Stringimi la mano

di Enedhil
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** |01| ***
Capitolo 2: *** |02| ***
Capitolo 3: *** |03| ***
Capitolo 4: *** |04| ***



Capitolo 1
*** |01| ***


STRINGIMI LA MANO
 
 
[AVVERTIMENTI: Ipotetico post seconda stagione | Drama e fluff perché sì | Quattro capitoli | POV terza persona - multiplo]
 
 
***
 
 
| 01 |
 
 
“Hold my hand, hold my hand
I'll be right here, hold my hand”
 
 
Dicerie umane raccontano che, se volete contattare un angelo, dovete chiudere gli occhi e chiedere un segno. Quando meno ve lo aspettate, se l’angelo avrà ascoltato la vostra richiesta, troverete una piuma da qualche parte.
Ma dovete prestare molta attenzione perché le piume non sono facili da vedere.
Ovviamente non c’è niente di vero in tutto questo.
Gli angeli non vanno in giro a sparpagliare le loro divine piume per il mondo. E se trovate una piuma nera, state certi che non è di qualche demone che ha deciso di fare una buona azione.
Però, a volte – ma solo a volte – alcuni angeli ascoltano fin troppo, anche quando non sono stati chiamati.
 
 
*
 
 
Una donna uscì a passo lento dalla libreria e attraversò la strada, senza badare alla persona che si era fermata vicino alla colonna per farla passare.
Crowley la seguì con lo sguardo mentre questa si dirigeva alla caffetteria. Aveva avvertito una strana sensazione, come se qualcosa non fosse come doveva essere. Fece spallucce ed entrò spedito nel locale, provando a ignorare lo scampanellio della porta che sembrava ripetergli ogni volta: “Benvenuto. No, chi stai cercando non è qui.”
Rallentò la camminata quando si ritrovò al centro, circondato dagli scaffali che gli si stringevano addosso, gli toglievano il fiato, trasformando come sempre la speranza nella sofferenza che gli attanagliava il petto.
Tuttavia, quelle emozioni si assopivano poco dopo, lasciando spazio a tutto ciò che di bello aveva vissuto in quel luogo. Niente avrebbe cancellato le centinaia di anni passati lì dentro. Niente avrebbe cancellato il sentimento. Niente avrebbe cancellato la sua voce che echeggiava tra le pieghe dei libri. Niente avrebbe cancellato il suo odore, mischiato alla colonia che tanto gli piaceva mettersi. E per qualche strana ragione, tornare nella libreria faceva sempre meno male che rimanere da solo nel proprio appartamento.
 
«Signor Crowley! Oggi è proprio una bella giornata!»
 
Nonostante la presenza di quell’esserino angelico fastidioso che sprizzava gioia e positività a ogni passo.
 
«L’ho capito subito. Basta guardare fuori! Quando c’è un po’ meno frastuono e più umani che sorridono. E poi ho imparato a fare il tè! Non per me, no…»
 
Bla… bla… bla… e qualcos’altro che Crowley non si preoccupò di ascoltare. Mentre Muriel proseguiva a raccontare le sue strepitose avventure nel mondo, lui si limitò ad andare a controllare nel retro la scorta di bottiglie. Non per qualche ragione in particolare. Arrivava sempre il momento giusto per bere. Anche se ora avrebbe dovuto farlo da solo.
 
«E poi quella donna lo ha preso! Ne voleva un altro, ma io le ho detto no, quelli non si possono vendere. E ha comprato quello che le ho consigliato io! Non è stupendo?»
 
Crowley si rialzò di scatto e richiuse le ante della cantina dei vini. «Tu cosa?»
 
«Oh, non uno di quelli antichi, no no,» continuò Muriel, sorridendo. «Uno di quelli con la nuvola, questi si possono dare via. Quelli con la tazzina del tè no, quelli proprio no.»
 
Il demone guardò confuso cosa gli stesse indicando e notò una serie di bigliettini con disegni diversi, attaccati agli scaffali. «Chi ti ha detto che puoi farlo? I libri non si vendono.»
 
«Ho chiesto su e mi hanno detto che potevo. Insomma, ho pensato: è una libreria, e gli umani vanno nelle librerie per comprare libri. Se non li vendiamo, nessuno verrà mai qui.»
 
«Sì, sì è questo il punto! Qui non si vendono i libri, così nessuno deve entrarci.»
 
«Ma è un po’… triste se non abbiamo clienti. Ho letto che agli umani non piace sentirsi tristi.»
 
Crowley avanzò verso di lei, consapevole di averle messo un po’ di timore vista l’espressione stranita sul suo volto fin troppo espressivo. «Ehi, noi non abbiamo niente! Tanto meno clienti. Qui non si vendono libri e se… se ti annoi, vai a trovare quella simpatica signora al negozio di dischi e ascolta un po’ di musica.»
 
Muriel sembrò risollevarsi all’istante e sorrise. «Oh, davvero? Posso andare?»
 
«Sì, vai!» Crowley le indicò anche con le mani di andarsene e la seguì con lo sguardo finché raggiunse la porta. Solo allora la fermò. «Aspetta! Quale dei tuoi superiori ti ha detto che puoi vendere quei libri?»
 
«Ehm…» Muriel si bloccò, chiaramente agitata. «Mi ha detto che non posso dirglielo. Oh, lei non doveva nemmeno sapere che mi ha dato il permesso, adesso che ci penso.»
 
Il demone alzò lo sguardo al soffitto, sospirando. Gli bastava quello come risposta. «Va bene, vai. Non lo dirò a nessuno che non l’hai fatto.» La vide di nuovo immobile, pensierosa, così aggiunse: «Non me l’hai detto, quindi io non lo so. Va’ adesso, muoviti.»
 
«Oh, allora è tutto a posto.»
 
Continuava a stupirsi di come Muriel potesse credere a lui così facilmente. E, soprattutto, come avesse potuto prenderlo come esempio e come guida da quando le era stato ordinato di rimanere sulla terra.
Mise le mani sui fianchi, si guardò attorno e all’improvviso spalancò gli occhi.
Un ringhio tra i denti e corse subito fuori dalla libreria per buttarsi come una furia dentro al Give Me Coffee or Give Me Death. La donna che aveva incrociato poco prima era ancora ferma in fila per prendere il proprio caffè, così schioccò le dita e fermò il tempo. Prese con facilità il libro che spuntava dalla sua borsa e lo sostituì con una scatola di cioccolatini con dentro cento sterline.
«Hai riportato indietro il libro e ti sei comprata qualcosa per te. Oggi è il tuo giorno fortunato,» le mormorò, prima di far ripartire la realtà.
Tornò alla libreria e richiuse la porta alle proprie spalle.
Forse quel libro non ne valeva nemmeno venti di sterline, ma… Aziraphale avrebbe apprezzato l’impegno
Il cartello con la scritta “VERY CLOSED” batté piano contro il vetro.
 
 
“Raise your head, look into my wishful eyes
That fear that's inside you will lift, give it time
I can see everything you're blind to now
Your prayers will be answered, let God whisper how”
 
 
Crowley si lasciò ricadere seduto sul divanetto, sopra al quale erano gettate le solite coperte che conosceva bene. Davanti a lui, il tavolino con una pila di libri, la scrivania ancora piena di fogli e volumi, e la poltrona. Era tutto fermo a quel momento di qualche settimana prima. Muriel non aveva spostato niente, a quanto sembrava. O meglio, forse gli era sfuggito inavvertitamente che ogni libro aveva un suo posto per una ragione e nessuno di essi doveva essere spostato. E lei gli aveva creduto.
«Perché faccio ancora tutto questo per te?» mormorò tra sé, con un lieve sorriso amareggiato, le dita a sfiorare il mappamondo alla sua sinistra. «Non ti importa più niente di questo posto.»
O di me, avrebbe voluto aggiungere, ma sapeva che non era così. Per quanto volesse ostinarsi a ripetersi che Aziraphale se ne fosse andato anche perché non gli importava di lui, e di loro, sapeva e sentiva che non era vero.
Restò in silenzio e chiuse gli occhi, senza comunque privarsi degli occhiali scuri. Il ticchettio dell’orologio a muro riempì l’aria, i suoni dall’esterno piano piano svanirono.
Gli sembrò di sentire dei passi. I suoi passi. Il parquet che scricchiolava mentre si avvicinavano alla scrivania. Il tintinnio del cucchiaino contro i bordi della tazza. Si ritrovò a sorridere.
Se i desideri si manifestassero così facilmente, a quel punto sentirebbe Aziraphale sorseggiare il tè e poi mettersi a spostare e sfogliare libri. Aveva passato così tanto tempo a guardarlo fare quelle azioni abitudinarie, da poterlo sentire e vedere con chiarezza nella propria mente.
Se solo non facesse sempre un po’ troppo male dentro ogni volta che ci ripensava.
Sbuffò, piegando indietro la testa sullo schienale.
All’improvviso avvertì uno spostamento d’aria alla propria destra. Rialzò le palpebre e con la coda dell’occhio vide accanto a sé una piuma bianca, appoggiata sul divano.
«Davvero?» chiese al vuoto, alzando poi la voce per rivolgersi verso l’alto. «Non ho chiesto un segno! Capito? Puoi tenerti la tua piuma.»
 
«Non è mia, ovviamente.» La sua voce. Più chiara di ogni ricordo.
 
