Napoleon of Another World! (Volume 2 - Solo chi è Disposto a Morire Conoscerà la Vera Forza)

di Cj Spencer
(/viewuser.php?uid=1253607)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** CAPITOLO 1 - LA PRIMA BATTAGLIA ***
Capitolo 2: *** CAPITOLO 2 - LA SANTA ***
Capitolo 3: *** CAPITOLO 3 - LA STREGA ***
Capitolo 4: *** CAPITOLO 4 - LO SCONTRO DECISIVO ***
Capitolo 5: *** CAPITOLO 5 - LA CADUTA DEL CASTELLO ***
Capitolo 6: *** EPILOGO - AVVENTURIERI ***



Capitolo 1
*** CAPITOLO 1 - LA PRIMA BATTAGLIA ***


“La Rivoluzione è un ideale

sostenuto dalle baionette.”

(Napoleone Bonaparte)

CAPITOLO 1

LA PRIMA BATTAGLIA

 

 

Tutte le mattine, dopo la colazione, il governatore spendeva quasi tutto il suo tempo nella sala da bagno con un sigaro tra le labbra e i piedi immersi in una mistura di vino, miele e urina di toro che secondo il guaritore avrebbe dovuto alleviare le sue pene di gotta.

Ogni guardia, servitore e abitante del Castello sapeva che in queste occasioni Longinus diventava intrattabile, ma ciò nonostante il messaggero appena giunto da Dundee pretese comunque di essere ricevuto.

D’altronde le notizie che aveva portato dal confine precedendo persino l’arrivo delle prime carovane piene di fuggitivi, e che avevano spinto Adrian ad introdurlo alla presenza del padre, valevano bene il rischio di subire la collera del governatore.

«Una sommossa?»

«Sì, mio signore. L’intera popolazione del ghetto di Ende è in stato di rivolta.»

«E tu interrompi il mio pediluvio per una sciocchezza del genere? Dovrei farti frustare.»

«Se permettete padre, forse sarebbe il caso di trattare la questione con maggiore attenzione. Da quello che si sente, pare che sia lo Sceriffo Haselworth a capo della rivolta. Se questo fosse vero, dato il sostegno di cui gode non possiamo escludere che riesca a portare dalla sua parte persino una parte della gente di Dundee.»

«Povero me, lo sapevo io. Se offri un boccone a un bifolco, alla fine vorrà tutta la torta.»

«Mi basta un vostro comando padre, e mi occuperò della questione personalmente.»

«Sei matto? Ti ricordo che sei un nobile. Non puoi certo disonorare te stesso combattendo contro dei mostri puzzolenti. Tu, messaggero. Va a cercare il Generale Ron. Informalo della situazione e digli di raggiungermi qui.»

«Sì, mio signore.»

Il Generale arrivò meno di dieci minuti dopo già al corrente di tutto e pronto ad esporre la sua soluzione al problema: con soli quattrocento dei suoi migliori legionari, disse, era pronto a stroncare la ribellione in meno di tre giorni, uno in meno di quanti ne sarebbero teoricamente serviti per portare le truppe a sud.

Ma Longinus ancora una volta si sentì in dovere di obiettare.

«Mobilitare i miei soldati migliori per quattro straccioni? Non se ne parla neanche. Se ne occuperà la terza brigata di fanteria leggera.»

«Governatore, la terza brigata leggera è composta quasi esclusivamente da ausiliari e giovani reclute che non hanno mai visto una battaglia. Anche se stiamo parlando di una semplice rivolta di schiavi non ritenete che sarebbe il caso di agire con maggior decisione?»

«Fossi matto. Poi come lo giustificherei l’impiego di una simile forza a Sua Maestà? Siamo nel bel mezzo dell’ispezione imperiale.»

Il Generale dovette sottostare per forza di cose agli ordini ricevuti, e dopo aver rivolto un’ulteriore quanto vana richiesta di poter disporre di truppe meglio addestrate si congedò per dirigersi alle caserme.

Ma proprio quando il Governatore sperava di poter tornare a godersi il suo pediluvio un altro membro della sua corte fece la propria comparsa nel bagno.

«Lady Valera. Quale onore ricevervi in questo posto così poco appropriato. Cosa posso fare oggi per voi?»

«Signor Governatore, ho saputo che non avete ancora autorizzato la mia partenza per Basterwick

«E temo che non mi sarà possibile farlo neanche in seguito. Immagino che le voci siano arrivate anche a voi.»

«L’epidemia si sta diffondendo, e a Bastewick non ci sono abbastanza guaritori per curare tutti. La presenza mia e della mia novizia potrebbe alleviare le pene dei vostri sudditi.»

«La salvezza degli abitanti di Basterwick mi sta a cuore, ma devo pensare anche alla vostra incolumità. Cosa succederebbe se vi imbatteste in quelle belve feroci?»

«Quindi devo presumere che siate preoccupato per quegli schiavi ribelli al punto da temere che potrebbero arrivare fino a Basterwick

Longinus serrò i denti per il nervosismo, mentre suo figlio di contro non poté che piegare le labbra in un sorriso sincero di stupore ed ammirazione di fronte alla sagacia e alla lingua vellutata di quella giovane a prima vista così indifesa.

«Come volete, la vita è la vostra. Ma se vi dovesse capitare qualcosa non sarà certamente colpa mia.»

«Non dovete preoccuparvi. Anche se non sembra so badare a me stessa. E comunque ci sarà Isabela al mio fianco.» e fatto un inchino che sapeva quasi di insulto se ne andò

«La sfrontatezza non le manca.» commentò Adrian

«L’arroganza vorrai dire. E c’è chi sostiene che sarà il prossimo papa. Ma non farmi ridere. Una così non è destinata a vivere a lungo.»

Fuori dalla porta del bagno attendevano una giovane leonessa vestita da chierica apprendista e una donna in armatura con lo stemma della Guardia del Tempio ricamata in oro sulla cappa bianca.

«Maestra Sylvie, siete davvero sicura che sia prudente lasciare il Castello proprio adesso?»

«Vaelia ha ragione, mia Signora. L’epidemia peggiora di giorno in giorno, e adesso c’è anche il problema della ribellione a sud. Personalmente non mi fido del Governatore. È chiaro che sta prendendo la cosa fin troppo alla leggera.»

«Ne sono consapevole Isabela. Però ora più che mai il popolo di questa terra ha bisogno di sentire vicini i rappresentanti di Gaia, e di sapere che qualcuno si preoccupa seriamente per loro.»

«E che cosa facciamo se quei ribelli dovessero davvero riuscire ad espandersi fino a Basterwick?» chiese Vaelia «L’avete detto voi stessa che l’umano che li guida è una persona fuori dal comune.»

«A dire il vero ammetto che sarei davvero curiosa di incontrarlo. Quando ho guardato il signor Haselworth negli occhi per la prima volta ho notato subito lo sguardo di una belva chiusa in gabbia e pronta a scatenarsi.»

Una tromba di guerra risuonò nel cortile, e le tre ragazze affacciandosi dal balcone videro il Generale Ron arringare le truppe già schierate sulla piazza d’armi e pronte a partire per Dundee.

«Su una cosa hai ragione, Isabela. Il Governatore non ha ancora capito davvero con cosa ha a che fare.»

 

È cosa normale e comprensibile per degli schiavi che hanno vissuto tutta la loro vita a patire la fame e gli stenti di scatenarsi su tutto ciò che gli è stato sempre negato alla prima occasione.

Avevo visto coi miei occhi la plebaglia dare l’assalto alle ville degli aristocratici all’indomani della Bastiglia svuotando le dispense, razziando le cantine e distruggendo tutto il resto.

Non potevo certo permettere che accadesse.

E per far capire che non scherzavo su questo punto era necessario dare qualche esempio; per questo avevo permesso a Pythus di intrufolarsi in città, certo che quel goblin non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione per dare sfogo alla propria bestialità. La sua morte non sarebbe stata una perdita, e il messaggio era arrivato forte e chiaro a tutti.

Ora che la Rivoluzione era ufficialmente cominciata bisognava nutrirla e portarla avanti, pertanto meno di due ore dopo dal mio discorso in piazza ero già seduto nella sala riunioni del municipio, circondato dai maggiori rappresentanti della macchina amministrativa della regione.

«Septimus. Qual è la situazione al ponte?»

«La guardia è stata ripristinata e l’attività di controllo del traffico è ripresa normalmente.»

«Cosa avete detto alle guardie dell’Unione?»

«Quello che hai suggerito. Che la guarnigione locale ha preso il potere con un colpo di stato e il benestare della popolazione, e liberato gli schiavi per reclutare nuove forze. Ufficialmente ci sono io a capo di tutto.»

«Sarà necessario provvedere a fare una selezione. Tutti i cittadini, uomini e donne, che abbiano una qualche formazione militare sono invitati a prendere le armi e a dare il loro contributo. L’armeria del forte e quella del villaggio dovrebbero essere sufficienti ad equipaggiare tutti. Creeremo battaglioni da cinquecento soldati l’uno, e almeno per il momento manterremo separati umani e mostri per evitare di creare attriti.»

«Non sarebbe il caso di mostrare coesione fin da subito?» chiese Scalia. «L’hai detto tu che questa distinzione non dovrebbe più esistere.»

«Ci sarà tempo per questo. Ora la priorità è respingere la minaccia che sta per arrivarci addosso, e non possiamo farlo se ogni soldato diffida di quello che gli sta accanto. Comandante Oldrick, qual è la situazione dell’ordine pubblico?»

«Qualche rissa, ma niente di significativo. L’esempio che hai dato uccidendo quel goblin è stato recepito anche dagli abitanti più scalmanati.»

«Quanti miliziani sono rimasti?»

«Più o meno centoventi. Tutta gente fidata che appoggia questa impresa.»

«Li raggrupperemo in un singolo battaglione. Assieme ai legionari di Septimus formeranno la nostra unità d’élite. Mary.»

«S… sì?»

«Occorre che i commerci rimangano aperti. Usa tutta la reputazione di cui godi presso i mercanti dell’Unione. Rassicurali che la situazione a Dundee è sotto controllo nonostante il colpo di stato, e se necessario abbassa i prezzi. È fondamentale far girare più denaro possibile.»

«Ma i mercanti accetteranno di commerciare con dei ribelli?»

«E poi, cosa dovremmo commerciare?» domandò il sindaco. «Le attività estrattive, il lavoro nei campi, perfino i negozi. Al momento è tutto fermo. Molti sono persino scappati.»

«I contadini e coloro che possiedono terreni già seminati saranno esentati dal servizio militare. Lo stesso vale per i cacciatori. Questo dovrebbe fornirci il cibo necessario per sfamare la nostra popolazione e il nostro esercito, anche se sarà inevitabile destinare a quest’ultimo una maggiore quantità di risorse. Rimetteremo in moto anche le miniere e l’industria del legname, destinandovi quanti più lavoratori possibili. I negozi e gli empori saranno più che felici di riprendere la loro attività se vedranno che nonostante tutto i mercanti continuano ad arrivare.»

«E per i mercanti che arrivavano da nord come dovremmo fare? Quasi la metà dei commerci di questa regione avvengono con l’Impero o l’Eirinn Orientale.»

«Quelli inevitabilmente saranno interrotti, ma renderemo ben chiaro che non sarà per colpa nostra. Ufficialmente le porte a Dundee resteranno aperte per chiunque voglia fare affari, così saranno il Governatore e il Castello a prendersi la colpa. Anche se al vostro posto io non me ne preoccuperei più di tanto.»

«Per quale motivo?»

«Perché vi posso garantire che a un mese da oggi, la prossima seduta di questo consiglio direttivo si svolgerà nella Sala Grande del Castello.»

Ero abituato a sorprendere i miei ministri con frasi ad effetto, e ogni volta mi veniva da ridere per il genere di reazioni che tali frasi suscitavano in chi le sentiva.

«Daemon, non starai correndo un po’ troppo?» disse Septimus. «Tanto per cominciare abbiamo a disposizione meno di duemilacinquecento soldati. La sola Quindicesima Legione ne conta oltre diecimila.»

«Se sono altri soldati che vi servono, io sono qui!» esclamò Grog scattando in piedi e sfoderando i suoi famosi muscoli «Io e i miei ragazzi spacchiamo pietre da quando ci succhiavamo i pollici, spaccare teste al confronto sarà solo un allenamento!»

«Lo sai perché ho assegnato tutti gli orchi e i minotauri al ripristino dell’attività mineraria piuttosto che all’esercito?»

«Perché altrimenti sarebbe troppo facile?»

«Perché il bersaglio grosso è sempre il più invitante. Vi trasformereste in puntaspilli prima ancora di arrivare allo scontro diretto. Verrà anche per voi il tempo di scendere in battaglia, ma per il momento ho bisogno che rimettiate in funzione le miniere.»

«Quand’è così, lascia fare a noi. Dacci vino, sidro e tanta carne, e ti svuoteremo il Khoral di tutto quello che c’è dentro.»

In quel momento qualcuno bussò alla porta, ed io ero più che sicuro di sapere di chi si trattava.

«Proprio al momento giusto. Entra pure.»

Non che qualcuno fece i salti di gioia nel veder apparire sull’uscio il brutto e grasso muso di Borg; anzi, Scalia e Septimus furono quasi sul punto di mettere mano alle armi.

«Calmatevi. Sono stato io a chiedergli di venire. Come avete detto voi ci serve tutto l’aiuto possibile, e sapete tutti molto bene quanto Borg sia abile nel trovare tutto quello che ci può essere utile.»

«Però, questo maiale…» provò a protestare Scalia

«Ogni comandante fa la guerra con i soldati che ha. E comunque Borg è una risorsa troppo preziosa per rinunciarvi in nome di un qualche moralismo o solo perché vi è antipatico, soprattutto in questo momento.»

«Ben detto, amico mio. Quanto a lor signori, possono dormire sonni tranquilli. Il vostro eccelso comandante supremo ed io abbiamo già discusso abbondantemente della questione. La mia lealtà a lui e alla vostra causa è fuori discussione.»

«Ma per quanto?» ringhiò Septimus

«Allora, Borg? Hai quello che ti ho chiesto?»

«Anche se sono il migliore di tutti c’è un limite a quello che io posso procurare. Ma per tua fortuna, la merce che avevi richiesto era già a mia disposizione.»

Naturalmente non era vero. Avevo fatto l’ordinazione mesi prima –oltretutto pagandola a peso d’oro– quando il mio piano aveva appena iniziato a mettersi in moto.

D’altronde non potevo certo andare a raccontare in giro che quella che doveva sembrare a tutti i costi una rivolta nata spontaneamente non era altro che la naturale conseguenza di ciò che io stesso avevo provocato.

Ma per mia fortuna tutto per Borg aveva un prezzo, incluso il suo silenzio; e poi era troppo furbo per farsi scappare l’occasione della sua vita solo per una questione di onestà.

Quanto alla merce, si trattava indubbiamente di qualcosa che in quella parte di Erthea stava diventando davvero difficile da trovare, e che per questo motivo non mancò di lasciare tutti senza parole quando videro gli uomini del maiale scaricarla dai carri.

«Cannoni!?» esclamò Oldrick.

Dal mio punto di vista non erano altro che giocattoli, poco pratici, imprecisi e con una certa tendenza a saltare per aria, ma comunque utili per chi come me sapeva tirare fuori l’anima da una qualunque bocca da fuoco.

Borg ne aveva trovati sei, di grosso calibro e terribilmente pesanti, oltre che privi di affusti e ruote.

Ma insomma, è davvero questo il meglio che Erthea ha da offrire in fatto di artiglieria?

«Non ne vedevo uno dai tempi delle Guerre di Confine. È stata proprio una scheggia provocata dall’esplosione di uno di questi cosi a portarsi via il mio occhio.»

«Ce ne sono alcuni anche nel forte, ma non sono altro che ingombranti paracarri. Non ci hanno nemmeno mai addestrati a usarli.»

«Esattamente Daemon, cosa pensi di fartene?» domandò Scalia

«Non è ovvio? Usarli per la guerra che ci attende.»

«Ma per farci cosa? Non dobbiamo assediare una fortezza. E anche se volessimo usarli per difendere il villaggio, le torri e i camminamenti si sbriciolerebbero al primo rinculo.»

«Noi non difenderemo un bel niente Septimus.»

«Cosa!?»

«Una rivoluzione è vittoriosa solo quando il vecchio governo viene spodestato, e un governo di certo non si spodesta standosene chiusi dietro ad un muro.»

Oldrick era un veterano, quindi era ovvio che a lui l’idea che stavo proponendo sembrasse assurda più che agli altri.

«Vorresti ingaggiare l’esercito imperiale in campo aperto con pochi legionari, qualche coscritto e un esercito di schiavi ribelli?»

«Il Comandante ha ragione, è una follia.» disse il Sindaco

«No, se saremo noi a stabilire le condizioni e scegliere il terreno di scontro. E con questi al nostro fianco la vittoria è assolutamente sicura. Scalia, ho bisogno che tu faccia una cosa per me.»

«Di che si tratta?»

«Ordina a Tarto e agli altri ragazzi della segheria di mettersi subito al lavoro seguendo questi progetti. È necessario che tutto sia costruito entro domani. Grog.»

«Sono qui.»

«Ho bisogno che la fonderia delle miniere si metta subito a produrre grosse palle di ferro. Questi affari non servono a niente senza munizioni. Giselle.»

«Agli ordini.»

«Prendi alcuni volontari e batti il villaggio e i dintorni palmo a palmo. Occorrono chiodi, sassi, bulloni, cose del genere. Più duri e piccoli sono, meglio è.»

«E che cosa vuoi fartene, se posso chiedere?»

«Lo vedrai. Quanto a voi sindaco, procuratemi dei cavalli. Bestie robuste, da lavoro, che possano tirare carichi pesanti. Visto che abbiamo solo tre giorni, per questa battaglia metteremo in campo solo coloro che sanno già combattere e sarà possibile inquadrare nei battaglioni fin da subito. Scalia e Septimus, voi sarete al comando rispettivamente dei battaglioni degli schiavi e degli umani.»

«Conta su di me.»

«E anche su di me.»

«Ah, e un’altra cosa. Trovatemi anche un ceramista e un cavallo. Bianco, se possibile.»

 

Non avevo mai voluto essere un soldato.

Ero solo uno dei tanti poveri disperati che sceglievano di arruolarsi nella legione semplicemente perché incapaci di ritagliarsi un proprio posto felice all’interno della piramide sociale dell’Impero.

La terra da cui venivo era povera, e quando un’epidemia si era portata via i miei genitori l’esercito era diventata l’unica via d’uscita per non morire di fame.

Erano passati solo due anni da quando avevo ricevuto l’armatura, e da allora non avevo mai visto un campo di battaglia in vita mia.

Ma proprio quando stavo cominciando a credere a tutte quelle voci secondo cui essere un legionario voleva dire oziare e bivaccare tutto il giorno tra parate, guardie d’onore e altre sciocchezze simili in attesa di congedarsi e usare i cinque anni di paga per aprirsi un’attività o comprare un po’ di terra, ecco che puntuale era arrivata la fregatura.

Prima mi avevano mandato ad Eirinn, proprio ad un tiro di lancia dal confine più caldo di Saedonia, –non erano le regioni dell’est dove si combatteva giorno e notte coi baroni ribelli, ma neanche le ronde sotto il caldo sole di Floradis– ed ora stavo marciando con tutta la mia unità dritto in bocca ad una massa di schiavi infuriati.

Il Generale Ron che ci guidava ci aveva arringati dicendo che era una cosa da niente, che avremmo macellato in allegria un po’ di straccioni per poi tornarcene a casa senza un graffio, ma chissà perché io non riuscivo ad essere così ottimista.

Le voci che giravano tra i miei compagni, tenute faticosamente a bada dai nostri centurioni, raccontavano una storia ben diversa; si diceva che ci fosse un umano, un tipo tosto a guidare la rivolta, e che date le premesse non era da escludere se oltre che con gli schiavi avremmo dovuto fare i conti anche con gli abitanti della regione, che tutto erano fuorché amanti dell’Impero e dei suoi eserciti.

«Non preoccuparti.» continuava a ripetermi mio fratello Darius, che all’alba del terzo giorno di viaggio marciava al mio fianco

«La fai facile. Per te non sarà la prima battaglia.»

«Non c’è motivo di essere così teso. Sono solo una banda di predoni. Ci basterà ucciderne qualcuno e gli altri si butteranno in ginocchio chiedendo pietà. Fidati, non la si potrà neanche definire battaglia.»

Eravamo quasi arrivati al punto in cui avremmo dovuto lasciare la Via Imperiale per marciare contro il ghetto, quando un esploratore inviato a controllare la situazione tornò indietro informando il comandante che c’era un esercito di almeno seicento guerrieri ad aspettarci poco lontano.

«Sono forse impazziti?» sentii dire al Generale Ron «Pensano sul serio di poterci affrontare faccia a faccia?»

Effettivamente per essere reclute noi eravamo più del triplo rispetto a loro, e persino io sapevo che con un tale vantaggio numerico e potendo contare su armi ed equipaggiamento migliori sarebbe stata una passeggiata avere ragione dei nemici.

Ma il Generale non era tipo da sottovalutare il nemico, e ci fu ordinato di proseguire la marcia in formazione da combattimento, a passo lento e con le armi pronte.

Procedemmo così per qualche ora, fino a che svoltata una curva trovammo gli schiavi ribelli asserragliati su di un basso colle che dominava la strada.

Era come aveva detto mio fratello; più che un esercito nemico sembravano un’accozzaglia eterogenea di animali su due zampe male equipaggiati, che sventolavano con orgoglio un vessillo di stracci a forma di bandiera.

La maggior parte di loro era armata di una semplice lancia –alcuni addirittura non brandivano altro che dei bastoni appuntiti– e con giusto qualche strato di cuoio rattoppato a fungere da armatura. Malgrado ciò apparivano stranamente disciplinati, e mentre ci disponevamo in formazione di fronte a loro non si mossero né aprirono bocca, restando immobili a fissarci.

Ad un tratto un cavallo bianco sbucò da dietro lo schieramento con in sella un giovane dallo sguardo penetrante, vestito in modo semplice ma rispettabile, e salutato con rispetto dai ribelli.

Doveva essere sicuramente quel Daemon di cui tanto si parlava.

Potei scorgere il Generale Ron che accoglieva il nuovo venuto con una smorfia di disgusto, rispondendo con un moto di stizza alla richiesta del suo attendente di inviare un ambasciatore ai rivoltosi per tentare di risolvere la questione pacificamente.

«Niente discussioni. Niente trattative. Passate parola. Chi sgozza più schiavi avrà una promozione. E chi mi porta la testa di quel bastardo di Sceriffo lo faccio Centurione.»

Gli arcieri furono mandati avanti per primi, protetti sui fianchi da due piccoli plotoni di soldati semplici.

I ribelli non risposero alla loro avanzata, osservandoli in silenzio mentre a passo di marcia coprivano lo spazio necessario per arrivare a distanza di tiro.

«Soldati dell’esercito imperiale!» tuonò l’umano a cavallo quando mancavano pochi passi al punto di lancio ottimale. «Se tenete alla vostra vita non fate un altro passo! Ripiegate le vostre insegne e tornate indietro! Noi non abbiamo intenzione di combattere, ma se provocati non ci fermeremo finché non sarete tutti morti!»

Chiunque altro si sarebbe visto ridere in faccia di fronte ad una ostentazione di forza così apparentemente fuori luogo, ma quel tipo emanava una tale aura di supremazia che io stesso di fronte a quella minaccia sentii un brivido alla schiena.

Anche gli arcieri parvero esitare, ma i loro ufficiali li spronarono a continuare nell’avanzata.

Erano arrivati in posizione e si stavano preparando a scagliare la prima raffica di frecce, quando la prima linea degli schiavi si aprì come il sipario di un teatro, rivelando dietro di essa sei grossi cannoni posizionati su degli affusti in legno massiccio provvisti di ruote.

«Fuoco!»

Il boato fece quasi tremare la terra e decine dei nostri compagni caddero a terra travolti da pesanti palle di metallo che rimbalzando o rotolando sul terreno in pendenza si portavano via gambe, braccia e teste.

«Riformare i ranghi! Rispondete al fuoco!»

Confusi e spaventati gli arcieri tirarono, ma nel mentre alcuni schiavi avevano già iniziato a lavorare per ricaricare i cannoni, e dal momento che tutti quanti portavano dei grossi scudi di legno dietro la schiena solo due o tre furono colpiti in maniera significativa.

«Bordata numero due, fuoco!»

La seconda salva fu anche peggiore della prima, colpendo nel mucchio con terrificante precisione e uccidendo o mutilando decine di soldati.

Una di quelle palle continuò a rotolare fino a raggiungere il nostro schieramento; Marcus, un mio compagno di carte, istintivamente mise il piede per fermarla, e un attimo dopo lo vedemmo portato dietro le linee dai suoi compagni urlante di dolore, con la gamba tranciata dal ginocchio in giù.

«Fate avanzare la fanteria!» sbraitò il Generale alla vista dei reparti di arcieri che, alla terza bordata, scappavano via quasi dimezzati.

Stretti in formazione, coprendoci come potevamo con i piccoli scudi ovali da ausiliari, iniziammo a procedere in avanti con le lance in resta, ma eravamo tutti così spaventati all’idea di vederci piovere addosso quelle cannonate infernali che i nostri ufficiali dovettero minacciarci di tremende punizioni per riuscire a tenere nei ranghi i più giovani e inesperti.

Avanzammo a passo doppio, coprendo in pochi istanti la distanza necessaria a risultare teoricamente troppo vicini per poter essere efficacemente presi di mira dai cannoni.

«Ormai il più è fatto soldati! Anche se sparassero non riuscirebbero mai a colpirci efficacemente!»

E allora perché stanno ricaricando?

Stavolta però era diverso, e invece che con palle di ferro sembrava stessero caricando i cannoni con delle sfere più leggere, fatte di terracotta o d’argilla.

Se solo avessimo saputo cosa stava per pioverci addosso; letteralmente.

Eravamo praticamente a ridosso dei cannoni, stavano per comandare il passo di carica, quando quel Daemon alzò il braccio.

«A mitraglia, fuoco!»

Dalla bocca dei cannoni si sprigionarono un frastuono ed un fumo molto strani, quasi un’esplosione di polvere, e decine di noi caddero sull’erba tutti insieme con i loro corpi ricoperti di buchi e ferite.

Non so per quale miracolo io ne uscii illeso, ma purtroppo mio fratello non ebbe la stessa fortuna; tre grossi pezzi di metallo lo colpirono in pieno torace sventrando l’armatura e quasi trapassandolo, un altro rimbalzò sullo scudo ferendomi di striscio a una gamba, un altro ancora invece gli entrò dritto nell’occhio destro sbucando fuori dall’altra parte e facendomi schizzare in faccia un getto di sangue.

«Darius

Nello stesso momento in cui arrestavamo l’avanzata un gruppo di balestrieri sbucò fuori da dietro la linea dei mostri, ma eravamo tutti troppo confusi e spaventati per realizzare che si trattava di soldati imperiali.

Si disposero su due linee, la prima in ginocchio e la seconda in piedi, puntando le armi dritte contro di noi.

«Balestrieri, tirare!»

Disorientati, scollati e vicini com’eravamo venimmo colpiti a decine, ma ancora una volta gli dei furono dalla mia parte e venni risparmiato.

Quindi fu il momento della loro fanteria, che ci piombò addosso con la forza di una valanga ingaggiandoci in un corpo a corpo che si trasformò ben presto in un massacro.

Il colpo finale lo dette una seconda ondata, anche questa di soli mostri, che sbucando da dietro il colle si scagliò contro il nostro fianco destro; lo guidava una giovane ragazza vestita come un’amazzone di Torian, con la pelle e i capelli scuri, una lunga coda e un paio di corna arricciate.

Perché? Perché sta succedendo tutto questo? Io non voglio morire! Mamma! Papà! Fratello mio!

Vanamente tentammo di resistere, ma ormai la paura ci aveva completamente sopraffatti e nel giro di pochi minuti fummo messi in rotta, dandoci ad una fuga disperata prima che la manovra di accerchiamento messa in atto dai nemici potesse tagliarci fuori dal resto della nostra armata.

Mentre scappavamo ignorando persino le intimazioni del Generale Ron di tornare a combattere potevamo sentire alle nostre spalle le urla di vittoria dei mostri, seguite da un invito da parte del loro comandante a non avere paura, che eravamo stati mandati a morire in nome di un impero a cui non importava niente di noi, e che chiunque avesse voluto combattere per un’altra causa sarebbe stato il benvenuto.

Inutile dire che quelle parole presero subito a trapanarmi il cranio come l’attrezzo di un cerusico, e qualcosa mi diceva che non ero l’unico ad avere di quei pensieri.

Ci avevano sempre detto che la fedeltà all’Impero era l’unico ideale che valesse la pena difendere, e che dare la vita per Saedonia era il più grande onore a cui un uomo potesse aspirare.

