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Lista capitoli: Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 - LA PRIMA BATTAGLIA *** Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 - LA SANTA *** Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 - LA STREGA *** Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 - LO SCONTRO DECISIVO *** Capitolo 5: *** CAPITOLO 5 - LA CADUTA DEL CASTELLO *** Capitolo 6: *** EPILOGO - AVVENTURIERI ***
Capitolo 1 *** CAPITOLO 1 - LA PRIMA BATTAGLIA ***
“La Rivoluzione è
un ideale
sostenuto dalle baionette.”
(Napoleone
Bonaparte)
CAPITOLO 1
LA PRIMA BATTAGLIA
Tutte le mattine, dopo la colazione,
il governatore spendeva quasi tutto il suo tempo nella sala da bagno con un
sigaro tra le labbra e i piedi immersi in una mistura di vino, miele e urina di
toro che secondo il guaritore avrebbe dovuto alleviare le sue pene di gotta.
Ogni
guardia, servitore e abitante del Castello sapeva che in queste occasioni Longinus diventava intrattabile, ma ciò nonostante il
messaggero appena giunto da Dundee pretese comunque di essere ricevuto.
D’altronde
le notizie che aveva portato dal confineprecedendo persino l’arrivo delle prime
carovane piene di fuggitivi, e che avevano spinto Adrian ad introdurlo alla
presenza del padre, valevano bene il rischio di subire la collera del governatore.
«Una
sommossa?»
«Sì,
mio signore. L’intera popolazione del ghetto di Ende
è in stato di rivolta.»
«E
tu interrompi il mio pediluvio per una sciocchezza del genere? Dovrei farti
frustare.»
«Se
permettete padre, forse sarebbe il caso di trattare la questione con maggiore
attenzione. Da quello che si sente, pare che sia lo Sceriffo Haselworth a capo
della rivolta. Se questo fosse vero, dato il sostegno di cui gode non possiamo
escludere che riesca a portare dalla sua parte persino una parte della gente di
Dundee.»
«Povero
me, lo sapevo io. Se offri un boccone a un bifolco, alla fine vorrà tutta la
torta.»
«Mi
basta un vostro comando padre, e mi occuperò della questione personalmente.»
«Sei
matto? Ti ricordo che sei un nobile. Non puoi certo disonorare te stesso
combattendo contro dei mostri puzzolenti. Tu, messaggero. Va a cercare il
Generale Ron. Informalo della situazione e digli di
raggiungermi qui.»
«Sì,
mio signore.»
Il
Generale arrivò meno di dieci minuti dopo già al corrente di tutto e pronto ad
esporre la sua soluzione al problema: con soli quattrocento dei suoi migliori
legionari, disse, era pronto a stroncare la ribellione in meno di tre giorni,
uno in meno di quanti ne sarebbero teoricamente serviti per portare le truppe a
sud.
Ma
Longinus ancora una volta si sentì in dovere di
obiettare.
«Mobilitare
i miei soldati migliori per quattro straccioni? Non se ne parla neanche. Se ne
occuperà la terza brigata di fanteria leggera.»
«Governatore,
la terza brigata leggera è composta quasi esclusivamente da ausiliari e giovani
reclute che non hanno mai visto una battaglia. Anche se stiamo parlando di una
semplice rivolta di schiavi non ritenete che sarebbe il caso di agire con
maggior decisione?»
«Fossi
matto. Poi come lo giustificherei l’impiego di una simile forza a Sua Maestà? Siamo
nel bel mezzo dell’ispezione imperiale.»
Il
Generale dovette sottostare per forza di cose agli ordini ricevuti, e dopo aver
rivolto un’ulteriore quanto vana richiesta di poter disporre di truppe meglio
addestrate si congedò per dirigersi alle caserme.
Ma
proprio quando il Governatore sperava di poter tornare a godersi il suo
pediluvio un altro membro della sua corte fece la propria comparsa nel bagno.
«Lady
Valera. Quale onore ricevervi in questo posto così poco appropriato. Cosa posso
fare oggi per voi?»
«Signor
Governatore, ho saputo che non avete ancora autorizzato la mia partenza per Basterwick.»
«E
temo che non mi sarà possibile farlo neanche in seguito. Immagino che le voci
siano arrivate anche a voi.»
«L’epidemia
si sta diffondendo, e a Bastewick non ci sono abbastanza
guaritori per curare tutti. La presenza mia e della mia novizia potrebbe
alleviare le pene dei vostri sudditi.»
«La
salvezza degli abitanti di Basterwick mi sta a cuore,
ma devo pensare anche alla vostra incolumità. Cosa succederebbe se vi imbatteste
in quelle belve feroci?»
«Quindi
devo presumere che siate preoccupato per quegli schiavi ribelli al punto da
temere che potrebbero arrivare fino a Basterwick?»
Longinus
serrò i denti per il nervosismo, mentre suo figlio di contro non poté che
piegare le labbra in un sorriso sincero di stupore ed ammirazione di fronte
alla sagacia e alla lingua vellutata di quella giovane a prima vista così
indifesa.
«Come
volete, la vita è la vostra. Ma se vi dovesse capitare qualcosa non sarà
certamente colpa mia.»
«Non
dovete preoccuparvi. Anche se non sembra so badare a me stessa. E comunque ci
sarà Isabela al mio fianco.» e fatto un inchino che sapeva quasi di insulto se
ne andò
«La
sfrontatezza non le manca.» commentò Adrian
«L’arroganza
vorrai dire. E c’è chi sostiene che sarà il prossimo papa. Ma non farmi ridere.
Una così non è destinata a vivere a lungo.»
Fuori
dalla porta del bagno attendevano una giovane leonessa vestita da chierica
apprendista e una donna in armatura con lo stemma della Guardia del Tempio ricamata
in oro sulla cappa bianca.
«Maestra
Sylvie, siete davvero sicura che sia prudente lasciare il Castello proprio
adesso?»
«Vaelia ha ragione, mia Signora. L’epidemia peggiora di
giorno in giorno, e adesso c’è anche il problema della ribellione a sud.
Personalmente non mi fido del Governatore. È chiaro che sta prendendo la cosa
fin troppo alla leggera.»
«Ne
sono consapevole Isabela. Però ora più che mai il popolo di questa terra ha
bisogno di sentire vicini i rappresentanti di Gaia, e di sapere che qualcuno si
preoccupa seriamente per loro.»
«E
che cosa facciamo se quei ribelli dovessero davvero riuscire ad espandersi fino
a Basterwick?» chiese Vaelia
«L’avete detto voi stessa che l’umano che li guida è una persona fuori dal
comune.»
«A
dire il vero ammetto che sarei davvero curiosa di incontrarlo. Quando ho
guardato il signor Haselworth negli occhi per la prima volta ho notato subito
lo sguardo di una belva chiusa in gabbia e pronta a scatenarsi.»
Una
tromba di guerra risuonò nel cortile, e le tre ragazze affacciandosi dal
balcone videro il Generale Ron arringare le truppe
già schierate sulla piazza d’armi e pronte a partire per Dundee.
«Su
una cosa hai ragione, Isabela. Il Governatore non ha ancora capito davvero con
cosa ha a che fare.»
È cosa normale e comprensibile per
degli schiavi che hanno vissuto tutta la loro vita a patire la fame e gli
stenti di scatenarsi su tutto ciò che gli è stato sempre negato alla prima
occasione.
Avevo
visto coi miei occhi la plebaglia dare l’assalto alle ville degli aristocratici
all’indomani della Bastiglia svuotando le dispense, razziando le cantine e
distruggendo tutto il resto.
Non
potevo certo permettere che accadesse.
E
per far capire che non scherzavo su questo punto era necessario dare qualche
esempio; per questo avevo permesso a Pythus di
intrufolarsi in città, certo che quel goblin non si sarebbe lasciato sfuggire
l’occasione per dare sfogo alla propria bestialità. La sua morte non sarebbe
stata una perdita, e il messaggio era arrivato forte e chiaro a tutti.
Ora
che la Rivoluzione era ufficialmente cominciata bisognava nutrirla e portarla
avanti, pertanto meno di due ore dopo dal mio discorso in piazza ero già seduto
nella sala riunioni del municipio, circondato dai maggiori rappresentanti della
macchina amministrativa della regione.
«Septimus.
Qual è la situazione al ponte?»
«La
guardia è stata ripristinata e l’attività di controllo del traffico è ripresa
normalmente.»
«Cosa
avete detto alle guardie dell’Unione?»
«Quello
che hai suggerito. Che la guarnigione locale ha preso il potere con un colpo di
stato e il benestare della popolazione, e liberato gli schiavi per reclutare
nuove forze. Ufficialmente ci sono io a capo di tutto.»
«Sarà
necessario provvedere a fare una selezione. Tutti i cittadini, uomini e donne,
che abbiano una qualche formazione militare sono invitati a prendere le armi e
a dare il loro contributo. L’armeria del forte e quella del villaggio dovrebbero
essere sufficienti ad equipaggiare tutti. Creeremo battaglioni da cinquecento
soldati l’uno, e almeno per il momento manterremo separati umani e mostri per
evitare di creare attriti.»
«Non
sarebbe il caso di mostrare coesione fin da subito?» chiese Scalia. «L’hai
detto tu che questa distinzione non dovrebbe più esistere.»
«Ci
sarà tempo per questo. Ora la priorità è respingere la minaccia che sta per
arrivarci addosso, e non possiamo farlo se ogni soldato diffida di quello che
gli sta accanto. Comandante Oldrick, qual è la
situazione dell’ordine pubblico?»
«Qualche
rissa, ma niente di significativo. L’esempio che hai dato uccidendo quel goblin
è stato recepito anche dagli abitanti più scalmanati.»
«Quanti
miliziani sono rimasti?»
«Più
o meno centoventi. Tutta gente fidata che appoggia questa impresa.»
«Li
raggrupperemo in un singolo battaglione. Assieme ai legionari di Septimus
formeranno la nostra unità d’élite. Mary.»
«S…
sì?»
«Occorre
che i commerci rimangano aperti. Usa tutta la reputazione di cui godi presso i
mercanti dell’Unione. Rassicurali che la situazione a Dundee è sotto controllo
nonostante il colpo di stato, e se necessario abbassa i prezzi. È fondamentale
far girare più denaro possibile.»
«Ma
i mercanti accetteranno di commerciare con dei ribelli?»
«E
poi, cosa dovremmo commerciare?» domandò il sindaco. «Le attività estrattive,
il lavoro nei campi, perfino i negozi. Al momento è tutto fermo. Molti sono
persino scappati.»
«I
contadini e coloro che possiedono terreni già seminati saranno esentati dal
servizio militare. Lo stesso vale per i cacciatori. Questo dovrebbe fornirci il
cibo necessario per sfamare la nostra popolazione e il nostro esercito, anche
se sarà inevitabile destinare a quest’ultimo una maggiore quantità di risorse.
Rimetteremo in moto anche le miniere e l’industria del legname, destinandovi
quanti più lavoratori possibili. I negozi e gli empori saranno più che felici
di riprendere la loro attività se vedranno che nonostante tutto i mercanti continuano
ad arrivare.»
«E
per i mercanti che arrivavano da nord come dovremmo fare? Quasi la metà dei
commerci di questa regione avvengono con l’Impero o l’Eirinn Orientale.»
«Quelli
inevitabilmente saranno interrotti, ma renderemo ben chiaro che non sarà per
colpa nostra. Ufficialmente le porte a Dundee resteranno aperte per chiunque voglia
fare affari, così saranno il Governatore e il Castello a prendersi la colpa.
Anche se al vostro posto io non me ne preoccuperei più di tanto.»
«Per
quale motivo?»
«Perché
vi posso garantire che a un mese da oggi, la prossima seduta di questo
consiglio direttivo si svolgerà nella Sala Grande del Castello.»
Ero
abituato a sorprendere i miei ministri con frasi ad effetto, e ogni volta mi
veniva da ridere per il genere di reazioni che tali frasi suscitavano in chi le
sentiva.
«Daemon,
non starai correndo un po’ troppo?» disse Septimus. «Tanto per cominciare
abbiamo a disposizione meno di duemilacinquecento soldati. La sola Quindicesima
Legione ne conta oltre diecimila.»
«Se
sono altri soldati che vi servono, io sono qui!» esclamò Grog scattando in
piedi e sfoderando i suoi famosi muscoli «Io e i miei ragazzi spacchiamo pietre
da quando ci succhiavamo i pollici, spaccare teste al confronto sarà solo un
allenamento!»
«Lo
sai perché ho assegnato tutti gli orchi e i minotauri al ripristino
dell’attività mineraria piuttosto che all’esercito?»
«Perché
altrimenti sarebbe troppo facile?»
«Perché
il bersaglio grosso è sempre il più invitante. Vi trasformereste in puntaspilli
prima ancora di arrivare allo scontro diretto. Verrà anche per voi il tempo di
scendere in battaglia, ma per il momento ho bisogno che rimettiate in funzione
le miniere.»
«Quand’è
così, lascia fare a noi. Dacci vino, sidro e tanta carne, e ti svuoteremo il Khoral di tutto quello che c’è dentro.»
In
quel momento qualcuno bussò alla porta, ed io ero più che sicuro di sapere di
chi si trattava.
«Proprio
al momento giusto. Entra pure.»
Non
che qualcuno fece i salti di gioia nel veder apparire sull’uscio il brutto e
grasso muso di Borg; anzi, Scalia e Septimus furono quasi sul punto di mettere
mano alle armi.
«Calmatevi.
Sono stato io a chiedergli di venire. Come avete detto voi ci serve tutto
l’aiuto possibile, e sapete tutti molto bene quanto Borg sia abile nel trovare tutto
quello che ci può essere utile.»
«Però,
questo maiale…» provò a protestare Scalia
«Ogni
comandante fa la guerra con i soldati che ha. E comunque Borg è una risorsa
troppo preziosa per rinunciarvi in nome di un qualche moralismo o solo perché
vi è antipatico, soprattutto in questo momento.»
«Ben
detto, amico mio. Quanto a lor signori, possono dormire sonni tranquilli. Il
vostro eccelso comandante supremo ed io abbiamo già discusso abbondantemente
della questione. La mia lealtà a lui e alla vostra causa è fuori discussione.»
«Ma
per quanto?» ringhiò Septimus
«Allora,
Borg? Hai quello che ti ho chiesto?»
«Anche
se sono il migliore di tutti c’è un limite a quello che io posso procurare. Ma
per tua fortuna, la merce che avevi richiesto era già a mia disposizione.»
Naturalmente
non era vero. Avevo fatto l’ordinazione mesi prima –oltretutto pagandola a peso
d’oro– quando il mio piano aveva appena iniziato a mettersi in moto.
D’altronde
non potevo certo andare a raccontare in giro che quella che doveva sembrare a
tutti i costi una rivolta nata spontaneamente non era altro che la naturale
conseguenza di ciò che io stesso avevo provocato.
Ma
per mia fortuna tutto per Borg aveva un prezzo, incluso il suo silenzio; e poi
era troppo furbo per farsi scappare l’occasione della sua vita solo per una
questione di onestà.
Quanto
alla merce, si trattava indubbiamente di qualcosa che in quella parte di Erthea
stava diventando davvero difficile da trovare, e che per questo motivo non
mancò di lasciare tutti senza parole quando videro gli uomini del maiale
scaricarla dai carri.
«Cannoni!?»
esclamò Oldrick.
Dal
mio punto di vista non erano altro che giocattoli, poco pratici, imprecisi e
con una certa tendenza a saltare per aria, ma comunque utili per chi come me
sapeva tirare fuori l’anima da una qualunque bocca da fuoco.
Borg
ne aveva trovati sei, di grosso calibro e terribilmente pesanti, oltre che
privi di affusti e ruote.
Ma
insomma, è davvero questo il meglio che Erthea ha da offrire in fatto di
artiglieria?
«Non
ne vedevo uno dai tempi delle Guerre di Confine. È stata proprio una scheggia
provocata dall’esplosione di uno di questi cosi a portarsi via il mio occhio.»
«Ce
ne sono alcuni anche nel forte, ma non sono altro che ingombranti paracarri.
Non ci hanno nemmeno mai addestrati a usarli.»
«Esattamente
Daemon, cosa pensi di fartene?» domandò Scalia
«Non
è ovvio? Usarli per la guerra che ci attende.»
«Ma
per farci cosa? Non dobbiamo assediare una fortezza. E anche se volessimo
usarli per difendere il villaggio, le torri e i camminamenti si
sbriciolerebbero al primo rinculo.»
«Noi
non difenderemo un bel niente Septimus.»
«Cosa!?»
«Una
rivoluzione è vittoriosa solo quando il vecchio governo viene spodestato, e un
governo di certo non si spodesta standosene chiusi dietro ad un muro.»
Oldrick
era un veterano, quindi era ovvio che a lui l’idea che stavo proponendo
sembrasse assurda più che agli altri.
«Vorresti
ingaggiare l’esercito imperiale in campo aperto con pochi legionari, qualche
coscritto e un esercito di schiavi ribelli?»
«Il
Comandante ha ragione, è una follia.» disse il Sindaco
«No,
se saremo noi a stabilire le condizioni e scegliere il terreno di scontro. E
con questi al nostro fianco la vittoria è assolutamente sicura. Scalia, ho
bisogno che tu faccia una cosa per me.»
«Di
che si tratta?»
«Ordina
a Tarto e agli altri ragazzi della segheria di
mettersi subito al lavoro seguendo questi progetti. È necessario che tutto sia
costruito entro domani. Grog.»
«Sono
qui.»
«Ho
bisogno che la fonderia delle miniere si metta subito a produrre grosse palle
di ferro. Questi affari non servono a niente senza munizioni. Giselle.»
«Agli
ordini.»
«Prendi
alcuni volontari e batti il villaggio e i dintorni palmo a palmo. Occorrono
chiodi, sassi, bulloni, cose del genere. Più duri e piccoli sono, meglio è.»
«E
che cosa vuoi fartene, se posso chiedere?»
«Lo
vedrai. Quanto a voi sindaco, procuratemi dei cavalli. Bestie robuste, da
lavoro, che possano tirare carichi pesanti. Visto che abbiamo solo tre giorni,
per questa battaglia metteremo in campo solo coloro che sanno già combattere e
sarà possibile inquadrare nei battaglioni fin da subito. Scalia e Septimus, voi
sarete al comando rispettivamente dei battaglioni degli schiavi e degli umani.»
«Conta
su di me.»
«E
anche su di me.»
«Ah,
e un’altra cosa. Trovatemi anche un ceramista e un cavallo. Bianco, se
possibile.»
Non avevo mai voluto essere un
soldato.
Ero
solo uno dei tanti poveri disperati che sceglievano di arruolarsi nella legione
semplicemente perché incapaci di ritagliarsi un proprio posto felice
all’interno della piramide sociale dell’Impero.
La
terra da cui venivo era povera, e quando un’epidemia si era portata via i miei
genitori l’esercito era diventata l’unica via d’uscita per non morire di fame.
Erano
passati solo due anni da quando avevo ricevuto l’armatura, e da allora non
avevo mai visto un campo di battaglia in vita mia.
Ma
proprio quando stavo cominciando a credere a tutte quelle voci secondo cui
essere un legionario voleva dire oziare e bivaccare tutto il giorno tra parate,
guardie d’onore e altre sciocchezze simili in attesa di congedarsi e usare i
cinque anni di paga per aprirsi un’attività o comprare un po’ di terra, ecco
che puntuale era arrivata la fregatura.
Prima
mi avevano mandato ad Eirinn, proprio ad un tiro di lancia dal confine più
caldo di Saedonia, –non erano le regioni dell’est
dove si combatteva giorno e notte coi baroni ribelli, ma neanche le ronde sotto
il caldo sole di Floradis– ed ora stavo marciando con
tutta la mia unità dritto in bocca ad una massa di schiavi infuriati.
Il
Generale Ron che ci guidava ci aveva arringati
dicendo che era una cosa da niente, che avremmo macellato in allegria un po’ di
straccioni per poi tornarcene a casa senza un graffio, ma chissà perché io non
riuscivo ad essere così ottimista.
Le
voci che giravano tra i miei compagni, tenute faticosamente a bada dai nostri
centurioni, raccontavano una storia ben diversa; si diceva che ci fosse un
umano, un tipo tosto a guidare la rivolta, e che date le premesse non era da
escludere se oltre che con gli schiavi avremmo dovuto fare i conti anche con
gli abitanti della regione, che tutto erano fuorché amanti dell’Impero e dei
suoi eserciti.
«Non
preoccuparti.» continuava a ripetermi mio fratello Darius,
che all’alba del terzo giorno di viaggio marciava al mio fianco
«La
fai facile. Per te non sarà la prima battaglia.»
«Non
c’è motivo di essere così teso. Sono solo una banda di predoni. Ci basterà
ucciderne qualcuno e gli altri si butteranno in ginocchio chiedendo pietà.
Fidati, non la si potrà neanche definire battaglia.»
Eravamo
quasi arrivati al punto in cui avremmo dovuto lasciare la Via Imperiale per
marciare contro il ghetto, quando un esploratore inviato a controllare la
situazione tornò indietro informando il comandante che c’era un esercito di
almeno seicento guerrieri ad aspettarci poco lontano.
«Sono
forse impazziti?» sentii dire al Generale Ron
«Pensano sul serio di poterci affrontare faccia a faccia?»
Effettivamente
per essere reclute noi eravamo più del triplo rispetto a loro, e persino io
sapevo che con un tale vantaggio numerico e potendo contare su armi ed
equipaggiamento migliori sarebbe stata una passeggiata avere ragione dei
nemici.
Ma
il Generale non era tipo da sottovalutare il nemico, e ci fu ordinato di
proseguire la marcia in formazione da combattimento, a passo lento e con le
armi pronte.
Procedemmo
così per qualche ora, fino a che svoltata una curva trovammo gli schiavi
ribelli asserragliati su di un basso colle che dominava la strada.
Era
come aveva detto mio fratello; più che un esercito nemico sembravano
un’accozzaglia eterogenea di animali su due zampe male equipaggiati, che
sventolavano con orgoglio un vessillo di stracci a forma di bandiera.
La
maggior parte di loro era armata di una semplice lancia –alcuni addirittura non
brandivano altro che dei bastoni appuntiti– e con giusto qualche strato di
cuoio rattoppato a fungere da armatura. Malgrado ciò apparivano stranamente
disciplinati, e mentre ci disponevamo in formazione di fronte a loro non si
mossero né aprirono bocca, restando immobili a fissarci.
Ad
un tratto un cavallo bianco sbucò da dietro lo schieramento con in sella un
giovane dallo sguardo penetrante, vestito in modo semplice ma rispettabile, e
salutato con rispetto dai ribelli.
Doveva
essere sicuramente quel Daemon di cui tanto si parlava.
Potei
scorgere il Generale Ron che accoglieva il nuovo
venuto con una smorfia di disgusto, rispondendo con un moto di stizza alla
richiesta del suo attendente di inviare un ambasciatore ai rivoltosi per tentare
di risolvere la questione pacificamente.
«Niente
discussioni. Niente trattative. Passate parola. Chi sgozza più schiavi avrà una
promozione. E chi mi porta la testa di quel bastardo di Sceriffo lo faccio
Centurione.»
Gli
arcieri furono mandati avanti per primi, protetti sui fianchi da due piccoli
plotoni di soldati semplici.
I
ribelli non risposero alla loro avanzata, osservandoli in silenzio mentre a
passo di marcia coprivano lo spazio necessario per arrivare a distanza di tiro.
«Soldati
dell’esercito imperiale!» tuonò l’umano a cavallo quando mancavano pochi passi
al punto di lancio ottimale. «Se tenete alla vostra vita non fate un altro
passo! Ripiegate le vostre insegne e tornate indietro! Noi non abbiamo
intenzione di combattere, ma se provocati non ci fermeremo finché non sarete
tutti morti!»
Chiunque
altro si sarebbe visto ridere in faccia di fronte ad una ostentazione di forza
così apparentemente fuori luogo, ma quel tipo emanava una tale aura di
supremazia che io stesso di fronte a quella minaccia sentii un brivido alla
schiena.
Anche
gli arcieri parvero esitare, ma i loro ufficiali li spronarono a continuare
nell’avanzata.
Erano
arrivati in posizione e si stavano preparando a scagliare la prima raffica di
frecce, quando la prima linea degli schiavi si aprì come il sipario di un
teatro, rivelando dietro di essa sei grossi cannoni posizionati su degli
affusti in legno massiccio provvisti di ruote.
«Fuoco!»
Il
boato fece quasi tremare la terra e decine dei nostri compagni caddero a terra
travolti da pesanti palle di metallo che rimbalzando o rotolando sul terreno in
pendenza si portavano via gambe, braccia e teste.
«Riformare
i ranghi! Rispondete al fuoco!»
Confusi
e spaventati gli arcieri tirarono, ma nel mentre alcuni schiavi avevano già
iniziato a lavorare per ricaricare i cannoni, e dal momento che tutti quanti
portavano dei grossi scudi di legno dietro la schiena solo due o tre furono
colpiti in maniera significativa.
«Bordata
numero due, fuoco!»
La
seconda salva fu anche peggiore della prima, colpendo nel mucchio con
terrificante precisione e uccidendo o mutilando decine di soldati.
Una
di quelle palle continuò a rotolare fino a raggiungere il nostro schieramento;
Marcus, un mio compagno di carte, istintivamente mise il piede per fermarla, e
un attimo dopo lo vedemmo portato dietro le linee dai suoi compagni urlante di
dolore, con la gamba tranciata dal ginocchio in giù.
«Fate
avanzare la fanteria!» sbraitò il Generale alla vista dei reparti di arcieri
che, alla terza bordata, scappavano via quasi dimezzati.
Stretti
in formazione, coprendoci come potevamo con i piccoli scudi ovali da ausiliari,
iniziammo a procedere in avanti con le lance in resta, ma eravamo tutti così
spaventati all’idea di vederci piovere addosso quelle cannonate infernali che i
nostri ufficiali dovettero minacciarci di tremende punizioni per riuscire a
tenere nei ranghi i più giovani e inesperti.
Avanzammo
a passo doppio, coprendo in pochi istanti la distanza necessaria a risultare
teoricamente troppo vicini per poter essere efficacemente presi di mira dai
cannoni.
«Ormai
il più è fatto soldati! Anche se sparassero non riuscirebbero mai a colpirci
efficacemente!»
E
allora perché stanno ricaricando?
Stavolta
però era diverso, e invece che con palle di ferro sembrava stessero caricando i
cannoni con delle sfere più leggere, fatte di terracotta o d’argilla.
Se
solo avessimo saputo cosa stava per pioverci addosso; letteralmente.
Eravamo
praticamente a ridosso dei cannoni, stavano per comandare il passo di carica,
quando quel Daemon alzò il braccio.
«A
mitraglia, fuoco!»
Dalla
bocca dei cannoni si sprigionarono un frastuono ed un fumo molto strani, quasi
un’esplosione di polvere, e decine di noi caddero sull’erba tutti insieme con i
loro corpi ricoperti di buchi e ferite.
Non
so per quale miracolo io ne uscii illeso, ma purtroppo mio fratello non ebbe la
stessa fortuna; tre grossi pezzi di metallo lo colpirono in pieno torace
sventrando l’armatura e quasi trapassandolo, un altro rimbalzò sullo scudo
ferendomi di striscio a una gamba, un altro ancora invece gli entrò dritto
nell’occhio destro sbucando fuori dall’altra parte e facendomi schizzare in
faccia un getto di sangue.
«Darius!»
Nello
stesso momento in cui arrestavamo l’avanzata un gruppo di balestrieri sbucò
fuori da dietro la linea dei mostri, ma eravamo tutti troppo confusi e
spaventati per realizzare che si trattava di soldati imperiali.
Si
disposero su due linee, la prima in ginocchio e la seconda in piedi, puntando
le armi dritte contro di noi.
«Balestrieri,
tirare!»
Disorientati,
scollati e vicini com’eravamo venimmo colpiti a decine, ma ancora una volta gli
dei furono dalla mia parte e venni risparmiato.
Quindi
fu il momento della loro fanteria, che ci piombò addosso con la forza di una
valanga ingaggiandoci in un corpo a corpo che si trasformò ben presto in un
massacro.
Il
colpo finale lo dette una seconda ondata, anche questa di soli mostri, che
sbucando da dietro il colle si scagliò contro il nostro fianco destro; lo
guidava una giovane ragazza vestita come un’amazzone di Torian,
con la pelle e i capelli scuri, una lunga coda e un paio di corna arricciate.
Perché?
Perché sta succedendo tutto questo? Io non voglio morire! Mamma! Papà! Fratello
mio!
Vanamente
tentammo di resistere, ma ormai la paura ci aveva completamente sopraffatti e
nel giro di pochi minuti fummo messi in rotta, dandoci ad una fuga disperata
prima che la manovra di accerchiamento messa in atto dai nemici potesse
tagliarci fuori dal resto della nostra armata.
Mentre
scappavamo ignorando persino le intimazioni del Generale Ron
di tornare a combattere potevamo sentire alle nostre spalle le urla di vittoria
dei mostri, seguite da un invito da parte del loro comandante a non avere
paura, che eravamo stati mandati a morire in nome di un impero a cui non
importava niente di noi, e che chiunque avesse voluto combattere per un’altra
causa sarebbe stato il benvenuto.
Inutile
dire che quelle parole presero subito a trapanarmi il cranio come l’attrezzo di
un cerusico, e qualcosa mi diceva che non ero l’unico ad avere di quei
pensieri.
Ci
avevano sempre detto che la fedeltà all’Impero era l’unico ideale che valesse
la pena difendere, e che dare la vita per Saedonia
era il più grande onore a cui un uomo potesse aspirare.
