Summer of '64

di InvisibleWoman
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I'm gonna run to you ***
Capitolo 2: *** Haven't you ever been in love before? ***
Capitolo 3: *** Nothing fills me like your love ***



Capitolo 1
*** I'm gonna run to you ***


“Siamo ancora in tempo per cambiare idea?” chiese Alfredo in fila in aeroporto. Lo sguardo sorridente che però nascondeva una reale preoccupazione che divertiva Irene. Lo aveva sempre visto così sicuro di sé, così spavaldo, sempre pronto a mettersi in gioco qualsiasi fosse la richiesta di Irene, che vedere questo altro lato di lui quasi la inteneriva. 

“Assolutamente no” asserì lei nel suo scamiciato a fiori viola e una valigia tra le mani, l’unica che Alfredo e le sue amiche le avevano permesso di portare. ‘Non stai partendo per l’America’ si diceva sempre quando qualcuno esagerava con i preparativi o con dei saluti troppo melodrammatici. Eppure lei stava effettivamente partendo per l’America, era convinta che almeno un’altra valigia avrebbero potuto concedergliela. 

Stentava ancora a credere di essere prossima a salire per la prima volta su di un aeroplano e di rivedere finalmente la sua migliore amica dopo tutti quei mesi di distanza. Quanto le era mancata in quel lasso di tempo, e quanto la sua vita era cambiata in quello che in fondo non era ancora nemmeno un intero anno solare. 

Stefania era partita prima di Natale. Con Marco. Ma quella era un’altra faccenda su cui Irene aveva già messo ampiamente bocca in quelle poche telefonate che si erano potute concedere per via del fuso orario e degli impegni lavorativi di entrambe. Stefania le aveva spiegato tutto per filo e per segno tramite una lettera, ma non era la stessa cosa che poterne parlare a voce, una davanti all’altra. E a Irene questo era mancato terribilmente. Le mancavano le loro chiacchierate la sera sul letto, di ritorno da una lunga giornata lavorativa. Le mancavano le loro cioccolate calde sul divano. E le era mancata una voce amica, una che la conosceva appieno e non la giudicava, specialmente in quel caos che era stata la sua vita, e la sua mente, in quegli ultimi mesi da quando aveva realizzato di provare qualcosa di serio per Alfredo. 

Fin quando era al Paradiso, Stefania non aveva mai dato peso a quel rancore della sua amica verso il magazziniere. Troppo presa dai suoi problemi, dapprima con la madre, poi con Marco, poi la partenza. Irene aveva continuato per mesi a fingere che di Alfredo non le importasse assolutamente nulla, tanto da convincere per un po’ non solo se stessa, ma anche le persone che le stavano accanto. E ogni tanto si domandava come sarebbero andate le cose se Stefania fosse stata lì e avesse avuto lei con cui confidarsi, anziché Maria. Voleva bene a quest’ultima, ma per qualche motivo non era la stessa cosa. Semplicemente non era Stefania. 

E quando un paio di mesi prima la sua migliore amica le aveva telefonato e Irene era riuscita a dirle ufficialmente di essere fidanzata con Alfredo, dopo tante tribolazioni, Stefania era andata su di giri e l’aveva letteralmente obbligata a usare quel biglietto aereo per raggiungerla durante il mese di ferie concesso dal Paradiso per il mese di agosto. 

“Guarda che Alfredo è ancora un magazziniere, non un benestante pubblicitario, nonché figlio di Umberto Guarnieri come il tuo” la pungolò Irene.

“Ancora?” aveva ridacchiato Stefania dall’altro capo del telefono, posto a migliaia di chilometri lontano da Milano. “Hai in progetto qualcosa per renderlo il ricco principe azzurro che hai sempre desiderato?” la prese in giro.

“Non ancora. Mi ingegnerò in qualche modo, ma di certo non entro agosto” aveva commentato con ironia Irene. Il suo biglietto era stato gentilmente offerto da Stefania e da Marco, ma Alfredo non poteva infilarsi nella sua valigia - anche se in quel caso almeno le avrebbero concesso di portarne un’altra -, e non aveva abbastanza soldi da parte per un biglietto per Washington, almeno non con così poco preavviso. 

Dille che offro ioaveva sentito Irene in lontananza. 

“Cosa?” chiese a Stefania. “Ci sono interferenze?”

“No, no” rise l’amica. “E’ mia madre. Dice che vuole essere lei a pagare il biglietto per Alfredo, così potrai venire!”

“Davvero?” aveva esclamato dapprima, presa dall'entusiasmo. “No, non mi sembra il caso” aveva aggiunto dopo, sentendosi a disagio all’idea che la loro vecchia capocommessa, la signorina Moreau, potesse pagare per il suo fidanzato. 

“Guarda che lei è contenta se venite, dice che le piaceva molto Alfredo.”

“Perché, a te no?” si risentì Irene.

“Beh, no, è che io non lo conosco abbastanza bene. Se non ti ricordi, quando ero lì lo tenevi lontano neanche avesse la peste” disse prendendola in giro. “Anche per questo non vedo l’ora di conoscerlo. Quindi accetta, dovete venire per forza.”

Dopotutto Irene era una donna maggiorenne, non sposata, certo, ma indipendente. Non aveva mai lasciato che suo padre le dicesse cosa fare, non lo aveva mai fatto prima, non avrebbe cominciato adesso. Quando gli aveva annunciato della partenza aveva fatto le sue solite storie. Alfredo lo aveva conquistato, gli piaceva e segretamente sperava che potesse essere proprio lui a sposare quella figlia turbolenta che gli aveva dato non pochi problemi. Ma partire da soli senza essere sposati per un posto tanto lontano come l’America, avrebbe fatto risentire qualsiasi genitore. E Lorenzo Cipriani non era da meno. Ma Irene aveva fatto di testa sua come sempre. E anche lei doveva ammettere di essere spaventata all’idea del volo - non aveva mai preso un aereo, esattamente come Alfredo -, la agitava rivedere Stefania, Gloria, di stare con Alfredo da soli in un posto che non conoscevano. Ma allo stesso tempo era anche elettrizzata esattamente per gli stessi motivi. D’altra parte Irene Cipriani non era mai stata una persona coerente.

“Che c’è, hai paura?” domandò Irene ben sapendo di provocare una reazione in lui, che non tardò ad arrivare.

“Io? Ma va” replicò Alfredo con l’aria di chi si sentiva quasi offeso di non essere stato ritenuto abbastanza coraggioso o capace di fare qualcosa. “Ormai dopo quello che mi hai fatto passare tu, non mi spaventa più niente. Sono temprato” si riempì il petto con aria tronfia e Irene non poté fare a meno di ridacchiare. 

“Visto? E tu te ne lamentavi. E poi si sa che le cose belle vanno sudate” rispose con la sua solita aria da diva.

“E tu sei la cosa più bella che c’è, amore mio” aggiunse con il suo solito fare sdolcinato che su di chiunque altro avrebbe stonato e avrebbe portato Irene a roteare gli occhi al cielo e prenotare una visita immediata dal dentista per controllare eventuali carie. Ma la dolcezza di Alfredo la inteneriva. Non era mai stata trattata così da nessuno. Lui la faceva sentire speciale, venerata, quasi, come se fosse realmente una dea e non si atteggiasse unicamente a esserlo. 

Una volta dentro l’aereo, al momento del decollo, Irene cercò d’istinto la mano di Alfredo, come a darsi forza e cercare un appoggio, nonostante fino a pochi istanti prima avesse preso in giro il suo fidanzato e la sua titubanza. Anche Alfredo ricambiò la stretta e per questa volta Irene intuì non si trattasse unicamente della sua voglia di averla vicina. Tuttavia, superata la fase drammatica del decollo e il loro continuo guardare attraverso la finestrella dell’aeroplano ogni cinque minuti per almeno la prima ora di volo, il viaggio filò liscio e, almeno per Alfredo, anche abbastanza veloce dato che, come la maggior parte degli uomini, anche lui era capace di dormire in qualsiasi posto e in qualsiasi situazione. A un certo punto lo sentì appoggiarsi contro la sua spalla e Irene sorrise, inclinando la testa contro la sua nel tentativo di addormentarsi a sua volta. E in parte ci riuscì, ma tra la preoccupazione, le turbolenze e la posizione scomoda, quando l’aereo finalmente atterrò, aveva accumulato soltanto un paio di ore di sonno. Anche quello di Alfredo era stato disturbato e intermittente, ma se non altro aveva riposato molto più di lei, proprio lui che tra i due si era mostrato il più ansioso all’idea di salire su quell’aggeggio.

“Ma proprio in America doveva trasferirsi?” Irene si lamentò sbuffando mentre si incamminava, insieme alla sua valigia e ad Alfredo che la teneva per mano per evitare che si perdessero nel marasma dell’aeroporto di New York, dove Stefania si era trasferita dopo la rottura da Marco.

“Però non è stato così male il viaggio” commentò lui e Irene in quel momento avrebbe voluto sollevare la valigia e dargliela in testa.

“Certo, per te che hai dormito tutto il tempo.” 

“Ma che dici” replicò sorridendo sotto ai baffi, ben conscio che in realtà la sua fidanzata avesse ragione.

“Irene!” sentì d’un tratto la voce di Stefania che la chiamava da qualche parte, e qualche istante dopo vide il suo braccio che ondeggiava teso in aria per cercare di farsi notare da lei. Le due si corsero letteralmente incontro, abbracciandosi e Alfredo afferrò il borsone che Irene aveva lasciato cadere per terra e che per tutto il viaggio aveva trattato come un bene prezioso. Evidentemente era meno prezioso della sua migliore amica.

“Mi sei mancata” le disse Stefania, prendendole il viso tra le mani.

“Anche tu” rispose Irene cercando di ricacciare indietro le lacrime di commozione che minacciavano di venire fuori contro il suo permesso.

“Mi sembra così assurdo che tu sia davvero qui” aggiunse Stefania mentre i tre si incamminavano fuori dall’aeroporto. 

“A chi lo dici” disse prendendo a braccetto la sua amica, mentre Alfredo, che era stato solo brevemente presentato poco prima, le seguiva tenendo ancora le valigie di entrambi.

“Vedo che hai pure portato con te un valletto, come la diva che sei” li prese in giro, dato che Alfredo si barcamenava nella confusione con due valigie e un giubbotto sotto al braccio. “Garzone, vuole tenere anche la mia borsetta?” Stefania finse di porgergliela.

“Molto simpatiche” commentò lui, mentre le due ridacchiavano tra di loro, escludendolo da un mondo a cui gli era stato vietato l’accesso in quanto uomo, fidanzato e, soprattutto, quasi sconosciuto per Stefania. A lui sembrava quasi di conoscerla, dati i racconti di Irene, il modo in cui lei le voleva bene, quella foto che aveva recuperato per farla felice. Ma a conti fatti aveva interagito ben poco con lei quando abitava ancora a Milano. Dubitava che Stefania sapesse qualcosa di Alfredo, che Irene le avesse parlato di lui. 

“Federico!” esclamò Irene trovandosi un distinto Federico Cattaneo appoggiato alla macchina come un divo del cinema. La sigaretta tra le dita, i capelli bene impomatati e l’aria sofisticata di chi ormai conduceva una vita agiata e di successo. Eppure il sorriso e il suo fare affabile era lo stesso di sempre. Irene trovava un po’ strana quella situazione e si sentiva un po’ a disagio insieme a quei due. Avevano confabulato tanto in passato lei e Stefania per cercare di farle conquistare il bel pubblicitario, scrittore, poeta - e chi più ne ha più ne metta - di cui la sua amica era stata infatuata da che ne avesse memoria. Eppure era sembrata acqua passata quando Stefania aveva conosciuto Marco. Adesso invece ogni cosa aveva preso una piega differente. Stefania aveva capito di non aver mai dimenticato quello che provava per Federico. E Marco… beh, Marco aveva perso qualsiasi stima Irene potesse provare per lui quando aveva scoperto di lui e Gemma. Per quanto fosse strano vederli finalmente insieme e non aver assistito agli inizi della loro relazione, cosa che - da pettegola quale era - la mandava fuori di testa, Irene doveva ammettere di essere contenta che la sua migliore amica avesse accanto a sé un uomo per bene e degno di essere chiamato tale. Al contrario qualcun altro. 

Federico si avvicinò per abbracciarla, neanche fossero amici di lunga data. In fondo, però, un po’ lo erano. Si conoscevano da anni ed entrambi tenevano infinitamente alla stessa persona.

“Com’è andato il viaggio?” chiese lui. 

“Se avessi portato dietro un’altra valigia, probabilmente sarei rimasta qui per sempre pur di non prendere di nuovo quel trabiccolo infernale” rispose lei, con il suo solito fare melodrammatico.

“E che problema c’è. Guardaroba nuovo!” si aggiunse Stefania ridacchiando. Avrebbe fatto carte false per riavere la sua migliore amica lì con lei. Magari fosse rimasta per sempre!

“Ciao, noi non ci conosciamo. Federico Cattaneo” disse poi ad Alfredo, allungandogli la mano per presentarsi. Finalmente qualcuno che si rendeva conto che c’era anche lui.

Irene, presa dal ricongiungimento con la sua amica e dall’incontro dopo tanto tempo con Federico, si era totalmente dimenticata di presentare Alfredo.

“Sì, lui è il mio…”

“Il suo fidanzato” Stefania completò la frase. 

“Esatto” aggiunse Alfredo con un sorriso forzato. Credeva che avessero ormai superato l’ostacolo del fidanzamento pubblico e in effetti Irene a Milano, da quando si erano rimessi insieme, si era comportata in modo esemplare. Allora perché aveva tentennato pochi istanti prima?

“Sì, Alfredo” continuò Irene con fare impacciato, prendendogli il braccio. Stefania non l’aveva mai vista con qualcuno. Era stata presente durante la parentesi con Rocco, ma non li aveva mai visti effettivamente insieme. L’aveva vissuta solo tramite i racconti della sua amica. 

A dirla tutta Irene non riusciva a riconoscere nemmeno perché si sentisse così in imbarazzo. Si sentì una stupida per quella piccola gaffe. Trovarsi immersa in quella nuova dimensione, fatta di eleganza, magnificenza e libertà, le aveva fatto notare quanto, invece, fosse piccolo il suo mondo. Alfredo era un magazziniere, ma anche lei era solo una commessa e venivano da una città che ritenevano fosse il centro di ogni cosa, quando invece, al confronto con New York, che si dispiegava davanti ai loro occhi mentre Federico li accompagnava a casa di Stefania, si rivelava essere solo un puntino minuscolo. Non indossavano vestiti alla moda come quello di Stefania, né guidavano una Ford nera e talmente lucida da potercisi specchiare dentro come quella di Federico. Per un attimo le era sembrato quasi fossero passati degli anni da quella separazione e ora, nonostante non ci fosse più un oceano a dividerle, la avvertiva persino più distante di quando stava a Milano e poteva sentirla solo qualche volta all’anno. Almeno in quei frangenti poteva fingere che nulla fosse cambiato. Eppure lo era. In meglio. Per entrambe, doveva ammettere. E il suo sguardo si voltò a cercare Alfredo, intento a guardare con lo stupore di un bambino tutti quegli enormi grattacieli. 

Non si erano detti praticamente più nulla dopo quella goffa presentazione, e nel mentre Stefania canticchiava una canzone in inglese che suonava alla radio e di tanto in tanto le indicava qualcosa degno di nota da osservare. Irene cercò allora la mano di Alfredo, che teneva ferma su una coscia e quando lui, sorpreso, si voltò a guardarla, lei gli sorrise. Un sorriso rassicurante, sereno, innamorato. Forse erano piccoli in quella vastità che li circondava. Ma potevano affrontarla insieme.



