone il biscotto di Lydia. «Le caramelle sono da parte mia.»
Caitlin guardava la scena disgustata. «Come se avessero bisogno di altri zuccheri.»
«Ne avranno bisogno nei prossimi mesi.» spiegò Lance «Ho quasi finito il colorante per le pozioni Anti-Traccia. Ho pensato che le caramelle potessero essere un incentivo sufficiente a farli bere un intruglio grigio che sa di pece.»
Lydia decise di non pensare alle sicure sceneggiate che il cambio di pozione avrebbe generato. Era Natale. Tutto poteva essere rimandato. Poi i bambini cominciarono a scartare i regali portati da Babbo Natale e i loro gridolini di gioia riempirono l’aria.
«La macchinina radiocomandata!»
«Il puzzle dei dalmata!»
«Guardate, Babbo Natale mi ha portato il telescopio!»
«Oooh!»
«Uno spazzolino?» La voce di Lizzie risuonò su quelle dei suoi compagni, attirando l’attenzione dei ragazzi. Edrik era al centro del gruppetto di bambini, seduto a terra tra i resti dei pacchetti regali, e stringeva in una mano una custodia decorata con minuscoli delfini, mentre nell’altra un semplicissimo spazzolino di plastica azzurro. Il suo sguardo era scettico, così come quello degli altri bambini e dei signori O’Brien.
«Perché Babbo Natale ha portato uno spazzolino a Edrik?» Henry strinse tra le braccia il suo peluche a forma di drago, per paura che qualcuno glielo portasse via e lo scambiasse con uno spazzolino.
Lydia però sapeva con esattamente cosa era accaduto. Nella sua mente rivide il preciso istante in cui lei e gli altri erano corsi di nuovo nel negozio: Lydia era stata la prima ad entrare e per la paura di arrivare in ritardo, aveva afferrato letteralmente il primo oggetto che aveva visto. Ingenuamente aveva pensato si trattasse di un astuccio di matite colorate, e poi Edrik aveva una passione per gli animali marini. Non si era fermata a controllare l’etichetta, e dopo essere tornati a casa, aveva completamente dimenticato la vicenda.
I signori O’Brien si voltarono verso di loro, e Lance, Caitlin, Duncan e Katherine, da veri traditori, puntarono immediatamente il dito contro Lydia.
Lydia allontanò l’indice di Katherine con una sberla. «Babbo Natale vuole dirvi che dovete sempre lavarvi bene i denti.» improvvisò.
Lizzie, la solita impicciona, sollevò un sopracciglio. «Ma Edrik li lava sempre.» Anche questo era vero. Tra tutti i bambini presenti in sala, Edrik era l’unico a non lamentarsi mai quando arrivava il momento di lavarsi. La mente di Lydia lavorava febbricitamene alla ricerca di una via di fuga, finché fu colpita da una rivelazione. I suoi occhi si illuminarono. «Ma quello non è uno spazzolino normale! È uno spazzolino magico!»
«Non farlo! Succedono sempre guai quando ti metti in testa certe cose.» bisbigliò Lance nel tentativo di fermarla. Katherine condivideva la sua preoccupazione. Al contrario, Caitlin e Duncan erano pronti a godersi lo spettacolo.
«Uno spazzolino magico?» ripeté Edrik tra lo scettico e l’incredulo.
«Certo!» esclamò Lydia. La sua mano scivolò sulla bacchetta incastrata nella cintura del vestito. «Sembra un normale spazzolino ma quando gli chiedi ‘per favore’ si trasforma…» Il suo sguardo vagò sulla custodia. «In un delfino!»
«No!» gemette Lance con voce strozzata.
«Qui finisce male. Malissimo.» Katherine si mise le mani sugli occhi per non assistere al dramma.
Caitlin prese la macchina fotografica.
Edrik strinse il suo spazzolino e pronunciò un timido «Per favore.»
L’incantesimo saettò silenziosamente tra i bambini fino a colpire lo spazzolino, e le esclamazioni di gioia dei bimbi si tramutarono ben presto in urla di terrore. La maggior parte di loro scattarono in piedi e corsero strillando verso il perimetro della stanza, i più coraggiosi (o incoscienti) invece si gettarono sul pavimento, sollevando una nuvola di carta straccia. In tutto questo disastro la ranocchia creata da Lydia saltellava tranquillamente verso le fronde dell’albero di Natale.
«Ma perché sei così fissata con le rane!?» Katherine sollevò i piedi da terra, la sua disperazione mescolata al disgusto.
Lydia avrebbe dovuto essere dispiaciuta per il danno appena compiuto. Si impose di esserlo. Eppure… c’era qualcosa nella scena dei bambini terrorizzati, degli altri che cercavano di arrampicarsi sull’albero nel tentativo di catturare la rana, i signori O’Brien che correvano da una parte all’altra per riprendere il controllo della situazione, che… Le sfuggì uno sbuffo divertito. Cercò di tramutarlo in un colpo di tosse ma l’istinto di ridere era sempre più forte. Neanche la cattura della rana da parte del signor O’Brien e la sua conseguente ritrasformazione in spazzolino fu sufficiente a smorzare l’ilarità di Lydia.
Solo l’improvviso suono del campanello le impedì di scoppiare.
«Vado io!» urlò, e senza lasciare il tempo agli altri di alzarsi, corse ad aprire la porta d’ingresso.
Fu un grave errore.
Perché Lydia si sarebbe aspettato di tutto tranne di trovarsi davanti agli occhi la visione di Silas O’Brien appoggiato casualmente alla colonna d’ingresso ed avvolto in una inconfondibile pelliccia maculata da donna.
«Buon Natale, cugini!» esclamò Silas allargando le braccia per abbracciare Lydia. Compiendo il movimento, la pelliccia si mostrò in tutto il suo autentico splendore, cintura di pizzo compresa, e Lydia non riuscì più a trattenersi.
Iniziò a ridere. L’espressione sgomenta di Silas degenerò solamente la situazione. Lydia rideva, e rideva ancora. Si ritrovò piegata in due e con le lacrime che le scorrevano sulle guance. Silas incrociò le braccia al petto, imbronciato. «Non era l’accoglienza che mi aspettavo di ricevere.»
La signora O’Brien corse verso di loro e spostò a forza Lydia dall’ingresso. «Scusala, Silas caro. Ovviamente siamo felicissimi di avervi qui!» E fece accomodare Silas, seguito da Cyril e Anthony, il quale mise una mano sulla bombetta in segno di saluto.
Lydia intanto non aveva ancora smesso di ridere. Cercò di raddrizzarsi per riprendere fiato ma nel farlo incrociò lo sguardo di Caitlin. Un altro errore imperdonabile.
Si trattò di una vera e propria reazione a catena. Prima cominciò a ridere Caitlin, poi Lance e persino Duncan si coprì la bocca con le mani per tentare di nascondere le sue risate. Solo Katherine riusciva ancora a trattenersi.
Silas intanto scuoteva la testa. «Ve l’avevo detto che questo mantello è stato un ottimo affare. Avete visto che figurino mi fa uscire?» La sincerità delle sue parole riuscirono a spezzare la corazza di Katherine, facendo cadere anche lei nella trappola delle risate.
Lydia, rimasta completamente senza fiato, le lacrime che le inondavano il viso, non ricordava più da quanto tempo non rideva così. Si accorse che era solo Silas a continuare a lamentarsi dell’effetto generato, la signora O’Brien si era fatta invece estremamente silenziosa ed osservava i ragazzi seduti sul divano con gli occhi lucidi e le mani sul cuore. E poi Lydia vide la scena come la vedeva lei. I suoi figli, così diversi e così testardi, con tutte le loro incomprensioni e diffidenze, che ridevano come bambini, aggrappati gli uni agli altri. Il suo più grande desiderio avverato nonostante tutto, nonostante la guerra, l’incertezza e il dolore. La loro era una piccola bolla di felicità e Lydia, in quel momento, decise che avrebbe fatto qualsiasi cosa per mantenerla intatta.
Silas continuò a sbuffare e lamentarsi per tutto il pranzo. Le portate si susseguirono e lui proseguiva a sostenere che nessuno di loro possedeva un minimo di buon gusto, scatenando risatine isteriche in Caitlin e Lance.
La conversazione proseguì anche quando si riunirono di nuovo attorno all’albero, rifocillati e in tranquillità. I bambini erano impegnati con i loro nuovi giochi, i signori O’Brien erano intenti a discutere sulla situazione attuale della guerra con Anthony, mentre i ragazzi si erano accomodati attorno ad un tavolino, un gioco di carte avviato nelle loro mani.
Nessuno di loro chiese notizie del mondo. Era come se avessero stretto un tacito accordo. Per un giorno, per un giorno soltanto, il mondo vero non esisteva, con il suo buio e la sua desolazione. Almeno finché Silas non nominò Paul e l’aria si gelò immediatamente.
«Ho sentito dire che è andato fuori di testa.»
Lydia non poteva che dargli ragione. Lance si aggiustò il polsino della camicia. Caitlin buttò sul tavolo la carta dell’Avvicino. «Non è mai stato particolarmente intelligente.»
Katherine lanciò la carta del Grifone e catturò lo Gnomo di Duncan. Poi fu il turno di Cyril, che si limitò a pescare silenziosamente dal mazzo al centro. Lydia provò a mettere sul tavolo la carta della Chimera.
«Cait, ora che ci penso… come hai fatto a leggere la sua scrittura-?» Si bloccò in tempo. Dopo l’attacco sulla spiaggia erano ormai tutti a conoscenza del fatto che Paul li avesse contattati all’inizio del suo folle piano, ma nessuno tranne Caitlin sapeva del viaggio di Lance e Lydia per le strade di Diagon Alley.
Caitlin rimise in ordine le sue carte. «Ci scrivevamo spesso, qualche anno fa.»
Il Drago di Silas sconfisse il Grifone di Lydia ma a lei non importò. Era più impegnata a cercare di capire il motivo che aveva spinto Caitlin ad avere una corrispondenza con Paul Kenston.
Lance pescò una carta e lanciò la bomba. «Stavano insieme.»
«Non ci posso credere!» Lydia si sarebbe aspettata di tutto. Tranne quello.
«Ha passato qualche settimana estiva a casa nostra. Aveva il suo fascino.» raccontò Caitlin, come se nulla fosse.
«È stato il suo primo ragazzo.» concluse Lance, con un tono indifferente che cozzava con l’espressione del suo volto.
«Secondo.» lo corresse Caitlin.
«Ah sì?»
«Il primo è stato Roman Kallay. Poi c’è stato Paul e dopo di lui Jenna Evans.»
«Lei me la ricordo.» intervenne Duncan, bloccando con la carta del Tranello del Diavolo Katherine e facendole saltare il turno. «Ci portava sempre le crostate ai frutti di bosco.»
«C’è qualcosa che non va?» La voce di Caitlin era secca.
Lydia si riscosse, ma era difficile nascondere il suo stupore. «Tu e Paul…» boccheggiò «Tu e Paul!?» Non riusciva ad immaginare due persone più diverse.
Caitlin fece un sorriso sghembo. «Era gentile e mi adorava, cosa potevo chiedere di meglio?»
«Tutto!» rispose sinceramente Lydia.
«E comunque dillo a Silas. È lui quello che cambia fidanzata ogni settimana.»
Silas non si turbò particolarmente e continuò ad osservare le sue carte. «Che vi posso dire. Sono troppo affezionato alla mia libertà, senza contare il fatto che vivo una vita eccessivamente spericolata, metterei a rischio chiunque mi sia troppo vicino.»
«E non potresti semplicemente cambiare lavoro?» domandò Duncan «Se proprio vuoi chiamarlo ‘lavoro’.»
«Come osi?» Silas si mise una mano sul petto, profondamente offeso «Cy, dì anche tu a questo cugino screanzato che il nostro è un lavoro di fondamentale importanza!»
Cyril si limitò ad un grugnito.
«Perché, che lavoro fate?»
Se possibile, Silas si offese ancora di più alla domanda di Lydia. «Nessuno te l’ha mai detto?»
Lydia si guardò attorno, sperando che qualcuno la salvasse, ma i tre fratelli O’Brien alzarono gli occhi al cielo all’unisono e tornarono a guardare le loro carte, progettando le prossime mosse senza considerare l’orgoglio ferito del cugino.
Silas sospirò. «Non è colpa tua, Lydia cara. Nessuno in famiglia ha mai approvato i nostri metodi, né la nostra fama.»
«Siete famosi?»
«Sì può dire così.»
Lance emise uno sbuffo divertito, attirandosi un’occhiataccia da parte di Silas, che decise però di soprassedere e dare infine una risposta a Lydia. «Siamo artisti di strada.»
Lydia si era aspettata qualcosa di più. Cercò di mascherare la delusione, e dovette fare un buon lavoro perché Silas non se ne accorse e continuò a parlare. «I lavori convenzionali non ci hanno mai interessati, sai che noia dover passare il resto della vita dietro ad una scrivania, in un Ministero di vecchi o in qualche redazione ammuffita? Senza offesa.» Katherine era troppo concentrata a scegliere la mossa successiva per offendersi «E così ci siamo creati un lavoro tutto nostro e abbiamo cominciato ad organizzare spettacoli di magia nelle strade babbane?»
«Ma non è contro tutti i principi dello Statuto di Segretezza?»
Silas si giocò la carta del Moke. «Diciamo che abbiamo avuto diversi incontri con gli Auror ed altrettante udienze disciplinari, ma devi sapere, cara Lydia, che le regole sono facilmente aggirabili, specialmente se si conoscono i cavilli tecnici. Vedi, noi solitamente facciamo spettacoli di magia davanti ai babbani, questo è vero, e non sai quanto ne sono entusiasti. Non riescono proprio a spiegarsi come facciamo a compiere certi trucchi senza l’uso di effetti speciali e sì, se gli Auror ci prendono mentre stiamo compiendo magie per strada ci possono arrestare, come è effettivamente successo molte volte. Ma qui arriva il bello. Ci è bastato imparare qualche vero trucco babbano di quella che loro chiamano magia e… BAM! Il gioco è fatto! Tocca a te.»
Lydia si riscosse e lanciò sul tavolo una carta a caso. Un vermicolo. Fu immediatamente distrutto dal Kneazle di Lance e Lydia fu costretta a fermarsi per un giro. Non che le interessasse. «Non ho capito niente.» disse sinceramente.
Silas sorrise. «È semplice. In strada utilizziamo vere magie per impressionare i babbani e riempirci le tasche delle loro generose mance, quando veniamo portati davanti ai giudici del Ministero affermiamo di non aver mai compiuto incantesimi e mostriamo loro semplici trucchi di magia babbana. La loro ignoranza sui babbani e su dove possano arrivare le loro illusioni fa il resto. Si convincono che siamo solo esperti di ‘magie’ babbane, veniamo sollevati da tutte le accuse e poi ricominciamo tutto da capo. I giudici e gli Auror stanno incominciando a stancarsi di noi.»
«E siete sempre riusciti a farla franca?»
Silas si grattò un orecchio. «Solo una volta abbiamo rischiato di finire davvero ad Azkaban e con le bacchette spezzate. Devi sapere che la nostra fama si è sparsa nel mondo babbano, tanto che l’anno scorso siamo stati invitati ad esibirci a corte.»
«Oh, no. Non di nuovo questa storia.» si lamentò Caitlin, sprofondando nel divano.
«E allora non ascoltarla.» replicò secco Silas, prima di riprendere il suo racconto «Era una festa in giardino ed erano invitati i membri più facoltosi della società e la maggior parte della famiglia reale, compresa – non ci crederai mai! – Sua Maestà la Regina in persona!»
Era arrivato di nuovo il turno di Lydia. Pose sul tavolo una carta a caso senza neanche guardarla.
«Un pubblico eccellente, se posso dirlo. La Regina era la più entusiasta per la nostra performance, tanto da prendersi un istante a fine esibizione per farci i complimenti.» Gli occhi di Silas brillavano al ricordo. «Meno piacevole è stato il nostro ritorno a casa, dove siamo stati accolti da una squadra intera di Auror che ci hanno portati direttamente al Tribunale del Ministero per un processo per direttissima. Credevano di averci finalmente in pugno e, lo ammetto, anche io ho pensato che avessimo infine superato il limite.» Lydia ascoltava con il fiato sospeso. «Hanno presentato le prove, abbiamo provato ad usare i nostri trucchetti per uscire dai guai, ma abbiamo scoperto a nostre spese che il Ministero non prende alla leggera le violazioni di fronte alla Regina. Il giudice stava per emettere la nostra condanna quando ecco arrivare un gufo, proprio nell’aula del Tribunale. Non ho ancora capito come abbia fatto a superare tutte le difese ed entrare liberamente nel Ministero.»
«Lydia, Duncan ha mangiato il tuo Erumpent. Hai perso.» la informò Lance. Lydia lo liquidò con un gesto della mano.
«Abbiamo subito capito che era qualcosa di grosso. Il giudice, la giuria e gli Auror si sono irrigiditi appena hanno visto il gufo entrare. Il giudice ha preso la lettera e, subito dopo averla letta, ci ha dichiarati innocenti e liberi di tornare alle nostre occupazioni. Non so cosa sia successo, ma sono abbastanza sicuro di aver visto il sigillo reale stampato sulla lettera.»
«E siete tornati ad esibirvi?»
L’entusiasmo di Silas si incrinò. «Non per molto. Dall’inizio della guerra abbiamo dovuto ritirarci. Se fossimo finiti di fronte ai giudici corrotti dai Mangiamorte saremmo stati spediti direttamente ad Azkaban. E non volevamo mettere nei guai nostro padre; già prima veniva mal visto da alcuni suoi colleghi per i nostri metodi discutibili, se avessimo continuato lo avremmo messo in pericolo, con tutto quello che avrebbe comportato.» Fece un cenno verso i bambini, ancora intenti a giocare spensierati. Senza le informazioni del padre di Silas e Cyril, molti di loro non sarebbero stati lì quel giorno. «Papà è stato contentissimo. Non è mai stato particolarmente orgoglioso della nostra professione. Anche se sarebbe molto meno contento se venisse a sapere del nostro nuovo lavoro.» aggiunse abbassando la voce e chinandosi verso di lei.
«Come va con il vostro traffico?» chiese Lance. Lydia lanciò un’occhiata al tavolo di gioco e scoprì che anche Caitlin e Duncan erano stati eliminati.
«Bene. C’è stato un bel po’ di passaparola e il nostro giro si è allargato, ma le scorte che ci hai fornito ci basteranno comunque per mesi.» Silas scosse la testa «Non sai quante persone disperate stiamo vedendo. L’altro giorno è arrivato un padre pronto a venderci la sua bacchetta pur di avere la pozione contro il Vaiolo del Drago per il proprio figlio. Ed è anche il motivo per cui le nostre entrate sono quasi nulle.»
La gioia e il buonumore vissuti fino a quel momento furono adombrate da un velo di rabbia e tristezza. L’ombra della guerra era riuscita comunque a raggiungerli.
Fu Anthony, a sua insaputa, a spezzare la tensione che era inevitabilmente calata sui ragazzi. «Occorre un brindisi!» esclamò raggiante. Sollevò la bacchetta come un direttore d’orchestra e dei bicchierini volarono fuori dalla cucina ed iniziarono a svolazzare sopra le teste degli adulti presenti. Lydia afferrò al volo il suo e lo costrinse a stare fermo mentre la bottiglia di Whisky Incendiario lo riempiva fino all’orlo.
Silas ritrovò la sua allegria e si alzò in piedi. Afferrò con un balzo il bicchiere intento a girargli attorno alla testa e gli altri lo imitarono, sollevando a loro volta i calici.
«Alla famiglia O’Brien!» continuò Anthony «A tutti i sacrifici che state affrontando per proteggere i più fragili. Ai nuovi amici!» continuò facendo un cenno verso Lydia «Che hanno accettato di combattere al nostro fianco. A tutti i nostri cari! Possono essere lontani fisicamente ma sono sempre nei nostri pensieri e nei nostri cuori.» Lydia abbassò impercettibilmente il braccio, il pensiero rivolto ad Alice, ai suoi genitori e a sua nonna.
«Sono tempi difficili. È inutile negarlo. Ma vedervi qui davanti a me mi ha ricordato che si può trovare del bene anche nei momenti più oscuri… A tutti noi!» concluse sollevando il bicchiere.
«A noi!»
«A nostri amici!»
«A sua maestà la Regina!» esclamò Silas.
Il Whisky Incendiario scivolò nella gola di Lydia, lasciando una scia di fuoco al suo passaggio.
 
Il resto della serata fu una confusione di brindisi, partite agguerrite, scherzi e risate, fino a quando Silas, Cyril e Anthony salutarono e tornarono a casa. Una volta usciti gli ospiti, i bambini furono costretti, tra molti lamenti, ad andare a letto e in poco tempo, Lydia e Lance si trovarono da soli nel salotto, che recava inevitabilmente tutti i segni della festa appena conclusa.
«Dici che dobbiamo riordinare?»
Lance osservò il disastro che li circondava.
«Domani. Sistemiamo domani.»
Lydia non obiettò.
«Ci serviva una giornata così.»
«Sì, ma mi chiedo come faremo a tenere impegnati i bambini ora che i preparativi di Natale sono finiti.»
Lance fece una smorfia. «Meglio non pensarci. E poi il Natale non è ancora finito.»
«Ah no?» Lydia sollevò la testa.
«No.» sorrise Lance «Ho ancora una sorpresa per te.» Le prese la mano e la costrinse ad alzarsi dal divano. Lydia barcollò leggermente. Il suo corpo non era più abituato a reggere il Whisky Incendiario. Quando ritrovò l’equilibrio, seguì Lance fino all’albero di Natale e si inginocchiò al suo fianco sul pavimento ancora ricoperto da carte da pacco variopinte. Lance frugò tra le stoffe che coprivano la base dell’albero ed estrasse un piccolo pacchetto azzurro.
«Aspetta… questo non è mio…»
«È il mio.» disse Lydia «Il mio regalo per te.»
«Non dovevi…»
«Smettila di dire fesserie e aprilo.»
Lance non se lo fece ripetere. Con delicatezza aprì il pacchettino mal confezionato, facendo comparire una piccola fotografia. Le figure al suo interno si muovevano, salutando felici con la mano. «Non sapevo che ce l’avessi tu.» disse stupito.
«Come potevo buttarla? Quello è il giorno in cui la professoressa McGranitt ha minacciato di licenziarsi pur di non avere più a che fare con noi.» Nella foto Lydia, Lance, Alice e Paul ridevano spensierati, sullo sfondo si stagliava una via innevata di Hogsmaede. «Ed è anche il giorno in cui abbiamo trovato il doblone. Quello però non so che fine abbia fatto.»
«Ce l’ho io.» rispose immediatamente Lance «L’ho conservato in attesa di poterlo finalmente spendere tutti insieme.»
Presa dallo spirito del Natale, Lydia si trovò ad immaginare il giorno in cui finalmente lei, Lance, Alice e Paul si sarebbero riuniti una volta finita la guerra, e avrebbero trovato il modo di spendere quel doblone che per anni interi non avevano saputo come utilizzare, permettendosi per la prima volta da molto tempo di sperare nel ritorno di un periodo di pace.
«Grazie.» Lance le sorrise «Adesso però è il mio turno.» Posò con delicatezza la fotografia alla base dell’albero e tornò a frugare alla ricerca del suo regalo. Quando lo trovò, lo porse con delicatezza a Lydia.
«Buon Natale, Lydia.»
Lydia prese il pacchetto. Era pesante per le sue dimensioni ridotte. Con una piccola esitazione, sciolse il nastro che lo legava e tolse la carta, rivelando un piccolo libricino dalla copertina di cuoio. ‘L’importanza della concentrazione nelle pratiche di Transfigurazione.
«Ehi!» protestò Lydia.
Lance rise. «Per scongiurare altre trasformazioni in tassi.»
«È successo una volta sola!» Eppure non riuscì a trattenere un sorriso. «La prossima volta ti trasformo in un porcellino d’india. I bambini ne sarebbero entusiasti.»
Lance indicò il libricino. «Prova ad aprirlo.»
Lydia sollevò la copertina. Si aspettava una dedica, o qualcosa di simile. Tutto il contrario di quello che si presentò al suo sguardo. Intravide Lance che abbassava la luminosità delle lampade del salotto, lasciandoli nella semioscurità.
Nonostante vivesse circondata dalla magia da ormai diversi anni, per Lydia fu impossibile non ritrovarsi senza fiato allo spettacolo che avvenne davanti ai suoi occhi. La piccola perla contenuta nel falso libro emanava una dolce luce bianca e tutto attorno ai due ragazzi erano sospese migliaia di stelle, piccoli punti luminosi che galleggiavano nell’aria. Lance indicò un insieme di stelle. «La costellazione del Grifone.» sussurrò «La stella di Harvey.» continuò indicando la forma che si intravedeva vicino ad una delle finestre. «E la stella di Ecate.»
«La stella più luminosa del cielo…» concluse Lydia, incantata da tanta bellezza.
Lance sorrise dolcemente. «Compare solo durante la settimana di Natale ed è invisibile agli occhi dei babbani.»
Lydia la ricordava. «Dicono che arrivi per illuminare la strada di tutti i maghi del mondo affinché possano tornare a casa dai loro cari.» Si voltò verso Lance «Grazie.» disse, anche se una sola parola non le sembrava sufficiente per il dono che le aveva fatto.
Lance sfiorò la sua mano e le loro dita si intrecciarono. E Lydia decise che no, un semplice grazie non sarebbe mai bastato. Perché Lance le aveva regalato il cielo.
Forse fu per il Whisky Incendiario, forse per la felicità che aveva provato quel giorno o forse fu semplicemente una parte del suo cuore che aveva cercato di seppellire tempo prima, ma Lydia fece quello che le sembrò più naturale.
E illuminati da migliaia di stelle incantate, Lydia baciò Lance, con la sensazione che la stella di Ecate l’avesse realmente guidata fino a casa.
 
 

 
Note: Il Natale è arrivato a casa O'Brien insieme al momento tanto atteso da alcuni di voi <3 
Ma... ricordatevi che manca solo un capitolo alla fine della seconda parte... Niente, dico solo questo... (xD)

Curiosità: Ho scritto questo capitolo a settembre 2022; il giorno in cui è morta la regina Elisabetta stavo scrivendo la parte dei brindisi, ed è stato naturale aggiungere il tributo nei suoi confronti da parte di Silas. E nei giorni successivi è comparsa l'idea della lettera con il sigillo reale che ha salvato dai guai Silas e Cyril, perchè in fondo lo sappiamo tutti che la regina era di sicuro a conoscenza dell'esistenza di un mondo magico nel suo paese!


Grazie di cuore a tutti voi che state leggendo questa storia <3 
Il vostro sostegno, anche silenzioso, mi dona una gioia immensa e spero che questo capitolo vi sia piaciuto <3

Un abbraccio e al prossimo giovedì!

Emma Speranza


 
'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
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Capitolo 24
*** Capitolo 24 - Per tutta l'eternità ***


Capitolo 24
Per tutta l’eternità
 

Il sospiro di Katherine riecheggiò nella cucina semi deserta.
Lydia stava sfogliando una Gazzetta del Profeta vecchia di settimane, un regalo da parte di Silas e Cyril l’ultima volta che erano passati a trovarli (e a recuperare di nascosto altre scorte di pozioni per il loro traffico illegale). Non conteneva nessuna notizia interessante, ma per Lydia era un conforto sfogliare le pagine e ricordarsi che il mondo, per quanto corrotto fosse, esisteva ancora al di fuori delle mura sicure di casa O’Brien.
Ai suoi lati si trovavano Simon ed Henry, entrambi intenti a colorare il disegno di un cesto di frutta in uno strano silenzio. O per meglio dire, un silenzio incantato. Dopo una serie di sfortunati incidenti, a Lydia era stato proibito categoricamente di compiere magie sui bambini tranne in casi di estrema necessità, ma quel giorno aveva avuto la benedizione della stessa signora O’Brien per Silenziarli entrambi durante l’ora di punizione a cui erano stati condannati per aver allagato l’intero terzo piano.
Katherine sospirò di nuovo.
Henry prese un pastello viola dalla marea di matite che occupavano il tavolo e cominciò a colorare una mela. Lydia non si preoccupò di correggerlo.
Al terzo sospiro affranto di Katherine, però, Lydia scoppiò.
«Cosa c’è?!»
Katherine sobbalzò e la tazza di tè che stringeva rischiò di scivolarle dalle mani. «Niente!»
Bene. Se lei non voleva parlarne allora Lydia non avrebbe insistito. Aveva già parecchi problemi da gestire con i due bambini. Anche se doveva ammettere che si stavano rivelando più bravi del previsto. Lydia tornò a concentrarsi sul suo giornale, più precisamente su un articolo riguardante il calo di personale al Ministero della Magia e sulla difficoltà di assumerne di nuovo. Strinse i pugni. Di sicuro non trovavano nuovi dipenderti, avevano fatto sparire metà delle persone che lavoravano lì e stavano braccando i restanti. E avevano anche la presunzione di definirsi come ‘un posto di lavoro ricco di possibilità e in cui la cura del dipendente è messa sempre al primo posto’. Anche Alice avrebbe riso di fronte ad una frase così stupida.
Un raggio di sole illuminò il tavolo della cucina, distraendo Lydia dal pensiero di Alice. Il sole le scaldò le mani. Era ormai arrivata la fine di marzo e la primavera stava iniziando a mostrare timidamente la sua presenza, con grande gioia di tutti gli abitanti di casa O’Brien. Stare rinchiusi tutto il giorno in casa nei mesi più freddi era stato un vero e proprio incubo. La voglia di tornare a vivere in giardino era infinita, motivo che li spingeva ad approfittare di ogni momento di sole per infilare le giacche e correre nel prato.
O almeno, così facevano i bambini che non erano in punizione e gli adulti che non dovevano badare ai suddetti bambini. Non che Lydia fosse dispiaciuta di rimanere in casa. Dopo giorni interi passati in compagnia di quel branco di bambini urlanti, anelava ogni momento di silenzio.
Se non fosse stato per i continui sospiri di Katherine, pensò con stizza all’ennesimo sbuffo.
Henry, colorando con troppa passione, uscì completamente dai contorni della mela. Si era appena guadagnato una ramanzina da parte del signor O’Brien, o un elogio per la creazione di una nuova forma d’arte e il grande intuito artistico dimostrato. Con lui era difficile prevederlo.
Katherine sospirò e Lydia esplose.
«Si può sapere cosa c’è!?» sbottò sbattendo il giornale sul tavolo e facendo sobbalzare Henry e Simon per lo spavento «E se dici di nuovo niente ti Silenzio come questi due.»
Katherine si morse il labbro. «Domani è il 24 marzo.»
«So benissimo che giorno è domani.» rispose Lydia, stizzita. In realtà la maggior parte delle mattine non si ricordava neppure che giorno della settimana fosse, men che meno il numero del mese. Un altro effetto del trovarsi rinchiusa in casa da troppo tempo.
Katherine abbassò lo sguardo sulla sua tazza di tè. «È solo che… i miei genitori si sono sposati il 24 marzo, così come i miei nonni prima di loro… Quando Duncan mi ha fatto la proposta, ho sperato di potermi sposare anche io nello stesso giorno.» Il fastidio di Lydia diminuì, soppiantato da un leggero senso di colpa. «Ingenuamente pensavo che saremmo riusciti a sposarci questo 24 marzo. E invece…» Katherine abbassò lo sguardo sul giornale posato sul tavolo. «Dovremo aspettare un altro anno, se tutto va bene. Ma potrebbero passare anche anni interi prima che si possa tornare alla normalità. Se mai saremo di nuovo liberi.»
Lydia si stupì nel vederla così affranta. Katherine era sempre stata attenta a mascherare la sua tristezza, specialmente davanti ai bambini. «Avrete il vostro giorno.» cercò di consolarla.
Henry agitò un pastello e Lydia gli abbassò il braccio prima che se lo cacciasse in un occhio, o finisse nel suo (come era già capitato qualche settimana prima).
«È quello che dice anche Duncan.» sospirò Katherine «E che un matrimonio o la sua assenza non cambia l’amore che proviamo l’uno per l’altra.»
Henry tirò la manica di Lydia. «Dovete solo aver pazienza.» continuò lei, scacciando le mani del bambino come se fossero una mosca fastidiosa.
«Lo so!» rispose con voce strozzata Katherine. «Ma vorrei solo…» Sbatté velocemente le palpebre per impedire alle lacrime di scenderle sul volto «Vorrei solo sposare l’uomo che amo. Senza guerre e paure…»
«Kate…»
Le mani di Katherine tremavano mentre posava la tazza sul tavolo. «Abbiamo pensato di sposarci in segreto, sai? Di andare in qualche paesino sperduto dell’Inghilterra e farci dichiarare marito e moglie il più velocemente possibile. Ma come possiamo celebrare il nostro matrimonio senza voi al nostro fianco?»
«Kate… arriverà il giorno in cui saremo finalmente liberi, deve arrivare, e… la vuoi smettere?» sbottò Lydia scrollandosi il braccio. Henry si era praticamente arrampicato sulla sua spalla e la guardava con occhi supplicanti. Lui e i suoi maledetti occhioni. Erano sempre stati il punto debole di Lydia. «Va bene!» esclamò «Puoi parlare, ma ti concedo solo un minuto. Hai capito?»
Henry annuì energicamente e Lydia sciolse l’incantesimo, pronta a pentirsene all’istante.
«Potete sposarvi!» gridò Henry.
Katherine sorrise. «Sì, caro, lo so. Ma non sarebbe la stessa cosa senza di voi.»
«No!» Henry si alzò in piedi sulla sedia, preso dall’agitazione. «Potete sposarvi domani!»
Persino Simon lo guardò storto.
«È un po’ più difficile di così, Henry. Servono le carte, un officiante…»
«Allora ti scriviamo noi le carte!» Gli occhi di Henry brillavano al pensiero «Lizzie scrive benissimo e Ewart può fare i disegni!»
Katherine scoppiò in una risatina nervosa. «Non funziona proprio così.»
Henry però non voleva sentire ragioni. «E Simon può offil-offit- » si voltò verso Lydia «Come si dice?»
«Officiare.»
«Officiare! È bravissimo nelle cerimonie di squalifica! Chiedilo a Lydia!»
«Sono stata squalificata a vita da Nascondino, Un-Due-Tre Stella, dal raccontare fiabe e dall’accendere il camino.» confermò Lydia, ancora alquanto dubbiosa.
Al contrario di lei, Simon iniziò a mostrarsi improvvisamente interessato alla vicenda. Katherine, invece, continuava a sorridere con accondiscendenza. «È molto dolce da parte tua, Henry, ma non possiamo sposarci così.»
«Perché no?»
La domanda di Lydia destabilizzò Katherine, tanto da spingerla a guardarla come se fosse ufficialmente impazzita. «Perché un matrimonio del genere non è valido.»
La mente di Lydia però lavorava febbrile, persa in un vortice di pensieri e di idee. «Per le leggi dello Stato e del Ministero no. Ma per le leggi di questa casa sareste sposati.»
Katherine arricciò il naso. «Ti senti bene, Lydia?»
Lydia scattò in piedi e per un istante assomigliò troppo ad Henry, che continuava ad annuire entusiasta. «Pensaci, Kate! Che senso ha aspettare la fine di una guerra che non sappiamo quando e se finirà? Potresti sposarti domani, come hai sempre sognato, con tutti noi presenti.»
«Ma non ha senso!» balbettò Katherine.
Lydia girò attorno al tavolo e le posò le mani sulle spalle. «Ormai questo è il nostro mondo, Kate: casa O’Brien. E nel nostro mondo non servono carte e officianti ufficiali per essere sposati. Faremo un matrimonio nello stile di questa famiglia!»
«Io…» Lo sguardo di Katherine si abbassò sull’anello che portava all’anulare. «Va bene.» Il suo sussurro fu a malapena udibile. «E va bene.» ripeté con maggiore convinzione. «Se anche Duncan sarà d’accordo, che matrimonio sia!»
«Sì!» Henry saltò sulla sedia e fu solo per un miracolo che non cadde. «Dobbiamo preparare tutto! Ci servono fiori, vestiti, cibo, la torta, dobbiamo ricordarci la torta! Al matrimonio della zia Estel, non è mia zia zia ma è amica di mia mamma, ma al matrimonio della zia c’erano i palloncini, possiamo avere i palloncini? E la musica! La mamma mi ha fatto andare via quando è iniziata la musica ma a me piace la musica, Leonard può preparare la musica, o Caitlin! Caitlin ha un giradischi in camera, una volta mi ha lasciato girare un disco ma mi ha detto che se lo rompevo mi rompeva il mio peluche drago, ma nessuno può toccare il mio peluche drago, lo sapete che…» Henry continuò a muovere la bocca convinto e fu solo dopo diversi minuti che si accorse dell’assenza di suoni. Guardò Lydia risentito.
Lydia si limitò a rimettere in tasca la bacchetta. «Il minuto è terminato.»
 
L’idea del matrimonio fu straordinariamente ben accolta da tutti gli abitanti di casa O’Brien, sia adulti sia bambini, diffondendo in casa una nuova linfa vitale dopo l’apatia dell’inverno. I bambini in particolare erano elettrizzati all’idea di poter organizzare un matrimonio tutto loro, senza regole o costrizioni. Almeno in teoria. Nella realtà, Lydia e Caitlin preferirono assistere alla loro riunione d’emergenza per bloccare le idee più strampalate che rischiavano di realizzare i desideri dei Mangiamorte e distruggere l’intera casa.
«Fuochi d’artificio in salotto, adescare un Ashwinder nel camino per illuminare gli sposi… come abbiamo fatto a sopravvivere fino ad oggi?» borbottò Caitlin quando vennero ufficialmente espulse dalla riunione per essersi categoricamente rifiutate di liberare dei pipistrelli al termine della cerimonia.
Lydia scese le scale due gradini alla volta. «Ormai non mi stupisce più nulla. Settimana scorsa li ho trovati in giardino mentre lasciavano una scia di caramelle gommose, per attirare gli unicorni, mi hanno detto.»
«Sempre meglio di quando hanno scavato una buca vicino al vialetto perché volevano andare a far visita agli gnomi. Ci sono quasi caduta dentro… potevo rompermi l’osso del collo!» Eppure Lydia riusciva a percepire un leggero divertimento nelle parole di Caitlin.
Superarono il pianerottolo del secondo piano e ripresero la discesa. «Il problema è che all’inizio erano solo Simon, Daniel ed Henry a cacciarsi nei guai.» continuò Lydia «Ora sembra che si stiano sfidando a chi inventa l’idea più strampalata - oh, scusa!» Barcollò leggermente nell’impatto contro Lance, intento a salire le scale in tutta fretta.
Lance continuò dritto per la sua strada, voltandole immediatamente la schiena. «Niente.»
Ma era tutto sbagliato. La sua andatura, le spalle incurvate, la scia di sangue sulla camicia...
«Lance!» urlò Lydia.
Il ragazzo tentò la fuga. Caitlin fu più veloce e si mise davanti a lui, bloccandolo sulle scale, permettendo così a Lydia di raggiungerli di corsa e costringerlo a mostrarle il braccio che tentava di nascondere.
«Non è nulla, davvero. È solo un graffio.» Lydia lo ignorò e sollevò con delicatezza il lembo insanguinato della camicia. Fu abbastanza per far sibilare Lance di dolore e zittirlo. Il taglio era sottile e preciso, ed attraversava l’intero avambraccio.
«Dobbiamo disinfettarlo e bendarlo.» Caitlin si era avvicinata di soppiatto. «Vado a prendere la cassetta di primo soccorso. Aspettami in camera tua e cerca di non fare altre stupidaggini. Intesi?» Lance borbottò le sue proteste «Lydia, tienilo d’occhio.» E senza lasciare il tempo a nessuno di ribattere, riprese a scendere le scale, lasciando soli i due ragazzi.
Lance sfilò il braccio dalle mani delicate di Lydia. «Posso aspettarla da solo. Non devi stare con me, se non vuoi.»
«Ma io voglio.»
Lance la studiò per un istante, e poi si voltò per dirigersi verso la sua camera, rassegnato. Lydia lo seguì.
Era già stata diverse volte nella camera di Lance, ma come in ogni altra occasione, si stupì di quanto quella stanza le donasse una sensazione di tranquillità. I libri impilati in ogni angolo, le foto e i quadri che riempivano i muri, tutto la faceva stare bene. Tranne quel leggero imbarazzo all’idea di stare da sola con Lance.
Era cambiato tutto e niente dalla sera di Natale. Il giorno dopo avevano provato a parlare di ciò che era accaduto, a cercare di capire cosa comportasse, ma ogni singola volta erano stati interrotti e poi avevano perso entrambi il coraggio. A parole era come se non fosse successo nulla, ben diverse erano le reazioni dei loro cuori.
Era stato più semplice così, cercò di convincersi per l’ennesima volta Lydia, fare finta che nulla fosse successo e che tutto fosse come prima, anche se l’imbarazzo che ancora li colpiva in alcuni momenti come quello persisteva, e non sembrava neanche intenzionato a scomparire. Eppure Lydia non si era pentita di quella sera.
Lance si sedette sul bordo del letto. Con la mano sana iniziò a spostare i lembi della manica, il volto contratto per il dolore. Lydia si sedette al suo fianco e, senza dire una parola, lo aiutò ad arrotolare con tocco leggero la manica. Sentiva il fiato di Lance solleticarle il viso ed il suo cuore accelerò involontariamente. «Grazie.» disse infine Lance, con voce roca.
Lydia fissò la manica sopra al gomito e si arrischiò a sollevare il volto. Per un istante si perse nei suoi occhi celesti. «Cosa è successo?»
La magia si ruppe e Lance distolse lo sguardo. «Solo un piccolo, e stupido, incidente. Ero nell’orto a potare le piante di Aconito, mi sono distratto un solo istante ma il danno ormai era fatto.» Il sangue che fuoriusciva dal taglio si era ridotto ad un rivoletto. «Non volevo farmi vedere dai bambini e così sono entrato di nascosto.»
«I bambini sono rientrati un’ora fa. Appena hanno sentito la notizia del matrimonio sono corsi ad organizzare il tutto.»
La fronte di Lance si corrugò. «Che matrimonio?»
«Nessuno te l’ha detto? Domani Katherine e Duncan si sposano!»
«Sì, sì. Si sposano, tanti auguri a loro e poveri noi che dovremo sorbirci le loro smancerie per le prossime quarantotto ore.» Caitlin era entrata nella stanza, la valigetta del pronto soccorso sotto braccio. «Ho dovuto evitare la mamma. Immagino che tu non voglia che la mamma lo sappia, no? Intanto avete fatto pressione sulla ferita, vero?» Lydia e Lance si scambiarono uno sguardo colpevole. Gli occhi di Caitlin si assottigliarono. «Avete fatto pressione sulla ferita, vero?»
La risposta era ovvia.
«Sono le basi del primo soccorso, ragazzi!» esclamò Caitlin, esasperata «Persino Amelia sa che bisogna fare pressione su una ferita per evitare un’emorragia, e lei ha due anni!» Si avvicinò a grandi passi a Lance. «Per la barba di Merlino, si può sapere a cosa stavate pensando?»
Ad un bacio, al silenzio e al calore del corpo di Lance.
Caitlin non perse altro tempo e la prima cosa che fece fu scacciare Lydia, per evitare ulteriori distrazioni. Lydia accolse con sollievo l’invito; borbottando qualche frase cordiale sul fatto che sarebbe stata nelle vicinanze se avessero avuto bisogno di lei, scappò dalla stanza e si richiuse la porta alle spalle.
«Sei un disastro, Lance.»
Le porte di casa O’Brien avevano la brutta abitudine di essere troppo sottili se non potenziate con un incantesimo Silenziante.
«È stato un incidente.»
«Non intendevo quello.»
Il piede di Lydia rimase sospeso nell’aria. Doveva allontanarsi, lo sapeva, ma era come se un filo invisibile la tenesse ancorata a quella porta.
«Non so di cosa tu stia parlando - Ahia
«Lo sai benissimo invece! È da cinque anni che va avanti questa storia.»
La risposta di Lance fu difficile da udire. «Sette.»
«Sette anni!» esclamò Caitlin «Devi dirglielo e basta!»
«Da quando ti importa qualcosa della mia vita?» Lance sibilò per il dolore.
«Che ti posso dire? Negli ultimi mesi mi sono rammollita.»
Il tono di voce di Lance tradiva il suo sorriso. «Ammettilo, sotto sotto ti piace stare qui con noi. Ahia! La smetti?»
«Ops. Scusa.» Erano le scuse meno sincere che Lydia avesse mai sentito. Non ebbe però altro tempo per pensarci. I passi di Caitlin si avvicinarono e Lydia riuscì per un soffio a catapultarsi nella sua camera prima che la ragazza aprisse la porta. «Niente movimenti bruschi e stasera ti ricontrollo la fasciatura. Ah, e niente coltelli per una settimana.» Lydia trattenne il fiato, la schiena appoggiata alla porta e le orecchie tese a seguire il rumore dei passi di Caitlin nel corridoio.
«Grazie, Cait.»
Caitlin si fermò proprio davanti alla camera di Lydia. «Di niente.» E, per una volta, suonò sincera.
 
Il resto della giornata passò in un turbinio di preparativi che occupò tutti gli abitanti di casa O’Brien, gatto compreso. La mattina successiva, il tanto desiderato giorno del matrimonio, si respirava un’aria elettrizzante, carica di gioia, felicità ma soprattutto, costellata da crisi.
La prima fu la scelta dell’abito da parte di Lydia. Il suo indossare lo stesso vestito rosso che aveva a Natale fu aspramente criticato da Caitlin.
«Ma è l’unico che ho!» aveva provato ad obiettare Lydia. Dieci minuti dopo entrò nella camera di Katherine indossando uno splendido abito dorato, prestatole da Caitlin.
E lì si presentò la seconda crisi. Presa dall’agitazione del momento, la signora O’Brien aveva tenuto troppo tempo nella piastra una ciocca dei capelli neri di Katherine ed ora fissava sbigottita il ciuffo fumante che le era rimasto in mano. Katherine ripeteva che non le importava ma pareva sull’orlo di un collasso, mentre la signora O’Brien era completamente immobile, a fissare con occhi sgranati il disastro che aveva inavvertitamente combinato, senza dire una parola. Fu di nuovo Caitlin a risolvere la situazione costringendo sua madre a sedersi e scambiare la ciocca di ricci con un bicchierino di Gin, oltre a finire di acconciare lei stessa la chioma di Katherine.
«Come sto?» chiese infine Katherine in un sussurro.
«Sei bellissima.» rispose Lydia, sincera.
Una delle grandi difficoltà riscontrate il giorno precedente era stata la mancanza di un abito da sposa. Katherine aveva ripetuto a tutti che andava bene così, che avrebbe utilizzato un vecchio vestito che aveva portato con se’, che l’unica cosa davvero importante era essere lì con tutti loro, sul punto di sposare l’amore della sua vita.
Ovviamente nessuno le aveva creduto.
E così era iniziata la corsa contro il tempo per riuscire a trovare una soluzione. Uscire di casa alla ricerca dell’abito perfetto era fuori discussione, non per questo mancarono altre proposte meno pericolose. Tra queste spiccavano le ipotesi di colorare di bianco un abito appartenente a Caitlin, cercare di allungare un altro oppure farne cucire uno dai topolini del seminterrato canticchiando una canzone, come aveva suggerito Bethany.
Il signor O’Brien aveva però altri progetti. Mentre tutti, bambini e adulti, si concentravano per cercare la soluzione perfetta (ignorando i continui ‘Non importa. Davvero, va bene così’ di Katherine), il signor O’Brien si era alzato, aveva afferrato i vecchi abiti di Caitlin che avevano pensato di Trasfigurare, e si era chiuso nel suo studio per tutta la notte, riemergendo la mattina successiva con occhiaie profonde ed un abito spettacolare tra le braccia.
Lydia vide Katherine illuminarsi appena lo indossò. Il corpetto stretto terminava in una cintura rosa pallido che lo separava dalla gonna di tulle. Su tutto l’abito vi erano delicati disegni di fiori. «Ho dovuto rinunciare a metà guardaroba ma ne è valsa la pena.» annuì Caitlin.
Lydia si chinò ad osservare i disegni più da vicino. «Ho già visto questi fiori.»
Il signor O’Brien riempì nuovamente il bicchiere della moglie, visibilmente più rilassata. «Era un acquerello appeso nel mio studio. Con un semplice incantesimo di Trasferimento sono riuscito ad imprimerlo sulla stoffa. L’ho dipinto la sera in cui avete annunciato di esservi fidanzati. Mi sembrava appropriato.»
Katherine era senza parole, ma la signora O’Brien riuscì a ritrovare le sue. «E ora il velo!» esclamò alzandosi di scatto e rovesciando metà del suo Gin, fortunatamente lontano dall’abito della sposa. Il velo era corto e semplice. «So che non è molto.» ammise la signora O’Brien «È il velo che ho indossato al mio matrimonio. Eravamo appena stati disconosciuti dalle nostre famiglie, non avevamo quasi niente a nostro nome, quel giorno ho indossato un velo solo perché una nostra nuova vicina di casa babbana si commosse e decise di regalarmi il suo. Mi ha portato così tanta gioia che voglio donarlo a te, mia cara.» Con un gesto delicato fissò il velo nell’acconciatura di Katherine «Che vi porti tanto amore quanto ne ha regalato a noi.» Prese tra le mani il viso di Katherine «Non posso darti il benvenuto in famiglia perché è già da tempo che fai parte della nostra. Sappi solo che ti amiamo come una figlia e siamo grati e orgogliosi che tu sia qui con noi.» Gli occhi di entrambe erano intrisi di lacrime.
«Bene!» intervenne Caitlin battendo le mani e rovinando il momento «Ti vogliamo tanto bene, in bocca al lupo e bla bla bla. Molto commovente. Ma è ora di andare. Su! Forza!» e cominciò a spingere tutti fuori dalla stanza.
II matrimonio si sarebbe tenuto nel tendone in giardino. I bambini si erano occupati delle decorazioni, aiutati dagli incantesimi e dalle luci fatate degli adulti. Il risultato era sorprendente: decorazioni di carte si alternavano a candele e luci dorate, e l’intero spazio era stato arricchito da fiori di ogni genere e specie. Lydia si trovò senza fiato quando entrò. Il soffitto era stato incantato allo stesso modo di quello della Sala Grande e, se si guardava in alto, si vedevano le nuvole leggere e il primo sole primaverile che faceva la sua timida comparsa. La volta celeste insieme alla presenza e il profumo dei fiori le dava la sensazione di trovarsi in un giardino incantato, e forse lo era davvero. «Sono i fiori dell’orto.» le sussurrò Lance alle sue spalle. «Aiutati da qualche incantesimo.»
«Sono bellissimi.» Lydia si voltò e per un istante si perse a contemplare Lance nel suo completo beige.
Lance si sistemò il colletto della camicia bianca. «Stai benissimo.» le disse, il solito imbarazzo delle ultime settimane a far tremare la sua voce.
«Anche tu.» rispose Lydia senza pensarci. E poi il tempo a loro disposizione terminò. Henry arrivò di corsa, una cartelletta in mano (completamente inutile considerando che non sapeva ancora leggere) ed iniziò ad ordinare a tutti di andare ai loro posti, per dare così inizio alla cerimonia.
Simon aveva preso molto sul serio il suo ruolo da cerimoniante e si era fatto prestare un farfallino da Lance, il quale era però troppo grande, tanto da ricoprirgli l’intero collo. Tutti i bambini avevano tirato fuori i vestiti migliori, e chi non ne era provvisto si era arrangiato a creare degli abiti da alcuni vecchi mantelli ritrovati in soffitta. L’effetto era un’accozzaglia di colori stranamente piacevole.
Henry, cartelletta sempre alla mano, corse verso Leonard, che si trovava nell’angolo del gazebo con il suo pianoforte, trasferito appositamente dal salotto per l’occasione. Leonard si sgranchì le dita ed iniziò a suonare una marcetta allegra. Quel bambino aveva un vero e proprio talento per la musica e le note si diffusero nell’aria dando il segnale agli invitati di prendere posto.
Lydia non aveva la minima idea di quale fosse il suo.
Lance si era già spostato vicino a Duncan, pronto a compiere il suo ruolo da testimone dello sposo, così Lydia si posizionò vicino a Caitlin, dietro a tutti i bambini.
Katherine fece il suo ingresso nel tendone ed un sospiro collettivo si levò dalla piccola folla. Ma la reazione più bella fu quella di Duncan. Alla vista della fidanzata che avanzava sulla navata improvvisata, accompagnata dal signor O’Brien, sul suo volto comparve un sorriso che non poteva essere definito altro che di pura gioia. All’arrivo di Katherine, i due sposi si presero la mano e rimasero con le dita intrecciate per l’intera durata della cerimonia.
Simon sollevò il mento ed iniziò a recitare solennemente. «Benvenuti. Oggi siamo qui riuniti…» si bloccò e si guardò attorno stranito «Manca un testimone.» Il tono era di vera e propria accusa. Chi osava rovinare il suo momento di gloria? Lydia provò pena per il colpevole, di sicuro la vendetta di Simon sarebbe stata orribile. Katherine si batté il bouquet di fiori rosa sulla testa. «Mi sono dimenticata di avvisarla!» Simon spalancò la bocca inorridito.
«Non ti preoccupare, rimedio subito!» si affrettò ad aggiungere la sposa per non incorrere nelle sue ire. «Lydia, vieni!»
Lydia sapeva di essere l’unica persona presente che si chiamava in quel modo, eppure non mosse un passo.
«Lydia, sbrigati o mi scaccia dal mio stesso matrimonio!» Fu solo grazie ad una spinta un po’ troppo forte da parte di Caitlin che Lydia riuscì a muoversi e, ancora attonita, a prendere posto accanto a Katherine.
Il resto della cerimonia passò in un lampo e con solo pochi incidenti, come un lancio di petali troppo anticipato o l’attimo di terrore provocato dal gatto di Beatrix, intenzionato a tutti i costi di togliersi di dosso il cravattino che i bambini lo avevano obbligato ad indossare. Gli sposi pronunciarono i loro voti, promettendo, ripetendo le parole di Simon, di amarsi per il resto dell’eternità e di essere sempre amici, e furono infine dichiarati dal bambino marito e moglie.
Il loro bacio fu accolto da grida di gioia e qualche verso schifato, e poi, con un colpo di bacchetta del signor O’Brien, i tavoli disseminati ai lati del gazebo si riempirono di vassoi. Mandando all’aria la prudenza per un giorno, i signori O’Brien parevano aver dato fondo alla riserva in dispensa, mettendo a disposizione piatti di ogni tipo e genere, oltre che a tre tipi diversi di torta e file intere di pasticcini, che furono letteralmente presi d’assalto dai bambini.
«Scusa per prima.» Katherine era radiosa «Pensavo di avertelo detto ieri…»
«Nessun problema.» Lydia sorseggiò il suo bicchiere di champagne «Ma se Simon vorrà vendicarsi scaricherò tutta la colpa su di te.»
«Giusto.» rise Katherine «Grazie, per aver accettato.» Lydia pensò che ‘accettare’ non fosse il termine più appropriato. «Impazzirei senza di te, lo sai vero? Io amo la famiglia O’Brien, con tutto il cuore, ma sono grata che tu abbia accettato di vivere con noi. Perché così ho anche un’amica, e non so come avrei fatto a superare questi mesi e sopportare tutto questo senza un’amica al mio fianco.»
Lydia rimase spiazzata per la seconda volta nell’arco di un’ora. Katherine non se ne accorse, si limitò ad afferrare uno dei bicchieri da brindisi che volavano nell’aria e tornò quasi svolazzando da suo marito. Eppure le sue parole continuarono a riecheggiare nella mente di Lydia, che si trovò inconsciamente a sorridere. Perché in fondo anche lei aveva iniziato a considerare Kate un’amica, così come tutti gli abitanti di casa O’Brien erano diventati per lei come una famiglia. Sia gli adulti sia quei ventisei pestiferi bambini, dal primo all’ultimo. E forse quella giornata era qualcosa in più che il matrimonio di Katherine e Duncan, era anche una celebrazione dell’amore che tutti loro erano riusciti a costruire in un mondo che aveva dimenticato cosa fosse.
Era il suo posto, su questo Lydia ne era certa. Per un breve istante si chiese cosa sarebbe successo se quella sera di agosto non avesse seguito Lance e Henry. Si perse a guardare i bambini che ridevano e si rincorrevano, facendo scorpacciata di pasticcini, i signori O’Brien che danzavano un lento su una musica che sentivano solo loro, Caitlin che cercava di costringere Lance a lasciarsi mettere alcuni fiori nei capelli e Katherine e Duncan, che ridevano ed erano felici come mai prima. E il cuore di Lydia si riempì di troppe emozioni per poterle distinguere. Gioia, amore, nostalgia, gratitudine, speranza…
«Lydia! Simon ha detto che oggi comanda lui! Ma non comanda lui, ho io la cartellina!» Henry corse verso di lei.
Lydia, senza smettere di sorridere, gli scompigliò i capelli. «Ed è una cartellina veramente bella. E sì, dì pure a Simon che non comanda lui.»
Henry la guardò implorante «Puoi dirglielo tu? Sei l’unica che ascolta!» Lydia cercò con lo sguardo il bambino e lo individuò a pochi metri di distanza. Era da solo, intento a saltare per cercare di afferrare i bicchieri di alcolici che fluttuavano nell’aria e si sollevavano per non farsi prendere dai minorenni, tra pernacchie e bollicine. «Simon!» Il bambino si bloccò. «Non comandi tu e lascia stare quei bicchieri!» Simon rimase fermo immobile per un momento, e poi la sua mano si alzò verso il cielo, andando a sfiorare un bicchiere di passaggio. «Simon Williams, questo non lo dovevi fare.» Simon scappò terrorizzato, urlando a squarciagola.
Sì. Lydia adorava stare lì.
 
Al calare del sole le luci fatate si illuminarono con maggior calore e si diede ufficialmente inizio alle danze. Una radiolina incantata diffondeva musica in tutto il gazebo. Lenti, classici, melodie babbane e magiche, persino alcune canzoni per bambini, dando l’occasione a tutti di ballare. Il signor O’Brien fu il primo ad invitare Lydia per un ballo, poi fu il turno di Caitlin, Henry e persino Duncan.
«Congratulazioni!» gli disse Lydia mentre volteggiavano, cercando allo stesso tempo di non investire nessun bambino.
«Mia moglie mi ha ordinato di ringraziarti per aver reso possibile tutto questo.»
Un sorriso sghembo si allungò sulle labbra di Lydia. «Tu che mi ringrazi? Sei sicuro di stare bene?»
«Kate mi ha detto che se non ti ringraziavo avrebbe immediatamente chiesto a Simon di organizzare il nostro divorzio.»
«Simon ne sarebbe entusiasta. Penso che ci abbia preso troppo gusto per questa faccenda dell’officiante.» Si voltarono per un istante a guardare il bambino, intento a dichiarare Elinor e Christine amiche del cuore. «E comunque devi ringraziare i bambini.» continuò Lydia, ricominciando a danzare «Sono loro ad aver fatto la maggior parte del lavoro.»
Duncan le fece fare una veloce giravolta. «Chi l’avrebbe mai detto che Lydia Merlin sarebbe stata una dei testimoni alle mie nozze?»
«Neanche nei miei peggiori incubi.» lo punzecchiò Lydia.
Duncan guardò oltre la spalla della ragazza ed un sorrisetto perfido gli distorse le labbra. Sollevò il braccio e la fece roteare di nuovo un paio di volte.
Lydia non capì bene cosa accadde.
Sapeva solo che un attimo prima stava danzando con Duncan e quello successivo si trovava tra le braccia di Lance.
La spiegazione si presentò nella scena che riuscì ad intravedere dietro alle spalle di Lance: Katherine che batteva il cinque con Duncan. I suoi futuri piani di vendetta verso i due coniugi la aiutarono ad evitare di perdersi nel ricordo dell’ultima volta che aveva danzato con Lance, la sera del Ballo del Ceppo, un’occasione ben diversa da quella che stavano vivendo in quel momento, in un gazebo, circondati da bambini ed una famiglia che non era la sua. Come era cambiata la vita in pochi mesi. Se qualcuno glielo avesse detto anche solo un anno prima non ci avrebbe mai creduto. Eppure… era difficile nascondere quella parte del suo cuore che non immaginava di poter stare da nessuna altra parte.
«La tua idea è stata un successo.» Alcune margherite erano intrecciate nei capelli biondi di Lance.
«Solo con l’aiuto di tutti.» rispose Lydia «Quando vogliamo sappiamo essere una grande squadra.»
Lydia e Lance continuarono a volteggiare al ritmo della musica, leggermente scoordinati, anche se a nessuno dei due importava.
«Sai, forse dovremmo parlarne.»
Il passo di Lance si fermò per un secondo, prima di riprendere il dolce ritmo della musica. Quando parlò, la sua voce era esitante. «Di cosa, esattamente?»
Lydia invece non aveva più dubbi. «Di quello che è successo a Natale. E al Ballo del Ceppo.»
Questa volta Lance si fermò del tutto. «Se te ne penti non c’è bisogno di parlarne.» Guardava ovunque tranne lei. «Possiamo far finta che non sia accaduto nulla.»
Lydia strinse la mano di Lance, ancora intrecciata alla sua. «Ma io non voglio fare finta di niente.» E Lance finalmente la guardò negli occhi e vi lesse la sua sincerità. Si illuminò e per un singolo istante, Lydia percepì tutta la sua felicità.
Poi il volto di Lance si accartocciò e un gemito di dolore gli sfuggì dalle labbra mentre, con un gesto secco, si portava una mano sul braccio.
«Lance!» gridò Lydia, mentre il panico iniziava già a farsi strada nel suo cuore. Doveva essere il taglio. Magari si era riaperta la ferita, magari si era infettato. Lydia provò a spostare la mano di Lance e si accorse di un piccolo dettaglio. Si stava tenendo l’altro braccio, più precisamente, il polso. «L’orologio.» sussurrò infine.
L’orologio da polso di Lance era completamente impazzito. Le lancette si muovevano frenetiche, roteando vorticosamente. Si soffermavano brevemente su un numero e poi ricominciavano a girare come trottole. Lydia sfiorò il quadrante. Ritrasse il dito con un sibilo. Era rovente. «Toglitelo. È maledetto!» Non c’erano altre spiegazioni. Lydia tentò di sganciarlo ma inaspettatamente Lance la fermò.
«Cosa succede?» Duncan era comparso al loro fianco. Solo allora Lydia si accorse che tutti si erano fermati a guardarli. Il signor O’Brien e Katherine stavano già puntando le bacchette contro l’orologio.
«No… È Paul. È in pericolo.» Tutta la gioia che Lance aveva provato solo un minuto prima si era trasformata in puro e autentico dolore. «Devo andare, Lydia. È mio amico.»
La prima reazione di Lydia fu di tentare di fermarlo a tutti i costi, ma era inutile illudersi, Lance non si sarebbe mai fermato, non l’aveva mai fatto prima e non lo avrebbe di sicuro fatto ora, con l’orologio che continuava a bruciare e vorticare, qualunque cosa significasse.
Il signor O’Brien era dello stesso parere. «Vengo anche io.»
«No!» fu la risposta automatica di Lance e Duncan.
Il signor O’Brien raddrizzò la schiena e si erse in tutta la sua statura sui figli. «Nessuna discussione. Katherine, sei la più abile tra noi, tu rimani qui a proteggere i confini. Io, Duncan, Lydia e Lance torneremo il prima possibile.» Poi prese le mani della moglie tra le sue, e la sua voce si addolcì. «Se dovesse accadere il peggio, sai che cosa fare.»
La signora O’Brien non protestò, né tentò di fermare la sua famiglia. Nei suoi occhi si rifletteva la stessa consapevolezza del marito, sapevano che Lance sarebbe andato comunque, così come sapevano che Lydia lo avrebbe seguito ovunque e Duncan non sarebbe stato da meno.
E prima di quanto Lydia pensasse possibile, si trovarono fuori dal cancello. Lydia si voltò un ultima volta verso casa O’Brien. Tutta la gioia e la felicità provate in quella giornata erano evaporate all’istante, lasciando solo una scia di paura e preoccupazione. I bambini non capivano cosa stesse accadendo, lo si leggeva sui loro piccoli volti mentre li osservavano dall’altro lato del cancello. Henry li guardava con gli occhi sgranati, e Lydia provò l’impulso di correre a consolarlo, a promettergli che non stava succedendo nulla, che sarebbero tornati subito a casa. Katherine invece era stoica. Sembrava la statua di una dea greca, lì immobile sul vialetto, la gonna dell’abito da sposa che fluttuava delicatamente nel venticello primaverile.
Subito dopo Lydia si trovò avvolta nell’oscurità, la stretta ormai troppo famigliare della Materializzazione ad attorcigliarle lo stomaco.
Non avevano avuto il tempo di cambiarsi, né di usare la Pozione Polisucco, l’unica cosa che sapevano era che l’allarme lanciato da Paul attraverso l’orologio era quello di massimo pericolo. I numeri indicati dalle lancette apparentemente impazzite erano in realtà le coordinate del luogo in cui si trovava. Si dovevano preparare alla battaglia. E appena atterrarono sul selciato i loro sensi erano all’erta, le bacchette puntate contro la casetta davanti a loro. L’odore di fumo impregnava l’aria, le finestre erano a pezzi ed una sezione del muro era completamente annerita, del fumo si sollevava ancora da un angolo del giardino.
Lance si gettò immediatamente verso la porta d’ingresso, che cigolava sinistramente sui cardini.
Silenzio, c’era troppo silenzio.
Il signor O’Brien affiancò immediatamente il figlio, avvertendolo di rimanere all’erta. Entrarono in casa insieme e Lydia li perse di vista.
A lei non servì entrare. Sapeva cosa era successo. Lo sentiva, tangibile come il fumo.
Duncan le si avvicinò, e finalmente Lydia trovò il coraggio di alzare lo sguardo verso il cielo.
Il Marchio Nero si stagliava nella luce del tramonto.
L’urlo di Lance lacerò il silenzio innaturale. Lydia sobbalzò e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
Non aveva bisogno di entrare in quella casa per sapere cosa vi avrebbe trovato. La Morte aleggiava ancora nell’aria.
Erano arrivati troppo tardi.
 

 
FINE SECONDA PARTE
 

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 - La promessa ***


Avviso: dal presente capitolo sino al termine della storia, il rating sarà arancione a causa delle tematiche trattate

 

Terza Parte


Capitolo 25
La promessa
 

«Perché proprio a noi?» Il lamento di Paul si diffuse nell’aria immobile della foresta.
Alice bisbigliò la risposta. «Perché siamo stati noi a far cadere l’intero scaffale di ingredienti nell’aula di Pozioni.»
Il tono di Paul divenne isterico. «Non bastava averci fatto ripulire tutto a mani nude? Perché siamo qui!?»
Anche Lydia si chiedeva la stessa cosa.
Certo, avevano rovesciato lo scaffale delle scorte, ma non era stata interamente colpa loro. Prima di tutto si erano solo trovati nel banco accanto al muro durante la lezione sbagliata. Che colpa avevano se il calderone di Diana Clarke era esploso e loro si erano gettati a terra per evitare di essere colpiti dai suoi resti o da intrugli tossici? E se, nello slancio, uno dei quattro si era trascinato dietro anche il loro calderone, buttandolo proprio sullo scaffale degli ingredienti? Era stato solo un incidente, di cui non sapevano neanche chi fosse l’esatto colpevole. Certo, Lydia aveva sentito, durante la caduta, la manica rimanere impigliata, anche se non lo avrebbe mai confessato ad anima viva (Nick-Quasi-Senza-Testa le aveva suggerito di non dire niente e lei si fidava del giudizio di un fantasma quasi decapitato).
Ma nonostante tutto concordava con Paul. Le tre ore di punizione che avevano dovuto servire dopo le lezioni le sembravano già una pena sufficiente per il danno causato, di sicuro non era necessario mandarli proprio lì!
«Beh, ho sempre desiderato esplorare la Foresta Proibita.» Il commento di Lance si beccò una serie di occhiatacce ed una pigna in testa.
Alice fece un respiro profondo e Lydia vide affiorare quel lato pratico che stava imparando a conoscere nell’amica. «Bene. Ormai siamo qui, tanto vale finire in fretta. Prima troviamo le foglie di Ers, prima possiamo tornare nei nostri dormitori.»
Detto così sembrava facile.
«E comunque il ragionamento di Lydia è corretto… quale persona sana di mente tiene una delle sue erbe più rare nella stessa stanza in cui insegna agli studenti del primo anno? È come andare a cercarsi guai!» La domanda di Lance era lecita.
«Infatti Piton non sembra sano di mente.»
«Lydia!» strillò Alice, inorridita.
«Va bene, va bene, cerchiamo questa pianta!» Lydia sollevò lo sguardo verso il cielo. Aveva iniziato a studiare da poco Astronomia, ma da quelle poche lezioni aveva imparato a leggere la posizione delle stelle, che in quell’istante segnalavano che erano già le undici di sera. O che i Sagittari avrebbero avuto una settimana costellata da guai, dolori e Acromantule in tutù, ma le sembrava più probabile la prima opzione. «Ci fanno persino violare il coprifuoco per punirci.» borbottò.
«L’erba di Ers deve essere colta di notte oppure perde tutte le sue proprietà» sussurrò Lance di rimando.
Lydia sollevò una mano per fermarlo. «Voglio saperne il minimo indispensabile, grazie. Dimmi come è e dove possiamo trovarla e torniamocene al castello.»
La descrizione di Lance fu breve e succinta, sufficiente però a comprendere cosa stavano cercando e da cosa dovevano stare lontani. I quattro ragazzi decisero di muoversi insieme, come era stato suggerito loro da Hagrid stesso prima che scomparisse in un sentiero che sembrava portare al cuore della foresta. I ragazzi, al contrario del guardiacaccia e nonostante il mal celato entusiasmo di Lance, tentarono di mantenersi il più vicino possibile ai suoi confini, dove solo pochi metri li separavano dalla sicurezza dei prati della scuola. Se si poteva considerare sicuro un posto in cui i professori spedivano i loro studenti in balìa di mostri e animali feroci al primo danno compiuto. O secondo, o terzo… Lydia aveva già perso il conto ed era solo al primo anno.
Un rumore improvviso le fece rizzare la testa.
Il gufo la fissò dal ramo dell’albero e poi tornò a volare verso il castello. Lydia espirò.
Nel profondo del cuore anche lei condivideva un po’ di eccitazione all’idea di trovarsi di notte in una foresta incantata, ma era difficile mantenere i nervi saldi considerando che da quando aveva messo piede a scuola, tutti non avevano fatto altro che sussurrare gli orrori che si nascondevano proprio tra quelle fronde.
L’urlo di Paul ruppe il silenzio.
«Sono stata io!» esclamò stizzita Alice, sollevando il piede dal rametto che aveva spezzato.
Paul cercò di ricomporsi. «Ho visto degli occhi. Là!» ed indicò un punto imprecisato tra le foglie di un albero accanto a loro.
«Sì, certo, come no.» replicò Alice. Era la sua prima punizione, e lei sapeva con certezza di non essersi trascinata dietro il calderone nella caduta, quindi considerava l’essere lì insieme a loro un’ingiustizia. Lo aveva detto chiaramente al professor Piton. Lydia non sapeva ancora come avesse fatto a non essere sospesa solo per il fatto di aver contestato la punizione con l’inflessibile professore di Pozioni.
I ragazzi continuarono a seguire lo stretto sentiero ancora per qualche metro, prima di essere costretti a fermarsi a causa di un altro strillo di Paul.
«Vi giuro, ci sono degli occhi che ci fissano!»
«È solo un’illusione ottica, è la luce della luna che riflette sulla rugiada.» cercò di convincerlo Lance, con gentilezza «Non c’è nulla da temere, Paul. Ti assicuro che nessuno ci sta osservando, e questa è una zona sicura della Foresta, oppure i professori non ci avrebbero mai lasciati qui da soli.»
Alice e Lydia invece volevano solo proseguire il più velocemente possibile, trovare quello che stavano cercando e tornare a scuola. La loro pazienza fu messa a dura prova quando Paul si fermò nuovamente dopo dieci passi.
«Che c’è ora?» sbottò Lydia.
«Avete sentito?»
«Non c’è niente, Paul. E prima andiamo, prima possiamo uscire da qui.» La pazienza di Alice era al limite.
Il rimprovero sembrò fare il suo effetto. Quando ripresero il cammino riuscirono ad uscire dal sentiero, superare una radura ed imboccare quello successivo senza ulteriori soste.
«L’erba di Ers!» esclamò infine Lance indicando un piccolo cespuglio alle radici di un albero di noci. La vista di quelle foglie dai bordi traslucidi fu per Lydia la più bella della giornata. Alice e Lance iniziarono a raccoglierle, facendo attenzione a tagliarle nel modo corretto con le piccole cesoie che Hagrid aveva fornito loro prima di abbandonarli.
Lydia, per non causare ulteriori danni, rimase a guardarli, le mani sui fianchi. «Hai visto, Paul? Non ci abbiamo impiegato tanto e non è successo niente.»
Un gufo bubolò in lontananza. Nessun altro rispose.
«Paul?» Lydia si voltò e vide solo foresta e cespugli dietro di lei. «Paul?!» alzò la voce, doveva essersi allontanato di qualche passo. Provò a guardare dietro i tronchi degli alberi. «Paul!?» Ma di Paul nessuna traccia. Il cuore di Lydia accelerò i battiti, mentre una leggera sensazione di disagio si impossessava di lei. Dove era finito? Senza aspettare gli altri, tornò sul sentiero che avevano appena percorso, e, ad ogni passo che faceva senza vedere Paul, cominciò a camminare sempre più velocemente, fino a ritrovarsi a correre sulla stradina accidentata. Forse era solo rimasto indietro, magari era inciampato e loro non si erano accorti, oppure era stato sbranato da qualche creatura selvaggia… No, si impose. Non doveva neanche pensarlo. Eppure mentre correva sul sentiero, la sua mente sembrava galoppare alla stessa velocità, facendole immaginare gli scenari più tragici. Paul rapito dai Centauri, Paul avvelenato, Paul soffocato.
Come avevano potuto i professori lasciare che quattro ragazzini si avventurassero da soli in una foresta che aveva ‘Probita’ nel nome? Avrebbe fatto un reclamo ufficiale al professor Silente. E…
Si fermò di colpo, scivolò leggermente a causa del fango, e fermò la sua folle corsa nella radura che avevano attraversato solo qualche minuto prima. Paul era lì, seduto a terra, raggomitolato su se stesso, con la testa nascosta tra le gambe. Lydia si avvicinò in punta di piedi. Quando fu a pochi passi di distanza si accorse che il mantello che drappeggiava le spalle di Paul sobbalzava. Lydia si inginocchiò al suo fianco.
«Non devi piangere.»
I muscoli di Paul si tesero. «Non sto piangendo.» E tirò su con il naso.
Lydia decise di non insistere. Un trambusto tra le fronde e Alice e Lance sbucarono dal sentiero. «Dove eravate finiti?! Ci siamo girati e non c’eravate più!» urlò Alice, con una leggera tendenza verso il panico.
Lance invece si avvicinò senza dire una parola, negli occhi si poteva leggere la sua preoccupazione. «Paul?»
«Che c’è!?» gridò Paul; un singulto gli scosse le spalle. «Volete solo prendermi in giro! Io ho visto degli occhi, davvero!»
Alice, Lance e Lydia si scambiarono un’occhiata.
«Ti credo.» disse Lydia, stupendo gli altri due ragazzi.
«Cosa?» Paul era altrettanto sbigottito. Sollevò leggermente la testa e Lydia riuscì ad intravedere i suoi occhi lucidi, nascosti dietro le lenti degli occhiali.
«È la Foresta Proibita, è probabile che ci sia qualcosa che ci guarda anche adesso. Ma non ho paura, e sai perché?»
Paul scosse leggermente la testa.
«Perché noi siamo in quattro e quando siamo insieme nessuno può farci del male.»
Lance si inginocchiò accanto a loro. «È vero. Noi quattro siamo amici e con gli amici è impossibile avere paura.»
Paul si asciugò una lacrima con il palmo della mano. «Siamo amici anche di Lydia e Alice?»
«Ma certo!» esclamò Lydia, ed era sincera. «Anzi, da questo momento in poi dichiaro ufficialmente iniziata la nostra amicizia.» annunciò in tono solenne.
Anche Alice si sedette accanto a loro, chiudendo il cerchio attorno a Paul. «Dovremmo fare un patto. Per ricordarci di essere sempre amici ed affrontare la paura insieme.» disse con il suo solito senso pratico.
«Giusto…» Lydia si guardò attorno e il suo sguardo cadde su una piuma abbandonata alle radici di un albero. Scattò in piedi e corse a prenderla. Poi ne vide altre due incastrate in un cespuglio di rose, ed infine un’ultima ad un metro di altezza su un ramo. Erano bellissime. Folte, i colori caldi che andavano dal rosso all’arancione.
Tornò dai suoi amici e ne consegnò una ad ognuno di loro.
Lance mise la sua al centro del loro cerchio improvvisato. «Prometto sulla piuma che saremo amici per sempre.»
Poi fu il turno di Alice. «Amici per sempre.»
«Amici per sempre.» disse Paul, un sorriso riconoscente sul volto.
Lydia strinse la piuma nella mano. «Amici per sempre.»
 
 
 
Lydia voleva vomitare.
O piangere. O urlare.
Qualsiasi cosa sarebbe stata meglio che rimanere seduta lì a fissare il vuoto davanti a lei, eppure era l’unica azione che il suo corpo le permetteva di fare.
Il silenzio era opprimente, ma nessuno lo spezzava. Era stata Katherine l’unica che aveva tentato di parlare, ricevendo solo altro silenzio come risposta. Ed ora erano seduti attorno al tavolo della cucina, ad affrontare da soli i loro demoni.
Le sembrava un incubo. Come era possibile che solo un’ora prima stavano festeggiando un matrimonio? Come poteva essere cambiato tutto così velocemente?
«Dovevo rimanere con loro.» La voce di Duncan era tesa, così come i suoi passi che percorrevano la cucina avanti e indietro. Lydia era d’accordo con lui.
Era stato il secondo urlo di Lance a farla correre verso l’ingresso della casa di Paul. Era così pieno di dolore da sembrare disumano e far provare a Lydia un dolore fisico. L’unica cosa che voleva fare era correre da lui ed alleviargli almeno una frazione di quella desolazione. Aveva tentato, era riuscita ad arrivare fino alla porta della cucina, prima di essere bloccata dal signor O’Brien.
Era comparso dal nulla e l’aveva trascinata via prima che potesse vedere Lance.
Prima che potesse vedere Paul.
«Hai già visto abbastanza.» le aveva detto. In quel momento aveva lottato con tutte le sue forze per liberarsi da lui ed riuscire a raggiungere Lance, tanto che il signor O’Brien l’aveva consegnata a Duncan con il secco ordine di riportarla a casa ed aspettarli lì. Anche Duncan aveva cercato di protestare, ma Lydia non aveva mai visto il signor O’Brien così deciso, e così spezzato.
In fondo al cuore sapeva di dovergli essere grata per averle impedito di vedere Paul. Aveva ragione, aveva già visto abbastanza. E se quello che aveva visto quasi due anni prima la riempiva ancora di incubi, cosa sarebbe successo se fosse arrivata a Paul?
Lydia si nascose il viso tra le mani.
Paul.
La sua mente continuava a ritornare al bambino di undici anni che aveva incontrato ad Hogwarts. Nel bene e nel male avevano trascorso insieme anni interi, le liti e le incomprensioni non potevano cancellare i tanti ricordi felici che erano riusciti a costruirsi. Paul era uno dei suoi amici più cari.
Si scostò i capelli dagli occhi lucidi.
Aveva lasciato Lance in quella casa.
E se i Mangiamorte fossero tornati? E se fosse stata una trappola?
Lydia si alzò in piedi, incapace di rimanere seduta oltre.
Lei e Duncan erano stati stupidi ad obbedire al signor O’Brien. Avrebbero dovuto ribellarsi, imporsi su di lui per rimanere lì al loro fianco, impedirgli di mandarli via. No, non stupidi. Codardi. Perché in fondo Lydia aveva provato sollievo al pensiero di potersi allontanare dal Marchio Nero e da tutto quello che rappresentava.
Una mano sfiorò il suo braccio. Katherine la guardava, la compassione e il dolore che si leggevano sul suo volto mal si addicevano all’abito da sposa che ancora indossava.
Ma non era nulla in confronto a Caitlin.
Da quando Lydia e Duncan erano tornati a casa, sconvolti ed incapaci di credere a cosa fosse appena accaduto, Caitlin si era lasciata cadere su una sedia e si era raggomitolata su di essa. Non si era ancora mossa da allora.
L’unica consolazione era che i bambini non li avevano visti rientrare: erano stati spediti a letto subito dopo la loro partenza e in quel momento la signora O’Brien era con loro al piano superiore, nel tentativo di farli addormentare nonostante l’adrenalina che scorreva sicuramente nelle loro vene a causa delle emozioni della giornata. Lydia era grata per questo. L’ultima cosa di cui avrebbero avuto bisogno sarebbe stato spiegare cosa era accaduto a ventisei bambini terrorizzati. Se mai fosse stato possibile spiegare un’atrocità del genere a bambini innocenti.
L’orologio appeso alla parete ticchettava allegramente. Sembrava volersi prendere gioco di loro. Delle loro ansie, del vuoto immenso che provavano e dei loro cari che non tornavano.
Paul.
Il Paul con cui aveva condiviso compiti, lezioni, colazioni, pic-nic. E dopo ancora vacanze, gite, delusioni, gioie, paure. Lo stesso Paul che aveva cercato di insegnarle le regole dello Spara Schiocco, della genetica magica e tutto quello che lei non poteva sapere essendo cresciuta tra i babbani. Che le aveva prestato le penne quando il primo anno Lydia continuava a spezzarle, non essendo abituata ad utilizzarle.
Lydia strinse gli occhi. Non poteva permettersi di abbandonarsi al mare di ricordi. Perché non ci sarebbero stati altri ricordi. Non con Paul.
Aveva perso uno dei suoi migliori amici.
La consapevolezza la colpì allo stomaco, lasciandola completamente senza fiato.
E Alice? Dove era Alice? Aveva perso per sempre anche lei? Per tutti quei mesi aveva impedito a se stessa di anche solo pensare ad una simile eventualità, eppure la brutalità della guerra si era appena presentata alle loro porte nella forma di un orologio rovente e di un teschio fumoso nei cieli sopra una casa di campagna. Era impossibile non pensare al resto. Ad Alice, ai genitori dei bambini, alle tante persone che aveva conosciuto durante la sua vita nel mondo magico, a compagni, professori. Alla sua famiglia. Aveva così tanto da perdere, si rese conto, e chissà quanto aveva già perso senza saperlo, rinchiusa come era in casa O’Brien. Le stesse mura che quella mattina le erano sembrate una bolla di felicità, tornarono a prendere la forma di una prigione e a restringersi attorno a lei, soffocandola.
«Respira.»
I polmoni di Lydia obbedirono involontariamente all’ordine di Duncan. Con un singulto Lydia riuscì ad inspirare. Eppure sentì di aver davvero ricominciato a respirare solo quando vide Lance entrare in cucina.
Corse da lui, gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte, per accertarsi che fosse reale. Lance nascose il viso nel suo collo e Lydia sentì le sue lacrime impregnarle la manica del vestito. Non disse nulla. Si limitò a tenerlo stretto, con la paura che se lo avesse lasciato, avrebbe potuto scomparire anche lui.
«È morto.» singhiozzò Lance con voce rotta.
Lydia lo strinse con maggior forza.
Il signor O’Brien li raggiunse e con gentilezza li sciolse dal loro abbraccio per accompagnare Lance alla sedia più vicina, una coperta apparve dal nulla e si posò dolcemente sulle sue spalle. Il padre si sedette accanto a lui, ma Lance non sembrava accorgersi di nulla, il suo sguardo perso nel vuoto, in preda ad un dolore troppo grande per poter essere misurato. Si mise le mani nei capelli ed abbassò la testa. E Lydia, rimasta da sola al centro della stanza, tornò a sedersi accanto a Duncan. Fu proprio lui il primo a parlare.
«Cosa è successo?»
«Siamo arrivati tardi.» Le parole del signor O’Brien erano intrise di dolore.
«Questo lo sappiamo!» sbottò Duncan «Vogliamo sapere il resto!»
«Quando siamo arrivati c’era solo… C’era solo Paul in casa. Era in cucina… Era…» La voce del signor O’Brien si spezzò. Chiuse gli occhi ed ispirò profondamente, per ricomporsi. E poi ricominciò a parlare. «Dopo che siete andati voi sono arrivati due dei suoi fratelli. Lo stavano cercando.»
«Perché lo stavano cercando? Perché non era con loro?»
Il signor O’Brien sospirò. «Posso solo dirvi quello che Nolan è riuscito a spiegarmi. Dopo la vostra battaglia sulla spiaggia, Paul e i suoi fratelli hanno ignorato ogni nostro avvertimento, e hanno preso la decisione di continuare nelle loro scorribande contro i gruppi di Mangiamorte e dei loro seguaci. Neanche l’attacco è riuscito a spaventarli a sufficienza da desistere. Non avevano intenzione di fermarsi, e così hanno continuato a colpire e portare avanti la loro propaganda contro il nuovo Ministero. Finché hanno colpito alcune postazioni di guardia e sono riusciti così nel loro intento: dare fastidio alle persone di potere, diventare un problema per loro. Sono stati talmente sciocchi da non pensare alle conseguenze, a quanto possa essere pericoloso essere braccati dai Mangiamorte, i quali infatti, hanno iniziato a fare proprio quello: dare la caccia a Paul e i suoi fratelli. E le risorse dei Mangiamorte sono molto più ampie di quanto già temevano, infatti è bastato loro poco per scoprire dove abitavano i genitori di Paul. È successo qualche settimana fa, ma la famiglia di Paul è riuscita a venire a conoscenza dell’agguato che stavano per tendergli e sono riusciti a scappare in tempo. Il fallito attentato ha però avuto comunque un effetto, quello di far spaventare i fratelli di Paul, di far capire loro quanto stessero realmente rischiando e farli finalmente iniziare a temere per le proprie vite.»
«Ma non Paul.» disse Lydia in un sussurro, sapendo che la sua intuizione corrispondeva alla verità.
Il signor O’Brien, infatti, annuì. «Su Paul ha avuto l’effetto contrario. Nolan mi ha detto che dopo il fallito attentato, Paul è diventato testardo. I suoi fratelli, sua sorella, i suoi genitori… tutti gli dicevano che era diventato troppo pericoloso ed era ora di nascondersi, ma lui ha continuato, finché è stato troppo tardi…»
Duncan scattò di nuovo in piedi e ricominciò il suo girovagare nervoso per la stanza. «Come ha potuto farlo? E come facciamo a sapere quanti danni ha causato prima di essere ucciso?» Tutti gli altri si irrigidirono a sentire quella parola. «E se ha raccontato di noi?» Duncan sgranò gli occhi «Paul conosceva l’indirizzo della nostra casa! Ci ha mandato un gufo, per l’amor del cielo! Potrebbe aver detto ai suoi aguzzini dove ci troviamo, dobbiamo-»
«Non è successo nulla di tutto questo.» Il signor O’Brien si massaggiò la fronte. «Subito dopo la vostra fuga per salvarlo alla spiaggia, ho fatto visita a lui e alla sua famiglia. È bastato un semplice incantesimo Obliviatore per fargli dimenticare tutti i nostri indirizzi. Sia questa casa, sia l’appartamento ad Oxford, sia i nostri nascondigli sono ancora sicuri.»
Katherine scosse la testa. «Continuo a non capire. Come hanno fatto a catturarlo? Gli hanno teso una trappola?»
«E come mai il tuo orologio ti ha avvisato che era in pericolo?» La domanda di Lydia sorse spontanea.
Lance alzò il volto rigato dalle lacrime. «Era il nostro sistema di comunicazione.»
Lydia si irrigidì. «E perché avevate bisogno di un sistema di comunicazione se avevi giurato di non assecondare il suo folle piano?»
La risposta era evidente. Eppure le successive parole di Lance ebbero comunque un effetto devastante. «Perché ero con lui. Era con lui quando ha attaccato le postazioni di guardia. Ero con lui quando ha colpito la casa di un Mangiamorte, quando ha riempito Diagon Alley di volantini sovversivi. Ero sempre con lui. Tranne oggi.»
Il dolore di Lance divenne invisibile a Lydia mentre comprendeva il vero significato delle sue parole. «Mi hai mentito.» disse con freddezza. «Mi avevi promesso che non lo avresti aiutato. L’hai detto tu stesso quel giorno a Diagon Alley che il suo era un piano folle, che quella non era una battaglia che valeva la pena di combattere.»
Lance riabbassò il volto. «Ed ero convinto delle mie parole. Ma quando siamo arrivati su quella spiaggia, quando ho visto Paul circondato da nemici, ho capito che non si sarebbe mai fermato, che si sarebbe comportato da stupido se non ci fosse stato nessuno a trattenerlo, ad aiutarlo. È il mio migliore amico. Non potevo lasciarlo solo.»
«Raccontaci cosa è successo.» disse Katherine, con una gentilezza ben lontana dai sentimenti che stava provando Lydia in quel momento.
Lance si asciugò le lacrime con la manica della camicia. Il movimento rivelò le chiazze di sangue che la sporcavano. «Quel giorno, dopo la battaglia sulla spiaggia, prima di separarci e tornare a casa, Paul mi ha dato un biglietto. Erano delle coordinate ed una data e ora. Mi aveva dato appuntamento al giorno dopo. Ho passato la notte insonne, non sapevo cosa fare. Ma il giorno dopo mi sono presentato da lui. L’hai visto, Lydia. Non si voleva fermare e se non potevo fermarlo volevo almeno aiutarlo. Evitare che…» la sua voce si spezzò. «Abbiamo iniziato con piccole cose, di poco conto. Era il mio obiettivo. Tenerlo lontano dai pericoli più grandi. Mills l’ha detto quel giorno in spiaggia, no? Ha detto che Paul e la sua famiglia erano solo fastidiosi, li ha definiti come delle mosche e il mio obiettivo era di farli rimanere tali. Meno danni facevano, meno rischi correvano di incappare in una battaglia più grande di quanto sarebbero stati in grado di combattere.»
Duncan era di ghiaccio. «Eppure hai appena detto che sono - anzi siete - riusciti a dare fastidio alle persone al potere. Mi sembra ben diverso dal tenersi alla larga dai guai.»
L’espressione di Lance cambiò completamente. Una fredda rabbia lo animò. «Tu non hai visto il mondo là fuori. È un delirio. Si sono presi tutto, famiglie intere vengono ancora portate via dalle loro case senza che nessuno lo impedisca. Ho visto io stesso vicini di casa aspettare che venissero catturati per introdursi nelle loro case e rubare tutte le cose di valore, ho visto una signora voltarsi dall’altra parte mentre una sua amica veniva trascinata via dai Mangiamorte. Quando Paul ha iniziato ad avere obiettivi più ambiziosi non sono riuscito a fermarlo, o forse non ho voluto.»
La mente di Lydia tornò al giorno in cui avevano trovato Beatrix, ad Alice nel vicolo dietro al Ministero, al senso di colpa che ancora la perseguitava per non avere fatto di più.
«Diceva che se nessuno interveniva allora l’avremmo fatto noi. Sono andato nella via dove Silas e Cyril vendono le pozioni al mercato nero.» Lance ignorò lo sbigottimento di suo padre «Un luogo perfetto per ottenere informazioni. Con le giuste domande, e ricompense, siamo riusciti a venire a conoscenza del posto dove si riuniva il gruppo di Mills. Era un piccolo bar vicino a York, e abbiamo scoperto che non veniva usato solo per le riunioni del suo piccolo club, ma anche come magazzino per pozioni e oggetti maledetti. Il piano era semplice. Abbiamo intercettato Aiden O’Neil, a proposito, anche lui ha seguito le orme di Mills, come se ci fossero mai stati dubbi, e l’abbiamo seguito fino a Londra. È bastato poco per farci vedere da lui, e proprio come avevamo pensato, è subito corso ad avvisare Mills. La prospettiva di riuscire a catturarmi era troppo grande. Come previsto, si è portato dietro tutto il gruppo e il bar è rimasto con solo due guardie. Nolan e Brianna l’hanno tappezzato di pozioni esplosive, e quando Mills e i suoi sgherri sono tornati indietro senza avermi trovato, gli è esploso davanti agli occhi. Era una grande vittoria, ma ovviamente ha avuto delle conseguenze. I miei contatti nel mercato nero mi hanno avvisato per tempo che anche Paul e la sua famiglia, come noi, erano diventati troppo pericolosi e l’ordine era di annientarli il prima possibile. I fratelli e la sorella di Paul hanno avuto paura, hanno chiuso con gli attacchi e si sono trasferiti insieme ai loro genitori in un rifugio più sicuro. Pensavo che Paul fosse altrettanto intelligente, che avesse capito che ormai avevamo fatto la nostra parte ed era arrivato il momento di tirarsi indietro.» Il dolore tornò a piegarlo «Ma ho sottovalutato la sua autostima. Quel successo gli ha dato alla testa. Ha iniziato a sentirsi invincibile. Si è trasferito in un appartamento, lontano dalla sua famiglia, a progettare attacchi più ambiziosi. Mi ha dato del codardo perché volevo farlo ragionare, ha detto…» Il suo sguardo corse brevemente verso Lydia «Ha detto che eri stata tu a farmi diventare debole. Ho cercato di convincerlo in tutti i modi, ve lo giuro. Poi ho capito che come non ero riuscito a farlo ragionare prima, non ci sarei riuscito neanche in quel momento. Non potevo lasciarlo andare in battaglia da solo, lo capite, vero? Come potevo lasciarlo solo?» Le sue domande incontrarono solo il silenzio. «È il mio migliore amico…»
«Quindi è stato catturato?» chiese Katherine sottovoce.
Le guance di Lance tornarono a riempirsi di lacrime. «Ieri mi ha mandato un messaggio. L’ho raggiunto il prima possibile. Mi ha detto che aveva scoperto il nuovo nascondiglio di Mills, gli ho risposto che avrei chiesto conferma dalle mie fonti, ma lui non voleva aspettare. Mi ha detto che era sicurissimo dell’informazione, che non potevamo perdere altro tempo perché la stessa persona lo aveva informato che se ne sarebbero andati da lì entro sera. E così siamo andati di nascosto nel luogo che ci avevano indicato. Non c’era nulla. Solo un prato immenso. Neanche un albero.»
«Una trappola.» riassunse Lydia.
«Ci siamo trovati circondati da Mills e i suoi sgherri. Hanno iniziato a lanciarci maledizioni. Siamo riusciti a scappare per un soffio. Paul aveva ancora una Passaporta di emergenza di sua sorella.» Lance si massaggiò l’avambraccio.
«Il taglio di ieri.» disse Lydia. Era stata una stupida a credere alla storia del coltello sfuggito dalle mani. Lydia aveva visto innumerevoli volte Lance maneggiare un coltello, sia nel tagliare ingredienti sia nell’orto, e possedeva un’abilità che solo pochi pozionisti al mondo potevano vantare. Non avrebbe mai commesso un errore tanto maldestro.
«Sì.» confermò infatti Lance.
E fu come se i tasselli trovassero magicamente il loro posto nella mente di Lydia. Da quando lo aveva conosciuto, Lance aveva sempre indossato un orologio regalatogli da suo zio per l’ammissione ad Hogwarts. Almeno fino a qualche mese prima, più precisamente fino a dopo la battaglia sulla spiaggia, quando era stato improvvisamente soppiantato da un altro orologio, altrettanto usurato ma comunque diverso da quello originale. E poi Lydia ripensò alle lunghe ore trascorse da Lance in laboratorio, anche quando, come lui stesso aveva ammesso il giorno di Natale, non era più necessario. A quando nessuno lo trovava e ricompariva ore dopo come se nulla fosse, con qualche scusa fin troppo credibile. Così tanti dettagli, così tanti indizi che lei non era mai riuscita a vedere prima.
«Io…» un singhiozzo scosse Lance «Sono stato io ad azionare la sua Passaporta. Lui voleva rimanere lì a combattere. Quando siamo arrivati al sicuro abbiamo litigato, mi ha detto che la trappola stessa significava che finalmente eravamo riusciti a colpire nel segno. Che avevamo perso l’occasione. Sono tornato a casa per impedirgli di dire altre stronzate. Io… io penso che sia tornato là appena me ne sono andato.»
La consapevolezza di ciò che doveva essere accaduto una volta che Paul era tornato nel prato pesava come un macigno su tutti loro. Lance tornò a coprirsi il viso con le mani. «È stata colpa mia. Avrei dovuto capirlo, avrei dovuto fermarlo.» Ma nessuno era mai riuscito a fermare Paul Kenston.
«Paul aveva un accordo con la sua famiglia. Mandare loro un messaggio tutte le mattine per fargli sapere che stava bene. Quando questa mattina non hanno ricevuto nessun messaggio, i suoi fratelli hanno iniziato a cercarlo.»
Lydia scattò in piedi, incapace di stare seduta oltre. «Ma non capisco. Paul ha mandato il messaggio solo questa sera! Perché non farlo ieri, appena è stato catturato?»
Il signor O’Brien sembrava invecchiato di decenni. «Da come lo abbiamo trovato penso che sia stato tenuto prigioniero e…» Non riuscì a pronunciare la parola. Non ce n’era bisogno. Tutti loro sapevano che cosa facevano i Mangiamorte a chi era talmente sventurato da finire nelle loro mani. Una Maledizione senza Perdono in particolare rimaneva fissa nelle loro menti. «E alla fine lo hanno riportato nella sua casa di famiglia, ormai disabitata. Penso che il messaggio non sia stato inviato da Paul. Il suo orologio era appoggiato su una mensola in maniera troppo ordinata. Qualcun altro ha chiamato Lance.»
«Ma non ha senso!» esclamò Lydia «Se è stato Mills a chiamare Lance perché non tenderci una trappola? Sapeva che sarebbe corso da lui e ha già fatto capire che intende catturarci. Perché non ha sfruttato quell’occasione?»
«Lydia, devi pensare che non stiamo parlando di una persona sana di mente. Mills è diventato un assassino. Vuole sicuramente scoprire dove siamo nascosti, ma temo che voglia giocare con noi. Che quello fosse il suo modo di divertirsi.»
«Ma come fai ad esserne così sicuro?» intervenne Duncan «E se invece è stato abbastanza furbo da nascondersi? E se ci ha inseguiti fino a qua?» Scostò la tenda della finestra, lo sguardo che saettava da una parte all’altra del giardino.
«Sono certo di quello che dico, Duncan.»
«Come fa ad esserlo!?»
«Perché ha lasciato un biglietto sul corpo di Paul.» Si immobilizzarono tutti. Il signor O’Brien serrò la mascella. «Ha scritto ‘voi siete i prossimi’».
Lydia dovette risedersi.
«Dovremo essere maggiormente cauti, d’ora in avanti. Uscire solo se necessario e limitare le visite di mio fratello e di Silas e Cyril a casi di estrema necessità. So che è difficile, ma dobbiamo resistere, ragazzi. Abbiamo degli innocenti da difendere e non possiamo correre alcun rischio.» Era come se il signor O’Brien avesse perso tutta la sua vitalità. E Lydia lo capiva bene, perché anche lei si sentiva nello stesso modo.
Il vuoto era la cosa peggiore. Nel suo cuore ricominciò a sentire una parte di quella voragine con cui era arrivata in quella casa e che solo la famiglia O’Brien e i bambini erano riusciti a colmare. Per un istante si spaventò al pensiero di tornare la persona che era. Rotta e con la sensazione che non ci fosse più nulla di buono in quel mondo.
«E per cosa?» La voce di Caitlin li prese alla sprovvista. Per tutto il tempo da quando Duncan e Lydia erano tornati, era rimasta rannicchiata sulla sedia, senza dire una parola, senza mostrare un’emozione.
«Per la salvezza nostra e dei bambini.» rispose il signor O’Brien «Mi sembrano ragioni sufficienti per raccomandare attenzione e soprattutto collaborazione. Niente più segreti, niente più fughe clandestine.» Lance era talmente perso nel suo dolore da sembrare in un altro mondo. Anche suo padre se ne accorse e gli strinse una mano sulla spalla. «Lance. Devi promettercelo. Niente più uscite. È già un miracolo che tu sia ancora qui con noi. Il tuo intento era nobile, lo capiamo, ma…»
«Non era nobile.» lo interruppe Lydia. I suoi pensieri riuscirono finalmente a trovare una via, solo che era costeggiata da rabbia e furia. Si alzò in piedi. «Nessun intento cavalleresco, né di bene superiore. Sei stato un incosciente.» Sapeva che non era il momento, eppure per lei era impossibile fermarsi. Aveva bisogno di parlare o sarebbe esplosa. «Come hai potuto fare una cosa così stupida?»
«Lydia.» provò a fermarla il signor O’Brien «Non è questo il momento per discuterne. Dobbiamo piangere Paul prima di affrontare l’argomento.»
«Non ho nessuna intenzione di piangere Paul!» urlò Lydia. Era vero solo in parte. Le si spezzava il cuore al pensiero che Paul non c’era più. Ma era in lutto per quel ragazzo impacciato e spaventato che aveva conosciuto a scuola, non per quello che aveva incontrato nel negozio di Diagon Alley. «Sapete anche voi quante volte ha rischiato di farci ammazzare, non provate neanche a negarlo! E chissà quante volte Lance ha rischiato di fare la stessa fine in questi mesi! Era solo uno stupido ed incosciente e non ho intenzione di stare zitta solo per non infangare la sua memoria.»
«Paul non era stupido.» Caitlin sollevò il suo sguardo di ghiaccio «E non era incosciente. Era più coraggioso di tutti voi.»
«Essere coraggiosi a volte vuol dire sapere quando è il momento di ritirarsi.»
«Lydia ha ragione.» intervenne Duncan «È difficile ammetterlo, ma questa guerra è più grande di noi. Ci sono battaglie che non possono essere combattute da soli.»
Caitlin scattò in piedi. «E allora perché non avete combattuto con lui?» gridò «Voi, Silas, Cyril, i fratelli e la sorella di Paul. Potevate essere un piccolo esercito se solo aveste avuto il coraggio di uscire da questa maledetta casa! E invece vi siete nascosti, siete scappati, come fate sempre.»
«Noi non siamo scappati.» sibilò Lydia.
Caitlin abbassò la voce e riversò il suo veleno su di lei. «Ma in fondo è la tua specialità, no? Lance è stato male per mesi quando tu hai smesso di rispondere alle sue lettere. E stavi scappando quando Lance ti ha incontrato su quella spiaggia. E non so come ti sei procurata quella cicatrice, ma sono sicura che stavi fuggendo anche lì.»
La rabbia di Lydia le arrossò le guance. Duncan ebbe la prontezza di sbarrarle la strada. «Stai zitta, Caitlin!»
«Cosa c’è?» L’unico modo per descrivere il tono di Caitlin era solo di pura perfidia «Sei troppo spaventata dalla verità? Allora sappi solo che sei tu ad essere una codarda. Mio fratello e Paul hanno avuto il coraggio di affrontare i nostri nemici mentre l’unica cosa di cui tu sei capace è di rimanere chiusa qua dentro a piangerti addosso.»
«Adesso basta!» provò a fermarla il padre.
«Oh, sto solo dicendo quello che pensate tutti qui dentro ma non avete il coraggio di dirglielo in faccia. Ti abbiamo offerto un posto sicuro e tu non hai fatto altro che nasconderti in camera tua e rifiutarti di aiutarci. Dici che Paul ha rischiato di farci scoprire ma sei tu ad essertene andata al Ministero alla prima occasione!»
«Caitlin!»
Lei ignorò anche Katherine. «Paul ti ha dato un’occasione e tu l’hai insultato e hai rifiutato anche quella!» Lydia strinse i denti ma la rabbia non faceva altro che aumentare. Il suo cuore palpitava mentre Caitlin continuava a vomitarle addosso le sue cattiverie. Duncan, Katherine e il signor O’Brien cercavano di fermarla e Lance se ne stava semplicemente seduto sulla sua sedia, il volto nascosto nelle mani, completamente perso nel suo dolore. «Forse dovresti guardarti allo specchio e riconoscere chi è il vero mostro qui!»
E poi Lydia, semplicemente, esplose. Un’ondata di pura magia si liberò dalle sue vene. Le lampadine di tutta la stanza andarono in frantumi con un boato. Schegge di vetro e scintille piovvero dal cielo. Ma a Lydia non importava.
Nella penombra che si era creata, il suo sguardo si posò su Lance, che la fissava incredulo, risvegliatosi infine dal suo dolore. «Dovevi solo dirmelo.» bisbigliò Lydia. La rabbia si trasformò in una calma innaturale. «Dovevi solo dirmelo e io sarei venuta con te.»
Lasciò la stanza con la consapevolezza che una parte della sua vita era appena terminata.
 