«L’hai strappata a Michele e poi sei scappato?» Gli venne naturale quella domanda ironica, ma strinse gli occhi prima di voltare la testa sulla destra. Temeva di vederlo, di guardarlo, di scoprire che fosse tutto diverso. O che fosse tutto come prima.
Vide la sagoma angelica di Aziraphale prendere forma sul divano, al suo fianco. Prima il peso sulla coperta e poi la forma fisica del corpo che conosceva da milioni di anni. Così perfetto. Sebbene fosse vestito con un elegante completo perlaceo dalle sfumature argentate. Così lui. Tanto da sembrare davvero lì. Anche i sensi lo illusero, facendogli percepire il suo odore.
 
«Certo che no, è di un cigno. E non gliel’ho strappata, l’ha persa in modo naturale.»
 
«Sempre così gentile, angelo.» Perché gli veniva ancora così spontaneo parlargli? Perché non riusciva a ignorarlo? Si accorse subito dell’agitazione di Aziraphale: lo sguardo fisso davanti a sé, la postura tesa, le mani chiuse a pugno sulle ginocchia. A sua volta, guardò altrove. «O dovrei dire Supremo Arcangelo? Va ancora di moda lassù usare questo titolo o la nuova direzione ha cambiato la scala gerarchica?»
 
«Non ha importanza la gerarchia, Crowley. Lo sai che non sono qui per quello ma per…»
 
«Oh no, non parlerò con te fin quando tutto questo nuovo casino sarà risolto. Se sarà risolto,» lo interruppe all’istante. Il suono del proprio nome gli era sempre sembrato così giusto sulle labbra di Aziraphale. In quel momento, invece, gli scatenò un risentimento immediato. «Altrimenti non ci sarà niente di cui parlare… e nessuno. Beh, almeno io non ci sarò, immagino.»
 
«Ma abbiamo bisogno di farlo.»
 
«E soprattutto non parlerò con te quando non sei qui.» Insistette a guardare ovunque tranne che lui. Era più facile, se non lo guardava.
 
«Sono qui!»
 
«No, non lo sei.»
 
«Crowley…»
 
Il demone sentì un colpetto sul fianco e di scatto rialzò la testa e si girò verso la creatura alla sua destra, sconcertato. Non poteva aver già lasciato i piani alti con così tanta facilità.
 
«Sono qui, ma tecnicamente sono in Paradiso,» riprese Aziraphale, con un’alzatina di spalle. «È una specie di proiezione in cui sono da entrambe le parti nello stesso luogo.»
 
«Quindi sei qui, ma per loro sei da qualche parte lassù, seduto con me su un divano, nella tua libreria?»
 
«Sì, pressappoco è così. Ma nessuno vede anche te. Vedono solo me occupato a riflettere e nessuno mi disturberà.»
 
Crowley inarcò un sopracciglio. «Uhm… sembra divertente.» Aziraphale era davvero lì, seduto alla sua destra, come centinaia di altre volte aveva fatto. Una parte di lui spingeva per alzarsi e andarsene. L’altra parte – quella altra parte che gli bruciava dentro – non si sarebbe spostata da quel divano per nessuna ragione al mondo. «Perché hai dato alla tua sostituta il permesso di vendere libri?»
 
«Sì, io… le ho detto che poteva dare via solo alcune delle copie più recenti. Molte non hanno un reale valore. Mi è sembrata così felice di poterlo fare. Crowley, io volevo…»
 
«No,» lo bloccò ancora. Almeno aveva trovato la forza per farlo. Per mantenere la ferma posizione che credeva giusta. «Possiamo parlare di quello che succederà e forse posso darti qualche informazione, visto che chiaramente il tuo nuovo capo non ha la minima idea del guaio in cui si è cacciato. Oh, aspetta! Sei tu! Ma… non di noi.» Fece un secondo di pausa e terminò in un sussurro: «Sempre che esista ancora un noi.» Perché quella breve lontananza da lui lo aveva reso più stupido? La sola idea della lontananza, più che altro. Il solo pensare di averlo perso veramente, questa volta, e per sempre.
 
«Lo sai che esiste, sciocco.»
 
«No, non lo so. A quanto sembra, non mi hai detto molte cose.» Avrebbe dovuto mordersi la lingua. Non sapeva più se sentirsi patetico o troppo ottimista. Forse entrambe le cose. Più probabilmente la prima. 
 
«A quanto sembra, nemmeno tu l’hai fatto.»
 
Crowley incrociò per la prima volta i suoi occhi. Per l’amor di Satana – o di chiunque, ormai poco importava – perché non riusciva più a pensare a niente, adesso? Sembrava esserci così tanto rammarico negli occhi di Aziraphale. E dispiacere, e solitudine, e tristezza. E speranza, e amore, e desiderio. «Perché lo dici? Cos’hai visto lassù?»
 
«Ho visto ogni cosa, Crowley.» La voce dell’angelo era inquieta, ma velata di tenerezza. «Dio mi ha permesso di vedere tutto quanto, dal principio. Ho visto te, cosa ti è successo, quello che hai sempre cercato di farmi capire… e mi disp…»
 
«Oh non dire mi dispiace!» Crowley si rialzò con la schiena, girandosi verso di lui con un tono improvvisamente brusco. Tutto ma non la pietà. Non aveva bisogno di essere compatito per il passato. E né voleva sentirsi dare ragione, non per davvero. La ragione non avrebbe cambiato le cose. «Non ho bisogno delle tue scuse, Supremo Arcangelo Aziraphale. Voglio soltanto che tu apra gli occhi e veda, veda davvero, dove sei tornato e chi stai aiutando. E dovrai farlo da solo, questa volta, non c’è altro modo.»
 
«Crowley…»
 
Ancora il suo nome che lasciava le labbra di Aziraphale con un suono così dolce da sciogliere ogni barriera che credeva di aver alzato. E le parole successive divennero un po’ più difficili da pronunciare. «Io non ti chiederò più niente. Non ti chiederò se hai bisogno del mio aiuto. Non ti chiederò di venire via con me. Non ti chiederò di… stare con me. Fino a quando non capirai cosa vuoi davvero e per cosa stai combattendo. Devi farlo da solo, Aziraphale. Questa volta, non c’è un noi
 
«Suppongo sia ragionevole,» mormorò l’angelo, abbassando il mento e lanciandogli solo un’occhiata incerta.
 
«Lo è. È il momento che tu faccia davvero una scelta. Non puoi più essere diviso in due.»
 
«Non sono diviso in due. So bene dove desidero stare e… con chi.»
 
Così tanta determinazione in poche parole, quando era bastata una proposta ben calcolata per mettere da parte seimila anni di ciò che erano stati. Non l’aveva dimenticato, no. Era certo che Aziraphale non lo avesse fatto. L’aveva solo accantonato, quel noi che si ripetevano in continuazione, consapevole che gli sarebbe bastato un gesto o una richiesta per riottenerlo.
«Ho paura che tu debba saperlo meglio di così, angelo.» Crowley usò un tono più dolce di quanto volesse, e si piegò in avanti, appoggiandosi coi gomiti alle ginocchia divaricate. «Non posso venire a salvarti da questo. Non più.» La voce gli si spezzò appena nel dirlo. La cosa ridicola di tutto quanto era che, nonostante tutto, ancora, sarebbe davvero bastato un gesto di Aziraphale per farlo crollare. 
 
Aziraphale annuì, ispirando profondamente, ma non smise nemmeno un attimo di guardarlo. «Lo capisco questo. Voglio solo che tu sappia che… quando ci sarà di nuovo un noi…»
 
«Se ci sarà di nuovo un noi,» lo corresse Crowley, cercando la forza per non ricambiare il suo sguardo, perché anche attraverso le lenti scure, Aziraphale avrebbe visto troppo.
 
«Quando ci sarà,» insistette però l’angelo. «Ti prometto che avrai la danza delle scuse più lunga che tu abbia mai avuto.»
 
Era una sorta di magia. Lo doveva essere. Con tutta probabilità, lo straordinario Signor Fell aveva davvero qualche assurdo potere. Perché non riusciva a resistergli? Era un demone, per tutti i diavoli! E non doveva possedere la fragilità umana, capace di renderlo cieco e sordo a tutto quanto. E invece si ritrovò a sorridere e a scuotere la testa, girando poi il volto verso di lui. «Oh, temo che dovrai fare molto più di quella, angelo.» Si tolse gli occhiali e li appoggiò sopra la pila di libri sul tavolino. Non li aveva più tolti in presenza di qualcuno, solo quando si trovava da solo nel proprio appartamento. Solo quando nessuno avrebbe potuto scorgere le lacrime che osavano mostrarsi nei momenti più inopportuni. Continuò a fissare Aziraphale, intensamente, senza riuscire a farne a meno. Come se tutta la rabbia e la delusione si fosse sciolta dopo quella sola, stupida promessa di qualcosa che forse sarebbe arrivato tra chissà quanti anni. Se fosse davvero arrivato. Se l’intero mondo non fosse finito prima. Non poteva evitare di credergli, nonostante tutto.
 
«Ho pensato che…» Aziraphale parve ridestarsi di colpo da uno strano incantesimo. Il suo viso tornò raggiante, la sua voce più acuta e serena. Con un cenno della mano, fece comparire due calici pieni di vino bianco. «Prima di andare, potremmo almeno fare un brindisi.»
 
Prima di andare. Prima che Aziraphale tornasse ai piani alti, lasciando lui in un mondo che avevano plasmato, nel bene e nel male, insieme. Crowley, tuttavia, alzò le spalle e si rimise dritto, per poi prendere il calice, come anche l’altro aveva fatto. «A cosa brindiamo?»
 
L’angelo inarcò le sopracciglia con un sorriso. «All’umanità?»
 
«Beh, finché ce n’è ancora una a cui brindare, perché no?»
 
