L'Abbazia del Roseto - CA Cap. II

di EmmaJTurner
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una Nuova Missione ***
Capitolo 2: *** Un Sentimento in Comune ***
Capitolo 3: *** Rose Benedette e Cadaveri nei Letti ***
Capitolo 4: *** Una Discreta Rompitura di Cazzo ***
Capitolo 5: *** Chiacchiere in Bottiglia ***
Capitolo 6: *** Straordinarie Proprietà, Rischi e Utilizzi ***
Capitolo 7: *** Il Parassita ***
Capitolo 8: *** “L’avevo detto, io” ***
Capitolo 9: *** Alla Prossima ***



Capitolo 1
*** Una Nuova Missione ***


Una Nuova Missione

Il campanello del negozio tintinnò. Meli rificcò le code di bisso galeto in cima allo scaffale e urlò “Arrivo!” prima di presentarsi, arruffata e sorridente, al primo cliente della giornata.

“Georg!” salutò Meli. “Qual buon vento! Cosa ti porta qui? Attraversi il passo?”

Il cliente, un esemplare di uomo di montagna peloso e tracagnotto, le mostrò i denti neri e storti in un sorriso gioviale. “Meli! Sei tornata! Sono molto contento. Ero stufo di parlare con quel mostriciattolo che chiami assistente”.

“Zeno? Oh, ma lui è molto bravo, ci deve solo prendere un po’ la mano. Sta ancora imparando. E poi è molto giovane, sai”.

“E molto inquietante”.

“Sì, anche quello. Allora, cosa posso fare per te?”

“Mi sono giunte voci che hai ancora qualche artiglio di strige”.

“E le voci sono vere! Me ne restano quattro. Quanti te ne servono?”

“Due. Riprovo la mistica, sai”.

“L’ultima volta non è finita bene”.

“Per questo ci devo riprovare”.

Meli andò nel retrobottega a recuperare gli artigli. Trovò Zeno intento a compilare l’inventario, con la coda squamosa che reggeva il taccuino mentre con le manine tozze spostava i barattoli di achillea.

Quando Georg se ne andò soddisfatto Meli poté lasciarsi cadere sullo sgabello dietro al bancone. Polpetta, il gattino grigio con i calzini sopravvissuto alle strigi e che l’aveva seguita fino a casa, si stiracchiò dal suo posto preferito: il cuscino di velluto viola su cui era posato il teschio di troll a decorazione del bancone. Inizialmente i due, gatto e teschio, ci stavano comodi entrambi, su quel cuscino; ma ora che il micio era grande il doppio da quando Meli l’aveva portato lì, il teschio era stato detronizzato, e Polpetta appallottolato sopra il cuscino era diventato parte integrante della decorazione del negozio. Quando non era in giro ad acchiappare lucertole, ovviamente.

Polpetta, stirandosi le zampe posteriori, si strusciò contro la mano della donna. Meli accarezzò il gatto dietro l’orecchio e pensò distrattamente che era piacevole poter fare il suo lavoro, nel suo paese, con la sua gente. Di sicuro era rilassante, dopo l’eccessiva dose di avventura che le era piombata addosso quando aveva accettato di coprire le consegne di sua sorella: Meli aveva pensato di dover raccogliere due fiori alla luna piena, e invece si era trovata a fare wrestling con una succube e a litigare con un enorme lupo-felino a sei occhi. E, non meno importante, aveva ancora sulle spalle le cicatrici degli artigli delle strigi. In seguito si era premurata di insultare per bene sua sorella Anja via lettera; ma lei le aveva risposto con un succinto “Sono contenta che tu stia bene. Dovremmo parlarne” che non le aveva dato nessuna soddisfazione.

Perché, in fondo, era preoccupata per lei. Non le risultava che ci fossero mai stati tanti mostri nel distretto di Zolden come in quel periodo, e sua sorella viaggiava in solitaria. Certo, gli ammazzamostri comuni erano utili per i licantropi e altre piccolezze, ma storicamente quella della Catena Bianca non era un’area di creature demoniache; infatti gli ammazzamostri di solito trovavano lavoro più a valle, tra le paludi e le pianure nebbiose della Val del Pola, o ancora più a sud, al di là del mare, nei deserti delle Sfingi e delle Ziggurat.

Ripensò a Logan e alla fortuna che aveva avuto nel selezionare uno come lui; se avesse scelto un ammazzamostri meno competente anche lei ora sarebbe stata cibo per i corvi, al pari delle strigi su a Monte Seghia.

Ogni tanto ripensava anche al biglietto di Meimei, che teneva al sicuro nella cassetta dei soldi sotto le assi del pavimento. Lo recitava come una litania: Qualcosa non va. Troppi mostri. Vengono da sotto, richiamati da qualcosa. 

Ci pensava soprattutto da quando avevano cominciato a sparire i bambini. Uno o due, sempre nei villaggi vicini. Sparivano nel nulla. A volte capitava che una strige agguantasse un ragazzetto e se lo portasse via per papparselo su al picco; ma con quella frequenza? Non passava settimana che non se ne sparisse uno, ormai. Bizzarro. Inquietante. 

Solo alcuni, pochi, riapparivano: come cadaveri nei fossi, come corpi straziati nei passi di montagna, o come schiavi nei bordelli giù a valle. La maggior parte però spariva e non si vedeva più. All’inizio nessuno ne parlava, ma ora…

Un tintinnio del campanello riscosse Meli da quei pensieri. Una zazzera di capelli neri entrò; sotto di essa, la faccia di uno che sembrava essersi svegliato trovando il letto pieno di cimici. Meli sorrise. Conosceva quella faccia.

***

“300 navok belli sonanti, come d’accordo”. Meli fece cadere la saccoccia di denaro sul bancone del negozio, dove risuonò con un piacevole thud.

Logan allungò la mano per afferrare i soldi, ma Meli parlò ancora: “Potrei avere un altro lavoro per te”.

Logan bloccò la mano a mezz’aria e, guardingo, scrutò la donna.

Due mesi erano passati e, come d’accordo, Logan era venuto a ritirare i soldi degli artigli di strige al suo negozio, l’Emporio di Erbe e Pozioni di zia Fernanda. 

E, a dire la verità, l’uomo non aveva affatto una bella cera. I capelli, sempre rasati sulla nuca, erano più lunghi e arruffati in cima alla testa; le cicatrici del nekorai, visibili sul collo e sulla mandibola, gli davano un aspetto feroce e poco raccomandabile; gli occhi chiari, coperti da una fascia di trucco nero che andava da orecchio a orecchio, erano visibilmente stanchi. E Meli poteva immaginare il perché: il lavoro degli ammazzamostri era aumentato in modo notevole nell’ultimo periodo. Strigi e viverne battevano i cieli, gobellini e lutin strisciavano dalla terra umida del sottobosco fin dentro le case. Non s’era mai vista tanta progenie demoniaca in almeno una decina d’anni. Punizione divina, dicevano i preti; colpa dell’eclissi solare, dicevano gli astronomi. Meli non aveva idea di cosa potesse essere: sapeva solo che era stufa marcia di scacciare ogni sera i pixie fuori dalla sua stanza a colpi di scopa.

Logan la fissò senza dire niente. Meli lo prese come un invito a continuare. 

“Devo fare una consegna a Aroi, giù per la valle a est, a due giorni di viaggio da qui. Ma lì vicino c’è un’abbazia, la conosci?”.

“L’Abbazia del Roseto?”.

“Proprio quella. Ebbene, è infestata”.

“Infestata?”.

“Infestata. Un fantasma chiassoso, dicono, ma nessuno l’ha visto; quindi potrebbe essere anche qualche altra schifezza capace di farsi trasparente”.

“Cosa fa?”.

“Scherzi di cattivo gusto, perlopiù. Ma ormai è lì da mesi, mi hanno detto. Ci hanno provato in decine, e nessuno riesce a scacciarlo. Per questo ho pensato a te. Come mi hai detto una volta… sei il migliore”. Meli gli scoccò un sorriso furbo, e poté giurare di aver visto un muscolo vicino alla bocca di Logan muoversi in quello che forse, un’altra dimensione in un universo parallelo, avrebbe potuto essere un accenno di sorriso. Ovviamente, sparì subito.

“La paga?” chiese l’uomo.

“Molto buona. Sono disperati. Alcuni frati non dormono nemmeno più dentro l’abbazia per paura dello spirito maligno. Se ne vogliono liberare a tutti i costi”.

“Si può trattare, allora”.

“Puoi provarci, se ti piace”.

Logan ci pensò su qualche secondo. “Due giorni di viaggio, hai detto”.

“Sì. Io ti faccio strada, ti metto una buona parola con i frati e completo la mia consegna; tu fai in modo che nessun nekorai selvatico mi ammazzi durante il viaggio e ti prendi i soldi del lavoro”.

“Non mi sembra molto equo; io lavoro due volte: come guardia del corpo e come ammazzaspettri”.

“Senti, è già tanto che non ti chieda una percentuale sul lavoro per la soffiata, quindi accetta e taci”.

Per la seconda volta, un muscolo nella mandibola di Logan si mosse, ma fu subito rimesso al suo posto.

Logan afferrò la saccoccia di navok e la intascò.

“Quando si parte?”.

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Capitolo 2
*** Un Sentimento in Comune ***


Un Sentimento in Comune

Il primo giorno di viaggio verso Aroi trascorse senza eventi degni di nota. Meli raccolse cantarelli e piantaggine per farci una zuppa; Logan perlopiù scrutò truce il cielo e lanciò occhiatacce ad ogni lepre e scoiattolo che frusciava nella vegetazione.

Incontrarono giusto qualche pixie e una marroca gigante estremamente fastidiosa; persero un po’ di tempo a togliersi la bava appiccicosa dagli stivali, ma riuscirono comunque a raggiungere entro sera la malga del passo delle Due Sorelle.

La malga era una bassa costruzione di pietra bianca, di forma rettangolare e con minuscole finestre; il tetto, di legno e paglia, pendeva floscio da un lato e sembrava aver bisogno di qualche lavoretto di ristrutturazione. Le porte erano due: una per gli alloggi estivi del malgaro; l’altra per la stalla delle vacche.

Bussarono e si presentarono chiedendo ospitalità per la notte. Il malgaro li accolse ridendo di gusto: andavano all’Abbazia del Roseto per il fantasma? Sarebbero tornati con la coda tra le gambe e le sopracciglia bruciate come gli altri, ci avrebbe scommesso. Meli ignorò il commento e ringraziò il pastore per l’ospitalità.

“Ah, macché macché” rispose il pastore, un uomo rubizzo dai begli occhi chiari incastonati nel viso rugoso e barbuto “mettetevi comodi nella stanzetta di destra, che è vuota; il mio compare è già sceso con le vacche nella baita bassa per la stagione invernale; io lo seguirò tra pochi giorni, giusto il tempo di sistemare alcuni lavoretti”.

Meli si offrì di pagare in navok e bacche essiccate di rosa canina, utili per malanni umani e vaccini; il pastore accettò di buon grado e indicò loro una mezza forma di formaggio stagionato e un grosso paiolo di rame appeso sul camino acceso. Meli sapeva già cosa ci avrebbe trovato dentro a sobbollire: una polenta gialla e densa, perfetta per riempire gli stomaci e scaldare lo spirito.

Mangiarono in silenzio, in quanto il pastore parlò abbastanza per tutti: ciarlò per ore di vitelli podalici e di congiuntivite delle vacche; si lamentò della troppa pioggia, poi della poca pioggia; dell’inverno in anticipo quest’anno; degli gnomi che infastidivano le galline e delle fate che rubavano il miele; infine, rintronati dalle troppe chiacchiere, lasciò i due ospiti liberi di andare nella loro camera per la notte.

Gli alloggi del pastore consistevano in una fredda stanza quadrata con una cassapanca, uno sgabello e uno stretto letto di paglia coperto di pelli di pecora. Meli si maledì di non aver fatto ricaricare a dovere la sua scaldapietra. L’inverno era davvero in anticipo quell’anno.

“Stesso dell’altra volta” commentò Logan, studiando l’unico letto.

“Siamo in due”.

Ma stavolta il letto era molto più stretto, le coperte troppo piccole per due persone, la stanza gelida, e fu difficile addormentarsi a causa delle continue gomitate. Dopo quella che sembrò un’eternità Meli, piena di lividi e tremando di freddo, si ritrovò a fissare il soffitto con le braccia conserte; la scaldapietra, inutilmente tiepida, infilata sotto l’ascella.

“Smettila di battere i denti, non riesco a dormire” le disse la voce di Logan. Era sdraiato su un fianco guardando il muro, e le dava la schiena.

“Fa un freddo maledetto” ribatté piccata Meli. “E se la smettessi di rigirarti e di tirarmi pugni, forse potrei dormire anche io”.

“Ma se sei tu che occupi tutto lo spazio”.

“Tu sei più grosso di me”.

“Questo è opinabile”.

Meli gli tirò una gomitata nelle reni, che l’uomo incassò senza fiatare. Restarono in silenzio per un po’. Meli, suo malgrado, ricominciò a tremare.

“Oh, perdio” borbottò l’ammazzamostri, rivoltandosi sotto le pelli di pecora. La afferrò di malagrazia per il fianco e la trascinò contro di sé.

“Ma cos…” cominciò Meli, già incazzata, ma Logan la interruppe. “Niente rogne. Fa solo un freddo del cazzo” fu il suo unico commento. Meli non osò ribattere, paralizzata dall’indecisione se tirargli una randellata tra le gambe per la libertà che si era preso, o se accoccolarsi verso quel calore inaspettato e piacevole. Nel dubbio, rimase immobile.

Lui colse la sua rigidità. “Niente rogne” ripeté lui, e Meli capì cosa intendeva. Fece un enorme, enorme sforzo di volontà, e scelse di fidarsi. Cercò di rilassarsi. Aveva la faccia vicinissima al suo mento. Tra l’odore di paglia fredda e di pelle di pecora, Meli percepì per la prima volta il suo odore. E, cosa che la irritò enormemente, le piacque. 

Piano piano smise di tremare. Il calore umano al suo fianco si diffuse dentro di lei, sciogliendo le membra rigide dal freddo meglio di qualunque scaldapietra. Al calduccio, infastidita, e pensando che quella era stata decisamente una cattiva idea, Meli chiuse gli occhi e si addormentò.

***

“Qui è passato qualcosa di grosso”.

Meli non poté che dirsi d’accordo. A circa mezz’ora di cammino dopo il Passo si erano ritrovati in una zona di bosco in cui abeti erano stati divelti, e enormi impronte, larghe almeno quanto la testa di un uomo, erano visibili sul suolo fangoso tra le felci e i sassi ricoperti di muschio.

Meli conosceva quelle orme: erano tra le prime che sua nonna aveva mostrato a lei e alle sue sorelle indicandole con il suo fidato bastone di biancospino. “Un troll di montagna".

Logan, che stava ancora fissando le impronte con le braccia conserte e la consueta faccia insofferente, confermò: “Sì. O un paio”.

“Mmh”. L’idea di trovarsi nell’area di caccia di un troll le piaceva per niente. Ma non avrebbe dovuto essere un loro problema: i troll si muovevano solo di notte, preferendo evitare la luce del sole dormendo dentro caverne o cavità del terreno. Bastava non avere la sfiga di camminarci sopra scambiandolo per un ammasso di pietre… Meli scacciò subito quel pensiero e si toccò il naso con un gesto scaramantico. Ci mancava solo che si accollasse il malocchio.

