Insieme, Xsempre

di Nina Ninetta
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo bivio ***
Capitolo 2: *** Risoluzione 1 - Elisa accetta l'invito di Max ***
Capitolo 3: *** Risoluzione 2 – Elisa non accetta l’invito di Max ***



Capitolo 1
*** Capitolo bivio ***


Ciao bella gente! Come anticipato nell'intro della storia, questo racconto partecipa a una challenge di Ashla in cui ci si pone il dilemma delle scelte. Quante volte ci siamo chiesti: chissà cosa fosse successo se avessi deciso A invece di B. Beh, questa challenge vuole appunto mostrare entrambe le decisioni, nel mio caso di Elisa... Seguiranno due capitoli, in ciascuno dei quali riporterò l'evolversi della vita della protagonista, a seconda della scelta fatta alla fine di questo primo capitolo, detto perciò "bivio". Mi farebbe tanto piacere sapere VOI cosa aveste fatto e, magari alla fine dei due prossimi capitoli detti "risoluzione" e che usciranno insieme , dove Elisa abbia fatto meglio, se scegliere A o B. Buona lettura, Nina^^


INSIEME,

XSEMPRE

 
 

 Capitolo Bivio
 

Ciò che è destinato a te
troverà sempre il modo
di raggiungerti”
H. Browne
 

Elisa non ricordava di essersi mai sentita così euforica come quel pomeriggio di metà luglio. I grigi e interminabili giorni di scuola erano ormai un lontano ricordo, davanti a sé si dipanava una lunga stagione estiva, scandita da sole, mare e nuovi amori. L’amicizia? Beh, quella ce l’aveva già ed era un punto fermo della sua vita da una decina di anni a quella parte. Lei e Giorgia – o Giò-Giò, come amava vezzeggiarla – erano inseparabili. In famiglia e a scuola le avevano soprannominate “sorelle siamesi” e loro ne andavano fiere. Indossavano quell’appellativo manco fosse una corazza, convinte che le avrebbe tenute unite e protette dal male e dal dolore.
“Insieme, Xsempre” scrivevano sulle pagine dei loro diari, con penne glitterate dai colori.
Elisa diede un’ultima scrollata ai capelli ricci e rossi, tendenti all’arancio, quando sentì dapprima il doppio suono del clacson e poi la voce della mamma che la chiamava: Giorgia e sua madre erano arrivate!
«Arrivo!» Urlò Elisa uscendo dal bagno, afferrò al volo la sacca/zaino nella sua stanza e percorse a grandi falcate il corridoio, annuendo scocciata alle raccomandazioni della mamma.
«Hai capito, Eli? Non accettare niente dagli sconosciuti!»
Fu l’ultima frase del genitore, mentre la figlia adolescente era già a metà della rampa di scale di un palazzo alto sei piani, quest’ultimo abitato dalla famiglia di Elisa e un altro paio di condomini.
«Mamma, ho 17 anni ormai!»
«Ne hai 16!» Replicò la donna.
«Quasi 17!» Concluse la ragazza che in effetti avrebbe compiuto gli anni a settembre.
 
Giò-Giò l’aspettava fuori dalla macchina, con i capelli castani e lisci legati in una coda bassa e gli occhiali da vista appoggiati sulla punta del naso. Appena si videro si corsero in contro e cominciarono a saltellare sul posto, tenendosi per mano, starnazzando simili a oche impazzite.
Erano emozionatissime!
Aspettavano quel giorno da circa un anno, quando cioè avevano scoperto che i Beat Busters, la loro band musicale preferita, avrebbe tenuto un concerto nella propria provincia. L’euforia della notizia, però, aveva ben presto lasciato il posto alla frustrazione: i loro genitori non avrebbero mai dato il consenso, cominciando con la solfa dell’età, dei pericoli e degli incidenti. Alla fine, tuttavia, erano riuscite a scendere a patti: loro si sarebbero impegnate molto di più a scuola – quell’anno erano state promosse con la media del 6 – e, soprattutto, avrebbero dato una mano nelle faccende domestiche. Di nascosto, le loro mamme avevano acquistato i biglietti dell’evento e glieli avevano fatti trovare sotto l’albero di Natale. Inutile descrivere la gioia delle ragazze: entrambe erano scoppiate in lacrime per la felicità.
 