Alzarono i calici e li fecero tintinnare l’uno contro l’altro. Il lieve suono si propagò nel caldo silenzio della libreria. Sembrò un momento così tanto loro che entrambi, dopo averli riappoggiati sul tavolino, si rilassarono contro lo schienale del divano e ricominciarono a guardarsi, come se niente fosse cambiato. Come se Paradiso, Inferno e l’intero mondo non stessero per arrivare a una nuova, apparentemente inevitabile, conclusione molto definitiva.
Continuarono a guardarsi, incapaci di allontanare i propri occhi, tanto quanto i propri corpi. Le ginocchia si toccarono.
Continuarono a fissarsi, e a parlarsi di niente in silenzio. Parole che, in altre circostanze, avrebbero riempito i muri insieme a battute e risate.
Continuarono a perdersi l’uno nell’altro. A sussurrarsi cose non dette, dietro a domande e risposte necessarie.
 
«Hai saputo qualcosa di Gabriele e Belzebù?» mormorò Aziraphale, deglutendo. Mi manchi. Cielo, non posso stare senza di te. Come ho potuto anche solo pensarlo?
 
«Verrà una tempesta, e tenebre e venti sferzanti. E dalle tombe usciranno i morti e nuovamente cammineranno. E l’aria si riempirà di lamenti. Di giorno in giorno si avvicina,» Crowley ripeté le parole pronunciate da Jim quando un barlume della memoria di Gabriele si era riaccesa nella sua testa. Alzò le spalle. «È l’unica cosa che so di lui che non ti ho detto.» Non ti ho detto che mi manchi. Che anche io ho bisogno di te. Non perché non sia in grado di starci, senza di te. Ma perché non voglio farlo. L’eternità doveva essere la nostra eternità.
 
Aziraphale annuì, immagazzinando quell’informazione. Ma la sua mente sembrava comunque altrove, non nel discorso che stavano facendo. Crowley lo percepiva chiaramente nello sguardo che continuava a essere ancorato al suo. Non potevano smettere.
 
«Il Secondo Avvento, stanno… vogliono che organizzi quello,» sussurrò l’angelo, socchiudendo poi le labbra senza però aggiungere altro. Non voglio stare senza di te. Potrei farlo, sì, eppure non ci sarebbe gioia in Paradiso, né bontà, né… amore, senza di te.
 
Crowley piegò di lato la testa, appoggiando la tempia sul bordo dello schienale. Le mani abbandonate sulle ginocchia, calmo, o rassegnato forse. «Non so bene cosa possa essere ma non sembra niente di buono. Almeno per noi quaggiù.» Come se guardarti negli occhi mi facesse sentire la tua vicinanza. Ma non resterai qui. Dì ancora il mio nome, non posso stare altro tempo senza ascoltarlo.
 
«Crowley, sto cercando di cambiare qualcosa dall’interno. I piani originali non sono molto… uhm…» L’angelo fece una smorfia, ma non aggiunse altro. Cosa accadrà quando me ne andrò? Ti perderò ancora e ancora? Ogni singola volta ti sentirò vicino per poi vederti chiudere la porta su ogni cosa? Pronuncia ancora il mio nome, lasciami almeno la dolcezza di quello nella memoria.  
 
«A favore dell’umanità? Beh, Aziraphale, buona fortuna con quello, allora.»
 
Aziraphale accennò un sorriso e si guardò le mani che teneva strette a pugno sulle cosce. Crowley perse il contatto coi suoi occhi e per un secondo si sentì di nuovo smarrito nella solitudine. Poi, però, vide un tentennamento nella mano sinistra dell’angelo, che si aprì e si richiuse, solo per avvicinarsi a quella che lui teneva sul ginocchio.
 
«Io volevo solo…» poco più di un sospiro. Aziraphale gli sfiorò il dorso, delicatamente, in un incerto tentativo di prendergliela. «Stringimi la mano.»
 
Crowley ruotò il polso quel poco che bastava per accettare il suo gesto. Il palmo contro al suo, le dita intrecciate. E un fremito lungo tutto il corpo che gli fece battere il cuore con una forza quasi brutale.
 
Continuarono ancora a guardarsi, senza dire niente. Sarebbe servito dire altro? Altro che potesse creare più emozioni di quelle che Crowley stava sentendo dibattersi dentro di sé, e che riusciva facilmente a vedere sul viso di Aziraphale? Stava diventando troppo da gestire. Il suo odore così vicino. Il calore della stretta della sua mano. Il bisogno di dimenticare tutto quanto. Tranne… il ricordo del bacio che gli aveva rubato. Troppi sentimenti contrastanti. Così piegò il braccio per portarsi la mano dell’angelo sulle labbra. Gli baciò con un’estrema tenerezza il dorso, e poi la lasciò libera. «È meglio che tu vada. Probabilmente ti staranno già cercando.»
 
Aziraphale deglutì, riportando la mano sull’altra che teneva in grembo. Era evidente che fosse frastornato a sua volta da ciò che stava provando. «Se tu volessi…» la voce gli si spezzò e dovette interrompersi per un istante. «Se vuoi parlarmi ancora, devi solo…»
 
«Esprimere un desiderio e aspettare la piuma di un cigno?» Crowley accennò una lieve risata. «Chi dei tuoi l’ha inventata questa storia?» Non aspettò una risposta e gli fece cenno con la mano di alzarsi. «Vai.» Ma non riuscì a smettere di guardarlo. Lo vide tendere un sorriso amaro sulle labbra e l’espressione sul suo viso si intristì, prima che l’intero corpo dell’angelo diventasse via via più evanescente fino a svanire.
Provò una devastante morsa al cuore e infine si lasciò ricadere di lato sul divano, dove Aziraphale era seduto. C’era ancora il calore del suo corpo sul cuscino, la coperta stropicciata dal peso.
Crowley tirò le ginocchia al petto, gli occhi fissi sui due calici vuoti rimasti sul tavolino.
 
 
*
 
[CONTINUA…]

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Capitolo 2
*** |02| ***


| 02 |
 
 
“Hold my hand, everything will be okay
I heard from the heavens that clouds have been grey
Pull me close, wrap me in your aching arms
I see that you're hurtin', why'd you take so long…”
 
 
Aziraphale ricreò attorno a sé la visione di una parte della libreria. Sembrava così materiale in quell’angolo, così piena di colori caldi e accoglienti, nonostante i bordi sfumassero nel bianco asettico delle pareti del Paradiso. Andò a sedersi sul divano, e nel guardarsi si sentì fuori luogo con quegli abiti troppo chiari, troppo perfetti. A ogni modo, presto non sarebbe più stato lì, fisicamente. Doveva solo aspettare che Crowley entrasse nella libreria e si sedesse in quel posto, che era divenuto il loro ritrovo. Una nuova panchina nel parco, per così dire.
Si sentiva più agitato del solito, perché il tempo che avevano a disposizione, che l’umanità aveva a disposizione, stava per finire. E l’umanità, adesso, comprendeva anche Crowley.
Era così assorto nei pensieri che solo dopo un po’ si rese conto della piuma nera posata alla sua sinistra, così sorrise e chiuse gli occhi.
Quando li riaprì, il suo corpo era tornato nella vera libreria, seduto sul divano, e teneva la piuma nera tra le dita.
 
«Non ci pensare nemmeno, è di un corvo,» esclamò subito Crowley. Era appoggiato con la schiena al bracciolo del divano, un ginocchio piegato davanti a sé, contro lo schienale, e il braccio mollemente adagiato su di esso.
 
Aziraphale lo vide sorridere e per un attimo tutto svanì. Nessun Secondo Avvento, nessuna tempesta, nessuna resurrezione dei morti, niente, se non gli occhi dorati di Crowley che sembravano languidi dal vino. «Hai bevuto?»
 
«Che domande sono? Certo che ho bevuto!» Il demone indicò un paio di bottiglie vuote, ai piedi del tavolino. «Sta per finire tutto quanto, di nuovo. Posso solo fare quello che farebbe qualsiasi altro umano qui. Bere e spendere tutti i soldi per divertirsi. A parte che non mi interessa spendere soldi. Quindi bevo.»
 
Aziraphale appoggiò la piuma sui libri. «Cosa ti hanno detto?»
 
«Shax? Che tra qualche giorno il Paradiso cadrà e l’Inferno sorgerà e l’umanità affronterà il divino giudizio del Nuovo Nato tra i popoli e bla bla bla qualcos’altro che non ricordava più nemmeno lei.»
 
«Più o meno è questo, sì,» commentò l’angelo, voltandosi verso di lui per guardarlo.
 
«Non avete nemmeno deciso di farlo nascere qui, questa volta?»
 
«Sembra che, dopo il fallimento con l’Anticristo, sia più saggio mandarlo direttamente quando sarà il momento.»
 
«Beh, non mi pare che tu sia riuscito a cambiare molto nemmeno dall’interno, non è così, angelo?»
 
Aziraphale non rispose subito. Cosa avrebbe potuto rispondere, poi? Così il demone aggiunse: «Quando?»
 
«Tra sette giorni.»
 
«Sette giorni, dovevo immaginarlo» Crowley si lasciò sfuggire un lamento, poi aggiunse, sospirando: «Mi hanno chiesto di nuovo di unirmi a loro.»
 
«Perché?» Aziraphale lo chiese senza nemmeno pensare un solo secondo, gli occhi spalancati. «Sanno già che non avresti accettato.»
 
«Perché, se rimango qui, farò parte dell’umanità e sarò distrutto insieme a loro.» Crowley alzò le spalle. «Pare che là sotto ci sia ancora qualcuno che mi ammira per l’ottimo lavoro svolto in seimila anni. 
 