Teoricamente non avrei dovuto provare altro che odio verso quei mostri che avevano ucciso l’unico parente che mi fosse rimasto, ma allo stesso tempo non riuscivo a non pensare ai nostri vecchi compagni ora schierati contro di noi, che non ci avevano pensato un attimo a spararci addosso e che durante la nostra fuga avevo visto esultare e abbracciare i mostri come fratelli.

Poteva davvero esistere un mondo del genere? Un mondo in cui umani e mostri potessero lottare fianco a fianco per un bene comune, in cui poter credere al punto da essere pronti a puntare le armi contro i propri vecchi amici?

Disertai quella notte stessa, allontanandomi dal campo assieme ad altri cinque miei amici. Due di loro non fecero neanche cento passi prima di sfilarsi le insegne, l’armatura e le armi e darsi alla macchia, mentre io e gli altri tre ci dirigemmo verso il luogo della battaglia per consegnarci al nemico sperando nella bontà delle loro promesse.

Non fummo delusi.

Appena raggiunto un piccolo avamposto lungo la strada popolato in egual misura da mostri, civili umani e qualche legionario fummo rifocillati, abbeverati e quindi portati sotto scorta al campo principale, allestito con tutte le accortezze di un accampamento militare sullo stesso colle sul quale eravamo stati massacrati.

Fu allora che potei vederlo faccia a faccia: Daemon Haselworth. Vedendolo così, disceso dal suo cavallo bianco, non sembrava altro che un giovane uomo qualunque, ma i suoi occhi erano raggi di luce che scrutavano nell’anima, e le sue parole così potenti nella loro apparente semplicità da arrivarci direttamente al cuore.

Ci disse che per quanto lo riguardava noi non eravamo suoi nemici, che lui e i suoi seguaci avevano preso la spada per ribellarsi ad un Impero in cui nessuno di loro credeva più, e che il loro scopo era costruire un mondo nuovo in cui le disuguaglianze sarebbero state abolite e tutti, umani, mostri e semiumani, sarebbero diventati uguali davanti alla legge.

Allo stesso modo però fu molto chiaro, per non dire minaccioso nell’avvertirci che la giustizia sarebbe stata rapida e implacabile verso tutti coloro che avessero anche solo pensato di tradire la causa, e che come avevamo sperimentato sulla nostra pelle non ci sarebbe stata pietà per chi fosse determinato a mettersi sulla loro strada.

Avremmo dovuto puntare le armi verso i nostri vecchi compagni, e qualora fossimo caduti vivi nelle mani del nemico era molto probabile che saremmo stati decapitati seduta stante come i disertori che ai loro occhi eravamo.

«Se accettate sarete i benvenuti. Ma chi non se la sente o non crede di poter arrivare fino in fondo se ne vada ora. Vi daremo cibo e acqua per cinque giorni, cinquanta goldie e un salvacondotto per raggiungere Connelly o l’Unione, poi starà a voi decidere cosa fare. Allora? Qual è la vostra decisione?»

Per quanto mi riguardava, la mia l’avevo già presa da un pezzo.

 

L’ultima volta che avevo visto un campo di battaglia ero seduto sul retro di un carretto e fissavo sconsolato la pianura di Waterloo, immaginandomi le facce di Wellington e Blucher che si godevano la scena dalla cima del colle di St. Jean.

Da tanto aspettavo di sentire nuovamente scorrermi nelle vene il fremito che solo la battaglia riusciva a darmi, e quando finalmente le armi tacquero fui felice di constatare due cose: che non avevo perso il mio talento nell’ispirare e direzionare gli uomini, e che quegli stessi uomini al momento fatidico avevano dato ottima prova di sé.

Anche se era stata più una scaramuccia che un vero scontro i risultati erano comunque apprezzabili, e lo provava il fatto che quando la musica si era fermata avevamo contato solo diciassette morti contro i duecento e più subiti dal nemico.

Per un attimo avevo temuto che Septimus e i suoi uomini avrebbero esitato a sparare contro i loro compagni nel momento in cui se li fossero trovati davanti, e anche per questo avevo preferito impiegarli come balestrieri piuttosto che in prima linea.

E invece non mi avevano deluso, dimostrando una volta di più come la reincarnazione non avesse tolto nulla alla mia capacità di smuovere le coscienze.

«Lo conoscevi?» chiesi notando l’espressione con cui Septimus fissava ciò che il tiro a mitraglia aveva lasciato di uno dei legionari nemici

«Si chiamava Darius. Abbiamo fatto l’addestramento insieme.»

«Mi dispiace. La guerra è un affare sporco, specie se la si fa contro chi si conosce.»

«Eravamo entrambi in corsa per la promozione, ma lui l’ha rifiutata per restare vicino a suo fratello. Spero che almeno lui se la sia cavata.»

«Qualora fosse tra quelli che decideranno di arrendersi ti prometto che gli riserveremo un trattamento di favore.»

«Ti ringrazio. È già difficile accettare l’idea di stare combattendo contro i nostri amici. Almeno vorrei cercare di non doverne uccidere troppi.»

Scalia invece era di tutt’altro umore, felice come non mai di aver potuto finalmente mettere alla prova anni di addestramento con la spada.

«Direi che è stata una vittoria completa.»

«Sicuramente, ma non montiamoci troppo la testa. Neanche il Governatore commetterà due volte lo stesso errore. Stavolta erano reclute e ausiliari, alla prossima manderà l’esercito.»

Mentre i soldati ripulivano il campo di battaglia dai caduti allestimmo un accampamento a tempo di record, riunendomi con Scalia e Septimus nella tenda di comando per pianificare la prossima mossa.

«Ora che facciamo?» domandò Scalia. «Puntiamo subito al Castello?»

«È ancora presto. Non abbiamo né le truppe né la forza per assediare quella fortezza. Dopo la batosta che gli abbiamo inferto però ci metteranno un po’ a riorganizzarsi e a lanciare una nuova offensiva. E noi ne approfitteremo.»

«Come suggerisci di agire?» chiese Septimus

«Faremo come i serpenti. Strangoleremo il nemico fino a farlo soffocare. Fino a quando il Castello avrà accesso alle proprie rotte di rifornimento avranno sempre un vantaggio rispetto a noi. Pertanto sfrutteremo il momento e colpiremo qui, a Basterwick. La città è un punto di passaggio obbligatorio per i carichi diretti al Castello. Se la occupiamo, a Ron e al Governatore resterà solo la vecchia strada ducale che passa a nord attraverso le montagne, e che sicuramente sarà ancora bloccata dalla neve.»

«Ma ho sentito dire che a Basterwick sarebbe scoppiata un’epidemia.»

«Infatti non ho intenzione di correre rischi. Da ciò che ho potuto scoprire la piaga che ha colpito la città colpisce solo gli umani. Quindi porterò con me solo il quarto battaglione.»

«Ma sono meno di cinquecento soldati.»

«Scalia ha ragione. Tra la milizia e la guarnigione parliamo di almeno duemila uomini che difendono Basterwick, e il Centurione Mannio che comanda la guarnigione è un tipo sveglio.»

«Avete ragione. Se si parlasse di un assedio non ci proverei neanche. Ma a differenza di Dundee Basterwick non possiede un forte indipendente, e con un’epidemia in corso non si arrischieranno certo a rinchiudersi in città. Dovranno lottare in campo aperto.»

«Ben detto Daemon! E poi avremo i cannoni dalla nostra parte! Quei maledetti voleranno per aria come tante scintille!»

«Ti sarei grato se la cosa non ti entusiasmasse troppo. Quei maledetti, come li chiami tu, sono spesso poveracci che fanno solo il loro dovere. Senza contare che tra di loro ci sono anche molti miei amici.»

«Calmatevi tutti e due. Septimus, ti ho promesso che avrei dato a chiunque la possibilità di arrendersi per avere salva la vita e continuerò a farlo. Che altro puoi dirmi di questo Mannio

«Ho servito per un po’ sotto di lui, e come ho detto è un ufficiale in gamba. Un veterano della Guerra del Flor con il Principato di Connelly. I soldati lo rispettano, si fidano cecamente di lui, e lui li ricambia preoccupandosi costantemente per loro. Il problema anche stavolta sono la milizia locale e il loro comandante.»

«Sì, lo conosco. Van Lobre. Dall’anno scorso è anche diventato sindaco. I suoi latifondi occupano da soli un terzo della regione di Basterwick. Ma come ufficiale è un idiota che non saprebbe distinguere una picca da un bastone. Ce la caveremo. E per rispondere a te Scalia, no. Non porteremo con noi i cannoni.»

«Per quale motivo?»

«Ci sono voluti due giorni per portarli qui, a meno di dieci miglia da Dundee. Se ce li portiamo dietro non faremmo mai in tempo a prendere Basterwick prima della nuova offensiva. Septimus?»

«Dimmi.»

«Anche tu dovrai spostarti. Qui siamo troppo esposti, servirà una posizione dove poter annullare il vantaggio numerico quando Ron tornerà qui assieme a tutta la legione. Il posto ideale è qui, al passo di Chateroi. Attenderai l’arrivo dei nuovi battaglioni da Dundee, quindi tu e Oldrick vi posizionerete in questo punto, nei pressi del villaggio. Una volta occupata Basterwick vi raggiungeremo e ci riuniremo a voi.»

«Sarà fatto.»

«Passa parola Scalia. Il tamburo suona alle quattro. Tutti i mostri devono mangiare e andare a dormire entro due ore. Li voglio riposati e motivati, perché marceremo ininterrottamente fino a Basterwick. Dobbiamo essere lì tassativamente entro dopodomani.»

«Per quale motivo?»

«Perché sarà il momento perfetto per la nostra vittoria.»

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!

Come promesso, eccomi di nuovo qui con il secondo volume della mia light novel isekaiNapoleon of Another World!”, in cui si narrano le avventure di Napoleone Bonaparte che, dopo la morte, viene fatto rinascere in un nuovo mondo con l’incarico di salvare il continente di Erthea dall’avvento del Re dei Demoni.

Ringrazio tutti quelli che vorranno leggere e farmi sapere le loro considerazioni.

A presto!^_^

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** CAPITOLO 2 - LA SANTA ***


“La religione è ciò che trattiene

il povero dall’uccidere il ricco”

CAPITOLO 2

LA SANTA

 

 

Sylvie lo sapeva di essere speciale.

Era venuta al mondo con un’affinità per la magia con pochi precedenti nella storia scritta, e prima ancora di prendere i voti in molti già la veneravano come una santa.

Di certo aveva un animo puro e misericordioso come pochi, ma curare orfanotrofi o assistere i malati nei sanatori non erano attività degne di un Vescovo, il cui unico dovere era vivere fianco a fianco con il nobile al quale si era destinati dal Conclave, offrendo consigli e assistendolo nella gestione del potere.

Sylvie però era troppo furba per non rendersi conto che la sua nomina era stata solo il frutto delle pressioni che Sua Santità aveva subito da parte dei membri più tradizionalisti del Conclave, che mal sopportavano l’idea di vedere una popolana di umili origini accostata al soglio di Gaia.

Ma a lei non importavano i giochi di potere dei cardinali, e tutto quello che voleva era di usare le sue conoscenze per aiutare gli altri. Non per niente la sua specialità erano gli incantesimi curativi, che praticava ad un livello irraggiungibile anche per il più esperto dei guaritori.

L’epidemia che aveva colpito Basterwick e che stava mietendo così tante vittime era una delle peggiori che si fossero mai viste, e il suo arrivo era stato visto come una benedizione da parte degli abitanti ormai allo stremo.

Per fortuna quel morbo non si propagava attraverso l’aria, e a meno di non toccare qualcosa di infetto era difficile ammalarsi, quindi per il momento confinare tutti i malati all’interno del grande sanatorio della città stava servendo a tenere sotto controllo il diffondersi del contagio.

Allo stesso tempo però non si trattava del genere di malattia che si potesse debellare con gli incantesimi curativi, e tutto quello che Sylvie e la sua apprendista potevano fare era lenire le sofferenze dei malati nella speranza che questo permettesse loro di vivere abbastanza a lungo da dare al loro corpo il tempo di guarire spontaneamente, cosa che purtroppo non sempre succedeva.

Tutti i giorni alla solita ora il sindaco e il comandante della guarnigione visitavano il sanatorio per constatare lo stato delle cose, rigorosamente attraverso i ballatoi superiori dell’edificio.

«La puzza di questo posto è sempre più insopportabile.» protestò Van Lobre passandosi tra i baffi il suo fazzoletto profumato. «Lady Valera, non dovreste stare così vicina agli ammalati. Anche lavandosi continuamente le mani e bruciando le tuniche protettive c’è sempre il rischio di ammalarsi.»

«Io ho già contratto in passato questa malattia.» rispose lei senza neanche alzare gli occhi dalla bambina che stava accudendo. «Quindi non corro alcun pericolo. Piuttosto signor Sindaco, mi avevate promesso di destinare nuove risorse al sanatorio.»

«Sfortunatamente ragazza mia le cose sono cambiate. A quanto si dice quei bifolchi di Dundee hanno sconfitto la spedizione punitiva organizzata dal Governatore. Non posso rischiare di lasciare i miei ragazzi senza medicine e guaritori.»

«Ma l’epidemia peggiora di giorno in giorno. Se non facciamo qualcosa i nostri sforzi non saranno sufficienti a tenere a freno il contagio. Inoltre dal momento che sia la milizia che la legione non pattugliano più la città subiamo continuamente furti di cibo e medicinali.»

«Non c’è altra scelta. Con quei pezzenti che scorrazzano liberi per tutta la provincia l’ultima cosa che ci serve è che comincino ad ammalarsi anche i soldati.»

«Almeno fateci avere dei rifornimenti dai granai e dai pozzi cittadini. Gli abitanti consumano acqua e cibo probabilmente contaminati da giorni.»

«Vi ho già detto che è impossibile. È proprio tramite acqua e cibo che il morbo si diffonde. I malati e i cittadini avranno accesso solo ai rifornimenti che gli sono già stati destinati, il resto resterà a disposizione dell’esercito. Pazientate mia cara, e vi prometto che appena il problema dei ribelli sarà risolto vi garantisco che faremo qualcosa in proposito.»

Sylvie aveva già avuto a che fare con cattivi amministratori e malgoverno, ma mai avrebbe immaginato che ci fossero persone talmente egoiste ed insensibili da lasciar morire i propri sudditi in modo tanto spregiudicato ed insensibile.

Ma d’altronde lei che poteva fare? La sua posizione non le permetteva certo di sfidare gli ordini, specie in una regione come Eirinn dove i nobili erano tutti in ottimi rapporti con il Circolo.

«Cercherò di far destinare una parte delle nostre risorse al sanatorio. Se mi promettete di tenerlo lontano dai malati più gravi, chiederò anche al nostro guaritore di venire a dare una mano.»

«Vi ringrazio Centurione. Sarebbe di grande aiuto.»

«Centurione Mannio! Il vostro compito è proteggere la città!»

«Proteggere la città significa anche portare aiuto ai suoi abitanti in caso di necessità. Ho parlato coi miei uomini e sono tutti d’accordo.»

Era quasi incredibile che un Centurione si preoccupasse per la sorte degli abitanti di una regione ostile all’Impero più di un nobile locale, che sbandieravano sentimenti reunionisti per accattivarsi le simpatie della gente ma che poi quando serviva si preoccupavano solo di sé stessi.

«Signor Sindaco!» strillò all’improvviso una guardia «Un’emergenza!»

«E adesso che c’è?»

«I ribelli, Vostra Grazia! Sono diretti qui!»

«Che cosa!? Dove si trovano?»

«Avanzano da est lungo la Via Dioscura

«Perché scegliere una strada così vecchia e trascurata?» si domandò Mannio. «Se volevano muoversi in fretta non aveva più senso usare la Via Magna? Forse cercavano di passare inosservati?»

«Chi se ne importa? Quella strada passa proprio attraverso le mie terre! Non permetterò certo a quegli animali di devastare i miei preziosi campi! Suonate l’adunata! Voglio tutti i soldati della milizia pronti a partire il prima possibile! E anche tu Mannio, chiama i tuoi uomini e ordinagli di prepararsi!»

«E chi rimane a presidiare la città? Così Basterwick resterà indifesa.»

«Al diavolo Basterwick! Fai come ti ho detto!»

Isabela arrivò a fare rapporto alla sua protetta quando Van Lobre e Mannio se n’erano già andati.

«So già tutto.»

«Legionari e miliziani si stanno già mobilitando. A difendere la città restiamo solo io e alcuni volontari. Lady Valera, per la vostra sicurezza forse sarebbe meglio che vi ritiraste nel palazzo del sindaco, dove potremmo difendervi più efficacemente.»

«Isabela ha ragione, Maestra Sylvie. Non puoi restare qui.»

«Non posso lasciare queste persone Vaelia. Hanno bisogno di noi adesso più che mai. E poi, qualcosa mi dice che non abbiamo niente da temere.»

 

La regione di Basterwick era molto diversa dal resto dell’Eirinn Occidentale, e nelle sue valli fertili si coltivavano grano, verdure e frutteti.

La città stessa era circondata da campi rigogliosi, che con l’avanzare della primavera andavano già riempiendosi di germogli destinati a trasformarsi in ottimo frumento.

E di tutti i campi che sorgevano attorno a Basterwick più della metà appartenevano a Van Lobre, che non aveva alcuna intenzione di permettere ai ribelli di passarci in mezzo e distruggere il suo raccolto.

Per questo motivo aveva scelto come luogo di scontro un vasto terreno incolto al di fuori dei suoi possedimenti, ad un paio di miglia di distanza dalle mura della città lungo la Via Dioscura.

Mannio aveva provato ad obiettare, sostenendo che un terreno così vasto e spoglio, circondato da boschetti, avrebbe potuto prestare il fianco ad un aggiramento, ma il sindaco non aveva voluto sentire ragioni facendo valere la sua autorità e costringendo il Centurione ad adattarsi.

Passarono ore, mentre il nemico si faceva desiderare esitando a farsi vedere.

«Sembra stia per arrivare un temporale.» osservò Mannio alzando gli occhi al cielo plumbeo.

Quando cominciarono a cadere le prime gocce di pioggia i ribelli si fecero finalmente vedere, ma definirli un esercito sarebbe stato fuori luogo.

«Sono pochissimi. Quanti saranno, cinquecento al massimo?»

«Tanto meglio. Risolviamo in fretta questa cosa e torniamocene a casa. Se ci sbrighiamo faccio ancora in tempo a prendere il mio tea.»

Per nulla spaventati dai numeri soverchianti dei loro nemici i ribelli andarono a disporsi sul campo di battaglia magistralmente guidati nei loro movimenti da Daemon, che in sella al suo cavallo bianco risaltava come un diamante nel fango.

«Li falceremo come le erbacce che sono! Miliziani, è ora di guadagnarsi la paga! Avanzate e spazzateli via!»

Stretti in formazione metà dei soldati della milizia avanzarono verso il nemico, venendo prima bersagliati da un lancio di frecce che ne uccise alcuni e poi caricati dai mostri, che usarono la loro forza e dimensioni per generare un urto devastante che la linea di scudi riuscì però faticosamente a reggere.

Nel mentre poche gocce di pioggia si erano trasformate in un batter d’occhio in un violentissimo temporale, e non occorse molto perché i miliziani iniziassero a vedersi mancare letteralmente il terreno sotto i piedi.

«Ma che diavolo succede?» protestò qualcuno. «Sembra di combattere sulle sabbie mobili!»

Di fronte allo spettacolo dei soldati nemici che affondavano nel fango, appesantiti oltretutto dalle proprie ingombranti armature, Dameon sorrise beffardo.

«Questi campi erano usati come risaie fino ad un paio di anni fa. Anche se adesso sono incolti e abbandonati, non sorprende che basti un po’ di pioggia perché si trasformino in paludi.»

Dall’altro capo del campo di battaglia Mannio notò il suo sguardo, e ricordandosi di aver sentito dire come quel ragazzo avesse inventato un qualche apparecchio capace di prevedere l’arrivo dei temporali allora capì.

Ecco perché è passato da qui. Sapeva che questo idiota avrebbe fatto di tutto per proteggere i suoi campi, e ci ha portati proprio dove voleva lui!

E il peggio doveva ancora venire. Perché se un terreno ridotto ad un pantano poteva risultare il peggior nemico di un esercito in assetto di guerra e abituato a combattere in formazione chiusa, non rappresentava certamente un problema per uno schiavo che aveva passato tutta la vita a lavorare e faticare immerso nel fango.

Dopo aver subito in un primo momento il contrattacco dei miliziani i ribelli presero nuovamente a guadagnare terreno, frantumando con una poderosa spinta la linea di scudi dei miliziani e ingaggiandoli in scontri uno contro uno in cui i mostri, più agili nonostante la mole spesso superiore, stavano rapidamente avendo la meglio.

«Dobbiamo ripiegare su di un terreno più favorevole!» provò a dire Mannio. «Se restiamo qui rischiamo di essere travolti!»

«Non se ne parla neanche! Ci basterà spingere di più!» e Van Lobre ordinò alle sue riserve di scendere in battaglia, minacciando di far tagliare la lingua al suo secondo quando questi tentò di far ragionare il Comandante sull’assurdità di ciò che stava facendo.

La mossa come previsto non sortì l’effetto sperato. Al contrario, i soldati della milizia erano talmente intralciati nei movimenti da risultare un facile bersaglio per gli arcieri ribelli, che ne uccisero a decine prima ancora che questi potessero giungere allo scontro.

«I tuoi uomini si stanno facendo massacrare! Devi ordinare loro di ripiegare!»

«Invece di parlare dammi una mano, razza d’incapace! O i tuoi legionari servono solo a marciare in parata e fare la guardia ai sanatori?»

Mannio non aveva alcuna intenzione di mandare i suoi soldati a morire in quella palude. Decise quindi di tentare una manovra di aggiramento, ordinando a metà dei suoi seicento legionari di staccarsi dallo schieramento e procedere attraverso il sentiero rialzato che tagliava i campi fino alla strada, avanzare quanto bastava e quindi attaccare il nemico su di un fianco, lasciando i restanti indietro come riserva.

Una mossa molto saggia e potenzialmente efficace. Peccato solo che Daemon se l’aspettasse, e prima ancora della battaglia avesse ordinato a Jack di prendere con sé un paio di centinaia di soldati e di andarsi ad appostare sul fondo di un fossato che costeggiava la Via Dioscura approfittando del momento in cui tutte le attenzioni del nemico sarebbero state concentrate su di lui.

In silenzio, appiattiti nel fango e coperti da mantelli di foglie, attesero fino a quando i legionari non furono passati.

«Adesso! All’attacco!» e con Jack in testa si scagliarono contro il nemico prendendolo alle spalle.

Alla vista dei suoi legionari travolti e costretti ad una difesa disperata Mannio non riuscì a crederci, rinunciando subito all’idea di inviare i suoi restanti uomini a dare una mano per non lasciare sé stesso e quell’incapace di Van Lobre senza alcuna protezione.

Dannazione, ma come fa questo ragazzino ad essere sempre due passi avanti a noi? È come se ci leggesse nel pensiero!

Ma lo sgomento che provava era niente rispetto a quello che stava per succedere.

«Comandante! La città!»

Al che i soldati, persino quelli impegnati in battaglia, girarono gli occhi alle proprie spalle, e ciò che videro fu sufficiente a far gelare a tutti il sangue nelle vene.

«Per tutti gli dei!»

 

Era incredibile come Daemon riuscisse a pensare alle cose con giorni di anticipo ed avere sempre ragione.

Ormai l’avevano capito tutti: lui era nato per comandare. E il mestiere di condottiero in particolare sembrava calzargli come un guanto, quasi che fin dalla nascita non fosse stato destinato ad altro che a quello.

Poco dopo aver lasciato l’accampamento aveva ordinato a Scalia, Drufo e una decina di altri di staccarsi dal resto dell’armata e procedere per sentieri secondari fin sotto alle mura di Basterwick.

Una volta giunti sul posto si erano nascosti in un vecchio fienile abbandonato e semidistrutto, da cui come previsto potevano vedere chiaramente tutto quello che succedeva sia verso la città che in direzione del campo di battaglia.

«Allora?» domandò Scalia quando Drufo tornò dal suo giro di esplorazione

«È come aveva detto Daemon. Le mura e le torri sono deserte. È probabile che l’intero esercito tra miliziani e legionari sia impegnato a combattere.»

«E le porte ad est?»

«Aperte, come da previsioni. E a sorvegliarle ci sono solo un pugno di civili armati della guardia cittadina.»

«Allora sbrighiamoci. Siete pronti?»

«Tu che cosa dici?» rispose Passe facendo le veci di tutti

«Ricordate quello che ha detto Daemon, dobbiamo evitare a tutti i costi di uccidere. Meno vittime ci saranno e meglio sarà per noi.»

«E se tentano di farci la pelle?»

«Sono solo civili spaventati e confusi.» disse Drufo «Graffiateli o spaventateli un po’, e vedrete che si arrenderanno subito. Altrimenti perché credi che avremmo portato un vecchio coboldo monco e orbo come te su di un campo di battaglia?»

«Ha parlato la mezza capra. Sicuro di sapere ancora come affrontare un nemico faccia a faccia?»

«Smettetela voi due. Forza, andiamo.»

Quando i guardiani li videro apparire dal nulla lanciati alla carica tentarono vanamente di chiudere il portone, ma Drufo li mise tutti fuori combattimento con una freccia ciascuno aprendo la strada.

La città come previsto era deserta, e i pochi cittadini armati che la stavano proteggendo si arresero prima ancora che gli assalitori arrivassero nella piazza centrale.

«Dove sono tutti i soldati?» chiese Scalia a uno di loro, cercando di apparire il più minacciosa possibile

«Sono tutti fuori che combattono. Ci siamo solo noi.»

«È davvero incredibile.» disse Passe «Come si fa a lasciare tutte queste persone senza alcuna protezione?»

«Se non altro abbiamo ottenuto quello che volevamo. La città è nostra, e nessuno ci ha rimesso la vita.»

«Fermi dove siete!»

Dal grande edificio dall’altro lato della piazza venne fuori una ragazza in armatura con la spada in mano, e che avanzò verso di loro come se volesse sfidarli tutti da sola.

«È finita. La città è già nostra, e presto i nostri compagni sconfiggeranno i soldati che stanno combattendo all’esterno.»

In realtà non era del tutto vero; al contrario, stando alle parole di Daemon buona parte delle loro possibilità di vittoria passavano dal compito che Scalia e gli altri dovevano ancora portare a termine.

«Non c’è motivo di combattere ulteriormente.»

«Io ho giurato di proteggere questa città e i suoi abitanti, e lo farò a qualsiasi costo!»

L’ordine di evitare di uccidere era ancora valido quindi Drufo tentò di mettere fuori combattimento quell’esaltata con qualche tiro dei suoi, ma lei intercettò tutte le frecce spezzandole di netto.

Allora fu il turno di Passe, che caricò come un toro sventolando l’ascia sopra la testa, e che venne prima schivato nel suo assalto e poi messo al tappeto con uno sgambetto dopo aver subito un fendente che, non fosse stato per la sua pelliccia ispida, gli avrebbe aperto in due il ventre.

Gli altri erano già pronti a saltarle addosso tutti insieme, ma Scalia li fermò; non perché temesse per la sua o la loro incolumità, ma perché tutto d’un tratto la ragazza sentì uno strano calore percorrerle tutto il corpo, accompagnato da un fremito irresistibile.

«Voi restate indietro. Me la vedo io con lei.»

La sfidante restò immobile ad osservare Scalia che uscendo dal gruppo si portava davanti a lei, e una volta che furono faccia a faccia passarono diverso tempo ad osservarsi vicendevolmente negli occhi con aria di sfida.

«Non credo di conoscere il tuo nome.»

«Ha importanza?»

«Ci tengo a sapere con chi mi sto battendo. E poi mio fratello lo dice sempre che è buona educazione chiedere il nome al proprio sfidante.»

«Se questo tono è l’idea che tu hai di educazione direi che devi ancora lavorarci parecchio.»

Più che due guerriere sul punto di battersi sembravano due gatte che si soffiavano addosso mostrando i denti.

«Il mio nome è Isabela, e sono una Guardia del Tempio.»

«Io invece mi chiamo Scalia, e sono la figlia del Generale Zorech

«Ho sentito parlare di lui. La sua fama lo precede.»

«Ironico, non sei d’accordo? Una Guardia del Tempio che sfida a duello la figlia del Primo Generale del Signore Oscuro. Vorrà dire che considererò la tua morte la giusta compensazione per tutti i nostri compagni che avete ucciso cinquecento anni fa.»

Forse, pensò Scalia, era per questo che le corde del suo cuore avevano vibrato nel momento in cui l’aveva vista; forse istintivamente aveva riconosciuto quella corazza scintillante e quello stemma d’oro di cui suo padre qualche volta le aveva parlato.

«Un consiglio. Non ti azzardare a usare il bind. Provaci, e i miei amici ti salteranno addosso tutti insieme.»

