Chi sei

di Kangaro_Stapler
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Marco Parsidi ***
Capitolo 3: *** Elia Colaci ***
Capitolo 4: *** Soprannomi odiosi e dove trovarli ***
Capitolo 5: *** Cambiare ***
Capitolo 6: *** Trincea ***
Capitolo 7: *** Guerra lampo ***
Capitolo 8: *** Tregua ***
Capitolo 9: *** Bomba ***
Capitolo 10: *** Ogni mora ha la sua bionda ***
Capitolo 11: *** Catene ***
Capitolo 12: *** Uno stupido obbligo ***
Capitolo 13: *** Rientro ***
Capitolo 14: *** Tanto rumore per nulla ***
Capitolo 15: *** Madri e vecchie amicizie ***
Capitolo 16: *** Si parte ***
Capitolo 17: *** Completi ***
Capitolo 18: *** Salire ***
Capitolo 19: *** Scendere ***
Capitolo 20: *** Per fortuna ***
Capitolo 21: *** L'ultima sigaretta ***
Capitolo 22: *** Ultimi giorni ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
PARTE PRIMA terzo anno
“Prologo”
 
Il primo giorno del suo terzo anno di liceo Ella La Baldi si svegliò parecchio agitata: a nulla era servito preparare la borsa e scegliere i vestiti da mettere la sera prima; era così nervosa che le mani le tremavano ed aveva versato la colazione sulla maglia bianca: pessima scelta di abbigliamento e pessimo inizio di giornata. Normalmente, il primo giorno del suo terzo anno non l’avrebbe agitata, ma quella era una circostanza decisamente diversa: scuola nuova, compagni nuovi; aveva frequentato il biennio in un liceo vicino casa ma, per una vicissitudine con delle compagne che, in questo momento, non le andava proprio di ricordare, aveva parlato con i suoi genitori ed avevano fatto domanda di trasferimento. La scelta della nuova scuola era ricaduta su un grande liceo pubblico, situato, però, in uno dei quartieri della “Roma bene”, ed Ella non era del tutto convinta che altri spiacevoli episodi non si sarebbero verificati; tuttavia, aveva inoltrato richiesta per essere inserita nella classe di una sua ex compagna delle medie, Federica, ed era stata accettata. Almeno non sarebbe stata completamente sola il primo giorno; Ella era piuttosto timida ed era sicura che avrebbe faticato parecchio per farsi nuovi amici. Si era svegliata con largo anticipo ma la sua solita sfiga non le aveva dato tregua nemmeno quel giorno: l’outfit che aveva preparato (camicetta bianca e leggins) era stato rovinato dalla colazione che si era versata addosso; si erano fatte le già le 7:45 e doveva cambiarsi in fretta se non voleva fare tardi. Tornò di corsa in camera e riaprì l’armadio. Complice la fretta, ci mise meno tempo del solito a scegliere i vestiti: una t-shirt a maniche corte e scollo a V, rigorosamente nera questa volta, e un paio di jeans a vita alta dello stesso colore. Afferrò una felpa dall’armadio e se la legò in vita, le mattine di settembre erano fredde ed i pomeriggi piuttosto caldi; in quella città, non sapeva mai come vestirsi. Nonostante l’epico ritardo, si fermò davanti allo specchio e prese un lungo respiro, nel tentativo di calmarsi; l’immagine riflessa era quella di una ragazza dai lunghi capelli lisci, di un marrone scuro tendente al nero che le ricadevano morbidi sulle spalle. Le punte erano un po’ rovinate non solo perché li portava spesso legati in uno chignon per via della danza, ma anche perché, quando era agitata, oppure imbarazzata o si sentiva a disagio li torturava con le dita e li sfregava tra loro con l’indice e il pollice. Aveva gli occhi piccoli e dal taglio orientale dello stesso colore dei capelli e la pupilla nera, che si restringeva un poco soltanto alla luce diretta del sole, sembrava voler inglobare l’iride, tanto che da lontano gli occhi parevano neri come il fondo di un pozzo. Le labbra carnose erano ancora sporche delle briciole dei biscotti: se le pulì sbrigativamente con il braccio e, nel farlo, si sfiorò anche le guance. A volte si sentiva ancora una bambina, e forse il suo aspetto contribuiva perché molti le davano almeno tre anni di meno.
La voce di suo padre la ridestò dai suoi pensieri: era tardissimo, doveva muoversi oppure avrebbe fatto tardi. Afferrò la borsa che precedentemente aveva lanciato sulla sedia della sua scrivania, salutò il piccolo carlino Romeo, acciambellato vicino al suo letto, ed uscì di corsa da casa. Iniziava la sua nuova vita. Il terzo anno di Liceo Classico la attendeva.

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Capitolo 2
*** Marco Parsidi ***


Note Autrice:
Se siete arrivati fin qui vi ringrazio e vi prometto che, con il passare del tempo, i capitoli saranno un po' più lunghi e densi. parte della storia è già scritta ma vorrei modificare i capitoli in base ai vostri consigli per questo, vi prego, recensite in tanti! E soprattutto, criticate, consigliatemi e fatemi sapere cosa ne pensate.
Buona Lettura.



Capitolo 1 “Marco Parsidi”
 