«Cosa ha detto Gabriele?»
 
«Non ci parlo con lui da quando è tornato… lui. Belzebù mi ha detto che ne hanno discusso, e secondo loro l’unica cosa che può fermare l’avvento dei due Regni sulla terra è qualcosa più potente dei due Regni stessi.»
 
«Qualcosa più potente di Paradiso e Inferno.» Aziraphale corrucciò la fronte, spostando lo sguardo da un lato all’altro della stanza, come se quella piccola, apparentemente inutile, informazione fosse l’inizio di qualcosa. Un indizio, perlomeno. «Qualcosa che impedisca al piano ineffabile di essere… beh, ineffabile. Una… anomalia, un qualcosa che non doveva essere in un piano che non può essere spiegato.»
 
Crowley arricciò il naso in un’espressione confusa. «Ho bevuto troppo per questo. Devo tornare sobrio o…»
 
«No, non importa. Lo scoprirò da solo.» L’angelo sorrise dolcemente e tornò a fissarlo. «Ti ringrazio.»
 
Crowley scrollò le spalle e ricominciò a propria volta a sostenere il suo sguardo. Ancora, si creò una sorta di legame tra i loro occhi, capace di portarli in una realtà dove non esisteva nient’altro che loro due.
Aziraphale avvertì l’incontrollabile bisogno di sentirlo vicino e si accorse della mano che Crowley aveva appoggiato sulla gamba, ora distesa dietro di lui, tra lo schienale del divano e la sua schiena. Allungò allora la mano per sfiorargliela, e immediatamente il demone la strinse nella propria con forza.
Aziraphale socchiuse le labbra per dire qualcosa, qualunque cosa, per non sembrare soltanto una creatura così disperata da sentire l’incalzante desiderio di un qualsiasi suo tocco.
Ma le parole si persero in un soffio quando Crowley si portò di nuovo la sua mano alla bocca per baciargli dolcemente il dorso. Questa volta, però, non la lasciò andare. La tenne contro le labbra e Aziraphale percepì il tiepido calore del suo respiro veloce quando Crowley gli sussurrò: «Anch’io ho bisogno di te.»
 
 
“To tell me you need me? I see that you're bleedin'
You don't need to show me again
But if you decide to, I'll ride in this life with you
I won't let go 'til the end”
 
 
Forse sentì l’intero essere eterno che era spezzarsi, a quella dichiarazione. O forse il tempo stesso rallentò fino a fermarsi, annullando tutto ciò che non erano le labbra di Crowley contro la sua mano e gli occhi gialli, velati di oro liquido, che lo fissavano.
Aziraphale non provò nemmeno a controllare l’istinto, quando si chinò verso di lui per baciarlo.
Strinse gli occhi, all’inizio, perché non sapeva bene cosa stesse facendo.
Voleva soltanto sentire ancora le sue labbra. Voleva soltanto essere stretto tra le sue braccia, come se nient’altro importasse.
Crowley respirò velocemente contro la sua guancia, ma non fece niente per ritrarsi. La mano strinse con ancora più intensità la sua, entrambe imprigionate tra i loro corpi che si erano, inevitabilmente, avvicinati. Poi Crowley fece passare l’altro braccio dietro le sue spalle e lo attirò a sé.
 
Aziraphale si lasciò sfuggire un mugolio di sollievo e si spinse contro di lui, cingendogli la vita col braccio libero. Sentì un debole tremore in lui e dagli occhi socchiusi scorse le lacrime che stavano rigando le guance del demone. Silenziose, quasi invisibili.
Avrebbe dovuto allontanarsi, forse, ma non voleva farlo. E nemmeno Crowley sembrava volerlo, perché strinse il pugno sulla stoffa del suo soprabito candido, per impedirglielo, premendo di più la bocca contro la sua.
Ad Aziraphale iniziò a girare la testa. Le dolci sensazioni delle labbra di Crowley sulle sue, della stretta possessiva sul suo corpo, e le emozioni che provava dentro di sé al pensiero di stare davvero baciando ancora la creatura che aveva iniziato ad amare moltissimo tempo prima.
Probabilmente avrebbe perso presto il contatto con l’altro sé, rimasto come suo riflesso in Paradiso. Ma avrebbero dovuto discorporarlo in quel momento, per allontanarlo da Crowley.
 
Crowley che si era discostato da lui quel poco che bastava per guardarlo negli occhi, mentre si spingeva col bacino lungo il divano e appoggiava la schiena sul cuscino, la testa contro il bracciolo.
Aziraphale si ritrovò trascinato con lui, sopra di lui, tra le sue ginocchia. A niente era servito sostenersi col braccio libero, per non pesare su di lui, perché Crowley gli passò la mano sinistra dietro la nuca e se lo tirò addosso.
E Aziraphale cercò di nuovo le sue labbra, incapace di starne lontano. Un bacio così lieve e dolce, così diverso dalla forza con cui Crowley lo teneva a sé.
Un continuo sfioramento, i respiri che si fondevano in uno solo, e i tocchi della lingua appena accennati, incerti, naturali, bagnati come le loro labbra che stavano prendendo le une il sapore delle altre.
Crowley lo stava ancora guardando e Aziraphale riuscì a scorgere meglio le lacrime che gli brillavano negli occhi e che scivolavano furtive lungo le sue tempie. Il demone non le stava più nascondendo.
«Crowley…» L’angelo strusciò il viso contro il suo e sentì a sua volta le lacrime pungergli gli occhi nel provare così, tutto insieme, quello a cui stava rinunciando.
Lo guardò dall’alto e sentì tra i capelli le dita di Crowley che lo tiravano subito in un nuovo bacio.
E lo baciò ancora, senza più smettere, mentre i loro corpi si scontravano in cerca di una posizione più comoda per stare vicini, premuto l’uno sull’altro.
Era quello l’amore umano, dunque? Bruciava il petto, lo faceva esplodere, e tutto di lui sembrava non trovare più una fine, se non nella creatura che lo stava stringendo tra le braccia e che lo aveva imprigionato con le gambe. Dio… era così l’amore per qualcuno che aveva chiamato amico per migliaia di anni? Lo sapeva già. Sapeva di amarlo, di averlo sempre amato. L’amore eterno se lo erano sempre donati. Adesso era quello mortale che si stavano scambiando, e lo stavano facendo quando l’intero mondo era a un passo dalla fine.
 
Crowley spostò le labbra lungo la sua guancia, e Aziraphale sentì il suo respiro rapido all’orecchio, poi contro al collo. La bocca socchiusa premette sulla sua pelle sensibile per qualche secondo poi udì un lieve sospiro: «Devi andare via adesso… o non riuscirò più a lasciarti.»
 
Aziraphale chiuse gli occhi, rassegnato. Sapeva di doverlo fare, ma fece molta fatica a rimettersi seduto, aiutando poi il demone a fare lo stesso, tramite la mano che stava ancora tenendo.
Avrebbe potuto promettergli che sarebbe tornato da lui prima della fine, che avrebbero trovato una soluzione ancora una volta, ma sapeva che non era quello che Crowley avrebbe voluto ascoltare.
Si rialzò in piedi e sentì la mano di Crowley continuare a stringere la sua, il braccio allungato per seguire il suo movimento.
Provò a dire qualcosa, ma aprì solo la bocca, le labbra tremanti, quando si trovò perso di nuovo negli occhi del demone. Avvertì la stretta alla mano farsi ancora più forte.
Non voleva andarsene, ma non poteva fare altro.
La presenza delle dita di Crowley tra le sue diventò sempre più immateriale, fino a svanire.
Aziraphale si ritrovò in quell’illusoria libreria ricreata in Paradiso, ma per qualche secondo rimase in contatto con quella terrena.
E vide Crowley lasciarsi andare contro lo schienale del divano e tirare un calcio al tavolino, per poi piegarsi su se stesso, con il volto tra le mani.
L’ultima cosa che Aziraphale vide furono i libri caduti a terra e il mappamondo, staccato dal suo asse per il contraccolpo subito, che rotolava sul pavimento.
 
 
*
 
 
[CONTINUA…]

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Capitolo 3
*** |03| ***


| 03 |
 
 
“So cry tonight
But don't you let go of my hand
You can cry every last tear
I won't leave 'til I understand
Promise me, just hold my hand”
 
 
L’appartamento era immerso nella penombra. L’unica luce era quella tiepida della sera che filtrava dalle veneziane. Il demone era seduto sulla poltrona, piegato sopra al tavolo vuoto, un braccio allungato davanti a sé e la testa riversa su di esso.
Stava provando a dormire, ma gli occhi spenti erano fissi nel gelido vuoto davanti a lui, le guance rigate da lacrime ormai asciutte.
Era solo, fatta eccezione per alcune bottiglie vuote, abbandonate sul pavimento poco lontano da lui.
Quando avvertì qualcosa cambiare, in quella solitudine, Crowley mosse solo lo sguardo lungo il tavolo e intravide una piuma bianca adagiarsi di fianco alla sua mano.
Abbassò le palpebre al fremito che provò nel petto. L’emozione per l’arrivo dell’angelo parve fargli solo più male.
Sentì la mano prendere consistenza sulla propria, le dita sfiorarono il suo palmo in cerca di contatto. D’impulso gliela strinse e, rialzando la testa, vide che Aziraphale si era fermato sull’altro lato del tavolo, un’espressione addolcita sul viso.
Era vestito come lo aveva visto l’ultima volta dopo il ballo. Era vestito come il suo angelo.
«Cosa? Avete cambiato idea e domani non arriverà nessun nuovo salvatore che giudicherà l’umanità in base al suo umore?» Crowley mormorò quella domanda restando ancora piegato sul piano. Non aveva più la forza nemmeno per provare ad arrabbiarsi, per combattere l’inevitabile, per fuggire veramente da qualche parte. Non l’avrebbe mai fatto davvero. Non senza Aziraphale.
 