Logan scostò il mantello e si portò a destra della cintura un piccolo fodero di pelle contenente uno strumento arcuato che Meli non aveva mai visto.

“Cos’è quello?” chiese Meli.

Logan seguì il suo sguardo e estrasse l’arma misteriosa. Era composta da una maniglia ricurva da un lato, e due tubi di metallo dell’altra. Alla luce del sole, Meli notò gli intarsi incisi sull’intera lunghezza di legno e metallo, di circa due spanne. 

“Questa? È una pistola” rispose Logan. Lo sguardo vacuo di Meli invitò l’uomo a continuare.

“È un arcobuso più piccolo” tradusse, sofferente a doversi ridurre a dare quella spiegazione ridicola. “Nuova meccanica. È arrivata a Porto Venia dalle navi da oriente; sembra che i governatori di diversi distretti le vogliano introdurre come armi di ordinanza per la guardia cittadina”.

Meli era scettica. Come poteva una cosa così piccola essere utile contro un mostro qualsiasi? Un arcobuso, certo: un’arma da fuoco lunga quanto una spada che sganciava pallini di ferro con tanta potenza da attraversare un uomo; ma quella robetta? Meli osservò Logan risistemare la pistola nel piccolo fodero di pelle ora agganciato in bella vista a destra della cintura, dal lato opposto della spada; ma non commentò. Dopotutto, non era mica il suo lavoro ammazzare le cose.

“Scendi spesso giù a Valle?” gli chiese.

“Dio, no” rispose Logan con un ghigno schifato. “Frequento le città il meno possibile, soprattutto quel buco di Porto Venia. Ma a volte è necessario; per lavoro, o per acquisti… esotici”.

Meli condivideva il suo sentimento. Nata e cresciuta tra il cielo e i picchi della Catena Bianca, per lei qualsiasi luogo senza montagne era fonte di angoscia. Ancora di più se quel luogo era pieno di gente, di puzza e di immondizia. Adesso che aveva rilevato l’emporio di zia Fernanda, se le serviva una particolare specie botanica d’oltremare mandava le sue sorelle a contrattare con quei cialtroni nauseabondi del mercato di Porto Venia, e le pagava più che volentieri per il disturbo.

Sparlarono per un po’ di questo inaspettato sentimento comune - l’odio per Porto Venia, l’odio per tutte le cittadine dei distretti a sud della Catena e, sottinteso ma non troppo, l’odio per la gente in generale - e proseguirono spediti verso Aroi, mentre il sole compiva il suo indisturbato arco nel cielo.

Per grazia divina nessun troll sbarrò loro il cammino e nessun ridicolo archibuso in miniatura fu esploso; e nel tardo pomeriggio, sotto un cielo perfettamente azzurro, Meli e Logan arrivarono ai piedi dell’Abbazia.

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Capitolo 3
*** Rose Benedette e Cadaveri nei Letti ***


Rose Benedette e Cadaveri nei Letti

C’erano 400 gradini scavati nella roccia per arrivare all’Abbazia del Roseto, uno splendido edificio eretto su una rientranza della parete verticale del monte Osau. Meli perse il conto dei gradini a circa cinquantadue, ma sia lei che l’ammazzamostri erano abituati a passi montani ben peggiori di quello, e arrivarono alla cima con un fiatone moderato e senza troppe imprecazioni. 

L’Abbazia era uno splendido esempio di architettura Zoldese, con muri di pietra bianca e rosa, composta da diversi edifici eretti attorno a un piazzale-belvedere che si sporgeva nel vuoto e da cui si poteva godere di una notevole vista panoramica sulla valle, splendida e verdeggiante sotto di loro. 

Si fermarono in mezzo al piazzale a riprendere fiato. Davanti a loro svettava la chiesa, con finestroni a sesto acuto e l’alto campanile; a destra si ergevano il refettorio, il dormitorio, la foresteria e gli alloggi della Badessa, costruiti attorno ad un cortile interno racchiuso da un colonnato. Al di là, ancora più a destra, sotto la montagna, Meli sapeva che erano stati scavati i locali per i magazzini e le stalle. Rose gialle larghe come meloni decoravano ogni angolo, in grossi vasi di terracotta o in aiuole curate ai lati degli edifici. 

Erano arrivati all’Abbazia del Roseto; magnifica, altera e devota nel suo incastro nella montagna. 

Un frate vestito di un saio marrone si avvicinò. Un grosso crocifisso di legno gli ballonzolava sulla pancia rotonda, trattenuta a stento da una cintura di corda. Era quella la forma fisica di una vita di stenti e sacrificio? Meli ne dubitava.

“Benvenuti, gentili ospiti. Siete qui per omaggiare la Santa?” chiese loro il religioso con voce soave, posando insieme i palmi delle mani in un gesto devoto. 

“Siamo qui per lo spirito. Ho scritto a Jonah due giorni fa per avvisare del nostro arrivo; lui è l’ammazzamostri” disse Meli, indicando Logan con il pollice.

L’espressione candida del religioso si disgregò alla velocità della luce. “Quel… farabutto schifoso! Quel cane!” imprecò. “Liberateci da questo supplizio e ve ne saremo eternamente grati. Vi porto dalla badessa”.

Continuando a insultare lo spettro a mezza voce, il frate li guidò fuori dal piazzale. Superarono la sala rettangolare del refettorio, in cui aleggiava un vago odore di bruciato, e uscirono sul colonnato del chiostro. 

Meli probabilmente si soffermò un secondo di troppo ad ammirare le pareti mosaicate del chiostro, raffiguranti diverse scene religiose, perché il frate chiese estasiato: “Conoscete la leggenda dell’abbazia?”.

Logan rispose con un grugnito. Meli gli tirò una gomitata. “No, fratello. Ce la racconti” lo invitò la donna.

Il religioso, le guance ancora paonazze dal precedente scatto d’ira, si lanciò in un monologo preconfezionato che probabilmente rifilava a tutti i viandanti che passavano di là.

“Questa abbazia è dedicata alla nostra santa patrona, Santa Rosa. In questo antro scavato nella roccia, prima che qui fosse eretta l’abbazia, viveva un mostro. Un mostro con corpo di capra irto di spine, ma con ali e muso d’aquila. Il mostro per anni aveva minacciato la popolazione della valle, rapendo i bambini e uccidendo il bestiame. Ma un giorno Santa Rosa, monaca guerriera ispirata dalla Santa Entità, si arrampicò sulla montagna, combatté il mostro e lo trafisse con una lancia benedetta. Purtroppo il mostro, morendo, esplose e trafisse la povera Santa con uno dei suoi aculei. Ma il Signore, benevolente e misericordioso, era grato dell’operato della sua serva, e la trasformò in un fiore. Da qui il nome del nostro sacro ordine religioso, l’Ordine del Roseto, dedicato al coraggio della Santa, che ancora oggi vive nelle splendide rose che coltiviamo in questa abbazia”.

Meli lo sapeva bene: il cortile interno che stavano aggirando era un’esplosione di fiori dai petali di colori mai visti, in piena fioritura nonostante fosse ormai fine estate. Si fermarono per un istante ad ammirare le rose. Meli si chiese se sarebbe riuscita a portare via un po' di quei fiori benedetti senza farsi notare. Logan chinò un poco il capo verso di lei. “Io ammazzo mostri tutti i giorni” borbottò “ma non c’è un ordine religioso a mio nome”.

Meli, sorpresa, ingoiò una risata. “Solo perché con il tuo nome suonerebbe malissimo” bisbigliò di rimando.

Logan non rispose, meditabondo.

“E poi sei ancora vivo” aggiunse la donna sottovoce “forse, quando diventerai una nuova specie di pianta erbacea, ti renderanno gli onori che meriti”.

Il frate li richiamò e indicò loro una porta chiusa. “Qui troverete la badessa. Buona fortuna” disse prima di andarsene via, ballonzolando come il suo crocifisso. 

Meli, chiedendosi se quell’augurio fosse per la Badessa o per il fantasma, bussò.

“Avanti” disse una voce ostile.

Forse per entrambi, si disse.

Entrarono in quella che Meli sapeva essere una sala capitolare, una stanza quadrata decorata con un falso colonnato alle pareti, panche ai lati e una cattedra sul fondo. Al centro della sala, seduta su uno sgabello davanti alla cattedra di legno, stava la Badessa. La donna, imponente nel suo saio marrone, chiuse il libro che teneva in mano e li guardò arcigna da sopra un paio di occhiali da lettura.

“Ah, siete arrivati. La botanica e l’ammazzamostri, mi dicono. Benvenuti, benvenuti”.

Meli chinò la testa. “Grazie per l’ospitalità, madre Badessa”.

“Sapete già tutto del nostro… piccolo problema, immagino”.

“Sappiamo quanto si dice in giro, madre Badessa. Ma se voleste fornirci altri dettagli, potrebbero esserci senz’altro utili” rispose la botanica.

“Certo, certo” tagliò corto la religiosa “Jonah vi dirà tutto quello che volete sapere e vi mostrerà i vostri alloggi”.

“Alloggi?” chiese Logan.

La Badessa fece una risata che parve un latrato. “Ah! Pensate di poter risolvere la faccenda in una sola notte? Io di certo me lo auguro… Ma finora nessuno è riuscito; alcuni ammazzamostri sono rimasti qui per settimane senza cavare un ragno dal buco. Se ce la farete, ci sono 500 navok pronti per voi. Jonah!”.

La voce della donna rimbombò nella stanza di pietra con la violenza di un gong. Meli non dubitava che si fosse sentita fino giù a valle. Presto si sentirono dei passi affrettati e da una porta laterale comparve un giovanotto biondo vestito di saio marrone e un’espressione di panico in faccia.

“Madre Badessa, cosa…” cominciò, ma poi li vide. “Oh! Meli, sei qui”.

Meli salutò il giovane frate. Era un suo compaesano, nato a Pecul come lei, e Meli lo conosceva da quando da bambino giocava a un-due-tre-stella con le sue sorelle minori nel cortile dietro casa. Era un giovanotto perbene, dal viso aperto e solare, circa dell’età di Lila - vent’anni, forse? Un tempo sperava che avrebbe chiesto in moglie sua sorella ma, ahimé, aveva scelto invece la vita monacale. Peccato, considerato che Jonah era tra le pochissime persone al mondo che rientravano nella ristrettissima categoria che Meli chiamava “Persone Che Mi Piacciono”. 

“Come stai? E le tue sorelle…” cominciò il giovane, ma la Badessa lo interruppe subito.

“Non è tempo e luogo per i convenevoli. Jonah, mostra ai nostri ospiti la foresteria e spiegagli tutto del… lo sai”.

Jonah chinò la testa. “Sì, madre Badessa” disse. Poi si girò verso gli altri due e li invitò a seguirlo.

***

“Scherzi di cattivo gusto, dicevi?” disse Logan incrociando le braccia al petto. 

Meli guardò di nuovo il crocifisso sopra l’altare della chiesa. O meglio: guardò il cadavere mummificato che vi era stato appeso sopra, con le braccia spalancate proprio come il figlio di nostro Signore.

“E non riuscite a tirarlo giù?” chiese Meli a Jonah.

“Chi ci prova viene picchiato in testa con il cero” spiegò il ragazzo “o con la coppa della comunione. Una volta ci siamo riusciti, ma la notte dopo era di nuovo su, quindi ci siamo arresi. Abbiamo chiuso la chiesa ai fedeli; non facciamo entrare nessuno”.

“E lo spirito si muove soprattutto di notte, giusto?”

“Oh sì. Di notte è molto peggio. Afferra le caviglie dei frati che pregano i Vespri, suona le campane, disseppellisce i morti dal cimitero e li nasconde nei letti. Una volta ha dato fuoco al refettorio”.

A Meli passò ogni desiderio di dormire in quel luogo. 

“Gli altri ammazzamostri cosa hanno fatto?” chiese Logan.

Jonah guardò Logan torcendosi le mani. “Hanno provato di tutto. A convincerlo con le buone e con le cattive; a rinchiuderlo in uno scrigno; ad affettarlo con spade d’argento benedette; a friggerlo con l’acqua santa… niente ha funzionato”.

“E chi lo ha visto, dice che è un fantasma?”. 

Il ragazzo scosse la testa. “Ogni ammazzamostri aveva la sua teoria. Un fantasma, un coboldo, un gobellino, un gruppo di gremlin… non lo abbiamo ancora capito. Di sicuro, qualunque cosa sia, parla: ha una voce lamentosa e una risata stridula che ti sveglia nel cuore della notte…” Jonah rabbrividì al pensiero.

“E da quando lo spirito è qui, nessuno è stato ucciso?”.

“Oh, Signore, no; nessuno”.

Logan, sempre con le braccia incrociate, guardò il cadavere appeso alla parete. Poi tornò a guardare negli occhi il giovane religioso. 

“Bene. Grazie Jonah, sei stato di grande aiuto. Da qui in poi ci pensiamo noi” lo rassicurò; Meli si stupì del suo tono cordiale. Il ragazzo arrossì. “N-non c’è di che” balbettò e, rosso in faccia, augurò loro buona fortuna e si congedò. Meli registrò la strana reazione di Jonah per analisi successive.

Una volta soli nella chiesa, Logan elencò quanto avevano scoperto: “Invisibile, voce lamentosa, risata stridula; dissotterra i morti e dà fuoco alle cose. Se questo è un fantasma, è il fantasma più disturbato mai esistito”.

“Jonah ha detto che all’inizio si limitava a scuotere le pentole in cucina e a suonare le campane, tanto che pensavano che fosse il munaciello dell’Abbazia…”.

“Questo qui il munaciello se l’è mangiato” commentò piano Logan, sollevando da terra un cero spezzato.

“... e che solo poi ha cominciato con la piromania e i cadaveri” concluse Meli. “Hai già una teoria?”.

Logan fece un suono di gola liberamente interpretabile.

“Ottimo. Qual è il piano, capo?” chiese Meli.

Logan roteò gli occhi, probabilmente per l’epiteto "capo". “Passerò qui la notte in attesa dello spirito. Poi andrò a braccio” disse.

“Mi sembra perfetto” commentò Meli stravaccandosi su un banco da preghiera di legno lucido e scuro.

Lui la guardò stranito. “Vuoi stare qui?”.

“Se l’alternativa è di ritrovarmi a dormire con un cadavere nel letto? Oh sì. Preferisco stare con te”.

L’ammazzamostri tornò alla sua espressione abituale, quella delle cimici. “Come ti pare”.

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Capitolo 4
*** Una Discreta Rompitura di Cazzo ***


Una Discreta Rompitura di Cazzo

La chiesa era immobile e silenziosa nella semioscurità. Il marmo bianco e rosa delle pareti e della navata centrale era illuminato da grossi ceri posizionati sull’altare e sugli ornati lampadari di bronzo, che spargevano tutt’attorno una luce gialla e tremolante. 

Svaccata con i piedi alti sulle panche della chiesa, annoiata e in attesa di qualcosa di misterioso, Meli pensò che Logan non aveva ancora contrattato il suo pagamento. Glielo disse.

“Preferisco prima capire con cosa ho a che fare” rispose lui, seduto poco lontano. “Una volta definita con precisione la dimensione della rompitura di cazzo, potrò richiedere un conguaglio adeguato”.

Meli gli disse che le sembrava ragionevole, e tornarono ad attendere in silenzio. Suonò la mezzanotte; il rintocco delle campane rimbombò assordante nel silenzio mistico dell’abbazia. Ancora non era successo nulla.

“A che livello di rompitura di cazzo siamo?”.

Logan le scoccò un’occhiataccia. “Discreta”.