 

Note: In questo capitolo era importante per me mostrare quanto un lutto possa colpire una famiglia e i modi completamente differenti con cui si manifesta. Per questo vi chiedo di non giudicare troppo criticamente il comportamento mostrato da Caitlin, con lei in particolare volevo mostrare come qualcuno tenta di affrontare quell'immenso dolore cercando colpevoli che non esistono, nel tentativo di riempire quel vuoto immenso con la rabbia. In questo caso Caitlin non solo sta affrontando la morte di Paul, un ragazzo che in un modo o nell'altro ha segnato la sua adolescenza (ricordiamo che sono stati insieme ed essendo migliore amico del fratello si conoscevano bene) ma con la sua morte ha anche compreso finalmente la gravità della guerra. Fino a questo momento sapeva della sua esistenza, ma non comprendeva bene la sua gravità, come dimostrato dal fatto che ha tentato più volte di scappare di casa o dal controllo dei fratelli. Per lei, che al contrario di Lydia, Lance, Katherine e Duncan non ha mai dovuto affrontare alcuna battaglia, la guerra era un qualcosa di lontano, quasi astratto, l'omicidio di Paul però le ha invece fatto comprendere cosa tutti loro stanno rischiando e fino a dove si spingeranno i Mangiamorte pur di vincere. 
Non giustifico in alcun modo il suo comportamento, ma mi sembrava giusto spiegare meglio cosa sta accadendo nella sua mente essendo che i capitoli vengono principalmente descritti dal punto di vista di Lydia.
Grazie mille per l'attenzione <3

E grazie di cuore per aver letto questo capitolo!
Siamo entrati nel vivo dell'ultima parte della storia, e, piccolo spoiler, il momento della verità sul passato di Lydia e della cicatrice che ha sul volto è più vicino di quanto possiate immaginare!

Un abbraccio e a giovedì prossimo!

Emma Speranza

 


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Capitolo 26
*** Capitolo 26 - Menzogne e verità ***


Capitolo 26
Menzogne e verità
 

«Lance?» Lydia bussò di nuovo alla porta serrata. «Lance, ti ho portato un biscotto.» In realtà, stretta nell’altra mano, vi era una busta intera di dolci dalle forme più strampalate. Una sirena senza coda, un gufo con mezza ala e una volpe con tre orecchie. «Lizzie ha cambiato idea: adesso vuole essere una pasticcera da grande. Ma non so se sono commestibili. Ti conviene preparare un antiveleno per tutti.»
Il silenzio che le rispose pesò come un macigno. Lydia deglutì e decise di ignorarlo, come faceva ormai da troppo tempo. «Ha messo anche l’essenza di vaniglia, tuo papà dice che ha sbagliato solo leggermente con le dosi. In ogni caso la cucina è stata dichiarata fuori uso per le prossime ventiquattro ore.»
Anche se il sacchetto che portava era sigillato, il profumo di vaniglia stava ammorbando l’intero corridoio. Se solo fosse riuscita ad introdurlo nel laboratorio, Lance sarebbe stato costretto ad uscire per la disperazione e l’assenza di ossigeno.
Batté il pugno sulla porta ancora sigillata. «Lance, apri, ti giuro che entro solo due secondi!» Due secondi in cui lo avrebbe trascinato fuori da lì e costretto ad esporsi a qualche raggio di sole. O almeno a prendere una boccata d’aria che non sapesse di vaniglia, o di pozioni. «Va bene.» sospirò. Non andava bene nulla ma mentire stava diventando insolitamente facile. «Allora ti lascio qui fuori il sacchetto, per quando…» Vorrai uscire, vorrai parlare, vorrai urlare. Qualsiasi cosa pur di risentire la sua voce.
Lasciò scivolare la busta a terra e, dopo un ultimo sguardo verso la porta ancora ostinatamente chiusa, si lasciò il corridoio alle spalle, portando con sé però il senso di vuoto che la attanagliava ogni volta che vi bussava. 
Lydia avrebbe dato qualsiasi cosa per possedere una Giratempo. Il pensiero la tormentava ogni giorno che era costretta a convivere con il gelido silenzio che la accompagnava ovunque andasse. Una cappa di oblio sembrava essersi riversata in casa O’Brien, coprendo ogni cosa con il suo manto. Qualche volta Lydia si ritrovava a sedersi sul pianerottolo del terzo piano solo per accertarsi di non essere vittima di un incantesimo del Silenzio. Ma nonostante tutti i suoi tentativi di convincersi del contrario, anche le voci dei bambini avevano perso quel tocco di vita che possedevano solo qualche settimana prima. O forse era Lydia a non riuscire più a percepirla. Non quando era costretta a vivere così sola anche se circondata da persone. Se solo Lance si fosse deciso ad uscire da quel laboratorio, allora tutto sarebbe potuto tornare come prima. O almeno essere un po’ più sopportabile. Ma lui si ostinava a restare lontano da tutti. Lontano da lei.
Per un istante, Lydia si sentì sopraffare dalla rabbia. Come poteva Lance chiuderla fuori così dalla sua vita dopo tutto quello che avevano passato insieme negli ultimi mesi? Erano stati inseguiti da Mangiamorte, scappati dai Dissennatori, andati a Diagon Alley, il posto più pericoloso di tutto il mondo magico, avevano persino imparato a gestire una mandria di bambini che in certi momenti facevano più paura di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato in persona. Avevano passato troppo perché Lydia potesse accettare una porta chiusa. E non solo negli ultimi mesi, ma anche negli anni passati, e… il piede di Lydia mancò un gradino, mentre un’ondata di consapevolezza la travolgeva.
Come poteva giudicare Lance quando lei stessa si era comportata in maniera identica solo due anni prima? Non si trattava di una porta sbarrata nel suo caso, ma come altro si poteva definire il fatto che dal giorno dell’incidente lei non aveva più risposto alle lettere di Lance? Come poteva pretendere che Lance si aprisse con lei quando neanche lei aveva saputo farlo nel momento del bisogno?
Il dolore porta a fare cose stupide, pensò con rammarico.
Si lasciò scivolare a terra, il gelo dei gradini di pietra la aiutò a percepire di nuovo il proprio corpo.
Cosa poteva fare? Da un lato avrebbe dovuto lasciare a Lance i suoi spazi, proprio come lei non aveva voluto nessuno al suo fianco in quei mesi terribili quando tutto il suo mondo si era sgretolato in polvere. Dall’altra… Lance le era mancato. Era inutile negarlo. Ora che lo aveva ritrovato si era resa conto di quanto la sua vita era stata vuota senza la sua amicizia, di quanto la sua presenza l’avesse aiutata a ritornare ad essere la Lydia che era un tempo. Non poteva perderlo di nuovo.
Eppure non riusciva a muoversi.
Stava lì, raggomitolata sui gradini di una casa non sua, rabbrividendo, ma incapace di alzarsi. Immobilizzata da un unico pensiero.
‘E se mi odia?’  Il terrore le fece battere il cuore all’impazzata. Perché forse c’era un altro motivo per cui Lance si ostinava a tenere quella porta chiusa. Perché forse credeva alle parole di Caitlin: che era una codarda, e che Paul era morto anche per colpa sua.
Lydia nascose il volto nelle ginocchia. Prese dei respiri profondi, cercando di combattere il senso di nausea.
No. Paul era stato la causa della sua stessa rovina. Lydia non poteva permettersi di avere anche il suo sangue sulle mani. Ma non importava quello che credeva lei, solo quello che pensava Lance.
Il senso di nausea la lasciò boccheggiante. Aria, aveva bisogno di aria. Fu una motivazione sufficiente a farla risvegliare dalla sua paralisi. La prospettiva della dolce brezza primaverile che le soffiava sul viso la fece balzare sugli ultimi gradini che la separavano dal piano terra. La porta d’ingresso appariva ai suoi occhi come una rassicurante via di fuga.
Una via di fuga bloccata dalla signora O’Brien.
Lydia inciampò nei suoi stessi piedi e si fermò di fronte alla padrona di casa.
«Devo… andare nell’orto… a prendere… delle cose.» balbettò Lydia. La bugia non riuscì ad impietosire la signora O’Brien, che continuò a fissarla con le mani sui fianchi ed un’espressione che avrebbe terrorizzato Lydia se non fosse stata sull’orlo di una crisi di panico.
«Chi ha messo in testa a Liz l’idea di preparare i biscotti?»
«Io…» rispose sottovoce Lydia. A sua discolpa si era solo limitata a dire che dei biscotti alla vaniglia sarebbero stati fantastici con il suo tè. Non era colpa sua se la bambina aveva preso le sue parole alla lettera ed aveva provocato un principio d’incendio in cucina. Ma non disse nulla di tutto questo. Aveva imparato che quando la signora O’Brien si trovava in quel particolare stato d’animo (ben riconoscibile dalla presenza della vena che spiccava sul suo collo), era inutile cercare di spiegare o giustificarsi.
E così, un minuto dopo, si ritrovò armata di scopa e paletta di fronte alla porta della cucina sigillata con nastro isolante.
Beh, si ritrovò a pensare Lydia, almeno la punizione improvvisa aveva avuto l’effetto di impedirle di cadere in un attacco di panico al pensiero di Lance. E delle porte sbarrate.
Senza ulteriori esitazioni, strappò il nastro isolante ed entrò nella cucina, o meglio, nel campo di battaglia. Un sottile strato di farina ricopriva ogni superficie, mentre i fornelli e la cappa erano completamente anneriti. Probabilmente da qualche parte in quel caos si trovavano anche le ceneri delle sopracciglia di Lizzie, fortunatamente le uniche vittime dell’incidente.
La porta sbatté alle spalle di Lydia. Si voltò ed incrociò lo sguardo di Caitlin.
No.
No.
Non era possibile.
La signora O’Brien non poteva essere così tanto arrabbiata con lei.
Eppure Caitlin continuava a fissarla con il suo sguardo di ghiaccio ed un’inconfondibile set di scopa e paletta stretto nelle mani.
Caitlin fu la prima a distogliere lo sguardo. Senza dire una parola, raddrizzò il mento e si diresse verso l’angolo più pulito della cucina per iniziare a rassettarlo.
Lydia rimase immobile.
Nelle ultime settimane aveva imparato ad odiare ogni momento in cui si trovava nella stessa stanza con Caitlin. La tregua degli ultimi giorni dalle infinite piogge primaverili era stata, per Lydia, un sollievo proprio per il fatto che le dava la possibilità di uscire in giardino ed evitare il gelo che Caitlin le riservava.
Aveva sperato che le parole che le aveva riversato addosso il giorno della morte di Paul fossero dettate solo dal dolore e dal turbamento provato in quel momento, ma la realtà era stata ben diversa e composta principalmente da silenzi ostinati o frecciatine velenose. Lydia non aveva ancora deciso quale dei due trattamenti preferiva.
«Smettila di fissarmi come una stupida e pulisci.»
Meglio i silenzi, constatò Lydia.
L’angolo dei fornelli era quello messo peggio, ma era anche il punto più lontano da Caitlin. Lydia recuperò una spugna da sotto il lavello ed iniziò a sfregare il fornello bruciato.
Dopo quella maledetta sera, Lydia aveva smesso di rispondere alle provocazioni di Caitlin. Era difficile, diverse volte aveva dovuto mordersi la lingua talmente forte da farla sanguinare, ma non le avrebbe dato la soddisfazione di vederla cedere, o soccombere al senso di colpa. Perché in fondo era questo che Caitlin voleva, che lei ammettesse di aver ucciso Paul con le sue azioni, o con la mancanza di esse.
Ma Lydia avrebbe resistito.
Eppure…
Sfregò più energicamente. Alcune delle incrostazioni cominciarono a disintegrarsi sotto la spugna.
La parole di Caitlin erano come un veleno che si infiltrava lentamente nelle sue vene. Ogni giorno trascorso nel silenzio, ogni porta che Lance frapponeva tra di loro, ogni tensione che si viveva in casa O’Brien, tutto la portava a far sì che una parte di lei cominciasse a credere a tutto quello che Caitlin aveva detto, ed era solo con un grande sforzo che Lydia riusciva ad allontanare quei pensieri distruttivi, una fatica che diventava più onerosa e difficile ogni giorno che passava.
La spugna era diventata completamente nera. La immerse sotto il getto d’acqua corrente e rimase ad osservare il fiume scuro che scaturiva da essa.
Come aveva fatto la sua vita a sgretolarsi in così poco tempo?
«Ti puoi sbrigare?» Lydia strizzò la spugna, l’acqua schizzò ovunque andando a sporcare anche quella poca superficie che era rimasta pulita. «Bene.» sbottò nuovamente Caitlin. «Grazie per aver appena allungato la nostra punizione.»
Lydia chiuse gli occhi. Prese un respiro profondo e cercò di pensare alle cose belle che l’aspettavano una volta finito di pulire. La libertà, la solitudine…
Riaprì gli occhi. Durante le prime settimane che aveva trascorso in casa O’Brien il suo più grande desiderio era sempre stato rimanere da sola, lontana da bambini che pensava di non sopportare e adulti che non conosceva. Ora la prospettiva la terrorizzava. Avrebbe voluto credere di star esagerando, che in realtà non era rimasta realmente sola, ma era la triste verità. Lance era chiuso nel suo laboratorio, Katherine e Duncan, dal giorno del matrimonio, preferivano trascorrere la maggior parte del tempo in reciproca compagnia, mentre i signori O’Brien erano sempre impegnati con i bambini. Non aveva più neanche le visite di Silas, Cyril e Anthony ad alleggerirle le giornate visto che, dopo la morte di Paul e la minaccia alle loro vite, i signori O’Brien avevano deciso di tagliare ogni contatto con l’esterno, proibendo ai loro stessi parenti visite o messaggi tranne in casi di vita o di morte, che, fortunatamente, non erano ancora avvenuti.
Lydia sospirò e ricominciò a pulire i fornelli con una concentrazione tale che per alcuni minuti riuscì ad escludere dalla sua mente ogni pensiero e la presenza soffocante di Caitlin.
«È solo colpa tua se siamo qui.»
Questa volta per Lydia fu impossibile rimanere in silenzio. «Per la barba di Merlino!» sbottò «Non so cosa tu abbia combinato per farti mettere in punizione ma posso garantirti che non tutto quello che accade nella tua vita è per colpa mia.»
Caitlin la guardava con i suoi occhi di ghiaccio, la scopa ancora stretta tra le mani ed una minuscola collinetta di farina ai suoi piedi. «Hai ragione.» Lydia sgranò gli occhi per lo stupore. «Solo le cose brutte della mia vita accadono per colpa tua.»
Il viso di Lydia si accartocciò per la rabbia. Si strinse il labbro tra i denti e tornò ad accanirsi contro i fornelli.
«Lance l’ha già capito. È per quello che ti evita.» La spugna sfuggì dalle dita tremanti di Lydia. «Anche Duncan e Katherine lo sanno, e infatti stanno sempre per conto loro. Presto anche mamma e papà lo capiranno.»
Lydia rimase immobile a fissare la spugna abbandonata. E poi il vuoto dentro di lei si colmò di fredda ed inesorabile rabbia.
«Adesso basta.»
Il suo era solo un sussurro tra i denti stretti, che fu immediatamente coperto dalla voce di Caitlin: «Quando anche loro apriranno finalmente gli occhi allora-»
«Basta!» Il grido di Lydia risuonò nella cucina. Eppure Caitlin si limitò a sorridere beffarda. E il sangue nelle vene di Lydia cominciò a scorrere sempre più velocemente, dandole l’impressione di essere sul punto di prendere fuoco.
«Cosa c’è? Un pizzico di verità e sei già stanca?»
Lydia lanciò la spugna sul piano della cucina; tremava per la rabbia, o forse era stanchezza, o forse ancora tristezza. Non lo sapeva. L’unica cosa di cui era consapevole era che voleva solo zittire Caitlin. «Tu parli di verità. E allora lascia che ti dica anche io qualche verità. Sei una ragazzina viziata ed egoista.» Finalmente le parole di Lydia riuscirono a scalfire il sorrisetto di Caitlin. «Cosa c’è? Non vuoi sentirti dire come sei davvero?»
«Tu non mi conosci.» sibilò Caitlin.
«Hai ragione. Io non ti conosco. Ma conosco Lance, Duncan, Kate e i tuoi genitori. Li conosco bene ormai, e so che stanno male per colpa tua.»
«Non è vero.» ribatté immediatamente Caitlin.
Lydia continuò imperterrita, mentre una selvaggia soddisfazione la travolgeva per essere riuscita a togliere quello stupido ghigno dalle sue labbra. «E non solo nelle ultime settimane. È da anni che sopportano te e i tuoi piagnistei.» Era come se la diga dentro di lei si fosse rotta. Tutti i veleni, i silenzi, le porte chiuse che aveva dovuto sopportare nelle ultime settimane, la paura di sprofondare di nuovo in quel buio in cui si era persa prima di vivere in casa O’Brien, tutto ciò arrivò a reclamare la sua rabbia. Era ormai impossibile trattenere le parole. «E prima Caitlin vuole andare ad Hogwarts, e poi scopre che non può e allora no, non si può più parlare della scuola e guai ai tuoi fratelli se si azzardano a parlare di incantesimi davanti a te.»
«Smettila.»
«E poi c’è la guerra, ma tu vuoi uscire, e allora fai passare le pene dell’inferno alla tua famiglia perché secondo te ti stanno tarpando le ali.»
«Ho detto di smetterla!»
«No!» Lydia si fermò, il fiato corto e le guance arrossate. «No!» ripeté «È da settimane che non fai altro che insultarmi e dovrei semplicemente stare zitta per non urtare i suoi sentimenti? Dovrei fare come ha fatto la tua famiglia negli ultimi dieci anni? Guarda dove ti ha portata! A pensare di essere al centro dell’universo e che tutto ti sia dovuto.»
La rabbia di Lydia si rifletteva negli occhi di Caitlin «Nessuno mi ha mai regalato nulla.»
«La tua famiglia non ha fatto altro che cercare di renderti la vita facile, e solo perché eri gelosa di Lance! Tua mamma ha persino rinunciato alla magia per te, e tu non le hai mai detto un grazie! No, eri troppo intenta a far credere a Lance di essere un mostro, ma in fondo è questa la tua specialità, no? Far credere agli altri di essere abomini solo perché non hai il coraggio di guardarti allo specchio, e…» Lydia si bloccò.
Furono due cose a farle comprendere di aver appena compiuto un grosso sbaglio. Prima lo sguardo inorridito di Caitlin, secondo, la signora O’Brien, che la fissava dalla porta della cucina.
«Io…» balbettò Lydia. Da quanto si trovava lì? Le lesse la risposta sul viso attraversato da un fulmine di collera. «Io non volevo…»
La voce della signora O’Brien era di una tranquillità disarmante, l’opposto rispetto alla furia che comunicava il suo corpo. «Fuori da qui.»
Lydia si sentì svuotata, il suo cervello incapace di formulare una risposta che potesse sistemare la situazione, che potesse spiegare. «Non intendevo...» Non riuscì a proseguire. Perché lei credeva alle parole che aveva detto a Caitlin, ad ognuna di esse. Ed era stanca di nascondersi.
Anche la signora O’Brien lo capì. «Comprendo il tuo interessamento, ma l’aver trascorso questi mesi con noi non ti dà il diritto di giudicare le nostre scelte genitoriali, né di immischiarti in affari privati della nostra famiglia.» Lydia sbatté le palpebre. «Quindi ora ti chiedo di uscire da qui ed andare da qualche altra parte.» Lydia sussultò e si affrettò verso la porta della cucina. Quando le passò accanto, la signora O’Brien le posò una mano sul braccio per fermarla. «Un’ultima cosa. Non ti permettere mai più di insultare mia figlia o un altro componente della mia famiglia. Oppure dovrai trovarti un altro posto dove stare.»
Lydia ritirò di scatto il braccio, come se si fosse scottata, e corse via prima che madre o figlia potessero vedere la lacrime che cominciarono a scorrerle sul viso.
Il suo primo istinto fu percorrere le scale verso il seminterrato, ma il pensiero di quella maledetta porta sigillata la fece desistere. Imboccò invece la scalinata verso i piani superiori, qualsiasi cosa pur di allontanarsi dalla cucina. Non aveva fatto i conti con la mancanza di fiato. Dal momento in cui la signora O’Brien l’aveva afferrata, Lydia aveva smesso di respirare. Riuscì ad arrivare alla rampa di scale che separava il primo dal secondo piano prima che le sue gambe cedessero. Si lasciò scivolare fino a sedersi sul gradino.
Un’altra scala, un altro gradino rispetto a quello del seminterrato, ma la stessa solitudine. Anzi, infinitamente maggiore. Il respiro le tornò a rantoli.
La signora O’Brien era stata chiara. Lydia non faceva parte della famiglia.
Era stata una stupida, si rimproverò Lydia. Tutto quel tempo passato con gli O’Brien, le avventure che erano stati costretti a vivere, gli innumerevoli giorni trascorsi insieme: compleanni, momenti di tristezza, di gioia, o semplicemente di vita. Tutto questo aveva creato un ambiente talmente famigliare da sembrarle casa.
Ma quella non era casa sua.
E gli O’Brien non erano la sua famiglia.
La consapevolezza le crollò addosso, facendola sentire completamente persa.
Era sola.
Sola in una casa in cui nessuno la considerava indispensabile. Lance era inavvicinabile, Duncan e Katherine avevano l’uno l’altra, i bambini le volevano bene ma ognuno di loro avrebbe preferito trovarsi con i suoi genitori. E la signora O’Brien e Caitlin avevano reso ben chiari i loro sentimenti. Non c’era più nulla che la legava a quelle mura.
Un singhiozzo risuonò nelle scale.
Lydia impiegò diversi secondi per capire che non era provenuto da lei.
Sollevò lo sguardo.
Altri singhiozzi si unirono ai primi, e Lydia si ritrovò a seguirli salendo le scale fino a raggiungere una figura raggomitolata sul pianerottolo del terzo piano.
Lydia dimenticò immediatamente le proprie lacrime.
Si sedette accanto alla sagoma singhiozzante e con delicatezza, la strinse in un abbraccio. Henry nascose il viso tra le sue braccia. «Cosa succede?» Il pianto del bambino divenne ancora più disperato. Lydia posò le labbra sui suoi ricci. «Va tutto bene.» No, non andava tutto bene. La bugia pesava come un macigno. «Se Simon ti ha fatto ancora qualcosa…»
«Non è stato Simon.» la interruppe Henry.
«Allora chi?»
«Nessuno.»
Lydia sollevò il volto di Henry, cercando di leggere la verità nei suoi occhi arrossati. «Puoi dirmi la verità, Henry. Risolverò tutto.»
«Voglio la mia mamma.»
Ecco. Aveva appena fatto un’altra promessa che non poteva mantenere. Mancavano solo un paio di giorni al compleanno di Henry, e i bambini tendevano ad avere maggior nostalgia di casa attorno al loro compleanno. Avrebbe dovuto saperlo. «La mamma aveva promesso che ci saremmo rivisti al mio compleanno. E che mi avrebbe portato alle giostre, e avremmo mangiato una montagna di zucchero filato, ma io le ho detto che troppo zucchero filato fa male alla pancia.» Henry tirò su con il naso. «Non dovevo dirglielo. Si è arrabbiata e adesso non mi porta più alle giostre.»
«Oh, no, Henry. Sono sicura che la tua mamma vorrebbe tanto stare con te, e ti porterebbe alle giostre se solo potesse.»
Henry si asciugò il naso con la manica. «Harry Potter deve sconfiggere Tu-Sai-Chi, almeno la mia mamma può tornare da me.»
Lydia lo strinse ancora più forte.
«Sono sicura che succederà presto.» In fondo aveva già mentito talmente tante volte che una bugia in più non avrebbe potuto fare così male «E intanto ci siamo noi, Henry. So che non siamo la tua mamma, ma ti vogliamo tutti bene, lo sai, vero?»
«Non è vero.»
Lydia corrugò la fronte. «Certo che è vero. Ti vogliamo bene, Henry. Vogliamo bene a tutti voi.»
«E allora perché continuate a litigare?» Per un istante, Lydia temette che il bambino avesse sentito la conversazione appena avvenuta in cucina, ma fu il bambino stesso a liberarla dalle sue paure e riempirla però di altre inquietudini «No, non litigate. Però non vi parlate. Caitlin non ci parla più, Rose è stanca di noi, Lance non lo vediamo da tantissimo.»
Lydia avrebbe voluto con tutto il cuore consolarlo, promettergli che era solo una sensazione, che non c’era nulla di vero. Ma neppure lei aveva il coraggio di ingannarlo in quel modo.
Henry tirò su con il naso. «Almeno ci sei tu.»
Ed eccolo lì il motivo che ancora la legava a casa O’Brien. Una persona, anche se minuscola, che aveva bisogno di lei.
E a tale consapevolezza, qualcosa dentro di lei scattò. Perché se il suo unico compito rimasto era quello di rendere felice Henry, allora avrebbe fatto qualsiasi cosa per non fallire almeno in quello.
«Andiamo.»
Henry la fissò perplesso.
«Andiamo!» ripeté Lydia, afferrò la sua mano e corse giù dalle scale. La porta della cucina era ancora chiusa e non c’era anima viva nella sala. La strada che conduceva alla porta d’ingresso era completamente sgombra. Si affrettò verso l’atrio, trascinando il bambino con sé.
«Dove andiamo?» chiese Henry. Lydia lo zittì infilandogli la sciarpa e coprendogli la bocca. Dopo averlo costretto ad indossare la giacca, prese anche la propria ed aprì lentamente la porta d’ingresso. Dieci secondi dopo, Lydia ed Henry si trovavano davanti al cancello di casa O’Brien.
Era da quando erano arrivati per la prima volta quella sera di agosto che Henry non usciva dalla proprietà.
Era ora di cambiare le cose. Perché Lydia era stanca di vivere seguendo le regole di altri, nel terrore che un suo gesto potesse distruggere tutto quanto. Per una sera, per una sera soltanto, voleva solo tenere lontana la solitudine e la tristezza, ed impedire che anche Henry si trovasse vittima di esse.
Senza alcuna esitazione, Lydia strinse la mano di Henry e varcò il cancello.
 


 


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Capitolo 27
*** Capitolo 27 - Il Luna Park ***


Avviso ai lettori: nel presente capitolo sono presenti scene di violenza e tematiche delicate


Capitolo 27
Il Luna Park
 

Lo sguardo di Lydia era fisso sui cigni che galleggiavano nel piccolo laghetto artificiale. Si stavano prendendo gioco di lei. Ne era sicura.
«Non ti odiano, Lydia.» provò a farla ragionare Henry «Sono fatti di plastica.»
«E invece ti dico di sì. Lo vedo nei loro occhi.»
«Non ce li hanno nemmeno gli occhi.»
«E guarda i loro sorrisetti malefici. Stanno ridendo di me, te l’ho detto.»
L’addetta alla vasca dei cigni sbuffò sonoramente e il suo malcontento era condiviso dai ragazzi che stavano attendendo il loro turno per poter finalmente giocare una partita.
«Shh!» li zittì Lydia. Come al solito la sua cicatrice fu un deterrente sufficiente per far spaventare i ragazzini e convincerli ad attendere pazientemente il loro turno. Lydia si era dimenticata dell’effetto che faceva il suo vero volto sulla gente. A volte poteva tornare utile.
«Forza Lydia. Ormai non possiamo vincere più nulla.»
«È una questione di principio.»
«E mi hai promesso lo zucchero filato. E un giro sulle montagne russe.»
Lydia guardò la giostra che svettava in cima alla collinetta. Non sapeva se poteva essere definita propriamente una montagna russa, era più una minuscola salita ed una discesa che i treni percorrevano ad una velocità da crociera. Poi vide gli occhioni imploranti di Henry. «E va bene.» sbuffò. Lanciò l’ultimo cerchio, che atterrò nell’unico punto del laghetto artificiale in cui non vi erano cigni.
«È truccato.» borbottò delusa. «Non c’è altra spiegazione.» E continuò a brontolare mentre Henry la trascinava verso lo stand dello zucchero filato e ne comprava uno talmente grande da far salire i livelli di glicemia solo a guardarlo. Si fecero largo tra la folla e riuscirono a trovare un muretto dove potersi sedere intanto che Henry divorava il suo dolce come se fosse a digiuno da mesi interi.
Il luna park era esattamente come Lydia lo ricordava. Non era cambiato nulla nei dieci anni che erano trascorsi da quando vi era stata l’ultima volta. Solo che tutto ora sembrava più piccolo. E vecchio. I colori una volta brillanti, erano slavati dai tanti anni trascorsi in preda alle intemperie, le macchinine funzionavano a scatti, i cigni, suoi nuovi acerrimi nemici, avevano perso gli occhi e qualche ala. L’unica novità era il cemento che aveva sostituito la ghiaia sulla strada che portava al centro città, o più precisamente, all’università dove insegnava suo zio Ellar. Quando lei era piccola, visto che zio Ellar si allontanava dal campus solo in casi di vita o di morte (alias nascite o funerali), il papà di Lydia aveva preso l’abitudine di andare a trovarlo portando sua figlia con sé. E ad ogni incontro, lo zio Ellar le dava una mancia che veniva rigorosamente spesa proprio in quello stesso luna park.
Era il primo posto con le giostre che le era venuto in mente parlando con Henry. Il modo perfetto per festeggiare in anticipo il compleanno del bambino, lontani dalla guerra e dalle tensioni di casa O’Brien.
Lydia prese un respiro profondo. L’aria fredda le gelò i polmoni, eppure era settimane che non respirava così bene.
Ogni boccata d’aria profumava di libertà. Nessun rancore, nessun lutto, nessuna rabbia poteva raggiungerli lì, in mezzo ai babbani e lontani da ogni città, nel frastuono della gente e della musica gracchiante sparata a tutto volume dalle casse delle giostre. Nonostante la decisione impulsiva, Lydia era stata attenta. Sapeva che la protezione migliore sarebbe stata una dose di Pozione Polisucco per entrambi, ma visto che era fuori dalle loro possibilità, aveva deciso di prestare particolare attenzione sul non lasciare alcuna traccia magica del loro passaggio. Si era Materializzata insieme ad Henry proprio all’università, e poi avevano percorso tutta la strada fino al luna park a piedi, senza nessun incantesimo che potesse smascherarli. L’unico rimpianto era non aver potuto coprire la sua stupida cicatrice.
Un altro gruppo di ragazzini passò davanti a loro ridendo e spintonandosi a vicenda. Dovevano essere studenti dell’università; Lydia aveva dimenticato quanto potessero essere rumorosi gli adolescenti, e se lo diceva dopo aver passato mesi chiusa in casa insieme a più di venti bambini allora era grave.
Sapeva che avrebbe dovuto sentirsi in colpa. In fondo era scappata di casa, per di più portandosi dietro un bambino. Da qualche parte avrebbe potuto essere considerato un rapimento. E sapeva anche che sarebbe dovuta essere preoccupata, o spaventata; il mondo esterno era pericoloso per quelli come loro. Ma nulla di tutto ciò la sfiorava.
Perché lì, in quel parco decrepito, niente la poteva raggiungere. Non le porte chiuse di Lance, né l’indifferenza di Duncan e Katherine e neppure il veleno di Caitlin. ‘Che si tengano la loro famiglia perfetta.’ pensò rubando un pezzetto di zucchero filato da Henry. ‘Posso essere felice anche senza di loro.’
«Ti ho vista!»
Lydia sorrise, le mani appiccicose come prova del suo reato. «L’ho fatto per il tuo bene, Se lo mangi tutto ti verrà il mal di pancia.»
«Sembri la signora O’Brien.»
Il sorriso di Lydia svanì all’istante.
«Lo sai che Daniel ha detto che la signora O’Brien si è dimenticata del mio compleanno e non mi preparerà nessuna torta?»
«Non è vero.»
«Gliel’ho detto anche io. E poi non mi importa.» Henry cercò di pulire le dita appiccicose sui pantaloni. «La signora O’Brien può anche dimenticarsi del mio compleanno tanto tu ti ricordi e puoi prepararmi tu una torta.»
Lydia porse al bambino un fazzoletto pulito. «Hai troppa fiducia nelle mie capacità culinarie. Vorrei ricordarti che solo stamattina ho rischiato di far esplodere la cucina insieme a Lizzie.»
«Ma Lizzie ha detto che non si è mai divertita così tanto! Ha detto che quando sei corsa per la cucina con i biscotti in fiamme in mano non riusciva a smettere di ridere.»
Lydia si era divertita molto meno considerando le conseguenze che aveva avuto quella disavventura.
«E Beatrix ha detto che vuole solo te la sera a leggerle le storie, sai, quando le cambi perché dici che quelle del libro sono solo per chi vuole essere un criminale da grande. E Edrik che sei la più brava a farci giocare a nascondino, anche se Simon si è arrabbiato perché secondo lui sei ancora squalificata a vita.» Lo sguardo di Lydia si perse su un gruppetto di bambini che fissava con gli occhi spalancati il Mangiafuoco.
«Pensavo che foste tutti spaventati da me. Mi piaceva essere il vostro terrore.» Il suo tentativo di umorismo non funzionò su Henry.
«Sei l’unica che ci fa ancora ridere. Gli altri sembrano tutti tristi. O arrabbiati.»
Lydia sfilò il bastoncino ormai vuoto dello zucchero filato dalla mano del bambino. «Vuoi sapere un segreto?» Henry annuì energicamente. «Anche io sono triste, e arrabbiata.» Era la pura e semplice verità.
Gli occhi di Henry si riempirono di lacrime. «È colpa nostra, vero?» chiese «Simon continua a dire che siete tutti arrabbiati perché non ci volete più tra i piedi. Che volete rimandarci a casa perché siete stanchi di noi. Lizzie dice che è uno stupido, ma ha ragione, no? Siamo troppi e facciamo sempre guai e…»
«Ehi!» provò a fermarlo Lydia, ma i timori di Henry erano troppo grandi per essere zittiti.
«Dice che è colpa di Matthew che continua a mettersi le dita nel naso, di Amelia per aver bagnato il letto, di Ewart perché piange tutte le sere, di Keira che è troppo piccola. Oggi ha detto che è colpa di Lizzie perché ha quasi bruciato la cucina, e poi ha detto che è colpa mia perché parlo troppo.»
«Era per questo che piangevi?»
Una lacrime scivolò sulla guancia di Henry. Strinse le labbra ed annuì.
«Oh, Henry.» Lydia gli prese il volto tra le mani «Simon ha detto solo tante cattiverie. Non è vero niente. Noi vi vogliamo ancora, e saremo felici di avervi con noi per tutto il tempo che servirà.»
«E allora perché siete tutti tristi?»
Lydia prese tempo prima di rispondere. «Siamo solo un po’ stanchi, tutto qui.»
In fondo era vero. Almeno in parte.
Henry rimase in silenzio, lo sguardo perso sulla gente che affollava il luna park.
«Sai che anche noi siamo stanchi?»
«Di dover stare sempre in casa?»
Henry annuì. «Sì. E anche dei dormitori, di dover stare tutti nella stessa stanza, delle lezioni, della pozione che ci date sempre.»
«Vorrei che potessimo fare le cose in modo diverso, Henry, ma non abbiamo abbastanza stanze per tutti voi, e le lezioni sono importanti. Dovete stare al passo con la scuola. E la pozione Anti-Traccia è inevitabile.»
«Ma è disgustosa!» Effettivamente nelle ultime settimane Lance aveva finito il colorante per Pozioni proprio come aveva predetto a Natale, quindi i bambini erano costretti, a settimane alterne, ad ingerire una pozione che sembrava fango messo ad essiccare in forno.
«Lo so.»
Henry scrollò le spalle. «Non importa. Il problema della pozione l’ho risolto. Ma vorrei avere una camera tutta mia, senza Mike che russa o Ewart che piange.»
Lydia si sistemò distrattamente la giacca. «In che senso risolta?»
«Che non la bevo più.» Lydia si paralizzò. «Ho provato ma mi ha fatto venire il mal di pancia! Allora quando Caitlin mi dà il bicchiere io la verso sempre nel vaso di nonna O’Brien, tanto nessuno vuole più romperlo. Lo sai che non si è rovinato nemmeno un po’? Ci siamo stancati e adesso proviamo a spostare l’ora sul pendolo di nonno O’Brien, quello magico, ma ogni volta lui ci fa la pernacchia e…» Ma non riuscì a proseguire oltre. Lydia gli aveva afferrato le spalle. La cicatrice spiccava sul suo volto pallido.
«Cosa vuol dire che non la bevi più?»
Henry la guardò senza capire. «Te l’ho detto. La verso nel vaso e…»
Lydia lo scrollò. «Da quanto non la bevi?!»
«L’ho buttata due volte.»
Due volte.
Un mese.
Henry era senza pozione Anti-Traccia da un mese.
La testa di Lydia si svuotò da ogni altro pensiero.
Un incantesimo. Bastava un solo incantesimo per essere rintracciati.
Ed improvvisamente, Lydia non era più lì.
Il parco giochi era deserto. Un’altalena cigolava sospinta da un caldo venticello estivo.
«Dobbiamo andarcene.» La sua voce era un sussurro.
«Ma non siamo ancora andati sulle montagne russe, e neanche nel labirinto degli specchi!» protestò immediatamente Henry. La mente di Lydia però era ormai lontana dal luna park, e tutto quello che riusciva a vedere era un vecchio parco giochi arrugginito.
I raggi del sole riflettevano sullo scivolo.
«Dobbiamo andare.» E senza lasciare ad Henry altro tempo per protestare, gli afferrò una mano appiccicosa e cominciò a spingerlo verso la stretta via che li avrebbe riportati all’università. O era meglio Smaterializzarsi subito? Lydia non riusciva a ragionare.
Un pettirosso cinguettava in lontananza. Nel corso degli anni, gli alberi erano cresciuti a dismisura, talmente tanto da donare finalmente un po’ di ombra al parco. E da essere la casa di diversi animali, constatò Lydia mentre un altro pettirosso rispondeva al richiamo del primo.
«Lydia!»
Un movimento alla loro destra attirò l’attenzione di Lydia. Una donna con un cappuccio calato a nasconderle il volto si faceva largo tra il gruppo di ragazzini che continuavano a spintonarsi. La mano di Lydia corse alla bacchetta.
Il parco era completamente deserto. Non c’era nessun altro, solo loro tre.
E poi la donna si sfilò il cappuccio e, ridendo, prese tra le braccia una bambina e la fece volteggiare nell’aria. Il sollievo di Lydia durò solo alcuni istanti. La donna non era un Mangiamorte, ma potevano essercene altri in agguato.
In fondo bastava un solo incantesimo.
«Quando mi avete detto che volevate trascinarmi in un posto speciale speravo si trattasse del mare. O di Londra» scherzò Lydia «Non di sicuro il parco giochi dove mi portavate da bambina.»
«Oh, Lydia, con noi puoi essere sincera. Lo sappiamo che era da anni che volevi tornare qui.»
Lydia sfiorò lo scivolo nero di ruggine. «Spiegatemi come ho fatto a non prendere il tetano in questo posto.» continuò con un sorriso «O forse era questo il vostro piano? Farmi fuori da bambina così da non essere più costretti a portarmi allo zoo ogni anno?»
La zia Maisie scoppiò a ridere. «Ci hai scoperti!»
Ci hanno scoperti, pensò terrorizzata Lydia. Gli uomini raggruppati al lato della strada non potevano essere altro che Mangiamorte. Li stavano aspettando per metterli in trappola. Dovevano avere dei complici alle loro spalle, pronti a bloccare ogni via di fuga. Uno di loro si tolse il cappello e fece un breve inchino al passaggio di una signora, la quale arrossì e corse da una sua amica ridacchiando.
«Lydia!»
«Lo sapevo!» esclamò Lydia puntando un dito accusatorio contro la zia. «Ed è anche il motivo per cui avete organizzato questo viaggio a sorpresa! Perché non siete riusciti a compiere i vostri piani malvagi quando ero bambina e ora volete terminare il vostro sporco lavoro!»
Il pettirosso cinguettò di nuovo, disturbato dal rumore. «Come hai potuto, zia Maisie!?» continuò Lydia, il tono esageratamente drammatico «E mi fidavo di te, zio Ryan!»
Suo zio sollevò le braccia. «Giuro che non lo sapevo, mi ha traviato con la promessa del gelato.»
Lydia superò di corsa il gruppetto di uomini, i quali non si accorsero neppure del loro passaggio. Lydia non si lasciò distrarre. La strada era ancora lunga.
«LYDIA!»
«CHE C’È!?» urlò Lydia.
«Mi fai male!» Lo sguardo di Lydia scese fino alla sua mano, stretta in una morsa ferrea attorno al polso di Henry, per poi salire fino al volto terrorizzato del bambino.
Ma non le importò. Se significava riportare Henry a casa sano e salvo allora lo avrebbe trascinato fino al punto di Materializzazione. E così fece, sorda di ogni sua protesta.
E continuò a stringergli la mano anche mentre attraversava in tutta fretta i cancelli di casa O’Brien, trascinandolo per l’intero giardino, e infine quando entrarono in casa e trovarono la famiglia O’Brien in sala, tutti con la medesima espressione agitata in volto.
«Lydia!»
«Dove siete stati?»
«Ci siamo preoccupati da morire!»
«Avreste potuto farvi uccidere!»
Solo in quel momento Lydia lasciò il polso di Henry, per afferrargli le spalle e costringerlo a guardarla.
«COSA TI È SALTATO IN MENTE!?» L’urlo di Lydia zittì tutti gli altri.
Un silenzio surreale calò sulla sala.
Henry la fissava ad occhi sgranati.
«Come hai potuto buttare la pozione?»
«Non volevo…» balbettò il bambino.
«Sai cosa sarebbe successo se avessero rintracciato la tua Traccia!?» Lydia era furiosa, e spaventata, e incapace di fermarsi. «Ti avrebbero ammazzato, Henry!»
«Lydia!»
Ma Lydia era troppo angosciata per riuscire a fermarsi.
«Un solo incantesimo!» La voce di Lydia si spezzò «Bastava un solo incantesimo…»
«Allora…» Lydia guardò con sospetto i suoi zii. «C’è un motivo in particolare per cui siamo qui o avevate solo nostalgia di questo posto abbandonato?» I suoi zii si scambiarono uno sguardo che confermò i suoi sospetti. Erano lì per una ragione. Zia Maisie aprì la sua borsetta ed estrasse un piccolo pacchetto regalo. «Abbiamo una sorpresa per te.»
«Henry non ha nessuna colpa! Sei tu l’adulta che lo ho portato fuori casa! Ewart vi ha visti uscire!» La signora O’Brien la separò dal bambino «Hai la minima idea di quello che hai combinato? Potevano scoprirvi, potevano catturare Henry! Potevano uccidervi!»
«E a voi sarebbe importato?» La risposta le uscì così naturale da far raggelare l’intera stanza.
Katherine fu la prima a parlare. «Henry sarà stanco, lo porto in camera.» Per la prima volta il bambino non protestò, lasciò che Katherine gli prendesse la mano e la seguì con le spalle basse fuori dalla stanza.
E Lydia si trovò da sola, circondata da persone infuriate e deluse dal suo comportamento. Avevano ragione ad esserlo, Lydia stessa avrebbe dovuto sentirsi in colpa, sia per il pericolo che aveva fatto correre ad Henry sia per il modo in cui si era appena rivolta a lui. E invece dentro di lei c’era solo il vuoto.
Il vuoto e il ricordo di una risata.
«Non è il mio compleanno.» disse Lydia, perplessa. Il pacchetto era chiuso da un semplice nastro rosso, nessun biglietto che potesse aiutarla a comprendere la ricorrenza.
Zio Ryan alzò gli occhi al cielo. «Perché voi Merlin siete sempre così sospettosi?»
«Perché siamo cresciuti con lo zio Michell e i suoi scherzi. L’ultima volta che mi ha dato un pacchetto regalo conteneva una rana che aveva trovato in giardino. E che mi si è infilata nel letto. Ho avuto gli incubi per settimane.»
«Non ha tutti i torti.» annuì zia Maisie.
«Ti prometto che non ci sono rane!» esclamò zio Ryan, esasperato. «Ora apri quel pacchetto, ti prego.»
Lydia, ancora sospettosa, iniziò a sfilare lentamente il nastro rosso.
«È stato un errore imperdonabile, Lydia.» La voce del signor O’Brien risuonò in lontananza. «Capisco che la nostra attuale situazione non sia delle più semplici, ma non per questo ti puoi permettere di mettere in pericolo i bambini, noi o te stessa.»
Il nastro si sfilò con facilità, rivelandone il contenuto.
Lydia sollevò il ciuccio. La catenella era composta da lettere dell’alfabeto che andavano a formare un nome.
Jack.
Lydia rimase completamente senza fiato.
«Cosa…?»
«Finalmente hanno approvato la nostra richiesta di adozione!» urlò zia Maisie, sollevando le braccia per stringerla con forza in un abbraccio «Da settimana prossima avrai un nuovo cuginetto!»
Lydia non riusciva a credere alle sue orecchie, ma la gioia dipinta sui volti dei suoi zii era inconfondibile. «Non ci posso credere!» esclamò, il cuore che si riempiva della medesima felicità. Ricambiò l’abbraccio della zia e corse a stringere anche suo zio. «Non ci posso credere!» continuava a ripetere.
«Neppure noi!» ridacchiò zio Ryan. «Avevamo ormai perso le speranze dopo così tanti anni.»
«Sono così felice per voi!» disse Lydia, stringendo al petto il piccolo ciuccio e tutto ciò che rappresentava.
«Mi stai almeno ascoltando!?»
No. Lydia non aveva compreso una singola parola pronunciata dal signor O’Brien, o da sua moglie. Come poteva sentirli quando la sua mente si era persa in un parco giochi abbandonato? Il rumore delle altalene che cigolavano e di quegli stupidi uccellini continuava a frastornarla. Scosse la testa. Ma il ricordo era ancora lì. Vivido. Vero. Doloroso.
«Scappate!»
Si rese conto di non riuscire a respirare. Un singolo rantolo uscì dalle sue labbra.
«Lydia, ti senti bene?» La voce di Duncan era gentile, in contrasto alle espressioni severe dei suoi genitori e al caos che si stava scatenando nella testa di Lydia.
«Vi prego… vi prego!»
«Lydia?» Solo in quel momento Lydia si accorse che c’era un’altra persona nella stanza. E la presenza di Lance fu l’ultima goccia che la fece scoppiare.
I singhiozzi iniziarono leggeri, poi sempre più forti fino a farla tremare, mentre le lacrime le inondavano il viso. Ma non le importava. Perché Lance le corse incontro e la strinse in un abbraccio in cui lei vi si perse. E che riuscì a rimettere in ordine i suoi pensieri.
Lance era lì. Non chiuso in laboratorio o fuori a rischiare la vita con Paul.
E lei non era in un parco giochi arrugginito.
«Mi dispiace…» singhiozzò sulla felpa di Lance.
Lui la strinse a sé.
«Eccola a fare di nuovo la vittima.»
«Sei un mostro!»
«Stai zitta, Caitlin.» ringhiò Lance.
Ma ormai era troppo tardi. La voce di Caitlin aveva fatto smarrire Lydia di nuovo nei suoi ricordi.
«Sono così contenta per voi!» stava ripetendo Lydia per l’ennesima volta. Lei e sua zia si erano sedute sulle altalene scricchiolanti, mentre suo zio aveva preferito accomodarsi su un cavallino di metallo. «Aspettate… l’avete già detto alla nonna?»
«Per l’amor del cielo, no!» rise la zia «Lo avrebbe spifferato a tutti! Sei la prima della famiglia a saperlo.»
«Non ci posso credere…»
Lo sguardo di Lydia si perse all’orizzonte. Erano anni che i suoi zii desideravano dei figli. Per ben due volte quel sogno sembrava sul punto di avverarsi, ma in entrambe le occasioni era finito nel peggiore dei modi. E poi la scintilla si era riaccesa con la decisione di adottare, tuttavia anche quella strada si era rivelata più impervia del previsto e i lunghi anni in attesa delle carte e dell’approvazione avevano messo a rischio di nuovo il loro sogno. Lydia non lo avrebbe mai ammesso ai suoi zii, ma aveva del tutto perso la speranza.
E invece eccola lì, si disse stringendo il ciuccio tra le mani, la realizzazione di tutte le loro preghiere.
Anche per Lydia rappresentava molto. La gioia che provava in quel momento era riuscita a distrarla dalla paura che la attanagliava ormai da un anno. Era una ventata di felicità in un’esistenza che per lei si era ridotta alla preoccupazione per il ritorno di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato. Forse era un segno. Di non lasciarsi guidare solo dalla paura, di ricordarsi che nella vita esistevano ancora i miracoli.
«Oh no!» Lydia si riscosse dai suoi pensieri. La zia si stava tastando il polso, scrutando freneticamente nell’erba sotto le altalene. «Ho perso il ciondolo del nonno!» esclamò, nella voce una punta di panico. Lo zio Ryan non perse tempo e cominciò a cercare il ciondolo dorato, e Lydia si affrettò a seguire il suo esempio.
«Non ti preoccupare, lo ritroveremo.» Dovevano ritrovarlo. Lydia sapeva quanto sua zia e sua nonna tenessero a quel bracciale.
Suo nonno aveva regalato quel ciondolo alla nonna tanti anni prima, alla stazione del treno che li aveva portati dalla Scozia all’Inghilterra. Era la sua promessa per l’inizio di una nuova vita, piena di felicità e amore. Il nonno aveva fatto di tutto per mantenere quella promessa, fino alla fine dei suoi giorni. E al matrimonio di zia Maisie e zio Ryan, la nonna aveva dato quello stesso braccialetto a sua figlia, con l’augurio che potesse regalarle tanta gioia quanta ne aveva donata a lei.
Era il ricordo più prezioso del nonno. Un regalo che, Lydia ne era sicura, zia Maisie aveva intenzione di donare al suo stesso figlio. A Jack.
Dovevano ritrovarlo. A qualunque costo.
Il sole stava ormai tramontando, ben presto sarebbe stato impossibile riuscire a scorgere qualcosa tra i ciuffi di erba incolta.
Lydia sfilò di nascosto la bacchetta dalla tasca. Voleva solo fare un regalo, per zia Maisie, per zio Ryan e il piccolo Jack.
I suoi zii però non conoscevano la sua vera identità, la nonna era l’unica della famiglia, insieme ai suoi genitori, a sapere che lei era una strega. Doveva prestare particolare attenzione, per questo motivo si voltò dalla parte opposta e bisbigliò con il tono di voce più basso che riuscì a produrre. «Accio braccialetto.»
Il ciondolo si sollevò da un punto imprecisato vicino all’ingresso del parco e sfrecciò nella sua mano. Fu semplice chinarsi e fingere di trovarlo.
«È qui!»
Zia Maisie corse da lei, gli occhi velati dalle lacrime di panico. «Oh, grazie, grazie, grazie!» Prese il ciondolo dalle sue mani come se fosse il tesoro più prezioso del mondo. E lo era per lei. «Grazie, Lydia, sei un angelo.» La strinse in un veloce abbraccio. «Ryan! L’ha trovato!»
Ma zio Ryan non la stava ascoltando. Era a pochi metri da loro, intento a guardare l’orizzonte.
Lydia seguì il suo sguardo. Non c’era nulla. Solo la macchina parcheggiata vicino all’ingresso e le distese infinite di campi. Poi un movimento attirò la sua attenzione. Delle ombre si addensavano a diversi metri dalla staccionata che delimitava il parco. Lydia strinse le palpebre per vedere meglio. E le ombre si voltarono nella loro direzione. Indossavano maschere d’argento.
I suoi polmoni si svuotarono.
Non era possibile. Non poteva essere. Non…
Le ombre si lanciarono verso di loro.
«Scappate!»
Lydia non sapeva come aveva fatto ad arrivare in camera sua.
Il presente si intrecciava con i ricordi del passato.
L’unica certezza era che Lance era lì.
Era lui. Non l’ombra di se stesso che era diventato nelle ultime settimane. Era Lance, il suo Lance, con la sua stupida ruga sulla fronte che gli compariva sempre quando era preoccupato, come stava accadendo proprio in quell’istante.
Lydia era seduta sul bordo del letto, con lo sguardo rivolto verso la finestra. Non che importasse, il buio aveva ammantato la foresta rendendo impossibile riuscire a distinguere qualsiasi cosa. C’era solo l’oscurità assoluta. E Lance seduto al suo fianco. Le stava dicendo qualcosa che Lydia non riusciva a comprendere, le parole soffocate dai singhiozzi e dalle lacrime che le scorrevano ancora sul volto, fuori dal suo controllo. Si sforzò e si concentrò sulla voce di Lance.
«Non sei costretta, se non vuoi.»
«Cosa?»
Lance le sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, scoprendole la cicatrice.
«Non sei costretta a raccontarmi cosa è successo, se non vuoi.»
Ed era sincero.
E fu per questo che Lydia iniziò a parlare.
Gli raccontò delle lacrime di Henry sulla scalinata, di come si era sentita in dovere di fare qualcosa per lui; del luna park, della scoperta della mancata assunzione della Pozione Anti-Traccia. E poi, per la prima volta nella sua vita, per Lydia fu naturale, anzi, essenziale continuare a raccontare, questa volta partendo dal principio, dal viaggio a sorpresa con i suoi zii all’inizio dell’estate di due anni prima, della fermata al parco giochi, e, mentre raccontava, la sua mente continuava a rivivere quei momenti che aveva cercato di soffocare troppo a lungo.
Erano troppi. Lydia lo sapeva.
Dovevano andarsene da lì.
I suoi zii non si fermarono a chiedere cosa stesse accadendo. Le ombre si stavano avvicinando al parco giochi, forme indistinte che sembravano uscite direttamente dai loro peggiori incubi. Lei e gli zii scattarono verso l’automobile, superando i giochi mentre il cielo si oscurava. Erano quasi arrivati.
Cinque metri. Quattro. Tre…
Zio Ryan spalancò la portiera del guidatore, le chiavi già pronte in mano. E poi un lampo passò sopra la testa di Lydia.
Riconobbe il colore dell’incantesimo.
«Giù!» fece per afferrare sua zia e spingerla via da lì, ma l’incantesimo fu più veloce. E la macchina esplose.
Lydia non capì cosa accadde negli istanti immediatamente successivi. Solo in seguito comprese che l’onda d’urto dell’esplosione l’aveva scaraventata a terra, a diversi metri dalla macchina in fiamme. Ma in quel momento il mondo era per lei solo un fischio, una visione appannata di fiamme alte fino al cielo e un intenso odore di bruciato che le provocò un conato di vomito. Doveva alzarsi. Lo sapeva. Ma ogni singola cellula del suo corpo la implorava di restare lì, immobile.
Sentì qualcun altro pregare. Una voce famigliare.
«Vi prego… vi prego…»
«Avada Kedavra!»
«No!» L’urlo di Lydia si perse nel vento.
Il lampo verde riverberò nei suoi occhi.
Vi erano altri istanti che mancavano nei suoi ricordi.
Non sapeva come aveva fatto ad alzarsi. L’unica consapevolezza era che l’istante successivo si trovava con la bacchetta stretta in mano e puntata contro le ombre che la circondavano.
Tremava e la bacchetta rischiava di scivolarle dalla presa. Era ancora frastornata per l’esplosione, una parte di lei continuava ad illudersi che si trattasse solo di un incubo, il peggiore, ma pur sempre un incubo. E invece loro erano lì, la circondavano, ed erano in troppi. Sapevano di esserlo. Ridevano. Le maschere calate sui loro volti non potevano nascondere il loro divertimento. E ai loro piedi…
«Zio…» La voce di Lydia si spezzò.
«Non ti preoccupare, sudicia Sangue Sporco. Molto presto la rivedrai.»
Il Mangiamorte sollevò la bacchetta dritta contro il volto di Lydia.
Poi un altro vuoto nella memoria di Lydia. Doveva essersi buttata dietro alla macchina in fiamme, un’azione guidata dall’istinto e che non aveva fatto altro che aumentare il divertimento dei suoi aguzzini. «Vuoi giocare a nascondino? E allora giochiamo.»
Lydia non riuscì più a parlare. L’angoscia le chiuse la gola, impedendole di respirare.
Aveva provato a nascondersi.
L’avevano trovata.
Aveva provato a scappare.
L’avevano bloccata.
Aveva provato a combattere.
Avevano riso di lei.
E avevano continuato a ridere mentre lei era a terra, chiedendo pietà. Se solo avesse potuto tornare indietro non lo avrebbe fatto, si sarebbe morsa la lingua a sangue pur di non farlo.
Ridevano anche mentre la torturavano, ebbri delle sue urla, impazienti di sentirle ancora e ancora.
I nervi di Lydia tremavano al ricordo della Maledizione Cruciatus che scorreva nelle sue vene, incendiando ogni singolo centimetro del suo corpo.
Lei urlava.
Loro ridevano.
E infine Lydia aveva implorato di morire.
Il suo più grande errore.
«Oh, no, Lydia, perché l’hai detto?» La voce che proveniva dalla maschera era gelida quanto l’anima a cui apparteneva. «Abbiamo fatto il voto di non sottometterci mai ai voleri dei Sangue Marcio. Cosa facciamo adesso, ragazzi?» E gli altri avevano davvero risposto, proponendo le più orribili torture, mentre Lydia tremava e singhiozzava, l’erba che le pungeva la schiena, il rumore delle altalene scricchiolanti ancora nelle orecchie.
Infine una risposta si era fatta largo tra le altre.
«Falle ricordare per sempre la nostra generosità.»
Il ricordo successivo era la maschera d’argento che si chinava su di lei, la bacchetta impugnata come un coltello, puntata sul suo viso.
Non riuscì a raccontare nulla di tutto quello.
Ma Lance meritava di sapere la verità. Lo guardò ed incrociò i suoi occhi, trovandoli intrisi di dolore. Lance le prese il volto tra le mani e con un dito accarezzò la sua cicatrice.
E Lydia capì che Lance aveva compreso, che non l’avrebbe costretta a dirlo ad alta voce.
«Sei al sicuro ora. Non sei sola, non dovrai esserlo mai più.»
Lydia si costrinse a respirare, e quando riuscì a parlare di nuovo, la sua voce era spezzata, ma piena di una forza che non pensava di poter avere. «Se ne sono andati.»
«Devi riposare, Lydia. Potrai raccontarmi quando starai meglio, se lo vorrai ancora.»
«Ma voglio farlo adesso.» lo interruppe Lydia. Lo voleva e lo doveva, non solo a Lance, ma anche a se stessa. Chiuse gli occhi per un istante e si costrinse a rimettere ordine nei suoi pensieri, a cercare di dare un senso a quello che voleva dire. «Dopo avermi fatto…» La sua voce si spezzò di nuovo. Si sfregò le mani sul volto e poi tentò nuovamente. «Se ne sono semplicemente andati. Non so se perché avevano portato a termine quello che volevano fare o per l’arrivo della polizia babbana.» Una volta iniziato a parlare, scoprì che diveniva più facile continuare. Parlare la aiutava a non perdersi nell’oscurità. «È stato un contadino ad accorgersi di cosa stesse accadendo. I campi attorno al parco appartenevano a lui, ha sentito le urla e visto la macchina in fiamme, ed ha chiamato i soccorsi. È arrivata la polizia, mi hanno raccolta da terra e hanno cercato di chiedermi cosa era successo. O almeno penso, non mi ricordo bene. So solo che a un certo punto sono comparse altre persone, hanno detto di essere un Dipartimento speciale o qualcosa del genere, ma io li ho riconosciuti subito: erano Auror. Era solo qualche giorno dopo che Tu-Sai-Chi era stato avvistato al Ministero, costringendo tutti a credere nel suo ritorno. L’allerta era massima e gli Auror erano pronti ad intervenire in casi di attacchi a Babbani o Nati Babbani, ma sono arrivati troppo tardi per noi. Non che si siano fatti molti problemi.» ricordò con una smorfia «Si sono limitati ad interrogarmi, e farmi le condoglianze per…» deglutì «E poi hanno semplicemente fatto sparire ogni traccia. Hanno modificato i ricordi di tutti coloro che erano intervenuti: il contadino, la polizia, tutti loro furono confusi a sufficienza da venir indotti a credere che si fosse trattato di un tragico incidente causato da problemi al motore della macchina. Una fatalità, non un omicidio. E poi gli Auror se ne sono andati, così, come se fosse successo qualcosa di poco importante. Come se l’assassinio di mio zio non valesse nemmeno un minuto del loro tempo.» Non ricordava cosa aveva provato in quel momento, quando aveva visto gli Auror andarsene, lasciandola in attesa dell’ambulanza babbana e in compagnia di persone che parlavano di cortocircuiti e batterie difettose. «Non so come ci sono arrivata, ma mi sono ritrovata in ospedale, con i medici che discutevano tra di loro mentre cercavano di ricucirmi.» Lydia fece scorrere l’indice sui bordi frastagliati della sua cicatrice «Ma una ferita causata da una Maledizione è ben diversa da un taglio normale, i dottori non riuscivano a spiegarsi come mai i punti si scioglievano ogni volta che venivano applicati. Papà ha provato a rivolgersi al San Mungo, ha dovuto sborsare un sacco di galeoni per far arrivare un Guaritore nell’ospedale in cui ero ricoverata, non che lui sia riuscito a fare tanto meglio dei medici babbani.» La sua cicatrice appariva ancora come se fosse stata appena inferta; nonostante gli anni trascorsi, era arrossata, profonda e spessa, il dolore aveva impiegato mesi a diminuire, e sarebbe rimasta così per sempre. «Ma almeno ha utilizzato un crine di Abraxan per i punti di sutura ed è riuscito a chiudermi la ferita.»
Lance continuava ad accarezzarle il braccio, il calore del suo tocco che scacciava il gelo dei ricordi e la aiutava a continuare a parlare.
«Sono stata dimessa in tempo per il funerale dello zio Ryan. Siamo andati a casa della nonna. Era lì che tutta la famiglia si era ritrovata prima di andare in chiesa per il funerale. C’erano tutti: lo zio Michell e la zia Leilah, i loro figli, anche lo zio Fergus, la zia Keitha e i miei cugini erano corsi lì dalla Scozia. Persino zio Ellar aveva lasciato l’università per restare vicino alla sua famiglia. E poi c’era la zia Maisie. Era la prima volta che la rivedevo dopo l’attacco. Era aggrappata alla nonna, piangeva, ma quando mi ha vista…» Lydia rabbrividì «È diventata furiosa. Ha iniziato a urlare; che non avevo nessun diritto di essere lì, che ero un pericolo, un’assassina, che era solo colpa mia. Che ero un mostro.» Lydia si tormentò le mani «Nessuno capiva. Tutta la mia famiglia ascoltava ma non riusciva a comprendere perché dovesse essere colpa mia, cosa mai potevo aver fatto. Io invece ho compreso subito. Ho scoperto che la zia è stata scaraventata verso l’ingresso del parco quando la macchina è esplosa, fuori dalla loro vista. Ha capito che ci stavano attaccando e… si è nascosta nei cespugli incolti, tra i rovi, e ha visto… ha visto i Mangiamorte, e tutto quanto: lo zio Ryan, loro che…» ‘Mi torturavano’ avrebbe dovuto dire. Non ci riuscì. «Avevo dato per scontato che quando gli Auror avevano cancellato la memoria a tutti i presenti al parco giochi, avessero fatto lo stesso anche alla zia. E invece la zia ha subito sospettato cosa stavano per farle, che volevano eliminare dalla sua mente la verità sulla morte dello zio, e così ha fatto finta di aver sempre saputo che ero una strega. Non so come mai gli Auror non abbiano insistito, o almeno controllato. Forse avevano ricevuto altre segnalazioni e avevano fretta, forse non gli importava. So solo che la zia è riuscita a tenere i suoi ricordi ed aveva assistito abbastanza da comprendere che i Mangiamorte volevano me, non loro. Che era colpa mia se si erano trovati coinvolti in un agguato. Che era colpa mia se lo zio era stato ucciso. Ed aveva ragione, non provare a negarlo.» Sapeva che Lance avrebbe subito provato a confutare le sue convinzioni, ma non aveva senso illudersi. I suoi zii si erano ritrovati nel posto sbagliato al momento sbagliato, o meglio, al suo fianco nell’istante in cui aveva compiuto un incantesimo. Lydia, nelle settimane successive all’aggressione, aveva pensato spesso a come avessero fatto a trovarla, ed aveva trovato la risposta in quel semplice incantesimo d’Appello pronunciato di fronte a due babbani. I Mangiamorte dovevano aver trovato il modo per intercettare la violazione dello Statuto di Segretezza prima del Ministero e localizzarla. Lydia riprese il suo racconto «Lei mi accusava e i miei parenti non capivano. Loro conoscevano la versione modificata dagli Auror: la macchina era esplosa per un guasto al motore, lo zio Ryan era rimasto ucciso nell’esplosione ed io ero stata colpita al viso da un pezzo di carrozzeria. Solo la nonna e i miei genitori sapevano la verità. Loro e la zia. E quello che aveva visto le era bastato per capire che io ero un mostro e anche la causa della distruzione della sua famiglia. Non aveva più suo marito, e Jack, il bambino che i miei zii avevano tanto desiderato, era stato affidato ad un’altra famiglia.»
«I miei genitori mi hanno riportata a casa, ed è stato un sollievo per me; non sopportavo gli sguardi della gente, la loro commiserazione, la loro pietà. È stato fin troppo semplice chiudermi in camera mia e fingere che il mondo non esistesse più. Sono stati i miei genitori a contattare Alice e raccontarle cosa era successo. Io non volevo… io…» Alzò brevemente lo sguardo verso Lance. Voleva che capisse, perché in fondo era quello il motivo per cui non aveva più risposto a nessuna delle sue lettere. Voleva spiegare, voleva scusarsi per tutte le parole che aveva rinchiuso nel suo cuore fino a quella notte. Ma le bastò quel semplice sguardo per comprendere che a Lance non servivano le sue scuse, lui capiva più di quanto avesse mai fatto nessun altro, e la stringeva dolcemente, come se il passato fosse ormai trascorso e non potesse più ferirli. E Lydia lo amò per questo.
 
 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 - La via del mare ***


Capitolo 28
La via del mare
 

Un raggio di sole si posò sulla guancia di Lydia, risvegliandola con il suo torpore. Sbatté le palpebre.
Ad ogni secondo che passava, gli eventi della sera prima tornavano ad affacciarsi nei suoi ricordi. Tutto quello che aveva fatto, tutto quello che aveva detto e confessato. Ogni cosa era ancora vivida nella sua mente, eppure nessun incubo aveva disturbato il suo sonno. Forse per il fatto che era troppo esausta, forse perché aveva già rivissuto i suoi demoni ed essi aveva deciso di non tormentarlo almeno per una notte; anche se sapeva che il vero motivo della sua nuova calma era lì accanto a lei.
Lance dormiva ancora. Era stata Lydia a chiedergli di restare, di non lasciarla da sola nel buio. E lui si era semplicemente sdraiato al suo fianco e le aveva accarezzato i capelli finché era crollata addormentata, con i singhiozzi che le spezzavano il respiro. Il braccio di Lance era ancora sul suo cuscino. Lydia si chinò e sfiorò la sua guancia con le labbra, facendo attenzione a non svegliarlo. E poi si lasciò ricadere sui cuscini. L’unico suo desiderio in quel momento era poter stare lì per l’eternità, nel limbo di un nuovo giorno, nell’attimo in cui non esisteva il prima o il dopo. Voleva dimenticarsi del mondo esterno, di quello che aveva fatto e detto. Per un istante valutò l’idea di stringersi ancora a Lance e fingere che il suo desiderio potesse realmente avverarsi. Ma sapeva di non poterselo concedere.
Aveva sbagliato, era inutile negarlo. Si era lasciata trascinare dalla rabbia e dalla solitudine con l’unico risultato di aver messo in pericolo la vita di Henry. Le si strinse lo stomaco al pensiero di quello che sarebbe potuto succedere. Per non parlare dello sguardo terrorizzato che il bambino le aveva rivolto mentre lo trascinava via dal luna park. Presa dal panico del momento non aveva compreso la realtà dei fatti: Henry era spaventato da lei, e Lydia non avrebbe mai potuto perdonarselo.
Doveva scusarsi, sia con lui che con i signori O’Brien. E doveva farlo da sola. Perché sapeva che Lance l’avrebbe difesa a qualsiasi costo, andando anche contro i suoi stessi genitori, e l’ultima cosa che Lydia voleva causare in quel momento era un altro litigio in famiglia. Non poteva permetterlo, non sarebbe stato giusto nei confronti di nessuno.
Il pensiero fu sufficiente a convincerla ad alzarsi dal letto. Prese la bacchetta dal comodino e il suo sguardo cadde sulla piuma appoggiata accanto ad essa. Fu un gesto istintuale per lei raccoglierla e nasconderla in tasca.
Si diresse in punta di piedi verso la porta e la aprì senza fare alcun rumore. Prima di uscire, si voltò un’ultima volta verso Lance. Il suo petto si alzava ed abbassava al ritmo del suo respiro, donandole con la sua stabilità la tranquillità necessaria per fare quello che doveva fare. Infine, con quella stessa calma, Lydia chiuse la porta e si avviò verso le sue responsabilità.
 
Il signor O’Brien la stava aspettando.
Lydia lo capì nel momento stesso in cui lo vide, in piedi, una mano dietro alla schiena e una sigaretta nell’altra, intento ad osservare l’alba del nuovo giorno.
Erano presenti solo loro due, il resto della casa era ancora avvolto nel silenzio.
«Henry ci ha raccontato della pozione Anti-Traccia.» Lydia non riuscì a leggere alcuna flessione emotiva nella sua voce. «Abbiamo provveduto a fargli assumere una nuova dose e controllare che nessun altro bambino abbia avuto la stessa idea.»
Lydia si fermò sull’ultimo scalino. Qualcosa le suggeriva di rimanere a distanza. «Come sta?»
«Scosso.» rispose il signor O’Brien, lo sguardo ancora perso all’orizzonte. «Ma si riprenderà.»
Lydia prese coraggio e scese l’ultimo gradino. «Mi dispiace, davvero. Sono stata una stupida, un’incosciente. Non avrei dovuto farlo e vi prometto che non capiterà più.»
«Anche io condivido una parte delle tue colpe, Lydia. Avrei dovuto capirlo prima…»
«Capire cosa?» chiese Lydia, esitante.
Il signor O’Brien si portò la sigaretta alla bocca e si decise infine a guardare Lydia negli occhi. Lei si trovò a desiderare che non l’avesse fatto. «Che sei stanca.»
«No…»
«Abbiamo preteso così tanto da te, mia cara, senza pensare a quanto tutto questo potesse pesare sulle tue spalle. Hai fatto un ottimo lavoro, ma hai bisogno di riposare.»
«No…» ripeté Lydia in un sussurro.
Il signor O’Brien le rivolse un accenno di sorriso. «È da troppo tempo che non vedi la tua famiglia.»
Non gli occorse aggiungere altro, Lydia aveva subito compreso cosa le stesse suggerendo. Non suggerendo, ordinando. ‘Non adesso’, pensò immediatamente Lydia. Non adesso che aveva ritrovato Lance, non adesso che doveva farsi perdonare da Henry.
Lydia superò di corsa gli ultimi metri che la separavano dal signor O’Brien. «Non mi faccia questo. Le ho detto che mi dispiace, sono sincera e farò tutto il possibile per dimostrarlo, per farmi perdonare. Ho commesso un errore, lo so, ma datemi una seconda possibilità, sarò migliore, sarò…» La sua voce si affievolì mentre il signor O’Brien le posava una mano sulla spalla. Una nuvola di fumo la avvolse.
«Sarà solo per un po’ di tempo. Meriti anche tu un periodo di riposo. Mi sono accertato io stesso che la casa di tua nonna sia circondata dai più potenti incantesimi di protezione, ormai è sicura quasi quanto la nostra, non correrai alcun rischio lì. E i tuoi genitori saranno preoccupati. Non oso immaginare il loro dolore nel dover vivere lontani da te in un periodo di guerra. Meritano anche loro di trascorrere del tempo con la loro unica figlia.»
Lydia capiva cosa stava cercando di fare il signor O’Brien. Stava mascherando la realtà, voleva far sembrare che si trattasse di una decisione condivisa quando la verità era che la stava cacciando di casa, senza possibilità di ribattere. E per farlo aveva deciso di far leva sui suoi genitori, che erano anche l’unico motivo che avrebbe potuto spingere Lydia a lasciare casa O’Brien.
Ma lei non stava pensando alla sua famiglia. Nei suoi pensieri vi erano solo Henry, Simon, Daniel, Beatrix, Lizzie, Ewart e tutti i bambini che le avevano colorato la vita negli ultimi mesi. Pensava a Duncan, Katherine. Lance.
«Non posso.» bisbigliò infine, gli occhi velati dalle lacrime.
Il volto del signor O’Brien divenne una maschera di ferro e Lydia ebbe la conferma che la decisione era già stata presa per lei. «Devi.»
Era già stato tutto stabilito. Era diventata l’ospite scomodo. E i signori O’Brien non avrebbero cambiato idea.
Lydia avrebbe voluto urlare, convincerli, pregarli, ma aveva deciso che non avrebbe mai più implorato nessun altro nella vita, qualunque fosse il costo che avrebbe dovuto pagare.
Prese un respiro e costrinse il suo cuore agitato a rallentare, a permetterle di resistere ancora per un po’. «Quando devo andare?» chiese, la sua voce fredda quanto quella del signor O’Brien.
«Prenditi pure il tempo per fare le valigie e salutare.»
Lydia ripensò a Lance, che riposava ancora nella sua camera, a quanto si sarebbe infuriato quando gli avrebbe riferito la notizia. Probabilmente avrebbe deciso di seguirla, e per un istante si permise di sperare. E se Lance avesse realmente preso la decisione di andare con lei a casa della nonna? Sarebbero tornati ad essere loro due contro chiunque si fosse messo sulla loro strada, e sarebbe stato più sopportabile lasciare casa O’Brien con Lance al suo fianco. Ma poi la dura realtà le ricordò che i signori O’Brien non l’avrebbero mai perdonata per questo, né loro, né Katherine e Duncan, e neppure i bambini. Era un’egoista a voler Lance tutto per sé quando lui poteva salvare molte più vite rimanendo con la sua famiglia. E Lydia era già stata accusata troppe volte di essere egoista, molte delle quali con valide ragioni. Non avrebbe ripetuto di nuovo gli stessi errori, anche se questo le sarebbe costato Lance.
«No. Vado subito.» si costrinse a rispondere.
Almeno era riuscita a stupire il signor O’Brien.
«La accompagno io.» Lydia non si sorprese della presenza improvvisa di Duncan, anzi, al contrario, la vista del ragazzo che usciva dalla cucina, indossando ancora gli abiti della sera prima, fu per lei un sollievo. Se proprio doveva andarsene voleva farlo il prima possibile, e allontanarsi dal signor O’Brien così da non cedere al suo istinto che continuava a urlarle di gettarsi in ginocchio ed implorarlo di lasciarla restare.
Il signor O’Brien annuì e Lydia si diresse verso l’atrio mordendosi il labbro per impedirsi di dire altro.
«Ricorda Lydia,» aggiunse infine il signor O’Brien. «È solo per un breve periodo. Poi saremo lieti di riaccoglierti tra noi.» Ma erano consapevoli entrambi che si trattava di parole intrise di menzogne.
 