Era riuscita ad arrivare in tempo per un pelo, dopo una corsa estenuante dalla macchina all’ingresso, sperava solo non fosse la prima di una lunga serie! Mentre continuava a correre tra i corridoi in cerca della classe che la bidella le aveva detto essere la sua, la borsa quasi le scivolava dalla spalla. Per fortuna c’erano soltanto una penna e il quaderno, altrimenti avrebbe passato l’intera mattinata a raccogliere i libri poiché alla fine era stata lei a cadere e, ovviamente, il contenuto della borsa era uscito fuori, distribuendosi sul pavimento del corridoio. Aveva raccolto e rimesso a posto il quaderno ma la penna era rotolata qualche centimetro più in là; stava gattonando per prenderla quando incrociò un paio di occhi grandi color nocciola, o forse ambra, non avrebbe saputo indicarne il colore preciso tanto era particolare, ma comunque grandi e bellissimi. Il proprietario di quegli occhi mozza fiato, che aveva anche un ampio sorriso, si era accovacciato alla sua altezza e le stava porgendo la penna. Dopo averlo fissato per decisamente troppo tempo, lo ringraziò in un sussurro impacciato, e si avviò verso la classe non molto lontana, a passo spedito, sistemandosi quella maledetta borsa che continuava a scivolarle dalla spalla. Non passò molto tempo prima che il ragazzo dal sorriso abbagliante richiamasse la sua attenzione con un “Ehi”, e poiché era parecchio alto la raggiunse in meno di tre falcate. L’aveva bloccata leggermente, mettendole una mano sulla spalla e poi aveva detto:
- Sei quella nuova, giusto? Piacere, Marco -. Ella aveva sorriso, pensando che quella fosse una delle poche volte in cui il mondo le faceva un favore; era decisamente in debito perché il ragazzo più carino che avesse mai visto, dagli occhi grandi come quelli di un bambino troppo curioso, era un suo compagno di classe. – Sì, mi chiamo Ella -. Il sorriso genuino di Marco e quel non so che di imbranato e ingenuo l’avevano decisamente conquistata; sembrava il classico ragazzo della porta accanto, pronto ad aiutarti e sempre gentile.
– Sei sudamericana? – aveva detto lui, guardandola con curiosità ed aggrottando le sopracciglia in una maniera così dolce che alla ragazza venne istintivamente da sorridere. – No, magari! - rispose – Sono nata e cresciuta a Roma, ho parenti al sud ma non sono mai nemmeno uscita dall’Italia! -
 - Davvero? Mai viaggiato? Mai stata su un aereo?
- Mai. -
- Strano, sembra veramente che hai origini sudamericane. -
Ella stava per morire dall’imbarazzo; in altre circostanze, pignola com’era, lo avrebbe corretto per il mancato uso del congiuntivo ma pensò che non fosse una buona idea fare l’antipatica con un ragazzo così carino. Perciò, si limitò a sfoggiare il migliore dei suoi sorrisi timidi, quasi inciampò attraversando la soglia della classe e si mise a sedere al primo banco, sotto lo sguardo divertito di Marco che, nel frattempo, si era seduto accanto ad un ragazzo biondo di nome Valerio.
Pochi minuti dopo, alcune delle compagne ed altri quattro ragazzi si erano presentati; poi, aveva visto arrivare il resto della classe, compreso un altro ragazzo ed infine, era entrata in classe anche Federica che l’aveva abbracciata e si era seduta accanto a lei per il resto della giornata. avevano passato la ricreazione ed anche qualche ora di lezione a parlare dei vecchi tempi e a raccontarsi le novità. Federica le aveva parlato dei loro compagni, che lei conosceva da ormai due anni, lamentandosi, soprattutto, del fatto che c’erano solo sei ragazzi ed Ella, ovviamente, aveva approfittato dell’argomento per chiedere di Marco.
 – È un ragazzo simpatico, sempre gentile. - si era limitata a dire l’amica; poi aveva ripreso a parlare del più e del meno ma Ella era tutta presa ad osservare Marco che, dal canto suo, continuava a parlare con Valerio e altri due compagni: uno moro di nome Filippo, da quel che ricordava, e l’altro biondo che non aveva ancora avuto l’onore di conoscere.
 – Sai, probabilmente quest’anno andremo a Firenze; l’anno scorso siamo stati in Grecia, è stato pazzesco: Valerio ha bevuto troppo ed ha quasi vomitato addosso alla professoressa che era entrata in stanza a controllare, ma tanto era la Felice quindi figurati se gliene fregava qualcosa…ehi, ma mi ascolti?!-
- Ehm, sì, quest’anno in Grecia forte…-
- Lo sapevo! Non mi stavi ascoltando, mi spieghi che ti prende? –
- Nulla Fede, scusa ma sono davvero stanca. -
- Seria? Ma sono passate solo tre ore e adesso c’è matematica. -
- Lo so ma sono davvero a pezzi… - provò a dire, cercando di nascondere il fatto che era perfettamente sveglia e concentrata a memorizzare ogni singolo dettaglio del corpo del ragazzo moro dagli occhi d’ambra.
- Beh, vai a prendere un caffè alla macchinetta, prima che finisca la ricreazione. -
- No davvero, non ho proprio voglia di alzarmi. -
- Allora, visto che tu sei stanca vado in bagno da sola, ci vediamo dopo. -
- A dopo! -
Doveva ammettere che era contenta che Federica fosse andata via, non aveva voglia di spiegarle il vero motivo per cui si era distratta; mentre pensava questo, continuava ad osservare Marco e lo fece anche nei giorni successivi; quel ragazzo le metteva una curiosità tale che spesso sentiva lo strano impulso di avvicinarsi a lui e tempestarlo di domande, per saperne il più possibile dei dettagli della sua vita. L’interesse per lui cresceva di lezione in lezione, da campanella a campanella e ogni scusa era buona per parlargli. Cercava di avvicinarsi durante la ricreazione, quando tutti i compagni lo circondavano per ascoltare le sue battute, a volte troppo sciocche ma alle quali Ella rideva rapita e persa nei suoi occhi. Anche Marco sembrava averla presa in simpatia: spesso la abbracciava, le dava il buongiorno tutte le mattine e le sorrideva nei momenti di tensione, durante le interrogazioni o i compiti in classe. Le chiedeva sempre un pezzo della sua merenda, uno della sua stazza doveva mangiare davvero molto perché ogni volta lo vedeva divorare panini con non si sa cosa dentro; e dopo averli finiti se ne andava in giro ad elemosinare altro, come i senza tetto alla stazione Termini. C’era solo un piccolo problema: le suddette attenzioni non venivano rivolte solo a lei, ma Ella non sembrava farci caso; bastava un gesto dolce di lui per farla sorridere e il suo cuore batteva così forte quando gli stava accanto che temeva che gli altri compagni potessero sentirlo. Dopo un mese, la curiosità si era trasformata in attrazione e quel ragazzo che, ormai, aveva realizzato essere la sua prima cotta, era sempre nei suoi pensieri. Non lo aveva ancora detto a nessuno, ma più lo guardava e più sentiva la necessità di esprimersi, di scriverlo ed aveva già riempito le pagine dei quaderni che teneva sparsi in casa con il suo nome, persino utilizzando i caratteri greci. Spesso, però, la scrittura non bastava a sfogare tutte le sue emozioni; per questo, da qualche giorno, stava riflettendo se raccontare tutto a Federica. C’era qualcosa che la frenava: non che non si fidasse di lei, anzi, aveva anche il sospetto che a lei potesse piacere un altro compagno; perciò, non aveva nemmeno paura di sentirsi giudicata. Il vero motivo, molto più profondo, era che sapeva che se lo avesse detto ad alta voce sarebbe diventato reale e lei non si sentiva pronta. Forse stava correndo troppo con i pensieri ma l’idea di essere ricambiata e di avere un ragazzo la spaventava ancora più dell’essere rifiutata.