Meli alzò gli occhi al soffitto. “Se vuoi me ne vado, eh”. Un lampadario di bronzo si mosse e cigolò sopra di loro. A Meli parve di vedere un movimento di aria densa tra i ceri accesi e…

Meli si sentì spingere giù dalla panca e finì lunga distesa in mezzo alla navata. Il lampadario crollò dove un attimo prima erano seduti, schiantandosi sulle panche e sul marmo con un chiasso infernale.

Meli guardò Logan sopra di sé: i suoi occhi erano di fuoco, e in un attimo fu in piedi con la spada sguainata. Meli, ancora a terra, osservò le panche di quercia lucida sfasciate nel mezzo dal peso del lampadario.

Una risatina volteggiò attorno a loro come una brezza irriverente; tutte le candele della chiesa si spensero in un soffio, e calò il buio completo. Non si vedeva più un accidente.

“Cominciamo bene…” borbottò Meli, mettendosi seduta. Aprì lo zaino e si mise a frugare nel tentativo di recuperare qualcosa di utile.

“Silenzio” intimò l’ammazzamostri. Meli abbassò il tono del frugamento al minimo, e trovò quello che cercava: una gemmaluce, un cristallo di fluorite opportunamente stregato. Meli lo liberò dal panno in cui era avvolto e una delicata luce gialla si diffuse tutto attorno, delineando i contorni degli oggetti più vicini. 

Aprì la bocca per parlare, ma un fragore di sedie strisciate sul pavimento li avvertì di togliersi di mezzo: lo spirito li stava caricando con le panche della chiesa, che per pochissimo non li investirono; Meli e Logan balzarono via e le panche andarono a sfracellarsi le une contro le altre in un baccano di legno frantumato.

“Nervosetto, questo qui” commentò Logan.

Nella flebile luce della gemma - si scaricavano sempre troppo in fretta, quegli affari - i due si guardarono attorno. I lampadari superstiti sopra le loro teste cigolavano piano, gettando lunghe ombre sulle pareti e sul soffitto della chiesa. 

Logan camminava lento, in cerchio, osservando le finestre a sesto acuto e tenendo la spada sguainata davanti a sé. Meli reggeva alta la fluorite luminosa, non vedendo assolutamente niente nel buio immobile.

Un fruscio. “Beccato” mormorò l’ammazzamostri, e balzò verso destra con agilità felina. La spada calò a terra e si scontrò con qualcosa che non era carne, ma non era nemmeno nulla. Un sibilo rabbioso fece capire a Meli che quel non-nulla era stato colpito, e che non era affatto contento.

Lo spirito, che Meli individuò per un secondo come una massa di aria densa, si avventò contro Logan farfugliando oscenità. L’ammazzamostri deviò un attacco invisibile con la spada e allungò una mano sinistra per agguantare il fantasma, ma questi strillò e balzò via. Meli faceva fatica a seguire lo scontro alla debole luce della fluorite, ma si tenne pronta a scattare al segnale di Logan. In mano teneva un sacchetto di polvere di stramonio, ingrediente base per le pozioni rivela-incantesimi; di conseguenze molto efficace anche per rendere visibile ciò che preferiva stare nascosto…

La lotta tra spirito e ammazzamostri continuava, con il clangore di una spada che spesso colpiva le panche e il pavimento di marmo, ma che altrettanto spesso andava a segno provocando trilli inferociti. Finalmente Logan riuscì a afferrare la creatura; caddero entrambi a terra dove cominciarono a dibattersi come pesci nella rete.

“Adesso!” urlò l’uomo.

Meli gettò la polvere di stramonio su Logan e la creatura invisibile che lottavano sul pavimento. La polvere fluorescente divenne una nuvola neon. Il fantasma strillò e si divincolò dalla stretta dell’ammazzamostri, scrollandosi di dosso la polvere che lo aveva colpito. Ma prima che la polvere botanica potesse fare effetto, lo spirito assestò un colpo allo sterno di Logan e si liberò; in un attimo fu in aria e, nel buio, scomparve.

Logan e Meli rimasero a immobili, storditi dall’improvviso silenzio dopo quella lotta furibonda con il nulla.

“Hai visto che cazzo era?”.

“No” ammise Meli fissando il soffitto, infastidita quando lui.

Aspettarono quasi mezz’ora, ma non accadde altro. Nessuna risatina risuonò nel buio, e nessuna panca assassina si mosse nella chiesa. Si arresero alla sconfitta e uscirono dall’edificio, ammaccati, impolverati e, soprattutto, enormemente seccati.

Trovarono Jonah ad aspettarli nella foresteria.

“Allora?” chiese fiducioso il giovane monaco; ma la sua speranza si spense ad una prima occhiata alla faccia dei due. “Niente?”

“Niente” confermò Meli, esausta. “Indicaci dove possiamo dormire, e domani parleremo”. Jonah annuì e mostrò loro due cellette attigue con un letto, un tavolino e un inginocchiatoio per le preghiere. Meli entrò e posò il suo zaino sull'inginocchiatoio. Sul tavolino c’erano un piatto di pane nero e una brocca piena d’acqua.

Meli ringraziò Jonah e buttò lì un “buonanotte” a Logan, ma l’ammazzamostri, nervoso e irritabile, non rispose nemmeno e si chiuse nella sua cella. Meli preferì non indugiare oltre; mangiò la cena monacale e si mise a letto, sperando di non svegliarsi accanto ad un cadavere.

***

Non si svegliò accanto ad un morto, ma qualcuno aveva aperto il suo zaino. Il che, forse, era persino peggio. Meli controllò e ricontrollò, ma non mancava niente. Chi era entrato si era limitato a frugare, come alla ricerca di qualcosa che non c’era. Perché un fantasma avrebbe dovuto frugare tra gli effetti personali di un mortale? Meli si disse che, forse, lo spirito malefico non era l’unica cosa che stonava in quell’abbazia.

Si avviò verso il refettorio, uno stanzone rettangolare con due file di tavoli e panche, già pieno di monaci che consumavano in silenzio il loro primo pasto della giornata.

“Qualcuno è entrato nella mia stanza, stanotte” bisbigliò Meli a Logan quando furono seduti accanto per la colazione. Gli occhi di Logan saettarono su di lei, frugando il suo viso alla ricerca di segni di aggressione. “Cosa è successo? Stai bene?”.

Meli si sorprese per quello slancio di preoccupazione. “Sto bene. Hanno aperto il mio zaino, ma nulla è stato portato via”.

Logan la squadrò ancora, poco convinto; poi tornò ad aggredire la sua scodella di pane e latte.

“Poco da fantasma, vero?” chiese Meli.

“Mph” confermò lui con la bocca piena.

La donna si guardò attorno. I frati erano seduti composti, molto vicini tra loro, e mangiavano immersi in un eccessivo silenzio; solo qualche casuale colpo di tosse rompeva la monotonia. Ma poi notò un giovane, con addosso la tonaca bianca da novizio, che mangiava seduto ad un tavolo lontano dagli altri. Aveva gli occhi arrossati e gonfi. Era malato?

Meli chiamò Jonah, il suo amico monaco, seduto poco lontano da loro. “Jonah. Jonah. Quel giovane frate laggiù; cos’ha?”.

Jonah alzò gli occhi dalla sua magra scodella e seguì lo sguardo della donna. “Chi, Emmanuel? Ha la congiuntivite, poveretto. Se l’è presa da Yoris prima che morisse, pace all’anima sua”.

Logan si voltò di scatto verso il giovane. “Avevi detto che nessuno era morto”.

Jonah si mosse a disagio. “Bè, no. Nessuno è stato ucciso. Così mi avevate chiesto. Il buon vecchio Yoris è morto di vecchiaia”.

Logan trattenne un sospiro frustrato. “E quante persone sono morte, da quando lo spirito è qui?”

“Oh. Bé, fammi pensare…  prima di Yoris, c’è stato Claudius. E Rachele. E… basta direi”.

“Tre persone?”

“Bè, avevano tutti una certa età… se ne sono andati dopo una breve malattia”.

“Che genere di malattia?”.

Jonah era sempre più a disagio. “Una malanno di stagione: stanchezza, tosse, febbre. Solo verso la fine avevano difficoltà a parlare e a capire cosa succedeva. Ma erano molto vecchi, sai…”

“Nessun altro?” lo interruppe l’uomo.

“No. Bè, a parte il viandante…”

Meli vide Logan richiamare a sé tutta la poca pazienza di cui era capace. “Quale viandante, di grazia?” chiese tra i denti.

Jonah deglutì, capendo di essere nei guai per essere stato un pessimo informatore. “Un viandante è arrivato qui molto malconcio, qualche mese fa. I miei confratelli l’hanno trovato lungo il passo e l’hanno portato all’Abbazia. È morto nel sonno la prima notte. L’abbiamo seppellito qui nel cimitero, con una lapide senza nome”. Jonah si fece il segno della croce e guardò il soffitto del refettorio.

Logan lanciò un’occhiataccia a Jonah, poi il suo sguardo si fissò di nuovo sul giovane monaco isolato. E Meli seppe che il suo ammazzamostri stava tirando le fila di quel mistero.



 

Spazio dell’autrice

Ahehm. Che si dice? Ci piace la svolta gialla che ha preso questa avventura? Ci piace Jonah? Ci piacciono i nostri due tollerabili compagni di viaggio che falliscono miseramente? Ma soprattutto… a che livello di rompitura di cazzo siamo, con questo bastardello trasparente? :D

Al prossimo capitolo, che sta già cuocendo nel calderone insieme agli altri.

Emma

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Capitolo 5
*** Chiacchiere in Bottiglia ***


Spazio dell’autrice

Mi sono divertita un mondo a scrivere questo capitolo, anche se forse è troppo lungo e avrei dovuto spezzarlo in due. E mi scuso già per la fine, ma In Verità Vi Dico: abbiate Fede.

Emma

 

5. Chiacchiere in Bottiglia 

La notte successiva arruolarono un Jonah non troppo entusiasta per aiutarli a tenere accese le luci della chiesa dell’Abbazia. Si munirono di altre due gemmeluce, concesse malvolentieri dal frate che si occupava degli artefatti magici dell’Ordine, e si piazzarono ai tre poli dell’edificio dalla pianta a croce: Logan all’ingresso principale in fondo alla navata; Meli e Jonah ai lati del transetto. Le panche distrutte erano state ammassate lungo le pareti; sull’abside, appeso al crocifisso, vegliava ancora il cadavere mummificato. Per colpa del quale, pensò Meli, l’Abbazia del Roseto non profumava esattamente di rose.

Logan non aveva cambiato il suo piano: attendere il fantasma, acchiapparlo, rivelarlo con lo stramonio e poi capire come procedere. A Meli pareva un piano del cavolo, ma non disse niente. Non era lei al comando, lì.

La chiesa si fece sempre più buia al calare del sole. Con l’avanzare dell’oscurità il tenue bagliore delle gemmeluce divenne più evidente; Jonah, illuminato dalla pietra azzurra che teneva in mano dall’altro lato del transetto, pareva perso in pensieri mistici. Forse stava meditando, si disse Meli. Forse pregando. Non era mai stato un cuor di leone.

Presto fu notte. La noia cominciò a strisciare nella mente iperattiva di Meli, che si ritrovò a mugugnare un motivetto inventato.

“Silenzio” intimò Logan. La donna roteò gli occhi e si zittì. 

Tornò ad osservare la chiesa. La chiesa dell’Abbazia era davvero maestosa, concesse Meli, studiando le colonne slanciate e gli alti soffitti a crociera dipinti di blu con centinaia di stelle dorate, che parevano danzare alla luce tremolante dei candelabri. 

Del fantasma, ancora, nessuna traccia. Eppure doveva essere quasi mezzanotte, ormai. 

Le campane, finalmente, le diedero ragione: i rintocchi risuonarono forti e decisi, con grande piacere di Meli che era stufa marcia di aspettare senza far nulla.

Uno spostamento d’aria. Meli stava per avvisare i suoi compagni quando si sentì afferrare per una caviglia. Strillò sorpresa, mentre una forza ineluttabile la sollevava in aria, portandola all’altezza del lampadario al centro della chiesa.

“Logan!” urlò, oscillando a testa in giù ad una distanza ragguardevole dal pavimento di marmo. Udì l’ammazzamostri imprecare un secondo prima di sentirsi cadere. Il fantasma l’aveva lasciare andare.

Certa di schiantarsi, Meli cercò di ripararsi la testa con le braccia. Ma non fu il marmo a fermare la sua caduta; fu Logan. Meli gli rovinò addosso e entrambi crollarono a terra sotto il suo peso morto. La donna picchiò un gomito e un ginocchio sulla dura pietra, ma perlomeno non si era fracassata la testa.

“Oooooh una coppietta innamoraaaaataa” sbeffeggiò il fantasma, vorticando invisibile lungo le pareti.

Meli si alzò e aiutò Logan a rimettersi in piedi. Si scambiarono uno sguardo furente; Meli vi lesse dentro una sentenza di morte per il piccolo bastardo trasparente.

Una risatina irritante risuonò tra gli archi a crociera del soffitto e, di nuovo, le candele si spensero in un soffio di vento magico. Ora l’intera chiesa era illuminata solo da tre gemmeluce.

Meli recuperò la sua dal centro della navata; era caduta a terra nella colluttazione. Jonah era rimasto paralizzato nel suo angolo, immobile nel suo alone di fluorite azzurra.

Un lampadario superstite cominciò a oscillare con vigore, e una vocetta stridula trillò gaia: “Attenzione laggiù!”. 

Il lampadario crollò a terra in fracasso di metallo spezzato. Una risata sguaiata corse tutto intorno a loro.

Meli era esasperata. “Non puoi bucarlo con quella tua nuova cosa?” propose a Logan.

Bucarlo?”

“Con la pistola?”

“E ammazzarlo senza sapere cosa è successo? No, ci servono le sue informazioni”.

Il terzo e ultimo lampadario della chiesa fu preso d’assalto dallo spettro. Il pesante oggetto di bronzo cigolò e ondeggiò: il fantasma lo stava usando come un’altalena. Il lampadario si staccò dal soffitto e crollò a terra; nello stesso momento il fantasma balzò via; Meli per un attimo lo scorse come un tremolio nel buio ai margini del suo campo visivo.

Stava per indicarlo a Logan quando una gemmaluce fece un arco perfetto sopra il crocifisso e lo centrò in pieno: il fantasma, colpito dalla fluorite, crollò sul pavimento di marmo con un suono decisamente concreto. 

Meli fece un fischio. “Però, Jonah. Che mira”.

“Le tue sorelle mi hanno obbligato ad imparare a tirare quando avevo sei anni” ansimò il giovane prete, raggiungendoli di corsa.

Logan agguantò la creatura trasparente e la tenne ben ferma sotto le ginocchia. Meli gli fu subito accanto e lasciò cadere una manciata di stramonio.

Stavolta funzionò. Tra le ginocchia di Logan la polvere di stramonio non cadde a terra, ma si fermò a mezz’aria, sopra al particolare ammasso di densa trasparenza, rivelandone la forma. L’aria sotto la polvere fluo tremolò e si fece opaca, fino ad assumere un colore e una consistenza. Sotto lo stramonio, il fantasma si rivelò.

***

Era un imp.

Un demone minore di piccola statura, alto forse mezzo metro, con artigli, ali da pipistrello, due code e una piccola testolina cornuta. Non aveva né occhi né volto: un imp è poco più di un’ombra densa, fatta di buio impreciso ai margini a forma di pipistrello umanoide.

“Un imp?”. Logan era esterrefatto. “Tutto questo casino, per un imp?”.