Lydia non si voltò a guardare un’ultima volta casa O’Brien.
Perché aggiungere altro dolore oltre a quello che già pesava sul suo cuore? Prese il braccio di Duncan e lasciò che fosse lui a guidare la Materializzazione.
Si sentì persa nel momento stesso in cui si Materializzarono davanti alla casa di sua nonna. La villetta le era sempre stata famigliare, aveva passato lì la maggior parte delle vacanze estive e negli anni in cui aveva frequentato Hogwarts questo significava che viveva più tempo a casa di sua nonna che in quella dei genitori. Eppure in quel momento le sembrò completamente estranea. Nel profondo del suo cuore, sentiva che non era quello il posto in cui doveva trovarsi e provò subito nostalgia di casa O’Brien. Le alte e solide mura, le finestre che inondavano di luce il salotto, le risate dei bambini. La casa di sua nonna sembrava sbiadita in confronto. La solitudine, che tanto aveva cercato di allontanare nelle ultime settimane, si stava già impossessando di lei.
«Ci sediamo un attimo?»
Lydia accolse la richiesta di Duncan con sollievo.
Era successo tutto così velocemente. Aveva bisogno di fermarsi un istante, un secondo solo per cercare di capire cosa fosse successo ed accettare di essere tornata lì dove tutto era iniziato. Si accomodarono alla base dell’albero, protetti dalla piccola bolla da cui Lydia aveva osservato la sua famiglia innumerevoli volte nei mesi appena trascorsi. La casa era così silenziosa, così piccola in confronto a casa O’Brien.
«Quante cose sono cambiate in soli sette mesi.» Duncan si grattò pensieroso la barba. «Sono passato dal non volerti in casa mia ad essere sinceramente dispiaciuto nel vederti lasciarla.»
«Non voglio andarmene.» sbottò Lydia. La sua voce tremava, tradendo così tutto il dolore che stava provando, nonostante il suo tentativo di mascherarlo.
«Lo so… ma papà ha ragione. È necessario.»
Lydia era troppo esausta persino per arrabbiarsi. «E allora non fingere di dispiacerti.»
«Sono d’accordo che tu ti allontani, non altrettanto sul tempo che dovrai trascorrere lontano da noi. Direi che alcuni giorni soltanto potranno bastare.» Lydia gli lanciò un’occhiata di sottecchi, convinta che la stesse prendendo in giro. «Rivedere i tuoi genitori ti farà bene, Lydia, ne sono sicuro perché non so cosa avrei fatto se avessi dovuto trascorrere questi mesi di guerra lontano dai miei. Hai bisogno della tua famiglia più di quanto tu possa immaginare.»
Lydia posò la testa sul tronco dell’albero. «Sì, okay, ho capito. Lo fate per il mio bene. Non aspettatevi un ringraziamento.»
«Non è l’unico motivo per cui questa separazione potrebbe tornarci utile.» continuò Duncan «Se ti allontani da casa per un po’ e fingi così di accettare la tua punizione, io, Kate e Lance avremo più possibilità di convincere i miei genitori della bontà delle tue azioni e della necessità di un tuo ritorno.»
Una fiammella di speranza si accese nel cuore di Lydia. «Lo fareste davvero?»
«Io e Katherine ne abbiamo già parlato. Se tutto sta procedendo secondo i piani, Kate dovrebbe star perorando la tua causa con mio padre in questo stesso istante.»
«Perché lo fate? Non mi dovete niente, e pensavo che tu saresti stato sollevato nel vedermi andare via.»
Duncan le rivolse un sorrisetto. «Come ho già detto, è cambiato molto nel corso di questi ultimi mesi.»
«Grazie…» rispose Lydia con sincerità, e ancora leggermente sconcertata dalla piega che stava prendendo la conversazione. Chi mai si sarebbe aspettato che la sua unica fonte di speranza avrebbe potuto rivelarsi in Duncan O’Brien? Ma Lydia sapeva anche che la speranza stessa poteva diventare pericolosa. «Ma i tuoi genitori sono convinti della loro decisione.» aggiunse infatti, imponendosi di ricordare la realtà dei fatti «Per non parlare di Caitlin. Lei sarà di sicuro felicissima quando verrà a sapere che sono stata cacciata.» Non riuscì a trattenere una smorfia. 
«Non è cattiva, sai?»
«Me lo continuate a ripetere tutti.» borbottò Lydia.
«Perché è vero.» Duncan strappò un filo d’erba. «Solo che a volte lo dimentica anche lei.»
Lydia sbuffò.
«Sai, troppo spesso è più facile nascondersi dietro ad una maschera di rancore e prepotenza piuttosto che ammettere le proprie fragilità. E su questo, penso che anche tu possa convenire.»
Lydia rimase in silenzio.
«Siamo tutti cambiati.» continuò Duncan «E dobbiamo concedere la possibilità di farlo anche a mia sorella.» Sollevò il filo d’erba e lo lasciò andare. Lo stelo si alzò nell’aria, sospinto dal venticello leggero che li accarezzava, e si allontanò fluttuando verso le rose della nonna di Lydia.
«Come abbiamo fatto a cambiare così tanto senza neppure accorgercene?» Lydia non riusciva proprio a comprenderlo. Se ripensava alla persona che era quando aveva incontrato Lance sulla spiaggia e a quella che ora si trovava seduta all’ombra di un albero insieme a Duncan, le sembrava impossibile che si trattasse sempre di lei. 
«Perché i cambiamenti sono così. Noi tutti ci trasformiamo talmente lentamente da non rendercene conto nemmeno noi stessi, e quando finalmente ce ne accorgiamo, non riusciamo neanche a comprendere come abbiamo fatto ad essere le persone che eravamo.» rispose Duncan, lo sguardo ancora rivolto al filo d’erba impigliato nelle spine delle rose. «È un po’ quello che succede ai bambini. Crescono velocemente, eppure se li vedi giorno dopo giorno non te ne accorgi fino a quanto non ricordi che a Henry mancavano due denti quando è arrivato, Beatrix non sapeva ancora leggere o scrivere, Leonard era alto dieci centimetri in meno, Amelia non pronunciava neppure una parola e Keira non aveva ancora imparato a gattonare, e così via. Lo stesso vale per noi adulti. Pensa a me e Lance. Erano anni ormai che non ci rivolgevamo una parola cordiale. E adesso invece farei qualunque cosa per proteggerlo. Non c’è stato nessun momento di svolta, nessun tentativo cosciente di rendere le cose migliori.» Si voltò verso di lei con un sorrisetto ironico «Persino il vostro assurdo piano escogitato a Pandizenzero è stato una vera e propria catastrofe.»
Le orecchie di Lydia si infiammarono «Era un’idea di Kate!»
Duncan ridacchiò. «Se ripenso a cosa ci ha portati a riavvicinarsi mi vengono in mente solo le piccole cose. Il tempo trascorso con i bambini, le cioccolate calde quando loro andavano a letto, le partite in cui ci alleavamo per dimostrare che tu baravi.» Lydia fece finta di non sentire. «I tornei a scacchi, i pupazzi sventrati, le nostre uscite per comprare i regali per i bambini, le corse sotto la pioggia e la neve. E ancora le fughe da mamma e papà ogni volta che uno di noi combinava qualcosa, come quando mi hai trasformato in un riccio e ci siamo dovuti nascondere perché Lance rideva troppo per riuscire a pronunciare il contro-incantesimo.»
«Te l’ho già detto: non l’ho fatto apposta!» tentò di difendersi Lydia.
Gli occhi di Duncan lampeggiarono. «E non dovremo parlarne mai più.» la minacciò.
Lydia non riuscì ad impedirsi di sorridere. «Però eri un riccio veramente adorabile.»
Anche le labbra di Duncan si tirarono. «E poi tutto il tempo che abbiamo trascorso insieme, anche se in silenzio ed ognuno intento nelle proprie faccende. Potremmo fare un elenco infinito di momenti del genere, di gioia o di malinconia o più semplicemente di vita, eppure sono stati proprio questi a renderci chi siamo oggi. E nella maggior parte di essi ci sei anche tu. Anzi, sono convinto che non sarebbero neppure stati possibili senza la tua presenza. Non è un caso se i nostri rapporti sono iniziati a migliorare dopo il tuo arrivo, e la ragione è facile da comprendere. Quando ti sei unita a noi non mi fidavo di te, non proverò neppure a negarlo. Avevo paura che potessi combinare disastri o, peggio ancora, tradirci, e questo mi ha portato a controllarti, a seguirti ovunque. E dove c’eri tu, c’era anche Lance. Sei stata tu involontariamente ad imporci di trascorrere del tempo insieme, come non facevamo più da quanto eravamo bambini, e rendere possibile così tutti quei momenti di cui ti parlavo, fonte dei nostri minuscoli ma inesorabili cambiamenti, da cui non tornerei mai indietro. Tutto questo significa che ti devo molto, Lydia. E quindi sì, ti prometto che farò di tutto per convincere i miei genitori a farti tornare da noi.»
«E io intanto devo aspettare.» La casa della nonna era ancora silenziosa, avvolta nella dolce luce del sole appena sorto.
«Solo per un po’, il tempo necessario per cercare di far capire loro l’errore che hanno commesso.»
«E se non ci riusciste?» Eccola lì, la grande paura di Lydia, il motivo per cui continuava a lottare contro la speranza che cercava di sorgere dentro di lei come il sole che iniziava a scaldare il mondo.
«Ci proveremo, e se non ci riusciremo non cambia nulla.  Ti riporteremo comunque a casa e studieremo un’altra soluzione. E poi ricordati che siamo un Corvonero, un Tassorosso, un Serpeverde e un Grifondoro.» Duncan fece un sorriso sghembo «Insieme abbiamo tutti gli elementi giusti per trovare una soluzione.»
Lydia ricambiò il sorriso. «Sembra l’inizio di una pessima battuta.»
«O di una nuova parte della nostra vita. Una in cui impareremo a fidarci gli uni degli altri.» Duncan si alzò e si scrollò i pantaloni per togliersi la terra di dosso. Allungò una mano verso Lydia. «Ti chiedo solo questo, Lydia, di fidarti di noi. Sarò di ritorno tra tre giorni. Alla sera del terzo giorno mi troverai qui, pronto a riportarti a casa, se ancora lo vorrai.»
Lydia strinse la mano di Duncan e si lasciò risollevare da terra. «Allora ci vediamo tra tre giorni.»
«Sarai al sicuro, papà ha aggiunto tutte le difese possibili. Resta in casa e sarai protetta.»
Lydia annuì.
«Sono serio.» ripeté Duncan «Non mettere piede fuori dalla porta fino a quando non sarò di ritorno, hai capito?»
«Fortunatamente la mia capacità di comprensione funziona ancora a meraviglia.» All’occhiata di Duncan però, Lydia fu costretta ad aggiungere: «Ho capito: non uscire di casa in nessun caso, sarà fatto.» Fortunatamente fu abbastanza per convincere il ragazzo, che estrasse dalla tasca un piccolo ciondolo. Era una vecchia tazzina da tè scheggiata in miniatura, legata ad una collanina d’argento. «Paul era un folle, ma l’idea delle Passaporte d’emergenza era geniale. Kate ne ha preparata una per te, basta solo ingrandirla per attirarla. Se dovessi vedere qualcosa di strano, o avere anche solo un sentore di pericolo, prendi la tua famiglia ed attivala. Ti porterà ad uno dei rifugi, lì scatterà un sensore che ci avviserà del vostro arrivo. Saremo da voi in pochi secondi.»
«Va bene.» Lydia allungò la mano per afferrarla ma Duncan la sollevò fuori dalla sua portata. «Anche solo la sensazione di un pericolo. Promettilo.»
«E va bene…» sbuffò Lydia «Te lo prometto!» Duncan fece cadere la collanina sulla sua mano. Lydia la indossò e la nascose sotto la felpa. «Grazie… per tutto.»
Duncan le diede un buffetto sulla spalla. «Resta lontana dai guai, Merlin.»
Lydia sorrise. «Di solito sono i guai a cercare me.»
«Allora renditi invisibile.»
Era ora di andare, Lydia lo sapeva, ma doveva fare un’ultima cosa, qualcosa che prima di quel momento avrebbe considerato impensabile. E così abbracciò Duncan.
«Ci vediamo tra tre giorni.» le disse Duncan tra i capelli.
«A presto.» Lydia si staccò da lui e si voltò verso casa di sua nonna. Le luci della cucina si erano accese, accompagnate dal rumore delle stoviglie. «Dì a Lance che mi dispiace essermene andata così. Digli di non preoccuparsi, che tornerò presto a casa.»
«Lo farò.» Una folata di vento e Lydia era rimasta sola.
 
Un unico pensiero la aiutò a costringersi ad abbandonare la bolla protettiva e dirigersi verso la villetta di sua nonna: stava per riabbracciare la sua famiglia. Perché per quanto odiasse il pensiero di allontanarsi da casa O’Brien e da Lance, i suoi genitori e sua nonna le erano mancati immensamente. Per questo, non poté trattenere un sorriso mentre bussava rapidamente alla porta sul retro.
Sentì dei rumori all’interno, ma nessuno arrivò ad aprirle.
Bussò di nuovo. «Nonna? Sono io.»
La porta si spalancò di colpo. «Lydia?» Sua mamma la fissava come se si trovasse di fronte ad un fantasma, o ad un’allucinazione, ma impiegò solo qualche secondo per accorgersi che stava succedendo realmente, che era proprio sua figlia quella che le sorrideva dall’uscio. I suoi occhi si velarono di lacrime. «Lydia!»
Era tornata a casa. A questo pensò Lydia mentre sua madre scoppiava in lacrime di gioia e la stringeva a sé, e anche quando sua padre accorse alla porta, ancora in pigiama, gli occhiali da lettura storti sul naso, e, dopo un attimo di sbalordimento, si univa all’abbraccio.
Sono a casa, si ripeté Lydia.
Eppure non si era mai sentita così fuori posto in tutta la sua vita.
«Non sapevamo che saresti tornata!»
«Stai bene? Dimmi che stai bene.»
«Sono così sollevato nel vederti sana e salva…»
«Non posso crederci, non posso crederci!»
«Ci sei mancata così tanto.»
La trascinarono dentro, nella cucina che negli ultimi mesi era riuscita a vedere solo da lontano, senza mai avere il coraggio di varcarne la soglia. Era diversa da quella che aveva lasciato ad agosto: recava i segni della permanenza dei suoi genitori, ben riconoscibili dai disegni degli alunni di suo padre attaccati al frigorifero, la sfilza di caramelle gommose di cui sua madre era golosa, e dalle foto di loro tre sparse su ogni ripiano. Foto babbane, si accorse Lydia. E poi le fu impossibile vedere altro. Una nube di fumo e un forte odore di bruciato ammorbò la cucina e la madre di Lydia si staccò dalla sua mano per correre a spegnere il forno.
Suo padre scosse la testa, anche se neppure il rischio di incendio poteva incrinare la sua gioia nell’avere di nuovo la figlia al suo fianco. «Ho commesso l’errore di regalare a tua mamma un libro di ricette per Natale.» spiegò con un sorriso «Da quel giorno sta attentando alla nostra vita.» Prese una tovaglia e la sventolò per dissipare il fumo.
Lydia ridacchiò. Forse Duncan aveva avuto almeno un minimo di ragione. I suoi genitori le erano mancati più di quanto avesse potuto immaginare.
«Potresti tenere tua nonna fuori dalla cucina? Ci ha minacciati di cacciarci se avessimo combinato un altro guaio e non saprei come altro definire questa situazione.»
«Non ti preoccupare, papà. Ci penso io.» E con un’ultima risata, Lydia uscì dalla cucina.
Non dovette percorrere molta strada. Le bastò arrivare nel piccolo corridoio per vedere sua nonna scendere di corsa le scale, con un’agilità che Lydia le invidiò. Aprì la bocca per salutarla.
«Quei disgraziati!» Le narici di sua nonna fremevano «Li avevo avvisati di non avvicinarsi mai più al mio forno.» Lydia avrebbe voluto poter mentire per salvare i suoi genitori, ma il fumo si stava infiltrando nelle fessure della porta e stava iniziando a contaminare anche il piccolo corridoio. Sua nonna la superò a grandi passi e spalancò la porta della cucina prima che la nipote potesse fermarla. «Voi due! Allontanatevi subito da lì!» Poi finalmente, le lanciò un’occhiata da sopra la spalla «E comunque dopo mi devi spiegare cosa ci fai qui tu.» le disse prima di chiudersi la porta alla spalle e lasciarla da sola in corridoio.
Lydia si accorse di stare ancora sorridendo. In fondo quei tre giorni avrebbero potuto rivelarsi più piacevoli del previsto.
«Sei tornata.» E il piccolo momento di felicità era già terminato, ricordando a Lydia il motivo principale per cui aveva deciso di lasciare la casa di sua nonna e seguire Lance quella lontana sera di agosto.
Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e si voltò verso la figura che stava scendendo le scale.
«Ciao, zia Maisie.»
 
 



Note: Dal momento in cui l'ho scritto, ho considerato questo come il capitolo finale dell'arco narrativo di Duncan, quello in cui si mostra quanto sia cresciuto e come si sia evoluto il rapporto tra lui e Lydia nel corso dei mesi. Ed uno degli aspetti per me più importanti era mostrare un modo diverso di risoluzione dei conflitti, più semplice e naturale, non composto da grandi discorsi ma da semplici gesti. 

Grazie di cuore a tutti voi che state leggendo "Piume di Cenere", un abbraccio <3 

Emma Speranza

Ps: Buona settimana di Sanremo a tutti <3

 


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Capitolo 29
*** Capitolo 29 - Eimhir Morrison ***


A te, papà,
che sei sempre nel mio cuore

Capitolo 29
Eimhir Morrison
 

Fu strano, per Lydia, svegliarsi a casa di sua nonna.
Le sembrava tutto sbagliato. Prima di tutto l’aver dormito nel letto e non raggomitolata in un sacco a pelo, come succedeva sempre durante la tradizionale settimana di fine luglio in cui la famiglia Merlin al completo si presentava in quella stessa casa per poter trascorrere qualche giorno in compagnia. E infatti il secondo aspetto che stonava era proprio il silenzio assoluto che avvolgeva la stanza: Lydia era abituata ad essere costantemente circondata da zii o cugini con cui era ogni volta costretta a condividere la stanza.
Era tutto sbagliato.
Solo altri due giorni, fu l’unica consolazione che le fece trovare la forza di alzarsi dal letto, indossare dei vestiti recuperati da sua madre in qualche scatolone del trasloco di agosto, e scendere in cucina.
Il giorno precedente era passato relativamente tranquillo. I suoi genitori, sopraffatti dalla gioia, avevano chiamato i rispettivi datori di lavoro e si erano concessi una giornata di ferie per starle vicino. Lydia aveva sorriso e finto di essere felice del ritorno a casa. Come se il suo cuore non la stesse implorando di ignorare le direttive di Duncan e tornare subito a casa O’Brien.
In un certo senso, Lydia era grata a sua zia per averle ricordato il motivo per cui aveva deciso di lasciare la casa di sua nonna ad agosto, e per averla aiutata così a non soccombere alla nostalgia che l’aveva assalita rivedendo i suoi cari. Dopo quella frase gelida che le aveva rivolto sulle scale la mattina precedente, sua zia si era limitata a guardarla con disprezzo, voltarsi e rinchiudersi nella sua stanza, senza più uscirne. Lydia le era stata egoisticamente riconoscente. Ma sapeva anche che i tre giorni stabiliti da Duncan erano lunghi, e Lydia non avrebbe potuto sperare che la stessa sorte potesse ripetersi fino al momento della sua partenza. Doveva scendere ed affrontare sua zia, tenendo ben in mente che, qualsiasi cosa le avrebbe detto, Lydia se ne sarebbe tornata presto a casa O’Brien. Ma quale sarebbe stata la strategia più efficace? Confrontare zia Maisie o rimanere in silenzio, sperando di poter sopravvivere alle torture che aveva sicuramente in serbo per lei?
Quanto avrebbe voluto chiedere un consiglio a Lance. Ma lui era lontano. Anzi, peggio ancora, Lydia lo aveva lasciato senza nemmeno una spiegazione o un saluto. Sperò ardentemente che Duncan e Katherine avessero mantenuto la promessa spiegando anche a Lance il motivo per cui era stata costretta a lasciare casa O’Brien per qualche giorno.
Tali pensieri la accompagnarono nel breve tratto che separava la sua camera dalla cucina. Quando vi entrò, scoprì che anche i suoi genitori e sua nonna erano già scesi.
«Buongiorno, cara!» esclamò sua mamma appena la vide varcare la soglia.
«Buongiorno Lydia!» continuò suo padre, con un sorriso tutto denti stampato in volto. «Vieni, vieni! Non sapevamo cosa volevi per colazione quindi ti abbiamo preparato un po’ di tutto.»
E quando diceva ‘un po’ di tutto’ intendeva realmente tutto. I fornelli della cucina straripavano di padelle e la tavola era stata bandita per un esercito, nel servizio di porcellana delle occasioni speciali.
Salsiccia, uova, bacon, french toast, pudding e poi brioche, biscotti, fette biscottate e succhi di cinque gusti diversi.
Presa dallo stupore, Lydia si sedette in silenzio davanti al piatto che suo padre le aveva preparato, traboccante di cibo.
«Allora, oggi cosa vuoi fare?» Suo padre parlava a raffica, le parole che inciampavano tra di loro.
«Potremmo fare qualcosa tutti insieme!» esclamò con eccessivo entusiasmo sua madre.
Lydia si voltò perplessa verso la nonna, l’unica che era rimasta imperturbata dal suo arrivo, e scoprì così che era intenta a lanciare occhiate minacciose verso i suoi genitori da sopra la tazza di tè che stringeva tra le mani. 
«Potremmo fare un giro per negozi! Sei tornata senza valigia ed erano pochi i vestiti che hai lasciato nelle nostre borse ad agosto. Ti serviranno abiti nuovi.» continuò sua madre, versando dei frutti di bosco nel piatto di Lydia, il quale era talmente pieno, che i frutti schizzarono in tutte le direzioni.
«E potremmo prenderci un gelato!» replicò immediatamente suo padre, un padellino per il tè in una mano ed una caffettiera nell’altra.
«O se preferisci possiamo stare in casa.»
«Giusto. Giornata film e divano.»
«E pop corn. Non dimenticare i pop corn!»
«E potremmo ordinare la pizza!»
«Ha aperto una nuova pizzeria vicino al mio ufficio, dovrei avere il dépliant in borsa.»
Lydia mise una mano sul piatto per impedire al padre di versare inavvertitamente il caffè sul suo cibo. «Okay, cosa sta succedendo?» chiese, sospettosa.
«Nulla cara. Siamo contenti del tuo ritorno, tutto qui. È solo che non ce lo aspettavamo, sai? E quindi non abbiamo organizzato niente per festeggiare, ma dobbiamo assolutamente farlo, così stavamo pensando a come rendere questo giorno speciale. Ma se hai qualche proposta saremo lieti di sentirla! Tutto ciò che vuoi.» In quel momento suo padre, con la parlata veloce e le parole masticate, assomigliava dolorosamente troppo ad Henry. Soprattutto, a quando il bambino tentava di nasconderle un segreto.
«Prima però dovresti mangiare almeno un boccone, guarda, hai ancora il piatto pieno!»
Lydia abbassò lo sguardo sulla minacciosa montagna di cibo di fronte a lei, e fu sul punto di rispondere che non sarebbe stata in grado di mangiare tutto neanche in una giornata intera, prima di essere interrotta nuovamente dalla madre.
«È per il bacon? L’ho detto a tuo padre che stava strinando ma lui non mi ascolta mai.»
«Mi sono solo distratto a cercare Werbley. Questa mattina non è ancora rientrato.»
«Quel gufo si sta rimbambendo con l’aria di mare! È la quinta volta in un mese che si perde per strada!»
«È solo un po’ spaesato.» lo difese suo padre.
«Come il suo padrone.» sbuffò sua madre.
«Cosa vuoi insinuare?»
«Che anche tu ti sei perso innumerevoli volte da quando ci siamo trasferiti.»
«Le stradine di questo paesino sono infide. Tutti sensi unici e mai nessuno che ti dia delle informazioni precise!»
«Ma tu sei cresciuto qua!»
«E infatti mi perdevo sempre anche da bambino!»
La mamma di Lydia alzò gli occhi al cielo, e poi si rivolse nuovamente alla figlia. «E comunque c’è tanto altro che puoi mangiare. I toast li ho preparati io, proprio come piacciono a te.»
«Ho trovato!» esclamò suo padre «Oggi maratona di serie tv e partita a monopoly.»
SBAM.
La nonna di Lydia sbatté la tazzina di tè sul tavolo, generando un’onda d’urto che fece rovesciare metà bevanda sulla tovaglia, l’altra metà sui muffin e con l’effetto di far sobbalzare gli altri commensali.
«Adesso basta!» Un cipiglio deciso le aggrottava le sopracciglia. «Non farete nulla di tutto questo. Aidan, Amanda, oggi andrete al lavoro come tutti gli altri giorni. Vostra figlia è adulta e responsabile, non ha bisogno di essere viziata e coccolata da voi. E basta anche con questa sceneggiata.» La nonna si voltò verso Lydia. «Tua zia ha deciso di tornare a vivere a casa sua. È partita questa mattina all’alba e non tornerà.» disse brutalmente, per poi voltarsi di nuovo verso i genitori di Lydia. «Ecco fatto. Ci voleva tanto a dirglielo? Dovevate per forza svuotare la mia dispensa?»
Per Lydia fu difficile concentrarsi sul resto delle parole di sua nonna.
Sua zia se ne era andata. Lydia fu travolta dal sollievo, immediatamente seguito dal senso di colpa, sia per il conforto che aveva provato alla notizia, sia per la consapevolezza che zia Maisie era stata costretta ad andarsene pur di non vivere sotto il suo stesso tetto.
Fu proprio perché avvolta in quei pensieri che si accorse a stento dei suoi genitori che la salutavano ed uscivano dalla cucina, diretti ai rispettivi lavori.
Il silenzio tornò a calare sulla casa una volta che lei e sua nonna rimasero da sole. Un silenzio che Lydia si sentì in dovere di colmare. 
«Mi dispiace che si sia sentita costretta ad andarsene.» Si alzò da tavola, senza aver toccato nulla del cibo che i suoi genitori le avevano preparato con tanto impegno. Raccolse i piatti ed alcune delle miriadi di padelle sporche e le immerse nel lavello.
«Non mentirmi, Lydia.»     
Lydia decise di accontentarla. «Sono sollevata, ma questo non significa che io ne sia felice.» Immerse le mani nell’acqua piena di detersivo. «Avrei preferito che fosse ancora qui. La vecchia zia Masie, intendo. Quella che mi portava allo zoo e mi regalava le caramelle di nascosto.» Era più semplice parlare con lo sguardo rivolto al lavandino. Prese un piatto ed iniziò a sfregarlo con la spugna. «Vorrei solo… Vorrei che tutto tornasse come prima.»
Sua nonna rimase inflessibile. «Ma non capiterà mai, e prima lo accetti, prima riuscirai a tornare ad una vita almeno in parvenza normale.»
Lydia appoggiò il piatto pulito nel lavello vuoto. «Sembra impossibile.»
Il tono di sua nonna si ammorbidì. «È lo stesso suggerimento che ho dato a tua zia, e la stessa risposta che mi ha detto lei.»
«Mi odia.» sputò tra i denti Lydia. Non aveva mai affrontato il discorso con nessuno della sua famiglia, specialmente con sua nonna, ma qualcosa era cambiato dentro di lei la sera del luna park. E non sarebbe più tornata indietro. «Hanno ucciso suo marito per causa mia. E non dire che non è vero.» si affrettò ad aggiungere «Erano Mangiamorte, o i loro seguaci, in ogni caso non avrebbero mai colpito gli zii se io non fossi stata con loro, se non avessi lanciato quello stupido incantesimo. Quindi sì, al contrario di quello che tutti continuano a ripetere, è colpa mia se zio Ryan è morto. Se zia Maisie mi considera un mostro.»
«Ho provato a farla ragionare. Ovviamente non mi ha dato ascolto. Sembra che considerare mostri coloro che hanno la magia nelle loro vene sia una prerogativa di questa famiglia.» Lydia si voltò di scatto a guardare sua nonna. Stava ancora sorseggiando la sua tazza di tè, ma un luccichio si era acceso nei suoi occhi. «Non guardarmi come un pesce lesso, bambina mia. Sai perfettamente a chi mi riferisco.»
No, Lydia non lo sapeva. O meglio, non del tutto.
Perché nessuno in casa Merlin parlava di Eimhir Morrison.
Lydia aveva sentito il suo nome solo tre volte in tutta la sua vita.
La prima al suo quinto compleanno, quando sua nonna aveva dichiarato che assomigliava sempre più ad Eimhir.
La seconda, da piccola, il giorno in cui aveva trovato un vecchio album fotografico dal quale era scivolata la foto di una bambina dai capelli rossi. Sua nonna le aveva strappato la foto dalle mani, ma quando Lydia aveva insistito per sapere di chi si trattasse, era stata costretta a confessare il nome di Eimhir.
La terza volta a Natale, durante il suo primo anno ad Hogwarts. Al pranzo di famiglia tutti non avevano fatto altro che chiederle se si era ambientata nel nuovo collegio che stava frequentando, se le lezioni erano particolarmente difficili e se si trovava bene con i suoi compagni. E poi sua nonna l’aveva guardata e con tono severo le aveva chiesto: «Allora, perché non mi hai mai scritto? Ad Hogwarts non usano più i gufi? Eimhir mi spediva una lettera ogni mattina.»
Era stato così che aveva scoperto che anche la sorella di sua nonna aveva frequentato Hogwarts, e che alla fine non era l’unica della famiglia a possedere la magia. E quel giorno stesso aveva anche compreso che anni prima, quando sua nonna le aveva strappato la foto di Eimhir dalle mani, era stato solo per impedirle di notare che si muoveva.
Da quel momento in poi, però, era regnato il silenzio. Lydia aveva cercato in tutti i modi di farsi raccontare di più su di lei, ma la nonna si era rifiutata di dirle altro.
Fu questo il principale motivo per cui rimase esterrefatta quando la nonna, la tazzina di tè ancora stretta tra le mani, iniziò a raccontare.
«Eimhir è sempre stata una bambina speciale.» La nonna teneva lo sguardo puntato nei suoi occhi, come se fosse di fondamentale importanza che Lydia ascoltasse con attenzione «Solo che né io né i miei genitori avevamo compreso quanto. Siamo nati e cresciuti in Scozia, come ben sai, mio papà era un umile pescatore come suo padre prima di lui, mia mamma si occupava di noi figlie e vendeva ricami alle famiglie ricche, ma nonostante questo, di cibo in tavola ce ne era sempre troppo poco. Innumerevoli sere siamo andati a dormire con i morsi della fame a tenerci compagnia. Non avevamo molto, ma l’amore… l’amore era infinito. La nostra casa sarà stata anche una catapecchia, ma la presenza della mia famiglia la rendeva ai miei occhi una reggia più bella di quelle dei ricchi per cui lavorava mia madre. Io e mia sorella avevamo più di dieci anni di differenza, tanto che, quando ha ricevuto la sua lettera per Hogwarts, io mi ero appena sposata con tuo nonno. È stata l’esperienza più bizzarra che mi sia mai capitata in vita mia: ero a casa dei miei per festeggiare il compleanno di Eimhir, e ricordo il gufo che picchiettava impaziente alla nostra finestra e noi dentro a guardarlo straniti. È stata mia sorella ad aprire, e poi, non sono fiera di me stessa a raccontarlo, io l’ho inseguito con la scopa per tutta casa. Cosa ci fai ancora lì in piedi? Siediti!» ordinò improvvisamente la nonna, picchiettando con una mano sulla sedia accanto alla sua.
Lydia si riscosse, richiuse la bocca ed estrasse le mani dall’acqua ormai fredda. Si asciugò frettolosamente con uno strofinaccio e si sedette prima che sua nonna potesse rimproverarla nuovamente, o cambiare idea e non proseguire con la sua storia.
Fortunatamente la nonna annuì e riprese a raccontare. «Alla fine scoprimmo la verità. Che mia sorella possedeva dei poteri magici e che aveva la possibilità di frequentare una vera e propria scuola di magia. Inizialmente ero scettica, è stato solo con l’arrivo dell’impiegato del Ministero che ho accettato la realtà, anche se faticosamente, lo ammetto, ma era ormai inutile negare l’esistenza di un mondo che era stato precluso ai nostri occhi fino a quell’istante. Non per questo ero entusiasta all’idea di lasciar frequentare alla mia adorata sorella una scuola chissà dove in cui le avrebbero insegnato chissà cosa. Ma poi ho valutato la situazione in ogni suo aspetto, e mi sono resa conto della dura verità: era un’occasione che non potevamo rifiutare. Avrebbe offerto a mia sorella la possibilità di trovare un luogo caldo e sicuro in cui abitare, dove non avrebbe più dovuto andare a letto affamata o vivere al freddo, senza legna per scaldarsi. Oltre al fatto che avrebbe ricevuto la migliore istruzione magica al mondo, o almeno così ci aveva riferito l’impiegato del Ministero. Non posso dire che sia stata una decisione semplice da prendere. Amavo mia sorella con tutto il cuore e il pensiero di doverci separare per così tanti mesi era un dolore immenso per me, ma era il suo destino, di questo ne ero certa, e mi ripromisi che non avrei fatto nulla che avrebbe potuto ostacolarla. Se già per me era stata una consapevolezza raggiunta a fatica, per i miei genitori fu molto peggio.» Il viso della nonna si adombrò «Devi capire che loro erano di un’altra mentalità. Erano religiosi convinti, così come lo sono io, ma nella mia fede la convivenza tra Dio e magia è possibile. Nel loro credo invece, non c’era spazio per il sovrannaturale, e per questo non accettarono il fatto che la loro amata figlia fosse una strega. Ai loro occhi le magie che Eimhir riusciva a compiere erano opera del demonio. E proprio in nome dell’immenso amore che provavano per Eimhir, cercarono in tutti i modi di salvare la sua anima. Contattarono parroci ed esperti, sottoposero mia sorella a pratiche per esorcizzare quel male che in molti della tua specie considerano un dono. Come ti ho già detto, quando scoprimmo la verità vivevo con tuo nonno, a pochi chilometri di distanza da loro, non tanti, ma abbastanza da non vedere quello che stavano facendo a mia sorella fino a quando, una sera d’estate, lei stessa arrivò a bussare alla mia porta. Era in lacrime; la mia piccola sorellina di undici anni era a piedi scalzi, incrostata di fango, con il fumo dell’incenso che impregnava i suoi abiti. Era disperata.  Mi disse che avrebbe rifiutato il posto ad Hogwarts, mi assicurò che avrebbe soffocato la sua magia a qualsiasi costo, e infine mi chiese se potevo parlare con mamma e papà per convincerli della sincerità delle sue parole. Ma Eimhir non avrebbe mai fatto nulla di tutto questo, non sotto la mia sorveglianza. La accolsi in casa mia e usai tutti i miei risparmi per accompagnarla io stessa in quella città - come la chiamate voi? Dragon Valley? – ad acquistare il materiale scolastico. Ero presente quando ha comprato la bacchetta, i libri, il suo gufo. Spesi tutti i pochi soldi che ero riuscita a mettere da parte fino a quel momento, ma ne fui ben ripagata: non avevo mai visto mia sorella così felice in tutta la sua vita. Il giorno successivo è salita sul treno diretto ad Hogwarts, e io sono tornata a casa.  Avevo un’idea. Credevo, o forse speravo, che nei mesi che ci separavano dalle vacanze estive sarei riuscita a convincere i miei genitori che Eimhir era ancora la stessa bambina che avevano amato. Mi sono avviata verso la casa della mia infanzia con questa unica intenzione. Di aprire loro gli occhi, di accorgersi che se questa era la strada che il Nostro Signore aveva in serbo per mia sorella, allora anche loro non potevano fare altro che affidarsi alla Gloria di Dio ed accettare la Sua Volontà. Ma quando sono arrivata, ho visto i miei genitori nel prato. Stavano bruciando tutti i ricordi di Eimhir. I suoi vestiti, i suoi disegni, i quaderni, il piccolo ritratto che la raffigurava, persino i mobili della sua stanza. Tutto. Bruciarono tutto. Tentai di fermarli. Non mi ascoltarono, mi dissero che era necessario, per eliminare ogni traccia di maligno dalla loro casa e così purificarla, e allora compresi che non avrei potuto fare niente per cambiare le loro convinzioni. La mia famiglia era rimasta accecata dal suo stesso amore, ed era ormai perduta. E così io e tuo nonno decidemmo che era arrivato il momento di iniziare una nuova vita. In Scozia non c’era più niente per noi. Una settimana dopo eravamo su un treno diretti in Inghilterra, pronti a ricominciare. Non avevamo nulla, solo tanto amore e determinazione, e fu proprio con essi che riuscimmo a costruire le fondamenta della nostra nuova vita. Ricordo un appartamento che in realtà era una stanza minuscola infestata dai ratti, e poi le sere in cui andammo a letto digiuni, in cui ci stringevamo per impedirci di congelare. Tuo nonno trovò lavoro come contabile in una società ferroviaria, io come aiuto sarta in un piccolo negozio vicino a casa. A Natale pregai Eimhir di rimanere a scuola, dove almeno le era garantito un pasto caldo ogni giorno. Quando terminò il primo anno invece, potei finalmente accoglierla nel nostro nuovo appartamento. Non le avrei mai permesso di tornare a casa dai nostri genitori. Trascorse le vacanze con noi, così come fece anche negli anni a seguire. E intanto la mia famiglia cresceva, nacquero i tuoi zii e tuo padre, e tuo nonno ebbe diverse promozioni che ci permisero infine di costruire questa casa. Un luogo dove far crescere i nostri figli e nel quale mia sorella avrebbe potuto sentirsi accettata e al sicuro.»
«Ha vissuto qui con voi?»
La nonna scosse la testa. «Gliel’ho proposto, ma una volta diplomata ha trovato la sua strada. Voleva diventare un’infermiera nel vostro ospedale - come è che si chiama?»
«San Mungo.»
«Sì! San Fungo, proprio quello. Devi capire che mia sorella era tutto quello che io non ero. Aveva un cuore d’oro, una bontà senza confini, aiutare il prossimo la rendeva felice, completa. Si è trasferita a Londra ed ha lavorato lì per tanti anni.»
Lydia si chinò verso sua nonna. «Cosa le è successo? Perché non me ne hai mai parlato?»
«Abbi un attimo di pazienza, bambina mia.» la rimproverò la nonna. Poi sospirò. «Mia sorella non mi raccontava molto del mondo magico, o meglio, diceva che andava tutto bene, ma io capivo quando mentiva. Un giorno la costrinsi a dirmi la verità. Ovviamente mi raccontò solo qualche sprazzo, ma tanto bastò per farmi capire che la situazione era meno rosea di quanto mi avesse voluto far credere fino a quel momento. Compresi che vi erano degli scontri, ma non mi volle dire nient’altro, disse solo che era una situazione passeggera, che presto il responsabile di tutto ciò sarebbe stato catturato. Una sera della primavera successiva, Eimhir si presentò alla porta di questa stessa casa. Era ricoperta di sangue non suo, piangeva, era distrutta. Mentre la pulivo, mi rivelò infine la verità. Della guerra, del Signore Oscuro che stava terrorizzando il mondo magico; e mi raccontò che il giorno precedente era stato compiuto un attentato a Diagon Alley. All’ospedale erano arrivate decine se non centinaia di feriti, e di morti.»
Lydia deglutì.
«Mia sorella e i suoi colleghi avevano curato, medicato e accompagnato nei loro ultimi attimi di vita innumerevoli maghi e streghe; avevano lavorato ininterrottamente giorno e notte per prendersi cura di ogni ferito.» La nonna si sfregò la fronte «Io la implorai di lasciare il lavoro, di venire a vivere con noi e dimenticare il mondo magico. Arrivammo persino a litigare perché lei si rifiutava. Mi disse che anche i babbani stavano cominciando ad essere colpiti, che lei non era una grande guerriera, che di duelli non se ne intendeva, ma era brava come Guaritrice e se poteva contribuire nella guerra facendo almeno quello, allora l’avrebbe fatto. Che non si sarebbe tirata indietro. Anzi, mi disse che da quel momento in poi non sarebbe tornata a casa da noi fino alla fine della guerra, disse che era pericoloso per noi avere dei contatti con una come lei. Compresi che non sarei riuscita a fermarla.»
La nonna fu scossa da un brivido.
«Non sei obbligata a raccontarmelo, nonna.» le disse Lydia con dolcezza.
«No!» La nonna raddrizzò la schiena, ritrovando il suo cipiglio deciso «Ormai ho deciso. Devi sapere. Qualche mese dopo ricevetti un gufo. Era ben diverso da quello di mia sorella. Portava un messaggio. ‘Con cordoglio la informiamo che la signorina Eimhir Morrison è deceduta in data cinque maggio.’ Non sono neanche venuti a dirmelo di persona. Ne ho scoperto dopo il motivo: c’erano troppi morti, troppe condoglianze da estendere, troppe famiglie da informare. Sul telegramma vi erano scritte solo le indicazioni che mi avrebbero permesso di recarmi al Ministero per il riconoscimento della salma, tutto qui. Mia sorella era morta e loro mi hanno semplicemente fatto firmare alcune carte per riportarla a casa. Neanche una spiegazione su come era successo. Nulla. Per loro ero una semplice babbana, avevano persone più importanti con cui parlare, famiglie dal sangue puro da consolare.» disse con sprezzo «Nella sala d’attesa era però presente un altro uomo. Era distrutto, mi disse di essere il marito di una collega di Eimhir. Fu lui a raccontarmi tutto. Mi disse che Eimhir si era unita ad una squadra speciale di soccorso. Lei e i suoi colleghi venivano chiamati e si recavano sul posto degli attentati per prestare il primo soccorso. Quel maledetto cinque maggio vennero contattati per un agguato a York. Vi trovarono decine di feriti per un’esplosione causata dallo scoppio di una tubatura sotterranea. Era una trappola. I Mangiamorte li hanno circondati e uccisi prima che potessero anche solo pensare di difendersi.» Una lacrime di dolore e rabbia sfuggì al controllo della nonna «Era stato uno stratagemma per lanciare un messaggio a tutti coloro che resistevano ancora al Signore Oscuro. Che presto nessuno sarebbe più stato lì ad aiutarli. Mia sorella era stata uccisa per fare propaganda.»
La nonna si asciugò velocemente la lacrime solitaria. «Mi riconsegnarono il corpo di mia sorella per i funerali. Chiesi loro di avere la sua bacchetta, mi risposero che non era possibile. I babbani come me non potevano possedere una bacchetta magica, neanche della loro sorella trucidata per un’inutile guerra. Mi infuriai, li minacciai, ma loro si limitarono a costringermi con la magia ad uscire dal Ministero, da vigliacchi quali erano, e da quel giorno non sono più riuscita a rientrarci. E allora sono andata nell’appartamento di mia sorella. Volevo solamente avere qualcosa che mi ricordasse di lei.» Le narici della nonna fremettero «Quando sono arrivata l’ho trovato completamente svuotato. Non c’era più niente, non le lettere, i libri di scuola, neanche la scacchiera magica che le avevo regalato per il diploma. Solo un foglio attaccato alla porta e intestato al Ministero della Magia. Un ordine di sequestro per mancanza di eredi magici. Si erano presi ogni cosa. Non avevano avuto il tempo per informarmi di persona della morte di mia sorella ma a sufficienza per razziare il suo appartamento.» Lydia non stentava a crederci. In fondo era lo stesso Ministero che negli ultimi anni aveva negato il ritorno di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato nonostante le prove certe, lo stesso che era caduto così facilmente nelle mani dei Mangiamorte.
«Mi dispiace nonna.»
La nonna però non voleva la sua compassione. «Quando sei nata ho subito capito che tu eri come Eimhir. Eri identica a lei: gli stessi capelli rossi, gli stessi occhi, lo stesso mento, le rassomigliavi così tanto che sarebbe stato impossibile che tu non avessi ereditato anche la sua magia. E infatti eri con me quando a tre anni hai fatto sbocciare le rose che tutt’ora sono nel mio giardino.» Lydia sgranò gli occhi. «Ovviamente non dissi nulla ai tuoi genitori, né loro né i tuoi zii conoscevano la verità su mia sorella, solo tuo nonno era a conoscenza della sua magia. E volevo fare lo stesso con te. Proteggerti da chi non avrebbe potuto comprendere ciò che ti rendeva speciale. Ti osservai in silenzio, mentre crescevi e diventati sempre più simile ad Eimhir. Ma poi mi sono accorta di un particolare. Potevi anche assomigliare fisicamente ad Eimhir, ma il tuo carattere… beh quello l’hai preso da me.» Un sorriso sghembo comparve sulle labbra della nonna. «Quando a undici anni mi avete informata che avresti frequentato un collegio privato, ho subito compreso la verità. Ammetto di essere stata contenta per te, ma anche impaurita. Non sapevo più nulla del mondo magico, quando ho perso mia sorella le porte della magia si sono sbarrate per me. Ma questo non mi ha impedito di comprendere la situazione del tuo mondo da quel poco che raccontavi, o meglio, da quello che non dicevi. Ho riconosciuto i segni, sai? Hai iniziato a comportati nello stesso identico modo di Eimhir, occultando o distorcendo la verità per impedirmi di sapere del ritorno della guerra. Quella stessa guerra che mi ha portato via mia sorella, la stessa che ha ucciso tuo zio e per la quale ho quasi rischiato di perdere anche te.»
«Perché non mi hai mai raccontato prima di Eimhir?»
«Perché pensavo che fosse meglio così. Volevo solo aspettare che tu fossi grande abbastanza per sentirla, per comprenderla. Ho aspettato forse troppo. Dopo l’assassinio di tuo zio ho considerato che fosse arrivato il momento, ma eri distrutta, eri diventata l’ombra di te stessa… Non volevo caricarti un altro peso sulle spalle.»
Lydia strinse le mani della nonna tra le sue. «Non è un peso, nonna. Anzi, sono grata che tu mi abbia raccontato di lei.»
«E invece lo è.  Negli ultimi mesi, da quando te ne sei andata da qui, ho pensato che se tu non fossi tornata prima della mia morte, allora la storia di Eimhir sarebbe morta con me. E mi sono accorta che non era giusto, che mia sorella si merita di meglio. Mia sorella merita di essere ricordata. È questo il tuo fardello ora, devi assicurarti che la sua storia non muoia con me, o con te. Che possa vivere in eterno, che il suo sacrificio sia valso almeno a questo.»
Lydia cercò di rispondere ma la nonna la fermò con un gesto della mano. «Non è l’unico motivo. Volevo che tu comprendessi che anche altri in questa famiglia hanno combattuto una guerra, ma non per questo si sono mai arresi.»
«Non mi sono arresa.» replicò subito Lydia.
«E allora cosa ci fai qui?»
Lydia non sapeva da dove cominciare. «Ho fatto il possibile per aiutare nella guerra, nonna.»
«Quindi nessun altro bambino ha più bisogno di essere soccorso?»
Lydia si paralizzò, convinta di aver compreso male, di essersi immaginata le parole appena pronunciate da sua nonna. Perché lei non le aveva mai raccontato il motivo per cui se ne era andata di casa mesi prima, il giuramento le impediva di parlarne in quello stesso istante. «Come…?» riuscì a balbettare.
«Non guardarmi con quella faccia imbambolata! Pensavi forse che io fossi stupida?»
Lydia si affrettò a scuotere la testa, anche se non riusciva ancora a capirci nulla.
«Sono in grado di formulare pensieri coerenti, al contrario di quello che pensa tuo padre, sempre così appiccicoso e a chiedermi se ho preso tutte le mie pastiglie. Certo che so cosa sei andata a fare. Un momento prima arriva un ragazzino più o meno della tua età a prendere in custodia il bambino – come si chiamava? Non ricordo… Ah, sì, Henry – e subito dopo tu scompari, e poi ritorni solo per dirci che te ne vai. Ho capito subito che ti avevano arruolata. Non ti allarmare, ai tuoi genitori non ho detto nulla, loro sono convinti che tu abbia trovato un luogo più sicuro in cui nasconderti e sono già abbastanza ansiosi così, se sapessero che stai combattendo anche tu in questa guerra diventerebbero insopportabili. L’unica cosa che non riesco a capire è il motivo per cui sei tornata.»
«Mi hanno mandata via.»
«E allora?»
«È complicato, nonna, devo aspettare che tornino a prendermi.»
«E da quando tu lasci che siano gli altri a decidere il tuo destino? Se sei convinta che il tuo posto non sia questo, e lo leggo nel tuo volto che tu non vuoi stare qui, allora torna da loro e dimostragli che il tuo aiuto è prezioso.»
Come poteva far capire a sua nonna che non era così semplice? «Nonna… sono successe delle cose… delle cose molto brutte…»
«Sciocchezze!» ribatté immediatamente sua nonna «Non prendermi per un’insensibile, non desidero rimandarti a combattere nella guerra che mi ha già strappato via mia sorella, ma se questo è il destino che Dio ha in serbo per te, è bene che tu lo accolga, e lo difenda con tutte le tue forze.»
Lydia si passò una mano sul volto, tentando di trovare il modo per spiegarle. «Mi hanno chiesto di aspettare…»
Sua nonna si alzò con un’agilità che fece sobbalzare Lydia, e si chinò verso di lei. I suoi occhi erano di ghiaccio. «Allora mi sono sbagliata su di te. Non sei come Eimhir, ma neppure come me. Ma allora chi sei tu, Lydia? Come vuoi essere ricordata?» E prima che Lydia riuscisse a formulare una risposta, la nonna si raddrizzò e si pulì le mani con un tovagliolo. «Le mie peonie non si travaseranno da sole.» E senza aggiungere altro, uscì, lasciando Lydia da sola, la domanda che vorticava nella sua mente senza una risposta.
 
Era notte inoltrata e solo due persone erano ancora sveglie in casa Merlin. Lydia era accoccolata sul divano, la testa dolcemente posata sulla spalla di suo padre, sdraiato a sua volta sulla penisola, un braccio sulle spalle della figlia per stringerla a sé. Fissavano tutti e due la televisione, senza realmente vederla. Un pacchetto di biscotti era appoggiato al bracciolo del divano, i due lo stavano condividendo senza badare alle inevitabili briciole che spargevano sulla coperta. Lydia si sentiva in pace per la prima volta dopo molto tempo. Negli ultimi anni lei e suo padre si erano creati quella loro piccola routine: condividere uno spuntino serale di nascosto, sdraiati sul divano, guardando le serie televisive o i film che i canali nazionali trasmettevano. Anche se, ricordò Lydia con un sorriso, tutte le sere suo padre finiva per addormentarsi più volte durante la visione, ed iniziava a russare talmente forte da costringerla ad alzare il volume, abbastanza da riuscire a seguire il film ma non troppo da svegliare la madre già addormentata in camera.
La sera era il loro momento di pace, per Lydia era un’oasi di tranquillità in mezzo alla burrasca che era la sua vita, l’unico istante della giornata in cui poteva rilassarsi ed essere semplicemente sé stessa. In realtà, rifletté tristemente, suo padre era l’unica persona con cui si sentiva intera. Con lui non doveva fingere di essere qualcun altro o una versione migliore di sé, ma poteva essere semplicemente Lydia, e sapeva che suo padre avrebbe amato incondizionatamente anche la sua parte peggiore. E dopo quello che era successo con i signori O’Brien e Caitlin, con la zia e le parole che la nonna le aveva rivolto quella mattina, l’unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento era sapere che almeno una persona nell’universo la amava per quello che era e non avrebbe mai rinunciato a lei.
Sospirò e nascose il volto nella camicia del padre. Stretta a lui si accorse di quanto le fossero mancate le loro serate durante i mesi passati lontani. Suo padre le era mancato talmente tanto… sentì le lacrime inumidirle gli occhi e la gola chiudersi. Suo padre non disse nulla, non le chiedeva mai se andasse tutto bene, lui lo sapeva e basta, senza dire una singola parola era capace di farle comprendere che lui era lì con lei, e che ci sarebbe sempre stato. Le strinse la spalla.
Le voci soffocate del televisore arrivavano confuse alle orecchie di Lydia, incapace di concentrarsi per comprendere la trama della serie che stavano guardando. Lydia si avvicinò ancora di più al padre mentre la sua mente vagava nei ricordi di altre serate passate così, sere in cui Lydia si sentiva il peso del mondo sulle spalle e non sapeva cosa fare, come risolvere quei problemi che erano completamente fuori dalle sue possibilità, eppure tutte le sere riusciva a dimenticare le sue afflizioni, e quel giorno non era diverso. Sdraiata lì, Lydia riuscì anche solo per qualche istante, a mettere da parte il pensiero delle persone che aveva lasciato indietro, delle colpe che macchiavano le sue mani, incatenandoli in un angolo buio della sua mente, da dove sarebbero stati incapaci di vagare e portare la loro distruzione.
Ma bastò un rantolo di pensiero per far ricadere Lydia nelle sue paure. Le parole di sua nonna le bruciavano ancora nel petto. Era stata definita in molti modi, soprattutto negli ultimi tempi, ma essere considerata una codarda e non all’altezza delle aspettative dalla propria nonna le aveva fatto più male di quanto avrebbe mai potuto immaginare.
Lydia sospirò di nuovo. Quanto avrebbe desiderato essere normale. Una persona normale in una famiglia normale, le cui uniche preoccupazioni fossero l’università, il lavoro, la patente, i ragazzi, le amiche e nulla di più. Nessuno che potesse giudicarla, che potesse dirle che non stava facendo abbastanza; nessun nemico nascosto nell’ombra pronto a colpire e portare la morte con sé. E invece era lì, lo sentiva. Era un sussurro nascosto nell’oscurità, che con voce crudele le ricordava che presto, molto presto, sarebbe arrivato a prendersi quello che gli spettava. Una lacrima sfuggì al suo controllo. Perché? Si chiese fissando il televisore. Perché proprio a loro era toccata quella sorte, perché non avevano potuto vivere la loro vita in pace, senza la costante presenza del dolore e della morte? Cosa avevano fatto di male per meritarselo? Sua nonna aveva parlato della magia come Volontà di Dio, ma ogni volta che Lydia ripensava a quel dannato parco giochi, riusciva a vederla solo come una condanna. Un’altra lacrima seguì la prima. Suo padre le offrì un biscotto, con un sorriso lei lo accettò. Lo addentò e il sapore della crema all’interno le riempì il palato, distraendola momentaneamente dai suoi pensieri. Per un attimo riuscì a decifrare le immagini che passavano in televisione: era in corso un inseguimento di macchine spettacolare, e riconobbe una delle serie preferite di suo padre. Lydia sorrise di nuovo quando la macchina dei poliziotti volò sopra un camion e rimase sospesa in aria per un lasso di tempo fisicamente impossibile. Ammetteva che anche a lei piaceva parecchio quella serie. Finì il biscotto e si pulì la bocca dalle briciole con la manica del pigiama. Come succedeva nella maggior parte delle puntate, una delle macchine si scontrò contro un camion, dando vita ad un’esplosione al rallentatore. In quel momento iniziò la pubblicità. Lydia reagì con un lamento, buttando indietro la testa esasperata. Proprio adesso che si stava interessando dovevano mettere la pubblicità? E si rese conto di un evento molto strano: suo padre non si era ancora addormentato. Solitamente si assopiva in un punto imprecisato tra l’inizio dell’episodio e il primo stacco pubblicitario, per risvegliarsi a metà dell’episodio. Lo guardò di sfuggita, i suoi occhi celesti erano ancora aperti e fissavano il televisore, le sue labbra erano piegate in un piccolo ma inconfondibile sorriso.
Fu Lydia ad interrompere il loro beato silenzio. Non riuscì a trattenersi «Mi sei mancato, papà. Mi sei mancato tantissimo.»
«Anche tu. È per questo che sarà difficile per me doverti salutare di nuovo.»
Lydia aggrottò un sopracciglio. Non aveva detto ai suoi genitori della scadenza di Duncan. «Hai parlato con la nonna?»
«No.» Suo padre sorrise tristemente. «Non guardarmi così. Sono tuo padre e so quanto stare qui ti renda triste.»
«Non sono triste.»
Suo padre si fermò a riflettere. «Non triste… allora diciamo incompleta.»
Non poteva esistere parola più giusta.
Lydia appoggiò la testa allo schienale del divano e chiuse gli occhi. «Non è colpa vostra. Sono contenta di essere di nuovo con voi, davvero, ma…»
«Hai bisogno di altro.»
Lydia strinse le ginocchia al petto. «Io… non posso raccontarvi cosa ho fatto in questi mesi.» Il giuramento le impediva ancora di parlare «Ma era qualcosa di importante, qualcosa di più grande di me. E non mi sono accorta di quanto mi facesse stare bene fino a quando non l’ho perso.» Era come essersi tolta una montagna dalle spalle. «Mi ha aiutata a ricordarmi che sono ancora viva, che posso fare anche del bene in questo mondo.»
«E allora perché sei ancora qui?» Lydia socchiuse gli occhi e vide suo padre con lo stesso sorriso triste.
Le sembrò di rivivere la conversazione che aveva sostenuto con sua nonna quella mattina. «Perché non mi vogliono più.»
«La Lydia Merlin che ho cresciuto non si arrenderebbe mai così facilmente.»
«Tu e la nonna vi siete messi d’accordo?» sbottò Lydia «Dovreste capire che forse la Lydia di prima non esiste più…» si toccò la cicatrice.
«Eppure qualcosa mi dice che hai ritrovato te stessa durante questi mesi, la te che non sapevi più di poter essere. È vero?»
Sì, era vero. E suo padre le lesse la risposta negli occhi.
«Allora, per quanto sia dura per me ammetterlo, il tuo posto non è più questo.»
«È più complicato di così, papà.» sospirò Lydia «Nelle ultime settimane è cambiato tutto.»
«E tu hai fatto tutto il possibile per risolvere la situazione?» La domanda di suo padre la colpì. Aveva realmente cercato di cambiare le cose dalla morte di Paul, o aveva semplicemente accettato quello che gli altri avevano in serbo per lei? Con Caitlin aveva reagito con il silenzio, ma aveva mai provato a parlare seriamente con lei? A provare a farla ragionare? A sua discolpa nessuno le aveva mai dato la possibilità di rimediare, era stato per tutti più semplice sperare che il tempo potesse guarire ciò che era incurabile, ma forse anche queste erano solo delle scuse che si stava costruendo per non accettare la sua parte di responsabilità.
«No.» rispose semplicemente.
«E allora dovresti. Torna indietro e prova a farlo, e se non riuscirai nel tuo intento la porta di questa casa è sempre spalancata per te, ma almeno torneresti con la consapevolezza di aver fatto tutto ciò in tuo potere per rendere la situazione migliore.»
«Perché tu e la nonna volete sbattermi fuori casa?»
«Perché quando sei comparsa sulla porta di questa casa ho rivisto mia figlia. Quella figlia che pensavo di aver perso dopo la morte di tuo zio. Ma ora dopo ora ti stai spegnendo, e io invece voglio solo il meglio per te. E se l’unico modo per trovare quel meglio è allontanandoti di nuovo da noi, non lascerò che il mio dispiacere ti possa impedire di ripartire.» 
La conversazione terminò così. Padre e figlia tornarono a guardare la televisione, ognuno immerso nei propri pensieri.
L’episodio terminò con il classico momento comico, una battura e la sigla finale prima di tornare alla pubblicità. Suo padre spense il televisore, Lydia si alzò con uno sbadiglio. Buttarono la carta dei biscotti, controllarono di aver chiuso tutto e spento le luci prima di incamminarsi sulle scale che portavano alle camere al piano di sopra. Lydia avrebbe preferito muoversi al buio, ma, come sempre, il padre accese la luce delle scale ed iniziò a salire senza preoccuparsi di non fare rumore, con le ciabatte che rimbombavano nel silenzio notturno della casa. Lydia scosse la testa. Arrivati davanti alle porte delle loro camere, si fermarono.
«Buonanotte papà.»
Lydia si sollevò in punta di piedi e diede un bacio sulla tempia destra del padre, il quale ricambiò con uno sulla sua guancia.
«Buonanotte.» Ed in silenzio entrarono nelle rispettive stanze, i loro cuori intrisi di tranquillità e affetto.
 
Era stato insolitamente semplice per Lydia prendere la sua decisione.
Controllò attentamente la via prima di compiere l’ultimo passo che l’avrebbe condotta fuori dalle protezioni. Non si vedeva anima e gli unici suoni che si sentivano erano il mare in lontananza e i versi dei primi grilli primaverili. Si voltò un’ultima volta verso la casa di sua nonna. Chissà quanto sarebbe durata ancora la guerra e quanto sarebbe passato prima di poter ritornare ad abbracciare i suoi cari.
Sua madre non aveva preso bene l’improvvisa ripartenza di Lydia, diversa era stata la reazione di suo padre e sua nonna.  Avevano ragione: Lydia non poteva arrendersi, non ora che finalmente aveva trovato un ruolo utile e prezioso, ora che non si sentiva più inutile e rotta.
Prese un respiro profondo, il profumo delle rose le solleticò il naso. Ancora pochi istanti ed avrebbe rivisto Lance, Henry e l’intera famiglia O’Brien. Si chiese per l’ennesima volta come avrebbero reagito al suo ritorno. L’avrebbero accettata? Duncan e Katherine si sarebbero arrabbiati per il fatto che non aveva rispettato il loro accordo? Eppure, nonostante la paura di un rifiuto, era impaziente di rivedere Lance e di abbracciare Henry.
Aprì il cancellino e, con la mente ancora rivolta alle persone che amava, compì quell’ultimo passo.
«Lydia.»
Lydia lasciò cadere lo zaino e si voltò all’istante verso la voce che l’aveva chiamata, la bacchetta già estratta e puntata contro la figura. Il cielo era velato e nascondeva la luce dell’aurora, rendendo buio il vialetto, eppure riconobbe all’istante chi si trovava di fronte a lei. Lo stupore ebbe la meglio.
«Blake?» chiese sottovoce, incapace di credere ai suoi occhi.
Quell’istante di esitazione fu sufficiente.
«Expelliarmus
 


Curiosità: In questo capitolo volevo esplorare cosa potesse significare essere un mago o una strega Nat* Babban* nella prima metà del 1900 (per riferimento: Eimhir è nata nel 1933)!

Note: Questo capitolo contiene una parte del mio cuore. La scena di Lydia con suo padre è autobiografica, un tentativo forse effimero di non lasciare svanire i ricordi dei momenti preziosi trascorsi con mio papà, quelli che molti potrebbero considerare banali, come il trascorrere la serata a guardare la televisione insieme e condividere uno spuntino, ma che per me racchiude l'essenza dell'essere vicini. 


Un abbraccio,
Emma Speranza 
 


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Capitolo 30
*** Capitolo 30 - Il debito ***


Capitolo 30
Il debito
 

La bacchetta di Lydia volò nell’aria ed atterrò a diversi metri di distanza.
Lydia non si mosse.
«Blake.» ripeté, come se continuare a pronunciare il suo nome potesse rendere possibile il fatto che Blake Moore era proprio davanti a lei, nel giardino della casa di sua nonna, con una bacchetta puntata contro la sua fronte.
Tutto si sarebbe aspettata da quella giornata tranne trovarsi di fronte al suo ex fidanzato. E questo le riportò alla mente il loro ultimo, disastroso incontro, e tutta la rabbia che le aveva causato in quell’occasione tornò a fluire nelle sue vene ad anni di distanza. «Blake.» disse un’ultima volta, sputando tutto il suo veleno.
Il ragazzo però sembrava preoccupato da altro. «Dobbiamo andarcene da qui.»
Lydia non riuscì a trattenere uno sbuffo tra il divertito e il sarcastico. «Ah, quindi adesso è questo che fai? Compari nei giardini altrui e ti metti a minacciare la gente? Bel modo di salutarmi, a proposito. Non ci vediamo da anni e la prima cosa che ti viene in mente di fare è disarmarmi.»
«Se ti avessi lasciato la bacchetta mi avresti subito lanciato una Maledizione.»
Gli occhi di Lydia lampeggiarono. «Probabile.»
Blake abbassò la bacchetta e si avvicinò a lei in due falcate. La prese per le spalle e la costrinse a guardarla negli occhi. Le sue iridi grigie erano intrise di paura. «Dobbiamo andarcene, Lydia.»
«No!» esclamò Lydia, scrollandoselo di dosso «Non puoi presentarti a casa mia e metterti a darmi ordini! E come diavolo fai a sapere dove abito?!»
Ma Blake non la ascoltava, il suo sguardo era rivolto alle sue spalle. Una goccia di sudore scivolò dalla fronte ed andò a bagnare alcune ciocche dei suoi capelli neri. «Stanno arrivando.» Per istinto, Lydia si voltò e la scena che si presentò ai suoi occhi le fermò il cuore. Ombre. Ombre che si avvicinavano minacciose dall’orizzonte. Non poteva essere… non di nuovo… non…
No, non era il momento di lasciarsi sopraffare dal panico. Una scarica di adrenalina la aiutò a muoversi e la spinse ad afferrare il braccio di Blake, trascinarlo oltre il cancellino, dentro le protezioni, e correre verso casa.
«Che fai? Dobbiamo andarcene prima che ci raggiungano!»
«C’è la mia famiglia qui!» urlò di rimando Lydia, il panico che tentava di stringerle ancora la gola. La porta sbatté contro il muro. «Mamma! Papà! Nonna!» I suoi genitori uscirono di corsa dalla cucina.
«Che succede?» chiese la madre. Lydia non ebbe bisogno di rispondere, la debole luce mattutina del sole svanì all’improvviso e il corridoio fu avvolto dalle tenebre. Suo padre si accostò alla finestra e scostò la tendina. Lydia non sapeva che cosa poteva vedere con i suoi occhi da babbano, ma qualsiasi cosa fosse, fu abbastanza da fargli comprendere che cosa si stava avvicinando.
«Dove è la nonna?» chiese Lydia «Nonna! NONNA!» Si guardò intorno freneticamente.
«Che avete da strillare come gabbiani? Ti sembra il modo di comportarti, signorina?» La nonna li fissava severi dalla cima delle scale. «Cosa hai dimenticato?»
Lydia non perse tempo a correggerla. Dalla velocità delle ombre che continuavano ad avvicinarsi inesorabilmente alla loro casa, mancavano solo pochi secondi prima che venissero a contatto con le sue protezioni, e, nonostante fossero state rinforzate dal signor O’Brien in persona, non sapeva per quanto le difese potessero reggere contro un assalto diretto e non aveva intenzione di scoprirlo. Non c’era tempo per spiegare.
«Dobbiamo fare le valigie.»
«Non abbiamo tempo!» sbraitò Blake, facendo sobbalzare la madre di Lydia, e poi tornò a rivolgersi a Lydia stessa «Bene, hai recuperato la tua famiglia. Ora dobbiamo andarcene, subito!»
L’ultima cosa che Lydia avrebbe voluto era dare ragione a Blake Moore. Ma in casi di vita o di morte poteva concedersi un’eccezione.
«Andiamo!» Costrinse i suoi genitori a correre sulle scale per raggiungere la nonna. L’oscurità diventava sempre più fitta, rischiando di farli inciampare nei gradini.
«Che fate?!» domandò sorpreso Blake «Dobbiamo Smaterializzarci!»
«Provaci pure, se vuoi. Ma avranno già lanciato un incantesimo Anti-Smaterializzazione su tutta l’area.» Lydia si tastò il collo. Le dita si strinsero sulla catenina d’argento «È la prima cosa che hanno fatto ogni volta che li ho incontrati.»
«Ogni volta? Come ogni volta?»
Un lampo esplose improvviso all’esterno, facendo tremare la casa.
«Non è il momento, mamma.» Una seconda maledizione andò a scontrarsi contro la barriera invisibile del signor O’Brien. «Comunque, l’incantesimo ci impedisce di Smaterializzarci, ma non possono bloccare questa.» La tazzina sembrava ancora più minuscola nel suo palmo, eppure rappresentava la loro unica salvezza. L’altra mano di Lydia corse alla tasca. Trovò solo una piuma. «La bacchetta.» impallidì «Ho lasciato la bacchetta in giardino.»
«Non c’è tempo!» ripeté Blake, esasperato «Andiamocene, ora!» Una nuova esplosione fece tremare la casa, tutti loro si chinarono per istinto mentre la polvere cadeva dalle intercapedini del soffitto. Si udì la finestra di una camera andare in frantumi.
Lydia non voleva andarsene senza la sua bacchetta. Il panico rischiò di impossessarsi di nuovo di lei. Se la bacchetta fosse rimasta lì allora lei sarebbe rimasta completamente indifesa. «Posso ancora…» Poi Lydia notò sua nonna. Tremava, e per la prima volta nella sua vita, vide la paura nei suoi occhi. E capì che il tempo era realmente scaduto. Doveva portare la sua famiglia fuori da lì. Sollevò la tazzina al centro del gruppo. «Toccatela.» Tutti tesero un dito fino a sfiorarla. Lydia si accertò che ognuno di loro fosse a contatto con la minuscola ceramica, e poi si voltò verso Blake. «Devi ingrandirla.»
«Engorgio.» La voce di Blake fu sovrastata da un’altra esplosione, ma fu sufficiente per avviare la Passaporta.
 
I piedi di Lydia atterrarono pesantemente sul prato incolto. I respiri affannati che la circondavano confermarono che la Passaporta aveva compiuto il suo dovere e li aveva condotti in salvo e che la sua famiglia aveva superato indenne il viaggio magico.
Suo padre si piegò e vomitò in un cespuglio.
Quasi indenne.
Lydia prese sottobraccio sua nonna, che tremava ancora incontrollabilmente, e si trovò inconsciamente a pensare che probabilmente quella sarebbe stata la prima e l’ultima volta in cui vedeva la nonna senza la maschera forte e impavida dietro cui si nascondeva da tutta la vita.
«Possiamo entrare.» Il rifugio era proprio come lo ricordava, anche se l’ultima volta che vi era stata era molto più affollato, con le intere squadre delle Case Sicure pronte ad andare a salvare i bambini del primo anno ad occuparlo. I mobili erano ancora coperti da lenzuola e la polvere era aumentata a dismisura. Non importava. Duncan aveva detto che i sensori avrebbero avvisato all’istante lui e Katherine del loro arrivo. Sarebbero stati lì in pochi minuti. Fece accomodare sua nonna su una poltrona, sollevando una nuvola di polvere che la fece starnutire. «Siamo al sicuro, qui.» Sua madre mise un braccio sulle spalle della nonna, delle lacrime solcavano silenziose il suo viso.
Il padre entrò nel salotto con le gambe che tremavano ed un colorito verdastro in viso. «Sto bene, sto bene.» disse barcollando. Inciampò in un tappeto polveroso e quando ritrovò l’equilibrio, corse verso il lavandino della cucina e rigurgitò di nuovo. Blake, entrato subito dopo di lui, fece una smorfia disgustata.
«Devi sederti, papà. Quando arriveremo a casa O’Brien, Lance ti darà un tonico contro la nausea da Passaporta. Io intanto vado a controllare le protezioni e torno, va bene?» Nessuno della sua famiglia pronunciò una parola. Sua madre annuì, suo padre tentò di avvicinarsi a lei ma deviò a metà strada e corse a prendere un cestino vuoto per vomitare tutta la bile rimasta nel suo stomaco. Senza perdere altro tempo, Lydia raggiunse la porta sul retro, scese di corsa i gradini del portico e alzò lo sguardo verso il cielo. Poteva intravedere i filamenti dorati delle protezioni.
«Ho bisogno del tuo aiuto.»
Lydia si irrigidì.  «Dovresti stare dentro.»
«Voglio aiutarti. Hai detto che volevi controllare le protezioni ma senza bacchetta c’è ben poco che puoi fare.»
Lydia inspirò rumorosamente e si voltò di scatto verso Blake. «E di chi è la colpa se la mia bacchetta è rimasta nel giardino della nonna? Chi mi ha disarmata?»
«L’ho fatto per evitare che tu mi Schiantassi.»
«Avrei dovuto farlo!»
Blake fece un passo verso di lei. «Ma ti ho aiutata. Ti ho avvisata che stavano arrivando…»
Lydia socchiuse gli occhi. «E tu come facevi a sapere che mi avevano trovata?»
«Diana Clarke.»
«È sopravvissuta ai Dissennatori?» Lydia sgranò gli occhi e il suo cuore ricominciò a battere all’impazzata. Dopo l’attacco sulla spiaggia e l’arrivo dei Dissennatori, aveva creduto che Diana non avesse avuto scampo, che spezzando la sua bacchetta l’avesse condannata di conseguenza ad un fato peggiore della morte.
Blake annuì. «Per un soffio. Trovarsi faccia a faccia con i Dissennatori l’ha fatta tornare in sé. Si è accorta che i suoi compagni l’avevano abbandonata al suo destino, direi che è un metodo efficace per capire se ti puoi fidare di qualcuno. Da quel giorno è diventata una spia. È stata lei ad avvisarmi che ti avevano rintracciata. E io sono subito corso da te.» Sembrava sincero.
«Ma non capisco.» Tutta quella storia non aveva senso. «Come hanno fatto a trovarci, come…?» Uno schiocco la distrasse. Katherine, Lance e il signor O’Brien comparvero dalla parte opposta della casa, nel giardino anteriore. Lydia si rilassò all’istante. Ora erano veramente al sicuro. Sollevò un braccio e riempì i polmoni per chiamarli. E poi una mano si strinse sulla sua bocca strozzandole la voce, e Lydia riconobbe la maledetta stretta della Smaterializzazione.
 
 
Nell’istante in cui i piedi di Lance toccarono terra, il ragazzo si gettò verso il rifugio che si stagliava davanti a loro, un unico nome che si ripeteva nella sua testa. «Lydia!» urlò.
Lo sapeva, si era fidato di Katherine e Duncan e questo era il risultato. Perché lo aveva fatto? Perché non si era presentato fuori dalla casa della nonna di Lydia nel momento stesso in cui Kate lo aveva informato della sua partenza, come gli aveva urlato di fare il suo istinto? Si era lasciato convincere che aspettare fosse la soluzione migliore, che Lydia non corresse alcun pericolo, che era solo per pochi giorni. E invece… «Lydia!» superò di corsa i tre gradini che portavano al portico e spalancò la porta d’ingresso, facendo sobbalzare i suoi tre ospiti.
«Ti sembra il modo, giovanotto?» chiese un’anziana signora dall’accento scozzese. Accanto a lei c’erano i genitori di Lydia. Erano scossi, confusi ma al sicuro. Però mancava la persona più importante. «Lydia!» chiamò ancora Lance, correndo alle porte che portavano alle altre stanze.
«Non è qui.» La risposta del padre di Lydia fece incespicare Lance.
«Deve esserlo. Avete usato la Passaporta d’emergenza, no?»
«Lei non c’è.» rispose ancora il padre di Lydia. Era seduto sul divano, lo sguardo perso nel vuoto ed un cestino stretto tra le braccia. «È uscita qualche minuto fa.» disse indicando con un gesto flaccido la porta sul retro. Lance si lanciò verso di essa e la spalancò, trovandosi di fronte ad una radura completamente deserta. Lydia doveva aver fatto il giro esterno della casa, probabilmente era già con suo padre e Katherine.
Si voltò di nuovo verso la porta d’ingresso. Kate era appena entrata in casa, il viso contratto dalla preoccupazione. «In giardino non c’è.»
E la speranza di Lance si infranse. Non era possibile. Lydia non avrebbe mai lasciato sola la sua famiglia. «Dove è andata? C’era qualcun altro con voi?»
I genitori e la nonna di Lydia lo guardarono confusi. «No.»
«Non ha senso!» Lance si passò una mano nei capelli, l’ansia che cresceva ad ogni istante trascorso senza Lydia «Perché sarebbe uscita se voi siete qui al sicuro? Sapeva che stavamo arrivando. Dite che è tornata a casa vostra?» si voltò di nuovo verso la famiglia di Lydia, mentre la sua mente vorticava alla ricerca di una spiegazione, una qualsiasi che potesse giustificare la sua sparizione «Sì, deve essere tornata indietro a prendere qualcosa, o qualcuno!» si rispose da solo, e senza aspettare una risposta si diresse verso l’uscita, intenzionato ad andare subito a cercarla, riportarla a casa e chiudere quella maledetta storia.
Ma suo papà era sulla porta d’ingresso. Le sue mani erano strette attorno a qualcosa, delle ombre adombravano il suo volto. «Ho controllato se era tornata a casa di sua nonna. Le protezioni sono a pezzi e la casa è deserta. Ho trovato solo questa nel prato.»
Aprì le mani.
La bacchetta di Lydia.
«No…» boccheggiò Lance.
Perché se lei era scomparsa e la sua bacchetta era lì, allora questo significava una cosa soltanto.
L’avevano presa. Lydia era stata rapita.
 
 
L’atterraggio fu più brusco del precedente. Probabilmente dipendeva dal fatto che Lydia stava tentando in tutti i modi di liberarsi dalla presa di Blake. Provò a mordere la mano che le impediva di parlare, ma il ragazzo fu più veloce e la spostò, afferrandola con l’altra mano per un braccio. «Lasciami, bastardo! Ho detto di lasciarmi!» tentò di tirargli un calcio ma Blake lo schivò senza fatica.
«Ferma, ferma! Non voglio farti del male! Ho solo bisogno di parlarti e OUCH…» Il calcio di Lydia diretto verso il suo ginocchio centrò il bersaglio. Blake si piegò su se stesso e la sua presa sul braccio di Lydia scivolò, liberandola.
Lydia si guardò attorno freneticamente. Si trovavano in un appartamento, individuò la porta d’ingresso e si slanciò verso di essa.
«Ho salvato la tua famiglia! Sei in debito con me!»
La mano di Lydia si fermò sul pomello. Lo strinse con forza, il suo cervello le stava gridando di non ascoltare Blake, che in ogni occasione in cui gli aveva dato retta era finita nei guai o con il cuore spezzato, che l’unica cosa sensata da fare era scappare. Una volta in strada avrebbe deciso il da farsi, nonostante l’assenza della sua bacchetta. Eppure non riusciva più a muoversi. Maledetto cuore. «Cinque minuti.» sibilò infine, voltandosi verso di lui con un movimento secco. Sollevò l’indice in un gesto che sperò essere abbastanza minaccioso. «Ti concedo cinque minuti e poi mi riporti là.»
Blake, ancora piegato dal dolore per il calcio al ginocchio, si appoggiò allo schienale di una sedia per raddrizzarsi. «Va bene.»
Lydia si tolse i capelli spettinati dal volto. «E non pretendere che ti curi il ginocchio. Te la sei cercata.» Scostò una sedia dal tavolo e vi si sedette pesantemente. «I cinque minuti sono iniziati. Ti conviene cominciare a parlare. Diana Clarke è viva ed è tornata dalla parte dei buoni, evviva, alleluja e sono tanto contenta per lei.» disse, il sarcasmo impossibile da mascherare. Ora che sapeva che Diana era ancora viva, non poteva ignorare il fatto che aveva tentato di ucciderla. L’aveva quasi annegata, per la barba di Merlino! «Questo cosa ha a che fare con te o con me? E come hanno fatto a trovarmi?»
Blake scostò l’altra sedia e la posizionò troppo vicino a Lydia. «Sai che Isaac Mills e Aiden O’Neil erano miei amici a scuola…»
«Come potrei dimenticarmi di quegli imbecilli?»
Blake ignorò il suo commento. «Quando la guerra è iniziata hanno deciso subito da che parte stare…»
«Non c’era bisogno di una guerra per capire che sono degli stupidi. Hanno deciso di unirsi alle fila di Tu-Sai-Chi, come tutti si aspettavano da loro, vorrei aggiungere, ma questo non spiega come abbiano fatto a trovare me e la mia famiglia.»
«Se mi lasci parlare adesso ti racconto!» disse Blake esasperato.
Come se avesse il diritto di essere irritato con Lydia dopo averla appena rapita.
«Celia, Celia Harris, ti ricordi di lei, vero?» Lydia aprì la bocca per replicare con un’altra frecciatina ma Blake doveva aver imparato la lezione perché si affrettò a continuare «Lei si è tirata indietro. Ha detto che un conto erano le bravate a scuola-»
«Bravate? È così che le chiamavate?»
«-Ma che lei non era un’assassina e non aveva intenzione di diventarne una.» terminò Blake, senza nascondere uno sbuffo infastidito per l’interruzione «Il fratello di Celia invece è un fervido sostenitore di Tu-Sai-Chi, e la prima cosa che ha fatto quando lui è tornato, è stata organizzare un gruppo di collaboratori che portasse avanti il volere del Signore Oscuro, che lo aiutasse a creare il mondo secondo i suoi dettami.»
«Un mondo in cui noi Nati-Babbani non dobbiamo esistere. So cosa vuole Tu-Sai-Chi. Taglia corto, i cinque minuti stanno scorrendo velocemente.»
Questa volta Blake la ascoltò ed iniziò a parlare più velocemente. «Volevano essere notati da Tu-Sai-Chi e poter così diventare dei veri Mangiamorte. Isaac e Aiden hanno cercato di unirsi a loro, ma sono stati rifiutati perché troppo giovani, il fratello di Celia ha detto che se proprio volevano rendersi utili potevano crearsi un gruppo tutto loro. L’idea è piaciuta parecchio a Isaac, e così mi hanno chiesto di arruolarmi.» 
«E fammi indovinare?» disse Lydia, sprezzante «Tu ti sei rifiutato.»
«Sì!» esclamò subito Blake «Ho capito cosa avevano intenzione di fare e me ne sono tirato fuori!»
«E invece a me è stato riferito che dopo il diploma sei andato a vivere proprio con loro. Mi sembra strano che sei passato dal viverci insieme al voltargli le spalle.»
Blake si chinò verso di lei, per istinto Lydia spinse indietro la sedia. «Sì, una volta diplomati ci siamo trovati un appartamento a Londra, ma era prima che tentassero di farmi entrare nel loro gruppo.»
«Continuo a non capire come mai hai rifiutato. Non è nel tuo stile.»
«Non lo nego. Così come tu non puoi negare che posso essere migliore, quando mi impegno.»
Lydia distolse lo sguardo. No, non poteva negarlo. Ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di ammetterlo ad alta voce.
Così Blake continuò «Non potevo accettare perché ero d’accordo con Celia: un conto è comportarsi da bulletti in una scuola, un altro è compiere violenze contro persone innocenti. Ho detto di no, e ho capito che non potevo più vivere con loro, e così sono tornato a casa dei miei genitori, lontano da Isaac e Aiden e da qualsiasi cosa avevano intenzione di fare. Mi sono tirato fuori da tutto.»
«Ed essendo Purosangue hai potuto vivere tranquillamente la tua vita.» disse Lydia, senza riuscire a nascondere una punta d’invidia.
Blake si passò una mano tra i capelli. «Tranquillamente è una parola grossa. Anche per i Purosangue la vita si è complicata parecchio.»
A Lydia sfuggì uno sbuffo ironico.
«Dico davvero,» continuò Blake «È semplice per coloro che dimostrano il loro assoluto sostegno alla causa, per noi altri è un continuo sospetto. La casa dei miei genitori è stata perquisita quasi ogni mese da quando hanno preso il Ministero. Erano convinti che stessimo nascondendo dei Nati-Babbani. L’ultima volta hanno divelto tutti gli scaffali della biblioteca per cercare un passaggio segreto che neanche esiste.»
Lydia lo guardò. «Vorrei dire che mi dispiace, ma sono nella Lista delle persone ricercate e hanno tentato di ammazzarmi così tante volte da aver perso il conto.»
«Non sto cercando la tua pietà.» ribatté lui.
Lydia incrociò le braccia, fingendo un’indifferenza che in realtà non possedeva, perché in fondo il racconto di Blake le interessava, soprattutto dopo aver vissuto mesi interi chiusa in una casa con solo poche informazioni riguardo al mondo esterno. E anche perché, nonostante tutto, Blake rimaneva un suo ex compagno di scuola ed ex fidanzato. «La mia pietà forse no, ma il mio aiuto sì.» Bastò per ricordare a Blake il suo posto. «Quindi questa è la casa dei tuoi genitori? Pensavo che le famiglie Purosangue vivessero tutte in palazzi quattrocenteschi o ville da milioni di galeoni. Devo dire che sono delusa.» La stanza in cui si trovavano continuava a sembrare parte di un appartamento più che di una magione.
E infatti Blake confermò i suoi sospetti. «No. Non ne potevo più di avere continuamente i Mangiamorte in casa a rovistare nelle mie cose, così mi sono trasferito qui.»
«Quindi ti sei rifiutato di unirti ai tuoi amichetti e hai deciso di vivere la tua vita in questo appartamento lontano da ogni pericolo.» riassunse Lydia, poi si chinò verso Blake. «Adesso devi solo spiegarmi tre cose. Primo, perché Diana Clarke si è rivolta a te quando ha deciso di cambiare schieramento? Secondo, come hanno fatto a scoprire dove ero? E ultimo, ma non meno importante, cosa vuoi tu da me?»
Blake abbassò il volto, i capelli si spostarono in avanti e coprirono i suoi occhi. «Quando è stata lasciata in balìa dei Dissennatori, Diana ha capito con chi aveva realmente a che fare; ha iniziato ad avere dei ripensamenti ed è stato in quel momento che è venuta a cercarmi. Era a conoscenza del fatto che io mi ero rifiutato di unirmi al loro gruppo, voleva sapere cosa mi aveva spinto a farlo, aveva bisogno di qualcuno che la sostenesse. Quando si è presentata da me le ho detto di uscirne ed andarsene il più lontano possibile. Ma lei…» la voce di Blake incespicò «Lei aveva dei debiti da pagare. Aveva fatto cose di cui si pentiva. E voleva trovare un modo per rimediare al male che era stata costretta a compiere… L’ha trovato con te.» sollevò di nuovo lo sguardo e lo fissò negli occhi di Lydia. «Appena ha saputo che ti stavano per attaccare mi ha recapitato un messaggio, dicendomi dove trovarti. Sono arrivato appena in tempo.»
«Ma è questo che non capisco! Come hanno fatto a scoprire dove mi trovavo?» E soprattutto, negli unici giorni in cui era tornata a casa di sua nonna. Era uno coincidenza troppo strana per essere tale.
«Era da mesi che ti cercavano. Ti hanno vista con gli O’Brien.» Blake quasi sputò pronunciando quel cognome «Stavano cercando tutti voi, sanno che catturare anche solo uno di voi significherebbe venire a conoscenza del luogo in cui si trovano i bambini che avete nascosto.» Lydia ringraziò in silenzio il giuramento che proteggeva il loro segreto e la locazione esatta di Casa O’Brien. «Hanno tentato con Kenston ma non ci sono riusciti.» Lydia si irrigidì nel sentire il nome di Paul, la visione di un Marchio Nero stagliato contro il cielo stellato. «Adesso sanno che la loro migliore opportunità è riuscire a catturare qualcuno della famiglia O’Brien. Oppure te. Pensano che consegnare i bambini al Ministero sarebbe il passo che finalmente li porterebbe all’attenzione dei Mangiamorte. Vi considerano il biglietto per incontrare il Signore Oscuro e diventare ufficialmente suoi discepoli. E tu eri la più semplice da rintracciare. Sapevano della casa di tua nonna, non chiedermi come.»
Lydia fu scossa da un brivido. «E come hanno fatto a capire che ero lì proprio in quel momento? Hanno attivato un incantesimo sensore? Ci stavano sorvegliando? Di sicuro che ci stavano sorvegliando… Avranno messo qualcuno di guardia. Mi avranno vista quando sono uscita di casa, mi sono fermata troppo sul vialetto, hanno avuto tutto il tempo che volevano per avvisare gli altri e tendermi l’imboscata.» Sprofondò il volto tra le mani «Sono stata una stupida! Duncan mi aveva avvisata di non uscire dalla porta. E per colpa della mia stupidità la mia famiglia ha rischiato di morire.» Il senso di colpa le agguantò il cuore «I miei genitori… mia nonna… Potevano morire. Per colpa mia.» Aveva messo in pericolo mortale la sua famiglia, di nuovo. Come aveva potuto permettere che accadesse un’altra volta? Dopo quello che era successo al parco giochi avrebbe dovuto essere più intelligente di così, si era permessa di sentirsi al sicuro e così facendo aveva rischiato di far ammazzare la sua famiglia. Sua mamma, suo papà, la nonna… erano al sicuro solo quando si trovavano lontani da lei.
Blake le scostò le mani dal volto e la guardò nello stesso modo in cui la guardava durante il loro quinto anno.
«Non è stata colpa tua. È stata tua zia. È stata lei ad informare Isaac.»
«No… No, non ha senso.»
«Dopo l’attacco alla spiaggia, quando Isaac ha avuto la conferma che anche tu facevi parte del gruppo che nascondeva i bambini, è venuto a cercarti. È andato prima a casa tua e l’ha trovata deserta, allora ha scoperto dove abitava tua nonna. Non è riuscito ad avvicinarsi alla porta, le protezioni lo sbalzavano indietro ogni volta. Ma conosci Isaac, non si arrende facilmente, e allora ha aspettato. Tua zia è stata la prima ad uscire in giardino. Isaac non ha neanche avuto bisogno di minacciarla. Tua zia ha iniziato subito a parlare, ha detto che non eri nascosta lì, che li avevi abbandonati da mesi ormai, quando Isaac le ha chiesto se avevi avvisato di un tuo possibile ritorno, lei gli ha risposto che non eri più la benvenuta lì. Era palese che tra te e lei non scorresse buon sangue, e così Isaac ne ha approfittato e tua zia è stata fin troppo facile da corrompere. Il piano era semplice. Se tu fossi tornata a casa, tua zia avrebbe avvisato Isaac. E così è stato.»
Ma per Lydia continuava ad essere un discorso senza senso. Sì, sua zia la odiava e non era possibile negarlo, ma come era riuscita a contattare i suoi nemici? Non era neppure una strega, non aveva mezzi magici con cui comunicare…
Un’immagine attraversò fulminea la mente di Lydia. «Il gufo di mio papà è scomparso.» Suo padre lo aveva accennato la mattina successiva alla partenza di zia Masie, per poi considerare la scomparsa solo come una caccia un po’ più lunga del solito. E invece Werbley stava involontariamente consegnando un messaggio ai suoi nemici. Lydia deglutì a fatica. Sua zia aveva lasciato la casa senza dire una parola, consapevole che Isaac e gli altri sarebbero arrivati non appena il messaggio sarebbe stato recapitato. Aveva lasciato indietro la sua famiglia a morire.
Una mano si posò sul suo polso. Lydia sollevò lo sguardo fino ad incontrare gli occhi di Blake. «L’importante è che siamo riusciti a scappare in tempo. I tuoi genitori sono al sicuro, ora, l’hai detto tu stessa.»
Sì, lo erano. Probabilmente erano già nelle mura protette di casa O’Brien. Dove sarebbe stata anche lei se non fosse stata rapita da Blake. Sfilò la sua mano da quella del ragazzo. «E allora arriviamo all’ultima domanda. Tu cosa vuoi da me?»
Le sue parole echeggiarono nella stanza. E negli istanti successivi accadde qualcosa che Lydia considerò impossibile: Blake si accartocciò su se stesso, non c’era altro modo per descriverlo. Le sue spalle si curvarono, il volto si riempì di rughe che prima non c’erano e le sue mani iniziarono a muoversi irrequiete. Sembrava preoccupato. Sembrava… spaventato.
«Ho bisogno del tuo aiuto. Loro… loro continuano a volermi far entrare nel gruppo. Hanno tentato di convincermi in nome della nostra vecchia amicizia, finora non sono stati particolarmente agguerriti, ma… Ho paura che possano dimenticarsi che una volta eravamo amici, ho paura che…» Tentassero di convincerlo in altri modi, concluse Lydia nella sua mente. Neanche gli anni di amicizia con Mills lo avrebbero salvato dalle sue torture. «Voglio andarmene dal Paese.» continuò Blake «Ho sentito che alcuni sono riusciti ad uscire. Mi hanno raccontato della presenza di alcuni stregoni che vendono Passaporte illegali per l’estero.»
Anche Lydia ne era venuta a conoscenza. Il racconto di Lance quando era tornato a casa con Keira riguardo a persone truffate o scomparse dopo aver cercato di acquistare Passaporte illegali tormentava ancora i suoi incubi.
«Sei un Purosangue, non hai bisogno di Passaporte illegali.»
«E invece sì. Te l’ho detto, anche per i Purosangue la vita non è più come prima. Il Ministero ha chiuso i confini. I Paesi esteri hanno imposto sanzioni su tutti i mercati con il Regno Unito come forma di disapprovazione dell’ascesa del Signore Oscuro, ma alcune famiglie Purosangue basano il proprio patrimonio sull’esportazione e l’importazione di merci magiche e con la chiusura dei mercati hanno perso ingenti somme di denaro. Il Ministero ha paura che possano decidere di abbandonare il Paese e la causa per riprendersi i loro patrimoni. E l’ultima cosa che vogliono i Mangiamorte del Ministero è trovarsi senza più famiglie Purosangue sul suolo inglese. Quindi hanno proibito i viaggi all’estero a tutti i Purosangue, sostenendo che sarebbero troppo pericolosi. Per questo sono rimaste solo le Passaporte illegali. Hanno costi proibitivi ma per quello non c’è problema, ho abbastanza soldi da coprire tutte le spese. Il problema è che si tratta di una trattativa pericolosa. Il Ministero l’ha scoperto e sta perseguitando venditori e acquirenti per traffico umano, se ti beccano mentre stai contrattando con loro rischi di finire ad Azkaban.»
«Quindi hai bisogno di me così in due potremmo difenderci meglio se il Ministero dovesse trovarci.» A Lydia non servì il cenno di assenso di Blake per sapere che la sua intuizione era giusta «Ma cosa ti fa pensare che rischierei la mia vita solo per accompagnarti ad una stupida Passaporta?»
«Perché se funzionasse poi saresti libera.»
Riuscì a zittire Lydia.
Libera. Non ricordava neanche più cosa significasse esserlo. Se fossero riusciti ad uscire dal Regno Unito, si sarebbero ritrovati in un altro Stato. E prima della caduta del Ministero, e della conseguente corruzione della Gazzetta del Profeta, Lydia aveva letto che in molti stati esteri i Ministri della Magia condannavano fermamente le azioni di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato e garantivano la totale libertà dei Nati Babbani nei loro Paesi. Se fosse riuscita a raggiungerli non avrebbe più dovuto nascondersi, nessuno avrebbe più cercato di ucciderla. La prospettiva le donava più speranza di quanta fosse disposta ad ammettere.
«Non posso abbandonare la mia famiglia.» disse ad alta voce, per convincersi, anche se una parte di lei continuava a considerare allettante la prospettiva.
«Loro potrebbero raggiungerci con i mezzi babbani.» La risposta di Blake fu di una semplicità disarmante. Aveva ragione. Loro non erano ricercati. Nessuno li impediva di mettersi in viaggio e raggiungere la Francia in treno attraverso il tunnel della Manica. Non avrebbero attirato attenzioni indesiderate e sarebbero stati fuori da lì in poche ore. A voler andare ancora più sul sicuro, avrebbe potuto far cambiare loro l’aspetto per non essere riconosciuti, Katherine era abile nelle Trasfigurazioni e gli O’Brien… Lydia si sentì gelare. Si era completamente dimenticata della famiglia O’Brien. «Non posso… ci sono altre persone che contano su di me.»
Blake le riprese la mano. «Ma quelle persone valgono il rischio che corri rimanendo qui?»
Sì, fu la prima risposta che affiorò nella mente di Lydia. Alla quale però, seguirono alcuni ricordi. Le frecciatine, i commenti carichi d’odio di Caitlin, la frase della signora O’Brien in cucina, lo sguardo gelido del marito, Duncan e Katherine che la evitavano nel periodo in cui si era sentita più sola, la porta chiusa di Lance.
Blake percepì il suo dubbio. «Puoi prenderti del tempo per decidere.»
«Non dobbiamo muoverci subito?»
«No.» Lo sguardo di Blake si velò di tristezza. «C’è un altro motivo per cui ho bisogno di te.»
La curiosità distolse momentaneamente Lydia dai suoi dubbi. «E quale?»
«Mia madre. Lei non sta tanto bene, da quando…» Blake sospirò «Da quando mia sorella si è unita agli sgherri del Signore Oscuro.» disse tutto d’un fiato.
E Lydia ricordò una conversazione avvenuta a Pandizenzero, in quella che sembrava una vita prima. Duncan le aveva raccontato dei gruppi di ragazzi che si erano uniti alle file di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato. Un nome era risaltato sugli altri.
Eileen Moore.
«Mia mamma non può rimanere qui. Ogni notizia che le arriva riguardo alla guerra la fa ammalare sempre più, devo portarla fuori dal Paese il prima possibile. Ma mio papà non vuole. Si rifiuta e l’ultima volta che gli ho proposto di fuggire all’estero mi ha buttato fuori casa e mi ha detto di non farmi più vedere fino a quando non avessi cambiato idea. Ma io non posso cambiare idea. Mia mamma deve uscire da qui, e anche io. E anche tu.»
Un ultimo quesito rimaneva nella mente di Lydia, a vorticare su ogni altro pensiero. «Perché dovrei aiutarti?» Poteva essere considerata un’egoista, ma la sua domanda era sincera. Per quale motivo avrebbe dovuto lasciare indietro l’unica vita che conosceva per un ragazzo che non aveva mai fatto nulla per lei?
E la risposta arrivò più velocemente di quanto si aspettasse. «Perché ho appena salvato da tortura e morte i tuoi genitori e tua nonna. E perché, per quanto tu possa cercare di nasconderlo, io so chi sei davvero.» Gli occhi di Blake brillarono e un sorriso gli distese le labbra, allontanando le ombre dal suo volto «Sei una persona buona, Lydia. La più buona che io abbia mai conosciuto e amato. Per questo ti prego e ti supplico… Aiutami.»
Lydia si trovò ad avvicinarsi a Blake, fino a che la distanza tra di loro si ridusse a pochi centimetri. E nei suoi occhi vi lesse la sincerità delle sue intenzioni e rivide quel ragazzo che aveva imparato ad amare, tanto tempo prima.
E fu forse la Lydia che era stata anni addietro a rispondere per lei: «Va bene. Ti aiuterò.»
 


