L’Isola dei Dannati [A.o.T. Mission-almost-Impossible] di kamony (/viewuser.php?uid=622883)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il greve, il novizio e il mostro d’intelligenza ***
Capitolo 2: *** Le verità nascoste ***
Capitolo 3: *** La isla bonita ***
Capitolo 4: *** Informazioni attualmente disponibili ***
Capitolo 5: *** Incontri ravvicinati del quarto tipo e della tipa con la quinta! ***
Capitolo 6: *** Mr. & Mrs. Smith! ***
Capitolo 7: *** In Bourbon Veritas ***
Capitolo 8: *** Benvenuti a Marley ***
Capitolo 9: *** (The) Damned ***
Capitolo 10: *** Vamos a la playa ***
Capitolo 11: *** L'occasione fa il cavallo ladro ***
Capitolo 12: *** Carte in mano e carte in tavola ***
Capitolo 13: *** Monsters & co. ***
Capitolo 14: *** 14 Secrets and lies ***
Capitolo 15: *** Pensiero stupendo ***
Capitolo 16: *** Un trio all’erta e pieno di brio! ***
Capitolo 17: *** The Call ***
Capitolo 18: *** Eta Beta vs Mary Poppins ***
Capitolo 19: *** La talpa ***
Capitolo 20: *** Calma apparente ***
Capitolo 21: *** La verità è che non gli/le piacevi abbastanza ***
Capitolo 22: *** Time out ***
Capitolo 23: *** Scusa se ti amo ***
Capitolo 24: *** Vertigo ***
Capitolo 25: *** Nella tana del serpente ***
Capitolo 26: *** Titani all'attacco - parte prima ***
Capitolo 27: *** Titani all'attacco - parte seconda ***
Capitolo 28: *** The king’s gamblit ***
Capitolo 29: *** La tela del ragno ***
Capitolo 30: *** Crazy stupid love ***
Capitolo 31: *** C'eravamo tanto amati ***
Capitolo 32: *** Avengers o Xmen? ***
Capitolo 33: *** Catch me if you can ***
Capitolo 34: *** Ehi tu, *Porko*, levale le mani di dosso! ***
Capitolo 35: *** Orgoglio e pregiudizio ***
Capitolo 36: *** The day after ***
Capitolo 37: *** L'isola che non c'è ***
Capitolo 38: *** E vissero tutti... Felici e contenti? ***
Capitolo 1 *** Il greve, il novizio e il mostro d’intelligenza ***
C’è poco da dire, ho fatto una caxxata che mi è costata cara. Volevo correggere una cosa e ho avuto la brillante idea di farlo dal cellulare e, grazie al maledetto touch screen, innavvertitamente ho cancellato la storia. Non vi dico come ci sono rimasta… Dopo un primo momento di assoluto sconforto e giramento di gonadi a turbo mi sono detta che era inutile stare a piangere sul latte versato e sulla perdita di 100 e passa recensioni, ormai il danno era fatto. Per fortuna ogni capitolo prima di essere postato era stato salvato su una specie di Cloud on line, almeno non ho perso niente e posso ripostare tutto da capo. Penso, se ce la faccio, tipo 4 o più capitoli al giorno per ritornare in pari al 25esimo. E niente, ovviamente sono mortificata e molto dispiaciuta, soprattutto per le recensioni è ovvio, ma comunque le avevo lette e apprezzate. Chi è causa del suo mal pianga se stesso! Chiedo scusa a tutti voi e spero che continuare a seguire questa storia come avete fatto fino al guaio. Quindi ricominciamo! Ed ecco qua la mia primissima AU in assoluto in questo fandom. E dire che io ho sempre storto il naso di fronte alle AU, ma è bello cambiare idea no? Una cosa ci tengo a sottolineare è una AU, ma mi sono attenuta il più possibile al canon, certo non vi ripropongo la storia pari pari al canonverse non avrebbe senso, ma ho fatto del mio meglio perché “respiraste comunque quell'aria”. Spero di esserci riuscita... Basta tediarvi, ci rivediamo a piè di pagina Per ora vi auguro Buona (spero) lettura Questa fanfic è un’opera di fantasia basata sul manga e anime Shingeki no Kiojin proprietà intellettuale di Hajime Isayama. Tutti i personaggi di SNK appartengono a Hajime Isayama e questa fic non è scritta con scopo di lucro. Luoghi, eventi e fantapolitica qui narrati, sono il frutto della fantasia dell’autrice e sono usati in maniera fittizia. Qualsiasi somiglianza con fatti reali è da ritenersi puramente casuale.
L’Isola dei Dannati A.o.T. Mission-almost-Impossible
1 Il greve il novizio e il mostro d’intelligenza
Il rumore del campanello pareva ovattato. Sembrava quasi appartenere a un altro mondo. Era oltremodo fastidioso. Levi stava dormendo profondamente, cosa che tra l’altro gli accadeva di rado. Aveva avuto una nottata molto movimentata e quindi per una volta tanto era caduto tra le braccia di Morfeo come un bimbo. Quel suono molesto però non la smetteva di trillare. Il suo richiamo irritante sembrava arrivargli dritto dentro il cervello. «Levi… il campanello…» masticò sospirando la donna accanto a lui. Era quella che aveva notevolmente contribuito alla nottataccia. Levi grugnì appena, aprì un occhio e poi l’altro. «Non potevi rispondere tu invece di svegliarmi? Per una volta che dormo!» abbaiò, prima di scostarsi il lenzuolo con stizza e alzarsi per far tacere quel rumore odioso. Lei non aveva risposto e si era coperta la testa con il cuscino, girandosi dall’altra parte. Ma chi cazzo può essere a quest’ora? Pensò infastidito mentre apriva la porta. Il fattorino strabuzzò gli occhi. Quell’uomo era nudo come un verme e aveva un’espressione che tagliava come un rasoio, sembrava molto più che contrariato. «Scu… -coff coff-… si» tossicchiò imbarazzatissimo, fissando il pavimento per non incorrere nelle pudenda di quel tipo, che pareva una sorta di sociopatico con manie da esibizionista. «C’è… un plico per… lei» disse infine porgendoglielo e continuando a fissare ostinatamente un punto indefinito a terra. «Dovrei rispondere: grazie, ma mi hai svegliato, perciò se devo firmare tira fuori la penna e poi levati dalle palle». «No, no. Solo consegnare… dovrei…». Levi lo fissò un attimo e capì al volo. «Sempre peggio, sempre più in basso» commentò arcigno, quindi gli sbatté direttamente la porta in faccia e si diresse in cucina masticando una litania di parolacce da far impallidire tutti i peggio farabutti di Brixton. Aprì il plico, c’era solo un biglietto da visita. Mercoledì ore 8,30 am, presso Maeci, consolato italiano Park Avenue, New York. Prese un accendino, bruciò il biglietto e tornò a letto. Lei si era riaddormentata, ronfava beata, come un angioletto, gli venne una gran voglia di svegliarla con un urlaccio, ma non lo fece, in fondo Levi era molto meno stronzo di quello che appariva, quindi si infilò sotto le coperte e richiuse gli occhi. Ovviamente non dormì più. * Armin era appena arrivato in agenzia. Era poco prima delle nove di mattina. Sottobraccio aveva la sua cartella, che conteneva alcuni documenti e il suo prezioso notebook. Nell’altra mano aveva un cappuccino aromatizzato alla nocciola, bello fumante. Stava salendo le scale quando lo raggiunse trafelato un collega, o almeno uno che riteneva tale, dato che lavorava lì da poco e non conosceva ancora tutti. «Devi analizzare i resoconti dalla Siria» gli disse mentre salivano le scale. «Abbiamo tre agenti dispersi e uno sicuramente catturato». Armin lo guardò con fare interrogativo. «Ma io non mi sono mai occupato di analizzare i rapporti della Siria» rispose perplesso. «Ordini del capo» tagliò corto l’altro. «Ma…» provò ad obiettare il giovane, intanto il tipo era già sparito nel corridoio del primo piano, lasciandolo con un enorme faldone in mano, che gli aveva appioppato senza aggiungere altro. Il suo lavoro gli piaceva, ma ancora non aveva ben capito che cosa lo avessero assoldato a fare, dato che stava dalla mattina alla sera a trascrivere conversazioni registrate, ad analizzare rapporti di agenti sul campo. Tutte cose utili per carità, ma era stato addestrato anche e soprattutto per fare altro. Tuttavia era molto paziente e molto determinato, inoltre il suo QI sfiorava livelli ben sopra la media, e quando gli si accendeva una lucina in testa, era certo che bollisse qualcosa in pentola, non sbagliava mai. Ancora però non era accaduto niente in tal senso, non sapeva bene come e quando, ma era sicuro che il vento sarebbe cambiato. Quello che stava facendo non era quello per cui lo avevano ingaggiato. Aveva capito che doveva avere pazienza, che era come sotto osservazione, in prova. Quella mattina, dopo un primo attimo di smarrimento, la famosa lucina brillò e capì subito che era arrivato il suo momento. Quello sbaglio, non era uno sbaglio! Raggiunse il suo ufficio in fretta e si mise a sfogliare con impazienza il faldone, alla ricerca di qualcosa che corroborasse la sua tesi. Quel qualcosa si materializzò una mezz’era dopo, sotto forma di biglietto da visita allegato con una grappetta, ad un resoconto su un ospedale di Aleppo. Mercoledì ore 8,30 am presso Maeci consolato italiano Park Avenue, New York. Gli brillarono gli occhi. Ecco arrivata la sua occasione. Si guardò intorno. Era ancora un neofita ma sapeva che cosa dovesse fare. Sbriciolò il biglietto, poi andò in bagno, lo gettò nel water e tirò l’acqua.
* Hanji quella mattina aveva un gran mal di testa, ciò nonostante si era comunque presentata in auditorium in perfetto orario e stava tenendo la sua conferenza sulla chimica inorganica. I ragazzi l’ascoltavano rapiti. Hanji non era una donna che si potesse definire canonicamente bella, ma aveva un viso davvero particolare, degli occhi grandi e così luminosi, che sembravano riflettere la sua grande intelligenza, oltre che lo smisurato amore per il suo lavoro. Era alta, slanciata, molto magra, con un fisico androgino e una forte personalità. Aveva uno stile tutto suo che non la faceva mai passare inosservata. Gli studenti, quando andava a fare quei meeting di approfondimento, pendevano dalle sue labbra. Molte ragazze la ammiravano e avrebbero voluto essere come lei. La dottoressa Zoe era una persona molto giovale e molto disponibile, salvo quando si trattava del suo altro lavoro, allora in quel caso si trasformava completamente, ma questo i ragazzi dell’ateneo non l’avrebbero mai saputo. Per loro era solo la dottoressa Hanji Zoe con ben tre lauree: matematica, chimica e biologia. Un vero mostro d’intelligenza, ma non era questa la sua principale occupazione. Quella della scienziata studiosa, che ogni tanto deliziava le università delle sue preziose lezioni, era solo una copertura. Quella mattina avrebbe preferito rimanere a casa perché davvero le stava scoppiando la testa, ma era troppo ligia al dovere, così eccola che stava terminando il suo ennesimo seminario sui reagenti di atomi di idrogeno. Una robetta semplice. Aveva appena finito e stava raccogliendo i suoi appunti per metterli in una cartellina, quando fu avvicinata da una ragazza che le sembrò un po’ troppo impacciata e un po’ troppo a disagio. «Che c’è cara? Qualcosa non ti è chiaro?» le chiese con quel suo modo affabile, nonostante la tremenda emicrania. «Vorrei lasciarle una relazione sui materiali strutturali dei gruppi fosfato che formano lo scheletro del DNA» le rispose quella tutta d’un fiato. «Cara ma io non sono una professoressa, sono solo una scienziata che ogni tanto tiene delle lezioni-seminario nelle università» le rispose gentile. «Sì, lo so, ma questa relazione le interesserà si fidi». Hanji non era mai scortese, ma quel giorno le sembrava di avere un martello pneumatico in testa, la sera prima aveva bevuto troppo vino e ora ne pagava le conseguenze. «No cara, non mi interesserà. Fidati tu, e ora se mi vuoi scusare» concluse prendendo la sua cartellina dato che aveva appena finito di riporvi i suoi preziosi appunti. La ragazza che evidentemente era un po’ imbranata fu presa dal panico e le arpionò il braccio strattonandola appena. La guardò implorate e poi parlò: «La prego non mi faccia licenziare, prenda la relazione e se la porti via!». Hanji allora ebbe un’illuminazione e scoppiò a ridere «Ahhhh! Sì, certo cara. La prendo non temere, potevi dirlo subito senza menare troppo il can per l’aia, però» flautò e poi le scompigliò i capelli con fare materno, scioccando la giovane agente che pensò che forse le mancasse una rotella. Quindi trovò subito ciò che cercava: un biglietto da visita che era poggiato sul primo foglio stampato della relazione. Mercoledì ore 8,30 am presso Maeci consolato italiano Park Avenue, New York. Non sapendo come sbarazzarsene in fretta, ed essendo una donna pratica, lo strappò in tanti piccoli pezzi, poi se lo mise in bocca e ci bevve dietro mezza bottiglietta d’acqua, che aveva in borsa. Una volta inghiottito girò i tacchi e se ne andò.
*
«Bene, sembra che i nostri messaggi siano giunti a destinazione senza troppi problemi» disse l’uomo più anziano rivolto al più giovane. «Sì, ma è solo un primissimo piccolo passo. Ora bisogna convincerli ad accettare la missione senza fare troppe domande» rispose l’altro. «Tu sei un maestro nel motivare gli agenti. Rifila loro quella stronzata di offrire i loro cuori, e se stessi per la sicurezza della nazione. Il sacrificio di pochi per il bene di molti, eccetera, eccetera». «Dimentichi che non sono reclute, non posso abbindolarli e soprattutto dimentichi chi sia Levi. Lui sarà l’osso più duro». «Beh per questo conto su di te, quindi spremi quelle meningi e confeziona una bella e nobile motivazione che convinca questi soggetti a partecipare a questa missione suicida. Il mondo è in serio pericolo, non possiamo perdere tempo, diamine!». L’uomo più giovane annuì con la testa, poi portando le braccia dietro la schiena, guardò fuori dalla finestra. Sembrava facile a parole, ma quella era una missione che avrebbe decretato se l’umanità avesse potuto avere ancora un futuro oppure no. Aveva una sola settimana per preparare un piano, doveva davvero dare il meglio di sé.
I monologhi dell’autrice I titoli di questa fanfic saranno quasi tutti ispirati a titoli di film, canzoni, anime, proverbi e non solo. Se ce la faccio posto entro oggi altri tre capitoli, grazie e scusate ancora! Grazie a te che hai a letto sin qua!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Le verità nascoste ***
Se ti stai chiedendo perché stai
leggendo il capitolo 2 invece del 25 è perché ho inavvertitamente cancellato la
storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere la intro al
capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
2
Le verità
nascoste
Mercoledì ore 8,30 am
Maeci consolato italiano
Park Avenue, New York.
«Salve sono Marco, il segretario del console e le dò il benvenuto».
Levi mostrò il suo tesserino e il ragazzo lo accompagnò attraverso la lunga scalinata
di quel palazzo stile europeo. Attraversarono un corridoio e poi il giovanotto
lentigginoso aprì la porta e lo introdusse nella sala conferenze.
«Ben arrivato Levi, accomodati» disse Dot Pixis facendogli un cenno con la
mano.
«Il capo della CIA in persona» commentò sardonico, poi dette un’occhiata agli
altri «Erwin il suo braccio destro» aggiunse.
«Ciao Levi» lo salutò il vicecapo.
«E questo biondino chi è?» chiese squadrando severamente Armin. Non lo
conosceva, ad occhio e croce doveva avere sui vent’anni o giù di lì, gli pareva
un po’ troppo giovane.
«È un analista di Langley. L’ho reclutato io» disse Hanji uscendo da un cono
d’ombra che l’aveva temporaneamente nascosta alla vista dell’uomo, il quale fu
colto di sorpresa, ma non lo palesò. La guardò con la sua tipica espressione a
metà tra l’annoiato e l’infastidito.
«Ci mancavi solo tu, ora sì che si profila come una missione di merda!»
commentò.
La donna invece di offendersi sorrise divertita. Lo conosceva molto bene e
sapeva leggere perfettamente certe sue reazioni. Non se la prendeva mai per
quel suo modo di fare e di apostrofarla. Sapeva che le uscite di Levi non erano
mai veramente acide come sembravano, non nei suoi confronti almeno.
Armin invece era piuttosto perplesso, come tutti gli agenti della CIA conosceva
Levi di fama, era una leggenda in seno all’agenzia, ma se lo sarebbe immaginato
diverso. Era molto basso, molto elegante e molto… come dire, indisponente,
oltre che sboccato come uno scaricatore di porto. Cosa tra l’altro che strideva
tantissimo con il costosissimo completo Burberry che indossava. Pareva anche
una persona per niente accomodante e poi come faceva ad avere quella fama se a
stento arrivava, forse, al metro e sessantacinque?
«Cerchiamo di non perdere tempo in chiacchere inutili» li richiamò Pixis.
Levi lo ignorò palesemente.
«Perché siamo nel consolato italiano, che c’entra con la CIA?» chiese con
sospetto.
«È una missione molto delicata e molto pericolosa. Abbiamo scelto un posto
neutro, che non desse nell’occhio, per alzare il livello di sicurezza. Nessuno
penserebbe mai che degli agenti della CIA organizzerebbero un incontro di
reclutamento, per una missione segreta, al consolato italiano» spiegò Pixis.
Levi li guardò non troppo convinto, ma non sillabò.
«Va bene abbiamo capito, ma veniamo al sodo, come mai ci avete fatti venire
qui?» chiese Hanji
Pixis continuò. «Per farla breve un luminare della medicina stava lavorando ad
una cura super innovativa per curare una malattia autoimmune. Qualcosa che ha
dell’incredibile, ma che è assolutamente Top Secret. Un miliardario che si fa
chiamare Fritz ha voluto scommettere su di lui e ha finanziato il suo progetto.
Quando, contro ogni aspettativa ciò che ha scoperto è andato oltre ogni più
rosea previsione, il medico è misteriosamente scomparso».
«Abbiamo il sospetto che possa essersi venduto a qualcuno, o che sia stato
rapito» continuò Erwin «Almeno questo è ciò che si dice in giro».
«È tutto troppo nebuloso. Intanto in cosa consiste questa cura?» chiese Levi.
«Top Secret» tagliò corto Pixis.
Levi lo fulminò con lo sguardo e subito incalzò: «E il medico scomparso chi è?»
«Top Secret».
Avrebbe voluto prenderlo per collo ma sapeva che sarebbe stato inutile, quei
due non gliela la contavano giusta, aveva già capito l’antifona.
«Senza stare a perdere altro tempo ci potete dire cosa non è Top Secret, e caso
mai perché dovremmo accettare questa missione che mi puzza come una cacata di
mucca fumante?» disse infine.
«Tralasciando la colorita similitudine di Levi, concordo con lui. La faccenda è
molto nebbiosa. Non ci vedo chiaro neppure io» s’intromise Hanji, poi continuò
«Erwin se sarai tu a capo dell’operazione come credo, ti chiedo per favore di
fare un po’ di chiarezza. Non potete pretendere che accettiamo alla cieca».
«Neanche io conosco bene tutti i dettagli» cominciò Smith «In tutta onestà
posso dirvi che è un’operazione ad alto rischio, per questo vi abbiamo
reclutati. Abbiamo pochissime informazioni, ma sappiamo che ne va della
sicurezza nazionale, addirittura mondiale. Abbiamo bisogno dei migliori, cioè
di voi».
«E ancora non ci hai detto niente» brontolò Levi.
«Sappiamo dove è stato avvistato l’ultima volta il medico».
«Che non sappiamo come si chiama…» scappò detto ad Armin che fino ad allora
aveva ascoltato in religioso silenzio.
«Non stiamo cercando solo lui in realtà» disse Erwin.
«Ah no?» chiese il ragazzo stupito. Ora non ci stava davvero capendo niente
neppure lui.
«E chi stiamo cercando, di grazia?» chiese Levi che stava perdendo la pazienza.
«Uno dei miei» proseguì Erwin «È andato sotto copertura a Paradise un’isola
vicino al Madagascar, un posto defilato che non è neppure segnato sulle cartine
geografiche. Avevamo avuto una segnalazione che il professore potesse essere
lì».
«Invece no?» chiese Hanji.
«Purtroppo più notizie del nostro contatto: Damned. Era sotto
copertura ma è svanito nel nulla» precisò Erwin.
«Damned? Ma che nome è? Davvero Erwin sei serio?» commentò Levi che ancora non
aveva capito dove volessero andare a parare. Li conosceva quei due, partivano
da una parte per poi portarti da tutt’altra. Non erano mai chiari, con loro era
tutta una sorpresa e quasi mai gradevole.
«È un semplice nome in codice, non sottilizzare Levi. Ad ogni modo temiamo che
sia stato scoperto. Forse è morto, o forse, come speriamo è prigioniero.
Abbiamo bisogno di fare una ricognizione con eventuale estrazione in loco».
«Perché?» chiese Levi scrutandolo.
«Che domande! È uno dei nostri» sbottò Erwin.
«Pensi che me la beva? Difficilmente sei tornato indietro per qualcuno, se
questa volta vuoi farlo ci deve essere un motivo molto forte a monte e io
voglio saperlo, o non se ne fa di nulla».
Erwin era conscio che sarebbe arrivata quella domanda e giocò d’astuzia.
«Mi dispiace non posso dirtelo. Ma quanti anni sono che mi conosci? Ti ho
reclutato io. Sai che c’è sempre un’ottima ragione dietro quello che faccio.
Appena mi sarà possibile vi dirò tutto, ma ancora neppure io sono al corrente
di ogni particolare e parlarne potrebbe compromettere tutta l’operazione. Devi
fidarti di me» concluse fissandolo dritto negli occhi senza avere un solo
secondo di cedimento.
«Quanto è pericolosa questa faccenda da uno a dieci?» chiese infine Levi.
«Cinque, forse sei» rispose Erwin.
Levi pensò che se aveva detto così, il rischio era davvero alto forse anche
dieci su dieci. Conosceva bene Erwin e sapeva pesare le sue parole.
«E saremo solo noi?» chiese serio e poi aggiunse «Mi spiegate casco
d’oro cosa ce lo portiamo dietro a fare? Mi pare che sia una matricola
no? Non mi sembra il caso di trascinarci dietro un cadavere che cammina».
«Ti sorprenderai di quanto potrà essere utile. Comunque è una matricola, ma di
tutto rispetto! È stato uno dei primi nel suo corso di addestramento sul campo,
proviene dal fantastico gruppo del centoquattresimo reggimento Navy Seal. È un
top gun!» specificò Hanji non senza una punta d’orgoglio.
«Ah beh allora!» fece Levi sarcastico e poi aggiunse «Comunque in caso te
ne prendi carico tu, non possiamo certo rischiare la vita per star dietro ad un
moccioso appena uscito dall’accademia!» disse più per protesta, che per reale
convinzione. Levi era uno che davvero non lasciava mai indietro nessuno.
Anche se aveva accettato di fidarsi di Erwin, quella faccenda gli puzzava
troppo, qualcosa non lo convinceva e se doveva andare sul campo, voleva gente
di livello, non analisti.
«Signore con tutto il rispetto non sono un moccioso ho ventisette anni e sono
uscito dall’accademia da più di un anno» specificò serio Armin, anche un po’
frastornato da quel batti e ribatti e da tutte quelle informazioni, non informazioni,
che gli ronzavano in testa come uno sciame d’api.
«Ora basta polemizzare Levi» tagliò corto Pixis «Non facciamo mai niente a
caso, tu questo lo sai bene. Comunque non sarete soli ma sarete affiancati
anche da tre agenti speciali dell’FBI. Come ha detto Erwin è un’operazione
congiunta, l’allerta sicurezza e altissima: livello tre, quindi capirai
bene che il pericolo del controspionaggio è praticamente una certezza. Per
tutti questi motivi gli agenti che parteciperanno alla missione dovranno fidarsi
ciecamente di Erwin e accettare il fatto di scoprire le strategie in corso
d’opera».
Fu a quel punto che Levi ed Hanji si scambiarono un’occhiata d’intesa.
E poi annuirono entrambi.
«Va bene, ci sto» disse Levi annoiato.
«Anche io» gli fece eco la donna decisamente più entusiasta.
«Se mi volete ci sono!» s’intromise Armin, che comunque si sentiva a un po’ a
disagio.
«Bene. Allora siamo a posto. Levi sarai tu il mio braccio destro» e questa fu
la ciliegina sulla torta da parte di Erwin per sedare ogni restante dubbio a
Levi.
Forse…
*
Levi in verità non si fidava neppure della sua ombra. Cercava sempre di giocare
d’anticipo con il nemico e di avere la situazione sott'occhio, anche perché era
un vero maniaco del controllo.
Per questo motivo appena uscito era andato a procurarsi un cellulare
prepagato usa e getta. Qualche ora dopo stava chiamando chi di dovere.
Dall’altro capo, il modo di squillare del telefono, gli fece subito capire che
il contatto con cui stava cercando di interloquire era sicuramente all’estero.
«Pronto» gli rispose dopo molti squilli.
«Ciao Scarface abbiamo solo trentotto secondi e poi potrebbero
intercettarci» disse.
«Ti ascolto nano-malefico».
A Levi scappò un mezzo sorriso, quei nomi in codice erano proprio una
stronzata, ma funzionavano senza dover dar adito a troppi preamboli.
Certo Scarface non aveva mai apprezzato quell’appellativo e
per vendetta lo aveva a sua volta battezzato: nano-malefico, ma
a Levi non importava, non si lasciava toccare da questo genere di cose.
«Il cacciatore ha preparato l’esca» rispose.
«lo so» commentò Scarface.
«Sei già in gioco?» chiese Levi.
«Sì. Ho avuto ordini e consegne».
«Quindi mi dai conferma che se avrò bisogno mi coprirai le spalle».
«Affermativo nano-malefico!».
E a quel punto dopo trentacinque secondi esatti, la conversazione si concluse.
I monologhi dell’autrice
Buonsalve!
I primi due capitoli sono tornati al loro posto, la pausa pranzo però è finita, quindi se ce la faccio
continuo stasera, almeno altri due.
Grazie della comprensione!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** La isla bonita ***
Se ti stai chiedendo perché
stai leggendo il capitolo 3 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
3
La isla
bonita
Quartier generale FBI
36 ore Dopo.
«Sasha ti odio!»
«Uh?» fece la ragazza mentre stava ingurgitando un doppio cheeseburger farcito
di ogni cosa possibile e immaginabile.
«È la terza colazione che fai! Tra non molto sarà ora di pranzo e continuerai
ad ingozzarti, il tutto senza mettere su neanche etto! TI ODIO, sì!».
«Credo sia colpa del metabolismo, forse della tiroide, ma ho sempre fame, che
ci vuoi fare» rispose a bocca piena alla collega mentre continuava a
trangugiare il suo panino.
«Scusa ma non dovevi andare al poligono oggi?» le chiese l’altra d’un tratto
ricordandosi ciò che le aveva detto il giorno prima.
«Accidenti!» sbuffò Sasha prima di infilarsi il resto del cheeseburger tutto in
bocca «Sì, ed è tardissimo! Scappo!» farfugliò masticando.
E se la dette letteralmente a gambe. Doveva attraversare tutto l’edificio, dato
che il poligono era dalla parte opposta di dove si trovava al momento.
Arrivò trafelata. Jean e Connie erano già lì, ma non stavano sparando.
Con loro c’era anche un tizio che però lei non aveva mai visto.
«Sasha, sei in ritardo di quasi quindici minuti e hai la bocca piena, ma che ti
dice il cervello eh?» la rimproverò Connie severo non appena lei gli fu
accanto.
La ragazza roteò gli occhi con fare scocciato. Sapeva di essere in torto non
c’era bisogno di farla tanto lunga. Quei due erano insopportabili a volte.
Jean scosse la testa, Sasha gli rispose con un occhiataccia. Da quando era
stato promosso era diventato insostenibile. E poi aveva iniziato a tenere
sempre quella barbetta incolta di due tre giorni, forse pensava di essere figo?
Era solo ridicolo!
Connie, per non essere da meno, s’era rasato nuovamente i capelli, non si
rendeva conto che stava molto meglio quando li aveva fatti crescere? Anche lui
lo aveva fatto per via della promozione, diceva che gli dava un’aria più da
duro, mah… se lo diceva lui, pensò Sasha.
Lei invece, per la sua di promozione, si era finalmente fatta il gel alle
unghie e poi si era concessa una cena nel miglior ristorante specializzato in
carne alla griglia, della città. Si era mangiata una doppia porzione di
bistecca. Era una ragazza pratica, di poche pretese e follemente amante della
carne.
«Bene, ora che ci siamo tutti mi presento. Sono Dallis Zacklay responsabile
capo del Federal Bureau of Investigation, meglio noto come FBI. In pratica sono
il vostro capo supremo, per così dire».
I tre rimasero di sasso. Ora, era pur vero che erano stati promossi da non
molti mesi, che erano tre agenti tra i migliori, se non i migliori in assoluto,
ma che addirittura si scomodasse per loro, era davvero una cosa senza senso.
«Signore!» dissero tutti e tre facendo il saluto d’ordinanza.
«Vi chiederete perché sono qui».
«In effetti è una cosa piuttosto inconsueta» commentò schietto Jean.
«Già!» gli fece eco Connie.
«Perché è qui, signore?» chiese Sasha senza girarci troppo intorno.
«Ho visto i vostri files e vorrei reclutarvi per una missione Top Secret ad
altro rischio».
Rimasero tutti e tre abbastanza sorpresi. Non che non sapessero che potesse
accadere, ma pensavano che sarebbe successo più avanti.
«Che dovremmo fare signore?» chiese Jean sospettoso.
«Dare supporto ad un’azione congiunta con la CIA» disse Zacklay.
«E da quando lavoriamo con loro?» chiese Sasha accigliata, quelli non le erano
mai piaciuti. Erano intrallazzoni internazionali, mentre loro si occupavano
veramente della sicurezza della loro nazione.
«Da quando c’è una minaccia di terzo livello» disse il capo supremo
«Vi spiego i dettagli, seguitemi».
«Speriamo bene… che non sia la nostra prima e ultima missione» sospirò Connie
seguendo l’uomo e i colleghi.
*
«Signor Smith. Signora Smith» disse la hostess controllando i
biglietti e i documenti di Levi ad Hanji.
«Signori Bennet» disse poi all’indirizzo di Erwin e Armin.
«Prego, potete salire sull’aereo» fece loro cenno sorridendo.
I quattro facendo finta di non conoscersi, due a due, avanzarono dentro il
tunnel che li avrebbe introdotti nel velivolo.
«Mi scusi, ma perché Levi e Hanji hanno usato il suo cognome e io un falso
cognome uguale al suo?» chiese perplesso, ma in modo discreto Armin ad Erwin.
«Sai che non usiamo mai le nostre reali generalità. Per quanto riguarda Levi e
Hanji è diventata una sorta di scaramanzia, è capitato che sia stato utilizzato
per sbaglio una volta e da allora lo usiamo spesso. Smith è cognome piuttosto
comune del resto. Per noi due è stata fatta questa scelta perché abbiamo tratti
somatici abbastanza simili, tanto da poter passare per padre e figlio, o
fratelli. È sempre meglio usare voli civili, mantenere un profilo basso è di
vitale importanza per la sicurezza» spiegò Erwin.
Armin non commentò. Pensò solo che Hanji e Levi come coppia dessero moltissimo
nell’occhio. Lei alta, androgina, con un completo di taglio maschile e scarpe
allacciate all’inglese. Lui molto più basso di lei, dieci centimetri buoni,
vestito praticamente con un completo quasi uguale a quello della donna. Erano
tutto meno che anonimi.
«Lo so che cosa stai pensando, in realtà quei due stanno dando proprio
nell’occhio, ma va bene così. È esattamente quello il punto. Nessuno che
volesse nascondersi, farebbe come loro e questo li rende insospettabili e
credibili» gli spiegò Erwin come se gli avesse letto nel pensiero.
Armin sorrise e annuì. In effetti il discorso non faceva una piega.
Sull’aereo erano sistemati abbastanza lontani gli uni dagli altri.
Levi volle il posto lato corridoio lasciando ad Hanji il lato finestrino.
«Ti avverto che non ho voglia di fare conversazione» disse alla donna e si mise
subito gli auricolari. Dalla sua playlist di musica classica selezionò la
sinfonia numero tre di Brams. Se la sparò a tutto volume negli orecchi, voleva
rilassarsi e quella era l’unica musica adatta al caso.
Hanjie non fece una piega, tirò fuori dallo zaino un libro sulla successione
aurea di Fibonacci e si spaparanzò sulla poltrona. Era felice di poter leggere
in santa pace. Erano in prima classe, questa volta era toccata a loro. Se la
giocavano a poker ogni missione, avevano vinto a mani basse. Del resto con
una poker face come quella di Levi era difficile perdere. Era
stato un baro da dieci lode, facendo divertire moltissimo Erwin, che sapeva che
giocarsela in coppia con Armin, sarebbe stata sconfitta sicura, ma anche quella
era diventata una divertente consuetudine prima di ogni missione. Un modo anche
per dar nuova linfa al cameratismo e allentare la tensione.
Dopo alcune ore di volo erano finalmente sbarcati sull’isola di Paradise.
Faceva molto caldo, l’aria era umida. Furono accolti da una vegetazione molto
fitta e molto ricca. Usciti dall’aeroporto c’era un tizio, in un mini van, che
era venuto a prenderli per portarli alla loro destinazione.
«Signori, mi chiamo Floch e sarò il vostro riferimento nell’isola. Per
qualsiasi bisogno rivolgetevi pure a me».
Erwin scoccò un'occhiata ad Armin, il quale estrasse dal suo zaino una specie
di tablet che invece era un sofisticatissimo mini computer, collegato tra
l’altro, con gli archivi della CIA. Arlert controllò velocemente e poi girò lo
schermo verso Erwin.
Floch risultava essere un agente dell’FBI in congedo temporaneo. Erwin non
disse una sola parola e fece solo un lieve cenno al ragazzo, come per dire che
era tutto a posto.
«Bene lo terremo a mente signor Floch» rispose poi affabile al tipo.
La loro sistemazione per la notte era un’abitazione che dava direttamente sulla
spiaggia. Una casa abbastanza solitaria e dall’aria molto vacanziera. Una
collocazione apparentemente da turisti.
Levi appena entrati cominciò a passare in rassegna i mobili, per vedere se ci
fosse della polvere. Naturalmente ne trovò e fece una faccia disgustata,
mettendosi poi sorprendentemente a spolverare.
Armin lo guardava sempre più incuriosito. Era proprio un tipo singolare, forse
un ossessivo compulsivo?
Sistemarono le loro cose nelle rispettive camere e poi si ritrovarono in
veranda.
«Floch, che nome da imbecille» commentò sprezzante Levi. «E magari lavora in
coppia con Flich. Stiamo proprio raschiando il barile! Comunque di quello lì,
con quel ciuffo anni novanta, phonato male, non mi fido per
niente!» concluse torvo. E di solito, se dalle parti di Levi tuonava, la
pioggia era imminente.
Ad Hanji scappò da ridere, dovette constatare che in effetti aveva ragione «Sei
sempre così pungente Levi, ma estremamente acuto, neanche io ho avuto buone
vibrazioni. Il ragazzo appariva un po’ troppo servile. I lecca chiappe non li
ho mai digeriti» commentò infine la donna.
«Non soffermiamoci troppo sui gregari. Direi di concentrarci su cose più serie»
tagliò corto Erwin.
«Già, perché non ci dici esattamente che cosa dobbiamo fare e come dobbiamo muoverci
Erwin?».
*
Nel frattempo, con un altro volo, erano arrivati a Paradise anche
Sasha, Jean e Connie. Erano abbigliati come tre ragazzi che erano in vacanza,
con grossi zaini sulle spalle. Camicia e bermuda per Jean. Canottiera e
calzoncini di jeans per Connie. Top e shorts per Sasha. Tutti e tre molto
gasati e neanche tanto per finta, dato che era la loro prima missione
importante, insieme e in un’isola che pareva davvero il paradiso terrestre.
Presero un autobus e si diressero verso la loro destinazione: un alberghetto
fuori mano, ma in linea d’aria abbastanza vicino alla casa degli agenti della
CIA, che sapevano avrebbero dovuto incontrare a breve. Presero possesso ognuno
della propria camera, si fecero una bella doccia, poi a tutti e tre contemporaneamente
arrivò un messaggio sul cellulare.
La vostra guida per la vostra vacanza a Paradise è arrivata. Ricordate le
vostre password. Buona permanenza
Si riunirono subito in camera di Connie, che era sempre il più
agitato. «Per password intendono la parola d’ordine vero?» chiese.
«No, ma cosa dici? Vogliono quella del tuo homebanking!» lo prese in giro Jean.
«Ragazzi basta per favore!» esordì Sasha «Jean lo sai che Connie a volte è
ansioso e comunque meglio che chieda, piuttosto che combini qualche casino».
«Scusate, lo so che sono una frana, ma tutte queste stronzate di parole
d’ordine da agenti segreti mi fanno ridere, io preferisco l’azione» si
giustificò Connie.
«Va bene, stabilito che il nostro contatto è arrivato e che ricordiamo le
parole d’ordine. Procediamo» disse Shasha.
«Comunque questa volta la penso come te Connie, paiono davvero delle cazzate»
concluse Jean e si diressero verso la Hall dell’albergo.
Appena sul posto furono avvicinati da un ragazzotto biondo dallo smaccato
accento italiano.
«Sthoess, Trost, Shiganshina?» chiese.
I tre si girano e insieme risposero alla parola d’ordine con la loro: «Maria,
Sina, Rose!».
«Sono Niccolò e sono il vostro contatto nell’isola. Adesso venite con me, vi
porto dagli altri agenti» disse sorridendo e facendogli strada verso la sua
macchina.
Mentre erano in auto, Connie, che era sempre il meno tranquillo decise di fare
un controllo. Prese il cellulare e inviò una foto, che aveva fatto al biondo di
soppiatto e la inviò al Bureau.
«Che stai facendo?» bisbigliò Jean. Loro due erano dietro e Shasha invece era
nel sedile davanti, che chiacchierava con Niccolò, sgranocchiando della frutta
secca che aveva portato via dalla sua camera.
«Controllino veloce. Meglio non fidarsi» disse piano Connie.
«Ma se sapeva la parola d’ordine?» rispose bisbigliando Jean.
«Ecco il risultato, testone» bofonchiò Connie passando il telefono al compagno.
Niccolò risultava essere un agente della CIA in congedo temporaneo.
«Uhm» commentò criptico Jean. Certo era un’operazione congiunta, ma perché non
mandare uno dei loro, invece che uno della CIA?
«Hai visto? Stiamo in campana!» convenne Connie.
L’altro annuì.
Dopo circa venti minuti di macchina arrivarono alla casa sulla piaggia.
Furono accolti da Erwin, che era andato loro incontro in camicia bianca e
bermuda color senape, in perfetto stile vacanziero. In mano aveva un cocktail
che sembrava davvero invitante pensò Sasha, oltre al fatto che era un gran
bell’uomo.
«Benvenuti a Paradise!» disse loro accompagnandoli verso la veranda.
Niccolò nel frattempo si era congedato e se n’era andato.
Quando Armin li intravide da lontano saltò in piedi di scatto.
«Ohi? Ti ha morso una tarantola?» gli chiese Levi guardandolo di sbieco.
«Io li conosco!» rispose il ragazzo euforico «Eravamo tutti nei Navy Seals nel
corso del centoquattresimo!».
«ARMIN!!!» urlano in coro i tre non appena misero a fuoco il vecchio compagno.
Si gettarono gli uni nelle braccia dell’altro, sinceramente felici di essersi
ritrovati.
«Mi ci gioco il culo, e mi rimane vergine, che questa cosa è una tua idea»
disse Levi scrutando Erwin di traverso.
«A parte il fatto che adoro le tue similitudini, così intrinsecamente poetiche,
sì, è ovviamente una mia idea. Questa missione è molto pericolosa, voglio una
squadra coesa e compatta, gente che sia disposta a morire per i propri compagni
se mai fosse necessario».
«Direi che un’ottima mossa Erwin, sebbene siano tutti dei novellini» commentò
Hanji guardando i ragazzi. Sembravano davvero felici di essere insieme.
Sicuramente ancora non avevano idea di cosa li aspettasse e questo le fece un
po’ stringere il cuore, sperava sinceramente che potessero tornare tutti sani e
salvi a casa. Averli arruolati, da parte di Erwin, era stata una mossa
azzardata e molto rischiosa, ma lei non voleva gettare benzina sul fuoco e
soprattutto si fidava di lui.
Levi non rispose subito. Rimuginò un po’ e poi disse: «Qualcosa in questa
storia non è chiara, ma ovviamente come quattrocchi, ho accettato
questa missione solo perché a capo ci sei tu e nonostante il tuo modo di fare
contorto, mi fido di te, anche se questa delle reclute è una mossa a dir poco
rischiosa, per loro e per noi».
«Sono certo che cambierai idea» concluse Erwin forte delle sue scelte.
Levi come spesso accadeva optò per la saggia via del silenzio, anche perché
Erwin avrebbe fatto comunque come aveva già deciso.
I monologhi dell’autrice
Il ripostaggio continua…
Di cuore un GRANDE GRAZIE a chi ha già rimesso la storia tra seguiti preferiti
e ricordati, e a chi molto carinamente mi ha sostenuto con messaggi d’incoraggiamento! 🌷❤️
|
Ritorna all'indice
Capitolo 4 *** Informazioni attualmente disponibili ***
Se ti stai chiedendo perché
stai leggendo il capitolo 4 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
4
Informazioni
attualmente
disponibili
Una volta che furono tutti riuniti Erwin cominciò a spiegare le
fasi salienti della loro missione.
«Dobbiamo addentrarci nell’interno dell’isola e raggiungere la capitale: Eldia.
Lì un nostro contatto ci attende. Ha notizie sul mio infiltrato, che spero a
sua volta abbia importanti notizie sul medico che stiamo cercando. Non abbiamo
certezze ma pare che quello che ha involontariamente prodotto, potrebbe
rivelarsi un’arma che nelle mani sbagliate avrebbe conseguenze inenarrabili».
«Ma quando ci hai proposto la missione ci hai detto che questo medico aveva
scoperto una cura» obiettò Levi accigliato.
«Tra l’altro è uno dei motivi per cui ho accettato a scatola chiusa» intervenne
Hanji.
«Non vi ho mentito. Di fatto è stata concepita come cura ma poi si è tramutata
in qualcosa di diverso, o almeno queste sono le frammentarie informazioni che
ci sono arrivate».
«Cos’è una nuova droga da dare ai soldati per indurli ad abbassare il livello
della loro paura?» chiese Connie come se avesse già capito tutto.
«Non conosciamo niente di realmente concreto al momento».
«Ma non si può sapere qualcosa di più preciso?» chiese Sasha prima di
continuare a sgranocchiare la sua frutta secca.
«Tutte queste cose, piuttosto lacunose a dire il vero, le ha scoperte il mio
uomo che spero di riuscire a rintracciare».
«Quindi suppongo non si tratti solo di trovare questo uomo, ma
piuttosto di assicuraci che questa presunta arma non finisca
nelle mani sbagliate» commentò a voce alta Armin.
«Esattamente» confermò Erwin, e continuò «Purtroppo parrebbe siano in molti
interessati a questa faccenda».
«Lo sapevo che c’era la fregatura!» commentò caustico Levi.
«Per fortuna pare che per adesso sia tutto circoscritto qui nell’isola e questo
ce lo conferma anche l’intelligence».
«Non mi fido dell’intelligence» commentò scuotendo la testa Jean che fino ad
allora era stato zitto.
«Noi sì, ciecamente, sono dei nostri» lo tranquillizzò Erwin, «Comunque siamo
qui anche per capire chi è invischiato e chi no».
«Insomma come dobbiamo muoverci?» chiese Jean.
«Domani partiremo per la capitale Eldia. Ci faranno da supporto due agenti
dormienti, che avete in parte già conosciuto: Floch e Niccolò. Saranno le
nostre guide».
«Il rosso phonato male, con la ritrosa, non mi piace Erwin» disse Levi a bassa
voce.
«Stai tranquillo» lo rassicurò.
«Mi scusi, ma se lo conosceva perché mi ha lasciato cercare informazioni su di
lui?» chiese Armin leggermente indispettito. Si era sentito preso in giro.
«Intanto per testare tua velocità nel recupero informazioni sul campo e poi un
controllo in più non fa mai male. Come vi ho detto il controspionaggio è
praticamente una certezza. Quindi non bisogna mai abbassare la guardia. Tutti
potrebbero essere potenziali nemici. Ho fortemente voluto questa squadra con
Levi e Hanji che ormai conosco da anni, e voi ragazzi siete la mia scommessa.
Ho avuto modo di parlare a lungo con Dallis Zacklay e non vi abbiamo scelti a
caso. Siete tre agenti con doti significative e attitudini che servono a questa
missione. Inoltre Hanji mi parlava entusiasta di Armin qualche tempo fa, ho
ricollegato che avevate fatto l’accademia insieme e il fatto che lei ti avesse
reclutato mi ha dato la spinta finale per arruolarvi. Sappiate che ripongo in
voi la mia più grande fiducia. Metto la mia vita nelle vostre mani, così come
voi dovete mettere la vostra nelle nostre. Solo se ci fidiamo gli uni degli
altri questa missione avrà successo».
«Non c’è bisogno di chiedere la mia fiducia Erwin, tu sai che te l’ho accordata
dal momento che ho accettato di far parte di questa missione» disse Hanji, poi
si rivolse ai ragazzi «Voi siete giovani, per certi versi inesperti, ma avete
quella dose di incoscienza ed entusiasmo che io amo moltissimo. Se Erwin vi ha
scelti, io non ho alcun problema a fidarmi di voi».
Smith si girò verso Levi come per incitarlo a parlare.
«Odio questi cazzo di discorsi motivazionali» masticò in prima battuta, poi
aggiunse convinto: «Non ho paura di morire, né di ammazzare per aiutare i miei
compagni, ma se mai dovessi rendermi conto che tra voi ci fosse un traditore,
sappiate che gli taglierei la gola nel sonno» disse con uno sguardo che pareva
il filo di una lama.
*
Connie, Armin e Sasha erano rimasti a passare la notte al cottage.
L’indomani mattina tutti insieme sarebbero partiti all’alba.
Erwin, Levi e Hanji si erano ritirati in casa, mentre i ragazzi erano rimasti
in veranda a ricordare i vecchi tempi.
Si scambiarono opinioni sul tipo di lavoro che avevano scelto. Avevano fatto
quel corso di addestramento per diventare agenti segreti. Tutti in realtà per
lavorare per l’FBI, ma poi Armin era stato reclutato da Hanji nella CIA e aveva
fatto una scelta diversa da loro.
«Ti fidi? Insomma sono degli intrallazzoni spesso non fanno i veri interessi della
nostra nazione» disse Sasha riguardo agli agenti della CIA in generale.
«Per ora ho fatto solo l’analista e posso dire che sì, per quanto mi riguarda
mi fido e fanno i nostri interessi, soprattutto a livello della sicurezza
contro i terroristi» rispose serio Armin.
«Li conosci bene quei tre?» chiese Connie, che dei cinque era il più
preoccupato di tutti per quella missione che a lui faceva un po’ paura.
«Conosco solo Hanji e lei è una forte. Ha un quoziente intellettivo enorme ha
tre lauree e poi spara da dio, credo che con lei andrei tranquillamente in
guerra senza paura. Gli altri li ho conosciuti da poco. Certo Levi è una
leggenda, ma mi ha fatto uno strano effetto, lo immaginavo diverso. Erwin mi
sembra un uomo tutto d’un pezzo».
«E meno male che ci sono io che ho fatto i compiti» commentò Jean.
«In che senso?» chiese Sasha.
«Che ho ravanato negli archivi».
«Cosa? Hai ravanato negli archivi in modo illegale? Ma sei
scemo?» gli chiese Connie «Vuoi che ci degradino e ci buttino fuori?».
«Senti se devo affrontare una missione quasi suicida, devo sapere con chi ho a
che fare! Stai tranquillo ho fatto fare tutto a una della sezione archivio
agenti. È cotta di me. È bastato portarle un cappuccino e prometterle un invito
a cena, che mi ha fatto avere ciò che chiedevo in mezza giornata. Del resto le
agenzie si tengono d’occhio le une con le altre. È tutto uno spiarsi continuo!»
rispose con aria da saputello.
«Insomma che hai scoperto?» gli chiese Armin tagliando corto.
«Ecco il fascicolo» disse Krischtein ed estrasse un finto kindle dallo zaino,
dove con uno stratagemma aveva fatto caricare i documenti trafugati dalla tipa.
Lo mostrò ai ragazzi perché lo leggessero e se lo passassero.
Informazioni Base Attualmente disponibili
Erwin Smith anni
dichiarati 44
Laureato in Ingegneria aeronautica e psicologia.
Padre ex agente morto sul campo.
Madre pediatra.
Figlio unico.
Reclutato da Keith Shadis per la CIA.
Attualmente vice capo della CIA.
Nome in codice: Comandante.
Abilità:
Ottimo stratega.
Freddezza.
Tiratore scelto.
Resistenza al dolore.
Manipolazione mentale nelle tecniche d’interrogatorio.
Hanji Zoe anni
dichiarati 39
Laureata in matematica, chimica e biologia.
Padre veterinario
Madre pittrice.
Figlia unica.
Reclutata dall’MI6 appena uscita dall’accademia.
Passata dopo tre anni alla CIA sotto reclutamento di Dot Pixis.
Attualmente agente speciale in forza alla CIA
Nome in codice: Caposquadra.
Abilità:
Quoziente intellettivo sopra la media.
Forti capacità decisive sul campo.
Tiratore scelto.
Resistenza al dolore.
Abilità particolari nelle tecniche d’interrogatorio.
Levi Ackerman anni
dichiarati 41
Laureato in lettere e filosofia.
Madre entraîneuse. Deceduta.
Padre ignoto
Figlio unico(?)
Reclutato a 26 anni nel Mossad da Kenny Ackerman
Passato dopo quattro anni alla CIA sotto reclutamento di Erwin Smith
Attualmente agente speciale scelto in forza alla CIA
Nome in codice: Capitano
Abilità:
Straordinaria resistenza al dolore
Abilità specifiche nelle tecniche d’interrogatorio
Abilità specifiche nell’uso di tutte le armi, in particolare delle
armi da taglio.
Risolutore Letale
«Laureato in lettere e filosofia?» si chiese Armin stupito «E chi
l’avrebbe mai detto?».
«Levi è una leggenda. Si dice che sia capace di ammazzare chiunque, e che abbia
affrontato anche cinque uomini armati fino ai denti da solo. E tu pensi
all’università che ha fatto?» chiese Jean.
«Beh mi fa strano visto come si esprime in modo colorito…».
«Mah forse è solo un atteggiamento» commentò Connie.
«Comunque anche Hanji sembra in gamba» disse Sasha.
«Erwin Smith è un pezzo da novanta ed è un eroe nazionale» puntualizzò Connie
«Credo che possiamo fidarci, sono agenti di un certo livello. Comunque tra di
noi ci guarderemo le spalle e ci salvaguarderemo gli uni con gli altri ad ogni
costo» disse Jean.
«Sono d’accordo» gli fece eco Armin.
*
«Scommetto che avergli fatto avere quelle schede su di noi, è
opera tua» chiese Hanji divertita. Conosceva molto bene il modus operandi di
Erwin.
I tre veterani sapevano perfettamente costa stessero facendo in veranda i
ragazzi.
«Sì, sapevo che le cercavano ed era necessario dar loro delle informazioni
base, giusto per temerli buoni. Me ne sono occupato io» confermò Smith.
«Mi chiedo se c’era il bisogno di fargli sapere i cazzi nostri» disse Levi che
stava sorseggiando un tè freddo.
«Siamo spie e facciamo il nostro lavoro: spiare, e loro pure. Lasciamogli
credere di essere dei dritti, aumenterà la loro fiducia. Del resto come vi ho
detto inter nos questa missione potrebbe rivelarsi molto pericolosa,
il fatto che si informino e si guardino le spalle mi conforta non poco. Ho
voluto persone alla prima missione, perché il contro spionaggio è in
agitazione. Tutti i servizi segreti mondiali sono in fermento. Questa faccenda
scotta da morire. Non posso permettermi un traditore in casa».
Levi continuò a sorseggiare il suo tè poi aggiunse: «Credo che la verità sia
che siano stati scelti dei novellini perché sono sacrificabili, in caso di
necessità» e guardò Erwin dritto negli occhi.
«È tutto piuttosto criptico Erwin. Non ti nascondo che anche io sono piuttosto
tesa» ammise Hanji, che s’intromise nella discussione tra i due perché
avvertiva la pericolosità della faccenda.
Erwin evitò di rispondere direttamente alla domanda di Levi e aggiunse: «Questa
operazione è stata concertata da Pixis e Zacklay insieme. Hanno voluto unire le
forze perché fossimo noi e non altre nazioni, ad impossessarci della formula. I
ragazzi sono stati caldeggiati da loro. Non me li hanno imposti, ma dopo
un’attenta analisi ho convenuto che fossero adatti e non perché sacrificabili.
Posso dirvi che questa cura ha qualcosa di incredibile, di
fantascientifico quasi, ma anche io vi assicuro non so molto. Quello che so per
certo è che il mio uomo è scomparso in questa isola. Dobbiamo trovarlo e
insieme a lui dobbiamo impossessarci sia dell’arma che della formula».
«Il medico invece lo facciamo andare a zonzo a riprodurre la formula dove più
gli aggrada?» chiese Levi alzando un sopracciglio.
«È chiaro che dobbiamo recuperare anche lui, che comunque, come il mio contatto
è sparito qui» confermò Erwin.
«Non capisco perché deve essere tutto un fottuto puzzle! Si svela solo un
pezzettino per volta, questa cosa mi manda in bestia!» commentò Ackerman
frustrato.
«Nonostante tu faccia finta di scordarlo è il nostro lavoro Levi» gli disse
calma Hanji «Lo sai che la sicurezza viene prima di tutto. È come una partita a
scacchi, ogni mossa va ponderata, studiata e rivelata solo all’ultimo momento
per non favorire l’avversario» concluse la donna. Capiva il punto di vista del
collega, ma capiva anche l’enorme responsabilità di Erwin. Anche loro tre come
i ragazzi dovevano darsi man forte, spalleggiarsi e coprirsi le spalle
*
Intanto,
da qualche parte nell’isola…
«Dunque sta per arrivare la cavalleria».
«Così pare».
«Bene, bene, bene! Eravamo pronti per questa evenienza. La cosa non mi turba».
«Invece dovrebbe turbarti, hanno mandato la CIA, non prenderli sotto gamba».
L’uomo fece un sorrisino compiaciuto
«Ma io ho un grosso asso nella manica. Vedrai sarà una passeggiata liberarsi di
quegli insetti molesti e portare avanti il piano!».
I monologhi dell’autrice
Per stasera il ripostaggio si ferma qui. Riparte domani.
Un paio comunicazioni.
1) Come avrete notato i nostri protagonisti sono tutti più grandi che nel
canon, questo perché, pur essendo un AU in un mondo fittizio molto simile al
nostro, non sarebbe comunque stato credibile avere degli agenti di 19 anni.
Quindi diciamo che le età dei novellini sono sopra i 25 e quelle dei veterani
quelle che avete letto or ora!
2) Mi scuso per le molte parolacce che troverete nella storia, ma è Levi è Levi
e lo sappiamo, ma pure gli altri non sono esattamente mammolette appena uscite
dalle Orsoline e un linguaggio più colorito mi sembra più plausibile in un
contesto come questo, anche se io non amo molto il turpiloquio.
Credo che sappiate tutti che il Mossad sono i servizi segreti israeliani e
l’MI6 i servizi segreti inglesi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 5 *** Incontri ravvicinati del quarto tipo e della tipa con la quinta! ***
Se ti stai chiedendo perché
stai leggendo il capitolo 5 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
5
Incontri ravvicinati
del quarto tipo e
della tipa con la quinta!
«Ma quanto tempo ci vuole per arrivare a Eldia?» chiese Jean,
prima di darsi uno schiaffo sul collo nel maldestro tentativo di spiaccicare un
fastidiosissimo mosquito.
«Più o meno un paio d’ore, ci fermeremo a mangiare da qualche parte lungo il
tragitto» gli rispose Floch.
Nella Jepp guidata dal rosso spettinato, erano presenti: Jean,
Connie, Armin e Levi, che aveva insistito per sedere accanto al guidatore.
«Fa un caldo tremendo» si lamentò Connie che era sudato fradicio.
«Vedrai, Eldia è un po’ più a nord circondata dalle montagne, si sta molto
meglio rispetto a qua, nonostante si affacci comunque sul mare» lo rassicurò
Floch.
«Come mai quest’isola non è sulle carte geografiche, sebbene sia molto grande?»
chiese Levi indagando. Quel tipo non gli voleva proprio piacere.
«Non ne ho la più pallida idea e confesso che in geografia ero davvero una
capra».
«Solo in geografia?» gli chiese il capitano sarcastico. Quella risposta non lo
convinceva, ma del resto come tutta quella storia. Non vedeva l’ora di venire a
capo della faccenda per sapere che cosa, e chi, avrebbero dovuto affrontare.
Floch si lasciò scappare una risatina nervosa, molto probabilmente perché non
sapeva che dire. Intanto Armin lo osservava molto interessato, Connie invece
era perso nei suoi pensieri e Jean stava continuando ad ingaggiare una lotta
furiosa contro mosquitos e zanzare.
«Sono un bravo agente in realtà» disse alla fine Floch, come se avesse pensato
a cosa dover dire.
«E come mai così giovane fai quasi il dormiente?» gli chiese a
sorpresa Armin.
Levi fu piacevolmente colpito da quella domanda.
«Voglio andare sotto copertura. Tutto qui».
Dopo di che calò il silenzio più assoluto.
Levi si astenne dal fare altre domande perché ritenne che fosse inutile.
Arrivarono ad Eldia che era tardo pomeriggio.
Erano equipaggiati come se stessero facendo il giro dell’isola per turismo.
Erano divisi in due gruppi e viaggiavano su due Jeep.
Sostarono in un albergo tipico da vacanzieri, proprio per non dare nell’occhio.
Erwin portava con sé anche una tavola da surf, i ragazzi racchette da
spiaggia e tutte quelle cose che fanno pensare a una comitiva in vacanza.
Questa volta quasi tutti avevano una camera propria, come se fossero un gruppo
di un viaggio organizzato. Così avevano modo di muoversi anche singolarmente
senza dare troppo nell’occhio.
Durante la sosta pranzo avevano parlato e stabilito che una volta a Eldia,
Erwin e Levi si sarebbero recati da soli all’appuntamento con il contatto, con
il quale si sarebbero dovuti incontrare in un pub, subito prima di cena.
Il comandante e il capitano si ritrovarono all’ora stabilita nella reception,
proprio come avrebbero fatto due turisti, che avendo fatto amicizia, decidono
di andare farsi un drink.
Erwin aveva optato per un look total white: camicia bianca morbida, semi
sbottonata portata sopra un paio di pantaloni di lino, anch’essi bianchi e
ampi. Lo sguardo ceruleo era celato da occhiali da sole Persol. Ai piedi aveva
dei sandali di cuoio.
Levi invece indossava occhiali Rayban a goccia, che gli davano un’aria da duro,
un paio di bermuda caki e una maglietta nera a maniche corte, che metteva in
risalto i suoi pettorali, sulla quale c’era stampata in bianco la scritta: Bitch
Please!
Ai piedi, invece, aveva un paio di Nike air force one anch’esse bianche.
«Bene, sembriamo proprio due cazzoni in ferie» sentenziò il capitano «Dov’è
l’appuntamento?».
«Dobbiamo andare in un pub qua vicino» rispose Erwin sorridendo. «Quella
maglietta ti si addice proprio» commentò sornione.
«Anche il tuo abbigliamento alla Grande Gasby!» ribatté prontamente Levi.
Il pub si chiamava: La chica loca ed era stato concepito in
stile sud americano. Gli avventori erano pochi e scarseggiava anche la luce. Si
presentava come un ambiente piuttosto buio, nonostante ci fossero molte
lampade, alcune delle quali emettevano una un’aura rossastra che rendeva tutto
molto ovattato. Sembrava più una bisca clandestina che un pub. L’aria era
satura di fumo. Un odore forte ed acre che fece storcere il naso a Levi. La
visuale in quel buco era ridotta ai minimi termini, ma dovette ammettere che
era l’ideale per incontrare qualcuno e non dare nell’occhio.
I due si misero a sedere al bancone e furono raggiunti dalla bartender. Una
tipa che aveva due tette enormi, strizzate in un crop-top aderentissimo e un
paio di short di jeans strappati, che mostravano una generosa porzione delle
sue natiche, quasi come se indossasse un tanga.
Sorrise e poi li guardò come un topo guarda un pezzo di formaggio incustodito.
Si distese sul bancone per pulirlo con uno straccio, mettendo così in bella
vista i suoi due meloni siliconici. Si soffermò soprattutto
dalla parte di Erwin.
«Ciao straniero. Che posso darti?» gli chiese ammiccando, ponendo l’accento sul
doppio senso, ovviamente voluto.
Levi la guardò come se fosse un insetto molesto. Gli si smossero i geni
da serial killer di Kenny, ma si trattenne, almeno per il
momento.
«Ciao, per me un Old Fashioned, grazie».
«E per te piccolino?» chiese a Levi sorridendo zuccherina.
«Un Negroni» chiosò lapidario Ackerman, ma quanta fatica fece a stare zitto!
Erwin si stava divertendo un sacco. Quando andavano in missione era uno spasso,
perché dovevano sostenere situazioni che nella vita reale difficilmente
avrebbero affrontato. Quel tipo di locale non era roba da Levi, per non parlare
poi della barista.
Una volta avuti i loro drink, si accomodarono a un tavolo, per poter parlare in
pace e aspettare indisturbati il loro contatto.
Presero a sorseggiare i cocktails a guardarsi intorno.
«Lo conosci questo tipo che stiamo aspettando?» chiese Levi.
«Non personalmente. È un informatore dell’agenzia, almeno così mi è stato
detto, quindi in teoria dovrebbe essere uno fidato. Ad ogni modo in qualche
maniera bisognerà pur venire a capo della faccenda, no?».
Furono interrotti dalla solita barista che aveva portato loro delle noccioline,
delle patatine e altri stuzzichini, sorridendo in modo sempre più lascivo a
Erwin.
«Senti abbiamo capito che hai un bel culo e le tette grosse, ma non ce ne frega
un cazzo, quindi evita di scodinzolarci intorno» le abbaiò contro Levi, che
questa volta non ce la fece a tacere.
«Che c’è piccolino, sei geloso?» disse lei per niente turbata. Era così certa
della sua avvenenza, che scioccamente pensava che provandoci palesemente
con Erwin, lui si fosse sentito punto sul vivo perché non considerato.
Levi si alzò e le si parò davanti. Le arrivava proprio ad altezza tette, dato
che la donna portava dei trampoli a zeppa di quindici centimetri, ma la cosa
non lo turbò minimamente, ci voleva ben altro: «Certo che sono geloso!» le
disse in modo molto convincente. Lei sorrise sorniona e allungò una mano come
per volergli fare una carezza sul viso, ma lui la afferrò regalandole uno dei
suoi sguardi taglienti e aggiunse «Di lui. Non certo di te, signorina-tutta-tette-e-culo!
E ora sparisci!» grugnì sperando di averla scoraggiata una volta per tutte.
«Scusalo. Ha le sue cose» intervenne Erwin mentre la tipa stizzita
se ne andò.
«Ti stai divertendo eh?» gli disse Levi.
«Non hai idea quanto» ammise il comandante.
Erano già al secondo giro quando un uomo li avvicinò.
«Turisti?» chiese.
«Sì» rispose Erwin.
L’uomo si frugò in tasca e mostrò una carta da gioco raffigurante un Jolly.
Era il segno di riconoscimento.
Levi lo squadrò: era piuttosto giovane, più o meno dell’età di Erwin. Alto,
abbastanza robusto, capelli e barba biondi, portava un paio di occhialini tondi
che lo facevano sembrare un professore sfigato. Gli si accese una luce, gli
ricordò Walter White(1) e nonostante si trattasse di un personaggio di fantasia,
questo non gli piacque per niente. Solitamente quando la sua testa faceva
queste associazioni d’idee, una campana suonava a morto!
«Mi chiamo Zeke e ho importanti informazioni per voi» disse sedendosi con
loro e poggiando la sua pinta di birra sul tavolo.
«Siamo tutti orecchi barbetta» enunciò Levi puntandolo dritto negli occhi.
«Nella parte ancora più a nord di quest’isola c’è un piccola città, che in
realtà è una sorta di colonia militare, si chiama Marley. Non è molto grande ed
è un posto molto particolare. È famosa e tutti ne stanno alla larga, ci si
può entrare solo lasciando i documenti ad una specie di posto di controllo.
Diciamo che è una sorta di area protetta. Ci abitano tutti quelli
che lavorano e lavoravano alle piattaforme petrolifere. Il vostro uomo è stato
avvistato lì non molti giorni fa».
Erwin lo stava osservando molto attentamente. Quell’uomo stava parlando di cose
che tecnicamente non avrebbe dovuto sapere.
«E come le hai avute queste informazioni?» gli chiese, anche se immaginava che
ci doveva essere qualche doppiogiochista che sapeva dove il medico,
probabilmente, aveva condotto i suoi esperimenti.
«Molti sanno cosa è realmente Marley, anche se dovrebbe essere un segreto. Tra
questi ci sono anche io. Il vostro uomo andava in giro fare molte, troppe,
domande. Diciamo che non si preoccupava di dare nell’occhio».
«Dammi una buona ragione per fidarmi di te» gli disse diretto Levi che ci stava
capendo sempre meno ed era in allerta.
Zeke lo guardò con aria sorniona: «Mi piacciono i tipi come te. I veri duri.
Quelli sempre sulla difensiva» lo provocò con un sorrisetto ironico.
«Non sono un duro, sono pragmatico. Sto cercando di capire se devo fidarmi, o
accoltellarti. E devo dire che per ora non stai andando proprio benissimo» gli
rispose serafico. Non gli piaceva niente di quello che stava dicendo quel tipo,
sentiva puzza di guai lontano un miglio.
L’uomo sorrise apertamente e sembrò rilassarsi «Verrò con voi a Marley. Verrò
disarmato, e comunque oltre me non troverete nessuno disposto a portarvi là, in
quell’inferno. Marley è una sorta di terra di nessuno. Ci sono
confinati a lavorare i peggio delinquenti autoctoni e anche molti arrivati dal
continente».
«Dimentichi che siamo agenti della CIA» affermò Erwin serio, che comunque
intuiva che non stesse dicendo tutta la verità.
«E voi non sapete che entrare in quel posto, è come diventare bersagli mobili.
Dovreste entrarci con un blindato, ergo avete bisogno di uno che sappia come
muoversi in loco, e quello sono io».
«E come mai sei così sicuro di saperti come muovere a Marley?» gli chiese Levi.
Zeke finì la birra tutta d’un sorso, poi con il dorso della mano si ripulì la
bocca e sorrise: «Perché io ci sono nato in quell’inferno».
«Se tenti di fregarci, o peggio portarci dritto in un’imboscata, ti garantisco
che all’inferno ci andrai davvero e senza passare dal via!» gli disse tagliente
Levi. Non stava scherzando, era serio e Zeke lo capì, quindi per una volta
tanto tacque evitando di fare una delle sue solite battutine stupide.
Terminarono l’incontro prendendo accordi sul risentirsi quando tutto fosse
stato pronto per andare a Marley: il dado era dunque tratto, e a breve la
missione sarebbe finalmente entrata nel vivo.
I monologhi dell’autrice
Buongiorno,
continuo con la mia maratona di ripostaggio siamo a due capitoli di pausa pranzo e due la sera,
per ora, sembra possa reggere il ritmo. Questo è uno dei miei capitoli preferiti, nonostante tutto sono felice che non sia andato perso.
Nota 1) - Walter White è uno dei protagonisti della serie culto
Breaking Bad (non avete visto Breaking Bad? Dovete farlo SUBITO è una
delle più belle serie nella storia delle serie!) Mi piaceva fare questa
citazione dato che anche Isayama è fan di BB e Better Cal Saul (serie spin off
di BB) tanto da disegnare alcuni giganti simili a questi famosi ed amati PG,
che appaiono sia nel maga che nell’anime. Grazie a te che stai leggendo!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 6 *** Mr. & Mrs. Smith! ***
Se ti stai chiedendo perché
stai leggendo il capitolo 6 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
6
Mr. & Mrs.
Smith!
Levi era appena rientrato con Erwin dall’incontro con Zeke al Pub.
Gli accordi erano che entro qualche giorno si sarebbe fatto sentire e li
avrebbe accompagnati a Marley.
Dopo aver strisciato la chiave della sua camera nella feritoia era entrato.
Si era subito fermato sulla soglia ad osservare Hanji che indossava i suoi
boxer.
Era mollemente adagiata su letto, appoggiata alla testiera di giunco, con un
cuscino sotto la testa. Ci sarebbe aspettati da lei una posa scomposta, ma
Hanji non era così. Era una donna molto aggraziata, molto di più di certe
fatalone tutte tette e culo, tipo quella tizia del pub.
Dovette ammettere che quelle mutande le stavano pure meglio che a lui. Stava
leggendo. Ancora quel libro su Fibonacci, una vera fissazione pensò.
Era così assorta, che neanche si era accorta che fosse entrato.
Aveva in capelli sciolti e sopra i boxer portava una canottierina fine. La
trovò incredibilmente sexy. Adorava la naturalezza con cui si appropriava delle
sue mutande e le rendeva un abbigliamento quasi erotico, ma senza neanche
pensarci, o rendersene conto. Era quello che più gli piaceva di lei: la sua
spontaneità, quel suo essere femminile e sensuale, senza sbatterlo in faccia.
Hanji in quei termini si svelava solo nella loro intimità, e solo a chi aveva
l’intelligenza di andare oltre il suo modo di apparire. Non che si vestisse in
un certo modo perché aborrisse le gonne, o gli abiti. Semplicemente era pratica
e per il lavoro che facevano, la praticità era tutto.
«Allora il prossimo Natale ti regalerò una fornitura completa di boxer» esordì
per palesarle la sua presenza. Era così presa dalla lettura che non si era
neppure resa conto che fosse presente nella loro camera.
Già… la loro camera.
Erano gli unici due che erano stati messi in camera insieme, a parte Armin e
Connie.
«Come è andato l’incontro al pub?» gli chiese lei poggiando il libro sul
comodino, per poi aggiungere «Guarda che io adoro i tuoi di boxer, però se me
li compri, perdo il gusto di fregarteli».
«Il contatto non mi piace per niente» le rispose severo.
«Perché» gli chiese curiosa.
«Ha la faccia a culo! E mente male».
«Ma smettila e sii serio!» ridacchiò Hanji.
«Sono serissimo, ad ogni modo tra qualche giorno ci accompagnerà dove dovrebbe
essere l’uomo di Erwin. Se tenta di fare il furbo ci penserà la mia pistola, o
meglio ancora il mio coltello, a levargli quel sorrisino da ebete che si
ritrova».
Poi le spiegò a sommi capi di cosa avessero parlato durante quel breve
incontro. Lei non si sorprese più di tanto, immaginava che qualche rogna, prima
o poi sarebbe saltata fuori. Certo questa ricognizione a Marley non si
profilava come una passeggiata, ma sapeva che Erwin non era uno sprovveduto.
Decise però di non replicare, né approfondire, quando Levi era in quel mood era
meglio lasciarlo sfogare. Era consapevole che non fosse uno stupido e che
sicuramente i suoi dubbi avevano un qualche fondamento, ma a volte con le
antipatie a pelle esagerava. Era comunque chiaro che qualcosa dovesse aver
notato per parlare così, era un acuto osservatore, anche se a volte era troppo
prevenuto nei suoi giudizi. Stava sempre troppo in guardia, sebbene per il loro
mestiere non era certo un difetto.
«Comunque a parte questo, ti sei resa conto che lui sa, vero?» le disse
interrompendo il corso dei suoi pensieri.
«Dici?» gli chiese per niente preoccupata.
«Secondo te questa manfrina ad oltranza di Mr. e Mrs. Smith è
pura casualità? Il frutto innocente di uno sbaglio? No. Te lo dico io: lui sa».
«Immaginerà che ce la intendiamo» buttò lì la donna.
«Ci potrebbe costare il posto».
Hanji lo fissò seria: «In realtà non è proibito, ma solo mal visto e
francamente non me ne importa una cippa!» le scappò detto,
più sincera di quanto avrebbe voluto essere.
Lui nel frattempo si era spogliato ed era rimasto in mutande.
«Ti sembrerà una follia» cominciò a dirle «ma se la per caso CIA mi buttasse
fuori, non ne farei un dramma. Potrei sempre tornare al Mossad» commentò
pensoso. Ultimamente le loro missioni erano state davvero toste e tutti e due
ne portavano ancora il peso sulle spalle.
«A volte mi piacerebbe che mollassimo tutto. Che ce ne andassimo solo io e te
da qualche parte, lontano, e ci godessimo la vita come due persone normali,
liberi da questa follia» sospirò Hanji.
«Sì, io e te in una baita in montagna. Tu cucineresti per me, e io andrei a
spaccare la legna, fanculo Zoe! Resisteremmo al massino un mese toh!» bofonchiò
divertito.
Il fatto di condividere la camera con lei lo metteva di buon umore.
Hanji si sistemò gli occhiali sul naso «Hai ragione, ho detto una cazzata»
ammise. «Ma se davvero lui sa, potrebbe usare questo contro di noi. Potrebbe…»
aggiunse.
«Per quanto stronzo possa essere Erwin non lo farebbe mai Hanji!».
«Ma potrebbe farlo se gli convenisse».
«Allora ci parlerò e metterò le cose in chiaro».
«Sì, ma non sbottonarti troppo, magari non sa proprio tutto» e lo guardò con
aria tra il divertito e il colpevole.
«Non mi ci far ripensare» disse Levi poggiandosi una mano su gli occhi nel
maldestro tentativo di nasconderle sguardo.
«Guarda che la colpa è tua!» lo canzonò Hanji.
«Non sono io che sono voluto andare a vedere Il Cirque du Soleil a Las Vegas,
appena di rientro da quella missione. Semmai avrei preferito l’incontro di
pugilato Canelo Alvarez vs Dimitry Bivol».
«Ma ero ubriaca fradicia, mi avresti anche potuta portare alla sagra
dei marshmallow che sarebbe stato lo stesso» controbatté fintamente
piccata.
Il fattaccio accadde quella volta che erano di ritorno da una missione che li
aveva coinvolti in un modo molto duro. Avevano dovuto condurre un
interrogatorio. Un interrogatorio che non era stato ufficialmente
autorizzato. Era una cosa che l’agenzia doveva far finta di non sapere.
L’ordine, però, era farlo parlare ad ogni costo e con ogni mezzo.
Benché fossero preparati e addestrati, non era stato facile picchiarlo a
sangue, strappargli le unghie e torturarlo. C’erano voluti un paio di giorni
per farlo cantare ed era stata un’esperienza davvero dura. Hanji soprattutto ne
era uscita con le ossa rotte. La cosa che l’aveva sconvolta era che non aveva
provato niente. Aveva fatto il suo lavoro con una sconvolgente meticolosità. Si
era come scissa da se stessa. Non pensava che avrebbe potuto diventare così
efferata. Questa cosa, a mente fredda, l’aveva davvero devastata. Levi aveva
condiviso la sua pena, ma aveva reagito in modo diverso. Avendo avuto una
giovinezza molto turbolenta, era più avvezzo di lei ad un certo tipo di
violenza. Nonostante questo non era un uomo sadico, né uno che faceva il suo
lavoro con compiacimento. Torturare quel prigioniero non era stata una
passeggiata neppure per lui. Andava fatto e lui aveva portato a termine la
missione, ma lei era provata e Levi detestava vedere Hanji star male, così una
volta congedati, prima di rientrare a casa, le aveva proposto di fermarsi da
qualche parte. Lei aveva espressamente chiesto di andare a Las Vegas a far
baldoria.
Solo che la cosa era loro leggermente sfuggita di mano…
«Io ero più ubriaco di te, altrimenti col cazzo che mi trascinavi alla cappella
di Elvis perché volevi assistere ad un matrimonio!».
«Dopo tutto quel dolore, volevo vedere una cosa bella!» protestò lei.
«Sì certo, vedere una cosa bella: ma non farla! Cazzo! Un matrimonio a Las
Vegas! Non ci posso ancora credere» disse Levi scuotendo la testa, ma
sotto sotto era divertito. Aveva un mezzo sorrisetto che gli increspava le
labbra.
«Levi lo sai vero che non è valido fuori dallo stato del Nevada e noi abitiamo
a Londra».
Lui la guardò serio «Non mi fa incazzare il fatto che ci siamo sposati, ma che
abbia officiato la cerimonia uno travestito da Grinch(1)» disse fintamente
indignato.
Nulla di tutto ciò era previsto quando erano andati a quella cappella veramente
solo per assistere ad un matrimonio, ma poi la cosa era misteriosamente
sfuggita loro di mano e avevano finito per ritrovarsi a farlo per davvero.
«Ti ricordo, se la mente e l’alcool non mi ingannano, che sei stato tu a
pretendere l’officiante travestito da Grinch!».
Si guardarono un attimo trattenendosi a stento dal ridere.
«Levi non posso credere che l’abbiamo fatto davvero».
«Oh sì, credici e ti sei anche voluta vestire di bianco. Hai scelto l’abito più
tradizionale che offriva il pacchetto all inclusive(2)».
Questa volta fu Hanji a coprirsi il viso con le mani.
«Eri bellissima» le disse lui serio.
«Ma smetti!» protestò lei.
«Lo penso davvero. Senti non mi importa. Io non lo voglio annullare».
«Sul serio?» gli domandò lei aprendo un po’ una mano, sbirciandolo di
sottecchi.
«Perché ti fa così schifo essere mia moglie?» protestò appena indignato.
«No, sciocco! Ti amo lo sai vero?» lei glielo diceva sempre di continuo.
All’inizio per Levi era stato un problema, quelle due parole gli facevano
proprio venire l’orticaria e brontolava sempre qualcosa tra i denti. Ora si era
addolcito e anche abituato. Gli piaceva sentirselo dire. Era una cosa
avvolgente, come un abbraccio.
Hanji era l’unica donna che avesse conosciuto che lo facesse sentire veramente
bene. Con lei era se stesso, ma non solo il se stesso sarcastico e pungente che
aveva sempre la battuta pronta. Con lei si lasciava andare a mostrare anche il
lato più morbido e scherzoso. Era l’unica che lo rilassava, che lo faceva
sentire al sicuro, libero.
«Idem!(3)» le rispose e si buttò sul letto vicino a lei. Allungò il viso e
le catturò le labbra con le proprie, regalandole un bacio tenero.
Ai suoi ti amo, più di idem non
aveva mai risposto. Sebbene l’amasse davvero era pur sempre abbastanza
refrattario a certe cose. Preferiva dimostralo a fatti, più che sperticarsi in
parole sdolcinate e promesse varie.
Hanji gli passò una mano dietro la schiena e gli carezzo i muscoli dorsali, per
poi graffiarlo delicatamente con le unghie, rispondendo a quel bacio con
slancio.
Poi si staccarono bruscamente.
«I patti sono patti. Niente sesso in missione» disse lui serio.
Non erano stati molto insieme gli ultimi mesi. Avevano portato a termine varie
operazioni, ma sempre separati.
Si erano ritrovati da poco, quella famosa notte in cui lui era stato reclutato
proprio per questa missione.
«Vero! Concentrazione innanzi tutto» protestò sommessamente Hanji.
«Riguardo il matrimonio… » cominciò lui guardingo.
«Lo annulleremo appena possibile, tranquillo».
«Fammi finire!» sbottò lui contrariato.
«Non dirmi che invece vuoi renderlo legale in Inghilterra?» lo guardò lei
stupita.
«No» le disse secco «Ma…» aggiunse e continuò a scrutarla, anche lui voleva
capire che cosa ne pensasse. Hanji era una donna molto libera, non era certo
che quello che stava per dirle, le facesse piacere.
«Ma?» gli chiese lei sulle spine.
«Sappi che quando meno te lo aspetterai farò una cosa stucchevole, molto
stupida e assolutamente anacronistica. Una cosa che non è proprio da me, ma che
per qualche motivo idiota voglio fare» concluse molto serio, compito e anche un
pochino sulle spine.
«Cioè?» gli chiese lei lievemente turbata, ma anche eccitata e curiosa.
«Ti farò fare una delle figure di merda più epiche della tua e della mia vita.
Come un perfetto imbecille mi inginocchierò e ti chiederò di sposarmi. E tu mi
risponderai: sì, sennò ti ammazzo. Lo giuro!».
Lei inaspettatamente si commosse.
«Oddio Levi questa è la più bella dichiarazione d’amore che potessi farmi,
visto quanto sei refrattario a certe cose. E io che pensavo che fossi
infastidito per questo matrimonio capitato a caso».
«Perché dovrei? Tu sei l’unica persona che voglio accanto a me, anche quando ci
non voglio nessuno! Con te ho capito che l’amore è impazzire con qualcuno non
per qualcuno, quindi siamo la perfezione. Ora credo che possa bastare. Mi
sembra di aver mangiato un barattolo di miele, cazzo!».
Perché fossero finiti a fare quel genere di discorsi era un mistero.
Non li facevano mai, ma questa faccenda del Mr. e Mrs. Smith li aveva come
sbloccati in certo senso. Forse lo zampino di Erwin era di natura diversa da
quello che credevano loro. Chissà!
«E se la CIA ci caccia fuori, anche io verrò nel Mossad!» dichiarò giuliva
Hanji.
«Saremo alle solite. Magari dovresti farti riprendere dall’ MI6».
Solo che lei sembrava non ascoltarlo più e adesso lo guardava in un certo modo…
«Hanji avevamo detto…»
«Sì, niente sesso in missione, ma le regole sono fatte per essere
infrante. Marito!» e calcò il tono sull’ultima parola.
A lui scappò un altro mezzo sorriso, non c’era niente da fare lei sapeva
proprio come prenderlo.
Le si avvicinò, la prese per la vita e la fece scivolare sul materasso
facendola sdraiare.
«E allora infrangiamole queste cazzo di regole: moglie!»
I boxer di entrambi, seguiti dal resto, svolazzarono per aria,
sparpagliandosi per la stanza.
Si accese e divampò così, un’altra delle loro proverbiali notti molto
movimentate!
I monologhi dell’autrice
Ci
rivediamo questa sera!
PS adoro anche questo di capitolo!
Nota 1) - Sembrerebbe una mia simpatica invenzione e
invece no, proprio nella famosissima cappella di Elvis (a dire il vero ne ho
cercate altre, per essere meno banale, ma pare che l’unica che abbia una certa
rilevanza sia solo questa) si può avere anche l’officiante vestito da Grinch,
quindi secondo voi potevo non mettercelo?😆
2) - Diverse cappelle matrimoniali a Las Vegas offrono davvero dei pacchetti in
cui è possibile scegliere anche un abito da indossare per gli sposi ed
eventuali damigelle e addirittura il mazzo di fiori!
3) - “Ti amo” risposta: “Idem” è chiaramente
una citazione dal film Ghost.
Hanji e Levi sono solo la prima OTP che troverete in questa
fanfinc perché ce ne sono altre che scoprirete leggendo.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 7 *** In Bourbon Veritas ***
Se ti stai chiedendo perché
stai leggendo il capitolo 7 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
7
In Bourbon
Veritas
La notte ad Eldia era sempre più fresca del giorno. L’aria
frizzante era ravvivata da una brezzolina leggera che veniva dal mare.
Nonostante questo l’insonnia non dava tregua a Levi.
Erano già trascorsi quattro giorni dall’incontro con Zeke e ancora non si era
fatto vivo.
Tutti erano in attesa e in allerta. Ogni giorno cercavano di studiare strategie
per poter ovviare a problemi, o imprevisti, che sarebbero potuti accadere sul
campo, soprattutto per questa ricognizione che avrebbero dovuto fare a Marley,
se, quel barbetta di merda, come amava definirlo Levi, si fosse
deciso a ricomparire.
Stare fermi ad aspettare era sfiancante un po’ per tutti, quindi anche non
riuscire a dormire era normale amministrazione.
Levi era sgusciato dal letto facendo attenzione a non svegliare Hanji che
dormiva profondamente. Ogni tanto invidiava questa sua capacità di riposare
così bene, cosa che a lui non riusciva da anni, soprattutto in missione. Era
uscito fuori dalla loro stanza e si era diretto alla veranda dell’albergo, per
stare un po’ al fresco. A sorpresa ci aveva trovato Erwin che evidentemente,
come lui, non aveva sonno.
Era appoggiato alla balaustra che osservava il mare in lontananza. Ancora prima
di vederlo, fu l’odore acro e pungente che emanava, a fargli capire che stava
fumando un sigaro.
Gli si avvicinò guardingo, ma lui lo avvertì e si girò.
«La tua solita insonnia?» gli chiese.
«Proprio quella, e tu?».
«Stavo riflettendo su alcune cose riguardanti questa missione» ammise sincero.
«Come mai fumi quella merda? Tra l’altro puzza da fare schifo» brontolò Levi.
Erwin guardò il suo sigaro «Non lo so. Ogni tanto mi piace. Avrei voluto farmi
un buon bicchiere di Bourbon, ma bere da solo è veramente deprimente».
«Se vuoi compagnia, io ci sto» propose Levi, l’alcool poteva essere un alleato
contro l’insonnia.
«Certo! Mi sono portato dietro una bottiglia di roba veramente buona. Che dici
facciamo qui?».
Levi si guardò intorno. «Non credo ci sia nessuno nascosto a spiarci. E
comunque non dobbiamo mica parlare di niente di segreto. Cerchiamo di non
diventare paranoici per favore!»
«Levi era per dire!» fece Erwin divertito «Quello un po’ paranoico mi sembri
tu. Dai, abbiamo proprio bisogno di una bella bevuta e di rilassarci un po’!
Aspettami qui che vado a prendere il liquore».
Poco dopo arrivò con il suo Bourbon invecchiato ben dieci anni e due bicchieri.
Levi nel frattempo era andato a procurarsi del ghiaccio al distributore
automatico dell’albergo.
«Uhmm… » fece prendendo la bottiglia e osservando l’etichetta «roba di
primordine!»
«Mi piace trattarmi bene» asserì Erwin mentre gli versava il liquido color
miele nel bicchiere con il ghiaccio.
Il primo giro se lo fecero in silenzio. Seduti sulle poltroncine di fronte al
parapetto che si affacciava sul mare. Ognuno dei due sembrava concentrato sui
propri pensieri, che probabilmente erano anche i colpevoli della
loro mancanza di sonno. Il loro mestiere era pericoloso, pieno di incognite e
insidie. Era normale stare sempre un po’ sul chi va là. Dopo
l’incontro al pub non c’era poi da stare tanto sereni.
«Ti fidi di quello Zeke?» gli domandò a bruciapelo Levi.
«Se devo essere completamente onesto, le uniche persone di cui mi fido siete
solo voi. Intendo tu, Hanji e i ragazzi. Per il resto non mi fido proprio di
nessuno» rispose.
«Secondo te che non si faccia sentire che significa?».
«Può voler dire tante cose e non necessariamente tutte negative…».
«Lo sai vero che questa attesa ci rende molto più vulnerabili? E se si stesse
invece organizzando per farci qualche scherzetto?».
«Probabilmente sta proprio facendo quello Levi, ma come sempre ci faremo
trovare pronti. Non siamo dei novellini sprovveduti!» rispose Erwin, il suo
sguardo però tradiva una certa preoccupazione che non sfuggì all’occhio attento
di Levi.
«Questa missione è molto pericolosa, vero?» commentò laconico il capitano.
«Già» ammiccò Erwin serio.
Levi lo guardò scuro «Ma tu già lo sapevi».
L’altro sospirò e buttò giù una generosa sorsata del suo whisky.
«Non conosco proprio tutti i dettagli, ma sapevo che è una missione tra le più
pericolose che abbiamo mai affrontato» ammise scolando il resto del liquore.
«Perché non ce l’hai detto?».
«Avrebbe cambiato qualcosa?».
«No. Ma una volta tanto gradirei che ti fidassi di noi al punto di renderci
partecipi dei tuoi magheggi del cazzo!».
Erwin piegò le labbra in un mezzo sorriso amaro «Andiamo Levi lo sai come
funziona il giochino. È il peso che mi devo portare addosso avendo
scelto questa carriera. Non posso proprio essere chiaro, è la condicio sine
qua non del il mio lavoro, se voglio preservare la sicurezza
nazionale».
«Pensavo di essere un cinico di alto profilo, ma giuro che tu mi batti alla
grande» brontolò Levi.
«Pensi che questa cosa non mi pesi?» gli chiese «È vero sono stato
addestrato ad avere le risorse mentali per sopportare questo carico emotivo, ma
a tratti è davvero dura. Mi schiaccia come un macigno».
Levi gli versò un altro bicchiere di Bourbon e fece altrettanto per sé. Quella
sera decise che voleva mettere in chiaro le cose, quindi cambiò radicalmente
discorso e andò dritto al punto: «Da quanto sai di me e Hanji?» gli chiese
senza mezzi termini.
Erwin questa volta sorrise apertamente «Da sempre! Levi, anche un cieco se ne
accorgerebbe».
«Perché non ci hai detto nulla? Non è ben visto avere relazioni tra agenti. Se
venissimo scoperti la nostra potrebbe posizione diventare scomoda».
«Perché sto cercando di far cambiare le cose, e perché fondamentalmente non me
ne frega niente con chi andate a letto. Mi interessa solo la vostra resa sul
campo. Vi conosco da anni e so che la vostra relazione non influirà mai sul
vostro operato. In una missione di questo tipo non avrei voluto altri che voi
due al mio fianco».
Levi era piuttosto sorpreso «Non mi dire che lo sa anche Pixis?».
«Non ti facevo così ansioso» ribatté Erwin.
«Sono solo geloso dei cazzi miei».
«Non vi abbiamo mai spiati, stai tranquillo. Comunque, sì, lo sa e la pensa
come me».
Levi aggrottò le sopracciglia, non sapeva dire se era più sollevato, o irritato
da questa scoperta.
«Forse avresti preferito se avessi reclutato solo uno di voi per questa
missione?».
«No. Quando abbiamo deciso di dare una chance alla nostra storia sapevamo chi
siamo, cosa facciamo e cosa rischiamo. Preferiamo farlo insieme, che saperci in
chissà quale parte del mondo, senza possibilità di contatto alcuno».
«Immaginavo» asserì Erwin.
Intanto si versarono il quarto bicchiere di Bourbon.
«Tu invece hai deciso di fare il monaco? Votato interamente alla causa di
riabilitazione di tuo padre, vero?».
Ormai il tasso alcoolico era alto e la lingua era molto più sciolta del solito.
«È una cosa che mi porto dietro fin da ragazzo. È morto con disonore. Come se
fosse un traditore doppiogiochista. Invece sono certo che è stato sacrificato
per nascondere qualche scandalo. Non avrò pace finché non ne verrò a capo».
Levi si scolò l’intero bicchiere e poi annuì «Posso capire le tue ragioni molto
bene. La rabbia e il rancore sono motivi potenti che danno un senso alla vita.
Quella gran testa di cazzo di Kenny una cosa giusta me l’ha insegnata: ognuno
ha bisogno della sua droga per dare un senso alla sua
esistenza. Anche se io non la definirei così, ma piuttosto direi: il suo scopo.
Questo è il tuo. Però Erwin ci sono degli scopi estremamente
limitanti. Io l’ho capito da quando mi sono innamorato di Hanji» si fermò un
attimo, sentirsi ammetterlo a voce alta gli fece un certo effetto. Certo era il
wisky che lo faceva aprire in modo così inaspettato, ma ormai i freni inibitori
si erano allentati.
«Non avrei mai pensato che sarei vissuto abbastanza da sentirti ammettere una
cosa del genere» rise genuinamente Erwin. Erano al quinto bicchiere e quasi
completamente ubriachi. La bottiglia era già a meno della metà. Quelle
confessioni erano catartiche per entrambi, anche alla luce del fatto che,
seppure non ne parlassero apertamente, non era scontato che tornassero tutti
vivi a casa.
«Che cosa hai capito Levi?» gli chiese un po’ più serio.
«Che la vita non può essere un sentiero unico. Che si può cambiare strada.
