VeNTuRE ~

di HikariRin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** VeNTuRE ~ 1 ***
Capitolo 2: *** VeNTuRE ~ 2 ***
Capitolo 3: *** VeNTuRE ~ 3 ***
Capitolo 4: *** VeNTuRE ~ 4 ***
Capitolo 5: *** VeNTuRE ~ 5 ***



Capitolo 1
*** VeNTuRE ~ 1 ***


VeNTuRE ~

 

La luce del sole del mattino colpiva i suoi occhi, costringendolo ad aprirli un poco. La quiete della stanza, rotta solo dal suo respiro, lo riportava nel tepore del sonno. Lei dormiva accanto a lui con la testa sul suo braccio disteso, dal quale sentiva arrivare un leggero formicolio. Emise un leggero mugugno infastidito prima di chiudere gli occhi di nuovo, e cullarsi nel calore dei loro corpi uniti.

Anche quella notte avevano dormito nella cabina di lei, e non riusciva a ricordare quando era stata l’ultima volta che aveva dormito da solo. Lei era stata anche troppo esuberante fin dal primo giorno, e s’era progressivamente fatta strada nel tentativo di lui di isolarsi dai rapporti troppo stretti, che riteneva invischianti e asfissianti, fino a divenire una piacevole routine per entrambi.

Ricordava ancora molto bene quella prima volta, e il dormiveglia gli venne in aiuto nel richiamarne i particolari.

 

Non era passato troppo tempo da quando la Brave Asagi aveva iniziato a solcare il cielo. Mentre il vecchio Landon pescava dal molo sul ponte inferiore, e Cap. e Charizard controllavano il timone, lui e lei si erano rinchiusi nella cabina del comandante e avevano passato una serata intera a confrontarsi sul fatto di dover prendere a bordo qualcun altro. Lei aveva espresso il suo parere su quali sarebbero stati i ruoli indispensabili, dopo di che era passata a illustrare come avrebbe eseguito i lavori di ampliamento del ponte qualora fosse stato necessario.

Lui l’aveva ascoltata con attenzione; aveva grande stima di lei e di ciò che aveva fatto per permettergli di vivere la vita all’insegna dell’avventura, e mentre lei continuava a mostrargli i disegni del suo progetto pensava a quanto era fortunato ad averla portata con sé.

“Ci vediamo domani?”

Aveva detto gettandosi sul materasso, dopo essersi sorbito diversi scomodi discorsi su quanto avviare quei lavori avrebbe finanziariamente pesato sulle loro tasche; era stanco e provato, e non vedeva l’ora di chiudere gli occhi, riposarsi e rimandare le seccature al giorno successivo, ma lei aveva piegato un sopracciglio e lo aveva guardato come se avesse pronunciato castronerie.

Al suo sguardo confuso di rimando, lei era salita sul materasso sopra di lui, rimanendo sollevata sulle ginocchia, e quando lui l’aveva guardata sempre più stranito aveva portato le mani sui fianchi con fare imbronciato.

“Credevo avremmo dormito insieme. Non ho ancora ricevuto alcun pagamento per la costruzione della nave.”

“Non hai mai menzionato il pagamento in natura come una delle opzioni. E poi, avevi detto di non volerne.” tentò di apostrofarla lui, col chiaro intento di chiederle di tornare nella sua stanza.

“Friede.”

Al suono del suo nome pronunciato con tanta veemenza, la sua spontanea reazione fu quella di rimanere in silenzio e fermare ogni istinto di contraddirla.

“Io ti ho sempre guardato da lontano, e ti ho sempre ammirato. Ma questa… Questa è la più grande follia che io ti abbia mai visto fare nella tua vita. Quindi, ho pensato che non avrebbe pesato sul tuo curriculum farne un’altra.”

Era rimasto immobile a quella rivelazione, e subito aveva ritrattato nella mente quanto aveva pensato sul fatto di essere fortunato ad avere lei come amica d’infanzia. Subito lei gli sorrise, spegnendo ancora una volta la sua stanchezza e l’irritazione che per un attimo aveva provato, e si lasciò cadere appoggiandosi a lui con l’addome, rivolgendogli uno sguardo malizioso.

“Puoi scegliere. Se non vuoi, fermami adesso. Altrimenti, non esiterò a prendermi tutto quello che voglio da te.”

“Quanto dovrebbe durare?”

Ormai rassegnato, aveva stolto lo sguardo visibilmente imbarazzato. Lei aveva incrociato le braccia al petto.

“Finché io lo riterrò opportuno.”

“Mi sembra di capire che tu non creda abbastanza nel mio progetto.”

La ragazza rise, una risata sincera.

“Puoi farmi ricredere?”

Il ragazzo riuscì a ribaltare la sua posizione dandosi una spinta con le gambe e cogliendola di sorpresa, finendo sopra di lei e bloccandole le braccia sul materasso, per poi avvicinare il viso al suo e incrociare il verde dei suoi occhi con uno sguardo di sufficienza.

“Altroché. Continua a guardarmi, ti dimostrerò che la follia più grande della mia vita sarà venire a letto con te.”

Lei rise di nuovo, per niente intimorita.

“Allora preparati, perché ho intenzione di rimanere qui a lungo.”

“Sulla nave o nel mio letto?”

Lei mantenne lo sguardo fisso nel suo, e lui non volle mai ammettere di essersi innamorato a prima vista della sua espressione provocante e sensuale.

“Entrambi.”

 

La ragazza aprì gli occhi a sua volta e si sollevò leggermente, trovando il volto di lui sereno e disteso. Il ricordo di quella notte ormai distante lo aveva fatto sorridere nel dormiveglia, e aveva provocato una reazione istintiva ed ampiamente visibile che lei poteva scorgere ai piedi del materasso. Si lasciò andare ad una risata, mentre anche lui sentendola muoversi socchiudeva gli occhi e portava una mano a strofinarli.

“Buongiorno.”

Il ragazzo emise un lieve mugugno in risposta alla sua sorprendente capacità di attivarsi in un momento; lei tornò a poggiarsi sul suo petto, e lui prese a carezzarle i capelli, seguendone la lunghezza con la mano che aveva libera.

Lasciarono passare così qualche minuto, in cui lei sapeva che lui aveva bisogno di tempo per svegliarsi completamente, e lui sapeva che lei aveva bisogno di non essere data per scontata al mattino.

“Oria, devo dirti una cosa.”

Disse lui, rompendo il silenzio della stanza. La ragazza si sollevò di nuovo, liberandosi dal tocco leggero di lui.

“Anch’io devo dirti una cosa.”

Rispose lei sollevandosi sui gomiti, mentre incrociava le gambe e prendeva a dondolarle sopra la schiena.

“Inizia tu.”

La ragazza emise un lungo sospiro.

“Credo che qualcuno non abbia preso bene la notizia dei nostri incontri.”

Disse lei con atteggiamento pensieroso, mentre lui seguitava in silenzio ad osservare il soffitto.

“Lo so, me ne sono accorto.”

“Da quando sei così perspicace?”

La risposta di lei arrivò pronta e decisa, e lui le rispose guardandola di sbieco mentre lei esplodeva in una risata.

“Sento di non poterci fare nulla, ma non posso evitare di sentirmi in colpa.” seguitò lei, tornando ad abbassare lo sguardo. Attendeva una risposta che non arrivò, fin quando non sospirò di nuovo.

“Cosa pensi dovremmo fare?”

Friede incrociò le braccia dietro la testa, apparentemente per niente turbato da ciò che lei aveva detto e rivelato.

“Penso che dovremmo metterci un punto e farglielo sapere.”

“Quindi dovremmo smettere di vederci? Adesso sei tu a volere che finisca?” le labbra di lei si accartocciarono in una manifesta e cocente delusione.

“Al contrario, sto dicendo che sento che la follia più grande della mia vita non è più venire a letto con te, ma desiderare di continuare a venire a letto con te.”

“A me non dispiace affatto.” rispose lei in un sorriso, al realizzare ciò che lui aveva inteso. “A dire il vero, non ho mai smesso di guardarti. E prevedo che questo non cambierà, almeno per il momento.”

I due si lanciarono un fugace sguardo d’intesa, e per una volta fu Oria a sentirsi fortunata che il suo amico d’infanzia avesse rivolto lo sguardo proprio a lei.

Lo amava segretamente da tempo, e la sua migliore amica lo sapeva; come lei sapeva che anche la sua migliore amica aveva per un periodo posato lo sguardo su di lui, ma si era fatta da parte non appena aveva saputo da Dot che la sua intraprendenza aveva avuto la meglio.

In realtà andava avanti da molto prima che Dot li scoprisse e che in tal modo lo sapesse anche il resto dell’equipaggio, ma entrambi avevano sempre rimandato il momento del confronto con loro.

Era sempre stata indecisa se parlarne privatamente con lei; credeva che le avrebbe solo fatto più male sentirselo dire con dovizia di dettagli proprio dalla diretta interessata; ma forse le aveva fatto più male sentirselo dire da Dot.

Sospirò lungamente, mentre lui sollevava le coperte e si metteva seduto, sbadigliando rumorosamente; forse era davvero giunto il momento che ne parlassero e si confrontassero, senza omettere alcunché.

Ma non riuscì a nascondere la sua preoccupazione nello sguardo che gli rivolse mentre lui, ignaro del fatto che lei lo stesse osservando, infilava la giacca e prendeva in mano il Rotom Phone, che svegliandosi a sua volta in modo rumoroso prese a svolazzargli intorno; in fondo, non le aveva ancora mai detto chiaramente di volersi impegnare con lei.

“C’è un nuovo messaggio!” avvertì Rotom, al che Friede prese in mano le chiavi della stanza e, prima di salutare definitivamente la ragazza, chiese al telefono di leggerlo ad alta voce.

“Da parte di: Murdock.”

Quando Rotom ebbe finito di leggere il breve messaggio, i due si guardarono senza riuscire a contenere la loro sorpresa. Sullo schermo acceso ancora figurava il testo del messaggio:

“Ti dispiacerebbe se chiedessi a Mollie di uscire con me?”

 

Note dell’autrice:

Ma buonsalve, bentornati in una delle mie storie! :3 Avrete notato che non riesco a non scrivere di Horizons. È diventato proprio il mio punto debole.

Questa dovrebbe essere una fic che riguarda soprattutto Mollie e Murdock, ma non ho potuto fare a meno di iniziare in questo modo. Ahimè, le OTP.