 

“Allora, quella è la camera di mia madre, di là c’è la mia. Ma abbiamo deciso che io e lei dormiamo insieme così quella la lasciamo a Irene e tu Alfredo…”

“Dovrai accontentarti di un divano” disse Gloria con fare dispiaciuto. “Non è l’ideale, ma è comodo, te lo assicuro”

“Andrà benissimo, grazie mille” ringraziò lui, mentre Stefania guardava Irene con curiosità per vedere se avrebbe concesso al povero Alfredo di dormire con lei nella stessa camera oppure no. Dopotutto quella non solo era l’America, dove la gente sostanzialmente si faceva gli affari propri, ma inoltre lì non erano conosciuti da nessuno. Se avessero deciso di stare insieme, ora che potevano permetterselo, né Stefania e né Gloria avrebbero giudicato. Ma Irene non sembrò fare alcun passo e Stefania arricciò le labbra in un sorriso divertito, mentre li accompagnò a sistemare i propri vestiti nello spazio che Gloria aveva lasciato per loro per quelle settimane.

“Che c’è?” chiese Irene mentre Alfredo si era seduto sul letto. Aveva preferito spostare nell’armadio giusto le camicie che rischiavano di sgualcirsi, il resto lo aveva tenuto dentro la valigia per non dare troppo fastidio. “Stanco?”

“Un po’” commentò lui con fare serio. Ma sembrava ci fosse dietro qualcos’altro. Sembrava pensieroso.

“E’ strano, vero?” disse mentre lui la afferrò per la vita non appena lei si avvicinò e la trascinò sulle sue gambe. 

“Stare qui? Molto strano” rispose Alfredo. “Ti rendi conto che siamo praticamente tornati indietro nel tempo?” il suo viso si illuminò di stupore.

Irene rise. “Che ore saranno da noi? Mezzanotte, forse?”

“Sì, più o meno. E qui invece è pieno pomeriggio. Follia” si portò una mano alla tempia per simulare uno scoppio con le dita.

“Se non altro se ci affacciamo dalla finestra la visuale è simile. Palazzi, palazzi e ancora palazzi.”

“Solo molto più alti” disse Alfredo con un velo di nervosismo.

“Hai paura dell’altezza?” Irene sorrise, cercando di cogliere un suo punto debole. Si mostrava sempre così forte, così spavaldo e temerario, pronto a lanciarsi in qualsiasi avventura, che trovargli qualche debolezza lo rendeva più umano ai suoi occhi. Più vero. Glielo aveva già detto che preferiva questa versione di sé, rispetto a quella dello spaccone. Era se stesso, senza maschere.

“No, ma va” provò a mantenere la facciata di uomo che non deve chiedere mai.

“Affacciati, allora” lo intimò lei.

“Va bene, va bene, forse un pochino?”

“Ti voglio proprio vedere in questi giorni in giro per la città.”

“Perché, visiteremo grattacieli?” chiese con un filo di preoccupazione in voce.

“Potremmo, chi lo sa.”

“Allora mi terrò stretto stretto a te” scherzò lui.

“Ah sì? E come?” domandò con fare provocatorio.

“Così” rispose lui stringendola forte e affondando il viso nel collo di Irene, solleticandole il collo con il naso.

“La smetti” rise lei, nonostante la stanchezza. “Dai, fammi finire di sistemarmi, non è carino lasciare Stefania e Gloria di là da sole” cercò di alzarsi.

“Ti amo” le disse lui guardandola negli occhi, prima di lasciarla libera di allontanarsi. Irene lo guardò a lungo a sua volta, poi gli sorrise, gli diede un bacio e si alzò, lasciando un Alfredo deluso sul letto. Di nuovo.

Non era ancora stata capace di rispondere a quel ‘ti amo’, non perché non provasse per lui gli stessi sentimenti o perché non avesse il coraggio di esternarli, ma perché quel dubbio che non aveva ancora risolto continuava a farla andare avanti in quel rapporto con il freno a mano tirato. Sì, perché non voleva sentirsi stupida. Nella sua testa ammettere di amarlo ad alta voce, mentre era convinta che tra Alfredo e Clara ci fosse ancora qualcosa di irrisolto, l’avrebbe fatta risultare poco assennata. Dunque, per quanto diventasse sempre più difficile frenarsi e non dirgli apertamente ciò che provava, e al contempo affrontare ogni volta la delusione nei suoi occhi, non riusciva a fare altrimenti, per quanto questo alimentasse i dubbi e l’insoddisfazione di entrambi.

Certo, avrebbe sempre potuto optare per la verità: chiedergli in modo diretto se ci fosse qualcosa che le stesse nascondendo. Ma come poteva essere sicura poi che lui rispondesse sinceramente? Doveva scoprirlo da sola per essere certa. E nelle ultime settimane, data la sempre più assidua frequentazione tra Clara e Francesco e adesso la loro partenza per l’America, era diventato sempre più difficile provare a coglierli in fallo. Ammesso ce ne fosse uno.

“Vado a tenere loro compagnia di là” disse allora Alfredo, ricevendo un segno di assenso con la testa da Irene.

 

Il viaggio era stato molto lungo, non avevano riposato molto e dunque Stefania non aveva previsto per quella sera chissà quali svaghi. Aveva pensato a una cena tranquilla in casa con lei, Gloria, Irene e Alfredo. Federico aveva del lavoro da sbrigare e in ogni caso aveva preferito lasciare loro un po’ di intimità, senza imporre la propria presenza. Si sarebbero rivisti tutti quanti il giorno successivo.

Quando Alfredo riemerse dalla stanza, trovò Gloria ai fornelli e Stefania intenta a preparare un’insalata.

“E Irene?” chiese quest’ultima.

“Sta finendo di sistemare” rispose lui.

“Meno male che le abbiamo permesso di portare una valigia sola” dissero entrambi all’unisono ridendo. Conoscevano molto bene Irene. 

Alfredo si avvicinò per osservare cosa stessero preparando per cena. A dirla tutta moriva di fame, era effettivamente molto tardi secondo il loro fuso orario italiano.

“L’America è famosa per la sua carne” Stefania disse, leggendo la curiosità di Alfredo. “Non hanno una cucina molto tipica.”

Gloria rispose con una smorfia. Non si era ancora abituata molto alla cucina americana e al loro caffè. Aveva vissuto per tanti anni in Francia, ma era un ambiente per certi aspetti ancora simile all’Italia e il confine non era poi così lontano. Lì a New York, invece, era tutto molto diverso, ma era contenta di poter stare vicina a sua figlia. Quella era la cosa più importante, sebbene le mancassero molto l’Italia, il Paradiso e Irene, alla quale si era molto affezionata.

“Tutto bene?” chiese Gloria. “Non hai fame?”

“Sì, sì” rispose Alfredo, ancora un po’ abbattuto per le mancate conferme da parte di Irene. “Anzi, volevo approfittare per ringraziarla per il biglietto, per avermi permesso di essere qui. Troverò il modo per ripagarla, glielo prometto” disse spinto da un moto d’orgoglio. Non avrebbe voluto accettare quel regalo, non gli sembrava giusto che qualcuno che conosceva appena pagasse una cifra così importante per lui. Lo faceva sentire in difetto. Sminuito, quasi, specialmente agli occhi di Irene. Aveva faticato tanto per farsi accettare da lei per quello che era, uno squattrinato, certo, ma disposto a tutto per renderla felice, che l’idea che lei lo vedesse ancora come qualcuno che aveva bisogno di un aiuto esterno per soddisfare i suoi desideri lo faceva sentire a disagio. Ma alla fine non aveva potuto fare altro che accettare. Irene aveva insistito e lui non voleva stare senza di lei per delle settimane. Chi poteva assicurargli che non avrebbe trovato un ricco banchiere newyorchese? O che confrontandolo con Federico e l’ambiente che frequentavano lui e Stefania, non si sarebbe di nuovo resa conto che ciò che lui poteva offrirle non era abbastanza? Tre settimane erano troppe.

“Non serve, Alfredo. Era un regalo, non un prestito. E poi quale modo migliore di usare i propri soldi se non per rendere felici le persone a  cui si vuole bene?” rispose Gloria con fare materno, osservando per un attimo la figlia. Per quanto Alfredo le stesse simpatico, non era per lui che aveva deciso di pagare quel viaggio. Lo aveva fatto per sua figlia Stefania e per Irene, che sapeva quanto tenessero ad avere qui presente anche il magazziniere. A lei aveva fatto piacere accontentare loro, e in fondo anche lui. Era un bravo ragazzo. 

“E comunque dammi pure del tu. Ormai non lavoriamo più insieme e passeremo le prossime settimane sotto lo stesso tetto. Abbandoniamo certe formalità” aggiunse con un gesto della mano.

“Va bene. Allora grazie… Gloria” rispose lui, facendo una certa fatica ad assecondare quella richiesta. Era tutto molto strano. L’idea di trovarsi in America, un mondo così lontano dal loro, insieme a persone che in fondo conosceva poco e con le quali aveva diviso soltanto l’ambiente lavorativo. Si sentiva un pesce fuor d’acqua, quasi di troppo. Non era come Irene, che a queste persone era molto legata. Lei, pur lontana da casa propria, era certo si sentisse a casa, in un certo senso. 

“Eccola la diva” esclamò Stefania vedendo arrivare Irene. 

“Bisogna sempre farsi desiderare” scherzò lei.

“E io ne so qualcosa” commentò Alfredo, mentre Gloria avvicinò una mano alla guancia di Irene per una veloce carezza divertita. Si era creata una connessione istantanea con la Venere, e non solo perché era amica di sua figlia. In qualche modo si rivedeva in Irene e nelle sue insicurezze. E aveva subito riconosciuto in lei delle qualità che sapeva tenere ben nascoste. Quella ragazza aveva solo bisogno che qualcuno credesse in lei e le desse fiducia per poter splendere e brillare di luce propria.

“Come va al Paradiso?” le chiese allora.  

“Povere Veneri, quanto le starà facendo penare” si intromise Stefania che conosceva bene il carattere deciso e intransigente della sua amica.

“Va bene la fermezza, ma tatto e gentilezza come ti ho detto, almeno?” 

“Sono un angioletto” rispose, mentre Stefania sghignazzava e Alfredo si coprì la bocca con le mani per evitare di essere colto in flagrante e subire le ire della sua fidanzata. 

“Saresti fiera di me” ammise Irene con aria tronfia. Era la degna erede di Gloria, era diventata un’ottima capocommessa, comprensiva e disponibile, ma anche precisa e professionale.

Gloria sorrise. “Lo ero già prima” le fece l’occhiolino, mettendole poi un braccio attorno alle spalle.

“Va bene, adesso possiamo finirla con queste smancerie e mangiare?” tagliò corto Stefania.

“Posso fare qualcosa? Apparecchio?” domandò Irene, causando una certa ilarità nella sua migliore amica.

“Ma se quando abitavamo insieme non hai mai mosso un dito” ridacchiò, prendendola in giro.

“Beh, stiamo già approfittando della vostra ospitalità. Non sono mica maleducata io” si difese.

“No, no, ci mancherebbe” continuò Stefania, mentre Gloria sorrideva per le scaramucce tra quelle due. Proprio come fossero davvero due sorelle. 

“Dai, basta, voi due. Stefania, metti i piatti in tavola” disse Gloria spegnendo il fuoco e iniziando a tirare fuori i piatti dagli sportelli.

Alfredo si avvicinò subito per aiutarla. “L’aiuto io” iniziò. “Ti aiuto” si corresse subito dopo. Sarebbe stato proprio difficile cercare di mantenere quel livello di confidenza con l’ex capocommessa. 

O almeno così credeva Alfredo inizialmente. In realtà dopo il disagio iniziale, avevano trascorso una serata piacevole. Alfredo era stato, come al solito, l’anima della festa. Aveva riempito le due di battute e aneddoti e da come Stefania la guardò a tavola un istante, sorridendo, Irene capì che le piaceva e approvava, ed era contenta che la sua amica avesse al suo fianco una persona che le voleva così bene. Anche con Gloria Alfredo sembrava aver trovato una certa sintonia e dopo un po’ diventò sempre più facile darle il tu che quell’ultima aveva preteso da lui. 

Tuttavia, la serata non si era prolungata a lungo. Madre e figlia sapevano che il viaggio era stato lungo e che, per via del fuso orario, i loro amici erano svegli da diverse ore. Dovevano essere le tre o le quattro in Italia e sia Irene che Alfredo erano stremati. Così li avevano lasciati da soli e si erano salutati preannunciando una giornata piena il giorno successivo. 

Come avevano deciso, Alfredo si era sistemato sul divano e Irene era in camera di Gloria. Si era soffermata per un po’ sul divano con lui per dargli la buonanotte, ma poi si erano divisi. Non avevano mai dormito insieme e per quanto sembrasse il contrario, Irene alle apparenze teneva particolarmente. Era una brava ragazza, nonostante qualcuno in passato avesse provato a dipingerla diversamente. Eppure in quel momento fu molto tentata di invitarlo a raggiungerla in camera. Un po’ perché le dispiaceva farlo dormire lì, specialmente dopo un viaggio tanto lungo e faticoso, un po’ perché avrebbe voluto averlo accanto. Dopotutto quali occasioni avrebbero avuto in futuro per stare insieme così vicini?

Proprio mentre ragionava sul da farsi, quasi pronta ad alzarsi per vedere se Alfredo era ancora sveglio, sentì bussare alla porta. Accese l’abat jour sul comodino e vide il suo fidanzato affacciato alla porta e gli sorrise, mentre lui si chiudeva la porta alle spalle, dato che non aveva incontrato le resistenze di Irene. 

“Che cosa diranno domani Stefania e Gloria?” scherzò lei. “Guarda che io sono una ragazza per bene.”

“Ma cosa vuoi che dicano” commentò Alfredo con un sorriso, mettendosi su un fianco per guardarla negli occhi. “Posso restare, quindi?”

Irene annuì e Alfredo sospirò sollevato.

“Non dormi?” le sussurrò poi.

Lei scosse la testa. Erano talmente stanchi che si sarebbero dovuti addormentare all’istante non appena avessero appoggiato la testa sul guanciale. Invece forse, proprio per questo, erano troppo scombussolati e avendo passato l’orario solito in cui andavano a dormire, il loro orologio biologico era entrato in confusione, tenendoli svegli fino a tardi. 

“Non sei felice?” di essere lì con Stefania, intendeva.

Irene annuì. “Sei stato bravo, stasera” aggiunse, mentre lui accennò un sorriso che Irene poté notare grazie alla lampada ancora accesa. 

“Ho superato la prova?”

“Brillantemente.”

“Te lo dicevo io che i genitori in genere mi adorano” rispose Alfredo, sottolineando una cosa che Irene non gli aveva mai confermato ad alta voce, ma che corrispondeva alla verità. Gloria, in un certo senso, era per lei una figura materna. L’aveva capita, l’aveva aiutata, l’aveva spronata, non l’aveva mai giudicata. L’aveva aiutata a diventare una persona più matura e consapevole e grazie ai suoi insegnamenti adesso riusciva ad essere una capocommessa meritevole di fiducia. Poi Stefania per lei era praticamente una sorella, essendo entrambe figlie uniche, dunque questo faceva di Gloria una sorta di madre putativa. Ci teneva che entrambe apprezzassero Alfredo e fu piacevolmente sorpresa di vedere che quest’ultimo l’avesse intuito. Era evidentemente più perspicace di come lo dipingeva lei.

“E’ vero, hai conquistato mio padre, Gloria e Stefania. Direi che non manca più nessuno” gli concesse. Quelle tre persone, insieme a Maria e alla zia, erano quelle che le stavano più a cuore. Non aveva una famiglia numerosa come quella di Alfredo. Sua madre era morta anni prima, non aveva fratelli né sorelle e il rapporto con suo padre era burrascoso, nonostante Irene tenesse molto a lui. Il lavoro per Alfredo era semplice: aveva ben poche persone da convincere e aveva un carattere a cui era facile voler bene, al contrario suo.

“E te. Ho conquistato anche te, no?” chiese Alfredo prendendole la mano che Irene teneva sotto il cuscino.

Irene sorrise teneramente e poi annuì. “Ci è voluto un po’ ma… direi di sì” disse svincolando la mano dalla presa di Alfredo per sfiorargli le labbra con i polpastrelli.

“Ah, diresti? Non sei ancora convinta? Vuoi che mi lanci tra i carboni ardenti per dimostrarmi degno del tuo amore?” enfatizzò come suo solito, prendendo tra i denti le dita di Irene. 