Teoricamente
non avrei dovuto provare altro che odio verso quei mostri che avevano ucciso
l’unico parente che mi fosse rimasto, ma allo stesso tempo non riuscivo a non
pensare ai nostri vecchi compagni ora schierati contro di noi, che non ci
avevano pensato un attimo a spararci addosso e che durante la nostra fuga avevo
visto esultare e abbracciare i mostri come fratelli.
Poteva
davvero esistere un mondo del genere? Un mondo in cui umani e mostri potessero
lottare fianco a fianco per un bene comune, in cui poter credere al punto da
essere pronti a puntare le armi contro i propri vecchi amici?
Disertai
quella notte stessa, allontanandomi dal campo assieme ad altri cinque miei
amici. Due di loro non fecero neanche cento passi prima di sfilarsi le insegne,
l’armatura e le armi e darsi alla macchia, mentre io e gli altri tre ci
dirigemmo verso il luogo della battaglia per consegnarci al nemico sperando
nella bontà delle loro promesse.
Non
fummo delusi.
Appena
raggiunto un piccolo avamposto lungo la strada popolato in egual misura da
mostri, civili umani e qualche legionario fummo rifocillati, abbeverati e
quindi portati sotto scorta al campo principale, allestito con tutte le
accortezze di un accampamento militare sullo stesso colle sul quale eravamo
stati massacrati.
Fu
allora che potei vederlo faccia a faccia: Daemon Haselworth. Vedendolo così,
disceso dal suo cavallo bianco, non sembrava altro che un giovane uomo
qualunque, ma i suoi occhi erano raggi di luce che scrutavano nell’anima, e le
sue parole così potenti nella loro apparente semplicità da arrivarci
direttamente al cuore.
Ci
disse che per quanto lo riguardava noi non eravamo suoi nemici, che lui e i
suoi seguaci avevano preso la spada per ribellarsi ad un Impero in cui nessuno
di loro credeva più, e che il loro scopo era costruire un mondo nuovo in cui le
disuguaglianze sarebbero state abolite e tutti, umani, mostri e semiumani,
sarebbero diventati uguali davanti alla legge.
Allo
stesso modo però fu molto chiaro, per non dire minaccioso nell’avvertirci che
la giustizia sarebbe stata rapida e implacabile verso tutti coloro che avessero
anche solo pensato di tradire la causa, e che come avevamo sperimentato sulla
nostra pelle non ci sarebbe stata pietà per chi fosse determinato a mettersi
sulla loro strada.
Avremmo
dovuto puntare le armi verso i nostri vecchi compagni, e qualora fossimo caduti
vivi nelle mani del nemico era molto probabile che saremmo stati decapitati
seduta stante come i disertori che ai loro occhi eravamo.
«Se
accettate sarete i benvenuti. Ma chi non se la sente o non crede di poter
arrivare fino in fondo se ne vada ora. Vi daremo cibo e acqua per cinque giorni,
cinquanta goldie e un salvacondotto per raggiungere Connelly o l’Unione, poi
starà a voi decidere cosa fare. Allora? Qual è la vostra decisione?»
Per
quanto mi riguardava, la mia l’avevo già presa da un pezzo.
L’ultima volta che avevo visto un
campo di battaglia ero seduto sul retro di un carretto e fissavo sconsolato la
pianura di Waterloo, immaginandomi le facce di Wellington e Blucher
che si godevano la scena dalla cima del colle di St. Jean.
Da
tanto aspettavo di sentire nuovamente scorrermi nelle vene il fremito che solo
la battaglia riusciva a darmi, e quando finalmente le armi tacquero fui felice
di constatare due cose: che non avevo perso il mio talento nell’ispirare e
direzionare gli uomini, e che quegli stessi uomini al momento fatidico avevano
dato ottima prova di sé.
Anche
se era stata più una scaramuccia che un vero scontro i risultati erano comunque
apprezzabili, e lo provava il fatto che quando la musica si era fermata avevamo
contato solo diciassette morti contro i duecento e più subiti dal nemico.
Per
un attimo avevo temuto che Septimus e i suoi uomini avrebbero esitato a sparare
contro i loro compagni nel momento in cui se li fossero trovati davanti, e
anche per questo avevo preferito impiegarli come balestrieri piuttosto che in
prima linea.
E
invece non mi avevano deluso, dimostrando una volta di più come la
reincarnazione non avesse tolto nulla alla mia capacità di smuovere le
coscienze.
«Lo
conoscevi?» chiesi notando l’espressione con cui Septimus fissava ciò che il
tiro a mitraglia aveva lasciato di uno dei legionari nemici
«Si
chiamava Darius. Abbiamo fatto l’addestramento
insieme.»
«Mi
dispiace. La guerra è un affare sporco, specie se la si fa contro chi si
conosce.»
«Eravamo
entrambi in corsa per la promozione, ma lui l’ha rifiutata per restare vicino a
suo fratello. Spero che almeno lui se la sia cavata.»
«Qualora
fosse tra quelli che decideranno di arrendersi ti prometto che gli riserveremo
un trattamento di favore.»
«Ti
ringrazio. È già difficile accettare l’idea di stare combattendo contro i
nostri amici. Almeno vorrei cercare di non doverne uccidere troppi.»
Scalia
invece era di tutt’altro umore, felice come non mai di aver potuto finalmente
mettere alla prova anni di addestramento con la spada.
«Direi
che è stata una vittoria completa.»
«Sicuramente,
ma non montiamoci troppo la testa. Neanche il Governatore commetterà due volte
lo stesso errore. Stavolta erano reclute e ausiliari, alla prossima manderà
l’esercito.»
Mentre
i soldati ripulivano il campo di battaglia dai caduti allestimmo un
accampamento a tempo di record, riunendomi con Scalia e Septimus nella tenda di
comando per pianificare la prossima mossa.
«Ora
che facciamo?» domandò Scalia. «Puntiamo subito al Castello?»
«È
ancora presto. Non abbiamo né le truppe né la forza per assediare quella
fortezza. Dopo la batosta che gli abbiamo inferto però ci metteranno un po’ a
riorganizzarsi e a lanciare una nuova offensiva. E noi ne approfitteremo.»
«Come
suggerisci di agire?» chiese Septimus
«Faremo
come i serpenti. Strangoleremo il nemico fino a farlo soffocare. Fino a quando
il Castello avrà accesso alle proprie rotte di rifornimento avranno sempre un
vantaggio rispetto a noi. Pertanto sfrutteremo il momento e colpiremo qui, a Basterwick. La città è un punto di passaggio obbligatorio
per i carichi diretti al Castello. Se la occupiamo, a Ron
e al Governatore resterà solo la vecchia strada ducale che passa a nord
attraverso le montagne, e che sicuramente sarà ancora bloccata dalla neve.»
«Ma
ho sentito dire che a Basterwick sarebbe scoppiata
un’epidemia.»
«Infatti
non ho intenzione di correre rischi. Da ciò che ho potuto scoprire la piaga che
ha colpito la città colpisce solo gli umani. Quindi porterò con me solo il
quarto battaglione.»
«Ma
sono meno di cinquecento soldati.»
«Scalia
ha ragione. Tra la milizia e la guarnigione parliamo di almeno duemila uomini che
difendono Basterwick, e il Centurione Mannio che comanda la guarnigione è un tipo sveglio.»
«Avete
ragione. Se si parlasse di un assedio non ci proverei neanche. Ma a differenza
di Dundee Basterwick non possiede un forte
indipendente, e con un’epidemia in corso non si arrischieranno certo a
rinchiudersi in città. Dovranno lottare in campo aperto.»
«Ben
detto Daemon! E poi avremo i cannoni dalla nostra parte! Quei maledetti
voleranno per aria come tante scintille!»
«Ti
sarei grato se la cosa non ti entusiasmasse troppo. Quei maledetti, come li
chiami tu, sono spesso poveracci che fanno solo il loro dovere. Senza contare
che tra di loro ci sono anche molti miei amici.»
«Calmatevi
tutti e due. Septimus, ti ho promesso che avrei dato a chiunque la possibilità
di arrendersi per avere salva la vita e continuerò a farlo. Che altro puoi
dirmi di questo Mannio?»
«Ho
servito per un po’ sotto di lui, e come ho detto è un ufficiale in gamba. Un
veterano della Guerra del Flor con il Principato di
Connelly. I soldati lo rispettano, si fidano cecamente di lui, e lui li
ricambia preoccupandosi costantemente per loro. Il problema anche stavolta sono
la milizia locale e il loro comandante.»
«Sì,
lo conosco. Van Lobre. Dall’anno scorso è anche
diventato sindaco. I suoi latifondi occupano da soli un terzo della regione di Basterwick. Ma come ufficiale è un idiota che non saprebbe
distinguere una picca da un bastone. Ce la caveremo. E per rispondere a te
Scalia, no. Non porteremo con noi i cannoni.»
«Per
quale motivo?»
«Ci
sono voluti due giorni per portarli qui, a meno di dieci miglia da Dundee. Se
ce li portiamo dietro non faremmo mai in tempo a prendere Basterwick
prima della nuova offensiva. Septimus?»
«Dimmi.»
«Anche
tu dovrai spostarti. Qui siamo troppo esposti, servirà una posizione dove poter
annullare il vantaggio numerico quando Ron tornerà
qui assieme a tutta la legione. Il posto ideale è qui, al passo di Chateroi. Attenderai l’arrivo dei nuovi battaglioni da
Dundee, quindi tu e Oldrick vi posizionerete in
questo punto, nei pressi del villaggio. Una volta occupata Basterwick
vi raggiungeremo e ci riuniremo a voi.»
«Sarà
fatto.»
«Passa
parola Scalia. Il tamburo suona alle quattro. Tutti i mostri devono mangiare e
andare a dormire entro due ore. Li voglio riposati e motivati, perché marceremo
ininterrottamente fino a Basterwick. Dobbiamo essere
lì tassativamente entro dopodomani.»
«Per
quale motivo?»
«Perché
sarà il momento perfetto per la nostra vittoria.»
Nota dell’Autore
Salve
a tutti!
Come
promesso, eccomi di nuovo qui con il secondo volume della mia light novelisekai “Napoleon
of Another World!”, in cui si narrano le avventure di
Napoleone Bonaparte che, dopo la morte, viene fatto rinascere in un nuovo mondo
con l’incarico di salvare il continente di Erthea dall’avvento del Re dei
Demoni.
Ringrazio
tutti quelli che vorranno leggere e farmi sapere le loro considerazioni.
Era
venuta al mondo con un’affinità per la magia con pochi precedenti nella storia
scritta, e prima ancora di prendere i voti in molti già la veneravano come una
santa.
Di
certo aveva un animo puro e misericordioso come pochi, ma curare orfanotrofi o
assistere i malati nei sanatori non erano attività degne di un Vescovo, il cui
unico dovere era vivere fianco a fianco con il nobile al quale si era destinati
dal Conclave, offrendo consigli e assistendolo nella gestione del potere.
Sylvie
però era troppo furba per non rendersi conto che la sua nomina era stata solo
il frutto delle pressioni che Sua Santità aveva subito da parte dei membri più
tradizionalisti del Conclave, che mal sopportavano l’idea di vedere una
popolana di umili origini accostata al soglio di Gaia.
Ma
a lei non importavano i giochi di potere dei cardinali, e tutto quello che
voleva era di usare le sue conoscenze per aiutare gli altri. Non per niente la
sua specialità erano gli incantesimi curativi, che praticava ad un livello
irraggiungibile anche per il più esperto dei guaritori.
L’epidemia
che aveva colpito Basterwick e che stava mietendo
così tante vittime era una delle peggiori che si fossero mai viste, e il suo
arrivo era stato visto come una benedizione da parte degli abitanti ormai allo
stremo.
Per
fortuna quel morbo non si propagava attraverso l’aria, e a meno di non toccare
qualcosa di infetto era difficile ammalarsi, quindi per il momento confinare
tutti i malati all’interno del grande sanatorio della città stava servendo a
tenere sotto controllo il diffondersi del contagio.
Allo
stesso tempo però non si trattava del genere di malattia che si potesse
debellare con gli incantesimi curativi, e tutto quello che Sylvie e la sua
apprendista potevano fare era lenire le sofferenze dei malati nella speranza
che questo permettesse loro di vivere abbastanza a lungo da dare al loro corpo
il tempo di guarire spontaneamente, cosa che purtroppo non sempre succedeva.
Tutti
i giorni alla solita ora il sindaco e il comandante della guarnigione
visitavano il sanatorio per constatare lo stato delle cose, rigorosamente
attraverso i ballatoi superiori dell’edificio.
«La
puzza di questo posto è sempre più insopportabile.» protestò Van Lobre passandosi tra i baffi il suo fazzoletto profumato.
«Lady Valera, non dovreste stare così vicina agli ammalati. Anche lavandosi
continuamente le mani e bruciando le tuniche protettive c’è sempre il rischio
di ammalarsi.»
«Io
ho già contratto in passato questa malattia.» rispose lei senza neanche alzare
gli occhi dalla bambina che stava accudendo. «Quindi non corro alcun pericolo.
Piuttosto signor Sindaco, mi avevate promesso di destinare nuove risorse al
sanatorio.»
«Sfortunatamente
ragazza mia le cose sono cambiate. A quanto si dice quei bifolchi di Dundee
hanno sconfitto la spedizione punitiva organizzata dal Governatore. Non posso
rischiare di lasciare i miei ragazzi senza medicine e guaritori.»
«Ma
l’epidemia peggiora di giorno in giorno. Se non facciamo qualcosa i nostri
sforzi non saranno sufficienti a tenere a freno il contagio. Inoltre dal
momento che sia la milizia che la legione non pattugliano più la città subiamo
continuamente furti di cibo e medicinali.»
«Non
c’è altra scelta. Con quei pezzenti che scorrazzano liberi per tutta la
provincia l’ultima cosa che ci serve è che comincino ad ammalarsi anche i
soldati.»
«Almeno
fateci avere dei rifornimenti dai granai e dai pozzi cittadini. Gli abitanti
consumano acqua e cibo probabilmente contaminati da giorni.»
«Vi
ho già detto che è impossibile. È proprio tramite acqua e cibo che il morbo si
diffonde. I malati e i cittadini avranno accesso solo ai rifornimenti che gli
sono già stati destinati, il resto resterà a disposizione dell’esercito.
Pazientate mia cara, e vi prometto che appena il problema dei ribelli sarà
risolto vi garantisco che faremo qualcosa in proposito.»
Sylvie
aveva già avuto a che fare con cattivi amministratori e malgoverno, ma mai
avrebbe immaginato che ci fossero persone talmente egoiste ed insensibili da
lasciar morire i propri sudditi in modo tanto spregiudicato ed insensibile.
Ma
d’altronde lei che poteva fare? La sua posizione non le permetteva certo di
sfidare gli ordini, specie in una regione come Eirinn dove i nobili erano tutti
in ottimi rapporti con il Circolo.
«Cercherò
di far destinare una parte delle nostre risorse al sanatorio. Se mi promettete
di tenerlo lontano dai malati più gravi, chiederò anche al nostro guaritore di
venire a dare una mano.»
«Vi
ringrazio Centurione. Sarebbe di grande aiuto.»
«Centurione
Mannio! Il vostro compito è proteggere la città!»
«Proteggere
la città significa anche portare aiuto ai suoi abitanti in caso di necessità.
Ho parlato coi miei uomini e sono tutti d’accordo.»
Era
quasi incredibile che un Centurione si preoccupasse per la sorte degli abitanti
di una regione ostile all’Impero più di un nobile locale, che sbandieravano
sentimenti reunionisti per accattivarsi le simpatie
della gente ma che poi quando serviva si preoccupavano solo di sé stessi.
«Signor
Sindaco!» strillò all’improvviso una guardia «Un’emergenza!»
«E
adesso che c’è?»
«I
ribelli, Vostra Grazia! Sono diretti qui!»
«Che
cosa!? Dove si trovano?»
«Avanzano
da est lungo la Via Dioscura.»
«Perché
scegliere una strada così vecchia e trascurata?» si domandò Mannio.
«Se volevano muoversi in fretta non aveva più senso usare la Via Magna? Forse
cercavano di passare inosservati?»
«Chi
se ne importa? Quella strada passa proprio attraverso le mie terre! Non
permetterò certo a quegli animali di devastare i miei preziosi campi! Suonate
l’adunata! Voglio tutti i soldati della milizia pronti a partire il prima
possibile! E anche tu Mannio, chiama i tuoi uomini e
ordinagli di prepararsi!»
«E
chi rimane a presidiare la città? Così Basterwick
resterà indifesa.»
«Al
diavolo Basterwick! Fai come ti ho detto!»
Isabela
arrivò a fare rapporto alla sua protetta quando Van Lobre
e Mannio se n’erano già andati.
«So
già tutto.»
«Legionari
e miliziani si stanno già mobilitando. A difendere la città restiamo solo io e
alcuni volontari. Lady Valera, per la vostra sicurezza forse sarebbe meglio che
vi ritiraste nel palazzo del sindaco, dove potremmo difendervi più
efficacemente.»
«Isabela
ha ragione, Maestra Sylvie. Non puoi restare qui.»
«Non
posso lasciare queste persone Vaelia. Hanno bisogno
di noi adesso più che mai. E poi, qualcosa mi dice che non abbiamo niente da
temere.»
La regione di Basterwick
era molto diversa dal resto dell’Eirinn Occidentale, e nelle sue valli fertili
si coltivavano grano, verdure e frutteti.
La
città stessa era circondata da campi rigogliosi, che con l’avanzare della
primavera andavano già riempiendosi di germogli destinati a trasformarsi in ottimo
frumento.
E
di tutti i campi che sorgevano attorno a Basterwick
più della metà appartenevano a Van Lobre, che non
aveva alcuna intenzione di permettere ai ribelli di passarci in mezzo e
distruggere il suo raccolto.
Per
questo motivo aveva scelto come luogo di scontro un vasto terreno incolto al di
fuori dei suoi possedimenti, ad un paio di miglia di distanza dalle mura della
città lungo la Via Dioscura.
Mannio
aveva provato ad obiettare, sostenendo che un terreno così vasto e spoglio,
circondato da boschetti, avrebbe potuto prestare il fianco ad un aggiramento,
ma il sindaco non aveva voluto sentire ragioni facendo valere la sua autorità e
costringendo il Centurione ad adattarsi.
Passarono
ore, mentre il nemico si faceva desiderare esitando a farsi vedere.
«Sembra
stia per arrivare un temporale.» osservò Mannio
alzando gli occhi al cielo plumbeo.
Quando
cominciarono a cadere le prime gocce di pioggia i ribelli si fecero finalmente
vedere, ma definirli un esercito sarebbe stato fuori luogo.
«Sono
pochissimi. Quanti saranno, cinquecento al massimo?»
«Tanto
meglio. Risolviamo in fretta questa cosa e torniamocene a casa. Se ci
sbrighiamo faccio ancora in tempo a prendere il mio tea.»
Per
nulla spaventati dai numeri soverchianti dei loro nemici i ribelli andarono a
disporsi sul campo di battaglia magistralmente guidati nei loro movimenti da
Daemon, che in sella al suo cavallo bianco risaltava come un diamante nel
fango.
«Li
falceremo come le erbacce che sono! Miliziani, è ora di guadagnarsi la paga!
Avanzate e spazzateli via!»
Stretti
in formazione metà dei soldati della milizia avanzarono verso il nemico,
venendo prima bersagliati da un lancio di frecce che ne uccise alcuni e poi caricati
dai mostri, che usarono la loro forza e dimensioni per generare un urto
devastante che la linea di scudi riuscì però faticosamente a reggere.
Nel
mentre poche gocce di pioggia si erano trasformate in un batter d’occhio in un
violentissimo temporale, e non occorse molto perché i miliziani iniziassero a
vedersi mancare letteralmente il terreno sotto i piedi.
«Ma
che diavolo succede?» protestò qualcuno. «Sembra di combattere sulle sabbie
mobili!»
Di
fronte allo spettacolo dei soldati nemici che affondavano nel fango,
appesantiti oltretutto dalle proprie ingombranti armature, Dameon
sorrise beffardo.
«Questi
campi erano usati come risaie fino ad un paio di anni fa. Anche se adesso sono
incolti e abbandonati, non sorprende che basti un po’ di pioggia perché si
trasformino in paludi.»
Dall’altro
capo del campo di battaglia Mannio notò il suo
sguardo, e ricordandosi di aver sentito dire come quel ragazzo avesse inventato
un qualche apparecchio capace di prevedere l’arrivo dei temporali allora capì.
Ecco
perché è passato da qui. Sapeva che questo idiota avrebbe fatto di tutto per
proteggere i suoi campi, e ci ha portati proprio dove voleva lui!
E
il peggio doveva ancora venire. Perché se un terreno ridotto ad un pantano
poteva risultare il peggior nemico di un esercito in assetto di guerra e
abituato a combattere in formazione chiusa, non rappresentava certamente un
problema per uno schiavo che aveva passato tutta la vita a lavorare e faticare
immerso nel fango.
Dopo
aver subito in un primo momento il contrattacco dei miliziani i ribelli presero
nuovamente a guadagnare terreno, frantumando con una poderosa spinta la linea
di scudi dei miliziani e ingaggiandoli in scontri uno contro uno in cui i
mostri, più agili nonostante la mole spesso superiore, stavano rapidamente
avendo la meglio.
«Dobbiamo
ripiegare su di un terreno più favorevole!» provò a dire Mannio.
«Se restiamo qui rischiamo di essere travolti!»
«Non
se ne parla neanche! Ci basterà spingere di più!» e Van Lobre
ordinò alle sue riserve di scendere in battaglia, minacciando di far tagliare
la lingua al suo secondo quando questi tentò di far ragionare il Comandante
sull’assurdità di ciò che stava facendo.
La
mossa come previsto non sortì l’effetto sperato. Al contrario, i soldati della
milizia erano talmente intralciati nei movimenti da risultare un facile
bersaglio per gli arcieri ribelli, che ne uccisero a decine prima ancora che
questi potessero giungere allo scontro.
«I
tuoi uomini si stanno facendo massacrare! Devi ordinare loro di ripiegare!»
«Invece
di parlare dammi una mano, razza d’incapace! O i tuoi legionari servono solo a
marciare in parata e fare la guardia ai sanatori?»
Mannio
non aveva alcuna intenzione di mandare i suoi soldati a morire in quella
palude. Decise quindi di tentare una manovra di aggiramento, ordinando a metà
dei suoi seicento legionari di staccarsi dallo schieramento e procedere
attraverso il sentiero rialzato che tagliava i campi fino alla strada, avanzare
quanto bastava e quindi attaccare il nemico su di un fianco, lasciando i
restanti indietro come riserva.
Una
mossa molto saggia e potenzialmente efficace. Peccato solo che Daemon se
l’aspettasse, e prima ancora della battaglia avesse ordinato a Jack di prendere
con sé un paio di centinaia di soldati e di andarsi ad appostare sul fondo di
un fossato che costeggiava la Via Dioscura
approfittando del momento in cui tutte le attenzioni del nemico sarebbero state
concentrate su di lui.
In
silenzio, appiattiti nel fango e coperti da mantelli di foglie, attesero fino a
quando i legionari non furono passati.
«Adesso!
All’attacco!» e con Jack in testa si scagliarono contro il nemico prendendolo
alle spalle.
Alla
vista dei suoi legionari travolti e costretti ad una difesa disperata Mannio non riuscì a crederci, rinunciando subito all’idea
di inviare i suoi restanti uomini a dare una mano per non lasciare sé stesso e
quell’incapace di Van Lobre senza alcuna protezione.
Dannazione,
ma come fa questo ragazzino ad essere sempre due passi avanti a noi? È come se
ci leggesse nel pensiero!
Ma
lo sgomento che provava era niente rispetto a quello che stava per succedere.
«Comandante!
La città!»
Al
che i soldati, persino quelli impegnati in battaglia, girarono gli occhi alle
proprie spalle, e ciò che videro fu sufficiente a far gelare a tutti il sangue
nelle vene.
«Per
tutti gli dei!»
Era incredibile come Daemon riuscisse
a pensare alle cose con giorni di anticipo ed avere sempre ragione.
Ormai
l’avevano capito tutti: lui era nato per comandare. E il mestiere di
condottiero in particolare sembrava calzargli come un guanto, quasi che fin
dalla nascita non fosse stato destinato ad altro che a quello.
Poco
dopo aver lasciato l’accampamento aveva ordinato a Scalia, Drufo
e una decina di altri di staccarsi dal resto dell’armata e procedere per
sentieri secondari fin sotto alle mura di Basterwick.
Una
volta giunti sul posto si erano nascosti in un vecchio fienile abbandonato e
semidistrutto, da cui come previsto potevano vedere chiaramente tutto quello
che succedeva sia verso la città che in direzione del campo di battaglia.
«Allora?»
domandò Scalia quando Drufo tornò dal suo giro di
esplorazione
«È
come aveva detto Daemon. Le mura e le torri sono deserte. È probabile che
l’intero esercito tra miliziani e legionari sia impegnato a combattere.»
«E
le porte ad est?»
«Aperte,
come da previsioni. E a sorvegliarle ci sono solo un pugno di civili armati
della guardia cittadina.»
«Allora
sbrighiamoci. Siete pronti?»
«Tu
che cosa dici?» rispose Passe facendo le veci di tutti
«Ricordate
quello che ha detto Daemon, dobbiamo evitare a tutti i costi di uccidere. Meno
vittime ci saranno e meglio sarà per noi.»
«E
se tentano di farci la pelle?»
«Sono
solo civili spaventati e confusi.» disse Drufo
«Graffiateli o spaventateli un po’, e vedrete che si arrenderanno subito.
Altrimenti perché credi che avremmo portato un vecchio coboldo monco e orbo
come te su di un campo di battaglia?»
«Ha
parlato la mezza capra. Sicuro di sapere ancora come affrontare un nemico
faccia a faccia?»
«Smettetela
voi due. Forza, andiamo.»
Quando
i guardiani li videro apparire dal nulla lanciati alla carica tentarono
vanamente di chiudere il portone, ma Drufo li mise
tutti fuori combattimento con una freccia ciascuno aprendo la strada.
La
città come previsto era deserta, e i pochi cittadini armati che la stavano
proteggendo si arresero prima ancora che gli assalitori arrivassero nella
piazza centrale.
«Dove
sono tutti i soldati?» chiese Scalia a uno di loro, cercando di apparire il più
minacciosa possibile
«Sono
tutti fuori che combattono. Ci siamo solo noi.»
«È
davvero incredibile.» disse Passe «Come si fa a lasciare tutte queste persone
senza alcuna protezione?»
«Se
non altro abbiamo ottenuto quello che volevamo. La città è nostra, e nessuno ci
ha rimesso la vita.»
«Fermi
dove siete!»
Dal
grande edificio dall’altro lato della piazza venne fuori una ragazza in
armatura con la spada in mano, e che avanzò verso di loro come se volesse
sfidarli tutti da sola.
«È
finita. La città è già nostra, e presto i nostri compagni sconfiggeranno i soldati
che stanno combattendo all’esterno.»
In
realtà non era del tutto vero; al contrario, stando alle parole di Daemon buona
parte delle loro possibilità di vittoria passavano dal compito che Scalia e gli
altri dovevano ancora portare a termine.
«Non
c’è motivo di combattere ulteriormente.»
«Io
ho giurato di proteggere questa città e i suoi abitanti, e lo farò a qualsiasi
costo!»
L’ordine
di evitare di uccidere era ancora valido quindi Drufo
tentò di mettere fuori combattimento quell’esaltata con qualche tiro dei suoi,
ma lei intercettò tutte le frecce spezzandole di netto.
Allora
fu il turno di Passe, che caricò come un toro sventolando l’ascia sopra la
testa, e che venne prima schivato nel suo assalto e poi messo al tappeto con
uno sgambetto dopo aver subito un fendente che, non fosse stato per la sua
pelliccia ispida, gli avrebbe aperto in due il ventre.
Gli
altri erano già pronti a saltarle addosso tutti insieme, ma Scalia li fermò;
non perché temesse per la sua o la loro incolumità, ma perché tutto d’un tratto
la ragazza sentì uno strano calore percorrerle tutto il corpo, accompagnato da
un fremito irresistibile.
«Voi
restate indietro. Me la vedo io con lei.»
La
sfidante restò immobile ad osservare Scalia che uscendo dal gruppo si portava
davanti a lei, e una volta che furono faccia a faccia passarono diverso tempo
ad osservarsi vicendevolmente negli occhi con aria di sfida.
«Non
credo di conoscere il tuo nome.»
«Ha
importanza?»
«Ci
tengo a sapere con chi mi sto battendo. E poi mio fratello lo dice sempre che è
buona educazione chiedere il nome al proprio sfidante.»
«Se
questo tono è l’idea che tu hai di educazione direi che devi ancora lavorarci
parecchio.»
Più
che due guerriere sul punto di battersi sembravano due gatte che si soffiavano
addosso mostrando i denti.
«Il
mio nome è Isabela, e sono una Guardia del Tempio.»
«Io
invece mi chiamo Scalia, e sono la figlia del Generale Zorech.»
«Ho
sentito parlare di lui. La sua fama lo precede.»
«Ironico,
non sei d’accordo? Una Guardia del Tempio che sfida a duello la figlia del
Primo Generale del Signore Oscuro. Vorrà dire che considererò la tua morte la
giusta compensazione per tutti i nostri compagni che avete ucciso cinquecento
anni fa.»
Forse,
pensò Scalia, era per questo che le corde del suo cuore avevano vibrato nel
momento in cui l’aveva vista; forse istintivamente aveva riconosciuto quella
corazza scintillante e quello stemma d’oro di cui suo padre qualche volta le
aveva parlato.
«Un
consiglio. Non ti azzardare a usare il bind. Provaci, e i miei amici ti
salteranno addosso tutti insieme.»
«Per
chi mi hai presa? Il nostro sarà un duello leale. Lo giuro sul mio onore di
Guardia del Tempio.»
Non
poteva più aspettare.
«Eccomi
che arrivo!»