In realtà ciò che ho narrato qui avevo immaginato di inserirlo in qualche modo nella storia precedente sotto forma di dialogo tra Mollie e Oria, ma sentivo che non avrebbe funzionato. Così, quando ho avuto l’idea di questo seguito, ho deciso di inserirlo qui in altro modo.

Questo quindi è un seguito diretto di Freed0M, ma può anche essere letto autonomamente. Vi ringrazio di avermi seguita fino a qui, spero di riuscire a portarvi presto il secondo capitolo :3!

HikariRin

 

 

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Capitolo 2
*** VeNTuRE ~ 2 ***


VeNTuRE ~ 2

 

Quando Friede e Oria giunsero in sala riunioni trovarono che Murdock e Mollie non erano lì, ma la colazione era comunque in tavola e con loro stupore fu Liko a uscire dalla cucina, augurando loro il buongiorno, mentre Roy già sveglio e attivo versava ai Pokémon il loro cibo. I due si sedettero al tavolo, e dopo che la ragazzina gli ebbe versato il tè il comandante ebbe la lieta idea di chiedere se sapesse dove fossero andati.

“Sono andati a fare compere in città.” spiegò Roy, che li aveva visti scendere dalla nave insieme quella mattina, e proseguì dicendo che Murdock non voleva che fosse Liko a preparare la colazione, ma che aveva ceduto quando aveva realizzato che se non fossero tornati per tempo chiunque si fosse alzato più tardi si sarebbe trovato senza.

Friede rivolse a Oria uno sguardo piuttosto confuso, al che lei suggerì a bassa voce, cercando di non farsi sentire dai ragazzi, che forse Murdock avesse già provveduto a chiedere a Mollie di accompagnarlo non avendo ricevuto risposta. In ogni caso, si sentiva sollevata dal fatto che questo risolvesse in parte il problema che si era venuto a creare.

Friede, comunque, non pareva troppo sollevato a sua volta, quindi Oria concluse che forse davvero non aveva intenzione d’impegnarsi, per non sconvolgere gli equilibri interni alla nave. Non che le cambiasse qualcosa, probabilmente la situazione sarebbe rimasta immutata, ma questo le avrebbe dato meno da raccontare a Mollie quando le avrebbe parlato e una motivazione in più per chiederle scusa.

Il comandante si diresse in timoneria, e quando lesse tra gli altri un messaggio di Dot che gli notificava che alcuni sistemi interni alla nave avevano cominciato a non funzionare correttamente, e che quindi fino al completo check-up la nave non avrebbe potuto salpare, ebbe la brillante idea di organizzare un picnic all’aperto per i ragazzi, e scrisse a Murdock di approfittare della sua uscita per comperare qualcosa in più per preparare dei sandwich, aggiungendo l’intimazione di tornare indietro il prima possibile; Oria invece, non appena giunta in sala macchine, lesse il medesimo messaggio di Dot, si lasciò andare ad un lungo sospiro e, non essendoci niente che avrebbe potuto fare, tornò verso il ponte. Dopo averli salutati Liko e Roy, convinti che la nave avrebbe salpato di lì a poco, rimasero soli. Roy era seduto con la testa poggiata sul tavolo, mentre Liko portava via i tavoli e riordinava la cucina; Dot e Landon avevano già mangiato molto presto quella mattina, come al solito d’altronde, e Murdock si era assicurato di lasciare qualcosa per loro, quindi non c’era per lei molto da fare.

“Friede e Oria arrivano sempre insieme.” disse con aria pensierosa mentre ritirava le ciotole vuote.

“Proprio come aveva detto Murdock.”

Liko annuì, sospirando lievemente.

“Che anche Murdock e Mollie abbiano deciso di fare lo stesso?”

“Forse, ma a noi non cambia nulla.”

“Non mi piace vederli così tesi; e non mi piace che scelgano di non farsi notare.”

“In fondo noi non c’entriamo nulla, sono questioni loro. L’unica cosa che possiamo fare è fingere di non aver notato niente.”

Roy si alzò dal tavolo e fece per uscire dalla stanza, mentre Liko rimaneva a guardarlo immobile con gli ultimi piatti in mano, con l’amara consapevolezza nel volto che lui aveva ragione.

“È che siamo proprio un bel gruppo, e…”

Roy si lasciò sfuggire una lieve risata, al che Liko sollevò nuovamente il volto.

“Secondo te quei due si piacciono?”

“In che senso?”

“Non saprei. Sono così diversi!”

Sul volto di Liko comparve un leggero rossore, mentre stringeva i piatti al petto.

“Non sempre essere diversi significa qualcosa. Credo si possa uscire insieme anche per conoscersi meglio. In fondo abbiamo tutti delle cose in comune.”

La sua voce tremava a causa dell’imbarazzo, e un po’ a causa del fatto di doverne parlare proprio con lui; dopo qualche secondo in cui pareva che Roy non volesse proprio lasciar andare la sua espressione sorpresa, le sue labbra si dischiusero finalmente in un sorriso.

“Hai ragione.”

Liko sorrise a sua volta con una punta di mestizia, al che lui tornò indietro e le pizzicò la punta del naso con le dita.

“Se è così, puoi smettere di preoccuparti.”

Gli occhi di Liko s’erano riempiti di lacrime a causa del dolore causato dal gesto improvviso di lui, ma il suo cuore alle sue parole s’era fatto immediatamente più leggero. Sorrise.

“Sì.”

 

*Quella mattina Mollie aveva approcciato Murdock in cucina, chiedendogli se potesse accompagnarla a ritirare dei medicinali. Murdock aveva accettato, avendo intenzione di andare in città a sua volta a fare compere. Lungo la strada verso il borgo erano stati rallentati da un incontro inaspettato.

Mentre disquisivano del più e del meno, una ragazzina che aveva in braccio un Pokémon ferito li aveva superati in corsa, dirigendosi verso il vicino Centro Pokémon, ma nella foga era inciampata su un masso ed era caduta, facendo rotolare via il suo piccolo Pokémon e disperandosi perché per colpa sua s’era fatto male due volte. Mollie aveva guardato l’uomo quasi come a dire che si sarebbe sentita responsabile se non l’avesse aiutata, quindi lui era andato a confortare e aiutare la ragazzina, mentre Mollie sì prendeva cura del Pawmi ferito. Una Pozione e una Baccarancia, e con qualche carezza il Pokémon era tornato come nuovo. La ragazzina, invece, se l’era cavata con un ginocchio sbucciato, prontamente fasciato da Murdock.

La ragazzina aveva salutato entrambi con un esteso inchino, per poi tornare sulla strada per la quale era venuta, insieme al suo piccolo amico che saltellava contento. I due erano rimasti immobili a guardarla andare via, e prima di proseguire s’erano scambiati un sorriso d’intesa, come per complimentarsi l’un l’altro per il buon lavoro svolto. Avevano quindi proseguito verso la cittadina, per adempiere alle rispettive commissioni.

“Ti sei fatta improvvisamente silenziosa.”

“Non sono mai troppo loquace.”

Aveva risposto lei senza minimamente scomporsi, mentre sorseggiava la bibita che aveva ordinato al tavolo del café nel quale avevano deciso di rifocillarsi. Lui aveva annuito, come per dire a se stesso che effettivamente non aveva detto niente di nuovo, e lei aveva emesso una leggera risata; aveva poi lasciato la cannuccia ad adagiarsi sul bordo del bicchiere, portando le mani ad incrociarsi sotto il tavolo con fare remissivo.

“È che… Ogni tanto penso che quello che faccio possa effettivamente valere qualcosa, ma devo combattere me stessa e il pensiero di star facendo preoccupare qualcuno che non se lo merita per convincermi di avere diritto di scelta.”

“Quello che fai è ammirevole.”

La ragazza s’era irrigidita un poco alle sue parole, mentre lui aveva preso un altro sorso del suo caffè amaro.

“Bisogna avere coraggio. Non tutti lo farebbero. Ed è importante per noi.”

“C’è chi mi considera una fallita per questo.” aveva ammesso lei con voce sommessa, mentre volgeva lo sguardo sulla strada, popolata di persone e Pokémon che vivevano serenamente la propria giornata.

“Giudicano senza conoscere.” Aveva continuato lui, posando rumorosamente la tazzina sul piatto. “Se vedessero l’impegno e la passione che metti nel tuo lavoro, capirebbero che non stai rinnegando la tua natura, ma che al contrario hai preso il tuo ruolo ancora più seriamente. E spero non sia tu stessa, quella persona che ti giudica.”

La ragazza era tornata repentinamente con lo sguardo su di lui, e aveva poggiato la testa sui gomiti, interessata.

“Lo dici perché lo pensi veramente o soltanto per impressionarmi?”

“Non sono uno che impressiona.”

La sua risposta fulminea l’aveva colpita, e mentre lui prendeva in mano il telefono per scrivere un messaggio, era rimasta a fissarlo con gli occhi socchiusi, cercando di farsi scivolare addosso la sua sincerità.

No, non lo aveva mai pensato di se stessa, e sapeva che nessuno di loro la pensava in quel modo. Tuttavia, il fatto che qualcuno potesse pensare il contrario con cotanta convinzione non l’aveva mai minimamente sfiorata.

Murdock era tornato con gli occhi su di lei, ed erano rimasti in silenzio per lungo tempo fin quando lei, notando che lui guardava continuamente il telefono attendendo impazientemente una risposta, non lo aveva rotto di nuovo.

“Dimmi la verità, tu lo sapevi?”

La ragazza aveva spostato gli occhi senza muovere la testa, e a lui era parsa come un’accusa; l’uomo aveva incrociato le braccia, rabbuiandosi in volto.

“Dobbiamo proprio parlarne?”

“M’interesserebbe conoscere il tuo parere sull’argomento, e se io sia stata l’unica ad essere tenuta all’oscuro.”

Murdock aveva sbuffato con fare irritato.

“No, non me lo aveva detto nessuno, ma penso che anche Friede e Oria abbiano necessità e diritto di svagarsi, e penso anche che tu avresti dovuto farti avanti.”

“Come lo avevi capito?” aveva chiesto lei serafica, mantenendo la testa poggiata sui gomiti, mostrandosi ancora più interessata a ciò che lui aveva da dire.

“Sono un bravo osservatore.”

La ragazza allora aveva sorriso, portando una mano tra i capelli e solo dopo tornando su di lui con aria di sfida.

“Se fossi stato così bravo, avresti capito anche che è da molto tempo che non m’importa più. È storia passata.”