La mamma di Giorgia fece un cenno a quella di Elisa, la quale si era affacciata al balcone avendo delle raccomandazioni anche per lei. Di comune accordo, avevano infatti deciso che la madre di Giò-Giò le avrebbe accompagnate fin davanti allo stadio, luogo in cui si teneva l’evento, e le avrebbe aspettate per tutto il tempo in macchina. Le due amiche avevano chiesto che potessero tornare a casa con la metro, poiché avrebbero tanto voluto attendere fuori dal backstage i membri della band. In particolare il cantante Max, per cui Elisa aveva una vera infatuazione. Da tutte e due le famiglie era arrivato un categorico no! Non esisteva! Dopo il concerto dritte in macchina e poi a casa. Avevano solo 16 anni, era già un miracolo che avessero regalato loro i biglietti per il concerto. Si era deciso che ad accompagnarle fosse la mamma di Giorgia per due motivi: uno, perché entrambi i papà lavorano essendo un giorno feriale e la partenza era prevista intorno alle 17:00 (per arrivare in anticipo di qualche minuto rispetto all’apertura dei cancelli e prendere quanto più possibile i posti sotto al palco); due, poiché Elisa aveva una sorellina di appena quattro anni che non era il caso di portare con loro.
Nonostante avessero pronosticato di giungere dopo un’oretta di cammino, il traffico all’uscita autostradale si era presentato più scorrevole del previsto e, quasi un paio di ore prima dell’apertura dei cancelli, Elisa e Giorgia erano già in fila nei primissimi posti. Quando gli steward spalancarono le inferriate, i fans si riversarono a frotte sull’erbetta del campo da calcio. Fra spintoni e gomitate varie, tenendosi per mano, le due amiche riuscirono a raggiungere le transenne, oltre alle quali c’era solo il palco dove fra poco si sarebbero esibiti i loro beniamini.
L’eccitazione era tangibile, qualcuno cominciò a intonare una delle canzoni più famose dei Beat Busters, da lontano si udirono note arrangiate alla chitarra e ben presto tutti i presenti gli andarono dietro, cantando e oscillando le braccia a ritmo. Si creò così una bella atmosfera, amichevole e gioviale, che accompagnò la lunga attesa e la rese meno pesante. Poi, alle 22:00 in punto, con almeno quaranta minuti di ritardo, le luci sul palco si spensero e il pubblico rimase con il fiato sospeso.
«Ci siamo!» sussurrò Giorgia alla sua amica.
«Sì!» Riuscì solo a balbettare l’altra, la quale era così emozionata che per un attimo temette di svenire. Il cuore le batteva impazzito, la testa le vorticava e quell’improvviso silenzio, dopo ore di baccano e voci di sottofondo, pareva quasi sfondarle i timpani. Avvertì la stretta delle dita di Giò-Giò che si chiudevano intorno alle sue e ricambiò.
«Buonasera meravigliose creature!» La voce di Max rimbombò in tutto lo stadio e un boato si alzò da ogni dove. I riflettori si riaccesero, puntati al centro del palo e solo allora Elisa urlò, alzando i pugni al cielo. Max era a pochi metri da lei, bello come il sole. Radioso. Aveva entrambe le mani adagiate sul microfono, le unghie colorate di nero spiccavano sulla carnagione pallida; il viso era rivolto di profilo e i capelli, chiari e spettinati, glielo coprivano. Indossava pantaloni di tela scuri; il torso era nudo, come di consueto, ma dipinto da diversi tatuaggi. Elisa li conosceva tutti e di ognuno aveva letto il significato che avevano per Max. Quest’ultimo cominciò a battere il piede scalzo, seguendo le note del loro primo singolo, quello che li aveva resi famosi, e finalmente si voltò a guardarli.
«Questo è per voi» disse, aveva una voce vellutata, pacata. Seducente. «Siete il mio tutto, splendide creature!» Concluse, strizzando un occhio.
Elisa impietrì. Per un attimo, un solo istante, le parve che l’avesse guardata e che quell’occhiolino fosse rivolto a lei. Ma era impossibile, giusto? Intorno a lei c’erano migliaia di persone, come poteva anche solo illudersi che Max l’avesse notata e dedicatole quel piccolo gesto?
 