Note: Non potete immaginare la mia gioia nell'avervi presentato finalmente l'ultimo personaggio principale della storia <3 Anche se ci sono stati già vari riferimenti a Blake nel corso dei capitoli, ha fatto infine la sua comparsa e sono curiosa di sapere che impressione vi ha fatto! Sappiate solo che la sua storia potreebbe essere molto più complicata di come ha voluto descriverla a Lydia... 

Con la speranza che questo capitolo vi sia piaciuto, vi do appuntamento a settimana prossima!

Un abbraccio,

Emma Speranza
 
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Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere

 
 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 - Di fenici e memorie ***


Capitolo 31
Di fenici e memorie
 

 «Scommetto che non sei capace di entrare nella Foresta Proibita. Non ne hai il coraggio.»
Lydia Merlin ispirò profondamente, mettendo in pratica un esercizio che suo padre le aveva sempre consigliato per calmarsi. Ovviamente non funzionò. «E va bene. Accetto la sfida.» Si godette l’espressione di assoluta sorpresa che comparve sul volto di Blake Moore.
«Guarda che se accetti la scommessa devi entrarci davvero nella Foresta Proibita. Non puoi solo fingere.»
Lydia si mise la mani sui fianchi. «Ho detto che accetto la sfida.»
Blake guardò Celia Harris, Isaac Mills e Aiden O’Neil, i suoi amici, come se non avesse neanche lontanamente preso in considerazione l’ipotesi che Lydia potesse accettare. Da parte sua, Lydia non si sentì in dovere di informarlo che non aveva alcuna paura ad entrare nella Foresta Proibita visto che vi era stata solo qualche settimana prima in punizione insieme a Alice, Lance e Paul. E in quell’occasione si erano anche persi ed costretti così a girovagare fino a quando Hagrid era riuscito a ritrovarli. In fondo questa volta doveva solo entrare ed uscire. Nulla di più.
Blake tornò a guardarla, mascherando il suo stupore sotto il suo solito ghigno. «Va bene, allora. Questa sera, subito dopo cena. Ci vediamo dove fanno lezione di Cura delle Creature Magiche.» tese il braccio verso di lei.
Lydia gli strinse la mano con forza. «A stasera.»
 
«Non puoi averlo fatto!»
«E invece sì.»
«No! Non puoi essere stata così stupida.»
Lydia sollevò gli occhi al cielo. «Oh, andiamo Alice, è solo una piccola scommessa. E per fare una cosa che abbiamo già fatto settimane fa senza che ci capitasse nulla.»
«Era una punizione, Lydia!» Alice agitò in aria la forchetta, facendo volare un pezzo di arrosto direttamente nei capelli di Bill Weasley. «I professori sarebbero corsi a salvarci se fossimo finiti nei guai.»
Lydia si limitò a guardarla. «E va bene» capitolò Alice «Ma il fatto che i professori siano stati degli incoscienti non giustifica il tuo andare nella Foresta Proibita solo per fare un torto a Blake Moore.»
«Oh, insomma Alice. Ammettilo che ti farebbe piacere battere Moore in qualcosa. È sempre così pieno di sé. E antipatico. E dice che i Grifondoro non valgono niente.» Lydia lanciò un’occhiataccia al tavolo dei Serpeverde, più precisamente verso il gruppetto del primo anno che vociava e rideva sguaiatamente.
«Sì, mi piacerebbe. Ma non ho istinti suicidi, a differenza tua.»
«E va bene!» sbottò Lydia. Riprese la sua borsa e si alzò di scatto dal tavolo. «Se tu non vuoi aiutarmi mi rivolgerò a qualcun altro.» E senza lasciarle il tempo di dire altro (o di lanciarle in testa la forchetta), Lydia si allontanò in fretta, andando ad interrompere il pranzo delle sue prossime vittime. «Ho bisogno del vostro aiuto.» Si infilò sulla panca, costringendo due studenti ad allontanarsi maledicendola. A Lydia non importò.
Lance e Paul invece erano di tutt’altro parere.
«Che ci fai qui!?» sibilò subito Paul, spaventato.
«Ve l’ho detto. Ho bisogno del vostro aiuto.»
«Devi andartene!» Paul stava cominciando a sudare «Non puoi pranzare al tavolo dei Tassorosso. Se ti vedono perdiamo di nuovo i punti, come l’altra volta!»
«Ma noi non stiamo pranzando.» Lydia sollevò lo sguardo verso Alice, in piedi alle sue spalle e intenta a guardarla a sua volta con rassegnazione «Faresti delle stupidaggini senza di me. Ho il dovere morale di aiutarti e tentare di non farti finire in guai più grossi.» continuò Alice, sedendosi al suo fianco e costringendo un altro Tassorosso a spostarsi.
«E in cosa dovremmo aiutarti, a proposito?» chiese Lance, continuando a mangiare la sua frittata come se nulla fosse.
Lydia si chinò sul tavolo, costringendo i suoi amici a fare altrettanto per riuscire a sentirla. «A sgattaiolare fuori dal castello dopo cena. Ho fatto una scommessa con Moore. Lui crede che non ho il coraggio di entrare nella Foresta Proibita, ma è convinto anche che i Grifondoro perderanno la Coppa delle Case e che i miei incantesimi in Trasfigurazione siano scadenti, quindi crede in tante idiozie.»
Lance masticò il suo pezzo di frittata. «Basterà aspettare il momento in cui tutti iniziano ad uscire dalla Sala Grande finita la cena. Ci confondiamo tra la folla ed usciamo dall’Ingresso senza farci vedere.»
Lydia trattenne il respiro. «Volete venire con me?»
«Certo, Lydia.» rispose Alice esasperata «Non ti lasceremmo mai da sola con Blake Moore e la sua squadra. E non ti lasceremmo neppure entrare nella Foresta Proibita senza di noi.»
«Siamo amici.» confermò Lance «E questo è quello che fanno gli amici.»
Lydia non si era ancora abituata all’idea di avere degli amici veri al suo fianco. Non aveva neppure saputo cosa significasse realmente fino a quel momento.
«Grazie.» rispose sinceramente.
«La Foresta Proibita? Io non ci rientro lì dentro e, per la barba di Merlino, tornate al vostro tavolo prima che il professor Piton ci veda!» Paul sembrava sull’orlo di una crisi di nervi. Lydia ebbe pietà per i suoi nervi e decise di accontentarlo. Si alzò, trascinando Alice con sé. «Non sei costretto a venire, se non vuoi.»
 
E invece, dieci minuti dopo, mentre un fiume di studenti si riversava fuori dalla Sala Grande, Paul fu il primo ad aprire la porta dell’Ingresso e a sgattaiolare fuori. Lydia, Lance e Alice lo seguirono di soppiatto.
Blake era già sul limitare della Foresta Proibita, circondato ovviamente dai suoi amici.
«Lo sapevo che ti portavi i tuoi amichetti.» disse Blake, con una freddezza che ben si addiceva al vento gelido che soffiava sul prato.
«E vedo che anche tu hai portato i tuoi.» Lydia si strinse nel mantello. «E comunque non ho violato la tua scommessa. Tu non hai mai detto che dovevo entrarci da sola per vincerla e abbiamo già stretto le mani quindi non puoi più modificarla.»
Mills batté una mano sulla spalla di Blake, sbilanciandolo. «Ammettilo, Blake. È stata furba.»
Ma Blake era furente. «Se volete entrare tutti, allora fatelo. Noi ci divertiremo ancora di più a vedervi correre via terrorizzati.» La rabbia lasciò il posto ad un ghigno, come se si stesse già pregustando la scena.
Lydia si voltò verso i suoi amici. «È il nostro momento, ragazzi. Entriamo e usciamo, niente di più.» Alice e Lance annuirono, Paul riprese a tremare, ma quando Lydia cominciò a guidare la spedizione a grandi passi e con un cipiglio deciso dipinto in volto, anche lui li seguì mettendo da parte tutti i suoi dubbi e le sue paure.
Superare i primi alberi ed uscire subito dopo. Il piano era semplice. A parole. Nei fatti, la Foresta Proibita sembrava infinita, ammantata nell’oscurità di una notte senza luna e con le fronde dei grandi alberi che coprivano le stelle. Per quanto provassero a sentirsi coraggiosi, il buio e le incognite che essa nascondeva faceva vacillare il loro passo.
Erano già entrati, cercò di tranquillizzarsi Lydia, tornando a respirare profondamente come consigliatole dal padre. Non c’era nessun rischio reale. Sarebbero stati fuori da lì prima che le creature e i mostri della Foresta si accorgessero della loro presenza. Uno scricchiolio sopra loro teste li fece sobbalzare. I quattro ragazzi si strinsero ed affrontarono i passi successivi con le spalle che si sfioravano e i cuori che battevano in gola. Dovevano arrivare solo all’albero cavo, decise Lydia, una volta raggiunto quello sarebbero spariti per qualche istante dalla visuale di Moore, segno che si erano addentrati abbastanza, poi sarebbero potuti tornare indietro e sbattere il loro successo in faccia a Blake e ai suoi amici. La prospettiva donò a Lydia un’ondata di coraggio, che le fece accelerare il passo di conseguenza, costringendo i suoi amici ad allungarlo a loro volta. L’albero cavo era sempre più vicino, perdendo con la vicinanza le sembianze da scheletro e tornando ad essere quello che era: un vecchio tronco come quelli che si trovavano in qualsiasi foresta del Regno Unito. Che stupidi che erano stati ad avere paura. Si erano avventurati in una zona completamente diversa rispetto a quella in cui erano entrati l’altra volta, e si trattava dell’area di Foresta utilizzata anche durante le lezioni, segno che era la più sicura. Lydia sollevò la mano per toccare il tronco. Chissà che faccia avrebbe fatto Moore a vederli tornare indietro trionfanti.
«Fatto!» esclamò vittoriosa battendo la mano sulla corteccia dell’albero cavo. La sua gioia era incontenibile. Aveva battuto Moore! Ora non si sarebbe più permesso di insultare lei o i Grifondoro!
Un sibilo sopra di loro fece evaporare tutta la gioia di Lydia.
Sollevò lentamente il volto, così come fecero i suoi amici. E trovarono centinaia se non migliaia di occhi a guardarli.
E poi le Acromantule si gettarono verso di loro.
Le urla di Lydia, Lance, Alice e Paul rimbombarono nella Foresta silenziosa, mentre si precipitavano in una corsa selvaggia verso il confine esterno. Era una distanza di pochi metri, ma per Lydia furono i più lunghi della sua vita. Dei ticchetti alle loro spalle confermarono che le Acromantule si erano gettate all’inseguimento, pronte a divorare gli sventurati che avevano osato avvicinarsi al loro territorio. Lydia intravide il castello in lontananza e corse con tutte le sue forze superando Lance, che li spronava ad andare più veloce, ed Alice, che si trascinava dietro un Paul delirante per il terrore.
Appena Lydia mise piede nei prati di Hogwarts e nella sicurezza che essi rappresentavano, si lasciò cadere a terra, incapace di credere di essere ancora viva. Ma la paura la fece voltare di nuovo verso la Foresta. Anche Lance, Paul e Alice erano riusciti ad uscire, mentre le Acromantule si fermarono sul confine degli alberi. Ticchettavano e sibilavano ma non accennarono a muovere un altro passo.
«Siamo salvi.» boccheggiò incredula «Siamo salvi… siamo salvi!» esultò sdraiandosi di nuovo per terra ed incrociando lo sguardo della professoressa McGranitt. «Oh, oh.» si ritrovò a dire. Lance, Alice e Paul osservavano la scena impietriti, con una paura che non avevano provato neppure quando inseguiti dalle Acromantule. Moore e i suoi amici erano scomparsi, probabilmente si erano dati alla macchia appena avevano visto la professoressa, o dopo aver sentito le loro urla.
«’Oh, oh’ davvero, signorina Merlin.» disse la professoressa McGranitt, le labbra strette e negli occhi la promessa di una punizione esemplare.
 
Quando Blake aveva implorato il suo aiuto, Lydia si era immaginata di dover affrontare ostacoli e cammini impervi, avventure mirabolanti in cui avrebbe rischiato la vita innumerevoli volte. Tutto tranne dover rimanere ore nascosta dietro ad un cespuglio ad osservare una casa che sembrava un palazzo reale.
«Cigni!» esclamò ancora esterrefatta, nonostante fossero ore che li osservava nuotare placidamente nello stagno davanti a loro «Avete persino dei cigni! Cosa tenete sul retro, pavoni?»
«Mia mamma li desiderava tanto, ma mio papà li ha sempre considerati troppo pacchiani.» rispose serio Blake.
Lydia lo guardò sconvolta.
No, non si sarebbe mai abituata alla ricchezza che certe famiglie Purosangue possedevano. Persino il palazzo degli O’Brien sbiadiva in confronto al castello che si trovava davanti in quel momento. Anzi, era proprio sicura che quella che si stagliava al lato destro fosse proprio una torre, completa di feritoie e merlature. Si chinò verso Blake. «Avete anche le segrete?»
«Non siamo mica i Malfoy.» rispose il ragazzo, con la stessa serietà di prima.
Purosangue.
Lydia non li avrebbe mai capiti.
 
Lydia aveva dei problemi con Trasfigurazione, lo sapeva, ne era consapevole da ormai due anni, questo però non significava che gli altri avessero il diritto di deriderla per le sue difficoltà. Specialmente non Blake Moore.
«Insomma Merlin, era un complimento!» Lydia avrebbe voluto cancellare il sorrisetto compiaciuto di Blake con uno schiaffo «Ho solo detto che rendi spassose tutte le lezioni della professoressa McGranitt! Ammetto che mi stavo addormentando oggi, per fortuna è arrivato il tuo pappagallo a rallegrarci.»
«Sta zitto, Moore.»
Alice intanto continuava a trascinarla per i corridoi, con la speranza di poter arrivare il prima possibile al ritratto della Signora Grassa ed evitare così che Lydia e Blake si azzuffassero. O finissero in punizione. L’ora del coprifuoco stava per scattare.
«Dovresti tornartene nelle tue segrete, Moore.» provò a convincerlo Alice. Ma ormai aveva già capito che quando Lydia e Blake iniziavano a bisticciare era come se il mondo attorno a loro non esistesse più. Per un attimo, Alice pensò di abbandonare lì entrambi. La sua vita sarebbe stata meno complicata se non avesse dovuto passare metà del suo tempo ad impedire loro di azzannarsi a vicenda.
«Dai, Merlin, devi ammettere anche tu che è stato uno spettacolo niente male.» Alice sollevò un arazzo e trascinò Lydia nel passaggio segreto nascosto dietro all’armatura di Rastel Krounch che le avrebbe portate in pochi minuti al quinto piano, a pochi metri dalla salvezza. «Ho sentito la McGranitt parlare con il professor Vitious» continuò imperterrito Blake. «Hanno detto che con le tue doti saresti perfetta per il circo delle cugine Strelland.»
Lydia si voltò di scatto con un ruggito. Fortunatamente Alice, conoscendo ormai bene l’amica, aveva percepito la sua rabbia ed era riuscita ad afferrarla per il mantello prima che si potesse gettare su Blake.
Almeno Blake ebbe la decenza di spaventarsi. Anche se un secondo dopo aveva già ripreso il suo sorrisetto, negli occhi una punta di soddisfazione per essere riuscito ad attirare l’attenzione di Lydia.
Alice sentì la stoffa del mantello di Lydia scivolarle tra le dita. «È solo uno stupido, Lydia, non ascoltarlo!» 
Lydia però non voleva sentire ragioni. «Lasciami Alice, così posso strozzarlo!»
Blake si limitò a fare un passo indietro e scoppiare a ridere. «O potresti trasformarmi in un pappagallo. Oh, che paura.» fece finta di rabbrividire e rise di nuovo.
Si divertiva con poco, constatò Alice. Ormai sarebbe stato impossibile riuscire a convincere Lydia a seguirla fino alla Sala Comune dei Grifondoro, e, sinceramente, anche lei era stanca di Moore, così Alice tirò di nuovo Lydia per il mantello costringendola ad arretrare fino al suo fianco. «Smettila, Moore.» disse una volta che fu sicura che la sua amica non gli sarebbe saltata al collo alla prima possibilità, assicurandosi così un viaggio diretto verso Azkaban «La professoressa McGranitt ha detto che Lydia ha un talento innato per la Trasfigurazione, invece tu non riesci neanche a lanciare un Lumos. Sì, me l’ha detto uno di Corvonero, sai quante risate ci siamo fatti alle tue spalle?»
Blake rivolse finalmente la sua attenzione verso Alice, il suo volto divenne paonazzo. «Stai zitta, stupida Sanguema…» Non fece in tempo a completare la frase. L’arazzo d’ingresso del passaggio segreto si sollevò ed una ragazza fece il suo ingresso nello stretto corridoio. Era più grande di loro, aveva lunghi capelli neri, grandi occhi verdi dello stesso colore dello stemma di Serpeverde che portava sulla divisa, accanto ad una spilletta da Prefetto. «Oh, no.» pensò immediatamente Alice. Erano nei guai, in grossi guai. Il suo sguardo corse all’orologio che portava sul polso. Forse si potevano ancora salvare, mancavano ancora alcuni minuti al coprifuoco. In teoria non avevano ancora infranto nessuna regola. Nonostante questo, Alice sentì una stilettata di panico ed abbassò gli occhi, dimostrando un improvviso interesse per le sue scarpe.
Lydia invece si limitò a guardare male anche la nuova arrivata, per aver interrotto la sua vendetta contro Blake. Aveva una mezza intenzione di trasformarlo davvero in un pappagallo o in una creatura ripugnante e dimenticarsi completamente della sua esistenza.
La Serpeverde raddrizzò la schiena e li fissò con uno sguardo di ghiaccio. «È quasi ora del coprifuoco, non dovreste essere qui.»
«Stavamo tornando alla torre.» disse Alice, concentrandosi questa volta una minuscola macchia sul pavimento.
«E mancano ancora dieci minuti al coprifuoco.» aggiunse Lydia. Ci mancava solo un Prefetto impiccione per concludere quella giornata disastrosa. 
«Dodici.» la corresse Blake.
Lydia si voltò furiosa verso di lui. «Mi stai rompendo anche per l’orario adesso? Ma chi ti credi di essere?»
«Un mago migliore di te.» rispose Blake con un sorrisetto.
Le guance di Lydia si infiammarono. Ne aveva abbastanza di lui e gli avrebbe fatto pentire di averla inseguita fino a quel corridoio. Spalancò la bocca, prese fiato e…
«Non una parola.» La Prefetto sollevò una mano e Lydia perse tutta la sua veemenza. Espirò l’aria dai polmoni e si accorse che sì, la giornata poteva davvero finire peggio di come era iniziata. «Ne ho abbastanza del vostro comportamento. Vi state comportando come dei bambini e non vi state dimostrando degni di stare in questa scuola. Non è il vostro parco giochi, è la migliore scuola di magia in tutto il mondo quindi svegliatevi e crescete. Non tollererò più le vostre inutili discussioni.» Lydia non sapeva per quale motivo Blake sorridesse trionfante, come se quel rimprovero non lo sfiorasse. «Sto parlando anche con te, Moore.» Il suo sorriso si spense all’istante rimpiazzato dall’incredulità. «Merlin, Moore, domani alle venti punizione con il signor Gazza. Così imparerete a moderare i toni e a mostrare contegno.»
La ragazza si voltò ed attraversò l’arazzo, scomparendo dalla loro vista, mentre Lydia e Blake continuavano a guardare increduli lo spazio davanti a loro, come se stessero valutando se fosse successo davvero. Lydia si voltò stupita verso Alice, che nel frattempo era arretrata talmente tanto da sembrare parte integrante del muro dietro di lei. «Perché tu non ti sei beccata la punizione?»
Alice non si mosse per la paura che la Serpeverde potesse ricordarsi improvvisamente che era presente anche lei ed affibbiarle così una punizione. Poi Lydia si voltò verso Blake, che continuava a fissare esterrefatto il vuoto davanti a lui. «E perché quel Prefetto ti assomiglia?»
«Perché è mia sorella.»
 
La punizione con Blake era stata meno terribile di quando Lydia avesse immaginato. Certo, ne aveva odiato ogni singolo istante, ma almeno dopo solo due ore la tortura era terminata. O almeno così pensava.
 
Una settimana dopo la scena surreale avvenuta nel passaggio dietro all’arazzo, Lydia stava rovistando nella sua borsa, alla ricerca del compito di Trasfigurazione con la speranza di non averlo dimenticato nella Sala Comune. Mancavano solo pochi minuti all’inizio della lezione, tutti gli studenti erano già fuori dall’aula in attesa, non avrebbe mai fatto in tempo ad andare e tornare prima che si aprisse la porta. Nell’agitazione, una boccetta d’inchiostro le cadde dalle mani, andando ad infrangersi sul pavimento e riempiendo tutti i malcapitati vicini di schizzi. Un coro di lamenti si alzò dalla piccola folla che la circondava, mentre Lance si prodigava a trovare dei fazzoletti con cui asciugare il disastro, una voce in particolare si levò sopra alle altre. «Stai un po’ attenta, Merlin!» Blake agitava il mantello, come se potesse funzionare per togliere le gocce di inchiostro che stavano già asciugando sul tessuto.
Lydia non capì da dove fosse arrivata, l’unica cosa che il suo cervello riuscì a percepire fu l’improvvisa presenza di Eileen Moore di fronte a loro, con lo stesso cipiglio di una settimana prima. «Moore, Merlin. Punizione.»
Lydia boccheggiò. «Cosa? Ma perché?»
Eileen non volle sentire ragioni. «Per danni sul suolo scolastico.»
«E io cosa c’entro?!» esclamò Blake.
«Perché devi imparare la buona educazione. Buona giornata.» E detto questo si dileguò con la stessa velocità con la quale era comparsa, facendo sospettare a Lydia che Eileen avesse trovato un modo per aggirare le protezioni che impedivano la Materializzazione nei confini della scuola.
La piccola folla fuori dall’aula li guardava attonita.
Poi Lance, con i fazzoletti impregnati di inchiostro dimenticati tra le mani, spezzò il silenzio. «Cosa è appena successo?»
 
Lydia scoprì che era solo l’inizio.
Nelle settimane successive Eileen Moore sembrava avere un’unica missione nella vita: mettere in punizione Lydia e Blake per ogni minimo errore. Una volta perché camminavano troppo lentamente ostruendo il passaggio agli altri studenti, un’altra perché si erano lanciati un’occhiataccia, un’altra ancora perché masticavano troppo rumorosamente. Lo stesso era avvenuto anche quella mattina, quando un gufo aveva recapitato un messaggio non firmato, ma con una scrittura ormai riconoscibile agli occhi di Lydia dopo tutti gli altri biglietti uguali che aveva ricevuto fino a quel momento.
‘Punizione questo pomeriggio alle cinque per aver parlato in biblioteca.’
E così Lydia si trovò costretta all’impossibile. Chiedere aiuto a Blake Moore.
«Devi fermarla.»
«Pensi che non ci abbia già provato?»
«È tua sorella! Dovrà ascoltarti!»
«Potrà anche essere mia sorella ma non mi ascolta! A proposito, siamo anche in punizione per averle chiesto di smetterla.»
«Cosa!?»
«Signorina Merlin, la prego di prestare attenzione.»
Lydia sollevò lo sguardo verso la cattedra. «Certo, professoressa McGranitt. Mi scusi.» La professoressa lanciò l’ennesima occhiata sospettosa verso di loro. E non era la sola. Il fatto che Lydia Merlin avesse deciso di sedersi accanto a Blake Moore durante la lezione aveva scatenato ogni genere di commenti da parte dei loro compagni. Lydia aspettò pazientemente che la professoressa McGranitt tornasse a blaterare sull’importanza della concentrazione nell’arte della Trasfigurazione prima di bisbigliare «Perché ha messo in punizione anche me? Se tua sorella vuole vendicarsi su di te perché continua a mettermi in mezzo?» La sua esasperazione era ben udibile nella sua voce.
«Non ne ho idea.» rispose sinceramente Moore.
«I tuoi genitori non ci possono aiutare?»
Moore abbassò lo sguardo ed iniziò a far roteare impacciato la piuma tra le mani. «Ho scritto a mia mamma. Mi ha detto che quello che sta facendo Eileen è sbagliato. Ma il problema è che Eileen non ascolta mai mia mamma. Anche papà dovrebbe averle scritto, però lei continua a darci punizioni, quindi direi che non ha funzionato neanche quello.»
Lydia si mise le mani nei capelli. «Dobbiamo trovare un modo, Blake. O passeremo più ore in punizione che a lezione.» Blake sollevò la testa di scatto, sorpreso. «Che c’è?» chiese Lydia.
«Niente.» rispose Blake, anche se si capiva perfettamente che stava mentendo.
Lydia ripensò alle parole che aveva appena pronunciato. Poi capì. Era la prima volta che chiamava Blake per nome. Eppure non capiva il motivo per cui era tanto sorpreso. Ormai passava veramente più tempo in punizione con lui che con Alice, Lance e Paul. Per fortuna Blake si era rivelato meno terribile del previsto, una volta che era da solo e lontano dai suoi amici. Anzi, Lydia aveva scoperto che non gli dispiaceva del tutto passare del tempo in sua compagnia. Anche se non per questo avrebbe tollerato un’ora in più di punizione.
Lydia sospirò. «Dovremo ricorrere all’estremo rimedio.»
«Già fatto.» rispose Blake, sconsolato.
Questa volta fu il turno di Lydia di mostrarsi sorpresa. «Cosa significa ‘già fatto’?»
Blake la guardò con sguardo mesto. «Ho chiesto aiuto al professor Piton.
«No!» Lydia era senza parole. Non avrebbe mai pensato che Blake potesse essere così coraggioso.
«Ti dico solo che non ha funzionato.» Blake fu scosso da un brivido e Lydia decise di non indagare oltre.
«E va bene. Se neanche Piton ha funzionato ci resta un’ultima carta da giocare.»
Gli sguardi di Lydia e Blake si alzarono, andandosi a posare sulla professoressa McGranitt, che non aveva mai smesso di lanciare loro occhiate sospettose.
 
«Non ci posso credere.»
«Ma può farlo?»
«Lei sì. È tua sorella che non può!»
«Ma la professoressa ha detto che può!»
«E allora dobbiamo protestare!»
«L’abbiamo appena fatto! E ci siamo trovati con un’altra punizione.»
Blake aveva ragione.
Lydia si sarebbe aspettata di tutto dal loro incontro con la professoressa McGranitt tranne prendersi l’ennesima punizione per aver messo in discussione l’operato di un Prefetto.
Appoggiò la schiena al muro del corridoio e si lasciò scivolare a terra. «Non c’è più speranza. Siamo condannati a vivere il resto della nostra vita in punizione.» Sentì uno spostamento d’aria al suo fianco e si trovò Blake seduto a pochi centimetri da lei, le loro braccia che si sfioravano. «Almeno siamo in due e ci facciamo compagnia. Anche se immagino che avresti preferito passare il tempo con i tuoi amici.»
«Anche tu sei mio amico.»
Blake sgranò gli occhi stupito. Anche Lydia avrebbe dovuto esserlo. Non aveva mai pensato prima a Blake come un suo amico, eppure qualcosa dentro di lei le sussurrava di aver detto la verità. «Abbiamo passato non so più quante ore in punizione con Gazza, abbiamo pulito questo castello fino alla sua ultima nicchia e abbiamo affrontato insieme la professoressa McGranitt. Dopo tutto questo è impossibile non considerarsi amici, no?»
Blake ci pensò un attimo. «Sì, direi che è vero.»
Lydia sentì uno slancio di adrenalina attraversarla. «E allora sai cosa ti dico, amico?» chiese alzandosi. Allungò una mano verso Blake. «Che insieme riusciremo a superare qualsiasi punizione la McGranitt o tua sorella abbiano in serbo per noi.»
Blake strinse la sua mano e, con un sorriso, lasciò che Lydia lo aiutasse ad alzarsi.
 
«Quindi ricapitoliamo.» Lydia avvicinò le mani al vasetto contenente il fuocherello, nel vano tentativo di scaldarsi. «Il tuo piano è nasconderci in questi cespugli – a proposito, cespugli a forma di fenice? Chi ha cespugli a forma di fenice!? – fino a quando tuo padre uscirà di casa lasciandoci finalmente la via libera.»
«Esatto.»
«È un piano stupido.» sentenziò Lydia.
«È l’unico possibile.»
«Non possiamo entrare di notte?»
Era già da due giorni che i ragazzi sedevano alla fredda aria primaverile in attesa. Ed era da altrettanti giorni che si ripeteva la stessa conversazione. Blake rispose con la solita calma. «Se incrociamo per sbaglio mio papà è finita. Dobbiamo evitarlo a qualsiasi costo, quindi dobbiamo aspettare che se ne vada.»
«Sì, continui a dirlo, eppure tuo papà sembra non avere la minima intenzione di mettere il naso fuori casa. Potremmo attirarlo fuori con un diversivo...»
«E che cosa proponi?» chiese Blake, leggermente divertito.
Lydia si guardò attorno in cerca di ispirazione, ma c’era un dettaglio di quel giardino che continuava a distrarla. «Potremmo incendiare questi stupidi cespugli.» borbottò infine. Blake rise. «Lasciami almeno tagliargli le ali, così diventerebbero delle adorabili anatre, a chi non piacciono le anatre?»
«Che cosa ti hanno fatto le mie povere fenici?»
«Esistono.» rispose Lydia lapidaria, anche se sapeva benissimo il motivo per cui le odiava da quando si erano accampati alla loro ombra. Odiava loro ed ogni singolo elemento di opulenza in quel giardino, perché le ricordava che i Purosangue vivevano così, con fontane, cigni e siepi dalle forme discutibili, una condizione ben diversa rispetto alla sua e di tutti coloro che erano come lei. Ripensò ai genitori dei bambini che aveva conosciuto, ad Alice e agli altri Nati Babbani, in fuga o imprigionati chissà dove, o peggio ancora, morti in una guerra in cui non avevano alcuna colpa.
Se avesse avuto la sua bacchetta avrebbe incendiato quelle stupide fenici in quello stesso istante. Il problema era che Lydia non aveva più la sua bacchetta.
Dopo aver stretto l’accordo con Blake, lo aveva costretto a riportarla a casa di sua nonna nonostante le sue continue proteste sul pericolo che i Mangiamorte si trovassero ancora sul posto. Ma Lydia avrebbe affrontato una frotta intera di nemici pur di riavere la sua bacchetta con sé. E così erano tornati nel giardino di sua nonna, dove avevano fatto un’amara scoperta. La bacchetta era sparita. Quella sera, una volta rimasta sola nella sua nuova camera, Lydia si era permessa di piangere al pensiero che la sua bacchetta, la stessa che l’aveva accompagnata in tutti gli anni che aveva trascorso nel mondo magico, fosse finita nelle mani dei Mangiamorte. Almeno la sua famiglia era al sicuro. Era la sua unica consolazione. Ma non per questo si sentiva meno indifesa senza la sua arma. Indifesa e troppo dipendente da Blake.
 
Lydia non poteva crederci.
Come aveva fatto?
Quale incantesimo o maleficio l’aveva portata a farlo?
«Stai bene?» Lydia sollevò lo sguardo ed incrociò quello preoccupato di Lance. «Sì, sto benissimo, mai stata meglio, quando passa il carrello?»
La realtà era che no, non stava bene. Doveva essersi presa una malattia magica. Quali erano i primi sintomi dell’influenza del drago?
Febbre, eruzioni cutanee a forma di zanne e sorridere al proprio arci nemico. Sì. Aveva l’influenza del drago. Non c’era un’altra motivazione logica che avrebbe potuto spingerla a sorridere a Blake Moore.
Era accaduto in fretta. Lydia stava solo aspettando l’arrivo di Alice, Paul e Lance sul binario nove e tre quarti. Non si era neppure accorta di essere a fianco di Blake e della sua famiglia. Almeno fino a quando lui le aveva sorriso. E lei aveva ricambiato il sorriso. Lydia si portò una mano alla fronte. Effettivamente le sembrava di essere calda, e il vagone dell’Espresso di Hogwarts non le era mai parso così soffocante.
«Sei sicura di stare bene?»
No. Stava per morire di febbre del drago, o di vergogna. Era la definizione opposta di ‘stare bene’.
«Sì.» rispose invece. Sì alzò. Doveva uscire da lì prima che fosse troppo tardi, prima che i suoi amici scoprissero il suo tradimento. «Ho solo fame, vado a cercare il carrello!»
«Vengo con te.» provò a dire Lance.
Lydia fu più veloce. «Torno subito!» e sbatté la porta scorrevole alle sue spalle.
Prese un respiro profondo.
I corridoi erano pieni zeppi di studenti. I più grandi correvano da una parte all’altra per salutare i propri amici e raccontarsi a vicenda delle vacanze estive appena trascorse. I novellini invece avevano l’aria terrorizzata ed osservavano tutto ciò che li circondava con gli occhi talmente strabuzzati che Lydia temette di vederli presto schizzare fuori dalle orbite. Quello sì che l’avrebbe distratta dai suoi sintomi e dal pensiero della sua prossima dipartita.
Erano passati cinque anni dal suo primo viaggio sull’Espresso di Hogwarts ma Lydia ricordava bene la sensazione che stavano vivendo quei ragazzini.
‘Ma allora era tutto più semplice.’ si ritrovò a pensare ‘Nessuna preoccupazione per i G.U.F.O., nessun senso di colpa per aver sorriso distrattamente, nessuna voglia di buttarmi giù dal treno.’
Superò un gruppetto di ragazzini che si lanciavano una Pluffa.
Che poi, ripensandoci, non gli aveva proprio sorriso. Era stata una reazione spontanea, si disse Lydia, come quando qualcuno saluta e viene l’istinto di rispondere, senza valutare se colui che ha rivolto il saluto è la stessa persona che ti ha reso gli anni di scuola un inferno.
Lydia si bloccò.
Sì, era così.
Lei non aveva alcuna colpa. Era stata una reazione involontaria del suo corpo.
Tirò un sospiro di sollievo.
Era stata una stupida a preoccuparsi così tanto, e chissà cosa avevano pensato i suoi amici a vederla ridotta in quello stato.
Doveva tornare indietro e godersi insieme ai suoi migliori amici le ultime ore di libertà prima che una marea di compiti li sotterrasse e li facesse dimenticare dell’esistenza dell’estate.
Con questa nuova convinzione, Lydia tornò quasi saltellando al suo scompartimento, con una baldanza tale che persino i ragazzini smisero di lanciarsi la Pluffa per lanciarle occhiate perplesse.
Non che a Lydia importasse.
Ormai nulla poteva turbarla, non ora che aveva scoperto di non essere malata, né sul suo letto (o treno) di morte. Con quell’allegria spalancò la porta dello scompartimento esclamando «Sono tornata!» E si impietrì.
Perché quello non era il suo scompartimento, ma soprattutto la persona seduta al suo interno non era Lance, né Paul, né Alice.
«Blake.» boccheggiò Lydia.
Blake ebbe la decenza di essere altrettanto sconvolto.
«Lydia.»
Qualcuno complottava contro di lei. Come aveva fatto a finire lì? Come?
Fece un passo indietro. ‘Scompartimento 301’ lesse sull’intercapedine della porta.
Lance, Alice e Paul si trovavano nel 302. Non importava, era stato solo un errore, sarebbe bastato uscire da lì e correre nella protezione dei suoi amici. Eppure…
«Dove sono i tuoi amici?» La curiosità di Lydia aveva avuto la meglio. Aveva già fatto diverse scelleratezze in poche ore, una in più non avrebbe cambiato molto.
Blake la guardò negli occhi e Lydia si sentì attraversare da un brivido per l’intensità di quello sguardo.
«Ho deciso di viaggiare da solo quest’anno. Mi serviva tempo per pensare.»
‘Perché? Tu hai un cervello?’ La risposta le era stata servita su un piatto d’argento e le vorticava nella mente urlando per uscire. Sarebbe stato semplice. Doveva solo pronunciare quella frase e tutte le stranezze sarebbero terminate. Sarebbe tornato tutto alla normalità. E invece… «A cosa dovevi pensare?»
Blake le rivolse un mezzo sorriso. «A quello che ho fatto.» E visto che ormai si era già rovinata l’esistenza con le sue stesse mani, Lydia richiuse la porta dello scompartimento alle sue spalle e si sedette sul sedile di fronte a Blake.
Persino Blake rimase senza parole per il suo gesto.
«Mi fermo cinque minuti. Non di più.» lo minacciò Lydia. «Voglio solo sapere a cosa ti stai riferendo di preciso. A quanto sei stato stronzo negli ultimi anni, o più probabilmente da quando sei nato? Sai, ho una teoria secondo la quale la tua prima parola è stata Sanguemarcio, stavo pensando di chiedere conferma a tua sorella ora che si è diplomata e non può più mettermi in punizione, ma poi ho pensato che magari i Capiscuola possono ancora dare punizioni anche da fuori scuola, non mi stupisco più di nulla a Hogwarts, e perché mi stai guardando così?»
«Stai consumando i miei cinque minuti.»
Lydia serrò la bocca.
«Hai ragione.» disse Blake con un sospiro. Poi si bloccò «Non sulla parte della mia prima parola. Quella è stata ‘Nala’, il nome della nostra salamandra domestica. Intendo dire che hai ragione sul mio essere stato uno stronzo.»
Lydia avrebbe voluto non credergli così tutto sarebbe tornato come era sempre stato. Si sarebbero insultati e lei sarebbe tornata nel suo scompartimento, con i suoi amici. Ma qualcosa nell’espressione di Blake le impediva di dargli del bugiardo. I suoi occhi riflettevano un’emozione sincera e Lydia non aveva mai notato quanto la tonalità di verde delle sue iridi fosse bella. Così come il modo in cui stava aggrottando le sopracciglia, gli creava una fossetta proprio in mezzo alla fronte e… Lydia sgranò gli occhi.
No.
No!
Non poteva trovare Blake Moore attraente. No, semplicemente non poteva.
Era scientificamente e magicamente impossibile.
«Mi dispiace, Lydia. Ho fatto tante cose stupide negli ultimi anni, specialmente contro di te. E mi dispiace aver smesso di essere tuo amico.»
Lydia si costrinse a focalizzarsi sul discorso, non sul modo in cui la calda luce pomeridiana rifletteva sui capelli scuri di Blake.
«È successo tre anni fa.»
«Ma solo oggi ho capito quanto io sia stato stupido. Il periodo in cui sono stato tuo amico è stato il più bello per me, in tutta la mia permanenza ad Hogwarts.»
 «Sei stato tu a rompere la nostra amicizia.» lo squadrò Lydia «Se non ricordo male sei stato proprio tu a fine anno ad avermi insultata ed aver detto che ti dovevo aver fatto qualche incantesimo perché non avresti mai passato di tua spontanea volontà del tempo in compagnia di una Sangue Sporco come me.»
Blake si chinò verso di lei e Lydia si trovò inconsciamente a piegarsi verso di lui per avvicinarsi. «Come ho detto, sono stato uno stronzo per troppo tempo.»
Lydia si perse per un istante nei suoi occhi. Scosse la testa e si ritrasse di scatto. «Perché dovrei crederti?»
Blake si appoggiò nuovamente allo schienale del sedile. «Puoi anche non credermi e avresti ragione. Ma troverò il modo per farti cambiare idea. Ti dimostrerò la sincerità delle mie parole, vedrai.»
«E perché mai avresti dovuto avere questo cambio di coscienza così improvviso?» sbuffò ironica Lydia.
Questa volta Blake esitò per qualche istante prima di rispondere. «È da tempo che ho iniziato a pensarci. L’anno scorso, quando Isaac e Aiden combinavano i loro scherzi verso i Nati Babbani…»
«Scherzi?»
«Cattiverie.» si corresse Blake «Una vocina dentro di me mi diceva che non c’era gusto, che era tutto sbagliato. Ho cercato di essere una persona migliore, durante le vacanze, e ci sono riuscito… Ma quando questa mattina sono risalito sul treno e ho rivisto i miei amici, loro hanno subito cercato di capire chi tra i primini sono Nati Babbani per poterli tormentare durante l’anno. Non mi è piaciuto. Non voglio più essere quella persona, Lydia. Per questo ho preferito viaggiare da solo piuttosto che con loro. Ed è per questo che sto ringraziando Merlino per il fatto che tu sia entrata proprio nel mio scompartimento.»
Era sincero. Lydia non riusciva neppure a capire come faceva a saperlo con così tanta certezza, ma il suo stupido cuore le stava continuando a dire che era la pura e semplice verità.
«E perché mi hai sorriso?»
Il volto di Blake si illuminò di un sorriso ancora più grande rispetto a quello che le aveva rivolto sulla banchina. «Perché volevo chiederti se vuoi venire ad Hogsmaede con me.»
Il cuore di Lydia accelerò contro la sua volontà, e temette che Blake potesse sentirlo.
«No.» Maledisse l’esitazione con cui pronunciò quel rifiuto nel momento stesso in cui vide gli occhi di Blake illuminarsi di una luce maliziosa.
«Un solo appuntamento, Lydia. E poi non ti chiederò altro.»
«Appuntamento è una parola forte.»
«Incontro, uscita, gita. Chiamalo come vuoi, ma resta comunque l’unica cosa che ti chiedo.»
E per Lydia fu difficile rinnovare il suo diniego. «E va bene.» Il sorriso di Blake divenne se possibile ancora più luminoso. «Non così veloce, Moore.» lo freddò Lydia all’istante. Si sistemò le maniche della felpa che indossava fingendo indifferenza. «Ti propongo un patto. Se mi dimostrerai che sei sincero sul tuo essere cambiato, allora verrò ad Hogsmaede con te.»
Blake annuì. «Ci sto.»
La conversazione era finita, Lydia sapeva di doversi alzare e tornare dai suoi amici che la stavano aspettando. Eppure… «Nala la salamandra domestica?» chiese invece.
Blake rise sonoramente. «È una storia lunga.»
Lydia lanciò un’occhiata fuori dal finestrino, da cui si iniziavano a veder scorrere i campi scozzesi. «Abbiamo ancora diverse ore di viaggio davanti, direi che il tempo non ci manca.»
 
Il terzo giorno di appostamento, Lydia prese seriamente in considerazione l’idea di abbandonare Blake al suo destino e tornarsene a casa. Poi si era accorta di non sapere più quale fosse la sua casa, e la rivelazione le aveva inferto così tanto dolore da convincerla a sopportare ancora un po’. Certo, sarebbe stato meglio se il tempo non avesse deciso di impazzire completamente e costringerla così ad assistere a un drastico calo delle temperature. Blake le aveva spiegato che le condizioni atmosferiche erano completamente nel caos negli ultimi mesi a causa dei Dissennatori che circolavano liberamente in Gran Bretagna. Al sentir nominare i Dissennatori, Lydia aveva avuto i brividi, mentre il suo pensiero era involontariamente corso al ricordo del loro ultimo incontro, ed aveva rimpianto ancora una volta la sua bacchetta, anche se sarebbe stata inutile visto la sua scoperta incapacità di produrre un Patronus.
Blake aveva notato la sua paura. «Non ti devi preoccupare. Se ne staranno alla larga.» Lydia si chiese come facesse ad esserne così sicuro. «Fidati di me.»
«Fidarsi è una parola grossa.»
Blake si voltò verso di lei. «Pensavo di averti dimostrato di poterti fidare di me.»
Lydia si strinse la giacca sulle spalle per proteggersi dal vento gelido. «Aver accettato di aiutarti non significa che io mi fidi di te.»
«Ma…»
«No.» Lydia sollevò una mano per fermarlo «Hai già detto troppe volte di essere cambiato.»
 
Lydia Merlin si aspettava di tutto dalla sua permanenza ad Hogwarts, in fondo in una scuola di magia e stregoneria poteva accadere anche l’impossibile. Si sarebbe aspettata qualsiasi cosa tranne diventare la fidanzata di Blake Moore. A volte si chiedeva ancora come fosse successo. D’accordo, durante il viaggio verso Hogwarts si era lasciata convincere del suo pentimento ed aveva più o meno accettato di andare ad Hogsmaede con lui. E okay, durante le prime settimane di scuola, Blake aveva dimostrato di essere effettivamente meno bastardo del solito, e anzi, aveva difeso alcuni studenti da Harris, Mills e O’Neill. E così Lydia aveva rispettato la sua parte del patto. Erano usciti per andare ad Hogsmaede. Ecco, la storia sarebbe dovuta finire lì. Con loro che si salutavano davanti al ritratto della Signora Grassa al rientro dal villaggio. Lydia aveva accettato l’invito proprio con la convinzione che avrebbe dovuto sopportare un solo pomeriggio in compagnia di Moore e poi avrebbe potuto dimenticare quella storia. E allora perché quando Blake l’aveva salutata al termine della loro uscita, lei lo aveva baciato? Erano passati mesi e se lo domandava ancora.
La parte più difficile era stato dirlo ai suoi amici. Sapeva con certezza che Alice, Lance e Paul non avrebbero accettato la sua scelta, forse perché faticava a comprenderla lei stessa, e Lydia aveva cercato di evitare l’argomento, per poi scoprire che qualcuno aveva risolto per lei il dilemma. Si era dimenticata di quanto fossero pettegoli i quadri di Hogwarts. Subito dopo aver assistito al loro bacio, la Signora Grassa era corsa (Materializzata, volata, trasportata, come si chiamava lo spostamento dei ritratti?) a dirlo a Violet, che a sua volta l’aveva riferito al frate del terzo piano, il quale aveva deciso di raccontarlo a tutti i dipinti della sua area. Poi il cavaliere pazzo era salito al quinto piano per raccontare la notizia a Giuliano de Medici, il quale ovviamente aveva spifferato tutto a Simonetta, ma Shakespeare aveva sentito la notizia ed aveva composto un sonetto a tal proposito (qualcosa su amanti sventurati e provenienti da due casate nemiche tra di loro), declamandolo ad ogni studente di passaggio. Sì, Lydia aveva interrogato uno per uno ogni singolo quadro per risalire al colpevole. Aveva scoperto che i quadri cedevano a qualsiasi richiesta quando li si minacciava di tagliare loro la tela, o peggio ancora, di spruzzarla di succo di zucca.
In ogni caso, come prevedibile, Alice, Lance e Paul non erano stati particolarmente contenti della sua nuova vita amorosa. Ma loro non potevano comprendere quanto Blake fosse cambiato in così poco tempo, di quanto avesse preso a cuore la loro relazione e si stesse impegnando per essere la migliore versione di sé. Come quando si presentava ai loro appuntamenti impacciato e con mazzi di fiori colti di nascosto dalle serre, oppure fuori dalle classi per accompagnarla alle lezioni successive e poter così passare un po’ più di tempo insieme. O quando aveva rubato del cibo dalla Sala Grande e una coperta dai dormitori per poterla invitare ad un pic-nic sulle sponde del Lago Nero. Le gite ad Hogsmaede, le avventure nei sotterranei di Hogwarts per scoprirne ogni segreto; i baci rubati, sotto il cielo stellato, nelle sere in cui sfidavano il coprifuoco per non doversi separare.
Vi erano però occasioni in cui Lydia si trovava a dover dar ragione ai dubbi dei suoi amici. Prima delle vacanze di Natale, lei e Blake avevano passato quasi ogni momento libero a litigare perché lui non riusciva a comprendere il nervosismo di Lydia, e Lydia non riusciva a parlare con Blake del vero motivo delle sue continue sfuriate. In fondo come poteva un Purosangue comprendere la paura che stavano vivendo chi il sangue così puro non lo possedeva?
Ma non importava. Non più.
Dal ritorno dalle vacanze di Natale, Lydia aveva cercato di vivere la sua vita scolastica il più normalmente possibile, impegnandosi di ricordare che nonostante tutte le pietrificazioni e le minacce, la scuola che amava era ancora lì, insieme alle persone a lei più care.
Nel conforto di quel pensiero, Lydia si strinse al fianco di Blake. Si trovavano in un corridoio del quarto piano, illuminato dalla luce della luna che filtrava dalle grandi finestre. L’ora del coprifuoco si stava avvicinando, ma a loro non importava. Blake aveva steso a terra il suo mantello e si erano seduti vicini, ognuno intento a rileggere i propri appunti ma grati del tempo passato insieme.
Lydia posò la testa sulla spalla di Blake. «Sai, sono proprio contenta di essere tornata.»
Blake girò il foglio per leggerne il retro. «Le vacanze di Natale non sono state così lunghe.»
«No, intendo di aver deciso di tornare.»
Blake sollevò lo sguardo dai suoi appunti. «Perché non saresti dovuta tornare?»
«Sai, visto tutto quello che è successo negli ultimi mesi non ero poi così sicura di voler tornare al castello. E neanche mia mamma.» ricordò con una smorfia. Sua madre non era stata per nulla contenta della sua scelta di tornare a scuola, anzi, si era persino rifiutata di riaccompagnarla al Binario nove e tre quarti.
«Perché non mi hai detto niente?»
Lydia scrollò le spalle. «Non avevo voglia di litigare di nuovo. E poi ho provato a dirtelo, ma tu non volevi ascoltarmi. Mi dicevi che non dovevo preoccuparmi, ed effettivamente hai ragione. Ho trovato la soluzione perfetta, stare sempre in compagnia di qualcuno. Ci sei tu, c’è Alice, a volte mi faccio accompagnare da Lance e Paul, anche se non sai quanto mi costa considerare Paul come il mio protettore dai mostri pietrificanti.» Lydia sentì la spalla di Blake irrigidirsi sotto la sua testa. Si sollevò per guardarlo. «Cosa c’è?»
Blake fissava un punto del muro davanti a loro. «E così ti fai accompagnare in giro da O’Brien.»
«E da Paul, e da Alice, e a volte mi accodo agli altri Grifondoro che escono dalla Sala Comune. Che problema c’è?»
«Nessun problema.» disse Blake, anche se la sua voce dimostrava il contrario.
«Non sarai geloso, vero?» scherzò Lydia, tornando a concentrarsi sui suoi appunti. Lance era stato di grande aiuto per superare il primo esame dopo il rientro dalle vacanze di Natale, ma la strada verso il G.U.F.O. in Pozioni era ancora lunga. Il silenzio si protrasse mentre lei rileggeva gli effetti collaterali delle Pozioni Restringenti.
«A volte sei proprio un’ingenua.»
«Come scusa?»
Le mani di Blake stringevano i suoi appunti con tanta forza da stropicciare la pergamena. «Ho detto che a volte sei proprio un’ingenua.»
Lydia sollevò il mento. «Ti avevo sentito la prima volta, ti stavo solo dando la possibilità di ritirare quello che hai detto.»
«O’Brien non ti aiuta solo per bontà d’animo.»
«No, hai ragione. Lo fa perché è mio amico.»
Blake sbuffò. «Amico, certo.»
Lydia ne aveva abbastanza. «Se hai qualcosa da dirmi, dimmelo e basta.»
«Penso solo che se volevi lasciare la scuola avresti dovuto parlarne con me – il tuo fidanzato – non di sicuro con O’Brien.»
«Io ho tentato di parlarne con te!» esclamò Lydia «Te l’ho detto che non ne potevo più di pietrificazioni e minacce. E abbiamo litigato. Più volte. Mi hai sempre detto che ero una stupida e preoccuparmi così tanto e-»
«Non ho mai detto che sei una stupida!» la interruppe Blake.
«Ma era quello che pensavi! E non osare negarlo.»
Blake scattò in piedi. I fogli che teneva sulle gambe si sparsero su tutto il pavimento. «Non ho intenzione di cadere nella tua trappola.»
«Che trappola?» chiese Lydia, tra l’esasperato e lo stupito.
«Vuoi litigare!»
Sì, Lydia era decisamente stupita. «Perché mai vorrei litigare con te?» domandò alzandosi a sua volta. Nelle mani stringeva ancora gli appunti di Pozioni.
«Perché così poi potrai correre dai tuoi amichetti a raccontare di quanto io sia terribile e cattivo.»
«Ma cosa stai dicendo?»
Ma Blake si rifiutava di guardarla. Con uno scatto rabbioso raccolse la sua borsa e il mantello da terra. «Niente. Assolutamente niente.» E senza aggiungere altro si allontanò da lei.
Lydia rimase immobile, a bocca aperta, senza realmente capire cosa fosse appena successo. Poi un pensiero la colpì. Blake se ne stava andando. E lei stava per rimanere da sola di sera, nel corridoio di un castello semi deserto abitato da un mostro assetato di sangue. «Blake, aspetta!» lo chiamò disperata.
Blake si voltò a guardarla. Vide la paura di Lydia. E se andò.
 
«Funzionavamo bene, come coppia.» Lydia si voltò stupita verso Blake.
«No che non funzionavamo.» rispose sincera, ma Blake scosse la testa.
«Intendevo quando riuscivamo a non litigare… o a non farci condizionare dai nostri amici. Ti concentri solo su quello che non ha funzionato e non su tutti i bei momenti che abbiamo passato insieme.»
No, Lydia non aveva la minima intenzione di finire in quel discorso. Non dopo aver trascorso quattro giorni dietro ad uno stupido cespuglio a forma di fenice ad aspettare che una stupida porta si aprisse. Blake era di tutt’altro avviso. «Forse il nostro unico errore è non averci riprovato.»
«Ci abbiamo riprovato.» rispose secca Lydia. «Settimo anno. Dovresti ricordartelo considerando che è finita con te ricoperto interamente da succo di zucca per colazione.»
«Intendevo dopo. Una volta diplomati, lontani dalla scuola e da tutti gli altri.»
«Puoi spostarci in un altro ambiente ma noi siamo sempre noi, Blake. Non ha funzionato a Hogwarts e non avrebbe potuto funzionare nemmeno a Londra, o nel mondo babbano, o ovunque tu abbia immaginato la nostra relazione.»
«Come fai ad esserne così sicura senza almeno averci provato?»
La pazienza di Lydia era arrivata al limite. «Senti, Blake, se con il tuo discorso vuoi arrivare a dire che dovremmo riprovare a stare insieme allora ti dico subito di risparmiare il fiato, e di non - »
«Hai mai pensato a cosa sarebbe successo se non ci fosse stata la guerra?»
«Blake.» lo fermò Lydia «Ci siamo lasciati molto prima che scoppiasse la guerra. E anche se non ci fosse stata, tu avresti comunque seguito i tuoi amici, come hai sempre fatto e come sempre farai.»
«Non che i tuoi di amici fossero tanto meglio.» replicò Blake, risentito.
«Cosa hai contro di loro?»
«Tranne il fatto che ti hanno abbandonata?»
Lydia strinse le labbra. «Non penso che tu abbia il diritto di giudicarli.»
«Non sto giudicando. Sto solo dicendo la verità.»
Lydia avrebbe voluto gettargli in testa il vasetto contenente il fuocherello.
Fortunatamente un rumore li interruppe prima che la ragazza potesse prendere decisioni avventate. Lydia e Blake si voltarono verso il vialetto. La macchina aveva preso vita e al suo volante… «Tuo papà.» Erano passati talmente tanti giorni che Lydia non riusciva a credere ai suoi occhi. Eppure era vero. Il papà di Blake stava uscendo dal cancello.
Era arrivato il momento di entrare in casa Moore.
 
 

Curiosità: Il cameo di Giuliano de' Medici e Simonetta è una dedica alla città di Firenze, che avevo appena visitato mentre scrivevo questo capitolo (e dove avrò la fortuna di poter tornare anche quest'anno) <3  

Note: Mi sono ricordata solo oggi che questo è anche l'ultimo capitolo in cui sono contenuti flashback degli anni ad Hogwarts e vorrei piangere... non posso credere che ormai manchi così poco alla fine della pubblicazione di 'Piume di Cenere', ma allo stesso tempo non vedo l'ora che voi possiate leggere cosa i prossimi capitoli hanno ancora in serbo per voi <3 

Ps: E' anche il primo capitolo senza Lance e la famiglia O'Brien, ma vorrei rassicurarvi, torneranno presto, anche se forse non nel modo in cui potreste immaginare <3

Grazie di cuore per il vostro sostegno, alla prossima!

Un abbraccio,
Emma Speranza


 


'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 - Eileen Moore ***


Capitolo 32
Eileen Moore



Lydia si stupì per la facilità con cui riuscirono ad entrare in casa Moore.
Nel momento stesso in cui la macchina di suo padre era uscita dal vialetto, Blake si era diretto deciso verso un vaso di basilico posizionato su una finestra ed aveva scavato velocemente nella terra fino ad estrarre una chiave argentata. Per una casa di Purosangue si sarebbe aspettata come minimo un nascondiglio maledetto per le chiavi di casa. Non ebbe tempo per pensarci, perché appena mise piede nella sala d’ingresso rimase a bocca aperta.
Lydia aveva sempre considerato casa O’Brien come un piccolo palazzo, ma scoprì non era niente in confronto all’edificio in cui si trovava. Il salone d’ingresso era immenso, circondato su tutti i lati da statue di creature magiche e di maghi e streghe dagli sguardi fieri e le posture dritte, oltre ad una serie di armature, molto simili a quelle che adornavano anche i corridoi di Hogwarts.  Il soffitto a volta era decorato con dipinti di grifoni, draghi e maghi che combattevano contro di essi, che sembravano provenire dal Medioevo. Il pavimento non era da meno: marmo bianco ricopriva ogni superficie, compresi gli scalini dell’immensa scalinata che portava al piano superiore. E proprio in mezzo all’atrio si trovava…
«Avete una fontana anche in casa!?» Lydia non riusciva a credere ai suoi occhi.
«È solo una fontanella.»
Lydia non ne comprendeva la differenza. Blake la afferrò per un braccio e la costrinse a seguirlo verso la scalinata, anche se questo non impedì a Lydia di continuare a guardarsi attorno e chiedersi come faceva una sola famiglia a possedere una casa del genere.
Uno squittio riuscì infine a distrarla dai suoi pensieri. Abbassò lo sguardo verso l’atrio. Non c’era nulla di diverso tranne una pila di vestiti luridi sul pavimento bianco. Una pila che tremava, ora che guardava attentamente. Delle lunghe orecchie pelose sbucarono dai vestiti, seguiti da due enormi occhi sporgenti. «Cos’è quello?»
Blake rallentò il tempo necessario per guardarsi alle spalle ed imprecò.
E successe il peggio. La creatura iniziò ad urlare con voce stridula. «Intrusi! Intrusi nella casa dei miei padroni! Aiuto! Aiuto!»
Sempre imprecando, Blake lasciò la mano di Lydia e corse di nuovo verso l’atrio, scendendo tre gradini alla volta. Incuriosita, Lydia lo seguì. Blake scivolò verso la creatura e la avvolse tra le braccia, bloccandole la bocca con una mano, anche se l’essere continuava ad agitarsi e a tentare in tutti i modi di sgusciare via dalla sua presa. «Shhh!» tentò di calmarlo Blake. «Sono io! Ally, sono io!» La creatura smise di dibattersi e i suoi occhi divennero, se possibile, ancora più grandi. Blake allentò la presa sulla creatura per permetterle di voltarsi a guardarlo.
«Padroncino Blake?»
Blake annuì, sollevando lentamente le mani. «Non siamo intrusi.»
«Signorino Blake, lei no, signorino Blake!» La creatura sollevò un dito e lo puntò verso Lydia. «Ma lei è un’intrusa! Ally deve avvisare subito il padrone se entra un intruso, il padrone glielo ha ordinato!»
«No, no! Ally, lei è un’amica! È qui per aiutarmi! Vero, Lydia? Diglielo anche tu ad Ally che non sei un’intrusa.»
«Non sono un’intrusa.» si limitò a ripetere Lydia. Stava ancora tentando di capire di che creatura di trattasse. Era sicura di non averne mai vista una prima d’ora.
Per fortuna Blake lesse il suo sguardo. «Ally è la nostra elfa domestica. Si occupa della mia famiglia da anni ormai, i miei genitori l’hanno ricevuta come dono di nozze ed è con noi da allora. Non hai mai visto un elfo domestico? Hogwarts ne è piena.»
C’erano così tante cose sbagliate in quella frase che Lydia non sapeva da dove iniziare. Ovviamente sapeva che cosa era un elfo domestico, ricordava di averli studiati a Cura delle Creature Magiche, ma non avendone mai visto uno di persona aveva sempre pensato che il servizio degli elfi domestici fosse ormai scomparso come lo schiavismo. Ma soprattutto, come si poteva regalare una creatura dotata di intelletto come dono di nozze? E infine era abbastanza convinta di non averne mai visto uno ad Hogwarts.
«Lei non dovrebbe essere qui, padroncino Blake.» Ally iniziò a torcere tra le lunghe dita un lembo del suo vestitino lurido. Ora che lo vedeva più da vicino, Lydia si accorse che era composto da diversi stracci cuciti insieme da mani poco abili. Si sentì invadere da un’ondata di rabbia e la riversò in un’occhiataccia rivolta verso Blake, il quale non se ne accorse neppure, intento come era a cercare di convincere Ally a non lanciare l’allarme con tutto il fascino che possedeva (e Lydia dovette constatare a suo malincuore che ne aveva ancora molto). «Non devi preoccuparti, Ally. Non vogliamo fare nulla di male, io e la mia amica siamo qui solo per una visita, ce ne andremo il prima possibile. Sai che non ti metterei mai nei guai, mia cara Ally.»
Ma la paura del suo padrone era più forte della persuasione di Blake. «Il padrone non vuole che lei entri qui! Il padrone non vuole che…»
«Lo so cosa non vuole mio padre!» sbottò Blake, interrompendo Ally e mandandola così completamente nel panico.
«Ally non voleva! Ally non sa cosa fare!»
Blake le posò le mani sulle spalle. «Ho bisogno di soli cinque minuti con lei, Ally. Solo cinque minuti. Mio padre cosa ti ha ordinato?»
Gli enormi occhi di Ally divennero lucidi. «Di non lasciare entrare intrusi o sconosciuti.»
«E io non sono uno sconosciuto. E ora che conosci il suo nome, neanche Lydia lo è.» sorrise Blake. Si rialzò e si rivolse di nuovo a Lydia «Problema risolto. Ally fa solo quello che le viene ordinato. Se mio padre le ha detto di lasciare fuori gli intrusi, Ally non ha nessun motivo di avvisarlo della nostra visita, vero Ally?» Ally continuò a guardarlo, questa volta con il naso gocciolante e gli occhi intrisi di lacrime grandi quanto palline da tennis. «Bene! Abbiamo risolto, adesso andiamo. Non so quanto starà via mio padre.»
Lydia seguì Blake sulle scale, senza la sua stessa sicurezza. «Sei proprio sicuro che non ci possa tradire?» Ally era ancora immobile al centro dell’atrio, solo i tremori dei suoi arti la distinguevano dalle statue che adornavano le nicchie, scomparendo infine dalla loro vista quando imboccarono il corridoio del primo piano, altrettanto ornato.
«Mio padre ha sempre avuto il difetto di non essere mai particolarmente specifico con Ally. Quando era piccolo le ordinava di non lasciarmi uscire, ma sono sempre riuscito comunque a trovare delle scappatoie per farlo lo stesso, per esempio le dicevo che mio padre non aveva specificato da che ora non potevo uscire, o se potevo uscire in compagnia e così via. Per fortuna papà non ha mai scoperto il mio trucco. Siamo arrivati.» Si fermarono di fronte ad una porta di legno riccamente intarsiata.
Lydia non sapeva cosa aspettarsi una volta attraversato quell’uscio. «Se vuoi vado a controllare che non torni tuo padre…» sussurrò.
Blake scosse la testa. «No, mi servi qui. Per aiutarmi a spostarla.» Prese un respiro profondo ed aprì la porta.
La prima cosa che colpì Lydia seguendo Blake fu il buio. In ogni altro angolo della casa, erano sempre stati illuminati dalla luce solare che penetrava dalle monumentali finestre, in quella stanza invece, sembrava che ogni chiarore fosse stato bandito. Solo una candela tremolava su un comodino. Lydia strizzò gli occhi per riuscire a vedere, e quando finalmente le sue pupille si adattarono all’oscurità improvvisa, individuò una figura adagiata su una poltroncina al lato del letto. Lydia ricordava vagamente la signora Moore dalle poche volte in cui l’aveva vista alla stazione dell’Espresso di Hogwarts, ma la persona che si trovò di fronte era completamente irriconoscibile. Lydia prese la candela dal comodino e si avvicinò alla signora Moore, mentre Blake si inginocchiava di fronte a sua madre.
«Mamma?»
La signora Moore continuò a guardare un punto imprecisato del muro alle spalle di Blake.
Lydia la ricordava come una bella donna, dai tratti un po’ alteri e molto giovanile, nulla in confronto alla signora che sedeva su quella poltroncina. Il volto era pallido e pieno di rughe, le mani abbandonate in grembo. Lydia avvicinò la candela per riuscire a vederla meglio. La luce si rifletté sui fili d’argento nei suoi capelli. Non d’argento, si corresse Lydia. Bianchi. La signora Moore aveva i capelli completamente bianchi, le ciocche scomposte che le ricadevano sulla fronte. Le spalle erano curve, indossava una camicia da notte pulita ed una vestaglia con filamenti dorati che andavano a formare un emblema sul suo petto, raffigurante una bacchetta e un fiore, sovrastati da tre stelle. Lo stesso emblema che Lydia aveva intravisto ovunque in quella casa, ora che ci pensava. Doveva essere lo stemma della famiglia Moore, dipinto in maniera ossessiva su ogni loro proprietà. Ma nulla era così inquietante quanto il fatto che la signora Moore non sembrava essersi accorta del loro arrivo. «Mamma?» chiese ancora Blake. «Sono io.» Se non lo avesse conosciuto, Lydia avrebbe potuto dire che la sua voce si era spezzata.
«Cosa le è successo?» bisbigliò Lydia. Blake aveva detto che sua madre si era ammalata dopo aver scoperto che la figlia Eileen si era unita alle schiere di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato, ma il suo istinto la portò a credere che non fosse tutta la verità. La signora Moore non sembrava malata. Sembrava senz’anima. Non c’era altro modo per definirla, i suoi occhi riflettevano vacui la luce della candela, come se dentro non ci fosse più nessuno. Le fece venire i brividi, e si trovò a desiderare di potersi allontanare da lei e da quella camera buia ed asfissiante il prima possibile.
Blake non rispose alla sua domanda. «Forza mamma, dobbiamo andare.» Si risollevò e posizionò una mano sotto al braccio di sua madre e l’altra sulla sua vita per aiutarla ad alzarsi. La donna non collaborava, ancora ignara della presenza del figlio. «Aiutami, ti prego.» Blake si rivolse finalmente a Lydia; la disperazione della sua voce la fece affrettare ad appoggiare la candela sul comodino ed stringere l’altra spalla della donna. Insieme fecero leva per sollevarla. Era come tentare di alzare un masso. Riuscirono a sollevarla solo di pochi centimetri, poi la presa di Lydia scivolò e la donna ricadde senza alcun rumore sulla sua poltroncina. «Mamma, ti prego, devi alzarti. Dobbiamo andare.» continuava a ripetere Blake «Ti portiamo via di qui, ti portiamo al sicuro. Ti prego, mamma, devi aiutarci.»
Lydia si sentì sinceramente dispiaciuta nel non poter essere d’aiuto a Blake. Poi si ricordò che tutto sarebbe stato più semplice se avesse avuto ancora la sua bacchetta con sé e questo la aiutò a smorzare la compassione nei suoi confronti. «Prova a sollevarla con la magia!» propose, di nuovo impaziente di tornare all’aria aperta e alla luce del sole. Tutta quell’oscurità le stava levando il fiato.
«È troppo debole. Potrei farle male… ti prego mamma, devi alzarti.» Blake si inginocchiò di nuovo di fronte alla madre, le prese una mano e la strinse. «Mamma, devi ascoltarmi. Dobbiamo andare.»
E finalmente gli occhi della signora Moore furono attraversati da un guizzo di vita. Mosse lentamente il volto verso Blake e Lydia si trovò inconsapevolmente a trattenere il fiato mentre madre e figlio si guardavano negli occhi. La signora Moore sollevò a fatica una mano e la posò sul volto del figlio. Poi parlò con voce fragile. «Eileen?»
Blake si chinò verso di lei. «No, mamma. Sono io, sono Blake.»
Sua madre sorrise. «La mia dolce Eileen. Il mio piccolo angelo.»
La porta alle loro spalle si aprì di scatto, facendo sobbalzare Lydia e Blake e spegnendo nuovamente la scintilla che si era accesa negli occhi della signora Moore. La sua mano lasciò la guancia del figlio e ricadde inerte sul suo grembo. Lydia fu costretta a chiudere gli occhi per l’improvvisa luce che invase la stanza, quando li riaprì vide due figure sull’uscio. Una piccola, tremante, che apparteneva all’elfa domestica Ally ed un’altra molto più alta.
Il padre di Blake li guardava furioso. Lydia si trovò ad indietreggiare verso Blake, il quale scattò in piedi e sollevò la bacchetta.
«Ho dovuto avvisare il padrone, padroncino Blake.» Ally tremava, aggrappata alla gamba del signor Moore «Il padrone ha detto a Ally di avvisarlo se entravano intrusi. O agenti del Ministero. O il padroncino Blake. Ho dovuto avvisarlo!»
Ma Blake non le prestava la minima attenzione, era concentrato solamente sul padre. «Non voglio farvi del male.»
«Fuori di qui.» La voce del signor Moore era di ghiaccio.
«Voglio solo…»
«FUORI DI QUI!» Lydia sobbalzò all’urlo del signor Moore, e poi sobbalzò di nuovo quando Blake le passò davanti e la afferrò per un braccio, iniziando a trascinarla fuori dalla stanza. Lydia continuava a non capire. Erano stati scoperti, ma a questo punto tanto valeva tentare di convincere il padre di Blake delle loro buone intenzioni, che volevano solamente portare la madre al sicuro, fuori dall’Inghilterra. E invece Blake proseguiva, fino a tornare nell’enorme atrio, con lo sguardo rivolto davanti a sé, senza mai voltarsi indietro neppure quando suo padre cominciò ad inseguirli. «Come osi tornare qui dopo quello che è successo? Ti avevo detto di stare alla larga da lei! Vattene e non tornare più!» Blake proseguiva, apparentemente sordo alle parole del padre. Raggiunsero la porta d’ingresso spalancata ed accelerarono il passo per superare la fontana e raggiungere i cancelli, anch’essi aperti. «Stai lontano da lei, mi hai sentito? Stai lontano da lei! Hai già il sangue di Eileen sulle tue mani, non ti basta?» Lydia sentì la mano di Blake stringersi spasmodicamente attorno al suo polso, l’unico segnale che aveva sentito le accuse del padre. Poi la stretta tipica della Materializzazione coprì ogni altra cosa.
 
«Cosa voleva dire? Perché tua mamma sta così male? Cosa significa che hai il sangue di Eileen sulle tue mani?» Appena apparirono nella ormai famigliare cucina dell’appartamento di Blake, Lydia cominciò a vomitare il fiume di domande che occupava la sua mente. «Mi hai detto che tuo papà ti ha sbattuto fuori casa perché hai proposto di nascondervi all’estero ma non è solo per quello, non è vero?» C’erano così tanti punti che non tornavano che il cervello di Lydia stava impazzendo cercando invano di rimetterli in fila. «C’è altro. Qualcosa che non mi hai detto. Qualcosa che riguarda tua sorella.»
Blake fece finta di non sentirla. Si diresse verso il lavandino e si riempì un bicchiere d’acqua come se nulla fosse. Come se non fossero appena stati cacciati dal suo stesso padre. Lydia però non si sarebbe arresa così facilmente. «Devi dirmelo! Me lo devi considerando che sto cercando di aiutarti.»
«Non c’è niente da dire.»
«Niente da dire?» chiese Lydia «Non mi sembra che quello che è appena successo sia niente! Dove è Eileen?»
La mano di Blake stretta attorno al bicchiere tremò, ma non fu questo a colpire Lydia. Fu il suo sguardo. Perché quello sguardo lei lo conosceva bene. Lo aveva visto allo specchio per più di un anno.
Tutta la tensione provata fino a quel momento si disperse. Si avvicinò a Blake e lo superò per prendere anche lei un bicchiere. Blake era talmente assorto nei suoi pensieri da non accorgersi neppure del cambio improvviso di Lydia, continuava a sorseggiare l’acqua senza guardare nulla in particolare.
Lydia riempì il suo bicchiere fino all’orlo e lo rovesciò sulla testa di Blake. Riuscì nell’intento di risvegliarlo dai suoi incubi.
«Ma che ti prende?!» esclamò Blake, stupefatto. Era immobile, la testa leggermente piegata in avanti, con i capelli bagnati che gocciolavano sul tappetino della cucina.
Lydia si strinse nelle spalle. «Mi è scivolato.» mentì spudoratamente.
«Perché mi sembra di averla già sentita questa scusa?»
«Perché mi capita spesso. Come quando mi è scivolata la brocca di succo di zucca il giorno dopo il ballo del Ceppo. Che ci posso fare se ho le mani di burro?»
Blake agitò la testa e le gocce d’acqua investirono Lydia in pieno volto. «Ops. Non volevo.» Le labbra di Blake si tirarono in un ghigno.
Lydia si limitò ad afferrare il cappuccio della felpa di Blake, strangolandolo per i brevi istanti in cui lo utilizzò per asciugarsi il volto. «Volevo solo ricordarti che posso essere pericolosa anche senza bacchetta.»
«Me lo ricordo benissimo, grazie tante.» replicò Blake, strattonando il cappuccio dalle sue mani, anche se con un sorriso a distendergli le labbra e il volto teso.
«Un promemoria ogni tanto non fa mai male.» rispose Lydia, senza riuscire a trattenere a sua volta un sorrisetto «Soprattutto considerando che abbiamo intenzione di affrontare insieme mercenari di Passaporte, elfi domestici sul piede di guerra e padri amorevoli.» Il sorriso di Blake si incrinò. Lydia appoggiò il bicchiere vuoto nel lavello con un sospiro. «Blake, questa volta sono seria. Abbiamo fatto un patto ed ho intenzione di mantenerlo. Ti aiuterò ad uscire dal Paese, ma dobbiamo essere realisti. Non sarà una passeggiata. Anche solo far uscire tua madre da casa tua si sta rivelando un’impresa! E ci manca ancora la parte in cui dobbiamo trascinarla al confine e cercare di non farci prendere dal Ministero mentre tentiamo la fuga. Sarà difficile e, per quanto mi costi ammetterlo, se vogliamo avere qualche possibilità dovremo fidarci l’uno dell’altra.» Blake aveva la testa bassa. Lydia gli prese il mento e lo costrinse a sollevare il viso per guardarlo negli occhi. «È da anni che non mi fido di te. Da quando sei diventato un bastardo, o forse lo sei sempre stato. Ma ti prometto che cercherò di mettere da parte il mio rancore per riuscire ad aiutarti. Solo se tu farai lo stesso con me.»
«Io non provo rancore verso di te.»
Lydia staccò le dita dal suo mento. «Non mentire, Blake.» disse con una tristezza che aveva dimenticato di provare. «È stato proprio il tuo rancore ad allontanarci. Il tuo rancore e la mia incapacità di vederlo. Se riusciamo ad accettarlo riusciremo anche a costruire qualcosa di nuovo. Un rapporto che ci permetta di collaborare il tempo per raggiungere la Passaporta.»
«Mi piacerebbe.» disse piano Blake «Costruire una nuova relazione. Ricominciare.» Lydia sentì il pericolo nelle sue parole e si allontanò di un passo, ma Blake la fermò accarezzandole un braccio. «Non intendevo quel tipo di relazione.» chiarì «Ma a volte non ti piacerebbe poter cancellare tutte le scelte sbagliate della tua vita e ricominciare dall’inizio con le persone che più ami?»
Sì. Tutti i giorni. Sempre.
Ma Lydia non rispose.
«È così difficile.» Blake chinò di nuovo il capo, il volto tirato in una smorfia di dolore «Tutti gli sbagli che compi, tutti gli errori che fai, ti perseguitano per una vita intera. Definiscono chi sei anche se fai di tutto per sfuggirgli. Sembra che la gente sia incapace di vedere oltre quelli. Che nessuno accetti che puoi essere una persona completamente diversa rispetto a quella che eri.»
«Sei e sarai sempre un mostro ai loro occhi.» bisbigliò Lydia, il volto che rifletteva il dolore di Blake.
Conosceva fin troppo bene la sensazione. Erano stati tutti così veloci nel giudicarla. Prima sua zia. Poi la famiglia O’Brien. Per quanto Lydia avesse provato a fare ammenda per i propri errori, a nessuno importava. Sembrava che per loro fosse più semplice continuare a pensare a lei come il mostro che aveva messo in pericolo le loro vite. E si accorse che in fondo anche lei stava facendo lo stesso con Blake.
La consapevolezza la assalì.
Da quando si erano rincontrati, Lydia non aveva fatto altro che ricordarsi e ricordargli tutti gli errori che lui aveva commesso quando stavano insieme. Non si ricordava neppure di averlo seriamente ringraziato per aver salvato la vita a lei e alla sua famiglia.
Lydia riprese il bicchiere dal lavandino e lo riempì un’altra volta.
«Ehi! Non provarci neppure!» esclamò Blake allontanandosi da lei. Un angolo delle sue labbra era rivolto verso l’alto, tradendo il suo divertimento.
Lydia alzò gli occhi al cielo. «Come sei drammatico. Erano solo due gocce.» disse osservando i capelli di Blake, ancora attaccati allo scalpo, e la pozza d’acqua che si allargava ai suoi piedi «E comunque volevo solo brindare al nostro nuovo inizio. E visto che l’unica bevanda che ho a disposizione al momento è l’acqua corrente, dovremo accontentarci.»
«Un nuovo inizio.» ripeté Blake, assaporando ogni parola. «Mi piace come suona.»
«Ma un nuovo inizio è possibile solo se siamo sinceri tra noi. Blake, se vuoi che io ti aiuti a salvare tua mamma ho bisogno di sapere tutta la storia.» Il volto di Blake tornò di pietra «Non posso aiutarti se non conosco la verità.»
«Ti ho già raccontato la verità.» scattò Blake, sulla difensiva. Si allontanò da lei, diretto verso il bagno.
Ma Lydia non gli avrebbe permesso di scappare. «È successo qualcosa a tua sorella. Qualcosa di brutto che non mi vuoi raccontare. È per Eileen che tuo padre ti ha cacciato di casa, non è vero?» Blake scosse la testa. Non voleva ascoltarla. «Se non mi racconterai tu la verità andrò da tuo padre a chiederla!» tentò infine, la sua voce trasformata in un grido.
Funzionò.
Il passo di Blake rallentò fino a fermarsi.
«Dove è Eileen?» chiese infine Lydia, il cuore in gola per la consapevolezza di essere riuscita finalmente a rompere la corazza di Blake.
«Non c’è più.» la risposta di Blake fu pronunciata a voce talmente bassa che per un attimo Lydia pensò di averla immaginata.
E poi il vero significato di quelle semplici parole la colpì. «Oh.» riuscì a dire solamente quello. Dentro di lei due pensieri balzarono alla mente: il dispiacere per quello che doveva essere successo e, subito dopo, il pensiero più egoista: una Mangiamorte in meno. Si sentì immediatamente in colpa. «Cosa è successo?»
Blake rimase in silenzio tanto da far credere a Lydia che non avrebbe mai risposto. Ma poi risollevò il volto dalle mani e, fissando un punto imprecisato del muro di fronte a loro, cominciò a parlare. «La conoscevi. Prefetto, Caposcuola, voti eccellenti, un codice morale impeccabile, sempre in difesa dei più deboli e di tutti coloro che non potevano proteggersi da soli.  Mai un errore. Mia sorella era perfetta agli occhi dei miei genitori. Tutto è cambiato quando è scoppiata la guerra. Il fratello di Celia Harris e altri come lui hanno iniziato a reclutare maghi e streghe per aiutare il Signore Oscuro nella sua impresa di purificazione del mondo. Rappresentavano l’esatto contrario di ogni valore che Eileen aveva proclamato per tutta la sua vita. Nessuno di noi ha capito come mai abbia deciso di unirsi a loro. Eppure quando è iniziata la guerra, lei se ne è andata di casa, e abbiamo scoperto che si è unita al gruppo di Harris.»
«Magari è stata ricattata.» disse Lydia, senza crederci davvero. In verità lei riteneva probabile che Eileen si fosse realmente convertita al credo di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato. L’aveva visto accadere fin troppe volte.
«Non ha comunque senso. Lei non era… lei non avrebbe…»
«Se non ricordo male la tua famiglia non è mai stata particolarmente entusiasta della nostra relazione.» borbottò Lydia «Cosa ti aveva scritto tua madre quando era venuta a saperlo? Qualcosa sull’essere una disgrazia per la tua famiglia e sull’importanza di legami con persone del tuo stesso sangue, no? Se anche tua sorella è cresciuta con questi principi, cosa le avrebbe impedito di unirsi alla causa di Tu-Sai-Chi?»
Blake scosse la testa. «Un conto è credere a quello che ti ripetono fin da bambino, che i Sanguemarcio rubano il nostro legittimo posto nel mondo magico. Un altro è ucciderli. Mia mamma voleva solamente che la nostra famiglia potesse tornare al posto che occupava prima dell’uguaglianza dei Nati Babbani… ma il gruppo di Eileen… loro li torturavano, Nati Babbani, Mezzosangue e i babbani stessi.»
Lydia non vedeva poi così tanta differenza.
«Mio papà ha cercato di riportare a casa Eileen. Lei non ne ha voluto sapere, non rispondeva più ai suoi messaggi, ci ha tagliati fuori dalla sua vita. Per mesi non abbiamo più avuto sue notizie. Solo le lettere di congratulazioni da parte di alcuni vecchi amici dei miei genitori per le sue imprese contro i babbani. E noi non potevamo fare altro che ringraziare. Perché dichiarare di non essere d’accordo con le sue idee avrebbe significato la rovina per la mia famiglia. Avremmo fatto la fine dei Weasley, degli O’Brien e di tanti altri traditori del loro sangue. E intanto passavano i mesi. E poi… l’estate scorsa…» Blake scosse la testa, come per scacciare i ricordi. «Lei… non mi hanno detto come è successo… ma pensiamo che abbia cambiato idea. Quel giorno il gruppo di Harris ha tentato di fare qualcosa di talmente orribile da poter finalmente essere considerati Mangiamorte, e così ha attaccato un orfanatrofio. Sono stati dei mostri. Ed Eileen non era un mostro. Quando sono arrivato i bambini mi hanno detto che lei li ha salvati. Deve essersi ribellata contro Harris, ma loro erano in troppi e lei… lei era da sola.» Delle lacrime luccicavano negli occhi di Blake. «Era abile nei duelli, era la migliore, ma non ce l’ha fatta.»
«Come mai tuo padre ha accusato te?» chiese Lydia, con voce gentile.
«Il fratello di Isaac, era anche lui nel gruppo di Eileen, appena è successo è tornato a casa e ha raccontato tutto a Isaac e alla sua famiglia. Era infuriato per aver perso un’occasione d’oro. Diceva che con l’attacco all’orfanatrofio avrebbe potuto farsi notare finalmente dal Signore Oscuro. Mia sorella aveva rovinato tutto. Poi Isaac è venuto a casa mia a riferirmelo. Gli ho dato del bugiardo, gli ho detto che se era un modo per ferirmi non stava funzionando. Che mia sorella non poteva… In quei giorni vivevo ancora con i miei genitori, loro non erano in casa, erano fuori a cena. C’eravamo solo io e Ally. Ho detto ad Ally di informarli appena fossero tornati ma io non potevo aspettare. Mi sono Materializzato all’orfanatrofio all’istante. La polizia babbana era già lì. Era il caos. Avevano recintato la zona, ricordo che non mi volevano far passare. Non so cosa gli ho detto, né se ho spiegato da chi stavo andando. So solo che il momento dopo era dentro l’edificio decrepito. C’erano dei bambini, li stavano portando fuori, e continuavano a dire che la fata buona, un angelo, li aveva salvati dai mostri. Non mi importava neanche di loro. Volevo solo andare da lei. Sono entrato in una sala… Metà soffitto era crollato. E lì, al centro…» La voce di Blake si spezzò «I soccorritori mi hanno detto che quando sono arrivati era già troppo tardi. Hanno parlato di traumi e contusioni, dell’edificio instabile, del pavimento ceduto. Tutte cose che non mi interessavano. Io… sembrava che stesse dormendo. Le ho chiesto di svegliarsi. L’ho implorata. Qualcuno, un bambino, le aveva posato un pupazzo accanto. Sembrava farle la guardia.» Blake prese un respiro. «E poi è arrivato mio papà. Ha visto la sua bambina sdraiata per terra, in mezzo ad una pozza di sangue e l’ho visto spezzarsi. Si è inginocchiato vicino a noi, e mi ha spinto via. Pensavo che fosse solo il dolore, per avvicinarsi a lei… ma poi si è voltato a guardarmi.» Le lacrime smisero di scendere sul volto di Blake, improvvisamente adombrato «Ha detto che io non ero diverso da loro. Stringeva tra le braccia il corpo di sua figlia mentre accusava suo figlio di essere uguale ai suoi assassini.» Nelle sue parole emersero tutto l’astio e il rancore che era riuscito a nascondere fino a quel momento.
«Ma perché?» Lydia non riusciva proprio a capirlo.
Blake sollevò lo sguardo verso di lei e sembrò ricordarsi della sua presenza. Impiegò qualche istante prima di rispondere. «Aveva saputo da Ally che era stato Isaac ad avvisarmi. Mio papà mi aveva detto di rompere tutti i rapporti con Isaac, Celia e Aiden. Quando Ally lo ha informato della sua visita, ha pensato che mi fossi unito a loro, che fossi tornato suo amico.»
Lydia si fermò a riflettere. «Il dolore porta a fare e dire cose stupide.»
«Ho provato a farlo ragionare, a fargli capire… Da quel momento non ha più voluto vedermi. Mi ha sbattuto fuori casa, non sapevo dove andare. Ho pensato a questo appartamento, l’appartamento di Eileen. A lei non sarebbe più servito. Ma a mio padre non bastava: non mi voleva permettere neppure di partecipare al funerale. Mi sono dovuto nascondere nell’ultima fila della chiesa, con un incantesimo che impediva agli altri di riconoscermi, come un criminale. È stato lì che ho rivisto mia mamma. Erano passati solo pochi giorni dall’ultima volta ma…» I suoi occhi si riempirono di nuovo dolore «I suoi capelli erano diventati completamente bianchi, mio padre la accompagnava sottobraccio, non sembrava più neanche capace di camminare.» Lydia ripensò alla signora Moore accasciata sulla poltrona, incapace di vedere il suo stesso figlio. «Seduta in chiesa accanto a me c’era una delle pettegole del mio quartiere. Ha detto che era stato il dolore. Che era come se anche mia mamma fosse morta con Eileen.» Blake risollevò il volto «Qualche giorno dopo sono tornato a casa dei miei. Mio papà non voleva lasciarmi entrare, io volevo solo andare dalla mamma, farle sapere che aveva ancora un figlio. Ma lui non me l’ha lasciata vedere. Mi ha scacciato. Io devo portarla via da lì. Lontana da questa stupida guerra.»
«E lo faremo. Porteremo tua madre fuori dal Paese.» disse Lydia con una convinzione ben diversa da quando aveva fatto la stessa promessa solo qualche giorno prima «So cosa significa essere considerati un mostro dalla propria famiglia. E se tuo padre non vuole cambiare idea, tua madre non può pagare per colpa sua. Né puoi farlo tu.»
«Grazie.»
«Ma ci serve un piano.» Blake aprì la bocca per rispondere ma Lydia lo fermò. «Un piano serio. Non possiamo semplicemente continuare a starcene nascosti dietro ad un cespuglio ad aspettare che tuo padre esca di nuovo. Soprattutto perché ora che ci ha scoperti starà all’erta e non sarà più altrettanto semplice riuscire ad entrare. Dobbiamo pianificare tutto fino all’ultimo particolare. Abbiamo già rischiato troppo.»
Blake annuì, e poi si concesse un breve sorriso. «Lydia Merlin che organizza un piano e non si limita a gettarsi nella mischia. Una cosa che non pensavo avrei mai visto.»
Ma Lydia non aveva voglia di scherzare. «I tempi sono cambiati. Era ora che cambiassi anche io.»
 