“Allora smetti di pensarci, e torniamo a parlare del meteo o di come entrambi amiamo la quiete e la riservatezza.”

“Anch’io penso la stessa cosa di te.” aveva rivelato lei, facendolo trasalire. Murdock era rimasto completamente spiazzato, un po’ non capendo e un po’ non volendo erroneamente pensare di aver capito a cosa lei si riferisse. “Quello che hai detto prima sul mio lavoro.”

Lui aveva sorriso e passato una mano tra i capelli, colto in un lieve imbarazzo.

“Avere l’ultima parola in una discussione è ciò che più ti lascia soddisfatta, vedo.”

Mollie aveva preso il suo bicchiere per prendere l’ultimo sorso, mentre attraverso il vetro lo guardava intrigata.

“Alquanto.”

*

 

 

Note dell’autrice:

Eccoci nel secondo capitolo!

Continuo a pensare quanto sia bello trattare di adulti in una storia di Pokémon, ma anche quanto sia interessante vedere in una serie adulti fragili e imperfetti, passibili di crescita e cambiamento. Scrivere di loro ti lascia una libertà immensa, ed è davvero piacevole e appagante.

Non ho davvero molto da dire a questo punto della storia, se non che spero di potervi portare presto il terzo capitolo e che spero anche stavolta di riuscire a dare spazio a tutti, anche se penso che a questo giro la cosa sarà più ridotta ai personaggi che effettivamente ci interessano. Sto anche pensando che questa potrebbe diventare una trilogia.

Con quest’idea malsana, che potrebbe farmi perdere altre serate dietro alla scrittura, vi saluto di nuovo. Grazie per essere arrivati fin qui, spero leggerete anche la conclusione della storia! :3

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Capitolo 3
*** VeNTuRE ~ 3 ***


VeNTuRE ~ 3

 

La mattina dopo la giornata trascorsa piacevolmente tutti insieme all'aperto, in seguito alla quale la nave non aveva ancora potuto riprendere il volo - con non poca irritazione dell'informatica di bordo - Oria aveva lasciato Friede a sonnecchiare da solo e aveva deciso di uscire molto presto per bussare debolmente alla porta dell'infermeria, dove sapeva che Mollie, come da abitudine, aveva già preso servizio.

Dopo qualche attimo in cui pareva che tutto tacesse, l’infermiera le aveva aperto la porta rivolgendole lo sguardo di chi aveva già capito perché era lì.

“Non stare sulla porta, entra.” l'aveva esortata, una volta tornata a sedersi di fronte allo schermo. Oria vi lanciò uno sguardo veloce; apparentemente, stava dando un'occhiata a un report sulla dieta osservata dai Pokémon nell’ultimo mese. Cose che a lei sarebbero sempre parse incomprensibili. Sorrise rassegnata.

Si volse poi verso di lei accennando un discorso, ma prima che la sua amica potesse iniziare a parlare, fu la ragazza dai capelli rosa a prendere l’iniziativa. Poggiò la testa su uno dei gomiti, osservandola obliquamente, ed esordì.

“Io e Murdock ci siamo baciati.”

Oria si lasciò sfuggire uno sbuffo leggero; in verità aveva immaginato uno sviluppo simile, ma aveva dovuto ammettere che la notizia era giunta come un fulmine a ciel sereno, difficilmente intuibile dal comportamento esibito da entrambi il giorno prima. Scosse la testa, decisa; non era quello il motivo per cui era lì. Si strinse nelle spalle e stolse lo sguardo da quello dell’altra, abbassando il capo.

“Scusami per non averti detto niente.”

Nonostante Oria lo avesse detto repentinamente e totalmente fuori contesto, a Mollie la sua non parve una scelta troppo sbagliata, sebbene l’atteggiamento della meccanica e il suo irrigidimento, con le braccia ad abbracciarle le spalle, tradissero un certo nervosismo; la ragazza sospirò di nuovo.

“In verità non pensavo nemmeno ci fosse niente da dire, visto che non abbiamo una relazione e non ci sono in mezzo dei sentimenti. Se ti fossi dichiarata per prima, lo avrei accettato e mi sarei probabilmente rimproverata di non averlo fatto per prima a mia volta.”

“Puoi fare quello che vuoi della tua relazione, ma permettimi di dire che se è ancora solo sesso, dovresti ribellarti.”

L’infermiera si alzò dalla sedia incrociando le braccia, e la oltrepassò fino a darle le spalle. Il suo sguardo si perdeva tra le lastre del soffitto, mentre l’altra si voltava a guardarla amareggiata.

“È una cosa che va avanti da prima che arrivaste voi; credevo che, dopo un certo periodo di tempo, avremmo potuto trasformarla in un altro tipo di legame.”

“Il sesso non aiuta a creare un legame. È solo un’illusione per le menti degli idioti.” Mollie si voltò di nuovo, e avendo visto lo sguardo afflitto della meccanica, le sorrise con l’intenzione sincera di trasmetterle del conforto amico.

“Resta il fatto che non ho mai voluto dichiararmi perché ho sempre saputo di non poter competere con te.”

“Non si tratta di una competizione. Se la relazione non si è mai evoluta è perché probabilmente lui non lo desidera.”

“Allora dovrò fargli un’altra ramanzina.”

Oria scoppiò in una risata, al che Mollie le si avvicinò per abbracciarla. Rimasero così per un po’, l’una sulla spalla dell’altra, e la prima nel tepore del benessere che l’avvolgeva, nonché nel pensiero che forse lui davvero non avrebbe voluto che le cose cambiassero, quasi versò qualche timida lacrima.

Al contempo, ringraziò sentitamente Mollie di averla perdonata.

“Non sono arrabbiata con te.” rispose Mollie, guardando intensamente nei suoi occhi lucidi. Oria le sorrise nuovamente, e le prese le mani stringendole nelle sue.

Gli occhi di entrambe s’incrociarono, e insieme parvero aver recuperato la serenità della loro amicizia. Oria si riaccese nella sua spontanea gioiosità, sollevando le mani dell’amica ancora strette nelle sue all’altezza del petto.

“Raccontami di te!”

Mollie rise, visibilmente imbarazzata.

“Siediti sul lettino, è una lunga storia.”

 

Dopo essersi alzati dal tavolino del café, sul quale avevano avuto un confronto tutt’altro che leggero, i due avevano avuto la sensazione di essersi compresi vicenda in modo più profondo.

Mentre tornavano velocemente verso la Brave Asagi, come la risposta tanto attesa di Friede aveva loro intimato, la ragazza aveva sorriso a Murdock in modo tutt’altro che impacciato.

“Il fatto che tu mi abbia chiesto di parlare delle cose che abbiamo in comune e che ci siamo complimentati a vicenda configura automaticamente questa uscita come un appuntamento?”

“No, hai solo accettato di accompagnami a fare compere. Ma se le circostanze me lo permetteranno, potrei chiederti davvero di uscire la prossima volta.”

Aveva risposto lui senza neppure guardarla, alzando lo sguardo verso il cielo, lei non aveva ben capito se con fare speranzoso o pensando a tutto ciò che avrebbe potuto impedirglielo.

“Le circostanze sarebbero?”

“Anzitutto il tuo permesso.”

“Prima di ottenere il mio permesso, dovresti seriamente chiedermi di uscire.”

“Ah, già. Che sbadato!” aveva risposto lui con tono beffardo, facendola ridere.

Una volta tornati sul ponte della nave, Murdock aveva aiutato Mollie a scaricare in infermeria le scatole che componevano l’ordine che avevano ritirato al Centro Pokémon, ed accortosi dell’espressione nostalgica con cui lei le guardava, le aveva chiesto se si sentisse finalmente pronta ad affrontare la sua famiglia. Lei aveva sospirato lungamente incrociando le braccia al petto, e aveva risposto che no, non se la sentiva ancora.

“Prima di tornare indietro, se mai tornerò indietro, vorrei che il mio lavoro itinerante si rendesse davvero utile.” aveva aggiunto, mentre lui prendeva posto sullo sgabello accanto a lei. “E vorrei che la notizia di ciò che faccio arrivasse anche a loro, così che possa cambiare il loro modo di vedere le cose.”

“Capisco. Sei una donna ambiziosa.”

“Non meno di te. È lodevole come ti prodighi per il sorriso delle persone.”

“Non lo faccio solo per gli altri. È anche la mia passione.” aveva ribattuto lui, e dopo quelle prime parole aveva sorriso. “A volte mi sento piuttosto egoista.”

“È lo stesso per me.”

Murdock aveva incontrato dal basso gli occhi di lei, socchiusi in un cenno di reciproca comprensione, e s’era allungato ad avvicinarle la sedia che lei teneva solitamente di fronte alla scrivania, perché potesse sedersi con lui.

“E perché non mi stupisce affatto?” s’era chiesto, con un ghigno sarcastico.

La ragazza aveva riso e preso posto, spostando la sedia in modo da poter incrociare il suo sguardo ancora pungente, e aveva poggiato entrambe le mani sulle ginocchia di lui, inducendo in lui un malcelato imbarazzo.

“Ti ringrazio di avermi invitata.”

“Ho solo pensato che, dopo gli ultimi avvenimenti, ti avrebbe aiutata a svagarti stare un po’ lontana da qui.”

“Hai pensato bene.”

Il rossore sulle guance di lui era aumentato esponenzialmente, allorché lei aveva incastonato profondamente gli occhi nei suoi.

“Se vuoi chiedermi di uscire, questo è il momento giusto.” aveva scherzato lei, e per tutta risposta Murdock aveva avvicinato il viso al suo, così tanto che il rossore s’era trasferito da lui a lei.

“Consideralo già fatto.” era stata la sua risposta, prima d’intrappolare le labbra di lei in un tocco tenue e delicato.

La ragazza aveva socchiuso gli occhi, ancora vagamente smarrita, e aveva sentenziato senza rimuginarvi troppo:

“…Hai il mio permesso.”

 

“È stato liberatorio.” disse Mollie a conclusione del suo racconto, incontrando lo sguardo meravigliato e luccicante della sua amica, che l’aveva osservata per tutto il tempo con le mani giunte al petto. “Oria, ti prego, finiscila; non ho detto niente di così speciale.”

Oria, ancora seduta sul lettino a gambe incrociate, si sporse verso di lei con la rinnovata energia che la caratterizzava.

“Eccome, se è speciale. Hai trovato una persona che guarda oltre a come appari, con la quale non dovrai nemmeno preoccuparti di agire come meglio credi.”