«No, è ancora previsto per domani.»
 
Il demone annuì e infine si rialzò con la schiena, guardandosi attorno con un profondo sospiro. «Beh, ho finito le bottiglie giusto in tempo, allora.»
 
«Crowley, ti fidi ancora di me?»
 
Crowley accennò una risatina e non gli rispose. Si rimise in piedi, spingendo indietro la poltrona con le gambe, e si spostò sul lato corto del tavolo, per attirare l’angelo a sé, grazie alla presa che stavano ancora condividendo. «Davvero ti serve una risposta?»
 
Aziraphale gli sfiorò la guancia con la punta delle dita. «Lo so che hai paura, ma non rinunciare a te stesso. Non rinunciare a noi
 
Un solo, debole tocco e l’oblio della fine gli sembrò essere meno imminente. Il demone accennò un sorriso. «Non ho paura per me stesso. Mi getterei in altre cento, mille pozze di zolfo bollente se servisse a salvare te.»
 
«Crowley… per favore…»
 
«Aziraphale, domani finirà ogni cosa. Paradiso, Inferno, umanità.» Crowley si bloccò, riflettendo un istante su ciò che stava per dire, ma poi si fece sfuggire un gemito, alzò lo sguardo al soffitto, scuotendo la testa, e tornò a guardare l’angelo davanti a sé. «E per Dio… o per Satana… non mi importa più di niente. Voglio soltanto restare qui con te e guardarti.» Vide chiaramente i suoi occhi riempirsi di lacrime e subito alzò la mano per accarezzargli la guancia col dorso delle dita. «Dopo milioni di anni, non mi importa di nient’altro. Solo di te. Solo di noi.»
 
Aziraphale provò a ribattere qualcosa, ma l’unica risposta fu un respiro tremante di lacrime trattenute. «Oh cielo, non sono venuto qui per piangere.» Strinse gli occhi, cercando di controllarsi, ma appena il suo sguardo si incatenò ancora a quello di Crowley, dalle sue labbra uscì solo un sussurrato: «Io ti amo, Crowley.»
 
Crowley perse la capacità di controllare il respiro, il battito del cuore, la ragione, il suo stesso corpo. Prese tra le mani il viso dell’angelo per baciarlo, ma appena lo fece, sentì il tremore nelle sue labbra, il sospiro erratico, così lo lasciò libero di respirare e lo strinse con forza tra le braccia.
 
«Non avevo previsto di… piangere,» mugugnò Aziraphale contro la sua spalla, mentre nascondeva il viso, singhiozzando, aggrappato alla vita del demone come se fosse l’unico appiglio per non cadere direttamente all’Inferno.
 
«Negli ultimi tempi sei imprevedibile,» gli bisbigliò dolcemente Crowley, rubandogli una lieve risata. «Puoi piangere stanotte, angelo. Puoi piangere fino all’ultima lacrima. Io non me ne andrò.»  A ogni parola lo sentì piangere più forte, come se stesse buttando fuori tutto ciò che aveva provato e trattenuto da quando si erano separati. «Qualunque cosa deciderai di fare domani, io starò in questa esistenza con te. Non ti lascerò andare nemmeno quando tutto sarà finito.»
 
«Ti amo, Crowley. Ti amo così… tanto… e non so nemmeno se ha senso dirlo adesso, ma se non l’avessi detto sarei esploso e… mi sento uno stupido perché lo sai già.»
 
«Che sei uno stupido? Sì, già da diverso tempo, in effetti.»
 
«No, sciocco!» Aziraphale rialzò la testa con una lieve risata, per guardarlo negli occhi. «L’altra cosa.»
 
«Oh, che mi ami? Beh… l’ho intuito qualche volta, sì. Ma fa piacere sentirselo dire.»
 
«Già, sì, fa… piacere sentirselo dire.»
 
Crowley si accorse dell’espressione dell’angelo, le sopracciglia inarcate, lo sguardo d’attesa. Finse di non capire, all’inizio, poi socchiuse le labbra, ostentando stupore. «Oooh, intendi…» indicò prima se stesso e poi lui. «Naaa… non è da demoni dirlo, lo sai.»
 
«Ah, è così? Già, tu malvagio tra i malvagi, come ho potuto pensarlo.»
 
Si sentì subito sollevato nel vedere Aziraphale tornare a sorridere più serenamente, nonostante gli occhi ancora gonfi per il pianto. Così si chinò per baciarlo di nuovo, ma l’angelo, con sua grande sorpresa, si discostò da lui, alzando le spalle.
 
«Naaa… non è da angeli baciare un demone, dovresti saperlo,» ribatté allora Aziraphale, imitandolo. Fece qualche passo lontano da lui per sfilarsi il cappotto e appenderlo allo schienale della poltrona, poi si schiarì la voce e unì le mani dietro la schiena. «Ebbene, cosa possono fare un angelo e un demone, per passare l’ultima nottata del mondo, che non implichi esprimere amore o baciarsi?»
 
Crowley lo osservò, appoggiato con una mano al tavolo e l’altra sul fianco. Corrucciò la fronte, fingendosi pensieroso, ma infine esclamò: «Chiudi la bocca!»
Lo afferrò per i lembi del panciotto e lo trascinò di nuovo contro il tavolo, spingendo le labbra sulle sue. Sentì subito la bocca di Aziraphale rispondere al bacio, e le braccia gli circondarono la schiena con una forza possessiva.
Non c’era più solo dolcezza in quel bacio. C’era urgenza, bisogno di avere ogni cosa, passione, e amore che andava al di là di ogni rapporto fisico che i loro corpi sembravano iniziare a volere.
 
Crowley invertì le posizioni, si mise contro il tavolo e si sedette su di esso.
Voleva ardentemente sentirlo ancora sopra di sé, riprovare il piacere del corpo dell’angelo sul proprio, che aveva assaporato solo per pochi momenti la volta precedente.
Aveva un disperato bisogno di perdersi nella sicurezza del suo abbraccio, cullato dal suo respiro e accarezzato dal suo odore. Per un’ultima volta.
Fece scivolare il fondoschiena sul piano per riuscire a trascinare Aziraphale con sé, il quale lo seguì a fatica, appoggiandosi a tentoni con le mani per assecondare il movimento del suo corpo, senza smettere di baciarlo, e salire a carponi sul tavolo
Il demone si ritrovò sdraiato con l’angelo sopra di sé. La carnale sensazione del suo peso sul proprio corpo, la pressione dei fianchi contro ai suoi, le cosce di Aziraphale che tenevano rialzate le sue, non per una propria volontà ma per la naturale posizione in cui si era fermato, troppo preso a rispondere al suo bacio per accorgersi di quanto potesse sembrare indecente.
Crowley provò per la prima volta la scintilla di un desiderio che andava oltre il bisogno di sentire Aziraphale vicino. E da come Aziraphale stesso lo stava tenendo stretto, dal respiro affannoso e dall’odore della sua pelle accaldata, poteva dire con certezza che anche lui stava sentendo lo stesso. Discostò le labbra e avvertì il lamento dell’angelo, ma gli bisbigliò: «Se domani non fosse la fine di tutto, proverei a tentarti con qualcosa che gli umani trovano molto piacevole.»
 
«Se domani non finirà tutto, potrai tentarmi quando lo vorrai.»
 
«Accetteresti anche questa tentazione?»
 
«La sto già accettando.» Aziraphale gli sorrise con una punta di malizia e chinò il volto per riprendere a baciarlo. Si spostò sul fianco e tirò Crowley più vicino a sé, i due corpi premuti l’uno contro l’altro, le gambe accavallate le une sulle altre, strette in un abbraccio impossibile da sciogliere.
 
Crowley arrivò con le mani al suo collo, gli slacciò il papillon e i primi bottoni della camicia, per farlo stare più comodo. Si accorse che Aziraphale stava tentennando, insicuro, poi però fece lo stesso con lui, e gli aprì completamente la maglia, scoprendogli il petto. Si spinse anche oltre e gli sciolse il nodo della sciarpa, sfilandogliela.
Il demone accennò una risatina e la prese dalle sue mani, la fece scorrere dietro al collo dell’altro e la usò per attirarlo di nuovo a sé. «Adesso, sei tu a tentare me, angelo.» Sentì la punta delle dita di Aziraphale scorrere piano lungo il collo e sui pettorali. Deglutì, sospirando: «Sai cosa mi stai facendo?»
 
«Vorrei poter dire sì, ma no… non ne ho idea,» mormorò Aziraphale con un sorrisetto agitato. «Non so bene cosa sto facendo. So solo che voglio starti vicino come non ho mai potuto fare. Che si… fotta tutto!»
 
«Sei così coraggioso stanotte da infrangere tutte le regole?» Crowley gli sorrise e si chinò verso il suo volto. Evitò le sue labbra socchiuse e in attesa per baciargli il mento, la mandibola fino all’orecchio. Gli succhiò piano il lobo e percepì la sua mano sul fianco che si strinse di scatto.
 
«Le faccio io le regole, e io posso infrangerle.»
 