Un pomeriggio, Federica ed Ella se ne stavano in cortile, vicino al campo da calcio malmesso, sedute su una delle gradinate per gli spettatori, durante un’ora buca perché la professoressa di Fisica non era ancora stata assegnata alla loro classe. Ella si torturava le unghie della mano sinistra con i denti ormai da dieci minuti; stava ancora valutando se raccontare o no alla sua amica della cotta che, ormai doveva ammettere almeno a sé stessa, si era presa per il bel moro.
Senti Fe, ti devo dire una cosa però prometti di non dirlo a nessuno. - Federica le fece un sorriso complice;
- Allora, come sta andando con Marco? Vedo che lo osservi spesso. Riesci a dirgli una parola tra una stalkerata e un’altra? - Ella rispose sorridendo imbarazzata: - Dai su non lo stalkero mica. È solo... c'è qualcosa in lui che mi incuriosisce, sai? -  l’amica ridacchiava e scuoteva la testa come a dire “pessima bugiarda”; Ella lo sapeva, stava facendo la figura della bugiarda e anche della ridicola, avrebbe fatto meglio ad ammetterlo.
- Marco è davvero un ragazzo simpatico, anche se un po' idiota. Però, fidati capisco bene cosa ti incuriosisce di lui… eheheh. - accompagnava le parole ambigue con un sorriso ammiccante. Ella ringraziava mentalmente di avere la pelle olivastra o sarebbe diventata rossa come un semaforo.
- Spiegati meglio. – le disse, anche se, purtroppo, aveva già capito dove volesse andare a parare l’amica.
- Beh, sai cosa si dice di chi ha le mani grandi…-
– Falla finita, non sono cose da dire! -
- Non fare quella riservata, sappiamo benissimo che non lo sei! Ti ho sentita ieri rispondere ad Elia e insinuare che abbia il cazzo piccolo. -
- Smettila di urlare! Ci sentono tutti! -
- Ma se sei stata tu ad urlarlo davanti a tutta la classe, scusa ahahahah. –
- Quello mi dà i nervi, che posso farci. –
Ma Federica sembrava persa nelle sue elucubrazioni e continuò:
- In effetti, non ho mai capito come una ragazza piccola e timida come te, possa avere la lingua così lunga! Sei sempre stata molto spigliata ma chi ti conosce bene sa quanto tu sia dolciosa!
-  Non sono dolciosa, sono stronza, specialmente con gli stronzi…comunque cambiamo discorso. -
- Sì, hai ragione, basta parlare di Elia; torniamo a Marco! -
- Shh, smettila di urlare ci scopriranno tutti! –
- Senti, ti do un consiglio da amica: cerca di sbrigarti se vuoi provarci! Non starà tutto il liceo ad aspettare che tu ti dichiari. -
- Nessuno si dichiarerà a nessuno qui, e ora zitta che sta passando quella pettegola di Betta, se mi scopre sono finita, metterà i manifesti.
La ragazza in questione passò davanti a loro superandole, con il caschetto biondo che ondeggiava da una parte all’altra, e, apparentemente, non le degnò di uno sguardo, come al solito; tuttavia, le due amiche erano convinte che le orecchie della bionda pettegola fossero sempre all’erta. Anche in quel momento.  
E comunque dovresti muoverti! – disse Federica non appena Betta le superò.
- E tu dovresti smetterla! Non ho mai detto di volerci provare, ho solo detto che mi incuriosisce. -
- Certo, certo come no. -
- E poi tu parli tanto, dai consigli a me e non fai nulla per la TUA situazione…-
- Quale situazione? –
- Davvero?! Pensi che io sia così scema? Lo so benissimo che ti piace Leo… - dopo un attimo di esitazione, lo sguardo di Federica si fece serio e sicuro e poi rispose:
- Sai cosa? Sì, mi piace, almeno io lo ammetto! –
Questa Ella proprio non se la aspettava! A quanto pareva, l’unica ad avere paura dei suoi stessi sentimenti era lei…
Infatti, anche l’amica aveva una piccola cotta per un atro compagno: Leo Pascaldi, un ragazzo dal fascino innegabile che spiccava in modo indiscutibile nella loro classe ed era ufficialmente il più carino. I suoi occhi verdi e brillanti, sempre vivaci, catturavano l'attenzione di chiunque li incrociasse; le labbra sottili adornavano un viso ovale, armonioso e affascinante. La sua pelle chiara, che contrastava con i ricci neri, gli aggiungeva un tocco di eleganza, e quando il freddo si faceva sentire, le sue guance si tingevano di un leggero rossore, dandogli quell’aria da bambino innocente. Inutile dire che fosse tutt’altro: era bello e ne era consapevole; sfruttava la cosa a suo vantaggio. Sapeva ammaliarti anche con un solo sorriso e lo utilizzava per ottenere ciò che voleva; era un buon parlatore e con la sua voce calda sapeva abbindolare chiunque, giocando a fare l’angioletto, anche con alcuni professori. Ella davvero non riusciva a capire come facesse il resto della scuola a non accorgersene: sì, nulla da dire era carino, anzi, carino era dire poco, era un vero figo! Ma poi apriva bocca e la magia crollava; non perché fosse poco interessante, o stupido o altro, semplicemente aveva l’aria di essere un gran falso. Nulla di paragonabile alla gentilezza sincera di Marco. Leo era una persona di spiccato carisma, un ottimo comunicatore; era una di quelle persone nate per stare in politica, di quelle che, per il bene del paese non dovresti votare ma alla fine lo fai e non sai nemmeno perché. Semplicemente perché era Leonardo Pascaldi: una mente brillante che si atteggiava a coglione. Faceva finta di essere idiota ma era fin troppo sveglio e se ne approfittava; faceva il minimo indispensabile, si portava a casa la sufficienza e anziché pensare allo studio continuava a divertirsi e a stuzzicare Giulia, una ragazza riccia che pareva un quadro di Botticelli, da quanto era bella. Ella non sapeva davvero se definirlo furbo, insopportabile o intrigante; forse un mix delle tre, e forse era proprio per questo che mezza classe era innamorata persa di lui, Federica compresa. Ma Ella aveva occhi solo per il bel moro dagli occhi ambrati, spesso si ritrovava a pensare alla sua risata cristallina che la rassicurava, e alle sue braccia forti quando, per gioco, la stringevano; pensava a quante volte lui le chiedesse favori e a quanto fosse contenta del fatto che, fra tante, si rivolgesse proprio a lei. Giusto ieri le aveva chiesto di passarle la versione di Greco e poiché lei non era molto brava (faceva davvero pena), aveva chiesto aiuto alla secchiona della classe, se l’era fatta inviare e poi l’aveva girata a lui: avrebbe fatto carte false se necessario.
- Comunque entrambe dovremmo darci una mossa. – aveva detto la sua amica, interrompendo le riflessioni sui due ragazzi.
- Hai ragione, dopotutto cosa abbiamo da perdere, dignità a parte, intendo… -
Gli ultimi minuti dell’ora di buco li passarono in silenzio, perse nei loro pensieri ma con un sorriso sereno stampato in volto: forse per la prima volta in vita loro, si sentivano capite.
Avevano trascorso il resto della giornata a parlare, cercando di non farsi sentire dai diretti interessati e dal resto della classe; al termine dell’ultima ora, prima di uscire, le due amiche si erano ripromesse che il giorno successivo, durante l’ora di educazione fisica avrebbero approcciato ai ragazzi in un modo, per così dire, più diretto; entrambe concordavano che fosse giunto il momento di farsi notare, di mandare tutta la timidezza a farsi fottere e di rischiare il tutto per tutto. Si sa, il Liceo è fatto di prove, e il terzo è un anno di passaggio e tutto ci sembra più grande di noi; specialmente se sei Ella: timida, insicura, impulsiva. Un pessimo abbinamento di aggettivi...