Idea. Prospettive. Mi hai reclutato tu. Conosci la mia storia molto bene. Sono
stato un ragazzo molto problematico, per usare un eufemismo. Non ho mai
accettato il lavoro di mia madre. Quando è morta non sapevo
dove incanalare la mia rabbia e sono diventato un delinquente e un violento. Ho
Passato la mia prima adolescenza nei sobborghi di Londra, tra pestaggi e
accoltellamenti. Poi un bel giorno ho conosciuto mio padre. Quello stronzo non
si era mai fatto vedere, non avevo idea di chi fosse, ma mi disse che mi voleva
pagare gli studi. In un primo momento volevo farlo fuori, ma poi ho accettato e
sai perché? Quello voleva mettersi a posto la coscienza. Mia madre era morta e
non era venuto neanche una volta in ospedale a trovarla. La amava, ma si
vergognava di lei. Ho capito quanto fosse debole e non ho voluto essere come
lui. Non lo sarò mai. Ho preso i suoi fottuti soldi e ho studiato. Ho voluto
provare a costruire il mio futuro senza fare l’orgoglioso del cazzo, che rimane
a sguazzare nella merda per non accettare i soldi di un padre assente. Ho
semplicemente preso l’unica cosa buona che era in grado di darmi e l’ho girata
a mio favore. Da quel momento la mia vita è svoltata».
«C’è stato un tempo in cui anche io ho pensato di costruire qualcosa» ammise
serio Erwin «Ero all’accademia, volevo seguire le orme di mio padre, ma non
avevo le idee ancora così chiare. Lei lavorava alla mensa, si chiamava Marie.
Mi faceva sentire sempre sulle spine. Non era lei, ma quello che provavo per
lei. Era qualcosa che non riuscivo a controllare. Lei mi destabilizzava ed era
una sensazione nuova e sconvolgente per me. Mi innamorai e iniziammo una
relazione. Poi un giorno venne da me. Era spaventata, ma nonostante ciò i suoi
occhi tradivano una luce insolita».
L’uomo si prese una pausa e bevve di nuovo. Levi notò che era sofferente e si
stupì, erano più di dieci anni che lo conosceva e non lo aveva mai visto così
fragile. Rispettò però il suo silenzio senza incalzarlo.
Dopo aver bevuto l’ennesimo bicchiere di Bourbon Erwin continuò: «Aveva un
ritardo. Pensava di essere incinta ed era felice. Io invece ero terrorizzato.
Lei già volava con la fantasia e io, benché non l’avrei certo lasciata al suo
destino, mi sentivo a disagio. Mi sentivo legato ad un laccio prima ancora di
esserlo effettivamente. Alla fine risultò un falso allarme e il mio sollievo
dovette essere davvero evidente, perché lei se ne rese conto e da lì la cosa si
incrinò, fino a rompersi del tutto».
Erwin sospirò e si ravvivò i capelli che erano un po’ scomposti. Non
aveva mai parlato con nessuno di questa cosa, ma con Levi c’era un rapporto di
stima molto forte. Certo non erano amiconi, non di quelli che si frequentano al
di fuori dal lavoro, o da grandi pacche sulle spalle. Forse in quel senso lo
era più con Hanji, almeno fino a quando non si era messa con Levi. Ad ogni modo
non ne aveva mai parlato neppure con lei. Era una cosa che aveva semplicemente
deciso di accantonare e di tenere a cuccia da qualche parte, fingendo di
essersene dimenticato per sempre.
«Alla fine ci siamo lasciati, lei si è licenziata e non ne ho più saputo più
nulla. Fine della storia».
«Capisco» disse semplicemente Levi. Non era molto bravo in questo genere di
cose, però avvertiva quanto Erwin fosse turbato «Forse non era la persona
giusta per te. O forse semplicemente non era il momento giusto, non eri
preparato, non è detto che non ci siano altre occasioni».
Erwin ridacchiò «Sai che sentirti parlare così mi fa uno strano effetto? Non
sembri più tu. Credo che stare con Hanji ti abbia fatto bene».
«Sennò che cazzo ci starei a fare scusa?» puntualizzò Levi.
Bevvero l’ennesimo bicchiere di Whisky la bottiglia era quasi finita e loro
erano decisamente ubriachi, ma ancora abbastanza lucidi, e anche molto sciolti.
«Mi sono sempre chiesto come mai fra tante donne proprio lei. Siete così
diversi» commentò a voce alta Erwin.
«Intanto perché non è una figa di legno» commentò serio Levi «Con lei posso
essere me stesso fino in fondo. Lei mi capisce. Ha migliorato la qualità della
mia vita. È tutto molto più semplice di quello che andiamo cercando da un
rapporto di coppia. Quando con una persona non hai bisogno di fingere e sei in
grado di mostrare i tuoi malumori, ma soprattutto le tue debolezze, senza che
lei ne approfitti, allora è quella giusta. Con lei sto bene anche in silenzio, anche
se capita di rado, sai quanto possa essere logorroica. Poi che posso dirti? Lei
mi piace, la trovo bella, sexy e adoro il suo cervello, mi prende un casino, ma
più che altro lei mi calma, mi da tranquillità».
«È bello sentirti parlare in questo modo» disse Erwin alzandosi e dando una
pacca sulla spalla a Levi. «Chissà, magari un giorno riuscirò anche io ad avere
qualcuno così accanto. Ma prima devo capire che è capitato a mio padre…».
Si era alzato anche Levi «Te lo auguro, ma Erwin, devi volerlo. Non capiterà
mai qualcuno ti venga a cercare bussandoti alla porta di casa. Ora sarà meglio
andare a letto, o non smaltiremo mai tutto questo alcool!» concluse.
«È stato davvero bello, come ai vecchi tempi, bere e ubriacarci come nelle
nostre prime missioni in Afganistan» commentò Smith ancora un po’ frastornato
da tutte quelle confidenze che si erano scambiati.
Rimasero un attimo in silenzio, forse anche un po’ in imbarazzo per come si
fossero aperti l’un l’altro, cosa che non avevano mai fatto prima.
«Senti Levi… questa conversazione…» cominciò a dire Erwin.
«Non è mai avvenuta!» concluse Levi serio troncando il discorso.
Smith fece un cenno d’assenso e ognuno dei due, barcollando appena, si diresse
verso la propria camera.
I monologhi dell’autrice
Ciao il ripostaggio continua.
Grazie a chiunque legga e/o rilegga!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 8 *** Benvenuti a Marley ***
Se ti stai chiedendo perché
stai leggendo il capitolo 8 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
8
Benvenuti
a Marley
Zeke finalmente si fece vivo.
La sera prima di recarsi a Marley fecero un breve briefing per mettere a punto
alcuni dettagli.
«Ragazzi domani non sappiamo a che cosa andremo incontro.
Speriamo sia una ricognizione tranquilla, cercheremo di reperire informazioni
su Damned, ma se qualcosa dovesse
andare storto dobbiamo restare uniti. Non sparpagliamoci e non disperdiamoci.
Facciamo quadrato e copriamoci le spalle» spiegò Erwin.
«Se avete qualche dubbio, o vi trovate in una situazione difficile, la cosa
migliore è agire d’istinto. Nessuno vi può dire a priori cosa sia giusto, o
cosa sia sbagliato. Fidatevi del vostro sesto senso, quello non vi mentirà mai e
non avrete rimpianti» aggiunse Levi.
«Non usate le armi se non è strettamente necessario. Non andiamo lì per fare
del male ai civili» concluse Hanji.
I ragazzi ascoltarono, annuirono e non dissero niente. Sapevano per esperienza
che era meglio restare concentrati e affrontare eventuali problemi al momento
che si fossero presentati, almeno così erano stati addestrati a fare.
La mattina seguente, arrivati a
Marley constatarono che Zeke aveva detto il vero, l’area era tutta recintata.
Era una specie di ghetto, o peggio una sorta di colonia penitenziaria. Non si
capiva bene. Vi si poteva accedere solo dopo aver lasciato le generalità, a
quello che sembrava un posto di controllo. Fu Zeke a registrarsi e a garantire
per loro, sembrava popolare e molto conosciuto, quindi i guardiani non mossero
nessuna obiezione a farli passare.
Ad Erwin questa cosa dette nell’occhio, ma non solo a lui. Levi lo guardò e si
capirono al volo. Sarebbe stato l’ombra di Zeke, qualunque passo falso avesse
tentato di fare, ci avrebbe pensato lui.
Appena all’interno, si resero
subito conto del degrado di quel posto. Gli edifici erano vecchi, sudici, con
le facciate usurate dal tempo e dalla salsedine. Molti muri erano danneggiati
da varie crepe e imbrattati da graffiti strani. Le strade erano semideserte e
sporche, con mucchi di spazzatura abbandonati un po’ ovunque. L’aria era fetida
e regnava un silenzio sinistro che prometteva guai.
«Lasciate le Jeep qui. Proseguiamo a piedi. Aspettaci dentro le macchine» disse
Zeke a Niccolò e Floch.
«Ehi barbone, chi cazzo ti ha dato il comando?» gli chiese Levi piuttosto
infastidito.
«Zeke è esperto del luogo, ci farà solo da guida » tagliò corto Erwin per non
attizzare il fuoco tra i due.
Hanji si scambiò un’occhiata con Levi, in quel momento capì perché quello
non gli piacesse.
«Il capitano sembra non fidarsi di questo Zeke» commentò a bassa voce Jean.
«Io non mi sento di dargli torto» rispose Armin.
«Questo posto mi mette i brividi!» aggiunse Connie guardandosi in giro.
Sasha si passò una mano dietro la schiena e accarezzò la sua fida balestra: «Quando
ho con me la mia bambina non temo
nessuno!».
«Lo sai che un’arma fuori ordinanza, vero?» la riprese Jean.
«Siamo in una missione a dir poco inusuale, mi riservo di portare con me le
armi che mi fanno sentire più al sicuro».
«Se avete finito di fare conversazione possiamo andare. Indossate tutti il
giubbotto antiproiettile?» chiese Levi.
«Sissignore!» risposero in coro.
«Ti piace comandare eh Levi? Cos’è, ce l’hai piccolo?» lo apostrofò Zeke beffardo.
Lo stava provocando e a Erwin questa cosa non piacque per niente.
«Ancora fissato con le misure del tuo cazzetto, barbone? Non sei abbastanza
grande da capire che non importa la grandezza
ma sapere come usarlo bene?».
Levi non cadeva mai in questi tranelli era troppo intelligente.
«Sembrate due ragazzini stupidi, che ne dite di farla finita? Siamo qui per una
cosa seria» sbottò Hanji che invece era nervosa. Non le piaceva niente di
quella situazione. Esigeva che fossero concentrati e non distratti a
punzecchiarsi.
«Questo tuo modo di fare Zeke non è serio e non va bene. Ti sto dando il
beneficio del dubbio solo perché mi serve il tuo aiuto, ma non fare mosse
sbagliate. Potrei farti conoscere la mia parte meno gentile» gli disse Erwin con uno sguardo che metteva paura.
«Chiedo scusa, mi piace scherzare» si giustificò l’uomo facendo la faccia più
innocente possibile «Non si ripeterà più, scusami Levi, sono stato un vero
stupido!» aggiunse.
Barbone di merda! pensò il capitano a
denti stetti, senza però degnarlo di una parola.
«Facci strada» gli intimò Erwin.
«È più sicuro se camminiamo in fila indiana rasenti ai muri, armi in pugno. Questo silenzio e questa
strana desolazione non piace neppure a me. Potremmo essere attaccati dai
residenti da un momento all’altro, qui i visitatori non sono mai i benvenuti» spiegò
Zeke, che pur essendo disarmato s’era messo in testa alla fila.
Hanji non capiva perché se c’era tutto questo pericolo, quel tipo si perdesse a
provocare Levi e poi si esponesse così, senza neppure l’ausilio di una pistola,
la cosa non le quadrava.
Fece cenno ai ragazzi di stare in guardia. Avanzavano compatti e con
circospezione, guardandosi spesso alle spalle.
«In quella casa laggiù ci dovrebbe essere chi ci darà le informazioni che
cerchiamo!» li avvertì Zeke, indicando un palazzo più fatiscente di quelli che
avevano visto sino ad allora.
Stavano procedendo con cautela quando improvvisamente sentirono una sorta di grido
agghiacciante che sembrava il verso di un animale, ma che non lo era. Una sorta
di urlo-ululato-ruggito.
Come dal nulla spuntò qualcosa che si muoveva veloce. Attraversò la strada,
correndo a quattro zampe.
Non fecero in tempo a rendersi conto di quello che stava succedendo che quella
specie di ominide mutarforma, spiccò un salto e piombò su Zeke. Tirò fuori gli artigli e gli squarciò il
petto, poi urlando e ruggendo lo azzannò ad un braccio e lo trascinò via scomparendo
dietro un vicolo. Sentirono subito l’uomo che urlava in maniera disumana dal
dolore. Poi dei versi, come se quella
cosa se lo stesse mangiando a morsi.
Fu una cosa indescrivibilmente orrenda e terrificante.
Erano tutti pietrificati, completamente attoniti, non avevano avuto il tempo di
reagire, anche perché si era svolto tutto in un lampo.
«Presto mettiamoci al riparo» urlò Erwin il quale intuì che non fosse finita lì.
«Faccio un giro di ricognizione» disse Levi mettendo mano ad una delle sue Sig
Sauer(1) calibro nove.
«Stai attendo, mi sembra molto pericolosa la
faccenda» lo ammonì Erwin.
«Non preoccuparti». E sparì dietro un palazzo correndo rasente il muro.
«Che diamine era quello!» chiese Connie atterrito mentre si stava nascondendo tra
una parete e un auto.
«Non lo so, se non fosse una follia direi che sembrava una sorta di zombie-animale-mutaforma»
rispose Sasha che l’aveva raggiunto e s’era accovacciata accanto a lui.
«E che cazzo! Siamo finiti in film di Romero?» chiese retoricamente Jean
levando la sicura alla sua Glock(2) semiautomatica. Era pronto a vendere cara la pelle. L’adrenalina
gli scorreva già copiosa in corpo.
«Ma… ma… se l’è mangiato?» chiese Connie sempre più terrorizzato.
«Parrebbe di sì» confermò Sasha che aveva appena impugnato la sua balestra.
Stranamente era fredda, come se quello scempio appena accaduto non l’avesse
minimamente toccata.
Dalla parte opposta del vicolo, dietro un rientro, spuntò la capigliatura
bionda di Erwin: «Ragazzi state calmi, non muovetevi, non sappiamo se se n’è
andato davvero, o se ce ne sono altri. Restiamo in attesa della ricognizione di
Levi. Hanji intanto sta cercando informazioni con il satellitare. Poi batteremo
in ritirata».
«Non riesco a trovare niente di niente, la linea è disturbata, non c’è
connessione» disse la donna che era riparata qualche metro più avanti dietro un
furgone.
All’improvviso sentirono di nuovo un verso inquietante, ma diverso dal
precedente.
Poi silenzio.
«State tutti fermi!» intimò Erwin.
C’era una calma strana: loro, la strada deserta e dei rumori sinistri che si
avvicinavano sempre più.
Era difficile stare immobili, in attesa, ma quelli erano gli ordini di Erwin.
All’improvviso si palesò un altro mostriciattolo. Non era spaventoso come
quello che aveva aggredito Zeke. Aveva le fattezze di un uomo, più alto della
media, forse due metri, si muoveva veloce e molto scoordinato.
I suo aspetto però era raccapricciante. Era sproporzionato in un modo bizzarro
e aveva l’espressione vacua, persa nel vuoto, la bocca aperta e piena di bava. All’improvviso
si fermò di colpo e prese ad arrampicarsi su un muro come fanno i ragni,
intanto sembrava annusasse l’aria.
«E questo da dove cazzo spunta?» chiese Connie sempre più agitato.
«Non ho idea, ma la cosa non mi piace» commentò serio Jean.
«Erwin aveva ragione ce ne sono altri» commentò sommessamente Armin che stava
cercando di capire in quale girone infernale fossero finiti.
«Allora quello che azzannato Zeke se n’è andato? Ma lui sapeva dell’esistenza
di queste creature? Perché ci ha portati qui?» si interrogava a voce alta Hanji
molto turbata.
«Sembra che ci stia cercando» bisbigliò Armin ad Hanji.
L’uomo tipo aracnide era arrivato proprio sopra di loro.
«Non fare un fiato» disse pianissimo la donna ed estrasse la sua pistola.
Intanto quello, a sorpresa, prese a spostarsi lateralmente, in direzione di
Sasha, Connie e Jean. Non aveva molto senso quello che stava facendo, sembrava
si muovesse a caso.
«Oddio che schifo sembra un ragno gigante!» commentò Jean che non aveva molta
simpatia per quelle bestiole.
«Ma non possiamo sparagli?» chiese Connie.
«Aspettiamo il via da Erwin» li fermò Sasha puntandolo con la balestra.
In quel momento si spalancò una finestra, era di un appartamento proprio sotto quell’uomo.
Sbucò Levi che impugnando tutte e due le sue Sig Sauer calibro nove, cominciò a crivellarlo di colpi.
Quello fece per ripararsi, ma i colpi lo raggiunsero numerosi, riducendolo un
colabrodo. Cominciò ad urlare in un modo agghiacciante e poi cadde a terra.
Sembrava morto.
Con prudenza uscirono dai loro nascondigli e gli si avvicinarono sempre con le armi
in pugno. La cosa curiosa che li colpì era che dai fori di proiettile usciva del
fumo piuttosto copioso, come da un comignolo in pieno inverno.
Levi si lanciò dal davanzale della finestra e atterrò con eleganza in un terrazzo,
poggiò le mani sulla ringhiera e con uno slancio balzò ancora a un piano inferiore, per poi atterrare vicino
alla sua vittima. Praticava parkour(3) da quando era stato nel Mossad ed era agilissimo, oltre che veloce,
la sua corporatura brevilinea lo facilitava molto.
Come fu vicino a quello che tutti ritenevano ormai un cadavere, si rese conto
che le ferite si stavano magicamente rimarginando.
«Che razza di diavoleria è mai questa?» commentò Jean a bocca aperta.
«Ragazzi stiamo attenti» disse Erwin preoccupato. Le cose erano assai peggio di
come credesse.
Non ci fu modo di dire altro perché si accorsero che stavano arrivando, di
corsa, un gruppo di esseri simili all’aracnide venuto male, che
puntavano dritti su di loro.
«Via, via via! Corriamo alle Jeep!» urlò Erwin.
Cominciarono a sparare più che poterono e poi presero a correre all’impazzata.
Più correvano e più sembrava che quei mostri gli fossero vicini. Con la forza
della disperazione raggiunsero il luogo dove ci sarebbero dovute essere le Jeep.
Ma non erano lì…
«Cazzo! Dove sono finiti quei due?» grugnì Levi e si guardò veloce intorno.
Bisognava pensare e agire in fretta, o non sarebbero usciti vivi da quel posto.
Lo precedette Armin. Aveva adocchiato un autobus: «Presto dobbiamo salire tutti
sul tetto» disse concitato indicandolo. Aveva capito che stare in alto poteva
essere un’ancora di salvezza.
«Come facciamo a salirci?» chiese quasi disperato Connie.
Levi saltò su cofano di un’auto, poi sul tettino, quindi balzò sull’autobus.
«Forza muovetevi veloci!» li incitò ad imitarlo «Ottima pensata Armin!» disse
poi rivolto al ragazzo mentre lo aiutava salire.
Abbastanza rapidamente si ritrovarono tutti in cima al mezzo.
«Cercate di tenerli occupati! Io vedo di far partire quel pik up. Non possiamo
rubare due macchine, non faremmo mai in tempo» disse Levi, facendo un cenno con
la testa verso quel mezzo lì vicino.
I mostri intanto si erano tutti addossati all’autobus, urlavano e si
dimenavano, questione di poco tempo e lo avrebbero ribaltato, oppure si
sarebbero arrampicati.
«Non ce la puoi fare Levi» disse Erwin molto preoccupato.
«Sì, invece» gli rispose caparbio il capitano «Distraeteli e sparate a più non
posso!» disse prima di buttarsi giù dall’autobus, atterrare elegantemente a
terra, per poi lanciarsi in scivolata dietro un’automobile, per ripararsi.
Era stato fortunato non lo avevano notato.
Procedette accucciato dietro le auto parcheggiate fino ad arrivare al pik up. Grazie
al suo passato da delinquente non gli ci volle molto, con una gomitata ruppe il
vetro, entrò, e lo mise in moto facendo una semplice modifica ai cavi di
trasmissione.
Per facilitare gli altri a saltare dietro, nel vano scoperto della vettura, arrivò
veloce in retromarcia vicino all’autobus, dalla parte opposta di dove erano ammassati
i mostri.
«Forza Ragazzi. Veloci!» intimò Erwin mentre continuava sparare senza posa
contro quegli esseri disumani.
Il primo a saltare fu Connie, seguito da Armin e poi Sasha.
Stava per saltare anche Jean, quando alcuni dei mostri fecero il giro del mezzo
e tentarono di gettarsi contro il pick up.
«Tenetevi forte!» urlò Levi e cominciò a guidare come un pazzo cercando di
liberarsi da loro.
Purtroppo nel frattempo gli altri mutaforma erano riusciti a ribaltare
l’autobus.
Erwin, Hanji e Jean ora si trovano in grave pericolo. Erano a terra forse anche
malconci per la caduta e quegli esseri li stavano circondando. Loro tre si erano
messi in cerchio, schiena contro schiena, e sparavano come dei pazzi in tutte
le direzioni per tenerli a distanza e non farsi sopraffare.
Levi allora fece un testa coda e schiacciò l’acceleratore a tavoletta, puntando
dritto contro i mostriciattoli. Era una mossa disperata ma non c’era molto
altro da fare.
L’impatto fu tremendo e il pick up si rovesciò su un lato. Armin, Connie e
Sasha furono sbalzati fuori. Levi rimase dentro incastrato dall’air bag.
Era finita. Non avevano scampo.
«EHI!» sentirono urlare dall’alto.
«Tutti al riparo! PRESTO!».
Alzarono lo sguardo e videro sul tetto dell’edificio sopra di loro Mikasa
Ackerman che impugnava un enorme lanciarazzi. Inguainata in una tuta nera si
stagliava fiera, come una novella Minerva contro l’azzurro cobalto del cielo di
Marley. Una sciarpa rossa le sventolava al collo. Sembrava davvero una dea
della guerra!
Una dea con una tempistica ottima tra l’altro.
Non ci fu tempo neppure per rallegrarsi, si sparpagliano e velocissimi andarono
al riparo, mentre la ragazza sparò con precisione millimetrica la prima granata,
che fece saltare in aria un buon numero di quei mostri, che presero a fumare.
Poi estrasse una specie di pistola, che teneva infilata in un cinturone che
aveva sui fianchi. La puntò al palazzo di fronte e mirò. Non uscì un proiettile
ma un cavo d’acciaio con un rampino che arpionò il muro, permettendole di
scendere molto veloce e sparare una seconda granata in picchiata.
Arrivò quindi al pick up dove Levi si stava per liberare e lo aiutò.
«Finalmente sei arrivata! Alla buon ora eh?» bofonchiò il capitano.
«Ho fatto del mio meglio, nano-malefico».
«Non dovresti usare i nostri nomi in codice» la brontolò.
«Forza muoviti. Dobbiamo evacuare. Subito!».
«Mikasa! Ma sei davvero tu?» le corse incontro Armin.
«Sì, ragazzi sono proprio io, ma i convenevoli rimandiamoli a dopo, ora bisogna
fuggire al più presto da qua!».
Raggiunsero non senza fatica il mezzo della ragazza, in qualche modo entrarono
tutti dentro e poi se la diedero a gambe levate.
Forzarono il posto di blocco all’uscita della recinzione, rischiando di investire
i custodi, ma alla fine, miracolosamente, ce la fecero a lasciare Marley sani e
salvi.
I
monologhi dell’autrice
Stasera
mi porto avanti e posto 4 capitoli invece dei canonici 2
Sto cercando di mettermi in pari il più in fretta possibile!
Note:
(1) e (2) ho fatto una breve ricerchina su internet data la mia assoluta ignoranza
in merito e sembra che le Sig Saur e le Glock siano delle pistole famose e
usate nei vari corpi, anche speciali, tra cui la CIA.
(3) Il parkour è uno sport che nasce in Francia negli anni ottanta, il suo fine
è lo spostamento di sé nel miglior modo possibile, al fine di sfruttare al
massimo l’efficienza del proprio fisico in funzione della velocità. Non esiste
un ostacolo in grado di fermare che pratica il parkour, si passa ovunque e nel
più breve tempo possibile, nonché nel modo più adatto rispetto all’ostacolo.
(fonte www.sapere.it)
|
Ritorna all'indice
Capitolo 9 *** (The) Damned ***
Se ti stai chiedendo perché
stai leggendo il capitolo 9 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
9
(The)
Damned
Si erano riuniti in camera di Erwin, perché dopo quello che era accaduto
dovevano assolutamente fare il punto della situazione.
«Bene ci siamo tutti» disse il comandante molto serio «lascerei la parola a
Mikasa. Lei ha condotto in loco alcune indagini per nostro conto».
Levi era davvero contrariato, tutti e due gli avevano taciuto informazioni
importanti e questo non gli andava giù. Hanji a differenza sua era più propensa
a dar loro almeno il beneficio del dubbio.
Comunque una cosa gli era chiara: Erwin sapeva molto di più di quello che aveva
detto loro sino ad allora.
Gli altri erano fuori da certe dinamiche ed erano solo felici di essere
tornati alla base sani e salvi, ma soprattutto di aver ritrovato un’altra
vecchia compagna di corso del centroquattresimo.
La ragazza, molto seria, sospirò e poi prese la parola: «In questa isola si
conducono esperimenti di modificazione genetica su esseri umani».
«In che senso?» chiese Armin davvero sorpreso.
«Li modificheranno come fanno per la frutta e la verdura no?» commentò Connie
con fare da saputello.
«In realtà la faccenda è molto più complicata» li interruppe Mikasa.
«E allora spiegaci. Sono molto curiosa. Questa cosa mi affascina moltissimo,
non vedo l’ora di saperne di più!» commentò Hanji con gli occhi che le
brillavano.
Ti pareva! Pensò Levi che intanto guardava Mikasa di traverso, era
molto arrabbiato con lei, ma la ragazza sostenne il suo sguardo aveva i suoi
buoni motivi per averlo tenuto all’oscuro.
«Ti prego vai avanti» la invitò Smith.
«A largo di questa isola furono scoperti svariati giacimenti di petrolio,
così molti immigrati vennero qui a lavorare sulle piattaforme per estrarlo. Era
un’occasione ghiotta, si guadagnava bene. In un secondo tempo, grazie alla sua
posizione strategica e oscurata dalle cartine geografiche, questo posto, da
parte del governo, fu trasformato in un centro segreto per esperimenti nucleari
di nuova generazione ».
«Come mai quest’isola non è segnata nelle cartine geografiche? Non mi sembra
proprio un sputo di terra, anzi» chiese Levi.
Fu Erwin a prendere la parola questa volta: «Paradise fa parte di un progetto
militare. È un’isola completamente artificiale. Un esperimento che è stato
portato a termine per capire se, in questo modo, si potranno terraformare un
giorno pianeti come Marte. È una sorta di enorme satellite ma poggiato sulla
superficie marina, con tutte le caratteristiche di un’isola vera. In più è
protetto da una sofisticata rete di ologrammi che la occultano, mostrando solo
la percezione di una piccola isoletta(1). Questi particolari sistemi fanno anche in modo che non entri mai
in collisione con navi, natanti di ogni genere, e non sia rilevata da alcun
radar, neanche quelli più avanzati. Un esperimento che è stato utile sia a
livello scientifico, che a livello di sicurezza militare. Paradise è comunque
considerata una specie di seconda Area 51, ma sul mare. Nelle alte sfere si sa
che esiste, ma non se ne parla mai apertamente. Queste sono quel genere di
informazioni riservatissime a cui pochissimi alti funzionari hanno
accesso. È tutto Top Secret. Ovviamente gli abitanti che risiedono qui da
quando gli fu fatto credere che fosse stata “scoperta” ne sono del tutto
ignari. Che sia un’isola che si può visitare è poi un’ottima copertura. Così
come la nomea di Marley che tiene alla larga curiosi da quello che è il fulcro
di ciò che abbiamo visto e di quello che succede realmente qui».
Erano tutti a bocca aperta.
«Se lo sapeva, perché non ci ha detto niente?» chiese Armin.
«Già perché Erwin?» rincarò Hanji.
«Ordini tassativi dall’alto, e quando dico alto, mi riferisco
direttamente il Presidente in persona, potevo solo obbedire. Continua pure
Mikasa» concluse rivolto alla ragazza.
«Come stavo dicendo Paradise era per lo più abitata da migranti, che lavoravano
nelle piattaforme, e nessuno fu avvisato degli eventuali pericoli relativi agli
esperimenti, che furono condotti segretamente. Gli effetti prodotti da questo
comportamento criminale da parte del governo furono devastanti. Le persone
cominciarono ad ammalarsi e a morire come mosche. Fu creata una bugia di
facciata e fu data la colpa al petrolio, all’inquinamento e al cibo
geneticamente modificato, che ormai era quasi su tutte le tavole. Questa bugia
per un po’ resse, ma quando cominciarono a nascere bambini già malati e
gravemente deformati, la verità cominciò a farsi strada, così il governo, prima
che trapelassero queste notizie dall’isola, avviò un progetto per cercare una
cura. Lo chiamarono progetto Ymir.
Il medico che state cercando, tra tutti gli scienziati di fama mondiale, fu
quello che miracolosamente trovò una sorta di cura. Venne mandato qui, per
testarla, poi un bel giorno se ne sono perse le tracce, come già sapete. Quegli
esseri che avete visto sono il risultato dei suoi esperimenti, di cui so
veramente poco in realtà. Più o meno quello che avete potuto vedere anche voi».
Hanji la ascoltava rapita «Tutto ciò è meraviglioso!» le scappò detto
emozionata. La scienziata che era in lei cozzava malamente con il suo essere
agente segreto.
«Meraviglioso un cazzo!» sbottò Levi, poi aggiunse «tutte queste informazioni
dove le hai reperite?» e si girò di scatto verso Erwin «Tu sapevi anche questo
vero?».
«Sapevo degli esperimenti, non potevo dirvi che andavamo a dare la caccia ad
esseri umani geneticamente modificati, come minimo mi avreste riso in faccia! È
una faccenda seria Levi, se questa cosa esce da quest’isola, t’immagini quello
che potrebbe accadere?».
«Anche a me dispiace non averti detto nulla quando ci siamo sentiti, ma davvero
non potevo» si giustificò Mikasa.
«Ma chi ti ha rivelato tutte queste cose?» chiese Jean che voleva capire.
Sasha era rimasta in silenzio, tra tutte le follie che avesse potuto immaginare
in merito, questa era in assoluto la più incredibile di tutte.
«La maggior parte mi sono state fatte da una persona direttamente coinvolta,
altre le ho sapute da chi sta cercando di arginare il problema in loco»
cominciò a spiegare guardinga.
«Non farti problemi parla pure» la esortò Erwin.
«La persona direttamente coinvolta è… Eren…» confessò in fine. «EREN???!»
chiesero esterrefatti in coro Jean, Armin, Connie e Sasha. Anche lui era un
altro del centoquattresimo.
«Ma quello schizzato, non è stato buttato fuori dall’agenzia per gravi problemi
psicologici, che diavolo ci fa qua?» chiese irritato il capitano.
«Levi vacci piano, ti ricordo che io ed Eren dovevamo sposarci» lo fulminò
Mikasa con uno sguardo semi-omicida.
I ragazzi intanto ascoltavano allibiti.
«E ringrazia tutti i Santi del Paradiso che quel piccione non ti abbia cacato
in testa ricoprendoti di merda!».
«Levi finiscila, o mi incazzo per davvero» lo ammonì Mikasa.
Fu a quel punto che Hanji lo toccò su un braccio e lo guardò severa. Non lo
faceva mai, se non quando lui andava assolutamente fermato, come in questo
caso.
«Eren in realtà è il nostro uomo. È lui Damned. Era sotto copertura. Per nessun
motivo potevamo svelare il suo nome».
«Non mi dire! Top Secret anche questo?» chiese molto sarcastico Levi.
«Lo sai come funziona è inutile che te la prendi con me. Alcune cose posso
condividerle, altre no. Anche io devo rendere conto ai miei superiori!» sbottò
Erwin, poi si rivolse alla ragazza «Mikasa sei riuscita a sapere se Eren ha
rintracciato il medico e chi sia?».
La ragazza annuì «Il medico in questione è suo padre… Grisha Jeager».
Ancora una volta rimasero tutti sorpresi.
«Ecco il tassello che mi mancava» commentò il comandante.
«Eren non è mai stato in buoni rapporti con lui. Soprattutto per quel fattaccio
di cronaca nera accaduto quando era un ragazzino. Vi ricordate vero che la sua
ex moglie si presentò a casa loro e sparò in testa a Carla, la madre di Eren?
Poi ci andò di mezzo proprio suo padre, lui era presente e vide tutto, non
sapeva neppure che su padre avesse avuto un’altra moglie. Credo che i suoi
problemi nacquero in quel momento, poi il mestiere che ha scelto ha peggiorato
ulteriormente le cose. È come se il suo cervello, ad un certo punto, fosse
andato in corto circuito».
Prese un attimo fiato e poi continuò «In realtà Eren, come ha detto Erwin, non
ha mai smesso di lavorare per l’agenzia. Hanno sfruttato i suoi problemi per
mandarlo allo sbaraglio in questa isola, a cercare il medico. Uno come lui non
ha paura di morire, né di fare cose eticamente sbagliate. Una manna per la
CIA».
«Quindi ora che si fa?» chiese Levi, che evitò di esternare ciò che pensava su
tutta la faccenda.
«Dobbiamo riorganizzarci. Per affrontare quei mostri dobbiamo avere le giuste
armi, avete notato vero che sparandogli non muoiono? So chi può aiutarci. Se
non saremo pronti ci faranno fuori come mosche, e teniamo conto che ora siamo
bersagli mobili, soprattutto se ci ripresentassimo a Marley. Inoltre voglio
assolutamente salvare Eren. Voglio portarlo via di qua e voglio che si curi. Su
questo non transigo, o me ne chiamo fuori subito».
«Penso di parlare a nome di tutti noi del centoquattresimo: siamo d’accordo con
Mikasa, dobbiamo salvare Eren».
«Parla per te Armin» lo corresse Jean «Per me Eren può anche andare a farsi
fottere. Non credo che rischierei la mia vita per quella grandissima testa di
cazzo».
Mikasa gli si avvicinò «Perché fai lo stronzo?» gli chiese.
Lui la guardò come si guarda una di quelle cose bellissime, che però portano
con sé la consapevolezza che non saranno mai tue. «Me lo chiedi pure?» le
chiese scuro. Poi le scostò i capelli e passò l’indice sulla cicatrice che
aveva sullo zigomo «Ti ha quasi ammazzata» le disse ricordando quando in preda
ad una delle sue crisi isteriche e rabbiose, durante un’esercitazione, aveva
preso a sparare all’impazzata colpendo di striscio Mikasa al volto.
Lei si scostò appena da quel contatto. Lui non seppe dire se era per via che
era infastidita, o turbata.
«Jean lo sai che non voleva farmi del male e io so che tu non lasceresti mai
indietro un compagno. Dici di odiarlo, ma non è così»
«Tu non sai cosa sento, né cosa provo. Non sai niente di niente. Se lo farò,
sarà solo per far piacere a te. Di certo non per lui».
Lei aveva sempre avuto il potere di fargli cambiare idea.
«Grazie» gli disse sinceramente grata e poi guardò Levi, aveva bisogno di lui e
della sua forza, da sola non ce l’avrebbe fatta.
«Va bene. Ti aiuterò anche io» le rispose scocciato, ma lei già sapeva che
neppure lui si sarebbe tirato indietro.
«Siamo tutti con te Mikasa. Porteremo via Eren e suo padre. E metteremo fine a
questa follia» disse infine Erwin.
*
Più tardi nella sua camera Mikasa stava ripensando al suo ultimo
incontro con Eren di qualche giorno prima. Era stato davvero devastante.
Lo aveva trovato completamente diverso. Più magro, i capelli lunghi fino alle
spalle, la barba di tre giorni, gli occhi vacui e infossati. Sembrava sotto
stupefacenti. Aveva una sorta di lucida follia che gli brillava nelle iridi,
faceva accapponare la pelle.
Le aveva raccontato che cosa accadesse realmente in quell’isola e poi aveva
cominciato una sorta di delirio d’onnipotenza che l’aveva devastata.
Blaterava di una fantomatica missione che doveva portare avanti a qualsiasi
costo. E lei credette si trattasse di quella della CIA.
«Mikasa a volte ho come un nido di scorpioni che mi brulicano nella mente,
senza posa» le aveva confessato in un attimo di semi lucidità e poi l’aveva guardata
come se non la vedesse, come se fosse allucinato.
Si teneva la testa tra le mani e digrignava i denti «Devo fare qualcosa
capisci? Questo mondo è malato, sta morendo e deve essere radicalmente
riedificato. Siamo esseri indegni, bisognerebbe davvero trovare coraggio di
estinguere la razza umana, perché solo questo ci meritiamo».
Lei era rimasta completamente spiazzata nel vederlo così fuori di sé. Non
capiva che cosa gli passasse per la testa e aveva paura.
La guardava con quegli occhi verdi, che spesso l’avevano fatta fremere e che
ora sembravano due pozze d’acqua torbida.
«Ti ho voluta accanto a me perché tu potresti diventare parte di un grande
progetto se lo vorrai. Rimarremo in pochi alla fine, ma avremo il mondo ai
nostri piedi».
«Eren io non capisco di cosa tu stia parlando».
«Sei sempre stata al mio fianco, mi hai sempre coperto le spalle. Voglio che tu
continui a farlo».
«Ma infatti sono qui. Mi hai chiamata e sono corsa da te, nonostante la nostra
storia sia finita…» ammise amaramente.
Non ne avevano più parlato da allora, anzi lui era proprio sparito.
Eren la guardò come se volesse indovinare i suoi pensieri.
«Dimmi Mikasa, che cosa sono io per te? Perché se io ti chiamo, tu corri subito
da me, anche se ci siamo lasciati?» le aveva chiesto a bruciapelo come se
volesse mettere a nudo i suoi pensieri.
Lei sentì davvero male al cuore nel sentirsi fare quella domanda. Era andata da
lui perché ancora gli voleva bene, era tanto difficile da capire? L’amore può
finire, ma l’affetto no, quello può durare tutta la vita. Almeno per lei era
così. E vederlo dissociato dalla realtà, era penoso.
«Sei uno di famiglia Eren. Tu per me sei come un fratello che ha bisogno di
aiuto. Lasciati aiutare».
«E tu mi darai la tua forza? Diventerai un’eletta?».
«Eren ti prego smettila, non so neanche di che cosa tu stia parlando».
«C’è bisogno di una svolta, bisogna fondare una nuova era! Possiamo addirittura
distruggere la vita umana sul pianeta, se vogliamo. Ci sarà una nuova
generazione fatta di superuomini e superdonne».
Lei pensò che stesse vaneggiando. Forse era davvero drogato. Di sicuro era
fuori di sé. Gli si avvicinò e gli toccò delicatamente un braccio: «Eren ti
prego, dobbiamo tornare a casa. Dimmi dov’è tuo padre».
Le labbra di lui si incurvarono in un ghigno malevolo.
«Ecco, finalmente hai svelato il vero motivo per cui sei qui: mio padre. Sai ti
preferivo quando mi sbavavi dietro come un docile cagnolino» le disse cattivo.
A questo punto lei si ribellò, aveva toccato un tasto davvero dolente. «Anche
io ti preferivo quando eri meno stronzo» gli disse adirata e poi aggiunse «È
stato molto bello tra noi finché è durato, ma poi tu hai fatto la tua scelta
Eren. Non puoi incolpare me. Sei tu che hai mandato tutto a puttane. Sono
cresciuta, non sono più la ragazzina che trattavi male, che però poi cercavi
quando ti andava. Ho sempre giustificato i tuoi atteggiamenti per i traumi che
hai subito, ma ad un certo punto la misura si è colmata anche per me. Non stai
bene, non sei in te, devi accettare il fatto che hai bisogno di aiuto. Io sono
qui per questo, perché ti voglio bene».
«Stai zitta! Un giorno ti pentirai amaramente. Che stupida!» le disse con uno
sguardo torvo che non prometteva niente di buono. Si era completamente
trasformato sembrava un altro e metteva i brividi.
«Le persone non sono cose che si lasciano e si riprendono a piacimento Eren. Tu
hai bisogno di cure. Prendiamo tuo padre e andiamocene, tu sai dove sia?».
Lui le si era avvicinato minaccioso e poi l’aveva spinta in malo modo «Levati
dal cazzo Mikasa. Cosa ne vuoi sapere tu del peso che mi porto dietro? Sono
stato scelto per compiere una missione che cambierà questo modo malato e
marcio. Non puoi capire. Nessuno può capire. Dimentica che esisto. Dimentica me
e mio padre, o sarò costretto a farti del male sul serio» e detto questo,
urtandola con una spallata, se n’era andato, lasciandola sola e molto
amareggiata.
La ragazza non aveva tentato di fermalo perché gli ordini erano stati chiari.
Doveva tenerlo d’occhio e scovare dove fosse il medico, perché quella era la
priorità. Nessuna iniziativa personale prima che l’intera squadra arrivasse a
Paradise.
Inoltre doveva assolutamente capire di che parlasse, se quello che diceva
fossero solo deliri schizzoidi, o se ci fosse un fondo di verità, ma per
carpirgli qualche informazione più chiara, doveva farlo calmare e prenderlo per
il verso giusto e al momento opportuno.
I monologhi dell’autrice
Note:
(1)Questo stratagemma, tipo pianeti artificiali nascosti da ologrammi è comune
a molti prodotti di fantascienza, quindi, no, non mi sono inventata niente, ho
solo usufruito di un’idea comune nel campo dello Shi Fi e l’ho applicata a
questa isola. Cose similari si possono trovare per esempio nelle serie di
Star Trek, ma anche in anime come Capitan Harlock, tanto per citarne un paio.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 10 *** Vamos a la playa ***
Se ti stai chiedendo perché
stai leggendo il capitolo 10 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
10
Vamos a
la playa
Mikasa stava cercando di
prendere contatto con chi li avrebbe aiutati a equipaggiarsi in modo che
potessero tenere testa a quei mostri.
Erano stati giorni molto duri per lei. Era molto combattuta tra il suo senso
del dovere e ciò, che malgrado tutto, la legava ancora ad Eren.
Così quando Erwin aveva proposto a tutti una giornata di relax, ne era stata
felice.
Il comandante aveva pensato che un po’ di svago avrebbe allentato la tensione,
in attesa di quella che si preannunciava una dura operazione, piena di rischi e
incognite.
Del resto stare rintanati in albergo a fare congetture su una situazione così
incredibile, a cosa sarebbe servito?
Nessuno li avrebbe attaccati in un posto turistico svelando che cosa realmente
si celasse in quell’isola.
Inoltre egli stesso aveva bisogno di scaricare un po’ l’irrequietezza derivata
dalla grande responsabilità, che si era preso a coinvolgere tutti loro in
questa missione quasi suicida.
Fu deciso di passare una giornata in spiaggia. Proprio come un gruppo di compagni
di viaggio, che alla fine di un estenuate tour dell’isola, si concede un
momento di relax.
Copertura perfetta.
Erwin aveva sottobraccio la sua tavola da surf ed era in testa al gruppo.
Seguivano Levi e Hanji. Il capitano indossava una camicia hawaiana aperta su un
costume a calzoncino nero e aveva l’espressione di chi sta andando al patibolo.
La donna invece indossava un costume olimpionico e aveva con sé l’immancabile
libro su Fibonacci. Ormai era in fissa.
Seguivano a ruota i ragazzi tutti con costume tipo boxer, salvo Sasha che
indossava un bikini multicolor. Mikasa aveva lasciato detto che sarebbe
arrivata più tardi.
La spiaggia, situata a ridosso dell’albergo, era un brulicare di gridolini e
cicalecci, accompagnati in lontananza dallo sciabordio della risacca. Era una
giornata piuttosto calda, anche se per fortuna il vento increspava le onde quel
tanto che bastava a rendere possibile una bella surfata.
Ewin respirò a pieni polmoni quel salmastro e si sentì subito meglio.
«Oggi possiamo davvero essere come dei turisti, mi raccomando seguite comunque
le regole base del manuale da applicare in questi casi».
Quindi si avviò subito verso l’acqua.
Levi e Hanji, insieme agli altri si accomodarono sotto un gazebo molto
ampio.
«Ragazzi andiamo a fare una bella partita di beach volley?» propose Connie.
«Ci sto!» disse Jean.
«Bene allora dato che tu sei il più alto di tutti ti becchi Armin, così io e
Shasha vi faremo il culo a strisce» ridacchiò impunemente.
«A parte che non sai neppure come gioco, ma per quale motivo decidi tutto tu?»
sbottò Arlert.
«Io propongo, io decido. Semplice no?».
«Lascialo fare Armin a me sta bene. Vedremo CHI farà il culo a strisce a CHI!»
sentenziò Jean.
Levi alzò gli occhi dal Daily Mail, che stava sfogliando on line in cerca di
notizie fresche sulla Premier League.
«Senti che casino! Si comportano ancora come dei ragazzini» borbottò «non c’è
disciplina!».
«Ma smettila! Piuttosto invece di stare lì a fare la muffa perché non ti
applichi in qualcosa di più costruttivo che leggere il giornale?» lo canzonò
Hanji
«Disse la Fibonacci addicted!» rispose prontamente Levi.
«In realtà sto cercando di capire alcune cose» gli confessò la donna «credo tu
abbia notato che di quei mostriciattoli ce ne sono di vario genere. Ho pensato
che magari alcuni sono venuti meno bene di altri».
L’uomo la guardò interessato «In effetti è una cosa plausibile» ammise.
«Devo scoprire come diavolo ha fatto a legare i DNA per ottenere le mutazioni
genetiche. Qualcosa mi sfugge».
Levi a quel punto le levò il libro di mano «Basta così. Oggi giornata relax,
ricordi?».
Hanji allora si alzò e si rivolse ai ragazzi che stavano per cominciare a
giocare «Chi vince tra voi sarà sfidato da me e Levi!» affermò soddisfatta.
«Chi ti dice che io voglia giocare scusa?» si risentì il capitano.
«Lo dico io! Forza levati quella camicia che ti metto un po’ di crema. Sei
bianco come un cadavere!».
Intanto Erwin era già in mare, sdraiato a pancia in giù sulla sua tavola, si
stava dirigendo a largo per prendere qualche onda. Sasha se ne accorse e
interruppe la partita.
«Fermi tutti! Fatemi vedere quella prova dell’esistenza di Dio che surfa!»
disse ammaliata.
Quelli la guardarono male e sbuffarono contrariati.
«Ma la smetti di sbavare dietro il comandante! È una cosa invereconda!
Non si fa» l’ammonì Connie.
«Se non sapessi che sei come un fratello direi che sei geloso».
«Affogati Sasha!» le rispose indispettito.
«Bene allora subentriamo io e Levi, Sasha può rifarsi gli occhi e poi tu e lei
giocherete contro chi vince tra noi quattro» propose Hanji.
Levi la guardò malissimo.
«Non c’è verso di leggere in pace oggi!» si lamentò. Poi si alzò, si levò la
camicia, inforcò i suoi rayban e raggiunse gli altri.
I primi a battere furono proprio Levi e Hanji.
Dopo un paio di scambi Levi alzò la palla alla compagna, che schiacciò proprio
in mezzo a Jean e Armin segnando punto. La partita si fece subito accesa.
Intanto Sasha era sulla riva che ammirava Erwin.
Sembrava uno di quei ragazzi cresciuti sulle coste dell’Orange County. In
equilibrio sulla tavola, gambe piegate, leggermente reclinato in avanti,
muoveva il bacino, con torsioni più o meno accentuate, di modo da cavalcare le
onde fino ad attraversarle, come se fossero dei tunnel. Con le braccia aperte a
fare da perno, i capelli scomposti dal vento, si sentiva libero e rilassato.
Tutti i muscoli erano in tensione, delineati dallo sforzo di mantenere
l’equilibrio e di dirigere la tavola dove volesse lui. A tratti con una mano
sfiorava l’acqua per poi sterzare e continuare a cavalcare l’onda. Era davvero
uno spettacolo. Sembrava quasi una divinità greca che sfidava il mare.
Ad un certo punto prese un’onda anomala, perse l’equilibrio e finì in acqua.
Riemerse abbracciato alla tavola, con i capelli bagnati scomposti sulla faccia
illuminata da un sorriso divertito. Sasha era incantata. Non che anelasse ad
avere una storia con lui. Non ci pensava neppure, però era innegabile che fosse
un bel vedere e lei non se lo voleva perdere.
Intanto la partita era entrata nel vivo. Levi e Hanji stavano vincendo il
primo set per due punti, Jean ed Armin erano agguerriti e non volevano perdere.
Proprio in quel momento segnarono punto. Armin dette il cinque a Jean.
«Che dici donna, li facciamo vincere?» bisbigliò speranzoso Levi ad Hanji.
Voleva archiviare la pratica quanto prima.
«Ma neanche morta! Piuttosto smetti di fare il lavativo, dato che hai una
discreta elevazione. Vedi di alzare!».
«Comandi!» la canzonò Levi rispondendole in gergo militare. Quindi Appena fu
possibile le alzò la palla e Hanji schiacciò con tutta la forza che aveva in
corpo. Jean che era alla ricezione, proprio in quel momento vide Mikasa che
stava passando, si distrasse e si prese la palla in pieno viso.
«Cazzo!» disse subito portandosi la mano sul naso che aveva cominciato a
sanguinare.
«Oh cielo ti sei fatto male?» disse subito preoccupata Hanji.
«No… almeno credo. Connie mi sostituisci?» disse poi abbandonando il campo.
Raggiunse Mikasa che intanto si era tolta la maglietta e i pantaloncini.
Si fermò un attimo a guardarla. Era davvero uno schianto. Oltre ad avere un
viso davvero fine e delicato, aveva un corpo da urlo. Cesellato
dall’allenamento, ma anche prorompente e morbido nei punti giusti. Gli girò un
attimo la testa e non per via della pallonata.
«Ti prendo del ghiaccio» disse la ragazza riportandolo alla realtà.
«No. Non importa non è niente, ora passa» rispose Jean mettendosi sulla sdraio
con la testa reclinata all’indietro, per far smettere l’epistassi.
Lei non lo aveva ascoltato ed era andata procurarsi del ghiaccio secco al bar.
«Grazie, non era necessario» le disse quando glielo porse.
«Stai sanguinando, certo che era necessario» rispose seria, poi si mise anche
lei distesa su una sdraio accanto a lui.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Jean non ce la fece e dovette
farle quella domanda.
«Che cosa è successo tra te ed Eren?».
«Che cosa ti fa credere che abbia voglia di parlarne con te?» gli rispose
piuttosto scocciata.
«Non intendevo metterti in imbarazzo, ma solo sapere. Abbiamo passato dei bei
momenti al centoquattresimo. Tutti sapevano…» e si interruppe «no, niente,
scusa, sono stato indiscreto» concluse premendosi il ghiaccio sul naso, dandosi
dello stupido.
«No, dimmelo, sono curiosa. Esattamente che cosa sapevate tutti?».
Lui sospirò e poi sbottò, non era uno molto paziente, né diplomatico. «Che
morivi per Eren e che lui faceva il sostenuto. Che poi vi siete messi insieme…
ma che eravate sempre in bilico… hai detto che dovevate addirittura sposarvi».
«No, guarda non sapete proprio niente invece!» si rabbuiò lei. Che fastidio
sapere che era stata al centro di pettegolezzi, lei che era così riservata.
Ci fu un altro lungo momento di silenzio.
«Perché ti interessa?» gli chiese poi diretta.
«Ti chiedo scusa. Non volevo fare l’impiccione» disse. Mica poteva dirle che
erano anni che era cotto di lei? Non lo aveva mai considerato, figurarsi se
avrebbe cominciato adesso.
«Siete tutti uguali: immaturi!» lo accusò.
«Io non sono proprio per niente uguale a quello lì».
«Beh dovresti considerarti fortunato».
«In che senso scusa?».
«Perché Eren ha dei problemi. Credo che soffra di qualche disturbo borderline»
si risolse a dirgli.
Jean rimase colpito da quella confessione. Mikasa era strana, una ragazza
chiusa, molto introversa, ma sembrava quasi che all’improvviso, quel giorno,
volesse essere spinta a parlare.
«Mi dispiace Mikasa, davvero. Per te però, non per lui. Sia chiaro. Se ti vuoi
sfogare io sono uno che sa ascoltare».
Lei forse non aspettava altro, o forse fu solo un momento di debolezza, fatto
sta che si lasciò andare. Probabilmente aveva solo bisogno di sputare fuori il
rospo per sentirsi meglio.
«Lo so che siete tutti dispiaciuti» ammise «non è stato facile. Con lui era
sempre un’altalena. C’era sempre qualcosa che lo rendeva inquieto. Mai
soddisfatto. Era pieno di sogni e di desideri, ma quando otteneva qualcosa,
invece di essere felice era triste. Un eterno scontento. Non si godeva mai
niente, era sempre insofferente. È stato difficile stargli accanto. Credevo che
amandolo con tutta me stessa lo avrei guarito. Invece più andavamo
avanti più ero io che stavo male e soffrivo. Un giorno sfioravo le stelle con
un dito, il giorno dopo riusciva a farmi sprofondare sotto terra».
«Narcisista di merda!» scappò detto a Jean.
«Non farlo!» lo redarguì Mikasa «io l’ho amato moltissimo e gli voglio ancora
bene. Non voglio che qualcuno si permetta di giudicarlo. Nessuno conosce i
demoni che lo divorano. Eren è la prima vittima di se stesso».
Jean capì che forse quella ferita sanguinava ancora un po’.
«Scusa. Lo sai che sono un impulsivo».
«E io lo so che avete ragione. Anche Levi è arrabbiato. Il punto è che Eren è
stato il mio primo amore. Ero una ragazzina triste. Avevo perso i genitori. Lui
è stato la mia ancora di salvezza».
«Lo capisco» ammise Jean, anche se gli faceva male sentirla parlare con slancio
di Eren.
«Ingenuamente ho sempre pensato che fosse la mia anima gemella, il mio principe
azzurro e invece… è finita nel peggiore dei modi» le scappò detto.
«Cioè?».
Mikasa sospirò ed evitò di guardarlo in faccia. Le bruciava ancora, ma era in vena
di confidenze e vuotò il sacco fino in fondo.
«Ha messo incinta Historia» sparò come una fucilata.
«COSA?» saltò su Jean.
Lei si girò e finalmente lo guardò, il ragazzo lesse ancora del dolore nei suoi
occhi scuri, e quell’ombra ferì anche a lui.
«Scusa ma non è quella influencer soprannominata The Queen?».
«Sì, proprio lei. Eravamo tutti compagni di liceo: io, lei, Eren e Armin.
Sembra si siano ritrovati per caso una sera in un pub. Da cosa nasce cosa…».
«Ma… stavate insieme?».
«È stato poco prima che decidessimo la data del matrimonio. Ha cominciato a
diventare insofferente. Temevo che cambiasse idea. Era sempre più instabile…
poi è scoppiata la bomba» sospirò.
«Oddio, mi dispiace tanto. Sul serio, non so che dire…» affermò sincero e
poggiò una mano sulla sua, ma la ragazza la ritrasse subito rifuggendo quel
contatto. Lui ci rimase male ma non disse niente.
«Mi raccontò che era capitato. L’aveva messa incinta per caso, ma che era
deciso di prendersi le sue responsabilità. Lui che pareva uno zombie, che cambiava
idea e umore come si cambiano le mutande, ora voleva fare il padre. Stronzate!
Io invece credo che abbia colto l’occasione al volo per mandare tutto a monte e
lasciarmi».
«Se anche fosse non hai perso niente!».
«È più complicato di così Jean».
«E allora cosa vuoi fare, crogiolarti nel ricordo, o nell’illusione di ciò che
era, o che poteva essere?».
Lei lo guardò e non rispose.
«Mi pare un po’ prestino per vestire i panni della vedova bianca!».
Questa volta lo sguardo della ragazza era più rassegnato che triste.
«Non lo so che cosa voglio fare e non so neppure perché ne ho parlato con te.
Tra tutti sei proprio l’ultima persona con cui avrei pensato di confidarmi».
Jean stava per rispondere ma furono interrotti dall’arrivo degli altri.
Connie era gasato perché lui e Armin avevano vinto la partita.
«Lo ammetto sono stato stupido. Dovevo sceglierti fin da subito!» disse al
compagno giulivo.
«Siete tutti pieni di pregiudizi, dovrei snobbarvi» lo canzonò Armin.
«In realtà vi abb… » una gomitata di Hanji dritta tra le costole zittì Levi.
Lo guardò torva facendogli gli occhiacci.
«Volevo dire» riprese il capitano guardando a sua volta male la donna e
massaggiandosi il fianco «che è vero: vi abbiamo sottovalutati».
Hanji gli sorrise amabilmente. In realtà alla fine li avevano fatti vincere per
davvero, perché Levi si era stufato di giocare, ma non c’era bisogno di
spiattellarlo, potevano anche fargli godere quel momento senza rovinarlo.
Arrivò anche Sasha che aveva abbandonato la visione di Erwin per ben due hot
dog, che si stava divorando con gusto.
«Oh, mai una volta che tu pensi anche agli amici. Ingorda!» l’apostrofò Connie.
Lei con la bocca piena biascicò qualcosa, ma nessuno capì niente.
«E queste facce da funerale?» chiese invece Armin a Mikasa e Jean.
I due fecero spallucce, come per dire che non c’era niente di che.
Levi invece si avvicinò a Mikasa «Io e te dobbiamo fare un discorsetto quanto
prima» le bisbigliò di modo che non li sentisse nessuno.
Lei stava per rispondere, quando la loro attenzione fu catturata da un ragazzo
con una felpa smanicata e il cappuccio calato su gli occhi. Camminava a testa
bassa con le mani in tasca e si dirigeva verso di loro. Aveva senza dubbio
qualcosa di familiare, ma il viso per più di metà celato, impediva loro di capire
chi fosse.
I monologhi dell’autrice
E per stasera è tutto. Buonanotte!
Sotto vi lascio Il mio commento originale del primo postaggio. Grazie a
chiunque abbia letto si qui!
Tadan! Ho sparato la prima bordata! Ovvero il quasi crack pairing
Eren+Historia/Krista.
A dire il vero questa coppia a me non è mai dispiaciuta e io sono tra quelle
che ha sperato fino all’ultimo che il figlio di Krista potesse essere proprio
di Eren e allora perché non sfruttare questa cosa, per dare appunto una svolta
divergent alla trama canon? E poi c’è un però, che però (scusate la
ripetizione) scoprirete solo moooooooolto più avanti nella storia che
giustificherà in qualche modo questa mia scelta. Spero di non aver scioccato
nessuno! 😆
Questo capitolo è tra i miei preferiti, anche se non ha chissà quale rilevanza,
mi è piaciuto molto scriverlo. Mi ha concesso di poter usare una leggerezza
verso alcuni personaggi, che nel canon non avrei mai potuto esprimere
così bene.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 11 *** L'occasione fa il cavallo ladro ***
Se ti stai chiedendo perché
stai leggendo il capitolo 11 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
11
L’occasione
fa il “cavallo” ladro
Non appena fu loro vicino il tipo si scoprì
la testa abbassando il cappuccio della felpa.
«Niccolò!» fecero tutti insieme i ragazzi, sorpresi.
«Dov’eri finito? Tu e quell’altra testa di cazzo ci avete quasi fatti ammazzare.
Per chi lavori? Parla?» lo aggredì Levi prendendolo per il bavero.
Il ragazzo aveva gli occhi gonfi e il naso tumefatto, probabilmente anche il
setto rotto.
«Io non centro niente! È Floch che ci ha traditi!» piagnucolò.
«Levi lascialo parlare» disse Erwin, che era arrivato giusto in tempo.
«Quando ve ne siete andati con quel Zeke, Floch mi ha aggredito. Mi ha colto di
sorpresa e mi ha stordito. Poi è arrivato qualcuno che credevo fosse suo
complice. Infatti sulle prime mi hanno impacchettato e infilato nella mia
macchina, che guidava proprio quel tipo, poi si sono diretti fuori Marley, dove
pensavo che mi avrebbero ucciso, invece era un’imboscata per Floch. Lo hanno
catturato, poi mi hanno liberato e mi hanno curato».
«Molto comoda questa storiella» commentò Jean.
«Lascialo finire. Malfidato!» lo redarguì Sasha.
«Che c’è ti piace anche lui?» la canzonò Connie.
«Ma la smetti idiota!».
Connie ridacchiò sguaiato «Mi diverto a farti arrabbiare».
«Perché sei qui?» chiese Erwin riportando un po’ d’ordine.
«Come stavo dicendo mi hanno salvato. Si sono definiti: la resistenza. Poi
oggi a sorpresa mi hanno detto di venire da voi e dirvi che hanno accettato la
richiesta di red-scarf».
«E chi cazzo sarebbe red-scarf?» chiese Levi.
«Sono io. Hanno usato il nome in codice che gli ho dato per farmi capire che a
rispondermi sono proprio loro».
«Io non mi fido» disse Jean.
«Certo è tutto un po’ strano, ma il suo volto tumefatto e il fatto che
conoscano il nome in codice, fa pendere la bilancia dalla sua parte» commentò
Armin.
«Non sto mentendo» disse timidamente Niccolò. Capiva il loro punto di vista, ma
lui se l’era vista brutta davvero.
«Non preoccuparti, vai pure avanti» lo esortò Hanji regalandogli un sorriso.
Era certa che non mentisse, così almeno le suggeriva il suo sesto senso.
«Non ho molto altro da dire. Sono stati piuttosto criptici, credo che anche
loro si fidino poco di tutti» spiegò.
«Dato che hanno accettato l’incontro, cercherò di mettermi nuovamente in
contatto con loro per definire i dettegli» commentò Mikasa.
«Bene allora rientriamo in albergo» disse Erwin «E tu starai in camera con me.
Preferisco averti sott’occhio» disse rivolto a Niccolò.
*
Più tardi Mikasa, che per comodità logistica aveva preso
anche lei una camera in quello stesso albergo, sentì bussare alla porta.
Ancora prima di aprire immaginò chi potesse essere, nonostante non avesse una
gran voglia di discutere, aprì comunque.
Come aveva previsto era proprio Levi.
«Red-Scarf, Scarface, o come cazzo ti fai chiamare, io
e te dobbiamo parlare!» le disse entrando deciso nella sua stanza.
«Prego accomodati» fece lei infastidita «Comunque preferisco di gran
lunga red-scarf e tu lo sai, nano-malefico!».
«Fammi indovinare, è per via di quella sciarpa di Valentino che ti fu regalata
da quello lì?».
«Quello lì ha un nome e si chiama Eren» sbottò.
«Devi spiegarmi proprio un bel po’ di cose, soprattutto riguardo il tuo ex
fidanzato».
«Che cosa vuoi sapere?» si arrese a chiedergli.
«Intanto quando ti ho contattata, perché non mi hai detto che c’era di mezzo
lui? Ero certo che Erwin ti avesse messa in gioco mandandoti in avanscoperta.
Sei forse il miglior agente che abbiamo, ma mi aspettavo un po’ più di
sincerità da parte tua per il tuo mentore».
«Ho ricevuto gli ordini direttamente da Pixis. Era certo che Eren mi avrebbe
contattata prima o poi, e quando lo ha fatto, mi ha raccomandato di mantenere
il segreto. Sono venuta qui per provare a carpirgli dove fosse il medico, che
poi ho scoperto essere suo padre. Gli ordini di Pixis erano chiari, per la
sicurezza di Eren non dovevo farne parola con nessuno, così come non dovevo
fare nulla di più che indagare, finché non foste arrivati voi».
«Perché io sento un gran puzzo di merda?».
«Perché probabilmente ci vedi lungo. Senti Levi io sono molto preoccupata. In
questa isola accadono cose fuori dal mondo. Eren era fuori di sé. Molto peggio
di quando credevamo fosse stato congedato per i suoi problemi da stress post
traumatico. Sembra un allucinato che parla di fine del modo e cose del genere.
Non vorrei gli fosse capitato qualcosa che gli ha veramente mandato in corto il
cervello».
«Sinceramente io ho cercato di aiutarlo in tutti i modi. Ad un certo punto però
non l’ho più capito, qualcosa mi diceva che non faceva il bene dell’agenzia.
Certo era uno dei cocchi di Erwin. Secondo lui aveva grandi
capacità, e forse un buon potenziale lo aveva davvero, ma non è mai stato tutto
sano. Non hai mai avuto autocontrollo. Ma ti ricordi sì, come ti trattava? Non
voglio neanche parlare di cosa sia stato il vostro rapporto, la parola tossico
non rende neanche lontanamente l’idea» commentò serio Levi.
«Ecco non ne parlare e fatti i fatti tuoi! Ti comporti da fratello maggiore,
quando siamo a malapena parenti alla lontana, per favore queste considerazioni
non richieste tienitele per te, mi fai incazzare quando fai così! Non siamo qui
per parlare dei miei trascorsi, ma del pericolo che cova in quest’isola, di cui
tra l’altro non sappiamo quasi niente» lo interruppe risentita la ragazza.
«Beh non saremo parenti diretti, ma io ci tengo a te, in fondo ti ho reclutata
io. Vederti sbavare dietro quello psicopatico mi faceva proprio girare le
palle!» puntualizzò Levi.
«Hai finito?».
«Comunque condivido in pieno le tue preoccupazioni e spero che davvero
questa resistenza possa aiutarci, o saremo tutti fottuti. Per
caso hai sentito Kenny?» le chiese tornando all’argomento principale.
«Lo sai che io e lui non siamo particolarmente vicini, perché avrei dovuto
sentirlo?».
«Non lo so, ma mi pare strano che il Mossad non sia a conoscenza di questa
isola e di quello che succede. Sono proprio il tipo di cose con cui un
intrallazzone come lui andrebbe a nozze!».
Mikasa non ne poteva più, desiderava solo che se ne andasse e così decise di
giocargli un tiro mancino, anche per metterlo in imbarazzo e rendergli la
pariglia.
«Credo che Hanji ti stia aspettando alzata. Abbiamo parlato abbastanza, non mi
pare gentile farla attendere oltre» disse sibillina.
Levi non fece una piega. Certo, si rese conto che ormai la sua vita privata
era praticamente in piazza, ma indossò la sua solita maschera
impenetrabile per non darle soddisfazione, né tanto meno conferme.
«Quindi tu ti fidi di questa fantomatica resistenza?» le chiese
spostando nuovamente l’attenzione su altro.
«Certo che sì. Qualche giorno dopo aver incontrato Eren volevo tornare a
Marley, per vedere se reperivo nuove notizie. Sono riuscita ad eludere la
sorveglianza e sono entrata. Poco dopo sono stata attaccata da quei mostri come
voi. Sono stati loro a salvarmi. Mi avevano seguita per capire chi fossi e che
volessi fare. Se ho potuto venirvi in aiuto con il lanciarazzi è stato grazie a
loro. In fondo ho fatto proprio quello che mi avevi chiesto: ti ho guardato le
spalle».
Ci sarebbero state un altro paio di domande che avrebbe voluto farle, ma
preferiva rivolgerle ai diretti interessati, quindi senza aggiungere altro si
congedò.
*
Finalmente c’era stato il contatto tanto
atteso ed era stato stabilito un incontro.
«È stato deciso di trovarci su territorio neutrale e sicuro
per tutti. C’è un party su una spiaggia a pochi chilometri da qui. Si trova
esattamente a metà strada tra noi e loro. Questa festa è una consuetudine
turistica annuale: una grigliata sulla spiaggia» stava spiegando Erwin.
«Ma così potrebbero attaccarci facilmente da terra e da mare!» commentò Armin.
«Sì, potrebbero, ma non avrebbe molto senso. Mi sono informato è un evento che
raccoglie un sacco di gente. Non conviene a nessuno fare una carneficina, che
farebbe da cassa di risonanza mondiale sulle problematiche di questa isola»
spiegò il comandante.
«Quindi ci fidiamo e basta?» sentenziò Levi.
«Dato che dovremmo passare per turisti avremo con noi degli zaini, oltre alle
nostre armi potremmo portare delle granate fumogene. Ci fosse bisogno
potrebbero coprire la nostra fuga» propose Hanji.
«Sì, ottima idea. Per quanto riguarda le armi invece, solo pistole» e Erwin
dette un’occhiata eloquente a Sasha. Poi continuò: «Non credo che ci saranno
problemi, ma in caso sappiamo che fare. Quando arriveremo sul posto cerchiamo
di non dare nell’occhio per nessun motivo. Teniamo un profilo basso. Siamo
turisti in cerca di una serata piacevole. Attenetevi al protocollo» e si
riferiva in particolar modo ai ragazzi.
«Io che faccio? Vengo, o resto qui?» chiese Niccolò.
«È ovvio che verrai con noi e starai attaccato a Levi ed Hanji, se ti azzardi a
fare un passo più lungo del dovuto sono autorizzati a fermarti in qualsiasi
modo» disse severo Smith, poi concluse «Se non ci sono domande possiamo andare
a preparaci. L’appuntamento è tra due ore».
*
La spiaggia era disseminata di varie torce
che con le loro fiammelle danzanti illuminavano debolmente vari gruppetti di
persone. Alcuni erano in piedi con in mano birre, o bibite. Altre erano
accomodate in terra su sedute di fortuna arrangiate su teli da bagno, o piccole
sdraio portatili.
Sul lato destro c’era una enorme griglia, dove gli organizzatori cuocevano
pesce espresso da mangiarsi in un cartoccio.
Si guardarono intorno. Sembrava la classica festa pro loco estiva a favore dei
turisti, niente lasciava presagire pericoli imminenti. Decisero comunque di
cercare un posto un po’ defilato e lì si misero a sedere tutti insieme in
cerchio.
Mikasa invece, essendo il punto di contatto, era rimasta vicino alla griglia ad
aspettare. Indossava un vestitino fiorito e corto, aveva i capelli sciolti, i
piedi scalzi e si guardava intorno. Sembrava una normale ragazza in attesa di
qualcuno.
Un tipo poco distante la puntò. Era difficile rimanere insensibili alla sua
bellezza. Nonostante non facesse niente per apparire era comunque notevole e
non poteva nasconderla, né mimetizzarla in alcun modo.
Il tizio si avvicinò e cominciò a coniare una serie di frasi fatte per cercare
di impressionarla. Mikasa cercò di stare tranquilla e gentilmente gli disse che
stava aspettando il suo ragazzo, giusto perché si togliesse dalle scatole, ma
quello insisteva.
Erwin guardava la scena un po’ preoccupato, a volte nelle missioni i fastidi
maggiori venivano proprio da certi stupidi inconvenienti. Stava per fare
qualcosa quando si alzò Jean. «Ci penso io» disse piano ma deciso e s’incamminò
verso la ragazza. Pochi passi e la raggiunse. Sfoderò il suo miglior sorriso:
modello faccia da schiaffi. Una volta che le fu vicino le posò una mano su un
fianco, Mikasa, leggermente turbata ne avverti il calore attraverso la stoffa
sottile dell’abito.
«Eccomi tesoro» le disse, e prima che lei potesse dire, o fare alcunché, le
stampò un morbido bacio sulla bocca.
Il tizio capì che non era aria e borbottando, con la coda tra le gambe, se
andò.
«Stupido!» si arrabbiò lei con le guance in fiamme.
Non seppe neanche lui da dove gli venisse tutta quella baldanza, ma era così
tanto che desiderava farlo che d’istinto prese l’occasione al volo. La guardò
dritta negli occhi inchiodandola, poi le prese il viso tra le mani e questa
volta la baciò sul serio, indugiando sulle sue labbra fino a schiuderle.
Quel bacio sfacciato e dal sapore sconosciuto sorprese Mikasa, ma per poco, ben
presto si riprese. Si staccò da quella vertigine che l’aveva coinvolta più di
quanto avrebbe voluto. D’istinto alzò il braccio per schiaffeggiarlo, ma lui fu
più veloce, lo bloccò intrecciando la mano con la sua.
«Questa me la paghi! Giuro che te le suono, guardati le spalle!» lo minacciò
furiosa. Ma era ammattito? Certo forse era anche colpa sua, il fatto che gli
avesse raccontato tutte quelle cose su lei ed Eren… pensò subito incolpandosi.
«A parte che ne sarebbe comunque valsa la pena, ma ti dice nulla la parola:
copertura? È così che dobbiamo fare no? Fingiamo di sembrare due che
stanno insieme. Ora nessuno verrà più ad importunarti e potrai aspettare quelli
della resistenza senza più noie».
Sembrava serio, ma lei notò un certo luccichio nel suo sguardo. Fu come se lo
vedesse per la prima volta. Non era più un ragazzino. I capelli lunghi e
quell’accenno di barba gli donavano, gli davano un’aria più vissuta, aveva
l’aspetto di un uomo. Si rese conto che aveva ancora la mano intrecciata alla
sua. La ritrasse come se scottasse e avvampò di nuovo, ma che diamine le stava
succedendo?
«Vado a prendere due birre» disse lui capendo che forse era il caso di darci un
taglio. Non aveva ben compreso le reazioni di Mikasa. Prima pareva arrabbiata,
poi imbarazzata, ad un certo punto gli era pure sembrato che ricambiasse con
slancio quel bacio, ma alla fine si convinse che erano tutte illusioni e
preferì abbandonare il campo, del resto quello che doveva fare l’aveva fatto.
Mikasa stava cercando di riprendersi quando arrivò il contatto. Lo conosceva,
era un ragazzo di circa la sua età, castano con gli occhi verdi e sfrontati.
Si salutarono e lo condusse subito dagli altri.
«Salve sono Galliard(1)» disse «come segno di buona volontà sono venuto da solo e sono
disarmato» pronunciò con una certa spavalderia, come a sottolineare che non li
temesse.
Un'esca perfetta! pensò subito malfidato Levi, ma per il momento
tacque.
«Benvenuto, accomodati» disse Erwin e intanto fece le presentazioni.
«Mikasa ci ha detto che sareste disposti ad aiutarci per poterci difendere da
quegli esseri» cominciò a chiedergli cauto.
«Sembra che abbiamo un obiettivo comune, liberare quest’isola e debellare
questa minaccia, quindi sì, vi aiuteremo e voi aiuterete noi».
«Sai darci qualche informazione su quelle creature?» chiese speranzosa Hanji.
Fremeva di saperne di più.
«Sappiamo tutto quello che c’è da sapere, ma ne parleremo a tempo debito»
chiosò Galliard sempre molto sicuro di sé.
«Io invece vorrei capire perché siete accorsi in aiuto di Mikasa, mentre noi ci
avete bellamente ignorati» chiese Levi con fare provocatorio.
«Perché eravate con Zeke e non sapevamo da che parte steste» fu la risposta
secca e a sorpresa del ragazzo.
«E questo cosa significa?» s’intromise Connie.
«Non lo sapevate vero? Zeke è uno di loro!» svelò lasciandoli tutti sorpresi.
I monologhi dell’autrice
Buondì!
Grazie ad un fortuito numero di coincidenze riesco a ripostare qualche capitolo
in più
Note:
(1) Scusate ma non ce la posso fare a chiamarlo Porko, quindi ho invertito il
nome con il cognome
Ci tengo a precisare che personalmente non mi piace l’appellativo faccia
da cavallo dato a Jean che è anche uno dei miei personaggi preferiti,
ma in questo titolo ci stava troppo bene, scusami Jean!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 12 *** Carte in mano e carte in tavola ***
Se ti stai
chiedendo perché stai leggendo il capitolo 12 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
12
Carte in mano e
carte in tavola
Galliard si era rivelato solo un portavoce,
l’incontro vero e proprio si tenne un paio di giorni più tardi, in una fabbrica
abbandonata, un po’ fuori mano rispetto Marley. Un posto in rovina, con i vetri
delle finestre rotti e nell’aria un vago sentore di ruggine che pizzicava le
narici.
Erwin e tutti gli altri, non senza titubanza, avevano accettato forti del fatto
che Mikasa li conoscesse e garantisse per loro.
A sorpresa si trovarono davanti ad un gruppetto risicato e molto eterogeneo.
C’era il solito Galliard, una ragazza dall’aria stanca che disse di chiamarsi
Piek, e due tipetti più giovani, di cui una sembrava alquanto agguerrita.
L’altro piuttosto timido disse di chiamarsi Falco. La ragazza dallo sguardo
bellicoso invece si chiamava Gaby.
Quello che si identificò come una sorta di loro capo si presentò come
Onyankopon.
«Benvenuti» li accolse in tono cordiale «Sapevamo che prima o poi il mondo
esterno si sarebbe accorto di quello che sta accadendo in questa isola. Sono
contento che il governo abbia mandato qualcuno a sistemare la faccenda».
«Abbiamo bisogno di conoscere come stanno realmente le cose» esordì serio
Erwin.
«Gli altri dove sono?» interruppe Levi.
«Non ci sono altri» sostenne spavaldo Galliard.
«State scherzando? Tre adulti e due ragazzi sarebbe la famosa resistenza?»
commentò il capitano molto scettico.
«Lasciami spiegare» disse Onyankopon.
«Sì, spiegaci dettagliatamente fremo di saperne di più!» s’intromise Hanji che
pregustava nuove interessanti scoperte.
Armin invece li osservava molto serio e pensoso.
Jean era accanto a Mikasa, che però non lo degnava di uno sguardo. La ragazza
stava cercando di rassicurare Connie che come sempre era il più preoccupato.
Sasha invece ascoltava e sgranocchiava noccioline accanto a Niccolò, il quale
appariva piuttosto a suo agio tra i suoi salvatori.
«Mikasa vi ha spiegato cosa facesse il medico, giusto?» chiese Onyankopon.
«A grandi linee, ma non sappiamo come gli siano usciti fuori quei mostri»
rispose Jaen.
«Ora vi racconto i dettagli. Dunque, dopo che ci fu il problema relativo agli
esperimenti nucleari, furono ingaggiati vari luminari per risolvere la
situazione. Fu un filantropo miliardario con interessi anche politici di nome
Fritz, che volle finanziare questo progetto denominato: Ymir. Il Governatore
Reiss accolse a braccia aperte questo benefattore e fu ben contento di
accettare i suoi fondi. Alla fine, tra tutti gli interpellati, chi riuscì
nell’intento fu Grisha Jeager. Ebbe un’intuizione facendo esperimenti ai limiti
dell’etica, combinando vari tipi di DNA animali, da ibridare con gli umani
malati. Tutto ciò per creare un qualcosa che producesse un sistema immunitario
talmente forte da contrastare questa malattia devastante, che a causa della
contaminazione nucleare aveva stravolto la genetica.
Cercando poi di migliorare questa cura, per puro caso, si imbatté
in un animale preistorico perfettamente conservato. Stava selezionando
esemplari del regno acquatico per i suoi esperimenti, quando incappò in una
Hallucigenia(1), una sorta di millepiedi del
Cambriano, che si pensava fosse estinto. Fu ritrovato nelle acque di
un’antichissima grotta carsica in Italia. Quel ritrovamento fortuito e del
tutto inaspettato fu la svolta. Con il DNA di questo particolarissimo e
antichissimo simbionte(2), riuscì a legare i DNA di varie specie
animali, che poi miracolosamente attecchivano, curando e non solo, i contaminati».
«Ecco il tassello che mi mancava!» saltò su eccitata Hanji.
«Quindi?» chiese Levi torvo con le braccia incrociate al petto.
«Cominciò a sperimentare la cura su cavie volontarie.
All’inizio pur di guarire in molti si offrirono per testarla. Ci furono però
diversi problemi. Alcuni morirono all’istante. Altri ebbero effetti collaterali
bizzarri. Altri ancora acquistarono delle potenzialità strabilianti. Ma quasi
tutti morivano poco dopo».
«Vedi era come immaginavo io!» bisbigliò Hanji a Levi tutta soddisfatta.
«Puoi essere più specifico per quello che riguarda le varie mutazioni?» chiese
serio Armin. La sua testolina stava elaborando dati alla velocità della luce.
«Quando in alcuni malati, cominciarono a svilupparsi queste capacità
straordinarie il governatore Reiss, fece in modo di estromettere Fritz, usando
il suo potere politico per farlo fuori dal progetto. Chiese a Grisha di
perfezionare queste mutazioni e se potesse sperimentarle non solo sui malati,
ma anche su persone perfettamente sane per vedere se durasse di più nel tempo.
Di fatto voleva creare una sorta di esercito di esseri supremi e magari chissà,
intentare un colpo di stato. Grisha acconsentì, ma il problema era sempre lo
stesso: ogni fisico reagiva in modo diverso e i più non sopravvivevano».
«Quindi esiste un vero e proprio esercito?» chiese allarmato Erwin.
«Non proprio» rispose Onyankopon.
«Facciamola breve, quanti sono e come si possono fermare» tagliò corto Levi.
«Per ora sono ancora in una fase sperimentale, non tutti superano il mese di
vita. Le cavie adesso sono poche, capite bene che non si può obbligare qualcuno
a sottoporsi ad un rischio del genere» continuò Onyankopon.
«Ti prego di essere più chiaro» lo invitò Erwin.
«All’inizio promettevano soldi. Poi visto che alcuni morivano sul colpo e altri
rimanevano rovinati a vita, tipo gli esemplari che hanno attaccato voi, hanno
cambiato politica. Hanno radunato qui vari delinquenti e gli hanno proposto di
fare queste sperimentazioni in cambio di sconti sulle loro pene detentive».
«Ha senso» commentò Erwin.
«La cosa importante che non sapete è che qualche raro esemplare è diventato
davvero superdotato. È rimasto senziente e può controllare la
mutazione. Per farla breve sono quelli che sono riusciti bene, per
così dire» spiegò Galliard.
«Cosa sono in grado di fare?» chiese ansiosa Hanji.
«Dipende dalle loro abilità specifiche. Possono essere velocissimi. Possono
avere una forza sovrumana. Possono mimetizzarsi e più che altro come i grandi
predatori possono uccidere facilmente chi gli si para davanti. Sono capaci di
fare una strage in pochi minuti» chiarì pacata Piek.
«Non è finita qui. Possono anche diventare grandi, molto grandi, giganteschi»
aggiunse Gabi allargando le braccia con enfasi.
«Poi qualche altro super potere? Tipo volare, no eh?» chiese Levi con il suo
solito sarcasmo.
«Sì, ma solo uno di loro può farlo!» rispose entusiasta il giovane Falco.
Galliard lo fulminò con un’occhiataccia.
Ad Armin non fuggì la cosa e pensò: qui gatta ci cova!
Ci fu un momento di pesante silenzio. La situazione sembrava molto peggio
del previsto.
«E voi siete riusciti a combatterli da soli? E comunque nessuno si è mai
accorto dell’esistenza di queste creature?» chiese incredulo Connie.
«Abbiamo armi specifiche e sappiamo quali sono i loro punti deboli. I titani
sono tutti confinati a Marley. Non sono mai usciti di lì. La
loro manifestazione è conosciuta dagli abitanti autoctoni che
sono anche in parte coinvolti personalmente come cavie» spiegò sbrigativo
Galliard.
«Inoltre abbiamo anche una sorta di arma segreta» aggiunse
Onyankpon criptico.
«In sostanza come potete aiutarci?» chiese Erwin.
«Dobbiamo addestrarvi. Dovete imparare ad usare gli M3D(3) e il RIP(4)».
«E di grazia cosa sarebbero?» chiese Jean.
«Gli M3D sono quella specie di pistole, che però non sono armi, le ho usate
anche io quando sono accorsa in vostro aiuto. Lanciano delle corde d’acciaio
che tramite dei rampini molto sofisticati si aggrappano ai
muri e servono per salire, o scendere dai tetti, o da varie altezze, in
velocità. Aiutano a scappare dalle grinfie dei mostri» spiegò Mikasa.
«A proposito noi li chiamiamo titani, come i figli degli dei della mitologia
greca» precisò Onyankon.
«Tutto ciò è estremamente affascinante» commentò Hanji con gli occhi che le
brillavano.
«E il RIP cos’è?» chiese Levi prima che la donna potesse lanciarsi a fare mille
domande.
«Un proiettile con la punta costruita come se fosse una corona a più punte,
quando viene piantato nella nuca di un titano si apre, si espande ed è in grado
di produrre lacerazioni profonde, tanto da ucciderlo. RIP: riposa in
pace. L’unica pallottola che piantata nella nuca, e solo lì, è in grado di
terminarli in modo definitivo, perché la cura attecchisce al midollo spinale
dell’ultima vertebra celebrale. Come avrete notato hanno capacità rigenerative,
che gli derivano dal DNA modificato e potenziato delle lucertole. Per questo se
colpiti in punti diversi dalla collottola non muoiono, ma ci sono dei
trucchetti per rallentarli, come il lanciarazzi, o altri che poi vi
spiegheremo».
«Quando possiamo cominciare l’addestramento?» chiese Jean.
«Prima di parlare dell’addestramento io vorrei sapere dov’è Floch e vorrei
anche interrogarlo» s’intromise Levi.
«Se volete possiamo farvelo incontrare anche subito!» disse serafico Onyankpon.
Erwin fece un cenno di assenso.
«Comandante io ho un sospetto» ne approfittò Armin bisbigliando.
«Quale?» chiese Erwin.
Anche Levi ed Hanji si avvicinarono per ascoltare.
«Credo che anche tra loro ci siano dei titani… sono abbastanza certo che Falco
sia un mutaforma».
«Credo tu abbia ragione! Quando ho parlato di volare il ragazzo s’è
galvanizzato. Sembrava non stesse nella pelle e stava per dire qualcosa, ma
quel Galliard lo ha fulminato» commentò Levi.
«Beh questo spiegherebbe perché sono così pochi, ma in grado di combattere gli
altri mostrilli!» considerò Hanji.
Furono interrotti dall’irruzione nella fabbrica di una tipa strana, con i
capelli simili a quelli di Armin. Trascinava di peso Floch legato mani e piedi
e con la bocca tappata da una corda legata stretta intorno alla testa.
Si dimenava come un’anguilla, ma la valchiria bionda lo strattonava a forza
portandoselo appreso.
«Quindi non siete solo voi» puntualizzò polemico Levi.
«Lei è Yelena, solo una collaborazionista» si affrettò a spiegare Onyankopon.
Levi, non disse altro ma si avventò su Floch, gli liberò la bocca perché
potesse parlare, e poi gli sferrò un calcio nello stomaco, che lo fece guaire
dal dolore.
«Adesso brutta testa di cazzo phonata male, ci dici perché ci hai
tradito e per chi lavori, altrimenti assaggerai il resto delle mie suole!».
«Secondo me ti conviene parlare. Levi è uno a cui piace particolarmente
prendere a calci la gente» rincarò Erwin.
«Non mi fate paura!» rispose Floch mostrando sicurezza.
«Non voglio farti paura, ma procurarti dolore!» ribadì Levi rifilandogli un
altro colpo ben assestato.
«Tanto siete finiti, non ce la farete mai contro gli Jeageristi!» gli urlò
contro tossicchiando, aveva accusato il colpo.
«Jeageristi?» chiese Hanji perplessa aggiustandosi gli occhiali sul naso.
«Forse volevi dire Jihadisti, capra di merda che non sei altro» lo aggredì Levi
abbaiandogli contro.
«No, sei tu che non capisci» tossicchiò ancora quello.
«Allora se non vuoi assaggiare un altro dei miei calci, parla!».
«Sono un devoto seguace degli Jeager. Mi sono votato alla loro causa e
qualsiasi cosa vorrete farmi, non mi importa, non tradirò mai chi rifonderà
l’umanità!».
«Cosa stai vaneggiando imbecille?» tuonò Levi.
«Floch ti conviene parlare, sei comunque un agente dell’FBI. Sei chiaramente un
traditore. Sei prigioniero e sarai condannato, non hai via di scampo. Noi
invece possiamo aiutarti. Possiamo testimoniare che hai collaborato. Otterrai
uno sconto di pena» gli disse serio Erwin, cercando di accattivarselo.
«Non casco nei vostri giochini: sbirro-cattivo, sbirro-buono».
«È inutile, non parlerà. Ci abbiamo già provato noi» disse molto irritata
la ragazza di nome Gabi.
«Se ci hai provato tu ci credo» ridacchiò Connie.
«Sono il miglior cecchino di tutta Paradise testa a uovo! Tu invece?» gli
rispose rabbiosa.
«Ehi datti una calmata ragazzina sono un agente scelto dell’ FBI e so il fatto
mio» gli si avventò contro Connie.
«Lasciala stare!» disse Falco mettendosi tra loro.
«Basta, fate silenzio!» saltò su irritata Sasha.
«Chi sono esattamente gli Jeager?» chiese poi Mikasa seriamente preoccupata.
Immaginava potessero essere Eren e il padre, ma una strana sensazione la stava
innervosendo, aveva bisogno di conferme.
«Ti piacerebbe saperlo eh?» le rispose strafottente Floch provocandola.
«Che palle! Lo so io chi sono, ma dove vivete mi domando?» disse con aria
annoiata e saccente Yelena.
Si girarono tutti a guardarla, dato che anche quelli della resistenza
sull’argomento non erano esattamente al corrente dei particolari e quell’uscita
suonò nuova anche a loro.
«PARLA!» dissero quasi tutti in coro.
«Sono i fratelli Jeager. Mi pare ovvio» rispose come se fosse stata la cosa più
risaputa al mondo.
«Fratelli?» chiese Onyankopon «Perché Zeke ha dei fratelli?» disse senza
rendersi conto che aveva sganciato una notizia bomba per gli altri.
«Frena, frena. Come scusa? Zeke fa di cognome Jeager?» chiese Jean stranito.
«Certo è il figlio del medico, sennò come farebbe ad essere uno di loro. Lui è
stato il primo titano senziente dalle capacità sovraumane sopravvissuto, anche
se non è proprio quello riuscito meglio» spiegò Onyankopon.
Mikasa fece un passo indietro, ebbe una sorta di malessere, Jean se ne rese
conto e la sorresse, ma lei lo allontanò bruscamente.
«Menomale che è morto!» commentò Sasha.
«Io non ci giurerei» ridacchiò Floch.
«Quindi se Zeke è figlio del professore...» fece Hanji meditabonda
«Eren è suo fratello!» concluse la frase Armin.
«Fratellastro per l’esattezza» li corresse Floch.
«Tappa la bocca a questo imbecille, o gli spacco tutti i denti» tuonò Levi. Era
molto preoccupato, così come Erwin che non aveva ancora detto una parola.
«E la volete sapere una cosa idioti? Vi hanno pesi per il culo e ci siete
cascati con tutte le scarpe» riuscì a dire Floch, che non si conteneva più. Era
così esaltato che aveva dovuto spiattellarlo prima che Yelena lo riducesse al
silenzio tappandogli la bocca e lo ritrascinasse via dalla fabbrica.
«La situazione è molto grave» commentò Erwin a voce alta «Devo mettermi subito
in contatto con il mio superiore per capire come procedere».
«Dot Pixis, immagino» dichiarò Onyankopon facendogli chiaramente capire di
conoscerlo.
Un lampo di sorpresa attraversò lo sguardo di Erwin, ma fece in modo di non
tradire alcuna emozione, salvo alzare appena un sopracciglio.
«Sì, proprio lui» confermò.
«Lo so che avete molti dubbi, ma siamo dalla vostra parte» disse ancora
Onyankopon.
«Beh anche voi avete dei dubbi nei nostri confronti, altrimenti non ci
nascondereste informazioni di vitale importanza» esordì serio Armin.
«Tipo?» chiese Galliard.
«Che anche tra voi ci sono dei titani, per esempio» sparò sicuro Arlert.
I monologhi dell’autrice
Bene, no, anzi male! Purtroppo mi si è ANCHE
rotto uno dei due portatili, così ieri non ho potuto far nulla. E vabbé ora va
così. Intanto riposto questo, poi non dico nulla, vediamo cosa riesco a fare oggi
Grazie a tutti delle nuove letture e della pazienza!
Note:
(1) L'allucigenia (gen. Hallucigenia) è un animale marino estinto,
probabilmente appartenente ai lobopodi, vissuto tra il Cambriano inferiore e il
Cambriano medio tra 520 e 505 milioni di anni fa (fonte wikipedia) ed è a
questo medesimo esemplare che Isayama si è ispirato per inventare quella
creatura che viveva nella cavità di un albero, dove cade Ymir e che è la
“madre” di tutti i giganti.
Io ho elaborato la faccenda a modo mio e ho fatto finta che non si fosse
estinto, ma che come accade nella realtà, per minuscoli granchi
preistorici, vivesse ancora nelle acque delle grotte carsiche (in fondo alle
note c’è una piccola foto di questo essere estinto riprodotto al computer e del
disegno del medesimo di Isayama)
(2) L’Hallucigenia ho immaginato fosse un simbionte (parassita simbiotico) come
in SNK che però fungesse da lega per i vari DNA e una volta incorporato in essi,
andasse ad attecchire sulla colonna vertebrale nella nuca vicino al
cervelletto. I miei titani non hanno l’ospite umano, semplicemente l’umano si
trasforma in essi. Ho evitato tutti questi spiegoni nella storia e ve li ho
messi qui per non tediarvi troppo!