«Per chi mi hai presa? Il nostro sarà un duello leale. Lo giuro sul mio onore di Guardia del Tempio.»

Non poteva più aspettare.

«Eccomi che arrivo!»

Caricò mettendoci tutta la forza e la velocità di cui era capace, guidata da una sete di battaglia che mai aveva sentito prima di quel momento.

Durante l’ultima battaglia era stata capace di sfondare gli scudi dei nemici e trapassarli con un solo colpo, ed era sicura che anche stavolta sarebbe stato lo stesso; invece quella tettona abbronzata non solo riuscì a deviare la sua spada facendola scivolare placidamente sulla propria, ma per poco non fu lei a prendersi un affondo in pieno ventre evitandolo per un soffio.

«Non ci credo! Lo ha evitato così facilmente?»

In realtà non si trattava solo di maestria nell’arte della spada; nell’istante in cui le loro armi si erano toccate Scalia aveva percepito qualcosa di strano, come se tutta l’energia che aveva messo nel suo attacco si fosse dissolta.

Come se non bastasse Isabela era riuscita a graffiarla leggermente, e Scalia si accorse subito che nonostante il passare dei secondi la ferita non dava segno di voler guarire.

«Non essere così sorpresa.» disse l’avversaria come se le avesse letto nel pensiero. «Sia la mia spada che l’armatura sono benedette. I tuoi poteri, qualunque essi siano, saranno annullati fintanto che starai nelle mie vicinanze.»

Ora era tutto chiaro.

Ecco perché un colpo che come minimo avrebbe dovuto romperle il braccio si era trasformato in una carezza così facile da respingere.

«Maledetta! Questo è giocare sporco!»

«Allora? Non volevi uccidermi per vendicare i tuoi compagni? Ti sto aspettando.»

«Adesso ti uccido, maledetta presuntuosa!»

Scalia si era sempre reputata una brava spadaccina, ma in realtà forse aveva sempre confidato troppo nella sua forza fisica di molto superiore a quella di un qualunque essere umano.

Ora invece sembrava solo una scimmia con in mano un bastone, una lucertola senza cervello né forma che aveva dimenticato tutti gli insegnamenti e cercava solo di prevalere contando unicamente sulla potenza.

«Sarebbe tutta qui la tua abilità? Non è altro che mera forza bruta.»

«Taci, maledetta!»

Scalia si sforzava di mettere a tacere la rabbia e recuperare un minimo di autocontrollo, ma per quanto ci provasse non riusciva in alcun modo a superare le sue difese; lei al contrario era già riuscita a ferirla altre due volte, e il fatto che si stesse palesemente trattenendo dall’infliggere attacchi mortali aveva il solo effetto di rendere Scalia ancora più furiosa.

La fortuna però venne improvvisamente in suo soccorso. Da che avevano iniziato a combattere Isabela non era stata ferma un attimo, muovendo le gambe a destra e a sinistra come una ballerina e schivando quasi sempre gli attacchi della sua avversaria senza neanche dover usare la spada. Forse si distrasse, forse appoggiò male un piede, fatto sta che ad un certo punto perse l’equilibrio, e una smorfia di sofferenza comparve sul suo volto di pietra.

«Sei mia!» gridò Scalia mirando al braccio sinistro, senza pensare che con la sua avversaria così indifesa avrebbe potuto staccarglielo di netto, armatura sacra o meno.

Ma non le importava. Volevo solo vincere.

E invece fu la sua spada a spezzarsi come un giocattolo limitandosi a lacerare la cappa bianca che celava il braccio, e che aprendosi rivelò uno scintillante guanto metallico che brillava di una luce carica di magia.

«Uno scudo sacro!?»

Suo padre e il vecchio Taren gliene avevano parlato, ma visto che venivano concessi solo alle Guardie più abili non avrebbe mai pensato di poterne vedere uno con i suoi occhi.

Tale era il suo stupore che quasi non si oppose al contrattacco di Isabela, finendo a mangiare la terra dopo un paio di assalti cui oppose una difesa tanto disperata quanto inutile.

«Non ci credo!» disse Passe. «Scalia ha perso!?»

Prima che potesse rialzare la testa, Scalia aveva la punta della spada di Isabela appoggiata sulla fronte.

«È finita. Arrenditi.»

Invece no.

Aveva ancora una carta da giocare.

Zorech le aveva detto di non farlo mai, perché in quanto sanguemisto avrebbe potuto rischiare di farsi male, ma ormai era diventata una questione personale in cui non poteva né voleva permettersi di perdere.

Bluffando pietosamente, abbassò la testa come se avesse avuto davvero intenzione di arrendersi.

Ma nell’istante in cui Isabela abbassò la guardia, ecco arrivare la sorpresa.

Dopotutto Scalia era pur sempre un drago, anche se solo per metà, e oltre alle corna, alla coda e alla lunga vita aveva ereditato da suo padre anche la capacità di sputare fuoco.

«Ma cosa…» strillò la guardia vedendosi arrivare addosso una nuvola fiammeggiante.

Non la si poteva neanche considerare una vera fiammata, ma tanto bastò per ribaltare la situazione; rialzatasi, Scalia usò tutta la forza che le era rimasta per assestarle un pugno dei suoi e metterla fuori combattimento.

«Hai ragione. È proprio finita.»

«Hai imbrogliato. Con che coraggio ti definisci una spadaccina?»

«Ha parlato la santa. Non sono stata io a nascondere la spada magica e lo scudo sacro. E comunque in guerra non c’è onestà che tenga. Chi vince ha sempre ragione.»

«E allora avanti, che aspetti? Uccidimi e facciamola finita. Solo promettimi che non farete del male ai cittadini e ai malati.»

In realtà non aveva mai voluto davvero ucciderla, e ora che la rabbia stava passando se ne rendeva nuovamente conto.

Era ancora indecisa su come fare per uscire da quella situazione senza ferire ulteriormente il suo orgoglio quando Isabela le crollò letteralmente davanti, iniziando a tremare e a tossire sangue.

Anche se in quell’ultimo pugno aveva messo tutta sé stessa era stata attenta a non colpirla in punti pericolosi, quindi la spiegazione poteva essere soltanto una.

«Non è possibile! Sei malata anche tu!?»

Ora Scalia si spiegava quelle indecisioni e quei movimenti goffi che le avevano permesso di vincere, e quel poco che restava del suo amor proprio si sgretolò sotto il peso di una consapevolezza che minacciava di schiacciarla.

Non poteva morire. Non glielo avrebbe permesso; non prima che fosse riuscita a batterla in un vero scontro facendole ingoiare tutta la sua presunzione.

«Presto Passe, trova qualcuno che la aiuti! Gli altri invece mi seguano. Abbiamo ancora una missione da portare a termine.»

 

«La città! La città è caduta!»

La vista del vessillo imperiale ammainato dal torrione di Basterwick e rimpiazzato da uno straccio rosso, bianco e blu sconvolse i soldati ancora impegnati in battaglia, e per come si stavano mettendo le cose Mannio sapeva che ormai era solo una questione di tempo prima che venissero messi in rotta.

«Dove state andando branco di conigli?» strillò Van Lobre quando i miliziani al suo comando iniziarono a scappare disperdendosi nelle campagne. «Tornate subito a combattere!»

Con il nemico sia davanti che dietro e ogni via di fuga preclusa, Mannio sapeva che ormai restava una sola cosa da fare.

«Fate alzare la bandiera bianca!»

Come se non stessero aspettando altro gli sbandieratori obbedirono immediatamente, e nel momento in cui anche dal campo opposto si alzò una bandiera gli scontri si fermarono, permettendo ai due eserciti di rientrare nei ranghi.

«Che state facendo? Cosa vuol dire tutto ciò! Non possiamo arrenderci!»

«È finita, signor Sindaco. Abbiamo perso.»

«Non abbiamo perso nulla! Chi sei tu per decidere? Io sono il tuo comandante in capo, e voi tutti dovete obbedirmi! E io vi ordino di riprendere subito a combattere! Mi avete sentito maledetti? Vi ho detto di…»

Quella era la prima volta che Van Lobre riceveva un pugno, e con la forza che aveva Mannio quel suo battesimo in tal senso fu decisamente traumatico.

«Come hai osato? Arrestatelo subito!»

Invece fu lui ad essere arrestato.

«Maledetti! Questo è tradimento!»

«Consideralo un colpo di stato, razza d’idiota!»

«Lasciatemi, dannazione! Vi ho detto di lasciarmi!»

Mentre Van Lobre veniva portato via Mannio mandò il suo secondo Vero a chiedere un incontro con il comandante nemico per tentare di negoziare una resa onorevole; il centurione non era mai stato un diplomatico e per i politici aveva solo disprezzo, ma date le circostanze più che alla diplomazia si poteva confidare solo nella clemenza dei vincitori.

«Allora?»

«Accettano, Centurione. Io e voi da soli.»

L’incontro avvenne su di un dosso rialzato nel cuore del campo di battaglia, al riparo dal fango ma dove tutti potevano vedere cosa accadeva, sotto un telo allestito in fretta e furia per l’occasione.

«Centurione Mannio. È un piacere per me conoscervi. Ho sentito parlare molto bene di voi.»

«Non sono qui per ascoltare chiacchiere da imbonitore. Avete preso la città, quindi non siamo certo nella posizione di poter negoziare.»

«Il fatto che voi siate qui vi fa onore. Significa che siete abbastanza saggio da capire quando è il momento di far tacere le armi e di parlare.»

«Ma voglio essere chiaro su di una cosa. Questo incontro morirà sul nascere se non mi darete la vostra parola che agli abitanti della città non sarà fatto alcun male. Tra il sindaco e l’epidemia, questa gente ha già sofferto anche troppo.»

«Potete stare tranquillo. Vedete l’asta con la bandiera? Non c’è nessun drappo nero sopra di essa, il che significa che l’occupazione è avvenuta senza che vi sia stata alcuna vittima. La nostra lotta non è contro i civili e gli inermi. E non sarà neanche contro di voi se ora deciderete di arrendervi.»

«Se lo facciamo, quale sarà la sorte dei miei uomini?»

«Chi lo vorrà potrà unirsi a noi, tutti gli altri dovranno essere messi agli arresti e internati fino alla fine della guerra. Ma avete la mia parola d’onore che a nessuno di loro sarà fatto del male. Quando questa terra sarà liberata dal controllo dell’Impero e restituita al suo popolo potranno restare qui e ricominciare o tornare alle loro case.»

Mannio era confuso e sorpreso, anche se cercava di non darlo a vedere; mai una volta nella sua storia l’Impero aveva parlamentato con una nazione sconfitta, limitandosi a porre degli ultimatum che la parte avversa doveva accettare per non essere spazzata via.

Quel ragazzo aveva tutto per poter esigere quello che voleva, eppure si stava comportando in modo a dir poco cavalleresco, per non parlare del fatto che era un umano al comando di un esercito di mostri.

«Perché lo state facendo?»

«L’avete detto voi stesso. Questa gente ha sofferto anche troppo.»

«E pensi davvero che questo cambierà le cose?»

«Se non ci proviamo non lo sapremo mai. D’altronde, che alternative abbiamo?»

Ora che l’accordo era stabilito restava solo una cosa da fare.

«Ufficiali come voi ci farebbero molto comodo.» disse Daemon, quasi che gli avesse letto nel pensiero

«Io posso negoziare la salvezza dei miei uomini, ma devo essere pronto ad assumermene la responsabilità. Non c’è onore nel cambiare la propria bandiera a seconda di chi sia il più forte.»

«Altri legionari si sono schierati al nostro fianco.»

«Sono giovani. Hanno il diritto di sognare un mondo migliore. Io sono troppo vecchio per mettermi ad inseguire dei sogni che mi costringerebbero ad andare contro ciò per cui ho combattuto tutta la vita. Ti affido i miei uomini e questo Paese, ragazzo. Confido che darai loro qualcosa di meglio rispetto a ciò che hanno avuto finora.»

Detto questo, e senza tradire alcuna emozione, Mannio estrasse il suo pugnale da ufficiale e si tagliò la gola.

Da tempo il suicidio aveva smesso di essere una consuetudine per gli ufficiali imperiali che venivano meno ai propri doveri, ma Mannio non era uomo da venire meno ai propri principi. E anche se ormai non credeva più in quell’Impero per il quale aveva appena sacrificato la sua vita non poteva sopportare l’idea di aver fallito nel difenderlo.

«Risparmiate tutti. Se qualcuno alza un dito, lo uccido con le mie mani.»

 

Fin dal momento in cui Septimus mi aveva descritto il personaggio avevo capito subito che la sorte di Mannio non sarebbe stata altro che quella.

Avevo conosciuto abbastanza vecchi sottufficiali veterani nel corso della mia vita da sapere che potevano essere allo stesso tempo un’utile risorsa e una spina nel fianco; da una parte il fascino magnetico che esercitavano sulla truppa era indubbiamente utile e permetteva loro di tenere in pugno i propri reparti anche nelle situazioni più disperate, dall’altra il loro attaccamento al dovere li rendeva troppo spesso dei fossili, capaci magari di ammettere il cambiamento dei costumi ma non di adeguarsi ad esso.

E allora perché quella messinscena della presa della città, vi chiederete?

In primo luogo per evitare un inutile bagno di sangue, e poi per togliermi di torno quell’incapace di Van Lobre senza dover essere io a sporcarmi le mani. Ero certo che tra i due i rapporti dovessero essere tesi, e che al momento fatidico Mannio avrebbe messo la vita dei suoi uomini davanti alla cupidigia di un pazzo.

L’ingresso in città fu perfino troppo scenografico, ma era necessario per impressionare sia gli abitanti che le spie che avrebbero in seguito fatto rapporto al Castello. Dietro di noi marciavano anche i legionari catturati, e dato che i grandi scudi blu catturavano tutte le attenzioni nessuno sembrò fare caso al fatto che non avessero più lance né spade: una piccola precauzione per evitare a qualche testa matta di fare qualcosa di stupido e un espediente per permettere loro di salvare le apparenze.

«Ottimo lavoro Scalia. Senza il vostro aiuto ci sarebbero state molte più perdite.»

«Avremmo fatto anche prima se non ci fosse stato un piccolo intoppo. Chi se l’aspettava una Guardia del Tempio in questo posto sperduto?»

«Una Guardia del Tempio!? E dov’è adesso?»

«Al sanatorio. Anche lei era contagiata a quanto pare.»

«E nonostante tutto è riuscita a metterti in difficoltà, stando a quanto dicono Passe e Drufo

«Cos’è questo tono sarcastico? Mi ha colta di sorpresa, e per di più ha barato!»

«E scommetto che l’hai fatto anche tu.»

Era un colpo di fortuna che non mi sarei mai aspettato, così ignorando le puerili argomentazioni di Scalia per giustificare la sua condotta nel duello mi diressi subito al sanatorio, dove ero sicuro di trovare la persona che stavo cercando.

Nella mia vita precedente mi ero abituato alla vista dei morti e dei moribondi, ma vedere un uomo venire mangiato vivo da una malattia era uno spettacolo davanti al quale ancora mi veniva difficile trovare la forza per restare impassibile.

Dinnanzi a tutta quella sofferenza mi sembrava di essere tornato nei lazzaretti di Alessandria e del Cairo, dove avevo visto tante, troppe giovani vite marcire in quella disgraziatissima campagna d’Egitto della quale, negli anni successivi, mi sarei sempre pentito.

Per fortuna in quel mondo c’era la magia, che anche se non poteva curare del tutto i malati poteva però alleviare almeno un po’ le loro pene e dagli qualche speranza di sopravvivenza in più.

In parte mi aspettavo che sapendo dell’epidemia in corso lady Valera non avrebbe esitato a fare quello che era in suo potere per andare in aiuto di quelle persone, ma incontrarla lì, intenta a curare i malati con le sue arti mistiche fino a farsi pallida come un morto lei stessa, fu un po’ una sorpresa.

I santi sono sempre così prevedibili.

«Lady Valera.»

«Signor Haselworth.»

«Ormai dovreste averlo capito che quel cognome era solo una messinscena. Per voi sono solo Daemon.»

«La città è vostra, e io sono il vescovo assegnato al governatore contro cui state combattendo. Se volete espellermi o cacciarmi non mi opporrò. Vi chiedo solo di permettermi di assistere ancora un po’ queste persone.»

«Non è mia intenzione fare niente del genere. Al contrario, se aveste voluto andarvene vi avrei chiesto di restare. In questo momento nessun altro saprebbe essere più di aiuto a queste persone, la cui sorte mi sta a cuore tanto quanto sta a cuore a voi.»

Sylvie non sembrò sorpresa di sentirmi parlare in quel modo. Forse pensava che fossi determinato a sfruttare la sua presenza per ingraziarmi i seguaci di Gaia nonostante fossi il capo di una rivoluzione di mostri, che di certo non erano amanti della chiesa e dei suoi rappresentanti; e avrebbe avuto ragione.

«Pensando che poteste averne bisogno abbiamo portato con noi cibo e acqua non contaminati. Non è molto, ma spero possa esservi d’aiuto.»

«Lo sarà di sicuro.»

«Farò anche implementare le misure di quarantena. Anche se il morbo non colpisce mostri e mezzosangue dobbiamo evitare che qualcuno di noi finisca per portare in giro il contagio senza volerlo. Pertanto, io e i miei soldati resteremo fuori dalla città, e ripartiremo solo una volta conclusa la quarantena.»

Tanto non c’era nessuna fretta.

Il tempo di sopravvivenza del germe che causava la malattia fuori dal corpo era di soli sei giorni, quindi sarebbe bastato attendere una settimana per poi potersi allontanare in tutta sicurezza.

Molto meno del tempo che sarebbe servito a Ron per organizzare la nuova spedizione, soprattutto ora che gli avevamo tagliato i rifornimenti.

«Sto facendo allestire un quartier generale appena fuori dalla porta nord. Per qualsiasi cosa potete trovarmi là.»

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti, ed eccomi qua con il secondo capitolo del secondo volume di “Napoleon of Another World!”

Dopo i primi preamboli questa è la prima vera battaglia che ho descritto, e state pur certi che ce ne saranno molte altre.

Da appassionato di storia militare e tattica mi diverto sempre molto a raccontare eventi di questo genere, ma riuscire ad entrare nella testa di un genio tattico come Napoleone e cercare di ipotizzarne le mosse è stata un’impresa per niente semplice, e alla fine ho cercato di restare entro concetti basilari per non andarmi ad inerpicare per soluzioni troppo intricate.

Per quelle semmai ci sarà tempo.

A presto!^_^

Carlos Olivera

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** CAPITOLO 3 - LA STREGA ***


“Non esiste l’immortalità della carne”

Solo quella del ricordo che lasciamo di noi”

CAPITOLO 3

LA STREGA

 

 

Adrian aveva sempre creduto nella superiorità del cervello rispetto ai muscoli, e fin da quando aveva imparato a leggere si era impegnato anima e corpo ad ampliare il più possibile le sue conoscenze nei più svariati ambiti del sapere umano.

Più volte da bambino gli era capitato di ottenere il rispetto di ragazzi più grandi e maneschi di lui usando unicamente l’arte della dialettica, e prima di arrivare a compiere dodici anni il suo intelletto e le sue conoscenze già surclassavano quelle dei suoi stessi insegnanti.

In molti lo reputavano un ragazzino strano, a tratti persino inquietante, capace di capire ogni cosa di una persona semplicemente guardandola, ma non se n’era mai curato, sicuro com’era che con le parole fosse possibile vincere qualunque sfida.

Poi però, un brutto giorno, aveva incontrato un avversario con il quale la sua arma si era rivelata del tutto inefficace, uscendo da quell’esperienza, oltre che con parecchi lividi, anche con una nuova consapevolezza: quella che esistono individui che concepiscono solo le ragioni del più forte, e con i quali l’uso della violenza non è solo legittimo, ma anche indispensabile.

Forte di questa rivelazione si era iscritto all’accademia militare imperiale sorprendendo il suo stesso padre, che l’aveva sempre considerato un topo di biblioteca senza nessun avvenire.

In fin dei conti, si era detto, apprendere l’arte di uccidere e guidare gli uomini in battaglia non era tanto diverso dal giocare a madara, nel quale per inciso era imbattuto fin dall’età di nove anni: bastava sopraffare l’avversario con il proprio talento e muovere con astuzia i pezzi a propria disposizione, senza timore di sacrificarli se necessario, per ottenere il miglior risultato possibile.

E anche qui aveva brillato.

Dopo un anno aveva i voti più alti di tutta la scuola. Dopo due aveva sconfitto in duello tutti i settantaquattro compagni più grandi in procinto di diplomarsi. Infine, a conclusione del terzo, aveva guidato gli studenti dell’accademia nella tradizionale battaglia simulata alla presenza dell’Imperatore Ademar, riuscendo a sconfiggere con sconvolgente facilità nientemeno che il comandante in seconda dell’esercito imperiale, il Generale Lepido.

A ragione di tutto ciò Sua Maestà non ci aveva pensato due volte a consacrare e riconoscere ufficialmente la sua piccola unità di guerrieri scelti, – quasi tutti suoi compagni di studi – trecento giovani soldati abilissimi e assolutamente fedeli, che per lui avrebbero marciato anche attraverso le sale dell’oltretomba.

Con la sua abilità avrebbe potuto richiedere tranquillamente l’ammissione alla scuola ufficiali, per la quale era stato ovviamente raccomandato; invece aveva preferito seguire suo padre fino all’estrema periferia dell’Impero, conscio del fatto che la vera esperienza andasse ricercata il più lontano possibile dai fasti e dalle comodità della capitale.

La sua pazienza era infine stata premiata, e ora aveva finalmente l’occasione di mettersi alla prova con una sfida che reputava degna della sua attenzione. E non se la sarebbe lasciata scappare.

Il ritorno di Ron al Castello con meno della metà dei soldati con cui era partito giocò a suo favore, e gli bastarono poche parole per ottenere da suo padre il permesso di accompagnare il Generale nella prossima spedizione.

E per rendere il tutto ancora più stimolante, Adrian si stava rendendo conto una volta di più come Daemon si stesse rivelando esattamente il tipo di persona che si aspettava.

«La notizia è confermata.» disse una mattina, dopo aver raggiunto Ron nella sala di guerra del Castello «Daemon ha preso Basterwick sei giorni fa. Le nostre linee di approvvigionamento sono tagliate.»

«Maledizione! Ora tutto il materiale e le armi che aspettavamo da Faria finiranno nelle mani di quei pezzenti!»

«Date le circostanze la nostra operazione non può essere posticipata ulteriormente. Dobbiamo attaccarli con quello che abbiamo. E sono pronto a scommettere che lui ne è consapevole.»

«Voi come suggerireste di procedere?»

«Dato che il nemico ha diviso le sue forze l’istinto ci suggerirebbe di fare altrettanto e sconfiggerli separatamente, ma sarebbe un errore. La cosa migliore da fare è riunire tutte le nostre forze e ingaggiare il grosso dell’esercito nemico qui, a Chateroi, dove stando ai rapporti si sono trincerati e si preparano allo scontro. Daemon ovviamente ne sarà informato e cercherà di prenderci sul fianco. È probabile che lo faccia nel bel mezzo della battaglia, quando il grosso delle nostre forze sarà già in combattimento. E noi gli lasceremo credere di poterlo fare, non ostacolandolo in alcun modo nella sua avanzata. Una volta arrivato però non troverà davanti a sé un campo sguarnito, ma la mia unità scelta e una parte della legione, schierati e pronti ad accoglierlo. Separati e impossibilitati a supportarsi a vicenda, i due tronconi dell’armata si sfalderanno come una tela usurata.»

Il Generale dovette riconoscere che nella sua semplicità si trattava di un buon piano.

«Credo di essermi fatto un’idea abbastanza precisa del nostro avversario.» proseguì Adrian. «Daemon è il tipo di comandante che pensa di essere sempre due passi avanti a tutti gli altri.»

«Cosa ve lo fa pensare?»

«Il cavallo bianco, i cannoni. Si è voluto mettere in mostra e fare sfoggio del suo genio militare fin dalla prima battaglia. Ne ho conosciuti tanti come lui in accademia, e per esperienza so che hanno tutti lo stesso difetto.»

«Ovvero?»

«Lo scarso autocontrollo. Le situazioni impreviste sul campo di battaglia rendono quelli come lui nervosi ed inclini a sbagliare. Quindi useremo il suo senso di superiorità contro di lui. Nel momento in cui vedrà la sua tattica sgretolarsi, così sarà anche per la sua sicurezza. A quel punto dovremo solo chiudere la questione.»

Il corno proveniente dal cortile annunciò che l’intera legione era in armi e pronta a radunarsi nella piazza d’armi.

«Su con la vita, Generale. Questa battaglia sarà tanto semplice quanto spettacolare.»

 

Fin dai tempi in cui Eirinn era ancora una nazione indipendente Basterwick era stata la seconda città dell’antico Granducato, sia per importanza che per dimensioni.

Ma era anche una città terribilmente insalubre, costruita a pochi passi da una vasta palude e circondata da campi che durante la stagione delle piogge si trasformavano in acquitrini, perfetto terreno di coltura per ogni sorta di germe e malattia.

Nei secoli si erano succedute molte epidemie, ma quella che stava colpendo ora gli abitanti rischiava di essere una delle peggiori degli ultimi secoli.

Mettere a disposizione degli abitanti ancora sani cibo e acqua provenienti da fuori aveva rallentato sensibilmente il diffondersi del morbo, ma per chi era già malato non c’era altro da fare se non alleviare i loro tormenti con magia e decotti e sperare per il meglio.

Noi ci eravamo stabiliti nella fattoria di Van Lobre, un villino fortificato a due passi dalle mura da cui potevamo controllare la Via Magna e bloccare tutti i carichi in arrivo da est.

Ma nel mentre che passavano i giorni la situazione non accennava a migliorare.

Sapevo di essermi preso un rischio andando a cacciarmi in una città nel bel mezzo di un’epidemia, e il fatto di non poter fare altro che aspettare mi rendeva nervoso ed irritabile.

Per mia fortuna ero sempre stato allergico alle malattie, e da quando mi ero reincarnato non avevo mai preso neanche un raffreddore.

Per far passare il tempo mi tenevo occupato lavorando e pianificando le prossime mosse.

Aver diviso in due gruppi i legionari arresisi dopo la battaglia tenendo separati i veterani dalle giovani reclute era stata una buona idea, ed ero certo che al momento di mettersi in marcia verso il Castello avrei potuto contare almeno su un paio di centinaia di soldati in più.

Di contro non era stato facile convincere il Decurione Vero a prestarmi i suoi servigi per mantenere l’ordine in città, e per vincerne la reticenza ero stato costretto a calcare un po’ la mano, dicendogli che non potevo impegnarmi a tenere i suoi compagni lontano dal contagio sacrificando provviste e spazi senza avere qualcosa in cambio.

In altri tempi non mi sarei preoccupato di tenermi buono un individuo così poco affidabile, ma dopotutto mi dispiaceva ancora per quanto era accaduto a Jorn, e almeno a lui volevo dare una possibilità. In qualche modo sapevo che non sarebbe stato altrettanto ingenuo, e che al momento giusto avrebbe saputo scegliere saggiamente tra il restare fedele alla memoria di un vecchio fossile e impegnarsi in una causa per cui valeva la pena lottare.

Purtroppo come spesso succede quando non si ha il controllo degli eventi, anche in questo caso l’imprevisto venne a metterci lo zampino.

Allora come nella mia vita precedente non avevo mai creduto all’esistenza di un disegno divino predeterminato che gli esseri viventi si limitano a mettere in pratica con le loro azioni. Di certo però non potevo assolutamente immaginare la portata che avrebbero avuto gli eventi di quel giorno, che mi avrebbero spinto a credere per la prima volta in vita mia all’esistenza del destino.

«Scalia sta male!?»

 

Ad uno schiavo non era certo concesso il lusso di potersi ammalare, quindi era naturale che un po’ tutti avessero imparato con il tempo a sopportare le malattie ignorandone la sofferenza.

O forse, più semplicemente, Scalia era troppo testarda ed orgogliosa per ammettere di sentirsi poco bene.

Accadde così che una mattina Drufo e Passe, non vedendola arrivare, fossero andati a cercarla nella sua camera, trovandola pallida, febbricitante e così debole da non riuscire nemmeno ad alzarsi dal letto.

Saggiamente, i due avevano taciuto agli altri la presenza dei segni inequivocabili del contagio per non provocare il panico, e con la scusa di tenerla isolata in via precauzionale l’avevano affidata subito alle cure di Sylvie al sanatorio.

Per una strana coincidenza, nella sua stessa stanzetta era ricoverata anche Isabela, che nel corso della settimana non aveva mostrato alcun segno di miglioramento, e le cui condizioni destavano più di qualche preoccupazione.

Erano entrambe così deboli da faticare a restare sveglie, ma ciò nonostante riuscivano comunque a trovare la forza per lanciarsi frecciatine velenose.

«Non ti azzardare a morire, maledetta tettona. Sarò solo io a prendermi la tua pellaccia.»