“Non sono sicura di volermi impegnare.”

Mollie aveva abbassato lo sguardo, al che Oria era scesa dal lettino, s’era abbassata sulle ginocchia per poter incontrare il suo viso e le aveva sorriso.

“Dagli una possibilità. Datti una possibilità. Quella che non ti sei data per preservare la mia relazione superficiale.”

Senza attendere la risposta dell’altra, che pure dopo un momento d’esitazione s’era voltata a guardarla, Oria si sollevò nuovamente e batté un pugno sull’altra mano con fare determinato. Mollie la guardò, chiedendosi cosa volesse fare.

“Anzi, sai che ti dico? Io vado.”

“Dove?” chiese l’infermiera ad alta voce, mentre l’altra si dirigeva a grandi passi verso la porta, che apriva prima di voltarsi indietro a incrociare la sua espressione interdetta.

“A ribellarmi.”

 

Mentre Oria ancora ascoltava il racconto di Mollie, Friede aveva annunciato il suo arrivo in cucina, trovando Murdock che visibilmente rinvigorito dalla serata precedente aveva preparato ogni sorta di dolciume, non essendo evidentemente riuscito a dormire, così che la tavola era imbandita di omelette, frittate, caffè alla crema di Alcremie, tè e ciambelle. Il comandante s’era guardato intorno spaesato, e aveva poi preso posto a capotavola. Il cuoco gli aveva detto di servirsi come meglio credeva, per poi prendere posto a un lato del tavolo.

“Non hai mai risposto a quel messaggio.” lo aveva incalzato, incrociando le mani di fronte al viso e guardandolo di sbieco.

“Non saprei sinceramente cosa rispondere a una domanda del genere, non posso decidere per le vite degli altri. E non so nemmeno se sarei d’accordo.”

“Senza offesa Friede, ma se tu non fossi d’accordo dovresti smettere di illudere la ragazza che dorme con te tutte le notti.”

“Non mi sento toccato dal tuo sarcasmo.” aveva risposto Friede, mentre sorseggiava del tè e mordeva una ciambella. “Non è per questo che ho creato i Locomonauti, non voglio che ci si separi a coppie di due in stanze diverse.”

“Siamo esseri umani. Stai ignorando il fatto che inevitabilmente si creano legami più stretti che possono portare all’isolamento in stanze diverse.”

Murdock gli aveva rivolto uno sguardo disapprovante e profondo, al che Friede aveva abbassato lo sguardo.

“Hai ragione. Studio i Pokémon, non gli esseri umani.” lo aveva messo a tacere.

“In ogni caso ho già provveduto da solo.”

“Lo accetto.” Friede aveva posato la tazza sul tavolo, e aveva abbassato lo sguardo, non riuscendo a togliersi dal volto una certa costernazione, della quale il cuoco non aveva potuto non avvedersi.

“Non dovresti trattare te stesso con tanta severità.” aveva proseguito Murdock, porgendogli una omelette ricoperta di miele di Combee.

“Ho paura di rimanere indietro, di non riuscire più a vedere le cose in modo obiettivo. Una volta mandato tutto in malora, sarebbe difficile ricomporlo. Semplicemente, non ne sarei capace.”

“Nemmeno adesso stai vedendo le cose in modo obiettivo. Il tuo ruolo sulla nave non c’entra niente con la tua vita privata. Sei sempre stato piuttosto brillante.”

“E se un giorno dovessi perdere le mie capacità di giudizio e mettere me stesso di fronte a tutto il resto?”

“Sarebbe umano. Ma non è per questo che noi Locomonauti siamo compagni?”

Friede lo aveva osservato a lungo, poi s’era lasciato sfuggire un lieve sbuffo e aveva iniziato a tagliare la sua omelette.

“State calcando tutti un po’ troppo la mano per farmi cambiare idea.”

Il cuoco, che nel frattempo s’era alzato dalla sedia per cominciare a sistemare la tavola per chi sarebbe arrivato in seguito, era esploso in una sonora risata.

“Forse è ciò che meriti.”

Friede.”

Il comandante trasalì. Avrebbe riconosciuto quella voce e quel tono in qualunque circostanza. Sollevò lo sguardo verso la porta, ove era comparsa la sua seconda in comando, nonché amica d’infanzia, nonché fiamma sopita.

“Dobbiamo parlare.”

 

Note dell’autrice:

 

Bentornati nel terzo capitolo di questa lacrime strappastoria :3! Inizialmente la narrazione di questo capitolo doveva essere un po’ diversa, ma poi ho deciso di tagliare ciò che in questa sede sarebbe risultato eccessivo e di inserirlo nel prossimo. Questa volta sto andando molto a rilento perché sto trovando un'enorme difficoltà nell'impostare i capitoli successivi; ho delle idee che potrebbero risultare però un po' too much, quindi sto facendo molta fatica a farle rientrare nella storia principale e mi ritrovo a ridimensionarle continumente. Se avete avuto la pazienza di seguirmi fin qui, vi ringrazio e senza ulteriori indugi vi do appuntamento al prossimo capitolo :3!

 

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Capitolo 4
*** VeNTuRE ~ 4 ***


VeNTuRE ~ 4

 

Il comandante venne costretto a seguire la ragazza sul ponte, proprio mentre Mollie e Liko li salutavano dirigendosi verso la cucina per la colazione. Aveva lo sguardo basso e una mano a coprirsi la fronte, a mostrarsi debole e rassegnato; non si sentiva pronto ad affrontarla.

Probabilmente non lo sarebbe mai stato.

Solo pronunciando il suo nome, lei aveva risvegliato in un attimo in lui un turbinio di sentimenti. Il tormento di essere sopraffatto da qualcosa che difficilmente avrebbe potuto controllare, la convinzione che questo fosse intrinsecamente irrazionale, una voglia irrefrenabile di andare a letto con lei, la necessità di esprimersi su come si sentisse davvero quando stavano insieme, e sul fatto che non gli sarebbe affatto dispiaciuto, invero, stare insieme, anche se aveva ancora delle perplessità.

Nonostante tutto ciò fosse esattamente ciò che lei avrebbe voluto sentirsi dire, e sebbene lei sapesse che lui se lo teneva dentro, non avrebbe mai potuto metterla di fronte ai suoi dubbi perché avrebbe saputo smontarli in un attimo, e in realtà pareva che tutti si fossero messi d’accordo per metterli definitivamente a tacere.

Tutti tranne lei, che rimaneva di fronte a lui, appoggiato al parapetto che divideva il ponte dal vuoto, con il medesimo sguardo sprezzante che aveva quella mattina in cui s’era arrabbiata fino a mettere in dubbio ciò che lei stessa aveva iniziato e voluto. Ciò che lui non capiva era perché lei volesse discuterne, anziché incalzarlo con una battuta a effetto come faceva sempre.

Oria aveva le mani sui fianchi, in un atteggiamento sanzionatorio. Fin dal primo giorno in cui lo aveva intrappolato aveva cercato di fare in modo che qualcosa cambiasse, ma non aveva mai saputo calcare troppo la mano, temendo che sarebbe servito soltanto a farsi disprezzare da lui. Niente di più sbagliato che continuare a prestarsi a qualcosa che iniziava a starle stretto; quella era la consapevolezza che aveva maturato grazie al dialogo avuto con Mollie.

Friede era stato in grado di affrontare il più grande cambiamento nella sua vita fino a quel momento, eppure non era capace di dirle cosa provava per lei.

“Cosa volevi dirmi, ieri?”

Cominciò, ed era una domanda che lui non si sarebbe atteso affatto; credeva che le sue parole fossero passate in sordina e che lei avesse dimenticato, e in un attimo realizzò che avrebbe potuto fingere di non ricordare a sua volta di aver detto di doverle dire qualcosa.

“Che ti prende, così all’improvviso?”

Rinunciò, sapendo che lei non si sarebbe mai mostrata accondiscendente in quella circostanza. Scelse di distogliere lo sguardo da lei, e quest’ultimo venne catturato da Roy, che poco lontano insieme al suo compagno Pokémon stava maneggiando in modo insolito la canna da pesca del vecchio Landon.

“Non era importante.” rispose a bassa voce, preoccupato che il ragazzo potesse sentirli. Lei non seppe contenere la propria delusione, per entrambe le close.

“E ciò significa esattamente che era importante.” tornava a ghermirlo lei nella sua trappola verbale, alla quale lui non avrebbe mai saputo sottrarsi a causa del fatto che lo conosceva fin troppo bene grazie agli anni trascorsi insieme.

In sottofondo, Roy e Fuecoco parevano contenti di essere riusciti a costruire qualcosa; l’istinto da ricercatore di lui si mise sull’attenti, ma lei lo richiamò immediatamente all’attenzione, e stavolta nel pronunciare il suo nome aveva usato un tono meno aggressivo; aveva già capito fin troppo bene dove sarebbe andato ad appigliarsi per non continuare quella conversazione con lei.

“Non potremmo parlarne più tardi?”

E soffiava nel totale risentimento.

“Certo, come sempre. I nostri discorsi vengono sempre dopo tutti gli altri.”

La ragazza fece per tornare indietro, ma lui la fermò afferrandole un braccio; lei si bloccò istintivamente, quasi come se quel gesto fosse indicativo più delle parole di ciò che lui avrebbe voluto dirle.

“È esattamente questo il problema; le liti tra noi due diventerebbero più importanti di tutto il resto, e io non sento di potermelo permettere adesso.”

La ragazza spalancò gli occhi, e a lui parve che s’inumidissero anche un poco. Oria strappò via il braccio dalla sua morsa, ritraendosi da lui, e a dispetto di quanto Friede aveva creduto la sua espressione era più delusa che irosa. Acquisiva sempre più consapevolezza di non conoscerla abbastanza, e in questo di essere diametralmente inferiore a lei.

“Perché loro due possono, allora?!”

“Io non ho mai dato giudizi a riguardo; idealmente vorrei che fosse lo stesso per loro, ma qui si tratta di me e te.”

Aveva risposto senza esitazione, ma per una qualche ragione che non voleva lei cogliesse aveva accompagnato le sue parole contrito nel volto. Pensava al dialogo che aveva avuto poco prima con Murdock; era sicuro che i suoi amici sarebbero comunque stati con lui, e che si sarebbero sostenuti a vicenda, ma credeva di essere lui il primo a dover sostenere coloro che aveva scelto perché lo accompagnassero nelle sue avventure.