La creatura si riprese, strillò e si dimenò; Logan, troppo sconcertato per mantenere la presa, se la lasciò sfuggire. L’imp spiccò il volo e, come una saetta nera, imboccò la porta spalancata della chiesa e sparì nella notte.

Dopo un attimo di stordimento collettivo, Logan bestemmiò. Meli guardò l’immagine sacra appesa dietro il crocifisso, quasi aspettandosi di venire castigati per contrappasso da un immediato fulmine divino. Ma nessun fulmine cadde dal cielo, il cadavere rimase al suo posto, e la chiesa rimase avvolta nel silenzio.

Jonah, dapprima senza parole, si sfogò in un torrente di balbettamenti confusi. Un imp che infestava un’Abbazia? Perchè? Gli imp vivevano nei terreni paludosi e nei laghi sotterranei, non così in alto sulle montagne; cosa ci faceva lì?

Logan lo lasciò parlare e si spazzolò via la polvere fluo dalla camicia e dai capelli neri. La sua espressione indifferente era velata di preoccupazione.

“Grazie Jonah. Puoi andare” lo interruppe dopo un po’. Il giovane monaco, interdetto, li salutò e si avviò rapido verso il dormitorio.

Meli aspettò che Jonah fosse uscito dalla chiesa prima di chiedere: “Perché hai quella faccia?”

Logan continuò a scuotersi via la polvere di dosso. “Gli imp non ammazzano. Sono fastidiosi e inquietanti a vedersi, ma innocui: nelle giuste circostanze possono perfino esaudire desideri, alla stregua dei geni orientali. Che io sappia, non possono e non hanno interesse a uccidere le persone”.

“Quei vecchi monaci potrebbero essere davvero morti di vecchiaia” tentò Meli.

Logan le lanciò un’occhiata eloquente.

“Ma tu sei convinto che siano stati uccisi” sospirò la donna.

“Un viandante senza nome è arrivato e morto qualche mese fa. Qualche mese fa, l’Abbazia viene infestata e muoiono tre persone. E nessun ammazzamostri riesce a liberarsi di un semplice imp con uno strano gusto per i cadaveri? No. C’è qualcos’altro, in questa Abbazia”.

“D’accordo. Quindi che facciamo adesso?”

“Adesso” rispose Logan, togliendo l’ultimo granello di polvere dallo spallaccio sinistro, “ci serve una bottiglia”.

***

La mattina seguente, dopo aver passato una seconda fortunata notte senza cadaveri nel letto e aver ingollato in fretta la trista colazione monacale, si ritrovarono nel chiostro inondato di luce. Erano solo loro due; Jonah aveva dovuto seguire gli altri frati alla chiesa per la Preghiera del Sole. Camminarono sotto il colonnato che circondava il roseto; Meli ammirò da lontano i petali gialli e rosa dei fiori che parevano fatti di seta alla tenera luce del mattino.

Erano per lei una tentazione irresistibile: cedette e si incamminò lungo il percorso di terra battuta del giardino, esplorando ogni arco fiorito e aiuola del chiostro. Logan la seguì in silenzio. 

Il profumo di rose era esaltante. Quei fiori erano il vanto più alto dell’Abbazia, curati ogni giorno da uno stuolo di monaci-giardinieri: quel giardino era il luogo dove raggiungere il grado più alto della contemplazione, in quanto le rose simboleggiavano la purezza e l’innocenza del Paradiso; strapparle o rovinarle era un peccato punito con la fustigazione. 

Meli si inginocchiò di fianco ad un cespuglio di rose bianche dai petali gonfi e ne sfiorò la corolla. Quelle erano Rose Eterne, la varietà più rara coltivata all’Abbazia: anche tagliate in steli, sarebbero sopravvissute per mesi senza terra né acqua. Erano perfette per la realizzazione del decotto della felicità perpetua, nonché molto utili per scambi commerciali con le creature del piccolo popolo: se regalata ad una fata, una Rosa Eterna sarebbe stata come un pegno di fedeltà imperitura.

“I magazzini si trovano sull’ala destra dell’Abbazia” riferì Meli all’ammazzamostri, senza staccare gli occhi dalle rose bianche. Le prudevano le mani dal desiderio di raccogliere quegli steli senza spine, ma non osava. Non alla luce del sole, almeno. “Là troveremo delle bottiglie, suppongo”.

Logan annuì.

“Probabilmente dovremmo chiedere il permesso alla Badessa per entrare, a meno che…”

“Faremo in fretta” concluse l’ammazzamostri. 

Meli, con un ultimo sospiro languido verso le rose, si alzò.

Mezz’ora dopo, senza permesso e con una scusa patetica per aggirare il controllo di una novizia troppo magra e non troppo sveglia, Meli e Logan si intrufolarono nei magazzini dell’Abbazia del Roseto.

I magazzini dell’Abbazia fecero di nuovo dubitare Meli dei precetti di rinuncia e frugalità che la vita monacale suggeriva. I grandi locali scavati nella pietra erano infatti stracolmi di sacchi di riso, mais, orzo e legumi; enormi giare di vino se ne stavano in fila in bella mostra lungo le pareti, insieme a scaffali e scaffali di barattoli di miele e sottaceti, noci e castagne; riempivano le scansie più basse cassette strabordanti di cavoli e mele, patate e zenzero.

Meli non si stupì che alcuni dei frati esibissero fisicità più generose, vista l’abbondanza di quella dispensa; ma altri parevano comunque patire la fame, e si chiese con quale criterio quelle provviste venissero suddivise tra i religiosi all’interno dell’Ordine.

Logan cominciò a frugare in una scansia piena di bottiglie vuote, sollevandone una ad una per osservarle attraverso la luce solare che entrava di sbieco dalle alte e piccole finestre. 

“Cosa stai facendo?” chiese Meli.

“Cerco la bottiglia”.

Grazie al cazzo, pensò Meli. Ma non gli diede la soddisfazione di curiosare oltre, e lo lasciò fare in silenzio. Dopo almeno una dozzina di bottiglie, di cui Logan studiò la colorazione, il fondo, il tappo e il suono che facevano contro le sue dita, una venne prescelta, avvolta con cura in un panno scuro e assicurata alla cintura dell’ammazzamostri.

“Trovata?”.

“Trovata”.

“E adesso?”.

“Come te la cavi con le chiacchiere?”.

***

Logan le spiegò che se un imp infestava un luogo così affollato, probabilmente aveva voglia di compagnia. Ovvero, aveva voglia di lamentarsi della sua condizione di demone minore e dell’ingiustizia del mondo, e chiacchierare con lui sarebbe stata la soluzione più veloce e indolore per riuscire ad acchiapparlo e infilarlo nella bottiglia.

Meli non era ferratissima nell’arte della conversazione spicciola con creature demoniache senza faccia ma, si disse, sicuramente poteva fare meglio di Logan. 

Stavolta non aspettarono la mezzanotte. Meli, come concordato, appena fu buio si mise a camminare tra le panche, integre e distrutte, della chiesa deserta.

“Ehm… che serata infelice” esordì a voce alta. “Sono proprio proprio triste. Avrei tanto bisogno di un amico. Di un consiglio. Di… una spalla su cui piangere?” 

Meli si sentì incredibilmente stupida. Stava parlando di sentimenti fasulli con una creatura demoniaca che dissotterrava i cadaveri e una passione per la piromania. Jonah, nascosto dietro un lampadario distrutto, le fece il segno dei due pollici alzati. 

“In autunno” continuò Meli, buttandosi su un argomento in cui era più ferrata “è così facile lasciarsi andare ai cattivi pensieri… le betulle cominciano a ingiallire, i giorni si fanno più corti e freddi…”.

Nessuna risposta. Meli stava per arrendersi quando una voce, da qualche parte vicino alle stelle del soffitto, chiese: “Vi amate?”.

“Cosa?” 

“Voi due. Tu e quell’elfo lì. Vi amate? Perché io adooooro le storie d’amore” disse il demone invisibile da qualche parte sopra di lei. 

“Ah” Meli si bloccò e lanciò un’occhiata interrogativa a Logan, ma lui non la stava guardando: il suo sguardo era fisso più in alto, sul suo obiettivo trasparente.

“Certo. Certo. Ci amiamo moltissimo” improvvisò allora lei. 

“E perché allora sei triste?”.

“Ahm. Sono triste perché lui… non mi ha invitato a ballare all’ultima Festa della Transumanza”.

“No!”.

“Sì”.

“Inaccettabile. Capisco perché sei triste”. 

Un fruscio freddo mosse le fiammelle delle candele, che però rimasero accese.

“Dove vi siete conosciuti?” continuò la voce dell’imp.

“Dove? Eh, a…”

“Ad una sagra di paese” suggerì Jonah. 

“...ad una sagra di paese” completò Meli. Si sedette cauta sugli scalini davanti all’altare di marmo. 

“Ed è stato amore a prima vista?” chiese lo spettro, curioso come una comare. La voce stavolta era più vicina, alla sua sinistra.

“Oddio, no” rise Meli. “All’inizio non ci sopportavamo, ma poi…”

“Poi?” fu Logan a chiederlo. Si era avvicinato silenzioso come un gatto; aveva sentito il demone scendere verso terra.

“Poi… poi lui non ha saputo resistere alla mia incredibile personalità” continuò Meli. Udì Logan fare un verso a metà tra una risata e un colpo di tosse, ma lo ignorò. “E alla mia bellezza mozzafiato”.

“Non sei così bella” commentò l’imp, sincero. “Credo sia stata la personalità”.

“Grazie” rispose Meli con un sorriso a denti stretti.

L’imp sospirò. Era vicinissimo. A Meli parve di vedere l’aria più densa e tremula sugli scalini accanto a lei. E l’aria densa parlò, stavolta con tono triste: “Essere un demone non è così facile, sai. Vorrei anche io, un giorno, poter trovare l’impessa giusta per me”.

“Sono certa che la troverai” lo incoraggiò Meli.

“Oh, ma le impesse sono così difficili!” si lamentò la creatura. “Vogliono in dono le scaldapietre dai vulcani più lontani, e una testa di pixie ad ogni mesiversario, e…”

Logan balzò come una lince. Ci fu uno strillo offeso e un orribile rumore di risucchio. Logan chiuse veloce la bottiglia con un tappo di sughero che legò con più giri di spago al collo di vetro.

Jonah fece un verso vittorioso. Meli non poteva credere ai suoi occhi: lo aveva preso. Adesso, dentro la bottiglia di vetro verde scuro, si dibatteva una piccola macchiolina nera: un imp in versione ridotta.

“Come vi permettete!” stava urlando il piccolo demone, ma la sua voce era ovattata dal vetro della sua nuova prigione. “Mi avete ingannato! Maledetti! Infami!”

“Taci" rispose Logan scuotendo la bottiglia. L’imp rimbalzò contro le pareti di vetro verde.“Dobbiamo farti alcune domande”.

L’imp, offeso a morte, si mise seduto a terra con le braccine incrociate. “Non mi interessano le vostre domande. Fatemi uscire di qui!”.

“Se ci risponderai a dovere, ti faremo uscire” rispose Logan magnanimo. Meli avrebbe potuto scommettere 100 navok che stava mentendo.

L’imp non rispose subito. “Cosa volete sapere?”.

“Hai ucciso un viandante e tre vecchi monaci?”.

“No. Perché lo pensano tutti? Non sono stato io”.

“Chi li ha uccisi?”.

“Non sono stato io” ripeté la creatura.

Jonah si intromise: “Ma sai chi è stato?”.

“...sì”.

“Diccelo” ordinò l’ammazzamostri.

“Non mi crederete”.

“Ti crederemo. Avanti” disse Logan.

“Poi mi libererete?”.

“Sì” mentirono tutti e tre.

“D’accordo”. L’imp li guardò con la sua faccetta nera senza occhi. Era quasi carino, così piccolo e chiuso ermeticamente dentro la sua prigione-bottiglia.

L’imp aprì la piccola bocca, l’unica cosa visibile nelle sue fattezze di ombra, e disse: “È stata la Badessa”.

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Capitolo 6
*** Straordinarie Proprietà, Rischi e Utilizzi ***


“Straordinarie Proprietà, Rischi e Utilizzi”

Jonah fece uno scatto indietro, come se si fosse scottato la faccia. Balbettò subito che era impossibile, e che non aveva nessun senso. 

Meli incrociò le braccia al petto. Anche lei era scettica. “Sono d’accordo con Jonah. Il demone straparla. Ci sta dicendo quello che gli pare solo per farsi tirare fuori dalla bottiglia”.

Logan non disse niente; rifletteva.

“Ve l’avevo detto che non mi avreste creduto!” berciò l’imp offesissimo, scattando in piedi.

“Ti crediamo” disse piano Logan. “Solo, ci servono delle prove”.

“Le prove ci sono. Perché pensate che abbia appeso questo morto qui davanti a tutti? Ma questi frati sono così stupidi che non ci sono ancora arrivati”.

Logan corrugò la fronte. “Il morto è la prova?”

“Sì. Le prove bisogna cercarle nei morti”.

Tirare giù il cadavere non fu facile, e il puzzo di decomposizione quasi li fece vomitare nella casa di Dio. 

Jonah aveva riacceso gran parte delle candele per vederci meglio ma, per quanto studiassero il morto, ribaltandolo e osservandolo da tutti i lati, non trovarono prove utili sul fatto che fosse stata proprio la Badessa ad ucciderlo.

“Potrebbe averlo avvelenato” propose Meli, essendo quello il suo campo di competenza.

“Ci sono veleni che provocano tosse, stanchezza, congiuntivite e febbre?”

“Mmh. Non che io sappia”.

“Se così fosse, anche il novizio che abbiamo visto a colazione potrebbe essere stato avvelenato” aggiunse Logan, ribaltando di nuovo il morto con la punta dello stivale.

“Potrebbe essere la prossima vittima” suggerì Meli.

“Ma con che scopo?!” si intromise Jonah. Abbassò la voce. “Non ha nessun senso che la Badessa avveleni i suoi confratelli…” disse, facendosi rapido il segno della croce.

“Demone. Non c’è nessuna prova qui che incastri la Badessa. Ci hai mentito?” chiese Logan.

“Io non mento. Siete voi che siete troppo stupidi per capire”.

“Se tu fossi più chiaro…” 

“Più chiaro! Vi ho detto chi è stato e voi non mi avete liberato. Non vi meritate nessun aiuto, bugiardi”.

Meli si passò le mani sulla faccia. Era esausta. “Perché hai appeso il cadavere? Perché volevi che i frati capissero chi sta compiendo questi omicidi?” chiese Meli massaggiandosi le tempie.

"Perché così avrebbero finalmente capito che io non c’entro niente!” sbottò il demone “E avrebbero smesso di mettermi alle calcagna fastidiosi ammazzamostri come voi. Io volevo solo starmene bello tranquillo a infestare l’Abbazia, suonare le campane, far cadere qualche quadro, e invece…” la sue voce scemò in una colorita serie di bestemmie.

Meli osservò la faccia rigida e tesa del frate morto ai suoi piedi, poi i volti nervosi e esausti dei suoi compagni. “Il demone è catturato” disse. “Ci meritiamo un po’ di riposo. Andiamo a dormire, e al resto ci penseremo domani mattina”.

***

Il mattino seguente il cadavere della chiesa venne fatto sparire con solerzia dai frati becchini, che rimisero il pianto confratello nella sua tomba di sonno eterno nel cimitero dell’Abbazia. Se qualcuno si chiese come mai lo spirito stavolta non li aggredì con la coppa della comunione, non lo si fece notare.