«Vale lo stesso per te, piccola sputafuoco.»

«Se riuscite a beccarvi in questo modo, forse non state poi così male dopotutto.»

Anche se Daemon si sforzava di mostrarsi distaccato Sylvie non poteva dimenticare lo sguardo che aveva un attimo prima di entrare nella stanza, né il suo evidente sollievo alla vista della sorella che malgrado tutto non sembrava essere stata colpita in maniera troppo severa dalla malattia.

«Non capisco.» disse Drufo «Credevo che questa malattia colpisse solo gli umani.»

«Una volta ho sentito dire che i germi che causano le malattie possono diventare più forti col passare del tempo.» disse Daemon. «Forse adesso questo germe può colpire anche i mezzosangue più simili agli umani.»

«È un bel problema.» disse Passe. «Ci sono tanti semiumani come lei nel nostro esercito. Se la cosa si viene a sapere si scatenerà il panico.»

«Forse dovremmo andarcene finché possiamo.»

«No aspettate. Se lo fate rischierete di portare il contagio altrove.»

«Il Decurione ha ragione, Drufo. Se adesso sembra brutto, non avete idea di che cosa voglia dire avere a che fare con un'intera nazione devastata da un'epidemia.»

«Ma non possiamo neanche restare qui ad aspettare di ammalarci tutti.»

«Per non parlare del fatto che a quest’ora i nostri nemici saranno ormai pronti a muovere.»

Avendo origliato il discorso, una vecchia signora che accudiva il nipotino nella stanza accanto scostò leggermente la tenda divisoria rivolgendosi a Daemon.

«Forse c’è qualcuno che può aiutarci.» disse con sguardo cupo e una voce quasi spaventata. «La Strega delle Rocce.»

Nel sentire quel nome Daemon sussultò.

«La Strega delle Rocce? Davvero vive qui?»

«Signora, non è certo questo il momento di tirare fuori favole per bambini.» sbottò Vero con stizza

«Di che state parlando?» domandò Drufo. «Chi sarebbe questa Strega delle Rocce?»

«Una lamia.» rispose Daemon. «Avevo sentito dire che vivesse qui a West Eirinn, ma credevo fossero solo voci. Dicono che sia una maga fuori dal comune.»

«Il che è ovviamente impossibile, dal momento che non si è mai sentito di un mostro venuto alla luce con il Segno.» osservò il Decurione

«E lei signora, saprebbe dirmi dove potremmo trovare la Strega delle Rocce?»

«Nella palude.»

«Allora è lì che andremo.»

«Daemon, ma parli sul serio!?» disse Passe. «Dicono che quel posto brulichi di bestie pericolose.»

«Appunto. È un ottimo nascondiglio.»

«Però mi spiace doverlo dire, ma il soldatino qui presente non ha tutti i torti.» disse Drufo. «E poi, se questa strega è davvero così potente, è il caso di andare a romperle le scatole nella sua tana?»

«Al punto in cui siamo accetterei anche l’aiuto di un demone. La Strega delle Rocce forse è davvero l’unica che possa tirarci fuori da questa situazione. Se è nella palude che si trova è lì che andrò.»

Al che i due mostri si guardarono tra di loro, annuendo.

«In questo caso verremo anche noi due con te. Non possiamo certo lasciarti avventurare in quel postaccio tutto da solo.»

«Grazie Passe. Non rifiuterò di certo il vostro aiuto.»

«Non c’è bisogno di ringraziare. Scalia sarà anche tua sorella, ma è anche nostra amica.»

«E lo stesso vale per i tutti gli altri nostri compagni. E poi la gente di questa città non sembra così male. Mi dispiacerebbe che continuasse a soffrire per questa maledetta malattia.»

«Verrò anch’io.» intervenne Vero. «Conosco questa regione molto meglio di voi.»

«Pensavo non credessi all’esistenza della Strega. Perché perdere il tuo tempo venendo a caccia di fantasmi?»

«Ormai siete voi a comandare la città. Se vi succedesse qualcosa ne pagheremmo tutti le conseguenze. E visto che non sembrate intenzionati a darmi ascolto non ho altra scelta che seguirvi. Così almeno se morirete sarà mia cura fare rapporto sull’accaduto.»

«Fantastico, ci mancava anche il menagramo.»

«Aspettate.» irruppe Sylvie. «Voglio venire anch’io con voi.»

Al che tutti si girarono verso di lei, fissandola sbigottiti.

«Lady Valera, non è il caso che vi esponiate ad un simile pericolo.»

«Il soldatino ha ragione, non stiamo andando a prendere un tè.»

«Proprio per questo avete bisogno di un mago che vi supporti.»

«Non sappiamo che cosa ci aspetta in quel pantano.» disse Drufo. «E francamente non possiamo preoccuparci anche della vostra incolumità.»

«Non ce ne sarà bisogno, so proteggermi benissimo da me.»

«Mia signora, aspettate… non potete mettervi in pericolo in questo modo…»

«Non sprecare il fiato, Isabela. Ormai dovresti conoscermi. E comunque nello stato in cui sei non potresti mai riuscire a fermarmi.»

«Pensavo voleste occuparvi dei malati.» disse Daemon.

«Ormai io sono arrivata al mio limite. Non c’è più niente che possa fare per loro. E se non troviamo al più presto una cura a questa malattia, tutto ciò che ho fatto per tenere in vita questi poveretti sarà stato inutile.»

Visto e considerato che era inutile insistere Daemon si arrese.

«D’accordo, allora è deciso. Preparatevi, partiamo subito.»

 

La palude di Basterwick, anche nota come Valle dei Serpenti, era la cosa più simile ai cancelli dell’aldilà che si potesse immaginare.

Pozze d’acqua stagnante a perdita d’occhio e distese interminabili di fango, canne palustri e salici piangenti che con i loro rami protesi sull’acqua disegnavano figure spettrali, appena distinguibili nella fitta nebbia che si alzava incessantemente dal suolo.

«La gente evitava questo posto già da prima che iniziassero a girare le voci sulla Strega. Quando ho detto a mio padre di essere venuto qui a giocare da bambino mi ha riempito di sculacciate.»

«Non lo biasimo, questo posto mi fa arruffare la pelliccia per quanto mette i brividi.»

«Il vecchio Passe che trema come un cucciolo bagnato. Sei patetico.»

«Vuoi litigare, razza di caprone?»

«Piantatela voi due. Siamo qui per un motivo.»

«Messer Daemon, c’è qualcosa che non va. Percepisco qualcosa di ostile in questo posto. Come una presenza che ci ordina di non andare avanti oltre.»

«È un buon segno. Significa che qui c’è qualcosa, o qualcuno, che non vuole farsi trovare.»

«Allora forza, andiamo a stanare questa maledetta strega e torniamocene a casa. Questo odoraccio mi sta uccidendo il naso.»

Passe fece per muoversi, ma Daemon subito lo fermò.

«Aspetta.»

Il giovane spinse quindi nella pozza di fango davanti a loro un grosso tronco caduto, che nonostante le dimensioni ed il terreno apparentemente solido scomparve sotto la superficie nel giro di pochi secondi.

«Ma che diavolo…» disse Drufo. «Cosa sono, sabbie mobili?»

«La combinazione tra acqua stagnante e terreno melmoso è letale. Un passo falso, e in questa palude ci passiamo tutta l’eternità.»

«Ricevuto, attenzione a dove si mettono i piedi.»

Si misero quindi in marcia, stando bene attenti a prediligere solo terreni dove si notassero pietre o sassi, e cercando nel contempo di mantenere sempre la stessa direzione.

A rigor di logica, si dissero, se la Strega viveva davvero lì era probabile che si nascondesse nel punto più remoto e distante della palude, perciò la cosa migliore da fare era cercare di raggiungerne il centro, e nel mentre cercare qualche pista o traccia.

Ma dopo ore passate a camminare in mezzo alla nebbia, senza alcun punto di riferimento, non trovarono niente che potesse aiutarli; tutto attorno a loro non c’era altro che un silenzio spettrale, e non vi era alcuna traccia nemmeno di quelle bestie feroci di cui si vociferava tra la gente del luogo.

Drufo provò a cercare qualche indizio arrampicandosi sugli alberi, ma la foschia era così fitta che a stento si vedeva a venti passi di distanza, e anche a vederlo dall’alto il terreno sembrava sempre tutto uguale.

«È una mia impressione o stiamo girando in tondo?»

«Non credo.» rispose Vero «Fino adesso abbiamo sempre cercato di andare dritti. D’altronde però è anche vero che la palude non dovrebbe essere così estesa.»

«Dannazione a questo posto angosciante!» sbottò Passe. «Più ci resto e più mi pento di essere venuto!»

Sylvie era la più inquieta di tutti, anche se cercava di nasconderlo. In quanto unica dotata del Segno poteva avvertire chiaramente uno strano squilibrio nell’energia tutto intorno a loro, così sottile e ben nascosto che un mago normale non sarebbe mai stato in grado di notarlo.

«Qualcuno sta cercando di farci perdere. Oppure siamo prigionieri all’interno di una qualche illusione.»

«L’ho sempre detto, la magia è una gran rottura di scatole!»

«Non c’è niente che puoi fare?» domandò Daemon

«Ora ci provo.»

Il vescovo strinse entrambe le mani attorno al suo bastone, e sia la staffa che il suo corpo vennero avvolti per alcuni secondi da una tenue luce bianca.

«Questa nebbia non è naturale. È prodotta con la magia, e tiene in piedi una specie di barriera.»

«Puoi neutralizzarla?»

«Credo di sì. Devo solo localizzare il punto d’origine.»

«Sarà meglio che lavori in fretta.» disse in quella Drufo, notando per primo delle ombre muoversi tra gli alberi. «Perché abbiamo compagnia.»

A quel punto tutti sguainarono le armi, mettendosi schiena contro schiena e formando un quadrato difensivo attorno a Sylvie.

Seguirono interminabili secondi di silenzio assoluto, quindi dalla nebbia iniziarono ad uscire demonietti alati, goblin, lupi mannari, golem di fango e altre bestie feroci di ogni genere.

«Dì ragazzo, sei ancora convinto che la Strega non esista?» disse Passe all’indirizzo di Vero

«Mi serve un po’ di tempo per trovare la chiave di volta della barriera.»

«Ricevuto. Avete sentito? Dobbiamo tenere queste bestie lontane da Lady Valera. Restiamo vicini e supportiamoci l’un l’altro. Drufo, tu resta vicino a lei e coprici con il tuo arco.»

«Agli ordini.»

Un demonietto alato attaccò per primo venendo subito tagliato in due dalla spada di Daemon, e a quel punto si scatenò una furiosa battaglia.

Le bestie avversarie in verità non erano molto forti, e molte di loro andavano giù con pochi colpi opponendo una resistenza minima. Il problema era che per ognuno di loro che veniva ucciso altri due sbucavano fuori dalla nebbia prendendone il posto, cosicché in pochi minuti i cinque compagni si ritrovarono in gravissima inferiorità numerica.

«Così non va bene, tra poco avrò finito le frecce! Che facciamo, Daemon?»

«L’unica cosa che possiamo fare! Resistere!»

«Giuro che se ne usciamo vivi passerò un giorno intero a scolarmi tutto il rum che riesco a trovare! E ovviamente pagherai tu ragazzo!»

«Ne prendo nota, Passe! Ora fai lavorare quell’ascia!»

Nel mentre Sylvie non aveva mai smesso di concentrarsi.

«L’ho trovata! Resistete un altro po’!»

Un cerchio magico comparve sotto i suoi piedi, liberando tutto attorno una potente luce bianca.

«Dissolvi le tenebre per aprire la strada verso il cielo. Celestial Gate!»

Un raggio abbagliante si sprigionò dalla punta del suo scettro, disintegrando in un colpo solo tutte le bestie demoniache e diffondendosi in ogni direzione con la forza di un’esplosione.

Daemon e gli altri dovettero chiudere gli occhi per non rimanere accecati, e quando li riaprirono la nebbia si era completamente dissolta, permettendo anche al sole di fare capolino tra le fronde degli alberi.

A prima vista la palude sembrava ancora la stessa di prima, con la sola differenza che ora era possibile vedere ogni cosa anche a decine di metri di distanza; qua e là si udiva persino il cinguettio degli uccelli e il verso degli animali selvatici.

«Non credo ai miei occhi.» disse Passe «Mi devo ricredere ragazzina. Non scherzavi quando dicevi di saper badare a te stessa.»

«Grazie, Lady Valera. Se non foste venuta con noi sarebbe stata la fine.»

«Felice di essere stata d’aiuto.»

Ora che la barriera illusoria era stata distrutta Sylvie non ebbe difficoltà neanche a individuare con precisione dove si nascondesse il suo creatore. Daemon e gli altri quindi non dovettero fare altro che seguire le sue indicazioni, raggiungendo nel giro di poche ore l’ingresso di una grande caverna.

«Ci siamo. Lo squilibrio nella magia che aveva generato quella barriera proveniva proprio da qui.»

«Sembra proprio il tipico posto dove si nasconderebbe una strega.»

«Sono d’accordo. E immagino sia superfluo dire che l’idea di entrarci non mi attira per niente.»

«Tranquillo, non ci entrerai. Andremo solo io e Lady Valera. Tu, Passe e Vero resterete qui a sorvegliare l’entrata, nel caso ci fosse ancora qualcuna di quelle bestie demoniache qui nei paraggi.»

Dopotutto portarsi dietro una chierica esperta era la soluzione migliore se si aveva a che fare con una strega, e i due mostri per quanto tenessero al loro amico furono più che felici di non dover entrare in quell’antro decisamente minaccioso.

Quanto a Vero, provò a chiedere di poter entrare anche lui per poter proteggere Sylvie, venendo però infine convinto da Daemon a restare indietro ed assistere Drufo e Passe nel fare la guardia all’ingresso.

«Questi ci aiuteranno a non perdere la strada.» disse Sylvie facendo comparire un paio di fuochi magici, quindi entrambi si avventurarono all’interno.

Se da fuori la caverna poteva sembrare piccola, una volta dentro i due ragazzi capirono subito che in realtà era gigantesca, e dovettero fare solo pochi passi prima che la luce proveniente dall’ingresso scomparisse lasciandoli immersi in un’oscurità quasi totale.

«Camminiamo rasenti al bordo, tenendo sempre una mano appoggiata alla parete. In questo modo eviteremo di perderci.»

«D’accordo.»

Restando due passi indietro rispetto a Daemon, Sylvie cercava di mantenere sempre il contatto visivo, ma la sua ingombrante veste da vescovo la intralciava nei movimenti ancor più di quanto avesse fatto durante il tragitto attraverso la palude.

«Credete ci sia un’altra di quelle barriere?» chiese Daemon vedendo che per quanto camminassero non arrivavano da nessuna parte.

«Non credo. È vero però che non avevo mai percepito un potere così grande come quello che percepisco qui dentro. Questa Strega deve essere davvero un essere fuori dal comune.»

In quel momento Sylvie inciampò su di una roccia scivolosa, e quando si rimise in piedi Daemon sembrava scomparso.

«Messer Daemon? Dove siete? Non vi vedo più.»

«Sono proprio qui, davanti a te.» sentì dire nel buio. «La mia luce magica si è spenta.»

«Restate dove siete, ora vi raggiungo.»

La ragazza si rimise in cammino, seguendo sempre la voce di Daemon che a distanza continuava a parlarle, dicendole di aver trovato un’uscita dalla caverna che lo aveva condotto in una specie di radura erbosa circondata da alte rupi.

«Messer Daemon, vedo una luce.»

«Ci sei quasi. Sono qui che ti aspetto. Continua a camminare.»

Nel momento in cui guadagnò l’uscita però, invece di Daemon Sylvie si ritrovò davanti le facce sbigottite di Drufo, Vero e Passe.

«Che cosa ci fate voi qui?»

«Come sarebbe a dire cosa ci facciamo qui?» disse il coboldo «Siete stati voi a dirci di tenere d’occhio l’ingresso.»

«L’ingresso!? Io stavo camminando verso l’uscita dall’altro lato, e sono sicura di essere sempre andata dritta. Abbiamo camminato per quasi un’ora.»

«Un’ora!? Lady Valera, voi siete entrata là dentro da neanche cinque minuti.»

«E comunque.» disse Drufo «Dov’è finito Daemon!?»

 

Avevo capito che qualcosa non andava ben prima di accorgermi che la voce di Sylvie che sentivo alle mie spalle fosse solo un’illusione, e che in realtà per tutto quel tempo avevo probabilmente parlato da solo.

Alla fine ero andato a cacciarmi per l’ennesima volta in una situazione complicata da cui adesso non sapevo come uscire.

In realtà non ero preoccupato, né temevo per la mia vita. Ormai ero sicuro che l’intento della Strega non fosse quello di uccidermi, cosa che avrebbe potuto fare in qualsiasi momento se solo avesse voluto.

Decisi così di prestarmi al suo gioco, aggrappandomi con le unghie e con i denti alla mia volontà e portando tutti i miei sensi al massimo; a questo punto, immerso in quell’oscurità che il globo magico non riusciva a rischiarare la coscienza che avevo di me e del mio essere era l’unica cosa di cui potevo essere sicuro, e volevo tenermela stretta.

Senza mai staccare la mano dalla parete umida continuai ad avanzare, fino a che non giunsi, con un certo stupore, dinnanzi ad una robusta porta chiusa di legno e ferro.

«D’accordo, Strega dei miei stivali. Vediamo cos’hai in serbo per me.»

Aperta la porta mi ritrovai in una specie di aula di scuola, dalle cui finestre entrava una luce irreale.

Un bambino sedeva da solo nella prima fila di banchi dandomi la schiena, immerso nello studio; indossava un’uniforme da cadetto e un mantello nero, e appuntato al tricorno aveva il fiocco bianco del Re Luigi.

È l’uniforme dell’Accademia Militare di Brienne.

Visto che non potevo essere tornato tutto d'un tratto nel mio mondo conclusi di stare assistendo alla materializzazione di un evento estrapolato dalla mia memoria; perciò quel ragazzino dovevo essere io al tempo in cui studiavo all’accademia.

All’epoca ero un ragazzino decisamente problematico, ancor meno incline al compromesso e all’autocontrollo di quanto non sarei stato da grande, e capitava spesso che venissi messo in punizione per aver risposto sfacciatamente ai maestri o aver cambiato i connotati a qualcuno.

Ma non potevo farci niente, dovevo essere così.

Ero solo il figlio di un notaio proveniente da una regione che fino all’anno prima della mia nascita non era nemmeno parte del Regno di Francia, lontano da casa e gettato in una scuola dove il più umile dei miei compagni era il figlio di un marchese.

Era già una fortuna se mi chiamavano solo Piccolo Còrso, ma il più delle volte gli appellativi con cui venivo etichettato erano ben peggiori.

Così mi ero imposto di essere forte, e di non permettere mai a nessuno di reputarsi superiore a me per qualcosa che non fosse il talento individuale, nel quale avevo deciso di diventare il migliore di tutti.

Alla fine del primo anno padroneggiavo le competenze e le conoscenze degli alunni dell’ultimo, e soprattutto in matematica e in fisica potevo pormi tranquillamente sullo stesso piano dei miei professori.

E ovviamente la cosa non piaceva né a detti professori né ai nobili genitori degli alunni che guardavo dall’alto in basso; così si erano messi d’accordo per farmi assegnare arbitrariamente voti bassi solo per non dover ammettere che il figlio di un notaio stava mettendo i piedi in testa alla migliore aristocrazia francese.

Speravano di spezzarmi, ma mi avevano solo reso più determinato; e quella determinazione nata in collegio mi avrebbe accompagnato per tutta la vita, spronandomi a fare sempre più di quello che i miei avversari si sarebbero aspettati.

La porta alle mie spalle si aprì nuovamente, e un gruppetto di studenti più grandi entrò nell’aula accerchiando il vecchio me; si comportavano come se non potessero vedermi, ma visto che si trattava di un’illusione la cosa non mi sorprendeva.

«Ehi, Còrso.» disse il loro capo. «Dì un po’, chi ti credi di essere? Ti avevo avvertito di non prendere un voto troppo alto all’ultimo compito. Ora per colpa tua mio padre mi obbligherà a passare tutta l’estate sui libri.»

«Ti sarebbe bastato studiare un po’ di più.»

All’improvviso, ricordai.

Quello era il giorno in cui mi ero preso una delle più grandi soddisfazioni della mia vita. Il giorno in cui all’accademia era venuto in visita il Ministro delle Finanze Necker per assistere all’ultima verifica di matematica prima della fine della scuola.

E ovviamente davanti al Ministro, uomo tutto d’un pezzo che aveva in odio i privilegi degli aristocratici tanto quanto me, i professori non avevano potuto fare i loro soliti magheggi, con il risultato che per la prima volta avevo preso un voto degno dei miei sforzi.

«Tu hai un grande avvenire ragazzo.» mi aveva detto stringendomi la mano. «Mi ricorderò di te.»

Peccato che sua figlia Anne-Louise avesse tutt’altra opinione di me, e ci fossimo trovati antipatici fin dal nostro primo incontro proprio quel giorno.

Quanto a quel gruppetto di bulli, erano i lacchè di quella primadonna di Gudin, il figlio del marchese La Sablonnière.

Vedendolo in quel momento, così spaccone e arrogante, quasi faticavo a riconoscere lo stesso ufficiale che un giorno si sarebbe distinto per numerosi atti di valore nella mia Grande Armée.

Lo avevo stretto tra le mie braccia nei suoi ultimi istanti di vita dopo che una palla di cannone gli aveva portato via la gamba.

La nostra amicizia era cominciata proprio quella sera, dopo esserci riempiti di botte a tal punto da dover passare insieme una settimana in infermeria; da una parte lui era stato costretto a riconoscere le mie doti, dall’altra io non potevo non ammirare il suo carisma e le sue doti di comando, che per quanto inferiori alle mie lo rendevano capace di ispirare i suoi subalterni con una forza che andava oltre il suo status di aristocratico.

Una strana folata di vento si portò via come sabbia quelle figure mentre la stanza mi si trasformava letteralmente attorno, assumendo le fattezze del mio studio a Fontainebleau.

Stavolta non ebbi difficoltà a riconoscere i due individui impegnati in un’accesa discussione attorno alla scrivania; uno ero io ai tempi del Consolato, l’altro mio fratello Luciano.

E purtroppo, a differenza del ricordo precedente, questo che ora mi apprestavo a rivivere era inciso a fuoco nella mia anima.

Era il giorno in cui gli avevo rivelato di aver dato mandato al capo della polizia Fouché e al ministro Talleyrand di iniziare le procedure per indire il plebiscito che avrebbe sancito il mio passaggio dal ruolo di Console a quello di Imperatore.

Per poco in quell’occasione tra me e mio fratello finì quasi a schiaffi.

Luciano era prudente e brillante, ma non capiva la necessità che avevo di potermi porre a livello paritario con gli altri Re e Imperatori d’Europa.

Ora sapevo che era stato un errore non dargli ascolto: uno dei tanti rimpianti della mia vita.

Non ritenevo sbagliata la scelta di farmi Imperatore, ma forse aveva ragione lui quando diceva che era ancora prematuro, e che avrei dovuto gestire la cosa con più accortezza.

Dal mio punto di vista era il giusto compenso per i miei sforzi e il modo migliore per portare avanti il mio scopo di dare un nuovo ordine al mondo. Ma il mondo aveva visto solo un provincialotto ambizioso, e i suoi governanti una minaccia da estirpare con ogni mezzo.

La gloria di Austerlitz, la sottomissione della Prussia e lo Zar Alessandro che mi baciava il sedere erano eventi ancora di là da venire, ma in realtà forse quello era stato il momento esatto in cui tutto aveva iniziato ad andare a rotoli.

«Sei patetico.» dissi al vecchio me mentre questi osservava in silenzio Luciano che mestamente lasciava la stanza.

Dopo quel giorno il mio rapporto con lui non era più stato lo stesso e avevo cominciato a dare retta alle persone sbagliate, allontanandomi progressivamente da coloro che invece si preoccupavano sinceramente per me e volevano davvero aiutarmi nel tramutare in realtà la mia grande visione.

Una nuova folata di vento si portò via anche quella visione sostituendola con un’altra, e per un attimo in mezzo a tutto quel fumo, alle grida e alle fiamme che mi vidi comparire attorno ebbi come l’impressione di essere finito nel punto più profondo e caldo dell’inferno.

Affacciato dalla finestra del palazzo imperiale, il vecchio me osservava con gli occhi spalancati e l’espressione incredula la città di Mosca tramutata in un immenso oceano di fuoco.

Piuttosto che lasciare che la conquistassi lo zar Alessandro aveva preferito farne il più grande rogo a cielo aperto che il mondo avesse mai visto; e quello non era che l’inizio del disastro che stava per piombarmi addosso.

«Guarda bene, povero idiota. Ecco il risultato della tua megalomania.»

Se in quel preciso momento mi ero reso conto che c’era gente disposta a sacrificare qualsiasi cosa pur di riuscire a fermarmi, la disastrosa ritirata attraverso la steppa che si sarebbe portata via la quasi totalità del mio esercito mi aveva fatto capire nel modo peggiore che c’erano traguardi che forse nemmeno io ero in grado di raggiungere.

Scacciai subito quei pensieri indegni di me.

Io posso fare qualunque cosa!

Infatti, passato il momento dello sconforto, avevo compreso che se avevo sbagliato non era certo stato nei propositi che avevano guidato le mie azioni, ma piuttosto nei metodi con cui li avevo perseguiti.

La mia aspirazione di riordinare il mondo e mettere fine ad ogni guerra in Europa e nel mondo era la più nobile e giusta di tutte. Ma reso cieco e superbo dalle troppe vittorie mi ero illuso di poterla portare a compimento con la forza e l’inarrestabilità di un uragano. La verità era che io ero l’artefice del mio stesso fallimento.

Dando troppe cose per scontate e convincendomi di essere invincibile mi ero scavato la fossa con le mie mani; e quando avevo capito che nessun cambiamento, specialmente il più epocale, può essere fatto dal giorno alla notte, ormai era tardi per tentare di rimediare.

E quella lezione da sola era più importante di tutti i ricordi della mia precedente vita messi assieme, perché su di essa ero determinato a costruire la mia nuova visione.

Che si trattasse di sradicare monarchie decadenti o fermare la venuta di un Re dei Demoni, il fine ultimo restava sempre lo stesso: creare un mondo migliore e pacifico, in cui non ci fossero né guerre né sofferenza.

Su una cosa Robespierre aveva ragione. Un nuovo mondo non può essere generato che su dei mucchi di cadaveri. E se è destino che sia io ad innalzare quel cumulo e dannare la mia coscienza, ebbene così sia! Qualunque sia il prezzo sono pronto a pagarlo!

Il mio sguardo si volse in direzione di una delle porte della stanza, da cui sembrava venire una voce che mi chiamava.

Senza più esitazioni la aprii e la attraversai, ritrovandomi come per incanto a passeggiare su di una passerella in pietra sospesa a centinaia di metri d’altezza che collegava tra di loro due torri alte e strette edificate sulla cima di un costone di roccia a strapiombo sul mare.

Non riconoscevo né gli edifici né il panorama attorno a me, ma dal momento che vedevo oceano ovunque girassi gli occhi conclusi di essere finito sicuramente su di una qualche isola disabitata nel cuore del Mare del Nord.

Prima che le fortissime raffiche provenienti dall’oceano riuscissero a buttarmi di sotto avanzai fino ad entrare nella torre che avevo di fronte, arrivando in quello che sembrava a tutti gli effetti il laboratorio di un alchimista.

Una lamia dalle scaglie nere sedeva ad uno scranno dall’altro lato della stanza fumando una strana pipa, simile a quelle che nella mia vecchia vita avevo sentito dire essere molto popolari in estremo oriente.

«Benvenuto.» disse scostando dal viso una ciocca dei suoi lunghissimi capelli color vino. «Spero che la mia povera dimora non risulti troppo umile per una persona del tuo calibro.»

«La Strega delle Rocce, presumo.»

«Quel soprannome non mi piace. Lo trovo di pessimo gusto. Chiamami semplicemente Kali

Come una vera lamia sembrava quasi che stesse cercando di sedurmi, tenendo bene in mostra il suo balcone generoso e le sue curve provocanti, a malapena coperte dalla scarna veste semitrasparente che indossava.

«Ad ogni modo, sei un tipo davvero interessante. Non ho mai visto nessuno passare attraverso i ricordi più spiacevoli della propria vita ed uscirne con quello sguardo sprezzante e sicuro di sé.»

«Esattamente per quale motivo hai voluto farmi vedere quelle cose?»

«Considerala una specie di test. Chi non ha un carattere abbastanza forte da sfidare i propri demoni non è degno della mia attenzione.»

«Ho fatto pace con quei demoni tempo fa. Ma se hai guardato nei miei ricordi saprai perché sono qui. Ho bisogno del tuo aiuto per debellare l’epidemia di Basterwick

«E per quale motivo vorresti farlo? Perché vuoi salvare gli abitanti della città? Perché hai a cuore la sorte di quella ragazza? O forse semplicemente perché hai bisogno di loro per realizzare i tuoi scopi?»