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Capitolo 3
*** Elia Colaci ***


Note Autrice:
Come sempre, vi ringrazio per aver dato a questi primi capitoli una possibilità. Vi lascio questo e un altro, poi mi prenderò una settimana per correggere i successivi capitoli e nel frattempo deciderò anche, in base alle vostre recensioni e visualizzazioni, se continuare o meno la pubblicazione.
In questo capitolo vi presento un tipetto particolare... che ha ancora il mio cuore.
Buona Lettura


Capitolo due “Elia Colaci”
Ella si era svegliata di soprassalto, quel venerdì era IL Venerdì, giorno scelto da Ella e Federica per iniziare a far capire alle rispettive infatuazioni che esistevano; stava pensando di darsi malata, ma bisognava mantenere le promesse ed Ella, a dirla tutta, aveva iniziato a farlo dalla sera prima: aveva scelto con cura i vestiti optando per un paio di leggings un po’ più attillati del solito, una maglietta a maniche corte, anch’essa un po’ più scollata del solito e ora, giusto per fare le cose in grande, si stava truccando; lo faceva solo per le occasioni importanti e per le feste e per questo motivo non era molto esperta, si limitò a mettere un filo di matita nera sugli occhi e un po’ di mascara. Arrivata a scuola vide che anche la sua amica si era sistemata per l’occasione e, dopo essersi salutate con un abbraccio e un risolino isterico, si avviarono in classe per lasciare le borse sul banco, prima di andare in palestra: educazione fisica non ti temiamo!
La fortuna quel giorno sembrava essere dalla loro parte: la porta dell’aula era socchiusa e c’era un motivo ben preciso, ma le ragazze lo compresero solo dopo aver aperto. I ragazzi, troppo idioti e pigri per cambiarsi nello spogliatoio della palestra, avevano deciso di farlo in aula. Nel tentativo di togliere i Jeans e magliette e sostituirli con tuta, pantaloncini sportivi e canottiere, erano rimasti tutti in mutande; nessuno di loro sembrava minimamente preoccupato da quell’intrusione; si limitarono a voltare le teste all’unisono verso le ragazze, giusto per accertarsi che non fossero né insegnanti né bidelli, per poi continuare indisturbati a cambiarsi. Solo la voce di Valerio spezzò il silenzio: - Ciao ragazze! -
- Ciao Vale. -
– Ciao. - risposero le due senza nemmeno degnarlo di uno sguardo, poverino; non che fosse colpa sua ovviamente, ma chi avrebbe guardato Valerio se nella stessa stanza c’erano anche Leo e Marco?! Gli occhi di Federica, infatti, scattarono subito sul corpo tonico e muscoloso del primo; faceva atletica, per questo era sempre stato allenato, e il suo fisico perfetto era solo uno dei tanti motivi per cui, all’unanimità, era stato eletto quale “più carino della classe”. Inutile dire che Ella guardò subito Marco: era molto alto e il suo fisico non sfigurava affatto; sportivo anche lui, aveva i muscoli delle braccia e delle gambe molto in vista anche se, doveva ammetterlo, non quanto Leo. Ma, questa volta, Marco non fu l’unico che Ella notò: accanto al suo sogno adolescenziale c’era un altro ragazzo. Biondo, con gli occhi grandi e azzurri tendenti al grigio contornati da lunghe ciglia anch’esse bionde, anche se più scure, che avrebbero fatto invidia a qualsiasi ragazza che, come lei, era costretta a passare la vita a colorarle di rimmel per farle sembrare più lunghe; vi ricordate di Elia? Il ragazzo che Ella aveva definito poco dotato? Se la risposta è no, allora dobbiamo fare un passo indietro. Qualche giorno fa, Ella era seduta, nell’attesa che arrivasse il professore della prima ora; stava ascoltando un po’ di musica e se ne stava pigramente abbandonata sul banco. Elia si era seduto nel posto libero accanto a lei e le aveva tolto una cuffia per mettersela all’orecchio; lei gli aveva sorriso chiedendogli se volesse alzare il volume per sentire meglio; lui l’aveva guardata, con un mezzo sorriso sbieco che non mostrava i denti e le aveva risposto:
- Per ascoltare questa roba? No, grazie. - Ella, che non era esattamente una che si lasciava insultare senza motivo, aveva risposto e dato il via ad una discussione che ben presto era diventata l’intrattenimento preferito degli altri ventitré liceali in quella stanza.
- Scusa che hai detto? -
- Che ascolti pessima musica, pensavo lo avessi capito, Lab. -
- Che sarebbe Lab? -
- Ti facevo più sveglia: La Baldi, Lab…facile no? -
- Senti, non voglio discutere con te, ma non mi piace proprio essere chiamata per cognome. Ho un nome semplice e corto, anche un idiota come te riuscirebbe a dirlo. E per tua informazione questo è Bennato! Fatti una cultura musicale! -
- So chi è. Forse non è la musica che non mi piace… forse sei tu che sei antipatica. -
E mentre parlava non si toglieva dalla faccia quel sorriso idiota e strafottente, sembrava lo Stregatto di Alice nel Paese delle Meraviglie: sornione, criptico e fastidioso ma anche affascinante, a modo suo. Ella aveva iniziato a lisciarsi nervosamente i capelli, a spostarseli da una spalla all’altra mentre parlava in maniera concitata. Lo faceva sempre quando era nervosa, per darsi coraggio e rispondere a tono a quelli come lui: non voleva fare la figura della ragazzina bassa e minuta che non sa difendersi.
- Nemmeno mi conosci, ma io ti ho già inquadrato: pensi di essere divertente e non so perché hai scelto di rompere proprio a me ma se pensi che starò zitta e buona non hai capito un cazzo; sei solo l’ennesimo stronzo con un ego gigante che tenta di compensare il fatto che si ritrova il cazzo piccolo nelle mutandine di Spiderman! –
A quest’ultima dichiarazione, i compagni risposero con un coro di risatine e “Ohh, questa brucia”; Ella sorrise soddisfatta in direzione del biondo, con le braccia incrociate sotto il seno, e lui si limitò ad un cenno del capo, poi se ne tornò al banco, voltandole le spalle e alzando le mani in segno di resa. Quando poi si era messo seduto, aveva approfittato del fatto che lei si era girata a guardarlo, con occhi fiammeggianti ed una smorfia appena accennata, per divaricare le gambe e guardarsi il cavallo dei pantaloni, ammiccando, per poi spostare il suo sguardo negli occhi di lei e lanciarle un bacio volante con la mano. Ella aveva simulato un conato di vomito e poi gli aveva mostrato il dito medio giusto un attimo prima che il professore entrasse.