 

Curiosità: Come avevo accennato nelle note del primo capitolo, 'Piume di Cenere' ha una lunga storia alle spalle. Ho iniziato a scriverla tra la fine del 2015 e l'inizio del 2016 per poi finire in un blocco dello scrittore durato fino alla pandemia. E' stato proprio a maggio 2020, complice l'essere a casa dal lavoro causa scuole chiuse, che ho ripreso a scrivere, ma non la storia principale come si potrebbe pensare, ma il racconto di un personaggio secondario: Eileen Moore. 
E così quello che doveva essere un breve capitolo narrante la sua vita si è trasformato in uno spin off di sei capitoli che verrà pubblicato al termine della pubblicazione di "Piume di Cenere", c'è ancora molto di lei da scoprire oltre a ciò che è stato narrato in questo capitolo, spero che potrà piacervi <3

Al prossimo capitolo!
Grazie di cuore a tutti,
Un abbraccio 


Emma Speranza
 
'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 
 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 - La spiaggia delle speranze infrante ***


Capitolo 33
La spiaggia delle speranze infrante
 

Lydia iniziava ad odiare le spiagge.
La brezza marina che un tempo aveva tanto amato ora le dava i brividi. I ricordi di un altro mare la tormentavano, tanto che dovette costringersi a seguire Blake mentre il suo istinto le urlava di fuggire. Non che avrebbe potuto andare lontana senza bacchetta.
I loro passi erano attutiti dalla sabbia e dal rumore del vento e delle onde. La luce del tramonto illuminava fiocamente la spiaggia. Era deserta. Lydia ne comprese subito il motivo. Cumuli di sporcizia si ergevano ogni pochi metri, ammorbando l’aria con il loro tanfo. Inconsciamente, Lydia cominciò a respirare con la bocca.
«Dove è?» calpestò una bottiglietta di plastica.
«Ha detto che ci avrebbe incontrati qui.» rispose Blake, indifferente alla sporcizia che li circondava non essendo la prima volta che si recava in quel luogo. «Penso che voglia accertarsi che non siamo spie o agenti del Ministero.»
«Spero che si sbrighi a decidere se ucciderci oppure no. Sto gelando.» Il tempo non aveva ancora smesso di essere completamente impazzito. Durante le giornate si alternavano costantemente momenti di caldo primaverili ad altri di gelo e vento o temporale. Senza contare quando il buio calava all’improvviso, come se l’ombra avesse inghiottito il sole. Lydia odiava quei momenti. E li odiava ancora di più quando capitavano mentre si trovava su una spiaggia deserta, probabilmente sotto tiro di truffatori, constatò guardando le ombre che si allungavano sulla sabbia. Un altro brivido la scosse al ricordo di altre ombre su un’altra spiaggia. Si ritrovò a stringersi al fianco di Blake, anche se le sembrava sbagliato. Il suo pensiero corse all’unica persona che avrebbe desiderato al suo fianco. No. Non era il momento per perdersi nella malinconia. Aveva preso la decisione di aiutare Blake ad uscire dal Paese e quella doveva essere la sua unica preoccupazione.
Quando aveva dichiarato che lo avrebbe aiutato era stata sincera, ma soprattutto lo era stata quando aveva detto che sarebbe servito un piano ben articolato. Aveva già rischiato troppe volte la sua vita, e quella delle persone a lei più care, solo perché non si era fermata a pensare a ciò che stava facendo e alle conseguenze delle sue azioni. Questa volta non avrebbe commesso errori, anche se era più semplice dirlo che farlo. Avevano passato giornate intere rinchiusi nell’appartamento di Blake alla ricerca del piano perfetto, ma secondo Lydia vi erano troppe variabili, troppe cose che potevano andare storte, e così avevano passato altrettanto tempo a ideare soluzioni alternative, cercando di immaginare ogni scenario catastrofico ed ogni modo per uscirne indenni. Ma i dubbi restavano. E se il padre di Blake non avesse abboccato alla loro esca? E se non fossero riusciti a superare la guardia di Ally? Che poteri avevano gli elfi domestici e come potevano essere fermati in caso di necessità? Blake le aveva detto di stare tranquilla riguardo a quello e aveva aggiunto una vecchia maglietta nello zaino. Ma Ally era solo l’inizio. Durante il loro incontro la signora Moore non era stata in grado neanche di riconoscere il proprio figlio, sarebbero riusciti a convincerla a seguirli? E visto che le sue condizioni fisiche erano altrettanto compromesse di quelle verbali, Lydia e Blake sarebbero riusciti a trascinarla fuori di casa contando solo sulle loro forze? Lydia si appuntò mentalmente di ripassare sui libri di Incantesimi di Blake i sortilegi che potessero aiutarli in questo. E lì arrivavano al punto più debole del piano, pensò Lydia stringendo la mano vuota. Era ancora senza bacchetta ed odiava ogni singolo istante passato senza di essa. Dovevano contare sulla sola magia di Blake ed erano deboli per questo. Una grande falla del piano che sperava di poter risolvere con l’incontro sulla spiaggia. E con il sacchetto di monete nascosto nelle tasche di Blake.
Lydia controllò l’orologio. «Sono già passati cinque minuti. Ancora cinque e se non arriva ce ne andiamo.»
«Aspetta. Sono sicuro che arriverà.»
«E io sono altrettanto sicura che se resteremo qui finiremo ammazzati. O peggio, catturati.»
«Non sia così pessimista, signorina.» Lydia si voltò di scatto, sollevando per istinto la mano vuota. Quando se ne accorse si sentì stupida e la riabbassò, ma si rifiutò di nascondersi dietro alla bacchetta di Blake. Anzi, fece un passo in avanti per fronteggiare il nuovo arrivato.
«Siete voi il mago che abbiamo contattato?» L’uomo indossava un cappotto con il colletto rialzato, una sciarpa gli copriva la parte inferiore del volto, mentre su quella superiore era calato un cappello, lasciando visibile solo una striscia di pelle. Lydia si chiese come riuscisse a vedere. Aveva le mani in tasca, come se la bacchetta di Blake non rappresentasse alcuna minaccia per lui.
«Dipende. Voi avete quello che mi avevate promesso?»
Lydia si fece da parte solo per fargli intravedere Blake che sollevava il sacchetto sonante di monete prima di farlo sparire di nuovo nella tasca della giacca.
«Ora che ci siamo presentati parliamo d’affari.» continuò Lydia, decisa a finire quella storia il prima possibile.
«Mi piaci. Ma dovresti imparare che gli affari migliori si fanno senza fretta.»
Blake ne aveva abbastanza. Continuando a puntare la bacchetta contro il trafficante, superò Lydia. «Abbiamo portato il denaro come d’accordo e…»
«Oh su, ragazzo mio. Un’altra regola degli affari è che non si fanno mai con le armi puntate contro. Mina il necessario rapporto di fiducia che si deve instaurare tra venditore e cliente.» Blake scambiò una rapida occhiata con Lydia. La ragazza annuì lentamente e Blake abbassò la bacchetta. «Bene. Vedo che la tua ragazza ha buon senso. Ora metti via quella bacchetta prima che qualcuno ci veda e ci denunci.» Con riluttanza, Blake la nascose nella manica. «Nella vostra lettera siete stati chiari. Una Passaporta diretta in Francia per tre persone, giusto?»
«Due.» lo corresse Lydia.
Blake la squadrò. «Tre.»
«Due.» ripeté Lydia.
«No, tu vieni con noi.»
«E tu non puoi darmi ordini.»
In tutte le ore che avevano trascorso ad organizzare il piano perfetto, si erano dimenticati di parlare della parte più importante. O meglio, non dimenticati, avevano entrambi volutamente sorvolato sul dettaglio.
Il trafficante batté le mani. «Per quanto mi piacerebbe stare qui per ore ad ascoltare voi due piccioncini litigare, abbiamo degli affari in sospeso. E come dico sempre, mai battibeccare durante una trattativa.» Sembrava parecchio divertito per essere un trafficante di esseri umani. «Ma soprattutto mi avevate parlato di tre viaggiatori, un costo ben diverso da due soltanto. Non so quanto mi varrebbe offrirvi i miei servigi se siete solo in due… sapete, il prezzo non vale il rischio. Ma se foste in tre…»
«Sì, sì, abbiamo capito.» sbottò Lydia «Pagheremo il prezzo per tre persone anche se i viaggiatori saranno solo due.»
«Non saremo in due, saremo in tre.» rispose invece Blake, testardo.
Lydia si sfregò la fronte. «Per quanto odi ammetterlo, il trafficante qui presente ha ragione. Non è il momento.» E riuscì finalmente a zittire Blake.
«Mi piaci sempre di più, ragazzina.» Lydia avrebbe giurato che l’uomo stesse sorridendo. «Quindi siamo d’accordo anche sull’altra parte della vostra lettera.»
Blake continuò a fissare Lydia, non altrettanto contento del cambio di argomento. «Sì.» fu costretto però a dire «Vi pagheremo in anticipo. Metà somma ora per avere garanzia della Passaporta e l’altra metà il giorno del viaggio.»
«Bravi ragazzi!  Siete proprio abili negli affari, e come dico sempre io, chi inizia nel mestiere da giovane diventerà immensamente ricco, se riuscirà a sopravvivere.»
«Non siamo interessati ad una carriera nella criminalità, grazie.» disse Lydia «Vogliamo solo che tutto sia pronto per sabato.»
«Questo sabato?»
«Sì.»
Il mercenario estrasse un taccuino dalla tasca insieme ad una penna di piuma che si sollevò nell’aria, aleggiando leggiadra accanto al suo volto. Scorse le pagine fino ad arrivare a quella che desiderava e si fermò ad osservarla, grattandosi il mento nascosto dalla sciarpa. La scena aveva un qualcosa di comico, tanto che Lydia si chiese se si trattasse davvero di un trafficante di esseri umani o se lei e Blake fossero finiti in uno scherzo. «Sì, sabato ho un buco alle undici. Siete liberi per quell’ora?»
Lydia e Blake si scambiarono uno sguardo. «Sì.» rispose infine Blake. «Ci saremo.»
La penna incantata si rianimò e segnò l’appuntamento sul taccuino. «Bene!» esclamò infine il trafficante chiudendo il libricino con un tonfo e facendolo sparire di nuovo nella tasca del cappotto insieme alla piuma. Sollevò una mano e Blake si avvicinò cautamente. Gli consegnò il sacchetto di monete e tornò all’istante al fianco di Lydia. Il trafficante aprì il sacchetto e controllò il contenuto. Una volta accertatosi di non essere stato truffato, richiuse il borsellino e se lo intascò. «Ci vediamo sabato, allora. Se sarete ancora vivi.»
«Un attimo!» lo fermò Lydia «Abbiamo ancora una richiesta da fare.»
Il mercenario corrugò la fronte. O almeno così pensò Lydia considerando che intravide solo l’unica linea del volto visibile muoversi. «Avevate parlato solo di una Passaporta nella lettera.»
Blake era nervoso. Nei giorni precedenti aveva tentato in tutti i modi di convincere Lydia a desistere. «Possiamo trovare un’altra soluzione.» provò di nuovo.
Ma Lydia non lo ascoltò. «Mi serve una bacchetta.» Era stanca di dover dipendere da Blake ed era anche l’unico modo affinché il piano potesse funzionare. Lei doveva essere armata in caso di difficoltà, e qualcosa le diceva che ne avrebbero dovute affrontare parecchie.
«Oh! Mi piacete sempre di più, ragazzi miei!»
«Quindi ha una bacchetta sì o no?» lo sollecitò Lydia. Si trovavano su quella spiaggia da troppo tempo.
«Ne ho parecchie. Anzi, sapete cosa vi dico? Visto che mi state così simpatici vi farò scegliere quella che preferite. Seguitemi!» E si avviò verso una capanna decadente in fondo alla spiaggia che Lydia avrebbe giurato non fosse lì fino ad un secondo prima.
Lydia si affrettò a seguirlo, mentre Blake ne approfittò per cercare di nuovo di fermarla.
«Non possiamo fidarci di lui, Lydia. E non so se abbiamo abbastanza soldi per pagare una bacchetta. Te l’ho già detto, potresti usare quella di mia mamma, appena la troviamo, e in caso di necessità sono abbastanza bravo da riuscire a difendere entrambi.»
«E se ti dovessero catturare come potrei portare in salvo tua madre senza bacchetta?» replicò in un sussurro Lydia, così da non farsi sentire dal trafficante. «Hai pensato anche a questo?» Lo sguardo colpevole di Blake le bastò come risposta. «Come ti ho detto ci serve un piano ben preciso, e l’unico modo per essere sicuri che funzioni è che entrambi siamo in possesso delle nostre armi.»
«Se avete finito di confabulare sarei lieto di invitarvi nel mio negozio!» Erano arrivati alla porta della catapecchia, che tutto sembrava tranne un negozio. Lydia si aspettava di vederla crollare appena la porta fosse stata aperta. E invece, straordinariamente, rimase in piedi. A volte Lydia si stupiva ancora dei prodigi della magia. Quando entrarono si accorsero che non erano solo le mura ad essere state rinforzate con un incantesimo, l’intero spazio era stato allargato magicamente. Dall’esterno la catapecchia era grande all’incirca quattro metri quadrati, dentro sembrava infinita. Mucchi di oggetti erano impilati sui lati della stanza, in un caos ordinato. Lydia osservò la pila a lei più vicina. Erano dei pantaloni, di tutte le taglie e tessuti. Al loro fianco invece vi erano alcuni libri impilati in file sbilenche. Lydia riconobbe diversi dei testi scolastici che aveva utilizzato ad Hogwarts. Poi riviste di Strega Oggi, un angolo intero ripieno di scacchiere magiche e più avanti, appoggiati su un tavolino storto, una serie di spazzolini. Uno di loro si sollevò appena gli passarono accanto ed incominciò a volteggiare attorno al viso di Lydia. Lei cercò di scacciarlo con la mano, ma lo spazzolino continuava a ronzarle attorno sempre più insistente, fino a quando il trafficante sollevò una mano, senza neppure voltarsi. Lo spazzolino cadde ai piedi di Lydia e lì rimase, immobile. «Spazzolini magici.» spiegò il trafficante «Se non vengono utilizzati spesso hanno la brutta abitudine di attaccare qualsiasi persona li si avvicini. Sono l’incubo di tutti i bambini.»
Lydia scavalcò il corpo esamine dello spazzolino e seguì l’uomo in una stanzetta più piccola. Capì all’istante che era il luogo in cui veniva conservata la merce più preziosa. Delle vetrinette adornavano tutte le pareti e al loro interno erano contenuti medaglioni, bracciali, spioscopi, ricordelle, lunascopi ed altri oggetti talmente strani che Lydia non aveva mai visto prima. Accanto ad ognuno di essi era adagiato un foglietto, che recitava il nome dell’oggetto e il suo valore, con una scrittura quasi infantile. I numeri erano comunque leggibili e ben al di là delle risorse di Lydia. Osservò un pendaglio nella vetrinetta più vicina. ‘Ciondolo maledetto. Fa cadere tutti i denti a chiunque lo indossi. 501 galeoni.’
«Hai buon gusto, ragazzina. Ho anche un orecchino che rilascia un veleno che avvelena la tua vittima nel giro di cinque ore. Lo vuoi vedere?»
Lydia fece un passo indietro. «No, grazie.»
«Peccato.» rispose accomodandosi dietro ad una scrivania di legno scheggiata che doveva fungere da bancone. «Comunque avvicinati pure. Ho una vasta scelta di bacchette tra cui puoi scegliere.» Aprì le ante dell’armadio che si trovava dietro alla scrivania e Lydia rimase senza fiato. File e file di bacchette riempivano tutti i ripiani. Erano innumerevoli, di ogni forma e dimensione, ed impilate una sopra l’altra come se fossero semplici rametti. Lydia sentì una stretta al cuore a quella vista. C’era qualcosa di sbagliato nella presenza di così tante bacchette senza i loro proprietari. Nonostante questo, si avvicinò al bancone per poterle vedere meglio. Aveva bisogno di una bacchetta. Non importava da dove provenisse.
Blake però era di un altro avviso. «Di chi sono?»
«Oh, di nessuno. Non più.» si limitò a rispondere il trafficante «Penso di averti inquadrato, ragazza mia, e credo di sapere quale sia più adatta a te.» Ne estrasse una dal secondo ripiano, facendo crollare tutte quelle che si trovavano sopra di essa. «La sua proprietaria era una ragazza determinata proprio come te. Dovrebbe rispondere bene ai tuoi ordini.» Lydia sfiorò la bacchetta con la punta delle dita. Era gelida.
«Che fine ha fatto la ragazza?» chiese Blake, la sua voce intrisa di sospetto.
«Una triste storia. Era quasi riuscita a superare il confine.»
Lydia allontanò la mano di scatto, come se si fosse scottata. «Cosa le è successo?» E addio al suo proposito di non voler sapere da dove provenissero quelle bacchette.
Il viso del trafficante era ancora coperto, rendendo impossibile leggere la sua espressione. «Un’imboscata del Ministero. È stata catturata insieme alla sua famiglia. Ma sono cose che capitano raramente, ragazzi. Il vostro viaggio sarà sicuro!»
Ma a Lydia non importava di quello. Non in quel momento. Un terribile sospetto la assalì. Si guardò attorno. Le montagne di oggetti che apparivano abbandonati, le bacchette senza più un mago o una strega ad impugnarle, finché il suo sguardo cadde su una porticina che portava ad una stanza attigua. Era piena fino al soffitto di zaini e valige. «Sono tutti oggetti appartenuti a chi è passato di qui, non è vero?» chiese in un sussurro.
Il mercenario si limitò ad alzare le spalle. «Alcuni di quelli che scappano dal Paese hanno la convinzione di poter portar con sé tutti i loro averi, ma la Passaporta sfortunatamente non prevede dei carichi pesanti. Suggerisco a tutti loro di lasciare indietro gli oggetti non strettamente necessari.»
«Ma nessuno lascerebbe la propria bacchetta.» Lydia conosceva già il vero significato della presenza di così tante bacchette in quell’armadio, ma aveva bisogno di sentirlo dire ad alta voce.
«Le incursioni del Ministero hanno creato qualche danno agli affari. Ripeto, non abbiate timore per il vostro di viaggio, sarete fuori dal Paese prima ancora che ve ne rendiate conto. Adesso possiamo tornare alla nostra trattativa? Per quanto mi piacerebbe poter conversare con voi tutto il giorno, ho altri appuntamenti in programma.» E come per dimostrare la veridicità delle sue parole, il taccuino volò di nuovo fuori dalla tasca del mantello e si aprì a pochi centimetri di distanza dal viso di Lydia. Lei intravide solo una fitta scrittura uguale a quella dei cartellini prima che si richiudesse di scatto e tornasse dal suo proprietario. «Come ti stavo illustrando, questa bacchetta potrebbe essere perfetta nelle tue mani.» continuò mostrandogliela con un gesto elegante della mano. Lo sguardo di Lydia cadde sul cartellino appeso con uno spago al manico. La gola le si seccò.
«Emh… Stavo pensando che mi piacerebbe vedere anche quell’orecchino di cui mi stava parlando.»
«Oh! Un’ottima scelta, mia cara! Vado subito a prenderlo. Vedrai che bellezza!» Il trafficante tornò verso la porta da cui erano arrivati. Al suo fianco si trovava una tendina, il trafficante la scostò rivelando una porticina che dava su una stanza minuscola e vi scomparve dentro. Sentirono il rumore di chiavistelli che ruotavano. Lydia tirò Blake al suo fianco e gli sussurrò in un orecchio. «Non abbiamo abbastanza soldi!»
«Te l’avevo detto! Accontentiamoci della Passaporta ed andiamocene subito da qui.» rispose Blake, quasi sollevato.
«No! Ho bisogno di una bacchetta!»
«Cosa pensi di… Oh no.» Blake si era accorto dello sguardo di Lydia «No! Non pensarci neppure!» bisbigliò agitato. Lanciò un’occhiata verso la tendina, che li copriva ancora dalla vista del trafficante.
«Ne prendo un’altra.» cercò di rassicurarlo Lydia «Una dall’armadio. Ne ha talmente tante che non se ne accorgerà neppure. Tu distrailo se arriva.» E senza aspettare risposta aggirò furtivamente la scrivania e si avvicinò all’armadio ancora spalancato. Allungò una mano verso una bacchetta al piano più basso.
E poi si sentì volare.
Lo stupore e l’assenza di gravità la lasciarono senza fiato ed incapace di comprendere cosa stesse accadendo. Sbatté la testa contro una vetrinetta e il vetro andò in frantumi, cospargendola di schegge. Un dolore sordo le pulsò dietro l’orecchio, seguito dal calore del sangue che iniziò a scorrere dalla ferita. Prima che riuscisse a muoversi, percepì un metallo gelido posarsi sulla sua gola. Sbatté le palpebre ripetutamente per mettere a fuoco la scena. Il trafficante era a pochi centimetri da lei, nella foga il cappello era scomparso, mentre la sciarpa era scivolata sul collo, lasciando scoperto il suo volto. Lydia si spaventò più per quello che per il coltello che le stava puntando alla gola. Il trafficante aveva il volto completamente rovinato da cicatrici. Erano vecchie, bianche, la pelle grinzosa, ma la parte peggiore erano gli occhi. L’iride e la pupilla erano sbiaditi, talmente tanto da aver perso il colore originale ed essere completamente bianchi. Si muovevano a scatti, saettando in tutti i lati, senza riuscire a focalizzarsi.
«I tuoi genitori non ti hanno insegnato che non si ruba?» chiese l’uomo, con una calma che mal di accordava con la situazione creatasi.
«Lasciala stare! Lasciala stare ti ho detto!»
Lydia non riusciva a muoversi a causa del coltello, con la coda dell’occhio però vide Blake che puntava la bacchetta contro la testa del trafficante.
Lui lo ignorò completamente, come se non rappresentasse alcuna minaccia. «Eppure mi sei piaciuta subito. Sarà per la tua cicatrice.» Con un dito accarezzò la cicatrice di Lydia, facendole voltare la testa di scatto per allontanarsi dal suo tocco. Il pugnale le graffiò la pelle della gola. Blake urlava ancora.
Gli occhi del trafficante continuavano a saettare da una parte all’altra. «Come… come…?» balbettò Lydia. Era cieco, di questo ne era certa.
Il trafficante ridacchiò. «Ci sono altri modi per vedere.» E detto questo si allontanò da Lydia, facendola ricadere a terra.
Lydia si accasciò. La ferita dietro l’orecchio pulsava dolorosamente mentre una stilettata di dolore si sollevava dal graffio sulla gola ad ogni respiro. Blake si lanciò al suo fianco e tentò di aiutarla ad alzarsi. Lydia scacciò la sua mano ed usò la vetrinetta rotta alle sue spalle per riuscire a rimettersi in piedi.
Nel frattempo il trafficante era tornato dietro alla sua scrivania, come se nulla fosse successo. «Non vi preoccupate. Il nostro accordo per sabato rimane valido. Sfortunatamente per me continuate a piacermi.» Prese la bacchetta dimenticata sul tavolo e la posò di nuovo nell’armadio, richiudendo subito le ante. Recitò un breve incantesimo e delle catene traslucide avvolsero l’intero armadio. Lydia si accorse che l’uomo aveva compiuto l’incantesimo senza neppure impugnare una bacchetta. «Io e te siamo più simili di quanto pensi.»
«Io non sono un mostro.» ringhiò Lydia, una mano posata sull’armadio per tenersi in piedi e l’altra che cercava di arginare il sangue che continuava a scorrerle dalla nuca.
Il trafficante inarcò un sopracciglio, rendendo il suo volto ancora più rivoltante.  «Mostro è una parola pesante.»
«Voi ingannate i viaggiatori! Li costringete a lasciare qui le poche cose che possiedono per rivenderle!»
«Questo si chiama fare affari.» rispose lui tranquillamente.
«No! Si chiama lucrare sulle tragedie altrui!»
Blake tentò di prenderla per un braccio. «Lydia, andiamocene!»
Lydia scrollò il braccio per liberarsi dalla sua stretta. «E che mi dice di quelli che vengono catturati? Lei è talmente potente da compiere incantesimi senza bacchetta. Potrebbe aiutarli a fuggire senza nessuna fatica! E invece le fa comodo, non è vero? Perché se loro vengono catturati lei si prende le loro bacchette. Non mi stupirebbe se fosse lei stesso a denunciare alcuni di loro al Ministero. Riceve una ricompensa, vero? Per ogni mago o strega che fa catturare. E immagino anche che il Ministero le permetta di prendersi le loro cose e continuare il suo traffico illegale.» Rabbia e dolore riempivano il cuore di Lydia al pensiero di tutti coloro che nei mesi precedenti erano passati da quella spiaggia. Chissà quante persone che conosceva erano state catturate proprio lì, forse anche alcuni genitori dei bambini che aveva imparato ad amare.
Il trafficante si sistemò nuovamente la sciarpa sulla bocca e sul naso. «Sei sveglia, ragazzina. Ammetto di aver temuto per la mia attività quando il nuovo Ministero ha scoperto la mia spiaggia. Fortunatamente anche loro sono uomini d’affari e non è stato difficile trovare un accordo che soddisfacesse entrambe le parti. Ma ripeto, voi non dovete aver alcun timore. Sabato sarete in Francia e potrete iniziare la vostra nuova vita.»
«Andiamo via!» sibilò di nuovo Blake «Prima che cambi idea.» Questa volta, Lydia non oppose resistenza.
Il trafficante raccolse il suo cappello e se lo calò sugli occhi con un mezzo inchino. «È stato un piacere fare affari con voi. Ci vediamo sabato.» E si mise a canticchiare mentre aggiustava la vetrinetta in frantumi con un gesto secco della mano.
Lydia si lasciò trascinare da Blake, consapevole che senza di lui non sarebbe riuscita ad uscire da quel magazzino, ma incapace di trattenersi dal guardare le migliaia di oggetti che stavano oltrepassando e tutto quello che rappresentavano. Le speranze, le fughe e le vite interrotte. Inciampò quando intravide una pila che prima non aveva notato. File e file di giocattoli e peluche. I suoi occhi si velarono al pensiero del destino dei loro proprietari. Quanti bambini erano passati da quella spiaggia e quanti di loro erano riusciti a fuggire? Immaginò la paura che dovevano aver provato. E il terrore che aveva assalito coloro che invece non ce l’avevano fatta. E il suo pensiero corse ai bambini che amava. Henry, Simon, Daniel, Lizzie, Beatrix, Ewart, Keira e tutti gli altri rifugiati di casa O’Brien. Quanto le mancavano.
E mentre lei e Blake si allontanavano frettolosamente dalla catapecchia sul mare, Lydia pensò che il trafficante aveva torto. Sua zia aveva torto. Lei non era un mostro. Perché nella sua vita era riuscita a fare almeno una cosa bella. Aveva contribuito a salvare quei bambini, ad impedirgli di soccombere allo stesso destino di quelli che erano passati su quella spiaggia.
E per Lydia era l’unica cosa che aveva davvero importanza.
 


   


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Capitolo 34
*** Capitolo 34 - Piume di Cenere ***


Capitolo 34
Piume di cenere
 


Era tutto pronto.
Gli ultimi giorni erano stati concitati. Lydia non voleva lasciare nulla al caso. Lei e Blake avevano passato notti insonni valutando ogni minima eventualità, alla ricerca di quel piano perfetto che li avrebbe portati fuori dal Paese. Solo che il piano perfetto non esisteva. Avevano discusso a lungo su quanto accaduto alla spiaggia, sapevano entrambi che il trafficante avrebbe potuto venir meno alla sua promessa e denunciarli al Ministero come aveva dimostrato di aver fatto più volte in passato. Avevano valutato ogni opzione alternativa. Ma per quanto si sforzassero di cambiarlo, erano sempre costretti a tornare al piano originale. Era l’unica soluzione possibile. Tutte le altre vie erano impraticabili o avrebbero comportato rischi maggiori per tutti loro.
Sarebbero dovuti passare da quella spiaggia, che lo desiderassero o meno.
Lydia non sopportava l’idea. La nausea l’assaliva quando ripensava a tutto ciò che avevano visto nel magazzino. La notte, durante le poche ore di sonno che si concedevano, sognava di ridurre in cenere ogni singolo centimetro di quel luogo, e tutto ciò che esso rappresentava.
«La lettera è pronta.»
Lydia risollevò lo sguardo dalle carte sparse sul tavolo per focalizzarsi su Blake, che stava rientrando nell’appartamento.
«Non mi hai ancora detto che cosa hai scritto.»
Lo sguardo di Blake divenne sfuggente. «Non ha importanza.»
«Certo che ha importanza!» esclamò Lydia «Se la lettera non funziona tutto il nostro piano andrà in fumo!»
«Funzionerà.» replicò Blake, con una sicurezza tale che Lydia si ritrovò a credergli «Ti assicuro che mio padre uscirà di casa appena la leggerà.»
Lydia annuì. «Ricapitoliamo. Appena tuo padre se ne va, noi entriamo - hai ripassato gli incantesimi spezza maledizioni, vero? - prendiamo tua madre e ce ne andiamo il prima possibile. Se incontriamo Ally sai cosa fare.»
«Ci Smaterializziamo direttamente alla spiaggia e alle undici prendiamo la nostra Passaporta.» concluse Blake, ripetendo a pappagallo. Erano giorni interi che replicavano sempre le stesse frasi. Eppure a Lydia sembrava non bastare. Sapeva benissimo quanto i piani fossero destinati a cambiare. Sempre. Ma questa volta non dovevano lasciare che accadesse. Se fossero stati attenti, se avessero seguito alla lettera le istruzioni, allora c’era una possibilità che per una volta nella vita tutto sarebbe andato come doveva andare.
«Alle undici e un minuto sarete in Francia.» concluse Lydia.
«Vorrai dire ‘saremo’.» la corresse Blake.
Ecco. Avevano parlato per ore intere nei giorni precedenti. Del piano, degli orrori che avevano visto in quel magazzino, del loro passato, di qualsiasi cosa tranne del futuro. Lydia aveva tentato di evitarlo in tutti i modi. Ma si accorse che il tempo stava per scadere e non avrebbe potuto rimandare oltre. «Sarete.» replicò infine, cercando di imprimere sicurezza nella propria voce «Ci ho pensato, Blake. Non posso venire con voi. La mia famiglia è qui.»
«Ma l’hai detto tu stessa: la tua famiglia è al sicuro! E poi potrà raggiungerci in Francia e sarete finalmente liberi di tornare a vivere. Insieme.» Da come pronunciò l’ultima parola, Lydia comprese che includeva anche se stesso in quell’insieme.
Lydia sospirò e si sfregò la fronte. Era stanca. Più stanca di quanto avrebbe mai ammesso. La tensione, le poche ore di sonno e tutto il carico emotivo degli ultimi giorni, anzi, delle ultime settimane, pesavano come un macigno sulle sue spalle. La verità era che quell’idea l’allettava. Non poteva negarlo. A volte, durante le lunghe ore di preparazione con Blake, aveva immaginato cosa potesse significare per lei raggiungere la Francia.
Libertà. Pura ed assoluta.
Una libertà che non aveva più potuto provare dall’inizio della guerra e forse da prima ancora. In quei momenti osava immaginare di camminare nelle vie di Parigi, senza doversi nascondere, senza dover temere per la propria incolumità e quella della sua famiglia. I suoi genitori avrebbero potuto crearsi una nuova vita, senza la paura costante di perdere la loro stessa figlia. E Lydia immaginava che anche sua nonna potesse trovare un luogo di pace in quel nuovo Paese, per quanto si rendesse conto fosse un’utopia.
E poi ci sarebbe stato Blake.
Non poteva dire di averlo perdonato, anni di rancore non potevano essere cancellati in così poco tempo, però, nel breve periodo che avevano trascorso insieme, Lydia si era accorta di non odiare la sua presenza. Di aver trovato con lui un’affinità che non avevano provato nemmeno quando stavano insieme. La loro collaborazione funzionava, non aveva senso negarlo. E una piccola parte di lei si chiedeva dove sarebbero potuti arrivare insieme.
Poi si ricordava di lui.
Di Lance.
E tutti i pensieri precedenti le sembravano infantili.
Perché lei aveva già una vita in Inghilterra. Una che era riuscita a costruirsi durante la guerra, nonostante la paura e il terrore. Una vita composta da una famiglia un po’ disfunzionale ma comunque piena d’amore. Da alcuni bambini che a volte erano troppi e troppo rumorosi, ma a cui Lydia voleva talmente tanto bene che quando pensava a loro le mancava l’aria.
Un prurito al collo la risvegliò dai suoi pensieri.
Si grattò il collo distrattamente. Quando riaprì la mano la trovò coperta da gocce di sangue.
«Maledizione.» imprecò con un sospiro. Riposizionò la mano sulla ferita dietro alla nuca mentre con l’altra cercava un fazzoletto con cui tamponarla.
Blake le porse un asciugamano. «Forse dovremmo davvero fare un salto al Pronto Soccorso.»
«No.» replicò immediatamente Lydia «Te l’ho già detto. Non ho intenzione di rischiare di farci catturare solo per uno stupido graffio.» Posizionò l’asciugamano sulla testa, cercando di mascherare la fitta di dolore che il gesto le provocò. Ecco un’altra cosa che avevano scoperto. Le ferite causate da frammenti di vetro erano difficili da curare senza punti di sutura o pozioni. E visto che lei e Blake non avevano a disposizione né gli uni né gli altri, il taglio aveva la brutta tendenza di riaprirsi a intervalli quasi regolari. La notte prima, Lydia si era svegliata da un incubo e aveva trovato il cuscino completamente intriso di sangue. Potevano solo sperare che non si infettasse.
«L’unica consolazione è che devi pazientare solo fino a domani.» disse Blake «Ho sentito dire che i dottori francesi sono tra i migliori al mondo.» Un sorrisetto sghembo si allargò sulle sue labbra, facendogli meritare l’asciugamano che Lydia gli gettò in faccia. Blake ridacchiò, prese il disinfettante dal ripiano della cucina e si avvicinò a Lydia «Dai, fammi vedere.»
Lydia sapeva che era inutile ribattere. Soprattutto se non voleva ritrovarsi con un’infezione mortale in testa. Piegò la testa in avanti e spostò i capelli su una spalla. Trasalì quando il disinfettante venne in contatto con il suo taglio, poi Blake cominciò a massaggiare la zona circostante con una delicatezza che le distese i nervi.
«Non ti ho ancora ringraziata.» Lydia sentì il respiro di Blake carezzarle il collo.
«Per cosa?»
«Per avermi aiutato.»
«Hai salvato la mia famiglia. Ti dovevo un favore.» rispose Lydia, sulla difensiva.
«Non penso che sia per quello. O almeno, non del tutto.»
Lydia si irrigidì. Con un gesto secco si sistemò i capelli, sfuggendo dal tocco delicato di Blake «Ho accettato di aiutarti solo per ripagare il mio debito. Niente di più.» Si alzò dalla sedia e si avvicinò al piccolo camino della sala. Prese l’attizzatoio per muovere le braci e permettere ad una nuova fiammella di prendere vita.
«E va bene.» capitolò Blake «È il motivo per cui hai deciso di aiutarmi. Ma non è quello che ti ha fatta restare.»
Lydia riposizionò l’attizzatoio accanto al camino. «E perché sarei rimasta, secondo te?» chiese in un sussurro. Si stava cacciando in un guaio, lo sapeva.
«Perché stai ancora pensando alla mia proposta. Dici di voler restare ma in realtà tu vuoi venire con me.»
«Quando stavamo insieme non ti sei mai neanche sforzato di comprendere i miei sentimenti, e adesso pretendi di sapere cosa sto pensando.» Lydia incrociò le braccia. Un patetico tentativo di impedire a Blake di mettere a nudo la sua anima.
Perché sapevano entrambi che le sue parole corrispondevano al vero. La notte era scesa, mancavano solo poche ore alla fuga, eppure lei non aveva ancora preso la sua decisione definitiva. Continuava a ripetersi di dover rimanere. Ma una parte di lei la implorava di lasciarsi tutto alle spalle e partire con Blake e sua madre. Crearsi una nuova vita, una in cui poteva essere semplicemente chi voleva, senza aver paura di essere giudicata, o incompresa, o scacciata.
 «Ero uno stupido durante la nostra relazione. Forse allora non me ne rendevo conto, e ora non ho intenzione di giustificare tutto il male che ti ho fatto. Ma dovrai ammettere anche tu che sono cambiato in questi anni.»
Lydia si rifiutò di rispondere. Sì, era cambiato. Era diventato finalmente un uomo. Ma non gli avrebbe dato la soddisfazione di ammetterlo ad alta voce.
«E se non l’hai notato, o non vuoi crederci, dammi la possibilità di dimostrartelo.» Blake le si avvicinò e le prese le mani, sciogliendole dal loro intreccio «Posso donarti una nuova vita. Una vita migliore di quella che avresti se restassi qui. Lo sai anche tu.»
«Mi offriresti la via più facile. Non è detto che sia la migliore.»
Blake fece un sorriso sghembo. «Una vita a Parigi senza essere perseguitati non mi sembra poi così male.»
«Lo dici perché tu non hai più nessuno che ti leghi all’Inghilterra.»
«Ma i tuoi genitori e tua nonna ci raggiungeranno.»
«Non sono solo loro!» La risposta di Lydia fu veloce, ma le sue parole impiegarono alcuni secondi prima di essere veramente comprese da Blake.
«Ah.» Le lasciò le mani, lo sguardo improvvisamente cupo.
Lo aveva deluso. No, non deluso. Ferito. E Lydia si sentì in colpa per questo. In fondo Blake aveva seriamente cercato di offrirle una vita migliore, e lei stava gettando tutto all’aria. Gli doveva almeno una spiegazione. «Io non posso abbandonare l’Inghilterra.» disse con dolcezza. Si avvicinò a Blake e questa volta fu lei a stringere le sue mani «Ho lasciato delle questioni in sospeso. Ci sono persone che hanno bisogno di me.»
 Blake sollevò il viso e i suoi occhi si incatenarono a quelli di lei. «Ma anche io ho bisogno di te.»
«Avrai tua madre e…»
«No.» Blake la tirò verso di sé fino ad annullare la distanza tra di loro «Ho bisogno di te e solo te. Sei l’unica persona al mondo che è riuscita a vedere chi sono realmente, prima ancora che lo capissi io stesso. Sei stata la prima che ha creduto in me quando io pensavo di non valere nulla. Sei l’unica che mi ricorda che non sono il mostro che gli altri vogliono che io sia. Ti prego, Lydia. Tu mi rendi una persona migliore. In questi anni, ogni volta che sono stato con te, sono riuscito a diventare una persona migliore. La versione di me che vorrei essere sempre. Se tu mi lasci ho paura di cadere di nuovo. Ti prego, Lydia, ti supplico. Resta con me.» Lydia riconobbe l’urgenza sul suo volto, la disperazione delle sue parole. E si trovò sommersa dalle emozioni. Immaginò di nuovo la vita che avrebbe potuto avere dall’indomani a Parigi. E questa volta la immaginò al fianco di Blake. Negli anni precedenti lo aveva amato, con tutto il cuore e con tutta l’anima. E immaginò quell’amore rifiorire e riempire nuovamente la sua vita. Le sembrò così reale, come se potesse già sfiorarlo con un dito.
«I miei amici hanno bisogno di me.» Il sussurro di Lydia si confuse con il crepitio del camino. Ma lei e Blake si trovavano talmente vicini che lui lo sentì. Aggrottò la fronte e Lydia si affrettò a continuare, cercando di giustificarsi. «Loro sono ancora qui. Alice, lei è stata catturata, come posso andarmene dal Paese e lasciarla come se nulla fosse?» Vide che Blake stava per replicare e lo interruppe «So di non poter fare niente per liberarla, ma non posso neanche andarmene senza di lei. E poi c’è Paul.»
Un lampo di confusione attraversò il volto di Blake. «Kenston è morto.»
«Ma non ha mai smesso di lottare. E per quanto posso averlo considerato uno stupido per questo, ammetto anche che è stato più coraggioso di quanto io sia mai stata in vita mia.»
«Quindi vorresti rimanere e combattere contro l’intero Ministero?»
Lydia scosse la testa, consapevole che Blake non sarebbe riuscito a comprendere. «Dico solo che non mi sembra giusto nei confronti della sua memoria scappare semplicemente dal Paese. Forse hanno ragione la nonna e papà, forse non ho fatto abbastanza per cercare di cambiare le cose.»
«A me sembra solo che tu stia cercando di punirti per colpe non tue.» disse Blake, accarezzandole il viso.
Lydia lo guardò stupita. «Non capisco.»
«Pensaci. Vuoi rimanere per Alice, perché ti senti responsabile per la sua cattura. Vuoi rimanere per Paul, perché credi che avresti potuto evitare la sua morte. Ma non è colpa tua, Lydia. Tu hai fatto tutto il possibile. Accetta la verità e sarai finalmente libera. Non intendo solo dalla guerra, ma da tutte le paure e le responsabilità che ti sei portata sulle spalle per tutto questo tempo.» Blake asciugò una lacrima dalla guancia di Lydia.
«Anche Lance ha bisogno di me.» sussurrò Lydia, la voce spezzata.
Il dito di Blake smise di muoversi per un istante, poi riprese a vagare sulla sua guancia, lasciando una scia di calore. «Te l’avevo detto, Lydia. Sei troppo buona. Ti stai preoccupando per degli amici che non hanno fatto altro che sminuirti da quando li hai conosciuti. Io mi ricordo di quando ad Hogwarts Kenston ti derideva per i tuoi errori, quando ti insultava perché stavi dalla parte di Harry Potter. Ho asciugato io stesso molte delle lacrime che hai versato a causa delle frecciatine che continuava a lanciarti quando stavamo insieme. Ti aveva detto che stavi tradendo la vostra amicizia mettendoti insieme a me, che dimostravi di essere una persona orribile tanto quanto lo ero io. Ti ricordi?»
Sì. Lydia lo ricordava.
«E Alice ha passato anni a cercare di bloccare la tua vera natura, a vergognarsi di quello che facevi o dicevi. A non ritenerti abbastanza. A non ascoltarti perché non ti considerava sufficientemente intelligente, sufficientemente razionale per lei.»
Lydia ripensò al loro ultimo incontro fuori dal Ministero, quando lei l’aveva supplicata di andarsene da lì, le aveva offerto una via di fuga ma Alice aveva rifiutato di accettarla, anzi, aveva ribattuto accusandola di averla sempre portata alle scelte più avventate, e così facendo Lydia stessa aveva rischiato di essere imprigionata.
Blake le sollevò il mento con delicatezza e la costrinse a guardarlo.
«E dove era O’Brien quando avevi più bisogno di lui? Dove era quando ti hanno fatto questa e la tua vita è cambiata per sempre?» Con un dito, Blake tracciò la cicatrice sul volto di Lydia «Non c’era. Nessuno di loro c’era. E perché tu adesso dovresti rinunciare alla tua vita e alla tua libertà per persone che non ti hanno mai considerata abbastanza importante per loro?»
Le lacrime si asciugarono dagli occhi di Lydia. Un improvviso vuoto si impossessò di lei. Era stanca. Fisicamente. Mentalmente. Tutti gli eventi degli ultimi anni si riversarono su di lei lasciandola senza forze.
Si voltò verso il camino. Il suo volto era gelido ora che non si trovava più tra le mani di Blake.
La sua mano scivolò nella tasca della felpa.
Estrasse l’unico oggetto che le aveva fatto compagnia in tutti quegli anni, nei momenti migliori e peggiori della sua vita.
Una piuma.
«Me la ricordo.» Blake si chinò sulla piuma per osservarla meglio «Ne avevate una ognuno, non è vero? Tu, Alice, Kenston e O’Brien. Mi avevi detto che era una specie di simbolo della vostra amicizia.»
Lydia roteò la piuma tra le dita.
Nonostante gli anni che aveva trascorso al suo fianco, era ancora perfetta.
«Lydia… è ora di lasciarci il passato alle spalle.» Blake sorrise «Finalmente potremo realizzare il nostro sogno. Potremo iniziare una nuova vita, una in cui non saranno le nostre scelte sbagliate a definirci. Una vita in cui non saremo più considerati mostri.»
Lydia guardò un’ultima volta la piuma.
Così bella. Così perfetta.
E la lasciò cadere nel camino.
La piuma ondeggiò nell’aria, come se volesse tentare di sfuggire al suo destino. Ma nessuno può evitare il proprio fato, e la piuma cadde sulle braci ardenti e prese fuoco. Lydia la fissò mentre bruciava. La piuma si contorse e lei immaginò di sentire le sue urla. O forse era il suo cuore che stava urlando di dolore. E poi la piuma si arrese. Rimase immobile mentre le fiamme lambivano ogni singolo millimetro, lasciando dietro di sé nient’altro che cenere.
Lydia si sentiva nello stesso modo.
Una piuma di cenere, destinata a sgretolarsi in minuscole particelle, senza più possibilità di poter tornare ad essere intera.
Si sentiva lacerare in granelli, che cercavano di volar via, di disintegrarsi così da non poter più sentire quel dolore. Quella stanchezza.
Ma aveva un’ultima cosa da fare prima di poter finalmente diventare di cenere e riposare.
«Non ti ho mai raccontato quello che è successo.»
Fissava ancora le braci, ma sapeva che Blake l’aveva sentita. «Cosa stai dicendo?»
Ma Lydia scosse la testa. «La cicatrice. Sei l’unico che l’ha vista e non è rimasto stupito, o disgustato. Non una reazione, non una domanda.»
Blake si schiarì la gola. «Io…» balbettò, e poi, con un colpo di tosse, recuperò la sua confidenza. «Diana Clarke mi ha raccontato tutto. Te l’ho detto. Ha cambiato schieramento e mi ha raccontato quello che ti hanno fatto.»
«Non mentirmi.» disse Lydia «Non farmi almeno questo.»
E finalmente tutte le maschere caddero a terra, trasformate anche esse in cenere.
Il volto di Blake si accartocciò, rivelando una persona completamente diversa da quella che era stata negli ultimi giorni.
Lydia però continuava a fissare le braci. «Non mi hai chiesto niente perché lo sapevi già. E lo sapevi perché c’eri anche tu in quel parco giochi.» Era una constatazione, non una domanda. Era l’unica spiegazione logica, l’unica che avesse senso in tutte le menzogne che le aveva raccontato da quando si erano rincontrati.
«Lydia, io non…»
«Eri lì, sì o no?» La voce di Lydia era glaciale.
«Sì.» sussurrò Blake.
Lydia avrebbe voluto provare qualcosa. Qualsiasi cosa. Ma dentro di sé sentiva solo il vuoto.
Poi Blake cominciò a raccontare, quasi volesse giustificarsi. Come se fosse possibile. «Mi hanno costretto! Isaac e Aiden, sono stati loro, e…»
«Mi avevi detto che ti avevano proposto di entrare nel loro gruppo e tu ti eri rifiutato.» Ora che lo diceva ad alta voce, Lydia si accorse di quanto fosse stata stupida a crederci. Blake non era mai stato in grado di dire di no ai suoi amici. Tranne in quel breve periodo durante il loro quinto anno in cui si erano frequentati, ma anche in quell’occasione era tornato strisciando da loro. Implorandoli di poter riunirsi al gruppo. Incapace di allontanarsi.
«Ho dovuto accettare.» disse infatti Blake «Quando il Signore Oscuro è uscito allo scoperto, abitavo insieme a loro in un appartamento a Londra. Ero lì quando hanno deciso di unirsi ai suoi sostenitori e di creare un gruppo tutto loro, non avevo vie di fuga, potevo solo accettare. Qualche settimana dopo ho scoperto che Eileen si era unita al gruppo del fratello di Harris. Mi sono detto che se anche lei, che era sempre stata perfetta in ogni aspetto, si era unita a loro, allora come potevo io tirarmi indietro? Pensavo che si sarebbero limitati a fare qualche scherzo a babbani o Nati Babbani…»
«Ma questa è una guerra. Non siamo più nei corridoi di Hogwarts.»
Blake provò a guardarla in volto, per riuscire a comprendere i suoi sentimenti. Una missione impossibile considerando che Lydia continuava a non provare nulla. No. Qualcosa c’era. La stessa stanchezza di prima. Che le pesava sul cuore e le implorava di smettere. Ma prima di poterla accontentare, Lydia doveva sapere.
«All’inizio ci siamo limitati a qualche scritta sui muri delle case dei Nati Babbani, alcuni incendi vicino alle loro proprietà, lettere minatorie! Ho tentato in tutti i modi di allontanarmi da loro senza destare sospetti, sono persino tornato a vivere con i miei genitori, ma Isaac continuava a volermi al suo fianco nelle missioni. Non accettava un no come risposta. Io… io me ne stavo in disparte, ero lì ma non volevo, te lo giuro!» Il silenzio di Lydia lo costrinse a continuare «Intanto il gruppo cresceva, sempre più persone volevano unirsi alla causa. Ma a Isaac e Aiden non bastava. Volevano essere notati. Avevano persino fatto costruire delle maschere d’argento per ognuno di noi. Per essere uguali ai Mangiamorte. Volevano che i Nati Babbani tremassero al loro cospetto. Ho iniziato a temere il peggio. Loro… loro hanno cominciato a nominare alcuni Nati Babbani che avrebbero potuto colpire… Hanno fatto il tuo nome, Lydia. Non potevo permetterlo. Ti ho cercata. Sono venuto a casa tua, volevo avvisarti. Dirti di nasconderti. Ma non trovavo il coraggio. Continuavo a provarci. Mi Materializzavo fuori casa tua o casa di tua nonna quando eri da lei, ma appena ti vedevo… avrei dovuto confessarti di essere diventato uno di loro… e io non ci riuscivo. E allora tornavo all’appartamento, sperando che ti lasciassero stare. Poi un giorno, ho tentato di nuovo e quando sono arrivato… ti ho vista, mentre parlavi con i tuoi zii. Ti dicevano qualcosa su una sorpresa e siete partiti in macchina. Vi ho seguiti. Volevo solo assicurarmi che foste al sicuro. Vi siete fermati al parco giochi… Isaac mi è comparso alle spalle. Mi aveva messo un incantesimo rilevatore addosso. Ha detto che era curioso di sapere dove sparivo in continuazione. Ha detto che non avrebbe mai pensato che facessi visita alla mia fidanzatina. Gli ho risposto che non era come pensava, che io e te non eravamo più nulla.» Blake rivolse lo sguardo alle fiamme del camino che si stavano estinguendo «E allora mi ha detto che era il momento di dimostrarlo. Ha convocato gli altri. Non sapevo come fermarlo, se potevo fermarlo. E quando sono arrivati gli altri era troppo tardi. Loro…» La voce di Blake tremò «Loro vi hanno attaccati. Li ho pregati, io li ho pregati di lasciarvi andare.»
«Vi prego… vi prego…»
Nella confusione dei ricordi, Lydia aveva sempre pensato che la voce famigliare che aveva sentito dopo l’esplosione fosse quella di suo zio. Le sue ultime parole prima di morire. E invece Blake gli aveva rubato anche quelle.
«Isaac mi ha costretto a guardare mentre ti torturavano. Mi diceva che era arrivato il momento di scegliere da che parte volevo stare. Che sarebbe stata la mia prova per diventare finalmente chi ero destinato ad essere: un Mangiamorte. E poi li hai implorati di morire.»
Lydia fu costretta a chiudere gli occhi per scacciare il senso di nausea che la assalì.
«Erano così delusi. L’idea della cicatrice è stata quella che ti ha salvata da un destino peggiore della morte.»
«Quindi dovrei ringraziarvi per questo?»
Blake sgranò gli occhi. «No! Non intendevo dire…»
Ma Lydia sollevò una mano per fermarlo. «Vai avanti.» ordinò perentoria.
Blake esitò. «Mentre Isaac… mentre lui…» Non riuscì a dirlo. Si limitò a fare un cenno verso la cicatrice di Lydia «Per gli altri era uno spettacolo da non perdersi. Loro… mi hanno lasciato stare, erano troppo occupati a ridere e godersi la scena. E così sono riuscito a mandare un messaggio agli Auror. Quando sono arrivati, sono scappato insieme ad Isaac. Sapevo che se fossi rimasto indietro, mi avrebbero arrestato.»
«Quindi hai preferito tornartene a casa con degli assassini piuttosto che fermarti e stare con me.»
«Non era quello che intendevo.»
«Eppure è quello che hai fatto.»
«Non volevo più stare con loro! Volevo tirarmi fuori. Ma poi, una sera, ho trovato Isaac e Aiden nella mia camera. Erano riusciti a convincere Ally a farli entrare. Avevano capito che volevo uscirne. Hanno minacciato la mia famiglia, Lydia. Hanno detto che se non avessi dimostrato di essere dalla loro parte sarebbe successo qualcosa di brutto ai miei genitori. Ho dovuto riunirmi al gruppo. Tu più di tutti mi puoi capire. Non faresti anche tu qualsiasi cosa per la tua famiglia?»
Lydia si rifiutò di rispondere.
«Non volevo che i miei genitori lo sapessero. Erano già così preoccupati per Eileen, non volevo dare loro altri dispiaceri. Uscivo la notte e tornavo prima che si svegliassero. È stato facile convincere Ally che non era il caso di informarli delle mie passeggiate notturne.»
«In tutti questi mesi… tu sei sempre stato con loro.»
Blake annuì mestamente. «Non volevo, ma non potevo fare altrimenti. Ho inventato che i miei genitori mi avrebbero denunciato se fossero venuti a saperlo e così Isaac mi convocava solo per le missioni più importanti. La mia scusa però è durata poco… i miei genitori hanno scoperto la verità…»
«Quando è morta tua sorella.» ragionò Lydia «Ecco perché tuo padre ti ha cacciato di casa.»
«Isaac… lui è venuto subito a vantarsi del fatto che suo fratello era uno di quelli che aveva ucciso una traditrice della nostra causa. Avresti dovuto vedere la gioia sul suo volto mentre mi diceva che era mia sorella ad essere stata assassinata. Per lui era un monito nei miei confronti, per ricordarmi il motivo per cui dovevo rimanere al suo fianco. Sono corso da lei, ti ho detto la verità su quello, e poi è arrivato mio padre. Ero a pezzi… gli ho raccontato cosa era successo, che era stato Isaac a portarmi la notizia. E lui ha capito che lo avevo ingannato. Che facevo parte anche io dei seguaci del Signore Oscuro. Ho provato a spiegargli… ma lui mi ha cacciato di casa. Non ha più voluto vedermi. Ho dormito per strada per notti intere, poi ho scoperto che mia sorella si era preparata all’eventualità della sua morte. Aveva fatto testamento, e mi aveva lasciato questo appartamento. Mi sono trasferito qui. Per fortuna Isaac aveva ormai abbastanza seguaci da non pretendere il mio intervento ogni volta che si scontrava con qualcuno. E infatti mi sono perso la vostra battaglia sulla spiaggia, quando mi ha raccontato del vostro scontro mi è sembrato strano che non mi avesse costretto a combattere al loro fianco, ma poi ho capito. Aveva paura che rivedendoti avrei potuto rivoltarmi contro di lui.»
Che sciocco che era stato Isaac a temere che una cosa del genere potesse accadere. Lydia sapeva che non sarebbe mai successo e la loro storia lo dimostrava innumerevoli volte.
«Eri presente quando hanno catturato Paul?»
Il disagio di Blake crebbe a dismisura. «Isaac pensava che Kenston sarebbe stato in compagnia di O’Brien. E quindi mi ha convocato. Ho provato a convincerlo che lo aveva torturato a sufficienza, che lo aveva già terrorizzato abbastanza da convincerlo a non provare più a sfidarci, e a recapitare lo stesso messaggio anche a O’Brien, anche a te. Ci ho provato, Lydia, devi credermi! Pensavo che se proprio non potevo uscirne almeno avrei potuto tentare di impedire gli orrori peggiori… volevo trovare un modo per rimediare al male che avevo fatto.»
Tutte le menzogne di Blake tornarono alla mente di Lydia e si sgretolarono, lasciando spazio ai nuovi tasselli di verità che stavano finalmente trovando il loro posto. «Non era Diana Clarke la spia. Eri tu.»
«Sì. Quando Isaac mi ha riferito della battaglia sulla spiaggia, quando ho capito che non aveva voluto coinvolgermi nel timore che potessi rivoltarmi contro di lui, ho capito anche che venendo tagliato fuori non avrei però potuto proteggerti. E così ho finto di essere rimasto profondamente offeso dal fatto che non mi avessero coinvolto, ho inventato vecchi rancori… ho…» esitò per un istante «Ho detto che se avevi deciso di stare dalla parte di O’Brien allora potevi bruciare all’inferno.» concluse velocemente, come se dirlo in tutta fretta potesse cancellare i torti che aveva compiuto «Mi hanno creduto. Loro sapevano quanto non sopporto O’Brien… loro sapevano tutto…» esitò di nuovo, e Lydia ripensò ad uno dei motivi principali che avevano portato alla rottura della loro relazione. La sua gelosia per l’amicizia che legava lei e Lance. Non stentata a credere che Isaac fosse caduto subito nell’inganno di Blake, se di inganno si trattava. «Così hanno iniziato a coinvolgermi per la tua cattura. E io ho iniziato a progettare la nostra fuga dal Paese appena ti avrei rivista. Ho detto la verità, Lydia, volevo portare mia mamma fuori da qui, ma anche tu sei sempre stata nei miei piani, dovevo aspettare di trovarti prima di poterla portare in Francia. Sapevo che Isaac aveva trovato l’anello debole che ci avrebbe permesso di catturarti: tua zia. Quella mattina… È stata una fortuna che stavo arrivando all’appartamento di Isaac quando ho visto il gufo di tuo padre entrare dalla finestra. L’avrei riconosciuto tra mille, tua zia lo usava spesso per tenere informato Isaac sulla tua assenza, ho deciso comunque di controllare. E quando sono arrivato a casa di tua nonna e ti ho vista… ho capito che questa volta tua zia aveva scritto ad Isaac per informarlo del tuo ritorno. Dovevo portarti via da lì prima che arrivassero. È stata una fortuna che non mi abbiano visto quando ci hanno attaccati, pensano ancora che tu sia riuscita a scappare solo per un colpo di fortuna. Non sospettano nulla.» Blake si rianimò. Come se pensasse che quell’unica azione positiva potesse compensare tutto il male che le aveva causato.
Ma era un’altra la questione che premeva a Lydia. «Dove è Diana?»
Blake si torse le mani. «Sulla spiaggia, Isaac e gli altri si sono spaventati quando hanno visto i Dissennatori avvicinarsi. Hanno lasciato indietro i feriti.»
«Lo so questo. Ero lì.»
«I Dissennatori non riescono a riconoscere gli alleati dai nemici… chi è rimasto indietro ha ricevuto il Bacio.»
Lydia chiuse gli occhi. L’orrore scacciò per qualche istante la sua stanchezza infinita.
«Isaac è andato a cercarli, qualche giorno dopo. Erano stati ricoverati in un ospedale psichiatrico babbano. Lui… ha fatto in modo che tutte le loro sofferenze finissero.»
Lydia si passò una mano sul volto, mentre il rumore di una bacchetta rotta si ripercuoteva nei suoi ricordi. Un’altra morte sulla sua coscienza. Altro sangue sulle sue mani.
«Mi hai mentito.» disse infine. Le braci si erano ormai quasi spente. «Per tutto questo tempo non hai fatto altro che mentirmi.»
«Lydia, ti prego, devi capire… come avrei potuto raccontarti la verità e pretendere che tu venissi con me?»
«Mi hai ingannata. Mi hai lasciata senza altra possibilità che aiutarti. Probabilmente è stato il tuo piano fin dall’inizio, farmi perdere la bacchetta, così sarei stata costretta a dipendere da te per potermene andare da qui. Così non sarei scappata.»
Blake scattò sulla difensiva. «Quando sono tornato nel giardino di tua nonna la tua bacchetta davvero non c’era più. Devi credermi. Non so chi ce l’abbia. All’inizio pensavo che l’avesse presa Isaac o qualcuno degli altri, ma quando sono tornato da loro erano solo furiosi di non essere riusciti a catturarti e non hanno mai nominato la bacchetta. Non so dove possa essere.»
Lydia non sapeva su quale parte di quella frase concentrarsi. Sul fatto che anche nei giorni che avevano trascorso insieme, Blake avesse continuato a frequentare Isaac aveva ben poco da dire. A volte Blake era uscito, sostenendo di aver bisogno di fare qualche sopralluogo a casa dei suoi genitori. La scusa perfetta per andare da Isaac e Aiden indisturbato.
No. Era un’altra parte della frase a disgustarla.
«Hai detto ‘quando sono tornato’.» disse.
Blake la guardò perplesso. «Cosa?»
«Hai detto ‘quando sono tornato a cercare la bacchetta’. Ma quel giorno siamo andati insieme a casa di mia nonna a cercarla.»
Blake impallidì, rendendosi conto di essersi tradito una seconda volta.
«Subito dopo aver stretto il nostro accordo ti ho costretto a portarmi a casa di mia nonna per prendere la mia bacchetta. Come hai fatto a tornarci da solo prima?»
«Io… ti ho Schiantata… volevo accertarmi… Isaac mi ha insegnato che un Confundus ben piazzato può impedire alla vittima di ricordare…» e poi si fermò, come se si fosse accorto di aver pronunciato la parola sbagliata.
Non importava. Lydia aveva bisogno di un’ultima risposta. «Se quel giorno tu avessi ritrovato la mia bacchetta, me l’avresti restituita?»
La domanda di Lydia era chiara, semplice. Ma Blake non riuscì a rispondere, l’imbarazzo che gli arrossiva le guance.
E bastò a Lydia per avere la sua risposta.
Non gli disse nulla. Non un insulto né una parola d’addio. Si diresse semplicemente verso la porta d’ingresso. Era pronta ad andarsene, a lasciarsi indietro tutte le menzogne. Non le importava di essere senza soldi e senza bacchetta. Avrebbe trovato un modo per sopravvivere, le bastava uscire da quell’appartamento.
«No!» Blake si intromise tra Lydia e la porta, bloccando l’uscita «Ti prego, Lydia, non andartene. Ti prego. Io non sono più quella persona. È da quel maledetto giorno al parco giochi che voglio andarmene, voglio lasciarmi tutto alle spalle.» Blake cercò di prendere le mani di Lydia, la disperazione negli occhi. Lydia fece un passo indietro, disgustata. «E finalmente abbiamo l’occasione, Lydia! Finalmente domani possiamo andarcene da qui, e ti prometto che ti dimostrerò che sono pentito di tutto quello che ho fatto, di tutto il male che ho causato.» Lydia cercò di superarlo, ma fu bloccata dalle braccia di Blake «Ti prego, Lydia, ti supplico. Vieni con me. Andiamocene e tutto questo sarà finito. Avremo finalmente l’occasione di essere ciò che non abbiamo mai potuto essere. Ti prego, Lydia, non abbandonarmi…»
Era vera disperazione quella che vedeva negli occhi di Blake. E le piaceva. Ma era troppo stanca per dirglielo. Voleva solo andarsene. Lasciarselo alle spalle, Blake e tutto quel dolore che stava cercando di distruggere il suo cuore.
E poi bussarono alla porta.
Era un suono talmente nuovo che sia Lydia sia Blake si bloccarono a guardare la porta sbigottiti. Bussarono di nuovo e tanto bastò per risvegliarli dal loro stupore. Lydia allungò la mano verso la maniglia. Fu il suo errore. Era concentrata su ciò che si trovava fuori dall’appartamento da non accorgersi della bacchetta di Blake puntata contro di lei. L’attimo dopo si trovò chiusa in una piccola stanza dell’appartamento arredata solo da una scrivania e ripiena di scatoloni da trasloco, senza sapere come aveva fatto ad arrivarci. Si catapultò verso la porta sbarrata e scoprì che era sigillata. Scrollò la maniglia, tirò, diede calci e pugni, e poi si mise ad urlare e la rabbia che non era riuscita a provare prima, esplose in tutta la sua potenza. Gli scatoloni che riempivano la stanza furono ribaltati a terra a causa dell’onda d’urto della magia fuori controllo di Lydia, alcuni di essi si aprirono, riversando sul pavimento il loro contenuto. Ma nessuno corse a vedere cosa fosse successo. Doveva esserci un incantesimo silenziatore che impediva a chi si trovava all’esterno di sentire le sue urla. Loro non potevano sentirla, ma lei riusciva ad ascoltare ogni parola. E una nuova ondata di rabbia la fece tremare quando riconobbe le voci dei visitatori.
Isaac Mills e Aiden O’Neill.
Parlavano concitatamente, uno sopra l’altro.
Dicevano qualcosa riguardo alla Gringott, ad un drago e altre parole che Lydia non riusciva a comprendere. Non quando gli assassini di suo zio e di Paul erano così vicini. Urlò. Prese a calci la porta. Ma tutto rimase uguale a prima. Lydia si lasciò scivolare sul pavimento. E le parole pronunciare da Mills e O’Neill cominciarono ad assumere un significato.
«È arrivato il momento, Blake!»
«Siamo stati convocati! Dai Mangiamorte in persona!»
«Hanno bisogno di tutto l’aiuto possibile.»
«Harry Potter è a Hogwarts. Il Signore Oscuro si sta preparando ad attaccare la scuola.»
Lydia sollevò la testa di scatto. Schiacciò l’orecchio contro la porta e smise persino di respirare per poter sentire meglio.
«Non è possibile, Potter non può essere così sciocco da andare ad Hogwarts. La scuola è nelle mani del Signore Oscuro.» stava dicendo Blake.
«Non sappiamo cosa sia successo di preciso, ci hanno solo detto che si preparano ad attaccare la scuola a mezzanotte e hanno bisogno di un esercito. Hanno chiesto di noi, Blake! Ti rendi conto? Dobbiamo solo vincere questa battaglia e poi saremo dei loro! Prova ad immaginare: potremmo persino ricevere il Marchio Nero!» disse O’Neill, esaltato al pensiero.
«Ma soprattutto siamo arrivati al momento decisivo, Blake.» Il tono di Mills, al contrario, era calcolatore «Dobbiamo solo vincere questa battaglia e poi avremo vinto la guerra. Questa notte Potter morirà e con lui tutta la resistenza. A quel punto sarà un piacere andare a stanare tutti quelli che si stanno nascondendo come conigli. Non ti piacerebbe rivedere Merlin?»
Lydia sperò che Blake si tradisse. Che a sentire il suo nome, il suo sguardo si rivolgesse verso la porta che la celava dalla loro vista. Che Mills si insospettisse, che aprisse la porta. Così Lydia avrebbe potuto fargli pagare per la morte di zio Ryan. Per la morte di Paul.
Ma Blake non doveva aver mostrato alcuna reazione, perché la conversazione proseguì. «Io… non so se posso…»
«Allora non mi hai capito.» disse Mills «C’è una battaglia da combattere e tu verrai con noi.»
Le parole di Mills si persero nel silenzio. E quella parte di Lydia che aveva convissuto con Blake negli ultimi giorni, che aveva provato pietà per lui, si trovò a sperare che Blake si rifiutasse. Che li scacciasse. Che riuscisse a trovare il coraggio di essere chi voleva diventare.
Le sue vane speranze si infransero immediatamente. «Andiamo.»
Il suono successivo fu quello della porta d’ingresso che si chiudeva alle loro spalle.
Blake se ne era andato. L’aveva lasciata lì, rinchiusa in una stanza con solo la rabbia, l’odio e la stanchezza a farle compagnia.
Lydia strinse i pugni. Le unghie che premevano dolorosamente sui palmi delle mani.
Harry Potter era tornato ad Hogwarts.
La battaglia decisiva stava per iniziare.
Gli assassini di Paul e zio Ryan sarebbero stati lì.
Blake era uno di loro.
E lei era chiusa in uno stupido stanzino.
Le mancò il fiato, le pareti le sembrarono stringersi attorno a lei.
Era in trappola.
Scattò in piedi per fuggire al panico che rischiava di soffocarla.
Cosa sarebbe successo se Blake fosse morto in battaglia? L’incantesimo che la teneva prigioniera si sarebbe sciolto o sarebbe rimasta rinchiusa lì dentro fino a morire di stenti. Eppure non era quella la parte che la preoccupava, si accorse. No, era un altro pensiero a rubarle il fiato. Blake, Mills e O’Neill meritavano di soffrire per tutto il male che avevano causato a lei, alla sua famiglia e ai suoi amici. Lydia doveva vendicarsi, lo sentiva in ogni fibra del suo essere. E per farlo doveva solo liberarsi.
Il suo sguardo cadde sugli oggetti che si erano rovesciati dagli scatoloni durante la sua esplosione di magia selvaggia. Vide vecchie penne e fogli ingialliti dal tempo, boccette di inchiostro secco, libri sulla Difesa dalle Arti Oscure. Un oggetto in particolare attirò il suo sguardo.
Lydia si chinò per raccogliere una lettera che spuntava da uno dei libri caduti. Sulla busta si stagliavano due parole.
Lydia Merlin
Lydia riconobbe all’istante la scrittura. Era la stessa che aveva imparato a conoscere dopo aver ricevuto per mesi interi punizioni via gufo.
Non aveva senso.
Perché mai Eileen Moore avrebbe dovuto scriverle una lettera?
Ma Lydia non aveva tempo per pensarci. Perché un altro oggetto era caduto dagli scatoloni ed era scivolato sotto la finestra.
Il legno nero rifletteva la luce della luna.
La bacchetta di Eileen.
Lydia la raccolse con delicatezza. Le sue dita si strinsero attorno all’impugnatura. La punta della bacchetta si accese di un verde intenso, impaziente di tornare a compiere magie. Non era perfetta quanto la bacchetta che aveva perduto, ma le sarebbe bastata per quello che doveva fare.
Perché la battaglia di Hogwarts stava per cominciare.
E Lydia Merlin ne avrebbe fatto parte.
 


 
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Capitolo 35
*** Capitolo 35 - La Battaglia di Hogwarts ***


Capitolo 35
La battaglia di Hogwarts
 
 
«Harry Potter è tornato ad Hogwarts! Sta per iniziare una battaglia!»
Lance O’Brien rimase sulla soglia di casa a fissare i suoi cugini, Silas e Cyril, per diversi secondi. Era una scena talmente surreale che si convinse di stare ancora dormendo. Aveva solo sognato di sentire qualcuno bussare e urlare il suo nome dalla porta di casa, di essersi alzato dal letto per aprire e di essersi trovato davanti i suoi due cugini. Non poteva esserci altra spiegazione.
Silas schioccò le dita davanti al volto di Lance «Mi hai sentito? È arrivato il momento di lottare! Corri a cambiarti se non vuoi combattere in pigiama. Aspetta, ma sono dei coniglietti quelli sui tuoi pantaloni?»
Punto primo: sì, erano coniglietti, ma era anche l’unico pigiama che gli era rimasto considerando che i suoi erano tutti stati rimpiccioliti e donati ai bambini.
Punto secondo: Silas era l’ultima persona che poteva giudicarlo su un eventuale abbigliamento da battaglia considerando che indossava un mantello maculato ed un cappello a cilindro grande il doppio della sua testa.
Punto terzo: «Aspetta, cosa?»
Silas sbuffò drammaticamente. «Sei così lento a volte, Lance, e te lo dico con tutto l’affetto possibile. Possiamo parlare con qualcuno che sia più sveglio di te? Katherine, magari?» E con una spinta bonaria lo spostò dalla porta ed entrò in casa, seguito da Cyril, che si limitò ad un grugnito e un cenno di saluto. «Dobbiamo sbrigarci o rischiamo che chiudano il passaggio e di rimanere fuori.»
Lance continuò a fissarlo.
Silas alzò gli occhi al cielo nel vedere il cugino fissarlo imbambolato «E va bene. Se tu non vuoi aiutarmi farò da solo. KATHERINE! DUNCAN! ZII!» Silas si mise a strillare come un’aquila nella tromba delle scale.
Lance spalancò la bocca inorridito. Perché tutti sapevano che mettersi ad urlare in piena notte in una casa abitata da una marea di bambini sotto i dieci anni non era mai una buona idea. Neanche per una battaglia imminente o qualsiasi cosa avesse blaterato entrando.
Almeno il suo urlo ebbe l’effetto desiderato. Katherine fu la prima ad arrivare, la vestaglia infilata al contrario e i capelli arruffati. «Shh! Vuoi svegliare i bambini?»
Silas ebbe il buon senso di mostrarsi imbarazzato.
«Per tutti i troll con la barba di Merlino!» Duncan ruzzolò giù dalle scale, il segno del cuscino che gli arrossava una guancia. «Ma che ti salta in mente?»
Alle sue spalle comparvero infine anche i signori O’Brien. «Volevate svegliare tutta la casa?» borbottò la madre di Lance, stringendosi nella camicia da notte «Per fortuna i genitori di Lydia sono corsi di sopra a far riaddormentare i bambini.»
Solo Dorian era ancora vestito, le mani macchiate di colori rivelarono che si trovava nel suo studio al momento del trambusto. «Che succede? Avete avuto sue notizie?»
Un’improvvisa speranza si impossessò del cuore di Lance, risvegliandolo definitivamente dal suo torpore. Ma bastò lo sguardo cupo di Cyril e il suo cenno di diniego per smorzarla.
Silas si tolse il cilindro ed iniziò a tormentarlo tra le mani. «Non è ancora tornato.»
Le ombre si infittirono nella sala.
Era da una settimana che lo zio Anthony era scomparso.
Nella sua ultima lettera, lo zio li aveva avvisati che al Ministero la vita stava diventando complicata, in particolare erano sempre di più i racconti di dipendenti che sparivano da un giorno all’altro, o che venivano scortati fuori dai loro uffici dagli Auror, per non fare più ritorno. La gente mormorava, ma nessuno sapeva con esattezza dove venissero portati. Solo alcune voci si ripetevano per ognuno di essi: ‘Se l’è meritato. È un traditore.’. Lo zio Anthony non aveva voluto correre alcun rischio, per questo motivo aveva deciso di interrompere per un breve periodo ogni rapporto con gli abitanti di casa O’Brien, per timore che le lettere criptate potessero essere intercettate e la sua famiglia e i bambini messi in pericolo, ed evitare così ogni sospetto da parte dei suoi colleghi. Il padre di Lance aveva tentato di convincere Anthony a prendere i suoi figli e nascondersi lì con loro. La casa era grande, aveva detto, c’era spazio per tutti. Ma lo zio era testardo, e Silas e Cyril ancora di più. Avevano rifiutato gentilmente l’offerta ed erano tornati alla loro vita, sostenendo che una volta superati i controlli del Ministero, avrebbero potuto riprendere i contatti ed aiutarli maggiormente rimanendo liberi di circolare per il mondo magico, senza essere bollati come ricercati. Erano stati attenti, avevano detto, non vi era alcuna prova di un loro coinvolgimento nella sparizione dei bambini. Una settimana prima era successo il peggio. Anthony si era recato al lavoro come ogni mattina. Non era più tornato. Silas e Cyril lo avevano atteso per ore, invano. Nessuna notizia, nessuna comunicazione. Sembrava semplicemente svanito nel nulla. Il giorno successivo Silas si era recato al Ministero a chiedere notizie di suo padre ignorando ogni buon senso e andando contro il volere di Cyril (e di tutta la famiglia O’Brien). Aveva raggiunto l’ufficio del padre e quando aveva preteso delle spiegazioni, un collega non aveva avuto bisogno di altri incoraggiamenti per dirgli la verità. Lo zio Anthony era stato arrestato.
Silas non aveva impiegato molto a scoprire il resto della storia. L’impiegato aveva provato piacere a raccontargliela. Era stato il nonno di Lizzie a fare il suo nome. Lizzie era la prima bambina che aveva trovato rifugio in casa O’Brien, il giorno successivo ai funerali di Albus Silente. Figlia di un Nato Babbano amico di Anthony e ucciso dai Mangiamorte, lo zio l’aveva presa in custodia e portata da loro. Era stata la prima rifugiata, quando ancora non progettavano di fare della salvezza dei bambini la loro missione, per questo era stato incauto e non aveva modificato i ricordi dei nonni di Lizzie. Loro sapevano chi aveva salvato la loro nipotina. Al Ministero era bastato catturare il nonno, torturarlo ed improvvisamente conoscevano il nome del traditore.
Da quel giorno non avevano avuto altre notizie da Anthony.
E anche i contatti con Silas e Cyril erano stati rari dopo la breve lettera con cui li avevano informati della sparizione dello zio, per timore di essere anche loro intercettati. Almeno fino a quel momento.
«Vi hanno preso di mira?» chiese concitata Rose «Ve l’avevamo detto di venire qui già settimana scorsa, quante altre volte dobbiamo dirvi che non siete al sicuro là fuori?»
«Stiamo bene, ma…»
«Nessun ma! State rischiando troppo! Già siete nella lista nera del Ministero per i vostri spettacolini di magia tra i babbani…»
«Spettacolini?! Non erano spettacoli ma vere e proprie esibizioni artistiche!»
«Ora che hanno preso Anthony è solo questione di giorni prima che riescano a costruire delle accuse contro di voi, o inventarne altre! Dovete restare, ve lo ordino.»
«Mi dispiace interromperti, zia.» la interruppe Silas, senza nessun dispiacere «Ma il tempo stringe e la battaglia incombe. Riassunto per chi si fosse perso le puntate precedenti: Harry Potter è stato beccato mentre era in incognito alla Gringott - mio parere personale, aveva finito i fondi e si doveva rifornire - è riuscito a scappare usando un drago – UN DRAGO! – ed ora è stato avvistato ad Hogwarts. Gli studenti di Hogwarts hanno informato l’Ordine della Fenice e l’Ordine della Fenice, o meglio, Bill Weasley, ha contattato noi avvertendoci che la battaglia sta per cominciare ed avranno bisogno di tutto l’aiuto possibile. Domande? No, bene. Allora andiamo.»
Lance aveva un milione di domande e forse più.
«Cosa?» riassunse Katherine.
Silas fece un verso esasperato. «Ci aspettano ad Hogwarts per la battaglia decisiva. Questo è tutto quello che dovete sapere. Io e Cyril andiamo. Siete dei nostri sì o no?»
«Non è possibile.» Era l’unico pensiero coerente che Lance riusciva a formulare. Gringott, un drago, Hogwarts. Era un racconto che non aveva senso, anche in un mondo di magia. E la guerra… durava da talmente tanto tempo che Lance non riusciva a comprendere come una singola battaglia potesse determinarne l’esito. «Potrebbe essere un trucco. Il ragionamento della mamma è sensato, quelli del Ministero staranno cercando di incastrarvi in qualche modo, siete proprio sicuri che fosse Bill Weasley?»
«Penso di saper riconoscere un Weasley quando lo incontro.» sbottò infastidito Silas.
«Lance ha ragione. Non possiamo gettarci a capofitto ad Hogwarts senza la certezza che non si tratti di una trappola.» annuì Duncan «Specialmente non dopo che hanno preso lo zio. Dobbiamo essere realisti. Non può rivelare l’indirizzo di questa casa grazie al giuramento, ma potrebbe aver svelato altre informazioni, informazioni che i Mangiamorte potrebbero star usando per condurci in trappola.»
«Perché devi decidere proprio ora di essere d’accordo con Lance dopo aver passato decenni a non sopportarvi a vicenda?»
«Materializzarci ad Hogwarts potrebbe non essere una scelta razionale.» concordò Katherine, interrompendo la lamentela di Silas «E perché Harry Potter sceglierebbe di tornare a scuola quando lo sanno tutti che è nelle mani di Voi-Sapete-Chi? Dobbiamo ricordarci che Piton è un Mangiamorte ed è anche l’attuale Preside.»
«Adesso basta.» Il colpo secco di un bastone contro il corrimano delle scale li fece voltare tutti di scatto. La nonna di Lydia li osservava dall’alto, uno scialle drappeggiato sulle spalle, il bastone ben stretto tra le mani, e gli occhi infuocati.
«Signora Merlin!» esclamò la mamma di Lance «Deve riposare, mi permetta di riaccompagnarla nella sua camera.»
«Non azzardarti a fare un passo verso di me!» La nonna di Lydia sollevò il suo bastone, minacciosa. «Sarò pure vecchia ma sono più sveglia di tutti voi messi insieme. Il ragazzino là ha ragione.» Indicò con il bastone Silas, il quale bisbigliò un: «Questa signora la adoro.» prima che la sua voce fosse sovrastata nuovamente da quella della nonna «Vi ha detto che è arrivato il momento di combattere e voi state perdendo tempo a trovare ogni scusa per potervi tirare indietro.»
«Stiamo solo valutando ogni possibilità.»
Il tentativo di difesa di Katherine fu immediatamente bloccato dalla nonna di Lydia. «No! Non raccontatevi scuse. Il ragazzino qui dice che la battaglia finale è arrivata e non c’è più tempo per valutare. Dovete decidere. O uscite a combattere, o restate qui e passate il resto della vostra vita a chiedervi cosa sarebbe potuto succedere se aveste avuto il coraggio di andare. La scelta è vostra. Ma voglio solo ricordarvi che c’è il vostro parente là fuori, che attende di essere salvato. Così come mia nipote.»
Una stilettata di dolore attraversò il cuore di Lance.
E poi suo padre si raddrizzò, il suo volto celato dietro ad un’espressione risoluta. «La signora Merlin sta dicendo la verità. È arrivato il momento decisivo. Siete la mia famiglia e vorrei potervi evitare gli orrori che accadranno questa notte. Ma so anche che siete adulti ormai e non posso impedirvi di combattere se vorrete farlo. Io andrò in battaglia. Mi sono nascosto troppo a lungo ormai.»
«Ma…» balbettò la madre di Lance, ancora sbalordita.
Duncan strinse gli occhi per un istante, quando li riaprì ogni traccia di dubbio era scomparsa, soppiantata da una fredda decisione. «E allora io combatterò al tuo fianco.»
«Anche io.» Katherine affiancò il marito.
Duncan si voltò verso di lei con uno scatto talmente veloce che Lance si chiese come avesse fatto a non spezzarsi il collo. «Assolutamente no!»
Katherine lo fulminò. «Combatterò, che tu lo voglia o meno.»
«Neanche per sogno!»
«Non puoi darmi ordini. E io ho deciso di andare, fine della storia.»
Dorian si arrischiò ad intervenire «Katherine ha ragione, Duncan. Siete sposati, ma lei ha tutto il diritto di partecipare alla battaglia, se lo desidera.»
«No che non può!»
«Duncan! Non è questo il modo in cui ti abbiamo cresciuto.»
«È incinta!»
Un silenzio sbalordito calò sulla piccola folla. Gli occhi di tutti si spostarono su Kate, la quale sembrava indecisa se essere imbarazzata o furiosa.
«Congratulazioni.» Dorian fu l’unico a riuscire a reagire alla notizia.
«Grazie. Ma questo non cambia nulla. Non ho intenzione di starmene chiusa qua dentro mentre voi e l’Ordine rischiate la vostra vita. Io verrò con voi e non ne discuteremo oltre.»
Duncan provò a ribattere, ma Katherine lo fermò subito, il suo sguardo lievemente addolcito. «So che sei preoccupato per me, e non pensare che io sia un’incosciente che vuole mettere in pericolo la vita di nostro figlio. Me ne starò nelle retrovie, se necessario. Ma sono già scappata, quel giorno alla redazione, e non ho intenzione di commettere due volte lo stesso errore.» Bastò per tranquillizzare almeno in minima parte Duncan.
«Sì, sì, congratulazioni a tutti ma possiamo sbrigarci?» chiese Silas, esasperato.
«Bene…» borbottò Duncan «Allora è deciso. Noi andiamo e Lance rimane qui a difendere la casa.»
Lance si risvegliò finalmente dal suo stupore. «Cosa? No, assolutamente no, vengo anche io!»
Duncan aggrottò le sopracciglia. «Lance, qualcuno deve restare qui a difendere la casa, in caso…» Non pronunciò le parole successive ma tutti ne sentirono il peso.
E infine la madre di Lance sospirò. «Se dovesse succedere il peggio, se il Signore Oscuro dovesse vincere… beh, allora non esisterà più un luogo sicuro in tutta la Gran Bretagna e, senza più nessuno ad ostacolarlo, non impiegherà molto tempo a scoprire le dimore nascoste, questa casa compresa.» Alzò lo sguardo e i suoi occhi incrociarono quelli del figlio, una nuova risolutezza sul volto «Se lo desideri puoi andare anche tu, Lance. Per quanto vorrei implorare tutti voi di rimanere, so anche che non posso farlo.»
«Ma se andiamo via tutti, voi rimarrete indifesi!» esclamò Duncan.
Gli occhi della madre brillarono. «Ricordati che sono stata una strega anche io, Duncan. Non cadremo così facilmente.»
«E ci sarò anche io ad aiutare la mamma.» Caitlin era seduta in cima alle scale, accanto alla signora Merlin. Nessuno di loro si era accorto del suo arrivo. Ma era da settimane ormai che Caitlin si aggirava come un fantasma nella sua stessa casa. Da quando… Lance faticò a formulare il pensiero, il cuore improvvisamente stretto in una morsa di ferro al ricordo.
Eccolo lì, il vero motivo per cui Lance voleva combattere. Perché se questa battaglia sarebbe stata decisiva come si prospettava, allora avrebbe potuto ritrovare Lydia.
Cercò di impedire alla speranza di impossessarsi di lui. Lydia era scomparsa da settimane. E Lance l’avrebbe cercata in tutto il mondo se solo la sua famiglia non glielo avesse impedito. Lo avevano bloccato in casa.  Lui li aveva implorati, minacciati, supplicati di lasciarlo andare, ma loro si erano limitati ad intensificare gli incantesimi che gli impedivano di lasciare la proprietà non visto. E ci aveva provato innumerevoli volte.
«Allora è deciso.» disse infine la madre di Lance.
La consapevolezza cadde su ognuno di loro.
In un modo o nell’altro quella storia si sarebbe presto conclusa.
Anthony e Lydia erano già stati catturati.
Lance si chiese se tutti loro sarebbero riusciti a vedere l’alba successiva.
 
 
Quando Lydia si materializzò ad Hogsmaede, la via che l’avrebbe condotta dentro alla scuola le apparve chiara, nella forma di una fiumana di studenti che si riversava fuori dal pub Testa di Porco. Capiscuola e Prefetti stavano cercando di mantenere l’ordine nelle file, ma i ragazzi sembravano in preda al panico. Alcuni piangevano, altri correvano per allontanarsi, altri ancora cercavano di tornare indietro, sostenendo di voler combattere insieme ai loro compagni. Gli abitanti di Hogsmaede avevano spalancato le porte delle loro case e negozi per accogliere i fuggiaschi. Lydia non perse altro tempo a guardare, nel timore che il passaggio si chiudesse lasciandola fuori dalle mura di Hogwarts. Dovette spintonare alcuni ragazzini, ma riuscì infine ad entrare nel piccolo pub, ancora più lercio di come lo ricordava dalla disavventura all’inizio delle vacanze di Natale del terzo anno. Sempre facendosi largo tra gli studenti, e prendendosi qualche gomitata nel farlo, riuscì a raggiungere il passaggio ed imboccare un corridoio angusto. Ad ogni metro che guadagnava, gli studenti che provenivano dalla direzione opposta diventavano sempre meno. Lydia accelerò il passo, nel timore di rimanere fuori dal castello, lontana dalla sua vendetta. Il passaggio cominciò ad allargarsi, una luce proveniente dalla sua fine. Lydia vi si diresse quasi correndo, trovandosi infine in una stanza che non aveva mai visto in vita sua.
Comprese subito di essere entrata ad Hogwarts.
C’era qualcosa nell’aria della scuola che le faceva pizzicare la pelle ogni volta che vi si trovava al suo interno, molto probabilmente era tutta la magia che generazioni di giovani maghi e streghe in formazione avevano impresso in quelle stesse mura. La faceva sentire viva. E le sarebbe stato utile nella battaglia che l’attendeva. Si trovava in un dormitorio, o almeno così le sembrava. Amache e lettini erano disseminati per tutta la stanza, le pareti decorate dagli emblemi di Grifondoro, Tassorosso e Corvonero. Nessuna traccia di Serpeverde. Lydia superò un gruppetto di persone, tra le quali riconobbe Ginny Weasley, e corse verso la porta d’ingresso. Quando la spalancò si trovò in un corridoio del terzo piano.
Impiegò diverso tempo per comprendere dove si trovasse esattamente, il senso di orientamento annebbiato dopo tanti anni passati lontani dalla scuola e dal fatto che la porta che aveva appena attraversato per arrivare lì era completamente scomparsa dopo il suo passaggio. Ma quando la sua mente si schiarì, non le sembrò di essersi mai allontanata da Hogwarts. La crepa sul vetro della finestra, l’arazzo storto e la mattonella staccata. Ricordava ogni minimo particolare. E ad ognuno di essi era legato un ricordo degli anni trascorsi in quegli spazi. E tutte le persone con cui aveva condiviso il cammino.
Alice. Lance. Paul.
Blake.
Il suo tradimento bruciava nel suo sangue.
Tutte le menzogne che le aveva raccontato.
E la stupidità con cui Lydia le aveva scambiate per verità.
Si sarebbe pentito del male che le aveva fatto.
Lui e gli altri assassini.
Questa volta era il turno di Lydia di andare a caccia.
Doveva trovarli, e per farlo avrebbe dovuto cercarli tra le file nemiche. Si avvicinò alla finestra. Il cielo era nero, ammantando il castello nelle sue tenebre. Solo dei piccoli bagliori guizzavano nella volta celeste. Lydia distinse le stesse protezioni che aveva imparato a conoscere a Casa O’Brien. Strizzò gli occhi nel tentativo di scoprire dove si stessero nascondendo i Mangiamorte.
Fu a quel punto che il castello cominciò a tremare.
Un’esplosione improvvisa risuonò in lontananza, seguita da un’altra e un’altra ancora. E poi il cielo davanti a lei si illuminò a giorno. Le protezioni erano state colpite e Lydia vide infine ciò che stava cercando. I Mangiamorte stavano entrando nei confini di Hogwarts, invadendo a frotte il prato che circondava la scuola. Era lì che lei doveva andare.
Con uno scatto, corse verso le scale che l’avrebbero portata al piano terra. Attraversò un altro corridoio ed incrociò alcuni studenti che correvano nella direzione opposta. Uno di loro tentò di fermarla. «Ci vogliono al piano di sopra per colpirli dall’alto.» Ma Lydia non voleva andare ai piani superiori. Lei doveva andare nel parco. Doveva trovare gli assassini di suo zio e di Paul. Lo studente imprecò vedendo che non si fermava, ma la lasciò andare e tornò a correre dietro al suo gruppo. Lydia scavalcò uno dei gradini che scompariva ogni volta che veniva calpestato, ed atterrò sul pianerottolo del secondo piano. Doveva attraversare tutto il corridoio per raggiungere le scale che l’avrebbero portata al piano terra. Si avviò in quella direzione.
Le grandi vetrate le mostravano sprazzi della battaglia che era scoppiata nel parco. Alcuni combattenti di Hogwarts erano usciti a difendere la scuola e i duelli erano frenetici. Lampi rossi e verdi si alternavano, avvolgendo gli sfidanti nelle loro gelide luci.
La terra tremò e d’improvviso la finestra non c’era più.
D’istinto Lydia si gettò a terra, un incantesimo protettivo rivolto verso l’alto che la difese dalla pioggia di vetro e detriti che riempì il corridoio. Quando risollevò la testa, l’intera parete esterna era scomparsa. Il freddo vento della notte la faceva rabbrividire, i suoni della battaglia risuonavano nelle sue orecchie.
Fu lì, osservando un muro che non esisteva più, che Lydia si accorse realmente di cosa stesse accadendo.
Hogwarts sotto attacco. Studenti che combattevano. Maghi che cadevano sotto i colpi di altri.
Un brivido che non aveva nulla a che fare con il freddo della notte la attraversò.
Nonostante la strenua difesa dei difensori di Hogwarts, i Mangiamorte continuavano a guadagnare terreno. Alcuni di loro tuttavia si tenevano nelle retrovie, le bacchette puntate contro la scuola, intenti a colpire le sue mura. Uno sollevò il volto, la intravide, senza più alcun muro a proteggerla, e le scagliò una fattura.
Lydia riuscì a togliersi dalla traiettoria appena in tempo.
La maledizione le passò a pochi centimetri dal volto ed andò a colpire un quadro alle sue spalle, mandandolo in mille pezzi. Fu abbastanza per risvegliarla dalla sua paralisi e costringerla a ricominciare a correre.
La polvere ammantava ormai ogni superficie.
Il castello tremava sotto i suoi stessi piedi.
Esplosioni e urla riempivano l’aria.
Lydia superò anche l’ultimo corridoio che la separava dalle scale e fu lì che incontrò i ragni. Centinaia di Acromantule zampettavano sulle pareti, intessendo le loro ragnatele per fabbricare una trappola mortale. Alcune erano minuscole, altre grandi quando il suo pugno, altre ancora occupavano metà corridoio, in attesa delle loro vittime. Appena Lydia mise piede sul pianerottolo, migliaia di occhietti acquosi si voltarono verso di lei, le zanne che vibravano per l’eccitazione o per la fame, Lydia non sapeva. Riuscì a sterzare all’ultimo secondo e nascondersi dietro ad un arazzo, mentre una serie di stridii si levò alle sue spalle, e la stoffa iniziò a strapparsi sotto la presa dei ragni più grandi. Con un nuovo scatto intraprese il passaggio segreto che era lì nascosto. Quante volte lo aveva percorso nei suoi giorni da studentessa per tornare nella Sala Comune? Il problema era proprio questo. Lydia si ritrovò al sesto piano, ancora più lontana dai suoi nemici. Usò il poco fiato che le era rimasto per lanciare un’imprecazione. Doveva trovare un modo per scendere. Un lampadario esplose sopra di lei e Lydia schizzò di nuovo via. Ancora verso le scale. Ancora verso il giardino.
Blake era lì. Mills era lì. O’Neill e tutti coloro che dovevano soffrire per il dolore che le avevano causato.
Fitte alla milza le tranciavano il respiro. Non le importava. Doveva trovare i Mangiamorte. Superò altri studenti, nei volti dei quali distinse la paura che avrebbe dovuto provare anche lei, e alcuni professori, che non la riconobbero neppure. Superò quadri e ritratti, i cui abitanti correvano da una parte all’altra per riferire le condizioni del resto del castello.
«È crollato il settore ovest!»
«Hanno colpito la torre dell’orologio!»
Furono alcune delle voci che riuscì a sentire nella sua corsa sfrenata.
«La difesa al quarto piano ha funzionato!»
«Sono entrati! Sono entrati nella scuola!»
Lydia svoltò l’angolo e si trovò in un corridoio pieno di duellanti.
I Mangiamorte erano entrati.
La sua prima sensazione fu di delusione.
Aveva perso la sua occasione d’oro.
Ora che erano entrati, Blake, Mills e O’Neill potevano essere ovunque.
Poi vide uno studente cadere a terra e non rialzarsi.
E l’orrore si impossessò infine di lei.
«Stupeficium!» urlò. Il Mangiamorte che aveva colpito lo studente venne sbalzato contro il muro e ricadde a terra, svenuto.
Lydia si guardò attorno. E vide i volti degli studenti che combattevano, ragazzini appena maggiorenni che volevano salvare la loro scuola e un mondo magico che non aveva fatto altro che cercare di distruggerli. Riconobbe alcuni membri dell’Ordine della Fenice, persone che si erano trovate due volte a combattere contro il Male e non si erano mai tirate indietro. Scorse alcuni degli amici di Harry Potter, i volti tumefatti da vecchi lividi, segno che avevano continuato a resistere anche quando il mondo aveva perso le speranze nel Ragazzo che era Sopravvissuto.
Mentre Lydia si trovava lì solo per la sua vendetta.
Come aveva potuto essere così egoista, quando ogni singolo difensore di Hogwarts che combatteva in quel corridoio era stato costretto a vivere lo stesso dolore che aveva provato lei?
Lydia strinse la bacchetta.
Settimane prima si era fatta una promessa. Che non sarebbe mai più stata egoista, e quello era il momento di tenere fede alla sua promessa. E per la prima volta, pensò a se stessa come una parte di qualcosa più grande. Non era più Lydia Merlin. Era un componente dell’esercito di Hogwarts e gli altri combattenti erano suoi alleati. Era suo dovere difenderli.
«Stupeficium
«Flipendo
«Engorgio
Tre Mangiamorte caddero sotto i suoi incantesimi prima che potessero accorgersi di lei. Un quarto si sbarazzò del suo avversario ferendolo ad una gamba e le lanciò una Maledizione senza Perdono. Lydia riuscì a pararla, ma la forza dell’incantesimo sul suo scudo la fece arretrare fino al muro.
«Abbassati!» L’avvertimento di Leonardo da Vinci le salvò la vita. Uno studente lanciò una fattura contro il Mangiamorte che aveva cercato di ucciderla, intrappolando la sua testa in un vaso di ceramica. Fu quasi comico vedere il Mangiamorte sollevare le mani per cercare di liberarsi ed iniziare a correre in cerchio urlando quando il vaso rimaneva saldamente agganciato al suo posto. Quasi. Perché i corpi sul pavimento le impedivano di provare altro se non orrore. «I combattenti del secondo piano sono in grave periglio! Necessitano del vostro supporto.» Leonardo da Vinci gesticolava agitato nel quadro «E una truppa vuol sbaragliare i ragni al quarto piano!»
Lydia scambiò uno sguardo con lo studente che l’aveva appena salvata.
«Io vado dai ragni e tu al secondo piano?» le chiese. Lydia invidiò la sicurezza con cui lo disse. Annuì e lo studente, dopo un breve cenno di saluto, corse via, saettando tra i duelli ancora in corso. Lydia avrebbe voluto ringraziarlo. Chiedergli il suo nome. Ma si accorse di non voler sapere il nome di nessuno degli altri combattenti. Perché era sicura che molti di essi sarebbero presto stati scolpiti su gelide lapidi di marmo.
Doveva andare. Raggiungere il secondo piano. Ma aveva un ultimo dovere da compiere.
Si chinò sul corpo dello studente che era stato colpito, e gli chiuse gli occhi vitrei.
 