«Non sono un santo. E in vita mia non ho mai fatto niente che non prevedesse un tornaconto personale. D’altro canto se voglio salvare questo mondo dal Re dei Demoni non posso concedermi il lusso di agire in maniera disinteressata.»

«Credi sul serio di avere le capacità per poterci riuscire?»

«Io posso fare tutto, se dispongo dei mezzi necessari per poterci riuscire. Tu e le tue conoscenze ora siete uno di questi mezzi. Niente di più, niente di meno.»

«Di solito, quando si chiede un favore si cerca di essere più diplomatici.»

«Non mi sembri il tipo che apprezza l’ipocrisia. D’altronde non mi avresti dato una possibilità per arrivare fin qui se non avessi voluto aiutarmi, o mi sbaglio?»

La labbra rosso sangue della lamia si piegarono in un malizioso sorriso, e la sua lunga lingua biforcuta sibilò per un attimo fuori dalla bocca.

«Quello che cerchi è proprio lì.» disse indicando un’ampolla appoggiata su un tavolino. «Un estratto di erbe e polvere minerale. Ne basterà una sola goccia diluita in acqua calda, e tutti i malati si rimetteranno completamente.»

Raccolsi la boccetta senza porre ulteriori indugi.

«C’è una cosa che non capisco. Visto che hai guardato nei miei ricordi dovresti aver capito chi sono e da dove vengo. Sarai anche una strega che si dice sia in vita da più di mille anni, eppure non mi sembri per niente sorpresa.»

«Forse sei meno speciale di quanto pensi.»

«Vuoi dire che ce ne sono altri come me?»

«Questo mondo si trova in un crocevia molto importante dello spazio e del tempo, pertanto è abbastanza comune che anime provenienti da altri mondi si reincarnino qui dopo la morte. Tuttavia tu sei l’unico che io conosca che abbia conservato i ricordi della propria vita passata. Quindi sì, posso dire di essere un po’ sorpresa.»

Ero quasi sicuro che quella specie di maliarda incantatrice sapesse qualcosa sul conto di Faucheur o su chi egli fosse realmente, ma decisi di non sprecare fiato per tentare di convincerla a parlarmene.

«A presto, Imperatore.»

«A presto, Strega. Qualcosa mi dice che ci rincontreremo.»

«Chissà. Magari accadrà prima di quanto immagini.»

Appena varcata la porta della torre dall’altro dal ponte mi ritrovai nuovamente nella caverna, a pochi metri dall’uscita, con il vecchio Passe e gli altri che vedendomi avanzare verso di loro restarono a bocca aperta.

«Sia lode agli dei, per fortuna sei sano e salvo. Che cos’è successo?»

«Proverò a spiegarvelo, ma non so se mi crederete.»

«Hai incontrato la Strega?» tagliò corto Drufo

«Ancora meglio. Ho la cura per il morbo. Forza, torniamo indietro. Abbiamo una città da salvare, e una rivoluzione da vincere.»

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!

Dopo due settimane come di consueto rieccomi qui con il terzo capitolo del Volume 2 di “Napoleon of Another World!”

Mi scuso per la notevole, e probabilmente spropositata lunghezza di questo capitolo, ma ho preferito evitare di dividerlo in due parti trattandosi di un unico evento che tra l’altro è destinato ad avere un’importanza considerevole nel futuro degli eventi, anche se non nell’immediato.

Ringrazio come sempre tutti quelli che leggono e recensiscono la storia.

A presto!^_^

Carlos Olivera

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** CAPITOLO 4 - LO SCONTRO DECISIVO ***


“Metti un leone al comando di cento cani,

e combatteranno come leoni!”

CAPITOLO 4

LO SCONTRO DECISIVO

 

 

La pozione consegnata a Daemon dalla Strega era davvero miracolosa.

Già a partire dal giorno dopo l’inizio delle somministrazioni i malati incominciarono a guarire uno dopo l’altro, rimettendosi in forze nel giro di poche ore.

Finalmente la speranza era tornata anche a Basterwick, e nel giro di pochi giorni l’epidemia poté dirsi completamente debellata.

Daemon cercava di non fare privilegi, ma nessuno gliene fece una colpa quando chiese che Scalia fosse tra i primi ad essere curata; d’altronde, si dissero tutti, era merito suo se era stato possibile salvare così tante vite.

«Ti senti meglio?» chiese quando una mattina la vide entrare nel suo ufficio al municipio fresca come una rosa.

«Assolutamente. Posso rimettermi al lavoro in qualunque momento.»

«Cerca solo di non esagerare. La nobile Sylvie dice che ci vuole qualche giorno perché le scorie della malattia si disperdano del tutto, e tu ci servi in forma per quello che ci aspetta.»

«Basterà che mi mangi mezzo cinghiale, e sarò pronta a ricominciare più forte di prima.»

«E Isabela? Come sta?»

«La tettona? Insopportabile e presuntuosa come sempre. È già tornata al tempio, a baciare la gonna della sua padrona.»

«Lei e la nobile Sylvie non ti stanno decisamente simpatiche.»

«Le Guardie del Tempio sono da sempre i cani da guardia del Circolo, ed è stato il Circolo a proclamare la guerra santa contro il nostro popolo cinquecento anni fa. Lo so che hai detto che occorre dimenticare il passato e andare avanti, ma queste non sono cose che si possono semplicemente mettere da parte come se niente fosse.»

«Sono d’accordo anch’io che il Circolo è molto diverso da ciò che i suoi fondatori avevano in mente quando lo crearono nell’antichità. Ma le persone come la nobile Sylvie cercano sinceramente di riportare il culto di Gaia ai suoi propositi originari, e pensano solo a fare del bene. Quanto a Isabela, non puoi negare che sappia come combattere e sia molto devota alla nobile Sylvie, e ti assicuro che vista la nomea poco lusinghiera di cui godono ultimamente le Guardie non è un dettaglio da poco. Dovresti provare a dare loro una possibilità.»

«Se me lo chiedi tu, cercherò di andarci d’accordo. Ma non pretendere che mi piacciano.»

«Mi accontenterò.» ammiccò il ragazzo

L’arrivo del satiro Tecla, sporca ed esausta per la lunga corsa durata tutta la notte ruppe troppo presto quell’atmosfera rilassata.

«Il Generale Ron ha lasciato il Castello e si sta dirigendo a sud. Con lui c’è tutta la Quindicesima Legione.»

Venne subito convocato un consiglio di guerra cui presero parte anche Passe e Jack.

«Sapevamo che si sarebbero mobilitati.» esordì Daemon «A conti fatti ci hanno messo più di quello che mi sarei aspettato. Ron avrà aspettato di ricevere qualche rifornimento dal passo a nord prima di muoversi.»

«Ho sentito dire che questa legione è anche più grande delle altre.» disse Passe con una certa preoccupazione. «Quasi ventimila uomini, senza contare i coscritti che avranno sicuramente reclutato tra la popolazione.»

«Dove si trova in questo momento la legione?»

«Qui.» indicò Tecla sulla cartina. «A metà strada tra il Castello e Dundee. Avanzano lungo la Via Imperiale.»

«Stanno tentando di dividere le nostre due forze.» disse Passe

«La strategia della posizione centrale. Mossa astuta, anche troppo per essere farina del sacco di Ron. Uno come lui avrebbe diviso la legione in due forze per colpirci separatamente.»

Gli occhi di Daemon scintillavano mentre tornava a girarsi verso Tecla.

«Tiro a indovinare. Con lui c’è anche Adrian, il figlio del Governatore.»

«È così. E ha con sé un paio di centinaia di soldati che sembrano obbedire solo a lui.»

«Deve essere l’Armata dei Leoni. Ne ho sentito parlare. L’ha messa insieme subito dopo aver concluso gli studi all’accademia. Abili, preparati e assolutamente fedeli.»

«Detesto doverlo dire, ma stavolta la disparità di forze mi sembra davvero considerevole.» disse Scalia. «Credi davvero che saremo in grado di sconfiggerli?»

«La nostra dovrà essere per forza di cose una battaglia difensiva. Non possiamo affrontare un esercito così tanto superiore al nostro in uno scontro aperto. Che notizie da Septimus e Oldrick

«Si sono posizionati al passo di Chateroi, come avevi ordinato.» rispose Jack. «Hanno anche ricevuto nuove forze da Dundee e occupato la parte più stretta della vallata.»

«So che hai corso tutta la notte Tecla, ma ho bisogno che tu riparta subito. Riferisci a Septimus, che rinforzi le posizioni difensive. Lui e Oldrick devono a riuscire a tenere la il passo a tutti i costi, che non arretrino per nessun motivo. Noi cercheremo di arrivare il prima possibile e di offrire loro supporto.»

«D’accordo.»

Tecla se ne andò senza tradire emozioni, come era sempre stato nella sua natura del resto; non per niente Drufo l’aveva sempre chiamata scherzosamente pezzo di ghiaccio per il modo apatico e distaccato con cui affrontava la vita, persino più di lui.

«Chateroi dista venticinque miglia dal Castello. Procedendo ad una velocità di sei miglia al giorno, Ron sarà al passo fra tre giorni.»

«Noi siamo ad almeno trenta miglia.» disse Jack «Non faremo mai in tempo ad arrivare lì prima di loro.»

«Vuol dire che bruceremo le tappe. Ci servirà ogni soldato di cui disponiamo per poter vincere questa battaglia. La strada che da qui porta a Chateroi è sterrata e stretta, ma noi siamo in pochi. Marciando ad un ritmo di dieci miglia al giorno possiamo essere lì in tempo per la battaglia.»

«Dieci miglia al giorno sono tante.» osservò Passe. «Sicuro che i nostri saranno in grado di reggere una tale marcia?»

«Molti di loro hanno poltrito quindici giorni. Un po’ di sale sulla coda non può fargli che bene. E poi è tutta la vita che sopportano la fatica. Fidati, ce la faranno.»

«C’è una cosa che non capisco.» disse Jack. «Se noi partiamo per riunirci a Septimus, chi rimane qui a sorvegliare la situazione?»

«Resterà Drufo assieme ad un paio dei nostri. Di mantenere l’ordine se ne occuperanno Vero e i suoi uomini.»

La cosa non poté non sollevare una certa preoccupazione tra i presenti.

«Daemon, siamo d’accordo che quel poppante ha accettato di collaborare, ma credi sia saggio affidargli la città?»

«L’epidemia è stata una bella seccatura, ma ha avuto anche dei risvolti positivi. Risolvendola abbiamo dimostrato la nostra buona volontà e conquistato la considerazione della gente, e lui lo sa.»

«Non lo metto in dubbio, ma comunque la cosa non mi fa stare tranquillo. Lui non è come Septimus e i suoi uomini, che hanno giurato di seguirci fino alla fine e hanno già combattuto contro i loro vecchi compagni.»

«Francamente la penso come lui.» disse Scalia «In fin dei conti, cosa gli impedisce di prendere il controllo e riconsegnare Basterwick al Governatore?»

«Lo farà di sicuro, se saremo sconfitti. Forse non mi sono spiegato bene, ma questa battaglia deciderà il futuro della Rivoluzione e della nostra causa. Pertanto, la sconfitta in questo scontro non è un’opzione.»

Tutti in quella stanza l’avevano già capito, ma occorreva che lo sentissero dire per bocca del loro comandante per riuscire ad averne piena coscienza.

Proprio Drufo entrò dopo qualche attimo nella stanza annunciando l’arrivo di un ospite.

«Scusate l’interruzione. Daemon, c’è un certo Signor Hans che chiede di vederti.»

«Fallo pure passare.»

Il signor Hans era uno stimato costruttore di occhiali e lenti d’ingrandimento i cui servigi erano molto apprezzati dai più importanti nobili, eruditi e studiosi di tutta l’Erthea Occidentale. Già in passato Daemon si era rivolto a lui per farsi costruire alcuni dei suoi strani marchingegni.

«Costruisco lenti da più di quarant’anni, ma non mi era mai venuta in mente una cosa del genere. Si può sapere da dove ti vengono certe idee?»

«E dunque? Ci sei riuscito?»

«Per chi mi hai preso?» scherzò «Certo che ci sono riuscito.»

Al che il vecchio artigiano aprì il cofanetto che aveva sottobraccio.

«Ma che roba è?» chiese Passe

«Una cosa che ci tornerà molto utile.»

 

La valle di Chateroi prendeva il nome dal piccolo villaggio che sorgeva al suo interno.

In una terra per buona parte montagnosa come Eirinn le strade che passavano attraverso le valli erano l’unico modo per garantire le comunicazioni, e sotto questo aspetto la valle di Chateroi era la più importante di tutte, essendo l’unica larga abbastanza da consentire il passaggio di un esercito.

Non per niente l’Impero dopo aver occupato la provincia aveva provveduto a far allungare la vecchia strada ducale trasformandola nella grande e pratica Via Imperiale, che partendo dal confine e passando per Dundee raggiungeva direttamente il Castello.

Poco più a nord del villaggio la valle diventava così stretta, e i boschi così vicini alla strada, che un piccolo esercito poteva facilmente bloccare il passaggio e tenere la posizione senza correre il rischio di venire aggirato, pertanto era il luogo perfetto in cui allestire una posizione difensiva.

Dopo aver occupato la zona Septimus aveva cercato di andare il più d’accordo possibile con la gente del posto, vietando rigorosamente saccheggi e ruberie e ordinando alle sue truppe di restare lontani dal villaggio.

Era nervoso e preoccupato, ma cercava di non darlo a vedere per non provocare ulteriore panico; in quanto Decurione era abituato ad avere degli uomini al suo comando, ma mai si sarebbe aspettato di ritrovarsi così presto a dover guidare delle truppe in battaglia.

Anche se Oldrick era al suo fianco e pronto ad aiutarlo era lui al comando, e al momento decisivo tutto sarebbe pesato sulle sue spalle.

Perché ormai tutti sapevano che uno scontro era inevitabile.

Gli esploratori avevano riferito la notizia dell’arrivo del Generale Ron con tutta la legione ben prima che la portasse Tecla. E anche se i loro numeri nel frattempo si erano accresciuti la differenza tra i due schieramenti era sotto gli occhi di tutti, senza contare che per quasi tutti i soldati dell’esercito ribelle quella sarebbe stata la prima, vera battaglia.

«Ormai abbiamo abbondantemente superato il limite oltre il quale non si poteva andare.» aveva detto quando qualcuno gli aveva riferito la notizia di voci nella truppa che parlavano di resa. «Abbiamo solo due scelte. Combattere o venire massacrati.»

Dall’altra parte della barricata l’avanzata del Generale Ron e del giovane Adrian era proceduta senza intoppi, e una volta entrato nella valle l’esercito imperiale stava avanzando a passo spedito verso il luogo della battaglia.

«A quanto pare ci avevi visto giusto. Gli ultimi rapporti dicono che i ribelli si sono barricati proprio a nord del villaggio, nei pressi delle Bocche dei Giganti.»

«Era ovvio. Da lì possono bloccarci la strada e costringerci ad uno scontro frontale.»

Il giovane si prese un momento per ammirare lo straordinario spettacolo delle vette del Khoral attorno a lui ancora imbiancate di neve.

«Lo sapeva, Generale? Secondo la leggenda è qui che le forze combinate di Eirinn e Patria arrestarono l’avanzata del Signore Oscuro e del suo esercito, infliggendo al nemico la sua prima sconfitta. In un certo senso, è come se stessimo camminando su un terreno sacro.»

«Se è così, in cinquecento anni il Granducato ne ha fatta di strada verso il basso. Se si fossero preoccupati di più della guerra e meno dei soldi non si sarebbero dovuti vendere all’Impero per proteggersi dall’espansionismo dell’Unione. A che serve avere una terra ricca se non sei capace di difenderla? I Montgomery devono ritenersi fortunati se l’Imperatore ha permesso loro di conservare il dominio almeno sulla parte orientale.»

«Non è un segreto che sia l’Impero che l’Unione puntassero ad ottenere il controllo delle miniere di Eirinn. La cessione dell’occidente a Saedonia è stato il prezzo che il Granducato ha dovuto pagare in cambio della protezione imperiale. Se ci pensa però, è anche a causa di quella scelta che ora ci troviamo in questa situazione. La divisione ha portato al reunionismo, che ha sicuramente contribuito a far scoppiare questa rivolta.»

«Hanno fatto una scelta, e ora ne pagheranno il prezzo. Saranno da esempio per tutti quelli che d’ora in poi oseranno anche solo pensare di alzare un dito contro l’Impero.»

Un esploratore dei Leoni sbucò fuori dalla foresta quando mancavano poche centinaia di metri per raggiungere le Bocche, accostando il proprio cavallo a quello di Adrian.

«Nobile Adrian, truppe nemiche in arrivo attraverso il Passo Dorian.»

«Quanti sono?»

«Più o meno ottocento, Mio Signore.»

«I messaggeri hanno riferito che l’esercito che ha attaccato Basterwick raggiungeva a malapena le cinquecento unità.» disse il Generale «Dove hanno trovato altre truppe?»

«Il lato negativo dell’avere a che fare con un esercito di schiavi ed insorti è che il loro numero cresce velocemente, soprattutto se c’è qualcuno con il carisma necessario a farli sollevare. Quello positivo è che per la grandissima parte si tratta di gente senza alcuna esperienza di guerra. Fidatevi Generale, non avremo problemi.»

«Guardate lassù, sulla cresta. Devono essere loro.»

Adrian girò gli occhi in quella direzione, scorgendo una linea nera che comparendo da dietro il fianco del Monte Salt avanzava a passo spedito verso la valle.

«È arrivato l’ospite d’onore.» sorrise soddisfatto. «A giudicare dalla velocità di movimento saranno qui al massimo entro due ore.»

«Scusare se mi permetto di dirlo, ma forse è stato un errore ordinare ai Leoni di staccarsi dal resto dell’armata e procedere separatamente, visto che sicuramente sanno che anche voi siete qui. Non c’è il rischio che scoprano i nostri piani?»

«Haselworth sarà anche un cacciatore eccezionale, ma non ha certo gli occhi di un falco. Da lassù è impossibile che possa vedere distintamente qualcosa. Presto dovrà infilarsi nella gola perdendo di vista la valle, e sarà allora che i miei uomini prenderanno posizione. Con l’ingresso del passo sotto il nostro controllo, i suoi compagni non potranno nemmeno avvertirlo.»

Adrian si rivolse quindi nuovamente al suo esploratore.

«Porta agli altri questo messaggio. Che escano dalla foresta e si dispongano all’entrata della Valle Dorian subito dopo l’inizio della battaglia.»

«Sì, Mio Signore.»

Alla fine i due eserciti arrivarono uno di fronte all’altro.

Come previsto da Adrian le forze ribelli avevano occupato il punto più stretto delle Bocche dei Giganti, in una classica formazione difensiva che vedeva la fanteria pesante al centro dietro ad un muro di scudi supportata ai fianchi da due ali di fanteria leggera.

Per dare ai serventi un minimo di protezione Septimus aveva fatto posizionare i dieci cannoni a sua disposizione davanti alle proprie linee ma al riparo di alcuni dossi naturali, da dove sarebbero stati più al sicuro dal tiro degli arcieri.

In mezzo tra i due eserciti, un centinaio di metri di terreno di montagna irregolare e dissestato, ideale per limitare l’attività della famigerata cavalleria pesante imperiale.

«Evidentemente il comandante nemico non ha frequentato l’accademia militare.» osservò Adrian. «Le ali dovrebbero stare più avanti rispetto al centro, per contenere l’urto sui fianchi e tentare una manovra di aggiramento.»

«Non credo che Haselworth farebbe un simile errore. Di sicuro la persona a cui ha affidato il comando non gli regge il confronto.»

Septimus non poteva ovviamente sentirli, ma era più che consapevole della propria impreparazione. Era solo un Decurione senza alcuna possibilità di avanzamento di carriera che andasse oltre i gradi di ufficiale di secondo livello, ruoli che mai lo avrebbero messo al comando di un intero esercito.

Tutto quello che sapeva di tattica e manovre sul campo lo aveva imparato sulla propria pelle durante le guerre dell’est contro i baroni ribelli.

Ma ciò nonostante non aveva comunque alcuna intenzione di sfigurare o venire meno al suo compito; avrebbe sconfitto il nemico o sarebbe morto provandoci.

Cercando di nascondere il tremore che gli attraversava tutto il corpo strinse forte i pugni attorno alle briglie del cavallo e serrò i denti, sfregandoli nervosamente.

«Rilassati e tieni la mente sgombra ragazzo.» gli disse Oldrick «Non ti mentirò, qui dipendiamo tutti da te. Ricorda, noi dobbiamo solo resistere fino all’arrivo di Daemon.»

«Sì, lo so. Speriamo solo di riuscirci.»

«Dobbiamo riuscirci. O in caso contrario, come hai detto tu, prima di stanotte saremo tutti ospiti d’onore nelle sale di Belion

Passarono alcuni minuti in cui nell’intera valle regnò il più assoluto silenzio, rotto infine da uno squillo di trombe nello schieramento imperiale che diede ufficialmente il via alla battaglia.

Gli schermagliatori con giavellotti uscirono dai propri schieramenti e avanzarono lungo la strada in formazione allargata, seguiti a stretto giro dalla prima linea di fanteria ausiliaria.

«Fuoco!» ordinò Septimus.

Forse fu il nervosismo, forse semplicemente aveva sbagliato a calcolare i tempi, fatto sta che nessuna delle dieci cannonate, il cui rimbombo fu tale da far tremare la roccia, centrò in pieno il bersaglio. La maggior parte di esse risultarono troppo corte, e le palle pur riuscendo a rimbalzare e rotolare nonostante il terreno accidentato provocarono dei danni abbastanza contenuti alle truppe nemiche.

Il secondo tiro risultò più preciso, ma ancora una volta i risultati furono piuttosto scarsi con giusto qualche decina di nemici uccisi o feriti; dopotutto c’era un motivo se Adrian aveva suggerito a Ron di far adottare agli arcieri una formazione così allargata, molto diversa dai classici quadrati serrati.

Teoricamente ci sarebbe stato il tempo per una terza raffica di colpi, ma a causa dei dossi dietro a cui erano stati posizionati nel momento in cui i serventi finirono di ricaricare i cannoni il nemico si era già avvicinato troppo.

Septimus mandò quindi avanti gli arcieri per tentare di limitare i danni, ma due diverse scoccate vennero a loro volta vanificate dalla formazione allargata degli schermagliatori e dal muro di scudi degli ausiliari.

Quando poi la distanza tra i due schieramenti fu talmente piccola da mettere in pericolo l’incolumità dell’artiglieria Septimus non ebbe altra scelta che comandare l’avanzata della sua prima linea, che prima ancora di arrivare allo scontro diretto vide cadere un buon numero di fanti a causa del lancio di giavellotti. Nello stesso momento in cui gli ausiliari imperiali e i legionari ribelli davano inizio allo scontro corpo a corpo i cannoni ricevettero l’ordine di togliersi dalle buche e riposizionati davanti all’ala destra, da dove avrebbero potuto ancora fare fuoco su ulteriori nemici in avanzata.

Naturalmente non era una cosa che si potesse fare in due minuti, e per quando gli artiglieri ebbero raggiunto la nuova posizione Ron aveva già mandato avanti la seconda linea per rinforzare il centro e aumentare la pressione sul nemico.

Subito aprirono il fuoco, e stavolta il danno fu molto più importante, ma dopo il primo colpo dovettero subito fermarsi per non rischiare di colpire anche i loro alleati con un tiro troppo corto.

Comunque, dopo un primo momento di indecisione, la linea ribelle riuscì a tenere la posizione e a contenere l’urto della fanteria imperiale. Non si trattava solo di disciplina o di preparazione; tutti sapevano cosa c’era in gioco in quella battaglia, e che in caso di sconfitta nessuno sarebbe stato risparmiato.

Dall’alto del suo cavallo Septimus osservava la battaglia infuriare davanti a lui. Avrebbe voluto lanciarsi anche lui alla carica e unirsi ai suoi compagni, ma Daemon su questo era stato categorico.

Il dovere di un Comandante non è dare prova del suo coraggio combattendo in prima linea, ma guidare saggiamente e con freddezza i propri uomini le cui vite dipendono dalle sue decisioni.

Così, lottando con l’istinto, restava immobile a guardare, cercando di leggere lo svolgersi dello scontro e di agire nel modo più razionale e consono possibile.

Vedendo che i suoi uomini faticavano a tenere la posizione mandò avanti una parte dell’ala sinistra, che avanzò supportata dal tiro degli arcieri.

La sua idea era di tentare un aggiramento costringendo l’ala opposta a indietreggiare e impegnando il centro nemico su due lati. Purtroppo, essendo le ali composte prevalentemente da schiavi armati in modo leggero e coscritti civili, la loro spinta non risultò abbastanza forte da spingere indietro gli avversari, cosicché alla fine quel settore si ritrovò impegnato in una battaglia a sé stante che sarebbe andata avanti fino al termine dello scontro.

«Ehi, guarda! Che cosa c’è laggiù?»

Preceduto da uno squillo di trombe, un piccolo gruppo di fanti sbucò fuori dalla foresta poco lontano dietro le linee nemiche.

«È l’Armata dei Leoni.» li riconobbe Oldrick, che anche con un occhio solo aveva ancora la vista di un falco. «Ma dove stanno andando?»

Entrambi si fecero pallidi di paura nel momento in cui si accorsero che i nuovi arrivati, invece di dirigersi verso la valle, sembravano invece intenzionati a prendere posizione all’imboccatura della Valle Dorian.

«Vogliono tagliare la strada a Daemon!»

«Non ci credo. Sapevano del suo arrivo?»

«Dobbiamo fare qualcosa Oldrick. Se non riusciamo a riunirci a Daemon non avremo speranze.»

Septimus tentò di inviare la propria ala destra contro i Leoni per offrire supporto a Daemon e rompere il blocco; peccato fosse proprio ciò che Adrian si aspettava.

Prima l’ala sinistra imperiale intercettò i rinforzi quando furono abbastanza lontani dai loro alleati riuscendo quasi a circondarli, quindi la cavalleria nemica rimasta fino a quel momento in disparte si infilò nel varco creatosi nello schieramento ribelle e caricò i cannoni rimasti senza protezione.

A quel punto Oldrick, messosi personalmente al comando della poca cavalleria a sua disposizione, tentò di portare soccorso, ma quando riuscirono a raggiungere il nemico e a impegnarlo in battaglia i cavalieri nemici si erano già lasciati dietro decine di artiglieri morti e un gran numero di cannoni ribaltati o danneggiati.

Ormai la battaglia si era frammentata in tanti scontri separati, ma persino Septimus poteva rendersi conto che mentre il fronte del nemico riusciva ancora a coordinare gli spostamenti il suo si era completamente sfaldato, e sarebbe bastato che uno solo dei suoi schieramenti si desse alla fuga perché l’intera armata andasse in rotta.

«È inutile. Non possiamo vincere…»

Anche dall’altra parte del campo di battaglia si era giunti alla stessa conclusione.

«È finita.» disse Adrian. «Ora non rimane che infliggere il colpo di grazia.»

In questi casi niente come la vista di un intero esercito che scendeva in campo al ritmo dei corni sapeva infliggere terrore ai nemici, così Ron ordinò l’avanzata generale che avrebbe chiuso definitivamente i giochi.

«Mio Signore, nemici in arrivo!» disse all’improvviso il solito esploratore, arrivando lanciato al galoppo e pallido come se avesse avuto la morte alle calcagna

«Che vengano pure. L’ingresso della valle è bloccato.»

«No mio Signore, sono nel bosco! Proprio dietro di noi!»

«Cosa!?»

 

Il vero coraggio non sta nell’agire quando si ha un vantaggio evidente, ma quando si avanza pur non avendo la forza per farlo.

Questa era sempre stata una delle mie massime preferite, e su essa avevo basato allo stesso tempo sia molte delle mie vittorie che alcune delle mie peggiori sconfitte.

E anche se in questa mia nuova vita mi ero imposto di soppesare meglio le mie decisioni e di non dare più troppe cose per scontate, c’erano delle occasioni in cui semplicemente non potevo fare a meno di tornare ad essere me stesso.

Avanzare nonostante tutto.

Da una parte sapevo di stare correndo un rischio enorme capace di far crollare sul nascere la rivoluzione che avevo intenzione di scatenare su Erthea, dall’altra il vecchio soldato che era in me fremeva di eccitazione al pensiero di potermi misurare con un intelletto militare sopra la media come era quello del giovane Adrian.

Lasciata Basterwick la mattina presto forti di trecento nuove reclute –soprattutto schiavi liberati, oltre ad alcune decine di volontari umani e anche qualche legionario– avevamo proceduto a passo spedito verso sud-ovest, e in men che non si dica ci eravamo inerpicati sul Monte Salt per raggiungere il Passo Dorian.

