The sound of a silence

di Chiririra00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Spesso le persone si ritrovano ad odiare i suoni. 
 
In preda al panico, alla rabbia o alla frustrazione chiedono soltanto che tutto si zittisca, che il silenzio regni sovrano e che anche i piccoli suoni, quasi impercettibili, smettessero di esistere dandogli così una certa sensazione di calma, di pace, come se esistessero solo loro nel mondo e tutti fossero finalmente scomparsi abbandonandoli a loro stessi. 
 
Spesso, quando sentiamo una parola in più prodotta dalla lingua velenosa di qualcuno, desideriamo di non sentire più, vogliamo che i suoni smettano di esistere, ed anche la nostra canzone preferita messa ad alto volume come supporto diventa assordante e ripetitiva, e ci ritroviamo a mettere le mani a coprire le orecchie sperando di trovare una qualche sorta di sollievo anche se sappiano che solo il sonno, diciamo, può donarci quella sensazione di relax, o almeno, per coloro che fortunatamente riescono a dormire.
 
Ognuno ha le proprie motivazioni per le scelte che prende, scelte raccontate nelle storie di ciascuno tra cui quella di un ragazzo, uno come tanti, con problemi di autostima, di fiducia e con forse troppa rabbia interna.
 
Anche lui cerca il silenzio in quella esplosione che è la sua vita, non risparmiandogli le insidie che porta la sua giovane età dove l’affermarsi e il trovare sé stessi sono gli obiettivi principali. 
 
Però possiamo rimanere sorpresi dalle occasioni che ci vengono offerte. Scoprirsi è importante, no? Allora dobbiamo buttarci fin da subito se non vogliamo rimanere sopraffatti dalle insicurezze che la gioventù porta, dobbiamo trovare il nostro angolo di silenzio tra le rumorose strade del mondo; non importa se esso sia grande o piccolo, bello o brutto, rosa o blu, deve essere il nostro spazio, lo specchio della nostra anima. Può sembrare difficile ma chi dice che dobbiamo essere soli nell'affrontare questa impresa?
 