Per raggiungere il secondo piano, Lydia dovette farsi largo tra detriti e combattenti. Riuscì a parare una Maledizione e la rimandò al proprietario senza fermarsi a guardare se fosse andata a segno. Quando guadagnò l’uscita, una nuova scossa la costrinse a fermarsi per riprendere l’equilibrio. Tossì nella nube di polvere che si sollevò, ricoprendo ogni angolo del corridoio con la sua patina. Lydia intravide una grossa figura muoversi nella nuvola che riempiva l’aria. Strizzò gli occhi per cercare di comprendere di cosa si trattasse. Si muoveva in modo strano, al rallentatore. Aveva delle protuberanze, quattro, per essere precisi. No, non quattro.
Cinque.
Il cuore di Lydia prese a correre all’impazzata, mentre la mano gigante si avvicinava inesorabilmente a lei.
Si voltò di scatto verso le vetrate in frantumi e ciò che si nascondeva nell’ombra. E Lydia si accorse che non si nascondeva, era esso stesso l’ombra.
Un gigante.
Un gigante alto sette metri e intento a controllare se ci fosse qualcuno in quel corridoio. Lydia si buttò a terra mentre le dita le passavano sopra alla testa, provocando uno spostamento d’aria che le rese impossibile inspirare per alcuni secondi. Raggomitolata sul pavimento, con pezzi di vetro e schegge di legno a scavarle la pelle, cercò di non emettere un singolo rumore. Il gigante frantumò il resto delle finestre e ruggì il suo malcontento nel non aver trovato nessuno da catturare. La mano aveva raggiunto ormai la fine del corridoio. Una volta confermato che nessuno si trovava lì, se ne sarebbe andato.
Se non fosse stato per un uomo, che comparve alla fine del corridoio, la bacchetta sollevata. Era un abitante di Hogsmaede, Lydia ricordava di averlo visto diverse volte durante le sue visite scolastiche al villaggio. Tentò di urlare un avvertimento, ma era troppo tardi. L’uomo svoltò l’angolo e si trovò dritto nella mano del gigante. Lydia vide lo stupore e l’orrore che si dipinsero sul suo viso mentre il gigante ululava di gioia e stringeva la presa attorno al suo corpo. Lo sollevò da terra e lo portò fuori dalla finestra. Lydia urlò di nuovo, riuscì ad alzarsi e tentò di fermarlo.
«Reducio!» La maledizione di Lydia colpì in pieno la mano del gigante, il quale ululò di dolore e aprì le dita, per portarsi la mano ferita al petto. L’uomo si ritrovò improvvisamente sospeso a sette metri da terra, ed iniziò la sua inesorabile caduta.
«Arresto Momentum!» Era troppo lontana. L’incantesimo non ebbe effetto. Serrò gli occhi per non essere costretta a vedere.
Fu un errore.
Si accorse dell’attacco del gigante solo per l’improvviso spostamento d’aria. Un grido le si bloccò in gola alla vista del volto gigantesco che spiava dalle finestre rotte per scoprire chi aveva osato ferirlo. Lydia si trovò a pochi centimetri dalla bocca spalancata, i denti scheggiati erano più grandi delle sue braccia, un odore di marcio si diffuse nel corridoio, facendole venire i conati. Corse indietro, verso il muro. E poi, incapace di ogni pensiero logico e rispondendo solamente all’istinto primordiale che le urlava di correre, scappò nella direzione da cui era arrivata. Il gigante urlò di rabbia e cercò di agguantarla, distruggendo colonne di pietra e arazzi che ostacolavano la sua vendetta. Il pavimento tremava, il soffitto pareva sul punto di crollare da un momento all’altro, ma Lydia non si fermò fino a quando riuscì a svoltare verso un corridoio interno. Lontana dalle finestre.
Corse e corse ancora, superò alleati e nemici. Cambiò direzione quando le si parò di fronte un muro di fuoco, e un’altra volta, quando trovò la scala che voleva percorrere completamente crollata.
Scappava dal gigante e dall’orrore.
Solo che quest’ultimo continuava ad inseguirla ovunque andasse.
Due ragazzi trasportavano un altro che aveva un lato del corpo completamente dissanguato, bisbigliandogli che sarebbe andato tutto bene. Solo dopo averli superati, Lydia si rese conto che al ragazzo mancava completamente un braccio.
Un Mangiamorte incombeva su un membro dell’Ordine della Fenice. Lydia lo Schiantò ma corse via prima che l’altro potesse ringraziarla.
Non sapeva neanche più dove stava andando. Al secondo piano? No, se significava dover ritrovarsi davanti al gigante. Al quarto a combattere le Acromantule?
I dipinti continuavano ad urlare a tutti quelli di passaggio che c’era bisogno di aiuto nell’aula di Trasfigurazione, alla Torre dell’Orologio, nella Sala Grande, persino nei sotterranei. I Mangiamorte erano ovunque.
«Lydia?»
Lydia si fermò di colpo. O meglio, inciampò nei suoi stessi piedi nello stupore di sentirsi chiamare. Si voltò di scatto verso le due figure che aveva appena superato.
«Lydia!» esclamò di nuovo Silas, correndole incontro e travolgendola in un abbraccio «Non posso credere che sei davvero tu! Hai visto, Cyril? C’è Lydia.» Cyril si limitò ad un grugnito e ad un cenno di saluto, con un’intonazione particolarmente felice. «Aspetta!» Silas afferrò Lydia per le spalle e la osservò attentamente «Sei davvero tu? O sei un Mangiamorte travestito?»
Lydia era completamente senza parole. La gioia di rivedere i cugini O’Brien era immensa. Una piccola luce dopo aver visto così tanta oscurità. «Sono io.» riuscì a dire infine, la voce rotta dalla commozione, e dalla stanchezza, e dal desiderio di poter chiudere gli occhi e trovarsi di nuovo al sicuro a casa O’Brien.
«Potrebbe dirlo anche un Mangiamorte.» sentenziò Silas, continuando a fissarla con fare inquisitorio «Dì qualcosa che solo la vera Lydia Merlin potrebbe dire.»
«Il mantello che indossi è più osceno di quello rosa.» sentenziò Lydia «No, seriamente. Qualcuno doveva dirtelo.»
Doveva aver dato la risposta esatta, perché Silas la strinse in un abbraccio ancora più caloroso di quello precedente. «Oh, sei davvero tu allora! E comunque non è osceno. È una dichiarazione di stile. Perché anche in una battaglia in cui rischiamo di farci uccidere da Mangiamorte, Acromantule, giganti e creature provenienti dai nostri peggiori incubi, non possiamo ignorare il nostro aspetto.»
Lydia decise di non commentare. «Cosa ci fate qui?» chiese invece.
«Cosa ci facciamo qui noi? Che ci fai qui tu! Pensavamo che fossi morta! O meglio, qualcuno di noi lo pensava, io ne ero assolutamente certo.»
«Non sono morta.» replicò Lydia, con un mezzo sorriso. Un’esplosione riecheggiò nell’aria. «Almeno finora.»
Silas si raddrizzò il cilindro, a cui mancava completamente la cima, i lembi del tessuto che fumavano ancora. «Allora ti hanno davvero catturata!»
Delle urla provenienti da qualche parte non lontano da loro le ricordarono che non era il momento giusto per raccontare tutto quello che era successo nelle settimane trascorse dall’ultima volta che si erano visti. Non che avesse voglia di farlo. Silas prese il suo silenzio come una conferma, mentre Cyril la fissava in un modo a tratti inquietante, e Lydia si accorse che doveva aver capito che stava nascondendo qualcosa. Ci pensò Silas a distrarlo. «Come hai fatto a scappare?»
Lo sguardo di Lydia si abbassò verso la bacchetta di ebano stretta saldamente nella sua mano. «Ho trovato una bacchetta e sono corsa qui.» Almeno su questo poteva essere sincera. «E voi invece? Perché siete venuti? È pericoloso, e qualcuno dei Mangiamorte vi avrà sicuramente visto. Se la battaglia finisce male dovrete nascondervi.»
«Oh, non essere pessimista, Lydia cara. Potremmo anche morire direttamente stanotte e così ci risolveremmo il problema di doverci nascondere per il resto delle nostre esistenze. Comunque stiamo cercando Johan Yorgenben, lo abbiamo incontrato ad inizio battaglia - a proposito, sai che si è portato il suo yo-yo persino qui? Ma ricordati di non prenderlo in giro perché ho visto quello stesso yo-yo sfracellare il cranio ad un Mangiamorte - ma ci siamo dovuti dividere all’incirca venti minuti fa quando un muro ci ha bloccato la strada. Ha detto che avrebbe fatto il giro lungo e poi ci avrebbe raggiunti ma non l’abbiamo ancora incrociato. Tu l’hai visto?»
Lydia provò a ripensare a tutte le persone che aveva incontrato da quando era entrata ad Hogwarts. «No.» rispose, anche se in realtà in molti momenti era stata talmente confusa che avrebbe potuto aver incontrato Harry Potter in persona e non averlo riconosciuto. «Ma posso aiutarvi a cercarlo.»
«Grazie! Non si riesce a fare cinque passi senza che qualche mostro ti salti addosso… in tre dovremmo fare più veloce.» sospirò Silas, avviandosi verso ovest, la direzione dalla quale in teoria sarebbe dovuto arrivare Yorgenben. «Oh, hai visto almeno gli altri?»
«Chi? Gli altri Yorgenben?» chiese Lydia.
«No, intendo gli altri. Lance, Duncan, Katherine e lo zio.»
Lydia incespicò. «Sono qui anche loro?»
Silas continuò a camminare. «Siamo arrivati tutti insieme.  Ma quando i Mangiamorte sono entrati, la professoressa McGranitt ci ha spediti in diversi punti del castello che erano sotto attacco. L’ultima volta che li abbiamo visti, Lance e Duncan erano diretti verso la torre dell’orologio mentre lo zio e Kate a sconfiggere le Acromantule al quarto piano.»
Lance era lì. Nel castello. Il cuore di Lydia batté più forte per una ragione che non aveva niente a che fare con la battaglia che continuava ad infuriare dentro e fuori Hogwarts. Lance era vicino. Più vicino di quanto Lydia pensasse. Doveva trovarlo.
Lydia accelerò il passo per affiancare Silas. «Ma stanno bene?»
Silas inarcò un sopracciglio. «Per quanto si possa stare bene in un castello in cui si combatte la battaglia per la libertà del mondo magico.»
«Sai cosa intendo.» sbottò Lydia «Come stanno? E i bimbi? Sono ancora al sicuro? E i miei genitori e la nonna? Sono a casa O’Brien, giusto?»
«Troppe domande, Lydia! Mi stai assillando.» Silas si tolse il cilindro distrutto per farsi aria «Comunque per rispondere ai tuoi quesiti… Bene. Scalmanati. Sì. Bene anche loro. Sì.»
Un peso si sollevò dal cuore di Lydia.
Solo per un istante.
Perché quello successivo Lydia, Silas e Cyril si trovarono circondati da Mangiamorte.
«Oh, oh.» disse Silas, come se fossero semplicemente entrati nella stanza sbagliata e non in una trappola mortale.
«Oh, oh?» Lydia sollevò la bacchetta.
«Cosa vuoi che dica?» chiese Silas, coprendole il fianco «‘Perdirindina siamo stati circondati’? O ‘ma perbacco, che bel pasticcio’?»
Lydia avrebbe voluto rispondere, ma i Mangiamorte furono talmente maleducati da lanciare contro di loro tre maledizioni contemporaneamente e non lasciarli concludere la loro conversazione. Il sortilegio Scudo non verbale di Cyril fece rimbalzare due delle maledizioni contro altrettanti Mangiamorte, mentre la terza si schiantò e mandò in frantumi una delle ultime finestre rimaste intatte nell’aula. Rimanevano altri cinque Mangiamorte da sconfiggere.
L’aver ritrovato Silas e Cyril, fece sentire Lydia di nuovo in forze, tutta la stanchezza di prima evaporò, lasciandola con una rinnovata sicurezza. Lance era nel castello. E non avrebbe lasciato che cinque stupidi Mangiamorte le impedissero di andare da lui.
«Alàrte Ascendàre!» scagliò uno dei banchi contro il Mangiamorte alla sua sinistra. Dalle urla alle sue spalle capì che anche Silas e Cyril avevano individuato le loro vittime. Il Mangiamorte riuscì a bloccare il banco, ma fu costretto a distogliere l’attenzione da lei.
«Impedimenta!» urlò di nuovo Lydia. L’avversario sollevò la bacchetta per difendersi e così facendo non notò l’incantesimo sussurrato dalla ragazza, che trasformò il tappeto sotto ai piedi del Mangiamorte in topolini di tessuto fino a quando questi incominciarono ad infilarsi nelle gambe dei suoi pantaloni ed arrampicarsi sul suo corpo. Il Mangiamorte lanciò un urlo stridulo e si mise a scalciare per tentare di liberarsene, la bacchetta completamente dimenticata nelle mani. Lydia sollevò la propria per finirlo.
«Avada Ked-» Lydia si voltò di scatto. Il Mangiamorte che aveva tentato di ucciderla si trovava vicino alla finestra rotta, agonizzante, una tenda avvolta intorno al collo come cappio che gli impediva di respirare. Il volto si fece paonazzo, blu e poi bianco cadaverico. La bocca spalancata in cerca di ossigeno, le labbra bluastre, le mani strette attorno al tessuto nel vano tentativo di liberarsi. E a pochi metri da lui, Cyril lo fissava con odio, la bacchetta che si muoveva sinuosa, ordinando alle tende di stringersi ancora.
«Cyril!» gridò Silas «Un aiutino?»
Sia Cyril che Lydia si volarono verso Silas, che stava combattendo contro altri due Mangiamorte, gli ultimi rimasti.
«Stupeficium!» urlò Lydia. Lo sprazzo di luce rossa attraversò la stanza, ma il Mangiamorte a cui aveva puntato si spostò e l’incantesimo annerì il muro a pochi centimetri dall’orecchio di Silas. «Ehi! Ho chiesto un aiuto, non una lobotomia!» esclamò offeso.
«Scusa!»
Uno dei due Mangiamorte si immobilizzò talmente all’improvviso che Lydia credette si fosse fermato il tempo. Finché si accorse che qualcuno aveva davvero arrestato il tempo attorno al Mangiamorte. Non si muoveva, non respirava. La polvere che circolava in ogni ambiente dall’inizio dell’attacco, si era cristallizzata nell’aria attorno a lui. E Cyril lo guardava con un cipiglio soddisfatto.
 «Ricordami di non farti mai arrabbiare.» bisbigliò Lydia, sbalordita. Cyril le rivolse un breve sorriso, leggermente minaccioso.
«Petrificus Totalus!» Il Mangiamorte rimasto crollò a terra sotto l’incantesimo di Silas, il quale si sfregò le mani e sbatté il mantello per darsi una sistemata. «Bene. Possiamo proseguire.» disse come se nulla fosse. Uscì dalla stanza, il mento sollevato e senza guardarsi indietro. Lydia corse sulla sua scia, con l’intenzione di non lasciare mai più il fianco dei cugini O’Brien. Forse così avrebbe avuto davvero una possibilità di sopravvivere a quella battaglia. Soprattutto se l’avessero portata da Lance. Il pensiero le fece venire voglia di correre. Dovevano trovare lui e gli altri il prima possibile. E poi sarebbe andato tutto bene, Lydia ne era sicura.
Raggiunsero l’area ovest del castello, parzialmente in fiamme. Il professor Vitius ed alcuni studenti indirizzavano degli Aguamenti verso la base delle fiamme. Stavano facendo ottimi progressi quindi Lydia, Silas e Cyril passarono oltre, finché si trovarono di fronte ad una barricata di banchi. «Chi siete?» chiese una vocetta stridula.
Silas si tolse il cilindro e fece un inchino formale. «Silas O’Brien, Cyril O’Brien e Lydia Merlin al vostro servizio.»
Dovette bastare come presentazione perché il guardiano della barricata li lasciò passare. Dopo essersi arrampicata sui banchi (e strappata i jeans e la felpa in due punti diversi nel farlo) Lydia individuò il guardiano. Era un ragazzino. Anzi, sembrava quasi un bambino. Doveva avere all’incirca tredici anni, indossava un pigiama con boccini d’oro che sfrecciavano frenetici sul tessuto, una sciarpa di Serpeverde e degli scarponcini infangati. Aveva i capelli neri completamente in disordine ed un’espressione decisa sul volto. Con una stretta al cuore, Lydia si accorse che assomigliava ad una versione solo leggermente più grande di Henry.
«Tu non dovresti essere qui.» disse infatti Silas «La McGranitt ha ordinato a tutti i minorenni di lasciare il castello.»
Il ragazzino incrociò le braccia. «Nessuno può costringermi ad andarmene. Stanno attaccando la mia scuola e io la difendo. E infatti vorrei far notare che questo è l’unico posto che i Mangiamorte non sono ancora riusciti a conquistare.»
«Bene, apprezzo il tuo impegno, ma comunque non dovresti essere qui.» continuò Silas «Una battaglia contro i seguaci del più grande mago oscuro di tutti i tempi è una faccenda da adulti, e tu, perdonami tanto, sei solo un ragazzino, e pure minuscolo, se posso aggiungere.»
«È la stessa cosa che gli sto ripetendo da quando l’ho incontrato all’incirca un’ora fa. Ma ho scoperto che Selwyn è un tipetto veramente testardo.» Un ragazzo uscì dall’aula che si affacciava su quel corridoio. Aveva la mani piene di vecchie piume per scrivere ma con le punte ancora ben aguzze. Se spedite contro i punti giusti avrebbero potuto fare parecchio male, per questo Lydia non comprese come mai il ragazzo le lasciò cadere a terra, distruggendone la metà. E poi si accorse dell’espressione dipinta sul suo volto. Sembrava che avesse visto un fantasma.
«Nik.» Lydia sobbalzò e si voltò con la bacchetta alzata verso la voce sconosciuta proveniente dalle sue spalle. Ma c’era solo Cyril dietro di lei. Cyril, con lo stesso volto stravolto del ragazzo sconosciuto. Cyril, che la scansò malamente e corse verso il ragazzo sconosciuto. Cyril, che prese tra le braccia il ragazzo sconosciuto e lo baciò appassionatamente.
Per un istante Lydia credette di aver battuto la testa ed essere in preda alle allucinazioni, o di essere morta in una delle innumerevoli volte in cui aveva rischiato la vita nell’ultima ora. «Cyril… parla?» chiese esterrefatta.
«Voto del silenzio.» Fu Silas a rispondere, visto che Cyril e il ragazzo non più così sconosciuto erano ancora intenti a baciarsi. Silas batté una mano contro la schiena di Nik, distruggendo così l’atmosfera «È un piacere rivederti, Nikolas. Pensavamo fossi morto, si vede che questa è la serata dei morti viventi.» fece l’occhiolino a Lydia, la quale scosse la testa «Lydia non apprezza la mia ironia, oltre al mio stile. Ma sono davvero contento che tu sia vivo. Soprattutto perché almeno mio fratello ha terminato il suo voto del silenzio. Sai, lo aveva fatto quando sei scomparso, mesi fa. Hai presente cosa significa vivere così tanto tempo con un fratello che non spiccica una parola e si limita a rispondere a versi? A tratti mi sembrava di vivere con un uomo delle caverne. Ho dovuto parlare io per tutti e due, e ti assicuro che è es-te-nuan-te!»
«Silas, sta zitto.» disse Cyril. Aveva una voce profonda, gutturale, mentre continuava ad accarezzare il volto di Nikolas.
«Oh bene!» Silas si strinse nel suo mantello, offeso «Sono le prime parole che mi rivolgi dopo mesi e le usi per zittirmi. Non un ‘grazie Silas per aver sopportato i miei grugniti per tutto questo tempo’, ‘grazie Silas per avermi fatto da interprete’. Sai quanto era difficile per me capire i tuoi grugniti? Sempre lo stesso verso con la stessa identica espressione, e se sbagliavo ad interpretarlo non mi rivolgevi più neanche quelli per una settimana! Vieni, Lydia. Andiamo dove hanno davvero bisogno di noi.» e si allontanò a grandi passi. Lydia gettò uno sguardo di scuse verso Cyril e il suo ragazzo, e lo seguì. Più per lasciare un po’ di intimità ai due amanti appena ritrovatosi che per rincorrere Silas.
Quando passò accanto a Cyril e il suo compagno, non poté impedirsi di sentire degli stralci della loro conversazione.
«… Sono riuscito a scappare per un soffio. Mio fratello mi ha denunciato al Ministero.»
«Avresti dovuto venire da me. Saremmo scappati insieme!»
«Non avrei mai potuto metterti in pericolo, Cy.»
Silas accelerò il passo e Lydia fu costretta a fare altrettanto per non perderlo di vista.
«Aspettatemi!» urlò Selwyn correndo per raggiungerli «Non potete proseguire senza il mio permesso! Questa è una zona sicura!»
E poi Lydia non comprese cosa successe.
Il momento prima stava inseguendo Silas nel corridoio, tentando nel frattempo di scappare da Selwyn.
Quello dopo era sdraiata a terra, sola, le orecchie che ronzavano dolorosamente e polvere e detriti ad oscurarle la vista. Le faceva male tutto il corpo. Non riusciva a muoversi. Con terrore cercò di stringere la mano attorno alla bacchetta, ma i suoi muscoli si rifiutavano di obbedire. L’aria era densa di fumo. I suoi polmoni sembravano incapaci di allargarsi. Tentò di sollevare di qualche centimetro la testa. Ci riuscì solo con uno sforzo immane. Vedeva solamente grigio. Nel torpore della sua mente si accorse che era il fumo e la polvere ad impedirle la vista. L’unica cosa che riuscì ad intravedere furono delle ombre.
Ma non erano ombre.
Erano Mangiamorte.
«Merlin, Merlin, Merlin…» cantilenò una voce sopra di lei «Non ti stanchi mai di trovarti così? Completamente inerme ai miei piedi?»
Lydia emise un suono gutturale, l’unico che i suoi polmoni furono in grado di espellere.
La voce rise. «Mi lusinghi.»
Il mago che incombeva su di lei portava una maschera d’argento. Nascondeva il suo volto ma non la sua identità.
Alla fine era stato Isaac Mills a trovarla.
Lydia sbatté le palpebre, con la consapevolezza che la sua unica possibilità di sopravvivenza dipendeva da quanto avrebbe impiegato a riprendere il comando del proprio corpo. Tutti i suoi nervi e muscoli urlavano, Lydia cercò di ignorarli, si mise con un gemito sul fianco e tentò di fare leva con un braccio per riuscire a mettersi almeno a sedere. Un lamento sfuggì di nuovo al suo controllo, il braccio che pulsava dolorosamente.
E Mills intanto rideva. Si stava godendo lo spettacolo.
Lydia riuscì a fatica a mettersi seduta. Lo sforzo l’aveva lasciata senza fiato. Si trascinò verso il muro che riusciva ad intravedere nella nube di polvere, ed appoggiò la testa su di esso, completamente senza forze. Chiuse gli occhi.
«Venite ragazzi! Ho trovato una sorpresa per voi!» Altri passi sul pavimento indicarono che si stavano avvicinando almeno altre tre persone. Doveva andarsene da lì. Il prima possibile. Doveva ritrovare Silas, Cyril e Nikolas. Non dovevano essere lontani. Doveva ritrovare il ragazzino con il pigiama con i boccini d’oro. Doveva ritrovare Lance.
Quel pensiero le fece scorrere nelle vene una scarica di adrenalina. Lydia strinse la mani a pugno e si accorse che in tutto quel tempo, l’istinto l’aveva portata a tenere stretta la bacchetta di Eileen. Con una forza che fino a qualche secondo prima non avrebbe pensato di possedere, Lydia riuscì ad alzarsi e fronteggiare i suoi incubi.
Gli altri tre maghi avevano affiancato Mills. Portavano tutti un mantello che in origine doveva essere nero ma ora era grigio di polvere, e la stessa maschera d’argento.
Presente e Passato si mischiarono nella mente confusa di Lydia.
Ma non era in un parco giochi.
Era nella sua scuola.
In quella stessa scuola in cui era cresciuta.
La scuola dove aveva imparato a combattere.
Sollevò la bacchetta.
«Allora sei proprio una stupida, Merlin. Pensavo che ormai ti avessimo insegnato che non puoi batterci.» La voce di Mills era glaciale «Gerald, vai pure a dare una mano agli altri, qui non ci impiegheremo molto.» Uno dei suoi compagni annuì e sparì nella nebbia. «Sai, a volte mi è capitato di ripensare al giorno in cui ti abbiamo donato la tua cicatrice. A quanto io sia stato maleducato a non esaudire il tuo vero desiderio.» Mills alzò la bacchetta «È giunto finalmente il momento che io paghi il mio debito.»
Era come al parco giochi.
Il corpo ferito di Lydia che le impediva di muoversi o pensare con fluidità. I suoi nemici che la accerchiavano, impazienti di poter assaporare la sua paura, come squali in attesa che il sangue cominciasse a scorrere.
C’era solo una differenza.
Quella sera era accorsa al castello con un nuovo desiderio. Di vendicarsi di coloro che le avevano fatto del male, coloro che avevano ucciso Paul e così tanti altri. Di tornare da Lance.
Quella sera, Lydia era pronta a combattere.
«Confringo
«Exùlcero
Lydia parò a fatica il colpo, roteò il polso e riuscì a rispedire la maledizione verso Mills, colpendolo di striscio ad un braccio e facendolo sibilare mentre la parte colpita si riempiva di vesciche ed ustioni. I due compagni rimasti tentarono di intervenire ma Mills li fermò con un cenno. «Lasciatela a me.» ringhiò. Si esaminò la ferita al braccio. «Perché non ti puoi fare uccidere velocemente come ha fatto il tuo amichetto Kenston?»
Lydia sentì la rabbia crescerle nel petto.
«Con lui è stato facile. E per quanto mi piacerebbe trascorrere altro tempo con te, ho cose più importanti da fare questa notte. Il Signore Oscuro ci ricompenserà abbondantemente per ogni nemico che uccideremo. Quindi Merlin, fammi un piacere, sii come Kenston.»
Lydia urlò, mosse la bacchetta come una frusta e il suo incantesimo non verbale colpì Mills in pieno petto. Le sue vesti e il suo corpo si riempirono di tagli e lacerazioni. Non mortali, ma sufficienti per fermarlo. Sì chinò su se stesso, boccheggiante. La sua maschera d’argento cadde a terra e roteò fino ai piedi di Lydia.
Mills meritava di peggio.
Una Maledizione Senza Perdono.
Lydia era ancora in tempo. Ripensò a Paul e allo zio Ryan, alle loro vite spezzate. E insieme alle loro, quelle di tutti coloro che li amavano. I genitori di Paul, i suoi fratelli, sua sorella, Lance. Zia Maisie. Jack.
Lydia abbassò lo sguardo verso la maschera d’argento. La stessa maschera che aveva popolato i suoi incubi per anni. E che adesso le faceva solo ribrezzo e si dimostrava per quello che era realmente: solo una pacchiana imitazione delle maschere dei Mangiamorte, i bordi non definiti, l’argento dipinto sul rame. Sollevò il piede e la calpestò con tutta la sua forza, riducendola in frantumi.
«Avada Kedavra
Lydia alzò uno scudo protettivo. Non serviva. Un altro scudo si era già materializzato davanti a lei.
Uno dei due compari di Mills aveva cercato di ucciderla.
L’altro le aveva salvato la vita.
Il suo salvatore si strappò la maschera dal volto e la scagliò a terra. Le sue schegge si mischiarono a quelle della maschera di Mills. Ma a Lydia non serviva vederlo in volto per riconoscerlo.
«Scappa.» disse Blake.
E per una volta, Lydia lo ascoltò. Afferrò il mantello di Blake e lo costrinse a seguirla, prima che avesse la malsana idea di fermarsi a combattere contro l’altro sgherro (probabilmente O’Neill), Mills, che si stava lentamente riprendendo, o le altre due maschere che si iniziavano ad intravedere in lontananza nella nebbia di detriti.
«Moore!» L’urlo di Mills risuonò nel corridoio.
«Penso di averlo fatto arrabbiare.»
«Tu dici?!» Lydia sterzò verso la nicchia con l’armatura del troll canterino. Solo che l’armatura era scomparsa e la scorciatoia era completamente visibile (fortunatamente, considerando che l’ultima cosa che avrebbe voluto fare Lydia in quel momento era mettersi a cantare per farla spostare). La priorità era allontanarsi il più possibile e cercare di raggiungere i soccorsi. Soprattutto perché Lydia si sentiva ancora a pezzi e non era sicura di riuscire ad andare molto lontana. E infatti, appena imboccato il passaggio, fu Blake a guidare la fuga e sostenerla. Ad ogni passo che facevano, la loro corsa si trasformava sempre più in una camminata veloce, o meglio in un saltellare incerto.
«Forza, forza!» tentò di incitarla Blake «Ci raggiungeranno.»
Ma man mano che si allontanavano, la scarica di energia che le aveva permesso di combattere abbandonava le sue vene e il suo corpo si risvegliava dal torpore, rendendola dolorosamente consapevole di tutte le ferite. Il taglio dietro alla nuca, quello che le era stato causato dal trafficante sulla spiaggia, aveva ricominciato a sanguinare copiosamente. Le sembrava di avere qualche costola incrinata e una gamba le mandava fitte di dolore ogni volta che vi appoggiava il peso.
«Comunque non ti ho perdonato.» decise di sottolineare Lydia, prima che Blake si facesse strane idee «Non so cosa mi sia preso. Avrei dovuto lasciarti lì con i tuoi amichetti.» Il fiato corto le stroncava le parole.
«Mi hai portato con te perché sapevi che senza di me ti avrebbero subito raggiunta.» rispose Blake, trascinandola in avanti.
Sbucarono dalla scorciatoia e Lydia riconobbe il corridoio del terzo piano in cui si era ritrovata uscendo dalla strana stanza, all’inizio della battaglia. Le finestre erano crollate, permettendo alla brezza notturna di soffiare nel castello. Lydia rabbrividì. I muri del corridoio erano completamente ricoperti di crepe. Hogwarts sembrava sul punto di cadere. Lydia si chiese quanti altri colpi quella scuola secolare avrebbe potuto reggere.
Blake si guardava attorno frenetico. «Okay, ho capito dove siamo. Possiamo raggiungere il piano terra se andiamo verso sinistra, da lì dovremo solo stare attenti nell’attraversare il giardino. Un incantesimo di Disillusione ci aiuterà, e dovremo evitare a tutti i costi la Foresta, non che abbia tanta importanza considerando che tutti i suoi mostri sembrano essersi trasferiti qui. Dovremmo raggiungere i confini della scuola entro pochi minuti e da lì Materializzarci a casa dei miei.»
Lydia si staccò dal sostegno di Blake. Ondeggiò vistosamente ma riuscì infine a stare in piedi da sola. «Stai scherzando, vero?»
«Cosa? Perché dovrei scherzare in un momento del genere?»
«Perché non puoi seriamente pensare che io voglia scappare con te.»
Blake la guardò perplesso. «Sì. Ce ne andiamo da qui e raggiungiamo casa dei miei. Prendiamo mia madre e andiamo alla spiaggia. Ho da parte ancora qualche risparmio, sono sicuro che il trafficante accetterà di anticipare la nostra Passaporta. Ce ne andiamo in Francia, così in qualsiasi modo questa battaglia andrà a finire, noi saremo al sicuro.»
Il ragionamento di Blake era perfetto ai propri occhi.
Ignobile a quelli di Lydia.
«No!» esclamò inorridita «Io non vado da nessuna parte con te! Adesso mi aiuti a ritrovare Lance e la sua famiglia, e poi tu puoi andare dove ti pare, ma senza di me. Oppure puoi andartene subito, posso farcela anche da sola.»
«Vedi, Moore? Neanche la tua fidanzatina ti vuole.»
Lydia e Blake impallidirono e si voltarono verso la scorciatoia dalla quale erano appena arrivati. Era deserta.
«Pensavate di essere gli unici a conoscere certi trucchetti?» chiese Mills scostando un arazzo scolorito. «Dimenticate che questa era anche la mia scuola.» Un ghigno gli storpiava le labbra. Si muoveva a scatti, ancora dolorante per le ferite inferte da Lydia. Dietro di lui comparvero i suoi amici.
Blake si interpose tra i suoi vecchi compagni e Lydia. «State lontani!» Lydia si rifiutò di rimanere nascosta dietro di lui e lo affiancò, la bacchetta già in posizione di attacco e la mente intrisa di incantesimi e maledizioni.
Mills e i suoi compari ebbero almeno la decenza di non ridere del loro patetico tentativo di difendersi. «Vi abbiamo rincorso a sufficienza. È ora di finire questa storia.» disse infatti Mills, la sua faccia contratta in una smorfia. «Blake. In nome della nostra amicizia ti concedo una seconda possibilità. Torna dalla nostra parte e faremo finta che non sia successo niente.» Blake esitò. «Uccidi Merlin e anche tu riceverai la benedizione del Signore Oscuro.»
Lydia si allontanò di un passo da Blake, pronta a difendersi anche da lui. Blake lo notò e il suo volto divenne di granito, rendendole impossibile riuscire a leggere i suoi pensieri. Lydia si allontanò di un altro passo e spostò la bacchetta su di lui. Sapeva cosa sarebbe successo. Era sempre stato così. Durante gli anni a scuola, all’inizio della guerra, quel maledetto giorno al parco giochi, quella sera stessa quando l’aveva rinchiusa in camera. Lui aveva sempre scelto i suoi amici.
«No.» La risposta di Blake fece calare il gelo nella stanza.
«No?»
«No.» ripeté Blake. Spostò di nuovo la sua attenzione su Mills e si erse in tutta la sua statura. «È finita, Isaac, ho chiuso con voi. Mi fate schifo. Era da tempo che volevo dirvelo. Mi fate schifo voi e tutto quello che fate. Pensate di essere i nuovi signori del male, i re del crimine, ma non siete nulla, non siete altro che delle macchiette, delle patetiche imitazioni dei veri Mangiamorte. Continuate a blaterare su quando il Signore Oscuro vi ricompenserà senza nemmeno rendervi conto che vi sta solamente usando, che non gliene frega niente se voi sopravvivrete questa notte.» Lydia non aveva mai visto Blake così. La sicurezza che emanava gli conferiva un aspetto nuovo, tanto che a Lydia sembrò di avere di fronte una persona sconosciuta. «Perché mai dovrebbe ricompensarvi se non l’ha mai fatto fino ad ora? È da mesi che combattete in suo nome, che uccidete, ferite e compite ogni malvagità. E non vi siete accorti della pura e semplice verità. Il Signore Oscuro non sa neanche che esistete.»
«Sta attento a quello che dici, Moore.» lo minacciò Mills, sibilando.
Ma Blake aveva solo iniziato. «Per lui voi siete insignificanti, pedine da poter sacrificare mentre aspetta il momento giusto per colpire Harry Potter. Non sarete mai portati al suo cospetto, e non riceverete mai il Marchio Nero. Resterete quello che siete sempre stati… vermi insignificanti.»
«Sectumsempra!» la rabbia di Mills esplose contro di loro. Lo scudo di Lydia protesse entrambi, venendo poi distrutto quando anche gli altri amici di Mills scagliarono contro di loro maledizioni e fatture.
«Suspendus.» I vetri sparsi su tutto il pavimento si raggrupparono davanti a Lydia, roteando a mezz’aria. Blake scagliò contro i loro aggressori incantesimi a raffica, così da distrarli. I frammenti di vetro intanto continuarono a girare su loro stessi fino a quando tutte le parti appuntite furono rivolte verso Mills. «Oppugno!» Al comando di Lydia i frammenti sfrecciarono a tutta velocità. Mills alzò uno scudo all’ultimo secondo. Alcuni frammenti si scontrarono contro il muro, frantumando l’intonaco e rimanendo lì incastrati, altri ancora rimbalzarono sullo scudo. Ma due scaglie particolarmente sottili e veloci, bucarono la protezione magica di Mills e riuscirono a raggiungere l’obiettivo, andando a colpire il ragazzo su un braccio e al collo. La ferita al braccio era superficiale, il collo, al contrario, aveva già iniziato a sanguinare copiosamente. Lydia sentì un moto di sollievo. Dovevano riuscire a resistere ancora qualche minuto e la perdita di sangue di Mills avrebbe fatto il resto. Ma il suo sollievo durò poco.
«Strangulus!»
«Divellum!» L’arazzo dal quale erano comparsi i loro nemici si strappò dai suoi ganci all’ordine di Blake e si frappose tra le due fazioni, bloccandone la vista.
«Immobilus.» L’incantesimo di Lydia cristallizzò l’arazzo a mezz’aria. Era arrivato il momento di andarsene. Blake intuì il piano e le aprì la strada verso la fuga, per questa volta Lydia non si oppose, decisa ad andarsene il più lontana possibile da Mills prima di separarsi da Blake ed intraprendere la ricerca di Lance. Riuscirono a fare solo qualche passo, perché alla fine del corridoio che avrebbe dovuto portarli in salvo comparvero degli spettri.
Neve.
Ghiaccio.
Dissennatori.
Lydia arretrò talmente in fretta da finire contro l’arazzo ancora sospeso. E si rese conto del vero motivo per cui sembrava essere calato il gelo durante la battaglia.
«Forza! Useremo i Patronus!» Blake tentò di spingerla nuovamente in direzione del corridoio.
Lydia però rimase ben piantata al suo posto. Preferiva combattere una battaglia impossibile piuttosto che ritrovarsi di nuovo nelle grinfie dei Dissennatori. Il suo desiderio fu ben presto avverato. Un rumore di stoffa strappata la fece voltare. Artigli invisibili lacerarono l’arazzo in mille pezzi. Lembi di tessuto galleggiarono per alcuni istanti a mezz’aria, prima di cadere a terra. Il volto di Mills era ormai esangue, una mano che tentava di arginare l’emorragia al collo, ma la determinazione e la rabbia nei suoi occhi non vacillava.
Era pronto a finire quella storia. E anche Lydia lo era. Parò il primo Anatema, e poi quello successivo. Il suo corpo continuava a urlare di dolore, percepiva il gelo dei Dissennatori alle sue spalle, il loro rantolo che si faceva sempre più vicino. Blake cercava di intrappolare O’Neill e un altro dei loro aggressori, un ragazzino che Lydia era sicura di aver visto alla battaglia sulla spiaggia.
«Expelliarmus!» Il ragazzo perse la sua bacchetta e Lydia riuscì a deviare una maledizione di Mills contro di lui, centrandolo. Cadde a terra con un sospiro e lì rimase.
O’Neill cercò di rallentare la sua caduta, Blake approfittò del suo momento di disattenzione. «Oppugno!» Un pezzo di intonaco si staccò dalla parete e si fiondò sulla sua testa, colpendolo in pieno e facendolo crollare al fianco dell’altro ragazzo.
«Retinecor
La scena si svolse agli occhi di Lydia come al rallentatore. Vide l’incantesimo sgorgare dalla bacchetta di Mills, illuminando l’odio sul suo viso, e il lampo di luce attraversare il breve spazio che li divideva. Erano stati sciocchi. Nella foga di sconfiggere almeno due avversari, avevano dimenticato quale tra loro rappresentava la vera minaccia. Lydia tentò di fermare l’incantesimo. Ma la Maledizione volteggiò verso il suo obiettivo, e colpì Blake.
Blake sgranò gli occhi, portandosi una mano al petto.
Lydia non fece in tempo ad urlare il suo nome. Blake era già a terra.
«E adesso tocca a te, sudicia Sangue Sporco.»
Ma Lydia fu più veloce.
«Stupeficium!» Il lampo di luce dell’incantesimo di Lydia fu talmente potente da accecarla. Quando riuscì a rimettere a fuoco il corridoio, Mills era a terra.
Lydia si guardò attorno. Il silenzio era innaturale dopo tutte le battaglie. Abbassò la bacchetta, con la consapevolezza che era arrivato il momento della fine. La brina ricoprì i corpi sul pavimento. Quando Lydia distolse lo sguardo dal corpo inerme di Blake, vide i Dissennatori avanzare verso di lei, impazienti di saziarsi della sua anima. Espirò e il suo respiro si trasformò in ghiaccio.
E così sarebbe finita in quel modo.
La bacchetta di Eileen scivolò dalla mano di Lydia ed atterrò con un tonfo sul pavimento, l’unico rumore che infranse il silenzio innaturale.
No, non l’unico.
Una serie di gemiti e scricchiolii si levarono dalle pareti stesse. Le crepe che erano già presenti sui muri della scuola iniziarono ad allargarsi. Lydia le inseguì con lo sguardo mentre divoravano l’intero corridoio, aprendo voragini e spaccature su ogni superfice. Finché il soffitto cedette.
Lydia chiuse gli occhi e il suo ultimo pensiero fu quanto le sarebbe piaciuto poter vedere l’alba un’ultima volta.
Poi l’oscurità la reclamò.
 
 


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Capitolo 36
*** Capitolo 36 - L'alba ***


Capitolo 36
L’alba
 
 
Lance O’Brien pensava di sapere cosa fosse il dolore.
Scoprì che non era così.
Una nuova fitta attraversò la parte sinistra del suo corpo. Strinse i denti e strizzò gli occhi, mentre un’ondata di nausea accompagnava il dolore.
«Dobbiamo andarcene da qui.»
Lance socchiuse un occhio. «Sto bene.»
«No che non stai bene.»
«Sto benissimo, Duncan, davvero. Mai stato meglio.»
Decise di richiudere gli occhi piuttosto che vedere l’occhiataccia che suo fratello gli riservò.
«Appena tornano papà e Kate, noi ce ne andiamo.» sentenziò Duncan categorico.
Lance sospirò. Il suo corpo si rilassò mentre il dolore scemava, anche se il sollievo sarebbe durato solo pochi secondi, lo sapeva. «Non possiamo andarcene adesso. In un modo o nell’altro questa storia finirà tra un’ora. Me lo sento.»
«E infatti tra un’ora saremo molto lontani da qui.»
Lance ne ebbe abbastanza. «E dimmi: come facciamo ad andarcene se tu non riesci neppure a camminare?»
Questa volta sostenne l’occhiata omicida di Duncan. «Posso camminare.» disse, nonostante fosse sdraiato a terra, la gamba frantumata in molteplici punti e avvolta in una steccatura grossolana.
«E io posso combattere.» ribatté Lance, bugiardo come il fratello. Perché anche lui era consapevole che Duncan aveva ragione: non sarebbe mai riuscito a combattere con la mano e il polso squarciati, soprattutto considerando che era la stessa mano con cui impugnava la bacchetta. E preparava le pozioni, pensò con una stretta al cuore, prima di rendersi conto di quanto fosse sciocco essere in lutto per la propria professione quando entro un’ora sarebbero potuti essere tutti morti.
Duncan grugnì e tornò ad appoggiare la testa sul maglione di Katherine. «E va bene. Ti concedo dieci minuti. Ci facciamo curare e poi ce ne torniamo a casa. Abbiamo già contribuito abbastanza alla causa.»
Lance avrebbe ribattuto se non fosse stato per la nuova ondata di dolore che lo assalì. Mentre il suo corpo cercava di combattere la nausea, Lance tentò di distrarsi guardandosi attorno. Anche se c’era ben poco di allegro in ciò che li circondava.
La Sala Grande era gremita.
Da quando Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato aveva annunciato la tregua di un’ora, tutti i combattenti si erano involontariamente recati nella sala più importante di Hogwarts.
Lance ripensò a quanto fossero state surreali le parole del loro nemico. Aveva riconosciuto il loro valore, lodandoli persino per il loro coraggio, per poi dire che se avessero continuato a combattere li avrebbe uccisi uno per uno. Un discorso motivante. Espirò mentre l’ondata di dolore scemava. Sapeva di essere vivo solo per miracolo, lui e Duncan erano finiti in una trappola e si erano ritrovati circondati da Acromantule e Mangiamorte. Una strana accoppiata che era quasi riuscita a finire i loro giorni. La gamba di Duncan si era rotta nella presa di una Acromantula grande quasi due metri. Lance aveva cercato di liberarlo dalle grinfie del ragno, distraendosi dal nemico contro il quale stava combattendo e venendo così colpito da una Maledizione sulla mano. Rabbrividì al pensiero. Era stato proprio in quel momento che la voce di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato era risuonata nelle mura di Hogwarts, talmente vicina che per un istante, in preda al dolore, Lance aveva pensato che fosse proprio lì, accanto a lui, in procinto di ucciderlo. Era stato l’attimo più terrificante della sua vita.  Acromantule e Mangiamorte si erano immediatamente ritirati all’ordine del loro padrone ed era proprio quella l’unica ragione per cui Duncan e Lance non erano stati uccisi.
Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato aveva salvato la loro vita. Certo, era anche la causa principale per cui l’avevano rischiata, ma non era il momento per puntualizzare i dettagli.
Katherine e il padre di Lance li avevano raggiunti subito dopo, aiutandoli a trascinarsi fino alla Sala Grande. Era lì che li avevano lasciati, momentaneamente al sicuro, prima di allontanarsi di nuovo alla ricerca di Silas e Cyril.
Lance scorse lo sguardo sulla piccola folla che riempiva la stanza. Erano tutti esausti, ed ognuno di essi pareva avere il peso del mondo sulle spalle. E probabilmente era così. Qualcuno piangeva, altri guardavano il vuoto, qualcun altro ancora chiedeva di poter tornare a casa. E in mezzo a tutto questo, proprio al centro della Sala Grande, sotto un cielo incantato intriso di stelle, vi era una fila di persone che non avrebbero mai più rivisto la loro casa.
Il cuore di Lance si riempì di un dolore ben diverso da quello fisico. Per quanto volesse evitare di guardare in quella direzione, si sentiva attratto come da un magnete. Ogni volta che veniva aggiunto un corpo, implorava che non fosse qualcuno che lui conosceva. Il sollievo di non vedere Silas e Cyril aggiungersi alla fila dei morti veniva però ben presto rimpiazzato dal senso di colpa per quello stesso conforto. Aveva riconosciuto alcuni di quei volti. Tutti troppo giovani, troppo coraggiosi, troppo amati, come dimostrava un corpo in particolare, circondato dall’intera famiglia in lacrime e devastata per la sua perdita.
«Uno dei gemelli Weasley.» Aveva riferito mestamente Kate prima di partire nella sua ricerca «George o Fred… non riesco mai a distinguerli. Beh… adesso riusciremo tutti a farlo.»
La signora Weasley singhiozzava disperata, accasciata sul petto del figlio. Lance distolse lo sguardo velato dalle lacrime.
Anche lo spazio in cui si trovava lui non era in condizioni molto migliori. Appena avevano fatto il loro ingresso nella Sala Grande, Lance sostenuto da Katherine e Duncan portato di peso dal padre, erano stati indirizzati verso la pedana sul fondo, dove Madama Chips e un gruppetto di volontari stavano correndo disperatamente per riuscire a guarire tutte le ferite riportate durante i combattimenti. Ma i feriti erano troppi e le medicazioni troppo poche. Lance aveva insistito affinché fosse Duncan a ricevere la dose di Dolorfort, sostenendo che la sua mano non gli facesse poi così male. Madama Chips lo aveva squadrato ben consapevole della verità, ma la carenza di pozioni l’aveva costretta ad accettare. Aveva mandato alcuni studenti con il nuovo professore di Pozioni (un certo Lumacorno, vestito con un pigiama color smeraldo) nei sotterranei per poter prendere ogni pozione disponibile. Lance, che aveva origliato gli ordini, si era permesso di aggiungere che sarebbe bastata anche solo qualche erba di Ers o delle radici di Meltrel per alleviare il dolore. In cambio aveva ricevuto un’occhiata indagatrice da parte del professor Lumacorno che lo aveva messo a disagio. «Un grande potenziale…» aveva borbottato lo strano professore prima di essere costretto da Madama Chips ad affrettarsi verso i sotterranei.
L’ennesima ondata di dolore gli tolse la capacità di pensiero. Serrò i denti, immobilizzandosi, smettendo persino di respirare nella speranza che così facendo potesse alleggerire le fitte.
Era talmente immerso nel proprio dolore che sobbalzò quando una mano si posò sulla sua spalla.
«Scusa.» Duncan era riuscito a mettersi seduto e lo guardava preoccupato.
«Sto bene.» replicò automaticamente Lance.
Duncan scosse la testa. «Non c’è bisogno che continui a ripeterlo. Risparmia il fiato.»
Lance lanciò una rapida occhiata alla propria mano. Non riusciva a guardarla per troppo tempo senza farsi prendere dalla nausea e dal panico. Non stava bene. Lo sapeva lui, lo sapevano Duncan, Madama Chips, Katherine, suo padre e persino il ragazzino che appena aveva visto la sua mano era scappato via, probabilmente per andare a vomitare. Lance si era sentito vagamente offeso, in fondo la sua non era la ferita più grave presente in quella sala. Faceva solo impressione. O almeno era quello che continuava a ripetersi per non dover affrontare la verità.
La sua mano era messa male. Molto male. E l’incapacità di piegare le dita confermavano i suoi peggiori timori. Non solo era squarciata, ma erano stati colpiti anche i nervi, l’unico quesito rimasto era comprendere quanto a fondo fossero stati intaccati. Anche se, si ripeté per l’ennesima volta, non aveva molta importanza considerando che Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato aveva dato una scadenza ben precisa alla loro tregua ed essa si stava avvicinando inesorabilmente. Strano come la prospettiva di una morte imminente lo aiutasse a superare il terrore di una mano squarciata.
«Lance, ti prego, ragiona. Dobbiamo tornarcene a casa prima che sia troppo tardi.» Duncan cercò di spostarsi leggermente verso di lui «Anche io non vorrei lasciare altri a combattere al posto nostro, ma guarda in faccia la realtà. Messi così siamo solo un peso. Non possiamo difenderci, e non ho intenzione che qualcuno si faccia male per cercare di salvarci la vita visto che non siamo in grado di farlo da soli.»
Il ragionamento di Duncan aveva senso. Lance odiava il fatto che negli ultimi mesi suo fratello avesse deciso di diventare saggio.
«Tu vai pure. Io resto.»
Ed era quasi comico che la testardaggine di Lance fosse cresciuta di pari passo alla saggezza di Duncan.
Duncan sembrò indeciso se strozzarlo o lanciargli una maledizione. Per fortuna l’arrivo di Katherine non gli lasciò il tempo per decidere.
«Tieni, ti ho portato questa.» Katherine si sedette davanti a loro, aprì le mani chiuse a pugno e svelò a Lance un vero e proprio tesoro.
Tre foglie di Ers. Abbastanza potenti da cancellare momentaneamente il dolore.
«Ti voglio bene, Kate.» disse sinceramente Lance, cacciandosi in bocca tutte e tre le foglie ed iniziando a masticarle.
Kate ridacchiò, anche se il sorriso non raggiunse i suoi occhi. «Sono solo brava ad ascoltare i tuoi monologhi sulle proprietà di ogni ingrediente di questo mondo.»
Un piacevole calore si diffuse lentamente in tutto il corpo di Lance, raggiungendo le punte delle dita, anche di quelle che non riusciva a muovere. Il sollievo fu immediato, facendogli sfuggire un sospiro di sollievo. «Avete trovato Silas e Cyril?» chiese con gli occhi ancora chiusi. Si era dimenticato di quanto fosse bello non provare costantemente dolore.
Il sorriso di Kate si spense. «No… ma il castello è grande ed alcune parti sono crollate, potrebbero essere impossibilitati a raggiungerci. Ci sono squadre di soccorso ovunque. Li troveremo.» Ma lo disse con incertezza. Lance la capiva. Erano circondati da morte e dolore, sembrava impossibile anche solo sperare che potessero realmente ritrovarsi.
«Sta arrivando papà.» Lance e Katherine si voltarono verso la direzione indicata da Duncan.
Il padre li raggiunse, mettendosi seduto con un lamento sul gradino davanti a loro. Non ebbero neanche bisogno di porre la domanda che stava già scuotendo la testa. «Non ci sono. Ho provato a chiedere in giro ma nessuno li ha visti. Mi hanno detto però che stanno indirizzando qui tutti quelli che trovano, quindi arriveranno. In un modo o nell’altro.»
Duncan si sdraiò di nuovo e Lance avrebbe tanto voluto fare lo stesso. Sdraiarsi, dimenticare la situazione che stavano vivendo e semplicemente dormire sotto il cielo stellato della Sala Grande. La sua mente corse al ricordo di un’altra notte passata in quella stessa stanza, tanti anni prima. Una notte durante il suo sesto anno ad Hogwarts, quando si temeva che un pluriomicida si aggirasse nei corridoi della scuola e per questo tutti gli studenti erano stati costretti a dormire nella Sala Grande. Lance ricordava la gioia che aveva provato quando lui, Lydia, Paul e Alice si erano sdraiati tutti vicini nei loro sacchi a pelo, entusiasti di poter vivere anche quell’avventura insieme.
Quanto gli mancavano.
Lance sbatté velocemente le palpebre.
Paul era morto.
Alice arrestata.
E Lydia…
«Li troveremo, Lance.» cercò di rassicurarlo il padre, fraintendendo il motivo delle sue lacrime.
«Hai visto qualcuno che conosciamo?» chiese Duncan.
Il padre si voltò verso la fila di cadaveri. Si stava allungando troppo. Talmente tanto che cominciarono a spostare tutti i corpi fuori dalla Sala Grande.
Lance, Duncan, Katherine e Dorian assistettero alla processione in silenzio, così come fecero tutti gli altri presenti nella stanza. Un silenzio innaturale calò su Hogwarts, così lontano dai fragori della battaglia che aveva fatto tremare e crollare le sue mura.
Quando anche l’ultimo caduto uscì, un lieve brusio si risollevò, e anche Dorian rispose alla domanda del figlio. «Diversi, nessuno che conosciamo particolarmente bene, ma alcuni membri dell’Ordine della Fenice, studenti di Hogwarts ed anche commercianti di Hogsmeade. E non hanno ancora finito di setacciare il parco. Poi ci sono gli altri…» Sollevò il volto verso il cielo stellato. «Li hanno messi da un’altra parte, lontani dai nostri, ma lì ne ho riconosciuti ancora di più. C’erano Bryan e Delwyn, erano miei vecchi compagni di classe. Trevor Wright, è stato lui a consigliarmi di regalare un mazzo di gerbere a vostra madre al nostro primo appuntamento. Gren e sua moglie. Erano presenti al nostro matrimonio, e ti hanno regalato il carillon con le fenici d’oro alla tua nascita, Duncan, quello che hai ancora nella tua stanza.» Per la prima volta nella sua vita, Lance si accorse di quanto suo padre fosse invecchiato durante gli ultimi anni di guerra. Le rughe sotto gli occhi, le spalle curve. L’espressione tormentata sul suo viso. «E poi ho visto mio cugino…»
Era tutto iniziato da lui, ricordò Lance. Era per colpa del cugino di suo papà che avevano dovuto abbandonare la loro vera casa nei sobborghi di Oxford il giorno stesso dell’evasione di massa da Azkaban, anche se i ricordi di quel tempo lontano gli sembravano appartenere ad un’altra vita. Eppure era stato proprio quello il punto di partenza che li aveva condotti fino ad Hogwarts, a combattere una battaglia più grande di loro. Casa O’Brien, il rifugio dei bambini, Lydia… tutto era iniziato dal cugino di suo papà, la cui storia era terminata in quella stessa scuola, destinandolo a giacere in una stanza anonima, disteso in un sudario. E un pensiero terribile assalì Lance guardando l’espressione sul viso di suo padre, ma non ebbe il coraggio di pronunciare la domanda. Suo padre non avrebbe mai confessato i propri demoni.
«Lance… stai fumando.» Duncan lo fissava preoccupato.
Lance si guardò il braccio sano e si accorse che effettivamente vi erano delle sottili strisce di fumo che si sollevavano dalla sua pelle. «È solo un effetto collaterale dell’erba di Ers. È per questo che è stata dichiarata nociva ed è illegale utilizzarla nel campo medico. Che c’è?» La sua famiglia lo fissava tra lo stupito e il terrorizzato.
«E non hai pensato di dirmelo?!» esclamò Katherine con voce strozzata.
Lance agitò il braccio per dissipare il fumo. «Non c’è nessun pericolo. Come dicevo, tre foglie aiutano ad eliminare il dolore per diverse ore, a seconda della gravità delle ferite. Se fossero state quattro allora sarei nei guai. Combustione spontanea. Ma non vi preoccupate, la maggior parte degli organismi umani può sopportare tre foglie.»
«La maggior parte?» Il tono di voce di Katherine stava per raggiungere l’isteria. «Vuol dire che potresti bruciare davanti ai nostri occhi da un momento all’altro?»
Lance alzò gli occhi al cielo e sputò il grumo di erbe. «Dovrei già essere incenerito se fosse stato così.»
«E come facevi a sapere che non ti avrebbero ucciso?!»
Lance esitò un istante prima di rispondere alla domanda di Katherine. «Non lo sapevo.»
«Cosa ti salta in mente di-!?»
«Non ho nessuna intenzione di tornare a casa.» la interruppe Lance «Non adesso che siamo così vicini alla fine. Ho visto Harry Potter prima, sono sicuro che lui e i suoi amici stanno organizzando un piano in questo stesso momento per sconfiggere Voi-Sapete-Chi. Io resto e combatto. Fine della storia.»
«No.»
«No?» chiese Lance, voltandosi stupito verso il padre. «Sei stato tu a dirci che eravamo liberi di scegliere se combattere. E io voglio combattere ancora.»
«Eravate liberi di farlo quando la salute era dalla vostra parte. Ma non vi permetterò di rimanere nel castello se non siete in grado di proteggervi, e - non provare neanche a negarlo - tu non sei in grado di difenderti in questo momento. E neanche tuo fratello. Quindi sì, vi riporto a casa appena ti rimettono in sesto la mano abbastanza da poter affrontare la Materializzazione senza danni.»
«Non puoi dire sul serio!»
«Questa è la mia decisione ed è irrevocabile.»
Lance era senza parole. «Ma Silas e Cyril sono ancora qui, e anche i ragazzi di casa Yorgenben!»
«Vi riporto a casa e poi torno qui a cercarli. Anche Katherine è libera di decidere se rimanere al castello o tornare a casa con voi.»
Katherine raddrizzò la schiena. «Rimango.» disse decisa.
«Non puoi essere d’accordo, Duncan!» Lance si rivolse al fratello, sperando di poter ragionare almeno con lui «Non vorrai tornare a casa mentre tua moglie, per di più incinta, rimane qui a combattere!»
Duncan si puntellò sui gomiti e guardò negli occhi sua moglie. «Se è la sua decisione io la accetto. E come ti dicevo, non rischierò di metterla in pericolo prendendo la sconsiderata scelta di rimanere quando non sono più in grado neppure di muovermi.»
Lance si alzò in piedi, esasperato. Una pessima idea. Il dolore alla mano era scomparso, ma la copiosa perdita di sangue lo aveva lasciato completamente debilitato. Barcollò e fu solo grazie al sostegno di suo padre che non cadde faccia a terra.
«Signor O’Brien! Cosa le salta in mente?!» Madama Chips corse verso di lui, affiancata da una studentessa che le portava la borsa di medicinali.
«Io resto.» replicò di nuovo Lance «Posso ancora lottare. Userò la mano destra.»
«Tu sei mancino, Lance.»
«E allora? Ho già usato la destra per lanciare incantesimi quando mi sono rotto il polso anni fa. Saprò difendermi.»
Alla fine fu Madama Chips a costringerlo a rimettersi seduto sul pavimento, con una spinta ben poco professionale e borbottando sulla difficoltà di certi pazienti. Fece cenno alla sua assistente di aprire la borsa e ci trafficò dentro per alcuni istanti, in un rumore di boccettine sbattute tra loro.
«È quasi passata un’ora dalla tregua stabilita dal Signore Oscuro.» continuò il padre di Lance «Il tempo è scaduto. Ce ne andiamo appena possibile.»
Madama Chips trovò la boccetta che stava cercando e quando la estrasse, Lance riconobbe l’Essenza di Dittamo. Le gocce di essenza sfrigolarono a contatto con la sua pelle martoriata, ma fecero il loro effetto. I muscoli, i tendini e la carne cominciarono a tirarsi e stendersi per coprire i pezzi mancanti. Lance distolse lo sguardo, attraversato da un moto di nausea. La pozione avrebbe ricucito la ferita, ma era ben consapevole che non voleva dire che fosse guarita. I danni erano ancora presenti sotto la superficie.
«Aspettate dieci minuti affinché la pozione possa aver tempo di agire indisturbata.» comandò l’infermiera «Poi potrete andare.» E corse via verso la lunga fila di feriti che attendevano il loro turno.
Lance si sfregò gli occhi. Decise di rimanere in silenzio. Duncan, Katherine e suo padre avevano reso ben chiara la loro posizione e li conosceva abbastanza bene da sapere che non sarebbe riuscito a convincerli del contrario. Avrebbe trovato un altro modo. Avrebbe potuto approfittare di un momento di distrazione per confondersi nella folla. E il castello era abbastanza grande da sfuggire al loro controllo una volta uscito dalla Sala Grande.
«Che ci siamo persi?»
L’intera famiglia O’Brien sollevò lo sguardo di scatto.
«Buonasera a tutti. O buongiorno, è giorno ormai no?» Silas stava cercando di sistemarsi il mantello, un tentativo vano considerando che era talmente stracciato da non poter più essere definito tale «Che c’è? Non avrete pensato seriamente che potevamo perderci la seconda parte della festa! A proposito, a che ora inizia?» chiese guardando l’orologio da polso completamente distrutto «Uno stupido Mangiamorte mi ha rotto l’orologio e non ho la minima idea di quando scada l’ora. Dite che posso mandargli la lista dei danni?» Si tolse il cilindro altrettanto demolito.
«Silas!» urlò Katherine, correndo ad abbracciarlo.
Lance si sentì invadere dal sollievo. «Che bello rivedervi.»
Cyril annuì. «Anche per noi. A proposito, ho ritrovato Nikolas.» alzò la mano intrecciata a quella di Nikolas. Lance aveva quasi dimenticato la voce di suo cugino.
«Ragazzi!» Fu il turno di Dorian di abbracciare i nuovi arrivati «Sono così contento che stiate bene.»
Lance sollevò la mano destra in un cenno di saluto. «Un abbraccio da lontano.»
I suoi cugini stavano relativamente bene. Erano completamente ricoperti da fuliggine, polvere e calcinacci, si potevano intravedere numerosi graffi in altrettanti punti dei loro corpi e Silas zoppicava leggermente. Ma tutto sommato sembravano interi ed era più di quanto si potesse dire per molti altri combattenti. «Vi abbiamo cercato dappertutto!» Katherine tornò a sedersi accanto a Duncan.
Silas invece si sdraiò esausto al fianco di Lance. «Stavamo cercando Johan Yorgenben. Abbiamo setacciato tutta la parte ovest del castello ma ancora nessuna traccia. Allora siamo venuti a cercare voi.»
«E adesso che sappiamo che state bene possiamo ripartire.» sentenziò Cyril. Voto del silenzio oppure no, non era mai stato di molte parole.
Silas si mise seduto con un lamento. «Giusto. Anche se il castello non mi è mai sembrato così grande… è come cercare un ago in un pagliaio, o un filo d’erba in una foresta, o scegliete voi l’analogia che preferite. Non poteva essere Kilian Yorgenben a sparire? Anche se grande e grosso come è lo avremmo probabilmente scambiato per un gigante.»
«Andiamo Silas.»
«Sì, sì, arrivo Cy.» Silas si massaggiò la fronte «Non è che voi lo avete visto, vero?» chiese, senza alcuna speranza che la sua domanda potesse ricevere una risposta positiva.
Come da lui previsto, nessuno rispose.
Silas sospirò. «Avete visto almeno Lydia?»
Lance fu sicuro di aver sentito male.
«Lydia? Perché Lydia?» chiese Katherine.
Silas li guardò. «Perché, non l’avete vista?» chiese stupito «Pensavo che fosse qui. Ho visto che là c’è Selwyn.» indicò un ragazzino con un pigiama decorato con boccini d’oro e una sciarpa Serpeverde attorno al collo, che stava ricevendo una sonora strigliata dalla Professoressa McGranitt in persona «Credevo che fosse con lui.»
«Lydia è qui? Ad Hogwarts?» chiese Lance con un filo di voce, incapace di credere che fosse la realtà.
Ma Silas annuì. «L’abbiamo incontrata durante la battaglia. Eravamo al quarto piano, Selwyn ci stava inseguendo quando è esploso tutto. E quando l’abbiamo cercata non c’erano più né lui né lei, abbiamo pensato che lo avesse portato al sicuro…E poi Voi-Sapete-Chi ha dichiarato la tregua e abbiamo dato per scontato che si sarebbe diretta qui con il ragazzino.» La consapevolezza dipinse il suo volto di orrore «Ma se non l’avete vista…»
Lance scattò di nuovo in piedi e questa volta riuscì a rimanerci senza il sostegno di nessuno. Un nuovo obiettivo era marchiato nella sua mente. «Dobbiamo trovarla.»
Duncan cercò di alzarsi a sua volta, senza riuscirci. «Non se ne parla neppure. Non sappiamo dove sia! Potrebbe essere ovunque. L’ha detto anche Silas, il castello è enorme e metà è inagibile, ci metteremmo ore a setacciarlo tutto, un tempo che il Signore Oscuro non ci concederà.» parlava in fretta, le parole che si accavallavano una con l’altra, per timore che suo fratello decidesse di compiere qualche pazzia «Oppure potrebbe essere già tornata a casa!»
Dorian affiancò immediatamente il figlio. «Adesso vi riportiamo a casa, poi io, Katherine, Silas, Cyril e Nikolas cerchiamo lei e Johan.» sentenziò.
«No!» ruggì Lance. «Perché sarebbe tornata a casa se la battaglia non è ancora finita?»
«Perché è quello che dovremmo fare anche noi!» sbottò Duncan.
«La conosci, non se ne andrebbe mai. Se anche avesse avuto l’intenzione di andarsene dal castello, ha visto Silas e Cyril, sono stati separati da un’esplosione, non se ne sarebbe mai andata senza accertarsi che siano sani e salvi. E non lo farò neppure io. È scomparsa da settimane, non mi impedirete di trovarla adesso che è così vicina.»
«Ma potrebbe essere ovunque, e la tregua è quasi scaduta!»
«E allora setacceremo tutto il castello se sarà necessario! Ogni torre, ogni nicchia, ogni passaggio segreto!» urlò Lance «Non me ne vado senza di lei!»
Lance non scoprì mai cosa avrebbe risposto la sua famiglia.
Perché una voce viscida e strisciante sovrastò ogni altra. Lance la sentì sul collo, e gli provocò una sensazione di disgusto su tutto il corpo, mentre brividi di puro terrore si diffondevano nei suoi nervi. Lo stesso avvenne per ogni creatura umana o magica presente nella Sala Grande.
E la voce pronunciò le parole che nessuno di loro avrebbe mai voluto sentire.
«Harry Potter è morto.»
Ogni speranza moriva con lui.
«È stato ucciso. Stava fuggendo, per mettersi in salvo mentre voi davate la vita per lui.»
Una menzogna.
«Vi portiamo il suo corpo a dimostrazione che il vostro eroe è caduto.»
«Abbiamo vinto la battaglia. Avete perso metà dei vostri combattenti. I miei Mangiamorte vi superano in numero e il Ragazzo Che È Sopravvissuto è morto. La guerra deve finire. Chiunque continui a resistere, uomo, donna o bambino, verrà ucciso insieme a tutti i membri della sua famiglia.» Lance guardò le persone che amava, strette al suo fianco. «Uscite dal castello, ora, inginocchiatevi davanti a me e verrete risparmiati. I vostri genitori e i vostri figli, i vostri fratelli e sorelle vivranno e saranno perdonati, e vi unirete a me nel nuovo mondo che costruiremo insieme.»
La voce di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato si spense.
Ed esplose il panico.
Tutti coloro che erano ancora in grado di camminare si affrettarono verso le porte d’ingresso, tra l’incredulo e il disperato. Non poteva essere vero, la loro storia non doveva finire così. Harry Potter non poteva essere davvero morto.
«Dobbiamo andarcene.» Il tono di Duncan non ammetteva repliche. Era finita. Avevano solo pochi istanti prima di cadere nelle grinfie dei Mangiamorte.
Silas scattò in piedi. «No! Possiamo ancora combattere! Potter è morto? E allora?» Gettò il cilindro a terra «Combatteremo in suo nome, ma non ci arrenderemo proprio adesso. Se lo faremo non saremo mai liberi. Dovremo vivere costantemente nella paura, con il terrore che ci portino via gli uni dagli altri. Se non combatteremo non troveremo mai papà.» Lance non lo aveva mai visto così deciso in vita sua.
Il resto della sua famiglia iniziò a parlare a raffica, coprendosi l’uno con l’altro.
«Silas ha ragione.»
«È tutto finito.»
«Dobbiamo scappare finché siamo in tempo!»
«La battaglia non è ancora terminata. L’Ordine della Fenice è composto da alcuni dei più grandi maghi della Gran Bretagna, e finché loro combatteranno allora avremo ancora una possibilità.»
«Kate! Se neanche Harry Potter è riuscito a sconfiggerlo come possiamo farlo noi!? Dobbiamo tornare a casa e difenderla finché riusciamo! E… Lance!»
Ma Lance era già lontano. Era stato un gioco da ragazzi approfittare dell’inevitabile discussione della sua famiglia per sgattaiolare via. Sentì altre urla, e passi affrettati nella sua direzione, ma continuò imperterrito sulla sua strada, senza voltarsi nemmeno un’ultima volta verso la sua famiglia, nel timore di perdere secondi preziosi. Gli bastò uscire dalla Sala Grande e mischiarsi tra la gente per evitare il rischio di essere raggiunto e costretto ad andarsene da Hogwarts, che lui lo volesse o meno. E lui non lo voleva, non quando Lydia era così vicina.
Una vera e propria calca affollava il portone d’ingresso, bloccando la strada che portava ai piani superiori, e costringendo così Lance a rallentare il passo e spingere da parte le altre persone per riuscire a superarle. Udì delle voci e urla provenire da fuori, ma era troppo lontano e non riusciva a distinguerne le parole. L’unico suo obiettivo era superare la folla e correre verso il quarto piano. Era lì che Silas e Cyril avevano visto Lydia l’ultima volta e avrebbe iniziato proprio in quel punto la sua ricerca. Non se ne sarebbe andato senza di lei. Non l’avrebbe abbandonata di nuovo.
Un boato esplose improvvisamente nella folla, spaventando Lance. Si guardò attorno per capire cosa lo avesse provocato, strizzò gli occhi e riuscì ad intravedere la scena che si stava svolgendo nel giardino.
Per la prima volta nella sua vita, Lance vide il Signore Oscuro.
Un brivido di terrore puro lo attraversò alla vista di quello che un tempo doveva essere stato un uomo, la cui umanità si era persa nel potere del male.  E poi lo sguardo di Lance fu attirato da una figura solitaria che si trovava nello spazio vuoto tra i difensori di Hogwarts e i Mangiamorte. Da quella distanza non riusciva a capire di chi si trattasse, vide solo che Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato gli calò in testa un fagotto. Lance strizzò gli occhi per riuscire a distinguere qualche dettaglio e li sbarrò quando si accorse che il fagotto non era altro che il Cappello Parlante, a cui il Signore Oscuro diede fuoco.
Quello che accadde in seguito, Lance non riuscì a vederlo. Esplose il caos e si trovò strattonato dalla folla urlante, impossibilitato a muoversi in qualsiasi direzione. Nell’agitazione, qualcuno urtò la sua mano ferita e neanche le erbe di Ers riuscirono a coprire l’immensa fitta di dolore che la attraversò. Lance si trovò piegato in due, boccheggiante, la mano stretta al petto e incapace di muoversi proprio mentre la folla iniziava ad indietreggiare. Sarebbe rimasto schiacciato se Katherine non lo avesse afferrato e costretto a seguire i movimenti delle altre persone. «Vuoi farti ammazzare!?» Sempre lasciandosi guidare dalla fiumana di gente, riuscì a dirigersi verso un angolo della Sala d’Ingresso, strattonando Lance per costringerlo a seguirla, ma la folla aveva altri piani per loro. Sia difensori di Hogwarts che Mangiamorte stavano entrando alla spicciolata nel castello e le maledizioni iniziarono a volare in tutte le direzioni. Lance alzò la bacchetta con la mano destra ed innalzò un debole scudo. Katherine spedì due incantesimi talmente veloci che i Mangiamorte non si accorsero neppure da che parte fossero provenuti, prima di cadere a terra e venire calpestati dai loro compagni. Nel frattempo, continuava a stringere il braccio di Lance, per paura di perderlo. «Torniamo nella Sala Grande.» Non avevano altra scelta. Sarebbe stato impossibile attraversare la Sala d’Ingresso e raggiungere la scalinata.
«Lance! Kate!»
Lance cercò Silas nella folla, senza vederlo. Si alzò in punta di piedi, la mano sinistra ancora stretta al petto, ma vide solamente una donna venire scagliata indietro da una maledizione, proprio verso di lui, travolgendolo e facendolo cadere a terra, separandolo così da Katherine.
Sul gelido pavimento, Lance si strinse su se stesso, nel tentativo di non essere calpestato.
«Lance! Lance!» La voce di Katherine diventava sempre più lontana, la folla la stava trascinando via da lui.
Per un attimo, Lance si sentì invadere dal panico. Era a terra, in mezzo a combattenti che stavano cercando di uccidersi a vicenda, con una mano distrutta e la certezza di stare per morire. Qualcuno inciampò su di lui, colpendolo alle costole nella caduta. Lance provò due volte ad alzarsi, ma ad ogni tentativo c’erano altre persone che lo rispingevano a terra. Strinse la bacchetta nella mano destra ed in preda al panico bisbigliò «Aetheris!» Un muro d’aria si creò attorno al suo corpo, proteggendolo dagli urti. Con un sospiro di sollievo, fece leva sul braccio sano per riuscire finalmente ad alzarsi.
«Kate! Silas!» Ma di loro nessuna traccia.
Il suo grido attirò invece l’attenzione di un’altra persona.
«O’Brien!» Lance riuscì ad evitare a stento la Maledizione del giovane ragazzo dai capelli grigi.
Il ragazzo lo guardava con odio, e Lance si sentì spaesato nel trovarsi di fronte a così tanta ira nei suoi confronti da parte di qualcuno che lui neppure conosceva. Ma una cosa che aveva imparato quella notte era che esitare poteva essere l’errore più grave, e l’ultimo, della sua vita.
«Stupeficium!» Il ragazzo brizzolato deviò l’incantesimo con un colpo di bacchetta, il lampo di luce si perse nella cacofonia di colori che riempivano la sala d’Ingresso, mentre continuava ad avvicinarsi minaccioso a Lance, tenendolo sotto tiro. «Dove sono Isaac, Aiden e Blake!?» urlò, sputando saliva.
Lance lo guardò stupito. «Perché mai dovrei saperlo?»
«Perché stavano inseguendo la tua amichetta e non sono più tornati.» ringhiò il ragazzo.
La sua amichetta. Lydia. Stavano inseguendo Lydia.
E all’improvviso, Lance ricambiò l’odio che il ragazzo provava nei suoi confronti. «Stupeficium!» Il suo incantesimo fu talmente potente da far volare il ragazzo per mezza Sala d’Ingresso, fino ad atterrare addosso ad un gruppetto di Mangiamorte che stava attaccando alcuni studenti.
Lydia era stata inseguita da Mills, O’Neill e Moore. Nessuno di loro aveva fatto più ritorno.
Doveva trovarla. Subito.
Tentò di lanciarsi verso la scalinata, ma aveva ormai raggiunto le porte della Sala Grande e prima che potesse sfuggire alla folla, si ritrovò incastrato contro la parete della stanza. Si guardò attorno frenetico alla ricerca di una via di fuga e si accorse che tutti i combattenti si erano assiepati lungo le pareti ed assistevano agli scontri che avvenivano al centro. Vide Katherine e Silas alla parete opposta. Non c’erano tracce di Duncan e di suo padre. Dovevano essere rimasti sulla pedana.
«Harry!» L’urlo riportò l’attenzione di Lance al centro della Sala Grande. E vide l’ultima cosa che avrebbe mai immaginato.
Harry Potter, vivo, che fronteggiava Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato.
Quello che accadde in seguito, Lance non riuscì a comprenderlo.
Harry Potter e il Signore Oscuro parlarono a lungo, di concetti che Lance non conosceva. Di Horcrux, di protezioni. Di Albus Silente, e di Severus Piton. Della Bacchetta di Sambuco. Nulla che avesse importanza per lui, non in quel momento. La sua mente era impegnata a cercare una via di fuga che lo conducesse fuori da lì. Lontano dalla battaglia. Che lo portasse da Lydia. Perché ora ne era sicuro: era in pericolo e lui aveva già sprecato troppo tempo. Doveva andare da lei, doveva trovarla. Doveva scusarsi per averla abbandonata dopo la morte di Paul. Anzi, da prima ancora, da quel maledetto giorno in cui lei non aveva più risposto alle sue lettere e lui si era convinto che se era quello che Lydia voleva, allora avrebbe potuto solo accettare la sua decisione. Come sarebbe stata diversa la loro vita se Lance avesse avuto il coraggio di chiederle di restare con lui.
Lance chiuse gli occhi disperato.
Tutti i rimpianti e le paure degli ultimi anni gli crollarono addosso, lasciandolo senza fiato.
E poi tutto finì.
Due incantesimi.
Due lampi di luce.
Una bacchetta che volteggiava nell’aria.
 
Un corpo cadde a terra.
E l’alba illuminò la Sala Grande.
Voldemort era morto.
La guerra era finita. 
 
Ma non per Lance.
 
La Sala Grande esplose in urla di gioia e di trionfo. E Lance diede le spalle a tutto questo, intenzionato a riprendere la sua ricerca.
«Lance! Lance!»
Accelerò il passo.
«Lance! Aspetta!»
La gente si abbracciava, lacrime di commozione inondavano i volti. La stanchezza era stata per un momento dimenticata. Ma non il dolore. Troppi erano morti quella notte.
«Lance!» E finalmente Duncan riuscì ad afferrarlo per il colletto della felpa e a fermarlo.
Lance si torse per sfuggire alla sua presa. «No!» urlò «Lei è là fuori e non ho intenzione di fermarmi fino a quando non l’avrò trovata.»
Duncan si limitò a fissarlo. Katherine, con un braccio del marito attorno al collo per tenerlo in piedi, alternava lo sguardo preoccupato tra i due fratelli.
«Volevo solo dirti che vengo con te.»
Lance rimase spiazzato dalla risposta del fratello. «Come?» balbettò.
«Vengo con te a cercare Lydia. Silas, Cyril e Nik sono già partiti alla ricerca di lei e Yorgenben, papà sta aiutando quelli che sono stati colpiti dalle maledizioni del Signore Os… di Voldemort.» Lance sbirciò la pedana in fondo alla Sala Grande e si accorse che la fila dei feriti stava crescendo a dismisura. Intravide suo padre che correva da una parte all’altra. «Io invece vengo con te a cercare Lydia.»
Lance non riuscì a trattenersi dal lanciare un’occhiata alla gamba spezzata di Duncan. «Posso camminare.»
«Mi rallenteresti.»
«Potrebbero esserci altri Mangiamorte in giro per il castello.»
«Riesco a difendermi da solo.»
«Non se ne parla neppure.»
«Non mi hai visto prima! Ho sconfitto un Mangiamorte con un solo incantesimo.»
«Non mi interessa. O vengo anche io o tu non ti muovi da qui!»
«Ma la volete smettere!?» I due fratelli si voltarono verso Katherine, che aveva perso completamente la pazienza. «Lance, Duncan vuole aiutarti perché in fondo vuole ritrovare Lydia tanto quanto te. Duncan, per una volta potresti ammettere che sei contento che Lance non si è fatto ammazzare gettandosi in battaglia con una mano squarciata.»
«Non è squarciata…» provò a borbottare Lance, prima di essere zittito da un’occhiata di sua cognata.
«Quindi ora voi due andate insieme a cercare Lydia. Io vado a casa. Rose e Caitlin saranno preoccupate da morire per noi. E i genitori di Lydia devono sapere che loro figlia è stata vista al castello e che la stiamo cercando. Vado, li informo della vittoria e torno subito qui ad aiutarvi. Siamo intesi?»
Non li lasciò neppure il tempo di annuire che aveva già scaricato Duncan sulle spalle di Lance ed era scomparsa nella folla.
Duncan aggiustò imbarazzato il braccio attorno al collo del fratello. «E comunque sono davvero contento che non ti sei fatto ammazzare.»
Lance si concesse un breve sorriso. «Anche io, Duncan. Anche io.»
 
 
Galleggiava in un cielo senza stelle.
Nessuna stella. Nessun dolore. Nessuna luce.
L’alba era ancora lontana.
 
 
«Dovrebbe essere qui intorno. Il ragazzo ha detto che era qui. Silas e Cyril hanno detto che era qui!» Lance si mise le mani nei capelli. Erano ore che stavano cercando. O almeno così gli sembrava.
Duncan si appoggiò con un sospiro al suo bastone improvvisato. Durante la loro ricerca si erano imbattuti in un albero sradicato in mezzo ad un corridoio semi distrutto. L’ipotesi più probabile era che un gigante l’avesse usato come arma. Duncan ne aveva strappato un ramo e aveva proseguito come se nulla fosse, anche se Lance si accorgeva di quanto gli costasse ogni passo. Aveva provato solo una volta a convincerlo a tornare indietro. Aveva subito compreso che Duncan non lo avrebbe mai abbandonato fino a quando non avessero trovato Lydia. Lance si era sentito sollevato al pensiero. Non sarebbe riuscito a rimanere da solo. Perché ad ogni minuto che passava, l’ansia e la preoccupazione lo divoravano sempre più. Ad ogni aula o corridoio setacciato, una fredda sensazione si diffondeva dentro di lui. L’ultima volta che era stata vista, Lydia era inseguita da Mangiamorte. Solo la presenza di Duncan impediva a Lance di cadere nella disperazione.
I soccorritori erano giunti ad Hogwarts. Guaritori del San Mungo e semplici volontari stavano setacciando il castello, alla ricerca di vittime e feriti. Ad ogni pochi passi, Lance e Duncan erano costretti a farsi da parte per lasciare passare le barelle.
«La troveremo, Lance. Ti prometto che la troveremo.»
 
Il mondo non doveva essere così scuro.
Così solitario.
Così opprimente.
Provò ad allungare una mano.
E così Lydia si accorse di non stare respirando.
 
«Avete notizie?»
I volti di Duncan e Lance furono una risposta sufficiente. Katherine strinse loro le mani. «Ce la faremo. La troveremo.»
Duncan lanciò uno sguardo preoccupato verso Lance, il cui volto teso tradiva l’angoscia in cui si trovava. Scambiò un’occhiata con la moglie, il messaggio nei suoi occhi era chiaro. Però non disse nulla. Non voleva essere lui a distruggere suo fratello.
«Come stanno a casa?» chiese invece.
«Stanno tutti bene. Caitlin voleva venire a darvi una mano, mi ha implorata di portarla qui. Voleva aiutarci a cercare…» Katherine sospirò «I genitori di Lydia mi hanno chiesto la stessa cosa, ma ho detto loro che qui non è sicuro. Non si sono arresi, sanno essere testardi tanto quanto loro figlia, ma sono riuscita a convincerli dicendoli che Lydia potrebbe non sapere che la stiamo cercando e tornare a casa O’Brien da loro.»
Lance si rianimò. «Ma hanno ragione! Lydia potrebbe essere tornata a casa! Sa che i suoi genitori sono lì, magari è corsa a cercarli!»
Era altamente improbabile, sia Duncan sia Katherine lo sapevano. Lydia era stata avvisata che loro erano lì al castello, e come aveva detto Lance stesso durante la tregua, lei non se ne sarebbe mai andata senza accertarsi che fossero tutti sani e salvi.
«Hai visto gli altri? Hanno trovato Yorgenben?» chiese invece Duncan. Non avevano più avuto notizie da parte dei loro cugini o del padre.
Il viso di Katherine si adombrò. «Li ho visti… giù nella Sala Grande.»
Non ebbe bisogno di aggiungere altro. Duncan e Lance compresero le parole che gravavano nell’aria.
«Ma adesso dobbiamo solo pensare a trovare Lydia. Potremmo usare un incantesimo di localizzazione…» tentò di proporre Katherine.
Duncan scosse la testa. «Ci abbiamo già provato, ma continua a mandarci fuori strada. Stanno cercando dispersi in tutto il castello, ci sono talmente tanti incantesimi di localizzazione attivi che si stanno intrecciando tra loro e si impediscono a vicenda di funzionare.»
«Avete provato anche il Reperio Vinculus?»
Duncan aggiustò la presa sul ramo. «Dici che potrebbe funzionare?»
«Possiamo almeno provarci. Ci serve un oggetto che appartenga a Lydia, però. O che almeno le sia legato.»
Un guizzo si accese negli occhi di Lance. Infilò la mano sana nella tasca della felpa e le sue dita si strinsero attorno ad un piccolo oggetto. Quando era corso in camera per prepararsi alla battaglia, era stato naturale per lui decidere di portarlo con sé. L’oggetto e tutto quello che rappresentava.
«Può funzionare se è qualcosa che mi ha regalato lei?»
«Teoricamente sì.»
E Lance estrasse la piuma dalla tasca.
La stessa piuma che tutti loro possedevano. Lance, Lydia, Alice, Paul. L’aveva portata in battaglia perché così sarebbe stato come averli lì al suo fianco, a combattere insieme il mondo intero come avevano sempre fatto. Ed ora lo avrebbe riportato da lei.
All’ordine di Katherine, la piuma di sollevò a mezz’aria. Roteò debolmente su se stessa. E poi partì a tutta velocità.
 
Lydia non respirava.
Era tutto troppo.
Troppo buio.
Troppo soffocante.
Troppo pesante.
 
La piuma volò e volò. Superò scale, passaggi segreti, nicchie e arazzi. Superò feriti e morti. Cieca a tutto il dolore che la circondava, li guidava verso la fine o l’inizio della storia.
 
Lydia voleva urlare.
Ma non c’era voce dentro di lei.
L’oscurità era eterna.
Voleva vedere l’alba.
Doveva vedere l’alba.
 
E poi la piuma si fermò. Rimase a mezz’aria, prima di cominciare a fluttuare verso terra. No, non a terra. Su cumuli. Di calcinacci e pietre. E il significato di quello che si trovava davanti ai loro occhi piombò sui cuori dei tre ragazzi che l’avevano inseguita. Senza aspettare un secondo di più, si gettarono a terra e cominciarono a scavare.
Alcuni soccorritori di passaggio si fermarono e, compreso ciò che stavano cercando, si affrettarono ad aiutarli, muovendo le rovine con esperti colpi di bacchetta. Furono loro i primi a trovare qualcuno.
«Non respira.»
Un terrore cieco si impadronì di Lance. Si paralizzò, incapace di voltarsi a guardare.
«Non è lei.» disse Katherine. E Lance riuscì di nuovo a respirare. Azzardò uno sguardo e intravide il corpo di Mills prima che i soccorritori lo coprissero con un telo. Erano vicini. Lance lo sapeva. E scavò con tutte le sue forze.  Imprecò per la sua stessa lentezza dovuta alla mano paralizzata. Doveva trovarla, doveva trovarla. Schegge di legno e vetro graffiavano il suo corpo, ma non si sarebbe arreso. Non quando lei era così vicina. Non quando…
«Lance?» Lance si immobilizzò di nuovo. La voce era stata flebile. Doveva averla immaginata. Scosse la testa e ricominciò a scavare. E si accorse che gli altri si erano fermati.
«Lance.»
Lance si girò lentamente, certo che la sua mente stesse giocando con lui. Poi la vide.
Aveva il viso ricoperto di sangue, si appoggiava al muro per rimanere in piedi e tremava. Ma era lei. Era davvero lei.
«Lydia.» espirò Lance.
L’attimo dopo la stringeva a sé.
La mano urlò di dolore quando avvolse Lydia tra le sue braccia, ma non gli importava. Nulla aveva più importanza. L'aveva ritrovata. E non l’avrebbe più lasciata.
Lydia nascose il viso nell’incavo del suo collo. «Ero sotto… il muro è esploso… sono riuscita a uscire, ma non sapevo… mi sono nascosta…»
«Va tutto bene. Va tutto bene.» continuava a ripetere Lance, cercando di convincere anche se stesso.
La guerra era finita.
Sarebbe andato tutto bene.
Qualcuno lo afferrò per la spalla e lo costrinse a separarsi da Lydia. Avrebbe protestato se non fosse per la scena improbabile che gli si parò davanti.
«Sono davvero felice che tu sia viva.» disse Duncan, e strinse Lydia in un abbraccio.
Lydia si lasciò sfuggire un sorriso stanco. «Anche io sono felice di vederti, Duncan.»
«Per fortuna l’incantesimo era sbagliato.» sospirò Duncan.
«Non era sbagliato. C’è davvero qualcuno qui.» Katherine indicò un punto nelle macerie, proprio sotto la piuma. I soccorritori si avvicinarono e si affrettarono a liberare chiunque vi si trovasse.
Lance lo riconobbe.
Blake Moore.
Lydia si strinse di nuovo tra le braccia di Lance.
«La piuma deve essersi confusa. È stata Lydia a regalarmela, non Moore.»
«L’incantesimo cerca la persona che ha un legame significativo con l’oggetto.» Katherine si allontanò di un passo, per lasciare spazio ai soccorritori.
«Lui non ha un legame con la mia piuma, almeno non che io sappia.»
Lydia fissava il volto esanime di Moore. «Con la tua forse no, ma con la fine della mia sì. E in un modo o nell’altro, siamo tutti connessi. Siamo tutti parte della stessa storia.»
Un soccorritore esaminò il corpo di Blake, un esile fumo verde fuoriuscì dalla punta della sua bacchetta. «È vivo.»
«Ed è un Mangiamorte.» rispose un altro, sollevando un lembo del mantello che lo avvolgeva «Ci sono troppi feriti. Prima dobbiamo occuparci dei nostri.»
Lydia inspirò velocemente. «Mi ha salvato la vita.» E non aggiunse nient’altro. Il suo sguardo era vuoto, e questo spaventò Lance più delle sue ferite. I soccorritori si guardarono tra loro indecisi, ma dovettero credere alle parole di Lydia perché invocarono una barella dal nulla e vi caricarono Blake. Lydia distolse lo sguardo quando passarono accanto a loro.
 
Lydia sapeva cosa si stavano chiedendo Lance, Duncan e Katherine. Sapeva che erano curiosi riguardo a quello che era successo. Alla battaglia, alle settimane precedenti. Ci sarebbe stato tempo per le spiegazioni. Ci sarebbe stato tempo per raccontare. Per guarire. Per imparare di nuovo a vivere.
Avrebbero dovuto aspettare.
Perché c’era solo una cosa che Lydia voleva fare da quando si era svegliata sotto le macerie. Da quando aveva scavato urlando e graffiandosi le dita per liberarsi.
Il muro esterno era completamente distrutto. Da dove si trovavano potevano vedere tutto il parco. Le montagne che circondavano la valle, il Lago Nero, la Foresta Proibita. Alcuni uccellini cinguettavano in lontananza, mentre rondini attraversavano leggiadre il cielo terso. Il mondo si stava svegliando.
Lydia si sedette a terra. Lance alla sua sinistra. Duncan e Katherine a destra.
Erano di nuovo insieme.
A guardare il sole di un nuovo giorno illuminare un mondo libero.
 
 

FINE TERZA PARTE





 
 
Note: E siamo arrivati ufficialmente alla fine della terza (e ultima) parte di "Piume di Cenere"!
La battaglia è stata vinta, la guerra è terminata ma la storia non è ancora finita. C'è ancora molto da raccontare, vite intere da ricostruire, e per questo vi do appuntamento a giovedì prossimo con l'inizio della parte finale, che si articolerà in tre nuovi capitoli più l'epilogo.