“E io preferisco dare la priorità a chi su questa nave ha bisogno di me.”

“Preferisci fare il comandante che impersonare te stesso? Questa cosa della nave ti è proprio sfuggita di mano.”

La ragazza sospirò, abbandonando finalmente il campo di battaglia e dandogli le spalle, e lui non capiva se lo stesse compatendo o se avesse semplicemente rinunciato ad imporsi.

“Sono innamorata di te. Da sempre. Ma se è così che la pensi, mi pento di aver dato il mio contributo alle tue stronzate.”

Il ragazzo rimase attonito ad osservarla mentre lei scendeva le scale che li separavano dalla timoneria e, riprendendo in un momento il suo caratteristico atteggiamento tranquillo, quasi che lui non sapeva distinguere se stesse fingendo o se le fosse davvero passata, si avvicinava a Roy avvertendolo che la colazione era sul tavolo, sentendosi rispondere dal ragazzo che in quel momento era molto occupato.

Nella mente del comandante tornavano le parole del vecchio Landon sul fatto di star facendo un ottimo lavoro. Aveva guardato dentro se stesso come gli era stato consigliato, aveva trovato qualcosa d’inesplorato, ma credeva sarebbe stato più semplice conciliarlo con tutto il resto.

Non voleva deludere nessuno, ma sembrava essere l’unica cosa che gli stava effettivamente riuscendo.

Con il cuore pesante e la mente al pensiero fisso di essere un fallimento, tentò di recuperare la verve di sempre e tornò in cucina dove tutti lo aspettavano.

 

Quel giorno Roy non era mai andato a fare colazione. Liko gliel’aveva dovuta portare direttamente sul ponte, e lui le aveva rivelato di star costruendo uno strumento per dare fiducia al piccolo Wattrel che aveva incontrato il giorno prima, in modo che imparasse a volare e potesse raggiungere il resto dello stormo. Liko aveva plaudito l’idea, e lo aveva accompagnato nella sua missione. Quando Wattrel ce l’aveva quasi fatta, Liko aveva ricevuto un messaggio sul telefono e si era allontanata per fare un po’ di shopping. L’equipaggio attendeva il suo ritorno per salpare, ma lei pareva essere scomparsa. I Locomonauti avevano quindi organizzato una ricerca durata una giornata intera, che loro malgrado aveva richiesto anche l’aiuto di Kissara, la capipalestra di Leudapoli.

Friede ed Oria avevano dovuto mettere da parte le loro divergenze per mettere al primo posto le questioni del gruppo, e a lei era parso di capire cosa lui avesse inteso dire quella mattina sul fatto che non se lo sarebbero potuti permettere.

Tra loro, comunque, pareva che niente fosse successo; erano tutti troppo impegnati nella ricerca di Liko, che s’era protratta fino a notte fonda, costringendo anche Dot a uscire dalla sua stanza per cercare quella che considerava la sua migliore amica, nonché l’unica nella vita reale.

Fortunatamente tutto era andato per il meglio, e con l’aiuto dei suoi amici, specie Roy e Dot, coi quali aveva anche combattuto insieme su una nave cargo in mezzo al mare, Liko era riuscita a tornare a bordo. La nave aveva finalmente potuto salpare alla volta di Galar, dove Liko aveva intenzione d’incontrare sua nonna per saperne di più riguardo alla collana che le aveva donato. Sentendosi in colpa per aver fatto preoccupare tutti e per ciò che sarebbe potuto succedere se il ciondolo fosse rimasto nelle mani sbagliate, Liko aveva deciso di salire sul ponte alare ad osservare le stelle e scordare così la malinconia che aveva contraddistinto quella giornata, fin da quando aveva perso la memoria, quando non riusciva a ricordare come fosse finita a Paldea né come avesse incontrato Sprigatito, né i volti dei suoi amici e questa per lei era stata la sconfitta e il ritrovamento più grande. Era grata a Dot che aveva smosso l’internet per lei, era grata a Roy perché pareva che senza di lei non avrebbe avuto lo stesso coraggio nell’affrontare quel viaggio verso l’ignoto, e non perdeva occasione di ricordarle quanto la sua presenza fosse importante. Mentre era lì, a chiedersi come avrebbe potuto evitare di finire nei guai una seconda volta, l’ascensore s’era aperto e aveva rivelato Roy, il quale salutandola calorosamente l’aveva raggiunta e le si era seduto accanto.

“Come stai?”

La ragazza abbassò lo sguardo, sentendosi colpevole; il viso preoccupato di Roy era ciò che le aveva restituito completamente la memoria, l’espressione contrita di un amico che evidentemente teneva molto a lei.

“Meglio, adesso che sono con voi.”

Non aveva concluso il suo discorso. Avrebbe voluto ringraziarlo di essere corso da una cittadina all’altra a piedi come le aveva raccontato, di essersi fatto tutti quei piani di scale per andare a incontrarla, per averle dato coraggio; e stava effettivamente per dire qualcosa quando entrambi sentirono a poca distanza delle voci familiari, che a un ascolto più attento parevano essere quelle di Murdock e Mollie.

Entrambi si guardarono: avevano intuito di Friede e di Oria, ma questo risvolto delle cose era totalmente inaspettato.

Liko ammutolì e si coprì il viso con le mani mentre Roy, galvanizzato all’idea della possibilità di avere avuto ragione anche su di loro, si sollevò per andare ad ascoltare da un punto più vicino, prontamente fermato dalla ragazza.

“Roy, non sta bene origliare!” lo ammonì, tirando un lembo della sua maglietta, ma il ragazzino di rimando le sorrise e le fece cenno di fare silenzio.

 

“Pare che la mia opera di convincimento non abbia funzionato, purtroppo.”

Quando Liko e Roy si affacciarono alla ringhiera delle scale, videro Murdock e Mollie seduti l’uno accanto all’altra sul confine del ponte, lui con le braccia tese dietro la schiena e lei piegata in avanti sulle gambe incrociate; la ragazza fece spallucce, sollevando poi lo sguardo.

“Non siamo le loro balie; troveranno un loro equilibrio da soli, prima o dopo.”

“Friede si concentra troppo sulle cose sbagliate.”

“Non sono sbagliate, sono giuste. È logico che si preoccupi per noi.”

“Ho cercato di spiegargli chiaramente che a noi non cambierebbe nulla se un giorno fosse poco in forma a causa delle interferenze della sua vita privata.”

“Il problema non siamo noi, allora.”

Murdock si volse a guardarla con aria interrogativa, al che lei, con la tranquillità che la contraddistingueva, seguitava ad osservare il cielo.

“Il problema è Oria. Lui sa che la sua libertà finisce dove inizia un’eventuale relazione con lei. E lei non vuole accettare che lui sia totalmente libero, perché vorrebbe la relazione esclusiva.”

Murdock rimase in silenzio, a riflettere sul fatto che non poteva dare completamente torto a Oria; Friede sapeva essere sempre molto distratto.

“Da quando Liko e Roy sono entrati nei Locomonauti, Friede ha trovato una nuova motivazione per navigare.” continuò lei; Murdock pensò allora che forse il problema non era nemmeno Oria, ma la serie di circostanze occorse per le quali probabilmente sarebbe stato meglio che lei avesse affrontato il discorso con lui quando era nato tutto.

“Anch’io devo molto a quei due ragazzi.” replicò Murdock, sorridendo in un gran sospiro che pareva sollevato. “Specialmente a Liko, è una persona straordinaria. Grazie a lei Dot ha trovato il coraggio di affrontare se stessa.”

Mollie gli sorrise, mentre poco lontano sul volto di Liko si dipingeva un rossore misto d’imbarazzo, perché non avrebbe mai dovuto sentire quella conversazione, e di orgoglio, perché nonostante credesse di non essere granché speciale la sua perseveranza era stata utile a qualcuno, e ne era grata e fiera.

“Tutti dobbiamo loro qualcosa. Ci stanno cambiando e insegnando molto.”

Concluse Mollie, e mentre lo guardava di nuovo s’accorse che sul suo viso era comparso un certo sconforto.

Si sporse leggermente per incontrare i suoi occhi e domandare cosa non andasse, ma lui l’anticipò.

“Davvero ti andrei bene così? Tanto incapace da non essere nemmeno riuscito a portare mia nipote fuori dalla sua stanza?” chiese sommessamente.

La ragazza si fece sfuggire un ghigno indulgente, come se comprendesse perfettamente la sua insicurezza; si sollevò in piedi e incrociò le braccia, mentre osservava il vuoto sotto di loro.

“Anch’io ti andrei bene così?” disse, continuando a tenere lo sguardo basso. “Così identica a tutte le altre, così indecisa, fragile e omologata a ciò che gli altri volevano che io diventassi.”

Per qualche secondo, il silenzio venne rotto solo dal rumore del motore della nave e dal suono del vento. Il cuore di Liko s’era fatto più pesante alle parole di lei, che non aveva mai sentito davvero di avere la possibilità di fare quello che voleva, e si era sentita molto fortunata di essere riuscita a intraprendere il suo viaggio. Aveva spostato lo sguardo su Roy, il quale era rimasto ad osservare Mollie senza alcuna espressione apparente, e aveva sentito una certa apprensione al pensiero che con quello sguardo non lo aveva mai visto.

Murdock sollevò lo sguardo per un momento, non riuscendo tuttavia a cogliere nell’oscurità della notte quale espressione lei avesse in volto. Dedusse quindi che doveva essere delusa di se stessa dal tono che aveva utilizzato.

“Il tuo sguardo è diverso. Mi piace come porti i capelli. E tu non passi la tua vita a sentirti passivamente in colpa.” disse, incrociando le sue mani l’una nell’altra.

“Chi te lo ha detto?”

Il suo tono di voce stavolta era compiaciuto e rilassato. Murdock sorrise.

“E se così fosse, continuerò a ripeterti di quanto la tua presenza qui sia indispensabile finché non ne sarai consapevole e soprattutto orgogliosa.”

A quel punto Mollie rise sinceramente, alleggerendo il cuore di Murdock, ma specialmente quello di Liko che ancora teneva una mano sul petto in segno di tensione. Era felice di vedere che quei due andavano d’accordo, e pensò che sarebbe stato bello se anche lei avesse trovato una persona con cui condividere un rapporto tanto autentico. Proprio in quel momento, Roy attirò la sua attenzione tirando un lembo della sua giacca, facendole cenno di ritirarsi.