Il concerto andò avanti per due ore filate. Quando Max annunciò che lo spettacolo era finito, dagli spalti si elevò in coro il ritornello del loro ultimo pezzo e la band li seguì a ruota.
«Grazie per la vostra compagnia, anime erranti. Non spegnetevi mai. Bruciate. Bruciate d’amore e passione. Vivete e bruciate. Ciao!»
Furono queste le ultime parole del cantante, prima di inchinarsi al suo pubblico insieme agli altri membri dei Beat Busters. Max sollevò appena lo sguardo e di nuovo Elisa ebbe la sensazione che la scrutasse. Le stava sorridendo, possibile? Le gambe erano gelatina, la gola le doleva per il troppo urlare e cantare; gli occhi umidi di lacrime di gioia e anche per i fumi che non solo si erano elevati dal palco in qualità di effetti scenografici, ma anche per tutto ciò che si erano fumati quelli che la circondavano (e offerto, ma lei e Giorgia avevano rifiutato garbatamente). Mentre pensava a tutte quelle cose, però, le luci sul palco si spensero e i Beat Busters furono inghiottiti dall’oscurità che li aveva preceduti.
 
I giovani ragazzi della band rientrarono nel backstage, accettando volentieri le bevande e il cibo che veniva offerto loro, con tanto di complimenti per lo show.
«Siete stati fenomenali!» Esordì il loro agente, un uomo di mezza età e di bell’aspetto.
«Portami la rossa» disse Max, avviandosi al suo camerino.
L’uomo sbirciò oltre le spesse tende scure e notò subito la ragazza di cui parlava il vocalist dei Beat Busters: quella criniera fulgida sarebbe risaltata anche a chilometri di distanza.
«Ma chi, quella in prima fila? Non avrà neanche 15 anni!»
«Non fa niente. Tu portamela. Voglio conoscerla» concluse Max.
 
«Wow!» Disse solo Giò-Giò, con gli occhi ancora emozionati. «È stato bellissimo!»
«Già, stupendo!» Le fece eco Elisa, anche lei con lo sguardo fisso sul palco, come se si aspettasse di veder comparire Max da un momento all’altro.
«Adesso però dobbiamo uscire di qui…»
Sentendo il tono rassegnato dell’amica, Elisa si voltò indietro e si demoralizzò. C’era una marea di persone che stavano lasciando lo stadio e quelle che le precedevano non si erano ancora schiodate di un millimetro dal proprio posto. Le doleva ogni parte del corpo, ovunque e dappertutto. Adesso che l’adrenalina stava scemando, ecco che i segni della stanchezza cominciavano a farsi sentire, ora non desiderava altro che tornare a casa, farsi una doccia e stendersi sul suo letto.
Entrambe le ragazze stavano valutando un percorso alternativo, magari più veloce, che avrebbe concesso loro di lasciare lo stadio indenni da quella calca di corpi, quando una voce maschile attirò la loro attenzione:
«Signorina dai capelli rossi, mi scusi…». L’agente dei Beat Busters si schiarì la voce in attesa che Elisa si voltasse. Era terribilmente imbarazzato e tentato di mentire a Max, dirgli che non ce l’aveva trovata, che uscendo dal backstage la rossa era già andata via. Ma, sapeva che lui non ci avrebbe creduto e sarebbe uscito di persona a constatare.
Elisa e Giorgia si girarono all’unisono, l’espressione sbigottita le fece sembra ancora più piccole d’età.
«Dice a me?» Chiese la prima, indicandosi con un indice, mente teneva per mano la compagna.
«Sì, dico a lei. Max avrebbe piacere di conoscerla» rispose tutto d’un fiato l’uomo, che aspettò la risposta con finta disinvoltura, le mani piantate nelle tasche del pantalone dal taglio classico.
Elisa sgranò gli occhi. Allora non era stata solo una sensazione la sua, Max veramente le aveva strizzato l’occhio e ammiccato.
«Eli! Ehi, Eli!» Giorgia la stava chiamando, scuotendola con delicatezza. Elisa si girò a guardarla senza vederla davvero. «Non vorrai mica andare? Dobbiamo tornare alla macchina!» La dolce Giorgia si guardò intorno con terrore. «Non lasciarmi da sola, in mezzo a tutta questa gente…»
 
Elisa aveva la testa vuota, leggera. I suoni le arrivavano ovattati, lontani, mentre una sola domanda prendeva letteralmente forma nella sua mente, come una frase scritta su un foglio bianco: che fare?     


 
...