E poi quella dichiarazione autoritaria e sussurrata con così tanta decisione da provocargli una risata, insieme a un moto di tenerezza. 
«Wooh…» cercò di soffocare la risata nell’incavo del suo collo. «Tieniti il Supremo Arcangelo e ridammi il mio angelo.» Lo sentì gemere nell’esatto istante in cui pronunciò quelle ultime parole. Gli leccò lascivamente la gola, e poi tornò alle sue labbra dischiuse. Le toccò con la punta della lingua, e sentì subito quella di Aziraphale lambire la sua, incerta.
Per qualche secondo si sfiorano soltanto, come avevano fatto durante il loro incontro precedente. Quando fu sul punto di approfondire quel bacio per la prima volta, tuttavia, fu Aziraphale a cercare la sua lingua, muovendo la propria in una danza bagnata che iniziò a spostarsi da una bocca all’altra.
Un attacco all’inizio timido, che presto divenne bramoso, passionale, profondo e continuò per un tempo infinito. Fino a quando Aziraphale decise di discendere sul suo collo, sulla gola, sulle spalle.
Continuò a baciarlo, a far scorrere le labbra su ogni lembo di pelle libera dalla stoffa, a leccarlo così avidamente che Crowley riuscì solo a sottomettersi alla fame che l’angelo aveva di lui.
Gli accarezzò i capelli chiari, la schiena e si costrinse a non muoversi contro di lui, per non dare sfogo a quell’esigenza che il suo corpo stava iniziando a gridargli. Ma non riuscì a trattenere un gemito sensuale di piacere quando Aziraphale si piegò più in basso per arrivare a leccargli i pettorali e a succhiargli i capezzoli. «Oh… Dio… angelo, devi fermarti. Non ce la faccio così.»
 
Aziraphale rialzò il volto al suo livello, le labbra umide, e la lingua a bagnarle di più, con una inconsapevole provocazione, come a voler assaporare ancora il sapore della sua pelle che aveva appena abbandonato. «Mi dispiace… perdonami. Scusa, non so cosa sto facendo.»
 
«No, non è niente di sbagliato. È solo tutto troppo bello e se continui, credo che potrei venire meno alle mie intenzioni.» Crowley gli disse così, ma nel vedere l’espressione confusa che ottenne in risposta, si ritrovò a spingerlo con la schiena sul tavolo e a rialzarsi su un gomito, per seguire con la lingua lo stesso percorso che Aziraphale aveva fatto su di lui.
Osò sbottonargli del tutto il panciotto e fare lo stesso con la camicia. Osò accarezzalo con le dita prima e con la lingua poi. Osò scendere con la bocca fino all’ombelico, mordere piano la carne morbida dell’addome e poi tornare a leccargli i capezzoli con una movenza licenziosa.
Sentì il proprio nome a ogni singolo bacio che posò sulla pelle di Aziraphale. Lo sentì come una preghiera e come un gemito di desiderio. Si chiese se il corpo di un angelo fosse più sensibile al piacere del suo e per tutti i demoni dell’Inferno, avrebbe voluto passare ogni singolo istante di quella notte a scoprirlo.
 
«Crowley… se continui, sarò io a non riuscire a farcela.»
 
Il demone risalì lungo il suo petto, sul collo, premendo il naso e la punta della lingua sulla pelle calda, e inspirando il suo odore, fino a ritornare a guardarlo negli occhi. Aziraphale gli sorrise dolcemente, con una punta di imbarazzo, e quel solo sorriso lo fece sciogliere quanto mille baci.
«Ti amo, Aziraphale,» bisbigliò, con una dolcezza disarmante.
Vide il suo volto illuminarsi, quasi che quelle semplici parole avessero compiuto una specie di magia. Si sentì così pieno d’amore per lui, e gli parve che rivelarlo avesse dato una forma più materiale a quel loro sentimento millenario. Come se l’avesse reso quel poco più umano, per farlo diventare davvero parte del mondo in cui avevano vissuto insieme. «Oh, non guardarmi così, adesso!» Finse di volersi allontanare, ma l’angelo si girò di nuovo sul fianco, gli prese la mano e lo trattenne.
 
«Resta qui. Dimmi cosa vorresti fare. Se fosse una notte come tutte le altre e fossimo soltanto qui, insieme.»
 
C’era una struggente tenerezza nella sua voce, e Crowley era sul punto di gridare al mondo e ai due Regni a cui appartenevano che voleva soltanto passare quella notte, e tutte quelle dell’intera esistenza, ad amare Aziraphale. A renderlo felice, a farlo stare al sicuro, a ridere dei suoi ridicoli numeri di magia, a guardarlo leggere e sorseggiare il tè, a bere con lui fino a essere troppo ubriachi per fare discorsi sensati, e a dargli piacere nel modo in cui lo facevano gli umani, come loro non avevano ancora mai fatto. Perché era assolutamente certo che anche quello, con Aziraphale, sarebbe stato qualcosa che avrebbe reso la sua eternità migliore.
L’alternativa più razionale, tuttavia, fu quella che gli mormorò. «Mi piacerebbe dormire. Non lo faccio da parecchio tempo.» Da quando l’angelo se n’era andato, sicuramente.
Aziraphale, allora, mosse le dita e Crowley si ritrovò ad appoggiare la testa sulla morbida stoffa del cappotto dell’angelo, ripiegato, per farlo stare comodo. «Ma non voglio davvero farlo.»
 
«A me piacerebbe che tu lo facessi, invece. Io resterò qui.»
 
«Vuoi farmi ancora qualche ritratto che poi cercherai malamente di nascondermi domani mattina?»
 
«Niente ritratti, lo prometto.»
 
«D’accordo.» Crowley tentennò dal chiudere gli occhi, ma poi gli sorrise e si rassegnò ad abbassare le palpebre. «Aziraphale…»
 
«Sono sempre qui.»
 
«Lo so che sei qui.» Strinse le dita sulle sue. «Non lasciare la mia mano.»
 
 
*
 
 
[CONTINUA…]

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Capitolo 4
*** |04| ***


| 04 |
 
 
“I know you're scared and your pain is imperfect
But don't you give up on yourself
I've heard a story, a girl, she once told me
That I would be happy again”
 
 
Crowley aveva ancora i sensi addormentati. In qualche modo, per tutte quelle ore, aveva avvertito la presenza di Aziraphale vicino a sé, contro di sé. Il suo respiro, il suo odore, la stretta dalla mano, la tenera prigione delle gambe. Socchiuse gli occhi e si accorse che l’angelo si è rannicchiato contro di lui, la testa appoggiata al suo petto.
La stanza era immersa in una pallida luce giallognola e inquietante.
«Non è ancora sorto il sole,» mugugnò, stiracchiandosi un poco.
 
«Non sorgerà,» rispose Aziraphale in un soffio, restando ancora contro di lui. Dei tuoni in lontananza spezzarono quel cupo silenzio. «Arriverà una tempesta, e tenebre e venti sferzanti.»
A fatica rialzò il capo per poter guardare il demone negli occhi. Vide la paura, sebbene l’altro tentasse di mostrargli l’apparente indifferenza demoniaca che era solito esternare in situazioni difficili. «Sei spaventato.»
 
«Non per me stesso, te l’ho detto.»
 
«Lo sono anch’io.» E quello che faceva sempre, quando era terrorizzato da qualcosa, era chiamare Crowley, cercare Crowley, parlare con Crowley. Insieme avrebbero sempre trovato una soluzione. E la paura sarebbe svanita. Ma questa volta, il compito spettava solo a lui. E Crowley, a differenza sua, aveva tutto il diritto di avere paura.
 
«Una certa strega mi ha raccontato una storia qualche giorno fa, quando l’ho cercata come volevi che facessi.»
 
«Quale storia?»
 
«Niente di comprensibile. Sai come parlano le streghe, enigmi e frasi in rima. Ma alla fine ha detto che sarei stato felice di nuovo.» Eppure, ancora, era Crowley che stava cercando qualsiasi modo per tranquillizzare lui.
 
«È una cosa buona, se ha anche solo una minima parte dei poteri della sua antenata.»
 
Era il momento. Doveva andare via. La prossima volta che si sarebbero visti, sarebbe stato durante la fine di tutte le cose.
Avvicinò il viso a quello di Crowley, lo strusciò piano al suo e lo spinse per arrivare a sussurrargli qualcosa all’orecchio.
 
Poi, tornando a guardarlo intensamente negli occhi, aggiunse: «Promettimi soltanto di stringermi la mano.»
 
 
*
 
 
“Hold my hand, hold my hand
I'll be right here, hold my hand”
 
 
Erano lì, in un punto fuori dal mondo.
Due schieramenti: uno proveniente dal Paradiso e l’altro dall’Inferno, in due mezzi cerchi ben distinti. Sopra di loro, e tutto attorno, le nubi cariche di fulmini, i tuoni della tempesta, i venti che soffiavano e ricreavano un turbinio di tenebre. Era il soffitto e le pareti di quella sorta di immensa stanza senza fine, riempita da milioni di creature.
Il momento era arrivato.
Dalle schiere angeliche, il Supremo Arcangelo fece qualche passo avanti.
Guardò verso i demoni, dove la Granduchessa Infernale, chiamata Shax, era in attesa di una sua mossa, con un’aria guardinga.
Lanciò anche un’occhiata alle proprie spalle, dove la Voce di Dio, Metatron stesso, stava attendendo. «Spetta a te dare il segnale, Supremo Arcangelo,» esclamò quest’ultimo.
 
Arrivato al centro di quel cerchio quasi perfetto, Aziraphale si fermò, la testa alta, i pugni stretti lungo i fianchi, un atteggiamento altero e distaccato che si scontrava con l’apprensione che stava provando. Si sistemò il nodo della sottile sciarpa grigia che portava al collo come cravatta, e si schiarì la voce. «No, non lo farò.»
 