Dopo qualche altro attimo di silenzio, che a Murdock aveva pesato sulle spalle come un macigno, Mollie aveva sorriso appagata, altra espressione che lui non aveva potuto vedere, e aveva risposto sottovoce coperta dal soffio del vento.

“Chissà, forse può funzionare.”

 

Note dell’autrice:

Credevo che tutto dovesse finire con questa battuta, e invece dovrò scrivere ancora un capitolo. Piango, anche se in fondo non mi dispiace.

Vorrei svelarvi cosa deve venire, ma piuttosto che riempire le note di spoiler, preferisco farvi attendere il capitolo successivo. Che dire, ho consumato il computer rivedendo gli episodi di cui ho narrato in questo capitolo per riuscire a infilare questa storia nel canon.

Che è anche il motivo per cui sono un po’ come Friede: preferisco non espormi troppo e lasciare che i personaggi se la scrivano un po’ da soli. Fosse per me, Friede e Oria a quest’ora sarebbero già sposati e in luna di miele ad Alola.

Questo capitolo è stato anche troppo lungo, quindi vi rimando al prossimo.

Attendete buone nuove!!

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Capitolo 5
*** VeNTuRE ~ 5 ***


VeNTuRE ~ 5

 

Liko e Roy avevano fatto il giro del ponte superiore, consci di aver sentito abbastanza, e si erano furtivamente diretti verso il corridoio di prua, ove la bandiera dei Locomonauti svettava fiera, mossa solo dalla brezza che l'aeronave incontrava durante la navigazione.

Roy s'era seduto al limite del ponte, euforico e ciondolante per quanto aveva scoperto che per lui era del tutto nuovo, mentre Liko si era appoggiata alla ringhiera, ancora agitata e inquieta al pensiero che qualcuno potesse averli visti o sentiti. Il ragazzo s'era voltato verso di lei, le aveva sorriso e l’aveva invitata a sedersi accanto a lui. Dopo una prima, iniziale esitazione, Liko aveva deciso di sfidare la corrente e lo aveva raggiunto, riuscendo finalmente a calmarsi.

“Secondo te siamo di troppo?” aveva chiesto lei dopo un po’, lievemente piegata in avanti e con tono triste.

“Non mi è sembrato dicessero questo.”

“Friede si sta precludendo qualcosa per il fatto di aver preso noi a bordo?”

Roy aveva alzato lo sguardo al cielo, dondolando sulle gambe incrociate.

Non sopportava di vederla così, e secondo lui Liko dava sempre troppo peso alle parole degli altri, quindi si sarebbe sentita di troppo in ogni momento e in ogni contesto.

“Anche se fosse, Liko, cosa vorresti fare? Scappare? Scendere? Tornare a casa?”

La ragazza aveva scosso la testa in modo deciso, emettendo un lieve sospiro.

“No; però forse dobbiamo ancora trovare il modo di renderci utili.”

“Murdock ti ha appena lodata, e Mollie era d’accordo con lui. A me non interessa se Friede si stia precludendo qualcosa perché ci siamo noi, sono affari suoi.”

Liko si volse a guardarlo, e s’accorse che anche lui aveva lo sguardo fisso su di lei. Uno sguardo che non sembrava preoccuparsi minimamente delle influenze esterne, e non capiva se fosse un bene o un male, sapeva solo che avrebbe voluto essere come lui.

La presenza di persone come lui e Dot, che facevano quello che dovevano senza preoccuparsi del prossimo, le trasmetteva coraggio. Non appena lei abbassò gli occhi il ragazzo se ne accorse, e proseguì con tono inflessibile.

“Io credo che i cambiamenti non siano sempre per male, e la nostra presenza ne sta portando qualcuno. Va bene così. Qualcuno sarà soddisfatto, qualcun altro no, ma è importante come ti senti tu.”

“A me piace viaggiare con i Locomonauti. Voglio conoscere tanti Pokémon, vedere tanti posti nuovi. Con voi mi sento a casa. Mi trovo bene soprattutto con te, Roy. E con Dot. La vostra amicizia è preziosa.”

Liko aveva risposto con un sorriso in volto e quasi di getto, portando un pugno chiuso sul petto ad avvalorare il peso che quelle parole avevano per lei e arrivando a guardarlo dritto negli occhi, ma quando s’era accorta che lui non era più riuscito a staccarli da lei e del lieve rossore che aveva riempito le sue guance, aveva sentito anche le proprie farsi rapidamente sempre più calde.

Erano rimasti così a guardarsi per qualche secondo, finché lei per prima non aveva nascosto il viso dietro una mano spezzando il clima di tensione e facendo scoppiare lui in una risata.

“Anch’io mi trovo bene con te.” aveva risposto lui, allontanando gli occhi da lei per permetterle di riprendersi. Lei lo aveva guardato mentre era di spalle, e gli aveva rivolto un sorriso dolce al pensiero che era proprio da lui rivolgere agli altri questo genere di premure.

“Alla fine avevi ragione. Quei due si piacciono, nonostante la diversità.”

Il ragazzo s’era voltato di nuovo, aveva passato l’indice sotto il naso in modo fiero e solo dopo le aveva sorriso.

“Anche tu avevi ragione sulla diversità.”

Aveva poi alzato lo sguardo verso il cielo, ed era rimasto ad osservare le stelle che scorrevano sulla volta celeste per un po’, mentre lei aveva abbassato lo sguardo e s’era stretta nella giacca, in quanto cominciava a sentire una certa frescura.

“Chissà se è un concetto che potrebbe applicarsi anche a noi due.”

“Cosa?”

“Quello della diversità. Non pensi che siamo un po’ come il ghiaccio e il fuoco?”

“Io sono il ghiaccio? Non è carino.”

“Il giorno e la notte?”

“Piantala.”

Il ragazzo aveva riso, incontrando nuovamente lo sguardo ora torvo di lei.

“Sei mai stata innamorata, Liko?”

La ragazza aveva avvampato alla domanda repentina di lui. Non sapeva esattamente cosa rispondere, credeva di essere semplicemente troppo giovane per poter anche solo pensare di aver mai provato un sentimento del genere, ma allo stesso tempo si chiedeva se esistesse davvero un’età in cui si sarebbe potuto considerare opportuno e una in cui no. Nondimeno, le faceva specie il fatto che lui stesse ponendo proprio quella domanda, quando poco prima aveva parlato di un’estrema presunta diversità tra loro. Ma aveva scelto di accompagnare la sua risposta con un cenno energico del capo.

“No, non ancora. Ho sempre vissuto con i miei genitori e non sono mai stata a contatto con così tante persone. E tu?”

“Figurati, la mia isola era piena di Pokémon e di persone anziane.”

Liko gli aveva rivolto un sorriso amaro, mentre veniva scossa da un brivido dovuto all’aria sempre più fresca all’intorno. Lui se nera accorto, e aveva tolto la giacca per porgerla a lei. Dopo qualche attimo di esitazione, vedendo che lui non accennava ad arrendersi, la ragazza l’aveva afferrata e se l’era messa sulle spalle, ringraziando debolmente.

“Prima o poi, mi piacerebbe provare un sentimento del genere per qualcuno.”

Aveva aggiunto, colmando il silenzio che si era creato tra loro. Il ragazzo aveva voltato lo sguardo abbassando il viso.

“Anche a me piacerebbe fare come loro. Solo per sapere cosa si prova.”

Liko lo aveva guardato incuriosita.

“In che senso?”

Lui aveva incrociato i suoi occhi senza modificare la sua espressione, il che l’aveva per un momento intimorita e fatta sentire esposta, fragile.

Il ragazzo aveva scosso la testa, sorridendole di nuovo come se non avesse detto niente poco prima; si era alzato e aveva fatto per tornare indietro percorrendo il ponte, fermandosi a metà e voltandosi nuovamente verso di lei, con le mani dietro la testa e la spensieratezza che lo contraddistingueva in viso.

“Non importa.”

 

La visibilità si faceva sempre più ridotta all’avanzare della notte, e le nubi sempre più dense impedivano di vedere lontano. In timoneria, Friede aveva appena deciso di sedersi a riposare, accanto a Cap. che già dormiva e a Charizard che russava rumorosamente piegato su una parete.

Non aveva particolari preoccupazioni per quella notte su dove dovesse dormire, e dubitava che qualcuno sarebbe andato a cercarlo, quando udì un timido bussare.

S’alzò dalla sedia sulla quale aveva appena preso posto e s'avvicinò alla porta con un gran sospiro, immaginando chi potesse essere. Sicuramente lei, a chiedere il conto di quella mattina.

Ma prima che potesse aprire, la porta si spalancò rivelando la sua amica d’infanzia, che gli sorrise e si fece strada senza dire niente, ma con un solo sguardo fugace, all’interno della stanza.

Oria s’avvicinò a Cap., e Friede venne subito colto da un brivido all’idea che lei potesse svegliarlo, perché il topo elettrico non era molto d’accordo sul fatto che lei glielo rubasse tutte le notti, ed invero era anche piuttosto arrabbiato; ma lei, esuberante e temeraria come sempre, s’assicurò che lui dormisse e tosto prese il cappello che il piccolo Pokémon aveva posato di fronte a sé, mettendoselo sul capo e voltandosi poi verso il comandante, sorridendogli con meno freddezza e sciogliendo la sua tensione e il suo cuore pesante. S’avvicinò poi al timone e lo prese tra le mani tenendolo saldamente, mentre rivolgeva lo sguardo alla vastità del cielo di fronte a loro; e lui, meravigliato e incantato dall’immagine di lei che avrebbe potuto guidare quel mezzo per sempre senza alcuna obiezione da parte sua e che si mostrava ancora una volta più tenace di lui, le andò dietro cingendole i fianchi con le braccia e posando la testa su una delle sue spalle.

La ragazza parve non fare troppo caso all’audacia di lui, e questo non poteva che ferirlo un poco; era la prima volta che si trovavano nella stessa stanza eppure si sentiva così lontano da lei, così tanto che lei guardava altrove e lui sentiva il bisogno impellente di tornare ad essere l’oggetto della sua attenzione.

Si rendeva sempre più conto di quanto  era stupido allentare la presa che aveva su di lei, perché non era come lui, e se fosse andata troppo lontano non sarebbe tornata indietro neppure nel caso in cui gli fosse rimasta accanto.

La ragazza si strinse nelle spalle, costringendolo a sollevare il viso.

“Se fossi io il comandante? Se potessi decidere delle sorti di questa nave?”