Lei ridacchiò, mentre Alfredo le stampava dei baci sulle nocche. Ma avrebbe voluto dirgli che non aveva bisogno di lanciarsi da nessuna parte, le sarebbe bastato avere la dimostrazione che tra lui e Clara non ci fosse niente, le sarebbe bastato fidarsi di lui, per avere la certezza di avere davanti la persona giusta. Eppure non era così. Perché se Alfredo le avesse mentito, se avesse scoperto che aveva agito alle sue spalle, a maggior ragione con la sua coinquilina, avrebbe dimostrato di essere proprio la persona che Irene aveva sempre creduto.

“Non bisogna mai essere troppo sicuri. Bisogna sempre diffidare e vigilare, diceva mia nonna” gli rispose Irene. “E stai attento perché io prendo molto alla lettera i suoi insegnamenti” e il tono della sua voce portò Alfredo a irrigidirsi. 

“Hai diffidato di me per sette mesi, lo so bene” cercò di buttarla sul ridere. Non era una grossa bugia quella che le stava nascondendo. Non era successo niente tra lui e Clara. Per fortuna Irene gli aveva inconsapevolmente impedito di commettere l’errore più grande della sua vita. Perché Alfredo non voleva Clara, non era interessato a lei. Clara lo faceva solo sentire apprezzato, desiderato, benvoluto. E in quel momento di debolezza dopo la loro rottura, quando Irene non lo aveva fatto sentire abbastanza importante per lei, il modo in cui Clara lo aveva supportato e sostenuto lo aveva portato ad avvicinarsi alla persona sbagliata per i motivi sbagliati. Ma lui amava Irene, di questo era certo, non aveva mai avuto alcun dubbio. Se le aveva mentito era perché la conosceva bene e sapeva che non lo avrebbe perdonato facilmente se avesse saputo di quel suo attimo di debolezza. Era più facile nascondere la polvere sotto il tappeto, anziché affrontare una verità scomoda solo per una questione di principio. A cosa avrebbe portato, dopotutto? Cosa sarebbe cambiato se le avesse detto tutto? La verità in fondo Irene la sapeva già: lui amava lei. Il resto era solo un contorno. Non voleva rischiare di perderla per una sciocchezza che non contava nulla. 

“Beh, te lo sei meritato” ribatté prima di accoccolarsi contro il suo petto. Era bello poter stare abbracciati in quel modo. Vivere quell’intimità che a Milano non si sarebbero mai potuti permettere senza dare adito a voci di condominio. 

Si era sempre detta una persona indipendente, che aveva bisogno dei propri spazi e apprezzava il contatto fisico solo a dosi limitate. Ma adesso che sentiva così vicino l’odore della sua colonia e il battito del suo cuore contro il suo orecchio, le sue certezze iniziarono a vacillare. E quando Alfredo le posò un bacio tra i capelli, Irene si era già addormentata. Nella sicurezza e nel conforto di quell’abbraccio, anche il fuso orario e l’orologio biologico dovevano arrendersi all’evidenza e lasciarli tra le braccia di Morfeo.

 

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Capitolo 2
*** Haven't you ever been in love before? ***


Il silenzio assordante che regnava in quella stanza la mattina successiva, rese confuso il risveglio di Irene. Per un attimo aveva dimenticato di dove si trovasse e, soprattutto, di chi avesse accanto. Il respiro pesante di Alfredo, unico suono che le arrivava alle orecchie, la riportò alla realtà. Le posizioni si erano invertite, adesso era lui che dormiva vicino a lei a pancia in giù e il braccio abbandonato inerme sul suo addome, che si alzava e abbassava al ritmo dei suoi respiri. 

A Irene sembrò strano che non sentisse alcun movimento provenire dal resto dell’appartamento. Provò a tendere l’orecchio in cerca di qualche voce, ma non ne trovò nessuna. Eppure la sveglia posta sul comodino segnava le 9:30 del mattino. Le loro, ovviamente. In Italia probabilmente Clara aveva già finito da un po’ di pranzare. E per Maria in Australia che orario doveva esserci? Si domandò se avrebbe mai smesso di fare continui calcoli tra i due fusi orari. Il fatto era che questa storia la affascinava. Trovava incredibile come dall’altra parte del mondo gli abitanti di quelle zone vivessero momenti della giornata completamente diversi dai suoi. 

Non fosse stata in vacanza e non dipendesse da altre due persone, che avevano messo in pausa la loro vita per lei, Irene sarebbe volentieri rimasta a letto. Si stiracchiò leggermente e sbadigliò, sentendo Alfredo che si muoveva di poco, continuando però a mantenerla bloccata. Cercò piano di svicolarsi, sgusciando piano al di sotto, mentre lui continuava a dormire beato. Lo osservò qualche istante, accennando un lieve sorriso e poi si trascinò fuori dalla stanza nella penombra cercando di non fare rumore.

“Bene, bene, bene” commentò Stefania con divertimento. Aveva avuto qualche dubbio sul buon cuore della sua migliore amica riguardo all’accogliere Alfredo nel suo letto. Sapeva quanto fosse superba e si ostinasse a tenere il punto, a volte. Lei e Gloria avevano scommesso su quale sarebbe stato l’esito corretto. Stefania doveva a malincuore concedere la vittoria a sua madre. Gloria le rivolse un’occhiata divertita, mentre Stefania ricambiò con una smorfia.

“Che c’è?” chiese Irene con aria colpevole, andandosi a sedere al tavolo in cucina dove si trovavano già Gloria e Stefania. “Ma siete due spie? Mi sembrava non ci fosse nessuno in casa.”

“Volevamo lasciarvi riposare il più a lungo possibile” sostenne Gloria. 

“Perché avete solo riposato, giusto?” la prese in giro Stefania.

“Stefania!” la riprese sua madre.

“Certo che abbiamo solo riposato” si giustificò Irene, anche se le due lo sapevano già. “Sono perfida, ma anche io ho dei limiti. Non potevo farlo dormire sul divano dopo un viaggio così lungo. Sarebbe stato semplicemente… poco umano.”

“Mi sembra giusto” annuì Gloria, cercando di mascherare un sorriso divertito davanti a goffi tentativi di Irene di rispondere alle provocazioni di sua figlia.

“E non ti ha fatto piacere nemmeno un po’?” continuò Stefania. “Siete stati vicini vicini tutta la notte?” si avvicinò per stringerla, portando Irene a divincolarsi. 

“Smettila” disse, mentre Stefania continuava a ridere.

“Lasciala stare” commentò Gloria, mettendo una mano sulla spalla di Irene. “Hai dormito bene?” chiese notando il volto sciupato della venere.

“Infatti, dov’è finita la mia amica che dormiva volentieri fino a mezzogiorno?” 

Irene fece una smorfia. “E’ rimasta in Italia” commentò sbuffando.

 “Ti capisco, anche io quando sono arrivata ho faticato molto i primi tempi. Il tuo corpo deve solo abituarsi al cambio di orario” le fece notare Gloria. “Stasera una bella camomilla e vedrai che andrà meglio” le fece una carezza sulla schiena prima di alzarsi.

Stefania le presentò una tazza di caffè americano e le mise davanti un piatto di frittelle.

“Il caffè è quello che è, ma i pancakes sono molto buoni” disse Gloria. 

“Pancakes” provò a ripetere Irene con una pronuncia inglese imbarazzante che portò madre e figlia a sorridere.

“Dovremmo svegliare Alfredo?” chiese Stefania.

“No, lasciamolo riposare ancora un po’” commentò Irene. 

“Guardala com’è premurosa” la prese in giro.

“Non è necessario. Eccolo qui. Buongiorno, Alfredo” lo salutò Gloria. “Dormito bene?”

“Magnificamente” rispose lui con un sorriso, avvicinandosi per dare un bacio sulla guancia a Irene. “Buongiorno, principessa.”

“Buongiorno, amore” rispose lei.

“Dio, ma da quando sei diventata così sdolcinata? Dov’è finita l’Irene cinica e senza cuore? Ti sei ammorbidita” scosse la testa Stefania.

“Lasciala perdere” intervenne Gloria. “Lei con Federico è molto peggio” aggiunse a bassa voce.

“Non è vero!” provò a difendersi sua figlia.

“Ti devo ricordare i primi tempi? Eri sempre tra le nuvole, non mi ascoltavi mai. E ascoltavi sempre quelle sdolcinatissime canzoni d’amore” la riprese Gloria roteando gli occhi al cielo.

Stefania prese a ridere. “Dovevo imparare la lingua!” 

“Ah, l’amore” rispose Alfredo con lo stesso sorriso innamorato che aveva Stefania per Federico. Un tempo Gloria avrebbe quasi invidiato la leggerezza di un amore giovanile. Tutte quelle prime volte insieme, il futuro pieno di possibilità davanti a loro e tante speranze e aspettative. Era un periodo magico, se si aveva accanto la persona giusta, com’era certa fosse per entrambe le coppie. Adesso, tuttavia, poteva dire di star sperimentando qualcosa di simile, e forse persino più forte, poiché arrivava con la consapevolezza di un’età più matura. Era felice, come non lo era da tempo. Si chiese per un attimo se anche lei non avesse lo stesso sorriso sciocco sulle labbra, solo che nessuno aveva mai avuto l’audacia di farle notare.

 

Dopo la colazione e una veloce doccia, si ritrovarono per le strade affollate e caotiche di New York. Gloria si era decisa ad accompagnarli, nonostante alcuni tentennamenti dovuti soprattutto al caldo, ma anche alla convinzione di voler lasciare i giovani tra di loro a recuperare il tempo perduto, senza necessariamente avere la madre al seguito. Ma Irene e Stefania avevano insistito tanto e allora si era lasciata convincere. 

Proprio loro due camminavano l’una al fianco dell’altra, Alfredo un po’ in disparte insieme a Gloria. In quel mondo nemmeno quest’ultima era riuscita, giustamente, a entrare. Un po’ comprendeva il povero Alfredo. 

“Sono proprio inseparabili quelle due, eh” commentò Gloria.

“Ho notato” rispose Alfredo. Sapeva dai racconti di Irene e delle altre del legame importante che le univa, ma non aveva avuto modo di assistervi in prima persona, dato che Irene al tempo lo teneva ancora a distanza. L’aveva sempre vista in compagnia di Maria o di Clara, ma adesso che la vedeva con Stefania si poteva rendere conto da solo della differenza. Irene era una persona diversa, più leggera, più libera da costrizioni e paure. Era semplicemente se stessa, come solo in pochi erano riusciti vederla. In parte si riteneva uno di quei pochi fortunati. Non gli dispiaceva nemmeno essere tenuto in disparte. Irene aveva bisogno di stare con la sua migliore amica, in quel momento. Chissà quanto tempo sarebbe passato poi prima che avessero occasione di rivedersi. Ed era così felice che non avrebbe fatto nulla per guastarle quella gioia.

“Ho saputo quello che hai fatto per Irene” disse d’un tratto Gloria.

Alfredo si voltò perplesso.

“La foto, dico. Sebbene i modi siano stati… discutibili” gli lanciò un’occhiataccia di rimprovero. “E’ stato un bel gesto” commentò con un sorriso.

“Era così triste dopo la partenza di Stefania…” 

“Lo so. Avrei dovuto prestarci più attenzione anch’io” si colpevolizzò Gloria. Al tempo avevano entrambe perso Stefania, avrebbero dovuto farsi forza a vicenda. Eppure era stata talmente presa da Ezio, Veronica, l’azienda, Gemma, che aveva peccato di poca sensibilità nei confronti di quella che per lei era stata sin da subito un po’ più di una semplice Venere. “Ma sono felice che abbia avuto accanto te.”

Alfredo si strinse nelle spalle. “Per il poco che mi ha permesso…”

“Sono certa ti sia stata grata anche lei, anche se non lo ha ammesso. E’ fatta così.”

“Lo so” sorrise spostando poi lo sguardo davanti a sé, verso Irene e Stefania che ridevano complici.

“E adesso è il momento dell’Empire State Building” annunciò Stefania d’un tratto, indicando con entusiasmo un palazzo enorme, infinito. Spaventoso. In quel momento ad Alfredo mancò parecchio la sua Milano.

Irene provò nuovamente a imitare la pronuncia della sua amica. Stefania era certa che avrebbe continuato per tutto il viaggio, per poi tornare in Italia e vantarsi di quelle quattro parole che aveva imparato, fingendosi poliglotta. 

“E’ il grattacielo più grande del mondo” spiegò Gloria. 

“E c’è una visuale bellissima sulla città. Dobbiamo salire!”

“Dobbiamo, imperativo” commentò sarcastico Alfredo. Irene inizialmente sembrò altrettanto entusiasta come la sua amica, ma dopo l’osservazione del suo fidanzato iniziò a tentennare, ricordandosi della sua confessione del giorno prima. 

“Vabbè, non è necessario vederla dall’alto, la città possiamo…”

Alfredo la interruppe. “Andiamo” aggiunse prendendola per mano. Non voleva essere da intralcio a nessuno. E se per fare contenta Irene doveva affrontare quell’ennesima prova, si sarebbe sottoposto anche a quel supplizio. Qualsiasi cosa per lei.

“Sicuro?” chiese Irene a bassa voce e Alfredo annuì, seguendo lei e madre e figlia dentro l’edificio e poi fin su nell’ascensore. 

“Ta dà!” disse Stefania quando si trovarono all’esterno. Una sorta di balconata circondava l’intero edificio. Delle transenne di rete poste sopra la ringhiera per evitare che qualcuno potesse affacciarsi e cadere per chissà quanti metri. Nella mente di Alfredo vennero proiettate diverse immagini, tutte piuttosto macabre, sulla fine che avrebbe fatto se fosse volato giù da quel grattacielo. Come potevano trovare entusiasmante trovarsi così tanto in alto? Quello era il posto delle nuvole e dei pennuti, non di persone come loro!  

Al contrario Irene si lanciò subito al di fuori e si avvicinò alle ringhiere per poter osservare la città. Era una bella giornata soleggiata. Forse pure fin troppo. Ma il sole, da quella prospettiva, non rovinava la visuale, anzi la rendeva ancora più luminosa. 

Alfredo rimase indietro, osservando la gioia e l’entusiasmo di Irene e di Stefania, che con frenesia le indicava qualsiasi posto riconoscesse lì da lassù. Anche Gloria, questa volta, le aveva raggiunte e sorrideva insieme a loro. 

“Ci fai una foto?” chiede d’un tratto Stefania. Gli porse la grossa macchina fotografica che teneva in spalla e che aveva già usato in più occasioni quella mattina ritraendo anche Alfredo e Irene insieme. Stefania aveva raccontato che era di Federico e dovevano trattarla come una reliquia perché lui teneva a quell’aggeggio come se fosse più prezioso del Santo Graal. Alla fine, però, le aveva insegnato a usarla e quella mattina Stefania lo aveva spiegato anche ad Alfredo. Avrebbero sviluppato le foto prima della loro partenza, così che potessero portarsi a casa i ricordi di quel viaggio e Irene avrebbe potuto tenere con sé un’altra foto con Stefania, senza correre il rischio di consumare quella che Alfredo le aveva regalato mesi prima.

Non era ancora particolarmente pratico con quell’aggeggio, ma sembrò aver scattato senza problemi, così dopo aver inquadrato le tre donne, porse di nuovo la macchina a Stefania.

“Un’altra con voi due?” propose quest’ultima, mentre Alfredo iniziò a mordicchiarsi la guancia interna all’idea di doversi avvicinare alla balconata. 

“Ma no, non è necessario” provò a rifiutare imbarazzato.

Irene gli allungò una mano e lui a malincuore la assecondò, stringendogliela forte. Poi lo portò dietro di sé e lo spinse ad abbracciarla da dietro, dando le spalle a quella vista spettacolare su New York che avrebbe fatto per sempre da sfondo a quel loro ritratto indelebile.

“Grazie” le sussurrò a un orecchio, dandole poi un bacio sulla guancia. “Anche per non aver detto niente.” Un po’ si vergognava a dover ammettere la sua difficoltà, specialmente dato che quelle tre sembravano essere così intraprendenti. In generale ad Alfredo non piaceva ammettere di non essere in grado di fare qualcosa. Piuttosto si buttava, cercava di barcamenarsi, a volte falliva, ma di certo non si tirava mai indietro.  

