Avversi

di blackjessamine
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Storie scritte a metà ***
Capitolo 2: *** Tutta colpa di Proust ***
Capitolo 3: *** Mare antipiretico ***
Capitolo 4: *** Respiri di nebbia ***
Capitolo 5: *** Sgoccioliamo grigio ***
Capitolo 6: *** Intermezzo ***
Capitolo 7: *** Geografia confusa ***
Capitolo 8: *** Sentire sul viso lo stesso sorriso ***



Capitolo 1
*** Storie scritte a metà ***


Prompt 1: occhi





 

Storie scritte a metà





 

Avevamo gli occhi a specchio, sai? Ciglia lunghe, mani in tasca, e tutti i giorni snocciolati fra schermi e parole scritte che non ci sono mai bastati.

La nostra è una lettera d’addio, e la comincio al contrario, partendo dal distacco, anche quando avrei voluto cominciare dall’inizio. Avrei voluto seminare i rimpianti, dipingere quello che avrebbe potuto essere e non è stato, ma mi resta solo un finale.

Un finale a cui non so mettere una firma, e allora mi aggrappo a quegli occhi a specchio, sperando che una lettera possa trasformarsi in una poesia e in qualche modo fare un po’ meno male.

 

Avevamo gli occhi a specchio, ma le mattine di gennaio a Milano non hanno tempo per gli sguardi timidi: vorrei dire che ricordo tutto ciò che abbiamo detto (e anche quello che non abbiamo detto, ché il silenzio ha macinato minuti e ore), ma ricordo solamente le mie scarpe troppo leggere e il freddo e le dita dei piedi che cercavo di muovere incessantemente per non perdere sensibilità.

 

Non ti ho mai chiesto cosa ricordi tu. 

Forse non ricordi.

Il mio petto pieno di respiri che non riuscivo a vivere fino in fondo.

 Il cappotto col doppio petto e i bottoni di bronzo.

I capelli tagliati corti, io che i capelli li avevo sempre portati lunghissimi e non mi capacitavo di come la tua sola immagine di me potesse essere quella di un taglio di capelli che si nasconde tutto sotto un berretto rosso.

Il capolinea della metropolitana, e i minuti che ho passato piangendo e sperando in un viaggio che ci regalasse altro tempo.

 

È stupido collezionare immagini storte. È stupido pensare che avrei potuto far poesia con premesse così legate all’asfalto, ma ho finito il tempo per le stelle.

Ho finito il tempo per le storie scritte a metà, per una storia che forse ho sempre scritto solo io. 

 

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Capitolo 2
*** Tutta colpa di Proust ***


prompt 2: permesso





 

Tutta colpa di Proust

 

Ho iniziato dalla fine, e ora provo a riavvoltolarmi su me stessa (te lo ricordi? Ti ricordi di quella notte che è stata solo un avvoltolarsi e riavvoltolarsi, a dispetto dei dizionari e in barba a Sartre? Io non ricordo nemmeno se la colpa fosse di Sartre, che del resto ho letto poco. Forse era tutta colpa di Proust, che invece non ho letto affatto, o chissà, magari non si è mai trattato di letteratura francese. Si è trattato di un concetto, e della mia idea di di prendere un concetto ed esplorarlo avvolgendomi su me stessa, e tu mi hai ascoltato e hai letto i balbettii che poi ho cancellato, ed è stato come imparare a camminare sapendo di non poter cadere) e trovare il bandolo della matassa e cominciare dal principio. 

È iniziato tutto con un mazzo di chiavi (il mio, quello che perdevo sempre – lo perdo ancora, ma adesso sono diventata brava a ritrovarlo da sola) e con quel tè che neanche era buono bevuto in stazione Centrale (non è vero, sai benissimo quale fosse la stazione, ma se dobbiamo giocare al gioco della narrativa, qualche bugia possiamo concedercela). 

Ricordo ancora il messaggio che ho scritto a metà, lamentandomi solo delle chiavi smarrite  e del tempo che avrei dovuto trascorrere fuori casa. Un messaggio gettato al vento.

Un seme.

E ricordo ciò che è stato dopo, il calore nel petto davanti a una risposta che non c’è bisogno di ricordare.

Un seme al vento talvolta trova un angolo di mondo in cui germogliare, e lo fa senza chiedere il permesso. 

Io non l’ho chiesto, il permesso. Non l’ho chiesto quando ho cominciato a sperare, né quando quel vorrei essere con te si è trasformato in un sussurro in fondo alla mia testa, non l’ho chiesto nemmeno quando ho cominciato a parlare con la tua voce. 