Vi ringrazio di cuore per il vostro supporto, spero che la storia vi sia piaciuta e spero nello stesso modo che possa piacervi anche la lunga conclusione che ho in serbo per voi <3
Se volete lasciare una piccola recensione sappiate che mi regalereste una grandissima gioia, sarei troppo curiosa di scoprire quale tra le tre parti vi è piaciuta di più, così come i vostri pensieri sui protagonisti di questa storia... spero che siano riusciti ad entrare nel vostro cuore come hanno fatto nel mio <3

Grazie davvero per tutto e alla prossima settimana <3 
Un abbraccio,
Emma Speranza



'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere

 

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 - Il prezzo della vittoria ***


Epilogo

Capitolo 37
Il prezzo della vittoria

 

 
Lydia Merlin avrebbe dato qualsiasi cosa pur di poter tornare a casa. Aveva però solo un unico problema. Non sapeva neppure lei quale fosse la sua casa ormai.
Per tutta l’infanzia aveva chiamato casa una piccola villetta a schiera in cui viveva circondata dall’amore dai suoi genitori.
Negli anni dell’adolescenza invece, aveva considerato casa un castello che sembrava uscito direttamente dalle fiabe, in cui aveva vissuto avventure straordinarie insieme ai suoi più cari amici.
Mesi prima, aveva pensato che la villetta di sua nonna sarebbe diventata la sua nuova casa.
Ma si era ritrovata in un palazzo, circondata da protezioni magiche, da una famiglia che non era la sua e da bambini che le avevano regalato i loro cuori.
Infine aveva vissuto in un piccolo appartamento, con un ragazzo che aveva perso, come lei, il suo posto nel mondo.
Ma la guerra si era presa tutto.
La villetta dei suoi genitori era stata abbandonata.
Il castello era in rovina.
La casa di sua nonna era stata accerchiata dai nemici.
Nel palazzo era stata fatta sentire come un’intrusa.
L’appartamento si era rivelato una prigione.
E Lydia si sentiva completamente persa.
 
Solo la presenza di Lance al suo fianco le permise di percorrere i corridoi intrisi di distruzione e dolore.
Solo la guida di Katherine e Duncan la aiutò a camminare sulla via che portava lontano dalla scuola.
Solo la Materializzazione del Signor O’Brien la fece apparire davanti a Casa O’Brien.
Casa O’Brien.
Quanto le era mancato quel posto.
Il giardino, l’orto, la torretta, le grandi finestre che si affacciavano sulla foresta che ne circondava i confini.
E poi si bloccò. Incapace di percorrere un altro passo.
Perché in quello stesso giardino vi erano i suoi genitori e sua nonna, sani e salvi, al sicuro da ogni male, e subito dopo comparvero decine di bambini. Urlavano, saltavano di gioia, gridavano i loro nomi. Neppure i richiami della signora O’Brien riuscivano a scalfire il loro entusiasmo. Perché la guerra era finita. E nell’immaginazione dei bambini non vi era comprensione del dolore e del lutto, solo della felicità per la sconfitta del cattivo e del ritorno dei loro eroi.
Il signor O’Brien spalancò i cancelli e Lydia si inginocchiò nel prato, lasciando che fossero i bimbi a correre da lei. Le manine si allungarono e Lydia si trovò stretta da tutti loro, in un abbraccio intriso di un amore puro che solo i bambini potevano donare. Lydia strinse a sé ognuno di loro.
Beatrix, Edrik, Mike, Matthew, Lucas, Jack, Elinor. Emily, Amelia, William, Elise, Bethany, Christine. Alexander, Jodie, Aiden, Edith, Ryland, Leonard. Lizzie, Tristan, Ewart. Simon, Daniel… Henry.
L’abbraccio di Henry fu l’ultimo, e quello che durò più a lungo. Lydia non riuscì a dire nulla, ma stringendolo a sé, cercò di riversare in quella stretta tutte le parole che non aveva il coraggio di pronunciare di persona. Che le dispiaceva, per averlo messo in pericolo, per averlo lasciato quando lui aveva più bisogno della sua presenza. Per non averlo capito, per averlo allontanato fin troppe volte. E la gratitudine che provava nei suoi confronti, per aver avuto fiducia in lei quando era troppo ferita per credere ancora nella vita.
Qualcuno la costrinse a rialzarsi. Era Caitlin. Lacrime le scorrevano sul viso. Stava pronunciando parole di scuse, ma Lydia non riusciva a comprenderle. Strizzò gli occhi, accorgendosi che le labbra di Caitlin continuavano a muoversi, ma nessuna voce giungeva alle sue orecchie, solo un fischio lontano. Anche i bambini si erano fatti silenziosi. Tutta la gioia era ancora presente, ma per Lydia era composta solo da silenzi.
Fu a quel punto che svenne.
 
«Bah. Non avete proprio fantasia, voi maghi.» Lydia socchiuse un occhio «È da giorni che questo inutile giornale blatera le stesse identiche notizie.» Sua nonna girò con rabbia una pagina della Gazzetta del Profeta che teneva posata sulla gambe, rischiando di strappare la carta sottile. «Nuovo Ministro, sanzioni, vittoria. Se non fosse per gli articoli di Katherine sarebbe carta straccia.» Lydia sbadigliò e si stiracchiò, prima di ricordarsi delle costole contuse e del fatto che si sentiva costantemente come se fosse stata calpestata da una mandria di ippogrifi impazziti.
«Sono rimasti a corto di personale, è normale che ripetano le stesse notizie per colmare i vuoti.» rispose Lance, senza distogliere lo sguardo dalla pallina che teneva in equilibrio sul palmo fasciato della mano sinistra. La fronte era corrugata, gocce di sudore scivolavano dalle sue tempie, ma nonostante lo sforzo, le dita rimasero immobili, tranne per il perpetuo tremolio involontario. Un lampo di delusione gli adombrò il volto, subito rimpiazzato da una finta indifferenza. «A proposito, Kate ha scritto che neanche stasera torna per cena, quindi tenetevi lontani da Duncan per le prossime ventiquattro ore.»
«Niente di più facile.» rispose Lydia sovrappensiero.
«Quel ragazzo borbotta troppo, parola mia.» borbottò la nonna, sistemandosi meglio sulla sua poltroncina.
A Lance sfuggì una risata.
«Cosa c’è da ridere, ragazzo?»
Al rimprovero della nonna, Lance impallidì, possibilità che Lydia pensava impossibile considerando il perpetuo pallore della sua pelle negli ultimi giorni, e si affrettò a ricomporsi. «Niente, signora, niente.»
La nonna sbuffò. «Peccato. Avevo proprio voglia di farmi una bella risata.»
Lydia non riusciva ad abituarsi alla sua nuova realtà. Le sembrava surreale trovarsi in una stanza in presenza sia di Lance che di sua nonna. Era come se i due, nella sua testa, fossero sempre appartenuti a due mondi diversi, incompatibili tra loro, anche se, dopo tutto quello che aveva scoperto nell’ultimo anno, forse quegli stessi mondi non erano poi così lontani come aveva sempre pensato.
«I tuoi genitori hanno scritto una lettera. L’ennesima.» si lamentò la nonna. «Quei due sono troppo protettivi, continuerò a ripeterlo anche nella tomba.»
Lance dovette immaginarsi la scena perché Lydia lo vide rabbrividire. Un tenue sorriso le arricciò le labbra, ma durò il tempo di un battito di ciglia prima di spegnersi.
«Sono solo preoccupati.» si costrinse a dire «E ho promesso loro che avrei scritto due volte al giorno. Ieri devo essermi addormentata prima di riuscire a spedire la lettera serale… mi sa che sono nei guai…»
«L’ho spedita io.» Lance appoggiò nuovamente la pallina sul palmo della mano «Ho riferito che stai bene e che stai rispettando l’ordine di riposo assoluto.»
«Oh. Grazie.»
«Anche se forse lo stai rispettando un po’ troppo.»
Lydia finse di non sentire.
«Dovresti rispettare anche tu la prescrizione del guaritore, giovanotto. Ero presente anche io quando ti ha detto di evitare di sforzare la mano.» Detto questo, la nonna requisì la pallina di Lance, lasciandolo a mani vuote e con un’espressione corrucciata «E non guardarmi come un cane bastonato. Contegno, ragazzo mio, contegno.»
Lance strinse le labbra e raddrizzò la schiena.
Lydia avrebbe voluto dire a sua nonna di smettere di torturarlo, essendo sua nipote ed avendo dovuto affrontare lei stessa i tormenti della nonna per anni, riusciva chiaramente a identificare il luccichio divertito che accendeva i suoi occhi ogni volta che inventava un nuovo modo per rispondere a Lance, ma se sua nonna si divertiva, allora non le avrebbe rovinato anche quell’unico svago.
Il silenzio calò di nuovo sulla stanza, mentre ognuno di loro tornava alle proprie occupazioni. La nonna a leggere il giornale, Lance a provare a stringere la presa attorno ad un’altra pallina estratta di nascosto dalla tasca, cercando al contempo di non farsi vedere dalla nonna stessa, e Lydia a perdersi nei suoi pensieri mentre combatteva il perpetuo mal di testa.
Ancora non riusciva ad abituarsi a quei momenti di calma assoluta, non dopo le ore di terrore che tutti loro avevano vissuto durante la battaglia di Hogwarts. Era come se il silenzio fosse diventato innaturale, soprattutto considerando che quella stessa quiete sembrava confinata alla sola stanza in cui si trovavano. 
Il mondo infatti non si era fermato a respirare dopo la sconfitta di Voldemort.
Alcuni Mangiamorte erano riusciti a scappare e tutti gli Auror rimasti erano dispiegati alla loro ricerca, motivo per cui anche i bambini erano ancora tutti al sicuro nelle mura di casa O’Brien.
Il Ministero doveva essere ricostruito il prima possibile per evitare crisi costituzionali o prese di potere illecite.
I feriti erano innumerevoli, il San Mungo straripava di pazienti e i guaritori erano troppo pochi. Lance aveva spedito gran parte della loro scorta di pozioni curative all’ospedale. Avrebbe voluto fare di più, ma la sua mano continuava a rimanere immobile, sorda ad ogni sua richiesta, impedendogli anche solo di maneggiare un calderone.
Anche gli altri abitanti di casa O’Brien non avevano avuto tempo per riposare. Katherine era corsa alla redazione della Gazzetta del Profeta il giorno stesso della vittoria, per reclamare il posto che era stata costretta ad abbandonare mesi prima e rimettere insieme un giornale che era stato sottoposto per troppo tempo alla coercizione e alla censura.
I signori O’Brien e Caitlin erano impegnati nel doppio sforzo di custodire i bambini e di rintracciare i loro genitori e i famigliari ancora in vita, cercando allo stesso tempo di muoversi con cautela, nel timore che i Mangiamorte fuggiaschi potessero rintracciarli. Avevano già letto troppe notizie di innocenti morti per mano di maghi e streghe che rifiutavano la sconfitta del loro padrone, in una guerra che sarebbe dovuta essere finita.
I genitori di Lydia, invece, dopo essersi accertati che loro figlia stava bene ed era in mani sicure, erano dovuti tornare a casa della nonna. Quando erano stati attaccati e costretti a rifugiarsi a casa O’Brien, avevano dovuto lasciare tutto all’improvviso, tanto che i loro datori di lavoro e gli zii e i cugini di Lydia avevano denunciato la loro scomparsa. E così i suoi genitori avevano inventato una scusa per giustificare la loro scomparsa così improvvisa, composta principalmente dal trasferimento di Lydia in Italia per proseguire i suoi studi in un’università del luogo e di una sua improvvisa emergenza medica che li aveva costretti a trasferirsi lì per alcuni mesi insieme alla nonna. Ovviamente la menzogna non avrebbe retto senza un aiuto da parte del signor O’Brien, ma dai mazzi di fiori e cioccolatini che le erano stati recapitati con l’augurio di una pronta guarigione, sembrava che gli incantesimi confondenti di Dorian avessero funzionato.
L’improvviso scricchiolio della porta risvegliò Lydia dai suoi pensieri. Caitlin entrò nella stanza in punta di piedi. «Oh, siete svegli. Volevo solo controllare se vi serviva qualcosa.»
Ecco un’altra novità a cui Lydia non riusciva proprio ad abituarsi: la nuova versione di Caitlin. L’abbraccio che le aveva riservato al suo ritorno dalla battaglia di Hogwarts si era rivelato essere solo l’inizio. Caitlin era stata infatti la persona che si era presa cura di loro più di tutti, in quei giorni, assicurandosi che non li mancasse mai niente e avessero tutte le medicine e le pozioni di cui avevano bisogno. «Sono appena passata da Duncan ma stava borbottando sull’ingiustizia di dover stare chiuso in camera come un bambino e quindi sono scappata. Giuro che se la sua gamba non guarisce in fretta, Kate potrebbe ritrovarsi vedova e il suo bambino orfano di padre prima ancora di nascere.» Forse non era cambiata proprio così tanto.
«Dovevi vedere il povero guaritore quando l’ha informato che probabilmente la sua gamba non tornerà più come prima.» disse Lance, fissando la propria mano ferita come se potesse costringere le dita a chiudersi con la sola forza del pensiero.
«Non è lo stesso guaritore che ha detto a te di non sforzare troppo i muscoli e che tu hai definito un ‘incompetente totale, senza un briciolo di professionalità’?» Caitlin si avvicinò e gli rubò la pallina, facendola immediatamente sparire nella tasca della felpa.
«Ehi!» protestò Lance «E comunque sì, era un incompetente! Voleva somministrare a Lydia una tintura di Clemens. Lo sanno tutti che i prodotti a base di erba Clemens sono altamente sconsigliati per i pazienti con traumi cranici.»
Caitlin alzò gli occhi al cielo. «Non era poi così incompetente, le costole di Lydia sono migliorate grazie ai suoi rimedi, non è vero, Lydia?»
Lydia si limitò a fare un cenno di assenso, nonostante definire un miglioramento il dolore terribile che provava ancora era un eufemismo.
«E comunque Lydia è una paziente migliore di te e Duncan messi insieme. Il guaritore le ha ordinato una settimana di riposo assoluto e guardala, non si è lamentata mai, neppure una volta.» Lance si voltò davvero a guardarla, ma con l’espressione sul volto che le stava riservando sempre di più nelle ultime ore e che non piaceva affatto a Lydia.
«Tuo papà è tornato?» Lydia formulò la prima domanda che le venne in mente, nel tentativo di distrarre Lance.
Il volto si Caitlin si oscurò. «Sì.»
«E?» Almeno era riuscita nel suo intento. Lance ora fissava con la stessa preoccupazione sua sorella.
«E niente. Continuano a voler rimanere a casa loro. Papà ha detto che è impossibile convincerli del contrario.»
«Testardi.» borbottò la nonna, che fino a quel momento era sembrata troppo concentrata sul suo giornale per prestare loro attenzione e che invece aveva ascoltato ogni singola parola. «Sono dei testardi e cocciuti. Ma sembra che sia una prerogativa di ogni singolo O’Brien.» continuò squadrando Lance e Caitlin.
«Non siamo testardi. Siamo solo molto convinti quando prendiamo delle decisioni.»
«E non è la definizione di essere testardi?»
«No, è la definizione di non lasciare che altri impongano il loro punto di vista. È diverso.» rispose tranquillamente Caitlin. «E comunque non mi sembra che i Merlin siano molto diversi da noi.»
La nonna sbuffò, e Lydia non riuscì a capire se era infastidita o divertita. «In ogni caso quei due non dovrebbero stare soli. Nessuno dovrebbe stare da solo dopo una disgrazia del genere.»
Lydia sentì il cuore stringersi in una morsa a quelle parole e tutto ciò che rappresentavano. Perché sua nonna aveva ragione. Silas e Cyril avevano bisogno di tutto l’aiuto e il sostegno possibile dopo la disgrazia che li aveva travolti.
Lydia lo aveva scoperto solo in seguito, quando aveva ripreso conoscenza ore dopo la battaglia di Hogwarts. Era stato Lance a raccontarglielo, con la voce rotta e le lacrime che scivolavano sul suo viso sporco.
Lo zio Anthony non c’era più.
Le aveva raccontato dell’arresto avvenuto al Ministero la settimana prima, dei tentativi di Silas di scoprire la verità e il luogo in cui era trattenuto suo papà. E poi aveva continuato a raccontare. Rientrati a casa O’Brien, il padre di Lance aveva chiesto a Silas e Cyril di parlare da solo con loro.
Quando erano usciti dalla cucina, nulla era stato lo stesso.
Il padre di Lance aveva rivelato loro che durante la battaglia si era scontrato con suo cugino, lo stesso che era stato la causa della fuga della famiglia O’Brien dal mondo magico durante la prima Guerra dei Maghi e nella casa di campagna nella seconda. Il duello era stato agguerrito, e i ragazzi sospettavano che il signor O’Brien non avesse raccontato tutto ciò che era avvenuto, ma era stato costretto a dire loro della parte peggiore. Di come suo cugino si fosse vantato di tutto il male che aveva causato alla loro famiglia, di quanto si fosse sinceramente fidato di Anthony e di quanto fosse rimasto ferito nello scoprire che in realtà anche lui era un traditore del suo sangue. Disse di aver chiesto di essere presente al suo arresto, di avergli dato la possibilità di redimersi rivelando l’indirizzo del loro nascondiglio. Ma Anthony si era rifiutato, e tutti loro sapevano che non era stato solo il giuramento ad impedirgli di rivelare l’indirizzo di casa O’Brien. E infine il cugino aveva sostenuto di essere orgoglioso di aver fatto parte del plotone di esecuzione di Anthony.
Lo zio Anthony era stato ucciso per tradimento il giorno stesso del suo arresto.
Nessun processo, nessuna pietà.
Era stato ucciso e il suo cadavere gettato in una fossa comune.
Lydia non poteva neanche immaginare come dovessero sentirsi Silas e Cyril. Non era giusto, non era umano. E considerando che si rifiutavano di trasferirsi nel calore di casa O’Brien, Lydia avrebbe voluto correre da loro, per offrire il suo cordoglio, il suo conforto. Eppure…
Lydia si morse un labbro per impedirsi di ricadere nei suoi pensieri, giusto in tempo per riuscire a comprendere la domanda che Caitlin le stava rivolgendo.
«Sto bene.» rispose bruscamente. Troppo bruscamente. «Davvero, sto bene. Il mal di testa va molto meglio.» mentì con un tono di voce più tranquillo.
«E come va a respirare?» chiese ancora Caitlin.
Come se avessi dei pugnali che mi trafiggono i polmoni ad ogni respiro avrebbe dovuto rispondere Lydia. «Bene.» disse invece, sforzandosi persino di fare un breve e falso sorriso «Sempre meglio.»
«Fammi controllare.» Caitlin si sedette sul bordo del letto e allungò una mano nella sua direzione.
Lydia reagì per istinto, tirando la coperta sul petto e allontanandosi da lei. «Ho detto che sto bene, davvero.»
«Voglio solo controllare.»
«Il guaritore mi ha già controllata.»
«Lo stesso guaritore che ha proposto di prendere un antistaminico per raddrizzare le tue costole?»
«A sua discolpa, le pozioni sono introvabili e non era molto esperto dei medicinali babbani.»
«Motivo per cui continuo a dire che dovreste andare tutti in un ospedale normale.»
«Nonna!»
«Voi e i vostri stupidi intrugli.» bofonchiò la nonna, sempre nascosta dietro il suo giornale.
Caitlin afferrò un lembo della coperta e lo strattonò tentando di liberarla dalla presa di Lydia. «Fatto sta che sono più competente di lui.»
«Hai solo fatto alcuni corsi di primo soccorso.» ribatté Lydia, tenendosi ben stretta la coperta e strisciando nel letto per allontanarsi dalle sue mani gelide.
«Appunto. Più di quanto abbia studiato lui.» E con un ultimo strattone riuscì a liberare la coperta dalle mani indebolite di Lydia, la quale reagì con un lamento.
«Lasciala stare. Se dice di stare bene vuol dire che sta bene.» Lydia sarebbe stata sollevata dall’intervento di Lance se non fosse stato per lo sguardo che continuava a riservarle.
Lui sapeva. Di questo ne era certa.
«E va bene!» sbottò Caitlin alzando le braccia al cielo e rialzandosi dal letto «Fate come volete. Siete adulti e se volete soffrire chi sono io per impedirvelo? Statevene con i vostri dolori e poi non venire a lamentarvi con me. Tranne lei, signora Merlin» continuò poi, rivolgendo un sorriso alla nonna «Se le serve qualcosa non esiti a chiamarmi.» E poi uscì dalla stanza con la stessa velocità con cui era entrata.
Lydia scosse la testa. «Non penso che mi abituerò mai alla versione di Caitlin che tiene al nostro benessere.» disse, più per distrarre di nuovo Lance che per fare realmente conversazione.
«Quella ragazza ha cervello.» sentenziò le nonna, voltando una pagina del giornale «Aveva solo bisogno di una spinta per imparare ad usarlo nel modo giusto.»
Visto che Lance continuava a fissare lei e non sembrava voler partecipare alla conversazione, Lydia continuò «Se avessi saputo che la spinta che le serviva eri tu, nonna, ti avrei chiesto di venire a vivere qui mesi fa. A proposito, quale stregoneria hai usato per renderla… così?»
«Le ho solo raccontato la storia di tua zia.»
«Di zia Eimhir?»
«No. Di zia Maisie.»
Fu come se il sangue di Lydia si fosse trasformato in ghiaccio. La nonna dovette accorgersi del suo improvviso pallore perché il suo tono si addolcì e si decise infine ad abbassare il giornale. «Penso che Caitlin non si sia neanche accorta del modo ingiusto in cui ha trattato tutti voi. Non lo faceva con l’intenzione di ferirvi, non sempre, almeno, o così mi ha detto.»
Lance si chinò verso Lydia. «Quando sei scomparsa ha finalmente iniziato a capire che le sue azioni avevano delle conseguenze. Ti credevamo catturata, Lydia. Uccisa o torturata. Caitlin si sentiva in colpa perché è tutto iniziato dalla vostra discussione in cucina. O almeno così penso, non mi ha mai detto nulla. So solo che da quando sei scomparsa è diventata taciturna, come la maggior parte di noi.» Lydia iniziò a giocherellare con il bordo della coperta, qualsiasi cosa pur di non guardare negli occhi Lance. Non gli aveva raccontato cosa era davvero accaduto nelle settimane che avevano trascorso distanti, non aveva avuto il coraggio di dirgli che era stata in compagnia di Blake. Non sapeva neppure il motivo per cui non riusciva a dirlo. Si era resa conto di non volerlo raccontare quando aveva provato sollievo dopo aver scoperto che i suoi genitori e sua nonna non si ricordavano neppure della presenza di Blake durante la fuga dalla casa al mare. Quello che invece l’aveva spaventata era l’assenza di qualsiasi emozione alla scoperta che Blake aveva osato usare un incantesimo Confundus sulla sua famiglia. Solo sollievo e subito dopo il vuoto, e… «Non è possibile che Caitlin sia cambiata solo perché sono scomparsa.» disse in tutta fretta, per costringere la sua mente a focalizzarsi su altro.
«Forse la tua scomparsa è stata il punto di inizio.»
«Quella ragazza aveva bisogno di qualcuno che le aprisse gli occhi.» continuò la nonna.
Lydia fece una smorfia. «Io ci ho provato e guardate come è finita.»
La nonna prese il bastone dal bracciolo della sedia e lo sbatté a terra con un colpo secco. «Sciocchezze.» Lydia sobbalzò. Quando era tornata aveva scoperto che sua nonna aveva dovuto iniziare ad utilizzare un bastone per camminare (segno che l’attacco alla sua casa l’aveva sconvolta più di quanto avesse voluto ammettere), solo che aveva scoperto anche che la nonna preferiva usarlo come arma. «Tu le hai vomitato addosso un sacco di cattiverie.» Lydia avrebbe voluto ribattere ma sua nonna non le lasciò il tempo «Ci sono modi e tempi per dire le cose. A te avrebbe fatto piacere sentire una serie di insulti tali, per quanto giusti, in un momento in cui stava affrontando anche lei un lutto?»
«No, ma…»
«Niente ma!» Un altro colpo sul pavimento «Il tuo metodo non ha funzionato, così come non ha funzionato il comportamento accondiscendente dei suoi genitori - a proposito, li viziano troppo i loro figli, quei due – o l’eccessiva gentilezza del ragazzo qui presente.» Lance borbottò delle parole che Lydia non riuscì a decifrare «Quello che le serviva era scoprire cosa sarebbe diventata se avesse continuato nelle sue convinzioni.»
«Ancora non capisco cosa c’entra zia Maisie.»
«Ragiona, ragazza mia!» Questa volta Lydia riuscì a non sobbalzare al colpo secco del bastone contro la gamba del suo letto «Caitlin era convinta che suo fratello fosse un mostro per averle rubato la magia, tua zia crede che tu lo sia per aver attirato i Mangiamorte ed aver provocato la morte di suo marito.» Lydia sentì il suo corpo irrigidirsi, la mente perdersi nell’appartamento di Blake, davanti agli occhi una piuma che diventava cenere, e poi tutto questo sparì, sostituito dal calore della mano che Lance aveva posato sulle sua.
«Per quanto io abbia passato gran parte degli ultimi anni a non sopportare mia sorella, non è la stessa cosa. Caitlin ci vuole bene, a modo suo.» Con le dita sane, Lance disegnava dei cerchi sul dorso della mano di Lydia.
«Infatti non ho mai detto che Caitlin è come Maisie, non adesso almeno. Ma il rancore ha il brutto vizio di crescere, l’odio di moltiplicarsi, fino a farti dimenticare da dove è iniziato ed impedirti di vedere i danni e il male che provoca. Se Caitlin avesse continuato a vivere nel suo risentimento, allora entro qualche anno sarebbe diventata come mia figlia. Maisie era la dolcezza fatta in persona da bambina, gentile con tutti e agguerrita nel difendere la sua famiglia, la giusta combinazione tra me e suo padre. È bastato che si instillasse in lei il rancore verso Lydia per portarla a tradire la sua stessa famiglia e condannarla a morte.»
Lydia sgranò gli occhi. Come faceva sua nonna a sapere che era stata proprio zia Maisie ad avvisare Mills e gli altri della sua presenza in casa? Lydia non lo aveva detto a nessuno.
«Non guardarmi così, bambina mia. Dovresti aver ormai imparato che sono più sveglia di quanto tutti voi crediate. Da quando sono qui ho avuto tempo per pensare a come abbiano fatto quei delinquenti ad attaccare casa mia proprio quando tu eri presente. Era una coincidenza troppo strana per essere tale. O avevano avuto il più grande colpo di fortuna della storia o avevano ricevuto una soffiata da qualcuno di noi. Per non parlare del gufo di tuo padre, è scomparso proprio durante la tua permanenza, e il padre del ragazzo qui presente» fece un cenno del capo verso Lance «L’ha ritrovato che svolazzava attorno a casa mia la sera dopo l’attacco. Tua madre non ti avrebbe mai tradito, tuo padre non sarebbe mai stato abbastanza intelligente da ideare un piano del genere, io non ero stata di sicuro e tu neanche. La conseguenza logica era che la responsabile poteva essere solo che tua zia, colei che, al tuo arrivo, ha fatto le valigie e, dopo un rapido saluto in cui mi ha ringraziato per tutto quello che ho fatto per lei, se ne è andata.»
Lydia non sapeva neppure cosa dire, solo la presenza costante di Lance le impediva di crollare. Quella e il vuoto che aveva preso il posto del suo cuore.
«A Caitlin ho solo detto che quello sarebbe stato anche il suo destino se non si fosse decisa a mettere da parte l’orgoglio e il risentimento. Condannare a morte la sua famiglia o fare loro talmente tanto male che si sarebbero stancati e avrebbero rinunciato infine a salvarla.» La voce di sua nonna vacillò, e solo allora Lydia si accorse di quanto quel tradimento dovesse pesare sulle sue spalle, e che forse era proprio per sollevare quel peso che ora stringeva un bastone tra le mani.
Aveva salva la vita, ma aveva perso sua figlia.
Il dolore e il senso di colpa allargarono il vuoto che Lydia continuava a provare.
La nonna proseguì, la sua voce ridotta ad un sussurro «Caitlin si è confidata con me, e per quanto sia difficile sradicare pensieri e sentimenti che ha nell’animo da un decennio, so anche che non farebbe mai volontariamente del male alla sua famiglia, e per quanto tu possa stentare a crederci, lei considera anche te come parte di essa.»
In un altro momento Lydia avrebbe ribattuto, sostenendo che sì, era impossibile da credere considerando che dalla morte di Paul, l’obiettivo della vita di Caitlin sembrava proprio far sentire Lydia un’emarginata, ma non ne aveva le forze. L’unica cosa che voleva fare era riposare, chiudere gli occhi e non dover più parlare, né pensare.
Per questo, quando la porta si aprì di nuovo e Henry corse nella stanza, Lydia si sentì combattuta tra il fastidio e il senso di colpa per il fastidio stesso.
«Ciao, come state? Ti fa ancora male la testa? E Lance è riuscito a muovere le dita? Fammi vedere!» Lydia si sentì sollevata nel vedere Henry buttarsi al fianco di Lance e fissare ad occhi sgranati la steccatura della sua mano «Sembra ancora morta… è morta? Bisogna tagliarla? Simon ha detto che probabilmente ti taglieranno la mano entro la fine della settimana, Daniel invece dice che ti metteranno un uncino al suo posto, ma io non penso. Una spada sarebbe molto più utile di un uncino.»
«Henry, lascia in pace Lance.» ordinò perentoria la nonna.
E lì avvenne un vero e proprio miracolo. Henry sorrise e fece un passo indietro. «Va bene, nonna.»
Durante la sua permanenza, la nonna di Lydia era improvvisamente diventata la nonna di tutti i bambini di casa O’Brien. «C’è un motivo in particolare per cui hai lasciato le tue lezioni per venire qui?» Henry prese fiato «E ricordati quello che ho detto sull’educazione e sul parlare civilmente.» Henry si sgonfiò e si fermò un istante per mettere in ordine i suoi pensieri.
«Il signor O’Brien mi ha dato il permesso di uscire dalla lezione.» rispose conciso. No, Lydia non si sarebbe mai abituata, e si accorse anche che preferiva la versione originale di Henry, quella che parlava talmente velocemente da farle venire il mal di testa ma da riempire i troppi silenzi.
«E per quale motivo ti ha dato un permesso del genere!?» sbottò la nonna, aggrottando le sopracciglia «Non conosce l’importanza della costanza nell’educazione dei bambini? Ve l’ho detto, quell’uomo vizia troppo i suoi figli.»
«Gliel’ho chiesto io! Prima ho visto che nell’orto sono cresciute le rose arcobaleno!» esclamò Henry, tornando alla sua solita vitalità ad ogni parola pronunciata sempre più velocemente «Quelle che abbiamo piantato tutti insieme questo inverno!» Lydia ricordava quel pomeriggio di dicembre, quando Lance aveva trascinato lei e tutti i bambini nel prato per piantare i bulbi delle rose nel terreno ghiacciato. Lydia aveva borbottato per tutto il tempo, ma era stato uno dei pomeriggi che si era impresso nel suo cuore. «Sono finalmente sbocciate, e sono davvero bellissime, di tutti i colori dell’arcobaleno proprio come dicevi tu, Lance! E poi ho pensato che voi non le avete ancora viste, e invece dovete proprio vederle, e l’ho detto al signor O’Brien, e lui allora mi ha dato il permesso di uscire dalla classe per portarvi con me giù nell’orto a vederle!»
Lydia si morse un labbro e distolse lo sguardo dal bambino, indirizzandolo per l’ennesima volta alla coperta del letto.
Nella sua esitazione, fu Lance il primo a rispondere. «Le ho viste stamattina, Henry. Sono davvero bellissime come dici tu.» Lydia gli lanciò un’occhiata di sottecchi ed intravide il sorriso stanco che gli tirava il volto.
Sapeva che Lance si recava nell’orto ogni mattina all’alba e rimaneva lì, fermo immobile al suo ingresso. Lo sapeva a causa dell’insonnia che l’aveva colpita dalla battaglia di Hogwarts. Nelle innumerevoli ore di velia, guardare fuori dalla finestra le dava conforto, soprattutto perché la aiutava a convincersi che il mondo esisteva ancora. Quella mattina aveva visto Lance entrare nell’orto, stringendo tra le mani qualcosa, rimanere immobile diversi minuti a fissare quello che era il suo regno, e poi chinarsi proprio davanti alle rose. L’oggetto nelle sue mani si era rivelato essere un paio di cesoie, con cui Lance aveva provato a recidere uno stelo delle rose, senza alcun successo. La mano sana non era agile quanto quella ferita, e Lydia aveva visto il ragazzo cercare di fare un taglio preciso senza riuscirci, provare con la bacchetta senza alcun risultato ed infine strappare quelle stesse rose con una disperazione che per un istante aveva spinto Lydia a convincersi ad uscire dalla sua stanza e correre da lui, per promettergli che tutto sarebbe tornato alla normalità, e che se anche non fosse stato possibile, avrebbero trovato un altro modo, insieme. Ma poi Lance si era fermato, lo aveva visto guardarsi intorno e vedere la distruzione che aveva causato, e poi rialzarsi e raccogliere ogni singolo stelo ed ogni petalo che si era staccato nella foga, per poi uscire dall’orto e scomparire dalla sua vista.
«Va bene, Lance le ha già viste, ma tu no, Lydia! Quindi puoi venire con me!» Henry le allungò una mano, con un sorriso enorme ad illuminargli il volto.
Lydia si sentì un verme quando rispose «Non posso, Henry.»
Il sorriso del bambino si incrinò.
«Devo stare a riposo.» si affrettò ad aggiungere Lydia, per la paura di deluderlo di nuovo «Ordini del guaritore.»
«Che sciocchezze.» sbottò la nonna «Quel presunto dottore ti ha detto di riposarti, sì, ma non di restare tutto il giorno, tutti i giorni a letto.»
Lydia rimase senza parole, la sua mente che correva frenetica alla ricerca di una risposta. «Non mi sento molto bene.» Si maledisse nell’istante stesso in cui pronunciò la frase, ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. Si sistemò meglio sui cuscini per evitare di dover guardare Henry, o sua nonna, o Lance. «Ho ancora delle fitte di mal di testa. Preferirei non muovermi. Ma sono sicura che le rose sono bellissime, e ti prometto che nei prossimi giorni le vedremo insieme.» Si voleva mordere la lingua. Erano passate settimane eppure il vizio di fare promesse a Henry che non avrebbe mantenuto le era rimasto. E si odiò per quello.
«Oh.» rispose semplicemente il bambino, la bocca spalancata e un pizzico di delusione che Lydia percepì chiaramente anche in quella semplice sillaba. Continuò a fissare il copriletto. Aveva combattuto nella battaglia di Hogwarts ma le mancava il coraggio di guardare negli occhi un bambino di cinque anni.
La nonna scosse la testa, e poi, con un sospiro, fece leva sul bastone per riuscire ad alzarsi dalla sua poltroncina. «Vieni, mio caro, se ti accontenti della compagnia di una vecchia signora verrò io a vederle con te.»
«Sì, sì, nonna!» La delusione di Henry per il rifiuto di Lydia fu subito dimenticava e soppiantata da una vera ed autentica gioia «Vedrai, ti piaceranno tantissimo! Hanno dei colori bellissimi, e poi voglio provare a disegnarle! Ho già preparato sulle scale i fogli e i pastelli, se vuoi ce ne sono anche per te!»
Questa volta la nonna non lo rimproverò, anzi, il suo volto fu sollevato da uno dei suoi rari dolci sorrisi, mentre spettinava i ricci del bambino. «Mi piacerebbe tantissimo. Sai, ho sempre avuto una passione per le rose.»
Quando la nonna e Henry uscirono, il silenzio invase nuovamente la stanza. Lydia riuscì a sopportarlo due minuti prima di sbottare. «Avanti, dillo.»
Ma Lance si limitò ad appoggiarsi allo schienale della sedia. «Non so a che cosa ti riferisci.»
«Sto bene, se è questo che ti preoccupa.»
«Come fai a dire che sono preoccupato?»
Dalla ruga sulla tua fronte, avrebbe voluto rispondere. Non lo fece, si morse il labbro per impedirsi di pronunciare quelle parole, senza saperne realmente il motivo. «E comunque è vero.» disse invece «Sto bene.»
Ma entrambi erano consapevoli che si trattava di una menzogna.
 
L’indomani mattina, Lydia si svegliò dai suoi incubi con il cuore che batteva all’impazzata e l’assoluta certezza che la guerra non fosse ancora finita. Voldemort era morto, i nemici sconfitti, cercò di convincersi mentre i mostri della notte si dissolvevano nella calda luce del giorno che filtrava dalla finestra. Eppure… a volte, negli ultimi anni, aveva sognato ad occhi aperti a come sarebbe stato la sua vita se solo la guerra fosse finita a loro favore. Aveva immaginato la gioia, le giornate spensierate, l’infinito sollievo. E allora perché le sembrava di essere ancora bloccata in un incubo?
Il materasso si abbassò quando qualcuno si sedette accanto a lei.
«Ciao.» bisbigliò Lydia.
«Ciao.» rispose Lance.
Come accaduto il giorno precedente, Lydia si trovò a fissare un punto imprecisato della finestra per non dover guardare Lance, mentre il silenzio si protraeva infido. Aprì la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, quando Lance la interruppe. «Non dirlo.»
Lydia corrugò la fronte e si trovò a guardare Lance. «Cosa?»
La luce dell’alba avvolgeva il ragazzo, donandogli un’aurea dorata. Le sue labbra erano tese in un triste sorriso. «Che stai bene.» Lydia provò a controbattere ma Lance fu più veloce «Non stai bene. E lo so perché ti conosco, Lydia. E perché neanche io sto bene.» Fu il dolore che permeava ogni sua parola a far drizzare Lydia per avvicinarsi a lui. Gli occhi di Lance erano intrisi di lacrime che aveva trattenuto dal giorno della battaglia, o forse anche da prima. «Non sto bene, Lydia. Perché la guerra è finita ma io non riesco ad esserne contento, perché sì, ne sono felice, ma poi mi viene in mente tutto quello che abbiamo perso. Ho perso Paul, Lydia. Ho perso il mio migliore amico, l’unico che mi è stato vicino quando i miei genitori, Caitlin e Duncan mi hanno volontariamente o involontariamente allontanato.» Le lacrime iniziarono a scorrere sulle sue guance, e per Lydia fu naturale allungare la mano per asciugarle con una carezza «È stato ucciso, e ogni giorno penso che avrei potuto salvarlo, che se solo fossi rimasto con lui, allora sarebbe ancora qui con noi.» Un’altra lacrima, un’altra carezza «Ho perso lo zio. Anche lui assassinato per aver avuto il coraggio di andare contro il Ministero e i suoi Mangiamorte. E penso che se avessimo insistito di più nel convincerlo a nascondersi da noi, allora anche lui sarebbe ancora qui con noi. Con Silas e Cyril.» Lydia si accorse che per ogni lacrima che asciugava sul volto di Lance, ve ne era una che lei stessa versava. Un singhiozzo la scosse, risvegliando il dolore alle costole. «E non sto bene perché ho perso questa.» Lance sollevò la mano paralizzata, stretta nel tutore ed insensibile ad ogni stimolo «Continuo a dire che non mi importa, che se è un piccolo prezzo da pagare per la nostra vittoria allora ne vale la pena, ma non è vero, Lydia, non è vero.» Lydia avvolse le braccia attorno a Lance e lo strinse, bagnandogli la spalla con le sue lacrime mentre lui continuava a sussurrare nei suoi capelli «Cosa sono io se non posso essere un pozionista? Era l’unica cosa che volevo essere. L’unica che mi faceva sentire utile in tutti questi anni di guerra, e adesso me l’hanno tolta. E poi ripenso a Paul, allo zio, a tutti quelli che sono morti, e penso che dovrei essere grato per essere ancora qui. Ma non ci riesco, Lydia. Non ci riesco. E allora mi sento ancora peggio perché sono un ingrato, e forse loro meriterebbero più di me di essere sopravvissuti.»
«No, no.» Lydia lo strinse ancora più forte, nella mente l’immagine di un futuro senza Lance. E fu più terribile dei suoi peggiori incubi.
«E poi ci sei tu, Lydia.» La voce di Lance si era ridotta ad un sussurro «Quando è scattato l’allarme della tua passaporta, quando siamo arrivati al rifugio e c’era la tua famiglia ma non tu, quando nessuno di loro sapeva dirci dove eri finita, o perché te ne eri andata, ho pensato di averti persa. Tu eri scomparsa; nessuno lo voleva dire, ma tutti erano convinti che eri stata presa, rapita, che ti stavano torturando e che probabilmente era già troppo tardi per salvarti, e a volte lo credevo anche io. E allora pensavo che avrei preferito morire piuttosto che saperti nelle loro mani. Pensavo al fatto che avevamo stretto un patto, tanti mesi fa, che quando tu avresti voluto raccontarmi della tua cicatrice, io ti avrei raccontato del perché io e Duncan non ci sopportavamo. E allora immaginavo di potertelo finalmente dire, di poterti raccontare della mia gelosia nei confronti di Duncan da quando ho compiuto undici anni, da quando Caitlin ha smesso di parlarmi e trascorreva tutto il suo tempo con lui, tagliandomi fuori, e a come lui glielo lasciava fare, come tutti loro glielo permettevano. E che invece lui ha iniziato ad infuriarsi con me perché era convinto che io non stessi facendo abbastanza per sistemare le cose con Caitlin, che mi fossi arreso troppo presto. Immaginavo di potertelo raccontare, perché se quel giorno, questo giorno, fosse davvero arrivato significava che tu non eri morta, e che io non ero morto con te. E poi ripensavo a quando dopo la morte di Paul tu bussavi alla mia porta e io non ti aprivo, perché stavo troppo male e non volevo che tu mi vedessi così, perché sapevo che anche tu saresti stata male per me, e non volevo che tu soffrissi. E pensavo che se invece avessi aperto quella dannata porta, allora tu saresti stata ancora con me. Quando ti ho ritrovata ad Hogwarts, ero così felice, così completo, ma poi ho scoperto che non è così semplice. Che nei miei incubi tu continui a scomparire, a finire nelle loro torture, e io non riesco ad aiutarti. Tutte le notti gli stessi incubi, ed ogni giorno devo convincermi che è questa la verità, che tu sei davvero di nuovo qui con me, eppure ogni notte continuo a perderti e mi sveglio con l’assoluto convinzione che tu non ci sei più. Come lo zio. Come Paul. E allora ripenso a loro, ed è tutto un circolo vizioso da cui non riesco ad uscire. Incubi su incubi che continuano a ripetersi.»
Lance si scostò dal suo abbraccio e posò la mano destra sulla guancia di Lydia, i volti a soli pochi centimetri di distanza. «E quindi no, non sto bene, Lydia, ma non stai bene neanche tu.»
E per Lydia questa volta fu impossibile negarlo, mentre nuove lacrime scivolavano sulle sue guance, dritte nella mano di Lance. «Sono così stanca.» Era la pura e semplice verità.
Quella stessa stanchezza che l’aveva assalita quando aveva visto la piuma bruciare nell’appartamento di Blake continuava a tenerla imprigionata nelle sue spire. Era stanca, non sapeva neanche lei di cosa, e forse era proprio quello che la spaventava così tanto. Perché era così stanca che non voleva alzarsi, non voleva parlare, non voleva pensare. E se per un istante aveva sperato che con la vittoria quella stanchezza se ne sarebbe andata, aveva ormai constatato che non era così. E quello che più la spaventava era proprio il pensiero che quella stessa stanchezza l’avrebbe accompagnata per il resto della sua vita.
«Lo so.» rispose semplicemente Lance, e Lydia gliene fu grata. Non tentò di consolarla, di trovare motivi per cui doveva essere felice. «Per questo ti ho preso un regalo.»
Lo stupore fermò le lacrime di Lydia.
«Ho avuto l’idea dopo la visita di ieri di Henry. E Katherine mi ha accompagnato a prenderlo.» Lance estrasse dalla tasca della felpa una scatolina d’argento. Ancora sorpresa, Lydia la prese e sollevò il coperchio con delicatezza. E nuove lacrime le velarono gli occhi.
Era un braccialetto d’oro. Una catena sottile con al centro un ciondolo a forma di piuma. Non una piuma qualsiasi. La stessa che Lydia aveva visto diventare cenere.
«Ad Hogwarts, hai detto che Blake aveva un legame con la fine della tua piuma. Non so cosa sia successo e me lo racconterai solo quando, e se, sarai pronta. Ma so quanto era importante per te, per tutti noi.» La tristezza gli spezzò la voce. «Paul… la sua piuma riposa insieme a lui, Alice, sono sicuro che l’ha portata con sé al Ministero, e quando la troveremo, perché la troveremo, l’avrà ancora. Ho pensato di regalarti la mia, ma non sarebbe stata la stessa cosa.» Le mani di Lydia tremavano così Lance la aiutò, per quanto vi riuscisse con una mano sola, ad allacciare il braccialetto attorno al polso. L’oro rifletté la luce dell’alba. «E poi ieri mi è tornato in mente il nostro doblone, ricordi? Quello che abbiamo trovato all’inizio delle vacanze invernali al terzo anno.» Certo che Lydia lo ricordava, come avrebbe mai potuto dimenticarlo? «Non avevamo ancora trovato il modo di spenderlo, dovevamo farlo insieme. Ho pensato che era questo il modo migliore per farlo. L’ho portato da un gioielliere, ha fuso l’oro del doblone e l’ha usato per creare il braccialetto. Sono sicuro che anche Paul e Alice avrebbero approvato.»
Le lacrime e le emozioni impedivano a Lydia di parlare, così si gettò tra le braccia di Lance e lo strinse, sperando di potergli far capire la gratitudine che stava provando. Ovviamente Lance comprese.
E probabilmente sarebbero rimasti così, stretti l’uno all’altra per ore se non fosse stato per il lieve scricchiolio alla porta. Henry fece un timido passo nella stanza. «Non riesco a dormire.» disse solamente, lo sguardo a terra e negli occhi l’ombra degli incubi che avevano disturbato anche i suoi sogni.
Lydia sorrise tra le lacrime e tese una mano verso di lui. «Vieni. Ci siamo noi adesso.» E per una volta, era una promessa che poteva mantenere, pensò mentre si sdraiava sul letto, con Lance al suo fianco ed Henry stretto tra di loro.
 




Note: Ricordo che nonostante sia inserito nella parte denominata 'Epilogo' questo non è l'ultimo capitolo della storia ma ve ne saranno altri due oltre all'epilogo vero e proprio!
Grazie a tutti,
Un abbraccio!

Emma Speranza <3


 

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 - La pace degli illusi ***


Capitolo 38
La pace degli illusi
 

Lydia fissava il bicchiere ricolmo di succo di frutta che la signora O’Brien le aveva messo davanti per costringerla a bere. «Ti servono energie.» aveva detto, e Lydia sapeva che aveva ragione, ma a lei sembrava già un grande passo avanti essere scesa in sala da pranzo per colazione, senza dover anche mangiare. Ma la signora O’Brien e sua nonna non erano dello stesso avviso, e Lydia aveva scoperto che le due insieme la affascinavano e allo stesso la terrorizzavano. E così si costrinse a prendere tra le mani il bicchiere e sorseggiare il liquido. Era come catrame nella sua bocca. Trattenne una smorfia e si costrinse a guardare il braccialetto d’oro che le cingeva il polso per impedirsi di correre di nuovo al sicuro della sua camera. Era proprio quello stesso braccialetto ad averle dato il coraggio, la mattina dopo che le era stato regalato, ad uscire dal suo bozzolo e tentare, almeno tentare, di scacciare la stanchezza e il vuoto che continuavano ad avvolgerla.
Erano passati alcuni giorni e non poteva negare che qualche miglioramento c’era stato, soprattutto quando la mattina precedente Silas e Cyril si erano presentati davanti alla porta di casa O’Brien con i genitori di Ewart e quelli di Christine. Lydia aveva visto la gioia immensa provata dai bambini e dai genitori nel riunirsi dopo mesi trascorsi lontani, la poteva percepire nell’aria, le pizzicava la pelle. Ma solo la sera era riuscita a provare una vera emozione, quando entrambi i genitori avevano rifiutato cordialmente l’invito dei signori O’Brien di fermarsi per un po’ lì con loro ed erano andati via portando Ewart e Christine con sé. Dopo averli abbracciati e salutati, Lydia era tornata nella sua camera e li aveva seguiti con lo sguardo dalla finestra fino a quando si erano volatilizzati nel nulla insieme a Silas e Cyril, appena attraversato il cancello. A quel punto si era concessa di piangere.
E nei giorni successivi la storia si era ripetuta.
Ora che si era ritenuto sicuro il ricongiungimento con i famigliari, ogni giorno arrivavano nuovi genitori o parenti, guidati da Silas, Cyril ed occasionalmente Nikolas, che riabbracciavano i loro bambini e li riportavano a casa. Lydia li odiava, perché ad ogni bambino che la abbracciava e la ringraziava, che si stringeva alle sue gambe promettendole che le avrebbe scritto, Lydia sentiva il cuore lacerarsi sempre di più. Da un lato era straziata, dall’altro era sollevata nel constatare che se il suo cuore si stava frantumando allora significava che stava battendo, e che poteva provare ancora qualcosa che non fosse quell’immenso vuoto.
Erano pochi i bambini che avevano ritrovato la loro famiglia, nonostante questo però la casa sembrava già fin troppo vuota, e Lydia sapeva che era la stessa sensazione che stava provando ogni abitante di casa O’Brien, Caitlin compresa, la quale non ingannava nessuno con le sue chiacchere su quanto era bello aver di nuovo uno spazio personale, non dopo aver visto le sue lacrime mentre stringeva un’ultima volta Mike prima che i suoi genitori lo riportassero a casa.
L’unica consolazione di Lydia era la presenza costante di Lance al suo fianco. La aiutava a ricordare costantemente che anche se gli altri se ne sarebbero andati, lui sarebbe rimasto. Quello e il pensiero egoista che Henry, Daniel e Simon, quei tre bambini pestiferi che le avevano rubato il cuore, erano ancora tra le sue stesse mura. Anche se era un fatto presto destinato a cambiare.
«Hanno rilasciato l’elenco completo dei prigionieri di Azkaban.» Il signor O’Brien lasciò cadere la nuova edizione della Gazzetta del Profeta sul tavolo della cucina. Lydia ne approfittò per posare il bicchiere di succo ancora pieno e prendere il giornale prima che la signora O’Brien, Lance o la nonna potessero precederla. Sfogliò velocemente le pagine che riguardavano le notizie sulla prigione che erano già state scritte nelle edizioni precedenti. Era da giorni che si sapeva che tutti coloro che si erano presentati al Censimento erano stati catturati, condotti ad Azkaban e lì incarcerati dai Mangiamorte. Erano talmente tanti che il Ministero aveva impiegato una settimana a stilare l’elenco completo che ora Lydia aveva davanti agli occhi. Erano in ordine alfabetico. Divisi in due colonne. ‘In vita’ e ‘Deceduti’.
Sentì il sorso di succo appena bevuto bruciarle nello stomaco, deglutì un paio di volte per impedirsi di vomitare.
Lesse i primi nomi, e poi li rilesse, e li rilesse ancora, o almeno tentò. I suoi occhi si rifiutavano di focalizzarsi, la mente di ricordare ciò che leggeva e le sue mani sudate iniziarono a tremare. «Eccola.» Lance era alle sue spalle, chinato sopra di lei, il dito che indicava un nome tra un migliaio. James Alice. Gli occhi di Lydia saettarono di nuovo all’inizio della pagina, per cercare di capire in quale delle due sezioni era stata inserita. «È viva, Lydia. È viva.»
Alice era viva.
Alice era viva.
Lydia inspirò rumorosamente, mentre la speranza che non era mai riuscita del tutto a sopire si impossessava di lei, donandole una nuova linfa vitale che solo un minuto prima non avrebbe creduto possibile.
Alice era viva.
Lydia sentì le braccia di Lance avvolgerla e le sue labbra posarsi sulla sua testa.
Alice era viva.
Lance era con lei.
E Lydia si trovò a pensare che forse la vita avrebbe potuto ritrovare un senso. Sospirò di sollievo ed appoggiò la testa contro il petto di Lance. «Quanti altri ne conosciamo?» chiese al signor O’Brien, tornando a concentrarsi sugli altri nomi della lista, nel tentativo di riconoscerne alcuni. Ma erano centinaia, se non migliaia, ci sarebbero voluto ore per studiarli tutti e confrontarli con i nomi di genitori e famigliari dei bambini.
«Oh, lo avete anche voi.» Caitlin entrò nella sala da pranzo con passo deciso. Aveva delle profonde occhiaie sotto gli occhi e portava un giornale arrotolato sotto il braccio. «Bene, almeno potremo fare un controllo generale.» Prese una fetta biscottata dal piatto di Lance e si sedette sulla sedia lasciata libera dal fratello, per poi piantare il suo sguardo proprio verso di lui, in particolare sulle sue braccia strette ancora attorno alle spalle di Lydia. «Mi sono persa           qualcosa?»
«Niente che ti interessi.» rispose Lance. Essendo alle sue spalle, Lydia non poteva vederlo, ma era sicura che avesse appena alzato gli occhi al cielo.
«Sì che mi interessa.» ribatté Caitlin «Ho fatto una scommessa con Duncan, Kate, la mamma e il papà, quindi sì, sono anche affari miei. Quindi? Mi sono persa qualcosa?»
«Di cosa stai parlando?»
«Che scommessa?» chiesero contemporaneamente Lydia e Lance.
Ma il signor O’Brien fu il più veloce a rispondere. «Nulla di particolare rilevanza al momento.» Lydia, Lance e Caitlin erano di tutt’altro avviso «L’unica cosa che ha davvero importanza al momento è studiare l’elenco e cercare di capire chi tra i genitori dei bambini è stato imprigionato in questi mesi. Sono in tanti a non essersi fatti vivi agli incontri organizzati da Silas e Cyril, ma i confini con l’estero sono ancora chiusi e molti potrebbero essere in altri Paesi. Se scopriamo chi è ad Azkaban potremmo riuscire a farci un’idea di chi manca all’appello. Lydia, Lance, Caitlin, se ve la sentite mi aiuterete a studiare l’elenco e…»
Caitlin lanciò il giornale appallottolato davanti al padre. «Già fatto.»
Ebbe l’effetto di lasciare il padre senza parole.
«Come ‘già fatto’?» chiese la signora O’Brien.
«Nel senso di ‘già studiato tutto l’elenco e compilato quello che davvero ci interessa’: il nome di ogni genitore o parente dei bambini che si trovano in questa casa. Per ogni bambino ho scritto l’elenco di nomi presenti sulla lista che ci hanno fornito quando sono arrivati in questa casa. Sono segnati per ordine di importanza. Prima i genitori, poi i nonni e gli zii, e dopo ancora alcuni amici di famiglia che i genitori avevano segnato come contatti di emergenza.» Fece un rapido cenno verso il foglio di giornale e i nomi sottolineati con evidenziatori di diversi colori e un elenco aggiunto a mano nella scrittura di Caitlin «La buona notizia è che ci sono tantissimi genitori che sono stati imprigionati, alcuni nonni, altri ancora sono gli amici di famiglia, li ho segnati comunque perché non avendo notizie dei genitori di quei bambini potremmo rivolgerci a loro per capire se sanno qualcosa di più. La cattiva notizia è che ci sono fin troppi nomi famigliari anche nell’altro elenco.» Non ebbe bisogno di specificare. La scritta ‘Deceduti’ svettava su ogni altra.
«Come hai fatto?» riuscì a chiedere suo padre.
Caitlin alzò le spalle. «Niente di che. Quando Kate è tornata dal lavoro questa notte ha portato una copia del giornale fresca di stampa. Non avevo sonno e ho pensato di portarmi avanti.» Spiegava le profonde occhiaie. «Hanno scritto che fino a questo momento hanno prestato loro le prime cure proprio ad Azkaban, visto che molti dei prigionieri erano troppo deboli per essere spostati, ma stanno organizzando il trasferimento che dovrebbe avvenire tra un paio di giorni. Non andranno direttamente al San Mungo, le condizioni igieniche inesistenti della prigione e il rischio di contaminazione dei pazienti già presenti in ospedale li costringono a portarli prima al Ministero, utilizzare ogni incantesimo disinfettante esistente e poi poterli finalmente ricoverare. C’è scritto che non tutti verranno ricoverati, forse perché sono abbastanza in forma da poter uscire o forse, molto più probabilmente, perché non hanno abbastanza spazio per tutti, quindi nella giornata del trasferimento verranno divisi in turni così da scaglionare gli arrivi e permettere ai famigliari di raggiungerli e portarli a casa. Kate ha detto che nell’edizione di domani pubblicheranno gli orari di arrivo di ciascun gruppo.»
Il signor O’Brien esaminò velocemente la lista compilata da Caitlin. «Hai fatto un ottimo lavoro.»
«Era ora che mi rendessi utile.»
«Sei stata molto brava.» annuì la signora O’Brien, con un luccichio orgoglioso negli occhi «Chiederemo a Kate di portarci l’edizione di domani il prima possibile così potremo organizzarci. A proposito, sai se vuole scendere a fare colazione?»
Caitlin diede un morso alla sua fetta biscottata. «È già uscita. Stamattina all’alba.»
«Quella ragazza sta lavorando troppo, ve lo dico, non fa bene al suo bambino.» borbottò la nonna di Lydia.
Ma la signora O’Brien ignorò il commento, più intenta a guardare confusa la figlia. «Ma se Kate è già al lavoro, Duncan è bloccato a letto e tu sei stata impegnata tutta mattina a compilare la lista… Chi è con i bambini?»
Le sue parole ebbero il potere di raggelare la stanza. Un secondo dopo fu invece invasa dal rumore di stoviglie gettate sul tavolo e stridii di sedie.
«Non di nuovo.» Il lamento di Lydia si perse nella sala da pranzo ormai vuota.
 
 
«Sei ancora in tempo per tornare a casa, se vuoi.»
Sì, avrebbe voluto rispondere Lydia, ma si costrinse a deglutire e scuotere la testa. Il signor O’Brien le lanciò un ultimo sguardo colmo di preoccupazione per poi risedersi su una seggiolina di plastica accanto a lei. Era da due giorni che l’intera casa O’Brien sembrava essersi messa d’accordo per farla desistere dal suo intento, anche se forse era più corretto dire che si erano davvero accordati per cercare in tutti i modi di convincerla. Ne aveva avuto la conferma quando la sera precedente si era trovata i suoi genitori seduti al tavolo della sala da pranzo, con un discorso ben preparato su quanto non le avrebbe fatto bene recarsi lì l’indomani. Nessuno di loro era riuscito nell’intento e quando si erano rivolti a Lance come tentativo estremo, lui si era limitato a rispondere «Vado anche io con lei.»
E la sua presenza, seduto accanto a lei sulle sedie sparpagliate in un atrio troppo affollato, era l’unica cosa che le impediva di lasciarsi prendere dall’agitazione.
Il Ministero era in subbuglio.
Nonostante la complessa organizzazione e gli orari scaglionati, le persone che si erano presentate il giorno della liberazione di Azkaban erano superiori di quante ne aspettassero. Impiegati del Ministero si muovevano in preda al panico tra la folla, lanciando incantesimi alle pareti dell’atrio così da allargarle e concedere un po’ di spazio in più alle persone in attesa.
Per Lydia era ancora troppo poco. Si sentiva soffocare in un mare di corpi, anche se non lo avrebbe ammesso mai di fronte al signor O’Brien, o a Caitlin, intenta a sistemare i fogli nella cartellina che aveva preparato proprio per l’occasione.
«Quanto manca?» le chiese Lydia.
«Ancora mezz’ora. Anche se ho paura che potrebbero ritardare considerando quante persone si sono presentate.»
Lydia non era stupita dal numero di persone che erano accorse al Ministero. Avevano tutti riconosciuto un nome famigliare nell’elenco fornito, avevano tutti persone amate che non vedevano da mesi, che pensavano fossero morte. Era scontato che fossero corse tutte al Ministero per poterle riabbracciare.
In fondo anche Lydia era lì per quello. Aveva già lasciato Alice entrare da sola al Ministero, non l’avrebbe abbandonata anche stavolta.
Ma Alice non era l’unico motivo che l’aveva spinta ad ignorare ogni buon senso e consiglio da parte di tutti quelli che conosceva per trovarsi al Ministero quel giorno.
Nell’elenco dettagliato di Caitlin un nome era stato scritto affianco a quello di Henry. ‘Rachel Morrison’.
Lydia non lo aveva riconosciuto, ma Caitlin lo aveva fatto al suo posto.
La mamma di Henry.
Quando il bambino aveva scoperto che sua mamma stava per tornare, li aveva implorati di portarlo con loro, e ad un netto rifiuto dei signori O’Brien, aveva chiesto a Lydia di andare al suo posto. Lydia non aveva potuto fare altro che accettare.
E così quella mattina, proprio mentre Lydia, Lance, il signor O’Brien e Caitlin stavano attraversando il cancello per dirigersi al Ministero, il bambino era corso fuori dall’orto, con un enorme sorriso ed una rosa recisa di tutte le sfumature di viola in mano. «Un regalo per la mia mamma.»
La rosa era ora riposta con cura nella borsa di Lydia.
«Quanto manca?»
«Per tutti i troll, Lydia! Manca ancora mezz’ora!» sbottò Caitlin, indispettita per essere stata interrotta nel bel mezzo dell’ennesimo controllo dell’elenco.
Lance si sistemò il tutore della mano. «Potremmo fare due passi, per sgranchirci un po’ le gambe.»
«E se ci perdiamo il momento in cui ci lasceranno entrare? No, assolutamente no, rimaniamo qui.» E si lasciò scivolare sulla seggiolina, cercando di trattenersi dal tamburellare le dita sul bracciolo. L’ultima cosa che voleva era esasperare Caitlin e spezzare la tregua che si era creata tra loro dal ritorno dalla battaglia. Per distrarsi, cercò di concentrarsi sulle chiacchere concitate della gente che la circondava.
«Ci siamo nascosti in Scozia, ma mia mamma non voleva lasciare la casa incustodita.» stava dicendo una donna a poca distanza da lei, aveva un orecchino che le avvolgeva l’intero orecchio.
L’uomo al suo fianco scosse la testa. «Uguale a mio nonno. Mia figlia ha provato a convincerlo ma quando è arrivata a casa sua si è trovata in un imboscata. Il nonno non ce l’ha fatta… lei… è nell’elenco dei vivi, ma finché non la vedo…» si interruppe, la voce spezzata e le mani che tremavano. Lydia si voltò per non dover vedere il suo dolore, concentrandosi su un altro signore che andava avanti e indietro per la stanza, spazientendo tutti coloro a cui passava davanti. «Dovevamo saperlo.» stava borbottando tra sé «Dovevamo andarcene prima.»
E poi un’altra signora ancora attirò l’attenzione di Lydia. «L’ho chiesto, sai?» stava dicendo ad una donna che indossava un vistoso cappello da strega, completo di pappagallino impagliato «Prima sono andata su, all’ufficio Regolamentazione degli Artefatti Magici, alla sezione Bacchette. Ho chiesto della bacchetta di Will. Lo sanno tutti che il Ministero ha requisito le bacchette a tutti quelli che si sono presentati al Censimento. Ho chiesto loro quando hanno intenzione di ridarcele, perché su quello non hanno scritto niente sulla Gazzetta. E sai cosa mi hanno risposto?»
«Cosa?» chiese la strega con il pappagallino.
«Che per il momento non hanno predisposizioni sulla riconsegna delle bacchette!» esclamò stridula.
«No!»
«E invece ti dico di sì! Hanno detto che ci sono dei moduli appositi e solo il legittimo proprietario può ritirare la bacchetta. E allora gli ho detto che appena riporteranno qui Will da Azkaban torneremo su a riprendercela e sai cosa mi hanno detto? Mi hanno detto di no! Che prima di lasciare il Ministero i Mangiamorte hanno bruciato tutta la documentazione sui Censimenti e adesso non sanno più a chi appartengono le bacchette! Ma ti sembra giusto? Potrebbero passare mesi – mesi! – prima che possano ridarcele. Il mio povero Will, ne rimarrà spezzato.»
«Non siamo arrivati in ritardo!» L’improvvisa comparsa di Silas al suo fianco fece sobbalzare Lydia. «Cyril, siamo arrivati in tempo!»
«Lo so.» fu la lapida risposta di Cyril.
«Ma se non hai fatto altro che ripetere che saremmo arrivati in ritardo? E invece, guarda,» estrasse l’orologio da taschino, lo stesso che era appartenuto ad Anthony, si accorse Lydia con una fitta di dolore. Silas osservò il quadrante confuso. «Ma non dovevano iniziare alle nove?»
Erano le nove e dieci.
«No. Iniziano alle nove e mezza, ne sono sicura.» Caitlin scorse i suoi fogli di appunti, mentre una fitta di panico si imprimeva nella sua voce «Ho controllato mille volte, c’era scritto che il primo turno era alle nove e mezza e poi ogni mezz’ora arriva un nuovo gruppo.»
«E infatti è così. Ho dato l’orario sbagliato a Sil per arrivare in orario.» Il ghigno di Cyril era terrificante.
Silas aprì e chiuse la bocca un paio di volte, poi la sua fronte si corrugò in un cipiglio offeso. «Ti preferivo muto.»
«Grazie per essere venuti, ragazzi.» Il signor O’Brien strinse entrambi i nipoti in un veloce abbraccio.
Silas scrollò le spalle come se fosse stato scontato, ma la loro presenza lì era tutt’altro che ovvia. Lydia si chiedeva ancora come avessero fatto a tornare subito in azione dopo aver scoperto cosa era accaduto a loro padre, eppure erano stati proprio loro gli elementi più importanti degli ultimi giorni essendosi sobbarcati il dovere di andare a cercare tutti i famigliari dei bambini ed accompagnarli a casa O’Brien. Il dolore e il lutto era evidente nei loro sguardi, oltre che negli abiti neri che indossavano, ma era accompagnato da una forza che Lydia aveva più volte invidiato nel corso degli ultimi giorni. «Vogliamo renderci utili.» le aveva detto Silas quando era passato da lei per una breve visita due giorni dopo la battaglia di Hogwarts «Se rimaniamo in casa rischiamo di impazzire.» Era stata l’unica volta che aveva accennato al proprio dolore. Il resto del tempo lo aveva trascorso a raccontarle stupidi aneddoti su mantelli maculati e puffole pigmee. Lydia non aveva insistito. Ognuno aveva il proprio modo di affrontare il lutto.
«Come sta Nick?» chiese Lance.
«Bene.» rispose Silas al posto di Cyril. Accadeva spesso, non si era ancora abituato al fatto che il fratello aveva finalmente terminato il suo voto del silenzio. «Ormai vive praticamente a casa nostra» continuò imperterrito Silas «Non che la cosa mi dia fastidio, figuriamoci, ma stiamo cercando di riorganizzare la nostra attività, sapete, quella degli spettacoli di magia ai babbani, ma lui non fa altro che ripeterci di quanto sia pericoloso e cose del genere.»
«Volevi comprare una tigre da un tizio che hai incontrato per strada.»
«Era una tigre ben ammaestrata.»
Lydia avrebbe voluto seguire il discorso dei due cugini, ma una parte della sua mente stava ancora ripensando al discorso che aveva origliato prima del loro arrivo.
Bacchette.
Ufficio di Regolamentazione degli Artefatti Magici.
«E un pappagallo ci farebbe guadagnare un sacco di soldi, anche se è scontato, ma ai babbani basta poco per renderli contenti. Certo, dovremmo stare attenti che la tigre non scambi il pappagallo per uno spuntino ma… Ehi! Dove stai andando?»
Lydia si fermò solo un istante, il tempo per dire «Devo fare una cosa.»
«Se vuoi vengo con te!» urlò Lance alle sue spalle, costringendola a fermarsi una seconda volta.
Per un attimo fu tentata di rispondergli di sì, ma poi si accorse che quello che stava per fare doveva farlo da sola. Si costrinse a sorridere. «Non ti preoccupare, torno subito.» E si voltò di nuovo verso gli ascensori, scomparendo tra la folla.
 
Un quarto d’ora dopo, Lydia rientrò nell’atrio, le dita impegnate nel tentativo di richiudere la cerniera rotta della borsa. La folla era aumentata ed impiegò diversi minuti per intravedere la famiglia O’Brien, dirigendosi verso di loro a grandi passi. «Tutto bene?» le chiese Lance appena li raggiunse.
«Sì.» Non fece in tempo a rispondere altro. Una mezza dozzina di impiegati del Ministero ed Auror fecero il loro ingresso nell’atrio ed iniziarono a far entrare nella sezione successiva i famigliari del primo gruppo. Il signor O’Brien mostrò il lascia passare che l’Ordine della Fenice era riuscito a procurare loro e superarono così in poco tempo i controlli. La stanza in cui si trovavano era enorme, Lydia ne ammirò le colonne eleganti e la quantità immensa di camini che ne adornavano le mura. Una schiera di Guaritori era pronta dalla parte opposta della sala. Seguì Caitlin fino ad arrivare in prima fila e stavano proseguendo ancora quando una voce le fermò. «Da qui in poi non si può andare.» L’impiegata del Ministero indicò una linea dorata dipinta sul pavimento. Quando Lydia osservò meglio l’aria davanti a lei si accorse che tremava. Una protezione.
«Hanno sterilizzato la zona degli arrivi.» constatò Caitlin.
L’impiegata sollevò la bacchetta e la sua voce sovrastò ogni altra. Spiegò in breve le istruzioni che avrebbero tutti dovuto seguire. Niente urla, niente spinte, attendere pazientemente l’arrivo del prigioniero che stavano aspettando ed avvicinarsi alla linea solo quando lo vedevano. Mai attraversare la linea. Quella regola fu ripetuta diverse volte, tanto che Lydia fece qualche passo indietro per accertarsi di non infrangerla.
E poi non ci fu più bisogno di parole. I camini si illuminarono di fiamme verdi e il trasposto dei prigionieri ebbe inizio. Gli uomini e le donne che venivano accompagnati alla linea da Guaritori e volontari erano magri, emaciati, con qualche livido, ma tutto sommato abbastanza in forma da riuscire a camminare da soli. Nonostante le indicazioni dell’impiegata, le persone cominciarono ad affollarsi davanti alla linea, impazienti di poter riabbracciare i loro cari. Lydia vide lacrime, urla, abbracci, in una cacofonia di suoni ed emozioni che rischiarono di sopraffarla. Fortunatamente Caitlin la teneva impegnata porgendole una ad una le foto dei famigliari che stavano cercando così da poterli distinguere nel gruppo di prigionieri. Il loro piano era semplice: Caitlin, Lance e Lydia avevano il compito di identificare i parenti dei bambini ed avvicinarli, Silas, Cyril e il signor O’Brien invece li avrebbero condotti a casa così da poterli riunire ai loro figli o nipoti.
I nonni di Alexander, la mamma di Emily, il fratello di Lucas.
Man mano che i prigionieri si riunivano ai loro cari, l’atrio si svuotava, per poi riempirsi di nuovo per il turno successivo, in un circolo che si ripeté per l’intera mattinata, per poi protrarsi nel pomeriggio. Lydia era talmente concentrata nel suo compito da riuscire quasi a dimenticare il mal di testa e il dolore alle costole che non l’avevano ancora abbandonata.
I genitori di Elinor, la nonna di Jodie, la madrina di Tristan, il papà di Leonard.
La mamma e il papà di Daniel.
E poi tantissime persone che Lydia non conosceva. Così tanti che a Lydia sembrava surreale, come potevano i Mangiamorte aver catturato tanti prigionieri?
«Se voi ragazzi siete stanchi possiamo continuare da soli.» Il signor O’Brien posò una mano sulla spalla di Lance, il cui volto era sempre più pallido e tirato. Lydia sapeva di essere nello stesso stato, le ore trascorse in piedi avevano trasformato il dolore alle costole in vere e proprie fitte. Ma non se ne sarebbe andata. Non senza aver visto Alice, non senza aver consegnato la rosa alla mamma di Henry e aver riportato entrambe a casa. E così ricominciarono a lavorare. E all’inizio del turno successivo, quando i nuovi prigionieri cominciarono ad essere trasportati fuori dai camini accesi, Lydia si rese conto del vero motivo per cui il signor O’Brien aveva tentato di allontanarli. I prigionieri appena arrivati erano completamente diversi da quelli del primo turno. Non riuscivano a camminare, venivano aiutati, la divisa che indossavano, la stessa di tutti coloro che li avevano preceduti, era lurida e stracciata in più punti. Erano magri, troppo magri, le vene spiccavano sulla loro pelle, rovinata da minuscoli puntini violetti. «Vaiolo del drago.» sussurrò Lance «Anche se si guarisce, le eruzioni cutanee provocate possono rimanere per mesi o diventare permanenti se non vengono trattate con un unguento specifico.» E dalle condizioni in cui si trovavano i prigionieri, sembrava che ad Azkaban fosse mancato persino il cibo.
«Ecco come li hanno divisi nei gruppi.» Caitlin strinse la sua cartelletta «A seconda delle condizioni.»
Improvvisamente Lydia sentì l’impulso di scappare.
Ma rimase lì, in prima linea, ad un passo dal muro d’aria che impediva ad un qualsiasi germe di raggiungere quelli che sembravano sempre più solo l’ombra di uomini e donne. Perché Alice era nel turno delle quattro. Il penultimo. E se li avevano davvero divisi a seconda della gravità… Per Lydia fu impossibile continuare il suo compito. Caitlin e Lance osservavano ogni nuovo arrivato, ma ad un certo punto fu irrealizzabile riconoscerli dalle foto che avevano lasciato insieme ai loro figli e furono costretti a chiedere l’aiuto degli impiegati del Ministero, che fornivano loro i nomi di tutti coloro che passavano. A nessuno dei prigionieri venne più consentito di attraversare la linea per raggiungere i famigliari, né ai famigliari di correre da loro, potevano solo accertarsi che erano ancora vivi mentre i guaritori facevano sdraiare i pazienti sulle barelle e li accompagnavano nei camini disposti sul muro opposto, diretti verso il San Mungo, sfilando direttamente davanti agli sguardi impotenti dei loro cari.
All’arrivo del turno delle tre e mezza, Lydia dovette trattenere un conato di vomito e chiudere gli occhi. Lance la costrinse a distendere le dita chiuse a pugno e le intrecciò tra le sue. Non le consigliò di andarsene, per quanto Lydia era tentata di chiederglielo lei stessa. No, rimase accanto a lei, mentre Caitlin e il signor O’Brien si occupavano di individuare i parenti dei bambini e chiedere agli impiegati del Ministero di informarli che i loro figli erano al sicuro, che sarebbero rimasti a casa O’Brien fino a quando loro non si sarebbero ristabiliti. Visto che non c’era più nessuno da trasportare, Cyril e Silas erano rimasti a casa O’Brien dopo l’ultimo viaggio per occuparsi dei nuovi arrivati insieme alla signora O’Brien, Kate e Duncan, al quale era stato concesso di alzarsi dal letto solo per quell’occasione.
Lydia avrebbe voluto essere con loro.
Immaginò la gioia che impregnava di sicuro le stanze di casa O’Brien in quel momento, mentre genitori, nonni, zii, amici si riunivano ai bambini dopo così tanti mesi, così tanto terrore.
Il contrario dell’incubo che stava avvenendo in quella stanza del Ministero. Lydia inspirò profondamente e strinse la mano di Lance. I prigionieri che si trovavano davanti a loro erano scheletri, non vi era altro modo per descriverli. Al settimo anno ad Hogwarts, durante una lezione di Difesa contro le Arti Oscure, il professor Moody (o meglio, il Mangiamorte che aveva preso il suo posto) aveva mostrato loro alcune fotografie di Inferi. Erano uguali ai corpi che in quel momento venivano trasportati in tutta fretta verso i camini del San Mungo. Solo i movimenti a scatti della gabbia toracica che si poteva vedere sotto il sottile strato di pelle e della divisa li distingueva dai cadaveri, quello e i rantoli che ne soffocavano il respiro. Lydia inspirò di nuovo per soffocare il conato di vomito. Bende e garze non potevano nascondere le ferite che squarciavano le carni di alcuni di loro. Lance strinse convulsamente la mano di Lydia. Con le sue competenze in Pozioni poteva comprendere quando una ferita era infetta, e dalla sua espressione spezzata, Lydia si chiese quanti dei feriti che erano appena stati trasportati sarebbero sopravvissuti.
«Ragazzi, da qui in poi ci penso io. Aspettatemi fuori.» Il signor O’Brien tentò di togliere la cartelletta dalla stretta di Caitlin, il cui volto era diventato cinereo.
«No.» risposero contemporaneamente Caitlin, Lydia e Lance. Avevano tutti motivazioni diverse, Lydia lo sapeva, ma ognuno di loro sentiva il dovere di rimanere lì, in quella stanza, a vedere l’effetto della disumanità di Voldemort e dei suoi Mangiamorte.
«Siete troppo giovani, non dovete restare. Vi prego.» Lydia non aveva mai visto il signor O’Brien con quello sguardo. Sembrava quasi impaurito. Poi comprese. Voleva proteggere i suoi figli e lei. Perché nessuno degli orrori che erano stati costretti a vedere negli anni di guerra era paragonabile a ciò a cui stavano assistendo. Lydia aveva pensato che la battaglia di Hogwarts, i cadaveri che aveva visto disseminato nei corridoi della scuola, fossero la tragedia della guerra. Si era sbagliata.
«Rimaniamo.» disse solamente. Doveva rimanere. Per Alice, per se stessa, per ricordarsi che anche lei avrebbe potuto trovarsi dall’altra parte del muro d’aria, uno scheletro sdraiato su una barella ad un soffio dalla morte, se Lance, Duncan e il signor O’Brien non l’avessero salvata il giorno del Censimento.
L’orologio batté i quattro rintocchi e i camini si accesero.
Era arrivato il turno delle quattro. Il turno di Alice.
Lydia la riconobbe all’istante. Era sdraiata su una barella improvvisata, il tatuaggio sulla mano, quello a forma di grifone che era scomparso il giorno del Censimento, era di nuovo visibile sulla pelle, anche se aveva perso ogni colore, finendo per assomigliare ad una cicatrice. I capelli, gli splendidi capelli che Alice tingeva di un colore diverso ad ogni anno scolastico, erano stopposi, bruciati ed ingrigiti. La pelle ricadeva sulle ossa come un vestito troppo largo. Ma era lei. Alice. La sua Alice.
«Alice.» Quello di Lydia fu solo un singulto, ma Alice si voltò a fatica verso la piccola folla che si trovava al di là della linea. E Lydia lasciò la mano di Lance per fare un passo in avanti.
«Signorina, deve rimanere lontana dalla linea.»
Ma Lydia voleva correre da Alice, dalla sua migliore amica. «Alice!» ripeté a voce più alta. Premette le mani sul muro d’aria che le divideva, sperando che potesse scomparire. Avrebbe voluto pregare gli addetti di lasciarla passare, ma sapeva che sarebbe stato inutile e pericoloso. I guaritori stessi erano circondati da bolle d’aria che li avvolgevano come una seconda pelle. Ma Lydia batté lo stesso le mani sul muro. «Alice!»
«Lydia.» Alice mosse solo le labbra, ma Lydia riconobbe il proprio nome.
«Alice! Andrà tutto bene! Alice, mi senti? Andrà tutto bene! Adesso ti portano al San Mungo, ci vediamo lì, va bene? Ti raggiungo lì!» Si accorse di aver le guance intrise di lacrime.
Alice mosse di nuovo le labbra.
«Cosa?» chiese Lydia «Cosa hai detto?»
Ma ormai Alice era arrivata al camino, e in uno sbuffo di fiamme verdi, scomparve dalla sua vista.
Lydia si voltò di scatto verso Lance. «Tu hai capito cosa ha detto, vero?» chiese mentre il panico cominciava ad impossessarsi di lei. Alice le aveva detto qualcosa e lei non era riuscita a capire cosa. Quante volte ancora avrebbe deluso la sua migliore amica? Lance scosse la testa. «Voi allora? Voi avete capito.» Ma anche Caitlin e il signor O’Brien furono costretti a negare.
«Ha detto di avvisare i suoi genitori.» Un’impiegata del Ministero si era avvicinata a loro. Aveva le spalle curve, gli occhi arrossati, provava pena per tutti loro, doveva aver visto la disperazione di Lydia e voleva provare a sollevarla. Lydia chiuse gli occhi mentre le lacrime si trasformavano in singhiozzi. Aveva già avvisato i genitori di Alice. Era la prima cosa che aveva fatto dopo aver letto il suo nome sull’elenco della Gazzetta. «Era l’ultimo turno, potete tornare a casa.»
«Non era il penultimo?» chiese Caitlin, che nonostante sembrasse sul punto di svenire non aveva perso la lucidità. «Dovrebbe essercene ancora uno dopo quello di Alice. Erano solo in dieci, se non ricordo male.» Si guardò attorno ma erano rimasti solo loro nella stanza, nessun altro era stato fatto entrare negli ultimi minuti.
L’impiegata scosse lentamente la testa. «Non c’è più nessuno.» sussurrò. E loro capirono. L’ultimo turno. I più gravi. Nessuno dei dieci era sopravvissuto.
«Torniamo a casa, ragazzi.» Il signor O’Brien posò le braccia sulle spalle di Lance e Lydia, per sostenerli «Avete bisogno di riposo.» E li sospinse delicatamente verso l’uscita, dove gli impiegati del Ministero stavano iniziando a sistemare le corde che erano state usate per delimitare gli ingressi. Dopo qualche passo incerto, si accorsero che Caitlin non si era mossa. Stringeva ancora la cartellina tra le mani e fissava i camini. «Caitlin, andiamo.»
«Manca una persona.» Caitlin aveva impiegato ore a studiare gli elenchi, sapeva con esattezza i nomi di tutti coloro che avrebbero incontrato quel giorno.
Mancava una persona, e nel momento stesso in cui pronunciò quella frase, Lydia si accorse chi era.
Il suo respiro si spezzò.
Si liberò dalla stretta del signor O’Brien e tornò di corsa verso l’impiegata del Ministero che aveva avuto pietà di lei. Inciampò sulla linea quando il suo corpo non trovò il muro d’aria che li aveva divisi fino a quel momento, ritrovò l’equilibrio e si aggrappò alla manica della donna. «Rachel Simmons.» rantolò di fronte al suo stupore «Stiamo cercando Rachel Simmons.»
«Tutti i prigionieri sono stati trasferiti, magari non l’avete vista o…» Si fermò vedendo il terrore puro negli occhi di Lydia «Posso fare un controllo, se lo desiderate.» E senza aspettare una sua risposta, si liberò dalla sua presa e si diresse verso un banco appoggiato accanto ai camini. Con un colpo di bacchetta sollevò un foglio e Lydia riconobbe la lista che aveva visto pubblicata sulla Gazzetta. I camini si riaccesero, le fiamme verdi guizzarono e Lydia pensò che era tutto apposto, che l’impiegata si era confusa, che non tutti i prigionieri erano stati trasportati.
E in un certo senso aveva ragione.
Non tutti i prigionieri erano ancora stati condotti fuori da Azkaban. Ma i corpi sulle barelle che iniziarono ad essere trasportate dagli Auror fuori dai camini avevano un’unica cosa in comune. Erano coperti interamente da un lenzuolo.
E a Lydia non servì aspettare il responso dell’impiegata.
Lentamente si avvicinò alle barelle che continuavano ad arrivare. Questa volta non venivano indirizzate verso gli altri camini, ma in un’altra stanza del Ministero. Lydia ricordò che nell’articolo era stato specificato che i parenti delle vittime avrebbero potuto chiedere la riconsegna del feretro alle cinque di quel giorno. Lydia affiancò in silenzio le barelle. Su ognuna di esse era appeso un cartellino. Chi era stato fortunato aveva un nome a decorarlo. Troppi altri la parola ‘Ignoto’ seguita da un numero. Lydia si accorse a malapena di essere seguita da Lance, e alle sue spalle dal signor O’Brien e Caitlin. Nessuno provò a fermarli. Decine di barelle sfilarono al loro fianco. Finché…
Il nome era stato scritto frettolosamente, ma era inconfondibile. Lydia si limitò ad un cenno della mano, ma fu probabilmente il suo viso stravolto a convincere l’Auror che stava trasportando con un incantesimo la barella a fermarsi. Lydia sollevò una mano tremante, pizzicò il lenzuolo ma non riuscì a fare altro. Una mano affiancò la sua e il signor O’Brien ne sollevò delicatamente un lembo.
Se non fosse stato per la magrezza spaventosa, Rachel Simmons sarebbe stata ancora uguale alla donna che Lydia aveva conosciuto nel viaggio in macchina verso casa di sua nonna.
Lydia armeggiò con le mani tremanti la cerniera rotta della sua borsa, e quando finalmente riuscì ad aprirla, estrasse il bocciolo di rosa che le era stato affidato e lo posò con delicatezza sul petto immobile della madre di Henry.
 
Un’unica figura si stagliava nel giardino di casa O’Brien. La nonna li stava aspettando, le mani strette attorno al bastone e lo sguardo fisso verso il cancello. Non fece alcun cenno al loro arrivo, né chiese nulla. Lydia sospettò che avesse già compreso tutto, in fondo sua nonna aveva dimostrato più volte di essere più perspicace di quanto lasciasse vedere.
Sapeva chi mancava, sapeva dove era.
Quando la raggiunsero, Lydia rallentò il passo fino a fermarsi di fronte a lei. «Potete andare a chiamare Henry?»
«Lydia, non sei costretta a farlo.» Anche senza guardarlo, Lydia sapeva che il signor O’Brien era preoccupato per lei. «Ci penseremo io e Rose. Dobbiamo solo trovare il modo migliore…»
«No.» replicò decisa Lydia «È un mio dovere.»
Nessuno provò più a farla desistere.
Il signor O’Brien annuì stancamente. Mentre la superava, Caitlin si fermò al suo fianco. Teneva lo sguardo basso, le braccia stringevano la cartelletta martoriata, come se fosse un salvagente. E poi, senza alcun preavviso, allargò le braccia e strinse Lydia in un abbraccio. Non disse nulla. Non ve ne fu bisogno. Lydia sentì le lacrime pizzicarle nuovamente gli occhi, si impose però di non cedere. E Caitlin la lasciò andare, per seguire il padre in casa. Anche Lance non disse una parola, non provò a convincerla né le chiese di rimanere con lei. Si limitò a darle un bacio sulla fronte e poi si diresse verso l’ingresso.
«Andiamo a sederci?» Lydia seguì sua nonna verso una panchina dell’immenso giardino. Quando vi si sedette la riconobbe. Era la stessa su cui era seduta ad agosto, quando Katherine le aveva raccontato la sua storia. La nonna si sedette accanto a lei con un sospiro affaticato.
«Tu la conoscevi. Aveva qualche parente?» Una flebile speranza si accese nel cuore distrutto di Lydia. Durante tutta la sua permanenza, Henry aveva nominato sempre la madre, solo in un paio di occasioni il padre e quasi mai altri famigliari, eppure doveva avere ancora qualcuno al mondo che lo potesse accogliere.
Ma la nonna scosse la testa. «Non la conoscevo bene. Ti ho raccontato della morte di mia sorella, di quando al Ministero ho saputo cosa era successo solo perché mi è stato raccontato dal marito di una collega morta insieme a lei. Ecco, Rachel era loro figlia. Suo padre, il nonno di Henry, mi aveva lasciato il suo indirizzo così da poterlo contattare se avessi avuto bisogno del suo aiuto. In tanti anni non l’ho mai usato. Poi, qualche anno fa, il mondo ha iniziato a cambiare, tu e i tuoi genitori non mi dicevate niente, fingevate che non c’era nulla di strano, che andava tutto bene, ma io sapevo che non era la verità. Ho riconosciuto i segni, sai, gli stessi identici segni dell’inizio della guerra che mi ha portato via mia sorella. Riconoscevo nelle tue bugie le stesse che mi raccontava Eimhir per farmi stare tranquilla, ma sapevo anche che né tu né i tuoi genitori mi avreste mai raccontato la verità. E così quando tu e i tuoi mi avete detto che vi sareste trasferiti da me per un certo periodo, ho spedito una lettera all’indirizzo che quell’uomo mi aveva dato anni fa. Ho chiesto informazioni, cosa stesse accadendo e quanto fosse in pericolo la mia nipote nata senza una dinastia di maghi a proteggerla. Mi ha risposto Rachel. Mi ha informata che suo padre era morto alcuni anni prima, ma che poteva rispondere lei ai miei interrogativi al suo posto. Mi ha raccontato tutto, non pretendo di aver compreso molto della politica del vostro mondo, ma ho capito che la situazione sembrava persino peggiore dell’altra volta. Rachel mi ha scritto che anche lei era in fuga, aveva avuto un bambino da un babbano e per questo era stata inserita nell’elenco dei traditori del suo sangue. Aveva trovato una soluzione sicura per suo figlio, questa casa, aveva solo bisogno di un luogo sicuro in cui potesse affidarlo a coloro che si sarebbero presi cura di lui. Le ho proposto di venire a casa mia, e ho chiesto a tuo padre di fare una deviazione nel vostro viaggio per poter dar loro un passaggio. La sera stessa in cui ha consegnato il bambino se ne è andata. Non so dove era diretta.»
Qualsiasi fosse stato il suo piano, l’aveva condotta dritta ad Azkaban, alla sua fine.
«Ti ha detto qualcosa del papà di Henry?»
«Le ho chiesto dove era, naturalmente, e perché non si stava prendendo cura di suo figlio. Lei mi ha risposto che quell’uomo – se così può essere definito - li aveva abbandonati quando aveva capito che stava per scoppiare la guerra, per salvarsi la vita. E quella povera donna lo difendeva ancora, diceva che era naturale che avesse avuto paura, che lo capiva.» rispose con astio sua nonna.
«Quindi Henry non ha più nessuno?»
L’espressione di sua nonna si addolcì. «Aveva solo sua madre, questo però non significa che ora sia solo.»
Ma Lydia non considerava possibile che il suo amore verso quel bambino potesse sostituire quello della madre. Per quanto lei e tutti gli abitanti di casa O’Brien si sarebbero sforzati, nulla avrebbe mai potuto essere abbastanza, lo sapeva.
Ed eccolo lì. Henry. Che correva verso di lei con un sorriso che risplendeva l’intero giardino. Non sospettava nulla. Come poteva? Era troppo piccolo per capire la crudeltà umana, il dolore, il lutto. Eppure, entro pochi minuti, Lydia avrebbe dovuto farglieli conoscere.
«Posso restare.»
Lydia avrebbe voluto rispondere di sì. «No.» Era un suo compito, un suo dovere. Lo doveva ad Henry, lo doveva a Rachel. La nonna comprese, fece leva sul bastone per riuscire ad alzarsi, Lydia posò una mano sulla sua per fermarla. «Ho una cosa per te.» Rovistò velocemente nella borsetta, mentre Henry si avvicinava sempre di più.
«Questa è tua.» La nonna sgranò gli occhi, strinse la bocca in una linea dritta e con mani tremanti prese la custodia che la nipote le stava porgendo. Sollevò il coperchio e la bacchetta di Eimhir rivide la luce del sole per la prima volta da più di due decenni. «Sono passata all’ufficio della Regolamentazione degli Artefatti Magici al Ministero. Ho scoperto che alla mia nascita sono diventata in automatico l’erede di Eimhir, mi è bastato compilare un modulo per avere la sua bacchetta.»
Quando risollevò lo sguardo dalla bacchetta, vide le lacrime negli occhi di sua nonna. «Dovresti averla tu.»
Lydia scosse la testa. «Appartiene a te, nonna. È sempre appartenuta a te.»
La nonna si strinse il cofanetto al petto, abbracciandolo come se fosse la sua amata sorella. «Grazie.» disse in un sussurro commosso.
Lydia le sorrise, e poi non vi fu altro tempo. Henry era arrivato, con le sue chiacchere e la sua allegria, a chiederle una marea di domande su sua madre, sulla sua reazione quando le aveva dato la rosa. La nonna si allontanò con passo lento, e Lydia iniziò a parlare con delicatezza, con amore, mentre il vento soffiava sui loro volti e gli uccellini cantavano il loro canto funebre.
 
