Il Re del Campo e la Scimmietta

di _Tallulah_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 29: *** Capitolo 28 ***
Capitolo 30: *** Capitolo 29 ***
Capitolo 31: *** Capitolo 30 ***
Capitolo 32: *** Capitolo 31 ***
Capitolo 33: *** Capitolo 32 ***
Capitolo 34: *** Capitolo 33 ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Fine Marzo 2013 
 

Era arrivata la primavera ma ancora sul viso si poteva percepire l'aria fredda delle mattinate invernali. Tre persone erano scese da un'auto posteggiata in quella via nella zona bene di Miyagi. 
 

Si stavano spostando verso una di quelle villette tutte uguali. 

«Sono sicura che questa casa vi piacerà.» disse la voce dell'agente immobiliare, rivolgendosi ai due clienti che la seguivano, mentre con un giro di chiavi apriva il cancelletto in ferro che dava l'accesso alle scale che portavano alla porta d'ingresso dell'abitazione. 

«E' una bella zona residenziale ma molto ben collegata, ci sono anche diversi supermercati e combini non troppo distanti. Come richiesto quello è il garage al coperto.» 

I due si fermarono volgendo lo sguardo al grande portone sulla destra della casa che l'agente indicava. 

«Sia il cancello grande sulla strada sia quello per il garage funzionano con telecomando?» chiese il giovane uomo, ne era abbastanza sicuro visto che la casa sembrava costruita recentemente, ma ne voleva essere certo. 

«Mmmmh vedo una finestra solo al piano di sopra, non sarà troppo buio il piano terra?» domandò invece la ragazzina che aveva spostato la sua attenzione sulla facciata dell'abitazione. «Ma si può definite piano terra? Insomma per entrare dobbiamo fare queste scale ed in parte è sopra il garage. E' come essere ad un primo piano.» 

 

«Si entrambi funzionano con telecomando.» aveva risposto, la donna, alla prima domanda. L'attenzione era rivolta al ricco mazzo di chiavi per trovare quella che avrebbe aperto la porta d'ingresso di quella casa, che sperava di riuscire ad affittare ai due. 

«Per la luce non si deve preoccupare.» aggiunse alzando lo sguardo per un momento da quel groviglio posandolo sulla ragazza per poi riportarlo giù. 

 

«Oh eccola finalmente! Prego seguitemi.» così dicendo inizia a salire quella rampa di scale che separa la casa vera e propria dall'esterno 

«Trovandoci in una zona collinare, i costruttori hanno optato per questa soluzione strutturale. Ma proprio per questo l'altro affaccio della casa offre uno splendido panorama. Vedrete che bella luce.» 

 

I due si avviano pigramente sulle scale richiudendo il cancelletto di ferro dietro di loro, alle spalle dell'agente intenta ad aprire la porta, si lanciarono uno sguardo eloquente nel linguaggio che solo un fratello e sorella possono capire. 

 

Avevano visto un'infinità di case in quei cinque giorni. Troppo piccole. Esageratamente grandi. Troppo vecchie. Troppo distanti dal lavoro dell'uno o dalla scuola dell'altra...c'era sempre qualcosa che li faceva desistere. Ma il tempo stringeva e dovevano trovare un posto dove trasferirsi e traslocare. 

 

Era anche vero che avevano fatto richieste molto specifiche, ma dopo gli anni trascorsi in Europa ormai si erano abituati in un certo modo. Era già stato un trauma aver rinunciato al bidet quando si erano spostati dall' Italia all'Irlanda, nonostante all'arrivo in Italia dal Giappone entrambi non sapessero che diavolo fosse. Inizialmente si erano detti che gli italiani avevano proprio un feticismo per fontane e fontanelle, tanto da metterle anche in bagno. 

 

La casa che stavano vedendo adesso però aveva guadagnato un punto almeno per la posizione, favorevole per entrambi. 

 

«Prego entrate pure, ecco a voi i calza scarpe.» i due giovani prendono quei buffi calzini slabbrati, l'agente immobiliare si fa di lato sul pianerottolo prima della porta in modo da lasciarli entrare. 

 

Restano entrambi un attimo all'ingresso nel genkan facendo spaziare lo sguardo su quel grande open space dall'aria industriale. Senza mutare espressione si appoggiano allo stipite della porta per mettersi i calza scarpe. Salgono infine lo scalino che divide il genkan dal resto e iniziano a camminare su di un parquet dal colore caldo guardandosi in giro. I loro passi non producono nessuno scricchiolio su quelle assi del pavimento. Un altro punto a favore per quella casa. 

 

«Questa porta sulla destra» disse l'agente richiamando l'attenzione dell'uomo «è collegata direttamente al garage, così da non dover fare il giro da fuori. C'è una piccola stanza prima di scendere, funge da lavanderia con lavatrice ed asciugatrice separate, come richiesto.» 

«Bene. Anche per le scarpe, vedo che la scarpiera è bella ampia.» 

«Sì, in ogni caso è possibile mettere un mobile nella lavanderia se lo spazio non dovesse bastare.» 

 

La ragazza era tornata indietro ed aveva aperto quella porta per verificare quanto detto. Dopo aver guardato il fratello con un cenno di assenso decise di salire le scale a vista che si trovavano invece alla sinistra dell'ingresso, per vedere che stanza si celasse al piano di sopra dietro l'unica porta che dava su quel ballatoio. 

Alla donna però non era sfuggita l'occhiata data alla parete in vetro intervallata ogni tanto da giunture in ferro, andava letteralmente da una parete all'altra non si poteva non notare, ed era anche discretamente alta terminando dove si incontrava con il tetto spiovente da quel lato della casa. 

 

«Come vi sembra la luce?» 

«C'è luce…» un sospiro ben studiato «mi preoccupa un pò la privacy, anche se vedo case solo più basse da qui.» il giovane uomo era fermo a guardare il panorama dando le spalle all'ingresso. 

«Può stare tranquillo i vetri sono specchiati, di giorno non è possibile vedere all'interno. Lì affianco comunque c'è un interruttore per tirare le tende se volete maggiore privacy . Lo trova all'altezza della maniglia della porta a vetri sulla destra. Il balcone che vede è abitabile ed è coperto.» 

L'uomo seguendo le indicazioni trova il pulsante, ci giocherella un pò facendo scorrere le tende «Mmmmmh ok.» 

 

«Qui sopra c'è una camera da letto con bagno annesso.» disse la ragazza facendo capolino dalla porta attirando l'attenzione del fratello «C'è la doccia. Bella, per carità, anche grande ma la vasca da bagno?» 

«C'è anche una cabina armadio in quella camera da letto.» precisa l'agente «La vasca invece è nel secondo bagno, qui sotto. È la porta a sinistra mentre quella a destra è la camera degli ospiti.» disse indicando le due porte proprio sotto dove si trovava la ragazza. 

 

Seguendo le indicazioni, la giovane, scende le scale e apre prima la porta del bagno lanciando uno sguardo all'interno. Sembrava soddisfatta di quello che aveva visto, lasciando la porta aperta, si dirige quindi verso l'altra porta per controllare quella che, potenzialmente, sarebbe stata la sua camera da letto. 

 

«Della cucina invece cosa ci dice?» attira l'attenzione dell'agente il giovane uomo, spostatosi verso l'isola aveva posato una mano sulla superficie per accarezzare quel top scuro, chiudendo successivamente la mano a pugno dà due colpetti veloci alla superficie fredda spostando lo sguardo al frigo, per poi fissare il piano cottura. 

«Nuovissima! Il top è in quarzo, un materiale molto resistente. Come vede ci sono addirittura 5 fuochi, una rarità in Giappone, la cappa ed il forno sono di ultima generazione.» 

L'agente, senza levare gli occhi di dosso dal giovane che si era fermato tra il piano cottura e l'isola, decide di rincarare ed esporre altri pregi di quella cucina. 

«I mobili e i pensili sono molto capienti, ed è tutto in rovere. Il lavandino ha due vasche, le dirò personalmente credo siano inutili due visto che c'è una splendida lavastoviglie. E sotto l'isola c'è anche una cantinetta per i vini.» 

 'e se non affittate nemmeno questa io mi licenzio'  pensò tra sé e sé l'agente. 

  

Alla parola "vini" entrambi i clienti hanno rizzato le orecchie e si sono lanciati uno sguardo complice. 

 

«Potrebbe lasciarci soli per un attimo così ne parliamo, per favore?» chiese gentilmente l'uomo rivolgendosi all'agente cercando, per quanto gli riesca, di non sembrare pronto a firmare il contratto d'affitto. 

«Certamente, faccio delle telefonate intanto. Mi trovate qui fuori appena avete finito di parlare, fate pure con calma.» congedandosi con un sorriso si chiude la porta d'ingresso alle spalle lasciandoli soli a discutere. 


 

«Quindi…» 

«Da che lato pensi dovremmo mettere rivolto il divano?» domandò la ragazza saltellando in un punto della stanza dove, presumibilmente, stava immaginando il mobile senza lasciare finire la frase al fratello. 

«Non so Scimmietta tu che proponi?» chiese allegramente poggiando i gomiti sull'isola della cucina e incrociando le braccia, abbassando leggermente il busto. 

«Allora la parete tra le due porte, qui assolutamente un mobile basso ci mettiamo il giradischi, il lettore cd e a lato le casse. Sopra il quadro con la maglia. Libri, la collezione dei vinili e dei cd invece in delle librerie qui sotto la scala.» 

«Ok lo vedo, mi piace. Quindi il divano lo giriamo verso la scala. La tv su un altro mobiletto a ridosso delle scale. Che poi perchè c'è una cantinetta per vini e non hanno pensato a mettere una tv?» 

«Chissenefrega! Capisci deve essere destino. Il divano lo voglio grande, ridicolmente grande e angolare. Ricordati che deve diventare letto, ci conto che prima o poi vengano a trovarmi dall'Europa, soprattutto ora che ci stiamo sistemando per bene a Miyagi.» 

«Va bene, va bene Scimmietta....sedie e il tavolo da pranzo? Rettangolare od ovale?» chiese il fratello indicando con un dito il lato opposto, vicino alla parete vetrata. 

«Beh è bella che moderna come casa, direi rettangolare. Potremmo prendere qualcosa con le gambe in ferro scure come le finestre e il top e il piano in..come aveva detto? Rovere?» 

«Fai una foto alla cucina, magari potremmo prendere anche un paio di sgabelli per l'isola.» 

«Sì ottima idea!» ribatte la ragazza mentre esce l'iPhone dalla tasca del giacchino e scattando la foto continua «Ma guarda guarda che oggi non sei tanto Disgraziato come tuo solito.» 
«Ehi è così che ti rivolgi al tuo fratellone? Guarda che non ho ancora firmato il contratto...» 

«Seh lo firmerai tranquillo, anche solo per fare lo splendido con le ragazze che ti porterai a casa "Uh vuoi venire da me ho degli ottimi vini nella mia cantinetta, sai sono stato in Italia"» lo prende in giro cercando d'imitare la voce del fratello, scimmiottandolo. 

«Tsk...ok sei mia sorella mi conosci alzo bandiera bianca.» ridacchia alzando le braccia in segno di resa «Direi che ci vuole qualcosa anche per il balcone fuori, non credi?>> riprende il discorso rimettendosi a braccia conserte sul bancone dell'isola. 

«Oh si, decisamente una panchina o due poltrone.» e con l'indice alzato indicando la parete in vetro aggiunse «Se il meteo ci sarà amico potremmo mettere, forse, anche dei vasi con degli odori. Il basilico, rosmarino, salvia, la menta..» disse la ragazza, riflettendo e contando sulle dita tutte le piante che avrebbe voluto. 

«Forse anche un barbecue piccolino ma bisogna capire se si può tenere.» la interrompe il fratello «In ogni caso se vuoi mettere le erbe devi curarle tu, riconosco di averne uccise tante, davvero troppe, e poi mi sgridi quando le trovi morte. Sto mettendo le mani avanti già adesso.» 

La ragazza sospirò «Forse potrei provare con delle flebo per centellinare l'acqua e tenerle umide.» pensando però a qualcosa di più importante e puntandogli un dito contro aggiunse «Però per le pulizie in casa al solito, tranne impegni improvvisi, ognuno fa la sua parte!» 

«Tranquilla.» disse alzando la mano destra facendo unire pollice e indice in segno di ok «La lavastoviglie c'è, sarà un grande aiuto. Che ne dici se compriamo il robottino aspirapolvere, quello che gira da solo. Sarà un'altra cosa in meno a cui pensare giornalmente. Che ne pensi?» le domanda con uno sguardo interrogativo alzando il sopracciglio. 

«Penso che oggi tu sia proprio il fratello migliore del mondo! Lea sarebbe così fiera di questa tua osservazione da casalingo>> e quasi non fa in tempo a portasi la mano davanti le labbra per coprire il risolino che non riesce a trattenere. 

«Che posso dire, due anni di sberle ci hanno temprati entrambi.» ridacchia anche lui al ricordo di come Lea li sgridasse per qualche piatto non perfettamente pulito «Scimmietta però prima di comprare tutto questo...i letti per primi. Almeno possiamo trasferirci quanto prima.» 

«Concordo, io lo voglio con secondo materasso estraibile.» 

«Devono venire i tuoi amici o tutti gli studenti della scuola a trovarti, scusa se chiedo.» 

«Come se non li avessi già visti dormire anche a terra quando capitavano a casa nostra. E poi dai il Giappone non è dietro l'angolo, non possiamo fare come in Europa quando c'era solo qualche ora di volo a dividerci.» 

«E va bene.» il fratello sposta lo sguardo dalla sorella al balcone «Forse al posto dei vasi e del barbecue, che magari nemmeno possiamo tenere, posso far installare una mia statua. Infondo sicuramente la meritAHIA!!» 
 
La ragazza si era avvicinata velocemente al fratello per tirargli un pugno sul braccio «Non sei affatto spiritoso sai.» lo rimprovera «Per niente.» aggiunge mentre poggiando i palmi delle mani sul top fa un saltello per sedervisi sopra « Oh entrambi i gabinetti sono tecnologici, non rimpiangeremo il bidet» riprende il discorso sulla casa dondolando avanti e indietro le gambe «...forse dovrò rubarti un pò di spazio nella cabina armadio, tutti quei vestiti eleganti per eventi che le tue ragazze mi hanno comprato dubito, fortemente, riuscirò a metterli spesso.» 

«Lo spazio c'è?» 

«Sì, è enorme quella cabina armadio. Nella mia stanza voglio tenere solo le cose che posso indossare più spesso.» 

Lui annuì «Dai direi che concordiamo, chiamo l'agente e le dico che la prendiamo.» 

«Asp...aspetta.» disse afferrando un braccio del fratello che si stava dirigendo verso l'ingresso per fermarlo. Si guardava le scarpe coperte da quei ridicoli copri scarpe per poi passare a fissare lo sguardo negli occhi dell'altro «Me lo devi promettere che farai come a Nagano.» e senza distogliere lo sguardo aveva alzato la mano libera sventolando il mignolo per rinnovare una vecchia promessa. 

L'uomo guardandola con un sorriso le mise una mano dietro la nuca, avvicinando poi la testa della sorellina per lasciarle un bacio sulla fronte. 

«Prometto solennemente di essere discreto come a Nagano.» cercò di tranquillizzarla stringendo quel mignolo rimasto alzato con il suo. «E adesso fammi firmare questo contratto, così andiamo subito a comprare i letti e vediamo un pò il resto del mobilio da prendere.» 


 

La ragazza aveva lasciato andare quel mignolo e scesa dal ripiano dell'isola si era spostata verso la vetrata per aprirne la porta, qualche altro passo fino alla ringhiera del balcone inspirando l'aria fresca, le mani in tasca e quel panorama di Miyagi che vedrà per i prossimi due anni.

Alle sue spalle, da dentro la casa, il chiacchiericcio del fratello e dell'agente immobiliare fece da sottofondo al pensiero che il meglio doveva comunque iniziare. 

«Kimiko vieni un attimo.» l'aveva richiamata il fratello per farla rientrare.  

«Dimmi...brrr che freddo.» disse rientrando e chiudendo la porta per poi strofinare le mani tra loro, cercando con quel gesto di allontanare il brivido che aveva avvertito. 

«Mi stava dicendo la signora che per firmare dobbiamo farlo in agenzia. Ci vorrà un pò credo, a questo punto perchè non vai a vedere adesso i tabelloni con i risultati delle ammissioni invece che pomeriggio. Poi se non ho ancora finito mi raggiungi o ti vengo incontro io.» aveva spiegato il fratello. 

«In che scuola ha fatto domanda? Forse la posso accompagnare io se è di strada verso l'agenzia.» la donna si era proposta volendo restare gentile e disponibile fino al momento della chiusura per quel contratto. 

Kimiko però era già con un piede fuori la porta «Oh no si figuri» disse gentilmente mentre si sfilava finalmente i calza scarpe «in ogni caso così posso scoprire subito che strada fare fino al Karasuno.» 

«Attenta che chiami la malasorte, non hai ancora visto i risultati.» la prese in giro il fratello. 

«Oh figurati...andare a vedere è solo una formalità, sono sicura di essere stata ammessa. Ci vediamo dopo.>> dicendo così fa un piccolo inchino verso l'agente immobiliare e aggiunge «Grazie per la sua pazienza sappiamo di essere stati dei clienti terribili.» 



C'era un numero non indifferente di ragazzi e ragazze assiepati davanti ai tabelloni. 

«Permesso, scusate.» cercava di farsi largo per raggiungere i tabelloni con gli ammessi al secondo anno. 

'Ikeda...Ikeda. Dov'è il mio cognome? Dannazione, certo che è davvero grande come scuola quanti nomi ci sono scritti.' 
 

C'erano voluti 10 minuti buoni ma alla fine l'aveva trovato "IKEDA KIMIKO AMMESSA" a quella lettura non si era potuta trattenere, aveva alzato le braccia al cielo e aveva urlato. Non che appunto non se lo aspettasse ma leggerlo nero su bianco faceva comunque il suo effetto. 

I ragazzi e le ragazze vicino a lei avevano fatto un balzo spaventati e l'avevano guardata con disapprovazione, Kimiko però non aveva colto troppo occupata a fotografare la porzione di tabellone con la sua ammissione. 
 

Allontanatasi dalla calca si era presa un momento per modificare la foto. Aveva cerchiato i kanji del suo nome e dell'ammissione aggiungendo l' emoji del pollice in su, in questo modo anche i suoi amici avrebbero capito il risultato non sapendo leggere il giapponese. 

'Peccato che da voi sia notte.... Tsk sicuramente andranno a fare colazione al bar per festeggiare.' e nonostante un pizzico di disappunto a quel pensiero, aveva sorriso «Ah quanto mi mancano quelle colazioni...mmmmh quei cornetti con la nutella...gli scones......» 

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Capitolo 2
*** Capitolo 1 ***


Inizio Aprile 2013 Karasuno High School - Prefettura di Miyagi.
 

La scuola era iniziata da qualche giorno ormai.  

Yachi aveva consumato il suo bento in classe quel giorno, tra un boccone e l’altro, guardando fuori dalla finestra, aveva rimuginato su quanto la mancanza di Kiyoko già si sentisse durante quei primi allenamenti in palestra. 

Avrebbe voluto trascorrere ancora un anno in sua compagnia, avrebbe voluto imparare da lei come accogliere al meglio i nuovi membri del club di pallavolo. 

Era leggermente più sicura rispetto l’anno precedente, ma in alcuni momenti si sentiva ancora la comparsa nella recita di fine anno. Si era data due schiaffetti sul viso, uno per guancia con entrambe le mani, per scrollarsi quell’idea dalla testa. 

I nuovi iscritti, quattro ragazzi, sembravano anche molto presi dalla pallavolo, un po' intimoriti di non essere all’altezza di una squadra che l’anno precedente era stata ai nazionali. Yachi sperava di essere per loro un supporto come lo era stata Kiyoko per i nuovi membri quando era l’unica manager...adesso c'era solo lei come unica manager e non voleva deludere la sua senpai dopo tutto quello che le aveva insegnato. 

Si era detta che in quel momento, quello che poteva fare era cercare di rendere quanto più semplici possibili i suoi appunti di inglese. 

L’attenzione rivolta al quaderno non le aveva fatto notare che alcuni dei suoi compagni si erano spostati alle finestre affacciate sul corridoio della classe. Guardavano una ragazza che continuava a fare avanti e indietro lungo il corridoio, ogni tanto entrava in qualche classe per poi uscirne dopo qualche minuto. 

«Scusate sto cercando la manager del club di pallavolo maschile...» 

A quelle parole Yachi aveva alzato gli occhi dal quaderno per spostarli nel punto da cui proveniva quella richiesta. I suoi compagni guardavano nella stessa direzione, ferma sulla porta vi era la ragazza che prima aveva percorso il corridoio. 

«Yachi Hitoka.» aveva aggiunto la ragazza non ricevendo ancora risposta e guardando il foglietto, che teneva in mano, dove era appuntato quel nome. 

«E’ l’ultima classe che controllo quindi credo che frequenti questa sezione, forse è fuori? Sapete dirmi dove posso trovarla?» l’ultima domanda era stata rivolta al gruppetto di ragazzi che la fissava. 

«I-io sono Yachi Hitoka, sono io la manager.» 

La ragazza sulla porta aveva spostato il viso nella sua direzione, le stava sorridendo. La manager notò il sollievo negli occhi nocciola della ragazza per averla infine trovata. 

Già sulla porta era sembrata una ragazza alta a Yachi, cosa che si stava confermando man mano mentre le si avvicinava con passo sicuro. 

«Meno male, credo proprio mi sarei persa tra i corridoi a cercarti se non ti avessi trovata in classe.» 

Ormai a non più di un passo dal banco della manager, la ragazza, aveva alzato il braccio destro porgendo la mano verso di lei. 

«Ciao piacere, sono Ikeda Kimiko. Frequento anche io il secondo anno.» 

Non ricevendo nessuna risposta riportò velocemente il braccio lungo il fianco. Si maledisse mentalmente per quel gesto, per quanto le venisse naturale, probabilmente, per la ragazza seduta invece era risultato troppo invadente.  

«Ah scusa, colpa dell’abitudine perdonami.» si affrettò Ikeda con un risolino nervoso «Il Professor Takeda mi ha detto di venire a parlare con te. Ti sto disturbando forse? Stavi ripassando inglese?» domandò guardando la scrittura ordinata su quei fogli cambiando discorso. 

«N-no, non disturbi! Li stavo sistemando per i ragazzi del club.» rispose Yachi ancora confusa «Dimmi pure...» 

Ikeda aveva girato la sedia del banco precedente e si era seduta per poter parlare più comodamente con la manager. 

«Voglio iscrivermi al club.» disse semplicemente poggiando i gomiti sul banco e incrociando le braccia «In verità volevo farlo già dal primo giorno» aggiunse «ma c’è stato qualche problema con i miei documenti. Non mi sembrava molto carino venire e dire ‘mi iscriverò appena possibile’.» concluse alzando una mano dal banco per farla roteare mentre scuoteva anche la testa con fare noncurante, come a voler sottolineare l’affermazione appena fatta. 

Yachi continuava a guardarla in parte stranita e in parte divertita da quei modi buffi.  

Intuendo per cosa la biondina stesse sorridendo, Ikeda portò la mano tra i lunghi capelli scuri, spostandoli da sinistra a destra, dove colpiti dal sole rivelavano sfumature colore cioccolato «Ah scusa, lo so gesticolare è strano. Mi rendo conto di averlo fatto quando ormai è troppo tardi. Ho preso questo vizio quando vivevo in Italia, tu non farti problemi in caso e fammelo notare anche se non credo riuscirò mai a farne a meno. Anzi, per favore, potrei fare cose che ti infastidiscono dimmelo subito ti prego. Non mi darà fastidio, davvero, mi faresti solo un favore.»  

«Sei stata in Italia?» chiese Yachi. 

«Si, ho vissuto in Europa negli ultimi anni. Prima in Italia, poi in Irlanda e infine ho vissuto in Inghilterra. Però a settembre dello scorso anno sono tornata in Giappone, ho frequentato il liceo nella prefettura di Nagano. Sono anche stata la manager nel loro club di pallavolo, non sono completamente digiuna delle faccende da fare. So segnare le azioni e conosco i segni arbitrari. Per alcune cose però facevamo a turno con i ragazzi del club, magari qui invece deve occuparsene solo la manager. Seguirò e farò quello che mi dirai tranquilla!» spiegò quasi non respirando tra una parola e l’altra. 

«Sei più agitata di come lo ero io l’anno scorso quando dovevo decidere se iscrivermi o meno.» disse Yachi intenerita «Sai anche io sono entrata nel club ad anno già inoltrato. Non ti preoccupare ci divideremo i compiti e possiamo svolgere le mansioni insieme in ogni caso.» 

Si erano sorrise a vicenda, entrambe più rilassate, e avevano continuato quella chiacchierata. Yachi aveva dato a Ikeda il modulo del club da compilare e le aveva fatto qualche domanda, curiosa sulla vita all’estero. Quest’ultima aveva risposto raccontandole qualche episodio divertente e Yachi aveva scoperto che la futura manager parlava fluentemente sia inglese che italiano, anche se di quest’ultimo, Ikeda, si era affrettata a precisare non avesse, ancora, l’attestato che lo certificasse come per l’inglese. 

Yachi invece le aveva raccontato un pò della squadra, che erano tutti dei bravi ragazzi. L’aveva avvisata che sarebbero stati, sicuramente felicissimi di avere anche quest’anno due manager. Poi aveva parlato del fatto che l’anno scorso si erano tolti la nomea di campioni decaduti e corvi che non sapevano volare andando ai nazionali per il torneo primaverile.  

«Corvi?! Che soprannome figo…ma senti, naturalmente chiederò anche a loro, vorrei allenarmi con la squadra. In quella vecchia me lo lasciavano fare. Tu pensi sia possibile?» chiese, Ikeda, interrompendo il racconto dell’altra. 

«In che senso? Vuoi fare il riscaldamento?» domandò aggrottando la fronte con una nota di perplessità nella voce Yachi. 

«Si, il riscaldamento ma anche partite di allenamento.» 

Yachi la guardò con espressione ancora più corrucciata e perplessa «Ma forse vuoi entrare nella squadra femminile? Il Karasuno ha anche la squadra femminile di pallavolo…» 

«Lo so, ma non mi interessa e poi mancava buona parte della squadra agli allenamenti da quello che ho notato. Io mi voglio allenare seriamente. Sono abituata in ogni caso a giocare con i ragazzi, non sarà un problema posso riuscire a stare al loro ritmo e prometto di non essere di intralcio.» rispose Ikeda. 

Yachi non aveva idea di come avrebbe reagito la squadra a tale richiesta, non aveva nemmeno sentito di manager che partecipavano attivamente agli allenamenti «Non saprei, penso si possa fare una prova.» 

«Mmmmh, si forse meglio proporla come prova.» disse Ikeda tenendosi il mento con pollice e indice per valutare quell’idea «Beh ora è meglio se vado. Ci vediamo dopo le lezioni allora per andare insieme in palestra. Ti lascio all’inglese...ehi se i ragazzi non sono tanto bravi ogni tanto possiamo parlarlo davanti a loro per lamentarci.» disse ammiccando con aria furba mentre sistemava la sedia. 

Yachi arrossì leggermente, non capiva di cosa avrebbero potuto lamentarsi, stava per farlo presente alla ragazza ma quest’ultima non le diede tempo «Stavo scherzando Yachi, non parlerei in un’altra lingua solo per non farmi capire. Però agli scherzi non rinuncio spero che i ragazzi non se la prendano troppo. Ah e ti farò essere mia complice, sia chiaro! Penso serva anche un pizzico di divertimento negli allenamenti, crea interazioni e solidifica i rapporti in squadra.» 

Ikeda le aveva sorriso un’ultima volta prima di girarsi per uscire dalla classe. 

«Sono felice che tu ti sia unita al club! A dopo!» esclamò Yachi. 

Ormai sulla porta, senza girarsi, aveva alzato leggermente il braccio destro facendo un cenno con la mano «Felicità condivisa! Ci vediamo dopo.» 
 

  ***
 

Ikeda ci aveva messo un po' per tornare nella sua classe dopo la chiacchierata con Yachi.  

Seduta al suo banco stava frugando nel borsone per recuperare il telefono e qualche monetina. 

Trovato il primo, dopo averlo sbloccato, Ikeda aveva mandato un audio nella chat di gruppo con i suoi amici. Raccontando come la situazione sembrava essersi finalmente sbloccata, intanto continuava a cercare i soldi che erano finiti, sicuramente, sul fondo del borsone con la mano libera, aggiunse che era andata a parlare con la manager del club e che le aveva fatto una buona impressione; scherzando sul fatto che Yachi fosse bionda anche se non come Helmi, giusto per punzecchiare un po' la sua amica. 

Finito quel piccolo aggiornamento aveva riposto il telefono in una tasca interna del borsone.  Si prese qualche minuto per guardare lo scorcio di cielo visibile dalla finestra aperta, l’unico suono che arrivava era il vociare indistinto degli studenti che passeggiavano fuori.  

‘Continua a essere un po' strano non sentire anche il rumore del traffico in sottofondo...’  Ikeda sorrise ‘...che pensiero sciocco’.  

Sospirando e facendo tintinnare le monetine, scuotendole nella mano, si era alzata per dirigersi ai distributori per prendere qualcosa da bere, c’era ancora un po' di tempo prima della prossima lezione. 

Per tutto il percorso, tra i corridoi e le scale, che portava all’esterno non aveva fatto altro che pensare a cosa acquistare.  

‘Dannato Ito e il momento in cui mi hai offerto il Qoo alla mela, se non lo avessi assaggiato adesso avrei già in mano lo yogurt senza tutta questa indecisione.’ 

Era ormai quasi arrivata alle macchinette quando un vociare, diverso, più concitato e rabbioso di due persone che discutono, aveva attirato l’attenzione di Ikeda che si era girata verso la direzione da cui provenivano quelle voci per mettere a fuoco cosa che stava succedendo. 

 

Un ragazzo alto e dai capelli scuri, che le dava le spalle, stava rimproverando un secondo ragazzo più basso dai capelli rossi. Quest’ultimo però gli stava rispondendo a tono camminando per recuperare qualcosa. La ragazza non aveva ben capito cosa gli avesse risposto il più basso, erano troppo distanti per sentire chiaramente, probabilmente però era un insulto a giudicare dal tono stizzito di quello alto che aveva risposto a sua volta. 

 

Quando Ikeda vide spuntare il pallone da pallavolo in mano al più basso si fermò un momento sul posto, ‘Ah eccoli’ pensò, per poi distogliere immediatamente lo sguardo e riprendere la sua strada. 

 

«OHI TU ATTENTA!» quell’avvertimento gridato dal punto in cui si trovavano i due che discutevano, aveva fatto fermare nuovamente la ragazza che si era voltata.  

Il ragazzo alto si era girato verso di lei, con un’espressione indecifrabile, quello più basso invece dopo averla guardata per un secondo con terrore, aveva iniziato a correre nella sua direzione. 

«TI AVEVO DETTO CHE STAVI SCHIACCIANDO CON TROPPO FORZA!» 

 

Ikeda non li stava già guardando più, non aveva nemmeno fatto caso a quale dei due appartenesse quella voce, l’attenzione rivolta sulla palla che stava arrivando verso di lei. 

Lasciò cadere i soldi che teneva ancora in mano. 

Abbassò lo sguardo velocemente verso i due ragazzi per controllare le loro posizioni, quello alto era ancora nello stesso punto mentre all’altro ragazzo mancava metà strada nella sua direzione per raggiungerla. 

‘Certo che è proprio veloce’ si disse mentalmente Ikeda che stava già facendo qualche passo veloce in avanti, gli occhi di nuovo sulla palla che adesso era sopra di lei, e saltò. 

Lì in aria, con le braccia leggermente alzate aspettava quel peso così familiare. 

Guardò arrivare la palla tra la finestra formata dalle mani, sentì la palla sulle dita e distese le braccia verso il bersaglio che aveva scelto, spedendo quella sfera, in palleggio, verso il ragazzo fermo mettendo quanta più precisione possibile in quel tocco. 

Fu quando le dita lasciarono infine il pallone che si rese conto di un piccolo particolare... ‘Maledizione la gonna. Ho la gonna!’. 

Era così concentrata sull’azione che stava svolgendo da non averci pensato prima. 

Ikeda portò velocemente le mani in basso, una davanti e una dietro, tenendo giù per quanto possibile il tessuto della divisa. 

Toccata terra con i piedi era rimasta china, tenendo il viso rivolto verso il basso. Non avendo il coraggio di guardare i due ragazzi, per l’imbarazzo che sentiva salire e continuando a tenere le mani sulla gonna, Ikeda si era girata velocemente ed era corsa via senza nemmeno raccogliere i soldi. 

Kageyama non si era scomposto, aveva guardato quell’alzata. Poi ne aveva seguito la traiettoria pensando di doversi spostare per prendere la palla, ma gli era arrivata praticamente tra le mani nel punto in cui si trovava. 

‘Almeno non ci dobbiamo scusare per averla colpita e non dobbiamo sentire i rimproveri di Ennoshita. Forse Hinata dovrebbe chiederle comunque come sta? Tsk la colpa è sua che non l’ha tenuta.’ 

L’alzatore però non fece quasi in tempo a comporre l’ultima parte di quel pensiero, vide la ragazza correre via in maniera abbastanza strana. 

«Ohi Hinata, ma quella è nella squadra femminile di pallavolo che tu sappia?» chiese all’altro, facendo qualche passo e avvicinandosi a lui. 

Hinata si girò molto lentamente solo quando sentì Kageyama al suo fianco. 

«Ti ho fatto una domanda, idiota.» disse l’alzatore voltandosi per guardarlo e scoccargli un’occhiataccia.  Strinse gli occhi in due fessure vedendo il più basso con il viso rosso, quanto i suoi capelli, mentre un dubbio si faceva strada tra i suoi pensieri. 
«Non mi dire che ti sei fatto venire la febbre, non hai ancora imparato la lezione?» chiese Kageyama con tono stizzito, non ricevendo però nessuna risposta o almeno non una che fosse comprensibile. 

L’alzatore roteò gli occhi mentre il più basso continuava a balbettare qualcosa su una gonna. 

«Tsk, se devi farmi perdere tempo così io me ne torno in classe a dormire. Vedi di riprenderti per gli allenamenti pomeridiani o non ti faccio nessuna alzata, idiota.»

 

*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

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Capitolo 3
*** Capitolo 2 ***


Settembre 2012 - Prefettura di Nagano.

 

Ikeda aveva sopravvalutato la sua resistenza al jet lag. Nel suo primo giorno a scuola si stava pentendo amaramente di non essere rimasta casa. 

Tornare a sentire parlare giapponese intorno a sé poi era stato stranissimo, in più si sentiva stanca, assonnata, confusa e frastornata. Ogni volta che i professori la richiamavano vedendole la testa ciondolare lei si scusava in inglese tra le risatine dei suoi compagni di classe. 

 Aveva, ingenuamente, pensato che quest’ultimi sarebbero stati gentili nei suoi confronti, mai previsione fu più errata.  

 

Era quasi paradossale, invece, come appena trasferita in Italia senza riuscire a spiccicare una parola e non capendo quello che le veniva detto, i bambini nella sua classe l’avessero accolta provando a comunicare con dei disegni, in modo da farle capire cosa intendessero e inserendo vicino la parola corrispondente. Questo l’aveva enormemente aiutata ad apprendere la lingua.  

Erano tutti estremamente carini verso di lei, ogni giorno qualcuno le portava qualcosa da provare…caramelle, cioccolata, snack salati, biscotti, succhi e quant’altro. Nonostante la sua diffidenza iniziale per quei modi che trovava un pò invadenti alla fine aveva ceduto.  

Semplicemente aveva provato ad adattarsi a quella quotidianità fatta di saluti con baci e abbracci, nell’andare in cortile durante la pausa per fare qualcosa tutti insieme, alcune volte giocavano a calcio, altre invece era riuscita a convincere la sua compagna di banco a fare dei passaggi a pallavolo.  

In breve quella compagna era diventata la sua migliore amica, Helmi la prendeva sempre per mano e la coinvolgeva in qualsiasi cosa le passasse per la mente. Kimiko le aveva invidiato i lunghi capelli, biondi anzi biondissimi da nord europea, una cosa che facevano spesso le ragazze durante la pausa in cortile era acconciarsi i capelli seguendo qualche video sul telefono, in Giappone lei doveva tenerli sempre ad una certa lunghezza ed erano ancora troppo corti, fu in quei momenti che prese la decisione di farli crescere lunghi come la sua amica.  

Si era anche abituata ad essere chiamata esclusivamente per nome dai suoi compagni, era buffo come “Kimiko” suonasse in modo diverso in base alle loro diverse nazionalità. 

 

Persa in quei pensieri si era estraniata dalla lezione chiudendo gli occhi, i ricordi vividi di quelle pause in cortile nelle belle giornate, tanto che le sembrava di percepire il calore del sole romano, cullata dalla voce monotona che stava spiegando.  

Fu un attimo la testa le scivolò dal pugno che la sorreggeva, il peso del corpo che era già sbilanciato, cadde rovinosamente a terra seguita dalla sedia con un tonfo non indifferente.  

Si era rialzata subito scusandosi nuovamente, almeno questa volta in giapponese, il sottofondo delle sue scuse fu accompagnato, oltre che dalle risatine come in precedenza, dai mormorii dei suoi compagni. 

 

Ikeda aveva provato ad attaccare bottone con le compagne a inizio pranzo, queste però si erano gentilmente defilate con delle scuse.  

Si era quindi rassegnata a consumare quello che aveva comprato al combini prima delle lezioni in solitudine al suo banco.  

L’orologio posizionato sul muro segnava le 12, Ikeda aveva fatto un rapido calcolo per il fuso orario, in Italia dovevano essere le 5 del mattino. 

Aveva comunque preso il cellulare dallo zaino per posarlo sul banco e tra un boccone e l’altro aveva registrato una nota vocale da inviare a Helmi, non l’avrebbe sentita prima di un paio d’ore ma voleva sfogarsi, raccontandole di come quel primo giorno fosse un disastro, dei professori sempre infastiditi anche sapendola che fosse atterrata il giorno prima dopo un volo di 12 ore, dei compagni di classe che della famosa gentilezza giapponese, che si sentiva decantare nel resto del mondo, non avessero nulla e della caduta dalla sedia. 

 

Fondamentalmente, Ikeda, non si riteneva una ragazza lamentosa ma in quel momento era infastidita e si sentiva giustificata a lamentarsi. Quindi si lamentava. 

 

Le restanti ore scolastiche non erano state poi così diverse dalle precedenti, con orrore però, la ragazza, si era resa conto di quello che sarebbe stato un enorme problema. 

Riguardo storia, letteratura e giapponese era spaventosamente indietro rispetto alla classe.   

 

Sulla strada per tornare a casa Ikeda si chiedeva come, in quei cinque anni abbondanti in Europa, né a lei né al fratello fosse venuta in mente una cosa così semplice. Il filo dei suoi pensieri, rivolti a trovare una soluzione quanto più veloce possibile, fu però interrotto dal beep di un messaggio ricevuto. 

Estrasse velocemente il telefono dalla tasca, lo sbloccò per cliccare subito la notifica. Sullo schermo il contatto ‘Helmi 🌟’ e un audio in risposta al suo. Ikeda lo fece partire e quasi le prese un colpo. 

La risata sguaiata di Helmi, la risata di chi è prossima a buttarsi per terra con le lacrime, aveva spezzato la sua voce che, faticando a respirare per le risate, le diceva ‘Sorry....sorry....sorry it's sooooooo funny’ 

Ne seguì un piccolo botta e risposta tra le due in chat. 

                               
 

Le prime settimane passarono così, fondamentalmente in silenzio e solitudine. Durante la pausa, mentre mangiava, scorreva i messaggi sul cellulare recuperando così quello che i suoi amici avevano fatto di giorno che per lei corrispondeva alla notte. Mandava qualche breve audio di aggiornamento o foto del paesaggio, scattate dal cellulare mentre andava a scuola, oppure di qualcosa di particolarmente strano visto al supermercato, il Giappone in questo offriva materiale a non finire. Poi si immergeva nella lettura di qualche autore nipponico fino alla campanella successiva. 

 

Le cose migliorarono in maniera inaspettata, certo non prima che andare peggio. 

 

Ikeda era uscita quel sabato pomeriggio per andare a correre, stava costeggiando la riva del fiume Yomase. 

Un piede messo male sul bordo della strada appena fangosa ed era scivolata, l’unico pensiero mentre rotolava giù dalla piccola discesa che separava la strada dal fiume fu per il telefono, non voleva finisse in acqua con lei. Aveva portato svelta la mano al piccolo marsupio che teneva in vita e aveva lanciato il telefono verso un cumulo erboso sperando così di non romperlo. 

Rialzatasi completamente zuppa da capo a piedi, dopo essere finita come prevedibile in acqua. Iniziò a strizzarsi i capelli mentre con un sospiro rassegnato per la situazione, si dirigeva verso il punto in cui era arrivato il cellulare. Ringraziò mentalmente tutti gli astri celesti vedendolo integro e funzionante ma il sollievo non durò. Mettendo la mano nel marsupio sentì la mancanza di tutto il resto del contenuto, nulla di importate per lo più qualche spicciolo, il burro cacao....il problema però era la scomparsa delle chiavi di casa. 

Iniziò a guardare intorno disperata, nulla. 

Risalì sulla strada e ridiscese, gli occhi puntati a terra nella traiettoria in cui era caduta, nulla. 

Si mise in ginocchio iniziando a spostare l’erba, muovendosi da un lato all'altro con la disperazione che cresceva. 

 

«Ehi, tutto bene? Ti serve aiuto?» 

Una voce maschile aveva interrotto il borbottio e la ricerca di Ikeda che aveva alzato lo sguardo verso la strada. 

La domanda veniva da un ragazzo con due grosse buste della spesa fermo impalato che la fissava. 

«No, grazie.» fu la risposa lapidaria della ragazza mentre riprendeva la sua ricerca. 

Il ragazzo però non se ne andò, posò le buste e scese per raggiungerla «Se mi dici cosa stiamo cercando sarà più semplice, no?» disse chinandosi e iniziando a spostare l’erba un po' distante dalla ragazza in modo da coprire un’area di ricerca maggiore. 

Non ottenne nessuna risposta. 

Si fermò dopo qualche minuto per guardarla meglio e finalmente la riconobbe, notò anche che fosse completamente bagnata da capo a piedi «Ma tu sei la ragazza nuova dell'Europa! Io sono Ito Masaru. Siamo in classe insieme, ma cos’è successo? Ti hanno spinta nel fiume?» chiese sinceramente preoccupato. 

«Non mi hanno spinta, sono scivolata e sono caduta. Tutto qui. Sto cercando le chiavi di casa, non c’è bisogno che le cerchi anche tu. Ti ringrazio ma vai pure a casa.» disse Ikeda, dando finalmente delle risposte a quel ragazzo, che forse sì era nella sua classe ma non lo ricordava.  

Ito non si era ancora mosso «Mi ricordi come ti chiami? Non sono molto attento di mattina durante l’appello.» 

«Ikeda Kimiko.» rispose senza degnarlo di uno sguardo mentre si spostava in una nuova zona continuando la sua ricerca. 

«Ikeda, non è meglio se torni a casa e ti cambi? Ti prenderai un raffreddore. Io porto la spesa a casa mia, mi preparo per il club e ci rivediamo qui per cercare ancora. Che ne dici?» Ito pensava che quella fosse una buona soluzione, vedendo che la ragazza, nonostante cercasse di trattenersi, stava iniziando a tremare. 

«Non posso entrare a casa senza le chiavi.» ribatté Ikeda. 

«In che senso, scusa?»  

A quella domanda sciocca, perché le sembrava ovvio l’uso delle chiavi per rientrare in casa, lei sbuffò fermandosi per guardare Ito «Nel senso che nessuno mi può aprire. Mio fratello non tornerà a casa prima delle 21 e io ho chiuso con due giri di chiave la porta.» 

«Due giri di chiave?!» il ragazzo era sorpreso, nessuno in zona aveva l’abitudine di chiudere la propria abitazione a chiave «Perchè?» 

«Come “perché?”, per i ladri.» Ikeda iniziava a spazientirsi per quelle domande la cui risposta era ovvia, si chiedeva se quel ragazzo fosse stupido o cosa, frustrata perché le era capitato tra le mani il burro cacao ma non ancora le chiavi. 

«I ladri? Qui!? Non ci sono ladri qui. L’unico a cui devi stare attenta qui è quel gattone rossiccio che gira nel quartiere, quello senza coda e grassoccio. Lo vedi e pensi che con quel peso non possa essere così veloce e poi invece...» Ito si era alzato facendo uno scatto, cercando di mimare in fantomatico attacco di quel gatto grassoccio, con tanto di soffi e miagolii arrabbiati «fa così, poi così e si attacca alle gambe. Fa veramente male, parlo per esperienza.» 

Ikeda lo fissava senza proferire parola, il silenzio però durò solo un minuto «Pff» e iniziò a ridere leggermente «Deve essere stata una battaglia all’ultimo sangue, e da come ne parli il sangue era il tuo. Sicuro di voler far sapere di essere stato battuto da un gatto? Per giunta grasso.» disse divertita. 

«Beh se ti fa ridere sì, fino a poco fa avevi l’aria abbastanza disperata. Direi che è un miglioramento. Senti Ikeda, le chiavi al momento non le stiamo trovando, magari sono finite nel fiume che le ha portate via. Ti offro ospitalità. Vieni a casa mia, ho una sorella ti darà un cambio di vestiti mentre i tuoi si asciugano. Puoi venire al club con me, se ti va, dopo. Sarà sicuramente meno noioso che passare tutto il pomeriggio china qui a cercare delle chiavi disperse. Che ne dici?» fu la proposta di Ito mentre la guardava con la testa leggermente piegata. 

«Dico che non voglio incontrare questo gatto pericolosissimo.» disse lei alzandosi e scrollando la terra dalle ginocchia «Di sicuro voglio evitare il raffreddore. Sei sicuro però che non disturbo?» chiese Ikeda titubante. 

«Ti ho detto che ho una sorella, se fosse nella tua situazione vorrei che qualcuno le offrisse aiuto. Quindi no, non è un disturbo. Che disturbo è, poi, aiutare qualcuno se puoi farlo?» disse Ito mentre risaliva per raggiungere la strada seguito dalla ragazza. 

‘No, non è stupido. Un bravo ragazzo...è un bravo ragazzo’ constatò mentalmente, Ikeda, mentre lo guardava prendere le buste. Lui quasi si offese quando lei si propose di portarne una. 

«Ma davvero hai chiuso per i ladri?» la curiosità riaffiorò nel ragazzo. 

Ikeda alzò gli occhi al cielo prima di rispondere «Sì, sono abituata così ormai. In Europa, ci sono i ladri quindi chiudevamo sempre a chiave. Anzi avevamo anche più serrature per chiudere la porta. Alcune case hanno le porte blindate e le sbarre alle finestre.» 

«Ah....e per i gatti grassi in Europa c’è qualche soluzione?» 
Si guardarono entrambi e scoppiarono a ridere. 



 

*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 3 ***


Era suonata l’ultima campanella della giornata, Ikeda aveva allontanato leggermente la sedia dal banco poggiandovi la fronte sul bordo.  

Stava ancora cercando di metabolizzare quello che era successo a pranzo, prendendo razionalmente coscienza del fatto che a breve avrebbe rivisto quei due. 

«Ikeda tutto bene?» la voce di Yachi la ridestò da quello stato in cui era sprofondata «Ti senti nervosa a incontrare la squadra? Non devi, vedrai che andrà bene.» aveva aggiunto la manager. 

La moretta la guardava mordendosi il labbro inferiore, si chiedeva se fosse il caso di dirle quello che era successo e rimandare il suo ingresso al club di qualche giorno. Poi scosse la testa, prima o dopo avrebbe dovuto comunque vederli. 

«No... Si... Forse solo un po'.» fu la risposta di Ikeda. 

«Dai, andiamo ti faccio vedere dove cambiarci. Devi salutare qualcuno prima di andare?»  

«No, possiamo andare,» risposte l’altra prendendo il borsone con le sue cose. 

Camminavano entrambe con calma per i corridoi che brulicavano di ragazze e ragazzi, intenti a raggiungere chi i propri club o che cercavano di guadagnare l’uscita per tornare a casa. 

Ikeda si teneva un passo indietro, non sapendo dove andare, seguendo Yachi che le faceva qualche domanda sulle lezioni di quella giornata. 

Avevano continuato a chiacchierare anche negli spogliatoi mentre si cambiavano.  

«Quindi non hai ancora fatto nessuna amicizia in classe?» in quella domanda c’era un velo d’incredulità. Yachi era sorpresa, per certi versi la ragazza che le dava le spalle mentre si cambiava le ricordava il carattere solare di Hinata. 

«Mmmh no. Ma credo sia normale, loro già si conoscono. C’è stata la curiosità iniziale del primo giorno, quando hanno saputo che prima vivevo fuori dal Giappone, la cosa però è morta lì.» rispose Ikeda, mentre slacciava il reggiseno per indossare quello sportivo. 

La biondina arrossì guardando l’altra intenta a indossare una maglietta, la divisa della scuola non le rendeva giustizia. Il seno, che aveva sbirciato mentre era scoperto, sembrava una taglia più grande di come appariva coperto dalla camicia e giacca che indossava prima. 

Si rese conto di star fissando quel fisico, asciutto e tonico, solo quando Ikeda si voltò per appoggiarsi alle mensole dove aveva riposto la divisa, per aiutarsi a indossare i pantaloncini. 

«Scusa non volevo fissarti.» disse con imbarazzo Yachi riprendendo a spogliarsi. 

Ikeda si mise a ridere, facendo passare una gamba e poi l’altra nei pantaloncini da allenamento, in cui infilò poi il bordo della maglietta larga, in modo che durante i salti non avrebbe scoperto altro pensando, e sbiancando di nuovo leggermente, che già aveva dato. «Figurati, insomma non sei la prima ragazza con cui mi cambio.» 

«Ti alleni molto?» chiese la manager, cercando di allontanare ancora quel leggero imbarazzo. 

 

La risposta arrivò dopo un lungo momento di riflessione. 

«Sì e no, mi piace tenermi in forma, anche se durante il trasloco non ho avuto molto tempo, ma l’allenamento è diventato essenziale perché mi piace mangiare. 

L’Italia, da questo punto di vista, mi è stata maestra condannandomi inesorabilmente.» rispose con una risatina, Ikeda, per poi continuare. 

«Non c’è un piatto che mi abbiano messo davanti che sia stato cattivo, poi agli italiani piace proprio cucinare e ritrovarsi attorno ad un tavolo, lo fanno praticamente sempre. 

Tutta la settimana con la famiglia che vive sotto lo stesso tetto, ma il sabato o la domenica si ritrovano con tutti i parenti, visto che noi eravamo stranieri spesso ci invitavano per senso di accoglienza. 

Una volta un collega di mio fratello, non aveva avvisato la nonna che avrebbe portato due ospiti...erano i primi tempi e non conoscevamo ancora così bene la lingua, non che avremmo capito comunque qualcosa, la signora era talmente arrabbiata con il nipote che gli stava urlando in dialetto stretto, ma questo lo abbiamo scoperto solo dopo. 

Io e mio fratello eravamo terrorizzati, c’era questa signora che gridava in cucina mentre girava con rabbia qualcosa nella pentola, poi ha iniziato a inseguire il nipote con un mestolo pulito cercando di colpirlo. Ti giuro una scena surreale...lui che scappava, lei che lo inseguiva per tutta casa e i parenti che ridevano e si versavano del vino. Come se fosse la cosa più normale del mondo.» 

 

Ikeda annuiva davanti allo sguardo sbigottito di Yachi, che continuava a cambiarsi, mentre lei iniziò a pettinarsi i capelli riprendendo il discorso. 

«Quando si è avvicinata a noi, non sapevamo che fare, pensavamo volesse dirci di andare via, ma non aveva più il tono che aveva usato con il nipote. 

Il collega di mio fratello ci traduceva quello che la nonna diceva. In pratica si stava scusando mortificata perché, secondo lei, quello che aveva preparato non era abbastanza buono e credeva non sarebbe bastato per tutti, inoltre ci stava invitando a pranzare il giorno dopo, con la promessa che avrebbe cucinato qualcosa degno, a detta sua, per degli ospiti. 

Yachi credimi, può sembrare una bugia ma non lo è, ci siamo seduti per le dodici e non ci siamo alzati prima delle tre di pomeriggio, completamente satolli. 

Abbiamo detto più volte che si era preoccupata per nulla, il cibo era tanto e tutto era squisito, ma non ha voluto sentire ragioni, il giorno dopo ha cucinato solo per noi e il nipote alcune cose tipiche, ed erano davvero più buone del giorno precedente. Cosa che non credevamo possibile. A quanto pare le nonne in Italia sono tutte così, ti riempiono di cibo delizioso convinte che non sia mai abbastanza come quantità e bontà.» 

«Deve avervi preparato un sacco di pizze, quella nonnina.» disse Yachi divertita. 

«Veramente no, me lo ha chiesto anche Ito l’anno scorso se mangiavo continuamente pizza in Italia. Ito è un ragazzo del club di pallavolo della scuola che frequentavo a Nagano.» le rispose, sorpresa da come tutti associassero solo la pizza all’Italia. 

«Ma non si mangia solo pizza, o almeno non la mangiano nelle occasioni che considerano speciali, è più una cosa che si mangia a cena tra amici.» la ragazza mora ci teneva a fare quelle precisazioni volendo, per quanto possibile, correggere gli stereotipi falsi sull’Italia. 

«Allora mmmh, forse ha cucinato tanta carbonara. Io l’ho mangiata solo una volta, c’è un ristorante italiano qui vicino se non lo sai...» 

«No Yachi, ti prego, ti blocco subito. Ci siamo andati anche noi appena arrivati a Miyagi, per vedere se era veramente italiano. Di italiano c’è solo la dicitura nell’insegna. 

Ad ogni modo per tornare al discorso iniziale, dall’Italia ho appreso il piacere di mangiare e poi, un po' per necessità un po' perché volevo riuscire a rifare da sola quei piatti così buoni, ho imparato a cucinare. Mi alleno anche per sensi di colpa quindi, se così vogliamo chiamarli. 

Comunque, nonostante gli italiani possano dissentire, anche nel resto d’Europa si mangiano cose davvero buone.» a Ikeda costava ammettere quell’ultima cosa, amava l’Italia ma bisognava anche essere onesti. 

 

Ci fu di nuovo un momento di silenzio. 

«Deve essere stata dura spostarsi tanto, io non ci riuscirei a ricominciare da zero ad ogni scuola.» Yachi guardava l’altra con una certa ammirazione. 

 

A quelle parole Ikeda bloccò i movimenti veloci con cui stava legando i capelli in una coda alta per rivolgerle uno sguardo interrogativo. 

 

«No, voglio dire in-insomma ti sei spostata tanto. Il tempo per farti degli amici e poi ti trasferisci, deve essere poco piacevole lasciarli. Ecco considerami già tua amica qui al Karasuno, sono sicura che diventeremo amiche, quindi diventiamo subito amiche.» la manager aveva detto l’ultima parte tutto d’un fiato. Voleva essere d’appoggio a quella ragazza appena arrivata che non conosceva ancora nessuno. 

Ikeda finì di legarsi i capelli con un sorriso sincero e di gratitudine, Yachi le aveva ricordato per un secondo la bambina dai capelli biondi, anzi biondissimi, che un giorno le si era avvicinata, sedendosi al suo stesso banco per passarle un bigliettino. Non lo aveva mai detto a Helmi ma ancora custodiva gelosamente quel foglietto. 

«Beh, ti ringrazio. Allora sei ufficialmente la mia prima amica in Giappone. 

Ah, ma Yachi tu mi hai fatto parlare senza interrompermi, non si è fatto tardi?» disse velocemente la moretta, prendendo in gran fretta quello che le serviva per l’allenamento dal borsone. 

«Accidenti, si in effetti siamo un po' in ritardo meglio sbrigarci.» 

    

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


Yachi era entrata per prima nella palestra n.2, Ikeda le aveva detto che avrebbe perso qualche minuto a riempire la sua borraccia prima di entrare anche lei. 

Seduta sugli scalini, mentre sostituiva le scarpe che aveva indosso con quelle da pallavolo, ascoltava il parlottare tra la manager ed un ragazzo che risultava leggermente attutito dal suono ritmico della corsa sul parquet degli altri componenti del club. 

Intuendo che l’argomento fosse il ritardo di Yachi decise di intervenire. 

«Le belle ragazze si fanno attendere.» furono le parole di Ikeda che stava finendo di allacciarsi le scarpe per poi posare velocemente quelle appena tolte nella scarpiera affianco la porta della palestra. Dopo aver posato su una panca quello che si era portata dietro per l’allenamento, andò svelta dietro la manager posandole le mani sulle spalle. 

«Yachi, anzi, è anche troppo puntuale, dovrebbe uscire e tornare come minimo tra venti minuti» aggiunse sorridendo a entrambi 

 «Ennoshita, lei è Ikeda Kimiko. Ikeda lui è Chikara Ennoshita il nostro capitano.» si affrettò a presentarli divertita Yachi. 

Alla parola “capitano” Ikeda si era fatta più seria. Se fosse stato il capitano avrebbe voluto dire che quel ragazzo era del terzo anno. Lei poteva anche non badare più alla dinamica sociale senpai-kohai ma lui poteva tenerci. Sicuramente non voleva infastidire il capitano. 

Yachi continuò dicendo a Ennoshita che quella ragazza voleva unirsi al club come manager. 

La moretta si era un secondo estraniata dalla discussione, tra i due, guardando i ragazzi che stavano correndo. 

 

 

«Ehi chi è la ragazza con Yachi?» sussurrò Tanaka in direzione di Nishinoya dall'altro lato della palestra. 

«Manager...ho sentito la parola manager.» si intromise Yamaguchi. 

«Mi sembra alta per essere del primo anno, non credo di averla mai vista a scuola anche se ha un viso familiare.» disse Nishinoya. 

«Non è così alta. Noya-san qualsiasi ragazza potrebbe risultare alta per te o per Hinata.» il commento di Tsukishima, come al solito, non era stato richiesto da nessuno, tanto meno la precisazione su chi risultava più basso. 

 

«MI DISPIACE! MI DISPIACE! MI DISPIACE!»  

 

La voce squillante di Hinata era resa ancora più alta dal fatto che stava praticamente urlando, arrivando a coprire il suono della corsa che si era improvvisamente fermato. 

Tutti lo fissavano intanto che tra un mi dispiace e l’altro si inchinava verso il trio formato da Ennoshita, Yachi e l’altra ragazza. 

Aspettando una qualche spiegazione si erano poi rivolti ad Ennoshita, credendo che il capitano avesse la risposta a quell’atteggiamento, ricevendo però solo sguardi interrogativi e confusi dal loro capitano e dalla manager.  

‘Idiota! Poteva scusarsi prima a pranzo, o prenderla da parte quando finivamo di correre, se proprio ci teneva a scusarsi.’  Pensò invece chi credeva di sapere per cosa si stesse scusando Hinata. 

La ragazza accanto a Yachi aveva gli occhi sgranati puntati su Hinata. Lo sguardo impaurito come quello di un cerbiatto davanti ai fari di una macchina. 

 

«Perché ti stai scusando Hinata?» chiese Ennoshita, perplesso da tutti quei mi dispiace non capendone il motivo. 

 

‘E ora come lo spiego? Non posso dire una cosa del genere. Faccio la figura del pervertito. Non lo sono. Forse potrei dire “è stato un incidente, non volevo”. Mi tirerà uno schiaffo ne sono certo e me lo merito, anche se non volevo ho comunque guardato.’ 

 

«Niente di grave. Stava facendo delle ricezioni durante il pranzo e una non l’ha presa bene.» 

Sentendo quella voce femminile, Hinata, alzò lo sguardo. 

La ragazza mora vicino a Yachi aveva risposto per lui, guardando Ennoshita e sorridendo con sicurezza. Poi voltandosi verso di lui, continuando a sorridere, aggiunse... 

 

«La palla non mi è arrivata addosso, sta tranquillo non ti devi scusare. Accetto le tue scuse se vuoi però. Non c'è altro da aggiungere.» 

 

Hinata rabbrividì. Le ultime parole, dette in modo freddo, suonavano come un ordine a cui non disubbidire che lo spinse a chiude immediatamente la bocca. 

Il sorriso sul viso della ragazza non era mai cessato, ma per un secondo in quegli occhi nocciola, lui, aveva scorto passare un lampo. 

Hinata quel lampo lo conosceva bene, lo ha visto fin troppe volte grazie a Kageyama. 

 

«Ricezione?! Hinata...tu e Kageyama vi stavate nuovamente allenando troppo vicini alla scuola?»  

Alla domanda del capitano Kageyama sussultò impercettibilmente, il primo invece si rilassò pensando che essendo sopravvissuto ai minuti precedenti poteva uscire indenne anche dalla strigliata di Ennoshita.  

 

Ikeda nel guardare il capitano rimproverare i due ragazzi, si sentiva vagamente in colpa. 

Si abbassò per arrivare all’altezza dell’orecchio dell’altra ragazza, con la mano davanti le sussurrò piano «Yachi, ma era un segreto il fatto che si allenassero a pranzo quei due? Ho sbagliato a dirlo?» 

La manager la tranquillizzò, le spiegò che non era insolito che lo facessero, Ennoshita però ogni tanto era costretto a riprenderli, soprattutto quando veniva a sapere che quegli allenamenti avvenivano troppo a ridosso degli edifici, non volendo problemi con il vice preside. 

 

Finito quel rimprovero, sperando che durasse per qualche settimana nella mente dei due ragazzi, il capitano invitò le due ragazze a farsi avanti iniziando a fare le presentazioni dei ragazzi.  

Ikeda sapeva che non avrebbe ricordato tutti quei nomi subito. 

Fece un respiro e si presentò come le aveva consigliato di fare Ito prima di trasferirsi a Miyagi. 

«Io mi chiamo Ikeda Kimiko, frequento il secondo anno. Mi sono trasferita quest’anno, prima ho frequentato per sei mesi la scuola nella prefettura di Nagano. Negli ultimi anni ho vissuto in Europa, quindi vi chiedo già scusa se qualche mio comportamento vi darà fastidio. Vi chiedo scusa se non ricordo subito i vostri nomi, li imparerò. Voglio fare la manager.» facendo un piccolo inchino verso i ragazzi. 

 

«Beh, almeno per Hinata è meno umiliante che non sia del primo anno. Va peggio a Noya-san che continua a vedere sempre più ragazze giovani più alte di lui.» 

 

Ikeda guardò il ragazzo biondo con gli occhiali, che a sua volta stava guardando con sufficienza due ragazzi non particolarmente alti. Uno dei due era quello dell’incidente, sembrava non aver nemmeno sentito quelle parole ed essere finito in un mondo tutto suo dopo la sgridata, l’altro appena notò di essere osservato da lei si irrigidì e fece qualche passo indietro.  

«Tsukki...» il ragazzo lentigginoso accanto a quello con gli occhiali gli tirò una gomitata, forse per riprenderlo, gesto inutile visto che era accompagnato da una risatina. 

 

«Tsukishima maledetto spilungone, vieni qui e siediti al mio cospetto! Devi guardare dal basso verso l’alto il tuo senpai che ti...che ti...» 

 

Nishinoya non era riuscito a concludere la frase, la risata melodiosa di Ikeda lo aveva fermato da qualsiasi cosa volesse dire a Tsukishima. 

«Pfft...perdonami e che è una situazione così buffa che non sono riuscita a trattenermi.» 

«T-tu...t-tu...Tu sei perdonata. Tsukishima noi due facciamo i conti dopo.» 

 

«Ragazzi, e-ecco Ikeda voleva chiedervi anche una cosa.» Yachi si intromise, ben sapendo che quei discorsi potevano andare per le lunghe. 

 

Ikeda strinse leggermente i pugni, si fece coraggio e fece la sua richiesta. 

«Sì, oltre a fare la manager vorrei allenarmi nella pallavolo con voi.» 

I ragazzi si guardavano tra loro confusi pensando di non aver ben capito. 

Ennoshita prese la parola per tutti, non per nulla era il capitano. 

«Vuoi allenarti con noi...?» 

«Sì.» 

«Nella pallavolo...?» 

«Sì.» 

«Qui siamo tutti ragazzi...» 

«Sì, lo vedo.» 

«La rete è ad altezza per la pallavolo maschile. Ma forse non lo sai che c’è questa differenza tra quella maschile e femminile.» disse con sufficienza il ragazzo corvino con tono scocciato, intromettendosi tra quelle domande che stavano prendendo tempo al suo allenamento. 

«Quei venti centimetri non fanno differenza per me, ma se ti senti più a tuo agio puoi abbassare la rete.» rispose Ikeda piccata da quella insinuazione di ignoranza per una cosa così basilare come la differenza di altezza della rete tra pallavolo maschile e femminile.  

«Ma forse vuoi entrare nella squadra femminile e ti sei sbagliata?» chiese Ennoshita cercando di calmare con lo sguardo Kageyama. 

«L’ho chiesto anche io a pranzo...» si intromise Yachi «...mi ha detto che è abituata a giocare con i ragazzi.» 

«Qui ci alleniamo seriamente, non abbiamo tempo da perdere.» s’intromise nuovamente il corvino. 

«Voglio ben sperare, altrimenti sarei andare nella squadra femminile, Yachi mi ha detto che avete partecipato ai nazionali. Immagino vogliate andarci anche quest’anno. Fatemi provare, se avete due alzatori poi sarà più facile allenarsi negli schemi a due, faccio il setter nell’altro lato del campo così il gioco sarà più fluido come in partita. Se poi risulterò di peso mi farò da parte e mi limiterò a fare la manager.» 

«E’ questo il ruolo in cui giochi? Alzatrice? L’unico alzatore tra noi è Kageyama. Direi che va bene, ci sarebbe utile un secondo membro con questo ruolo durate gli allenamenti. Facciamo una prova e vediamo come va.»  

E con quelle parole Ennoshita voleva chiudere il discorso. 

 

«Q-quanto sei alta?» la voce di Hinata, che sembrava finalmente essere tornato in palestra con tutti gli altri, presente a sé stesso. 

«Mmmh è un po' che non prendo le misure. Penso di essere tra l’1,70 e l’1.75.» 

 

La presenza del Coach Ukai sulla porta richiamò l’attenzione di tutti che lo salutarono riprendendo poi a correre. Ikeda si era avvicinata a quell’uomo insieme a Ennoshita per spiegargli la sua presenza e la questione dell’allenamento. 

 

«Sarà già stremata dopo il riscaldamento.» disse Kageyama. 

E quelle furono le ultime parole famose. 

 

 

*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


Il riscaldamento era finito e Ikeda era ancora in piedi. 

Solo le guance leggermente arrossate e un leggero velo di sudore tradivano il fatto che aveva fatto attività fisica. 

 

Dopo aver parlato con Ukai si era unita alla corsa insieme agli altri. Qualche giro e aveva chiesto ai primini di quanti giri fossero avanti rispetto a lei, aumentò il ritmo quindi per recuperare quei giri mancanti, quando fu in pari rimase a chiudere la fila. 

 

La dolcezza e il sorriso sul volto della ragazza avevano lasciato il posto alla concentrazione per gli esercizi da svolgere, donandole un aspetto austero e solenne che aveva fatto desistere i ragazzi dal porle qualsiasi domanda. E di domande e curiosità ne avevano molte. 

Aveva eseguito lo stretching con attenzione sotto le direttive del Coach Ukai, appuntando mentalmente le differenze, che erano veramente poche rispetto a quello che era solita fare. 

 

L’allenatore ad un certo punto aveva detto ai ragazzi di prepararsi, indossare le protezioni e preparare il campo per la partita. 

Ikeda si era avvicinata alla manager per aiutarla a distribuire le pettorine tenendone una per sé. 

Si era avvicinata al punto in cui aveva lasciato le sue cose e aveva iniziato ad abbassare i pantaloni lunghi della tuta per restare in pantaloncini e mettersi le ginocchiere. 

 

«Ikeda no, ferma. Non qui. Non qui.» 

 

Yachi era corsa verso la ragazza afferrandole i polsi per non farle abbassare ulteriormente i pantaloni. 

«Avanti ragazzi, voltatevi non c’è nulla da guardare.» Ukai si era messo in mezzo a coprire la visuale. 

Ikeda non capiva, alcuni ragazzi tenevano lo sguardo basso rossi in volto fino ai capelli, altri erano di spalle. 

«Ho i pantaloncini sotto, non è diverso da quello che state facendo anche voi. Mi vedrete lo stesso le gambe tra due minuti. Siete seri?» chiese stupita Ikeda. 

«Toglili nello sgabuzzino per favore Ikeda, evitiamo qualsiasi incomprensione.» disse Ukai. 

 

Ikeda sospirò, leggermente, ma ubbidì. Rialzò i pantaloni, prese le ginocchiere, la pettorina e si diresse verso quella stanza polverosa, passando vicino ai primini che stavano montando la rete, per poi chiudendosi la porta alle spalle. 

 

Uscita da lì, alla ragazza brillarono gli occhi vedendo la rete montata. 

Si avvicinò piano in un silenzio quasi reverenziale, piegando con cura i pantaloni per poi tenerli in una mano. 

Con le dita della mano libera ne sfiorava delicatamente il bordo teso inferiore mentre lentamente si avvicinava verso Ukai. 

 

‘Come cavolo riuscivo a giocare con quella rete sgangherate a Londra’ 

 

Il Coach fece avvicinare anche Ennoshita e l’altro alzatore. Voleva farli giocare a squadre, vista la presenza di due alzatori, in modo da vedere come giocavano e reagivano i primini, dicendosi che la ragazza sarebbe comunque bastata per un livello basilare. 

«Allora Yaotome ci ha detto che giocava da libero alle medie. Tokita, Shoji e Shimada possono giocare come schiacciatori laterali. Ikeda come alzatrice. Vi prestiamo un membro dei senpai...» 

Ukai si era fermato vedendo Ikeda con la mano alzata che aspettava il permesso di parlare. 

 

«Che c’è Ikeda? Non ti preoccupare se poi ti vorrai fermare durante la partita basterà farlo presente.» 

«No, non è questo. Non crede che siano troppo squilibrate le squadre? Non sarebbe meglio scambiarci i liberi? In questo modo gli schiacciatori dal mio lato avranno una possibilità di giocata con una buona ricezione e Yaotome non si troverà in estrema difficoltà a fronteggiare sei giocatori con più esperienza.» 

 

Ci pensarono un po', ma la proposta sembrò valida sia all’allenatore che al capitano, l’alzatore invece continuava ad avere lo sguardo annoiato da quella situazione, volendo giocare e basta. 

«Nishinoya, hai sentito?» chiese Ukai, ma il ragazzo stava già gongolando all'idea di poter giocare con una bella ragazza, rendendo invidioso un altro ragazzo. «Immagino che gli vada bene. Bene per il sesto...» 

«Posso sceglierlo io?» Ikeda lo aveva bloccato nel finire la frase, non volendo lasciarsi scappare quell’ occasione. 

 

Ukai la guardò perplesso per un secondo ma alla fine acconsentì. Un giocatore valeva l’altro, quella partita serviva solo a vedere a che livello fossero i nuovi ragazzi, se la ragazza ci avesse tenuto l’avrebbe lasciata libera di scegliere. 

 

Ikeda ringraziò e si girò verso il gruppo dei ragazzi più grandi, distanti dal gruppetto dei primini che parlottavano tra loro sperando che scegliesse Tanaka che ai loro occhi sembrava molto forte o Tsukishima che era altissimo. 

 

«Amico mio, credo che giocheremo entrambi con lei.» sussurrò Tanaka dando un colpetto a Noya. 

«Vedete di non stare a fissarla mentre giocate o vi arriverà qualche pallonata in faccia» li canzonò entrambi Narita. 

«Per chi ci hai preso? Siamo dei gentiluomini noi.» 

«Lo chiederà a Tsukki, si sta già avvicinando a lui.» disse Yamaguchi. 

 

Ikeda passò il biondo con gli occhiali. Passò anche gli altri. Rallentò solo per chiedere al libero se potesse iniziare ad andare tra i primini. 

Si fermò solo quando fu davanti al ragazzo bassino dai capelli rossi seduto e intento a mettersi le ginocchiere. 

 

Hinata era certo che non sarebbe stato scelto. Solo quando delle scarpe che non riconosceva entrarono nel suo campo visivo si decise ad alzare lo sguardo. 

Ikeda si era leggermente abbassata e gli tendeva una mano... 

 

«Ti va di giocare dal lato dei pulcini? Che ne dici.» 

 

A quella richiesta Hinata spalancò gli occhi con stupore. Anche Kageyama, tornato tra i suoi compagni, ne era stupito ‘Non ha idea di come si giochi se vuole lui dopo aver visto quella pessima ricezione a pranzo. 

 

«Mi sembra appropriato chiederlo ad uno basso, direi che è in linea per essere considerato un pulcino.» 

Ikeda guardò, corrucciando la fronte, il ragazzo biondo «Che sciocchezza...glielo sto chiedendo perché è veloce» disse rispondendo a quella insinuazione per poi guardare negli occhi il ragazzo seduto «A me, piace la velocità.» 

Era calato il silenzio...nessuno aveva detto più nulla.  

Hinata seduto era rimasto con la bocca aperta, incapace di elaborare che era davvero stato scelto lui, per giunta per primo a discapito dei suoi senpai e di quell’antipatico di Tsukishima che i primini guardavano con ammirazione. 

 

«Allora? Che ne dici?» gli chiese di nuovo, muovendo le dita della mano per sottolineare che fosse in attesa di una risposta. 

 

Il ragazzo afferrò quella mano che lo aiutò ad alzarsi. 

Ikeda gli sorrise, senza lasciargli la mano, Hinata si fece semplicemente trascinare docilmente, ancora travolto dal fatto di non essere stato bollato come basso per la pallavolo. 

«Io...io..io alto salto anche...salto molto...alto.» bofonchiava Hinata con un sorriso beota mentre passava accanto ai senpai fissando i capelli della ragazza che legati ballonzolavano seguendo il ritmo della sua camminata. 

«Alto quanto?» chiese Ikeda senza voltarsi prendendo anche il libero per una spalla, visto che non si era spostato come aveva chiesto prima. 

«P-più metri t-tre» balbettò Hinata 

«Ma allora dovrò impegnarmi e farti delle alzate belle alte! Stupendo!» gli rispose Ikeda con un risolino compiaciuto. 

 

I primini avevano uno sguardo poco convinto di quella scelta e Yaotome era stato invitato ad andare dagli altri ragazzi per poter parlare della strategia di gioco. 

 

Gli altri ragazzi guardavano il gruppetto in silenzio, tutti stavano pensando la stessa cosa ma nessuno osava dirla. 

Ennoshita si decise a parlare, schiarendosi la voce «Hanno due ottimi giocatori di là.» 

«Uno.» lo corresse Kageyama, convinto di quello che stava per dire «Hinata senza l’alzata per la veloce è limitato, diventa un’esca inutile.» 

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 6 ***


«Bene, visto che il senpai più forte gioca con voi non avete nulla da temere, ci penserò io a guardarvi le spalle! È così che si comporta un vero senpai.» 

Hinata spalleggiò quella dichiarazione aggiungendo «Vero, vero Noya è la Divinità Protettrice del Karasuno.» 

 

I primini non avevano ancora capito se Nishinoya e Hinata si comportassero così per loro natura o solo per cercare di impressionarli in qualche maniera. 

Chi invece si era esaltata da quelle dichiarazioni era Ikeda che lo guardava con gli occhi luccicanti, felice di poter contare su una difesa che sembrava così promettente, almeno a parole. 

«Divinità Protettrice?! Ma devi essere bravissimo se ti chiamano così. You’re cool. Ah, scusa, mi è uscito in inglese, volevo dire che è un soprannome fighissimo.» 

 

Nishinoya aveva ripreso a gongolare gonfiando anche il petto, ebro dell’entusiasmo mostrato dalla ragazza decise con grande magnanimità di soprassedere sulla poca, secondo il suo pensiero, ammirazione che gli stavano rivolgendo i primini. Ma solo per il tempo della partita, avrebbe fatto i conti con loro dopo. 

«Contate su di me anche per qualche alzata, non ho intenzione di lasciare tutto il peso sulle spalle di una fanciulla e farla stancare.» 

«Ti ringrazio, e se la pensi così allora anche dall’altro lato sarà lo stesso. Tanto vale approfittare un po' di questo vantaggio, almeno finché dura.» disse Ikeda 

«Cosa intendi?» chiese un primino. 

«A muro, probabilmente, eviteranno di colpire su di me. Cercate di non stringervi troppo così copriremo le diagonali, lasciate libere le schiacciate per il lungo linea. Sarà più facile da ricevere se sappiamo dove colpiranno, e poi la Divinità Protettrice ha detto che ci guarderà le spalle.» 

 

Noya annuiva, pronto a gettarsi anche nelle fiamme dopo quelle parole. 

 

«Vi devo chiedere solo un favore per le ricezioni, se potete e ne siete in grado cercate di mandare in alto la palla per favore.» 

I primini si guardavano non capendo, gli altri due invece si erano lanciati uno sguardo perplesso. 

«Che c’è? È una richiesta troppo specifica?» 

«No...Kageyama, l’alzatore, anche lui ci ha detto che preferisce ricezioni del genere.» rispose Hinata. 

«Meglio, vuol dire che voi due siete abituati bene.» la ragazza gli diede due pacche sulla spalla prima di riprendere a parlare «Per il resto non preoccupatevi, so che è la prima giocata e voi vi siete almeno un po' allenati insieme nei giorni precedenti. Farò comunque il possibile per farvi avere delle buone alzate. Ci vorrà un po' è vero, soprattutto all’inizio andremo sicuramente di sotto di qualche punto, datemi un po' di tempo voi correte e saltate al massimo, soprattutto ai primi scambi, anche se pensate che la palla non sarà per voi. Devo farmi un'idea su come giocate.» 

 

Il primo set era iniziato e l’alzatrice era rimasta piacevolmente sorpresa già ai primi scambi, Nishinoya era stato di parola, guardava loro le spalle e ogni sua ricezione era davvero ben eseguita consentendole di fare delle ottime alzate. Poi seguiva le palle murate in maniera precisa e sopperiva alla ricezione ancora acerba dei primini, quello aveva consentito degli scambi abbastanza lunghi dando la possibilità di rigiocare più volte la palla. 

 

‘Divinità Protettrice è davvero un soprannome calzante.’ 

 

Ikeda studiava e analizzava i suoi schiacciatori, non erano malaccio ma stavano trovando qualche difficoltà a passare il ragazzo biondo con gli occhiali. 

Studiava e analizzava anche cosa succedeva dall’altra parte del campo e quel ragazzo era chiaramente la mente del muro, freddo, calcolatore e non si lasciava ingannare facilmente. Le piaceva quel genere di centrale la spronava a considerare più alternative per passare il muro, solo un paio di volte le era capitato di giocare con dei ragazzi così ed erano state delle partite davvero interessanti...sì, in quel momento si stava divertendo percependo così tanta bravura intorno a sé. 

 

C’era però qualcosa di strano, più Ikeda guardava Hinata in azione e più era perplessa. Stava giocando bene, la ragazza gli sorrideva gli alzava il pollice per ogni buona giocata ma iniziava a nutrire qualche sospetto. 

 

La prima azione che fece davvero tremare i primini fu quella in cui, dopo una ricezione abbastanza buona di Yaotome, videro tutti gli schiacciatori iniziare la rincorsa. 

Anche Ikeda aveva percepito un brivido lungo la schiena. Conosceva quella azione, era riuscita a metterla in atto solo durante la sua permanenza a Nagano, dove il livello dei giocatori era accettabile e si poteva realmente pensare a giocare anche con una strategia. 

‘Finito questo scambio devo assolutamente convincere i pulcini a fare questa azione’ concluso questo pensiero urlò: 

«STATE CALMI, GUARDATE E SEGUITE SOLO LA PALLA!»  

 

La voce della ragazza aveva per un attimo attirato lo sguardo di Kageyama. 

‘Come se bastasse solo guardare la palla.’  pensò alzando a Tanaka. 

 

Purtroppo, Shimada non era riuscito a ricevere la potente schiacciata, si stava scusando ma Ikeda lo interruppe «Che dite, vogliamo provare a fare questa azione? Vi ho guardato abbastanza, penso sia arrivato il momento di diminuire un po' il divario nel punteggio.» disse entusiasta, indicando con il pollice l’altra metà del campo con gli avversari alle sue spalle. 

«Ma...noi non abbiamo mai provato qualcosa del genere.» rispose titubante Shoji guardando gli altri due primini. 

«Beh, è anche questo lo scopo dell’allenamento no? Provare schemi, tentare, sbagliare anche.  Se non passa la rete la prima volta continuate a provarci fino a riuscirci. Io alzerò qualsiasi palla, anche quelle più difficili, per darvi la possibilità di schiacciare. Voi date il massimo come avete fatto fino adesso.» 

 

Alla fine, i primini si erano convinti, Ikeda non sapeva se per le sue parole o per il pugno minaccioso sventolato in aria da Nishinoya spalleggiato da Hinata, che gli intimavano di accettare. 

 

L’occasione per proporre l’azione sincronizzata era arrivata non molti scambi dopo. 

Shimada, questa volta, era riuscito a tenere la schiacciata anche se era caduto in avanti. 

Ikeda calcolando che la palla non fosse troppo buona e che quel ragazzino non avrebbe fatto in tempo a togliersi di mezzo, senza perdere altro tempo si mise a correre e gridandogli di schiacciarsi a terra, intimando agli altri tre di iniziare a correre. 

A poca distanza dal primino, che si premeva a terra, la ragazza effettuò un salto per poi girare, come fosse una ballerina, in aria durante l’alzata mirando a Hinata, a lui non aveva alzato molte palle fino a quel momento per mettere più in risalto i pulcini. Atterrata dall’altro lato del ragazzo sempre schiacciato a terra si mise immediatamente in posizione di ricezione. Nel peggiore dei casi pensava di fare uno scatto in avanti per recuperare la palla. 

L’azione, invece, era andata a buon fine. Nishinoya aveva esultato come anche i primini. 

 

Ikeda non lo dava a vedere ma era davvero compiaciuta non era un’alzata facile da effettuare. Credeva che con quella avrebbe ricevuto un po' più di considerazione e fiducia da parte degli schiacciatori, il che pensava le avrebbe permesso di variare di più gli schemi d’attacco. 

 

Messa da parte tale considerazione, la ragazza china su Shimada si stava sincerando che fosse ancora tutto intero, quando una frase dall’altro lato della rete la gelò. 

 

«È stata solo fortuna idiota. Una ricezione fortunata, una alzata di fortuna e una schiacciata di fortuna.» l’alzatore seccato, lo stava dicendo quasi ringhiando a Hinata. 

Ikeda lo guardava, la bocca improvvisamente secca, non sentiva nemmeno le risposte di Hinata e Nishinoya che stavano difendendo quella grande azione. 

 

‘Alzata di fortuna...fortuna. Alzata di fortuna...la mia? La MIA alzata FORTUNA? LA PAROLA FORTUNA VICINO ALLA PAROLA ALZATA PER INDICARE UNA MIA ALZATA?! 

 

Portò lo sguardo sul pavimento cercando di controllare il respiro, mentre la parola “fortuna” le echeggiava in testa, come il rumore del mare all’interno delle conchiglie. 

 

‘No no, calmati Kimiko.’ 

 

Ma più cercava di non farsi travolgere dalla rabbia e più si innervosiva. 

Si aspettava la condiscendenza nell’essere trattata come una ragazza che gioca con dei ragazzi, si aspettava di non essere considerata subito come una giocatrice a tutti gli effetti. 

Era abituata a quelle cose, era anche abituata a battutine poco eleganti, quando i ragazzi non riuscendo a superarla in bravura sfogavano in quel modo la loro frustrazione. 

Definire una sua alzata “fortuna” no, non se lo aspettava, almeno non da un alzatore che al suo occhio, esperto, risultava talentuoso e allenato, uno di quelli che si vedeva continuasse ad allenarsi nonostante la bravura. Un alzatore del genere, Ikeda, credeva avrebbe saputo riconoscere subito un altro alzatore fatto della stessa pasta. 

 

Chiuse gli occhi, strinse i pugni cercando di controllare quel prurito alle mani che avvertiva salirle lungo le braccia. 

Shimada sembrava stare bene e Hinata si era avvicinato dicendo ai primini di ignorare Kageyama, liquidando così le parole dell’alzatore.  

 

La ragazza spinse giù il boccone amaro, era il suo turno in battuta adesso, la sua prima battuta vista la rotazione che avevano tenuto da inizio partita. 

 

«Ikeda lascia la battuta a Yamaguchi. Vieni a bordo campo, riposati un po'.» la voce di Ukai fece finire definitivamente il ronzio che la ragazza ancora percepiva alle orecchie. 

 

«Tranquilla ci penso io.» disse Noya, pensando che quel cipiglio sul suo volto fosse, solo, preoccupazione per le sorti del set. 

 

Passò la palla al ragazzo lentigginoso che le si stava avvicinando senza una parola pensando al da farsi. 

Mentre camminava per spostarsi fuori dal campo sciolse i capelli, un piccolo ghigno le si era disegnato sul volto guardando l’alzatore in quel momento le dava le spalle, per poi scuoterli leggermente per allargarli. 

Era prevedibile la sua uscita al momento della battuta, Ikeda se lo aspettava ma considerando fosse successo proprio in quel momento lo vide un segno. 

 

Si era affiancata alla manager che le stava facendo i complimenti, colpita da come avesse giocato l’altra. La mora la ascoltava, la ringraziava, gli occhi però erano in direzione del campo.  

Vedeva e analizzava con più calma senza l’intralcio di dover pensare al prossimo attacco da effettuare. Ora era certa dei suoi sospetti. 

 

‘Non ho molto tempo, mi devo accontentare di una treccia normale. Me la farò andare bene lo stesso.’  

 

L’altra squadra fece punto, Ikeda chiese a Ukai se potesse rientrare visto che il turno in battuta era finito. Il Coach provò a dirle che se avesse voluto avrebbe potuto riposarsi ancora un po' ma lei declinò gentilmente la proposta. 

 

Ikeda tornata in campo col sorriso si avvicinò a Hinata prima di mettersi in posizione, si abbassò di poco per bisbigliare al suo orecchio. 

«Scusa ma tutta la tua velocità dov’è finita? L’hai forse lasciata in cortile?» 

Alla parola cortile il rossiccio sussultò. 

«Sei più veloce di così, l’ho visto. Ti sto chiedendo perché non stai giocando al massimo. Pensi di non potercela fare?» 

Hinata guardò Ikeda, gli sembrava di trovarsi davanti un Kageyama 2.0. 

«Certo che posso farcela ma per l’alzata...» 

«Non voglio essere scortese...» lo interruppe «...l’alzata è affar mio, di quello non ti devi preoccupare. Ho detto che continuerò ad alzarvi la palla purché voi diate il massimo. Io vorrei davvero vedere qual è il tuo massimo e mi piacerebbe molto poterlo sfruttare al meglio. Facciamo almeno un tentativo, se vuoi, se ti va.» 

 

Quelle ultime parole furono dette così dolcemente che Hinata cancellò il pensiero di poco prima, sul fatto che Ikeda fosse un Kageyama 2.0. 

Non aveva urlato contro nessuno, aveva cercato di mettere a proprio agio i primini, complimentandosi per ogni buona azione e dicendo in maniera calma, insieme a Noya, cosa potevano migliorare nella ricezione per aiutarla nelle alzate. Lo aveva scelto per giocare senza fermarsi alla sua altezza, si era accorta che poteva fare di più e gli stava chiedendo di provarci insieme a lei. 

«Va bene.» disse Hinata con un tono risoluto a cui l’alzatrice rispose con una pacca sulla spalla. 

 

Dall’altro lato della rete qualcuno aveva fatto notare che Ikeda avesse cambiato qualcosa ai capelli... 

«Quindi è quello che dobbiamo aspettarci? Pause per farsi i capelli?» sbuffò, Kageyama, non capendo il perché di certe osservazioni dei suoi compagni. 

‘Se mettessero altrettanta attenzione in gioco quest’anno potremmo anche arrivare primi; invece, perdono tempo dietro cose così futili come una ragazza che si fa i capelli. ma si astenne dal dare voce a quel pensiero vedendo lo sguardo di Ennoshita. 

 

Ai loro occhi quello poteva essere solo un cambio di acconciatura, per Ikeda quella treccia voleva dire che il gioco stava per cambiare. Vincere il set non era fattibile, ne era cosciente, ma sarebbe stata una spina nel fianco di quell’alzatore impudente, voleva portarlo all’esasperazione e fargli ben vedere che anche per lei c’erano stati allenamenti e sudore. Non aveva giocato con gente che faceva schifo a pallavolo riuscendo comunque a vincere per farsi dire “alzata di fortuna” dal primo che capitava. 

 

‘Respira Kimiko, è vero non ti alleni da molto per questo tipo di alzata, ma lo hai detto anche ai pulcini no?! Provare, tentare...sbagliare. No, sbagliare no, questa non devi sbagliarla.’ 

 

Ikeda se lo stava ripetendo mentalmente come un mantra 'Sbagliare no, non questa,' mentre la palla passava da una parte all’altra sul campo di gioco. 

Stava aspettava il richiamo di Hinata e lui stava aspettando il momento giusto per correre e saltare al massimo.  

Quando, finalmente, sentì il rumore di una corsa più veloce Ikeda strinse gli occhi sulla palla ripetendo mentalmente un’ultima volta ‘Questa non posso sbagliarla.’  

Trattenne il respiro, si girò verso la direzione da cui proveniva la voce del rossiccio, era già in aria e la guardava in attesa, le sembrava che il tempo fosse quasi essersi rallentato. Espirò lentamente via l’aria nei polmoni verso la palla, intanto, che questa lasciava le sue dita per raggiungere il punto in cui doveva morire quella rotazione, come se quell’ultimo soffio potesse darle la giusta direzione. 

 

‘Te la affido, schiantala a terra se ne deve sentire il botto.’ aveva intravisto quella richiesta negli occhi nocciola della ragazza e Hinata non se lo fece ripetere due volte. La palla era arrivata pulita davanti alla sua mano, si era fermata per quella frazione di secondo, e lui lo aveva fatto...l’aveva schiacciata semplicemente, come schiacciava quando era Kageyama ad alzargli la palla durante gli allenamenti o le partite. 

 

Ikeda stava quasi per tirare un sospiro di sollievo e iniziare a correre per tutto il campo esultando, vedendo il punto in cui la palla era arrivata accompagnata dal suono sordo sul parquet che sanciva la riuscita dell’azione ma si trattenne. 

 

‘Le partite si giocano anche con la psicologia.’ 

 

Nel silenzio attonito che era seguito, si avvicinò al ragazzino cingendogli le spalle con un braccio, facendolo diventare completamente rosso in volto per quel contatto. 

Aspettava che l’alzatore si girasse per guardarli, quando infine lo fece non poté non notare l’incredulità sul suo volto. 

Alzò il mento di sbieco, lo fissò dritto negli occhi blu e disse «Audentes fortuna adiuvat.» per poi girarsi tenendo sottobraccio Hinata che le chiedeva cosa volesse dire, non avendo mai sentito quei termini in inglese, incredulo quanto Kageyama che qualcuno oltre lui fosse riuscito a farlo schiacciare in quel modo. 

 

«Non è inglese è latino, si traduce con “La fortuna aiuta gli audaci”.» Lo disse quasi in modo canzonatorio e a quelle parole, quel tono, ma soprattutto a quel fugace sguardo di superiorità che la ragazza gli aveva rivolto mentre ne spiegava il significato, Kageyama, strinse gli occhi. 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 7 ***


Ukai era corso verso i due, senza capacitarsi di cosa avesse appena visto. 

L’anno precedente quando era stato testimone per la prima volta della stessa schiacciata, il duo di bislacchi l’aveva almeno provata negli allenamenti ed inizialmente l’alzata di Kageyama era diretta, qui adesso ne vedeva una fatta per la prima volta da chi non l’aveva mai provata insieme e non era diretta. 

 

Aveva afferrato Ikeda per le spalle «Tu dove sei stata fino adesso? Dove hai giocato?» 

«Eh?! Glielo abbiamo detto prima che mi sono trasferita. Dove ho giocato in che senso scusi?» 

«In che squadra? Scolastica? Dilettante? Professionista? Come funziona in Europa?» 