Ma ora torniamo a noi, stavamo dicendo che lo sguardo di Ella si era fermato ad osservare anche il biondo, quella volta; forse perché si stava cambiando proprio vicino a Marco, che poteva farci se l’idiota si era piazzato lì. Elia aveva un fisico asciutto e snello, non scolpito dagli allenamenti come gli altri due ragazzi. La sua pelle era così chiara che sembrava colpita dalla luce della luna, la pelle di un angelo; ma Ella sapeva benissimo che non lo era: arrogante, sicuro di sé, con un sorriso sghembo che non aveva nulla a che fare con quello dolce e rassicurante di Marco. Si divertiva a sfottere allegramente le persone, e a prendere in giro le ragazze, conquistandole e poi illudendole (o almeno questa era l’impressione che dava ad Ella) e lei lo considerava irrecuperabilmente e fastidiosamente infantile; in sintesi? Un grandissimo stronzo. Era abituato a tenere tutto e tutti sotto controllo e se anche quella volta si era reso conto di essere osservato non lo diede a vedere: al contrario, continuò ad abbassare i jeans con apparente non curanza; istintivamente, complice la discussione di pochi giorni fa, Ella lanciò un rapido sguardo ai boxer di lui: non lo avrebbe mai ammesso, nemmeno in cambio di un otto in greco, ma effettivamente un lieve rigonfiamento si poteva notare, forse non era poi così malmesso là sotto. In ogni caso non erano decisamente affari suoi, tanto che tornò subito ad ammirare il fisico scolpito di Marco che, nel frattempo, si era infilato i pantaloncini: quell’idiota di Elia le aveva fatto perdere il momento, porca merda! Eppure, aveva guardato Elia solo per un millisecondo. Il biondo, da attento osservatore qual era, aveva seguito con lo sguardo tutta la scena ed ora, per questo motivo, era decisamente di buon umore: Colaci 1, Lab 0; aveva piegato un angolino della bocca all’insù, in un sorrisino di vittoria e soddisfazione: si era accorto eccome che lei, anche solo per un istante, lo aveva scrutato con curiosità anche lì sotto, prima di tornare a guardare Marco l’idiota, estasiata.
Nella stanza c’era anche Filippo e mancava all’appello soltanto Pier che non si sarebbe mai cambiato in classe, perfettino com’era. Poiché Ella e Federica erano già in tenuta da palestra, attesero che i ragazzi finissero di cambiarsi ed uscirono tutti dalla classe. Marco, gentiluomo come sempre, fece passare le ragazze prima di lui con un “Prima le signore”, provocando la risata di Valerio e lo sbuffare di Filippo, che odiava queste “scenate idiote”, come lui era solito definirle.
In palestra le sorprese non finirono per le due amiche; Federica era stata così temeraria da chiedere a Leo se volesse giocare a ping-pong e lui aveva accettato. Ella, decisamente più impacciata, aveva dovuto attendere più di mezz’ora prima che la fortuna arridesse anche a lei; Marco, che si stava annoiando a morte, cercava disperatamente un compagno per fare “due tiri a badminton” e, vedendola seduta in disparte, decise di chiederlo proprio a lei.
- Scusa Marco, mi dispiace ma io non ci so giocare. - aveva risposto lei, con la voce tremante e più alta di qualche ottava, a causa della sorpresa mista ad agitazione;
- Tranquilla, posso farti vedere come si fa...ti prego mi sto annoiando! -
Ella, che dentro scoppiava di felicità, cercava di trattenersi e sembrare indifferente; perciò, si fece coraggio e senza aggiungere altro, prese una racchetta e si posizionò dietro la rete, decisamente troppo alta per lei. Ingoiò un grumo di saliva e si fece coraggio mentre osservava Marco che, accanto a lei, le mostrava come servire, schiacciare e ricevere: era un po’ come giocare a tennis ma con una racchetta eccessivamente lunga e una pallina che non era rotonda. Peccato che Ella non avesse mai giocato a tennis. Un gioco da ragazzi per una che, nella sua vita, aveva sempre e solo ballato! Danza classica per la precisione; poi, se si aggiungevano i casuali sfioramenti di braccia e le mani di Marco sulle sue spalle per mostrarle come impugnare la racchetta senza sbilanciarsi, la situazione non migliorava affatto, non stava capendo nulla delle regole del gioco e non faceva altro che apparire ancora più goffa.
- Ti stanno tremando le mani… -
- Lo so scusa, io e lo sport non andiamo molto d’accordo! -
- Non fai sport? Per niente? -
- Danza classica, ma ti assicuro che non ci azzecca nulla. - disse, inciampando su sé stessa.
- Sei buffa! - le disse pizzicandole una guancia.
La mezz’ora restante trascorse troppo in fretta, e tra battute, risate, sfioramenti casuali ma non troppo, la campanella suonò divertita, come fosse soddisfatta per aver interrotto un momento che Ella sognava ormai da un mese a questa parte...e che non vedeva l’ora di raccontare a Federica, con tanto di particolari romantici che, probabilmente, aveva sognato. Uscì dalla palestra da sola, poiché Marco era andato a cambiarsi (questa volta nello spogliatoio); mentre camminava, una figura si era avvicinata a lei da dietro e nel sorpassarla le aveva urtato leggermente la spalla. Ella fece per parlare, dapprima estasiata, pensando che fosse Lui; aprì bocca e ingoiò l’aria quando dovette ricredersi perché un viso arrogante le si parò davanti, impedendole di continuare a dirigere i suoi passi verso la classe.
-Come mai così contenta, Lab? – il sorriso allegro di lei si tramutò in una smorfia annoiata ed infastidita per il soprannome appena sentito.
- Uno: smettila di chiamarmi così, due: non credo siano affari tuoi, e tre: io sono sempre felice! - aveva risposto lei, piccata, come era solita fare quando si sentiva attaccata, ma con un’espressione così irritata che aveva smentito in un batter d’occhio la frase appena pronunciata.
- Io penso che ci sia un motivo, vista la scena disgustosa a cui sono stato costretto ad assistere…- disse lui incrociando le braccia al petto e avvicinandosi al viso di lei. Ella era già pronta a rispondergli per le rime ma lui le parlò sopra: - e comunque puoi anche evitare di svegliarti all’alba per truccarti, stai meglio senza! -
Dopo averle soffiato in faccia queste parole, ad un centimetro dalla punta del suo naso, aveva allungato il passo ed aveva iniziato a salire le scale con un’eleganza che Ella non aveva mai notato prima, ma sembrava appartenergli e venirgli naturale; forse anche lui aveva studiato danza classica… e mentre l’immagine di Elia in calzamaglia prendeva forma nella sua mente, anche lei affrettò il passo, per raggiungerlo e continuare la conversazione su due fronti: cosa intendeva con “c’è un motivo” e soprattutto perché una ragazza dovrebbe star meglio senza trucco e…un momento, si era accorto che era truccata. Nemmeno Federica ci aveva fatto caso o, per lo meno, non le aveva detto nulla. Ma lui era già entrato in classe e chiacchierava allegramente con Filippo, che dal canto suo era sempre di cattivo umore; Elia non le aveva rivolto nemmeno uno sguardo quando era entrata, nonostante lei avesse fatto l’esatto opposto e gli avesse rivolto più di un’occhiata interrogativa e truce al tempo stesso. Per tutta la giornata non avevano scambiato altre sillabe ed Ella era talmente pensierosa ed irritata che non tentò nemmeno di attaccare bottone con Marco; voleva solo tornare a casa e buttarsi sul divano, ma le parole di quell’idiota arrogante la tormentavano, più di quanto si aspettasse. Pranzò e si sedette sul divano come programmato, prima di doversi alzare per studiare e per andare a danza, mentre nella sua testa risuonavano le risate di Marco: la voce arrogantemente ironica di Elia le aveva quasi fatto dimenticare quella prima ora da sogno. Durante le altre ore di lezione, ovviamente, aveva raccontato tutto a Federica ed entrambe erano arrivate alla conclusione che educazione fisica era ufficialmente diventata la loro materia preferita, anche se facevano alquanto pena.