 


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Capitolo 39
*** Capitolo 39 - La solitudine dei sopravvissuti ***


Capitolo 39
La solitudine dei sopravvissuti


 
Lydia Merlin odiava gli ospedali. Il silenzio ovattato, le pareti troppo candide, l’odore di disinfettante che copriva ogni altro e pizzicava il naso, le sedie scomode per i visitatori, le finestre che non si potevano aprire, i bip regolari che provenivano da dentro e fuori la stanza, i parenti che piangevano nei corridoi per non farsi vedere dai malati.
Lydia Merlin odiava ogni cosa dell’ospedale San Mungo, ma non si sarebbe mossa da lì per alcuna ragione.
Alice sonnecchiava, un incantesimo sensore che le controllava costantemente i parametri vitali, una coperta leggera che le copriva le gambe. Lydia temeva che potesse sentire freddo ma l’ultima volta che aveva provato a coprirla meglio, Alice si era svegliata agonizzante, urlando che non riusciva a respirare. Il guaritore aveva cercato di consolare Lydia dicendole che era solo una reazione naturale del corpo di Alice dovuto agli abusi a cui era stata costretta durante la prigionia. Non aveva funzionato, il senso di colpa aveva comunque attanagliato Lydia, che ora faceva ancora più attenzione a non ferire la sua migliore amica. Solo che era un’impresa difficile, se non impossibile. Qualsiasi movimento Lydia facesse, portarle alla bocca il cibo o il bicchiere d’acqua, spazzolarle i capelli, aiutare i guaritori a lavarla, provocavano nella sua amica intense fitte di dolore. Lo stesso guaritore le aveva detto che era anche esso naturale, che la sua amica aveva solo bisogno di un po’ di tempo per riprendersi. Lydia non aveva voluto chiedere quanto.
Le due settimane di degenza iniziavano comunque a dare degli effetti positivi: Alice riusciva a rimanere sveglia anche per un’ora di fila prima di ricadere nel suo sonno agitato e indotto dalle pozioni che la sostenevano, e il suo respiro era molto migliorato, al punto da poter concludere una frase intera senza rantoli. Lydia era diventata un’esperta nel sottolineare all’amica tutti i progressi che stava facendo per mantenerle alto il morale, un’impresa difficile considerando che Lydia stessa non aveva nulla che potesse renderla felice nell’ultimo periodo.
Erano passate quasi due settimane dal giorno della liberazione di Azkaban.
Una settimana dal funerale della mamma di Henry.
Era stata una cerimonia semplice, Lydia aveva temuto che sarebbero stati presenti solo lei, la famiglia O’Brien, sua nonna e i pochi bambini rimasti nelle loro cure. Ma quando era arrivata al piccolo cimitero, con la mano stretta attorno a quella di Henry, si era commossa nel vedere una piccola folla. C’erano sua mamma e suo papà, Silas, Cyril e Nikolas, i genitori e la sorella di Katherine, appena tornati dalla Francia dove la figlia li aveva fatti rifugiare ad inizio guerra, e poi tutti i bambini che erano stati ospiti di casa O’Brien con i rispettivi famigliari. Henry si era fatto forza per tutta la cerimonia, con la schiena dritta, senza dire mai una parola e senza lasciare neanche per un istante la mano di Lydia.
Dalla perdita della madre, Lydia si era ripromessa di stargli vicino, e aveva fatto la stessa promessa ad Alice. E così le sue giornate erano divise tra l’ospedale ed Henry, con il costante senso di colpa di aver lasciato solo Henry quando si trovava con Alice e viceversa. Aveva persino pensato di portare il bambino in ospedale, ma era bastata una rapida occhiata nelle stanze attigue a quella di Alice e ad Alice stessa per ricredersi. Quello non era un luogo per bambini, e Alice non aveva nessun altro tranne lei. Per contingentare gli ingressi, il San Mungo aveva emesso una circolare che permetteva ad un solo famigliare per paziente di entrare nel reparto, e visto che i genitori di Alice erano babbani e non potevano entrare da soli nell’ospedale, avevano implorato Lydia di diventare il suo contatto di emergenza. Lydia aveva accettato all’istante.
Ospedale, pranzo veloce, pomeriggio con Henry, ospedale, casa dei genitori di Alice per informarli delle sue condizioni. Era questa la sua vita ora. Non le servivano gli sguardi preoccupati di Lance o di qualsiasi altro componente della famiglia O’Brien per accorgersi di essere esausta. Le bastava guardarsi allo specchio e vedere le profonde occhiaie violacee che le solcavano il viso, i capelli spettinati e racchiusi in code sempre più caotiche, senza contare i mal di testa che erano tornati con prepotenza e il dolore alle costole che non sembrava più volerla abbandonare dopo la giornata passata al Ministero. Però il lato positivo di passare la maggior parte del tempo in un ospedale era che il guaritore addetto ad Alice aveva notato le sue ferite e le aveva passato sottobanco alcuni unguenti. Un crema per cicatrizzare più velocemente la ferita sulla nuca, una pozione contro il mal di testa ed un tubicino minuscolo di tintura per alleviare i dolori alle ossa. Erano campioncini di cui nessuno avrebbe notato la mancanza, le aveva assicurato il guaritore, ma quando Lydia aveva chiesto se aveva qualcosa anche per guarire le ossa multi fratturate o sensibilizzare i nervi di una mano, aveva scosso la testa desolato. Lydia aveva messo in tasca la tintura per le ossa. Avrebbe sopportato il dolore delle costole ancora per un po’ se significava alleviare almeno una frazione di quello di Duncan.
E Duncan l’aveva adorata per questo.
Quando la sera prima gli aveva dato la fialetta, Duncan aveva prima borbottato sulla quantità minuscola contenuta, per poi prodigarsi a tessere le sue lodi quando la tintura aveva fatto effetto. Lydia aveva seriamente temuto che il guaritore avesse confuso i campioncini, consegnandole involontariamente del veleno, o una pozione illegale, o qualsiasi stramberia che potesse spiegare il sorriso beato che si era dipinto sul volto del ragazzo. Duncan non era stato l’unico a ringraziarla, anche la nonna aveva molto apprezzato il cessare dei suoi borbottii, anche se l’effetto non era durato a lungo.
«Da quando sei interessata a Pozioni?»
Lydia sollevò lo sguardo dal giornale che stava fingendo di leggere, una vecchia edizione di Pozionista Oggi, datata quattro anni prima, che aveva trovato nella sala d’aspetto. «Io sono sempre stata interessata a Pozioni. Avrei potuto diventare la più grande pozionista al mondo se solo qualcuno avesse compreso il mio genio.»
Alice ridacchiò, per interrompersi subito con una smorfia di dolore, facendo percepire a Lydia l’ennesima stilettata di senso di colpa e facendola piombare nel silenzio. Sapeva che non avrebbe dovuto sentirsi in colpa, che le condizioni di Alice non erano una sua responsabilità, eppure continuava a considerare impossibile ignorare il fatto che anche lei avrebbe potuto trovarsi nelle medesime condizioni se le cose fossero andare diversamente, che forse se quel giorno fosse entrata al Ministero almeno la sua amica non avrebbe dovuto affrontare quell’incubo da sola. Forse avrebbe visto la mamma di Henry e… Un dubbio la assalì. Sollevò di nuovo lo sguardo su Alice mentre una domanda si formava nella sua mente. La sua amica riconobbe all’istante la sua espressione. «Cosa c’è?»
«Mi chiedevo…» Poteva chiederlo? Doveva. «C’era una donna, lì» Non specificò dove, non ce ne era bisogno «Rachel Morrison. Lei… aveva un bambino… Henry, quello di cui ti parlo sempre e…» Non seppe come continuare la frase. Come poteva dirle che voleva sapere se lei l’aveva conosciuta per avere qualcosa da dire a suo figlio quando sarebbe stato più grande? L’unica informazione che gli impiegati del Ministero le avevano dato era che Rachel era morta dopo la liberazione a causa delle ferite riportate. Nulla di più. Né esattamente quando né per quali ferite. Non sapevano neppure da quanto tempo era stata catturata. La sua vita era avvolta dal mistero da quando aveva lasciato la casa della nonna.
Alice si irrigidì e Lydia si pentì all’istante della domanda. Era stata una stupida, un’insensibile. «Scusa, non dovevo.»
«Eravamo in troppi, Lydia.» Alice serrò gli occhi, il dolore che le deformava il viso. «All’inizio no. C’erano abbastanza celle per tutti coloro che si erano presentati al Censimento, ma con il passare dei mesi eravamo sempre di più.»
Lydia avrebbe voluto implorarla di smetterla, che non doveva farlo, ma nella realtà si trovò bloccata. Dalla curiosità, dalla volontà di cercare di capire.
«Conosco solo due nomi. Della e Shelly. Sono state le prime donne con cui ho condiviso la cella. Ci tenevamo compagnia, cercavano di tenerci su di morale, di trovare un modo per sopravvivere alla mancanza di aria, al cibo marcio, alle torture a cui ogni tanto ci sottoponevano quando i Mangiamorte si annoiavano. Ma poi è arrivato il Vaiolo del Drago. Ci siamo ammalate.» Il fianco di Alice era fasciato, ma Lydia sapeva che sotto le garze candide si nascondevano gli stessi puntini violacei che aveva visto in così tanti prigionieri al Ministero. «Della e Shelly sono morte in una settimana, io pensavo che le avrei seguite, ne ero convinta, ma…» Un rantolo le spezzò il respiro. Stava parlando troppo, era uno sforzo eccessivo per i suoi polmoni danneggiati. Gli incantesimi sensori iniziarono a lampeggiare con maggior intensità.
«Alice, dovresti riposare.»
«Sono sopravvissuta.» Alice aveva spalancato gli occhi, erano rivolti al soffitto, ma Lydia era sicura che riuscissero a vedere solo una lurida cella in una prigione in mezzo al mare. «E sono rimasta sola. Non c’erano più Della e Shelly, erano già state portate via dai Mangiamorte, li potevamo vedere dalle sbarre quando gettavano qualcuno nella fossa, e questa volta era toccato alle mie compagne.»
Il guaritore entrò di corsa nella stanza. I sensori dovevano averlo allertato. Esaminò la scena per un istante e poi si avvicinò al fianco della paziente. «Alice cara, adesso è il momento di riposare. Sono sicuro che la tua amica potrà ascoltare il tuo racconto in un altro momento.» No, la sua amica non avrebbe mai più voluto ascoltare il suo racconto, la sua amica in quel momento voleva solo scappare.
Ma Alice non poteva sentirlo, era ancora persa nella sua prigione. «La mia cella non è rimasta vuota a lungo. Continuavano ad arrivare prigionieri, Nati Babbani catturati o traditori del loro sangue in attesa di un processo che non sarebbe mai avvenuto. Avevano bisogno di spazio e così mi sono ritrovata stretta in una cella minuscola con altre cinque, poi sette, poi dieci persone. Non avevamo neanche lo spazio per sdraiarci per terra.»
«Alice, penso che sia il momento di dormire un po’, va bene?» Il guaritore estrasse da una tasca una fialetta contenente un liquido ambrato.
«Non eravamo mai le stesse persone. Una mattina ti svegliavi e scoprivi di aver dormito accanto ad un cadavere, e allora i Mangiamorte arrivavano, lo portavano via e lasciavano un nuovo prigioniero.»
Il guaritore le mise una mano sotto alla nuca per sollevarla leggermente, mentre con l’altra avvicinava la fialetta alle sue labbra. «Ecco, così, brava. Devi berla tutta.» E Alice obbedì.
Quando ripose la testa sul cuscino però, continuò a parlare. «Ho scoperto che era più facile se non conoscevo i loro nomi. Potevo fingere che fossero dei perfetti sconosciuti quelli che venivano gettati nella fossa. Non ho chiesto a nessuno di loro il nome, né da dove venivano, cosa li avesse condotti lì, se avevano qualcuno che li aspettava a casa.» Le ultime parole erano strascicate, mentre la bocca di Alice cominciava a non rispondere più ai suoi comandi, e le sue palpebre a farsi sempre più pesanti. «Mi aiutava a non impazzire. Ma non so se ha funzionato.» Il suo rantolo si trasformò nel respiro leggero del sonno.
«Pozione Calmante.» spiegò il guaritore, sprimacciando il cuscino e rimboccando la coperta di Alice, ancora rigorosamente posata solo sulle gambe.
Lydia avrebbe voluto chiedergli se ne aveva una dose in più, perché era sicura che quella notte non sarebbe riuscita a dormire.
 
Alla fine il guaritore ebbe pietà di lei e le disse di recarsi alla Sala da tè dell’ospedale per prendersi una bibita. L’ultima cosa di cui Lydia aveva bisogno era mettere qualcosa nello stomaco, ma il desiderio di lasciare la stanza anche solo per qualche minuto ebbe la meglio. Per poter raggiungere la Sala da tè però, avrebbe dovuto attraversare l’intero corridoio con tutti i suoi malati e dopo quello che le aveva appena detto Alice non sapeva se sarebbe riuscita ad affrontarlo. Non con la consapevolezza che Alice le aveva raccontato solo una minima frazione di tutto quello che lei e gli altri prigionieri avevano dovuto sopportare. Si ricordava che il parente di un degente a cui aveva chiesto le indicazioni per arrivare alla Sala da tè nei suoi primi giorni lì, le aveva indicato una scala secondaria che passava sul retro; avrebbe cercato quella.
E con quel nuovo obbiettivo, si avviò verso la parte opposta del corridoio. Raggiunse le scale che le erano state descritte e le salì. Non vi erano indicazioni sui pianerottoli del piano in cui si trovava, per questo seguì l’istinto. Si accorse di aver sbagliato a contare nell’istante stesso in cui tirò la pesante porta di ferro. Il corridoio in cui si trovava era identico a quello che aveva appena lasciato; era indiscutibilmente un altro reparto, non la Sala da tè.
Ma sembrava silenzioso, più di quanto fosse normale in un ospedale. Senza sapere cosa la spingesse a farlo, Lydia iniziò a percorrere il corridoio, quasi in punta di piedi. Una distrazione l’avrebbe aiutata a cancellare dalla mente gli orrori che Alice le aveva appena raccontato. Si avvicinò alla prima porta. Appeso accanto ad essa vi era un cartoncino su cui svettava un nome segnato a biro.
MacAllister B.
Passò a quella successiva. Erano tutte chiuse ed avevano lo stesso cartellino appeso al loro fianco, con un nome diverso su ognuno di loro. Arrivò fino a metà corridoio, e si paralizzò.
Perché il nome segnato accanto alla porta lo conosceva bene. Fin troppo bene. Senza sapere come, sollevò una mano e prima che potesse rendersi conto di ciò che stava realmente facendo, aprì la porta con un colpo secco.
Blake sobbalzò nel letto, ma il suo spavento si trasformò in vero e proprio stupore nel momento in cui si accorse chi era appena entrato nella sua camera d’ospedale.
«Lydia?» sussurrò, con un tono interrogativo, come se si stesse domandando se si trattasse solo di un sogno. Lydia si stava chiedendo la stessa cosa, perché le sembrava di stare solo sognando, di non avere il controllo del proprio corpo mentre si avvicinava al letto. Si fermò ai suoi piedi, un metro li divideva ma lei non riuscì a compiere il passo che avrebbe annullato la loro distanza.
«Lydia!» ripeté Blake. Doveva essersi accorto che lei era veramente lì. Il suo viso era scavato, di un colore giallastro, le labbra secche, una benda gli fasciava il petto, ma tutto sommato sembrava stare bene, soprattutto se messo in confronto con i prigionieri di Azkaban. «Lydia, non posso crederci!»
«Sei vivo.» furono le uniche parole che Lydia riuscì a rivolgergli. Da quando aveva convinto i soccorritori a prendersi cura di lui, Lydia aveva cercato di evitare a tutti i costi di lasciarlo entrare nei suoi pensieri.
Blake non si lasciò scoraggiare dal suo tono monocorde. «Per un soffio, mi hanno detto. L’ultimo ricordo che ho è la maledizione di Isaac, poi il nero più totale, fino a quando mi sono svegliato qui. I guaritori mi hanno detto che la maledizione mi aveva fermato il cuore. E poi mi hanno detto che è crollato il muro e io sono finito sotto le macerie, non ho capito bene come ha funzionato, ma l’impatto ha spezzato la maledizione e ha permesso al mio cuore di riprendere a battere.»
L’impatto o la morte di Mills sotto le macerie.
«Adesso sto meglio, mi fanno male tutte le ossa ma sto meglio. I guaritori però hanno deciso di tenermi in osservazione, hanno detto che ho passato diversi minuti senza ossigeno al cervello e hanno paura che possa aver causato qualche danno.»
Lydia annuì. E poi basta. Rimase lì, immobile come una statua ai piedi del letto, muta. Non aveva parole da rivolgergli, né nulla da rivelargli. E così fece un passo indietro, verso la porta. «Aspetta!» Blake sollevò una mano per afferrarla, nonostante si trovasse fuori dalla sua portata.
Lydia si ritrasse per istinto. Si immobilizzò quando vide le catene che gli legavano le mani al letto. Blake seguì lo sguardo di Lydia fino alle proprie mani. «Oh, queste? Sono per precauzione. Sanno che ad inizio battaglia ero dalla parte sbagliata, quindi sono in attesa di processo. Ma mi hanno detto che una ragazza mi ha difeso, quando ero ad Hogwarts, sei stata tu, vero?»
Lydia non rispose.
«Dovrò essere comunque giudicato… Da come ho capito tutti quelli che si trovano su questo piano dovranno essere sottoposti a processo.»
«E vi tengono imprigionati solo con le manette?»
Blake esitò. «No. Ci sono incantesimi alla porta. Se provassimo a superarla senza permesso ci stordirebbe all’istante. E ci hanno tolto le bacchette.» aggiunse con dolore. Lydia deglutì. Capiva la sua sofferenza, aveva odiato ogni istante passato senza la propria bacchetta, e quando si era risvegliata a casa O’Brien e l’aveva ritrovata sul comodino, la sua gioia era stata talmente immensa da soppiantare solo per un istante il vuoto che provava. Poi si ricordò che il motivo per cui era rimasta senza la sua bacchetta era Blake stesso, e la compassione svanì. Quello non era il suo posto, si accorse, doveva andarsene. Si voltò e fece un passo verso la porta.
Fu in quell’istante che Blake si trasformò. L’accenno di sorriso che le aveva rivolto dal suo ingresso scomparve, soppiantato da un’espressione di puro terrore, i suoi arti si irrigidirono, ed un tremore si impossessò di lui.
«Non andartene!» urlò «Resta, ti prego, resta!»
La supplica di Blake si perse nel silenzio. Lydia rimase in sospeso, nello spazio tra il letto e la porta. Doveva decidere. Fece un altro passo verso la porta.
«No!» l’urlo disperato di Blake la fece sobbalzare. Si arrischiò a voltarsi verso di lui e lesse la stessa disperazione della sua voce anche nel suo corpo teso, le braccia tirate verso di lei nello spazio limitato «Ti prego, Lydia, ti prego… non lasciarmi solo. Non ho più nessuno. Ho tradito i miei amici, i miei genitori non sono mai venuti a trovarmi, non mi hanno neanche contattato. È come se fossi morto per loro. Mi sei rimasta solo tu. Non lasciarmi solo, ti prego.» Le lacrime che scorrevano sul suo viso giallastro erano vere. «Non ho più nessuno. Ho solo te.»
E Lydia si sentì soffocare. Senza voltarsi indietro, uscì dalla stanza, ignorando le urla disumane di Blake, corse verso le scale da cui era arrivata, voleva andare via da lì, dimenticarsi di esserci mai stata. Ma sbatté contro un guaritore comparso dal nulla. Inciampò e furono le braccia del guaritore ad impedirle di cadere.
«Oh, scusami tanto.» La voce del guaritore era allegra, in netto contrasto con tutto ciò che quel corridoio rappresentava. «È solo che è scattato il sensore e non potevo credere che qualcuno fosse finalmente arrivato per Blake! Sei Lydia Merlin, vero?»
Lydia sgranò gli occhi.
«Blake non fa altro che parlare di te! Me l’ha detto che saresti venuta. Bene, ora che sei qui possiamo risolvere alcune questioni.» Con un colpo di bacchetta, il guaritore fece comparire nell’aria una cartellina. Sulla copertina era scritto il nome di Blake. «Bene, bene, bene.» Con un altro tocco di bacchetta la cartellina si aprì, vomitando fuori una serie di documenti che cominciarono a svolazzare attorno a Lydia, che fissava la scena con il fiato spezzato e lo stesso stupore paralizzante. «Per prima cosa devi firmare la nomina come contatto di emergenza di Blake, così potrai avere sempre libero accesso al piano e potremo discutere con te delle medicazioni e di eventuali complicanze mediche. Blake ha fatto subito il tuo nome, ma senza anche la tua firma di consenso non possiamo procedere e… dove vai?»
Ma Lydia era già lontana. Corse fino alla porta del corridoio, la spalancò e si precipitò giù dalle scale. Le bastarono una decina di scalini per lasciarla completamente senza fiato, il male alle costole che le impediva di inspirare ed ogni singola ferita che si era procurata durante la battaglia si era risvegliata, provocandole fitte di dolore nella maggior parte del corpo. Ma non si fermò e continuò a correre.
 
«Dovresti riposare.»
«Disse la giornalista che passa più tempo in redazione che a casa.»
Lydia continuò a fissare l’orto vuoto di Lance mentre Katherine si sedeva al suo fianco sulla panchina. «Non fate altro che ripetermelo tutti. Vi giuro che sto bene.»
«Non ti sto dicendo di fermarti. Anzi, capisco come mai è così importante per te.»
«Davvero?» chiese Katerhine, stupita.
Sì, Lydia lo sapeva perché in fondo stavano facendo entrambe la stessa identica cosa: occupare ogni secondo della giornata per tenere le loro menti distratte e gli incubi lontani. Solo che per Lydia non stava funzionando. «Come stai?»
Katherine si rilassò, chiuse gli occhi e sollevò il volto rivolgendolo verso i pochi raggi di sole che riuscivano a superare le nuvole. «Bene. Male. Non lo so più neanche io.»
«Stanca.»
«Sì, stanca potrebbe essere la definizione giusta.»
«E il bambino?»
Katherine sorrise, con il volto ancora rivolto verso il sole. «Lui, o lei, bene. Io passo tutta la giornata a vomitare e suo padre è obbligato a rimanere immobile a letto per non peggiorare le sue ossa martoriate. Direi che tra tutti il bambino, o la bambina, è quello che sta meglio.»
«Avevate la visita della guaritrice oggi, vero? Come è andata?»
Il sorriso sparì dal volto di Katherine, e quando riaprì gli occhi, erano intrisi di preoccupazione. «Niente di nuovo. Ha detto che potremmo tentare di rivolgerci ai dottori babbani, che potremmo pensare ad un intervento chirurgico, ma non promette nulla di buono. Gli abbiamo spiegato la situazione e ci ha risposto che probabilmente è proprio questa la causa della sua incurabilità: quando l’Acromantula ha morso la gamba di Duncan gli ha iniettato una dose di veleno, non abbastanza da ucciderlo ma sufficiente per impedire alle sue ossa di risaldarsi.»
«Mi dispiace.»
«Duncan non l’ha presa bene. Vorrei chiederti di provare a parlargli ma hai già abbastanza pesi sulle tue spalle.»
Lydia non lo negò. «Anche tu hai troppe responsabilità addosso. Forse dovresti davvero ascoltare la nonna e prenderti un po’ di tempo per te.»
«Non posso. Non ora, con così tanto da fare e così poco personale. Alla Gazzetta siamo rimasti in pochissimi. Chi sosteneva i Mangiamorte è stato allontanato e di tutti quelli che eravamo ad inizio guerra, metà sono dovuti scappare o hanno dovuto nascondersi come me, e solo in pochi sono riusciti a tornare.» Katherine chinò il volto «Non ce l’hanno fatta, sai? I miei colleghi, quelli che sono stati arrestati quando io sono riuscita a scappare dall’ufficio. Ho impiegato giorni a scoprirlo, non erano negli elenchi ufficiali forniti dal Ministero, ma poi ho scoperto che quando si è diffusa l’epidemia di Vaiolo del Drago ad Azkaban sono morti talmente tanti prigionieri che durante quella settimana hanno smesso di segnare i loro nomi. Sono stati semplicemente gettati in una fossa comune. Hanno riavuto il loro nome solo due giorni fa. La terra non dimentica niente, sai?»
Lydia si sfregò la mano sulla fronte, nel vano tentativo di allontanare l’emicrania e l’immagine di una fossa in un prato salmastro. «Finirà mai, tutto questo orrore?»
«Un giorno, non so quando sarà, ma un giorno ci sveglieremo e tutto questo ci sembrerà un ricordo sbiadito. Spero solo che non si cancelli del tutto, che rimanga solo un po’, abbastanza da ricordare il motivo per cui non dovremo mai più permettere che accada di nuovo.»
«E intanto cosa dobbiamo fare?» La domanda di Lydia era sincera. Da quando aveva attraversato la porta di Blake era l’unica che occupava la sua mente.
Katherine appoggiò la testa sulla sua spalla. «Resistere, fare tutto quello che è in nostro potere per rendere le nostre vite di nuovo migliori, e stare gli uni vicini agli altri. Quello di cui abbiamo più bisogno è sapere che siamo ancora qui, siamo insieme e non siamo soli.»
 
Le parole di Katherine rieccheggiarono nella mente confusa di Lydia per giorni. Non siamo soli. Nessuno di loro lo era. Nessuno di loro doveva esserlo.
Ogni giorno andava da Alice, si assicurava che stesse migliorando, o almeno fosse stabile, cercava di tenerle compagnia nei momenti in cui riusciva a stare sveglia, la sosteneva quando i guaritori la consideravano abbastanza in forze per rimanere seduta qualche minuto.
Quando Lydia usciva dal reparto però, si trovava di fronte ad una porta serrata, con un cartoncino scritto a mano, a tentare di convincersi di aprire quella serratura e affrontare il ragazzo distrutto che stava dall’altro lato. Ed ogni volta, scappava.
Si odiava per questo. Perché come aveva detto Katherine, nessuno doveva rimanere solo, Lydia stessa non sarebbe riuscita a sopravvivere ai suoi incubi se fosse stata sola, e a Blake era rimasta solo lei. Le aveva salvato la vita e per quanto quella notte Lydia aveva pensato che non c’era più niente in quel mondo per lei, aveva ora scoperto che non era vero, che Alice ed Henry avevano bisogno di lei, e se era ancora lì ad aiutarli era solo merito di Blake. Era tornata da Lance, dai suoi genitori, dalla nonna, dalla famiglia O’Brien, e solo perché Blake aveva messo a repentaglio la propria vita per salvare la sua.
Negli ultimi anni tutti quelli che più amava le avevano dato dell’egoista. Si era ripromessa di non esserlo più, di essere migliore. Eppure si sentiva proprio così ogni volta che scappava da lui.
Egoista e codarda.
Ma da quella sera, nell’appartamento di Eileen, il nome di Blake si era indissolubilmente legato agli assassinii di zio Ryan, di Paul. All’odio di zia Maisie. Alla sua cicatrice. Ed ogni singola volta che Lydia si trovava davanti a quella porta e si convinceva che Blake meritava la sua presenza, gli spettri dello zio e di Paul ricomparivano davanti ai suoi occhi, impedendole di proseguire.
Lydia tornava a respirare solo una volta tornata nella sua camera a casa O’Brien.
Lontana dall’ospedale, dai silenzi assordanti dei corridoi di casa, ora che non vi erano altri bambini oltre ad Henry e la piccola Keira a rallegrarli.
Odiava quel silenzio. Le faceva pensare a tutti i bambini che era stata costretta a salutare negli ultimi giorni. Sapeva che non era un addio, per nessuno di loro, ma non riusciva a rallegrarsene, e si sentiva in colpa per questo, perché era un’egoista a desiderare che quei bambini si trovassero ancora con lei quando erano tornati dalle persone che amavano.
E a volte quello stesso senso di colpa che provava per i bambini e per Blake la portava a cercare un rifugio, un posto dove potersi nascondere da tutti i pensieri che si affollavano nella sua testa.
«Ancora non ho capito cosa ci fai qui.»
Duncan la squadrava dal letto, sospettoso.
«Volevo farti compagnia.» rispose Lydia tranquillamente.
«Sei entrata in camera venti minuti fa e sei in silenzio da allora.»
Su quello aveva ragione.
Lydia sbuffò. «E va bene. Di cosa vuoi parlare?»
«Di niente. Preferisco il silenzio.»
La ragazza alzò gli occhi al cielo.
«E comunque mi hai almeno portato un altro po’ di quel meraviglioso unguento?» Duncan cercò di sistemarsi il cuscino, movimento reso difficoltoso dalla gamba completamente ingessata e sollevata di qualche centimetro da un incantesimo. Lydia non provò ad aiutarlo, l’ultima volta che lo aveva fatto, Duncan aveva sbuffato e ringhiato come un drago (guadagnandosi di conseguenza una ramanzina da parte della nonna).
«No.» rispose incrociando le braccia al petto.
«Non lo sai che se si va a trovare un infermo occorre portare un regalo?»
«Non sei un infermo.» Duncan squadrò prima lei, poi la sua gamba ingessata. «E va bene.» concesse Lydia «In questo momento sei effettivamente infortunato, ma prima di quanto immagini sarai di nuovo in piedi e attivo.»
«Hai qualche miracolo in serbo per me?» Il ghigno di Duncan non poteva nascondere il dolore nei suoi occhi.
«Nessun miracolo. Ma appena i guaritori ti lasceranno muovere, ti alzerai da questo letto e tornerai alla tua vita.»
«È stata Kate a dirti di parlarmi, vero?»
«Forse. O forse è perchè so cosa significa pensare che la propria vita sia finita.» Lydia si sfiorò la cicatrice. «Hai Kate, un bambino in arrivo, i tuoi genitori, tuo fratello, tua sorella. Non ti permetterò di stare qui su questo letto a guardare la vita che ti scorre davanti.»
Duncan la fissò, e se Lydia non lo avesse conosciuto così bene avrebbe detto che era quasi commosso. «Lo stesso vale per te, sai?»
«Io sono in piedi.» replicò immediatamente Lydia, sulla difensiva.
«Fisicamente sì, ma Kate non fa altro che dirmi quanto stai correndo per tutti tranne che per te stessa.»
«Io non ho bisogno di niente.»
«Hai bisogno di riposo. Come tutti noi, o probabilmente anche di più.»
«Non posso lasciare sola Alice, ed Henry ha bisogno di me, e…» Blake. Anche Blake aveva bisogno di lei.
«La guerra è finita, Lydia.» la interruppe Duncan «Vorrei solo che ti ricordassi di questo.»
 
Lydia cercò di ascoltare il consiglio di Duncan e nel breve tragitto che separava le loro due camere, continuò a ripeterselo più e più volte.
La guerra era finita.
La guerra era finita.
Eppure ogni volta le sembrava una menzogna.
Perché la realtà era che, come diceva Lance, la guerra per lei non era ancora terminata. Non quando Alice assomigliava terribilmente ad uno scheletro, non quando Henry piangeva tutte le sere implorando la sua mamma di tornare, non quando Blake era legato ad un letto di ospedale, solo, con il terrore che quello sarebbe stato il suo destino.
Un leggero bussare alla porta della camera risvegliò Lydia dai suoi pensieri. «Scusami se ti disturbo, cara.» disse la signora O’Brien comparendo sulla soglia «Ma…» esitò. Sollevò una mano e Lydia riuscì a vedere cosa stava trasportando. Una felpa insanguinata, dei pantaloni stracciati. Per un istante si sentì schiacciata sotto un muro di pietra.
«Non li voglio.» boccheggiò.
La signora O’Brien li fece sparire dietro alla schiena. «L’ho pensato, ma volevo essere sicura. Sai, quando siete tornati ho messo tutti i vostri vestiti in lavanderia, chiusi in un cassetto. Non so perché non li ho buttati via prima, era solo… Ma adesso è ora di pensare al futuro, non trovi?»
Lydia annuì, non del tutto convinta. Come poteva pensare al futuro quando il passato la stava ancora tormentando?
«Comunque ho trovato questa, nella tua tasca. Scusami, non l’avevo vista prima, se no te l’avrei portata subito.» E le tese una busta. Era stropicciata, stracciata in alcuni punti, un angolo era intriso di sangue, eppure il nome vergato su di essa era ancora perfetto. Lydia Merlin.
La lettera di Eileen.
La lettera che Lydia aveva trovato tra gli scatoloni rovesciati quando era stata rinchiusa in camera da Blake all’arrivo di Mills e O’Neill.
Lydia ricordava di averla messa in tasca, ma dopo se ne era completamente scordata.
La prese, accorgendosi che le sue mani erano attraversate da un leggero tremito. «Grazie.»
Non sentì la risposta della signora O’Brien, né la porta richiudersi. Si limitò a fissare la busta e a sedersi sul bordo del letto. Il sigillo era ancora intero, nessuno aveva letto quella lettera prima di lei.
Lo ruppe.
Nella busta erano contenuti due fogli di pergamena. Il primo era una specie di contratto, che Lydia, nella sua confusione, non riuscì a comprendere, il secondo era la lettera di Eileen. La dispiegò delicatamente, il sangue secco stridette quando la distese.
 
Cara Lydia,
Ti starai di sicuro domandando il perché di questa lettera considerando che ci conosciamo poco. Ti darò presto la risposta ma prima, ti supplico, regalami un po’ del tuo tempo, consideralo come l’ultimo desiderio di una condannata.
Se hai ricevuto questa lettera significa che sono morta.
Ecco, l’ho scritto.
Sì, io, Eileen Moore sono morta a causa delle decisioni che ho preso nella mia vita. Tutte le scelte che ho fatto negli ultimi anni hanno portato a questo esatto momento.
Ho appena finito di scrivere la mia lettera di addio per Blake, pensavo di riuscire così a sentirmi in pace con me stessa, pronta a quello che inevitabilmente accadrà se questa stupida guerra non finirà presto. Il problema è che quando ho finito di scrivere non mi sono sentita in pace. No, una piccola parte di me pretende che io racconti la mia storia a qualcuno.
La mia vera storia.
Ma forse è meglio iniziare dal principio.
Da bambina avevo un sogno: che il nostro mondo potesse diventare un luogo senza divisioni, in cui l’amore avrebbe potuto essere più importante del sangue, in cui i bambini potevano essere liberi di essere tutto ciò che desideravano, senza che il destino fosse già scritto per loro. Nel mio mondo ideale, e forse molto ingenuo, non vi era spazio per le ingiustizie, per maghi oscuri o guerre, la magia sarebbe tornata ad essere quella raccontata anche dalle fiabe babbane. La realtà, però, era ben diversa.
Una premessa, che forse essendo tu una Nata Babbana, non potrai comprendere pienamente. Essere Purosangue non significa solamente provenire da una famiglia che possiede la magia da generazioni, è molto di più. È un bagaglio di tradizioni e responsabilità che vengono tramandate di padre in figlio, di madre in figlia da secoli. Mentre il mondo babbano è progredito, noi siamo rimasti fermi, siamo il corrispondente di un’aristocrazia che non esiste più. Veniamo cresciuti con l’ideologia che avevano i nostri antenati, che solamente il nostro sangue è puro, che coloro che non possono vantare di un patrimonio culturale come il nostro non sono altrettanto degni di essere chiamati maghi e streghe. I nostri antenati la pensavano così, e hanno trasmesso questa convinzione ai figli, i quali l’hanno tramandata ai loro figli e così via, in una catena che solo pochi hanno avuto il coraggio di spezzare, ed ognuno di quei pochi è stato condannato all’oblio per questo.
Sono consapevole dei pregiudizi di molti nei confronti delle famiglie Purosangue, e di conseguenza dei Serpeverde, essendo la Casa che ospita la maggior parte di noi, ma vorrei solamente farti capire quanto è difficile rompere questa catena. Se sin da quando hai solo pochi mesi, i tuoi genitori, coloro di cui ti fidi e che ami, cominciano a dirti che tu sei migliore degli altri, allora è naturale che inizi a crederlo tu stesso. E nella mia famiglia non è stato molto diverso. Mia madre è stata allevata con questa ideologia, e per lei è stato naturale crescere anche me e Blake nello stesso modo. Ed eccoci qui, al motivo per cui ti sto raccontando tutto questo… ho bisogno che tu capisca perché da quando vi conoscete, Blake ti ha trattato in un modo così atroce. Non lo sto giustificando, non fraintendermi, ma, come temo che anche tu sappia troppo bene, mio fratello non è mai stato particolarmente capace di imporre il proprio pensiero, o di avere il coraggio di possederne uno diverso da quello delle persone che lui considera amici. Quando mi sono accorta dei pregiudizi che dimostrava, del modo in cui offendeva gli indifesi, ho provato in tutti i modi a farlo desistere, a cercare di aiutarlo, ma la mia impresa è stata vana, soprattutto perché in famiglia ero l’unica a cui importava. Mia mamma lodava il suo comportamento, le amicizie che era riuscito a stringere ad Hogwarts, mio padre era accecato dall’amore, e considerava le sue discriminazioni semplicemente come delle piccole marachelle, senza alcun conto. Perché in fondo ai suoi occhi era solo un bambino.
Sembrava quasi che solo io riuscissi a vedere il male che stava facendo, e la strada pericolosa che aveva imboccato.
E poi sei arrivata tu, Lydia. E io ho visto il modo in cui Blake ti guardava quando pensava che nessun altro lo vedesse. Lui desiderava la tua amicizia, eppure quando era in compagnia dei suoi amici ti trattava nel peggior modo possibile. Ma io riuscivo a vedere la verità. E tu sei diventata la mia speranza. Dovevo solo trovare un modo per farvi passare del tempo insieme, lontani da tutti i vostri amici, ed è stato fin troppo semplice inventare scuse sempre più strampalate per mettervi in punizione e costringervi a parlarvi. Il mio piano ha funzionato. Ho visto la vostra amicizia fiorire proprio nel vostro risentimento nei miei confronti. Oh, non sai quanto ero felice quando vi vedevo in biblioteca insieme, o nei corridoi a complottare il modo per fermarmi. Ma la mia felicità è durata poco. Alla fine di quello stesso anno la vostra amicizia era già terminata, Blake ha iniziato ad allontanarsi anche da me, e ad ogni anno che passava era sempre più avvinghiato alle sue amicizie, pronto a ripetere come un pappagallo il loro pensiero, senza mai accorgersi di quanto fosse infelice. Io ci ho provato, Lydia. Giuro di aver provato in tutti i modi ad allontanarlo da loro e dalla sua stessa arroganza, finché ho capito che era completamente inutile. Blake era perso. E la guerra era iniziata.
Ho pensato a lungo e intensamente a tutte le possibilità. Alla fine mi sono dovuta arrendere all’evidenza. Se Blake non era cambiato in tanti anni ad Hogwarts, dopo le innumerevoli opportunità che gli avevo dato, dopo le possibilità che tu gli avevi donato, non l’avrebbe fatto di sicuro ora, circondato da convinti sostenitori di Voldemort e senza via di fughe. Ecco, l’unico modo per salvarlo era offrirgli un’ultima via di fuga e costringerlo a prenderla anche contro la sua volontà.
Durante gli anni di scuola, ho impressionato con le mie abilità due Serpeverde particolarmente crudeli. Zachary Harris e Thaddeus Mills, forse li conosci, o meglio, conosci il fratello di Mills, Isaac e la sorella di Harris, Celia. Due dei migliori amici, se così possiamo definirli, di Blake. Sapevo che Zachary e Thaddeus sarebbero stati i primi a sostenere Voldemort e i suoi Mangiamorte, e infatti hanno creato un gruppo di sostenitori, e, proprio come avevo previsto, mi hanno proposto di unirmi a loro. Ho finto di essere sorpresa, quando in realtà era proprio ciò che volevo. Erano loro la mia ultima occasione per proteggere Blake dalla guerra. Il fratello di Mills è il migliore amico di Blake, se fossi riuscita a barattare il mio ingresso nel gruppo con l’estromissione di Blake da ogni movimento a sostegno di Voldemort, allora sarei riuscita a salvarlo. E così ho fatto. Ho proposto loro un contratto, vincolato dalla magia, che li proibisse di far entrare Blake in qualsiasi gruppo a sostegno di Voldemort e lo costringesse a tornare a casa dai miei genitori. E ha funzionato. Harris e Mills hanno accettato e Blake è tornato a casa, lontano dalla guerra.
Lydia rilesse l’ultima riga. E poi guardò il contratto. Poteva sentire nella carta stessa il peso delle maledizioni che lo impregnavano. Eppure non aveva funzionato. Perché Blake si era unito comunque al gruppo di Isaac Mills e allora… il suo sguardo cadde sulla data del contratto. Era stato firmato una settimana dopo all’intrusione di Voldemort al Ministero e della conseguente conferma del suo ritorno. Ma Blake le aveva confessato di essersi unito al gruppo di Mills il giorno stesso delle vicende del Ministero. Eileen non lo sapeva. Il suo contratto non era retroattivo, non valeva nulla, e i fratelli di Mills e Harris invece dovevano saperlo per forza. Eileen si era unita a loro per nulla. Blake era già perso.
Quello che stiamo facendo è sempre più disumano. Vetrine rotte sono diventate ossa frantumate. Vandalismi si sono tramutati in torture. Ho rinunciato alla mia umanità per mio fratello, ma lo rifarei pur di poterlo salvare da questo stesso destino. Ma adesso basta, ho preso la mia decisione. Non andrò oltre. Se arriverà il giorno in cui mi costringeranno a prendere la vita di qualcuno, e temo che accadrà molto presto, mi rifiuterò e finalmente li farò pentire di tutto il male che hanno fatto, a qualsiasi costo.
Spero solo di aver guadagnato abbastanza tempo. Blake ha molti difetti, ma di sicuro non è un mostro e sono fermamente convinta che non si unirebbe mai a loro adesso, le violenze commesse sono sempre più orribili e mio fratello è bravo a parlare, ma gli manca il coraggio (o la sventatezza) di mettere in pratica le sue minacce.
Ed eccoci qui, alla fine della mia storia.
Ora mi sento finalmente libera.
Ti ringrazio per avermi permesso di raccontartela, Lydia. Ma ti prego, ti supplico, nessun altro deve saperla. Non Blake, non i miei genitori. Non avrebbe senso, causerebbe loro troppo dolore, e non farebbero altro che accusarsi a vicenda per una scelta che è stata mia, e mia soltanto. Nessuno mi ha costretta, e considerando che finora ha portato alla salvezza di Blake, non me ne pento. Preferisco che loro mi credano una Mangiamorte piuttosto che distruggere la mia famiglia.
Da piccola mi ero ripromessa di liberare il mondo dalle ingiustizie, di difendere coloro che non potevano proteggersi da soli, e, in fondo, è quello che ho fatto.
Arriviamo infine al motivo per cui ho scelto di confessare tutto questo proprio a te, Lydia.
Non solo affinché almeno una persona in questo mondo conosca la mia vera storia, ma anche perché ho un ultimo favore da chiederti: proteggi mio fratello.
Se questa lettera è giunta nelle tue mani significa che io sono morta, e non potrò più proteggerlo, ti chiedo di farlo tu al posto mio.
So di star chiedendo molto e dopo il dolore che Blake ti ha causato hai anche tutti i motivi per rifiutarti. Ma sei l’unica a cui posso chiederlo, l’unica di cui mi fido. I miei genitori sono stati incapaci di sostenerlo nella maniera adatta negli ultimi vent’anni, li amo ma come posso fidarmi di loro? Per quanto abbia tentato di nasconderlo e negarlo, Blake prova una grande stima nei tuoi confronti e sono sicura che sei l’unica persona che ascolterebbe. Ti prego, aiutalo a ritrovare la parte buona della sua anima, aiutalo a fargli comprendere di non aver bisogno delle opinioni degli altri per vivere.
Ti ringrazio per il tempo che mi hai dedicato e, se accetterai il mio desiderio, per il tuo prezioso aiuto.
Nella speranza che il mondo trovi presto la sua pace.
Con riconoscenza,
Eileen Moore
 
Quando Lydia concluse di leggere la lettera, capì infine cosa doveva fare.
 
 
Lydia non ebbe nessuna esitazione ad aprire la porta della camera di Blake.  La lasciò aperta e si sedette sull’unica sedia presente nella stanza, posta accanto al letto.
«Sei tornata.» Lydia vide gli occhi del ragazzo luccicare, il sollievo che gli distendeva le rughe sulla fronte. Era ancora pallido, ma almeno aveva perso il colorito giallognolo, per il resto non sembrava essere particolarmente migliorato nei giorni trascorsi dal loro ultimo incontro. «Lo avevo detto a John che saresti tornata.»
«John?»
«Il mio guaritore. L’unica persona che ho visto da quando sono qui.» L’angoscia tornò ad adombrare il suo volto, solo per un istante «Ma non importa. Adesso ci sei tu.»
«Ho perso la bacchetta di Eileen.» La frase di Lydia spiazzò completamente Blake. «L’ho lasciata cadere quando stavano arrivando i Dissennatori. E poi non l’ho più trovata. Abbiamo cercato anche sotto le macerie.»
Blake scosse la testa. «Non importa.» Gli importava. Lydia aveva letto la tristezza nei suoi occhi, ma Blake sembrava solo voler cambiare discorso, e Lydia lo accontentò.
«Eileen mi ha chiesto di proteggerti.»
 «Hai trovato la lettera.» Blake comprese subito, per un istante esitò, come se stesse decidendo se dirle la verità, alla fine dovette optare per quella scelta, perché ricominciò a parlare «Quando l’ho trovata tra le sue cose dopo che è morta non riuscivo a capire come mai avesse voluto lasciarti una lettera. Ho provato ad aprirla, ma non ci sono riuscito. Ero curioso.» Blake parlava velocemente, come faceva ogni volta che cercava di giustificarsi «E poi quando sei arrivata ho avuto paura che Eileen ti avesse raccontato che ero nel gruppo di Isaac, temevo che tu non avresti capito, sapevo che dovevo essere io a raccontartelo. Ma te l’avrei consegnata, Lydia! Lo giuro, al momento giusto ti avrei dato la lettera, ti avrei detto tutto. Volevo solo accertarmi che tu fossi al sicuro, prima.»
«Lo so.» Un accenno di sorriso distese le labbra di Lydia «Staremo bene, Blake.»
Blake si lasciò ricadere sui cuscini con un sorriso dipinto in volto «Se siamo insieme, andrà tutto bene.»
E Lydia comprese che sarebbe stato ingiusto continuare ad evitare la realtà. Prese un respiro profondo e si concesse un istante, non per esitazione, ma perché sapeva che le parole che avrebbe pronunciato sarebbero stati di fondamentale importanza. «Non posso restare.» lo disse ad alta voce. Era finito il tempo delle incertezze, dei dubbi e dei sensi di colpa.
Blake si irrigidì. «Cosa?»
Lydia si chinò verso di lui, con una carezza gli sistemò una ciocca di capelli che gli era ricaduta sulla fronte. «Non posso rimanere, Blake. Non sarebbe giusto per nessuno dei due.»
«No… no!» balbettò Blake, prese le mani di Lydia ed intrecciò le dita alle sue, come se in quel modo potesse impedirle di andarsene «Non puoi… Dobbiamo stare insieme, tu e io. È come dicevamo, abbiamo bisogno l’uno dell’altra. Hai visto anche tu che se siamo riusciti a sopravvivere alla battaglia è stato solo perché eravamo insieme! Insieme possiamo affrontare tutto.» Blake tirò a sé le mani di Lydia, costringendola a chinarsi verso di lui fino a quando i loro volti si trovarono a pochi centimetri di distanza «Quando uscirò dall’ospedale potremo ricominciare dall’inizio, proprio come volevamo. Potremmo andare comunque in Francia, oppure dovunque tu vorrai. Nessuno ci conoscerà, potremo essere chiunque vorremo.»
«Questo è il tuo sogno, Blake, non il mio.» Lydia districò le mani dalle sue e si sedette sul bordo del letto. «Eileen mi ha chiesto di prendermi cura di te, di aiutarti a capire il male che hai provocato, ma mentre leggevo le sue richieste, mi sono accorta che ho già rispettato le sue volontà. Tu hai già compreso che le scelte che hai fatto in tutti questi anni erano sbagliate, l’hai sempre saputo.»
«Ma ho bisogno di te per essere migliore! Per essere la persona che voleva Eileen, per essere la persona che vuoi tu
«È qui che ti sbagli, Blake. Tu hai già scelto di essere una persona migliore. Lo hai fatto quando ti sei rivoltato contro Mills e O’Neill durante la battaglia. Hai combattuto contro di loro senza che nessuno ti costringesse a farlo. È stata una tua scelta, per la quale hai anche rischiato la vita, ma pur sempre una scelta tua e solo tua.»
«Ho bisogno di te, Lydia!»
«No. Quello di cui hai bisogno è qualcuno che possa amarti e sostenerti. E quella persona non posso essere io. Non ne sarei in grado.» aggiunse prima che Blake potesse interromperla «Sono capace a malapena di non andare in pezzi io stessa, come posso pretendere di poter darti l’aiuto di cui hai veramente bisogno?»
«Non lasciarmi solo. Ti prego, non lasciarmi solo.» La supplica di Blake era diventata un sussurro. Lydia si alzò dal letto e il ragazzo tentò di afferrarla.
«Ma io non ti lascio solo, Blake.» E alzò il volto verso la porta lasciata aperta, in particolare verso l’uomo che stava sulla soglia, le spalle curve, un sacchetto di biscotti tra le mani. Blake seguì lo sguardo di Lydia e vide la figura in attesa. «Papà.»
«Ciao, figliolo.» Il signor Moore avanzò di un passo, poi si fermò. Sollevò un sopracciglio chiedendo al figlio il permesso per entrare. Blake non rispose, intento come era a fissare il padre, cercando di non sbattere neppure le palpebre, nel timore che potesse scomparire.
«Ho raccontato a tuo padre la verità. Tutta la verità. Dal giorno in cui ti sei unito al gruppo di Mills, di come ti sei ritrovato coinvolto nella guerra, che tu lo volessi oppure no, alla notte della battaglia.»
«Come…?»
Lydia si lasciò sfuggire un sorriso sghembo. «So essere particolarmente convincente quando voglio.»
«O testarda.» annuì il signor Moore «Ha incendiato le nostre aiuole a forma di fenice e ha minacciato di fare altrettanto con tutta la nostra tenuta se non l’avessi ascoltata.»
«Gli ho raccontato della battaglia, di come ti sei rivoltato contro di loro pur di salvare me. Sei stato coraggioso, Blake. L’unica cosa che devi fare adesso è ricordartelo e riuscire a ricominciare a vivere. È l’unica cosa che tutti noi possiamo fare.»
«Nella sua lettera, Eileen mi ha rivelato che la scelta di unirsi ai Mangiamorte è stata sua soltanto, per ragioni che non poteva spiegare.» Come per volontà di Eileen, Lydia nascose la verità, quella stessa verità che se fosse emersa, avrebbe distrutto la famiglia Moore per sempre «Ma che il suo unico desiderio era che voi rimaneste uniti… Il contrario di quello che è accaduto alla sua morte.» Il signor Moore abbassò il capo, il senso di colpa che pesava sulle sue spalle «Ma non è ancora troppo tardi.»
Il signor Moore ritrovò il coraggio e si avvicinò al figlio, che non aveva ancora smesso di fissarlo stupito.
«Farò tutto il possibile per aiutarti.» continuò Lydia «Ho provato a contattare l’ufficio degli Auror per liberarti da tutte le accuse, ma mi hanno congedata dicendo che tutti coloro che hanno collaborato con Voldemort saranno comunque sottoposti a processo. Ma non ti preoccupare, ho chiesto a tuo padre di avvisarmi e testimonierò a tuo favore al processo.»
«Ho già contattato il miglior avvocato del settore.» disse il signor Moore sedendosi sulla sedia posta accanto al letto «Mi ha garantito che con la testimonianza di Lydia sarai sicuramente dichiarato innocente.»
Lydia si avvicinò di nuovo a Blake, gli posò una mano sulla spalla e il ragazzo riuscì infine a distogliere lo sguardo dal padre per voltarsi verso di lei. «Grazie.» le sussurrò. Dietro a quella parola si nascondevano una miriade di emozioni.
«È questo il tuo nuovo inizio, Blake, quello che hai tanto sognato. Hai la possibilità di ricominciare senza dover cancellare il passato, perché in fondo solo guardando ai nostri errori potremo davvero diventare persone migliori, non trovi?»
Blake si voltò nuovamente verso il padre.
E Lydia gli rivolse un ultimo sorriso, che nessuno dei due vide, e si allontanò dalla stanza.
 
Vi era un unico desiderio rimasto nel cuore di Lydia Merlin. L’ultimo.
Di avere anche lei la possibilità, come Blake, di ricominciare a vivere.
Di poter tornare a casa.
 
Il cancello di casa O’Brien era spalancato. Lydia superò il cartello che lei, Lance e i bambini avevano dipinto mesi prima, in un pomeriggio invernale quando sembrava che le giornate fossero diventate incredibilmente lunghe nonostante il buio che calava sempre prima. Lydia ricordava ancora l’impegno con il quale i bambini si erano messi a dipingere il foglio sopra il quale Lydia e Lance avevano vergato le parole ‘Casa O’Brien’.
Lizzie aveva disegnato alcuni fiori, Beatrix un prato, Amelia il sole, Alexander la luna, Christine le nuvole, Lucas diversi puntini gialli che dovevano essere delle stelle. E poi Matthew una casa bianca, con una finestra al posto della porta ed un camino storto, Edrik alcuni cuori, Tristan un arcobaleno, Jodie un gatto, Bethany uno scivolo, Elinor un orsacchiotto, Leonard il pedone degli scacchi. Daniel aveva disegnato una macchinina rossa, Simon una rana e Henry un gufo.
Ogni singolo bambino aveva dato il suo contributo ed aveva partecipato con emozione alla cerimonia ufficiale celebrata da Simon in cui appesero tutti insieme al cancello il foglio, protetto da incantesimi contro le interperie.
Era rimasto solo il cartello.
I bambini che tanto si erano impegnati per renderlo così bello se ne erano andati ormai da giorni.
Solo Henry e Keira erano rimasti a riempire quel vuoto.
E Lance.
Lydia lo vide, in fondo al giardino, immerso nell’orto che tanto amava e che anche lei aveva imparato ad amare. Era chino sulle rose, con la mano destra strappava l’erba canterina che stava minacciando le loro radici. Quando vide Lydia che si avvicinava, il suo volto si illuminò. Si alzò e sollevò la mano sporca di terra per salutarla. Lydia sorrise a sua volta e percorse l’ultimo tratto che la separava da lui.
E quando lo raggiunse, lo baciò.
E finalmente comprese che la guerra era davvero finita, che il mondo poteva ricominciare a vivere, che le parole che aveva detto a Blake erano la verità. Sarebbero stati bene. Tutti loro, in un modo o nell’altro, avrebbero trovato una nuova vita ad attenderli, un nuovo inizio.
Finalmente, si sentì a casa.
 
 
 


 
Note: Non posso crederci. La storia di Lydia e Lance è quasi completamente nelle vostre mani. Manca solo un capitolo, l'epilogo finale, quello che segnerà la parola fine ad una storia iniziata ormai nove anni fa...
Grazie, grazie di cuore a tutti voi che avete letto "Piume di Cenere", grazie a voi che avete condiviso con me questo lungo viaggio <3
I veri e propri ringraziamenti arriveranno con l'epilogo, ma ci tenevo ad iniziare a ringraziarvi per tutto <3

Un abbraccio,
Emma Speranza (in diretta da Firenze!)

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Capitolo 40
*** Sei anni dopo ***


Note: Ed eccoci alla fine della storia, con un epilogo che nelle mie intenzioni è l’occasione per lasciare che tutti i protagonisti salgano sul palcoscenico e ringrazino e salutino i lettori.
Non ho parole per esprimere tutta la mia gratitudine a voi che avete letto Piume di Cenere. Grazie a chi l’ha inserita tra le storie ricordate, seguite o preferite, grazie a chi ha lasciato una recensione, ma grazie anche a tutti voi lettori silenziosi ma sempre presenti <3
Come dicevo, non riesco a trovare parole per descrivere le emozioni che sto provando nel pubblicare la parola fine, ma vi lascio con quelle che sono riuscita a trovare proprio nel momento in cui ho finito di scrivere l’epilogo, ormai mesi fa, in una serata di agosto.
Un ultimo appunto: come già accennato, nel corso degli anni ho scritto anche una breve storia dedicata al personaggio di Eileen e non vedo l’ora che voi possiate leggerla!
Per questo vi do appuntamento a giovedì 16 maggio con “Eileen Moore”.
 
Grazie davvero di cuore a tutti voi <3
Un abbraccio,
Emma Speranza
 


19/08/2023 ore 23:15

Ed eccomi qui, a scrivere queste righe dopo aver appena scritto la parola fine a Piume di Cenere. Le emozioni sono tante, troppe. Non mi sembra vero che dopo anni sono finalmente giunta alla fine di questo incredibile viaggio. Non è stato semplice, lo ammetto. Troppe volte ho pensato di lasciare, ho abbandonato questi personaggi perché la vita mi stava chiedendo già troppo e io pensavo di non avere abbastanza spazio anche per loro.
Ho iniziato a scrivere Piume di Cenere in un periodo transitorio della mia vita: l’idea e le prime parole le ho scritte nell’ultimo mese spensierato che ho potuto vivere, quelle successive sono nate in corridoi di ospedali, nelle attese tra una risonanza e una tac, tra un esame del sangue e la chemio successiva. Mio papà, la persona che più adoravo in tutto l’universo, doveva affrontare tutto questo, e io cercavo di colmare quel dolore con le parole. I primi capitoli che ho scritto erano cupi, intrisi di così tanto dolore, lo stesso che mi rifiutavo di provare nella vita reale. E poi mio papà ha iniziato a stare meglio, ed ecco che la scena si è riempita di piccoli e meravigliosi bambini che hanno illuminato il buio di casa O’Brien. Era una tregua momentanea, ma come tutti coloro che hanno dovuto affrontare una situazione simile sanno, tanto bastava. Non importava più del domani, solo l’oggi aveva importanza. Ed è così che la stesura di Piume di Cenere è continuata, a rilento, ma comunque continuava, fino ad arrivare al giorno in cui per la mia famiglia si sono aperte le porte dell’hospice e nella mia mente si è sprangata la porta della scrittura. Non ho scritto nulla per due anni. Ci provavo, ma non avevo parole dentro di me. Questo finché il mondo non mi ha costretta a fermarmi: lavorando in una scuola dell’infanzia all’epoca, la pandemia mi ha subito fermata, e avendo avuto l’immensa fortuna di non aver nessun caro ammalato nonostante abitassi in provincia di Bergamo, la più colpita dalla prima ondata, quei mesi di lockdown per me si sono trasformati in un periodo di respiro, di una pausa che non mi concedevo da troppo tempo. Ed ecco che le parole hanno iniziato a tornare, non per Piume di Cenere, no, ma c’era un personaggio di questa storia che desiderava ardentemente che la sua storia fosse raccontata, e così, a maggio 2020, ho scritto un breve racconto sulla vita di Eileen Moore. E poi un altro stop, durato quasi altri due anni, fino a quando il Covid si è ripresentato nella mia vita nella forma di un tampone positivo che mi ha imposto una settimana di isolamento a marzo 2022. Un isolamento che porta alla noia, e alla voglia di fare qualcosa, che si traduce nel riaprire un vecchio file ed un altro completamente vuoto, trasferire le parti che ancora mi piacevano nel foglio nuovo e ricominciare, questa volta con l’intenzione di finire finalmente il progetto che stavo trascinando da troppo tempo. E’ occorso impegno, sacrificio, ammetto che vi erano sere in cui non vedevo l’ora di scrivere, mentre altre in cui mi costringevo ad aprire il file e comporre almeno qualche frase, nonostante la stanchezza di un’intera giornata di lavoro mi spezzava le forze. E poi la correzione, durata quasi quanto la stesura, ma tutto questo è stato ripagato questa sera quando finalmente ho potuto scrivere l’ultima parola.
Grazie a Lydia, Lance, Caitlin, i signori O’Brien, Duncan, Katherine, nonna Merlin, Henry, Simon, Daniel, Silas, Cyril e tutti gli altri personaggi. Mi hanno fatto compagnia in tutti questi anni e non potrò mai abbandonarli, resteranno per sempre nel mio cuore.
Grazie a tutti quelli che consapevolmente o no, mi hanno sostenuta nel periodo più difficile della mia vita, anche quando cercavo di nasconderlo.
Grazie a mia mamma e mia sorella, che hanno sopportato il ticchettio della tastiera tutte le sere.
Grazie a mio papà, per essere sempre stato al mio fianco, anche quando era già volato lontano.
 
Franci (Emma Speranza)



 
Sei anni dopo
 

«Corri!»
Lydia sapeva che era arrivata la loro fine.
Nulla li avrebbe salvati.
Sfrecciò in mezzo ad un gruppetto di anziane signore, che reagirono lanciandole imprecazioni che mal si addicevano a delle così adorabili nonnine.
«Scusate, scusate!»
E ovviamente Lance perse tempo a cercare di farsi perdonare piuttosto che correre per salvarsi la vita.
«Lance!» esclamò Lydia, senza fermarsi.
«Scusa!»
I passi affrettati alle sue spalle e il rumore di decine di persone che li insultavano al loro passaggio, le confermò che Lance aveva avuto il buon senso di ricominciare a correre.
«Questa volta ci ammazzano.» Lydia frenò all’ultimo secondo prima di investire un bambino minuscolo, che abbracciò terrorizzato il suo peluche nel vedersela piombare addosso.
«Scusa!»
«Lance!»
«Sto correndo!»
«Non abbastanza!»
I polmoni di Lydia avevano difficoltà a ricordarsi come si facesse ad inspirare, i muscoli delle sue gambe bruciavano e la milza sembrava sul punto di esplodere, ma non rallentò. Non si sarebbe arresa. Nulla le avrebbe impedito di raggiungerlo.
Nulla tranne una valigia lasciata incustodita.
Lydia non la vide neppure. Si accorse della sua presenza solo quando il suo ginocchio sbatté contro l’angolo della valigia rossa, spedendola a parecchi metri di distanza e facendole perdere l’equilibrio. Per un istante percepì la gravità spingerla verso il pavimento, quando un braccio si strinse attorno alla sua vita e la rimise in piedi.
«Salvata.» sussurrò Lance al suo orecchio, e Lydia non aveva bisogno di vederlo in volto per capire che stava sorridendo.
Si liberò dalla sua presa e si voltò verso di lui. «Pensi che sia divertente? Quelli ci ammazzano davvero questa volta.»
Lance continuò a sorridere. «Forse.» disse prendendole la mano. «O forse non ce ne sarà bisogno.» e con una piccola spinta, la condusse oltre il muro di mattoni di fronte a loro, rivelando la banchina affollata e il treno rosso lucente che aspettava sui binari.
L’Espresso di Hogwarts non le era mai parso così bello.
E così in ritardo.
Lydia controllò il suo orologio da polso, e rialzò lo sguardo verso il treno e la folla tranquilla (per quanto potesse essere tranquilla una mattinata del primo settembre sul binario nove e tre quarti).
«Ho spostato il tuo orologio avanti di mezz’ora. Sapevo che sarebbe stato l’unico modo per farti arrivare in orario.» La riconoscenza impedì a Lydia di far sparire il sorrisetto di Lance dalle sue labbra con una fattura.
«Solo per questa volta, O’Brien.» lo minacciò invece, picchiettando l’indice sul suo petto «La prossima volta ti troverai trasformato in una graziosa e molto bionda rana.»
«Se lo farai allora voglio una fotografia così potrò ricattarlo per il resto dell’eternità.»
«Ah, ah. Molto divertente, Duncan.» Lance squadrò il fratello.
Lydia invece affiancò Duncan. «Immagina una foto con la rana Lance su una mini bicicletta.»
«O con un fiocco al collo.» replicò Duncan, appoggiandosi al suo vecchio bastone, lo stesso che aveva strappato dall’albero sradicato nel corridoio di Hogwarts dopo la battaglia.
«O un fiocco sui capelli biondi che gli lascerò.» annuì Lydia.
Lance incrociò le braccia al petto. «Avete finito?»
«O una foto della rana Lance con il mantello e il cilindro di Silas in miniatura. Ora sì, ho finito.» Il sogghigno di Lydia era identico a quello di Duncan.
«Per tutti i troll…» borbottò Lance «Dove è Kate? Insieme siete sopportabili solo quando c’è anche lei.»
«È là, con la mamma, che a proposito è furiosa con voi perché siete in ritardo.» Duncan indicò un punto imprecisato tra la folla di studenti e genitori (e animali di ogni forma e dimensione) «Spero che la vostra luna di miele sia andata bene perché la vostra breve vita sta per finire.» E con un’ultima risata, scomparve abilmente tra la folla, lasciando i due sposi a fissare il vuoto che aveva lasciato.
«Lo odio quando fa così.» brontolò Lydia.
«Non gli funziona una gamba! Come fa a camminare così velocemente?»
«I misteri degli O’Brien.»
 
La signora O’Brien non li uccise, né li ferì gravemente, né li gettò in pasto al serpente che uno studente del primo anno stava cercando di far entrare in una gabbietta. Ma la sua urla crearono il vuoto attorno alla famiglia O’Brien, e cessarono solamente quando Evelyn chiese con la sua voce angelica «Nonna, possiamo andare a vedere le Puffole Pigmee?» Lydia adorava sua nipote, e per l’ennesima volta si chiese come potesse una creatura così stupenda essere la figlia di Duncan, il quale comparve al fianco di Kate nello stesso istante in cui la signora O’Brien si allontanava tenendo la mano di Evelyn e dicendole con un tono così dolce che avrebbe potuto attirare uno sciame di api che potevano andare a vedere tutte le Puffole Pigmee che volevano.
Il signor O’Brien, che era rimasto in disparte fino a quel momento, particolarmente interessato ad una ruota dell’Espresso, si avvicinò infine a Lydia e Lance. «Bentornati! Allora, come è andato il viaggio?»
Lydia sorrise. «Magnifico! Abbiamo visto delle città spettacolari.»
«Per non parlare dei negozi! Lo sapevi che in Italia usano anche la frutta e la verdura babbana nelle loro pozioni? E ci sono degli ingredienti che qui non ho mai visto!»
«Penso che Lance abbia depredato le scorte di tutti i venditori che abbiamo incontrato.»
Katherine si avvicinò, con la piccola Marion aggrappata al suo collo che si guardava attorno e ridacchiava ad ogni gufo che vedeva passare. «E come sta Alice?»
«Bene.» Lydia accarezzò la guancia della nipote, che trillò ed allungò le manine verso di lei «Le hanno prolungato il contratto per un altro anno e le hanno persino parlato di una promozione.»
«Quindi resta in Italia?»
«Lei continua a dire che prima o poi tornerà in Inghilterra.» Appena Marion vide Lance, si gettò letteralmente tra le sue braccia «Ma non mi stupirebbe se tra qualche anno sarà nominata direttrice dell’ufficio degli Affari Esteri italiano.»
«Di sicuro sta meglio di quando era qui.» concluse Lydia «E voi invece? Come è andato questo mese senza di noi? Ammettetelo, vi siamo mancati.»
«Terribilmente.»
«Kate. Non sei proprio capace di mentire.»
Katherine rise.
«E comunque ci dispiace esserci persi la presentazione del tuo libro.» Lance spostò Marion sull’altro braccio.
Lydia vide la sua mano iniziare a tremare in un movimento che per altri sarebbe stato impercettibile. Senza dire nulla, prese Marion dalle sue braccia.
«Non vi preoccupate, ce ne sono stati altri e ce ne saranno altri ancora. Sto già iniziando a scrivere la bozza del mio nuovo trattato. ‘L’educazione e la formazione dei Purosangue come causa e conseguenza delle guerre magiche’. Su questo mi servirà il tuo aiuto, Lydia.» Lydia diede un bacio veloce sui capelli ricci di Marion e la lasciò tornare da sua madre «Ma ne parleremo dopo, adesso vi sta aspettando.»
«Dove è?» Lydia si alzò in punta di piedi per cercare di intravederlo sopra alle teste e i cappelli che le bloccavano la visuale.
«E’ là.» Kate indicò uno sportello aperto dell’Espresso a diversi metri da loro «Ha già trovato gli altri.»
«Andiamo.» Lydia strinse la mano di Lance ancora attraversata dai tremiti e affrontarono insieme la fiumana di gente che li divideva dalla persona più importante.
Appena li vide arrivare, Henry si illuminò. I suoi occhi brillarono e il suo sorriso rischiarò la piccola folla che lo circondava. «Lydia! Lance!» Trascinando Keira con sé, che era aggrappata al suo mantello, Henry corse verso di loro e li travolse nel suo abbraccio. Lydia non si era ancora abituata al fatto che Henry, il suo piccolo Henry, fosse diventato così alto.
«Non ce lo saremmo persi per nulla al mondo.» gli disse stringendolo a sé. Lance tossicchiò e Lydia gli diede una gomitata.
«E comunque ci sono anche io.» La vocina apparteneva alla piccola Keira, che li squadrava dal basso, con le mani ancora saldamente aggrappate al mantello di Henry.
«Ciao, Keira.» Lance si inginocchiò davanti a lei «Posso chiederti cosa stai facendo?»
«Non lascio salire Henry sul treno.» rispose decisa la bambina, sollevando i pugni stretti attorno al tessuto per dimostrare la sua intenzione «Non può andare a scuola. Deve rimanere con me. O io devo andare con lui.»
«Lo sai che ti scriverò una lettera ogni giorno, sorellina.»
Henry le scompigliò i capelli, ma Keira si scrollò la sua mano dalla testa e mantenne il broncio. «Non è la stessa cosa. Tu devi rimanere a casa con me.» Henry lanciò uno sguardo implorante a Lydia e Lance.
«Ma lo sai che cosa ho appena visto, Keira?» chiese Lance con entusiasmo.
Keira sollevò un sopracciglio. «Che cosa?»
«Un serpente!» esclamò Lance «Uno grande e grosso come quelli che piacciono a te!»
Il broncio di Keira si incrinò, mentre la curiosità ed un malcelato entusiasmo cercava di sostituirlo. «È uno di quelli che possono mangiare i topi in un solo boccone?»
Lance le tese una mano. «Cosa dici se andiamo a controllare insieme?»
Keira guardò prima la mano tesa di Lance, poi il mantello di Henry. «E va bene.» capitolò infine, aprendo i pugni e lasciando cadere il tessuto «Ma diamo solo un’occhiata veloce.» E si allontanò mano nella mano con Lance, lasciando Lydia e Henry da soli. No, non da soli, si accorse Lydia guardando oltre la spalla del ragazzo.
«Simon.»
Simon la guardò allarmata, per poi iniziare a guardarsi attorno frenetico alla ricerca di una via di fuga e borbottando qualcosa sul dover salutare suo nonno e l’aver dimenticato la bacchetta, sparendo subito dopo sulla scia di Lance e Keira. Lydia non riuscì a trattenere un sogghigno.
«È ancora terrorizzato dal matrimonio.» le spiegò Henry, come se Lydia avesse bisogno di spiegazioni.
«Così impara a cercare di tramare un piano malefico nel giorno delle mie nozze.»
«Voleva solo assaggiare lo champagne.»
Lydia rivolse un’occhiata minacciosa ad Henry. «Dì un’altra parola, Henry Carter O’Brien, e ti troverai in punizione fino alle vacanze di Natale.»
Henry ebbe il buon senso di desistere.
«Sei troppo dura con il ragazzo.»
La nonna di Lydia era stata in disparte fino a quel momento, a fissare con attenzione il vagone del treno che fischiava sui binari. Qualcuno, probabilmente il signor O’Brien, aveva portato fino a lì una sedia pieghevole per farla accomodare. Lydia aveva la certezza che si trattava di una sedia vera e propria e non di un’apparizione magica, sua nonna si rifiutava categoricamente di utilizzare oggetti che non fossero creati con il duro lavoro manuale. Lydia intravide anche i suoi genitori alle sue spalle, intenti a conversare con il nonno di Simon.
«E tu sei troppo permissiva, nonna.» Si chinò su di lei e le scoccò un bacio sulla guancia rugosa.
La nonna agitò il bastone. «Sciocchezze. Mi comporto con Henry come faccio con tutti i miei innumerevoli nipoti.»
«È vero!» annuì Henry «A proposito, grazie ancora per le caramelle, nonna.»
«Caramelle? Perché per noi non ci sono le caramelle, nonna?» Lizzie indossava già la sua divisa, lo stemma di Grifondoro che risaltava sul nero del mantello.
«Chi ha parlato di caramelle?» Tristan allungò il collo per cercare i dolcetti.
«Avrai tempo per mangiarne sull’Espresso, Tris.» Christine scosse la testa «E comunque sei un ingordo.» Edrik annuì alle sue spalle.
«Vedo che la rimpatriata è già cominciata.» sorrise Lydia, il cuore pieno d’amore come ogni volta che rivedeva i suoi bambini di nuovo tutti insieme. Anche se da qualche anno si rifiutavano di essere chiamati ‘I bambini di casa O’Brien’ e pretendevano che li nominassero ‘I ragazzi di casa O’Brien’. Da quel momento Lydia e Duncan avevano cominciato a definirli ‘Le rane di casa O’Brien’ alle loro spalle (e a volte non solo). Salutò i bambini riservando un abbraccio per ognuno di loro. «Ci siete tutti?»
«Quasi.» rispose Elinor.
Leonard guardò verso una figura a qualche metro di distanza da loro. «Manca solo lui.»
«Come sempre.» aggiunse Beatrix.
Daniel era accanto ai suoi genitori, si dondolava sul posto, le mani affondate nelle tasche e la testa bassa. Lydia si infiammò di rabbia davanti a quell’immagine. «Non ci posso credere.» ringhiò. E si avviò verso il trio, ignorando le proteste e i richiami dei ragazzi e di sua nonna.
Daniel la vide avvicinarsi, spalancò la bocca stupito e lanciò un’occhiata preoccupata verso i suoi genitori, i quali non se ne erano ancora accorti, intenti come erano a parlare con un’altra coppia. Lydia li aveva quasi raggiunti. Li avrebbe fatti pentire di ogni cosa e si sarebbe scaraventata su di loro se un braccio non si fosse stretto attorno alle sue spalle e l’avesse costretta a cambiare drasticamente direzione. «Suvvia, Lydia cara. Ci saranno momenti più adatti per la nostra tanto bramata vendetta.» La presa di Duncan era ferrea mentre la trascinava via.
«Ma come fai a essere sempre ovunque!?»
«Modestamente, tanto talento e due figlie di cinque e un anno che sembrano avere come obiettivo nella vita diventare il pasto di un drago o unirsi ad una comunità di gnomi. E non ho ancora capito quale delle due opzioni mi terrorizzi di più. Ah, eccoti qui.» Duncan spinse Lydia tra le braccia di Lance.
Lance le strinse un braccio attorno alla vita. «Cosa è successo?»
«Tua moglie stava cercando di guadagnarsi un’altra denuncia.»
«I genitori di Daniel?»
«Ovviamente.» rispose Duncan.
«Non li sopporto!» sbottò Lydia, la rabbia che ancora le ribolliva nelle vene. «E dove hai lasciato Keira?»
«Appena ha visto il serpente è corsa dalla mamma per provare a convincerla a comprargliene uno. Temo che entro sera potrebbe esserci un nuovo abitante a casa O’Brien.» rispose Lance, senza però lasciarsi distrarre. «Hai ragione ad essere arrabbiata, ma –»
«Come tutti noi.» lo interruppe Duncan «Ma questo non significa che possiamo fare una scenata davanti all’intera comunità magica.»
«Duncan ha ragione, Lydia. Dobbiamo stare tranquilli fino a quando le cose non si saranno sistemate, o fino a quando non saremo in tribunale.»
Duncan si chinò verso di loro. «Quello che possiamo fare è riempirgli la casa di Puffole Pigmee, dovrebbe essergli arrivato un pacco dal Serraglio Stregato proprio ieri.»
«Duncan!» esclamò Lance, inorridito.
Lydia si voltò d’istinto verso la famiglia di Daniel, e nonostante fosse seminascosta nella folla, vide che il bambino aveva una Puffola Pigmea sulla spalla, ed altre due sbucavano dalla sua tasca. Lydia scoppiò a ridere. «Non posso crederci che non mi hai aspettata!»
«Scusa tanto se la nostra luna di miele ha distrutto i tuoi piani di vendetta.» borbottò Lance.
«Chi si vuole vendicare di chi?» Silas era comparso in una nuvoletta di fumo, letteralmente, nel suo mantello migliore (una nuova versione di un rosa così acceso che occorreva una protezione magica per poterlo fissare per un periodo superiore ai tre secondi) ed un cilindro talmente alto che sovrastava ogni altra persona presente sulla banchina.
«Lydia, dei signori Holt.» rispose Lance dando delle pacche sulla schiena di Lydia, che tossiva soffocata dal fumo d’ingresso di Silas.
«Oh, sono ancora sul piede di guerra?»
«Direi di sì.» rispose Lance «A fine giugno hanno sporto un’altra denuncia. Prima sostenevano che la Pozione Anti-Traccia che abbiamo somministrato ai bambini durante la guerra avesse soffocato la magia di Daniel, poi è arrivata la lettera di Hogwarts e hanno scoperto che in fondo loro figlio è davvero un mago, solo che è un mago tardivo.»
«Genitori…» esclamò Duncan con sprezzo «I loro figli non trasformano una tazzina in una lumaca all’età di sette anni e già pensano che non siano abbastanza.»
«Pensavamo che con l’arrivo della lettera di Hogwarts la storia si fosse conclusa e invece, indovina? Quando a giugno hanno ricevuto il resoconto dei voti del primo anno, ci hanno denunciato di nuovo perché sì, in fondo la mia pozione non ha soffocato il fulcro magico di Daniel, ma lo ha comunque compromesso, secondo loro. Senza contare il fatto che gli altri bambini stanno tutti benissimo e non hanno alcun tipo di problema, anzi, i loro genitori non fanno altro che ringraziarci per il livello di preparazione che hanno avuto durante quei mesi. Sai che la professoressa McGranitt in persona mi ha riferito che ha apprezzato il livello avanzato che hanno dimostrato i nostri bambini al loro ingresso ad Hogwarts? E invece no, i genitori di Daniel si sono fissati che la mia pozione era tossica!» Ad ogni parola pronunciata, la voce di Lance era sempre più intrisa di risentimento «Perché se no come altro si giustificherebbero i voti appena sufficienti in Pozioni, Trasfigurazioni e Astronomia? Astronomia!» sbottò infine infuriato «Non c’è neppure bisogno di essere un mago per frequentare Astronomia!»
«Finalmente una lezione di Hogwarts che sarebbe piaciuta anche a me.» Caitlin era comparsa al fianco di Silas.
Lydia alzò le braccia al cielo. «Ma come fate tutti a comparire all’improvviso?»
«Talento degli O’Brien.» si limitò a rispondere Caitlin, stringendosi nelle spalle.
«Ah, ecco cosa volevo dirvi, c’è anche Caitlin!» esclamò Silas, per poi voltarsi verso Caitlin stessa «Perché non hai usato la fialetta di fumo? Cosa ti avevo detto delle entrate ad effetto?»
«Che sono banali e senza senso?» rispose innocentemente Caitlin.
«No!» urlò Silas, facendo voltare metà banchina verso di loro «Che sono il fondamento di ogni buon spettacolo! Fai un’entrata ad effetto e ti sei già garantito mance generose!»
Caitlin lo squadrò per un istante. «Vorrei ricordarti che ho già un lavoro.»
«In un triste laboratorio circondata da persone altrettanto tristi e annoiate. Come fate a vivere senza il brivido dell’incognito? Del violare le regole e fuggire prima che possano catturarvi?»
«Ti posso assicurare che il mio lavoro non è affatto noioso.» si difese Caitlin, incrociando le braccia al petto e squadrando con i suoi occhi di ghiaccio il cugino «Abbiamo iniziato a collaborare con il San Mungo su un saggio per esplorare le possibilità dell’utilizzo congiunto dei rimedi magici e babbani, Lance ci sta aiutando. Lance, diglielo anche tu che non è un lavoro noioso!»
Silas rispose sbadigliando vistosamente. «Mi sono addormentato a ‘San Mungo’.» Caitlin emise un verso esasperato «E comunque» continuò Silas, la noia trasformata in un ghigno «È il tuo lavoro ad essere così affascinante o la collega con cui stai scrivendo questo saggio? Sai, quella babbana così intelligente, con la sorella strega ed un profondo amore per il caffè, di cui non parli assolutamente mai.»
E in quel momento successe qualcosa che Lydia non aveva mai visto accedere prima: Caitlin arrossì.
E per riportare le cose alla normalità, Caitlin si profuse in una serie di insulti nei confronti del cugino che lo portarono ad alzare le braccia e dichiarare la sconfitta. «E comunque se lavoreresti per me non potresti permetterti di parlarmi in questo modo.»
«Non vorrei mai lavorare con te, neanche se dovessi scegliere tra il tuo stupido spettacolo e vivere sotto un ponte.» ringhiò Caitlin, le guance e le orecchie ancora in fiamme.
«Hai ragione, è un vero despota.» annuì Cyril, comparendo dietro a Lydia e facendola sobbalzare e urlare un: «Non è possibile!» seguito da un «Ciao Nik!» quando vide avvicinarsi il fidanzato di Cyril.
«Finalmente qualcuno con un po’ di buone maniere.» continuò Lydia «Voi O’Brien dovreste imparare da lui, che sa come non far perdere dieci anni di vita alle altre persone ogni volta che entra in una stanza e… state bene?»
Lance e Duncan però non risposero. Erano paralizzati, con gli occhi strabuzzati e con la stessa identica espressione tra l’incredulo e lo stupito che avrebbe potuto divertire Lydia se non fosse stata così preoccupante. «No, davvero ragazzi, state bene?» Forse erano stati colpiti da un Petrificus Totalus di qualche ragazzino, o forse c’era un Basilisco nel binario nove e tre quarti. Qualsiasi fosse il motivo, i due continuavano a fissare Caitlin, immobilizzati nel loro stupore.
«Stanno bene.» rispose stizzita Caitlin, ancora risentita dal commento di Silas.
Lydia non era altrettanto fiduciosa. Osservò il marito e gli schioccò le dita davanti agli occhi, provocando solo un battito di ciglia. «Sei sicura?»
«Sì.» Caitlin si voltò verso l’Espresso di Hogwarts «E comunque non capisco cosa abbiate mai trovato di tanto meraviglioso in tutto questo. È un semplice treno. Un treno vecchio, per giunta. Avete almeno l’aria condizionata lì dentro?»
«Ehi!» brontolò Lydia, pronta a gettarsi in difesa del suo caro, vecchio Espresso.
«L’unica cosa fuori dalla norma è il modo in cui si raggiunge questo posto dimenticato dal mondo. Il passaggio nel muro è stato…» rabbrividì «Interessante. E comunque voi due state iniziando a diventare inquietanti.»
Lance si riscosse finalmente dalla sua paralisi, e senza smettere di fissare stranito la sorella, sussurrò «Avevi giurato che non saresti mai tornata qui.»
Duncan annuì. «Non ci sei più stata dopo… la lettera.»
«E allora?» disse Caitlin «Le promesse sono fatte per essere infrante. E comunque questo è il minimo per il mio fratello preferito.» E dopo aver fatto l’occhiolino a Lydia, spalancò le braccia e si allontanò urlando «Henry!»
Duncan e Lance la seguirono con lo sguardo, la bocca ancora socchiusa e le menti che cercavano di rendere sensata la presenza di Caitlin nel luogo che più rappresentava la sua esclusione dal mondo magico.
«Allora, Lydia…» esclamò Silas per attirare la sua attenzione. Si sfregò le mani e alla ragazza non piacque per nulla lo sguardo che le rivolse. Lo conosceva troppo bene.
«Non ci pensare neanche.» dichiarò immediatamente.
«Ma non sai neppure cosa vogliamo chiederti!»
«Di fare cadere qualche accusa nei vostri confronti al Ministero.»
«Io mi dissocio da qualsiasi richiesta.» replicò prontamente Cyril.
Il sorriso di Silas si incrinò, ma solo per un istante, quello successivo era di nuovo tornato a sorridere sfregandosi le mani. «Si tratta solo di una piccola incomprensione, sono sicura che tu, con i tuoi contatti, potresti appianarla in men che non si dica. E avresti tutta la nostra – »
«Io non c’entro.» disse Cyril.
«Mia» si corresse Silas «Riconoscenza. E sai quanto possa essere preziosa.»
«Quante volte devo dirti che non voglio saperne nulla dei vostri affari?» Lydia si sfregò la fronte, con un imminente mal di testa causato da troppi O’Brien tutti insieme nello stesso luogo «E comunque anche se a volte collaboro con gli Auror e il Dipartimento di Giustizia questo non significa che io abbia il potere di cancellare le vostre denunce, neanche se lo chiedessi ad Harry Potter in persona.»
Gli occhi di Silas brillarono «Puoi chiederglielo davvero?»
«No!» esclamò Lydia «Non posso e non voglio! E comunque lavoro all’Ufficio per i Diritti di Maghi e Streghe da zero a undici anni, non nel Dipartimento ‘Cerchiamo Di Scagionare Un Cugino Con Un Senso della Moda Orrido’!»
Silas la fissò accigliato. «Potevi semplicemente dire di no. Non occorreva insultare il mio povero abbigliamento.» E si strinse nel mantello, costringendo Lydia a distogliere lo sguardo per non rimanere accecata.
Il fischio prolungato del treno sovrastò per alcuni secondi ogni altro rumore, e riempì Lydia di un’angoscia che non pensava di provare. Si diresse immediatamente verso Henry, il suo piccolo Henry, il bambino non più così bambino che stava per salire per la prima volta sull’Espresso di Hogwarts, dove avrebbe iniziato una nuova avventura della quale Lydia non avrebbe fatto parte. Superò l’intera famiglia O’Brien che lo circondava, e strinse Henry in un abbraccio, sprofondando il volto nei suoi ricci. «Mi raccomando, scrivimi ogni giorno. Promettimelo.»
Henry si staccò dalle sue braccia per rivolgerle un sorriso. «Me lo hai già fatto promettere altre cinque volte. Penso che la prima volta avevo solo otto anni.»
«Fa niente, non era mai troppo presto. Tu promettimelo ancora una volta.» Lydia lo prese per le spalle e lo costrinse a guardarla negli occhi «Promettimi che mi scriverai, e che starai attento, e che se avrai un problema, qualsiasi problema, me lo dirai subito, così potremo risolverlo insieme.»
«Va bene, lo prometto.»
«Bene. Adesso passiamo alle regole.» ignorò il verso di disperazione di Henry «Devi studiare tutte le materie, anche quelle che non ti piaceranno, fare sempre tutti i compiti senza rimandarli all’ultimo pomeriggio. Non saltare i pasti. Ricorda di lavarti i denti e niente dolci dopo le nove di sera oppure non riuscirai a dormire, e se non dormirai non riuscirai a seguire le lezioni, e se non seguirai le lezioni prenderai dei brutti voti, e se prenderai dei brutti voti ti arriverà una Strillalettera davanti a tutti in Sala Grande, intesi?» Henry si affrettò ad annuire.
«Cara, nostra figlia sta diventando un po’ troppo simile a te.»
Lydia distolse lo sguardo da Henry solo il tempo necessario per lanciare un’occhiataccia a suo padre.
«Ti proibisco di violare il coprifuoco» continuò imperterrita. «Vietato entrare nella Foresta Proibita, vietato causare risse o litigi di qualsiasi genere o natura e sì, mi riferisco anche a qualsiasi modo ti provocherà Simon.»
«Ehi!» protestò Simon stesso.
Henry, nel frattempo, stava cercando di rimpicciolirsi, probabilmente desiderando ardentemente che il pavimento lo inghiottisse considerando che attorno a loro si era creata una piccola folla composta da tutti i bambini (o ragazzi, o rane) di casa O’Brien e dei relativi famigliari.
«Non ho finito.» Lydia strinse la presa sulle sue spalle per costringerlo a rimanere dritto «Vietato uscire di nascosto dai confini di Hogwarts, vietato cercare di entrare nella sezione proibita della biblioteca, o volare quando non ci sono i professori a sorvegliarti. Vietato fare scherzi a Gazza o qualsiasi altra autorità.» Un altro fischio del treno ricordò a tutti che mancavano solo pochi minuti alle undici, Lydia iniziò a parlare più velocemente «Qualsiasi sia la Casa in cui il Cappello Parlante ti Smisterà, ti vieto di provare ad entrare nelle altre Sale Comuni. E ti vieto di avvicinarti agli animali di Cura delle Creature Magiche senza la presenza di Hagrid, anzi, ripensandoci, ti vieto proprio di avvicinarti in generale. E anche di fare esperimenti con le Pozioni, o di finire in Infermeria più di tre volte al mese!»
E Lydia avrebbe continuato all’infinito, se Lance non le avesse preso le mani per costringerla a lasciare andare il povero Henry. «Ti rendi conto che stai elencando tutte le cose che noi abbiamo fatto ad Hogwarts, vero?»
«Sì! E infatti non ho ancora capito come abbiamo fatto a sopravvivere per sette anni! E non voglio che Henry torni a casa senza un arto, o la sua sanità mentale!»
Un altro fischio acuto, e i Prefetti e i Capiscuola iniziarono a urlare che era l’ultima chiamata. La piccola folla che si era riunita attorno a Lydia e Henry si rianimò, accendendosi delle ultime veloci raccomandazioni e saluti.
«Lydia.» Lydia si voltò di nuovo verso Henry, che la guardava con un sorriso gentile e con gli occhi che luccicavano di quell’entusiasmo che non lo aveva mai abbandonato, nonostante il dolore che era stato costretto a vivere «Mi mancherai.» E questa volta fu lui ad abbracciarla così stretta che per un istante Lydia temette di soffocare, non che le importasse, no, voleva solo che il tempo si fermasse, poter usare un maledetto incantesimo e prolungare il tempo a loro disposizione all’infinito, ma Henry si staccò, e con un ultimo saluto della mano, prese la gabbietta del suo gufo e corse sul treno, insieme a tutti i suoi amici.
Il nodo alla gola impediva a Lydia di parlare. Si limitò ad avvicinarsi semplicemente al treno, mettendosi proprio sotto il finestrino dove Henry e i suoi amici si erano accomodati, e a continuare a salutare con la mano, mentre tutti i portoni si chiudevano, l’Espresso emetteva il suo ultimo fischio e i motori si avviavano. Il treno iniziò a muoversi lentamente, e lei continuò a salutare, così come stavano facendo i suoi genitori, sua nonna, i signori O’Brien, Caitlin, Duncan, Katherine, Silas, Cyril, Nikolas, insieme alle piccole Keira, Evelyn e Marion, che apriva e chiudeva la manina senza neppure capire chi doveva salutare.
E Lance. Le stringeva un braccio attorno alle spalle, mentre con la mano sinistra salutava il vagone che si allontanava sempre di più, portando Henry fuori dalla loro vista. 
Fu Silas il primo a smettere di salutare. «Non lo sa, vero?»
«No.» rispose Lance senza riuscire a trattenere un sorriso.
Silas rise. «Vorrei tanto poter vedere la faccia di Henry quando questa sera ti vedrà seduto al tavolo dei professori. Anzi, vorrei vedere la faccia di tutti loro! Non è che puoi fare una foto o qualcosa del genere?»
La mano di Lydia era ancora alzata a salutare, anche se Henry era lontano e il treno era quasi completamente uscito dalla stazione. «L’ho già chiesto anche io, ma si rifiuta. Ho anche minacciato di usare un incantesimo di Disillusione per assistere alla scena di persona, ma non vorrei fargli perdere il posto di lavoro il primo giorno.»
«Ci mancherebbe solo questo.» sospirò Lance «La professoressa McGranitt ha rischiato molto assumendomi. Tra la denuncia dei genitori di Daniel e la mia mano, i genitori e il Consiglio non saranno così contenti quando scopriranno che sarò il professore di Pozioni dei loro figli.» Lydia cercò per istinto la mano sinistra di Lance, e la strinse. Il tutore che indossava era sottile, ma copriva la ragnatela di cicatrici che la attraversava, nei punti in cui i medici babbani erano intervenuti per ricucire i nervi, ed era intriso di unguenti e incantesimi che tenevano sotto controllo il dolore. Non era guarita, non sarebbe mai guarita del tutto, come la gamba di Duncan e la cicatrice sul viso di Lydia, ma almeno aveva ricominciato a rispondere ai comandi di Lance, nonostante in molti momenti, venisse ancora attraversata da tremiti incontrollabili che gli impedivano di utilizzarla fino a quando non si calmavano. Ed era anche il motivo per cui era stata Lydia ad insistere affinché Lance accettasse la proposta di lavoro ad Hogwarts. «Spero solo che avremo finalmente un periodo di tranquillità…» concluse Lance, lo sguardo preoccupato fisso sulla coda del treno, che svanì in lontananza.
Gli occhi di Lydia erano rivolti verso i binari vuoti del treno, la sua mente invece era già nel minuscolo appartamento che li attendeva ad Hogsmaede, dove avrebbero iniziato la loro nuova vita, una vita che forse non sarebbe stata così tranquilla come entrambi desideravano, ma non per questo meno avventurosa. Perché se anche ci fossero state delle difficoltà, le avrebbero affrontare insieme, come avevano sempre fatto, pronti a combattere e lottare per difendere le persone che amavano, per la vita che erano riusciti a costruirsi e per il futuro che li attendeva.
Lydia posò la testa sulla spalla di Lance e sorrise sussurrando un’unica frase. 
«Andrà tutto bene.»
 
 
FINE
 
 

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