Un improvviso mormorio stupito e disorientato si rialzò da entrambi gli schieramenti.
Shax roteò gli occhi e mise le mani sui fianchi. «Lo avevo detto io. Non ve lo avevo detto che quel terrestre d’adozione avrebbe fatto casino?»
 
Aziraphale le lanciò un’occhiataccia ma poi tornò a rivolgersi a Metatron. «Non darò l’ordine. Nessun evento conclusivo, nessuna venuta. L’umanità non verrà giudicata. Avete scelto me per portare avanti questo Piano, e dopo attente considerazioni, ritengo che le basi su cui si… basa… non sono corrette e quindi non deve essere messo in pratica.»
 
Metatron lo ascoltò in silenzio, gli occhi che si stringevano a due fessure. «Non essere stupido, Aziraphale. Sei arrivato fino a qui, non vorrai davvero rinunciare a tutto per qualche patetico ideale. L’umanità ha fatto il suo corso. Ricordati chi sei e per quale motivo sei qui.»
 
«Io sono il Supremo Arcangelo e questa è la mia decisione. Non sono tenuto a darvi altre spiegazioni.» Aziraphale restò immobile, al centro di tutto, il portamento austero e gli occhi fissi sulla Voce di Dio, il quale parve incupirsi, con un’espressione di disprezzo dipinta sul volto.
 
Gli angeli si guardarono sconvolti, i demoni iniziarono a lamentarsi tra loro.
 
«Illuso. Credi di avere davvero qualche potere? Cosa vuoi fare da solo contro Paradiso e Inferno? Contro la volontà di Dio?» Le parole di Metatron sembrarono risuonare nel vuoto, un riverbero gelido che si dissolse nel brontolio di un tuono.
 
Aziraphale deglutì e ispirò profondamente, sostenendo il suo sguardo che ardeva di fastidio e indignazione. Poi, però, incurvò le labbra in un lieve sorrisino, e mormorò: «Non sono da solo. Non lo sono mai stato.»
 
Per qualche secondo, in tutte le creature divine e infernali permase una evidente perplessità alle sue parole. Si scambiarono delle occhiate disorientate, come se ognuno di essi si stesse domandando se avessero dovuto aspettare qualcosa.
 
«Ho detto: non sono da solo!» ripeté a voce più alta Aziraphale, guardandosi alle spalle, con un velo di nervosismo ad attraversarlo.
 
Fu allora che nella schiera demoniaca si udirono dei borbottii, e da un punto imprecisato tra le fila qualcuno iniziò a farsi strada tra i demoni, fino a sbucare di fianco alla Granduchessa Infernale.
 
«Scusa, ho approfittato del passaggio,» le sussurrò Crowley, con una strizzatina d’occhio prima di oltrepassarla.
 
Shax lo guardò a occhi stretti, digrignando i denti e stringendo un pugno verso di lui.
 
Aziraphale sorrise e si lasciò sfuggire un sospiro sollevato nell’ascoltare la sua voce. Nel giro di pochi secondi, avvertì la mano di Crowley nella sua, le dita intrecciarsi. Guardò alla propria sinistra e lo vide sfoggiare un sorrisetto arrogante. Gli occhi dorati, liberi dalle lenti scure, ricambiarono il suo sguardo con la stessa intensità.
 
Alcuni angeli spalancarono gli occhi e indietreggiarono di un passo davanti a quella visione immonda. Molti demoni si portarono la mano alla bocca per trattenere un rigurgito disgustato.
 
«Oh, voi bastardi non fate tante storie!» gridò loro Crowley, con un’occhiata alle proprie spalle.
 
Shax li indicò con entrambe le mani, rassegnata. «Visto! Ve l’avevo detto!»
 
Fu Metatron a parlare di nuovo, rivolgendosi al solo Supremo Arcangelo presente. «Ferma qualsiasi follia tu abbia in mente! Dà l’ordine che sei tenuto a dare e chiudiamola qui.» Rese poi palese uno sguardo torvo verso il demone al suo fianco. «Non vorrai che qualcuno si faccia troppo male.»
 
Due fila di angeli armati si fecero avanti, minacciosi, con l’evidente intenzione di dirigersi verso Crowley. Sul lato opposto, gli stessi demoni fremettero a loro volta per avventarsi contro quell’essere angelico che stava mandando all’aria – di nuovo – la loro missione.
Aziraphale strinse più forte la mano di Crowley, il quale, a sua volta, aveva portato l’attenzione sul lato infernale dei presenti. Entrambi sapevano che se uno dei due fosse stato colpito da qualcuno della controparte, avrebbe rischiato dei seri danni fisici, nonché la probabile discorporazione, o peggio ancora, la totale eliminazione.
 
«Demone dannato, ritorna al tuo posto tra i caduti!» gridò il comandante del plotone angelico, indicando Crowley e incitando gli altri a seguirlo contro di lui.
 
Aziraphale non sprecò nemmeno un istante per riflettere su come agire. Si spostò di scatto davanti a Crowley e spiegò le ali per mettersi tra lui e gli angeli che lo stavano per attaccare.
Nello stesso momento, Crowley diede le spalle ad Aziraphale e aprì le proprie ali nere per proteggerlo dai demoni che stavano avanzando con un po’ più di insicurezza.
 
«Scoprirai il dolore della dannazione in prima persona se oserai rivolgerti ancora a lui!» intimò Aziraphale, gli occhi gli brillarono di una furia trattenuta e sul suo capo prese forma un alone radioso.
Le ali bianchi dell’angelo si allargarono, sporgendosi verso quelle del demone dietro di lui. E Crowley mosse le proprie, alla ricerca di quelle di Aziraphale.
Quando le piume si toccarono, in una lieve carezza, Aziraphale alzò un braccio e con un semplice gesto della mano ricreò una forza divina, talmente potente, che riuscì ad allontanare con violenza da loro tutta la schiera di angeli di rango inferiore, scaraventandoli via.
 
Dietro di lui, Crowley fece un sorrisetto provocatorio verso i demoni che fremevano per avventarsi su di loro. Poi si rivolse a Shax: «Non vuoi davvero farlo.»
Un’affermazione, non una domanda, mentre tra le dita iniziava a far scorrere delle scariche di fulmini rosseggianti dalle sfumature violacee, che apparivano tutt’altro che innocui. 
 
Shax alzò un sopracciglio, scettica. «Ah, no?»
I demoni ringhiarono, inquieti, all’ipotesi di essere ridotti in polvere o spazzati via come era successo agli angeli.
 
Crowley scosse la testa, continuando a sorridere.
 
 
*
 
 
Non lontano da Tadfield, sei persone erano ferme all’interno di un cerchio di pietre.
Quattro ragazzini adolescenti si guardavano attorno, un po’ spaventati, mentre una coppia, accanto a loro, fissava il cielo scuro come in attesa di qualcosa.
 
«Non preoccupatevi,» li rassicurò Anathema, rivolgendo uno sguardo alla tempesta che imperversava oltre il perimetro del cerchio. «Qui siamo al sicuro, non potrà raggiungerci.»
 
«Tra quanto dovrebbe succedere?» chiese allora Newt, stringendosi nelle braccia, e guardando verso uno dei ragazzi poco lontani.
 
Adam alzò le spalle. «Io non lo so, non ho più quei poteri.»
 
Anathema andò da lui e gli mise le mani sulle spalle per rassicurarlo. «Ehi, tu resti sempre te stesso. E questo nessuno te lo porterà mai via. Non devi averne paura. Sei come tutti noi, ma puoi sempre sentire ciò che a molti è nascosto. Prova a concentrarti.»
 
Pepper, Brian e Wensleydale si guardarono con un’espressione risoluta e terrorizzata al tempo stesso.
 
«Andrà tutto bene!» gridò la strega. «L’ho visto in una premonizione. Non ci succederà niente. Dobbiamo solo…»
 
La terra tremò. Il Nuovo Nato aveva messo piede nel mondo.
 
 
*
 
 
Aziraphale e Crowley erano rimasti in quella precaria posizione di vantaggio, circondati dai due schieramenti. Stavano aspettando qualcosa che, a quanto sembrava, ancora non si decideva ad arrivare.
 
«Quanto dobbiamo restare così?» bisbigliò tra i denti il demone. «Questi idioti posso tenerli a bada, ma quelli lì dalla tua parte non mi sembrano molto inclini a lasciar perdere.»
 
«Dovevano già essere qui!» replicò Aziraphale con un tono apprensivo. «Sei sicuro che abbiano accettato?»
 
In quel momento, tra le schiere infernali si creò un improvviso scompiglio.
I demoni si mossero l’uno contro l’altro per aprirsi sui due lati, e di bocca dannata in bocca dannata cominciò a ripetersi un nome, in una sorta di riverente e impaurito saluto.
 
Lord Belzebù – come stavano cantilenando i demoni – si fece avanti tra quelli che erano stati i suoi sudditi, a passo lento, le braccia lungo i fianchi. Accanto a lui, camminava l’angelo che era stato Supremo Arcangelo, la stessa boriosa sicurezza nell’incedere e lo sguardo fisso davanti a sé.
Arrivati a fianco di Shax, rimasta scioccata per la reverenza che tutti stavano mostrando nei confronti del suo vecchio capo, Belzebù alzò le spalle. «Di cosa ti sorprendi? Vi ho guidato all’Inferno per milioni di anni. Certe cose non si dimenticano.»
 