Logan ritenne più prudente non rivelare a nessuno della cattura dell’imp. Meli quindi aveva avvolto il demone in bottiglia in un panno scuro e lo aveva nascosto nello zaino. Questo non gli impediva, di tanto in tanto, di mugugnare il suo scontento.

“Inaccettabile… indecente bugiardi infami…” 

Meli si abituò in fretta ad ignorare quella cantilena. A colazione, seduta tra Logan e Jonah, ripercorse quello che sapevano.

“Non ha detto che i morti sono le prove” stava ripetendo la botanica per l’ennesima volta “ha detto che le prove sono nei morti, come se dentro ci fosse qualcosa… per questo ho pensato ad un veleno. Forse dovremo tentare un'autopsia?".

Logan non rispose; guardava fisso un punto imprecisato davanti a sé, tenendo tra le mani la colazione del giorno: un’unica mela sgualcita. Jonah non parlava. Era di un brutto colorito grigiastro.

Meli, stufa di provare a risolvere quel mistero da sola, diede un morso alla sua colazione. Che sputò subito. “Blah. C’è un verme qui dentro” disse, pulendosi la bocca con la manica della camicia. 

Tutti e tre guardarono il vermicello dibattersi moribondo sul tavolo.

Nei morti” mormorò Logan. Nei suoi occhi si era accesa una luce febbrile. “La tosse, gli occhi gonfi…”. Si alzò di scatto. 

“Il novizio. Dobbiamo parlare con lui. E dobbiamo disseppellire il viandante”.

***

Il novizio suddetto si spaventò a morte nel ritrovarsi davanti la faccia truce e truccata di nero di Logan ad aspettarlo fuori dall’uscita laterale del refettorio. I suoi confratelli si dileguarono in fretta, lasciandolo solo in balia dell’ammazzamostri. Alla faccia della generosità della Fede.

“Cos-cosa volete?” balbettò il giovane, un ragazzo di forse diciotto anni con i capelli tagliati in un ridicolo caschetto a ciotola e una brutta acne sulle guance.

“Capire. Ci hanno detto che sei malato”.

“Sì”.

“Da quanto tempo?”.

“Da… una settimana”.

“E Yoris, il vecchio monaco, quando è morto?”.

Il giovane si fece un rapido segno della croce. “Da dieci giorni almeno”.

“Sei stato con lui?”.

“L’ho curato io, sì, nei suoi ultimi giorni”.

“E cosa facevi?”.

“In-in che senso?”.

“Cosa facevi per curare il moribondo?” lo incalzò Logan senza un minimo di tatto “Gli cambiavi il pitale? Lo imboccavi?”.

“Sì… sì”.

“Sì, cosa?”

“Sì, tutto” balbettò il poveretto.

Meli ebbe pietà di lui. “Logan, calmati; lo stai spaventando a morte”.

L’ammazzamostri si bloccò, si schiarì la voce e riassestò i suoi modi.

“Hai notato cambiamenti nel vecchio monaco, prima che morisse? Di voce, di carattere, di colore? Qualcosa fuori dalla norma per una comune malattia stagionale?” chiese l’ammazzamostri, molto più rassicurante e cordiale di prima. 

“Io… io non saprei, signore” rispose il ragazzo, titubante, ma più a suo agio.

“Aveva delle pustole sul viso?”.

“Pustole? No”.

“Aveva chiazze rosse sul corpo?”.

“No”.

“Aveva una tosse molto insistente, con perdite di muco bianco?”.

Meli capì dove Logan stava cercando di andare a parare. E non le piacque per niente. Sperò, fino all’ultimo, che il ragazzo dicesse…

“Sì. Sì, aveva delle perdite bianche, in effetti”.

Non era questa la risposta che si era augurata di sentire.

“Mel, hai per caso una lente, in quello zaino?” chiese Logan.

Si dava il caso che sì, Mel ce l’avesse una lente di ingrandimento. Logan la prese e con un sobrio “Posso?” si avvicinò al giovane che, terrorizzato, rimase immobile; tentò di dire di essere molto contagioso, ma Logan lo ignorò e studiò con attenzione gli occhi arrossati attraverso il vetro convesso della lente. Dopo qualche secondo si allontanò e allungò la lente verso Meli. “Guarda tu”.

Meli prese il posto di Logan. Gli occhi color nocciola del ragazzo avevano la cornea completamente rossa e irritata, e un pus giallo gli incrostava le ciglia. Non c’era niente di anormale. Era una comune congiuntivite. “Non vedo niente” disse lei, allontanandosi.

Ma Logan la bloccò. “Guarda bene… dentro. Occhio destro”.

Meli tornò a guardare con più attenzione dove le era stato indicato, dentro l’occhio destro del giovane monaco. E lì, le vide.

Meli le aveva studiate su un vecchio tomo di zia Liliana, un mattone color porpora dal nome Funghi e Parassiti: Straordinarie Proprietà, Rischi e Utilizzi. Ma Meli non ci voleva credere; abbassò la lente e si aggrappò al dubbio con ferocia. Era… troppo.

“Ma…” cominciò; Logan la interruppe.

“Grazie per il tuo aiuto” disse l’uomo al novizio, che non aspettava altro; il giovane fece un rapido cenno di capo e se la filò via veloce verso il chiostro.

“Ma non è possibile” bisbigliò Meli appena furono soli, rifiutando di credere a quello che aveva appena visto. 

“Eppure ci sono” disse Logan con tono definitivo. “E se vogliamo la conferma di come sono arrivate, dobbiamo disseppellire il viandante”.

“Ma… com’è potuto succedere? Non se ne vedono in queste zone da…” si bloccò. Da quanto non si vedevano le strigi in estate? E un nekorai, chi l’aveva mai visto? Quindi sì, era possibile. E, maledizione, quelle piccole cosine bianche disgustose che si dibattevano erano una prova non indifferente.

“Non ne ho idea” rispose Logan in tono lugubre. 

Meli ci pensò su. “Bè. Alla Badessa di sicuro non piacerà”.

Logan non cambiò espressione, ma soffiò fuori l’aria dal naso in quella che, con un positivo slancio di interpretazione, avrebbe potuto essere una risata.

***

La richiesta di Logan di dissotterrare il cadavere del viandante sollevò non poco sdegno nei corridoi e nelle cellette dell’Abbazia del Roseto. E quando la voce giunse alle orecchie della madre Badessa, lui e Meli furono richiamati a colloquio urgente nel capitolare.

La Badessa, seduta dietro una cattedra di legno, non era sola. In piedi alla sua destra c’era lo stesso frate grasso che li aveva accolti il giorno prima; alla sua sinistra un vecchio frate alto e magro, con la barba grigia e gli occhi stretti in due fessure diffidenti. Dietro di loro, un manipolo di novizi e novizie pregava in silenzio. 

La Badessa appoggiò le mani giunte sulla cattedra e li osservò con espressione severa. “Gira voce che desiderate disturbare i morti in questa terra consacrata. Perché?” chiese la religiosa. Come previsto, non era affatto felice. 

“Per confermare una teoria” rispose Logan con un’arroganza nonchalante che, Meli era certa, non sarebbe piaciuta alle orecchie della religiosa.

La Badessa fece un’abbaiante risata di scherno. “Una teoria? Si viola il sonno eterno dei defunti, per una teoria?”.

Logan non perse un colpo. “Se la mia teoria è corretta, madre Badessa, vi trovate tutti in grande pericolo. E il mio prezzario si alzerà parecchio. Ma preferisco esserne certo, prima di gettare il vostro ordine nel panico”.

“È sempre qui che si cade, con voi ammazzamostri” borbottò la vecchia donna. “Vile sporco denaro. Avanti, mercenario, sono in ascolto: quale è la tua teoria? Quale carissimo e orrendo mostro ci sta facendo penare tanto e attenta alla nostra vita?”.

“Il mostro che vi fa penare e il mostro che vi mette in pericolo sono due creature distinte” disse Logan, serio. “C’è di certo un fantasma o un piccolo demone che infesta questa abbazia”.

L’imp in bottiglia, nascosto nello zaino ai piedi di Meli, borbottò un’imprecazione. La donna diede un calcio allo zaino.

“Ma non ha mai ucciso” continuò l’ammazzamostri. “C’è qualcos’altro che ha ucciso i vostri confratelli, e che potrebbe uccidere ancora”.

Un mormorio incredulo si levò dal loro piccolo pubblico.

La Badessa fece roteare il polso, gesto di impazienza che in quella regione indicava “vai avanti”.

“La mia teoria, madre Badessa… è che un Parassita sia entrato nell’Abbazia”.

Il mormorio si fece più intenso. Un dubbio mostruoso si fece largo negli occhi grigi della religiosa. “Un… Parassita? Non è possibile. Sono stati debellati tutti anni fa”. 

“È un’accusa non da poco!” disse il frate alto con la barba. “Quali sono le prove?”

“Le prove, madre Badessa, sono due: una si trova seppellita nel vostro cimitero: è il viandante che avete accolto, mi dicono, due mesi fa, e che è morto nel sonno prima di dirvi il suo nome”.

“La seconda prova si trova negli occhi di un vostro novizio che al momento soffre di quella che, a tutti gli effetti, sembra un attacco di congiuntivite. Potete farlo chiamare ora, e controllare voi stessa”.

Emmanuel il novizio fu chiamato e avvisato dell’imminente ispezione. Il giovane vi si prestò con la faccia di uno che avrebbe preferito buttarsi giù dal belvedere dell’Abbazia.

Logan porse alla Badessa la lente di ingrandimento e le disse dove osservare gli occhi arrossati del novizio. La religiosa, dopo aver fatto apparire un fazzoletto bianco dalla tasca e premendoselo contro la bocca e le narici, si sporse verso il giovane monaco che pareva sull’orlo dello svenimento. 

Bastarono pochi secondi di ispezione. La Badessa fece un respiro tremulo e la lente le scivolò di mano, cadendo a terra con un suono di cristallo.

Meli non la biasimò; sapeva cosa aveva visto. 

Dentro la cornea del ragazzo si agitavano, viscide e minuscole, numerose larve bianche.

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Capitolo 7
*** Il Parassita ***


Il Parassita

Se l’ammazzamostri avesse dato fuoco ai paramenti della Badessa non avrebbe ottenuto una reazione più violenta. La donna spalancò la bocca e la sua espressione si distorse in una maschera di orrore. Poi prese un profondo respiro e si mise a strillare con l’intera potenza della sua voce da contralto, chiamando a raccolta i frati dediti al cimitero perché esaudissero ogni desiderio del qui presente ammazzamostri, e in fretta, in fretta, per Iddio Nostro Signore!

Emmanuel, pover’anima, cadde indietro dallo shock e rimase là a terra, ignorato da tutti.

Meno di un’ora dopo, il cadavere del viandante fu dissotterrato. Logan si munì di guanti - prestati con solerzia da un monaco-giardiniere - e scostò i brandelli di vestiti e carne putrefatta dal petto del morto. E lì, come si aspettava, qualcosa mancava: gli organi interni erano spariti. L’intero cadavere era vuoto: era la prova definitiva, che confermava la teoria di Logan. 

Un Parassita era entrato nell’Abbazia del Roseto.

Meli udì un commento sottovoce di un monaco-becchino dietro di lei: “Mi pareva un po’ troppo leggero, quando l’abbiamo seppellito…” 

La donna si ritrovò a dare ragione all’imp: quei monaci non erano esattamente dei pozzi di scienza.

La notizia del Parassita si diffuse a macchia d’olio, e in meno di venti minuti si scatenò il panico. Dov’era ora? Dentro quale frate o suora?

Meli si appoggiò al muretto di pietra che circondava il cimitero dell’Abbazia e osservò il viavai esagitato di monaci in subbuglio. Poi estrasse una fiala verdognola e ne prese un sorso abbondante. Senza una parola la porse a Logan, che la guardò e capì. Lui trangugiò il liquido restante.

Meli fece sparire la fiala nello zaino e ne tirò fuori un’altra identica. “Jonah. Bevi questa”.

“Cos’è?”

“Olio antiparassitario. Ne ho solo due fiale al momento; ce ne vorrà un bel po’ per estirpare uova e larve da tutte queste persone… Nel frattempo, fammi stare tranquilla e bevilo tu”.

Il ragazzo fece una smorfia quando il farmaco amarissimo e denso gli riempì la gola. Ma non si lamentò. Ringraziò Meli e parve un poco meno preoccupato di prima. 

Il cimitero si trovava nell’angolo più lontano dell’Abbazia rispetto alla scalinata e alla chiesa, proprio sul belvedere a strapiombo sulla vallata sottostante; era un delizioso giardino di erba tagliata corta con piccole graziose lapidi di pietra scura che guardavano il cielo. Diverse varietà di rose coloravano le tombe e le bordure, spandendo tutto intorno il loro profumo mistico. Meli pensò che fosse un peccato non poterselo godere, tra gli strepiti e i pianti dei monaci impanicati.

“Come facciamo a sapere dov’é?” chiese Jonah.

“Nessuno lo sa” disse Meli. “Nemmeno il suo attuale… ospite, sa di averlo. Il Parassita vive latente nel suo guscio umano, che va avanti con la sua vita come se nulla fosse, e non ne percepisce la presenza finché non è troppo tardi, quando lo uccide”.

“Stai dicendo che potremmo averlo anche noi?”.

Meli non ebbe cuore di rispondergli. Il viso di Jonah si fece di una sfumatura di grigio ancora più intensa.

Logan le si avvicinò e le chiese, con evidente fastidio, di dirgli tutto quello che sapeva sui Parassiti. 

Meli richiamò alla mente quello che aveva letto nel vecchio libro di zia Liliana, Funghi e Parassiti: “Le uova entrano nel corpo umano attraverso la bocca o gli occhi, dove, una volta schiuse, raggiungono lo stadio larvale; solo una volta adulte migrano verso il cervello e i polmoni, il luogo prescelto per la deposizione delle uova. La vittima, nel frattempo, cade malata, e tossendo aiuta la diffusione delle nuove uova. Il parassita più grosso mangia le sorelle larve e prende possesso dell’intero corpo della vittima, che divora dall’interno fino al sopraggiungere della morte… per poi uscire dalla bocca e scegliere un nuovo corpo da abitare indisturbato. Un modo decisamente spiacevole di lasciare questo mondo” aggiunse alla fine.

Il Parassita, morbo immondo che aveva spazzato via villaggi interi decenni prima, era stato debellato dalla regione di Zolden in seguito ad un’azione congiunta delle diverse amministrazioni distrettuali, con barili interi di olio antiparassitario distribuiti tra i cittadini, poi forzato giù nella gola di vecchi e bambini fino allo sterminio dell’ultima larva mucillaginosa.

E quindi, che ci faceva lì quel Parassita? Da dove veniva? Quel mistero era un altro pezzo stonato che andava ad aggiungersi agli altri, tanti, pezzi stonati delle ultime settimane. Il biglietto di Meimei echeggiò potente in un angolo della sua testa.

Logan annuì. “Nessuna informazione su come individuarlo da fuori?”

“Accademicamente riconosciuta? No. Ma noi…” 

Dal suo zaino, l’imp borbottò un attutito stupidi, stupidi frati. Meli guardò la madre Badessa, ancora in piedi davanti alla fossa del cadavere dissotterrato, con le mani avvinghiate sul crocifisso che portava al collo e lo sguardo atterrito sul caos scatenatosi nel suo Ordine.

“...un indizio ce l’abbiamo”.

***

Logan la guardò corrucciato. “E ti aspetti che tagli la gola alla Badessa senza…?”