«Ah, in quel senso. No in nessuna squadra fissa. Girando per Londra ho trovato un campetto vicino ad una parrocchia. La rete e i palloni li conservava il prete, bastava chiedere a lui quando volevamo giocare e si erano uniti abbastanza ragazzi. Può lasciarmi? Sta iniziando a spaventarmi.» 

Ukai non accolse quella richiesta anzi iniziò a scuoterla «Vuoi davvero dirmi che giocavi così? Che c’era qualcuno come Hinata che giocava per strada e non in qualche squadra?» 

«Certo che no.» 

«E allora come sei riuscita a farla?» 

«No, l’ho vista, mi è piaciuta e ho deciso di voler imparare a farla.» 

Ukai finalmente l’aveva lasciata, solo grazie all’intervento di Ennoshita  continuando però con le domande «Vista dove? Nella tua vecchia scuola?»  

«No, durante una partita a cui sono andata.» 

«Ma poi ti sei allenata con qualcuno per farla?» chiese Ennoshita cercando di capire se dovessero preoccuparsi di un possibile ragazzo come Hinata di cui non sapevano nulla. 

«Mmmmh no l’ho provata sempre da sola.» indicando Hinata aggiunse «Lui effettivamente è il primo schiacciatore con cui ho pensato di poterla fare.» 

 

 

Kageyama guardava il gruppetto attraverso la rete. Non riusciva a credere a quello che era appena avvenuto. 
Aveva immaginato il giorno in cui Hinata gli avrebbe rivoltato contro quella veloce come ancora molto lontano; invece quel momento era arrivato completamente inaspettato e senza preavviso. Si aspettava Miya come alzatore non di certo una ragazzina che stava giocando, solo, perché i suoi compagni avevano ceduto a quelli che lui considerava capricci. 

 

Da quello che stava dicendo poi sembrava non aver mai giocato in qualche squadra ed era arrivata a imparare un’alzata del genere dopo averla vista solo perché le era “piaciuta”. 

Si trovò a calcolare quante partite avesse visto pensando a quanto fosse bello il ruolo da alzatore, sicuramente aveva visto quell’alzata, magari insieme a suo nonno, ma non si era mai soffermato a valutare di che tipo fosse nello specifico e se non fosse stato Ukai a proporgli di reprimere l’alzata invece che farla diretta, come le prime che aveva fatto a Hinata, quanto tempo avrebbe sprecato inutilmente prima di arrivarci da solo? 

 

«Direi che di ottimi giocatori ora sono tre.» 

La voce di Ennoshita tornato dalla loro parte aveva interrotto i suoi pensieri. 

«Questo è ancora da vedere. Riprendiamo a giocare.» disse Kageyama. 

 

Iniziò a prestare più attenzione alla ragazza e a come giocasse. 

Sembrava che nemmeno lei sapesse fino all’ultimo a chi alzare e giocasse senza un senso ma la vedeva lanciare sguardi dalla loro parte per controllare dove si trovasse il muro. 

Per ogni buona azione la vedeva alzare i lati delle labbra, se agli occhi degli altri quello poteva essere un semplice sorriso lui ci aveva visto un ghigno, e andava a congratularsi, completamente a proprio agio con chi non conosceva, tanto che dopo un po' erano loro a farsi avanti per battere il cinque o il pugno. Avevano iniziato a giocare meglio come se avessero ingranato la marcia e sembrava stare particolarmente attenta anche a bordo campo quando Yamaguchi le dava il cambio in battuta. 

Ogni tanto canticchiava qualcosa a labbra chiuse come se non si rendesse conto di essere nel mezzo di una partita. Kageyama pensava che fosse una cosa stupida oltre che una mancanza di rispetto dopo aver accettato la sua presenza sul campo. 

 

‘Ha una strategia o va a caso?! Sa davvero giocare o no e sta solo facendo finta?’ 

 

E almeno la risposta alla seconda domanda Kageyama l’aveva avuta. 

Non era una totale sprovveduta e aveva tempi di reazione veloci. Aveva alzato a Tanaka, il muro del primino e della ragazza questa volta aveva coperto la parallela per il lungo linea e visto che dal lato destro c’era Nishinoya a coprire il campo aveva pensato che una diagonale di Tanaka avrebbe fatto punto facilmente. 

L’aveva vista socchiudere gli occhi per un secondo fissando Tanaka mentre schiacciava per poi spostare le mani coprendo la traiettoria murando la palla che cadde dal loro lato. 

 

«Non pensavo di essere murato, ho messo troppa forza mi dispiace. Ti sei fatta male? Vuoi andare in infermeria?» chiese Tanaka «Yachi prendi il ghiaccio spray.»  

«Tranquilli sto bene non mi sono fatta nulla.» 

Ikeda alzò un braccio verso di lui e l’altro verso Yachi, che stava già correndo verso la cassetta del pronto soccorso. 

Kageyama guardava in silenzio Tanaka scusarsi e la ragazza che lo rassicurava. Cercava di dire a sé stesso che quel muro era stato un caso, fino a quando anche il primino aveva iniziato a scusarsi dandosi la colpa per aver chiuso la traiettoria che dovevano lasciare libera. 

‘Quindi fino adesso avevano lasciato spazio intenzionalmente? Gli stavano dando modo di passare il muro...’ 

 

La ragazza si girò verso di lui, forse sentendosi osservata. 

‘Te ne sei accorto eh. Poco male.’ 

 

 

Il primo set si era concluso, erano tutti intenti ad asciugarsi il sudore e bere dalle borracce che Yachi e Ikeda avevano preparato. 

I pulcini stavano commentando il risultato segnato sul tabellone. Avevano ripreso molti punti ma alla fine non erano riusciti a prendersi la vittoria. 

Ikeda stava scuotendo la bustina di integratori prima di aprirla. 

«Perso? Dipende da che punto di vista state guardando quel risultato.» lo disse guardando con non curanza qui numeri mentre apriva la sua bottiglietta. 

«Che all’inizio saremmo andati sotto ve lo avevo detto, poi però vi siete rifatti, avete fatto delle belle giocate macinando punti. 

Ogni punto fatto lo avete guadagnato, dall’altro lato del campo invece hanno fatto punti anche regalati da voi. Io penso che sia stato un bel set e poi avete avuto un’ottima esca e la Divinità Protettrice nella squadra che vi hanno permesso di giocare più facilmente.» 

I primini si erano girati verso i due e forse per la prima volta si erano resi conti di quanto li avessero sottovalutati. 

Ukai aveva preso la parola per darle ragione e Ikeda aprì la bustina svuotandone metà nella bottiglietta per poi chiuderla e agitarne il contenuto, alzò la testa e si mise il resto della polverina sotto la lingua tra sguardi perplessi. 

 

Hinata diede voce alla domanda che si stavano ponendo anche gli altri. 

«Perchè lo hai fatto? Non era meglio metterla tutta nell’acqua?» 

Ikeda lo guardò alzando un dito cercando di far capire l’impossibilità di rispondere. 

Fu Ukai a rispondere per lei, incrociando le braccia mentre la guardava. 

«Perchè sotto la lingua le permette di avere un assorbimento più rapido, in più evita che i succhi gastrici ne distruggano in parte l’efficacia.» 

Ikeda aveva schioccato le dita indicando il coach per far intendere che quella fosse anche la sua risposta.  

«Anche questo viene dal campetto della parrocchia?» il tono usato da Ukai lasciava intendere che non avrebbe creduto a qualcosa del genere nemmeno se a confermalo si fosse presentato il prete in persona. 

La ragazza aveva sorriso e scosso il capo in segno di diniego, rivolta verso l’allenatore aveva roteato quel dito cercando di far capire con quel gesto che lo avrebbe detto volentieri dopo. Vedendo però che il coach non capiva si era alzata prendendo il quadernetto che si era portata per prendere appunti, gli si mise vicina per fargli leggere e iniziò a scrivere. 

Un po' tutti si erano avvicinati curiosi di vedere cosa stesse scrivendo, poi uno dei ragazzi però le fece notare che c’era un errore, lei aveva portato la mano sulla guancia corrucciando la fronte cercando di capire dove avesse sbagliato. 

Il capitano scherzando le aveva detto che se a farglielo notare era proprio quell’asino di Tanaka la situazione era grave.  

Erano scoppiati tutti a ridere alla reazione indignata di quest’ultimo, lei cercava di trattenersi dal farlo sentendo ancora parte della polverina sotto la lingua. 

 

Uno stizzito Kageyama invece se ne stava in disparte abbastanza lontano da quel teatrino, l’affermazione dell’aver avuto dei punti regalati non gli era piaciuta e poteva giurare di aver visto l’ennesimo sguardo arrogante mentre la ragazza diceva quella cosa. 

La voce di Ukai lo richiamò «Kageyama per il secondo set gioca tu con i primini, vediamo come se la cavano con l’alzatore che avranno in partita.» 

 

Ikeda si era voltata verso i ragazzi, alzando la mano libera sventolando le dita per salutarli rivolgendogli l’ultimo sorriso. 

L’alzatore stava venendo dalla sua parte con un broncio sul volto. Segno che fino adesso quello che aveva fatto stava sortendo i suoi effetti. 

Decise di rincarare la dose e quando furono abbastanza vicini si portò la mano davanti la bocca e gli disse in maniera dolce «Devo aspettarmi qualche veloce immagino.» 

L’altro aveva aggrottato le sopracciglia superandola senza degnarla minimamente di attenzione. 

‘Non sei affatto credibile, oh se hai iniziato a guardarmi. Ti stai ancora ripetendo che è solo fortuna forse, allora giochiamo e così ti leverai ogni dubbio.’ 

Ormai in mezzo agli altri ragazzi aveva portato la bottiglia alle labbra per prendere un sorso d’acqua. Gonfiando le guance spostava il liquido da una parte all’altra per levare quella sensazione polverosa che le era rimasta in bocca. 

Le stavano dando più o meno le stesse rassicurazioni “non ti preoccupare puoi contare sul nostro supporto” ma quello di cui aveva bisogno era altro. 

Mandò giù l’acqua e prese dal polso il ragazzo alto con gli occhiali. 

«Scusate, torniamo subito devo dirgli delle cose.» disse con calma tra lo sbigottimento generale compreso quello del ragazzo che stava trascinando verso un angolo della palestra. 

 

Ci teneva a chiarire con lui, era intelligente e poteva essere un ottimo alleato. 

Ikeda aveva fatto un altro piccolo sorso d’acqua guardando il ragazzo prima di parlare. 

«Non sei una seconda scelta.» 

Il ragazzo aveva alzato un sopracciglio «E perché dovrei pensarlo?» 

«Perché ho scelto l’altro ragazzo quando i pulcini speravano scegliessi te o il ragazzo rasato. Ma il ragazzo rasato non mi guarda come stai facendo tu, probabilmente gli è passata dopo nemmeno un minuto, chiamalo sesto senso femminile se preferisci valutarmi in base al mio sesso. 

Ho scelto quello basso per la velocità e come ho detto prima quella era la prima veloce che facevo con qualcuno, volevo vedere se ci riuscivo. 

Poi tu mi davi proprio l’idea di uno che fa muri da far dannare e sei stato davvero ostico, difficilmente ho avuto la fortuna di trovare qualcuno come te e riuscire ad aprire il gioco agli schiacciatori contro il muro è il compito dell’alzatore. Naturalmente non te lo sto dicendo cercando di adularti, credimi non offenderei la tua intelligenza con certi mezzucci. Tu giochi con e contro il ragazzo rosso da un anno quindi puoi capire cosa sto per dire, per i pulcini averlo contro sarebbe stato troppo spiazzante e li avrebbe demotivati enormemente. Ho fatto la scelta che ritenevo più opportuna per farli giocare...beh non lo nego c’è stato anche un po' di egoismo. Una scheggia a cui fare alzate folli ed un muro a lettura così abile ci sono andata a nozze.» a quell’ultima affermazione Ikeda aveva alzato le spalle con noncuranza e mandato giù dell’altra acqua. 

Tsukishima non aveva cambiato espressione ma si rendeva conto che il ragionamento della ragazza aveva senso. 

«E poi era scontato che il Coach dopo un set chiedesse di invertire gli alzatori.» 

Solo in quel momento aveva distolto un secondo l'attenzione dal ragazzo cercando con lo sguardo la persona che aveva nominato, che sorpreso a guardare verso di loro si era girato velocemente. Ikeda pensò che fosse una reazione interessante. Si nascose di più dietro il biondo. 

«Puoi mettere una mano sul fianco per favore.» 

«Il motivo?» 

«L’alzatore ci stava guardando, vorrei vedere se lo rifà senza che lui mi veda mentre finiamo di parlare.» 

Il ragazzo aveva fatto un sorrisetto e si era messo in posizione come richiesto. 

«Grazie, quindi tornando a noi non volevo ferire i tuoi sentimenti e non sei una seconda scelta. Il mio ragionamento ti torna?» 

«Direi di sì. Non sei troppo brava per stare qui se arrivi a tali considerazioni?» 

Ikeda attraverso quel piccolo spazio poté vedere l’alzatore tornare a guardarli con l’espressione sempre corrucciata. «Non credo di aver capito la domanda.» 

«Hai valutato che scambiare i due liberi ti avrebbe fatto avere una buona ricezione per alzare, non ti sei fatta innervosire e mettere pressione dal mio muro.» 

«L’ho detto già a Yachi durante il pranzo, la pallavolo femminile mi annoia e la squadra della vostra scuola poi ha metà componenti che saltano gli allenamenti, se ti riferisci a questo. Qui è decisamente più divertente e mi dà le possibilità che cercavo. Ad ogni modo sembra che il tempo sia quasi finito ci stanno chiamando. Siamo a posto?» 

«Immagino di sì» rispose Tsukishima dopo un momento. 

«Ottimo, allora per murare seguo te.» 

Ikeda lo aveva sorpassato precedendolo. 

«Ohi io per l’alzata prefe..» 

Si era girata sorridendo e facendogli l’occhiolino «Tranquillo non c’è bisogno di dirlo, ho visto con quale preferisci giocare.» 

Tornati vicino agli altri, Ikeda, aveva posato la bottiglietta e si era avvicinata al capitano «Mi fate vedere le codifiche che usate per favore?» 

«Vuoi vedere le codifiche adesso? Pensi di impararle ora?» aveva chiesto il ragazzo rasato. 

«Beh pensavo di chiederle prima a quei due» disse indicando Noya e Hinata «ma sarebbe stato inutile, sicuramente i primini non le conoscono e non le avrei potute usare.» 

 

Kageyama guardava i suoi compagni cedere all’ennesimo capriccio mentre le mostravano le codifiche e dicendo a che azione corrispondessero. Convinto che quella fosse solo l’ennesima cosa atta a farlo indispettire dopo aver preso da parte Tsukishima per chiedergli chissà cosa. 

 

 

«Ancora una volta per favore, fatemele vedere un’ultima volta per favore.» aveva chiesto gentilmente Ikeda guardando con concentrazioni le mani del capitano. 

 

 

 

*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

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Capitolo 9
*** Capitolo 8 ***


Al limite della sopportazione, dopo aver sentito la parola “toccata” da quella fastidiosa voce femminile un numero troppo elevato per i suoi gusti alla fine Kageyama aveva sbottato, chiedendo ai primini perché si stavano intestardendo a schiacciare maggiormente su quel lato del muro. 

«Ecco prima ha detto che probabilmente non avreste schiacciato verso di lei, che dovevamo sfruttare quel vantaggio. Non vogliamo fare lo stesso.» 

Kageyama si girò sentendo la ragazza parlare. 

 

«Vero l’ho detto, scusate.» disse Ikeda abbassando leggermente la testa, poi si girò verso la rete «Ma non ho mai detto che sarei stata necessariamente la parte del muro più facile da passare.» aggiunse con una scollata di spalle. 

Kageyama la guardò con astio, deciso a passare quel muro si disse che era arrivato il momento di sfruttare Hinata mentre fissava la ragazza che si era avvicinata per parlare con Yaotome. 

Non riusciva a sentire cosa stavano confabulando ma il primino non sembrava troppo convinto dalle parole della ragazza, alla fine il ragazzo annuì e Ikeda gli diede un paio di pacche prima di tornare vicina a Tsukishima. 

 

Ancora una volta, Ikeda, si rese conto che l’alzatore la stava guardando squadrandola in cerca di indizi. 

Picchiettò sul braccio del biondo, facendogli un cenno con le dita per farlo abbassare un pò. Quando fu alla sua altezza si girò verso di lui coprendosi con la mano per attutire maggiormente quanto doveva sussurrare. 

«Scusa, in realtà non devo dirti nulla. Prima quando abbiamo parlato l’alzatore sembrava infastidito, voglio solo infastidirlo ancora un po'. Puoi annuire come se avessi detto qualcosa di importante? Te ne sarei grata.» 

Si allontanò dal suo orecchio e lo vide fare nuovamente il sorrisetto di prima e annuire, evidentemente anche a lui piaceva infastidirlo.  

Ikeda stava mettendo maggiore distanza tra loro quando il ragazzo le si avvicinò nuovamente e coprendosi con la mano le sussurrò «I tocchi di seconda, non li sopporta.» 

La ragazza sorrise ‘Che ovvietà ogni alzatore li odia.’  

 

«Se avete finito, ho un punto da fare.» disse Kageyama cercando di mascherare con uno sguardo freddo il tono indispettito con cui aveva pronunciato quelle parole, ottenendo come risposta la stessa espressione insofferente sia da Tsukishima che dalla ragazza. 

‘Tsk ci credo che due così vanno d’accordo.’ pensò il corvino guardandoli, soffermandosi per qualche momento in più sul viso di Ikeda che lo fissava di rimando e nei suoi occhi vide una piccola scintilla. 

Il fastidio delle veloci nel primo set non lo aveva ancora lasciato, ogni cosa che la ragazza faceva lo stava semplicemente irritando un po' di più ogni volta. 

 

Mentre il gioco era ripreso, Kageyama si era concesso solo un breve momento per guardarla di nuovo da sopra la spalla prima di alzare verso Hinata, fermamente convinto che solo la palla potesse seguirlo e gelare quello sguardo che lo stava disturbando. 

Stava già pregustando il suono della palla schiacciata, dopo aver alzato, quando con la coda dell’occhio vide un movimento veloce dall’altro lato, la ragazza stava correndo e con lo slancio del salto riuscì a raggiungere Hinata che aveva appena toccato la palla, quest’ultima di blocco sulle mani di Ikeda per poi dirigersi verso il petto del ragazzo ancora in aria rimbalzando tra lui e la rete fino ad arrivare a terra. 

 

Ikeda per il salto era finita qualche passo più lontano del ragazzo rossiccio, lentamente tornò alla sua altezza di campo, si sporse verso la rete alzando due dita per invitarlo ad avvicinarsi. Hinata camminò verso la rete ancora sorpreso. 

«L’ho detto, prima, che mi piace la velocità, giusto?» gli chiese la ragazza e lui annuì. 

Ikeda chiuse gli occhi e inizio a canticchiare ballando e battendo le mani verso i suoi compagni per darsi il ritmo... 

 

«Mh mmh now my veins are pumping.» 

 

«Tsk, dovrebbe sorprendermi quanti modi sai utilizzare per dire che la fortuna aiuta gli audaci?» chiese stizzito Kageyama cercando di reprimere il nervosismo che stava provando. Hinata che gli stava facendo notare che non c’era la parola “fortuna” in quella frase ed era abbastanza sicuro che quello fosse inglese di certo non lo stava aiutando. 

 

Ikeda saltava sempre e comunque murandolo convinta, anche se la palla andava altrove, aveva ripreso con quella fastidiosissima parola “toccata”. 

 

Anche dopo quel muro, Ikeda, sentito nuovamente il pavimento sotto i piedi era corsa velocemente nel punto in cui stava cadendo la palla dopo la ricezione. 

Kageyama si stava spostando, richiamando anche il primino, davanti a Tanaka certo che la ragazza avrebbe alzato per lui, lui di certo avrebbe fatto così. Si rese conto troppo tardi di quello che l’altra invece voleva fare, mentre in posizione per alzare, in aria si girò e cambiò posizione delle mani schiacciando al centro della rete in un varco rimasto vuoto, tutti troppo concentrati a limitare Tanaka. 

 

Ikeda si girò verso Ukai «Scusate, forse non dovevo? Ho pensato che da questo lato conosce già come giocano gli schiacciatori e potevo non limitarmi ad alzare e basta. In caso si può annullare il punto...o magari contarlo come fallo e darlo ai pulcini questo punto.» lo disse con tranquillità, come se non fosse nulla di importante nel silenzio, tra sguardi sorpresi dei giocatori. 

 

Trattenne il respiro guardando l’allenatore, le serviva solo il consenso per la libertà. Tutto sommato, pensò, che l’alzatore non aveva fatto nulla del genere nel primo set e i pulcini dovevano abituarsi a pensare che anche l’alzatore nelle partite poteva passare all’attacco, sperava che il coach stesse pensando lo stesso. 

«No, va bene così devono stare attenti a tutto e tutti. Continua pure così.» 

 

Kageyama fece appena in tempo a vedere quella scintilla riaccendersi negli occhi nocciola della ragazza mentre tornava in posizione. 

 

«Prendiamoci il prossimo punto.» disse Hinata verso gli altri. 

 

Ikeda piegò di poco la testa guardando l’alzatore ‘Si dai, prova a prenderlo.’ 

Kageyama strinse gli occhi, deciso a prendere quel punto con le sue mani dandole le spalle. ‘Anche io posso fare quello che voglio.’ si disse mentalmente l’alzatore. 

 

Ikeda posò due dita dietro la schiena del ragazzo biondo che la guardò con la coda dell’occhio interdetto da quel gesto. 

Tsukishima intuì, in parte, il significato di quelle due dita quando vide Kageyama piegare il braccio per far cadere la palla, senza starci a pensare troppo vedendo Ikeda abbassarsi e allungarsi fece qualche passo indietro per prendere la rincorsa. 

Lo scambio era stato troppo veloce, Kageyama aveva visto la palla tornare in aria a metà della sua caduta, notò Ikeda in un affondo lungo delle gambe lo sguardo ancora indietro con le braccia alzate e Tsukishima in aria con la palla davanti la mano...troppo tardi. 

 

Rialzandosi da quella scomoda posizione Ikeda canticchio di nuovo. 

                  «Ooh oh i’m cranking’ up on the throttle.» 

 

Guardò con soddisfazione l’alzatore, nei cui occhi finalmente vedeva il guizzo della sfida ‘Alzi anche tu l’acceleratore adesso...ottimo.’ 

Si girò verso il biondo «Per un attimo ho pensato non avessi capito.» gli disse mentre battevano il cinque. Poi si avvicinò di più per sussurrargli «Comunque ancora più di ricevere un tocco di seconda gli alzatori odiano quando il loro non va a buon fine. Tra un po' gliene faccio uno così vedi la differenza.» 

 

Kageyama li guardava, lei stava sussurrando qualcosa e Tsukishima aveva il solito sorrisetto fastidioso, si sentì avvampare al pensiero che lo stessero prendendo in giro dopo averlo fregato in quel modo. Odiava il fatto che avessero letto le sue intenzioni così facilmente. 

 

Kageyama odiò profondamente anche il momento in cui con disinvoltura e naturalezza Ikeda, con un piccolo e delicato tocco, spinse la palla dolcemente sulla rete per poi voltarsi sorridente verso Tsukishima che guardava lui e ridacchiava con un sopracciglio alzato. 

Odiava il fatto che quei due stessero facendo comunella, a quel punto Kageyama voleva farla sentire come lui la vedeva ovvero una stupida ragazza.  

 

Il corvino continuava a tenerla d’occhio, gli sarebbe bastato vedere una piccola falla, nulla stava giocando bene, ma quando infine vide quel piccolo passo fu come una ventata d’aria fresca in una giornata particolarmente calda. 

Hinata stava correndo per una veloce al lato della rete e Ikeda aveva spostato un piede con tutto il peso verso di lui.  

‘Ecco il momento.’ pensò Kageyama alzando dal lato opposto, talmente concentrato su di lei per un attimo aveva dimenticato l’esistenza di Tsukishima, il che in altri momenti sarebbe stato meraviglioso, e se anche la palla non passò il muro almeno aveva la gratificazione di averla raggirata. 

Gratificazione che morì sentendola canticchiare per l’ennesima volta, Kageyama si girò per vederla raggiante mentre alzava un dito in direzione di Hinata. 

 

«Eh eeeh eh eeeh...the sun is in the east... 

...Eh eeeh eh eeeh...starting to believe...» 

 

Ikeda fece una breve pausa abbassando il dito per indicare il piede che aveva spostato. 

 

 «...the world is at my...feet» 

 

Girandosi e avvicinandosi verso gli altri che le tenevano il tempo aveva continuato con altre parole che Kageyama non capiva, con quel sottofondo fu Tsukishima a mettergli sotto gli occhi l’evidenza della cruda realtà. 

«A quanto pare il Re si è fatto forzare il gioco.» 

 

 

 

*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

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Capitolo 10
*** Capitolo 9 ***


Ikeda canticchiò allegra senza prestare attenzione a quello che aveva detto il ragazzo con gli occhiali all’alzatore, avvicinandosi agli altri ragazzi che avevano ormai imparato con che cadenza battere le mani per tenere il ritmo aveva continuato quella strofa. 

 

         «Eh eeeh eh eeeh I’m ready for the feast... 

...It’s all within my reach... 

…sooo It’s all within my reach... 

    ...Eh eeeh eh eeeh yeah my blood is rebel.» 

 

Era un po' come tornare indietro a quando era conosciuta come Little Chinese Monkey e correva per attraversare il Tamigi passando per il Chelsea Bridge e andare a giocare a Brixton. Cantava lungo la strada e poi insieme agli altri ragazzi per ogni palla schiacciata sul cemento, sperando che il bel tempo durasse abbastanza per farli completare la partita. 

Aveva aspettato pazientemente, una schiacciata dopo l’altra, per dare l’illusione all’alzatore di poter avere il pieno controllo della situazione e alla fine fregarlo con quel passo. Saltare anche quando l’opzione di gioco migliore non era il ragazzino, seguire l’esca per diventare lei stessa poi un’esca inserendo quella falsa informazione nel campo. 

Il fatto che l’altro si stesse innervosendo aveva sicuramente aiutato non poco, si era fatto forzare il gioco infilandosi quasi da solo in quel trucco. 

Cogliendo l’opportunità avendo l’attenzione di quasi tutti, Ikeda aveva alzato la mano segnando la codifica per la prossima azione che voleva fare. 

«Come lei desidera.» disse bonariamente il ragazzo rasato. 

 

Kageyama la guardò riavvicinarsi verso Tsukishima a cui diede un colpetto sul braccio per attirarne l’attenzione, portando poi la mano dietro la schiena aveva visto comparire l’ennesimo sorrisetto antipatico sul volto del ragazzo. 

‘Non può averle già imparate, è solo un bluff di questi due per farmi innervosire.’ 

Stava per aprire bocca e rimette entrambi al loro posto ma Ikeda lo precedette schernendolo prima con lo sguardo e poi con le parole «Tranquillo abbiamo finito, volevi chiederlo perché hai un punto da fare giusto?» 

Kageyama si girò indignato ‘Tsk, non la sopporto.’ 

Valutando mentalmente la situazione, mentre la palla veniva schiacciata dall’altra squadra, Kageyama escluse di fare un tocco di seconda era troppo nervoso e avrebbero capito facilmente le sue intenzioni quindi dopo la ricezione di Noya alzò ad un primino ma di nuovo quell’odiosa parola “toccata” era stata pronunciata. 

Yaotome aveva ricevuto la palla ma non troppo bene e stava tornando verso di loro ma poi vide Ikeda correre con l’intenzione di intercettarla e alzare. Kageyama guardò Tsukishima e poi gli altri che avevano iniziato la rincorsa per l’attacco sincronizzato. ‘Era questa l’azione chiamata quindi?! Alzerà a Tsukishima considerando come abbia tenuto far presente anche a lui la codifica...’ pensò spostandosi per coprire quella zona, il resto del muro sull’altro lato e Noya dietro gli davano fiducia che tutto il resto del campo fosse ben coperto. 

 

Ikeda ormai pronta al salto guardava i quattro schiacciatori correre... 

‘A chi la dovrei alzare? Chi ha la maggior probabilità di schiacciarla e fare punto?’ 

Durante il salto e le braccia alzate le tornò in mente in mente un piccolo ricordo, un’altra palestra, altri giocatori e poi la voce che le spiegava in modo lento il perché di quella azione.... 

 

 

Settembre 2007, Latina Italia 

*per le parti in cui si parlerà italiano il discorso sarà sottolineato* 

 

Nonostante fosse settembre inoltrato il caldo non voleva saperne di allentare la presa. Kimiko guardava i giocatori muoversi grondanti di sudore. 

Era seduta a terra con i compiti di matematica sulla panchina davanti a sé usandola come tavolo, sbuffò esasperata dai capelli che stavano crescendo, ma erano ancora troppo corti per essere legati e abbastanza lunghi per darle fastidio quando abbassava il capo. 

Non sentiva da un po' il rumore della palla a terra ma solo lo stridio delle scarpe, quindi aveva deciso di prendersi una pausa e seguire il gioco. 

Le braccia conserte sulla panchina con il mento poggiato sopra, Kimiko guardava la palla passare da una parte all’altra della rete; sporadicamente gli allenatori e lo staff dicevano qualcosa battendo le mani. 

Kimiko spostava lo sguardo da un giocatore all’altro, cercando di capire perché e come sarebbe andata l’azione successiva. Il ritmo era lento, ogni tanto c’erano due o tre azioni più veloci... ma alla fine era semplicemente successo e si era ritrovata con la schiena dritta, con gli occhi e la bocca spalancati per la sorpresa. 

Non era riuscita a trattenersi e aveva urlato all’alzatore «Poop Head, why did you do that?» 

Per tutta risposta l’alzatore aveva urlato sdegnato in inglese di smetterla di appellarlo così, continuando poi in italiano, sottolineando quanto fosse una Scimmietta fastidiosa, rivolto agli altri atleti che avevano iniziato il coro “Poop Head” tra una risata e l’altra. 

«Dovresti smetterla di chiamarlo così sai?» le urlò qualcuno tra i cori. 
«E perché? Guardalo vent’anni e si comporta come se ne avesse cinque invece di rispondermi.» 

«Kimiko, come here.» la voce dell’allenatore in seconda catturò la sua attenzione mentre l’uomo con la mano alzata le faceva cenno di avvicinarsi. 

«Scimmietta è nei guai...Scimmietta è nei guai.» la canzonò l’alzatore mentre lei si avvicinava all’uomo, l’altro allenatore aveva concesso una pausa ai giocatori per farli bere, dalle bottigliette che la bambina aveva riempito, e riposare analizzando con loro l’allenamento fatto fino a quel momento. 

Ormai vicina, l’uomo diede due colpetti sulla panchina per farla sedere accanto a sé «English or Italian?» le chiese. 

Kimiko ci pensò un po' e infine si decise «Italiano ma piano...no lento. Italiano lento.» 

L’uomo non poté non sorridere al cipiglio concentrato e serissimo dipinto sul volto della bambina di dieci anni. 

«Vuoi sapere perché l’ha lasciata passare, giusto?» 

Kimiko aveva annuito. 

«Perché lui è bravo e sa di essere bravo.» disse l’uomo scandendo bene le parole, ma vedendo lo sguardo confuso della bambina ripeté la frase. 

Kimiko continuava a guardarlo confusa «Non hai capito qualche parola o quello che voglio dire?» 

«Parole facili.» 

L’uomo incrociò le braccia e chiuse gli occhi pensando a come rendere più semplice quel concetto mentre Kimiko aspettava paziente. 

«Allora Testa di Cacca è un bravo alzatore.» 

«Mister, grazie ma potrebbe non incitarla a chiamarmi così?» 

«Sta zitto e bevi che qui stiamo spiegando cose di un certo livello, vero Kimiko?» l’allenatore ribatté dando una gomitata complice alla bambina. 

«Si, zitto Testa di Cacca.» disse facendo una linguaccia all’alzatore per poi tornare a concentrarsi sul discorso del Mister. 

«Dicevo, Testa di Cacca è un bravo alzatore. Quindi lo guardi e ti chiedi “A chi alzerà?” e lui questo lo sa.» l’allenatore si era fermato vedendo la bambina annuire, segno che aveva capito cosa intendesse. Non sempre era facile spiegarle ma lei intuiva e afferrava velocemente quei concetti. 

«Vero intelligente, alza e sfrutta tutti, poi alza fa finta e poi non alza.» disse Kimiko non molto convinta delle parole scelte, ma l’allenatore le stava annuendo quindi in sostanza si erano capiti entrambi. 

«Testa di Cacca sei genio un pò. Hai pensato “La faccio passare” perché tu seconda linea.» disse infine colpita, rivolta all’alzatore, pensando a quante variabili doveva aver valutato. 

«Esatto Kimiko, l’alzatore può anche scegliere di farla passare mentre gli altri sono impegnati a valutare. Quindi li prende tutti di sorpresa.» concordò l’allenatore. 

La bambina alzò un pollice «Bel lavoro Testa di Cacca. Vero bel lavoro.» 

«Ora mi hai stufato però, ti prendo e ti metto a testa in giù per punizione Scimmietta.» 

Kimiko non aveva capito ma non le era piaciuto il tono e lo scatto dell’alzatore quindi si era semplicemente messa a correre e vedendo che lui la inseguiva aveva accelerato tra le risate degli altri in quel momento di svago. 

Alla fine c’era chi si era unito all’inseguimento e chi invece cercava di bloccare gli altri in modo la fuga durasse più a lungo continuando a incitarla «Corri Scimmietta Run Little Monkey run.» 

Quando alla fine però l’alzatore la raggiunse ci fu poco da fare. Kimiko capì le parole che aveva detto prima trovandosi a testa in giù mentre il giovane uomo la teneva per le caviglie e si lamentava del suo peso. 

«No pesante Testa di Cacca, comunque era complimento tu bravo vero.» 

La rimise a terra e le arruffò i capelli con affetto «Fai i compiti dai che poi ti facciamo alzare.» e si intenerì vedendo il sorriso allargarsi sul viso di quella piccola peste che già si immaginava sulla sedia vicino alla rete e fare qualche alzata. 

«Lo vedi che dovresti smetterla di chiamarlo Testa di Cacca.» 

 

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‘Lasciala passare, non se lo aspettano...resta con le mani per alzare fino all’ultimo momento e poi le abbassi, cadrà appena dopo la rete considerando la parabola del colpo. Si aspettano che alzi a qualcuno quindi non alzerò per nessuno...’ 

Con la coda dell’occhio Ikeda vide l’alzatore spostarsi davanti al ragazzo con gli occhiali. ‘Questa sì che è fortuna, grazie per esserti tolto di mezzo.’ 

 

Kageyama ormai davanti a Tsuskishima, la palla sul punto di essere quasi alzata, saltò con le braccia protese per murare. Incrociò per un secondo lo sguardo della ragazza che poi spostò nuovamente l’attenzione sulla palla. 

 

Ikeda concentrata sulla palla ormai vicina alle sue mani, abbassò le braccia ammirando la sfera passarle sopra la testa sentendone infine il debole suono del rimbalzo sul parquet. 

Non le serviva girarsi e guardare l’alzatore per sapere che espressione avesse in faccia, quindi, rimase con le spalle rivolte alla rete. Ricordava ancora le reazioni provocate da quella non alzata di Testa di Cacca e per uno come il corvino quello era sicuramente uno smacco enorme da subire considerando che credeva di dover murare qualcuno. 

 

Kageyama aveva spalancato gli occhi per la sorpresa quando l’altra abbassò le braccia. Spostava lo sguardo, aggrottando la fronte, dalla palla rotolata a terra, a Nishinoya che si era buttato per cercare di prenderla, alla schiena di Ikeda e di nuovo sulla palla chiedendosi cosa fosse appena successo. Poi Hinata aveva detto qualcosa su quanto fosse stata una cosa figa da fare ma lui non ci fece caso fissando ancora la ragazza di spalle in cerca di un qualcosa che non sapeva nemmeno lui. 

Poi lei aveva alzato leggermente le braccia muovendo le dita come se stesse suonando e Kageyama aggrottò la fronte ancora di più con una smorfia. 

 

Ikeda cantò in modo diverso da prima, più lentamente con un tono basso. 


                                                     «Oh ooh seeing the beauty through the...
                                                                                            Pain...
                                                                                                    Inhibited...
                                                                                                                 Limited...» 

 

Kageyama strinse i pugni sentendo montare sempre di più il fastidio perché quelle parole di scherno erano rivolte a lui. 

La ragazza si girò, si fissarono in silenzio come se non ci fosse nessuno oltre che loro due in campo. 

Poi Ikeda piegò la testa con un sorrisetto e riprese. 

 

«...Till it broke open and rained down...» 

 

Continuò alzando le braccia e ripetendo quello che aveva appena fatto senza mai distogliere lo sguardo da quegli occhi blu che saettavano rabbia, spostando volutamente le mani in modo lento e chiaro scandendo bene ogni lettera dell’ultima parola in modo che se anche lui non ne sapesse il significato ne intuisse il peso.   
 

«...It rained down like...
                                   
...Pain» 

 

Ikeda indicò per finire la palla a terra e poi batté le mani interrompendo quel momento tra loro. Fece qualche passo indietro ballando un po' per smorzare la tensione che però non lasciò Kageyama che stringeva ancora i pugni sentendo come un prurito che dalle mani stava risalendo alle braccia. 

«Sembra sia arrivato il mio momento in battuta, quindi cedo il posto.» disse la ragazza mentre sorridendo usciva dal campo. 

 

 

 

*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

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Capitolo 11
*** Capitolo 10 ***


Kageyama seguiva con lo sguardo la figura di Ikeda camminare, con arroganza e spocchia secondo il suo punto di vista, per lasciare il campo e posizionarsi, lontana da possibili pallonate, per seguire il gioco dal lato corto del campo. 

Continuò a guardarla, poggiata al muro sembrava rilassata con le braccia incrociate senza guardare nessuno in particolare, come ogni volta che Yamaguchi le dava il cambio però stava attenta a quello che succedeva in campo... 

‘No, non è solo attenta...’ pensò tra sé e sé Kageyama vedendola improvvisamente acquattarsi portando le mani a reggere il mento in maniera riflessiva ‘...ci sta studiando? Maledizione, ci ha studiato per tutto il tempo che è stata fuori?’ 

 

Il servizio flottante del ragazzo era stato fermato dopo un paio di volte. 

Ikeda si alzò per tornare in campo, spostando lo sguardo distrattamente e infine notando l’alzatore fissarla con estremo astio. Si fece seria mentre scrocchiava le spalle per renderle meno rigide, poi portò le mani dietro mettendole una sull’altra al centro della colonna vertebrale spingendo quel punto in avanti e andando indietro con le spalle per scrocchiare anche la schiena. Non aveva smesso di guardare l’altro durante tutto quel procedimento vedendolo assottigliare gli occhi. 

Ikeda continuò quel contatto visivo camminando per tornare in campo, decisa a rendere chiaro che quello sguardo arrabbiato non la stava intimidendo. 

 

Hinata guardava, in modo confuso, Kageyama sfoggiare il suo classico sguardo omicida «Oi Bakageyama che hai? Sto giocando bene cos’è quella faccia?» gli chiese senza però ricevere risposta mentre l’altro si girava per andare in battuta. 

 

«Ehi pulcino, non hai dimenticato quello che ti ho detto prima?» disse Ikeda rivolgendosi al libero. 

«Ah no, sono concentrato sulla palla come mi hai suggerito.» 

Ikeda fissava le spalle dell’alzatore mentre si dirigeva in battuta «Si vero lo stai facendo, e poi che ho detto?» 

Yaotone si fece pensieroso «Ah che devo...ma poi a chi dovrei alzare?» 

«A chiunque chiami l’alzata.» gli rispose sorridendo la ragazza «Non ti preoccupare troppo, devi solo lanciarti vedrai che non è poi così difficile.» 

Ikeda gli sorrise ancora cercando di fargli capire che era solo un’azione da provare, poi spostò lo sguardo dall’altro lato vedendo l’alzatore palleggiare a terra prima del fischio, si mise in posizione di ricezione giusto in tempo per vedere il corvino guardare nella sua direzione. 

 

Kageyama fissò la ragazza mettersi in posizione, lei guardò la linea alle sue spalle e fece un passo deciso in avanti, dove il servizio sarebbe arrivato con più forza, poi si girò per guardarlo sfoggiando l’ennesimo sorrisino irritante e arrogante. Non fece nemmeno caso a Hinata che, lanciandogli l’ultima occhiata, si girò portando le mani a coprirsi la nuca preoccupato, terribilmente preoccupato, per la sua testa. 

Al suono del fischietto Kageyama vide la ragazza cambiare quel sorrisetto in uno beffardo, le mani alzate per ricevere muoversi in una tacita richiesta. 

Kageyama reagì a quel gesto come un toro a cui viene sventolato, davanti al naso, un drappo rosso. Avvertendo nuovamente quel fastidioso prurito si alzò la palla e iniziò la rincorsa. 

 

‘Sarà potente? Si lo sarà, basta vedere quanto sia grosso. Ito e gli altri sono sicuramente dei mollaccioni in battuta rispetto a lui...da quanto non ne tengo una del genere. Qui però non c’è il cemento o il prato, di sicuro non c’è il vento che corre tra gli edifici ad aiutare me o te. Non devo irrigidirmi, devo smorzarne la forza.’ 

Un brivido freddo le percorse la schiena, dal basso stava risalendo per tutta la colonna vertebrale fino ad arrivare all’attaccatura dei capelli sulla nuca, quando finalmente vide l’alzatore alzare la palla e correre. L’adrenalina iniziava a farsi sentire aumentandole il battito cardiaco, aveva iniziato anche ad avvertire le orecchie pulsare leggermente. 

Vedendolo al massimo dell’elevazione con la mano sulla palla Ikeda fece un piccolo saltello, ringraziando mentalmente tutte le divinità che le passano per la testa che non fosse anche curvata e, unendo le mani per ricevere in bagher, accoglie quella forza cercando di posizionare per quanto possibile la palla al meglio. 

Ikeda si rilassò, facendosi spingere, travolgere e trasportare indietro da quella forza, senza pensarci, facendo una capriola ed espirando lentamente l’aria che non si era resa conto di aver trattenuto. 

Sentì la treccia sulla spalla mentre, puntellandosi sulle dita delle mani e la punta dei piedi, alzò le ginocchia dal pavimento, tornando padrona del suo corpo che aveva scaricato quel colpo. Il tempo sembrava essersi dilatato nuovamente: osservando la palla roteare in alto, abbassò lo sguardo solo per constatare che dall’altro lato della rete erano tutti girati verso l’alzatore. Intravide l’aprire e il chiudere delle loro bocche ma l’unico suono nelle sue orecchie era il tu-tum tu-tum martellante del suo ritmo cardiaco. Scorse il ragazzo rossiccio guardarla, ma Ikeda rivolse l’attenzione al suo lato del campo: la situazione era uguale tutti rivolti in direzione dell’alzatore. 

‘Non va bene...non va bene...’  

Si concentrò sulla corsa del libero, chiuse gli occhi per un secondo dopo aver visto quel suo ultimo passo prima del salto, ancora nessun segnale dagli altri mentre vide l’espressione spaurita del ragazzino in aria. 

Ikeda pensava, sperava, di aver detto quell’unica parola abbastanza forte ad alta voce e non aver solo immaginato di dirla...nelle orecchie avvertiva l'inesorabile tu-tum tu-tum...inspirò profondamente, questa volta, trattenendo il respiro volontariamente e consapevolmente per costringere il suo fisico allo sforzo anaerobico che le serviva per quello sprint. Liberò quel formicolio e quella rabbia che aveva messo da parte tirandola fuori dall’angolino in cui l’aveva costretta fino a quel momento. 

 

«Bakageyama ma che ti dice la testa?! Sparare il tuo servizio Killer su una ragazza, che problemi hai?» il rimprovero di Hinata vedendo andare a terra Ikeda era solo uno dei molti che gli arrivò, corale a quello degli altri e alla voce di Ukai. 

Kageyama fece presente in malo modo che era stata lei ad aver voluto giocare, cercando di difendersi da quelle accuse immotivate di aver esagerato... 

Ma lui quei motivi li sapeva perfettamente, dalla prima veloce con Hinata, ogni alzata venuta dopo, dagli scherni, dal fastidioso canticchiare, da quelle occhiate arroganti e falsi sorrisi mentre veniva preso in giro insieme a Tsukishima. 

E poi una parola ruppe tutto con un volume assordante. 

 

«MIIIAAAAAAAAAAAAAAAAA» 

 

Kageyama si girò giusto in tempo per vedere Ikeda gonfiare le guance e iniziare a correre veloce. Non fece in tempo, però, a realizzare dove si trovasse la palla, credendo fosse schizzata via non se ne era preoccupato mettendosi a litigare con gli altri esasperato dalla situazione. Vedendo Yaotome con le braccia già allungate aveva spostato lo sguardo di poco più in là. Il suono forte del piede sbattuto a terra e poi Ikeda in aria che guardava freneticamente dei punti indistinti sul parquet per poi posare gli occhi su di lui. 

Kageyama sentì il sudore farsi stranamente freddo sulla schiena, sensazione che si rese conto di aver provato solo davanti a Oiwaka. 

‘Irritante e fastidiosa’ pensò, Kageyama, aveva le stesse qualità che odiava di più degli alzatori che meno sopportava, la detestava. Nonostante tutto non riusciva a distogliere lo sguardo da lei, come se lo avesse incatenato ai suoi occhi nocciola. Alla fine percepì passare un rivolo fresco alla sua destra. 

 

‘Dove dovrei schiacciarla? Un punto qualsiasi andrebbe bene, forse...’ ma Ikeda accantona subito quel pensiero ‘No, se va fatto allora devo farlo bene...alzata di fortuna proprio TU non puoi dirmelo, al diavolo.’ 

Trovò lo sguardo dell’alzatore. Fissando quegli occhi blu aveva cercato di indovinarne le emozioni. Pentimento? Sgomento? Incredulità forse? 

Il tempo, tuttavia, non è più così lento e Ikeda mette da parte tutte le analisi del caso. Caricando il colpo lasciando passare la rabbia dalla mano alla palla, espirando con forza aveva mirato nel punto vuoto tra lui e la linea del campo. 

 

Toccando terra, Ikeda si sentì svuotata di tutto. Leggermente piegata in avanti con le mani sulle ginocchia osservò le sue scarpe; non c’era più nulla. 

Non più la rabbia, il nervosismo, il fastidio che aveva dovuto relegare in un angolino. Più nulla, tutto andato, tutto passato alle sue spalle. Non c’era più l’adrenalina, e il tu-tum tu-tum nelle sue orecchie aveva lasciato posto al ronzio che piano piano, a sua volta, stava lasciando spazio prima al suono del suo respiro e poi ai suoni delle persone accanto a sé. 

Ikeda voltando il capo verso il tabellone sbuffò e poi sorrise «Ah che peccato che sia punto loro...» disse rialzandosi mettendo le mani sui fianchi. 

Qualcuno balbetta, correggendola, che la palla era dentro mentre il coach le si era avvicinato prendendo e tastandole le braccia, sinceramente preoccupato, chiese a più riprese se fosse tutto ok e se sentisse male in qualche punto conscio della forte battuta di Kageyama, guardando quest’ultimo con disappunto e rimprovero. 

«Lo so che era dentro...» disse Ikeda, facendo un cenno con la testa in direzione di Yaotome aggiunse «...ma lui ha toccato la linea.» 

«Perchè hai schiacciato se hai visto il fallo?» chiese Tsukishima perplesso alzando un sopracciglio. 

«Siamo in allenamento e lui ha provato a fare qualcosa per la prima volta, era impanicato perché nessuno la stava chiamando. Pensavo sarebbe stato peggio per lui vedere che nessuno schiacciava piuttosto che sapere di aver fatto fallo.» rispose così con naturalezza disarmante, non capendo il perché della domanda per lei era come se le avessero chiesto “perchè apri l’ombrello?” quando evidentemente fuori pioveva. 

 

Ikeda rispose distrattamente alle altre domande, dicendo che stava bene che non c’era bisogno di ghiaccio o altro guardando di sottecchi l’alzatore di spalle, probabilmente stava fissando la palla. 

«Co-come hai fatto a sopravvivere al servizio Killer di Kageyama?» balbettò Hinata rimasto al di là della rete. 

Lei non riuscì a trattenersi, scoppiò in una risata cristallina «Servizio Killer?! Avete la fissazione per dare soprannomi al Karasuno?» 

Non ci fu risposta, il Professor Takeda richiamò all’attenzione entrando in palestra accolto da un collettivo saluto dei ragazzi. 

«Ah, vedo che i ragazzi ti stanno facendo provare, bene. Però ve la devo rubare per un po'. Vieni Ikeda parliamo un attimo.» 

Ukai sentenziò che sarebbe stato meglio terminare la partita, dando istruzioni ai ragazzi su cosa fare; prese poi da parte Kageyama per un discorsetto. 

Ikeda si concentra sul suo interlocutore, Takeda le comunica che il Vice Preside la stava cercando «C’è ancora qualche problema con i documenti del tuo trasferimento, mi spiace.» le disse. 

«Devo andare subito? Ho il tempo di fare stretching prima?» 

«Beh, penso che dieci minuti non cambino molto. Quando finisci qui vai nel suo ufficio, mi trovi in Sala Insegnanti, dopo, se serve.» 

Ikeda lo ringraziò gentilmente, fece un piccolo inchino prima di tornare nel punto in cui aveva lasciato le sue cose. Beve avidamente dalla borraccia per poi prendere il quadernetto e la penna, si avvicinò a Yachi chiedendole se potesse darle una mano per una cosa e insieme si spostarono in un angolo della palestra così che Ikeda potesse fare stretching senza dar fastidio. 

«Vorrei riuscire a memorizzare i loro nomi, te li indico e tu mi dici come si chiamano così li scrivo con una piccola descrizione almeno, forse, già domani qualche nome riuscirò ad azzeccarlo.» 

Yachi sorrise annuendo, iniziano così quella lista. La aiutò quando all’altra sfuggiva come scrivere qualche carattere. Le consigliò di andare per anno quindi iniziarono dai senpai, a uno a uno con calma venivano segnati, sentendosi entrambe complici in quel momento tutto loro, mentre i ragazzi le guardavano cercando di decifrare quelle chiacchere che risultano troppo lontane e dette a voce troppo bassa. 

Avevano quasi completato anche i ragazzi del secondo anno, ne mancava uno...Ikeda si schiarì la voce «E l’alzatore?» 

«Kageyama Tobio.» 

Ikeda facendo scorrere la penna vicino alla parola “alzatore” ebbe finalmente un’epifania di come Hinata avesse appellato Kageyama a pranzo in cortile. 

«Pff» la risata partì piano, cerco di trattenerla vedendo lo sguardo confuso di Yachi ma alla fine scoppiò forte e fragorosa, tanto da far girare i ragazzi. «Scusate, scusate.» disse alzando il quaderno per coprirsi il viso, non riuscendo ancora a trattenersi quasi grugnendo per la risata così forte. 

«Perché ti fa ridere come si chiama?» chiese la manager quando la risata sembro essersi un po' calmata. 

«Non come si chiama, mi fa ridere come lo ha apostrofato...» Ikeda scorse i nomi appena scritti per trovare quello giusto «...mmmh veloce ed energico quindi è Hinata. In cortile a pranzo ad un certo punto, Hinata, gli aveva detto qualcosa ma non avevo capito. Adesso ho capito invece...» Ikeda aggiunse (BA) davanti al cognome Kageyama «BAKAgeyama!»  

Entrambe le ragazze si guardarono iniziando a ridacchiare insieme. 

 

«Sembra che Yachi e Ikeda si siano già trovate e vadano d’accordo.» disse Ennoshita guardandole confabulare nell’angolino in cui si erano spostate. Nishinoya e Tanaka non poterono che essere concordi con il loro capitano quasi commossi da quella scena. 

«Eravamo così preoccupati che Yachi si potesse sentire sola quest’anno. Siamo così fortunati ad avere due manager.» disse Noya, tirando un po' su col naso in modo esagerato, Tanaka aggiunse «Non vedo l’ora della prossima amichevole con la Nekoma, voglio proprio vedere che faccia farà Yamamoto.» 

Poi una forte risata li fece girare, Ikeda quasi con le lacrime si era scusata alzando il quaderno per coprirsi. 

«E’ anche così carina.» disse Yamaguchi. 

«Ed è davvero brava a giocare. Ha fatto delle alzate perfette, fossi stato ad occhi chiusi avrei detto che era Kageyama.» girandosi, Hinata, continuò rivolto all’alzatore «E ha tenuto il tuo servizio Killer, facendo una capriola ma l’ha tenuto, in tutta onestà mi ha fatto un po' paura quando prima di correre ci ha guardato.» 

«Tsk.» fu l’unico suono che uscì dalle labbra di Kageyama. 

«Che intendi?» domandò Yaotome, che essendosi concentrato sull’azione non aveva nemmeno visto la capriola di Ikeda. 

Hinata si portò due dita al mento ripensando a quel momento «Sembrava come uno di quei predatori che si vedono nei documentari. Appostati in un angolo e nascosti, fissano quello che hanno intorno a loro e poi attaccano.» 

«Tutto sommato è quello che è successo.» intervenne svogliatamente Tsukishima «Ha rispedito l’attacco al mittente.» 

Kageyama emettendo un altro sbuffo si allontanò deciso a non farsi punzecchiare oltre, perché quelle parole avevano colpito, tanto quanto la palla di Ikeda. 

 

Finita la lista di nomi insieme a Yachi la ragazza aveva ripreso i pantaloni andando a indossarli nello sgabuzzino e togliendosi la pettorina con cui aveva giocato, si era scusata con il coach dicendo che avrebbe fatto il prima possibile. 

La chiacchierata con il Vice Preside invece sembrava non avere fine, per buona parte del tempo Ikeda si era chiesta con che coraggio e in che universo quel topo morto che indossava in testa l’uomo potesse essere definito “parrucca”. Si era appuntata tutti i documenti che doveva portare l’indomani, sperando così di chiudere quella noiosa parentesi burocratica. 

Tornata in palestra l'allenamento era quasi finito quindi lei e Yachi erano andate a svuotare e lavare le borracce usate dai ragazzi. Raccolti gli effetti personali dalla palestra la manager aveva detto loro che potevano andarsi a rimettere l’uniforme e tornare a casa mentre gli altri smontavano la rete e finivano di pulire. 

 


*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

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Capitolo 12
*** Capitolo 11 ***


«Ikeda tu come torni a casa? Facciamo un pezzo di strada insieme.» domandò Yachi una volta tornate nel loro spogliatoio. 

Non ricevendo risposta si girò, Ikeda stava fissando lo schermo del suo telefono divertita dopo essersi tolta la maglietta sudata. 

«Scusa, puoi ripetere.» 

«Dicevo che possiamo fare un pezzo di strada insieme, tornando a casa.» 

«Mi spiace, magari domani. Oggi mio fratello passa a prendermi, dobbiamo andare a vedere dei divani non ne abbiamo ancora trovato nessuno che ci convinca tanto da comprarlo.» 

Il telefono si illuminò ancora per una notifica ricevuta, divertendo ancora Ikeda. 

«Ok allora domani. Che ne dici se pranziamo anche insieme, visto che in classe non ancora non conosci nessuno.» 

L’altra distolse lo sguardo dal cellulare sorpresa, un po' a disagio «Ecco...sei sicura? Insomma non hai già con chi pranzare?» 

«E quindi non posso cambiare e pranzare con la mia nuova amica?» 

Sorridendo si erano messe d’accordo per trovarsi domani nella classe di Ikeda. 

Yachi però continuava a guardare il telefono dell’altra ancora illuminato e lampeggiante senza avere il coraggio di chiedere chi fosse, pensando di risultare inopportuna. Si conoscevano da poco anche se Ikeda sembrava a suo agio e fino adesso aveva sempre risposto a qualsiasi cosa. 

«Sono i miei amici in Europa.» rispose Ikeda alla domanda che aleggiava tra loro «Hanno un fuso orario diverso, loro sono più indietro e sono nel pieno della mattinata, più o meno tutti visto che anche loro sono in fusi orari diversi, a pranzo li ho aggiornati sulla cosa del club e che ti avevo incontrata. Helmi, è la mia migliore amica, sta facendo l’arrabbiata e imbronciata perché le ho detto che sei bionda anche tu e gli altri la stanno prendendo in giro dicendo che è stata “sostituita come amica bionda”.» 

Yachi si affrettò a scusarsi «Ah no io non lo farei mai, non mi sostituirei mai alla tua migliore amica.» 

«Tranquilla è solo il loro modo di scherzare. Non dicono sul serio e anche lei sta solo mettendo un finto broncio. Sono più che altro curiosi immagino. Li vuoi vedere?» 

Yachi aveva annuito avvicinandosi a Ikeda che, uscita dall’app di messaggistica, aveva aperto il suo profilo social alla sezione foto. Scorreva le foto, c’erano delle foto recenti di Ikeda davanti la scuola che indicava la targa del Karasuno, a casa davanti uno specchio con la divisa e una marea di scatoloni alle spalle, varie foto in palestra nella scuola precedente e man a mano i visi dai tratti giapponesi furono sostituiti...Ikeda ne stava cercando una in cui fossero tutti insieme, c’era voluto un po' ma alla fine aveva trovato una foto in cui c’era almeno buona parte del gruppo. Dopo essersi rivestite, si erano anche fatte una foto insieme che Ikeda pubblicò. 

Yachi si era offerta di restare con lei almeno fino all’arrivo del fratello. Si stavano dirigendo verso il cancello della scuola, passando davanti alla palestra, le cui luci erano ancora accese. Sentendo qualcuno allenarsi, Ikeda aveva guardato attraverso la porta aperta, e non fu sorpresa dal vedere l’alzatore ancora lì insieme al centrale dai capelli rossi. Salutò entrambi con la mano ma se quello più basso ricambiò con slancio a gran voce, lo stesso non si poté dire dell’altro che si girò per litigare con il ragazzino. Yachi le disse di non farci troppo caso e che erano soliti fare in quel modo. 

 

«Sei sicura di voler rimanere con i pantaloni della tuta?» 

«Si mi sento più comoda così. Yachi veramente non c’è bisogno che tu rimanga, sarà qui da un mom...» Ikeda non concluse la frase, riconoscendo il rumore del motore che si avvicinava «Eccolo.» 

Da lontano si poteva scorgere un unico faro avvicinarsi, il rombo del motore sempre più forte fino a che il motociclista inchiodò davanti alle due ragazze. 

Ikeda sospirò «Dovresti guidare con più calma, sei vicino ad una scuola. Yachi lui è Naoki mio fratello. Disgraziato lei è Yachi Hitoka la manager del club di pallavolo.» 

Naoki allungatosi sulla moto, mettendo il cavalletto e spegnendola, diede un pugno sulla spalla della sorella, poi portò una mano sul cuore prima di indicare Yachi e fare un piccolo cenno con la testa senza togliersi il casco. 

«Sta dicendo che è un piacere conoscerti.» disse Ikeda dando voce a quel gesto. 

Yachi si sentiva un po' a disagio, non si aspettava un tipo così quando Ikeda le aveva detto che sarebbe venuto il fratello. Sembrava enorme e le faceva un po' paura, quindi scosse la testa cercando di scrollare quella sensazione. «P-piacere mio.» Naoki indicò la moto intanto che porgeva le chiavi alla sorella, Ikeda roteò gli occhi «Lei è Anita. Ci tiene a farlo sapere visto che la considera la sua bambina.» affermazione confermata dal fratello il cui casco annuiva con decisione abbracciando la foto e unendo pollice e indice facendo un piccolo cuore con le dita. 

Yachi si accigliò «Mi spiace, non ne capisco di moto. È forse il nome della marca? La parola è straniera, l’avete portata dall’Europa?» 

«No no la marca è Ducati, però è venuta con noi dall’Europa. Anita è proprio il nome che le ha dato Naoki.» rispose Ikeda con un sorriso aprendo il bauletto per prendere il suo casco. 

«EHI TU CHE FAI BRUTTO TEPPISTA?» 

Il trio all’ingresso della scuola si voltò in direzione di quelle urla, due ragazzi del club stavano correndo a perdi fiato verso di loro. 

«CHE VUOI DALLE NOSTRE MANAGER? YACHI, IKEDA VI INFASTIDENDO? COME OSI? STAI LONTANO DA LORO O TE LA VEDRAI CON NOI.» 

Ikeda aveva riconosciuto la Divinità Protettrice ma le sfuggiva il secondo ragazzo del terzo anno; i nomi non li aveva ancora associati alle loro facce. Yachi, invece, fu più veloce a reagire fermandoli «Nishinoya, Tanaka questo è il fratello di Ikeda, potete stare tranquilli!» 

«Disgraziato anche loro sono nel club di pallavolo.» 

«Sono Nishinoya Yuu e Tanaka Ryunosuke.» li presentò Yachi intuendo che l’amica non avesse ancora memorizzato i loro nomi. 

Il duo di ragazzi, vicinissimi, pronti a fare brutto muso a quel ragazzo che avevano considerato una minaccia per le due ragazze si bloccò per inchinarsi e dire all’unisono «Ci perdoni.»  

Naoki dopo un momento portò entrambe le mani ad altezza della pancia iniziando a scuotere le spalle sotto lo sguardo confuso dei due ragazzi e della manager. 

«Sta ridendo, credo trovi divertente la situazione.» spiegò Ikeda girandosi, dopo aver preso il casco e richiuso il bauletto, quando si sentì afferrare la treccia e scuoterla. 

«Si, è stato un allenamento divertente da treccia.» rispose a quella domanda silenziosa mentre il più basso dei due ragazzi girava intorno per ammirare la moto. Lo schiocco delle dita dell’uomo attirò la sua attenzione mentre indicava la moto facendo segno di gas con una mano. 

La voce della nuova manager diede voce all’ennesima comunicazione non verbale del motociclista «Ti sta chiedendo se vuoi fare un giro visto che sembri interessato.» 

«Posso sul serio?» chiese la Divinità con l’entusiasmo alle stelle. 

Ikeda gli porse il casco che teneva tra le mani «Non te lo avrebbe proposto altrimenti, tieni mettilo. Naoki però non andare troppo forte.» 

Il fratello alzando il pollice in segno di consenso aveva già riacceso la moto e tolto il cavalletto aspettando il passeggero che aveva dato in mano all’altro ragazzo il suo zaino. Con un piccolo balzò si posiziono sulla moto dietro il fratello di Ikeda e prima di infilarsi il casco esordì «Vai pure veloce, non ho paura.» 

Naoki iniziò a dare gas facendo spallucce allo sguardo della sorella, appena sentì stringersi i fianchi partì veloce facendo stridere la ruota posteriore. 

«Lo riporterà tutto intero?» Yachi era visibilmente preoccupata che entrambi facessero una brutta fine, riuscendo ad immaginare i peggiori scenari. 

«Meglio per lui di sì, altrimenti meglio che non torni affatto.» 

Non avevano dovuto aspettare troppo per vedere nuovamente avvicinarsi il faro accompagnato dal rumore del motore, il ragazzo era sceso levandosi il casco e ringraziando con lo stesso entusiasmo con cui era salito poco prima. Naoki aveva invitato l’altro ragazzo per il prossimo giro ma Tanaka aveva preferito rifiutare, quindi aveva porto la mano per invitare Yachi a salire ma lei aveva scosso la testa pallida alla sola idea. L’uomo spense e mise nuovamente il cavalletto alla moto per scendere e correre verso un pezzo dove si poteva intravedere un'aiuola.  Non più seduto sul mezzo a due ruote poterono constatare che l'altezza nella famiglia Ikeda non mancava.

«Ma cosa sta facendo?» domandarono i due ragazzi. 

«Credo voglia fare il galante con Yachi.» rispose Ikeda riprendendo il suo casco dalle mani del ragazzo più basso. 

Il fratello era tornato con un fiorellino in mano porgendolo a Yachi con una riverenza. 

La manager aveva ringraziato un po' impacciata prendendo quel fiore. 

Risalito in moto l’aveva riaccesa salutando i tre ragazzi con la mano. Ikeda salì dietro di lui salutandoli anche lei prima di mettere il casco e partire. 

 

 

Kageyama era rimasto scontroso per tutta la durata dell’allenamento, atteggiamento non diverso dal solito quindi nessuno ci fece particolarmente caso. 

Aveva tirato un sospiro di sollievo ad allenamento finito pensando che almeno quello extra con Hinata sarebbe andato liscio. Il suo compagno invece non la finiva di prodigarsi in complimenti per l’alzatrice, e quando videro le due ragazze passare e salutarli si infastidì dell’entusiasmo di Hinata tanto da girarsi per riprenderlo. 

L’umore non migliorò nemmeno quando la cesta dei palloni fu completamente vuota, il blaterare del compagno mentre rimettevano tutto in ordine che solitamente sopportava, lo irritò al punto di farlo sbottare per l’ennesima volta in quella giornata. 

Continuava a rimuginare sull’allenamento, sulle azioni, sulla partita mentre metteva un piede avanti l’altro sulla strada di casa, ignorando completamente il centrale al suo fianco che notando come l’altro non lo stesse sentendo, scocciato, era salito sulla bici per tornare più velocemente verso casa sua. 
 

Quel turbine di pensieri e fastidio aveva lasciato la sua mente, finalmente, solo sotto la doccia. Come se l’acqua calda che gli scorreva sul corpo fosse riuscita a lavare via quelle sensazioni che si era sentito addosso, ma che solo parzialmente era riuscito a riconoscere. 

Sensazioni che erano tornare prepotenti, come quel colpo d’aria spostata e avvertita alla sua destra qualche ora prima, una volta seduto alla sua scrivania con il quaderno della pallavolo aperto davanti a lui. 

Tobio non si era mai ritenuto uno scrittore eccellente, forse vagamente decente, ma soprattutto in quel frangente non sapeva cosa scrivere su quella sessione di allenamenti. Scarabocchiava qualche parola per poi cancellare, ci riprovava e di nuovo cancellava quanto scritto. Arrabbiato strappò quella pagina piena di segni e cancellature per farla in mille pezzi così come non poteva fare con la persona che lo aveva indisposto a tal punto. 



 


*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

Spazio Autrice:
Rubo ancora qualche minuto del vostro tempo (scusate) ho deciso di accorpare i primi 3 capitoli e racchiuderli in un unico Prologo, non mi piaceva lo stacco tra i capitoli segnati da EFP e i miei numerati. Spero così la ricerca risulti migliore anche per voi. Se state seguendo la storia e non vi tornano quindi i conti con i capitoli tranquill*. Se vi va lasciate una recensione su come vi sta sembrando la storia fino adesso.

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Capitolo 13
*** Capitolo 12 ***


La mattina dopo Ikeda camminava placidamente verso scuola, aveva rifiutato categoricamente la proposta del fratello che voleva accompagnarla in moto. Tuttavia se ne stava pentendo. Il borsone con il materiale scolastico, il bento e quello che le serviva per il club sulla spalla, in una mano la cartellina con i documenti che aveva richiesto il Vice Preside, per essere sicura che non si rovinassero nel borsone, e l’altra mano a reggere il sacchettino di carta...tutti quegli oggetti la stavano infastidendo. Non a causa del peso, ma aveva sentito il telefono vibrare e non aveva nessuna voglia di fare la contorsionista per liberare almeno una mano e vedere il motivo di quella vibrazione. Non che in moto avrebbe potuto, ma almeno sarebbe arrivata più velocemente a scuola e avrebbe sbrigato prima le incombenze in presidenza ed il resto. Poi si sentì richiamare da una vocetta squillante, si girò e vide avvicinarsi su una bicicletta azzurra con un cestino un ragazzo, lo riconobbe come uno del club e iniziò mentalmente a scorrere i vari nomi. 

Quando le fu vicino si fermò «Buongiorno Ikeda.» 

La ragazza rimase in silenzio a fissarlo. 

«Ecco io son...» 

«No, non dirmelo...» si prese qualche altro secondo prima di decidere, aveva due possibili nomi in testa che corrispondevano alla figura del ragazzino «Nishinoya....giusto?» chiese, non troppo convinta della scelta fatta. 

«No, sono Hinata.» 

«Accidenti, scusa Hinata.» disse posando la cartellina dentro il cestino della bici e il sacchetto di carta aprendolo per poi frugare nel borsone. 

«Non fa niente, non preoccuparti.» 

«Prendi un biscotto, li ho fatti ieri. Stavo aprendo qualche scatolone e ho trovato il quaderno con le ricette, l’ho preso come un segno del destino di smettere quell’attività noiosa e ho fatto un po' di biscotti per il club. Ecco lo sapevo era meglio scrivere anche il colore dei tuoi capelli nella descrizione, ho scritto per entrambi la parola “energico”, vedi?» 

Hinata guardava il quadernetto che Ikeda gli aveva messo sotto gli occhi battendo con l’indice sulle descrizioni, metà del biscotto in mano l’altra metà deglutita appena in tempo, scorrendo quelle scritte si era messo a ridacchiare quando il suo sguardo era sceso e si era fermato al nome, nomignolo, dell’alzatore. 

«Perchè ridi? Ho scritto male qualcosa?» 

«No no, BAKAgeyama. Scatoloni?! Non ti sei già trasferita» 

«Ah sì, ha fatto ridere anche me ieri mentre Yachi mi aiutava con i vostri nomi. In cortile non avevo capito bene cosa gli avevi detto, poi quando Yachi ha detto il suo cognome ho collegato. Non dirglielo però, non voglio che pensi mi stia prendendo troppe libertà visto che non ci conosciamo. Si ci siamo già trasferiti ma abbiamo ancora tutto da sistemare.» Ikeda aveva lo sguardo basso, intenta ad aggiungere alla descrizione di Hinata “capelli rossi”, tornò a guardare il ragazzo mentre rimetteva il quadernetto nel borsone. Era sbiancato e la fissava con gli occhi sgranati. 

«Ec-ecco io...io il cortile ec-ecco scusa...» 

Hinata era passato dall’avere il volto pallido come un cencio a varie sfumature di rossore per fermarsi alla tonalità di un pomodoro troppo maturo, strinse forte i manubri della bici inchinandosi. 

«Ti prego, anche se è stato un incidente scusami non volevo...non che tu sia una brutta ragazza anzi...cioè non voglio dire che se ci fosse stata una ragazza meno carina sarebbe stato giustificato...sarebbe successo lo stesso forse...però io ver-veramente non l’ho fatto di proposito. Scusa. Scusa. Scusa.» 

Ikeda si sentì gelare. Aveva sperato, o forse si era solo illusa nel volerci sperare, che fosse come gli aveva suggerito in palestra quando si era scusato la prima volta e SOLO per la pallonata che le stava arrivando addosso. Con queste scuse, invece, arrivava l’ammissione di colpa che avrebbe preferito non sentire. 

«Hinata...» 

Un po' titubante il ragazzo alzò lo sguardo, pronto a ricevere qualsiasi punizione il fato e Ikeda ritenessero giusta alla sua colpa... «Si...?» 

«Ti ho già detto di stare tranquillo, una ricezione sbagliata capita. La palla non mi ha colpito. Non c’era altro da aggiungere ieri, non c’è altro da aggiungere ora.» 

Hinata cercò di deglutire, l’ultima frase fu scandita molto lentamente con un tono che non ammetteva repliche; il che lo fece rabbrividire come il giorno prima perché la ragazza aveva di nuovo quello sguardo da far paura come Kageyama. Ma se l’alzatore aveva perennemente gli occhi torvi accompagnati dall’immancabile aura intimidatoria, tanto che Hinata ormai si era abituato ed erano rari i momenti in cui gli faceva ancora paura, lo stesso non si poteva dire di Ikeda che prima gli si era rivolta con candore e gentilezza per poi cambiare completamente. (Anche se probabilmente era l’unico ad averlo notato visto che era il diretto interessato sulla questione cortile, e forse per questo incuteva ancora più paura.) 

Hinata ne prese atto, annuì convinto e decise che non avrebbe aggiunto più nulla, non in quel momento...non più avanti...nemmeno sul letto di morte. 

«Ottimo.» fu l’unica parola che disse Ikeda, compiaciuta che entrambi concordassero che non fosse successo altro. O almeno l’intenzione della ragazza era di autoconvincersi fino a farlo diventare verità. 

«Andiamo a scuola insieme Ikeda?» 

«La direzione è la stessa, direi di sì.» rispose allungando le mani per riprendere gli oggetti dal cestino della bici. 

«Lasciali li porto io, anzi vuoi salire? Ti porto io pedalando.» 

Ikeda guardò il retro della bici, poi guardò la gonna e non le sembrava una buona idea. Prima che potesse proferire parola a riguardo Hinata stava prendendo qualcosa dalla sua borsa. 

«Tieni.» disse porgendole la giacchetta nera della tuta scolastica del club. 

Ikeda si tolse il borsone dalla spalla mettendolo nel cestino insieme alle altre sue cose, prese l’indumento e se lo annodò in vita prima di salire sulla bici. Cercò di sistemarsi al meglio e infine disse che potevano andare posando le mani sulle piccole spalle del centrale. 

«Il biscotto era davvero buono. Sul serio li hai fatti per noi?» chiese iniziando a pedalare 

«Certo, però non dirlo agli altri. Sono per la fine dell’allenamento pomeridiano. Andrebbe bene mangiari anche prima perché hanno solo albume, nocciole e mandorle e solo poco poco zucchero. Si può dire che siano proteici, non sapendo se vi sarebbero piaciuti non ne ho fatti troppi. Ai miei vecchi compagni non piacevano.» 

«Non capiscono nulla allora, fidati non credo di aver mai mangiato un biscotto così buono.» 

«Grazie. Più che non capirci nulla, tendevano a mangiare abbastanza male. Ah Hinata 1.72.» 

«Cosa?» 

«Mi avevi chiesto l’altezza ieri e ti avevo detto tra 1.70 e 1.75 perché non lo sapevo. A casa mi sono misurata, è 1.72. Che c’è ho detto qualcosa di sbagliato?» 

«No è che sei alta...» 

«E quindi?» 

Hinata scosse la testa «Niente, comunque grazie per avermi scelto ieri, solitamente quando mi vedono la prima volta si fermano solo al fatto che sono basso. Sei veramente brava a giocare. Sul serio non ti va di giocare nella squadra femminile?» 

«Guarda che sei bravo anche tu, non mi devi ringraziare per averti scelto. Certo su alcune cose devi migliorare e affinarne altre ma ti ricordo che sono un’alzatrice...solo un idiota mezzo cieco che non capisce nulla di pallavolo non vorrebbe mettersi alla prova ed alzare per te vedendo quanto sei veloce. Per rispondere alla seconda domanda invece se anche la squadra femminile si impegnasse per arrivare ai nazionali non mi interesserebbe, ho altre ambizioni che loro non possono aiutarmi a realizzare.» 

Il ragazzino se la stava ridendo sotto i baffi tra una pedalata e l’altra al pensiero che inconsapevolmente aveva dato dell’idiota proprio a Kageyama, quindi prese a raccontarle di quando lui a inizio dell’anno precedente non voleva alzargli la palla. 

«No dai non ci credo, sul serio ha detto una cosa così stupida che avrebbe preferito ricevere, alzare e schiacciare da solo? E sul serio mi stai dicendo che giocate insieme solo da un anno?» chiese Ikeda con un misto di incredulità e stupore «Non si direbbe affatto, avete un’intesa veramente impressionante...» 

Hinata allora le raccontò che se anche adesso giocavano insieme erano rivali, che voleva batterlo...Hinata era un chiacchierone e Ikeda ascoltava in silenzio del loro primo incontro alle medie, che la sua squadra fu battuta da quella di Kageyama per due set a zero e che lui aveva giurato che lo avrebbe sconfitto e sarebbe rimasto sul campo più di lui. Lei lo interruppe solo per chiedere qualcosa sulla sua squadra e Hinata le disse che non si poteva definire una vera squadra, che inizialmente era l’unico membro del club e che si era allenato principalmente da solo, chiedendo occasionalmente qualche alzata ai suoi amici. Di come dopo la sconfitta contro la Kitagawa Daiichi di Kageyama si era fatto aiutare dal club femminile e dalla squadra delle mamme del quartiere. 

Ikeda finalmente aveva trovato le risposte sul perché, il ragazzo che la sta portando a scuola, risultasse essere inferiore come tecnica e gioco, sentendo chiaramente al contempo in ogni parola la determinazione e la voglia di farcela, quella fame dei giocatori che tirano dritto. 

Hinata riprese il discorso dell’incontro al liceo con Kageyama e di come entrambi si fossero poi sfidati su qualsiasi cosa promettendo di scontrarsi in campo su qualsiasi palcoscenico a livello nazionale e mondiale. 

«E questo lo ha detto lui? Intendo palcoscenico nazionale e mondiale...» 

Hinata annuì e continuando distrattamente il suo racconto.
Ikeda gli guardava a nuca sorridendo
‘Ti considera un rivale e ti dice una cosa del genere, forse nemmeno ti sei reso conto che ti ha praticamente detto che ti vede arrivarci ad affrontarlo ad un livello così alto nonostante te ne abbia dette di tutti i colori.
Le parole “schiacciavo ad occhi chiusi la veloce” riscuotono la ragazza dalle valutazioni che aveva iniziato a fare, visto che il discorso del ragazzo sembrava essere più generico ma poi se ne era uscito con tale affermazione. 

«Aspetta Hinata che vuoi dire?» chiese interrompendolo in maniera brusca. 

«Si, il capitano per farci entrare nel club, dopo che avevamo fatto cadere il parrucchino al Vice Preside, ci ha fatto giocare un tre contro tre. Kageyama, mentre giocavamo mi aveva detto che non dovevo guardare la palla perché mi distraeva e il salto ne risentiva, così ho fatto quello che mi ha detto e sono saltato con gli occhi chiusi e ho schiacciato e la palla era lì e poi sbam...» 

«Ma sai se l’aveva mai fatta prima?» 

Hinata si gonfiò un po' d’orgoglio dicendo che era l’unico ad aver mai fatto la veloce con lui. 

Ikeda continuava a guardare la sua figura minuta, pensando anche all’alzatore...si sorprende della fiducia che il centrale riponeva in lui, tanto da saltare ad occhi chiusi. Effettivamente il giorno prima, Hinata, non aveva battuto ciglio e aveva saltato senza esitazione anche per lei dopo che glielo aveva semplicemente chiesto... 

Hinata stava continuando a raccontare anche dell’evoluzione della loro veloce, che inizialmente Kageyama alzava in modo diretto, di quando avevano discusso perché lui non voleva più chiudere gli occhi e allora l’altro si era infine deciso ad allenarsi per riuscire a permettergli di schiacciare senza tenere gli occhi chiusi. 

«Anche la tua alzata veloce è fenomenale, quanto ci hai messo a impararla? Veramente ti sei allenata da sola dopo averla vista? In che partita l’hai vista fare? Qui in Giappone...o dove hai detto che abitavi prima?» chiese Hinata, girandosi appena per guardarla da sopra la spalla. 

«Quante domande...allora vediamo. Mmmh l’ho vista un po' di tempo fa l’anno scorso, però l’allenamento attivo l’ho iniziato qualche mese dopo. Dovevo studiare alcune cose su cui ero indietro e c’erano molte cose da fare al club di pallavolo nella vecchia scuola, non avevo molto tempo per dedicarmi all’allenamento personale...Ah Hinata ma guarda quel gruppetto sono del club giusto?» Ikeda tirò mentalmente un sospiro di sollievo. 

«Si, gli passiamo vicino e li salutiamo. Non dirò i loro nomi.» rispose sorridendo e aumentando la forza nelle gambe per raggiungerli e passarli. 

I tre ragazzi si erano girati riconoscendo la voce di Hinata, restando sorpresi vedendo Ikeda dietro che li salutava con la mano. 

«Buongiorno, Ennoshita. Buongiorno Nishinoya. Buongiorno Narita.» 

«Hai sbagliato l’ultimo Ikeda.» disse Hinata ridendo e andando più veloce per mettere distanza tra loro e i senpai godendosi le loro espressioni di stupore. 

«...» la ragazza si girò e disse forte portando una mano al lato della bocca per correggersi «Scusa Tanaka non volevo confonderti con Narita» 

Vide il capitano sorridere e alzare la mano per rispondere al saluto. Tornò a stringere la spalla di Hinata sorridendo mentre lui le indicava con un cenno un altro ragazzo. 

Questo era facile da riconoscere anche da dietro, aveva passato il giorno precedente a guardarlo e scrutarlo, non aspettò nemmeno che la bicicletta gli si avvicinasse. 

«Ciao Kageyama, buongiorno.» disse allegra. 

 

L’alzatore aumentò il passo non volendo fermarsi, riconoscendo quella fastidiosa voce. Poi si vide superare da Hinata con dietro Ikeda che gli sorrideva alzando una mano dalla spalla del centrale in segno di saluto e si fermò di botto. 

 

«Aaaaah ne ho sbagliati solo due.» urlò contenta alzando entrambe le mani al cielo, facendo sorridere anche Hinata. 

«Tieniti Ikeda che inizia la salita.» 

Hinata aveva pedalato con tutta la determinazione che aveva. 

Le aveva detto che sarebbero arrivati a scuola insieme e non voleva cedere e farla scendere su quella salita. Ikeda gli aveva chiesto se fosse sicuro di farcela e lui aveva annuito. 

 

«Grazie per il passaggio Hinata.» disse Ikeda. 

«Figurati.» rispose facendo una piccola pausa dall’acqua che stava bevendo mentre la ragazza prendeva le sue cose dal cestino dove aveva lasciato la sua giacca ben piegata. 

«Incrocia le dita per me, spero che non mi tenga troppo in ufficio, ci vediamo in palestra allora.» 

La ragazza si era voltata lasciando che il centrale mettesse la bici sotto le tettoie. 

«Ehi Ikeda...» la richiamò per farla girare «...me ne daresti un altro, di biscotto...» 

L’alzatrice si avvicinò guardando le figure alle spalle di Hinata, nessuno del club era vicino. Porse il sacchettino verso il ragazzo «Mi raccomando però non dire adesso che li ho fatti, sono per dopo.» disse sorridendo. 

Hinata annuì, sorridendo anche lui, mentre infilava una mano nella busta. 



 


*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 13 ***


*per le parti in cui si parlerà italiano il discorso sarà sottolineato* 

 

 

Fortunatamente la questione in Presidenza si era risolta abbastanza rapidamente e Ikeda era potuta andare subito nello spogliatoio a cambiarsi. 

Aveva salutato Yachi che la aspettava davanti la porta scusandosi per il comportamento del fratello della sera prima, ma la manager, con gli angoli delle labbra incurvati ripensando a quel gesto, aveva scosso la testa; era più che altro incuriosita e aveva domandato se in Europa facessero tutti così. 

Ikeda aveva scosso le spalle «Mmmh diciamo che ogni paese ha un tipo di galanteria e gentilezza tutto suo. Dipende da cosa ti piace, in Italia non è così strano, ad esempio, fare dei piccoli gesti. Spesso davanti alle porte l’uomo la tiene aperta per far passare prima la donna anche se non si conoscono. Quando hanno una relazione queste piccole gentilezze aumentano, sono abbastanza romantici. In Finlandia invece c’è un romanticismo più pratico.» 

«Hai vissuto anche in Finlandia?» 

«No, Helmi è finlandese ma quando ci siamo conosciute viveva già in Italia. Quando andavo a casa sua, ad esempio, se era inverno e la madre doveva uscire, suo padre scendeva dieci minuti prima per accendere la macchina e fargliela trovare calda. Sua madre mi ha raccontato che quando erano fidanzati e vivevano a Turku, quando nevicava lui dopo aver spalato la neve davanti casa sua andava da lei per levare la neve anche dal suo vialetto. I finlandesi hanno questo romanticismo pratico, gli italiani invece tendono a essere romantici nel quotidiano anche nelle piccole cose. È un po' difficile da spiegare scusa...ah tieni Yachi li ho fatti ieri.» 

La ragazza prese il piccolo sacchettino trasparente, chiuso con cura, che Ikeda aveva tirato fuori dal borsone porgendoglielo. «Tenere aperta la porta non rientra nel romanticismo pratico?» chiese guardando il contenuto, le sembravano dei biscotti non proprio riusciti. 

«Forse, ma tenere la porta è decisamente più semplice che andare a spalare della neve.» rispose e vedendo lo sguardo perplesso dell’altra aveva aggiunto «Lo so hanno un aspetto che lascia a desiderare, sono dei biscotti del nord Italia. Giuro che devono essere così. Li ho fatti per tutti ma so quanto sono affamati i maschi quindi ne ho tenuti un po' solo per te.» disse indicando il sacchetto di carta che aveva posato vicino alla divisa appena tolta e ben piegata su un ripiano. 

«Grazie, li tengo per pranzo. Li mangiamo insieme dopo.» 

Yachi ripose quel sacchettino nella sua cartella sorridendo mentre si accordavano in quale delle loro classi incontrarsi per pranzo. Poi Yachi le aveva chiesto il modulo di iscrizione e Ikeda si diede un colpetto in fronte. 

«Scusa Yachi, mi è passato di mente. L’ho lasciato a casa non l’ho nemmeno compilato. Abbiamo perso più tempo del previsto ieri, poi quando siamo tornati a casa con Naoki ci siamo messi a cercare i documenti che voleva il Vice Preside. Mi spiace lo porterò domani.» disse concentrandosi nel dividere le ciocce partendo dall’alto per raccogliere i capelli in una treccia alla francese. 

 

 

Come il giorno precedente le due ragazze avevano riempito le borracce, Yachi le stava sistemando in palestra mentre Ikeda metteva le sue cose in un punto del pavimento lungo la parete. Aveva domandato del Coach e la biondina aveva risposto che per quei giorni sarebbe venuto solo per l’allenamento pomeridiano. 

A poco a poco i ragazzi iniziarono a entrare, con le loro giacchette nere e i primini con la divisa da ginnastica della scuola. Yachi le disse che la divisa del club sarebbe arrivata per tutti la settimana seguente. 

Poi si erano avvicinato Ennoshita con Nishinoya. 

«Ikeda, scusa Noya vorrebbe chiederti una cosa.» disse il capitano indicando il compagno, l’unica cosa che riuscì a fare la Divinità Protettrice fu allungare alla ragazza la rivista di pallavolo che teneva tra le mani. 

Le due manager si guardarono perplesse, Ikeda la prese non capendo cosa dovesse farci. 

Noya si decise ad aprire bocca «Sei tu giusto? Nella pagina segnata, mi sembrava di averti visto da qualche parte ieri.» 

Ikeda aprì quindi la rivista sotto lo sguardo dei due ragazzi, e quelli curiosi ma più distanti degli altri. 

«Aaaah.» rispose mostrando anche a Yachi la pagina che conteneva una pubblicità su una marca di scarpe e poi varie foto in piccolo di ragazzi e ragazze che ne indossavano vari modelli. 

«Questa sei tu giusto?» chiese Noya indicando una di quelle foto mentre anche gli altri si avvicinavano per vedere. 

«Si, sono io. Una perdita di tempo. Ci hanno pagato veramente poco. Si sono anche arrabbiati quando ho chiesto dove sarebbe stato pubblicato il servizio. Di solito in Europa me lo dicevano senza problemi...ehi ma cosa avete?» chiese rivolta a Noya e Tanaka, che si era avvicinato, vedendoli con gli occhi lucidi. 

«Abbiamo avuto una manager bellissima l’anno scorso. Ora abbiamo Yachi super carina e una modella...al Nekoma schiatteranno di invidia, non vedo l’ora di farlo sapere a Yamamoto alla prossima amichevole.» disse Tanaka mentre Noya annuiva ed Ennoshita aveva l’espressione già rassegnata pensando al casino che avrebbero fatto. 

A quelle parole Ikeda alzò un sopracciglio non capendo di cosa stessero parlando quei due. «Vi spiace, posso fare una foto alla rivista? Vorrei farla vedere ai miei amici...Nekoma è una squadra?» 

I due ancora non parlavano così aveva risposto Ennoshita, spiegando che il Nekoma era una squadra di Tokyo con cui avevano fatto amichevoli l’anno precedente. Ikeda, sorridendo e annuendo, aveva deciso di optare per fare un video col cellulare, che si era portata dietro pensando di chiedere i numeri di telefono dei ragazzi per segnarli subito. I ragazzi la guardarono inquadrare prima la copertina e poi aprire la rivista sulla pagina interessata mentre diceva qualcosa in inglese, poi Ikeda si era girata con aria furba verso Tanaka e Noya proponendo di fare una foto in quel momento da mandare a questo Yamamoto invece che aspettare. Ennoshita aveva preso il telefono della ragazza per scattare una foto a Tanaka, Noya e Ikeda che aveva tirato anche Yachi nell’inquadratura mentre chiedeva anche agli altri ragazzi chi volesse unirsi. I primini e Hinata non se lo erano fatti ripetere due volte, più lenti erano stati Narita, Kinoshita e Yamaguchi. Avevano provato a convincere anche Tsukishima e Kageyama ma non c’era stato verso quindi avevano chiesto a uno dei due di prendere il posto di Ennoshita che in quanto capitano non poteva mancare nella foto. 

«Non garantisco che Nishinoya e Hinata saranno in foto, non voglio abbassarmi.» disse Tsukishima facendosi avanti e prendendo il telefono dalle mani del capitano tra le risate collettive e le proteste dei due nominati. 

 

Kageyama restò al suo posto infastidito da quella perdita di tempo, infine sbottando quando Tsukishima diede il cellulare alla proprietaria che si era messa a parlare con Tanaka e Noya per chiedere a chi dei due mandare la foto. 

Gli altri iniziarono a correre per fare riscaldamento, a cui si erano uniti dopo poco anche Ikeda e Noya mentre Hinata punzecchiava l’alzatore chiedendogli se fosse sceso col piede sbagliato dal letto, ma l’unica risposta che ricevette fu uno schiocco di lingua indignato. Punzecchiamento che continuò Tsukishima affermando che era indifferente con quale piede scendesse perché tanto era ogni giorno così. 

 

Avevano fatto due giri di campo e Ikeda sentiva di tanto in tanto le occhiatine dei ragazzi in cui leggeva la curiosità malcelata. 

Fece un sospiro capendo che non avrebbero mai passato da soli l’imbarazzo, senza una spinta, iniziando a farle domande, quindi, abbassò lei quel muro. 

«Dai forza, siete curiosi per qualcosa. Domandatemi quello che volete e vi risponderò.» li incitò facendo scorrere lo sguardo su tutti i ragazzi aspettando di vedere chi per primo avrebbe aperto bocca. 

«Hai detto che te lo dicevano in Europa, quindi sei tipo una modella professionista? Come hai iniziato?» domandò un pulcino del primo anno rompendo quell’imbarazzo. 

«Non direi, sempre fatto saltuariamente. Ho iniziato facendo una particina in un medio metraggio cinematografico, cercavano una bambina cinese non trovando nessuna si sono accontentati di me, mi hanno fatto capire che dovevo piagnucolare e parlare la mia lingua quindi tra un pianto e l’altro facevo tipo “scusate cinesi che guarderete questo sapendo che in realtà io non lo sono” mio fratello che mi aveva accompagnata, e guardava da dietro le telecamere, è stato invitato ad allontanarsi perché non la finiva più di ridere. Poi in generale mi hanno chiamato anche negli anni dopo per fare altre cose. Probabilmente, anzi sicuramente, perché di ragazze asiatiche nella mia fascia d'età disposte a fare servizi fotografici non erano molte. Mi sono divertita molto, soprattutto per una campagna...aspetta ho le foto.» 

Ikeda si era fermata per riprendere il telefono facendo fermare anche i più curiosi. Aveva aperto il suo profilo social tenendo il cellulare un po' distante per farlo vedere a tutti, facendo scorrere delle foto di cartelloni pubblicitari dove era ritratta, sotto i quali dei ragazzi tenevano in mano dei fogli con delle scritte. La ragazza aveva spiegato che quello era un marchio di abbigliamento diffuso in vari paesi quindi tra amici e conoscenti appena trovavano per strada un cartellone in cui fosse presente anche lei, avevano preso l’abitudine di farsi una foto scrivendo la città in cui si trovavano ed era diventato un gioco. Poi Ikeda, alzando la mano libera sfregando il pollice con l’indice e il medio, aveva aggiunto che era stato un lavoro davvero ben pagato e si era comprata una bella macchina fotografica della Sony. 

 

«Hinata vedi di correre invece di perdere tempo.» lo ammonì Kageyama. 

 

Ikeda si scusò verso l’alzatore per quella pausa, posando il cellulare per rimettersi a correre. 

Nishinoya fece la domanda seguente «Ma dove sei stata di preciso?» 