Gabriele allora alzò l’indice con un sorrisetto e proseguì fino ad arrivare davanti alle schiere degli angeli. Inspirò profondamente e poi gridò con un tono perentorio: «Cosa fate tutti qui? Tornate immediatamente alle vostre posizioni!» D’istinto, le fila di angeli indietreggiarono, si scontrarono tra loro, e Gabriele, soddisfatto, si voltò verso Belzebù con le braccia allargate e un’espressione trionfante.
 
Belzebù, lo raggiunse al centro dei due schieramenti, un sorriso orgoglioso sulle labbra. Poi, entrambi, portarono l’attenzione sull’angelo e il demone vicino a loro.
 
«Siete in ritardo!» mormorò Aziraphale, sospirando, mentre un po’ del panico che aveva iniziato a sentire dentro di sé stava scemando.
 
«Non ci siamo persi niente, a quanto pare,» replicò Belzebù, guardandosi attorno per valutare la situazione.
 
«Solo la parte noiosa,» aggiunse Gabriele che, tuttavia, lanciò un’occhiata a Metatron come se si aspettasse, da un momento all’altro, una sua mossa. «Quando lo facciamo?»
 
«Dovremmo aspettare il…» Crowley iniziò a rispondere ma in quel preciso istante avvertì un tremore provenire dalle fondamenta del mondo. «Adesso.»
 
Gabriele corrucciò la fronte. «Cos’è l’adesso?» Guardò Belzebù, che a sua volta ricambiò lo sguardo confuso. 
 
Ma fu Aziraphale a rendersene conto. «Adesso! È arrivato sulla terra. Dobbiamo farlo adesso.» Deglutì e cercò gli occhi di Crowley che erano già fissi su di lui.
 
 
*
 
 
Aziraphale avvicinò il viso a quello di Crowley, lo strusciò piano al suo e lo spinse per arrivare a sussurrargli qualcosa all’orecchio: «Ricordi cosa mi hai detto su Gabriele? Pensa a questo: l’Anticristo che si ribella al sistema è una bella storia da raccontare, ma se ricapita diventa un serio problema istituzionale. Adam, nato per distruggere l’umanità e cresciuto invece con un immenso amore per il mondo. I discendenti di Agnes Nutter e di un cacciatore di streghe, uniti in un amore deciso dal destino. Gabriele e Belzebù che si sono innamorati, nonostante gli schieramenti opposti e l’odio che li doveva dividere. E noi. Tu ed io. Siamo tutte anomalie di un piano divino che deve portare a quello ineffabile. Non dovevamo fermare l’Apocalisse per salvare il mondo. Dovevamo fermarla, perché solo così, tutti noi, saremmo arrivati a essere ciò che siamo… nell’amore. Fidati di me.»
Poi, tornando a guardarlo intensamente negli occhi, aggiunse: «Promettimi soltanto di stringermi la mano.»
 
 
*
 
 
Adam chiuse gli occhi, in ascolto, e quando li riaprì, allargò le braccia sui fianchi. «Adesso!» esclamò. Brian annuì e afferrò con forza la mano destra dell’amico. Pepper gli prese la sinistra e arrivò a stringere con l’altra quella di Wensleydale.
 
Anathema raggiunse Newt, gli stampò un rapido bacio sulle labbra e, quando lui sorrise, gli prese la mano ed entrambi si avvicinarono ai ragazzi.
 
Lo sguardo di tutti rivolto al cielo in cui sembrava che stesse scoppiando un inferno.
 
 
*
 
 
Belzebù e Gabriele si misero uno di fronte all’altro e si presero per mano. Si sorrisero semplicemente e tutto attorno a loro sembrò scomparire.
 
«Deve funzionare. Deve funzionare,» bisbigliò tra sé Aziraphale, girandosi verso Crowley. Solo quando sentì le sue dita tra le proprie, avvertì un senso di tranquillità e di sicurezza. Una calda sensazione che lo avvolse, come fecero le ali nere del demone che si abbassarono lentamente attorno a lui.
 
«Qualunque cosa accada, angelo,» mormorò Crowley con un dolce sorriso, piegando il braccio per mostrargli le loro mani unite.
 
Aziraphale annuì e mosse le ali quel poco che bastava per strusciarle a quelle di Crowley. Ne alzò una sopra la sua e la piegò amorevolmente su di lui per ricambiare il suo abbraccio.
 
Rimasero così per il tempo di un sospiro o per quello dell’eternità.
Sospesi tra il mondo in cui il Nuovo Nato, giudice dell’Umanità, era appena giunto e i confini di Paradiso e Inferno.
L’amore umano scritto nelle profezie e nato dal destino.
L’amore dell’amicizia e per la fragile e imperfetta umanità.
L’amore ultraterreno tra rappresentanti di fazioni opposte, create per combattersi.
E quello di un angelo e un demone, che racchiudeva tutti gli altri tipi di amore in uno immensamente profondo e potente.
 
Il piano fuori dal mondo iniziò a tremare, così come la terra.
Angeli e demoni si guardano confusi, impauriti, incapaci di darsi una spiegazione.
Metatron spalancò gli occhi con un velo di terrore sul viso.
I cieli sembrarono squarciarsi. Le fondamenta della terra si scossero.
E una Luce bellissima e terribile iniziò a risplendere in tutti i mondi.
 
Belzebù continuò a fissare il compagno che aveva davanti. «È una brutta cosa?» gli chiese, con una punta di timore.
Ma Gabriele si limitò a sorridere e a stringere di più le sue mani. «Naaa…»
 
Crowley e Aziraphale guardarono verso l’alto, socchiudendo gli occhi per la potenza con cui la Luce si stava irradiando.
«Non so cosa significhi, ma non è male, giusto?» chiese il demone con una smorfia insicura. «Non lo avverto come male.» Si portò la mano libera al petto e spalancò la bocca, meravigliato. «Wooh… no, non lo è proprio.»
 
«Non lo so,» sussurrò l’angelo, stringendo le labbra.
 
«Non lo sai?»
 
«Non lo soooo! Il mio piano finiva qui.»
 
Crowley scoppiò a ridere a quella risposta, aumentò la presa sulla sua mano e gli mise l’altra dietro la testa. «È davvero un grande piano, angelo,» mormorò dolcemente. Lo attirò a sé e lo baciò.
Davanti al Paradiso. Davanti all’Inferno. Davanti al Mondo. Davanti a Dio.
 
La Luce cancellò ogni cosa.
 
 
*
 
 
Dicerie umane raccontano che, se volete contattare un angelo, dovete portare dei doni in un punto preciso tra gli alberi di una collina nel South Downs.
Si consiglia di portare dei dolci, perché lo zucchero e le cose dolci in generale, attirano la bontà angelica e sarà più probabile che le vostre richieste vengano accettate.
Ovviamente non c’è niente di vero in tutto questo.
Solo un angelo si delizia al sapore dei dolci degli umani. Ed è più incline a raccontarvi storie di epoche passate e avvenimenti che conoscete in maniera un po’ diversa.
Ma state certi che se lascerete una bottiglia di vino, con tutta probabilità, attirerete un demone che si divertirà a spaventarvi con qualche trucchetto e a farvi perdere la concezione del tempo.
Però, a volte – ma solo a volte – l’angelo e il demone si fanno vedere insieme nel giardino di un cottage, dove pare si respiri sempre e solo amore.
E con loro potete scorgere, di tanto in tanto, un coniglio, qualche anatra, e un usignolo che non smette mai di cantare.
Alcuni dicono di aver visto delle piante lussureggianti che crescono a ogni battito di ciglia.
Altri che un’auto nera, parcheggiata nel vialetto, faccia partire da sola della musica adatta a ogni situazione.
Di certo c’è che l’angelo e il demone sembrano sempre felici e si tengono per mano.
Non smettono mai di tenersi per mano.
 
“I heard from the heavens…”
 
 
***
 

NOTE:
Hold My Hand è una canzone di Lady Gaga che mi ha ispirato tutto quello che avete letto sopra. È il problema di avere una playlist con tutte le canzoni che mi ricordano loro: mi ispirano fanfic e poi le scrivo.
 
Ci tenevo a specificare che questa non è proprio proprio la mia speranza di come andrà la terza stagione. Guai a Gaiman se mi tiene lontani questi due per più di… toh, una settimana? Ok, una settimana è ragionevole. Tempo che Aziraphale si riabitui al Paradiso e capisca che il suo posto è tra le braccia di Crowley.
Perché non tollererò di vederli lontani per più di una puntata – al massimo, eh – figuriamoci per tutto il tempo, fino alla fine, se non per qualche breve momento, come ho scritto io.
Però mi andava di scrivere il drama fluffettoso così, comunque.
Ma sono certa – vero Neil Gaiman? VERO? – che nella terza stagione staranno insieme prestissimo.
 
Per il finale – sì, lo so, non è niente di impegnativo, non volevo dilungarmi troppo – mi sono basata sul fatto che teoricamente si dice che alla fine di tutto “il Signore giudicherà la qualità del nostro amore”. E quindi tutto il giudizio divino sarà basato sull’amore. Passatemi eventuali assurdità, please.
 
E il cottage, ovviamente, è il famigerato cottage nel South Downs che tutti ci aspettiamo alla fine.
 
P.S: Nessuna Muriel è stata maltrattata nel corso della fanfic. Muriel è la mia bimba adorabile e Crowley non la tratta davvero male.
P.P.S: Metatron devi discorporarti maleeee!
 
Grazie per aver letto fino a qui! E alla prossima [con il porn, sì. Non si può stare senza porn. Nemmeno loro possono. :P]

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