“Non ho detto questo!” lo interruppe Meli inorridita. “Ma almeno non brancoliamo nel buio, no? Ci saranno almeno cento persone che abitano in quest’Abbazia. Non possiamo controllare tutti” continuò bisbigliando.

“Vi sto sentendo” disse Jonah, con l’aspetto di uno che stava per rigettare la cena del giorno precedente.

Meli giocherellò con il fiocco verde legato in cima al suo bastone di castagno, incerta su come procedere. Non potevano accusare la Badessa solo sulla base della testimonianza di un imp, demone minore con un debole per il romanticismo; ma non potevano nemmeno fare finta di non sapere quello che sapevano, e fare da spettatori inerti al caos incombente. Cosa fare, dunque?

Infine, Meli ebbe un’idea. Non era una grande idea, ma era un’idea: se non potevano loro, forse poteva qualcuno altro. Aprì lo zaino e tirò fuori la bottiglia con dentro il piccolo demone insolente.

Logan le lanciò un’occhiata di fuoco. “Ti pare il momento?”

Meli lo ignorò e parlò alla bottiglia. “Err, ciao. Abbiamo saputo del Parassita. Quindi avevi ragione…”

“Certo che avevo ragione!” berciò quello.

“...le prove erano nei morti. Ma adesso sono i vivi il problema: noi ti crediamo, ma i frati no. E, come tu stesso hai detto, non sono particolarmente svegli… Quindi sarebbe molto utile se adesso dimostrassi a tutti che la Badessa… non è quello che sembra”.

L’imp non rispose. Meli fissò quel piccolo mostriciattolo nero senza espressione attraverso il vetro, e attese.

“E poi sarò libero?” disse infine l’imp.

“Poi sarai libero”.

Il demone sospirò. “Va bene”.

Meli estrasse un coltello e fece saltare il tappo di sughero. L’imp schizzò fuori dalla bottiglia con un trillo estasiato.

Una giovane suora urlò quando una saetta nera le passò davanti e andò a scagliarsi contro alla faccia della Badessa. L’imp, con i suoi artigli di buio, graffiò le guance della vecchia religiosa, che urlò di dolore. La religiosa fece due passi indietro e afferrò il demone per levarselo di dosso.

E poi accadde. A Meli parve che il tempo rallentasse mentre l’orrore si rivelava davanti ai loro occhi. La pelle del viso Badessa si lacerò; il suo corpo si aprì in due e cadde a terra come un vecchio lenzuolo. Al suo posto apparve il Parassita: un enorme verme flaccido e rosa, senza occhi e con la bocca tonda piena di tentacoli.

Le urla che seguirono si udirono, probabilmente, fino Porto Venia. Meli ingoiò il conato di vomito che le era risalito in gola. Jonah svenne; Logan lo afferrò un attimo prima che sbattesse la testa su una lapide.

Il Parassita si liberò della pelle della Badessa e si erse in tutta la sua altezza contro il cielo azzurro. Era molto più grande di quel che Meli si aspettava. Dal cadavere della vecchia non uscì una goccia di sangue: il Parassita lo aveva risucchiato tutto. 

“Che essere immondo” commentò l’imp. Meli non poté che dirsi d’accordo.

Il mostro avanzò strisciando verso di loro sulla terrazza erbosa. Logan indietreggiò, portandosi dietro il monaco privo di sensi. “Altro da sapere su questo bestione?”.

“Errr” Meli pensò in fretta senza perdere di vista il vermone, “i tentacoli sono urticanti; sputa muco acido da entrambe le estremità; nonostante la stazza, è agile come un serpente… ohi!”

Il Parassita aveva fatto uno scatto in avanti. Meli balzò verso destra; Logan e Jonah si mossero a sinistra. Adesso erano separati ai lati del cimitero, con il grosso parassita rosa nel mezzo.

Attorno a loro, suore e frati nel panico correvano strillando in tutte le direzioni.

“Che cosa facciamo?” chiese Meli, occhieggiando preoccupata il mostro. Aveva un’altra boccetta di aconito, ma come lanciarlo in quella minuscola bocca tonda piena di tentacoli? Troppo difficile. Strinse il bastone tra le mani e scandagliò le altre opzioni.

Logan trascinò Jonah fino ad un muretto laterale e lo sdraiò al sicuro dietro un fitto cespuglio di rose. Il monaco mugugnò qualcosa, ma Meli non vide se rinvenne. L’ammazzamostri tornò nel mezzo del camposanto; si tolse il mantello e estrasse la spada d’argento. Aveva una luce risoluta negli occhi.

“Lo facciamo fuori”.

E saltò. Un salto troppo alto per un essere umano, che lo portò dritto all’altezza della bocca tentacolosa del Parassita. La lama calò con violenza, ma il mostro la schivò scartando di lato. Cadendo, Logan tentò un fendente laterale al collo, che andò a segno. L’essere, disgustosamente muto, tremò. Dalla ferita sangue rosso schizzò ovunque.

Logan atterrò rotolando e si rialzò vicino al corpo del mostro. Sollevò la spada a due mani per infilzarlo; ma la bestia ondeggiò la coda e lo colpì, facendolo volare per metri.

Stavolta l’atterraggio non fu tanto elegante. L’ammazzamostri, finito lungo disteso tra le rose e le lapidi, si rialzò imprecando. 

“Attento!”

Il Parassita aveva spalancato la bocca rotonda: un fiotto di muco vischioso fu sparato nella direzione di Logan, che scartò di lato e lo evitò di un soffio. Il muco bianco finì su una lapide di pietra, che cominciò a ribollire e a sciogliersi sotto il rigurgito acido del mostro.

Non era il momento di stare a guardare. Meli calcolò la distanza tra lei e il vermone e estrasse il pugnale. Con pochi passi precisi raggiunse il mostro di spalle e conficcò la lama più a fondo che riuscì. Quando estrasse il pugnale, il sangue di Parassita le imbrattava l’intero avambraccio.

Il mostro si voltò, rosa e cicciotto ma rapido come una vipera, verso il nuovo nemico. Meli rinfoderò il pugnale grondante di sangue e portò il bastone in posizione di combattimento.

Il Parassita scattò in avanti, i tentacoli protesi verso di lei. Meli saltò a destra e calò il bastone sulla testa del mostro. Lo colpì con forza, ma ebbe l’impressione di avergli fatto appena una carezza. Il mostro volse l’orrida bocca verso di lei. A Meli non piacque affatto vedere così da vicino quelle protuberanze viscide e alzò il bastone per colpire di nuovo.

Prima che calasse il colpo, il mostro sussultò. Logan aveva conficcato la spada in profondità nella carne del Parassita, che cominciò a dibattersi in agonia.

Logan estrasse la pistola e prese la mira. Ma, fuori dal campo visivo dell’ammazzamostri, il mostro sollevò l’enorme coda e lo puntò. Stavolta, il liquido bianco e denso lo colpì in pieno petto.

Il cuore di Meli perse un battito. 

Logan fu scaraventato indietro e perse la presa sulla pistola. La spada d’argento rimase conficcata sul dorso dell’enorme verme, ormai coperta di sangue vermiglio.

Meli corse verso l’uomo a terra, ma il Parassita le sbarrò la strada. L’enorme mostro rosa ora si contorceva furente, e desiderava vendetta: in un attimo aviluppò Logan nelle sue spire.

L’ammazzamostri, coperto di sangue e di muco vischioso, emise un rantolo. Il mostro lo stava schiacciando, stritolandolo come un serpente. 

Meli sentì una fitta di panico farle tremare le mani. Vide la pistola a terra e la raccolse. Aveva una vaga idea di come usarla, ma non lo aveva mai fatto prima.

Alzò la mano tremante e prese la mira.

La bocca piena di tentacoli del mostro si stava avvicinando pericolosamente alla testa di Logan.

E se sbaglio?

“Spara!” gemette Logan, ormai senza fiato.

“Ma…”

“SPARA!” 

Meli premette il grilletto e fece fuoco.

***

Alle orecchie inesperte della botanica il rumore parve assordante; per un lungo momento fu certa di aver mancato il bersaglio, ma poi vide il mostro vacillare. Probabilmente per un miracolo garantito da Santa Rosa in persona, Monaca Guerriera, Sua Spinosa Santità, il colpo aveva centrato in piena faccia il Parassita.

L’enorme mostro rosa gorgogliò, barcollò e cadde; volò giù dal belvedere dell’Abbazia, precipitando nel vuoto per centinaia di metri. Ma con lui, ancora avvinghiato dalla viscida coda prensile, volò giù anche Logan.

 

Spazio autrice

Sai come dice quella famosa regola del teatro: “Se appare una pistola nel primo atto, al terzo deve per forza esplodere un colpo”. Ed eccoci qui, con la pistola scarica e mostri e non mostri che volano giù da posti molto alti. Vi ho lasciato con un letterale cliffhanger? Sì. Sono pessima. Pessima! Credo di avere una passione per fare del male ai miei personaggi, e forse anche ai miei lettori. Fatemi sapere cosa ne pensate fino a qui, e si vola - lol - verso le ultime puntate di stagione.

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Capitolo 8
*** “L’avevo detto, io” ***


“L’avevo detto, io”

Il cervello di Meli si paralizzò. Era?

Corse verso il balcone del belvedere e si sporse a guardare la vallata sottostante. Per un terribile attimo, vide solo la sagoma lontana dell’enorme Parassita rosa, spiaccicato centinaia di metri più sotto, mezzo infilzato tra i massi, i faggi e la pineta.

Ma poi vide una mano avvinghiata alla roccia.

Un brivido di sollievo la fece ansimare. “Ma sei impazzito?!” urlò furiosa.

Logan era appeso in modo precario ad un costone sotto il belvedere, appena fuori dalla sua visuale. “Non ti muovere, vengo a prenderti!” urlò di nuovo la donna.

Si udì una debole e incomprensibile risposta. 

Meli frugò febbrilmente nello zaino alla ricerca della corda da arrampicata che teneva sempre con sé. Fece un nodo attorno al parapetto e si agganciò la corda attorno al corpo in un’imbracatura di emergenza. L’ansia le fece sbagliare i nodi, che dovette rifare due volte.

Urlò ai pochi monaci esterrefatti rimasti a portata d’orecchio che le serviva una mano; infine, senza aspettare risposta, scavalcò il parapetto e cominciò la discesa. L’ammazzamostri si trovava circa dieci metri sotto di lei. Meli non era una scalatrice esperta, e rischiò di scivolare un paio di volte; alcune pietruzze rotolarono e volarono giù fino alla pineta a valle. Meli si sforzò di non pensare alla distesa di vuoto sotto di sé e alla fretta con cui aveva eseguito i nodi della cordata.

Posò i piedi con più cautela possibile negli anfratti della roccia e, lenta, troppo lenta, percorse la distanza che la separava da quella mano appesa.

Raggiunse Logan con un fremito di sollievo. 

L’ammazzamostri non aveva un bell’aspetto. Coperto di tagli, sangue e di muco vischioso, si reggeva a malapena, mani e piedi infilati in minuscole fessure nella montagna. Non avrebbe resistito ancora molto.

“Sei un idiota del cazzo” gli disse, prima di posizionarsi poco sotto di lui e eseguire una seconda imbracatura di fortuna. Una volta legato e fissato alla cordata, gli chiese: “Ce la fai a scalare?”.

“Sì”.

Ce la fai a scalare?” ripeté, rabbiosa.

“...no” ammise l’uomo, esausto.

Meli gli diede le spalle. “Attaccati a me”.

Logan non si mosse. “Ci sfracelleremo”.

“Ci sfracerelleremo se non fai come ti dico. Molla la parete e attaccati alle mie spalle; ti porto su”.

“Non riuscirai a scalare con il mio peso addosso”.

“Non sei in posizione di lamentarti di questo servizio di salvataggio. Taci e obbedisci”.

Con estrema cautela, Logan lasciò andare una mano dalla parete di roccia e agganciò il braccio destro sopra la spalla della donna. Poi un piede. Meli sentì la corda tirare e tendersi sopra di lei.

Infine, Logan lasciò la presa dalla montagna e si appese a lei. Meli soffocò un gemito. La corda dell’imbragatura, sotto il peso di due persone, le segava l’inguine e le ascelle; Meli si morse il labbro e cominciò a scalare.

Era molto più difficile di quanto aveva previsto. Il peso di Logan la portava indietro, verso il vuoto; le mani sudate scivolavano e perdevano la presa nelle minuscole fessure polverose. La stanchezza cominciava a farle sfarfallare la vista, e il muco acido di cui l’uomo era ricoperto cominciava a bruciarle la pelle attraverso i vestiti.

Uno strattone lì tirò verso l’alto. Meli ansimò sorpresa; Logan si strinse più stretto a lei. Un secondo strattone. Qualcuno li stava issando da sopra la terrazza del belvedere. Meli guardò in alto. Era Jonah - benedetta la sua coscienziosa testolina bionda! - che li stava tirando su insieme ai suoi confratelli.

Meli quasi pianse di gioia e dal nervoso una volta che furono sollevati e agguantati da mani amiche al di là del parapetto. Crollò a terra esausta, grata dell’erba orizzontale che le riempiva la bocca; aveva il cuore a mille ed era ricoperta di sudore ghiacciato.

La voce preoccupata di Jonah le stava facendo una raffica di domande ansiose; qualcuno chiamò a gran voce il monaco-guaritore.

Meli sollevò lo sguardo verso Logan, supino e bianco come un cadavere di fianco a lei. “Era la Badessa, dopotutto” mormorò lui, fissando il cielo. 

“L’avevo detto, io” disse l’imp, seduto con le gambette penzoloni su una lapide poco lontano. 

Meli non ebbe la forza di dire alcunché. Vide Logan venire slegato, sollevato e portato via, probabilmente in direzione del monaco-guaritore dell’Abbazia.

Tutto era risolto. Logan era salvo. Il Parassita era morto. Meli sospirò e chiuse gli occhi.

***

“Signorina; lei può cortesemente spiegarmi cosa diavolo è successo qui?”

Meli, stanca ma paziente, guardò il procuratore distrettuale che, dopo aver interrogato decine di monaci tremanti e balbettanti, era infine arrivato a lei.

Erano stati due giorni movimentati, all’Abbazia del Roseto: i religiosi, paralizzati dal terrore, avevano pianto a lungo la perdita della loro guida spirituale, la madre Badessa; i più anziani avevano poi preso il controllo dell’Ordine e inviato messaggi alla diocesi di competenza e al consiglio cittadino del distretto, avvertendo dell’anomala infestazione da Parassita. La mattina seguente, uno stuolo di guardie cittadine aveva invaso l’Abbazia di picche e casacche gialle, assieme ad un paio di maghi guaritori e a tutti i burocrati del caso. In tutto questo, Meli poteva forse aver approfittato del caos generale della prima notte per tagliare due o tre Rose Eterne dal chiostro. Forse.

Meli nascose i suoi pensieri, si alzò dalla panchina del chiostro e fece un gran sorriso all’uomo che le aveva parlato.  

Il procuratore distrettuale era un uomo alto e severo, dall’elegante viso sbarbato e corti capelli d’argento, vestito di una casacca nera che sul petto, ricamato con fili di seta, recava lo stemma viola della Repubblica. Tra le mani aveva un taccuino e un malloppo di scartoffie. Di fianco a lui, il frate grasso e il frate magro erano pallidi e senza parole.

Meli si preparò a dire al procuratore quello che aveva già ripetuto fino allo sfinimento ai due monaci che lo affiancavano.