 

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Capitolo 2
*** Risoluzione 1 - Elisa accetta l'invito di Max ***




RISOLUZIONE 1 - Elisa accetta l’invito di Max


 
«Sono incinta, Giò-Giò!»
Giorgia spalancò gli occhi castani, acconciandosi le lenti da vista con due dita, un gesto che negli anni era diventata un’abitudine. Un vezzo, per meglio dire.
«Ma che cazzo dici, Eli?!» Quasi ringhiò fra i denti, sporgendosi in avanti sul piccolo tavolino rotondo del bar.
«Neanche io potevo crederci all’inizio. Ma ho fatto ben due test di gravidanza e sono usciti entrambi positivi!»
Giorgia si fece indietro con la schiena, incredula. Non sarebbero mai dovute andare a quel cazzo di concerto tre anni prima. Mai! In quel preciso istante, quando Elisa le aveva lasciato la mano – letteralmente e metaforicamente – per andare a incontrare il suo – il loro – beniamino Max, il destino si era spaccato in due, creando una sorta di biforcazione delle proprie esistenze.
Elisa, che la conosceva bene, non poté non notare il disappunto impresso sulla faccia dell’amica.
«Che c’è? Non sei contenta per me?»
Giò-Giò abbozzò un sorriso cinico, poi aggiunse:
«E come potrei essere contenta per te, quando stai gettando al vento la tua vita?»
«IO starei gettando la vento la MIA vita? Dovresti conoscermi e sapere che sono felice con Max.»
«Proprio perché ti conosco so che stai sprecando i tuoi anni migliori, Eli!» Giorgia si trattenne dall’urlare. «Avevamo dei sogni, dei progetti, cazzo! Tu saresti diventata un medico e io un’insegnante di italiano, te lo ricordi?»
«Le cose cambiano…» Elisa chinò il capo, incupendosi.
«Sei tu che decidi di farle cambiare, non accadono per caso. La scelta è sempre e solo tua…»
«E io ho deciso di fare questo bambino e altri cento con Max, ok?!» L’aggredì Elisa e Giorgia mostrò i palmi sollevando le spalle.
«Fa come vuoi. Io la settimana prossima comincio i corsi all’università.»
«Allora te ne vai?» Elisa accennò un ghigno mesto. «Mi abbandoni…»
«No, sei stata tu ad abbandonarmi anni fa, al concerto.»
Elisa sgranò gli occhi, colpita e affondata. Giò-Giò aveva ragione, dannazione! Ma allo stesso tempo non capiva le emozioni che l’avevano travolta, né quello che aveva dovuto sopportare per restare al fianco di Max fino a quel momento. D’altronde, non avrebbe potuto comunque comprenderlo, poiché non le aveva mai raccontato nulla. Provava vergogna, troppa.
E cosa avrebbe dovuto confidarle, precisamente?
Che Max all’inizio era stato tanto carino e gentile, offrendole una bevanda azzurrognola e assicurandole che fosse analcolica e che invece si era risvegliata il giorno dopo in una squallida roulotte con scritto “staff” sulla fiancata, senza neanche le mutandine addosso? Che la sua prima volta era perciò stata con il suo idolo: sogno proibito di milioni di adolescenti nel mondo, ma un vero incubo per lei? O delle percosse che suo padre le aveva dato quando era rincasata, definendola in mille modi diversi e tutti offensivi?
Due settimane dopo, però, l’agente di Max era ricomparso davanti scuola e l’aveva invitata a salire a bordo della bellissima e grandissima macchina scura dietro di lui. Elisa lo aveva seguito, perché nonostante tutto aveva sperato che Max si facesse vivo. Nella stanza di un hotel a cinque stelle le aveva offerto un nuovo cocktail e di nuovo si era sentita intontita dopo averlo bevuto, ma almeno questa volta era riuscita a non perdere completamente i sensi. Era andata avanti così per quasi un anno, incontrandosi in gran segreto, solo la sua Giò-Giò ne era a conoscenza. Più volte l’aveva consigliata di smetterla di vederlo, che quella storia le stava facendo del male, era una relazione tossica.
Elisa aveva preso anche a fumare e non solo semplici sigarette… quando Max partiva per una tournée e stava fuori per mesi interi, cadeva in una sorta di trance depressiva. Giorgia temeva che non fosse solo una conseguenza della mancanza di lui, ma anche di qualche sostanza di cui il corpo non riusciva più a farne a meno. Poi il cantante tornava e il circolo senza fine riprendeva.
«Giò-Giò, aspetta, io…» Elisa vide la compagna alzarsi e lasciare qualche euro sul tavolo per pagare i caffè che avevano consumato. Gli ultimi insieme, con ogni probabilità.
«Offro io» disse, senza riuscire a guardarla in faccia. I suoi bellissimi riccioli aranciati si erano trasformati in quattro peli spelacchiati; il viso tondo e in salute era ormai smunto, grigio, con occhiaie perenni sotto agli occhi, dalla pupilla sempre un po’ troppo dilatata. Della sua amica non era rimasto niente.
«Buona fortuna, per tutto» furono le sue ultime parole, prima di allontanarsi senza voltarsi indietro.
 