Quella specie di gola strozzata angusta e ripida era una delle valli più strette di tutta la catena del Khoral, e se non fosse stata un’emergenza non mi sarei mai arrischiato a portarci dentro un intero esercito, per quanto piccolo.

Il lato positivo è che una volta raggiunte le pendici del Monte Salt il sentiero saliva di un centinaio di metri raggiungendo, prima di tuffarsi dentro la gola, una piana brulla da cui si aveva un’ottima visuale del Passo di Chateroi.

Naturalmente nemmeno io avevo una vista tanto acuta da poter capire con esattezza cosa avveniva così lontano, e proprio per questo avevo chiesto al signor Hans di costruirmi un cannocchiale.

Scalia e gli altri lo fissavano come se fosse stato un marchingegno proveniente da un altro mondo, anche se a ben pensarci era effettivamente così.

«Incredibile!» aveva esclamato Scalia quando glielo avevo fatto provare. «Pensavo di avere degli ottimi occhi, ma questo affare è prodigioso!»

Non stetti a spiegarle come funzionava, anche perché ero certo che non avrebbe capito.

Poco prima di mezzogiorno i miei uomini si preparavano a scendere dal monte avanzando il colonna lungo il sentiero, mentre io, Scalia e gli altri osservavamo dall’alto di una roccia l’esercito di Ron che si apprestava a raggiungere le Bocche dei Giganti.

«Che cosa vedi?» chiese Jack

«Avanzano in formazione standard, con la fanteria pesante al centro e gli schermagliatori a supporto.»

«E l’Armata dei Leoni?» domandò Scalia

«Non li vedo. Probabilmente si stanno spostando attraverso la foresta per non essere individuati.»

Il mio sguardo si portò quindi sulle linee di Septimus, e a vedere come aveva disposto l’artiglieria mi venne da mettermi le mani tra i capelli.

«Ma cosa sta combinando? Non si posizionano i cannoni dietro a degli ostacoli naturali che ne ostacolano il beccheggio. Non deve mica sparare contro un muro.»

Non avevo mai pensato neanche per un momento che Septimus o Oldrick avessero le qualità necessarie per riuscire a prevalere con Ron, o ancor peggio contro Adrian. Il loro scopo era solo quello di guadagnare tempo fino al mio arrivo, proprio per questo avevo ordinato loro di posizionarsi nel punto meglio difendibile lungo la direttrice tra Dundee e il Castello, dove anche una scimmia ammaestrata sarebbe stata capace di allestire una linea e tenere la posizione.

Che avessi sopravvalutato le capacità di Septimus o sottovalutato la sua idealistica determinazione ad evitare vittime tra gli uomini al suo comando il risultato era comunque lo stesso; se non fossimo arrivati laggiù il prima possibile, probabilmente per noi non ci sarebbe stata alcuna battaglia da combattere.

«Credi che ci abbiano visti?» chiese Scalia

«Senza alcun dubbio. Non solo, ci stanno praticamente invitando a saltargli addosso.»

«Che intendi dire?»

«Se si aspettassero un attacco da parte nostra penserebbero di rafforzare il fianco sinistro per assorbire l’urto, invece la loro formazione è perfettamente bilanciata.»

«Sembra troppo bello per essere vero.» commentò Passe

«E lo è. Adrian non è tipo da commettere simili leggerezze. Una volta entrati nella gola non c’è modo di sapere che succede laggiù fino all’ultimo istante. Scommetto qualsiasi cosa che i Leoni hanno l’ordine di bloccare il Passo Dorian e tagliarci fuori dal resto del nostro esercito.»

«Possiamo sconfiggerli?»

«Se avessimo tempo probabilmente sì. Ma il tempo non è dalla nostra parte. Il nostro esercito è numeroso, ma pur sempre fatto di ribelli e schiavi male addestrati. Appena vedranno i rinforzi venire bloccati il loro morale inizierà a vacillare, e a quel punto sarà solo una questione di minuti prima che vadano in rotta.»

«Allora cosa possiamo fare?» chiese Scalia

Naturalmente non ero così sprovveduto da non tenermi sempre un piano di riserva in caso di emergenza.

«Lo vedi quel solco nell’erba che si stacca dalla strada in prossimità di quella roccia? È un vecchio sentiero naturale scavato dagli stambecchi che sbuca direttamente nella valle proprio laggiù, dove la foresta è più fitta. Lo usano solo i cacciatori della zona, quindi è impossibile che degli stranieri come Ron e Adrian sappiano della sua esistenza.»

«Sembra parecchio angusto.»

«Infatti sarebbe impossibile farci passare tutto l’esercito. Ma è perfetto per una piccola squadra di incursori. Quindi voglio che tu Scalia prenda cinquanta dei nostri migliori uomini e che scendiate nella valle passando da quel sentiero.»

«Dobbiamo attaccare il nemico alle spalle?»

«Non subito. Sareste troppo pochi per risultare decisivi. Quello che dovete fare è raggiungere la foresta e restare in attesa. Quando la nostra avanzata sarà stata arrestata nella gola, è molto probabile che Adrian farà avanzare tutto l’esercito per spaventare i nostri e mandarli in rotta. E quando lo farà, voi dovrete attaccare i Leoni sul fianco con tutta la vostra forza. Una volta che loro saranno stati abbattuti la legione si ritroverà con il fianco scoperto, sopravanzata e vulnerabile a un contrattacco.»

«Sembra un piano molto complesso. Sicurò che funzionerà?»

«Io non mi baso mai sulla fortuna Passe. La tattica non è altro che saper leggere nella mente del nemico e agire di conseguenza.»

E io ho passato una vita intera imparando a mettermi nei panni dei miei avversari.

«Fidatevi, funzionerà.»

«Forse potremmo trovare il modo di avvisare Septimus.»

«Niente affatto. Anzi, vi ordino di non fare parola con qualcuno di tutta questa storia.»

«Per quale motivo?»

«Per ingannare il nemico bisogna prima di tutto ingannare i propri uomini. Se Adrian capisse che abbiamo intuito i suoi piani la situazione potrebbe ribaltarsi ulteriormente.»

Nelle due ore successive mi estraniai completamente da tutto ciò che mi circondava, cercando di visualizzare nella mia mente lo svolgimento della battaglia a seconda dei suoni che sentivamo sempre più vicini davanti a noi, amplificati dalle vibrazioni e dallo stretto pertugio che stavamo percorrendo.

Come avevo temuto i cannoni furono ben presto messi fuori causa, limitandosi a sparare un paio di volte –oltretutto in modo confusionario e per nulla coordinato– per poi venire silenziati quasi del tutto, limitandosi ad alcuni scoppi occasionali che probabilmente non stavano producendo nessun risultato significativo.

Per questo e molti altri motivi, quando una volta giunti in vista della fine della valle trovammo i Leoni schierati e pronti ad accoglierci il mio disappunto alla vista di quel disastro non fu poi così pretestuoso come avrei voluto.

Ora capivo perché parlando con Septimus avevo talvolta l’impressione di avere a che fare con quella testa di rapa di Ney.

Stesso carattere vulcanico ma facilmente manovrabile, stesso coraggio, stessa intraprendenza… e stessa stupida impulsività.

Gli avevo affidato il comando per l’ascendente che aveva sui suoi uomini, ma ora sapevo che il suo scopo era di guidare l’esercito in battaglia piuttosto che comandarlo.

Per guadagnare tempo ordinai di lanciare contro i Leoni tutto quello che avevamo: ovviamente la cosa non sortì alcun effetto degno di nota, ma se non altro servì a dirottare la loro attenzione unicamente su di noi senza bisogno di lanciarsi in un rischioso e dispendioso scontro diretto.

Come avevo previsto l’impressione di averci messo in trappola spinse Adrian all’imprudenza, convincendolo a ordinare un’avanzata generale destinata ad essere l’ultimo chiodo sulla bara della Rivoluzione.

Scalia e gli altri seguirono il copione alla perfezione, sbucando fuori al momento perfetto e lanciandosi addosso ai Leoni come un branco di bestie assatanate, e anche se un esploratore riuscì a localizzarli prima dell’attacco quando Adrian ne fu informato era già troppo tardi.

Naturalmente questo non bastò a far cedere il nemico, ma non mi aspettavo certamente che un’unità competente e bene addestrata come quella si sfaldasse tanto facilmente.

Tuttavia, incalzati da due lati, non ebbero altra scelta che abbandonare la formazione schierata in favore di una a quadrato, liberando l’uscita della gola e aprendomi la strada verso il grosso del nostro esercito.

«Passe, assumi il comando! Io vado a riunirmi a Septimus!»

«Lascia fare a me! Tu fa attenzione!»

Non fu affatto piacevole fare lo slalom tra frecce e giavellotti che mi piovevano addosso da tutte le parti, ma per mia fortuna gli imperiali erano dei pessimi tiratori.

«Scusa Daemon, temo di aver solo peggiorato le cose.» disse Septimus quando infine riuscii a raggiungerlo

«Tranquillo, ora sono qui.»

La prima cosa da fare era ricompattare il fronte e approfittare quanto prima del momento favorevole, quindi iniziai subito a far sbracciare gli sbandieratori.

«La cavalleria di Oldrick si disimpegni e rientri nelle posizioni di partenza! I lancieri dell’ala destra avanzino e forniscano supporto alla manovra! Puntare i cannoni di sinistra verso il centro dello schieramento, elevazione venticinque gradi, carica a tre quarti, quelli di destra all’ingresso della gola! Usate tutti gli artiglieri che ci sono rimasti! La prima linea arretri di venti passi senza lasciare il combattimento! Al mio comando, Passe abbandoni lo scontro portandosi a distanza di sicurezza dalla formazione nemica!»

Un po’ mi dispiacque dover spazzare via i Leoni a cannonate rivoltandogli contro la loro stessa formazione chiusa; non che mi aspettassi di poter convincere qualcuno di loro a cambiare schieramento, ma erano eccellenti soldati con un forte senso d’appartenenza ed estremamente fedeli, e per questo li ammiravo.

Con le retrovie nemiche così vicine, e la prima linea lontana abbastanza da permettere alle palle di cannone di passarci sopra evitando di colpire i nostri, aprire voragini nei loro schieramenti fu un gioco da ragazzi, e nel momento in cui i pochi Leoni sopravvissuti andarono in rotta il fianco sinistro nemico cedette di schianto.

La cavalleria nemica caricò alla disperata per tentare di silenziare di nuovo i cannoni, ma i lancieri che avevo mandato avanti formarono uno schiltron che dopo averli costretti a fermarsi li rese un facile bersaglio per i nostri arcieri.

Nel mentre i cavalli di Oldrick avevano ripreso fiato, ed eseguendo un ampio arco al piccolo trotto caricarono nello stesso momento le spalle delle retrovie e il fianco del centro di comando nemico dividendosi in due tronconi.

Ron non perse neanche tempo a far suonare la ritirata; lo vidi girare il cavallo e darsela a gambe un attimo dopo aver visto il suo intero esercito andare in rotta portando via con sé i pochi cavalieri rimastigli, il suo stato maggiore e la retroguardia.

Se avessi potuto avrei ordinato di corrergli dietro e fare strage di quanti più nemici possibili, ma ormai le mie forze erano allo stremo; e poi non era ancora il momento di rovinare la mia reputazione con una condotta tanto barbara.

«Che ore sono?» chiesi a Septimus

«Più o meno le tre.»

«Manda Tecla a Dundee. Alle ore tre del sesto giorno del mese della Viverna, le forze rivoluzionarie sono padrone del campo. Il nemico ha perso più della metà della sue truppe. La battaglia è vinta.»

 

Nota dell’Autore

Eccomi di nuovo dopo due settimane!

Lo so, anche questo capitolo è stato incredibilmente lungo.

Il fatto è che non mi andava di spezzare in due la prima vera grande battaglia della storia.

In realtà ho provato più volte a cercare un buon punto in cui fermarmi, senza però riuscire alla fine a trovare un momento in cui non avessi la sensazione di spezzare la narrazione.

Spero che questo non abbia fatto scappare la maggior parte di voi.^^

Ringrazio tutti quelli che leggono e recensiscono questa mia storia.

A presto!^_^

Carlos Olivera

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** CAPITOLO 5 - LA CADUTA DEL CASTELLO ***


“Metti cento leoni al comando di un cane

e moriranno come cani.”

CAPITOLO 5

LA CADUTA DEL CASTELLO

 

 

Quella sera al villaggio si scatenò una festa come non se n’erano mai viste.

Tutti ballavano, cantavano, bevevano e mangiavano, mentre nel buio della valle ancora si intravedevano i pinnacoli di fumo prodotti dalle pire ormai estinte su cui solo qualche ora prima avevamo bruciato i caduti.

Sembrava quasi che la gioia per la vittoria avesse fatto già dimenticare a tutti il massacro al quale erano sopravvissuti.

Ma non ero troppo sorpreso.

Se c’era una cosa che accomunava gli schiavi e i soldati era il doversi sempre confrontare con la morte, al punto che ormai accettare e metabolizzare il lutto era una cosa che la loro mente riusciva a fare con una facilità sconvolgente.

Quanto a me, tra la marcia e tutto il resto, ero talmente stanco da non riuscire a reggermi in piedi, così decisi di andare subito a dormire in un fienile.

Speravo di concedermi giusto qualche ora di sonno per poi tornare a pianificare le nostre prossime mosse, ma la mia prima, vera battaglia dopo tanti anni doveva aver ridestato in me pensieri funesti.

Mi ritrovai a camminare in una pianura brulla e oscura, immersa in una nebbia spettrale, circondato da tombe e croci.

Mentre cercavo di uscirne, eccolo apparire da dietro uno dei tumuli e fermarsi a poca distanza da me.

Quel cane.

Quel maledetto cane!

Mi fissava con quei suoi occhi scuri, uggiolando e mugolando in modo così fastidioso da farmi scoppiare le orecchie, e per quanto cercassi di mandarlo via non c’era verso che obbedisse. Quell’immagine mi aveva perseguitato per tutta la vita, e ora era tornata per tormentarmi anche in questa.

Smettila. Non guardarmi così. Non è stata colpa mia. Non avevo scelta. Vattene… Lasciami stare. Lasciami in pace!

Uno strattone mi riportò violentemente indietro nel mondo reale, e mai interruzione di un breve momento di riposo fu più gradita.

«Daemon.»

«Scalia.»

«Va tutto bene? Sei pallido e stai tremando, e ti sentivo parlare nel sonno.»

«Tranquilla, non è niente. Solo un brutto sogno. Cosa c’è?»

«Passe vuole parlarti. Dice che è molto importante. Pare abbiano catturato un prigioniero, qualcuno che conta.»

«Arrivo subito.»

Non dico che non mi aspettassi ciò che stava per succedere, tuttavia non fui eccessivamente sorpreso quando dopo essere entrato nella capanna che avevamo destinato a quartier generale trovai ad accogliermi l’enigmatico e decisamente irritante sorrisetto di Adrian.

«Era ora. Non lo sai che il comandante non dovrebbe mai sottrarsi ai festeggiamenti dopo una battaglia? Si dice che porti sfortuna.»

«Daemon!» strillò Scalia snudando gli artigli e sfoderando le zanne «Lasciami uccidere questo bastardo!»

«Calma, Scalia.»

In realtà io stesso non avevo mai deciso realmente cosa fare nel caso in cui mi fossi trovato in quella situazione; per esperienza sapevo che quelli della stessa pasta di Adrian erano capaci nello stesso giorno di guidare il tuo esercito alla vittoria e di scannarti nel sonno.

E io non avevo alcuna intenzione di accompagnarmi di nuovo a simili opportunisti voltagabbana.

«Mia sorella mi ha raccontato quello che le hai fatto. Dammi un solo motivo per cui non dovrei sventrarti qui e adesso.»

«Avanti, non ho fatto niente di così grave. Non l’ho nemmeno toccata, se così si può dire. E comunque l’avevo capito subito che c’entravi qualcosa con tutta quella storia. Avrei potuto dirlo a mio padre e mettervi tutti nei guai, e invece sono stato zitto. Almeno questo me lo devi.»

Onestamente mi ero sempre chiesto come avesse fatto uno con il suo acume a non intuire qualcosa di poco chiaro nel modo in cui avevo fatto sparire Scalia da sotto il suo naso, ma avevo preferito non indagare oltre convincendomi di essere semplicemente riuscito a ingannarlo.

Ora sapevo che la prima impressione che avevo avuto di lui era corretta, e la cosa mi mandava in bestia: perché anche se mi disgustava, allo stesso tempo non potevo fare a meno di ammirarlo.

«Dove l’avete preso?»

«È venuto lui da noi. Si è arreso alla nostra pattuglia nella valle assieme a tutti i suoi uomini.»

«Quei pochi che sono rimasti. Ammetto che non avevano mai visto una battaglia degna di questo nome, ma mai mi sarei aspettato che qualcuno potesse spazzare via la mia unità in modo tanto semplice.»

Sembrava che Scalia dovesse saltargli addosso da un momento all’altro, così per tenerla calma estrassi la spada puntandola contro di lui.

«Hai a disposizione dieci parole per convincermi a non lasciarti qui in mano a mia sorella.»

«Me ne bastano cinque. Posso guidarti dentro il Castello.»

Da che mondo è mondo ogni trattativa è fondata su di un confronto dialettico in cui due o più contendenti mettono sul piatto un’offerta destinata ad ottenere dalla parte avversa il maggior guadagno possibile con il minor sacrificio.

In qualche modo sapevo che malgrado potesse sembrare il contrario stavolta ero io a sedere sul piatto sbagliato della bilancia, una situazione irritante in cui chiunque odierebbe ritrovarsi.

Per prima cosa occorreva eliminare i fattori di disturbo.

«Lasciateci soli.»

«Daemon, ma…»

«Tranquilla Scalia, andrà tutto bene. Fidati di me.»

Dovetti insistere un po’, ma alla fine riuscii a convincerla.

«Io resto qua fuori. Al minimo sentore che qualcosa non va, verrò personalmente a strapparti quel sorrisetto dalla faccia.»

«Lo terrò a mente.»

Così restammo soli, anche se per qualche istante tutto quello che riuscimmo a fare fu fissarci vicendevolmente negli occhi alla ricerca del minimo cenno di esitazione.

«Immagino tu sappia che il nostro scopo è prendere la testa del governatore e reclamare il controllo di questa regione. Perché dovresti agire contro tuo padre?»

«Ho smesso di considerare quell’essere immondo mio padre molto tempo fa. Fin da quando ne ho memoria non ho mai provato altro che disgusto nei suoi confronti. Gli sono rimasto vicino nella speranza che migliorasse, ma ora basta. Non getterò via la mia vita per seguire quell’incapace nella tomba.»

Un pensiero condivisibile; anche se credevo con tutto me stesso nella sacralità dei rapporti famigliari non li davo certo per assoluti.

Il rispetto dovrebbe sempre essere guadagnato, e di motivi per portargli rispetto Longinus non ne aveva neanche uno.

«Fingiamo che io decida di ascoltarti. Di preciso come penseresti di farci entrare lì dentro?»

Al che Adrian richiamò la mia attenzione sulla mappa del Castello aperta sul tavolo.

«Con il più classico dei trucchi. Un passaggio segreto.»

«Non sapevo ne esistesse uno.»

«Perché nessuno si è mai preoccupato di cercarlo. L’ingresso è qui, ai piedi della torre di sud-est.»

«E tu come l’hai scoperto?»

«Se ne faceva menzione in alcune vecchie cronache. Immagino tu sappia che il Castello è stato costruito sopra ad un palazzo più antico risalente a prima delle Guerre Sacre. Il passaggio attraversa le vecchie rovine, scivola sotto la piazza d’armi e sbuca fuori proprio qui, nelle cantine del palazzo.»

Mi colse un dubbio.

«E se il Governatore lo usasse per scappare?»

«Lo farebbe se sapesse della sua esistenza. Non credo che quel porco abbia mai letto un libro in vita sua, e lo stesso vale per i suoi uomini.»

Quasi che si aspettasse ciò che stavo per dire, nel momento in cui alzai lo sguardo dalla mappa lo trovai già intento a fissarmi.

«Interessante suggerimento. Ora che me l’hai dato però, cosa mi impedisce di dire a Scalia di rientrare in questa stanza e lasciare che si occupi di te?»

«Buona fortuna. Quel posto è un labirinto. Io ci ho impiegato dei mesi per trovare il percorso giusto. Senza di me ti perderesti in due secondi.»

«Potrei sempre occuparmi di te dopo aver sistemato tuo padre.»

«Potresti. Ma non lo farai.»

«Perché ne sei così convinto?»

«Per lo stesso motivo per il quale hai salvato quel drago. Perché ti serviamo.»

Ammetto che il modo in cui mi guardò mi fece quasi gelare il sangue.

«Smettiamola con questa commedia. Puoi ingannare quella manica di ingenui, ma non certo me. Non c’è niente di nobile o di buono in ciò che stai facendo. Quello che vuoi è una sola cosa, ed è il potere. Beh, lo voglio anch’io. Ma l’ambizione di entrambi sarà destinata a sfracellarsi contro quelle mura, a meno che non decidiamo di collaborare.»

Malgrado quello che dicevano i preti non avevo mai considerato l’ambizione un vizio, ma quella di Adrian era quasi pari alla mia; era come se stessi guardando allo specchio il me stesso dei tempi di La Fere, un giovane spaccone spregiudicato pronto a qualsiasi cosa pur di raggiungere gli scopi che si era prefissato.

«Io sono stufo, Daemon. Stufo di quegli arroganti incapaci dell’Impero che non sarebbero in grado di amministrare nemmeno un porcile. E io ne ho abbastanza di combattere contro un sistema che si rifiuta di progredire. Mio padre è uno dei peggiori, ma di certo non è l’unico. Comunque vada a finire, dopo quanto successo qui la sua reputazione è destinata a sgretolarsi, ma io non ho nessuna intenzione di andare a fondo insieme a lui.»

«Non ho mai sentito di un impero con due sovrani. E temo che Eirinn sia troppo piccola per tutti e due.»

«Non sono così ambizioso. E anche se sono consapevole delle mie capacità non mi considero certo al tuo livello.»

«E allora si può sapere che cosa vuoi in cambio del tuo aiuto?»

«Non è ovvio? La mia parte di gloria nel mondo che vuoi costruire. Che tu lo voglia o meno ciò che stai facendo qui è destinato a sconvolgere non solo l’Impero, ma più probabilmente l’intera Erthea. E io non intendo perdermi il cambiamento più epocale che questo mondo abbia mai visto. Non solo, voglio esserne parte.»

Quando ci si imbarca in imprese disperate raramente ci si può concedere il lusso di scegliersi i propri alleati, e io lo sapevo bene.

Adrian poteva diventare la risorsa più importante e decisiva a mia disposizione, ma non ero sicuro di poter gestire… un altro me.

«Il tempo sta scadendo amico mio.» mi disse ghignando, e sapendo di avermi messo all’angolo. «Ron sarà pure leale a mio padre fino alla morte, ma non è uno stupido. A quest’ora avrà già ordinato al suo miglior esploratore di correre a Baxos a chiedere rinforzi. E a Baxos in questo momento ci sono sia la Terza che la Nona Legione. Ci vorrà tempo, ma presto o tardi arriveranno qui dal valico a nord per portare soccorso. Sicuro di poter perdere tempo impelagandoti in un assedio al Castello?»

Alla fine, inevitabilmente, strinsi quella mano: che altro avrei potuto fare?

Ma mentire sarebbe inutile: lo ammiravo. Perché chiunque riesca a trasformare una sconfitta rovinosa in una mezza vittoria con ogni mezzo, anche i più subdoli, dal mio punto di vista è degno della massima considerazione.

Naturalmente Scalia non fu per niente contenta di vederlo lasciare la stanza sulle sue gambe, e lo fu ancora meno quando le dissi che tipo di accordo avevamo siglato.

«Daemon ti prego, dimmi che non hai davvero intenzione di farlo.»

«Non abbiamo scelta Scalia. Se quello che ci ha detto è vero presto arriveranno altri rinforzi.»

«E noi li sconfiggeremo, come abbiamo già fatto.»

«Forse. Ma quanti dovrebbero morire per poterci riuscire?»

Lei abbassò gli occhi, digrignando i denti per la frustrazione.

«Però…»

«A volte occorre mettere da parte l’orgoglio sorella. So che quello che ti ha fatto è imperdonabile, però non puoi non ammettere che Adrian potrebbe essere una risorsa molto preziosa.»

«Dovresti averlo capito, quel tipo è l’ambizione personificata. Chi ci assicura che non ci tradirà alla prima occasione se le cose dovessero mettersi male?»

«Non lo farà.»

«Come puoi esserne così sicuro?»

«Perché combattendo per noi otterrà qualcosa che non potrebbe avere da nessun’altra parte.»

«E cioè?»

«Un’intera nazione nelle sue mani, da plasmare a suo piacimento.»

E credimi, io so meglio di chiunque altro quanto grande sia la soddisfazione che viene dal possedere un tale potere.

Scalia non sembrava per niente convinta, ma ormai si fidava a tal punto di me che non si sarebbe mai permessa di mettersi di traverso nelle mie decisioni.

«Dopodomani arriveranno altri rinforzi da Dundee. Per stanotte i soldati possono fare baldoria, ma a partire da domani dovranno iniziare a raggruppare le proprie cose. Questa Rivoluzione finirà prima della prossima luna.»

 

Il Governatore Longinus non aveva mai chiesto di essere inviato ad amministrare una regione così problematica e remota come l’Eirinn.

Tutto quello che voleva nel momento in cui aveva accettato la nomina era concludere quanto prima i dieci anni di incarico per poi tornare a Maligrad e riceverne uno migliore, magari a ovest, lì dove abbondavano pascoli verdi, spiagge incontaminate e fiorenti città commerciali.

Ma per guadagnarsi una nuova assegnazione di maggior prestigio doveva meritarsela, così aveva fatto di tutto per assicurarsi che la situazione rimanesse tranquilla.

Sotto la sua amministrazione le miniere avevano aumentato considerevolmente la produzione di metalli preziosi ed il reunionismo era stato quasi completamente stroncato; poco importava, almeno per lui, che ciò fosse stato possibile attraverso turni di lavoro massacranti per gli schiavi e una lista interminabile di esecuzioni.

E ora che il bubbone era scoppiato, vedeva tutto ciò in cui aveva sperato per il suo futuro sgretolarsi come un cristallo.

Quando aveva visto la leggendaria Quindicesima Legione tornare dalla battaglia quasi dimezzata aveva capito che ormai tutto era perduto, e che quella storia avrebbe macchiato inevitabilmente la sua reputazione.

Tutto quello che poteva fare era limitare i danni e tentare di risolvere la situazione il più velocemente possibile; e dato che l’ultima cosa di cui aveva bisogno era che una banda di bifolchi se ne andassero in giro a raccontare come lui e i suoi uomini si stessero facendo massacrare da un pugno di schiavi ribelli il suo ordine era stato di blindare il Castello e chiudere tutti i valichi ancora sotto il loro controllo, impedendo a chiunque di lasciare la provincia.

Sperava ancora di poter risolvere la situazione internamente per non compromettere ancora di più il suo prestigio e poter ancora sperare nella benevolenza dell’Imperatore, per questo non fu per nulla contento di sapere che il Generale Ron, subito dopo essere tornato, aveva immediatamente ordinato di andare a chiedere rinforzi a nord senza prima consultarsi con lui.

All’inizio aveva protestando minacciando fuoco e fiamme, ma alla fine si era convinto che una reputazione rovinata era comunque preferibile al rimetterci la pelle.

Ma in ogni caso sapeva che per lui non ci sarebbe più stato un futuro nell’Impero.

«Non avete nulla di che temere, Mio Signore.» disse il Generale durante il consueto incontro di metà mattina nella sala delle udienze. «Il Castello è una fortezza impenetrabile, non importa quanto Haselworth possa impegnarsi, e abbiamo ancora forze più che sufficienti per difenderlo senza fatica.»

«E se cominciano a usare quei maledetti cannoni?»

«Questa fortezza è stata pensata proprio per resiste ai cannoni, e oltretutto i loro sono piuttosto piccoli. Anche usandoli tutti insieme impiegherebbero settimane per aprire una breccia. Conosco personalmente i Generali Plinio e Agrippa che comandano la Terza e la Nona Legione, saranno certamente qui al massimo entro dieci giorni.»

«Ci sono notizie di mio figlio?»

«Purtroppo Mio Signore, il Nobile Adrian risulta ancora disperso. La sua unità non ha più dato notizie dopo che si è offerto di coprire la nostra ritirata formando una linea difensiva all’uscita della valle. Dobbiamo presumere che sia morto.»

«Quell’idiota. Si dava tante arie, e alla fine sono bastati un pugno di straccioni per fare a brandelli i suoi sedicenti campioni.»

Se solo ripensava al fatto che la notizia di quanto stava accadendo nella sua provincia era destinata a raggiungere la capitale probabilmente nell’arco di una settimana, Longinus si sentiva ribollire il sangue dalla rabbia.