(3) M3D acronimo per “movimento tridimensionale” per abbreviare e per non
essere proprio identica al canon. L’ho immaginato come gli ultimi modelli e un
pelino più sofisticato ispirandomi anche alle funi d’acciaio che usano i corpi
speciali dell’esercito per fare irruzioni dall’alto.
(4) RIP se pensavate che fosse una mia invenzione, beh questo è il caso in cui
la realtà supera davvero la fantasia. Questa pallottola esiste davvero ed è
considerata la più letale al mondo ed è esattamente come ve l’ho descritta
(Fonte: R.I.P.: la pallottola più potente e pericolosa al mondo -
fidelityhouse.eu )
images from google search, no © infringement intended
|
Ritorna all'indice
Capitolo 13 *** Monsters & co. ***
Se ti stai
chiedendo perché stai leggendo il capitolo 13 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
13
Monsters & co.
Pixis aveva richiesto ad Erwin una call
conference a cui avrebbero partecipato tutti, compresi quelli della
resistenza.
Si ritrovarono nuovamente alla fabbrica abbandonata, dove era stato arrangiato
un tavolo con delle sedie per seguire la riunione.
Con Dot, dall’altra parte dello schermo, era presente anche Dallis
Zacklay, capo supremo dell’FBI.
«Vi ho voluti tutti qui perché è ora di chiarire le cose. La situazione è grave
e il presidente in persona ci ha chiesto di risolvere la faccenda. Sappiate che
il governatore Reiss, messo a custodia di questa isola, sta veramente tramando
per effettuare un colpo di stato, facendosi forte di questi esseri
geneticamente modificati. Quindi va assolutamente fermato».
«Ovviamente ci manderete dei rinforzi» chiese speranzoso Erwin.
«Non possiamo mandarvi nessuno per ora, perché non abbiamo la certezza che non
ci siano talpe. Dovete agire prendendoli di sorpresa. Non devono sospettare che
siamo a conoscenza dei loro piani» spiegò Zacklay.
«Ma non ce la faremo mai da soli!» piagnucolò Connie.
«Lascerei la parola a Onyankopon. Vi spiegherà alcune cose fondamentali»
aggiunse sbrigativo Pixis.
«Come ha intuito il vostro compagno alcuni di noi sono dei titani, quindi
possiamo combattere ad armi pari. Sappiamo che di mutaforma sensienti ce ne
dovrebbero essere solo altri tre rispetto a noi».
«Quattro» lo corresse Pixis «Scusa se ti interrompo ma è giunto il momento di
svelare una grande verità che il presidente in persona mi aveva ordinato di
tacere, almeno fino a questo momento».
Tutti pendevano dalle sue labbra, la faccenda si stava veramente facendo
intrigata, al limite del surreale quasi.
«Il quarto titano di cui siamo a conoscenza è Eren» disse senza girarci troppo
intorno.
Si alzò un brusio di sconcerto e sorpresa.
Mikasa ne fu devastata.
Hanji invece era la meno sorpresa di tutti.
«Dì la verità donna, te lo immaginavi vero?» le chiese Levi che la
conosceva come le sue tasche.
«Beh, il sospetto mi è venuto quando ho scoperto che quello Zeke è suo fratello
e sono figli di Grisha, non è che ci volesse molto a capirlo. Sono due mele
cadute dallo stesso albero. Un albero che guarda caso produce titani».
Erwin era molto scuro. Non ne sapeva niente neppure lui di questa sorprendente
novità. Era il vice capo della CIA ed era stato estromesso da un particolare fondamentale.
Non gli andava giù. Per una volta tanto provò l’amarezza che spesso toccava ai
suoi sottoposti.
Pixis era conscio del torto che gli aveva fatto, ma non aveva avuto scelta.
«Mi scuso con tutti voi, specialmente con Erwin, ma non è dipeso da me tacere
alcune cose rispetto ad altre. Ad ogni modo dobbiamo focalizzarci sulla nostra
missione. Abbiamo degli infiltrati tra le linee nemiche, sappiamo con certezza
che Eren è il titano meglio riuscito e il più forte in assoluto».
«Tutto molto interessante, ma da che parte sta costui?» chiese Levi spiccio.
«È ovviamente uno dei nostri. Non vi ho mandati allo sbaraglio. Al momento
opportuno farà quello che deve».
«Eren è stato riconosciuto mentalmente instabile da un’equipe di psicologi ed è
stato congedato dalla CIA, come fate a fidarvi di lui? E come cazzo avete fatto
a reintegralo?» chiese Levi piuttosto alterato.
«Non è mai stato realmente congedato e i suoi problemi non erano così gravi»
chiosò sbrigativo Pixis senza aggiungere ulteriori spiegazioni.
«Al tempo, per costruire la sua copertura ho dato anche io il mio beneplacito a
questa cosa. Personalmente ho piena fiducia in Eren» aggiunse Smith.
«C’è una cosa che mi sfugge, ma questi mostri non sono mai stati notati da
nessuno in quest’isola?» chiese Armin.
«Giusta osservazione. Nessuno può vederli perché tutta Marley è schermata da
ologrammi di nascondimento. Quanto i titani si trasformano nessuno li nota se
non chi è a Marley che è direttamente coinvolto. Le loro scorribande vengono
intese come fenomeni naturali: terremoti» spiegò asciutto Zacklay.
Ma che geni! Pensò Levi stizzito, ma si limitò a mostrare il suo
disappunto solo aggrottando severamente le sopracciglia, si trattava dei suoi
superiori e c’era poco da polemizzare.
«Onyankopon ti prego di rendere partecipe la squadra di ciò di cui siete
capaci» aggiunse poi Pixis
«Ragazzi è il momento della verità» enunciò lui rivolto ai suoi compagni della
resistenza.
E loro si fecero avanti. Uno alla volta.
«Mi chiamo Galliard Porko. Ho partecipato al progetto Ymir per aiutare la mia
famiglia. Davano un sacco di soldi e io ho colto l’occasione. Il mio titano è
soprannominato: Mascella. I DNA animali con cui sono stato
ibridato sono il coccodrillo, lo squalo tigre, il puma e come tutti la
lucertola. Il mio punto di forza, oltre ad una buona velocità di movimento è
ovviamente il morso, sebbene possegga anche artigli di un
certo rilievo. In battaglia sono piuttosto letale».
«Io sono Pieck Finger. Ho aderito al progetto Ymir per poter permettere a mio
padre di curarsi il cancro. Non avevamo l’assicurazione e questo era l’unico
modo per aiutarlo. Il mio titano è soprannominato: Quadrupede o Carro. I
DNA, a parte quello comune della lucertola, appartengono a formichiere,
levriero, guanaco e camaleonte. Non sono tra i titani da combattimento corpo a
corpo meglio riusciti, ma posso trasportare armi e persone, posso appunto
diventare appunto una sorta di carro. Ho una discreta velocità, una buona
capacità mimetica e comunque so difendermi anche in battaglia».
«Il mio nome è Falco Grice. Ho partecipato a questo progetto appena la
resistenza stava nascendo. Ho voluto fortemente dare il mio contributo alla
causa e mi sono offerto volontario per acquisire un potere per aiutare i miei
compagni. Ho millantato un gran bisogno di soldi e sebbene sia il più giovane
che abbia mai partecipato al progetto, hanno abboccato e mi hanno accettato.
Data la mia età si sono spinti oltre i limiti fino ad allora consentiti, sono
il primo e credo unico mutaforma di nuova generazione. Il mio titano porta il
mio nome: Falco. Con me il dottor Jeager ha voluto provare un nuovo
esperimento. I DNA animali con cui sono stato ibridato sono: la solita
lucertola, il falco pellegrino e l’aquila reale e poi ho anche parte del DNA
del titano Mascella e del titano Scimmia. Posso volare, sono veloce ed
estremamente aggressivo. Il mio becco è letale».
Hanji che aveva ascoltato tutto in religioso silenzio non stava più nella pelle
«Dimmi Falco, che cosa significa quello che hai appena detto?».
«Il medico conserva una fiala con il DNA di ogni titano che sopravvive. Ha
provato a fare un ulteriore incrocio e io sono il suo primo tentativo
sopravvissuto di mutaforma volante».
«Io devo sapere, capire che cosa provate, cosa sentite, come reagisce il vostro
corpo». disse Hanji eccitata avvicinandosi a loro e palpandoli come se fossero
alieni, o giù di lì.
«Devo assolutamente parlare con Eren. Dobbiamo fare in modo di avvicinarlo io e
te da soli» bisbigliò Mikasa all’orecchiò di Armin approfittando della
confusione creata dall’entusiasmo di Hanji.
«Voglio sapere tutti i dettagli, come controllate la trasformazione. Come fate
a diventare molto grandi, perché lo diventate e come fate a tornare normali.
Insomma sono affamata di informazioni!» trillò la dottoressa Zoe in fibrillazione.
«Io invece vorrei capire chi sia la scimmia, anche se una mezza idea ce
l’avrei…» mugugnò Levi sarcastico.
«Il titano scimmia è Zeke, è stato ibridato solo con primati» confermò Gabi.
«Lo immaginavo. Quel barbone di merda non poteva che essere una scimmia del
cazzo! Speriamo almeno che sia una scimmia morta» borbottò poi quasi tra sé e
sé.
«Per effettuare la mutazione abbiamo bisogno di un forte picco di adrenalina.
Ce lo procuriamo con un’autolesione. La durata allo stato di mutaforma varia a
seconda delle forze che sprechiamo nel combattimento, e delle energie che
disperdiamo nell’autoguarigione causate dalle ferite inferte dal nemico, ma
comunque dura poche ore. L’accrescimento corporeo è possibile attraverso
l’ingerimento di una capsula contenente il DNA puro dell’Hallucigenia al
momento della trasformazione, o successivamente. Si può fare solo per tredici
volte. Poi si muore» spiegò asciutto Galliard.
«In realtà non sappiamo molto su quello che provocano a lungo termine le
trasformazioni. Probabilmente non abbiamo un a lunga aspettativa di vita
neanche noi» disse tristemente Pieck.
Nessuno in realtà poteva sapere che cosa comportassero quegli esperimenti così
al limite dell’etica morale.
«Pixis che cosa vi aspettate da noi?» chiese Erwin che era stato ad ascoltare
meditabondo e davvero molto preoccupato.
«Quello per cui siete pagati: estrarre Eren e suo padre, distruggere il
laboratorio e bonificare dai titani Marley» rispose serafico
l’altro.
«Ci sono ancora un paio, cose che non mi tornano» s’intromise Armin.
«Parla pure» lo esortò Pixis.
«Eren, Galliard, Piek e Falco. Sono anche loro dei titani, devono essere
terminati?» chiese diretto.
«È un’ottima domanda, ma al momento non posso risponderti con certezza, posso
solo dirti che stiamo lavorando alacremente per poterli
salvare».
«State lavorando in che senso?» chiese Hanji sospettosa. Era certa che fosse
una menzogna di facciata e che alla fine avrebbero dovuto far fuori anche tutti
loro.
«State tranquilli. Sapevano a cosa saremmo andati incontro quando abbiamo
aderito alla resistenza. Siamo pronti a morire purché il mondo non debba
conoscere una realtà spaventosa come la nostra» spiegò Pieck. Sembrava quasi
che avessero tutti uno spirito da kamikaze. La cosa non piacque ad Hanji, né a
Erwin, né tanto meno a Levi, ma tutti e tre scelsero, per il momento, la via
del silenzio.
Hanji, era consapevole che il peso che questi ragazzi si portavano addosso
dovesse essere enorme, si ripromise di fare il possibile per evitare loro una
morte ingiusta.
*
La call conference era finita da qualche ora. Armin era in camera di Mikasa,
che si stava preparando. Voleva sgusciare via dall’albergo e recarsi da Eren.
Voleva assolutamente parlargli.
Certo non era una mossa molto furba, ma lei era decisa. Lo aveva contattato e
si erano dati appuntamento su quella spiaggia dove si erano recati per
l’incontro con Galliard.
«Mikasa è troppo pericoloso. Puoi mettere a repentaglio l’operazione» cercava
di farla ragionare Arlert.
«Io devo assolutamente parlare con lui».
«Perché?».
«Armin tu non l’hai più rivisto è completamente fuori di sé. Devo capire cosa
sta realmente accadendo. Pixis è convinto che stia dalla nostra parte. Io non
so più cosa pensare».
«Temi possa fare il doppio gioco?».
«Non lo so, davvero, ma ho una strana sensazione. Non lo faccio solo per lui.
Vorrei evitare che morissimo tutti!».
«Va bene andiamo allora. Ma usiamo la massima prudenza. Non una sola parola su
ciò che sappiamo. Facciamo esporre lui, d’accordo?» disse Armin.
Mikasa annuì.
Come uscirono dalla porta della camera si ritrovarono di fronte Jean, Connie e
Sasha.
«Non so deve state andando, ma veniamo con voi» disse Jean.
«Neanche per idea!» rispose stizzita Mikasa.
«Perché scusa? Non ti fidi di noi?» le chiese Sasha.
«Già, non ti fidi Mikasa o hai tu qualcosa da nascondere?» rincarò Connie
Discussero animatamente per un po’, poi la ragazza si arrese, le stavano
facendo perdere tempo prezioso, spiegò loro sommariamente che doveva incontrare
Eren, ma per un motivo strettamente personale e si avviarono tutti insieme alla
spiaggia.
Fu deciso che Connie, Sasha e Jean sarebbero rimasti in disparte, nascosti
senza farsi vedere per non stizzire Eren.
Poco dopo erano tutti sul luogo dell’incontro.
L’ora era molto tarda. La spiaggia era deserta e molto buia.
Una fievole falce di luna si specchiava timidamente su un mare nero e placido.
Solo il ritmo lento della risacca spezzava appena il silenzio che regnava
sovrano.
Mikasa e Armin stavano vicini, senza parlare, in attesa che arrivasse Eren, gli
altri erano nascosti più lontano dietro ad un mucchio di sdraio.
Per un momento ebbero il dubbio che non venisse, invece all’improvviso se lo
trovarono davanti. Procedeva verso di loro a spalle incurvate, come se fosse
schiacciato da un carico pesante. I lunghi capelli legati dietro la nuca.
Appena li raggiunse notarono subito il suo sguardo opaco cerchiato da occhiaie
bluastre.
Li guardò con un misto tra noia e fastidio, poi si focalizzò sul vecchio
compagno e amico.
«Ma guarda chi si rivede. Da un senza palle come te mi sarei
aspettato una carriera comoda, in un bell’ufficio a Langley, invece ti ritrovo
sul campo, allora ti sono cresciute alla fine!» disse beffardo ad Armin, che
però fece finta di niente.
«Eren che cosa sta succedendo? Ti prego sii sincero» gli chiese preoccupata
Mikasa.
Il ragazzo la guardò stranito «Niente che non ti abbia già detto».
«Mikasa dice che vuoi rifondare il mondo, ma almeno ti rendi conto di quello
che dici?» gli chiese Armin piuttosto seccato.
«Certo che mi rendo conto. Presto salverò la terra dal suo male peggiore: il
genere umano» rispose catartico.
«Esattamente cosa intendi?» chiese Armin, doveva capire se stesse realmente
delirando, o se bluffasse.
«Parlo della sovrappopolazione mondiale. Abbiamo ridotto questo pianeta ad una
discarica a cielo aperto. Siamo l’infestazione peggiore che esista. Quindi vi
porrò un rimedio definitivo».
«Eren in che modo intendi farlo?» gli chiese Mikasa.
Avevano concordato con Armin di non rivelargli che sapessero fosse un titano.
«Ho un potere così grande che se volessi potrei essere venerato come un dio.
Non posso perdere il mio tempo a spiegare i miei intenti a menti limitate come
le vostre. E non sono uno stupido Mikasa!» tagliò corto fissandola severo e poi
aggiunse «Vi consiglio di lasciare quest’isola quanto prima, se volete vivere.
Sarà la prima che cancellerò dalla faccia della terra».
«Eren ti prego smettila! Stai barando. Io ti conosco. Tu non sei così» disse
Mikasa accorata toccandogli un braccio. Purtroppo le sembrava molto, troppo
convinto di ciò che stava dicendo e le faceva davvero paura.
Lui si scostò da quel tocco infastidito «Tu non mi conosci per niente. Io sono
così, sono sempre stato così. Sai c’è un particolare della morte di mia madre
che non sai. Ho ucciso io Dina, non mio padre per legittima difesa, come invece
crede la polizia. Non ho problemi ad ammazzare la gente è una cosa che non mi
fa né caldo, né freddo» le disse mentre un lampo sinistro illuminò quelle iridi
di giada.
«Lo sapevo già…» ammise Mikasa «Me lo avevi confessato una volta da ubriaco, ma
eri devastato».
Lui sembrò molto infastidito da questa rivelazione.
«Ad ogni modo sono venuto solo in nome del passato. Dopo tutto mi dispiacerebbe
vedervi morire. Vi preferirei al mio fianco: uniti per una grande causa, ma
Mikasa mi ha dato il ben servito e tu non credo abbia gli attributi per unirti
a me, ma se doveste cambiare idea, sarò lieto di accogliervi tra le mie fila».
«Ma che dici Eren? Noi siamo al tuo fianco, dovresti saperlo» disse Armin per
indurlo a confermare ciò che aveva detto Pixis.
«Per favore non cominciare con i tuoi giochini Armin, ti conosco troppo bene. E
tu Mikasa renditi conto di una cosa una volte per tutte. Non sei la mia
salvatrice, non puoi fare nulla anche perché non sei niente per me. Non ti ho
mai amata, anche se stare insieme a te, devo dire che mi piaceva…».
Non fece in tempo a finire la frase perché la ragazza gli assestò un destro ben
calibrato che lo fece barcollare fino quasi a cadere a terra.
Eren sputò una boccata di sangue sulla sabbia, si rimise dritto e si pulì la
bocca, poi la guardò e gli scappò una risatina nervosa.
«Ecco ora che ti sei sfogata, possiamo andare ognuno per la propria strada»
disse voltando loro le spalle «Salutatemi anche Jean, Sasha e Connie. Sono un
po’ grandicelli per giocare a nascondino, non credete?» sghignazzò «Ah! Quasi
dimenticavo, portate anche in miei più sentiti omaggi a quel rincoglionito di
Pixis».
E detto questo, sparì camminando lentamente, testa bassa e mani in tasca
inghiottito dal buio della spiaggia.
«Che ha voluto dire secondo te?» chiese Mikasa.
«Che sa che sappiamo. Sa tutto. Siamo alla sua mercé. Mi auguro sia davvero
dalla nostra parte… » commentò molto serio e preoccupato Armin.
I monologhi dell’autrice
Grazie a chiunque legga o rilegga
|
Ritorna all'indice
Capitolo 14 *** 14 Secrets and lies ***
Se ti stai
chiedendo perché stai leggendo il capitolo 14 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
14
Secrets and lies
Erwin, Hanji e Levi si erano ritrovati per
fare il punto della situazione.
Il comandante aveva chiesto ad Armin, e solo a lui, di raggiungerli pregandolo
di tenere la cosa per sé.
«Pare che la faccenda sia molto più seria di quello che temevamo» esordì Smith
«Dobbiamo capire molto bene come muoverci e soprattutto di chi possiamo
realmente fidarci».
«Una cosa che proprio non mi è per niente chiara, è che fine abbia fatto Grisha
Jeager. Tutti ne parlano con malcelata nonchalance, ma di fatto sembra più una
presenza onirica che reale» commentò Hanji.
«Credo che non serva un genio per capire che sicuramente nella resistenza
qualcuno fa il doppio gioco. E non parlo di quella Yelena che è palese quanto
sia infida. Sono abbastanza certo che c’è qualcun altro che le tiene mano» fece
Armin pensoso.
«Sinceramente non so neppure quanto possiamo fidarci di Eren. Mikasa è molto
preoccupata del suo stato psicologico. Non capisco come faccia Pixis a contare
su di lui» aggiunse Levi.
«In realtà è la risorsa su cui abbiamo puntato più di tutte le altre. È
infiltrato nelle linee nemiche, dovrebbe essere la nostra ancora di salvezza,
la cosa che mi sconvolge è che anche lui sia un titano. Questa proprio non me
l’aspettavo e sono piuttosto sconcertato di non esserne stato messo a
conoscenza» ammise Erwin.
«Pixis non è un cretino, se ha agito così deve avere i suoi buoni motivi»
osservò Hanji.
«A meno che dietro non ci sia un piano governativo molto più complesso e
intrigato di cui noi siamo le ignare pedine. Non sarebbe la prima volta che
quei porci di politicanti ci usano per i loro luridi scopi. Il puzzo di merda
aumenta, vediamo di non affogarci!» valutò sprezzante Levi. Non amava favorire
i giochi di potere.
«Quindi che facciamo?» chiese Armin.
«Credo che dovremmo far finta di aderire al piano della resistenza, farci
addestrare per imparare a difenderci dai titani e poi faremo la nostra
contromossa» illustrò loro Erwin.
«E quale sarebbe?» gli chiese Hanji.
«Andremo a prelevare Eren Jeager. Zeke si spera sia realmente morto, quindi
dobbiamo capire che cosa ha in testa, se questa faccenda degli Jeageristi è una
cosa seria, o una bufala. Dovrà dirci perché e come è diventato un titano, e
soprattutto dovrà consegnarci suo padre, con le buone, o con le cattive, il quale
poi dovrà trovare un modo per impedire la morte di Eren e degli altri ragazzi
titani» illustrò ancora Erwin.
«Cerchiamo, almeno per il momento di tenere fuori Mikasa. Non è mai troppo
obiettiva quando si tratta di lui, non vorrei che anche inavvertitamente
facesse qualche sciocchezza. Ci sono troppe vite in ballo» consigliò Hanji.
«Concordo» fu il commento lapidario di Levi.
«Sì, ci avevo pensato anche io» disse il comandante.
Armin era molto indeciso se parlare del loro incontro con Eren, ma prudentemente
pensò di informare solo Erwin, ma in separata sede. Non perché non si fidasse
di Hanji e Levi, ma perché la situazione era già abbastanza delicata senza
mettere altra benzina sul fuoco. Per quanto riguardava Mikasa decise per il
momento di attenersi alla richiesta di Smith.
*
Era appostato da più di mezz’ora. L’aria era
piuttosto afosa anche se il sole era calato da un po’, per fortuna spirava una
leggera brezza che impediva al sudore di appiccicarsi ai vestiti, scongiurando
spiacevoli conseguenze come l’acre olezzo di sudore.
Il suo presunto contatto era in ritardo e per quanto ne sapeva poteva essere
anche una soffiata non attendibile, ma se c’era una cosa di cui non mancava era
la pazienza di aspettare, d’altronde il suo lavoro era fatto di attese lunghe
ed estenuanti.
Si era acceso da poco una paglia quando qualcuno gli picchiettò su una spalla.
Si girò e intravide una figura esile non molto alta.
«E tu nanetta chi saresti?» le chiese l’uomo che aveva i capelli lunghi, con la
sigaretta che gli pendeva mollemente al lato della bocca e che si muoveva ogni
volta che parlava.
Aveva le mani in tasca e l’occhio attento, anche se l’oscurità ne nascondeva
parzialmente i tratti spigolosi del volto. Stava di tre quarti, un po’
incurvato, una postura classica di chi sta sul chi va là.
«Una messaggera amica» rispose calma la ragazza dai capelli chiari, che si
intravedevano spuntare dal cappuccio della felpa che indossava. Anche lei
evidentemente non voleva essere riconoscibile.
«E dimmi, che notizie porti messaggera amica?».
«So dove si trova Eren Jeager».
«Interessante, ma io questo già lo so».
«E sai anche qual è il suo piano?».
«Direi che questa ormai è voce di popolo».
«Però scommetto che non sai qual è il suo segreto».
L’uomo fece una pausa. Aspirò una generosa boccata di fumo per poi buttarlo
fuori sotto forma di anelli, che si dissolsero vicino al viso della ragazza.
«No. Questo non lo so ed è un notizia che mi interessa molto» disse.
Poi con uno scatto felino tentò di avventarsi contro di lei per immobilizzarla
e farla parlare senza perdere altro tempo prezioso.
Non ci riuscì perché un braccio poderoso lo agganciò da dietro e gli strinse la
gola fino quasi a soffocarlo, mentre alla tempia avvertì la pressione fredda di
una canna di pistola.
«Non si fa così. Lei viene in pace per darti informazioni preziose, e tu cerchi
di farle la festa?» disse con voce bassa il possessore dell’arto che lo stava
quasi soffocando. Era possente e alto forse più di lui.
«Fermi. Troviamo un accordo. Il mio governo vi pagherà tanto oro quanto pesate»
riuscì a dire tossicchiando, prima che la sigaretta gli cadesse a terra.
«Ora cominciamo a ragionare» disse la messaggera amica «vogliamo
tanti soldi, talmente tanti da non riuscire a spenderli in una sola vita!».
«Troveremo un accordo, ora però mollami il collo!».
*
Levi rapido e sicuro volteggiava mostrando una padronanza dell’M3D invidiabile.
Passava agile, da un muro all’altro con grazia e precisione, per poi girarsi su
se stesso, in una sorta di elegante piroetta che gli consentiva di trovarsi
proprio all’altezza di dove sarebbero state le nuche dei titani. Estrasse con
rapidità la sua pistola e piantò ben quattro pallottole RIP, in sequenza
perfetta, sulla nuca di una delle sagome di cartone progettate e usate per
allenarsi da quelli della resistenza.
Quindi scese a terra e rinfoderò l’arma.
«Ma siamo sicuri che non si sia già allenato?» chiese Galliard stupito rivolto
ai suoi compagni. Quell’uomo bassino, dalla lingua tagliente, aveva una
facilità di movimento impressionante. Sembrava non avesse fatto altro in vita
sua.
«Levi è micidiale. Dategli un’arma e lui ne farà l’uso più letale e preciso che
esista» confermò Erwin.
«A proposito ma che significa l’acronimo M3D?» chiese curioso Connie.
«Una roba tipo movimento tridimensionale, quei cervelloni, che sono
gli ingegneri dell’esercito, lo hanno inventato per poter fare irruzioni
dall’alto senza essere scoperti. Per il nome sembra si siano ispirati ad un
meccanismo di un famoso manga giapponese, roba da nerd!» spiegò accademico
Falco.
«Non si usa più dire nerd, ma otaku, aggiornati che sei antico forte» lo
apostrofò saccente Gabi.
Falco ci rimase un po’ male, non capiva perché quella ragazza, di cui tra
l’altro era anche cotto marcio, lo trattasse sempre con sufficienza. Eppure lui
era sempre carino con lei. Sembrava che le avesse fatto chissà quale
torto e questo lo faceva soffrire.
Intanto Levi aveva terminato la sua sessione d’allenamento con dieci
centri su dieci. Erano tutti a bocca aperta.
«Ora tocca me!» enunciò Hanji galvanizzata.
Arpionò con l’M3D la cima di un palazzo; si trovavano in una zona disabitata
vicino alla fabbrica dove si incontravano di solito. Anni addietro c’era stato
un grosso incendio e quel quartiere, molto povero, non era mai stato rimesso in
piedi, era di fatto disabitato e fuori mano. Un luogo ideale per la resistenza,
che ne aveva fatta la sua base operativa.
Una volta sul tetto, la donna corse veloce in direzione delle sagome cartonate,
che erano mosse la alcuni ingranaggi elettrici per simularne i movimenti reali.
Sparò il rampino a metà del muro di fronte e si gettò di testa in picchiata
verso di esse, per poi sterzare all’ultimo momento e, agganciandosi ad una
colonna, proprio dietro le sagome estrasse l’arma e planò come un angelo
vendicatore su di loro. Emise un grido argentino di soddisfazione e poi sparò
con precisione millimetrica facendo tre centri concentrici sulla nuca del
fantoccio davanti a lei.
«Però!» commentò ammirata Piek.
«Che credevi che fossimo degli scappati di casa?» la apostrofò Jean.
Fu il suo turno e anche lui non sfigurò. Finse un attacco frontale per poi
aggirare le sagome all’ultimo momento e fare tre centri su quattro.
Connie seguì l’esempio del compagno e si difese dignitosamente e così anche
Sasha, che risultò precisa e accurata.
Erwin non ebbe alcun problema, calibrato e letale non fu da meno di Levi ed
Hanji, anche lui sembrava fosse già pratico nell’uso di quel dispositivo.
Poi fu la volta di Armin.
Era il meno abituato ad agire sul campo, di fatto questa era la sua prima vera
missione. Scelse un approccio differente da tutti gli altri. Corse a terra
verso i fantocci, quando fu loro abbastanza vicino, scagliò il rampino ad un
muro di fianco e mentre saliva, con la pistola, sparò dritto all’altezza degli
occhi della sagoma centrandoli, poi la aggirò e centrò la sua nuca.
«Bravo!!!» lo applaudì orgogliosa Hanji.
«’Sti cazzi casco d’oro» commentò Levi piacevolmente stupito.
«Ottima intelligenza tattica, ci ha preceduti. Questa mossa, insieme a quella
di sparare alle articolazioni e ai tendini delle gambe, sono strategie di
rallentamento quando sono in troppi e vanno in qualche modo fermati per poterli
abbattere meglio» spiegò Onyankopon. Era
rimasto molto colpito da tutti loro.
Gli allenamenti erano
finiti da poco e Mikasa stava rientrando nella stanza in albergo. Di lato alla
porta della sua camera intravide un’ombra scura. Velocissima estrasse la
pistola e gliela puntò contro.
«Ehi calma! Sono io, Jean. Abbassa la pistola» disse il ragazzo. Lei accese la
luce del corridoio e si rese conto che non era solo, c’erano anche Connie e
Sasha.
«Mikasa perché non ci spieghi che sta succedendo?» chiese diretta la ragazza
all’amica ed ex compagna del centoquattresimo.
«Siete matti? Potevo spararvi!» rispose rinfoderando la sua arma.
«Allora?» la incalzò Connie.
Jean invece la guardava senza dire nulla.
Per precauzione li fece entrare nella sua stanza.
«Capisco il vostro punto di vista, ma non vi ho chiesto io di venire
all’appuntamento l’altra sera. Era una cosa personale, non di lavoro» rispose
loro.
«Sì è vero, però tu a suo tempo ci hai chiesto di aiutarti a portare in salvo
Eren, l’hai posta come condizione per partecipare alla missione, o sbaglio? Non
credi che meritiamo di sapere la verità?» le chiese ancora Connie.
«Tu, che fai? Non devi accusarmi di niente?» chiese frustrata a Jean. Lo stava
usando come valvola di sfogo. Del resto era ancora arrabbiata con lui e poi era
agitata, questa improvvisata non le piaceva, come non le piaceva mentire del
resto.
Lui non rispose ma la guardò molto serio. Ultimamente, la indagava sempre con
uno sguardo intenso che le faceva avvertire uno strano disagio.
«Ho detto che ti avrei aiutata mi pare. Lo faccio per te non per lui. Spero
solo che non ci farai ammazzare tutti per questa tua insana forma di protezione
per quello» le rispose asciutto. Era snervante per lui soprattutto dopo quei
baci rubati la situazione era molto peggiorata.
«Sto ancora aspettando le tue spiegazioni» chiese duramente Sasha.
«Lo avete visto no? Sta male. Ha bisogno d’aiuto. Io non mi sento di
voltargli le spalle» dichiarò Mikasa.
«Che cosa ti ha detto esattamente? Noi eravamo lontani, vi scorgevamo solo a
tratti e non abbiamo sentito una parola» le domandò Connie.
«Niente di speciale. Sapete i problemi che ha. È sotto copertura, sta
rischiando grosso, volevo solo dargli il mio supporto e confortarlo. Tutto qui.
Siete voi che vedete cospirazioni ovunque. Non vi ho impedito di venire, ma
sapevate che per lui poteva essere pericoloso!» mentì sperando ardentemente che
nessuno di loro avesse visto il pugno che gli aveva sferrato.
Connie e Sasha si guardarono. Non erano molto convinti, ma tacitamente si
trovarono d’accordo sull’abbozzarla, almeno per il momento.
«Va bene, diciamo che scegliamo di crederti, ti diamo fiducia in nome dei
vecchi tempi. Cerca di non fare cazzate » tagliò corto Sasha.
Jean non fiatò, quindi uscirono tutti dalla sua stanza.
Mikasa si lasciò cadere sul letto.
C’è mancato poco… pensò.
Si sentiva in colpa. Non intendeva tenere i suoi compagni all’oscuro. Anzi era
decisa anche a parlare con Erwin, ma non era ancora sicura di niente. Era
troppo emotivamente coinvolta e non riusciva ad essere perfettamente lucida.
Decise di farsi una doccia, quindi si spogliò e si chiuse in bagno.
Rimase a lungo sotto il getto freddo dell’acqua. Aveva proprio bisogno di
schiarirsi le idee. Era giusto quello che stava facendo? Tutti erano concordi
nel dire che Eren non era affidabile. Forse era stato davvero sincero quando
aveva detto che lui era stato sempre così. Se ci pensava doveva ammettere che
poteva anche essere la verità. Eren non era una persona matura e centrata, non
lo era mai stato, probabilmente la situazione attuale non aveva fatto altro che
complicare tutto. Lei sapeva che c’era del buono in lui. Sapeva anche che mentiva
spudoratamente quando cercava di ferirla dicendole che non l’aveva mai amata,
ma ora non si trattava più solo di loro due e della loro storia. In ballo
c’erano cose ben più grandi e gravi. Bisognava decidere che cosa fare e da che
parte stare fino in fondo, senza troppi indugi. Di certo non poteva tenere il
piede in due scarpe, né tanto meno mettere a repentaglio la vita dei suoi
compagni, o la riuscita della missione.
Chiuse lentamente la doccia e l’acqua smise di picchiettarle addosso, i capelli
le erano rimasti appiccicati ai lati del viso e sul collo. Si frizionò con un
asciugamano e indossò l’accappatoio.
Uscì dal bagno e sentì bussare alla porta.
Sbuffò scocciata. Non volevano proprio lasciarla in pace.
Aprì contrariata, era di nuovo Jean.
«Che c’è ancora? Mi state rompendo le palle!» sbottò.
«Dobbiamo parlare» le disse severo.
«Anche no!» rispose la ragazza infastidita e stava per sbattergli la porta in
faccia, ma lui la bloccò con un piede.
«Gli altri non si sono accorti, ma io ti ho vista ammollargli un destro! Mi
devi delle spiegazioni».
A quel punto Mikasa si sentì in trappola e suo malgrado si spostò e lo fece
entrare.
«Ho appena fatto la doccia. Chiariamo e poi vattene» gli disse in malo modo.
Era in torto e detestava esserlo, con lui poi, ancora più che mai. Le faceva
una rabbia ultimamente, non lo sopportava proprio.
«No guarda, quella che deve chiarire sei solo tu. Che sta succedendo Mikasa?».
«Niente!» sbottò.
«Quindi lo hai picchiato per sport?».
«Mi ha detto una cosa e non ci ho visto più!» ammise frustrata.
«Tu lo ami ancora» affermò serio.
«A parte che non sono fatti tuoi, ma no, NO! Non so più come dirvelo a tutti! È
così difficile da capire che si può volere bene ad un ex in nome di quello che
è stato senza amarlo più?».
«Sono fatti miei perché sono in ballo in questa missione davvero pericolosa, e
ancora non riesco a capire il vero ruolo di Eren quale sia. E poi lo sai
Mikasa, smetti di far finta di nulla, io ci tengo a te».
«Non lo so neppure io quello che gli passa per la testa e sono molto
preoccupata, contento?» gli disse stancamente.
«No, per niente e mi fa male vederti così. Vorrei aiutarti».
«E come? Baciandomi a tradimento? O pure ti aspetti che apra l’accappatoio e mi
distenda sul letto per offrirmi a te? È questo quello che speri Jean?» lo sfidò
rabbiosa.
«È vero ti ho rubato un bacio. E se devo essere onesto non sono affatto
pentito. Ma se credi che mi accontenterei di essere per te una sorta di
conforto, beh allora hai capito male. Non voglio essere la seconda scelta di nessuno.
E per quanto riguarda il tuo ex a cui vuoi ancora tanto bene, vedi
di non anteporlo alle nostre vite, o per lo meno mettici al corrente dei suoi
intenti se li conosci, credo che abbiamo il diritto di sapere che cosa
rischiamo, anche se tu non tieni a tutti noi quanto a lui! E ora se vuoi
scusarmi, prima che tu faccia altri film mentali su ciò che voglio, o non
voglio, tolgo il disturbo» le disse risoluto e decisamente contrariato prima di
girare sui tacchi e lasciarla nuovamente da sola con nuovi pesanti
interrogativi su cui riflettere.
I monologhi dell’autrice
Come avrete notato non ho ripostato nessuna fanart, purtroppo mi prenderebbe troppo tempo ripostare anche quelle, vedrò di rifarmi una volta in pari: Grazie a te che hai letto sin qui
|
Ritorna all'indice
Capitolo 15 *** Pensiero stupendo ***
Se ti stai
chiedendo perché stai leggendo il capitolo 15 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
15
Pensiero stupendo
«I ragazzi sono in agitazione» esordì Levi
rivolto ad Hanji. Era appena rientrato, non prima di aver notato il via vai
nella stanza di Mikasa. Per un attimo aveva creduto che avesse una tresca con
Jean, ma il poco tempo che lui era rimasto in camera, glielo aveva fatto subito
escludere.
«Questa tua mania di fare l’investigatore anche quando non serve ha del
patologico Levi» gli rispose serafica la donna.
«Non è stata una cosa voluta è capitata e comunque c’è qualcosa che ci
tacciono, credo come al solito riguardi Eren e che Mikasa, ovviamente, sia la
capobanda».
Hanji sospirò «Quand’è che abbiamo cominciato a perderlo quel ragazzo?»
commentò dispiaciuta «Ricordo il suo entusiasmo voleva spaccare il mondo.
Voleva essere un buon agente, anzi voleva essere il miglior agente. Poi d’un
tratto s’è come spento…».
«Non lo so... all’inizio era fin troppo galvanizzato e obbediente, quasi
ossequioso con me ed Erwin, poi man mano che prendeva confidenza con le armi e
il suo ruolo, diventava sempre più ingestibile. Ho provato a raddrizzarlo, ma
non è mai stato stabile. Non ragionava era tutto impulso e niente razionalità.
Una vera mina vagante per il nostro mestiere».
«Mi preoccupa il fatto che sia un titano. Ci conosce bene sa come ci muoviamo.
Potrebbe anche ammazzarci tutti. Non lo so, sono molto preoccupata» sospirò
Hanji.
«Col cazzo! Prima che ci riesca gli avrò piantato quattro pallottole nella
nuca, per donargli il riposo eterno!» ringhiò Levi.
«Lo ammazzeresti così senza remore? In fondo è uno dei nostri. L’hai anche
addestrato…».
«Se dovesse provare a fare del male a te, a Mikasa, o a chiunque degli altri lo
farei senza problemi».
Hanji lo guardò seria «Sì, hai ragione, penso che se fosse necessario non
esiterei neppure io. Ci sarebbe però il dilemma Mikasa, non credo
che lo permetterebbe».
«Mikasa è un mio problema, me ne occuperò io in nel caso dovessimo terminare
Eren».
«Sono felice di essere in questa missione con te. Non so come avrei potuto
affrontare la questione se fossimo stati divisi, se tu fossi stato sul campo e
io no» confessò Hanji carezzando il viso dell’uomo che amava. Avvertiva delle
vibrazioni molto negative.
Levi poggiò la propria mano su quella di lei.
«Ohi? Che ti prende donna?» le chiese serio.
«Ma niente, sono riflessioni a voce alta. Sono felice che possiamo coprirci le
spalle».
La conosceva troppo bene e aveva capito che era preoccupata. Ma chi non lo era?
Si trovavano di fronte ad una cosa che aveva del fantascientifico, con un grado
di rischio altissimo, con probabilità di riuscita vicine allo zero.
«Hanji non cedere alla paura» le disse con quello sguardo serio, che era il suo
tratto distintivo, ma che con lei sapeva anche addolcirsi «non permetterò che
accada nulla a nessuno. Pixis ed Erwin per quanto intrallazzoni siano, non ci
userebbero mai come carne da macello. Erwin poi rischia quanto noi».
«Hai ragione dobbiamo stare concentrati e non dobbiamo farci sfuggire niente»
commentò la caposquadra più risoluta.
«Esattamente. Ora più che mai dobbiamo stare in campana e non fidarci di
nessuno».
«Se però le cose dovessero mettersi male, promettimi che starai attenta. Che
non farai nulla di sciocco, o avventato» le disse Levi accorato.
«A te non lo chiedo neppure di stare attento, tanto so già che ti butterai
nella mischia e sarai spericolato come sempre» gli rispose Hanji, consapevole
di che cosa comportasse avere una relazione con lui.
«Ma io ho i geni del fottuto terminator. Non vorrai mica che mi faccia far
fuori da quei mostriciattoli scoordinati vero?» le disse cercando di smorzare
la tensione.
«Idem» gli rispose lei guardandolo dritto negli occhi. Quella parola assumeva
in quel contesto un doppio significato: concordava, ma Hanji in quel frangente
l’aveva proferita anche con l’intento che la usava lui rispondendo ai
suoi ti amo. Non voleva calcare la mano, perché non voleva portare
la cosa su un piano troppo emotivo, sarebbe stato molto pericoloso per la
missione. Dovevano restare lucidi e concentrati, non in ansia l’uno per
l’altra.
Si guardarono intensamente negli occhi senza aggiungere altro.
Poi le labbra di Levi cercarono quelle di lei, prima di baciarla la strinse a
sé, come per infonderle sicurezza e infine le regalò un bacio tenero. Fu un
gesto delicato, di profonda intimità tra due persone che si amano e che hanno
bisogno di dirselo almeno con il corpo, per placare i morsi dell’ansia, che
quella situazione così complessa e intricata non stava risparmiando a nessuno
dei due.
Furono però interrotti da un lieve bussare alla porta della loro camera.
Levi, si scostò riluttante da Hanji e si mosse per andare ad aprire la porta.
Era Erwin.
«Posso?» chiese cercando di non sbirciare all’interno.
«Certo, accomodati» gli disse Levi facendosi da parte per farlo entrare. La sua
espressione accigliata non prometteva nulla di buono.
«Ciao Erwin che succede?» gli chiese subito Hanji.
«È venuto Armin da me. Mi ha confessato che lui e Mikasa hanno incontrato Eren
da soli».
«Quella mi vuol fare incazzare davvero!» ringhiò Levi.
«Cosa ti ha detto?» andò al sodo Hanji.
Erwin raccontò loro cosa gli aveva riferito Armin, che poi era quello che
effettivamente era accaduto, battutina sarcastica su Pixis compresa.
«Cosa ne pensi?» gli chiese la donna.
«Che la cosa non mi piace per niente» disse Erwin.
«Qualche giorno fa ho parlato con Mikasa e ha ammesso che anche lei non ci vede
chiaro» confermò Levi
«Dobbiamo agire. Dobbiamo andare ad estrarre Eren e dobbiamo farlo noi tre da
soli» spiegò Erwin.
«Sai già dove si trova?» gli chiese Levi.
«Sono in contatto con l’intelligence, a breve dovrei avere informazioni in tal
senso».
«Hai già un piano?» si informò Hanji.
«Prima dobbiamo scoprire dove fa base, poi elaboreremo un piano. Ma dobbiamo procurarci gli M3D e le RIP».
*
Nel frattempo Mikasa si era recata
sulla terrazza dell’albergo a riflettere. Sopra di lei luccicava un
meraviglioso cielo stellato. Il mare con il pigro andirivieni delle onde
accompagnava i suoi pensieri. Prima di raggiungere quello spazio all’aperto
aveva scorto, senza volerlo, Erwin che bussava alla stanza di Hanji e Levi.
Questa cosa l’aveva messa subito in allarme. Il comandante non faceva mai
niente a caso. Era un uomo di una meticolosità impressionante, studiava tutto
nei minimi particolari, lo sapeva bene lei che aveva condiviso con lui varie
missioni e ricognizioni sul campo. Se era andato da quei due, sicuramente c’era
in ballo qualche blitz e il suo intuito le diceva che non poteva che trattarsi
di Eren.
Eren che nonostante tutto era sempre lì, nella sua testa, come un chiodo
piantato nel muro.
Di ciò che aveva appena visto ne avrebbe parlato con Armin, l’unico che la
capiva e la appoggiava. Come poteva essere diversamente del resto? Loro due ed
Eren si conoscevano dai tempi del liceo. Erano un trio inseparabile. La loro
amicizia sembrava più forte di ogni cosa, tanto da portarli a scegliere
di diventare agenti, ma poi le cose avevano preso una piega diversa.
Sospirò. Era molto combattuta anche se in cuor suo sapeva bene quale fosse la
strada giusta da percorrere, solo che i suoi sentimenti ancora la frenavano.
Era intenta a districare la matassa dei suoi pensieri, quando un vociare misto
a risate sguaiate, proveniente dalla spiaggia, attirò la sua attenzione.
Intravide due sagome che procedevano malferme. Erano un ragazzo e una ragazza,
ed era chiaro che fosse lei che sorreggeva lui. Non era curiosa ma qualcosa
nella postura di quel tipo le era familiare. Aguzzò la vista e alla fine
riconobbe chiaramente Jean, che era insieme a qualcuno che le sembrava di aver
già visto da qualche parte.
Ridacchiavano e lui pareva davvero alticcio. Ad un certo punto riuscì suo
malgrado anche a sentire che cosa si stessero dicendo.
«Hai bevuto troppo. Mi toccherà portarti in camera» stava commentando la
ragazza semiseria con una vaga aria saccente, ma chi era?
«È colpa sua» biascicò Jean.
«Non so di chi tu stia parlando, ma deve piacerti parecchio per ridurti in
questo stato».
«Ma taci! Sei tu che mi hai fatto bere» masticò ancora in modo appena
comprensibile il ragazzo.
Fu in quel momento che riconobbe chiaramente la tipa. Era Hitch Dreyse. Anche
lei una ex recluta del centoquattresimo Navy Seals che poi aveva scelto, con
Marlo Freudenberg, di andare niente meno che al Dipartimento Affari Interni.
Che diamine ci faceva lei lì?
Stupito idiota! Non ti è venuto in mente che lo facesse per carpirti
informazioni!
Pensò adirata e molto in allarme Mikasa.
«Che noioso! Non hai fatto che parlare di questa fantomatica lei. Non si fa
così quando sei in compagnia di qualcun altra» lo rimproverò fintamente adirata
Hitch cercando di mantenerlo in piedi.
Jean disse qualcosa, ma la sua voce questa volta era davvero troppo impastata e
Ackerman non capì una parola. Le montò il nervoso.
Che cretino! continuava a pensare irritata mentre quei due
sghignazzavano senza ritegno.
Hitch non aveva l’abitudine di essere molto fisica nei suoi atteggiamenti, ma
improvvisamente abbracciò cameratescamente Jean e fece per stampargli un bacio
sulla guancia, per consolarlo, solo che lui girò maldestramente la testa e quel
bacio si stampò sulle sue labbra.
Mikasa dalla sua postazione non capì bene cosa stesse succedendo, vide solo che
si baciavano e colta da una collera improvvisa, intervenne. Li raggiunse prima
che entrassero nella Hall dell’albergo.
«Ciao Hitch, che fortunatissima coincidenza ritrovarti, per
caso, proprio a Paradise. Ferie?» l’apostrofò beffarda.
«Oh ma guarda! Ciao Mikasa. Vi ho riportato Jean» disse con studiata noncuranza
l’altra.
«Perché usi il plurale maiestatis? Siamo io e lui soli. Noi siamo davvero in vacanza»
rispose piccata calando l’accento sull’ultima frase sperando che se la bevesse.
«Oh sì certo, come me e Marlo del resto. Tutti vacanzieri siamo!» Hitch aveva
mangiato la foglia.
Mikasa allora afferrò Jean per un braccio e lo strattonò
«Veni brutto idiota che ora facciamo i conti!» gli disse più sincera del
dovuto. Voleva sembrare una fidanzata gelosa e la parte le veniva fin troppo
bene.
«Così vorresti farmi bere che state insieme?» la sfidò Hitch.
«No! Mikasa, no es mi casa» le interruppe Jean farfugliando,
convinto di aver fatto la più grande battuta del secolo, per esplicare che lei
non se lo filava proprio.
«Oh mio Dio! Dopo questa freddura oscena me ne vado sul serio. Ci si vede
ragazzi!» flautò Hitch roteando gli occhi e girando i tacchi.
«Ti rendi conto di quanto sei imbecille?» tuonò Mikasa a Jean che però a
sorpresa scoppiò a ridere.
«E tu ti rendi conto che sembri gelosa per davvero?» la sua voce magicamente
non era più impastata. Il bastardo stava fingendo.
«Gelosa di te? Manco morta!» gli ringhiò contro e poi lo aggredì: «Che ti è
saltato in mente? Che sei andato a fare con quella. Sei stato attento a ciò che
hai detto?»
«L’ho beccata in un pub dove ero andato a farmi una bevuta in solitaria per i
cazzi miei. Come si è avvicinata mi sono finto alticcio forte. Ha cercato di
attaccare bottone, ma ovviamente l’ho depistata alla grande. Mi sembra che
l’ubriaco mi sia venuto bene, Hitch ha abboccato! Comunque dovrò avvertire
Erwin».
«Perché l’hai portata all’albergo? Così ora sa dove siamo!».
«A parte che già lo sapeva. Lavora per il dipartimento, non so se mi spiego» le
rispose sarcastico «e comunque se non ci avessi interrotti me la sarei portata
in camera. Hitch è una gran figa e avrei passato una bella serata, se tu con le
tue manie da non so cosa, non ci avessi interrotti!» sbottò dicendo una cosa
non del tutto vera, ma voleva farle rabbia. Voleva che sapesse che poteva anche
desiderare una donna che non fosse lei.
Mikasa prima spalancò la bocca sdegnata, poi diventò paonazza, infine come mossa
da entità aliena gli ammollò un cazzottone che lo fece finire a gambe all’aria
per terra.
«Avevo voglia di farlo da quel giorno del bacio sulla spiaggia, sei proprio un
grandissimo deficiente Jean Krirschtein!».
E se ne andò via indignata e con la mano che le faceva male.
Jean rimase a sedere a gambe larghe sulla sabbia, completamente attonito. Lei
aveva avuto la delicatezza di risparmiargli il naso colpendolo sulla gota
destra che si stava inesorabilmente gonfiando.
Però non sentiva neppure male, se ne stava lì, con gli occhi che sbattevano
dallo stupore e la bocca aperta. Con lo sguardo seguiva la figura mi Mikasa che
camminando con piglio deciso si stava allontanando, mentre nella sua testa
risuonava martellante questo pensiero: Oddio, ma mi ha cazzottato come
ha fatto con Eren… allora…
forse le piaccio un pochino?
|
Ritorna all'indice
Capitolo 16 *** Un trio all’erta e pieno di brio! ***
Se ti stai
chiedendo perché stai leggendo il capitolo 16 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
16
Un trio all’erta
e pieno di brio!
I suoi trascorsi come delinquente nel
famigerato quartiere a luci rosse di Peckham, nel sud di Londra, gli tornavano
sempre molto utili, ma mai come questa volta.
Con suoi personali ferri del mestiere stava cercando di far
scattare la serratura della porta del magazzino sotterraneo, dove la resistenza
teneva le armi e gli M3D.
Lo aveva adocchiato durante la sessione di allenamento. Di guardia non c’era
nessuno perché di fatto quello era un posto segreto, e poi quella botola era
nascosta alla vista di occhi non esperti come quelli di Levi.
Erwin ed Hanji intanto erano fuori a fare da palo. La prudenza in certi casi,
non era mai troppa.
Era concentrato, i due ferretti inseriti nel buchino della toppa però giravano
a vuoto, senza fa scattare la molla. Probabilmente era una serratura simile al
cilindro europeo, ma questo non scalfì Levi che tirò fuori una chiave autocodificante(1). Armeggiò ancora un poco e tic, finalmente la molla scattò e
la porta si aprì.
Per scendere occorreva una scala che non c’era e si accorse che dentro
lampeggiava anche una lucetta rossa. C’era affettivamente un allarme.
Nella sua vita da delinquente era stato anche un rapinatore e un topo da
appartamento, riconobbe subito il dispositivo a raggi infrarossi del tipo:
passive infrared.(2)
Sono stati furbi a far credere che fosse tutto facile, così da far calare
l’attenzione a possibili intrusi, per poi farli cadere dritti nella trappola
per far scattare l’allarme! pensò Levi che quel sensore lo conosceva bene. Per non farlo scattare doveva
abbassare la temperatura corporea e calarsi nella botola, quindi disattivarlo e
rubare ciò che serviva loro. Non c’era tempo di riorganizzare il tutto per
un’altra volta, andava fatto ora e subito.
«Ragazzi ci sono gli infrarossi. Qui vicino c’è una sistola, presumo ci sia
anche dell’acqua, mi serve del ghiaccio. Tanto ghiaccio» disse tramite
ricetrasmittente ad Hanji ed Erwin.
«Dici nulla! Dove lo troviamo del ghiaccio a quest’ora? E poi a cosa ti serve?»
chiese Hanji.
«Mi serve per non far scattare l’allarme, devo abbassare la temperatura
corporea» precisò Levi «Dobbiamo darci una mossa» aggiunse.
Ci fu un attimo di silenzio, poi intervenne Erwin: «Ho un’idea, spero che
funzioni. Cerco di essere il più veloce possibile nel realizzarla» buttò lì.
Non appena arrivò davanti al Chica Loca si
rese conto con sollievo che era ancora aperto. Si guardò nello specchietto
retrovisore dell’auto, si riavviò i capelli e indossò il suo miglior sorriso
accompagnato dal suo miglior sguardo da seduttore. Entrò deciso nel locale
sperando che lei fosse di turno.
Era decisamente la sua serata fortunata. La fatalona dalle tette enormi era
proprio al bar e manco a farlo apposta lo riconobbe subito.
«Ehi splendore! Non avrei mai pensato di rivederti da queste parti, da solo
poi!» flautò zuccherina appoggiandosi sul bancone e allungandosi languidamente
verso di lui.
Erwin pensò che Levi avesse ragione, quella tipa era molto, troppo entrante e
lui aveva fretta, doveva gestirsela bene.
«Ciao sono felice che ti ricordi di me» le disse sorridendo amabilmente.
«Cosa ti porta in questi luoghi a quest’ora della notte? Stiamo per chiudere sai?»
gli disse lasciva. Sperava ardentemente che fosse venuto per lei.
«Un problemino da risolvere. Avrei bisogno di ghiaccio, molto ghiaccio e anche
di borse termiche se ne avete».
Lei lo guardò perplessa «Ma a che ti serve?» le venne spontaneo chiedergli.
«Ti ricordi il mio amico? È caduto dall’alto e si è fatto male ad entrambe le
gambe, mi serve per non fargliele gonfiare» buttò lì sperando che se la
bevesse.
«Scusa, portalo all’ospedale!».
Fu a quel punto che lui si avvicinò, le prese le mani tra le sue e la guardò
intensamente «Non mi hai mai detto come ti chiami» le mormorò con voce bassa e
roca.
Lei rabbrividì appena «Selvaggia» dichiarò con il cuore in gola.
«Che nome ricco di promesse» commentò lui sornione continuando a tenerla
incatenata con lo sguardo.
La donna si umettò le labbra e cominciò ad avvertire caldo.
«Vedi, Selvaggia, il mio amico ha dei problemini con… diciamo… le forze
dell’ordine. Quindi no, non posso portarlo all’ospedale. Per questo mi serve
davvero tanto questo favore. Sei l’unica che possa aiutarmi».
«Si vedeva che è un tipaccio… e tu, invece?».
«Devo confessare che neppure io sono proprio un santo» .
Aveva perfettamente individuato il soggetto e se la stava rigirando come un
pedalino.
«Io ho un debole per i cattivi ragazzi con la faccia d’angelo!» disse lei
mordendosi il labbro inferiore.
«E io per le ragazze selvagge!» replicò con fare complice Erwin che
voleva darsi una mossa e concludere, ma non nel senso che sperava lei.
«Allora mi potresti accompagnare a casa. Sto per finire il turno».
«Ho davvero bisogno di quel ghiaccio e devo aiutare il mio amico, poi se mi
lasci l’indirizzo ti raggiungo; Selvaggia» e calcò l’accento sul suo nome come
a far intendere che la notte sarebbe stata bollente e torbida,
all’altezza di quel suo nome.
La tipa con la mente già proiettata in immagini simil pornazzo,
abboccò all’esca. Andò nel retro dove c’era la macchina del ghiaccio e gli
procurò ciò che gli serviva Lo sistemò poi in quattro borse termiche che
tenevano nel magazzino, in caso si fosse rotta la macchina e avessero dovuto
procurarselo altrove, poi gli passò un fogliettino con il suo indirizzo.
«Allora ci vediamo dopo figaccione». Era così ammaliata da
quell’uomo che non si era neppure resa conto che lui non gli aveva neppure
detto come si chiamasse.
«Contaci!» le rispose in modo equivoco Erwin, che però ovviamente lei non
colse, poi lesto uscì dal locale, si infilò in macchina e a gran velocità si
diresse al magazzino.
Levi era già in mutande e si era già bagnato più volte con l’acqua della
sistola. Era una serata molto più fresca del solito dato che aveva piovuto
tutto il giorno e la temperatura si era abbasta di qualche grado. Hanji nel
frattempo aveva riempito un bidone vuoto che aveva trovato abbandonato lì
vicino. Appena arrivò Erwin ci rovesciarono il ghiaccio e Levi ci infilò subito
dentro.
«Cazzo, cazzo, cazzo! È freddissima! Ma dove l’hai trovato tutto questo
ghiaccio?» chiese mentre si immergeva fino al collo.
«Ho fatto un salto al Chica Loca ti ricordi la barista?».
«Chi tette-e-culo?» chiese Levi che cominciava battere i denti.
«Si esatto!» confermò Erwin.
«Ti toccherà farci sesso?».
«No, grazie!».
«Voi due siete pessimi» ridacchiò Hanji che suo malgrado, conosceva quelle
dinamiche tra loro due.
Levi rimase a mollo per circa un quarto d’ora. Il tempo necessario per
far scendere la sua temperatura corporea di modo che non fosse percepita
dai raggi infrarossi, quindi fradicio, tremante fin nelle ossa e con le mutande
appiccicate alle natiche si diresse alla botola.
Si calò con una corda aiutato da Erwin e Hanji. Dopo di che con circospezione e
movimenti lenti, aggirò i raggi infrarossi, che non lo rilevarono. Lesto tagliò
i fili disattivando l’allarme. Si procurò tre M3D e due scatole di pallottole
RIP, poi strattonò la corda e si fece tirare su.
«Devo fare una doccia calda. Muoviamoci» disse infilando in macchina in
mutande, senza neanche perdere il tempo a rivestirsi».
*
L’intelligence aveva fornito ad Erwin
l’indirizzo di dove si trovava Eren e si stavano preparando per andare a
prenderlo.
«Spero vada tutto bene e che non ci sia bisogno di usare queste» disse Hanji
osservando la particolare punta a corona della RIP, che si rigirava tra le
mani.
«L’idea è proprio quella. Un lavoro pulito, veloce e senza l’uso delle armi»
rispose Levi mentre stava sistemando le pistole nelle fondine «Non dipende solo
da noi però» concluse allacciandosi il cinturone dell’M3D.
«Speriamo che Eren dorma così da coglierlo di sorpresa. Del resto è notte
fonda».
«Speriamo piuttosto che Erwin si dia una mossa» disse guardando l’orologio.
Come evocato dai suoi pensieri, il comandante bussò alla porta della loro
camera
«Che ti dicevo?» commentò Mikasa rivolta ad
Armin.
Erano appostati dietro una colonna in prossimità della camera di Levi.
«Okay hai ragione ma non possiamo interferire in un’operazione dei nostri
superiori».
«Non interferiremo, li obbligheremo a portarci con loro!».
Armin sospirò roteando gli occhi stava per dire qualcosa ma Mikasa era già
davanti alla porta che stava bussando.
«Che cazzo ci fai tu qui?» la apostrofò in malo modo Levi non appena se la
ritrovò davanti dopo aver aperto.
Domanda retorica. Lo sapeva bene che ci facesse. Allungò il collo e vide Armin
«Mi sembrava strano non ci fossi anche tu casco d’oro…».
Una volta dentro la ragazza chiese lumi ad Erwin.
«Non sono tenuto a dirti niente» gli rispose molto garbato, ma assolutamente
deciso e severo il comandante.
«Lo so che si tratta di Eren! Non potete escludermi io vengo con voi».
«Mikasa forse non è il caso» provò dirle Armin per calmarla.
Levi lanciò un’occhiata d’intesa ad Hanji e la donna le si avvicinò furtiva a
da dietro. Quindi l’afferrò saldamente immobilizzandola.
Il capitano aprì il cassetto del suo comodino ed estrasse un paio di manette.
«E quelle cosa sono?» gli chiese Erwin stranito.
«Perché non lo vedi?» rispose l’altro un po’ infastidito.
«Ma noi non le abbiamo in dotazione…» commentò il comandante che cominciava a
capire. Gli scappava da ridere ma cercava di essere contegnoso.
«Non una parola!» lo fulminò Levi mentre ammanettava Mikasa alla testiera del
letto.
«Quante storie! È chiaro no? Servono per dar vita a momenti ricreativi
alternativi» disse serafica Hanji.
Levi la trapassò con un’occhiataccia, ma lei scoppiò a ridere.
«Dovreste essere i nostri superiori e fate pure i cretini!» sbottò veramente
arrabbiata Mikasa.
«Hanji adora fare la testa di cazzo. Le piace e le viene naturale. Queste sono
di Jean. Come agente FBI lui sì che ne è dotato e io gliele ho rubate, perché
ero certo che saresti venuta a rompere le palle!».
«Armin te l’affido, la libereremo appena rientreremo. Falle compagnia e non
fate sciocchezze. Ti riterrò responsabile» intimò loro Erwin.
«Sissignore» asserì compito Arlert.
Eren era alloggiato in un appartamento al
terzo piano di un palazzo popolare appena fuori Marley.
Arrivati tirarono fuori le pistole M3D. Si guardarono intorno, sembrava non ci
fosse anima viva in giro. La finestra dell’appartamento faceva bella mostra di
sé illuminata da un lampione. Era un po’ rischioso salire tutti e tre contemporaneamente,
se fosse arrivato qualcuno li avrebbe colti facilmente sul fatto.
Hanji fece cenno agli altri due di controllare la strada, intanto lei sparò M3D
sul tetto, mentre saliva in velocità con un calcio di una precisione
millimetrica, ruppe la lampadina del lampione e spense la luce che
evidenziava la finestra.
Subito salì Erwin seguito da Levi e si ritrovarono tutti e tre sul tetto.
«Se facciamo irruzione da qui, gli diamo un vantaggio» commentò Erwin.
«Possiamo vedere se dall’altra parte c’è un terrazzino, o un’altra via
d’entrata» commentò Hanji.
«Dovrebbero esserci le scale antincendio. Di solito sono dalla parte interna
del palazzo e non accessibili dalla strada» spiegò Levi.
Si mossero veloci e raggiunsero il lato opposto. In effetti c’erano proprio
come previsto.
«Basterà entrare nel palazzo, poi troveremo l’appartamento di Jeager» annunciò
il capitano sicuro del fatto suo.
Scesero furtivi alcune rampe delle scale antincendio, quando furono in
prossimità del terzo piano, con molta facilità aprirono la porta d’accesso e
subito furono dentro l’edificio.
Procedevano in fila indiana armi in pugno comunicando esclusivamente con le
mani e cenni delle testa.
Quando furono davanti alla porta dell’appartamento di Eren, Levi, con i suoi
ferri l’aprì abbastanza facilmente. Dentro c’era buio, tranne che per un
sottile spiraglio di luce, che sicuramente proveniva dalla camera del ragazzo,
facendo capire chiaramente che ci fosse anche una TV accesa.
I tre comunicarono muti ancora a gesti. Levi si mise davanti seguito da Erwin e
Hanji chiudeva la fila.
Il momento era delicatissimo, dovevano essere invisibili, silenziosi e
velocissimi.
Si mossero felpati come tre felini. In breve furono davanti alla camera dove
c’era la TV e la porta accostata. Si accordarono con uno sguardo. Levi la
spalancò con un calcio e subito fecero irruzione tutti e tre
contemporaneamente, armi in pugno, per non dargli la possibilità di reagire.
Il letto sfatto però era vuoto e sulla TV accesa, qualcuno aveva messo in
loop la famosa scena del Joker interpretato Phoenix, che beffardo ballava su
una lunga scalinata.
«Cazzo!» sbottò Levi frustrato «Ci ha fregati!».
«Non credo…» disse Hanji controllando la finestra da cui loro avevano scelto di
non entrare. Era accostata e c’era un taglio circolare nel vetro, fatto con un
attrezzo da professionisti, mentre i frammenti dello stesso erano sparsi per
terra.
Erwin stava controllando il letto e si trovò tra le mani una freccetta
anestetica.
«L’hanno sedato, sapevano che è un titano e deve anche aver tentato di
difendersi dato che il primo colpo è andato a vuoto».
Levi silenzioso e seccato guardava la stanza, Hanji, Erwin e la TV.
«Chiunque sia stato è un professionista» commentò la Zoe facendo scricchiolare
i frammenti di vetro sotto le suole dei suoi anfibi.
«Abbiamo un bel problema adesso» ammise molto preoccupato Erwin.
«Credo di sapere chi potrebbe essere stato. Inoltre sembra proprio che volesse
che lo capissimo».
Hanji intuì subito a chi si riferisse Levi.
«Comunque prima di formulare ipotesi dobbiamo assolutamente reperire
informazioni. L’intelligence dovrà ricorrere al contro spionaggio. Se Eren
dovesse uscire da Paradise saremmo tutti fottuti!» dichiarò molto impensierito
Erwin.
*
«Mikasa ma sei fuori? Ti rendi conto che hai
rotto il letto!» commentò Armin esterrefatto. La ragazza aveva presto a calci
quella testiera di vimini finché non aveva ceduto. Ora era libera
sebbene ancora ammanettata, Levi faceva le cose per bene come suo solito.
Non le interessava del danno doveva raggiungerli ad ogni costo. Senza neppure
curarsi dell’amico uscì dalla stanza dirigendosi di gran carriera verso quella
di Jean.
Bussò energicamente con la punta delle scarpe scalciando. Da dentro sì sentì un
brontolio indistinto, del resto era notte fonda.
«Ma chi è?» biascicò il ragazzo insonnolito aprendo la porta. Era a torso nudo
con i capelli arruffati e gli occhi abbottonati.
Quando lei se lo trovò davanti seminudo diventò paonazza.
«Copriti cretino!» lo aggredì avvampando.
Jean ci mise qualche secondo a capire che era sveglio, che Mikasa nel cuore
della notte aveva bussato alla sua porta, che era ammanettata e che come suo
solito era incazzata con lui.
Sbadigliò in modo sguaiato grattandosi la testa e poi la guardò alzando un
sopracciglio.
«Fammi capire, mi bussi in piena notte e pretendi pure di trovarmi agghindato
di tutto punto? Se volevi fare i giochini erotici dovevi venire prima!» le
disse per dispetto, osservando stranito le manette.
Gli arrivò un calcio in uno stinco che lo fece guarire come un lupo preso in
una tagliola.
«Ma che sei scema?».
«Jean, si vuole liberare. Ha le tue manette e spera che tu abbia le chiavi di
riserva» spiegò Armin che sbucò da dietro al ragazza.
«Ma voi non dormite mai la notte?» brontolò «E no, non possono essere le mie»
aggiunse infine.
«Certo che sono le tue!» sbottò Mikasa.
«No. Le mie le ho lasciate in cassaforte a casa. Non si portano le manette in
missione» rispose stancamente.
«Quello stronzo nano di merda!» sbraitò frustrata Mikasa.
«Oh ma che è ‘sto casino?» esordì Connie facendo capolino dalla sua stanza
anche lui in mutande.
«Ma basta!» gli fece eco Sasha che uscì dalla camera di Niccolò, al che tutti e
quattro la guardarono neanche tanto sorpresi.
«Lo sapevo io che te la facevi con quello!» disse Connie puntandole l’indice
contro.
«Perché io a differenza di voi tutti ho una vita! E comunque sto solo facendo
il mio lavoro: lo tengo d’occhio!» puntualizzò.
«Seee!» fecero in coro Connie ed Armin.
«Insomma mi aiutate a liberarmi da queste manette?» sbottò Mikasa.
«Tranquilla ci pensa il nano di merda, che ti conosce molto
bene e sa come metterti fuorigioco» la colse di sorpresa la voce di Levi
alle sue spalle, che era appena rientrato e a quanto pare aveva
origliato.
«Ragazzi domani mattina dobbiamo fare un briefing. La situazione è precipitata
hanno rapito Eren!» disse Erwin mettendo fine a quel teatrino.
*
Eren si era appena ripreso. Era legato
con le mani dietro la schiena e le gambe unite. Stava in posizione prona, quasi
come se fosse incaprettato. In questa maniera non poteva muoversi in alcun
modo. In bocca aveva una barretta d’acciaio legata saldamente dietro la testa
da una catena, fine ma robusta. Non poteva parlare, né chiudere la bocca. Non
poteva fare praticamente niente.
L’uomo dai capelli lunghi era seduto su uno sgabello davanti a lui. Indossava
un cappello tipo quelli da cowboy calato sugli occhi. Si accese una sigaretta e
ne aspirò una generosa boccata, trattenne un po' il fumo e poi lo espirò in
faccia al ragazzo che tossì malamente.
«Oh che bello! La principessa sul pisello è finalmente sveglia!».
Eren grugnì qualcosa di incomprensibile e cominciò ad agitarsi, ma l’uomo restò
beffardamente impassibile e continuò a fumare la sua sigaretta.
I monologhi dell’autrice
Questo è un altro tra i miei capitoli preferiti, non potete immaginare quanto mi sono divertita a scriverlo!
Note:
(1) Chiave autocodificante o meglio conosciuta come
“Grimaldello Bulgaro”, altro non è che un attrezzo da “lavoro”, realizzato da
serraturieri esperti, un grimaldello specifico che non è affatto una chiave, o
un passepartout, ma un attrezzo con la caratteristica (non unica nel suo
genere) di essere autocodificante, adatto per l'apertura impropria
di serrature a doppia mappa. (fonte: www.falegnameriaboschi.com)
(2) PIR (Passive InfraRed) è la sigla con cui si va ad identificare il sensore
a infrarossi passivo, un sensore elettronico progettato per rilevare la
presenza e il movimento entro una determinata area. Un dispositivo in grado di
rilevare il movimento e, dunque, una variazione nei livelli di
radiazione. Il sensore deve essere installato lontano da fonti di calore e
da tutti quegli oggetti che producono variazioni di temperatura come i
radiatori, i ventilatori o i condizionatori (fonte: www.pgcasa.it)
Ovviamente mi sono ispirata a queste info per inventarmi la faccenda della
temperatura corporea, che mi era assai utile ai fini narrativi, ma che
ovviamente è solo frutto della mia fantasia.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 17 *** The Call ***
Se ti stai
chiedendo perché stai leggendo il capitolo 17 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
17
The Call
Il briefing sarebbe dovuto cominciare già da
venti minuti, ma di Erwin non c’era traccia.
«Sarà chiuso al cesso. Ora gli sfondo la porta della camera!» sbottò Levi molto
infastidito. Proprio in quella situazione così delicata e pericolosa, il comandante
si faceva trovare in difetto. Gliene avrebbe dette quattro non appena si fosse
palesato.
«Io invece sono preoccupata» gli bisbigliò Hanji vicino l’orecchio.
«Per cosa? Per un ritardo? Io invece sono solo stufo. Non c’è disciplina. Siamo
nella merda e non c’è tempo da perdere!».
«Non è da lui» commentò la donna non senza ansia.
Levi la osservò accigliato e dovette ammettere che in effetti non aveva torto,
Erwin era preciso come un orologio svizzero e per un momento gli si ghiacciò il
sangue nelle vene.
«Senti vai a vedere nella sua stanza, ma con discrezione. Non allarmiamo tutti
senza motivo» lo incitò Hanji.
Levi andò e bussò alla porta della camera del comandante. Silenzio. Bussò con
più vigore. Ancora silenzio.
Ebbe la tentazione di buttare giù la porta, ma i proprietari già si erano
risentiti vibratamente per la testiera del letto sfasciata da Mikasa, era il
caso di darsi una calmata, o avrebbero dovuto ripagare i danni. Prese la sua
carta di credito e fece scattare la serratura. Un gioco da ragazzi per lui.
«Erwin? Che cazzo stai facendo?» disse per palesare la sua presenza nella
stanza.
Niente di niente.
Letto intonso.
Bagno vuoto.
Tutta la sua roba al suo posto…
La faccenda aveva un che di inquietante.
Qualcosa poi attirò la sua attenzione, un biglietto appoggiato sul cuscino.
Abbiamo Erwin.
Ci faremo sentire noi.
Imprecò a denti stretti appallottolando la
carta tra le dita.
Rientrò nella stanza dove erano tutti riuniti. Erano stati convocati anche
quelli della resistenza, nonostante lui non fosse stato molto d’accordo con
quella decisione presa da Erwin stesso.
Chiuse la porta dietro di sé e con studiata nonchalance si avvicinò ad
Onyankopon. Fulmineo estrasse la pistola e gliela puntò alla tempia.
Tutti si irrigidirono di colpo.
Galliard digrignò i denti, ma subito fu affiancato da Jean che lo disarmò.
Mikasa intanto immobilizzò Piek.
Falco sgranò gli occhi e Gabi, più svelta di Levi, estrasse la pistola e la
rivolse proprio verso di lui.
«Lascialo andare o ti faccio saltare le cervella!» gli intimò.
«Non penso proprio!» disse Connie puntando il suo revolver sulla nuca della
ragazzetta.
Falco a quel punto stava tentando di sfoderare a sua volta l’arma, quando
Onyankopn parlò: «Fermi tutti, abbassate le armi! Levi che diamine ti prende?».
«Hanno rapito Erwin e secondo me voi c’entrate qualcosa» ringhiò il capitano.
«COSA!?!» fecero tutti insieme scioccati.
«Non so di cosa tu stia parlando» ribadì l’uomo.
Tirarono avanti così per alcuni minuti accusandosi e discolpandosi a vicenda,
fin quando il telefono di Levi squillò.
Sul display apparve la scritta: numero sconosciuto.
«Pronto?» fece guardingo il capitano.
Una voce metallica e distorta enunciò: «Abbiamo Erwin. Voi avete Eren. Dobbiamo
fare uno scambio».
«Non abbiamo Eren. Chi siete?».
«Se non avete Eren allora avete un bel problema, perché se non ce lo
consegnerete entro ventiquattrore, noi faremo a pezzi il vostro amico».
«Siete sordi? Noi non abbiamo Eren volevamo estrarlo, ma quando siamo arrivati
qualcuno ci aveva preceduto!» spiegò Levi.
Un click seguito dal classico tu-tu gli
fecero capire che avevano riattaccato.
Merda! masticò a denti stretti.
«Che succede?» chiese Hanji preoccupata.
«Credono che abbiamo Eren».
«Volete spiegare anche noi?» sbottò Onyankopon.
Due ore dopo erano nella fabbrica
abbandonata.
La prima cosa che poterono constatare fu che qualcuno era entrato e aveva
rubato ben tre M3D e due scatole di RIP. A quel punto Levi calò la maschera e
spiegò che erano stati loro.
Poi, grazie ad un fugace controllo di Onyankopon, scoprirono che Yelena e Floch
erano spariti nel nulla. La cosa non sorprese minimamente né Armin, né Levi.
I ragazzi della resistenza invece erano piuttosto sconcertati, sembrava
avessero fatto molto affidamento su quella spilungona.
«È bene che sappiate che sull’isola ci sono anche quelli
dell’intelligence-affari interni» disse Jean rivelando il suo incontro con
Hitch e Marlo.
«Dobbiamo contattarli» commentò Armin.
«Se sono qui il quartier generale dovrebbe saperlo. Mi metto in contatto con
Pixis» aggiunse Hanji.
«Noi nel frattempo cerchiamo di capire che fine abbia fatto Yelena» dichiarò
Onyankopon.
«Vengo con voi» disse la caposquadra «E tu starai con Levi» aggiunse rivolta a
Galliard.
Pixis, come immaginavano, fu in grado di dar
loro un sacco di informazioni provenienti proprio dal contro spionaggio.
La prima certezza fu che Rod Reiss, grazie ai titani, volesse realmente fare un
colpo di stato tramite una strage.
La seconda fu che c’era qualcuno oltre loro che stava tramando nell’ombra per
fermarlo. Chi fosse però non era dato saperlo.
La terza invece era un’informazione apparentemente gossippara e
inutile, ovvero che l’influencer The Queen da quasi dieci
milioni di followers, non si chiamava veramente Historia Lenz, come tutti
credevano, ma Krista Reiss(1) ed era proprio la figlia di quel Reiss.
La quarta informazione, che poteva essere anche abbastanza intuibile, era che
Erwin era stato rapito dagli Jeageristi.
«Non capisco che cazzo ce ne freghi a noi della reginetta di Instagram!»
sentenziò infastidito Levi.
«Te lo spiego io» si fece avanti Mikasa scura.
«Sono tutto orecchi!».
«È incinta di Eren».
Ci fu un attimo di silenzio sconcertato. Non lo sapeva nessuno a parte Jean,
che non mosse un solo muscolo del viso.
«Quindi Eren potrebbe essere in combutta con il quasi-suocero, e aver fatto il
doppio gioco» rimuginò a voce alta Armin.
«Potrebbe anche aver inscenato un finto rapimento solo per decapitare la nostra
squadra eliminando Erwin!» sbottò Jean.
A quel punto anche Mikasa non potette più tacere e raccontò ogni cosa, anche la
più assurda, che le aveva rivelato Eren.
«Qualcosa non torna» commentò Levi meditabondo.
«Anche io la penso così. Perché Eren avrebbe addirittura dovuto fingere un suo
sequestro per far rapire Erwin? Anzi avrebbe potuto tranquillamente fare il
doppio gioco e attirarci tutti in una trappola a Marley per farci fuori in un
solo colpo» commentò Armin.
«Devo fare una telefonata» disse Levi assentandosi un attimo.
«Ci sono troppe cose che non quadrano. Dobbiamo metterci tutti insieme con
calma e analizzare capillarmente la situazione, o non ne verremo a capo»
suggerì Galliard.
«Aspettiamo che rientrino gli altri e poi facciamo il punto» concordò Sasha.
Connie restò in silenzio, era molto preoccupato.
Più tardi di nuovo tutti assieme e attorno ad
un tavolo, stavano mettendo al vaglio tutte le informazioni a loro
disposizione.
Di Yelena non avevano avuto nessuna notizia utile ma era ormai chiaro che
facesse anche lei parte degli Jeageristi
«Allora, riassumendo» cominciò Hanji molto seria. Era stata scelta tramite
votazione quasi unanime per fare le veci di Erwin «Eren è il figlio di Grisha e
il fratello di Zeke. È un titano e ha un potere molto grande. Attraverso i
titani e il suo potere, a quanto pare, vuole rifondare il mondo. Inoltre ha messo
incinta Krista Reiss che è la figlia di quel Reiss che vuole fare un colpo di
stato. Attualmente sembra sia stato rapito, ma non abbiamo idea da chi e
perché».
«Dobbiamo metterci in contato con gli Jeageristi» disse serio Onyankopon.
«E come facciamo?» chiese Piek.
«Lo so io!» esordì Niccolò. Non si era mai espresso ed era sempre stato un
passo indietro per via che percepiva che non si fidassero di lui, ma ora aveva
l’opportunità di aiutare «Ho il numero di telefono di Floch, ce lo scambiammo
quando ancora non sapevo che fosse un traditore» enunciò soddisfatto. Sasha fu
contenta che il ragazzo si mettesse in buona luce.
«Dovremmo rintracciare anche Historia, Krista o come si chiama quella tipa di
Instagram» propose astutamente Gabi.
«Mikasa tu hai un qualche suo recapito?» le chiese Jean facendo lo gnorri.
Lei lo fulminò con un’occhiataccia «Ma secondo te come cavolo faccio ad aver il
suo recapito?».
«Ragazzi calma, ragioniamo, contattiamola tramite il suo numero per le
collaborazioni su Instagram» suggerì Armin.
Krista aveva risposto subito, e non si era
tirata indietro quando aveva capito la situazione. Fortuna volle che anche lei
fosse a Paradise. Sembrava molto preoccupata e anche molto collaborativa. Si
era detta disposta a incontrarli, soprattutto per il bene di Eren di cui non
aveva più notizie da giorni. Sembrava davvero fuori da ogni dinamica del padre
e del fidanzato, ma comunque decisero di non fidarsi e di stare all’erta. La
situazione era troppo delicata e niente doveva essere lasciato al caso.
Il numero di Floch risultava attivo, ma squillava e lui non rispondeva alle
chiamate di Niccolò. Era dalla sera prima che provano a chiamarlo, quindi erano
in attesa di un qualche sviluppo, dato che le ventiquattrore stavano per
scadere e ancora non sapevano da che parte rifarsi per poter aiutare Erwin.
Hanji e Levi nel frattempo si erano ritirati in camera loro, erano davvero
molto preoccupati per come si stavano svolgendo i fatti. Si sentivano
abbandonati al loro destino, senza aiuti esterni e senza un piano, né una pista
da seguire per poter aiutare Erwin e liberarlo.
«Ho provato a contattare Kenny» disse il capitano molto serio «Ma non ho
ottenuto risposta. Questo mi fa supporre che sia in azione e io sono sicuro che
sia qui a Paradise. Non mi stupirebbe se fosse stato proprio lui a rapire Eren.
Quella TV accesa e quella scena di quel film sono esattamente cose da lui».
«È vero l’ho pensato anche io, ma potrebbe anche essere un depistaggio»
rifletté Hanji pensosa. Anche lei sembrava non cavare un ragno dal buco
Levi annuì «Se è vero come penso che Eren non è stato rapito per finta, credo
che gli Jeageristi abbiano bluffato. Non uccideranno Erwin anche se stanno per
scadere le ventiquattr’ore. È l’unica moneta di scambio che hanno, non possono
buttarla nel cesso così».
Hanji sospirò forte «Lo spero ardentemente anche io».
«Siamo legati mani e piedi, non possiamo far nulla se non attendere, non
sappiamo bene chi, o cosa e questo mi manda davvero in bestia!» masticò amaro
Levi.
Hanji stava per rispondere ma un bussare intenso allo loro porta li interruppe.
«Che c’è?» chiese Levi contrariato
«È arrivato un pacco e Floch ha richiamato Niccolò. Vuole parlare con lei»
disse Armin piuttosto agitato.
Levi schizzò fuori dalla camera seguito da Hanji.
Si avventò su Niccolò e gli strappò il telefono di mano.
«A quanto pare possiamo giocare a carte scoperte» gli disse beffardo un Floch
molto sicuro di sé «Vi comunico che sono il capo degli Jeageristi ufficialmente
investito dai grandi Jeager».
«Dimmi dov’è Erwin e come sta, forse ti risparmierò la vita» gli sibilò Levi
che non aveva voglia di perdere tempo con quel megalomane.
«Devi stare calmo, non sei tu che hai il coltello dalla parte del manico» gli
rispose sprezzante.
È la tua fortuna, imbecille. Quando mi sarai a tiro, con il mio coltello ti
sfiletterò come un branzino, brutta testa di cazzo! pensò Levi
costringendosi a tacere.
«Non abbiamo Eren. Lo stiamo cercando anche noi» ribadì tentando di apparire
calmo. Dentro di lui stava formicolando una strana sensazione che di solito
portava con sé sempre cattive notizie.
«Non abbiamo potuto ancora appurare se mentite, o no. Per questo dobbiamo farvi
capire che siamo uomini di parola e che non scherziamo» sentenziò Floch molto
duramente.
Questa frase gli fece accapponare la pelle.
«Avanti, apri il pacco» aggiunse Floch.
Levi lo mise in viva voce e fece cenno agi altri, che erano stati riuniti da
Armin e Mikasa, di fare silenzio, poggiando l’indice sulle labbra.
«Aprite quel pacco» ordinò poi.
«Lo faccio io!» si propose Connie e subito si mise all’opera.
Non appena riuscì ad aprirlo, i suoi occhi furono dilatati da un lampo di
terrore e raccapriccio. Non fece neppure in tempo ad emettere un suono che
dovette spostarsi di corsa per vomitare sul pavimento tutto quello che aveva in
corpo.
«Che caz…» imprecò Levi colmando la distanza tra lui e l’involucro, con tre
falcate, ma non appena scorse il contenuto, le parole gli morino in gola.
Nel pacco c’era un braccio mozzato…
I monologhi dell’autrice
Note:
(1) Ho voluto scambiare i nomi perché Historia è po’ troppo strano per un
contesto più moderno.
A questo proposito vorrei rinfrescarvi la memoria su un fatto non
trascurabile. Questo AU in cui si svolge questa storia è un contesto simile
al nostro mondo odierno, ma NON lo è. Si tratta di un mondo
simile e parallelo ma non proprio identico in tutto e per tutto al nostro mondo.
reale
|
Ritorna all'indice
Capitolo 18 *** Eta Beta vs Mary Poppins ***
Se ti stai chiedendo perché
stai leggendo il capitolo 18 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
18
Eta Beta
vs
Mary Poppins
Tutti erano sconvolti dalla macabra scoperta.
Floch era stato di parola e stava letteralmente facendo a pezzi il povero
Erwin.
Alla telefonata era seguito un invio di immagini in cui si documentava che il
braccio amputato fosse proprio quello del comandante, anche se fortunatamente
l’atto dell’amputazione non era stato mostrato nella sua cruda ferocia.
Erwin veniva ripreso mentre era in un letto. Curato. Con una flebo attaccata al
braccio buono, mentre l’altro, quello mozzo, era accuratamente fasciato. Il volto
appariva cinereo, sofferente, non doveva essere stata una passeggiata, anche se
come agenti segreti erano stati addestrati a sopportare le torture. L’unica
cosa che li confortava era che almeno non sarebbe morto, ma la menomazione che
gli era stata inflitta era davvero terribile.
Hanji e Levi invece di lasciarsi alla disperazione e ad una legittima
preoccupazione per lo stato di salute del loro amico e compagno, si misero
subito a darsi da fare per elaborare un piano.
Come al solito si erano tutti riuniti. Ora più che mai dovevano essere coesi e
soprattutto rapidi nella risoluzione della faccenda.
«Dobbiamo restare lucidi e freddi. Non è proprio il caso di farsi prendere
dalla rabbia, o dall’ansia» commentò seria Hanji motivando i presenti.
Levi avrebbe volentieri elucubrato vari modi per dare una morte lenta e
dolorosa a Floch, ma come diceva la donna non era il momento di perdersi dietro
desideri di vendetta. La sua fredda determinazione gli venne in aiuto come
sempre.
«Per quanto efferato, quell’imbecille non può essere la mente di tutto ciò»
commentò a voce alta.
«Che possiamo fare per aiutare il comandante?» chiese accorata Sasha.
«Dobbiamo studiare un piano. Un buon piano, che sia plausibile e che ci
permetta di avvicinare questi Jeageristi. Così poi ce la giochiamo come
sappiamo fare e riportiamo a casa Erwin» spiegò Hanji.
«Noi siamo con voi al cento per cento» disse Onyankopon.
«Possiamo anche trasformaci in titani se serve» aggiunse Galliard.
Furono interrotti da Armin: «Sta arrivando Krista!» enunciò giulivo. Era lui
che l’aveva contattata e invitata poi successivamente al loro albergo.
Mikasa si rabbuiò, cosa che non sfuggì a Jean, ma anche per loro non era tempo
di soffermarsi su queste cose, erano ben altre le priorità.
Krista Reiss era indubbiamente bella. Lunghi capelli biondi le danzavano
armoniosi sulle spalle. Occhi grandi di un blu intenso. Sorriso solare. Un
corpo ancora tonico e snello nonostante la gravidanza avanzata. Fu come se
nella stanza fosse entrato un raggio di sole. Questa cosa non sfuggì a Mikasa
che pur essendo lei stessa una bellissima ragazza, al suo cospetto si sentiva
inadeguata. Scacciò subito questi pensieri e si impose di fare qualunque cosa
avesse potuto aiutare Eren ed Erwin.
Dopo alcuni brevi convenevoli, Hanji passò subito al sodo.
«Tu sai qualcosa di questi Jeageristi?».
La ragazza si lisciò una ciocca di capelli, si schiarì la voce e vuotò il
sacco.
«Eren me ne aveva parlato. Stupidamente io credevo che fosse un’associazione
senza scopo di lucro. Un sorta di gruppo di militanti nel campo ambientale»
raccontò mogia.
«E di tuo padre che ci dici?» la incalzò Levi.
«Mio padre?» chiese allarmata irrigidendosi.
«Sì, tuo padre: Rod Reiss».
Krista guardò timorosa quell’uomo basso ma dall’espressione così minacciosa da
farle tremare le gambe.
«Dovrebbe essere un segreto che sono sua figlia» rivelò timidamente.
«Spiegati, non abbiamo tutto il giorno. La vita di due persone dipendono da
noi!» sbottò infastidito Levi, l’unico che era rimasto totalmente immune al
fascino della bella influencer.
«Sono figlia di terzo letto di Reiss. Mi ha riconosciuta perché mia madre gli
ha piantato un casino minacciando di sputtanarlo su tutti i tabloid del
pianeta, ma io non uso neppure il suo cognome. Non ci sentiamo quasi mai. Mio
padre non sopporta che io sia una influencer. Credo che mi detesti. Mi dispiace
ma non so assolutamente cosa possa tramare».
«Dice la verità. Ho fatto un controllo veloce in centrale non appena ho saputo
che sarebbe venuta da noi. Le informazioni sulla sua natalità e conseguente
riconoscimento sono confermate» rivelò Connie solerte con il portatile in mano.
Hanji stava rimuginando.
«Quindi tu sei conosciuta dagli Jeageristi… loro sanno chi sei, giusto?» chiese
alla ragazza.
«Sì, certo, sono venuti spesso da Eren. Non partecipavo alle loro riunioni, ma
lo confermo: ci conosciamo».
«Ho un piano» enunciò la caposquadra soddisfatta «dunque dobbiamo far credere
agli Jeageristi di aver recuperato Eren e addirittura di avere anche la sua
compagna incinta, poi gli chiediamo lo scambio con Erwin».
«E di Eren quando ci occuperemo?» saltò subito su Mikasa.
«Una cosa alla volta Ackerman! Non è lui che stanno letteralmente facendo a
pezzi!» sbottò spazientita Hanji.
«Ma salverete anche lui vero?» chiese timidamente Krista.
«Certo cara» la rassicurò la donna.
Levi che aveva capito al volo il piano della sua compagna, aggiunse: «Ora
dobbiamo solo capire chi vestirà i panni di Eren e chi quelli di Krista».
Piek con le mani sui fianchi prese a girare intorno ad Armin valutandolo da
capo a piedi con lo sguardo.
«Non conosco Eren, ma questo qui, con una parrucca bionda e un cuscino legato
in vita sarebbe una Krista perfetta!» commentò sorniona.
«Eren lo faccio io!» si propose Jean facendo un passo avanti. Non seppe neppure
lui perché lo stesse facendo, o forse sì.
«Ma è proprio necessario?» chiese Armin deglutendo. Era la sua primissima volta
sotto copertura ed era molto agitato. Interpretare una donna incinta non era
proprio nelle sue corde, né la sua massima aspirazione.
«Non abbiamo tempo da perdere. Armin non discutere, muoviamoci!» lo esortò
Levi.
Si misero subito all’opera.
Hanji stava ravanando dentro il suo trolley da camuffo come lo
aveva ribattezzato lei stessa. La prendevano tutti in giro, Levi in testa alla
fila, tant’è vero che l’aveva soprannominata: Mary Poppins, perché da quel
trolley poteva uscire qualunque cosa.
«Ecco qua!» fece soddisfatta estraendo una bella parrucca bionda.
Armin la guardava sconcertato dato che aveva con sé anche un beauty case pieno
di trucchi.
«Vedrai come ti sistemo. Sono una maga del camouflage! Ti faccio sparire la
barba tramutandoti in una dolce donzella dai boccoli biondi!».
Levi, silenzioso, stava a sua volta rovistando dentro una valigia che si era
portato appresso da casa con fare misterioso. Hanji lo osservava a metà tra il
curioso e il divertito.
L’uomo improvvisamente tirò fuori una pancia in silicone, da indossare sotto un
vestito con una sorta di bretelle.
«O questa?» chiese stupita la caposquadra.