15 ANNI DOPO

 
Il telefono di casa squillò alle prime luci dell’alba, ma Giorgia era già uscita da un pezzo. Le piaceva fare una corsetta con l’aria fresca: poiché alle otto di mattina il termometro segnava già 28°C, la sua sveglia era impostata diverse ore indietro. Quando rientrò, l’accolse il consueto scalpiccio dei passi di Cocò sul pavimento. Si chinò a salutarlo e il cagnolino – un meticcio di piccola taglia che aveva adottato da diverso tempo al canile municipale – scodinzolò felice. Poi mise a fare il caffè e consultò l’orario scolastico: aveva lezione alla seconda ora, perfetto, aveva ancora un po’ di tempo per sé. Solo allora notò la lucina rossa della segreteria telefonica che lampeggiava. La fissò per qualche secondo, interdetta, mentre una sensazione di paura le attanagliava lo stomaco. Niente di buono era in arrivo, se lo sentiva. Pensò all’anziana nonna o a quella zia operata al femore il mese scorso. Pigiò il tasto con il triangolo verde e rimase in attesa.
Ciao Giò, sono la mamma. Ti chiamo per dirti una cosa davvero triste” sospiro profondo. “Elisa non c’è più”.
Giorgia si lasciò sprofondare nel divano, le mani davanti la bocca e gli occhi già pieni di lacrime.
È stata ritrovata ieri notte, nel suo appartamento, dopo giorni che nessuno la vedeva” altra pausa. “Dicono che sia morta di overdose. Sua madre è distrutta, poverina. So che non vi sentivate più da un pezzo, ma siete state tanto amiche, sarebbe carino se passassi per il funerale. Ciao. E chiamami appena puoi”.
Il nastro si interrompeva con un click, ma subito dopo partì una seconda registrazione:
Giorgia, sono sempre io. Ovviamente, se te la senti di venire, non sei obbligata. È solo che la mamma mi ha sempre chiesto di te in questi anni e forse le farebbe piacere salutarti” di nuovo quel click di chiusura, questa volta definitivo.
Giorgia piangeva convulsamente, le spalle scosse da tremiti e il respiro corto. Sapeva che la vita di Elisa era stata un inferno, sua madre non mancava occasione di informarla sulle ultime vicende che la riguardavano. Probabilmente, lo faceva perché sperava che si riavvicinassero, per aiutarla, ovvio, ma non aveva mai osato chiederglielo direttamente, siccome conosceva già la risposta.
Giorgia si era sentita abbandonata dalla sua migliore amica, non una, ma per ben due volte. Ed era una sensazione che non augurava a nessuno, fatta di solitudine assoluta e straniamento verso il mondo. Non era un caso se poi non era più stata capace di intessere rapporti duraturi con le altre persone e, a quasi quarant’anni, viveva da sola con un cane, senza amici né fidanzati. Non si fidava del prossimo, ecco tutto.
Elisa era stata costretta ad abortire la prima volta che era rimasta incinta, cioè all’età di 19 anni, giacché l’agente di Max aveva detto a quest’ultimo che un figlio e un’eventuale compagna non avrebbero giovato all’immagine della band, e ancor meno all’aura di mistero che vorticava intorno al suo personaggio e che tanto piaceva alle teenager.
«Un uomo impegnato e con un figlio non intriga nessuno» aveva asserito.
La loro storia clandestina, però, era continuata. Max le aveva comprato un bilocale dove tenerla segregata, in pratica, facendole visita quando voleva e poteva, per farsi una scopata comoda e sballarsi, senza l’agente che si raccomandava di non esagerare. Elisa, quindi, era rimasta incinta di nuovo, ed essendo questa volta più grande e coscienziosa si era opposta all’aborto con tutte le sue forze, decisa a tenere quel bambino e a crescerlo con amore. Peccato che durante il quinto mese l’avesse perso a causa di un’emorragia.
Secondo la mamma, sua figlia non si era più ripresa dallo shock, il colpo era stato così violento che era andata in depressione. Ricoverata in una clinica di igiene mentale, ne era uscita solo poche settimane fa, per scoprire dalla pagina di una rivista scandalistica che il cantante dei Beat Busters sarebbe diventato papà per la fine dell’anno. Nell’intervista, con tanto di foto allegate, lui e la sua compagna – un’ex showgirl che, stando al giornalista, presto sarebbe diventata sua moglie – non vedevano l’ora di conoscere il loro piccolino.
L’autopsia sul cadavere di Elisa avrebbe rivelato il giorno più o meno preciso della sua morte, ma Giorgia non aveva dubbi che avesse deciso di farla finita dopo aver letto l’articolo.
Si sentiva in colpa Giorgia per averla lasciata sola?
Sì, assolutamente sì.
Era una sensazione lacerante, come se tutti i tessuti del suo corpo stessero andando in brandelli, strappati a morsi da una belva feroce. Ed era una sensazione che non sarebbe scomparsa mai più, semplicemente l’avrebbe accompagnata per il resto della vita, simile a una malattia silente, invisibile all’occhio umano.
Il loro “Insieme, XSempre” si era rivelato una mera menzogna e nulla più.
 