«Un po' vago...allora prima siamo stati in Italia a Velletri scusa non ho idea di come si traduca in giapponese, è una città vicino Roma, poi ci siamo spostati in Irlanda a Dublino e poi a Londra in Inghilterra. Comunque ho girato, un po', buona parte dell’Europa, con mio fratello quando era libero e veniva a prendermi il venerdì a scuola e facevamo delle gite non troppo distanti oppure si correva in aeroporto e si andava il fine settimana a visitare qualche posto che gli avevano consigliato o che ci andava di vedere, anche la scuola che frequentavo organizzava spesso dei viaggi d’istruzione, ma i migliori posti li ho visti nell’ultimo anno e mezzo. Ci organizzavamo tra noi in classe e per i fine settimana o le vacanze andavamo in giro zaini in spalla e passaporto alla mano. Spagna, Finlandia, Grecia, Romania...il nome del mio profilo lo hai visto, lì ci sono tutte le foto se vuoi vederle fai sicuramente prima, io mi scorderei qualche posto.» 

Avevano finito con la corsa e stavano iniziando a fare stretching. 

«Tu...tu parli tutte queste lingue?» chiese un po' sorpreso Tanaka. 

«Pretendi troppo.» rispose Ikeda sorridendo e scuotendo la testa «Conosco inglese e italiano...se mi lasci un po' in Spagna riesco a grandi linee a capire anche loro, italiani e spagnoli non vogliono ammetterlo ma sono due lingue che suonano abbastanza simili. Però gli insulti li so in diverse lingue...con i miei compagni ci siamo sempre divertiti del fatto che imparare a dire “stupido” in diverse lingue era facile e veloce rispetto a imparare, che so, qualche verbo che proprio non ne voleva sapere di entrarci in testa.» 

Ikeda fissò per un momento il parquet ricordando quei momenti... «Ok prossima domanda? O avete finito...» 

«Io, io, io...» la vocetta di Hinata la fece girare «...come ti sei allenata fino adesso? Ieri sei riuscita a starmi dietro nonostante la velocità» 

 

‘Finalmente una domanda più o meno sensata...vediamo come si allena.’ si disse mentalmente Kageyama, infastidito da quello che fino adesso era stato un sottofondo inutile.  

 

«Vuoi rubarmi i segreti Hinata?» chiese sorridendo «Mi sono lasciata convincere a fare qualcosa di stupido e poi ho iniziato a correre per salvarmi la vita.» 

Vedendo il ragazzino perplesso, così come gli altri, scoppiò a ridere, una risata forte e genuina come quella del giorno precedente... 

«Allora c’era questo compagno di classe, ci eravamo incontrati in delle gite precedenti mentre vivevo in Italia ed era capitato di trovarci nella palestra dell’hotel dove mi aveva visto correre; poi gli era capitato di vedere qualche video dove giocavamo a calcio con gli altri nel cortiletto della scuola italiana. Quando mi sono trasferita a Dublino lui era lì e un giorno mi ha chiesto se potessi aiutarlo in una cosa. Il fatto che mi avesse comprato un caschetto e un paradenti doveva farmi sospettare che non fosse una buona idea, ma l’ho seguito comunque agli allenamenti di rugby. Mi hanno spiegato che azione volevano fare e a grandi linee cosa si aspettavano da me, il mio compagno aveva detto che ero veloce e con buoni riflessi, quindi, volevano tentare di far vedere ad alcuni in squadra l’azione con una prospettiva diversa. Io dovevo solo correre con la palla in mano...ho preso alla leggera la situazione. Gravissimo errore, perché quando mi hanno tirato la palla ci ho messo un po' troppo a realizzare che stavano correndo verso di me...per farla breve mi sono ritrovata a terra placcata, quando si sono alzati il mio amico mi ha rimesso in piedi e continuava a fare così...» 

Ikeda si girò verso Yaotome afferrandolo per le spalle «“Kimiko are you alive? say something...talk to me please...how do you feel? Speaks...”» lasciò andare il ragazzo sorridendo. 

«Ti chiamava per nome?» domandò sorpreso Shimada. 

«Sì, è normale chiamarsi immediatamente per nome, anche con i ragazzi più grandi, per cognome ci chiamavano solo i professori.» Ikeda precisò prima di riprendere a raccontare «Comunque quando ho iniziato a ragionare nuovamente in maniera lucida mi ha raccontato che continuavo bofonchiare qualcosa in giapponese. Io gli ho detto che era pazzo e che avrebbe dovuto essere più chiaro quando mi aveva chiesto quel favore...non si è nemmeno scusato mi ha detto di rimettermi subito in posizione e di riprovarci per far passare lo spavento come quando si cade da cavallo. Continuavo a dirgli che era un grandissimo idiota, ma non sono da meno visto che non ha dovuto convincermi più di tanto.» ripensò a quel giorno uggioso, al campo che diventava fangoso facendosi prendere un momento dalla nostalgia, fece un sospiro e continuò «Quando mi tirò, per la seconda volta, la palla non mi sono fatta fregare ho iniziato a correre e poi ho fatto uno scatto accelerando il ritmo come una dannata per non farmi buttare giù, poi ho schivato un paio di ragazzi che mi venivano davanti ma non saprei dirti come, direi puro istinto di sopravvivenza...talmente alto che quando anche in teoria avevo finito e segnato il punto non mi sono fermata. I ragazzi gridavano di smettere di correre, che sarei arrivata dall’altro lato di Dublino in quel modo. Perlomeno gli è stato utile...» 

«Come hai fatto con le scuole? Hai detto che sai inglese e italiano, sei per metà straniera?» domandò a bruciapelo Tsukishima che ricevette una gomitata da Yamaguchi per la domanda indelicata. 

«No, mi spiace.» rispose Ikeda «Completamente giapponese, ci siamo trasferiti che avevo 10 anni. Ho frequentato una scuola privata con varie sedi in giro per l’Europa.» 

«E cosa studiavi?» la incalzò nuovamente Tsukishima. 

«Beh, prima di tutto Inglese, ho dovuto impararlo velocemente perché era la lingua scolastica con cui si tenevano le lezioni. Poi le materie di base, matematica, letteratura e storia, musica, arte, scienze e chimica...e una lingua straniera, ho scelto l’italiano perché i primi anni ero già lì ma anche perché è davvero un paese meraviglioso.» 

«E quella roba del latino allora da dove è uscita?» chiese con un sorrisetto storto Tsukishima guardando Kageyama, anche Ikeda lo guardò vedendo l’alzatore girarsi infastidito. 

«È solo una citazione che agli italiani piace usare anche nel parlato comune.» rispose con una scrollata di spalle «Non è così raro sentirli infilare del latino qui e lì...ad esempio una frase latina che ho sentito fino alla nausea perché sono giapponese era “Risus abundat in orae stultorum”, lo dicevano per fare una battuta simpatica. Si traduce in italiano così “Il riso abbonda sulla bocca degli stolti”» 

Ikeda si prese un momento riflettendo su come spiegare quel gioco di parole. «La parola riso che in italiano significa sia il riso commestibile ma è anche una coniugazione del verbo ridere...scusa è un po' difficile da spiegare. Insomma, siccome pensano che in Giappone, in generale, si mangi esclusivamente riso lo dicevano come a voler intendere che siccome ne mangiamo molto allora siamo sciocchi...» 

«Ma noi non mangiamo solo riso...mi sembra un po' razzista.» 

«Se ti chiedo cosa mangiano in Italia tu sai che non mangiano solo pizza o che non è vero che tutti suonano il mandolino, vero Tsukishima?» ribatté la ragazza «In ogni caso bastava rispondere a tono.» 

«E quale sarebbe la risposta a tono ad una cosa del genere?» si intromise Ennoshita divertito dal fatto che avesse appena risposto a tono al loro centrale. 

«Che finalmente capivamo i comportamenti idioti degli italiani provenienti dal Piemonte. Si produce molto riso lì.» rispose divertita. 

«E la vita scolastica com’era invece? C’è qualcosa di simile?» le chiese il ragazzo con le lentiggini vicino a Tsukishima. 

Ikeda sorrise, l’anno scorso le avevano chiesto la stessa cosa ed aveva risposto con le prime cose evidenti, adesso dopo aver frequentato nuovamente qualche mese il liceo in Giappone aveva differenze a non finire. 

«Per iniziare l’anno scolastico inizia a settembre; economia domestica non esiste come materia di studio; niente divise; i banchi erano doppi quindi avevi sempre qualcuno vicino e non posso lamentarmi visto che mi ha aiutato moltissimo a imparare l’inglese. Oh qui le pulizie delle strutture le fanno gli studenti invece lì c’era del personale che finite le lezioni passava a pulire giornalmente, ma non solo nella mia scuola anche in quelle normali...poi vediamo mmmh beh niente club. Qui fate esami scritti facilissimi, per lo più a crocette, lì invece finito di spiegare un argomento puntualmente facevamo interrogazioni orali vicino al professore, gli esami scritti erano sempre liberi e dovevamo fare relazioni di gruppo e ricerche da consegnare, e non era facile perché spesso ci sorteggiavano con i ragazzi che stavano in altri paesi e dovevamo fare tutto digitalmente, questo anche per vedere la nostra organizzazione.» 

«Io sarei morta di vergogna a farmi interrogare.» disse Yachi, rabbrividendo, era rimasta in silenzio per tutto il tempo ascoltando quei racconti. 

«Lo odiavo anche io all’inizio, perché era difficile. Però in qualche modo dovevo farlo. Il trucco lo dicevano anche i professori era “parla e continua a parlare anche se non sai bene l’argomento, se lasci cadere il silenzio è finita”. Guarda adesso Yachi sono qui a parlare senza sosta da non so quanto...» Ikeda si girò sorridendo verso i ragazzi «L’ho detto ieri a lei...se non mi fermate andrò a avanti a parlare all’infinito quindi fermatemi.» disse un po' timidamente e poi la voce dura di Kageyama la fece voltare verso di lui. 

«Ecco allora fermati così possiamo allenarci.» 

Ikeda lo guardò perplessa per un momento, si aspettava qualche domanda sulla pallavolo almeno da lui. Si era scusata vedendo l’altro alzarsi stizzito senza aggiungere altro. Hinata le disse di non farci troppo caso ricevendo la solita occhiataccia dell’alzatore, che anche lei notò, ancora indecisa se provare ad avvicinarlo o aspettare un po' sperando che qualsiasi cosa avesse Kageyama gli passasse. 

Alla fine, Ikeda optò per la seconda prendendo parte solo ad alcuni esercizi restando ad osservare il corvino ad una certa distanza. 

 

L’allenamento era quasi terminato e Yamaguchi si sentiva particolarmente nervoso avendo notato che Ikeda lo stava guardando da un po', aveva trattenuto il respiro quando alla fine lei gli si fece vicino domandando gentilmente se potesse farle vedere la sua battuta flottante. 

Anche se leggermente assetato Yamaguchi la accontentò subito, rimandando indietro l’arsura che sentiva in bocca davanti allo sguardo contento di Ikeda che gli porgeva un pallone, arrossendo lievemente allo sguardo indagatore del suo migliore amico mentre entrambi si spostavano in zona di battuta. 

Ikeda era rimasta alla sua destra, poi una volta finita la battuta gli aveva allungato un altro pallone chiedendo per favore di farne una seconda. 

Yamaguchi annuì e fece una seconda battuta, non era andata dove voleva ma era comunque dentro. Si girò verso la ragazza, pensando che volesse guardare per imparare, stava per chiederlo ma una nuova palla gli venne offerta accompagnata da un dolce «Ancora, per favore.» 

La terza battuta finì sul nastro della rete, la quarta fu come la seconda. 

A Ikeda non serviva vedere la quinta... 

 

«Sai che hai spalle e schiena leggermente rigide nonostante l’allenamento? Dormi su un materasso che non va bene...» disse camminando verso il lato della palestra in cui erano prima per prendere la bottiglietta di Yamaguchi. 

«E tu che ne sai su cosa dorme lui?» si lasciò sfuggire l’alzatore, con una punta di rabbia nella voce, guardandola tornare vicino al ragazzo porgendogli la borraccia per farlo bere. 

«Se fosse un futon il servizio non sarebbe così buono. Però sai Yamaguchi potrebbe migliorare ancora. Ti faccio vedere...»  

 

Ikeda prese un pallone, il ragazzo le lasciò il posto in battuta non capendo cosa intendesse. Poi la guardò stupito dopo aver eseguito la battuta come aveva appena fatto lui per quattro volte filate. 

«Ecco questa è più o meno la tua battuta...» aveva preso al volo un pallone lanciato da Hinata «...e così è come può diventare.» 

Si mise nuovamente in posizione, prese la rincorsa, si alzò la palla come prima ma questa volta il movimento del braccio era stato più rapido e secco. 

C’era un po' di stupore generale, a nessuno era passato per la testa che potesse saper fare un servizio flottante...quello che invece fece assottigliare gli occhi di Kageyama era stato il movimento dopo. Se alla prima battuta aveva ricopiato i movimenti del loro pinch server, alla seconda una volta battuto e toccato terra era subito scattata con un ampio passo in avanti, pronta in posizione di ricezione. Poteva non farlo, ma lo aveva fatto e Kageyama aveva intuito con fastidio che per lei era normale passare al “subito dopo” ripetendo quei gesti fino a farli diventare la corretta continuazione dell’azione così che il corpo li eseguisse in automatico... 

‘La detesto...la detesto...’ 

 

«Ho un libro a casa con degli esercizi più specifici, posso portartelo se vuoi, appena lo trovo negli scatoloni.»  

«Grazie va bene, ma Ikeda perché non lo hai detto ieri che sapevi farlo invece di farti sostituire...» 

La ragazza fece spallucce rispondendo «Nessuno me lo ha chiesto.» senza voler ammettere che guardare a bordo campo le era stato d’aiuto nel piccolo battibecco silenzioso tra alzatori tenuto con Kageyama. Istintivamente a quel pensiero non poté fare a meno di cercarlo con lo sguardo, trovandolo che la fissava con aria torva.  

 

Ikeda si abbassò battendo con la mano il parquet davanti a lei un po' a disagio per quello sguardo. 

«Siediti per un momento qui Yamaguchi.» 

Il ragazzo con le lentiggini obbedì, completamente incapace nel dire di no sentendo il tono. La manager gli girò attorno mentre lui posava la bottiglietta accanto a sé trasalendo al tocco delle dita sulle sue spalle che passavano da una parte all’altra e si irrigidì ancora di più avvertendole scorrere lungo la schiena. Yamaguchi fissava i suoi compagni, che avevano gli occhi sgranati, iniziando ad arrossire. 

Il braccio di Ikeda che gli passava davanti per bloccargli le spalle in una sorta di abbraccio completò definitivamente il rossore sul suo viso. 

«Rilassati inspira ed espira lentamente adesso.» sentì dire dietro di sé, in modo calmo, e Yamaguchi ci provò. Più che altro per calmare il battito del cuore che sentiva scoppiargli nel petto per quella vicinanza. 

Poi avvertì il gomito di Ikeda che si poggiava sulla sua schiena e subito dopo un colpo secco accompagnato dallo scricchiolio dalle sue ossa. 

«Ti ha fatto male?» gli chiese la ragazza, sapendo già la risposta ma domandandolo più per distrarlo che per altro, spostando il gomito tra le scapole e Yamaguchi corrucciando la fronte per riflettere «No, non ha fatto male.» rispose udendo un nuovo scricchiolio. 

Infine Ikeda lo lasciò andare dandogli una pacca sulla spalla, sedendosi a gambe incrociate lo invitò a riprovare adesso nel servizio. 

Yamaguchi si alzò, non sapeva dire se si sentisse come a prima o diverso...ma poi dopo essersi alzato la palla e aver battuto la sua flottante si guardò la mano e poi guardò Ikeda che ancora seduta e sorridente aveva piegato la testa «Meglio vero? Il libro comunque ti serve lo stesso, questa sera mi metto a cercarlo.» 

 

 

 

*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia* 

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Capitolo 15
*** Capitolo 14 ***


Ikeda si era trovata con Yachi nella classe di quest’ultima, era stato bello pranzare insieme. Non aveva dovuto rispondere a domande sui ragazzi, diversi da quelli giapponesi, e si era risparmiata occhi sognanti e sospiri di un immaginario perfetto di cui le sue compagne di classe erano vittime. All’’inizio credeva avrebbero avuto anche quel tipo di conversazione oltre la pallavolo, ma Yachi era rimasta incuriosita dal suo aver fatto qualcosa in ambito pubblicitario e avevano discusso in gran parte di quello. Avevano parlato di qualche spot televisivo giapponese e Ikeda ne aveva mostrato qualcuno dal suo telefono traducendoglielo, poi Yachi le aveva parlato del volantino che aveva ideato l’anno scorso per raccogliere fondi per il club finendo a parlare di macchine fotografiche, obbiettivi, accessori vari e specifiche tecniche. Si erano promesse di andare a qualche mostra fotografica insieme o a scattare foto nel fine settimana quando Ikeda avesse completato il suo trasloco. 

Non avevano passato tutto il pranzo insieme, Yachi aveva degli impegni da capo classe da assolvere e Ikeda era tornata in classe per mettere il bento vuoto nel borsone. Era rimasta seduta al suo banco prendendosi qualche minuto per guardare il cellulare, sorridendo dell’indignazione dei suoi amici sulla questione del commento “alzata di fortuna” fatto dall’alzatore della squadra e poi delle osservazioni sulla foto dei compagni che aveva mandato quel mattino. 

Spento il telefono Ikeda aveva tamburellato con le dita sul banco per un po' guardando fuori, mancava ancora parecchio alla campanella quindi prese qualche monetina e il piccolo spazzolino più dentifricio da viaggio mettendoli nelle tasche della giacca che componeva la divisa scolastica per fare un giro della scuola. 

Girava per i corridoi tra quel vortice confuso di ragazzi e ragazze a cui pian piano si stava abituando. Le mancava comunque l’intimità delle scuole in Europa, le poche classi nella struttura in cui si conoscevano tutti e le chiacchere per organizzarsi nelle varie attività scolastiche e non. Tutti le avevano detto che non poteva restare chiusa in classe in eterno cercando di spronarla e lo sapeva anche lei, era solo un doversi adattare come lo era stato quando aveva lasciato il Giappone...e poi c’era stato l’incontro con Ito l’anno scorso, aveva iniziato a pranzare con lui o gli altri membri del club alternando discorsi su tattiche, schemi e le squadre della loro prefettura con dei provvidenziali aiuti sulle materie in cui lei era carente, non erano certo studenti modello ma cercavano di fare il possibile per aiutarla a recuperare. 

 

Il ricordo di Ito che apriva una confezione di ramen istantaneo, ci versava la polverina del brodo per poi frantumare i noodles mischiando il tutto energeticamente, iniziando a mangiare il tutto come fosse un pacchetto di patatine, la fece sorridere. L’aveva guardato con scetticismo, che il ragazzo aveva scambiato per curiosità e gentilmente le aveva porto il sacchetto invitandola a provare. Ikeda aveva guardato il contenuto arricciando il naso, ma poi con un sospiro rassegnato si era fatta coraggio, dicendosi che non poteva essere peggio di quel fish and chips unto da far schifo che Oliver e gli altri si ostinavano a comprare puntualmente dopo ogni partita. Si sbagliava, non era peggio ma era in egual misura disgustoso. 

 

Ikeda scosse la testa per mandar via il brivido di disgusto che le stava risalendo dalla bocca dello stomaco e in quel momento la sua attenzione fu attirata da un paio di ragazzi seduti sull’erba chini su dei fogli a scarabocchiare qualcosa riconoscendoli. Si avvicinò a Shoji e Tokita, due dei quattro primini del club, curiosa di vedere cosa stessero facendo. Quando fu abbastanza vicina i due saltarono un po' per aria balbettando per salutarla; il suono di “senpai Ikeda” le sembro’ esilarante, ma ricambio’ il saluto e aggiunse che non c’era bisogno di quella formalità con lei... 

«Ditelo anche a Yaotome e Shimada. In fondo ci stiamo unendo al club nello stesso momento no?» 

Lo aveva chiesto cercando di azzerare quel nervosismo che vedeva nei ragazzi, per poi chiedere cosa stessero facendo indicando i fogli. I due ragazzi ancora leggermente titubanti, le avevano mostrato i disegni per la classe d’arte domandando come le sembrassero. Ikeda aveva preso i disegni, erano ancora in corso d’opera, disse che sembravano belli, ritornando gli schizzi ai proprietari e facendo a entrambi i complimenti ammirando la loro bravura. Parlarono per un po' d’arte, chiedendo se anche nella sua scuola privata avessero fatto lavori del genere, ma Ikeda scherzò sul fatto che tenesse la matita in mano solo per fare matematica particolarmente difficile, così che se il risultato non fosse stato giusto, avrebbe potuto cancellare e riprovare. Con un sospiro ammise di apprezzare l’arte ma non saperla proprio mettere su carta, aggiungendo che le lezioni artistiche nella sua vecchia scuola erano per lo più studio di opere famose, della vita degli artisti e dei loro retroscena. Aggiunse che solitamente facevano ricerche o, come aveva detto al mattino, per lo più svolgevano dei progetti digitali, quindi spesso univano progetti d’arte, musica e letteratura; il risultato finale era qualche video cover di canzoni o la registrazione di qualche monologo, dove ci si preoccupava di ideazione video, fotografia, trucco, registrazione e altre mille magagne che puntualmente saltavano fuori. Avevano continuato a parlare per un po' trovando anche il coraggio di chiedere alla ragazza di prestarsi come modella per farsi disegnare le mani, essendo un compito che avrebbero dovuto fare nelle prossime settimane. Ikeda aveva accettato chiedendo in tono solenne come compenso però uno yogurt o del Qoo alla mela prima di ridere tutti insieme. 

In quel momento con la coda dell’occhio una figura attirò l’attenzione di Ikeda, che salutò i primini in modo sbrigativo cercando di raggiungere il suo obbiettivo senza correre. 

Provò a chiamare Kageyama per farlo fermare, ma sembrava non sentirla; fortunatamente si era fermato alle macchinette e la ragazza pensò che fosse un colpo di fortuna avvicinandosi e mettendosi di fianco a lui. 

«Ehi Kageyama.» lo salutò cercando il contatto visivo con l’alzatore che stava rivolgendo tutta la sua attenzione alla macchinetta. 

Nessuna risposta... «Ti ho chiamato prima.» disse Ikeda ma ancora silenzio, quindi, azzardò una plausibile scusante «Ma forse non mi hai sentito.» 

Silenzio... la ragazza notò il broncio farsi sempre più evidente sul viso dell’alzatore. Si mise a guardare la macchinetta cercando di capire il motivo di quella espressione «Che c’è? Forse quello che volevi prendere è terminato?» chiese spostando lo sguardo sui vari prodotti per vedere cosa fosse esaurito. La macchinetta sembrava fornita di tutto...ma poi le venne in mente che il giorno prima in pausa Kageyama era a fare pratica con Hinata. Ikeda apprezzò che lui, a differenza del centrale, avesse preferito far finta di nulla anche con lei 

Ikeda si schiarì leggermente la gola «Oggi non fai pratica con Hinata?» ma mentre lo chiedeva pensò che forse fosse colpa sua... «Aspetta non potete fare pratica perché ieri l’ho detto in palestra? Mi spiace...Yachi mi ha detto che comunque...» 

Kageyama aveva sperato che ignorandola, Ikeda, sarebbe andata via, ma più la sentiva parlare meno tollerava la sua presenza. Colpì il bottone per far scendere il latte «Lasciami in pace.» sputò quelle tre parole con rabbia, interrompendola, e abbassandosi per prendere la sua bevanda. 

Ikeda guardò il ragazzo in silenzio non capendo quella reazione così esagerata. Corrucciò la fronte pensierosa; non le era sembrato di aver parlato troppo in quel momento e non le sembrava di aver fatto nulla di strano. Ma valutò che forse era meglio chiedere al suo interlocutore 

«Ho forse fatto qualcosa di strano che ti ha dato fastidio?» domandò iniziando a inserire le monete nel distributore «Scusa.» riprese «Non me ne accorgo non mi sono ancora riabituata al Giappone...a Yachi l’ho detto di farmelo notare se faccio cose strane. Puoi farlo anche tu naturalmente. Insomma, staremo spesso a contatto quindi...» 

Kageyama la interruppe di nuovo «Non voglio avere niente a che fare con te.» 

Ikeda rimase interdetta, la mano a mezz’aria vicina al pulsante del distributore, guardando il ragazzo che già a metà frase aveva preso ad allontanarsi con grandi falcate. 

 

Kimiko rimase lì imbambolata per qualche secondo fissando in basso lo scomparto da cui si intravedeva la confezione di yogurt, pronta per essere ritirata, cercando di capire cosa fosse andato storto in quella breve conversazione... per poi pensare che forse la ragione del malumore di Kageyama fosse da ricercare in qualcosa nell’allenamento mattutino. 

Prese la bottiglietta agitandola prima di aprirla, iniziando a camminare avanti e indietro davanti alle macchinette. Pochi passi, quattro non di più. Poi ancora quattro passi in senso contrario, e poi ancora, ripercorrendo mentalmente tutte le interazioni che aveva avuto quella mattina tra un sorso e l’altro. 

Escludeva che potesse essersi offeso per la schiacciata finale del giorno prima, avevano semplicemente battibeccato in campo con le loro azioni per tutto il tempo, ma appunto lui aveva risposto alle provocazioni di lei e viceversa in una discussione silenziosa di cui gli altri non si erano accorti. 

Gettando la bottiglietta vuota nel cestino vicino al distributore, Ikeda valutò che forse Kageyama si fosse infastidito perché non si era impegnata nel gioco fin da subito, in fondo quella era una cosa che infastidiva anche lei quando venivano a sfidarla nel campetto di Brixton e poi vedendola non la prendevano immediatamente sul serio. Kimiko si portò le dita al mento allisciandolo, mentre rifletteva su quella possibilità, ma la accantonò. Vero non era partita subito in quarta, ma aveva preso la partita seriamente dall’inizio creando un buon gioco. 

 

 

Nemmeno Yachi aveva saputo venire a capo di quella questione mentre entrambe si cambiavano per l’allenamento pomeridiano del club, le aveva semplicemente detto che era il suo carattere, e aveva solo bisogno di tempo. Ikeda non ne era molto convinta ma Yachi sembrava sicura, mentre cambiava discorso per chiederle di pranzare insieme nei prossimi giorni. 

 

All’ingresso in palestra erano state raggiunte di corsa da Noya e Hinata. Quest’ultimo che le chiedeva di poter fare un giro un moto anche lui con il fratello. Ikeda fissò la Divinità alzando un sopracciglio prima di rispondere che per quella sera non potesse accontentarlo, visto che Naoki era a casa ad aspettare la consegna del divano. 

Stavano parlando tranquillamente, quando Kageyama richiamò Hinata con tono scorbutico al limite del prepotente, praticamente ordinandogli di iniziare a correre altrimenti lo avrebbe lasciato indietro. 

Hinata sbuffò per un secondo, perdendo ancora un minuto per strappare a Ikeda la promessa di un giro in moto appena possibile. 

Un minuto in più che all’alzatore non ando’ giù, come tutto il resto... ma senza avvicinarlo per trascinarlo via, a Kageyama basto’ iniziare a correre perché l’altro si decise ad allontanarsi dal gruppetto...non prima di sentire un’ultima richiesta. 

 

«Ehi Ikeda, mi faresti qualche alzata dopo l’allenamento?» 

La ragazza non poté non sorridere, glielo aveva domandato di getto correndo all’indietro verso Kageyama. Annuì «Certo Hinata. Tutte quelle che vuoi.» rispose iniziando a correre anche lei per iniziare l’allenamento. Guardò di sfuggita Kageyama che correva, i pugni alzati che si alternavano per il ritmo sostenuto, entrambi contratti a stringere qualcosa di invisibile in cui stava imprimendo talmente tanta forza da far sbiancare anche le nocche. 

 

 

Kageyama aveva stoicamente ignorato Ikeda ogni volta che lei gli si era avvicinata per i più disparati motivi. Ad un certo punto gli si era accostata Yachi con in mano un piccolo blister e una bottiglietta chiedendo se volesse prendere qualcosa per il mal di testa. Era rimasto interdetto a fissare dall’alto la loro manager che gli allungava gli oggetti, spiegando che Ikeda le aveva detto di prendere dalla sua borsa quel farmaco, credendo che lui avesse l’emicrania perché lo vedeva continuamente serrare la mascella e gli sembrava insofferente. 

Kageyama mise il broncio «Sto benissimo.» disse fermamente «Sai perfettamente che questa è la mia faccia.» aggiunse stizzito. 

«Scusa Kageyama.» disse Yachi ritirando indietro la mano con il blister «Vuoi almeno bere un po'?» concluse non del tutto convinta delle parole del corvino. Quando Ikeda le si era avvicinata per chiedere quel favore aveva aspettato e guardato per un po' il loro alzatore, in effetti stringeva la mascella spesso con forza e corrucciava la fronte più del solito come se qualcosa non andasse. «Qualsiasi cosa lo sai, devi solo dirmelo. Se non è la testa forse è la pancia? Posso andare in infermeria a prendere qualcosa di più specifico se serve.» 

«Ripeto Yachi, sto benissimo!» esclamò Kageyama ad un volume abbastanza alto da far girare anche gli altri. Si pentì praticamente subito per aver sbottato con lei ma anche di questo incolpava nella sua testa Ikeda che l’aveva mandata avanti convincendola che lui stesse male. 

 

 

L’allenamento era filato più o meno liscio da quel momento in poi. 

Ukai aveva fatto fare i soliti esercizi, Kageyama era quasi sollevato di non dover affrontare una partita d’allenamento. Quando pero’ realizzò quel pensiero si sentì montare la rabbia dentro, andando a cercare con lo sguardo il motivo, o meglio la persona, a cui addossare quella colpa. 

Ikeda era in fila, la prossima per fare ricezioni, parlottava con i primini indicando Noya davanti a loro, una dopo l’altra completando le cinque ricezioni per cedere il posto a chi veniva dopo. 

L’ultima come al solito fu chiusa con una rollata laterale al grido inutile e superfluo di ‘Rolling Thunder’ che però la ragazza apprezzò particolarmente, applaudendo mentre si faceva avanti per ricevere. 

Kageyama aveva alternato una resistenza ostinata a quella presenza, con delle sfuggevoli occhiate durante gli esercizi per studiarla, cercando di non farsi vedere o almeno non sembrare troppo interessato. 

Questa volta non la ignorò...niente sguardi nascosti. Incrociò le braccia deciso a smettere anche di sbattere le palpebre per poter cogliere ogni movimento che l’avevano aiutata a tenere il suo servizio. 

 

 

In mezzo al campo Ikeda aveva spostato la treccia, rifatta prima dell’allenamento, con la stessa cura con cui aveva intrecciato i capelli al mattino e sciolti prima delle lezioni. Aveva posizionato i piedi e si stava abbassando, quando tornò eretta con uno scatto. 

Si girò guardando a uno a uno i ragazzi dietro di lei fulminandoli, alzò semplicemente un dito indicando il lato del campo «Se non vi spiace.» 

I ragazzi deglutirono, colpevoli per aver solo pensato a quello che avevano pensato, e si spostarono in silenzio con anche il coach che in silenzio gli lanciava sguardi di disapprovazione. 

«Che idioti...» fu il commento di Tsukishima che non aggiunse altro per bere. 

«Si, dopo negli spogliatoi dovremo parlare di questo.» disse Ennoshita, sospirando, consapevole che sarebbe stato un discorso imbarazzante, ma confidando anche nella maturità dei membri della sua squadra. 

Kageyama non aveva afferrato il senso del discorso troppo concentrato sul tenere gli occhi aperti che iniziava a sentir bruciare; Hinata invece che si era spostato insieme ai primini e agli altri, stava valutando se sbattere la testa sul muro della palestra o su un angolo della porta, terrorizzato da Ikeda visto i suoi precedenti. 

 

Ikeda tirò indentro le labbra per inumidirsele e si posizionò finalmente tranquilla. Il piede destro avanti e leggermente più aperto rispetto la spalla, le ginocchia flesse verso i piedi, il busto incurvato dalle spalle in avanti con le braccia alzate e i palmi delle mani rivolti verso l‘altro aspettando che la mano di Ukai colpisse la palla per effettuare il piccolo saltello prima di posizionarsi nella direzione della palla. 

 

 

Erano state tutte pulite, Kageyama aveva chiuso gli occhi solo per qualche secondo tra una ricezione e l’altra quando i palloni avevano toccato terra. 

Ikeda era maledettamente concentrata, appena Ukai colpiva faceva quel piccolo scatto e le mani...le dita si allargavano appena, come se il corpo ricevesse una scarica elettrica, prima di incastrare la mano destra nella sinistra e chiuderle in bagher, attendendo la palla per direzionarla nella zona dell’alzatore. 

Ne guardava i movimenti, non un passo di troppo, non le braccia troppo inclinate, non finiva mai in ginocchio e continuava a guardare la palla come se visualizzasse qualcuno prossimo ad alzare ed il corpo teso pronto a scattare. Allentava la concentrazione solo con la palla a terra e si rimetteva in posizione aspettando Ukai e la prossima schiacciata. 

Concentrata, ottima posizione, equilibrio invidiabile, il piano di rimbalzo con le braccia ben diretto...no sta andando bene solo perché Ukai non sta schiacciando con forza e sta mirando su di lei.pensò tra sé e sé Kageyama cercando di convincersi ancora che ieri era stato solo un caso. 

 

Il coach aveva assegnato degli ultimi esercizi da fare, chiedendo di fare qualche ricezione con le flottanti e poi delle schiacciate, lasciando al capitano il compito di vigilare e controllare la squadra, dovendo andare via prima per delle cose da fare in negozio. 

Ikeda era rimasta confusa vedendo che Kageyama aveva provato la ricezione con Yamaguchi e Narita ma poi era andato a bere girando il viso dall’altra parte. 

Decise di riprovare a parlargli al momento delle schiacciate, si era messa sotto rete da un lato per lasciargli l’altro e mentre si avvicinava aveva provato a chiedere con gentilezza «Kageyama tu vuoi schiacciare la prima dal mio lato?» 

L’alzatore le passò accanto senza rispondere, senza guardarla...chiuso nel suo ostinato silenzio, almeno con lei, perché appena sotto rete ordinò ai ragazzi di farsi avanti. 

Rimase incerta per un secondo fino a che Hinata a gran voce disse che la prima schiacciata sarebbe stata la sua. Ikeda aveva fatto appena in tempo a girarsi che il centrale aveva già alzato la palla sulla sua testa e nel tempo di un respiro era già in aria. Precipitoso...era stato precipitoso tanto da costringerla a reagire altrettanto velocemente, allenarsi in solitaria in quella alzata era stata una bella sfida, e metterla al servizio di Hinata era il picco massimo del suo allenamento. Mesi di alzate che miravano a fermarsi sulle X che disegnava con lo scotch di carta sul parquet nella scuola a Nagano concretizzate nel vedere la mano destra sulla palla che con forza veniva spinta dall’altro lato della rete. 

«BaKageyama come ti sembrava?» 

Ikeda fu grata che lo avesse chiesto Hinata, trattenne il respiro aspettando la risposta. 

«Non ho visto, se non te ne sei accorto sto alzando, muoviti e mettiti in fila.» ribatté scocciato.  

Iniziava anche Ikeda a essere scocciata, ma si trattenne alzando la mano e invitando il prossimo a farsi avanti. Man a mano che le due file si sfoltivano, gli schiacciatori passavano da una parte all’altra, ritrovandosi poi quasi tutti intenti a bere ed asciugarsi il sudore a bordo campo; dal lato di Kageyama restavano solo Tanaka e Yamaguchi. Ikeda si guardò intorno, afferrò una palla che era rotolata chissà quando verso un angolo della palestra, e corse dietro Yamaguchi aspettando il suo turno. Si rigiro’  la palla tra le mani chiedendosi se provare con il tempo di Hinata o un tempo più normale per non stressare ulteriormente l’alzatore che doveva avere le sue belle gatte da pelare con quell’ammasso di velocità del centrale. 

Quando anche Yamaguchi aveva ormai toccato terra dopo la schiacciata, la ragazza alzò gli occhi dalla palla già pronta a lanciarla per rivolgersi a Kagayama 

«Allora vado…» annunciò lasciando andare la palla e iniziando i primi passi per la rincorsa quando vide l’alzatore lasciare la sua posizione e andare verso le panchine. Ikeda si bloccò seguendolo con lo sguardo fino a che il corvino non prese la bottiglietta iniziando a bere. 

 

«Ah, scusa Kageyama non avevo capito che avessi sete, certo bevi pure ti aspetto.» disse guardando a terra per recuperare un’altra palla. 

 

A quel “bevi pure ti aspetto” come se fosse una concessione, Kageyama sbottò, saturo oltremodo, non credendo davvero che quella ragazzina si aspettasse che lui tornasse indietro per farla schiacciare. Si voltò di botto fissandola con astio «Se vuoi schiacciare vai nella squadra femminile. Non ho intenzione di alzare per te, non ne vedo nessun motivo. Non giocherai con noi in partita e ti stai allenando qui mettendoti in mezzo solo perché sono tutti troppo idioti per dirti no. Se loro vogliono perdere tempo con te facciano pure. Pensi di poter venire, stare in campo fare qualche alzata decente e poi cosa...Dovresti limitarti allo stupido ruolo di manager che chiunque riesce a fare, ma evidentemente anche quello va oltre le tue possibilità visto che questa mattina è uscito fuori che fai la modella…e forse nemmeno quello sai fare altrimenti non saresti qui ma saresti rimasta dov’eri. Torna da dove sei venuta e lasciami in pace. Te l’ho già detto che non voglio avere niente a che fare con te.» 

 

Non ci fu alcun suono per alcuni secondi dopo quelle parole, tutti troppo increduli...a rompere l’immobilità in cui la palestra era finita fu il sarcasmo di Tsukishima che guardando Kageyama, tornato a fissare il muro sotto lo sguardo attonito della squadra dando le spalle a Ikeda, esclamò «Ed ecco il “Benvenuto del Re”.» 

E Kageyama stava per girarsi per intimargli di stare zitto quando sentì una presa sulla spalla che lo costrinse a girarsi e poi quella stessa mano gli artigliò la maglietta. 



 

*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

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Capitolo 16
*** Capitolo 15 ***


Non l’aveva sentita avvicinarsi, Ikeda aveva percorso la distanza che li separava in completo silenzio con passo svelto e leggero. 

Si era aspettato che facesse come qualsiasi ragazza e andasse di corsa verso il bagno più vicino....Yachi l’avrebbe seguita e ne avrebbe consolato il piagnucolio, mentre lui si sarebbe ritrovato a litigare con il resto della squadra per quella uscita di cui comunque non si pentiva. 

Perché allora se la ritrovava così vicina, lo sguardo indecifrabile puntato a fissarlo negli occhi e la mano a tenere la maglietta arrotolata in una presa ferrea, ad altezza del suo petto, non lasciandogli possibilità di allontanarsi. 

 

«Ripeti quello che hai detto.» gli disse in maniera colloquiale con rabbia appena accennata «Se devi dire cose simili, devi farlo guardando in faccia la persona a cui ti stai rivolgendo Kageyama.» 

Ikeda sentì formicolare le mani, aveva agito di getto ritrovandosi a stringere quella maglietta sudata, fissando quegli occhi blu in cui si leggeva la sorpresa per quel gesto inaspettato, ma era determinata a non cedere di un passo...non adesso. 

Kageyama strinse le labbra non volendo darle soddisfazione e si limitò a fissare in maniera ostile quegli occhi nocciola non sapendo che altro fare. 

Il silenzio si stava protraendo quando con la coda dell’occhio Ikeda vide un movimento, non seppe riconoscere pero’ chi si stava avvicinando, non volendo distogliere dall’alzatore uno sguardo che si stava trasformando in una guerra. 

«Se qualcuno prova ad avvicinarsi per togliermelo da sotto le mani giuro che lo prendo a calci.» disse minacciosa assottigliando gli occhi, piegando leggermente la testa «Allora Kageyama sto aspettando...cosa ti prende non ce la fai a dirmelo in faccia? Ma non mi dire.» continuò finendo in tono canzonatorio. 

Nessuno tentò di fare un altro passo, consapevoli che Kageyama avesse esagerato, iniziando a invitarlo a scusarsi. 

Non era quello che lei aveva richiesto e nemmeno quello che lui era disposto a fare...restavano entrambi in silenzio a fissarsi cercando di capire cosa avrebbe fatto l’altro. 

Tra quelle voci ad un certo punto si sentì quella di Hinata che si unì agli altri per dire a Kageyama che le scuse erano il minimo e non avrebbe dovuto comportarsi così con una ragazza. 

 

L’alzatore finalmente sbottò di nuovo, ripetendo ogni parola che aveva detto prima abbassandosi appena e facendo un passo verso Ikeda che non arretrò di un millimetro ma anzi lo guardò cercando di capire cosa lo avesse smosso. 

 

«Contenta? E ora lasciami.» gli ringhiò contro Kageyama. 

Ikeda invece non mollò la presa, rimase a fissarlo spostando lo sguardo su tutto il suo viso, finchè poi sgranò gli occhi per un secondo come avesse avuto un’epifania. 

Gli sorrise amabilmente prima di girarsi un attimo verso Hinata, per poi tornare a fissare quei pozzi blu prima di lasciare la maglietta lentamente. 

 

Kageyama respirò a pieni polmoni, dilatando le narici, quando vide l’attenzione della ragazza spostarsi da lui alla squadra e poi di nuovo verso di lui. La mano liberò la sua maglietta solo per poi, con uno scatto, afferrarlo dietro la nuca imprimendo una leggera pressione per farlo abbassare per non dargli quel vantaggio che l’altezza gli forniva, vincendo la sua resistenza che fu in parte abbattuta dalla sorpresa per quel gesto, il resto fu colmato dalla ragazza che si alzò in punta di piedi per raggiungere il suo orecchio. 

Venne avvolto da quel braccio che lo tratteneva, le dita serrate e tutto il palmo bollente sulla nuca non gli lasciavano via di fuga. C’era un misto di gelo e caldo insopportabile e Kageyama non sapeva quale delle due attribuire alla rabbia che provava e quale all’incredulità. 

L’odore di sudore quasi impercettibile di Ikeda era in parte attutito, mescolato in qualche strano modo ad un profumo dolce di miele, caramello e cacao che gli arrivò al naso infastidendolo ancora di più, chiaro segno di quanto fosse troppo vicina lei e lui si costrinse a non respirare. 

 

 

Nel silenzio che si era ricreato, Ikeda, avvicinò il più possibile le labbra all’orecchio dell’alzatore, quello che doveva dire era destinato solo a lui e in quel silenzio anche un sussurro poteva essere udito. 
Disse quello che doveva con voce flebile, tanto che anche lei non era certa che tutte le parole fossero state dette, sfiorando casualmente quell’orecchio ogni tanto con qualche sillaba, quasi percependolo diventare freddo. 

Lo sentì irrigidirsi sotto la presa, parola dopo parola mentre lei fissava in maniera piatta il muro alle spalle di Kageyama. 

 

Finito quanto doveva fece un passo indietro, allentando la presa e trascinando via la mano in una carezza dal retro del collo di Kageyama che aveva gli occhi grandi e le labbra chiuse in una linea. 

Lisciò distrattamente la maglietta, rimasta spiegazzata nel punto in cui lo aveva afferrato prima, mentre il suono di una bottiglietta caduta dalle mani di qualcuno spezzò quel momento statico. 

 

Si sfilò la prima scarpa tenendone il tallone con la punta dell’altro piede e viceversa guardando con disinteresse Kageyama davanti a lei. 

Ikeda si portò le dita al collo e le fece scorrere, lentamente, risalendo verso il mento alzandolo per guardare l’alzatore con supponenza, direzionando infine le dita verso di lui chiudendo quel gesto con uno «Tsk». 

 

Chinandosi per prendere le scarpe, con la mano libera si tolse l’elastico che chiudeva la sua treccia facendolo scorrere lungo il polso. Infilò le dita tra i capelli per liberarli iniziando a camminare per raggiungere il punto dove aveva lasciato le sue cose, ignorando completamente Kageyama. Raccolse tutto e si diresse con compostezza verso la porta. 

«Ikeda che fai? Dove vai?» provò a chiedere qualcuno ma lei rimase di spalle, momentaneamente seduta per allacciarsi le altre scarpe ed andare a cambiarsi. 

«Nulla, vado a casa.» rispose freddamente «Non mi iscrivo al club. Vi serve una mano per ripulire adesso o fate soli?» 

«Ikeda che dici!?» provò a farla ragionare Ennoshita. 

«Bene, non serve allora vado.» 

«No non intendevo quello...Kageyama avanti scusati!»  

Tentare di far ragionare quello zuccone era un’impresa, Ennoshita lo sapeva ma ci provò lo stesso. L’alzatore era rimasto impalato sul posto le braccia lungo i fianchi e i pugni stretti. 

 

 

Ikeda cercava di raggiungere lo spogliatoio, trattenendo la rabbia...verso sè stessa, un po' anche verso Kageyama, ma principalmente verso sé stessa, ignorando la metà della squadra che le stava intorno seguendola nel tentativo di farla tornare indietro. Continuava ostinatamente a camminare a testa alta non volendo sentire ragioni. Si dovettero arrendere alla fine delle scale, sapendo che dopo ci sarebbe stata la porta e una stanza per loro inaccessibile. 

 

Mandarono avanti la povera Yachi nella speranza che, forse, trovandosi loro due da sole magari avrebbe potuto fare qualcosa, mentre gli altri avrebbero provato a far parlare Kageyama. Cercando di capire cosa gli avesse detto Ikeda, provando a fargli entrare in testa che qualsiasi parola pronunciata, era stata in risposta alle sue, e quindi era stata sicuramente detta senza una reale intenzione. Non ottennero nulla se non una scena muta di un Kageyama che si andava a sedere, in attesa di finire l’allenamento. Dire ad alta voce le parole che gli erano state rivolte, voleva dire ammettere che fossero vere e lui non ne aveva intenzione. 

 

Non andò meglio nemmeno a Yachi, non sapeva cosa dire o come scusare Kageyama; era stato davvero prepotente e le aveva detto delle cose molto cattive, quando invece Ikeda si era anche preoccupata della sua salute e le aveva chiesto di portargli delle medicine...in quel momento si ricordò di averle ancora in tasca, le estrasse piano porgendole all’amica titubante. 

«Ikeda, non ci pensare. So che non ha scuse, non so per cosa sia arrabbiato mi spiace che se la sia presa con te.» 

«E a te sta bene Yachi? Quello che ha detto ti sta bene?» chiese voltandosi per incontrare lo sguardo della ragazza più bassa prendendo il blister. 

«No, penso che quello che ti abbia detto sia orribile, ma tende a fare così e a non pensarci sul momento è il suo carattere...ma sono sicura che Kageyama si sia già pentito. Torniamo in palestra insieme, vedrai che si scuserà.» 

Ikeda rimase sorpresa che Yachi stesse, bellamente, ignorando il fatto che quell’idiota avesse definito il ruolo di manager “stupido” lasciando intendere che le persone che svolgevano tali mansioni fossero stupide... 

Si morse il labbro inferiore al pensiero che l’acqua che quel cretino aveva bevuto per tutto il tempo l’avessero preparata loro, così come gli asciugamani con cui si era deterso il sudore. Per non parlare di quanto diligentemente avessero preso appunti e tracce su tutte le azioni per poi commentare l’andamento delle partite. Si pentì di non avergli strappato quella bottiglietta dalle mani e di non avergliela infilata a forza giù dritta in gola...ma poi si pentì anche di quel pensiero. 

Sospirò «No, Yachi grazie va bene così.» 

No non andava bene, lui poteva anche non pensare parte delle cose che aveva detto ma non la voleva in palestra, lo aveva reso palese e anche lei si era spinta oltre. Aveva sperato che trovando un alzatore bravo della sua età, sarebbe stato più disponibile, ma a quanto pareva l’essere idiota era un tratto fondamentale che si accompagnava e andava di pari passo al talento; e Kageyama di talento ne aveva.  

«Noi restiamo comunque amiche?» chiese Yachi un po' impacciata, spaventata che la rabbia verso Kageyama potesse estendersi anche a lei, che in qualche modo aveva tentato di giustificarlo. 

Quella domanda spiazzò non poco Ikeda, che si fermò dal cambiarsi per guardare nuovamente la manager vedendola tormentarsi il bordo della divisa. 

Messo il primo piede fuori dalla palestra aveva imprecato mentalmente immaginando che avrebbero tutti chiuso con lei...si aveva detto “ci vediamo in giro” ma per infastidire l’alzatore. 

«Vuoi comunque essere mia amica anche se non mi iscrivo?» sorprendendosi di averlo chiesto davvero e sorridendo alla vista di quei capelli che ondeggiavano mentre l’altra annuiva convinta in risposta. 

Le tremò per un secondo il labbro, ringraziandola per la sua amicizia e le disse che poteva andare, che stava bene e si sarebbero viste per pranzo domani. 

 

Yachi uscì chiudendosi la porta alle spalle, i ragazzi che aspettavano sotto la guardarono aspettando il responso, già l’assenza al suo fianco era l’esito che non volevano vedere...Yachi scosse la testa e scese per tornare con loro in palestra. 

 

 

Rimasta sola tra quelle quattro mura Ikeda sbatteva ritmicamente la fronte sul mobiletto in cui era riposta la sua divisa, dandosi della stupida. Se avesse tenuto la bocca chiusa forse se la sarebbe anche potuta cavare. Avrebbero costretto Kageyama a scusarsi e forse, chissà, col tempo si sarebbe reso conto di che opportunità aveva. Un secondo alzatore che ti costringe a giocare al meglio e non qualcuno che si improvvisa tale senza la minima idea di come smistare l’attacco e non sapendo come costruire il gioco nel tempo. 

La ragioni poi, dietro quel comportamento, erano idiote. Con Hinata erano rivali e avrebbe dovuto essere contento di trovarselo più spesso davanti con l’opportunità di vederlo giocare al 100% invece di spaventarsi. Eppure Kageyama non aveva valutato nessuna di queste cose, il pensiero non lo aveva neppure sfiorato. 

Ormai completamente rivestita iniziò a camminare per la stanza. Le serviva un piano, Kageyama era un idiota colossale, sicuramente, ma la pallavolo gli piaceva. La ragazza l’aveva capito da ogni movimento sul campo che l’alzatore faceva, anzi, sicuramente ne era innamorato; quindi ad un certo punto se ne sarebbe reso conto, avrebbe mandato giù il boccone amaro e le avrebbe detto di tornare in palestra...dall’altro lato della rete. Il problema di Ikeda era il tempo, ne voleva perdere il meno possibile e con quel pensiero si ricordò del sacchettino di carta lasciato abbandonato lì nello spogliatoio, Yachi le aveva assicurato che nessuno l’avrebbe preso e lei aveva evitato di portarlo in giro avanti e indietro. 

Sorrise gustando già la rivalsa su Kageyama...e aveva il gusto di biscotti alle nocciole e mandorle, l’inizio di un assedio silenzioso. Prese un quaderno scrisse velocemente e strappò la pagina. Avrebbe colto i primi frutti domani, dopo il pranzo con Yachi, adesso doveva tornare velocemente a casa per la fase due. 

 

 

 

Hinata non aveva smesso un attimo di tormentare Kageyama, ricordandogli quando fosse stato un completo cretino. Ricevendo supporto di tanto in tanto da Tsukishima che lo punzecchiava sarcasticamente; per il resto si erano tenuti più o meno tutti alla larga dall’alzatore, avevano fatto gli ultimi esercizi, lo stretching e pulito la palestra. Stanchi e sudati erano andati verso la porta accorgendosi solo in quel momento di un sacchetto di carta abbandonato lì con un foglietto sotto. 

Ennoshita lo sollevò pensando che fosse il regalo di qualche ragazza per un membro del club. Hinata riconobbe subito l’oggetto. 

«Sono dei biscotti.» disse mentre il capitano apriva il biglietto «Ikeda li ha fatti ieri, li aveva portati per noi me lo ha detto questa mattina, mi aveva chiesto di non dirlo perché pensava di darceli dopo l’allenamento pomeridiano.» spiegò guardando male verso Kageyama. 

«C’è scritto che a Tanaka spetta un biscotto in più. Perché ha sbagliato il tuo nome...» lesse ad alta voce per tutti mentre passava il sacchetto a Noya e Tanaka che presero i biscotti per mangiarli «Poi di dividerli equamente tra tutti.» alzò lo sguardo per incrociare gli occhi dell’alzatore «Kageyama...ha sottolineato il tutti e non ha scritto che non dobbiamo dartene.» 

Lui sbuffò e lo superò per andare a cambiarsi non avendo intenzione di avvicinarsi nemmeno ad una briciola. 

«Sicuri che siano mangiabili?» chiese Tsukishima guardando quel poco invitante ammasso informe tra le mani di Yamaguchi che gli stava vicino mentre il sacchetto passava tra le mani dei primini. 

Chi aveva già addentato il biscotto lo aveva rassicurato che erano davvero deliziosi ma non rimase molto convinto visto che il giudizio veniva da Hinata e Nishinoya che erano riconosciuti come due pozzi senza fondo. Anche Yachi confermò dicendo che Ikeda gliene aveva messi un po' da parte, preoccupata che con la fame da post allenamento non le avrebbero lasciato nulla, e li avevano consumati insieme durante il pranzo. 

«Kageyama dovresti assaggiarne uno.» lo stuzzicò Tsukishima dopo averlo mangiato «Ikeda è stata così gentile da non riportarseli a casa, io lo avrei fatto, ha anche scritto che sono per tutti.» 

 

 

*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

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Capitolo 17
*** Capitolo 16 ***


*per le parti in cui si parlerà italiano il discorso sarà sottolineato* 

 

 

Le cuffiette bluetooth si erano scaricate sull’autobus, Kimiko aveva trascorso il resto del tragitto senza musica guardando fuori dal finestrino con la guancia poggiata sul pugno e l’aria annoiata sul volto. 

Il sangue le ribolliva ogni volta che con la mente tornava all’atteggiamento di Kageyama e alle parole “qualche alzata decente”; la musica era riuscita a distrarla ma adesso doveva cercare di non pensarci concentrandosi su quello che doveva fare. Cercava di visualizzare gli scatoloni, tornava indietro con la mente al momento in cui li avevano chiusi e imballati a Londra; la maggior parte a Nagano non erano nemmeno stati aperti sapendo che la loro permanenza sarebbe stata temporanea, lasciandoli pronti per il trasloco verso Miyagi. 

 

Aveva gettato le chiavi di casa sul mobiletto nel piattino dove lasciava le sue, il secondo piattino era pieno di quelle di Naoki. 

«Sono a casa.» disse mentre si levava le scarpe, guardando il fratello comodamente seduto sul divano. 

«Sei tornata presto.» constatò Naoki guardando l’orario dall’orologio che teneva al polso «Abbiamo scelto bene. Comodo e ci sta perfettamente.» disse riferendosi al divano accarezzandolo. 

Kimiko lo guardò distrattamente, annuendo e superandolo, facendosi strada in quel labirinto di scatoloni. 

A Naoki non sfuggì però l’aria imbronciata «Come mai così presto Scimmietta?» 

«Niente...» rispose con tono apatico la sorella infilandosi nella sua stanza per cambiarsi. 

Il giovane uomo inspirò bruscamente, con terrore, sentendosi tremare la terra sotto i piedi. 

‘Niente...ha detto “niente”...’ pensò prendendosi la testa tra le mani chiedendosi quando, in quale momento, la sua sorellina avesse avuto quello scatto di crescita, tanto da iniziare a usare la parola “niente” con quel tono. Era il suo primo “niente” o almeno il primo che sentiva lui. 

‘Quanto è grave la situazione?’ 

Aveva sperato, stupidamente, che quel momento fosse ancora distante almeno di un altro paio d’anni. Eccolo lì invece. 

Cercò di ragionare con calma ‘Ho superato il momento della prima mestruazione. Sono un uomo adulto dopotutto.’ 

Prese due profondi respiri, aveva una scelta davanti a sé e decise di fare l’unica cosa che gli sembrava sensata. 

«Scimmietta mi sono ricordato che avevo una cosa da fare...» 

Prese velocemente le scale per raccattare quanto gli serviva dalla sua camera al piano di sopra per passare parte della notte fuori, aggiungendo i vestiti extra nel grande borsone che aveva preparato e gli serviva per le attività dell’indomani calcolando che sarebbe anche uscito di mattina prestissimo per evitarla. 

«Non so quando mi sbrigo.» tornò di corsa al piano di sotto guardandosi attorno febbrilmente, cercando di pensare lucidamente se potesse aver bisogno di altro. 

La voce della sorella lo bloccò.
«Prima di uscire puoi, per favore, mettermi a portata gli scatoloni con i libri? Me ne serve uno per domani, prometto di non metterli tutti in giro.»
 

Naoki non aveva nemmeno aspettato e non pensava minimamente di contraddirla o lamentarsi se al ritorno avesse trovato una pila sbilenca di libri pronta a cadere in quel disordine. 

Spostò quanto più velocemente gli scatoloni che bloccavano quelli con la scritta BOOK, leggermente rasserenato che quel “niente” almeno non sembrava fosse a causa sua, ma non si sentiva comunque ancora in salvo. 

«Fatto!» annunciò «Ordina quello che vuoi per cena, non ti preoccupare.» aggiunse, mettendosi il borsone in spalla, infilandosi le scarpe e allungando la mano ad afferrare il suo mazzo di chiavi. 

«Ci sentiamo più tardi Scimmietta.» 

Dalla cameretta filtrò un laconico ciao e Naoki fu svelto a chiudersi la porta alle spalle.

‘Farò l’uomo adulto la prossima volta...Maledetta crescita.’

 

 

 

 

 

Erano rimasti entrambi sorpresi di vedersi spuntare Ikeda alla porta della loro classe. Più Yamaguchi, in effetti, che Tsukishima. 

Negli spogliatoi il giorno prima avevano pensato che, probabilmente, la mattina dopo la ragazza si sarebbe comunque presentata agli allenamenti. Si erano detti che, sì, aveva solo bisogno di allontanarsi da Kageyama e nessuno poteva darle torto...gli allenamenti mattutini si erano svolti ma lei non era nemmeno passata lontanamente dalla palestra. Tokita aveva comunicato di averla intravista camminare diretta verso l’edificio con uno zaino in spalla e non il borsone ma di non averla avvicinata. 

Ed eccola lì in pausa pranzo, sulla soglia della loro classe. 

«Yachi aveva ragione, menomale che pranzate in classe.» disse dopo averli salutati con un cenno della mano avvicinandosi. 

«Ikeda, ciao...tutto bene?» chiese un po' impacciato Yamaguchi sotto lo sguardo fintamente annoiato ma divertito del suo amico. 

«Si certo.» la ragazza gli porse il libro che aveva tenuto sotto braccio fino a quel momento «Ecco tieni. Come ogni cosa che si cerca al momento del bisogno era nell’ultimo scatolone che ho controllato ieri.» 

Tsukishima lo guardò prendere il libro con sorpresa «Potevi darglielo questa mattina o durante gli allenamenti pomeridiani.» 

Ikeda si girò per guardare il biondo «Scusa...perchè dovrei venire agli allenamenti?» 

«Mi hai portato il libro e non vieni agli allenamenti?» chiese confuso Yamaguchi rigirandoselo tra le mani. 

«Avevo promesso a te di portarlo, ho segnato delle pagine che penso facciano al tuo caso.» rispose semplicemente Ikeda prima di sgranare gli occhi quando il ragazzo aprì il libro dal lato sbagliato «Ah scusa...non ci ho pensato ieri, nemmeno adesso, ma è in inglese. Può essere un problema? Scusa davvero non volevo...» si sentì mortificata, aveva dato per scontato che il libro potesse essere utile senza considerare la lingua in cui era scritto. 

«In effetti Tadashi non è molto bravo con l’inglese.» disse Tsukishima. 

«M-mi dispiace veramente...» Ikeda decise di azzardare, beh e anche per farsi scusare «Posso tradurti io gli esercizi se vuoi.» 

Yamaguchi era colpito, la ragazza aveva messo da parte quello che era successo in palestra per portargli quel libro che gli aveva promesso dopo averlo aiutato, preoccupandosi di segnargli anche le pagine. 

«Vieni, siediti Ikeda.» si alzò per lasciarle la sedia di fronte all’amico «Prendo qualche foglio.» disse spostandosi verso il punto della classe dove si trovava il suo banco. 

Yamaguchi aveva preso un quaderno dalla sua borsa e una penna, passando gli oggetti in mano alla ragazza che aveva aperto il libro alla prima pagina segnata, afferrò una sedia lì vicino per tornare a sedersi. 

Scriveva abbastanza velocemente mentre i due ragazzi si guardavano tra loro. 

 

Tsukishima aveva intuito la muta supplica del suo compagno che lo invitava a prendere parola per fare un qualsiasi tentativo. 

Roteò gli occhi, non che gli dispiacesse Ikeda o la sua presenza ma voleva evitare di finire in mezzo a situazioni sgradevoli; poi ragionò che più tardi Tadashi avrebbe comunque aperto bocca su quell’incontro e ci sarebbe stato un terzo grado sulle loro azioni. Tanto valeva provarci e sperare che quello sarebbe bastato a chiudere velocemente tutta la questione. 

Guardò Ikeda, concentrata sul foglio, che scostava una ciocca di capelli portandola dietro l’orecchio, sospirò decidendo di prenderla prima alla larga «Erano buoni i biscotti...» 

«Brutti ma buoni.» disse Ikeda interrompendolo «Yamaguchi, sto scrivendo anche le pagine corrispondenti, ti conviene fare delle fotocopie visto che ci sono anche le immagini degli esercizi per semplificare. Puoi darmi il libro indietro quando vuoi.» 

Gli occhi enormi di Yamaguchi erano puntati sull’amico «S-si va bene.» lo aveva detto con il fiato tirato, più concentrato sulle prime tre parole della ragazza. 

«Ho detto che erano buoni...non ho pronunciato la parola brutti.» anche Tsukishima era un po' spiazzato da quella affermazione. Certo avevano un aspetto orribile, ma non era così folle da dirlo. 

Finalmente la ragazza alzò lo sguardo dal libro e dal foglio che man mano si era coperto d’inchiostro, strinse le labbra per un secondo capendo quel che era appena successo prima di ridere a cuor leggero. 

Vedendo i due ragazzi leggermente confusi si sbrigò nella spiegazione riportando nel contempo l’attenzione a quanto stava scrivendo. 

«“Brutti ma buoni” è il nome di quei biscotti tranquillo. È un tipico biscotto del nord Italia. Anche se più che un nome è un dato di fatto che siano proprio brutti alla vista, mi fa piacere ti siano piaciuti. Tanaka ne ha avuto uno in più vero?» 

I due ragazzi avevano annuito, sollevati entrambi che l’unico elemento stonato restasse solo Kageyama. 

«Tsukishima, scusa posso chiederti una cosa?» chiese girando le pagine del libro senza far intendere quanto ci tenesse ad avere quella delucidazione. 

«Dimmi.» fu il calcetto negli stinchi di Tadashi a spronarlo. 

«Ieri hai detto “Ed ecco il benvenuto del Re” cosa intendevi esattamente con questa frase?» Ikeda la buttò lì, quella domanda, come se avesse chiesto qualcosa sul meteo per poi spostare l’attenzione su un altro particolare «Yamaguchi ma sai come calcolare quante ripetizioni devi fare per ogni esercizio?» 

«E-ehm...no.» 

«Te le calcolo io.» disse porgendogli il quaderno «Scrivimi solo altezza, età ed il tuo peso per favore.» 

Ottenute quelle informazioni, Ikeda si immerse nuovamente nel quaderno questa volta in una sequenza di numeri e incognite. Alzò brevemente lo sguardo sul ragazzo biondo facendogli capire che attendeva la risposta e Tsukishima non si fece pregare più di tanto. 

«Kageyama alle medie è stato soprannominato “Re del Campo” per il suo atteggiamento arrogante, dispotico, irascibile e prepotente. In definitiva egocentrico. Gli importava solo la vittoria e pretendeva che gli altri schiacciassero su delle alzate folli e veloci. Continua a sbottare quando qualcosa non va.» Tsukishima aveva riassunto così il loro alzatore, senza minimamente addolcire la pillola «Noi lo ignoriamo, forse avremmo dovuto avvisarti, è stata una nostra mancanza.» 

«Uhm capisco.» Ikeda chiuse finalmente il libro e il quaderno su cui aveva tradotto e segnato tutto «Tieni Yamaguchi, mi raccomando fai le fotocopie. La mia scrittura non è buona ma con le figure riuscirai a capirla spero.» 

«Grazie, sei stata davvero gentile. Le vado a fare adesso in biblioteca.» improvvisamente al ragazzo sembrò gli fosse scivolata l’occasione di convincere la ragazza a tornare in palestra «Posso fare qualcosa per ricambiare...o per convincerti a iscriverti al club?» 

«Una cosa per ricambiare ci sarebbe, soprattutto se stai andando in biblioteca, però sarebbe contro il regolamento...» 

A Tsukishima non sfuggì il fatto che Ikeda avesse volutamente ignorato la seconda domanda ma soprattutto colse un piccolo lampo passare per i suoi occhi e rimase in attesa anche lui dell’evolversi della situazione. 

«Non mi hanno ancora dato la tessera per portare i libri a casa.» spiegò Ikeda giocherellando con le dita appoggiate sul banco «Ma avrei bisogno di qualche lettura per mettermi in pari su alcuni argomenti. Ti spiacerebbe prenderli a tuo nome? Naturalmente tratterei i libri con il massimo riguardo e se ci fosse qualche penale ti ridarei i soldi.» 

Yamaguchi rimase titubante solo per un battito di ciglia, quelle di Ikeda...e accettò. 

«Posso prenderne solo due però, ne ho già preso uno in prestito.» disse alzandosi e posando almeno il quaderno e la penna al suo banco. 

La ragazza sospirò rassegnata pensando che due fossero meglio di niente, annuendo, iniziando ad avvicinarsi alla porta per andare insieme in biblioteca. 

«Quanti te ne servono?» chiese Tsukishima. 

Ikeda si girò per guardare il ragazzo che intanto si era alzato e li aveva affiancati. 

«Pensavo di prenderne quattro, due di letteratura e due di storia.» rispose «Me ne farò bastare due.» aggiunse. 

«Gli altri due li puoi prendere a nome mio.» 

L’aveva detto svogliatamente precedendo i due ragazzi per la direzione verso la biblioteca. 

«Grazie Tsukishima.» disse Ikeda con un sorriso una volta raggiunto il suo fianco. 

Yamaguchi dietro di lei, senza farsi vedere, aveva alzato un pollice mimando con le labbra un “Ottimo lavoro Tsukki”. 

Il biondo sospirò all’ottimismo dell’amico. 

 

 

 

Ikeda camminava tra gli scaffali sfiorandone appena il bordo con le punte delle dita, ogni tanto si sporgeva per leggere meglio un titolo. 

Tsukishima se ne sorprese a metà, Ikeda aveva detto di aver frequentato una scuola privata quindi quella dedizione allo studio non gli sembrò strana. Aveva pensato che la scelta sarebbe ricaduta, quindi, su qualche autore previsto dal loro programma scolastico invece chiese consiglio ai due ragazzi. 

Spiegò che non cercava un autore o un’opera in particolare ma qualcosa di rilevante da leggere che non fosse troppo difficile. Stava cercando di leggere un po' di tutto, che potesse essere interessante o utile a livello di cultura personale. Quindi Tsukishima ne indicò qualcuno che lui apprezzava, fissandola mentre lei ne svogliava qualche pagina e accennandole le trame. 

A Ikeda non era sfuggito il trasporto con cui si era soffermato su una raccolta di haiku gli disse «Mi fido di te.» dando a Yamaguchi quel libro di poesie e un altro libro così che iniziasse a farseli intestare mentre andava a stampare le fotocopie che gli servivano. 

Il duo rimasto tra gli scaffali di letteratura si spostò verso la zona dei libri storici. La scena si ripeté, in parte, Ikeda si spostava con la stessa delicatezza di prima tra quei volumi ma questa volta sapeva esattamente cosa voleva e cosa stava cercando. 

Passarono la zona preistorica, quella Kodai, la Chūsei e anche la Kinsei... 

Quando infine Tsukishima la vide soffermarsi sui libri di storia recente fece una smorfia. 

«Non doveva essere un granché quella scuola privata se senti la necessità di studiare quella.» indicò il libro sulla seconda guerra mondiale che la ragazza aveva sceso dagli scaffali «Non si studiano le prime due guerre mondiali in Europa?» 

Ikeda alzò un sopracciglio «Certo che le ho studiate.» piegò leggermente la testa di lato guardando dal basso il ragazzo, dannatamente troppo alto per lei. «Però le ho studiate su libri europei...scritti da persone che vivevano in Europa dal loro punto di vista. Immagino che libri giapponesi, scritti da giapponesi che vivono in Giappone forniscano tutt’altro spaccato storico e un punto di vista totalmente differente. Non trovi?» 

«Non ci avevo pensato...» ammise dopo un momento «Te lo hanno consigliato i professori prima di trasferirti?» 

«Mmmh no, ci ho pensato l’anno scorso alle prime lezioni di storia...stavamo trattando il Chūsei, periodo Kamakura, mi sono resa conto che avevo studiato gli stessi anni ma della storia europea. Stessi anni e storie differenti, mi sono chiesta allora su fatti storici di rilevanza globale che differenze avrei trovato. L’anno scorso non ho potuto approfondire, avevo molto da recuperare tra letteratura e altro...anche adesso è un po' imbarazzante ma non ho memorizzato tutti i caratteri dei kanji che dovrei già sapere ma posso levarmi questo cruccio. Comunque non fraintendere, l’entrata del Giappone nella seconda guerra mondiale è ampiamente riportata e poi le bombe atomiche... So una curiosità sul Giappone: aveva creato delle sorte di mini-palloni aerostatici con delle bombe attaccate che dovevano colpire l’America arrivando fin lì sospinti dai venti. Sospetto comunque che in questi libri non si parlerà delle Comfort Women anche se solo recentemente questa questione sta venendo a galla...beh il Giappone è una nazione maestra nell’insabbiare le cose molto scomode e socialmente non accettabili. Non che alcune nazioni in Europa non abbiano fatto lo stesso.» Ikeda tornò a fissare le copertine prima di riprendere distrattamente l’argomento. 

«Ci siamo stati in gita scolastica, ad Auschwitz intendo... “il lavoro rende liberi” come no...è un luogo abbastanza surreale. Quando siamo andati era maggio, siamo stati fortunati perché c’era una scolaresca di studenti italiani accompagnati anche da un ex soldato che era stato deportato, in un altro campo ma non cambiava molto. Abbiamo chiesto il permesso di unirci per sentire il suo racconto, hanno accettato, non tutti noi nella mia scuola studiavano italiano come lingua extra quindi chi era madrelingua tra noi traduceva per tutti in inglese. 

Strano era davvero strano...c’era questo vecchiettino, piccolissimo, e pendevamo tutti dalle sue labbra. Raccontò di essere un medico dell’esercito italiano che si era ritrovato a operare con medici stranieri, pensa un po' tra loro per comunicare usavano il latino. Ci disse che fu catturato in Grecia e deportato...poi ha guardato e indicato i prati verdi. Ci ha racconto che all’arrivo non era così, la gente per fame e disperazione si era mangiata anche l’erba e non ne cresceva più. Quando finalmente il suo campo venne liberato e poté tornare a casa non trovò la moglie, gli dissero che in quella zona c’erano state delle marocchinate, lei si era rifiutata, aveva provato a difendersi dallo stupro e l’avevano uccisa...altra brutta cosa, le marocchinate, in un mare di brutte cose insabbiate per molto tempo.»  

Improvvisamente Ikeda avvertì il silenzio, aveva parlato troppo come al solito, ma questa volta l’argomento era pesante come un macigno. Si girò solo per vedere Tsukishima completamente ammutolito, per l’argomento, per quelle considerazioni, per quella intelligenza. 

«Troppo per una stupida modella eh?» chiese scherzosamente Ikeda non prendendosi sul serio. 

«Mai detto, ma sono curioso visto che sei così intelligente...a questo punto cosa ti aspetti da quell’egocentrico di Kageyama?»  

Girarci attorno era perfettamente inutile. Tanto valeva avere la risposta e riferirla a chi di dovere, se Ikeda tornava nel club almeno Tsukishima avrebbe potuto intrattenere qualche discussione interessante e non sentire i soliti discorsi senza capo né coda dei suoi compagni. 

La ragazza puntò gli occhi a fissare il volto occhialuto, avvicinandosi, seria mentre gli consegnava i libri che voleva prendere. 

«Se Kageyama è il re del campo a questo punto deve andare alla fottuta Canossa.» disse con un sorriso storto, completamente diverso da quelli che Tsukishima aveva visto fino a quel momento.  

«Non verrà a chiederti scusa...» disse, pensando che Ikeda avesse colorito il modo in cui volesse le scuse di Kageyama, dicendolo in un'altra lingua per non sconvolgere le persone a portata d’udito. 

«Sta a vedere Tsukishima...sta a vedere.»


 

*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

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Capitolo 18
*** Capitolo 17 ***


Yamaguchi aveva fatto un resoconto dettagliato sull'incontro a pranzo con Ikeda quando qualcuno gli aveva chiesto cosa fossero quei fogli che si rigirava tra le mani, pensando di provare subito a svolgere quegli esercizi in palestra. 

Ennoshita e Narita avevano chiesto se anche le equazioni le avesse svolte Ikeda, passandosi i fogli, Yamaguchi aveva annuito confermando che la ragazza gli aveva fatto la cortesia sia di trascrivere in giapponese, indicando il libro dal titolo in inglese che spuntava dalla borsa, che di calcolargli il numero di esercizi. 

«Se lui si scusa lei torna.» intervenne Tsukishima togliendosi gli occhiali, senza bisogno di specificare a chi stesse riferendo con quel “lui”, massaggiando con le dita della mano libera il ponte nel naso su cui aveva gravato il peso dell’oggetto fino a quel momento, ripiegando infine le stanghette laterali prima di riporli nella loro custodia. 

«Potrebbe aiutare tutti con l’inglese, anche voi del terzo anno.» continuò prestando più attenzione nello sbottonarsi la divisa che al resto dei presenti «Potrebbe dare lezioni anche ai professori visto che lo ha praticato giornalmente per anni. Senza contare, visto la piacevole discussione che abbiamo avuto tra gli scaffali di storia, che probabilmente la sua intelligenza si estende anche ad altre materie. Almeno avrei un sostegno in più, oltre Yachi, per farvi entrare qualcosa in quelle zucche vuote prima degli esami.»  

«Tsukki ma avete parlato mentre ero via?» 

«Non chiamarmi Tsukki...»  

«Scusa...» 

«E si abbiamo parlato. Più lei che io, ma lo ha detto che tende ad essere logorroica. Beh, almeno dice cose sensate rispetto a Hinata, ha fatto una considerazione sui suoi studi all’estero, a ripensarci è veramente banale...talmente banale da venir quasi tralasciata come cosa. Lei ci ha pensato ed ha deciso di provvedere.» 

Come al solito il centrale più alto aveva ignorato il rimbrotto di Hinata, che era stato usato come metodo di paragone non in senso positivo, finendo di cambiarsi la maglietta. 

Noya incrociò le braccia davanti al petto nudo «Ma le scuole private non dovrebbero essere migliori? Forse in Europa è diverso...» 

«Le scuole private in Europa devono essere spaventosamente migliori, se portano gli studenti a fare ragionamenti del genere in autonomia...
Ennoshita se ti chiedo “seconda guerra mondiale” tu mi elencherai tutto quello che abbiamo studiato no?!»
 

Il capitano aveva annuito, non sapendo bene dove volesse andare a parare il ragazzo. 

«Quando le ho chiesto se non l’avesse già studiata, visto che voleva prendere un libro su quell’argomento, mi ha risposto che avendo studiato su testi europei conosceva quel punto di vista, e che libri scritti da giapponesi avrebbero potuto fornirle una differente visione e spaccato storico. Ingenuamente tendiamo a pensare che certi argomenti siano scritti in modo univoco, in effetti ci sono più punti di vista. Ditemi se avete mai fatto tale considerazione...poi traete le vostre conclusioni.» 

 

L’unica considerazione che stava facendo Kageyama era se dovesse iniziare a cambiarsi nei bagni pur di non sentire parlare di quella che lui riteneva una vipera. 

 

Tsukishima si era girato facendo scorrere lo sguardo sui presenti, mettendosi gli occhiali sportivi, prima di soffermarsi su Kageyama che gli dava le spalle «Poi le ho chiesto cosa si aspettasse dal nostro Re...non ha risposto in giapponese, suppongo abbia inserito qualche epiteto simile a quelli che ti può aver detto all’orecchio, sicuramente calzanti, oltre che delle scuse. Quindi scusati, spera che lo faccia anche lei altrimenti incassa qualsiasi cosa ti sia stata detta e accettala, non ti avrebbe detto nulla se non avessi iniziato tu.» 

 

Ad accettare quel sussurro fastidioso fatto al suo orecchio e che gli si era piantato in un angolino del cervello, ma che ogni tanto tornava con un debole eco, Kageyama non ci pensava minimamente. 

L’alzatore rimase sordo a quelle parole, ignorandole completamente, come Ikeda aveva ignorato le domande sul tornare al club. 

‘Sordità selettiva entrambi...andiamo bene.’ pensò Tsukishima già esausto. 

 

 

Avevano in qualche modo messo una pezza sulla situazione con Ukai. 

Ennoshita aveva comunicato che Ikeda sarebbe stata assente dal club qualche giorno. 

-Ancora impegnata- … -nel vivo del trasloco- ...aveva detto. 

Erano state quelle le parole per coprire quell’assenza e al motivo di quell’assenza durante l’allenamentop pomeridiano, fortunatamente Ukai ci aveva creduto. 

Il capitano voleva prendere tempo cercando di abbattere, scavalcare o aggirare quel muro di silenzio innalzato sulla faccenda da Kageyama, il quale per lo più teneva l’atteggiamento di sempre, rimanendo forse solo leggermente più nervoso. 

 

Il giorno dopo i ragazzi del terzo anno si erano dati come obiettivo quello di sondare il terreno con Ikeda, che anche quella mattina non si era presentata agli allenamenti; non riuscendo a cavare un ragno dal buco con Kageyama. 

Sapendo infatti quanto fosse socialmente non portato a scusarsi, volevano e dovevano sapere esattamente cosa si aspettasse la ragazza, per poi convincere con le buone o le cattive l’alzatore a fare il minimo indispensabile. Si erano fatti dire da Yachi che classe frequentasse la ragazza, visto che quel giorno le due non avrebbero pranzato insieme, ma una volta arrivati sull’uscio della porta non la videro. Le compagne di Ikeda li avevano liquidati alzando gli occhi al cielo un po' seccate, riferendo che non avevano idea di dove si trovasse. 

Lungo i corridoi avevano incrociato Tsukishima e Yamaguchi ma nessuno dei due l’aveva vista, riferendo che anche Kageyama sembrava sparito e Hinata lo stava cercando con un pallone sottobraccio. 

«Magari è andato a scusarsi.» l’inguaribile ottimismo di Yamaguchi però non venne condiviso dai presenti. 

«Va bene grazie, se la vedete potete dirle che noi del terzo anno la stiamo cercando? Se invece vedete Hinata o Kageyama dite loro che se li trovo ad allenarsi da qualche parte, l’allenamento pomeridiano lo vedranno a bordo palestra, in ginocchio.» Ennoshita non era disposto a transigere visto la punizione in corso, come  Daichi. 
 

I senpai restano lì nel corridoio cercando di capire cosa fare. 

«Possiamo lasciare un biglietto alle sue compagne per chiederle di restare dopo scuola magari.» 

«Non lo so Tanaka, hai visto che facce le sue compagne? Non rischierei di disturbarle e far avere problemi a Ikeda.» 

«Narita ha ragione. Però dove potrebbe essere?» domandò Ennoshita più a se stesso che ai presenti cecrando di pensare «Narita tu e Kinoshita magari potete fare un giro tra i piani. Se la trovate provate a parlarci un po', non mi sembra il caso di fermarla e poi cercare noi...avete la testa sulle spalle quindi mi fido.» 

I due ragazzi annuirono allontanandosi, concordando tra di loro di iniziare dal tetto e poi riscendere. 

Ennoshita si girò per guardare Noya e Tanaka che, visibilmente, si stavano domandando se quindi in loro non riponesse nessuna fiducia. 

«Siete troppo esuberanti voi due non vi posso lasciare soli. Andiamo vediamo se magari è fuori.» rispose alla domanda che si leggeva sulla faccia dei due ragazzi. 

«Potrebbe anche essere in bagno.» valutò Tanaka, incrociando le braccia e iniziando a seguire il capitano. 

L’opzione poteva essere valida «Forse dovremmo chiedere a Yachi se li controlla.» disse Nishinoya. 

«Yachi è impegnata per questo non hanno pranzato insieme.» gli ricordò Ennoshita. 

«Possiamo controllarli noi.» ribatté il ragazzo convinto di aver avuto un’idea geniale.  

«Ma vuoi anche quest’anno un mese di sospensione?» sghignazzò Tanaka «Vorresti entrare nei bagni femminili e chiedere “Ikeda sei qui?”?» 

Ennoshita li fulminò entrambi con lo sguardo «Nessuno qui controllerà i bagni, non vogliamo peggiorare la situazione. Sono stato chiaro?» 

La bocca asciutta, il brivido lungo la schiena avevano fatto annuire velocemente il duo, convincendoli al contempo che forse sarebbe stato meglio restare in silenzio, seguendo il loro capitano a due passi di distanza. Ennoshita era più tranquillo di Daichi ma non per questo non lo trovavano egualmente spaventoso. 

 

 

 

Avevano girato un po' fuori. 

Prima andando verso le palestre, Ennoshita voleva assicurarsi di non trovare Hinata e Kageyama (sicuro che non avrebbero rispettato i giorni di riposo durante il pranzo che gli aveva assegnato come punizione, per essersi allenati troppo vicini agli edifici, visto che il più basso già si aggirava con la palla in cerca dell’alzatore). 

Almeno in quello aveva potuto tirare un sospiro di sollievo. 

Camminavano guardandosi intorno, cercando di scorgere nei volti delle ragazze con i capelli mori il viso di Ikeda. 

Sembrava volatilizzata, scomparsa da quel perimetro di mondo che era il Karasuno. Ennoshita era preoccupato, pensando anche ad un Kageyama che Hinata non riusciva a trovare, quando di solito entrambi non aspettavano che quei momenti per allenarsi, sfinirsi e dirsene di ogni, prima che la campanella suonasse, costringendoli ad altre ore di immobilità. 

Improvvisamente impallidì, nella sua mente si visualizzò uno scenario: Kageyama e Ikeda da qualche parte a tenere un secondo round...accelerò leggermente il passo, sempre più preoccupato, non sentendo invece Noya chiamarlo.
Si era fermato solo quando anche Tanaka si era unito alla voce dell’amico. Li guardava perplesso mentre il duo se ne stava in silenzio subendo l’aria minacciosa che, forse, aveva ancora dipinta sul volto. Entrambi avevano alzato timidamente un dito verso destra indicando un gruppetto seduto ad una panchina sotto un albero. Finalmente Ennoshita
potette tirare un sospiro di sollievo. 


 

Ikeda era seduta a chiacchierare tranquillamente con i primini del club, due dei quali avevano dei quaderni da disegno tra le mani. 

«Ah senpai ciao.» disse in saluto Ikeda, a cui si unirono anche gli altri ragazzi, che li aveva notati avvicinarsi «Voi che potete muovervi mi dite come stanno venendo i disegni? Non mi vogliono far vedere e Yaotome e Shimada non me lo vogliono dire.» aggiunge gonfiando le guance in una espressione di disappunto verso i due primini alzati che continuavano a guardare il lavoro alle spalle dei loro compagni sorridendo all’ennesima protesta della ragazza. Erano rimasti per fare compagnia a Ikeda, chiacchierando del più e del meno, mentre Shoji e Tokita si concentravano sui loro lavori. 

Ennoshita fece il giro per guardare. Erano ancora bozze appena accennate, dei tratti grigi che seguivano delle linee che unendosi tra loro ricreavano la posa delle mani della ragazza. Dovevano essere lì da abbastanza tempo, notò il capitano, perché le bozze erano quasi pronte per passare al passaggio successivo. Per qualche minuto passò lo sguardo dai fogli alle mani di Ikeda, l’unica cosa di lei che non si muoveva, come se fossero state bloccate. Anche le dita leggermente alzate non si spostavano di un millimetro, pietrificate, per permettere agli artisti di non cancellare e rivedere quanto fatto. 

«Stanno venendo molto bene. Ikeda possiamo parlarti un momento...in privato.» 

La ragazza guardò i due ragazzi che avevano alzato lo sguardo dai fogli per guardare il capitano, non proprio felici di quella interruzione, e la stavano fissando aspettando la sua risposta. Speravano di finire il disegno e non doverne ricominciare uno nuovo. 

«Forse potete fare delle foto? Che ne dite? Così potrete finire quello che avete iniziato.» propose Ikeda «Prendete il mio cellulare, fate una foto dalla vostra prospettiva e ve le invio su Line.» alzò leggermente un gomito, continuando a tenere ferme le mani, per dare accesso alla tasca della divisa in cui si trovava il telefono. 

«Grazie Ikeda.» disse Shoji «Potete prenderlo voi per favore, così io e Tokita non ci spostiamo.» 

Rimasero tutti un attimo fermi, guardandosi tra loro in una muta discussione su chi avesse dovuto avvicinarsi per sfilare il telefono dalla tasca della giacca di Ikeda, la quale roteò gli occhi vedendo un leggero rossore sui loro visi. 

«È un telefono in una tasca, non siate esagerati.» osservò divertita la ragazza. 

Alla fine, per quieto vivere, si fece avanti Ennoshita. 

Dopo entrambi gli scatti, finalmente Ikeda iniziò a muovere le mani, aprendole e chiudendole piano, prima di riprendere il telefono e inviarli cosi’ ai due ragazzi. 

«Poi fatemi sapere se prendete un buon voto...in quel caso come facciamo? Aumento io la tariffa a due bibite alle macchinette o dovrò pagarvi per farvi da modella?» chiese scherzosamente mentre i due ragazzi le passavano le monete come si erano accordati.
Si erano offerti di prenderle da bere prima di iniziare ma Ikeda aveva rifiutato, non le andava di bere qualcosa che si sarebbe riscaldato mentre loro finivano.
 

I senpai li guardavano scherzare tra loro, esclusi da quelle risatine che coinvolgevano un qualche discorso fatto prima del loro arrivo mentre si congedavano da quella sessione di disegno. 

«Ah scusate, andiamo? Mi accompagnate ai distributori?» chiese Ikeda guardando i tre ragazzi che annuendo le avevano lasciato spazio per passare. Fece strada lei in direzione delle macchinette, quelle che erano state testimoni del primo battibecco con Kageyama. 

 

Camminavano abbastanza vicini, Ennoshita alla destra di Ikeda che giocherellava con i soldi passandoseli da una mano all’altra, cercando ancora di riprendersi dal torpore, Tanaka e Nishinoya alla sinistra. Questi ultimi due non sapevano bene come iniziare ma anche Ennoshita si sentì impacciato. 

Era stato semplice pensare di andare a parlarle ma in quel momento non gli veniva niente in mente per iniziare una conversazione. Per loro fortuna proprio Ikeda incominciò, togliendoli da quel silenzio ambiguo. 

«Nishinoya ieri poi ho accettato la tua richiesta. Ti sono piaciuti i posti che ho fotografato?»  

«Ah s-si molto. Sei stata davvero in tante città. Ma scusa come facevi a viaggiare? Mi è sembrato, dalle foto, che più o meno fossero tutti tuoi coetanei. Non ci doveva essere qualcuno come supervisore?» 

«Mmmh no, i supervisori li avevamo solo nei viaggi organizzati dalla scuola. Il resto dei viaggi li organizzavamo da soli. La maggior parte delle compagnie aeree che usavamo permettono ai maggiori di 14 anni di viaggiare soli.» spiegò Ikeda. «Anche se per alcuni viaggi la parola “organizzazione” è una presa in giro. Spesso ci mettevamo a guardare voli a casaccio per il fine settimana e la destinazione che costava meno la prenotavamo...se costava poco anche per gli altri che abitavano in altri paesi a maggior ragione partivamo alla buona e ci incontravamo tutti lì.» 

I tre la videro sorridere leggermente. Ikeda si era zittita un momento al ricordo delle telefonate di gruppo, il computer davanti con i voli e città proposte senza un senso, cifre urlate al ribasso o rilancio, controllando anche il meteo delle destinazioni. Sole andava bene, tranne in estate a meno che la destinazione non fosse il mare; nuvoloso ci si accontentava, aveva comunque un suo fascino soprattutto nei paesi del nord; pioggia dipendeva, quanta pioggia e che tipo di pioggia...per lo più leggera come quella irlandese o fitta e pesante tanto da costringerli a restare chiusi da qualche parte e nell’ultimo caso andava bene solo se la meta offriva anche delle saune. 

Ikeda distolse la mente da quei pensieri concentrandosi sui distributori che avevano raggiunto, ma corrucciò la fronte vedendo che il Qoo alla mela era segnato come esaurito. 

«Scusate...comunque detta così sembra tipo che io scappassi di casa all’ultimo momento. Eravamo tutti con la testa sulle spalle alla fine. Più dei ragazzi maggiorenni che hanno passato dei brutti momenti ad Amsterdam.»  

«Come mai?» chiede Tanaka incuriosito. 

Ikeda guardò le monetine in mano, non bastavano per lo yogurt e non ne aveva altre con sé. 

«Non ti bastano? Quei primini dopo ci sentiranno...» ringhiò Tanaka a brutto muso. 

«No.…si...cioè gli avevo detto che andava bene il Qoo ma è terminato.» indicò il tasto colorato di rosso per far calmare il senpai in modo da salvare i ragazzi da una possibile lavata di capo, di colpe non ne avevano. 

Ennoshita controllò le tasche estraendo qualche moneta «Cosa vuoi prendere Ikeda?» 

«No grazie non posso accettare...» 

«Su dai, insisto. Non accetto un rifiuto.» 

Ikeda annuì imbarazzata, guardando un po' cos’altro avesse la macchinetta e indicò un succo, quello che costava meno non voleva far spendere soldi a Ennoshita, che in ogni caso prontamente infilò le monetine nella fessura della macchinetta mentre lei lo selezionava. 

«Comunque tornando ad Amsterdam...noi, intendo io e i miei amici, ci siamo divertiti il primo giorno poi abbiamo passato la notte in bianco preoccupati per i ragazzi più grandi che si erano ridotti uno straccio.» 

«Hanno bevuto molto? Ma scusa a 20 anni andavano ancora a scuola con voi? Non dovrebbero essere già all’università a quella età?» chiese confuso Nishinoya. 

Ikeda si stava già pentendo della sua scelta, non riuscendo ad aprire quella maledetta bottiglietta il cui tappo le scivolava nel palmo della mano forse ancora troppo intorpidita. «Aspetta Ikeda la apro io.» le venne in soccorso Noya. 

«Grazie senpai Nishinoya.» gli porse la bottiglietta con un sorriso sollevato, vedendo il ragazzo andare, un attimo, in un mondo tutto suo «In realtà in Europa l’età per bere è differente, varia da nazione a nazione però diciamo che la media è 18 anni, la loro maggiore età; in alcuni paesi è legale bere dai 16 anni mentre per le cose più forti dai 18 o 20.» fece una pausa bevendo il succo che gentilmente era stato offerto e aperto dai ragazzi. 

«Per tornare alle bravate di Amsterdam...sono andati in un coffee shop hanno esagerato e sono usciti esageratamente "allegri".» 

«Fanno dei caffè così forti ad Amsterdam?» 

Ikeda quasi si strozzò alla domanda di Ennoshita. 

«Non sono entrati per il caffè.» spiegò «Noi eravamo andati per musei, loro a fumare sostanze che solo ad Amsterdam sono legali e farsi un giro nel quartiere a luci rossi...beh quello lo abbiamo visitato anche noi ormai è considerato un luogo turistico.» alzò lo sguardo e vide i tre ragazzi con gli occhi sgranati. 

Prese il telefono dalla tasca pensando che fossero così per la curiosità «Volete vedere? Alcune foto di Amsterdam non le ho pubblicate per ovvi motivi, non perché mio fratello si facesse una strana idea sa che può fidarsi...» 

«N- no Ikeda, anzi forse è meglio che questa cosa non la racconti, rientra tra le cose che ci hai chiesto di farti notare.» la bloccò Ennoshita. 

«Parla per te! Io voglio veder...» Noya si gelò all’occhiataccia scoccata dal suo capitano e decise di fermarsi. 