Non c’era nessuna allegrezza, nessuna spensieratezza, nessuna traccia della sua estroversione nel suo tono di voce, e lui non poté che allarmarsi, ma decise comunque di buttarla sul ridere.

“Decidi già abbastanza di questa nave, lascia qualcosa anche a me.”

“Non pensavo davvero quello che ho detto stamattina, ti chiedo scusa. La Brave Asagi ha reso realtà il sogno di tutti noi, non potrei esserne più orgogliosa.”

Finalmente la ragazza tornò a sorridere volgendosi verso di lui, e vedendola lì con il cappello da capitano lui pensò che forse aveva sbagliato tutto fin dall’inizio, e che avrebbe dovuto averlo lei.

Oria lasciò andare il timone, che si mantenne saldamente in direzione da solo, prese il cappello che aveva sul capo e cominciò a strapazzarlo nelle sue mani.

“Friede, non voglio forzarti ad essere quello che non sei. Mi va bene così.”

Guardava in basso, al cappello che ruotava nervosamente intorno a un dito con la mano che aveva libera, e a lui tutto pareva fuorché sincera.

“Non è quello che hai detto stamattina.”

Lei sorrideva con una punta di mestizia.

“Non lo è, ma in realtà non posso lamentarmi di come sono andate le cose finora. Ho avuto quello che volevo.”

La mente di lui venne attraversata da un fremito d’incertezza. Si chiese per quale motivo lei parlasse al passato, e all’idea di perdere anche quel poco che avevano costruito tutto gli pareva già più noioso.

Anche se ora aveva ben chiaro cosa prima Mollie e poi Murdock gli avevano rimproverato sul fatto d’illuderla.

“Cosa ne hai fatto della mia amica d’infanzia? Pensavo fossi venuta a convincermi di qualcosa.”

“Fino a stamattina ero convinta di conoscerti, e di non essere l’unica ad avere dei sentimenti che ti rendessero automaticamente la mia priorità. Credevo che ti saresti aperto con me, invece non capisco che motivo hai ancora per tirarti indietro.”

Il comandante sospirò.

Aveva ben chiaro di dover dire qualcosa, ma sapeva che ogni parola che non fosse stata quella che lei avrebbe voluto sentire avrebbe potenzialmente mandato in frantumi ogni cosa tra loro.

La ragazza attese per più di una manciata di secondi, per poi tornare ad abbassare lo sguardo e voltarsi nuovamente verso la volta celeste con un sospiro nervoso.

“Mi sembra quasi di costringerti. Non avrei dovuto parlare. Odio me stessa.”

Non avrebbe mai dovuto lasciare che Mollie la convincesse. Sapeva bene di non essere sbagliata, di non essere l’unica fonte del problema, di creargli imbarazzo alle volte con la sua vitalità, e sapeva anche che lui non avrebbe mai capito quel tipo di linguaggio, ma solo la sua imposta assenza o presenza.

Ma aveva lasciato comunque che la sua impazienza prendesse il sopravvento.

“Murdock ha detto bene: siamo una squadra. Qualunque cosa accada nessuno di noi ti abbandonerà, e nessuno di noi ha interesse nel rompere qualcosa. Questo include anche me.”

La ragazza fece una breve pausa, poi riprese, arrabbiata ma rassegnata.

“Qualunque discussione potremmo mai affrontare, avrò sempre e solo due opzioni di fronte a me: convincerti di qualcosa o farmela andare bene così; e non ho più voglia di combattere con te.”

“Temo di essermi messo in una situazione più grande di me, ‘stavolta.”

Oria abbandonò immediatamente la sua espressione infastidita, e si preparò attentamente ad affrontare un probabile flusso di coscienza con la verità di lui.

“Il ciondolo di Liko, i Pokémon dell’eroe, il fatto che siamo inseguiti… È tutto molto interessante, ma ci siamo messi in pericolo.” il ragazzo la superò, dandole le spalle e rivolgendo lo sguardo all’orizzonte invisibile. Lei s’irrigidì; quello che di solito le piaceva di lui stava diventando il modo in cui lui sceglieva di prendere le distanze da lei.

“Il mio pensiero in questo momento va a come posso evitare di coinvolgervi più del dovuto, e non m’interessa se voi vogliate essere coinvolti o no; so solo che mi pentirò un sacco di volte di aver preso questa decisione, ma che nonostante questa certezza vi vorrei tutti con me.”

Il viso di lei si distendeva progressivamente mentre capiva che lui le stava venendo incontro cercando di parlare la lingua del cuore in mano, ma pur non avendo intenzione di dargliela vinta decise di accogliere ancora una volta la sua richiesta d’indulgenza, raggiungendolo e fermandoglisi accanto.

“Il fatto che continui ad usarmi come valvola di sfogo ogni volta che ti fa comodo non ti fa comunque onore.”

“Tu non fai la stessa cosa con me?”

“Certo, ma almeno io ti ho detto quello che provo.” rispose lei senza scomporsi incrociando le braccia, al che lui emise un lieve sospiro abbassando gli occhi.

“Quello che facciamo io e te non lo vedo come il coronamento di qualcosa, è il mio modo di non pensarci per un po’. Forse è crudele nei tuoi confronti, ma non significa che io non provi nulla.”

“Per chi mi hai presa? Nemmeno io piango quando non veniamo insieme.”

Ad una profonda occhiata di lui, lei serrò le labbra e s'azzittì nuovamente.

“Semplicemente, vorrei rimandare il discorso a quando tutta questa storia sarà risolta. Dammi un po’ di tempo.”

Oria attese qualche secondo per capire da lui se fosse o meno il suo turno di parola, e quando lui non disse più niente socchiuse le labbra in un sospiro allontanando gli occhi da lui, per poi tornarci subito dopo, accompagnando quanto detto con un gesto del capo.

“Va bene. Ma credo anche che ciascuno di noi debba affrontare questa pausa di riflessione nella propria cabina. Ho bisogno di un po’ di tempo da sola per invidiare a Mollie il fatto che Murdock non sembra porsi questo problema.”

Con un gesto repentino la ragazza si tolse il cappello e lo porse a lui, rimanendo ferma in quella posizione con lo sguardo basso finché lui non lo raccolse dalle sue mani. S’accorse che lui stava per dire qualcosa, ma prima che potesse farlo si diresse fuori dalla stanza mormorando ‘scusa’, lasciando che la porta si chiudesse dietro di sé, mentre lui ancora con il cappello in mano s’avvedeva che la sincerità non sempre ripaga, e si chiedeva perché nonostante fosse stato franco con lei aveva dovuto punirlo.

Oria aveva compreso appieno il discorso di lui e in parte non poteva non condividerlo, anche se chiaramente la delusione del fatto che alla fine non era cambiato niente era più forte di tutto il resto. Tornò nella sua cabina, si lasciò cadere sul letto e sfogò la sua frustrazione in un pianto liberatorio, certa che l’indomani avrebbe ripreso a comportarsi come se niente fosse accaduto, perché la scelta d’imbarcarsi in quella situazione era stata anche sua, e sebbene non l’approvasse glielo doveva.

Friede rese il cappello a Cap. posandolo dove lui lo aveva riposto, e tornò a sedersi lasciandosi cadere rassegnato. Mentre le palpebre gli erano sempre più pesanti a causa della stanchezza, solo un dubbio continuava a lacerargli la mente.

Il fatto che lei aveva citato le parole di Murdock significava forse che aveva origliato la loro conversazione?

Prima ancora che potesse trovare una risposta il sonno lo colse, mentre deliberava che in ogni caso non avrebbe lasciato che lei lo ricattasse, ma sarebbe rimasto saldo nella sua posizione.

 

La mattina dopo, Oria si svegliò da sola. Rimase per lungo tempo ad osservare il soffitto, quasi le fosse mancato qualcosa, ma si ricompose immediatamente quando rimembrò la richiesta assurda che lui le aveva rivolto, e si fece nervosa.

Non aveva intenzione di punirlo e punirsi per sempre, sapeva che prima o dopo avrebbe ceduto. Ma si sarebbe assicurata di non farlo sapere a lui per quanto più tempo possibile, convincendosi che questo lo avrebbe aiutato a fare ordine tra le sue priorità. Dopotutto, lui aveva voluto castigare lei per un qualcosa che nemmeno dipendeva totalmente dalla sua volontà.

Quando giunse nella sala riunioni trovò Murdock intento a sistemare in tavola l’occorrente per la colazione, e Mollie a sorseggiare del caffè. La sua amica la salutò ma lei decise di evitare i suoi occhi, perché solo con uno sguardo avrebbe capito e sapeva che Friede non avrebbe approvato che loro sapessero.

Ciò nonostante, non appena si sedette si sentì dai due osservata e in qualche modo apostrofata; sapeva di non essere capace di dissimulare le proprie emozioni, quindi probabilmente avevano già capito tutto. Nella sua mente maledisse infine il suo amico d’infanzia.

“Dove hai lasciato Friede?” chiese Mollie coprendo le labbra con la tazza e osservandola solo di sbieco, e lei immediatamente sollevò la schiena gonfiando l’addome, lasciando che i due percepissero in modo plateale il suo disappunto; sapeva che quella della sua migliore amica era una provocazione.

Lei e Friede prudentemente non si presentavano mai al tavolo insieme.

“Ci ho dato un taglio; non ho alcun motivo di rimanere in una relazione in cui lui mi usa come punching bag.”

Mollie chiuse gli occhi, e lei inizialmente non capì se in un sorriso di approvazione o in una smorfia di disapprovazione.

“Era ora.” sentenziò infine, poggiando la tazza sul tavolo di fronte a sé.

Nel frattempo Murdock aveva emesso un lieve sospiro quasi ne fosse deluso, e la ragazza aveva ben pensato di dover stemperare in qualche modo la tensione.

“Attento Murdock, perché ti sei trovato una ragazza piuttosto esigente.” tentò di scherzare, mentre Mollie le rivolgeva un’occhiata piuttosto interdetta.

“Ah, a me va benissimo, perché lo sono anch’io.” rispose lui mentre il nervosismo di Mollie scemava progressivamente e Oria si scioglieva in un sorriso luminoso.

“Sono davvero contenta che vi siate trovati, ragazzi.”

“Anch’io.”

I due si voltarono all’unisono verso la porta, mentre Oria s’irrigidiva sulla sedia. Friede entrò in stanza, e appoggiandosi allo schienale sul quale lei era adagiata si chinò sul tavolo, afferrò una ciambella dal piatto e salutò Mollie e Murdock sollevandola insieme alla mano, per poi aggiungere di essere in ritardo e sparire celermente così com’era comparso.