Caricò
mettendoci tutta la forza e la velocità di cui era capace, guidata da una sete
di battaglia che mai aveva sentito prima di quel momento.
Durante
l’ultima battaglia era stata capace di sfondare gli scudi dei nemici e
trapassarli con un solo colpo, ed era sicura che anche stavolta sarebbe stato
lo stesso; invece quella tettona abbronzata non solo
riuscì a deviare la sua spada facendola scivolare placidamente sulla propria,
ma per poco non fu lei a prendersi un affondo in pieno ventre evitandolo per un
soffio.
«Non
ci credo! Lo ha evitato così facilmente?»
In
realtà non si trattava solo di maestria nell’arte della spada; nell’istante in
cui le loro armi si erano toccate Scalia aveva percepito qualcosa di strano,
come se tutta l’energia che aveva messo nel suo attacco si fosse dissolta.
Come
se non bastasse Isabela era riuscita a graffiarla leggermente, e Scalia si
accorse subito che nonostante il passare dei secondi la ferita non dava segno
di voler guarire.
«Non
essere così sorpresa.» disse l’avversaria come se le avesse letto nel pensiero.
«Sia la mia spada che l’armatura sono benedette. I tuoi poteri, qualunque essi
siano, saranno annullati fintanto che starai nelle mie vicinanze.»
Ora
era tutto chiaro.
Ecco
perché un colpo che come minimo avrebbe dovuto romperle il braccio si era
trasformato in una carezza così facile da respingere.
«Maledetta!
Questo è giocare sporco!»
«Allora?
Non volevi uccidermi per vendicare i tuoi compagni? Ti sto aspettando.»
«Adesso
ti uccido, maledetta presuntuosa!»
Scalia
si era sempre reputata una brava spadaccina, ma in realtà forse aveva sempre
confidato troppo nella sua forza fisica di molto superiore a quella di un
qualunque essere umano.
Ora
invece sembrava solo una scimmia con in mano un bastone, una lucertola senza
cervello né forma che aveva dimenticato tutti gli insegnamenti e cercava solo
di prevalere contando unicamente sulla potenza.
«Sarebbe
tutta qui la tua abilità? Non è altro che mera forza bruta.»
«Taci,
maledetta!»
Scalia
si sforzava di mettere a tacere la rabbia e recuperare un minimo di
autocontrollo, ma per quanto ci provasse non riusciva in alcun modo a superare
le sue difese; lei al contrario era già riuscita a ferirla altre due volte, e
il fatto che si stesse palesemente trattenendo dall’infliggere attacchi mortali
aveva il solo effetto di rendere Scalia ancora più furiosa.
La
fortuna però venne improvvisamente in suo soccorso. Da che avevano iniziato a
combattere Isabela non era stata ferma un attimo, muovendo le gambe a destra e
a sinistra come una ballerina e schivando quasi sempre gli attacchi della sua
avversaria senza neanche dover usare la spada. Forse si distrasse, forse
appoggiò male un piede, fatto sta che ad un certo punto perse l’equilibrio, e
una smorfia di sofferenza comparve sul suo volto di pietra.
«Sei
mia!» gridò Scalia mirando al braccio sinistro, senza pensare che con la sua
avversaria così indifesa avrebbe potuto staccarglielo di netto, armatura sacra
o meno.
Ma
non le importava. Volevo solo vincere.
E
invece fu la sua spada a spezzarsi come un giocattolo limitandosi a lacerare la
cappa bianca che celava il braccio, e che aprendosi rivelò uno scintillante
guanto metallico che brillava di una luce carica di magia.
«Uno
scudo sacro!?»
Suo
padre e il vecchio Taren gliene avevano parlato, ma
visto che venivano concessi solo alle Guardie più abili non avrebbe mai pensato
di poterne vedere uno con i suoi occhi.
Tale
era il suo stupore che quasi non si oppose al contrattacco di Isabela, finendo
a mangiare la terra dopo un paio di assalti cui oppose una difesa tanto
disperata quanto inutile.
«Non
ci credo!» disse Passe. «Scalia ha perso!?»
Prima
che potesse rialzare la testa, Scalia aveva la punta della spada di Isabela appoggiata
sulla fronte.
«È
finita. Arrenditi.»
Invece
no.
Aveva
ancora una carta da giocare.
Zorech
le aveva detto di non farlo mai, perché in quanto sanguemisto avrebbe potuto
rischiare di farsi male, ma ormai era diventata una questione personale in cui
non poteva né voleva permettersi di perdere.
Bluffando
pietosamente, abbassò la testa come se avesse avuto davvero intenzione di
arrendersi.
Ma
nell’istante in cui Isabela abbassò la guardia, ecco arrivare la sorpresa.
Dopotutto
Scalia era pur sempre un drago, anche se solo per metà, e oltre alle corna, alla
coda e alla lunga vita aveva ereditato da suo padre anche la capacità di
sputare fuoco.
«Ma
cosa…» strillò la guardia vedendosi arrivare addosso una nuvola fiammeggiante.
Non
la si poteva neanche considerare una vera fiammata, ma tanto bastò per ribaltare
la situazione; rialzatasi, Scalia usò tutta la forza che le era rimasta per assestarle
un pugno dei suoi e metterla fuori combattimento.
«Hai
ragione. È proprio finita.»
«Hai
imbrogliato. Con che coraggio ti definisci una spadaccina?»
«Ha
parlato la santa. Non sono stata io a nascondere la spada magica e lo scudo
sacro. E comunque in guerra non c’è onestà che tenga. Chi vince ha sempre
ragione.»
«E
allora avanti, che aspetti? Uccidimi e facciamola finita. Solo promettimi che
non farete del male ai cittadini e ai malati.»
In
realtà non aveva mai voluto davvero ucciderla, e ora che la rabbia stava
passando se ne rendeva nuovamente conto.
Era
ancora indecisa su come fare per uscire da quella situazione senza ferire
ulteriormente il suo orgoglio quando Isabela le crollò letteralmente davanti,
iniziando a tremare e a tossire sangue.
Anche
se in quell’ultimo pugno aveva messo tutta sé stessa era stata attenta a non
colpirla in punti pericolosi, quindi la spiegazione poteva essere soltanto una.
«Non
è possibile! Sei malata anche tu!?»
Ora
Scalia si spiegava quelle indecisioni e quei movimenti goffi che le avevano
permesso di vincere, e quel poco che restava del suo amor proprio si sgretolò
sotto il peso di una consapevolezza che minacciava di schiacciarla.
Non
poteva morire. Non glielo avrebbe permesso; non prima che fosse riuscita a
batterla in un vero scontro facendole ingoiare tutta la sua presunzione.
«Presto
Passe, trova qualcuno che la aiuti! Gli altri invece mi seguano. Abbiamo ancora
una missione da portare a termine.»
«La città! La città è caduta!»
La
vista del vessillo imperiale ammainato dal torrione di Basterwick
e rimpiazzato da uno straccio rosso, bianco e blu sconvolse i soldati ancora
impegnati in battaglia, e per come si stavano mettendo le cose Mannio sapeva che ormai era solo una questione di tempo
prima che venissero messi in rotta.
«Dove
state andando branco di conigli?» strillò Van Lobre
quando i miliziani al suo comando iniziarono a scappare disperdendosi nelle
campagne. «Tornate subito a combattere!»
Con
il nemico sia davanti che dietro e ogni via di fuga preclusa, Mannio sapeva che ormai restava una sola cosa da fare.
«Fate
alzare la bandiera bianca!»
Come
se non stessero aspettando altro gli sbandieratori obbedirono immediatamente, e
nel momento in cui anche dal campo opposto si alzò una bandiera gli scontri si
fermarono, permettendo ai due eserciti di rientrare nei ranghi.
«Che
state facendo? Cosa vuol dire tutto ciò! Non possiamo arrenderci!»
«È
finita, signor Sindaco. Abbiamo perso.»
«Non
abbiamo perso nulla! Chi sei tu per decidere? Io sono il tuo comandante in
capo, e voi tutti dovete obbedirmi! E io vi ordino di riprendere subito a
combattere! Mi avete sentito maledetti? Vi ho detto di…»
Quella
era la prima volta che Van Lobre riceveva un pugno, e
con la forza che aveva Mannio quel suo battesimo in
tal senso fu decisamente traumatico.
«Come
hai osato? Arrestatelo subito!»
Invece
fu lui ad essere arrestato.
«Maledetti!
Questo è tradimento!»
«Consideralo
un colpo di stato, razza d’idiota!»
«Lasciatemi,
dannazione! Vi ho detto di lasciarmi!»
Mentre
Van Lobre veniva portato via Mannio
mandò il suo secondo Vero a chiedere un incontro con il comandante nemico per
tentare di negoziare una resa onorevole; il centurione non era mai stato un
diplomatico e per i politici aveva solo disprezzo, ma date le circostanze più
che alla diplomazia si poteva confidare solo nella clemenza dei vincitori.
«Allora?»
«Accettano,
Centurione. Io e voi da soli.»
L’incontro
avvenne su di un dosso rialzato nel cuore del campo di battaglia, al riparo dal
fango ma dove tutti potevano vedere cosa accadeva,sotto un telo allestito
in fretta e furia per l’occasione.
«Centurione
Mannio. È un piacere per me conoscervi. Ho sentito
parlare molto bene di voi.»
«Non
sono qui per ascoltare chiacchiere da imbonitore. Avete preso la città, quindi
non siamo certo nella posizione di poter negoziare.»
«Il
fatto che voi siate qui vi fa onore. Significa che siete abbastanza saggio da
capire quando è il momento di far tacere le armi e di parlare.»
«Ma
voglio essere chiaro su di una cosa. Questo incontro morirà sul nascere se non
mi darete la vostra parola che agli abitanti della città non sarà fatto alcun
male. Tra il sindaco e l’epidemia, questa gente ha già sofferto anche troppo.»
«Potete
stare tranquillo. Vedete l’asta con la bandiera? Non c’è nessun drappo nero
sopra di essa, il che significa che l’occupazione è avvenuta senza che vi sia
stata alcuna vittima. La nostra lotta non è contro i civili e gli inermi. E non
sarà neanche contro di voi se ora deciderete di arrendervi.»
«Se
lo facciamo, quale sarà la sorte dei miei uomini?»
«Chi
lo vorrà potrà unirsi a noi, tutti gli altri dovranno essere messi agli arresti
e internati fino alla fine della guerra. Ma avete la mia parola d’onore che a
nessuno di loro sarà fatto del male. Quando questa terra sarà liberata dal
controllo dell’Impero e restituita al suo popolo potranno restare qui e
ricominciare o tornare alle loro case.»
Mannio
era confuso e sorpreso, anche se cercava di non darlo a vedere; mai una volta
nella sua storia l’Impero aveva parlamentato con una nazione sconfitta,
limitandosi a porre degli ultimatum che la parte avversa doveva accettare per
non essere spazzata via.
Quel
ragazzo aveva tutto per poter esigere quello che voleva, eppure si stava
comportando in modo a dir poco cavalleresco, per non parlare del fatto che era
un umano al comando di un esercito di mostri.
«Perché
lo state facendo?»
«L’avete
detto voi stesso. Questa gente ha sofferto anche troppo.»
«E
pensi davvero che questo cambierà le cose?»
«Se
non ci proviamo non lo sapremo mai. D’altronde, che alternative abbiamo?»
Ora
che l’accordo era stabilito restava solo una cosa da fare.
«Ufficiali
come voi ci farebbero molto comodo.» disse Daemon, quasi che gli avesse letto
nel pensiero
«Io
posso negoziare la salvezza dei miei uomini, ma devo essere pronto ad
assumermene la responsabilità. Non c’è onore nel cambiare la propria bandiera a
seconda di chi sia il più forte.»
«Altri
legionari si sono schierati al nostro fianco.»
«Sono
giovani. Hanno il diritto di sognare un mondo migliore. Io sono troppo vecchio
per mettermi ad inseguire dei sogni che mi costringerebbero ad andare contro
ciò per cui ho combattuto tutta la vita. Ti affido i miei uomini e questo
Paese, ragazzo. Confido che darai loro qualcosa di meglio rispetto a ciò che
hanno avuto finora.»
Detto
questo, e senza tradire alcuna emozione, Mannio
estrasse il suo pugnale da ufficiale e si tagliò la gola.
Da
tempo il suicidio aveva smesso di essere una consuetudine per gli ufficiali
imperiali che venivano meno ai propri doveri, ma Mannio
non era uomo da venire meno ai propri principi. E anche se ormai non credeva
più in quell’Impero per il quale aveva appena sacrificato la sua vita non
poteva sopportare l’idea di aver fallito nel difenderlo.
«Risparmiate
tutti. Se qualcuno alza un dito, lo uccido con le mie mani.»
Fin dal momento in cui Septimus mi
aveva descritto il personaggio avevo capito subito che la sorte di Mannio non sarebbe stata altro che quella.
Avevo
conosciuto abbastanza vecchi sottufficiali veterani nel corso della mia vita da
sapere che potevano essere allo stesso tempo un’utile risorsa e una spina nel
fianco; da una parte il fascino magnetico che esercitavano sulla truppa era
indubbiamente utile e permetteva loro di tenere in pugno i propri reparti anche
nelle situazioni più disperate, dall’altra il loro attaccamento al dovere li
rendeva troppo spesso dei fossili, capaci magari di ammettere il cambiamento
dei costumi ma non di adeguarsi ad esso.
E
allora perché quella messinscena della presa della città, vi chiederete?
In
primo luogo per evitare un inutile bagno di sangue, e poi per togliermi di
torno quell’incapace di Van Lobre senza dover essere
io a sporcarmi le mani. Ero certo che tra i due i rapporti dovessero essere
tesi, e che al momento fatidico Mannio avrebbe messo
la vita dei suoi uomini davanti alla cupidigia di un pazzo.
L’ingresso
in città fu perfino troppo scenografico, ma era necessario per impressionare sia
gli abitanti che le spie che avrebbero in seguito fatto rapporto al Castello.
Dietro di noi marciavano anche i legionari catturati, e dato che i grandi scudi
blu catturavano tutte le attenzioni nessuno sembrò fare caso al fatto che non
avessero più lance né spade: una piccola precauzione per evitare a qualche
testa matta di fare qualcosa di stupido e un espediente per permettere loro di
salvare le apparenze.
«Ottimo
lavoro Scalia. Senza il vostro aiuto ci sarebbero state molte più perdite.»
«Avremmo
fatto anche prima se non ci fosse stato un piccolo intoppo. Chi se l’aspettava
una Guardia del Tempio in questo posto sperduto?»
«Una
Guardia del Tempio!? E dov’è adesso?»
«Al
sanatorio. Anche lei era contagiata a quanto pare.»
«E
nonostante tutto è riuscita a metterti in difficoltà, stando a quanto dicono
Passe e Drufo.»
«Cos’è
questo tono sarcastico? Mi ha colta di sorpresa, e per di più ha barato!»
«E
scommetto che l’hai fatto anche tu.»
Era
un colpo di fortuna che non mi sarei mai aspettato, così ignorando le puerili
argomentazioni di Scalia per giustificare la sua condotta nel duello mi diressi
subito al sanatorio, dove ero sicuro di trovare la persona che stavo cercando.
Nella
mia vita precedente mi ero abituato alla vista dei morti e dei moribondi, ma
vedere un uomo venire mangiato vivo da una malattia era uno spettacolo davanti
al quale ancora mi veniva difficile trovare la forza per restare impassibile.
Dinnanzi
a tutta quella sofferenza mi sembrava di essere tornato nei lazzaretti di
Alessandria e del Cairo, dove avevo visto tante, troppe giovani vite marcire in
quella disgraziatissima campagna d’Egitto della quale, negli anni successivi,
mi sarei sempre pentito.
Per
fortuna in quel mondo c’era la magia, che anche se non poteva curare del tutto
i malati poteva però alleviare almeno un po’ le loro pene e dagli qualche
speranza di sopravvivenza in più.
In
parte mi aspettavo che sapendo dell’epidemia in corso lady Valera non avrebbe
esitato a fare quello che era in suo potere per andare in aiuto di quelle
persone, ma incontrarla lì, intenta a curare i malati con le sue arti mistiche
fino a farsi pallida come un morto lei stessa, fu un po’ una sorpresa.
I
santi sono sempre così prevedibili.
«Lady
Valera.»
«Signor
Haselworth.»
«Ormai
dovreste averlo capito che quel cognome era solo una messinscena. Per voi sono
solo Daemon.»
«La
città è vostra, e io sono il vescovo assegnato al governatore contro cui state
combattendo. Se volete espellermi o cacciarmi non mi opporrò. Vi chiedo solo di
permettermi di assistere ancora un po’ queste persone.»
«Non
è mia intenzione fare niente del genere. Al contrario, se aveste voluto
andarvene vi avrei chiesto di restare. In questo momento nessun altro saprebbe
essere più di aiuto a queste persone, la cui sorte mi sta a cuore tanto quanto
sta a cuore a voi.»
Sylvie
non sembrò sorpresa di sentirmi parlare in quel modo. Forse pensava che fossi
determinato a sfruttare la sua presenza per ingraziarmi i seguaci di Gaia
nonostante fossi il capo di una rivoluzione di mostri, che di certo non erano
amanti della chiesa e dei suoi rappresentanti; e avrebbe avuto ragione.
«Pensando
che poteste averne bisogno abbiamo portato con noi cibo e acqua non
contaminati. Non è molto, ma spero possa esservi d’aiuto.»
«Lo
sarà di sicuro.»
«Farò
anche implementare le misure di quarantena. Anche se il morbo non colpisce
mostri e mezzosangue dobbiamo evitare che qualcuno di noi finisca per portare
in giro il contagio senza volerlo. Pertanto, io e i miei soldati resteremo
fuori dalla città, e ripartiremo solo una volta conclusa la quarantena.»
Tanto
non c’era nessuna fretta.
Il
tempo di sopravvivenza del germe che causava la malattia fuori dal corpo era di
soli sei giorni, quindi sarebbe bastato attendere una settimana per poi potersi
allontanare in tutta sicurezza.
Molto
meno del tempo che sarebbe servito a Ron per
organizzare la nuova spedizione, soprattutto ora che gli avevamo tagliato i
rifornimenti.
«Sto
facendo allestire un quartier generale appena fuori dalla porta nord. Per
qualsiasi cosa potete trovarmi là.»
Nota
dell’Autore
Salve
a tutti, ed eccomi qua con il secondo capitolo del secondo volume di “Napoleon of Another World!”
Dopo
i primi preamboli questa è la prima vera battaglia che ho descritto, e state
pur certi che ce ne saranno molte altre.
Da
appassionato di storia militare e tattica mi diverto sempre molto a raccontare
eventi di questo genere, ma riuscire ad entrare nella testa di un genio tattico
come Napoleone e cercare di ipotizzarne le mosse è stata un’impresa per niente
semplice, e alla fine ho cercato di restare entro concetti basilari per non
andarmi ad inerpicare per soluzioni troppo intricate.
Adrian aveva sempre creduto nella
superiorità del cervello rispetto ai muscoli, e fin da quando aveva imparato a
leggere si era impegnato anima e corpo ad ampliare il più possibile le sue
conoscenze nei più svariati ambiti del sapere umano.
Più
volte da bambino gli era capitato di ottenere il rispetto di ragazzi più grandi
e maneschi di lui usando unicamente l’arte della dialettica, e prima di
arrivare a compiere dodici anni il suo intelletto e le sue conoscenze già
surclassavano quelle dei suoi stessi insegnanti.
In
molti lo reputavano un ragazzino strano, a tratti persino inquietante, capace
di capire ogni cosa di una persona semplicemente guardandola, ma non se n’era
mai curato, sicuro com’era che con le parole fosse possibile vincere qualunque
sfida.
Poi
però, un brutto giorno, aveva incontrato un avversario con il quale la sua arma
si era rivelata del tutto inefficace, uscendo da quell’esperienza, oltre che
con parecchi lividi, anche con una nuova consapevolezza: quella che esistono
individui che concepiscono solo le ragioni del più forte, e con i quali l’uso
della violenza non è solo legittimo, ma anche indispensabile.
Forte
di questa rivelazione si era iscritto all’accademia militare imperiale
sorprendendo il suo stesso padre, che l’aveva sempre considerato un topo di
biblioteca senza nessun avvenire.
In
fin dei conti, si era detto, apprendere l’arte di uccidere e guidare gli uomini
in battaglia non era tanto diverso dal giocare a madara,
nel quale per inciso era imbattuto fin dall’età di nove anni: bastava
sopraffare l’avversario con il proprio talento e muovere con astuzia i pezzi a
propria disposizione, senza timore di sacrificarli se necessario, per ottenere
il miglior risultato possibile.
E
anche qui aveva brillato.
Dopo
un anno aveva i voti più alti di tutta la scuola. Dopo due aveva sconfitto in
duello tutti i settantaquattro compagni più grandi in procinto di diplomarsi.
Infine, a conclusione del terzo, aveva guidato gli studenti dell’accademia
nella tradizionale battaglia simulata alla presenza dell’Imperatore Ademar, riuscendo a sconfiggere con sconvolgente facilità
nientemeno che il comandante in seconda dell’esercito imperiale, il Generale
Lepido.
A
ragione di tutto ciò Sua Maestà non ci aveva pensato due volte a consacrare e
riconoscere ufficialmente la sua piccola unità di guerrieri scelti, – quasi
tutti suoi compagni di studi – trecento giovani soldati abilissimi e
assolutamente fedeli, che per lui avrebbero marciato anche attraverso le sale
dell’oltretomba.
Con
la sua abilità avrebbe potuto richiedere tranquillamente l’ammissione alla
scuola ufficiali, per la quale era stato ovviamente raccomandato; invece aveva
preferito seguire suo padre fino all’estrema periferia dell’Impero, conscio del
fatto che la vera esperienza andasse ricercata il più lontano possibile dai
fasti e dalle comodità della capitale.
La
sua pazienza era infine stata premiata, e ora aveva finalmente l’occasione di
mettersi alla prova con una sfida che reputava degna della sua attenzione. E
non se la sarebbe lasciata scappare.
Il
ritorno di Ron al Castello con meno della metà dei
soldati con cui era partito giocò a suo favore, e gli bastarono poche parole
per ottenere da suo padre il permesso di accompagnare il Generale nella
prossima spedizione.
E
per rendere il tutto ancora più stimolante, Adrian si stava rendendo conto una
volta di più come Daemon si stesse rivelando esattamente il tipo di persona che
si aspettava.
«La
notizia è confermata.» disse una mattina, dopo aver raggiunto Ron nella sala di guerra del Castello «Daemon ha preso Basterwick sei giorni fa. Le nostre linee di
approvvigionamento sono tagliate.»
«Maledizione!
Ora tutto il materiale e le armi che aspettavamo da Faria
finiranno nelle mani di quei pezzenti!»
«Date
le circostanze la nostra operazione non può essere posticipata ulteriormente.
Dobbiamo attaccarli con quello che abbiamo. E sono pronto a scommettere che lui
ne è consapevole.»
«Voi
come suggerireste di procedere?»
«Dato
che il nemico ha diviso le sue forze l’istinto ci suggerirebbe di fare
altrettanto e sconfiggerli separatamente, ma sarebbe un errore. La cosa
migliore da fare è riunire tutte le nostre forze e ingaggiare il grosso
dell’esercito nemico qui, a Chateroi, dove stando ai
rapporti si sono trincerati e si preparano allo scontro. Daemon ovviamente ne
sarà informato e cercherà di prenderci sul fianco. È probabile che lo faccia
nel bel mezzo della battaglia, quando il grosso delle nostre forze sarà già in
combattimento. E noi gli lasceremo credere di poterlo fare, non ostacolandolo
in alcun modo nella sua avanzata. Una volta arrivato però non troverà davanti a
sé un campo sguarnito, ma la mia unità scelta e una parte della legione,
schierati e pronti ad accoglierlo. Separati e impossibilitati a supportarsi a
vicenda, i due tronconi dell’armata si sfalderanno come una tela usurata.»
Il
Generale dovette riconoscere che nella sua semplicità si trattava di un buon
piano.
«Credo
di essermi fatto un’idea abbastanza precisa del nostro avversario.» proseguì
Adrian. «Daemon è il tipo di comandante che pensa di essere sempre due passi
avanti a tutti gli altri.»
«Cosa
ve lo fa pensare?»
«Il
cavallo bianco, i cannoni. Si è voluto mettere in mostra e fare sfoggio del suo
genio militare fin dalla prima battaglia. Ne ho conosciuti tanti come lui in
accademia, e per esperienza so che hanno tutti lo stesso difetto.»
«Ovvero?»
«Lo
scarso autocontrollo. Le situazioni impreviste sul campo di battaglia rendono
quelli come lui nervosi ed inclini a sbagliare. Quindi useremo il suo senso di
superiorità contro di lui. Nel momento in cui vedrà la sua tattica sgretolarsi,
così sarà anche per la sua sicurezza. A quel punto dovremo solo chiudere la
questione.»
Il
corno proveniente dal cortile annunciò che l’intera legione era in armi e
pronta a radunarsi nella piazza d’armi.
«Su
con la vita, Generale. Questa battaglia sarà tanto semplice quanto
spettacolare.»
Fin dai tempi in cui Eirinn era
ancora una nazione indipendente Basterwick era stata la
seconda città dell’antico Granducato, sia per importanza che per dimensioni.
Ma
era anche una città terribilmente insalubre, costruita a pochi passi da una
vasta palude e circondata da campi che durante la stagione delle piogge si
trasformavano in acquitrini, perfetto terreno di coltura per ogni sorta di
germe e malattia.
Nei
secoli si erano succedute molte epidemie, ma quella che stava colpendo ora gli
abitanti rischiava di essere una delle peggiori degli ultimi secoli.
Mettere
a disposizione degli abitanti ancora sani cibo e acqua provenienti da fuori
aveva rallentato sensibilmente il diffondersi del morbo, ma per chi era già
malato non c’era altro da fare se non alleviare i loro tormenti con magia e
decotti e sperare per il meglio.
Noi
ci eravamo stabiliti nella fattoria di Van Lobre, un
villino fortificato a due passi dalle mura da cui potevamo controllare la Via
Magna e bloccare tutti i carichi in arrivo da est.
Ma
nel mentre che passavano i giorni la situazione non accennava a migliorare.
Sapevo
di essermi preso un rischio andando a cacciarmi in una città nel bel mezzo di
un’epidemia, e il fatto di non poter fare altro che aspettare mi rendeva
nervoso ed irritabile.
Per
mia fortuna ero sempre stato allergico alle malattie, e da quando mi ero
reincarnato non avevo mai preso neanche un raffreddore.
Per
far passare il tempo mi tenevo occupato lavorando e pianificando le prossime
mosse.
Aver
diviso in due gruppi i legionari arresisi dopo la battaglia tenendo separati i
veterani dalle giovani reclute era stata una buona idea, ed ero certo che al
momento di mettersi in marcia verso il Castello avrei potuto contare almeno su
un paio di centinaia di soldati in più.
Di
contro non era stato facile convincere il Decurione Vero a prestarmi i suoi
servigi per mantenere l’ordine in città, e per vincerne la reticenza ero stato
costretto a calcare un po’ la mano, dicendogli che non potevo impegnarmi a
tenere i suoi compagni lontano dal contagio sacrificando provviste e spazi
senza avere qualcosa in cambio.
In
altri tempi non mi sarei preoccupato di tenermi buono un individuo così poco
affidabile, ma dopotutto mi dispiaceva ancora per quanto era accaduto a Jorn, e
almeno a lui volevo dare una possibilità. In qualche modo sapevo che non
sarebbe stato altrettanto ingenuo, e che al momento giusto avrebbe saputo
scegliere saggiamente tra il restare fedele alla memoria di un vecchio fossile
e impegnarsi in una causa per cui valeva la pena lottare.
Purtroppo
come spesso succede quando non si ha il controllo degli eventi, anche in questo
caso l’imprevisto venne a metterci lo zampino.
Allora
come nella mia vita precedente non avevo mai creduto all’esistenza di un
disegno divino predeterminato che gli esseri viventi si limitano a mettere in
pratica con le loro azioni. Di certo però non potevo assolutamente immaginare
la portata che avrebbero avuto gli eventi di quel giorno, che mi avrebbero
spinto a credere per la prima volta in vita mia all’esistenza del destino.
«Scalia
sta male!?»
Ad uno schiavo non era certo concesso
il lusso di potersi ammalare, quindi era naturale che un po’ tutti avessero
imparato con il tempo a sopportare le malattie ignorandone la sofferenza.
O
forse, più semplicemente, Scalia era troppo testarda ed orgogliosa per
ammettere di sentirsi poco bene.
Accadde
così che una mattina Drufo e Passe, non vedendola
arrivare, fossero andati a cercarla nella sua camera, trovandola pallida,
febbricitante e così debole da non riuscire nemmeno ad alzarsi dal letto.
Saggiamente,
i due avevano taciuto agli altri la presenza dei segni inequivocabili del
contagio per non provocare il panico, e con la scusa di tenerla isolata in via
precauzionale l’avevano affidata subito alle cure di Sylvie al sanatorio.
Per
una strana coincidenza, nella sua stessa stanzetta era ricoverata anche Isabela,
che nel corso della settimana non aveva mostrato alcun segno di miglioramento,
e le cui condizioni destavano più di qualche preoccupazione.
Erano
entrambe così deboli da faticare a restare sveglie, ma ciò nonostante
riuscivano comunque a trovare la forza per lanciarsi frecciatine velenose.
«Non
ti azzardare a morire, maledetta tettona. Sarò solo
io a prendermi la tua pellaccia.»
«Vale
lo stesso per te, piccola sputafuoco.»
«Se
riuscite a beccarvi in questo modo, forse non state poi così male dopotutto.»
Anche
se Daemon si sforzava di mostrarsi distaccato Sylvie non poteva dimenticare lo
sguardo che aveva un attimo prima di entrare nella stanza, né il suo evidente
sollievo alla vista della sorella che malgrado tutto non sembrava essere stata
colpita in maniera troppo severa dalla malattia.