“Mi credete tutti più crudele di quello che sono realmente” commentò lei rassegnata, mentre Alfredo sorrideva e continuava a rimanere abbracciato a lei, perlopiù come scusa per starle accanto, nonostante il caldo, che per il timore di quell’altezza ormai entrato in secondo piano.

“E’ vero, quando vuoi sei dolce come un babà” la prese in giro. 

“Non ci provare” ribatté lei, ben desiderosa di mantenere almeno un po’ di quella sua facciata distaccata e cinica. 

“Resterà un segreto tra me e te” continuò lui sogghignando.

“Ecco, altrimenti non ci metto niente a indietreggiare…” disse Irene spingendolo di qualche centimetro più indietro, verso la balconata.

“No, no, la smetto” si affrettò a rispondere, mentre Irene soddisfatta scioglieva quell’abbraccio e riprendeva a chiacchierare con la sua migliore amica. 

 

Avevano girato per gran parte della giornata. Si erano fermati brevemente per mangiare un panino al volo e poi avevano ripreso le loro visite. Durante quel tragitto Alfredo era anche riuscito occasionalmente a tenere la mano di Irene, prima che lei la sfilasse via per il troppo caldo. Dopo essere tornati a casa per fare una doccia, tuttavia, erano tornati a uscire. Federico aveva prenotato in un ristorante ed era passato a prendere Stefania, Irene e Alfredo. Gloria aveva preferito rimanere a casa, lasciando alle due coppie del tempo per stare insieme da sole, senza la sua presenza. Non le andava di essere invadente. Oltretutto era parecchio stanca dopo quella giornata e l’idea di immettersi nuovamente nel caos della metropoli non la allettava affatto.

Irene aveva indossato un vestito giallo con dei fiori indaco che aveva fatto rimanere Alfredo senza parole. Girare per le strade di New York e andare a mangiare in un ristorante come quello faceva sentire Irene come la protagonista di un film. Si sentiva un po’ Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany. Niente a che vedere con le trattorie di Milano, per quanto segretamente in realtà le piacessero anche. Tutto lì trasudava di ricchezza ed eleganza, o forse era solo quella la vita che conducevano Stefania e Federico, che lì erano riusciti a fare carriera. Era felice per la sua migliore amica, ma non poteva negare che fosse un pizzico invidiosa. Per tutta la vita non aveva fatto altro che desiderare una vita come quella, qualcuno che la trattasse da regina. Invece il destino le aveva messo sulla propria strada Alfredo, un meccanico e un magazziniere. Lo osservò un istante mentre erano seduti al tavolo a chiacchierare, mangiare e bere dell’ottimo vino. Aveva indossato una camicia leggera a cui aveva arrotolato le maniche per via del caldo. I capelli un po’ mossi, ma impomatati all’indietro, e pensò che quella sera fosse particolarmente bello. Cosa la aspettava al suo ritorno a Milano? Un fidanzamento ufficiale? Un matrimonio e una vita in una casa di ringhiera? Avrebbe continuato a lavorare nonostante i figli che sarebbe stata costretta a sfornare? Era davvero quella la vita che voleva per se stessa? Il confronto con quella di Stefania la mandò in confusione. La sua amica non aveva mai desiderato il lusso, era una ragazza semplice e di buoni valori. L’unica cosa che le era sempre importata era riavere la sua famiglia, conquistare Federico ed essere felice, anche conducendo una vita modesta. Com’era strano il destino, pensò, mentre Alfredo, notando il suo sguardo vacuo, le circondò le spalle con un braccio. 

“Le stavo raccontando di quella volta che ti ho portato alle terme di notte” disse lui. Di fronte a lei Stefania ridacchiava divertita.

“Ma seriamente è scappato via in mutande?” rise di gusto. 

“Dovevi vederlo come correva con i vestiti tra le braccia” iniziò a ridere anche Irene, ricordando quell’uscita memorabile. Erano rincasate la mattina all’alba, ancora galvanizzate da quel cambio di programma improvvisato da Alfredo con l’unico obiettivo di soddisfare i capricci di Irene. Ripensando a quel momento, avvicinò la mano a quella che lui teneva sulla sua spalla e gliela strinse. Non era la persona che aveva immaginato al suo fianco, ma se in quell’esatto istante le avessero detto di fare a cambio con un ricco ereditiere, non era certa che sarebbe più riuscita ad accettare l’offerta, come avrebbe fatto un tempo senza pensarci due volte. Era innamorata di Alfredo, nonostante non glielo avesse ancora detto ad alta voce. Lo sapeva da tempo, ormai. Era innamorata nonostante non possedesse un cospicuo conto in banca, nonostante non l’avrebbe portata al Grand Hotel a cena ogni settimana. E quando si amava una persona, certe cose entravano in secondo piano. Alfredo non era ricco, ma quell’episodio che stava raccontando a Stefania e Federico dimostrava che era disposto a tutto pur di accontentarla e renderla felice, e che con lui non si sarebbe mai annoiata. 

“Beh, però dai, meglio dell’appuntamento in oratorio con Rocco, no?” scherzò Stefania, tirando fuori una storia ormai morta e sepolta da tempo e di cui Alfredo non era a conoscenza. Non che gliel’avesse voluta tenere appositamente nascosta, l’argomento non era semplicemente venuto a galla. 

E infatti lui prontamente colse la palla al balzo. “Rocco? Che c’entra Rocco?” domandò Alfredo voltandosi a guardarla con curiosità. La stessa che illuminava lo sguardo di Federico che si era sporto in avanti per ascoltare meglio quella confessione.

“Ah, non…” provò a dire Stefania, chiedendole poi scusa tramite il labiale, nella speranza che nessuno dei due ragazzi la vedesse. 

“Ma niente” intervenne Irene. “Abbiamo avuto una cosa tempo fa, niente di importante” provò a minimizzare.

“Ma non stava con Maria?” si intromise Federico.

“Eh, appunto” convenne Alfredo.

“E’ stato prima” ammise. “Vabbè, possiamo andare avanti o dobbiamo ancora continuare a parlare di Rocco?” cercò di tagliare corto.

“Sì, infatti, ormai è acqua passata e…” provò ad aiutarla Stefania. 

“Prima” mugugnò Alfredo tra sé e sé, riuscendo così a unire i vari puntini. “Quindi quando mi hai invitato a ballare al Paradiso stavate già insieme?” Ricordò quella serata, si stavano facendo delle prove di ballo con un maestro per una delle iniziative del Paradiso e Alfredo aveva accettato ben volentieri di partecipare, desideroso all’epoca di conquistare Maria. A pensarci adesso la cosa lo faceva molto ridere. Lui e Maria erano così diversi, non immaginava adesso al suo fianco nessun’altra persona al di fuori di Irene.

“Sì, beh…” Irene iniziò a mordicchiarsi una guancia con fare innocente. “Potrei averti usato per avvicinare quei due. Anche se alla fine non è stato chissà quale affare” commentò con una smorfia.

“Ah, complimenti” si congratulò lui con fare divertito. Non ce l’aveva realmente con Irene, d’altronde riconosceva anche lui adesso quanto fossero male assortiti lui e Maria. E Irene era sempre la solita intrigante imbroglioncella di cui si era innamorato.

Mentre loro due ridacchiavano e Alfredo si avvicinava per posare un bacio sulla guancia di Irene, il cameriere era arrivato al tavolo per portare il conto.

“Non preoccuparti, ci penso io” disse Federico mentre Alfredo tirava fuori il portafogli.

“Grazie” si intromise Irene, impedendo ad Alfredo di insistere per dare il suo contributo. Aveva portato con sé qualcosa e all’arrivo era stato aiutato da Stefania a convertirli in dollari americani. Poteva pagare, ma Irene glielo aveva impedito. L’idillio di pochi istanti prima si sgretolò di colpo. E il modo in cui la guardò l’avrebbe fatta sentire piccola piccola, se solo gli avesse prestato attenzione. Invece Irene era impegnata a parlare con Federico e Alfredo fu costretto a cedere, ringraziando a sua volta. Non lo riteneva in grado di pagarle nemmeno una cena fuori? Non si rese nemmeno conto di come quel gesto lo avesse fatto sentire sminuito. Gloria gli aveva già pagato il biglietto di quel viaggio e lui a malincuore, pur di stare con Irene, aveva accettato. Non gli piaceva l’idea di approfittare della loro generosità, considerato soprattutto che lui per quelle persone era letteralmente un estraneo.

 

Alfredo non aveva pronunciato più parola da quando erano usciti dal ristorante fino al tragitto a casa. 

“Il gatto ti ha mangiato la lingua?” gli chiese seduta sul bordo del letto mentre si spalmava della crema idratante sulle mani. 

“Eri innamorata di Rocco?” le chiese d’un tratto. Iniziava a domandarsi del perché la loro storia fosse finita. Stefania aveva menzionato un appuntamento all’oratorio che Irene non doveva aver apprezzato. Lo aveva lasciato perché non poteva darle la vita di lusso che desiderava? Si era pentita di essersi fatta da parte adesso che Rocco era un famoso ciclista?

Irene si voltò di colpo e lo osservò con aria confusa. “Perché me lo chiedi?”

“Non posso?” rispose lui. “Sono venuto a sapere solo oggi di questa storia, non posso volerne sapere di più?” aggiunse sdraiandosi sul letto sopra le lenzuola.

“No” rispose di getto Irene. Che valeva come risposta a entrambe le sue domande.

“No che non posso saperne di più?”

“No, non ero innamorata…” rispose infine, continuando a spalmare quella crema ormai assorbita, più per nervosismo e per avere qualcosa con cui tenere le mani occupate. “Non lo so. Forse” si lasciò scappare infine, continuando a dargli le spalle.

“Forse” ripeté lui con aria poco convinta. 

Irene allora finalmente si sdraiò a sua volta e si appoggiò ai cuscini dopo averli gonfiati e messi a posto contro lo schienale del letto.

“E perché non è continuata? Perché mi hai usato per scaricarlo?” si informò ulteriormente, proprio quando Irene credeva che il discorso fosse ormai del tutto concluso. Sospirò profondamente.

“Ma cos’è, un interrogatorio?” ribatté infastidita.

“Ma perché non vuoi dirmi niente? E’ un segreto?”

“No, non è un segreto, ma è una storia chiusa da tempo, non vedo che senso abbia parlarne adesso.”

“Ha senso per me” sottolineò lui con fare serio.

Irene si voltò a guardarlo per qualche istante, chiedendosi il perché di tutte quelle domande. Non poteva essere geloso di Rocco, non lo vedeva più da due anni, circa. 

“Perché… lui voleva Maria e lei voleva lui. E io non volevo mettermi in mezzo e rovinare l’armonia in casa con le ragazze. Ti basta come risposta?”

“Quindi provavi qualcosa per lui…”

“Certo che provavo qualcosa, non mi sarei infilata in quella situazione per niente” sbottò lei. Doveva ammettere che la sfida con Maria l’aveva ulteriormente motivata, ma era stata attratta da Rocco, per qualche motivo, ben prima del suo arrivo. “Ma qualunque cosa fosse, è acqua passata. Possiamo smettere di parlarne, adesso?” aggiunse avvicinandosi per dargli un bacio sulle labbra, mentre un poco partecipativo Alfredo continuava a guardare dritto davanti a sé. 

“Dai, ora andiamo a dormire che sono stanchissima” disse spegnendo la lampada sul suo comodino, mentre Alfredo rimaneva seduto sul letto pensieroso.

 

Irene si era rigirata tra le lenzuola per oltre un’ora, incapace di prendere sonno. Gliel’aveva detto Gloria che il fuso orario avrebbe potuto giocarle qualche brutto scherzo e infatti era a pancia in su a fissare il soffitto al buio, mentre sentiva il respiro di Alfredo accanto a sé. Si voltò per un istante a guardarlo, illuminato flebilmente dalla luce che riusciva a filtrare dalla finestra coperta da delle tende non troppo spesse. Dormiva su di un fianco rivolto verso di lei. Beato lui, pensò Irene. Si decise ad alzarsi, notando della luce provenire dallo spiraglio sotto la sua porta. Doveva esserci qualcuno ancora sveglio in salotto. Magari avrebbe approfittato della camomilla che Gloria le aveva offerto quella mattina.

Si trascinò fino alla porta e in salotto trovò Stefania con un libro sulle gambe e una matita tra le mani. 

“Ancora sveglia?” le chiese Stefania. 

“Già” commentò Irene con aria affranta, buttandosi a peso morto sul divano accanto alla sua amica. 

“Ti preparo la camomilla che diceva mia madre” disse allora, spostandosi verso la zona cucina collegata con il salotto e divisa solo da una grande porta scorrevole, il più delle volte tenuta aperta. Irene si allungò per prendere il libro che teneva prima in grembo Stefania e cercò di leggerlo a sua volta. Ovviamente era scritto in inglese. 

Stefania dalla cucina ridacchiava. “Non è facile nemmeno per me, in realtà” le rivelò dopo essere tornata da lei con due tazze calde, che avrebbero dovuto far raffreddare un po’ prima di mandare giù, data la stagione in cui si trovavano.

“Conosco le basi, vivendo qui da un anno e Federico mi è stato molto d'aiuto. Ma la strada è ancora lunga.”

“Pensi di rimanere qui per sempre?” chiese allora Irene, mettendosi di fianco e ritirando le gambe sotto di sé per voltarsi verso Stefania.

La sua amica la guardò con aria malinconica. “Se tu fossi qui avrei tutto quello di cui ho bisogno” ribatté Stefania, allungando una mano verso la sua per stringergliela. Quanto le mancava la sua migliore amica. Aveva stretto nuovi legami lì in America e in più aveva i suoi genitori accanto a lei, una famiglia vera come non aveva mai avuto. Eppure ancora una volta mancava un pezzettino, un tassello affinché tutto fosse perfetto. Prima mancava sua madre, adesso mancava quella sorella che aveva trovato inaspettatamente a Milano. Avrebbe avuto mai il pacchetto completo?

“E tu?” le chiese Stefania. “Hai tutto quello di cui hai bisogno?” Non l’aveva mai vista così felice e serena. Alfredo le faceva bene, aveva sciolto quel cuore duro e acido e l’aveva trasformata in una ragazzina innamorata. Sebbene la prendesse in giro, Stefania era così contenta di vederla finalmente serena. 

Irene tentennò e si strinse nelle spalle. 

“Alfredo ti rende felice? State così bene insieme” disse Stefania. 

Anche questa volta la sua amica ci mise un po’ a rispondere, poi però stavolta annuì. Sì, Alfredo la rendeva felice, non poteva negarlo. C’era ancora la questione irrisolta tra lui e Clara che la metteva in dubbio e non le faceva dire con assoluta certezza che Alfredo fosse la persona giusta. Però sì, era felice.

“E lui stravede per te, pende dalle tue labbra” scherzò Stefania, sebbene però fosse proprio la verità. “Anche se non so se ti sei accorta che stasera ci è rimasto male.”

“E per cosa? Per la faccenda di Rocco? Mi ha riempito di domande fino a poco fa. Grazie, eh.” 

“No” si affrettò a dire Stefania. “Anche se mi dispiace, pensavo lo sapesse.”

“Ma non c’era niente da sapere.”

“In effetti” commentò. “No, ma non ha preso bene quando gli hai impedito di pagare per la cena di stasera.”

Irene la guardò incredula. “Ma l’ho fatto perché non volevo metterlo a disagio.”

“Lo so, ma si sa come sei pretenziosa tu… magari voleva dimostrarti che può darti ciò che desideri.”

“Ma non può” si lasciò scappare Irene. “Nel senso, so chi è, so che lavoro fa. Non è il figlio di un imprenditore come Federico.”

“E allora? Guarda che Federico non riceve niente da Umberto.”

“Ma si è potuto permettere di venire in America a lavorare con sua sorella” commentò Irene. 

“E quindi? E’ questo ciò che conta? Non come ti tratta, se ti ama, ma se può permettersi di pagarti la cena fuori? Lo so che non sei così superficiale, Irene” rispose la sua amica.