Oria aveva tenuto lo sguardo basso, quasi non volesse essere notata, ma la sua espressione tradiva la sua totale delusione nell’essere stata ignorata, nonché l’imbarazzo del fatto che questo accadesse proprio dopo che lei aveva deciso di dichiararsi, finendo inevitabilmente per rappresentare l’anello debole del caduco rapporto tra loro.

“Sembra che qualcuno qui non voglia accettare la solitudine.” concluse Mollie, e lo sguardo di Oria divenne contrito e deluso, non capendo neppure se il commento si riferisse a lei o a lui.

“Come siete finiti a combattere una prova di forza?” chiese Murdock, ma notando l’espressione della ragazza decise di far annegare il suo commento nel nulla. “Prendi una ciambella.” le disse porgendole il piatto, e Oria accettò di buon grado la sua benevolenza, sebbene la tempesta emotiva che aveva dentro non accennava a diminuire.

“Abbiamo sempre risolto così i nostri problemi. Prima o poi uno dei due cederà e le cose si risolveranno.”

“È un modo tossico di discutere.” sentenziò Mollie, ma Oria non si fece scomporre dalle sue parole.

“Non se non stiamo insieme. E oh, guarda un po’. Non stiamo insieme.”

La ragazza allungò una mano verso le tazze, avvicinandosene una e versandoci del tè, mentre gli altri due si guardavano preoccupati e incerti del futuro a venire.

Proprio in quel momento la porta si aprì nuovamente e Liko e Roy entrarono nella stanza insieme ai loro Pokémon, che tenevano in braccio. I due salutarono calorosamente i presenti, e finalmente anche la meccanica venne contagiata dal loro spirito allegro, rispondendo con altrettanto trasporto. I due giovani allenatori rimasero in piedi intorno al tavolo attendendo il permesso di sedersi, ma proprio mentre Murdock spostava loro le sedie il rumore di una tazza poggiata con una certa verve sul tavolo interruppe quel momento spensierato.

“Ieri notte pensavo che i nostri nemici ci avessero seguiti, invece eravate ‘solo’ voi due; la prossima volta che deciderete di origliare una conversazione siate più discreti e meno chiassosi.”

Immediatamente Murdock si volse verso Mollie con l’espressione di chi non aveva davvero capito o di chi non voleva credere alle sue orecchie, perché lui non aveva notato alcunché la notte prima.

Oria rimase interdetta da quanto appena udito, mentre dietro di lei Liko iniziò visibilmente a tremare, scossa e preoccupata, mentre nella sua mente passava attraverso immagini tutto ciò che aveva sentito la notte precedente e tutto ciò che lei e Roy si erano detti.

“E Roy.” Notando che il ragazzino era stato l’unico a non reagire alle sue parole, Mollie lo guardò fisso negli occhi finché lui non se ne avvide, e quando fu certa di avere la sua attenzione concluse con tono indolente. “Non ti azzardare.”

Il ragazzo venne attraversato da un fugace tremito, ma non lo diede a vedere. L’unico modo in cui lei poté notarlo fu che spalancò gli occhi per un attimo, giusto il tempo di non farsi notare dalla ragazza accanto a lui, che lo guardò come per cercare risposte.

“Mi scuso per aver origliato.” rispose, mentre si voltava verso di lei di rimando e con le sue parole cercava di lenire la sua preoccupazione, cosa in cui riuscì. Liko si scusò a sua volta con un inchino, fino a quando non fu Mollie a dirle di sollevare il viso e di sedersi al tavolo, ma mentre lei obbediva sentì la porta chiudersi con un certo impeto, e non vedendo più Roy accanto a sé capì che era stato lui a lasciare la stanza. S’inchinò nuovamente per salutare e gli corse immediatamente dietro, mentre Sprigatito la osservava contrariato per il fatto che aveva rinunciato alla colazione per seguirlo; nessuno dei commensali aveva avuto tempo e modo di dirle che era il momento di lasciarlo da solo. Si guardarono, fecero spallucce e sospirarono insieme, mentre il vecchio Landon arrivava in cucina e chinava il capo confuso, non capendo cosa stesse accadendo; come Friede prese una ciambella, salutò e tornò all’aperto.

 

Quando Liko raggiunse il ponte, Roy non era più lì. Avrebbe voluto chiedergli cosa lo avesse tanto turbato, ma immaginò che fosse tornato nella sua stanza e che volesse stare da solo, quindi decise di tornare indietro; sarebbe andata a fare colazione, poi sarebbe passata a salutare Dot e solo in seguito sarebbe tornata a bussare alla sua porta per chiedergli ragione del suo comportamento.

Avvampò allorché le tornò in mente il proprio turbamento della notte precedente. In seguito al suo incontro con Roy aveva deciso di rimanere ancora un po’ sul ponte della nave, e poco prima che rientrasse Dot l’aveva raggiunta, ringraziata per essere accorsa in suo soccorso sulla nave cargo guidata dal nemico e aveva rivelato dal nulla di essere la PokéTuber che aveva sempre seguito con assiduità e ammirato.

La sua reazione era stata piuttosto nervosa, ed era ancora piuttosto nervosa. Nel momento in cui le sovveniva alla mente il pensiero, tremava come una foglia. Non aveva idea di come avrebbe dovuto approcciarla o di cosa dovesse parlare. Probabilmente si sarebbe sentita oppressa se avesse cominciato a farle mille domande sul suo lavoro e sulla sua ispirazione. Sospirò.

Non sapeva che, proprio in quel momento, Dot la stava osservando. Sentiva di aver finalmente trovato un’amica, una persona per cui valeva la pena diventare un’allenatrice. Una persona che avrebbe potuto insegnarle molto. Sapeva che prima o dopo sarebbe dovuta intervenire per risolvere la situazione. Quel ragazzino stava già cercando di portarle via la sua persona speciale, la stessa nei confronti della quale sentiva quasi un senso di soddisfazione e tronfiezza nell’essere riuscita a sorprenderla, e ne era gelosa.

Sapeva che se avesse voluto mantenere a lungo quella sensazione avrebbe dovuto fare in modo che le cose non cambiassero troppo e non troppo in fretta. Mentre tornava verso la sua stanza, incrociò il ragazzo rossiccio che la salutò di sfuggita, ma prima che potesse allontanarsi lei gl’intimò di fermarsi.

“Qualunque cosa tu possa dirle in questo momento, lei non capirà. Non ti permetterò di ferire la sua sensibilità.”

Il ragazzo la guardò fisso all’altezza degli occhi, seppur coperti, per qualche secondo, e lo vide stringere gli occhi.

“Senti, a me non interessa se siete amiche, né il tipo di rapporto che vuoi avere con lei, ma Liko è perfettamente in grado di badare a se stessa. Quello che faccio con lei non sono affari tuoi.”

Lo disse in modo deciso e senza alcuna apparente ostilità, cosa che al di sotto dei suoi folti ciuffi la fece sorridere.

Mentre il ragazzo abbandonava il corridoio, Dot sbuffò rumorosamente prima di voltarsi verso la propria stanza. Prima che Liko potesse arrivare da lei si rintanò ancora una volta all’interno, certa di aver trovato un degno rivale.

 

I membri dell’equipaggio si distribuivano nelle proprie rispettive posizioni. La Brave Asagi procedeva decisa verso la regione di Galar, meta successiva del viaggio dei Locomonauti. Dopo aver consumato la sua colazione, Liko tornò sul ponte, ad osservare la situazione.

Apparentemente Friede si stava allenando con Cap. sul ponte alare e Roy cercava rumorosamente i suoi Pokémon correndo per tutta la nave. Il vecchio Landon si dedicava alla pesca, Murdock faceva l’inventario del cibo che mancava, Mollie spazzolava i Pokémon che amavano trascorrere la giornata sul ponte superiore. Oria era in sala macchine, a vegliare sul volo di tutti loro.

Quanto a lei, era già andata a salutare Dot, aveva il suo compagno Pokémon fra le braccia e sentiva nell’aria il profumo che amava tanto; poggiandosi sulla ringhiera a un lato del ponte inferiore, aveva preso ad osservare il panorama.

Il sole colpiva i suoi occhi, stremati da una notte di rivelazioni e pensieri, ma dopo averci pensato a lungo aveva concluso che il suo amico aveva ragione.

Qualunque cosa avrebbe potuto turbare gli adulti, sarebbero stati affari degli adulti; era già impegnata abbastanza a diventare un’allenatrice degna di quel nome, e non sapeva ancora perché sua nonna avesse scelto proprio lei per portare avanti le proprie aspirazioni.

Stringendo il ciondolo che portava al collo, pensava che a breve lo avrebbe scoperto, e allora forse avrebbe capito.

Qual era la sua strada, che tipo di allenatrice voleva diventare, se davvero avrebbe potuto dare un contributo ai Locomonauti. Un lieve rossore le riempì le guance, allorché realizzò una verità ben più nascosta. Ancora una volta, delle sue nuove consapevolezze, avrebbe dovuto ringraziare nient’altri che Roy.

 

Note dell’autrice:

Bentornati nell’ultimo capitolo di questa difficoltosissima storia. Questo capitolo, ragazzi, è stato modificato un trilione di volte, all’inizio le cose non sarebbero dovute andare così e molte cose sarebbero dovute essere per una storia successiva, perché sì, molto probabilmente questa diventerà una trilogia. E penso abbiamo capito tutti chi saranno i protagonisti della prossima.

Vorrei attendere almeno un po’ per iniziare a scrivere il terzo episodio, in ogni caso; voglio vedere dove andrà a parare la serie. È stimolante questo gioco che faccio con gli autori, d’indovinare dove vorranno portarla. È un po’ quello che facciamo noialtri quando leggiamo una fan fiction: l’autore sa già come finisce, ma chi legge non lo sa. È un gioco di forze che sinceramente mi diverte!

Probabilmente avrei dovuto dividere quest’ultimo capitolo in due parti, ma non me la sono sentita, anche perché non avrei saputo dove separarle.

Vi ringrazio sentitamente se avete letto tutta la storia, stavolta è stata sudata. Lasciatemi un parere se vi va, è sempre gradito. Io vi saluto e torno a vedere gli aggiornamenti dell’ultimo episodio del primo arco narrativo.

Finalmente la nonna!!!

xHikariRinx

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