Fine

Risoluzione 1
 

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Capitolo 3
*** Risoluzione 2 – Elisa non accetta l’invito di Max ***




RISOLUZIONE 2 – Elisa non accetta l’invito di Max


 
«Oh mio Dio, ce l’ho fatta! Sono dentro!» Elisa rilesse per la terza volta il risultato del test d’ingresso per essere certa di aver capito bene.
«Ce l’hai fatta?! L’hai superato?» Giorgia la guardò felice, le brillavano gli occhi.
«Sì, leggi! È scritto qui!» Elisa le passò il foglio e attese che l’amica leggesse, poi si presero per mano e cominciarono a saltare sul posto, urlando e piangendo dalla gioia.
Non erano stati mesi facili quelli appena trascorsi. Elisa aveva passato l’estate a seguire un corso mattutino per superare l’esame scritto di medicina e i pomeriggi a ripetere fino alla nausea. Giorgia le aveva dato manforte, così anche lei aveva perso l’opportunità di divertirsi dopo il diploma.
“Questi sono gli anni migliori” dicevano. “Godeteveli”.
Peccato che non fossero riuscite a fare nulla di tutto quello che si erano prefissate, ma non importava, poiché la fatica aveva dato i suoi frutti: Elisa era stata ammessa alla Facoltà di Medicina e, perciò, a ottobre sarebbero partite insieme per frequentare l’università. Corsi diversi – Lettere e Filosofia per Giorgia – ma stessa città e quindi stesso appartamento condiviso. Sarebbe stata una figata, perché “Insieme, XSempre” non era solo un modo di dire.
Una sera, durante una cena fuori con un paio di amici, uno dei due si meravigliò di apprendere che fossero amiche da così tanti anni.
«È una cosa rara, vero?» Fece Elisa, bevendo un sorso di birra.
«Pensa che per me ha anche rifiutato di incontrare il suo idolo!» Cielo e quanto andava fiera Giorgia di quella storia. Ogni volta che la raccontava a qualcuno l’abbelliva con particolari sempre più fiabeschi, ma il senso restava immutato.
Quando quell’uomo vestito di tutto punto aveva chiesto a Elisa di seguirlo, giacché Max aveva piacere di conoscerla personalmente, la ragazza aveva guardato Giorgia, la quale l’aveva supplicata di non lasciarla sola.
«Può venire anche la mia amica?» Era stata la richiesta di Elisa e dinnanzi a una risposta negativa dello sconosciuto si era irrigidita, affermando che le dispiaceva, ma non avrebbe mai lasciato da sola Giò-Giò. In cuor suo, aveva ovviamente sperato che l’uomo concedesse a entrambe di incontrare Max, ma ciò non era accaduto e i restanti anni dell’adolescenza li aveva trascorsi a fantasticare su come sarebbe stato stringergli la mano. Nonostante ciò, non si pentiva della decisione presa: lasciare Giò-Giò da sola in mezzo a tutta quella gente? Ma neanche per sogno!