«Non
capisco.» disse Drufo «Credevo che questa malattia
colpisse solo gli umani.»
«Una
volta ho sentito dire che i germi che causano le malattie possono diventare più
forti col passare del tempo.» disse Daemon. «Forse adesso questo germe può
colpire anche i mezzosangue più simili agli umani.»
«È
un bel problema.» disse Passe. «Ci sono tanti semiumani come lei nel nostro
esercito. Se la cosa si viene a sapere si scatenerà il panico.»
«Forse
dovremmo andarcene finché possiamo.»
«No
aspettate. Se lo fate rischierete di portare il contagio altrove.»
«Il
Decurione ha ragione, Drufo. Se adesso sembra brutto,
non avete idea di che cosa voglia dire avere a che fare con un'intera nazione
devastata da un'epidemia.»
«Ma
non possiamo neanche restare qui ad aspettare di ammalarci tutti.»
«Per
non parlare del fatto che a quest’ora i nostri nemici saranno ormai pronti a
muovere.»
Avendo
origliato il discorso, una vecchia signora che accudiva il nipotino nella
stanza accanto scostò leggermente la tenda divisoria rivolgendosi a Daemon.
«Forse
c’è qualcuno che può aiutarci.» disse con sguardo cupo e una voce quasi
spaventata. «La Strega delle Rocce.»
Nel
sentire quel nome Daemon sussultò.
«La
Strega delle Rocce? Davvero vive qui?»
«Signora,
non è certo questo il momento di tirare fuori favole per bambini.» sbottò Vero
con stizza
«Di
che state parlando?» domandò Drufo. «Chi sarebbe
questa Strega delle Rocce?»
«Una
lamia.» rispose Daemon. «Avevo sentito dire che vivesse qui a West Eirinn, ma
credevo fossero solo voci. Dicono che sia una maga fuori dal comune.»
«Il
che è ovviamente impossibile, dal momento che non si è mai sentito di un mostro
venuto alla luce con il Segno.» osservò il Decurione
«E
lei signora, saprebbe dirmi dove potremmo trovare la Strega delle Rocce?»
«Nella
palude.»
«Allora
è lì che andremo.»
«Daemon,
ma parli sul serio!?» disse Passe. «Dicono che quel posto brulichi di bestie
pericolose.»
«Appunto.
È un ottimo nascondiglio.»
«Però
mi spiace doverlo dire, ma il soldatino qui presente non ha tutti i torti.»
disse Drufo. «E poi, se questa strega è davvero così
potente, è il caso di andare a romperle le scatole nella sua tana?»
«Al
punto in cui siamo accetterei anche l’aiuto di un demone. La Strega delle Rocce
forse è davvero l’unica che possa tirarci fuori da questa situazione. Se è
nella palude che si trova è lì che andrò.»
Al
che i due mostri si guardarono tra di loro, annuendo.
«In
questo caso verremo anche noi due con te. Non possiamo certo lasciarti
avventurare in quel postaccio tutto da solo.»
«Grazie
Passe. Non rifiuterò di certo il vostro aiuto.»
«Non
c’è bisogno di ringraziare. Scalia sarà anche tua sorella, ma è anche nostra
amica.»
«E
lo stesso vale per i tutti gli altri nostri compagni. E poi la gente di questa
città non sembra così male. Mi dispiacerebbe che continuasse a soffrire per
questa maledetta malattia.»
«Verrò
anch’io.» intervenne Vero. «Conosco questa regione molto meglio di voi.»
«Pensavo
non credessi all’esistenza della Strega. Perché perdere il tuo tempo venendo a
caccia di fantasmi?»
«Ormai
siete voi a comandare la città. Se vi succedesse qualcosa ne pagheremmo tutti
le conseguenze. E visto che non sembrate intenzionati a darmi ascolto non ho
altra scelta che seguirvi. Così almeno se morirete sarà mia cura fare rapporto
sull’accaduto.»
«Fantastico,
ci mancava anche il menagramo.»
«Aspettate.»
irruppe Sylvie. «Voglio venire anch’io con voi.»
Al
che tutti si girarono verso di lei, fissandola sbigottiti.
«Lady
Valera, non è il caso che vi esponiate ad un simile pericolo.»
«Il
soldatino ha ragione, non stiamo andando a prendere un tè.»
«Proprio
per questo avete bisogno di un mago che vi supporti.»
«Non
sappiamo che cosa ci aspetta in quel pantano.» disse Drufo.
«E francamente non possiamo preoccuparci anche della vostra incolumità.»
«Non
ce ne sarà bisogno, so proteggermi benissimo da me.»
«Mia
signora, aspettate… non potete mettervi in pericolo in questo modo…»
«Non
sprecare il fiato, Isabela. Ormai dovresti conoscermi. E comunque nello stato
in cui sei non potresti mai riuscire a fermarmi.»
«Pensavo
voleste occuparvi dei malati.» disse Daemon.
«Ormai
io sono arrivata al mio limite. Non c’è più niente che possa fare per loro. E
se non troviamo al più presto una cura a questa malattia, tutto ciò che ho fatto
per tenere in vita questi poveretti sarà stato inutile.»
Visto
e considerato che era inutile insistere Daemon si arrese.
«D’accordo,
allora è deciso. Preparatevi, partiamo subito.»
La palude di Basterwick,
anche nota come Valle dei Serpenti, era la cosa più simile ai cancelli
dell’aldilà che si potesse immaginare.
Pozze
d’acqua stagnante a perdita d’occhio e distese interminabili di fango, canne
palustri e salici piangenti che con i loro rami protesi sull’acqua disegnavano
figure spettrali, appena distinguibili nella fitta nebbia che si alzava
incessantemente dal suolo.
«La
gente evitava questo posto già da prima che iniziassero a girare le voci sulla
Strega. Quando ho detto a mio padre di essere venuto qui a giocare da bambino
mi ha riempito di sculacciate.»
«Non
lo biasimo, questo posto mi fa arruffare la pelliccia per quanto mette i
brividi.»
«Il
vecchio Passe che trema come un cucciolo bagnato. Sei patetico.»
«Vuoi
litigare, razza di caprone?»
«Piantatela
voi due. Siamo qui per un motivo.»
«Messer
Daemon, c’è qualcosa che non va. Percepisco qualcosa di ostile in questo posto.
Come una presenza che ci ordina di non andare avanti oltre.»
«È
un buon segno. Significa che qui c’è qualcosa, o qualcuno, che non vuole farsi
trovare.»
«Allora
forza, andiamo a stanare questa maledetta strega e torniamocene a casa. Questo
odoraccio mi sta uccidendo il naso.»
Passe
fece per muoversi, ma Daemon subito lo fermò.
«Aspetta.»
Il
giovane spinse quindi nella pozza di fango davanti a loro un grosso tronco
caduto, che nonostante le dimensioni ed il terreno apparentemente solido
scomparve sotto la superficie nel giro di pochi secondi.
«Ma
che diavolo…» disse Drufo. «Cosa sono, sabbie
mobili?»
«La
combinazione tra acqua stagnante e terreno melmoso è letale. Un passo falso, e
in questa palude ci passiamo tutta l’eternità.»
«Ricevuto,
attenzione a dove si mettono i piedi.»
Si
misero quindi in marcia, stando bene attenti a prediligere solo terreni dove si
notassero pietre o sassi, e cercando nel contempo di mantenere sempre la stessa
direzione.
A
rigor di logica, si dissero, se la Strega viveva
davvero lì era probabile che si nascondesse nel punto più remoto e distante
della palude, perciò la cosa migliore da fare era cercare di raggiungerne il
centro, e nel mentre cercare qualche pista o traccia.
Ma
dopo ore passate a camminare in mezzo alla nebbia, senza alcun punto di
riferimento, non trovarono niente che potesse aiutarli; tutto attorno a loro
non c’era altro che un silenzio spettrale, e non vi era alcuna traccia nemmeno
di quelle bestie feroci di cui si vociferava tra la gente del luogo.
Drufo
provò a cercare qualche indizio arrampicandosi sugli alberi, ma la foschia era
così fitta che a stento si vedeva a venti passi di distanza, e anche a vederlo
dall’alto il terreno sembrava sempre tutto uguale.
«È
una mia impressione o stiamo girando in tondo?»
«Non
credo.» rispose Vero «Fino adesso abbiamo sempre cercato di andare dritti.
D’altronde però è anche vero che la palude non dovrebbe essere così estesa.»
«Dannazione
a questo posto angosciante!» sbottò Passe. «Più ci resto e più mi pento di
essere venuto!»
Sylvie
era la più inquieta di tutti, anche se cercava di nasconderlo. In quanto unica
dotata del Segno poteva avvertire chiaramente uno strano squilibrio
nell’energia tutto intorno a loro, così sottile e ben nascosto che un mago
normale non sarebbe mai stato in grado di notarlo.
«Qualcuno
sta cercando di farci perdere. Oppure siamo prigionieri all’interno di una
qualche illusione.»
«L’ho
sempre detto, la magia è una gran rottura di scatole!»
«Non
c’è niente che puoi fare?» domandò Daemon
«Ora
ci provo.»
Il
vescovo strinse entrambe le mani attorno al suo bastone, e sia la staffa che il
suo corpo vennero avvolti per alcuni secondi da una tenue luce bianca.
«Questa
nebbia non è naturale. È prodotta con la magia, e tiene in piedi una specie di
barriera.»
«Puoi
neutralizzarla?»
«Credo
di sì. Devo solo localizzare il punto d’origine.»
«Sarà
meglio che lavori in fretta.» disse in quella Drufo,
notando per primo delle ombre muoversi tra gli alberi. «Perché abbiamo
compagnia.»
A
quel punto tutti sguainarono le armi, mettendosi schiena contro schiena e
formando un quadrato difensivo attorno a Sylvie.
Seguirono
interminabili secondi di silenzio assoluto, quindi dalla nebbia iniziarono ad
uscire demonietti alati, goblin, lupi mannari, golem di fango e altre bestie
feroci di ogni genere.
«Dì
ragazzo, sei ancora convinto che la Strega non esista?» disse Passe
all’indirizzo di Vero
«Mi
serve un po’ di tempo per trovare la chiave di volta della barriera.»
«Ricevuto.
Avete sentito? Dobbiamo tenere queste bestie lontane da Lady Valera. Restiamo
vicini e supportiamoci l’un l’altro. Drufo, tu resta
vicino a lei e coprici con il tuo arco.»
«Agli
ordini.»
Un
demonietto alato attaccò per primo venendo subito tagliato in due dalla spada
di Daemon, e a quel punto si scatenò una furiosa battaglia.
Le
bestie avversarie in verità non erano molto forti, e molte di loro andavano giù
con pochi colpi opponendo una resistenza minima. Il problema era che per ognuno
di loro che veniva ucciso altri due sbucavano fuori dalla nebbia prendendone il
posto, cosicché in pochi minuti i cinque compagni si ritrovarono in gravissima
inferiorità numerica.
«Così
non va bene, tra poco avrò finito le frecce! Che facciamo, Daemon?»
«L’unica
cosa che possiamo fare! Resistere!»
«Giuro
che se ne usciamo vivi passerò un giorno intero a scolarmi tutto il rum che
riesco a trovare! E ovviamente pagherai tu ragazzo!»
«Ne
prendo nota, Passe! Ora fai lavorare quell’ascia!»
Nel
mentre Sylvie non aveva mai smesso di concentrarsi.
«L’ho
trovata! Resistete un altro po’!»
Un
cerchio magico comparve sotto i suoi piedi, liberando tutto attorno una potente
luce bianca.
«Dissolvi
le tenebre per aprire la strada verso il cielo. Celestial
Gate!»
Un
raggio abbagliante si sprigionò dalla punta del suo scettro, disintegrando in
un colpo solo tutte le bestie demoniache e diffondendosi in ogni direzione con
la forza di un’esplosione.
Daemon
e gli altri dovettero chiudere gli occhi per non rimanere accecati, e quando li
riaprirono la nebbia si era completamente dissolta, permettendo anche al sole
di fare capolino tra le fronde degli alberi.
A
prima vista la palude sembrava ancora la stessa di prima, con la sola
differenza che ora era possibile vedere ogni cosa anche a decine di metri di
distanza; qua e là si udiva persino il cinguettio degli uccelli e il verso
degli animali selvatici.
«Non
credo ai miei occhi.» disse Passe «Mi devo ricredere ragazzina. Non scherzavi
quando dicevi di saper badare a te stessa.»
«Grazie,
Lady Valera. Se non foste venuta con noi sarebbe stata la fine.»
«Felice
di essere stata d’aiuto.»
Ora
che la barriera illusoria era stata distrutta Sylvie non ebbe difficoltà
neanche a individuare con precisione dove si nascondesse il suo creatore.
Daemon e gli altri quindi non dovettero fare altro che seguire le sue
indicazioni, raggiungendo nel giro di poche ore l’ingresso di una grande
caverna.
«Ci
siamo. Lo squilibrio nella magia che aveva generato quella barriera proveniva
proprio da qui.»
«Sembra
proprio il tipico posto dove si nasconderebbe una strega.»
«Sono
d’accordo. E immagino sia superfluo dire che l’idea di entrarci non mi attira
per niente.»
«Tranquillo,
non ci entrerai. Andremo solo io e Lady Valera. Tu, Passe e Vero resterete qui
a sorvegliare l’entrata, nel caso ci fosse ancora qualcuna di quelle bestie
demoniache qui nei paraggi.»
Dopotutto
portarsi dietro una chierica esperta era la soluzione migliore se si aveva a
che fare con una strega, e i due mostri per quanto tenessero al loro amico
furono più che felici di non dover entrare in quell’antro decisamente
minaccioso.
Quanto
a Vero, provò a chiedere di poter entrare anche lui per poter proteggere
Sylvie, venendo però infine convinto da Daemon a restare indietro ed assistere Drufo e Passe nel fare la guardia all’ingresso.
«Questi
ci aiuteranno a non perdere la strada.» disse Sylvie facendo comparire un paio
di fuochi magici, quindi entrambi si avventurarono all’interno.
Se
da fuori la caverna poteva sembrare piccola, una volta dentro i due ragazzi
capirono subito che in realtà era gigantesca, e dovettero fare solo pochi passi
prima che la luce proveniente dall’ingresso scomparisse lasciandoli immersi in
un’oscurità quasi totale.
«Camminiamo
rasenti al bordo, tenendo sempre una mano appoggiata alla parete. In questo
modo eviteremo di perderci.»
«D’accordo.»
Restando
due passi indietro rispetto a Daemon, Sylvie cercava di mantenere sempre il
contatto visivo, ma la sua ingombrante veste da vescovo la intralciava nei
movimenti ancor più di quanto avesse fatto durante il tragitto attraverso la
palude.
«Credete
ci sia un’altra di quelle barriere?» chiese Daemon vedendo che per quanto
camminassero non arrivavano da nessuna parte.
«Non
credo. È vero però che non avevo mai percepito un potere così grande come
quello che percepisco qui dentro. Questa Strega deve essere davvero un essere
fuori dal comune.»
In
quel momento Sylvie inciampò su di una roccia scivolosa, e quando si rimise in
piedi Daemon sembrava scomparso.
«Messer
Daemon? Dove siete? Non vi vedo più.»
«Sono
proprio qui, davanti a te.» sentì dire nel buio. «La mia luce magica si è
spenta.»
«Restate
dove siete, ora vi raggiungo.»
La
ragazza si rimise in cammino, seguendo sempre la voce di Daemon che a distanza continuava
a parlarle, dicendole di aver trovato un’uscita dalla caverna che lo aveva
condotto in una specie di radura erbosa circondata da alte rupi.
«Messer
Daemon, vedo una luce.»
«Ci
sei quasi. Sono qui che ti aspetto. Continua a camminare.»
Nel
momento in cui guadagnò l’uscita però, invece di Daemon Sylvie si ritrovò
davanti le facce sbigottite di Drufo, Vero e Passe.
«Che
cosa ci fate voi qui?»
«Come
sarebbe a dire cosa ci facciamo qui?» disse il coboldo «Siete stati voi a dirci
di tenere d’occhio l’ingresso.»
«L’ingresso!?
Io stavo camminando verso l’uscita dall’altro lato, e sono sicura di essere
sempre andata dritta. Abbiamo camminato per quasi un’ora.»
«Un’ora!?
Lady Valera, voi siete entrata là dentro da neanche cinque minuti.»
«E
comunque.» disse Drufo «Dov’è finito Daemon!?»
Avevo capito che qualcosa non andava
ben prima di accorgermi che la voce di Sylvie che sentivo alle mie spalle fosse
solo un’illusione, e che in realtà per tutto quel tempo avevo probabilmente
parlato da solo.
Alla
fine ero andato a cacciarmi per l’ennesima volta in una situazione complicata
da cui adesso non sapevo come uscire.
In
realtà non ero preoccupato, né temevo per la mia vita. Ormai ero sicuro che
l’intento della Strega non fosse quello di uccidermi, cosa che avrebbe potuto
fare in qualsiasi momento se solo avesse voluto.
Decisi
così di prestarmi al suo gioco, aggrappandomi con le unghie e con i denti alla
mia volontà e portando tutti i miei sensi al massimo; a questo punto, immerso
in quell’oscurità che il globo magico non riusciva a rischiarare la coscienza
che avevo di me e del mio essere era l’unica cosa di cui potevo essere sicuro,
e volevo tenermela stretta.
Senza
mai staccare la mano dalla parete umida continuai ad avanzare, fino a che non
giunsi, con un certo stupore, dinnanzi ad una robusta porta chiusa di legno e
ferro.
«D’accordo,
Strega dei miei stivali. Vediamo cos’hai in serbo per me.»
Aperta
la porta mi ritrovai in una specie di aula di scuola, dalle cui finestre
entrava una luce irreale.
Un
bambino sedeva da solo nella prima fila di banchi dandomi la schiena, immerso
nello studio; indossava un’uniforme da cadetto e un mantello nero, e appuntato
al tricorno aveva il fiocco bianco del Re Luigi.
È
l’uniforme dell’Accademia Militare di Brienne.
Visto
che non potevo essere tornato tutto d'un tratto nel mio mondo conclusi di stare
assistendo alla materializzazione di un evento estrapolato dalla mia memoria;
perciò quel ragazzino dovevo essere io al tempo in cui studiavo all’accademia.
All’epoca
ero un ragazzino decisamente problematico, ancor meno incline al compromesso e
all’autocontrollo di quanto non sarei stato da grande, e capitava spesso che
venissi messo in punizione per aver risposto sfacciatamente ai maestri o aver
cambiato i connotati a qualcuno.
Ma
non potevo farci niente, dovevo essere così.
Ero
solo il figlio di un notaio proveniente da una regione che fino all’anno prima
della mia nascita non era nemmeno parte del Regno di Francia, lontano da casa e
gettato in una scuola dove il più umile dei miei compagni era il figlio di un
marchese.
Era
già una fortuna se mi chiamavano solo Piccolo Còrso, ma il più delle volte gli
appellativi con cui venivo etichettato erano ben peggiori.
Così
mi ero imposto di essere forte, e di non permettere mai a nessuno di reputarsi
superiore a me per qualcosa che non fosse il talento individuale, nel quale
avevo deciso di diventare il migliore di tutti.
Alla
fine del primo anno padroneggiavo le competenze e le conoscenze degli alunni
dell’ultimo, e soprattutto in matematica e in fisica potevo pormi
tranquillamente sullo stesso piano dei miei professori.
E
ovviamente la cosa non piaceva né a detti professori né ai nobili genitori
degli alunni che guardavo dall’alto in basso; così si erano messi d’accordo per
farmi assegnare arbitrariamente voti bassi solo per non dover ammettere che il
figlio di un notaio stava mettendo i piedi in testa alla migliore aristocrazia
francese.
Speravano
di spezzarmi, ma mi avevano solo reso più determinato; e quella determinazione
nata in collegio mi avrebbe accompagnato per tutta la vita, spronandomi a fare
sempre più di quello che i miei avversari si sarebbero aspettati.
La
porta alle mie spalle si aprì nuovamente, e un gruppetto di studenti più grandi
entrò nell’aula accerchiando il vecchio me; si comportavano come se non
potessero vedermi, ma visto che si trattava di un’illusione la cosa non mi
sorprendeva.
«Ehi,
Còrso.» disse il loro capo. «Dì un po’, chi ti credi di essere? Ti avevo
avvertito di non prendere un voto troppo alto all’ultimo compito. Ora per colpa
tua mio padre mi obbligherà a passare tutta l’estate sui libri.»
«Ti
sarebbe bastato studiare un po’ di più.»
All’improvviso,
ricordai.
Quello
era il giorno in cui mi ero preso una delle più grandi soddisfazioni della mia
vita. Il giorno in cui all’accademia era venuto in visita il Ministro delle
Finanze Necker per assistere all’ultima verifica di
matematica prima della fine della scuola.
E
ovviamente davanti al Ministro, uomo tutto d’un pezzo che aveva in odio i
privilegi degli aristocratici tanto quanto me, i professori non avevano potuto
fare i loro soliti magheggi, con il risultato che per
la prima volta avevo preso un voto degno dei miei sforzi.
«Tu
hai un grande avvenire ragazzo.» mi aveva detto stringendomi la mano. «Mi
ricorderò di te.»
Peccato
che sua figlia Anne-Louise avesse tutt’altra opinione di me, e ci fossimo
trovati antipatici fin dal nostro primo incontro proprio quel giorno.
Quanto
a quel gruppetto di bulli, erano i lacchè di quella primadonna di Gudin, il figlio del marchese La Sablonnière.
Vedendolo
in quel momento, così spaccone e arrogante, quasi faticavo a riconoscere lo
stesso ufficiale che un giorno si sarebbe distinto per numerosi atti di valore
nella mia Grande Armée.
Lo
avevo stretto tra le mie braccia nei suoi ultimi istanti di vita dopo che una
palla di cannone gli aveva portato via la gamba.
La
nostra amicizia era cominciata proprio quella sera, dopo esserci riempiti di
botte a tal punto da dover passare insieme una settimana in infermeria; da una
parte lui era stato costretto a riconoscere le mie doti, dall’altra io non
potevo non ammirare il suo carisma e le sue doti di comando, che per quanto
inferiori alle mie lo rendevano capace di ispirare i suoi subalterni con una
forza che andava oltre il suo status di aristocratico.
Una
strana folata di vento si portò via come sabbia quelle figure mentre la stanza mi
si trasformava letteralmente attorno, assumendo le fattezze del mio studio a
Fontainebleau.
Stavolta
non ebbi difficoltà a riconoscere i due individui impegnati in un’accesa
discussione attorno alla scrivania; uno ero io ai tempi del Consolato, l’altro
mio fratello Luciano.
E
purtroppo, a differenza del ricordo precedente, questo che ora mi apprestavo a
rivivere era inciso a fuoco nella mia anima.
Era
il giorno in cui gli avevo rivelato di aver dato mandato al capo della polizia Fouché e al ministro Talleyrand
di iniziare le procedure per indire il plebiscito che avrebbe sancito il mio
passaggio dal ruolo di Console a quello di Imperatore.
Per
poco in quell’occasione tra me e mio fratello finì quasi a schiaffi.
Luciano
era prudente e brillante, ma non capiva la necessità che avevo di potermi porre
a livello paritario con gli altri Re e Imperatori d’Europa.
Ora
sapevo che era stato un errore non dargli ascolto: uno dei tanti rimpianti
della mia vita.
Non
ritenevo sbagliata la scelta di farmi Imperatore, ma forse aveva ragione lui
quando diceva che era ancora prematuro, e che avrei dovuto gestire la cosa con
più accortezza.
Dal
mio punto di vista era il giusto compenso per i miei sforzi e il modo migliore
per portare avanti il mio scopo di dare un nuovo ordine al mondo. Ma il mondo
aveva visto solo un provincialotto ambizioso, e i
suoi governanti una minaccia da estirpare con ogni mezzo.
La
gloria di Austerlitz, la sottomissione della Prussia e lo Zar Alessandro che mi
baciava il sedere erano eventi ancora di là da venire, ma in realtà forse
quello era stato il momento esatto in cui tutto aveva iniziato ad andare a
rotoli.
«Sei
patetico.» dissi al vecchio me mentre questi osservava in silenzio Luciano che
mestamente lasciava la stanza.
Dopo
quel giorno il mio rapporto con lui non era più stato lo stesso e avevo
cominciato a dare retta alle persone sbagliate, allontanandomi progressivamente
da coloro che invece si preoccupavano sinceramente per me e volevano davvero
aiutarmi nel tramutare in realtà la mia grande visione.
Una
nuova folata di vento si portò via anche quella visione sostituendola con
un’altra, e per un attimo in mezzo a tutto quel fumo, alle grida e alle fiamme che
mi vidi comparire attorno ebbi come l’impressione di essere finito nel punto
più profondo e caldo dell’inferno.
Affacciato
dalla finestra del palazzo imperiale, il vecchio me osservava con gli occhi
spalancati e l’espressione incredula la città di Mosca tramutata in un immenso
oceano di fuoco.
Piuttosto
che lasciare che la conquistassi lo zar Alessandro aveva preferito farne il più
grande rogo a cielo aperto che il mondo avesse mai visto; e quello non era che
l’inizio del disastro che stava per piombarmi addosso.
«Guarda
bene, povero idiota. Ecco il risultato della tua megalomania.»
Se
in quel preciso momento mi ero reso conto che c’era gente disposta a
sacrificare qualsiasi cosa pur di riuscire a fermarmi, la disastrosa ritirata
attraverso la steppa che si sarebbe portata via la quasi totalità del mio
esercito mi aveva fatto capire nel modo peggiore che c’erano traguardi che
forse nemmeno io ero in grado di raggiungere.
Scacciai
subito quei pensieri indegni di me.
Io
posso fare qualunque cosa!
Infatti,
passato il momento dello sconforto, avevo compreso che se avevo sbagliato non
era certo stato nei propositi che avevano guidato le mie azioni, ma piuttosto
nei metodi con cui li avevo perseguiti.
La
mia aspirazione di riordinare il mondo e mettere fine ad ogni guerra in Europa
e nel mondo era la più nobile e giusta di tutte. Ma reso cieco e superbo dalle
troppe vittorie mi ero illuso di poterla portare a compimento con la forza e
l’inarrestabilità di un uragano. La verità era che io ero l’artefice del mio
stesso fallimento.
Dando
troppe cose per scontate e convincendomi di essere invincibile mi ero scavato
la fossa con le mie mani; e quando avevo capito che nessun cambiamento,
specialmente il più epocale, può essere fatto dal giorno alla notte, ormai era
tardi per tentare di rimediare.
E
quella lezione da sola era più importante di tutti i ricordi della mia precedente
vita messi assieme, perché su di essa ero determinato a costruire la mia nuova
visione.
Che
si trattasse di sradicare monarchie decadenti o fermare la venuta di un Re dei
Demoni, il fine ultimo restava sempre lo stesso: creare un mondo migliore e
pacifico, in cui non ci fossero né guerre né sofferenza.
Su
una cosa Robespierre aveva ragione. Un nuovo mondo non può essere generato che
su dei mucchi di cadaveri. E se è destino che sia io ad innalzare quel cumulo e
dannare la mia coscienza, ebbene così sia! Qualunque sia il prezzo sono pronto
a pagarlo!
Il
mio sguardo si volse in direzione di una delle porte della stanza, da cui
sembrava venire una voce che mi chiamava.
Senza
più esitazioni la aprii e la attraversai, ritrovandomi come per incanto a
passeggiare su di una passerella in pietra sospesa a centinaia di metri
d’altezza che collegava tra di loro due torri alte e strette edificate sulla
cima di un costone di roccia a strapiombo sul mare.
Non
riconoscevo né gli edifici né il panorama attorno a me, ma dal momento che
vedevo oceano ovunque girassi gli occhi conclusi di essere finito sicuramente
su di una qualche isola disabitata nel cuore del Mare del Nord.
Prima
che le fortissime raffiche provenienti dall’oceano riuscissero a buttarmi di
sotto avanzai fino ad entrare nella torre che avevo di fronte, arrivando in
quello che sembrava a tutti gli effetti il laboratorio di un alchimista.
Una
lamia dalle scaglie nere sedeva ad uno scranno dall’altro lato della stanza
fumando una strana pipa, simile a quelle che nella mia vecchia vita avevo
sentito dire essere molto popolari in estremo oriente.
«Benvenuto.»
disse scostando dal viso una ciocca dei suoi lunghissimi capelli color vino.
«Spero che la mia povera dimora non risulti troppo umile per una persona del tuo
calibro.»
«La
Strega delle Rocce, presumo.»
«Quel
soprannome non mi piace. Lo trovo di pessimo gusto. Chiamami semplicemente Kali.»
Come
una vera lamia sembrava quasi che stesse cercando di sedurmi, tenendo bene in
mostra il suo balcone generoso e le sue curve provocanti, a malapena coperte
dalla scarna veste semitrasparente che indossava.
«Ad
ogni modo, sei un tipo davvero interessante. Non ho mai visto nessuno passare
attraverso i ricordi più spiacevoli della propria vita ed uscirne con quello
sguardo sprezzante e sicuro di sé.»
«Esattamente
per quale motivo hai voluto farmi vedere quelle cose?»
«Considerala
una specie di test. Chi non ha un carattere abbastanza forte da sfidare i
propri demoni non è degno della mia attenzione.»
«Ho
fatto pace con quei demoni tempo fa. Ma se hai guardato nei miei ricordi saprai
perché sono qui. Ho bisogno del tuo aiuto per debellare l’epidemia di Basterwick.»
«E
per quale motivo vorresti farlo? Perché vuoi salvare gli abitanti della città?
Perché hai a cuore la sorte di quella ragazza? O forse semplicemente perché hai
bisogno di loro per realizzare i tuoi scopi?»