«Fa parte del mio kit da travestimento. Il nano grasso, goffo e con i baffi
manubrio è un mio classico» sentenziò Levi arcigno. Odiava travestirsi ma a
volte nel loro lavoro era necessario. E sebbene detestasse ammetterlo, l’idea
di lei di portarsi dietro anche quei ferri del mestiere,
spesso e volentieri si era rivelata una mossa molto azzeccata. Così questa
volta aveva deciso di imitarla, e non si sarebbe mai congratulato abbastanza
con se stesso per averlo fatto, dato che era stata una scelta provvidenziale.
«Ma tu guarda…» commentò Hanji stuzzicandolo. Intanto stava iniziando la lunga
e sapiente trasformazione di Armin in Krista.
«Pochi commenti donna. Sì, è vero, ho preso esempio da te, contenta? E ne sono
fiero, questo mi aiuterà a fare fuori nel modo più lento e doloroso possibile
quel Floch».
Hanji sapeva quanto fosse in pensiero per Erwin perché a lei stessa sanguinava
il cuore, ma dovevano comunque essere distaccati e lucidi e l’ironia, così come
il sarcasmo, li aiutava molto in tal senso.
«Ti promuovo a mio assistente ufficiale! Da oggi sarai il mio Eta Beta, dalle
cui tasche può uscire perfino una pancia, all’abbisogna!».
Mikasa, nel frattempo, stava acconciando i capelli di Jean, prima ci aveva
spuzzato uno spray colorante al mallo di noce per scurirli e ora li stava
sistemando con quella mezza coda rincalzata nell’elastico, come usava portarli
ultimamente Eren. Oltretutto Jean li aveva un po’ più corti e se non li avesse
legati, lo avrebbero sgamato subito. Stava in silenzio mentre la ragazza lo
stava preparando. Gli toccava i capelli ed era una sensazione estremamente
piacevole. Anche se non era certo il momento, né il luogo, non poté fare a meno
di pensare come sarebbe stato se lei lo avesse toccato solo per il puro piacere
di farlo.
Sospirò.
«Stai tranquillo ci saremo noi con voi» disse Mikasa per rassicurarlo,
scambiando quel sospiro per preoccupazione.
«Guarda che non ho mica paura» si risentì lui piuttosto scocciato. Si
considerava un duro e gli rodeva che lei non se ne accorgesse.
La ragazza nel frattempo, non volendo gli tirò i capelli.
«Ahia!».
«Finiscila!» lo rimbrottò «sei grande e grosso e fai la scena per una tiratina
ad un ciuffo!».
Jean abbozzò e non le rispose perché da quando era arrivata Krista l’aveva
vista incupirsi. Le si era velato lo sguardo di tristezza e lui non voleva
darle il tormento, si rassegnò a farle da capro espiatorio. Certo, avrebbe
voluto consolarla, ma sapeva che non era il momento. Forse non lo sarebbe mai
stato, anche se in quei giorni si era permesso di indulgere in qualche morbida
illusione.
Intanto Hanji stava sapientemente truccando Armin quando Krista, che si era
appartata qualche minuto per fare una chiamata, arrivò trafelata.
«Ho notizie su Eren!» disse attirando l’attenzione di tutti i presenti.
Si mise a sedere e sorrise soddisfatta «Ho chiamato mio padre. Ho bleffato
fingendo di essere certa che lui lo avesse fatto rapire. L’ho ricattato
minacciando di diffondere la notizia di me con la pancia in evidenza che lo
accusavo di avermi privata del padre di mio figlio e ha funzionato! Ha ammesso
di essere stato lui, ma mi ha assicurato che Eren non rischia nulla è solo una
cosa precauzionale».
«E dove si trova?» chiese subito Mikasa.
Krista sospirò «Non sono riuscita a farmelo dire. Ma posso ritentare…» ammise
sconsolata.
«Sei stata molto brava. Adesso sguinzagliamo l’intelligence e il
controspionaggio. Sicuramente ne verremo a capo, altrimenti farai un altro
tentativo» le disse Hanji, poi fece un cenno a Levi.
Armin era pronto e anche Jean. La trasformazione era terminata e da lontano
sarebbero facilmente passati per Eren e Krista.
«Ma sai che mi verrebbe quasi voglia di farti il filo?» disse Connie ad Armin
che gli digrignò i denti.
«Ma dai si scherza!» cercò di rimediare, ma Sasha gli ammollò un sonoro
scappellotto che lo fece sobbalzare.
«Ma perché devi sempre fare il cretino? Ti pare il caso? Ma ti rendi conto che
hanno tranciato un braccio al comandante? Ma non ti vergogni?».
Connie abbassò lo sguardo e divenne paonazzo, masticò due scuse ad Armin e non
aprì più bocca
Levi intanto prese il cellulare di Niccolò e chiamò Floch.
Ovviamente quello, da esaltato qual era, si fece attendere un bel po’ poi
finalmente rispose.
«Abbiamo recuperato Eren e la sua dama con tanto di pagnotta in forno. Se non
volete che cominciamo anche noi a farli a pezzi, troviamoci per lo scambio»
disse Levi in modo assolutamente convincente.
«Vogliamo le prove!» saltò su l’altro stizzito. Sperava fosse un bluff. Se
davvero avevano anche Krista e gli avessero torto un solo capello, sapeva che
Eren li avrebbe uccisi con le sue stesse mani!
Levi, giocando sporco gli riagganciò loro il telefono in faccia.
Poi si rivolse agli altri: «Presto! Legate Jean mani piedi e tappategli la
bocca, mettetelo in ginocchio, di spalle, nella zona con meno luce della
stanza. E tu…» disse rivolto a Krista, «devi fare la scena. Jean possiamo
inquadrarlo solo di spalle e puntargli una pistola alla nuca, ma tu sei qui e
devi tenerci il gioco. Ti legheremo e ti punteremo una pistola, ovviamente
scarica, sulla pancia. Devi urlare piangere e implorare. Ce la puoi fare?».
La bionda influencer annuì decisa.
Levi rimase piuttosto ammirato, la ragazza aveva dimostrò di non essere solo un
bel faccino, ma di avere anche gli attributi. La sua performance fu talmente
convincente che lo scambio fu fissato per la sera stessa.
Prima di spiegare a tutti il piano e come procedere, Hanji manifestò le sue
perplessità su probabile stato di salute di Erwin.
Si fece avanti Onyankopon: «Sono laureato in medicina e a Mitras, il quartiere
abbandonato dove c’è la fabbrica e il nostro quartier generale, abbiamo
arrangiato un ospedalino di fortuna. Ho alcuni collaboratori in gamba: Petra
Ral, Rico Bretzenska e Ghunter Shultz. Sono in grado anche di operare, se
necessario, ci sono stati utilissimi, si occuperanno di Erwin finché non lo
trasferirete via da Paradise». Aveva precisato dando le generalità dei tre
perché così potessero controllare le credenziali e accertarsi che non fossero
spie nemiche.
Levi d’un tratto aveva cambiato espressione ed era rimasto molto sorpreso pur
non dicendo una sola parola. Hanji se n’era accorta subito, ma avrebbe chiesto
spiegazioni in un secondo momento, ora era tempo di mettere a punto il piano e
tirare fuori Erwin, possibilmente senza nessuna perdita.
Falco per facilitare le cose si era trasformato e si era
presentato già sotto forma di titano. Aveva trasportato Gabi, Sasha, Mikasa,
Galliard, Piek e Onyankopon, sul tetto di un edificio a Marley, in prossimità
di dove sarebbe dovuto avvenire lo scambio di lì a poco.
Così avevano baipassato ogni controllo.
Era notte fonda e per fortuna la luce fioca dei lampioni non era stata
sufficiente a farli scoprire. Fino ad ora il piano stava funzionando bene.
I sette erano appostati, armati fino ai denti. Non sapevano che cosa li
attendesse, ma erano pronti a dar battaglia e a cogliere il nemico di sorpresa
se fosse stato necessario.
«Falco devi andare via, devi tornare da Niccolò, Connie e Krista al magazzino»
gli disse Onyankopon.
Il mutaforma scosse il becco in senso di diniego.
«Non voglio discutere con te! Non puoi mandare all’aria l’operazione. Vuoi
farci scoprire? Non sei esattamente un passerottino! Ci sono Piek e Galliard se
serve. Tu vattene» gli ribadì deciso.
«Non farmi incazzare Falco!» aggiunse Gabi puntando contro di lui il suo
fucile.
A quel punto il ragazzo si arrese, non voleva essere d’intralcio, spiegò le ali
e spiccò il volo.
Intanto i falsi Eren e Krista legati e imbavagliati, venivano
condotti da Levi ed Hanji verso il punto di scambio concordato.
Li stavano trascinando in malo modo per rendere tutto più credibile.
«Siamo quasi sul posto, voi siete arrivati?» chiese Hanji parlando alla mini
ricetrasmittente posizionata sul cinturino del suo orologio da polso.
«Siamo appena atterrati» rispose Mikasa.
«Bene state all’erta pronti ad intervenire se ce ne fosse bisogno».
«Ricevuto!».
Non fecero in tempo ad interrompere la conversazione che dal buio della strada
emersero Floch e Yelena che stavano trascinando su una lettiga di fortuna
Erwin.
«Manteniamo la calma. Sapete bene cosa fare e quando agire» disse Levi.
Si fermarono di colpo fronteggiandosi da non molto lontano, ma abbastanza
perché la pantomima potesse funzionare.
«Voi ci consegnate Erwin e noi poi vi diamo Eren e Krista» disse Hanji con
calma.
«Sì, certo, e io sono babbo natale!» li schernì Floch.
«Faremo lo scambio contemporaneamente. Prima Krista e poi Eren» disse Yelena
con un tono che non ammetteva repliche. Dovevano mettere al sicuro il futuro
figlio di Eren, o lui, ne era certa, gliela avrebbe fatta pagare. Inoltre era
l’unica di cui avessero avuto la certezza fosse proprio lei.
Levi arpionò il braccio di Armin e lo strattonò trascinandoselo dietro.
Il ragazzo incespicò con le mani legate dietro la schiena cercando di tenere il
passo. Faceva tutto parte della sceneggiata.
Dal lato opposto avanzava Yelena trascinando la lettiga.
Sembrava andare tutto bene.
«Mandate avanti la ragazza» comandò Yelena.
«E tu avanza con Erwin» ribatté Hanji.
Ma all’improvviso, ci fu uno strano fenomeno. Il cielo fu parzialmente
illuminato da un lampo silenzioso a cui seguì qualcosa che somigliava alla
detonazione, totalmente afona, di una bomba.
Dalla polvere di quella specie di esplosione silente e inaspettata emerse una
scimmia enorme dai denti aguzzi, che sghignazzava sguaiatamente.
I monologhi dell’autrice
Il ripostaggio continua, oggi sto recuperando
anche quello che non ho potuto fare ieri.
Grazie della pazienza!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 19 *** La talpa ***
Se ti stai chiedendo perché
stai leggendo il capitolo 19 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
19
La talpa
«Lo sapevo io! Quella scimmia di merda è viva!» ruggì Levi
fermandosi di colpo ed estraendo la pistola che puntò alla testa del povero
Armin, il quale se la stava per fare sotto.
«Cazzo, che facciamo, mi trasformo anche io?» chiese subito Galliard pronto.
«Atteniamoci al piano. Lasciate che Levi ci dia il via, prima di allora nessuno
si muova» comandò Onyankopon.
«Ehi Zeke, sei fai un passo le faccio saltare le cervella» disse Levi.
«Uh uh uh!» sghignazzò lo scimmione «Il piccolo Levi ha scoperto il mio
segretuccio!».
«Hai capito barbone di merda? Ho detto che le sparo!».
«Non me ne frega nulla di quella lì. Fai pure. Io voglio solo il mio
fratellino».
«Ma capo che dice? Eren andrà fuori di testa se capita qualcosa a Krista!»
disse Floch sbigottito.
«Che devo fare io?» chiese Yelena annoiata tenendo saldamente la lettiga con
Erwin.
«Intanto vorrei rendere partecipe il nostro amato nano che sono stato io in
persona a recidere l’arto ad Erwin» e parlando mostrò le sue unghie affilate
come lame «Ho fatto un lavorino di fino, un taglio oserei dire da professionista».
«Lo sai vero che ti darò una morte lenta e molto dolorosa!» gli disse con una
calma carica di odio Lei. Faceva paura era freddo come non mai.
Anche Hanji era concentrata pronta a dare battaglia.
«Certo, come no, piccolo insetto, sono proprio curioso di vedere come farai».
Improvvisamente si sentì la terra come se tremasse e un orda di titani
scoordinati apparve in lontananza.
«PIEK, MIKASA» urlò Levi «ORAAA!».
In pochi secondi scoppiò il finimondo.
Piek furbescamente aveva approfittato della trasformazione di Zeke per
trasformarsi a sua volta e non dare nell’occhio.
Levi nel frattempo liberò in velocità Armin, che si strappò la parrucca dalla
testa e impugnò le pistole. Hanji sfoderò l’M3D e arpionò direttamente una
spalla della scimmia. Fu velocissima e imitò Armin nell’allenamento. Gli sparò
dritto negli occhi accecandolo momentaneamente.
Nel frattempo Levi, rimasto a terra, estrasse dal dietro dei suoi pantaloni uno
aikuchi(1) affilatissimo, e come se fosse stato burro, gli recise prima
un tendine d’Achille e poi l’altro. Zeke cadde in ginocchio con le mani sugli
occhi e cominciò a fumare copiosamente dalle ferite appena ricevute.
Yelena rimase immobile come se fosse spaesata, ma Piek arrivò a sorpresa alle
sue spalle e con una mossa rapida e precisa prese in bocca la lettiga con
Erwin, quindi smanacciò colpendola e lasciandola a terra dolorante. Poi fuggì
veloce correndo a quattro zampe.
Zeke fu subito circondato da un elevato numero di titani che lo proteggevano
mentre cercava di rigenerarsi.
Floch non si diede per vinto e cominciò a sparare come un pazzo. Per poco non
ferì Armin. Levi scansò agilmente le sue pallottole e rispose al fuoco, ma lo
mancò.
Floch allora si lanciò di corsa verso colui che credeva Eren e quando arrivò da
Jean, prima che si rendesse conto della truffa, l’altro approfittando del caos
si era liberato le mani (era stato legato in modo che al momento opportuno
potesse farlo) arpionò un muro e mentre saliva fece una piroetta tendando di
colpire Floch, ma non ci riuscì neppure lui. Quel tipo sembrava addestrato a
schivare i colpi, era veloce in modo impressionante.
Ma anche la fortuna ha una data di scadenza e dal tetto, una concentratissima
Gabi, in modalità cecchino, prese la mira e sparò a Floch colpendolo in pieno,
infatti stramazzò al suolo.
Nel mentre Mikasa, lasciandosi dietro una scia di cadaveri fumanti, grazie al
lancia granate, si era spostata sui tetti molto in avanti per sparare nel
mucchio dei titani scoordinati. Il suo scopo era di farne fuori più possibile,
o per lo meno di rallentarli.
Zeke intanto tentava in tutti i modi di stare al riparo, soprattutto era
concentrato a proteggere la sua nuca perché non fosse impallinata da una RIP.
Levi, con l’auto di Hanji, Armin e Jean, si stava preparando ad attaccarlo per
terminarlo e ci sarebbero sicuramente riusciti, se all’improvviso, il fumo
molto denso prodotto dalla rigenerazione di Zeke, non avesse creato una gran
confusione, seguita da un fuggi fuggi generale. Per proteggersi aveva dilaniato
lui stesso dei mutaforma il cui miasma lo aiutava a stare nascosto e al sicuro.
Tutto questo aveva anche reso vana la trasformazione di Galliard che non
riusciva a vedere ad un palmo dal suo naso.
Mikasa intanto indefessa continuava a lanciare granate sui titani scoordinati
in un tripudio di teste, gambe e braccia che volavano in aria, uccidendone
anche molti, mentre altri cercavano riparo per aspettare la rigenerazione.
Ci sarebbe voluto più di qualche minuto perché si disperdesse tutta la caligine
da lei stessa causata.
Nessuno poteva far nulla se non asserragliarsi per scongiurare attacchi a
sorpresa.
Infatti, un nutrito gruppo di Jegeristi cominciarono a far saettare dei
proiettili che spuntavano da quella nube enorme tentando di coglierli di
sorpresa.
«Dobbiamo ritirarci!» gridò a gran voce Levi «ragazzi palesatevi e ditemi che
avete capito».
Risposero tutti all’appello tranne Mikasa e Onyankopon.
«Vado io a recuperare Mikasa! Voi cercate Onyankopon!» disse subito Jean
puntando l’M3D sul tetto e salendo in velocità. Una volta arrivato su cominciò
a correre in direzione del rumore del lancia granate. La visuale era ancora
inibita dalla fitta nebbia dei titani, ma la ragazza si era spinta molto in
avanti per contrastarne l’avanzata e dove si trovava il fumo era ora più rado e
l’angolazione di tiro molto buona. Era pericoloso per lei, perché poteva essere
esposta al fuoco nemico, anche se sembrava ci fossero solo titani che si
muovevano senza senso.
L’aveva quasi raggiunta, quando sbucò all’improvviso Yelena che, seppur
malferma, estrasse la pistola e mirò verso di loro.
Jean capì subito le sue intenzioni, non c’era tempo doveva agire ed essere
velocissimo.
«MIKASAAAA!» la chiamò urlando più forte che poteva, poi con uno slancio
disperato si proiettò verso di lei, l’afferrò per le spalle e con forza la
obbligò a fare un mezzo giro su se stessa, mentre la riparava con il proprio
corpo dando le spalle ad Yelena, che prese la mira e premette il grilletto.
Jean con tutta la forza che aveva in corpo cercò di trascinarla a terra.
Mentre stavano cadendo fu colpito in pieno e urlò di dolore.
*
Erwin era sedato. Qualcuno tra quei delinquenti sapeva il fatto
suo in fatto di medicina e chirurgia. Era stato medicato e ricucito bene,
inoltre lo avevano quasi sempre tenuto incosciente. L’amputazione per fortuna
era stata eseguita decentemente. Ora si trattava di tenere sotto controllo il
moncherino e scongiurare infezioni.
Era stato affidato alle cure della dottoressa Petra Ral.
Ad Hanji non sfuggì l’occhiata che la donna e Levi si erano scambiati, non
appena erano giunti in quell’ospedale. Lui era impenetrabile come sempre, ma
lei era senza dubbio in imbarazzo. Si era comunque dimostrata una
professionista molto seria.
«Faremo tutta una serie di esami per controllare che non ci siano infezioni in
corso. Ad un primo esame superficiale sembrerebbe in buone condizioni, la
ferita si sta rimarginando, non sappiamo però quando sangue abbia perso. Forse
potrebbe necessitare di una trasfusione, ma per ora sono solo congetture. Aspettiamo
che si svegli. Nel frattempo lo teniamo monitorato, la setticemia è attualmente
il pericolo più grave che potrebbe correre» spiegò Petra, dando di tanto in
tanto delle fugaci occhiate a Levi che invece sostenne il suo sguardo senza
battere ciglio.
«Siamo felici che sia arrivato vivo e che sia affidato alle vostre cure»
constatò Hanji.
«E di Onyankopon non sapete nulla?» chiese Petra dando le spalle a Levi,
cercando qualcosa da fare per mascherare il suo disagio. Era una cosa stupida,
ma era più forte di lei, non poteva farci niente. E poi era stata colta alla
sprovvista.
«No. Non abbiamo notizie. È sparito nel nulla.» rispose Levi molto serio e
pensoso.
«Capisco…» commentò lei esibendo un sorriso tirato di circostanza.
Qualche metro più avanti in un’altra stanza un dolorante Jean
stava facendo a pugni con il suo orgoglio.
Rintuzzato nel lettino stava rivivendo l’attimo in cui aveva fatto l’eroe
salvando Mikasa. Sarebbe andato tutto a meraviglia se quel maledetto proiettile
non avesse deciso di colpirlo in un posto davvero inglorioso, ovvero una
chiappa.
Alla fine era stata lei a trarlo in salvo trascinandolo via con sé. Si sentiva
così idiota. Sospirò e aprì gli occhi.
La vide subito. Era lì, accanto al letto che lo stava vegliando con aria
preoccupata.
Il suo cuore mancò un battito e gli venne da tossire nervosamente.
«Ehi? Stai bene?» gli chiese lei avvicinandosi.
«Sì… io… credo di sì» farfugliò confuso arrossendo come uno scolaretto. Che
fosse al suo capezzale non se lo sarebbe mai aspettato.
Fece per tirarsi su a sedere, ma una fitta dolorosa alla natica gli mozzò il
fiato.
«Cazzo se fa male!» guaì digrignando i denti.
«Sei stato fortunato. Il proiettile ti ha colpito di striscio. Potevi
compromettere l’uso della gamba».
«Che figura di merda farsi colpire al culo!» brontolò abbassando lo sguardo.
«Sei stato eroico, mi hai salvato la vita. Hai dato la schiena al nemico per
proteggermi, avresti potuto morire. Non lo dimenticherò mai» gli disse
poggiando una mano sul dorso della sua.
Jean si sentì come divorare da una sensazione che lo turbava in un modo strano,
avrebbe dato un braccio per avere la sue attenzioni, ma nella realtà era
bastato farsi sforacchiare il sedere.
«Sciocchezze. Anche tu l’avresti fatto per me. Siamo una squadra no?» si
sminuì.
Lei si sporse ancora un po’ avvicinandosi al suo viso, i suoi capelli lo
solleticarono gentilmente, poi se li spostò dietro l’orecchio e gli posò un
bacio lieve su una guancia.
Questa volta il suo cuore perse diversi battiti per poi cominciare a galoppare
come un cavallo imbizzarrito e cominciò quasi a boccheggiare, avrebbe potuto
approfittarne ma rimase immobile.
«L’ho sempre immaginato che dietro quel fare da spaccone eri un bravo bravo
ragazzo. Sei stato un eroe, goditi il tuo momento» gli disse alzandosi e regalandogli
uno di quei sorrisi che di solito erano appannaggio esclusivo di Eren.
«Riposati. Ci vediamo presto» disse infine lasciandolo lì come un baccalà.
Qualcosa gli diceva che forse aveva una remota speranza. Tra pugni e bacetti
sulla guancia forse…
Con un sorriso ebete stampato sulla faccia si lasciò scivolare disteso,
ignorando il dolore causato dall’ingloriosa ferita.
*
«Sono quasi certo che Onyankopon abbia approfittato della
confusione per passare al nemico, a patto che non sia sempre stato uno di loro»
commentò pensoso Levi.
«Ma sei sicuro?» chiese scossa Hanji che era incredula.
«Lo ha detto Gabi, ha notato che si allontanava insieme ad Yelena. La sua
faccia, mentre me lo raccontava, tradiva una delusione che è difficile simulare
ameno che tu non sia un brillante attore».
«Quindi pensi che sia un infiltrato? Un doppiogiochista? Una talpa?».
«Francamente non so proprio cosa pensare, ma ho chiesto a Gabi di tenere la
bocca chiusa finché non avremo certezze. Non divulgheremo niente senza prove
certe».
«Sì, approvo. Ora bisogna occuparci della salute di Erwin e di recuperare Eren,
poi penseremo a eventuali traditori». Detto ciò ci fu un attimo di silenzio poi
Hanji gli fece quella domanda che le pizzicava la punta della lingua già da un
po': «Senti, ma tu conosci la dottoressa Ral?».
«Sì» rispose lapidario Levi con lo sguardo fisso sulla strada. Erano in
macchina e stava guidando per raggiungere il magazzino della resistenza.
La donna capì che era un argomento spinoso, ma voleva sapere. Del resto era curiosa
per natura.
«Strano che non vi siate salutati, o scambiati dei convenevoli».
Levi continuava a guardare la strada accigliato.
«Sii diretta Hanji e chiedimi che cosa vuoi sapere».
«Perché avete finto di non conoscervi, quando era palese il contrario?».
«È una lunga storia» tagliò corto l’uomo.
«Sono tutta orecchi. Del resto so veramente poco della vita passata di mio
marito».
Levi sbuffò, era una cosa di cui non aveva molta voglia di parlare ma conosceva
Hanji, non gli avrebbe dato tregua. Lei e la sua maledetta curiosità!
«L’ho conosciuta quando Erwin mi arruolò alla CIA. Era l’assistete del medico
che ci faceva i corsi di primo soccorso, utili per le missioni di guerra».
Prese fiato e scalò di marcia rallentando l’andatura dell’auto.
«Ero molto più chiuso all’epoca. Non davo confidenza. Risultavo arrogante e
asociale, molto più di adesso» ammise.
«Indossavi ancora la tua spessa corazza allontana-persone» gli
disse la caposquadra sorridendo.
«Già, ma per qualche strana ragione che non ho mai compreso, questo
atteggiamento mi rendeva molto popolare tra le donne» ammise ancora piuttosto
sorpreso. Era una cosa che aveva mai capito: gli uomini lo detestavano e le
donne lo trovavano intrigante. Bah… per lui erano tutte matte.
Hanji ascoltava curiosa e anche un po’ sulle spine a dire il vero. C’era una
gran parte della vita dell’uomo che amava che le era totalmente oscura.
«Insomma per farla breve lei aveva una cotta per me. Non l’ho mai incoraggiata.
Insomma Petra era ed è davvero carina, una ragazza dolce, ma anche risoluta,
una con le palle, ma non ho mai voluto averci a che fare».
«Non ti piaceva?».
«Cazzo Hanji ma dobbiamo proprio sviscerare la cosa?».
«No se non vuoi, ma magari ti fa bene». Aveva intuito che tra loro ci fosse una
sorta di irrisolto che lo faceva star male. Era chiaro da come stesse reagendo.
«Sì mi piaceva ma non ero pronto per una storia, avevo troppi casini in testa
quindi le sono stato alla larga, poi una sera…».
Hanji si domandò se avesse fatto bene a insistere, all’improvviso lui era in
difficoltà e Levi non era mai in difficoltà. Che provasse ancora qualcosa per
lei?
«Insomma una sera ero ubriaco e ci stavo per andare a letto. Per fortuna però
alla fine non è accaduto nulla. Il giorno dopo l’ho trattata davvero male solo
per ristabilire le distanze e toglierle ogni illusione».
«L’amavi?» le scappò detto con più ansia di quello che avrebbe voluto.
«Ma certo che no!» si stizzì lui «Mi piaceva perché era dolce e gentile, ma
come puoi amare una persona con cui non hai alcun tipo di rapporto se non
quello di lavoro?».
Hanji si sentì stranamente sollevata e il suo viso la tradì perché lui se ne
accorse subito.
«No dai, non dirmi che sei gelosa! Non è da te» la rimproverò quasi.
«Un po’ di ansia me l’hai fatta venire, abbi pazienza, che ne so io che cosa
c’era, o c’è tra voi, permetti che mi possa preoccupare almeno? Poi tu sei così
misterioso riguardo il tuo passato».
«Il fatto è che lei il giorno dopo ebbe un brutto incidente con la moto. Si
schiantò contro un albero e rimase in coma. Andai a trovarla e suo padre mi
disse che le aveva confidato di essersi innamorata di un collega, che immaginai
potessi essere io. Questa cosa mi devastò. Mi sentii responsabile di quello
schianto, così sparii e non mi feci più vedere. Non sapevo neanche che si fosse
ripresa così bene. L’ho semplicemente cancellata dalla mia vita».
Fermò di colpo la macchina si girò verso di lei, il suo sguardo era ferito
tradiva un dolore mai sopito.
«Non parlo molto del mio passato, perché Hanji, credimi, ero davvero una
persona di merda. Anche con lei sono stato una vera testa di cazzo. Invece di
rimanere ad aiutarla sono scappato come un codardo. Il suo incidente mi
ricordava troppo la morte di Farlan e Isabel, che come ti ho raccontato si
schiantarono con la macchina. Non riuscii a gestire la faccenda perché il
dolore per la morte dei miei due fraterni amici, oggi come allora, è ancora
vivido dentro di me e mi condizionò, la fuga sì presentò come l’unica soluzione
per me. Credimi non ce l’avrei fatta a sopportarlo una seconda volta…»
«Non è esattamente così Levi, vedi io credo…» cominciò a dirgli per
tranquillizzarlo, ma il suo cellulare stava squillando insistentemente e
dovettero interrompersi.
«Pronto?» fece la donna.
«Sono Connie tra quanto arrivate al magazzino?» le chiese il ragazzo agitato.
«Siamo sulla strada» rispose Hanji e poi aggiunse «Oh no ma come? Arriviamo
subito».
«Che succede?» chiese Levi rimettendo in moto l’auto.
«Si sono fatti scappare Krista!» spiegò la donna agitata.
I monologhi dell’autrice
Note:
(1)
L'aikuchi (合口, 匕首) o anche kusungobu (九寸五部) era una particolare
tecnica di montaggio delle lame giapponesi in epoca medievale che poi ha dato
anche il nome ad un tipo particolare di pugnale giapponese con lama di
tipo Tanto montata su Tsuba con decorazione.
Avrei potuto usare un normale pugnale in dotazione all’esercito o alle forze
speciali, ma essendo il nostro Levi, nel canon, un maestro nell’uso di lame e
coltelli, l’ho immaginato come un cultore di armi da taglio e ho pensato che
un’arma giapponese di foggia antica che veniva spesso usata anche dai Samuari
potesse essere più appropriata al personaggio 😉
Sotto potete trovare una fotina esplicativa!
Pic from google search no © infringement intended
|
Ritorna all'indice
Capitolo 20 *** Calma apparente ***
Se ti stai chiedendo perché
stai leggendo il capitolo 20 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
20
Calma apparente
Erwin stava decisamente meglio. Si era svegliato e aveva
confermato quello che aveva detto Zeke, ovvero che era stato proprio lui a
menomarlo.
«Deve essere stata un’esperienza terribile» commentò Hanji accorata.
«Non ricordo molto a dire il vero. Mi sono ritrovato per strada a Marley tra
Floch e Yelena, poi è apparso quello scimmione che con una zampata mi ha reciso
di netto il braccio e… sono svenuto».
«Quindi quell’infame ti ha aggredito ancora prima di minacciarci?» sibilò Levi.
«Ormai non ha più importanza» disse Erwin serio. Non lasciava trasparire quanto
stesse soffrendo e quanto gli pesasse quella situazione, ma Levi lo intuiva ed
era furioso.
«Lo farò a pezzi!» aggiunse invelenito.
Erwin tossicchiò «Vorrei proprio vederti…».
«Gli infilerò una granata su per il buco del culo e una in bocca, vediamo se
poi avrà ancora voglia di fare lo spiritoso».
«Potremmo farlo in contemporanea, tu ti occupi del culo e io della bocca»
aggiunse Hanji seria.
Nonostante la tragicità del momento, ad Erwin scappò un mezzo sorriso. Li conosceva
bene e sapeva che era il loro modo per fargli sentire la loro solidarietà.
«Ragazzi davvero sto bene. Sono felice di essere vivo e vi sono grato per
avermi salvato, ma ora più che mai è necessario essere freddi e lucidi.
Dobbiamo lasciar perdere le vendette personali e focalizzarci sulla missione».
I due annuirono. Il capitano era comunque determinato ad uccidere Zeke, ma per
il momento non ne parlò più rispettando il volere di Erwin. Poi insieme gli
dettero le ultime (brutte) notizie. Ovvero che Krista era sparita e Onyankopon
era quasi sicuramente un traditore.
«Posso capire la ragazza. È incinta, probabilmente ama Eren che è il padre di
suo figlio, ma Onyankopon mi ha colto di sorpresa. Pixis contava davvero su di
lui e poi ha messo in piedi la resistenza, che senso ha il suo voltafaccia?
Qualcosa mi sfugge…» disse toccandosi il moncherino. Hanji notò che lo faceva
spesso, era come se volesse accertarsi che davvero gli mancasse un braccio.
Come sovente accade il suo cervello lo percepiva ancora intero.
«Certezze non ne abbiamo ma Gabi è sicura di averlo visto allontanarsi con
Yelena. Forse ha sempre fatto il doppio gioco, non è da escludersi, così
avrebbe saputo in anticipo tutte le mosse del nemico» spiegò Levi.
Erwin sospirò.
Hanji era insolitamente silenziosa. Era preoccupata. Questa missione si stava
rivelando davvero troppo pericolosa e temeva per la vita di tutti loro. Inoltre
era molto avvilita per Erwin. Quella menomazione poteva mettere fine alla sua
carriera nella CIA.
Stava per chiedergli come si sentisse in merito, quando irruppe nella stanza
Sasha.
«È tornata Krista! Non era fuggita! Quella ragazza è una forza, ha costretto il
padre a farsi dire dov’è Eren!»
«Oh bene arriviamo subito» cinguettò Hanji rinfrancata.
«Fermi! Non andate da nessuna parte. Fate venire tutti qui» dichiarò perentorio
Erwin.
«Dobbiamo chiedere ai medici, non so se è il caso, questo è pur sempre un
ospedale» rimuginò la donna.
«Cercavate me?» fece il dottor Ghunter Shultz che si palesò facendo capolino
dalla porta.
«Ciao Gunter! Senti devo fare una riunione con i miei e vorrei farli venire
qui».
«Non se ne parla nemmeno» s’intromise severa Rico, che arrivò da dietro.
Ci fu una breve discussione poi Erwin, come sempre riuscì ad essere persuasivo
e gli concessero, in via eccezionale, di far venire più persone al suo
capezzale.
Nel frattempo Jean stava per essere dimesso. La chiappa gli faceva un male cane
ma era di buon umore. Mikasa era stata a trovarlo spesso. Certo era ovvio che
gli fosse grata di averla salvata, ma lui cominciava davvero a pensare che
forse, da qualche parte, per lui ci fosse una speranza.
Stava sistemando i suoi effetti nel borsone per poter uscire dall’ospedale,
quando un rumore attirò la sua attenzione.
Se la trovò davanti e fu come se i suoi desideri si fossero materializzati
evocandola. Le sorrise sincero, le parve più bella di sempre. Forse dopotutto
non era solo pietà quella che gli riservava. Mikasa gli sorrise di rimando,
schiuse le labbra per parlare, quelle labbra piene e morbide di cui ricordava
ancora perfettamente il sapore.
Accadde tutto in modo molto naturale e piuttosto veloce.
Le si avvicinò, le carezzò il viso con una mano scostandole i delicatamente i
capelli. Si chinò appena su di lei chiudendo gli occhi e cercando la sua
bocca. Affondò una mano tra quelle ciocche setose e con l’altra l’attrasse a
sé. Le schiuse le labbra con le proprie e cercò la sua lingua che lambì
dolcemente. Volle assaporare quel bacio come se fosse un frutto delicato e
succulento. Si prese tutto il tempo per gustarsi e centellinarsi quel momento.
Sembrava quasi poter diventare il preludio a qualcosa di più intimo ed intenso,
ma non voleva aver fretta e rovinare tutto. Aveva aspettato così tanto…
Mikasa rimase sopraffatta da quell’assalto inaspettato, dolce, ma deciso, che
la travolse ubriacandola. Dopo un primo momento di sorpresa, schiuse le labbra
e accettò quel bacio aggrappandosi a lui. Non seppe spiegarsi perché, ma non
poté fare a meno che accoglierlo. Forse lo desiderava senza neanche saperlo.
Sentì il ventre sfarfallare riconoscendo quella sensazione che era così
piacevole e nascondeva l’urgenza di qualcosa di più, qualcosa che non avrebbe
mai lontanamente immaginato di desiderare da Jean. Si spaventò a morte, e come
la puntina di un vecchio giradischi, che graffia un vinile, l’incanto si ruppe
bruscamente. Con forza si staccò da lui.
Aveva il fiato corto e le gote violacee dall’imbarazzo, che la sua reazione
sconsiderata le aveva provocato. Era forse impazzita?
«Ero… venuta solo per dirti che…. ci aspettano nella camera di Erwin sappiamo…
dove si trova Eren» farfugliò ancora molto in confusione, con lo sguardo
basso e il viso in fiamme.
Jean che non capiva perché prima gli si fosse arresa totalmente e poi si fosse
staccata come se lui avesse la lebbra, a sentire quel nome perse le staffe.
«Ma vaffunculo tu e lui!» le grugnì contro arrabbiato «Basta non ne voglio più
sapere di te. Sono proprio un cretino, ah ma da oggi si cambia musica! Voglio
terminare questa missione, salvare il tuo amatissimo e preziosissimo Eren
e poi voglio dimenticare che tu esista. Sei una causa persa Mikasa Ackerman e
io voglio, no, anzi: io mi merito di più» e detto ciò afferrò il suo borsone e
zoppicando vistosamente uscì dalla stanza sbattendo la porta.
Lei lo guardò andare via ancora frastornata. Si toccò le labbra ancora tumide
per via di quel bacio così travolgente da aver azzerato tutte le sue certezze.
Avrebbe voluto fermarlo, ma aveva la gola secca e il cuore in tumulto.
Non ci stava capendo più niente e forse era meglio così. Si sciacquò il viso al
lavandino del bagno appena fuori la stanza, si guardò allo specchio e si dette
della deficiente. Altro che limonare con Jean Kirschstein, c’erano cose ben più
importanti da fare, si rimproverò aspra.
*
Krista era su di giri e stava spiegando a tutti come erano andate
le cose.
«Sono scappata per minacciarlo di persona. Porgo le mie sincere scuse a tutti
ma non c’era tempo per chiedere se potevo farlo o meno e ho deciso da sola,
soprattutto per il bene di Eren. Ho detto a mio padre che se non mi rivelava
dove fosse, passata mezz’ora il mio social manager avrebbe pubblicato tutto su
Instagram, storia del rapimento compresa. Questa storia del social manager deve
averlo impaurito parecchio, ha temuto per la sua carriera politica e ha cantato
come un uccellino. E pensare che io manco ce l’ho il social manager!» ammise
ridacchiando soddisfatta.
«Possiamo arrivare al dunque?» chiese impaziente Levi.
«Sì ecco, Eren è tenuto prigioniero in una delle ville che mio padre ha proprio
qui a Paradise. Ha promesso di farmelo incontrare per rabbonirmi» rivelò
eccitata. Per lei era tutto nuovo e anche avvincente.
«Sì ma suppongo ci saranno delle guardie, un sistema d’allarme» commentò Hanji.
«Di questo non abbiamo parlato, posso dirvi però che questa villa è dotata di
una dependance che ospita una piccola spa e una palestra. È stata
costruita davanti all’abitazione e comunica con la casa tramite dei corridoi
sotterranei. Non so esattamente dove sia Eren ma voi potreste intrufolarvi da
lì eludendo eventuali guardie».
«Ma dobbiamo fidarci di questa? Chi la conosce? Prima sparisce, poi torna»
bofonchiò Connie.
«Credo sia sincera, io e Mikasa la conosciamo dai tempi del liceo. Histo... no,
anzi, Krista forse può apparire ingenua, ma è una ragazza sveglia e leale»
spiegò Armin facendosi avanti.
«Io direi di tentare, al momento è l’unica pista che abbiamo per recuperare
Eren» aggiunse Mikasa suo malgrado.
«Certo! Buttiamoci in bocca al nemico in nome della salvezza di Eren!» sbottò
Jean irritato.
«Ha ragione, non possiamo rischiare! Io non mi fido è una trappola!» gli dette
man forte Sasha.
E cominciò un’accesa discussione tra chi era pro e chi contro.
«Basta!» tuonò Erwin ad un certo punto «Avrò anche un braccio in meno, ma
comando ancora io! Fate silenzio! Penserò ad un piano. Come avrete notato
quelli della resistenza non sono stati convocati. Non vogliamo ingerenze questa
volta. Ergo, questa missione sarà solo roba nostra. E ora ascoltate…» si
interruppe e guardò Krista: «Scusa, mi dispiace, ma tu non puoi conoscere i
dettagli. Cerca di capire, non sappiamo più di chi fidarci» e la invitò ad
uscire dalla stanza scortata da Mikasa.
Il piano di Erwin era semplice e sembrava anche efficace.
Avrebbero agito non appena Reiss avesse chiamato la figlia per l’incontro con
Eren.
Intanto sarebbero stati contattati quelli dell’intelligence per vedere di
reperire ulteriori informazioni.
*
Hanji uscì dalla doccia, si stava frizionando i capelli e notò
Levi con gli auricolari disteso sul letto, con le braccia incrociate sotto la
testa, che con sguardo severo osservava il muro davanti a lui.
Aveva passato più di un’ora a pulire e lucidare le sue pistole, poi si era
messo lì e non si era più mosso.
«Che stai ascoltando?» gli chiese guardinga, ma sorridendo.
Lui si tolse una cuffietta «Che hai detto?».
«Che ti preoccupa Levi?» gli chiese senza preamboli.
«Tutto» rispose criptico e scuro.
«Ce la faremo anche questa volta» disse la donna sedendosi accanto a lui nel
letto.
Lui le regalò uno sguardo indecifrabile «Erwin è rovinato per sempre. Forse
sarà addirittura congedato. Magari gli daranno una misera pensione
d’invalidità…» mugugnò.
«È più forte di quello che sembra e poi fa parte del nostro mestiere correre
certi rischi».
«Se capitasse a me non so come reagirei».
Hanji gli carezzò una guancia, poi allungò il collo e gli diede un bacio sulle
labbra.
«Sei insolitamente vulnerabile e questo non è da te».
Lui non rispose.
«Già immagino che ti incazzerai ma te lo dirò comunque» cominciò cauta la
donna.
«So bene che farti tenere la bocca chiusa è impossibile».
«Credo che c’entri quella Petra» disse andando dritta al punto.
«Senti non cominciare, non è il caso che tu mi scassi le palle con questa
storia».
«Levi devi parlare con lei, devi chiarirti e…».
Lui stava per interferire ma Hanji tirò fuori gli attributi.
«Non azzardarti ad interrompermi Levi Ackerman. Per una volta tanto: zitto e
ascolta!».
Sapeva che quando faceva così era determinata e non si sarebbe fermata, quindi
le fece un gesto rassegnato perché proseguisse.
«Dicevo che devi chiarirti con lei. E a proposito di quello di cui parlavamo
nella macchina, tu non sei affatto una persona di merda. Hai un passato di
merda, quello sì, ma tu sei uno dei migliori uomini che abbia mai conosciuto.
Santa pazienza Levi, chi si ferma all’apparenza del nano-incazzoso-sboccato, con
manie ossessive compulsive per la pulizia, non ha capito proprio niente di te!
Ma io ti conosco, so chi c’è dietro quella faccia perennemente infastidita e
annoiata. Sei empatico, sei leale, sei uno su cui si può contare. Sei un
brav’uomo».
«Certo, come no, infatti con lei me la sono data a gambe levate! Proprio uno
affidabile!».
«Beh concediti di non essere perfetto, perché come tutti noi non lo sei, ma
puoi rimediare. E quando intendo rimediare non penso a te che dilani Zeke per
dare ad Erwin il tuo appoggio e dimostrargli che non lo abbandonerai come hai
fatto con Petra. Dille la verità: hai avuto paura. La paura è umana Levi e non
credo che tu ne sia immune».
Lui la guardò per alcuni secondi in totale silenzio, poi parlò.
«Sai ho confessato ad Erwin, in una serata di tasso alcolico molto alto, quanto
tu mi abbia cambiato. Prima di adesso non avevo veramente capito quanto»
ammise sincero.
Hanji gli sorrise. Era raro che dicesse cose del genere, ne fu felice e questa
volta fu lei a prendere l’iniziativa. Aprì l’accappatoio e lo fece scivolare
giù a suoi piedi, intanto Levi, che aveva intuito le sue intezioni, si era
sfilato la maglietta e armeggiava con i pantaloni.
Quel sentore di tragedia che da qualche giorno aleggiava nell’aria, unito a
quel momento così incerto e pericoloso per tutti loro, era un vivido promemoria
di quanto la vita potesse essere breve. Avevano come l’urgenza di nascondersi
l’uno dentro l’altra per darsi una tregua. Poi avrebbero pensato al piano, alle
scuse, a smembrare Zeke e a tutto il resto, ma adesso erano solo lui e lei
nella loro piccola bolla. Non intendevano sprecare neanche un minuto di quei
momenti preziosi. Le loro bocche si trovarono poco prima che anche i loro corpi
si incontrassero, per diventare una cosa sola, assecondando un ritmo ormai
familiare, dolce, lento e armonico; mentre le loro mani e le loro lingue con
languide carezze seguivano quella sensuale movenza che li avvolse come caldo e
rassicurante abbraccio, regalando loro un momento di comunione e pace.
I monologhi dell’autrice
Oggi sono riuscita a postare un bel po’ di capitoli, questo per ora è l’ultimo.
Domani non potrò postarne neppure uno, ma conto di postare i restanti 5 sabato,
godermi poi la Pasqua e aggiornare, finalmente, con il capitolo nuovo la
prossima settimana.
Vorrei davvero ringraziare TANTISSIMO tutte le persone che continuano numerose
a leggere e/o a rileggere questi capitoli postati in massa in 4 giorni! Mi
avete stupita e anche resa felice!
Grazie dal cuore ❤️
|
Ritorna all'indice
Capitolo 21 *** La verità è che non gli/le piacevi abbastanza ***
Se ti stai chiedendo perché
stai leggendo il capitolo 21 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
21
La verità è che non
gli/le
piacevi abbastanza
Entrare nella villa di Reiss era stato fin troppo facile. Certo
Erwin aveva studiato un buon piano, ma sembrava che avessero la strada spianata
e questo dette subito nell’occhio un po’ a tutti.
Krista, come previsto, ne era rimasta all’oscuro, Erwin l’aveva fatto non solo
perché non si fidava più di nessuno, ma anche per tenere in sicurezza lei e il
bambino. La sua partecipazione doveva essere marginale, finale solo a
raggiungere Eren per estrarlo.
Tutto però stava andando troppo liscio, Krista aveva disattivato gli allarmi,
ma la villa sembrava insolitamente incustodita per l’ospite che
conteneva al suo interno. Dalla dependance avevano attraversato i corridoi
comunicanti ed erano stati introdotti nella casa proprio dalla ragazza, che
aveva aperto loro la porta che divideva i due edifici.
«Eren dovrebbe essere da qualche parte in casa, io sono appena arrivata, giusto
il tempo di aprirvi e mio padre sarà qui a momenti, perciò dovete fare in
fretta per cogliere le sue guardie di sorpresa» spiegò un po’ agitata.
Hanji non era molto convinta. Levi ancora meno, ma c’era poco da fare ormai non
potevano più tornare indietro e fecero cenno agli altri di seguirli.
Avanzarono compatti fin quando non decisero di separarsi e procedere due a due
per perlustrare tutta l’abitazione. Avrebbero comunicato come sempre tramite
ricetrasmittenti.
La villa era molto grande e sembrava vuota. Non c’era traccia né di domestici,
né di Eren. Sembrava che avessero fatto un buco nell’acqua, quando Hanji notò,
in fondo ad un corridoio, una porta spalancata.
«Ehi! La vedi quella stanza laggiù?» bisbigliò a Levi.
Lui annuì ed estrasse la pistola.
Si capirono a gesti e avanzarono con circospezione.
Scorsero Eren all’interno. Era su una sedia, da solo. Le mani fermate dietro la
schiena e le gambe legate tra loro, mentre la bocca era serrata da una barretta
d’acciaio stretta con una catena intorno alla testa.
A quel punto Hanji con la ricetrasmittente richiamò tutti.
La cosa puzzava e non poco, era meglio essere compatti prima di fare irruzione.
Poteva essere una trappola.
Quando furono tutti sul posto entrarono ad armi spianate.
Il ragazzo si agitò subito cercando di attirare la loro attenzione, ma fu tutto
inutile.
Immediatamente, senza che potessero quasi accorgersene, furono circondati e
tenuti sotto tiro. Nessuno di loro fece in tempo a reagire, né ebbe la
possibilità di far nulla se non gettare le armi a terra e arrendersi.
Con la coda dell’occhio videro qualcuno uscire dal gruppo degli aggressori. Si
muoveva molto lentamente e con calma raggiunse Jeager palesandosi.
«Sei una vera spina nel fianco Levi».
«Kenny! Lo sapevo che c’eri tu di mezzo!».
«Sai il mio piano aveva funzionato alla grande finché non vi siete messi in
testa di venire a salvare questo scherzo della natura» disse riferendosi ad
Eren.
«Che piano? Che intendi fare?» gli chiese Levi temporeggiando. Erano in
trappola bisognava stare calmi e cercare una qualche via d’uscita.
«È un gran casino nipote adorato temo che dovrò farvi fuori»
spiegò ridacchiando.
Levi lo conosceva molto bene. Era stato addestrato da lui nel Mossad e sapeva
che avesse voluto, sarebbero stati già tutti morti. Stava temporeggiando anche
lui. Perché?
«Possiamo trovare un accordo» gli disse stando al suo gioco e cercando a sua
volta di prendere tempo.
«Mi duole dirlo, ma non credo tu sia nella posizione di dettare delle
condizioni».
Tutti gli altri erano immobili, tenuti sotto tiro dalla squadra di Kenny e
avendo capito la situazione, stavano lasciando Levi libero di agire come meglio
credesse, anche perché non avevano altre possibilità.
«Allora fai tu una proposta» disse il capitano.
Kenny tirò fuori un pacchetto di sigarette dalla tasca dei pantaloni, con i
denti ne sfilò una e poi con tutta la calma del mondo l’accese e ne aspirò una
boccata. Espirò fuori il fumo dalla bocca e fece un mezzo sorriso.
«In effetti ci sarebbe qualcosa che ci interessa molto di più di questa cavia
da laboratorio» disse sprezzante rivolto ad Eren.
«Sarebbe?» chiese Levi.
Il mezzo sorriso di Kenny si tramutò in un ghigno.
«Il mio committente non è strettamente interessato ad Eren, ma alla sua
compagna» sparò come una fucilata.
Eren si agitò così tanto che ribaltò la sedia. Kenny svelto con la poderosa
spinta di un piede lo rimise a posto. Gli occhi di Jeager erano furia omicida
pura, ma Kenny non era uno che si lasciava facilmente impressionare.
La sua esternazione lasciò tutti di stucco. Credevano lavorasse per Reiss a
quanto pare non era così.
«Non so dove sia, non possiamo aiutarti» mentì Levi sperando se la bevesse.
«Sei un terribile bugiardo» lo schernì Kenny «Sono abbastanza certo che la
signorina è qui da qualche parte, me l’avete servita su un piatto d’argento».
Levi stava per controbattere ma un fischio seguito da un rumore improvviso ed
assordante portò inaspettatamente un enorme scompiglio. Qualcuno aveva appena
gettato contemporaneamente granate stordenti e fumogeni, creando il caos.
Ci furono delle colluttazioni, un paio di spari ferirono l’aria fumosa.
Non si vedeva più niente e si capiva ancora meno. Da nulla qualcuno che non era
dei loro gridò: Tutti fuori presto!
«Mi è sembrato di riconoscere una voce amica!» constatò Levi sperando che
almeno Hanji lo sentisse, poi qualcosa sibilando sfiorò la sua fronte ferendolo
di striscio».
Alla fine per loro si era risolta bene. Si erano catapultati tutti in giardino
a tossicchiare, con le orecchie che fischiavano, ma sani e salvi a parte
qualche ammaccatura.
«È stata una vera fortuna che siamo arrivati in tempo» disse Hitch che era in
compagnia di Marlo e un altro paio di tipi che però loro non conoscevano.
«Che ci fate voi qui?» chiese Connie con la gola ancora secca, tossendo.
«Oh grazie di averci salvato il culo eh?» polemizzo Hitch.
«Siamo qui in via ufficiosa. Ci ha contattati Erwin, ci ha talmente tartassati
che abbiamo acconsentito a guardarvi le spalle in questa operazione. Direi che
il vostro comandante, come sempre, ci vede molto lungo. È stato un bene che
fossimo qui a Paradise».
«Grazie al cielo! Ora ci aiuterete a riport…» disse Sasha e s’interruppe, aveva
dato una rapida occhiata in giro ma di Jeager nessuna traccia.
«Dov’è Eren?» chiese agli altri.
Mikasa come un fulmine corse dentro. Eren era rimasto esattamente dove si
trovava, legato alla sedia e come la vide tornò ad agitarsi parecchio. Tossiva
in modo strano per via della barretta e lacrimava come una fontanella dato che
non aveva potuto coprirsi con le mani, né difendersi dai fumogeni.
Arrivò anche Jean che l’aveva seguita, poteva esserci ancora Kenny e la sua
squadra, quella sciocca si era precipitata senza neppure attendere gli ordini
dei superiori.
Eren però pareva davvero solo.
Mikasa gli liberò subito la bocca per farlo parlare.
«Presto slegami, muoviti!» le disse impaziente.
Lei veloce lo liberò.
«Dov’è Krista? E perché l’avete portata qui?» la aggredì Eren.
A Jean montò subito il nervoso.
«Datti una calmata, siamo qui per salvarti, potresti essere anche un po’ più
gentile».
«Gentile? Hai sentito che ha detto Kenny? ».
«Magari si tratta di suo padre che vuole proteggerla» cercò di rincuorarlo
goffamente Mikasa «Non è detto che…»
Ma quello la interruppe furioso.
«Mi prendi per stupido?» disse urtandola con una spalla per la fretta di
passare oltre e cercare Krista.
A quel punto fu raggiuto da Jean che lo prese per il bavero e lo strattonò.
«Attento a te! Se le metti un’altra volta le mani addosso io ti ammazzo».
«Calmati tigre!» lo schernì sarcastico «che c’è ora le fai da cavalier
servente? Ah già tu le sbavi dietro da anni, ma tanto lei non te la darà mai
Kirschstein. Rassegnati».
Non fece in tempo ad aggiungere altro perché Jean gli ammollò un destro in
pieno viso. Eren barcollò, si pulì il sangue dalla bocca e rispose prontamente
con un montante che stese l'ex compagno a terra. Non contenti cominciarono a
rotolarsi l’uno sull’altro e finirono per darsele di santa ragione.
Inutili furono le grida di Mikasa che cercava di dividerli, tanto che ad certo
punto si arrese.
«Siete due cretini. Sapete che vi dico? Spero vi facciate male sul serio!».
Nel frattempo erano stati raggiunti dagli altri e toccò a Levi porre fine a
quella scaramuccia.
Assestò un paio dei suoi calci poderosi ad entrambi e poi li divise.
«Cosa avete ancora sedici anni? Cazzo! Abbiamo un sacco di problemi e voi vi sfidate
a duello per una ragazza?».
«Ha cominciato lui!» accusò Eren.
Jean stava per replicare ma fu interrotto.
«Questo è tutto l’interesse che hai per Krista e tuo figlio?» gli chiese aspra
Hanji «Sono mortalmente delusa da te Eren sei rimasto un ragazzino immaturo che
non sa gestire le emozioni!».
«E anche tu Jean, non è l’ora di crescere? Quando supererai questo antagonismo
con Jeager che vi portate dietro dal vostro corso di addestramento? Siete due
uomini santa pazienza. Dimostratelo una volta tanto!».
La ramanzina di Hanji lasciò tutti un po’ a bocca aperta lei era sempre quella
gioviale, era strano vederla così severa.
«Non abbiamo trovato niente e nessuno! Spariti tutti: Kenny, la sua squadra e
purtroppo anche Krista» disse Marlo irrompendo nella stanza.
«Kenny sicuramente aveva dei complici» commentò serio Levi e mentre parlava
guardava di traverso Hitch e Marlo. Non si fidava più di nessuno, chissà quali
complotti c’erano sotto, ma era solo questione di tempo avrebbero scoperto
tutto. Ora avevano Eren e lo avrebbero torchiato ben bene.
*
«Levi stai sanguinando, per favore vai a farti medicare» Disse
Hanji guardando la ferita che aveva sulla fronte.
Era consapevole che non gli avrebbe dato tregua, così nonostante non ne avesse
alcuna voglia prima sbuffò e poi uscì dalla loro camera per andare a farsi
vedere quella dannata ferita.
Si recò all’ospedale dove era ancora in degenza Erwin. Per una strana legge del
karma, o forse di Murphy, il medico di turno quella sera era Petra.
Come la scorse, Levi, fece subito per svignarsela senza dare nell’occhio, ma
lei lo aveva già visto.
«Ehi Ackerman, sei ferito? Vieni qua che ti do un’occhiata».
L’uomo masticò una serie di imprecazioni irripetibili a denti stretti e con la
faccia scura e le mani in tasca la raggiunse.
La donna lo fece accomodare su una sedia e poi cominciò a pulirgli la ferita
con del disinfettante.
«Ti hanno preso di striscio, non è niente di che, ma due-tre punti è meglio
darceli».
«No grazie» le rispose lapidario.
«È da tanto che non ci vediamo. Come stai Levi?» gli chiese sorridendo.
Lui voleva solo scappare, ma si rese conto che stava facendo la stessa cosa che
aveva fatto anni fa e si sentì di nuovo una brutta persona.
Petra invece era certa che la odiasse. Voleva solo essere gentile e lui la
ignorava palesemente, era chiaro che non volesse farsi medicare da lei.
Addirittura sembrava anche non gli fregasse niente che si fosse ripresa così
bene e forse ne intuiva il perché.
«Senti, mi…» cominciò a dirle, ma una tosse secca e stizzosa gli fermò sul
nascere la frase «…dispiace. È che io non sono bravo in queste cose» ammise
appena riprese fiato.
Lei non disse niente e prese ad armeggiare nuovamente sulla sua ferita per
ricucirla, ignorando il suo diniego di prima. Non lo avrebbe obbligato a dirle
niente se non voleva.
«Quando hai avuto l’incidente, mi sono sentito tremendamente in colpa. Non
sapevo come affrontare la cosa e sono fuggito» riuscì finalmente ad ammettere.
«Dispiace tanto anche a me» e lo infilzò con l’ago per mettergli il primo
punto.
«Avevo detto di no!» disse sentendo un male cane, lei gli aveva praticato una
blanda anestesia che evidentemente non aveva sortito molto effetto, ma non
protestò, la prese come una giusta punizione per i suoi peccati del passato.
«Dicevo, che mi dispiace che tu abbia frainteso Levi. Sì è vero avevo una cotta
per te, ma quella sera, quando per fortuna non è successo niente, mi sono
sentita sollevata. Ero felice perché da qualche tempo c’era un ragazzo che mi
faceva il filo e fino a quel momento non avevo capito quanto in realtà mi
piacesse. Tu eri un po’ un sogno irraggiungibile, il bel tenebroso dal passato
difficile, il classico tipo da crocerossina: Io ti salverò! Ma poi
una volta salvato? E soprattutto tu volevi essere salvato? Penso proprio di no.
Così quella sera stavo correndo da lui per dirgli che ero pronta ad avere una
storia, ma purtroppo feci quel dannato incidente. Non so cosa ti abbia detto
mio padre all’ospedale, o cosa tu abbia capito, ma questa è la verità. E mi
dispiace che tu per tutto questo tempo abbia vissuto con questo peso sulla
coscienza».
Non capitava spesso, ma questa volta Levi si sentì un perfetto cretino, oltre
che molto sollevato.
«Sono felice di sapere che stai bene» le disse sincero, di più non riusciva
proprio a fare, era troppo a disagio. Petra lo capì e aggiunse «Non ti sarò mai
abbastanza grata Levi Ackerman. Sei un uomo onesto, non ti sei approfittato
della mia stupida cotta, neanche quando praticamente mi sono gettata tra le tue
braccia».
«Ad onor del vero ero ubriaco» ammise sincero.
«Appunto se non sei riuscito a farlo da ubriaco, significa che sei un puro di
cuore in fondo» gli disse con un sorriso.
«Tutto è bene quel che finisce bene…» concluse l’uomo sempre più imbarazzato.
Non era uno che incassava bene i complimenti, anzi lo mettevano tremendamente a
disagio e come sempre non vedeva l’ora di darsela a gambe.
«Già» fece lei tagliando il filo dell’ultimo punto che gli aveva messo.
«Cadranno da soli, non è necessario che tu torni a togliergli» e finalmente si
congedarono. Per Levi fu una liberazione, anche se scoprire la verità su Petra
gli aveva fatto uno strano effetto. Era convinto che fosse cotta persa di lui,
invece a quanto pare non era proprio così. Non avrebbe mai capito le donne fino
in fondo, questa era l’unica vera certezza, ma era felice di essersi sbagliato
e si sentiva decisamente più leggero. Hanji come sempre aveva ragione.
*
Eren era stato messo in camera con Armin e Connie si era
trasferito da Jean.
«Armin devo parlare con Mikasa».
«Non puoi muoverti dalla stanza finché non sarai interrogato da Erwin. Questi
sono gli ordini» rispose serio l’altro.
«Senti mi dispiace per quella volta sulla spiaggia sono stato uno stronzo
galattico, ma ora ho bisogno del vostro aiuto per salvare Krista».
«La salveremo tutti insieme datti pace» rispose Armin.
Ma Eren non era uno che portava pazienza, né uno che accettasse un no come
risposta. Aspettò che Armin si girasse, lo colpì intesta in modo da farlo
svenire e furtivamente uscì dalla stanza. Sapeva che per scappare aveva bisogno
di aiuto e si diresse alla stanza di Mikasa, l’aveva adocchiata mentre Armin lo
conduceva alla sua.
«Ma sei matto?» gli chiese lei arrabbiata non appena aprì la porta per farlo
entrare.
«Ho paura che possano fare male al bambino» le confessò.
«Avresti dovuto pensarci prima di invitarla qui a Paradise non credi?».
«Ce l’hai con me perché l’ho messa incinta vero?» l’accusò sulla difensiva.
«Non sei più il centro del mio mondo Eren» gli rispose seria.
«Ah già ora e la fai con Jean».
«Non me la faccio con nessuno, ma comunque non sono fatti tuoi. Tu hai fatto la
tua scelta che vuoi da me?».
«Mi serve il tuo aiuto. Ti prego».
Nonostante tutto le sembrò davvero diverso dalle ultime volte, sembrava
sinceramente in pena per Krista e la creatura. Un po’ le faceva rabbia ma non
perché fosse gelosa. Le era passata da tempo, era solo amareggiata dal fatto
che per lei non si era mai preoccupato così, o per lo meno non lo aveva mai
manifestato apertamente, forse la verità era che l’aveva amata in modo diverso
da come lei avesse amato lui, ma non era il momento di pensare al passato.
«Senti lo so che non mi comporto sempre bene, ma davvero questa volta voglio
solo salvare il bambino dalle grinfie di quello psicopatico».
Mikasa stava per rispondere ma furono interrotti da Hanji che fece irruzione
nella stanza.
«Hanno appena dimesso Erwin. Devi venire con me» gli disse severa puntandogli
un’arma contro.
«È proprio necessario?» chiese Mikasa molto stupita da questo atteggiamento
così duro della caposquadra.
«Armin è al pronto soccorso ce l’ha mandato lui con una botta in testa, ti
basta come giustificazione?» le rispose la donna secca.
I monologhi dell’autrice
Ehilà rieccomi, il più è fatto! Con oggi
credo proprio che tornerò in pari!
Continuiamo con il ripostaggio, forza e coraggio! Me le canto e me le suono! 😁
|
Ritorna all'indice
Capitolo 22 *** Time out ***
Se ti stai chiedendo perché
stai leggendo il capitolo 22 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
22
Time out
Levi era rientrato in camera e aveva notato la finestra aperta, ma
Hanji non c’era.
Estrasse guardingo la pistola.
«Puoi rimetterla a posto. Sono io» disse Kenny palesandosi.
«Che vuoi, che ci fai qui?» chiese a suo zio, continuando a tenerlo sotto tiro.
«Sono venuto solo per dirti che Krista è al sicuro. Credimi, il mio committente
ha a cuore la sua incolumità» disse in modo che pareva sincero, ma con Kenny
non si poteva mai sapere.
«Cosa c’è sotto?» gli chiese severo.
«Roba grossa».
«Quello lo immaginavo già, puoi essere più specifico?».
«Le cose spesso non sono come appaiono. Amici sembrano nemici e nemici sembrano
amici. La posta in gioco è altissima: la sopravvivenza dell’umanità, per questo
l’allerta è salita ad un livello che non era mai stato toccato prima.
Guardatevi le spalle, sempre. Di più non posso proprio dirti. Sai come funziona
il giochino. Ogni nazione deve pensare al proprio tornaconto».
«Praticamente non mi hai detto un cazzo!» sbottò Levi avvicinandosi con la
pistola ancora in pugno.
Kenny si accese l’ennesima sigaretta e aspirò una boccata di fumo, era il suo
modo per darsi tempo e riflettere. La sua posizione non era facile. Non poteva
proprio sbottonarsi gli ordini erano tassativi, ma aveva capito che suo nipote
e la sua squadra erano in alto mare. Decise che si era sbilanciato anche troppo
e fece per andarsene.
«Non ti muovere!» gli intimò Levi, ma lui non se ne curò e passò oltre.
«Qualunque cosa accada fidati sempre del tuo istinto» concluse prima di uscire
dalla finestra, lasciandolo estremamente frustrato.
Levi non era stato in grado di sparare. Non sempre erano dalla stessa parte e
forse non lo erano neppure questa volta. Kenny aveva una bussola morale molto
variabile, non era uno che si facesse problemi a superare i limiti se il
“lavoro” lo richiedeva, ma ucciderlo non rientrava tra le cose che potesse fare
a cuor leggero, almeno non senza un motivo davvero grave.
*
Erano passati alcuni giorni. C’era un’aria strana e la situazione
era in fase di stallo.
Eren improvvisamente era sparito. Tutti sospettavano che fosse fuggito aiutato
da Mikasa, anche se lei negava con forza.
Erwin aveva preso la cosa fin troppo bene, chissà forse era consapevole che
quel ragazzo non era più un agente su cui potessero fare affidamento, o forse
aveva altri motivi.
C’era un gran nervosismo che serpeggiava sia tra i veterani che tra gli agenti
più giovani. Erano tutti in attesa che qualcosa si sbloccasse. Aspettavano
ordini dall’alto che però tardavano ad arrivare.
Il comandante, in tal senso, aveva grossi grattacapi. Dopo essere stato dimesso
dall’ospedale, il quartier generale gli stava facendo forti pressioni perché
rientrasse alla base, ma lui non ne voleva sapere. Quella era la sua missione e
sarebbe rimasto finché non si fosse conclusa. Così era in atto un braccio di
ferro che lo snervava.
Improvvisamente una mattina radunò tutti in fretta e furia e indisse l’ennesima
riunione.
«Il tempo è scaduto» esordì serissimo «Dobbiamo risolvere la questione titani e
la dobbiamo risolvere in maniera definitiva. Ho appena ricevuto ordini in
merito».
Si levò un brusio che accolse la notizia con approvazione.
«Io però vorrei anche capire che fine ha fatto Eren. Lei lo ha interrogato ed è
sparito, qualcosa non torna» commentò pungente Armin.
«Secondo le mie fonti si è ricongiunto a suo fratello» spiegò Erwin spiccio.
«E questo cosa significa?» chiese sulla difensiva Jean.
«Onestamente non lo so. Quando abbiamo parlato sembrava tutto chiaro e a posto,
la fuga non era certo contemplata. Credo e spero che sia dalla nostra parte,
che abbia agito secondo un disegno a noi sconosciuto, forse ha ricevuto ordini
dall’alto, ma la verità è che qualcosa in lui non va, questa ormai è una
certezza con cui dobbiamo fare i conti» ammise Erwin.
«Buongiorno! Ben svegliati! Finalmente ve ne siete accorti. Astuti come cervi, eh!(1) » commentò acre
Levi.
«Ci faccia capire che dobbiamo fare?» chiese molto preoccupato Connie.
«Levi il tuo sarcasmo è fuori luogo. Sapevamo che usare Eren poteva essere un
rischio, forse abbiamo scommesso sul cavallo sbagliato, ma non avevamo molta scelta
vista la situazione paradossale che dobbiamo affrontare. Stare a fare polemica
e dietrologia non serve. Sta per scoppiare una battaglia epica. Dobbiamo
passare all’attacco di questi titani e bisogna terminarli tutti».
«Questo significa che anche Eren deve morire?» chiese subito Mikasa con una
nota di disperazione nella voce.
Jean ebbe un moto di stizza che non sfuggì a Connie.
«Datti pace amico, lo sai che lei ci tiene a quel pazzoide» gli disse piano
vicino all’orecchio.
Jean lo fulminò con un’occhiataccia, non era incline ad essere compatito.
«Purtroppo Eren è uno di loro, quindi sì temo che anche lui alla fine dovrà
essere terminato» tagliò corto il comandante.
La ragazza stava per replicare, quando fu strattonata per un braccio da Hanji:
«Ti prego di essere matura e ti ricordo che sei un agente al servizio del tuo
paese. La prima cosa che deve contare per noi è salvaguardare vite umane
innocenti. Eren fuggendo ha preso la sua decisione. Ergo, noi dobbiamo andare
per la nostra strada».
«Forse non ha avuto scelta, ma questo voi sembrate non volerlo considerare»
disse ferita Mikasa rivolta a tutti loro. Da una parte sapeva che Hanji aveva
ragione, ma dall’altra accettare la morte di Eren, così a cuor leggero, era
durissimo per lei.
«Nessuno ha scelta Mikasa» replicò molto severo Erwin «Io ho già perso un
braccio in questa missione e ognuno di noi potrebbe perdere la vita. Quindi
direi di preparaci a fare ciò che dobbiamo e ciò che ci richiede questo
mestiere che nessuno ci ha imposto. Quando ci siamo arruolati sapevamo che
avremmo dovuto offrire la nostra vita alla causa se fosse stato necessario»
concluse lapidario.
«Sì, ma io preferirei non lasciarci le penne» ammise Connie.
«Insomma come la risolviamo da soli, me lo spiega?» chiese Sasha.
«Già noi siamo quattro gatti e non siamo neppure sicuri che l’unico mutaforma
che potrebbe aiutarci lo farà» masticò amaro Jean.
«Non saremo soli. Pixis mi ha dato ordini precisi in merito. Arriveranno dei
rinforzi, lo conferma anche Dallis Zacklay, e mi hanno entrambi assicurato che
possiamo fidarci di quelli della resistenza».
Come finì la frase si aprì la porta della stanza dove erano riuniti e Gabi,
Falco, Piek e Galliard entrarono.
«E Onyankpon? Che fine ha fatto? È vero che è passato al nemico?» chiese
Armin.
«No. È dalla nostra parte e lo è sempre stato, come me del resto» disse a
sorpresa Yelena che sbucò fuori da dietro i ragazzi.
«Cosa? Tu mi hai sparato!» l’accusò Jean mettendo mano alla pistola per poi
fronteggiarla rabbioso.
«Sì, ma non ti ho ucciso. Credete davvero che avreste riavuto Erwin senza
l’intervento mio e di Onyankopon?» disse con quella sua aria un po’
strafottente che non la rendeva proprio simpaticissima.
«Io non ti credo per me sei una doppiogiochista!» controbatté Jean avventandosi
contri di lei.
«Veramente hai mirato a me» ribatté Mikasa cercando di sbugiardarla.
«Era tutta scena, per tenere in piedi la commedia, se avessi voluto tu e quello
là sareste già sotto tre metri di terra».
«Questa mente, non capisco perché vi fidiate di lei» disse Jean rivolto ai
veterani.
«Basta così! Ora finitela! È tutto sotto controllo e Onyankopon è alle
prese con Grisha» intervenne alla fine Erwin dimostrando di sapere già tutto.
«Volevo anche avvisarvi che Floch non è morto» aggiunse la valchiria bionda.
«Sempre ottime notizie da questa qui!» commentò Connie.
«La prossima volta mirerò direttamente alla sua testa» sibilò Gabi.
A Levi risuonarono in testa le parole di Kenny: Le cose spesso non sono
mai come sembrano. Amici sembrano nemici e nemici sembrano amici.
«Allora visto che ci siamo tutti vi ragguaglio sul piano» disse Erwin.
*
Mikasa non lo faceva mai, non erano cose da lei, neppure quando
era al liceo alle feste ma quella sera aveva proprio voglia di bere qualcosa di
alcolico. Quindi senza dire niente a nessuno si era recata presso un pub vicino
all’albergo, un posto frequentato per lo più da giovani, infatti ci trovò anche
Piek e Galliard.
«Ehi! Vieni ti offriamo un giro» le disse la ragazza alzando il boccale di
birra invitandola a sedersi con loro.
Voleva quasi declinare l’offerta, ma era lì per distrarsi dai suoi pensieri e
alla fine accettò.
«Sai, anche se eravamo dietro la porta abbiamo sentito la tua appassionata
difesa per la vita di Eren» cominciò con il dirle Piek.
«Vorrei evitare di discutere, già lo faccio quasi in continuazione con la mia
squadra, non vi ci mettete anche voi per cortesia».
«Volevamo solo spiegarti il nostro punto di vista da titani. Titani che saranno
terminati proprio come il tuo prezioso Eren» spiegò secco Galliard.
Mikasa deglutì. Non aveva considerato questa parte della faccenda.
«Ti domanderai perché ci siamo messi al sevizio della causa e perché accettiamo
passivamente il fatto che ci costerà la vita» cominciò a dire la ragazza.
Mikasa annuì senza parlare. Si sentiva a disagio.
«Ci siamo ritrovati senza volerlo in una situazione più grande di noi. Ed
è chiaro che tutti siamo stati vittime per prima cosa degli esperimenti fatti
su quest’isola. Come vedi anche noi non abbiamo avuto scelta» le spiegò pacata
ma seria.
«O meglio avevamo una scelta: morire subito o tentare questo salto nel vuoto.
Certo ci hanno pagati bene per buttarci a capofitto nell’ignoto, ma poteva
costarci la vita da subito e a noi è andata bene rispetto ad altri. Poi abbiamo
capito che curarci non era la loro priorità, ma che questa scoperta stava per
essere usata per fare del male a molta altra gente e allora l’unica scelta
possibile è stata sacrificarci per un bene superiore» le spiegò Piek con tono
incolore.
«Sai credo che tu sia un po’ egoista. Non fai che pensare al tuo amico, quando
molte persone stanno morendo. Quei mostri che fai saltare in aria con il tuo
lanciagranate erano esseri umani proprio come te e loro una scelta non l’hanno
mai avuta, sono stati solo cavie: carne da macello. Il tuo amico mi pare quanto
meno confuso. Insomma lui non è stato contaminato, lui ha deciso di diventare
un titano, o chissà cosa, e pretendi che un’itera operazione debba ruotare
intorno alla sua salvezza? E tu saresti un agente speciale adibito alla
sicurezza nazionale? Siamo messi molto male» commentò severo Galliard.
Mikasa si sentì davvero una brutta persona. Non aveva considerato la cosa da
quel punto di vista. Quando si trattava di Eren era di parte, forse anche
troppo.
«Siamo stati insieme, dovevamo sposarci, pur non essendone più innamorata sono
e sarò sempre legata ad Eren, per questo tengo così tanto a lui».
«Falco ha solo diciannove anni ed è condannato a morte certa. Sai perché ha
accettato di diventare un titano? Non solo per aiutare la resistenza ma soprattutto
per impedire che lo diventasse Gabi. Nessuno dei due era contaminato, ma alla
resistenza serviva un altro mutaforma e loro erano in lizza. È innamorato di
lei e ha voluto salvarla da un destino infame, così l’ha scavalcata. Se
vogliamo parlare di scelte, questa, tra tutte, è la più nobile» raccontò con
amaro distacco Galliard.
Mikasa di colpo si rese conto quanto si sbagliasse, quanto i suoi sentimenti
fossero influenzati dalla tossicità del suo rapporto con Eren. Anche se non
stavano più insieme c’era sempre una catena che la teneva stretta a lui,
quasi al punto di farla soffocare. Non era solo bene ma anche dipendenza. Eren
era stato per tanti anni la sua sola famiglia e lo aveva eletto a suo punto di
riferimento, l’unico appiglio a cui aggrapparsi.
«Non temete, non sono una stupida farò sempre ciò che devo» si sentì di dire
loro. I suoi occhi tradivano la sua sincerità e i ragazzi parvero apprezzare.
«Comunque sappi che tuoi compagni ti difendono a spada tratta, ci hanno
assicurato che quando c’è un pericolo non c’è nessuno meglio di te come
alleato» la rincuorò Piek.
«Devo bere un’altra birra» disse Mikasa « e offro io questo giro» concluse.
Non era da lei, ma forse aveva bisogno proprio di lasciarsi andare. Di
intaccare quella sua rigidità di fondo che la rendeva sempre molto trattenuta.
Fatto sta che alla fine si era ubriacata fino quasi ad avere difficoltà a stare
in piedi.
Non se ne era accorta, ma erano sopraggiunti anche i ragazzi della sua squadra,
Niccolò compreso, che sembrava ormai fare coppia fissa con Sasha.
La osservavano da un altro tavolo, mentre lei continuava ad ingurgitare birra.
«Direi che è ora di andare a prenderla» disse serio Armin a Jean.
«Direi che non mi riguarda».
«Adesso ti ci metti anche tu a fare il sostenuto?» lo rimproverò Arlert.
«Ma che vuoi da me?».
«Lo sappiamo tutti che sei cotto di Mikasa. Tra pochi giorni affronteremo una
missione praticamente suicida, vuoi davvero perdere l’occasione di fare
qualcosa di buono per lei, di darle il tuo appoggio? Come credi che finirà se
la lasciamo qui da sola?» gli spiegò paternalisticamente.
«Aiutatela voi!» rispose arrabbiato Jean. Era scocciato che quello avesse messo
in piazza i suoi sentimenti in modo così diretto.
«Noi due non possiamo abbiamo da fare» dissero Sasha e Niccolò alzandosi
e prendendosi per mano, per avviarsi all’uscita del locale.
«Io ho un appuntamento. Devo andare» li seguì Arlert.
Era chiaro che si fossero messi d’accordo prima, ma Connie non si era preparato
una scusa plausibile, così se ne uscì con: «Io ho il mal di pancia e devo
andare in bagno!» e scappò letteralmente.
Jean li guardò dileguarsi non sapendo se ridere o incazzarsi, poi volse lo
sguardo verso Mikasa. Era strano vederla così. Non poteva lasciarla lì in
quelle condizioni, quindi scolò la sua birra e andò da lei.
«Sarà meglio tornare in albergo» le disse con tono incolore.
Piek e Galliard annuirono e li lasciarono soli.
«Guarda chi c’è, super Kirschstein» biascicò la ragazza ridacchiando. Era
proprio andata.
«Vieni» disse lui prendendola quasi di peso per farla alzare e tenendola per la
vita la trascinò fuori con sé.
Nonostante indossasse un paio di jeans e una semplice maglietta, avesse i
capelli in disordine e lo sguardo lucido per via della troppa birra che aveva
in corpo, a lui parve bellissima e tenerla per la vita come se fossero
abbracciati mentre lei farfugliava cose senza senso, lo turbava più di quanto
volesse ammettere.
Non senza fatica arrivarono al loro albergo. Per tutto il tragitto Mikasa,
aveva blaterato e ridacchiato, tanto da innervosire parecchio Jean che alla
fine si trovò costretto, per portarla in camera, a prenderla addirittura in
braccio perché le sue ginocchia sembravano non voler stare più dritte.
La ragazza si sentì stranamente subito a suo agio, forse era colpa dell’alcool o
forse no, si raggomitolò poggiando la guancia contro il suo petto.
Questo atteggiamento così inaspettato stranì non poco il povero e già provato
Kirschstein.
«Sento il tuo cuoricino che batte!».
«Menomale! Altrimenti vorrebbe dire che sarei morto» bofonchiò un po’
imbarazzato da quella situazione assurda.
C’erano già stati momenti di grande disagio quando aveva dovuto frugare nelle
tasche dei pantaloni di lei per trovare la chiave della camera. Sembrava
un’altra, faceva battutine sciocche, rideva, era molto disinvolta, il bere
l’aveva senza dubbio disinibita e parecchio.
Ad un tratto si era attaccata a un lembo della sua camicia e aveva intrufolato
il viso a contatto con la pelle del suo collo. Un brivido aveva percorso la
schiena di Jean colto alla sprovvista dal quel gesto così intimo quanto
inaspettato.
«Hai un buon odore Kirschstein» aveva esordito lei facendolo avvampare in viso
e non solo.
«Smettila Mikasa sei ubriaca!» la rimproverò aspramente mentendola giù di
colpo. La situazione stava diventando pericolosa e ingestibile.
«Non te l’ho mai detto ma sei diventato davvero un gran bel tipo!».
«Tanto smaltita la sbornia lo rinnegherai».
Lei non rispose e gli si avvicinò pericolosamente, gli franò quasi addosso e le
loro bocche si ritrovarono una sull’altra sfiorandosi.
Fu un momento magico, molto intrigante, si avvertiva l’elettricità che stava
correndo da una all’altro. Tutto sarebbe potuto accadere…
«Jean… devi dirti una cosa…» gli sussurrò a fior di labbra.
«Dimmi… » rispose lui trattenendo il fiato e chiudendo gli occhi.
«Ho voglia di vomitare!» sboccò quasi la ragazza.
«Cazzo! Non addosso a me!» si agitò Jean .
E corsero in bagno dove lui, pazientemente, tenendole la testa, aspettò che si
liberasse di tutto ciò che aveva in corpo.
I monologhi dell’autrice
Note:
(1) "Astuti come un cervo” è una citazione da Amici Miei che riprende
la famosa gag “sii astuto come un cervo” che se volete potete rivedere
qui: https://youtu.be/laRIWbSUYr8
Povero Levi lo mettiamo sempre nel mezzo, ma il sarcasmo pungente di questa
frase, secondo me, gli si addice 😉 e da toscanaccia
non ho saputo resistere 😁
|
Ritorna all'indice
Capitolo 23 *** Scusa se ti amo ***
Se ti stai
chiedendo perché stai leggendo il capitolo 24 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
24
Scusa se
ti amo
La partenza anticipata di Hanji aveva avuto un motivo preciso e molto
importante che Erwin aveva deciso di nascondere a tutti, compreso Levi.
Scoprirono parte della verità in merito, all’arrivo alla casa sulla spiaggia,
quella dove avevano fatto tappa gli agenti della CIA appena arrivati a
Paradise.
Si erano da poco sistemati un po’ gli uni addosso agli altri, dato
che non c’erano così tante stanze per ognuno di loro, quando Erwin ricevette
una telefonata.
«Sta per arrivare
Hanji con i rinforzi!» comunicò a tutti dopo che erano stati riunti per
comodità in veranda.
Levi era piuttosto silenzioso avrebbe voluto domandare di più sulla faccenda,
ma non voleva creare problemi così cercava di fare il bravo e stare zitto.
Armin invece osservava Jean e Mikasa. Erano molto strani. Lei ancora più chiusa
e più buia di sempre. Lui agitato e un po’ sulle spine. Doveva essere accaduto
qualcosa di cui non sapeva niente. Ma decise di farsi i fatti suoi, anche lui
al momento non era proprio sereno e aveva i suoi grossi grattacapi con cui fare
i conti.
Connie invece come sempre si divertiva a punzecchiare Sasha, la quale gli
rispondeva a tono.
Falco cercava di essere gentile con Gabi, che di contro, puntualmente, gli
rispondeva in malo modo zittendolo.
Galliard e Piek parlottavano e si guardavano intorno diffidenti.
Niccolò invece era concentrato e stava stilando una lunga lista della spesa per
la cena che aveva in mente di preparare.
Yelena, in disparte, osservava tutti con un’aria strana che sembrava quasi
divertita.
Insomma tutto era più o meno nella norma, quando alla fine Levi non ce la fece
più e rivolto a Erwin disse: «Spero che questi fantomatici rinforzi facciano
davvero la differenza».
«È quello che mi auguro» gli rispose senza aggiungere altro il comandante.
Hanji arrivò trafelata circa mezz’ora dopo la chiamata fatta ad Erwin.
Era sola.
«Niente. Non è atterrato nessuno all’aeroporto» spiegò costernata.
«Ma come? Non dovevano arrivare con un volo diretto?».
«Sì, le indicazioni erano quelle ma non c’era nessuno».
«Dobbiamo chiamare Pixis subito!» enunciò Erwin rabbuiato.
La chiamata fu breve e in viva voce.
«Non so cosa sia successo» cominciò Dot serio «Per quanto ne so io sono
regolarmente partiti, o per lo meno così mi è stato fatto credere».
«Pensi che possano essere stati intercettati e fermati. O peggio dirottati?»
domandò Erwin.
«No dirottati è impossibile. L’aereo, tra l’altro di linea, sul quale dovevano
essere è arrivato puntualmente».
«Quindi c’è solo una possibilità, qualcuno ci ha scoperti e sono stati rapiti o
fermati prima di imbarcarsi. Comunque tu Hanji non hai notato niente di strano
tra i passeggeri atterrati a Paradise, giusto?» le chiese Pixis.
«Assolutamente no. Tutto sembrava tranquillo».
«Fatemi fare un paio di controlli con l’intelligence su chi si è imbarcato,
così avremo la conferma che cerchiamo e poi vi faccio sapere. Nel frattempo non
c’è tempo da perdere dovete comunque procedere con l’operazione».
Hanji ed Erwin si scambiarono uno sguardo d’intesa piuttosto enigmatico.
«Capisco la vostra preoccupazione, ma siete sul campo e siete gli unici che
possono fare qualcosa prima che sia troppo tardi. Purtroppo siamo alla resa dei
conti. Agite come avete sempre fatto e tirate fuori il meglio di voi. Noi
confidiamo nella vostra forza come squadra e come professionisti e mi rivolgo a
tutti» specificò, dato che alla call erano presenti ognuno dei ragazzi,
resistenza compresa.
Nessuno fiatò, neanche Levi che però era molto accigliato.
«Non hai niente da dire?» gli chiese Hanji avvicinandosi a lui
«Avrei tanto da dire, ma forse è meglio se sto zitto, perché potrei compromettere
l’operazione» sentenziò lapidario fulminandola con uno sguardo molto
contrariato.
Hanji non aggiunse altro, comprendeva il suo stato d’animo, era anche conscia
che non fosse uno stupido ma era importante che ora si calmassero tutti e si
concentrassero sul da farsi. La situazione era grave, pericolosa e la battaglia
imminente.
*
Erwin si era ritirato nella sua camera per
riordinare le idee. La sua posizione era delicata e quella menomazione, anche
agli occhi degli altri lo faceva apparire più debole, cosa che assolutamente
non poteva permettersi. Doveva mantenere intatta la sua autorità, altrimenti si
sarebbe potuto creare il caos che avrebbe solo favorito il nemico.
Avrebbe partecipato direttamente alla battaglia, su questo non aveva dubbi e stava
appunto studiando il modo per poterlo fare nella maniera più utile ed efficace,
quando un lieve bussare alla porta lo distrasse.
«Avanti» disse automaticamente.
«Permesso? Mi scusi comandante» esordì quasi timidamente Niccolò.
«Vieni pure. Che c’è di nuovo?» gli chiese leggermente preoccupato da quella
sortita, aveva pensato potesse essere Levi, invece…
«Mi dispiace disturbarla per quella che forse riterrà una sciocchezza» cominciò
a dire quasi ritrosamente il ragazzo. La sua idea ora non gli sembrava più così
buona come all’inizio.
«Parla liberamente ti ascolto» lo invitò Erwin.
Niccolò deglutì un po’ di saliva e poi si lanciò a ruota libera: «Ho studiato
per diventare chef e so cucinare molto bene, pensavo di preparare una cena a
base di pesce per tutti, per passare una serata tranquilla prima di affrontare
l’ignoto che ci aspetta a breve» disse tutto d’un fiato.
Il comandante sembrò rimuginare e poi disse «La trovo un’ottima idea. Non potrà
che farci bene un momento di decompressione attorno ad un tavolo con buon cibo
e buon vino. Sarà capace, almeno per qualche ora, di rinfrancare gli animi,
anche quelli più esacerbati. Procedi pure hai il mio benestare, ma si deve fare
tra oggi e domani» precisò secco.
«Allora direi che per domani sera è perfetto. Oggi vorrei andare a fare la
spesa, posso portare Sasha con me?» chiese titubante.
Erwin lo fissò intensamente per qualche secondo e Niccolò si sentì molto a
disagio, sembrava dirgli: guarda che so tutto!. Ma in realtà
non profferì parola, disse solo: «Sasha e basta? Credo sia meglio tu porti con
te anche qualcun altro per una spesa così importante».
Il ragazzo annuì e si congedò.
Erwin fece un lungo sospiro e si rimise al computer a continuare ad elaborare
la sua strategia per l’attacco a Marley.
*
La notizia della cena era stata accolta
con reazioni diverse e contrarie tra loro.
Levi non aveva mosso un solo muscolo del viso, ma aveva alzato un sopracciglio
in chiaro segno di malcelata disapprovazione.
Hanji invece si era dimostrata piuttosto contenta di poter passare un momento
di convivio tutti insieme, ne sentiva il bisogno per allentare la tensione che
le attanagliava lo stomaco.
Sasha era super eccitata e si era proposta di aiutare Niccolò a cucinare.
Mikasa non aveva avuto alcuna reazione era rimasta indifferente come se la cosa
non la riguardasse. Già aveva dovuto fronteggiare le molte, troppe, domande sul
suo nuovo taglio, a cui aveva risposto piuttosto seccata che era stata solo una
questione di comodità.
Jean aveva prima storto il naso, ma poi si era detto che una buona mangiata e
una buona bevuta non era affatto un’idea malvagia.
Connie ne fu entusiasta e cominciò subito a dare il tormento a Sasha e Niccolò
perché anche lui voleva cucinare.
Armin mostrò un tiepido apprezzamento, accennando un lieve segno di assenso.
Gabi criticò aspramente la cosa ritenendola sciocca e superflua.
Falco non disse niente, non era d’accordo con lei ma non voleva contrariarla.
Galliard a sorpresa fu abbastanza favorevole e si propose come aiuto in caso ce
ne fosse stato bisogno.
Piek già di suo pareva sempre un po’ apatica e anche questa volta reagì con un
laconico: ok!
Yelena come sempre stava in disparte e osservava tutto e tutti con aria di
condiscendenza.
Niccolò rimase un po’ deluso da alcune reazioni e si sentì di dire la sua.
«Capisco che una cena, per qualcuno, possa sembrare una cosa fuori luogo visto
il momento che stiamo vivendo. Ma il cibo non è solo nutrimento è anche
condivisione. Dovremmo combattere gli uni per gli altri…» poi fece una breve
pausa abbassando lo sguardo «forse qualcuno di noi non tornerà vivo…» e calò il
gelo «allora perché non condividere un momento bello e piacevole tutti insieme,
come buoni amici che in battaglia si guardano le spalle? Non abbiamo certezze,
abbiamo paura, almeno io ne ho, ma la cucina è anche amore e io voglio, anche
se solo per una sera, che questo amore avvolga tutti voi, perché magari un
giorno ripenseremo a questi momenti e vorrei che fossero un bei ricordi in
mezzo a questa situazione così complicata e pericolosa».
Il menù elaborato dal giovane chef era molto semplice ma gustoso.
Come antipasto: moscardini in umido e bruschette di pane, seguiti da crostini
con burro e aringa.
Per primo: spaghetti alle vongole con pomodorini freschi.
Di secondo: pesce misto e crostacei al forno, calamari ripieni sempre cotti in
forno e l’immancabile fritto misto. Con contorno di patate fritte e caponata di
verdure. Tutto annaffiato da buon vino bianco Chardonnay d’annata.
Infine un classico: una mousse di gelato al limone.
Si rivelò una cena deliziosa che incontrò
il gusto di tutti. Anche Levi sembrava quasi meno imbronciato del solito.
Ad un certo punto, nel bel mezzo del pasto, era regnato un silenzio surreale,
quasi religioso, perché tutti stavano mangiando con grande piacere le pietanze
preparate da Niccolò, il quale si commosse quasi.
Per lui cucinare per qualcuno significava prendersene cura, dimostrargli il suo
affetto ed era felice che quelle persone con cui aveva legato, chi più, chi
meno, avessero apprezzato il suo gesto. La sua idea era stata vincente perché
l’aria era certamente più distesa e quasi gioviale.
Dopo cena alcuni commensali rimasero a tavola a chiacchierare ed Erwin offrì un
sigaro a Levi.
«Non vorrai davvero farmi provare quella merda?» rispose lui stizzito.
«Si è quello che voglio, prova dai, dammi soddisfazione».
Levi lo guardò di traverso.
«Sei tu che mi hai detto che nella vita si può cambiare idea che ci sono vari
sentieri da poter percorrere… » lo paraculò divertito il
comandante.
Levi lo fulminò con un’occhiataccia «Finiscila Erwin e dammi quel cazzo di
sigaro, o potrei anche io avere da dire qualcosa sul tuo passato amoroso» lo
minacciò. Quella conversazione non era mai esistita, si era forse dimenticato?
Hanji li guardava indagandoli di sottecchi: «Voi due non me la contate giusta,
che avete da nascondere?».
Erwin prese una generosa boccata dal suo sigaro, ma senza aspirare, per poi
soffiare fuori una nuvola odorosa di tabacco bruciato.
«Nessun segreto Hanji solo cose belle, soprattutto per te» ammiccò.