“Certo, signor procuratore. Come ormai saprà, un Parassita è stato trovato e ucciso qui all’Abbazia. Al momento del ritrovamento, il mostro si trovava nel corpo della madre Badessa”.

I monaci si fecero un lesto segno della croce.

“Mi è stato riferito che lei è una botanica”.

“È esatto”.

Il procuratore scribacchiò sul suo registro. “Può riassumere la dinamica dei fatti?”.

Meli continuò: “I monaci dell’Ordine, circa due mesi fa, hanno accolto un viandante che già presentava, inconsapevolmente, lo stadio avanzato della malattia. Una volta morto, il Parassita deve essere uscito dal suo corpo - di solito esce dalla bocca o, ehm, da un altro orifizio - ed ha attaccato tre monaci anziani che sono, uno dopo l’altro, caduti malati e morti. Tra il viandante e l’ultimo monaco il Parassita deve anche aver raggiunto la maturità sessuale, perché ha cominciato a deporre le uova, che sono state diffuse dai malati attraverso la tosse. Ecco perché ora il novizio di nome Eric…”

“Emmanuel” si intromise lesto Jonah.

“Emmanuel, esibisce le larve al primo stadio nella cornea. Ma altri monaci potrebbero presto cominciare a mostrare i sintomi dell’infestazione, che deve essere trattata tempestivamente con i giusti farmaci antiparassitari. Una dose massiccia, per stare tranquilli: olio due volte al giorno per tre mesi, direi”.

“Quindi è stato il Parassita ad infestare l’Abbazia?” chiese il procuratore, con un’espressione a metà tra il confuso e il disgustato che stonava moltissimo con il suo viso patrizio.

“No; è stato l’imp”.

“Quale imp?”.

“Un imp infestava l’Abbazia, ma è stato catturato dall’ammazzamostri regolarmente assunto e non sarà più un problema”.

Meli evitò di far notare che l’imp si era dato alla macchia dopo la lotta con il Parassita. Non c’era motivo per discuterne adesso. Giusto? Giusto.

“L’imp ha cercato di avvertire i monaci, seppur in modo molto sconclusionato, disseppellendo i cadaveri che presentavano i segni del passaggio del Parassita” continuò la donna.

“Ed è per questo” aggiunse una voce maschile dietro di lei “che dovreste ringraziare quell’imp. Senza di lui, non saremmo arrivati noi; e senza di noi, prima della fine dell’anno sareste stati tutti corpi vuoti”.

I monaci rabbrividirono. Il procuratore fece una smorfia schifata.

“L’ammazzamostri, suppongo” disse il procuratore.

Meli si voltò verso Logan. Nemmeno ripulito e riposato avrebbe potuto passare per un uomo perbene: il pesante trucco nero e le cicatrici lungo il collo raccontavano una storia ben precisa. Una storia che, con i suoi vestiti neri e i capelli troppo lunghi, Logan sembrava voler sfoggiare con orgoglio.

“È stato lei ad uccidere il Parassita?” chiese il procuratore. Sotto l’evidente perplessità, c’era una vena di stima nella sua voce.

“Sì. Con il giusto aiuto” rispose Logan, scoccando una rapida occhiata alla botanica. Meli alzò un sopracciglio.

Il procuratore scribacchiò di nuovo sul taccuino che aveva in mano. “È sufficiente così” disse in tono mesto ma pratico. “Come potete immaginare, il ritrovamento di un Parassita vivente dopo la grande purga di inizio secolo è fonte di grande preoccupazione per la regione e per la Repubblica intera. Dovrò riportare le vostre testimonianze al governatore”.

“Certo, comprendiamo perfettamente”.

“Ottimo. Dovrete venire a firmare delle scartoffie per il rischio biologico, la dichiarazione di rimozione in sicurezza di carcassa di bestia infettiva e amenità varie; poi potrete andare”.

“Benissimo, signor procuratore. Grazie” disse Meli.

Un’eccessiva quantità di burocrazia dopo, Meli e Logan furono finalmente liberi di lasciare l’Abbazia del Roseto. 

Meli abbracciò Jonah più a lungo del necessario. Era come un fratello per lei, ed era sinceramente sollevata che fosse ancora tutto intero. Gli promise di tornare presto con l’olio antiparassitario per lui e i suoi confratelli. Rosso in viso, il giovane monaco li ringraziò con ardore; al sobrio cenno di capo di Logan, Jonah rispose con uno sguardo così intenso che a Meli fu improvvisamente chiaro come mai il giovane monaco non avesse mai chiesto in sposa sua sorella Lila.

Se ne andarono ricoperti di crocifissi, medagliette con inciso il profilo di Santa Rosa e una notevole aggiunta ai loro portafogli: Logan sotto forma di pagamento opportunamente contrattato; Meli con un pagherò e un acconto anticipato per un ordine di olio antiparassitario sufficiente a trattare tutti i monaci dell’Abbazia per i tre mesi a venire. Ordine che avrebbe riempito le tasche della botanica del denaro sufficiente per superare indenne la stagione invernale.

E il suo zaino? Alla fine si scoprì che una novizia affamata rovistava nei bagagli di tutti i nuovi arrivati alla ricerca di cibo. Meli, dopo tre giorni di pane raffermo e polenta insipida, non poté biasimarla. Chissà che qualcuno si impegnasse a migliorare il sistema di distribuzione del cibo all’interno dell’Abbazia, ora che la Badessa era… andata.

Mentre scendevano la scala intagliata nella roccia, Meli pensò che, tutto sommato, per quanto quell’avventura non fosse stata affatto quella che si aspettava, si era rivelata un ottimo risultato per tutti - bè, non per chi ci aveva rimesso la pelle, ovviamente. Allora perché non riusciva a scrollarsi di dosso questa sensazione spiacevole? Il presentimento di dramma incombente, come prima di una frana, o di un nubifragio? Meli preferì non indugiare troppo sulle possibili implicazioni di quella sensazione. Si strinse nel suo mantello da viaggio e continuò a guardare dove mettere i piedi per non scivolare dai gradini di pietra.

Una volta al sicuro nel sentiero del bosco, Logan aveva recuperato la sua spada - era rimasto in uno stato di ansia nervosa finché non l’aveva ritrovata a fondovalle, ancora conficcata nella carne morta del mostro, la cui carcassa era al momento sorvegliata dalla guardia cittadina - e insieme avevano proseguito per Aroi, un anonimo paesino alla base del Monte Osau e da dove, se provvisti di una buona diottria, si poteva ancora ammirare il complesso dell’Abbazia incastonata su in alto nella roccia.

Meli inspirò l’aria deliziosamente fredda di settembre. Il faggeto cominciava a mostrare i primi timidi segni dell’autunno: il sole filtrava dalle fronde di foglie ancora verdi, creando giochi di luce sul sentiero di terra battuta; il sottobosco profumava di funghi e di promesse di pioggia. Presto si lasciarono alle spalle il vociare dei soldati di guardia e camminarono immersi in un piacevole silenzio. Meli, con gli occhi pieni della bellezza del bosco e nel naso il profumo dell’humus, si sentì di nuovo nel suo elemento naturale.

“Non avresti dovuto farlo” disse Logan dopo un po’.

Meli si riscosse dal suo stato di amena contemplazione e lo guardò; vide che la sua mano si era posata sulla pistola. “Ma se mi hai detto tu di sparare!” si lamentò la donna.

L’ammazzamostri sbuffò. “Dopo, intendo; non avresti dovuto venire a prendermi”.

“Ah. Avrei dovuto lasciarti morire?”.

Logan non rispose. Guardava fisso davanti a sé con espressione indecifrabile.

A Meli non piacque quello sguardo serio, e preferì tornare in un territorio in cui si trovava più a suo agio. “Certo, dovrò rivalutare la questione del pagamento; eri tu pagato per salvare me, non il contrario” lo stuzzicò.

Lui non rise. “Tu non mi hai pagato un accidenti; l’accordo era di fare fuori il fantasma dell’Abbazia; e la Badessa avrebbe dovuto pagarmi 500 navok per il disturbo”.

“Anche se temo che ora la Badessa sia impossibilitata, mi sa che hai ragione” cedette lei, troppo di buon umore per battibeccare. “In ogni caso, un grazie sarebbe sufficiente”.

“... grazie” disse lui, stupendola. In quel momento, Meli seppe che non era una parola che usciva spesso dalle sue labbra.

Camminarono in silenzio per qualche minuto. Poi a Meli venne in mente una cosa importante. 

“E comunque, perché non ti sei sciolto?” gli chiese.

“Che?”.

“Il veleno di Parassita è acido. Avrebbe dovuto corroderti la carne nel punto in cui ti ha colpito, ma ti vedo tutto intero”.

“Ah. Camicia di crini di unicorno, tessuta dalle fate” rispose Logan, sollevando il colletto della camicia nera che indossava sotto il farsetto.

Meli si inalberò. “Cos…? Primo: la prossima volta avvisami che sei provvisto di tali risorse, così io evito di perdermi dieci anni di vita a preoccuparmi per te”.

Logan sollevò un sopracciglio.

“E secondo” continuò Meli, abbassando il tono, “dove l’hai comprata? Perché io la cerco da, tipo, anni”.

Fu così che Meli venne a conoscenza di una certa spacciatrice di artefatti magici che Logan conosceva a Sestoi, e si fece promettere una camicia come quella a prezzo stracciato, e guai, guai a lui se si fosse dimenticato. 

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Capitolo 9
*** Alla Prossima ***


Alla Prossima

Aroi era un paesino come ce n’erano mille altri sulle pendici delle montagne della Catena Bianca: una manciata di casette di legno e pietra aggrumate attorno alla chiesa e all’unica tavola calda; una fontana al centro della piazza rotonda e orde di bambini malconci che giocavano a lancialazo. 

Meli e Logan arrivarono nel pomeriggio, e la prima cosa che fecero - un’abitudine troppo forte per entrambi - fu controllare la bacheca di paese: in quel periodo, i volantini di Cercasi Ammazzamostri erano quasi pari al numero di Cercasi Bambino Scomparso. Logan staccò un paio di volantini e se li infilò sotto il mantello. Meli osservò le faccette dei ragazzetti tratteggiate a carboncino e sospirò.

La bacheca era proprio di fronte alla tavola calda; Meli entrò e salutò la proprietaria, la signora Bruna, una splendida semidriade di sessant’anni che ne dimostrava almeno venti di meno. Dalla Bruna, come tutte le osterie gestite da semidriadi, aleggiava un perenne profumo di resina e abete rosso. Ed era pieno di gente, ovviamente: le driadi offrivano solo il vino migliore e avevano un istinto naturale per l’ospitalità. E, trovandosi ad un crocevia di passaggio per i foresti che arrivavano da oriente risalendo le valli da Porto Venia, Dalla Bruna era un posto niente male dove fare affari.

Meli ordinò tre pinte di sidro e scelse il solito tavolo, il più vicino alla finestra. Si sedette ad aspettare il suo cliente con un certo nervosismo. Logan, al suo fianco, stava scandagliando gli avventori del locale.

Quel giorno di foresti ce n’erano eccome. Al bancone, un pastore con calzoni di lana e bretelle stava agitando per aria un volantino, discutendo con un bardo e una maga vestita di rosso. Alla loro sinistra, un manipolo di guardie cittadine - lì, probabilmente, per il Parassita - sbevazzava vino facendo un gran baccano, i visi sempre più paonazzi sopra le giubbe gialle d’ordinanza. Vicino alla porta delle cucine due ragazzine semidriadi, scure di pelle e dai lunghissimi capelli color foresta, ridacchiavano e si tiravano gomitate indicando gli avventori.

La cameriera portò loro il sidro. Meli la ringraziò; la giovane ricambiò con gran sorriso di denti neri, tipico delle sua specie. Aveva lunghi capelli verde abete, e la pelle dello stesso colore delle castagne mature. Una mezza driade. La Bruna non si faceva tanti problemi a slevare bambine, pensò Meli. Dopotutto, facevano bene al suo business: le driadi lavoravano sodo e avevano l’istinto imprenditoriale nel sangue. 

La porta dell’osteria si aprì, e Meli si mise sull’attenti. Il suo cliente era arrivato.

***

Meli non era una ragazzina. Non lo era da parecchi anni, anche. Ma quando Si-woo fece il suo ingresso e guardò nella sua direzione, la botanica sentì le gambe molli e un improvviso senso di eccitazione annodarle la pancia. Alzando gli occhi al cielo, cercò di mantenere un’apparenza di compostezza.

“Datti un contegno” commentò Logan asciutto, ma Meli registrò il malcelato divertimento nella sua voce. 

“La fai facile tu, che ti sei scolato una pozione Antifascino” gli bisbigliò di rimando.

“Si chiama essere preparati". 

Meli si morsicò l’interno della guancia. Riteneva di avere abbastanza forza d’animo da non aver bisogno di un intruglio magico per quella specifica trattativa. Sperò di aver ragione.

Si-woo la notò e si avvicinò al tavolo. Guardandolo Meli non ebbe più dubbi: sentì mancarle il fiato e il cuore rimbombarle nelle orecchie. Gli occhi del suo cliente erano neri, arcuati a mandorla, e lisci capelli azzurri tagliati corti gli incorniciavano un viso che pareva scolpito nella porcellana dagli angeli stessi. Era vestito con un mezzo mantello color cenere tenuto chiuso sulla spalla da una spilla con un cristallo di un’acquamarina grosso come una noce. Sotto il mantello Meli intravide un impeccabile completo color cielo con ricami in fili d’argento e pizzi di un bianco accecante. Il suo aspetto, la sua andatura, la sua espressione: tutto in lui trasudava lusso e ricercatezza.

Maledette sirene e il loro Canto.

“Buongiorno, Meli. È un piacere” disse la creatura, avvicinandosi al tavolo a cui era seduta con Logan. La sua voce era bassa, musicale, e dolce come miele.

“... parliamone” esalò lei sforzandosi di sorridere, gli occhi fissi sui ciuffi azzurri meravigliosamente disordinati. “Benvenuto, Si-Woo. Accomodati”.

Si-woo si sedette in un unico elegante movimento. I suoi modi aristocratici stonavano contro gli interni caldi e legnosi dell’osteria di montagna. Era chiaro come il sole che era solito frequentare altri giri.

“Lui è l’ammazzamostri” lo presentò Meli. Si-woo e Logan si squadrarono con diffidenza.

La donna si impedì di roteare gli occhi al cielo e, visto che quei due avevano deciso di saltare i convenevoli, andò dritta al punto. “Molto bene. Si-woo, ho qui quello che hai chiesto” tagliò corto, cercando di ignorare la sensazione calda e languida che le lambì il cervello quando la sirena tornò a guardare verso di lei, “e sai meglio di me che non puoi usare il Canto. Ti ricordo che è vietato dal Trattato delle Specie utilizzare il Canto nelle transazioni commerciali”.

Il viso perfetto di Si-woo non si scompose. “Oh, giusto. Abitudine”. Sbatté due volte gli occhi.

Fu come se un ronzio si fosse spento nelle orecchie di Meli. Il vociare dell’osteria si alzò di volume, il colore del sidro sul tavolo si fece più sgargiante, i contorni più nitidi. La donna prese una boccata d’aria. Si sentiva di nuovo in sé.

Il viso di Si-woo era ancora splendido, ma senza il Canto era ora possibile notare che esibiva i tipici tratti da sirena di sangue puro: orecchie semitrasparenti a tre punte; branchie verticali sul collo; dita lunghissime e affusolate sfumate di verdeazzurro. Le sirene erano discreti mutaforma, e potevano cambiare aspetto a piacimento - con coda di pesce, ali di uccello o gambe umane a seconda delle necessità - seppur mantenendo sempre alcuni tratti tipici della specie. 