«Non
sono un santo. E in vita mia non ho mai fatto niente che non prevedesse un
tornaconto personale. D’altro canto se voglio salvare questo mondo dal Re dei
Demoni non posso concedermi il lusso di agire in maniera disinteressata.»
«Credi
sul serio di avere le capacità per poterci riuscire?»
«Io
posso fare tutto, se dispongo dei mezzi necessari per poterci riuscire. Tu e le
tue conoscenze ora siete uno di questi mezzi. Niente di più, niente di meno.»
«Di
solito, quando si chiede un favore si cerca di essere più diplomatici.»
«Non
mi sembri il tipo che apprezza l’ipocrisia. D’altronde non mi avresti dato una
possibilità per arrivare fin qui se non avessi voluto aiutarmi, o mi sbaglio?»
La
labbra rosso sangue della lamia si piegarono in un malizioso sorriso, e la sua
lunga lingua biforcuta sibilò per un attimo fuori dalla bocca.
«Quello
che cerchi è proprio lì.» disse indicando un’ampolla appoggiata su un tavolino.
«Un estratto di erbe e polvere minerale. Ne basterà una sola goccia diluita in
acqua calda, e tutti i malati si rimetteranno completamente.»
Raccolsi
la boccetta senza porre ulteriori indugi.
«C’è
una cosa che non capisco. Visto che hai guardato nei miei ricordi dovresti aver
capito chi sono e da dove vengo. Sarai anche una strega che si dice sia in vita
da più di mille anni, eppure non mi sembri per niente sorpresa.»
«Forse
sei meno speciale di quanto pensi.»
«Vuoi
dire che ce ne sono altri come me?»
«Questo
mondo si trova in un crocevia molto importante dello spazio e del tempo,
pertanto è abbastanza comune che anime provenienti da altri mondi si
reincarnino qui dopo la morte. Tuttavia tu sei l’unico che io conosca che abbia
conservato i ricordi della propria vita passata. Quindi sì, posso dire di
essere un po’ sorpresa.»
Ero
quasi sicuro che quella specie di maliarda incantatrice sapesse qualcosa sul
conto di Faucheur o su chi egli fosse realmente, ma
decisi di non sprecare fiato per tentare di convincerla a parlarmene.
«A
presto, Imperatore.»
«A
presto, Strega. Qualcosa mi dice che ci rincontreremo.»
«Chissà.
Magari accadrà prima di quanto immagini.»
Appena
varcata la porta della torre dall’altro dal ponte mi ritrovai nuovamente nella
caverna, a pochi metri dall’uscita, con il vecchio Passe e gli altri che
vedendomi avanzare verso di loro restarono a bocca aperta.
«Sia
lode agli dei, per fortuna sei sano e salvo. Che cos’è successo?»
«Proverò
a spiegarvelo, ma non so se mi crederete.»
«Hai
incontrato la Strega?» tagliò corto Drufo
«Ancora
meglio. Ho la cura per il morbo. Forza, torniamo indietro. Abbiamo una città da
salvare, e una rivoluzione da vincere.»
Nota
dell’Autore
Salve
a tutti!
Dopo
due settimane come di consueto rieccomi qui con il terzo capitolo del Volume 2
di “Napoleon of Another
World!”
Mi
scuso per la notevole, e probabilmente spropositata lunghezza di questo
capitolo, ma ho preferito evitare di dividerlo in due parti trattandosi di un
unico evento che tra l’altro è destinato ad avere un’importanza considerevole
nel futuro degli eventi, anche se non nell’immediato.
Ringrazio
come sempre tutti quelli che leggono e recensiscono la storia.
Capitolo 4 *** CAPITOLO 4 - LO SCONTRO DECISIVO ***
“Metti
un leone al comando di cento cani,
e combatteranno come leoni!”
CAPITOLO 4
LO SCONTRO DECISIVO
La pozione consegnata a Daemon dalla
Strega era davvero miracolosa.
Già
a partire dal giorno dopo l’inizio delle somministrazioni i malati
incominciarono a guarire uno dopo l’altro, rimettendosi in forze nel giro di
poche ore.
Finalmente
la speranza era tornata anche a Basterwick, e nel
giro di pochi giorni l’epidemia poté dirsi completamente debellata.
Daemon
cercava di non fare privilegi, ma nessuno gliene fece una colpa quando chiese
che Scalia fosse tra i primi ad essere curata; d’altronde, si dissero tutti,
era merito suo se era stato possibile salvare così tante vite.
«Ti
senti meglio?» chiese quando una mattina la vide entrare nel suo ufficio al
municipio fresca come una rosa.
«Assolutamente.
Posso rimettermi al lavoro in qualunque momento.»
«Cerca
solo di non esagerare. La nobile Sylvie dice che ci vuole qualche giorno perché
le scorie della malattia si disperdano del tutto, e tu ci servi in forma per
quello che ci aspetta.»
«Basterà
che mi mangi mezzo cinghiale, e sarò pronta a ricominciare più forte di prima.»
«E
Isabela? Come sta?»
«La
tettona? Insopportabile e presuntuosa come sempre. È
già tornata al tempio, a baciare la gonna della sua padrona.»
«Lei
e la nobile Sylvie non ti stanno decisamente simpatiche.»
«Le
Guardie del Tempio sono da sempre i cani da guardia del Circolo, ed è stato il
Circolo a proclamare la guerra santa contro il nostro popolo cinquecento anni
fa. Lo so che hai detto che occorre dimenticare il passato e andare avanti, ma
queste non sono cose che si possono semplicemente mettere da parte come se
niente fosse.»
«Sono
d’accordo anch’io che il Circolo è molto diverso da ciò che i suoi fondatori
avevano in mente quando lo crearono nell’antichità. Ma le persone come la
nobile Sylvie cercano sinceramente di riportare il culto di Gaia ai suoi
propositi originari, e pensano solo a fare del bene. Quanto a Isabela, non puoi
negare che sappia come combattere e sia molto devota alla nobile Sylvie, e ti
assicuro che vista la nomea poco lusinghiera di cui godono ultimamente le Guardie
non è un dettaglio da poco. Dovresti provare a dare loro una possibilità.»
«Se
me lo chiedi tu, cercherò di andarci d’accordo. Ma non pretendere che mi
piacciano.»
«Mi
accontenterò.» ammiccò il ragazzo
L’arrivo
del satiro Tecla, sporca ed esausta per la lunga corsa durata tutta la notte
ruppe troppo presto quell’atmosfera rilassata.
«Il
Generale Ron ha lasciato il Castello e si sta
dirigendo a sud. Con lui c’è tutta la Quindicesima Legione.»
Venne
subito convocato un consiglio di guerra cui presero parte anche Passe e Jack.
«Sapevamo
che si sarebbero mobilitati.» esordì Daemon «A conti fatti ci hanno messo più
di quello che mi sarei aspettato. Ron avrà aspettato
di ricevere qualche rifornimento dal passo a nord prima di muoversi.»
«Ho
sentito dire che questa legione è anche più grande delle altre.» disse Passe
con una certa preoccupazione. «Quasi ventimila uomini, senza contare i
coscritti che avranno sicuramente reclutato tra la popolazione.»
«Dove
si trova in questo momento la legione?»
«Qui.»
indicò Tecla sulla cartina. «A metà strada tra il Castello e Dundee. Avanzano
lungo la Via Imperiale.»
«Stanno
tentando di dividere le nostre due forze.» disse Passe
«La
strategia della posizione centrale. Mossa astuta, anche troppo per essere
farina del sacco di Ron. Uno come lui avrebbe diviso
la legione in due forze per colpirci separatamente.»
Gli
occhi di Daemon scintillavano mentre tornava a girarsi verso Tecla.
«Tiro
a indovinare. Con lui c’è anche Adrian, il figlio del Governatore.»
«È
così. E ha con sé un paio di centinaia di soldati che sembrano obbedire solo a
lui.»
«Deve
essere l’Armata dei Leoni. Ne ho sentito parlare. L’ha messa insieme subito
dopo aver concluso gli studi all’accademia. Abili, preparati e assolutamente
fedeli.»
«Detesto
doverlo dire, ma stavolta la disparità di forze mi sembra davvero
considerevole.» disse Scalia. «Credi davvero che saremo in grado di
sconfiggerli?»
«La
nostra dovrà essere per forza di cose una battaglia difensiva. Non possiamo
affrontare un esercito così tanto superiore al nostro in uno scontro aperto.
Che notizie da Septimus e Oldrick?»
«Si
sono posizionati al passo di Chateroi, come avevi
ordinato.» rispose Jack. «Hanno anche ricevuto nuove forze da Dundee e occupato
la parte più stretta della vallata.»
«So
che hai corso tutta la notte Tecla, ma ho bisogno che tu riparta subito.
Riferisci a Septimus, che rinforzi le posizioni difensive. Lui e Oldrick devono a riuscire a tenere la il passo a tutti i
costi, che non arretrino per nessun motivo. Noi cercheremo di arrivare il prima
possibile e di offrire loro supporto.»
«D’accordo.»
Tecla
se ne andò senza tradire emozioni, come era sempre stato nella sua natura del
resto; non per niente Drufo l’aveva sempre chiamata
scherzosamente pezzo di ghiaccio per
il modo apatico e distaccato con cui affrontava la vita, persino più di lui.
«Chateroi dista venticinque miglia dal Castello. Procedendo
ad una velocità di sei miglia al giorno, Ron sarà al passo
fra tre giorni.»
«Noi
siamo ad almeno trenta miglia.» disse Jack «Non faremo mai in tempo ad arrivare
lì prima di loro.»
«Vuol
dire che bruceremo le tappe. Ci servirà ogni soldato di cui disponiamo per
poter vincere questa battaglia. La strada che da qui porta a Chateroi è sterrata e stretta, ma noi siamo in pochi. Marciando
ad un ritmo di dieci miglia al giorno possiamo essere lì in tempo per la
battaglia.»
«Dieci
miglia al giorno sono tante.» osservò Passe. «Sicuro che i nostri saranno in
grado di reggere una tale marcia?»
«Molti
di loro hanno poltrito quindici giorni. Un po’ di sale sulla coda non può
fargli che bene. E poi è tutta la vita che sopportano la fatica. Fidati, ce la
faranno.»
«C’è
una cosa che non capisco.» disse Jack. «Se noi partiamo per riunirci a
Septimus, chi rimane qui a sorvegliare la situazione?»
«Resterà
Drufo assieme ad un paio dei nostri. Di mantenere
l’ordine se ne occuperanno Vero e i suoi uomini.»
La
cosa non poté non sollevare una certa preoccupazione tra i presenti.
«Daemon,
siamo d’accordo che quel poppante ha accettato di collaborare, ma credi sia
saggio affidargli la città?»
«L’epidemia
è stata una bella seccatura, ma ha avuto anche dei risvolti positivi.
Risolvendola abbiamo dimostrato la nostra buona volontà e conquistato la
considerazione della gente, e lui lo sa.»
«Non
lo metto in dubbio, ma comunque la cosa non mi fa stare tranquillo. Lui non è
come Septimus e i suoi uomini, che hanno giurato di seguirci fino alla fine e
hanno già combattuto contro i loro vecchi compagni.»
«Francamente
la penso come lui.» disse Scalia «In fin dei conti, cosa gli impedisce di
prendere il controllo e riconsegnare Basterwick al
Governatore?»
«Lo
farà di sicuro, se saremo sconfitti. Forse non mi sono spiegato bene, ma questa
battaglia deciderà il futuro della Rivoluzione e della nostra causa. Pertanto,
la sconfitta in questo scontro non è un’opzione.»
Tutti
in quella stanza l’avevano già capito, ma occorreva che lo sentissero dire per
bocca del loro comandante per riuscire ad averne piena coscienza.
Proprio
Drufo entrò dopo qualche attimo nella stanza
annunciando l’arrivo di un ospite.
«Scusate
l’interruzione. Daemon, c’è un certo Signor Hans che chiede di vederti.»
«Fallo
pure passare.»
Il
signor Hans era uno stimato costruttore di occhiali e lenti d’ingrandimento i
cui servigi erano molto apprezzati dai più importanti nobili, eruditi e
studiosi di tutta l’Erthea Occidentale. Già in passato Daemon si era rivolto a
lui per farsi costruire alcuni dei suoi strani marchingegni.
«Costruisco
lenti da più di quarant’anni, ma non mi era mai venuta in mente una cosa del
genere. Si può sapere da dove ti vengono certe idee?»
«E
dunque? Ci sei riuscito?»
«Per
chi mi hai preso?» scherzò «Certo che ci sono riuscito.»
Al
che il vecchio artigiano aprì il cofanetto che aveva sottobraccio.
«Ma
che roba è?» chiese Passe
«Una
cosa che ci tornerà molto utile.»
La valle di Chateroi
prendeva il nome dal piccolo villaggio che sorgeva al suo interno.
In
una terra per buona parte montagnosa come Eirinn le strade che passavano
attraverso le valli erano l’unico modo per garantire le comunicazioni, e sotto
questo aspetto la valle di Chateroi era la più
importante di tutte, essendo l’unica larga abbastanza da consentire il
passaggio di un esercito.
Non
per niente l’Impero dopo aver occupato la provincia aveva provveduto a far
allungare la vecchia strada ducale trasformandola nella grande e pratica Via
Imperiale, che partendo dal confine e passando per Dundee raggiungeva direttamente
il Castello.
Poco
più a nord del villaggio la valle diventava così stretta, e i boschi così
vicini alla strada, che un piccolo esercito poteva facilmente bloccare il
passaggio e tenere la posizione senza correre il rischio di venire aggirato,
pertanto era il luogo perfetto in cui allestire una posizione difensiva.
Dopo
aver occupato la zona Septimus aveva cercato di andare il più d’accordo
possibile con la gente del posto, vietando rigorosamente saccheggi e ruberie e
ordinando alle sue truppe di restare lontani dal villaggio.
Era
nervoso e preoccupato, ma cercava di non darlo a vedere per non provocare
ulteriore panico; in quanto Decurione era abituato ad avere degli uomini al suo
comando, ma mai si sarebbe aspettato di ritrovarsi così presto a dover guidare
delle truppe in battaglia.
Anche
se Oldrick era al suo fianco e pronto ad aiutarlo era
lui al comando, e al momento decisivo tutto sarebbe pesato sulle sue spalle.
Perché
ormai tutti sapevano che uno scontro era inevitabile.
Gli
esploratori avevano riferito la notizia dell’arrivo del Generale Ron con tutta la legione ben prima che la portasse Tecla. E
anche se i loro numeri nel frattempo si erano accresciuti la differenza tra i
due schieramenti era sotto gli occhi di tutti, senza contare che per quasi
tutti i soldati dell’esercito ribelle quella sarebbe stata la prima, vera
battaglia.
«Ormai
abbiamo abbondantemente superato il limite oltre il quale non si poteva
andare.» aveva detto quando qualcuno gli aveva riferito la notizia di voci
nella truppa che parlavano di resa. «Abbiamo solo due scelte. Combattere o
venire massacrati.»
Dall’altra
parte della barricata l’avanzata del Generale Ron e
del giovane Adrian era proceduta senza intoppi, e una volta entrato nella valle
l’esercito imperiale stava avanzando a passo spedito verso il luogo della
battaglia.
«A
quanto pare ci avevi visto giusto. Gli ultimi rapporti dicono che i ribelli si
sono barricati proprio a nord del villaggio, nei pressi delle Bocche dei
Giganti.»
«Era
ovvio. Da lì possono bloccarci la strada e costringerci ad uno scontro
frontale.»
Il
giovane si prese un momento per ammirare lo straordinario spettacolo delle
vette del Khoral attorno a lui ancora imbiancate di
neve.
«Lo
sapeva, Generale? Secondo la leggenda è qui che le forze combinate di Eirinn e
Patria arrestarono l’avanzata del Signore Oscuro e del suo esercito, infliggendo
al nemico la sua prima sconfitta. In un certo senso, è come se stessimo
camminando su un terreno sacro.»
«Se
è così, in cinquecento anni il Granducato ne ha fatta di strada verso il basso.
Se si fossero preoccupati di più della guerra e meno dei soldi non si sarebbero
dovuti vendere all’Impero per proteggersi dall’espansionismo dell’Unione. A che
serve avere una terra ricca se non sei capace di difenderla? I Montgomery
devono ritenersi fortunati se l’Imperatore ha permesso loro di conservare il
dominio almeno sulla parte orientale.»
«Non
è un segreto che sia l’Impero che l’Unione puntassero ad ottenere il controllo
delle miniere di Eirinn. La cessione dell’occidente a Saedonia
è stato il prezzo che il Granducato ha dovuto pagare in cambio della protezione
imperiale. Se ci pensa però, è anche a causa di quella scelta che ora ci
troviamo in questa situazione. La divisione ha portato al reunionismo,
che ha sicuramente contribuito a far scoppiare questa rivolta.»
«Hanno
fatto una scelta, e ora ne pagheranno il prezzo. Saranno da esempio per tutti
quelli che d’ora in poi oseranno anche solo pensare di alzare un dito contro
l’Impero.»
Un
esploratore dei Leoni sbucò fuori dalla foresta quando mancavano poche
centinaia di metri per raggiungere le Bocche, accostando il proprio cavallo a
quello di Adrian.
«Nobile
Adrian, truppe nemiche in arrivo attraverso il Passo Dorian.»
«Quanti
sono?»
«Più
o meno ottocento, Mio Signore.»
«I
messaggeri hanno riferito che l’esercito che ha attaccato Basterwick
raggiungeva a malapena le cinquecento unità.» disse il Generale «Dove hanno
trovato altre truppe?»
«Il
lato negativo dell’avere a che fare con un esercito di schiavi ed insorti è che
il loro numero cresce velocemente, soprattutto se c’è qualcuno con il carisma
necessario a farli sollevare. Quello positivo è che per la grandissima parte si
tratta di gente senza alcuna esperienza di guerra. Fidatevi Generale, non
avremo problemi.»
«Guardate
lassù, sulla cresta. Devono essere loro.»
Adrian
girò gli occhi in quella direzione, scorgendo una linea nera che comparendo da
dietro il fianco del Monte Salt avanzava a passo spedito verso la valle.
«È
arrivato l’ospite d’onore.» sorrise soddisfatto. «A giudicare dalla velocità di
movimento saranno qui al massimo entro due ore.»
«Scusare
se mi permetto di dirlo, ma forse è stato un errore ordinare ai Leoni di
staccarsi dal resto dell’armata e procedere separatamente, visto che
sicuramente sanno che anche voi siete qui. Non c’è il rischio che scoprano i
nostri piani?»
«Haselworth
sarà anche un cacciatore eccezionale, ma non ha certo gli occhi di un falco. Da
lassù è impossibile che possa vedere distintamente qualcosa. Presto dovrà
infilarsi nella gola perdendo di vista la valle, e sarà allora che i miei
uomini prenderanno posizione. Con l’ingresso del passo sotto il nostro
controllo, i suoi compagni non potranno nemmeno avvertirlo.»
Adrian
si rivolse quindi nuovamente al suo esploratore.
«Porta
agli altri questo messaggio. Che escano dalla foresta e si dispongano
all’entrata della Valle Dorian subito dopo l’inizio della battaglia.»
«Sì,
Mio Signore.»
Alla
fine i due eserciti arrivarono uno di fronte all’altro.
Come
previsto da Adrian le forze ribelli avevano occupato il punto più stretto delle
Bocche dei Giganti, in una classica formazione difensiva che vedeva la fanteria
pesante al centro dietro ad un muro di scudi supportata ai fianchi da due ali
di fanteria leggera.
Per
dare ai serventi un minimo di protezione Septimus aveva fatto posizionare i
dieci cannoni a sua disposizione davanti alle proprie linee ma al riparo di
alcuni dossi naturali, da dove sarebbero stati più al sicuro dal tiro degli
arcieri.
In
mezzo tra i due eserciti, un centinaio di metri di terreno di montagna
irregolare e dissestato, ideale per limitare l’attività della famigerata
cavalleria pesante imperiale.
«Evidentemente
il comandante nemico non ha frequentato l’accademia militare.» osservò Adrian.
«Le ali dovrebbero stare più avanti rispetto al centro, per contenere l’urto
sui fianchi e tentare
una manovra di aggiramento.»
«Non
credo che Haselworth farebbe un simile errore. Di sicuro la persona a cui ha
affidato il comando non gli regge il confronto.»
Septimus
non poteva ovviamente sentirli, ma era più che consapevole della propria
impreparazione. Era solo un Decurione senza alcuna possibilità di avanzamento
di carriera che andasse oltre i gradi di ufficiale di secondo livello, ruoli
che mai lo avrebbero messo al comando di un intero esercito.
Tutto
quello che sapeva di tattica e manovre sul campo lo aveva imparato sulla
propria pelle durante le guerre dell’est contro i baroni ribelli.
Ma
ciò nonostante non aveva comunque alcuna intenzione di sfigurare o venire meno
al suo compito; avrebbe sconfitto il nemico o sarebbe morto provandoci.
Cercando
di nascondere il tremore che gli attraversava tutto il corpo strinse forte i
pugni attorno alle briglie del cavallo e serrò i denti, sfregandoli
nervosamente.
«Rilassati
e tieni la mente sgombra ragazzo.» gli disse Oldrick
«Non ti mentirò, qui dipendiamo tutti da te. Ricorda, noi dobbiamo solo
resistere fino all’arrivo di Daemon.»
«Sì,
lo so. Speriamo solo di riuscirci.»
«Dobbiamo
riuscirci. O in caso contrario, come hai detto tu, prima di stanotte saremo
tutti ospiti d’onore nelle sale di Belion.»
Passarono
alcuni minuti in cui nell’intera valle regnò il più assoluto silenzio, rotto
infine da uno squillo di trombe nello schieramento imperiale che diede
ufficialmente il via alla battaglia.
Gli
schermagliatori con giavellotti uscirono dai propri schieramenti e avanzarono
lungo la strada in formazione allargata, seguiti a stretto giro dalla prima
linea di fanteria ausiliaria.
«Fuoco!»
ordinò Septimus.
Forse
fu il nervosismo, forse semplicemente aveva sbagliato a calcolare i tempi,
fatto sta che nessuna delle dieci cannonate, il cui rimbombo fu tale da far
tremare la roccia, centrò in pieno il bersaglio. La maggior parte di esse
risultarono troppo corte, e le palle pur riuscendo a rimbalzare e rotolare
nonostante il terreno accidentato provocarono dei danni abbastanza contenuti
alle truppe nemiche.
Il
secondo tiro risultò più preciso, ma ancora una volta i risultati furono
piuttosto scarsi con giusto qualche decina di nemici uccisi o feriti; dopotutto
c’era un motivo se Adrian aveva suggerito a Ron di
far adottare agli arcieri una formazione così allargata, molto diversa dai
classici quadrati serrati.
Teoricamente
ci sarebbe stato il tempo per una terza raffica di colpi, ma a causa dei dossi
dietro a cui erano stati posizionati nel momento in cui i serventi finirono di
ricaricare i cannoni il nemico si era già avvicinato troppo.
Septimus
mandò quindi avanti gli arcieri per tentare di limitare i danni, ma due diverse
scoccate vennero a loro volta vanificate dalla formazione allargata degli
schermagliatori e dal muro di scudi degli ausiliari.
Quando
poi la distanza tra i due schieramenti fu talmente piccola da mettere in
pericolo l’incolumità dell’artiglieria Septimus non ebbe altra scelta che
comandare l’avanzata della sua prima linea, che prima ancora di arrivare allo
scontro diretto vide cadere un buon numero di fanti a causa del lancio di
giavellotti. Nello stesso momento in cui gli ausiliari imperiali e i legionari
ribelli davano inizio allo scontro corpo a corpo i cannoni ricevettero l’ordine
di togliersi dalle buche e riposizionati davanti all’ala destra, da dove
avrebbero potuto ancora fare fuoco su ulteriori nemici in avanzata.
Naturalmente
non era una cosa che si potesse fare in due minuti, e per quando gli artiglieri
ebbero raggiunto la nuova posizione Ron aveva già
mandato avanti la seconda linea per rinforzare il centro e aumentare la
pressione sul nemico.
Subito
aprirono il fuoco, e stavolta il danno fu molto più importante, ma dopo il
primo colpo dovettero subito fermarsi per non rischiare di colpire anche i loro
alleati con un tiro troppo corto.
Comunque,
dopo un primo momento di indecisione, la linea ribelle riuscì a tenere la
posizione e a contenere l’urto della fanteria imperiale. Non si trattava solo
di disciplina o di preparazione; tutti sapevano cosa c’era in gioco in quella
battaglia, e che in caso di sconfitta nessuno sarebbe stato risparmiato.
Dall’alto
del suo cavallo Septimus osservava la battaglia infuriare davanti a lui.
Avrebbe voluto lanciarsi anche lui alla carica e unirsi ai suoi compagni, ma
Daemon su questo era stato categorico.
Il
dovere di un Comandante non è dare prova del suo coraggio combattendo in prima
linea, ma guidare saggiamente e con freddezza i propri uomini le cui vite
dipendono dalle sue decisioni.
Così,
lottando con l’istinto, restava immobile a guardare, cercando di leggere lo
svolgersi dello scontro e di agire nel modo più razionale e consono possibile.
Vedendo
che i suoi uomini faticavano a tenere la posizione mandò avanti una parte
dell’ala sinistra, che avanzò supportata dal tiro degli arcieri.
La
sua idea era di tentare un aggiramento costringendo l’ala opposta a
indietreggiare e impegnando il centro nemico su due lati. Purtroppo, essendo le
ali composte prevalentemente da schiavi armati in modo leggero e coscritti
civili, la loro spinta non risultò abbastanza forte da spingere indietro gli
avversari, cosicché alla fine quel settore si ritrovò impegnato in una
battaglia a sé stante che sarebbe andata avanti fino al termine dello scontro.
«Ehi,
guarda! Che cosa c’è laggiù?»
Preceduto
da uno squillo di trombe, un piccolo gruppo di fanti sbucò fuori dalla foresta
poco lontano dietro le linee nemiche.
«È
l’Armata dei Leoni.» li riconobbe Oldrick, che anche
con un occhio solo aveva ancora la vista di un falco. «Ma dove stanno andando?»
Entrambi
si fecero pallidi di paura nel momento in cui si accorsero che i nuovi
arrivati, invece di dirigersi verso la valle, sembravano invece intenzionati a
prendere posizione all’imboccatura della Valle Dorian.
«Vogliono
tagliare la strada a Daemon!»
«Non
ci credo. Sapevano del suo arrivo?»
«Dobbiamo
fare qualcosa Oldrick. Se non riusciamo a riunirci a
Daemon non avremo speranze.»
Septimus
tentò di inviare la propria ala destra contro i Leoni per offrire supporto a
Daemon e rompere il blocco; peccato fosse proprio ciò che Adrian si aspettava.
Prima
l’ala sinistra imperiale intercettò i rinforzi quando furono abbastanza lontani
dai loro alleati riuscendo quasi a circondarli, quindi la cavalleria nemica
rimasta fino a quel momento in disparte si infilò nel varco creatosi nello
schieramento ribelle e caricò i cannoni rimasti senza protezione.
A
quel punto Oldrick, messosi personalmente al comando
della poca cavalleria a sua disposizione, tentò di portare soccorso, ma quando
riuscirono a raggiungere il nemico e a impegnarlo in battaglia i cavalieri
nemici si erano già lasciati dietro decine di artiglieri morti e un gran numero
di cannoni ribaltati o danneggiati.
Ormai
la battaglia si era frammentata in tanti scontri separati, ma persino Septimus
poteva rendersi conto che mentre il fronte del nemico riusciva ancora a
coordinare gli spostamenti il suo si era completamente sfaldato, e sarebbe
bastato che uno solo dei suoi schieramenti si desse alla fuga perché l’intera
armata andasse in rotta.
«È
inutile. Non possiamo vincere…»
Anche
dall’altra parte del campo di battaglia si era giunti alla stessa conclusione.
«È
finita.» disse Adrian. «Ora non rimane che infliggere il colpo di grazia.»
In
questi casi niente come la vista di un intero esercito che scendeva in campo al
ritmo dei corni sapeva infliggere terrore ai nemici, così Ron
ordinò l’avanzata generale che avrebbe chiuso definitivamente i giochi.
«Mio
Signore, nemici in arrivo!» disse all’improvviso il solito esploratore,
arrivando lanciato al galoppo e pallido come se avesse avuto la morte alle
calcagna
«Che
vengano pure. L’ingresso della valle è bloccato.»
«No
mio Signore, sono nel bosco! Proprio dietro di noi!»
«Cosa!?»
Il vero coraggio non sta nell’agire
quando si ha un vantaggio evidente, ma quando si avanza pur non avendo la forza
per farlo.
Questa
era sempre stata una delle mie massime preferite, e su essa avevo basato allo
stesso tempo sia molte delle mie vittorie che alcune delle mie peggiori
sconfitte.
E
anche se in questa mia nuova vita mi ero imposto di soppesare meglio le mie
decisioni e di non dare più troppe cose per scontate, c’erano delle occasioni
in cui semplicemente non potevo fare a meno di tornare ad essere me stesso.
Avanzare
nonostante tutto.
Da
una parte sapevo di stare correndo un rischio enorme capace di far crollare sul
nascere la rivoluzione che avevo intenzione di scatenare su Erthea, dall’altra
il vecchio soldato che era in me fremeva di eccitazione al pensiero di potermi
misurare con un intelletto militare sopra la media come era quello del giovane
Adrian.
Lasciata
Basterwick la mattina presto forti di trecento nuove
reclute –soprattutto schiavi liberati, oltre ad alcune decine di volontari
umani e anche qualche legionario– avevamo proceduto a passo spedito verso
sud-ovest, e in men che non si dica ci eravamo inerpicati sul Monte Salt per
raggiungere il Passo Dorian.