Levi per zittirlo a sua volta tirò una generosa boccata, ma nella foga del
gesto malauguratamente ne aspirò un po’ e cominciò a tossire come un dannato
diventando paonazzo.
«Che cazzo questa merda fa proprio schifo Erwin! Spero che tu ti sia divertito
abbastanza per stasera!» sputacchiò affogando quasi.
Hanji non aveva capito molto ma nel vedere Levi quasi cianotico che tossiva,
non poté fare a meno di scoppiare in una fragorosa risata.
Ci volevano dei momenti così. Allentare la tensione era necessario per ricaricarsi
in attesa di quello che li aspettava.
La spiaggia si apriva tranquilla davanti a
loro e alcuni dei ragazzi ne approfittarono per farsi un giro.
Niccolò e Sasha si appartarono per scambiarsi qualche tenero bacio al chiar di
luna.
Gabi invece era vicina al bagnasciuga, rannicchiata sulla sabbia e con le
ginocchia strette al petto. Silenziosa osservava l’orizzonte nero come la pece,
rischiarato solo dal il riverbero argenteo della luna, mosso appena dal
frusciare delle onde che pigramente si
increspavano.
Falco era rimasto in piedi, pochi passi più indietro che la guardava. Con lei
si sentiva sempre sotto pressione. Aveva voglia di sederle accanto ma titubava.
Restò ancora un po’
in disparte, poi prese coraggio e le si avvicinò piano, quasi furtivo, tanto
che lei si accorse della sua presenza solo quando era già seduto.
«Ah, sei tu?» fece distrattamente girandosi.
Lui non rispose e prese ad osservare il mare come stava facendo lei. Dopo
qualche minuto che parve un tempo interminabile, finalmente le fece quella
domanda che aveva in mente da tempo.
«Mi spieghi perché ce l’hai ancora così tanto con me?».
Lei strinse le spalle, sbuffò, quindi si girò e lo guardò severa: «Fai il finto
tonto? O proprio non ci arrivi?».
«Ancora con quella storia Gabi? Pensavo ti fosse passata».
«Non credo mi passerà mai. Sei stato scorretto, infido, manipolatore e mi hai
privato dell’occasione di poter vendicare la mia famiglia!».
Questa volta fu Falco a sospirare. Si prese nuovamente del tempo prima di
parlare.
«Io sono innamorato di te» la colpì come se le avesse scoccato una freccia
contro che la trafisse sorprendendola, infatti la ragazza trasalì e lo guardò
con aria sia sbigottita che smarrita, stava per replicare quando lui le fece
cenno di farlo finire. Non ce l’avrebbe mai fatta se avessero preso a discutere
come al solito.
«Questo dovrebbe darti l’idea di quanto mi dispiacciano le tue parole, ma non
mi importa. Sono felice di averti soffiato il posto e non mi interessa se mi
odi, perché ti ho salvata da una morte che per tutti noi titani ormai sembra
certa, oltre che da una condizione che ha ben poco di umano. Non ne parliamo
mai, neppure tra di noi, ma essere ibridati ci ha cambiati nel corpo e nella
mente e comunque anche se non ci avessero condannati, non sappiamo a lungo
termine che cosa potrebbe capitarci. Inoltre io sono sopravvissuto, tu non è
scontato che avresti avuto la mia stessa fortuna. Quindi detestami pure Gabi,
io sono felice di aver salvato la ragazza che amo».
Detto questo si alzò in fretta e quasi scappò. Aveva il cuore in tumulto e
sentiva il fuoco dell’imbarazzo che lo bruciava, ma almeno era riuscito a
confessarle i suoi sentimenti prima dello scontro che li attendeva.
Gabi, respirava a fatica ed era rimasta immobile, stringendosi ancora più forte
le braccia al petto.
«Il solito stupido Falco…» sussurrò tra sé e sé frastornata.
Qualcosa le si era rotta dentro. Fino a quel momento non si era mai accorta di
provare qualcosa per lui che non fosse risentimento. Del resto era troppo
concentrata sul dolore e la vendetta per capire cosa realmente si agitasse nel
suo giovane cuore, ma adesso, all’improvviso, era stata investita da questa
consapevolezza di fronte alla quale si sentiva disarmata. Di certo per lei era
stato più semplice detestarlo che amarlo, ma i sentimenti non si possono
imbrigliare, scalpitano come cavalli selvaggi che nessuno riesce a domare e che
alla fine galoppano liberi.
I monologhi dell’autrice Ci siamo quasi penultimo capitolo, con il prossimo sarò finalmente in pari! Il titolo di questo capitolo si riferisce ad una strofa di “Imbranato” di
Tiziano Ferro e credo che calzi molto bene al nostro piccolo e adorabile Falco.
Personalmente voglio un sacco di bene a questo PG
|
Ritorna all'indice
Capitolo 24 *** Vertigo ***
Se ti stai chiedendo perché
stai leggendo il capitolo 23 invece del 25 è perché ho inavvertitamente
cancellato la storia e la sto ripostando. Se vuoi saperne di più vai a leggere
la intro al capitolo 1
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
23
Vertigo
Improvvisa, come un fulmine a ciel sereno, c’era stata una novità.
Erwin aveva comunicato a tutti loro che sarebbero ritornati nella casa al mare
dove avevano alloggiato appena arrivati. Si sarebbero trasferiti tutti,
compresi quelli della resistenza. Lì avrebbero preparato l’attacco ai titani
fin nei minimi particolari.
«Perché dobbiamo tornare indietro per poi tornare qui? Francamente non lo
capisco» chiese Levi stancamente. Quell’inerzia e tutto quel fare e
disfare lo stava sfiancando. Era un uomo d’azione e detestava star fermo ad
aspettare il corso degli eventi in maniera passiva.
«Per diminuire la possibilità di essere spiati e perché ci raggiungeranno dei
rinforzi» spiegò pacato il comandante, anche lui era stanco e ogni tanto il
moncherino gli faceva davvero male, ma era abituato a mettere davanti a tutto
il lavoro, quindi appariva impassibile come sempre.
«Speriamo che ci abbiamo mandato un intero plotone, o credo che non usciremo
vivi da quest’isola di merda!» commentò secco il capitano.
«Ce la caveremo anche questa volta, cerchiamo di essere positivi» s’intromise
Hanji cercando di smorzare i toni. Capiva il malumore di Levi e anche le sue
preoccupazioni, ma lei era una che per natura cercava di vedere sempre il
bicchiere mezzo pieno, anche quando il bicchiere era incrinato e non c’era
acqua a portata di mano.
«Cominciate a fare le valige. Domani si parte» enunciò in fine Erwin e poi andò
ad avvisare anche i ragazzi.
*
Niccolò e Sasha ormai dormivano nella stessa stanza, anche se dovevano
arrangiarsi su un letto singolo. La cosa a loro non dispiaceva, amavano dormire
incastrati l’uno nell’altra in posizioni quasi da contorsionisti.
Avevano cercato di stare piuttosto attenti a non rendere troppo evidente la
loro relazione, ma ormai tutti sapevano.
Temevano che Erwin non avrebbe gradito, ma per ora sembrava che la cosa non lo
turbasse, o forse semplicemente che non si fosse accorto di nulla. Era sempre
difficile intuire che cosa pensasse, o sapesse realmente il comandante.
«Non so se te l’ho mai detto» cominciò a dire il ragazzo giocherellando con una
ciocca dei capelli di Sasha.
Erano a letto abbracciati e distesi una sull’altro.
«Beh? Non finisci la frase?» lo incitò la ragazza con il mento appoggiato sul
suo torso.
«Scusa mi ero perso, hai dei capelli stupendi» le confessò sorridendole.
«Solo quelli?» fece finta di rimproverarlo.
«No, tu sei davvero la più in gamba e la più bella che abbia mai conosciuto»
ammise sincero, poi la tirò sù e la baciò con trasporto.
«Insomma che stavi per dire? Sto morendo di curiosità!» ribatté appena le loro
labbra si dettero una tregua.
«Dunque, non so se te l’ho mai detto, ma ho studiato per diventare chef, tra
l’altro mi è anche stato utile come copertura un paio di volte. Vengo da una
famiglia di ristoratori e mio padre sognava che almeno uno dei suoi figli
potesse ricevere una stella Michelin. Ho sempre amato cucinare, ma non mi
andava proprio di farlo di mestiere, però sono molto bravo. Pensavo di
preparare una cena per tutti quando ci saremo trasferiti alla casa sulla
spiaggia. Sai per fare qualcosa di bello e cameratesco. E poi anche perché sia
di buon auspicio per la missione che dobbiamo affrontare. Sarà sicuramente
molto pericolosa e una bella mangiata in compagnia magari alleggerirà per qualche
ora gli animi di tutti noi. Che ne dici? Ti sembra una cosa stupida?».
«Tralasciando da parte il fatto che se mi parli di mangiare io perdo la testa,
trovo questa tua pensata davvero molto carina e dolce. Non mi avevi detto che
sei uno chef, mi sta quasi venendo voglia di sposarti!» gli disse scherzando ma
non troppo.
Niccolò la strinse tra le sue braccia per baciarla di nuovo e lei lo accolse
con passione. Si amarono con slancio, così come solo i ragazzi giovani e
innamorati sanno fare. Dimenticando per quel tempo dolce e piacevole speso
insieme, i problemi e le paure per ciò che il futuro aveva in serbo per loro.
*
In un’altra camera un’altra coppia stava affrontando un’altra
problematica.
«Davvero pensi che ce la caveremo?» chiese Levi ad Hanji.
«Lo sai che sono ottimista per natura e poi avremmo degli aiuti no? A proposito
io parto oggi».
«Questa novità da dove esce?».
«È per via di un’idea che ho avuto. L’ho illustrata ad Erwin ma mi ha dato il
divieto assoluto di parlarne con tutti, compreso te. Scusami» gli rivelò mogia.
Spesso stando insieme tendevano a dimenticare che erano agenti e che Hanji
aveva un grado superiore a Levi e doveva comunque rispondere direttamente al
comandante.
«Non mi sorprende è tipico da parte sua agire così. Se fosse un animale sarebbe
un fottuto ragno che passa il suo tempo a tessere tele appiccicose e
traditrici, ovviamente noi siamo le mosche che dalla merda finiamo direttamente
nelle sue fauci!».
«Mamma mia che brutta similitudine ti è venuta!» inorridì Hanji.
«Per via del ragno?» le chiese sorpreso.
«No, per averci accostato a mosche che mangiano merda!» e fece una boccaccia
disgustata. In quel modo però aveva stemperato un po’ i toni perché Levi
sembrava davvero contrariato e a lei dispiaceva, ma sul lavoro era seria ed intransigente.
Non trasgrediva mai un ordine.
«Ad ogni modo capisco il tuo silenzio, non farti colpe che non hai. Anche io
farei come te nei tuoi panni» le rispose calmo ma ancora infastidito. In realtà
la cosa che più gli dava noia era quell’incertezza che sembrava non finire mai.
A volte gli pesava, ma aveva imparato ad obbedire senza replicare e per uno
come lui era stato un enorme passo avanti.
Hanji gli si avvicinò e gli sfiorò le labbra con un bacio, piegandosi appena.
Capiva il suo disappunto e le dispiaceva, ma faceva parte del gioco.
«Cazzo Hanji ti ho detto che non c’è problema, non c’è bisogno che tua
sia condiscendente! Piuttosto mi conforta che tu abbia avuto un’idea per uscire
da questo oceano di melma in cui stiamo per affogare».
«Ti è mai passato per la testa che forse ho solo voglia di darti un bacio?» gli
rispose lei serafica.
Levi emise un verso gutturale non ben definito.
«Sei prevenuto. Sai che mi piace darti noia, perché non farlo adesso, c’è un
veto particolare?».
Levi roteò gli occhi «Sei una donna impossibile te l’ha mai detto nessuno?».
«Sì, tu, ogni due ore al massimo. È come un mantra per te. Credo che sia la
cosa che ami più di me. Il mio essere estenuante e sempre dalla parte della
ragione, ovviamente» lo canzonò divertita.
A quel punto Levi si arrese e lei lo baciò di nuovo strapazzandolo a dovere.
*
«Ti ringrazio di essere venuta» disse Eren e sembrava sincero. A
dire il vero sembrava proprio un altro rispetto alle ultime volte che si erano
incontrati.
«Che cosa vuoi da me?» tagliò corto Mikasa.
Era andata a quell’appuntamento di nascosto e non molto convinta, accompagnata
da grossi sensi di colpa. Non aveva potuto fare diversamente, quando si
trattava di lui era tutto molto difficile da gestire. L’aveva cercata
implorandola e lei non si era sottratta, come sempre del resto.
Il fatto che non lo amasse più non significava che non gli volesse ancora bene
e che non lo considerasse più la sua unica famiglia.
«Intanto vorrei rassicurarti e dirti che Krista sta bene. L’ho sentita. Sembra
che sia da qualche parte al sicuro anche se non mi ha voluto rivelare niente su
dove sia e con chi. Credo che tutto sommato abbia fatto bene, non si sa mai di
chi ci si può fidare e chi potrebbe ascoltare le nostre conversazioni telefoniche».
«Non ti è balenato per la testa che possa essere una trappola?» commentò seria
la ragazza.
Parlava bene e razzolava male, perché anche quell’incontro poteva essere un
tranello per lei e la sua squadra.
«No, quale trappola? Non mi ha chiesto di andare da lei, né di fare alcunché,
quindi non vedo dove possa essere l’inghippo».
«Vabbé forse è così... ad ogni modo mi dici che vuoi? Sto rischiando grosso per
te».
«Ho bisogno del tuo supporto per una faccenda delicata e non preoccuparti, il
comandante Erwin sa tutto».
A quelle parole Mikasa sussultò molto sorpresa e cercò di indagare.
«Strano. Il comandate non ci ha detto nulla in merito».
«Avrà le sue motivazioni non credi? Ve ne parlerà al momento opportuno vedrai.
Chi pensi mi abbia fatto fuggire?».
Mikasa era sempre più perplessa, ma Eren pareva di colpo essere tornato il
ragazzo che aveva conosciuto anni prima e non il pazzoide fuori di testa dei
loro ultimi incontri, anche se in quella storia qualcosa che non riusciva ad
afferrare, le stonava come un gesso che stride sulla lavagna.
«Non ti fidi ancora vero?» le chiese con quegli occhi grandi e immensamente
verdi in cui era affogata così tante volte da perderne il conto. In quel
momento sembravano così limpidi e sinceri…
«Permetti che sia un po’ sorpresa da ciò che mi stai dicendo e da questo tuo
repentino cambiamento?».
«Che c’è di strano? Diamine, sono sotto copertura, devo fregare il nemico,
soprattutto mio padre. Tu sei stata la mia prova del nove, se riuscivo ad
ingannare te, allora potevo ingannare chiunque» le spiegò tranquillamente, come
se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Mikasa sospirò, poteva essere plausibile, per il momento decise di non
approfondire il discorso.
«Tornando a noi, ho bisogno di te perché al momento opportuno tu faccia una
cosa per me». Cominciò a spiegarle che i titani non dovevano essere considerati
una minaccia, tanto meno un’arma di distruzione di massa, ma potenti
opportunità al servizio della propria nazione che andavano tutelati. Era così
affabile e premuroso nel decantare le lodi dei mutaforma, Zeke compreso, che
non sembrava quasi lui a parlare. Nel frattempo il suo guardo era diventato
leggermente vitreo e questo non piacque per niente a Mikasa, ma non lo diede a
vedere.
Alla fine disse la sua.
«Questo non dipende da me, non posso certo prendere decisioni circa la vostra
sorte».
Eren però non si agitò come suo solito quando veniva contrariato, continuò ad
essere calmo e accomodante tanto da risultarle posticcio.
«Lo so e lo capisco ma di fatto sei l’unica che può aiutarmi. Anche Erwin si
convincerà vedrai».
Le prese le mani e la guardò, una luce strana baluginava in quei due laghi
smeraldini. Non seppe dire il perché, non si stava fidando di lui, ma in
qualche modo, probabilmente, quel ragazzo esercitava ancora un forte ascendente
su di lei, o forse voleva solo credere che fosse sincero.
«Ci penserò su» gli rispose infine.
In realtà voleva capire che avesse in mente, se era vero che Erwin lo avesse
assecondato nella fuga e temporeggiare era il modo migliore per scoprire entrambe
le cose.
*
Erano passati due giorni dall’incontro con Eren e Mikasa si era
confrontata con Erwin su ciò che era emerso.
Era tardi, notte inoltrata e mille pensieri contrastanti affollavano la sua
mente.
Si concesse una doccia calda e molto lunga per rilassarsi. Una volta uscita,
con una mano pulì la patina di condensa formatasi sullo specchio del bagno e si
guardò dritta negli occhi.
Si legò i capelli ancora bagnati in una sorta di treccia di fortuna, poi prese
un paio di forbici e la recise proprio sotto la nuca. I capelli caddero in
massa a terra e lei alzò distrattamente sguardo, prese l’asciugamano li
frizionò, poi finì di sistemarsi.
Distesa nel suo letto cercava di mettere ordine tra i suoi pensieri.
Tra tutti uno era più assillante degli gli altri.
Nella sua mente, da giorni, si era come stampata l’immagine di Jean che
riposava scomposto sulla poltroncina in fondo al suo letto. Era accaduto quando
si era ubriacata. La mattina seguente si era svegliata perché un fascio di
luce, che filtrava dalla finestra, le aveva ferito il volto.
Le faceva male la testa e si era tirata su a sedere. Era stato allora che lo
aveva visto, raggomitolato, con la testa reclinata di lato e la bocca
semiaperta che dormiva. Si capiva che avesse ceduto al sonno contro la sua
volontà vista la posa innaturale.
Si era sentita stranamente al sicuro nel vederlo lì. Non le era mai capitato
prima che qualcuno la vegliasse, di solito era lei quella che assisteva Eren in
certe occasioni. Fu una sensazione nuova, piacevole. Si era riaccucciata a
dormire e quando si era svegliata di nuovo, lui non c’era più. Solo allora si
era resa conto di essere in mutande e reggiseno. Tutti pensieri carini che
aveva fatto su di lui erano stati travolti da un grande imbarazzo e dalla
rabbia. Si era approfittato della situazione per spogliarla e chissà cos’altro,
aveva pensato furiosa.
Era uscita dalla camera per andare a cantargliene quattro, quando si era
imbattuta in Hanji che l’aveva fermata per chiederle come stesse. Era stata lei
poi a spiegarle, che insieme a Sasha, l’avevano spogliata lavata e cambiata.
Jean le aveva chiamate in aiuto dopo che aveva vomitato anche l’anima. Era
molto preoccupato e non voleva assolutamente essere lui a toglierle i vestiti.
Mikasa davanti a quel racconto era rimasta esterrefatta da tanta attenzione e
delicatezza. Chi se lo sarebbe aspettato da uno sbruffone come Kirschtein un
comportamento del genere? La cosa l’aveva davvero sorpresa.
Ora se ne stava lì a pensare e rimuginare su tutto quello che a breve avrebbero
dovuto affrontare in quella missione e sul fatto che non l’avesse neppure
ringraziato per essersi preso la briga di riportarla in albergo avendo cura di
lei.
Si alzò di scatto indossò le prime cose che trovò e uscì dalla sua stanza.
Un bussare incessante svegliò di colpo Jean.
Guardò l’orario sul display del suo cellulare.
Ma chi cazzo è quest’ora? Se è Connie con una delle sue cazzate mi sente!
Pensò infastidito. Sgusciò fuori dal letto senza neppure curarsi di
mettersi qualcosa addosso, menomale che indossava almeno i boxer.
Aprì la porta pronto a dare battaglia e se la trovò davanti: infagottata in una
felpa oversize che copriva quasi completamente i calzoncini che indossava di
sotto. Teneva le braccia strette al petto e il suo sguardo nascondeva una serie
di sentimenti evidentemente contrastanti tra di loro, ne era la prova che non
lo guardasse in faccia.
La cosa che lo colpì come un pugno nello stomaco furono quei capelli corti dal
taglio sgraziato e vagamente maschile.
«Mikasa ma che hai fatto? Che Succede?» le chiese allungando la mano verso la
sua chioma offesa.
Lei girò la testa di lato «Li ho tagliati per comodità» disse sbrigativa, per
non dare troppe spiegazioni e poi aggiunse in un soffio: «Puoi metterti
qualcosa addosso per favore?».
Lui non fece un fiato ed entrò di filato in camera, lasciandola sulla porta e
battendo ogni record di velocità si infilò maglietta e pantaloni.
«Vuoi entrare?» le chiese timidamente. Non ci stava capendo nulla. Era appena
sveglio, ancora intontito dal sonno e lei era lì, con i capelli straziati e lo
sguardo addolorato, ma anche stranamente lucido. Era spiazzato non sapeva che
dire, né che fare.
«No. Voglio solo dirti una cosa» cominciò la ragazza evitando sempre e comunque
il suo sguardo.
Jean sentì il cuore balzargli in gola senza neppure sapere bene il perché.
«Non so se usciremo tutti indenni da quello che ci aspetta a breve» proseguì
calma alzando finalmente lo sguardo.
Lui si sentì morire.
«Volevo solo che tu sapessi che ti sono grata per come ti sei comportato quando
ero ubriaca» concluse con impaccio.
Il ragazzo sgranò gli occhi e fece per parlare ma lei allungò la mano e gli
poggiò l’indice sulle labbra.
«Non dire niente».
Il cuore di Jean sembrava essersi tramutato in un tamburo tribale che
rimbombava all’impazzata nella cassa toracica, ma il bello doveva ancora
venire, infatti gli si avvicinò e gli poggiò una mano su una guancia. La
guardava e gli sembrava quasi di essersi staccato da terra, non era più certo
di essere sveglio, temeva fosse solo un bel sogno che a breve sarebbe svanito
interrotto dal suono della sveglia. Invece Mikasa era lì e sentì le sue labbra
sfioragli la guancia vicinissimo all’angolo della bocca, con un bacio morbido e
fugace come una carezza.
«Qualunque cosa accada promettimi che non ti preoccuperai per me, che starai
molto attento e ti guarderai le spalle» gli disse in modo sibillino, sostenendo
finalmente il suo sguardo.
Il tutto durò il tenpo di un battito di ciglia, poi com’era venuta si girò e se
ne andò, lasciandolo sulla soglia della porta a guardarla preda di mille
emozioni.
Ma che voleva dire?
Quella ragazza lo avrebbe mandato manicomio, temeva che quando ci avesse capito
qualcosa forse sarebbe morto.
Nel frattempo qualcuno furtivamente si era allontanato dalla propria camera
d’albergo. Rendendosi poco riconoscibile e con il favore scuro della notte, si
aggirava per le vie di Eldia recandosi ad un appuntamento importantissimo che
avrebbe potuto capovolgere le sorti dell’imminente scontro tra titani e agenti.
I monologhi dell’autrice
Continua il ripostaggio degli ultimi capitoli e ci stiamo avvicinando a
grandi passi verso la parte più densa e “battagliera” della storia.
Sì, lo so sono pessima con il trio Mikasa-Jean-Eren ma a mia discolpa posso
dire che poi alla fine tutto avrà un senso. Così come tante cose che vengono
buttate lì o solo accennate!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 25 *** Nella tana del serpente ***
Dopo aver
accidentalmente cancellato questa storia in corso, finalmente sono in pari! Se
vuoi saperne di più vai a leggere la intro al capitolo 1
L’Isola dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
25
Nella tana
del serpente
Il camioncino telonato era guidato da Niccolò
e accanto a lui era seduta Yelena.
Entrambi erano vestiti come coloro che portavano rifornimenti alimentari al
laboratorio di Marley. Nel vano posteriore del mezzo c’erano varie casse,
pallets e blister con deterrate alimentari(1).
Ovviamente era un trucco per penetrare all’interno dell’edificio senza farsi
riconoscere.
L’intelligence aveva procurato loro documenti falsi, dalla loro credibilità al
posto di blocco dipendeva l’esito dell’intera operazione.
Il ragazzo era serio e molto concentrato. Guardava fisso la strada e cercava di
tenere a bada l’ansia. Il compito che gli aveva affidato Erwin era importante e
carico di grande responsabilità.
Yelena stava seduta abbastanza sguaiata, con un piede sopra il cruscotto e
aveva un’aria vagamente sorniona che non sfuggì a Niccolò.
«Potresti metterti composta e levarti quell’aria compiaciuta dalla faccia? Non
è che sei di molto aiuto con questo atteggiamento. Ti ricordo che dobbiamo
passare inosservati e apparire normali corrieri per una consegna».
«Stai tranquillo piccolo Cracco, rilassati, fai come me. Altrimenti
arriverai con una faccia tirata come una corda di violino e quello che ci farà
scoprire sarai solo tu» lo schernì la valchiria.
Niccolò si ricordò di quello che doveva tenere bene a mente e tacque. Era un
agente anche lui e sapeva come comportarsi anche nelle situazioni più
pericolose e ambigue.
*
Dodici ore prima
Il comandante aveva spiegato a tutti la sua
strategia per l’attacco a Marley e Levi richiese un incontro a tre con lui e
Hanji. Da soli.
«Mi domando se tu sia lucido Erwin! Davvero vuoi mandare Yelena sul camion con
Niccolò? Che poi anche su di lui, io la mano sul fuoco non ce la metterei al
cento per cento» gli stava dicendo molto perplesso.
Hanji invece era insolitamente silenziosa.
«Dopo tutto questo tempo ancora non hai imparato a fidarti di me?» gli chiese
Erwin tranquillo.
Si era immaginato una simile reazione da parte del capitano ed era pronto a
fronteggiarlo.
«Diciamo che mi fido, ma questa volta la posta in gioco è veramente troppo alta
e la missione abbastanza fuori dalla nostra portata, se vogliamo essere onesti
e sinceri non sappiamo se ne caveremo le gambe e fare azzardi non mi pare molto
furbo» rispose Levi molto serio.
«Proprio per i motivi che hai elencato dovresti lasciarmi fare, o credi che vi
stia mandando tutti al macello?» gli chiese il comandante rabbuiandosi.
«Ma perché non affidarci solo ai nostri?» ribatté Levi.
«C’è un motivo ben specifico che al momento debito ti spiegherò. Per la riuscita
del piano alcune sottigliezze vi saranno svelate in corso d’opera. Tutto è
studiato nei minimi particolari per la nostra sicurezza».
Levi cercò lo sguardo di Hanji che gli abbozzò un mezzo sorriso, che
significava: fidati!
L’uomo sospirò.
«Va bene allora facciamo a modo tuo».
«Ho studiato la cosa molto attentamente. Se tutto va come deve andare tra pochi
giorni saremo su un aereo per tornare a casa, ma è importante che io abbia la
vostra totale e completa fiducia. Dovrete obbedirmi anche se vi sembrerà che
abbia pensato azioni insensate. A proposito di questo devo chiedervi una cosa,
ma che deve restare assolutamente tra noi tre».
«Per me non ci sono problemi Erwin» ribadì Hanji.
«Idem» rispose secco Levi.
«Bene diamoci da fare allora!» concluse il comandante.
*
Arrivati al posto di controllo a Marley,
Niccolò e Yelena ovviamente furono fermati.
Il ragazzo aprì il vano porta oggetti e mostrò loro le bolle d’accompagnamento(2) con la lista delle merci trasportate.
«Dobbiamo vedere anche i vostri documenti personali» disse uno dei due
vigilanti armati.
Niccolò gli passò la sua carta d’identità falsificata e così fece anche Yelena.
«Dunque qui abbiamo un Hans Ghotemberg, giusto?» fece osservando Niccolò. «Nato
a…» e sì fermò guardandolo con aria interrogativa.
«Berlino il dodici maggio del 1996» rispose sicuro con un ottimo accento
tedesco.
«Di qua invece abbiamo Andrea Rochel…» e si abbassò per guardare meglio la
ragazza.
«Nato a Nantes il due giugno del 1995» rispose pronta Yelena.
«Nato?» chiese il guardiano perplesso.
«Sono trasgender, qualche problema?» gli disse seccata.
Niccolò stava sudando. Ma era scema o cosa?
«Nessun problema, anzi, complimenti per la transizione sembri proprio una
donna».
«Che razza di idiota! Sono una donna, sto facendo la transizione per diventare
uomo, imbecille!» gli urlò contro strappandogli il documento di mano «ogni
volta è questa storia, mi avete proprio stufato, omofobi del cazzo!».
«Mi scusi, non volevo essere irrispettoso» si giustificò l’uomo mortificato.
Aveva pensato di essere stato gentile e invece stava facendo una figura davvero
pessima.
«Io non ci volevo venire in questo posto maledetto da Dio! La prossima volta
non sostituisco nessuno, anzi sai cosa ti dico, fatta la consegna mi licenzio!»
starnazzò Yelena verso Niccolò con fare isterico.
«La fai finita?» gli ringhiò lui serio, non capendo a che gioco stesse
giocando.
«Va bene, passate andate e levatevi dalle palle!» disse l’altro guardiano
rendendo il documento a Niccolò, che mise in moto ed entrò lesto dentro Marley.
«Ma che ti sei bevuta il cervello?» chiese subito stizzito a Yelena.
«Niente affatto, mi pare che la cosa abbia funzionato alla grande, mi dovresti
ringraziare! Ma non vi insegnano proprio una mazza in accademia, eh?».
«Hai rischiato grosso! Metti che quello si indispettiva e succedeva un casino».
«Il rischio fa parte del gioco, preferisco prendermelo calcolato che
ritrovarmelo addosso senza preavviso. E poi mettere in difficoltà un
interlocutore ti pone in posizione di vantaggio, infatti hai visto? Ci hanno
fatti passare senza neanche controllare il carico».
«Da che parte è il laboratorio?» le chiese Niccolò evitando di continuare a
discutere con quella tipa davvero strana. Lei conosceva bene Marley e doveva
portarlo dove sarebbero potuti entrare senza dare nell’occhio.
*
Abbastanza vicino Paradise c’era un’altra
isoletta (questa non era artificiale, ma naturale) disabitata e molto piccola.
Erwin l’aveva trovata semplicemente perfetta al suo scopo.
«Sinceramente non capisco che ci facciamo qui e solo noi» ammise Galliard
abbastanza perplesso. Il piano del comandante appariva oltremodo ingarbugliato,
macchinoso e a tratti pure senza senso. Era molto preoccupato e sulla
difensiva.
«Stiamo aspettando il calar della notte. Il favore delle tenebre» spiegò
serafico Erwin.
«Sì ma perché allora Falco si è già trasformato? Qualcosa mi sfugge».
«Beh abbiamo sfruttato l’ora di massima di luce della giornata per mimetizzare
al meglio la sua trasformazione. Il bagliore apparso in mezzo al mare potrà
sembrare l’ennesimo esperimento, o se siamo fortunati sarà stato scambiato per
un lampo lontano».
«Io non so perché ma mi fido di lei. È tutto molto nebuloso, ma comprendo
la sua accortezza e mi piace» dichiarò Piek.
«Ma lei crede che la mutazione possa reggere fino a buio?» rincarò Galliard
impaziente. Gli rodeva stare lì su quell’atollo mentre gli altri erano già in
azione a Marley.
«Lo spero, da quello che ci avete detto non avete mi provato una cosa simile. È
un azzardo, ma non abbiamo molte altre alternative e l’effetto sorpresa è
fondamentale per la riuscita del piano» gli rispose Erwin.
«Ammesso che funzioni e regga, crede che quelli di Marley siano degli
sprovveduti? Crede davvero che non si siano accorti che qualcuno si è
trasformato?».
«Forse sì, o forse no. Questo non posso saperlo con sicurezza, ma una cosa è
certa, saranno quanto meno spiazzati dal fatto che una trasformazione è avventa
praticamente in mezzo al mare e che, nonostante ciò, non vedano arrivare nessun
titano» spiegò serio il comandante.
Il ragazzo aggrottò la fronte.
«A questo non avevo pensato…» ammise.
«Sicuramente sono a conoscenza della defezione dei nostri rinforzi. Devono
sentirsi sicuri e in vantaggio, così li coglieremo impreparati e ce la
giocheremo ad armi quasi pari».
«Non male. Devo dire che ora il piano mi appare più chiaro, anche se ancora non
ho capito quando io e Piek dobbiamo trasformarci» ribatté.
«Ogni cosa a tempo debito, intanto speriamo che a Marley stia andando tutto
bene e che i nostri riescano ad entrare nel magazzino senza troppi problemi»
commentò Erwin guardando l’orologio.
Lo avrebbero avvertito solo a cose fatte, se tutto era andato secondo i piani a
breve avrebbe dovuto sentirli per conferma.
Intanto Falco, trasformato, stava pazientemente acquattato cercando di risparmiare
ogni singola energia che avesse in corpo. Il suo ruolo sarebbe stato
fondamentale e ci teneva a dare il meglio di sé, anche se stare lì fermo senza
far nulla era oltremodo snervante.
*
«Ci siamo quasi» enunciò Yelena indicando una
strada stretta che si inerpicava su una breve salita.
Niccolò aveva i battiti cardiaci accelerati, dire che fosse in agitazione era
poco, ma cercava di darsi un tono e di non lasciare troppo spazio alla sua
ansia, anche se con quella strana donna accanto non era facile. Lo faceva
sentire insicuro e questo non gli piaceva.
«Dopo la curva c’è un grosso cancello. È l’entrata al laboratorio.
Dobbiamo suonare ed aspettare che che le guardie vengano ad aprirci.
Ricordiamoci che noi portiamo rifornimenti alimentari. Se stiamo tranquilli
andrà tutto bene».
«Speriamo. Io comunque sono tranquillo, vedi di non fare scenate come al posto
di blocco piuttosto» l’ammonì il ragazzo serio. Il cuore ora lo aveva
direttamente in gola, ma a lei non l’avrebbe mai fatto scoprire.
«Non ce ne sarà bisogno» rispose lei sibillina con un mezzo sorrisetto sghembo.
Cosa che non piacque per niente a Niccolò, il quale sospirò appena, ma non
profferì parola.
Proprio dietro la curva apparve il cancello, esattamente come aveva detto
Yelena.
Era molto grande e teneva chiusa un’alta inferriata che circondava un enorme
capannone diviso in tre settori. Si notavano delle antenne particolari e dei
micro satelliti che giravano su se stessi.
Il camioncino si fermò. Yelena scese e suonò il campanello, poco dopo si palesarono
alcuni uomini armati.
Come al posto di blocco controllarono i documenti e poi dissero che avrebbero
fatto loro strada fin dentro il magazzino dove avrebbero dovuto scaricare la
merce.
Niccolò mise in moto e seguì la camionetta che i tipi guidavano davanti a loro.
«È andato tutto molto liscio» commentò senza colore. La sua preoccupazione però
invece di diminuire era aumentata.
«Per ora, ma non cantiamo vittoria. Sicuramente vorranno controllare prima di
farci scaricare, spero che i nostri siano pronti e veloci a sorprenderli!».
L’altro non le rispose e continuò a guidare fin dentro il magazzino. Poi spense
il motore, quindi scese dal mezzo seguito dalla valchiria.
«Un momento!» e li fermarono con un gesto della mano per poi imbracciare i loro
mitra.
«Dobbiamo controllare la merce» aggiunsero perentori.
Yelena sorrise divertita, a Niccolò invece si ghiacciò il sangue nelle vene
perché quelli avevano erano armati e pronti all’offesa.
Il ragazzo fece per andare a scostare il telone ma gli fu impedito.
«Non ti muovere» gli intimò quello che sembrava il capo. Poi si avvicinò egli
stesso e aprì deciso.
Niccolò si aspettava che da un momento all’altro i ragazzi saltassero fuori dai
loro nascondigli nelle casse e ci fosse un combattimento, invece una sventagliata
di mitra lo fece trasalire terrorizzato.
Stavano sparando a tutta birra proprio contro le casse.
Le sforacchiarono per bene tanto che le ridussero come pezzi di groviera. Poi
quando ebbero scaricato su di esse un intero caricatore presero un piede di porco
e le aprirono.
È la fine! Pensò Niccolò. Saranno tutti morti… e ora
uccideranno anche me…
*
«Erwin è andato tutto secondo i piani» stava
dicendo Hanji.
Era in cima ad un palazzo appostata insieme ad una parte dei ragazzi, gli altri
erano con Levi, sempre appostati, ma sul tetto del palazzo di fronte.
«Se tutto è andato come doveva anche Niccolò dovrebbe essere in salvo a
questo punto» rispose il comandante.
«Me lo auguro, perché se gli è capitato qualcosa non so cosa potrei fare»
masticò a denti stretti Sasha.
«Stai tranquilla, sembra sia tutto calcolato» la rassicurò Connie.
«Calcolato o meno sapere le cose in corso d’opera non mi piace e sono molto in
pensiero per lui!» ribatté la ragazza.
Anche loro non erano stati avvertiti di questa variante del piano che gli era
stata comunicata quando erano già nelle casse.
«Erwin anche noi siamo in posizione» confermò Levi.
«Non ci resta che attendere. Si saranno già resi conto che li abbiamo fregati e
verranno a cercarvi…» disse il comandante dalla ricetrasmittente.
«E noi siamo qui ad aspettarli» concluse Levi.
«La prima parte del piano è andata bene, speriamo che anche la seconda vada
liscia» commentò Hanji.
Non era stato facile avvisare i ragazzi e convincerli a scappare da quel
camioncino poco dopo che erano entrati a Marley. Era accaduto tutto molto in
fretta, quando la strada, in un punto che era molto dissestata, aveva costretto
Niccolò a guidare più piano. Svelti erano usciti dalle casse e uno ad uno si
erano lanciati giù, per poi fuggire sparpagliati e ritrovarsi ad un punto
convenuto.
Erwin ci aveva visto giusto, quella mossa si era rivelata vincente.
Ora erano tutti appostati con gli occhi alla strada, non poi così lontani dal
laboratorio.
Nessuno di loro aveva una gran voglia di parlare erano molto concentrati e
pronti all’attacco.
Tutto in torno, come sempre regnava un sinistro silenzio, spezzato solo dai
loro respiri e dallo stridio di alcuni gabbiani che volteggiavano in un cielo
insolitamente blu e privo di nuvole. Ormai sapevano da tempo che Marley era una
città fantasma abitata solo da titani e da chi anelava diventare come loro per
avere un chance di vita dopo il contagio.
Ad un tratto sentirono qualcosa che si stava avvicinando.
Si misero subito in allerta e caricarono le armi con le RIP, togliendo tutti le
sicure.
«Stanno arrivando…» disse Levi ai suoi «vi voglio concentrati. Atteniamoci al
piano e non facciamo una virgola in più chiaro?».
Stessa cosa, più o meno disse anche Hanji ai suoi.
Di lì a poco avrebbero dovuto affrontare l’incognita più spaventosa della loro
vita, ma nessuno aveva intenzione di darla vinta a quei mostri e avrebbero
venduto cara la pelle prima di soccombere!
Nel frattempo in fondo alla strada sbucò qualcosa…
I monologhi dell’autrice
E finalmente siamo in pari!!!!
Note: 1-2 Sono termini tecnici riguardanti il trasporto di derrate
alimentari (detto in soldoni trasporto di cibo) avendo lavorato per oltre
vent'anni nel settore della grande distribuzione alimentare ho voluto usare i
termini appropriati per questo genere di trasporto
Eccomi finalmente alla fine del ripostaggio.
Vorrei ringraziare tanto FoolP e Coldcat per le recensioni d’incoraggiamento,
ma anche tutte quelle persone che stanno leggendo o rileggendo la storia in 5
giorni ho ripostato 25 capitoli e sono stati incredibilmente letti da più
persone, alcuni anche appena postati. Sinceramente non me lo sarei mai
aspettata è stata una bellissima sorpresa di cui vi ringrazio, perché non è che
proprio sono rimasta felicissima quando è sparito tutto comprese le 121
recensioni. I numeri sono numeri e non ci definiscono, di questo ne sono consapevole,
però dopo lo scorno è stato bello scoprire tanto affetto GRAZIE! ♥♥♥
Auguro a tutti voi che leggete una serena
Pasqua e buone vacanze.
Ci ritroviamo con (FINALMENTE!) un capitolo nuovo la prossima settimana
|
Ritorna all'indice
Capitolo 26 *** Titani all'attacco - parte prima ***
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission Impossible
26
Titani all’attacco
parte prima
Quello che apparì davanti ai loro occhi fu
qualcosa di totalmente inatteso e raccapricciante.
Io suo torso aveva le fattezze di un essere dal corpo muscoloso, simile
a quello di un uomo che fa moltissima attività fisica, di altezza decisamente molto
sopra la media, forse addirittura un paio metri se non di più, ma era difficile
capirlo perché quell’ibrido procedeva prono e correva carponi. Al posto delle
mani aveva delle vere e proprie zampe dotate di artigli retrattili, come quelle
dei felini, mentre le gambe sembravano gli arti posteriori di un canide. Il
viso non aveva più nulla di umano. Era molto simile a quello di un lupo, mentre
le orecchie erano identiche a quelle dei gatti, così come le vibrisse che aveva
intorno alla parte superiore di quello che una volta doveva essere il labbro.
I denti erano aguzzi e molto grandi, tanto da non fargli mai chiudere le fauci
e regalargli un ghigno agghiacciante.
Il corpo era ricoperto da un pelo rado, nero e lucido, come quello delle
pantere e gli occhi erano color arancio acceso, sembravano quelli di un vero
demone.
Quella cosa era arrivata correndo, poi si era fermata proprio nel centro
della strada, molto vicino al punto in cui si erano nascosti.
Annusava l’aria e il terreno, dalla bocca gli colavano copiosi fili di bava
appiccicosa che andava a depositarsi a terra.
Era indubbio che li stesse cercando e che fosse una specie di segugio, per
fortuna non aveva niente che confermasse il loro odore, ma comunque sembrava
perfettamente in grado di captare presenze umane.
«E questo ora che cazzo è?» chiese terrorizzato
Connie.
Quella cosa era schifosamente spaventosa.
«Stai zitto!» lo rimbeccò Sasha.
«Ragazzi non fate rumore» li ammonì Hanji.
Nello stesso momento dalla parte opposta di quel palazzo.
«Questa non me l’aspettavo proprio… cosa facciamo ora?» commentò Jean.
Levi e Mikasa erano silenziosi e non risposero, anzi il capitano fece cenno al
ragazzo di tacere.
«Posso centrarlo quando vuole» affermò decisa Gabi con l’occhio nel mirino che
puntava dritto alla sua nuca.
«Dobbiamo attenerci al piano. È ancora giorno, non sappiamo che cosa ci
aspetta e quanti sono, non diamogli certezze sulla nostra posizione. Stiamo
calmi. Dobbiamo ragionare» chiosò Levi.
Nel silenzio di quella città morta ora si sentiva solo il fiutare simile ad un
rantolo sguaiato di quel mostro, che ad un certo punto si accucciò.
Qualcuno aveva usato una sorta di sibilo, simile ad un richiamo per uccelli e
quello obbediente si era messo a cuccia.
Dal fondo della strada videro arrivare Zeke e Yelena. Procedevano affiancati e
le loro espressioni parevano molto soddisfatte.
Quando Jeager senior fu vicino a quella cosa poggiò lo zaino a terra e la
bestia cominciò ad agitarsi.
«Buono Cerbero, fai il bravo che il tuo padrone oggi ti fa divertire» disse con
voce malignamente contenta. Poi estrasse un pezzetto di carne sanguinolenta e
lacerata e gliela tirò da una parte.
Fu un attimo, quella bestiaccia la raggiunse e la ingurgitò tra versi terrificanti
e schifosi in un sol boccone.
«Ecco come ha fatto quella testa di cazzo a farci credere che l’avesse mangiato»
commentò Levi. Era molto preoccupato, ma purtroppo il peggio doveva venire.
«Allora?» fece Zeke alla valchiria.
«Missione compiuta» rispose soddisfatta tirando fuori dal suo di zaino alcuni
indumenti, che si resero conto fossero appartenuti proprio a loro. Evidentemente
li aveva rubati quando erano alla casa sulla spiaggia.
«Merda!» scappò detto ad Armin angosciato. Quella lui non l’aveva mai digerita
e i suoi sospetti si stavano dimostrando fondati.
«Shhhhh!» lo ammonì Hanji. Anche lei era molto agitata per via di quello che
stava accadendo, ma voleva essere lucida e rimanere fredda.
«Vieni Cerbero annusa la tua cena, piccolino» disse Zeke con una voce malignamente
soddisfatta.
Quello scherzo della natura immerse il muso nei vestiti, si fermò un attimo e
poi prese a ringhiare in un modo agghiacciante emettendo dei versi che non solo
non avevano nulla di umano, ma neanche si avvicinavano al regno animale.
Fece gelare il sangue nelle vene di tutti quelli che erano sul tetto.
«Cazzo siamo fottuti!» disse Jean molto preoccupato.
Levi lo zittì nuovamente.
«Allora mi merito un premio o no?» chiese Yelena appoggiandosi languidamente ad
una spalla di Zeke.
Quello le sorrise sornione, poi l’afferrò per i capelli e la baciò in modo
molto aggressivo, quasi violento.
Non gli piaceva quella donna, anzi a dire il vero provava anche un po’ ribrezzo
nei suoi confronti, ma doveva compiacerla, gli faceva troppo comodo e si era
mostrata fondamentale per la riuscita del piano.
Finito di baciarla la guardò serio: «Fattelo bastare per ora. Dobbiamo portare
avanti una missione e non abbiamo tempo per queste stronzate».
Lei frastornata si pulì la bocca con il dorso della mano e annuì.
Hanji vedendo quel gesto pensò che nessuno di quei due stesse a posto con il
cervello e si concentrò su quell’ibrido che nel frattempo aveva alzato il muso
continuando a fiutare.
Levi intanto stava pensando e analizzando velocemente alcune opzioni per
decidere che cosa fare e come farlo. Per attuare il piano congeniato da Erwin
era ancora presto, mancava ancora un bel po' al calar della notte. Era
fondamentale per loro resistere fino a quel momento, perché non sapevano di
quanti mutaforma disponeva Zeke.
Cerbero cominciò ad agitarsi, ringhiava verso l’alto prendeva la rincorsa e cercava di scalare il muro, prima
da un lato e poi dall’altro, sembrava impazzito. Le sue unghie stridevano sull’intonaco
e la sua frustrazione divenne ferocia. La bava che gli si formava al lato delle
fauci aumentò di consistenza producendo uno spettacolo disgustoso. Intanto più
tentava di salire e più si imbestialiva perché ovviamente non ci riusciva.
Zeke alzò la testa e guardò in alto.
«Sembra ci sia qualcuno appollaiato sul tetto» commentò sardonico.
«Che intendi fare?» gli chiese curiosa Yelena.
«Andare a fargli un bel comitato di benvenuto. Questi pidocchi hanno rotto le
palle, per fortuna basterà Cerbero a farli fuori».
«E se ci attaccano?» chiese lei.
«Faranno meglio a non farlo, ma in caso avranno ciò che cercano».
«Io sono preoccupata per te».
«Non mi rompere le palle spilungona, so io ciò che devo, o non devo fare».
«Riesci a vedere che cosa stanno facendo?» chiese Hanji a Levi attraverso la
ricetrasmittente posizionata sull’orologio.
«No, non vedo un cazzo da quassù! Siamo tutti stesi a terra per evitare le
pallottole di qualche cecchino se mai ce ne fossero nelle vicinanze».
«Capisco» fece Hanji.
«Possiamo solo aspettare. Se quello stronzo non si trasforma abbiamo qualche
chance, perché quel mostro schifoso non riesce ad arrampicarsi. E comunque
neppure quella scimmia di merda arriverebbe così in alto per fortuna. Dobbiamo
attendere il buio».
Hanji sospirò forte. Qualcosa la inquietava e ripassando a mente tutte le
informazioni che avevano su quegli scherzi della natura, si rese conto che Levi
non aveva ragione al cento per cento purtroppo, ma preferì tacere. Era inutile
seminare il panico prima del dovuto.
«Hanji?» la chiamò dopo qualche minuto Levi.
«Che c’è?» chiese la donna.
«Tu vedi, o senti più nulla?».
Qualche secondo di silenzio precedette un’imprecazione.
«Porca zozza! In strada non c’è più nessuno!» rispose concitata Hanji.
Levi portò la ricetrasmittente alla bocca ma un tonfo secco e una serie di urla
sguaiate lo fecero trasalire interrompendolo. Fece appena in tempo a vedere
quella cosa orrenda, che li aveva raggiunti dall’interno del palazzo, partire
di slancio e fare un balzo verso i suoi compagni.
«Sono arrivati sul tetto!» urlò Armin alzandosi in piedi preoccupato per i compagni.
Stava per piombare addosso a loro quado Gabi lo centrò con una RIP nel fianco.
Quello si accasciò di lato guaendo e cominciò a fumare. Ringhiò in modo
spaventoso, poi si tirò sù e zoppicando tornò a dirigersi verso di loro.
«Presto fuggiamo attraverso i tetti con gli M3D!» urlò Hanji.
«Seguiamoli!» fece Levi ai suoi, poi si girò verso Gabi «Appena ti capita a
tiro la nuca di quella cosa: abbattila!».
«Sissignore!» fece la ragazza.
Cominciarono a correre inseguiti da Zeke ed Yelena che erano spuntati alle
spalle di Cerbero e che presero a sparare loro contro. In qualche modo riuscirono
a schivare i colpi, poi con l’ausilio dei rampini presero a passare da un tetto
ad un altro. Gli inseguitori non avendo gli M3D a questo punto dovettero per
forza fermarsi, anche e continuarono a sparargli contro
La bestia si era accucciata, come se si stesse concentrando, così ci mise
relativamente poco a risanarsi la ferita e riprese subito la sua caccia, ma Zeke
lo richiamò, non ce l’avrebbe mai fatta a saltare e d’improvviso tutto piombò
in una calma irreale.
«C’è mancato poco…» disse Jean asciugandosi il sudore dalla fronte. Poi guardò
Mikasa. Sembrava in trance da quanto era concentrata.
Levi si avvicinò alla ragazza e le poggiò una mano sulla spalla: «Siamo in
ballo e balleremo contro chiunque ci darà battaglia, non fare cazzate, o te la
vedrai con me in persona».
Lei non rispose. Jean li guardò preoccupato.
«Non capisco però perché Zeke non si trasforma» commentava intanto Armin.
«Probabilmente non siamo i soli ad avere un piano» commentò Hanji.
«Speriamo che il nostro sia meglio del loro!» scappò detto a Connie.
«Sono soli e vulnerabili!» stava intanto constatando Yelena con Zeke.
«Così pare ma non mi fido. Ho avvertito Floch che setacci tutti i tetti e li
scovi, e che si dia da fare con le nostre risorse per capire dove possa essersi
acquattato il resto della banda titani compresi».
«Quindi che vuoi fare?».
«Quello che non si aspettano!» rispose l’uomo conciso.
Le due squadre intanto si erano
spostate allontanandosi un bel po'. Erano scese a terra e stavano perlustrando la
zona alla ricerca di un nascondiglio sicuro quando Sasha avvertì loro che un
gruppo di Jeagheristi, che aveva avvistato con il binocolo, si stava pericolosamente
avvicinando.
«Presto, muovetevi, dobbiamo riparare nuovamnete sui tetti, se ci vedono a
terra è finta» constatò Levi e in men che non si dica si divisero e nuovamente si
appollaiarono in cima a due palazzi adiacenti. Avevano tutti le
ricetrasmittenti accese così da poter comunicare come se fossero assieme.
«Secondo voi siamo se ne sono andati?» chiese Armin.
«Non credo» rispose Hanji.
«Perché non ci uniamo tutti insieme?» domandò Connie.
«Divisi abbiamo più chances se ci attaccano» sentenziò Sasha.
«Sì lo credo anche io» aggiunse Armin.
«Ma perché dobbiamo aspettare che ci attacchino?» chiese Jean stranito.
«Gli ordini di Erwin sono chiari, dobbiamo farli venire allo scoperto, niente
scontri fin quando non si saranno palesati gli schieramenti».
«Mah… a me pare che così siamo solo carne da macello» brontolò Gabi.
«Se non tacete vi sparo io!» grugnì Levi riportando il silenzio a regnare
sovrano.
Hanji stava allerta, attenta ad ogni più piccolo rumore. Era calata una calma
improvvisa, pure il gruppo di Jeagheristi aveva deviato dalla loro traiettoria e
la cosa non le piaceva neanche un po’.
Nella staticità del momento improvviso si alzò un venticello caldo, quasi carezzevole.
Appollaiati stavano tutti all’erta, sembrava fosse tutto passato.
Quando d’un tratto la porta che dava su uno dei due tetti dove si erano
rifugiati venne sventrata con rumore violento. Di colpo apparì ancora un avolta
in tutto il suo orrore Cerbero, che era addirittura accresciuto rispetto a prima.
Come Levi lo vide urlò con quanto fiato aveva in gola ai ragazzi e alla
ricetrasmittente: «Presto sparpagliamoci tutti e infiliamo con gli M3D dentro
il palazzo. Veloci!».
La belva nel mentre fece un balzo e con una zampata lo colpì di striscio
ferendolo ad un braccio. Per fortuna il capitano fece appena in tempo ad
abbassarsi e fare una sorta di capriola a terra facendo in modo che il mostro lo superasse, poi si lanciò
con il suo dispositivo ed entrò nel palazzo da una finestra, dopo averla
spaccata scalciando con l’ausilio dei suoi anfibi.
Si ritrovò dentro seguito da una pioggia di vetri e detriti.
Fu immediatamente raggiunto da Jean e Mikasa che si erano calati irrompendo dalla
parte opposta.
«Tutto bene comandante?» chiese il ragazzo.
«Sì non è niente è solo un graffio» rispose Levi.
Mikasa fece un segno di assenso con la testa.
Jean pensò che quella ragazza fosse davvero una macchina da guerra, non aveva
detto una sola parola da quando era cominciata l’operazione. Questa cosa era
inquietante e affascinante allo stesso tempo. Lui si raccontava che voleva
mandarla al diavolo, ma poi finiva sempre per ricadere nella sua rete.
«Hanji state tutti bene? Siete riusciti ad entrare nel palazzo?».
Silenzio.
«Hanji cazzo, rispondi! State tutti bene?».
Ancora silenzio.
«Qualcosa non va…» disse Levi serio.
«Andiamo a vedere?» chiese Jean.
«No,voi state qui, rintracciate Gabi».
Cominciò ad armeggiare con l’M3D quando un sibilo improvviso lo fece agire
d’istinto, si buttò di lato schivando per miracolo una pallottola.
«Cecchini… » commentò Mikasa impugnando le sue pistole.
«Tutti a terra!» ordinò Levi.
«Avete proprio rotto le palle! Non vi lasceremo vivi» sentirono dire da un esaltato
Floch equipaggiato con tanto di M3D che apparve fuori dalla loro finestra con
un fucile di precisione e prese subito a sparagli contro all’impazzata.
In breve scoppiò il finimondo.
Floch non era solo e fu ingaggiata una sparatoria, in cui Levi, Jean e Mikasa
erano decisamente in numero inferiore, così arretrarono e scapparono dentro i
meandri del palazzo. Ovviamente furono inseguiti.
Decisero di dividersi e ognuno si appostò in una parte lontana dall’altro sparando
contro i nemici.
Molti caddero sotto il fuoco incrociato dei tre. Purtroppo non Floch che
improvvisamente, senza un motivo apparente richiamò i suoi e si ritirò.
«Non mi piace per niente questa cosa» commentò Levi che poi provò a
ricontattare Hanji, ma ancora una volta non ottenne nessuna risposta.
Cominciò a preoccuparsi sul serio, quando apparve trafelata Gabi.
«Quando li ho visti arrivare ho cercato di farne fuori più che potevo, ma
quello stronzo di Floch sembra avere una fortuna ultraterrena che lo protegge».
«Grazie Gabi, ora dobbiamo raggiungere gli altri» tagliò corto il capitano.
«Dov’é Mikasa?» chiese Jean guardandosi intorno.
«Era due stanze più avanti se non erro» disse Levi preoccupato e corsero tutti
e tre in quella direzione, ma la stanza era vuota e la finestra aperta.
«Merda!» sbottò Levi.
«Che si fa ora? Vado cercarla?» chiese Jean suo malgrado preoccupato.
«Non ti azzardare, o ti ammazzo personalmente. Faccia quello che crede io devo
occuparmi di Hanji e gli altri» poi si attaccò alla ricetrasmittente: «Erwin mi
senti? Stiamo affogando nella merda, vedi di cambiare il cazzo di piano abbiamo
bisogno di aiuto!».
«Non ti preoccupare Levi è tutto sotto controllo, manca poco e arriviamo»
rispose il comandante.
«Non ti preoccupare un cazzo! Abbiamo perso l’altra squadra Hanji compresa!».
Erwin stava per replicare quando furono interrotti dall’arrivo di Connie che
paonazzo boccheggiava, sembrava aver corso oltre le sue forze.
«Capitano l’ha presa! Zeke ha preso la caposquadra!» strepitò trafelato con il
fiato che gli usciva a fatica dalla gola.
«Che stai dicendo?» gli chiese Levi prendendolo per le spalle.
«Ci hanno colti di sorpresa. Poi è scoppiato un gran casino. Sasha è tornata
sul tetto per tentare di abbartere quella cosa, ma non ce l’ha fatta perché
sono arrivati anche dei cecchini. Non ci ho capito più niente. Alla fine si
sono ritirati e Zeke che aveva Hanji sotto tiro mi ha fatto chiamare e mi ha
ordinato di venire ad avvertirvi che se non andate da lui, la farà sbranare da
quel mostro» spiegò concitato il ragazzo.
«E gli altri dove sono?» chiese Jean inorridito.
«Armin è sparito quasi subito, non ho idea di dove sia. Sasha invece ha
intravisto Mikasa in strada e si precipitata ad inseguirla».
«Ascoltatemi bene. Andrò solo io con Connie. Loro non sanno se siamo insieme o
no. Voi due dovete coprirci le spalle e se vedete qualcuno dei nostri fatevi
aiutare. Intesi?».
«Levi mi senti?» fece Erwin.
«Sì».
«Tenete duro manca poco, stiamo arrivando!».
«Meglio tardi che mai!» commentò caustico il capitano e poi seguendo Connie si
avviò all’appuntamento con Zeke.
Salirono sul tetto e videro una scena che fece tremare Levi fino alle ossa.
Hanji era tenuta stretta con un braccio intorno al collo da Zeke, mentre Yelena
teneva a bada Cerbero. Ci doveva essere qualcosa in quel richiamo che lo inibiva
condizionando la sua volontà.
«Toh! È arrivato il Napoleone dei
poveri!» gracchiò maligno verso il capitano.
«È me che vuoi. Lasciala andare e forse, dico forse, ti lascerò vivere» rispose Levi con una calma efferata.
«Sei sempre troppo ottimista. Forse non ti rendi conto che ho il coltello dalla
parte del manico».
Levi non era stupido, stava disperatamente cercando di guadagnare tempo per
permettere ad Erwin di raggiungeli. Così come erano messi erano totalmente alla
mercé del nemico.
«Finiamola con questa commedia. Prendi me e lascia lei».
Hanji stava in silenzio. Aveva capito cosa stesse tentando di fare e cercava di
non complicare le cose con sortite, che non sapeva che effetto avessero pututo
avere su quello schizzato.
«Devi riunire tutti tuoi, qui, adesso» gli intimò Zeke.
Levi si rese conto che erano circondati.
«Se non fai. Cerbero avrà la sua cena!».
Capì che erano fottuti. Se non fossero arrivati i rinforzi per loro, questa
volta, sarebbe davvero stata la fine.
«Allora?» lo incanzò Zeke.
«Va bene richiamo tutti!» si affrettò a rispondere.
Mise mano alla ricetrasmittente e con la disperazione nel cuore disse: «A tutte
le unità ripiegare sul tetto del palazzo 14/B. Subito! Ripiegate, presto!».
«Oh cazzo!» commentò Jean.
«Ha detto due volte di ripiegare…» commentò Gabi.
«Esatto! Sappiamo cosa fare!».
«Io non vedo arrivare nessuno!» commentò Zeke piuttosto infastidito. Si stava
stufando, non era poi così stupido, capiva che quelli tramassero qualcosa.
«Dagli il tempo di raggiuncerci sono sparpagliati» tagliò corto Levi.
«Mi spiace per te, ma il tempo è scaduto!» e così dicendo tolse il braccio dal
collo di Hanji, che intuendo che cosa stesse per accadere assestò una poderosa
gomitata alla bocca dello stomaco di Zeeke che barcollò, poi scattò in avanti e
si lanciò in una corsa disperata.
Ma quel richiamo sinistro riecheggiò fendendo l’aria e Cerbero emettendo un guaito
agghiacciante spiccò un enorme balzo verso la donna, con un brivido avvertì la
sua presenza e si girò vedendo la sua zampa nera e artigliata che stava per
ghermirla.
I monologhi dell’autrice
Buongiorno e buona
domenica, come state? Spero tutto bene!
Eccoci finalmente tornati alla normalità.
Sì, lo so di solito aggiorno tra venerdì e sabato, ma questa è stata una
settimana intensa e quindi prima di adesso non mi è stato possibile dedicarmi a
questo piacevole passatempo.
La scorsa volta mi sono dimenticata di ringraziare anche LadyFive che ho
sentito in via privata e che mi manifestato il suo appoggio per il disastro
cancellazione, grazie di cuore.
Ringrazio ancora una volta con piacere e gratitudine tutte le persone che
stanno leggendo o rileggendo la storia, siete sempre di più e io sono stupita e
colpita da questo affetto, che giuro non mi aspettavo minimamente. Grazie a chi
ha voluto lasciare un commento, cosa sempre gradita e molto apprezzata, ma
grazie anche a chi continua a metterla tra le seguite, ricordate e preferite.
Ci ritroviamo la prossima settimana nel WE o giù di lì 🤍
|
Ritorna all'indice
Capitolo 27 *** Titani all'attacco - parte seconda ***
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission-almost-Impossible
Avverto
che alla fine del capitolo c’è un scena un po’ più “forte” del solito, anche se
a dire il vero, tutto questo capitolo non è esattamente “delicato”, ma essendo abituati al
manga e all’anime credo che la cosa vi faccia poco effetto, comunque ci tenevo
a farvelo presente
27
Titani all’attacco
parte seconda
Accadde tutto in modo veloce e
concitato.
Hanji per non essere ghermita, d’istinto spostò tutto il peso del corpo in avanti
ma questo le fece perdere l’equilibrio, incespicò e cadde nel vuoto.
Il suo urlo disperato fece intendere che disgraziatamente non indossava l’M3D.
Connie, che era quello a lei più vicino, senza pensarci due volte azionò il suo
dispositivo e si lanciò di testa subito dietro di lei come un rapace che punta
una preda. Riuscì ad afferrarla per la vita in modo rocambolesco e fortuito,
proprio poco prima che si schiantasse al suolo lasciando di stucco se stesso
per primo. Lesto arpionò il muro loro di fronte e facendo uno sforzo disumano
la tirò su con sé aiutandosi anche con le gambe, finché non fecero irruzione
all’interno del palazzo gettandosi in un balcone.
Nel frattempo approfittando della confusione causata quel volo improvviso, Levi
era scappato e anche lui si era
precipitato in aiuto di Hanji, ma era più lontano di Connie e si ritrovò da solo,
subito inseguito e circondato.
«Non ti muovere!» gli intimò Zeke che gli era alle calcagna.
Lo teneva sotto tiro insieme a Yelena, quando a sorpresa un primo proiettile
sfiorò il marleano mancandolo di poco, subito fu seguito da una pioggia di
colpi che costrinse tutti a mettersi al riparo.
«Siamo qui Levi!» urlò Jean che aveva sparato per primo insieme a Gabi.
«Fate fuori quei pidocchi!» ordinò Zeke tenendo nuovamente sotto tiro Levi che
non era riuscito a fuggire, grazie ad Yelena che lo aveva agguantato puntando
la pistola alla sua testa.
Floch come d’incanto si palesò a capo di un nutrito manipolo di Jeagheristi,
tra l’altro tutti dotati di M3D, che si misero a dare la caccia a Jean e Gabi,
la quale con il ragazzo ne fece fuori diversi, ma purtroppo non abbastanza.
Ad un certo punto furono circondati e furono costretti ad arrendersi anche loro.
«Portateli qui così Cerbero, prima che perda potere, si farà una bella scorpacciata!»
sentenziò Zeke.
Cazzo Erwin ora sarebbe proprio il momento giusto perché tu arrivassi! Pensò
Levi seriamente preoccupato ma non ancora arreso.
Intanto era stato raggiunto da Jean e Gabi resi inermi come lui.
«Bene siamo alla resa dei conti. Mi godrò lo spettacolo» disse Zeke e quel richiamo
maledetto riecheggiò, per l’ennesima volta, nel tetro silenzio di Marley.
Con quattro balzi quel mostro li raggiunse. I suoi occhi erano fiammeggianti e
la bava che gli colava sovrabbondante dalla bocca sembrava resina appiccicosa.
Notarono che era verdognola ed emanava un fetore tremendo che feriva le loro
narici.
Jean chiuse gli occhi mentre il cuore sembrava esplodergli in petto, sentiva
freddo ma nel contempo sudava. Era fradicio e vestiti gli si erano incollati addosso.
Gabi, con l’adrenalina alle stelle, invece lo fissava con aria spavalda era pronta
a morire con coraggio e a non dare soddisfazione al nemico, ma nonostante ciò
anche il suo cuore batteva forte.
Levi non tradiva alcuna emozione, sembrava una sfinge, dal suo viso non
trapelava niente.
«State calmi e non muovetevi. Non è finita finché siamo vivi» disse ai ragazzi
più per dar loro coraggio che per reale convinzione.
Cerbero si accucciò sulle zampe anteriori come per prepararsi ad attaccarli,
Levi pensò che avrebbe lottato anche a mani nude prima di cedere alle ganasce
di quella mostruosità, ma proprio quando tutto sembrava ormai perduto, nel
cielo apparvero inaspettati quelli che sembrarono dei veri e propri angeli salvatori.
Sbucarono fieri e decisi, sfidando il vento e volteggiando liberi come un piccolo
stormo di uccelli. Erano Hanji, Connie, Mikasa e Sasha supportati da Moblit
Berner, Mike Zacharias e Nanaba che calarono in velocità sparando a raffica, supportati
da quello che doveva essere un’evoluzione dell’M3D. Sulla schiena avevano dei
Jet Pack(1), una cosa simile ad uno zainetto, ma che in realtà era un
dispositivo che grazie ad una propulsione a getto di azoto liquido, permetteva
a loro di muoversi in aria liberamente e senza bisogno di appigli.
Levi approfittò della confusione e visto che si era portato dietro anche il suo
fido aikuchi(2), con una mossa letale e fulminea si avventò feroce contro Zeke. Si
gettò contro di lui a testa bassa impugnando l’arma al contrario e lo aggredì
aprendogli una ferita nel ventre con un solo e preciso affondo, da sinistra
verso destra.
Con immensa soddisfazione sentì le sue carni aprirsi e cedere alla sua lama,
mentre l'altro sbraitava dal dolore, accasciandosi a terra in un lago di
sangue.
Yelena come impazzita cercò di ammazzarlo, ma non essendo lucida, lo mancò e Levi
riuscì a schivare i suoi colpi gettandosi a terra e rotolando. Venne subito
coperto da Hanji che cominciò a sparare contro la valchiria, che a sua volta ferita
fu costretta a riparare lontano e velocemente.
Infuriò uno duro scontro a fuoco, dove i nostri si difesero egregiamente.
Gli Jeageristi, ad un certo punto, furono costretti a ripiegare per via della
grave ferita di Zeke e perché Cerbero, colpito molte volte, non stava più in
piedi e si trascinava come se fosse senza più forze per rigenerarsi.
Intanto, finalmente, stava calando la notte.
«Hanji stai bene?» chiese Levi alla donna non appena atterrò.
«Sì, devo ringraziare Connie, mi sono gettata d’istinto senza ricordarmi che
non avevo l’M3D» spiegò sorridendo, come se le fosse capitata una cosina da
nulla, ma lei era fatta così.
«Ciao Levi!» fece Mike accomodandosi vicino alla caposquadra.
«Capitano» lo salutò con deferenza Moblit.
Nanaba invece gli accennò solo un sorriso.
«Non sapete che vero piacere vedervi, siete stati letteralmente una manna dal
cielo!» commentò.
«Idea sua» fece Moblit indicando Hanji.
«Quindi voi sareste i famosi rinforzi?» chiese un po’ stralunato Levi. Da una
parte era felice ma d’altra erano sempre un numero esiguo e anche se gli
Jeageristi avevano subito molte perdite erano sempre nettamente superiori a
loro. Era ovvio che Reiss avesse mandato diversi soldati a difendere ciò che
gli premeva.
«Sì, sono loro. Abbiamo giocato sporco, mettendo sù una manfrina molto
articolata con Erwin e Pixis, perché sospettavamo di Yelena, volevamo
depistarla e farle credere di essere senza copertura. L’idea dei Jet Pack è
stata mia, è da un po’ che sono in cantiere e con l’occasione li ho fatti
potenziare. Hanno una specie di leva che serve a direzionarli. Ci sono per
tutti. Ma spostiamoci di qui, credo sia meglio ripararsi» disse Hanji.
Per sicurezza si recarono nell’androne di un palazzo. Era abbandonato o forse
era stato sfollato, fatto sta che offrì loro un rifugio sicuro.
«Bene siamo quasi tutti, manca solo Armin» disse Hanji.
«Credi sia ancora vivo?» chiese Mikasa preoccupata.
«Lo spero con tutto il cuore, anche se questa sua sparizione improvvisa mi
sembra alquanto strana» commentò meditabonda la donna.
«Sta facendo buio e sta per arrivare Erwin con gli altri» affermò Levi.
«Non ancora» precisò Hanji.
«Come sarebbe a dire?» salto sù Connie.
«Già, che significa?» rincarò Sasha.
«Probabilmente è una delle sue solite inversioni di rotta per confondere il
nemico o chissà cosa, lavoro con lui da anni, ormai so che non è nuovo a questi
cambi repentini di strategia» commentò Mike.
«Ad ogni modo noi dobbiamo procedere come concordato» cominciò a dire la
caposquadra.
Levi ascoltava molto serio e anche contrariato, avevano rischiato grosso, a che
gioco stava giocando Erwin?
«Il nostro obiettivo è il laboratorio, Grisha ed Eren Jeager. Se tutto è andato
come doveva dovremmo avere la strada spianata e Niccolò che ci attende con
Onyankopon».
«Quindi che si fa?» chiese Gabi.
«Intanto equipaggiatevi tutti con i Jet Pack. Purtroppo non c’è il tempo
materiale per allenarsi, ma è facile guidarli, per caso giocate alla play?»
chiese vispa.
«Sì!» risposero in coro i ragazzi compresa Gabi.
«No!» fu invece la risposta secca di Levi.
«Tu sei quello che meno mi preoccupa sono sicura che anche questa volta
sembrerà che tu li abbia sempre usati» gli rispose Hanji.
«Vai avanti con il piano» la esortò il capitano.
«Dunque sappiamo dall’intelligence che Reiss ha mandato un piccolo esercito a
difesa di Marley. Siamo sicuramente in numero inferiore, per questo dobbiamo
sfruttare l’effetto sorpresa e possibilmente dobbiamo evitare che Eren si trasformi».
«Perché?» chiese subito Mikasa.
«Ordini dall’alto, probabilmente preferiscono non esporlo troppo» chiosò
sbrigativa.
Come aveva detto Hanji non era
stato difficile usare i Jet Pack. Era stato intuitivo e facile direzionarli. Oltretutto
davano loro un’autonomia completa, consentendo anche cambi di rotta e giravolte.
Si sarebbero potuti rivelare utilissimi, soprattutto nel corpo a corpo aereo con
eventuali Jeageristi, che in qualche modo avevano ottenuto M3D per tutti.
Nel frattempo grazie a delle mappe avute dall’intelligence erano riusciti a
penetrare dall’alto nel laboratorio, aprendosi un varco da un lucernario che si
affacciava su un corridoio dell’edificio.
Stavano procedendo silenziosi quando Hanji fece cenno a tutti di fermarsi.
Qualcosa non stava andando per il verso giusto…
«Che succede?» bisbigliò Levi.
«Niccolò… avrebbe dovuto essere nei paraggi» rispose pianissimo Hanji portandosi
poi l’indice sulle labbra perché tutti di tacessero.
Si sentivano delle voci alterate in lontananza.
Floch stava minacciando Onyankopon.
«Bastardo! Dicci dov’è Grisha o ti ammazzo».
«Se mi ammazzi non lo saprai mai astutillo!» lo canzonò l’atro.
«Allora ammazzo lui!» disse deciso puntando la pistola sulla fronte di Niccolò.
«Fallo pure, non te lo dirò comunque» rispose pacato Onyankopon.
Floch in preda ad uno dei suoi sciagurati deliri d’onnipotenza davvero stava
per premere il grilletto, quando Grisha in persona si palesò.
«Fermo!» gli intimò «non farmi fuori nuove preziosissime cavie!».
«Come diavolo hai fatto a liberarti eri in un cella blindata del magazzino!» chiese
estereffatto Niccolò.
«Sono stato io» affermò Eren sbucando di sorpresa da dietro Grisha.
«Cazzo!» scappò detto a Levi e poi arpionò Mikasa ad un braccio, le si avvicinò
all’orecchio e le disse: «Se ti muovi ti sparo alle gambe».
Lei si girò di scatto «Non ho intenzione di seguirlo in questa follia, mi
sembrava fosse chiaro» gli rispose infastidita.
Jean che era lì vicino rimase turbato da quell’affermazione, ma non poteva
farsi distrarre da lei, non in quel momento così delicato.
«Ma che sta facendo Eren?» si chiese Mike.
«Non è il momento di farsi troppe domande» sentenziò Hanji.
E si avvicinarono tutti un po’ di più per capirci qualcosa.
«Eren devi aiutarmi a riparare tuo fratello» disse Grisha.
Il ragazzo annuì e lo seguì senza fiatare.
«Ma è una mia impressione o Eren sembra quasi soggiogato dal padre?» constatò
serio Connie.
«Sembrerebbe…» ammise Hanji.
«Che facciamo allora?» chiese Moblit al suo diretto superiore.
«Aspettiamo che Grisha si sia allontanato, liberiamo Niccolò e Onyankopon» precisò
la donna.
«Mi spieghi cosa sta succedendo?» le chiese Levi.
«Eseguo gli ordini diretti di Erwin» tagliò corto Hanji.
«A proposito quando cazzo si degnerà di venirci in aiuto?» abbaiò il capitano.
«Fa parte degli accordi fidarsi senza fare troppe domande, ricordi la nostra
chiacchierata a tre?» lo fulminò la caposquadra.
Levi non replicò più, tanto era inutile.
Non appena furono certi che Grisha si fosse allontanato azionarono i Jet Pack e
attaccarono gli Jeageristi con un’improvvisata dall’alto. Quelli inibiti dal
poter usare all’interno del laboratorio gli M3D rimasero fregati da questo
attacco a sorpresa.
Li disarmarono piuttosto facilmente e agganciando sia Niccolò che Onyankopon,
poi fuggirono nuovamente fuori passando sempre dal corridoio e poi dal
lucernario.
Si ripararono dietro il magazzino e si nascosero poco lontano, sotto una specie
di loggiato in pietra diroccato, per organizzarsi.
«Dì a tutti come stanno le cose ora è il momento» disse Hanji rivolta a
Onyankopon.
«Intanto lasciami spiegare che ho fatto due volte il doppio gioco» disse.
«Cioè?» chiese Mike.
«All’inizio lavoravo come assistente di Grisha. Si fidava di me. Quando fui contattato
da Pixis per essere reclutato sul campo ero dubbioso, poi ho visto che cosa è
stato capace di fare a molti esseri umani, compresi i suoi figli e ho capito
che andava fermato, quindi ho accettato.
Una volta reclutato gli ho inventato che stava nascendo una resistenza e che
stava cercando di accaparrarsi anche dei mutaforma, così gli ho detto che mi
offrivo per fare la spia per suo conto, per sventarla, quando in realtà la
resistenza l’ho fondata io. Grisha però non è esattamente uno sprovveduto e mi
ha messo alle costole Yelena, così ad un certo punto per farle credere che ero
sincero e dalla loro parte ho dovuto partecipare, mio malgrado, al rapimento di
Erwin. Poi l’ho convinta a tornare sotto copertura nella resistenza
promettendole di far tornare sui loro passi i titani disertori e portare Eren
dalla nostra. Era l’unico modo per scongiurare la morte di Erwin. Dopo, ovviamente,
per mantenere la mia di copertura sono tornato accanto a Grisha, sia per
tenerlo d’occhio, sia per riuscire a rubargli una formula di vitale importanza».
«Accidenti che ingarbuglìo!» commentò Connie grattandosi la testa.
«Pixis mi aveva informata giorni fa di questo» disse Hanji.
«Eren da che parte sta?» gli chiese secco Jean.
«Per quanto ne so io dalla nostra, ma ho scoperto davvero di recente che Grisha
ha un fortissimo ascendente su di lui e sembra che possa essere in grado di
fargli cambiare idea. Negli ultimi giorni sembrava non fidarsi più di me e mi
teneva a distanza, ad ogni modo suggerisco di dividerli quanto prima».
«Sai dove sono andati? L’hai capito?» gli chiese Hanji.
«Nel laboratorio sotterraneo, dove avvengono gli esperimenti. Hanno riportato
Zeke gravemente ferito, credo stia cercando di accelerarne la guarigione».
«Come sarebbe a dire? Guariscono anche in forma umana semplice?» chiese Levi
sbalordito.
«Sì, il loro DNA ormai è mutato per sempre, solo che da non trasformati ci
mettono molto più tempo a guarire. Grisha però ne sa una più del diavolo e
sicuramente starà tentando qualcuna delle sue ultime scoperte. Continua a
perfezionare maniacalmente le sue follie. Lui e Reiss hanno perso il senso
della realtà, si sono messi in testa di governare il mondo intero!».
«Quindi mi pare di capire che la priorità assoluta sia separare Eren da suo
padre» commentò Hanji meditabonda.
«Se lui si mette dalla parte degli Jeageristi non avremo alcuna possibilità di
spuntarla. Eren è un titano dalle caratteristiche particolari, molto più forte
di qualsiasi altro» spiegò sommariamente Onyankopon.
«Come possiamo fare?» chiese Gabi seria.
«Dobbiamo studiare qualcosa e velocemente» s’intromise Mike.
Stavano ancora parlando, quando un fragore improvviso li fece sobbalzare, una
delle colonne del portico era stata completamente divelta, come se qualcosa
l’avesse sventrata passandoci attraverso producendo una fitta pioggia di sassi e
calcinacci, che li investì di colpo, obbligandoli a proteggersi per scongiurare
il peggio.
Era nuovamente Cerbero che era sbucato chissà da dove. Annusava l’aria e ruggiva
in un modo che lo faceva assomigliare più ad un demone che a un animale.
Levi fece solo in tempo a sentire Hanji urlare di dolore. Poi la vide a terra
dove Moblit con una mossa tempestiva l’aveva gettata facendole scudo con il proprio
corpo. La donna si teneva una mano sul viso dalla parte sinistra. Perdeva
sangue attraverso le dita che le colava copioso giù per la guancia, sembrava essere
stata colpita all’occhio.
«Hei Hanji stai bene?» gli urlò preoccupato mentre stava sparando a Cerbero
alle gambe per cercare di rallentarlo.
«Credo di sì… non ti preoccupare. Dobbiamo scappare subito» gli rispose.
«Mikasa, Gabi, con me! Dobbiamo far fuori questa bestia schifosa!» ringhiò Levi
librandosi in aria.
Intanto erano arrivati anche i soliti indefessi Jeageristi che all’aperto
potevano usare gli M3D. Ci fu l’ennesimo scontro.
Tutti si misero in cerchio a protezione di Hanji che era ferita, la difesero
con una vera e propria pioggia di proiettili perché tra le altre cose Nanaba
aveva con sé una mitraglietta.
Levi e le ragazze intanto stavano attaccando Cerbero. Lo stavano rallentando colpendolo
senza posa e procurandogli molte ferite sui fianchi e alle gambe. Lui con le
zampe anteriori fendeva l’aria cercando di agguantarli non riuscendoci grazie
ai Jet Pack.
«Circondiamolo! Poi il primo che si trova la nuca a tiro lo abbatta
immediatamente!» ordinò Levi.
Tutti e tre continuaro a crivellarlo di colpi. Alla fine lui si contorceva guaiva
e latrava in un modo spaventoso. Sembrava diventato un tizzone di carbone da
quanto fumava. Era uno spettacolo angosciante che faceva venire la pelle d’oca.
«Levi non si vede niente!» protestò Mikasa che continuava a sparare alla cieca.
«Non fermatevi!» ordinò il capitano continuando egli stesso a colpirlo con
furore, ricaricando velocissimo le pistole senza dargli tregua.
Dobbiamo andare a sentimento pensò Gabi concentrata.
Poi ci fu un attimo in cui il fumo grazie ad una potente folata di vento,
fortuitamente si diradò esponendo alla luce la collottola di quel mostro. Tutti
e tre non si fecero sfuggire l’occasione e spararono all’unisono centrandola in
pieno.
Cerbero, che a dire il vero non aveva neanche tentato di fuggire, si accasciò pesantemente
a terra. Il fumo in pochi secondi magicamente cessò e sotto i loro occhi videro
una cosa inaspettata e angosciante. Stava diventando deforme, era come se il
suo corpo si stesse riadattando per prendere infine le sembianze di un giovane
ragazzo.
Disteso e crivellato di colpi perdeva sangue dalla bocca, dal naso e dalle
orecchie, gli occhi erano girati all’indietro e respirava a fatica.
Per un attino a tutti e tre prese un colpo. Non era più un mostro, ma un essere
umano che stava lasciando la vita.
Istintivamente si avvicinarono a lui, non sapendo neppure loro perché.
Il ragazzo li guardò e alzò maldestramente la testa che però ricadde subito
pesantemente a terra.
«Fina..lmente li..be..ro» disse in un soffio smozzicato e gorgogliando spirò.
Il suo viso parve subito come disteso, con quasi un accenno di sorriso, come
qualcuno che muore in pace.
Fu un momento terribile che li mise davanti ad una tragica realtà, non erano
mostri ma esseri umani che stavano terribilmente soffrendo per via di questi
esperimenti.
Nessuno di loro poteva sapere chi dei tre gli avesse inferto il colpo mortale e
alla fine fu meglio così.
«Andiamo ad aiutare gli altri, qui non c’è più bisogno di noi» disse Levi stancamente.
Non fece quasi in tempo a finire la frase che la terra tremò sotto I loro piedi.
Videro due giganti dalle dimensioni enormi che stavano correndo verso di loro. Uno
era Zeke e stava davanti, dietro c’era l’altro che non avevano mai visto
prima. Aveva le fattezze di uomo e non di un animale, solo la bocca e gli occhi
avevano qualcosa di inumano.
La prima era enorme e arrivava fin quasi alle orecchie con un’apertura simile a
quella di un coccodrillo, in mezzo ai denti penzolava un lingua lunga e
vermiglia, mentre gli occhi erano verdi fosforescenti, come quelli di un gatto
al buio. Urlava tenendosi la testa tra le mani e correva dietro Zeke, ma la sua
sembrava una corsa anomala, come se si volesse trattenere e non ci riuscisse.
Il cuore di Mikasa mancò un colpo e i suoi occhi si riempirono di lacrime,
prima di tutti lei aveva già capito…
«Eren…» sussurrò con dolore.
I monologhi dell’autrice
Buon sabato sera a todos!!!!
Note: 1 Con jet
pack o rocket pack, rocket belt o nomi simili, letteralmente
"zaino-jet" (o "zaino-razzo", "cintura-razzo"
ecc.), si intende un dispositivo, solitamente indossato sulla schiena, che
grazie a una propulsione "a getto"
(a reazione), permette a una persona di volare. [fonte wikipedia]
2 è il coltello da samurai di Levi di cui vi ho
già parlato in un capitolo precedente postando anche una foto del medesimo
Sarò rapidissima perché non credevo neppure che ce l’avrei fatta neppure ad aggiornare, ho il tempo contatissimo!
Ringrazio TANTISSIMO chi sta leggendo o rileggendo la storia, chi continua ad aggiungerla a seguiti ricordati e preferiti. E ovviamente la mia eterna
gratitudine va a chi ha il tempo e la voglia di fermarsi a lasciarmi un
commento, cosa gradita e prezosa.
Felice Week End e la prossima settima
salterò il turno perché sarò materialmente impossibilità ad aggiornare, ci
ritroviamo tra 15 giorni!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 28 *** The king’s gamblit ***
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission-almost-Impossible
28
The king’s gamblit
Zeke arrivò e ancora in corsa si
lanciò allungando il braccio che era decisamente sproporzionato rispetto al suo
corpo. Sembrava volesse spazzare via, con una sola manata, il nutrito gruppetto
che era schierato sia a difesa di Hanji, sia all’attacco degli Jeageristi.
Ma qualcosa si frappose tra la sua mano pronta ad investire i loro corpi.
Eren inginocchiato parò il colpo, ruggendogli contro e fece loro da scudo agevolandoli
nella fuga dentro il magazzino.
«Che stai facendo? Ti ordino di spostarti!» gli intimò lo scimmione con quel
tono cavernoso che sembrava venire direttamente dall’inferno.
Eren cominciò a mugghiare e si tappò le orecchie scuotendo forte la testa, con
la lunga lingua a penzoloni. Era chiaro che si stesse opponendo a qualunque imposizione
manipolatoria di Zeke.
«Ci ha salvati!» commentò Jean stupito.
Intanto furono raggiunti da Levi, Mikasa e Gabi.
«Vi siete resi conto vero che è Eren?» disse Mikasa, mentre i due titani stavano
ingaggiando una sorta di scaramuccia tra loro. Facevano a chi emetteva versi
più spaventosi.
Anche gli Jeageristi si erano prudentemente allontanati perché rischiavano di
essere colpiti da quei due che si stavano azzuffando.
«Hanji stai bene? Fammi vedere» fece Levi cercando di capire che le fosse
accaduto, ma lei aveva già fasciato alla meno peggio la ferita con un foulard
che aveva con sé.
«Tutto bene. Tranquillo» rispose sbrigativa.
Stavano riorganizzandosi ma furono interrotti da una scena che li colse alla sprovvista.
I due titani avevano iniziato a lottare tra loro, quando Zeke afferrò la testa
di Eren tra le sue mani, l’altro stava cercando di divincolarsi, ma lui fu più
veloce e appoggiò la sua fronte su quella del fratello e dal quel contatto tra
loro brillò una piccola scarica elettrica.
A quel punto sentirono la voce di Zeke che gli diceva: «Ora vai e uccidili
tutti!».
Eren ruggì poi girò la testa e puntò quello sguardo verde fiammeggiante verso
il magazzino.
Sembrava una fiera alla ricerca delle prede.
«Oh cazzo!» fece Connie.
«Puoi dirlo piano e forte!» aggiunse in risposta Jean caricando le sue pistole.
«Ma che significa?» si chiese a voce alta Sasha.
«Credo che Zeke possa in qualche modo sottomettere Eren alla sua volontà»
commentò Hanji esterrefatta.
«Che facciamo ora?» chiese Nanaba.
«Lo abbattiamo!» propose deciso Mike.
Levi stava a sua volta caricando le pistole e controllando quante RIP gli
fossero rimaste «Dobbiamo ragionare a mente fredda. Possiamo sparpagliarci per
confonderlo, non credo che voglia distruggere il prezioso laboratorio di Grisha.
Eren è comunque una proprietà del governo. Nel frattempo si spera che arrivi
Erwin!» commentò poi.
«Giusto! Dobbiamo recuperare Grisha prima che arrivi Erwin e scateni
l’apocalisse» disse Moblit.
«E allora come ci muoviamo?» chiese nuovamente Nanaba.
«Posso provare a distrarlo» propose inaspettatamente Mikasa.
«È troppo pericoloso!» saltò su
Jean affiancando la ragazza come per proteggerla.
«Mikasa che intenzioni hai?» le chiese adombrato Levi scrutandola.
«Voglio provare a svegliare la sua coscienza, non so che artificio usi Zeke ma
io ed Eren abbiamo avuto un forte legame, vale la pena tentare» disse
disperatamente sincera, cosa che non sfuggì a Levi che la conosceva bene.
«Mi sembra un’ottima idea» affermò Onyankopon.
«Allora siamo d’accordo?» chiese la ragazza ai superiori.
«Per ora mi sembra l’unica carta che abbiamo da giocare» commentò Hanji.
«No!» si oppose deciso Jean.
Mikasa lo guardò con un’intensità che a lui non aveva mai riservato prima «Non
farlo. Ti prego. La posta in gioco è troppo alta, non si tratta più dei nostri
singoli interessi. Non ostacolarmi».
«Lasciala andare. Fidati di lei» disse serio Levi poggiandogli una mano su una
spalla, poi si rivolse alla ragazza «Se vedi che non riesci a farlo ragionare
torna subito indietro. Chiaro?».
Mikasa annuì tirò la leva del suo Jet Pack e uscì dalla finestra a pochi metri
da Eren.
Come la vide urlò a squarciagola e cercò di afferrarla. Mikasa saettò veloce di
lato e cercò di aggirarlo. Aveva bisogno di un contatto ravvicinato con lui, ma
in sicurezza.
«Uccidila!» ruggì Zeke. Era importante che si piegasse totalmente alla sua
volontà per raggiungere il suo scopo.
La ragazza proprio in quel momento volteggiando, si parò davanti allo sguardo
ormai innaturale di Eren.
«Guardami! Sono io Mikasa!» gli urlò.
Lui per tutta risposa spalancò la bocca ed emise un grido cavernoso davvero
inquietante. Era come se in un certo senso dentro di lui ci fosse una lotta.
«Eren! Calmati e ascoltami. Non sei tu questo!» continuò a dirgli cercando di
scuoterlo.
Zeke si mise le mani sulle tempie e questa volta senza parlare, usando tutta la
sua forza comunicò con la mente di Eren.
Devi ucciderla. Devi uccidere tutti. E devi trovare nostro padre!
Per un attimo Eren fu come in trance, prese a tremare con gli occhi girati
all’indietro.
Saremo solo noi e il mondo ci venerà come dei, potremmo ricominciare tutto
da capo e ne saremo gli unici artefici!
UCCIDILA!
Eren sembrò riprendersi e fissò per un secondo la ragazza, poi spalancò la
bocca in modo davvero mostruoso e inquietante, un po’ come fanno i rettili
quando devono mangiare una grossa preda, ma Mikasa non si fece impressionare ci
saltò dentro e con il lancia granate gli bloccò la mandibola. Era un tentativo
disperato e sarebbe durato poco, la potenza di lui era sovraumana. Sembrava
volerla mangiare, ma sembrava anche non metterci tutta la sua reale forza.
«Che cazzo sta facendo, si farà ammazzare!» urlò Jean disperato.
Stava per lanciarsi in suo aiuto ma Levi lo fermò.
«Lasciami cazzo!» disse cercando di divincolarsi.
«Ti ho detto che devi fidarti di lei! Non abbiamo scelta» gli sibilò Levi
scuotendolo.
Proprio in quel momento Eren serrò la mandibola e Mikasa sparì nelle sue fauci.
«Bravo fratellino. Ora vai e uccidi tutti gli atri!» gli comandò imperiosamente
soddisfatto Zeke.
Dentro il magazzino calò il gelo perché erano tutti attoniti e scioccati da ciò
che avevano appena visto. Immediatamente caricarono le armi e si misero in
assetto da guerra pronti a dargli battaglia, ma inaspettatamente videro che
Eren aveva appoggiato il mento alla finestra da dove era uscita Mikasa per
distrarlo. Sembrava che cercasse di comunicare qualcosa ma non ci riusciva, a
tratti ruggiva e tremava come se avesse le convulsioni, sembrava gli scoppiasse
la testa.
Lo stavano tenendo tutti sotto tiro pronti a fare fuoco, quando spalancò le
fauci e sputò fuori Mikasa che teneva arrotolata nella lingua.
«Non vi azzardate a sparare!» urlò subito Hanji.
La ragazza cadde a terra e Jean la raggiunse.
«Dio mio, stai bene?» le disse sostenendola per un braccio.
Era avvolta da una sostanza appiccicaticcia che sembrava saliva, ma più solida.
«Sì sto bene» disse prima di pulirsi il viso «Mi ha riconosciuta, una parte di
lui sta combattendo per non farsi sottomettere, ma non so quanto potrà
resistere» commentò verso i suoi superiori.
Nel frattempo nella concitazione di ciò che era appena accaduto Grisha ne aveva
approfittato per scappare.
Raggiunse il figlio maggiore e lo rimproverò aspramente.
«Sei il solito inconcludente! Avanti entra connessione con me e poi connettiamoci
entrambi con Eren. Due contro uno non potrà che assoggettarsi alla nostra
volontà».
Quindi ai nostri fu chiaro che tra Grisha, Zeke ed Eren esisteva una sorta di collegamento
mentale in cui l’unione faceva la forza.