«Già me li immagino i senatori e i consiglieri che ridono di me. L’Imperatore non vorrà neanche più vedermi. Forse quando questa storia sarà finita farei meglio a mollare tutto e a cercare fortuna altrove. Dicono che le coste di Connelly siano splendide in autunno.»

L’improvviso rimbombare della campana della fortezza preannunciò l’arrivo degli invasori, così il Governatore e Longinus si portarono immediatamente –per quanto Longinus ne fosse capace, data la sua scarsa affinità con gli sforzi fisici– in cima alla torre panoramica.

Preceduta da squilli di trombe e da un vessillo bianco, rosso e blu fatto di stracci, migliaia di soldati armati e vestiti nei modi più diversi fecero la loro comparsa da oltre la collina a sud, disponendosi in formazione allargata e fermandosi ad alcune centinaia di metri dal centro abitato, al di là della portata di arcieri, balliste e altre armi d’assedio.

Ron non dovette neanche fare ricorso alla sua vista affinata per notare il cavallo bianco di Daemon nel cuore dello schieramento nemico; se ne stava lì, come se avesse voluto mettersi in mostra, mezzo nascosto dietro un pesante mantello e circondato da orchi, minotauri e altri colossi a fargli da scudo.

Vedendo arrivare i ribelli gli abitanti della città si lanciarono naturalmente tutti verso la fortezza, trovando però le porte presidiate dalla guarnigione e in procinto di essere chiuse.

Gli ordini erano chiari: nessun civile era ammesso all’interno del Castello, dato che il poco cibo che si era riusciti a stoccare nei granai affamando migliaia di persone bastava a malapena per i soldati.

E non ci fu pietà per nessuno; qualcuno addirittura ci rimise la pelle nel tentativo di mettersi in salvo oltre le mura sfidando le lance dei legionari.

Nel mentre i ribelli avevano portato avanti le proprie armi d’assedio; il Governatore e il Generale si aspettavano di veder comparire quei maledetti cannoni pronti a scatenare una pioggia di proiettili contro le mura e l’abitato, perciò rimasero un attimo basiti da ciò che si palesò davanti ai loro occhi.

«Catapulte!?» disse Longinus

«E fatte di rottami e scarti di lavorazione, per di più. Devono averle assemblate in tutta fretta. Ma che cosa pensano di farci? È impossibile che possano colpirci da così lontano.»

«Forse vogliono spaventarci spianando la città. Che facciano pure. Meno bifolchi di cui doversi preoccupare.»

E in effetti i ribelli lanciarono qualcosa, ma non quello che tutti si sarebbero aspettati.

Un urlo si sollevò tra i cittadini per le strade.

«Pane! Ci stanno lanciando del pane!»

Ma il peggio doveva ancora venire.

«Generale! Mio Signore!» strillò un legionario apparendo in cima alla torre. «Assieme al pane i ribelli stanno lanciando anche questi!» e passò si due un bigliettino.

 

Abitanti del Castello!

Non siamo vostri nemici.

Il governatore e i suoi cani rabbiosi vi stanno affamando e vi usano come scudi umani per proteggersi.

A loro non importa niente della vostra vita.

Lasciate il villaggio e venite verso di noi.

Non vi sarà fatto alcun male.

I vostri fratelli di Dundee e Basterwick sono pronti ad accogliervi.

I nostri soldati hanno l’ordine di non saccheggiare o rubare niente. Le vostre case e i vostri averi non saranno toccati.

Il comandante delle forze rivoluzionarie.

Daemon Haselworth

 

«Brutto bastardo!» sbottò Longinus facendo a brandelli il foglietto «Sparate su chiunque tenti di abbandonare il villaggio!»

Nessuno dei legionari ancora a disposizione di Ron proveniva da Eirinn; molti però avevano degli amici tra gli abitanti del villaggio, qualcuno persino dei famigliari.

Pertanto nel momento in cui un gran numero di civili scelse di rispondere all’invito mettendosi a correre verso l’esercito nemico la maggior parte dei soldati non se la sentì di obbedire, malgrado l’addestramento. Il risultato fu che nel momento in cui alcuni altri iniziarono a mirare sui cittadini in fuga si scatenò sui bastioni una mezza rivolta.

«A quanto pare ha funzionato, si stanno accapigliando tra di loro.» disse Septimus guardando nel cannocchiale che Daemon gli aveva prestato. «Speriamo solo che non si accorgano che io non sono Daemon.»

«E che quel damerino inquietante non ci abbia imbrogliato.» disse Passe, in piedi accanto a lui. «Per me Daemon sta correndo un rischio inutile.»

 

«Per me stai correndo un rischio inutile Daemon.» disse Scalia per la centesima volta. «Che bisogno c’era che venissi anche tu?»

«Dobbiamo proprio parlarne di nuovo?» rispose il giovane con un sospiro. «Ormai dovresti averlo capito. Non sono certo il tipo di comandante che se ne sta al sicuro dietro le linee aspettando che gli altri facciano il lavoro al suo posto. E poi non mi andava di lasciarti da solo in compagnia di questo damerino.»

«Trovo la tua mancanza di fiducia nei miei confronti profondamente offensiva.» replicò platealmente Adrian. «Credevo di averti ampiamente dimostrato la mia affidabilità.»

«Ne riparleremo quando questa storia sarà finita.»

Con i legionari che si azzuffavano tra di loro e la confusione che regnava al villaggio raggiungere la base delle mura del Castello era stato un gioco da ragazzi.

Vista da lì la fortezza sembrava ancora più imponente e minacciosa, e Scalia non poté non provare un po’ di sollievo al pensiero che sarebbero riusciti ad espugnarla senza bisogno di dover scalare quei bastioni sotto una pioggia di frecce.

«Allora? Dov’è questo passaggio segreto?»

«Proprio qui.» disse Adrian tirando leggermente la testa di un gargoyle.

Ci fu un leggero tremore, quindi una parte delle pietre del muro si abbassarono rivelando l’ingresso di un tunnel.

«Prima le signore.»

«Signore un corno. Io non mi fido di te, se ancora non l’hai capito. Tu vai avanti per primo. E se vedo anche solo l’ombra di un soldato lungo la strada…»

«Sì, lo so. Mi affondi i denti nella gola.»

«Vedo che hai capito.»

«Finitela e andiamo, prima che qualcuno si accorga di noi.»

Adrian usò la sua magia per evocare un globo di luce, quindi i tre si avventurarono all’interno un attimo prima che l’ingresso si richiudesse alle loro spalle.

Per un po’ camminarono lungo un corridoio scavato prima nelle mura e poi direttamente nella terra, destreggiandosi tra stretti pertugi, strapiombi e persino un fiume sotterraneo, fino ad arrivare dopo quasi un’ora in quelle che sembravano le rovine di un antico edificio, talmente grande e maestoso da fare impallidire persino quello in superficie e formare un vero e proprio labirinto.

«Mi raccomando, non perdetemi mai di vista. Qui dentro ci si perde con una facilità sconcertante.»

Bastava guardare i corpi e gli scheletri riversi a terra o appoggiati alle pareti per capire che Adrian non stava esagerando.

«Quindi sono queste le rovine dell’antico palazzo. È molto più grande di quanto mi aspettassi.»

«Le cronache antiche parlano di un grande centro culturale che sarebbe esistito qui più di mille anni fa. Probabilmente si trattava di una città santa dedicata a qualcuno degli Antichi Dei.»

Daemon si sentiva strano; per qualche motivo aveva la sensazione di essere già stato in quei luoghi, il che era ovviamente impossibile. Ma nonostante ciò non riusciva a non percepire qualcosa di familiare in quelle volte diroccate, i muri cadenti e i mosaici ormai quasi completamente scomparsi.

«Ecco, ci siamo.» disse Adrian quando giunsero ai piedi di una scala ricavata direttamente nella roccia. «L’uscita è proprio qui sopra.»

Salirono lungo la scala per diversi minuti, mentre alla roccia naturale andavano sostituendosi gradualmente le fondamenta del Castello, fino ad arrivare davanti all’uscita del passaggio segreto celata dietro a un muro.

Prima di tirare la torcia che faceva da interruttore però, Adrian si girò a guardare severamente i suoi compagni.

«Vi avviso. Quello che vedrete potrebbe non piacervi.»

La porta si aprì all’interno di una specie di prigione costituita da sei piccole celle chiuse da delle grate di legno; la puzza era indescrivibile, ed il terreno era ricoperto di paglia e strane piume colorate, lunghe e ispide.

Raccolta una torcia Scalia illuminò l’interno di uno dei loculi, ma ciò che vide la sconvolse al punto da lasciarla pietrificata.

Rannicchiate nell’angolo più lontano dalle sbarre, tre giovani arpie poco più che bambine giacevano più morte che vive su di una misera stuoia di paglia intrecciata, circondate dalle proprie piume e coperte di sporcizia.

«Per tutti gli dei! Ma è orribile!» disse Scalia quasi sul punto di piangere

«Purtroppo mio padre va matto per le uova di arpia. Per parecchio tempo si è limitato a comprarle, fino a quando non ha capito che era molto più economico fabbricarsele in casa.»

Anche le altre celle erano occupate allo stesso modo, come Daemon scoprì dopo averle esaminate tutte; ma la cosa peggiore i due fratelli la videro nella sesta cella, dove una singola arpia, a prima vista un po’ più giovane delle altre, sedeva da sola circondata dai corpi senza vita delle sue due compagne morte di stenti.

Se negli occhi delle sue compagne non vi era altro che rassegnazione, in quelli di quella ragazza bruciava ancora una piccola scintilla di vita, alimentata dalla brace inesauribile dell’odio.

Quando si avvide della presenza di un umano si scagliò urlando contro di lui, ma era talmente debole e malconcia che malgrado gli artigli su mani e zampe non riuscì neanche a scalfire le sbarre della cella.

«Attento con quella. Il mese scorso ha strappato gli occhi ad una guardia.»

«E allora perché è ancora viva?»

«Perché per mio padre un uovo di arpia maggiore vale molto di più di una guardia accecata. Quello che hanno fatto è stato uccidere le sue compagne e lasciarle nella cella insieme a lei. Dopotutto tutti sanno che le arpie non si ammalano anche se lasciate in mezzo ai cadaveri.»

Quella poveretta era così malridotta che Daemon non si era nemmeno accorto che si trattava di un’arpia maggiore, anche se i suoi lunghi capelli arancioni, ancora capaci di scintillare come il sole al tramonto nonostante lo sporco che li ricopriva, gli avevano fatto venire più di un sospetto al riguardo.

Adrian si ritrovò la spada di Scalia puntata addosso prima di potersene accorgere.

«Dovrei ammazzarti subito!»

«Calmati.» rispose calmo il giovane. «Io non ho niente a che fare con tutto questo.»

«Però lo sapevi! Sapevi che queste arpie erano qui!»

«E che cosa avrei potuto fare? Da secoli le arpie hanno perso la capacità di volare. Anche se avessi provato a farle fuggire pensi davvero che sarebbero potute andare lontano? Se non altro qui sono…»

«Sono cosa? Sono vive? Voi umani siete disgustosi! Secondo il vostro punto di vista dovremmo esservi grati solo perché ci tenete in vita! Per molti di noi perfino la morte sarebbe preferibile a questo!»

«Mi credi davvero così amorale? Non sono un filantropo, ma persino io penso che questo sia troppo.»

Daemon nel mentre non aveva smesso un attimo di fissare la giovane arpia maggiore, sostenendo con lei un silenzioso duello di sguardi in cui nessuno dei due voleva soccombere.

«Come ti chiami?»

La ragazza rispose con uno sputo, che Daemon si tolse dalla guancia senza battere ciglio o smettere di fissarla. Appoggiato su di un tavolo lì vicino c’erano gli avanzi del pasto del guardiano.

«Hai fame?» disse ancora Daemon, che non senza una certa dose di preoccupazione da parte dei suoi compagni infilò la mano oltre le sbarre porgendole un pezzo di pane.

Ancora una volta l’arpia lo fissò con rabbia, sibilando e agitando nervosamente le piume irsute e diradate, ma di uno splendido colore dorato.

Di fronte all’impassibilità dell’umano che le stava di fronte l’arpia parve convincersi, e strappato il pane dalla mano di Daemon lo divorò in pochi bocconi.

«Adesso me lo dici il tuo nome?»

«Perché ti interessa tanto?» rispose lei tornando a fissarlo. «Non sei altro che uno sporco umano.»

«Serve un motivo per voler sapere il nome di qualcuno?»

«… Xylla

«Sei un’arpia maggiore e porti un nome importante. Appartieni ad una famiglia reale?»

«Che importanza ha? La mia famiglia e tutto il mio popolo sono stati tutti uccisi. Noi siamo le uniche rimaste. Ci tengono in vita solo per le nostre uova.»

«Se questo destino ti disgusta tanto, perché non ti sei ancora uccisa?»

Al che lei si scagliò nuovamente contro le sbarre, riuscendo stavolta ad incrinarle.

«Credi che non ci abbia pensato? Ma loro hanno detto che se lo avessimo fatto avrebbero ucciso le nostre amiche! Il drago ha ragione, gli umani sono esseri orribili! Dovreste morire tutti!»

Daemon non si scompose, ma raccolto tutto il cibo che rimaneva dal tavolo lo gettò all’interno delle celle sotto lo sguardo incredulo delle altre arpie.

«Per adesso aspettate qui. Appena la situazione si sarà calmata manderemo qualcuno a tirarvi fuori.» quindi si girò verso i suoi compagni. «Muoviamoci. Questa storia è durata anche troppo.»

 

«È inaudito.» sbottò il governatore sprofondando sul suo scranno nelle sala delle udienze. «Adesso i legionari si ribellano agli ordini dei loro superiori? È per questo che l’Impero sta andando in malora!»

Un servo venne a portargli le solite due uova sode profumate al pepe verde di Maharadi, ottime per quando aveva bisogno di distendere i nervi.

«Mi sono occupato del problema, Mio Signore.» disse Ron. «Ho fatto impiccare un paio dei soldati ribelli e ripristinato la disciplina. Ora gli arcieri sparano su chiunque tenti di lasciare il villaggio, e infatti le fughe per adesso si sono arrestate.»

«Credevo che tu avessi il pieno controllo dei tuoi soldati. Quando questa storia sarà finita non potrò fare a meno di segnalare la cosa a Sua Maestà.»

Il Generale era consapevole che il Governatore avrebbe fatto di tutto per scaricare su di lui tutte le colpe pur di salvare almeno in parte la sua reputazione, ma questo non gli avrebbe impedito di fare fino in fondo il proprio dovere; il che purtroppo passava anche dall’obbedire e piegare la testa davanti a quel grassone buono a nulla.

Un baccano fortissimo e improvviso proveniente da fuori fu il preludio alla catastrofe.

«Che sta succedendo?»

I legionari di guardia alla stanza vennero letteralmente scaraventati contro il portone, aprendolo con le proprie schiene e rovinando mezzi morti sul tappeto di seta.

«Buongiorno, Mio Signore. Felice di rivedervi dopo così tanto tempo.» disse beffardo Daemon entrando nella stanza assieme  a Scalia. «Generale Ron. Le ultime due volte che ci siamo visti siete andato via così di fretta che non ho avuto il tempo di salutarvi.»

«Maledetti! Che ci fate voi qui? Guardie!»

«Non sprecare il fiato, grassone!» disse Scalia «Nessuno verrà a salvarti!»

I due legionari che accompagnavano Ron sfoderarono le armi parandosi a difesa del Governatore e del loro comandante, ma Daemon non ebbe pietà e li uccise entrambi con pochi colpi.

«Questo è per tutti i miei amici che hai ucciso!» gridò quindi Scalia colpendo il Generale con tale forza da tagliarlo quasi in due.

Rimase solo un soldato semplice, che però vista la situazione non ci pensò due volte a gettare la spada ed arrendersi.

Vedendo crollare la sua ultima linea di difesa Longinus rimase per un attimo attonito, salvo poi iniziare a tremare in modo incontrollabile nel momento in cui vide Daemon camminare verso di lui con la spada insanguinata.

«D’accordo, avete vinto voi! La provincia è vostra! Tenetevela pure se volete, ma lasciatemi andare!»

«Non è così semplice, Governatore. Ci sono molte cose di cui dovete rispondere.»

«È stato il Generale! Era lui che faceva tutto! Io ero solo un amministratore! E comunque quello che facevo io qui lo fanno anche tutti gli altri!»

«Questo non vi rende meno colpevole. Ma voi siete il Governatore, pertanto siete responsabile di tutto quello che i servitori dell’Impero hanno fatto in vostro nome per tutti questi anni.»

«Non penserete mica di uccidermi? Sua Maestà non ve la farà passare liscia! Finirete tutti scuoiati! Non osate toccarmi!»

I due ormai erano faccia a faccia, e di fronte a quegli occhi di ghiaccio il Governatore si sentì mancare completamente le gambe ritrovandosi da un momento all’altro seduto per terra.

Quindi, dalla porta ancora aperta entrò nella stanza qualcuno che Longinus conosceva molto bene.

«Ben ritrovato, Padre.»

«Adrian! Sei vivo?»

«Vivo e vegeto, e non certo per merito vostro.»

«Avanti.» disse Daemon facendosi da parte. «Fai in fretta e chiudiamo questa storia.»

Adrian, estratta la spada, si avvicinò al Governatore, che gattonò indietro fino a ritrovarsi con la schiena appoggiata al muro.

«Che stai facendo, figlio mio?»

«Le mie scuse, padre. Vi ho dato molte occasioni per dimostrarmi che mi sbagliavo sul vostro conto. Ma d'altronde lo sterco non potrà mai diventare un diamante, per quanto ci si provi.»

«Adrian! Non puoi farlo!»

«Il valore di un uomo si misura dalla sua ambizione. Sono parole vostre. E purtroppo per voi, la mia è troppo grande per perdere altro tempo dietro ad un fallito quale voi siete. Perciò addio, padre. Il piacere è stato tutto vostro.»

Subito dopo, un urlo straziante riecheggiò in tutto il Castello.

 

All’esterno del Castello si era nel mentre venuta a creare una situazione surreale, con i ribelli da una parte, la guarnigione dall’altra, e gli abitanti nel mezzo.

Sembrava la calma che precede la tempesta, e nessuno nei tre gruppi osava fare una mossa nel timore di far precipitare tutto e dare inizio ad un assalto che non avrebbe risparmiato nessuno.

Poi, una voce si alzò tra gli assediati.

«Non ci posso credere! Guardate lassù!»

Da un momento all’altro la bandiera del leone dorato in cima alla torre principale era stata ammainata, e al suo posto sventolava ora un vessillo di stracci rosso, bianco e blu che molti soldati già conoscevano.

Ovviamente la cosa non passò inosservata neanche ai ribelli.

«Ce l’hanno fatta!» esclamò Septimus. «Hanno preso il Castello!»

Di lì a breve Daemon, Scalia e Adrian uscirono nel piazzale sotto gli sguardi attoniti dei legionari, recando in mano due sacchi insanguinati.

«Il Governatore e il Generale sono morti!» esclamò Daemon esibendo i loro macabri trofei. «La provincia è nostra! Gettate le armi, arrendetevi, e sarete tutti risparmiati!»

Quasi che non aspettassero altro quasi tutti i legionari obbedirono subito all’intimazione ricevuta, chi con evidente sollievo, chi semplicemente con dolorosa rassegnazione di fronte alla consapevolezza di come fosse ormai futile tentare di resistere ulteriormente.

Alla vista dei vessilli della Quindicesima Legione che scomparivano dai bastioni un singolo, rimbombante urlo di vittoria si alzò tra le fila dei ribelli.

«Ce l’abbiamo fatta! – Abbiamo vinto! – Lunga vita a Daemon!»

«Allora è vero.» disse Scalia come se non riuscisse a crederci. «Abbiamo vinto. È davvero finita.»

«No, Scalia.» disse severamente Daemon. «Tutt’altro. Questo è solamente l’inizio.»

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti!

E alla fine ci siamo.

La Rivoluzione è vittoriosa.

Ma come ha detto Daemon questo è solo l’inizio, e la strada che porta all’unificazione di Erthea e alla sconfitta del Re dei Demoni è ancora molto lunga.

Ho voluto condensare tutti questi eventi in un solo capitolo per non spezzare la narrazione, e vi preannuncio fin da ora che anche l’epilogo sarà piuttosto lungo.

Poi, a Dio piacendo, dovrei tornare a capitoli dalla lunghezza più umana.

A presto!^_^

Cj Spencer

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** EPILOGO - AVVENTURIERI ***


“La ricchezza non viene dal possesso di tesori,

ma dall’uso che se ne fa.”

EPILOGO

 

 

La Taverna del Gufo era il ritrovo per avventurieri più frequentato a nord e a sud del confine, quindi era abbastanza normale trovare al suo interno individui provenienti dai più remoti angoli di Erthea.

Nonostante ciò il viandante che quella sera aveva varcato le porte del locale era abbastanza particolare da attirare per un attimo su di sé l’attenzione di tutti gli avventori, che gli rivolsero brevi sguardi indagatori per poi tornare a farsi ognuno gli affari propri.

Essere avventuriero voleva dire avere molto spesso una taglia sulla testa o qualcosa da nascondere, e il fatto che quel tipo celasse il proprio volto dietro ad una maschera di legno laccato era abbastanza per ritenere che non volesse essere riconosciuto.

Il nuovo venuto si guardò attorno come se stesse cercando qualcuno, fino a quando il suo sguardo non incrociò quello di un’elfa in armatura con i lunghi capelli neri raccolti dietro la nuca seduta ad un tavolo appartato in compagnia di altri tre avventori – rispettivamente un mezzo orco, probabilmente Jormen e due umani, una maga e un esploratore – che gli fece un cenno con le mano.

«Sei in ritardo.»

«Avete dato un’occhiata fuori? Questo posto è un macello. Prima l’epidemia, e ora questa rivoluzione, come la chiamano. Una volta Basterwick era un posto tranquillo.»

«Non lamentarti. Anche noi non ce l’aspettavamo.»

«Tu devi essere Sadee.»

«E tu? Non ricordo di aver mai sentito il tuo nome.»

«Jonah.»

«Sei un cacciatore di taglie?»

«Cacciatore di taglie, sicario, mercenario, a seconda del momento. Oggi però, a quanto mi è parso di capire, sarò un cacciatore di tesori.»

«Capo.» disse l’orco. «Sarà il caso di fidarsi di questo tizio?»

«Musk ha ragione.» disse la maga. «I toriani sono il genere di persone che un attimo ti sono amiche, e quello dopo ti pugnalano alle spalle.»

«Ne abbiamo già parlato Dahlia. Ci serve una persona che conosca questa regione ma che non sia originaria di Eirinn. Dicono che il nuovo sovrano sia alla ricerca di ogni moneta d’oro su cui riesce ad arrivare, e non ho alcuna intenzione di spartire con lui il nostro bottino.»

«Sei piuttosto venale per essere un elfo.»

«Ho lasciato quella vita tempo fa. Ora sono solo un’altra mercenaria, e puoi credermi se ti dico che ciò che abbiamo per le mani è abbastanza per sistemarci tutti per il resto della vita.»

«Sono tutt’orecchie.»

«Hai mai sentito parlare del Mago Folle?»

Al che Jonah fece spallucce, sbuffando con evidente disappunto.

«E mi avete fatto venire fin qui per raccontarmi una favoletta per bambini? Ora me ne vado.»

«Aspetta, non così in fretta.»

«Persino io che non mi interesso di queste cose conosco la leggenda. Il Mago Folle favorito dell’imperatore Ademar Quarto che si sarebbe fatto intombare in una cripta con tutto il suo tesoro. Potrei farvi i nomi di almeno una dozzina tra avventurieri e ricercatori che ci hanno sprecato la vita nel cercare la tomba. Ma come ho detto, è solo una leggenda.»

«Ti sbagli. La cripta esiste. E noi sappiamo dove si trova.»

Gli occhi di Jonah erano nascosti dalla maschera, ma Sadee fu certa di notare un barlume d’interesse nel suo interlocutore.

«Di preciso cosa sai che gli altri non sanno?»

I quattro avventurieri si guardarono un attimo tra di loro, quindi Dahlia prese fuori una vecchia pergamena aprendola sul tavolo.

«Abbiamo comprato questa mappa da un trafficante del posto, un maiale di nome Borg.» disse la maga «A prima vista sembra solo una cartina della regione, ma…»

Bastò un cenno della mano ed un pizzico di magia, ed ecco apparire dal nulla linee, scritte e simboli prima invisibili che davano tutto un altro senso all’immagine.

«Vedi questo simbolo? È un vecchio palazzo a sud di qui, nel cuore della foresta.» disse Sadee. «La leggenda dice che appartenesse al Mago Folle. È stato difficile tradurre l’intero codice, ma ora sappiamo con certezza che la cripta è proprio lì sotto, e che l’ingresso si trova da qualche parte tra le rovine del palazzo.»

«Come fate ad essere sicuri che non sia un falso? Quel Borg non ha certo fama di persona onesta.»

«Ci hai presi per stupidi?» disse l’arciere. «Sappiamo riconoscere un codice antico quando lo vediamo. Questo dialetto non lo usa più nessuno da almeno duecento anni.»

«Gaston ha ragione. Non siamo riusciti a tradurre l’intero testo, ma le parti più importanti le abbiamo capite. La cripta e il tesoro sono lì sotto, senza alcun dubbio.»

Jonah temporeggiò, come se non fosse ancora del tutto convinto, prendendosi del tempo per esaminare a sua volta il documento.

«Mettiamo il caso che questa storia sia vera. Sembrate tutti e quattro tipi in gamba e che sanno badare a sé stessi. A che cosa vi servo io?»

«Il Mago Folle non si sarà certo guadagnato questo soprannome per caso.» disse l’orco. «Chissà che razza di diavolerie magiche avrà messo là sotto a fare la guardia al suo tesoro. Un paio di braccia in più non possono far male.»

«Questo è l’accordo. Tu ci aiuti a raggiungere il tesoro, e poi divideremo il tutto in parti uguali. Ci stai?»

Ci fu un breve attimo di silenzio, quindi Jonah si sistemò meglio la maschera sul viso.

«Ci sto. Quando cominciamo?»

«Immediatamente.» sorrise l’elfa. «Oste! Il conto!»

 

Sotto una pioggia scrosciante, i cinque avventurieri percorsero a cavallo le circa trenta miglia che separavano Basterwick dalle antiche rovine nella foresta.

Effettivamente giravano voci molto brutte su quel posto; i contadini e i pastori della zona evitavano di passarci vicino, e i bambini venivano scoraggiati dai genitori ad andare a giocarci con storie spaventose di fantasmi e apparizioni demoniache.

Del vecchio e sontuoso palazzo non rimanevano ormai che poche rovine fatiscenti, ma bastava guardare i muri crollati, le colonne spezzate e i pavimenti di marmo coperti di muschio per capire che una volta doveva essere stato un edificio degno di un re.

«Maledetta pioggia!» protestò Musk strizzandosi il mantello. «Ma esiste il sole in questo maledetto Paese?»

«Ma non dicono tutti che a Jormen piove sempre?» scherzò Gaston

«E secondo te perché alla fine me ne sono andato?»

«A voi orchi piace vivere sottoterra, no? Quando avremo messo le mani su questo tesoro potrai farti costruire un palazzo di pietra così profondo da dimenticare persino come sia fatto il cielo.»

«Non corriamo, prima dobbiamo trovare l’entrata.» disse Sadee

«Credo di averla già trovata.»

Jonah richiamò quindi l’attenzione di tutti su dei solchi nel pavimento in cui la pioggia, infilandosi all’interno, produceva un chiaro rumore di gocciolio.

«Qui c’è sicuramente qualcosa.»

Musk provò a colpire il suolo con la sua ascia, ottenendo però solo di venire scaraventato via da una specie di barriera.

«Sprechi il tuo tempo, testone di uno Jormen.» disse Dahlia. «Questa è una barriera magica di livello quattro. Neanche lo stregone di corte sarebbe capace di scioglierla.»

«Dovevamo aspettarcelo che non sarebbe stato facile. Avanti, guardiamoci intorno. Forse c’è un modo per riuscire ad entrare.»

I cinque si misero quindi alla ricerca di qualche indizio, ma dopo alcune ore spese a guardarsi in giro non venne trovato alcun ingresso secondario o indicazioni su come riuscire a infrangere lo scudo magico.

Ad un certo punto Gaston notò una piccola cappella votiva, scoprendo una volta tolti i rampicanti che la stritolavano una piccola statua di ossidiana che il tempo non era riuscito a scalfire.

«Dite che possa avere un qualche valore?»

«Questa è Lea.» disse Jonah. «La dea della creazione.»

«Quindi sarebbe uno degli Antichi Dei?» disse Sadee

«Allora il nostro mago non era solo folle, era anche un eretico.» scherzò Dahlia. «Questo tipo mi piace sempre di più.»