Irene abbassò lo sguardo e sbuffò. “Il problema non sono le cene. Il problema è il dopo. Io non lo so se la voglio quella vita.” 

“Ma quale vita, Irene” disse Stefania stringendo più forte la mano della sua amica. “Alfredo ti ama, farebbe di tutto per te, ti fa divertire, ti porta a fare cose nuove. Con lui non ti annoieresti mai. Non saresti una moglie casalinga chiusa in casa. Alfredo non è mica Rocco” accennò un sorriso per cercare di tirarla su. “Ma qui abbiamo saltato la domanda più importante. Lui ti ama, ma tu lo ami?”

Irene iniziò a torturarsi la guancia interna, senza mai distogliere lo sguardo da Stefania. Non tentennava perché in dubbio sui suoi reali sentimenti, ma perché faceva fatica ad ammentterli ad alta voce. Raramente diceva un “ti voglio bene” persino a Stefania o a Maria. Lo sapevano già, d’altronde, pronunciarlo la faceva sentire vulnerabile, esposta. Ma in quel momento Alfredo non c’era. Irene accennò un lieve sorriso e mosse di poco la testa in un sì quasi impercettibile. 

“Allora il vostro futuro lo costruirete insieme come vorrete voi. Non deve per forza essere uguale a quello di tutti gli altri. E se lui non fosse abbastanza intelligente da sapere di doverti lasciare libera, allora verrò io stessa da qui per dirgliene quattro” concluse lei con sicurezza, allargando le braccia per essere pronta ad accogliere Irene. Quanto le erano mancate le loro chiacchierate. Di solito era Irene quella che cercava di consolare lei e farla ragionare. Era strano poter finalmente ricambiare, ma anche soddisfacente. “Adesso finisci la tua tisana e poi fila a dormire” le intimò. 

Irene annuì rincuorata. E quando tornò in camera da Alfredo, si rese conto che il suo respiro era meno pesante e aveva cambiato posizione, sistemandosi a pancia in su. 

“Sei sveglio?” gli sussurrò piano e Alfredo voltò la testa verso di lei. Gli passò una mano tra i capelli e la fece scendere fino alla guancia, sfiorandogliela con la punta delle dita. Alfredo continuava a guardarla nel buio della notte senza dire niente. Irene gli prese un braccio e lo allargò, in modo da farle spazio sul suo petto e lui la lasciò fare in silenzio. Il respiro era più pesante e veloce.

“Vuoi una tisana anche tu?” disse sollevando il capo per guardarlo. Alfredo scosse la testa.

“E’ per questo che sei mancata tanto?” chiese. Irene annuì. “Non pensavo di averti svegliato.”

Avrebbe voluto scusarsi con lui per come si era chiusa quella serata al ristorante, ma anche in quello Irene era parecchio carente. Ammettere di aver sbagliato non era uno dei suoi punti di forza. Allora si allungò e gli posò un bacio sull’angolo delle labbra, nella speranza che bastasse a rincuorarlo, prima di tornare ad adagiare la sua testa sul petto di Alfredo. La chiacchierata con Stefania l’aveva aiutata a fare più chiarezza nella sua testa, ma dentro di sé aleggiava ancora quel fantasma, quell’elefante nella stanza che non aveva mai voluto nominare, un po’ per timore di una sua risposta affermativa, un po’ perché non poteva accettare che lui le mentisse. Doveva scoprire da sola quello che stava accadendo con Clara e solo allora avrebbe potuto capire con assoluta certezza quale sarebbe stato il suo futuro con Alfredo. 

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Capitolo 3
*** Nothing fills me like your love ***


Quella mattina Irene non era stata la prima a svegliarsi. Quella camomilla aveva fatto miracolosamente effetto e si era ritrovata a dormire come un sasso per il resto della notte. Durante la quale si era mossa e spostata dall’abbraccio di Alfredo, o forse era stato lui a pretendere il suo spazio, dopo essersi trovato il braccio indolenzito fermo nella stessa posizione per qualche ora.

Di fatto Alfredo si era alzato e aveva lasciato Irene a dormire. Il giorno prima Stefania e Gloria avevano rivelato loro che sarebbero state impegnate entrambe al lavoro, quantomeno per la mattinata, e dunque era certo di non trovare nessuno in salotto quando sgusciò fuori dalla camera da letto. Vi trovò invece Gloria seduta sul divano con dei documenti davanti a sé, già vestita e pronta entro poco ad uscire dall’appartamento. Indossava un vestito amaranto e teneva i capelli raccolti in una coda alta. Aveva il volto accigliato e occupato a leggere un documento, ma quando si accorse della presenza di Alfredo il suo viso si illuminò in un sorriso.

“Alfredo, buongiorno” gli disse. “Il caffè è pronto in cucina e stamattina Stefania prima di andare al lavoro è andata a comprare delle ciambelle” lo informò. “Donuts, li chiamano qui.”

“Grazie, ma non dovevate. Io e Irene potevamo cavarcela per mezza giornata da soli.”

“Nessun problema. Stefania ha tutta l’intenzione di viziarvi il più possibile finché sarete qui. E devo dire che anch’io sono del suo stesso avviso.”

Alfredo ricambiò il sorriso gentile di Gloria. “Pensavo fosse già andata al lavoro pure lei. Cioè, tu” si ricordò poi.

“Oh, non preoccuparti. Ho quasi finito e poi mi toglierò dai piedi. Potrete stare da soli tu e Irene” commentò con un gesto della mano.

“Ma no, figurati. E’ casa vostra, siamo noi gli ospiti” aveva risposto Alfredo, che a dirla tutta non smaniava di rimanere da solo con Irene. Non dopo quello che aveva sentito la sera prima.

“Mi dispiace di non potervi portare in giro questa mattina, ma purtroppo, o per fortuna, il lavoro chiama. E con Ezio lontano al momento, devo per forza occuparmene io” si giustificò Gloria.

“Sono certo che Irene troverà qualcosa da fare” commentò lui con una smorfia che Gloria non perse occasione di notare. 

“Va tutto bene?” gli chiese, vedendolo un po’ abbattuto. Gli fece poi cenno di sedersi accanto a lei sul divano. Aveva ancora qualche minuto da dedicargli, prima di dover scappare nell’azienda di tessuti che lei ed Ezio avevano aperto lì in America. “Anche tu hai dormito poco?”

In effetti anche Alfredo aveva problemi col fuso orario, sebbene meno accentuati rispetto a Irene. Tendeva a svegliarsi più spesso durante la notte, ma quella volta non era stato il cambio di ora ad averlo tenuto più sveglio del normale. Irene non si era accorta di nulla, ma quando la sera prima si era alzata dal letto, si era svegliato a sua volta. L’aveva sentita sgusciare piano fuori dalla stanza e aveva notato il raggio di luce fugace che aveva fatto il suo ingresso quando Irene aveva aperto la porta per raggiungere la sua migliore amica. 

Era rimasto per qualche minuto a letto, convinto che Irene sarebbe presto tornata a dormire a avesse avuto un motivo in particolare per essersi alzata. Aveva cercato di riprendere sonno, senza successo. Poi non sapeva nemmeno perché l’avesse fatto, non si era fermato troppo a ragionarci. I suoi piedi lo avevano trascinato fino alla porta e l’aveva scostata leggermente, cercando di scrutare al di fuori. Aveva visto Irene seduta sul divano insieme a Stefania e aveva captato le loro voci. Non tutto era arrivato alle sue orecchie, gli mancavano pezzi di frasi, risposte a delle domande. Ma qualcosa aveva capito. Qualcosa che, per ovvi motivi, non gli aveva fatto piacere. 

Quando Irene aveva accettato di tornare insieme a lui e conoscere la sua famiglia, Alfredo aveva creduto che lei avesse messo totalmente da parte le proprie remore nei suoi confronti, specialmente quelle relative alla sua estrazione sociale. Si era convinto che Irene avesse capito cosa fosse realmente importante. Che lui fosse realmente importante, come lei stessa gli aveva confermato mesi addietro. Ma quelle mezze frasi e quei silenzi riportavano la loro storia al punto di partenza. Sembrava come un gioco dell’oca sfortunato, in cui il dado continuava a fargli fare passi indietro ogni volta che credeva di essere sempre più vicino alla meta. 

Si era rintanato sul letto quando si era reso conto che Irene lo stava per raggiungere e aveva fatto finta di niente. L’aveva sentita muoversi fino a raggiungere il suo braccio e spostarlo per trovare spazio sul suo petto. Aveva sentito le sue domande, i suoi respiri, il suo bacio prima di addormentarsi. E aveva fatto finta di niente. 

Alfredo era una persona estremamente paziente. Era difficile che arrivasse a sbottare contro qualcosa o qualcuno, specialmente qualcuno a cui teneva davvero. Era solito sopportare, cercare di mediare. E senza dubbio era abituato a fare il primo passo, specialmente con Irene. Ma era stanco di dover essere sempre lui a trovare del terreno comune. Chiederle spiegazioni o avvicinarsi in cerca di un confronto. Era stufo anche di rimanere in silenzio ed accettare passivamente ogni azione e  comportamento di Irene, subendoli senza fiatare. Dava cento e riceveva in cambio dieci. 

“C’entra forse Irene?” chiese allora Gloria, mettendogli una mano sul braccio. Alfredo le rispose con un gesto della testa e un sorriso mesto. “Devi avere pazienza con lei. Ha un carattere complicato, ma è capace di amore incondizionato, se gliene dai l’opportunità” gli disse. “Vedi con Stefania. E’ stata lei a sceglierla, proteggerla, farle da guida. Non c’è niente che non le perdonerebbe.” 

Alfredo soppesò quelle parole con un’aria malinconica. “Allora forse è qui il problema. Io ho scelto lei, ma lei non ha scelto me.” Irene aveva deciso immediatamente, istintivamente, di fidarsi di Stefania. Era stata una sua decisione, aveva visto qualcosa in lei, c’era stata una connessione immediata. Al contrario, era stato Alfredo a scegliere Irene. A corteggiarla insistentemente per mesi, andando contro ai continui rifiuti di lei. Irene non lo aveva scelto, forse l’aveva solo presa per sfinimento.

“Ma perché dici così?” reagì subito Gloria. “Non dire sciocchezze. Irene stravede per te. Anche se non sembra” gli sorrise. 

“Forse è così” minimizzò lui con un gesto della testa.

Gloria gli strinse il braccio in segno di supporto. “Fa solo più fatica a dimostrarlo. Ma io lo vedo. Stefania lo vede. Per notare le sue dimostrazioni bisogna solo prestare un po’ più di attenzione, i suoi gesti sono meno plateali, ma ci sono.” Aveva imparato a conoscerla, a notare quei piccoli gesti di premura che Irene aveva verso le persone a cui voleva bene, e Alfredo era uno di questi. Doveva solo imparare ad esternare ciò che provava, perché dopotutto a tutti faceva piacere sentirsi amati e apprezzati.

Alfredo annuì, poco convinto. “Non voglio disturbarla oltre… disturbarti, scusa” si affrettò nuovamente a correggersi. Probabilmente si sarebbe abituato a darle del tu solo prima della loro partenza per l’Italia. 

Gloria si rimise in piedi poi gli poggiò una mano sulla spalla. “Non crucciarti. Irene è complicata, ma è una brava ragazza e ti vuole bene. Ha bisogno solo di un po’ di tempo” gli disse, prima di uscire dall’appartamento e lasciarlo da solo coi suoi pensieri.

Eppure Alfredo di tempo a Irene ne aveva dato fin troppo. Aveva penato per sette lunghi mesi. Aveva accettato le sue bugie, era tornato sui suoi passi e l’aveva perdonata. L’unica colpa di cui si macchiava era quella di aver rischiato di buttare tutto al vento per un momento di debolezza con Clara. Ma potevano biasimarlo, visto come Irene lo aveva trattato? O almeno questo era ciò che diceva per convincersi di non essere nel torto. Dopotutto non aveva oltrepassato il punto di non ritorno. 

“Buongiorno” sentì la voce di Irene ridestarlo all’improvviso dai suoi pensieri.

“Non ti avevo sentita” ammise lui, mentre lei si chinava per posargli un bacio tra i capelli. Era in momenti di affetto come quelli che Alfredo metteva da parte tutti i suoi dubbi. Perché vedeva come Irene fosse diventata più espansiva, più desiderosa di cercare il contatto fisico con lui. E tutto questo entrava in collisione con le sue parole e alcuni dei suoi comportamenti. Dov’era la verità?

“Ciambelle!” disse lei con entusiasmo dopo aver trovato il tesoro nascosto da Stefania.

Alfredo sorrise. “Donuts” pronunciò lui con un accento migliore di quello di Irene.

“Che?”

“Gloria ha detto che qui le chiamano così” aggiunse mettendosi in piedi per raggiungerla in cucina, mentre Irene provava a dirlo a sua volta a ripetizione, come una bambina che scopriva una parola nuova e sentiva il bisogno di memorizzarla. Lui la guardò colmo d’amore e accennò un sorriso, dandole un bacio sulla punta del naso dove si era sporcata con lo zucchero a velo.

 

Avevano percorso le vie di New York abbracciati, quel giorno che le temperature si erano abbassate e permettevano loro di stare vicini senza provare fastidio. Alfredo le aveva circondato le spalle e Irene teneva tra le mani una mappa che la sua amica le aveva fatto trovare sul tavolo quella mattina. Aveva deciso di fare un giro a Central Park, sia per trovare ulteriore refrigerio, sia perché Stefania glielo aveva consigliato.

“Ha detto che c’è un lago enorme e si può fare un giro sulla barchetta” gli disse Irene. 

“E tu sai remare?” la prese in giro Alfredo, imboccando la strada per il parco. 

“Non l’ho mai fatto, ma sono sicura di riuscirci” commentò con una smorfia sicura.

“Ah, sì? Allora guidi tu?” la mise alla prova. Per un po’ i suoi pensieri erano stati allontanati dalle smancerie di Irene. Dopotutto non poteva tenerle il broncio tutto il giorno e un po’ la discussione con Gloria lo aveva rincuorato.

“Certo” rispose con convinzione.

Inutile dire che quando erano saliti sulla piccola barchetta di legno, dopo il pic nic fatto sul prato per pranzo, non era stata Irene a tenere le redini. Ci aveva provato, finendo per farli arenare in un angolo, incastrati tra dei massi in una zona in cui l’acqua era più bassa. Alfredo aveva così preso il comando, rivelandosi piuttosto capace a manovrare quel barchino.

La vista da lì era spettacolare, pensò Irene, chinandosi indietro per osservare il paesaggio. Lasciò cadere la testa all’indietro e chiuse gli occhi, beandosi del sole. Quanto era bella, pensò Alfredo.

Consapevole di quella gita al parco, aveva optato per dei pantaloni celesti e una camicetta bianca con dei pois. Teneva i capelli bloccati dietro le orecchie con un paio di forcine e aveva sfilato i tacchi prima di mettersi sul barchino, per timore di cadere o di rovesciarla. Adesso giacevano sul fondo della barca, mentre lei teneva le gambe lunghe verso di lui.

Alfredo lasciò andare un remo per un attimo e iniziò a solleticarle i piedi, portandola a divincolarsi.

“Smettila” esclamò a tratti divertita, a tratti spaventata dall’idea di finire a mollo. “Vuoi farci cadere?”

“Tanto sai nuotare, no?” scherzò lui, ricordando l’estate prima trascorsa al mare e quella gita alle terme.

“Lo sai” rispose lei dandogli un piccolo colpo sulla gamba con il piede. “Ma non ci tengo a nuotare nelle acque torbide di un laghetto, grazie. Quindi stai buono” gli intimò. E lo guardò in un modo che rischiava di fargli uscire il cuore dal petto. 

Si fermò in una zona più ombreggiata e si chinò per darle un bacio sulle labbra, facendo oscillare il piccolo barchino.

“Dio, quanto ti amo” si lasciò scappare d’istinto mentre le afferrava il viso con una mano. Si pentì immediatamente di quello slancio, perché sapeva che Irene non avrebbe ricambiato. Doveva avere pazienza, gli aveva detto Gloria. Ma lui di pazienza con lei ne aveva avuta fin troppa. Adesso non era il momento che anche lui ricevesse qualcosa da lei? 