«Ah scusate, non volevo mettervi in imbarazzo. Grazie Ennoshita per l’appunto.» 

«Prego, non fa niente...comunque ecco riguardo a quello che volevamo dirti...» Ennoshita si fece coraggio «A Ukai per ora abbiamo detto che non stai venendo per via del trasloco...» 

«...ok, beh sì le scatole sono ancora tutte lì.» confermò la ragazza cercando di non pensare troppo alla lentezza che ci stavano mettendo lei e Naoki.  

«Ecco volevamo parlarti per quello che è successo con Kageyama» 

«...» 

«Per quello che è successo in palestra.» intervenì Tanaka per puntualizzare. 

«Guarda che lo sa dove è successo, c’era anche lei.» sussurrò Nishinoya dandogli una gomitata.

«Pensi di poterlo scusare? Kageyama intendo...può fare qualcosa per farsi scusare da te? Siamo davvero mortificati per quello che è successo, a noi farebbe veramente piacere se ti iscrivessi.» riprende Ennoshita facendo cenno agli altri due di stare buoni. 

«Si alla Nekoma, Yamamoto si sta già rodendo il fegato dopo aver visto le foto insieme.» disse con orgoglio Tanaka. 

Ikeda invece rimase in silenzio... «E Yachi?» provò a chiedere. 

«Certo che anche a Yachi farebbe piacere, sappiamo che avete pranzato insieme...» ribatte Ennoshita non cogliendo il vero senso della domanda. «Puoi almeno rifletterci su?» 

La ragazza sospirò «Riflettere su cosa? Io ho le idee chiare su cosa voglio.» 

«Ok, grazie Ikeda. Non ti preoccupare a Kageyama ci pensiamo noi.» 

«Come vi pare...» 

I tre si erano guardati tra loro in maniera eloquente, almeno così credeva Ennoshita, e dopo aver salutato la ragazza aveva dovuto richiamare i due per farsi seguire.  

«Pss...pss Noya senpai?» lo richiamò Ikeda, piano per non farsi sentire da Ennoshita che probabilmente non avrebbe approvato. 

Quando il ragazzo si girò lei stava indicando il suo telefono in tasca per poi muovere la mano in un mulinello. Vedendo che però la Divinità Protettrice non coglieva quel gesto parlò tenendo sempre un tono moderato. 

«Fatti dare il mio numero dai kohai e scrivimi su Line così ti mando le foto di Amsterdam.» disse facendo l’occhiolino. Noya le sorride annuendo e alzando un pollice senza farsi vedere dal capitano, mentre Ikeda li salutava ancora con la mano mentre si allontanavano.

 

Rimasta sola poggiò la schiena contro un lato dei distributori sorseggiando ancora quell’improbabile succo, al gusto le ricordava più acqua con del sapore di frutta finta.
Kimiko teneva la testa rivolta verso l’alto, guardando le nuvole che passavano dalla parte di cielo lasciata scoperta dalla tettoia che proteggeva quella piccola zona.
 

Finito anche l’ultimo sorso rimise il tappo alla bottiglietta, si avvicinò al bidone e la gettò con forza al centro del sacchetto seguendone il percorso...stava per passare oltre ma qualcosa al suo interno aveva catturato la sua attenzione. Diede un primo calcetto, per verificare che non avesse preso un abbaglio, colpendo la base del bidone cercando di far passare il gesto per casuale o dato distrattamente. 

Un secondo colpo, dato con l’altro piede, confermò che aveva visto bene. C’era stata intenzione in quel gesto la cui prova stava sprofondando nell’immondizia. 

‘Dilettante...’ sentenziò tra i suoi pensieri facendo qualche passo verso il sole stiracchiandosi mentre alzava le braccia.
‘Io faccio la guerra...e lui mi fa i dispetti come un bambino di 5 anni...’ 

Chiuse gli occhi, godendosi il tepore della bella giornata per qualche minuto e sorrise soddisfatta mettendosi le mani nella giacca della divisa e allontanandosi con calma per tornare alla sua classe. 

 

Lasciando le bottiglie piene di Qoo alla mela da sole nel bidone, vicine all’unico distributore a scuola che avesse il Qoo a quel gusto che tanto le piaceva e che i primini si erano offerti a gran voce di prenderle prima dei disegni, quasi litigando tra loro su chi dovesse andare, pensando così di fare bella figura ai suoi occhi. 

Ne aveva inizialmente intraviste due, quando la bottiglietta del succo gettata aveva spostato le cartacce sulla sommità della spazzatura. 

Un piccolo calcetto alla base del bidone per smuoverne il contenuto, dato distrattamente nel dubbio che l’autore del gesto potesse essere ancora nei paraggi...un secondo scossone fece tremolare meglio il contenuto, dividendo e affossando le bottigliette piene del loro peso dal resto permettendole un conteggio finale. 

 

  

 

 

*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

 

 

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Capitolo 19
*** Capitolo 18 ***


Sollievo. Enorme sollievo. Rincuorante sollievo. Era quello che aveva provato Tobio la mattina dopo non vedendo Ikeda varcare le porte della palestra. 
Sollievo che però non era durato.

 

Ikeda era paragonabile, nella sua mente, a una mosca...anzi no un moscone, un fastidiosissimo grosso moscone, di quelli che solitamente ti volavano intorno senza sosta per infastidire; e quando finalmente era riuscito a scacciarlo via aveva pensato, con una certa soddisfazione, di non vederlo più. 

Fino a quando un rumore fastidioso, cadenzato e ripetitivo di qualcosa che sbatte non attirava nuovamente l’attenzione. Non un suono forte ma abbastanza costante da infastidire; un rumore da seguire che alla fine conduceva da quello stupido moscone che, senza sosta, rimbalzava sul vetro di una finestra, troppo stupido per capire che da lì non uscirà. Continuando imperterrito nel suo tentativo di fuga, fallito in partenza. Dopo aver aperto la finestra, nella speranza di liberartene una volta per tutte, il moscone, con volo beffardo, non solo non ne vuol sapere di uscire ma anzi tornava all'interno della casa lasciandoti indietro con la consapevolezza che ti darà ancora fastidio. 

 

Ennoshita aveva vietato a lui e Hinata di allenarsi durante la pausa pranzo per qualche tempo.
Tobio si rese conto che già dal primo giorno di stop avrebbe dovuto intuire che non sarebbero andati bene quei giorni.
Si era sentito chiamare, ma aveva continuato a camminare verso i distributori riconoscendo quella voce fastidiosa. Ikeda però lo aveva raggiunto, era stata insistente nel voler parlare e il fatto che gli ricordasse che era lei il motivo per cui non si stesse allenando, lo aveva fatto sbottare. Non gli interessava delle sue scuse di circostanza e quando le sentì pronunciare “Insomma, staremo spesso a contatto quindi...” non ci aveva visto più.
 

Non voglio avere niente a che fare con te.” Pensava di essere stato chiaro con quelle parole, nonostante la sua scarsa capacità comunicativa, mentre andava via con il latte costretto a consumarlo da qualche altra parte. 

 

Sbagliato...Ikeda era stata come uno stupido moscone per tutto l’allenamento pomeridiano.
L’aveva ignorata ma era comunque lì.
C’era, era presente...alle volte era il ronzio a infastidirlo, nei momenti in cui era distante poteva comunque percepire la presenza come quella di un moscone che sbatteva sul vetro. Nonostante il macigno che gli aveva lanciato addosso quando lo aveva tirato giù per sussurrargli all’orecchio però...però la finestra era aperta e Ikeda era andata via.
 

 

Sbagliato di nuovo. Kageyama era stato testimone di quel volo beffardo anche se non lo aveva riconosciuto. 
 

C’era stata l’insistenza, a più riprese, su cosa avesse detto Ikeda prima di uscire dalla palestra. Si era detto che doveva soltanto stringere i denti quei primi giorni, poi la cosa sarebbe scemata e sarebbe tornato tutto normale.
Aveva superato gli allenamenti mattutini in qualche modo.
 

L’alzatore stava andando da Yachi per chiederle degli appunti. Si era allontanato svelto dall’uscio della porta per non farsi vedere. Ikeda era lì e stava pranzando con la manager, strinse i pugni al pensiero che forse stavano parlando di quello che era successo. 

‘Le sta dicendo quello che mi ha detto? Yachi la sta convincendo a farselo dire per dirlo a Ennoshita e gli altri? No Yachi non lo farebbe...’
 

Tobio rimase lì, cercando di sentire. Tra il chiacchiericcio e il brusio che c’era in corridoio e nell’aula aveva captato solo stralci della conversazione, che fortunatamente non sembrava vertere sul club o quanto accaduto. 

Una domanda però, ad un certo punto, era arrivata alle sue orecchie... 

«Yachi, che classe frequenta Yamaguchi?» 

Tobio divenne immediatamente nervoso, Yamaguchi voleva dire anche Tsukishima, perché dove c’era uno si poteva trovare anche l’altro il più delle volte. Immaginò Ikeda seduta con quei due mentre Tsukishima le proponeva di tornare al club per continuare a infastidirlo cementando così quel loro sodalizio creatosi durante la partita. 

Aveva fatto appena in tempo ad allontanarsi, sentendo le due ragazze salutarsi, spostandosi di spalle per non farsi riconoscere. 

Forse poteva precederla, forse avrebbe potuto farsi dare gli appunti da Tsukishima e Yamaguchi...essere lì, stroncare qualsiasi iniziativa. Decisamente meglio mandar giù le frecciatine di Tsukishima che tutto il resto. Stava per andare ma evidentemente qualche entità gli voleva male, Yachi lo salutò vedendolo alla porta, dove lui era rimasto impalato mentre faceva quelle considerazioni e lo aveva invitato a entrare tirando fuori dalla sua cartella i suoi appunti vedendo che Kageyama era venuto con il quaderno. 

Si era scapicollato, per quanto fosse possibile, andando a passo svelto frenandosi al contempo quando stava per passare dal camminare velocemente ad una corsa. 

Troppo tardi... 

Stavano uscendo tutti e tre dalla classe, Ikeda in mezzo a Yamaguchi e Tsukishima che parlavano. Li aveva seguiti, a debita distanza, temendo che andassero in sala professori dopo averla convinta ad iscriversi al club, invece si erano diretti in biblioteca. 

 

 

Kageyama era rimasto di spalle per tutto il tempo, mentre si cambiavano per l’allenamento pomeridiano, in modo che non si vedesse il sollievo che provava, mentre Yamaguchi aveva tenuto un resoconto minuzioso sul loro incontro. 

Ignorò l’intervento di Tsukishima che confermava il ritorno di Ikeda se lui fosse andato scusarsi, non ne aveva la minima intenzione quindi il problema non si poneva. Forse avrebbe dovuto solo cambiarsi nei bagni per qualche giorno per non sentire parlare di quella vipera fino a che non fosse scemata la cosa. Un piccolo prezzo che avrebbe pagato volentieri. 

 

 

Al terzo giorno di pausa dagli allenamenti nella pausa pranzo già non ne poteva più.
Kageyama aveva le sue abitudini e gli piaceva la sua routine, che adesso in parte era stato costretto a rivedere.
 

Stava girando in cortile per cercare un posto abbastanza appartato dove Ennoshita o gli altri non avrebbero potuto scoprirli per poi tornarci con Hinata... 

 

Ed eccolo di nuovo...lo sbattere fastidioso del moscone sul vetro, quando ormai credevi fosse morto in qualche angolo della casa e che lo avresti raccolto con scopa e paletta nel momento delle pulizie. 

 

I quattro ragazzi del primo anno al seguito di Ikeda che parlavano e ridevano tra loro, camminando verso un lato del cortile. Li osservava da lontano, dietro un muro, i ragazzi avevano iniziato a battibeccare su chi dovesse andare a prendere da bere per lei ed era stato preso da un moto di rabbia. Alla fine nessuno si era allontanato, si erano seduti e Ikeda aveva assunto una posa assurda. Avevano continuato a parlare e ridere, c’era meno rumore fuori, rispetto al corridoio del giorno precedente, quindi Kageyama capì che il discorso club non era stato accennato nemmeno in quella occasione. Ikeda aveva fatto molte domande sul periodo scolastico delle medie, non avendole vissute in Giappone, a cui i ragazzi avevano risposto con racconti più o meno divertenti. Tobio non ci trovava nulla da ridere ma Ikeda invece ci si sbellicava, restando quanto più possibile ferma dopo le richieste all’immobilità dei due ragazzi che stavano con i quaderni in mano. 

Quella complicità così naturale lo infastidiva, con lui faticavano in allenamento a spiccicare qualche parola, c’era voluto l’intervento di Hinata e Ennoshita per fargli capire che potevano avanzare richieste se non si trovavano per qualche schiacciata. 

L’alzatore sbuffò, saturo per l’ennesima volta ma almeno poteva dar fastidio anche lui a Ikeda. Fortunatamente portava sempre dei soldi in più. Si diresse senza esitazione ai distributori più vicini solo per scoprire che non avevano quello che cercava. 

Kageyama fece mente locale, la prima volta quando (con suo grande dispiacere) Ikeda aveva rimandato la palla c’erano delle monete per terra quindi forse stava andando a prendere il Qoo alla mela e la direzione portava alle macchinette in cui lei lo aveva inseguito per parlargli il giorno dopo. 

Si diresse veloce verso quel punto con un ghigno, già soddisfatto. 

Sei bottigliette, 600 Yen...Tobio li ritenne i migliori 600 Yen meglio spesi ultimamente. 

 

 

Ma Ikeda era un moscone...ed il suo sbattere sul vetro dell’esistenza di Kageyama non era terminato. A quel suono cadenzato e fastidioso si aggiunsero le richieste di Ennoshita e quelle della squadra. Richieste inizialmente calme ma continue, tanto da diventare pressanti, asfissianti, implacabili.... 

 

 
 

Kimiko stava tornando verso l’edificio principale passando per la zona delle palestre, aveva preso a fare quel giro anche di mattina restando qualche minuto davanti alla palestra femminile per poi scuotere la testa (non intenzionata a scendere così in basso da aderire alla squadra di pallavolo femminile), non sapendo ancora bene cosa farsene dell’informazione che le bottigliette gettate trasmettevano. Le sembrava comunque che tutto stesse procedendo nel miglior modo possibile, complice anche la gentilezza di base degli altri ragazzi di cui, forse, si stava approfittando. 

Kageyama aveva bisogno di arrivarci da solo alla soluzione o non l’avrebbe accettata, aveva un bicchiere mezzo pieno, ‘O mezzo vuoto...’ si corresse, si era fermato lì senza guardare l’interezza del tavolo in cui avrebbe potuto scorgere anche la bottiglia piena. ‘Vai a spiegare a uno che al momento non ha sete che c’è anche altra acqua, per dopo...per quando gli servirà. Ma no Kageyama sembra proprio un idiota che negherà l’esistenza della bottiglia fino all’ultimo, fino al momento della gola secca.’ .
C’era solo bisogno, appunto, di ricordagli che una bottiglia c’era e poi stava a lui. 

 

‘Carpe diem...’ pensò tra sé e sé salendo le scale.

 

Ikeda pensava questo della vita. Un misto tra segni del destino e nell’essere nel posto giusto al momento giusto con la sfacciataggine di cogliere qualsiasi buona opportunità. Ogni lasciata era persa, irrimediabilmente alle spalle...andata e finita. 

 

Il libro che aveva promesso di portare a Yamaguchi era stato il primo passo del suo piano, che aveva rinominato “Operazione Canossa”, per mantenere l’attenzione...e forse non ce ne sarebbe stato nemmeno bisogno visto che i senpai erano venuti a parlarle mancando comunque anche loro il nocciolo principale, e anche quello secondario che Ikeda aveva aggiunto. 

Il resto erano state casualità, fortunate opportunità su cui aveva allungato le mani...così come quella che aveva a qualche passo di distanza. 

«Ciao Hinata.» salutò il ragazzo affacciato alla finestra del corridoio, rallentando appena prima di continuare a camminare. 

«Ah Ikeda...ciao.» rispose il centrale al saluto smettendo di guardare fuori «Hai per caso visto Kageyama in giro? Non riesco a trovarlo.» spiegò roteando la palla che teneva tra le mani, poi gli venne un dubbio...dubbio a cui non voleva dar voce, dubbio che subito però fu accantonato ‘Figuriamoci se la sta cercando per scusarsi...’

Ikeda si fermò per guardarlo «No, Hinata.» sorrise immaginandosi l’alzatore intento a girare ogni distributore per cercare e buttare altro Qoo «Mi spiace,» si scusò sovrappensiero guardando fuori «alla fine non ti ho potuto fare più qualche alzata dopo l’allenamento.» 

Hinata boccheggiò, quasi gli cadde il pallone, un alzatore che si scusava per non avergli potuto fare delle alzate era una novità «Pu-puoi...poss-possiamo farle ora se vuoi...» 

«Naaah, sono stata fuori fino adesso voglio andare in classe, ho alcune partite da recuperare e vedere.» spiegò voltandosi e alzando il braccio destro per salutarlo. 

Hinata però le si fece vicino «Che partite? Dove le vedi?» 

«Tablet...i miei amici, quando lo ricordano, mi registrano le partite di pallavolo.» 

«E ora cosa vedrai?» la curiosità lo stava mangiando vivo, ma Hinata non voleva essere invadente e il “posso vederla con te?” rimase sospeso, vocalizzato solo nella sua testa. 

«Nvl inglese, sapendo il mittente ma le squadre che giocano non ho idea, non me lo ha scritto nel nome dell’allegato...» lasciò la frase sospesa per un momento guardando Hinata, non lo aveva chiesto ma lo stava gridando con ogni molecola del proprio corpo «Facciamo così, puoi vederla insieme a me ma dovrai mantenere il segreto.» 

Hinata aveva annuito con decisione già a metà frase, seguendola allegro verso la sua classe. 

«Ma perché devo mantenere il segreto?» chiese Hinata prendendo una sedia per mettersi al banco di Ikeda 

«Perchè si.» rispose in tono asciutto «Prendere o lasciare.» aggiunse mentre estraeva il tablet dallo zaino e lo accendeva. Guardò brevemente il centrale che rimase lì in un silenzio, la palla poggiata sul banco sulla cui superficie di cuoio Hinata aveva poggiato il mento. 

«Northumbria contro Middlesbrough Academy.» disse Ikeda mentre posizionava meglio l’apparecchio guardando la presentazione della partita «Due belle squadre...vedrai che fuochi d’artificio.» 

Lo guardò di sottecchi, il Mister glielo diceva spesso “Hai occhio Kimiko, tu li vedi, ne vedi la voglia e la fame. Non è così scontato questo.” 

 

  

 

 

*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

 

 

 

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Capitolo 20
*** Capitolo 19 ***


*per le parti in cui ci sarà l’italiano il testo sarà sottolineato* 

 

Tre giorni...in tre giorni e tre notti si era risolta la questione a Canossa.
Kimiko si era svegliata con quel pensiero rigirandosi per un po' sotto il piumino con il suono dello scricchiolio del materasso tra un movimento e l’altro, restando infine distesa sulla schiena a fissare il soffitto con le braccia e gambe allargate. Calcolando che quello era il loro terzo giorno...sbuffò leggermente sospettando che Kageyama non sarebbe stato così lungimirante da far finire tutto in tre giorni. 

 

 

La cosa buona di quel terzo giorno era l’educazione fisica nelle prime ore della giornata. Ikeda aveva sostituito nuovamente lo zaino con il borsone, un peso decisamente più familiare che le abbracciava la spalla, per poter portare i ricambi e l’occorrente per rinfrescarsi insieme ad un paio di asciugamani che nello zaino non sarebbero entrati. 

Buona parte delle seconde sarebbero state fuori per le attività. Non aveva idea se la classe dell’alzatore fosse di turno per educazione fisica, a dirla tutta non sapeva nemmeno che classe frequentasse. 

Le bottigliette nell’immondizia di certo non erano un segno del tutto positivo, però erano la prova che non stesse riuscendo a ignorarla completamente. Un bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto, in un equilibro precario tra lo svuotarsi e il rabboccare. 

 

 

Ikeda aveva provato nuovamente a interagire con le sue compagne di classe mentre si cambiavano, fallendo miseramente...dopo qualche parola tornavano ai loro discorsi ignorando la sua presenza nella stanza tanto che alla fine aveva desistito dal fare altri tentativi. 

Se ne era rimasta sdraiata sul pezzo di prato che risaliva dal campo in terra polverosa, le due squadre di ragazze formate da un totale di quattro classi che correvano a destra e sinistra dietro un pallone non riuscivano a interessarla. 

Se ne stava lì con un gomito piantato sull’erba a reggerla e il libro tra le mani, godendosi il tepore del sole primaverile, girando pigramente una pagina dopo l’altra con calma. 

Aprile dolce dormire. pensò la ragazza dopo l’ennesimo sbadiglio, sorpresa si aver articolato quel pensiero in italiano. 

 

«Sbadigli per il libro o la partita?» 

 

Si rigirò nell’ombra che le proiettava addosso il ragazzo che stava oscurando il sole per vedere a chi appartenesse quella voce. 

Ikeda sorrise «Nessuna delle due TsukishimaÈ il sole tiepido, restituiscimelo per favore.» rispose imbronciandosi e il ragazzo le si sedette accanto seduigo da Yamaguchi «Come stanno andando gli esercizi Yamaguchi?» chiese spostando l'attenzione sull'altro.

«Credo di non aver mai avuto la schiena così sciolta. Grazie veramente...» 

«Figurati.» tagliò corto Ikeda, rimettendosi a guardare tra le pagine per ritrovare il punto in cui si era interrotta la sua lettura. 

«Qual buon vento vi porta? Trovate interessante la partite o forse» alzò un dito facendolo muovere per la lunghezza del campo davanti a loro «l’interesse è per qualche singola persona sul campo? Perché nel secondo caso la vicinanza a un’altra ragazza non è una mossa saggia.» 

«Immagino di poter dire lo stesso, nessuna delle due.» ribatté Tsukishima. 

Ikeda tornò a osservarli mentre Yamaguchi alzava una mano «Idem.» 

«Quindi, quale buon vento?» 

«Curiosità.» rispose serafico il biondo con il solito sorrisetto stampato in volto «Come sta andando la lettura?» 

Ikeda chiuse leggermente il libro, mantenendo l’indice al suo interno, osservandone la copertina giallo ocra. Era semplice, essenziale e minimalista vi si poteva leggere il nome dell’autore, quanti haiku conteneva e nulla di più. 

Tsukishima si mosse leggermente incrociando le dita in attesa, poteva leggere sul volto della ragazza il fatto che stesse prendendo del tempo per analizzare quanto letto fino a quel momento. 

Alla fine si arrese, Ikeda chiuse gli occhi «Sai, non lo so...qualche haiku mi piace, di alcuni sento di non coglierne completamente il senso, ho provato a chiedere a mio fratello visto che lui le superiori le ha fatte e finite qui e dovrebbe averli studiati meglio di me ma non è stato d’aiuto...ha l’animo da freddo economista.» storse il naso al ricordo di Naoki alle superiori «Mi sono un po' arrangiata in questi giorni...sai c’è una corrente poetica nata in Italia si chiama “ermetismo che prende le sue radici proprio dagli haiku però le poesie sono più immediate nelle similitudini...forse dopo tanti anni mi manca il gusto letterario giapponese o forse sono, solo, diventata una snob,» alzò la punta del naso con l’indice della mano libera girandosi verso i due ragazzi e a Yamaguchi scappò da ridere «snob con la puzza sotto il naso che preferisce opere europee.» 

«Lo vuoi un occhio giapponese su qualche poesia europea che magari ricordi?» domandò Tsukishima, gratificato dalla piega che stava prendendo quel discorso. Non aveva idea di che parola avesse detto in quella lingua straniera ma il suono gli era piaciuto. 

Ikeda si prese qualche minuto, chiuse nuovamente gli occhi questa volta per scavare nella sua memoria e rintracciare quanto le serviva, con il volto rivolto al sole mentre la stava mentalmente traducendo «Ok il titolo è Soldati.» disse aprendo un occhio in direzione dei due. 

«Già siamo differenti, gli haiku non usano titoli.» disse con un tono un po' beffardo il centrale sistemandosi gli occhiali sul ponte del naso. 

«Questo lo avevo notato anche io...ok allora fa così.» si schiarì appena la voce «Si sta come...d’autunno...sugli alberi...le foglie.» 

Yamaguchi rimase confuso da quel testo «Ma non dovrebbe parlare di soldati?» 

Ikeda sospirò, era una spiegazione lunga quella che avrebbe dovuto fare «Potremmo stare ore a parlarne, come per qualsiasi poesia e opera immagino, ti riassumo il tutto alla buona. Il titolo è decisivo per la comprensione del testo che segue...il poeta la scrisse durante gli ultimi mesi di guerra mentre era locato in una zona particolarmente brutta, ha fatto questa similitudine di quello che stavano passando con le foglie sugli alberi in autunno. Sono lì ma da un momento all’altro si staccheranno dai rami per cadere in maniera inesorabile.» 

«Così come i soldati vivono in maniera precaria, sapendo che da un momento all’altro potrebbero cadere.» concluse Tsukishima dopo un momento. 

Ikeda annuì sollevando gli angoli delle labbra «Tsukishima sei diventato snob?» 

Il centrale tenne lo sguardo fisso sul campo davanti a sé, senza concentrarsi su nulla di specifico, la domanda non esigeva una reale risposta lo aveva intuito dal tono scherzoso con cui era stata formulata. 

Anche Yamaguchi se ne stava in silenzio ma il suo sguardo, rivolto verso lo stesso campo, si spostava da destra a sinistra segno che alla fine aveva trovato qualcosa (qualcuna) che lo interessasse. 

 

«Sei insolita Ikeda.» 

 

Ikeda non riusciva a cogliere con che accezione intendesse quella parola, non c’erano sfumature in quella affermazione che le permettessero di sbilanciarsi da un lato o dall’altro. Yamaguchi doveva pensarla alla stessa maniera perché si era riscosso e nel dubbio gli aveva mollato una gomitata «Tsukki...» 

Aveva riaperto il libro «Non ho capito se lo hai detto in senso positivo o negativo, ad ogni modo grazie. Forse sarai sempre l’unico a essere così diretto.» prese un foglio tra due dita accarezzandone la carta prima di voltare pagina «E’ una cosa che mi manca da quando sono tornata in Giappone...le persone dirette...ti posso chiamare Tsukki?» 

«Positivo e preferirei di no.» rispose ‘Si decisamente insolita, passa da profonde riflessioni a frivolezze in un lasso di tempo davvero breve. Io sarò diretto ma lo è altrettanto considerando quello che è successo in allenamento.

Ikeda socchiuse le palpebre imbronciandosi «Di tanto in tanto? Saltuariamente?» insistette riportando l’attenzione sui due ragazzi «Yamaguchi fissiamo un quantitativo da dire giornalmente di “Tsukki” e dividiamocelo. Facciamo 5-1 visto che siete amici da molto più tempo.» 

«5-1 mi sembra onesto.» disse divertito Yamaguchi, trascinato e complice in quella richiesta. 

«A me sembra di aver detto no.» 

«Hai detto “preferirei di no”» lo corresse «Non sei stato diretto nel momento decisivo mi spiace.» continuò con tono giocoso «Colpito e affondato. Siamo in maggioranza qui, due contro uno. Vero Yamaguchi?» 

Il ragazzo lentigginoso aveva annuito, sicuramente dopo Kei lo avrebbe rimproverato ma adesso era terribilmente divertito nel vederlo in difficoltà. 

Abbastanza da tentare di cambiare discorso, in parte rassegnato al pensiero di poter passare sopra ad uno “Tsukki” giornaliero, un pagamento sicuramente esiguo. Evidentemente o non aveva imparato nulla dal fratello economista o nemmeno lui era questo granché in termini d’affari. 

Tsukushima provò a cambiare discorso «Ti spiace se ti mando anche io richiesta su Facebook? Nishinoya ha fatto intravedere qualcosa dal suo telefono ieri ma si soffermava più che altro nelle foto con le tue amiche. Mi era sembrato di vedere dei quadri, immagino che abbiate fatto visite anche in qualche museo.»  

Ikeda annuì prima di sgranare gli occhi con un leggero brivido «Non ha fatto vedere altro vero...? Tipo i messaggi su Line...» 

«Vi siete scambiati i numeri? Povera te non sai che tormento sarà, è tra quelli che intasa sempre inutilmente la chat del club. No comunque ha gironzolato solo sul tuo profilo davanti gli altri.» Tsukishima accennò un sorrisetto sarcastico «Forse ti interesserà sapere che Kageyama non ha aperto bocca nemmeno per ricordare che sei una stupida modella. Non che il giudizio del Re sia rilevante...come già detto non per noi.» 

Ikeda lo guardò dritto negli occhi superando quella barriera trasparente fatta di vetro, la distanza che Tsukishima metteva tra sé è il resto del mondo, per questo non aveva mai ceduto all’uso delle lenti a contatto. 

Quel “noi” era stato un po' troppo enfatizzato per i suoi gusti. 

«Interessante cosa credi sia rilevante o meno e per chi...» sussurrò continuando a guardarlo negli occhi senza scomporsi, tenendo un tono amabilmente colloquiale. 

«Non trovi rilevante il suo giudizio ma senti la necessità di chiedere un permesso a me? Non ti serve comunque.» continuò a guardandolo di sbieco «Mandala.» aggiunse dopo un breve momento. Scostando dal viso alcune ciocche di capelli sospinte dal vento si alzò per guardare meglio l’altro ragazzo «Yamaguchi mandala anche tu, se vuoi, dopo le accetto entrambe.» 

«Ah sì ok...ma senti come mai alcuni video non si vedono ma altri si?» non cogliendo il momento di tensione tra i due. 

Sul viso di Ikeda tornò il sorriso spensierato. 

«Alcuni contenuti sono bloccati per il Giappone serve un programma per poterli vedere. Quelli che vedi sono o i lavori che facevamo a scuola; video stupidi che facevamo tra noi per ricordo e gli altri sono lavori di un nostro compagno di scuola che stava mettendo in piedi la sua azienda di produzione video e gli davamo una mano. Sarà strano da dire per una stupida modella ma era più divertente fare la video maker e stare dietro l’obbiettivo. Diciamo che in un futuro, dalla strada incerta, grazie a quelle esperienze ho messo da parte competente utili, dovesse andare male il piano A, quando avrò scelto quale sarà quello A, ho varie alternative tra cui quella.» 

«Il piano A non è la modella?» domandò Yamaguchi. 

«Per carità certo che no...cosa dovrei fare dopo i 25 anni? Quelli sono soldi facili, che posso fare adesso quando ne ho voglia e tempo. Preferisco avere un piano che mi sistemi su un periodo di tempo molto più lungo dei miei 25 anni.» 

«Com’è, allora, che sei finita davanti l’obbiettivo a maltrattare quei tre ragazzi in video? Ammetto di non averne capito il senso.» si intromise Tsukishima, forse ancora piccato dallo scambio di prima. 

Ikeda si stese completamente sul prato portando il braccio che l’aveva sostenuta fino a quel momento dietro la testa e il libro sulla pancia. «La vena snob ti deve già essere passata. Forse non lo hai capito perché non hai compreso il testo...l’ascolto dell’inglese dovrebbe essere migliorato nel piano di studio.»  

Chiuse gli occhi, Ikeda ricordava solo sprazzi di quella canzone, il ritornello e qualche strofa che le era rimasta in testa per settimane, iniziò a canticchiarne il ritmo a labbra chiuse muovendo il piede allo stesso ritmo ‘Sarà orribile in giapponese ma proviamoci.

 

Fece un respiro..... «Fa più o meno così….

                                                                        Mmmh mmh Vorrei cercare di contare 

                                                      Mmmh Quelle cose strane che fai  

                                          Vorrei Cercare di contare 

                 Anche se il tempo spegne quello che sei.... 

                                                                   Uoo oooh Mi manchi come un dispiacere 

                                                     Come il divano quando hai passato fuori un mese 

                                        Come il tempo con le cose 

                   Le sporchi in fretta se non sono nuove Mmmh mmh 

                                                                Cosa succederebbe se il tempo si fermasse 

                                    Ma il tempo non si ferma come non ti fermi tu...» 

 

Rimase con gli occhi chiusi continuando per qualche secondo quella melodia. 

«Sono finita davanti l’obbiettivo perché trovavano appropriato che il “tempo” fosse rappresentato da una giapponese, popolo universalmente noto per la sua calma. Alcuni ci vedono questo nel tempo ma bisogna anche essere obiettivi: il tempo ti cambia come ho fatto tagliando i capelli al ragazzo; il tempo ti trasforma e non sai cosa bene cosa ne uscirà da quel miscuglio rappresentato dalle vernici e alla fine ti costringe e ti limita come rappresentato dal ragazzo avvolto nella pellicola. Ti maltratta, come hai detto tu, e ti dà contro...ma comunque è lì che ti abbraccia.» 

La voce di Tsukishima le arrivava ovattata «Decisamente snob.» 

«Insolita snob.» scherzò Ikeda, rabbrividendo al rivolo d’aria che passando piega i fili d’erba attorno a loro. 

 

 

Qualcuno doveva essersi nuovamente avvicinato togliendole il sole, da dietro le palpebre chiuse non c’era più quella luminosità. 

«Ikeda?» 

La ragazza aprì un occhio sentendosi chiamare, scrutando la ragazza davanti a loro, ferma a bloccarle la luce. 

Ikeda la riconobbe come qualcuna della sua classe, fece mente locale mettendoci un po' a collegare il cognome a quel volto. 

«Dimmi, Maeda.» 

«Ikeda, tu hai detto di aver vissuto in Italia giusto?» 

Annuì senza muoversi, scambiando uno sguardo perplesso con Yamaguchi e Tsukishima. 

«Sai giocare a calcio quindi...» la ragazza andò avanti nel chiedere quello che le interessava davvero non aspettando conferma «Giocheresti nel secondo tempo? Stiamo perdendo ma vorremmo non finire, almeno, a 0 la partita.» 

Ikeda si mise seduta con in testa un’unica parola ‘Opportunità...’, squadrò meglio la ragazza ‘...varie opportunità!

«Esattamente di quanto state perdendo?» domandò 

«Due a zero...» 

Ikeda tamburellò le dita sul libro...45 minuti, valutò che poteva farcela guardando il campo vuoto, le ragazze chissà dove...forse a bere. 

«Facciamo che ne faccio tre di goal.» disse seria guardandosi le unghie mentre con il pollice ne saggiava la lunghezza «E poi non permetterò più alla palla di avvicinarsi troppo alla rete.» continuò prestando più attenzione alle sue unghie che alla ragazza in piedi che le faceva ombra «In cambio le ragazze della nostra classe che stanno giocando copriranno i miei turni di pulizia, uno a testa.» 

La nuova arrivata sbuffò «Non è possibile farne tre, sarà già un miracolo farne uno.» 

Ikeda alzò lo sguardo «Lo hai detto tu...sono stata in Italia quindi so giocare a calcio. Facciamo che se non ne faccio più di uno allora sarò io a coprire i vostri turni.» 

Maeda soppesò quella proposta e decise che valeva la pena rischiare «Va bene.» acconsentì «Riprendiamo tra 10 minuti.» disse allontanandosi. 

 

Tsukishima dovette ammettere con sé stesso di aver sbagliato, Ikeda sapeva essere una fredda economista, se fosse stata una manovra azzardata, tutto fumo e niente arrosto, lo avrebbe scoperto nei prossimi 45 minuti. 

«Ikeda ma che hai fatto? C’è ne sono un paio del club di calcio nell’altra squadra.» gli fece presente Yamaguchi. 

Alzò brevemente lo sguardo sul ragazzo, che sembrava seriamente preoccupato della sua sorte, e si fece una sana risata. 

«Sono stata in Italia no?! Diciamo che qualcosa l’ho imparata per osmosi.» 

Prese il segnalibro che spuntava appena tra la copertina e le prime pagine dove lo aveva riposto per riposizionarlo tra le pagine in cui non era più riuscita a riprendere la sua lettura «Tenetemi il libro per favore.» disse passandoglielo. 

Si fece seria iniziando a tirarsi su i capelli per legarli in una coda alta, poi passò ad arrotolare i pantaloni rosso scuro della tuta scolastica facendoli arrivare sopra le ginocchia. Si alzò con calma battendo le mani sul sedere, scrollandone via la possibile terra che poteva esserci rimasta. 

Iniziò a riscaldarsi sotto lo sguardo ancora preoccupato di Yamaguchi e quello indifferente Tsukishima. 

 

  

 

 

*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

 

 

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 20 ***


8 Gennaio 2012 domenica, Basildon Inghilterra (40 km da Londra)  

 

Freddo porco...

 

Era le uniche due parole che Kimiko aveva in testa in quella distilleria (?), magazzino (?) o rimessa (?) in cui il gelo faceva da padrone. Luogo perfetto che Oliver gli aveva segnalato in cui stavano girando senza problemi, sempre grazie a Oliver e ad un passa parola di amici. 

Tutta la giornata era stata programmata minuziosamente...e come qualsiasi cosa programmata aveva subito alterazioni, accorgimenti, sistemate qui e lì. 

 

-07:30, Ritrovo alla fermata metropolitana di London Fields, caricamento delle macchine con le attrezzature. Orario rispettato. 

-07:45, Partenza. Orario sforato di 20 minuti cercando di incastrare persone e attrezzature in un improbabile tetris negli spazi delle vetture che a differenza del tetris però non liberavano spazio quando tutta la fila era stata occupata. 

-08:03, Partenza. 

-08:35, Arrivo a Basildon.

-08:57, Arrivo a Basildon. Orario sforato per il ritardo precedente a cui aggiungere altri 10 minuti per trovare la strada per il luogo del set. 

 

-09:15, Arrivo su quello che sarebbe stato il set. 

(-09:33, Scesi e felici come se fossero arrivati alla terra promessa.) 

 

I proprietari del luogo, due simpatici anziani, li avevano accolti e aperto per farli sistemare. Più tardi vedendo che la cosa sarebbe andata per le lunghe erano stati anche i loro salvatori dall’ipotermia, offrendo loro coperte a cui la band aveva aggiunto l’acquisto di qualche birretta. 

James si era messo subito a dare istruzioni su come montare le luci, quindi ci si divideva tra quello, l’iniziare a preparare le fotocamere e tutto il resto. 

 

-09:00, Inizio riprese. 

-10:12, Inizio riprese. 

 

La mattinata era passata facendo riprese singole dei tre ragazzi, seduti a turno su una sedia il cui posto era stato segnato con dello shock per non dover riprendere il fuoco delle fotocamere di volta in volta. Più riprese dei tre ragazzi pre-intervento del “tempo” su di loro. 

 

Freddo porco... 

 

Più li guardava in quelle magliette bianche a maniche corte più Kimiko rabbrividiva, sistemandosi meglio la coperta sulle spalle con la mano che non reggeva la fotocamera destinata a svolgere il ruolo di seconda camera, presto o tardi avrebbe dovuto cedere a qualcun’altro l’apparecchio. 

Che diavolo stavano pensando quando hanno scritto il video? 

Poi era arrivato anche il turno delle sue riprese iniziali. Kimiko aveva rinunciato alla coperta al giaccone e alla felpa calda, rimanendo in maglietta nera aderente abbinata ai jeans neri. 

Si era messa dove James le aveva indicato dandole dei guanti in lattice neri da indossare. 

Le passavano attorno in cerchio, registrando, mentre li infilava alle mani con l’espressione più inespressiva che il suo volto le consentisse. Inespressività che si erano raccomandati di dover restare uguale per tutto il girato della giornata, cosa facilitata dal freddo che le aveva immobilizzato qualsiasi movimento facciale. 

 

Freddo porco...

 

Il primo ragazzo con cui avrebbe dovuto svolgere le riprese si era seduto di nuovo sulla sedia, posizionata al centro perfetto dello shock. 

Da copione Kimiko doveva raderlo a zero, quindi, al via aveva alzato la macchinetta per farla inquadrare e aveva iniziato a tagliargli i capelli. Pian piano il pavimento si riempiva di ciocche mentre loro due ignoravano le persone alle riprese. 

Volto inespressivo lei, qualche smorfia di dolore lui quando la macchinetta passava con più forza su alcuni punti. I capelli non potevano ricrescere e quelle riprese non si potevano rifare quindi entrambi si attenevano a quello che gli veniva detto, tra uno stop e l’altro, nel modo più ligio possibile, tirando un sospiro di sollievo quando gli rimettevano le coperte addosso. Peter si avvicinava svelto, ne teneva addosso due per tenere in caldo quella che poi metteva sulle spalle di Kimiko mentre la abbracciava per velocizzare la ripresa della temperatura corporea in modo che non fosse vicina allo stato cadaverico. 

 

Freddo porco... 

 

-12:00/12-30, Inizio pausa pranzo.

-14:48, Inizio pausa pranzo...pranzo freddo con dei sandwich imbottiti di roast beef (pessima scelta di vita, sia per il pranzo freddo sia perché il roast beef era pieno di calli e nervi) più acqua e birra a temperatura ambiente, quindi entrambe fredde. Tutto consumato con foga e velocità. 

-15:10, Fine pausa pranzo. Concessione di 10 minuti extra per fumare ed espletare le funzioni corporali. 

-15:20, Ripresa delle riprese.  

(15:30, per alcuni, causa pranzo freddo...pessima scelta di vita)  

 

Freddo porco...

 

Più o meno le riprese si erano svolte allo stesso modo ma con altro componente della band seduto. 

Kimiko lo doveva avvolgere nella pellicola da cucina. I guanti in lattice però le davano impaccio con la pellicola che non riusciva a tirare bene. Avevano quindi preso un tubo infilandolo nel rotolo di pellicola, tenendo il tubo invece che il rotolo era molto più facile srotolare quella plastica trasparente. 

Lo invidiava, mentre la pellicola avvolgeva il suo corpo, immaginando che quegli strati trasparenti facesse un minimo di barriera e intrappolasse il tepore corporeo. Kimiko era stata attenta a non stringere, in modo esagerato, sulla testa e aveva lasciato la bocca libera per farlo respirare come stabilito. Il problema era che gli strati di pellicola lo avevano reso mezzo sordo quindi nel momento in cui doveva scuotersi, come da copione, perché lei gli dava contro lui non reagiva quindi si era messa a urlare, urlare forte strattonandolo per le spalle. 

L’alternativa di dare qualche scossone insieme alle urla era piaciuta, diventando una scena visiva più forte, soprattutto perché dopo doveva abbracciarlo con calma...il volto inespressivo. 

 

Freddo porco...

 

Fecero sedere nuovamente il primo ragazzo, adesso, pelato e rigirano l’ultima parte con quell’aggiunta. Kimiko urlava, meno forte, ad un niente dal suo viso come la loro prima ripresa ma in più lo scuoteva e lo strattonava. 

 

-16:52, Il nonnino aveva intimato che alle 17:00 avrebbero dovuto fare pausa perché la moglie stava preparando del tea anche per loro. 

-16:54, James venne zittito dal nonnino che gli ricordava quanto fosse sacro il tea delle 17:00. 

-16:58, Ingresso dei vecchietti. La nonnina con un vassoio su cui erano adagiate due teiere fumanti, una quantità di tazze esagerate con altrettanti cucchiaini e la zuccheriera. Il nonnino con un pentolino di latte riscaldato e una scatola di latta con i biscotti. 

-17:00, Pausa tea. 

 

Freddo porco...

 

Kimiko avrebbe preferito il limone nel tea, ma non voleva discutere con i due anziani che erano stati così gentili, il latte le avrebbe dato energie ma proprio non lo sopportava nel the. Peter le si era avvicinato con la birra in mano, senza farsi vedere dai vecchietti ne aveva messo un po' nelle loro tazze facendo l’occhiolino. 

Bevvero entrambi il primo sorso ridendo per poi guardare disgustati il contenuto delle tazze...altra pessima scelta di vita ma almeno era qualcosa di caldo. 

 

Freddo... 

 

-17:12, Fine pausa tea. Ringraziamenti ai nonnetti che tornarono alle loro faccende. 

-17:14, Ripresa del girato. 

 

L’ultimo componente della band si era accomodato sulla sedia. Kimiko accanto a sé aveva due tavolini la cui superfice era occupata con dei bicchieri di plastica pieni di vari colori in acrilico diluiti. Non aveva una scala di colori a cui dare la precedenza quindi semplicemente li afferrava in maniera casuale prima di rovesciarli in testa dall’alto al ragazzo seduto, altri li schizzava di lato. 

Kimiko si sentiva un po' Pollock tranne che bicchiere dopo bicchiere le dita iniziarono a intorpidirsi. Il colore era stato diluito con acqua fredda. Pessima scelta di vita. 

 

Freddo porco...

 

Avevano cercato di velocizzare. 

Kimiko gli aveva urlato contro poi aveva tolto la vernice, che ricopriva il viso del ragazzo, in maniera affettuosa come le avevano detto di fare. Ultima carezza sulla guancia, come le era stato detto e poi l’abbraccio. 

Allo stop della voce dietro le luci, quell’opera vivente d’arte astratta si mise a tremare come una foglia non più costretto all’immobilità per la registrazione. 

 

-19:54, Fine riprese. 

-19:58, Brindisi con le birre rimaste. 

-20:05, Pulizia del set, dell’opera su due gambe creata da Kimiko e di Kimiko leggermente impiastricciata anche lei dalle vernici dopo l’abbraccio. Smontaggio delle attrezzature. 

-20:23, Riconsegna delle coperte, ringraziamenti a non finire per i due anziani mentre si ricaricavano le attrezzature nelle macchine. 

-20:30, Ritorno verso Londra. 

-22:16, Kimiko finalmente a casa, la vasca con i piedini che le piaceva tanto piena dell’acqua calda con cui si stava per fare il bagno. Il corpo dolorante per il freddo e la testa leggera...forse per qualche sorso di birra di troppo. Allegra. Al mattino l’allegria sarebbe stata sostituita da un leggero cerchio alla testa. 

 

A fine mese si sarebbe tenuto un piccolo concerto della band in un locale per presentare le nuove canzoni. 

I ragazzi l’avevano invitata per partecipare e Kimiko si sarebbe ritrovata con quella maglietta nera e i guanti neri a dover scansare le persone per raggiungere il palco alle prime note della canzone di cui anche lei era finita per essere arte integrante. 

Il cantante le avrebbe teso la mano per aiutarla a salire mentre il chitarrista si sarebbe preoccupato di sistemare la sedia su cui sarebbe stata per la durata della canzone. Il volto inespressivo a scrutare il buio, dovuto ai faretti che la accecavano, della sala. 

Tre minuti e mezzo di nulla svuotando la mente da qualsiasi pensiero. 

A fine canzone Kimiko sorriderà all’applauso delle tenebre. 

 

 

 

 10 Aprile 2013 mercoledì, Karasuno.

 

Ikeda se ne stava con il viso rivolto al sole, le mani sulla testa in mezzo al campo di terra, stava guardando le nuvole che si spostavano alla ricerca di qualche forma, ne aveva vista una che le ricordava un elefantino con l’aggiunta di ali. Poi le era passata accanto una ragazza con il pallone... 

 

 

Kageyama si era fermato quando aveva visto Yamaguchi e Tsukishima seduti vicino a lei. A interrompere quella disturbante discussione era stata un’altra ragazza che dal campo si era avvicinata a loro, Ikeda si era rizzata subito, avevano parlottato un po' e poi Kageyama l’aveva vista legarsi i capelli e alzarsi per iniziare a riscaldarsi...con metodo, in modo attento di chi è abituato a farlo, i pantaloni arrotolati sopra le ginocchia. 

E adesso se ne stava lì, in quel punto del campo, più interessata a chissà cosa. 

Perfettamente cretina. 

Sentenziò nella sua testa per mettere a tacere i sussurri della voce di Ikeda, che tornavano prepotenti a farsi sentire quando gli capitava di vederla o quando qualcuno gli ricordava della sua sgradevole esistenza. 

«Perfettamente idiota.»  

Non c’era nessuno al suo fianco ma sentì il bisogno di dirlo anche a voce, in un tentativo di riempire ogni angolo dentro e fuori di sé, sostituendo il suono della voce di Ikeda con la propria. 

Poteva andarsene, poteva non restare lì a guardare quella stupida partitella di quello stupido sport. Intanto era rimasto, sempre a distanza tra la sorpresa di dei suoi compagni di classe che riconoscendolo si erano avvicinanati e gli avevano chiesto se finalmente avesse scoperto le gioie nella vita. 

Di quali gioie parlassero e intendessero Tobio non ne aveva idea, quindi aveva liquidato quella domanda con uno sguardo gelido che aveva fatto passare qualsiasi voglia di fare conversazione, facendo allontanare i ragazzi. 

Stava lì, in un posto discreto e riparato a debita distanza a fissare quella figura che a sua volta stava lì impalata...impalata fino a quando una ragazza con il pallone tra i piedi le passò vicina. 

Kageyama aveva guardato Ikeda abbassare le braccia lungo i fianchi mentre come una forza invisibile la tirasse verso sinistra, aveva staccato il primo piede da terra quando il corpo era ormai in bilico per la gravità iniziando a correre all’inseguimento della ragazza col pallone. 

Aveva guadagnato terreno su terreno fino a raggiungerla. 

 

 

Ikeda aveva raggiunto il suo obbiettivo, allungando il piede destro con un ultimo saltello, iniziando anche a girare il busto, mettendo una mano sul terreno per sostenersi e non finire completamente a terra e al contempo difendere con il corpo la palla appena ottenuta, non permettendo all’avversaria di recuperarla prima di lei. La palla tra i piedi calciata ad una distanza ragionevole da raggiungere a grandi falcate ma non troppo lontana da non poter intervenire. 

 

 

Il senso di marcia era stato capovolto, invertito da quella azione. Tobio la vedeva correre verso destra, non aveva guardato in basso nemmeno un secondo per controllare dove fosse la palla. I primi metri li aveva fatti semplicemente in corsa sostenuta. L’altra ragazza, forse, per la sorpresa non era riuscita a raggiungerla quindi c’era distanza tra le due. 

 

Correva guardando davanti a sé, non aveva idea di chi tra quelle ragazze facesse parte del club di calcio. Il primo goal doveva farlo velocemente. 

Ikeda fece finta di voler andare verso la sua destra e quando la ragazza davanti si spostò di conseguenza con l’interno del piede destro calciò la palla diagonalmente a sinistra e accelerò la corsa per riprendere la sfera e portarsi verso la rete ormai vicina. 

 

 

Che era fastidiosamente atletica e ben allenata questo Kageyama lo aveva già capito, quella constatazione non l’avrebbe mai fatta ad alta voce. 

I tempi di reazione che mostrava anche lì, con la palla tra i piedi, erano gli stessi con cui reagiva quando il gioco si svolgeva in aria. Aveva aumentato la corsa per un pezzo poi quando c’era stato un nuovo ostacolo a pararsi davanti, dopo essersi liberata già di un avversario, era rimasta un momento a studiare la ragazza muovendosi verso sinistra e destra per scegliere da che lato passare...l’aveva fregata calciando la palla per farla passare tra le gambe della ragazza che era rimasta imbambolata mentre, già, Ikeda la aggirava e con un potente calcio aveva infilato la sfera nell’angolo in alto della rete. In un modo quasi perverso poteva sentire la frustrazione e lo smarrimento che Ikeda aveva lasciato dietro di sé con quella azione. 

 

 

Inspirando dal naso ed espirando dalla bocca lentamente, Ikeda ferma davanti la porta era rimasta a fissare la rete che ancora vibrava per il colpo. Si era girata per tornare al suo posto in quel campo, tutto il percorso fatto in una corsa leggera, tenendo alzato il braccio e facendo svettare l’indice verso l’alto. In una silenziosa conta per le sue compagne. 

 

 

Erano passati una decina di minuti dalla prima rete. Tutto il tempo era trascorso in un continuo rubarsi la palla. Ogni volta che le toglievano la palla la parte peggiore di Kageyama esultava. 

Un mezzo sorriso aveva fatto capolino dopo che una ragazza, entrata in scivolata, aveva fatto finire a terra Ikeda rotolando, cosa che comunque non l’aveva fermata dal rimettersi in piedi, in quella nuvoletta di polvere che si era sollevata, all’inseguimento per riprendere la palla. 

Nel frattempo non troppo distante da lui il chiacchiericcio di un gruppetto di ragazzi che si era formato aveva attirato la sua attenzione, più che attirato lo stavano disturbando dal suo personale divertimento nel vedere Ikeda a terra che non riusciva più a spuntarla. 

Se il giudizio di Kageyama non fosse stato viziato avrebbe potuto capire perché la ragazza si fermava, rallentava...regalando in modo molto subdolo una finzione di controllo che però non cedeva mai realmente. 

 

 

«Quindi è lei quella trasferita del secondo anno?» 

«Da dove hai detto che si è trasferita?» 

«Periodo all’estero poi Prefettura di Nagano, ha detto la città ma non la ricordo.» 

«Cavolo la vorrei io una così nella mia classe. Smetterei di dormire durante le lezioni. Forse per pranzo passerò più spesso da te. Dimmi un po' com’è da vicino? Da qui sembra abbastanza graziosa.» 

«Come vuoi che sia? Meglio che vederla da qui...sta un po' sulle sue e ogni tanto ha un’aria trasogna che la rende ancora più carina, no più che carina ha proprio fascino e poi gli occhi...» 

«Che hanno gli occhi?» 

«Più che gli occhi lo sguardo forse, sempre così sicuro, intenso da farti sentire disarmato...e che sorriso. A dire il vero ogni mattina sorride a tutti man mano che entriamo in classe senza nasconderlo, anche alle ragazze che si limitano a salutarla e per il resto della giornata non la degnano di considerazione anche se tenta di scambiarci due parole.» 

«Ma come? Perché?» 

«Eh glielo abbiamo chiesto, una volta in pausa pranzo quando Ikeda è uscita dall’aula. Hanno detto che siamo degli ingenui, dei cretini e che lei è solo una sciocca in cerca di l’attenzione. Poi hanno aggiunto che l’avevano già inquadrata dopo i primi giorni quando le avevano fatto qualche domanda. Quando abbiamo detto che forse stavano esagerando ci hanno accusato di prendere le sue difese. Mi sorprende che l’abbiano invitata a giocare.» 

 

 

 

Era un buon momento per la seconda carica, Ikeda aveva lasciato spazio all’altra squadra cercando di capire chi tra loro praticasse calcio, non avendo avuto tempo per chiederlo prima. 

Individuate le ragazze, che la dividevano dalla sua ricompensa, aveva continuato a rubare del tempo guadagnando il controllo saltuario della palla passandola anche alle ragazze della sua squadra che via via si erano fatte più convinte nel correre anche loro in avanti verso la rete. 

Ikeda aveva preso la rincorsa puntando al momento del contatto in scivolata qualche metro più avanti, sull’altro lato del lungolinea dove l’avversaria stava portando la palla, tirando un breve sospiro di sollievo per non essere finita calpestata come un tappeto mentre si rimetteva in piedi vedendo la palla tra i piedi di una ragazza della sua squadra. Macinando quei metri di corsa l’aveva raggiunta e superata. 

«Passa! Passa!» 

 

 

Sconsiderata. 

Kageyama, finalmente, era riuscito a sostituire quel “fastidiosa” nella sua mente. L’aggettivo con cui aveva qualificato la ragazza. 

Con quel pensiero fugace, Kageyama, si era voltato per andarsene pensando che la partita sarebbe stata interrotta e avrebbero portato Ikeda piena di lividi in infermeria. Il vento invece aveva portato tra i suoi soffi una parola urlata a gran voce, una parola che aveva lo stesso sentore fastidioso di “toccata” ... sentita oltremodo durante gli allenamenti. 

Si girò di nuovo cercando con lo sguardo il punto in cui presumibilmente Ikeda doveva essere e terra solo per constatare che nel tempo impiegato per girarsi la ragazza era scattata in avanti, anche troppo velocemente perché la palla le stava per passare dietro le spalle... 

 

 

Troppo slancio, troppa rincorsa, troppa velocità...campo diverso, lunghezze diverse. Le incitazioni di Yamaguchi l’avevano distratta, non voleva essere una scusa ma era successo ed era troppo in avanti rispetto a dove le stavano passando la palla. Tentò di improvvisare provando con un tuffo in avanti sperando di riuscire a direzionare la palla con il tallone. 

Here goes nothing...*o la va la spacca*

 

 

Fastidiosa. 

Niente da fare quell’aggettivo tornava prepotente, si concretizzava e cementava, incastrandosi perfettamente nella mente di Kageyama vicino all’immagine di Ikeda, scalzando qualsiasi altra parola cercasse di metterle addosso. 

Il fatto che quel tuffo fosse stato fatto in maniera schifosa non compensava il sangue freddo che Ikeda aveva tenuto nel recuperare la situazione in un momento sfavorevole. 

La palla, con un arco, era volata dentro la rete...il gruppetto di ragazzi accanto a lui si era fatto più numeroso, Kageyama se ne era reso conto per il volume delle esaltazioni di quel goal. Non si era girato, aveva incrociato le braccia continuando a fissare Ikeda, gli serviva vedere uno sbaglio...uno qualsiasi per poter cancellare quell’irritazione. 

 

 

«Che botta di culo...» 

Sussurrò piano Kimiko tra i denti, in ginocchio mentre guardava la ragazza in porta con ancora una gamba spostata e il corpo proteso verso il punto in cui la palla era passata. 

«Stai bene?» 

Quella domanda seguita da una mano sulla spalla la riportarono al presente fissando la ragazza al suo fianco. 

«Stai bene?» chiese nuovamente indicando il mento di Ikeda, che con il dorso della mano strofinò quella parte. Era solo pieno di polvere constatò guardandosi la mano mentre muoveva la mascella. 

«Si, grazie. Tutto bene.» rispose rimettendosi in piedi e alzando il braccio segnando un due con indice e medio, scuotendo con l’altra la maglietta per spolverarla dalla terra. 

 

 

Era iniziato nuovamente quel balletto fatto da azioni mirate ad ottenere il controllo della palla, durato un lasso di tempo esageratamente noioso. 

Kageyama non era sorpreso, infastidito invece sì, dal fatto che cercassero di passare dall’altra parte del campo per evitare Ikeda. 

 

 

Doveva fare l’ultimo sforzo considerevole, ragionò Ikeda, poi si sarebbe potuta rilassare. Aveva inframmezzato il tempo fino a quel momento giocando al gatto e al topo, ormai aveva ben chiaro chi evitare il problema era che anche le ragazze che aveva bollato per calciatrici del club stavano facendo il possibile per evitarla. 

Dal canto suo, però, Kimiko fino a quel momento per smarcarsi aveva fermato il pallone. 

Iniziò a correre per inseguire la ragazza che stava portando la palla verso la loro rete, voleva chiudere il contratto con un’unica azione senza tagli, liscia e diretta. 

Prima cosa confondere. pensò raggiungendo la ragazza e sorpassandola bloccandole il passaggio, spostandosi come lei specchiando i suoi movimenti. Fece uno scatto verso destra e l’altra si sentì abbastanza sicura nel poter passare la palla alla sua compagna sulla sinistra...ed ecco l’occasione. 

Con due ampie falcate tornò indietro per intercettare la palla prima che l’altra ragazza potesse prenderla, iniziando a correre. 

 

 

Momentaneamente distratto dal continuo ciarlare del gruppetto di ragazzi su Ikeda l’alzatore aveva perso parte dell’azione. 

Aveva fatto, appena, in tempo a rintracciare la palla in quel disordinato gruppo di ragazze solo per vederla, con orrore, già tra i piedi dell’ideale personificazione che Tobio accomunava al fastidio. Stava guadagnando terreno in una corsa fluida, alle volte tornando indietro trascinando con sé la palla a cui dava saltuariamente direzioni assurde.  

 

La folla intorno era snervante mentre si avvicinava alla porta in cui doveva segnare. Ikeda guardò brevemente gli alberi, nel campo non arrivava un rivolo di vento troppo coperto essendo in una zona più bassa rispetto al resto della struttura scolastica. 

È alle mie spalle...ottimo. 

Stava per arrivare una delle due calciatrici in scivolata per levarle la palla, Ikeda portò il piede destro davanti la palla agganciandola con il piatto del piede sinistro sbilanciando il corpo in avanti iniziando a trascinare sul retro della gamba destra la sfera con il piede sinistro colpendola infine col il tacco del piede destro mandandola più in alto possibile lasciando che il vento allungasse l’arco della ricaduta. 

 

 

Si era creato un momento di silenzio nel gruppetto di ragazzi, anche Tobio era rimasto ammutolito ma per un motivo differente. 

Ikeda aveva fatto schizzare la palla in aria in un modo incomprensibile e poi era scattata molto più velocemente rispetto al ritmo della corsa precedente, solo a pochi metri dal punto in cui stava ricadendo la palla aveva visto la ragazza alzare brevemente lo sguardo per poi effettuare un nuovo sprint culminato con un salto. 

Quello che aveva ammutolito l’alzatore era stato proprio quello e le mani tese e pronte ad una ipotetica alzata. 

 

 

La palla in aria Kimiko la trovava estremamente bella, aveva perso il conto di quante ne aveva alzate di simili quando doveva ricalcolare, formulare di nuovo i progetti e quello che aveva in mente perché il vento ci si metteva di mezzo. 

Inconsciamente aveva saltato mettendo quanta più forza possibile per arrivare all’elevazione maggiore che poteva, nonostante il campo polveroso, solo in aria mentre la palla scendeva e la vedeva tra la finestra delle mani ricordò che sport stava facendo. 

Abbassò immediatamente le braccia, maledicendosi anche mentalmente, e colpì di testa. 

L’ombra di un sorriso gongolante era comporta sul suo viso mentre alzava il braccio e muoveva pollice, indice e medio a segnare un evidente tre. 

 

 

Kageyama decise che ne aveva avuto abbastanza e se ne andò. 

 

 

Ikeda era stata di parola il resto del tempo, fino alla fine di quei 45 minuti che fortunatamente erano già agli sgoccioli, li aveva passati a muoversi il meno possibile intervenendo solo quando la situazione diventava sfuggevole per le ragazze nella sua squadra. 

«Ehi tu, fenomeno, non sparire quando finiamo qui.» le disse una delle due tra un’azione e l’altra. 

Appena le passavano la palla faceva qualche finta, stuzzicava le due calciatrici che però si erano esaltate e in fin dei conti si stavano divertendo. 

 

Ikeda accolse il fischio finale con un sospiro sollevato avvicinandosi alle sue compagne.

«È andata bene...è stato divertente.» mentì, non sul fatto che fosse andata bene ma sul divertimento. 

«Si bene grazie...immagino tu sia venuta a ricordarci dei turni.» disse stizzita Maeda «Non ti preoccupare. Bene noi andiamo ci vediamo in classe.» 

Ikeda strinse le labbra decisa a non rispondere, l’avevano reso chiaro per l’ennesima volta che non volevano scambiare più di qualche parola quindi mandò giù il boccone, indossò l’espressione meno infastidita che le veniva e le salutò. 

 

Tenendo la testa alza e passo sicuro si diresse verso il punto che per un momento era stato di distrazione. 

«Mi spieghi meglio la cosa dell’osmosi? Sembra funzionare benissimo, magari mi aiuta nella pallavolo.» scherzò Yamaguchi aspettandola alzato con il libro in mano. 

Ikeda rise «Non ti serve l’osmosi, in ogni caso già la pratichi allenandoti con gli altri no?» si scotolò la maglietta, era in uno stato generale pietoso «Puoi tenere ancora cinque minuti il libro? Tsukki dov’è finito?» 

«C’erano dei ragazzi che cercavano qualcuno che giocasse con loro a basket.» spiegò Yamaguchi seguendo la ragazza che aveva preso la via per le fontanelle. 

Le labbra di Ikeda si piegarono in un sorriso «Sta giocando? Andiamo a fare il tifo?» 

«No è andato a nascondersi per evitarlo.» rispose con un risolino nervoso rendendosi conto di essere rimasto solo con la “quasi” manager. 

«E come si nasconde? Prende dei rami, delle foglie e finge di essere un albero?» disse scherzando per poi indicare un albero «Tsukishima sei tu?» 

Trascinato da quell’atteggiamento Yamaguchi si rilassò arrivando finalmente davanti le fontanelle continuò a osservarla mentre Ikeda apriva il rubinetto facendo scorrere l’acqua tra le dita. 

«Sai indichi il tre in maniera diversa con le dita.» Yamaguchi alzò la mano segnando con indice, medio e anulare segnando il tre come aveva sempre fatto. 

Ikeda si fece pensierosa passando la mano inumidita sotto il mento e lungo il collo «Sul serio?» chiese perplessa guardando l’altra mano, il cervello inviò il segnale che fece alzare pollice, indice e medio «Uhm, vero…immagino di essermi abituata così negli ultimi anni.» 

Il ragazzo prese un respiro. Poteva farlo, poteva riuscire a parlarci e magari dare una piccola accelerata al processo di rientro nel club, Yamaguchi stava per aprire bocca quando fu interrotto da due ragazze. 

«Eccoti fenomeno, per un momento ho pensato ti fossi dimenticata e fossi sparita. Piacere io sono Ozaki Aika» si presentò la ragazza che aveva fermato Ikeda prima sul campo per poi indicare la ragazza al suo fianco «Lei è Moiri Eiko.» 

«Ikeda Kimiko.» rispose ricambiando con il capo un piccolo cenno di saluto «Sarei tornata dopo essermi data una ripulita.» mentì in maniera magistrale. 

«Non vogliamo farci i fatti tuoi…» iniziò Moiri «Tu sei la straniera giusto?» 

Ikeda non si scompose anche se era infastidita. Era straniera in Europa, ci si era sentita per un po’ e poi l’aveva considerata casa, ora era in quella che avrebbe dovuto considerare casa veniva considerata straniera, ma sapeva cosa volesse intendere la ragazza quindi fece finta di nulla. 

«Immagino di si.» rispose chiudendo il rubinetto dell’acqua. 

Ozaki non perse tempo «Ti interesserebbe il club di calcio? Sei molto brava, non dovrei dirlo ma sicuramente diventeresti titolare.» 

«No, ecco lei...» si intromise Yamaguchi «Lei non può iscriversi al club di calcio.» disse tutto d’un fiato scoprendo un’intraprendenza che non sapeva di avere. 

«Sei già in qualche club?» chiese Moiri con un tono dispiaciuto vedendo sfumare la finale che, già, lei e la compagna stavano sognando. 

Ikeda incrociò le braccia poggiandosi sul bordo della fontanella guardando di sbieco Yamaguchi sul cui volto stavano man mano variando sfumature di rosso diverse «Ho qualcosa in sospeso.»  

 

 

 

*un grande ringraziamento va ad okami2717 che sta facendo la lettrice Beta alla mia storia*

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Capitolo 22
*** Capitolo 21 ***


Il capitano proprio non si aspettava di iniziare la pausa pranzo in quel modo. 

«Ha detto così?» 

Yamaguchi annuì. 

«Non capisco la tua sorpresa Ennoshita. Lo avevo detto, quel tronfio e arrogante di Re si scusa e lei si iscrive. Comunque la parte migliore l’ha detta dopo.» disse  Tsukishima, con un ghignetto sulle labbra, sistemandosi gli occhiali e guardando fuori la finestra del corridoio. 

«Che ha detto?» chiese il capitano tornando a osservare Yamaguchi. 

«Ha continuato dicendo che nella scala di suo interesse il calcio, comunque, era davvero molto in basso, praticamente sul fondo del barile...e fuori dal barile c’era il calcio femminile.» arrossì e non aggiunse che Ikeda aveva detto di voler tenere le gambe così com’erano evitando di farle diventare sproporzionate come quelle da calciatrice. Non lo aveva riferito nemmeno a Tsukishima. Quest’ultimo si girò ancora di più verso la finestra per non far vedere quanto lo divertisse la cruda sincerità di Ikeda. 

Ennoshita rimase con la bocca aperta. 

«Vogliamo davvero rischiare?» chiese il centrale girandosi «Oggi è andata così ma qualcosa con un livello di interesse più alto nel suo barile potrebbe venirle proposto. Non risponderà per sempre “ho qualcosa in sospeso”.» passò lo sguardo sui senpai che annuivano concordi. 

Tsukishima, annoiato, continuò rivolgendosi al capitano «Vai da Kageyama e imponigli di scusarsi. Hai provato con le buone a domandarglielo di parlare con lei, o almeno con te e dirti qualcosa per sbloccare la situazione e non è servito.» 

«Tsukishima ha ragione.» convenne Narita «Ci abbiamo provato tutti, a questo punto tanto vale fare un tentativo estremo. Serve anche a Kageyama, deve capire che non può fare così con una ragazza. Lei non è abituata come noi al suo carattere.» 

«Dove sono?» disse Ennoshita con voce quieta e l’espressione scura, riflettendo su come agire, senza dover specificare su chi volesse mettere le mani. 

Sicuro che quei due idioti fossero da qualche a cercare un posto appartato per allenarsi. 

 

 

Se non ci fosse stata la domenica a spezzare quei giorni invivibili Kageyama sarebbe già diventato matto. 

Quel giorno libero lo aveva passato come sempre, o quasi... 

Sveglia presto, come sempre. 

Una barretta proteica prima di correre, come sempre. 

Corsa...non proprio come sempre. 

Più cercava di allontanare dalla mente ogni pensiero, più ci si tormentava. Più correva cercando di allontanarsi da qualsiasi cosa più si sentiva inseguito. 

Correva ma l’aria sul viso non gli dava alcun sollievo da quel turbine infernale in cui era stato gettato. 

Il rivolo fresco non riusciva a portare via quell’odore detestabile che riaffiorava, indissolubilmente legato alle parole di Ikeda rimaste impigliate, sussurrate, al suo orecchio. 

Era ancora nel pieno della corsa quando sua madre lo chiamò preoccupata perché non era rientrato al suo solito orario. 

La donna aveva atteso dieci minuti pensando ad un semplice ritardo, dopo mezz’ora lo aveva chiamato preoccupata. 

Solo allora Tobio si rese conto di aver semplicemente continuato a correre distratto da quei pensieri, che avevano formato un labirinto nella sua testa di cui intravedeva l’uscita ma quando pensava di essere giunto vicino l’uscita si trovava in un vicolo cieco. Aveva perso completamente la cognizione del tempo. 

Un’anomalia che mostrava la piccola crepatura formatasi nella sua routine. 

Sbuffò alterato cercando di mettere a fuoco in che punto fosse finito, riconoscendolo come uno dei suoi soliti percorsi abituali che percorreva fece svelto una mappa mentale al contrario da quella zona fino a casa sua. 

 

 

«Dovresti iniziare a levarti quell’espressione sai?» gli fece notare Hinata distogliendolo dai suoi pensieri. 

Kageyama non rispose e continuò a camminare, profondamente disturbato da tutta la situazione, non riuscendo ancora a capacitarsi su come si era evoluta fino ad arrivare a quel punto. 

Hinata scosse il capo «Ennoshita non sarebbe arrivato a tanto se ci avessi ascoltato i giorni scorsi. Fai un passo avanti e poi due indietro. E ci ha anche sequestrato la palla.» 

«Non ti ci mettere anche tu!» ringhiò l’alzatore a voce un po' troppo alta, facendo girare alcuni ragazzi intorno a loro che fulminò con il suo sguardo omicida. 

Il centrale rispose a quella esplosione alzando gli occhi al cielo proprio mentre Kageyama tornò a guardarlo, fu solo per gli ottimi riflessi che schivò la mano che calava sulla tua testa come una falce. 

La cosa fece irritare maggiormente l’alzatore che riprese a camminare furente seguito a distanza di sicurezza dal centrale deciso ad assolvere il suo compito di supervisione.  

 

 

Il cielo era azzurro, di quell’azzurro primaverile striato qui e lì da nuvole bianche. Seduta su quella panchina di cemento Ikeda aveva ricercato un po' di tranquillità, dopo l’opprimente sensazione vissuta in classe durante le ore di lezione che avevano seguito quelle di educazione fisica. Era rimasta giusto il tempo di consumare il pranzo con Yachi, terribilmente a disagio sotto lo sguardo dei suoi compagni di classe, poi con il sacchettino contenente l’arancia comprata quella mattina era uscita. 

Si era seduta come sempre con le caviglie incrociate e le gambe leggermente di lato, Ito la prendeva sempre in giro per quell’elegante postura che poi non manteneva anche in palestra. Si erano sentiti poco prima su Line, Ito come al solito restava la figura di riferimento a cui chiedere quando le sorgeva qualche dubbio. Yamaguchi aveva fatto una faccia troppo strana dopo che aveva rifiutato l’invito ad unirsi al club di calcio ma non aveva detto una parola, quindi aveva raccontato e chiesto un giudizio a Ito, lui aveva risposto che la cosa delle cosce grosse aveva solo peggiorato già un rifiuto troppo diretto suggerendole di scusarsi quanto prima. Cosa che Ikeda avrebbe fatto dopo aver consumato il frutto. 

 

«198 yen...213 con le tasse. Una sola...» 

Continuava a rigirarla tra le mani guardandola e pensando che allo stesso prezzo in sterline a Londra ne prendeva almeno una libbra. Aggiungendo qualche centesimo di euro in più, invece, Lea al mercato a Velletri ne prendeva almeno un kilo e mezzo da mettere in quella stupida borsa con le ruote, riuscendo a strappare anche un paio di mandarini, facendo notare al fruttivendolo  indicandola che “la bambina li guarda con gusto regalacene qualcuno”. I mandarini non arrivavano nemmeno a casa, li sbucciavano e consumavano mentre si dirigevano verso la bancarella seguente. 

Ikeda aveva tolto la protezione gommosa a forma intrecciata prima di uscire dalla classe lasciando l’arancia nuda, portò il frutto ad altezza viso facendo scorrere il pollice sulla buccia ruvida per poi intaccarla spingendoci l’unghia. 

Annusò il punto appena intaccato «Completamente inodore, che potevo aspettarmi da un’arancia comprata ad Aprile.» 

Dopo aver sistemato meglio il sacchettino che teneva sulle ginocchia la ragazza ci posizionò il frutto, l’unghia questa volta non si fermava allo strato superficiale ma affondava nell’arancione fino allo strato sottostante, tirando via la buccia e parte dei filamenti biancastri che collegavano la parte esterna a quella interna, stando attenta a non romperne quest’ultima. Via via i piccoli pezzettini venivano adagiati nel sacchetto lasciando sulle dita quella sensazione leggermente appiccicosa. 

 

Ikeda aveva quasi terminato quell’operazione quando venne interrotta da un saluto che la spinse ad alzare lo sguardo. 

«Ciao Ikeda, disturbiamo?» chiese Hinata vedendo che l’alzatore era rimasto impalato senza l’intenzione di attirare l’attenzione della ragazza. 

Ikeda li guardò lasciando andare l’ultimo pezzo di buccia nel sacchetto, accennando un sorriso verso Hinata, studiando però la figura al suo fianco. 

Siamo a Canossa? 

«Ciao, no non disturbate.» rispose Ikeda spaccando facilmente a metà l’arancia. 

No, non siamo a Canossa. pensò vedendo l’espressione di Kageyama e il suo sguardo che definire stitico poteva essere solo un complimento. Era chiaro che l’ultimo posto dove volesse trovarsi era lì davanti a lei. 

Abbassò lo sguardo posando metà del frutto sulle bucce, iniziando a tirare il primo spicchio dell’altra metà. 

Hinata osservò di sottecchi Kageyama, pensando che da un momento all’altro avrebbe iniziato ma era anche consapevole che gli serviva una ulteriore spinta. 

«Kageyama è venuto a scusarsi.» disse tutto d'un fiato dandogli una gomitata.

L’alzatore vide la ragazza bloccarsi, la bocca aperta e il pezzo di frutta rimasto tra le dita a mezz’aria. 

Ikeda guardò solo per un brevissimo momento l’alzatore, abbassò la mano con lo spicchio e rivolse l’attenzione al centrale. 

«Lui...è venuto a scusarsi?» domandò con tono piatto, indicando Kageyama con il mignolo. 

Hinata annuì «Tu non devi scusarti non è necessario, qualsiasi cosa gli hai detto, perchè è stato lui ad aver sbagliato ed è qui a prendersi la piena responsabilità.»

Ikeda tornò a osservare l’alzatore, squadrandolo, mettendo quel pezzo di frutta in bocca. 

«Quindi non ha riferito quello che gli ho detto eh.» constatò masticando coprendo la bocca con la mano, più rivolta a sé stessa che ai due ragazzi. 

Il sorrisino compiaciuto che si andava formando sulle labbra di Ikeda, scoperto dalla mano dopo aver deglutito, era anche più fastidioso dell’intero repertorio di sorrisini sarcastici che era solito sfoggiare Tsukishima. 

«In ogni caso, non ho detto nulla che abbia bisogno di scuse, lui lo sa.» proseguì con non curanza. 

Kageyama sperava ci si strozzasse col prossimo boccone di quella che aveva riconosciuto come un’arancia. 

Nonostante fosse lei quella seduta e lo guardasse dal basso verso l’alto, anche così Kageyama si sentì in una posizione di svantaggio. 

«Va bene Hinata, puoi lasciarci soli. Te lo rimando a breve.» 

Il fastidio di essere trattato come se non fosse lì irritò maggiormente l’alzatore. Costretto a non potersene andare strinse i denti. 

«Ec-ecco io dovrei restare per controllare che lo faccia.» 

Ikeda alzò nuovamente lo sguardo dall’arancia, che la interessava decisamente di più rispetto quella buffonata, verso Hinata «Ah...» 

Il primo spicchio era stato completamente senza sapore, staccò il secondo. 

«Beh ci ho provato...» disse scrollando le spalle rivolta a Kageyama «Avanti togliti questo cerotto.» 

«E che cazzo vorrebbe dire?» sbottò l’alzatore, facendo finalmente sentire la sua voce. 

«Bakageyama il linguaggio...» lo rimproverò Hinata in un sussurro. 

Gli occhi dell’alzatore si fecero taglienti, verso il compagno di squadra, per essere stato ripreso. 

La ragazza mandò giù il boccone prima di parlare, interrompendoli «Vuol dire fai quello che sei venuto a fare e togliti questo pensiero. Prima inizi e prima finisci.»  

Col terzo spicchio in bocca e lo sguardo furente di Kageyama addosso mosse la mano in maniera circolare verso di lui. 

Per tutta risposta l’alzatore si girò «Io me ne vado, non ci sto a farmi insultare a gesti che solo un’idiota può concepire.» Hinata che lo tratteneva a peso morto, lo costrinse a rimanere sul posto zavorrandolo. 

Ikeda scosse il capo, si trattene dal ribattere che allora avrebbe dovuto capirne benissimo il significato essendo lui un idiota fatto e finito. 

«Non è un insulto, è un invito a muoverti a parlare. Adesso ti tocca pure chiedermi scusa per l’idiota.» puntualizzò Ikeda in tono scocciato «Vedi di non allungare ulteriormente la lista.» 

Hinata annuì e fece cenno con la testa verso Ikeda lasciando andare l’alzatore. 

Kageyama sospirò, sapendo di non avere scelta, Ennoshita era stato chiaro. 

Se non gli avessero messo alle calcagna quel tappo di centrale avrebbe provato a dire che Ikeda non aveva accettato le sue scuse. Ma no anche quello non avrebbe funzionato, non vedendola iscriversi qualcuno sarebbe andato da lei e sarebbe stato scoperto. 

«Scusa...» bofonchiò «Per...per quell-» 

«Hinata ne vuoi?» Ikeda alzò il braccio in direzione del centrale offrendogli uno pezzo d’arancia «Dai non stare alzato, puoi controllare che si scusi anche da seduto.» 

Il centrale rimase un attimo interdetto, ma alla fine si sedette accanto alla ragazza che gli porse la metà rimasta sulle sue gambe fino a quel momento. 

«Dicevo scusa per l’idiota...» 

Ikeda guardò il ragazzino più basso iniziare a togliere i filamenti bianchi dalla metà arancia che gli aveva dato. 

«Già non sa di nulla, hanno più sapore le arance che si tirano a Ivrea, e tu togli anche una parte utile al tuo organismo?» 

«Ma è amaro.» protestò «Aspetta... C’è un posto dove si tirano le arance?» 

«Sarà anche amaro ma aiuta il tuo stomaco a lavorare, non toglierlo.» lo ammonì Ikeda mettendosi in bocca un altro spicchio e portando una mano a coprirsi la bocca «“La battaglie delle arance” si tirano addosso le arance durante il carnevale ma solo in quella città. Alcuni stanno sui carri, è molto divertente da vedere, basta rimanere a distanza e fare attenzione.» 

«Anche in altre nazioni c’è il carnevale?» chiese ancora più stupito Hinata, mentre mangiava spicchio dopo spicchio senza togliere nulla. 

Ikeda inarcò le sopracciglia «Non è il carnevale come in Giappone, non li accomunerei nemmeno lontanamente.» 

«Ohi...» richiamò l’attenzione l’alzatore con voce indignata «Mi starei scusando.» disse risentito. 

Gli occhi nocciola di Ikeda si fissarono nei suoi «E chi ti sta fermando? Tu scusati...» indicò Hinata che aveva le guance piene, ruminando obbediente quello che non avrebbe mangiato se non glielo avesse consigliato la ragazza. «Lui ti sta controllando.» 

Kageyama sbottò di nuovo «Senti scusa di tutto. Scusa per l’idiota, per la cosa che sei una stupida modella, per il torna da dove sei venuta. Scusa.» 

Ci fu silenzio per un momento. 

Ikeda alzò il braccio con l’ultimo spicchio in mano. «Lo vuoi?» offrì all’alzatore. 

Hinata che aveva mangiato con foga, l’aveva praticamente ripresa e ne aveva solo tre in mano, spostava la testa guardandoli in attesa anche lui della risposta di Kageyama. 

«No che non lo voglio!» si trattenne a stento dal farsi uscire dalle labbra un altro insulto. 

La ragazza fece spallucce mettendo in bocca quell’ultimo pezzo senza gusto, aveva comunque più sapore delle scuse di Kageyama. 

Annodò il sacchetto con le bucce «Bene puoi andare. Ciao.» disse congedando Kageyama, poi si risolve al centrale alzandosi «Hinata fammi strada, per favore. Andiamo a parlare con Ennoshita.» 

«Uhm adesso?» chiese con la bocca piena degli ultimi pezzi d’arancia. 

«No prima devo lavarmi le mani. Andiamo alle fontanelle poi mi fai strada per la classe di Ennoshita...od ovunque pensi che sia.» 

 

 

«Ti ho detto che potevi andartene.» 

Fino a quel momento il trio aveva camminato in un silenzio che risultava ambiguo, soprattutto vista la presenza di Hinata che non era solito stare così in silenzio ma che non sapeva che dire tra le occhiatacce di Kageyama e la camminata svelta di Ikeda verso la prima tappa. 

«Ti crea qualche problema se ci sono anche io?» ringhiò Kageyama. 

Ikeda continuando a roteare il sacchetto in area, come aveva fatto fino a quel momento, si girò camminando all’indietro per guardare il ragazzo. 

«La tua presenza o meno è assolutamente indifferente.» 

Vide qualcosa passare per quegli occhi blu, pensando di averlo colpito con quelle parole, in qualche modo sbagliato, Ikeda corresse leggermente il tiro di quello che intendeva «Lo dicevo per te, pensavo avessi di meglio da fare che seguirci.» 

Kageyama inspirò e sbuffò, si sentiva disturbato da tutto ma non voleva ammetterlo, e si sentiva a disagio sotto il suo sguardo, i compagni di classe della ragazza avevano ragione. Ikeda aveva uno sguardo sicuro non lo distoglieva, anzi dava l’impressione di guardarti dentro cercando in ogni angolo qualcosa. Nonostante tutto l’alzatore non cedette e fu solo quando Ikeda si girò nuovamente, ormai vicini alle fontanelle, che si permise di rilassarsi. 

 

Il rumore dell’acqua che scorreva riempì di nuovo quel silenzio a cui si aggiunge la voce di Hinata. 

«Com’è il carnevale? Hai detto che è diverso dal nostro.» le chiese il centrale. 

Ikeda continuò a far scorrere l’acqua tra le dita sovrappensiero guardando verso l’alto «Beh, è diverso da nazione a nazione anche in Europa. Però è diverso anche all’interno delle varie nazioni.» cercò di far passare l’acqua sotto le unghie con cui aveva sbucciato l’arancia «In Italia principalmente è considerata molto come una festa per bambini, per lo più scelgono un costume e si travestono andando in giro a lanciarsi pezzettini di carta.» 

«E da cosa si travestono? Fanno tipo cosplay? Quindi o tirano carta o arance?» 

«No Hinata, non direi.» rispose sorridendo «Le arance te l’ho detto solo a Ivrea, è una tradizione storica.» 

«Belle tradizioni, tirarsi addosso frutta e sprecarla.» disse a mezza voce Kageyama, venendo pungolato dal gomito ossuto del centrale. 

«Infatti si usano arance non adatte all’uso alimentare. Si travestono da tante cose, animali carini, personaggi di film, anche da anime ma lì non li chiamano anime, super eroi...» fece una pausa guardando di sbieco l’alzatore con l’espressione stitica riapparsa sul volto «...nobili. Sai tipo reali vanno forte.» 

Sentendo finalmente le mani pulite chiuse l’acqua. 

Hinata controllò le sue tasche fissando le mani di Ikeda dalle dita affusolate, il cui mignolo era leggermente più corto, scorrevano delle goccioline che seguendo la gravità si univano ad altre per poi staccarsi e gocciolare dai polpastrelli. 

Il centrale diede l’ennesimo colpetto della giornata al fianco del ragazzo più alto al suo fianco «Kageyama i fazzoletti, non ne ho. Tu li hai sempre in tasca.»  

Kageyama sbuffò e si girò dall’altro lato «Non è vero. Non ne ho.» 

«Hinata...» lo richiamò Ikeda già a qualche passo di distanza mentre agitava le mani scotolando l’acqua in accesso e asciugandole all’aria «Andiamo su, che poi devo fare una cosa anche io.» 

«Sei pessimo, Kageyama, fattelo dire.» 

«Se le sta asciugando non vedi?» sbottò in direzione della ragazza. 

Hinata scosse il capo incamminandosi e superando Ikeda per fare strada tra le scale e i corridoi della scuola. 

Kageyama rimase a qualche passo di distanza, fingendo di non star prestando attenzione alla discussione, non gli interessava ma restava vigile nel caso avessero cambiato argomento. 

«Sembra carino, tu ci hai partecipato? A Natsu penso piacerebbe avere una scusa per travestirsi da qualcosa.» 

Ikeda sorrise al ricordo del costume che Naoki le aveva comprato per il primo carnevale a cui avevano preso parte, adesso ripensarci era divertente all’epoca si era arrabbiata. Il fratello aveva tenuto come sfondo del cellulare per mesi la foto di lei arrabbiata in quel costume da scimmia con tanto di coda, mentre le altre bambine andavano in giro in dei vestiti, giusto per prenderla in giro. 

«A cosa? Alla battaglia delle arance? No niente arance tirate, ho seguito la cosa da lontano. Devono fare un gran male visto che avevano dei caschi. Travestita? Si ma onestamente mi sarebbe piaciuto di più partecipare al carnevale di Venezia...lì fanno sul serio con le maschere. Natsu immagino che sia tua sorella...più piccola o più grande?» 

«Più piccola. Che hanno di diverso a Venezia?» il centrale si fece pensieroso, stringendo il mento tra le dita «Mmmh l’ho già sentita città da qualche parte...» 

«Perchè c’è al parco Disney a Tokyo idiota.» 

«Più piccola di quanto?» chiese Ikeda ignorando la voce e la presenza che li stava ancora seguendo alle loro spalle «Lì fanno dei costumi enormi, e non è per bambini. Gli abiti sono bellissimi e poi hanno anche delle maschere sul viso. Sono opere d’arte...pensa che i costumi li preparano con un anno di anticipo.» 

«Ha sei anni meno di me» rispose Hinata, poi sembrò mettere a fuoco qualcosa, come se gli si fosse accesa una lampadina «Aaaah credo di avere capito, abbiamo visto le foto con Noya-san. Quelle cose le fanno le persone normali?» chiese allibito, Tsukishima li aveva appellati entrambi come dei sempliciotti, davanti allo stupore che avevano mostrato davanti quelle foto, facendo presente che quei costumi per la lavorazione probabilmente venivano da qualche opera teatrale. 

Ikeda strinse le spalle «Te l’ho detto, lì la prendono molto seriamente. Se partecipano ci si impegnano.» 

Hinata rallentò il passo, erano arrivati. 

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Capitolo 23
*** Capitolo 22 ***


Ikeda passò le mani tra i capelli, spostandoli dietro le spalle. 

«Forse dovresti fare una faccia dispiaciuta.» disse rivolta all’alzatore che aveva già la bocca aperta per rispondere «No lascia stare.» sospirò bloccando qualsiasi cosa volesse dire, o protesta che volesse muovere, con la mano «Non ci crederebbe mai, ti conosce. Cerca di stare almeno in silenzio.»

Preso in contropiede Kageyama non ebbe tempo di reagire che la ragazza aveva già varcato la porta della classe salutando Ennoshita, seguita da Hinata poco convinto su quello che doveva fare. 

Kageyama preferì restare sull’uscio. 

«Ah ciao Ikeda, vedo che ti hanno trovato.» Ennoshita fece passare uno sguardo eloquente sui due ragazzi. 

«Si si mi hanno trovato. Kageyama si è scusato. Hinata conferma per piacere.» 

Il centrale sentendosi messo sotto esame dallo sguardo del capitano rimase inizialmente in silenzio, poteva sentire anche gli occhi truci dell’alzatore nella sua direzione.  

Fu il calore della mano di Ikeda sulla spalla e il sorriso a rassicurarlo e a sbloccarlo. 

«Si Kageyama si è scusato mentre mangiavamo l’arancia.» 

Ennoshita non capì di cosa stesse parlando Hinata ma diresse l’attenzione all’alzatore, fermo e immobile sulla porta, non si sorprese dell’espressione contrariata ma almeno lo aveva fatto e gli sembrava che a Ikeda andasse bene. 

«Ok, bene...bene mi fa piacere che si sia chiarita la situazione.» 

Ikeda sorrise al capitano «Bene allora devo andare. Ci si vede.» 

Si avvicinò all’alzatore e prima di sorpassarlo completamente gli diede due puffetti sul braccio «Ecco fatto, puoi stare tranquillo ti faranno andare agli allenamenti senza problemi. Ciao.» disse con tono rassicurante lasciando visibilmente sorpreso l’alzatore perché l’espressione sul volto non era più né arrabbiata né stitica. 

Sorpresa che si palesò anche sul volto di Hinata. 

«Chi è l’idiota tra voi due...o le siete entrambi?» domandò Ennoshita con tono irritato «Ero stato chiaro! Non dovevate dirlo che se Kageyama non si scusava non si sarebbe allenato.» 

«Nessuno dei due...» la risposta arrivò da Ikeda che teneva lo stipite della porta con entrambe le mani, facendo capolino dalla porta con la testa. Kageyama si era appiattito sull’altro lato continuando a guardarla spiazzato. 

«Era abbastanza semplice da intuire.» ammise indicando Kageyama «Solo la minaccia di non fargli prendere parte agli allenamenti poteva smuoverlo.» 

«Ma ti va bene? Ti iscrivi al club??» chiese titubante Ennoshita che non sapeva che pesci prendere. 

«No...» 

«Kageyama come ti sei scusato?» 

«Come sarebbe a dire come mi sono scusato?» 

«Ennoshita che domande...come vuoi che si possa essere scusato Kageyama che non è abituato mai a farlo, soprattutto quando sbaglia.» 

Il capitano fulminò con lo sguardo Hinata che se la ridacchiava. 

«Kageyama, adesso, tu ti scusi per bene e a modo. Sul serio non ti facciamo allenare...Forza!» 

«Evitiamolo...» il tono tranquillo di Ikeda smorzò la tensione che si era andata creando, guardò l’alzatore gonfiando le guance con disappunto «Ma tu guarda se ti devo fare da avvocato...» 

La ragazza rientrò di un passo nella classe incrociando le braccia, tenendo l’attenzione su Ennoshita «Kageyama ti è stato detto di venire a scusarti altrimenti non ti avrebbero fatto partecipare agli allenamenti fino a che non lo avessi fatto giusto?»  

Aspettò per qualche secondo la risposta ma sembrava che il ragazzo avesse perso completamente la voce. Ikeda si mise una mano al lato della bocca e si girò nella sua direzione «So che ti ho detto di restare in silenzio, ma non è il momento di farlo. Rispondi.» sussurrò. 

Kageyama continuava a fissarla pietrificato poi si schiarì la gola «Si...» 