Era chiaro che Eren avesse tentato di opporsi loro con tutte le sue forze, ma a
questo punto era probabile che quei due se lo potessero giostrare come meglio
credevano.
Infatti come ci fu il contatto elettrico tra padre e figlio maggiore, Eren
divenne come pazzo. Infilò un braccio dentro il magazzino e cominciò a
distruggere qualsiasi cosa arrivasse a toccare.
Ma a quel punto, inaspettatamente, si avvertirono chiaramente due titani che
stavano arrivando di corsa.
Tra la sorpresa generale si palesarono di lì a poco davanti ai loro occhi. Uno
ricordava vagamente La cosa dei fantastici quattro. Aveva le fattezze di
un uomo ma era come se fosse corazzato, con una mandibola molto squadrata e mani
spaventosamente grandi.
L’altro era una vera novità: un titano con fattezze femminili, una donna in
tutto e per tutto, solo che sembrava spellata e aveva le fasce muscolari a
vista. Correva velocissima e aveva qualcuno sulla spalla attaccato ad una
ciocca del suo caschetto biondo.
«ARMIN!!!!!» urlarono in coro stupefatti i ragazzi, riconoscendo il piccoletto.
Stava succedendo tutto troppo in fretta, anche per Grisha che fu colto alla
sprovvista e per un attimo il contatto mentale tra i tre saltò.
«Fermi tutti! Dobbiamo restare dentro» disse Hanji «lasciamo che i titani se la
vedano tra sé».
«Tu lo sapevi?» le chiese stupito Moblit.
«Io no, ma su Erwin non metterei la mano sul fuoco» ripose la donna.
Nel frattempo i due mutaforma erano giunti molto vicino a loro. Quello dalle
fattezze femminili aveva preso Armin, lo aveva delicatamente deposto a terra e il
ragazzo era corso subito dentro.
A quel punto Grishia fece l’unica cosa possibile per contrastarli e urlò con
quanto fiato aveva in gola ad Eren: «TATAKAE!».
Eren ruggì e si girò cercando di colpire il titano femmina. Quella rapida si
abbassò e schivò il colpo, quindi gli sferrò con un calcio volante su un
fianco. Cominciarono a lottare dandosele di santa ragione sembravano impegnati
in un incontro di kick boxing. Era impressionante vedere quei due colossi combattere.
Intanto Zeke aveva attaccato il corazzato. Si stavano rotolando in terra. Zeke però
fu quasi subito immobilizzato con una presa al collo naked choke(1) particolarmente
letale.
Eren si difendeva abbastanza bene anche se la sua avversaria era molto più
veloce di lui. Zeke invece bloccato era in grande difficoltà e latrava.
Grisha pensò bene di dare nuovamnete il comando a suo figlio minore il quale
prima con un pugno poderoso atterrò la sua avversaria e poi si inginocchiò a
terra serrando pugni. Spalancò la bocca e urlò così forte che tremò quasi la
terra. Subito in lontananza riecheggiò un specie di terremoto sotterraneo.
«Che cazzo sta succedendo?» chiese Levi.
«Credo abbia chiamato a raccolta tutti i titani dormienti di Marley» disse
serio Armin.
«Che significa? Devi dirci qualcosa tu?» lo apostrofò severo Levi.
«Vi spiegherò tutto dopo ora devo dare il segnale ad Erwin» e
lo contattò immediatamente via radio.
Nello stesso momento a lato del
magazzino Floch con gli Jageristi stava per mettere in atto il suo piano.
«Si sono intrappolati da soli lì dentro. Buttiamo i fumogeni e facciamoli
uscire, prima che si rendano conto di ciò che sta accadendo li crivelleremo di
colpi abbattendoli. FORZA! Per Paradise, per una nuova era e per gli Jeager!»
concluse con il pugno alzato da bravo esaltato qual era.
I suoi subito gli obbedirono e riempirono di fumo l’interno del magazzino.
I nostri furono costretti a uscire in fretta fuori e con i Jet Pack cercarono
di innalzarsi il più possibile, ma questo non li mi mise al riparo dai colpi
degli Jageristi. Ingaggiarono comunque una battaglia contro di loro ma
nonostante avessero i Jet Pack e ottimi tiratori erano in numero troppo inferiore.
Fu la donna titano a venire in loro aiuto, con un paio di sapienti manate ne
abbattè una ventina.
Intanto Jean sparava a raffica su un gruppetto che tentava di circondarlo,
intervenne in suo aiuto Connie e in qualche modo li sbaragliarono.
Dall’altro lato Armin, Sasha e Mikasa si stavano difendendo da un altro gruppetto,
ma erano in difficoltà nonostante che anche Gabi, Moblit e Nanaba si fossero precipitati
ad aiutarli stavano per soccombere. Ancora una volta la donna titano intervenne
e cominciò a schiacciare gli Jaegheristi come se fossero mosche.
Eren e Zeke si erano riuniti aggredendo il corazzato che stava per essere
sopraffatto, quando i titani non senzienti, giunti in gran numero al richiamo,
si misero inaspettatamente ad aggredire in massa la donna titano che emetteva
grida spaventose.
«Che stai facendo Levi?» chiese Hanji che vide l’uomo improvvisamente armeggiare
con qualcosa di strano.
«Fosse l’ultima cosa che faccio da vivo voglio abbattere quella scimmia di
merda!» le rispose estraendo una granata che la donna non aveva mai visto prima.
«E quella da dove esce?».
«Ci ho messo tre notti a metterla punto. È
una combinazione letale tra gas ed esplosivi. Voglio infilargliela in bocca, o
meglio nel culo e lo voglio vedere saltare in aria e aprirsi come un fottuto
cocomero!».
«Ma sei matto! È pericolosissimo, non fare lo stupido!» gli disse la Hanji preoccupata.
«Lo aiuterò io» intervenne Mike prontamente «temo che dovremmo abbatterli tutti
o nessuno di noi uscirà vivo da questa isola».
*
Qualche tempo prima, di
notte, ad Eldia
Armin non aveva capito perché
Erwin gli avesse chiesto di andare da solo in piena notte ad un incontro con un
importante contatto, che a suo dire aveva informazioni di vitale importanza per
la riuscita della loro missione.
Gli aveva assicurato che non ci sarebbero stati pericoli, che il compito affidatogli
era della massima importanza e che solo loro due ne erano a conoscenza. Nessun’altro,
compresi Hanji e Levi, che non ne dovevano sapere niente. Da ciò dipendevano le
loro vite.
Si era sentito investito di un’enorme responsabilità e aveva avuto una gran
paura, ma non si era tirato indietro.
Stava camminando per strada, mani in tasca e cappuccio della felpa calato sugli
occhi avanzando in un’Eldia addormentata e deserta. Il punto d’incontro erano i
giardini pubblici. Le indicazioni erano chiare, doveva sedersi in mezzo a due
altalene ed aspettare.
Dopo mezz’ora, seduto da solo e immerso nel silenzio si guardò intorno
spaesato. Non sapeva bene che fare, quando qualcuno si sedette sia alla sua
destra che alla sua sinistra.
Non seppe perché, ma istintivamente si girò alla sua destra ed enuciò la solita
parola d’ordine: Sthoess, Trost, Shiganshina?
A cui la persona a cui si era rivolto gli rispose: «Maria,
Sina e Rose».
Quella voce lo fece trasalire.
«Annie!» esclamò stupito, a quel punto lei si palesò scostando il suo di
cappuccio.
«Ciao Armin come stai?» gli rispose in modo scarno.
«Ma… tu…» balbettò il ragazzo frastornato.
«No, non sono morta» gli confermò.
«Ehi ci sono anche io» disse l’altro alla sua sinistra e anche quella voce era
familiare.
«Reiner!».
«Già».
«Non so cosa stia succedendo, ma sono felice di sapere che siete vivi ragazzi!»
disse quasi commosso Armin.
Ertano stati dati per morti circa otto mesi prima in una missione ad alto
rischio in Iraq.
«Scommetto che per lei sei un po’ più felice che per me» lo canzonò Rainer.
«Smettila. Non siamo qui per rivangare il passato» lo fulminò Annie.
Armin era felice e amareggiato al tempo stesso.
«Ascoltaci bene dobbiamo farti delle rivelazioni molto importanti da riferire
immediatamente ad Erwin» cominciò Annie, poi proseguì «siamo entrati in
contatto con un agente del Mossad: Kenny Ackerman. All’inizio gli abbiamo fatto
credere di essere due mercenari e abbiamo cercato di depistarlo ma lui prima di
concludere l’affare ci ha smascherati. Appena ha saputo che lavoravamo per
l’intelligence americana e che eravamo agenti sotto copertura le cose sono
cambiate radicalmente. Facendotela molto breve abbiamo cominciato a collaborare
grazie ad un accordo fatto tra i nostri governi e ci ha aiutato a completare la
nostra missione. Grazie a lui ora anche noi siamo due mutaforma».
«Cosa? Com’è possibile?» chiese esterrefatto Armin.
«Quell’uomo è entrato in possesso di alcune delle fialette di nuova
generazione per creare titani, che sono state trafugate a Grisha. Non ci ha mai
voluto spiegare come abbia fatto, ma non è questa la cosa importante. Il
risultato è quello che conta. Noi saremo l’asso nella manica di Erwin, nessuno
si aspetta che ci siano due titani potenti come lo siamo noi che possono
affiancare, o competere con Eren».
«Ma allora lui sta con noi o no? Sapete nulla su questo?».
«Sì, è dalla nostra parte, ma la faccenda è molto complicata» s’intromise
Reiner.
«Spiegati» lo esortò Arlert.
«Purtroppo Grisha è fuori di testa ed è una vita che sta tentando esperimenti
illeciti. Abbiamo scoperto di recente che ha fatto qualcosa ai suoi figli quando
erano piccoli, qualcosa che è in grado di manipolarli».
«E com’è possibile?».
«Non lo so di preciso ma sappiamo con certezza è che è una
cosa che funziona solo tra consanguinei. Sembra avvenga tramite onde celebrali
inviate da un piccolo congegno innestato nel canale auditivo, il quale
attraverso gli impulsi elettrici del cervello produce vibrazioni che si
tramutano, per chi li riceve, in stimoli neurali che
controllano la sua volontà(2)».
«Ma Eren lo sa, ne è cosciente?».
«Sì, ma può farci ben poco. Praticamente, per dirla in soldoni, è come se fosse
una schizofrenia indotta. Viene posseduto dalla personalità del
padre, o del fratello e quando ciò accade lui non è più in sé».
«Porca vacca!» scappò detto ad Arlert.
«Questo ci mette in una situazione grave e pericolosa. Per questo ci siamo
dovuti sacrificare e diventare a nostra volta dei titani. Non possiamo farcela
se non combattiamo ad armi pari, anche se Eren possiede la voce del comando(3) e potrebbe trovarsi costretto ad usarla contro di noi».
«Cioè?» chiese sempre più confuso Armin.
Questa volta rispose Annie: «Eren è il titano più forte sia fisicamente che
mentalmente ed è l’unico, non si sa perché che capace di dare ordini ai mutaforma
non senzienti, può fargli fare qualunque cosa egli voglia».
«Santa pazienza! E quanti sono lo sapete?».
«C’è una sorta di nursery, così denominata perché ci sono esemplari in letargo,
pronti ad essere svegliati. Sono più di cento. Sono lì fermi in attesa di
essere testati e usati come arma di distruzione contro cose e persone» spiegò seria
Annie.
«Ma come avete fatto a scoprire tutte queste cose?» chiese Armin stupito.
Annie sospirò, non era facile per lei.
«Abbiamo reclutato uno di loro e lo abbiamo portato a tradirli».
«E come diavolo avete fatto?».
«Ricordati che la curiosità uccise il gatto!» lo ammonì Reiner.
«Lascia stare, tanto prima o poi lo verrebbe a sapere comunque. Tanto vale
glielo dica io» lo fermò Annie.
«Ma che avete fatto?» chiese Armin preoccupato.
«Si chiamava Bertold era uno dei fidatissimi di Grisha. Mi sono accorta fin da
subito di piacergli. Me lo sono lavorato bene. Gli ho fatto credere di avere un
debole per lui e me lo sono portato a letto. Così lui ha perso la testa ed è
passato dalla nostra parte. Durante i nostri incontri ho fatto in modo che mi spiattellasse
tutto, poi quando si è reso conto di essere stato usato ha dato di matto. Si è offerto
volontario per diventare un titano, ma il suo fisico non ha retto e
ventiquattro ore dopo la sua trasformazione è schiattato» spiegò senza lasciar
trapelare nessun tipo di sentimento Annie.
Sembrava fredda e distaccata, ma non era così, anche se era una vera maestra
nell’arte della dissimulazione.
Armin era sconvolto.
*
«Sei pronto?» chiese Levi a Mike.
«Sono nato pronto!» gli rispose l’amico.
«Bene andiamo a rompere il culo a quello scimmione del cazzo!».
Tirarono le leve dei loro Jet Pack e seguiti dallo sguardo preoccupato di Hanji
si diressero dritti da Zeke.
I
monologhi dell’autrice
Un caro saluto a chi legge. Come state?
Spero tutto molto bene!!!
Note: 1) Il
nacked choke, è una presa che si
effettua nelle arti marziali, viene praticata
di schiena all’avversario.
La parola “nudo" in questo contesto suggerisce che, a differenza di altre
tecniche di strangolamento, questa presa non richiede l’uso di un ausilio
estraneo oltre le braccia. Ha due varianti:
in una versione, il braccio dell’attaccante circonda il collo dell’avversario e
poi afferra i propri bicipiti sull’altro braccio. Nella seconda versione, l’attaccante
stringe le mani insieme dopo aver circondato il collo dell'avversario (quella
che ho immaginato io fatta da Reiner su Zeke, ma anche su Kenny). Studi
recenti hanno dimostrato che lo strangolamento posteriore impiega in media 8,9
secondi per rendere incosciente un avversario indipendentemente dalla presa
utilizzata. (fonte wikipedia)
2) Per questa particolaità mi sono ispirata a Pacific Rim, un
film del 2013 co-scritto, diretto e co-prodotto da Guillermo del Toro. Scritto
che trae ispirazione dai Kaijū, i colossali
mostri del cinema giapponese e dai vari mecha presenti in numerosi anime e
manga. In cui dei soldati umani chiamati Jeager (sì, avete letto bene, questo è il loro
nome) che significa "cacciatori", combattono contro giganti enormi in metallo, comandando
a loro volta, giganti in metallo manovrati da loro stessi tramite una connessione neuro-mentale. (Poi, in seguito, vi spiegherò meglio il legame mentale tra Grisha, Zeke ed Eren)
3) La voce del comando (che non ho voluto chimare rumbling) è un mio chiaro
omaggio a Dune in cui le Bene Gesserit possiedono questo dono innato attraverso
il quale possono condizionare mentalmente gli altri
Il titolo è sia quello di un film del 2016 che anche un omaggio ad una famosa
serie TV (La regina degli scacchi). Non sono la prima né sarò l’ultima che ha
avuto questa idea, ormai è voce di popolo nel fandom e quindi ufficialmente
fanon, che Erwin sia un abile stratega al pari di un campione di scacchi!
Eccomi come promesso anche se molto di fretta, ad aggiornare la storia. Questo
mese di maggio sarà molto intenso per me, quindi potrebbe (ma non è detto)
saltare qualche appuntamento settimanale (spero comunque di farcela) in caso
siete avvisati.
A tutti voi che state leggendo e mettendo la storia tra le seguite, ricordate e
preferite va la mia mia gratitudine, senza dimenticare chi ancora ha la voglia
e il tempo di lasciare un commento, cosa sempre gradita e utile.
GRAZIE di ♥♥♥
Ci ritroviamo con (se non ci sono intoppi) un
capitolo nuovo la prossima settimana, sennò quella dopo ancora!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 29 *** La tela del ragno ***
L’Isola
dei Dannati
A.o.T. Mission-almost-Impossible 29
La tela del ragno
Levi aveva il viso trasfigurato
in una maschera di sangue, Hanji in preda alla disperazione stava tentando di
tamponarlo come meglio poteva. L’uomo aveva lo sguardo rivolto verso di lei ma
sembrava quasi non la vedesse. Il suo volto era contratto in un accenno di sorriso
dispiaciuto e anche rassegnato.
Il cuore della donna era spezzato, ma la volontà di salvarlo era più forte di
qualsiasi altra cosa. Non riusciva neppure a parlargli, tutte le sue forze
erano concentrate sulle sue ferite. Il fiato le si accorciava sempre più, le
sembrava di boccheggiare come se affogasse nell’angoscia, mentre un sudore
freddo le imperlava la fronte. Nessuno era mai riuscito a mettere Levi fuori
combattimento, ma quel mostro dalle fattezze scimmiesche lo aveva quasi ucciso.
Mille pensieri le si affollavano nella mente aggrovigliandosi, ma non poteva
perdere lucidità, la priorità ora era tenerlo in vita, solo che il sangue non
smetteva di zampillare da quello sfregio che gli deturpava la faccia e soprattutto
dalle altre ferite infertogli da quello scherzo della natura.
Più avanti Mike giaceva a terra, anche lui ferito in modo grave. Onyankopon
stava cercando di rianimarlo facendogli un massaggio cardiaco. Accanto, poco
lontano c’era anche Zeke ancora con le fattezze titaniche di scimmia disteso a
terra inerme. Sembrava morto e solo dal naso gli usciva copioso del fumo
biancastro. Non accennava però a trasformarsi in essere umano. Intanto intorno
a loro infuriava la madre di tutte le battaglie.
Erwin alla fine era sopraggiunto come un novello giustiziere cavalcando Falco,
dal quale si erano gettati Piek e Galliard trasformandosi.
Il comandante come se fosse stato sul dorso di un drago, puntava dritto sui
titani non senzienti straziandoli con l’aiuto del mutaforma dal becco micidiale,
che con le sue ganasce li dilaniava. Dovevano essere sterminati tutti, nessuno
di loro doveva sopravvivere, questo era lo scopo per cui aveva orchestrato
quella trappola arrivando inaspettato e all’ultimo momento, facendo in modo che
il nemico si fosse tutto riversato nelle strade di Marley.
Purtroppo però era giunto subito dopo l’attacco sferrato da Levi e Mike contro
Zeke. Il capitano era riuscito ad infilare la granata in bocca allo scimmione
dato che Mike lo aveva distratto, ma il titano con quelle sue braccia
smisuratamente lunghe, pochi secondi prima che l’ordigno gli implodesse nello
stomaco, aveva smanacciato e con le sue unghie affilate come lame, aveva colpito
in pieno Levi ferendolo in modo grave. Mike invece lo aveva afferrato con
l’intento di strizzarlo, ma l’esplosione all’interno del suo corpo lo aveva
fatto cadere e inevitabilmente lo aveva trascinato con sé, facendolo sbattere con
forza a terra.
Annie, ancora titano, era ferita in vari punti del corpo ma non si arrendeva e stava
dando battaglia al meglio delle sue possibilità, lo stesso stava facendo Reiner
anche se erano entrambi molto provati.
Galliard corse a dar loro manforte contro un Eren che sembrava ancora fresco
come una rosa e molto agguerrito, infatti colpì duramente sia il titano donna,
sia il titano corazzato, prima che il mascella potesse fare alcun che. Grisha
ormai aveva preso pieno potere su di lui. Si era rintanato protetto dai suoi
fedelissimi capitanati da Floch e da lì giostrava il figlio come una marionetta,
ringraziando la sua buona stella che a perire fosse stato quel buono a nulla di
Zeke.
«Li uccideremo tutti» continuava a ripetere come un mantra al figlio.
Al suo terzo tentativo Onyankopon riuscì finalmente a far ripartire il cuore di
Mike.
Piek, come le era stato comandato, era subito andata a prelevare i medici per
portarli direttamente sul campo a supporto dei feriti gravi.
Onyancopon lasciò nelle loro sapienti mani Mike, e Hanji a malincuore fece lo
stesso, non poteva assolutamente far mancare il suo supporto alla squadra in un
momento così decisivo.
Sì chinò, baciò la fronte di Levi mentre una lacrima le scivolò sulla guancia.
Ti renderò fiero di me ma tu non azzardarti a morire, mi devi ancora fare
quella proposta di matrimonio e mi devi far vergognare come una ladra, devi
mantenere la tua promessa, capito? Guai a te se non lo farai!
Gli sussurrò lieve ma decisa in un orecchio asciugandosi con il dorso della
mano quel timido accenno di pianto subito soffocato.
«Dobbiamo stanare Grisha.
Dobbiamo interrompere la connessione con Eren» stava dicendo Nanaba, quando
arrivarono gli ordini diretti di Erwin tramite radio.
«Mikasa devi fare ciò che ci siamo ripromessi o non riusciremo a terminare la
missione. Levi è compromesso quindi mi resti solo tu. Vai e compi il tuo dovere».
La ragazza annuì, si tirò la sciarpa rossa sul naso che si era portata con sé
come feticcio e caricò il suo lancia granate.
Fu subito raggiunta da Jean, Gabi, Sasha, Connie ed Hanji.
«Che dobbiamo fare noi?» le chiesero quasi in coro.
«Dobbiamo andare e colpire Eren senza sosta finché perderà le forze e tornerà
umano… poi ci penserò io» spiegò con lucido distacco.
«Nanaba, Gabi, Sasha e Connie voi dovete trovare Grisha e catturarlo» ordinò loro
Erwin dalla ricetrasmittente.
«Io vado con Mikasa» disse Hanji.
«Anche io» aggiunse Jean.
«Sono con voi!» si unì Armin.
«Dove sono più utile?» chiese Onyankopon.
«Tu ci sei utile solo da vivo, quindi mettiti al riparo con i feriti. E ora
andiamo e terminiamo questa missione una volta per tutte!» tuonò Erwin
incitandoli e chiuse la comunicazione riprendendo la decimare titani. Riuscire a stanare Grisha non fu
impresa facile. Si era rifugiato nei cunicoli sotterranei del suo laboratorio.
Connie però si era fatto mandare la planimetria dell’edificio sul suo cellulare
e stava cercando di capire dove potessero essere nascosti.
Dopo vari tentativi finalmente capirono dove si fossero rintanati e si recarono
sul posto a colpo sicuro.
Sorpresero il dottor Jeager che stava seduto, concentrato, sembrava assente e
si premeva le tempie con con l’indice e il medio, attorniato dai suoi
fedelissimi.
«Siamo troppo pochi per attaccarli frontalmente» bisbigliò Nanaba molto
preoccupata. Erano in un punto dove non erano visibili al nemico ma che
consentiva loro di monitorare la situazione.
«Potrei sparare dritto in testa a Grisha. Da qui lo centrerei senza problemi»
propose Gabi con l’occhio già nel mirino.
«Non possiamo ucciderlo ci serve vivo» le rispose la donna.
«Dovremmo creare un diversivo» valutò Sasha.
«Grande idea e quale? Non abbiamo niente, neppure un misero fumogeno…» disse
Connie sarcastico.
«Ho io qualcosa che fa il caso nostro: due bombette urticanti un’evoluzione
dello spray al peperoncino. Oltre a far bruciare gli occhi provocano un
fortissimo prurito in tutto il corpo. Questo dovrebbe bastare a farci fare irruzione
e avere la meglio su di loro. Se siamo fortunati forse Grisha sarà pure
costretto ad interrompere la connessione con Eren» spiegò con rinnovata fiducia
Nanaba, nella concitazione del momento si era completamente dimenticata di avere
con sé quei due preziosi candelotti. Intanto sull’altro versante di
battaglia Erwin continuava a sterminare i mutaforma con l’auto di Falco e Piek,
la quale continuava a fare anche da ponte tra medici e feriti. Aveva aiutato a
trasportare Mike in ospedale, mentre Gunter, aiutato da Petra, stava ricucendo
Levi sul posto dato che aveva perso i sensi e l’emorragia andava fermata subito.
Annie e Reiner erano esausti a terra, fumanti, lei era senza mani e lui aveva
la parte destra della testa distrutta, Eren, sotto le sciagurate direttive di
Grisha, ci era andato davvero giù pesante con loro. Entrambi stavano cercando
di rigenerarsi il prima possibile.
Galliard invece stava ancora lottando con lui, ma pur essendo molto forte e
veloce, non lo era abbastanza per contrastarlo fino a batterlo, lo teneva però
molto impegnato. Stava ancora dando il meglio di sé quando arrivò la squadra
con a capo Hanji.
«Galliard vai ad aiutare Erwin e qui lascia fare a noi» disse la donna con
determinazione. In un primo momento sembrò interdetto ma poi subito obbedì.
Nel frattempo Mikasa era immediatamente volata all’altezza dello sguardo di
Eren.
«Sono qui, mi vedi?» urlò la ragazza al titano dagli occhi fiammeggianti che
subito emise un urlo agghiacciante.
«Avanti, prendimi se ci riesci!» lo sfidò.
Si farà ammazzare quella pazza pensò Jean, ma si era ripromesso di non
permettere alle sue emozioni di dominarlo, doveva e voleva fare il suo dovere,
lo aveva promesso, quindi scacciò ogni pensiero su di lei e si concentrò al
massimo sul da farsi.
Eren cercò di afferrare Mikasa che velocissima si spostò impedendoglielo,
questo lo fece irritare e nel frattempo lei si proiettò in avanti, il titano subito
la seguì in modo scalmanato. Fu a quel punto che gli altri, da dietro
caricarono i lancia granate e cominciarono a colpirlo in successione veloce. «Una bellissima idea la tua Nanaba,
peccato però che non abbiamo maschere antigas e anche noi saremo vittime dei
tuoi fantastici candelotti urticanti, esattamente come loro!» commentò
aspra Gabi.
«I nostri ingegneri non sono certo degli stupidi, sono armi studiate per le
situazioni d’emergenza ed è logico che non possano essere neutralizzate da
semplici maschere antigas, per questo ho anche un flaconcino con delle
pastiglie che dopo tre minuti dalla loro assunzione ci renderanno immuni dal loro
effetto».
«Allora presto, daccele subito» la incitò Connie.
La donna passò ad ognuno di loro una pillola e si raccomandò che la facessero
sciogliere sotto la lingua, poi azionò il cronometro per aspettare che
facessero effetto. Erwin era molto preoccupato non
faceva che guardare l’orologio e rimuginare tra sé e sé. Si era fatto legare
sul dorso di Falco per poter usare almeno il braccio buono, ma contro quell’orda
infinita di titani, che sembravano aumentare sempre più, loro che erano in
numero esiguo potevano fare ben poco. La situazione era grave e senza Levi era
ancora peggio. Quando vide sopraggiungere il mascella si sentì riavere e
insieme continuaro la bonifica dei non senzienti, anche se farli fuori definitivamente
non era poi impresa così semplice, perché anche quelli andavano o decapitati, o
colpiti dietro la nuca. Nanaba allo scoccare dei tre
minuti fece un balzo in avanti e prima che quelli dentro la stanza potessero
fare alcunché lanciò gli urticanti.
Subito tutti all’interno cominciarono a tossire, lacrimare e a grattarsi da per
tutto in modo sguaiato.
Appena si resero conto che erano tutti destabilizzati dall’effetto dei
candelotti fecero irruzione all’interno, Nananba sperò che le pastiglie
funzionassero, non aveva detto nulla, ma erano ancora in fase sperimentale. Allo stesso momento, fuori stava
infuriando un altro importante combattimento: quello contro Eren.
La squadra compatta stava sparando a raffica senza posa su di lui che fumava,
ma non si arrendeva. Era eretto, fiero, urlava e sembrava che traesse quasi una
forza nascosta da quell’attacco micidiale. Era furente, senz’altro era davvero
il più forte di tutti, abbatterlo non sarebbe stato facile.
«Siamo sicuri che questo piano funzioni?» chiese Jean mentre continuava a
colpirlo.
«Funzionerà!» sentenziò Armin determinato.
Mikasa era ancora davanti a lui e cercava di colpirlo negli occhi, ma Eren lo
aveva capito e le sfuggiva cercando di afferrarla.
Hanji cercava di mettere a segno più colpi possibili sembrava mossa da una
forza superiore.
In quell’inferno di fragore di spari, di fumo che usciva dalle ferite del
titano che urlava in modo raccapricciante, improvvisamente accadde qualcosa di
assolutamente inatteso. Eren si fermò di colpo e tacque spiazzando tutti. Per
qualche secondo smisero di sparare e lo guardarono sorpresi, lui ricambiò i loro
sguardi, come se capisse e li vedesse. I suoi occhi persero la loro
fluorescenza e tornarono ad essere semplicemente verde cupo, poi crollò in
ginocchio e allargò le braccia in alto inclinando la testa in avanti, come in
segno di resa.
Mikasa in quel momento ebbe un a sorta di allucinazione uditiva, le sembrò
chiaramente di sentire nella sua mente la voce di Eren che le diceva: avanti,
fallo!
Come mossa da una volontà non sua fece un chiaro cenno alla squadra e loro
ritornarono a colpirlo con i lancia granate, questa volta da molto vicino,
perché lui glielo stava permettendo rimanendo immobile sotto i loro colpi, finché
non cadde a terra bocconi, completamente avvolto da una densa nube di vapore.
Mikasa allora caricò la pistola con la RIP e si avvicinò a lui. Stava ritornando
umano. Era completamente nudo inerme, prono a terra con a testa rivolta di lato,
con la nuca alla loro mercé.
Nei sotterranei intanto, dopo un violento corpo a corpo erano riusciti a catturare Grisha.
Floch invece stava scappando e sicuramente folle com’era avrebbe tentando il
tutto per tutto, anche qualcosa di estremamente pericoloso e stupido, come
forse lanciare una bomba, che sicuramnete era innescata da qualche parte per
situazioni estreme come quella, pronta per essere detonata.
Prese a correre sfuggendo loro, ma fu subito inseguito da Gabi. Era chiaro che
sapesse esattamente dove andare e cosa fare. Ad un certo punto la ragazza si
fermò. Sapeva che la sua decisione era rischiosa, azzardata, forse anche
presuntuosa perché basata troppo sulle sue capacità, ma non vedeva altra
soluzione e quindi si prese la responsabilità.
Imbracciò il fucile e con il mirino inquadrò la testa di capelli spettinati di
quell’essere immondo di nome Floch e senza esitazione sparò.
Lo centrò in pieno.
Il colpo gli attraversò il cranio e uno schizzetto vermiglio tinse l’aria.
Floch cadde lungo disteso a bocca in avanti. La ragazza lo raggiunse e si rese
conto che la pallottola era uscita dalla fronte. Era morto stecchito.
«Hai visto? Lo avevo promesso: la seconda volta non avrei sbagliato il colpo»
commentò severa.
Fu subito raggiunta dagli altri che avevano disarmato tutti ammanettandoli con
delle fascette di plastica, compreso Grisha che era sotto la diretta custodia
di Nanaba.
«E sti cazzi no?» commentò Connie, che aveva un occhio nero perché nella
colluttazione oltre che darle le aveva anche prese. Era rimasto ammirato dal lavoro
di precisione di Gabi.
«Ottimo lavoro, brava! Questo stronzo finalmente non ci darà più problemi!»
commentò Sasha che era ansiosa di sapere dove fosse Niccolò, in quel marasma lo
aveva perso di vista quasi fin da subito. Mikasa stava osservando Eren. Era
devastante per lei vederlo così, ma non poteva lasciarsi sopraffare dalle
emozioni.
Prono, immobile, non aveva tentato di fare, o dire alcunché, aspettava inerme e
rassegnato la sua sorte.
Avrebbe voluto abbracciarlo dirgli tante cose, ma se lo avesse fatto non
sarebbe mai arrivata fino in fondo. Eren era la sua unica famiglia e lei stava
per sterminarla.
Stava appunto per puntare la pistola alla nuca e farla finita quando qualcuno
gridò forte: «FERMA!».
Si girò e vide Onyankopon che correva verso di lei trafelato.
La raggiunse e non riusciva a parlare per il fiato spezzato dalla corsa.
Aveva in mano una sorta hypospray(1) in acciaio.
«Sono riuscito a recuperarlo! Usa questo» le disse.
«Ma cos’è? Io devo usare la RIP e terminarlo, non c’è altra scelta!».
«Fidati. Usa questo, l’ho messo a punto io. Se non funzionasse, in un secondo
tempo, potrai sempre usare la RIP».
Mikasa non capiva perché Onyankopon le proponesse questa cosa, era turbata e
incerta.
«Fai come ti ha detto forse Eren potrebbe salvarsi» le disse Armin
sopraggiungendo e dando man forte ad Onyankopon.
A quel punto, come in trance, la ragazza prese l’hypospray in mano. Tanto
valeva tentare, anche se ci fosse stata una possibilità su un milione il gioco
valeva la candela.
«Sparagli sempre sulla nuca» la avvisò Onyankopon.
Lei annuì, si inginocchiò e senza indugiare fece quello che aveva promesso ad
Erwin: sparò.
Eren ebbe un lieve sussulto, il suo corpo tremò e poi chiuse gli occhi
rimanendo immobile come morto. «Comandante non ce la faremo mai!
Sono troppi!»
Stava dicendo affannato Moblit che insieme a Niccolò aveva combattuto come
avevano potuto per cercare di abbattere più titani non senzienti possibile.
Erwin non rispose e continuò a sparare furioso.
Furono raggiunti dalla squadra di Hanji e da quella di Nanaba che avevano
portato a termine le loro missioni e tutti si misero a dare il loro contributo.
Nonostante ciò non riuscivano a venirne a capo. Quei mutaforma erano davvero
tanti.
Moriremo tutti e sarà stato tutto inutile cazzo! Stava pensando Connie
mentre battagliava come un leone.
Non mi importa di morire, mi basta che si salvi lei… questa era la l’unica
preoccupazione di Jean rivolto a Mikasa.
Non moriremo qui, non oggi, questa è una promessa! disse a se stassa
Hanji.
Non volevo che finisse così moriranno tutti e io ne sarò responsabile, Pixis
non erano questi i patti! Erwin non si dava pace continuando a
guardare l’orologio.
Se devo morire sono felice di farlo con lui! Pensò Sasha guardando
Niccolò.
Venderò cara la pelle e combatterò fino a quando avrò fiato in corpo pensava
Gabi accanita.
Ognuno di loro stava rivolgendo un pensiero a qualcuno o qualcosa come se fosse
l’ultimo, tutti in fondo erano consapevoli che la morte presto li avrebbe
portati via con sé.
Sembrava tutto perduto ormai, quando dal fumo dei mutaforma abbattuti qualcosa
sembrò muoversi.
Da quelle nubi caliginose apparvero come dei veri e propri salvatori Kenny
Ackerman e la sua leggendaria squadra di tiratori scelti a cui si erano
aggiunti anche Marlo ed Hitch e diversi altri compagni che erano con loro
sull’isola.
«È qui la festa?» disse Kenny
ridacchiando e nel mentre già aveva abbattuto un titano.
«Finalmente!» disse Erwin rinvigorito «pensavo fossero saltati gli accordi!».
«E quando mai? I nostri capoccioni trovano sempre il modo di fare comunella,
soprattutto quando si tratta di soldi e armi! Avevi dubbi forse?».
«Smettiamola con le chiacchiere abbiamo un lavoro da fare» chiosò Erwin.
«Non vedo il mio adorato nipote» commentò Kenny con l’immancabile cicca(2) che gli pendeva dal labbro
mentre continuava a mietere vittime come se stesse falciando l’erba di un
prato.
«È ferito e messo molto male, credo sia in ospedale» s’intromise Hanji.
Kenny cambiò espressione: «Questo mi fa parecchio incazzare!» e cambiò marcia
diventando addirittura più veloce e letale di prima. Fu una nottata lunga e faticosa,
quando l’alba tinse di rosa il cielo, fece sembrare tutto quel fumo come nuvole
di zucchero filato, rendendo quasi accettabile quella distesa di corpi inermi
che erano il risultato della mattanza che era durata tutta la notte.
Quando il sole fu alto fu chiaro che finalmente era finita.
Esausti, sporchi e devastati si erano tutti stesi a terra a riprendere fiato,
cercando di non pensare che quei morti un tempo erano esseri umani esattamente
come loro.
Così il folle piano di Erwin aveva funzionato, ma nonostante ciò lui non
riusciva proprio ad esserne fiero…
I monologhi dell’autrice
Buona
domenica a chi legge. Come state?
Spero tutto bene!!!
Note: 1) Un hypospray è una versione
fittizia di un iniettore a getto. L’ hypospray è stato inventato e sviluppato dagli
sceneggiatori della serie originale di Star Trek a cui ho voluto fare omaggio, anche
se questi iniettori a getto ormai sono di largo uso nelle serie shi-fi
2) Cicca in dialetto toscano la cicca è la sigaretta
Sono consapevole che questi ultimi capitoli sono un po’ più duri e meno “leggeri”
degli altri, ma per quanto ci abbia messo impegno, non potevo proprio tenere in
vita quella cacca di Floch, scusate!
Questa volta ce l’ho fatta ad aggiornare, spero di farcela anche la prossima,
sennò come sempre vi dò appuntamento a tra 15gg.
GRAZIE di ♥ a chi sta leggendo questa storia,
a chi continua a metterla tra le seguite,
ricordate e preferite, un grande abbraccio riconoscente a chi ha il tempo e la
voglia di lasciarmi un feedback, vi voglio bene!
Ci ritroviamo con un
capitolo nuovo la prossima settimana, sennò più o meno, quella dopo ancora!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 30 *** Crazy stupid love ***
L’Isola
dei Dannati
A.o.T.
Mission-almost-Impossible
30
Crazy
stupid
love
L’autunno era esploso in tutta la sua bellezza, i colori
erano cambiati tingendo di arancio e giallo il paesaggio, mentre le foglie
avevano iniziato a cadere in mucchi fruscianti alle radici nodose degli alberi
lungo il viale. Tutto era pervaso da un pizzico di malinconia che era il
preludio ad un inverno lungo e freddo. Dalla finestra si poteva ammirare un vaporoso
velo di nebbia dalle cui coltri emergevano, come da un mare immaginario, i maestosi
grattaceli della città.
Mikasa sorseggiava un fumante tè al limone preso alla macchinetta del corridoio
dell’ospedale militare di Boston.
Erano giorni che la ragione faceva a pugni con il suo senso di colpa.
Eren giaceva immobile nel letto dell’ospedale, in coma, da quando con quell’hypospry
gli aveva iniettato direttamente nella nuca quello che aveva scoperto essere un
“inibitore”, così chiamato da Onyankopon che lo aveva messo a punto sotto le
direttive di Grisha. La piccola capsula era un gioiellino di nano tecnologie, secondo
il medico folle, avrebbe dovuto avere il compito di stoppare il processo di
trasformazione in titano, quando il medesimo rischiava dopo la prima mutazione,
di morire. Secondo Grisha doveva essere una sorta di stand by che lo
doveva aiutare a prevenire eventuali difetti e far morire meno cavie
possibile. Onyankopon però lo aveva modificato e migliorato, il suo intento era
quello di rallentare l’eventuale processo di deterioramento corporeo dei
mutaforma, di bloccare il loro stato geneticamente alterato, per poi trovare un
modo per farli tornare ad essere semplici esseri umani.
Eren era stato il primo in assoluto a cui era stato inoculato ed era subito
andato in coma.
Mikasa era conscia di aver colto un’occasione per potergli salvare la vita, ma
vederlo in un letto d’ospedale in quelle condizioni non era certo una
consolazione, tanto più che a breve Krista avrebbe partorito e lui non avrebbe
neanche avuto la gioia di saperlo.
Era sempre al suo capezzale anche perché non c’era effettivamente nessun’altro,
a parte Armin, che potesse andare a vegliarlo.
Spesso Jean l’accompagnava e la andava anche a riprendere. Non saliva mai a
trovare Eren, salvo qualche rarissima occasione e solo per qualche minuto. Non
ce l’aveva con lui, anzi sperava che potesse risvegliarsi, ma il suo prestarsi era
più che altro per lei, che era molto stanca e consumata da questo dovere morale
che si sentiva pesare sulle spalle. Rispettava il suo dolore e il suo mai
reciso legame con quello che senza dubbio era, o era stato, il più grande amore
della sua vita. Aveva capito che probabilmente, nel cuore di Mikasa, il suo
spazio poteva essere solo quello di un buon amico e si limitava ad essere
questo, perché le voleva davvero bene. Cercava di aiutarla come poteva,
sollevandola almeno dal guidare avanti e indietro tutti i santi giorni, ma era
deciso a passare oltre, infatti quella sera, dopo vari ripensamenti aveva
invitato a cena fuori una sua collega che sapeva essere cotta marcia di lui.
Megan era bella, simpatica, disponibile e lui desiderava voltare pagina. Non
era più un ragazzino e aveva accettato serenamente che era giunto il tempo di
andare oltre, o almeno di provarci.
*
«Levi è troppo pericoloso, ti prego di
riflettere» Hanji stava disperatamente cercando di farlo ragionare.
«Col cazzo che rimango seduto su questa sedia a vita. Preferisco rischiare e
non mi farai cambiare idea neppure tu!».
La donna si passò una mano sui ciuffi
che le danzavano intorno al viso in un moto di frustrazione: «Ma così rischi molto di più di un’infermità permanente!»
sbottò.
«Senti mi mancano due dita, un occhio e sono decisamente storpio, davvero pensi
che se mi si prospetta anche una sola opportunità su cento io non la coglierò?»
le disse frustrato.
Hanji istintivamente si toccò la benda nera che le copriva l’occhio offeso.
Levi al contrario ostentava il suo, spento da quello sbrego che gli solcava il
volto con aria di aperta sfida, come se volesse dire: mi avete spezzato ma
non piegato.
Certo a lei era andata decisamente meglio, ma anche la sua menomazione la
condizionava e non poco, solo che Hanji era diversa da lui e aveva un altro
modo di reagire alle cose.
«Che vita sarebbe la nostra eh? Tu che mi porti al parco spingendo la
carrozzina, io che faccio dieci passi con il bastone e poi mi rimetto su questo
trabiccolo per tornare a casa a bere tè e leggere libri? Eh no cazzo! Io ho
ancora molto da dare all’agenzia e a te. Voglio che quando siamo assieme la
gente dica: ma guarda quel nano con quella figa spaziale che culo che
ha, e non: guarda quei due poverini uno messo peggio dell’altro, si son
proprio trovati».
Aveva ragione e Hanji lo sapeva, ma aveva tanta paura, quello che gli avevano
proposto era davvero molto pericoloso, al limite della fantascienza, lo
avrebbero usato come uan sorta di cavia e lei era davvero preoccupata.
«Quindi non c’è niente che io possa fare o dire, tu non cambierai idea…» si risolse
a dire a voce alta, più per esprimere un pensiero, che per avere una risposta
che già conosceva.
«Hanji ti amo e proprio per questo voglio farlo» le rispose spiazzandola
totalmente. Non c’era bisogno che parlasse ancora, era implicito che volesse
essere un compagno, un marito e chissà forse un giorno anche un padre e non un
peso per lei. Non lo sarebbe mai stato ovviamente, ma poteva capire le sue
ragioni e poi quel ti amo così schietto e diretto, pronunciato per la
prima volta a voce alta e come rafforzativo ad una decisione che avrebbe potuto
costargli la vita, la sciolse dentro come un panetto di burro in padella.
«E allora sia…» le uscì dalle labbra con le lacrime che le pungevano l’occhio sano.
Poi
gli si avvicinò, si inginocchiò a lato della sua sedia a rotelle, gli prese il
viso tra le mani è lo baciò con disperato ardore. Lui poggiò la mano con le
dita mozze sul suo viso e chiuse l’occhio sinistro accogliendo quel bacio pieno
d’amore, paura, ma anche speranza, mentre con l’altro braccio cercò goffamente
di stringerla a sé.
«Guai a te se fai la testa di cazzo e ci lasci le
penne, giurò che troverò il modo di
fartela pagare anche nell’aldilà, hai capito bene?» lo minacciò lei con voce
rotta e lo sguardo lucido.
«Non c’è riuscita quella scimmia di merda alta quindici metri a farmi fuori, di
certo non lo farà un chirurgo specializzato. Abbi fiducia donna!» le rispose
tracciando il contorno del suo viso con una lieve carezza a tre dita.
*
«Hei!» le disse quasi timidamente per attirare
la sua attenzione. Non era più tanto sicuro che fosse stata una buona idea
quella di presentarsi nel suo ufficio senza neppure farsi annunciare.
La donna alzò la testa che aveva immersa in una babele di faldoni polverosi.
Aveva i capelli raccolti alla ben meglio con una pinza e dei grossi occhiali da
vista.
Guardò l’uomo davanti a sé per metterlo a fuoco e poi aprì la bocca per
parlare, ma non emise alcun suono.
«Ciao Marie, sì, sono proprio io» le sorrise amabilmente Erwin. Nonostante non
fosse più la ragazza di un tempo, la trovò ancora bellissima e anche se quegli
occhiali le mortificano il volto, mettevano comunque in risalto quelle iridi di
un verde intenso in cui era stato solito annegare quando stavano insieme.
Anche lei lo stava osservando stupita. Notò che era più serio di come lo ricordasse,
forse perché una ruga profonda gli solcava l’inizio del seno nasale, proprio in
mezzo a quelle due folte sopracciglia che esaltavano l’azzurro cupo del suo
sguardo. Era un uomo ormai, un gran bell’uomo, distinto, sempre caratterizzato
da quel portamento signorile che l’aveva incantata. Era così sorpresa e investita
dai ricordi, che si accorse solo in un secondo momento che il suo braccio
destro era stato amputato. Infatti la manica della giacca era piegata e appuntata
mostrando chiaramente e senza vergogna la menomazione.
«Erwin…» riuscì infine a dire togliendosi gli occhiali,
e aggiustando un ciuffo ribelle dietro un orecchio «che bella sorpresa, che ci
fai qui? Ma soprattutto come hai fatto a trovarmi?».
Lui che aveva subito notato che non portava alcuna fede all’anulare sinistro,
le sorrise scioccamente sollevato.
«Con il lavoro che faccio non è molto difficile rintracciare le persone, anche
se sono andate a vivere in campagna, molto lontano dalla città e fanno un
lavoro particolare, e come dire, nascosto?».
Lei che intanto aveva scaldato del caffè che teneva a portata di mano in una
grande caraffa elettrica, gli porse una tazza.
«Dopo la morte di Nil ho sentito la necessità di ritirarmi. Volevo stare sola
con me stessa. Così mi si prospettò questa opportunità e la afferrai al volo»
gli spiegò sommariamente. Era addetta a catalogare e trasferire su computer tutti
gli archivi antichi della contea, perché non se ne perdesse la memoria.
«Mi dispiace non sapevo nulla…» le disse imbarazzato, avrebbe voluto
avvicinarsi a lei ma di fatto rimase bloccato sul posto, come se fosse stato
inchiodato a terra.
«In realtà ci eravamo già lasciati da un anno quando scoprì di essere malato,
ma decisi di stargli comunque accanto lasciando anche il lavoro e non me ne
pento, ma è stata molto dura» gli spiegò spiazzandolo.
«Immagino» chiosò prima di assaporare un sorso della bevanda calda, che trovò
corroborante.
Restarono qualche minuto in silenzio a sorbire il caffè, dopo che lei lo aveva
fatto accomodare su una sedia di fronte alla sua scrivania. Bevevano e si
scrutavano, come se volessero capire qualcosa di più l’uno sull’altra.
«Senti mi dispi…». «Ma che hai fatt… ».
Dissero contemporaneamente parlandosi sopra l’un l’altra.
Risero.
«La parola alle signore» enunciò Erwin alzando la tazza e facendo un cenno con
la testa. Del resto era consapevole che fosse meglio far parlare prima lei.
Marie si risistemò per l’ennesima volta quel ciuffo dietro l’orecchio, poi lo
guardò seria «Che hai fatto a quel braccio?» gli chiese diretta.
Un uomo tramutato in una scimmia geneticamente modificata me lo ha tranciato
di netto durante una missione.
No, non era il caso, tuttavia non avrebbe potuto dirglielo comunque.
«Incerti del mestiere» si risolse a spiegare accennando un mezzo sorriso.
«Mio Dio deve essere stato terribile».
«Sicuramente non è stata una passeggiata, ma sono vivo e grato di esserlo. E
poi, a questo proposito devo fare una cosa molto importante, ma anche un po’
rischiosa…» aggiunse.
«Di che cosa si tratta?» gli chiese lei un po’ allarmata.
«Un’operazione, o qualcosa del genere. È complicato e sono desolato, ma proprio non posso entrare nei particolari».
Marie era interdetta. Dopo che si erano lasciati non si erano più visti né
sentiti, ora improvvisamente dopo anni si ripresentava così, all’improvviso e
diceva, non diceva. Era tutto confuso. C’era qualcosa sotto e lo voleva sapere.
«Erwin, dimmi il vero motivo per cui sei qui» lo inchiodò andando dritta al
punto.
Lui poggiò la tazza sulla scrivania e si passò la mano tra i capelli, poi la
guardò dritta negli occhi.
«Prima di affrontare questa operazione volevo mettere a posto le cose. Durante
la missione in cui sono rimasto menomato, una sera ho parlato a lungo con un
collega, un buon compagno, potrei quasi definirlo un buon amico, quella sera ho
capito che avevo bisogno di chiederti scusa. Sì lo so è un gesto davvero
avventato ed egoista, molto tardivo, probabilmente inutile, ma ultimamente ho capito
che non posso più rimandare le cose veramente importanti della mia vita».
*
Quella mattina il cielo era terso e azzurro.
Il giorno prima aveva piovuto, il sole
che splendeva alto si rifletteva nelle pozzanghere creando tremuli giochi di
luce.
Mikasa era seduta accanto al letto di Eren, all’ospedale. Come quasi ogni
mattina Jean l’aveva accompagnata. Non avrebbe mai immaginato che quel ragazzo potesse
essere così gentile e disponibile. Questa cosa l’aveva colpita moltissimo, ma
per lei Jean al momento era un argomento tabù, anche solo con se stessa. Aveva
volontariamente messo un veto su di lui. Eren era la sua priorità e il suo
senso di colpa la teneva in ostaggio.
Il ragazzo che aveva tanto amato ora giaceva lì, immobile, con gli occhi chiusi
e i lunghi capelli sparsi sul cuscino. Avrebbero voluto tagliarglieli ma lei si
era tenacemente opposta tanto da spuntarla. Sembrava che dormisse, se non fosse
stato per il respiratore sulla bocca e tutti i quei fili che lo tenevano
collegato a quella macchina che emetteva un lieve suono costante lampeggiando.
Il respiro era regolare e lui giaceva immobile, quasi sereno. La ragazza
sospirò. In quel momento entrò l’infermiera per la detersione giornaliera. Lei
si alzò e approfittò per andare a prendersi qualcosa di caldo alla macchinetta
adiacente la stanza.
Tutt’un tratto un campanello cominciò a suonare senza posa e il corridoio fu
investito da medici ed infermieri, che con sua angosciosa sorpresa correvano
tutti in camera di Eren. Presa dal panico lasciò cadere il bicchiere di carta
con il caffè, che andò a terra formando una pozza scura e fumante, poi senza
curarsene si precipitò da lui.
La porta era chiusa ma non la fermò, aprì e vide un gruppo di persone chine su
di lui, non fece in tempo a fare, o dire niente, perché un nerboruto infermiere
la prese per un braccio.
«Signorina mi dispiace ma lei non può stare qui».
«Ma che succede?» gli chiese in pena cercando di fare resistenza.
«Non lo sappiamo ancora, stiamo cercando di capire, la prego non complichi le
cose e aspetti qui» tagliò corto l’uomo portandola fuori dalla stanza e
richiudendo la porta dietro di sé.
Il cuore di Mikasa sembrava esplodere. Nella sua testa, di colpo, si affollarono
mille pensieri e tutti negativi.
Non
seppe neppure lei perché lo fece ma prese il telefono e chiamò Jean.
Avrebbe potuto chiamare Armin, ma non le venne neppure in mente.
«Ti prego vieni da me, credo che stia morendo e io
non ce la faccio a sopportare questa cosa da sola» gli disse senza neppure
salutarlo, con la voce rotta dalla disperazione e dalla paura.
Lui avrebbe voluto essere in grado di rifiutarle il suo aiuto, ma di fatto non
poteva proprio farlo. Sentirla così gli face male come ricevere una pugnalata. Afferrò
il cappotto, chiese permesso al suo superiore, prese la macchina e si precipitò
in ospedale.
La trovò in lacrime seduta fuori della stanza di Eren. Gli sembrò la scena di
un film già visto mille volte, eppure era comunque lì per lei.
«Ho avvertito anche Armin e gli altri ragazzi mi sembrava giusto farlo» le
disse palesandosi.
Lei si alzò di scatto e si gettò tra le sue braccia in cerca di conforto.
Jean espirò piano e prese ad accarezzarle i capelli che stavano tornado ad
essere più lunghi.
«Che cosa ti hanno detto?» le chiese in un sussurro.
«Non vogliono dirmi niente. È già quasi un’ora
che sono chiusi lì dentro…».
«Potrebbe essere positivo. Niente nuove, buone nuove no?» commentò cercando di
fare l’ottimista.
Lei scoppiò a piangere e lui si sentì ancora più stupido, non era nenache
capace a consolarla. La strinse forte a sé e prese a cullarla piano come se
fosse una bambina impaurita, ma non disse più una parola. Il suo cuore era
straziato dal dolore di Mikasa, ma era anche sinceramente dispiaciuto per Eren».
*
«Vorrei che tu mi lasciassi parlare senza
interrompermi» esordì Hanji molto seria.
Levi
la guardò alzando un sopracciglio «Come se fosse
facile farlo, interromperti intendo» ironizzò.
«Non voglio dissuaderti» lo tranquillizzò «ma non posso neppure mentirti, per
quanto ne abbia avuta la tentazione».
L’uomo non capiva dove volesse andare a parare, ma la cosa non gli piaceva per
niente. Quell’inizio presupponeva che dovesse dirgli qualcosa che non avrebbe
gradito, poi all’improvviso ebbe l’illuminazione.
«Hanji per favore non dirmi che vuoi fare quello che penso».
«Se vuoi non te lo dico, ma lo farò ugualmente».
«Perché maledizione?».
«E tu perché lo fai?».
«Perché ho una menomazione estesa e sono un rottame. Ti basta?».
«No, non mi basta».
«Quando fai così mi stai abbastanza sul cazzo Zoe».
«Oh beh, nenache io sono perfetta suppongo» gli rispose serafica.
Levi con un gesto di stizza cominciò ad armeggiare con le ruote della sua
carrozzina e fece per dirigersi fuori dalla stanza.
«Vedi? Non riesco neppure ad uscire e sbattere la porta con questa carretta di
merda e tu mi chiedi perché?» le sbraitò contro.
Lei gli si avvicinò «La mia era una domanda retorica, mi hai già spiegato i
tuoi motivi giorni fa e sono anche i miei».
«Ma a te manca solo un occhio cazzo! Perché rischiare così tanto? Io ti trovo
sexy anche con la benda e pure con un occhio di vetro se ti facesse sentire meglio»
sbottò.
Nonostante tutto la fece sorridere.
«Levi anche io voglio essere al cento per cento e anche io voglio continuare a
servire il mio paese al meglio delle mie capacità».
«È un rischio stupido ed inutile» le disse
adirato.
«Lo so che mi ami. Lo so che vuoi proteggermi, ma sai anche che siamo ciò che
siamo, fa parte del pacchetto completo. Ti ricordi in Iran quando dovevamo
fuggire e ci trovammo davanti a quel salto nel vuoto?».
«Me lo ricordo sì! È stata una delle poche volte in cui ho seriamente
pensato di non riportare la pellaccia a casa! Fortuna che sotto c’era quel
fiume».
«Ricordi com’è andata?».
Lui la fissò serio «Certo, non abbiamo neppure parlato, semplicemente mi hai
detto: giù tu, giù io, poi mi ha dato la mano e ci siamo lanciati nel
vuoto senza sapere se ce l’avremmo fatta».
«Esattamente Levi: giù tu, giù io» gli disse guardandolo intensamente con tutto
l’amore che sentiva per lui.
Fu come colpito da uno schiaffo, quella donna ne sapeva sempre una più del
diavolo e riusciva sempre (o quasi) a metterlo con le spalle al muro.
«Sei detestabile».
«Anche tu testone».
«E sia, hai vinto anche questa volta: giù tu, giù io. Facciamolo insieme».
*
«Volevo dirti un sacco di cose ma alla fine
se devo essere sincero mi sento un po’ stupido» ammise Erwin guardando il suo
piatto in cui la carne era rimasta intatta con tutte le patate di contorno.
Avevano deciso di pranzare assieme per parlare, ma ora si sentiva molto inibito
e a dire il vero anche molto fuori luogo.
«Sei sempre stato sicuro e deciso, questa tua nuova veste un po’ più imbranata
mi piace molto» gli disse lei addentando un boccone succoso.
Erwin sorrise. Era vero che fosse molto sicuro di sé, ma più in campo
lavorativo piuttosto che in quello sentimentale.
«Eravamo giovani, molto innamorati, ma anche molto immaturi, o almeno io lo ero
tanto» cominciò a dire decidendosi a mangiare il suo pasto. Parlare tra un
boccone e l’altro gli dava modo di poter riflettere su ciò che doveva dire.
«Non posso negare che fossi realmente sollevato dal fatto che non sarei
diventato padre, la cosa sul momento mi aveva terrorizzato, non ne vado fiero,
ma non ha senso mentire. Non era nei miei piani ed ero molto giovane e sprovveduto,
preso da un sacco di progetti».
Lei lo ascoltava in silenzio e lo fissava dritto negli occhi.
«Con il tempo anche io ho provato nostalgia per quel momento così importante. Però
mi rendo conto che all’epoca non ho minimamente capito il dramma che tu stavi
vivendo, sono stato superficiale ed egoista, ma questo non significa che non ti
amassi e che se fosse vissuto, non avrei amato quel bambino».
Marie stava per parlare ma lui alzò la mano e le fece cenno di aspettare che
finisse il suo discorso.
«Ho capito dopo, con il tempo, maturando, che sono stato davvero uno stolto a
non accorgermi di come tu stessi male per quella perdita. E ho spesso pensato a
come sarebbe stato essere padre di quel figlio mai nato, non ti nascondo che un
filo di rimpianto perseguita anche me quando ci rifletto. Tu giustamente mi
lasciasti ma mi crollò il mondo addosso e mi gettai a capofitto nel lavoro. Ho
pensato sempre molto a te. Mi chiedevo se eri felice con Nil, se vi sareste
sposati, se voi avreste avuto figli, ma ad un certo punto non ho voluto sapere
più nulla. Vi ho semplicemente lasciati andare. Era un gioco al massacro che mi
faceva molto male, ma nonostante ciò Marie, tu sei rimasta con me, in un angolo
del mio cuore, e niente e nessuno poteva cancellarti».
Prese fiato. Neanche lui avrebbe immaginato di lasciarsi andare così a cuore aperto.
Lei ora lo guardava in modo diverso, indecifrabile, sebbene a lui parve che i
suoi occhi avessero una nuova luce, o forse era solo la sua speranza a darle
quell’illusione.
«Quello che sto cercando di dirti è che dopo di te non c’è stata nessun’altra.
Certo ho avuto dei flirts occasionali, ma mai nessuna ha acceso in me quel sacro fuoco che scalda
anima e cuore e ti fa sentire felice e fortunato. Solo tu Marie l’hai fatto e
temo che non troverò nessuna che possa appiccarlo di nuovo».
Ecco lo aveva detto ammettendolo per la prima volta anche con se stesso. In
quel momento il comandante Erwin Smith, la seconda testa di serie della CIA,
uno degli uomini più temuti e più ammirati da tutte le intelligence mondiali,
era lì, nudo e indifeso, davanti a quella donna che non aveva mai smesso di
amare.
I
monologhi dell’autrice
Buona domenica,
arrivo sul fil di lana, ma arrivo! Come state?
Spero tutto bene!!!
Lo so che non è il luogo più adatto, ma ugualmente vorrei mandare un grande
abbraccio a tutti gli amici romagnoli che in questo momento stanno affrontando
una grande tragedia, se tra voi ci fosse qualche lettore di quelle parti di
cuore vi auguro di rialzarvi più forti di prima ♥
Tornado alla storia, ciome avrete notato, si cambia decisamente marcia e si entra nella sua terza e ultima parte, in cui il lato “romantico” la farà da
padrone. Spero che gradiate questi capitoli e che vi facciano sognare almeno un
po’ 😊
Il titolo del capitolo
si riferisce al film del 2011 (una commedia romantica) in cui recitano due dei
miei attori preferiti: Ryan Goslin e Emma Stone
GRAZIE a chi continua a seguire con interesse questa storia e la mia sincera
riconoscenza, come sempre, va a chi ha mi lascia le sue impressioni, cosa che
apprezzo molto e mi aiuta capire se mi sono spiegata bene per quanto riguarda
ciò che volevo dire.
Ci ritroviamo con un capitolo nuovo la prossima settimana sperando che il mio
tempo libero sia tornato a livelli umanamente accettabili!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 31 *** C'eravamo tanto amati ***
L’Isola
dei Dannati
A.o.T.
Mission-almost-Impossible
31
C'eravamo tanto amati
Al contrario dei
funesti pensieri elaborati da Mikasa, Eren si era risvegliato dal coma. Medici
ed infermieri si erano precipitati al suo capezzale per testarne le condizioni.
Subito si erano prodigati per fare tutta una serie di analisi necessarie a
capire come si stessero evolvendo le cose.
Passarono alcuni giorni in cui lei non si mosse dall’ospedale e poi poté
finalmente vederlo.
Timidamente si affacciò alla porta della camera e lo scorse.
Eren era seduto sul letto appoggiato con la testa su due grossi cuscini. Era molto dimagrito, passare del tempo fermo,
immobile, non aveva di certo giovato al suo aspetto. Il tono muscolare era
leggermente scemato e due grosse e vistose occhiaie violacee, gli solcavano il
contorno occhi mettendo in risalto il verde delle sue iridi, che apparivano
ancora più grandi del solito e anche un po’ smarrite.
Aveva una flebo attaccata al braccio e un groviglio di fili colorati, lo
tenevano sotto controllo attraverso un monitor pieno di impulsi a lucine
intermittenti.
A Mikasa si riempirono gli occhi di lacrime e restò in silenzio a guardarlo, non
sapeva bene come comportarsi. Era stata una
liberazione da un’angoscia violenta che la stava consumando come una candela.
«Credevo fossi morto!» scoppiò tra i singhiozzi e lasciando che tutta l’amarezza
e il dolore fluissero finalmente da lei svuotandola.
Il ragazzo la guardò affettuosamente «Beh diciamo che la tua intenzione non era
quella, altrimenti lo sarei per davvero, non sbagli un solo colpo tu» poi la
obbligò a guardarlo «Grazie di avermi salvato la vita» gli disse sinceramente
grato indicandole la sedia perché si accomodasse.
«In verità il merito maggiore va ad Onyankopon, mi sono solo fidata di lui, mi
sarei attaccata alle funi del cielo per impedire la tua morte, non potevo non
afferrare quella speranza» ammise sincera «Come stai?» riuscì poi a chiedergli
in un soffio. Aveva così tanto desiderato che non morisse che ora quasi le
mancava il fiato.
Lui si portò una mano alla testa «Bene… un po’ frastornato direi».
«Che ti hanno detto? Cosa accadrà adesso con l’inibitore?».
«Sembra che funzioni e sembra che possa essere una scoperta molto utile, ma è
ancora tutto in divenire».
La ragazza annuì poi prese di nuovo a guardarlo. Era felice che fosse vivo, una
felicità che faceva quasi male da quanto era forte. Eren in certo senso era quasi
la sua famiglia, il suo mondo, perderlo sarebbe stato devastante.
Lui non lasciava mai trasparire del tutto i suoi
sentimenti e pareva molto serio «Mikasa… perdonami» le disse infine in tono grave.
«Sei tu quello che deve perdonare me, ti ho quasi ucciso, non parliamone più».
«Non dire sciocchezze hai fatto quello che dovevi. Vedi sono stato per
morire e questo mi ha fatto capire che non bisogna mai rimandare niente a dopo». Il suo sguardo era così cupo che la face preoccupare. «Hai
saputo più nulla di Krista?» gli chiese di getto sentendo l’urgenza di cambiare
argomento. Il suo atteggiamento la preoccupava, non era certa di voler portare
avanti quella conversazione.
«Ci siamo video chiamati prima che tu entrassi» le rivelò sbrigativo.
«Allora come sta? Sarai presto padre vero?» lo incalzò.
«Lo sono già… ha partorito. Ma ti prego…».
«Ma è una bellissima notizia! Mi dispiace che tu non fossi presente, allora
come ti senti?».
Eren non nascose un gesto di stizza.
«La verità? Non lo so. Non mi rendo neppure conto, cosa vuoi che ti dica? Sta
succedendo tutto in fretta e questa è una cosa forse troppo grande da un certo
punto di vista. Sono molto impaurito. Temo di non essere all’altezza di accudire
e rendere felice un essere piccolo e innocente…» poi dei forti colpi di tosse
lo interruppero.
Mikasa, che era rimasta molto sorpresa dalle sue parole, subito prese
dell’acqua e lo fece bere tenendogli la testa. Quel gesto però infastidì Eren.
«Sono in grado di farlo da solo!» le disse prendendole il bicchiere di mano.
«Volevo solo aiutarti» si giustificò lei mortificata.
«Lo so. Ed è questo il tuo problema Mikasa, tu sei sempre apprensiva con me,
fin troppo presente e gentile».
La ragazza abbassò lo sguardo.
«Scusa, non volevo fare lo stronzo, mi dispiace» le disse sincero.
«Okay non importa» gli rispose pulendosi il naso con la manica della maglia
come faceva da bambina, si sentì stupida ma non aveva più fazzolettini.
«Posso parlare? Mi prometti che mi ascolterai?» le chiese attirando la sua
attenzione.
Mikasa annuì.
«Ho aspettato troppo per poterti fare questo discorso. Non sai quanto ho
sofferto a volte. Purtroppo avevo fatto una scelta molto radicale e difficile,
ma anche molto importante» cominciò partendo da lontano era doveroso farlo. Prese
fiato e bevve un altro sorso d’acqua «I miei problemi, quelli che ho sempre
avuto, ho scoperto da poco che sono in parte il frutto di certi esperimenti di
mio padre, che mi ha usato come cavia, tra le altre cose, per avviare uno
studio sul controllo mentale».
«Ho saputo qualcosa in merito» annuì lei.
«Quando all’epoca mi resi conto che Grisha era un pericoloso esaltato, mi sono
sentito in dovere di fare qualcosa e Pixis me ne ha data l’opportunità. Non lo
sapevo, ma lui già era al corrente di molti fatti perché era in contatto con l’intelligence
del Mossad che era diversi passi avanti a noi e per un motivo ben specifico».
S’interruppe e la guardò serio «Quello che sto per dirti è coperto da segreto militare
e nazionale, non so se e quando Pixis vorrà condividerlo con l’agenzia, ma so
che posso fidarmi di te, vero?» le chiese indagandola con uno sguardo severo.
«Certo» fece la ragazza piuttosto sorpresa. La faccenda le sembrava così
misteriosa e strana, quasi surreale.
«Tutto cominciò quando Rod Reiss compì la sua ascesa politica. Fu aiutato da
suo fratello Uri il quale, si può dire, fu il vero fautore della sua vittoria.
La famiglia Reiss è molto potente e famosa, sono un clan affiatato e con i
giusti agganci per arrivare in alto a livello mondiale per via della loro
grande influenza e per le giuste amicizie, nonché per vari agganci con i
servizi segreti di molte nazioni».
Mikasa lo seguiva molto curiosa e stupita. Non ne sapeva nulla di tutta questa storia.
«Rod era ossessionato dal potere. Non gli bastava essere un governatore e un
giorno forse un presidente, voleva molto di più. Quando Uri si rese conto delle
folli mire del fratello cercò di arginarlo, ma era troppo tardi. Quello aveva
già contattato mio padre e insieme avevano già dato vita al progetto “Ymir”,
appoggiati ovviamente da quelle superpotenze che ne potevano trarre il loro
interesse. Quindi fu costretto a battere in ritirata e a fargli credere di
avere campo libero per poterlo combattere da dietro le quinte, a sua insaputa. Si
appoggiò ad una grande potenza che non posso nominare e, insieme al nostro
presidente, dovevano fermare i progetti criminali di questi due folli».
«Ma tu ne sapevi qualcosa?» chiese la ragazza sbalordita.
«No. Ero totalmente all’oscuro inoltre avevo già le prime dissociazioni
mentali, per cui a momenti ero lucido e altri ero fuori di me, in balìa di Grisha.
Credevo di essere un malato mentale, uno schizofrenico, o qualcosa del genere,
perché sentivo delle voci nella testa e lo rivelai al medico, il quale
mi disse che se lo fossi stato realmente, non me ne sarei potuto rendere conto
così lucidamente. Così il mio disagio e la mia confusione aumentava ogni giorno
provocandomi gravi crisi esistenziali».
«Mio Dio! Ma perché non ne me hai mai parlato?» gli chiese la ragazza.
«Non ero in me Mikasa, non ero io. Era lui che dominava la mia testa».
«Per questo a volte eri dolce e innamorato e a volte eri fuori di te e mi
trattavi da cani….» commentò a voce alta la ragazza.
«Più o meno» ammise.
Ci fu un attimo di silenzio. Mikasa era abbastanza sconvolta.
«Per farla breve Pixit mi propose un’azione sotto copertura per mettere Reiss
in una posizione di grave svantaggio e soprattutto per poter fermare mio padre,
che stava già compiendo esperimenti immorali e pericolosi» bevve di nuovo e la
guardò serio «Ma tutto questo iniziò molto prima di quanto vi è stato detto in
missione. Infatti non andai subito a Paradise perché prima mi chiese di sedurre
Krista che aveva scoperto essere la figlia di Reiss. Dovevo farle perdere la
testa per usarla contro il padre e
minacciare di rivelare la sua identità al mondo, per poter ricattare Rod. Talvolta all’epoca, lo ammetto, con te ho
simulato reazioni fittizie per portare avanti il piano».
Mikasa lo guardò esterrefatta stava per aprire bocca ma lui la precedette.
«Sì lo so che è folle ed è anche per questo ho mandato all’aria il nostro
matrimonio. All’epoca ero certo che poi avresti capito e che avremmo potuto rimettere
tutto a posto una volta finita la missione. Volevo fare il bene della mia
nazione essere un eroe e volevo vendicarmi di Grisha, ma…» e si interruppe.
«Ma?»gli fece eco lei in confusione totale. Non sapeva se essere arrabbiata o
cos’altro, era tutto davvero fuori da ogni logica.
Eren sospirò forte, tossì nervosamente e poi le tese la mano perché la
prendesse. Mikasa non stava capendo più niente, ma accettò il suo invito.
«Siediti sul letto. Vicino a me» le chiese dolcemente.
Lei ubbidì frastornata. Era troppo confusa per opporre resistenza.
Lui la guardava in un modo nuovo, con dolcezza, ma anche con un velo di
tristezza che gli offuscava lo sguardo. Soffriva era indubbio, ma quale fosse
il motivo di quella sofferenza lei ancora non lo comprendeva appieno.
Quando fu pronto riprese a parlare «Non sai quanto mi dispiace averti fatto del
male. Averti mentito. Averti raggirata. Vorrei però che ti fosse chiara una
cosa. Non mi sono mai preso gioco di te. La nostra storia era sincera e ti ho amata
davvero Mikasa. Con tutto me stesso, sebbene alla mia maniera».
Era smarrita, bombardata da informazioni che mai avrebbe pensato o immaginato,
restò in silenzio. Si sentiva ancora più in colpa per non aver capito cosa lo
affliggesse e il calvario che aveva patito, mentre lei era stata arrabbiata e
lo aveva profondamente detestato.
«Non ho mai dubitato del nostro amore, anzi quando ti ho chiesto di sposarmi
ero davvero convinto che fossi la donna della mia vita… solo che dopo,
frequentando Krista, ad un certo punto qualcosa in me è cambiato. Lei è una
ragazza molto dolce ma anche risoluta, non mi ha mai fatto sconti. Con il tempo
mi sono reso conto che io e te, per quanto ci volessimo bene, non eravamo
giusti l’uno per l’altra. Ho capito che l’amore da solo non basta, servono
certe affinità che a noi mancavano e che non potevano essere compensate solo
dal bene reciproco o dall’attrazione fisica».
«Ma che stai dicendo?» gli chiese ferita da quelle parole che le parvero da
parte sua una scusa comoda. Non ci capiva più niente era annebbiata da troppi
sentimenti contrastanti per poter ragionare lucidamente. Fino a quel momento lei
era quella cattiva che si era allontanata da lui senza capirne
l’effettivo dramma interiore. La superficiale che non aveva approfondito, che
non aveva lottato abbastanza per il loro amore facendolo appassire e ora lui
cambiava un’altra volta le carte in tavola. Quindi alla fine era tutto molto banale,
come aveva sempre creduto: si era innamorato semplicemente di un’altra? E allora
tutto questo discorso a che serviva? A indorarle la pillola?
«Rifletti Mikasa. Io ero sempre insofferente e non certo solo per l’influenza
di mio padre. In realtà lo sai meglio di chiunque altro, io sono così, è il mio
carattere. Sono un impulsivo, uno che ha problemi di gestione della rabbia, ma
anche uno che vuole sempre di più, che non si accontenta mai, che ha sempre
qualcosa da inseguire. Tu invece eri sempre pronta a perdonare, ad accogliere,
a proteggermi, a sacrificarti, a fare un passo indietro. Per me era confortante,
quasi come se mi facessi da madre. Era molto facile stare con te, un porto
sicuro dove potevo sempre attraccare, perché anche se facevo qualcosa di
sbagliato sapevo che tu mi avresti perdonato comunque».
La ragazza lo ascoltava incredula. Sebbene potesse sembrare che in qualche modo
la stesse accusando, era stata spiazzata per come le sue parole, una dopo
l’altra, stessero come scostandole un velo dagli occhi. Come se solo ora
potesse vedere con lucidità i fatti. Si rese conto che stava analizzando molto
freddamente il loro rapporto e che forse tutti i torti non li aveva, perché le
cose che stava dicendo erano tristemente vere. Avrebbe voluto intervenire, ma
lui non le dette modo di farlo e proseguì.
«Quella che doveva essere una semplice missione alla fine mi ha cambiato profondamente»
gli disse serio come forse non lo aveva mai visto prima. «Doveva essere tutta una
finta, ma come sai, mi sono davvero innamorato di Krista. Perdonami per quello
che sto per dirti, ma credo sia giusto che tu lo sappia» era conscio che quelle
parole potessero ferirla, ma sapeva che era necessario, questa faccenda era
rimasta fin troppo in sospeso.
«Non preoccuparti… sputa il rospo» lo incoraggiò lei che voleva finalmente
sapere tutta la verità.
«Lei non mi ha assecondato, ma mi ha lasciato libero di essere me stesso, mi ha
anche cazziato a dovere in certi casi, ma allo stesso tempo mi ha dato modo di diventare
quello che la proteggeva, e non quello che viene protetto, forse in un certo
senso mi ha permesso di esercitare un ruolo che non avevo mai avuto modo di
sperimentare con te. Vedi tu non te ne rendevi conto, ma a volte eri davvero
molto pressante nei miei confronti, a tratti mi sentivo soffocare, lei mi ha
responsabilizzato, mi ha instradato a fare l’adulto, ma la cosa più importante
che ci ha uniti è che io e lei siamo molto vicini come esperienza di vita. Abbiamo
subito traumi simili, anche se diversi, per via dei nostri genitori. È come se parlassimo la stessa lingua, non so se mi spiego.
Insomma Mikasa non era previsto, né è stato cercato, ma è accaduto: ci siamo
innamorati e lo sai meglio di me che l’amore non chiede il permesso, arriva ti
travolge e tu non puoi che subirlo è un incantesimo a cui non puoi sottrarti. Neppure
se lo vuoi».
Da una parte quelle parole facevano un po’ male, dall’altra erano rivelatrici,
ma Eren non aveva ancora finito.
«Tra me e te c’era un legame bello e fortissimo, ma che non era abbastanza,
altrimenti non mi sarei potuto innamorare di lei. Probabilmente essendo il
nostro primo amore, che ci ha travolti da ragazzini, ma anche consumati, poi non
è rimasta che solo cenere, che alla prima ventata si è dispersa. Non saremmo
andati lontano comunque. Lei invece mi completa e quando è rimasta incinta non
ho avuto più dubbi. Ho capito che quello era il mio futuro».
Mikasa si sorprese perché dopo quella confessione si sarebbe aspettata un
dolore che le dilaniasse il cuore e straziato l’anima, oppure una grande rabbia
che la divorasse come un drago, invece si sentì infinitamente leggera anche a
discapito del suo orgoglio ferito. Probabilmente inconsciamente anche lei era già
arrivata da tempo a quelle conclusioni, solo che non era stata ancora pronta a farci
i conti.
«Forse hai ragione» ammise «non è detto che pur amandosi molto si possa vivere
una vita insieme felici e contenti. Mi rendo conto che anche io ho bisogno di
qualcosa di diverso da un ragazzo problematico da accudire e proteggere…»
ammise.
«Lo sai vero che sarai sempre una parte importante della mia vita» le disse
tendendole le braccia. Aveva bisogno di sentirla vicina.
Mikasa, che comunque gli voleva un mondo di bene accolse il suo invito e si
rannicchiò nel letto contro di lui, facendo attenzione alla flebo e ai fili del
monitor. Eren come sempre si sentì a casa, era sempre confortevole godere di un
suo abbraccio.
«Spero che un giorno tu possa perdonarmi» le confessò alitandole sui capelli mentre
la teneva stretta. Non poteva sopportare di averla fatta soffrire, anche se non
era più innamorato era pur sempre la sua Mikasa.
Lei scostò la testa e fece in modo che il loro sguardo si incontrasse.
«Ti ho già perdonato da tempo, non l’avevi capito?».
Lui le sorrise appena e gli scostò un ciuffo dagli occhi: «Avevo bisogno di
sentirtelo dire. Ho sofferto molto nel doverti mentire e trattare male, anche
se era per il tuo bene».
«Eren ma com’è che sei diventato titano?» gli chiese all’improvviso, aveva
quella domanda sulla punta della lingua da tempo.
Lui espirò forte dalla bocca.
«Io e mio fratello Zeke siamo state le prime inconsapevoli cavie di questo
scempio. Grisha, quel folle, ha testato su di noi di tutto. Non eravamo figli,
ma cose da usare. È stato terribile sia
per me che per Zeke» disse con un lampo di dolore che gli attraversò gli occhi.
«Quindi tu eri titano già all’epoca dell’addestramento?» gli chiese infine
basita.
«Sì ma io ho scoperto di esserlo solo a Paradise, quando mio padre mi ha
rivelato il mio potere e mi ha insegnato come liberarlo. Ovviamente poi avvisai
Pixis che fu ben contento di questa scoperta».
«Ma è terribile!» commentò angosciata.
«Lo so…» ammise amaro Eren e la strinse ancora più forte a sé. Aveva bisogno di
calore e affetto, in quel momento si sentiva fragile. Krista era lontana e lui
si sentiva solo ed era ancora molto prostrato per via del coma. C’era solo lei
a dargli conforto. Aveva un disperato bisogno di calore umano e l’abbraccio
caldo e accogliente di Mikasa era un balsamo per la sua anima tormentata. Affondò
il viso tra i suoi capelli cercando rifugio in quel porto sicuro e conosciuto
di cui parlava prima, per puro affetto fraterno e senza malizia alcuna.
Jean che era appena arrivato dopo che aveva saputo la notizia del suo risveglio
dal coma, si fermò di colpo davanti alla vetrata adiacente la porta dato che le
tende erano state scostate dagli infermieri. Li colse abbracciati stretti sul
letto. Fu come ricevere uno schiaffo in pieno viso e si sentì un intruso. Non fece
niente, nessuna reazione, solo il suo stomaco cominciò a torcersi come se si
annodasse. Non si palesò e sebbene fosse davvero contento che Eren si fosse
svegliato, capì che lì non c’era posto per lui. Mestamente girò i tacchi e se
ne andò silenzioso, come se non volesse disturbare, quella scena era stata una
stilettata dritta al cuore.
Intanto Eren appena più sollevato si sciolse da quell’abbraccio, non aveva
finito di parlarle.
«Ascoltami ciò che sto per rivelarti potrebbe costarmi la vita».
Lei lo guardò non capendo, ma non voleva che si agitasse «Allora tu non dirmelo»
lo fermò preoccupata da questa sua nuova sortita.
«No, voglio che tu lo sappia è importante per tutti i titani» aggiunse serio.
«Va bene allora ti do la mia parola. Non lo rivelerò a nessuno se tu non mi
darai il benestare».
«Quando Kenny mi rapì…»
Ma proprio in quel momento furono interrotti dai ragazzi, che a sua volta
avvisati da Jean, si erano precipitati tutti insieme da lui. Irruppero nella
stanza come un tornado circondando il letto e mettendo a disagio Mikasa che
subito scattò in piedi.
«Eren! Come stai amico mio?» esordì festoso Armin.
«Ehi pellaccia lo sapevo che ce l’avresti fatta!» si unì Connie.
«Ti ho portato biscotti e dolcetti, ma se vuoi un panino, o una bella pizza
basta chiedere, lo so che in ospedale il mangiare fa schifo!» gli disse Sasha
facendogli l’occhiolino.
Con grande sorpresa si rese conto che c’erano anche, Gabi, Falco, Galliard e
Piek oltre Annie, Reiner e Niccolò.
Mikasa sbirciò tra loro per rendersi conto di dove fosse Jean, ma lui non
c’era…
I monologhi
dell’autrice
Ciao, sono in ritardo di due giorni, ma se questo
maggio non finisce io muoro!
Ben ritrovati, come state?
Spero tutto bene!!!
Allora una cosa che mi
sono dimenticata di specificare la volta scorsa: ho scritto appositamente Nil e
non Nile perché voglio lasciare al lettore la libertà di immaginarlo come Nile,
ma anche no, ovvero come un Nil qualsiasi, non avevo voglia di rendere uguale
al canon questa parte della storia riguardante Marie, suo marito ed Erwin,
quindi scusatemi della dimenticanza.
Il titolo di questo capitolo si riferisce ad un film italiano del 1974 diretto
da Ettore Scola.
Ringrazio ancora TUTTI i lettori in particolare chi ha sempre voglia e tempo di
lasciarmi un feedback, avete la mia sincera riconoscenza J
Sono di fretta quindi vi saluto di corsa con un avviso: non potrò aggiornare
prima di martedì o giovedì della prossima settima perché il mio tempo libero
non è ancora tornato a livelli umanamente accettabili… sigh….
See ya! ♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 32 *** Avengers o Xmen? ***
L’Isola
dei Dannati
A.o.T.
Mission-almost-Impossible
32
Avengers
o
Xmen?
Rientrati alla base ormai da qualche mese,
dopo la fine della loro missione avevano vissuto tutti in un edificio militare
a Boston vicino al grande ospedale, anch’esso militare, dove tra le altre cose era
stato curato Eren che era stato dimesso da pochi giorni, ma non era presente
alla riunione che era stata indetta per mettere tutti a conoscenza della svolta
che avevano preso le cose.
«L’isola di Paradise non esiste più» esordì Pixis «O meglio, esiste ancora non
è stata distrutta, ma totalmente evacuata. Abbiamo fatto credere che la
battaglia fosse stata in realtà una lunga serie di esplosioni nucleari e che l'intera
area fosse totalmente radioattiva, quindi inabitabile e pericolosa. Grazie ai
media di potere mistificare la realtà è stato un gioco da ragazzi e così direi
che per quanto la riguarda l’isola in sé, la nostra missione è felicemente e
positivamente conclusa».
«Che avete intenzione di fare con Grisha?» chiese Jean sulla difensiva, gli
sembrava tutto molto semplicistico.
Gli rispose il suo capo Dallis Zacklay che
presiedeva la riunione assieme a Pixis. «È
attualmente detenuto nel carcere di massima sicurezza per criminali con
problemi mentali: Arkham Asylum(1) insieme a tutti i suoi collaboratori, Reiss compreso».
«Pensavo che quel posto fosse una leggenda metropolitana» commentò ridacchiando
Connie.
«Invece esiste ed pieno di delinquenti pazzi » lo fulminò Pixis.
«Scusi ma i nostri superiori che fine hanno fatto? E perché non sono qui?»
chiese Armin intromettendosi e cambiando argomento. Era da tempo che non aveva
notizie di Erwin, Levi ed Hanji che sembravano spariti nel nulla.
«Lo saprete a tempo debito» chiosò sbrigativo Pixis.
«E di noi invece che ne sarà?» chiese accigliato Galliard riferendosi ai titani
sopravvissuti.
«Beh che ci crediate o no, non era mai stata realmente presa in considerazione
l’opzione di farvi fuori a priori. Non volevamo darvi false speranze ma ora
sembra che ci potrebbe essere una via d’uscita per tutti voi».
«E sarebbe?» chiese Falco interessato.
«Per prima cosa dobbiamo testare anche su uno di voi l’inibitore, per vedere se
funziona per tutti e congelare le vostre mutazioni a tempo indeterminato,
così come abbiamo fatto con Eren. Poi c’è una grandissima novità, ma di questo
credo sia meglio che ve ne parli, quando sarà il momento, Onyankopon è lui che
l’ha studiata e la sta mettendo a punto. Piuttosto ci servirebbe un volontario
per vedere se ha reazioni diverse da Eren, per ora siamo ancora in fase teorica
e dobbiamo avere risposte concrete, ma non vogliamo essere noi ad obbligarvi,
vogliamo sia una vostra scelta».
Galliard stava per farsi avanti ma Falco alzò la mano e lo precedette «Mi offro
io».
Gabi trasalì come punta da un’ape «Ma sei scemo? Non vedi proprio l’ora di
morire eh?» lo redarguì guardandolo malissimo, non le piaceva che corresse
questo rischio per primo. Le incognite erano tante e pericoli ancora di più,
gli era andata bene una volta quando si era fatto ibridare, perché sfidare di
nuovo la sorte?
«Non credo che morirò. Eren è sopravvissuto e da qualcuno bisogna pur iniziare,
preferisco togliermi il pensiero» le rispose sereno.
«Questo tuo masochismo è proprio da stupidi e tu sei di gran lunga il più
stupido di tutti!».
Il ragazzo sorpreso la guardò «Allora sei davvero preoccupata per me?».
«Certo cretino!» gli ripose adirata dandogli un pugnetto su una spalla.
Istintivamente lui cercò la sua mano e la strinse, quasi come se temesse che
lei potesse fuggire «Ora che ho scoperto che non mi odi più posso affrontare
qualsiasi cosa» le confessò felicemente candido Falco.
Gabi non ritrasse la mano ma non rispose e arrossendo abbassò lo sguardo. Non
era così che avrebbe voluto fargli sapere che lo ricambiava, ma ormai era fatta
e intrecciò le dita con le sue carezzandogli il palmo con il pollice. Lui la
guardò sempre più stupito e poi le sorrise. Avrebbe voluto abbracciarla e
baciarla, ma lì davanti a tutti non era il caso e poi si sarebbe vergognato
come un ladro.
«Non ci avete spiegato niente di concreto. Gli Jeageristi e Zeke che fine hanno
fatto? E perché Eren non è qui?» puntualizzò Reiner. I gran capi erano sempre
così fumosi, d’altronde facevano riferimento direttamente alla politica e di
quelli sì non c’era mai da fidarsi, anche quando sembravano i buoni.
«Domande lecite Braun. Cominciamo dalla più semplice: Eren è volato dalla sua
compagna per vedere dal vivo la sua bambina» esordì Pixis.
«Ma come? Davvero avete lasciato andare via uno che voleva distruggere
l’umanità? E poi dov’è, si può sapere?» saltò su Annie davvero scandalizzata.
«Leonhart non è che siamo esattamente degli sprovveduti è stato accompagnato da
chi di dovere ed è tenuto strettamente sotto controllo. Oltretutto, va
monitorato costantemente perché Eren ha subito dei danni irreversibili grazie
agli esperimenti di suo padre. Purtroppo la sua personalità borderline non
potrà mai più essere del tutto sanata. Con le giuste cure però potrà fare una
vita normale e sarà congedato dall’agenzia. Soddisfatta?» chiese alla ragazza,
poi continuò rivolto verso Reiner «Gli Jagheristi che sono sopravvissuti alla
mattanza sono stati tutti arrestati. Per quanto riguarda Zeke possiamo dire che
lui non c’è più».
«Cioè è morto, giusto? Quello stronzo ha quasi ammazzato il capitano e Mike»
commentò Sasha.
«No. Non è morto, ma forse sarebbe meglio se lo fosse, infatti stiamo valutando
cosa farne di lui».
Si guardarono tutti senza capire, a quel punto fu Dallis
Zacklay a sputare il rospo. «Per farla breve l’implosione della bomba che
Levi gli ha fatto ingoiare ha incasinato il suo DNA, che cercando la
rigenerazione in una situazione in cui i suoi organi interni erano tutti
spappolati, si è come fuso amalgamandosi con l’ibridazione e la scimmia ha
preso il sopravvento».
«Cioè?» chiese Armin confuso.
«Attualmente Zeke è trasformato permanentemente una scimmia di circa quindici
metri. Crediamo che sia senziente ma non ne siamo certi perché ha anche perso
l’uso della parola e si comporta in tutto e per tutto come un primate. Questo è
quanto. Lo abbiamo messo in una area protetta dentro una gabbia, ma non
possiamo fidarci, potrebbe essere tutta una sceneggiata».
Connie non ce la fece e scoppiò in una fragorosa risata «Il capitano lo ha
proprio conciato per le feste!».
«Anche Zeke il capitano però» lo rimbeccò amara Mikasa.
«Per ora è tutto. Procederemo con l’inoculazione a Falco
e ci aggiorneremo quando anche Erwin, Levi, Hanji ed Eren saranno presenti»
concluse Pixis sciogliendo la riunione.
*
Da quando si erano rivisti non avevano più
parlato, ma Armin era deciso, un chiarimento tra loro ci doveva essere.
Annie lo aveva accolto senza particolare entusiasmo, con quella sua aria priva
di empatia che la caratterizzava, ma che non corrispondeva esattamente alla
realtà.
«Che vuoi Arlert?» gli chiese spiccia e mantenendo una certa distanza.
«Lo sai che dobbiamo parlare, quando ci siamo ritrovati c’era una missione da
compiere e non era il caso, ma ora è giunto il momento di farlo» le rispose
serio.
«Pensavo non ci fosse più niente da dire».
«Capisco che tu ti senta in colpa per non avermi detto che eri viva e per
quello che hai dovuto fare per l’agenzia, ma io non ti giudico. Voglio solo sapere
come stai».
Lei lo puntò dritto negli occhi era conscia che Armin fosse la sola persona che
avesse conosciuto, che era andata oltre quel suo atteggiamento volutamente
indisponente. Aveva visto dietro la maschera che indossava con disinvoltura.
Questa sua peculiarità non l’aveva mai lasciata indifferente.
«Sto bene» rispose lapidaria.
«Perfetto, allora suppongo che me ne posso andare. Non ti obbligherò a parlare
con me, né a fare niente che tu non voglia. Non posso aiutarti se tu non vuoi
essere aiutata» concluse non senza frustrazione Armin, ma non poteva lottare
contro i mulini a vento. Si girò e fece per andarsene, Annie lo guardò e
qualcosa si accese in lei, capì che questa volta se non l’avesse fermato non ci
sarebbe stata un’altra occasione. Quel ragazzo era una persona fantastica,
molto intelligente, paziente ed empatica, ma come tutti aveva una linea oltre
la quale non ci sarebbe stata via di ritorno. Guardandolo avviarsi alla porta
ebbe la netta sensazione che stesse proprio per superarla.
«Aspetta!» gli disse di getto.
Lui sì girò e la guardò enigmatico.
Ci fu un momento di pesante silenzio, poi lui le fece cenno di parlare.
«Siediti che ti faccio un tè» gli disse con quel suo fare scarno.
Armin avrebbe voluto replicare ma volle darle il beneficio del dubbio e si
accomodò sul divano.
«Latte o limone?» gli chiese qualche minuto dopo porgendogli una tazza fumante.
«Latte, grazie» le rispose abbozzando un sorriso. Le stava lasciando lo spazio
necessario perché lei si decidesse a parlare.
«Non te l’ho mai detto, ma sono stata adottata. L’ho
scoperto abbastanza presto e questo credo abbia fortemente condizionato la mia
vita» cominciò Annie.
«Posso immaginare…» si limitò a dire Armin sorseggiando con cautela quel tè
bollente.
«Ho sempre vissuto chiedendomi chi sono veramente e
perché i miei genitori, o sicuramente mia madre abbiano scelto di abbandonarmi.
Allo stesso tempo ero molto grata al mio padre adottivo che aveva deciso di
crescermi e da solo».
Armin restò in silenzio, che poteva dire del resto? Era lei che doveva aprirsi
e lui continuò semplicemente ad ascoltarla.