Deglutì quando vide Irene sorridere e allungarsi a sua volta per ricambiare il bacio. Quella era la sua risposta ogni volta che Alfredo tirava fuori l’argomento. Pensava a zittirlo con un bacio. Ma non era più abbastanza. Non dopo quello che aveva sentito il giorno prima. Non dopo tutti quei mesi di attesa, di rifiuti, di prese in giro. 

“Ma tu mi ami o no, Irene?” la incalzò di petto, questa volta, senza darle la possibilità di tirarsene fuori. Erano letteralmente in mezzo al lago, nessuna via di uscita, né fisica né metaforica.

Lei lo guardò con aria imbarazzata, a tratti infastidita. L’aveva messa in una situazione scomoda, dove sapeva fosse ormai impossibile uscirne trionfante. Sia che l’avesse ammesso, sia il contrario, le cose non sarebbero andate come voleva lei. Non avrebbe ammesso i suoi sentimenti nel modo che avrebbe preferito. Ma glielo avrebbe tirato fuori con la forza, o si sarebbe trovata a dover mentire e negare, deludendolo ulteriormente. 

“Ma che domande sono” provò inutilmente a tirarsene fuori, sapeva che non sarebbe servito a niente, a quel punto. 

“Sono domande, Irene” fece lui. “Domande che mi frullano in testa da un po’. Domande per cui credo di meritare una risposta, non credi?”

“Perché fai così?” gli chiese spostando le gambe per mettersi seduta e avvicinarsi a lui. Gli prese le mani tra le sue. “Lo sai quello che c’è tra di noi. Lo sai quello che provo per te.”

“No, non lo so. O non te lo avrei chiesto” sbottò. “Ci sono momenti come questo in cui stiamo così bene insieme che mi sembra impossibile che tu non voglia davvero stare con me e sia capace di fingere così bene.”

“Non sto fingendo” gli disse delusa che lo avesse anche solo pensato.

“E momenti in cui, come ieri sera, mi sembra che ogni volta che facciamo un passo avanti, tu ci riporti di nuovo al punto di partenza. Quindi sì, te lo chiedo un’altra volta: mi ami o no? Vuoi davvero stare con me?” continuò diretto. Non le avrebbe permesso di liquidare la questione con un bacio o qualche moina. Aveva bisogno delle sue risposte.

“Certo che voglio stare con te” ammise, sviando il discorso sui sentimenti. Poi, come se si fosse resa conto solo in quel momento del significato delle sue parole, gli lasciò le mani e si tirò indietro. “Che vuol dire ieri sera? Cos’è successo ieri sera?” Non poteva riferirsi ancora alla questione del conto pagato da Federico, né a Rocco, di cui avevano ampiamente già discusso.

“Ti ho sentita, Irene” confessò. “Con Stefania. Ho sentito cosa vi siete dette. E lo so che non sono l’uomo che immaginavi di avere al tuo fianco. Ma pensavo che quella faccenda fosse superata, che avessi accettato di stare con me perché avevi capito che l’amore era più importante. Ma forse mi sono sbagliato. Forse non sarò mai abbastanza per te.”

“Mi hai spiata?” gli domandò arrabbiata. 

“Di tutto quello che ho detto questa è l’unica parte che ti interessa?” sbuffò, scuotendo la testa. Afferrò i remi e cercò di far ripartire il barchino. Prima tornavano a riva, prima poteva allontanarsi a lei. Al momento era talmente deluso che non riusciva nemmeno a guardarla in faccia. Cos’era, le faceva comodo che lui l’accompagnasse per quel viaggio, altrimenti non l’avrebbero lasciata partire da sola? Voleva qualcuno a cui aggrapparsi in caso di paura? Qualcuno stupido come lui da fare qualsiasi cosa lei volesse? Ma ora basta, era stanco.

“Cosa c’è tra te e Clara?” Il volto di Irene era duro, vendicativo. Se Alfredo la metteva in discussione in quel modo, dimostrando di non conoscerla affatto e di non capire quello che davvero provava per lui, allora avrebbe ribaltato le parti per mettere anche lui alla berlina.

Alfredo si fermò di colpo, sbiancando. “Cosa c’entra Clara, adesso?”

“Non sono stupida. La percepisco la tensione ogni volta che Clara entra nella stanza. Vedo come inizi a sudare freddo ogni volta che ti guarda, come cerchi di scappare ogni volta che è presente. Quindi, cosa c’è tra te e Clara? Giuro che se c’è stato qualcosa, tu in Italia non ci torni vivo” lo guardò accigliata, il volto contratto. 

“Non c’è stato niente tra me e Clara” rispose Alfredo a disagio. “Cosa vai a pensare. Comodo sviare l’argomento da te a me.”

“Alfredo” ribadì lei, sfilandogli uno dei remi dalle mani per impedirgli di proseguire verso le scale. 

“E’ stato un errore, ma…” iniziò lui, ma a quelle cinque parole Irene non ci vide già più. Si allungò per sfilargli anche l’altro remo e iniziò a sbatterli nell’acqua nel tentativo, maldestro, di portarli fuori da lì. Era stata una pessima, terribile idea. 

“Non è successo niente!” le ripeté, ma Irene non sembrava più ascoltarlo. “Avrebbe potuto ma non è successo. Io amo te, ma è chiaro che per te non è lo stesso.”

“Oh, non provare a dare la colpa a me, adesso” esclamò lei, che nonostante tutto sembrava essere miracolosamente riuscita a riportarli vicini all’uscita.

“Dammi” provò a riprendere lui il controllo, più che altro per la loro incolumità. Teneva lui stesso, tanto quanto lei, a tirarsi fuori da quella situazione ingestibile. 

Ma lei non sembrava intenzionata a lasciargli decidere un bel niente, di certo non la rotta che avrebbe preso la sua vita. Né la barca. Aveva già fatto abbastanza danni. Quando arrivarono finalmente a destinazione, Irene si rizzò subito in piedi. Trovò una mano pronta ad aiutarla, mentre con l’altra teneva i tacchi che avrebbe presto calzato ai piedi per allontanarsi ad ampie falcate. 

“Piano” le intimò Alfredo, mentre sentiva il barchino ondeggiare. Fu una questione di attimi, non si rese conto nemmeno di come fosse successo, troppo intento a guardare Irene che come una furia cercava di scappare da lì, che senza rendersene conto sentì questo ribaltarsi completamente e riversare lui in quel lago melmoso. 

Irene avvertì del rumore alle sue spalle e le lamentele di Alfredo mentre si ribaltava e finiva a mollo. 

“Alfredo” esclamò preoccupata, non vedendolo risalire immediatamente. Lo vide poi muovere il barchino e riemergere, completamente zuppo. L’uomo che prima aveva aiutato lei, adesso stava allungando una mano verso Alfredo, che lui accolse di buon grado, mentre Irene si copriva la bocca con le sue. 

“Alfredo, mi dispiace” disse passandogli le mani sul viso e tra i capelli. Alfredo notò l’apprensione di Irene prima, il dispiacere poi, e infine un piccolo accenno di sorriso divertito, mentre lui si sfilava le scarpe per lasciar fuoriuscire l’acqua. La camicia gli si era appiccicata contro il petto e aveva i capelli dritti lungo la fronte. Irene tirò fuori dalla borsetta un foulard e glielo passò tra i capelli, cercando di tamponarglieli, e poi sul viso. Non che servisse a molto.

“Un po’ te lo sei meritato” commentò, rischiando di poco il linciaggio. Alfredo la guardò torvo e in un altro momento avrebbe riso anche lui di quella situazione. Ma in mente aveva solo la discussione che avevano avuto poc'anzi e adesso voglia di ridere non ne aveva nemmeno un po’. 

 

Affrontarono il resto del tragitto in silenzio, ognuno preso dai propri pensieri e deciso a mantenere il punto. Aveva avuto ragione. Irene aveva sempre ragione. Queste cose se le sentiva. Non avrebbe potuto dirgli che lo amava, sapendo adesso che lui l’aveva presa in giro. Diceva che non era successo niente con Clara, ma doveva credergli? Le aveva mentito. Le aveva detto che tra di loro era stata tutta una messinscena per darle una lezione e metterla alla prova. Ma non era vero. Che fosse successo o meno qualcosa, il fatto che le avesse mentito diceva tutto. O non avrebbe sentito il bisogno di dirle una menzogna. Come poteva più fidarsi di lui? Aveva avuto ragione sin dall’inizio. Non avrebbe dovuto lasciare che lui la convincesse a darle una possibilità. Era solo un farfallone inaffidabile e lei una delle tante prede che, una volta conquistate, veniva messa da parte per dare spazio a quella successiva. Quanto era stata stupida, pensò, mentre varcavano la soglia dell’appartamento Colombo. 

“Spogliati” gli disse avvicinandosi a lui per aiutarlo a sbottonare la camicia che gli si stava asciugando addosso. “Hanno il pavimento in legno, lo stai bagnando tutto” si giustificò, sebbene una parte di sé era anche mossa dalla premura e dal senso di colpa perché in fondo era anche - solo - per colpa sua che era finito a mollo nel lago. Certo, se lui non l’avesse fatta arrabbiare, non sarebbe finito in quella situazione. Quindi forse, tutto sommato, era ancora colpa di Alfredo.

Lui si lasciò aiutare in silenzio finché, rimasto ormai in mutande, si rintanò in bagno per farsi la doccia. Dopotutto non era la prima volta che Irene lo vedeva in quelle condizioni. 

Alfredo sperava che sotto l’acqua corrente i suoi pensieri venissero lavati via. Immaginava di vederli scorrere giù per lo scarico e liberarlo da quel peso che sentiva sul petto. Aveva sbagliato, sapeva di essere nel torto. Così come sapeva che aveva mentito solo per paura di perderla. Non provava niente per Clara, era stato un errore. Ma dirlo a Irene significava rischiare di mettere tutto in discussione. E per cosa, in fondo? Non significava niente. Quello che aveva descritto prima Irene era solo nervosismo per il terrore di essere scoperto. Niente di più. E fosse stata un’altra situazione avrebbe cercato di spiegarle ciò che provava e prostrarsi ai suoi piedi per ottenere il suo perdono. Ma adesso anche lui era ferito dal comportamento di lei. Alfredo aveva sbagliato, e lo sapeva, ma anche lei era in torto con lui. Come facevano a trovare il modo di comunicare se entrambi restavano fermi nelle loro posizioni? Letteralmente.

 

Irene era seduta da un lato del divano a sfogliare una rivista e Alfredo su una delle poltrone con gli occhi chiusi e la testa poggiata su una mano, entrambi in silenzio. Così Gloria e Stefania li trovarono quel pomeriggio. Non si erano più rivolti la parola da quando Alfredo era uscito dalla doccia. La tensione era palpabile nell’aria. 

“Cos’è successo qui?” chiese Stefania a bassa voce a sua madre.

Entrambe si avvicinarono con fare circospetto, come davanti a un campo minato, bene attente a non farne saltare una. 

“Ti ho sentita” rispose subito Irene. “Ma sai, forse ti ha sentita pure Alfredo. D’altronde è abituato a origliare le discussioni altrui” gli lanciò una frecciatina, guardandolo con aria di sfida.

“Certo, perché è una colpa gravissima, hai ragione. Ho osato ascoltare una conversazione che, guarda caso, mi riguardava pure. Mi cospargo il capo di cenere!” rispose lui. “Almeno io non ho preso in giro nessuno.”

Irene rise sardonica. “Non hai preso in giro nessuno? Tra me e Clara, e tutte le ragazze che sono venute prima di noi, direi che la lista è lunga.”

Stefania e Gloria si guardarono, perplesse. Dovevano separarli, dovevano intervenire, dovevano lasciarli fare? Cosa diavolo era accaduto in quelle poche ore in cui li avevano lasciati da soli? Si sentivano come in uno di quei libri fantascientifici in cui il personaggio si risvegliava anni dopo e il mondo attorno a lui era cambiato drasticamente. Gloria li aveva visti quella mattina scambiarsi effusioni, eppure adesso le parole dubbiose di Alfredo iniziavano ad avere un senso. Si chiese che conversazione avesse sentito, per l’esattezza. E istintivamente si ritrovò a guardare Irene con l’aria di chi avrebbe voluto darle una sonora rimproverata. Era evidente ciò che provava per quel ragazzo e in quei giorni entrambe avevano imparato a conoscerlo meglio e apprezzarlo. Si erano rese conto di quanto anche lui stravedesse per lei. Allora perché Irene continuava ad autosabotarsi?

“Ragazzi” Stefania provò piano a intervenire. “Mi volete dire cos’è successo?”

“Niente” risposero all’unisono, mentre Irene scattò in piedi, pronta a uscire di casa insieme alle due, come le avevano promesso la sera prima. Stefania le aveva detto che dopo il lavoro sarebbero andate a fare delle compere e che le avrebbero regalato un abito, dato che non avevano fatto in tempo a vedersi per il suo compleanno passato da un paio di mesi soltanto. In quel momento a Irene importava poco dell’abito, quanto più di uscire da quell’appartamento e poter stare lontana da Alfredo, di cui stentava a sopportare persino la presenza.

“Federico verrà a prenderti tra poco” gli disse Stefania. Avevano coinvolto il suo fidanzato per tenere impegnato quello di Irene. Era sembrato poco carino lasciarlo da solo in casa, così Federico le aveva promesso che gli avrebbe fatto fare un giro e magari fatto provare l’esperienza di un pub americano, o qualcosa del genere. 

 

Dopo essersi date una rinfrescata a turno, per evitare di lasciarli soli e che tra Irene e Alfredo accadesse l’irreparabile, le tre donne erano uscite dall’appartamento per recarsi in un elegante atelier. Irene doveva ammettere che era parecchio più bello del suo Paradiso, sebbene quest’ultimo le mancasse più di quanto immaginasse. Iniziò a scorrere tra i capi, un po’ per interesse personale, d’altronde era la nuova capocommessa, doveva essere informata sulle ultime tendenze in fatto di moda. E un po’ perché sapeva che Maria le avrebbe fatto il terzo grado su tessuti, tagli, fantasie, accessori, scarpe, insomma, tutto. Così prendeva un capo per volta tra le mani e se lo squadrava per bene. 

Ne aveva scelti un paio che sulla gruccia sembravano interessanti e Stefania e Gloria avevano fatto altrettanto.

“Allora?” chiese uscendo dal camerino con un vestito color porpora. Entrambe la guardarono con aria poco convinta. “Non vi piace?” A Irene piaceva abbastanza quel modello meno svasato, che le segnava con più precisione la vita e le forme. Ma non era certa che quello fosse un colore adatto a lei. 

“Su di te stanno meglio i colori pastello” commentò Gloria, per l’appunto.

“E’ vero” la seguì a ruota Stefania, alzandosi subito per mettersi alla ricerca di qualche altro vestito. C’erano un paio di commesse lì dentro, ma era un atelier, non un grande magazzino come il Paradiso. Stefania aveva detto loro che preferivano occuparsene da sole e una delle due donne era rimasta in disparte ad aiutare altre clienti, mentre la seconda era ferma in cassa e le guardava da lontano come un avvoltoio.

Irene si specchiò qualche altro istante, poi si allontanò a sua volta, seguita da Gloria, verso una rella dove erano posizionati altri abiti. 

“Hai proprio l’occhio critico e interessato di una vera e propria capocommessa” le disse sfiorandole il braccio, per poi afferrare un vestito verde acqua e avvicinarlo a lei per provarlo. Sì, quel colore poteva andare bene, pensò, mentre lo appoggiava sul braccio.

“L’ho anche promesso a Maria” rispose Irene con un sorriso appena accennato. “Adesso che deve occuparsi lei dell’intera collezione, chi la sopporta più. E’ diventata ingestibile” roteò gli occhi al cielo. 

“E’ comprensibile, però, no?” Gloria provò a introdurre l’argomento. Data la reazione di Alfredo di quella mattina e le paure di Irene, l’istinto la portò a credere che fosse proprio quest’ultima la causa di quel litigio. “Si sta mettendo alla prova in qualcosa di completamente nuovo per lei. Ci sta avere paura.”