La loro esistenza era proseguita negli anni abbastanza linearmente, qualche intoppo qua e là, amori finiti male e lavori sottopagati, ma nulla che insieme non erano state in grado di risolvere e di risollevarsi a vicenda.
“Le siamesi” le aveva ribattezzate il marito di Giorgia, ormai rassegnato di dover condividere la moglie con la sua migliore amica.
«Lei c’è sempre stata» era solita dire Giorgia.
«E io no?» continuava il marito, quasi offeso.
«Tu sei arrivato dopo, quindi no» concludeva lei, sorridendogli e lasciandogli un bacio a fior di labbra.
Poi un giorno accadde qualcosa di impensabile. Elisa le telefonò mentre era in macchina, di ritorno dalla clinica di igiene mentale per cui lavorava da un po’ di tempo in qualità di neurologa.
«Giò-Giò, non ci crederai mai!»
«Qualche altro paziente che si è denudato durante la visita?» Giorgia ridacchiò. Spesso capitava che l’amica assistesse a scene davvero assurde e gliele raccontasse.
«No, peggio!»
«Si è masturbato?»
«Oddio no, che orrore!» Esclamò Elisa, facendo una smorfia di disgusto. «Sai chi hanno ricoverato oggi? Max…»
«Max… Max…» Giorgia tentò di ricordare chi fosse, quel nome le suonava famigliare, poi ricordò! «Quel Max? Il cantante dei Beat Busters?»
«Proprio lui!»
I Beat Busters aveva raggiunto l’apice della carriera intorno ai trent’anni, quando le loro canzoni erano riuscite ad abbracciare un pubblico più vasto che non si limitasse alle adolescenti. Ma, come spesso accade, raggiunta la cima non resta che la discesa verso il baratro. Le case discografiche cercavano qualcosa di innovativo e fresco, il loro genere cupo e mesto non “spaccava” più; la loro immagine non era richiesta come un tempo. Inoltre, negli anni Max era stato al centro di numerosi scandali riguardanti la droga e aborti clandestini che il suo manager era stato abile a sgonfiare, facendoli passare per flirt superflui. Aveva anche provato la carriera da solista, ma senza alcun risultato. Così, intorno ai quarant’anni, era praticamente scomparso dalla scena. Fino a quel momento, quando era stato portato in struttura direttamente dall’ospedale, con un TSO grosso quanto una casa incollato alla schiena.
«È grave?» Chiese Giorgia, lasciando un attimo da parte i compiti consegnati dai suoi alunni quella mattina.
«Abbastanza, sì» sospirò Elisa. «Se lo vedessi come si è ridotto. Del bellissimo ragazzo che era non è rimasto più nulla: è grasso, pelato, scorbutico…»
 «Che spreco.»
«Già, una vita buttata al vento» confermò Elisa, mentre parcheggiava nel garage sotto casa. «Menomale che non andai a conoscerlo quella volta al concerto o chissà che fine avrei fatto.»
«Non c’è di che, amica!»
Elisa rise. Negli anni Giorgia aveva rivisitato quella storia tante di quelle volte che adesso, nell’ultima versione, sembrava fosse stata lei a non abbandonarla in mezzo alla calca e non viceversa.
 