«Ecco Ennoshita, allora Kageyama ha adempiuto alla richiesta non puoi non farlo allenare. Potrebbe anche mettersi in ginocchio, piangere e promettere eterno pentimento fino alla fine dei suoi giorni ma il risultato non cambierebbe.» 

Dire che Ennoshita si sentiva confuso era riduttivo. 

«Ma non volevi le scuse? Lo hai detto a Tsukishima...» 

Ikeda alzò gli occhi al cielo pensando alla conversazione con il ragazzo biondo in biblioteca «Presuntuoso da parte di Tsukishima...siete voi che state presupponendo questo.» 

«Sei almeno ancora in sospeso nella decisione?» provò a chiedere Ennoshita decisamente provato. 

«Solo se lo fate allenare e non lo minacciate più. Altrimenti diventa un no secco, immediato, e sarà colpa vostra non sua.» 

«Va bene, va bene.» capitolò il capitano. 

«Ok allora ci vediamo in giro.» 

Kageyama rimase a fissare la ragazza allontanarsi nel corridoio che alzò il braccio destro e fece un cenno con la mano. 

«Potrà non volere delle scuse.» esclamò Ennoshita spingendo Kageyama a sbuffare e storcere le labbra «Ma qualcosa da te la vuole.» 

«Forse c’entra la cosa che ti ha detto in palestra?» intervenne Hinata incrociando le braccia al petto. 

Kageyama si imbronciò ancora di più, restando caparbiamente nella sua intenzione di non aprire bocca in merito. 

Ennoshita si alzò andando vicino all’alzatore, non poteva costringerlo con il ricatto, di non farlo allenare, ma c’erano comunque altri metodi. 

Mise una mano sulla spalla di Kageyama imprimendo una leggera forza «Vai almeno a ringraziarla per aver preso le tue parti.» 

La presa sulla spalla si fece più salda e Kageyama fece l'ennesima smorfia stringendo le labbra. 

«Se ti sbrighi a ringraziarla non finirai a fare il raccattapalle in allenamento oggi. Cerca di capire come risolvere. Ti voglio dare fiducia, so che lo farai quindi Hinata non verrà con te.» 

Quando finalmente il capitano lo lasciò, Kageyama imprecò a bassa voce e si incamminò nel corridoio. 

 

 

Tobio imprecò di nuovo davanti alla classe di Ikeda non trovandola, aspettò qualche minuto pensando che la ragazza sarebbe arrivata a breve, poi gli occhi blu si sollevarono. Spazientito si mise in movimento per cercarla altrove. 

Di tanto in tanto borbottava qualcosa. 

Lungo i corridoi aveva incrociato Yaotome e Tokita, aveva provato a chiedere, di malavoglia, se l’avessero vista ma entrambi scossero il capo. 

Alla vista di Tsukishima e Yamaguchi invece cercò di tirare dritto, cosa che non fermò il centrale dal pungolarlo. 

«Yamaguchi hai notato? Sembra che il Re sia in missione diplomatica finalmente.» 

Kageyama gli lanciò una breve occhiataccia superando i due ragazzi imprecando a denti stretti affrettando il passo. 

Rimasto solo con la sua frustrazione Tobio capì di non poter girare a vuoto, la pausa pranzo stava per finire e non aveva intenzione di fare il raccattapalle nel pomeriggio. 

Decise di dirigersi verso il punto in cui era stato costretto a scusarsi, magari Ikeda era lì a gongolare, non riusciva davvero a credere che non le fosse piaciuto nemmeno un po'. 

Imprecò davanti alla panchina vuota. 

Provò ad andare verso quella in cui l’aveva vista seduta con i primini. 

Era occupata ma non da Ikeda. 

Frustrazione e imprecazioni lo accompagnarono, sospingendolo fino ad arrivare alle macchinette dove non c’era più nessun pulsante rosso che segnalava prodotti esauriti. 

Gli parve di rivederla vicina, come qualche giorno prima, mentre si scusava perché non sapeva più come comportarsi in Giappone e cosa fosse lecito fare o dire. 

Incivile... 

Mise le monete nella macchinetta, soffermandosi a guardare tra i pulsanti del latte e dello yogurt. 

Solo per un breve secondo gli passò per la mente che, forse, valeva anche per quello che gli aveva detto in palestra. Il pensiero però nacque e morì in contemporanea. 

No quelle non sono state parole dette distrattamente.

Serrò la mano a pugno prima di colpirci il tasto per far scendere il latte ripensando al sorrisetto che aveva fatto quando si era allontanata. Tobio poteva ancora sentire accapponare i capelli sulla nuca al ricordo, disgustoso, di quella mano che si trascinava via dal retro del collo. 

Nemmeno il liquido fresco dal sapore familiare che scorreva in gola gli diede conforto. 

Ha detto solo un mare di stronzate, non importa che pensi che siano giuste. Sono solo stronzate.

L’ultimo sorso gli andò quasi di traverso per la rabbia, tra un colpo di tosse e l’altro si avvicinò al bidone per gettare la confezione ormai vuota su cui si era sfogato accartocciandola. 

Anche in quel momento, senza essere presente e senza nessuno che la nominasse, Ikeda era estremamente fastidiosa. Un moscone che sbatteva su un dannatissimo vetro ma senza riuscire a rintracciare su quale vetro di quale finestra. 

Tobio distolse i pensieri da quelle elucubrazioni, si rese conto di aver camminato fino ad arrivare alla palestra senza accorgersene. Un paio di volte si era fermata lì davanti, sostando con le mani nelle tasche della giacca e in quegli attimi, Tobio, veniva investito dall’orrore che all’allenamento seguente se la sarebbe ritrovata lo stesso in palestra. 

Fece l’ennesima smorfia irritata, non gli restava che tornare al punto di partenza e aspettarla nella sua classe, sperando almeno di non trovare lungo la strada ancora Tsukishima e Yamaguchi. 

Continuava a fissare il cartello che segnava la classe 2-8 farsi sempre più vicino. 

Fastidiosa. 

Ormai quella parola si presentava in maniera automatica... 

«Da quanto sei qua?» il tono non celava per nulla l’irritazione di aver girato a vuoto per la scuola solo per ritrovarla nel primo punto in cui aveva cercato. 

Concentrata sulla lettura Ikeda non aveva fatto troppo caso alla figura che si era posizionata davanti al suo banco, pensava semplicemente fosse qualche ragazzo della sua classe e aveva continuato a leggere. Quando però riconobbe la voce ed il tono stizzito dell’alzatore trasalì. 

«Un capitolo e qualche pagina.» rispose con la testa ancora abbassata sul libro «Non dirmi che ti serve ancora l’avvocato. Sappi che mi sono già ritirata dal ruolo.» 

Kageyama rimase immobile a fissare quella massa di capelli, non erano più sciolti ma aggrovigliati, sollevati in maniera precaria tanto che qualche ciocca si era liberata ricadendole di lato, vi si poteva scorgere la matita che li reggeva il cui giallo spiccava in quel cespuglio moro. 

«Sembra che ti debba ri...rin-ringraziare» 

Il fatto che Ikeda non lo guardasse era un sollievo. Kageyama dal canto suo fece scorrere lo sguardo su quella classe quasi vuota pur di non rischiare di incrociare lo sguardo con lei quando si sarebbe degnata di alzare il capo. Riconobbe un ragazzo seduto, era nel gruppetto che al mattino si era fermato a seguire la partita di calcio. Stava fissando la ragazza ma quando si accorse che Kageyama lo aveva notato si voltò dall’altro lato arrossendo. 

«Due imprese difficili in un giorno solo. Non sarà un po' troppo per te Kageyama?» 

«Senti, che vuoi?» 

Ikeda finalmente alzò la testa dal libro e ancora quegli occhi nocciola fecero sentire Kageyama in svantaggio. 

«La pace nel mondo?! No aspetta, questo fa troppo concorso di bellezza.» scherzò Ikeda poggiando la guancia sulla mano. 

L’alzatore restò confuso. 

Ikeda chiuse gli occhi e continuò in tono sarcastico «Vorrei vincere la lotteria, potrei comprarmi un biglietto aereo e tornare in Italia e trascorrere il Natale lì.» 

«Ti ci rimanderei volentieri.» ringhiò a mezza voce Kageyama. 

«Lo so.» disse sollevando un angolo della bocca in un sorriso sardonico «Immagino anche in che modo. Legata, imbavagliata in una cassa con giusto un foro per l’aria. Non sia mai che ti accusino di omicidio, sarebbe un problema per gli allenamenti. Spedizione veloce?» 

Kageyama non rispose all’ultima domanda. Si gelò per l’affermazione precedente, perché sì non era poi così lontana dalle fantasie fatte. Differiva giusto per il buco d’aria. 

Ikeda intanto aveva afferrato dallo zaino un piccolo, lezioso, porta monete azzurro con una stampa che Kageyama trovava infantile, la fissò estrarre diverse monete da quel ridicolo borsello. 

La ragazza mise un segnalibro e poi chiuse il volume che stava leggendo spostandolo di lato «Vedi Kageyama caro...» 

«Non chiamarmi caro!» esclamò indispettito. 

Ikeda non si fece intimidire e riprese enfatizzando di più il “caro” fissando quegli occhi blu che volevano solo incenerirla. 

«Vedi Kageyama caro, non importa quello che voglio io...beh no, importa relativamente. Voglio che tu capisca.»  

«E che dovrei capire sentiamo?» 

Ikeda non rispose, sorrise facendo scorrere una ad una le monete sopra le nocche delle sue dita per poi posarle e impilarle sul suo banco. 

«Fino a quel momento, noi resteremo così. In sospeso...» 

Kegayama osservò quei movimenti fluidi, la pila di monete che diventava più alta «Non c’è proprio nessun noi!» 

«Il problema non è adesso...adesso non lo hai ancora visualizzato. Quando te ne renderai conto, allora non ci sarà più spazio per restare in sospeso. Il tempo inizierà a scorrere e non sarò così paziente, dovrai scegliere e se ci metterai troppo tempo il mio “no” diventerà definitivo e ti ritroverai a dover mandare giù la consapevolezza di quello che hai fatto. Io non ci perderò il sonno comunque...» 

Quel flusso di parole per Kageyama non aveva alcun senso, fece per replicare con astio ma Ikeda facendo scorrere le dita sulla pila di monetine appena formata gliela avvicinò lentamente. 

«Tieni...»  

«E che dovrei farci?»  

L’alzatore credette di aver retto quello sguardo beffardo alla perfezione, fino a che Ikeda non gli diede il colpo finale. 

«Sono 600 yen...» puntualizzò Ikeda, poi aggiunse con tono di scherno «Facci quello che ti gratifica di più al momento.» 

Gli occhi blu di Kageyama si fecero grandi, smise di respirare e il cuore perse qualche battito prendendo coscienza non tanto delle parole appena udite ma del significato che celavano. 

Ikeda aveva già terminato di dargli attenzione, il libro riaperto e la testa calata. 

Dopo un istante la mano aggraziata si alzò, questa volta non girava come sulla panchina per invitarlo a parlare. 

Ikeda muoveva le dita affusolate avanti e indietro con la mano ferma rivolta verso la porta. 

«Sciò sciò. Vai, torna in classe Kageyama, la campanella sta per suonare.» 

Il ragazzo strinse le labbra assottigliando le palpebre. La rabbia e il fastidio gli avevano restituito le funzioni vitali di base. 

Non raccolse le monete, si girò e con grandi falcate si allontanò il prima possibile. Nelle orecchie sentiva pompare il sangue per il nervoso. 

Graziosa?! Carina?! Mostro! Ecco cos’è appropriato. Detestabile! Fastidiosa! Non la sopporto maledizione.

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Capitolo 24
*** Capitolo 23 ***


Alla fine Kageyama non era stato rilegato al ruolo di raccattapalle il giorno prima. 

Per quanto gli altri volessero che Ikeda si iscrivesse al club Tobio sapeva che non lo avrebbero comunque lasciato indietro. Volevano entrambi nel club ma si chiedeva se sarebbe stato lo stesso se ci fosse stato un altro alzatore. Nessuno dei ragazzi del primo anno giocava come alzatore e Sugawara non c’era più. Questo però non lo rasserenava del tutto. 

 

Hai davvero così timore che ti venga scatenato contro il tuo rivale?  
 

Kageyama infilò più in profondità le mani nelle tasche della divisa stringendosi nelle spalle al suono di quella fastidiosa voce latente che gli rimbombava in testa. Un riverbero acustico che ribalzava nella scatola cranica, il cervello che invece di sopirlo sembrava spingerlo per amplificarlo. 

Quella mattina Hinata non era all'ingresso della scuola. Non che lo aspettasse quando arrivava prima o Kageyama si attardasse appositamente se nel parcheggio non spiccava l’azzurro della bicicletta del centrale, ma era diventata un’abitudine se entrambi arrivavano nello stesso momento l’iniziare a correre per vedere chi ci sarebbe arrivato per primo vincendo sull’altro. 

Osservò il parcheggio delle biciclette, pieno delle biciclette degli studenti, riconoscendo tra quelle messe in fila ordinate quella azzurra e sgangherata del centrale. Sbadigliando si incamminò verso l’edificio dove avrebbe lasciato il borsone e si sarebbe cambiato. Fu per puro caso che guardò verso il campo di calcio, c’era il solito gruppetto di spettatori, in cui non era insolito vedere anche Nishinoya che si prendeva qualche minuto prima degli allenamenti di quella che lui chiamava “beatitudine”, ma quella mattina era più folto del solito. Nishinoya non c’era. 

Dovevano allenarsi già da un po' notò Kageyama, vedendo che non stavano correndo o facendo riscaldamento. Stava per girarsi, la squadra di calcio femminile non lo interessava, quando la sua attenzione fu catturata da una chioma familiare che passava velocemente. 

Osservò per un momento Ikeda vestita con una maglietta bianca e anonima, indossava i pantaloncini da pallavolo a differenza delle altre che avevano pantaloncini più larghi. 

Forse non ha quelli da calcio. pensò continuando a squadrarle le gambe lunghe per poi puntare l’attenzione a quello che aveva ai piedi. 

Grazie...grazie divinità nei cieli, ha le scarpe da calcio, si è iscritta al loro club! il sospiro che salì dai suoi polmoni filtrando tra le labbra socchiuse era di un sollievo indescrivibile. 

Ikeda non era più problema suo. Il moscone finalmente lo avrebbe lasciato in pace...o almeno era quello che aveva ingenuamente sperato. 

 

La sua espressione rasserenata non era passata inosservata ai presenti nello stanzino. 

«Kageyama sei forse venuto a capo della questione con Ikeda e stai gongolando per esserci finalmente riuscito?» 

«Ikeda si deve essere iscritta al club di calcio, Ennoshita. L’ho vista che si allenava con loro.» 

Fu Hinata a spezzare quel sollievo. Reclinò la testa di lato «BaKageyama ma che dici?!» disse prima di rassicurare i presenti «Non si è iscritta, ha avuto non ho ben capito cosa, forse, una discussione con un paio di ragazze del club che le hanno chiesto di fare almeno un allenamento con loro per provare delle cose e Ikeda ha accettato. Ha sbuffato tutto il tempo dicendo che non le andava ma le toccava fare ammenda.» 

Kageyama fece una smorfia «E tu che ne sai Hinata?» 

«Me lo ha detto quando ci siamo incontrati per strada mentre venivamo a scuola. Oh a proposito...» 

Hinata tirò fuori dalla sua borsa un libro porgendolo all’altro centrale che riconobbe la copertina. 

«Perchè lo hai tu?» chiese Tsukishima riponendolo tra le sue cose. 

Hinata scosse le spalle «Ikeda mi ha chiesto di dartelo visto che oggi era impegnata.» disse richiudendo la sua borsa «E poi ha aggiunto che non dovresti presuppore cose se non vengono dette in una lingua che comprendi.» 

Per un attimo Tsukishima rimase interdetto, prese un respiro profondo e poi sospirò «Immagino che debba darle ragione.» 

«Tsukishima che dà ragione a qualcuno...il mondo è sottosopra.» scherzò Tanaka. 

Nishinoya però non si fece infinocchiare da quel cambio di discorso e mise un braccio sulle spalle del suo kohai «L’hai fatta salire in bicicletta con te?» domandò, alzando e abbassando le sopracciglia. 

Il centrale tossicchiò e poi ridacchio nervosamente annuendo. 

«Beh lo sgorbio nano almeno è più educato del Re.» sentenziò Tsukishima «Non che ci sia qualcosa di sorprendente in questo...» concluse in tono sarcastico. 

Kageyama non ribatté, non lo aveva nemmeno sentito...non aveva ascoltato più nemmeno una parola dopo “Non si è iscritta”. Di nuovo il ronzio del suo personale e fastidioso moscone era tornato a farsi sentire in maniera latente. 

I primini si erano scambiati uno sguardo, in un tacito accordo di non riferire che Ikeda fosse impegnata con loro. 

 

 

*riferimento al capitolo 18*

Avevano riso e scherzato fino a quel momento ma c’era una cosa che tutti i quattro ragazzi volevano sapere. 

«Ikeda davvero non ti vuoi iscrivere al club?» domandò Shimada mentre Tokita e Shoji scarabocchiavano le mani della ragazza sui loro fogli. 

Yaotome lasciò andare un sospiro «Fa benissimo, Kageyama è stato uno stupido! Dire quelle cose su di lei...» fissò Ikeda che aveva un’espressione confusa «Solo uno stupido può affermare che tu abbia fatto alzate decenti. Erano delle alzate millimetriche e perfette come le sue. Forse non se ne rende conto perché non ha voluto schiacciare quando glielo hai proposto. Che idiota.» 

«Lo facevo più bravo nella pallavolo. Insomma anche il ritmo di gioco che ci hai fatto tenere in partita, siamo stati sul serio in grado di mettere in difficoltà i senpai.» disse Shoji, lo sguardo che si alzava dal foglio per passare sulle mani della ragazza cogliendo qualche dettaglio, per poi abbassarlo nuovamente e imprimere su carta dei nuovi tratti. 

«Vogliamo tornare a parlare anche dell’uscita meschina sul ruolo di manager? E Yachi è troppo buona...siete entrambe troppo buone. Non sappiamo che gli hai detto ma sicuramente troppo poco. Kageyama meritava uno schiaffo da parte di entrambe.» aggiunse Tokita «Ikeda ferma con le mani per favore.» 

Shimada ridacchiò «Solo uno? La roba della modella te la sei scordata?» 

«In che senso “vogliamo tornare a parlare”?» domandò sorpresa Ikeda «Chi ne ha parlato?» 

Yaotome le si sedette accanto strofinando le ginocchia con le mani «Noi...ne abbiamo parlato tra di noi Ikeda, tornando a casa.» ammise «Sarò sincero, tutti i presenti concordano che Kageyama sia stato uno completo idiota.» Gli altri tre ragazzi annuirono per confermare che quel pensiero fosse assolutamente condiviso. 

«Non capiamo perché Ennoshita e i senpai, in generale, si stiano comportando in modo così accondiscendente.» ammise Shimada «Soprattutto stanno facendo gli stupidi anche loro. Perché tu almeno gli hai risposto ma Yachi no e nessuno fa presente a Kageyama che dovrebbe scusarsi anche con lei.» 

Ikeda sorride «Ma tu guarda questi pulcini così acuti...» 

Shoji alzò un sopracciglio «Eh?» 

«Sono davvero commossa. Se potessi muovermi vi darei anche un buffetto, avete colto le cose che mi hanno infastidito...tranne la cosa della modella. Quella proprio mi scivola addosso.» 

«E allora perché non ti iscrivi?» domandò Tokita «Noi siamo pronti a fargli rimpiangere ogni parola schiacciata dopo schiacciata con le tue alzate.» 

«Perché Kageyama a quanto pare è molte cose Tokita...uno completo idiota, arrogante, dispotico, irascibile, prepotente ma non è stupido...beh forse nella vita in generale potrebbe esserlo, ma sul campo no. Non è affatto stupido. Lento a quanto pare sì, ma stupido no.» disse tutto d’un fiato la ragazza «Non vi preoccupate.» 

Shimada si sedette dall’altro lato «Perché dici che non è stupido?»  

«Perché nella pallavolo è davvero bravo. Guai a voi se glielo riferite. Smentirò di averlo mai detto!» disse in tono solenne alzando il capo, poi sorrise ai quattro ragazzi «Ci sarà un momento in cui realizzerà quello a cui voi già siete arrivati. Il ritmo di gioco con un bravo alzatore dall’altro lato della rete è una cosa che senza di me non ha in allenamento.» 

«E allora si scuserà!» dissero i quattro all’unisono. 

Ikeda scosse la testa «Non me ne faccio nulla delle scuse. Sono sicura che un tipo come lui, quando arriverà alla conclusione, non mi darà la soddisfazione di scusarsi. Manderà giù il rospo e mi chiederà semplicemente di iscrivermi bofonchiando la domanda a mezza voce.» 

«Ma non possiamo farglielo notare noi?» chiese Shoji. 

Ikeda strinse le labbra e scosse la testa «No Shoji deve arrivarci solo, farà più male, e rendersi conto di una cosa così ovvia da solo.» 

«Ma non possiamo fare proprio nulla noi?» provò a domandare Yaotome. 

«Oltre non dire nulla di questa discussione agli altri?! Mmmh potete riferirmi come procedono gli allenamenti magari.» 

«Sarà fatto Ikeda.» annuì Shimada. 

«Vuoi sapere anche che si dice sull’argomento?» domandò Tokita, grattandosi la guancia con la matita. Qualcosa nel disegno non lo convinceva. 

Ikeda rimase in silenzio per un minuto «Sarebbe utile, grazie. Ma perché hai quella faccia? Fatemi vedere sono curiosa...» 

Shoji e Tokita però si rifiutarono di girare i quaderni e la ragazza si voltò verso i due ragazzi che le sedevano accanto «Shimada, Yaotome alzatevi ditemi come stanno venendo questi disegni.» 

«Voi potete vedere però non ditele nulla.» esclamò Shoji. 

«Ma perché?» Ikeda si imbronciò a quei rifiuti «Mi state facendo le mani da vecchia?» 

I due ragazzi dietro gli artisti stavano per rassicurarla, che era comunque delle bozze ma Ikeda non gli diede il tempo «Non siamo più soli.» disse vedendo avvicinarsi Ennoshita seguito da Nishinoya e Tanaka «Allora non una parola.» 

Fu Shimada a rassicurarla per tutti e quattro «Tranquilla...abbiamo iniziato insieme il club dopotutto no?!» e le strizzò un occhio facendo sorridere la ragazza. 

«Ah senpai ciao.» disse in saluto Ikeda quando il terzetto fu abbastanza vicino, saluto a cui si unirono anche gli altri ragazzi «Voi che potete muovervi mi dite come stanno venendo i disegni? Non mi vogliono far vedere e Yaotome e Shimada non me lo vogliono dire.» aggiunge gonfiando le guance in una espressione di disappunto verso i due primini alzati che continuavano a guardare il lavoro alle spalle dei loro compagni sorridendo all’ennesima protesta della ragazza. 

 

 

Decisamente, i primini, avrebbero riferito anche quello oltre al rapporto sull’allenamento. Senza lesinare sull’espressione di Kageyama che era passato da un evidente sollievo al classico broncio contrariato. 

 

 

Kageyama era passato una prima volta davanti alla porta della classe di Ikeda, cercando di non attirare troppo l’attenzione aveva guardato dentro, volendo assolutamente controllare se Ikeda avesse lo zaino o un borsone più grande. L’informazione che non si fosse iscritta al club di calcio cozzava in maniera stridente con il fatto di averle visto le scarpette apposite. 

Sfortunatamente, però, la ragazza era seduta al suo banco con il pranzo davanti e Kageyama avanzò per non restare davanti la porta. 

Si voltò passando una seconda volta per guardare nuovamente l’interno della classe. Soffermandosi per scrutare la situazione. 

Ikeda era seduta a mangiare da sola, concentrata a guardare qualcosa sul telefono posizionato in obliquo su un astuccio che lo alzava leggermente. Kageyama inarcò le sopracciglia, qualcosa in quella situazione aveva delle sfumature stonate che non riusciva a cogliere. 

L’impegno era questo?

Un gruppetto di ragazze, non troppo distanti, con i banchi uniti stavano pranzando insieme come spesso facevano anche le sue compagne di classe. Ikeda non sembrava disturbata da quello starnazzare. 

Kageyama si mise le mani in tasca facendo ancora due passi per superare la porta e ripararsi dietro il muro. 

Dei ragazzi lo sorpassarono, in quel gruppo riconobbe il ragazzo che il giorno prima stava fissando Ikeda. Un altro viso gli parve familiare ma non riuscì a riconoscerlo. Sghignazzando dava gomitate all’amico «Meglio che sia ancora in classe.» 

Kageyama si domandò se centrasse qualcosa con l’impegno che doveva avere la ragazza, si allontanò dal muro passando per la terza volta davanti quella porta aperta decise di superarla per mettersi in una zona migliore. 

Coperto dal muro che lo separava dalla seconda porta che si apriva sulla classe 2-8 allungò il passo per non perdersi l’evoluzione di quella situazione. Kageyama si sistemò in diagonale poggiandosi alle finestre che affacciavano sul cortile, Ikeda gli risultava di spalle così che non potesse vederlo. Anche da quella posizione però l’alzatore non riusciva a scorgere lo schermo del telefono che tanto stava interessando la ragazza. 

Il duo appena entrato sorpassò il gruppetto di ragazze, guardando esclusivamente quell’isola solitaria in mezzo alla classe rappresentata da Ikeda, che ormai aveva quasi finito di pranzare. Solo in quel momento Kageyama si accorse di cosa gli era sembrato così fuori luogo prima. Tra le dita la ragazza stringeva una forchetta e non le classiche bacchette. 

Non fece in tempo a notare quella stranezza che Ikeda chiuse il suo bento, riponendolo nello zaino. 

Maledizione non è il borsone...quindi era vero, niente club di calcio.’ constatò con rammarico. 

La vide estrarre quel ridicolo porta monete e sentì le orecchie farsi calde per la rabbia al ricordo di quelle dannate 600 yen impilate e trascinate fino all’angolo del banco più vicino a lui. 

Le monete finirono in una tasca della giacca insieme al cellulare mentre tirò fuori anche un piccolo spazzolino e dentifricio da viaggio che mise nell’altra tasca alzandosi. 

A quel punto però Kageyama voleva sapere cosa la tenesse abbastanza impegnata da perdere l’opportunità di intrattenersi con Tsukishima, fino a quel momento gli era parso che la ragazza non mancasse occasione di parlare o sparlare con lui. 

Iniziò a seguirla a debita distanza. 



 

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Capitolo 25
*** Capitolo 24 ***


Essere una ragazza, ad una prima vista facilmente scambiabile per una turista, che camminava per le strade di Londra aveva fatto sviluppare un certo sesto senso. 

Sesto senso che si era affinato anche durante i viaggi. Alcuni posti erano più tranquilli di altri ma lo stare “attenta e vigile” ormai era naturale. 

Kimiko ormai ci aveva fatto l’abitudine. 

Si fermò un momento avvicinandosi alla finestra aperta del corridoio, poggiando un braccio sul parapetto mentre estraeva il telefono dalla tasca. 

Scrollò qualche messaggio su Whatsapp. Helmi in quel momento si era trasferita con la famiglia nuovamente a Helsinki quindi avevano solo 6 ore di differenza, se non si trovava già sulla strada per andare a scuola sicuramente stava per uscire di casa a breve. 

Prese a registrare un breve audio per augurarle una buona giornata ma dopo averlo inviato non ripose subito il telefono. Aprì invece la fotocamera e abbassò la mano con cui lo teneva direzionando l’obbiettivo verso il corridoio toccando lo schermo per scattare una foto. Rimase in quella posizione qualche altro istante poi riprese a camminare verso il bagno femminile. 

Solo quando si chiuse la porta alle spalle, separandola dal corridoio tirò un sospiro di sollievo. 

Ikeda sbloccò il cellulare avvicinandosi ai lavandini e quando la foto apparve sullo schermo illuminato quasi le venne da ridere. A distanza si poteva vedere una testa inconfondibile che si alzava e svettava in altezza rispetto alle altre. 

«Però potrebbe anche essere un caso...ma se non lo è.…» 

Tanto valeva verificare. Aprì Line e mandò un messaggio nella chat che avevano creato con i primini. 

 

Ikeda
Per caso Kageyama aveva accennato di volermi parlare?                                                                                        

[12:11]
Uccidere?       
[12:11]
Qualcosa del genere?                           
[12:11]

Tokita
No...perchè?
[12:13]
Ti stiamo aspettando
[12:13]
Manca Shimada ma è andato a comprare un panino e poi arriva 
[12:14]

Ikeda
Sicuri? Sicuri?               
[12:14]

Tokita
 
[12:14]
Si...
[12:14]

Ikeda
Sono in bagno              
 
[12:15]
Quello in fondo al corridoio della mia classe                                                                    
[12:15]
Kageyama è qui fuori... Era...                                         
[12:15]
Non lo so non posso controllare senza farmi vedere                                                                                 
Uno di voi può venire a controllare? ಠ_ಠ                                      
[12:15]

Tokita
(-̮̮̃-̃) (-̮̮̃-̃) (-̮̮̃-̃) 
[12:15]
Dacci un minuto per smettere di ridere
[12:16]
Vengo con Yaotome
[12:16]
Shoji dice che resta qui ad aspettare Shimada
per fargli andare il panino di traverso

[12:16]

Ikeda
Va bene    
[12:16]


 

Poggiò il telefono sul bordo del lavandino iniziando a lavarsi i denti con calma. 

Dopo un po' lo schermo di illuminò segnando una nuova notifica. La voce di Helmi riempì quel bagno. Riusciva a vederla, come una presenza sbiadita lì vicino a lei, appoggiata all’altro lavandino con le braccia incrociate mentre sbuffava e si lamentava della temperatura troppo fredda e non ancora in doppia cifra per poi chiedere quanto fosse, ancora, lontana la Canossa che si stava litigando con l’imbecille. Decisamente Kageyama non aveva raccolto consensi tra le sue amiche dopo che si era sfogata con loro. Aveva richiesto una tazza di thè d’emergenza, dopo una frettolosa organizzazione per incastrare un orario che andasse bene almeno alla maggior parte del gruppo. Erano riuscite a sentirsi qualche giorno dopo e aveva snocciolato tutto il disappunto per l’accaduto, iniziato con “alzata di fortuna” che poi era proseguito in quello strano comportamento e infine sfociato in quell’alterco che li aveva visti protagonisti in palestra. 

Kimiko impossibilitata a registrare un vocale, e nessuna voglia di cambiare lingua alla tastiera, rispose con l’emoji delle dita incrociate. 

Stava per rimettere il telefono sul lavandino quando si illuminò di nuovo. 

Gli occhi si allargarono e sorrise al suo riflesso continuando a spostare lo spazzolino con movimenti lenti. 

Si poteva considerare una foto buffa certo...Tokita e Yaotome in primo piano a fare facce stupide ma il vero protagonista si trovava all’altezza della spalla di Yaotome, abbastanza distante si poteva riconoscere Kageyama di spalle. 

 

Tokita
È qui impalato 
[12:21]

 

 

La ragazza non sapeva bene come interpretare quella cosa. Continuò a guardarsi nello specchio, i suoi occhi si incrociarono nell’immagine che ne rimandava pensando a cosa fare. 

Che ci sia arrivato dopo che abbiamo parlato ieri? Forse ci ha riflettuto e ha capito. Magari ne parliamo…però si sarebbe potuto avvicinare per parlare alla finestra. Forse vuole farlo in un posto più tranquillo perché è uno scemo orgoglioso…

Le possibilità erano un po’ troppe e sulla fronte di Ikeda si andò formando una piccola piega che si distese solo pensando che non avrebbe concluso nulla chiusa in bagno. 

 

Ikeda
Ok adesso esco...                    
    [12:22]
Se mi ferma per parlare noi ci sentiamo dopo                                                                    
    [12:23
]
Se invece non lo fa ditemi se resta lì o mi segue                                                                        
     [12:23]

Tokita
Agli ordini!
[12:23]

 

 

Ikeda asciugò lo spazzolino dall’acqua prima di rimetterlo in tasca. 

Si concesse ancora un istante. 

La mano sulla maniglia della porta e un profondo respiro. 

Quando può essere difficile... pensò varcando la soglia e guardando distrattamente in entrambe le direzioni del corridoio solo per scorgere una testa corvina che si girava e cercava di non farsi vedere tra la folla. 

Ikeda assottigliò le palpebre a quella reazione. 

BaKageyama....

Si girò dall’altro lato iniziando a camminare, non aveva senso prendere immediatamente la strada per raggiungere Shoji e Shimada quindi gironzolò in maniera lenta aspettando la vibrazione del telefono. Vibrazione che non ci mise troppo ad arrivare, si mise rasente al muro per leggere. 

 

Tokita
Ti sta proprio seguendo
[12:25]

 

 

Ikeda guardò lo schermo leggermente alterata. Ci volle meno di un secondo per decidere di prendere in giro l’alzatore, se c’era una cosa che le piaceva era stuzzicare gli alzatori, anche se generalmente lo faceva esclusivamente con la rete a dividerli. Prese una moneta dalla tasca e iniziò a giocarci come il giorno precedente seduta al suo banco con Kageyama di fronte a lei, facendola ripassare sulle nocche avanti e indietro alzando le dita. 

  

Ikeda
Potete avvicinarlo e distrarlo?                                         
[12:26]

Tokita
Così uccide noi?
[12:26] 

Ikeda
No che non vi uccide                          
[12:26]
Però meglio se evitiamo di vederci per oggi                                                                 
[12:26] 

Tokita
Perché?
[12:26] 

Ikeda 
Non mi va che vi arrivi un servizio dritto in faccia                                                                           
[12:27]

Tokita
...e non è ucciderci quello?
[12:27]
Come facciamo?
[12:27]

Ikeda 
Fermatelo e chiedetegli qualcosa                                                
[12:27]
Trattenetelo per qualche minuto                                                
[12:27]
Io vado da Shoji                   
[12:27]
Ci sentiamo stasera                         
[12:28]
Fate un buon allenamento                                    
[12:28]

 

 

Kageyama la osservava giocherellare con una moneta, nuovamente impegnata col telefono. 

«Perché deve perdere tempo così.» borbottò a bassa voce ignorando le occhiatine che gli lanciavano gli studenti di passaggio.

Finalmente la vide posare il telefono e girarsi, stava per distaccarsi dalla parete e seguirla quando una voce lo fermò, facendolo trasalire come se fosse stato sorpreso a fare qualcosa di sbagliato. 

«Senpai Kageyama?» 

L’alzatore si voltò lentamente. Corrucciò la fronte aggrottando le sopracciglia trovandosi i suoi kohai Tokita e Yaotome dietro. 

«Che volete?» sbottò, sperando che i due non avessero visto Ikeda e non gli domandassero nulla in merito. 

«Ec-ecco noi...» i due si guardarono incerti. 

Yaotome si schiarì la voce «Ecco Tokita voleva chiederti del servizio in salto.» 

«Si quello...» concordò Tokita dopo aver ricevuto una gomita dal secondo libero della squadra che lo incitava a parlare. 

«E io volevo chiedere qualche suggerimento per le alzate.» 

«Vai da Nishinoya...» disse Kageyama in tono irritato guardando al di sopra della spalla, Ikeda stava sparendo tra la folla «Non ho tempo.» 

«Si ma visto che sei qui...» 

«E come dovrei spiegarvi qualcosa adesso? Perché non siete venuti durante l’allenamento a chiedere?» domandò Kageyama in malo modo. 

«Io ho chiesto a Noya-san ma volevo qualche consiglio in più.» rispose Yaotome. 

«E io ho provato ad avvicinarti ma sei sempre impegnato a provare le alzate. Non tutti si possono fermare dopo gli allenamenti, mia madre mi ammazzerebbe, e anche in quel caso resti a far schiacciare Hinata.» aggiunse Tokita. 

Fermo in quel corridoio Kageyama non poteva dare torto al giovane schiacciatore, ma in quel momento doveva liberarsi dei due e non poteva fare nulla senza una palla in mano. 

«Sentite, va bene. Comunque, non adesso, nell’allenamento pomeridiano cercherò di prendere un po' di tempo così ti faccio vedere come fare il servizio in salto.» 

Prima che i due ragazzi potessero ribattere e tenerlo ancora in quel punto Kageyama gli volse velocemente le spalle andandosene. 

 

 

«Quindi mi tocca imparare il servizio in salto...» borbottò alzando gli occhi al cielo. 

«Scusa Tokita è la prima cosa che mi è venuta in mente.» 

«Sei tu che devi prepararti mentalmente...hai idea di quanto ti urlerà contro perché alzi male?» 

Yaotome sospirò «Tanto ci urla già dietro per buona parte del tempo.» 

 

 

Non la vedeva più. 

Tobio si era diretto verso lo stesso punto in cui aveva visto sparire Ikeda. Non poteva essere tornata in classe, non l’aveva vista tornare indietro, mentre parlava con i due kohai e, sicuramente, in quel caso loro l’avrebbero salutata...o magari lo avrebbe fatto lei con quel tono falsamente amichevole, giusto per infastidirlo. 

Strinse i pugni dicendo a sé stesso che non importava sapere cosa la tenesse impegnata dal restituire personalmente qualcosa a Tsukishima. Anzi tanto meglio così. 

Ikeda stava restando lontana dal club quello era l’importante. 

Con quella presa di coscienza si diresse in cortile. 

Irritato anche dal non poter riprendere immediatamente le attività in pausa pranzo con Hinata che nel primo giorno, dopo lo stop forzato ordinato da Ennoshita, era impegnato con dei doveri scolastici. 

Camminò senza prestare troppa attenzione alla direzione presa. 

Concentrato sull’ingrato compito che gli sarebbe toccato più tardi nell’allenamento pomeridiano continuava a mettere un piede davanti l’altro. 

Non gli piaceva dover insegnare a quei due qualcosa, più che non piacergli. Tobio era cosciente di non esserne in grato. Voleva comunque essere differente in questo da Oikawa e fare un tentativo. 

Ci si stava ancora sforzando di migliorare sul lato comunicativo. 

Davanti alla macchinetta però non era ancora riuscito a pensare a come approcciare quei due dementi, l’unica certezza era che avrebbe fatto sputare sangue a entrambi per averlo intralciato. 

Il filo di quei pensieri, e dello sguardo che si alternava tra il pulsante del latte e quello dello yogurt, fu interrotto da un rumore sordo dato al bidone poco distante. 

Quando si voltò non riuscì a nascondere una prima sorpresa che però, dopo quel primo momento, mutò rapidamente in uno sguardo seccato. Solo allora si rese conto davanti a quali macchinette si era diretto in maniera inconscia. 

 

«Sono arrivata troppo presto? Ripasso tra qualche minuto?» domandò Ikeda lanciando uno sguardò all’interno del bidone prima di aggirarlo e mettersi di fronte alla macchinetta affiancando Kageyama. 

«Non so proprio di cosa parli.» provò a mentire, spostando il peso del corpo sulla sinistra per mettere una leggera distanza tra loro. 

Per tutta risposta Ikeda umettò le labbra portandosi una mano al naso facendo scorrere le dita verso la punta e ancora più in là in aria, accompagnando quel gesto con un fischio mal riuscito. 

«Bugiardo. Vuol dire bugiardo.» rispose alla domanda che Kageyama non era intenzionato a porre «In ogni caso oggi mi va lo yogurt quindi sarebbero soldi sprecati. Ti sposti o vuoi fare scenate anche per questo?» 

Kageyama si spostò solamente perché Ikeda si era comunque avvicinata, senza aspettare, invadendo il suo spazio vitale. 

Avrebbe voluto andarsene come aveva fatto l’altro giorno, sarebbe stato decisamente più semplice, ma nelle ore di lezione che erano seguite ci si era mangiato il fegato per non aver risposto e ribattuto, andandosene solo quando lei lo aveva effettivamente liquidato scocciata. 

«Non ho sprecato soldi la volta scorsa e non sono io che faccio scenate.» 

Ikeda lo guardò con aria innocente «Te lo riconosco, non li hai sprecati visto che la volta scorsa mi andava il Qoo.» 

Il ghigno compiaciuto e soddisfatto mentre l’alzatore inseriva le monetine nel distributore però lo tradì. 

«Visto che sei un bugiardo?!» chiese Ikeda con tono dispettoso. 

«Sentiamo cosa? Illuminami visto che hai la stessa spocchia di Tsukishima. O anche adesso dirai altre cazzate sul capirlo da solo, visualizzare, il tempo che passa e la pazienza?» 

Ikeda rispose prestando più attenzione nell’inserire la piccola cannuccia nella sua bevanda «Non sai di cosa parlo...poi affermi di non aver sprecato soldi, il che potrebbe anche essere vero se non sai di cosa si parla ma hai aggiunto “la volta scorsa”» disse tra un sorso e l’altro «Convengo che non li hai sprecati visto che lo volevo prendere e te la sghignazzi avendo ricevuto la conferma di non averli sprecati, dandomi conferma che sai benissimo si cosa si sta parlando. Immagino che nella tua mente sia sembrato un piano estremamente malvagio e soddisfacente gettare quelle bottigliette. Beh, c’è chi si accontenta di sensazioni effimere e fugaci...» 

L’alzatore premette con eccessiva forza il tasto per far scendere il latte, odiando come fosse stato raggirato così facilmente, tradendosi da solo e cadendo in quel tranello. 

«Avrai le rughe già a vent’anni se continui a tenere sempre quella faccia imbronciata.» gli fece notare Ikeda con malcelata soddisfazione per aver vinto anche quel battibecco. 

Kageyama stava raccogliendo le idee, qualcosa con cui ribattere allo stesso livello. Non era Hinata con cui poteva limitarsi a dire boke che già risultava quasi un complimento per quell’idiota. 

La sentì tossicchiare, girandosi vide Ikeda rossa che si dava colpetti in mezzo al petto con il brick stritolato nella mano mentre fissava il telefono. 

Quei colpi di tosse si alternavano a due parole che non capiva. 

Kageyama rimase con la confezione di latte sospesa a mezz’aria osservandola con disappunto mentre si allontanava velocemente bofonchiando, ancora, quel qualcosa che a lui risultava incomprendibile. 

 

 

 

«Holy shit...» 

La mente di Kimiko stava elaborando quanto letto. Si fermò a metà strada per leggerlo di nuovo ed esserne sicura. 

 

Ito Yoori
Sabato Iiyama e Karasuno terranno un’amichevole
[12:39]
Ero con il professore mentre parlava con il vostro responsabile
[12:39]
Vi facciamo neri
[12:39]
Ah no aspetta è già il colore del Karasuno
[12:40]
Va beh hai capito
[12:40]
Ci vediamo sabato!
[12:40] 

 

 

«Shit...» inspirò profondamente «Holy shit.» 

 

 

Non fece caso al sorriso rasserenato di Ennoshita, che sperava finalmente si fosse chiuso il problema, né al sollievo di Nishinoya e Tanaka, provato per quella interruzione, che sollevarono l’attenzione dai quaderni. 

«Ciao Ennoshita. Come funzionano le amichevoli? Gli studenti possono assistere?» 

«Amichevoli? C’è qualche scuola che fa amichevoli e vuoi andare a vederle?» chiese confuso. 

«No, amichevoli qui al Karasuno.» 

Ikeda si diede un colpetto in fronte. Ito lo aveva appena scritto quindi probabilmente il professor Takeda a loro lo avrebbe comunicato nel pomeriggio. 

Estrasse il telefono dalla tasca per far leggere il messaggio ai tre. Scorrendolo per non far vedere tutto quello che Ito scrisse. 

«Avete un’amichevole sabato prossimo. È già confermato forse ve lo diranno più tardi.» 

«Iiyama? Mai sentita questa scuola...ma perché hanno il tuo numero e te lo hanno scritto?» domandò Tanaka. 

«È la scuola che frequentavo prima.» spiegò Ikeda «Posso venire a vedere?» 

«Se ti dicessimo che gli studenti non possono guardare...ti iscriveresti al club?» propose Nishinoya ricevendo però uno colpo dal capitano. 

«Non lo ascoltare. Puoi venire, certo.» 

 

 

 

Negli spogliatoi dopo l’allenamento regnava l’euforia alla notizia sulla prossima amichevole. 

Tsukishima viveva con disappunto quell’entusiasmo che aleggiava nello spogliatoio, che se per i ragazzi del primo anno fosse stato comprensibile non avrebbe dovuto essere condiviso così esageratamente anche da Hinata, per non parlare di Nishinoya e Tanaka che avrebbero dovuto essere più navigati ormai con le amichevoli. 

«Iiyama comunque mai sentiti. Non sono della nostra prefettura. Da dove vengono?» 

«Sarà una scuola delle prefetture qui vicine.»  rispose Yamaguchi con in sottofondo ancora il vociare concitato. 

Il centrale storse il naso «A questo era facile arrivarci.» 

«Prefettura di Nagano...» intervenne il capitano con un sorriso eloquente per il centrale. 

«Scherzi?!» 

Kageyama non capì cosa ci fosse di rilevante in quella informazione. 

«No.…è venuta a chiedere di poter assistere.» 

Improvvisamente l’alzatore mise a fuoco in che circostante avesse già sentito parlare della Prefettura di Nagano recentemente. 

Quella reazione non passò inosservata al biondo. 

«Però...quando ci vorrà di strada? Immagino che Ikeda gli abbia lasciato ottimi ricordi se sono disposti a venire fin qui per fare un’amichevole.» disse in tono alto e chiaro verso l’alzatore. 

Se la riportino pure indietro dopo che li avremo battuti 2 a 0.




►Non io che ho passato una serata a sistemare con le rientranze e la direzione del testo la parte "chat" per poi scoprire che non le pubblicava come volevo io. Era venuta molto carina ma niente ho alzato bandiera bianca. Chiedo scusa alle anime pie che stanno seguendo la storia per questo aggiornamento così lento.

► Provato a risistemare la parte chat 22-12-2022
 

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Capitolo 26
*** Capitolo 25 ***


12 Settembre 2012 mercoledì, Iiyama High School - Iiyama, Prefettura di Nagano

 

Al suono della campanella, che finalmente segnava l’inizio per la pausa pranzo, Kimiko lasciò andare un sospiro stanco e carico di frustrazione. 

Improvvisamente si stava pentendo della velocità con cui accantonò, nei mesi precedenti dopo la decisione di Naoki di tornare in Giappone, la proposta del fratello. 

Un ricatto i cui contorni erano costruiti, mascherati, modellati per dare forma ad una proposta che lasciasse vagamente l’illusione di un’effimera libertà di scelta. In realtà non vi era nulla in quelle parole che lasciasse veramente spazio per una libera scelta. 

 

Vuoi restare in Europa? Bene, ti iscrivo in un collegio in Svizzera. Non puoi restare senza una supervisione e non posso lasciare questa responsabilità alle famiglie di Peter o Helmi.

 

Kimiko sapeva troppo bene che accettare sarebbe stato come chiudersi volontariamente in una gabbia dorata.  
Sarebbe rimasta in Europa certo ma al prezzo della sua autonomia. 

Non sarebbe potuta uscire dal collegio quando voleva. Probabilmente telefono e computer requisiti, quindi contatti limitati con gli amici. Ovviamente iente viaggi. Sicuramente nessuna possibilità per partecipare a casting e shooting e arrivederci anche alla piccola indipendenza economica, non che Naoki le avesse mai detto un “no categorico” per qualcosa, al massimo per spese più esose (come l’acquisto della Sony che si era comunque comprata da sola con i soldi che aveva messo da parte) avevano parlato per valutare insieme cercando di fare un acquisto mirato e oculato. 

 

La ragazza osservò con occhio scettico quelle scie di grafite intrappolate, come lei, tra le righe del quaderno. Un pasticcio di appunti segnati metà in giapponese e metà in inglese. 

Era quasi ironico. Quegli scarabocchi in doppia lingua la riportavano molto indietro a quando appena trasferita nella scuola a Roma scriveva in giapponese ed un inglese stentato. Ora c’era il rovescio della medaglia. 

A distogliere la sua attenzione da quei pensieri fu una bottiglietta di Qoo alla mela che veniva poggiata sul suo banco. 

Ikeda si ritrovò davanti Ito con alcuni membri della squadra, li fissò non sapendo cosa pensare. 

Morita, il capitano, avvicinò una sedia e ci si lasciò cadere «Ikeda, iscriviti al club per favore.»  

«Come prego?» 

«Dai Ikeda, hai capito. Non abbiamo mai fatto un allenamento così proficuo come sabato.»  

Ikeda sospirò allungando la mano verso la bottiglietta «Non era un allenamento proficuo.» 

«E allora vieni e faccene fare uno che tu possa considerare proficuo.» ribatté il capitano. 

«Ma siete seri?» 

Fu Ito a prendere la parola «A fine settembre ci saranno le preliminari nella nostra prefettura per il Torneo di Primavera.» disse con un tono e una serietà che i suoi compagni non gli avevano mai visto «So che è pochissimo tempo ma...non voglio fare schifo. E non voglio che facciano schifo anche gli altri per le mie alzate mediocri.» 

Prima che Ikeda potesse aprire bocca Ito la interruppe. 

«Si lo so, lo hai già detto, che non volevi dirlo come offesa ma era una constatazione. Resta semplicemente un dato di fatto.» 

Il ragazzo affondò le unghie nei palmi delle mani «La nostra scuola fa schifo da sempre in pratica. Siamo una scuola in mezzo al niente, non abbiamo la fortuna delle altre scuole dove hanno allenatori, vice allenatori, strumenti, pesi...non so nemmeno che altro possa servire.»  

«Avete quattro mura, una rete e due ceste di palloni.» alzò gli occhi al cielo «Tutto il resto è superfluo o facilmente sostituibile.» fece notare Ikeda. 

«E non sappiamo comunque cosa farci.» riprese Ito «Tu invece sabato sapevi perfettamente cosa fare, come muoverti sul campo...come giocare.» 

«Non mi pare che si possano creare squadre miste. Cosa mi state chiedendo esattamente?» fu la domanda di Ikeda, guardando i ragazzi con la testa leggermente piegata prendendo un sorso dalla bevanda offerta da Ito. 

Quella visita stava prendendo una strana piega e non sapeva dire in che senso. 

«Iscriviti al club. Ufficialmente come manager.» propose il capitano sporgendosi di poco sulla sedia verso la ragazza «Ufficiosamente allenaci.» 

A Ikeda andò di traverso la bevanda a quelle parole, iniziando a tossire a più non posso. 

Continuò a guardare i ragazzi tra un colpo di tosse e l’altro. Erano tutti estremamente seri in volto. 

La ragazza inarcò le sopracciglia confusa «Io?» 

I ragazzi annuirono. 

«Che alleno voi?» domandò indicandoli con la bottiglietta per essere sicura. 

Annuirono una seconda volta. 

Chiuse la bottiglietta posandola sul tavolo. Le mani aperte, i palmi completamente poggiati sulla superficie lista riflettendo. 

Per un momento si chiese se fosse possibile una cosa del genere. 

Non poteva negare a sé stessa come le mancasse sentire, vedere e ragionare sullo svolgimento di una partita. Quando un’azione ben pensata e studiata andava a segno, meglio ancora se come negli scacchi si valutavano le alternative per le tre mosse successive. 

In Italia aveva visto gli allenamenti di un’ottima squadra, poi Naoki l’aveva iscritta in una piccola palestra che formava una squadra di minivolley. 

Non era andata molto bene, avevano cancellato la sua iscrizione dopo qualche allenamento, non che le dispiacesse. 

A Dublino era più grandicella, ci aveva riprovato ma continuava a lamentarsi, odiando il gioco femminile. 

Brixton, a Londra, era stata una boccata di aria fresca, solo figurativamente perché certi giorni l’aria risultava davvero pesante. 

Ma parlare di allenamento a Brixton non aveva senso. Si era semplicemente inserita tra i ragazzi del quartiere che giocavano, in quel campetto con la rete sgangherata. 

Saltuariamente venivano altri ragazzi per fare delle partite. Giocavano e basta senza avere alle spalle un allenamento, solo la necessità di sfogare energie da parte di quei broccoloni allampanati e la voglia di strappare qualche sterlina ai rivali. 

«Io devo studiare, faccio schifo in alcune materie non ho tempo. E anche voi non avete tempo. Non si fanno i miracoli in qualche settimana.» provò a dire. 

«Ti aiutiamo noi...tu dacci una mano con il club. Sicuramente è poco tempo ma possiamo mettere le basi anche per l’anno prossimo con il tuo aiuto, puntare all’inter-liceale.» insistette Ito. 

Ikeda si girò verso i ragazzi del secondo anno fermando gli occhi in quelli del capitano «Io mi trasferirò a fine anno.» 

«Ikeda...» la richiamò Ito «Dacci una settimana, e poi decidi. Non ci lamenteremo se è quello che ti preoccupa e passeremo sopra qualsiasi comportamento.» 

La ragazza si strofinò la fronte per poi passare agli occhi. 

«Una settimana e poi vediamo.» disse pizzicandosi debolmente il ponte del naso più convinta che persuasa dell’intera faccenda «E non ci dovete passare sopra. Fatemelo notare se non va bene, non vi assicuro comunque che dirò le cose in maniera carina.» 

«Va bene...più che bene.» disse il capitano. 

Ikeda gli lanciò un’occhiata veloce facendo poi scorrere lo sguardo sui presenti. 

«Non si discute sugli esercizi e la modalità. Se io dico saltate lo fate. Se dico correte voi correte. E non voglio pianti in plank». 

«Cos’è? Una cosa di gioco?» chiese Wada 

Ito vedendo la ragazza sbiancare a quella domanda provò a recuperare la situazione «Non essere così curioso. Domani lo scopriremo.» 

«Domani un corno!» sbuffò Ikeda «Oggi! Lo scoprirete oggi.» 

«Hai portato la tuta? Ma oggi non c’è educazione fisica. Come giochi?» domandò l’alzatore. 

«Pomeriggio non si gioca. E non mi serve la tuta per farvi sgobbare e vedere il vostro punto di rottura.» rispose in maniera pragmatica «Piuttosto...» Ikeda indicò la lavagna «Ito tu hai capito qualcosa di quello che ha spiegato il professore?» 

 

 

11-12 Aprile 2013 giovedì/venerdì, Karasuno High School - Prefettura di Miyagi

 

Nei due giorni di calendario che li dividevano da quell’amichevole il tempo trascorse indolente.  

Kageyama si era disinteressato completamente a Ikeda, mettendo da parte qualsiasi cosa la riguardasse. Alla fine, pensava, visto che dipendeva da lui capirci qualcosa, sarebbe bastato non fare nemmeno il minimo sforzo per assicurarsi che la situazione rimanesse in quel modo. 

Ikeda quei due giorni li aveva passati con un dizionario quasi sempre aperto con il tablet accesso su un file in pdf nei momenti liberi, trascrivendo caratteri e numeri su un quaderno bianco che pian piano perdeva il suo candore. 

Con i primini erano rimasti di sentirsi esclusivamente su Line evitando di vedersi in quei giorni. 

Le avevano riferito di quanto Kageyama fosse concentrato sugli allenamenti ma intrattabile come al solito, tormentando in particolar modo Yaotome per come mettesse male le mani per le alzate. 

 

Tsukishima e Yamaguchi dopo aver consumato il loro pranzo in classe l’avevano raggiunta, quel giovedì, facendo capolino nella classe di Ikeda. 

«Sarai combattuta per chi fare il tifo?» scherzò Yamaguchi mentre Ikeda continuava a sfogliare le pagine di quel voluminoso dizionario. 

«Vengo solo a guardare, non parteggio per nessuna delle due squadre.» rispose, lo sguardo basso e il dito puntato su quella parola finalmente trovata e la sua traduzione «Sono la Svizzera.» 

«E come sarebbe essere la Svizzera?» chiese Tsukishima allungandosi leggermente guardando incuriosito quanto scritto «Ti serve una mano?» 

Ikeda chiuse quaderno, vocabolario e girò il tablet «Neutrale e no. Come mai siete qui? Non dirmi che Hinata ha fatto cadere il libro e si è rovinato.» 

Tsukishima non si sorprese troppo per quella replica e quel cambio di discorso «Sembra che non debba presupporre quando non conosco la lingua in cui parla il mio interlocutore.» 

Gli occhi di Ikeda si fecero tagliente «Quindi?» 

Yamaguchi li fissò entrambi in silenzio. Conosceva troppo bene il suo amico d’infanzia per non aver colto le sfumature sarcastiche di quella affermazione ma anche Ikeda sembrava averle intraviste, dalle scintille che aveva trasmesso con quell’unica parola. 

«Non credo molto alla neutralità.» replicò Tsukishima con voce derisoria. 

Ikeda si fece indietro con la schiena, posando un gomito sullo schienale della sedia sollevò la testa per guardare meglio il ragazzo rimasto in piedi davanti al suo banco. 

Iniziò a tamburellare con la matita, stretta tra l’indice e il medio, sulla copertina del quaderno mentre stava valutando il centrale. 

«Sei un monello...Tsukki.» affermò Ikeda con un sorriso puntando la matita verso di lui «Ti è piaciuto convincerli, e convincerlo, che bastasse scusarsi? Quando ci sei arrivato?» 

Il centrale sistemò meglio la montatura dei suoi occhiali sentendosi colto in flagrante «Cosa speri in questa partita?» domandò, decidendo di non rispondere e rischiare con quella domanda. 

«Credo ci sarà la chiave di svolta. Non voglio perdermi la sua faccia appena succederà. Questo comunque non vuol dire non essere neutrale.» 

Tsukishima rimase a guardarla senza aggiungere altro, poi si voltò prendo la via della porta seguito dal suo amico con espressione confusa. 

«A sabato allora.» la salutò congedandosi. 

Yamaguchi si girò per farle cenno con la mano e salutarla ancora perplesso. 

 

Era evidente come Yamaguchi al suo fianco stesse fremendo, l’incrollabile fiducia che riponeva in lui unita al saper riconoscere quando gongolava gli fecero credere che a breve avrebbe reso partecipe anche lui dei suoi pensieri. 

Il silenzio durò il tempo che impiegarono per percorrere metà corridoio, poi Yamaguchi non resistette più e finalmente aprì bocca «Hai capito qualcosa vero?» 

«Forse...» ammise con nonchalance. 

Yamaguchi lo guardò in attesa «Quindi è vero. Lo avevi capito che non voleva delle scuse ma hai insistito apposta? Sei stato crudele.» 

L’amico prese un respiro «Non proprio, ci ho ragionato ieri dopo il messaggio riportato da Hinata insieme al libro. Ho ripensato alla discussione in biblioteca.» disse abbassando gli occhi per vedere Yamaguchi sorpreso di quella ammissione. 

«Dopo aveva detto una cosa, visto l’argomento di cui avevamo parlato prima pensavo si stesse riferendo a quello. Quindi seguirò il consiglio che mi aveva dato e me ne starò a guardare. Ti consiglio di fare lo stesso, resta in disparte a guardare, se riesce in qualsiasi cosa ha pensato sarà uno spasso vedere capitolare Kageyama.» 

Yamaguchi aggrottò le sopracciglia «Che aveva detto?» 

«“Gli uomini fanno la guerra con le armi. Le donne preferiscono quella mentale.”» disse con aria annoiata ripensando a come anche lui si fosse fatto trarre in inganno «Ha detto questo. Anche se una guerra mentale con quell’idiota è uno spreco.» 

«Vorresti fare tu una guerra mentale contro Ikeda?» chiese divertito. 

Tsukishima alzò un sopracciglio «Ti sembro così ingenuo?» 

«Scusa Tsukki.» 

Il centrale alzò gli occhi al cielo protestando ma con meno convinzione rispetto al solito. 

 

 

Ikeda si era presa una pausa da quelle trascrizioni solo per pranzare con Yachi di venerdì. 

La manager guardava sempre con curiosità l’interno del bento di Ikeda mentre lo scoperchiava, rivelando pietanze che non somigliavano a nulla. Certo riconosceva gli ingredienti ma non sapeva bene cosa fossero. 

Quel giorno Yachi doveva essere rimasta a fissare più del dovuto quella strana mezza luna di pasta brunita, abbastanza da farsi scoprire da Ikeda. 

«Vuoi provarlo?» chiese con gentilezza Ikeda posizionando il coperchio del bento sotto il recipiente. 

Yachi si vergognò terribilmente, pensando che l’amica se la fosse presa e avesse mal interpretato la sua curiosità. 

«Scusa, scusa non volevo essere inopportuna e fissare il tuo pranzo.» si sbrigò a dire con un misto di timidezza e timore «E che hai sempre cose strane...no cioè non volevo dire strane. Diverse ecco...scusa.» 

Yachi terribilmente a disagio per quelle pessime uscite rimase con la testa abbassata sul suo pranzo senza notare che Ikeda invece stava sorridendo mentre apriva uno scomparto del suo bento che conteneva dei cetrioli tagliati. 

«Anche a me all’inizio i piatti stranieri sembravano tutti strani.» 

Solo allora Yachi alzò gli occhi incontrando quelli sorridenti dell’amica. 

Ikeda indicò il suo pranzo «Quindi vuoi provare?» 

La biondina rimase un attimo titubante, combattuta tra curiosità e incertezza. 

«Ma cos’è?» 

Ikeda iniziò a strappare in due il fazzoletto di carta immaginando che alla fine Yachi avrebbe ceduto e assaggiato. 

«Liha... Liha-pikaka...Lihapiirakka, fortuna Helmi non è a portata di orecchie credo di aver massacrato questa parola. Direi che si può definire un tortino salato.» rispose Ikeda che ne prese uno in mano spaccandolo in due «Dentro è ripieno di carne e riso.» 

«Quindi è un piatto finlandese? Ricorda un po' un nikuman più grande del normale, però non sembra cotto al vapore. Vero?» 

«No è cotto al forno. I nikuman mi sembra di ricordare abbiano più pasta rispetto al ripieno. Non li ho ancora mangiati da quando sono tornata.» 

Ikeda rimase sorpresa che la manager ricordasse quella informazione. Annuì gentilmente porgendole il pezzo più grande avvolto nel tovagliolo. 

«Sul serio? No Ikeda, grazie è troppo grande dammi l’altro.» disse indicando il pezzo che era rimasto momentaneamente nel bento «Non è piccante vero?» chiese Yachi e la ragazza davanti a lei scosse la testa dando un primo morso. 

Yachi chiusi gli occhi come se dovesse saltare nel vuoto e affondò i denti in quel tortino, sperando che non fosse troppo distante dai gusti a cui era abituata. 

«Com’è?» chiese Ikeda, adesso era lei quella curiosa tra le due. 

«Buono, veramente buono.» esclamò Yachi «Tua mamma quindi si è fatta dare la ricetta dalla mamma di Helmi? Pensi che potrebbe darla anche a me? Se è facile potrei farla per i ragazzi.» 

Yachi sparò quella sequenza di domande tra un boccone e l’altro sovrappensiero non si era accorta che Ikeda si era ammutolita. 

Quando si rese conto di aver sollevato, involontariamente, la questione club fu troppo tardi e si fece prendere dal panico. «Scusa...io non volevo dire...No non li farò per loro.» 

«Li ho fatti io.» 

Yachi alzò lo sguardo sulla ragazza che invece teneva la testa china. 

Prese un profondo respiro, alzo la testa e con un sorriso tirato Ikeda ripeté «Li ho fatti io.» 

«Oh...» la manager non sapeva bene cosa fosse quella strana sensazione che sentiva alla bocca dello stomaco, sicuramente non era il tortino «Si a casa mia sono solita cucinare più spesso io rispetto a mia mamma.» 

Ikeda sospirò e distolse gli occhi, sfuggendo quelli di Yachi, iniziando a guardare il cielo fuori dalla classe. Sapeva che ad un certo punto quella cosa sarebbe saltata fuori, ricordava bene però il disagio che aveva provato Ito e gli altri e c’era voluto qualche giorno per fargli capire che era un comportamento sciocco. 

Si schiarì la gola «A casa mia siamo solo io e Naoki.» disse, cercando di usare quel modo indiretto che le aveva consigliato Ito per certi argomenti seguendo le convenzioni sociali nipponiche, tornando a guardare Yachi che aveva sgranato gli occhi intuendo velocemente cosa volesse dire con quelle parole. 

«Sarà anche galante ma Naoki non è un cuoco così eccezionale.» scherzò cercando di stemperare la situazione «Fosse per lui mangeremmo solo carne dopo averla buttata su una piastra rovente. Non che quando vuole non cucini bene, anzi alcune cose che prepara le fa molto bene.» 

Mancavano un paio di bocconi per finire il primo tortino. 

Furono dati in silenzio. 

Ikeda si chiedeva se non fosse stato meglio fare finta di nulla ma poi Yachi prese un pezzo di tamagoyaki che componeva il pranzo che si era preparata e la posò nel suo.  

«A casa mia siamo solo io e mia madre.» disse spezzando quel silenzio. 

Questa volta furono gli occhi di Yachi a incontrare quelli sgranati di Ikeda che annuì prendendo quel pezzo di frittata con le dita non avendo posate o bacchette. 

«Mmh buona.» disse coprendosi la bocca «Sai quando la cucinavo per la prima volta ai miei amici mi guardavano sempre come se fossi pazza mentre aggiungevo lo zucchero. Mettici anche che all’inizio non la facevo nel padellino adatto quindi la forma era completamente diversa...però alla fine a Londra sono riuscita a trovarlo.» 

«Davvero? Quindi non si usa mettere lo zucchero nella frittata in Europa?» 

Ikeda sollevò il secondo tortino mentre Yachi con le bacchette piluccava il resto del suo pranzo. 
Entrambe sollevate che l’altra avesse voluto continuare la conversazione non soffermandosi troppo. 

Nessuna delle due aveva bisogno di porre altre domande, unite da quella piccola confessione, si erano semplicemente capite ed erano andate oltre. 

Continuarono come sempre, passando da un argomento all’altro. 

Erano finite entrambe a sgranocchiare le rondelle di cetrioli che Ikeda offrì a Yachi spostando la discussione sui capelli. 

«Sai ti stanno bene così, non riesco proprio a immaginarti con i capelli corti.» 

Ikeda allungò una mano per sfiorare le punte bionde dell’amica «Tu hai il vantaggio di poterli asciugare in poco tempo. Però ricordo quanto mi dava fastidio averli davanti gli occhi appena ricrescevano un pò.» 

La manager sorrise indicando i capelli mori di Ikeda sul cui lato destro erano intrecciati in maniera morbida raccogliendo parte delle ciocche che continuavano fino a scomparire coperte dai capelli dietro.  

«Ti piacciono proprio le trecce, ne hai sempre di diverse. Da che parrucchiere sei stata? È una bella piega magari potrei andarci anche io.» 

Ikeda quasi tirò in bocca l’ultimo pezzo di cetriolo «L’ho fatta da sola questa mattina. Mi rilassa farle.» rise della reazione sorpresa della ragazza. 

«Sembra difficile da fare.» 

«Il trucco che la rende bella è questo, un grande effetto per qualcosa di semplice.» Ikeda si pulì le dita sul tovagliolo posandolo nel bento ormai vuoto prima di chiuderlo «Te la posso fare se vuoi e se hai una forcina.» 

«Ho solo questo.» rispose sorridendo, dando già un tacito assenso, togliendosi l’elastico con le due stelline per porgerlo alla ragazza che si stava mettendo alle sue spalle. 

«Andrà bene comunque.» tenendo l’elastico nel mignolo. Iniziò a far scorrere le dita tra le ciocche bionde per pettinarle leggermente «Te la faccio sulla sinistra visto che li tenevi legati da questo lato giusto?» 

«Si...senti posso farti una domanda? Puoi non rispondere.» 

Ikeda rispose affermativamente ma distrattamente più concentrata nel dividere le ciocche in sezioni pensando al risultato. 

«Sei ancora molto arrabbiata con Kageyama?» 

Ikeda rimase senza parole per un secondo ma le dita non si fermarono nel loro operato. 

«No Yachi, non sono personalmente arrabbiata con lui. Sono arrabbiata per procura.» 

«Che cosa vuoi dire?» 

«Che se fossi arrabbiata con lui nel migliore dei casi avrebbe il naso rotto per una pallonata. Nel peggiore sarebbe stato dichiarato persona scomparsa e il suo cadavere non sarebbe stato ritrovato.» 

Yachi si irrigidì sotto le dita di Ikeda che sentiva dietro la nuca mentre le metteva l’elastico «Stai scherzando?» chiese titubante. 

Ikeda si permise di sorridere non essendo vista dalla manager. 

«Intendi sul naso rotto o sul cadavere?» domandò cercando di mascherare il tono divertito. 

Yachi si girò sulla sedia spaventata. Ikeda invece provò a restare seria stringendo le labbra, con scarsi risultati, finì per scoppiare a ridere con allegria. Quel suono vivace contagiò Yachi che si unì ridendo anche lei. 

Le prese il mento tra le dita facendole voltare appena la testa lasciando comunque che la osservasse mentre tirava leggermente le ciocche appena intrecciate per farle cedere. 

«Dobbiamo proprio migliorare con l’umorismo. Io devo ricordarmi che in Giappone devo soppesare meglio quello che dico ma Yachi capisci di più che il più delle volte sto solo scherzando, ok?» 

«Quindi scherzi e non lo vuoi morto.» disse divertita. 

«No, scherzavo sul naso rotto.» ribatté in tono serio «Non sopporto la vista del sangue.» 

Questa volta si trattenne leggermente più a lungo, scoppiando a ridere solo quanto gli occhi di Yachi si riempirono di terrore al pensiero di essere testimone di una possibile ammissione di omicidio premeditato. 

«Scusa, sono troppo divertenti le tue reazioni. Non ti preoccupare.» balbettò tra una risata e l’altra «Mmmh direi che è venuta bene alla fine.» 

Yachi seguì con lo sguardo il punto che Ikeda stava indicando. Non capì cosa intendesse fissando al di fuori della finestra, poi finalmente si mise a fuoco nel riflesso del vetro, si girò per cercare di vedere meglio e le dita si alzarono quasi involontariamente con i polpastrelli che sfioravano il biondo dei suoi capelli in quell’ intreccio volutamente disordinato ma tanto elegante. 

Ikeda aveva già preso le sue cose per tornare al suo lavoro non retribuito di traduzione. 

«Quando ci saremo annoiate di riempire le bottigliette a quegli atleti ingrati ci prenderemo una pausa e ti farò i capelli in qualche altro modo.» disse facendo l’occhiolino alla manager che era rimasta a bocca aperta. 

«Qui-quindi ti iscrivi?» 

«Vedremo…dipende da Kageyama.» rispose alzando un braccio e salutandola come aveva sempre fatto piegando la mano alzata con un unico movimento laterale. 

 
 

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 26 ***


9 Settembre 2012 domenica, periferia di Yamanouchi Distretto di Shimotakai, Prefettura di Nagano Giappone

 

Se ne stavano entrambi davanti al cancellino che delimitava la strada da quel piccolo pezzetto di terra, ormai diventato un giardino selvaggio, entrambi non sapendo cosa fare o come dovessero sentirti davanti a quella casa in cui avevano vissuto. 

Erano partiti di buon mattino, praticamente all’alba, con un piccolo furgoncino affittato per portare via quello che volevano conservare e un numero di scatoloni e sacchi che speravano bastasse. 

«Quando siete pronti...» 

Kimiko si voltò per osservare Makoto che si era affiancato, insieme a Juro, a Naoki posandogli una mano sulla spalla come sostegno emotivo. 

Era stato Juro a venirli a prendere appena atterrati all’aeroporto di Haneda a Tokyo per aiutare il suo grande amico. Makoto li aveva portati fuori a cena quella sera per condividere qualche birra con gli amici ora che tutti avevano l’età per farlo ed erano nello stesso posto contemporaneamente, restando allibiti vedendo Naoki versare due dita di birra anche nella coca cola di Kimiko stando ben attento nel non farsi vedere dai camerieri. Kanpai. 

Erano due amici d’infanzia del fratello, i migliori amici di Naoki, i pochi che erano andanti oltre tutte le chiacchere. Amici con cui non aveva mai smesso di sentirsi, i due liberi da impegni fin dal mattino per aiutarli. Nel pomeriggio sarebbero arrivati rinforzi ma per il momento Kimiko era lieta della calma. 

Da bambina li vedeva tutti e tre come dei giganti, anche se il fratello spiccava per essere il più alto. Non li trovava più così alti come un tempo e si domandava se fosse cresciuta troppo lei oppure loro ad essersi ristretti, forse era così abituata a vedere intorno persone con una media di altezza maggiore che anche loro, ormai, le sembravano “bassi”. 

Con un sospiro Kimiko si legò i capelli in una cipolla alta e arrotolò le maniche della tuta, il giorno prima aveva fatto un discreto movimento con la corsa e quello non programmato in palestra con il club di pallavolo di Ito ma risentiva anche della caduta in acqua quindi avrebbe lasciato le cose pesanti ai tre uomini. 

Pescò dalla tasca delle bustine chiuse porgendole a Makoto in modo che le desse gli altri due. 

«Mascherine? Sei malata Scimmietta?» domandò Juro prendendo una bustina. 

Naoki le poggiò velocemente una mano sulla fronte cercando di capire se fosse calda e non gli avesse detto nulla. 

«Beh ieri è finita in acqua...quante volte te l’ho detto che devi avvisare se stai male?» disse in tono di rimprovero Naoki, la fronte gli sembrava fresca quindi passò a tastarle un lobo dell’orecchio già imprigionato dall’elastico della mascherina. 

«Ti devi buttare nelle acque termali* se vuoi fare la Scimmietta a tutto tondo.» scherzò Makoto. 

«Idioti è per la polvere...non ci entra nessuno da un pò.» sbottò Kimiko iniziando a percorrere quei pochi passi fino alla porta d’ingresso «Non toglietevi nemmeno le scarpe.» 

«Si è fatta ancora più autoritaria eh...» commentò Juro a bassa voce coprendosi con una mano la bocca per attutire maggiormente la voce. 

«Dici?! A me sembra la stessa che ci urlava dietro in quel parchetto dietro casa.» scherzò Makoto guardandola di schiena, anche il passo deciso non era cambiato e per un momento la Kimiko bambina che si allontanava dopo un rimbrotto si sovrappose e quella adolescente che stava sbocciando in giovane donna. 

 

Kimiko rimase all’ingresso facendosi sorpassare dai tre uomini mentre si chiedevano, scherzando dandosi spallate, su cosa avrebbero ritrovato nella cameretta del giovane Naoki. 

Non era stata solo camera sua...per molto tempo avevano condiviso quella stanzetta. La casa non era grande e quando era nata lei il fratello non ne era stato per nulla felice all’inizio. 

Aveva 8 anni, Naoki, quando gli misero per la prima volta in braccio la sorellina che aveva definito “sgorbio piagnucolante pelato”, già abbastanza grande per comprendere che presto sarebbe finito a condividere la qualsiasi cosa...volente o nolente. Di sicuro più nolente all’inizio. 

 

Quando alla fine non avevano più condiviso la camera era stato nel peggiore dei modi. 

Dopo l’incidente dei genitori, Oba-chan si era detta che era ora che entrambi i nipoti avessero i loro spazi. Aveva lasciato la sua camera, cedendola a Kimiko, spostandosi nella camera da letto del figlio e della nuora. 

Tutti e tre avrebbero preferito di gran lunga non fare quei cambi, per lo meno a Naoki e Kimiko sarebbe andato bene stringersi fino al momento in cui Naoki fosse stato abbastanza grande da andare via di casa...i genitori sulla soglia con le solite raccomandazioni che si possono dare ad un figlio: “mangia”; “ogni tanto passa a trovarci”; “chiamaci per qualsiasi cosa”. 

La vita aveva voluto diversamente. 

Naoki era uscito di casa a 18 anni trascinando con sé la sorellina su insistenza della nonna, più lungimirante di lui sulle questioni familiari e sulla situazione in cui erano. 

Si sentivano spesso e non erano mancati i “te lo avevo detto” della voce stanca ma sempre gioviale. 

Oba-chan era mancata da quasi due anni. 

 

 

Kimiko guardò quel piccolo spazio che faceva da ingresso e salottino. 

I vicini erano stati premurosi anche in quello, tutti i mobili erano stati coperti da teli, e coperte. Erano stati gentili con la nonna, l’avevano aiutata come potevano nell’ultimo periodo, erano stati loro a contattarli quando l’anziana aveva avuto un malore. 

La chiamata era arrivata in piena notte. Naoki, assonnato, aveva raggiunto per come poteva il telefono nonostante la fidanzata di turno gli tenesse il braccio chiedendogli di rimettersi sotto le coperte. 

Aveva riconosciuto il prefisso giapponese ma non il numero. 

-Naoki tua nonna si è sentita poco bene siamo in ospedale, ti facciamo sapere appena abbiamo novità- 

C’era voluto un po' perché il cervello registrasse quell’informazione e la elaborasse per scendere a svegliare Kimiko. 

Il panico era durato un breve secondo poi entrambi avevano fatto prevalere la freddezza, in modo pratico iniziando a pensare a cosa fare. 

 

 

 

 

22 Novembre 2010 lunedì prime ore del mattino, Londra Inghilterra. 

 

Il portatile accesso illuminava il viso di Kimiko con i colori delle pagine web su cui stava controllando in modo febbrile i voli disponibili, le partenze, la durata degli scali.

L’unica altra fonte luminosa era la lucina gialla sopra i fornelli per tenere sotto controllo il bollitore che stava iniziando a borbottare, segno che ormai l’acqua era prossima al suo picco di temperatura. 

Al vociare per nulla felice era seguito il rumore della porta d’ingresso chiusa con rabbia e dei passi che si avvicinavano. 

«Perchè te ne stai così al buio?» la mano di Naoki tastò la parete vicino la porta per accendere la luce centrale della stanza. 

«Per cosa era arrabbiata?» 

Naoki scosse la testa, si poteva intuire il disturbo non alla domanda ma alla situazione «Ha detto che potevo accompagnarla io a casa, visto che è qui vicino invece che chiamarle un taxi.» 

«Se pensi di rimanere con lei dimmelo...quando arriverà il momento in cui cercherà di comprare il mio affetto sceglierò qualcosa di esageratamente costoso visto che è un’idiota.» 

«Tranquilla non succederà.» disse Naoki versando l’acqua ormai calda nelle due tazze già pronte sul piano vicino ai fornelli, sul fondo erano già stati depositati due cucchiaini di decaffeinato solubile che nessuno dei due aveva avuto il coraggio di bere prima.

Il tintinnio del metallo sulla ceramica aveva riempito quel silenzio disturbante. 

L’uomo allungò una tazza verso la sorella sedendosi anche lui al tavolo. 

«Disgustoso...» commentò dopo il primo sorso «Perchè lo abbiamo preso? Era meglio un the.» 

«Ci renderebbe più nervosi il the, non fare il bambino Naoki, questo ci sveglierà un po'.» 

Naoki sospirò «Sono già sveglio...come sono i voli?» 

«Terribilmente cari...» 

«Questo non è un problema.» Naoki portò lo sguardo dal contenuto marroncino della tazza verso la finestra che dava sul piccolo giardino sul retro mentre si lisciava il sotto del mento reso ispido per la ricrescita della barba. 

Kimiko osservò il profilo del fratello, così serio lo era raramente, restò in silenzio con gli occhi che vagavano nuovamente tra orari e nomi di città. 

«Nessuno volo che parta oggi, tutti ad ogni modo fanno scalo.» 

«Di quanto?» 

«Dalle due ore o più...dipende...» 

Naoki prese a tamburellare nervosamente il tavolo con le dita, erano in piedi da un’ora e non c’era stata più nessuna chiamata. Avrebbe sprecato altro tempo in volo senza la possibilità di ricevere notizie durante la traversata. Non gli piacevano quelle attese forzate e non sapeva nemmeno se gli avrebbero concesso di partire. Pensava di si, sperava di si. Quel continente era molto diverso dal Giappone dove per faccende personali facevano sempre delle gran storie mentre in Europa, in questi casi si annuiva, si comprendeva, in alcune nazioni più di altre ma la famiglia restava davanti al lavoro e alla produttività se le faccende erano brutte. 

Quella era una faccenda brutta. 

Il piano era trovare un volo, il primo in partenza e con l’arrivo più veloce, sarebbe partito da solo mentre Kimiko sarebbe andata a casa di qualche compagno di classe fino a che lui non sarebbe tornato a Londra con Oba-chan sull’aereo...anche a costo di caricarsela sulle spalle a forzase la vecchina avesse opposto resistenza. 

 

Trasalì quando si sentì afferrare la mano, costretta da una presa che non gli permetteva più di scandire con quel ritmo tamburellato i suoi pensieri, girò il viso stringendo a sua volta la mano della sorella. 

«Dici che se non stanno chiamando è bene o male?» 

Naoki sospirò per l’ennesima volta, conscio che probabilmente non sarebbe nemmeno stata l’ultima della giornata «Fino a che non chiamano è bene e male contemporaneamente suppongo, come il gatto di quel tizio pazzo...com’è che si chiamava?» 

«Schrödinger.» rispose Kimiko lasciando la mano per bere dalla sua tazza che intanto si era freddata appena «Disgustoso...dovremmo buttarlo.» 

 

Tornò il silenzio in cucina spezzato solo dai rumori della notte che sembravano così forti in quella quiete, il vento che ogni tanto si alzava e faceva sfrusciare gli alberi del vicino; qualche macchina che passava senza capire quanto fosse realmente vicina alla loro casa; la goccia che si formava dal rubinetto del lavandino e che ormai pesante lo lasciava per schizzare sul fondo di un piatto non lavato messo lì dopo che la lavastoviglie era già stata accesa...Kimiko pensò che avesse già finito il ciclo di pulizia ma non si mosse per svuotarla. 

 

Quei venti minuti erano sembrati eterni ma alla fine il cellulare di Naoki iniziò a lampeggiare spostandosi lievemente per la vibrazione inserita e ballando sul tavolo. 

Naoki prese un gran respiro prima di rispondere.

«Pronto?»
 

Il sollievo che emanò il suo sorriso alla voce che gli rispose dall’altro capo fu abbagliante, di quelli veri e genuini che pochissime persone conoscevano «Aspetta Oba-Chan ti metto in vivavoce così sente anche Kimiko.» 

Il tono di voce della nonna era già abbastanza forte a causa della rabbia e mentre Naoki poggiava il telefono e toccava il punto per passare a quella modalità si sentì benissimo il rimprovero. 

«Che vuol dire che “così sente anche Kimiko” Disgraziato? Qui sono più o meno le 12 quindi da voi è notte dovrebbe dormire per la scuola!» 
Entrambi ignorarono quella esternazione «Si sono le tre. Nonna come ti senti? Cos’è successo?» chiese Kimiko. 
«Vattene a dormire tu!»

«Dopo, ora dicci come stai?» 
«Ci hai fatto spaventare...quando ti dimettono? Kimiko ha visto un po' di voli, non posso partire subito ma sicuramente posso portarti a casa...beh sempre che non ti dimettano oggi o domani.» 
«Non è successo nulla...Kimiko vai a dormire.» 

La voce di Oba-chan sembrava aver perso tutta la forza con cui aveva risposto poco prima, come se si fosse consumata in quell’ultima fiammella di rimprovero bruciata troppo velocemente. 

«Naoki parliamo io e te leva il vivavoce...»

Entrambi ispirarono bruscamente, Kimiko mise una mano sul braccio del fratello scuotendo la testa chiedendo in maniera silente di non escluderla. 

Naoki guardò lo schermo luminoso indeciso e Kimiko strinse leggermente di più la presa «Va bene nonna...vado. Buonanotte o buongiorno o quello che è.…ti voglio bene.» 
«Ti voglio bene anche io Kimiko, buonanotte e studia domani.»

Chiuse gli occhi, Naoki, e annuì facendole cenno di restare in silenzio prendendo ancora qualche secondo per far credere alla nonna che la nipotina si stesse allontanando. 

«Ok Oba-chan dimmi...» 
«Non c’è bisogno che torniate, sarebbe un viaggio inutile.» 

Viaggio inutile quelle due parole caddero come un macigno, il silenzio nell’attesa di quella telefonata a confronto del silenzio prodotto da quelle due singole parole si poteva considerare un concerto dei più rumorosi. 
Un silenzio totalizzante, soffocante, che annientava qualsiasi pensiero. 

«La signora Sakai non aveva una bella faccia mentre parlava al dottore. Stavo male da un po' quindi non è così inaspettato per me.»
«Perché non hai detto nulla? Perché devi sempre fare la vecchia testarda?» 
«Perché non aveva senso farvi preoccupare per qualcosa di inevitabile, avete le vostre cose da fare, le vostre vite. Non puoi mica lasciare tutto e correre dalla nonnina, poi a chi stai dando della vecchia?»

Dall’altoparlante del cellulare filtrò la risata serena della donna che anche in un momento simile non perdeva occasione di prendere in giro bonariamente il nipote. 

Naoki ignorò quelle parole «Vengo con il primo volo e.…» 
«Ti ho detto di no Naoki.» lo interruppe l’anziana «Ho sistemato già tutto quindi oltre che un viaggio inutile non saresti d’aiuto e ti sentiresti in difetto per questo...non mi hai risposto a chi stai dando della vecchia? Prova a venire e vedi come ti inseguo per prenderti a bastonare. Ho visto delle stampelle qui in giro e sembrano molto solide...» 
«Però non smentisci di essere una testarda...» 
«Ci conosci...noi donne Ikeda siamo testarde quando decidiamo qualcosa. Mi sbaglio Kimiko? Sei rimasta lì...» 

La ragazza era sicura di non fatto nessun rumore, aveva soffocato e mandato più il primo singhiozzo, il secondo, il terzo stringendosi il labbro inferiore tra i denti intimandosi di non piangere...aveva fallito ma stava piangendo in silenzio con la felpa che si era messa addosso appena scesa dal letto tirata in alto per coprire il viso. 

Facendo riemergere il volto da quel tessuto caldo, felpato, ormai umido tirò su col naso in modo rumoroso in risposta per confermare, con quel suono, senza forze per dire nulla e la bocca asciutta. 

Naoki roteò gli occhi, parlò più per alleggerire la situazione che per altro «Fosse solo testardaggine Ikeda quella di Kimiko...dove la metti la testardaggine Taguchi della mamma? Quindi che facciamo?» 
«Che vuoi fare Naoki? Quello che prevede la vostra routine. Ti ho detto che è tutto sistemato...i Sakai hanno detto che passeranno da casa poi, dopo, a sistemare e terranno le chiavi per voi, per quando uno di voi due o entrambi tornerete. Senti chi è la biondona di cui mi ha parlato Kimiko? Non mi piace è volgare non va bene per te...Naoki ti devi trovare una brava ragazza, fino adesso non se ne è salvata una.»
Kimiko si soffiò il naso con un pezzo di scottex che il fratello aveva strappato per passarglielo «Vero?! Glielo dico sempre...» 
«Nessuna di importante nonna, tranquilla...è già andata.» 
«Menomale...adesso devo chiudere, sta rientrando il dottore e dobbiamo litigare perché vuole che mi riposi. Il figlio dei Sakai è andato a prendere il computer che mi hai regalato Naoki, l’avevamo appena acceso e nella confusione non hanno pensato di portarlo in ospedale. Non dirmi il risultato!» 
«Quindi non hai imparato ad usarlo? Sul serio? Testardaggine Ikeda battuta da un computer?» 
«Non ha perso la testardaggine ha vinto la pigrizia...ah sappi che il computer non lo troverete, l’ho regalato al figlio dei Sakai tanto diventerebbe...come si dice? Obsoleto?» 
«Si obsoleto.» 
«Diventerebbe obsoleto per il vostro ritorno, così almeno è utile.»
«Va bene nonna...hai ragione.» disse Naoki stremato in tono accondiscendente. 
La donna alzò un po' la voce «Certo che ho ragione!» disse con un certo orgoglio «E ora vado e voi a dormire...il riposo serve a voi.»

Si erano salutati come sempre ma avevano aspettato che fosse Oba-chan a chiudere la chiamata sentendola inveire contro uno sventurato dottore, compatendolo non poco, che non aveva la più pallida idea su chi avesse come paziente. 

C’era stata solo un’altra chiamata due giorni dopo...poi quella dei Sakai nel fine settimana. 

 

 

 

Naoki non aveva la più pallida idea di cosa ci fosse nelle scatole che stavano tirando giù dalla mensola del suo piccolo armadio. Aveva lasciato a Makoto e Juro l’onore di frugare tra quei segreti che ormai appartenevano a una vita passata. I ricordi erano vacui, i contorni sfumati ma man mano che vendeva quegli oggetti non poteva non sorridere della sua idiozia, quelle bozze di dichiarazioni che puntualmente scriveva senza mai avere il coraggio di metterle nell’armadietto del suo grande amore. 

Chissà dov’era adesso la bella Hana Ueno. 

Guardò la sua divisa appesa nell’armadio a cui mancava il secondo bottone.  

Un po' malignamente Naoki sperava che il karma l’avesse colpita come un bumerang...alla fine del liceo si era detto che non aveva nulla da perdere, in ogni caso sarebbe partito a breve, si era fatto coraggio andando dalla bella Ueno per consegnarle il suo bottone. 

Sbagliato, aveva da perdere un’idealizzazione. 

La bella Ueno che aveva visto sempre con quella luce che la avvolgeva, gentile, posata...beh si era rivelata uguale a tutte le altre ragazze. Era stata solo più brava a simulare fino a quel momento. 

Quando si era confessato togliendosi il bottone e porgendolo verso di lei. La ragazza lo aveva preso solo per ridergli in faccia e lanciarglielo contro il petto. Erano seguite le solite frasi che sentiva, sussurrate, alle sue spalle. 

Non che Naoki sì aspettasse che la bella Ueno ricambiasse, si era dichiarato consapevole del rifiuto. Un condannato a morte che vuole mettersi il cappio da solo per poter mettere un punto e andare oltre. 

La bella Ueno con le sue frasi velenose gli aveva semplicemente fatto mancare l’appoggio sotto i piedi di un rifiuto gentile. Aveva aspettato educatamente che lei finisse, l’aveva ringraziata comunque per il tempo che gli aveva concesso, da vero idiota innamorato, non aveva raccolto il bottone. 

Chissà se lo avrà almeno buttato lei...no lo avranno fatto gli studenti di turno alle prime pulizie. pensò mettendo la divisa e quelle dichiarazioni in un primo scatolone destinato alla discarica mentre gli amici portavano via il materasso che sarebbe finito sul retro del furgoncino, in discarica anche quello. 

Naoki aprì la piccola finestra per far arieggiare, si avvicinò alla scrivania nascosta da una coperta che tolse cercando di far piano per non sollevare troppa polvere. 

In quel punto prima c’era il lettino della sorella. Il pavimento era leggermente segnato, era successo quando lo avevano spostato da una camera all’altra. 

Accarezzò il piano della scrivania che si era gonfiato negli anni. Non c’era da stupirsi era di compensato, presa di terza o quarta mano, sicuramente aveva visto momenti migliori, era traballante già quando ci studiava sopra lui ed il suo tempo era giunto. Sapeva di averla lascia vuota quindi fece cenno ai due amici, che erano rientrati dopo aver portato via dalle altre stanze gli altri materassi, di portare via anche quella per la discarica e si mise ad aprire la cassettiera. 

Qualche vestito che non si era portato dietro, finì in un altro scatolone che sarebbe andato in donazione. 

Tastò il fondo sorridendo, era ancora lì ben nascosta la sua prima rivista con donnine svestite. 

Naoki guardò la copertina con un misto di nostalgia e incredulità, c’era qualche scollatura più pronunciata ma il Naoki adolescente l’aveva trovata altamente erotica, non riusciva a capire come ai tempi gli fosse sembrata così peccaminosa, tanto da cercare il nascondiglio perfetto lontano dai radar della nonna. 

Mentre ne svogliava le pagine fragili pronte a rompersi da un momento all’altro ne scivolò a terra un bigliettino. Lo raccolse confuso non ricordando perché avesse dovuto mettere un segnalino su quella pagina. Batté le palpebre un paio di volte vedendo la scrittura della nonna che anche così riusciva a sorprenderlo, rimproverarlo e lasciarlo senza parole. 

 

 

“Disgraziato pensavi davvero che non l’avrei trovata?
Spero che tu nasconda meglio i soldi.
Sono una nonna che non si fa problemi quindi non te l’ho mai buttata...ho deciso di lasciare questo biglietto per quando farai pulizia.
Sappi che sto ridendo di te.
  
Se invece è Scimmietta ad averla trovata vai da Naoki e mettigliela sotto il naso e fagli leggere il biglietto.” 

 

 

Con un sorriso gettò la rivista nello scatolone insieme alla divisa, aprì il portafoglio mettendo via quel bigliettino...forse lo avrebbe fatto vedere a Kimiko, forse no. 