«Così mi è parso naturale dover continuare la strada intrapresa da lui».
Il padre di Annie era un generale dell’esercito che collaborava con i servizi
segreti.
«Sono risultata bravina e anche portata, ma quando ho conosciuto voi ragazzi e
in particolare te, qualcosa dentro di me è cambiato. Non senza difficoltà ho
cominciato a capire che, forse, la vera Annie non era quella che arbitrariamente
avevo deciso di essere» e si interruppe abbassando lo sguardo, i sentimenti per
lei restavano un grande tabù. Armin lo aveva capito già da tempo, anche se non
conosceva tutta la storia.
«Non devi vergognarti di ciò che sei. Sei una brava ragazza che ha dovuto fare
cose molto spiacevoli, ma tutti noi le abbiamo fatte per la buona riuscita
della missione».
Quello che vorrei dirti Armin è che tu mi piaci davvero ma io non ti merito
e non posso coinvolgerti in una relazione, non sarebbe onesto, né giusto.
«Non credo tu che abbia mai ingannato una persona ferendola al punto di
indurla al suicidio» gli disse invece.
«Non si è suicidato ha partecipato consapevolmente ad un progetto scellerato e
anche tu lo hai fatto, per il bene della nazione o forse volevi morire?».
«Non cominciare a fare i tuoi giochetti psicologici! Lui lo ha fatto per colpa
mia».
«Sto solo cercando di capire perché non riesci mai a darti una tregua. Anche se
così fosse devi andare oltre, ormai indietro non puoi tornare».
«Ho accettato questo incarico ad altissimo rischio perché non ho mai dato un
gran valore alla mia vita, in fondo sono stata una cosa abbandonata e
raccolta da un essere compassionevole, ma non volevo di certo che qualcuno
morisse perché l’ho ingannato. Sono un mostro!».
In quelle parole Armin colse tutto il dolore dell’abbandono che Annie
probabilmente si portava dietro da una vita intera ed era quello il motivo per
cui i suoi sensi di colpa erano così radicati.
«Invece sei stata coraggiosa e anche preziosa» le disse ribaltando il suo punto
di vista.
Lei fece una risatina sarcastica «Preziosa!» ripeté ironica.
«Tu e Reiner con il vostro sacrificio ci avete
salvati» prese fiato e ribadì «sì, tu per me sei preziosa, lo sai cosa provo
per te, non te l’ho mai nascosto e non mi importa nulla di quello che hai
dovuto fare sotto copertura. Per me sei e resterai sempre la mia Annie e vorrei
almeno poterti esserti amico » le disse stringendole una mano.
Lei lo guardò e cercò di liberarsi da quella stretta ma lui non glielo permise «Ci
sarò sempre per te io non ti abbandonerò. Neppure quando sarà il tuo turno con
l’inibitore».
«Alla fine abbiamo decido di farcelo inoculare tutti assieme, senza aspettare,
sarà quello che deve essere» gli confessò di getto.
«Ma come? E Pixis che ha detto?» le chiese allarmato.
«All’inizio era contrario poi pare che Onyankopon abbia dato il suo benestare e
quindi ha acconsentito, lo faremo».
«Sarò vicino a te» ribadì serio Armin.
La ragazza sospirò e poi gli accennò una bozza di sorriso gli era grata per il
suo appoggio. In realtà anche lei provava dei sentimenti verso di lui ma al
momento non riusciva ad esternarli, lo avrebbe fatto prima o poi, questo già lo
sapeva, ma non era quello il giorno, quindi suo malgrado rimase in silenzio con
la mano stretta alla sua.
*
Mikasa non aveva più rivisto Jean da tempo,
ma durante la riunione lui non l’aveva degnata neppure di uno sguardo. Era
stato in disparte e dal lato opposto della stanza rispetto a lei.
Aveva capito che la stava evitando. Non aveva risposto alle sue
chiamate se non frettolosamente e tramite stringati messaggi su WhatsApp
trovando le scuse più improbabili e astruse per giustificarsi.
Lei invece scalpitava perché sentendosi finalmente libera voleva manifestargli
i suoi sentimenti, ma ora un sottile filo d’angoscia gli stringeva il cuore e
le insinuava il dubbio che qualcosa non andasse.
Finita la riunione aveva passato diverse ore a farsi domande e a tormentarsi
finché non prese una decisione drastica. Voleva subito parlare con lui così
fece una cosa inusuale per il suo carattere, incurante dell’ora tarda si
presentò alla porta del suo alloggio senza neppure avvertirlo. Il cuore le
scoppiava in petto, non sapeva neppure che gli avrebbe detto, forse gli avrebbe
solo gettato le braccia al collo e finalmente lo avrebbe baciato senza quelle
briglie che la frenavano da sempre.
Suonò il campanello e si mise a posto i capelli, mentre in petto sembrava avere
un tamburo tribale impazzito. Il fiato le si era improvvisamente accorciato.
Quasi subito la porta si aprì e le apparve una giovane ragazza dai capelli
castani con due occhi grandi che la guardavano curiosi, mentre un gentile sorriso
le illuminava il viso.
«Ciao! Cerchi Jean?» le chiese sicura.
Mikasa sentì il sangue defluirle dal corpo e sciogliersi ai suoi piedi mentre una
morsa di freddo gelido la avviluppò impietrendola.
Di colpo si sentì totalmente stupida e fuori luogo, ma ricorse alla sua
introversione e alla sua capacità di nascondimento, così le sorrise a sua volta,
come niente fosse, come se quel maremoto che infuriava dentro di lei non
esistesse.
«Sì, sono una sua collega» le uscì dalle labbra con una tranquillità che stupì
lei per prima.
«Sta facendo la doccia, io sono Megan» le disse tendendole la mano «vuoi
entrare?»
Sta facendo la doccia… sta facendo la doccia… sta facendo la doccia…
Quelle parole presero a martellarle la mente come chiodi che venivano piantati
nella sua testa.
«Ehi tutto bene?» le chiese la ragazza.
«Oh… io… sì ecco, io mi sono appena ricordata che ho un impegno urgente. Scusa
devo proprio andare» disse come se si fosse improvvisamente risvegliata da un
incubo da cui doveva fuggire a gambe levate. E infatti se ne andò di corsa
senza dare il tempo all’altra di poter sillabare una sola parola.
*
«Allora Erwin, mi pare venuto bene il tuo
nuovo arto» disse Hanji ammirando l’avambraccio nuovo di zecca in adamantio(2) del comandante.
L’uomo sorrise e mosse le dita della mano per testarne per l’ennesima volta
l’agevole funzionalità.
«Direi perfetto» ammise con un sorriso luminoso.
«Quella faccia a pesce lesso però non è solo per via del braccio nuovo vero?»
lo apostrofò sarcastico Levi osservandolo di sotto in su a braccia conserte.
Era contento che fosse andato tutto bene e stuzzicarlo faceva parte del suo
essere felice che fossero tutti e tre vivi e vegeti, compreso Mike, che per sua
fortuna e per le ferite riportate, non aveva dovuto sottoporsi a quel tipo di
intervento così particolare.
«Levi fare la comare non è da te, su via non essere curioso» lo rimbeccò Hanji mentre
un guizzo attraversò il suo occhio nuovo di zecca, sembrava vero e dotato di particolari
peculiarità che sarebbero state davvero utili in future missioni.
«Sai Erwin credo che per l’ennesima volta mi toccherà dare retta alla mia signora, del resto sarebbe capace di
martellarmi fino a domani, quindi mi arrendo preventivamente prima che le mie
palle diventino due mongolfiere!».
«Adoro il tuo romantico pragmatismo Levi. Hai appena coniato uno e cento modi
darmi ragione» lo canzonò Hanji.
«Mi è toccato arrendermi alla tua logorrea!» le rispose a tono con un mezzo
sorrisetto. Era uno dei loro fasulli battibecchi che si divertivano a fare
quando erano rilassati.
Levi era insolitamente contento e ne aveva ben donde. Grazie all’operazione ora
poteva di nuovo camminare normalmente, aveva una mano e pure un occhio nuovi di
zecca. Le cicatrici però erano rimaste intonse a solcare il suo viso e le sue
labbra, d’altra parte non si trattava di chirurgia estetica, ma a lui di questo non
importava.
«Allora ragazzi come vi trovate con le vostre nuove abilità?» chiese loro Erwin
cambiando argomento e andando al sodo.
«Oh è semplicemente fantastico! Riesco a vedere chiaramente al buio, posso
mirare con precisione millimetrica, inoltre riesco ad analizzare anche
temperatura e posso vedere cose che a occhio nudo ci sfuggono, praticamente ho un
microscopio nell’occhio, una vera figata!» esordì Hanji entusiasta.
«In effetti sembriamo quasi dei fottuti supereroi» commentò Levi «a proposito,
lo sai che tu sei sempre stato accostato al quel cazzone di Capitan America? Le
reclute, soprattutto quelle femminili sono solite chiamarti così» aggiunse
avvicinandosi al compagno d’arme che ridacchiava sotto i baffi.
«Mi era arrivato qualcosa all’orecchio» ammise sornione.
«Solo che con questo braccio rilucente, che può sparare dalle dita come una
mitragliatrice, direi che assomigli più all’altro cazzone, il soldato d’inverno,
che però nel tuo caso specifico ha infilato la testa in una pozza d’acqua
ossigenata!».
Erwin rise di gusto.
«Ridi? Che credi lo sappiamo che ti schiarisci i capelli. Con quelle
sopracciglia lì non sei un biondo naturale di certo» lo rimbeccò Levi.
«Chissà, magari mi tingo proprio le sopracciglia per dare più intensità al mio
sguardo» lo paraculò Erwin senza scomporsi. Ne aveva sentite di ogni su quella
sua particolarità cromatica, ormai c’aveva fatto il callo e da uomo
intelligente qual era ci ironizzava da solo.
«Piuttosto, tu invece chi sei? L’uomo da sei milioni di dollari?(3)» gli chiese riferendosi alla
capacità acquisita da Levi di poter correre a quasi cinquanta chilometri orari,
oltre alla vista come quella di Hanji.
«Io sono Levi e basta, ma se proprio dovessi accomunarmi a qualche super eroe
allora sarei Wolverine» e così dicendo fece scattare i lunghi spuntoni che schizzarono
fuori dalla sua mezza mano di adamantio in cui l’anulare e il mignolo potevano
diventare due lame affilatissime.
«Uhhh e allora io, chi potrei essere?» chiese ai due eccitata come una bambina
Hanji. Era così felice che tutti e tre fossero usciti incolumi da quella
operazione-esperimento, che cazzeggiare sembrava quasi un rito liberatorio.
«Beh se avessi ancora la benda saresti stata una Nick Fury perfetta, forse ora
potresti essere, che so? Ciclope?» azzardò Erwin.
«Naaa! Hanji è unica nel suo genere, non esiste un suo contraltare» esordì
Levi.
«Certo che sciocco, del resto lei è già una supereroina solo perché ti sopporta»
lo canzonò Erwin.
«Ma quanto sei diventato spiritoso, sarà colpa di quella tipa di cui non ci
vuoi parlare?».
«Non ti facevo così curioso Levi, ma ti assicuro che quando sarà il momento tu
ed Hanji sarete i primi a conoscerla».
«Al tempo ti si fatto i cazzi miei e di Hanji alle nostre spalle, ora è il mio
turno di rompere le palle, non illuderti che me ne starò zitto e buono».
«Non dargli retta Erwin, siamo davvero felici per te».
«Oh sì, io sono addirittura cresciuto di due centimetri dalla gioia!» ironizzò
il capitano sollevandosi sulle punte, ma sotto sotto era davvero felice per
l’amico.
«Sei la mia testa di cazzo preferita Levi» gli disse il comandante assestandogli
una vigorosa pacca sulla schiena che lo fece quasi incespicare.
«Ma sentilo Hanji ora dice pure le parolacce, lo stiamo perdendo del tutto, il
ragazzo è proprio andato» disse alla compagna, poi incupito si rivolse
nuovamente ad Erwin «mi sta bene cazzeggiare e prendersi per il culo, ma ti
avverto, un’altra pacca come quella e ti giuro che ti faccio assaggiare le mie
lame. La tua dama sarà vedova prima di essere qualunque altra cosa tu abbia in mente
per lei!».
Levi aveva perso un occhio e due dita, ma non la sua proverbiale ritrosia ai
contatti fisici, nonché il suo acido sarcasmo ed Erwin fu più che felice di
constatare che quella brutta avventura e quella nuova vita non li avesse
cambiati di una sola virgola.
I monologhi (sempre più lunghi) dell’autrice
Ciao, come state?
Spero tutto bene e buon fine domenica!!!
Note: 1) L'Elizabeth Arkham Asylum for the Criminally Insane, noto
semplicemente come Arkham Asylum, è un luogo immaginario
presentato nei fumetti di Batman, pubblicati dalla DC
Comics. È il manicomio criminale di Gotham City, in cui sono detenuti i
criminali più folli e pericolosi come ad esempio Joker, l'Enigmista, lo
Spaventapasseri, Ra's al Ghul e Due Facce. Il nome del manicomio è stato tratto
dai racconti di Howard Phillips Lovecraft, che creò la piccola cittadina di
Arkham per servirsene come ambientazione narrativa.
2) L’Adamantio è una lega di
metallo immaginario proveniente dall’universo Marvel Comics, tra i suoi
innumerevoli è più famosi usi abbiamo: lo scudo di Capitan America, lo
scheletro e gli artigli di Wolverine e le catane di Deadpool.
3) L'uomo da sei milioni di
dollari (The Six Million Dollar Man) è una serie televisiva statunitense
del 1976 liberamente ispirata al romanzo Cyborg di Martin Caidin. Parla di un astronauta della NASA che a causa
di un incidente durante una missione perde le gambe, il braccio destro e
l'occhio sinistro. Su di lui viene quindi effettuata una ricostruzione all'avanguardia,
che sostituisce gli organi danneggiati con arti bionici. Grazie a ciò acquisisce delle capacità eccezionali: le gambe gli consentono di
correre a velocità altissime, il braccio è dotato di una forza fuori dal
comune, e l'occhio permette una visione ravvicinata di oggetti molto lontani.
Mi
è piaciuto e mi sono divertita ad usare queste “cose” tratte da fumetti, film e
serie di cui sono fan: come Batman, Xmen e L’uomo da 6 milioni di dollari. Sono omaggi a
opere che amo e ho amato. Spero abbiate gradito anche voi ;) Detto questo, sono
in ritardo, ma non è tutto... purtroppo al campionato della sfiga arrivo sempre
prima. Ho due computer e un tablet, ci credereste se vi dicessi che uno è
passato a miglior vita, uno ha la tastiera che si fa allegramente i cavoli suoi
impedendomi di poter scrivere decentemente e uno è in assistenza e non so
quando me lo faranno riavere? Perché vi racconto tutto questo? Perché alla fine tra un cavolo e l’altro mi
sono raggiunta. E che vuol dire vi chiederete? Semplice che non ho più capitoli
di riserva già scritti, questo era l’ultimo. Ora non manca poi molto alla fine,
3/4 capitoli al massimo, tra l’altro il 33 è quasi finito, ma essendo al
momento senza materia prima adeguata, non so quando riuscirò a finirlo e a
postarlo, non certo nei soliti tempi, già betare e postare questo, con la tastiera
pazza è stato assai arduo, comunque spero di risolvere in un paio di settimane
al massimo. Ci tenevo ad avvertirvi che se non mi vedevate puntuale c’è un
motivo valido. Ora vi lascio con un saluto veloce, perché ho
scritto un tema: GRAZIE di ♥ a chi
sta leggendo e a chi mi lascia i suoi pensieri sotto forma di recensione, lo apprezzo tanto ragazze!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 33 *** Catch me if you can ***
L’Isola
dei Dannati
A.o.T.
Mission-almost-Impossible
33
Catch Me
If You Can
«Non fare la guasta feste, stasera c’è un
evento davvero irripetibile ed è quasi due mesi che te ne stai rintanata in casa.
Da quando la missione è ufficialmente finita e siamo in stand by, sei diventata
un’ameba!».
«E tu da quando in qua sei diventato un viveur per giunta nottambulo, Armin?».
Il ragazzo guardò l’amica e sorrise: «Ultimamente ho capito che nella vita non
c’è solo il lavoro e il dovere e poi solo gli sciocchi non cambiano idea, dai
andiamo, vedrai che ti divertirai, ci siamo quasi tutti».
Era quel quasi tutti che le faceva da deterrente, ma per una volta decise di
fregarsene.
«Va bene, vengo» si risolse a dirgli, in fondo non poteva starsene sempre rintanata
in casa.
«Vestiti carina» le consigliò Armin.
Mikasa lo guardò storto.
«Si va a ballare non a fare una penitenza, voglio essere l’uomo più invidiato
della sala».
«Smettila scemo!» si schernì lei arrossendo. Avrebbe voluto chiedergli di
Annie, ma tra loro era stato come stipulato un tacito patto, non si parlava di
questioni sentimentali, per nessuna ragione.
Tutti e due avevano la loro bella gatta da pelare in tal senso, quindi ignorare
l’argomento era decisamente la cosa più saggia da fare.
Qualche ora più tardi Armin arrivò puntuale e Mikasa era già pronta. Aveva
indossato un top e un paio di jeans a vita bassa, sneakers comode e il viso era
ravvivato da un velo di trucco leggero, molto naturale. Il ragazzo la guardò
storto.
«Sarebbe questo il tuo modo di farti carina?» le chiese una punta polemico.
«Senti io voglio ballare, mi voglio sentire libera e a mio agio. Ho l’ombelico
in bella mostra mi pare abbastanza, quindi vedi di non fare il guastafeste e
andiamo».
Il biondino roteò gli occhi e poi le sorrise complice «Va bene e vediamo di
divertirci!» la esortò prendendola sottobraccio.
Erano diretti all’area industriale della
città dove in un magazzino dismesso era stato organizzato un Dj set a cura di
un disc-jokey emergente di nome Claptone(1), la cui identità era celata da una maschera bizzarra, assai
simile a quelle che usavano i monatti della Firenze del 1300. Non la toglieva
mai, nascondendosi e accrescendo così la curiosità intorno a lui, dando linfa
al suo fascino, grazie al quale aveva conquistato in breve tempo un gran numero
di ammiratori e una discreta fama.
L’evento prendeva il nome dalla canzone remixata di Troye Sivan: You Know What
I Need(2), in pratica si teneva per il
suo lancio, dato che il giovane cantante australiano era alla sua prima
collaborazione con Claptone.
Mikasa non appena mise piede nell’ampio loft si sentì quasi subito un pesce
fuor d’acqua, quegli eventi non erano cose per lei, anche se qualche volta non
disdegnava di andare a fare quattro salti. Armin invece stranamente sembrava
molto a suo agio. Le
luci soffuse e discrete vertevano sui toni delicatamente bluastri, l’atmosfera non
ancora in modalità disco, piuttosto sembrava più di essere in un lounge bar.
In fondo al magazzino c’era un palco con vari mixer in cui campeggiava il
famoso Dj vestito con pantaloni e maglia nera, guanti bianchi, con in testa una
mezza tuba, anch’essa nera, tatticamente calata sulla maschera da monatto color
oro. Aveva la testa inclinata di lato e le cuffie sulla nuca di cui una copriva
un orecchio e l’altra poggiava sulla mandibola. Si destreggiava sicuro con le mani sui vinili,
si muoveva a tempo, mixando fluidamente musica disco dagli anni 70 a oggi,
tanto per scaldare la situazione. Ai lati del loft erano sistemati una serie di
tavoli, che delimitavano un’area che sarebbe servita per chi avesse voluto ballare.
Attualmente era ancora vuota. Dal lato opposto al palco c’era un lungo bancone d’acciaio,
con ben quattro bartender che shekeravano con rapidità cocktails, che poi
servivano ai numerosi avventori assiepati davanti a loro. Nonostante ci fosse
molta gente era comunque un evento esclusivo in quanto si entrava solo su
invito. Mikasa si chiese come avesse fatto Armin a procurarseli dato che non
era certo tipo da cose del genere, ma i suoi pensieri furono interrotti da
Sasha che si stava sbracciando da un tavolo, facendo loro segno di
raggiungerli.
Con lei scorse l’immancabile Niccolò, poi vide anche Gabi, Falco, Piek e
Galliard, stranamente mancava Connie, ad ogni modo rimase sorpresa ma anche
felice di trovarli lì, si avvicinò e salutò tutti con calore.
«Vuoi qualcosa da bere?» le chiese Armin.
«Sì, grazie, ma analcolico per favore» rispose Mikasa.
«Ma dai! Sei seria?» le chiese Sasha.
«Ho già dato in tal senso, l’acool mi fa un brutto effetto».
«Ma nemmeno un prosecchino?» aggiunse Piek con aria innocente.
«E va bene, ma solo quello!» si arrese Mikasa «gli altri dove sono?» non poté fare a meno di chiedere.
«Dove sia ultimamente Jean non lo sa nessuno» rispose Sasha con una notevole
faccia di bronzo.
Mikasa s’indispettì «Veramente io intendevo Connie, Reiner e Annie» rispose
acidula.
«Boh, io non li ho né visti, né sentiti» le rispose Sasha facendo spallucce.
Nel frattempo era sopraggiunto Armin con il suo cocktail e il prosecco per lei.
Le luci si abbassarono di colpo e partì in sottofondo un pezzo house degli ani
90: Show me love di Robin S., un grande classico.
Tutti, compresi i ragazzi, seppur restando seduti, cominciarono a muoversi a
tempo di musica continuando a bere. In breve tempo la pista cominciò a
popolarsi.
Mikasa stava centellinando il suo vino quando, dalla parte opposta in cui si
trovava vide arrivare Jean per mano a quella tizia che aveva trovato quella
volta a casa sua.
Per la inaspettata sortita le andò a traverso il prosecco e cominciò a tossire
sguaiatamente.
*
Erwin si girò su un fianco facendo molta attenzione a non svegliare Marie. Si tirò su appoggiandosi sul proprio
avambraccio e si mise ad osservarla. Era anche lei stesa di lato, respirava
regolarmente mentre il lenzuolo le fasciava languidamente la curva del fianco per posarsi leggero sul seno, in un morbido vedo-non vedo. Era così serena e così bella. Improvvisamente si sentì totalmente appagato. La vita era così dannatamente semplice, bastava davvero poco per stare bene pensò quasi stupito.
Avevano ripreso a frequentarsi. Si erano detti di andare con calma senza
fretta, ma dopo la sua operazione i loro buoni propositi erano andati a farsi
un giro e avevano finito per ritrovarsi uno nelle braccia dell’altra a fare
l’amore, fu come se tutto quel tempo non fosse mai passato.
Era stato strano e molto bello, come riprendere un discorso importante interrotto da tempo, ma con una consapevolezza diversa. Erwin si promise che questa volta non se la sarebbe fatta scappare per nessuna ragione al mondo. Certo c’erano un sacco di cose da affrontare, come la questione del suo lavoro, ma Marie era una donna intelligente per questo era abbastanza sicuro che avrebbe capito e non le avrebbe procurato problemi. Smise subito di pensare al futuro perché in quel momento voleva solo godersi quell’attimo così perfetto. Quasi inconsapevolmente le scostò quel suo ciuffo ribelle dal viso per posarlo dietro l’orecchio, come faceva sovente anche lei. A quel tocco Marie sospirò appena, sorrise e ancora con gli occhi chiusi si stiracchiò pigramente.
«Scusa non volevo svegliarti» le disse Erwin con aria colpevole.
Lei sorrise apertamente e gli carezzò il viso «È colpa di questo maledetto ciuffo, nessuno resiste alla tentazione di domarlo!» sdrammatizzò amabilmente.
A quel punto anche Erwin sorrise e annuì, poi le lisciò una ciocca di capelli e molto serio le disse: «Sei davvero bellissima Marie» e il suo tono di voce
faceva intendere chiaramente che non si trattava solo del suo aspetto meramente estetico.
«Anche tu sei niente male sai?» gli rispose sorniona.
«Perché abbiamo buttato via tutti questi anni? È stato come se non ci fossimo mai lasciati… senti lo so che avevamo detto di andare con i piedi di piombo, ma io sono sicuro di amarti e di non volere un’altra donna che non sia tu. Ci ho messo un sacco di tempo a capirlo adesso vorrei solo che ci dessimo un’altra occasione. Vorrei provarci seriamente Marie» le confessò accorato.
La donna si tirò su accomodandosi il cuscino dietro la schiena. Il suo sguardo fu subito velato da un lampo di malinconia. Fu un attimo, ma lui se ne accorse sentì una specie di morsa alla bocca dello stomaco.
«Non mi fraintendere, sono felice di averti ritrovato e sono felice di aver
fatto l’amore con te, non mi pento di nulla. In questo momento mi sento leggera e serena, ma io continuo a voler andare con i piedi di piombo. Voglio che ci frequentiamo e che ci conosciamo
davvero, non siamo più i ragazzi di allora. Dobbiamo capire se questa Marie va bene per questo Erwin e viceversa» puntualizzò sincera.
«È per via di questo?» le chiese mortificato indicando il suo braccio di
adamantio.
«Mio Dio, no! Non ci pensare nemmeno!» si affrettò a dirgli «il braccio non
c’entra niente Erwin, ma non possiamo riprendere da dove abbiamo lasciato come se questi anni non fossero mai passati. Potrei essere io a rivelarmi sbagliata per te, ci hai mai pensato?».
«Hai ragione e ce l’avresti anche se fossi ancora arrabbiata con me per come mi sono comportato. Neppure io sono sicuro che mi perdonerei al posto tuo» le rispose davvero mogio, non poteva certo sfuggire ancora una volta alle sue responsabilità.
«Con il tempo riflettendo ho capito che non eri pronto, che hai avuto paura. Ci sta, sei un essere umano come tutti, se proprio devo farti un appunto è quello di averci messo tutti questi anni a farti vivo. Anche io ti ho pensato spesso, ma ho finito con il credere che non mi avessi mai amata veramente, altrimenti saresti tornato da me e io ti avrei perdonato. Quando sei improvvisamente ripiombato nella mia vita sono stata presa letteralmente in contropiede. Non ti nascondo che la prima reazione è stata di felicità, poi però sono stata assalita da mille dubbi e paure. Neanche io vorrei perderti di nuovo, ma è necessario che facciamo le cose con maturità, almeno questa volta. Diamoci tempo e impariamo di nuovo a stare insieme, a fidarci, a costruire un rapporto
su basi solide. Poi discuteremo del futuro, di che cosa potremmo essere l’uno per l’altra e che tipo di strada potremmo fare assieme. Se intendi iniziare una relazione seria, o addirittura una convivenza, così, da un giorno all’altro, allora io mi tiro indietro, non sono pronta Erwin ho davvero bisogno di tempo».
«Ricevuto» le disse con un sorriso abbozzato. Non era del tutto convinto,
infatti aggiunse: «Ho intenzione di rispettare i tuoi tempi. Non ti forzerò la
mano in alcun modo, ma sappi che io faccio sul serio. Non puoi impedirmi di impegnarmi per questa relazione, tu poi valuterai quando sarà il momento e deciderai cosa fare. Qualunque cosa sia ti prometto che la rispetterò».
Non si sentì di dirglielo apertamente, ma quelle parole le fecero immenso
piacere. Era felice che lui volesse rispettarla ma al contempo impegnarsi,
sorrise e annuì con un semplice: okay, poi si scostò il lenzuolo di dosso e
lasciò che lui l’accarezzasse con lo sguardo. Quell’azzurro cupo e intenso era più sensuale di qualsiasi tocco, si sentì sciogliere e gli si avvicinò.
«Una cosa è cambiata» le sussurrò all’orecchio mentre i loro corpi si
sfiorarono.
«Sarebbe?» gli chiese lui trattenendo il fiato.
«Non pensavo fosse possibile, ma devo ammettere che sei diventato ancora più sexy Smith!» concluse per poi soffocare una risata nell’incavo del suo collo, fin quando non furono morbidamente pelle contro pelle, pronti a riprendere ciò che avevano fatto la sera precedente, prima che il sonno desse loro una languida tregua.
*
«Ehi ma che ti prende?» domandò Sasha a
Mikasa che li aveva letteralmente annaffiati con il suo prosecchino.
«Niente, scusate…» rispose mortificata diventando rossa come un pomodoro
maturo.
«Suppongo che il niente di cui parli
sia in pista con una tipa» commentò sardonico Galliard finendo il suo drink
alla goccia.
Mikasa non rispose e abbassò lo sguardo, tutti si erano messi a guardare Jean e
quella ragazza in pista. Lui stava davvero bene, così bello non l’aveva mai
visto. Capelli sempre più lunghi ingelatinati all’indietro, barba incolta, la
camicia bianca, che gli fasciava i muscoli del torso ed evidenziava
un’abbronzatura dorata, mentre i jeans gli mettevano in risalto i glutei e le
cosce. Si muoveva molto bene a tempo di musica, in modo naturale e molto disinvolto,
come se stesse alla grande. La tipa era strizzata in un mini abito borgogna che
le scopriva le lunghe gambe affusolate, danzava anche lei abbastanza a ritmo,
ma non senza fatica perché arrampicata su un paio sandali dal tacco molto alto.
Aveva i capelli tirati su, e un bel trucco accurato, forse anche un tantino
troppo carico. Teneva la mano sul petto di Jean e ancheggiava come se fosse
stata una cubista.
«Ma guardatela! Sembra che stia marcando il territorio, che patetica» commentò
Gabi facendo una smorfia.
«Va bene così a me non importa» si affrettò a dire Mikasa.
«Bugiarda!» la redarguì Armin.
«Tu pensa per te e a fatti tuoi!» lo rimbeccò la ragazza contrariata.
«Mi stavo domando una cosa» s’intromise a sorpresa Galliard.
«Cosa?» lo appoggiò subito Falco.
«Come mai una guerriera come te Mikasa, una che ha le palle di affrontare da
sola dei mostri, diventa una colomba quando si tratta di prendersi ciò che
vuole?».
Galliard era un ragazzo intelligente e molto sicuro di sé aveva capito da tempo
come stessero le cose. Ammirava Mikasa era una ragazza forte che però non
credeva abbastanza in se stessa.
Lei non rispose. Tutti si sarebbero aspettati che gliene dicesse quattro, invece
tacque.
«Il punto è questo: sei una guerriera o no? Perché se lo sei non puoi esserlo a
metà. Se davvero non ti importa una mazza di Jean, allora mettici una pietra
sopra e chiudiamola qui, sennò ti posso aiutare a trovarvi».
Aiutare a trovarci? pensò confusa
Mikasa anche se le parole di quel ragazzo si stavano facendo strada nella sua
mente come un tarlo nel legno.
«Andiamo sei una Ackerman tu zio sarebbe già piombato in pista!» commentò
Niccolò.
«Si vede che lo conosci poco» mugugnò la ragazza.
«Allora vuoi partire all’attacco o no?» la incalzò alzandosi e tendendole la
mano.
«Ma che intendi fare?» gli chiese non capendo bene l’antifona.
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo piuttosto platealmente: «Eddai è il trucco
più vecchio del mondo! Andiamo in pista e lo facciamo schiattare».
«Che cosa stupida! Io non faccio certe scenette e poi guardalo non si è neppure
accorto che sono presente. Ha occhi solo per quella lì» gli rispose
contrariata.
«Senti anche un cieco si sarebbe reso conto che vi morite dietro, ma per
qualche motivo vi tenete alla larga uno dall’altra».
«Credo che il motivo si chiami Eren Jeagear» sentenziò Sasha.
«Ma i cazzi vostri mai eh? Comunque con Eren siamo rimasti in ottimi rapporti,
ma più come fratello e sorella, la nostra storia si è spenta pian piano e…
basta, non vi riguarda, che ve lo spiego a fare?» si trovò suo malgrado a
confessare. Era stufa di essere considerata come quella che si strugge per
Eren.
«Stiamo perdendo tempo prezioso. Io credo che se ti interessa davvero qualcuno
non te lo lasci sfuggire. Se ci tieni fai di tutto prima di arrenderti e
soprattutto metti da parte l’orgoglio. Quindi la domanda definitiva è: vuoi
provare a prendertelo, o lo lasci definitivamente a lei?».
Proprio in quel momento Claptone remixando fece partire You Know What I need e
per un bizzarro caso del destino Jean si voltò e la vide sgranando appena gli
occhi sorpreso.
Come se fosse stata spinta da una forza superiore Mikasa decise e afferrò la
mano di Galliard.
«Sono pronta!» gli disse sicura.
«Ora ci divertiremo!» commentò Piek che fino a quel momento si era limitata ad
ascoltare.
«Vado a prendere da bere e gli stuzzichini» trillò contento Armin.
«Siamo proprio una banda di pettegoli» disse Falco fintamente scandalizzato.
Sapeva bene cosa intendesse Galliard, con lui aveva funzionato seppellire sotto
terra l’orgoglio e dichiararsi a Gabi.
*
Hanji girò la chiave nella toppa e aprì la
porta. C’era uno strano e inconsueto silenzio, di solito a quell’ora Levi era
in modalità casalinga disperata perché si dedicava alle pulizie.
Fece spallucce e si diresse in camera, fu allora che lo vide e ci mancò poco
che non gridasse dallo stupore.
Era supino sul letto, gambe e braccia aperte, indossava solo un paio di
pantaloncini da corsa, aveva le cuffie era molto sudato e… russava!
Era un evento quasi mistico dato che Levi non dormiva che due tre ore al
massimo per notte e assolutamente mai di giorno. Ora una persona normale lo
avrebbe lasciato in pace, ma Hanji era Hanji, ovvero la curiosità incarnata. Si
preoccupò per questa novità inattesa e senza pensarci gli sfilò le cuffie dalle
orecchie e cinguettò allegra «Ma da quando in qua fai la pennica prima di
pranzo, stai male, o cosa?».
«AHH!» fu la risposta di Levi che saltò a sedere e sfoderò dalla mano le lame
di adamantio, che rivolse istintivamente verso di lei.
«Ohi, ma sei matta? Potevo farti del male!» la redarguì non appena si rese
conto chi fosse.
«Scusa ma tu stavi russando Levi e non sono neanche le dodici, senza contare
che è la prima volta in assoluto che ti sento ronfare così, mi è preso un
colpo, pensavo stessi molto male».
Lui ritirò le lame e incrociò le braccia al petto «Ho allenato le gambe e
correre due ore a cinquanta chilometri orari ti assicuro che mette ko anche me».
«Oh bene! Allora forse abbiamo superato una volta per tutte il problema
insonnia, basta fare una corsetta prima di andare a nanna».
«Sì, più o meno» chiosò sbrigativamente Levi «Che schifo, sono tutto sudato e
ho sporcato il letto. Ora faccio la doccia, cambio le lenzuola e pulisco la
camera» sentenziò contrariato.
«Ma non importa» lo rassicurò lei.
«A te no, ma a me sì! Mi fa schifo l’idea dei miei liquidi corporali puzzolenti
che ormai hanno intriso le lenzuola» ribadì indispettito.
Hanji rimase un po’ interdetta. Aveva un comportamento strano, come se fosse stato
pizzicato con le mani nella marmellata e questo non aveva molto senso. Fece di
nuovo spallucce e pensò di precederlo nel cambio del letto, del resto conosceva
bene le sue paturnie in merito, per lei facevano parte del suo fascino tutto particolare.
Distrattamente prese il suo cellulare per appoggiarlo sul comodino, non voleva
certo spiare ma era aperto su un canale youtube che inquadrava due mani, un
microfono e un piumino da cipria. Alzò un sopracciglio interdetta, o che roba
era? La sua curiosità ebbe la meglio sul buon senso di non guardare le cose
altrui e si infilò le cuffie. Con grande sorpresa si accorse che nessuno
parlava, c’erano solo dei lievi e a dire il vero anche piacevolissimi rumorini
causati dal quel piumino che sfregava delicatamente sul microfono.
Il canale si chiamava: Gentle ASMR. La sua curiosità schizzò a livello super.
Dopo una breve ricerca le si aprì un mondo e scoprì che questo fantomatico ASMR(3) era una sorta di metodo di
rilassamento che addirittura conciliava il sonno. Ascoltarlo donava una
piacevole sensazione, simile a quella di quando qualcuno ti massaggia la cute
con i polpastrelli provocandoti dei brividini e formicolii. Dimenticandosi che
stava usando il telefono di Levi e affamata dalla novità si sdraiò sul letto e
si fece cullare da quei delicati fruscii.
Hanji non si addormentò ma andò in brodo di giuggiole rilassandosi, tanto che
quando Levi uscì dalla doccia, istintivamente lo aggredì con il suo entusiasmo.
«Questa roba è una figata assurda!» esordì eccitata.
Lui la guardò, si accigliò e poi le disse: «Da quando in qua frughi nel mio
cellulare?». Non era arrabbiato e non aveva nulla da nascondere, ma quel
comportamento non era da lei.
«Non lo avrei mai fatto se per sbaglio, volendolo poggiare sul tuo comodino,
non avessi visto un microfono, due mani e un piumino. Sai quanto io sia curiosa
e interessata alle novità. È stato come
il canto delle sirene per un marinaio: irresistibile».
Levi trattenne a stento un mezzo sorriso, anche lei a suo modo era
irresistibile, lo sapeva bene, non riuscì proprio ad arrabbiarsi e poi tanto
avrebbe voluto parlargliene, solo che temeva di essere preso per scemo, per
questo non lo aveva ancora fatto.
«Me l’ha consigliato un infermiere in ospedale. Lui adora i mukbang. A me
invece fanno schifo e mi danno sui nervi».
«I mukache?» chiese Hanji che ovviamente era ancora una neofita del genere.
«Gente che fa rumori con la bocca mentre mangia» sentenziò.
«Oddio questo non piacerebbe neppure a me suppongo».
«Ci sono moltissime forme di ASMR ma ero convinto che fosse una gran stronzata,
anzi a tratti mi dava fastidio fino a farmi incazzare, fin quando non ho
scoperto questo canale in cui fanno rumori soft, molto simili a quelli che
potrei fare mentre spolvero. Così immaginando che qualcuno stia pulendo è
calata come una manna dal cielo, pensa riesco a dormire almeno cinque ore di
filato. Un record per me» le spiegò entusiasta, oddio entusiasta alla Levi
maniera s’intende. Di certo con lei alla fine si trovava sempre a suo agio,
anche quando si trattava di stramberie come quella.
«Ma tu pensa! Mi sembra meraviglioso, una scoperta grandiosa».
«Fin che durerà, sai non ho grosse aspettative, temo che a breve l’insonnia
farà di nuovo il suo corso» commentò laconico prima di frizionarsi i capelli e
cominciare a rivestirsi.
Ad Hanji si accese una lampadina in testa e si lanciò in uno dei suoi voli mentali. Se Levi aveva bisogno di questi
rumori per dormire, e le sembrò di capire che questa, o questo Gentle ASMR
faceva video del tipo, solo ogni tanto, forse avrebbe potuto farseli da solo e
su misura, magari con il suo aiuto. Ma sì, chi fa da sé fa per tre e poi
sarebbe stato divertente registrare un video mentre lui puliva con delicatezza
oggetti e pavimenti, del resto era il top gamma nel settore. Già volava alto
con la fantasia, vedeva il canale con quasi un milione di iscritti:
Psychocleaner ASMR. Non era pericoloso, tanto non lo avrebbero mai visto in
faccia, quindi non avrebbe interferito con il loro lavoro e allo stesso tempo,
oltre che per se stesso poteva anche dare una mano a chi come lui soffriva
d’insonnia. Presa dall’entusiasmo si mise al PC a reperire info su girare ed
editare un video ASMR mentre un ignaro Levi si faceva la barba in bagno, molto
rilassato e molto contento di avere una compagna così avanti da poterle
raccontare tutto, anche le cose più strane e imbarazzanti, perché lei era
sempre e comunque sua complice entusiasta.
I monologhi dell’autrice
Buonsalve, come state?
Spero tutto bene e buon fine domenica!!!
Non mi attardo che le note sono lunghe assai!
Note: 1) - 2)
Claptone esiste davvero ed è un disc jockey e produttore discografico
tedesco famoso in tutto il mondo ed è solito indossare una maschera dorata a
forma di becco per mantenere il mistero sulla sua identità. (In realtà si è già
rivelato ma a noi per la nostra fic questo poco importa). Claptone non ha mai
remixato You Know What I need di Troye
Sivan, cantante, attore e youtuber sudafricano naturalizzato australiano,infatti
è solo una mia invenzione. La canzone è stata invece prodotta realmente da PNAU
un trio musicale australiano di musica indie rock e dance-pop
3) ASMR acronimo di Autonomous Sensory Meridian Response,
ovvero risposta autonoma del meridiano sensoriale si riferisce a una sensazione
di rilassamento, spesso sedativa, che parte dal cuoio capelluto e si diffonde
al resto del corpo. I soggetti possono avvertire una profonda sensazione di
rilassamento, uno stato emozionale positivo e di benessere psico-fisico,
associato al rilascio da parte del corpo di neurotrasmettitori come endorfine e
serotonina. In alcuni soggetti l’Asmr contribuisce ad alleviare il dolore cronico,
la depressione, l’ansia, il mal di testa e l’insonnia, riuscendo a conciliare
il sonno, come spiega Sergio Garbarino, neurologo, docente nel Dipartimento di
Neuroscienze dell’Università di Genova e membro del consiglio direttivo Aims,
l'associazione italiana di medicina del sonno.
Posso confermare, essendo fruitrice di
contenuti Asmr da ormai qualche anno, che davvero conciliano il sonno e quindi
mi ha divertito immaginare Levi in una situazione del genere tanto che finita
questa fic credo proprio che scriverò una oneshot sull’argomento Levi-asmr 😁
Di seguito trovate dei link su Claptone, You Know What I need di Troye Sivan e
un approfondimento sull’argomento ASMR se mai vi interessasse.
CLAPTONE
YOU KNOW WHAT I NEED - Troye Sivan
ASMR
Grazie, grazie e ancora grazie a chi segue legge e soprattutto commenta questa
mia fantasia.
Siamo quasi alla fine, ma purtroppo io e la tecnologia siamo ancora in
dissidio, non ho ancora i mezzi idonei
(spero di cuore che la prossima sia la settimana decisiva), per cui temo, mio malgrado, che non sarò in
grado di aggiornare prima di due settimane. Vi sto facendo patire questi ultimi
capitoli, ma la colpa è del fato avverso che mi intralcia.
Come sempre ho parlato più del dovuto, un abbraccio a tutti e a presto!
PS ovviamente Catch if you
Can è il titolo di un famosissimo film di Steven Spielberg con protagonista
Leonardo DiCaprio
|
Ritorna all'indice
Capitolo 34 *** Ehi tu, *Porko*, levale le mani di dosso! ***
L’Isola dei Dannati A.o.T. Mission-almost-Impossible
34 Ehi tu, "Porko", levale le mani di dosso!
«Mi spieghi una cosa?» chiese Mikasa a Galliard mentre si dirigevano in pista dritti verso Jean e Megan. «Volentieri». «Perché lo stai facendo?». «Principalmente perché credo che mi divertirò, poi perché tu e Jean mi state simpatici, mentre Eren non mi è mai piaciuto» le rispose asciutto. La ragazza si sentì riavere, per qualche stupida ragione aveva avuto paura che volesse provarci con lei. «L’importante è che ti comporti da gentiluomo» ci tenne comunque a specificare. «Tranquilla ho visto cosa sai fare in battaglia, non vorrei mai dover discutere con te e poi senza offesa, sei una bella ragazza, ma non sei proprio il mio tipo» le confessò con un sorriso sghembo che gli incurvò le labbra. Intanto mentre loro due parlavano su come fare, cosa fare e come farlo, Jean li fissava e non si capiva se era arrabbiato, o semplicemente infastidito dalla loro presenza. «Che c’è?» gli chiese Megan posandogli una mano sulla mandibola per farlo voltare in modo che potesse guardarla negli occhi. «Niente perché?». «Sembra tu abbia il torcicollo e ti verrà davvero se continuerai a stare con la testa girata da quella parte». Come se fosse stato beccato in flagrante Jean si sentì un cretino «Ma no, ho visto solo due colleghi» smorzò. Megan si girò e mise a fuoco «Ah ma lo sai che quella ragazza è venuta a casa tua una volta?» disse dopo aver riconosciuto Mikasa. A quelle parole Jean trasalì «Quando?» le chiese quasi strozzato alla gola dall’ansia. «Ma, tempo fa, non ti saprei dire di preciso. Volevo farla entrare ma lei, non ricordo che problema avesse, all’improvviso si dileguò come un fulmine». «Perché non mi hai detto nulla?». «Me ne sarò dimenticata e poi avevamo di meglio da fare, ma che problema c’è scusa?» gli chiese un po’ irritata da quell’interrogatorio. «Nessun problema, Mikasa non era mai venuta da me prima d’ora, magari poteva esserci qualcosa di grave di mezzo…» disse cercando di riprendersi, questa cosa lo aveva proprio sorpreso, poi sospirò forte «…ma in realtà non l’ho mai più risentita, quindi magari era solo una sciocchezza» le spiegò cercando di giustificarsi e provando un retrogusto amaro. Ma non si era rimessa con Eren? E poi se fosse venuta per me si sarebbe rifatta viva, invece ora sembra stia con quel Galliard, simpatico come una spinta giù per le scale! pensò tra sé e sé contrariato. Aveva deposto le armi perché convinto che Mikasa fosse tornata insieme al suo grande amore e invece in realtà Eren era andato da Krista e la bambina, mentre lei era con quello lì a far festa.
«Allora il piano è questo: balliamo e deve sembrare che ci divertiamo e siamo in confidenza. Tranquilla non allungherò le mani, né ti obbligherò a fare nulla di sconveniente, tu però rilassati che mi sembri un paletto di legno!» esordì Galliard una volta in pista, poi prima che lei protestasse aggiunse «dobbiamo ballargli molto vicini, al momento opportuno ci penserò io a fare la mossa strategica». «In che senso?» chiese Mikasa preoccupata. «Devo sfruttare l’effetto sorpresa quindi non ti dico niente, ma non temere, non farò nulla che possa metterti in imbarazzo, balla e lasciati andare, se poi ogni tanto lo vuoi guardare fallo, confondilo!» le consigliò facendole l’occhiolino. «Mi sento proprio una cretina» ripose non troppo convinta «Tecnicamente è proprio così, quando uno si innamora rincretinisce quindi non preoccuparti, è tutto nella norma». Lei gli dette un pugnetto sulla spalla «Sei davvero tremendo, ma che fai di secondo lavoro, il cupido lancia frecce? Non ci credo neanche se ti vedo». «Non me ne frega nulla di fare da ruffiano, ma abbiamo condiviso un’esperienza estrema da cui siamo usciti vivi per miracolo. Ho visto quanto hai sofferto e quanto ti negassi la possibilità di andare oltre facendoti rodere dai sensi di colpa, ma se la cosa ti crea tutte queste pippe mentali, possiamo anche concluderla qui eh? Vivo bene lo stesso anche se vuoi due continuerete a rincorrervi senza incontravi mai». Quel ragazzo era proprio strano pensò Mikasa e mentre stava per dirgli che era davvero il caso di abbozzarla lì, per sbaglio incrociò lo sguardo truce di Jean che sembrava lanciarle strali infuocati, mentre nel frattempo come per darsi un tono ballava appiccicato alla sua bella. Le montò un gran nervoso. Eccone un altro che pensa che subirò i suoi sbalzi d’umore! Col cavolo! Ora gli faccio vedere io. «Allora che si fa, si avanti con il piano o no?» insistette Galliard. «Facciamolo nero!» sentenziò la ragazza con aria battagliera.
«Oh! Si stanno avvicinando, ora ne vedremo delle belle!» esordì Sasha cacciandosi in bocca una manciata enorme di patatine, tanto che non riusciva quasi a masticare. Tutti si girarono verso la pista, ma furono subito distratti dall’arrivo di un baldanzoso Reiner in compagnia di Annie. Questa volta toccò ad Armin trasalire, per fortuna senza mandare niente di traverso. Non sapeva se essere contento o adirato, da quella volta in cui si erano parlati lei non si era fatta più viva tenendolo alla larga e ora spuntava per caso proprio a quell'evento esclusivo. Certo che il mondo era un’accozzaglia di strane coincidenze, si stavano ritrovando tutti lì… pensò poco convinto il biondino. «Non so neanche io perché sono venuto in questo posto» esordì Reiner appena arrivato al loro tavolo «a proposito, ma voi come li avete avuti gli inviti?» chiese rivolto un po’a tutti. «Ho ricevuto due biglietti a casa» specificò Annie fissando Armin. Era certa fosse opera sua, infatti il suo sguardo lo stava indagando. «Anche io, due biglietti d’invito in busta bianca» rispose serio Arlert fissandola di rimando per farle capire che lui non c’entrava niente. «Ma sì, pure io nella cassetta della posta del mio appartamento, come te: due biglietti in una busta» confermò Sasha, seguita poi da Falco e Pieck che affermarono il solito modus operandi. «Saranno stati i nostri superiori per farci una sorpresa» commentò Niccolò «ma avete sentito che per quanto riguarda il lavoro ci sono grosse novità in giro? Si vocifera un sacco sull’argomento». «Sì e la maggior parte mi paiono delle gran cazzate» ribattè Reiner. «A proposito come va con l’inibitore ragazzi?» chiese curiosa Sasha. «Direi molto bene, Onyankopon dopo il primo innesto fatto ad Eren lo ha perfezionato, praticamente nessuno di noi è entrato in coma, né ha avuto rigetti, o reazioni avverse» spiegò solerte Falco. «Fin che dura…» commentò aspramente Gabi. «Cioè?» chiese Armin allarmato. «Non sappiamo per quanto tempo resteremo in questa sorta di limbo in cui la mutazione è come congelata. Il fatto è che è tutto molto sperimentale per così dire. Ancora non abbiamo reali certezze sul nostro futuro e sulle conseguenze che potranno esserci tra qualche anno, ma soprattutto su quanto potrà reggere l’inibitore» gli spiegò seria Pieck. Grazie a quelle affermazioni Armin capì al volo perché Annie fosse sparita. Intanto in pista Galliard e Mikasa ormai ballavano a fianco di Jean e Megan. Sembravano ignorarsi, ma in realtà di sottecchi si controllavano a vista. In un momento in cui il ritmo accelerò Galliard fece la sua mossa, dribblò Mikasa sorpassandola e si infilò tra Jean e Megan, afferrò questa per un braccio e rapido se la portò via, non prima però di aver dato uno spintone a Mikasa facendola franare addosso a Jean. Tra i due ci fu un breve ma intenso momento di forte imbarazzo. «Ma che cazzo sta facendo quello?» abbaiò Jean «e tu non dici niente?» aggiunse scrutandola adirato e non sapendo bene che dire né che fare. «Stanno ballando cosa dovrei dire?» gli rispose incerta, non era preparata a quell'improvviso incontro-scontro, ora si sentiva indifesa, ma perché si era infilata in quella situazione assurda? «Chissà chi ti capisce a te! Vengo in ospedale e ti trovo a letto avvinghiata ad Eren, vengo ad una festa e ti trovo abbarbicata a quel coso. L’importante è che il due di picche sia riservato esclusivamente a me! Fai e disfai a comodo tuo e di certo ti consoli in fretta, quando ti pare» «No, no, spetta, fermati! Ma che stai dicendo, sei fuori? A letto con Eren? Ma quando mai? Guarda che sei tu che di giorno stavi con me facendo l’amico premuroso e poi la sera ti facevi quella lì, sono venuta a casa tua una sera per parlarti e lei mi ha detto che eri sotto la doccia, mica sono scema eh?». Erano in mezzo alla pista e invece di ballare stavano discutendo animosamente attirando l'attenzione di tutti. Era diventata una situazione comica, ma anche molto seccante, mentre i loro amici, da spettatori trepidavano, ma al tempo stesso si divertivano pure gli infingardi.
«Galliard ha avuto una pessima idea ora si menano» dichiarò sconsolato Armin. «Ma almeno interagiscono» commentò sibillina Annie. «Se questa l’hai tirata per me, beh, l’hai fatta fuori dal vaso, non sono io che sono sparito!» le rispose a tono. Si era dileguata e ora voleva incolpare lui? «Touché!» ammise Annie alzando le mani «vengo in pace» aggiunse. Si era stupita quando aveva capito che non era stato lui a mandarle gli inviti, ma chiunque fosse stato le aveva fatto un gran favore perché era felice di vederlo. «Ma che per caso siamo coinvolti in una candid camera sul gioco delle coppie?» ridacchiò Sasha osservando i due amici tirarsi frecciatine. «Parrebbe plausibile visto l’andazzo della serata» commentò Pieck sorniona. In quel momento Megan era riuscita a sfuggire a Galliard e si era precipitata da Jean. Stava per aprire bocca ma lui la fermò «Per caso facevo la doccia, quando Mikasa è venuta da me?» l’aggredì piuttosto contrariato. «Boh… sì, no, non ricordo» farfugliò Megan assalita da una stana sensazione, tutta quella faccenda non le piaceva per nulla, qualcosa le sfuggiva. Come mai Jean se la prendeva tanto per una semplice collega? Si insinuò in lei il dubbio che ci potesse essere altro sotto. «Cerca di ricordare perché è importante» la incalzò il ragazzo. «Sì, e quindi?» sbottò stufa di quel teatrino. «Che bisogno c’era di mettere in piazza una cosa del genere! Sicuramente lei ha frainteso». «Non c’era niente da fraintendere, o non stiamo per andare a convivere, te ne sei dimenticato?» gracchiò Megan scandalizzata. Jean a quell'affermazione spalancò la bocca scioccato e stava per risponderle ma Mikasa lo precedette. «Basta così! Forse è meglio se ti chiarisci le idee Jean» gli disse molto scoraggiata. Le cose non stavano affatto andando bene, almeno non come sperava, e lui sembrava quasi stare con il piede in due scarpe. «Io ho le idee chi… » stava affermando piccato Jean, ma fu interrotto bruscamente. «Andiamo!» esordì perentorio Galliard afferrando Mikasa per la vita portandola via da lì. «Fidati di me» le sussurrò in un orecchio mentre se ne andavano «la bomba è esplosa, ora dobbiamo aspettare le reazioni». «Ehi tu? Levale le mani di dosso!» strillò invano Jean perché la musica sovrastò la sua voce facendolo sembrare afono nonostante sbraitasse, ma Megan che era vicina aveva sentito eccome. «Che situazione orribile, non mi sono mai sentita umiliata così tanto in vita mia. Sei veramente uno stronzo! Almeno abbi la decenza di accompagnami a casa» piagnucolò giocandosi la carta del farlo sentire in colpa, che in effetti ebbe il suo effetto, perché dopo tutto Jean restava un bravo ragazzo e a parte ciò avevano dato fin troppo spettacolo per quella sera, forse andarsene non era una cattiva idea.
*
«Ma tutto questo mistero era proprio necessario?» bofonchiò Levi mentre si aggiustava il collo della camicia. «Erwin ha detto che ha organizzato tutto Marie, di cui sembra essere davvero preso, perciò noi vogliamo essere gentili con lei e quindi accettiamo di buon grado questo invito al buio» gli rispose serafica Hanji, che per l'occasione indossava un semplice tubino nero con lo scollo quasi all'americana che le scopriva le spalle e una piccola porzione della schiena. Levi detestava quel tipo di uscite, ma sapeva che a lei le cose a sorpresa piacevano, e poi Erwin ci teneva un sacco a presentar loro la sua fidanzata ritrovata, quindi nonostante la sua innata reticenza per le serate mondane cercava di essere, a suo modo, meno misantropo del solito. «Sarà la solita cena, o aperitivo, nel solito locale alla moda, due palle! L'unica cosa per cui ne vale la pena è poterti ammirare fasciata in quel vestito, mi verrebbero in mente le peggio cose da farti, ma so già che possiamo fare tardi quindi le terrò da parte per quando rientreremo» le confidò sornione. «Ogni volta che metto questo abito ti parte un embolo» rispose Hanji lusingata. «È colpa delle tue spalle, sono così sexy...» le rispose in un soffio, prima di posare le labbra su una di esse per un bacio fugace. «Smettila subito o faremo davvero tardi e questo Erwin non se lo merita» lo redarguì Hanji con il fiato corto. Tra loro la chimica era ancora molto forte nonostante stessero insieme da un bel po'. Era meglio non soffiare sulla cenere, o il fuoco ci avrebbe messo un secondo a divampare. Erwin e Marie, come da accordi passarono a prenderli e le presentazioni furono fatte in modo informale prima di salire in macchina. «Lei è Marie» disse Erwin cingendole la vita e sorridendo rilassato. «Oh che bello finalmente ci conosciamo!» trillò Hanji emozionata andandole incontro per stamparle un bacio per guancia. Levi rimase immobile ad osservare la scena. Non era esattamente come se la immaginava, ma convenne che era il tipo di donna, almeno superficialmente, a colpo d'occhio, molto in sintonia con Smith. Bella, sobria, con un viso aperto e solare, non troppo appariscente, una donna di classe. «Erwin mi aveva avvertito che ti saresti comportata esattamente così. È davvero un piacere conoscerti Hanji!» reagì Marie all'assalto entusiasta della donna, poi alzò la testa e guardò Levi dritto negli occhi «Anche su di te mi aveva avvertito» e senza troppe cerimonie si avvicinò all'uomo e gli porse la mano: «Piacere di conoscerti Levi, io sono Marie». Lui apprezzò il gesto diretto e ricambiò la stretta. «Vogliamo salire?» invitò loro Erwin indicando la macchina. «Ho scelto un posto inusuale, ma spero che gradirete» cominciò a dir loro Marie e Levi alzò gli occhi al cielo, mentre Hanji gli rifilò subito una gomitata, meno male che erano dietro e lei non aveva potuto vedere nulla. «Le ho parlato di voi fino allo sfinimento» s'intromise Erwin «soprattutto di te e delle tue particolari caratteristiche» disse cercando lo sguardo di Levi attraverso lo specchietto retrovisore. L'altro lo guardò di traverso ma non fiatò. «Dovevo prepararla al tuo caratterino» aggiunse Smith ridacchiando. In parte era vero che aveva dovuto rassicurarla sul fatto che se Levi fosse apparso scostante non era un trattamento che riservava a lei in particolare, ma che era semplicemente fatto così. «Levi è come un gatto, può soffiare e graffiare, ma se lo sai prendere e lisciare dalla parte del pelo è adorabile e fa pure le fusa» aggiunse Hanji compiaciuta. «La smettete di parlare di me come se non fossi presente? Grazie!» sbottò l'uomo leggermente infastidito. Gli ci voleva il suo tempo per entrare in confidenza con le persone e così non gli stavano certo agevolando le cose. Marie era molto divertita dalla situazione, si girò verso i sedili posteriori e si rivolse direttamente al capitano: «Questa serata è dedicata in particolar modo a te, Erwin mi ha raccontato della vostra chiacchierata a Paradise, beh credo che io te lo deva, gli hai dato ottimi consigli». L'uomo rimase spiazzato, tanto che commentò con un secco «Io non do mai consigli ma dico solo quello che penso. Sempre!». La conversazione si interruppe davanti ad un elegante palazzo di una zona residenziale della città. Non sembrava ci potesse essere un locale, sembravano semplici abitazioni e di un certo livello. Erwin parcheggiò e Marie fece loro strada. «Ci stiamo recando a casa di un mio carissimo amico, non vi dico altro per non sciupare la sorpresa» spiegò loro sommariamente. «Ma che ci porta ad una rimpatriata? Quasi quasi era meglio il solito ristorante» bofonchiò sottovoce Levi ad Hanji. «Non cominciare, almeno arriviamo e vediamo, io sono molto curiosa!». «Te pareva!». «So che è inusuale ma fidatevi, faremo una bella esperienza» cercò di tranquillizzarli Marie che aveva intuito le loro perplessità, ma lei sapeva bene cosa stava facendo ed era abbastanza sicura della riuscita della serata. «Giuro che neppure io ne so nulla!» aggiunse Erwin che però era molto divertito, soprattutto dalla contrarietà di Levi.
*
Mikasa aveva un solo desiderio: sparire. Era pentita di aver ceduto a Galliard ed era sicura di aver fatto per l'ennesima volta la figura della cretina. Quasi quasi invidiava Jean e Megan che spediti si stavano avviando all'uscita. «Mi sa che è andata male» commentò Gabi. «Io ancora non lo direi: non è finita, finché NON è finita» sentenziò con fare da oracolo Sasha. «Io vorrei tornare a casa» disse stancamente Mikasa che non aveva neppure più voglia di litigare con quella banda di impiccioni. «Aspettiamo mezz'ora e poi te ne vai. Concedigli 30 minuti» le disse Galliard. La ragazza era così mogia che non ebbe neppure la forza di controbattere. Accettò silenziosa. Nel frattempo Jean e Megan stavano per uscire dal locale, uno più nero dell'altra, ma all'improvviso due enormi bodyguard sbarrarono loro la strada. «Ehi ma che cazzo fate?» sbottò malamente il ragazzo. «Lasciateci passare!» gli fece eco Megan. «Signor Kirschstein una persona vuole incontrarla» rispose molto tranquillo uno dei due energumeni facendogli segno di seguirlo. «Una persona chi?» sibilò Jean. «Quella che vi ha mandato gli inviti». «E chi sarebbe d grazia?». «Lo scoprirà quando la incontrerà». La cosa si stava facendo stranamente misteriosa. Non era il modus operandi dell'agenzia, ma puzzava molto di "lavoro". Certo poteva essere una trappola, ma l'agente che era in lui capì che era meglio assecondarli. «La ragazza non c'entra niente, lasciamola fuori» disse ai due. «La signorina la può serenamente attendere nel privè del locale, sarà un incontro breve e informale. Tranquilli». Jean era tutto fuor che tranquillo, ma li seguì senza fiatare. I monologhi dell’autrice Un caro saluto a chi legge e felice week end. Come state? Nonostante il caldo, spero tutto molto bene!!!
Eccomi qua. Finalmente (Deo gratias!) ho il computer funzionante! Detto questo sono ovviamente in ritardo e lo sarò fino alla fine della storia. Sto scrivendo il capitolo 35 e non credo che sia l'ultimo, ma il penultimo, almeno se riesco ad infilarci tutto quello che ho intenzione di dire, vedremo. Quindi pubblicherò quando potrò e non mi sbilancio sui tempi, state in campana, o come dicono quelli imparati: stay tuned! Detto questo, lo ammetto: sono una brutta persona (ma non è vero!) perché manco in 'sto capitolo Mikasa e Jean quagliano... ma come diceva qualcuno: l'attesa del piacere è essa stessa il piacere (e arrivarono le sassate!). Facendo la seria ripeto che visti i loro trascorsi, proprio per come li vedo io come coppia, non potevo fare diversamente, ma... Come al solito mi dilungo e vi tedio fin troppo, quindi concludo dicendo a tutti voi che state leggendo, commentando e mettendo la storia tra le seguite, preferite e ricordate GRAZIE di ♥♥♥
Il titolo è una citazione tratta da un film cult degli anni 80/90 che credo conoscano anche i muri, ci stava troppo a pennello per non approfittarne, avete capito di cosa parlo? 🤭 A presto!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 35 *** Orgoglio e pregiudizio ***
L’Isola dei Dannati A.o.T. Mission-almost-Impossible
35 Orgoglio e Pregiudizio
Jean fu accompagnato nel retro del locale. Fu molto sorpreso nello scoprire che lo stavano portando niente di meno che nel camerino di Claptone. Ogni tanto il DJ, durante la sua performace, lasciava la sua postazione per fare degli intervalli e metteva una play list di musica soft come sottofondo, dando così modo agli avventori del locale di poter prendere fiato, farsi due chiacchiere e magari bersi un drink. Si trovò nella stanza riservata al DJ, che lo attendeva di spalle con indosso una maglietta a maniche corte bianca. Jean stava per aprire bocca e chiedere del perché lo avesse convocato, quando quello si girò, tirò su la maschera e si tolse la mezza tuba dalla testa. «Connie???» gli sfuggì di bocca allibito, non se l'aspettava proprio. «Già, caro mio, sono proprio io». «Ma... ma sei davvero Claptone?» gli chiese ancora incredulo, questa sì che era una sorpresa. «Sì e no, per ora siamo in tre che lavoriamo su questo particolare progetto dell'agenzia. È un nuovo tipo di copertura con diversi alias in cui mi hanno inserito, per ora siamo in rodaggio per vedere se siamo credibili come unica persona e questo evento è un po' una sorta di test. Ci scambiamo a turno e testiamo se siamo verosimili, la maschera ovviamente aiuta. In più ho sempre sognato di fare il DJ» spiegò tranquillo. «Beh, amico mio, direi che andate alla grande, io non ho notato nulla e sono del mestiere» si congratulò Jean. «Ti pregherei per il momento di tenere la cosa per te, non la sa nessuno, neppure uno solo dei ragazzi, mi sto giocando la carriera rivelandotela perché per ora è top secret». «Va bene, tranquillo, ma come mai quest'incontro? Non potevi dirmelo in un secondo momento? O c'entra in qualche modo il nostro lavoro?» chiese Jean un po' stranito non capendo bene che stesse accadendo. «Caro il mio rincoglionito, non è lavoro e no, non potevo dirtelo "dopo"; sappi che ho imbastito tutto questo casino invitandovi alla festa solo per darti modo di dichiararti con Mikasa. Ero convinto che portassi lei, dato che all'ultima riunione abbiamo saputo che Eren sta definitivamente con Krista e la bambina, invece ti sei presentato con un'altra, sei proprio un deficiente!». Jean aprì la bocca e poi la richiuse, quindi fece per parlare ma Connie fu più veloce di lui. «Se la ami ancora va da lei e datti una mossa prima che finisca tutto a puttane definitivamente. Vediamo se salite una volta per tutte su questo treno che continuate a perdere. Muoviti, prima che lei ci salga con quel Galliard! E non preoccuparti della tua accompagnatrice, a lei ci penserò io». L'orgoglio di Jean tentò un ultimo colpo di coda, infatti avrebbe voluto dirgli che si era dato tanta pena per nulla, che lui ormai aveva voltato pagina, ma il suo cuore sgomitò con prepotenza, si fece avanti e mise a cuccia l'orgoglio, del resto gli fu chiara una cosa, Connie aveva ragione: ora o mai più! «Grazie amico mio, ma non sono certo che lei mi voglia» gli uscì spontaneo dalla bocca. «Tu almeno lo sai che cosa vuoi?» gli chiese secco l'altro. «Certo! Che domande ho sempre voluto lei e solo lei. Tu e Sasha sapete molto bene che sono cotto di Mikasa fin dai tempi dall'accademia!». «E allora diglielo! Magari anche lei potrebbe credere come te che tu non la voglia, ci hai mai pensato? Soprattutto ora che ti ha visto con quella ragazza». Connie ancora una volta aveva ragione pensò illuminato Jean. «Sono proprio un coglione!» ammise. «Bravo e ora forza, muoviti! Sei ancora qui?» lo spronò buttandolo letteralmente fuori dal camerino e dandogli anche un bel calcio nel sedere a mo' d'incoraggiamento spiccio. «Io me ne vado a casa. Ho già chiamato un taxi» esordì Mikasa alzandosi. Era avvilita e aveva voglia di stare da sola. Non ci fu verso di farle cambiare idea. «Dai vengo con te, d'altronde siamo venuti insieme...» disse alla fine Armin alzandosi. «No, voglio che tu rimanga con Annie e io comunque preferisco andarmene da sola e per una volta lasciatemi fare come più mi piace, vi prego non ne posso più delle vostre interferenze non richieste» rispose stancamente passando in rassegna con lo sguardo uno per uno i suoi amici. Armin non se la sentì di replicare e la lasciò libera di fare ciò che si sentiva. Fu imitato dagli altri, che si resero conto di aver esagerato facendole forse troppa pressione. Anche Galliard depose le armi e non fiatò, forse Mikasa era solo una guerriera a metà. La ragazza uscì dal locale in fretta e scomparve oltre la porta d'ingresso, in quel momento, fatalità, sopraggiunse Jean. «Mikasa dov'è?» chiese senza perdersi in troppi convenevoli. «L'hai mancata per un pelo è appena uscita per tornare a casa» gli spiegò Falco. «Vedi di raggiungerla e chiaritevi, non ne possiamo più di voi due che vi rincorrete senza incontrarvi mai come fanno Paolo e Francesca nel quinto canto dell'inferno di Dante!» sentenziò Sasha sempre più compenetrata nel suo ruolo di pseudo sibilla. Jean strabuzzò appena gli occhi non capendo bene che stesse dicendo. «A parte che Paolo e Francesca in vita furono amanti e questi due non credo neppure si siano mai baciati sul serio, ma poi mica si rincorrevano, venivano sbattuti dal vento sulle rocce!» la corresse Armin con fare da saputello. «Beh un bel paio di craniate contro una roccia non potrebbe essere un'idea malvagia per ammorbidire le loro testacce dure, non ho poi detto niente di così sbagliato. E smetti di fare il maestrino pensa piuttosto anche alla tua di testa dura!» gli rispose la ragazza ammiccando con lo sguardo verso Annie. «Tu mi farai morire dal ridere!» ammise Pieck davvero divertita. Per lei quella ragazza era una forza della natura. Un mezzo sorriso timido incurvò anche le labbra della stessa Annie a dire il vero. «Va bene grazie!» tagliò corto Jean dirigendosi a passo spedito verso l'uscita. Lui e Mikasa avevano perso troppo tempo prezioso, tra picche ripicche e orgoglio, senza capirsi, né chiarirsi ed era giunta l'ora di farlo. Ovviamente fuori non c'era traccia della ragazza, lui si guardò sconsolato intorno sin quando non la intravide salire su un taxi. Ebbe un sussulto, ma non ce l'avrebbe mai fatta a raggiungerla correndo. D'istinto guardò l'orologio segnava le una e trenta passate, non era certo il caso di presentarsi a casa sua a quell'ora, l'avrebbe fatto l'indomani mattina presto, munito di cappuccino caldo, una pasta alla crema e magari anche una rosa. Voleva che tutto fosse perfetto, anche se la paura di essere respinto smorzava l'atmosfera idilliaca del film che si stava componendo nella testa. Era come se fosse eternamente impantanato in un minuetto tra aspettativa e paura che gli teneva alta l'adrenalina, ma gli frenava l'entusiasmo. Si diresse alla macchina in preda ad un misto di delusione e attesa, mise in moto e si diresse verso casa. Una volta arrivato parcheggiò nel posto a lui assegnato e con una certa indolenza si avviò alla porta di casa, girò la chiave entrò e accese la luce. Si lasciò cadere sulla poltrona del salotto e si passò le mani tra i capelli come per darsi una tregua. Ma perché si era messo con Megan? Perché aveva pensato che chiodo potesse schiacciare chiodo? E comunque se era onesto con se stesso non era stato giusto neppure nei confronti di lei, che non aveva nessuna colpa se Mikasa lo faceva sempre dannare. Mentre era preso dalle sue considerazioni il campanello trillò insistente facendolo sobbalzare. Sicuramente è Megan e ora mi toccherà subirmi anche una parte di merda di quelle epiche! pensò. Ebbe la tentazione di far finta di non essere in casa, ma poi si disse che se voleva davvero provare a conquistare la ragazza che amava era giusto chiudere quella parentesi. Svogliatamente andò verso la porta, che una volta aperta, gli rivelò quello che mai avrebbe immaginato: due occhi grandi e scuri che intensi si fissarono subito dentro i suoi. Lei era lì e no, non era una visione. Deglutì, accennò una specie di sorriso e si schiarì la voce. Era impreparato a quel volto che proprio non si aspettava di trovare dietro l'uscio, soprattutto a quell'ora. «Mi..kasa?» gli uscì dalla bocca in un soffio incerto. Lei sembrava molto decisa rispetto al suo solito, sostenne il suo sguardo e arrossì in maniera impercettibile. I suoi occhi lo fissavano in modo cupo e intenso e sembravano celare un'imminente tempesta. «È tardi. Inopportuno e folle, ma devo farlo» gli annunciò decisa e bellicosa come se fosse pronta per dare battaglia. Lui ancora scosso e imbambolato annuì senza sapere né il perché fosse lì, né di cosa stesse parlando, non ci stava capendo nulla, ma fu un attimo e si riprese, doveva cogliere quell'opportunità al volo. «Mikasa, senti io ...» ma l'indice della ragazza repentino gli sigillò le labbra. «Non ora. 'Sta zitto e baciami» gli ordinò con voce bassa ma decisa. Quelle parole furono come un innesco ad una bomba. Qualcosa scattò e all'improvviso fu come se si fossero rotti gli argini di un fiume in piena che strabordando furioso li investì con foga e potenza. Jean avrebbe voluto almeno pronunciare un sì di felice accondiscendenza, ma le sue le sue labbra si erano sigillate su quelle della ragazza. Non si rese neppure conto se fu lui a muoversi verso di lei o viceversa. In un attimo le mani di Mikasa scivolarono avide sotto quella camicia bianca per carezzare la sua pelle e sentire la consistenza dei suoi muscoli. Prima di allora non aveva mai capito quanto desiderasse realmente farlo. Fremiti d'impazienza la fecero tremare sotto il tocco delle mani di lui che nel frattempo si insinuarono tra il tessuto del suo top e l'epidermide della sua schiena. Jean come se avesse assunto una droga potente fu travolto da quel crescendo di sensazioni e si ritrovò come in un altro mondo, per un attimo chiuse gli occhi e si abbandonò appoggiandosi allo stipite della porta. Lasciò che lei conducesse le danze, era pazzesco, un desiderio che si avverava e Mikasa era proprio ghiaccio bollente. Era letale e non solo nell'arte della guerra. Sembrava quasi conoscesse ogni suo punto debole. Le sue braccia lo reclamavano con decisione e lui non aveva alcuna intenzione di opporre resistenza. Anzi non appena riprese un breve barlume di controllo l'afferrò saldamente per i fianchi, scoperti da quel provvidenziale crop top che l'aveva resa a suoi occhi, più sensuale di qualsiasi altra donna avesse visto quella sera e con decisione se la tirò su a cavalcioni e lei subito incrociò le gambe dietro la sua schiena. Finalmente abbandonarono la soglia ed entrarono in casa. Le labbra di Mikasa non davano tregua a quelle di Jean, che avido di quella bocca come se fosse acqua nel deserto ricambiava quella fame con slancio ancora incredulo. «Sei sicura?» gli chiese all'improvviso senza fiato, interrompendo di malavoglia quella delizia, ma doveva farlo. Gli occhi di lei lucidi, le guance in fiamme, il fiato spezzato dal desiderio crescente erano già una risposta chiara, a cui si aggiunse un sì, che gli soffiò sulle labbra prima che le loro lingue si lambissero di nuovo. Mikasa si era resa conto di averlo sempre voluto, soprattutto quando lo negava. Jean avvertì i suoi seni sodi e generosi premuti contro il suo petto e un brivido caldo lo pervase. Se stava sognando che non lo svegliassero, o avrebbe ucciso qualcuno. Finalmente trascinandola in modo anche un po' goffo, urtando un paio di volte contro il muro e gli arredi, arrivarono sul letto dove le loro bocche e le loro mani continuarono a cercarsi smaniose, fin quando lui dovette chiederle di nuovo: «Sei sicura?». La desiderava fino a stare male, ma voleva che per lei fosse lo stesso, questa volta non avrebbe accettato niente di meno. Mikasa in preda all'ebbrezza del desiderio annuì semplicemente e poi si sfilò il top cominciando ad armeggiare febbrilmente con il reggiseno, Jean subito la imitò strappandosi quasi di dosso la camicia e guerreggiando per sfilarsi pantaloni in minor tempo possibile. In breve tempo furono liberi e nudi e cominciarono a baciarsi la pelle del collo, del viso, del seno, del petto, mentre le mani stringevano febbrili natiche, spalle, fianchi. Si esploravano avidi, centimetro per centimetro, per poi risalire e riscendere di nuovo. Gli occhi chiusi, entrambi in debito d'ossigeno con i cuori impazziti che battevano ad un ritmo impetuoso come fusi all'unisono. Le loro bocche umide si tormentavano mentre i loro corpi in un groviglio sensuale li stavano conducendo in luogo agognato e sconosciuto. Finché non aderirono perfettamente l'un l'altra, incastrati, occhi negli occhi e labbra su labbra muovendosi in armonia con esasperante e struggente lentezza, per non affrettare quel culmine che premeva impaziente, aumentando il ritmo di quel saliscendi fino a farsi divorare da quell'incendio che covava sotto la cenere e che finalmente prese fuoco e divampò devastante fino a consumarli in un'unica fiamma.
*
«Questa palazzina è di proprietà di Dae Tanaka, americano di nascita ma figlio di una coppia di immigrati asiatici. Coreano da parte di Madre e giapponese da parte di padre. Abbiamo fatto il liceo e università insieme» cominciò a dire Marie accompagnandoli verso l'androne dell'edificio. «All'ultimo piano c'è un attico, diciamo personalizzato, ed è una sorta di "club" che si può prenotare esclusivamente per eventi privati» continuò mentre stavano salendo veloci verso la cima del palazzo con un'ascensore esterna in vetro, che dava loro modo di ammirare Boston colorata da mille lucine, che cominciavano ad accendersi timidamente su un tramonto aranciato. Erwin era completamente assorbito dalla sua Marie e dalla bellezza panoramica che li circondava facendo da cornice ad una serata, che sentiva sarebbe stata indimenticabile, almeno per lui. Non le staccava gli occhi di dosso ammaliato. Era davvero felice di essere lì con la donna che amava e altre due persone molto importanti della sua vita, con cui aveva condiviso esperienze pazzesche al limite del fantascientifico. Hanji, dal canto suo voleva solo godersi la serata, dopo tutto ciò che avevano vissuto negli ultimi tempi un'uscita "normale" era oro prezioso, inoltre era sempre più curiosa e affascinata da questa singolare location che veniva loro svelata poco a poco. Levi invece era sempre più contrariato. Queste cose così particolari, un po' da ricconi annoiati, a lui proprio non piacevano, anzi gli davano molto sui nervi e se ne stava appoggiato di spalle al panorama, imbronciato, fissando ostinatamente la pulsantiera dorata. Se non diceva una parola era per rispetto ad Erwin perché sapeva quanto ci tenesse a questo strampalato incontro. L'ascensore si aprì direttamente nell'appartamento di Mr. Tanaka rivelando un'arredo particolare tutto in legno, pietra e piante verdi, per lo più cespugliose e tagliate a sfera in grandi vasi di pietra grigia. Furono invitati a togliersi le scarpe nell'apposito andito adibito proprio a quello, cosa che piacque molto a Levi dato che denotava una bella attenzione all'igiene, che ovviamente apprezzava particolarmente. Sapeva perfettamente che era una tradizione culturale asiatica, ma disincantato com'era, non si aspettava che fosse rispettata anche in un locale, sebbene particolare, nel pieno centro di Boston. Benché fosse un vero maniaco in fatto di pulizia e appunto igiene, alla fine era dovuto scendere a patti con se stesso e, per quanto riguardava il suo occhio "bionico" evitava accuratamente di inserire la modalità infrarossi, o microscopio, quando non si trattava strettamente di lavoro, o avrebbe finito per perdere la ragione, scorgendo ogni singolo granello di polvero e sporco. Così preferiva ignorare, non vedere e non sapere, anche se gli ci voleva un'autodisciplina ferrea per poterlo fare senza dare di matto, ogni volta che era in posti sconosciuti. Ad accoglierli c'era un uomo, vestito con un tradizionale kimono giapponese, molto alto con un sorriso affabile, occhi scuri a mandorla che spiccavano su un volto delicato e bianco come il latte: Mr. Dae Tanaka in persona. «Benvenuti all'Other Hanok. Sono felice di avervi come miei ospiti» disse facendo il tradizionale inchino tipico di ambedue culture a cui apparteneva. «Seguitemi, vi mostro la casa» fece loro cenno, e mentre camminavano cominciò a dar loro delle informazioni. «Dunque gli hanok erano delle abitazioni tipiche della Corea risalente al XVI secolo, epoca della dinastia Joseon che governò la terra di mia madre per cinque secoli. Erano caratterizzati da un cortile centrale, ed erano progettati per essere in armonia con i flussi energetici della terra e i ritmi delle stagioni. Nulla era affidato al caso. Ho pensato di ricreare, per quanto possibile, questa corrispondenza in questo posto speciale che ho fatto arredare proprio da mia mamma, architetto e donna con grande buon gusto. Questo appartamento in qualche modo rimanda, sebbene in chiave moderna, a quel tipo di abitazione fondata sul concetto di armonia tra uomo e ambiente. Ovviamente è rigorosamente eco-friedly. Per garantire la continuità tra antico e contemporaneo, mia madre ha optato per un adattamento dello stile, sostituendo le caratteristiche porte decorate con ampie vetrate trasparenti, che danno sulla grande terrazza, che sostituisce il cortile centrale, in cui ho voluto un karesansui che voi conoscete come giardino Zen. Mi preme specificare che questo nome non è corretto e i giapponesi non lo chiamano mai così». Era affascinante come in lui convivessero, molto radicate queste due anime orientali così simili, ma anche così diverse. Il giro della bellissima casa era quasi finito mancavano solo due stanze. «Prego, questa è la Tado Room» disse aprendo una tipica porta a separé che li introdusse in ambiente spartano quanto incantevole. «Potremmo definirla "La stanza del tè". Anche questa rivista e corretta, ovviamente. Oltre al prezioso tatami e al tavolino basso in tek è stata inserita un'area lettura che ricorda gli usi della nobiltà della dinastia Joseon, che era solita radunarsi all'aria aperta per studiare, scrivere poesie e rilassarsi. Il materiale protagonista, come vedete è sempre il legno ma impreziosito da lavorazioni artigianali che ci riportano indietro nel tempo». Era così pacato mentre mostrava l'ipnotica bellezza di quello spicchio d'oriente, che stava incantando tutti e anche Levi tutto sommato era piuttosto sorpreso. Quindi era una sala da té -per inciso la sua bevanda preferita - riservata unicamente a loro quattro e sembrava proprio di essere in Corea, neppure avessero avuto a disposizione il teletrasporto di Star Trek! Pensò piacevolmente colpito il capitano. Hanji era senza parole, totalmente affascinata da quell'atmosfera che li avvolgeva. Grazie al suo occhio "bionico", che lei usava fregandosene della polvere, era in grado di apprezzare ogni infinitesimo dettaglio di quella meraviglia architettonica dall'arredamento di raro pregio. Con la mente vagava e sull'onda delle parole di Mr. Tanaka, già si trovava nell'epoca del Joseon, in cui i primi attriti tra Corea e Giappone erano già sorti, stupefatta da come, con così tanta dedizione, quell'uomo aveva invece ricreato una fusione tra le due culture creando quella magia nel cuore di Boston. Nel frattempo li fece accomodare. Marie era molto felice e soddisfatta, si era già resa conto di avere fatto bene ad avere quell'idea ricordandosi del suo vecchio compagno. Erwin non aveva avuto dubbi sapeva quanto fosse attenta ed empatica, le aveva raccontato un sacco di cose su Hanji e Levi e lei evidentemente ne aveva fatto tesoro. Gli fu subito chiaro che il bersaglio che voleva colpire fosse il più ostico tra i due, ovvero Levi e capì che probabilmente lo stava centrando in pieno, ma non poteva sapere che non era finita lì tutta la sorpresa della serata. Nel frattempo sopraggiunse la madre di Tanaka, vestita con il tradizionale costume coreano, l'hambock. Era una donna bellissima dall'età indefinibile, che li accolse con un tenue e dolce sorriso e li fece accomodare tutti e quattro sul tatami. Cominciò la cerimonia del tè, facendo scivolare con grazia l'acqua calda per riscaldare le tazze da un recipiente attraverso un cilindro di bambù. Poi preparò l'infuso mettendo del tè nella teiera e versandovi sopra acqua calda, ma da un altro recipiente adibito solo a quell'uso. Mentre aspettavano che la bevanda fosse pronta, la donna dalla voce gentile e delicata, tanto da ricordare a Levi l'ASMR, cominciò a spiegare loro il rito del tè. «Sappiate che non siete qui per caso. Chi giunge a noi ha di sicuro un animo nobile, guerriero, ma anche empatico e gentile. Durante questa cerimonia spesso molti cuori si aprono e si illuminano quindi potreste avere delle rivelazioni interiori. Questa tradizione che ci viene tramandata nei secoli dai nostri avi presuppone che il silenzio, durante l'infusione, sia un momento meditativo di concentrazione spirituale e che sia sacro. Infatti antichi resoconti storici, narrano di cruenti scontri fra guerrieri, che a un certo punto del combattimento interrompevano il duello, deponevano le spade e si sedevano l'uno di fronte all'altro per la cerimonia del tè. In quell'intervallo di tempo ogni odio e ogni disturbo esterno doveva essere dimenticato e la mente doveva concentrarsi solo sulle azioni di questa cerimonia e sul silenzio interiore, per rigenerare lo spirito del combattente e dare pace alla sua anima. Terminata la cerimonia, si inchinavano l'un l'altro e poi riprendevano lo scontro. Per rispettare questo principio intrinseco, riportandolo però ai giorni nostri, gli ospiti che partecipano a questo evento di solito sono persone che colgono questa occasione per regalarsi un momento molto intimo, per rinsaldare un'intesa solida e profonda. Potete ben capire che è una cosa del tutto diversa dalle abitudini occidentali in cui sorbendo il tè, si chiacchiera del più e del meno. Noi, rispettando questi principi, lo abbiamo trasformato in un momento in cui persone che hanno un legame speciale condividono un'esperienza diversa e intima, in armonia tra di loro e ciò che li circonda». Poco dopo, appena conclusasi l'infusione, cominciarono a gustare la bevanda calda a base di tè bianco(1) . Scelto dalla signora appositamente per loro. Prima della seconda tazza di tè vennero loro offerti dei dolci tipici sia coreani che giapponesi per accompagnare il resto della degustazione, che si sarebbe conclusa con la terza tazza di tè. Fu un momento molto piacevole e in certo senso anche rilassante. Erano tutti a loro agio e per Levi era una cosa davvero inusuale. «Ho un'affezione particolare per il tè e devo dire che ho gradito molto questo interludio orientaleggiante, senza contare che adoro il tè bianco» ammise Levi fissando Marie. «Beh allora siamo stati fortunati perché è stato scelto da madame Yeona, la madre di Tanaka, appositamente per noi» confessò soddisfatta Marie. «Caro Erwin direi che questa volta hai trovato la scarpa giusta per il tuo piede» ammiccò Hanji rilassata. «Già direi proprio che se te la fai scapare sei proprio una fava(2)!» rincarò Levi con il suo modo di fare diversamente ricercato. «Non fare caso a lui, il turpiloquio è la sua massima espressione di approvazione» spiegò serafica Hanji assaporando l'ennesimo gustoso dolcetto. Erwin rise e si rivolse a Marie: «Vedi? sono esattamente come te li avevo descritti». «Se avete voglia possiamo anche fermarci a cena, ma prima dobbiamo visitare l'ultima stanza» aggiunse sorniona Marie. «Molto volentieri!» trillò Hanji eccitata, quel posto le piaceva un sacco. Levi annuì concordando, tutto sommato quella serata si stava davvero dimostrando piacevole anche per un misantropo come lui. Furono nuovamente raggiunti da Mr.Tanaka. «Se avete finito, prima di accompagnarvi sul terrazzo, nel nostro karesansui, dove stanno apparecchiando per voi, avrei l'immenso piacere di farvi visitare la mia Buki-shitsu, in pratica l'armeria, dove custodisco gelosamente la mia collezione privata di armi antiche». «È un privilegio riservato a pochi, perché Dae non è solito mostrarla a chiunque» spiegò solerte e molto compiaciuta Marie. Tanaka sorrise e annuì dandole ragione. «So che tra voi c'è un fine cultore di armi da taglio e non potevo non gioire con lui della bellezza di un'autentica e rara katana appartenuta niente meno che al grande Hattori Hanzō(3)». Levi sussultò e strabuzzò gli occhi. Erwin rise molto divertito. Hanji, premurosamente, si avvicinò al suo uomo e gli strinse la mano perché non avesse un mancamento. Marie salì diretta al settimo cielo: bingo! Aveva fatto centro. Passarono circa un'ora in quell'armeria dove Levi sembrava nel suo Eden personale, totalmente ammaliato da tanta letale magnificenza e dove si gustò ogni particolare di quelle antiche armi appartenute a famosi e indomiti samurai. Erwin seguiva anch'egli molto affascinato e colpito da quella collezione così rara e preziosa. Hanji e Marie pur apprezzando infinitamente tutta quella antica bellezza, colsero anche l'occasione per fare due chiacchiere rimanendo appena qualche passo indietro ai due uomini che comunque rapiti, da quelle armi di antica foggia, non le avrebbero comunque calcolate. «Sono davvero felice che vi siate ritrovati tu ed Erwin. Non sapevo quasi nulla di te, ma mi è sempre stato chiaro che lui ti ha costantemente portata con sé. Sai non è uno che parla molto, né fa capire ciò che sente, ma io ho un'empatia particolare con gli zittoni e gli introversi, ne ho sposato uno, che sembra che si sbottoni senza filtri, ma in fatto di sentimenti è speculare ad Erwin. Perché anche se sono molto diversi, per certe cose sono davvero simili. Ho capito da tempo che si sentiva incompleto, ora invece lo vedo con una luce nuova negli occhi» confessò la caposquadra all'altra donna. «Per me è stato più o meno la stessa cosa. Ho sofferto molto quando ci siamo lasciati, ma la vita trova sempre il modo di sorprenderti. Ancora siamo cauti e in fase di rodaggio, ma non posso nasconderti quanto io sia felice che sia tornato da me. Un regalo prezioso e inaspettato che non ho intenzione di sciupare per nessuna ragione al mondo». La serata continuò con una cena di due portate: sushi, di parte giapponese e Bulgogi di parte coreana, annaffiati da Somaek (Soju e birra miscelati) e te macha per i più pavidi. Mentre finivano di gustarsi la cena, in attesa dei dessert, anche quelli una gustosa miscellanea tra prodotti tipici giapponesi e coreani, da tutt'altra parte, nel quartier generale della CIA era stata convocata d'urgenza una riunione a tre tra Pixis, Zachary è il referente diretto del presidente in persona. «Dopo questa novità inaspettata dovete convocare tutti gli agenti e subito. Dobbiamo comunicargli che cosa è stato deciso del loro futuro. Prima accetteranno la loro nuova condizione e prima il progetto sarà avviato. Il tempo in certi casi è assai prezioso, quindi, forza, muovetevi!».
I monologhi dell’autrice Un caro e sudato saluto a chiunque stia leggendo!
Sappiate che le note sono mooooooooolto lunghe, siete avvitati! Note: 1) Il tè bianco viene così chiamato perché ottenuto selezionando unicamente i germogli di tè ricoperti di una peluria bianco-argento. Viene prodotto facendo appassire all'aria le foglie di tè dopo la raccolta. È parzialmente ossidato (l'ossidazione è una reazione chimica che avviene spontaneamente nelle foglie di tè). Per le sue peculiari caratteristiche nutrizionali, il tè bianco è considerato il più pregiato dei tè. In particolare risulta ricco di polifenoli, sostanze antiossidanti che esercitano sull'organismo dell'uomo diverse azioni benefiche e protettive: queste sono infatti in grado di ridurre i danni a carico delle cellule, con effetti antietà e antitumorali. Apportano inoltre benefici al sistema cardiovascolare in quanto prevengono l'ipertensione, l'aterosclerosi e altre patologie a carico del sistema cardiovascolare. I polifenoli del tè bianco agirebbero positivamente anche sul cervello, proteggendolo dall'invecchiamento e dalla demenza; sulla pelle, mantenendola giovane più a lungo e su denti e ossa, rinforzandoli. Diversi studi ascrivono inoltre a questo tipo di tè proprietà antibatteriche e anti-stress. (fonte: https://www.humanitas-care.it/) 2) parolaccia in dialetto toscano che letteralmente significa: membro maschile, ma che viene anche usata con l'accezione di testa di cazzo (miii paio la Treccani, ahahaha!) 3) Hattori Hanzō (Mikawa, 1541 – 23 dicembre 1596) è stato un samurai giapponese del periodo Sengoku. Conosciuto anche come Hattori Masanari o Hattori Masashige, salvò la vita di Tokugawa Ieyasu ed ebbe un ruolo chiave nella sua salita al potere e nell'unificazione del Giappone. Un personaggio omonimo di Hattori Hanzō è stato usato nel 2003 da Quentin Tarantino in Kill Bill vol. 1; nel film, Hanzō è un maestro samurai e un abilissimo forgiatore di spade. (fonte wikipedia)
Le informazioni su usi e costumi della Corea sono state reperite su: www.corea.it
Come potete intuire sono una cultrice delle culture asiatiche, più di quella coreana che di quella giapponese in realtà, anche se a loro modo mi affascinano entrambe. Avrete anche potuto notare che (chi mi legge da tempo già lo sa) non metto mai nulla a casaccio (vedi Claptone) e ci tengo a specificate (anche se è un mio personale piacere) che amo molto documentarmi e curare nei dettagli ciò che scrivo. Spero dunque di non avervi annoiati con la serata Corea-giappo in quel di Boston, ma mi piaceva regalare a queste due coppie un'esperienza diversa dalle solite cene e/o aperitivi vari. Inoltre... EVVIVA! tanto tuonò che piovve! Jean e Mikasa hanno quagliato! Spero di essere stata all'altezza delle vostre aspettative (se mai ne avete avute) Detto questo (finalmente) mi congedo. Ci tenevo a postare questo capitolo nei tempi semi-promessi, ma sappiate che il prossimo è letteralmente da scrivere di sana pianta, quindi suppongo (e spero di cuore) di scriverlo quanto prima, ma non ho idea di quando potrò postarlo, sicuramente entro la fine di agosto e probabilmente non sarà l'ultimo, perché in questo ho scritto la metà di ciò che mi ero riproposta, ma non volevo fare un capitolo di 20 pagine, quindi ci saranno almeno altri 2 capitoli se non addirittura 3 alla fine. Ora basta, mi fermo davvero! Vi auguro buone cose e ringraziando di cuore come sempre chi mi legge, mi commenta, mi mette tra preferiti, ricordati e seguiti, ci sentiamo entro la fine del prossimo mese!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 36 *** The day after ***
L’Isola
dei Dannati
A.o.T.