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Capitolo 4
*** Soprannomi odiosi e dove trovarli ***


Note Autrice:
l'ultimo capitolo di questa settimana, come accennato nel precedente.
Da questo capitolo in poi possiamo dire di aver finito le presentazioni e di star iniziando ad entrare nel vivo della storia.  

Buona Lettura.
Capitolo 3 "Soprannomi odiosi e dove trovarli"
 
Dopo un fine settimana trascorso nel dolce far niente, il risveglio di quel lunedì mattina fu traumatico; considerato anche che, per quel giorno, sarebbe dovuta andare a scuola con i mezzi perché suo padre doveva accompagnare la nonna in ospedale per dei controlli. Era con Federica sul treno che le avrebbe portate a dieci minuti a piedi dalla scuola e, per l’ennesima volta, stavano raccontando i dettagli della giornata precedente, durante ginnastica.
- E ad un certo punto mi fisso a guardare il suo braccio perfetto e la pallina che ha lanciato mi finisce dritta in fronte! – aveva detto Federica a metà tra l’essere imbarazzata e divertita.
- Ci credo! Con quel braccio perfetto avrebbe distratto anche Carla Fracci intenta a ballare il Don Chisciotte! –
- A parte la metafora sul ballo che non ho capito, devo darti ragione. Quel ragazzo è perfetto! –
Ormai, anche i finestrini del treno malandato sapevano quanto Leo Pascaldi fosse… perfetto.
- Anche Marco si difende bene, però! –
- Sì, te lo concedo. Ma Leo… mammamia! –
- Sì, ok Fede, abbiamo capito che ti piace ahahahah. -
E chiacchierando dei rispettivi sogni segreti, scesero alla loro fermata, accelerando il passo ed arrivarono fino al cancello, salirono le scale e si sedettero al banco dove la conversazione continuò finché non iniziarono ad arrivare gli altri compagni. Smisero definitivamente di parlare dei ragazzi quando in classe entrò Betta: non avevano voglia di correre il rischio che le sentisse e spifferasse i loro commenti eccitati a tutta la scuola!
Quando ormai mancava poco al suono della campanella, la professoressa era già in aula ma non aveva ancora iniziato a spiegare; nonostante questo, tutti gli alunni iniziarono a prendere posto nei rispettivi banchi e Marco, seduto al quarto banco della fila della finestra, era passato davanti al primo centrale (quello di Ella e Federica): la nostra protagonista, ovviamente, aveva seguito i suoi passi con sguardo sognante ed aveva rizzato le orecchie per sentire cosa stesse dicendo al suo amico Valerio:
- … Lei si scioglie se la chiami “cucciola”! –
- Mah, secondo me è un soprannome ridicolo. –
- Ti dico che con quel soprannome e qualche altro trucchetto che ti insegno la conquisti, sicuro! –
- Ok, va bene tutto – aveva commentato Ella rivolta alla sua amica – per quanto sia carino, “cucciola” è davvero troppo! Io odierei essere chiamata così! – E con questa affermazione suonò la campanella, la lezione era iniziata e Federica aveva fatto appena in tempo a chiederle “Anche se si tratta di chi sai tu?!” ed Ella si era limitata ad annuire con il capo, in silenzio e con una smorfia disgustata. Quel soprannome era davvero viscido, non sapeva spiegarsi perché. Ora, sapete quando la persona più fastidiosa del pianeta, per qualche scherzo del destino, riesce a sentire le vostre conversazioni e le usa solo per punzecchiarvi ed infastidirvi? Bene, era successo esattamente questo. Non che le ragazze avessero detto qualcosa di sconveniente, non avevano nemmeno nominato il soggetto della conversazione, ma se quella persona è un biondo e irritante compagno annoiato, anche una banale discussione sul tempo diventa motivo di scherno. Ho parlato di scherzo del destino perché il nostro caro Elia, perché ovviamente è lui che risponde alla descrizione di “biondo irritante”, normalmente non avrebbe potuto ascoltare le due amiche chiacchierare durante la lezione poiché, ovviamente, un arrogante viziato come lui siede all’ultimo banco e non al secondo centrale; tuttavia, quella mattina, aveva convinto Pier a farsi passare la versione di greco che lui non aveva fatto a casa. Quindi, a causa della sua pigrizia, ora era seduto al secondo banco centrale e dietro Federica ed Ella, accanto ad un Pier che annoiato, aveva tirato fuori il quaderno per permettergli di copiare; e poiché ogni scusa era buona per infastidire la povera ragazza, aveva colto l’occasione, ascoltato il breve scambio di battute e si era anche preparato mentalmente ciò che le avrebbe detto durante la ricreazione. Un sorrisetto furbo gli dipinse il volto mentre immaginava la scena. E copiava la suddetta versione. Si prospettava una mattinata perfetta!
Il suono della campanella non gli era mai sembrato così soave, come il canto delle sirene di Odisseo; non le aveva dato nemmeno il tempo di alzarsi dalla sedia che subito l’aveva chiamata:
- Ehi, Lab! –
Lei si era girata, aveva riconosciuto la voce ma la sua testa le diceva che non era possibile.
- Scusa ma la campanella è suonata adesso, come cavolo fai a stare già qui? –
- Sono sempre stato qui. Avevo da fare! – rispose sbrigativo.
- Copiare la mia versione… – aveva borbottato Pier, leggermente infastidito.
- A proposito, grazie! – aveva risposto Elia, guardando il compagno con una finta faccia angelica. Poi aveva spostato gli occhi su Ella, ed il sorriso sulle sue labbra si era allargato, fino a scoprire leggermente i denti.
- Allora, devi dirmi qualcosa? Non ho tutto il giorno, vorrei andare a prendermi un caffè. – aveva detto lei vedendo che lui si limitava a sorridere come un felino, senza parlare.
- Volevo solo farti notare che sei una bugiarda, che gioca a fare la donna indipendente ma che in realtà sogna il principe azzurro come tutte le ragazzine che giocano ancora con le barbie! –
- Wow, questa cretinata te la sei preparata? –
- Nn…no, mi è venuta così! – “ma come cavolo ha fatto?” pensava nel frattempo.
- Mi è venuta così quando ti ho sentita dire che ti fa schifo essere chiamata “cucciola”. -
- E questo farebbe di me una bugiarda? –
- Sì. A tutte le ragazze piace essere chiamate così. -
- Non a me. -
- È inutile che fai così! Sappiamo tutti che ti scioglieresti se ti chiamassi così. –
- Ti ho detto che mi fa senso, mi sa di viscido! –