Tu il permesso lo hai chiesto sempre. Anche quando mi hai lasciato con il vuoto sotto i piedi, ed è stato come cadere sapendo di non essere in grado di camminare.

Come sempre, non ho smesso di avere il singhiozzo. 

Rigurgiti lunghi di parole aggrovigliate come fili in un cassetto, getti irregolari che improvvisamente terminano.

Non chiedo il permesso per cominciare a singhiozzare, non lo chiedo neanche per smettere di farlo.

Tu mi hai sempre perdonata. E poi mi hai chiesto il permesso di smettere.

 

Il singhiozzo oggi ha un’altra forma. 

 

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Capitolo 3
*** Mare antipiretico ***


prompt 3: cura






 

Mare antipiretico




 

Ottobre è il mese giusto per parlare del miele e del limone e della gola che brucia per la febbre e per le lacrime.

Non so andare d’accordo con i numeri, ma potrei dire di aver contato gli anni attraverso i malesseri stagionali. Anni invisibili e anni frammentati in tossi e raffreddori e substrati di un malessere che di fisico ha solo la sua manifestazione ultima. Anni in cui il miele e il limone hanno avuto il sapore della tua mano sulla fronte e della tua risata, perché ti fidavi più dei tuoi palmi che di un termometro, e tanto alla fine la febbre io non ce l’avevo mai. 

Ottobre è il mese dei miei raffreddori presi in aereo, sempre puntuali, quelli curati con le tue prescrizioni di passeggiate sulla spiaggia che forse non sono una medicina ma sicuramente con voi milanesi funzionano più di una Tachipirina, dicevi. 

Ora la spiaggia significa solo vacanza, non è più una quasi-casa a cui tornare quando decidevamo che una relazione a distanza è più bella se ci si incontra. Che poi, fa quasi ridere pensare che una relazione a distanza è tale quando la distanza non è fatta di chilometri, ma di risposte rimandate e come va tutto bene tu che fai niente. Pensavamo di essere immuni a questo malessere indolente, ma non abbiamo saputo trovare nessuna cura. 

Niente miele, niente limone.

Nessuna passeggiata, non un palmo sulla fronte.

 

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Capitolo 4
*** Respiri di nebbia ***


 

prompt 4: ora blu




 

Respiri di nebbia





 

Quando ci siamo conosciuti, avevo vent’anni e i polmoni pieni di nebbia. 

La nebbia dei racconti, quella che mia nonna mi costruiva con la voce roca e gli occhi persi in un passato che io non ho mai saputo vedere. 

Avrei voluto parlartene, e invece tacevo e mi sporcavo le dita d’inchiostro scrivendo pagine e pagine e pagine che poi buttavo via perché non valevano niente, tanto erano piene di me e nient’altro. 

La nebbia che abbiamo respirato insieme aveva smesso da tempo la bellezza di un racconto: era solo un velo disordinato, uno sbuffo indeciso, pioggia troppo leggera per bagnarci davvero. Nebbia come un sospiro stanco, un velo sporco steso ad annegare il crepuscolo e cancellare con l’indifferenza ogni linea netta. Non abbiamo avuto una luce clemente, abbiamo avuto una storia nata al crepuscolo di un’ora blu coi colori spenti. Mattine lunghe che ho riempito con più suoni di passi che parole, le passeggiate in città dove diluire ansie non dette e disperazioni mediocri: le mie lezioni all’università erano solo una susseguirsi di assenze, i tuoi passi avevano la fretta scomposta di chi fugge anche senza sapere da cosa. Non ce lo siamo mai detto. Tu parlavi di foglie di lattuga e mandarini, io spezzavo il silenzio con bugie pallide come la mia nebbia, ma nelle gambe avevamo sempre lo stesso passo.

 

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Capitolo 5
*** Sgoccioliamo grigio ***


prompt 5: bianco





 

Sgoccioliamo grigio





 

Non c’è mai stato niente di bianco, per noi.

Strade sporche, nebbia grigia, colori sbiaditi e poi sempre  più carichi in corrispondenza dei picchi più alti della nostra altalena. La nostra, che poi era tua, su cui io sono salita e a cui mi sono tenuta aggrappata anche quando sono rimasta da sola. 

 

Non c’è mai stato niente di bianco, per noi, ma lo sporco lo abbiamo usato per disegnarci in faccia i contorni che avremmo voluto vedere: un gioco di maschere e riflessi, abbiamo affondato le mani nella buona fede e poi chiuso gli occhi, credendo davvero che i nostri tratti malfermi sarebbero bastati. È un gioco in cui io sono sempre stata più brava, e anche adesso continuo a giocare: nel silenzio, continuo a parlare con la tua voce, mi rispondo e mi faccio domande, discuto come forse non abbiamo mai fatto, ed è forse tutto lì, il bianco che abbiamo avuto.