 
 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Tic Tac, Tic Tac… Era veloce lo scorrere dei secondi, così il movimento della sua gamba, incapace di stare ferma. Ci aveva sempre provato a farla rimanere immobile, al suo posto come giusto che fosse: stringeva la coscia finchè le unghia non lasciavano segni sulla pelle già rovinata, piccole gocce di sangue iniziavano ad uscire, ma nulla impediva a quella parte di muoversi, come se il suo cervello fosse in blackout e non recepisca il messaggio. Gocce di sudore imperlavano la sua fronte nonostante in quell’attimo non stesse accadendo nulla di speciale: l’insegnante stava semplicemente spiegano la nuova lezione mentre alcuni ragazzi prendevano appunti, ascoltavano interessati, annoiati oppure c’era qualcuno che si era permesso di schiacciare un pisolino poggiando la testa sul banco. Lui invidiava particolarmente quest’ultimi che stavano beatamente nel mondo dei sogni, con la mente rilassata, mentre la sua lo umiliava costantemente ricordandogli quell’azione prima fatta in modo sbagliato, quella parola detta di troppo, o quell’azione non compiuta che forse avrebbe potuto cambiare le carte in tavola, letteralmente, visto che pensava alla umiliante partita persa che aveva avuto con sua nonna il giorno prima. Non sopportava che ogni cosa che facesse non fosse abbastanza, che non riusciva mai a toccare la vetta o ad assaporare una piena vittoria, come quel torneo di scherma che aveva vinto la scorsa stagione solo perché il suo duellante finale alla fine si era arreso. Nella sua testa c’era la costante convinzione che lui doveva continuamente superare gli altri, che doveva guardarli dall’alto in basso senza guardarsi indietro perché era lui quello che era sempre stato elogiato, era lui quello che si prendeva il merito, che fosse nella scuola o nello sport. Lui era lo studente modello, l’atleta perfetto… Il ragazzo dalla famiglia da fiaba in cui la pace regnava, il ragazzo dalle mille qualità e dai zero difetti che poteva gareggiare contro un principe azzurro. Ma si sa, le fiabe sono solo l’utopia di un mondo inesistente, come la perfezione, un concetto a cui l’uomo non può aspirare perché è più complesso rispetto a quella facciata che vuole mostrare. Le unghie vennero conficcate nei palmi, sentiva quel fiato dietro al collo e quelle urla che gli dicevano che non era abbastanza, che se si meritava di vivere doveva fare di più. Le parole pesavano fortemente sulle spalle, e così forte era la forza che mise nel fare pressione con le unghia, andavano sempre più in profondità, e solo il suono della campanella lo fece risvegliare dai suoi pensieri facendolo accorgere del liquido cremisi che scorreva tra le sue mani. Prese velocemente un fazzoletto per tamponare il sangue, nessuno poteva vedere in che condizioni era, nessuno poteva vedere oltra la sua facciata, quella era una parte sbagliata ed imperfetta di sé che doveva nascondere il più possibile se non voleva rimanere schiacciato. Mentre i suoi occhi vagavano da una parte all’altra classe per essere certo che nessuno lo stesse guardando, una donna dai corti capelli castani che indossava una larga camicia, un jeans largo ed una cravatta scomposta, fece il suo ingresso mettendosi davanti alla cattedra e incrociando le braccia al petto. Il ragazzo rimase abbastanza stordito alla vista di quella nuova e strampalata figura, come il resto dei suoi compagni che si erano zittiti incuriositi di sapere chi era la nuova venuta. Dopo aver messo su un caloroso sorriso e di essersi schiarita la gola parlò presentandosi. “Buongiorno ragazzi, sono Jo Fisher e sarò una vostra insegnante” Iniziarono a sentirsi dei borbotti provenire dai ragazzi confusi che si scambiavano opinioni al riguardo. “So che sono passati tre mesi dall’inizio della scuola, ma da oggi fino alla fine dell’anno, la vostra classe farà un’ora di lezione sul linguaggio dei segni” concluse lasciando la classe completamente stupita. Molti erano incuriositi da quella trovata e non vedevano l'ora di cominciare, poi c’era chi invece sbuffava sonoramente annoiato da quella attività, e poi c’era il ragazzo che noi abbiamo appena conosciuto, che per nemmeno un attimo aveva distolto lo sguardo dalla porta leggermente aperta dell’aula che si affacciava sul corridoio e da cui poteva intravedere una figura in attesa. Jo battè le mani per riportare la classe all’ordine “Probabilmente vi starete chiedendo del perché di tutto questo, semplice, da questo momento un nuovo compagno si unirà alla vostra classe” e detto questo fece un segno verso la porta da cui entrò un ragazzo leggermente basso e dai folti capelli, che col sorriso, si mise accanto all’insegnante guardando quella che sarebbe stata la sua classe. “Bene che ne dici di presentarti” disse Jo accompagnando le parole con dei fluidi gesti che vennero osservati con attenzione dal ragazzino che, sempre col sorriso, fece un cenno col capo. Iniziò velocemente a fare dei gesti con le mani che, ovviamente, gli altri non compresero guardandolo straniti. Jo ridacchiò e mise una mano sulla spalla del ragazzino che la guardò confuso “Loro non parlano il linguaggio dei segni, ricordi?” il ragazzino arrossì e si grattò la nuca imbarazzato, era abbastanza nervoso e si era dimenticato di quel particolare problema di comunicazione. “Tranquillo ma gesticola con più calma, così traduco loro frase per frase” ovviamente Jo oltre a fare dei gesti scandiva le parole in modo che anche gli altri potessero partecipare alla conversazione. Il ragazzino riprese quindi a gesticolare più lentamente cercando di non tremare alla vista di tutti quegli sguardi incuriositi puntati sulla sua figura. “Lui è Izuku Midoriya, ha 16 anni e si è appena trasferito qui in città insieme a sua madre” iniziò a tradurre Jo “Spera che andiate d’accordo ed è felice di essere qui con voi”. E per concludere il ragazzino si inchinò davanti a tutta la classe come segno di gratitudine, parte della sua cultura orientale. Tutti rimasero perplessi da quel gesto tranne uno, che continuava a guardare il nuovo venuto, non gli aveva staccato nemmeno per un minuto gli occhi di dosso come se fosse una calamita o un prezioso gioiello. “Dimenticavo di dirvi che Izuku è di origini giapponesi, quindi possiede una cultura completamente differente dalla nostra. Ovviamente conosce molto bene la nostra lingua ma possiede anche delle difficoltà, per questo chiederò ad un vostro compagno di classe anche lui di origini giapponesi di aiutarlo in particolare”. Jo puntò gli occhi nell’angolo dell’aula guardando un ragazzo che si trovava in un banchetto singolo “Quello è il tuo nuovo compagno di banco Izuku, si chiama Bakugou Katsuki”. E la sua gamba tremante si fermò non appena i suoi occhi incontrarono quelli verdi e splendenti dell'altro.

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