Lui l’aveva guardata, aveva scosso la testa e si era passato una mano tra i capelli, a sistemare il ciuffo. Senza smettere di guardarla si era alzato e se n’era andato. Lei aveva guardato l’amica e le aveva detto: - Secondo me non è normale questo qui! – Federica aveva alzato le braccia come a dire “boh” e poi le aveva detto che sarebbe andata in bagno. Ella, come aveva già programmato, si diresse verso la macchinetta del caffè nel corridoio; aveva sprecato buona parte della ricreazione, perciò affrettò il passo. Nel farlo, era inciampata sulla sua stessa borsa ma per fortuna, e che sia benedetto il suo vizio di lasciare le cose in mezzo ai piedi, un braccio forte l’aveva afferrata prima che cadesse faccia avanti.
- Ehi, dove vai? – aveva detto Marco, ridendo. Lei aveva iniziato a torturarsi i capelli e gli aveva sorriso, coperta di vergogna. Aveva bofonchiato un “grazie” ed era scappata verso la macchinetta del caffè. Marco l’aveva raggiunta poco dopo, con un’espressione confusa stampata sulla faccia.
- Ella va tutto bene? –
- Sì, scusa, ero distratta. –
- No, te lo chiedo perché sei scappata. Ho fatto qualcosa che non va? -
- Sì, stai respirando e mi mandi in pappa il cervello perché sei troppo figo e gentile e dici sempre la cosa giusta al momento giusto! – ovviamente, l’aveva solo pensato! Invece aveva detto:
- Elia mi ha fatto perdere metà della ricreazione e volevo prendere un caffè prima che suonasse la campanella! -
- State sempre a stuzzicarvi voi due eh, se non vi conoscessi direi che sareste un’ottima coppia… –
- Io e quello? Scherzi, vero? Non è il mio tipo. –
- E come sarebbe il tuo ragazzo ideale? –
- Ehm… io… non saprei non ci ho mai pensato. Moro credo, e alto. Ma non ho un tipo in realtà. –
- Oh, forte! Come me, in pratica. –
- Ehm… sì non proprio però… -
- Sto scherzando Ella, non devi vergognarti! –
- Sì sì, ovvio che scherzi non sono imbarazzata. –
- Ti lascio prendere il tuo caffè, ci vediamo! –
- A dopo! –
Aveva aspettato che Marco si fosse allontanato il più possibile, poi si era girata in direzione del bagno: doveva raccontare a Federica della sua enorme, gigantesca, figura di merda! Aveva praticamente descritto Marco come il suo tipo ideale… davanti a lui. Idiota patentata!
Pochi istanti dopo aveva sentito un braccio poggiarsi delicatamente sulla sua spalla e delle dita affusolate le avevano sfiorato impercettibilmente il maglione all’altezza del seno. Sembrava uno sfioramento casuale ma non lo era. Glielo confermò il sussurro che aveva percepito appena nell’orecchio:
- Hai dimenticato il caffè, cucciola…-
Aveva riconosciuto la voce e si era allontanata di scatto, come se avesse preso la scossa. L’ultima, odiosa parola le rimbombava nella testa mentre Elia se la rideva. Teneva con l’altra mano il suo caffè e glielo stava porgendo. Si era sporta verso di lui per prenderlo, accorciando la distanza che lei stessa aveva creato prima, ma Elia si era allontanato di scatto, rischiando di rovesciare tutto il liquido a terra.
- Ah, ah, non ci pensare proprio! –
- Dammi quel caffè, muoviti! –
- Prima devi ammettere che ti è piaciuto. –
- Che cosa? –
- Non fare l’ingenua! –
- Non mi è piaciuto per niente, ti ho detto che odio essere chiamata “cucciola”, lo trovo offensivo anche se sussurrato in quel modo suadente…-
- Non mi riferivo a quello, ma mi fa piacere che hai notato il soprannome! E che mi trovi suadente… –
- Che “abbia notato” cerca di parlare bene almeno la tua lingua. E comunque a che ti riferisci? –
Sarebbe arrossita se non avesse avuto la pelle così abbronzata; aveva detto all’idiota che era suadente, e lui avrebbe gongolato per giorni! Era così insopportabile che credeva di esservi allergica. Ne era certa. Nel frattempo, lui si era avvicinato, le aveva dato il caffè e aveva rimesso il braccio nella stessa posizione di prima, ma questa volta la mano ciondolava lungo il busto, senza sfiorare nulla. Lei lo guardava in attesa di risposta.
- Pensi che ieri non ti ABBIA vista mentre mi fissavi il pacco? Spero tu ABBIA potuto notare che non è così piccolo! –
- Fai schifo! E comunque non era te che fissavo. Se proprio vuoi saperlo. – Elia aveva notato l’imbarazzo nella voce di lei: giocava a fare quella volgare ma certi argomenti la mettevano decisamente a disagio; probabilmente non aveva mai avuto a che fare con un ragazzo…figuriamoci con il sesso. Appuntò nella sua mente questo dettaglio e continuò ad infierire:
- E chi stavi fissando, sentiamo? –
- Non…non sono affari tuoi, ok? –
- Lo sapevo, stavi fissando me. – non avrebbe voluto dargliela vinta ma non poteva confessare all’idiota la sua cotta per Marco, avrebbe mandato tutto all’aria solo per divertirsi. Stronzo insensibile.
- Posso bere il caffè in pace?! –
- Certo, goditelo Lab, anzi, puoi pure fissarmi mentre lo bevi! –
- Non ho intenzione di fissarti, mi fai piuttosto schifo. –
- E allora perché ancora non mi hai scansato…? –
Cavolo, aveva ragione. Si era accorta solo ora che un braccio di Elia pendeva ancora lungo il suo busto e, di tanto in tanto, risaliva con le dita per solleticarle il collo. Quello era un punto piuttosto sensibile e la rilassava essere sfiorata lì. Era sicuramente per questo che non l’aveva scansato. Ma ci aveva messo troppo a pensare ad una risposta: lui si era allontanato, sciogliendola da quello pseudo abbraccio e l’aveva lasciata lì come una cretina. Seconda figura di merda della giornata: alla grande! Non aveva nemmeno sentito la campanella suonare ed entrambi si erano beccati i rimproveri della Cocci, che ovviamente era già in classe ed aveva fatto sedere tutti.
- Se La Baldi e Colaci possono mettersi seduti avrei un annuncio da farvi. –
Ella aveva abbassato lo sguardo, colpevole, mentre Elia, tornato al suo amato ultimo banco, aveva sbuffato.
- Bene, ci siamo tutti, allora vi annuncio che il primo dicembre andremo in gita a Villa Adriana e vorrei che voi foste i Ciceroni di questa giornata! Vi dividerete in piccoli gruppi e spiegherete ai vostri compagni tutte le parti più importanti di questo meraviglioso posto! – Fantastico, ci mancavano anche le idee geniali della Cocci! Ella odiava parlare in pubblico ed avrebbe sicuramente rovinato i suoi capelli a forza di toccarseli per combattere l’imbarazzo. Almeno sarebbe andata in gita, la sua prima gita con la 3D.