Quella
specie di gola strozzata angusta e ripida era una delle valli più strette di
tutta la catena del Khoral, e se non fosse stata
un’emergenza non mi sarei mai arrischiato a portarci dentro un intero esercito,
per quanto piccolo.
Il
lato positivo è che una volta raggiunte le pendici del Monte Salt il sentiero
saliva di un centinaio di metri raggiungendo, prima di tuffarsi dentro la gola,
una piana brulla da cui si aveva un’ottima visuale del Passo di Chateroi.
Naturalmente
nemmeno io avevo una vista tanto acuta da poter capire con esattezza cosa
avveniva così lontano, e proprio per questo avevo chiesto al signor Hans di
costruirmi un cannocchiale.
Scalia
e gli altri lo fissavano come se fosse stato un marchingegno proveniente da un
altro mondo, anche se a ben pensarci era effettivamente così.
«Incredibile!»
aveva esclamato Scalia quando glielo avevo fatto provare. «Pensavo di avere
degli ottimi occhi, ma questo affare è prodigioso!»
Non
stetti a spiegarle come funzionava, anche perché ero certo che non avrebbe
capito.
Poco
prima di mezzogiorno i miei uomini si preparavano a scendere dal monte
avanzando il colonna lungo il sentiero, mentre io, Scalia e gli altri
osservavamo dall’alto di una roccia l’esercito di Ron
che si apprestava a raggiungere le Bocche dei Giganti.
«Che
cosa vedi?» chiese Jack
«Avanzano
in formazione standard, con la fanteria pesante al centro e gli schermagliatori
a supporto.»
«E
l’Armata dei Leoni?» domandò Scalia
«Non
li vedo. Probabilmente si stanno spostando attraverso la foresta per non essere
individuati.»
Il
mio sguardo si portò quindi sulle linee di Septimus, e a vedere come aveva
disposto l’artiglieria mi venne da mettermi le mani tra i capelli.
«Ma
cosa sta combinando? Non si posizionano i cannoni dietro a degli ostacoli
naturali che ne ostacolano il beccheggio. Non deve mica sparare contro un
muro.»
Non
avevo mai pensato neanche per un momento che Septimus o Oldrick
avessero le qualità necessarie per riuscire a prevalere con Ron,
o ancor peggio contro Adrian. Il loro scopo era solo quello di guadagnare tempo
fino al mio arrivo, proprio per questo avevo ordinato loro di posizionarsi nel
punto meglio difendibile lungo la direttrice tra Dundee e il Castello, dove
anche una scimmia ammaestrata sarebbe stata capace di allestire una linea e
tenere la posizione.
Che
avessi sopravvalutato le capacità di Septimus o sottovalutato la sua
idealistica determinazione ad evitare vittime tra gli uomini al suo comando il
risultato era comunque lo stesso; se non fossimo arrivati laggiù il prima
possibile, probabilmente per noi non ci sarebbe stata alcuna battaglia da
combattere.
«Credi
che ci abbiano visti?» chiese Scalia
«Senza
alcun dubbio. Non solo, ci stanno praticamente invitando a saltargli addosso.»
«Che
intendi dire?»
«Se
si aspettassero un attacco da parte nostra penserebbero di rafforzare il fianco
sinistro per assorbire l’urto, invece la loro formazione è perfettamente
bilanciata.»
«Sembra
troppo bello per essere vero.» commentò Passe
«E
lo è. Adrian non è tipo da commettere simili leggerezze. Una volta entrati
nella gola non c’è modo di sapere che succede laggiù fino all’ultimo istante.
Scommetto qualsiasi cosa che i Leoni hanno l’ordine di bloccare il Passo Dorian
e tagliarci fuori dal resto del nostro esercito.»
«Possiamo
sconfiggerli?»
«Se
avessimo tempo probabilmente sì. Ma il tempo non è dalla nostra parte. Il
nostro esercito è numeroso, ma pur sempre fatto di ribelli e schiavi male
addestrati. Appena vedranno i rinforzi venire bloccati il loro morale inizierà
a vacillare, e a quel punto sarà solo una questione di minuti prima che vadano
in rotta.»
«Allora
cosa possiamo fare?» chiese Scalia
Naturalmente
non ero così sprovveduto da non tenermi sempre un piano di riserva in caso di
emergenza.
«Lo
vedi quel solco nell’erba che si stacca dalla strada in prossimità di quella
roccia? È un vecchio sentiero naturale scavato dagli stambecchi che sbuca
direttamente nella valle proprio laggiù, dove la foresta è più fitta. Lo usano
solo i cacciatori della zona, quindi è impossibile che degli stranieri come Ron e Adrian sappiano della sua esistenza.»
«Sembra
parecchio angusto.»
«Infatti
sarebbe impossibile farci passare tutto l’esercito. Ma è perfetto per una
piccola squadra di incursori. Quindi voglio che tu Scalia prenda cinquanta dei
nostri migliori uomini e che scendiate nella valle passando da quel sentiero.»
«Dobbiamo
attaccare il nemico alle spalle?»
«Non
subito. Sareste troppo pochi per risultare decisivi. Quello che dovete fare è
raggiungere la foresta e restare in attesa. Quando la nostra avanzata sarà
stata arrestata nella gola, è molto probabile che Adrian farà avanzare tutto
l’esercito per spaventare i nostri e mandarli in rotta. E quando lo farà, voi
dovrete attaccare i Leoni sul fianco con tutta la vostra forza. Una volta che
loro saranno stati abbattuti la legione si ritroverà con il fianco scoperto, sopravanzata
e vulnerabile a un contrattacco.»
«Sembra
un piano molto complesso. Sicurò che funzionerà?»
«Io
non mi baso mai sulla fortuna Passe. La tattica non è altro che saper leggere
nella mente del nemico e agire di conseguenza.»
E
io ho passato una vita intera imparando a mettermi nei panni dei miei
avversari.
«Fidatevi,
funzionerà.»
«Forse
potremmo trovare il modo di avvisare Septimus.»
«Niente
affatto. Anzi, vi ordino di non fare parola con qualcuno di tutta questa
storia.»
«Per
quale motivo?»
«Per
ingannare il nemico bisogna prima di tutto ingannare i propri uomini. Se Adrian
capisse che abbiamo intuito i suoi piani la situazione potrebbe ribaltarsi
ulteriormente.»
Nelle
due ore successive mi estraniai completamente da tutto ciò che mi circondava,
cercando di visualizzare nella mia mente lo svolgimento della battaglia a
seconda dei suoni che sentivamo sempre più vicini davanti a noi, amplificati
dalle vibrazioni e dallo stretto pertugio che stavamo percorrendo.
Come
avevo temuto i cannoni furono ben presto messi fuori causa, limitandosi a
sparare un paio di volte –oltretutto in modo confusionario e per nulla
coordinato– per poi venire silenziati quasi del tutto, limitandosi ad alcuni
scoppi occasionali che probabilmente non stavano producendo nessun risultato
significativo.
Per
questo e molti altri motivi, quando una volta giunti in vista della fine della
valle trovammo i Leoni schierati e pronti ad accoglierci il mio disappunto alla
vista di quel disastro non fu poi così pretestuoso come avrei voluto.
Ora
capivo perché parlando con Septimus avevo talvolta l’impressione di avere a che
fare con quella testa di rapa di Ney.
Stesso
carattere vulcanico ma facilmente manovrabile, stesso coraggio, stessa
intraprendenza… e stessa stupida impulsività.
Gli
avevo affidato il comando per l’ascendente che aveva sui suoi uomini, ma ora
sapevo che il suo scopo era di guidare l’esercito in battaglia piuttosto che
comandarlo.
Per
guadagnare tempo ordinai di lanciare contro i Leoni tutto quello che avevamo:
ovviamente la cosa non sortì alcun effetto degno di nota, ma se non altro servì
a dirottare la loro attenzione unicamente su di noi senza bisogno di lanciarsi
in un rischioso e dispendioso scontro diretto.
Come
avevo previsto l’impressione di averci messo in trappola spinse Adrian
all’imprudenza, convincendolo a ordinare un’avanzata generale destinata ad
essere l’ultimo chiodo sulla bara della Rivoluzione.
Scalia
e gli altri seguirono il copione alla perfezione, sbucando fuori al momento
perfetto e lanciandosi addosso ai Leoni come un branco di bestie assatanate, e
anche se un esploratore riuscì a localizzarli prima dell’attacco quando Adrian
ne fu informato era già troppo tardi.
Naturalmente
questo non bastò a far cedere il nemico, ma non mi aspettavo certamente che
un’unità competente e bene addestrata come quella si
sfaldasse tanto facilmente.
Tuttavia,
incalzati da due lati, non ebbero altra scelta che abbandonare la formazione
schierata in favore di una a quadrato, liberando l’uscita della gola e
aprendomi la strada verso il grosso del nostro esercito.
«Passe,
assumi il comando! Io vado a riunirmi a Septimus!»
«Lascia
fare a me! Tu fa attenzione!»
Non
fu affatto piacevole fare lo slalom tra frecce e giavellotti che mi piovevano
addosso da tutte le parti, ma per mia fortuna gli imperiali erano dei pessimi
tiratori.
«Scusa
Daemon, temo di aver solo peggiorato le cose.» disse Septimus quando infine
riuscii a raggiungerlo
«Tranquillo,
ora sono qui.»
La
prima cosa da fare era ricompattare il fronte e approfittare quanto prima del
momento favorevole, quindi iniziai subito a far sbracciare gli sbandieratori.
«La
cavalleria di Oldrick si disimpegni e rientri nelle posizioni
di partenza! I lancieri dell’ala destra avanzino e forniscano supporto alla
manovra! Puntare i cannoni di sinistra verso il centro dello schieramento,
elevazione venticinque gradi, carica a tre quarti, quelli di destra
all’ingresso della gola! Usate tutti gli artiglieri che ci sono rimasti! La
prima linea arretri di venti passi senza lasciare il combattimento! Al mio
comando, Passe abbandoni lo scontro portandosi a distanza di sicurezza dalla
formazione nemica!»
Un
po’ mi dispiacque dover spazzare via i Leoni a cannonate rivoltandogli contro
la loro stessa formazione chiusa; non che mi aspettassi di poter convincere
qualcuno di loro a cambiare schieramento, ma erano eccellenti soldati con un
forte senso d’appartenenza ed estremamente fedeli, e per questo li ammiravo.
Con
le retrovie nemiche così vicine, e la prima linea lontana abbastanza da
permettere alle palle di cannone di passarci sopra evitando di colpire i
nostri, aprire voragini nei loro schieramenti fu un gioco da ragazzi, e nel
momento in cui i pochi Leoni sopravvissuti andarono in rotta il fianco sinistro
nemico cedette di schianto.
La
cavalleria nemica caricò alla disperata per tentare di silenziare di nuovo i
cannoni, ma i lancieri che avevo mandato avanti formarono uno schiltron che dopo averli costretti a fermarsi li rese un facile bersaglio per i nostri arcieri.
Nel
mentre i cavalli di Oldrick avevano ripreso fiato, ed
eseguendo un ampio arco al piccolo trotto caricarono nello stesso momento le
spalle delle retrovie e il fianco del centro di comando nemico dividendosi in
due tronconi.
Ron
non perse neanche tempo a far suonare la ritirata; lo vidi girare il cavallo e
darsela a gambe un attimo dopo aver visto il suo intero esercito andare in
rotta portando via con sé i pochi cavalieri rimastigli, il suo stato maggiore e
la retroguardia.
Se
avessi potuto avrei ordinato di corrergli dietro e fare strage di quanti più
nemici possibili, ma ormai le mie forze erano allo stremo; e poi non era ancora
il momento di rovinare la mia reputazione con una condotta tanto barbara.
«Che
ore sono?» chiesi a Septimus
«Più
o meno le tre.»
«Manda
Tecla a Dundee. Alle ore tre del sesto giorno del mese della Viverna, le forze rivoluzionarie sono padrone del campo. Il
nemico ha perso più della metà della sue truppe. La battaglia è vinta.»
Nota
dell’Autore
Eccomi
di nuovo dopo due settimane!
Lo
so, anche questo capitolo è stato incredibilmente lungo.
Il
fatto è che non mi andava di spezzare in due la prima vera grande battaglia
della storia.
In
realtà ho provato più volte a cercare un buon punto in cui fermarmi, senza però
riuscire alla fine a trovare un momento in cui non avessi la sensazione di
spezzare la narrazione.
Spero
che questo non abbia fatto scappare la maggior parte di voi.^^
Ringrazio
tutti quelli che leggono e recensiscono questa mia storia.
Capitolo 5 *** CAPITOLO 5 - LA CADUTA DEL CASTELLO ***
“Metti
cento leoni al comando di un cane
e moriranno come cani.”
CAPITOLO 5
LA CADUTA DEL CASTELLO
Quella sera al villaggio si scatenò
una festa come non se n’erano mai viste.
Tutti
ballavano, cantavano, bevevano e mangiavano, mentre nel buio della valle ancora
si intravedevano i pinnacoli di fumo prodotti dalle pire ormai estinte su cui
solo qualche ora prima avevamo bruciato i caduti.
Sembrava
quasi che la gioia per la vittoria avesse fatto già dimenticare a tutti il
massacro al quale erano sopravvissuti.
Ma
non ero troppo sorpreso.
Se
c’era una cosa che accomunava gli schiavi e i soldati era il doversi sempre
confrontare con la morte, al punto che ormai accettare e metabolizzare il lutto
era una cosa che la loro mente riusciva a fare con una facilità sconvolgente.
Quanto
a me, tra la marcia e tutto il resto, ero talmente stanco da non riuscire a
reggermi in piedi, così decisi di andare subito a dormire in un fienile.
Speravo
di concedermi giusto qualche ora di sonno per poi tornare a pianificare le
nostre prossime mosse, ma la mia prima, vera battaglia dopo tanti anni doveva
aver ridestato in me pensieri funesti.
Mi
ritrovai a camminare in una pianura brulla e oscura, immersa in una nebbia
spettrale, circondato da tombe e croci.
Mentre
cercavo di uscirne, eccolo apparire da dietro uno dei tumuli e fermarsi a poca
distanza da me.
Quel
cane.
Quel
maledetto cane!
Mi
fissava con quei suoi occhi scuri, uggiolando e mugolando in modo così
fastidioso da farmi scoppiare le orecchie, e per quanto cercassi di mandarlo
via non c’era verso che obbedisse. Quell’immagine mi aveva perseguitato per
tutta la vita, e ora era tornata per tormentarmi anche in questa.
Smettila.
Non guardarmi così. Non è stata colpa mia. Non avevo scelta. Vattene… Lasciami
stare. Lasciami in pace!
Uno
strattone mi riportò violentemente indietro nel mondo reale, e mai interruzione
di un breve momento di riposo fu più gradita.
«Daemon.»
«Scalia.»
«Va
tutto bene? Sei pallido e stai tremando, e ti sentivo parlare nel sonno.»
«Tranquilla,
non è niente. Solo un brutto sogno. Cosa c’è?»
«Passe
vuole parlarti. Dice che è molto importante. Pare abbiano catturato un
prigioniero, qualcuno che conta.»
«Arrivo
subito.»
Non
dico che non mi aspettassi ciò che stava per succedere, tuttavia non fui
eccessivamente sorpreso quando dopo essere entrato nella capanna che avevamo
destinato a quartier generale trovai ad accogliermi l’enigmatico e decisamente
irritante sorrisetto di Adrian.
«Era
ora. Non lo sai che il comandante non dovrebbe mai sottrarsi ai festeggiamenti
dopo una battaglia? Si dice che porti sfortuna.»
«Daemon!»
strillò Scalia snudando gli artigli e sfoderando le zanne «Lasciami uccidere
questo bastardo!»
«Calma,
Scalia.»
In
realtà io stesso non avevo mai deciso realmente cosa fare nel caso in cui mi
fossi trovato in quella situazione; per esperienza sapevo che quelli della
stessa pasta di Adrian erano capaci nello stesso giorno di guidare il tuo
esercito alla vittoria e di scannarti nel sonno.
E
io non avevo alcuna intenzione di accompagnarmi di nuovo a simili opportunisti
voltagabbana.
«Mia
sorella mi ha raccontato quello che le hai fatto. Dammi un solo motivo per cui
non dovrei sventrarti qui e adesso.»
«Avanti,
non ho fatto niente di così grave. Non l’ho nemmeno toccata, se così si può
dire. E comunque l’avevo capito subito che c’entravi qualcosa con tutta quella
storia. Avrei potuto dirlo a mio padre e mettervi tutti nei guai, e invece sono
stato zitto. Almeno questo me lo devi.»
Onestamente
mi ero sempre chiesto come avesse fatto uno con il suo acume a non intuire
qualcosa di poco chiaro nel modo in cui avevo fatto sparire Scalia da sotto il
suo naso, ma avevo preferito non indagare oltre convincendomi di essere
semplicemente riuscito a ingannarlo.
Ora
sapevo che la prima impressione che avevo avuto di lui era corretta, e la cosa
mi mandava in bestia: perché anche se mi disgustava, allo stesso tempo non
potevo fare a meno di ammirarlo.
«Dove
l’avete preso?»
«È
venuto lui da noi. Si è arreso alla nostra pattuglia nella valle assieme a
tutti i suoi uomini.»
«Quei
pochi che sono rimasti. Ammetto che non avevano mai visto una battaglia degna
di questo nome, ma mai mi sarei aspettato che qualcuno potesse spazzare via la
mia unità in modo tanto semplice.»
Sembrava
che Scalia dovesse saltargli addosso da un momento all’altro, così per tenerla
calma estrassi la spada puntandola contro di lui.
«Hai
a disposizione dieci parole per convincermi a non lasciarti qui in mano a mia
sorella.»
«Me
ne bastano cinque. Posso guidarti dentro il Castello.»
Da
che mondo è mondo ogni trattativa è fondata su di un confronto dialettico in
cui due o più contendenti mettono sul piatto un’offerta destinata ad ottenere
dalla parte avversa il maggior guadagno possibile con il minor sacrificio.
In
qualche modo sapevo che malgrado potesse sembrare il contrario stavolta ero io
a sedere sul piatto sbagliato della bilancia, una situazione irritante in cui
chiunque odierebbe ritrovarsi.
Per
prima cosa occorreva eliminare i fattori di disturbo.
«Lasciateci
soli.»
«Daemon,
ma…»
«Tranquilla
Scalia, andrà tutto bene. Fidati di me.»
Dovetti
insistere un po’, ma alla fine riuscii a convincerla.
«Io
resto qua fuori. Al minimo sentore che qualcosa non va, verrò personalmente a
strapparti quel sorrisetto dalla faccia.»
«Lo
terrò a mente.»
Così
restammo soli, anche se per qualche istante tutto quello che riuscimmo a fare
fu fissarci vicendevolmente negli occhi alla ricerca del minimo cenno di
esitazione.
«Immagino
tu sappia che il nostro scopo è prendere la testa del governatore e reclamare
il controllo di questa regione. Perché dovresti agire contro tuo padre?»
«Ho
smesso di considerare quell’essere immondo mio padre molto tempo fa. Fin da
quando ne ho memoria non ho mai provato altro che disgusto nei suoi confronti.
Gli sono rimasto vicino nella speranza che migliorasse, ma ora basta. Non
getterò via la mia vita per seguire quell’incapace nella tomba.»
Un
pensiero condivisibile; anche se credevo con tutto me stesso nella sacralità
dei rapporti famigliari non li davo certo per assoluti.
Il
rispetto dovrebbe sempre essere guadagnato, e di motivi per portargli rispetto Longinus non ne aveva neanche uno.
«Fingiamo
che io decida di ascoltarti. Di preciso come penseresti di farci entrare lì
dentro?»
Al
che Adrian richiamò la mia attenzione sulla mappa del Castello aperta sul
tavolo.
«Con
il più classico dei trucchi. Un passaggio segreto.»
«Non
sapevo ne esistesse uno.»
«Perché
nessuno si è mai preoccupato di cercarlo. L’ingresso è qui, ai piedi della
torre di sud-est.»
«E
tu come l’hai scoperto?»
«Se
ne faceva menzione in alcune vecchie cronache. Immagino tu sappia che il
Castello è stato costruito sopra ad un palazzo più antico risalente a prima
delle Guerre Sacre. Il passaggio attraversa le vecchie rovine, scivola sotto la
piazza d’armi e sbuca fuori proprio qui, nelle cantine del palazzo.»
Mi
colse un dubbio.
«E
se il Governatore lo usasse per scappare?»
«Lo
farebbe se sapesse della sua esistenza. Non credo che quel porco abbia mai
letto un libro in vita sua, e lo stesso vale per i suoi uomini.»
Quasi
che si aspettasse ciò che stavo per dire, nel momento in cui alzai lo sguardo
dalla mappa lo trovai già intento a fissarmi.
«Interessante
suggerimento. Ora che me l’hai dato però, cosa mi impedisce di dire a Scalia di
rientrare in questa stanza e lasciare che si occupi di te?»
«Buona
fortuna. Quel posto è un labirinto. Io ci ho impiegato dei mesi per trovare il
percorso giusto. Senza di me ti perderesti in due secondi.»
«Potrei
sempre occuparmi di te dopo aver sistemato tuo padre.»
«Potresti.
Ma non lo farai.»
«Perché
ne sei così convinto?»
«Per
lo stesso motivo per il quale hai salvato quel drago. Perché ti serviamo.»
Ammetto
che il modo in cui mi guardò mi fece quasi gelare il sangue.
«Smettiamola
con questa commedia. Puoi ingannare quella manica di ingenui, ma non certo me.
Non c’è niente di nobile o di buono in ciò che stai facendo. Quello che vuoi è
una sola cosa, ed è il potere. Beh, lo voglio anch’io. Ma l’ambizione di
entrambi sarà destinata a sfracellarsi contro quelle mura, a meno che non
decidiamo di collaborare.»
Malgrado
quello che dicevano i preti non avevo mai considerato l’ambizione un vizio, ma
quella di Adrian era quasi pari alla mia; era come se stessi guardando allo
specchio il me stesso dei tempi di La Fere, un giovane spaccone spregiudicato
pronto a qualsiasi cosa pur di raggiungere gli scopi che si era prefissato.
«Io
sono stufo, Daemon. Stufo di quegli arroganti incapaci dell’Impero che non
sarebbero in grado di amministrare nemmeno un porcile. E io ne ho abbastanza di
combattere contro un sistema che si rifiuta di progredire. Mio padre è uno dei
peggiori, ma di certo non è l’unico. Comunque vada a finire, dopo quanto
successo qui la sua reputazione è destinata a sgretolarsi, ma io non ho nessuna
intenzione di andare a fondo insieme a lui.»
«Non
ho mai sentito di un impero con due sovrani. E temo che Eirinn sia troppo
piccola per tutti e due.»
«Non
sono così ambizioso. E anche se sono consapevole delle mie capacità non mi
considero certo al tuo livello.»
«E
allora si può sapere che cosa vuoi in cambio del tuo aiuto?»
«Non
è ovvio? La mia parte di gloria nel mondo che vuoi costruire. Che tu lo voglia
o meno ciò che stai facendo qui è destinato a sconvolgere non solo l’Impero, ma
più probabilmente l’intera Erthea. E io non intendo perdermi il cambiamento più
epocale che questo mondo abbia mai visto. Non solo, voglio esserne parte.»
Quando
ci si imbarca in imprese disperate raramente ci si può concedere il lusso di
scegliersi i propri alleati, e io lo sapevo bene.
Adrian
poteva diventare la risorsa più importante e decisiva a mia disposizione, ma
non ero sicuro di poter gestire… un altro me.
«Il
tempo sta scadendo amico mio.» mi disse ghignando, e sapendo di avermi messo
all’angolo. «Ron sarà pure leale a mio padre fino
alla morte, ma non è uno stupido. A quest’ora avrà già ordinato al suo miglior
esploratore di correre a Baxos a chiedere rinforzi. E
a Baxos in questo momento ci sono sia la Terza che la
Nona Legione. Ci vorrà tempo, ma presto o tardi arriveranno qui dal valico a
nord per portare soccorso. Sicuro di poter perdere tempo impelagandoti in un
assedio al Castello?»
Alla
fine, inevitabilmente, strinsi quella mano: che altro avrei potuto fare?
Ma
mentire sarebbe inutile: lo ammiravo. Perché chiunque riesca a trasformare una
sconfitta rovinosa in una mezza vittoria con ogni mezzo, anche i più subdoli,
dal mio punto di vista è degno della massima considerazione.
Naturalmente
Scalia non fu per niente contenta di vederlo lasciare la stanza sulle sue
gambe, e lo fu ancora meno quando le dissi che tipo di accordo avevamo siglato.
«Daemon
ti prego, dimmi che non hai davvero intenzione di farlo.»
«Non
abbiamo scelta Scalia. Se quello che ci ha detto è vero presto arriveranno
altri rinforzi.»
«E
noi li sconfiggeremo, come abbiamo già fatto.»
«Forse.
Ma quanti dovrebbero morire per poterci riuscire?»
Lei
abbassò gli occhi, digrignando i denti per la frustrazione.
«Però…»
«A
volte occorre mettere da parte l’orgoglio sorella. So che quello che ti ha
fatto è imperdonabile, però non puoi non ammettere che Adrian potrebbe essere
una risorsa molto preziosa.»
«Dovresti
averlo capito, quel tipo è l’ambizione personificata. Chi ci assicura che non
ci tradirà alla prima occasione se le cose dovessero mettersi male?»
«Non
lo farà.»
«Come
puoi esserne così sicuro?»
«Perché
combattendo per noi otterrà qualcosa che non potrebbe avere da nessun’altra
parte.»
«E
cioè?»
«Un’intera
nazione nelle sue mani, da plasmare a suo piacimento.»
E
credimi, io so meglio di chiunque altro quanto grande sia la soddisfazione che
viene dal possedere un tale potere.
Scalia
non sembrava per niente convinta, ma ormai si fidava a tal punto di me che non
si sarebbe mai permessa di mettersi di traverso nelle mie decisioni.
«Dopodomani
arriveranno altri rinforzi da Dundee. Per stanotte i soldati possono fare
baldoria, ma a partire da domani dovranno iniziare a raggruppare le proprie
cose. Questa Rivoluzione finirà prima della prossima luna.»
Il Governatore Longinus
non aveva mai chiesto di essere inviato ad amministrare una regione così
problematica e remota come l’Eirinn.
Tutto
quello che voleva nel momento in cui aveva accettato la nomina era concludere
quanto prima i dieci anni di incarico per poi tornare a Maligrad
e riceverne uno migliore, magari a ovest, lì dove abbondavano pascoli verdi,
spiagge incontaminate e fiorenti città commerciali.
Ma
per guadagnarsi una nuova assegnazione di maggior prestigio doveva meritarsela,
così aveva fatto di tutto per assicurarsi che la situazione rimanesse
tranquilla.
Sotto
la sua amministrazione le miniere avevano aumentato considerevolmente la
produzione di metalli preziosi ed il reunionismo era
stato quasi completamente stroncato; poco importava, almeno per lui, che ciò
fosse stato possibile attraverso turni di lavoro massacranti per gli schiavi e
una lista interminabile di esecuzioni.
E
ora che il bubbone era scoppiato, vedeva tutto ciò in cui aveva sperato per il
suo futuro sgretolarsi come un cristallo.
Quando
aveva visto la leggendaria Quindicesima Legione tornare dalla battaglia quasi
dimezzata aveva capito che ormai tutto era perduto, e che quella storia avrebbe
macchiato inevitabilmente la sua reputazione.
Tutto
quello che poteva fare era limitare i danni e tentare di risolvere la
situazione il più velocemente possibile; e dato che l’ultima cosa di cui aveva
bisogno era che una banda di bifolchi se ne andassero in giro a raccontare come
lui e i suoi uomini si stessero facendo massacrare da un pugno di schiavi
ribelli il suo ordine era stato di blindare il Castello e chiudere tutti i
valichi ancora sotto il loro controllo, impedendo a chiunque di lasciare la
provincia.
Sperava
ancora di poter risolvere la situazione internamente per non compromettere
ancora di più il suo prestigio e poter ancora sperare nella benevolenza
dell’Imperatore, per questo non fu per nulla contento di sapere che il Generale
Ron, subito dopo essere tornato, aveva immediatamente
ordinato di andare a chiedere rinforzi a nord senza prima consultarsi con lui.
All’inizio
aveva protestando minacciando fuoco e fiamme, ma alla fine si era convinto che
una reputazione rovinata era comunque preferibile al rimetterci la pelle.
Ma
in ogni caso sapeva che per lui non ci sarebbe più stato un futuro nell’Impero.
«Non
avete nulla di che temere, Mio Signore.» disse il Generale durante il consueto
incontro di metà mattina nella sala delle udienze. «Il Castello è una fortezza
impenetrabile, non importa quanto Haselworth possa impegnarsi, e abbiamo ancora
forze più che sufficienti per difenderlo senza fatica.»
«E
se cominciano a usare quei maledetti cannoni?»
«Questa
fortezza è stata pensata proprio per resiste ai cannoni, e oltretutto i loro
sono piuttosto piccoli. Anche usandoli tutti insieme impiegherebbero settimane
per aprire una breccia. Conosco personalmente i Generali Plinio e Agrippa che
comandano la Terza e la Nona Legione, saranno certamente qui al massimo entro
dieci giorni.»
«Ci
sono notizie di mio figlio?»
«Purtroppo
Mio Signore, il Nobile Adrian risulta ancora disperso. La sua unità non ha più
dato notizie dopo che si è offerto di coprire la nostra ritirata formando una
linea difensiva all’uscita della valle. Dobbiamo presumere che sia morto.»
«Quell’idiota.
Si dava tante arie, e alla fine sono bastati un pugno di straccioni per fare a
brandelli i suoi sedicenti campioni.»
Se
solo ripensava al fatto che la notizia di quanto stava accadendo nella sua
provincia era destinata a raggiungere la capitale probabilmente nell’arco di
una settimana, Longinus si sentiva ribollire il
sangue dalla rabbia.