Dal salottino iniziarono a filtrare alcune note, dei tasti pigiati a caso senza una vera melodia da seguire che fecero uscire Naoki dalla sua stanza per andare a sedersi sullo sgabellino accanto alla sorella. 

 

 

Kimiko aveva tolto il grande telo che copriva il pianoforte verticale, posando quel telo sul materasso mentre Juro e Makoto stavano passando per portarlo fuori. 

Si prese un momento, sedendosi, prima di scoprire i tasti. 

Il ricordo di Oba-chan che insegnava ai bambini come suonare fu come un pugno. La rivide lì seduta accanto a qualche studente, lei che su ordine della mamma portava da bere alla nonna e all’allievo di turno. 

Non si era mai interessata troppo, poi Oba-chan le aveva detto che con quel mignolino troppo corto non sarebbe comunque riuscita a suonare e Kimiko l’aveva presa sul personale, imparando a suonare come presa di posizione, alla fine lo aveva pure trovato piacevole. 

Le erano venute delle crisi di pianto a non finire quando per pagare il biglietto per Roma erano stati costretti a venderlo per raggiungere l’intera cifra. Si era calmata solo sentendo Naoki pregare il negoziante di non venderlo e tenerlo da parte, con i primi soldi era stata la cosa più urgente che aveva sistemato nonostante le proteste di Oba-chan. 

Lo aveva rimproverato dicendo che non c’era bisogno che avrebbe potuto insegnare piano anche al negozio, rimprovero completamente tradito dal tono di voce quasi spezzato dalle lacrime che ricacciava indietro mentre erano al telefono e si vedeva riportare il pianoforte in casa. 

Non l’avevano avvisata, orgogliosa com’era non si sarebbe fatta trovare in casa dagli operai che nel giro di un mese avevano visto quella signora prepotente anche troppo per i loro gusti. 

Kimiko scoprì i tasti con un sospiro ritrovandoli più gialli di quello che ricordava e strinse gli occhi di fronte al foglietto. Per nulla sorpresa dal gesto beffardo della nonna. 

 

 

“Avevo ragione o no?! Che ti sarebbe piaciuta la musica tra le altre cose.
È difficile avere sempre ragione Scimmietta, noi lo sappiamo troppo bene...tu e la tua musica inglese, tedesco o quello che è.
Per me solo alcune delle cose che ascolti restano decenti le altre sono solo un gran rumore, ma se piacciono a te non discuto.
 
S
icuramente lo troverai scordato prenditene cura visto che lo avete voluto ricomprare. 
Disgraziato se trovi questo biglietto consegnalo a Kimiko, sicuramente se lo aspetta a differenza tua.” 

 

 

Posò quel foglietto sul leggio del piano, passando le dita sui tasti consumati iniziando a premerne qualcuno non seguendo nessuno schema. 

Era una ragione abbastanza scontata che, ormai, la maggior parte delle note suonassero male. 

«Menomale che so che sai suonare...» disse Naoki divertito seduto al suo fianco «Ti ricordi prima di partire come ci ha tormentato per insegnarci “Torna a Surriento”** pensando che ci avrebbe fatto fare bella figura saperla.» 

Kimiko sorrise fissando ancora i tasti più che il fratello «Beh un paio di cene alla fine ce le hanno offerte no?! È stato divertente dopotutto.» 

«Che ne vuoi fare con questo?» domandò Naoki riferendosi al piano, guardando il bigliettino sul leggio. 

«Forse volevi dire “cosa NE FACCIAMO con questo”» lo corresse Kimiko. 

«Ma smettila, è tuo. È sempre stato tuo. È stato il mio primo regalo per voi.» 

La sorella sospirò combattuta tra l’emotivo ed il lato pratico. 

«Non hai ancora scelto tra Tokyo e Sendai...» 

«In entrambi i casi può venire con noi.» 

«In un minuscolo appartamento di Tokyo con le pareti sottili e vicini frustrati?» 

«Chi dice che sarà un minuscolo appartamento?» 

Kimiko si voltò sconcertata «Sul serio? A Tokyo? Non hai guardato gli annunci che ti ho mandato? La “scelta della casa” non vuoi tenerlo come punto per scegliere dove andare?» 

«Può anche essere un'abitazione non così centrale, quindi più grande...ma non pensare a questo. Cosa vuoi? In ogni caso non può rimanere qui.» 

«Perché? Vuoi vendere la casa?» 

Naoki scosse la testa «No, sarebbe stupido farlo adesso. La faccio sistemare e poi pensavo di affittarla e quei soldi destinarli per la tua università. E quando finisci gli studi si vedrà se venderla o no.» 

«Come per l’università? Non avevi già fatto un fondo per quello? Dove sono finiti i soldi che ti sei trattenuto dai miei lavori...» 

Il fratello le posò un braccio sulle spalle «Calma, sono in quel fondo. Guarda che sono responsabile...ma dubito che riuscirai ad ottenere una borsa di studio visto le mie entrate. Diciamo che l’affitto sarebbero soldi extra, in modo che tu non ti debba preoccupare per le altre cose se non lo studio. Se non vuoi stare nei dormitori universitari, e mi sembra di aver capito che tu e Helmi vogliate fare le coinquiline pazze, ci potresti pagare l’affitto, la spesa e il resto o almeno una parte...sei una testona e non verresti mai a chiedermi soldi, ma con questo extra e quello che ti manderò in ogni caso so che sarai coperta, che studierai senza l’ansia di dover guadagnare per andare avanti.» 

«Ti prego basta, tutta questa responsabilità decantata ad alta voce mi mette i brividi.» 

«Quindi...» sospirò «come facciamo con il piano?» 

Kimiko fece vincere il lato pratico «Accordarlo in questo momento non avrebbe senso. Pensi che possiamo trovargli un posto? Fino al momento di capire che dobbiamo fare.» 

«Può anche restare in questa casa se vuoi, penso ci vorrà comunque del tempo per sistemarla.» 

Kimiko passò una mano tra i capelli per sistemare una ciocca che era caduta rimettendola in quel groviglio «Non so se mi piaccia l’idea che degli estranei lo tocchino.» 

Makoto tossicchiò per richiamare l’attenzione dei due «Se volete potete piazzarlo da me, ho abbastanza spazio.» 

Il sorriso dei due fratelli era celato dalle mascherine ma ugualmente visibile dai loro occhi. 

«Sicuro che non sia un problema Makoto?» chiese Naoki in imbarazzo pensando che forse stesse abusando troppo della disponibilità del suo amico. 

«Assolutamente no...ovviamente però non muoverò un dito per spostarlo, sembra pesante.» 

Kimiko annuì concorde per poi tastare il bicipite del fratello «Beh questi non li hai per finta.» prese il bigliettino ripiegandolo per metterselo in tasca «Tu lo hai già trovato?» 

«Cosa?» 

«Il bigliettino che ti ha lasciato in giro nonna.» 

Naoki distolse lo sguardo, cercando di dissimulare naturalezza per quanto gli fosse possibile, alzandosi e dirigendosi verso la cucina «No.» mentì. 

«Bugiardo...era nella rivista vero?» 

«Di che parli? Che rivista?» chiese fingendo di non capire senza voltarsi, colpito in pieno. 

«Di quelle riviste che che tenevi in fondo al cassetto.» 

«Nel mio cassetto?! Non ho idea di cosa tu stia parlando...» provò ancora. 

«Bugiardo...» 

Naoki sbuffò «Siete entrambe irritanti!» sbottò non potendo più negare l’evidenza sentendo lo sguardo indagatore della sorella addosso «Sei odiosa quando fai così.» 

«Si però mi vuoi bene.» rimbeccò il fratello in tono canzonatorio andandogli dietro per continuare a infastidirlo. 

 

 

 

*Nagano è famosa per questa attrattiva. Le scimmie, macachi, col freddo scendono e se ne stanno a mollo nelle acque termali nel Parco Jigokudani. 
Avevo visto un documentario che raccontava questa particolarità, una prima scimmia si era tuffata nelle acque termali ed era iniziato questa sorta di passa parola tra scimmie che trovavano rigenerante l’acqua tiepida per combattere il freddo della neve. Chiamale sceme... 

** Torna a Surriento, insieme ad altre canzoni che noi consideriamo "folkloristiche", vengono studiate nelle scuole giapponesi insieme ad altre canzoni estere. È stata anche la canzone principale di un drama abbastanza famoso degli anni 80. In generale a quanto sembra in Giappone, ed Asia, di noi c’è l’idea che siamo tutti bravi cantanti.

► Comunque non io che invece di pubblicare il capitolo 27 stavo per ripubblicare il 23 pensando di essere ancora così indietro. La stronza bella Ueno che ha spezzato il cuoricione di un Naoki sbarbatello, che aveva donato tutto il suo cuore con quel bottone...non me lo dimentico. Penso che si sappia che regalare il secondo bottone all'ultimo anno sia tradizione amorosa.
Ammetto che la parte di Oba-chan mi ha un pò spezzata ma niente non potevo non scrivere di questa altra donna Ikeda.
Perdonatemi per questo intermezzo, so che volete andare al sodo e vedere Ikeda che fa ballare i tavolini per lanciarli su Kags, però mi piace anche costruirle un passato in modo che voi da lettori possiate conoscerla meglio come me sta vivendo nella mia testa.

 

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Capitolo 28
*** Capitolo 27 ***


13 Aprile 2013 sabato, Karasuno High School - Prefettura di Miyagi


I raggi del sole splendevano tiepidi quel sabato mattina d’Aprile. Una primavera che si stava finalmente scaldando, un tepore che ricordava una carezza, quasi, confortante. 

Di confortante per il resto non c’era molto. 

 

Ikeda dopo lo shock iniziale, ed essere andata di corsa da Ennoshita, aveva aspettato la fine delle lezioni, più un tempo ragionevole, per chiamare e farsi dare i dettagli. 
Quando Ito finì di elencare il viaggio della speranza che avrebbero fatto sabato, con in sottofondo Morita che scandiva dei numeri, in una conta di chissà che esercizio in esecuzione, Ikeda prese un respiro contando anche lei fino a dieci tra un respiro e l’altro per motivi diversi da quelli del capitano dell’ Iiyama. 

Al dieci la stizza non era passata e nemmeno scemata, l’intera faccenda continuava a sembrare una completa idiozia. 

Glielo aveva detto senza mezzi termini chiudendo quella chiamata con quelle tre uniche parole “Siete degli idioti”. 

Avrebbe dovuto saperlo, doveva aspettarselo ma non riuscì comunque a trattenersi. 

Idioti fatti e finiti li aveva trovati a Settembre dell’anno precedente, ancora tendenti all’idiozia li aveva lasciati a Marzo per trasferirsi lì dove Naoki aveva scelto di inseguire i suoi sogni accademici.

Idioti oltre ogni ragionevole limite, soprattutto a fronte delle poco meno di quattro ore di shinkansen che dividevano il tragitto da Iiyama fino al cambio a Tokyo e giungere, infine, a Ogawara. 

Il professor Takera era stato così gentile da risparmiare loro l’ultimo pezzo proponendo al professore dell’Iiyama di andarli a prendere con il bus e poi portarli attraverso i monti fino al Karasuno. 

 

 

Kimiko si era svegliata presto come al solito, ma era uscita di casa prima rispetto alle abitudini dell’ultimo periodo, salvo il giorno in cui aveva partecipato agli allenamenti mattutini con il club di pallavolo maschile e l’odioso giorno in cui si era prestata al club di calcio femminile, che sperava di poter apprendere qualcosa di utile vedendola giocare. 

Poteva finire il suo lavoro di traduzione anche seduta sul balcone di casa sentendo la presenza degli scatoloni, ancora, incombere su di lei ma una volta finito di fare colazione e di prepararsi aveva sentito l’urgenza di uscire e arrivare quanto prima a scuola. 

Un’inutile frenesia visto che la partita di sarebbe svolta dopo le lezioni ma il bisogno di mettersi in moto era stato più forte di tutto il resto. 

 

Quel sabato, al Karasuno, ricadeva nei due mensili in cui si tenevano normalmente le lezioni, come nel resto della settimana, quindi più tardi ci sarebbe stato un via vai maggiore di studenti sulla strada. 

Non erano ancora le sette ma, comunque, il percorso era abbastanza popolato dai vari studenti intenti a raggiungere l’edificio per iniziare le loro attività nei club, da svolgere prima delle lezioni. 

Facce assonnate, piedi trascinati in un cicaleggio di discorsi per lo più vuoti ma che sembravano così terribilmente importanti. 

Un sottofondo costante fatto di quei suoni piatti che scandiva il numero di passi sulla strada verso i cancelli della scuola. 

Sottofondo a cui ormai Ikeda si era adattata, tutto sommato quella quiete tranquilla non le dispiaceva anche se le mancava la confusione caotica di Londra che rendeva la città così viva in ogni suo momento. 

Di certo lì non c’erano i clacson molesti; la musica che usciva dai finestrini abbassati; le voci mescolate, che tenevano un tono molto più alto di quegli studenti assonnati, dei passanti che si muovevano veloci sui marciapiedi o che si stringevano sotto le pensiline coperte delle fermate. 

Quando Ikeda passo il grande cancello però qualcosa, qualcuno, incrinò la calma che era regnata fino a quel momento. 

 

Vide Hinata sistemare velocemente la bicicletta nel parcheggio coperto salutandola altrettanto velocemente. Alle sue spalle invece sentì dei passi avvicinarsi di gran corsa e una voce alta, già arrabbiata di prima mattina. 

 

«NON TI AZZARDARE A PARTIRE PRIMA BOKE!» urlò una voce alle sue spalle. 

 

Ikeda non ebbe nemmeno bisogno di voltarsi per capire a chi si stesse rivolgendo quella voce perché Hinata, dal canto suo, stava aggirando le biciclette per uscire svelto da quella trappola i cui meccanismi che cercavano di rallentarlo avevano le forme dritte e ricurve dei manubri in cui la cinghia del borsone continuava a impigliarsi, di bicicletta in bicicletta, per la troppa fretta del ragazzo nel guadagnarsi la via d’uscita. 

Lo vide quasi inciampare, rischiando di cadere faccia a terra, sui raggi di una bicicletta rossa con la ruota mal posizionata riuscendo comunque a riprendere l’equilibrio e iniziando a correre. 

 

«NON STO PARTENDO PRIMA BAKA! SEI TU CHE SEI DIETRO DI ME!» urlò in risposta il centrale mentre una figura alta e scura sorpassò Ikeda, ad una velocità tale che percepì l’aria spostarsi, cercando di raggiungere la figura minuta dai capelli rossi che deteneva un leggero vantaggio.

 

Ikeda rimasta immobile, e spettatrice, di fronte a quella scena e quel trambusto continuando a seguirli con lo sguardo.

Il desiderio di pungolare l’alzatore nacque spontaneamente traboccando quasi in maniera involontaria dalle labbra.

Portò le mani ai lati della bocca per farsi sentire meglio dai due ragazzi che correvano in un testa a testa verso il traguardo della vittoria, sospettando che la linea d’arrivo fosse segnata dagli spogliatoi o dalla palestra.

 

A grandi falcate Kageyama, grazie alle gambe più lunghe rispetto al suo rivale, era riuscito a riprendere il vantaggio che Hinata aveva ottenuto da quella partenza, che restava comunque anticipata, su cui pensò di litigare una volta vinta anche quella competizione. 

Concentrato sulla figura del centrale che faticava ad uscire tra quelle biciclette non si era degnato di pensare ad altro se non a cogliere l’occasione. In ogni caso non gli sarebbe interessato altro. La persona rimasta ferma era solo qualcosa da evitare nulla di più nulla di meno. 

 

«CORRI HINATA! RUUUN BOY!» 

Tre parole e un nome, il tono di voce alto di una voce fastidiosa. Quella voce fastidiosa.... 
Kageyama aggrottò la fronte mentre Hinata alzava le braccia al cielo con un gridolino aumentando il suo ritmo, come se avesse ricevuto una spinta invisibile distaccandolo, svoltando alla prima curva del percorso che avevano fatto già un’infinita di volte.

La detesto maledizione.

Strinse i denti preferendo imprecare solo mentalmente e risparmiare ossigeno fissando la schiena di quel boke che correva davanti a lui. 

 

Ikeda seguì con lo sguardo le due figure fino a quando non scomparirono entrambe, prima Hinata poi Kageyama, alla vista dietro il primo angolo. 

Mise da parte qualsiasi speculazione su chi alla fine sarebbe arrivato per primo a tagliare il traguardo. L’esito su chi sarebbe arrivato prima era incerto, allo stesso modo la ragazza sentiva incerta la possibilità che Kageyama giungesse quel giorno a capire che avevano già sprecato del tempo prezioso. 

Il sospiro per un risultato che invece sapeva essere certo in quella giornata fu lungo. 

Mise da parte anche quel pensiero, uscendo da quella trance in cui era finita tirando la parte bassa delle spalline dello zaino, alzandoselo sulla schiena. 

Il suo punto di arrivo era in classe al suo banco, la linea del traguardo tra le pagine che stava finendo di riempire. Doveva ancora macinare con un po' di inchiostro per raggiungerlo.

 

Scesi dal bus i ragazzi di Iiyama si guardavano intorno. Quella scuola sembrava decisamente grande almeno il doppio della loro. Ma più che considerazioni sulla grandezza del posto in cui erano, i loro occhi vagavano in torno alla ricerca del secondo motivo per cui avevano insistito così tanto con il professore perché cercasse di organizzare quell’amichevole, sperando che anche dall’altra parte accettassero. 

Il docente non era stato molto felice quando, dopo che ormai si era data disponibilità per quell’amichevole, scoprì che il Karasuno non era una scuola nei dintorni. 

La squadra non aveva battuto ciglio alla notizia che la scuola non avrebbe coperto il costo per gli spostamenti, con un’alzata di spalle collettiva i ragazzi risposero che se li sarebbero pagati da soli. 

 

«E se la stanno nascondendo?» 

«Non dire stupidaggini Ono...» fu la risposta del capitano mentre l’altro spostava gli occhi a destra e manca in cerca di indizi e le orecchie aperte nel caso fosse arrivata una richiesta di aiuto. 

«Ha ragione Morita, stai esagerando come sempre.» disse Ito facendo annuire i suoi compagni di secondo anno e i senpai. 

I ragazzi del primo anno se ne restavano in silenzio, intimoriti di dover fare quella partita così presto al loro ingresso nel club. 

I ragazzi dell’Iiyama rimasero in attesa davanti la porta della palestra che gli era stata indicata, dopo essersi cambiati ed aver indossato le pettorine numerate sopra le magliette bianche e i pantaloncini blu elettrico. 

Per poco Ono e Wada quasi non cadde la mascella per la sorpresa vedendo passare una ragazzina bionda e carina con due portabottiglie pieni. La giacca della tuta nera con la scritta “Liceo Karasuno Club di Volleyball” non lasciava adito a dubbi su chi potesse essere. 

«Hanno già una manager...» sbuffò Ono. 

«Ikeda poteva benissimo restare da noi.» convenne Wada capendo cosa volesse intendere l’altro, sbattendo tra di loro le scarpe che teneva in mano con gesto infantile.

Morita dovette fare appello a tutta la pazienza di cui era capace «Davvero?! E come intelligentoni? Se si dovevano trasferire, come faceva a restare da noi?» 

«In qualche modo si poteva fare...» borbottò Ono scrutando con aria torva i loro rivali, che dopo aver concesso loro la precedenza negli spogliatoi si erano cambiati e stavano raggiungendo la palestra per riscaldarsi. 

«Certo che ci sono dei ragazzi davvero alti.» disse Fukui, l’alzatore più giovane del primo anno, osservando passare il ragazzo alto e biondo con gli occhiali nel completo nero, con un brivido lungo la schiena si ritrovò a sperare di non dover sostituire Ito in qualche azione. 

 

L’entusiasmo di Hinata alle stelle lo si poteva intuire dal baccano che faceva. 

Kageyama quasi rimpiangeva il periodo in cui se ne stava con i crampi allo stomaco anche per le amichevoli, almeno se ne stava buono. 

L’alzatore vide il gruppetto di ragazzi guardare solo brevemente il loro centrale che di tutta fretta si stava cambiando le scarpe e borbottava le sue solite stupidaggini. 

Si potevano considerare nella media come altezza, Kageyama calcolò che nessuno arrivava a guardarlo negli occhi senza la necessità di alzare il capo. Certo però non poteva escludere che potessero fare dei muri discretamente alti. 

Fu un bisbiglio a fargli rizzare le orecchie. 

 

 

«Bisogna tenere d’occhio quel numero 8.»

Le leve più giovani della squadra non capirono il perché di quella osservazione. 
«Mmh dici Capitano?» domandò uno dei ragazzi più giovani, tenendo anche lui un tono basso, guardando il tipo con i capelli rossi con il numero 8 sulla pettorina che si agitava energeticamente «Perchè?»

«Non ha i colori invertiti quindi non gioca da libero come potrebbe sembrare dall’altezza.» spiegò Morita continando a parlate con voce bassa «Ikeda ha sempre detto di stare attenti a queste cose. Se poi è anche titolare ci saprà fare in qualcosa.»


Kageyama si rendeva conto da solo che il tempo impiegato ad allacciarsi le scarpe era ridicolmente lento, ma non gli importava continuando ad attardarsi in quell’operazione per pensare. 

Quella deduzione fatta così rapidamente gli fece strano lasciando con un senso di disagio. 

In generale fino a quel momento alle prime partite con squadre sconosciute tutti avevano liquidato Hinata sottovalutandolo. Le squadre che invece stavano in guardia anche al primo scontro li avevano almeno già visti giocare dagli spalti e avevano potuto vedere il centrale in azione. 

Ora però gli era più chiaro come mai il primo giorno Ikeda, a dispetto di una scelta che era sembrata dettata dall’incapacità di giudizio della ragazza nel non saper riconoscere le ricezioni schifose del centrale, avesse chiesto a quel nano di giocare con lei. 

Glielo sto chiedendo perché è veloce.

Quelle parole così come la voce della ragazza risuonarono nella mente dell’alzatore, visualizzando insieme all’espressione stranita sul volto della ragazza che fissava Tsukishima dopo che quest’ultimo aveva fatto una delle sue solite battute sarcastiche. Come se avesse dovuto spiegare un’ovvietà per ribattere a un’eresia. 

Concentratevi pure su Hinata...anche quello va bene. pensò notando che un ragazzo dai capelli tagliarti troppo corti e con gli occhiali lo stava fissando. 

Kageyama finì di allacciarsi le scarpe con la convinzione che quei ragazzi sarebbero stati fastidiosi tanto quanto Ikeda. Dopotutto solo persone discutibili, come ad esempio Tsukishima, potevano trovarsi ad andare d’accordo con qualcuno del genere. 

 

 

Ito si rese conto tardivamente, e con imbarazzo, di essere rimasto a guardare più del dovuto quel ragazzo dai capelli neri e gli occhi gelidi. Sembrava ancora più grosso di come gli era sembrato sul Monthly Volleyball, sentì la pelle d’oca formarsi dietro la nuca. Preda di un certo nervosismo percepì anche le mani farsi umide di sudore e le dita divenire fredde. 

Quando Ikeda gli aveva confidato in che scuola si sarebbe iscritta quel nome non gli era suonato completamente estraneo, poi qualche tempo dopo sfogliando i numeri passati della rivista gli era balzato agli occhi l’articolo su quell’alzatore prodigio che aveva permesso di far volare nuovamente i corvi verso il Torneo Nazionale Primaverile. Di fatto però quando le aveva domandato, per curiosità, se la scelta fosse avvenuta dopo aver visto quell’intervista, Ikeda con una scrollata di spalle senza nemmeno degnare la rivista di uno sguardo aveva risposto che non sapeva di cosa stesse parlando. 

 

-Alla prima scrematura delle scuole di Miyagi l’avevo letto come Torino, la città italiana. Mi ha fatto sorridere pensare che potrei essere e non essere in Italia.-

 

Dopo averla conosciuta un po' quella motivazione gli era parsa assolutamente plausibile secondo gli standard di Ikeda, soprattutto perché gli aveva detto di aver depennato immediatamente, senza pensarci due volte, tutte quelle private che richiedevano la presenza nei dormitori. Ormai Ito aveva capito che Ikeda non seguiva e inseguiva gli stessi parametri degli altri studenti ma teneva una sua personale lista di priorità. Si era rivelata un’ottima studentessa nonostante le lacune, si erano illusi di averla aiutata ma era bastato indirizzarla poi lei aveva fatto il resto. Leggeva libri su libri con la stessa foga che teneva dall’altro lato della rete, come se non fosse mai abbastanza. Con una dedizione del genere sarebbe potuta facilmente entrare in licei privati, garantendosi quindi una vita più semplice ma non era quello che ricercava. 

Ito non stava seguendo più nemmeno i discorsi sconclusionati dei suoi compagni di squadra perso nei suoi pensieri. Parallelamente, però, i discorsi senza senso erano continuati. 

Si ridestò mettendo a fuoco la situazione solo quando il suo senpai Ono iniziò ad attaccar briga con un ragazzo il cui completo aveva i colori invertiti e quello affianco con i capelli rasati. 

 

«Ehy dov’è Ikeda? Dico a voi con quelle brutte facce.»

«A chi hai detto brutte facce?» domandarono all’unisono Nishinoya e Tanaka. 

Ono li ignorò rivolgendosi ai ragazzi che lo affiancavano. 

«Morita guarda che brutte facce? Come fai a non pensare che non la stiano nascondendo?» 

Il ragazzo iniziò a pensare a possibili scenari forse anche peggiori in cui la loro manager (anche se ormai non lo era più) aveva bisogno del suo aiuto. 

«NON CI IGNORARE BRUTTA FACCIA!» 

Ono non fece nemmeno caso all’insulto che il duo gli aveva rimandato, finito ormai in un delirio da super eroe. 

Morita sospirò guardando il duo tenuto a freno dal capitano del Karasuno che a sua volta lo guardava. Entrambi in una muta, reciproca, comprensione su quei compagni problematici. 

«Ennoshita giusto? Vi chiedo scusa per questo idiota.» 

Il capitano del Karasuno scosse la testa «Immagino di dover-» 

Ono però ormai era deciso a dare il via alla missione di salvataggio che si era configurato in testa. L’espressione risoluta si trasmise anche alla sua voce «Non importa dove tengono prigioniera la nostra manager!» 

«Nessuno la tiene prigioniera brutta faccia!» commentò Tanaka ancora trattenuto dal colletto dal capitano. 

«E poi Ikeda è la NOSTRA manager brutta faccia!» si aggiunse Nishinoya puntualizzando quella informazione che evidentemente a quel cretino dalla divisa blu era sfuggita. 

Ennoshita li scrollò nuovamente «State buoni vuoi due.» si voltò per rassicurare il ragazzo dell’Iiyama «Guarda stai tranquil-» 

Ono fissò Wada sapendo che avrebbe avuto di certo anche il suo appoggio. 

«Wada non ci resta che setacciare palmo palmo questa scuola.» 

«Hai detto bene senpai andiamo.» concordò gonfiando il petto.

 

Da dentro la palestra erano filtrati stralci di quella litigata che aveva del surreale. 

Tsukishima pensò che Ikeda era abituata a idioti ben peggiori, a confronto gli idioti del Karasuno ne uscivano sconfitti, alla fine nemmeno in quello erano riusciti ad eccellere. Il che la riteneva comunque una vittoria immaginando cosa potesse essere aver a che fare con quell’Ono. 

Yamaguchi tratteneva Hinata che chiedeva di essere lasciato per dare man forte ai senpai. 

Yachi sorrideva a quel trambusto. Ormai consapevole che in ogni squadra erano presenti tipi vivaci come i loro Noya e Tanaka. 

Kageyama invece palleggiava a muro concentrandosi, sperando che lasciassero libero quel ragazzo e portasse via Ikeda il più lontano possibile. 

 

Prima che potessero allontanarsi Morita trattenne il braccio del suo compagno e del kohai stringendo la presa. 

«Ito riprendi gli altri maledizione.» ordinò all’alzatore vedendo che altri due stavano per fare un passo e sgattaiolare via, l’alzatore vacillò per un momento poi afferrò gli altri riportandoli vicini al gruppo. 

«Smettetela! Ci state mettendo in imbarazzo. E poi il capitano del Karasuno ti stava parlando Ono, che modi sono?» continuò a rimbeccare il capitano. 

Ono tentò di mandare giù il groppo di saliva rimasto incastrato in gola, come se la stretta del suo capitano dal braccio fosse arriva fin lì. Abbassò il capo bofonchiando delle scuse in direzioni dei tre ragazzi del Karasuno. 

Nishinoya e Tanaka notarono il cambio d'atteggiamento e l’abbassamento di cresta, ridacchiando sotto i baffi, venendo richiamati all’ordine dalla stretta sulla maglietta del loro capitano. 

«Mi spiace è colpa anche questi due zucconi.» disse finalmente Ennoshita voltando appena il viso in direzione dei ragazzi dal completo blu facendo anche attenzione ai suoi primini che si stavano unendo al resto della squadra dentro l’edificio «Comunque penso che Ikeda sarà qui a breve. Vieni Morita noi entriamo così ci organizziamo. Vedete di scusarvi voi due.» 

Un lungo brivido percorse la schiena dei due ragazzi in nero. Ennoshita aveva velato l'ordine di quelle ultime parole con gentilezza, il che era anche peggio di quanto potesse sembrare visto da fuori.  

Morita seguì il capitano del Karasuno lanciando uno sguardo eloquente alla sua squadra che, tolti alcuni elementi, obbedientemente e in silenzio entrarono con loro in palestra. 

«Fanno paura quando sono così.» si lamentò Nishinoya. 

Ono borbottò qualcosa a bassa voce. 

«Che hai detto brutta faccia?» 

Il ragazzo non ci fece caso. Passare sopra a quell’insulto era decisamente più semplice che chiedere nuovamente quello che aveva sussurrato prima ma ci riprovò con un certo imbarazzo. 

«Come si sta trovando Ikeda qui?» 

Ito roteò gli occhi «Non ricominciare senpai...» 

«Sono preoccupato va bene?! Voglio solo assicurarmi che sia tutto apposto.» 

Tanaka e Nishinoya si fecero seri, potevano capire benissimo quel ragazzo. Entrambi stavano vivendo le stesse preoccupazioni pensando a Kiyoko che ormai frequentava l’università. 

«La tratteremo con il massimo rispetto. Ci siamo sempre assicurati che nessuno si avvicini più di cinque metri alle nostre manager.» risposero entrambi con il pugno sul petto per suggellare la serietà di quella affermazione. 

«Io sono Yu Nishinoya lui è Ryunosuke Tanaka» 

«Hibiki Ono» annuì in parte sollevato da quella rassicurazione, non avendo comunque molta scelta. 

«Isamu Wada» si presentò l’altro prima di indicare l’alzatore «Il nostro alzatore titolare Yoori Ito» che alzò una mano. 

«Beh non che le serva...al massimo così tenete al sicuro chi tenta di avvicinarsi con secondi fini.» osservò Wada in tono divertito. 

«Non è ancora uscito il racconto del cinema?» chiese Ono vedendo le espressioni confuse sui due ragazzi prima che entrambi scosserò la testa in segno di diniego. 

«A Londra sono veramente pazzi...un paio di tizi si erano avvicinati a lei e delle sue amiche a film terminato. Gli hanno rovesciato in testa quello che rimaneva delle bibite e messo per cappello il bicchiere vuoto. Aaaah mi chiedo ancora come sia riuscita a cadere nel fiume da noi, almeno era nella parte bassa.» 

Wada ridacchiò a quel ricordo, Ito in ritardo agli allenamenti con dietro “la ragazza strana appena trasferita caduta dalla sedia” (quell’aneddoto aveva fatto il giro della scuola il primo giorno di scuola di Ikeda suo malgrado). 

«Ehy forse è in ritardo per questo. Ito perché non ti fai un giro e vedi se c’è qualche fiume. Magari ci è finita dentro e serve ripescarla.» 

I ragazzi dell’Iiyama risero insieme complici. 

«Aspettate che cosa? Come ci è finita dentro un fiume?» 

Ito si asciugò una lacrima sfuggita a quelle risate «Mi ha detto che stava correndo...l’ho trovata completamente fradicia che cercava sulla riva le chiavi di casa. E non voleva andarsene, all’inizio, la testarda. Oh oh Wada ma forse non devo guardare nei fiumi magari si è arrampicata su qualche albero come quella volta...ehy ma cos’è quella facc-….» 

L’alzatore si zittì spostando anche lo sguardo su Ono che si era fatto rigido. 

Nishinoya e Tanaka guardavano qualcosa oltre la sua spalla. 

In quel momento i due corvi ebbero paura, tanta quanta gliene faceva provare Ennoshita. 

Ito cercò di deglutire intuendo il perché di quel silenzio. 

«È dietro di me vero?» domandò in tono preoccupato, riavvolgendo come in un nastro gli ultimi momenti della conversazione. 

Da quanto poteva essere lì? Cosa aveva sentito? 

La manina che si poggiò sulla spalla e le dita che vi si piegarono lentamente sopra per stringere la presa lo fecero sobbalzare leggermente ma fu la risposta positiva alla domanda rimasta in sospeso tra i ragazzi, visto che nessuno degli altri presenti sembrava dare accenni di vita. 

«Vogliamo raccontare le tue avventure col gatto grasso e senza coda? Mmh? Invece di stare qui ad oziare non dovreste essere dentro a riscaldarvi?» chiese Ikeda da sopra la spalla dell’alzatore scura in volto. 

Fu con estrema titubanza che Ito si voltò verso la voce femminile alle sue spalle. 

La prima cosa che notò con sollievo era che Ikeda non era seriamente arrabbiata, altrimenti gli sarebbe già arrivata una schicchera sul naso come da consuetudine. La seconda cosa che notò invece lo lasciò perplesso. 

«Ti devi ancora cambiare?» domandò stranito continuando a guardarle la divisa. 

 

Non era poi così insolito che tardasse delle volte, anche se Ono sembrava aver dimenticato quella piccola brutta abitudine che già all’Iiyama gli aveva provocato spesso dei crepacuore per l’ansia. Ci scherzavano spesso sul fatto che fosse finita, sfortunatamente, di nuovo a mollo lungo la riva del fiume ma Ono era anche pronto a battere tutta la lunghezza dell’Yomase. Su entrambe le rive se necessario. 

Ma poi la ragazza faceva sempre capolinea sulla porta della palestra, la media del ritardo si attestava all’incirca sui dieci minuti e Ikeda entrava con le solite scuse “Vizio italiano...” o “Le belle ragazze si fanno attendere” a cui seguiva la risata giocosa. La prima volta che aveva usato quella scusa vedendoli ammutoliti aveva continuato dicendo “Beh dovreste ribattere che allora dovrei essere perfettamente puntuale no?!”, erano rimasti combattuti tra lo smentirla e la paura di non darle ragione. 

Fu la ragazza a toglierli dall’impaccio dicendo che era uno scherzo e potevano rispondere in quel modo al suo scherzo...c’era voluto tempo per abituarsi a quei modi ma alla fine era diventato un’abitudine quasi rituale. 

Ikeda in ritardo, con una media di dieci minuti; scherzavano tra di loro (si erano sempre ben guardati da riferire quella parte alla ragazza) sul fatto che fosse lungo il fiume Yomase; Ono in ansia che tamburellava con le dita fissando la porta della palestra e poi finalmente la loro manager sull’uscio mentre sostituiva le scarpe con quelle da pallavolo e diceva ad alta voce con tono solenne “Le belle ragazze si fanno attendere” e a turno qualcuno le rispondeva con leggerezza “Allora dovresti essere puntuale”. 

Ma nonostante i ritardi era sempre pronta, impeccabile con la tuta addosso per iniziare e prendere parte agli allenamenti. Sempre con la tuta anche quando non si univa a loro rimanendo a bordo campo. 

Sempre con la tuta... 

Perché non era in tuta? 

 

Ikeda sorrise «E perché mi dovrei cambiare?» esclamò superandoli per sbirciare dalla porta gli altri ragazzi «Poi potevo mai farvi perdere la possibilità di ammirare questa bella divisa scolastica. Devi ammetterlo batte quella dell’Iiyama...» 

Ito non fece nemmeno caso a quell’osservazione, il cervello bloccato fermo sulla prima domanda «Come perché?! In palestra sei sempre stata in tuta anche se non facevi che dire quanto odiassi il blu... Non te l’hanno ancora data?» 

La ragazza continuò a guardare l’interno della palestra «Non mi sono iscritta.» 

Quell’affermazione scivolò lenta tra le labbra di Ikeda e altrettanto lentamente si avvolse nei cervelli dei tre ragazzi dell’IIyama. 

«Ancora non ti sei iscritta...» la corressero Nishinoya e Tanaka. 

Ikeda fece un gesto con la mano come a dirgli di non dare importanza alla cosa «Vado a salutare il professore. Vedete di riscaldarvi.» disse salendo i gradini e facendo scivolare lo zaino dalle spalle per lasciarlo vicino alla porta. 

 

Fu Ono a spezzare il silenzio «Perché non si è iscritta? Che le avete fatto?» 

«Noi niente...» rispose Nishinoya alzando le mani. 

La discussione venne interrotta dai loro capitani con le facce torve e il richiamo imperativo di entrare. 

 

 

Ikeda trattenne il respiro guardando le spalle di Kageyama il cui numero nove in colore chiaro risaltava sulla pettorina. Riuscì a nascondere quel momento mentre passava il gruppo in nero, entrambi ignorandosi, solo quando li oltrepassò concesse ad un piccolo sorriso di emergere a fare capolino. 

 

Il destino era strano, beffardo...non restava che capire verso chi dei due lo sarebbe stato se verso Ikeda o verso Kageyama... 

 
 

Note: In questo secondo anno ho ipotizzato che alcuni mantenessero i loro numeri per praticità con le maglie. Tecnicamente le maglie 1-2-3 sono libere quindi Ennoshita che diventa capitano avrà la num 1, Nishinoya e Tanaka hanno già il 4 e 5 al loro secondo anno quindi non credo avrebbero fatto storie e avrebbero mantenuto di buon grado i loro numeri. Kinoshita e Narita quindi indossano le maglie 2 e 3 (da un’immagine che non riesco a ritrovare Kinoshita avrà il 2 e Narita quindi il 3). Va da sé che restano tre posti, 6-7-8, fino alla maglia num 9 che Kageyama già indossa al primo anno. Nella mia testa quindi Yamaguchi, Tsukishima e Hinata lo hanno sorpassato con i numeri. Sicuramente Hinata ha gongolato nell’avere un numero superiore, Kageyama lo avrà ignorato sentendosi comunque migliore a dispetto di che numero indossi. 

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Capitolo 29
*** Capitolo 28 ***


Dopo aver saluto il suo passato responsabile del club e professore Akiyama lasciandolo al momento sigaretta, che stava condividendo con Ukai, Ikeda si era affiancata a Yachi per darle una mano a sistemare le sedie fino a quando la voce di Ito non l’aveva richiamata distogliendola da quel compito. 

«Ikeda vieni un momento?» 

Yachi annuì alla richiesta silenziosa della compagna che tacitamente le chiedeva con lo sguardo se le andasse bene si fosse allontanata per un momento «Tranquilla vai pure tanto abbiamo finito.» 

«Dimmelo se posso fare altro...» disse Ikeda per poi girarsi verso il gruppetto dell’Iiyama «Cosa c’è?» chiese avvicinandosi, notando non avessero ancora iniziato a riscaldarsi, intenti ancora a valutare con che schema iniziare. «Non sperate che prenda parte alla conversazione vero? Ero stata chiara...» 

Ito scosse la testa «Si sì lo sappiamo...volevo farti vedere lui.» l’alzatore prese per un braccio Fukui mettendolo davanti ad Ikeda con un certo entusiasmo «Si chiama Fukui, gioca da alzatore anche lui.» il sorriso che si allargava a quella dichiarazione. 

Fukui deglutì sotto lo sguardo indagatore di Ikeda mentre alzava un sopracciglio per quella reazione «Perché se la sta facendo sotto? Che gli avete detto?» domandò mentre aveva già preso le mani del ragazzino, il cui viso si era colorato di rosso, alzandole e rigirandosele davanti agli occhi, Ito non ebbe il tempo di rispondere. «Da quanto gioca in questo ruolo?» domandò esaminando attentamente i punti in cui la pelle inspessita aveva formato i calli ancora troppo torbidi. 

«Pensavo non fossimo più un tuo problema...» le ricordò sornione Ito vedendola così interessata. 

La ragazza mollò le mani del ragazzino, che la superava in altezza solo di qualche centimetro, con gesto brusco guardando l’alzatore titolare dritto negli occhi come se volesse incenerirlo. Fu Ito a deglutire sonoramente in quel momento. 

«Bendarsi le dita non va bene...fatti spiegare dal tuo senpai che devi fare.» commentò Ikeda girandosi con uno sbuffo per andare a sedersi «Avrebbe già dovuto dirtelo in ogni caso.» 

Fukui sbatté le palpebre un paio di volte. Davanti alla sua confusione Ito diede due pacche sulla spalla del suo kohai «Non te lo chiedere come lo sa...queste cose le sa e basta.» commentò facendo uno sforzo per non ribattere al tono canzonatorio con cui la parola -senpai- aveva lasciato la bocca di Ikeda. Fin dal primo giorno in cui i primini si erano uniti al club aveva sentito solo i dubbi crescere, non aveva idea di cosa fare o come insegnare qualcosa a Fukui. Il suo di senpai non era stato dei più grandi esempi in merito; da parte Ikeda invece c’era stato solo un flusso costante di nozioni che trasmetteva con noncuranza, cambiando approccio quando sembrava non capire, e informazioni che rivelava anche senza aprire bocca. Quel dono Ito pensava di non possederlo, cercava di riportare ogni cosa come Ikeda gli aveva spiegato, seduti con la schiena poggiata al muro della palestra mentre bevevano o con il rumore ritmico della palla che sbatteva a muro in un palleggio preciso e cadenzato, ma tutto gli si mescolava nella testa senza un filo logico, troppe cose da dire che si accavallavano e alla fine ne usciva solo un grande cerchio alla testa. 

 

 

Dall’altro lato della palestra anche il Karasuno si stava preparando ad affrontare quella amichevole. Stavano prendendo posto distanziandosi tra loro per iniziare il riscaldamento. 

Con la coda dell’occhio Kageyama osservò come Ikeda si fosse avvicinata, richiamata dal tizio che lo aveva fissato fuori dalla palestra trascinando un altro ragazzo di fonte a lei. Non gli davano comunque l’impressione di conoscersi. 

Kageyama si era messo volutamente distante da Hinata e dal suo baccano cercando di stare a portata d’orecchio e cercando di guardare con la coda dell’occhio cosa succedesse da quel lato della palestra. Lo infastidiva non poco la presenza di quella spettatrice. 

Era riuscito a capire che in squadra l'Iiyama aveva due alzatori. Il ragazzo con la faccia da pesce lesso e quello le cui mani stavano venendo ispezionate da Ikeda che le rigirava con lo sguardo annoiato per poi lasciarle sbuffando. 
-Bendarsi le dita non va bene…fatti spiegare dal tuo senpai che devi fare. Avrebbe già dovuto dirtelo.- 
Quella frase, filtrata tra il vociare che aveva vicino, spinse Kageyama a girarsi per guardare meglio quel moccioso. Non riusciva a scorgere del bianco, non c’erano dita nastrate alle mani di nessuno due ragazzi, con la fronte corrucciata spostò involontariamente l’attenzione su Ikeda che stava passando. 

Distrattamente la ragazza si girò in direzione dei corvi. Rimase un momento interdetta notando Kageyama che spostava l’attenzione dai due alzatori dell’altra squadra verso di lei. 

Rimasero a guardarsi in silenzio, il vociare nella palestra quasi attutito e distante sfuocava tutto il resto nella palestra. 

Ikeda intenzionata a non retrocedere di un millimetro continuava a mantenere il contatto visivo con arrogante decisione. 

Sguardo torvo Kageyama deciso, questa volta, a non girare le spalle per andarsene. Se qualcuno gli avesse detto che esisteva un'altra forma di vita in grado di alterarlo tanto quando Oiwaka non ci avrebbe mai creduto.  

Alla fine, fu Kageyama, spazientito, a rompere quella muta discussione che non stava andando da nessuna parte. 

«Pensi di avergli dato qualche consiglio utile su come vincere?» domandò l’alzatore «Tu non lo hai vinto.» fece notare con una punta di sarcasmo, domandandosi anche da dove venisse. Forse, alla fine, la vicinanza con Tsukishima aveva sortito effetti sgraditi e quello ne era un sintomo. 

Ikeda voltò finalmente lo sguardo dall’altra parte, storcendo le labbra con indignazione e indolenza mischiate tra loro, perversamente distinguibili. 

«Vincere...perdere, risultati relativi solo sulla tua scala di giudizio e comunque ho lasciato a metà del secondo set questo inficia il risultato a prescindere. In ogni caso puoi stare sereno sono la Finlandia.» rispose in maniera annoiata senza nascondere la vena di condiscendenza che straripava ad ogni parola, prese lo zaino per sedersi a metà strada tra le due squadre che si riscaldavano «E non mi abbasso a queste cose.» 

Kageyama continuò a fissarla con astio seguendone i movimenti «Il tabellone dei punti non è la mia scala di giudizio! E’ il risultato finale di una partita. Che cavolo vorrebbe dire Finlandia?»  

«Pensavo fossi la Svizzera...» commentò Tsukishima, divertito dal vedere la giugulare del Re del Campo ingrossarsi in maniera ritmica. 

La ragazza, ormai seduta con le caviglie incrociate, non alzò nemmeno gli occhi dal cellulare che aveva preso dallo zaino. Scrollò le spalle vedendo le notifiche «È uguale, sono entrambe nazioni neutrali.» 

«Quindi perché cambiare?» domandò il centrale cambiando posizione. 

Ikeda posò il telefono facendolo scivolare nella tasca aperta «Perché ho un’amica finlandese estremamente suscettibile.» 

«Più del nostro Re?» domandò Tsukishima senza celare affatto l’intonazione di scherno con cui aveva intriso quel nomignolo. 

Kageyama fece una smorfia scontrosa una delle sue, una tra tante del suo repertorio, fulminandolo con gli occhi. 

«Non mi metto a discutere per cose banali quale una nazione neutrale da scegliere...» Ikeda si alzò dalla sedia allacciando le dita dietro la schiena e il naso all’insù avvicinandosi di qualche passo verso i ragazzi in blu «IIYAMA OCCHI A TERRA!» ordinò. La gonna era un limite davvero noioso, odiava quell’obbligo culturale delle scuole giapponesi che limitava di molto certe interazioni. 

I ragazzi del secondo e terzo anno non avevano domandato o protestato, abituati a eseguire, soprattutto sentendo quella sfumatura nel tono di Ikeda, chi si trovasse vicino ai ragazzi del primo anno aveva allungato una mano per afferrare dalla nuca i compagni e costringerli con gentilezza ad abbassare il capo. 

Era così nella loro palestra. 

Ikeda diceva, loro eseguivano. 

Ikeda domandava di trovare una soluzione di gioco, loro ci si scervellavano e poi le proponevano le loro alternative. 

Ikeda diceva di sceglierne una senza battere ciglio, anche quando alla fine facevano scelte sbagliate, loro la mettevano in pratica. A volte andava bene altre no e si tornava a scervellarsi sul perché quella strategia non fosse funzionata. 

Ikeda ordinava, come in quel momento, loro obbedivano. 

 

«Hai detto due secondi fa che non ti abbassavi a queste cose.» tuonò Kageyama osservando Ikeda girare come un rapace intorno quei dieci ragazzi, succubi, rimasti a gambe divaricate in spaccata e la fronte quasi poggiata a terra come se si stessero prostrando. 

«Kageyama smettila.» lo apostrofò Ennoshita. 

L’alzatore solo in quel momento si rese conto di essere, suo malgrado, finito in una discussione a senso unico in cui solo lui stava alzando la voce. Ikeda aveva risposto quasi con disinteresse, non aveva ribattuto nemmeno alla sua presa di posizione su chi tra loro due avesse vinto come se nessuna parola valesse la pena essere pronunciata in merito. 

«Come vedi non sto parlando.» puntualizzò Ikeda per poi rivolgersi al suo vecchio alzatore, fermandosi dietro la schiena che le interessava «Ito...come hai detto si chiamava il novellino qui?» 

«Fukui.» 

«Fukui, potrei mentire e dire che questo farà più male a me che a te...» disse Ikeda facendo scivolare il piede all’altezza della caviglia del ragazzo «ma non sono solita dire bugie per indorare la pillola.» 

In modo lento il piede di Ikeda costrinse la gamba di Fukui ad allargarsi per tendere il corpo del secondo alzatore in una spaccata maggiore, sorda alle proteste mugugnate a mezza voce del ragazzo. 

Il suono del palmo sbattuto dal capitano interruppe quel piagnucolare. 

«Fukui a casa facciamo i conti. Te l’ho detto mille volte come devi fare.» lo rimproverò Morita ormai con la pazienza azzerata. 

 

Il rimprovero del capitano continuò mentre Ikeda si allontanava, le spalle strette e gli occhi chiusi con forza così come le labbra, liberando una mano da dietro la schiena per scuoterla in aria. 

Kageyama quel gesto glielo aveva visto fare con entrambe le mani mentre la ragazza si asciugava dall’acqua, quando le aveva negato un fazzoletto per farlo. Si chiese se in realtà non significasse qualcosa. Se non gli stesse dicendo qualcosa senza parole anche in quel caso, il doppio di qualsiasi cosa fosse rispetto a quello che stava succedendo in quel momento. 

 

«Ahi ahi ahi…Morita si è arrabbiato.» disse in tono giocoso Ikeda rimettendosi a sedere e rivolgendo un sorriso al capitano dell’Iiyama quando i loro occhi si incrociarono, alzando le dita in un ok annuendo per confermargli che era stato davvero credibile con quel rimprovero. 

 

«Avanti ragazzi, si inizia questa partita. Montate la rete e fate qualche schiacciata.» annunciò Ukai rientrando in palestra seguito dal professore dell’Iiyama con cui aveva tenuto una discussione davvero singolare. 

Guardò Ikeda perplesso, in campo era stata davvero incredibile e da quanto aveva appreso dal responsabile della squadra avversaria praticamente quei ragazzi li aveva allenati lei. Il professore gli aveva detto di aver chiuso un occhio, e anche l’altro, su quella situazione perché aveva visto i ragazzi motivati come non lo erano da tempo anche se non aveva saputo dire se si comportassero così per impressionare una bella ragazza o voglia di farcela. Avevano avuto dei risultati anche se piccoli tanto era bastato. 

«Ikeda...» la richiamò facendole cenno «vieni un momento.» 

La ragazza obbedì. 

«Come procede il trasloco? È un po' di giorni che manchi ma oggi sei qui lo stesso.» 

Ikeda ci mise un po' a capire cosa intendesse, poi dal fianco di Ukai vide Ennoshita in lontananza sudare freddo e si ricordò della scusa usata per tamponare la situazione e per coprire Kageyama. 

«Non potevo perdermela questa partita.» 

Ukai sorrise e abbassò leggermente la voce «Perché li hai allenati tu? Vuoi vedere come va? E’ questo che vuoi fare da grande? Allenare?» 

Sulla fronte della ragazza apparve una piccola ruga. 

È questo che vuoi fare da grande?”una domanda semplice con sfaccettature difficili a cui rispondere pensò. Da grande...

Essere grande era terribilmente vicino e ancora distante allo stesso tempo. Quello era il momento di iniziare a fare un po' di scelte. Aveva dei piani, ne aveva diversi e molteplici, in verità. E sì almeno in una di quelle sfaccettature comprendeva rimanere nell’ambito della pallavolo in qualche modo. 

Ma allenare? Allenando sul serio? No.…forse...o sì ma non aveva ancora definito meglio quel piano, nella sua mente era troppo sfuocato. Lo vedeva ancora sbiadito dei colori bianco, verde e rosso della Molten che alzava in bilico su una sedia con Testa di Cacca dietro di lei per assicurarsi in primo luogo che non cadesse e in secondo luogo tra una schiacciata e l’altra della squadra (che puntualmente cedeva a quell’ultima richiesta della bimba e dell’alzatore minaccioso alle sue spalle, nonostante la stanchezza) le snocciolava consigli, strategia e mentalità di un alzatore, come far funzionare un attacco e come non cedere mentalmente. Poi quelle lezioni erano mutate velocemente, nessuno rispondeva più...non le spiegavano nulla e alle sue domande di chiarimenti si sentiva rispondere un “dillo tu a me”, un rovescio della frittata bello e buono. 

Ikeda aveva fatto propri quei consigli, il punto di vista dell’alzatore titolare del Top Volley* e man mano aveva aggiunto i suoi ragionamenti, le sue soluzioni, le sue idee. Si mordicchiò l’interno della guancia sovrappensiero «Non saprei...» rispose sinceramente. 

«Va bene, vai a segnare i punti insieme a Shimada. Poi ne riparliamo se vuoi.» 

 

 

8 a 4... 1° set 

8 per loro... 

Kageyama non si aspettava una sequenza di punti messi a segno in così rapida successione, gli ultimi tre infilati dal suo servizio senza un minimo di difficoltà o resistenza degna di nota. Senza considerare che uno di quei quattro punti avversari era stato un regalo dei loro, un errore di battuta di un loro primino. Era abituato a non sottovalutare chi si trovava dall’altra parte della rete ma quei ragazzi iniziava a credere di averli sopravvalutati troppo. L’alzatore si era aspettato di più...molto di più. Per quanto trovasse piacevole avere la possibilità di giocare dopo settimane di allenamenti, per lo più individuali o a coppie, quella partita si stava rivelando deludente sotto molti punti di vista. Nonostante entrambe le squadre fossero alla prima partita amichevole dell’anno quei ragazzi stavano arrancando non poco rispetto a loro, una squadra allo sbando.  

 

«Ma come diavolo riesce a fare un servizio del genere...» disse Morita tra un sorso e l’altro nella prima pausa concessa al raggiungimento dei primi 8 punti «Lo fa sembrare così facile.» 

«Si beh ci deve venire un’idea per tenerlo.» gemette Wada massaggiandosi gli avanbracci ancora indolenziti dal secondo servizio che aveva provato a tenere, non ci era riuscito facendo schizzare la palla sulla parete vicina. 

Il suono prodotto era stato altrettanto forte e sordo al pari del primo che il numero nove dall’altro lato del campo aveva fatto arrivare in maniera precisa tra il capitano e Ono alle loro spalle. Troppo veloce. 

Anche senza dare voce ai loro pensieri, formandoli di parole poco entusiaste, si guardavano tra loro intuendo quello che passava per la testa di tutti. Stavano pensando e ripensando, pentendosi miseramente di essere stati così stupidi da voler fare una partita con Kageyama e una squadra del genere. 

Quando Ikeda aveva comunicato a tutta la squadra in che scuola si sarebbe trasferita Ito, che già lo sapeva da qualche settimana, negli spogliatoi aveva tirato fuori la rivista facendo leggere a tutti l’intervista fatta a quel giocatore pieno di talento. 

In parte erano stati invidiosi della ragazza che si sarebbe allenata da vicino con qualcuno del genere, perché di quello erano sicuri. Ikeda si sarebbe fatta avanti per stare in mezzo alla squadra come alla fine aveva fatto con loro. Invece, forse, dopo essersi scontrata con quello che stavano passando loro in quel momento aveva desistito ed era quello il motivo per cui non si era iscritta. 

«Non vi serve un’idea per tenerlo. Vi serve un bagher.» 

I ragazzi dell’Iiyama rimasero in silenzio rivolti verso Ikeda che in quella pausa si era andata a sedere, le caviglie incrociate sotto la sedia e le ginocchia leggermente di lato come sempre. Si stava facendo le unghie con concentrazione e calma, limandole con movimenti lenti e attenti, ogni tanto fermandosi toccando con il pollice l’unghia appena accorciata per saggiare di quanto avesse ancora bisogno di essere limata e la forma che stava prendendo. 

«Insomma i bagher sono tra i fondamentali e li sapete fare, non vedo cosa ci sia di così difficile.» continuò in maniera molto empirica, senza alzare lo sguardo dalle sue unghie. 

«Ikeda ma scherzi? Lo hai visto?!» domandò Wada, chiedendosi se quel Kageyama non l’avesse presa in testa con quel servizio e la ragazza si fosse rincretinita di botto perdendo tutte le abilità mentali per ragionare. 

Ikeda alzò brevemente gli occhi facendo scorrere lo sguardo tra le casacche blu soffermandosi infine su Wada e alzando un sopracciglio. «Visto?! Non dire scemenze, io ho tenuto quello...com’è che lo hai chiamato Hinata?» 

«Servizio Killer.» trillò una vocina dall’altra squadra che Wada non riuscì a capire da dove venisse, era chiara invece l’insofferenza dell’alzatore che traspariva dalla faccia ingrugnita. 

«Ecco quello...» riprese parola Ikeda tornando a sistemarsi le unghie «Io fossi in voi sarei mortificata di non riuscire a tenere nemmeno un servizio che, al momento, è un sei e mezzo.» 

«Di chi sarebbe il servizio da sei e mezzo eh?!» si intromise Kageyama, senza nascondere l’alterazione per quel giudizio, facendo un passo verso Ikeda «E dove lo avresti tenuto TU il MIO SERVIZIO se sei andata a terra?» 

«Intanto la palla l’ho mandata dove doveva stare in quel momento...in aria.» gli rispose Ikeda con tono annoiato, passando a limare l’unghia del pollice, con un sospiro altrettanto annoiato alzò gli occhi nocciola per guardare in modo annoiato anche Kageyama. 

Anche se Kageyama non avesse fatto nessun miglioramento dal lato comunicativo rispetto l’anno precedente, non gli sarebbe comunque stato così difficile cogliere perfettamente quello che Ikeda gli stava dicendo in maniera silenziosa con quello sguardo storto in bilico tra la constatazione di un fatto e il provocatorio. Quello che riguardava la pallavolo riusciva sempre a decifrarlo, che poi solo dall’ingresso alle superiori e grazie ai suoi compagni di squadra avesse finalmente imparato a farci i conti e come gestire le cose era un altro discorso. 

Tu, invece, com’è che non hai tenuto la mia schiacciata e sei rimasto immobile?

Non gli piacque affatto. 

 

«Al diavolo...» proruppe Ono sbattendo l’asciugamano a terra «Ha ragione! Un bagher è un bagher e non ci siamo allenati ore a provarlo per nulla.» 

Si diresse a grandi falcate per tornare in campo seguito dai suoi compagni, non prima che il capitano gli desse uno scappellotto intimandogli di moderare il linguaggio alla presenza di due signorine. 

 

L’atmosfera era impercettibilmente cambiata. 

Anche dall’area di battuta in procinto di servire Kageyama poteva scorgere, dal di là della rete, la tensione mista a determinazione strisciare tra quei sei ragazzi. 

Per un breve secondo spostò gli occhi su Ikeda, tornata vicino al tabellone per segnare i punti dell’Iiyama. Stava parlottando con Shimada che si trovava dall’altro lato a segnare i loro punti. 

Al suono del fischietto Kageyama roteò la palla tra le mani per poi alzarsela come aveva sempre fatto iniziando la rincorsa. 

Non vi serve un’idea per tenerlo. Vi serve un bagher.

La banalità di quella risposta era disarmante in tutta la sua semplicità pensò. 

Un bagher...quante volte ho detto la stessa cosa a Kunimi.

Kageyama impresse sulla palla maggiore forza. Non ci sarebbe andato più piano. 

 

 

9 a 4... 1° Set 

«Io pensavo che scherzassi l’altro giorno.» disse Ikeda osservando la maglietta di cotone monocolore spoglia della pettorina numerata che indossvano gli altri, mentre Shimada girava la placchetta in plastica morbida. 

«Le maglie della squadra sono solo dodici in totale.» rispose il ragazzo mentre osservava il gruppetto di panchinari «Durante i ritiri o amichevoli giocherò anche io...forse. Tokita mi passerà la pettorina del 12.» 

«Quindi sul serio non starai nemmeno in panchina per mancanza di magliette?» 

«Già...» 

 

10 a 4... 1° Set 

Ikeda alzò brevemente gli occhi al soffitto percependo tutta la frustrazione rilasciata da quell’unica parola «Non ti crucciare troppo, anzi meglio hai tutto il tempo per allenarti nell’osservare e pensare.» 

«E sarebbe positivo?» 

 

11 a 4... 1° Set 

Ikeda annuì indicando il campo «Ad esempio adesso...Kageyama si è risentito e sta finalmente sparando il “Servizio Killer”, però non ha la mente completamente fredda e su tre servizi gli ultimi due li hanno quasi tenuti e questo lo sta irritando. Il prossimo sarà quello buono...» 

Shimada rimase dubbioso non capendo. 

Si concentrò su Kageyama, seguendo il moto della rincorsa che gli aveva visto fare e rifare nei giorni scorsi per poi sbraitare contro Tokita che tentava di imitarlo con scarsi risultati. Non che a Yaotome andasse meglio mentre palleggiava sotto l’attento e indagatore giudizio regale di Kageyama che sbuffava non riuscendo a capire come l’altro non comprendesse nemmeno dopo l’ennesima spiegazione su come palleggiare. In definitiva i due ragazzi traevano un sospiro di sollievo solo quando si cambiavano nello stanzino del club. 

«Ecco...»

Shimada si voltò verso Ikeda...la voce era stata un soffio leggero, appena udibile. 

Il volto concentrato, gli occhi leggermente socchiusi per lo sforzo di individuare il momento...quel momento.

Seguì la direzione del suo sguardo appuntato sull’alzatore che in aria stava per raggiungere il punto massimo dell’elevazione. 

 

11 a 5... 1° Set 

Ikeda girò la placchetta di plastica dal suo lato nel tabellone tra le esclamazioni festanti dell’Iiyama. 

«Come lo sapevi?» biascicò a mezza bocca Shimada. 

Ikeda scrollò le spalle «Sono abituata a osservare e valutare...Ono, comunque, è idiota già il secondo servizio non avrebbe dovuto tentare di tenerlo.» 

«Perchè?» 

Sospirò umettandosi le labbra «Era fuori...» 

«A me sembrava dentro. Come poteva essere fuori?» chiese. 

«Fuori ti dico...di poco oltre la linea laterale ma fuori.» 

«Sul serio?» 

«Anche Kageyama se ne è accorto, per questo ha preferito andare più verso l’interno del campo con il terzo servizio.» continuò Ikeda senza rispondere alla domanda.  

 

16 a 12... 1° Set 

Kageyama osservava con un misto di soddisfazione e pungente risentimento Hinata dopo l’ennesimo punto. Gli avversari avevano ripreso diversi punti e l’alzatore si era ritrovato a dover usare il centrale più di quanto intendesse fare con una squadra mediamente capace. 

Il muro era impazzito cercando di stare dietro al duo strambo del Karasuno. 

La prima schiacciata in mezzo tempo non l’avevano nemmeno vista, concentrati sulle mosse del numero nove dall’altro lato della rete. 

«Un colpo fortunato.» aveva detto il capitano Morita. 

Alla terza schiacciata che gli infilavano sul campo non poteva più usare la fortuna come scusante. 

In quella pausa mentre tutti bevevano, presi dallo sconforto per quel nuovo ostacolo, Ito si avvicinò a Ikeda nuovamente seduta a limarsi le unghie come otto punti prima.  

«Ikeda...» la chiamò titubante. 

«No.» 

«Non sai nemmeno...» 

Ikeda soffiò sulle dita scuotendo la testa «So perfettamente cosa vorresti e la risposta è no.» 

Il silenzio era pesante. Ito non ci si era abituato, in quelle settimane nella palestra dell’Iiyama aveva riempito quello spazio con la voce della ragazza che sentiva ancora in testa. Gli urli quando li spronava, le chiacchere davanti alla lavagnetta per spiegare schemi, i numeri scanditi per gli esercizi. 

«Palleggia a muro.» disse Ikeda senza guardarlo «Pensa...» 

 

L’attenzione di Kageyama si spostò dai soliti discorsi sconclusionati di Hinata, pieni di suoni per indicare tutte le azioni degne di nota che pensava di aver fatto, verso l’alzatore avversario che accanto a Ikeda seduta era intento a palleggiare. 

 

«Ci vuole coraggio per pensare ad alta voce Ito.» 

Strinse le labbra continuando a palleggiare fissando il punto in cui la palla sbatteva a muro per ricadere tra le sue mani. Di solito palleggiavano tra loro quando a Ito serviva. Ikeda però se ne era andata e il ragazzo non riusciva a credere di poterlo fare da solo. 

«Hoshiumi...sembra Hoshiumi.» disse a mezza bocca. 

«Chi sembra Hoshiumi?» domandò Ikeda non capendo a chi si riferisse l’alzatore «Aspetta...chi sarebbe Hoshiumi?» 

Ito fermò la palla guardandola stralunato, non poteva averlo dimenticato. 

«Il numero 8 sembra Hoshiumi.» 

«Ah Hinata...» 

«Si, sembra Hoshiumi!» 

«Sul serio sembro Hoshiumi?» domandò Hinata rigido smettendo di fare chiasso dopo aver sentito quel paragone, lusingato. 

Ito annuì mentre Ikeda rimase confusa tamburellando la limetta sui polpastrelli delle dita cercando di fare mente locale su quel nome ad occhi chiusi «Hoshiumi...Hoshiumi? Non mi dice nulla.» 

«Ikeda...Hoshiumi del Kamomedai, siamo andati a vedere le partite dopo aver perso.» 

«Continua a non dirmi nulla nemmeno associato alla squadra.» disse riprendendo a sistemare l’unghia del mignolo per chiudere quella discussione su un paragone che non le interessava. 

«Hanno vinto la finale nel nostro distretto...» insistette Ito «Dai Ikeda è quello che hai minacciato di abbassare di dieci centimetri se non si levava davanti.» 

 

Kageyama inarcò le sopracciglia ‘Ha minacciato Korai?! Si trattenne tuttavia dall’esprimere a voce alta quella domanda. Tutto gli era sembrato Korai tranne uno che si faceva minacciare da una ragazzina senza ribattere. 

 

«Aaaah quello...minacciato che brutta scelta di parole. Poi ha iniziato lui.»  

«Hai minacciato Hoshiumi?» chiese divertito Tsukishima riuscendo in qualche modo a immaginare la scena. Se fossero stati abbastanza fortunati, chissà, a fine di quella giornata Ikeda li avrebbe graziati mostrando dal vivo la stessa dinamica con Kageyama. 

«Ripeto ha iniziato lui...» riprese Ikeda spazientita fissando con aria torva Ito per aver raccontato quel piccolo particolare «Comunque non dire assurdità. Non è come quel tizio.» 

Ito stava per tirare un sospiro di sollievo. Quelle parole lasciavano un margine di speranza nella sua mente. 

Ikeda riprese a parlare guardando freddamente il ragazzo con la palla in mano «Potenzialmente è migliore.» 

 Silenzio, nuovamente silenzio. 

Ito riprese a palleggiare in maniera furiosa, arrabbiata. 

Anche tra il Karasuno era sceso il silenzio dopo quella affermazione. 

Hinata era arrossito fino alla punta dei capelli, nessuno sapeva dire se per la frustrazione dell’aver dovuto lasciare il campo proprio contro il Kamomedai e non averlo potuto dimostrare a Tokyo o per le parole che lo mettevano un gradino sopra il nuovo “Piccolo Gigante”. 

Il cervello di Hinata aveva registrato quella frase, catalogandola e salvandola accanto alle parole di Kageyama, quando di ritorno dal ritiro nazionale gli aveva parlato di Korai e poi sulle scale mentre salivano per cambiarsi se ne era uscito con quella frase. 

-Guarda che puoi saltare anche più in alto. - 

 

«Veloce...è troppo veloce.» bofonchiò tra un palleggio e l’altro senza accorgersi che parte della sua squadra gli si era fatta vicina. 

«Si lo è.» constatò Ikeda riprendendo la manicure che continuava a essere interrotta. 

«Adesso sì...che ci serve un’idea.» commentò Wada incrociando le braccia e poggiandosi a muro. 

Ito sgranò gli occhi fermando nuovamente la palla. Wada non gli era mai sembrato così intelligente come quel momento. 

«Non ci serve un’idea.» disse sorridendo e trascinando i compagni verso il loro lato per parlare. 

Ci serve un bagher...il muro deve seguire la palla e non Hinata come abbiamo fatto dopo aver visto quella veloce. La seconda linea ha più margine, più campo visivo per vedere l’insieme della rete e rendersi conto di cosa fa Hinata. Che idioti che siamo stati...quanti punti ci ha infilato così Kageyama

 

22 a 17... 2° Set 

L’Iiyama aveva due punti in più rispetto al primo set concluso 25 a 15. 

Non erano riusciti a riprendere il distacco ma si erano via via fatti più concentrati su come muoversi per arginare le schiacciate in mezzo tempo. 

Gli errori grossolani non erano comunque mancati da ambo le parti. 

Indubbiamente però nel secondo set l’Iiyama stava tenendo il passo, non tutte le veloci con Hinata funzionavano più e lo strano duo iniziava a mostrare segni di insofferenza nel vedere la palla ancora in gioco. Insofferenza che aveva contagiato anche il resto della squadra. 

Gli scambi si erano fatti via via più lunghi prima che la palla toccasse finalmente terra. 

 

Kageyama non vedeva un doppio tocco durante un’alzata da tempi immemori, forse l’ultima volta era stata nella palestra con suo nonno, la palla che sgusciava da una mano e l’altra che si allungava per istinto a recuperarla. A lasciarlo stupito fu anche la reazione immediata di quell’alzatore che portò le mani sulla nuca per proteggerla stringendosi nelle spalle, offrendo così un bersaglio più piccolo. 

Ito da sopra la spalla, non sentendo il colpo arrivare, si era deciso a lanciare uno sguardo verso il tabellone solo per trovare Ikeda con le labbra tese in un’unica linea e le dita affondate nelle braccia per trattenersi mentre il ragazzo dall’altro lato girava il numero assegnando quel punto al Karasuno. 

Anche Kageyama si era voltato in quella direzione cercando di capire il perché di quella reazione. 

«Ahia...Ono mi hai fatto male.» si lamentò Ito raccogliendo la scarpa che il centrale gli aveva tirato da bordo campo, mirando alla sua testa, per restituirla al proprietario. 

«Qualcuno lo doveva pur fare.» rispose il ragazzo riprendendola e allargando i lacci per rimettersela. 

 

23 a 17... 2° Set 

Erano nel mezzo di uno di quei lunghi scambi, la palla continuava a passare da una parte all’altra della rete. 

Ormai anche il servizio killer veniva in qualche modo tenuto anche se non in maniera pulita, il più delle volte regalando una palla buona che tornava dal loro lato. 

Kageyama stava cercando uno spiraglio, un momento per prendere fiato ragionando senza sosta a chi poter alzare per piazzare una schiacciata che non venisse fermata o rallentata. 

Hinata viene ignorato dal muro...ricevendo tutta l’attenzione dalla seconda linea. Odiosi.’ pensò seguendo la palla appena recuperata da Noya ‘Proviamo Tanaka...

«Toccata!» urlò una voce stridula. 

Merda ancora...nonostante la partenza ritardata sono riusciti a fare un muro a due. Devo riprovare con Tanaka...far spostare il loro muro e passare poi dall’altro lato.

«Toccata!» 

Serve qualcosa per spezzare il ritmo maledizione...

Osservò brevemente l’altra parte di campo mentre Ennoshita recuperava la palla. 

Kageyama si mise in posizione dando la schiena alla rete. 

Se non fossi in seconda linea potrei fare un pallonetto. Mi stanno lasciando scoperto perché hanno già eliminato questa opzione. Io l’avrei eliminata...io l’ho eliminata...

Inspirò con forza a quell’ultimo pensiero la cui rivelazione l’aveva colpito tra capo e collo mentre la palla si avvicinava alle sue mani. 

Non c’è nessuno di troppo vicino per intervenire...sono impegnati a capire per quale dei quattro schiacciatori che stanno correndo alzerò.

Con la palla ad un soffio dalle dita Kageyama abbassò le braccia senza permettersi di indugiare troppo con la mente su cos’altro avrebbe portato quel gesto se non il punto. 

Il suono del debole rimbalzo della palla sul parquet fece da sottofondo allo stupore dei presenti. L’Iiyama che non si aspettava una cosa del genere e il Karasuno fissava l’alzatore le cui braccia ricadevano penzoloni lungo i fianchi, perso a scrutare un punto non ben definito non ancora ben lucido su quello che aveva appena fatto. 

La voce di Tsukishima stava dicendo qualcosa, Kageyama lo sentiva appena come un eco lontano percependo solo il sangue pompargli nelle orecchie. Fu il suono sordo alla sua destra a riportarlo presente a sé stesso e alla partita che stava giocando. 

Shimada teneva l’angolo del numero tre per girarlo, stava per voltare quel rettangolo di plastica quando Ikeda batté forte la mano sullo stesso punto bloccandolo e facendo vibrare la struttura metallica. Il ragazzo rimase immobile osservando il viso della ragazza, in un misto di soddisfazione e altro che non riusciva a decifrare, rivolto verso Kageyama che se ne stava con la classica espressione imbronciata e infastidita. 

Solo quando anche l’alzatore si girò dalla loro parte, come il resto della squadra aveva già fatto, Ikeda girò quel tre scoprendo la targhetta di plastica sotto. 

 

24 a 17... 2° Set 

Tra i mormorii dall’altro lato che riportavano quanto fosse stata una giocata pazzesca, tra il riconoscimento e una punta di invidia per quella prontezza, Kageyama vide chiaramente le labbra di Ikeda piegarsi leggermente in un ghigno. Non era mai stato bravo in quel tipo di comunicazione ma la ragazza gli stava rendendo palesemente chiaro cosa pensansse. 

Questo punto è mio. Kageyama sentì chiaramente la frase nella sua testa farsi largo con la voce di Ikeda, una constatazione sussurrata con la forza della verità. 

Kageyama strinse i pugni senza distogliere gli occhi da Ikeda che dopo aver girato il numero alzò la mano indicando qualcosa posizionata in alto sul muro. Il ragazzo seguì la direzione della mano, infastidito, solo per constatare che stesse indicando l’orologio imprigionato nella griglia protettiva. Tornò a fissare Ikeda, con risentimento, mettere in mostra solo tre dita facendole muovere mimando in silenzio alcune parole. 

Il tempo inizia a scorrere...pensò l’alzatore. 

«Kageyama...» 

Ottimo così finalmente ti levi di torno in maniera definitiva.

«Kageyama?» 

Se pensi che venga a dirti grazie sei un’illusa.

«BAKAGEYAMA!» 

«Che vuoi?» domandò stizzito girandosi verso Hinata cercando di colpirlo e sfogare almeno in parte la rabbia che sentiva ribollire. 

«Ennoshita ti sta chiamando da mezz’ora.» rispose Hinata scansando il colpo. 

Non lo aveva sentito, non ci aveva fatto caso, Kageyama si voltò verso il capitano «Kageyama hai appena...sei riuscito a capire cosa fare con Ikeda?» 

«No.» sbuffò osservando la parte opposta della palestra «Facciamo l’ultimo punto e chiudiamo questa partita.» 

 

 

*Top Volley è la denominazione della squadra di Latina che cambia all’inizio della stazione 2005/2006, prima la squadra era nominata come Latina Volley. Attualmente ha cambiato nuovamente nome, e anche sede, fanno base a Cisterna ed è stata inserita la città nel nome. Top Volley Cisterna dal 2019/2020. 

Chiedo scusa per questo aggiornento così lento dall'ultimo capitolo. Sono stata impegnata e non ho avuto tempo per la rilettura. Spero di non aver abbassato troppo il livello della storia. Quindi...
A.A.A. Se state leggendo la storia, vi sta piacendo, e se avete tempo e voglia mi sarebbe di grande aiuto poter avere di nuovo un Beta Reader che leggesse in anteprima per avere anche uno scambio di opinioni. Scrivatemi se siete interessat*
Per il resto RIP Kags che ha usato la "non alzata" di Ikeda e ora dovrà fare i conti con questo.

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Capitolo 30
*** Capitolo 29 ***


*per le parti in cui si parlerà italiano il discorso sarà sottolineato* 

 

Tre possibilità come i tre giorni a Canossa.  

Ikeda non voleva concedere altro all’alzatore. 

Al momento tutta la sua attenzione era rivolta soltanto su di lui, che teneva dipinta sul volto la sua abituale espressione ingrugnita, come ogni volta che si era visto costretto a condividere i suoi spazi vitali con lei. Ancora ignara del fatto che quella fosse l’espressione che maggiormente Kageyama mostrava ogni giorno di sé agli altri. 

La frangia gli ricadeva sulla fronte coprendo leggermente gli occhiardenti di rabbia, prima che si girasse per riprendere la partita. 

Non era convinta che l’alzatore avesse preso piena coscienza di tutta la situazione, per il momento però non poteva avvicinarsi e fare un tentativo per tastare il terreno. 

Improvvisamente si sentì impaziente per quell’ultimo punto che avrebbe segnato la fine del set. 

Il suo cuore era diviso tra sentimenti contrastanti, sperava la palla toccasse terra il prima possibile, ma allo stesso tempo quel pensiero la faceva sentire in colpa nei confronti del suo vecchio club. 

Infine, la sfera toccò terra, permettendo alla ragazza di rilasciare finalmente il respiro rimasto sospeso, che aveva inconsciamente trattenuto ad ogni ricezione riuscita dell’Iiyama. 

  

«Possiamo giocarne un’altra?» chiese Morita rivolto al professore e al coach del Karasuno, l’occasione per giocare contro quella squadra era troppo grossa, per non sfruttare tutto il tempo che potevano restare. Anche se nessuno aveva menzionato il poter giocare più partite. 

«Per me va bene, ma quando sarà il momento di andare non voglio proteste! Ukai per lei va bene?» 

«Prendete fiato e riposatevi prima di cominciare. Ci fumiamo un’altra sigaretta in questa pausa, che ne dice?» 

«Molto volentieri.» 

«Tu riscaldati nuovamente Shimada!» ordinò Ukai rivolto al ragazzo vicino al tabellone intento ad azzerare il punteggio «Tokita dagli la pettorina e prendi il suo posto.» 

 

 

Shimada di tutta fretta si era fatto dare la pettorina da Tokita. Si erano allenati un sacco, ma una partita non la giocavano da quella con Ikeda ed era al settimo cielo al pensiero di poter finalmente entrare in campo. Ukai stava facendo diversi cambi con i primini per vederli giocare, forse non avrebbe giocato tutto un set, ma era intenzionato a strappare quanti più punti possibili anche lui per farsi notare. 

Ikeda si avvicinò seguendo con più calma il primino, osservando quel quadretto formato dal Karasuno che si asciugava il sudore passandosi le borracce tra i commenti esaltati per la vittoria. Yachi in mezzo a Ennoshita e Kageyama stava mostrando gli appunti delle azioni svolte in quei due set mentre i due abbassavano il collo. 

Aspettò pazientemente e quando infine Yachi chiuse il quaderno Kageyama non poté sfuggire i suoi occhi, strinse la bottiglietta che teneva in mano, chiudendo leggermente le palpebre in una fessura. 

Ikeda scrollò le spalle con aria indifferente avvicinandosi di un passo verso l’alzatore «Come vuoi...» disse sollevando gli occhi nocciola nei suoi. Distendendo il braccio, avvicinò la mano al viso del ragazzo mettendo in mostra tre dita. Il conto alla rovescia era iniziato. 

Kageyama stava per schiaffeggiare quella mano per levarsela davanti, si trattenne dal farlo solo perché avvertiva su di sé lo sguardo di rimprovero già pronto di Ennoshita a cui sarebbe seguito altro, e non ne aveva voglia. Lentamente Ikeda abbassò un dito dandogli tutto il tempo per mettere a fuoco i suoi occhi oltre il confine tracciato e delimitato da quel braccio. 

Lo abbassò, portandolo dietro la schiena, incrociando le dita e voltandogli le spalle. Kageyama rimase in silenzio, la bottiglietta ancora stretta nella mano si piegò leggermente dove le dita toccavano la plastica, seguendo l’incedere sicuro dei passi che si allontanavano e l’ondeggiare dei capelli liberi sulla schiena. 

«Ti levi dai piedi finalmente?» 

La gomitata da parte del capitano non tardò ad arrivare precisa sul fianco poco sotto le costole, Kageyama non ci fece caso e Ikeda non rispose a parole, si limitò a sciogliere le dita, alzando nuovamente la mano destra per far ballare indice e medio voltando appena il capo per lanciargli un’ultima occhiata annoiata da sopra la spalla. Il conto alla rovescia era già arrivato a due terzi. 

 

Due partite dopo i ragazzi dell’Iiyama erano riusciti a strappare al Karasuno solo un paio di set con grande fatica, uno a partita, e solo quando nella formazione dei corvi vennero schierati in prevalenza i primini, set vinti con i regolamentari due punti di vantaggio e portando solo uno di questi set oltre i 25 punti canonici. Kageyama ci teneva a sottolineare come fosse stata colpa di Hinata in battuta, che aveva insaccato la rete.  

Dopo l’ultimo fischio Ikeda si era diretta verso il suo zaino, abbandonato lungo una parete della palestra, per estrarne un quaderno e dirigersi verso i suoi vecchi compagni che stavano cercando di vedere il lato positivo di quella disfatta.  

«Vi state ignorando di nuovo?» chiese Ennoshita, rivolto a Kageyama, vedendo passare Ikeda dietro le spalle dell’alzatore, senza fermarsi, tirando dritto verso l’altro lato della palestra. Il capo alzato con leggera indignazione, senza nemmeno un minimo sforzo per nascondere tale gesto in prossimità del numero 9. 

«Non potrei chiedere di meglio.» borbottò a mezza voce l’alzatore. 

Quell’atteggiamento da parte di entrambi stava diventando velocemente una consuetudine, una consuetudine che rischiava di lasciare la squadra insoddisfatta. La mente dell’alzatore però finì nel turbine di pensieri e ragionamenti che gli vorticavano nel cervello che, tra una pausa e l’altra, gli stava riproponendo nuovamente quell’azione in maniera incessante, un replay distorto, che si alternava dal vedere prima l’azione dal suo punto di vista per poi allargare la scena e la sua telecamera mentale spostarsi in corrispondenza degli occhi di Ikeda, dandogli la sua probabile prospettiva dell’azione.  

Dovette ammettere, suo malgrado e con un certo sdegno, di essere convinto anche del risultato della prima opzione che aveva formulato ovvero far spostare il muro da un lato per coprire Tanaka, anche se non era forte quanto Asahi, le possibilità che passasse il muro erano comunque alte e se non fosse riuscito dopo un paio di azioni si sarebbe spostato alzando al centro ma...ma...

‘Non c’era nessuno di troppo vicino per intervenire...erano impegnati a capire per quale schiacciatore avrei alzato...’ continuò, ancora, quella vocina fastidiosa in testa che non smetteva di tacere. 

Era stata una valutazione veloce che forse prima non avrebbe fatto e quel ma lo stava facendo impazzire, portandolo a sgretolare parte delle sue convinzioni di gioco... 

 

-Tobio, in che ruolo vorresti giocare? -

-Quello in cui posso toccare più palloni. -

-Beh, l’alzatore. -

-Allora voglio fare l’alzatore. -

 

‘Quello in cui posso toccare più palloni...toccare...alzare...’

 

A far venire fuori l’alzatore da quel borbottio interiore fu il rumore sordo, un tonfo, prodotto dal quaderno che Ikeda aveva tenuto in mano fino a quel momento. 

«Ti è caduto qualcosa Morita.» osservò la ragazza indicando il quaderno a terra vicino al piede del capitano dell’Iiyama. 

«Ma che stai dicendo, ho visto che lo hai lanciato tu a terra.» 

«Io dico che è tuo invece.» ribatté Ikeda allontanandosi verso la porta «Vado a prendere da bere e poi ci salutiamo.» 

Morita raccolse il quaderno da terra scuotendo la testa «Strano che qualcosa di mio abbia la tua scrittura. Una pessima scrittura!» aggiunse urlandogli dietro, iniziando poi a sfogliare qualche pagina. 

Ikeda voltandosi, dopo aver messo il piede sul primo gradino per uscire, assottigliò gli occhi in direzione dei ragazzi «Vedete cosa dovete fare...approfittate del tempo restante.» 

Prima di lasciare la palestra la sua attenzione venne, nuovamente, attirata dalla figura alta e imbronciata di Kageyama. Sostenne il suo sguardo, vedendola così tirare le labbra in una linea che gli dette fastidio, rimasero a studiarsi in quel momento di immobilità. Ikeda gli concesse un istante...solo un istante che ai due sembrò durare un’eternità, un tempo sufficiente per decidere il perché in quel blu, così scuro e profondo, qualcosa si fosse incrinato e la cosa non era assolutamente passata inosservata a nessuno dei due, l’incertezza di un secondo fugace che Kageyama scacciò via con rabbia. La ragazza alzò la mancina mostrando indice e medio, quest’ultimo dito si abbassò lentamente intanto che la figura spariva nello stipite della porta trascinando con sé anche la mano. Il conto alla rovescia aveva perso un’altra tacca. 

Restava in sospeso l’ultima possibilità. 

 

«Kageyama?» 

Ito si era avvicinato con titubanza, tanto che l’alzatore rimase spiazzato dal trovarselo così vicino, concentrato com’era su pensieri fastidiosi che si iniziavano a incastrare come pezzi di un puzzle il cui disegno complessivo si stava facendo chiaro, su quello e sulla figura che aveva lasciato la palestra. 

«Scusa...ecco volevo solo ringraziarti. Anche se abbiamo perso per tutto il pomeriggio è stato molto stimolante!» l’altro rimase ancora in silenzio non capendo bene per quale motivo gli stesse rivolgendo la parola e ancora più spiazzato di prima sentendo quelle parole, nessuno si era mai disturbato a ringraziarlo dopo un’amichevole per di più persa così miseramente. 

«Sono Ito Yoori...» si presentò per poi continuare senza far caso allo sbigottimento di Kageyama «Ecco...come ti alleni?! Perché hai un servizio davvero pazzesco! No...non che come alzate tu sia da meno! Anzi, forse tra i tuoi senpai c’è un alzatore?! Me lo presenteresti?! Vorrei chiedere anche a lui qualcosa, anche se non hanno giocato tutti mi pare. Come te la stai cavando come senpai?! No perché...» 

«Perché vuoi sapere queste cose?» lo interruppe Kagayama, travolto e infastidito da tutte quelle domande sparate a raffica una dietro l’altra, e una più invadente dell’altra. 

Ito riprese un momento fiato prima di ridacchiare nervosamente «Beh, non avremo molte opportunità quest’anno e Ikeda ci ha sempre detto di cogliere qualsiasi occasione per chiedere. “Anche a costo di sembrare inopportuno” testuali parole. Non ho davvero idea di come fare con Fukui.» disse indicando un ragazzino rimasto attaccato a Morita mentre il capitano sfogliava quelle pagine e continuava a rimproverarlo. 

«L’anno scorso abbiamo perso alla prima giornata dei nazionali a maggio, beh proprio la prima partita se vogliamo essere pignoli. Eravamo pieni, beh pieni è un parolone visto che eravamo comunque pochi, di centrali e schiacciatori e due liberi.» 

Kageyama lo vide indicare un paio di ragazzi accanto a Nishinoya e Yaotome, non era difficile intuire come stesse andando la conversazione visto gli sguardi eloquenti tra i due ragazzini che sembrano più giovani, Noya che si stava gonfiando il petto come era solito fare quando qualcuno lo elogiava e lo appellava a senpai. 

«Wada ha avuto come riferimento Yoshida, almeno ha avuto una mezza idea di come comportarsi adesso con Miura. Yoshida e i nostri senpai ci hanno fatto il favore di restare fino a giugno, ma hanno dovuto lasciare il club per dedicarsi allo studio.» 

L’alzatore del Karasuno ripensò immediatamente al suo di senpai. Sugawara era stato paziente in mille modi, anche troppo alle volte, riprendendolo con gentilezza e cercando di tracciare una linea che potesse seguire senza comunque snaturare il suo carattere. Non gli stava riuscendo comunque troppo bene con i ragazzi del primo anno. A ricoprire il ruolo da parafulmine e stemperare sempre la tensione adesso era esclusivamente Hinata non più spalleggiato da Suga.  

Probabilmente se tra i primini ci fosse stato anche un alzatore sarebbe andata ancora peggio. Fissò Yaotome ripensando all’espressione con cui lasciava la palestra dopo la mezz’ora in cui si fermava per insegnarli ad alzare al meglio. 

«Non ci sono alzatori tra i nostri kohai e l’altro alzatore del Karasuno si è diplomato questo marzo.» 

«Oh allora sei fortunato!» esclamò Ito. 

«Ad essere l’unico l’alzatore?» 

Ito scosse la testa divertito con una risata più tranquilla e rilassata rispetto a poco prima. «Che ci sia Ikeda.» 

‘Fortuna? Una sventura di quelle lui la definisce fortuna?’ 

L’alzatore dell’Iiyama incrociò le braccia al petto con fare navigato «Lo so...lo so, all’inizio anche io ci sono rimasto. Insomma, quando l’ho riconosciuta come la compagna di scuola che avevamo etichettato come “quella strana”, bagnata fradicia, sulla riva dell’Yomase ho pensato avesse tentato di fare qualche sciocchezza. Mi sono sentito in colpa, eravamo anche in classe insieme e nessuno le parlava, nemmeno io. Sono sceso sulla riva e per fortuna non era quello che pensavo, stava rischiando un raffreddore perché non trovava più le chiavi.» 

L’espressione interdetta di Kageyama bastò per farlo continuare «Non poteva rientrare a casa perché sono soliti chiudere sempre a chiave la porta. Abitudini diverse, a quanto pare aveva paura dei ladri» cercando di minimizzare quelle abitudini che ancora a distanza di mesi trovava fuori dal loro normale «Testarda com’è il raffreddore sarebbe stato solo l’inizio di una polmonite, si è convinta solo quando le ho offerto un cambio dei vestiti di mia sorella e l’invito di venire ai nostri allenamenti per passare il tempo fino a che il fratello fosse tornato a casa.» 

Ito rabbrividì leggermente e il sorriso con cui aveva raccontato quell’aneddoto gli scivolò dal viso ripensando a Naoki appoggiato alla moto mentre aspettava la sorella intenta a cambiarsi in un bagno della scuola. 

Naoki aveva fatto loro un cenno con la mano, invitandoli ad avvicinarsi, quando li vide uscire dallo spogliatoio che la sorella aveva indicato come quello del club, riconobbero cosa volesse dire solo perché anche la ragazza era solita farlo per richiamarli senza dover alzare la voce. Seduto sulla moto con le braccia incrociate sul petto si era smosso solo leggermente per alzare la parte bassa del casco. Poi c’erano state poche parole da parte dell’uomo, una minaccia ben piazzata e sottolineata dal fatto che si fosse alzato dal veicolo sovrastandoli in altezza, non che ce ne fosse un reale bisogno era già palese quanto fosse grosso. Tutta la squadra si era limitata a mandare giù un blocco di saliva denso, più simile ad un sasso, e inchinarsi con il sudore freddo lungo la schiena per l’ansia, annuendo vigorosamente. 

Rise di nuovo con nervosismo sotto lo sguardo perplesso di Kageyama prima di riprendere il discorso per allontanare quel groppo alla gola che rischiava di riformarsi. 

«Comunque...era davvero difficile fare allenamenti fino a che non ci è capitata Ikeda a settembre.» Ito sorrise, sostituendo al terrificante ricordo di Naoki che si alzava minaccioso dalla moto, quello decisamente molto più piacevole di Ikeda che in silenzio aveva preso un pallone per palleggiare al muro «Da quando è arrivata non è stato più solo un allenamento, potevamo finalmente fare delle partite decenti anche tra noi, essere un solo alzatore è pesante quando ci si deve preparare. Ah, ma che lo dico a fare a te...» 

Kageyama deglutì in silenzio, quella vocina che aveva cercato di far tacere gli scoppiò nuovamente in testa alzando il volume in maniera prepotente. Una vocina che era allo stesso tempo stranamente sia femminile che Hinatesca …con ogni tanto qualche inflessione di Oikawa. 

Ito incrociò gli occhi dell’altro con una lieve tristezza consapevole nei suoi limiti. «Anche se dopo oggi...credo che non abbia mai giocato sul serio contro di me.» 

«Cosa te lo fa dire?» domandò Kageyama, non era certo di volerlo sapere. ‘Fastidiosa come Oikawa...fastidiosa come questa voce nella mia testa’

«Perché non è il tipo di persona che si ingigantisce su cose che non sa fare,» rispose con non curanza «Ha detto che ha tenuto il tuo servizio e le credo, era un servizio folle da tenere quando già non era al massimo...» 