Max era appena un cinquantenne, ma ne dimostrava molti di più. Era un uomo distrutto da una vita dissoluta, fatta di droga e alcool. E antidepressivi. Durante il primo colloquio con la neurologa della clinica, ebbe per tutto il tempo la sensazione che si fossero già incontrati.
«Ci conosciamo, dottoressa?»
«No, non credo» rispose Elisa con garbo. Negli anni di pratica, aveva compreso che spesso a quelle persone serviva solo un po’ di umanità, un amico con cui confidarsi, prima ancora di una terapia efficace.
Max si rivelò il paziente perfetto, contro ogni aspettativa. Seguiva una dieta alimentare ferrea, prendeva le medicine senza discutere e non saltava mai un incontro con i vari medici, oppure i corsi di riabilitazione organizzati dai volontari. Dopo una decina di mesi sembrava aver riacquistato il pieno controllo di se stesso. Era dimagrito visibilmente e aveva smesso di assumere metà delle pillole che invece gli servivano prima (sotto prescrizione medica, si intende).
«Ti trovo molto bene, sai?!» Elisa gli sorrise.
«Grazie, dottoressa. Ecco, questo è per lei» Max le lasciò un origami a forma di cigno sulla scrivania. Era diventato un maestro in quell’arte e ogni volta che aveva un controllo con la neurologa gliene regalava uno.
Tra i due si era instaurato un rapporto di fiducia reciproca che andava oltre quello meramente professionale, nel bene e nel male. Elisa aveva scoperto di covare ancora una certa infatuazione adolescenziale per il cantante dei Beat Busters. Quell’incontro l’aveva interpretato come una seconda chance che le aveva offerto il Destino, dopo che lei aveva gettato via quella di trent’anni prima, come minimo.
«È bellissimo, grazie!» La donna si rigirò il cigno di carta fra le mani, cercando con attenzione le prossime parole da pronunciare. «Ascolta Max, tra due mesi uscirai di qui. Sei praticamente guarito e lì fuori c’è un mondo che ti aspetta. Da ora in poi non avrai più bisogno di me. Non ho nessuna terapia da prescriverti, né nervi da controllare» risero entrambi a quella battuta.
«Mi sta dicendo che questo è un addio, dottoressa?»
Elisa lo guardò dritto negli occhi, gli stessi occhi che avevano incrociato i suoi una vita fa, da un palco montato per l’occasione. Non erano cambiati di una virgola, stesso luccichio misterioso. Avvolgente.
«Io, veramente…» cominciò, ma lui la interruppe, sporgendosi in avanti.
«Ho capito chi sei. Tu sei la ragazza dai capelli rossi che invitai nel mio backstage dopo un concerto.»
A Elisa il cuore fece un salto nella gola prima di precipitare nello stomaco.
«Ti-ti ricordi ancora?»
Il cambiamento repentino di tono e il passaggio dal darle del “lei” a del “tu” avrebbero dovuto metterla in allarme, invece quello sguardo magnetico l’avevano ipnotizzata e questa volta non c’era Giò-Giò a risvegliarla dal sogno.
«Certo che mi ricordo della splendida fanciulla con i capelli ramati e la pelle di porcellana. Come potrei dimenticarmene?»
Elisa guardò l’ora. Il tempo a disposizione era terminato da un pezzo, perciò gli allungò un bigliettino da visita e, rossa in viso per l’emozione, gli disse di chiamarla una volta dimesso.
«Sempre se ti va, ovvio» balbettò imbarazzata, tornando per un attimo l’adolescente imbranata di fronte al suo idolo.
«Ovvio…» ripeté Max sorridendole.
 
Giorgia rispose al terzo squillo, trafelata perché era appena rientrata dal fare la spesa e aveva dovuto salire tutte le buste da sola. Suo marito era fuori per lavoro e i loro due figli adolescenti rinchiusi nelle rispettive camere con le cuffie a tutto volume ficcate nelle orecchie.
«Sì, pronto!»
«Giorgia, sono mamma» la voce rotta dal pianto.
«Mamma, è successo qualcosa?» Giorgia pensò alla nonna, ormai quasi centenaria, o a una vecchia zia che si era operata al femore dopo una brutta caduta in bagno.
«Devo darti una notizia terribile, Giò» sospiro profondo. «Elisa non c’è più…»
«Che cazzo dici, mamma?»
«Mi ha telefonato sua madre, era disperata, poverina. Dice che la figlia è stata ritrovata nel proprio appartamento con una siringa nel petto. L’autopsia decreterà la causa del decesso e di quale sostanza si trattasse…».
Giorgia si era accasciata sul pavimento, piangendo convulsamente, le mancava l’aria. La cornetta del telefono oscillava penzoloni lungo il mobile. Era stato Max, ne era sicura. Elisa aveva fatto l’ingenuo errore di lasciargli il suo biglietto da visita e da quando era stato dimesso la tormentava di continuo, con appostamenti sotto casa e telefonate minatorie nel cuore della notte. Le aveva consigliato di denunciarlo alla polizia, ma la sua amica l’aveva rassicurata di avere tutto sotto controllo.
Max era ossessionato da Elisa, le rinfacciava di aver mandato in malora la sua vita decidendo di non andare a conoscerlo quella volta, dopo il concerto, poiché – era certo – avrebbero vissuto una vita favolosa insieme, innamorati persi, così lui non si sarebbe ammalato e fatto quella fine. E adesso Elisa era morta, non c’era più, con una siringa ficcata nel cuore, piena di chissà quale sostanza che l’aveva ammazzata.
Giorgia si sentiva tremendamente in colpa, non era stata in grado di proteggerla, di tenerla al sicuro come aveva già fatto una volta. Il loro “Insieme, XSempre”, alla fine, si era rivelata una menzogna bella e buona.
 


 
Fine

  Risoluzione 2

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