«Già
me li immagino i senatori e i consiglieri che ridono di me. L’Imperatore non
vorrà neanche più vedermi. Forse quando questa storia sarà finita farei meglio
a mollare tutto e a cercare fortuna altrove. Dicono che le coste di Connelly
siano splendide in autunno.»
L’improvviso
rimbombare della campana della fortezza preannunciò l’arrivo degli invasori,
così il Governatore e Longinus si portarono
immediatamente –per quanto Longinus ne fosse capace,
data la sua scarsa affinità con gli sforzi fisici– in cima alla torre
panoramica.
Preceduta
da squilli di trombe e da un vessillo bianco, rosso e blu fatto di stracci,
migliaia di soldati armati e vestiti nei modi più diversi fecero la loro
comparsa da oltre la collina a sud, disponendosi in formazione allargata e
fermandosi ad alcune centinaia di metri dal centro abitato, al di là della
portata di arcieri, balliste e altre armi d’assedio.
Ron
non dovette neanche fare ricorso alla sua vista affinata per notare il cavallo
bianco di Daemon nel cuore dello schieramento nemico; se ne stava lì, come se
avesse voluto mettersi in mostra, mezzo nascosto dietro un pesante mantello e
circondato da orchi, minotauri e altri colossi a fargli da scudo.
Vedendo
arrivare i ribelli gli abitanti della città si lanciarono naturalmente tutti
verso la fortezza, trovando però le porte presidiate dalla guarnigione e in
procinto di essere chiuse.
Gli
ordini erano chiari: nessun civile era ammesso all’interno del Castello, dato
che il poco cibo che si era riusciti a stoccare nei granai affamando migliaia
di persone bastava a malapena per i soldati.
E
non ci fu pietà per nessuno; qualcuno addirittura ci rimise la pelle nel
tentativo di mettersi in salvo oltre le mura sfidando le lance dei legionari.
Nel
mentre i ribelli avevano portato avanti le proprie armi d’assedio; il
Governatore e il Generale si aspettavano di veder comparire quei maledetti
cannoni pronti a scatenare una pioggia di proiettili contro le mura e
l’abitato, perciò rimasero un attimo basiti da ciò che si palesò davanti ai
loro occhi.
«Catapulte!?»
disse Longinus
«E
fatte di rottami e scarti di lavorazione, per di più. Devono averle assemblate
in tutta fretta. Ma che cosa pensano di farci? È impossibile che possano
colpirci da così lontano.»
«Forse
vogliono spaventarci spianando la città. Che facciano pure. Meno bifolchi di
cui doversi preoccupare.»
E
in effetti i ribelli lanciarono qualcosa, ma non quello che tutti si sarebbero
aspettati.
Un
urlo si sollevò tra i cittadini per le strade.
«Pane!
Ci stanno lanciando del pane!»
Ma
il peggio doveva ancora venire.
«Generale!
Mio Signore!» strillò un legionario apparendo in cima alla torre. «Assieme al
pane i ribelli stanno lanciando anche questi!» e passò si due un bigliettino.
Abitanti
del Castello!
Non
siamo vostri nemici.
Il
governatore e i suoi cani rabbiosi vi stanno affamando e vi usano come scudi
umani per proteggersi.
A
loro non importa niente della vostra vita.
Lasciate
il villaggio e venite verso di noi.
Non
vi sarà fatto alcun male.
I
vostri fratelli di Dundee e Basterwick sono pronti ad
accogliervi.
I
nostri soldati hanno l’ordine di non saccheggiare o rubare niente. Le vostre
case e i vostri averi non saranno toccati.
Il
comandante delle forze rivoluzionarie.
Daemon
Haselworth
«Brutto bastardo!» sbottò Longinus facendo a brandelli il foglietto «Sparate su
chiunque tenti di abbandonare il villaggio!»
Nessuno
dei legionari ancora a disposizione di Ron proveniva
da Eirinn; molti però avevano degli amici tra gli abitanti del villaggio,
qualcuno persino dei famigliari.
Pertanto
nel momento in cui un gran numero di civili scelse di rispondere all’invito
mettendosi a correre verso l’esercito nemico la maggior parte dei soldati non
se la sentì di obbedire, malgrado l’addestramento. Il risultato fu che nel
momento in cui alcuni altri iniziarono a mirare sui cittadini in fuga si
scatenò sui bastioni una mezza rivolta.
«A
quanto pare ha funzionato, si stanno accapigliando tra di loro.» disse Septimus
guardando nel cannocchiale che Daemon gli aveva prestato. «Speriamo solo che
non si accorgano che io non sono Daemon.»
«E
che quel damerino inquietante non ci abbia imbrogliato.» disse Passe, in piedi
accanto a lui. «Per me Daemon sta correndo un rischio inutile.»
«Per me stai correndo un rischio
inutile Daemon.» disse Scalia per la centesima volta. «Che bisogno c’era che
venissi anche tu?»
«Dobbiamo
proprio parlarne di nuovo?» rispose il giovane con un sospiro. «Ormai dovresti
averlo capito. Non sono certo il tipo di comandante che se ne sta al sicuro
dietro le linee aspettando che gli altri facciano il lavoro al suo posto. E poi
non mi andava di lasciarti da solo in compagnia di questo damerino.»
«Trovo
la tua mancanza di fiducia nei miei confronti profondamente offensiva.» replicò
platealmente Adrian. «Credevo di averti ampiamente dimostrato la mia
affidabilità.»
«Ne
riparleremo quando questa storia sarà finita.»
Con
i legionari che si azzuffavano tra di loro e la confusione che regnava al
villaggio raggiungere la base delle mura del Castello era stato un gioco da
ragazzi.
Vista
da lì la fortezza sembrava ancora più imponente e minacciosa, e Scalia non poté
non provare un po’ di sollievo al pensiero che sarebbero riusciti ad espugnarla
senza bisogno di dover scalare quei bastioni sotto una pioggia di frecce.
«Allora?
Dov’è questo passaggio segreto?»
«Proprio
qui.» disse Adrian tirando leggermente la testa di un gargoyle.
Ci
fu un leggero tremore, quindi una parte delle pietre del muro si abbassarono
rivelando l’ingresso di un tunnel.
«Prima
le signore.»
«Signore
un corno. Io non mi fido di te, se ancora non l’hai capito. Tu vai avanti per
primo. E se vedo anche solo l’ombra di un soldato lungo la strada…»
«Sì,
lo so. Mi affondi i denti nella gola.»
«Vedo
che hai capito.»
«Finitela
e andiamo, prima che qualcuno si accorga di noi.»
Adrian
usò la sua magia per evocare un globo di luce, quindi i tre si avventurarono
all’interno un attimo prima che l’ingresso si richiudesse alle loro spalle.
Per
un po’ camminarono lungo un corridoio scavato prima nelle mura e poi
direttamente nella terra, destreggiandosi tra stretti pertugi, strapiombi e
persino un fiume sotterraneo, fino ad arrivare dopo quasi un’ora in quelle che
sembravano le rovine di un antico edificio, talmente grande e maestoso da fare
impallidire persino quello in superficie e formare un vero e proprio labirinto.
«Mi
raccomando, non perdetemi mai di vista. Qui dentro ci si perde con una facilità
sconcertante.»
Bastava
guardare i corpi e gli scheletri riversi a terra o appoggiati alle pareti per
capire che Adrian non stava esagerando.
«Quindi
sono queste le rovine dell’antico palazzo. È molto più grande di quanto mi
aspettassi.»
«Le
cronache antiche parlano di un grande centro culturale che sarebbe esistito qui
più di mille anni fa. Probabilmente si trattava di una città santa dedicata a
qualcuno degli Antichi Dei.»
Daemon
si sentiva strano; per qualche motivo aveva la sensazione di essere già stato
in quei luoghi, il che era ovviamente impossibile. Ma nonostante ciò non
riusciva a non percepire qualcosa di familiare in quelle volte diroccate, i
muri cadenti e i mosaici ormai quasi completamente scomparsi.
«Ecco,
ci siamo.» disse Adrian quando giunsero ai piedi di una scala ricavata
direttamente nella roccia. «L’uscita è proprio qui sopra.»
Salirono
lungo la scala per diversi minuti, mentre alla roccia naturale andavano sostituendosi
gradualmente le fondamenta del Castello, fino ad arrivare davanti all’uscita
del passaggio segreto celata dietro a un muro.
Prima
di tirare la torcia che faceva da interruttore però, Adrian si girò a guardare
severamente i suoi compagni.
«Vi
avviso. Quello che vedrete potrebbe non piacervi.»
La
porta si aprì all’interno di una specie di prigione costituita da sei piccole
celle chiuse da delle grate di legno; la puzza era indescrivibile, ed il
terreno era ricoperto di paglia e strane piume colorate, lunghe e ispide.
Raccolta
una torcia Scalia illuminò l’interno di uno dei loculi, ma ciò che vide la
sconvolse al punto da lasciarla pietrificata.
Rannicchiate
nell’angolo più lontano dalle sbarre, tre giovani arpie poco più che bambine
giacevano più morte che vive su di una misera stuoia di paglia intrecciata,
circondate dalle proprie piume e coperte di sporcizia.
«Per
tutti gli dei! Ma è orribile!» disse Scalia quasi sul punto di piangere
«Purtroppo
mio padre va matto per le uova di arpia. Per parecchio tempo si è limitato a
comprarle, fino a quando non ha capito che era molto più economico
fabbricarsele in casa.»
Anche
le altre celle erano occupate allo stesso modo, come Daemon scoprì dopo averle
esaminate tutte; ma la cosa peggiore i due fratelli la videro nella sesta
cella, dove una singola arpia, a prima vista un po’ più giovane delle altre,
sedeva da sola circondata dai corpi senza vita delle sue due compagne morte di
stenti.
Se
negli occhi delle sue compagne non vi era altro che rassegnazione, in quelli di
quella ragazza bruciava ancora una piccola scintilla di vita, alimentata dalla
brace inesauribile dell’odio.
Quando
si avvide della presenza di un umano si scagliò urlando contro di lui, ma era
talmente debole e malconcia che malgrado gli artigli su mani e zampe non riuscì
neanche a scalfire le sbarre della cella.
«Attento
con quella. Il mese scorso ha strappato gli occhi ad una guardia.»
«E
allora perché è ancora viva?»
«Perché
per mio padre un uovo di arpia maggiore vale molto di più di una guardia
accecata. Quello che hanno fatto è stato uccidere le sue compagne e lasciarle
nella cella insieme a lei. Dopotutto tutti sanno che le arpie non si ammalano
anche se lasciate in mezzo ai cadaveri.»
Quella
poveretta era così malridotta che Daemon non si era nemmeno accorto che si
trattava di un’arpia maggiore, anche se i suoi lunghi capelli arancioni, ancora
capaci di scintillare come il sole al tramonto nonostante lo sporco che li
ricopriva, gli avevano fatto venire più di un sospetto al riguardo.
Adrian
si ritrovò la spada di Scalia puntata addosso prima di potersene accorgere.
«Dovrei
ammazzarti subito!»
«Calmati.»
rispose calmo il giovane. «Io non ho niente a che fare con tutto questo.»
«Però
lo sapevi! Sapevi che queste arpie erano qui!»
«E
che cosa avrei potuto fare? Da secoli le arpie hanno perso la capacità di
volare. Anche se avessi provato a farle fuggire pensi davvero che sarebbero
potute andare lontano? Se non altro qui sono…»
«Sono
cosa? Sono vive? Voi umani siete disgustosi! Secondo il vostro punto di vista
dovremmo esservi grati solo perché ci tenete in vita! Per molti di noi perfino
la morte sarebbe preferibile a questo!»
«Mi
credi davvero così amorale? Non sono un filantropo, ma persino io penso che
questo sia troppo.»
Daemon
nel mentre non aveva smesso un attimo di fissare la giovane arpia maggiore,
sostenendo con lei un silenzioso duello di sguardi in cui nessuno dei due
voleva soccombere.
«Come
ti chiami?»
La
ragazza rispose con uno sputo, che Daemon si tolse dalla guancia senza battere
ciglio o smettere di fissarla. Appoggiato su di un tavolo lì vicino c’erano gli
avanzi del pasto del guardiano.
«Hai
fame?» disse ancora Daemon, che non senza una certa dose di preoccupazione da
parte dei suoi compagni infilò la mano oltre le sbarre porgendole un pezzo di
pane.
Ancora
una volta l’arpia lo fissò con rabbia, sibilando e agitando nervosamente le
piume irsute e diradate, ma di uno splendido colore dorato.
Di
fronte all’impassibilità dell’umano che le stava di fronte l’arpia parve convincersi,
e strappato il pane dalla mano di Daemon lo divorò in pochi bocconi.
«Adesso
me lo dici il tuo nome?»
«Perché
ti interessa tanto?» rispose lei tornando a fissarlo. «Non sei altro che uno
sporco umano.»
«Serve
un motivo per voler sapere il nome di qualcuno?»
«…
Xylla.»
«Sei
un’arpia maggiore e porti un nome importante. Appartieni ad una famiglia
reale?»
«Che
importanza ha? La mia famiglia e tutto il mio popolo sono stati tutti uccisi.
Noi siamo le uniche rimaste. Ci tengono in vita solo per le nostre uova.»
«Se
questo destino ti disgusta tanto, perché non ti sei ancora uccisa?»
Al
che lei si scagliò nuovamente contro le sbarre, riuscendo stavolta ad
incrinarle.
«Credi
che non ci abbia pensato? Ma loro hanno detto che se lo avessimo fatto
avrebbero ucciso le nostre amiche! Il drago ha ragione, gli umani sono esseri
orribili! Dovreste morire tutti!»
Daemon
non si scompose, ma raccolto tutto il cibo che rimaneva dal tavolo lo gettò
all’interno delle celle sotto lo sguardo incredulo delle altre arpie.
«Per
adesso aspettate qui. Appena la situazione si sarà calmata manderemo qualcuno a
tirarvi fuori.» quindi si girò verso i suoi compagni. «Muoviamoci. Questa
storia è durata anche troppo.»
«È inaudito.» sbottò il governatore
sprofondando sul suo scranno nelle sala delle udienze. «Adesso i legionari si
ribellano agli ordini dei loro superiori? È per questo che l’Impero sta andando
in malora!»
Un
servo venne a portargli le solite due uova sode profumate al pepe verde di Maharadi, ottime per quando aveva bisogno di distendere i
nervi.
«Mi
sono occupato del problema, Mio Signore.» disse Ron.
«Ho fatto impiccare un paio dei soldati ribelli e ripristinato la disciplina.
Ora gli arcieri sparano su chiunque tenti di lasciare il villaggio, e infatti
le fughe per adesso si sono arrestate.»
«Credevo
che tu avessi il pieno controllo dei tuoi soldati. Quando questa storia sarà
finita non potrò fare a meno di segnalare la cosa a Sua Maestà.»
Il
Generale era consapevole che il Governatore avrebbe fatto di tutto per scaricare
su di lui tutte le colpe pur di salvare almeno in parte la sua reputazione, ma
questo non gli avrebbe impedito di fare fino in fondo il proprio dovere; il che
purtroppo passava anche dall’obbedire e piegare la testa davanti a quel
grassone buono a nulla.
Un
baccano fortissimo e improvviso proveniente da fuori fu il preludio alla
catastrofe.
«Che
sta succedendo?»
I
legionari di guardia alla stanza vennero letteralmente scaraventati contro il
portone, aprendolo con le proprie schiene e rovinando mezzi morti sul tappeto
di seta.
«Buongiorno,
Mio Signore. Felice di rivedervi dopo così tanto tempo.» disse beffardo Daemon
entrando nella stanza assiemea Scalia. «Generale Ron. Le ultime due
volte che ci siamo visti siete andato via così di fretta che non ho avuto il
tempo di salutarvi.»
«Maledetti!
Che ci fate voi qui? Guardie!»
«Non
sprecare il fiato, grassone!» disse Scalia «Nessuno verrà a salvarti!»
I
due legionari che accompagnavano Ron sfoderarono le
armi parandosi a difesa del Governatore e del loro comandante, ma Daemon non
ebbe pietà e li uccise entrambi con pochi colpi.
«Questo
è per tutti i miei amici che hai ucciso!» gridò quindi Scalia colpendo il
Generale con tale forza da tagliarlo quasi in due.
Rimase
solo un soldato semplice, che però vista la situazione non ci pensò due volte a
gettare la spada ed arrendersi.
Vedendo
crollare la sua ultima linea di difesa Longinus
rimase per un attimo attonito, salvo poi iniziare a tremare in modo
incontrollabile nel momento in cui vide Daemon camminare verso di lui con la
spada insanguinata.
«D’accordo,
avete vinto voi! La provincia è vostra! Tenetevela pure se volete, ma
lasciatemi andare!»
«Non
è così semplice, Governatore. Ci sono molte cose di cui dovete rispondere.»
«È
stato il Generale! Era lui che faceva tutto! Io ero solo un amministratore! E
comunque quello che facevo io qui lo fanno anche tutti gli altri!»
«Questo
non vi rende meno colpevole. Ma voi siete il Governatore, pertanto siete
responsabile di tutto quello che i servitori dell’Impero hanno fatto in vostro
nome per tutti questi anni.»
«Non
penserete mica di uccidermi? Sua Maestà non ve la farà passare liscia! Finirete
tutti scuoiati! Non osate toccarmi!»
I
due ormai erano faccia a faccia, e di fronte a quegli occhi di ghiaccio il
Governatore si sentì mancare completamente le gambe ritrovandosi da un momento
all’altro seduto per terra.
Quindi,
dalla porta ancora aperta entrò nella stanza qualcuno che Longinus
conosceva molto bene.
«Ben
ritrovato, Padre.»
«Adrian!
Sei vivo?»
«Vivo
e vegeto, e non certo per merito vostro.»
«Avanti.»
disse Daemon facendosi da parte. «Fai in fretta e chiudiamo questa storia.»
Adrian,
estratta la spada, si avvicinò al Governatore, che gattonò indietro fino a
ritrovarsi con la schiena appoggiata al muro.
«Che
stai facendo, figlio mio?»
«Le
mie scuse, padre. Vi ho dato molte occasioni per dimostrarmi che mi sbagliavo
sul vostro conto. Ma d'altronde lo sterco non potrà mai diventare un diamante,
per quanto ci si provi.»
«Adrian!
Non puoi farlo!»
«Il
valore di un uomo si misura dalla sua ambizione. Sono parole vostre. E
purtroppo per voi, la mia è troppo grande per perdere altro tempo dietro ad un
fallito quale voi siete. Perciò addio, padre. Il piacere è stato tutto vostro.»
Subito
dopo, un urlo straziante riecheggiò in tutto il Castello.
All’esterno del Castello si era nel
mentre venuta a creare una situazione surreale, con i ribelli da una parte, la
guarnigione dall’altra, e gli abitanti nel mezzo.
Sembrava
la calma che precede la tempesta, e nessuno nei tre gruppi osava fare una mossa
nel timore di far precipitare tutto e dare inizio ad un assalto che non avrebbe
risparmiato nessuno.
Poi,
una voce si alzò tra gli assediati.
«Non
ci posso credere! Guardate lassù!»
Da
un momento all’altro la bandiera del leone dorato in cima alla torre principale
era stata ammainata, e al suo posto sventolava ora un vessillo di stracci
rosso, bianco e blu che molti soldati già conoscevano.
Ovviamente
la cosa non passò inosservata neanche ai ribelli.
«Ce
l’hanno fatta!» esclamò Septimus. «Hanno preso il Castello!»
Di
lì a breve Daemon, Scalia e Adrian uscirono nel piazzale sotto gli sguardi
attoniti dei legionari, recando in mano due sacchi insanguinati.
«Il
Governatore e il Generale sono morti!» esclamò Daemon esibendo i loro macabri
trofei. «La provincia è nostra! Gettate le armi, arrendetevi, e sarete tutti
risparmiati!»
Quasi
che non aspettassero altro quasi tutti i legionari obbedirono subito
all’intimazione ricevuta, chi con evidente sollievo, chi semplicemente con
dolorosa rassegnazione di fronte alla consapevolezza di come fosse ormai futile
tentare di resistere ulteriormente.
Alla
vista dei vessilli della Quindicesima Legione che scomparivano dai bastioni un
singolo, rimbombante urlo di vittoria si alzò tra le fila dei ribelli.
«Ce
l’abbiamo fatta! – Abbiamo vinto! – Lunga vita a Daemon!»
«Allora
è vero.» disse Scalia come se non riuscisse a crederci. «Abbiamo vinto. È
davvero finita.»
«No,
Scalia.» disse severamente Daemon. «Tutt’altro. Questo è solamente l’inizio.»
Nota
dell’Autore
Salve
a tutti!
E
alla fine ci siamo.
La
Rivoluzione è vittoriosa.
Ma
come ha detto Daemon questo è solo l’inizio, e la strada che porta all’unificazione
di Erthea e alla sconfitta del Re dei Demoni è ancora molto lunga.
Ho
voluto condensare tutti questi eventi in un solo capitolo per non spezzare la
narrazione, e vi preannuncio fin da ora che anche l’epilogo sarà piuttosto
lungo.
Poi,
a Dio piacendo, dovrei tornare a capitoli dalla lunghezza più umana.
La Taverna del Gufo era il ritrovo
per avventurieri più frequentato a nord e a sud del confine, quindi era
abbastanza normale trovare al suo interno individui provenienti dai più remoti
angoli di Erthea.
Nonostante
ciò il viandante che quella sera aveva varcato le porte del locale era
abbastanza particolare da attirare per un attimo su di sé l’attenzione di tutti
gli avventori, che gli rivolsero brevi sguardi indagatori per poi tornare a
farsi ognuno gli affari propri.
Essere
avventuriero voleva dire avere molto spesso una taglia sulla testa o qualcosa
da nascondere, e il fatto che quel tipo celasse il proprio volto dietro ad una
maschera di legno laccato era abbastanza per ritenere che non volesse essere
riconosciuto.
Il
nuovo venuto si guardò attorno come se stesse cercando qualcuno, fino a quando
il suo sguardo non incrociò quello di un’elfa in armatura con i lunghi capelli
neri raccolti dietro la nuca seduta ad un tavolo appartato in compagnia di
altri tre avventori – rispettivamente un mezzo orco, probabilmente Jormen e due
umani, una maga e un esploratore – che gli fece un cenno con le mano.
«Sei
in ritardo.»
«Avete
dato un’occhiata fuori? Questo posto è un macello. Prima l’epidemia, e ora
questa rivoluzione, come la chiamano. Una volta Basterwick era un posto
tranquillo.»
«Non
lamentarti. Anche noi non ce l’aspettavamo.»
«Tu
devi essere Sadee.»
«E
tu? Non ricordo di aver mai sentito il tuo nome.»
«Jonah.»
«Sei
un cacciatore di taglie?»
«Cacciatore
di taglie, sicario, mercenario, a seconda del momento. Oggi però, a quanto mi è
parso di capire, sarò un cacciatore di tesori.»
«Capo.»
disse l’orco. «Sarà il caso di fidarsi di questo tizio?»
«Musk
ha ragione.» disse la maga. «I toriani sono il genere di persone che un attimo
ti sono amiche, e quello dopo ti pugnalano alle spalle.»
«Ne
abbiamo già parlato Dahlia. Ci serve una persona che conosca questa regione ma
che non sia originaria di Eirinn. Dicono che il nuovo sovrano sia alla ricerca
di ogni moneta d’oro su cui riesce ad arrivare, e non ho alcuna intenzione di
spartire con lui il nostro bottino.»
«Sei
piuttosto venale per essere un elfo.»
«Ho
lasciato quella vita tempo fa. Ora sono solo un’altra mercenaria, e puoi
credermi se ti dico che ciò che abbiamo per le mani è abbastanza per sistemarci
tutti per il resto della vita.»
«Sono
tutt’orecchie.»
«Hai
mai sentito parlare del Mago Folle?»
Al
che Jonah fece spallucce, sbuffando con evidente disappunto.
«E
mi avete fatto venire fin qui per raccontarmi una favoletta per bambini? Ora me
ne vado.»
«Aspetta,
non così in fretta.»
«Persino
io che non mi interesso di queste cose conosco la leggenda. Il Mago Folle
favorito dell’imperatore Ademar Quarto che si sarebbe fatto intombare in una
cripta con tutto il suo tesoro. Potrei farvi i nomi di almeno una dozzina tra
avventurieri e ricercatori che ci hanno sprecato la vita nel cercare la tomba.
Ma come ho detto, è solo una leggenda.»
«Ti
sbagli. La cripta esiste. E noi sappiamo dove si trova.»
Gli
occhi di Jonah erano nascosti dalla maschera, ma Sadee fu certa di notare un
barlume d’interesse nel suo interlocutore.
«Di
preciso cosa sai che gli altri non sanno?»
I
quattro avventurieri si guardarono un attimo tra di loro, quindi Dahlia prese
fuori una vecchia pergamena aprendola sul tavolo.
«Abbiamo
comprato questa mappa da un trafficante del posto, un maiale di nome Borg.»
disse la maga «A prima vista sembra solo una cartina della regione, ma…»
Bastò
un cenno della mano ed un pizzico di magia, ed ecco apparire dal nulla linee,
scritte e simboli prima invisibili che davano tutto un altro senso
all’immagine.
«Vedi
questo simbolo? È un vecchio palazzo a sud di qui, nel cuore della foresta.»
disse Sadee. «La leggenda dice che appartenesse al Mago Folle. È stato
difficile tradurre l’intero codice, ma ora sappiamo con certezza che la cripta
è proprio lì sotto, e che l’ingresso si trova da qualche parte tra le rovine
del palazzo.»
«Come
fate ad essere sicuri che non sia un falso? Quel Borg non ha certo fama di
persona onesta.»
«Ci
hai presi per stupidi?» disse l’arciere. «Sappiamo riconoscere un codice antico
quando lo vediamo. Questo dialetto non lo usa più nessuno da almeno duecento
anni.»
«Gaston
ha ragione. Non siamo riusciti a tradurre l’intero testo, ma le parti più
importanti le abbiamo capite. La cripta e il tesoro sono lì sotto, senza alcun
dubbio.»
Jonah
temporeggiò, come se non fosse ancora del tutto convinto, prendendosi del tempo
per esaminare a sua volta il documento.
«Mettiamo
il caso che questa storia sia vera. Sembrate tutti e quattro tipi in gamba e
che sanno badare a sé stessi. A che cosa vi servo io?»
«Il
Mago Folle non si sarà certo guadagnato questo soprannome per caso.» disse
l’orco. «Chissà che razza di diavolerie magiche avrà messo là sotto a fare la
guardia al suo tesoro. Un paio di braccia in più non possono far male.»
«Questo
è l’accordo. Tu ci aiuti a raggiungere il tesoro, e poi divideremo il tutto in
parti uguali. Ci stai?»
Ci
fu un breve attimo di silenzio, quindi Jonah si sistemò meglio la maschera sul
viso.
«Ci
sto. Quando cominciamo?»
«Immediatamente.»
sorrise l’elfa. «Oste! Il conto!»
Sotto una pioggia scrosciante, i
cinque avventurieri percorsero a cavallo le circa trenta miglia che separavano
Basterwick dalle antiche rovine nella foresta.
Effettivamente
giravano voci molto brutte su quel posto; i contadini e i pastori della zona
evitavano di passarci vicino, e i bambini venivano scoraggiati dai genitori ad
andare a giocarci con storie spaventose di fantasmi e apparizioni demoniache.
Del
vecchio e sontuoso palazzo non rimanevano ormai che poche rovine fatiscenti, ma
bastava guardare i muri crollati, le colonne spezzate e i pavimenti di marmo
coperti di muschio per capire che una volta doveva essere stato un edificio
degno di un re.
«Maledetta
pioggia!» protestò Musk strizzandosi il mantello. «Ma esiste il sole in questo
maledetto Paese?»
«Ma
non dicono tutti che a Jormen piove sempre?» scherzò Gaston
«E
secondo te perché alla fine me ne sono andato?»
«A
voi orchi piace vivere sottoterra, no? Quando avremo messo le mani su questo
tesoro potrai farti costruire un palazzo di pietra così profondo da dimenticare
persino come sia fatto il cielo.»
«Non
corriamo, prima dobbiamo trovare l’entrata.» disse Sadee
«Credo
di averla già trovata.»
Jonah
richiamò quindi l’attenzione di tutti su dei solchi nel pavimento in cui la
pioggia, infilandosi all’interno, produceva un chiaro rumore di gocciolio.
«Qui
c’è sicuramente qualcosa.»
Musk
provò a colpire il suolo con la sua ascia, ottenendo però solo di venire
scaraventato via da una specie di barriera.
«Sprechi
il tuo tempo, testone di uno Jormen.» disse Dahlia. «Questa è una barriera
magica di livello quattro. Neanche lo stregone di corte sarebbe capace di
scioglierla.»
«Dovevamo
aspettarcelo che non sarebbe stato facile. Avanti, guardiamoci intorno. Forse
c’è un modo per riuscire ad entrare.»
I
cinque si misero quindi alla ricerca di qualche indizio, ma dopo alcune ore
spese a guardarsi in giro non venne trovato alcun ingresso secondario o
indicazioni su come riuscire a infrangere lo scudo magico.
Ad
un certo punto Gaston notò una piccola cappella votiva, scoprendo una volta
tolti i rampicanti che la stritolavano una piccola statua di ossidiana che il
tempo non era riuscito a scalfire.
«Dite
che possa avere un qualche valore?»
«Questa
è Lea.» disse Jonah. «La dea della creazione.»
«Quindi
sarebbe uno degli Antichi Dei?» disse Sadee
«Allora
il nostro mago non era solo folle, era anche un eretico.» scherzò Dahlia.
«Questo tipo mi piace sempre di più.»