Gaston cercò di recuperare il suo bottino, solo per scoprire che era collegato al piedistallo con una catena; nel momento in cui la tirò, un rumore secco e violento giunse dall’ingresso della cripta.

«Avete sentito?» disse Musk

«Sembrava un chiavistello. Forse abbiamo azionato una serratura.»

La porta però era ancora chiusa, quindi tutti dedussero che dovevano esserci altre statue simili che aprivano le restanti serrature ed iniziarono a cercarle.

Ancora una volta fu Gaston con il suo sesto senso da ladro a trovarne un’altra per primo, e prima che Jonah potesse intimargli di aspettare si affrettò a tirarla.

Stavolta però, invece del rumore di un chiavistello, si udì un fortissimo fischio, seguito dalla comparsa sul terreno di un gran numero di cerchi magici da cui iniziarono ad uscire eserciti di piccoli demoni alati che subito si scagliarono sui cinque avventurieri.

«Dannazione Gaston, perché non pensi mai prima di agire?» strillò Sadee mulinando in giro la spada.

Servirono parecchi minuti e molta fatica per riuscire a sconfiggere quelle creature tanto piccole quanto pericolose, tanto che una volta terminata la battaglia Dahlia dovette usare una magia curativa su tutti i suoi compagni per permettere loro di riprendere fiato.

Ma non per Jonah.

«Non scherzavano quando dicevano che eri bravo a menare le mani.» disse Musk. «Hai macellato una ventina di quegli esseri immondi e sei ancora fresco come una rosa.»

«Ho accumulato un bel po’ di ore sui campi di battaglia. Ma eviterei di ripetere l’esperienza se possibile.»

«Forse ci sbagliavamo sul fatto che potesse essere questa la strada giusta per aprire la cripta.» ipotizzò Sadee

«No, io non credo. Anzitutto, cerchiamo di trovare tutte le altre statue.»

Ci volle molta pazienza, ma alla fine i cinque riuscirono a trovare altre sei icone in altrettante cappelle votive, tutte più o meno a uguale distanza dall’ingresso della cripta e tutte perfettamente conservate.

«Otto icone per otto chiavistelli.» disse Musk «Qualcuno ha idea di quale sia l’ordine giusto con cui azionarli?»

«Non chiederlo a me.»

«Bella maga che sei.» bofonchiò Gaston. «Questa dovrebbe essere roba tua.»

«Ti sei scordato che ho studiato al Circolo di Parn, e che tecnicamente sarei una chierica? Sono pazza, ma non fino al punto da mettermi a studiare gli Antichi Dei. Vuoi forse vedermi finire al rogo? Se vuoi saperne qualcosa perché non chiedi a Musk. Gli Antichi Dei dovrebbero essere roba sua.»

«Ma falla finita. Sarò anche diventato uno Jormen, ma l’unico motivo per cui andavo ai loro riti pagani era perché dopo potevo mangiare quanto volevo.»

«Finitela voi tre, e cerchiamo di venirne a capo.» disse Sadee. «Jonah, tu hai qualche idea?»

Il toriano si era annotato i nomi di tutti gli dei rappresentati in quelle effigi, ed era intento a studiarli attentamente alla luce di una torcia.

«La prima statua che abbiamo tirato era Lea. La seconda, che però ha fatto scattare la trappola, era Ezwin. Gli altri dei raffigurati sono Kalya, Zante, Hati, Myrra, Tichern e Samael.»

Dopo un lungo riflettere, e senza dire una parola, Jonah tornò alla prima statua, che tirata fece nuovamente scattare il chiavistello aprendo la prima serratura.

«Tu, ladruncolo. Tira quella statua lì.»

«Chi hai chiamato ladruncolo, razza di…»

«Finiscila e fa come dice.»

«Ma…»

«Non farmelo ripetere.»

Grugnendo di rabbia Gaston obbedì, tirando non senza timore l’effige di Zante. Passarono pochi istanti carichi di tensione, che si disperse in un sospiro di sollievo collettivo nel momento in cui tutti sentirono scattare la seconda serratura.

«Come hai fatto a indovinare?» chiese Dahlia

«Non mi è servito indovinare. Ognuno di questi dei è il padre o la madre di uno degli altri. Secondo la mitologia Lea, dea della creazione, partorì i tre dei progenitori unendosi all’universo da lei creato. Uno di loro era Zante, il dio della terra, che creò gli esseri umani scolpendoli dalla pietra. Zante si unì alla sorella Tiama, dea del sole, e dalla loro unione nacque il dio della cielo, Hati. Hati era il padre di Nama, la dea del mare, che a sua volta era madre di Ezwin, il dio delle tempeste. Ezwin rapì la principessa mortale Epheya e dalla loro unione nacque il dio della luna, Tichern. Tichern infine generò Kalya, dea della giustizia.»

Seguendo le sue istruzioni Sadee e gli altri tirarono le statue nell’ordine indicato, e uno dopo l’altro sei degli otto chiavistelli si aprirono senza incidenti.

«Ritiro tutto quello che pensavo su di te.» disse soddisfatto Gaston. «Altre due e il gioco è fatto.»

«Mi piacerebbe, ma c’è un problema. Myrra e Samael erano entrambi figlia di Kalya, ed erano gemelli.»

«Quindi la prossima statua della combinazione potrebbe essere una qualsiasi delle due.»

«E c’è di peggio. Samael era il dio del caos e della distruzione. Non mi stupirei se tirando la sua statua senza che sia quella giusta provocassimo qualcosa di ben peggiore della comparsa di qualche demone magico.»

«Non c’è nessun indizio che possa aiutarci a capire?» chiese Dahlia

Jonah si prese del tempo per riflettere; poi, come se stesse scegliendo a caso, tirò la statua di Myrra.

«Ha funzionato!» strillò Gaston sentendo per primo il chiavistello scattare

A quel punto bastò tirare l’ultima statua rimasta e la botola nel pavimento finalmente si aprì rivelando la scala d’accesso alla cripta.

«Ma come hai fatto a indovinare?» domandò Musk

«La prima dea della combinazione era la dea della creazione. Ho pensato che chi ha creato l’enigma avrebbe trovato appropriato che il dio della distruzione fosse all’estremità opposta.»

«Ben fatto.» disse Sadee. «Andiamo ragazzi, c’è un tesoro che ci aspetta.»

 

L’interno sembrava un’estensione del palazzo soprastante piuttosto che una tomba.

Ovunque i cinque avventurieri andassero era un susseguirsi ininterrotto di grandi saloni, corridoi a volta e persino dei giardini sotterranei tenuti in vita nonostante il buio e la mancanza di nutrimento da chissà quale incantesimo.

Tutto era illuminato da globi magici che proiettavano una pallida luce azzurra, troppo tenue per poter fare a meno delle torce ma forte quanto bastava per poter avere un’idea di ciò che si aveva intorno.

«Non mi sorprende che il Mago Folle sia tanto famoso.» disse Dahlia. «Per creare e tenere in vita giardini simili doveva possedere conoscenze magiche mai viste prima.»

In un posto simile era facile perdersi, ma da buon appartenente al popolo Jormen che aveva navigato in tutti i mari di Erthea Musk sapeva orientarsi in un sotterraneo come un cervo nella foresta e riuscì a non perdere mai l’orientamento.

Mentre attraversavano un largo corridoio che a dare retta alla pergamena avrebbe dovuto condurre in un ampio anticamera da cui si aveva accesso alla stanza del sarcofago però, Gaston ebbe una strana sensazione.

«Aspettate.» disse intimando a tutti di fermarsi. «Qui ci sono delle trappole.»

L’arciere poggiò una mano sul pavimento e chiuse gli occhi, quasi che stesse cercando di percepire le vibrazioni del terreno creando così una mappa dettagliata nella sua mente. Quindi, dopo qualche minuto speso senza muovere un muscolo, scagliò una raffica di frecce in vari punti della stanza, rivelando e facendo scattare senza danno una dopo l’altra una raffica di dardi e un getto di fuoco dal muro, un incantesimo congelante e due diverse fosse piene di lance appuntite.

«Ecco fatto. Ora possiamo proseguire.»

«Sono davvero senza parole.» commentò Jonah. «Allora ogni tanto la sai usare la testa dopotutto.»

«Gaston si è addestrato nella migliore gilda dei ladri di Connelly.» disse Sadee con evidente ammirazione. «Fiutare trappole e pericoli per lui è una cosa da niente.»

L’esplorazione a quel punto poté proseguire, ma ciò che i cinque avventurieri trovarono una volta entrati nell’enorme sala quadrangolare al termine del corridoio fu tale da lasciare tutti loro sgomenti e atterriti per l’orrore.

Allineate lungo i musi laterali e contornate di affreschi si stagliavano una infinità di bare aperte al cui interno trovavano posto decine e decine di mummie; indossavano abiti da stregoni ridotti a stracci cadenti o vecchissime e ormai quasi del tutto arrugginite armature imperiali, ma ciò che più lasciava sconvolti erano le loro espressioni che sapevano di agonia e puro terrore.

Al centro della stanza, come un idolo pagano dei tempi antichi, stava una grande statua raffigurante il Mago Folle con in mano il suo famoso scettro fatto di ossa di drago, alzato verso l’alto come a chiamare un incantesimo.

«In nome di Gaia, che accidenti di posto è questo?» disse Gaston.

Per capirlo bastò analizzare gli affreschi, dai quali si poté dedurre che si trattava dei discepoli e della guardia personale del padrone di casa. E a giudicare dalla storia che raccontavano quelle immagini appariva evidente che non erano finiti in quelle casse di loro volontà… né da morti.

«Al tempo degli Antichi Dei era abbastanza normale che i maghi più potenti si facessero seppellire assieme ai loro discepoli e a tutto il loro seguito.» spiegò Jonah con una calma glaciale. «Probabilmente sono stati paralizzati con la magia, messi nelle bare, e lasciati qui a morire di stenti.»

«Qui non si può parlare più di semplice follia.» disse sconvolto Musk. «Questo tizio era completamente fuori di testa!»

«Questo posto mi da i brividi.» disse Gaston. «Troviamo questo maledetto tesoro, prendiamolo e andiamocene di qui.»

Cominciarono quindi a camminare in direzione dell’arco dall’altro lato della stanza, ma se tutti non vedevano l’ora di lasciare quel luogo così macabro, evitando perfino di non guardarsi attorno per non dover incrociare il volti spaventosi delle mummie, Dahlia percepiva chiaramente nell’aria qualcosa di minaccioso.

«Sento una strana energia qui dentro. Sbrighiamoci ad uscire.»

Erano praticamente arrivati dall’altra parte quando, precedute da un fischio, barriere magiche simili a quella che proteggeva l’ingresso della tomba apparvero all’entrata e all’uscita della stanza, bloccando la strada ai cinque avventurieri e chiudendo nello stesso tempo ogni possibile via di fuga.

«Me lo sentivo che non poteva essere così facile.» disse Sadee. «State in guardia, ragazzi.»

Infatti era solo l’inizio.

Prima il bastone della statua del mago iniziò a brillare, quindi quella luce si propagò in ogni direzione attraverso il pavimento come un’onda, avvolgendo le mummie che iniziarono a risvegliarsi.

«Fantastico, ci mancava anche la negromanzia.» disse Dahlia sfoderando il suo scettro.

«Non credo sia  negromanzia.» rispose Jonah. «Le cronache dicono che il Mago Folle è colui che ha creato e perfezionato il bind.»

«Quindi questi esseri sarebbero mossi dalle pietre del servo?»

Per accertarsene Dahlia lanciò un incantesimo rivelatore, ed effettivamente sul collo di ogni mummia comparve un nucleo luminoso.

«Ha ragione. Quelle sono sicuramente vecchie pietre del servo.»

«Buono a sapersi.» disse Musk sfoderando l’ascia «Quindi basterà distruggerle per rimandare questi simpaticoni nel mondo dei morti. Avanti gente, è ora di picchiare duro!»

Lui, Sadee e Jonah si lanciarono all’attacco, mentre Dahlia e Gaston rimasero in copertura fornendo supporto a colpi di dardi e magie.

Essendo pietre molto vecchie bastava un colpo ben assestato per distruggerle e rendere le mummie inoffensive, ma queste non avevano certo intenzione di cadere senza combattere e nonostante fossero armate di armi spuntate o rotte attaccavano con tutta la loro forza contando soprattutto sul numero.

La stessa magia che li faceva muovere permetteva anche agli stregoni tra le mummie di usare degli incantesimi elementari, e anche se Sadee e i suoi compagni erano abituati a confrontarsi con la magia l’inferiorità numerica rendeva il tutto più difficile.

Per loro fortuna potevano contare su Jonah, che ancora una volta diede prova di una straordinaria abilità prima come schermidore e poi, recuperato l’arco di un nemico distrutto, anche come arciere, trapassando pietre del servo una dietro l’altra con precisione sconvolgente.

Alla fine, una dopo l’altra, quasi tutte le mummie caddero sconfitte, e una volta che Musk ebbe distrutto con un poderoso colpo d’ascia la statua del mago facendone un moncone spaccato, anche le ultime rimaste tornarono al loro sonno eterno.

«Bisogna essere proprio malati per farsi venire in mente una cosa del genere.» disse l’orco dinnanzi al macabro spettacolo del pavimento ricoperto di cadaveri fatti a pezzi. «Non sono più tanto sicuro di voler mettere le mani su un tesoro appartenuto a un tipo simile.»

«Non scherziamo.» replicò Gaston «Con tutto quello che stiamo passando non se ne parla neanche di tornare indietro a mani vuote.»

La distruzione della statua aveva comportato la scomparsa anche della barriera, quindi l’esplorazione poté proseguire.

I cinque avanzarono lungo un ennesimo corridoio, l’ultimo stando alla mappa, in fondo al quale trovarono ad attenderli un robusto portone di pietra chiuso da un sigillo di bronzo e due lucchetti magici.

«Ci siamo.» disse Sadee. «Questa dovrebbe essere la stanza del sarcofago. Il tesoro del mago sarà sicuramente qui dentro.»

Sulla porta era anche incisa un’iscrizione, che Jonah lesse ad alta voce.

«Così come questa tomba ha nascosto le mie ricchezze agli occhi del mondo, così possa il velo dell’oblio celare il mio lascito agli occhi degli uomini

Dahlia impiegò meno di dieci secondi a rimuovere i sigilli magici, e quando Musk ebbe mandato in frantumi anche quello fisico venne finalmente il momento di aprire.

Un bagliore sfolgorante illuminò i volti dei cinque avventurieri prima ancora che potessero spalancare completamente le porte, e quando furono all’interno ciò che si videro comparire davanti non può essere descritto con parole umane.

Non era un tesoro, era il tesoro.

Il tesoro che ogni avventuriero sogna di trovare in vita sua.

Una stanza enorme, grande quasi quanto la precedente, letteralmente traboccante di monete d’oro, statue in avorio, pietre preziose, gioielli e monili, manufatti magici e armi ornamentali. Persino le pareti erano coperti da mosaici in oro e gemme che narravano la vita del mago, mentre quattro enormi statue dorate svettavano agli angoli della camera, come silenziosi guardiani posti a protezione del tesoro e del sarcofago del mago.

Del sarcofago in questione, però, non vi era traccia, forse perché sepolto sotto qualcuna di quelle collinette d’oro.

«Ditemi che non sto sognando.» disse Dahlia

«Non ho mai visto niente del genere.» disse Musk

«L’abbiamo trovato.» disse Sadee. «Il tesoro del Mago Folle.»

Gaston si lanciò sul cumulo più vicino, tuffandocisi dentro e facendosi piovere monete addosso urlando di gioia.

«Ci serviranno dieci carri per portare via tutto! Mi farò costruire un palazzo degno dell’imperatore, mangerò carne e dolci tutti i giorni e mi farò servire da tutte le più belle ragazze del mondo! Addio a questa vita schifosa!»

Un improvviso tremolio del terreno interruppe troppo presto quel momento di gioia.

«Cos’è?» chiese Sadee. «Un terremoto?»

Purtroppo era qualcosa di molto peggio, e tutti lo capirono nel momento in cui si accorsero che quel tremore era stato provocato dal piede di una delle statue guardiane mossosi in avanti.

Come il guscio di un uovo che scoppia, il rivestimento dorato che avvolgeva i quattro guardiani si sbriciolò mentre questi iniziavano inspiegabilmente a muoversi.

«Non sono statue!» strillò Dahlia. «Sono golem!»

«Com’è possibile? Credevo che l’incantesimo per la creazione dei golem fosse andato perduto secoli fa!»

Gaston, ancora immerso nella sua personale piscina d’oro, venne quasi schiacciato come una formica da uno dei colossi, e prima che potessero anche solo pensare di fare qualcosa Sadee e gli altri si ritrovarono circondati.

Si armarono, ma sapevano di non avere speranze contro quei bestioni, e visto che uno di loro si era piazzato proprio davanti all’uscita il loro destino era ormai segnato.

Quale funesta ironia; condannati a morire ad un passo dal realizzare la loro più grande impresa. Questa era la vita, e la condanna, di un avventuriero.

«Beh…» disse Musk mentre uno dei golem caricava il pugno. «Almeno ci abbiamo provato.»

Non sarebbero caduti senza combattere, ma sarebbe stato solo per una questione d’onore.

Sadee era pronta ad immolarsi per prima dinnanzi a quel braccio di pietra pronto a colpire, quando una voce imperiosa si alzò dal gruppo.

«Grashin tabrak Heyvring tyrgal kanut!»

Il golem arrestò il pugno quando questi era quasi sul punto di travolgere l’elfa, e per un attimo la coppia di pietre magiche che gli facevano da occhi brillarono di una luce particolare prima che lui e i suoi compagni tornassero ad essere, a prima vista, nient’altro che semplici statue.

«Ma cosa…»

Jonah emerse lentamente dal centro del gruppo e mosse verso le statue, che abbassarono lo sguardo verso di lui come a porgergli omaggio.

«Ma come hai fatto?»

«Possa Heyvring chiudere il mio cuore nel suo forziere. C’era un’altra frase incisa sulla porta, una sorta di monito. Solo il penitente devoto potrà ottenere il perdono di Heyvring. Heyvring era l’Antico Dio dei segreti, e secondo la mitologia fu lui ad insegnare agli umani come creare i golem. La frase che ho pronunciato era l’atto di sottomissione che ogni fedele doveva recitare entrando in uno dei suoi templi.»

«Avresti anche potuto dircelo prima.» protestò Gaston

«Suppongo che ti dobbiamo la vita.» disse Sadee. «Se non fosse stato per te dubito che saremmo riusciti ad arrivare fin qui. A questo punto direi che l’onore di scegliere per primo cosa prendere di questo tesoro spetti indubbiamente a te.»

«A tal proposito, temo di dovervi dare una notizia spiacevole.»

Jonah nel mentre aveva fatto qualche passo avanti portandosi proprio ai piedi di uno dei golem.

«Niente in contrario se questo tesoro me lo prendo io, vero?»

«Che cosa!?» strillò l’arciere

«L’avete detto voi, non sareste mai arrivati fin qui senza il mio aiuto. Quindi mi sembra giusto che sia io a decidere come dividere il tesoro.»

«Dannato, ci sta fregando!»

Musk non perse tempo e tentò di saltare addosso al toriano, ma uno dei golem alzò il braccio e l’orco fu costretto a fermarsi prima di venire schiacciato da un pugno così potente da polverizzare una parte del pavimento.

«Ma che…»

«Ricordate cosa ho detto riguardo a Heyvring? È stato lui a insegnare agli umani a creare e dominare i golem. Visto che sono stato io ad ammansirli mi sembra naturale che ora obbediscano a me.»

Dahlia, l’unica che di golem ne capisse qualcosa, sapeva che era sufficiente eliminare il controllore per rendere inoffensivi i suoi servitori di pietra, e cercando di non farsi vedere iniziò a raccogliere le forze per lanciare un incantesimo.

Avendo intuito cosa la sua compagna stesse cercando di fare, Sadee tentò di guadagnare tempo.

«Ora mi spiego perché hai accettato la nostra richiesta così facilmente. Ma come facevi a sapere che fossimo alla ricerca proprio di questo tesoro?»

«La vostra reputazione vi precede. Siete più famosi di quanto crediate. Quando Borg mi ha detto di avervi venduto quella mappa ero sicuro che non avreste rinunciato all’idea di provare a cercare la cripta.»

«Ma si può sapere tu chi sei?»

Al che finalmente Jonah si tolse la maschera rivelando un volto che quasi tutti riconobbero immediatamente, pur non avendo mai incontrato quella persona faccia a faccia prima di quel momento.

«Ma tu sei quello di cui parlano tutti!» disse Gaston. «Quel Daemon!»

«Perdonate il travestimento. Come immaginerete non è facile per uno nella mia posizione passare inosservato in questo momento.»

Dahlia nel mentre aveva finito di preparare il suo incantesimo ed era sul punto di lanciarlo; senonché si ritrovò da un momento all’alto una spada poggiata sulla spalla.

«Se fossi in te io non lo farei.» disse un giovane dai capelli biondi e dagli occhi di ghiaccio apparendole alle spalle senza che se ne accorgesse. «E ora, se foste così gentili da gettare le armi ve ne sarei grato.»

A quel punto i quattro avventurieri non poterono fare altro che obbedire.

«E tu chi saresti?» domandò piccata Dahlia al nuovo arrivato «Il suo mastino?»

«Che brutta espressione. Diciamo che sono una specie di personale collaboratore del nostro nuovo sovrano.»

«Un sovrano che pugnala alle spalle i compagni e li deruba del frutto del loro lavoro.» ringhiò Sadee «Di sicuro ha cominciato con il piede giusto.»

«Temo che abbiate frainteso. Questo tesoro non è destinato a me.»

«Cosa!?»

«Noi stiamo cercando di costruire qualcosa di grande, e di dare un futuro migliore a questa terra e ai suoi abitanti. Sfortunatamente il Governatore non ci ha lasciato altro che una regione in rovina e debiti a non finire, senza contare le conseguenze date dalla guerra che abbiamo combattuto per spodestarlo. Quest’oro ci permetterà di pagare parte dei debiti e consentirà alla nostra nazione di reggersi sulle sue gambe. Per questo non posso permettervi di portarlo via.»

«Belle parole, ma per quanto mi riguarda non sei altro che un ladro e un traditore.»

«Sono d’accordo con Dahlia.» sbottò Musk «Chi ci dice che questa non sia solo una bella favola che ci racconti per giustificare la tua disonestà?»

«Se è questo che pensate, perché non restate qui a sincerarvi delle mie parole?»

«Che intendi dire?» disse Sadee visibilmente perplessa

«Vi ho osservati attentamente durante questa nostra piccola avventura. Sapete badare a voi stessi e l’abilità non vi manca. E io ho bisogno di persone come voi.»

Detto questo Daemon raccolse da terra un grosso sacco pieno di gemme gettandolo ai piedi di Sadee.

«Molto più di quello che immagino abbiate mai guadagnato da qualunque vostra impresa. Ma non è niente rispetto a ciò che potrete ottenere se deciderete di aiutarmi. Io so ricompensare molto bene il talento, e voi ne avete in abbondanza. Niente più avventure, a lottare ogni giorno con la morte per poche monete. Io vi posso offrire una patria, uno scopo, e tanto oro quanto non ne avete mai visto.»

Qualcuno, leggasi Gaston, sembrò prendere l’offerta in seria considerazione, ma la risposta di tutti gli altri, a cominciare da Sadee, fu solo un’espressione disgustata.

«Non abbiamo bisogno della tua carità. E di certo non siamo così disperati da volerci mettere al servizio di uno come te. Andiamocene.»

E così i quattro se ne andarono, seguiti con lo sguardo dai due ragazzi.

«Sprechi il tuo tempo a cercare di far ragionare gli avventurieri. Non sono altro che parassiti.»

«Ma anche i parassiti possono tornare utili, se sai come utilizzarli. Ed ero sincero quando ho detto che li reputo gente di talento.»

«Se lo dici tu.»

«E comunque ce ne hai messo di tempo, Adrian.»

«Non prendertela con me. Pensi sia facile seguire delle tracce di notte e con un simile temporale? Avresti anche potuto lasciarmi qualche indizio.»

«Quel ladruncolo era più sveglio di quanto potresti pensare, se ne sarebbe accorto subito.»

Ad Adrian cadde quindi l’occhio sui quattro golem, ora raccolti attorno a Daemon.

«Un peccato che siano troppo grossi per portarli fuori di qui. Ci avrebbero fatto comodo.»

«Ho letto abbastanza sui golem da sapere che il loro potere è strettamente vincolato al luogo del quale sono guardiani. Anche se riuscissimo a farli uscire da questa tomba, là fuori non sarebbero altro che statue.»

«Poco male, allora. Però sono d’accordo con quello che ha detto quell’orco, questo mago era davvero un pazzo maniaco. E pensare che nell’Impero è una sorta di semidio.»

«Ha spinto le ricerche in materia di magia ben più in la di chiunque altro prima di lui, ma sono stati altri a pagare il prezzo della sua ricerca.»

«Strano. Ero convinto che ammirassi chi persegue il suo scopo a dispetto delle convenzioni morali e senza porsi limiti.»

«Solo fintanto che si è disposti ad ammettere la gravità delle proprie azioni ed assumersene la responsabilità davanti alla propria coscienza e davanti al popolo. Ma quest’uomo è stato sicuro fino all’ultimo di essere nel giusto, e anche nella morte ha voluto glorificarsi.»

«In altre parole, il limite tra legittima ambizione e folle megalomania non dovrebbe mai essere superato?»

Daemon rispose con un sorrisetto, e Adrian proseguì: «Un tesoro notevole, senza dubbio. All’altezza della leggenda. Anche se una volta che avremo sistemato i disastri di mio padre dubito che ne resterà molto.»

«Questa è solo una bella illusione. Uno specchio per gli sciocchi.» quindi Daemon si girò verso il centro della stanza. «Il vero tesoro è proprio qui.»

«Qui dove?»

«Così come questa tomba ha nascosto le mie ricchezze agli occhi del mondo, così possa il velo dell’oblio celare il mio lascito agli occhi degli uomini. Hai mai sentito parlare di traslazione?»

Adrian ci rifletté sopra un attimo, sorridendo compiaciuto.

«Ora capisco perché hai chiesto proprio a me di venire qui.»

«Il Mago Folle non avrebbe mai lasciato il suo tesoro più grande alla mercé di qualche saccheggiatore di tombe, né avrebbe permesso a qualcuno di profanare il suo corpo.»

«E per questo ha fatto in modo di nascondere il proprio sarcofago in un altro piano di esistenza assieme a ciò che gli era più caro. Doveva essere qualcosa di davvero prezioso se era disposto a lasciar rubare tutto questo pur di tenerlo nascosto.»

«Puoi riportarlo indietro, vero?»

Il giovane erede della famiglia Longinus non si considerava un mago di talento, né aveva mai studiato presso un Circolo. Tuttavia riportare indietro un oggetto dal piano etereo era qualcosa che persino il più umile dei novizi era in grado di fare, a condizione di sapere cosa cercare e dove.

Gli bastò concentrarsi, riuscendo così a percepire ciò che l’occhio umano non poteva vedere, e nel momento in cui schioccò le dita una tenue luce dorata preannunciò la comparsa dinnanzi ai due giovani di un umile sarcofago di pietra.

Un calcio al coperchio, e quello che restava del Mago Folle si rivelò finalmente ai loro occhi nella forma di una mummia avvolta in una bianca tunica ormai quasi completamente consumata dal passare del tempo; portava in testa la tiara ingioiellata degli alti maghi dell’antico Impero, e stringeva saldamente a sé un grosso tomo ancora in buone condizioni.

Nulla lasciava presagire che anche quel corpo potesse rianimarsi, ma ciò nonostante Daemon si sentì in dovere di staccargli la testa con un fendente.

«Giusto per essere sicuri.» e detto questo raccolse il libro, senza troppo curarsi di lasciare intatte le dita e le mani della salma.

«Sarebbe quello il grande tesoro di cui stiamo parlando?» domandò Adrian mentre Daemon con un colpo di mano ripuliva la copertina dalla polvere, rivelando una scritta incisa nell’argento.

 

COMPEDIO DEL SERVO

 

«Il più grande che tu possa immaginare.»

 

 

Nota dell’Autore

Eccoci qua di nuovo.

E con questo siamo giunti alla fine del Volume 2 di “Napoleon of Another World!”

Come epilogo è stato eccezionalmente lungo, ma non ho voluto spezzarlo in quanto come si può intuire si tratta di eventi parzialmente distaccati dalla trama principali, destinati però ad avere un peso considerevole nel prossimo futuro.

Dal momento che in quest’ultimo periodo sono stato piuttosto occupato il Volume 3 è ancora in fase di completamento, pertanto la pubblicazione del primo capitolo non sarà tra due settimane ma tra un mese, domenica 26 novembre.

Ringrazio tutti quelli che mi hanno seguito fin qui, e spero vorrete continuare a farlo anche in futuro.

A presto!^_^

Cj Spencer

 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4060872