E poi mi chiedo se, qualche volta, davanti a una nebbia inaspettata o a quel film che non volevi vedere ma di cui ti ho parlato, anche tu ricominci a giocare. A coprire il presente con una mano di bianco – non dura mai, lo sporco è sempre più forte, è una promessa – e a parlare con la mia voce che forse non ho mai avuto. 

Forse no.

Forse il tuo sguardo è sempre stato troppo ampio, incapace di restare incollato a un avvoltolamento che non fa bene a nessuno.

 

Talvolta, però, sono certa che il bianco ci avrebbe resi migliori. 

 

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Capitolo 6
*** Intermezzo ***


prompt 6: salsedine




 

Intermezzo




 

Lo spazio

lo prendo fra le dita

scavando

– blocchi di sale, non sono lacrime –

 

Erano corse

con passo lento

e poi un tuffo

un grido

– di gioia, paura, leggeri –

occhi aperti sotto l'acqua

il sale è un comun denominatore.

 

Era

sulle 

labbra 

 

(lacrime)

 

un bacio.

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Capitolo 7
*** Geografia confusa ***


prompt 7: sud





 

Geografia confusa




 

Abbiamo sempre avuto una geografia tutta sottosopra, fin da quando tu sei salito e io sono scesa e ci siamo incontrati nello stesso punto, ridendo del mio treno sempre in ritardo e di tutti i passeggeri di quel treno che dicono di andare su a Milano e del mio andare da basso che tu personificavi. 

E poi sono stata io a scendere per davvero, a raccontarti dei miei ricordi di bambina tutti sfocati, di quei semi di mela piantati per caso e del germoglio che per anni mi ha stuzzicato il pensiero fra lo stupore e il senso di colpa. 

E poi c’è stato il tuo mettere ogni cosa sottosopra, sovvertire ogni punto di riferimento e cambiare tutti gli orizzonti possibili per inseguire sogni in cui per me non c’era posto. Non c’era posto ed era giusto così, ma io con la testa sotto i piedi non ho mai saputo camminare, e forse è stato quello il momento in cui ho cominciato a passare sempre più tempo a  fissarmi la punta delle scarpe e a domandarmi che futuro avrebbe potuto esserci fra il mio bisogno di un sole di mezzanotte tutto l’anno e il tuo costante rifugiarti in Paesi dalle notti eterne. Stesso luogo, momenti diversi, io quelle strade le ho calpestate in anticipo ma già immaginando di sentire le tue labbra accostate all’orecchio. Tu le hai vissute in ritardo, me l’hai detto a conti fatti, mi hai lasciato con un pugno di righe scritte male e la costante sensazione di aver passato anni a scrivere di personaggi vivi solo nella mia testa solo per il disperato bisogno di far breccia nel tuo silenzio. 

E sì, mi decido a lanciare accuse, ad abbracciare la mia rabbia e a rinfacciarti che sì, stare accanto a me è difficile, ma in fondo siamo specchi, e ciò che viene difficile a te, viene difficile anche a me. Che mi fa male sapere del tuo rivoltare cartine geografiche con una scrollata di spalle, del tuo dire e non dire, chiedere  e poi sparire e trovare sempre tempo per qualcun altro.

Domani sarà il giorno dei miei sensi di colpa. 

Oggi lancio accuse.

 

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Capitolo 8
*** Sentire sul viso lo stesso sorriso ***


 

prompt 8: cielo terso




 

Sentire sul viso lo stesso sorriso



 

Ieri ho lanciato accuse, oggi invece schiaccio sotto i tacchi i sensi di colpa. 

Miei, tuoi, li lascio cadere tutti come coriandoli in un giorno di pioggia per vederli perdere colore e farsi parte della strada.
Sensi di colpa come gradini per poter camminare un po’ di più, per guardare il sole e respirare e sentirsi un po’ più vicini a un cielo tanto terso da far male. 

Abbiamo cieli leggeri sopra la testa e rimpianti alle spalle: li abbiamo seminati con cura, e ora raccogliamo consapevolezze che ci permettono di sorridere.

Abbiamo dita sporche e voci nella testa, abbiamo messo in fila tutto ciò che avremmo voluto e che non è stato, e forse ora siamo pronti a guardare in direzioni diverse dirci che sì, camminiamo su strade che non potranno che intrecciarsi ancora e ancora, ma percorrere assieme qualche passo non significa essere pronti a scegliere lo stesso bivio. 

E forse va bene così.

Forse possiamo ancora sedere col viso rivolto al sole, vicini, e sentire sul viso lo stesso sorriso. 

 

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