Irene si voltò a guardarla per qualche istante ed ebbe la sensazione che la vecchia capocommessa non stesse parlando di Maria. Perché davano sempre tutti per scontato che la colpa fosse la sua? Non era stata lei a mentirgli per mesi, avvicinandosi a un’altra persona. Adesso tutte le difese di Clara, il modo in cui lo guardava, tutto era diventato più chiaro e aveva acquisito un senso. Come aveva potuto non notarlo? L’amore l’aveva resa così stupida?

Prese un altro vestito dalla rella, stavolta per se stessa e lo osservò qualche istante, prima di tornare ai divanetti. Lo andò ad appendere in camerino e Gloria fece lo stesso col suo. Poté vedere Stefania dall’altro lato del negozio ancora intenta a scegliere la sua proposta. 

“Vuoi parlarmene?” le chiese Gloria, tornando a prendere il proprio posto sul divano rosso dell’atelier.

Irene si strinse nelle spalle e si andò a mettere accanto a lei, dove prima era seduta Stefania.

“Stamattina Alfredo era un po’ abbattuto. Abbiamo chiacchierato un po’” le rivelò Gloria.

“Ti ha detto che ha origliato la nostra conversazione?” sbottò irata.

“No” cercò di placarla. “Ma che aveva dei dubbi sul tuo… trasporto nei suoi confronti. Cos’è che vi siete dette tu e Stefania?” domandò curiosa, ma con un vago tono di rimprovero.

“Ma niente, ho solo detto che non è… non è la persona che ho sempre immaginato al mio fianco” confessò infine, abbassando lo sguardo.

“E lo chiami niente?” la guardò accigliata. “Che cos’ha che non va? Ti vuole molto bene, Irene. E tu ne vuoi a lui, lo vedo, anche se lui non ne è convinto.”

“Certo che gli voglio bene” esclamò di getto. “Ma… quando immaginavo il mio futuro, lo pensavo molto diverso, tutto qua.”

“E come lo immaginavi?”

“Non voglio finire a fare la casalinga per un uomo che lavora tutto il giorno, lasciandomi da sola a crescere tre o quattro marmocchi in una casa di ringhiera” le spiegò con aria contrita.

“E pensi che sia questo che accadrà se sposerai Alfredo?”

“E’ ovvio! Cos’altro dovrebbe fare una donna alla mia età? Al massimo finirò come Paola a ritagliarmi dello spazio per lavorare, per poi fare a casa il doppio del lavoro tutto a fine serata.”

“Irene, il tuo futuro non è scritto. Tu e Alfredo lo scriverete insieme. Parlagli, digli cosa vuoi, quali sono le tue paure. O quel ragazzo inizierà a dare delle risposte sbagliate alle sue domande” disse Gloria prendendo la mano di Irene. 

Quest’ultima sorrise. “Stefania ha detto la stessa cosa ieri sera.”

Il volto di Gloria si illuminò a sua volta. “Beh, è pur sempre mia figlia” ammise fiera. E davanti a quel naturale moto d’orgoglio, Irene si rabbuiò. Lei una madre non ce l’aveva più, e l’aveva vista spegnersi troppo presto, piena di rimpianti e di aspettative per il suo futuro, accanto a un uomo che non la rendeva felice. Non voleva, non poteva, finire come lei. Tuttavia, si chiese se sarebbe stata fiera di lei e della donna che era diventata, così come Gloria lo era di Stefania.

“Che succede adesso?” indagò Gloria, dandole un piccolo colpetto di spalla. 

“Mia madre voleva viaggiare, era una donna indipendente. Era bella, fiera” disse Irene illuminandosi. Trovava sempre così semplice confidarsi con Gloria. Era come se riuscisse ogni volta a trovare il momento giusto e le chiavi corrette per aprire quel suo cuore protetto da grosse muraglia di cemento.

“Come te” sottolineò la donna.

“Lei era molto meglio di me. Le volevano bene tutti. Ma il mondo non è fatto per donne sole. Ha sposato mio padre, ma non era felice. E’ morta piena di rimpianti per tutto ciò che avrebbe voluto fare, ma non ha fatto. Era una madre, una moglie, il suo dovere era nei confronti della sua famiglia. E poi…” 

“Poi non ha avuto il tempo” annuì Gloria.

“Io non voglio finire come lei. Non voglio vivere di rimpianti.”

“Sei innamorata di Alfredo?” le domandò di getto, spiazzandola. 

Irene scosse la testa in assenso. 

“E allora non sarebbe un rimpianto anche lasciarlo andare?”

In effetti lo era. Non ci aveva pensato.

“Il matrimonio non è sempre una prigione o una gabbia, se sposi la persona giusta” le disse Gloria. “Forse avresti potuto trovare un uomo con cui vivere una vita agiata, ma non saresti stata padrona di quei soldi o della tua vita. Vedi Matilde Di Sant’Erasmo. Ne ho viste troppe di donne spegnersi in matrimoni con uomini di potere” aggiunse stringendole la mano che teneva già nella sua. “Alfredo non potrà darti la vita che immaginavi, ma forse ti darà la libertà che tanto cerchi.”

Irene sospirò profondamente e annuì. Forse aveva ragione. Alfredo la amava, non le aveva mai imposto nulla, anzi aveva sempre fatto di tutto per renderla felice, persino andando contro ai suoi bisogni e alle sue esigenze, pur di soddisfare lei. Non aveva mai ricevuto un tale livello di attenzioni, non era mai stata messa al centro della vita di qualcun altro. E forse era proprio questo a spaventarla. Perché per la prima volta nella sua vita era felice e si ritrovava ad avere esattamente quello che cercava e non era in grado di gestirlo. Come se tutta quella felicità non spettasse a lei, come se fosse talmente tanta da destabilizzarla. 

Eppure quello che Alfredo le aveva confessato oggi le dimostrava di avere avuto ragione. Forse davvero tutta quella felicità non spettava a lei. 

“Se fosse come dici, se davvero è preoccupato che io non ricambi i suoi sentimenti, perché si è avvicinato a Clara?” chiese Irene con rabbia.

“Ha fatto cosa?!” esclamò Stefania spalancando la bocca. Aveva tra le braccia almeno tre o quattro vestiti e davanti a quell’informazione li lasciò cadere tutti su una delle poltrone e si avvicinò alle due, sedendosi sul tavolino da caffè davanti a Irene. Poteva sentire già lo sguardo contrariato di una delle due commesse dell’atelier per il loro comportamento, ma in quel momento a Stefania non importava. Interessava solo della sua amica e di cosa le aveva fatto quel farabutto! Non ci avrebbe messo niente a buttarlo fuori di casa, qualora le allusioni di Irene si fossero rivelate reali. 

“Non avrai esagerato?” disse sua madre indicando con lo sguardo la mole di vestiti che era andata a raccattare. 

“Non sono mai troppi” scosse la testa lei. “Quindi?” chiese poi a Irene.

“Prima di farlo finire a mollo nel lago…” iniziò lei, e allora entrambe le puntarono uno sguardo sconcertato.

“Quello di Central Park?” strabuzzò gli occhi Gloria.

“Caspita” esclamò Stefania. “Gli è già spuntata una seconda testa?”

“Stefania” la riprese sua madre.

Irene le osservò preoccupata per un brevissimo istante, prima di ricordare il motivo per cui la barca si era ribaltata e tornare dunque alla sua espressione contrariata. 

“Non lo so, e un po’ se lo è meritato” ribadì con sicurezza. “Avevo da tempo dei sospetti, l’ho messo in situazioni in cui potevo osservarlo con Clara. E oggi me li ha confermati. Stavano per baciarsi” rivelò infine, lasciando madre e figlia interdette.

“Quel farabutto!” esclamò Stefania.

“Piano, con calma. Deve esserci una spiegazione” cercò di placarle Gloria.

“Quale spiegazione può esserci per avermi tradita?”

“Beh, non ti ha proprio tradita” puntualizzò Stefania.

“Il fatto che ci abbia anche solo pensato e sia stato molto vicino a farlo per me è già un tradimento!” sbottò furiosa.

“In effetti” commentò l’amica.

“Dice che è grato che io l’abbia inconsapevolmente fermato, perché sarebbe stato un errore, dato che è innamorato di me” continuò Irene con poca convinzione.

“Ma stavate già insieme quando è successo?” domandò Gloria, cercando di fare chiarezza sulla situazione.

“No, mi aveva lasciata.”

“Vi siete lasciati?” chiese Stefania che non era al corrente di quella breve inversione di rotta. “Perché?”

“Perché…” tentennò Irene. Sapeva che quella confessione avrebbe ribaltato la situazione e posto lei sul banco degli imputati. “Perché gli ho mentito” si decise a vuotare il sacco.

Stefania poggiò le mani sulle ginocchia di Irene e poi lasciò cadere la testa sulle sue gambe, sconsolata. Gloria le rivolse un’occhiataccia di rimprovero. 

“E perché gli hai mentito?” le chiese quest’ultima.

“Eh… perché, perché, quante domande. Parlava già di matrimonio, di data da fissare, voleva che incontrassi la sua famiglia. E sono in tanti. Davvero tanti. Non me la sono sentita” aggrottò le sopracciglia.

“Irene” iniziò Gloria col tono materno di quando si cerca di spiegare a un bambino di tre anni perché mangiare la terra sia sbagliato. “E pensi che se gliene avessi parlato lui non lo avrebbe capito? Che bisogno c’era di dirgli una bugia?”

Irene rimase per qualche istante in silenzio, incapace di trovare una risposta che galleggiasse in superficie. Dovette scavare a fondo dentro se stessa per capire quali fossero i reali motivi che l’avevano spinta ad autosabotarsi.

“Non volevo deluderlo” iniziò, sebbene non fosse l’unica motivazione. “E non volevo che pensasse che non volessi fare sul serio. Perché lo volevo, è solo che… ho bisogno dei miei tempi. E se gli avessi detto che non me la sentivo, dopo averlo fatto penare per mesi, avevo paura…”

“Di perderlo?” chiese Stefania in brodo di giuggiole per quella confessione a cuore aperto. La sua migliore amica era veramente innamorata persa, come non l’aveva mai vista.

“Quindi è possibile che lui, scoprendo la verità, si sia sentito preso in giro e abbia pensato esattamente quello che tu volevi evitare che pensasse” riassunse Gloria. 

Irene annuì.

“Ed è possibile quindi si sia sentito lusingato dalle attenzioni di Clara, essendo stato privato delle tue, e quindi abbia scambiato il suo affetto per altro?” continuò Stefania, guardando la madre mentre facevano collegamenti tra le loro deduzioni, come se fossero due poliziotte intente a risolvere un crimine efferato.

“Insomma, quindi, gira e rigira, è sempre colpa mia” Irene si abbandonò allo schienale del divano.

Pretty much” rispose Stefania in inglese, causando un breve risolino da parte della madre, mentre Irene la guardava come se avesse appena detto una frase in aramaico antico. 

“Non vi è permesso prendermi in giro in una lingua che non conosco” le guardò male.

“Hai ragione, hai ragione. Non si fa, Stefania” la riprese Gloria. 

“Quindi dovrei perdonarlo?” chiese allora Irene, ancora abbattuta.

“Bisogna vedere se lui perdona te” scherzò Stefania.

“Non ti è permesso prendermi in giro nemmeno in una lingua che conosco!” sbuffò, facendo ridere Stefania che si lanciò sedendosi sulle sue gambe per abbracciarla. 

“Secondo me dovete parlare. Dirvi quello che provate, mettere le carte in tavola. E da lì ripartire” concluse Gloria. “E se poi il problema fossero i soldi, Irene, sai che noi saremo sempre qui ad accogliere te e Alfredo a braccia aperte e soddisfare la tua voglia di avventura. L’America è così grande, ci sono tantissimi posti da visitare” le sorrise e poi allungò una mano per farle una carezza sulla guancia. “Anzi, sai cosa facciamo? Prima di partire prendiamo già due biglietti a vostro nome, senza data, così saprai che la prossima volta che avrai voglia di staccare dalla solita vita, sarai libera di farlo senza pensieri.”

“Non posso accettare” Irene scosse la testa.

“Certo che puoi. Anzi devi, o mi offendo” Gloria la guardò torva.

“E tu non vuoi che mamma si offenda, vero?” Stefania la seguì a ruota, con aria divertita. A quel punto Irene sorrise e annuì, mentre Stefania si buttava di nuovo su di lei per stringerla, e Gloria si unì a quell’abbraccio collettivo che sapeva di futuro e di speranza. Perché forse Irene non aveva una famiglia numerosa, non aveva più una madre pronta a consolarla e non aveva mai avuto fratelli o sorelle, ma quelle due erano la famiglia che si era scelta. E loro, per qualche assurdo e strano motivo, avevano scelto lei. E nonostante tutto, anche dall’altra parte del mondo, le dava una certa consolazione sapere che avrebbe sempre avuto qualcuno su cui contare e delle braccia nelle quali rifugiarsi.

 

Il momento poetico era stato sgarbatamente interrotto da una delle commesse che era accorsa per lamentarsi di come stessero trattando i loro capi e il loro arredamento. Dopotutto Irene indossava ancora l’abito porpora che aveva provato e Stefania era seduta sopra di lei, stropicciandoglielo. Non potevano darle torto, dovevano ammetterlo. Così da quel momento in poi si erano comportate da clienti modello, e alla fine Irene aveva optato proprio per il vestito verde acqua con dei piccoli fiori rosa ricamati che le aveva suggerito Gloria. 

Non aveva ancora capito dove stessero andando. Sapeva solo che d’un tratto Stefania si era allontanata per cercare il telefono del negozio e pretendere che le facessero fare una telefonata. Per fortuna Federico era già tornato a casa sua con Alfredo.

“Cambio di programma” iniziò, raccontandogli cosa avesse in mente e lo pregò di aiutarla a organizzare tutto.

“Non ricevo abbastanza baci per tutto questo” rispose Federico dall’altro capo del telefono.

“Quando avrai fatto ti ripagherò di tutti gli sforzi” Stefania aveva roteato gli occhi al cielo divertita. 

E così alla fine sia Alfredo che Irene erano finiti dritti nella loro trappola. Avevano comprato il vestito per Irene e l’avevano convinta a tenerlo perché sarebbero andati tutti quanti a cena fuori. Non che Irene fosse particolarmente convinta, vista la conclusione della serata precedente e soprattutto la situazione in cui si trovava lei con Alfredo. Ma avevano talmente insistito che non se l’era sentita di dire di no. Anche se una parte di lei dubitava dei loro progetti. Il suo sesto senso le diceva che c’era qualcosa che non le stavano dicendo. E infatti quando il taxi la lasciò davanti a un edificio e solo Stefania uscì dall’abitacolo, le guardò con aria poco convinta.

“Sali” le intimò Stefania, neanche fosse la carnefice autrice di un sequestro. Beh, più o meno.

Irene alzò un sopracciglio, ma non fece in tempo a protestare perché Stefania la prese per mano e la trascinò su. Sul pianerottolo c’erano già Federico e Alfredo. Quest’ultimo portava una camicia azzurro cielo che non gli aveva mai visto prima, come sempre arrotolata sui gomiti, e dei pantaloni beige. I capelli erano meno impomatati del solito e i riccioli si sentivano liberi di mostrarsi al mondo. 

Quando le vide arrivare dapprima gli si mozzò il fiato davanti alla vista di Irene, poi guardò perplesso sia Stefania che Federico. Irene gli sembrò meno ostile di come l’aveva lasciata. 

“Che ci facciamo qui?” chiese comunque lei con aria contrariata, ma incuriosita.

“Questo è l’appartamento di Federico. Voi dovete parlare, quindi parlate” disse spalancando la porta di casa per spingerli dentro. “Non uscirete di qui finché non avrete chiarito!” li informò con aria seria, richiudendo di colpo la porta, senza nemmeno dare loro il tempo di protestare o capire cosa stesse succedendo. Poi infilò la chiave nella toppa e diede due mandate.

“Addirittura” commentò Federico.

“Almeno così non possono scappare” rispose lei, come se fosse la cosa più normale del mondo.

“E se dovessero avere bisogno di scappare?”