“Duecento per cento occhi, essiccati e stregati come al solito” cominciò Meli, pratica.

“Duecento? Ma… ”

“Mia sorella le ha stanate, uccise e decapitate personalmente, queste salamandre. E non ti sto rifilando schifezze della stagione scorsa. Sai quanto è piccola e veloce una salamandra?”

L’uomo-sirena non trovò utile replicare alla domanda retorica della botanica. I suoi occhi neri erano indecifrabili sul bel viso di porcellana.

“Duecento. Prendere o lasciare” disse la donna.

La sirena la fissò a labbra strette. Il suo fascino sovrumano vibrava di un aurea pericolosa, soprattutto se esacerbato dall’utilizzo del Canto, l’arma per eccellenza delle sirene: un rilascio di sostanze chimiche nell’aria che altera i sensi e rende le sirene irresistibili agli occhi di chi le guarda. Meli sospettò che l’uomo-sirena fosse molto tentato dall’idea di utilizzarlo di nuovo per farla cedere e ottenere un prezzo più basso. La donna non abbassò lo sguardo.

Ma Si-woo non usò il suo potere, e il momento di tensione passò, scivolando via come un’onda sui ciottoli. “Duecento sia” concesse controvoglia la sirena.

Meli rilasciò un respiro, sollevata. Lo scambio di merce e denaro avvenne in fretta e con discrezione.

Quando Si-woo si alzò e uscì dall’osteria, Meli riprese a respirare correttamente. Il Canto la lasciava sempre sottosopra, con una gran fame e un odioso mal di testa. Perché gli incontri con le sirene dovevano essere così stressanti?

Meli lanciò un’occhiata fuori dal vetro opaco della finestra. Era pomeriggio inoltrato. Non aveva senso rimettersi in cammino ora. Ordinarono due piatti per la cena e si accordarono con la Bruna per due stanze per la notte.

“A cosa servono gli occhi di salamandra?”

Meli si infilò in bocca una cucchiaiata di zuppa di funghi prima di rispondere. Si aspettava questa domanda. Era nel giro abbastanza a lungo da sapere qual era la più importante abilità di un ammazzamostri: la preparazione. Conoscere le capacità e i punti deboli di ogni nemico, ogni mostro, ogni erba, ogni specie e ingrediente: era la conoscenza dei dettagli che faceva la differenza tra un ammazzamostri capace e un ammazzamostri morto.

Meli finì di masticare il boccone flaccido e ingollò mezzo bicchiere di sidro. “Le sirene mangiano occhi di salamandra essiccati per allungare il tempo che possono passare fuori dall’acqua”.

“Come funzionano?”

Meli si strinse nelle spalle. “Immagino sia perché la salamandra è un anfibio, e quindi le sirene ottengono la capacità degli anfibi di respirare anche l’aria? Le bestie non sono il mio settore, quindi non so i dettagli tecnici; Lila me li procura, Thalia me li incanta, e io li vendo - con l’adeguato sovrapprezzo”.

“Lila è tua sorella? Una cacciatrice?”

“Sì. Botanica e cacciatrice; mi procura occhi di salamandra, code di bisso galeto, pelle di anfisbena, piccoli di axolotl… cose così. È giovane, ma si sta facendo un buon giro di clienti. Ed è un lavoro che le lascio volentieri: io ho già passato abbastanza giorni della mia vita immersa fino alle ginocchia nelle paludi giù a valle, in cerca di rospi smeraldo e tritoni a due teste, e a farmi divorare da pappataci grossi come mele. Mai più, grazie”.

“E com’è?”

Meli si stupì del tentativo di continuare la conversazione. “Lila? Eeh. Un tipo. Particolare. Solitaria, perlopiù”. Fece una pausa. “Andreste d’accordo, adesso che ci penso: stessa scarsa capacità interpersonale”.

Logan ignorò il commento, rimuginando in silenzio. “Botanica e cacciatrice” dissi infine. “E tu hai un negozio. Vi siete organizzate un bel business”.

“Non ce la passiamo male” concesse Meli con falsa modestia.

Logan annuì, e Meli si aspettò un’altra domanda intelligente. Per questo si ritrovò senza parole quando l'ammazzamostri invece le chiese: “Chi non ti ha invitato a ballare all’ultima Festa della Transumanza?”.

“Che?”.

“Lo hai detto all’imp la notte in cui lo abbiamo catturato. È una risposta troppo specifica per essere casuale. Chi non ti ha invitato?” chiese l’ammazzamostri con un sommesso tono irriverente che Meli non gli aveva mai sentito usare prima.

Meli spalancò la bocca, colpita in pieno nel suo orgoglio ferito. Stava ridendo di lei, il maledetto. “Oh, questi decisamente NON SONO fatti tuoi”.

Logan le chiese se prevedeva di andare a breve ad altre sagre di paese e Meli gli tirò una mollica di pane; battibeccarono per il resto della cena, e poi, con espressione imbronciata ma in realtà di buon umore, andarono a riposare nelle rispettive stanze. 

Meli, sdraiata a letto ma troppo stanca per dormire, passò la serata ad ammirare la Rosa Eterna che aveva rubato all’Abbazia quando tutto era ancora in soqquadro. Era la cosa più bella che avesse mai visto. I petali bianchi perfettamente a cuore raccolti in un grosso bocciolo, le foglie seghettate a gruppi di cinque, e il profumo, oh, quel profumo… Era perfetta. Meravigliosa. Non vedeva l’ora di farne una talea e tentare di riprodurre la specie nella serra di casa. 

Con la testa piena di petali di rosa e di risposte sagaci che avrebbe potuto rifilare a Logan alla prossima discussione a tema di sagre, Meli soffiò sulla fiammella della lanterna ad olio e si mise a dormire.

***

Il Parassita bruciava. Il suo vomitevole odore dolciastro si infilava nelle narici e si incastrava in gola, facendo tossire e lacrimare chiunque si trovasse a meno di cento metri di distanza da quel disgustoso falò. Ma era la prassi: i resti di Parassita venivano sempre dati alle fiamme per scongiurare ulteriori trasmissioni del germe. 

Meli e Logan passarono la mattina seguente a risalire verso il Passo delle Due Sorelle - così chiamato per la forma delle due montagne identiche che lo sovrastavano, incurvate fino quasi a toccarsi - e osservarono la colonna di fumo innalzarsi dagli alberi con un miscuglio di sentimenti contrastanti. 

Meli pensava all’olio antiparassitario che doveva preparare in fretta, per mettere al sicuro Jonah e i suoi confratelli; alla fatica estenuante, fisica ed emotiva, che era stato quel breve viaggio all’Abbazia; alla strana personalità dell’imp, demone desideroso di compagnia romantica in un luogo pieno di frati poco furbi. Infine, pensava ai mostri e a tutte quelle cose che apparivano senza senso, ma un senso, da qualche parte, dovevano pur avercelo. 

E Logan? Non aveva idea di cosa stesse pensando Logan. La sua faccia aveva l’espressività emotiva di un ceppo di legno.

Presto si lasciarono il fumo alle spalle. Stavano camminando nel bosco da quasi un’ora, quando Logan afferrò Meli per la spalla bloccandola sul posto.

“Che…?”

Lui fece cenno di non parlare. Aveva gli occhi immobili e opachi: stava ascoltando. Meli aguzzò le orecchie a sua volta. Dopo un po’, attutite dagli alberi, udì due voci.

“È una spacciatrice, ti dico” disse la prima, profonda, voce maschile, “l’ho vista alla taverna parlare con quella sirena e fare uno scambio”.

“Come sai che ha lei il sangue di drago?” replicò la seconda voce, alta e ariosa, di un uomo più giovane.

“Non lo so; ma dev’essere lei; una botanica, hanno detto, che viaggia con un ammazzamostri dall’aspetto strano. E quel tizio era strano di sicuro”. 

“È pieno di gente che gira con la scorta in questo periodo” commentò la voce più giovane.

“Sono questi due, me lo sento. E poi sono troppi soldi per non tentare”.

Logan e Meli si scambiarono uno sguardo silenzioso. Uno scoiattolo corse rapido sopra di loro facendo cadere il suo bottino di ghiande. A quel rumore, le voci divennero bisbigli appena udibili. “Stai giù: stanno arrivando” sussurrò la prima voce. 

La mano di Logan scivolò giù dalla spalla di Meli fino ad afferrarle l’avambraccio; la tirò indietro con delicatezza e per invitarla seguirlo fuori dal sentiero.

Si allontanarono a passi lievi, creandosi un percorso alternativo tra le felci del sottobosco. Salirono verso la montagna fino a trovare un secondo sentiero, meno battuto, e camminarono senza parlare finché non furono a diversi chilometri di distanza, certi che nessuno li avesse sentiti o seguiti.

“Ti stanno cercando” disse Logan con voce bassa e feroce. Guardando la sua espressione in quel momento, Meli si disse che quei presunti ladri erano stati fortunati a non incrociare le lame con quello specifico ammazzamostri dall’aspetto strano.

“Ma perché?” ribatté la donna. “Non ho sangue di drago con me. È introvabile da mesi, lo sanno tutti”.

“Qualcuno pensa che tu ce l’abbia. E parlavano di soldi”

“Bé… il sangue di drago si rivende molto caro in questo periodo. Non mi sorprende che siano in molti a cercarlo - anche illegalmente”.

“Parlavano di una botanica, però”.

“Una botanica scortata da un tizio strano”.

“Particolarmente specifico”.

“Troppo specifico”.

Senza smettere di camminare, si squadrarono a vicenda. Ma senza informazioni aggiuntive, quella conversazione non sarebbe andata da nessuna parte.

“Non mi piace” concluse Logan.

“Nemmeno a me” sospirò la donna. Il pensiero di Meli corse alle sue sorelle. Anche per loro c’erano persone misteriose in agguato dietro agli alberi?

Seguì un breve silenzio meditabondo.

“Tra poco sarà notte” mormorò Logan, scrutando le fronde sopra di loro. “Con un po’ di fortuna, quei due mentecatti li ammazzerà il troll”.

Meli pensò che Logan aveva l’aria di uno a cui avrebbe fatto piacere risolvere la faccenda personalmente, ma non indagò oltre. Con una brutta sensazione addosso, Meli accelerò il passo. Doveva scrivere alle sue sorelle.

***

“Ciao stròpolo”. Polpetta, il gatto, la guardò senza espressione, si alzò dal suo cuscino, si stiracchiò, le strusciò il muso contro la mano tesa e poi tornò a dormire.

Dopo un giorno e mezzo di viaggio e nessun ulteriore incidente di percorso -  avevano trovato altre impronte di troll e la stessa maledetta lumaca gigante che avevano incrociato all’andata, ma erano piccolezze in un periodo come quello - erano finalmente arrivati al negozio di Meli a Pecul, l’Emporio di Erbe e Pozioni di Zia Fernanda.

Meli respirò l’aria di casa con soddisfazione. Zeno era stato impeccabile come sempre, e tutto era in ordine, dai vasi di erbe agli scaffali pieni di libri e pozioni imbottigliate. C’era nell’aria profumo di salvia e candele bruciate. 

Meli si liberò dello zaino e tirò fuori la Rosa Eterna. La porse a Zeno, che la guardò con i suoi enormi occhi gialli. “Prendila” gli disse.

Il ragazzino-lucertola scattò verso il fiore, lo sollevò con delicatezza religiosa e lo studiò con la stessa adorazione viscerale di Meli. Il ragazzino borbottò qualcosa nel suo dialetto kon.

“Certo che ci faremo le talee” rispose Meli.

La coda squamosa del ragazzino vibrò di eccitazione. I suoi occhi, se possibile, si fecero ancora più grandi.

“Portala di là; poi ci lavoriamo” gli disse, soddisfatta del suo entusiasmo.

Il ragazzino, camminando piano e tenendo alta la rosa come una sacra reliquia, sparì nel retrobottega.

Una volta soli, Meli sospirò e si girò verso Logan.

“Ebbene, ammazzamostri”.

“Ebbene”.

“Di nuovo, sei licenziato, è stato un piacere e tutto il resto”.

“Di nuovo, non mi hai assunto; mi hai fatto una soffiata e per poco non ci lasciavamo la pelle tutti e due”.

“Sono lieta che tu ti sia divertito quanto me”.

Seguì un silenzio strano, che non era imbarazzato, né divertito. Era un silenzio… diverso. Meli e Logan si guardarono, pronti a lasciarsi ma in qualche modo indecisi su come procedere. Infine, Logan si schiarì la voce.

“Resterò in zona. Se avrai… altri lavori per me, mi troverai a Berg”.

Aveva una voce strana. Come se non fosse proprio quella la frase che aveva voluto dire. 

“D’accordo” disse Meli. “Quando avrò qualcosa per le mani, ti farò trovare. Siamo una squadra che funziona, dopotutto” aggiunse, cauta.

Logan la squadrò senza espressione. “Non sei male”.

Meli spalancò gli occhi. “Scusami? Non sono male? E il nekorai? E il Parassita? E la maledetta Succube?”.

“... colpi di fortuna?”.

Meli notò il tono leggero, ma scelse comunque di sentirsi profondamente offesa. “Non ti permettere mai più. E adesso fuori di qui, che devo preparare olio antiparassitario a barili visto che, checché tu ne dica, la nostra missione si è rivelata un successo oltre le più rosee aspettative”.

L’ammazzamostri si avviò verso l’uscita del negozio. La campanella stava ancora tintinnando quando Meli aggiunse: “E aspetto quella camicia”.

Logan, con già un piede fuori dalla porta, si voltò appena. “Te la porterò. Per la tua bellezza mozzafiato, e la tua incredibile personalità”.

Meli strinse gli occhi a fessura. “Stavo aspettando che mi facessi pagare anche questa. E adesso sparisci”.

Nonostante il profilo scuro contro la luce accecante dell’esterno, Meli notò un guizzo irriverente piegare l’angolo della bocca dell’uomo. Non un vero e proprio sorriso, ma stavolta ci andava vicino. “Ciao Mel. Alla prossima”.

L’attimo dopo la porta si chiuse e Meli rimase sola a rinnovare mentalmente il suo disgusto per gli uomini troppo perspicaci. Anche se, maledizione a loro, avevano un buon odore. 




 

THE END. FOR NOW :D




 

Spazio dell’autrice

I capitoli di chiusura sono sempre più difficili degli altri. Ma eccoci qui, e anche questa avventura è finita. La prossima è in fase di ricerca-analisi-fabbricazione, e non vedo l’ora di condividerla con chiunque avrà il piacere di leggerla. Chi riesce a indovinare quale sarà il tema? Ci sono indizi grossi come marroche dappertutto :D

Chi ha letto Aconito potrebbe aver avuto un singulto alla menzione del sangue di drago (_Alcor? Krisma? Tutto ok? :D) e il rapporto tra i nostri due protagonisti si costruisce più lento di un k-drama.

Ma adoro scrivere di questi due, e prevedo grandi cose, grandi cose davvero. Grazie a tutti quelli che seguono, e grazie doppio a tutti quelli che commentano (e non ce li mettiamo i nomi? Ce li mettiamo: Marthanoia, SwanXSong, OldFashioned e le già citate Krisma e _Alcor): scrivere è un hobby solitario, ma sapere di scrivere per qualcuno ripaga di tutta la fatica e l’impegno che si instilla nelle nostre piccole storie.

Grazie di cuore.

Emma

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