«Scusate per quello...» lo interruppe Kageyama rendendosi conto di aver fatto come una vecchia partita in cui suo nonno sugli spalti si era accorto bene, come adesso aveva fatto Ikeda, che si stava trattenendo. Ai tempi era per la voglia di giocare più a lungo, oggi lo aveva fatto in parte per quello, perché sì, lo doveva ammettere almeno a sé stesso, poter tornare a fare una partita dopo giorni e giorni di soli allenamenti era stato bello, ma in parte per non infierire contro qualcuno che evidentemente non aveva capacità, così facendo però era stato in qualche modo scortese verso l’avversario. ‘Maledizione la detesto, se non ci fosse quante amichevoli potrebbe organizzare il professore Takeda? Non abbastanza...non sarebbero mai abbastanza. E poi c’è quel boke...soprattutto quel boke...’ senza badare troppo al suo interlocutore cercò, con la fronte aggrottata, quel boke tra i presenti. Distante e immerso in una conversazione di tutti suoni e mugugni come al solito quando l’esaltazione toccava l’apice. Un vocabolario cui fu costretto ad adeguarsi, imparare e tradurre per poterci giocare insieme. 

Ito scosse la testa facendogli intuire che andava bene così, che quel che era fatto era fatto «E poi hai fatto quella cosa strepitosa di abbassare le braccia per non alzare! Probabilmente andrei nel panico e farei qualche fallo se ci provassi. Hai avuto dei riflessi pazzeschi! Io non ci avrei mai e poi mai pensato a una cosa del genere!» disse con entusiasmo. A Kageyama pesò negativamente l’ammirazione nel suo sguardo per un’azione non sua.
‘Nemmeno io prima di vederlo...’
«Ma non sembrava sorpresa...noi avevamo la mascella a terra invece…ancora un po' e ci avrebbero fatto nido le mosche!» 
‘Non ti può sorprendere qualcosa che hai già fatto.’
«Non ho capito perché ha fatto in quel modo, di solito si gasa tutta quando vede una qualche bella giocata.» 
‘Perché il punto era suo.’
«Forse sarei dovuto stare più attento quando parlava di qualche giocata che faceva a Londra. Saranno dei mostri lì.» disse in torno pentito e divertito «Magari sarei bravo la metà di te adesso, no metà è troppo, forse un quarto. Che dire la mia perdita è la tua fortuna quindi.» continuò con una risata. Vedendo che però l’altro non rideva affatto, anzi tutt’altro, si chiese se non avesse toccato qualche nervo scoperto «Non che a te serva.» si affrettò a chiarire cercando di sistemare il tiro «Insomma ho letto il numero del Montley Volley che parlava di te, sei assolutamente fantastico, un mostro in senso buono. Sono onorato di essere tra quelli battuti, potrei raccontarlo in giro e gli altri sarebbero gel-» 

«Come la si fa stare zitta?» sbottò Kageyama, interrompendo l’altro, che con la testa era stato da tutt’altra parte e non aveva sentito mezza parola, lusinga o altro. 

«Chi?» 

«Ikeda...quando si mette a cantare come la si ferma? Non la sopporto.» 

Ito sembrò stranito da quella domanda spostando la testa di lato non capendo «Non ti seguo...» 

«Durante la partita quando fa qualcosa di bu- buo- decente e inizia a cantare fastidiosamente.» 

Tale affermazione era riduttiva, Kageyama lo sapeva ma non sarebbe uscito nulla di più che decente dalla sua bocca. 

Wada avvicinatosi al duo di alzatori gettò un braccio sulle spalle di Ito «Di che parlate?» 

«Hai finito di chiedere a Nishinoya?» domandò Ito sotto il peso dell’amico che si era poggiato con troppo slancio. 

«No, ma ho lasciato Miura a lavorarselo un po', quell’impertinente di un kohai ha gli occhi luccicanti. Ok che non sono così bravo ma insomma! Un po' di riguardi verso di me potrebbe averli nella stessa misura, non credi?» 

«Senti Wada...Kageyama qui mi ha chiesto una cosa ma non ci ho mai fatto caso. Ti è mai sembrato che Ikeda cantasse o magari canticchiasse quando giocavamo?» 

Il libero lasciò l’appoggio per portare le dita sotto il mento cercando di pensare con maggiore attenzione «Mmmh no, forse solo quando ha fatto quel giro di palestra qualche tempo fa. La si sentiva cantare a squarciagola dagli spogliatoi. Te lo ricordi quell’urlo no?» 

«Veroooo la “dannatissima iperbole”!» 

Kageyama rivolse uno sguardo perplesso ai due che sogghignavano tra loro «Che cosa?» sbottò alterato, pensando a quello che di lì a poco avrebbe dovuto mandare giù. 

‘Ho chiesto a Oikawa...farà schifo uguale ma va fatto. Maledizione a lei e quanto ci aveva visto lungo, a me che non ci ho pensato prima! Maledizione...potremmo anche fare amichevoli con la squadra femminile. Chi prendo in giro, fanculo...fanno pena e poi vorrebbe dire trattenersi anche in forza! Se Ikeda gioca c’è solo una ragazza e non sei. Tutta la squadra giocherebbe come con Suga l’anno scorso. Due alzatori e due lati del campo...fanculo...maledizione...la detesto!

Si era perso qualche secondo in quei pensieri, facendo incastrare a forza qualcosa che continuava a non gradire sapendo che, tuttavia, fosse necessario fare. Doveva approfittare di tutte le informazioni che quei due impediti di fronte a lui potevano dargli come vantaggio. 

«In che senso si è messa a cantare per l’iperbole?» 

«Nulla, stava provando da un po' questa alzata nuova e quando le è riuscita come la voleva lei si è fatta qualche giro della palestra alternando...com’è che diceva Wada?» 

«Chi se lo ricorda, era in uno di quei momenti col cervello settato su chissà quale lingua straniera...andando a intuito poteva essere circa “evviva ho fatto la dannatissima iperbole.”, almeno il senso doveva essere quello, e poi cantava qualcosa sul fatto di essere un campione o qualcosa del genere, ma anche quello in inglese quindi chissà» 

«Wada...Ito venite qui.» li richiamò il loro capitano. 

 

Sulla soglia della porta Ikeda si era affiancata a Morita con il quaderno in bilico su una mano mentre l’altra ne sfogliava le pagine fitte di appunti e numeri. Seguiva in parte i ringraziamenti, le domande a cui annuiva distrattamente alzando il capo dai fogli per osservare quella discussione, che procedeva tra i due alzatori. Ito come al solito sembrava stesse divagando mentre Kageyama dava l’impressione di essere a disagio non sapendo cosa dire. Con il proseguire della discussione la ragazza notò la sempre presente espressione imbronciata di Kageyama variare leggermente. Sfumature diverse, pieghe sottili che si alternavano fino a che non lo vide con la fronte corrucciata spostare la testa distrattamente, seguì anche lei quella direzione notando come Kageyama avesse gli occhi sul punto in cui si trovavano Hinata e Nishinoya. 

«Quindi è questo che stavi facendo negli ultimi giorni?» domandò Tsukishima riportandola presente nella discussione «Gli hai fatto un programma di allenamento?» 

«Hai creato un programma di allenamento per noi?» domandò Morita. 

«L’ho solo tradotto.» rispose girando la bottiglietta di Qoo alla mela tra i palmi delle mani per sfreddarla. 

«Hai tradotto un programma per noi?» rimbeccò Morita mentre richiamava i compagni. 

Ikeda alzò una mano scuotendola e girandola in aria «Per voi?! Chi vi conosce...» il tono sottilmente sarcastico «L’ho tradotto per restare allenata con l’inglese.» motivò falsamente continuando a guardare i fogli. 

«Quindi è la scheda d’allenamento dei cattolici campetti londinesi?» chiese Tsukishima. 

Ikeda sbuffò puntando l’indice al suo zaino «Ito prendimi l’astuccio mi serve una penna. Comunque, la chiesa vicina al campetto di Brixton era protestante.» puntualizzò rivolta verso il centrale del Karasuno che svettava imponente tra di loro «E no. È una scheda tecnica d’allenamento che ho trovato su internet di una società che allena ragazzi dagli 11 ai 14 anni.» 

«Noi non abbiamo quella età.» fece notare Ito che si era avvicinato abbastanza da poter scorgere meglio gli appunti in mano al capitano passando distrattamente quanto aveva recuperato dallo zaino della ragazza. Gli occhi fulminei che saettarono nella sua direzione lo fecero rabbrividire, zittendolo. 

«Questo passava il convento.»

Rimasto in silenzio, Tsukishima, osservava in maniera perplessa quello sbotto. Ikeda che prendeva il quaderno dalle mani del capitano e andava a delle pagine che sapeva bianche. Quel vocalizzo non somigliava al tono flemmatico utilizzato della professoressa di inglese durante le lezioni, gli ricordava molto di più quelle poche parole udite tra gli scaffali di storia che li affiancavano, polverosi testimoni silenti delle dichiarazioni bellicose espresse da Ikeda. 

«Italiano...» confermò Morita di fronte a quella perplessità «Succede, ci farete l’abitudine, modi di dire, proverbi, insulti, insulti in dialetto delle zone dove abitava, chissà cosa è questo invece» aggiunse dando un colpetto al biondo. 

La ragazza sbuffò nuovamente con una smorfia, più concentrata a segnare lunghe linee su di quei fogli, felice per aver scelto un quaderno a quadri che ne facilitasse il tratto, disegnando un campo di pallavolo su carta con dei puntini affiancati da delle lettere «Modo di dire, significa che questo ho trovato e questo dovrete farvi andare bene. Se vi sembra troppo leggero come programma d’allenamento aumentate il numero degli esercizi. Voglio sperare siate fisicamente più forti di un 14enne inglese.» alzò brevemente il capo per cercare qualcuno tra i ragazzi dell’Iiyama, ormai tutti si erano concentrati lì sulla soglia della porta che divideva la palestra dall’esterno «Dov’è l’altro alzatore?» 

«Eccomi...» disse titubante entrando dall’altra porta con un pacchetto tra le mani che Ono gli strappò per nasconderselo dietro la schiena. 

«Non hai giocato oggi...» osservò Ikeda. 

«Non ha giocato oggi.» confermò Morita. 

«Perché non ha giocato oggi?» chiese rivolta al capitano staccando la penna dal foglio, puntandola verso il ragazzino per indicarlo facendolo diventare oggetto della sua più totale attenzione mentre lo scrutava per capire cosa ci fosse di sbagliato «Ti ha fatto male il viaggio? Sai che esistono pillole fatte apposta? Anche i polsini funzionano, quelli con i punti di pressione sui polsi, se non vuoi prendere farmaci.» 

Fukui avvertì la gola secca, incapace anche solo di formulare la risposta nella propria testa. Avrebbe potuto annuire, confermare che era stato male per il viaggio, si sentiva in dovere di giustificarsi con una qualsiasi scusa e non ne capiva il motivo «Non se la sentiva.» intervenne Wada per lui dopo qualche attimo di silenzio, sapendo quanto non ricevere una risposta indispettisse la ragazza. 

«Non se la sentiva?» bofonchiò, non era una vera domanda quella posta da Ikeda che continuava a squadrarlo «E di fare pallonetti te la senti? O fai come Ito...» disse punzecchiando anche l’altro alzatore che aveva già gli occhi puntati a terra, colpevole e consapevole tanto che Ono gli tirò un buffetto di rimprovero sulla nuca «Li fai solo in allenamento o anche nelle partite?» 

L’espressione di Fukui si fece risentita e più decisa «Certo che li faccio in partita.» 

«Bene...occhi sui fogli che non c’è tempo.» 

 

 

Kageyama da lontano seguiva quel discorso, di cui gli interessava relativamente poco. Non si sorprese nemmeno sentendo il commento di Ikeda sugli attacchi di seconda, lui stesso aveva contato diverse opportunità che l’alzatore suo rivale aveva mancato, punti facili lasciati andare con altrettanta facilità. Si stupì invece di non esserne sorpreso... 

Non che lui eseguisse quell’azione solo per ottenere punti semplici, no per lui quello era diventato anche un modo per zittire e rimettere al proprio posto chi si trovava dall’altro lato della rete. 

Quasi in un lampo gli tornò alla mente la prima volta che vide una cosa del genere, l’euforia del pubblico che lo attorniava e quella di suo nonno seduto accanto a lui che applaudiva intanto che si chinava alla sua altezza. 

Lo sguardo di Oikawa quando lui stesso portò a termine quell’azione. In quel pomeriggio d’allenamento in cui l’alzatore, che osservava con grande ammirazione, sembrava particolarmente indispettito per qualcosa. Quello fu, forse, l’inizio come Tobio-CHAN cantilenato con quella strana sfumatura nella voce del suo senpai, almeno anche in pubblico o per lo meno in sua presenza. Solo l’anno seguente apprese la lezione silenziosa che aveva voluto impartirgli il suo senpai. Durante una partita nel suo secondo anno alla Kitaichi Daichi, contro un alzatore particolarmente fastidioso, in procinto di alzare aveva notato il suo fianco completamente smarcato dall’altro lato della rete, con la mente che cercava una soluzione rapida quella porzione di parquet abbastanza distante, e in qualche modo vicina, a quell'alzatore che lo stava irritando gli era sembrata perfetta. Perfetta come era stata la sua mano sinistra, abbassata a tirare giù con le dita la palla senza nessuna esitazione in quel punto stabilito. Assolutamente perfetta l’espressione ottenuta dall’altro lato della rete facendo tesoro di quell’espressione stizzita mentre sentiva ancora il peso della palla sui polpastrelli. 

Perfette erano state le braccia abbassate ad un soffio dalla palla. Perfettamente chiaro il messaggio che quella scintilla negli occhi di Ikeda gli aveva trasmesso. 

La voce di Ennoshita interruppe il flusso di quelle vorticose riflessioni «Avanti congediamo con un saluto come si deve gli avversari.» 

Kageyama tornò presente in palestra con lo stomaco che gli si attorcigliava osservando l’assemblamento a pochi passi dal punto in cui era rimasto in disparte. 

Tsukishima gli si avvicinò, con grande disappunto dell’alzatore «Ha segnato diversi schemi a due alzatori,» disse passandogli oltre, con quella punta di sarcasmo nella voce, quella di quando ancora non aveva finito l’affondo «Come mai uno come te non ne ha proposti altri ad Ukai l’anno scorso? Infondo con Sugawara li avresti potuti mettere in atto visto che è stato l’unico alzatore che ti ha sopportato...» 

«Che cosa vorresti insinuare?» 

«Le conclusioni possono essere solo due,» fece l’altro fermandosi ma senza girarsi. Sollevò un dito, in una maniera terribilmente simile a come Ikeda lo aveva abbassato «O non vuoi andare oltre e condividere il ruolo per più di qualche scambio nemmeno con qualcuno come Sugawara,» Kageyama imprecò sottovoce serrando le mani, perché oltre il danno vi era la beffa, sapendo dove voleva andare a parare il centrale con la prossima affermazione. Il biondo sollevo il secondo dito «Oppure quelle poche cellule celebrali che ti ritrovi non lavorano così bene, nemmeno nell’unica cosa che ti piace fare e che tutti ti dicono che sai fare» 

L’alzatore non rispose, si chiuse dietro il solito mutismo. Deciso a mettere da parte l’orgoglio per una necessità superiore doveva solo attendere, aspettare il momento per prendere da parte la ragazza e fare quanto andava fatto. 

 

 

Ono strinse il pacchetto tra le mani porgendolo, verso Ikeda, con le braccia allungate e gli occhi fissi sul pavimento. Avevano discusso molto se fosse il caso o meno se fare quel piccolo regalo. Da un lato non volevano che le parole di Naoki si realizzassero ma dall’altro non erano riusciti a levarsi le parole di Ikeda dalla testa. Alla fine, avevano ceduto dicendosi che un regalo collettivo era lecito. 

La ragazza prese quel rettangolo rigirandoselo tra «Che cos’è?» 

«Molto carina questa carta regalo.» osservò Yachi che si era affiancata con curiosità.  

Ikeda iniziò ad aprire la confezione cercando di fare attenzione a non rovinarla. «Avevi detto che ti sarebbe dispiaciuto non poter vedere il ciliegio in fiore, quello vicino la nostra palestra.» spiegò Wada mentre quel piccolo quadretto con entrambi i lati in vetro e la cornice nera rivedeva la luce «Quindi abbiamo pensato di portartene un po'.» 

«Però non sapevamo quando, e soprattutto se, saremmo riusciti a fare un’amichevole con il Karasuno,» si aggiunse Morita grattandosi la nuca nervosamente «Ono ha trovato questa soluzione su internet ed è venuto questo quadretto.» 

«Se non lo apri dovrebbero durare per sempre.» confermò Ito. 

Ikeda non reagì immediatamente, la carta regalo ormai accartocciata le era caduta tra i piedi, continuando a fissare quei fiori imprigionati tra i due strati di vetro. Una striscia marrone disegnata a rappresentare il ramo e poi i fiori disposti in maniera precisa come se fossero sbocciati e cresciuti proprio lì. 

«Non...non ti piace?» domandò Ono con tono preoccupato non vedendo la ragazza dire nulla. Il silenzio non era mai stato un’opzione e quando c’era stato non aveva portato mai nulla di buono. «S-scusa...ec-» 

«Yachi per favore tienilo un momento,» disse Ikeda porgendo l’oggetto alla manager. Si mosse lentamente verso il capitano dell’Iiyama e senza una parola gli concesse un abbraccio veloce per poi passare agli altri ragazzi lasciando tutti a bocca aperta. 

«Hinata, Tanaka....presto! Andiamo a cercare un ciliegio!» urlò Nishinoya iniziando a levarsi le scarpe, quasi inciampando, seguito dagli altri due. 

Ennoshita sospirò allungando una mano per trattenere il libero «Yamaguchi ferma quegli altri due imbecilli!» 

Di fronte a Ono la ragazza si prese un momento prima di alzare le braccia e stringere il senpai. Lo strinse un po' più forte degli altri, un po' più a lungo mentre il ragazzo teneva le braccia alzate a mezz’aria pensando che tutto sommato la morte era un prezzo equo per quel momento…morte che sarebbe sicuramente arrivata se avesse anche solo pensato di ricambiare l’abbraccio, aveva la sensazione che Naoki li stesse osservando. 

Ikeda ridacchiò «Tranquillo, non ti ucciderà.» sussurrò pianissimo «Ma non dirlo agli altri, facciamo finta che Naoki sia il demone del terrore che vi ha fatto credere.» 

Prese un respiro lasciando andare Ono dandogli un ultimo buffetto sulla spalla. «Bene ora levatevi dai piedi.» disse riprendendo il regalo dalle mani di Yachi e dirigendosi verso lo zaino per riporlo mentre i ragazzi del Karasuno e dell’Iiyama si davano la mano per l’ultima volta. 

Kageyama strinse le labbra vedendosela passare vicina senza che lo degnasse di un qualsiasi cenno. Le parole non gli uscirono di bocca, osservò oltre. Osservò Hinata e si sentì un idiota, ma non voleva perdere a nessun costo. Perdere non era un’opzione. 

«E comunque...» la voce di Ikeda attirò nuovamente l’attenzione dei presenti, intanto che infilava quel regalo nello zaino sistemandolo tra i libri in modo restasse fermo al suo posto senza rischiare che il vetro si rompesse «Potevate darmelo anche quando ci saremmo visti a Tokyo durante l’Interliceale tra qualche mese.» 

La squadra dell’Iiyama rimase in silenzio, i primini già sulla via per lo spogliatoio lasciando indietro i senpai. 

«Ah già…certo, ci rivediamo a Tokyo!» fece Morita con un profondo inchino a cui si unirono anche gli altri ragazzi con rispetto in direzione di Ikeda. 

Intenta a guardare gli orari della Tohoku Line alzò di poco la mano destra muovendola con un movimento del polso da sé verso i ragazzi, in quel gesto che Kageyama aveva visto rivolto anche nella sua direzione. Richiesta silenziosa di andarsene che l’Iiyama evidentemente conosceva, con ultimi ringraziamenti verso Ennoshita e promesse di rivalsa alla prossima occasione. 

«Non penserai davvero che delle schiappe del genere arriveranno a Tokyo?» domandò stizzito Kageyama, cercando di fare quel primo passo.  

«Kageyama che modi? Abbi un po' di rispetto!» Ennoshita alzò la voce più del solito veramente esasperato, in silenzio Ikeda si mise lo zaino sulle spalle. 

«Ovvio che no...certo che no» rispose girandosi appena verso l’alzatore. 

A Kageyama parve di essere guardato in maniera diversa, senza però riuscire a decifrare a pieno quello sguardo. Ci aveva letto disappunto, forse stizza. 

«Ma chi sono io per togliergli la speranza?» continuò Ikeda incamminandosi verso la porta «Ennoshita grazie per avermi permesso di guardare.» 

«Te ne vai?» domandò titubante Narita scambiandosi delle occhiate con gli altri. 

«Si, ho un provino di non so cosa da passare. Devo essere a Sendai tra un’oretta.» spiegò lasciando però cadere il vero senso di quella domanda «Ancora grazie.» 

Si sistemò meglio lo zaino sulle spalle tirando la parte bassa, camminò per qualche metro lentamente decisa a chiudere tutto se nemmeno con quell’ultima possibilità Kageyama non si fosse smosso. 

‘O Canossa o nulla...’ pensò alzando il braccio, l’indice puntato al cielo nella mano chiusa. Conto alla rovescia finito, Game Over. 

Non aveva bisogno di girarsi per sapere che il ragazzo si era messo sulla porta, alla fine non era più riuscito a distogliere lo sguardo. E Ikeda si sentiva gli occhi blu incollati addosso anche in quel momento. 

Prese ad abbassarlo lentamente, era quasi arrivato a chiudere completamente il pugno pronta a far ciondolare il braccio lungo il fianco. Sconfitta per entrambi ma lo avrebbe accettato e rispettato. Lei non era Gregorio VII e lui non era Enrico IV. Non si sarebbe inginocchiato sulla neve.




*Spazio delirio*
Tutti insieme "Dai Kags puoi farcela" Tsukki tocca nuovi livelli di sarcasmo grazie ai suoi suggerimenti scritti #sapevatelo.
Quanta fatica questo ragazzotto. Poteva arrivarci già prima. Vi
voglio lasciare anche con questa perla creata da ReaderManga0Tsukki tocca nuovi livelli di sarcasmo grazie ai suoi suggerimenti scritti #sapevatelo.



 

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Capitolo 31
*** Capitolo 30 ***


*per le parti in cui si parlerà/penserà italiano il discorso sarà sottolineato* 

Solo qualche ora prima alla vista di quella schiena che, finalmente, si allontanava in maniera permanente avrebbe gioito; invece, quella visione, in quel momento, gli provocava inquietudine. Lo stomaco attorcigliato in preda a delle scosse violente, come se si trovasse su di una nave in balia della tempesta prodotta per le emozioni contrastanti che lo sballottavano da una parte all’altra. 

Il conto alla rovescia era già arrivato allo zero, ma al ragazzo sembrò che i numeri cominciassero a diventare negativi. 

-Voglio che tu capisca.-

Ingoiò orgoglio, rabbia, frustrazione. 

Ikeda fece un passo, il conteggio andò in negativo di uno. 

-Fino a quel momento, noi resteremo così. In sospeso...-

Tutto. Avrebbe ingoiato tutto. Lasciando vincere il buon senso. 

Ne fece un altro, il conteggio andò in negativo di due. 

-Il problema non è adesso...adesso non lo hai ancora visualizzato. Quando te ne renderai conto, allora non ci sarà più spazio per restare in sospeso. Il tempo inizierà a scorrere e non sarò così paziente, dovrai scegliere e se ci metterai troppo tempo il mio “no” diventerà definitivo e ti ritroverai a dover mandare giù la consapevolezza di quello che hai fatto. Io non ci perderò il sonno comunque...-

Quel tempo stava già scorrendo, arrivando in un negativo di tre. Come le occasioni che erano già state sprecate. 

Ingoiò qualsiasi cosa avesse provato fino a quel momento ma l’aria sembrava essere stata portata via dai polmoni, rendendolo incapace di vocalizzare quello che doveva. 

Le punte dei capelli mori che ballavano sulla schiena, seguendo l’andatura risoluta della camminata, i passi lenti e fluidi. Uno, due, tre passi. Tre dita. Tre occasioni. 

La mano alzata...e quel dito. Quel dito che in tre passi prese ad abbassarsi, finalmente lo smosse. 

«Iscriviti al club...» 

Tre parole. 

 

Era stato appena udibile, quasi un sussurro, Kageyama se ne rendeva conto.  Trenta decibel ad essere generosi. Perfettamente attutito, sovrastato dal chiacchiericcio attorno.  

Da Nishinoya che studiava insieme a Tanaka e Hinata un regalo più bello che convincesse la ragazza che non erano da meno nemmeno loro, vincendo un abbraccio. Ennoshita che alzava la voce con tono autoritario chiedendo che smettessero di seccarla. Narita e Kinoshita che invitavano i primini a non prendere quell’esempio sbagliato dai loro senpai. I primini che sbuffavano volendosi rimettere in moto chiedendogli di fare qualche alzata per schiacciare. 

Kageyama ebbe comunque la conferma che le parole arrivarono a destinazione; Ikeda si era fermata, ancora di spalle, il braccio immobile alzato e il dito abbassato per metà.  

Ikeda si prese un momento chiudendo gli occhi con soddisfazione Venni, vidi, vinci.’ pensò. Sorridendo al sole, prima di ricomporsi, cancellando quell’espressione cercando di sostituirla con una, volutamente, fintamente confusa per voltarsi verso Kageyama «Come scusa?» 

Il conteggio in negativo rimase fermo sul meno tre. 

L’alzatore strinse i pugni, senza fare caso che anche gli altri avevano, in realtà, sentito la sua richiesta restando ammutoliti. I decibel azzerati. Ennoshita, Kinoshita e Narita con la bocca aperta che tenevano le mani premute sulle bocche di Tanaka, Nishinoya e Hinata per farli tacere. I primini sorridenti aspettando da giorni quell’epilogo. Yamaguchi che aveva tirato una gomitata sul fianco di uno Tsukishima ridacchiante, seguendolo in quella risatina.  

«Hai detto qualcosa Kageyama? Puoi ripetere per favore.» fece Ikeda allungando una gamba per tornare indietro, sporgendosi con il busto verso l’alzatore. La mano che prima era alzata liberò l’orecchio nascosto dai capelli, le dita impigliate tra le ciocche mentre le sistemavano dietro il padiglione per non farle ricadere e la mano ferma a coppa per cogliere meglio, di nuovo, quelle dolci parole. 

Per un brevissimo istante Kageyama si pentì di essere dovuto arrivare fin lì. Avrebbe preferito stare zitto, fare finta di nulla o dirle qualcosa come “idiota hai capito benissimo non farmelo ripetere.” 

Ma ormai lo aveva fatto, aveva allungato il braccio e aveva fermato le lancette che avevano cominciato ad andare a ritroso. 

Spostando lo sguardo dagli occhi in attesa, che lo fissavano godendo di quel momento, verso i lastroni di cemento Kageyama riuscì a riformulare quella richiesta a mezza voce leggermente più forte di prima, ma comunque sotto i trenta decibel. 

«Iscriviti al club…» 

Comincio a spingere le lancette ferme sul meno tre. 

«No, niente...» disse Ikeda cercando di non gongolare troppo. Prese a massaggiarsi le orecchie, accennando un sorriso, fingendosi dispiaciuta e arricciando il naso «Non ti sento devo avere le orecchie chiuse, deve essere per colpa dei suoni sordi prodotti dalla palla che rimbalzava durante la partita.» 

Rumore di una palla che rimbalzava, di certo più di trenta decibel. 

Il conteggio era risalito a meno due. 

«I..iscriviti al…» 

Di nuovo sotto i trenta decibel, Kageyama provo a ripetere le tre importantissime parole. 

Tsukishima sospirò, fece un passo in avanti, Yamaguchi non riuscì a fermarlo. La sua mano si aprì, per poi schiantarsi sulla colonna vertebrale del corvino. Spinse fuori dall’uscio della palestra l’alzatore facendolo incespicare sui primi gradini, quasi facendolo cadere di faccia, guadagnandosi la solita espressione dell’alzatore chi di vorrebbe uccidere. 

Kageyama si schiarì la gola con un ringhio alzando ancora la voce «Iscriviti al club.» 

Sopra i trenta decibel di sicuro, impossibile non sentirlo. 

Kagemaya stava spingendo con tutte le sue forze la lancetta, era tornata a meno uno. 

«Forse è colpa della pressione...devo averla troppo alta. Dovrò mangiare meno sale in questi giorni probabilmente.» con finto sconsolamento, Ikeda, scosse la testa prima di chiudersi il naso gonfiando leggermente le guance soffiando poi via l’aria. 

«ISCRIVITI AL CLUB MALEDIZIONE!» urlò Kageyama inchinandosi profondamente e pregando che almeno quell’idiota di fronte a lui non fosse completamente simile a Oikawa, eppure se gli avesse detto di stare fermo per una foto lo avrebbe fatto. Si era umiliato, lo sapeva, ma non c’era debolezza in quel gesto consapevole di quanto avesse da guadagnare. 

Quell’urlo accompagnò anche la sua ultima spinta, il conteggio tornato a zero. 

Sicuramente non avrebbe commesso l’errore una seconda volta. Non avrebbe più abbassato la guardia. Non le avrebbe permesso di stare un passo avanti a lui. L’avrebbe battuta, come aveva fatto con Oikawa, come aveva fatto con Wakatoshi, come aveva fatto con i gemelli Miya. 

Quello Ikeda non se lo aspettava. Si aspettava la richiesta, ovviamente, ma non che l’altro sarebbe arrivato a tanto. Sapeva di star tirando un po' la corda ma il fatto che Kageyama aveva impiegato così tanto tempo per decidersi. Aspettando, quasi, l’ultimo momento l’aveva disturbata. 

Aveva buttato ben tre occasioni. 

Il Re del Campo piegato in un inchino profondo tanto che anche gli altri erano rimasti senza parole sostituendo l’attesa silenziosa con un silenzio stupito. Sbigottiti. La palestra numero 2 come sfondo a incorniciare quel momento.  

‘Eccola...Canossa.’ pensò Ikeda osservando come il sole del pomeriggio si rifletteva sui capelli scuri di Kageyama, i quali assoggettati alla gravità se ne stavano dritti verso il basso a coprirgli il volto, come una tenda da scostare. ‘È molto bella questa mia Canossa. Meno bianca di quando doveva esserlo stato Canossa ma il freddo c’è. Ugualmente arroccata e chiusa, quante cenere hai messo sul capo per farti perdonare Kageyama?’ 

Prese a muovere un primo passo, titubante di spezzare quel primo equilibrio che l’alzatore sembrava aver trovato nella decisione appena fatta. «Benvenuto, infine, a Canossa.» fece alzando le braccia in tono solenne «Sigilliamo quindi questo patto.»
‘Tsukishima ti ha chiamato Re Tiranno, vediamo di porre fine a questo tuo regno del terrore’

Il conteggio era fermo a zero, un nuovo punto di partenza. 

Kageyama non riusciva a vedere ma udì lo scricchiolio delle scarpe avvicinarsi. Provò a rialzarsi quando nel suo campo visivo, limitato dalla posizione, apparirono le punte dei piedi della ragazza solo per sentire una mano fresca dietro la nuca a bloccarlo con una leggera pressione. Quella sensazione fu tremendamente simile a quella provata durante la litigata in palestra. No, si sbagliava, quel giorno il palmo che l’aveva trattenuto dalla nuca era bollente. 

Ikeda si era avvicinata liberando già una spalla dallo zaino per poi lasciarlo cadere in terra vicino a Kageyama «Resta così. Mi serve un appoggio» disse bloccandolo e abbassandosi per aprire con la mano libera la zip in cerca di quanto le serviva. Estrasse un quaderno poggiandolo sulla schiena dell’alzatore sentendo contrarre i muscoli del collo sotto la mano. Il disappunto di Kageyama si poteva scorgere anche senza vederlo in viso, bastavano le mani sempre più strette mentre rimaneva immobile. 

Fece scivolare il foglio d’ammissione del club custodito tra le pagine per posizionarlo in cima e poter scrivere. 

«Sei un ottimo appoggio sai? Lo sei anche a muro?» 

«Sbrigati e falla finita.» bofonchiò l’alzatore indispettito. 

«Qualcuno ha una penna? Sapete una “Stupida modella” non porta dietro mai nulla con cui poter scrivere.» 

«Non sarebbe meglio uno spillo? Così puoi firmare con il sangue del Re.» Yamaguchi piantò una gomitata all’amico biondo «Tsukki per favore.»  

Ikeda ridacchio come anche gli altri, tranne l’alzatore. Yachi ebbe il buon cuore di accorciare almeno di un po' la pena del corvino passando a Ikeda una penna. Poco importava se dall’astuccio della ragazza ne spuntasse già una, la stessa con cui aveva scritto gli appunti all’Iiyama, tutti l’avevano vista quando lentamente aveva tirato fuori il quaderno. 

Scrisse quanto richiesto dal modulo con cura, con calma, non riuscendo a trattenere una risatina allo stupore generale degli altri ragazzi. 

Finito di scrivere si appoggiò su quella schiena, una mano che tamburellava sul modulo e il gomito dell’altro braccio piantato tra il retro delle costole senza troppa forza, per sorreggere il mento appoggiato alla mancina. Un piccolo riguardo che l’alzatore pensava non meritasse, dimostrazione della sua magnanimità, benché Kageyama sostenesse il contrario, a cui sembrava di star sostenendo un peso ben maggiore di un gomito. 

«Che sia ben chiaro comunque anche a voi,» iniziò con voce fredda rivolta alla squadra «Che nonostante mi sia avvicinata io, adesso, è lui...» continuò sotto lo sguardo incuriosito della squadra, indicando con un cenno del capo e il pollice della mano, che prima tamburellava il foglio, la nuca del corvino «Assolutamente è lui a essere andato a Canossa.» 

Lui era, infine, capitolato soccombendo ad una richiesta necessaria, lei aveva firmato il modulo. 

«Consegna quel dannato foglio a Yachi e fammi alzare.» 

Ikeda lasciò andare l’ennesimo sospiro rassegnato «Tra un momento lo consegno a Yachi, tranquillo. Sono una persona di parola. Ti dico che lo faccio e lo faccio.» prese il quaderno tenendo comunque una mano premuta sulla schiena di Kageyama non essendo ancora il momento di liberarlo «Prima però sua Maestà il Re del Campo può controllare questo mio documento regale?» domandò mettendo davanti al naso del ragazzo il foglio, in modo che potesse fare quanto chiesto, facendogli storcere le labbra non solo per quel nomignolo che detestava ma anche, e soprattutto, per il tono con cui lo aveva enfatizzato. «Ho bisogno dell’approvazione del sovrano che sta abdicando.» 

C’erano da scrivere solo pochi dati che avrebbe dovuto sapere essendo i suoi, Kageyama non capiva il perché di quella assurda richiesta. L’irritazione diffusa e accentuata da quel soprannome, sicuramente confidato da Tsukishima chissà in quale momento, la cui accettazione era ancora troppo recente e ancora in alcuni momenti faticava sentendosi chiamare così avvertendo il peso negativo aleggiare attorno a quelle poche parole. 

«Smettila di chiamarmi così!» ringhiò Kageyama indispettito. Stava per continuare e ribattere, o insultarla, quando gli occhi che vagavano smarriti sul foglio di fermarono su un punto preciso realizzando velocemente, molto velocemente, decidendo di tacere. 

A Ikeda, però, non sfuggì il piccolo singulto avvertito sotto la mano ancora poggiata mollemente tra le scapole dell’alzatore «Non c’erano speranze.» disse con tono cantilenante scandendo l’ultima parola e battendo foglio e quaderno sulla fronte del ragazzo prima allungarlo verso Yachi. 

«Tranquillo.» sussurrò piano abbassandosi di poco per osservare quella faccia scontrosa 

La manager riprese la sua penna e il foglio non capendo. Si ritrovò a cercare su quel biancore spiegazzato il motivo di quelle parole, così come il resto dei ragazzi. 

«Sul serio?» il tono divertito di Tsukishima arrivò fastidiosamente alle orecchie di Kageyama, seguito dopo qualche secondo da altre risatine «后子 (Kimiko) Kimi (后) è scritto come Imperatrice?!» 

Per sfortuna dell’alzatore Ikeda si riappoggiò di peso, costringendolo ancora a mantenere quella posizione per sorreggerla senza dargli la possibilità di alzarsi, avrebbe preferito di gran lunga andarsene e non dover seguire oltre quella discussione. 

«Stai fermo,» lo rimproverò Ikeda con forza cercando di bloccarlo «Giuro che trovo una torre e ti ci faccio rinchiudere se mi fai cadere.» 

«Ti sei iscritta, hai dato il foglio a Yachi, abbiamo finito! Levati!» si lamentò con un ringhio stizzito Kageyama. 

«Avremo finito quando te lo dirò io! Hai ancora un debito da pagare quindi taci!» 

Kageyama fece per risponderle a tono ma rinunciò preferendo nuovamente il silenzio sperando così di velocizzare l’operazione. Poteva contrarre i muscoli e spostarsi facilmente, ma decise sopportare ed annotare tutto mentalmente. Avrebbe avuto tutto il tempo in campo durante il prossimo allenamento per qualsiasi altra cosa. 

Tsukishima scosse la testa divertito «Una monarchia decisamente preferibile.» 

Barattare un Re despota e detestabile con un’Imperatrice amabile e comprensiva? Tutta la squadra ci avrebbe messo la firma. Bastava non farla arrabbiare e il suo regno sarebbe stato dei più virtuosi, sicuramente più piacevole. 

«In ogni caso sarà una monarchia costituzionale.» disse Ikeda prestando più attenzione alla nuca appartenente al sostegno ancora immobile che la sorreggeva. 

 

Il chiacchiericcio era ripreso, ancora più forte di prima. Ikeda ormai pronta, quasi, a lasciare libero l’alzatore, decise di togliersi l’ultimo sassolino dalla scarpa. Si avvicinò al suo orecchio abbassandosi; fece scorrere le mani sul retro della gonna per bloccarla, bloccandone l’orlo tra il retro delle cosce e i polpacci, restando in equilibro sulle punte dei piedi e con voce tranquilla sussurrò «Ah giusto per essere chiari. Hai fatto la metà del tuo dovere, se lunedì vengo a sapere che non hai chiesto scusa ad Yachi.» La voce da tranquilla divenne fredda e minacciosa. 

«Ti informo che non sarà più il mio gomito a piantarsi nelle tue costole. Mi trasformerò di nuovo in Gigi Riva. Potrei anche tentare con il lato meno forte e poi perché limitarsi alle sole schiacciate per educarti, no?!» 

Kageyama poteva essere lento alle volte, capì la minaccia, ma non il motivo per cui doveva scusarsi con l’altra manager e soprattutto chi fosse questo fantomatico Jiji Liva. Nuovamente avvertiva troppo vicino quel profumo di miele, caramello e cacao. 

«Di che stai parlando? Non ho detto nulla a Yachi» 

Ikeda sbuffò, non credendo possibile si potesse essere così tonti. 

«Fai correre quel criceto, mal messo, che ti ritrovi in testa sulla ruota e aziona gli ingranaggi del cervello. Cosa hai detto del lavoro da manager?» 

Il ragazzo finalmente realizzò sgranando gli occhi. 

«Oh…» la ragazza tirò il lobo dell’alzatore stringendolo tra pollice e indice, strattonando il capo verso la sua voce «Esatto. Come ti rivolgi a me personalmente è un problema nostro, solo nostro, vedi di non mettere in mezzo Yachi. Puoi dirmi quello che ti pare, a lei devi rispetto e non solo perché è lei ma alla sua figura all’interno della squadra. Vi riempie le bottigliette d’acqua; vi lava le pettorine; tiene nota delle azioni e altro di cui tu non ti sei mai dovuto preoccupare. Impara ad avere rispetto anche per chi sta fuori dal campo ma ti permette di giocare, fosse anche l’ultimo ragazzino con l’asciugamano in mano a levare il sudore dal parquet. Quindi cosa devi fare?» 

Kageyama rispose immediatamente «Devo scusarmi il prima possibile, io volevo offendere soltanto te.» Non ci aveva mai riflettuto più di tanto. Alcuni di quei compiti lui per primo li aveva svolti, via via era cresciuto e qualcun altro lo aveva sostituito in quelle incombenze. L’anno precedente se ne era sempre occupata Shimizu senpai, prima da sola e poi facendosi affiancare da Yachi quando la biondina si era unita al club. Tanaka si era, nei primi giorni d’Aprile, assicurato di mettere in chiaro che nessuno dei nuovi arrivati avrebbe dovuto avvicinarsi alla manager, nemmeno per portarle le borse in quanto compito suo personale, personalissimo. Narita con una risata gli aveva dato dell’illuso ammiccando verso il resto della squadra e Kageyama non aveva capito. Ad ogni trasferta, amichevole fuori dal Karasuno e in direzione di Sendai per i tornei aveva osservato il senpai chiedere, puntuale come un orologio, alla manager più grande il permesso di portarle le borse. Shimizu rifiutava sempre gentilmente facendo sapere che le borse erano leggere. Perché a Tokyo dopo la sconfitta avesse accettato Kageyama non lo capì, come l’entusiasmo di Tanaka rimasto su di giri tutta la sera. Suga notando quanto il suo kohai alzatore fosse dubbioso gli aveva messo una mano sulla spalla liquidando il tutto con un “un giorno ti sarà più chiaro”. Era solo una borsa, lui e gli altri si erano detti di fare a turno per le cose che portava Yachi. Avevano risolto così. 

La fitta alle costole fu improvvisa, facendolo ridestare, e molto più forte di quanto si aspettasse. Le dita di Ikeda lasciarono l’orecchio solo per poter piantare il gomito dove poteva sul fianco del ragazzo. L’alzatore emise un gemito di dolore cercando di trattenersi. 

Con quell’ultima punizione, Ikeda decise fosse il momento di lasciar andare l’alzatore, il chiacchiericcio si era di nuovo fermato dopo quel verso e tutti erano tornati a prestare attenzione a loro due. Non che Tsukishima avesse mai smesso di osservarli, gli mancava solo una busta di pop-corn. 

«È stato molto divertente ma devo andare, questa “Stupida modella” deve prendere un treno per Sendai.» 

Kageyama provò a recuperare almeno un briciolo del suo orgoglio ridotto in frantumi. 

«Questa “Stupida modella” essendo che è iscritta dovrebbe aiutarci a mettere a posto la palestra. È la seconda volta che svicoli i tuoi compiti, sei una manager no? Dovresti comportarti come tale» 

Ikeda, dopo aver rimesso il quaderno nello zaino, si era rimessa sulle spalle quel peso. Fece un sorrisetto sornione sotto lo sguardo attento di Kageyama. Salendo i gradini della palestra osservò l’interno della palestra sporgendo la testa nella porta, i capelli che ricadevano liberi dalle spalle spostandosi in avanti. La rete era ancora montata; alcuni palloni giacevano in vari punti; il tabellone che segnava i punti andava riportato nello sgabuzzino essendo inutile nel proseguimento degli allenamenti; alcune sedie potevano essere riposte nello scomparto nascosto che si trovava sotto il palco. «Vero, la palestra è un autentico disastro.» confermò Ikeda scendendo quegli stessi scalini su cui poco prima Tsukishima aveva fatto rischiare il collo all’alzatore. Si fece seria mettendosi di fronte a quest’ultimo. Alzò leggermente il capo, non per la necessità di fissare quelle iridi blu sfumate ancora con accenni di rabbia, posando le mani sulle spalle di Kageyama  disse in tono solenne «Sono fiduciosa sulle tue capacità o almeno nell’evoluzione visto che i pollici opponibili li possiedi. Penso riuscirai a terminare le pulizie da solo senza la mia supervisione.» 

Il resto della squadra si mise a ridere. Kageyama per qualche motivo non riuscì ad arrabbiarsi, più forte la voglia di ribattere anche se indirettamente.  

‘Voleva giocare? Bene giochiamo.’

Indicò Hinata. 

«Ohi, boke. Metti a posto la palestra. I pollici opponibili li hai.» 

«Uhhh?! Sei più scemo del solito BaKageyama?» Il corvino scosse la testa, tutti si chiedevano dove volesse andare a parare. 

Chi è che ti permette di fare tutti i tuoi attacchi?» Il mandarino vivente rispose ovviamente «Tu…ma cosa centra?» Kageyama si avvicinò al compagno di veloci «In pratica, è come se io ti avessi fornito la tua wakizashi e ciò ti rende a tutti gli effetti un samurai al mio servizio.» 

«Ikeda ti ha affidato un compito nient’altro Ex-Maestà, sei il Daimyo di un bel niente. Poi non basta una veloce, non funziona così tra Daimyo e Samurai. Ti mancano pezzi di storia.» commentò Tsukishima, esasperato dalle sezioni di studio evidentemente inutili. 

Kageyama non distolse lo sguardo dall’occhialuto «So perfettamente come funziona! Me lo ha insegnato mio nonno. Mi vuole battere? Questo è un giuramento. Gli ho fornito l’alzata migliore facendo diventare la veloce la sua arma d’onore? Si...quindi questo fa di me il suo Daimyo.» 

«Ah già. Nanerottolo qui ha giurato di stracciare lo scemo.» disse Tsukishima rivolto alla ragazza, ignorando tutto il restante vaneggiamento dell’alzatore. 

Ikeda alzò un sopracciglio «Posso sempre elevarlo maggiormente. I Reali d’Europa si facevano vestire dai fedelissimi.» 

Hinata girò la testa verso di lei con gli occhi sgranati. 

«Potrei permettergli di allacciarmi le scarpe, immagino che si possa considerare l’onore più grande che io possa concedere.» continuò facendo scorrere lo sguardo sui primini «Le considero sacre. Magari lo farà uno di voi invece.» 

Noya e Tanaka esplosero in delle risate sguaiate, mentre Hinata, ripresosi dallo shock, cercava inutilmente delle argomentazioni per smontare le affermazioni dell’alzatore che lo vedevano come suo superiore. 

Fu Ennoshita ormai esasperato a battere le mani. «Ok, basta scherzare. Sta per farsi tardi, se non ci sbrighiamo il Coach Ukai ci farà lo scalpo» 

Noya e Tanaka urlarono insieme ai primini la battuta che stavano tenendo dentro da almeno un paio di minuti «Agli ordini nostro Shogun!» 

Tutti scoppiarono di nuovo a ridere ed anche a Kageyama scappò uno sbuffo. 

«Un attimo! Se Ikeda è la nostra Imperatrice, allora Yachi-chan naturalmente deve essere la nostra principessa, Kageyama diventa un vassallo, Hinata un Samurai e il capitano lo Shogun. Quindi noi cosa siamo?» si chiese Tanaka mentre Noya annuiva. Anche i primini si fermarono a pensare trascinando Yamaguchi nei loro pensieri. 

«Carne morta che farà Seppunku molto presto, se non muovete il culo a mettere a posto» 

Il coach Ukai era tornato dopo aver accompagnato l’Iiyama al pulmino. 

Tutti si misero sull’attenti. «Sì, Amateratsu-Sama» urlarono ancora Noya e Tanaka. 

Ukai si rivolse a Ikeda «Vai pure, lunedì però ti voglio puntuale agli allenamenti.» Diede un’ovvia occhiata all’alzatore pensando a come intavolare la questione su cui già sentiva sudori freddi e il professor Takeda rimproverarlo in caso di incidenti e corse verso l’infermeria. 

Ikeda annuì sorridendo, poi si volto e cominciò a camminare in direzione del cancello. Il resto della squadra rientrò in palestra. 

Kageyama si attardò ancora un momento sugli scalini osservando la nuova manager allontanarsi. Come se avesse sentito gli occhi su di sé Ikeda si voltò un’ultima volta. Senza fermarsi aveva portato un dito sotto l’occhio uscendo la lingua per fargli una smorfia. 

‘Fastidiosa.’ pensò mentre la ragazza si girava. Dandogli nuovamente la schiena aveva alzato il braccio destro muovendo la mano in uno scatto come ultimo saluto. ‘Non la sopporto.’ 

«Ohi boke, datti una mossa!» abbaiò al centrale per sfogare il peso allo stomaco. 

«BaKageyama!» 

Ennoshita li afferrò entrambi dalle spalle. «Hinata diventerà presto un Ronin se non chiudi quella tua boccaccia Kageyama» 

Ukai richiamò l’attenzione dei ragazzi con il fischietto «Prima di finire l’allenamento e pulire venite qui vi devo parlare.» 

Una volta che gli si fecero intorno a semicerchio l’allenatore prese un profondo respiro «Lunedì ricominceremo con gli allenamenti seri. Per tutta la settimana di pomeriggio faremo delle partite così da riprendere questi giorni in cui Ikeda non è stata presente.» osservò i ragazzi annuire attenti e felici per la notizia «Ikeda ci sta facendo un grande favore a giocare. Siamo fortunati che sappia come si giochi. Siamo fortunati che giochi come alzatrice. Saremmo stati molto limitati se ci fosse capitata questa fortuna.» 

Kageyama percepì il cambiamento tra i ragazzi seduti attorno a lui. Almeno era stato il primo... «Senza un secondo alzatore, con tutta la buona volontà del professor Takeda, ci saremmo dovuti accontentare del numero limitato di amichevoli per le partite.» 

...secondo, Ukai evidentemente aveva già pensato a quello scenario, ad arrivare a quella conclusione. 

Sbuffò infastidito sentendo Hinata sussurrargli «Tu ci avevi pensato?»

«Naturalmente», continuò Ukai facendo scorrere lo sguardo sui presenti. «Mi aspetto da voi riconoscenza. Riconoscenza che si deve tramutare nell’evitare di tirarle addosso Servizi Killer.» 

«Come se non se la sia già cavata anche con quello.» puntualizzò Tsukishima con sorrisino sarcastico in direzione dell’alzatore. 

 

 

 

Erano ormai arrivata sera, avevano messo a posto. Il Coach Ukai era già tornato a casa da un pezzo, così come la maggioranza del club si era diretta negli spogliatoi per cambiarsi. Solo Hinata e Kageyama rimasero come il solito fino a tardi, Ennoshita ormai aveva assegnato ai due il compito di chiudere la palestra. 

«Kageyama rimontiamo la rete, fammi qualche alzata» Il corvino stava però osservando il cancello d’ingresso in lontananza. «Ohi Sordoyama!» L’alzatore si scosse dai suoi pensieri «Oggi no, ho da fare.» Il centrale inclinò la testa confuso. «E cosa devi fare?» 

Kageyama si infilò le scarpe lasciando quelle da allenamento nella scarpiera accanto la porta «Qualcosa di importante che sono stato troppo cieco per non notarlo prima. Yachi come torna a casa?» domandò da sopra la spalla destra, camminando verso gli spogliatoi, vedendo che l’altro lo aveva imitato e con un salto gli fosse alle calcagna. 

Hinata non comprese, ma si limitò ad accettare la situazione decidendo di seguire l’altro per cambiarsi a sua volta «A piedi, a quest’ora sarà già a metà strada. Ti do un passaggio in bici, tanto casa mia è dalla stessa parte.» 

Così si ritrovarono a sfrecciare lungo le strade, Kageyama si reggeva come fece Ikeda giorni fa. «Allora cosa devi dirle?» Hinata voltò leggermente la testa «Non sono affari tuoi. Non puoi accelerare?»  

«Non vorrai dichiararti a Yachi per caso?! Guarda che ci sono delle procedure! Ormai hai rifiutato abbastanza ragazze da conoscerle.» 

Kageyama prese un profondo respiro, combattendo il desiderio di passare le mani dalle spalle del rossiccio al collo per strangolarlo «Smettila di dire idiozie, non hai nemmeno preso pallonate in testa oggi.» 

Il mandarino sbuffò «Vedi solo di non fare un altro casino dei tuoi, altrimenti è la volta buona che ti cacciamo dal club e ci teniamo Ikeda come titolare» 

«Lei non può giocare.» gli fece presente il corvino. 

«Devi solo ringraziare il cielo. Senti…secondo te perché non vuole avere a che fare con il club femminile? Cioè ho capito che non le considera ad un livello accettabile, ma avrebbe potuto optare per quel collegio femminile dove sta l’amica di Tanaka senpai.» Il corvino rifletté sulle parole dell’amico, non lo avrebbe mai ammesso, ma Ikeda era ad un livello tale da poter diventare titolare nella nazionale femminile giovanile praticamente fin da subito, probabilmente l’avrebbe vista tra le file delle convocate nello scorso ritiro giovanile, quando si alternavano gli allenamenti maschili a quelli femminili, se avesse preso parte al torneo della sua prefettura scendendo in campo attivamente. Si arrese a cercare di capirlo da solo, scuotendo la testa. «Non ne ho idea. Non ti avevo detto di accelerare?» 

Hinata roteò gli occhi. «Tieniti forte Baka, adesso si va forte.» Hinata si alzò in piedi e cominciò a pedalare con più foga «Super pedalata all’impiedi! Imparo, imparo, imparo!» 

 

Finalmente riuscirono ad intravedere la manager in lontananza, Hinata si mise ad urlare a squarciagola «Ohhhhiii! Yachiiiii!» La ragazza si girò confusa. Il ragazzo che pedalava però andava troppo veloce. 

«Boke rallenta!» l’urlo di Kageyama fu però inutile, il centrale si mise di traverso in modo da derapare per potersi fermare «BOKEEEEE!!!» Kageyama non riuscì a tenersi aggrappato e fu sbalzato a terra. «Yachi, l’idiota a terra deve dirti qualcosa, ci vediamo lunedì.» Sparò quelle parole alla velocità della luce, e dopo aver malamente buttato il borsone di Kageyama a terra, partì, o per meglio dire scappò dalle ire del corvino a tutta velocità. L’alzatore si alzò furioso, se avesse avuto vicino una pietra gliela avrebbe lanciata contro. 

«Kageyama va…va tutto bene?! Non ti sei fatto male?! Perché tu e Hinata siete arrivati a tutta velocità?!» Yachi si stava facendo prendere da una sua solita crisi di panico. Kageyama sembrò ricordarsi all’improvviso del motivo per cui era stato scaraventato a terra; quindi, mise velocemente da parte tutte le imprecazioni che aveva pronte per Hinata. 

Si girò verso Yachi e piegò la schiena in un modo del tutto simile a come aveva fatto con Ikeda, solo che non era un inchino forzato dalla necessità ma più sincero e tremendamente dispiaciuto. Colpevole. «Ti chiedo scusa! Non avevo capito che le mie parole ti avessero offesa! Non era mia intenzione, non ho niente contro di te, anzi ti sono infinitamente grato per tutto l’aiuto che mi dai con i compiti, per quando mi hai aiutato ad allenarmi ed è grazie a te se abbiamo potuto permetterci l’autobus per le trasferte! Perdonami ti prego!» 

Yachi era confusa. «Kageyama quando mi avresti offesa?» Il corvino non si mosse dalla sua posizione. «Quando ho avuto la faccia tosta di dire che il ruolo di manager è stupido e chiunque sarebbe in grado di farlo. Ero arrabbiato con Ikeda e ho detto qualcosa di stupido!» La sua testa sembrava poter toccare il terreno. Yachi finalmente cominciò a collegare i puntini, non ricordava neppure la frase precisa. «Kageyama non ci ho pensato a quelle parole. So benissimo che non era tua intenzione, sappiamo tutti come sei fatto» La testa di Kageyama toccò il terreno «Perdonami!» 

Yachi fu intenerita dall’incapacità di Kageyama di riflettere su questioni così banali. «Certo che ti perdono, ma adesso ti prego alzati. I passanti stanno cominciando a guardarci…non vorrei si facessero delle idee sbagliate» Il corvino tornò dritto, con un’espressione confusa. «Idee sbagliate?»
‘Povera Ikeda, adesso la capisco un po' di più. Non che lei sia poi tanto diversa.’ 

Kageyama finalmente si lasciò andare ad un sospiro liberatorio. «Bene, mi sento in pace con me stesso. A lunedì allora» detto questo recuperò il suo borsone e si diresse dalla parte opposta, dove si trovava casa sua. 

«A lunedì Kageyama» Yachi non riuscì a contenere il sorriso, adorava quando tutto andava per il meglio. Kageyama litigava sempre con molta gente, ma ogni volta che faceva pace poi il loro rapporto ne usciva fuori cementato. 

L’alzatore fece un ultimo cenno col capo in saluto, senza pensare che sarebbe stato cortese accompagnare Yachi per quell’ultimo tratto di strada fino alla fermata dell’autobus. Sfinito mentalmente più che fisicamente da quella giornata, voleva solo tornare a casa, abbandonare il borsone in camera, cenare e farsi un bagno caldo. Poi avrebbe cercato questo “Jiji Liva”, che quel fastidio umano aveva nominato, avendo tutte le intenzioni di scoprire chi fosse, in che squadra giocasse, che ruolo. Tutto...TUTTO. Quello sarebbe stato il suo primo passo.




*Note autore*

Avanti il nostro piccolo alzatore testardo è capitolato ma le sue fatiche non sono giunte al termine. Quando ho iniziato a pensare a questa storia e tutto si delineava nella mia mente mancava ancora il nome della protagonista. Quando, durante lo scorrere di nomi giapponese, sono arrivata a Kimiko ho avuto "un momento" davanti il monitor. Come domanda divertito Tsukishima, in questo caso, viene scritto con "Imperatrice" ma si può anche scrivere con 君 (Kimi) che però prende il significato di "Nobile". Potevo mai scegliere altro nome? Potevo mai farla chiamare Nobile Bambina quando era possibile Imperatrice Bambina? *子 (ko) finale sta per bambina appunto*
Per far capitolare un Re serve qualcuno del medesimo rango.
La parte di Hinata che scarica Kageyama dalla bicicletta non è opera mia ma di ReaderManga0. Molto più divertente di come l'avevo immaginata io. Kageyama doveva assolutamente scusarsi con Yachi, su questo penso ne conveviamo tutti.
Tenetevi per il prossimo capitolo, sarà un viaggio nel tempo e se vi va diteci come vi è parsa a voi questa Canossa di Ikeda ed il suo Re che si inchina.

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Capitolo 32
*** Capitolo 31 ***


8 Settembre 2012 sabato, Scuola Superiore Iiyama (Iiyama), Prefettura di Nagano.

La strada, tra quella parte di fiume, fino alla residenza degli Ito era stata percorsa in chiacchere e starnuti sempre più frequenti da parte di Ikeda, tanto che Ito velocizzò il passo. 

«Quindi abiti più sotto di qui?» 

«Si, stiamo ad Akaiwa per adesso.» rispose Ikeda tirando su con il naso «Ci sono un paio di templi vicino casa, shintoista e buddista.» 

«Ti sei fatta un bel pezzo di strada di corsa eh.» disse il ragazzo passando una delle due buste della spesa per reggerle solo con la destra, aprendo il cancelletto la mano appena liberata facendolo scricchiolare. 

Quel suono fastidioso fece stringere leggermente le palpebre di Ikeda che iniziava ad avere mal di testa per via dei capelli bagnati. Ogni suono si era fatto via via più acuto e anche l’olfatto era andato a farsi più sensibile, come sempre quando le veniva l’emicrania. L’odore di siepi che solitamente non le provocava alcun disturbo e che solitamente non percepiva si era fatto insopportabile. Ogni dannata casa su quelle viuzze che avevano percorso era provvista di siepi, di diversa altezza a seconda dell’abitazione, per delimitare quando finisse la casa e iniziasse la strada. Le mancavano le vie di Londra fatte di colate di cemento e asfalto. 

Altri pochi passi su un vialetto lastricato e Ito aprì la porta vera e propria di casa sua. 

«Mammaaaaaa sono tornato!» urlò a gran voce «Mariko puoi scendere un attimo?» 

Ikeda si portò una mano a massaggiare la fronte ancora sulla soglia esterna della casa consapevole che anche le scarpe erano zuppe, tutto il tragitto era stato un alternarsi di sensazioni scomode e sgradevoli. 

I capelli che si incollavano fastidiosamente alla fronte e al collo. Aveva posto rimedio legandoseli in alto a cipolla al centro della testa. Forse troppo stretta considerando anche l’umidità e quello stava contribuendo al dolore martellante. 

La sgradevole sensazione iniziale della maglietta che si attaccava e staccava alla pelle non era durata troppo a lungo. Durante la camminata il polietilene, di cui era composta, si era asciugato abbastanza rapidamente. 

Tutt’altra storia erano le scarpe e le calze bagnate, non trovava soluzione a questo semplice supplizio, se che non fosse quello di levarle immediatamente, ma camminare a piedi scalzi fino alla casa del ragazzo non le era sembrata un’opzione abbastanza valida tanto da metterla in atto. 

«Yoori non gridare, mamma è uscita.» fece una voce femminile proveniente dal piano superiore. 

Un altro starnuto indusse Ito a voltarsi verso la porta rimasta aperta. Ikeda ormai tremava senza riuscire più a trattenersi. 

«Muoviti a scendere e porta un asciugamano.» continuò Ito senza prestare ascolto alla sorella «Inizia a levarti le scarpe lasciale anche lì fuori Ikeda.» 

La ragazza obbedì, levandosi prima il piccolo marsupio posandolo in terra, chinandosi per sciogliere i lacci resi più fitti dall’acqua mentre dall’interno si potevano sentire degli sbuffi e uno scalpitio indolente di qualcuno che scendeva le scale. 

«Che hai combinato? A cosa ti serve l’asciugamano? Hai rotto qualcosa?» chiese Mariko sull’ultimo gradino al fratello osservando le buste della spesa. A prima vista le sembravano intatte. 

Ito non sembrò sorpreso di veder comparire la sorella a mani vuote nonostante la richiesta «Lei è Ikeda viene a scuola con me, le serve un asciugamano e un cambio.» 

«Nic..ehchoo to meehchoot you» provò ad articolare tra uno starnuto e l’altro. Ikeda continuò a starnutire, una seconda volta, una terza sotto lo sguardo confuso dei due fratelli.  

«Ma cos’è successo?! Vieni entra, levati le calze...vieni vieni.» disse Mariko in tono preoccupato. La ragazza eseguì facendo qualche passo nel genkan appoggiandosi ad un mobiletto per levarsi una calza e poi l’altra mentre Mariko era scomparsa e riapparsa velocemente con l’asciugamano tra le mani porgendoglielo. 

«Quindi cos’è successo?» 

«Niente.» rispose Ito guardando brevemente mentre Ikeda si asciugava i piedi tenendo nell’altra mano le calze «Ha avuto la sfortuna di scivolare in un brutto punto.» 

«Posso anche darle un cambio ma non basta. Vieni seguimi, così ti fai una doccia calda.»  

Ikeda entrò spedita senza aspettare oltre già beneficiando mentalmente, per effetto palliativo, dell’idea di un tepore rigenerante diffuso su tutto il corpo. Non le sfuggì però lo sguardo perplesso di entrambi gli Ito che si guardavano scioccati tra loro. 

«What’s up? Did I wet something?» domandò abbassando lo sguardo su quei pochi passi che aveva fatto. Forse il tono era risultato troppo brusco perché entrambi scossero la testa. 

«Seguimi.» fece Mariko precedendola per le scale e poterle fare strada fino al bagno dove la lasciò indicando cosa potesse usare e l’asciugatrice dove le fece sistemare i vestiti umidi. Le aveva lasciato un cambio su un mobile lì vicino sentendo l’acqua della doccia scorrere. 

 
 

«Dobbiamo chiamare la polizia? Ti ha minacciato in qualche modo? Non è una di quelle tizie che si truccano, vanno con i ragazzi più grandi e vogliono comportarsi come le straniere, vero?» 

Il fratello le rivolse un’occhiata confusa «Sorellona, non è una gal, guardi troppi anime,» non alzò il capo continuando a sistemare la spesa, uscendo i vari prodotti dalle buste poggiate sul tavolo «No, ha vissuto all’estero forse è per questo. Credo di essere il primo con cui ha parlato da quando è qui.» 

«Ah ecco ora si spiega quella frase in inglese, meno male pensavo ti stesse ricattando perché avevi visto qualcosa che non dovevi.» commentò Mariko aiutando il fratello nell’operazione, rimasero entrambi per qualche minuto in silenzio «Vai a sistemare il borsone qui ci penso io.» 

Il ragazzo annuì e senza farselo ripetere stava per correre sù per le scale venendo però bloccato da Ikeda. 

Si era limitata a fare quanto più veloce possibile, una passata di acqua calda per non arrecare altro fastidio senza consumare i prodotti che Mariko le aveva indicato di poter usare. Si era sentita in imbarazzo sotto l’acqua come se qualcosa le fosse sfuggito ma non riuscendo a capire cosa. Con la fronte sulle piastrelle bagnate Ikeda si rese conto che aveva mancato di ringraziare come prima cosa anche Mariko, forse era stato quello ad aver stranito la sorella di Ito. Di certo Lea avrebbe avuto da ridire su tale mancanza, il fatto che le scoppiasse la testa non era una scusante valida. 

Ito rimase fermo vedendo Ikeda, i capelli ancora bagnati ma non fumanti come ci si aspetterebbe dopo una doccia, tormentare il davanti della felpa appartenente alla sorella «Wait a moment...» 

Con gli occhi bassi per essere passata come maleducata iniziò umettandosi le labbra «Here...» con imbarazzo continuò «Here...sorry.» 

Alzò lo sguardo sulla ragazza che stava piegando le buste della spesa per riporle «I wanted to tell you...I appreciate it that.» finì indicando i vestiti appena messi. 

Mariko rimase in silenzio non avendo capito una parola così come Yoori. 

«Ma ha sbattuto anche la testa?» 

«Cosa? No.…» Ito fissò Ikeda «Non hai sbattuto la testa nella caduta vero?» 

«What?! No! No! Perché?» 

«Perché stai parlando in inglese.» rispose Mariko con una risata. 

Ikeda sgranò gli occhi. Aveva parlato inglese e non se ne era accorta?! In effetti ormai era ancora automatico...pensava in inglese per abitudine e parlava in inglese per inerzia. Poi magari con gli amici partiva qualche parola in italiano e come un tasto tutti settavano la conversazione sull’altra lingua, oppure si faceva un misto a seconda di quale parola rendesse meglio il concetto che si stava esponendo. O l’insulto, il fatto che per la maggior parte del tempo fra Paolo e Miguel partissero in italiano o spagnolo aveva portato tutto il gruppo ad insultarsi solo in quelle lingue. Il giapponese era relegato per Naoki e nemmeno sempre, principalmente nelle quattro mura di casa. Certamente non quando erano con altre persone, sicuramente non quando erano fuori anche se soli. Lea aveva sempre detto risultasse scortese, potendo dare l’impressione di star sparlando di qualcuno, cosa vera e che facevano lontani dal suo “mestolo educativo”. Soprattutto dava l’idea che fossero due turisti stranieri facilmente raggirabili, anche quello lo avevano sperimentato. 

 

-’A belli. Nun potete parlà fuori giapponese che v’enculano.- 
-Kimiko, tu stai studiando italiano no?! Hai capito che sta dicendo Lea?- 
-Appunto sto studiando italiano...a te sembra italiano? Sei tu che dovresti capirla visto che sei tutto il giorno con gente che parla questo dialetto.- 
-Non è vero non parlano tutti così. Che facciamo? Sta andando in cucina...- 
-Annuisci...annuisci sempre, con Oba-chan funzionava.- 

 

 

Si fece più attenta «Scusa...scusate...» riprese quel che era intenzionata a fare e che avrebbe dovuto fare appena Ito aveva aperto la porta e chiamato la sorella «Vi ringrazio, mi spiace non averlo fatto immediatamente.» 

Ito si limitò a superarla «Ti ho già detto che non è un problema Ikeda sul serio. Finisci pure di asciugarti.» 

«Si vai e diglielo che fai tardi al tuo capitano.» fece Mariko verso il fratello «Vieni Ikeda hai ancora i capelli bagnati, te li asciugo io nella mia stanza.» 

 
 

«Quindi vai a scuola con Yoori?» 

«Si...» rispose Ikeda seduta alla scrivania della ragazza mentre l’altra srotolava il filo del phone per attaccarlo ad una prese «Posso fare anche da sola in bagno.» aggiunse vedendo il quaderno aperto accanto ad un libro. 

«Ma no e poi sono curiosa. Come sono i ragazzi di terza all’Iiyama? Yoori non mi vuole intorno alla sua scuola e quella femminile che frequento è veramente noiosa. A parte le gal...» 

Cosa diamine sarebbe una gal?' pensò Ikeda sbattendo le palpebre un paio di volte «Che ne dovrei sapere io di quelli di terzo? A stento ho riconosciuto tuo fratello e siamo in classe insieme.» 

Mariko si fermò spegnendo l’apparecchio lasciando una mano sulla nuca della ragazza «Aspetta siete in classe insieme? Pensavo fossi di terza come me...» 

«Perchè?» 

La ragazza in piedi sembrava sempre più stranita «Beh l’altezza...le forme...maledizione c’è qualche segreto al di fuori dell’Asia che fa sviluppare così le ragazze? Che vi fanno mangiare...c’è qualcosa nell’aria?» 

Ikeda si stava per mettere a ridere ma l’espressione di Mariko era quanto di più serio ci potesse essere «Guarda che sono nata qui. L’altezza è nei geni della famiglia Taguchi, non che mio padre fosse basso, io non sono nemmeno così alta, mio fratello è un gigante come mio nonno. Le forme credo che siano anche quelle per genetica se intendi il seno, il resto è allenamento. Sul mangiare posso concordare che sia diverso ma ho amiche nate, cresciute, nutrite al di fuori del Giappone piatte sul seno come questa scrivania. Riguardo l’aria non saprei...prevalenza smog, immagino, anche se non ovunque.» il pensiero corse ad Helmi, Paolo diceva che aveva la retromarcia. 

Mariko riaccese il phone direzionando l’aria maggiormente sulla cute notando che la ragazza seduta quanto si fosse toccata la fronte, facendo scorrere le dita tra le tempie massaggiandosele «Quindi sei una kohai...» puntualizzò ad alta voce, più per sé stessa e per mettersi il cuore in pace. 

Ikeda alzò un sopracciglio non capendo «Cosa?»  

«Kohai...una compagna più piccola di età. Ma da quanto sei fuori il Giappone?» 

Ikeda alzò le dita per contare e anche quello sembrò strano agli occhi di Mariko, teneva il conto in maniera diversa ma decise di non farglielo notare pensando che forse molte cose le fossero difficili o addirittura estranee ormai. 

«Cinque anni e mezzo tra qualche giorno.» 

L’asciugatura continuò in silenzio, Mariko si sentì in colpa per essersela presa quando quello scricciolo bagnato era entrato in casa senza dire nulla e intuì perché il fratello si fosse preoccupato di aiutarla. Quello stupido dal cuore grande. 

«Vado a prenderti i vestiti ormai l’asciugatrice avrà fatto, non erano molto bagnati.» disse Mariko poggiando il phone, avendo ormai terminato anche con i capelli «Puoi dire...com’è che hai ringraziato prima? Io sapevo che si diceva thank you.» 

Ikeda scrollò le spalle «Thank you solo se parli come un libro di testo.» disse in tono neutro che risultò comunque lievemente saccente alle orecchie di Mariko «Lo apprezzo...è questa la traduzione di prima.» continuò la ragazza «Suona con più gratitudine e rendeva meglio l’idea di quello che volevo dire. Thank you troppo banale...troppo scontato, di circostanza e non sentito.» 

Gli occhi di Mariko si fecero grandi a quelle parole. Decisamente modi e intenzioni dell’ospite, seduta alla sua scrivania, cozzavano tra loro ma non era di certo timida nel dire schiettamente quali erano appunto le intenzioni. 

«Senpai...ci identifichi tutti i compagni più grandi di te. Ricordatelo molti ci tengono a questa forma di rispetto.» disse prima di uscire dalla camera. 

Mariko le poggiò i vestiti asciutti sul letto per farla cambiare, stava per uscire per lasciarle privacy ma Ikeda si stava già spogliando. 

«Che fai? Sono ancora qui...» sbottò chiudendo la porta nel caso Yoori passasse per capire se avessero finito. 

«Quindi?! Sei una ragazza...io sono una ragazza.» disse Ikeda sistemandosi il reggiseno sportivo «Tu ci tieni?» 

«Al fatto che una ragazza non si spogli davanti a me senza avvisare?» 

«Anche...ma intendevo del senpai.» 

Mariko decise di rimettersi alla scrivania, evidentemente poteva comunque tornare a studiare «Per la prima si...per il senpai non troppo, non siamo a scuola insieme e posso anche capire che non lo hai usato da un po' quindi non sei abituata. Ma che hai fatto al piede? Cos’è questo graffio? Te lo sei fatto prima?» domandò vedendo di sfuggita un segno lungo sul davanti del piede destro della ragazza che si affrettò a coprire mettendosi il calzino. 

«Niente...non è successo prima.» Ikeda sospirò pensando che quel dannato segno sarebbe rimasto ancora troppo a lungo prima che la pelle tornasse normale, si infastidiva anche quando a fissarlo erano i suoi amici come se non fossero stati presenti anche alla sua creazione «Me lo sono fatto questa estate.» 

«È proprio un brutto segno...» constatò Mariko per poi rendersi conto di essere stata, altrettanto, inopportuna come all’inizio aveva giudicato Ikeda «Scusa non volevo fissarlo.» 

Ikeda sbirciò la ragazza con la coda dell’occhio vedendola china sul quaderno con le guance rosse in imbarazzo mentre finiva di rimettersi anche le mutandine e i pantaloni «Sono io che mi devo scusare, ancora, avrei dovuto pensare di cambiarmi in bagno e non qui. Mi dispiace...senpai.» 

Mariko scosse la testa «Aaah queste kohai. Tieni la felpa fa freschino qui di sera, nonostante sia settembre, e sembra resterai fuori ancora un po'.» 

Ikeda ci pensò un momento «Grazie, lunedì la riporto a tuo fratello lavata e stirata. Va bene vero?»  

L’altra sorrise alla titubanza di quella ragazza mentre rimetteva la felpa ancora tiepida del suo calore corporeo. 

«Che numero porti di scarpe?» 

Ikeda si fissò i piedi non capendo «Non ho comprato scarpe qui, non lo so...perché?» 

«Non vorrai rimettere le tue?! Yoori le ha messe in un sacchetto visto che erano ancora zuppe.» spiegò Mariko, tutto sommato era abbastanza ingenua l’altra ragazza «Puoi provare le mie converse non ho in programma di metterle domani, puoi ridarle a Yoori lunedì insieme alla felpa. Altrimenti ti dovrai accontentare delle ciabatte che usiamo per andare in giardino, ti fa vedere Yoori dove si trovano.» 

Ikeda annuì camminando verso la porta per lasciare la padrona della stanza finalmente al suo studio. 

«Ito-senpai...» richiamò un’ultima volta Mariko che si voltò sulla sedia «Grazie, lo apprezzo.» 

«Prego prego...cerca di non annoiarti troppo al club.» 

 
 

Ikeda concentrava buona parte dell’attenzione sul non far scivolare il piede da quelle ciabatte in gomma mentre pedalava, rischiando di perdersele per strada. Le converse non le erano andate. Ito faceva strada un po' più avanti senza distaccarla, senza fretta.  

I primi metri li aveva fatti cercando di ricordare come riprendere l’equilibrio. Non andava in bicicletta da almeno due anni, a Dublino ne aveva fatto un uso costante accantonandola in garage solo nei mesi in cui la città si era rivestita di una coltre bianca. A Londra aveva dovuto cedere molto prima, dopo due biciclette rubate sollevò bandiera bianca in resa, affidandosi completamente ai mezzi pubblici. Spostarsi era comunque comodo anche così e non aveva rimpianti per quella scelta forzata. Sempre meglio delle buche laziali e degli autobus. Il percorso Velletri-Roma non era stato un grosso problema ma gli autobus interni a Roma si erano rivelati sotto molteplici aspetti una delusione costante. Anche su questo Oba-chan, loro nonna, aveva concordato con Lea, riuscire a farle comprendere tra il loro alzare di voci (come se aumentare il volume potesse magicamente portare una traduzione delle parole straniere) era una prima vittoria. Naoki necessitava della patente, a maggior ragione iniziando l’università, e Kimiko era stata grata di poter abbandonare i mezzi pubblici in via definitiva. 

Sollevandosi appena dal sellino aumentò la forza nella pedalata per affiancarsi al ragazzo e chiedergli quello su cui si stava arrovellando. 

«Ito se non era perché non ho ringraziato, perché tu e tua sorella avete fatto quelle facce quando sono entrata in casa?» 

«Lascia stare, non ci pensare.» 

«“Lascia stare” non è una risposta.» 

Ito sospirò combattuto, scosse la testa decidendo che fosse meglio sorvolare «Sul serio non importa.» 

Ikeda non mollò il discorso «Questo lo decido io. Non ci arriverò da sola per magia quindi dillo. Cosa vi ha infastidito.» 

Osservava il pollice del ragazzo accarezzare il manubrio mentre continuava a fissare la strada dritta davanti a loro «Non mi offenderò qualsiasi cosa tu dica. Ito davvero voglio sapere cosa è stato a darvi fastidio.» 

«Non ti sei scusata...» bofonchiò a mezza voce, tremendamente in imbarazzo. 

«Quindi si, avevo bagnato qualcosa e mi dovevo scusare.» 

Ito scosse la testa continuando a evitare lo sguardo della ragazza che aveva lasciato il manubrio della bici per posare le mani sulle cosce, che salivano e scendevano seguendo il ritmo delle pedalate, la schiena dritta. 

«No...è buona educazione scusarsi per l’intrusione quando si entra in casa altrui...» immediatamente si pentì di come la frase gli fosse uscita, formulata in quel modo «Non che tu sia maleducata!» disse girandosi preoccupato «Non volevo dire che sei maleducata! Insomma, ho capito che non lo hai detto perché non sei abituata. Ecco così è giusto.» 

Ikeda, dopo un primo momento in silenzio in cui Ito pensò che probabilmente anche non essere abituata potesse suonare ambiguo, scoppiò a ridere riempiendo quella stradina silenziosa «Potevate dirmelo subito.» 

Ito rimase in silenzio ancora a disagio per aver detto quelle cose «Scusa.» 

«Per non avermelo detto subito?» scherzò Ikeda sempre con il sorriso sulle labbra. Vedendo l’altro mortificato si rammaricò smettendo di ridere. 

«Scusa per avertelo detto, non è stato gentile.» disse Ito in tono sempre basso. 

Ikeda si fermò allungando la mano sul manubrio del ragazzo per farlo fermare con lei «Ito, allora non fare questa faccia adesso. Te l’ho chiesto io e sei stato gentile a dirmelo. Far notare una mancanza se fatto con buone intenzioni è una gentilezza.» finalmente il ragazzo sollevò gli occhi nella sua direzione, non sembrava pienamente convinto «Vero, non sono abituata, ho perso molte abitudini di buona educazione giapponese e ne ho fatte mie altre. Ho guadagnato in comprensione e tolleranza quando qualcuno si rivolge a me. Sono abbastanza grande da capire quando una cosa la si dice con buone intenzioni o per cattiveria. Non mi offendo se vuoi farmi notare qualcosa. Quando stavamo a Dublino la prima volta che ho aperto l’ombrello i miei compagni hanno detto che ero un’idiota se mi illudevo di poterlo usare...» 

«Non ti chiamerei mai idiota!» intervenne Ito 

Ikeda lasciò il manubrio del ragazzo divertita «Non sto dicendo questo. Sto dicendo che avevano ragione sull’ombrello. Non era pensabile poterlo usare e infatti si è rotto dopo cinque minuti. Ne ho comprato un secondo perché a Dublino pioviggina anche più volte al giorno e si è rotto anche quello. Alla fine, si sono spiegati meglio...» sorrise ripensandoci “alla fine” era una conta di dodici ombrelli, Peter aveva amabilmente commentato che avrebbe potuto comprarsi un impermeabile firmato con i soldi sprecati, ma questo poteva ometterlo riprendendo a pedalare seguita dal ragazzo, «La pioggia è diversa in Irlanda, cade praticamente sempre obliqua e c’è molto vento e molto forte, alla prima raffica hai l’ombrello girato al contrario. Lo sistemi ed ha smesso di fare quella fastidiosissima pioggerellina. Lo posi...fai dieci metri, anche meno, e ricomincia a scendere l’acqua; quindi, lo riprendi lo apri di nuovo. Rotto in cinque minuti. Morale dell’ombrello...comprati una giacchetta da pioggia se proprio vuoi, ma comunque la pioggerellina è talmente rada che non ti bagni nemmeno se non la usi.» 

Ito annuì cercando di visualizzare una pioggia del genere. 

«Quindi grazie» riprese Ikeda «Mi risulta molto più gentile che tu me lo abbia detto, così la prossima volta se andrò a casa di qualcuno me ne ricorderò e lo dirò. Non passerò per maledu-» 

«Non lo intendevo.» la interruppe Ito, sentendo la mortificazione crescere. 

Ikeda alzò una mano dalla bicicletta per agitarla in aria «Non passerò per maleducata anche se inconsapevole.» 

Il capo di Ito seguì quei movimenti, la mano che nel vuoto disegnava forme astratte senza senso. 

«Cosa c’è?» domandò la ragazza a quel silenzio improvviso. 

Ito non rispose subito continuando a fissare la mano, aveva smesso di girare. Le dita si erano unite, chiuse di scatto come una tagliola, il pollice circondato dalle altre quattro dita, il movimento del braccio, accompagnato dal gomito, abbassato e alzato di poco, per scuotere quella parte di arto trasmettendo il moto fino alla mano. Il ragazzo valutò se dire qualcosa in merito. ‘Forse meglio di no.’ pensò, non volendo oltrepassare un limite che già sentiva di aver passato «Nulla, meglio se riprendiamo a pedalare.» 

«Comunque, posso dire? Lo trovo stupido.» 

Ito riprese a fare strada. La ragazza non più così indietro, come fino a quel momento, lo distanziava con appena una pedalata in meno. Abbastanza da permettergli di fare strada ma non così distante per non poter continuare quella discussione. 

«Cosa è stupido?» 

«Lo scusarsi...potrei capire se non fossi stata invitata, se fossi arrivata senza avvisare. Mi hai chiesto tu di venire.»  

Doveva riconoscere che il ragionamento tornava. Non ci aveva mai riflettuto più di tanto, erano parole che cantilenava per abitudine senza più dargli peso ogni volta che andava a casa di qualcuno. 

Ikeda aggiunse forza sulle gambe per rimettersi in linea con la bicicletta del ragazzo «Quindi la cosa dei club non è cambiata negli ultimi anni?» seduta di nuovo dritta sul sellino distese le braccia per mantenersi in equilibrio, il vento tra le dita. 

«Credo che sia una di quelle cose che non cambierà mai. Non è così anche in Europa?» 

Ikeda scosse la testa «Non ne ho idea. La mia era una scuola privata con poche classi per sede. Non la prenderei come riferimento.» 

La mente tornò su quei banchi. Che orario era dall’altra parte del mondo? Ancora non si era abituata a scalare il fuso orario. Che giorno era? Cosa avrebbe fatto in quel momento a Londra? Forse sarebbe stata china sulla scrivania a completare i compiti venendo distratta dal cagnolino nel giardino dei vicini. Forse in cucina a mandare avanti le prime preparazioni per la cena. Forse sarebbe stata di corsa verso Brixton. Sospirando si allontanò da quei pensieri. Pensarci era inutile. «Che tipo di club è quello che frequenti?» 

«Faccio parte del club di pallavolo.» rispose Ito fissando la strada davanti a sé. Fu il rumore del freno, quello dello scricchiolio metallico e del suono della ciabatta gommata sbattuta al suolo a fargli capire che l’altra si era fermata. 

Ikeda si fece trapassare da quella risposta, assorbendola solo quando il ragazzo si girò a fissarla confuso «Mi prendi in giro?» domandò in tono incredulo serrando le mani sul manubrio per sfogare un’irritazione che non comprendeva «Se è uno scherzo non è divertente...» 

Ito non capì la motivazione di quella brusca fermata «Perché dovrebbe essere uno scherzo?» chiese sempre più confuso da quei modi. 

Stava per chiedere cosa le prendesse, cosa non andasse, sempre più convinto che dopotutto anche avendo negato una botte in testa, magari, ne avesse presa una abbastanza forte da non ricordarsela. Stava per aprire bocca e dar voce alla possibilità di passare comunque da un medico per sicurezza, quando Ikeda rimise il piede sul pedale e gli sfrecciò velocissima accanto per superarlo. 

«Muoviti! Che sei già in ritardo!» 

Ito rimase a bocca aperta, pedalava con forza oscillando la bici a destra e sinistra, il corpo staccato dal sellino. Con quello scatto si era allontanata di molto «Asp-...ASPETTA NON SAI LA STRADA!» urlò su quella via silenziosa iniziando a muoversi con foga nel tentativo di raggiungerla. 

La risposta si perse, in parte, le parole non coprirono la distanza formatasi. Arrivò solo il senso generale: Qui è dritta la strada... 

Gli unici pensieri nella menta di Ikeda giravano intorno a quanto fosse strano il caso Carpe diem. 

 

 

Erano arrivati, recuperando abbastanza tempo sul ritardo che Ito pensava avrebbero fatto. 

«Respira a bocca chiusa.» 

Il ragazzo sollevò lo sguardo dalla rastrelliera in cui avevano parcheggiato le biciclette, Ikeda lo osservava con le mani sui fianchi e un sopracciglio alzato. Ito si domandava come fosse possibile essere così freschi, avevano fatto lo stesso percorso non se lo era immaginato ma la ragazza sembrava non accusare la stessa fatica che a lui stava togliendo il fiato dai polmoni. Deglutendo, per cercare sollievo alla bocca secca, osservò Ikeda prendere la busta con le scarpe e il piccolo marsupio dal cestino della bicicletta della sorella. 

«Andiamo?» 

Ito annuì indicando con il capo la direzione da prendere, sperando si riprendere abbastanza ossigeno in quei metri che dividevano l’entrata dalle palestre. Avrebbe volentieri perso del tempo in più, per riprendersi, nella stanzetta in cui si cambiavano con la squadra, si stava pensando di averlo fatto in casa in previsione di quel ritardo. 

Mentre si avvicinavano Ikeda sentiva distintamente dei rumori provenire dagli edifici, segno che la scuola fosse popolata delle varie attività. In lontananza su uno spiazzo brullo recintato si potevano scorgere dei puntini, probabilmente intenti a correre. Forse calcio, forse qualche altro club non riusciva a capire. «Ecco la palestra.» la voce di Ito la riscosse facendole appuntare gli occhi su una grande porta con i maniglioni antipanico aperta verso l’esterno. All’interno una voce giovane, troppo giovane, scandiva con dei numeri qualche attività svoltasi al riparo, coperta dai muri. 

Ito si sedette prendendo dal borsone che portava in spalla delle scarpe. Morita, ne era certo, non gli avrebbe concesso il tempo di posarlo nello spogliatoio, lo avrebbe semplicemente messo in un angolo della palestra. 

«Adidas?!» 

Ito non rispose, non gli sembrava una vera domanda il tono nella voce di Ikeda vibrava di qualcosa che non riusciva a cogliere, non lo guardava in volto gli occhi fissi sulle scarpe, sulle tre bande laterali che rendevano riconoscibili il marchio. «Sul serio?!» lo schernì di nuovo. 

«Adidas è una buona marca...» tentennò il ragazzo non capendo «Avevano anche un buon prezzo.» 

«Oh, sì certo, è un’ottima marca,» lo corresse «Ma vuoi mettere con delle Mizuno?! O meglio ancora Asics...sono entrambe giapponesi come marche, no?! Dovrebbero costare tanto quanto qui, anche meno rispetto ad un marchio straniero di importazione.» 

Stava per rispondere qualcosa che si perse nel richiamo di Morita. 

«E io che pensavo ci mettessi di più per raggiungerci.» disse il ragazzo avvicinandosi dopo aver notato la schiena del compagno sull’uscio della porta, seduto chinato ma con il capo rivolto verso qualcosa al di fuori della sua vista. Solo quando si accostò abbastanza alla porta notò la presenza di una seconda persona. Scorse prima i piedi, calzavano delle ciabatte. Il peso tutto su di un lato mentre con un piede puntellava il terreno con il tallone ciondolando la gamba. La felpa non riusciva a mascherare il disappunto delle braccia incrociate, lo stesso che si poteva scorgere sul viso. I capelli mori che scendevano a incorniciare il viso, liberi di seguire i movimenti della testa. 

Erano rimasti indietro, il timido Ito era riuscito a fare qualcosa che la maggior parte di loro nemmeno sognava? 

«Ah Morita...» Ito finì di fare l’ultimo nodo velocemente per alzarsi «Ah sì spero non sia un problema, ecco ho portato un ospite ad assistere. Lei è in classe con me...lui è il capitano...» 

Ikeda puntò l’indice verso di sé senza aspettare che Ito finisse «Ikeda Kimiko.» 

«Morita Goro.» rispose il capitano perplesso puntando gli occhi sulla schiena del ragazzino che si era defilato lateralmente con la scusa di posare le scarpe con cui era venuto. Ikeda non disse altro, si sfilò le ciabatte lasciandole ordinatamente sul primo scalino prendendo anche il borsone di Ito senza pensarci in un gesto automatico. Fece due passi all’interno sotto lo sguardo sbigottito dei due e si fermò tornando indietro di uno per sporgersi appena dallo stipite «Devo scusarmi per l’intrusione?» 

Ito scosse la testa senza riuscire ad articolare le parole per chiederle di lasciare il borsone, intanto che la ragazza faceva un cenno di saluto rivolta verso il lato da cui era giunto Morita dove aveva lasciato il resto della squadra. 

Ikeda si diresse verso l’altro lato della palestra lasciando in un angolo il borsone del compagno di classe, poco distante lasciò cadere il sacchetto contenente le scarpe e il marsupio. Con le mani in tasca si guardava in giro percorrendo la palestra lungo i bordi. Si era diritta verso una stanza al cui interno si potevano intravedere delle attrezzature. Entrò senza chiedere ‘Forse tutte le palestre nelle scuole giapponesi sono fatte con lo stampino...’ 

 

 

Avevano aspettato di vedere la ragazza infilarsi nello sgabuzzino per avvicinarsi al loro alzatore e al capitano «Ito ci devi delle spiegazioni...» 

«Che ci fa la strambra qui?» domandò Wada con un fil di voce. 

«Dai non è vero. Non lo è.» 

Ono teneva lo sguardo puntato al magazzino «Ma se hai confermato tu la voce che girava. quella sulla ragazza che addormentandosi in classe era pure caduta dalla sedia.» ancora stupito per aver assistito a qualcosa che credeva impossibile avvenisse. Una ragazza nella loro palestra e non era lì per sbaglio ma accompagnata da un membro della squadra. 

«Sì, magari non diteglielo, magari non riprendete la questione di fronte a lei. Grazie.» 

«Quindi resta per l’allenamento?» chiese Morita, assicurandosi che Ikeda non fosse ancora uscita. «Cos’è successo?» domandò un altro ragazzo, più interessato ad altri risvolti 

«Se non è un problema...» rispose Ito «Cos’è successo posso raccontarvelo dopo l’allenamento. Non è come pensate comunque.» aggiunse osservando la ragazza uscire da quella stanzetta. 

«Davvero, capisco che a quest’età molti di noi siano disperati però potevi puntare a qualcuna un po' più…» 

Il capitano mise una mano sulla bocca del loro libero, poi rivolse uno sguardo al ragazzo «Bene, sei venuto in bicicletta quindi lo considero come riscaldamento. Forza continuiamo con gli esercizi.» i ragazzi si dispersero lasciando finalmente libera la porta. Diligentemente tornarono ai loro posti riprendendo da dove si erano interrotti. Morita si attardò osservando la ragazza percorrere la palestra nello stesso modo, di lato rasente al muro. «Ikeda...» la richiamò con un sospiro rassegnato «Resta quanto vuoi ma mettiti in un angolo, cercheremo di fare attenzione ma non ti distrarre o potresti non notare una palla libera mentre giochiamo. Ci vorrà ancora un po' comunque.» Morita fece un cenno verso il rettandolo al centro della palestra «Quando siamo lì con la rete fai attenzione.» 

Ikeda non sembrò esserne convinta ma si sistemò, sedendosi vicino alle sue cose, con le gambe distese e le caviglie incrociate, la schiena rilassata contro la parete. 

Ikeda sedeva immobile, guardando il sacchetto contenente le scarpe e giocherellando con i manici. Ci rifletté ancora un momento poi le estrasse deponendole sopra l’involucro di plastica in modo che prendessero aria, in sottofondo era ricominciato lo scandire dei numeri. 