“Nah” ribatté lei con una smorfia, incamminandosi verso l’uscita. Poi però tornò indietro sui suoi passi.

“Ah, ovviamente fateci sapere quando avrete finito. Sul mobile in salotto c’è un telefono, da qualche parte ci sarà il numero di casa mia” gli urlò davanti alla porta, senza però aprirla. I vicini di Federico dovevano pensare fossero impazziti, pur non capendo nemmeno una parola di quello che stavano dicendo. “Non chiamate se prima non avrete parlato!” ripeté un’ultima volta.

“E per piacere, non distruggete niente” li pregò Federico, davanti a una divertita Stefania che lo trascinava fuori di lì e due attoniti Alfredo e Irene che fissavano la porta chiusa con aria stralunata.

“Stefania!” urlò Irene dando dei colpi alla porta, sentendo però i passi della sua amica che si allontanavano dal corridoio. Era completamente impazzita?

“Non è normale” si lasciò scappare, mentre Alfredo si appoggiava alla parete senza sapere cosa dire o fare.

Irene fece qualche passo per oltrepassare l’ingresso e si ritrovò in un appartamento adatto a uno scapolo o al massimo una coppia. Dopo un piccolo ingresso c’era un salone abbastanza ampio con un divano e una poltrona. Davanti a tre finestre strette e lunghe era posto un tavolo quadrato per due persone. Irene immaginò che a sinistra si trovassero le altre stanze, ovvero una piccola cucina, una camera da letto e un bagno. Le pareti del salotto erano adornate da numerosi scaffali che contenevano altrettanti numerosi libri. 

Irene si avvicinò alla finestra e fece in tempo a vedere Federico e Stefania correre dritti verso la Ford di lui tra una risata e l’altra. Risate fatte a sue spese, pensò Irene sbuffando. Notò poi che sul tavolino c’erano già apparecchiati due piatti e al centro una candela già accesa. Un’altra era posta sul tavolino da caffè di fronte al divano. Avevano pensato proprio a tutto, sorrise. 

“Presumo quindi che l’unico modo per uscire da qui sia fare quello che ha chiesto Stefania” iniziò Alfredo, avvicinandosi a lei. “Sei bellissima, comunque.” Osservò per qualche istante il suo vestito nuovo, ma perlopiù si concentrò su di lei, e sui suoi occhi dello stesso colore del vestito.

“Grazie” rispose lei. “Tu non hai ancora… due teste” aggiunse poi, senza pensarci. 

“Cosa?” chiese Alfredo aggrottando le sopracciglia. 

“Niente” sorrise. “Stai bene anche tu.”

Alfredo annuì, poi le fece cenno di andarsi a sedere al tavolo. Le scostò la sedia, come un vero gentiluomo e poi si mise a sedere a sua volta. Rimasero per un po’ in silenzio mentre cenavano da soli. Niente musica, solo il rumore delle macchine che passavano davanti alle finestre che davano dritte sulla strada. Un po’ a disagio, Irene iniziò a bere dal bicchiere di vino bianco con cui accompagnavano la cena. 

“Federico mi ha portato a bere qualcosa con dei suoi amici americani” provò a raccontare lui. Era stato perlopiù in silenzio ad annuire imbarazzato, dato che la maggior parte della conversazione era avvenuta in inglese. Federico ogni tanto si fermava a tradurre o lo invitava a prendere parte al discorso spiegando ai suoi amici quello che stava dicendo. Non la serata migliore della sua vita, doveva ammetterlo.

“Hai capito qualcosa di quello che dicevano?” chiese per l’appunto Irene.

“No, ovvio che no” ribatté con una breve risata. “E tu ti sei divertita?” 

Irene lasciò la forchetta a mezz’aria e poi iniziò a torturarsi la guancia dall’interno. “Abbastanza” cominciò. “Abbiamo anche parlato un po’.”

“Ah, bene, bene” rispose lui. “Di quell’imbroglione del tuo fidanzato che origlia le vostre conversazioni?”

“Anche” ribatté Irene con una smorfia. Che lei avesse la sua parte di colpe non rendeva lui totalmente innocente. Aveva ben poco da scherzare.

“E che…” cercò di tirare fuori quello che quasi mai le riusciva: scusarsi. Irene non era mai stata brava ad ammettere i propri errori, a differenza di Alfredo. Lui, pur di accontentarla e dargliela vinta, a volte ammetteva persino colpe non proprie. Mentre per Irene tirare fuori i propri sentimenti non era mai stato affare semplice. Specialmente in quel caso che di cose importanti da dire ne aveva parecchie. Non sapeva se sarebbe riuscita a trovare il coraggio di farlo. 

“E che?” provò a darle una spinta. 

“Potrei avere anche io… parte della colpa di questa situazione” concluse di tutta fretta, distogliendo poi lo sguardo.

“Ah” esclamò lui con sorpresa. “Questo sì che è un colpo di scena.”

“Ho detto parte, eh. Non fare il gradasso” si premurò di precisare immediatamente, prima che Alfredo si gonfiasse come un tacchino. “Tu hai ancora da spiegarmi quello che è successo con Clara.”

Il sorriso di Alfredo si spense, ma poi prese un profondo respiro e annuì. “Va bene, va bene. Ma sostanzialmente non c’è niente in più rispetto a quello che ti ho già detto stamattina.”

“Vi stavate per baciare quel giorno che vi ho interrotti, vero?” domandò Irene, ma sapeva già la risposta. Aveva avvertito delle sensazioni strane nell’aria. Il modo in cui i due si fossero trovati d’un tratto totalmente a disagio. Le gote arrossate di Clara. 

“Sì” ammise lui. Tanto valeva ormai essere sinceri. “Ma sarebbe stato un errore, Irene. Non sarebbe stato giusto nei confronti di Clara, l’avrei solo illusa. E nei confronti tuoi, soprattutto.”

“Lo sapevo” scosse la testa lei, pentendosi immediatamente di avergli concesso la soddisfazione di ammettere di avere avuto torto a sua volta. 

“Aspetta” Alfredo cercò di placare la sua fantasia mettendo una mano sulla sua. “Io voglio stare con te, Irene. Ho sempre voluto stare solo con te. E’ che…” Irene lo guardò con aria di sfida, spingendolo a dire tutta la verità e smetterla con le prese in giro. “Quando hai detto che non volevi conoscere la mia famiglia ho pensato che alla fine ti vergognassi davvero ancora di me. Che la nostra storia fosse solo un passatempo.”

“Io ho dovuto farlo perché stavi correndo troppo!” gli ringhiò lei. Come poteva pensare che una come Irene Cipriani fosse pronta al grande passo e a conoscere l’intero albero genealogico di una persona con la quale aveva solo da poche settimane iniziato una relazione? Aveva creduto che Alfredo la conoscesse ben più di quanto aveva invece dimostrato. “Non mi conosci affatto.”

“Hai ragione, ho corso troppo. Ma non è vero, io ti conosco, Irene. E ora col senno di poi so che ho sbagliato. Mi sono fatto prendere dall’entusiasmo. Dopo tanti mesi di corteggiamento, di rifiuti, di insulti, di prese in giro, non vedevo l’ora di dire a tutti che stavamo finalmente insieme” ammise lui.

“Così mi fai sembrare un mostro” sbottò lei. E’ vero che lo aveva trattato male per mesi, ma aveva avuto i suoi buoni motivi. Alfredo l’aveva presa in giro a sua volta, corteggiandola per poi sparire dalla faccia della terra. Lo aveva immaginato in giro a lottare per la prossima conquista. Dopotutto era partito da Maria, prima di arrivare a lei. E adesso sembrava puntare a Clara. Potevano biasimarla se non riusciva a fidarsi di lui? Se aveva fatto tutto quello che era in suo potere per metterlo alla prova e tenerlo a distanza? 

“Non sei un mostro, Irene” rispose lui con tenerezza. “Ma capisci che anche io ho bisogno di certezze, di sicurezze, di sapere che dall’altra parte c’è una persona che mi vuole bene, che mi stima.”

“E Clara non ti fa mancare niente di tutto questo” replicò lei sardonica.

“E’ vero” rispose lui onestamente. “Ma io non voglio Clara. E se l’avessi baciata me ne sarei pentito.”

“Eri talmente pentito che mi hai, anzi mi avete, ricoperto di bugie per mesi” si alzò. Le era passata la fame. 

“No, Irene” la seguì prendendole una mano. “Ho mentito non perché provassi qualcosa per lei. Ma perché temevo di… temevo di perderti” sospirò. “Avevo paura che avresti reagito proprio così. Che avresti pensato di avere sempre avuto ragione su di me, che facevi bene a non fidarti e…”

“E infatti facevo bene!” sbottò lei, liberando la mano dalla sua presa.

“Lo pensi davvero?” le chiese guardandola con quegli occhi talmente sinceri e talmente bisognosi di conferme che non riuscì a ferirlo.

“Non lo so” disse allora, sedendosi sul divano.

“Irene, credo sia il momento di essere onesti l’uno con l’altra” si sedette accanto a lei. “Basta girarci intorno, basta bugie, basta sotterfugi. Cosa provi per me?”

“Io…” provò a dire, colta alla sprovvista da quell’improvvisa schiettezza, ma le parole le morirono in gola. Era estremamente complicato per Irene ammettere ad alta voce i propri sentimenti. La salivazione si azzerava, la respirazione si faceva più veloce e sentiva una morsa stringersi attorno al suo collo. Perché doveva essere così difficile?

“Mi ami?” Alfredo cercò di facilitarla, notando la sua evidente difficoltà. Almeno così, che fosse una risposta in positivo o in negativo, non avrebbe dovuto articolarla. Si trattava di pronunciare due semplici sillabe.

“Sì” ammise infine, guardando in basso perché non riusciva a reggere il suo sguardo. Si sentiva nuda. 

“E perché non me lo hai mai detto? Sarebbero bastate due semplici parole: ‘anch’io’, non mi sembra chissà quale sforzo, no?” chiese Alfredo prendendole con due dita il mento per sollevarglielo. 

“Perché… avevo dei sospetti su Clara e non volevo rendermi stupida” perché è così che Irene si sarebbe sentita se gli avesse confessato di amarlo e poi avesse scoperto solo in seguito del suo momento di debolezza con Clara. Non si sarebbe perdonata di aver ceduto così facilmente ai sentimenti, di essersi fidata tanto di un uomo da permettergli di ferirla, di non aver capito prima, lei che era solitamente così scaltra e sveglia. 

Alfredo annuì. Questo poteva comprenderlo. Ma iniziò a domandarsi perché, allora, non gli avesse posto la domanda diretta molto tempo prima. Perché aveva aspettato di arrivare dall’altro capo del mondo?

“E se te lo avessi chiesto mi avresti detto che mi stavo immaginando tutto” aggiunse dando una risposta concreta alle domande di Alfredo. Non aveva tutti i torti. Alfredo doveva ammettere che non sarebbe stato sincero con lei, se la situazione fosse stata differente.  Avrebbe avuto troppa paura di perderla, per rischiare tutto per un semplice abbaglio trascurabile. Ma doveva ammettere anche che ora che la questione era venuta a galla, si sentiva molto più leggero, come se quel peso gli fosse stato tolto dal petto. 

“Quindi… vuoi un futuro con me?” le chiese dopo qualche istante di silenzio, prendendole una mano e iniziando a giocherellare con le sue dita affusolate. 

“Forse” ammise con aria distaccata. “Un giorno” si affrettò a sottolineare per placarlo, in caso si stesse facendo venire in mente strane idee.

“Un giorno” ripeté lui annuendo con convinzione. 

“Visto che dobbiamo essere sinceri… Alfredo, io non sono come le altre” si appoggiò allo schienale del divano. “Non voglio sposarmi a breve. Non voglio riempirmi di marmocchi. Non voglio smettere di lavorare. Non voglio vivere un’esistenza noiosa e abitudinaria. Se è questo ciò che vuoi tu, è meglio dirselo subito” confessò. Immaginava che potesse essere quello il futuro che Alfredo immaginava per sé, specialmente dato che proveniva da una famiglia tanto numerosa. Era abituato a vivere circondato da gente. Non come Irene che aveva solo i suoi genitori. I cugini li vedeva, certo, ma non erano tanti come quelli di Alfredo e si incontravano perlopiù alle feste comandate. La maggior parte del tempo Irene era sola.

Alfredo le sorrise e la tirò a sé, circondandole le spalle con un braccio. “Se fossi come le altre non mi piaceresti, Irene” l’aveva già detto una volta anche a Vito. A lui le ragazze tranquille non interessavano. Ironico, dato che per un breve lasso di tempo aveva voluto frequentare proprio Maria, la fidanzata di Vito. 

“Ah, no? E Clara?” chiese allora lei.

“E Clara infatti non mi piace” le confermò. “A me piacciono le intriganti imbroglioncelle come te” le tirò una guancia con le dita, tra le proteste di Irene. 

“Ho vissuto per tutta la vita in una famiglia numerosa, dovendo sgomitare per ottenere qualsiasi cosa, o anche solo essere notato.” Per la prima volta Alfredo si stava aprendo con lei, e Irene aveva fatto altrettanto, rivelandogli dettagli intimi e privati che solo a una persona di cui ci si fidava si tendeva a raccontare. Avevano detto niente più segreti, niente più inganni. Era davvero arrivato il momento di essere totalmente onesti tra di loro. Solo così quel rapporto avrebbe potuto funzionare. Si erano ritrovati entrambi a mentire per paura del giudizio e di perdere l’altra persona, e non era sano. Non se volevano davvero avere un futuro insieme.

“Per questo spesso sono eccessivo e non riesco a tenere a freno la lingua. Perché altrimenti avrei paura di… perdermi” disse appoggiando la testa su quella di Irene. Erano seduti l’uno accanto all’altra sul divano, lui teneva stretta Irene in un abbraccio. 

“Sì, me l’hai detto una volta” rispose Irene, spiazzando Alfredo che pensava non ricordasse di quella sua confessione e si ritrovò ad annuire.

“Non voglio una famiglia numerosa, non voglio la stabilità e la monotonia della mia famiglia. Irene, io voglio la pazzia che solo tu sai darmi. Voglio non prendermi mai sul serio, voglio cambiare i programmi all’ultimo minuto, voglio scappare in mutande da una piscina” Irene rise. “Voglio… voglio solo stare con te.” 

C’era da dire che tra i due fosse palesemente lui quello più adatto a fare discorsi e dichiarazioni in grande stile. Irene non sarebbe riuscita a dire nemmeno l’1% di quello che aveva appena confessato Alfredo. Ma le sue parole la rincuorarono. Erano sulla stessa lunghezza d’onda e per tanto tempo era rimasta a farsi domande, a fuggire da quel rapporto per colpa delle sue paure, quando tutte le risposte erano sempre state lì, a portata di mano.

“Anch’io voglio stare con te” rispose Irene, accoccolandosi di più contro il suo petto. Alfredo le posò un bacio tra i capelli. 

“Quindi pace fatta?”

“Non lo so, ci devo pensare” Irene arricciò le labbra. 

“Ah, pure? Certo che sei proprio…” 

“Come?” lei alzò la testa per guardarlo. O minacciarlo, che dir si voglia.

“La donna più incredibile che abbia mai incontrato” ribatté Alfredo, cercando di trattenere un sorriso.

“Ah, ecco” Irene allungò le gambe sul tavolino da caffè, sfilandosi prima i tacchi. Non era certa che Federico gradisse già quell’incursione in casa propria, men che meno che gli graffiassero i mobili. 

“Dovremmo chiamare Stefania?” gli chiese allora. 

“Nah” Alfredo intrecciò una mano con quella di Irene. “Prima o poi verranno a prenderci” commentò con una strizzata di spalle e lei ridacchiò. E Alfredo sperava arrivassero il più tardi possibile. Dopotutto lì, entrambi, avevano già tutto quello di cui avevano bisogno. 

E Irene realizzò che Gloria aveva ragione, Alfredo forse non poteva darle la vita piena di agi che aveva sempre desiderato, ma le dava una cosa più importante: la libertà. La libertà di non dover per forza incastrarsi all’interno di un percorso già deciso da altri, la libertà di non badare ai commenti e alle imposizioni. La libertà di essere se stessi.

 

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