Mission-almost-Impossible
36 The
day after
Mikasa
fu svegliata da un allegro fischiettare che a occhio e croce doveva
venire dalla cucina. Dopo essersi stiracchiata pigramente aveva
avvertito un piacevole profumo dal sentore dolciastro solleticarle le
narici. Girandosi sul letto sfatto aveva notato il cuscino accanto a
lei dove aveva poggiato la testa Jean. Inevitabilmente aveva
ripensato a cosa era accaduto tra loro arrossendo compiaciuta. Subito
però i morsi dell'insicurezza le avevano attanagliato lo stomaco.
Era la stessa alcova dove aveva portato anche quella Megan e quanto
contava per lui? Davvero dovevano andare a convivere? Aveva fatto
bene a lanciarsi andare così spudoratamente abbattendo tutti i muri,
che con il tempo aveva tirato su per difendersi? Era inutile
pensarci ormai era fatta, così lo raggiunse in cucina dove lo colse
in mutande (tanto per cambiare), che stava preparando la colazione a
base di pancake e caffè. Ebbe un tuffo al cuore. Jean intento
nei preparativi non si era accorto di lei e Mikasa si soffermò a
guardarlo. Ora poteva gustarselo e concedersi di ammettere che le
piaceva proprio tanto, non solo esteticamente, ma anche come si
muoveva, come era serio con lo sguardo impegnato mentre le preparava
la colazione nonostante fischiettasse ossessivamente quel motivetto
già da qualche minuto. Era sempre così attento nei suoi confronti e
lo apprezzava tantissimo. Aveva apparecchiato con cura anche se
aveva le tazze spaiate e i piatti da seconda portata piuttosto che da
dessert. Aveva voglia di abbracciarlo ma proprio
in quel momento lui alzò lo sguardo e la vide lì, in piedi, con i
capelli spettinati e la sua maglietta indosso che lo fissava. Deglutì
ancora incredulo che la ragazza dei suoi sogni fosse realmente nella
sua cucina, bella come un'alba d'estate; poteva quasi sentire il
profumo della sua pelle e prima che il suo corpo reagisse in maniera
inappropriata si impose di pensare ad altro evitando di soffermarsi
sulle sue morbide forme che si intravedevano dalla maglietta, non
voleva che lei credesse che era uno che pensava solo a quello, anche
se onestamente, dopo aver aspettato così tanto ora non avrebbe fatto
altro per le prossime ore e forse giorni. «Buongiorno!»
le disse scacciando con prepotenza il ricordo di loro due avvinghiati
nel letto e invitandola a sedersi. Nonostante tutto era agitato.
Temeva che potesse tirarsi indietro, che per lei potesse essere stato
un fuoco di paglia o peggio un errore di cui pentirsi e poi c'era la
"questione Megan". Le sorrise prendendo a calci quei
pensieri che lo deconcentravano. «Porca puttana!» gli scappò
infatti dalla bocca togliendo i pancake dalla padella. Grazie alle
sue pippe mentali si erano leggermente bruciacchiati, si maledisse
per essersi distratto. «Ti sei fatto male?» saltò su lei
correndo in suo aiuto. «No ho solo un po' rovinato i pancake»
disse mortificato sistemandoli sul piatto di portata. «Non
importa li grattiamo con un coltello» disse Mikasa abbracciandolo da
dietro e stampandogli un bacio su una scapola, lui rabbrividì appena
e si girò impedendole di dare fuoco ad una miccia che non avrebbe
saputo spegnere. Si sedettero a tavola e Mikasa con certosina
pazienza raschiò via il sottile strato di bruciatura dal suo
pancake. «Mi sono arrangiato con quello che avevo in casa. Ti
chiedo scusa per la colazione di fortuna, non ho neppure lo sciroppo
d'acero...» le disse mentre la guardava spalmare la marmellata di
more che per fortuna aveva comprato qualche giorno prima. «Sei
stato carinissimo a prepararla ed è tutto perfetto, tranquillo». Lo
pensava davvero, quella sorta di normalità le piaceva un sacco, come
se stesero insieme da tempo. Addentò quella specie di frittella e se
la gustò facendola sciogliere in bocca mugolando appena. Lui con
i gomiti poggiati sul tavolo, il viso tra le mani e la colazione
intatta la guardava incantato. Dio se era bella, anche spettinata,
con gli occhi abbottonati e la bocca piena sembrava comunque una
dea. «Che c'è?» gli chiese lei sorridendo dopo aver
deglutito. «Sei uno spettacolo» le sfuggì sinceramente dalla
bocca. «Anche tu. Dentro e fuori» gli rispose di getto. «Mikasa
ti devo delle spiegazioni su Megan» si decise a dirle senza
indugiare oltre. Non poteva rimandare ancora la questione. «Jean
noi due non stavamo insieme, non sono necessarie» mentì lei mentre
il suo cuore aveva cominciato a battere all'impazzata per la
preoccupazione di ciò che poteva dirle. «Lo sono per me»
puntualizzò lui molto grave. «Ero convinto che tu fossi tornata
con Eren. Vedervi insieme è stato un colpo da cui temevo di non
riprendermi e lei, di contro, mi stava dietro da un bel po'. Ho
provato a fare chiodo schiaccia chiodo, ma ho solo ferito te e anche
lei, che non c'entra nulla. Ieri sera quando ti ho vista con Galliard
mi sono davvero ingelosito e ho fatto lo stupido solo per ripicca,
Connie dice che sono un coglione e io concordo. Inoltre sappi che
quella sera della doccia non c'era stato ancora niente tra noi e se
solo avessi immaginato che eri lì sarei volato immediatamente da te.
Mikasa lo sai sono anni che sono perso per te e spero di non aver
rovinato tutto con la mia dannata impulsività» concluse a
precipizio. Voleva dire così tante cose ma aveva la gola secca e la
lingua quasi annodata. Era così difficile dirle ciò che sentiva,
c'era ancora tanta paura e incertezza. La ragazza sospirò e si
impose di guardarlo negli occhi. Per lei forse era ancora più
difficile esprimere i suoi sentimenti. «Parlando di coglioni, io
ne sono la regina» ammise ridacchiando nervosamente «è da così
tanto tempo che sono consapevole che tu mi piaci, ma l'ho sempre
rifiutato con forza e ora credo di avere capito perché. Tu sei così
diretto, sincero, un po' spaccone, ma anche così affidabile,
presente, dolce e premuroso. Non mi è mai mancato il tuo appoggio,
neanche in battaglia, neppure quando mi accompagnavi ogni giorno da
Eren, nonostante ti facesse male, non credere che non lo sapessi. Non
sono mai stata abituata a qualcuno che si prendesse cura di me, o che
mi mettesse in alto tra le sue priorità e non parlo solo di ragazzi»
lo fissò intensamente «respingevo l'idea di te e me perché avevo
il terrore che tu potessi rivelarti un bluff, che prima o poi mi
avresti delusa, ma quando ho capito che avrei potuto perderti per
sempre mi sono resa conto di quanto fossi davvero coinvolta e che tu
eri quello giusto, quello che ho sempre cercato. Credo di aver
abbattuto il più mio grande tabù e spero che tu capisca quanto
tengo a te, dato che sono venuta a prenderti» sputò fuori quasi
senza fiato. Alla fne era stato meno difficile del previsto. «Non
sai quanto sia felice di sentire queste parole, mi sembra un sogno a
dirti il vero. Non mi è mai pesato fare nulla perché potevo stare
con te ed era la cosa che più desideravo, anche solo come amico» le
confessò rinfrancato, poi si riprese perché aveva tralasciato un
importante particolare. «Mikasa io e Megan non abbiamo mai deciso
di andare a convivere, a dire il vero io stavo meditando di
lasciarla, tanto c'eri sempre tu tra di noi. Era una sua fissa, forse
perché aveva capito che le stavo sfuggendo. Lo ha detto quando si è
resa conto che le sue paure erano reali, solo per allontanarti. Se
fosse vero non potresti essere qui con me questa mattina e anche
domani, o dopo domani se vorrai trattenerti. Puoi stare quanto vuoi e
andare e venire come ti pare, non ho segreti e non ne voglio avere
con te». Quelle parole le scaldarono il cuore dandole un po' di
quella sicurezza di cui aveva tanto bisogno. «Jean non importa,
quello è il passato e io voglio solo pensare al futuro. E ora ti
prego mangia, sono deliziosi» gli disse infilandoli un pezzo di
pancake in bocca con la sua forchetta. «Non male per essere la
mia prima volta» ammise il ragazzo masticando con orgoglio e
gusto. «Davvero?» gli chiese lei stupita. «Sì! Ho cercato
la ricetta su google. In realtà volevo fare delle crepes, ma mi sono
usciti fuori questi, anche perché quelle mi sono attaccate per tre
volte di fila!» ammise facendogli l'occhiolino. «Ma dai?» era
sempre più stupita. «Non ti entusiasmare non ho l'animo del
cuoco e manco mi frega nulla di imparare a cucinare, ma ero così
felice e volevo fare qualcosa di carino per te, qualcosa che non
avevo mai fatto prima per nessuna...». Mikasa si sciolse
letteralmente, era davvero adorabile il suo Jean. Si alzò e
d'istinto andò a sedersi sulle sue gambe, quindi gli prese il viso
tra le mani e lo baciò con passione. Lui le afferrò le natiche
facendola aderire al suo corpo che inevitabilmente aveva reagito a
quell'attacco improvviso quanto gradito. La miccia si accese
nuovamente e quel fuoco, in realtà mai sopito, divampò di nuovo con
inarrestabile prepotenza, facendo inevitabilmente freddare la
colazione. Se quello era l'inizio del loro futuro, allora
prometteva molto bene!
*
Alcune
ore prima al DJ set
«Ti
confesso che avevo sperato che fossi stato tu ad organizzare tutto
questo» disse insolitamente sincera Annie ad Armin. Li avevano
lasciati in disparte cambiando strategicamente tavolo non appena si
era palesato Connie, che aveva detto loro di essere in ritardo. La
scusa reggeva visto il soggetto, quello che non capivano è perché
fosse con quella Megan, ma non fecero domande in merito. «Non è
facile indovinare i tuoi desideri Annie» le rispose Armin
serio. «Non lo è neppure per me» ammise la ragazza
amara. «Quindi che ti aspetti adesso? Che vuoi
veramente?». Te. Ma quelle dannate parole non le
volevano uscirle dalla bocca. «La verità è che sento di non
meritarti» ammise. «Che stronzata!» sbottò Armin
frustrato. «Tu e Mikasa mi sembrate sorelle separate alla nascita
anche tu come lei te la fai sotto e allora è meglio non provarci
neppure a stare con qualcuno, vero?» le disse severo e
accigliato. Annie rimase colpita non era mai stato così diretto
con lei, ma aveva ragione la sua era solo codardia. «Sono una
frana nei rapporti umani lo ammetto» disse sincera. «Potresti
provare a migliorare, se solo lo volessi». Annie si lisciò una
ciocca di capelli dopo averla tormentata e si scolò il suo
drink. «Mi accompagni a casa?» esordì spiazzandolo. «Sì...
certo» ripose il ragazzo sbattendo le palpebre incredulo. Quella
ragazza lo faceva impazzire, non era mai scontata, meglio cogliere al
volo l'occasione e non fiatò oltre seguendola.
«Quindi
tu sei il miglior amico di Jean?» stava chiedendo Megan a Connie,
che come promesso si stava occupando di lei. «Sì, ed è per
questo che ti ha affidata a me. Aveva una cosa urgente da sbrigare,
di lavoro credo» le rispose sorridendo. Non era poi così male
tenere il gioco al suo compagno. «Lavoro, come no? Immagino che
sia con quella sua collega bruna dall'aria orientaleggiante, non
hanno fatto che guardarsi per tutta la sera e poi quella penosa scena
in pista e tutta questa sceneggiata solo per correrle dietro...»
commentò la ragazza un po' acidula. «E va bene è inutile
menartela, probabilmente in questo momento è proprio con Mikasa.
Rassegnati, con lei non potrai mai farcela ne è innamorato perso fin
dalla prima volta che l'ha vista» «Grazie, che carino, sei molto
d'aiuto» sbottò sarcastica. «Che vuoi farci sono sincero e le
patate bollenti capitano tutte a me, ma credimi sei davvero una bella
ragazza, non ti manca nulla, non faticherai a scordarti di lui, mica
stavate insieme da un secolo! E guarda che se non fossi l'amico
sfigato di Jean ci avrei già provato con te, anche se capisco di non
reggere il confronto» le confidò sornione. «Tu non reggi il
confronto con lui, io non reggo il confronto con lei, siamo proprio
ben assortiti, senti che ne dici di farmi compagnia in pista? Ho
voglia di scatenarmi per smaltire la rabbia e poi la serata va avanti
e dovremmo farlo anche noi due, siamo ad una festa no? Almeno
proviamo a divertirci!». «Non chiedo di meglio, sei pratica e
questo mi piace molto».
«Non
ci posso credere! Quel marpione di Connie ci sta provando con la
molto probabile ex di Jean» commentò quasi scandalizzata
Sasha. «Beh che ti importa scusa?» le chiese Niccolò. «Niente,
ma non si fa! C'è un codice non scritto tra amici, queste cose sono
vietate». «Non credo che a Jean importi un fico secco di Connie
e quella». «Uh guardate anche Annie ed Armin se ne stanno
andando via insieme!» li interruppe Piek. «Perché ti emozioni
tanto?» chiese un po' caustica Gabi. «Beh li considero ormai dei
compagni se stanno bene io sono contenta, mi spieghi perché stai
sempre sulla difensiva?». «Non voglio giustificarla ma è molto
preoccupata per me, per l'inibitore. Si è messa in testa, dopo un
incubo di qualche sera fa, che mi darà problemi» spiegò Falco
protettivo mettendosi in mezzo alle due ragazze. «Non avertela a
male Gabi ma per me sei un po'stronza di natura, detto ciò ti si
vuol bene lo stesso!» la canzonò Galliard per stemperare la
faccenda. Gabi arrossì come colta in fallo. Era vero che fosse
sempre un po' pungente, ma come spesso accade era soprattutto una
forma di autoprotezione, anche per via di ciò che aveva vissuto in
quell'isola e poi si sentiva in colpa per Falco che aveva messo a
repentaglio la vita per amor suo, per questo era sempre poco
serena. Sasha appoggiò la testa sulla spalla di Niccolò e lui si
girò a guardarla. «Che c'è?» le chiese piano. «Ho
sonno...» gli rispose con un lampo di malizia negli occhi che lo
fece sorridere. «Allora andiamo a letto!» commentò il ragazzo
alzandosi e contraccambiando quello sguardo carico di
promesse. «Andiamo anche noi? Che dici?» chiese Falco a Gabi e
lei gli annuì grata. Dopo quel piccolo battibecco non si sentiva più
a suo agio, quindi tutti e quattro piantarono Galliar e Piek da soli
al tavolo e si allontanarono ognuno per la sua strada. «Ma cos'è?
Tromba libera tutti(1) stasera?» disse
Galliard «Jean che rincorre Mikasa e se l'ha presa sarà rumba di
sicuro... Connie che si sta dando da fare a più non posso per andare
a meta con la tipa abbandonata, Armin ed Annie che hanno dato inizio
alla fuitina e questi quattro spudorati senza ritegno ci hanno appena
sbattuto in faccia che se ne vanno a casa a fare del bene!» «Beh?
E allora?» gli chiese la ragazza. «E allora noi si fa nulla?»
gli chiese allusivo con quella sua aria impertinente che piaceva
tanto alle ragazze. Piek scoppiò in una fragorosa risata «Ma sei
scemo? Per me sarebbe come andare a letto con mio fratello» gli
rispose facendo una boccaccia disgustata. Già lei lo vedeva così,
questo lo sapeva da tempo ma per qualche stupida ragione continuava a
trovarla la ragazza più interessante e più piacevole che avesse mai
incontrato. Era così accattivante Piek, così tranquilla, ma anche
così dannatamente e inconsapevolmente sensuale che era difficile non
cascare nella sua rete. «Ma sì scherzavo! Lo so che sbavi dietro
mio fratello!» la canzonò. «Sempre con questa storia? Dai
Galliard eravamo alle medie, ancora non hai superato la cosa?» gli
rispose infastidita. Lui rise. «Lo sai come funziona no? Ho un
debole per te perché non mi vuoi» «Sei scontato» «Non ho
mai detto il contrario» ammise. «Senti questa conversazione sta
prendendo una brutta piega, perché piuttosto non vai a prendere
qualcosa di forte per tutti e due?» «Subito signora!» scattò
lui sull'attenti. «Che scemo!» ridacchiò la ragazza. Gli
voleva davvero bene come ad un fratello e sapeva che quella stupida
cotta che diceva di avere per lei era una sorta di picca per via di
Marcel. Sospirò forte perché Galliard, forse senza neanche
saperlo, aveva davvero centrato il bersaglio. Era davvero innamorata
di Marcel e da tanto tempo, solo che Marcel vedeva Piek, come lei
vedeva Galliard, che fregatura! Tutti e tre legati da una grande
amicizia e da sentimenti non ricambiati. Era inutile pensarci e
forse l'acool avrebbe aiutato entrambi a chiudere la serata in
allegria non pensando a cose che facevano solo soffrire.
*
«È
da questa mattina che sei strano, che c'è?» chiese Hanji osservando
Levi che pareva assente, crucciato e perso in chissà quali
pensieri. «Dicevi?» le chiese sobbalzando come se fosse appena
tornato alla realtà. «Ma che ti prende? Dopo l'uscita di ieri
con Erwin e Marie sembri un altro! Senza contare il fatto che questa
mattina sei sparito all'alba per tornare a casa con un muso lungo
così» gli chiese la donna perplessa. Lui sospirò forte. A
quel punto Hanji s'incuriosì, uno come lui che non rispondeva e
sospirava era grave. «Levi che cappero succede?». Lui abbassò
lo sguardo e sommessamente sospirò di nuovo e più forte di prima
«Non potrò mantenere la mia promessa» sputò infine come se avesse
dovuto togliersi le parole di bocca con le tenaglie. «Eh? Che
promessa, di che parli?» non capiva. «Merda! Odio mancare alla
parola data e mi prenderei a calci da solo se potessi!» abbaiò lui
frustrato. «Levi tu non stai bene, ma che stai dicendo?» non
riusciva proprio a comprendere quel modo di fare che non era da
lui. «Hanji so già che tu mi perdonerai, ma mi conosci bene e
sai che non sono il tipo da mettere in piazza i propri sentimenti e a
dirla tutta neppure tu lo sei» «Se ti spieghi meglio forse
capisco» lo interruppe lei confusa sul serio. «Il fatto è
questo: dopo ieri sera, soprattutto grazie all'esperienza che abbiamo
vissuto ho avuto modo di rifletterci sopra e di prendere una
decisione drastica» enunciò serio ma continuando a restare sul
vago. «Ma cosa è che non puoi fare? Non capisco di cosa stai
parlando!» ora stava quasi cominciando a preoccuparsi, ma di che
blaterava? «Non mi inginocchierò in un posto pubblico
chiedendoti di sposarmi davanti ad estranei e a tutti i nostri
compagni facendo la figura del cazzone e facendola fare anche a te.
Ho fatto male a promettertelo e non abbiamo bisogno di fare questa
stronzata. Accidenti a me e a quando mi vengono certe idee! La colpa
è colpa tua che mi fai perdere la ragione!». Hanji si rilassò
di botto e si impose di non ridere era così teneramente
frustrato. «Tutto qui? Ma chi se ne frega! Mi hai fatta star male
per nulla, sarai scemo?» poi aggiunse «Se proprio lo vuoi sapere
non mi è mai fregato una cippa manco di convalidare il matrimonio,
figurati della proposta. La trovo una cosa davvero patetica». A
quelle parole Levi aveva messo su un bel muso lungo e le
sopracciglia gli si erano così corrugate che parevano quasi toccarsi
tra loro. «Ora non esageriamo» brontolò. Hanji lo scrutò di
sottecchi «Mi spieghi cosa sta tramando questa testolina?» gli
chiese puntandogli l'indice sulla fronte. «Oh insomma basta non
mi riescono proprio queste manfrine di merda. Mi vuoi risposare sì o
no?» le rovesciò addosso. «Ma è una proposta?» gli chiese lei
a sua volta un po' stupita. «Sì cazzo! E non si risponde ad una
domanda con una domanda, allora? Sì o no?». Perché diamine non gli
aveva detto subito di sì, si chiese con una lieve punta
d'angoscia. «Se è una proposta, che tra l'altro hai appena detto
di non volermi fare, allora è necessario che tu la faccia con tutti
crismi del caso e dovresti inginocchiarti sul serio». «Non ho
detto che non volevo fartela. Ho detto che non l'avrei fatta in
pubblico!» puntualizzò un po' stizzito. «Ma a me piacerebbe
vederti inginocchiato». A questo punto si stava divertendo un sacco,
gliela stava facendo un po' pagare per l'ansia di poco prima. «E
tu hai detto che non ti importava una cippa della proposta e neppure
di rendere valido il matrimonio e ora vuoi che mi inginocchi?» «La
donna è mobile, qual piuma al vento» intonò lei ridacchiando. «Non
ho l'anello» sentenziò serio. «Ah! E che proposta sarebbe senza
brillocco?» rispose lei fingendosi scandalizza e adirata. «Perché
ti paio un tipo da anello?» «No, ma francamente una proposta
senza quello non vale neppure l'inginocchiamento. Sono delusa»
continuò compenetrata nella farsa. Lui che ormai aveva mangiato
la foglia e si era finalmente tranquillizzato le confesso: «Avrei
dovuto avere di meglio da donarti che uno stupido pezzo di carbonio,
ma non è arrivato in tempo...» «Cosa è?» gli chiese curiosa
da morire. «Il mio fottuto regalo di nozze, una copia autentica
scritta in latino antico di Liber
Abbaci(2),
di quel Fibonacci da cui sei ossessionata». «Oh... MIO...
DIOOOOO!!!!» urlò lei quasi impazzita di gioia poi si coprì la
bocca con le mani e lo fissò gli occhi lucidi. Non ci poteva credere
quell'uomo era la meraviglia delle meraviglie, solo lui poteva
arrivare a tanto per farla felice. «Santo cielo Levi ti sarà
costato una fortuna» disse appena si riprese dallo choc. «Un po'
più del carbonio in effetti, ma desideravo qualcosa di speciale per
la donna che amo e che voglio sposare di nuovo» puntualizzò
polemico. Lei con il cuore in tumulto corse ad abbracciarlo e lo
baciò d'impeto. «Tu sei molto più di quanto abbia mai
desiderato!» «E tu mi fatto cacare sotto lo sai vero?» le
rispose a fior di labbra. «Sono stata un po' cattivella perché
all'inizio non capivo davvero cosa avessi, poi lo ammetto, mi sono
divertita molto a metterti in difficoltà, sei così carino quando
esci dalla tua rude confort zone» «Sei un'adorabile
stronza!». Hanji avvicinò le labbra al suo orecchio e sussurrò
piano «Sai che anche io avrei in arrivo un regalino per te? È stato
pensato senza uno scopo particolare, solo per farti contento, ma a
questo punto diventerà il mio regalo di nozze per il mio marito alla
seconda» «Sì, ma le leva quella bocca dal mio orecchio o
perderò quel poco di controllo che mi rimane» le rispose roco
mordicchiandole il collo. «E sarebbe un male?» gli chiese lei
ignorando la sua richiesta e continuando a tormentarlo con sussurri
mirati. Lui mugugnò qualcosa di indecifrabile sulla sua pelle e
Hanji continuò imperterrita la sua tortura «Da quando ci siamo
operati non abbiamo più fatto l'amore...» commentò di colpo. Levi
s'irrigidì subito e la scostò da sé «Scusa, ma io non posso, ho
paura che nella concitazione possa perdere il controllo delle lame e
ferirti» le confidò serio gettando acqua fredda sui loro bollenti
spiriti. Ma Hanji era una donna dall'intelligenza vivace e
pratica, ci voleva ben altro per smontarla «Sì può rimediare
facilmente» gli disse subito con un lampo malandrino che le illuminò
lo sguardo. «Che hai in testa donna?» le chiese lui aggrottando
la fronte. «Una cosina che credo alla fine ti piacerà e
parecchio» ammiccò Hanji dirigendosi verso la loro camera e
invitandolo a seguirla.
«Dì la verità, lo sognavi da tempo
eh? Per questo le hai sempre a portata di cassetto da camera»
commentò Levi sornione una volta che lei aveva trovato l'audace
soluzione. Gli aveva infatti ammanettato la mano con le dita alla
Wolwerine alla testieria del letto, così se fossero inavvertitamente
scattate le lame al massimo avrebbero sciupato il muro. L'altra ere
invece rimasta libera di esplorare il suo corpo e mentre lui era
disteso era lei che molto soddisfatta conduceva il gioco. «Sì lo
ammetto e credo di avere una mistress(3)
sopita
dentro di me che non vedeva l'ora di uscire allo scoperto!» rise di
gusto. Ben presto quella risata morì sulle loro bocche che si
fusero in un morbido duello a fior di lingua, mentre a parlare
rimasero i loro corpi languidamente uniti.
Per dovere di
cronaca il loro matrimonio fu celebrato in forma strettamente privata
pochi giorni dopo, in presenza dei soli testimoni: Erwin e Marie, tra
l'altro gli unici che furono messi a conoscenza della cosa. Il
regalo di Hanji arrivò magicamente lo stesso giorno in cui arrivò
anche quello di Levi. Era la riproduzione fatta a mano, da artigiani
giapponesi qualificati, della famosa spada di Hattori Hanzō. Levi
quando la vide rischiò quasi l'infarto, ma essendo ancora giovane e
forte il suo cuore, per questa volta, resse il colpo.
*
«Quanto
tempo ci vorrà prima che possiamo effettivamente convocare tutti?»
chiese Zacklay. «Ti ho fatto venire per questo. Sono appena stato
informato che il progetto ha subito un radicale cambiamento. Per
apportare le nuove modifiche i tempi si sono allungati in termini di
mesi. Purtroppo non possiamo fare diversamente. Come ben sai la
sicurezza nazionale e di riflesso mondiale, va avanti a tutto»
precisò Pixis «il presidente non dovrà lamentarsi, né tanto meno
preoccuparsi dobbiamo fare in modo che tutto sia perfetto fin nei
minimi dettagli. Spero solo che nessuno crei problemi...» aggiunse
Dot non senza un filo di preoccupazione. «Beh se vogliono restare
in vita non possono certo opporsi. Sappiamo bene cosa accade a chi
non rispetta le regole e cerca di disertare.
Come agenti più che speciali sono preparati al fatto che la loro
vita non è più la loro e che questa loro scelta ha un prezzo»
commentò Zacklay cinico. «Dimentichi però che non sono
esattamente dei soggetti malleabili, facendo il lavoro che fanno sono
a loro modo tutti molto tosti, speriamo bene, non ci resta che
attendere fin quando tutti i nostri ragazzi, Onyankopn compreso, non
saranno riuniti al quartier generale per la fatidica comunicazione.
Ad ogni modo per ora beviamoci su!» concluse Pixis versando al
vecchio collega un brandy. «Ai nostri futuri successi e alla
nuova era!» enunciò Dallis alzando il bicchiere. L'altro annuì
e scolò il suo liquore d'un fiato versandosene subito un atro
bicchiere.
I
monologhi dell’autrice Ma
ciao,
come state? Spero di cuore davvero tutto bene per voi ♥
Note:
1) Tromba
libera tutti è
un adattamento “toscanizzato” di bomba libera tutti o tana libera
tutti che altro non è che il notissimo nascondino che credo
conosciate tutti. Noi toscani si dice proprio bomba libera tutti e mi
ci garbava un monte come battuta spero abbiate apprezzato anche
voi. PS spero sappiate che significa in toscano “trombare” se
non lo sapete, beh diciamo che un modo
slang
di dire “fare all'amore”. E devo ringraziare Fool che con il suo Levi
livornese rent free nella sua testa, mi ha fatto venir voglia di
toscanizzare i dialoghi anche a me! 2)
Liber
Abbaci
noto anche come Liber abaci, scritto in latino medievale nel 1202
dal matematico pisano Leonardo Fibonacci è un ponderoso trattato di
aritmetica e algebra con il quale, all'inizio del XIII secolo,
Fibonacci ha introdotto in Europa il sistema numerico decimale
indo-arabico e i principali metodi di calcolo ad esso relativi. Se
vistate chiedendo se io sia una appassionata di matematica la
risposta è: per carità, no! Ma Fibonacci con la sua famosissima
“sequenza” mi ha sempre affascinata per questo ne ho voluto fare
il pallino d Hanji. 3)
Mistress
sono
abbastanza convinta che tutti sappiate che cosa sia, ma nel caso così
non fosse, questa è una spiegazione tecnica: mistress o domina,
donna che, nelle pratiche BDSM, interpreta un ruolo dominante. La
sigla BDSM sta per Bondage and Discipline (schiavitù e disciplina);
Dominance and Submission (dominanza e sottomissione); Sadism and
Masochism (sadismo e masochismo). Consiste in un gioco di ruolo non
solo sessuale, ma anche psicologico tra partecipanti/patners consenzienti.
Dopo
un mese o quasi rieccomi qua e con buone notizie! Nel frattempo ho scritto molto
e posso dirvi che il prossimo capitolo arriverà abbastanza
velocemente. Siamo all'ultimo giro di boa e la storia sta lì, lì, per finire,
ma non aggiungo altro. Come avrete notato alcune storie d'amore
sono state più approfondite, altre meno, alcune solo accennate e
altre ancora non sono proprio sbocciate, questa è una mia scelta
narrativa perché sono tante, troppe a dire il vero e avevo paura di ripetermi e
anche di allungare noiosamente la faccenda, oltre che di appiattirla,
infatti non è che anche nella vita reale va tutto allo stesso modo
per tutti, quindi così è anche in questa finzione. Sperando che da voi faccia meno caldo e che stiate
godendovi ferie e riposo dato che mi sono già dilungata più del
dovuto, vi saluto e vi abbraccio con affetto, lo stesso con cui
dimostrate di seguire questa storia e che mi fa davvero tanto
piacere. Un grazie grande e speciale va a chi si è fermato a
lasciare un commento che per me è un regalo sempre molto gradito
♥ Ci
vediamo presto, buon WE!
|
Ritorna all'indice
Capitolo 37 *** L'isola che non c'è ***
L’Isola
dei Dannati
A.o.T.
Mission-almost-Impossible
37 L'isola
che non c'è
La
piccola si era svegliata e aveva cominciato a strillare. Eren si
diresse subito alla culla e la prese con delicatezza come a suo tempo
gli aveva insegnato Krista. Tenendole una mano sotto la testa se
l'appoggiò sul petto, poi andò in cucina e si mise ad armeggiare
alla ben meglio per scaldare il latte artificiale, purtroppo Krista
ne aveva poco e non bastava mai a sfamarla. La bimba era vorace e
cresceva in fretta, quelle giunte
erano
indispensabili. Fin da subito aveva voluto imparare a nutrirla e
cambiarla per dare una mano e contribuire attivamente alla sua
crescita. Come sua figlia venne a contatto con il calore del suo
corpo non smise di piangere, ma prese a farlo in modo più sommesso,
mugolando un po' tra un vagito e l'altro, mentre si era anche
cacciata una manina in bocca ciucciandola con frenesia. Eren era
sempre molto affascinato da come un essere così piccolo fosse già
in grado di capire che qualcuno si stava occupando delle sue
esigenze. Era fraglie ma risoluta. Ancora non si capiva bene a chi
somigliasse ma era morbida e profumava di un vago sentore di
vaniglia. Un piccolo prodigio che non smetteva ma di sorprenderlo,
oltre ovviamente a togliergli il sonno. Avere avuto quella figlia
gli aveva cambiato la prospettiva sul mondo e sulle cose. Restava in
lui ancora quell'aura di irrequietezza, e quel mostriciattolo
che
spesso aveva governato la sua mente aveva lasciato degli echi
fastidiosi, ma quella creatura era una cura benefica. Si sentiva
responsabile per lei e rappresentava uno scopo significativo, questo
gli dava una grande forza anche per affrontare i lati più spigolosi
e scuri del suo carattere. E poi c'era Krista che sapeva come
prenderlo, gli dava sicurezza e lo faceva sentire importante e utile.
Era sempre presente, ma mai asfissiante. Ora era davvero certo di
amarla e si era scoperto molto protettivo nei suoi confronti, forse
anche troppo. Mentre stava dando il biberon alla piccola si rese
conto che per certi versi era diventato come Mikasa era stata con lui
ai tempi della loro relazione, e pensare che l'aveva tanto criticata
per questo. Sorrise di quel buffo pensiero ma fu distratto da un
click;
Krista
lo aveva appena immortalato con il cellulare. «Ma basta, mi avrai
fatto mille foto di questo genere» finse di brontolarla. «Siete
adorabili insieme e poi stavi sorridendo ho dovuto cogliere
l'attimo». «Non dire sciocchezze da quando stiamo assieme
sorrido spesso e poi lei sì che è bella, non io. Non credi che
abbiamo fatto un capolavoro?» disse guardandola orgoglioso e ancora
incredulo. «Certo lei è una meraviglia e taci, anche tu sei
bellissimo!» gli rispose adorandolo con lo sguardo. Quelle sue
uscite così spontanee gli arrivavano dritte al cuore e lo
scombussolavano, non era abituato a certe manifestazioni così
dirette, ma forse era proprio questo che amava di lei, riusciva a
rendendolo inerme e forte allo stesso tempo. Sorrise appena
imbarazzato, lei sì che era bella con quella pelle candida e i
capelli che le danzavano sulle spalle. Il suo sguardo profondamente
blu era così luminoso e si aggrappava ai suoi occhi incatenandoli.
Riusciva a farlo sentire l'uomo più amato del mondo e questo gli
piaceva. Si riprese però subito da quei rosei pensieri, perché
la realtà tra le sue braccia gli imponeva di essere concreto e
avevano una bella gatta da pelare per le mani. «Spero solo di
essere un padre decente. Non sono del tutto certo delle nostre
scelte, forse dovremmo ribellarci, ti confesso che ho molta paura»
esordì serio tirando in ballo l'argomento scottante. «A chi lo
dici. Anche io non faccio che pensarci e vivo nel terrore e
nell'angoscia di non essere all'altezza come madre, di essere
superficiale, egoista e avventata, di avere fatto una scelta
sbagliata, ma la nostra priorità è lei e la sua sicurezza, il
nostro compito è cercare di darle un mondo migliore e una vita degna
per quanto possiamo». «Hai ragione e poi credo che non avessimo
altre alternative. Purtroppo quello che hanno fatto i nostri padri ha
portato con sé delle conseguenze indelebili e gravi che hanno
seminato molto dolore, non ne siamo responsabili ovviamente, ma forse
è nostro dovere cercare di riparare con i mezzi che abbiamo a
disposizione. Esattamente come ci ha detto tuo zio». «Per questo
alla fine mi sono convita, perché per il suo futuro sono disposta a
tutto» annuì Krista. «È anche per questo hai dovuto a chiudere
il tuo profilo Instagram vero?» era da tempo che glielo voleva
chiedere. Poco dopo partorito era stata repentina nello sparire dai
social. «In parte sì ma non è il motivo principale. Era stato
aperto più per fare dispetto a mio padre, come per digli: guardami!
Io ci sono.
Certo poi mi è esploso tra le mani ed è andato oltre le mie
aspettative fino a diventare un lavoro ma ora le mie priorità sono
cambiate. Inoltre la visibilità per noi è troppo pericolosa.
Dobbiamo tenere un profilo basso. Dobbiamo essere invisibili
ricordi?». Improvvisamente furono interrotti dallo squillare del
cellulare di Eren che subito rispose cambiando espressione e
rabbuiandosi. La telefonata fu lapidaria e terminò con un suo
laconico: va
bene. «Perché
sei diventato così serio? È accaduto qualcosa?» gli chiese Krista
allarmata. Conosceva i suoi cambi improvvisi d'umore e cercava sempre
di sviscerarne i motivi. Nonostante l'inibitore e la cura era
comunque soggetto ad up
and dawn abbastanza
frequenti e non ci si poteva fare nulla, quei danni subiti da piccolo
erano permanenti, per questo era necessario distrarlo e sviarlo
subito, per cercare di arginare il problema qualunque esso fosse. «Ci
hanno convocati. In pratica tutti quelli che hanno partecipato alla
missione di Paradise devono essere presenti. È l'ora di affrontare
le cose e speriamo che non accada nulla di grave e che fili tutto
liscio, non sarà facile mandare giù questo boccone amaro». «Ora
non ti fasciare subito la testa. Sii ottimista una volta tanto» gli
disse incoraggiandolo. Lui la guardò in quel suo modo particolare
e intenso, poi espirò forte «Inoltre non ho mai affrontato
l'argomento, ma c'è in ballo anche la questione di mio fratello
ormai ridotto ad un essere ibrido non senziente, non sappiamo se è
sopravvissuto qualcosa di Zeke in quella bestia» commentò amaro. Lei
capendo il suo conflitto interiore gli si avvicinò e posò la testa
sulla sua spalla. Suo fratello era anche lui una vittima di suo
padre, sebbene poi avesse preso certe decisioni da solo e consapevole
del male che stesse facendo. «È terribile, me ne rendo conto, ma
temo che tu debba prendere atto che sarà una di quelle cose che
dovrai accettare così come sono, a meno che con il tempo e le nuove
scoperte, in cui confidiamo, non riescano a ripotarlo indietro, nel
qual caso andrà comunque dritto in prigione, quindi chissà, magari
questa nuova vita per lui è meglio della galera» non ci credeva
neppure lei a ciò che stava dicendo ma detestava vederlo soffrire e
cercava a suo modo di confortarlo. Lui scosse la testa «Nessuno
meriterebbe una fine così infame, ma hai ragione, lui se l'è
cercata. Il suo piano era folle e terribile, ora sta pagando le
conseguenze delle sue scelte». La bambina aveva finito il biberon
e Krista gliela prese dalle braccia, la tirò su e le fece fare il
ruttino,
la
baciò dolcemente sulla fronte e la rimise nella culla, poi raggiunse
Eren sul divano e si accucciò accanto a lui. Intrecciarono le mani e
lui la guardò serio. «Sono molto preoccupato per te e la
bambina». «E perché mai? Mica andiamo alla guerra». «Sì,
ma c'è sempre di mezzo la CIA, per me sarebbe meglio se...». «Non
ho alcuna intenzione di privare mia figlia della presenza di suo
padre se non quando sarà strettamente necessario. Tanto saremo
dovuti tornare ad una vita
normale prima
o poi, la nostra casa non è qui. Mio zio è stato carino e adorabile
nel prendersi cura di me, ma lo conosco appena, fino a qualche mese
fa neppure sapevo esistesse, per tanto direi che andarsene è anche
giusto. Preferisco affrontare la cosa insieme agli altri che restare
con lui». Eren la guardò indagandola «Cosa ti preoccupa
Krista?». «Niente di che, ma resta il fatto che è comunque il
fratello di mio padre e come dicevamo poco fa sappiamo bene che cosa
ha fatto insieme al tuo, non sono così certa che non abbia un suo
personale interesse in tutta questa storia». «Potrebbe solo
volerti bene non credi? E poi anche noi siamo figli dei nostri padri,
ma mica siamo come loro. Non è una maledizione che dobbiamo portarci
addosso per il fatto di essere consanguinei». «Sì forse hai
ragione, almeno lo spero». «Non mi dirai che sei diventata
paranoica?» le chiese lui quasi divertito anche per stemperare i
toni. Krista rimase pensierosa. Eren allora le mise l'indice
sotto il mento e la obbligò a guardarlo negli occhi: «Non starai
facendo sul serio vero?». «Solo un po' di paturnie saltuarie, da
quando sono diventata mamma sono ipersensibile e noto anche quello
che forse non c'è, anche perché la nostra situazione è molto
particolare e delicata non lo si può negare» ammise. Eren si
chinò a baciarla. «Guarda che il matto
di
casa sono io che basto e avanzo, tu sei la mia fatina buona non
scordarlo» le disse amorevolmente. Era ancora un po' goffo
nell'esprimerle la sua vicinanza ed il suo amore, ma era anche tanto
cambiato e lei lo apprezzava molto e lo strinse a sé grata. «Magari
fossi una fata! Con un colpo di bacchetta magica potrei risolvere
tutto, pulire la casa in un batter d'occhio e fare le valige in un
nano secondo». «Ti aiuto io, approfittiamo del fatto che la
cucciola dorme» si offrì lui. «Sì, ma prima dammi un altro
bacio! Ho bisogno di coccole». Eren sorrise e non se lo fece
ripetere due volte.
*
La
novità che aveva colto tutti alla sprovvista era che la famosa
riunione si sarebbe tenuta niente di meno che alla Casa Bianca, alla
presenza del segretario di stato in persona. Erano stati riuniti
in un salone molto ampio dopo essere stati fatti passare da
un'entrata secondaria, molto nascosta, al riparo da occhi indiscreti.
Di fatto c'erano tutti quelli che erano stati a Paradise, tra gli
altri anche Marlo, Hitch e i medici, ovvero Onyankpon, la dottoressa
Ral e il dottor Schultz. A ciascuno dei presenti sembrò molto strano
che ci fossero anche loro. Come se le novità non bastassero era
di fatto anche la prima volta, dopo un un po' di tempo dall'accaduto,
che gli agenti più giovani rivedevano i loro superiori potenziati
dall'adamantio e dagli occhi bionici. Una vera rivelazione che aveva
basito tutti, ma non avevano potuto dare sfogo alla loro curiosità,
perché Pixit liquidò l'argomento in quattro e quattr'otto,
c'erano ben altre priorità da affrontare. A parlare cominciò
Zacklay. Per il momento il segretario di stato sembrava solo un
auditore di un certo peso. «Dunque ci sono due grosse novità una
buona e una decisamente non buona». «E te pareva!» bofonchiò
Connie ravandosi i gioielli di famiglia. «Ma che fai?» lo
redarguì Galliard. «Mi tocco contro il malocchio di questi due
gufi della malora!». «Ma sei serio?». «Non hai notato che
facce? Sembrano in procinto di andare ad un funerale. Ti ricordo che
l'ultima volta che questi mi hanno mandato a chiamare poi mi hanno
spedito in un isola infernale a caccia di mostri!». «Silenzio
per favore, la faccenda è grave» intimò loro Pixit. «Vorrei
far notare a lor signori che non siamo ad una scampagnata, né ad una
rimpatriata tra vecchi colleghi. Siete alla Casa Bianca e siete il
top gamma dei nostri agenti, quindi mi aspetto da voi un
comportamento irreprensibile» gelò tutti il segretario prendendo la
parola con tono autorevole e tagliente: «Prego» concluse con un
gesto della mano invitando Pixit a continuare. «Cominceremo dalla
buona notizia. Dunque quando è nata la figlia di Eren sua madre ci
ha donato il sangue cordonale, in gergo detto: "cordone
ombelicale" per avviare una ricerca molto importante che è
stata affidata al nostro staff medico di fiducia capitanato da
Onyankopon». Si alzò un brusio di commenti sorpresi. «Credo
di capire le ipotesi alla base della ricerca, del resto sono molto
plausibili dal punto di vista genetico» commentò pensosa
Hanji. Levi era scuro e non rispose, altrettanto fece Erwin che
pareva con la testa altrove. «Lascio quindi la parola
direttamente a lui che vi spiegherà che cosa è emerso da vari
esami» concluse Pixit. Oniankopon illustrò loro che avevano
fortuitamente intuito che la bambina, in quanto frutto dell'unione
tra un mutaforma e una normodotata, poteva avere delle
caratteristiche genetiche interessanti e utili. Tramite qualche esame
primario era emerso che queste capacità erano davvero straordinarie
e particolari, per cui avrebbe potuto donare il suo DNA che avrebbe
debellato, come se fosse una sorta di antidoto, la mutazione
genetica, o quanto meno quella di suo padre ma quasi sicuramente
c'erano ottime probabilità che la cosa, con i dovuti accorgimenti,
potesse funzionare anche per tutti gli altri. Dovevano ovviamente
essere fatti ancora molti test e prove di vario genere, ma era
sicuramente una scoperta importantissima. Furono tutti molto
colpiti e anche piacevolmente sorpresi, soprattutto i mutaforma,
mentre Eren e Krista sembravano impassibili. Jean notò con
sorpresa che Jeager non aveva fatto una piega e Mikasa doveva essere
giunta alla sua stessa conclusione dato che si scambiarono
un'occhiata d'intesa. Era davvero poco credibile che uno fumino come
lui accettasse passivamente una notizia di tale portata. «Ora si
potrebbe sapere anche la cattiva notizia?» chiese Armin molto
preoccupato. Prese la parola Zacklay «Non esiste un modo per
indorare la pillola, quindi andrò dritto al punto. Purtroppo abbiamo
ancora degli ibridi, chiamiamoli dormienti, perché erano
sfuggiti al nostro controllo». Sconcerto e sgomento si
impadronirono un po' di tutti. «Ma com'è possibile? Ci avete
ingannati vero?» inveii Galliard. «Siete dei fottuti bastardi!»
gli fece eco Sasha fuori di sé. «Calmati!» le disse Nicolò
fermandola prima che si scagliasse contro di loro. «Che cosa ci
avete nascosto eh?» li incalzò Armin. «Non sappiamo come sia
potuto accadere è la verità! Ma è accaduto e dobbiamo subito porci
rimedio» spiego Pixit «L'unica spiegazione plausibile è che questi
ibridi dormienti siano stati creati a loro insaputa. La loro
natura è stata scoperta quando abbiamo fatto evacuare Paradise. Per
cautela abbiamo sottoposto tutti gli sfollati ad esami specifici ed è
così che abbiamo aperto il vaso di Pandora». «Ma se noi abbiamo
dovuto fare una miriade di test, prove ed esami prima di essere presi
in considerazione per la mutazione, come hanno fatto a farlo a loro
insaputa, me lo spiegate?» chiese Pieck affrontando
Oniankopon. «Bella domanda. Io non lo so. Posso solo supporlo dal
momento che Grisha conservava il DNA di tutti mutanti è possibile
che abbia sperimentato qualcosa di nuovo, qualcosa di cui ha ritenuto
opportuno non mettermi a conoscenza all'epoca dei fatti» le spiegò
il medico. «Qualcuno sa sicuramente qualcosa» commentò pensosa
Annie. «Sicuramente Grisha» rincarò Reiner e puntò Eren, che
però sostenne il suo sguardo senza reagire. «Lo abbiamo
interrogato ovviamente, ma si ostina a non parlare quindi per ora la
nostra priorità è contenere questo pericoloso e inatteso fenomeno»
spiegò Pixit «perciò i soggetti ibridati sono tutti internati
come se fossero stati infettati da un pericoloso virus. Neanche loro
sanno la verità». «Bene e come intendete fare?» gli chiese
secco Erwin che già era stato messo a conoscenza di questo problema,
ma non della probabile soluzione il che lo impensieriva e non
poco. «Non abbiamo molta scelta e abbiamo bisogno dell'aiuto di
tutti voi. Siete i soli che siete a conoscenza di questa enorme piaga
e l'avete già affrontata, i soli che possono contenerla, i soli di
cui ci fidiamo. Vi rispediremo tutti a Paradise e lì voi sarete i
guardiani degli ibridi finché non sarà messo a punto
l'antidoto». Il brusio divenne protesta indignata. Tutti si
guardarono tra di loro increduli e sconcertati da questo fulmine a
ciel sereno. «Che cosa significa guardiani?»
chiese preoccupata Hanji. «Semplice dovete contenerli nell'isola
senza farli trasformare e nel qual caso dovesse accadere dovrete
terminarli». «Lo sapevo che questa storia del cazzo era finita
troppo bene e troppo in fretta!» masticò Levi imprecando tra i
denti. «Quanto dovrebbe durare questa missione?» chiese Erwin
molto serio. Zacklay fece spallucce: «Un mese? Un anno? Di più?
Chi può saperlo? Non abbiamo nessun tipo di certezza al momento se
non che il mondo è nuovamente sotto grave pericolo». Si scatenò
il finimondo tutti cominciarono a risentirsi finché intervenne il
segretario di stato alzandosi e battendo un poderoso pugno sulla
scrivania «Ora basta esigo rispetto per questo luogo e per voi
stessi! Smettete di fare i bambini, lo sapevate benissimo quando
avete accettato di entrare come agenti speciali della CIA e dell'FBI
che la vostra vita non sarebbe più stata vostra, ma che avrebbe
servito il paese ad ogni costo e in ogni modo possibile e sapete bene
che cosa accade a quelli come voi che si rifiutano di adempiere al
loro dovere! Poche chiacchiere, i problemi sono questi e voi siete i
soli che potete garantirne la soluzione e la protezione della
sicurezza mondiale. Questa minaccia che purtroppo ancora incombe
funesta su di noi va arginata che vi piaccia o no, altrimenti
rischiate di finire davanti agli affari interni e poi in galera, se
non peggio, quindi smettete di fare tutta questa caciara,
chiaro?». Si rimisero, loro malgrado, tutti in riga. Nel
frattempo gli fu spiegato, anche per rabbonirli, nella famosa logica:
bastone e carota, che se volevano potevano includere nel progetto i
loro familiari o persone a loro care, altrimenti sarebbero stati dati
per dispersi in missione e probabilmente creduti morti per molto
tempo. Questa ultima sconcertante scoperta basì e non poco tutti
coloro che avevano legami non inclusi all'interno dell'agenzia. Così
si andavano a rompere quegli equilibri e quella serenità tanto
agognata che era fiorita per molti di loro dopo la fine della
missione. Questo stava rompendo molti equilibri faticosamente
costruiti.
*
Erwin
rimase davanti alla porta di Marie qualche minuto perché il suo
senso del dovere stava ingaggiando una lotta all'ultimo sangue con i
suoi sentimenti. Quando la donna aprì notò subito che le si
illuminò il viso. Era da qualche giorno che non le aveva fatto avere
sue notizie, ma i patti tra loro erano chiari per via del suo lavoro
e in caso di sparizione senza spiegazioni non poteva essere cercato,
si sarebbe fatto vivo lui al momento opportuno. «Ciao posso
entrare?» le chiese abbozzando una specie di sorriso anche se Marie
si rese conto che era tirato come una corda di violino. «Certo
accomodati». Gli preparò un caffè. Stavano seduti entrambi
silenziosi, quasi imbarazzati ma rispettando ognuno i tempi
dell'altro. Erwin non sapeva come fare a iniziare a parlarle di
quell'enorme problema che gli era capitato tra capo e collo. Lei di
contro si era subito resa conto che ci doveva essere qualcosa di
abbastanza grave che non andava, ma non voleva minimamente forzargli
la mano. Dopo aver bevuto il caffè ed essersi scambiati mezzi
sorrisi di circostanza Erwin finalmente parlò. «Non dovrei
essere qui, ma non potevo fare a meno di venire» sparò
lapidario. «Che sta succedendo? Qualcosa che riguarda il tuo
lavoro?». «Sì» ammise grave. «Non devi metterti in
situazioni pericolose per colpa mia. Conosco più o meno la natura di
ciò che fai. Se sparisci so che poi al momento opportuno tornerai. È
una cosa dura da accettare, ma dal momento che ho deciso di stare con
te ne ho piena consapevolezza e mi sta bene» cercò di
rassicuralo. «Non è così semplice Marie, non questa volta» le
disse con lo sguardo angosciato e non era cosa da lui farsi
sopraffare dalle emozioni. «Mi spieghi che succede o vuoi farmi
preoccupare sul serio?» ribatté la donna in preda all'ansia. «Ho
passato gli ultimi giorni con la testa persa in mille pensieri.
Corroso dall'angoscia e anche dalla rabbia. Ci siamo appena ritrovati
e dobbiamo separarci di nuovo. Lo trovo crudele e beffardo» riuscì
infine a dire. «Ma che... dici?» chiese lei con il cuore in
gola. Le sembrava di essere infilata in sabbie mobili che la stavano
inghiottendo sempre più. Lui la guardò sanguinante «Marie io ti
amo, questo non devi dubitarlo, sto rischiando la carriera per essere
qui da te». Sentirlo ammettere il suo amore la fece come
risorgere, come se tornasse alla vita «E allora non ci sono
problemi. Io sono qui e ti aspetterò tutto il tempo necessario. Ti
ho aspettato una vita, che vuoi che sia qualche mese in più?». Lui
la fissò in un modo così intenso che a Marie mancò l'aria. Era
davvero disperato e non riusciva a trovare le parole adatte per non
ferirla più di quanto quella notizia avrebbe effettivamente fatto.
In principio aveva pensato anche di dirle che non l'amava più, ma
gli sembrava una cosa molto immatura e codarda che l'avrebbe
distrutta. La verità, o almeno una parte di essa era la strada più
giusta da percorrere. «Purtroppo non si tratterà di qualche mese
soltanto, potrebbe volerci molto più tempo» riuscì finalmente a
dirle. Quelle parole la strozzarono e la rigettarono negli abissi
dell'angoscia. «Ma come sarebbe a dire? Io non
capisco...» «Non posso dirti niente in proposito, già rischio
la carriera e se sono qui è solo per rispetto nei tuoi confronti. Ti
avrebbero detto, no anzi, ti diranno che sono disperso o forse morto
e non avrei mai potuto sopportare di darti un simile dolore». «Me
lo stai comunque dando» sospirò lei sconfitta. «Mi dispiace
Marie se solo avessi immaginato io... » «Io non ci posso e non
ci voglio credere! Non c'è alcun modo di risolverla diversamente?
Non pretendo che tu lasci la CIA ovviamente, ma ci sarà pure
un'alternativa, no?» lo interruppe seria. «Io non... » fece lui
autocensurandosi. Lei capì che stava facendo forza su se
stesso. «Erwin ti prego non farlo di nuovo, altrimenti tutti
questi anni persi non saranno serviti a niente» lo implorò. «Non
posso chiedertelo». «Cosa non puoi chiedermi?». «Non posso,
ti prego». «Non puoi o non vuoi?» lo incalzò severa. «Non
è tutto bianco o nero Marie, non posso rovinare la tua vita,
capisci?».
*
Quando
Eren e Krista li avevano invitati a casa loro, Jean e Mikasa erano
rimasti molto sorpresi. Non si erano più visti da quando Jeager
si era risvegliato in ospedale e a dirla tutta non erano di certo
"migliori amici". Avevano titubato un po' ma poi avevano
accettato l'invito. Era un momento molto particolare per tutti loro
ed era il caso di mettere da parte remore, o dispute passate. E poi
volevano capire che potessero mai volere da loro.
Eren aprì
la porta e li accolse con sua figlia in braccio. Mikasa avrebbe
creduto di provare disagio e un tuffo al cuore, ma non fu così. Non
provò niente di particolare se non un grande piacere nel vedere una
persona a cui voleva bene essere serena, almeno in apparenza. Per
Jean era stata dura accettare quell'invito, ma si era detto che se
non avessero superato quella prova allora il loro rapporto non
avrebbe avuto senso. Stranamente quando il suo storico rivale aveva
aperto l'uscio con quel fagottino tra le braccia si era sentito più
leggero, come se si fosse tolto un peso. Krista li fece
accomodare, sembrava agitata forse anche lei aveva le sue paturnie
riguardo questo incontro, o forse i suoi problemi erano di altra
natura. «Siamo felici e grati che abbiate accettato il nostro
invito» cominciò a dire la ragazza offrendo loro del tè. «Lei
è la nostra piccola Milae» aggiunse prendendola dalle braccia di
Eren. «È bellissima» commentò Mikasa carezzandole una
guancia. «Siamo felici per voi» tagliò corto Jean. «Vi
starete chiedendo perché siete qui immagino» esordì Eren andando
al nocciolo della questione. «Infatti» gli rispose laconico
Jean. «Il vostro invito ci ha stupito molto» aggiunse
Mikasa. «Lo capisco, ma io ed Eren ne abbiamo parlato a lungo e
abbiamo convenuto che voi due eravate le uniche persone a cui
potevamo chiedere una cosa così importante». «Che cosa?»
chiese Mikasa sorpresa. «Prima dobbiamo spiegarvi un bel po' di
cose e fare chiarezza su ciò che sta accadendo a tutti noi. Dopo la
riunione immagino che sarete scossi anche voi» aveva precisato
Eren. «Scossi è dire poco! Pensavano di esserci lasciati tutto
alle spalle e ora invece sembra che siamo tutti punto e a capo»
disse Mikasa. «Qualcosa mi dice che tu ne sai più di noi»
intervenne Jean scrutandolo. «Prima di risponderti vorrei che
entrambi sapeste che vi vogliamo bene, vi consideriamo
famiglia». Jean lo fissò come si farebbe con un
pazzo. «Non guardarmi così Kirschstein! Stai rendendo felice una
persona che per me è come e più di una sorella è normale che provi
affetto anche per te. Non sei mai stato il mio migliore amico, ma ti
stimo come uomo e come compagno di lavoro, spero che un giorno sarà
lo stesso anche per te». Jean alzò solo un sopracciglio e non
proferì parola. «Possiamo andare oltre?» chiese Mikasa in
apprensione. Non voleva si mettessero certo a discutere in quel
delicato frangente, cosa che visto i soggetti e i trascorsi tra loro
non era del tutto da escludere. «Quello che sta cercando di dirvi
Eren è che noi saremmo e felici e molto rassicurati se voi voleste
accettaste di diventare il padrino e la madrina di Milae» intervenne
Krista lanciando a sorpresa la bomba e spiazzando alla grande sia
Jean che Mikasa, che rimasero attoniti e in silenzio.
I
monologhi dell’autrice AVE!
Un saluto a chi legge! Come va? Spero tutto bene ;)
Nota:
In
questo capitolo, è chiaro, si parla non solo di fantascienza, ma
anche di fanta genetica/biologia, quindi affidatevi alla sospensione
dell'incredulità e prendete per buona la mia tesi. Daltronde è un
AU in universo AU non solo per SNK, ma anche riguardo al nostro mondo
reale, ragion per cui le regole sono malleabili e adattabili alle
mie esigenze di trama.
E come promesso in tempi abbastanza
brevi eccovi il penultimo capitolo. Vi aspettavate questa svolta,
più "seria" dopo il cazzeggio e lo slice of life degli
ultimi tempi? Comunque non aggiungo altro perché oggi ve la
faccio molto breve, ma preparatevi, ve la farò più lunga nel
prossimo ed ultimo capitolo, che se tutto va bene posterò la
prossima settimana o giù di lì, sancendo così la fine di questa
avventura durata un anno! Un caro e saluto colmo di gratitudine e affetto a chi continua ad apprezzare questa fic in tutti i modi in cui si può farlo. See ya!♥
|
Ritorna all'indice
Capitolo 38 *** E vissero tutti... Felici e contenti? ***
L’Isola
dei Dannati
A.o.T.
Mission-almost-Impossible
38 E
vissero tutti... Felici e contenti?
Jean
e Mikasa si erano presi qualche minuto per metabolizzare la sorpresa,
poi Jean fu il primo a parlare:«Prima di darvi una qualsiasi
risposta in merito alla vostra richiesta, mi dovete spiegare perché
volete affidare tale compito proprio noi due». Mikasa rimase in
silenzio. «Io ed Eren prima della riunione alla Casa Bianca
eravamo stati già messi al corrente di tutto e dobbiamo spiegarvi un
bel po' di cose» cominciò alla lontana Krista «Intanto non è vero
che ho donato loro il cordone ombelicale, io credevo di lasciarlo in
ospedale, a beneficio dei bambini malati, invece mio zio lo ha
comprato e lo ha dato allo staff medico della CIA su richiesta di
Oniankopon». «Ma non poteva dirtelo?» le chiese Mikasa molto
perplessa. «Temeva in un mio rifiuto, lui dice che lo ha fatto
per i mutaforma, in particolare per Eren, ma in realtà credo che
avesse questa idea in testa da quando Kenny rapì Eren per fargli
fare da esca e portare via me. Credo che già avessero intuito che il
nascituro avrebbe potuto garantire delle opportunità in tal
senso». «Temi quindi che ci sia qualcosa sotto? Qualcosa che ci
tacciono?» intervenne Jean. «Non lo so e spero di no, ma la
posta in gioco è troppo alta per non avere dei dubbi». «Quando
lo abbiamo scoperto ci siamo opposti categoricamente» s'intromise
Eren riportando il fucus su Milae e sul suo DNA. «Che cosa ti ha
fatto cambiare idea?» lo incalzò Jean. «Pixis è molto bravo a
convincere le persone. Mi ha detto che tutto questo casino era colpa
di mio padre e che anche io avevo contribuito seppur manipolato; che
c'erano nuovi ibridi sfuggiti al controllo, che la vita di molte
persone dipendeva dalla nostra decisione, che una sorta di possibile
salvezza di Zeke era nelle mie mani, insomma ha fatto leva sui miei
sensi di colpa». «Ci ha detto che nostra figlia finché ci
saranno ibridi è in pericolo perché il suo sangue è prezioso, che
se avessero potuto gestire la faccenda in gran segreto e con il
nostro aiuto, avrebbero liberato il mondo da questa piaga veramente
una volta per tutte e il suo futuro sarebbe stato al sicuro». «E
così avete ceduto» concluse Jean. «Sì, ma ad una condizione
imprescindibile, ovvero che per la sua incolumità dovevamo sparire
tutti, non esistere più e quindi tornare a Paradise e per il mondo
reale fingere di essere dispersi o morti». «Quindi sei stato
tu?» chiese allibito Jean. «È una decisione che abbiamo preso
insieme e non credere che non siamo consapevoli di rovinare la vita a
molti di voi, ma nostra figlia è più importante di chiunque altro,
anche di noi stessi. Spero che un giorno voi e gli altri possiate
capirci» aggiunse Krista molto seria e determinata. «Sia chiaro
siamo i primi a sperare che quando tutto sarà finito si possa
tornare alla normalità, ma nel frattempo era necessario tenerla in
sicurezza» aggiunse Eren. «E vi fidate di loro?» li interrogò
Jean. «No» gli risposero all'unisono. «Ma dimmi, tu che
avresti fatto al nostro posto? Avresti rischiato la vita di tua
figlia e di altri innocenti? Avresti esposto il mondo ad altri
ibridi? Abbiamo cercato, non senza dubbi e perplessità di fare la
cosa giusta» spiegò Eren. «O per meglio dire la meno sbagliata»
lo corresse Krista. Jean non rispose. Mikasa per il momento si
limitava solo ad ascoltare. «Milae ha diritto ad una vita normale
e non ad essere il bersaglio vivente per esperimenti da parte di
chissà chi. Noi almeno di Oniankopon ci fidiamo. Ha permesso ad Eren
di vivere, non è cosa da poco, per questo alla fine ci siamo
convinti» spiegò Krista. «Ma lo sarà per tutta la vita in
pericolo, non credi?» s'intromise Mikasa. «In effetti no. Ogni
anno che passa il potere curativo del suo sangue va diminuendo.
Arrivata allo sviluppo le proprietà genetiche per effettuare
l'antidoto andranno a scemare drasticamente fino a diventare, in poco
tempo, del tutto nulle e prima di compire vent'anni sarà libera.
Questo hanno omesso di dirvelo, ma a noi l'ha spiegato bene
Oniankopon». «Quindi se ho ben capito volete che noi ci
prendiamo l'impegno e la responsabilità di vegliare su di lei se vi
capitasse qualcosa, nel qual caso dovremmo crescerla e proteggerla
fino all'età che la renderà al sicuro, giusto?» chiese Mikasa
infine. Eren annuì «Sei l'unica di cui mi fido ciecamente e tu»
disse puntando Jean «sei l'unico che farai qualsiasi cosa Mikasa ti
chiederà, perché la ami e non lasceresti mai sola con una simile
responsabilità. Inoltre è innegabile che sei una persona con alti
valori morali e sono certo che non venderesti mai mia figlia al
miglior offerente e poi cosa non trascurabile sei un ottimo
agente». Ci furono alcuni secondi di pesante silenzio che infine
fu rotto da Jean:«Per me va bene» rispose spiazzando tutti. Come
poteva dire di no? Sapeva già che Mikasa lo avrebbe fatto a
prescindere di qualsiasi sua decisione e a parte ciò quella bambina
aveva il sacrosanto diritto di essere salvaguardata. «Grazie»
gli disse Krista commossa abbracciandolo, mentre lui non sapeva bene
che fare e cercò lo sguardo di Mikasa che aggiunse:«Ovviamente sta
bene anche per me. Contate pure su di noi. Speriamo non accada mai,
ma nel caso la cresceremo e la difenderemo come se fosse
nostra». Eren e Krista sorrisero ad entrambi e, con un cenno di
gratitudine della testa, li ringraziarono ancora una volta. Non c'era
bisogno di molte parole, perché nonostante tutto si volevano bene e
si stimavano anche se non sempre erano andati d'amore e d'accordo. «E
ora prendetela un po' in braccio, fate conoscenza!» disse entusiasta
Krista piazzando la bimba tra le braccia di Jean che s'irrigidì come
uno stoccafisso. «Rilassati Kirschstein non morde, al limite
strilla e piange» ridacchiò Eren divertito dall'imbarazzo
dell'altro. Jean continuava a maneggiarla come fosse di vetro ma
per fortuna la bambina era tranquilla. Mikasa lo guardava un po'
compiaciuta e un po' intenerita. Il ragazzo non era decisamente a suo
agio, ma a lei piaceva quell'idea di Jean con un bambino in braccio,
chissà, magari un giorno in un molto, ma molto lontano
futuro... «Milae? Milae? Sorridi allo zio Jean!» disse Krista
invogliando la bambina ad interagire e a quel punto lui si sciolse e
cominciò a farle dei versetti scemotti, improvvisamente però così
da nulla cominciò a piangere gettandolo letteralmente nel panico.
Come se la bimba scottasse la passò veloce a Mikasa. Era
mortificato. La ragazza invece la calmò quasi subito passeggiando
e cullandola aumentando così la frustrazione di Jean. «Poi
imparerai come si fa, non crucciarti» gli aveva detto Eren dandogli
una pacca sulla spalla. Jean stranamente non aveva reagito, gli
sembrava tutto così surreale. Lui con l'ex di Mikasa diventato padre
per sbaglio, che ora faceva l'amicone, sembrava la trama di una
pessima commedia, ma stranamente nonostante fosse una situazione
bislacca, la cosa gli piaceva, gli dava un senso di rinnovata
serenità. Aveva così tanto penato per realizzare il suo sogno con
la ragazza che amava, che ora non gli faceva più paura niente,
neppure Eren, o fare da padrino a Milae, o il trasferimento a
Paradise. Con lei era pronto anche ad andare all'inferno se fosse
stato necessario. Gli dava una sicurezza che non sapeva di avere e
questo lo legava sempre di più a lei. «Milae è un nome
particolare, non l'ho mai sentito prima, chi l'ha scelto?» chiese
Mikasa rivolta a Krista continuando a trastullare la piccina. «Eren.
Eravamo d'accordo che se fosse stata femmina l'avrebbe scelto lui e
fosse stato maschio io» spiegò la ragazza prendendo dalle sue
braccia la figlia per farla mangiare. «È di origine Coreana e
l'ho scelto perché è il più musicale che ho trovato» aggiunse
Jeager.(1) «In
che senso? Non mi dirai che non ci sono altri nomi musicali?» gli
chiese Mikasa un po' stranita. «Milae significa futuro,
concetto
che mi era caro, in quanto mia figlia ha davvero cambiato me e la mia
vita, e poi è semplicemente perfetto perché lei è anche
oggettivamente il nostro futuro, grazie a lei ci sarà un mondo
libero e sicuro per tutti!» spiegò soddisfatto. «Ma tu guarda,
sei diventato pure poetico» rimarcò Jean un po' per sfotterlo e un
po' stupito, quasi non lo riconosceva. «È colpa della paternità,
vedrai quando toccherà anche a te». «Oh andiamoci piano eh? Per
ora non rientra affatto nei miei progetti». «E nemmeno nei miei,
per carità!» gli fece eco Mikasa. Lui la guardò un po' storto
perché sembrava proprio refrattaria alla cosa, ma riflettendoci su
non poteva darle torto perché avevano appena cominciato a stare
insieme, anche solo l'idea di un figlio era quanto meno
prematura. «Allora state attenti e soprattutto non fatevi
prendere dalla foga nei momenti meno opportuni, quando non siete
adeguatamente protetti»
li canzonò Krista. Mikasa arrossì come un pomodoro fino alla
radice dei capelli «Possiamo cambiare argomento per favore?» si
stizzì appena. «Credete che accetteranno tutti di venire a
Paradise?» disse Eren accontentandola e tornado ad argomenti più
seri. «Mi pare di aver capito che non è propriamente una scelta»
sospirò Mikasa. «Sapevamo che questo tipo di carriera poteva
farci stare sotto copertura anche per anni, quindi è normale che
tutti si traferiranno, i corpi speciali sono un po' come le sette,
non ti consentono facilmente di uscirne e tornare libero, se non con
la pensione» sottolineò Jean pragmatico. «E così si riparte da
dove tutto è cominciato» sospirò Krista rassegnata dando il
biberon a Milae.
*
Qualche
tempo dopo...
«Questa
moto è favolosa!» disse Mikasa ammirando la Ducati che Jean aveva
appena tirato fuori dal garage. Era la prima volta che la vedeva e
che l'avrebbero usata assieme. «È una Diavel V4» spiegò
orgoglioso mentre poggiava il bolide rosso fiammante sul cavalletto.
«Sono contento che apprezzi, di solito molte ragazze hanno una certa
avversione per le due ruote». «Non io» puntualizzò Mikasa e si
avvicinò facendo poi una sorta di carezza passando la punta delle
dita sul serbatoio cromato, con gli occhi che le brillavano. «Me
la fai guidare?» esordì come un bimbo che anela di salire sulla sua
giostra preferita. «Non scherziamo» rispose lui sorridendo e
alzando le mani. «Perché no? Dai fammela guidare!». «Mi
dispiace ma sulla moto non transigo» gli rispose serioso. Lei gli
si avvicinò e gli cinse la vita cercando di ammaliarlo con uno
sguardo languido. «Non funziona, mi dispiace». «Insomma vuoi
deludere la tua ragazza?». «Dai Mikasa fare la gatta morta non
ti si addice». «Hai ragione, allora cambio registro, vorrà dire
che mi regolerò di conseguenza» lo minacciò semiseria. Era una
sorta di scaramuccia simpatica, anche se c'era effettivamente un
pizzico di voglia di farlo cedere. «Tipo?» le chiese fingendosi
preoccupato. «Prevedo all'orizzonte molti mal di testa serali,
seguiti da indisposizioni di vario genere» gli rispose sibillina, ma
non troppo seria. «Ah capisco» fece lui meditabondo «ma è una
punizione che estendi anche a te stessa, se ti sta bene... un po'
come quello che si tagliò il pisello per far dispetto alla
moglie». «Che delusione sei il solito maschio che è geloso
delle sue cose». «Più che altro non posso dartele tutte vinte,
se proprio ti va così tanto di guidarla potresti acquistarne una, ma
la mia moto è sacra e la guido solo io, dai mettiti il casco e
andiamo». «Ti preferivo sottone!». «Questo è un colpo
basso, non sono mai stato un sottone e comunque andiamo che sennò
facciamo tardi». «Non ti sei mica offeso?» gli chiese visto che
si era appena rabbuiato. «No, ma non mi piace essere definito
così. E comunque abbiamo problemi ben più gravi da affrontare e
questa dovrebbe essere una serata spensierata prima di partire per la
missione» «Ma io scherzavo, dai! Era solo per farti dispetto
perché non vuoi farmi guidare la moto». «E non te la farò
guidare lo stesso» puntualizzò imperturbabile. Lei capì che il
giochino era durato fin troppo, quindi decise di abbozzare. «E
comunque sei un sacco carino quando fai il muso» gli confidò
sorridendo e poi con aria davvero impertinente aggiunse «Sottone!»
e scoppiò a ridere. «Non avrei mai creduto tu fossi così
perfida» gli disse lui afferrandola e attirandola a sé con finta
aria di minaccia. «Guarda che anche io sono la tua sottona,
scemo!» fece appena in tempo a dirgli prima che lui le tappasse la
bocca con un bacio. A volte le loro insicurezze riaffioravano di
colpo, ma bastava molto poco per soffocarle. Si infilarono i
caschi, salirono sulla moto, Jean diede gas e sfrecciarono verso la
loro destinazione.
*
«Tu
stai tramando qualcosa» disse Levi girando intorno ad Hanji con fare
indagatore. «Ci puoi giurare» fu la risposta diretta di lei. «Ti
pare il caso?». «Lo so che non approvi, che tu sei per farti i
fatti tuoi, ma questa volta è per una buona causa». Levi sospirò
era inutile insistere con Hanji, lo sapeva bene. «A proposito ma
di chi è stata l'idea di fare questa serata di merda?» le chiese
poi contrariato. «Dei più giovani, santo cielo però come sei
acido!». «Non stiamo partendo per un viaggio di piacere, tutte
queste manfrine mi urtano e poi una serata karaoke? Vade retro,
guarda meglio una missione mortale in culonia saudita!(2)». «Ma
mica devi cantare». «Tanto lo so come vanno a finire certe cose,
però potrei sempre darmi malato» disse come colto da
illuminazione. «Il fatto è che tu sei preoccupato per altro, ti
conosco». Hanji aveva centrato il punto e Levi non
rispose. «Sbaglio?» rincarò lei. «Io non credo che le cose
siamo come ce le hanno prospettate e se vuoi saperla tutta, da
quell'isola temo che non ritorneremo mai più indietro». «È
probabile, anche se spero proprio di no» ammise lei «ma che
possiamo fare se non accettare il nostro destino? Che ci piaccia o no
come ha detto Pixis siamo gli unici che possiamo arginare il
problema. Abbiamo una sorta di debito morale a cui non
possiamo sottrarci. Siamo uomini e donne pronti anche alla morte per
il bene comune, è ciò che facciamo da sempre». «E diciamola
tutta: è anche per questo che gli stronzi ci hanno potenziati a
dovere» aggiunse Levi sardonico. «Certamente, ne siamo
consapevoli, ma il punto non è questo. Insomma questa vita ce la
siamo scelta e per quanto remota fosse questa possibilità, sapevamo
che poteva accadere. Ci sono agenti che hanno passato la loro
esistenza sotto copertura. È raro, ma non impossibile. Quello che
può cambiare la prospettiva è che siamo davvero fortunati, molti di
noi hanno la possibilità di affrontare questo salto nel buio non da
soli ma in compagnia di chi amano, e chi non ha un compagno, o una
compagna, può sicuramente contare su dei veri amici pronti a vendere
cara la pelle gli uni per altri». «Proprio per questo motivo non
appoggio la tua scelta, non puoi tirare nel mezzo una civile e
condannarla ad una vita da latitante su un'isola che per il mondo non
esiste! Ti rendi conto?». «Ma questa è una decisione che non
spetta né a me, né a te, ma solo a lei. Credo che sia giusto che
possa disporre della sua vita come meglio desidera». «A volte
non ti capisco» commentò Levi. «Consolati, nemmeno io» ammise
Hanji sorridendo per sdrammatizzare. «Hai la testa veramente
dura». «Senti chi parla!». «Va bene mi arrendo, ma se
scoppia un casino e scoppierà, almeno ho la coscienza a posto perché
ho provato a farti cambiare idea». «E che casino può mai
scoppiare? È stato detto che i familiari possono essere inclusi nel
progetto e mi sono informata ai piani alti, non importa siano
legalmente sposati per essere definiti tali». «Credi davvero che
Erwin la prenderà bene? È un'enorme e inopportuna ingerenza nella
sua vita privata». «Un po' come ha fatto lui con noi. E non
dimenticare che se non si fosse messo nel mezzo non sarebbero
cambiate le regole e oggi noi, come altre coppie, saremo state divise
da protocollo. Si incazzerà di sicuro, ma poi gli passerà vedrai.
Ha diritto anche lui ad una fetta di felicità. Ed è questo che
fanno gli amici: si impicciano, aiutano e soprattutto non si girano
dall'altra parte». Levi la guardò molto incupito e poi sbottò
«Mi fa girare altamente i coglioni dirlo, ma hai sempre
ragione!». Hanji rise di gusto, ma decise di non infierire oltre
e non commentò.
*
Davanti
al locale karaoke, Canta che ti Passa, scelto ovviamente da
Connie, Erwin trovò Marie che l'attendeva all'entrata. «Che ci
fai qui?» sobbalzò completamente spiazzato dalla sorpresa. «Ho
bisogno di parlarti, ti va se facciamo due passi?». «Io... sì,
va bene» farfugliò confuso «ma come hai fatto a trovarmi?». «È
stata Hanji ma ne parliamo dopo, non abbiamo chissà quanto tempo,
domani è il giorno della partenza e dobbiamo chiarirci». Quindi
sapeva tutto? Erwin avrebbe strozzato l'amica, ma per il momento
decise di ascoltare Marie, anche perché il suo cuore era in tumulto
tra gioia e preoccupazione. «Prima fammi finire tutto ciò che ho
da dire, poi parlerai tu, promesso?». Smith suo malgrado
annuì. «Capisco le tue ragioni nel tacermi la cosa. Non solo,
credimi, le apprezzo. In questo caso hai fatto la cosa che ritenevi
fosse più giusta per me, ma non puoi decidere al posto mio. Erwin
qui non ho più niente che mi leghi. Nil è morto e sepolto, lavoro
rintanata in un ufficio polveroso e il mio mondo si esauriva a questo
e poco più, fin tanto che non sei riapparso. È vero ho avuto paura
e un po' ne ho ancora, non ci conosciamo più come un tempo, ma hai
ridato colore alla mia vita. Mi sento nuova e piena di fiducia in un
futuro che prima aveva i toni grigi di un triste e perpetuo Novembre.
La vita è comunque un salto nel buio, i progetti spesso sfumano, ma
ci sono anche occasioni che vanno prese al volo e senza pensarci
troppo, quindi io ho deciso, se mi vuoi starò con te a Paradise e
potremmo convivere proprio come speravi prima che accadesse questo
casino». Quelle parole furono per Erwin come un picco violento di
adrenalina che lo investì in pieno, in cui gioia e disapprovazione
facevano a pugni mozzandogli il fiato, mentre il suo cuore aveva
preso il ritmo di un assolo di batteria. «È molto pericoloso
Marie, potrebbe essere una missione senza ritorno, inoltre è una
situazione al limite dell'assurdo, una vita da fantascienza io
non...». «Hanji mi ha spiegato tutto». «Quella disgraziata
mi sente! Ma lo sai che è una cosa folle? Oltretutto è
terribilmente rischioso, oltre che incosciente, da parte sua averti
messa al corrente di tutto ciò, potrebbe costarti molto caro! Io la
strozzo!» sibilò indignato, come aveva potuto farlo e Levi? Lui che
era sempre così razionale, ne sapeva qualcosa? Era scioccato. «Non
agitarti non siamo tutti matti da legare, abbiamo fatto le cose come
si deve, ormai anche io faccio parte del progetto. Ho rispolverato la
mia vecchia laurea di infermieristica che non ho mai voluto
esercitare, darò una mano come OS nell'ospedale di Onyankopon. Ho
cercato io Hanji. Ho insistito io, perché volevo capire e sapere
cosa ti stesse accadendo e soprattutto non volevo perderti. Così
prima che tu mi dissuadessi, o peggio mi impedissi con qualche
magheggio dei tuoi di seguirti, ti ho anticipato e lei mi ha aiutata
ad avere ciò che volevo. Dopo un attento esame Pixis mi ha
accettata. Ha detto anche che per te sarebbe stato un bene avermi
accanto». L'uomo era rimasto ad ascoltare stupefatto e a corto
di parole, sempre in bilico tra l'essere felice e l'essere incazzato
nero. «Hai detto che volevi fare sul serio ricordi? Beh ora è
giunto il momento di dimostrarlo. Io ti ho appena fatto vedere quanto
realmente tu conti per me, ora tocca a te» concluse Marie. Lui
sospirò forte in balia di mille sentimenti diversi. Era ammirato
dalla sua determinazione, era felice di aver scoperto quanto lo
amasse, ma allo stesso tempo era preoccupato, impaurito, arrabbiato e
spiazzato. Era abituato ad essere sempre un passo avanti e non uno
indietro, questa volta non avrebbe potuto avere il controllo su
questa faccenda. Ma era poi così male? La guardò dritta negli
occhi per cercare di calmarsi e vi lesse tutta la sua risolutezza,
oltre che il suo amore. In pochi secondi sì sentì come svuotato e
libero da un peso, si rese conto che contrastarla sarebbe stata una
battaglia già persa, quindi fece quello che non faceva quasi mai: si
arrese. Si sentì improvvisamente leggero e la prese tra le braccia,
poi la baciò con una tale intensità che a Marie tremarono le
ginocchia. Quando si staccò da lei erano i suoi occhi che
scintillavano dall'emozione: «Non ho mai voluto niente e nessuno
quanto voglio te. Ti basta come risposta?». Lei si accucciò tra
le sue braccia felice e anche rasserenata, non era del tutto sicura
che sarebbe andata così bene e che lui l'avesse digerita così in
fretta, non era di certo un uomo abituato ad essere gabbato, o preso
in contropiede, ma avrebbero affrontato il vento e le burrasche una
alla volta. Ci sarebbe stato ancora tanto da chiarire e da parlare ma
per il momento era giusto godersi quella neonata ed incosciente
felicità.
La
serata Karaoke era andata bene anche con buona pace di Levi che alla
fine si era arreso e scioccando tutti aveva pure cantato. Tra lo
stupore generale e facendo perdere cinquanta dollari di scommessa a
Connie, si era esibito in I was made for lovin'g you dei Kiss,
ovviamente dedicandola ad Hanji, la quale dopo un primo momento di
shock, ne rimase lusingata e piacevolmente sorpresa, sia dal fatto
che fosse intonato e sia dal fatto che sapesse pure ballare, dato che
mentre cantava si muoveva a tempo di musica in modo indecentemente
sexy. Quell'uomo era davvero una miniera di sorprese pensò giuliva
la novella signora Ackerman, una cosa era certa loro due non si
sarebbero mai annoiati insieme. Levi non appena ebbe terminata la
sua inaspettata performance, riprese il suo perfetto aplomb, come se
nulla fosse accaduto, raggiunse Hanji e si giustificò dicendole che
non avendo tenuto fede nel farle la proposta in pubblico, le doveva
comunque una figura di merda e ora, con questa, aveva saldato il suo
debito ed era a posto con la sua coscienza. Erwin che aveva
promesso fuoco e fiamme contro Hanji nel vedere Levi ballare e
cantare aveva riso così tanto che alla fine aveva desistito da ogni
proposito bellicoso, almeno per il momento. A fine serata Jean
aveva consegnato le chiavi della moto a Mikasa perché la guidasse
adducendo come scusa che lui aveva bevuto e lei no. La ragazza si
sciolse letteralmente e se aveva avuto qualche dubbio, ora più che
mai aveva la certezza di quanto lui fosse speciale, anche se a volte
voleva fare il sostenuto, ma del resto nessuno è
perfetto. L'indomani la partenza per Paradise era stata
traumatica, ma anche carica di aspettative. Ritornare in
quell'isola come neonato Corpo di Ricerca, nominato da Pixis per
via della sperimentazione e il contenimento degli ibridi nell'attesa
di avere un antidoto, fu sia dolce che amaro, ma almeno questa volta
erano tutti coesi e soprattutto sapevano perché fossero lì e che
cosa li attendeva. O almeno questo era ciò che sembrava sulla
carta...
EPILOGO
Molti
mesi dopo il loro insediamento nell'isola le loro vite erano ormai
incanalate in una sorta di routine regolare e tutto sembrava
procedere nella giusta direzione e senza troppi scossoni. L'unico
vero grosso problema era far mangiare Zeke che sembrava depresso, ma
soprattutto tenergli Levi lontano dato che, in modo assai magnanimo
voleva personalmente porre fine a quella sua vita di merda,
come amava dire lui ad ogni occasione. L'antidoto era già quasi
stato messo a punto e quindi stava per essere condotta una prima
prova di sperimentazione su ibrido. Nonostante Krista si fosse
opposta con tutte le sue forze, Eren si era offerto volontario e a
breve lo avrebbe testato su se stesso. Poi se le cose fossero andate
bene, uno ad uno anche gli altri lo avrebbero ricevuto e nel giro di
un anno o poco più, tutto sarebbe finito. Nel frattempo i così
detti ibridi
dormienti inconsapevoli della loro reale condizione, convinti
solo di essere portatori sani di un virus letale, erano stati tutti
racchiusi a Marley e per il momento nessuno di loro aveva dato grossi
problemi. Insomma tutto sembrava andare per il verso giusto.
Ma
qualcuno tramava nell'ombra...
«E
così questo Corpo di Ricerca sta per testare l'antidoto eh?». Uri
annuì e guardò Kenny soddisfatto. Lui non era mica stupido come
suo fratello, ci aveva ragionato su e alla fine si era detto che era
insensato non cogliere quell'occasione così ghiotta. Kenny poi gli
aveva forzato la mano proponendosi come socio e mettendogli a
disposizione i suoi contatti e la sua squadra speciale. Uri era un
uomo molto influente e sapeva come muoversi e come sfruttare al
meglio le opportunità e si era comportato di conseguenza. «Quando
penseranno di aver risolto per sempre la questione noi ci faremo
avanti e ci occuperemo della faccenda. Se tutto andrà secondo i
nostri piani avremmo in mano l'arma più potente di sempre. A quel
punto potremmo dettare le nostre condizioni. Tutte le nazioni più
potenti faranno a gara per accaparrarsela e noi da bravi generosi la
venderemo a tutti e diventeremo straricchi!» concluse Kenny
soddisfatto. Poi aprì la valigetta in cui c'era già una fiala di
siero per creare ibridi di seconda generazione e uno scomparto vuoto
pronto ad ospitare il neonato antidoto appena fosse stato
testato. Uri gli ammiccò sornione era stato tutto più facile del
previsto, anche se era conscio che la CIA e l'FBI non gli avrebbero
di certo reso le cose semplici. Sicuramente al momento delle trattive
per vendere quell'arma così potente e così preziosa qualche
scaramuccia ci sarebbe stata, ma era sicuro che ogni potenza ne
avrebbe voluta almeno una dose, compresa anche quella che diceva di
volerla debellare dal mondo.
Brutte
teste di cazzo cacate male! Ride bene chi ride ultimo! Lo sapevo io
che non poteva essere tutto così semplice, ma avete fatto male i
vostri conti. Al momento opportuno vi accoglieremo con un comitato di
benvenuto che neanche immaginate. Di te Kenny la merda mi occuperò
personalmente, infame che non sei altro! Pensava
Levi incazzato nero, mentre ascoltava la conversazione grazie alla
cimice che aveva piazzato strategicamente per origliare quel gran
figlio di una buona donna di suo zio. Conosceva fin troppo bene i
suoi polli, aveva sentito puzzo di bruciato fin dall'inizio e aveva
avuto ragione a prendere questa iniziativa senza chiedere il permesso
a nessuno. Farla a Levi Ackerman se non impossibile era senz'altro
molto difficile, anche se a dire il vero Erwin lo aveva coperto e
spalleggiato a sua insaputa. E così erano davvero tornati ad un
passo dal punto di partenza: altra storia, altra guerra
da
combattere. Nessuno come sempre aveva imparato nulla dagli errori
passati...
FINE
§
L'uomo
si distrugge con la politica senza princìpi, col piacere senza
la coscienza, con la ricchezza senza lavoro, con la
conoscenza senza carattere, con gli affari senza morale, con
la scienza senza umanità...
Mahatma
Gandhi
L'utimo
monologo dell’autrice Allora
gente come va? Siete rientrati dalle ferie? Di seguito il pippone
promesso, che se non avete voglia di leggere potete skippare subito
dopo le note!
NOTE 1)
La considerazione fatta da Eren in
realtà è la mia che ho preso in prestito questa cosa da "Mare
Fuori," dove Carmine chiama la figlia Futura ispirandosi alla
canzone di Lucio Dalla, ma anche perché rappresenta il suo futuro.
L'idea mi è davvero piaciuta così ho cercato un modo di dire
"futuro" più musicale e più femminile possibile e ha
vinto la lingua coreana! 2)Culonia
saudita è uno colorito modo di dire
delle mie parti che significa alla fine del mondo e oltre!
E
ora vorrei spendere due parole sul perché ho scritto questa fic. La
prima motivazione è molto semplice avevo bisogno di leggerezza.
Volevo prendere il contesto di SNK o AOT che dir si voglia e
"ammorbidirlo" senza spogliarlo però della sua essenza
primaria e l'AU era l'unica strada. La seconda, che è quella che mi
premeva di più, era dare quel qualcosa (chiamata anche gioia) ad
alcuni personaggi a cui Isayama l'aveva negata, così ho regalato
loro ciò che avrei voluto vedere nel canon. Per quanto riguarda la fine
però ho voluto essere coerente con l'Isayama pensiero, ovvero
che l'uomo non impara MAI dai propri sbagli e tutto, in qualche modo,
si ripete. Se per caso vi state chiedendo se questa storia avrà
un continuo la risposta è no. Ci tengo a
specificare che forse questo capitolo potrebbe apparirvi "frettoloso"
o eccessivamente riassuntivo, ma vi assicuro che è nato così e
così doveva essere. Potevo scrivere altri capitoli per
approfondire certe cose, ma non avrebbe avuto per me lo stesso
"effetto", oltre che darmi l'idea di allungare il brodo (cosa che odio), quindi sappiate che è unicamente una mia scelta narrativa ponderata.
Mi sono divertita come una
matta a scriverla, ma vi confesso che dietro c'è stato un lavoro
accurato e tanta fatica, anche per questo spero che come mi sono divertita
io a scriverla, parimenti voi vi siate divertiti a leggerla, per me
sarebbe la cosa più bella. Per
questo mi rivolgo a te che l'hai letta dal primo all'ultimo capitolo
e magari l'hai apprezzata, ti va di farmi sapere che cosa ti è
piaciuto o cosa non ti è piaciuto? Te ne sarai davvero grata, non
perché io sia in cerca di lodi o approvazione, ma perché vorrei
capire che cosa può averti lasciato questa storia, se ovviamente
lo ha fatto. Sappi che le critiche sono sempre bene accette e sono
molto utili quando sono costruttive, sono la prima che ne faccio
tesoro per migliorare, perché di fatto non si migliora mai
abbastanza e io di strada ne ho da fare molta, ne sono consapevole. Grazie di vero ♥ a chi
mi ha accompagnata dall'inizio alla fine in questo viaggio durato un
anno, ma grazie anche a chi l'ha fatto solo per una parte del
percorso, so di avere tanti difetti ma non sono di certo un'ingrata e
ogni recensione (anche le 100 e più andate perdute) è stata
apprezzata e gradita. In particolare vorrei ringraziare le mie
fedelissime Fool♥ e Coldcat♥,
ma anche Jakefan e Im_notsupposedtobehere per il loro incoraggiamento
(la prima) e per essere passata (la seconda), grazie anche a Lady Five, lei sa perché. Concludo scusandomi
per i vari errori di battitura che grazie a segnalazioni e riletture
estemporanee sono riuscita a correggere (spero tutti). E per chi
fosse mai interessato alle mie future elucubrazioni mentali, sappiate
che sto già lavorando ad una canon Levi-centrica, quindi ci
rivedremo presto, ma non subito, tra un po'! E con questo è
tutto, vi ho ammorbato abbastanza, passo e chiudo. Ad maiora
semper! Con affetto e riconoscenza kamony {See you soon!}
Disclaimer
Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro.
Tutti i personaggi di SNK qui citati (purtroppo) non mi appartengono, ma sono proprietà di Hajime Isayama.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=4051077
|