 

Dopo un inizio allenamento noioso aveva chinato il capo sul telefono per avere qualcosa da fare, abbandonando anche la posizione composta si stiracchiava piegandole le gambe o chinando la schiena allungando le braccia fino a toccare il pavimento con la fronte. Quando la rete fu montata si fece attenta, curiosa di vedere quei ragazzi in azione. 

Per fortuna di Ikeda nessuna palla era stata abbastanza pericolosa. 

Per sfortuna di Ikeda nessuna palla era stata abbastanza pericolosa. 

In breve tempo aveva ripreso ad annoiarsi mortalmente finendo per riprendere il telefono in mano. I ragazzi si erano dimenticati altrettanto velocemente dell’ospite seduto a bordo palestra visto il silenzio. Se ne erano ricordati solo quando una palla mal ricevuta era andata in quella direzione. «Ikeda attenta!» urlò Ono spaventato guardando indietro, seguendo quella palla che non era riuscito a tenere. 

Morita si sentì mancare il pavimento sotto i piedi vedendola distratta. Nella sua mente si era già creato uno scenario verosimile: la palla la colpiva, il sangue uscire copioso dal naso o da un sopracciglio. La valigetta del primo soccorso era lì in palestra ne era sicuro, doveva solo mantenere il sangue freddo fare una prima medicazione e poi andare in infermeria. La ragazza avrebbe avuto un livido enorme per cui si sarebbe sentito colpevole nei giorni a seguire. 

Ikeda alzò la testa, vide la palla avvicinarsi, ebbe tutto il tempo di poggiare a terra il telefono, alzare le mani e palleggiare in direzione del campo, la palla fece una parabola indirizzata vero quello che aveva capito essere il loro alzatore, ovvero Ito. per Si rimise china, il gomito sul pavimento e la testa sostenuta dalla mano, tornando a scorrere qualcosa sul telefono. Niente di preoccupante rispetto alle fucilate che volavano rasoterra di Miguel. E in quel caso erano palloni di cuoio bagnati. 

Non fece caso al rumore della palla che rimbalzava a terra così come quello del sospiro, condiviso, sollevato della squadra. 

 

 

Dopo mezz’ora di una partita, di cui nessuno stava tenendo i punti, Morita aveva chiamato una pausa per bere e riprendere fiato. Per Ito era chiaramente visibile quanto la ragazza si stesse annoiando, decise di avvicinarsi osservando come Ikeda si fosse allungata con una gamba per avvicinarsi un pallone di quelli che recuperavano a fine giornata, ma che durante le partite restavano abbandonati dopo delle giocate, spostandosi quando venivano colpiti da altre azioni o calciati verso gli angoli per fare spazio. 

«Mi spiace che ti stia annoiando.» Ikeda alzò il capo per incrociare gli occhi del ragazzo «Giuro che la pallavolo non è noiosa.» 

Ikeda prese un respiro profondo alzandosi «Questa partita lo è.» 

«Vuoi palleggiare?» domandò Ito incassando quel commento «Magari ti spiego un po' anche le regole e ti annoi di meno dopo.» 

Ikeda fece una smorfia voltandosi verso il muro. Lasciò andare la palla sopra la sua testa, le mani in posizione in quell’esercizio diventato abitudine serale. La luce sul cortile dietro casa accesa che illuminava perfettamente il muro e le macchie formatesi in due anni di pallonate costanti. Riusciva a sentirla quell’aria fresca londinese, le staccionate ai lati che li dividevano dai vicini, quel grazioso cucciolo dei vicini sulla destra da quel punto non poteva scorgerlo ma ne sentiva il ticchettare delle unghie in una corsa indispettita per quella palla che vedeva e con cui probabilmente voleva giocare ma che non cadeva mai dalla sua parte «Considerando che per sette volte hai fatto un doppio tocco e tre di queste ti è finita la palla in faccia penso declinerò la tua offerta.» l’alzatore ingoiò osservando con che precisione la palla passare dal muro alle mani della ragazza, fece un passo indietro aumentando la distanza tra se è l’appoggio che stava usando «Tieni le mani troppo larghe.» commentò continuando con il ritmo che si era imposta. 

Ito continuava ad osservare la palla stregato «Ti va di giocare?» 

«Ito che cavolo dici?» tuonò Morita dall’altro lato della palestra «Abbiamo già rischiato che si facesse male.» 

«Potresti giocare da alzatore.» continuò Ito ignorando il capitano. 

«Oh dai Capitano!» sbottò Ono «Ha avuto i riflessi pronti prima. E hai visto che parabola? Sembrava come quella che fa la titolare del liceo femminile dove va la sorella di Ito» 

«Non se ne parla!» 

L’alzatore si voltò con aria incerta verso la squadra, l’espressione sul viso faceva trapelare un’unica parola guardatela. 

Ikeda bloccò la palla restituendola al ragazzo «Non giocherei in nessun altro ruolo ma meglio di no.» disse tornando al suo posto, il telefono illuminato con una nuova notifica «Non ti voglio offendere ma sei abbastanza mediocre con le alzate.» 

Il silenzio che calò fu a dir poco imbarazzante. Ito intrecciò le dita tra loro giocherellandoci nervosamente, lo sapeva da sé quanto mancasse in quel ruolo «Ikeda, per favore, fai una partita con noi. Qualche scambio almeno. Io...io ne ho bisogno.» alzò una mano in direzione degli altri ragazzi «Non ci sono altri alzatori presenti.» 

Ikeda fissò i ragazzi sbuffando appena «Si notava.» disse commentando quella che era un’ovvietà riportando l’attenzione al volto di Ito. Fu la richiesta implorante nei suoi occhi a farla vacillare ‘Infondo mi ha fatto un favore evitandomi una polmonite, glielo devo...’ 

Si alzò con un sospiro levandosi la felpa non sua di dosso, riemersa dal tessuto notò come i ragazzi avessero i volti arrosati puntati a guardarsi le scarpe «Ci andrò piano.» disse con l’elastico già tra i denti rivolta a Ito, facendo scorrere le mani a pettinarsi i capelli chiudendoli in una palla non troppo composta mentre si scostava dal muro. 

«Le scarpe...?» domandò Ito osservando quelle ancora abbandonate sul sacchetto. 

Ikeda per risposta si liberò dei calzini, notando già in camminata come il piede scivolava su quel parquet liscio a causa del tessuto spugnoso. «Sono ancora umide,» si girò verso l’alzatore. «Faccio senza scarpe, non ti sarà comunque utile come vantaggio.» si voltò nuovamente prendendo posizione sul lato del campo libero in cui non vi era nessun alzatore «Avanti...» incoraggiò i ragazzi a prendere posizione «Vediamo se riesco a non farvi fare così tanto schifo.» 

 

 

9 Gennaio 2003 giovedì, Sendai City Gymnasium, Sendai, Prefettura di Miyagi. 

Faceva parecchio freddo, essendo pieno inverno non molti avrebbero scelto di lasciare il caldo delle proprie case per venire ad assistere a una partita assolutamente non fondamentale, alcuni la avrebbero definita inutile. Era l’ultima partita di campionato prima dei playoff. La Scheweiden Adlers si trovava pochi punti in classifica sopra la Tachibana Red Falcon esattamente al sesto e settimo posto, il campionato era ormai stato chiuso dalla Suntori Sunbird che salvo sorprese nei playoff, a cui comunque le squadre sopracitate non avrebbero potuto comunque accedere, si sarebbe portata a casa la vittoria di quella stagione. Quindi gli spalti erano praticamente semivuoti. Non era una partita per il titolo, non era una partita per assicurarsi i playoff e nemmeno una partita per cui lottare cercando di evitare la retrocessione. 

«Oh guarda che bello Tobio, dei posti a lato commentatori.» 

Era stato un vecchietto sulla soglia della settantina a parlare, visto la scarsa affluenza pensava di poter fare quella piccola infrazione e scegliere dei posti diversi da quelli segnati sui biglietti. Un bambino dai capelli corvini gli teneva la mano, in bocca aveva un Takoyaki che il nonno gli aveva comprato prima di entrare. Si alzò sulle punte dei piedi per sbirciare oltre la balaustra osservando le persone che si affaccendavano sul campo prima della partita. Tobio indicò un altro punto, in una zona dove erano comunque soliti sedersi con il nonno quando lo portava ad assistere dal vivo a delle partite «Voglio sedermi lì». 

Kazuyo Kageyama non se lo fece ripetere, sorridendo al nipote, abbassò la vaschetta dei Takoyaki per consentire al bambino un secondo boccone mentre si spostavano. Kazuyo lo prese da sotto le ascelle e lo fece sedere su un sedile degli spalti. «Riesci a vedere il campo Tobio?» il bambino annui, i posti che il nonno aveva scelto erano fantastici. Il corvino inghiottì il resto del Takoyaki prima di rivolgere una domanda all’anziano. «Come mai la sorellona non è venuta con noi?» aveva gli occhi un po' tristi, la sorella di solito veniva sempre a guardare le partite con loro. 

«Miwa-chan deve studiare, fra un po' avrà gli esami di fine trimestre. Almeno spero stia studiando e non se ne sia andata in giro con il suo ragazzo e la sua solita combriccola» L’anziano sospirò, la sua nipotina stava crescendo, avrebbe dovuto farsene una ragione. Tobio annuì, spostando di nuovo la sua attenzione verso il campo. Vide i giocatori che si riscaldavano, gli arbitri discutere fra loro, e i tecnici mettere a posto le telecamere. «Benvenuti a questa nuova entusiasmante serata di sport su Sakura TV!» la voce del commentatore all’improvviso uscì dagli autoparlanti presenti nel palazzetto. «Io sono Oushuo Kakuma e qui con me abbiamo…» 

«Serjio Mato-Utchi» 

«Sebbene non sia una partita di primo rilievo, sono sicuro che entrambe le squadre daranno il meglio di sé, dico bene Mato-Utchi?» 

«Dici bene Oushou» 

«Ed ecco che scendono in campo, i capitani si avvicinano all’arbitro per scegliere il lato del campo…la monetina è stata lanciata. La Tachibana sceglie il campo di destra, di conseguenza i padroni di casa scelgono il campo di sinistra.» 

Mato-Utchi cominciò a fare un elenco delle formazioni «Ed ecco che alla battuta abbiamo un volto a noi già conosciuto, si tratta dell’opposto Nobuteru Irihata, ormai alla sua ultima stagione in V.League 1, voci di corridoio infatti parlano di un suo probabile ritiro. Cosa sappiamo di ciò Oushou?» 

«All’età di ormai 38 anni si vocifera abbia già deciso di allenare la squadra della sua precedente scuola superiore, la Aoba Johsai» 

«Sarebbe una bella conclusione di carriera, questa infatti fu la quadra liceale che lo lanciò nel mondo del professionismo appena diplomato nel 1982» 

«Lo ricordo ancora Oushou, tu giocavi ancora e io avevo tutti i capelli!» 

Il pubblico del palazzetto si fece scappare una risata. Non era una partita fondamentale, quindi i commentatori si stavano prendendo qualche libertà, per poter intrattenere sia il pubblico nel palazzetto che a casa. 

«Ma ecco Notuteru, che si prepara a una battuta…ed ecco che parte! La palla va dall’altra parte della rete, ma il libero avversario la tiene.» 

La partita era iniziata, ci furono i primi scambi fra le due squadre, la Scheweiden riuscì a portarsi in vantaggio. Ma dopo un errore in battuta la palla tornò alla Tachibana. 

«Oh, un volto che di certo i più esperti di voi avranno riconosciuto, si tratta di uno dei pochi stranieri militanti in Giappone. L’alzatore della nazionale argentina, Jose Blanco, anche lui alla sua ultima stagione in Giappone, dopo questa stagione tornerà in Argentina. Nonostante il suo ruolo come riserva, è riuscito nelle passate Olimpiadi e nel Campionato Mondiale a far dare il meglio ai suoi centrali. Ti ricordi quelle partite Mato-Utchi?» 

«Come dimenticarle, ironia della sorte in entrambe le occasioni la loro corsa venne fermata dall’Italia!» 

«Comunque, eccolo che parte…ACEEEEE! Jose Blanco lascia immobili i giocatori della Scheweiden!» 

La partita continuò, il set era stato praticamente riconquistato dalla Tachibana, ma ai padroni di casa mancava solo un punto per portarsi a casa il primo set. Fu a quel punto successe qualcosa che lasciò il bambino stupito. Il libero della Tachibana alzò il pallone in bagher, Blanco alzò a Noteru che schiacciò, la palla fini però a muro e venne sbalzata. «Rebound!» Urlò il centrale della Scheweiden, tutti si riposizionarono. La palla andò sopra l’alzatore, che sfiorò la palla come se volesse alzare. Un tocco leggero, la palla non venne alzata ed invece cadde nel lato del campo della Tachibana. 

 

I pochi tifosi si alzarono in piedi per festeggiare, compreso il nonno di Kageyama. L’anziano notò un broccio sul volto del nipote, cioè un broncio diverso dal solito «Cosa c’è Tobio? Il Takoyaki non bastava? Hai ancora fame?» il bambino scosse la testa «Non ha alzato. L’alzatore non ha alzato.» disse a mezza voce.

-Tobio, in che ruolo vorresti giocare?- 
-Quello in cui posso toccare più palloni.- 
-Beh, l’alzatore.- 
-Allora voglio fare l’alzatore.- 

L’anziano scosse la testa, e accarezzò la testolina del corvino «Vedi Tobio, il compito dell’alzatore non è quello di alzare solo palloni, è un po' come un direttore di orchestra che deve…» vedendo che però il bambino lo guardava confuso decise di cambiare esempio, forse era troppo complicato per un bambino di sette anni «Uhm, no adesso che ci penso hai cominciato a studiare il periodo Kamakura. Vedi, così come il Daimyo, che controlla quello che succede nel suo regno. Lui guida i suoi samurai donandogli la loro katana affinché il suo feudo prosperi. Anche l’alzatore ha il compito di controllare e guidare i suoi schiacciatori, coordina l’attacco e a volte anche la difesa. Deve essere silenzioso e non farsi notare.» Si mise un dito sulle labbra per mimare il silenzio «Però se ti concentri solo sugli schiacciatori e ti dimentichi di lui, ecco che farà tornare l’attenzione su di sé con un pallonetto. Hai capito adesso?» Il bambino annui entusiasta e tornò a guardare l’incontro più gasato di prima. La partita si concluse 3 a 1 per la Tachibana, che aveva ribaltato la partita. Una partita assolutamente non fondamentale, alcuni la avrebbero definita inutile. Faceva freddo, pochi erano andati a vederla. Fu così che Nobuteru Irihata, chiuse la sua carriera professionistica. 

 

Kazuyo inginocchiato chiuse accuratamente il cappottino del nipote poco prima dell’uscita 

«Nonno...» lo richiamò il bambino alzando la boccuccia coperta dalla sciarpa. 

«Dimmi Tobio.» 

«Adesso andiamo lo stesso a mangiare l’Okonomiyaki anche senza Miwa?» 

Kazuyo sorrise alzandosi e porgendo una mano per tenere il nipote che prontamente la afferrò «Certamente, come lo vuoi questa volta? Con la soba o con gli Udon?» domandò incamminandosi. 

«Soba!» trillò il bambino contento. 

«Solo maiale?» 

«No ci voglio anche il formaggio!» 

«Va bene, va bene Tobio.» 

 

 

29 Settembre 2012 sabato, Multipurpose Sports Arena, Wakasato, Nagano, Prefettura di Nagano. 
*per le parti in cui si parlerà/penserà italiano il discorso sarà sottolineato* 

Sapevano che non sarebbero andati avanti. La sconfitta non aveva fatto meno male alla seconda partita. Di quella soddisfazione della prima partita vinta però restavano i tizzoni ardenti, un fuocherello sopito da riaccendere il prossimo anno con le nuove leve che si sarebbero iscritte al club. Era stato un 2 a 1 sofferto, ma, c’erano riusciti a non perdere la prima partita. La seconda partita avevano resistito più che potevano e anche se avevano perso per due set, almeno, avevano fatto mangiare il fegato all’altra squadra il più possibile. Quello che stava rodendo ora loro, il fegato, era stato essere trascinati comunque alle restanti partite. Ikeda aveva detto che sarebbe stato comunque utile, bisognava farsi l’occhio e imparare anche qualcosa da spettatori. I ragazzi dell’ Iiyama si mangiavano comunque il fegato ma in silenzio. Avevano assistito a molte partite e alla prima semifinale con invidia prendendo appunti mentali. Ikeda in prima fila sulle sedie con Morita alla sinistra, sulla destra invece se ne stava Ito. Di tanto in tanto Ono dietro di loro si abbassava per commentare qualcosa, almeno aveva la soddisfazione di vedere altri ragazzi invidiosi per la loro manager. Restavano una macchia di blu elettrico compatta tra gli spalti. Restarono ad assistere anche alla seconda semifinale. A quella partita, tra Kamomedai e Hakuba, Ikeda si era fatta silenziosa fino ad alzarsi e trascinare Ito fino alle spalle della prima squadra. Al secondo set la scena si era ripetuta spostandosi per cercare un buon posto alle spalle dei ragazzi in divisa bianca e azzurro chiaro. Alla fine del secondo set Ito si era ormai arreso consapevole di doversi alzare. 

 

«Interessante...» 

L’unica parola ad aver lasciato le labbra di Ikeda quando l’arbitro, alzato il braccio in direzione del Kamomedai ne aveva segnato la vittoria assegnando il 25° punto e la fine anche di quella semifinale. 

«Vieni Ito, andiamo.» disse la ragazza alzandosi e mettendo le mani nelle tasche della felpa. 

«Dove? Morita e gli altri ci aspettano all’entrata...» 

«A parlare con i vincitori.» 

Non aveva finito la frase che Ito la vide già imboccare le scale per scendere. 

«Eh? Aspetta Ikeda! Morita ci squarta se facciamo casino…Ikeda!» 

 

Morita e Ono li avevano raggiunti non vendendoli arrivare all’entrata, erano rimasti sulla soglia della porta che dava sui campi di gioco. Quando avevano visto l’allenatore del Kamomedai allontanarsi e i ragazzi più rilassati avevano seguito Ikeda dirigersi verso di loro. 

Ikeda si era avvicinata al ragazzo più vicino facendo i complimenti per la vittoria, come sempre gentile e affabile aveva chiesto se fosse possibile fargli delle domande, se non disturbasse. Dopo aver ricevuto il consenso c’era un silenzioso pensiero condiviso tra i presenti mentre il numero cinque del Kamomedai teneva la mascella contratta sbuffando dalle narici mentre il numero sei lo invitava a calmarsi sottovoce. 

Come le cose fossero degenerate così velocemente Ito non riusciva a spiegarselo. 

Ikeda si era diretta verso l’alzatore capitano del Kamomedai, intenzionata a parlare con lui e poi con il primino alzatore, ignorando il resto della squadra. Hoshiumi era esploso senza motivo, vivendo l’ennesimo affronto «Cos’è mi stai ignorando? Cos’è pensi di darmi meno fastidio se parli prima con Suwa e poi venire da me?» 

Ito non poteva dargli torto, anche Ono e Morita si aspettavano che fosse lui ad aver attirato l’attenzione della manager. I punti che avevano fatto grazie a Hoshiumi li avevano fatti vincere, in aria contro il muro era stato pazzesco. 

Ikeda rimase perplessa, alzò un sopracciglio confusa osservando quel ragazzino e il numero sei accanto a lui tirarlo per un braccio «Perchè dovrei voler parlare con te?» 

Ma che voleva questa Pulga? 

«Sei forse stupida?» la voce di Hoshiumi sempre più irritata «Mi stai sottovalutando perché sono basso? Dove avevi gli occhi mentre giocavo? Non capisci nulla!» fece un passo avanti verso la ragazza sottraendosi dalla presa di Hirugami che lo invitava ancora a darsi una calma. Anche il capitano con un sospiro esausto, per la partita e per quell’assurda sensibilità sull’altezza del loro asso, alzò una mano cercando di placare la situazione «Avanti Korai calmati, non le hai dato nemm-» 

«A pezzo demmerda...» 

I tre ragazzi dell’Iiyama impallidirono all’istante. Cogliere tutte le sfumature delle alterazioni che Ikeda teneva, tramite vocalizzi, in palestra era stata una necessità in cui si erano sbrigati a capirci qualcosa. Quando era infuriata non perdeva nemmeno tempo a ripetere in giapponese, avevano provato a chiederglielo per capire cosa non andasse ma la frustrazione della ragazza era tale davanti ad errori basilari che finiva per levarsi una scarpa e lanciarla o prendere il manico di una scopa e iniziare a inseguirli. Quando accadeva in inglese riuscivano a tamponare la situazione, tra la conoscenza di qualche parolina e le ripetizioni che forniva lei in cambio delle materie in cui lei era carente riuscivano a cavarsela. 

Ikeda fece un passo verso Hoshiumi trovandoselo quasi sotto il naso «Perchè te stai ‘a fa rode er culo? Macchitesencula!» Ito e Ono si avvicinarono velocemente alla ragazza «Ecco noi meglio che andiamo.» 

«Che problemi hai? Se mi devi dire qualcosa fallo in una lingua comprensibile!» continuò lo schiacciatore, costretto controvoglia a dover tenere il capo alzato visto la differenza. 

Ikeda sollevò un pugno chiuso, il dorso della mano rivolto a quel nano che la stava infastidendo «A boro, vedi che se non stai zitto e continui a far caciara questo pugno te lo abbasso al centro della testa,» disse mimando il gesto con forza davanti al viso del ragazzo «E ti abbasso di altri dieci centimetri!» 

«Ok, scusate la portiamo via.» disse Morita vergognandosi mentre i suoi compagni la trascinavano lontano mentre Hirugami tratteneva il piccolo gigante del Kamomedai. 

«Forse con dieci centimetri di meno sarà davvero sorprendente vederti giocare! Continua a zompare ‘a nano da giardino! Lasciami andare Ito, lo corco de mazzate a quel burino demmerda 

 

Fuori dal palazzetto non troppo distante si trovava un McDonald's, in cui avevano programmato di fermarsi dopo le partite. Ikeda se ne stava in silenzio gli occhi abbassati alle patatine, che divenivano fredde, e al panino mezzo mangiato. 

«Possiamo seguire la finale in televisione volendo» azzardò Morita vedendola pensierosa. Avrebbe dovuto rimproverarla, se il loro insegnante e coordinatore avesse saputo che avevano causato una scenata avrebbero chiuso il club senza pensarci. 

«Non serve,» rispose prendendo una patatina «Vincerà il Kamomedai per tre a zero.» sentenziò masticando con la mano davanti «Tre a uno se al Sakudaira va bene.» aggiunse riprendendo il panino «Lunedì torniamo in palestra per gli allenamenti.»

 

 

7 Aprile 2009 martedì, Scuola Media Kitagawa Daiichi, Murata, Prefettura di Miyagi.

«Mi chiamo Tobio Kageyama, vengo dalla scuola elementare Akiyama. Ho cominciato a giocare in seconda elementare in ruolo di alzatore. È un piacere fare la vostra conoscenza» Tobio si presentò e si inchinò come avevano già fatto altri suoi coetanei. 

«Guarda Oikawa, hai un altro kohai nel tuo stesso ruolo, bello no?» il ragazzo più grande annui alle parole dell’amico Hajime Iwaizumi. 

«Dovremmo metterli alla prova, magari qualcuno potrebbe sostituirti Iwa-chan» 

«Vuoi che ti pesti?» lo sguardo dell’opposto avrebbe potuto uccidere. L’allenatore riprese l’attenzione, avrebbero fatto una partitella di allenamento. Mischiò le squadre senpai kohai, Tobio si ritrovò a fare da alzatore a Iwaizumi. 

«Pronto a mangiare la polvere Iwa-chan?» il ragazzo lo ignorò girandosi verso Kageyama. «Ohi primino?» 

«Si!» Rispose pronto il più piccolo. L’asso punto un dito contro Oikawa «Alzamele belle alte, le schianterò tutte sulla sua faccia!» 

«Sei cattivo Iwa-chan!» 

Kageyama era confuso. «Ma così non farai punto, non dovresti schiacciarle a terra?» 

Oikawa stava per mettersi a ridere, quel primino non capiva le battute. 

«Il quoziente intellettivo è pari a quello di un’asse di legno. L’allenatore lo conterà come punto.» disse ghignando Iwaizumi. 

«EHI!» 

La partitella iniziò, la partita era stranamente equilibrata, nonostante Oikawa avesse appena incontrato tutti i nuovi schiacciatori stava riuscendo a tirare fuori il meglio da loro. La quadra di Tobio invece, grazie alla potenza dell’Asso titolare stava comunque macinando punti. 

«Iwa-chan smettila di mirare alla mia faccia, cosa faresti se mi rovinassi il mio naso perfetto?!» 

«Sarebbe meglio, diventeresti brutto e le ragazze non ti vorrebbero più. Così ti concentreresti di più sugli allenamenti e quella povera santa di Sayuki preparerebbe anche a me il bento se riesco a levarle dai piedi tutte le altre oche che ti ronzano attorno.» 

Oikawa gli puntò addosso il dito «Quindi stai puntando ai deliziosi bento di Sayuki-chan? Non li avrai, sono tutti miei!» 

«Potrò farmi preparare dei bento dalla mia sorellina non credi?» 

L’allenatore fischiò di nuovo per indicargli di riprendere la partita. Oikawa poteva aver scherzato con l’amico ma non gli sfuggi che man mano che il tempo passava più i colpi di Iwaizumi diventavano violenti e precisi. ‘Che Iwa-chan sia solo in forma? No, non è possibile che sia soltanto quello. Lui quando è in forma dà il 120% fin da subito. E come se più tempo passi più quel primino si adatti ad Iwaizumi’ pensò l’alzatore squadrando prima l’amico d’infanzia e poi quel piccolo alzatore. 

Il primo set finì, venne vinto dalla squadra con Oikawa. 

«Ohi, Iwa-chan» Oikawa fece cenno all’amico di avvicinarsi. 

«Che vuoi deficiente, se provi ancora a parlare di mia sorella io ti…» 

Oikawa lo interruppe. «Cosa diavolo è successo in questo set? Sei partito sottotono e poi hai cominciato a giocare nemmeno fossi in una partita ufficiale» 

Iwaizumi ci pensò su «Io ho giocato sempre allo stesso modo, è solo che…non so esattamente come spiegarmi ma mi sembra che a mano a mano che il tempo passasse le alzate di quel primino si facessero sempre più precise sembrano arrivare precise nel punto in cui vorrei la palla.» 

Oikawa inarcò un sopracciglio. «Ehi Iwa-chan fra me e quel primino, chi ti dà le sensazioni migliori per schiacciare.» 

«Ma che cazzo sei una fidanzata gelosa?» lo prese in giro con una risata. 

Oikawa tirò le labbra in una linea sottile non condividendo quella risata come suo solito. Appuntò gli occhi sul piccolo ragazzino dai capelli corvini annuire contento tra i ragazzi di primo e secondo anno che si congratulavano. L’inchino profondo pieno d’orgoglio e impettito alle parole dell’allenatore  

La partita riprese, stavolta fu la squadra di Iwaizumi ad andare velocemente in vantaggio. 

«Beccati questo» mormorò tra sé e sé l’alzatore titolare della Kitagawa infastidico. La palla non venne alzata. Oikawa fece un tocco di seconda, il polso piegato in direzione della rete per far oltrepassare alla palla quell’ostacolo. 

Il maggiore fece un sorrisetto canzonatorio. «Ehi Tobio-chan, cos’è che servi ma non mangi?» il primino scosse la testa non conoscendo la risposta.«Le mie palle!» Oikawa si piego per mettersi a ridere, si ritrovò presto a terra a tenersi il capo con entrambe le mani. 

«Ma stai zitto coglione! Kageyama, non pensare alle battutacce di questo idiota.» 

«Eh eh, “coglione” fa ridere perché è un altro modo per dire…» Iwaizumi gli calpestò la schiena. Oikawa si alzò, aspettandosi un’espressione rabbiosa, invece si ritrovò un Tobio imbronciato e confuso, per quella uscita del suo senpai, faticando per capirne i motivi. 
Ok, questo ragazzino è fottutamente strano, meglio non averci niente a che fare’ 

 

 

Anche se era il fine settimana Tobio si svegliò presto quella mattina, anticipando la visita al nonno in ospedale, volendo trascorrere ogni minuto disponibile con lui. Dopo una colazione veloce ed aver infilato nello zaino le ultime partite registrate si diresse alla fermata dell’autobus. 

Mentre camminava lungo il corridoio arricciò il naso all'odore di disinfettante che riempiva l’aria, non credeva si sarebbe mai abituato e non capiva come i pazienti potessero sopportarlo. Kazuyo era stato ricoverato per effettuare degli esami. Sarebbe stato dimesso il lunedì la settimana seguente, ma Tobio era deciso a far passare quella breve permanenza in modo meno penoso possibile all’anziano. 

Entrando nella stanza del nonno, Tobio lo trovò seduto sul letto, con un sorriso sul viso. «Ciao, nonno» disse Tobio salutandolo, mentre si avvicinava al letto. 

«Ciao, Tobio-kun» rispose il nonno, guardando il nipote con affetto «Come sono andati i primi giorni di scuola?» 

«Bene» disse Tobio, sedendosi sulla sedia vicino al letto «Ho portato le partite che non hai potuto vedere.» estraendo dallo zaino i cd, etichettati in maniera precisa, per posarli sul tavolino accanto al letto. 

«Ah, grazie, Tobio-kun,» disse il nonno osservando le custodie plastificate «Non ti aspettavo così presto.» Kazuyo conosceva abbastanza bene il nipote per intuire che dietro quell’anticipazione, non che non gli facesse piacere, si nascondeva altro «Come sono andati gli allenamenti?» 

Tobio si sistemò meglio sulla sedia iniziando a raccontare con entusiasmo tutto quello che aveva fatto, dei vari compagni, delle loro abilità, di quanto fosse forte Iwaizumi e, soprattutto, di che incredibile palleggiatore e giocatore fosse Oikawa-San. 

«Sa fare servizi in salto.» 

«Davvero?» Kazuyo fece una pausa sedendosi meglio sul letto d’ospedale «Sa colpire servizi in salto?» 

«Si,» confermò il nipote «Anche con le alzate è bravissimo.» una pausa «Però non vuole insegnarmele.» 

L’ammirazione che brillava negli occhietti blu, marchio della famiglia Kageyama, se anche Kazuyo non l’avesse scorta si poteva percepire nelle parole del bambino. Si era soffermato molto di più a parlare di quest’ultimo senpai e delle sue capacità. 

Tobio si rabbuiò appena «Però non me la vuole insegnare.» 

«Be’, anche se siete compagni di squadra, siete pur sempre rivali!» disse Kazuyo con un sorriso intenerito. 

Rivali...! pensò Tobio con un moto d’orgoglio. 

«Vediamo qualche partita tra quelle che ho portato?» domandò tornando presente nella stanzetta d’ospedale, lanciò un’occhiata ai cd sul comodino, imbarazzato di poter anche solo essere considerato rivale da Oiwaka-San, di certo non lo considerava così tanto importante come voleva fargli credere suo nonno. 

«Scusa, Tobio, ma oggi il nonno è un po' stanco...» una pausa «Possiamo fare domani?» 

«Sì.» annuì il bambino. 

 

 

15 Maggio 2014 giovedì, stradine di campagna intorno Ōgawara, Prefettura di Miyagi. 

Le ombre si stavano allungando sulla strada, il sole calava inesorabile dietro i monti mentre il cielo tinto di rosa dal tramonto si colorava per la sera sempre più vicina assumendo nuovi colori e altre sfumature. Stavano tornando verso il centro abitato, le ruote della bicicletta affondavano leggermente nel terreno bagnato. Era stata una giornata piovosa sin dal mattino, anche se aveva smesso da un pezzo. Kageyama avvertiva l’umidità fastidiosamente appiccicosa sul viso e sulle mani. Non riusciva a capacitarsi di come si fosse fatto trascinare in quell’idiozia. Era basta una parola e si era ritrovato a pedalare su quella bicicletta, le gambe stanche dall’allenamento lo stavano torturando e il sudore era andato a riformarsi. Si erano allontanati senza notare di quanta strada avevano percorso, ed era tutta colpa della zavorra che sedeva sul retro della bicicletta. Allungava la mano, lasciandogli momentaneamente i fianchi, per indicare che direzione pensasse li avrebbe portati all’arcobaleno e al suo tesoro.

Il ragazzo sbuffò. 

«Non provare mai più a dirmi di fare una cosa tanto stupida.» 
«Oh dai...è stato divertente cercare di raggiungere l’arcobaleno.» 

Sbuffò nuovamente, più forte, e tornò il silenzio. 
Dopo qualche metro sentì la zavorra appoggiare la fronte alla sua schiena, percepiva benissimo la punta del naso strofinarsi sul tessuto acetato della divisa del Karasuno. 

«Ora che c’è? Se ti stai pulendo il naso, giuro che scendo e ti lascio qui.» 

Una minaccia inutile lo sapeva, non lo avrebbe mai fatto; anche la zavorra dietro di lui doveva esserne consapevole, forse anche più di lui, quanto ogni minaccia uscita dalla sua bocca fosse ormai vuota. Alle orecchie dell’alzatore arrivò il suono della risata a conferma che non credesse a tali parole. Non quella che esplodeva quando sentiva qualcosa di troppo assurdo e non riusciva a controllare il momento ilare, era il suono dolce della risata complice e intima quella che risuonava dei momenti che sarebbero diventati ricordi. Le mani lasciarono i fianchi dell’alzatore, scorrendo in avanti, si fermarono a mano aperta sugli addominali che si erano andati a scolpire e gonfiare di più, risultato di allenamenti costanti che non sembravano voler rallentare nemmeno al loro terzo anno di liceo. Poco importava la presenza, finalmente, di un secondo alzatore in squadra. Si strinse leggermente al ragazzo alzandosi quanto bastava per raggiungere il retro sull’orecchio. 

«Sono felice...» soffiò Kimiko sfiorando il collo con un bacio a fior di pelle per poi tornare seduta. Osservando il panorama scorrere alla velocità che Tobio teneva con le pedalate, il capo poggiato alla sua schiena sentendo il tamburellare del cuore nella cassa toracica del proprio ragazzo. 

Improvvisamente Tobio non le sentiva le gambe più così stanche, e l’umidità fresca della sera che si avvicinava venne spazzata via dal calore di quel contatto. Improvvisamente ricordò anche perché, qualche ora prima, avesse accettato quell’idiozia. Gli occhi nocciola che lo osservavano, la richiesta sussurrata per non farsi sentire dal resto della squadra, il sacchetto di nikuman che si era affrettato a comprare per raggiungerla all’incrocio dove lo attendeva, il sorriso... Quello stesso sorriso... Quello che anche se non poteva vedere lo sentiva lì, poggiato sulla sua schiena. 

Tobio lasciò il manubrio con la sinistra per accarezzare le mani che lo stringevano. Con il pollice ne sfiorava il dorso, seguendo le protuberanze delle nocche mancine di Kimiko, soffermandosi qualche istante di più su quel punto più freddo alla mano della preziosa zavorra seduta dietro quella bicicletta. Kimiko lo strinse leggermente più forte. Era felice anche lui ma non lo avrebbe detto. Non c’era bisogno di parole lei lo sapeva.





Spazio delirio:
Se siete arrivati fin qui, intanto complimenti, per vostra curiosità vi dico che questo capitolo è stato scritto veramente a due mani con 
ReaderManga0.
Mi rendo conto che sia un capitolo enorme, credo il più lungo scritto fino adesso. Spero che queste porte socchiuse sul passato di Ikeda e Kageyama vi siano piaciute; spero anche che questo vi abbia reso la lettura meno pesante. Questo sguardo al futuro mi è piaciuto molto scriverlo, me li immagino così una volta superato questo scoglio iniziale in cui si trovano nei capitoli precedenti dopo un inizio scolastico burrascoso. Il terzo anno di liceo decisamente li vede insieme...
Non resta che scrivere questo viaggio.

 

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Capitolo 33
*** Capitolo 32 ***


15 Aprile 2013 lunedì, Karasuno High School - Prefettura di Miyagi.
*per le parti in cui si parlerà/penserà italiano il discorso sarà sottolineato*  

 

Quello appena trascorso si era rilevato un fine settimana inconcludente. Tirando le somme probabilmente aveva anche perso del tempo prezioso che avrebbe potuto utilizzare per migliaia di attività più importanti, che rivolgere la sua attenzione a quello che diceva quella stupida. 

Sabato Tobio aveva proceduto in modo metodico con la scaletta, che si era fatto mentalmente, dopo aver lasciato Yachi. La camminata verso casa, all’inizio tranquilla, si era convertita presto in un passo più veloce e affrettato. Quel passo allungato alla fine era tramutato in una corsa sostenuta, con il borsone a gravare come peso sulla spalla e sul finire della schiena dove sbatteva al ritmo cadenzato dalla corsa. Correva per fare chiarezza tra i pensieri che si affollavano incontrollati nella mente. Un passo dietro l’altro, una falcata precisa e regolare, non quelle corse a perdifiato che erano le sfide con Hinata. Era il modo in cui Tobio scaricava la tensione, il modo in cui suo nonno gli aveva insegnato come scaricare la tensione e ritrovare la concentrazione. 

Arrivato a casa si era tolto le scarpe, salutando la madre, per salire velocemente in camera dove il borsone venne sistemato accanto alla scrivania dove aperto restava abbandonato il libro di algebra con il portatile vicino. Aveva cenato, come sempre, con i suoi, in sottofondo il telegiornale locale di Miyagi News raccontava le ultime novità più o meno importanti. Rispondendo a qualche occasionale domanda sul procedere della vita scolastica, intanto consumava la cena con appetito. Quella corsa finale gli aveva fatto venire solo più fame e più volte la madre aveva dovuto pregarlo di non ingozzarsi con tale foga. 

Finita la cena era salito, quasi facendo gli scalini a due a due, chiudendosi la porta della camera alle spalle per non essere disturbato oltre. Il ragazzo fissò la scrivania ed il portatile chiuso, valutando se procedere immediatamente nel cercare questo “Jiji Liva”.
‘Scoprirò tutti i tuoi segreti, deve esserci un modo per batterti, sarai tu a inchinarti, anzi no, ad inginocchiarti ai miei piedi!’
Avvicinandosi al mobile decise, intanto, di accendere la fonte che sperava potesse fornirgli le informazioni desiderate, prendendo la biancheria e i cambi sudati dal borsone decise di ascoltare il proprio corpo. La fretta era una cattiva consigliera, doveva essere rilassato per carpire ogni piccola informazione necessaria. Un bagno caldo avrebbe dato sollievo ai muscoli, confidando che il tepore finisse l’opera di rilassamento iniziata dalla corsa. 

Seduto finalmente alla scrivania, rinfrescato dal bagno, con ancora l’asciugamano usato per frizionare i capelli poggiato sulle spalle, si ritrovò colto da un dubbio. 

‘In che lingua dovrei cercare? Quella seccatura parla per la metà del tempo in lingue diverse dal giapponese. O per lo meno è quello che ci ha detto quel tipo di quella scuola di dilettanti…come si chiamava? Ah, non importa. Se scrivessi in giapponese potrei non avere risultati.’ 

Alla fine, si decise a scrivere in inglese, passando qualche minuto online a cercare un servizio che gli mettesse a disposizione una tastiera straniera virtuale. Recuperò il suo dizionario giapponese-inglese, in modo da avere a disposizione i Romanji, ricordava l’alfabeto, ma non voleva rischiare. Convinto dei suoi preparativi si buttò finalmente nella ricerca rimanendo deluso già primo risultato trovato. Quel primo tentativo si era rivelato scoraggiante. Google invaso di notizie e immagini di un gatto nero, prodotto animato dello studio di animazione Ghibli. 

«Dannazione non è possibile, deve essere un errore. Forse ho sbagliato a scrivere...» 

Era rimasto seduto alla scrivania con il volto illuminato per riflesso dalla luce emanata dal computer, senza cavare un ragno dal buco, cercando di capire come quello potesse essere l’unico risultato possibile. Cercò risultati oltre la prima pagina, la seconda ed anche la terza, fino ad arrivare alla decima. 

 

Domenica si era svegliato nervoso, per le poche ore di sonno, rimasto sveglio a rigirarsi sotto le coperte non si era dato pace. Si era alzato dal letto con grande forza di volontà solo per non perdere i ritmi della sua routine. Tornato dalla corsa mattutina il tutto si era ripetuto in modo quasi identico al giorno prima. Quasi, perché, durante la corsa aveva avuto la geniale idea di affiancare il ruolo. “Jiji Liva Setter”...il secondo risultato deludente quanto il primo. Il motore di ricerca si prendeva beffe dei suoi sforzi mostrando una varietà di Setter, sì. Setter di razza canina. Saturo di frustrazione, in aumento, Tobio decise di stendersi e palleggiare, forse quell’esercizio poteva fargli svuotare la mente. Con la molten che gli ricadeva tra le mani decise di procedere in maniera più meticoloso. Tobio tornò seduto alla scrivania determinato. 

Prima di cercare nuovamente quel nome si era premurato di trovare lista completa delle nazioni che battevano bandiera Europea, aggiungendo anche la Svizzera non riuscendo a capire come non fosse in elenco vista la posizione, affiancando “Jiji Liva” alle varie nazionalità. Dei risultati fallimentari smise di tenere il conto. Si buttò con la schiena aderente alla sedia, la testa a penzoloni e le mani a massaggiarsi le tempie. 
‘Ok, ragioniamo... pensò Tobio provando a schiarirsi le idee. ‘Forse la lingua utilizzata non è l’inglese. 
Tobio cercò di ricordare i paesi dove la ragazza aveva detto di aver abitato.
‘C’era l’Inghilterra, quella nazione divisa in due per qualche strano motivo e poi…oddio come si chiamava? Itaglia? Itaria?’
Buttò un occhio alla lista, la memoria del cartone della pizza che il padre aveva buttato qualche giorno prima tornò prepotentemente. Si ricordò all’improvviso come si scrivesse in inglese, ma questa fu l’unica informazione che riuscì ad ottenere. Lui non sapeva di certo quella strana lingua, perché avrebbe dovuto. Navigando all’interno di Wikipedia per la pagina degli sport praticati in Italia aveva buttato un occhio sulla sezione dedicata della pallavolo. L’allenatore gli faceva spesso vedere video delle nazioni straniere, quasi mai però aveva visto un video di questa nazione in particolare. Cercò una lista dei giocatori più famosi, niente di simile a Jiji Liva. Non seppe il perché ma si ricordò anche di quell’altro stupido sport che aveva visto praticare dalla ragazza. Cliccò sul calcio, ma oltre a un’infinita lista di successi e calciatori non trovò altro. Li lesse in ordine sparso scorrendoli quasi annoiato e stancandosi dopo pochi nomi, risultandogli tutti sconosciuti. 
‘Maldini Palo, Totti Francesco, Baggio Roberto, Del Piero Alessandro, Riva Luigi…oh questo un po' ci assomigliava. Ah, sto perdendo tempo. Ci rinuncio.’
Un fine settimana inconcludente giunto al termine. 

 

 

Sulla strada per il Karasuno quella mattina faceva fresco, visto l’orario, e c’erano pochissimi studenti lungo la strada. Troppo presto per chi non avesse degli impegni nei propri club e lui era in anticipo rispetto al solito. Kageyama camminava ignorando gli altri, sovrappensiero aveva accolto l’arrivo del lunedì con rassegnazione, con le mani infilate nelle tasche della divisa sportiva, la destra giocherellava infilando l’indice nell’anellino che collegava la piastrina di plastica alla chiave della palestra, non erano più al primo anno. Ennoshita aveva dovuto cedere a quella concessione, non senza fare a lui e Hinata un lunghissimo discorso sulla responsabilità, sfociato poi in minaccia di sospensione dagli allenamenti, per tempo da definire, se il duo avesse abusato di quel privilegio più del dovuto. Era stato chiaro, chiarissimo, potevano allenarsi ma senza esagerare, la palestra andava chiusa a prescindere ad un orario decente e consono. Il duo della veloce aveva annuito immediatamente con un groppo in gola, elettrizzati dalla prospettiva di poter mettere finalmente le mani su quel prezioso oggetto metallico e la libertà, controllata, che forniva loro. Voleva quella mezz’ora di pace, quasi solitaria, in palestra quella mattina, si sarebbe sfogato con Hinata come al solito, e poi avrebbe visto come sarebbe andato l’andamento di questo primo, ufficiale, allenamento. 

Il primo di troppi. Il primo di un anno che si prospettava fastidioso. Il primo necessario. 
 

Kageyama guardò distrattamente come al solito il parcheggio dove gli studenti lasciavano le loro biciclette. Quella azzurra del centrale, già sistemata tra le poche presenti, fece spostare gli occhi dell’alzatore per vedere, in lontananza, una chioma rossa che camminava tranquilla verso le palestre. Iniziò a correre per superarlo ed arrivato primo alla porta degli spogliatoi. Lo superò lasciandoselo indietro, sentendo prima delle lamentele e poi i passi concitati di Hinata che cercava di riguadagnare terreno. 

L’umore era anche peggiorato se possibile. Hinata negli spogliatoi aveva continuato, curioso, a punzecchiarlo cercando di scoprire cosa fosse successo con Yachi, «Ti ho detto che non sono affari tuoi.» fu la risposta, bofonchiata attraverso la maglietta, dell’alzatore mentre finivano di cambiarsi. 

 

«Ehi Kageyama...ma hai dimenticato di chiudere a chiave la palestra sabato?» 

Entrambi non avevano fatto caso alla porta aperta della palestra mentre correvano per raggiungere gli spogliatoi. Scendendo le scale Hinata se ne era accorto per primo mentre l’alzatore chiudeva la porta dove si erano cambiati «Cosa stai dicendo boke? L’ho chiusa come sempre.» 

Era ovvio che fosse chiusa. 

Hinata fissava ancora la porta aperta, la mano poggiata sul corrimano. «Intanto è aperta,» commentò spostando lo sguardo dalla porta incriminata al compagno di squadra. 

Kageyama non riusciva a capire come fosse possibile, poteva vedere anche lui la porta aperta mentre affiancava il centrale, rimasto alla base delle scale, così come era certo di averla chiusa. Non riusciva proprio a far combaciare quella porta aperta con il dubbio di poter non aver chiuso distrattamente. Fissò la chiave che teneva nella mancina ripercorrendo con la memoria quello che aveva fatto sabato a fine allenamento. 

Era più che certo di aver inserito la chiave nella serratura. 

Stava discutendo con Hinata domandando come tornasse Yachi a casa, dando quel giro per chiudere la serratura mentre il rosso, dopo aver cambiato anche lui le scarpe, gli rispondeva posando le calzature da allenamento nella scarpiera. 

«Ho chiuso.» disse Kageyama, più a sé stesso che al compagno che camminava in quella direzione. La voce non tradiva quella nota dubbiosa che gli suggerivano gli occhi. Era sicuro di aver chiuso. Sicuro. 

«La smetti di dirlo,» fece Hinata con un tono di voce che suonava di rimprovero. «Chiaramente è aperta. Ennoshita ha fatto chiudere a noi, con l’unica chiave...» una pausa. «Non avrai perso...?» domandò il centrale abbassando il volume e tirando verso il di sé Kageyama per non farsi sentire, anche se non vi era nessuno nelle vicinanze. 

L’alzatore scosse la testa fissando l’interno della palestra, rivelato dalla porzione di porta aperta dal punto in cui si erano fermati, stava per dare un pugno in testa al ragazzo, per aver solo pensato a quella possibilità, quando si videro passare Ikeda da una parte all’altra della palestra. I capelli fittamente legati e intrecciati partivano dalla fronte, tirati fino alla nuca, a entrambi la treccia che ricadeva sulle spalle, senza potersi muovere troppo, sembrava più corta. La maglietta bianca anonima seguiva i movimenti del busto senza svolazzare tenuta ferma dall’elastico dei pantaloncini, neri bordati di rosso lungo l’orlo, in cui era stata infilata. Le gambe coperte fino sotto il ginocchio da un ulteriore pantalone di colore nero, più aderente e fasciante del pantaloncino sopra di esso. Le caviglie avvolte da un incrocio rosso di seta a chiudere le scarpette da ballerina dello stesso colore. Non un rosso accesso, di quelli accecanti, tendente all’arancione come i capelli di Hinata rimasto anche lui in silenzio. Un rosso più spento, più saturo e caldo, quel rosso che accompagnava l’alzatore durante alcune corse serali che faceva di tanto in tanto, quando il sole scompariva dietro i monti di Miyagi e il cielo si incendiava. Dovevano aver visto tempi migliori quelle scarpette, le punte consumate rivelavano i punti in cui la sera era ormai più sottile, rivelando il biancore ingrigito sottostante del materiale che le componevano. 

«Ma che cazzo...» fu il commento sottovoce di Kageyama. 

La ragazza non doveva essersi accorta del loro arrivo, doveva essere lì già un po' a giudicare dal rossore sulle guance. Continuava nei suoi movimenti fluidi, dando loro le spalle, restando per alcuni attimi, in equilibrio sulle punte per poi sgambettare in modo alternato. Momenti in cui trattenevano il respiro, come se anche quel soffio a distanza potesse modificarne l’equilibrio. Kageyama strinse le palpebre, corrugando la fronte, seguendone i movimenti, le braccia come un’onda accompagnavano il flusso creato dalle gambe. I polsi che si flettevano. Le mani, eleganti, quando si alzavano al di sopra della testa, per un secondo...una frazione di secondo, si posizionava perfettamente come se dovesse alzare, prima di posizionarne il dorso rivolto verso l’alto. 

Ikeda si girò per le piroette. Prese a spostarsi in semicerchio alternandosi sulle punte, andando verso destra, accompagnando lo slancio preso. Solo allora, con il Valzer dei Fiori risuonare in sottofondo nelle cuffiette, si rese conto dei due spettatori fermi all’ingresso della palestra. Smise di farsi condurre e trascinare dal movimento, fissando un punto ben preciso tra l’alzatore e il centrale, guadagnò tempo continuando a girare. Uno, due, tre giri la punta del piede destro poggiata davanti al ginocchio sinistro, la gamba destra, ben piegata a formare un triangolo e le braccia in cerchio con le mani giunte. Il piede lasciò il ginocchio per ridarsi slancio continuando la rotazione, così come le aveva insegnato Helmi, per poi tornare in posizione sul ginocchio. 

Schifoso equilibrio perfetto. pensò Kageyama osservando concentrato la gamba utilizzata come perno. Dritta. Perfetta. Gli occhi risalirono dalla caviglia scorrendo sulla curva del polpaccio. Come si fosse distesa l’altra gamba verso di loro girando, il movimento sinuoso con cui l’aveva riportata indietro accompagnando il giro, mentre con il piede sinistro si abbassava brevemente per poi rimettersi in punta, e quel piccolo cerchio che creava con la caviglia della gamba sospesa il ginocchio a fare da perno. Un cerchio piccolo in un cerchio più grande. Uno, due, tre, quattro giri ad ogni giro scorgeva brevemente i volti dei suoi spettatori, ognuno lasciava trasparire emozioni diametralmente opposte. 

Ikeda decise di rallentare e fermarsi. Tallone sinistro ben piantato sul parquet, la gamba destra distesa alle sue spalle, disteso era anche il braccio destro verso quel pubblico esiguo e inaspettato. 

Hinata scoppiò in un applauso emozionato, facendo sorridere la ragazza mentre si liberava dalle cuffiette. 

«Buongiorno, troppo buono. Troppo buono, Hinata.» commentò Ikeda ancora sorridendo, spostando il peso sulla gamba destra sfiorando il pavimento con la punta sinistra, quasi a nascondere il piede, flettendosi sulle ginocchia e accompagnando il tutto con un cenno morbido del capo. Un inchino perfetto per un pubblico perfetto. 

«Dove ca-» Hinata tirò una gomitata al compagno, intuendo in che termini volesse esprimersi, dovevano già affrontare Ennoshita per la porta aperta era inutile mettere altra benzina sul fuoco, «-volo pensi di essere?» 

Ikeda rimase in silenzio, la testa piegata, esaminando l’alzatore «Karasuno..» fece una pausa avvicinandosi con le mani sui fianchi «Palestra numero due.» aggiunse poggiandosi allo stipite. L’aria vibrante di rivendicazioni a cui non serviva aggiungere altre parole.  

Kageyama la osservò levarsi qualcosa dai capelli. Un cerchietto su cui non si era soffermato prima. Intento a studiare altro, quel particolare non era risaltato e non era comunque di suo interesse. Non era spesso né vistoso, nonostante il colore dorato non risultava pacchiano, non che ne capisse qualcosa di accessori femminili, e il motivo a foglioline sembrava abbastanza delicato. 

«Non sono riuscita a trovare una corona d’alloro...» tono amabile e sorrisino sornione Ikeda riposizionò il cerchietto sul proprio capo in modo che poggiasse sulle orecchie e la parte aperta fosse rivolta verso la fronte. «Immagino che “questa” come corona e simbolo di gloria vada bene lo stesso,» i lineamenti del viso divertiti sottolineati dalla mano in un gesto che ricordava l’apertura di un ventaglio mentre si indicava il capo e quel cerchietto utilizzato come corona di fortuna. «Che ne dici Kageyama? Vogliamo continuare con altre ovvietà? Mi vuoi forse parlare del tempo?» si sporse in avanti alzando gli occhi al cielo azzurro. «Bella giornata...altro? Non esistono più le mezze stagioni? Si stava meglio quando si stava peggio?» 

L’alzatore tirò le labbra in una linea sottile, quella mezz’ora di pace in cui sperava di rifugiarsi svanita, sfumata, osservando con espressione malevole e palpebre socchiuse Ikeda dargli le spalle con sufficienza per rientrare in palestra. 

Hinata non colse quel momento di tensione, altro stava dominando le sue preoccupazioni, tormentandosi le mani prese coraggio. «Hai trovato la palestra aperta?» domandò sotto lo sguardo irritato del compagno. 

«Ti ho detto che ho chiuso!» 

Ikeda si voltò rimanendo in silenzio, soppesando come rispondere. «Si l’abbiamo trovata aperta...» 

«Abbiamo?» chiese confuso il centrale ignorando l’ennesima occhiataccia scoccata da Kageyama nella sua direzione. 

Ikeda alzò un dito per indicare un punto in lontananza. I quattro ragazzi del primo anno erano tutti a muro distanziati in fila, reggevano ciascuno una palla per poi lasciarla cadere bloccandola nella discesa tra il muro e le braccia in posizione di ricezione. Nella palestra risuonava solo quel suono. «Penso possiate fermarvi pulcini,» disse la manager rivolta ai primini. «Bevete un po' e poi vedete cosa vogliono fare loro due.» aggiunse indicando i due ragazzi, dirigendosi per prendere le palle e riporle nella cesta che non avevano portato fuori dal ripostiglio. 

«Cosa gli diciamo a Ennoshita?» Hinata si grattò la guancia pensieroso e leggermente spaventato. Da parte sua Kageyama era ancora certo di aver chiuso e non mancò di ribadirlo. Hinata rincarò la dose a bassa voce «Quello ci ammazza, assisteremo ai prossimi dieci allenamenti in ginocchio e con le mani in verticale.» 

«Noi l’abbiamo trovata aperta.» confermò Tokita, pentendosi immediatamente di aver aperto bocca ricevendo l’occhiataccia dell’alzatore con cui doveva allenarsi in servizio. Sarebbe stato un allenamento pesante, se ne rendeva conto dal modo in cui il senpai sbuffasse. 

«Fa silenzio numero tre...» fece Ikeda in tono che non ammetteva repliche, tanto bastò a sopprimere anche le risatine degli altri ragazzi a cui non era sfuggito lo sguardo truce dell’alzatore. «Se la porta è rimasta aperta è un problema?» 

«IO L’HO CHIUSA!» urlò esasperato Kageyama. 

«Si. Un bel problema,» rispose Hinata ignorando l’altro, seduto intento a cambiarsi le scarpe per levarsi quanto prima alla vista dei ragazzi che man mano passavano. «Accettalo Bakageyama, te la sei dimenticata aperta.» sospirò con la certezza che sarebbe andato di mezzo al rimprovero del capitano anche lui. 

Kageyama aprì la bocca per ribattere ma fu preceduto. 

«Come abbiamo trovato la palestra?» Ikeda con le misaka tra le braccia riportò l’attenzione al quartetto. Erano dei ragazzi svegli, l’avevano già dimostrato, non serviva spiegare cosa in realtà volesse dire con quella domanda. 

«Chiusa.» rispose Yaotome sorridendo. 

«Noi ci eravamo accordati per vederci prima,» Shimada annuì continuando a guardare i due senpai. 

«Così che Ikeda potesse correggerci gli appunti di inglese,» aggiunse Shoji. Non era, comunque, una bugia. Lungo il muro, sopra una sedia, vi erano posati i loro quaderni dove Ikeda li aveva lasciati, la penna poggiata sopra. Accanto, in maniera meno ordinata rispetto a quando avevano iniziato, si trovavano gli asciugamani, le ginocchiere, le borracce ormai mezze piene e uno zainetto con il logo Asics pieno su cui era abbandonato un cellulare dallo schermo ancora illuminato. 

«Giusto,» confermò Tokita. «Eravamo sugli scalini e poi siete arrivati voi ad aprire.» 

Ikeda sorrise dirigendosi nello sgabuzzino sparendo al suo interno. 

«Ringrazia baka.» 

«Non devo ringraziare nessuno,» sbottò nuovamente Kageyama guardandolo storto. «Era chiusa. CHIUSA.» 

«Come ti pare,» fece il centrale allontanandosi, più curioso di un particolare filtrato nella conversazione in maniera quasi casuale. «Pulcini?» chiese alzando un sopracciglio, doveva ammettere che il nomignolo aveva senso. I quattro annuirono.  

«E vi siete anche fatti numerari. Idioti.» aggiunse Kageyama stringendo i lacci delle proprie scarpe. 

Il piccolo libero mise le mani sui fianchi aspettando che qualcuno gli passasse da bere. «Ci chiamerà per cognome quando e cito “farete qualcosa sul campo che segni la vostra crescita”.» 

«Tanto sarò io il primo,» fece Tokita passando l’acqua al compagno. «Sono uno schiacciatore e sto più di voi in campo.» ghignò con una certa soddisfazione. 

«Guarda che gioco nello stesso ruolo.» lo stuzzicò risentito Shimada. 

«Che disdetta però che tu non sia nemmeno tra le riserve.» ribeccò il primo. 

«Volete vedere invece che continuerete ad essere pulcini numerati fino al prossimo anno?» 

In silenzio Ikeda era tornata indietro, mentre rovistava nella sacca per estrarre un lungo elastico. Un verde acqua che una volta agli occhi di Kageyama ricordò in maniera limpida a chi accomunasse quel fastidio ambulante. Non che ci fosse tutta questa somiglianza somatica tra i due, i capelli di poco più scuri rispetto quelli di Oikawa, la luce morbida del mattino giocava ed illuminava il cerchietto, le sopracciglia non erano fine come quelle dell’alzatore, ammirato e odiava. Il naso forse risultava abbastanza simile nelle dimensioni. La ragazza si voltò nella sua direzione, continuando al contempo a parlare con i ragazzi di primo anno, sicuramente il colore degli occhi risultava differente. Ancora la vedeva l’ostilità in quegli occhi marroni, in quelli di Ikeda ci vedeva solo un verde tentare di sopraffare inutilmente il marrone. 

«Se avete finito con le stupidate.» li interruppe infastidito. Il gruppetto si fece silenzioso, Ikeda arricciò le labbra in un’espressione che non scappò al ragazzo. «Se devi continuare in quel modo vedi di levarti di mezzo. Ci serve spazio.» 

Ikeda fu solo che divertita dal tono perentorio. Immaginava che per Kageyama quella fosse una frase senza possibilità di replica. L’ordine di un Re che ci crede ancora. 

Prese la sedia liberandola dai quaderni. «Suppongo di si,» disse da sopra la spalla, rivolgendo i taglienti occhi nella sua direzione. «Visto il tuo ego, serve spazio. Per fortuna che hai lasciato la porta aperta altrimenti saremmo tutti rimasti schiacciati.» Calcò particolarmente il tono sulle parole “porta aperta” quella era una chiara minaccia. 

Iniziò a canticchiare, facendo salire un formicolio irritato lungo la schiena di Kageyama, trascinandosi la sedia per la palestra. 

«All eyes on the way I vibe...                                                                               
...then I walk into the room...                                                 
...The wind blows underneath the soles... 
                                  ...of my brand new pair of shoes...» 

Il gruppetto si fece scappare una risatina, ignorata dall’alzatore, mentre Ikeda gli passava a fianco dei primini fece scorrere lo sguardo su di loro sorpassandoli. 

«...I got the attention...                                                          
...I’m on a mission...                                      
...no sweat in the way I step... 
                        ...I got a fresh new attitude...»  

Fece due passi canticchiando ancora il motivetto prima di voltarsi e fissare negli occhi Kageyama. 

«...Call me a Queen...                                    
You can buy me a crown...» 

Si indicò il capo girandosi e guardandolo da sopra la spalla posizionò la sedia sotto il palco ne fece uso per salire. 

«...I’m levelled up...                                   
...And this is my world now» 

Terminò salendo agilmente, godendo del vantaggio che le dava l’altezza su quella testa corvina. Kageyama la guardava a testa alta, in bilico e indeciso, le labbra tirate in una linea sottile. Si costrinse a non reagire, con sorpresa di Hinata che di sottecchi cercava di capire quando sarebbe esploso. Di solito era lui che infastidiva gli altri e la squadra lasciava correre le sue esternazioni, ascoltandolo ma senza dargli peso di alcun tipo. 

«In ogni caso...» riprese Ikeda chinandosi per annodare le estremità dell’elastico alle caviglie con cura. 

Quel silenzio calcolato, quell’attimo, e quell’operazione svolta con estrema lentezza spinsero Kageyama a reagire prima che la frase fosse completata. Qualcosa gli diceva di muoversi, di camminare fino a sotto il palco e levare quella dannata sedia, almeno quello poteva farlo. 

‘Magari perdi l’equilibrio, cadi di faccia e quel tuo maledetto ghigno sornione sparisce.’ 

Ikeda si alzò dalla posizione in ginocchio, le mani giunte, il capo leggermente piegato, ancora divertita. «In ogni caso come sovrano in carica è giusto che la mia testa superi la tua,» disse muovendo la mano sopra il suo capo sottolineando così la, momentanea, differenza posta dal rialzo sul palco. Vedendosi portarsi via la sedia con rabbia continuò ridendo «Non solo è giusto, è l’etichetta della monarchia che lo richiede.» 

Kageyama si morse il labbro per non rispondere, non poteva concedersi altri passi falsi. Avrebbe tanto voluto dirle che si sarebbe riempito la bocca con la stessa risata, che gli riempiva le orecchie, quando tentando di scendere si sarebbe fatta sicuramente male. 

In silenzio con il labbro inferiore gonfio iniziò invece a correre per riscaldarsi, grato che bastò solo uno sguardo ai ragazzi per cancellare quei volti divertiti. 

Ikeda però non aveva terminato con lui. 

«Hai fatto quanto dovevi?» chiese appoggiando una mano al muro per sostenersi mentre si rimetteva sulle punte. 

Kageyama si bloccò, voltandosi si aspettava di incontrare il suo sguardo, Ikeda, invece era rimasta girata dall’altro lato. La gamba destra alzata, l’elastico che si fletteva in tensione, senza vederli per la distanza e il pantalone nero, l’alzatore riusciva a immaginare quali muscoli si stessero gonfiando per lo sforzo. Non ricevendo nessuna risposta la ragazza si decise a ruotare leggermente la testa. Non c’era astio nel tono usato per formulare la domanda, così come non ne trovava nemmeno negli occhi che lo scrutarono. Solo il bisogno di una conferma. «Hai fatto quanto dovevi?» insistette e Kageyama annuì in risposta. 

«A voce...» 

«Si.» confermò nuovamente iniziando a correre scocciato. 

Un bravo baka...è un bravo baka alla fine.pensò Ikeda lanciando un’ultima occhiata al ragazzo prima di rimettersi in posizione e tornare al suo esercizio. «Si...e poi?» 

Kageyama si fermò non capendo. «Sì, e basta. Non c’era altro.» 

«Non dovresti terminare le frasi con, non so, Sua Altezza quando ti rivolgi a me?» disse all’alzatore ma osservando la propria gamba scendere e salire. 

Kageyama riprese a correre, avrebbe voluto tirarla giù a forza, portarla fino alla porta e chiuderla fuori. 

«Sua Maestà Imperiale...? O Sua Eccellenza?» 

La voce accompagnava lo scandire delle lunghe falcate con cui il ragazzo riprese a correre a testa basta. Sicuro che se avesse visto quella arroganza dipinta sul viso di Ikeda sarebbe esploso. 

«Sua Eccellenza non suona male dai.» 

Strinse i pugni concentrandosi, deciso a non cadere in altre discussioni. Aveva fatto quasi un giro completo, non calcolando però che con quel senso di marcia inevitabilmente si sarebbe trovato di fronte per un breve, e troppo lungo, momento con Ikeda a guardarlo dall’alto in basso. Sarebbe stato lo stesso anche a marcia contraria ma poteva evitarsi il faccia a faccia. 

La superò allungando il passo. Kageyama non poteva giurarci, vista la distanza, ma era sembrato di vedere qualcosa. Qualcosa a cui non riusciva a dare un nome. 

«Sua Grazia...?» 

La voce di Ikeda arrivò divertita, inseguendolo. 

Descrivere quanto gli desse fastidio era impossibile. Impossibile.



Spazio Delirio:
Mea culpa per questo aggiornamento così lento. Vorrei lamentarmi ma non ho tempo nemmeno per quello.
Scappo e vi lascio anche la canzone che canticchia Ikeda, ve ne consiglio l'ascolto. Una volta sentita per me era già loro.
Sempre un grande grazie a ReaderManga0 concorde sul fatto che il nostro, povero, alzatore capisse fischi per fiaschi (o fischi per dischi), da qui l'idea geniale che finisse in una disperata ricerca di questo Gigi Riva Jiji Liva. Noi abbiamo sul serio cercato Jiji Liva e sul serio come risultato ci dava il gatto di Kiki's Delivery Service della Ghibli, poi la cosa è degenerata con i setter cani...Tobio ci odierebbe. Forse glielo diremo alla fine chi è in realtà Gigi Riva...forse.
Un saluto a chi legge in silenzio.

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Capitolo 34
*** Capitolo 33 ***


Kageyama non riusciva a scrollarsi di dosso la consapevolezza della presenza a pochi passi torreggiare dal suo rialzo. Più di quanto fosse disposto ad ammettere si era ritrovato, troppo spesso, a spostare lo sguardo in direzione del palco su cui se ne stava Ikeda. Si era rimessa le cuffie dopo quell’ultima risata chiudendosi in silenzio nella propria fatica, lasciando fuori il resto dei presenti, della palestra e i suoi suoni. A colmare quei silenzi come sempre fu Hinata, troppo curioso dell’esercizio che stavano svolgendo i ragazzini di primo anno. Li aveva tempestati di domande e lui si era ritrovato a correre posizionandosi per ultimo, in questo modo seguiva il discorso senza dare l’impressione di un reale interesse. Era ultimo in fila, era ovvio che fosse rivolto avanti, il più delle volte, e se con le orecchie restava concentrato alle domande e alle risposte, gli occhi, beh, gli occhi sfuggivano, ogni tanto, spostandosi in direzione del palco e a ogni giro si posavano brevemente sul cellulare illuminato. Poggiato su un asciugamano accanto ad altri oggetti e l’involucro logato Asics, la forma inconfondibile presa dal tessuto tecnico non nascondeva il fatto che all’interno si trovassero delle scarpe. Lo schermo di un’iPhone, nuovo modello 5 uscito a settembre dell’anno precedente, rimandava a ogni giro un video simile, una scala di grigi sfocata troppo distante perché l’alzatore riuscisse a capire cosa trattasse. 

L’esercizio eseguito dopo, per Kageyama, aveva molto più senso, non che stesse prestando particolare attenzione (o almeno così continuava a ripetersi). L’elastico aveva lasciato la presa sulle caviglie per essere stretto tra le mani. In maniera cadenzata il braccio sinistro si distendeva in avanti mentre quello destro andava indietro piegato verso l’alto in linea con la spalla. Nonostante l’allenamento con formazione da alzatore anche lui aveva praticato quell’esercizio sotto direzione del nonno, anche senza lo aveva svolto senza elastico. Gli sembrava di vedere le forme di omini stilizzati disegnate nei libri di base per pallavolo. Kageyama scosse la testa, aveva davanti a sé altri quindici minuti buoni di allenamento da poter svolgere in santa pace, decise quindi di mettere da parte tutto e concentrarsi sul serio. Il ricordo era ancora lì, vivido come fosse ieri. Aveva cinque anni, la manina da bambino stretta in quella grande del nonno mentre si dirigevano alla palestra dove allenava. Palestra che frequentava sempre maggiormente e lo aveva visto crescere per due anni. 

 

19 Agosto 2002 lunedì, Ōgawaramachi Total Gymnastics (Ōgawara), Prefettura di Miyagi. 

 

Era una calda giornata estiva, quando entrò con il solito entusiasmo nella palestra dove allenava il suo amato nonno. I loro occhi si illuminarono di gioia, sapendo che avrebbero trascorso una giornata speciale insieme. 

Il nonno di Tobio una volta entrati aveva salutato il suo allenatore in seconda. 

«Coach Kageyama salve, non si era preso il giorno libero oggi?» 

Il vecchietto si grattò la testa «Questa era l’idea Ishikawa-kun, mio figlio e sua moglie sono fuori per lavoro e mi hanno chiesto di fare da babysitter, ma come vedi…» Indicò una piccola figura corvina che si era nascosta dietro la sua gamba alla vista dell’enorme schiacciatore. «Miwa-chan ha i suoi allenamenti e il piccolo Tobio si annoiava quindi ho pensato fosse un buon momento per provare ad insegnargli qualcosa.» 

Il minore annui, per poi richiamare l’attenzione di un paio di membri che stavano facendo da raccattapalle. 

«Ehi, andate a recuperare l’attrezzatura da mini-volley.» 

L’anziano apprezzò «Non serve la rete, portate solo una palla più leggera, ci metteremo in un angolino in modo da non disturbare l’allenamento delle ragazze.» 

La palla arrivò insieme a troppe giocatrici per una consegna così semplice. Tobio ringraziò educatamente come il nonno gli aveva insegnato. Una ragazza all’urlo di Che carino!” 

lo abbracciò con disappunto delle altre. Le voci si moltiplicarono su come non fosse giusto e che anche loro volevano strizzare quelle guanciotte. Tobio era impassibile, mentre il nonno rideva di gusto. Ishikawa riuscì a riportare l’ordine minacciando le ragazze di usare un idrante per disperderle. «Ma è così piccolo, profumato e morbidoso.» La ragazza lo strinse più forte. «È un bambino non un gatto, lascialo andare.» E finalmente Tobio fu liberato dalle loro grinfie. 

«Guarda, Tobio,» disse il nonno con un sorriso affettuoso. «Oggi impareremo qualche altro movimento fondamentale del volley!» 

Tobio, che era rimasto come apatico fino a prima spalancò i suoi grandi occhi curiosi, annuì con entusiasmo. «Sì, nonno!» 

Il nonno prese la palla e si posizionò accanto a Tobio nella metà della palestra in cui non avrebbero recato disturbo. «Prima di tutto, qualche palleggio con la palla, proprio come fanno i palleggiatori. È un movimento molto importante nel volley. Vediamo se riesci a non farla più scivolare dalle mani.» 

Tobio si concentrò attentamente sulle parole del nonno, mentre lui gli mostrava come tenere le mani per ricevere la palla e come spingerla delicatamente verso l'alto con le dita. 

«Allora, Tobio, prova tu stesso,» incoraggiò il nonno, passandogli la palla. 

Tobio, determinato, si mise in posizione, seguendo le istruzioni del nonno. Le sue piccole manine afferrarono la palla con decisione, ma la sua coordinazione motoria era ancora in fase di sviluppo. La palla gli scivolò dalle mani e rotolò sul pavimento. 

Il nonno sorrise amorevolmente e si chinò per raccogliere la palla. «Non preoccuparti, Tobio. È solo una questione di pratica. Ricorda, tutti iniziano da qualche parte.» 

Con pazienza, il nonno riprese a spiegare i movimenti, stavolta utilizzando parole semplici e gesti lenti. Tobio osservò attentamente e si preparò di nuovo, più concentrato che mai. 

«Ora, vai Tobio! Prova ancora una volta,» lo esortò il nonno, passandogli nuovamente la palla. 

Tobio afferrò la palla e la sollevò con tutte le sue forze, cercando di replicare i movimenti che il nonno gli aveva mostrato. Questa volta, la palla si alzò un po' più in alto e il nonno riuscì a riceverla. 

«Yu-hu! Vai Tobio-chan!» Arrivò un coro lontano da loro. 

«Tornate ad allenarvi!» Un urlo di Ishikawa sovrastò il coro. 

«Bravissimo, Tobio!» Esclamò il nonno, con gli occhi pieni di orgoglio. «Stai facendo progressi! Continua così!» 

Tobio si illuminò di gioia e si lanciò nelle braccia del nonno per un abbraccio affettuoso. 

«Se continui ad allenarti e ad amare questo sport, raggiungerai grandi traguardi, Tobio.» 

Una giornata, come molte già passate e altre che sarebbero seguite.  

Il ricordo del libero che volle mettergli un fiocchetto invece lo cancello rapidamente. 
 

 ***


Ikeda scese solo quando, alla fine, si fece quasi orario per il club di riunirsi. Le prime avvisaglie furono le voci lontane di Nishonya e Tanaka, la manager rimase sul bordo del palco mentre il piccolo gruppetto sotto direzione dei due senpai presenti si erano spostati intenti a bere e riprendere fiato. Aspettò pazientemente che l’alzatore le rimettesse la sedia, in un braccio di ferro a colpi di sguardi che gli altri sembravano non aver notato. Shimada invece se ne era accorto e mentre gli altri si dirigevano verso le bottiglie per bere si era fatto avanti verso la sedia sotto lo sguardo truce dell’alzatore, non gli importava; quindi, con la sedia in mano si diresse verso il palco. 

Ikeda gli sorrise porgendogli una mano tanto da far rimanere il ragazzo confuso. 

«Dammi la mano pulcino numero quattro,» disse scuotendo appena la sua a mezz’aria. «Vorrei evitare di cadere.» 

Con una certa vergogna mista a soddisfazione Shimada fece quanto richiesto, con imbarazzo si asciugò la mano, improvvisamente sudata, sui pantaloncini prima di lasciare che Ikeda gliela afferrasse. In un gesto impacciato e troppo rigido alzò la mano. 

«Thanks for helping. I appreciate it.» Ringraziò facendo comunque più attenzione alla sedia che al viso del ragazzo divenuto rosso e alle bocche aperte in lontananza. 

«Stronzo fortunato...» Sentenziò a bassa voce Shoji con una punta di invidia in direzione del ragazzo, il cui colore epiteliale non sembrava accennare a tornare alla gradazione normale; sotto il loro sguardo si era riavvicinato trascinando la sedia con aria trasognata. 

Da dietro la bottiglia Kageyama era più intento a studiare quel problema. Il modo veloce in cui si era tolta le scarpette per indossare di fretta le calze di spugna, si irrigidì appena stringendo le labbra sul beccuccio della borraccia scorgendo una brutta cicatrice sul piede destro. Sembrava troppo lungo e spesso per essere un graffio accidentale. ‘Infortunio...’ L’unica cosa che gli venne in mente. Il cervello iniziò a proporgli alcune alternative possibili. 

Ikeda sorrise tirando fuori le scarpe nuove. 

Il logo olografico si confondeva perfettamente tra le macchie colorate che formavano il motivo di quella particolare edizione; una base bianca quasi inesistente coperta da un miscuglio dove il viola restava protagonista anche se accompagnato da un azzurro e rosa, entrambi chiarissimi abbastanza da essere definiti pastello. Il rosa, con dispiacere della proprietaria, ripreso nell’imbottitura interna e nei lacci che però aveva cambiato subito dopo l’acquisto.

«Waaaa che belle!» Osservò Hinata sedendosi per vederle meglio. «Da vicino sono anche più belle.» 

Ikeda passò i polpastrelli sulla suola in caucciù, quando le aveva comprato insieme a Helmi non credeva le avrebbe mai indossate per giocare effettivamente su un terreno che fosse parquet. Queste e quelle che aveva utilizzato a fino a consumarle a Brixton erano state più un acquisto di capriccio, una scusa per andare a Berlino e vedersi lì. Quei colpi di testa stupidi, il mettersi in fila fuori dal negozio insieme a un quantitativo di persone presenti per il medesimo scopo... 

Kageyama fece una smorfia disgustato. «Belle solo se ti piacciono le cose false.» 

Ikeda rimase in silenzio e Hinata sospirò prima di rispondergli «Sei un idiota...» Disse girandosi «Ho visto le foto nel suo profilo mentre le comprava.» 

«Non esistono scarpe così.» Ribatté. L’alzatore rivolse una smorfia ai due. 

Ikeda non sollevò lo sguardo, si mosse solo per indossarle tirando bene i lacci. 

«Ma queste non le aveva comprate la ragazza con te?» Domandò ignorando di proposito il ragazzo. Ormai sapeva quando era necessario parlare e quando no. 

«“Queste”...» Ikeda si decise ad aprire bocca per rispondere anche a Kageyama. «Sono un’edizione limitata, disegnata per il mercato europeo e venduta esclusivamente lì. Cos’è hai un feticismo per le scarpe? Da pallavolo nello specifico? Maschili? Femminili? Entrambi? Speravi di allacciarmele già adesso?» Il tono di voce sarcastico si sopì tornando normale mentre alzava gli occhi per osservare Hinata ridacchiare. «Le hanno vendute in anteprima a Berlino, la politica del negozio, però, vista la vendita anticipata e l’esclusività imponeva un acquisto per persona. Io volevo entrambi i modelli quindi Helmi ha comprato il secondo per me.» 

«Perché entrambi? Le altre dove sono?» Domandò incuriosito. I primi si erano allontanati rimettendosi a passarsi la palla, più per gioco per che allenamento, attendendo i senpai presentarsi in palestra. Kageyama invece era rimasto.  

Le labbra di Ikeda si incresparono in un sorriso accondiscendente. «Le altre le ho già belle che consumate. Entrambi perché...» 

«Se sono due modelli vuol dire che sono differenti tra loro, idiota! Come diavolo le hai comprate le scarpe fino adesso?» Kageyama non aspetto nemmeno che l’altro rispondesse «Non ti sarai curato di nessuna tabella come tuo solito. In ogni caso sono delle Beyond di merda.» 

«Oooooh, sentiamo, e perché lo sarebbero?» Ribatté Ikeda, ignorando come Hinata volesse rispondere di come fosse stato giornate intere a studiare cataloghi, consigli in rete e quelli del negozio in cui lo aveva indirizzato Kageyama stesso. 

«Hanno un colore di merda!» 

Ikeda si alzò di scatto, le mani sui fianchi sporgendosi appena verso di lui. «Oh, scusa...» Il tono sarcastico nuovamente presente, «Preferisco, almeno, qualcosa del genere. Non vedo motivi ragionevoli del perché quelle femminili nere debbano costare un rene in più rispetto a quelle rosine del cavolo. Quelle maschili non hanno uno stacco di prezzo così esagerato.» 

«Sono solo colori!» Ringhiò Kageyama non volendo mollare il punto. 

«Indossale tu rosine se vuoi! Spendere per spendere meglio queste! Venivano venti talleri più rispetto a quelle nere.» 

Kageyama si accigliò. «Che diavolo dovrebbe essere?!» 

«Poco di più! Ecco quanto!» Replicò Ikeda in tono alto, come se il ragazzo di fronte fosse totalmente stupido. ‘Bravo un corno!’ Pensò ‘Idiota. Re degli Idioti!’ 

«Ehi!» 

Si erano girati entrambi in direzione della porta. Il capitano se ne stava a braccia incrociate, serio, troppo serio, serissimo. Entrambi decisero di tacere. Dietro Ennoshita il resto della squadra se ne stava divertito. Tsukishima non si sorprese di trovarli già ai ferri corti. ‘Avrei dovuto preparare dei popcorn, dora in poi entrerò in palestra con un pacchetto’ 

«Cos’è tutta questa folla stamattina?» Domandò Ennoshita spostando gli occhi dai due, sentiti anche fuori la porta, focalizzandosi sul gruppetto di kohai al centro del campo. Come da copione, per il sollievo del duo strambo, si erano attenuti al copione concordato dicendo di come avessero in programma di incontrarsi con Ikeda per correggere i compiti di inglese avendo poi incontrato i due ragazzi si erano spostati tutti insieme in palestra. 

Tsukishima lanciò un’occhiata veloce alle scarpe di Ikeda. «Gli hai concesso il grande onore?» Domandò alludendo alla possibilità di farsi, forse, allacciare le scarpe dal Re, provocando una smorfia sul viso di Kageyama. 

Ikeda sgranò gli occhi nocciola. «Non dire sciocchezze.» 

«Mi offro volontario!» La voce di Nishinoya arrivò da dietro le spalle di Yamaguchi e Kinoshita. 

«Anche io mi offro volontario come Noya senpai!» fece eco il secondo libero. 

Shoji ghignò «Al massimo potrai essere il giullare, sarò il suo servo personale» 

«Noya smettila di dare il cattivo esempio, non dire sciocchezze dai. Yaotome non copiarlo così o finirai in un mare di guai, anche tu Shoji.» Narita poteva non ricoprire il ruolo da vicecapitano, come Kinoshita, conoscendo tuttavia l’influenza generata dalla personalità del suo compagno sapeva di dover dare manforte ed essere anche lui una voce ragionevole in più per la squadra. 

«Avanti, avanti.» Fece Ennoshita battendo le mani. «Tutti con le giacche forza. Sapete cosa fare.» 

Kinoshita batté le mani, «In fila, veloci.» 

L’invito del capitano spinse i presenti ad affrettarsi per esaudire quella richiesta. Kageyama strinse i denti voltando il capo indossando l’indumento, prima avrebbe terminato anche quella operazione prima avrebbe potuto andare oltre. I quattro ragazzi di primo anno si erano ben guardati dal dire quella cosa a Ikeda, certo quando i senpai gli avevano dato quel benvenuto si erano guardati tra loro mordendosi le labbra, sicuramente avrebbero preferito ci fosse anche Ikeda a riceverlo ma erano ben contenti di essere dal lato opposto. Infilandosi velocemente le giacche si posizionarono dandole le spalle mentre Yachi dalla busta che teneva tra le mani fece spuntare la divisa nuova, ben lavata e piegata con cura, mettendola tra le mani di Ikeda come Kyoko-San aveva fatto con lei l’anno precedente. 

Ikeda osservò la divisa. La sua nuova divisa, il tessuto in alcuni punti rifletteva la luce rendendo quel nero appena lucido e il piccolo logo bianco sul lato destro risaltava, protagonista assoluto in tutto quel nero. Ennoshita prese un gran respiro, «Tre...due...» 

«BENVENUTA NEL CLUB DI PALLAVOLO DELLE SUPERIORI KARASUNO!» Terminarono a gran voce i componenti della squadra indicandosi i caratteri sulla schiena. 

Hinata giurò che Kageyama avesse tenuto la bocca più serrata di quando cercava, invano perché alla fine capitolava sempre, con tutte le sue forze di sopportare e resistere durante le sessioni di studio con Tsukishima. L'espressione stitica era la stessa di quei momenti scanditi dall’insistente schiocco prodotto dallo spilungone occhialuto altrettanto infastidito. 

Nishinoya si voltò subito, più eccitato per quello che stringeva in mano, guardò Tanaka che annuì complice anche lui. «Ikeda aspetta! Tieni!» 

Ikeda alzò una mano, dubbiosa, afferrando quella che sembrava una maglietta. Dal colore rosa sgargiante non sembrava qualcosa di scolastico, sicuramente non qualcosa che avrebbe scelto volontariamente di indossare ma i due sembravano così allegri con un sorriso allargato da parte a parte del viso. Poggiandola sul braccio che reggeva la divisa nera, il rosa sembrava ancora più carico, la aprì per vederla meglio. Tutta quell’esaltazione non poteva derivare solo da una maglietta e infatti in breve tempo, dopo aver assorbito quel regalo, si ritrovò a ridere. Continuò a ridere senza riuscire a fermarsi tenendosela stretta mentre poggiava la divisa a terra. Il suono della risata proseguì mentre si dirigeva nello sgabuzzino. 

«Si sta...?» Mormorò Nishinoya rivolto a Tanaka, entrambi osservando la porta chiusa. 

«Gwaaaa...!» 

«Hinata ricomponiti!» 

Il blu degli occhi di Kageyama si appuntarono di nuovo sul mucchietto degli effetti personali della ragazza. La divisa abbandonata con noncuranza, come un oggetto qualsiasi, lo innervosì. Non prestò attenzione alle risatine del resto della squadra, il commento sarcastico e saccente di Tsukishima arrivò leggero segno che l’occhialuto, fortunatamente, si trovasse troppo distante da lui. 

«Lasciate che se ne accorga da solo...» 

Quelle parole invece arrivarono chiare, il timbro della voce divertito; mentre Ikeda si avvicinava. L’anonimo candore della maglietta che indossava poco prima sostituito da un accecante, fastidioso, rosa sgargiante. 

Ikeda fece cadere la maglietta appena tolta sul pavimento, tra le sue cose, e con un grande sorriso stampato in faccia prese la bottiglietta iniziando a bere. 

Raramente Kageyama aveva dei tempi di reazione così brevi al di fuori del campo; quello che vide, tuttavia, fece scattare immediatamente tutti gli ingranaggi. Tra le pieghe increspate si poteva comunque leggere chiaramente quanto scritto. 

Anche i Re devono cedere il campo 

L’espressione dell’alzatore di fece minacciosa. «Toglila...» Sibilò digrignando i denti, la voce vibrante di rabbia. «Immediatamente!» Aggiunse nel silenzio creatosi in palestra. 

Non si udiva una mosca volare. Se anche stesse volando avrebbe chiuso le ali, preferendo una caduta al suolo volontaria al volare lungo delle turbolenze che tutti avvertivano lungo la pelle sottoforma di brividi. 

Erano rimasti tutti ammutoliti. Ukai sul ciglio della porta appena giunto per l’allenamento se ne restava a bocca aperta, sicuro che quel giorno avrebbero perso l’unico alzatore in squadra per dilagante stupidità. Tutti in attesa nel sentire il suono, sordo, di uno schiaffo. 

Idiota...irrimediabilmente idiota forse...’ Ragionò Ikeda osservandolo trattenere a stento la rabbia colorargli il volto. Decise di non si mostrarsi turbata, era chiaro il limite mentale della persona che le si parava davanti. 

«Non mi hai sentito?» 

«Kageyama!!» Fece il capitano a distanza in tono di rimprovero. 

Da dietro la spalla del ragazzo, Ikeda, notò Ukai pronto per fare una lavata di capo al ragazzo che difficilmente avrebbe dimenticato, socchiuse gli occhi alzando una mano e l’allenatore si bloccò. La squadra chiuse gli occhi aspettandosi il peggio. Il rumore invece non arrivò. 

«Credimi, Kageyama...ti hanno sentito tutti,» disse Ikeda mantenendo una calma stoica provocando una risatina tirata tra i presenti, Ukai passava dal sollievo al voler mettere le mani al collo dell’alzatore. «Facciamo che vengo incontro ai tuoi limit-» 

«Non ho ness-» Kageyama la interruppe venendo a sua volta bloccato. 

«Facciamo che la metto in palio.» Disse interrompendolo a sua volta. Ikeda sospirò alzando lo sguardo su Kageyama. 

«Levala!» Ordinò Kageyama stringendo i pugni. 

«Hinata dice che ti piac-» 

«Non sono io che sto perdendo contro Hinata!» Lanciò un’occhiataccia in direzione del centrale nascosto tra Yamaguchi e Tsukishima. 

«-e gareggiare. Mi vuoi far finire di parlare?! E chi ha parlato di perdere? Cos’è? Stai mettendo le mani avanti perché sai di non poterla spuntare?» 

Kageyama inspirò profondamente dal naso tornando ad analizzare la ragazza e Hinata tremò, quel gesto solitamente anticipava un pugno o un calcio. Con sorpresa di tutti invece rimase immobile, contratto nello sforzo per combattere quell’istinto. Ma aveva sentito Ukai alle sue spalle, la presenza a intimargli di non provarci nemmeno a pensare a quel gesto. Ikeda se ne stava tranquilla, in attesa; l’angolo destro delle labbra leggermente sollevato in un accenno ironico. 

«Bene,» commentò la ragazza. Quello era decisamente un buon segno, un’ondata da prendere con le vele spiegate. «Facciamo che se riesci a intercettare, tenere e permettere di rigiocare un mio attacco di seconda io rinuncerò a questo dono,» propose lisciandosi il tessuto della maglietta sulle spalle. «Naturalmente sono escluse le schiacciate,» concluse porgendogli la mano. 

Kageyama rimase titubante, squadrando la mano protesa verso di lui. «Accetti o no? Stringila ed è fatta. Sono di parola lo hai visto,» facendo spallucce mosse leggermente le dita per invitarlo a stringerle la mano e accettare. «Riesci a fare questo e te la consegnerò subito.» 

Kageyam tentennò ancora un momento, poi strinse quella mano facendo poca pressione. Avrebbe voluto stritolarla ma quella mano gli serviva. Ikeda scosse la testa superandolo, facendo ondeggiare appena la treccia sulle spalle, bofonchiando qualcosa a voce troppo bassa per il resto della squadra ma non per lui. «Ripetilo se hai coraggio!» 

«Quale parte vuoi che ripeta Kageyama?» Chiese la manager, le labbra ancora lievemente piagate. «Quella idealizza a più idiota di te chiunque ti abbia soprannominato “Re del campo”,» fece una pausa. «Forse la parte del “Re puoi esserlo solo degli idioti”? Ripeto, confermo,» alzando una mano prese a scrivere con una penna fatta di nulla su un foglio invisibile. «Sottoscrivo.» Concluse Ikeda. 

Kageyama serrò le labbra contraendo la fronte. La squadra taceva. 

«Ti sei fatto andare bene i miei termini,» disse la ragazza dopo un istante. «Non hai fatto nessuna controproposta, nulla.» 

«Non ne ho bisogno.» 

Scacco. Ikeda alzò leggermente il capo. «Quindi non sarebbe stato meglio mettere dei paletti? Non so...accettare ma a condizione che l’azione dovrebbe essere svolta nel primo set. Entro i primi 10 punti di ogni set,» spiegò Ikeda vedendo come quei capelli corvini risaltavano sul viso che stava impallidendo. 

«Sua Ex-Maestà poteva almeno pensare di richiedere un numero minimo di pallonetti,» aggiunse Tsukishima facendo voltare tutti. 

Scacco matto. 

Ikeda schioccò le dita indicando il centrale ma continuando a fissare negli occhi Kageyama. «Avrei risposto con un numero massimo da non superare, ma ottima osservazione Tsukishima,» proseguì. «Questo ci porta al nocciolo della questione. Hai lasciato tutto in mano mia. E tu te ne starai dall’altro lato della rete con l’ansia, in una situazione in cui ti ci sei infilato da solo. Io deciderò se e quando mi andrà di farlo. Penso proprio che non mi andrà di farlo e questa maglietta resterà nel mio armadio.» 

Kageyama strinse le labbra per evitare di mordersele fino a farle sanguinare. Preso dal momento, dalla rabbia e dal desiderio di bruciare seduta stante quella maglietta si era fatto trascinare, di nuovo, da Ikeda senza rendersene conto. 

«Bene, allora facciam-» 

«No, no, no...» Ikeda sbuffò schioccando in seguito la lingua un paio di volte per continuare con quel diniego. «Hai accettato, dovevi pensarci prima. Non ci hai pensato? Un tuo problema! Ti sembro stupida? Perché dovrei ritrattare un accordo che va completamente a mio vantaggio?» 

«Ikeda,» la richiamò Ukai. «Vieni fuori un momento.» 

Guadò con calma un’ultima volta Kageyama, si girò incamminandosi per raggiungere Ukai. Le mani dietro la schiena, spalle dritte, testa leggermente alzata. «Segnatevelo questo giorno. Il prossimo anno il 15 Aprile festeggeremo il primo anno della mia incoronazione, avvenuta ufficialmente oggi.» 

‘Giuro le servo a cinque centimetri dal piede! Non la sopporto.’ 

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