Gaston
cercò di recuperare il suo bottino, solo per scoprire che era collegato al
piedistallo con una catena; nel momento in cui la tirò, un rumore secco e
violento giunse dall’ingresso della cripta.
«Avete
sentito?» disse Musk
«Sembrava
un chiavistello. Forse abbiamo azionato una serratura.»
La
porta però era ancora chiusa, quindi tutti dedussero che dovevano esserci altre
statue simili che aprivano le restanti serrature ed iniziarono a cercarle.
Ancora
una volta fu Gaston con il suo sesto senso da ladro a trovarne un’altra per
primo, e prima che Jonah potesse intimargli di aspettare si affrettò a tirarla.
Stavolta
però, invece del rumore di un chiavistello, si udì un fortissimo fischio,
seguito dalla comparsa sul terreno di un gran numero di cerchi magici da cui
iniziarono ad uscire eserciti di piccoli demoni alati che subito si scagliarono
sui cinque avventurieri.
«Dannazione
Gaston, perché non pensi mai prima di agire?» strillò Sadee mulinando in giro
la spada.
Servirono
parecchi minuti e molta fatica per riuscire a sconfiggere quelle creature tanto
piccole quanto pericolose, tanto che una volta terminata la battaglia Dahlia
dovette usare una magia curativa su tutti i suoi compagni per permettere loro
di riprendere fiato.
Ma
non per Jonah.
«Non
scherzavano quando dicevano che eri bravo a menare le mani.» disse Musk. «Hai
macellato una ventina di quegli esseri immondi e sei ancora fresco come una rosa.»
«Ho
accumulato un bel po’ di ore sui campi di battaglia. Ma eviterei di ripetere
l’esperienza se possibile.»
«Forse
ci sbagliavamo sul fatto che potesse essere questa la strada giusta per aprire
la cripta.» ipotizzò Sadee
«No,
io non credo. Anzitutto, cerchiamo di trovare tutte le altre statue.»
Ci
volle molta pazienza, ma alla fine i cinque riuscirono a trovare altre sei
icone in altrettante cappelle votive, tutte più o meno a uguale distanza
dall’ingresso della cripta e tutte perfettamente conservate.
«Otto
icone per otto chiavistelli.» disse Musk «Qualcuno ha idea di quale sia l’ordine
giusto con cui azionarli?»
«Non
chiederlo a me.»
«Bella
maga che sei.» bofonchiò Gaston. «Questa dovrebbe essere roba tua.»
«Ti
sei scordato che ho studiato al Circolo di Parn, e che tecnicamente sarei una
chierica? Sono pazza, ma non fino al punto da mettermi a studiare gli Antichi
Dei. Vuoi forse vedermi finire al rogo? Se vuoi saperne qualcosa perché non
chiedi a Musk. Gli Antichi Dei dovrebbero essere roba sua.»
«Ma
falla finita. Sarò anche diventato uno Jormen, ma l’unico motivo per cui andavo
ai loro riti pagani era perché dopo potevo mangiare quanto volevo.»
«Finitela
voi tre, e cerchiamo di venirne a capo.» disse Sadee. «Jonah, tu hai qualche
idea?»
Il
toriano si era annotato i nomi di tutti gli dei rappresentati in quelle effigi,
ed era intento a studiarli attentamente alla luce di una torcia.
«La
prima statua che abbiamo tirato era Lea. La seconda, che però ha fatto scattare
la trappola, era Ezwin. Gli altri dei raffigurati sono Kalya, Zante, Hati,
Myrra, Tichern e Samael.»
Dopo
un lungo riflettere, e senza dire una parola, Jonah tornò alla prima statua,
che tirata fece nuovamente scattare il chiavistello aprendo la prima serratura.
«Tu,
ladruncolo. Tira quella statua lì.»
«Chi
hai chiamato ladruncolo, razza di…»
«Finiscila
e fa come dice.»
«Ma…»
«Non
farmelo ripetere.»
Grugnendo
di rabbia Gaston obbedì, tirando non senza timore l’effige di Zante. Passarono
pochi istanti carichi di tensione, che si disperse in un sospiro di sollievo
collettivo nel momento in cui tutti sentirono scattare la seconda serratura.
«Come
hai fatto a indovinare?» chiese Dahlia
«Non
mi è servito indovinare. Ognuno di questi dei è il padre o la madre di uno
degli altri. Secondo la mitologia Lea, dea della creazione, partorì i tre dei
progenitori unendosi all’universo da lei creato. Uno di loro era Zante, il dio
della terra, che creò gli esseri umani scolpendoli dalla pietra. Zante si unì
alla sorella Tiama, dea del sole, e dalla loro unione nacque il dio della
cielo, Hati. Hati era il padre di Nama, la dea del mare, che a sua volta era
madre di Ezwin, il dio delle tempeste. Ezwin rapì la principessa mortale Epheya
e dalla loro unione nacque il dio della luna, Tichern. Tichern infine generò
Kalya, dea della giustizia.»
Seguendo
le sue istruzioni Sadee e gli altri tirarono le statue nell’ordine indicato, e
uno dopo l’altro sei degli otto chiavistelli si aprirono senza incidenti.
«Ritiro
tutto quello che pensavo su di te.» disse soddisfatto Gaston. «Altre due e il
gioco è fatto.»
«Mi
piacerebbe, ma c’è un problema. Myrra e Samael erano entrambi figlia di Kalya,
ed erano gemelli.»
«Quindi
la prossima statua della combinazione potrebbe essere una qualsiasi delle due.»
«E
c’è di peggio. Samael era il dio del caos e della distruzione. Non mi stupirei
se tirando la sua statua senza che sia quella giusta provocassimo qualcosa di
ben peggiore della comparsa di qualche demone magico.»
«Non
c’è nessun indizio che possa aiutarci a capire?» chiese Dahlia
Jonah
si prese del tempo per riflettere; poi, come se stesse scegliendo a caso, tirò
la statua di Myrra.
«Ha
funzionato!» strillò Gaston sentendo per primo il chiavistello scattare
A
quel punto bastò tirare l’ultima statua rimasta e la botola nel pavimento
finalmente si aprì rivelando la scala d’accesso alla cripta.
«Ma
come hai fatto a indovinare?» domandò Musk
«La
prima dea della combinazione era la dea della creazione. Ho pensato che chi ha
creato l’enigma avrebbe trovato appropriato che il dio della distruzione fosse
all’estremità opposta.»
«Ben
fatto.» disse Sadee. «Andiamo ragazzi, c’è un tesoro che ci aspetta.»
L’interno sembrava un’estensione del
palazzo soprastante piuttosto che una tomba.
Ovunque
i cinque avventurieri andassero era un susseguirsi ininterrotto di grandi
saloni, corridoi a volta e persino dei giardini sotterranei tenuti in vita
nonostante il buio e la mancanza di nutrimento da chissà quale incantesimo.
Tutto
era illuminato da globi magici che proiettavano una pallida luce azzurra, troppo
tenue per poter fare a meno delle torce ma forte quanto bastava per poter avere
un’idea di ciò che si aveva intorno.
«Non
mi sorprende che il Mago Folle sia tanto famoso.» disse Dahlia. «Per creare e
tenere in vita giardini simili doveva possedere conoscenze magiche mai viste
prima.»
In
un posto simile era facile perdersi, ma da buon appartenente al popolo Jormen
che aveva navigato in tutti i mari di Erthea Musk sapeva orientarsi in un
sotterraneo come un cervo nella foresta e riuscì a non perdere mai
l’orientamento.
Mentre
attraversavano un largo corridoio che a dare retta alla pergamena avrebbe
dovuto condurre in un ampio anticamera da cui si aveva accesso alla stanza del
sarcofago però, Gaston ebbe una strana sensazione.
«Aspettate.»
disse intimando a tutti di fermarsi. «Qui ci sono delle trappole.»
L’arciere
poggiò una mano sul pavimento e chiuse gli occhi, quasi che stesse cercando di
percepire le vibrazioni del terreno creando così una mappa dettagliata nella
sua mente. Quindi, dopo qualche minuto speso senza muovere un muscolo, scagliò
una raffica di frecce in vari punti della stanza, rivelando e facendo scattare
senza danno una dopo l’altra una raffica di dardi e un getto di fuoco dal muro,
un incantesimo congelante e due diverse fosse piene di lance appuntite.
«Ecco
fatto. Ora possiamo proseguire.»
«Sono
davvero senza parole.» commentò Jonah. «Allora ogni tanto la sai usare la testa
dopotutto.»
«Gaston
si è addestrato nella migliore gilda dei ladri di Connelly.» disse Sadee con
evidente ammirazione. «Fiutare trappole e pericoli per lui è una cosa da
niente.»
L’esplorazione
a quel punto poté proseguire, ma ciò che i cinque avventurieri trovarono una
volta entrati nell’enorme sala quadrangolare al termine del corridoio fu tale
da lasciare tutti loro sgomenti e atterriti per l’orrore.
Allineate
lungo i musi laterali e contornate di affreschi si stagliavano una infinità di
bare aperte al cui interno trovavano posto decine e decine di mummie;
indossavano abiti da stregoni ridotti a stracci cadenti o vecchissime e ormai
quasi del tutto arrugginite armature imperiali, ma ciò che più lasciava
sconvolti erano le loro espressioni che sapevano di agonia e puro terrore.
Al
centro della stanza, come un idolo pagano dei tempi antichi, stava una grande
statua raffigurante il Mago Folle con in mano il suo famoso scettro fatto di
ossa di drago, alzato verso l’alto come a chiamare un incantesimo.
«In
nome di Gaia, che accidenti di posto è questo?» disse Gaston.
Per
capirlo bastò analizzare gli affreschi, dai quali si poté dedurre che si
trattava dei discepoli e della guardia personale del padrone di casa. E a
giudicare dalla storia che raccontavano quelle immagini appariva evidente che
non erano finiti in quelle casse di loro volontà… né da morti.
«Al
tempo degli Antichi Dei era abbastanza normale che i maghi più potenti si
facessero seppellire assieme ai loro discepoli e a tutto il loro seguito.»
spiegò Jonah con una calma glaciale. «Probabilmente sono stati paralizzati con
la magia, messi nelle bare, e lasciati qui a morire di stenti.»
«Qui
non si può parlare più di semplice follia.» disse sconvolto Musk. «Questo tizio
era completamente fuori di testa!»
«Questo
posto mi da i brividi.» disse Gaston. «Troviamo questo maledetto tesoro,
prendiamolo e andiamocene di qui.»
Cominciarono
quindi a camminare in direzione dell’arco dall’altro lato della stanza, ma se
tutti non vedevano l’ora di lasciare quel luogo così macabro, evitando perfino
di non guardarsi attorno per non dover incrociare il volti spaventosi delle
mummie, Dahlia percepiva chiaramente nell’aria qualcosa di minaccioso.
«Sento
una strana energia qui dentro. Sbrighiamoci ad uscire.»
Erano
praticamente arrivati dall’altra parte quando, precedute da un fischio,
barriere magiche simili a quella che proteggeva l’ingresso della tomba
apparvero all’entrata e all’uscita della stanza, bloccando la strada ai cinque
avventurieri e chiudendo nello stesso tempo ogni possibile via di fuga.
«Me
lo sentivo che non poteva essere così facile.» disse Sadee. «State in guardia,
ragazzi.»
Infatti
era solo l’inizio.
Prima
il bastone della statua del mago iniziò a brillare, quindi quella luce si
propagò in ogni direzione attraverso il pavimento come un’onda, avvolgendo le
mummie che iniziarono a risvegliarsi.
«Fantastico,
ci mancava anche la negromanzia.» disse Dahlia sfoderando il suo scettro.
«Non
credo sianegromanzia.» rispose Jonah.
«Le cronache dicono che il Mago Folle è colui che ha creato e perfezionato il
bind.»
«Quindi
questi esseri sarebbero mossi dalle pietre del servo?»
Per
accertarsene Dahlia lanciò un incantesimo rivelatore, ed effettivamente sul
collo di ogni mummia comparve un nucleo luminoso.
«Ha
ragione. Quelle sono sicuramente vecchie pietre del servo.»
«Buono
a sapersi.» disse Musk sfoderando l’ascia «Quindi basterà distruggerle per
rimandare questi simpaticoni nel mondo dei morti. Avanti gente, è ora di
picchiare duro!»
Lui,
Sadee e Jonah si lanciarono all’attacco, mentre Dahlia e Gaston rimasero in
copertura fornendo supporto a colpi di dardi e magie.
Essendo
pietre molto vecchie bastava un colpo ben assestato per distruggerle e rendere
le mummie inoffensive, ma queste non avevano certo intenzione di cadere senza
combattere e nonostante fossero armate di armi spuntate o rotte attaccavano con
tutta la loro forza contando soprattutto sul numero.
La
stessa magia che li faceva muovere permetteva anche agli stregoni tra le mummie
di usare degli incantesimi elementari, e anche se Sadee e i suoi compagni erano
abituati a confrontarsi con la magia l’inferiorità numerica rendeva il tutto
più difficile.
Per
loro fortuna potevano contare su Jonah, che ancora una volta diede prova di una
straordinaria abilità prima come schermidore e poi, recuperato l’arco di un
nemico distrutto, anche come arciere, trapassando pietre del servo una dietro
l’altra con precisione sconvolgente.
Alla
fine, una dopo l’altra, quasi tutte le mummie caddero sconfitte, e una volta
che Musk ebbe distrutto con un poderoso colpo d’ascia la statua del mago
facendone un moncone spaccato, anche le ultime rimaste tornarono al loro sonno
eterno.
«Bisogna
essere proprio malati per farsi venire in mente una cosa del genere.» disse
l’orco dinnanzi al macabro spettacolo del pavimento ricoperto di cadaveri fatti
a pezzi. «Non sono più tanto sicuro di voler mettere le mani su un tesoro
appartenuto a un tipo simile.»
«Non
scherziamo.» replicò Gaston «Con tutto quello che stiamo passando non se ne
parla neanche di tornare indietro a mani vuote.»
La
distruzione della statua aveva comportato la scomparsa anche della barriera,
quindi l’esplorazione poté proseguire.
I
cinque avanzarono lungo un ennesimo corridoio, l’ultimo stando alla mappa, in
fondo al quale trovarono ad attenderli un robusto portone di pietra chiuso da
un sigillo di bronzo e due lucchetti magici.
«Ci
siamo.» disse Sadee. «Questa dovrebbe essere la stanza del sarcofago. Il tesoro
del mago sarà sicuramente qui dentro.»
Sulla
porta era anche incisa un’iscrizione, che Jonah lesse ad alta voce.
«Così come questa tomba ha nascosto le mie
ricchezze agli occhi del mondo, così possa il velo dell’oblio celare il mio
lascito agli occhi degli uomini.»
Dahlia
impiegò meno di dieci secondi a rimuovere i sigilli magici, e quando Musk ebbe
mandato in frantumi anche quello fisico venne finalmente il momento di aprire.
Un
bagliore sfolgorante illuminò i volti dei cinque avventurieri prima ancora che
potessero spalancare completamente le porte, e quando furono all’interno ciò
che si videro comparire davanti non può essere descritto con parole umane.
Non
era un tesoro, era il tesoro.
Il
tesoro che ogni avventuriero sogna di trovare in vita sua.
Una
stanza enorme, grande quasi quanto la precedente, letteralmente traboccante di
monete d’oro, statue in avorio, pietre preziose, gioielli e monili, manufatti
magici e armi ornamentali. Persino le pareti erano coperti da mosaici in oro e
gemme che narravano la vita del mago, mentre quattro enormi statue dorate
svettavano agli angoli della camera, come silenziosi guardiani posti a
protezione del tesoro e del sarcofago del mago.
Del
sarcofago in questione, però, non vi era traccia, forse perché sepolto sotto
qualcuna di quelle collinette d’oro.
«Ditemi
che non sto sognando.» disse Dahlia
«Non
ho mai visto niente del genere.» disse Musk
«L’abbiamo
trovato.» disse Sadee. «Il tesoro del Mago Folle.»
Gaston
si lanciò sul cumulo più vicino, tuffandocisi dentro e facendosi piovere monete
addosso urlando di gioia.
«Ci
serviranno dieci carri per portare via tutto! Mi farò costruire un palazzo
degno dell’imperatore, mangerò carne e dolci tutti i giorni e mi farò servire
da tutte le più belle ragazze del mondo! Addio a questa vita schifosa!»
Un
improvviso tremolio del terreno interruppe troppo presto quel momento di gioia.
«Cos’è?»
chiese Sadee. «Un terremoto?»
Purtroppo
era qualcosa di molto peggio, e tutti lo capirono nel momento in cui si
accorsero che quel tremore era stato provocato dal piede di una delle statue
guardiane mossosi in avanti.
Come
il guscio di un uovo che scoppia, il rivestimento dorato che avvolgeva i
quattro guardiani si sbriciolò mentre questi iniziavano inspiegabilmente a
muoversi.
«Non
sono statue!» strillò Dahlia. «Sono golem!»
«Com’è
possibile? Credevo che l’incantesimo per la creazione dei golem fosse andato
perduto secoli fa!»
Gaston,
ancora immerso nella sua personale piscina d’oro, venne quasi schiacciato come
una formica da uno dei colossi, e prima che potessero anche solo pensare di
fare qualcosa Sadee e gli altri si ritrovarono circondati.
Si
armarono, ma sapevano di non avere speranze contro quei bestioni, e visto che
uno di loro si era piazzato proprio davanti all’uscita il loro destino era
ormai segnato.
Quale
funesta ironia; condannati a morire ad un passo dal realizzare la loro più
grande impresa. Questa era la vita, e la condanna, di un avventuriero.
«Beh…»
disse Musk mentre uno dei golem caricava il pugno. «Almeno ci abbiamo provato.»
Non
sarebbero caduti senza combattere, ma sarebbe stato solo per una questione
d’onore.
Sadee
era pronta ad immolarsi per prima dinnanzi a quel braccio di pietra pronto a
colpire, quando una voce imperiosa si alzò dal gruppo.
«Grashin tabrak Heyvring tyrgal kanut!»
Il
golem arrestò il pugno quando questi era quasi sul punto di travolgere l’elfa,
e per un attimo la coppia di pietre magiche che gli facevano da occhi
brillarono di una luce particolare prima che lui e i suoi compagni tornassero
ad essere, a prima vista, nient’altro che semplici statue.
«Ma
cosa…»
Jonah
emerse lentamente dal centro del gruppo e mosse verso le statue, che
abbassarono lo sguardo verso di lui come a porgergli omaggio.
«Ma
come hai fatto?»
«Possa Heyvring chiudere il mio cuore nel suo
forziere. C’era un’altra frase incisa sulla porta, una sorta di monito. Solo il penitente devoto potrà ottenere il
perdono di Heyvring. Heyvring era l’Antico Dio dei segreti, e secondo la
mitologia fu lui ad insegnare agli umani come creare i golem. La frase che ho
pronunciato era l’atto di sottomissione che ogni fedele doveva recitare
entrando in uno dei suoi templi.»
«Avresti
anche potuto dircelo prima.» protestò Gaston
«Suppongo
che ti dobbiamo la vita.» disse Sadee. «Se non fosse stato per te dubito che
saremmo riusciti ad arrivare fin qui. A questo punto direi che l’onore di
scegliere per primo cosa prendere di questo tesoro spetti indubbiamente a te.»
«A
tal proposito, temo di dovervi dare una notizia spiacevole.»
Jonah
nel mentre aveva fatto qualche passo avanti portandosi proprio ai piedi di uno
dei golem.
«Niente
in contrario se questo tesoro me lo prendo io, vero?»
«Che
cosa!?» strillò l’arciere
«L’avete
detto voi, non sareste mai arrivati fin qui senza il mio aiuto. Quindi mi
sembra giusto che sia io a decidere come dividere il tesoro.»
«Dannato,
ci sta fregando!»
Musk
non perse tempo e tentò di saltare addosso al toriano, ma uno dei golem alzò il
braccio e l’orco fu costretto a fermarsi prima di venire schiacciato da un
pugno così potente da polverizzare una parte del pavimento.
«Ma
che…»
«Ricordate
cosa ho detto riguardo a Heyvring? È stato lui a insegnare agli umani a creare
e dominare i golem. Visto che sono stato io ad ammansirli mi sembra naturale
che ora obbediscano a me.»
Dahlia,
l’unica che di golem ne capisse qualcosa, sapeva che era sufficiente eliminare
il controllore per rendere inoffensivi i suoi servitori di pietra, e cercando
di non farsi vedere iniziò a raccogliere le forze per lanciare un incantesimo.
Avendo
intuito cosa la sua compagna stesse cercando di fare, Sadee tentò di guadagnare
tempo.
«Ora
mi spiego perché hai accettato la nostra richiesta così facilmente. Ma come
facevi a sapere che fossimo alla ricerca proprio di questo tesoro?»
«La
vostra reputazione vi precede. Siete più famosi di quanto crediate. Quando Borg
mi ha detto di avervi venduto quella mappa ero sicuro che non avreste
rinunciato all’idea di provare a cercare la cripta.»
«Ma
si può sapere tu chi sei?»
Al
che finalmente Jonah si tolse la maschera rivelando un volto che quasi tutti
riconobbero immediatamente, pur non avendo mai incontrato quella persona faccia
a faccia prima di quel momento.
«Ma
tu sei quello di cui parlano tutti!» disse Gaston. «Quel Daemon!»
«Perdonate
il travestimento. Come immaginerete non è facile per uno nella mia posizione
passare inosservato in questo momento.»
Dahlia
nel mentre aveva finito di preparare il suo incantesimo ed era sul punto di
lanciarlo; senonché si ritrovò da un momento all’alto una spada poggiata sulla
spalla.
«Se
fossi in te io non lo farei.» disse un giovane dai capelli biondi e dagli occhi
di ghiaccio apparendole alle spalle senza che se ne accorgesse. «E ora, se
foste così gentili da gettare le armi ve ne sarei grato.»
A
quel punto i quattro avventurieri non poterono fare altro che obbedire.
«E
tu chi saresti?» domandò piccata Dahlia al nuovo arrivato «Il suo mastino?»
«Che
brutta espressione. Diciamo che sono una specie di personale collaboratore del
nostro nuovo sovrano.»
«Un
sovrano che pugnala alle spalle i compagni e li deruba del frutto del loro
lavoro.» ringhiò Sadee «Di sicuro ha cominciato con il piede giusto.»
«Temo
che abbiate frainteso. Questo tesoro non è destinato a me.»
«Cosa!?»
«Noi
stiamo cercando di costruire qualcosa di grande, e di dare un futuro migliore a
questa terra e ai suoi abitanti. Sfortunatamente il Governatore non ci ha
lasciato altro che una regione in rovina e debiti a non finire, senza contare
le conseguenze date dalla guerra che abbiamo combattuto per spodestarlo.
Quest’oro ci permetterà di pagare parte dei debiti e consentirà alla nostra
nazione di reggersi sulle sue gambe. Per questo non posso permettervi di
portarlo via.»
«Belle
parole, ma per quanto mi riguarda non sei altro che un ladro e un traditore.»
«Sono
d’accordo con Dahlia.» sbottò Musk «Chi ci dice che questa non sia solo una
bella favola che ci racconti per giustificare la tua disonestà?»
«Se
è questo che pensate, perché non restate qui a sincerarvi delle mie parole?»
«Che
intendi dire?» disse Sadee visibilmente perplessa
«Vi
ho osservati attentamente durante questa nostra piccola avventura. Sapete
badare a voi stessi e l’abilità non vi manca. E io ho bisogno di persone come
voi.»
Detto
questo Daemon raccolse da terra un grosso sacco pieno di gemme gettandolo ai
piedi di Sadee.
«Molto
più di quello che immagino abbiate mai guadagnato da qualunque vostra impresa.
Ma non è niente rispetto a ciò che potrete ottenere se deciderete di aiutarmi.
Io so ricompensare molto bene il talento, e voi ne avete in abbondanza. Niente
più avventure, a lottare ogni giorno con la morte per poche monete. Io vi posso
offrire una patria, uno scopo, e tanto oro quanto non ne avete mai visto.»
Qualcuno,
leggasi Gaston, sembrò prendere l’offerta in seria considerazione, ma la
risposta di tutti gli altri, a cominciare da Sadee, fu solo un’espressione
disgustata.
«Non
abbiamo bisogno della tua carità. E di certo non siamo così disperati da
volerci mettere al servizio di uno come te. Andiamocene.»
E
così i quattro se ne andarono, seguiti con lo sguardo dai due ragazzi.
«Sprechi
il tuo tempo a cercare di far ragionare gli avventurieri. Non sono altro che
parassiti.»
«Ma
anche i parassiti possono tornare utili, se sai come utilizzarli. Ed ero sincero
quando ho detto che li reputo gente di talento.»
«Se
lo dici tu.»
«E
comunque ce ne hai messo di tempo, Adrian.»
«Non
prendertela con me. Pensi sia facile seguire delle tracce di notte e con un
simile temporale? Avresti anche potuto lasciarmi qualche indizio.»
«Quel
ladruncolo era più sveglio di quanto potresti pensare, se ne sarebbe accorto
subito.»
Ad
Adrian cadde quindi l’occhio sui quattro golem, ora raccolti attorno a Daemon.
«Un
peccato che siano troppo grossi per portarli fuori di qui. Ci avrebbero fatto
comodo.»
«Ho
letto abbastanza sui golem da sapere che il loro potere è strettamente
vincolato al luogo del quale sono guardiani. Anche se riuscissimo a farli
uscire da questa tomba, là fuori non sarebbero altro che statue.»
«Poco
male, allora. Però sono d’accordo con quello che ha detto quell’orco, questo
mago era davvero un pazzo maniaco. E pensare che nell’Impero è una sorta di
semidio.»
«Ha
spinto le ricerche in materia di magia ben più in la di chiunque altro prima di
lui, ma sono stati altri a pagare il prezzo della sua ricerca.»
«Strano.
Ero convinto che ammirassi chi persegue il suo scopo a dispetto delle
convenzioni morali e senza porsi limiti.»
«Solo
fintanto che si è disposti ad ammettere la gravità delle proprie azioni ed
assumersene la responsabilità davanti alla propria coscienza e davanti al
popolo. Ma quest’uomo è stato sicuro fino all’ultimo di essere nel giusto, e
anche nella morte ha voluto glorificarsi.»
«In
altre parole, il limite tra legittima ambizione e folle megalomania non
dovrebbe mai essere superato?»
Daemon
rispose con un sorrisetto, e Adrian proseguì: «Un tesoro notevole, senza
dubbio. All’altezza della leggenda. Anche se una volta che avremo sistemato i
disastri di mio padre dubito che ne resterà molto.»
«Questa
è solo una bella illusione. Uno specchio per gli sciocchi.» quindi Daemon si
girò verso il centro della stanza. «Il vero tesoro è proprio qui.»
«Qui
dove?»
«Così come questa tomba ha nascosto le mie
ricchezze agli occhi del mondo, così possa il velo dell’oblio celare il mio
lascito agli occhi degli uomini. Hai mai sentito parlare di traslazione?»
Adrian
ci rifletté sopra un attimo, sorridendo compiaciuto.
«Ora
capisco perché hai chiesto proprio a me di venire qui.»
«Il
Mago Folle non avrebbe mai lasciato il suo tesoro più grande alla mercé di
qualche saccheggiatore di tombe, né avrebbe permesso a qualcuno di profanare il
suo corpo.»
«E
per questo ha fatto in modo di nascondere il proprio sarcofago in un altro
piano di esistenza assieme a ciò che gli era più caro. Doveva essere qualcosa
di davvero prezioso se era disposto a lasciar rubare tutto questo pur di
tenerlo nascosto.»
«Puoi
riportarlo indietro, vero?»
Il
giovane erede della famiglia Longinus non si considerava un mago di talento, né
aveva mai studiato presso un Circolo. Tuttavia riportare indietro un oggetto
dal piano etereo era qualcosa che persino il più umile dei novizi era in grado
di fare, a condizione di sapere cosa cercare e dove.
Gli
bastò concentrarsi, riuscendo così a percepire ciò che l’occhio umano non
poteva vedere, e nel momento in cui schioccò le dita una tenue luce dorata
preannunciò la comparsa dinnanzi ai due giovani di un umile sarcofago di
pietra.
Un
calcio al coperchio, e quello che restava del Mago Folle si rivelò finalmente
ai loro occhi nella forma di una mummia avvolta in una bianca tunica ormai
quasi completamente consumata dal passare del tempo; portava in testa la tiara
ingioiellata degli alti maghi dell’antico Impero, e stringeva saldamente a sé
un grosso tomo ancora in buone condizioni.
Nulla
lasciava presagire che anche quel corpo potesse rianimarsi, ma ciò nonostante
Daemon si sentì in dovere di staccargli la testa con un fendente.
«Giusto
per essere sicuri.» e detto questo raccolse il libro, senza troppo curarsi di
lasciare intatte le dita e le mani della salma.
«Sarebbe
quello il grande tesoro di cui stiamo parlando?» domandò Adrian mentre Daemon
con un colpo di mano ripuliva la copertina dalla polvere, rivelando una scritta
incisa nell’argento.
COMPEDIO
DEL SERVO
«Il
più grande che tu possa immaginare.»
Nota
dell’Autore
Eccoci qua di nuovo.
E con questo siamo giunti alla fine del Volume 2 di “Napoleon
of Another World!”
Come epilogo è stato eccezionalmente lungo, ma non ho
voluto spezzarlo in quanto come si può intuire si tratta di eventi parzialmente
distaccati dalla trama principali, destinati però ad avere un peso
considerevole nel prossimo futuro.
Dal momento che in quest’ultimo periodo sono stato
piuttosto occupato il Volume 3 è ancora in fase di completamento, pertanto la
pubblicazione del primo capitolo non sarà tra due settimane ma tra un mese, domenica
26 novembre.
Ringrazio tutti quelli che mi hanno seguito fin qui, e
spero vorrete continuare a farlo anche in futuro.