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Capitolo 5
*** Cambiare ***


Note Autrice:
Sono qui, buttata sul divano con un gran mal di testa, che correggo e aggiungo capitoli, perciò ho pensato... perchè no, pstiamone un altro paio. Sperando che vi piacciano, ecco a voi i capitoli 4 e 5. Fatemi conoscere le vostre opinioni.

Capitolo 4 “Cambiare”
 
Ottobre, per Ella, era stato di gran lunga un mese soddisfacente: era diventata molto amica di Marco e Valerio, nel senso che ci parlava spesso ma per lei era un gran traguardo, e nemmeno le lezioni noiose e le prime insufficienze in matematica erano riuscite a demoralizzarla; le giornate procedevano come al solito, Elia non le aveva più rivolto la parola se non per prenderla in giro (e la cosa non la toccava minimamente), e tra meno di un mese, il 30 Novembre, sarebbe stato il giorno del suo compleanno, che avrebbe festeggiato per la prima volta con i nuovi compagni…devo davvero specificare in quali auguri sperava? Per rimanere in tema, Marco era sempre più gentile, si rivolgeva a lei con dolcezza prima di chiederle un pezzo della sua merenda o di passargli i compiti di italiano. In effetti, a pensarci bene, le chiedeva spesso dei favori e anche se Federica cercava di farglielo notare, Ella era contenta che andasse da lei piuttosto che da qualcun’altra. Forse la sua amica era solo un po’ gelosa per il fatto che, al contrario, Leo aveva attenzioni solo per Giulia. Non le toglieva gli occhi di dosso nemmeno un istante e, anche se si ostinava a negarlo, le moriva dietro fin dal primo anno; o almeno questo diceva Virginia, fonte ufficiale del gossip della classe e innamorata persa di Elia. Ella pensava che bisognasse prendere Virginia come esempio: credeva che Elia fosse l’amore della sua vita, e forse questa non è una cosa da imitare ma, per lo meno, non lo nascondeva né a lui né al resto del mondo. Peccato solo che si fosse innamorata non del principe azzurro ma, piuttosto, del Marchese di Forlipopoli; quanto gli piaceva vederla solo come una conquista… ma si sa, alla fine la Locandiera sposa Fabrizio e il Marchese rimane fregato! Di quest’ultima affermazione Ella non era del tutto convinta; Virginia a volte sembrava un burattino nelle mani di quello stronzo e l’amore rende ciechi: non ci si accorge mai dei difetti della persona che si ha davanti, come se indossasse una maschera che copre tutta la falsità. Ella si riteneva fortunata a non essersi innamorata di uno stronzo. Anche se, andiamo, “innamorata” era una parola grossa. Comunque sia, tutto procedeva al meglio, tutto tranquillo come al solito: le giornate correvano veloci tra appunti e occhiate fugaci in direzione della sua prima cotta; tutto sotto controllo fino a quando la Cocci, professoressa di italiano, storia e filosofia nonché coordinatrice di classe, ebbe una idea tanto assurda quanto malsana.
- Bene ragazzi, prima di salutarci e lasciarvi alla prossima lezione voglio dirvi un’ultima cosa: domani vi concederò due ore di assemblea durante le quali…- ma dovette interrompersi all’improvviso perché tutti gli alunni erano in visibilio, avrebbero saltato ben due ore per un collettivo di classe: e tutti sanno che collettivo significa ricreazione prolungata. - Ragazzi! Silenzio fatemi finire. - riprese a dire, cercando di imporre la sua voce da gallina e di sovrastare il chiacchiericcio generale;
Dicevo che durante queste ore potrete eleggere i rappresentanti di classe, e dovrete anche dedicare del tempo per il cambio dei posti che dovranno essere sorteggiati, in maniera casuale! Vorrei che le coppie venissero mescolate; siete al terzo anno e non vi vedo mai socializzare con persone diverse da quelle del vostro gruppetto. -
Inutile dire che un coro di proteste si levò alto: c’era chi diceva “Ma che stiamo alle elementari! Ce li scegliamo da soli i posti”, c’era chi pensava di incatenarsi all’ultimo banco per protesta e chi, invece, continuava a farsi gli affari suoi. Ella e Federica, dal canto loro, già sognavano di capitare accanto alle rispettive cotte. Anche durante la ricreazione il cambiamento dei posti era l’argomento favorito della classe, più importante anche dell’elezione dei rappresentanti; la professoressa aveva specificato che i nuovi banchi sarebbero rimasti tali per un mese e che il successivo, sempre durante il collettivo, sarebbero state estratte nuove coppie e così via fino alla fine dell’anno. Ella era stanca di stare a sentire quelle chiacchiere, a parer suo inutili, visto che non si poteva stare a discutere con quella specie di tirannosauro che era la loro prof; si avviò verso la sua amata macchinetta per concedersi un buon caffè (per quanto potesse esserlo quello della scuola) e il caso volle che anche Marco avesse avuto la stessa idea. Si incontrarono lì e lei cercò subito di attaccare bottone:
- Ehi, allora come la vedi questa novità dei posti? –
- Non so, potrei capitare con chiunque. -
- Potrebbe essere una buona occasione per conoscerci un po’ di più, io ad esempio, sto sempre con le stesse persone… -
-Sì, è vero… ti vedo parlare sempre con Federica, dovresti aprirti di più; puoi cominciare a chiacchierare con le sue amiche, no? -
- Sì, è che non sono tipa che fa amicizia subito o che ama stare al centro dell’attenzione. -
- Lo avevo notato. -
Non sapendo più cosa rispondere, Ella si limitò a sorridere per poi girare i tacchi e andarsene.
- Ehi Ella! – Sentendosi chiamare si girò di scatto, balbettando qualche verso incomprensibile.
- Il tuo caffè, l’hai dimenticato nella macchinetta!
Il sorriso le si spense sulle labbra… non si aspettava di certo una dichiarazione d’amore ma, andiamo… questo non ci andava vicino neanche un po’! Senza contare che aveva anche fatto una pessima figura, aveva persino dimenticato di aver messo i soldi e di aver selezionato il pulsante. Aveva dimenticato anche dove si trovasse. Lui le porse il caffè, e le loro dita che si sfiorarono furono l’emozione più bella che lei avesse mai provato; le sorrise prima di dirle la frase che fece fare al cuore di Ella un paio di giravolte: - Sarebbe una forza se capitassimo insieme in banco! – - Sì… una… forza…- riuscì a farfugliare tra un respiro e l’altro. Fantastico ora aveva anche dimenticato come si respirasse. Tornò in classe dandosi della stupida, non era riuscita a dire niente di originale o intelligente… da quando era caduta così in basso, proprio lei che aveva sempre la risposta pronta.
Il giorno dopo, Ella era fiduciosa. Non riusciva a non pensare alle parole di Marco come un segno del destino: sarebbe capitata in banco con lui, magari all’ultimo e avrebbero potuto farsi gli affari loro, alla faccia di quella maledettissima prof. Rovina banchi; si sarebbero conosciuti meglio, avrebbero chiacchierato e condiviso il libro e...
-Che dici ti levi di mezzo? -
Ed eccolo lì, con quei capelli fastidiosamente biondi e quegli occhi fastidiosamente blu. Elia, in tutta la sua arroganza. Fin dal primo giorno di scuola non si erano mai sopportati; lui non vedeva l’ora di prenderla in giro ogni giorno e senza apparente motivo. Ad essere sinceri, il motivo si poteva intuire: lui diceva che era una ragazza di borgata, rompiscatole e fredda come il ghiaccio. Ma secondo Ella non erano delle buone ragioni per infastidirla e punzecchiarla, bastava ignorarla fino alla fine del liceo, no? Da parte sua, lei cercava di farlo, per lei quasi non esisteva e non lo cercava se non per rispondere alle sue battutacce; era abbastanza sveglia da capire che non faceva sul serio, magari neppure la odiava, almeno non più di tanto... era abituata a vedere il buono nelle persone, anche dove le speranze erano più basse della sua media in matematica, ed era convinta che lui non fosse poi così diverso da tutti quei ragazzi che hanno solo bisogno di un’attenzione in più. Ma ciò non toglieva che fosse uno stronzo arrogante e, di conseguenza, si sentiva autorizzata a rispondergli per le rime, come quella volta:
-Cos’è? Vai di fretta? Hai un appuntamento? Ah...capisco, devi dire addio all’ultimo banco centrale...beh, condoglianze, allora! -
Dalla reazione di lui, che rimase impassibile e assunse un’espressione annoiata, capì che c’era qualcosa che non andava: il bimbo viziato non avrebbe mai rinunciato ad una piccola schermaglia verbale, così, tanto per iniziare bene la giornata; in effetti, oggi non sembrava proprio dell’umore. Solitamente rideva alle risposte piccate di Ella e continuava a sbeffeggiarla con ancora più entusiasmo, e i loro battibecchi non si interrompevano fino all’ingresso di un insegnante o all’intervento di un compagno, spesso Filippo, che si annoiava a morte a sentirli prendersi in giro a vicenda, o almeno così diceva ogni volta. Di solito il suo tono era derisorio e beffardo, quel giorno era cupo, teso, come se stesse per esplodere in uno scatto di ira violento. Infine, ultima osservazione, i suoi occhi, di solito di un vivissimo blu, quel giorno sembravano più tendenti al grigio: forse era la luce cupa di quel mese a spegnerli o, forse, la patina di tristezza che li avvolgeva; erano anche leggermente arrossati, come se avesse fumato o come se…avesse pianto e se li fosse asciugati bruscamente, irritandoli. Ella stava ancora aspettando in silenzio che lui rispondesse, guardandolo e il suo sguardo, da irritato, divenne preoccupato: Elia non stava bene, ne era certa, e per quanto lo trovasse insopportabile, non si gioiva delle disgrazie altrui. Attese ancora qualche secondo ma niente, sembrava totalmente perso nella sua mente, guardava un punto fisso e si copriva con una mano le nocche dell’altra: fu allora che lei notò che erano arrossate e sgraffiate, anche se lui cercava di nasconderle.
-Tutto bene? - provò a dirgli; lui sembrò risvegliarsi da una sorta di trance e la guardò esitando per un solo istante prima di riscuotersi e rivolgerle uno dei suoi soliti sorrisini sghembi: Elia era tornato! Ed Ella tirò un intimo sospiro di sollievo.
- Da quando ti interessa, Lab? È un modo per avvicinarti a me e scoprire che in realtà sono un superdotato? -
- Ancora con questa storia? Capisco che in quanto maschio devi difendere il tuo ego ferito ma…-
- Ti hanno mai detto che parli troppo? -
- E a te che sei un maleducato? Non si interrompono le persone. -
E avrebbero continuato come sempre se non fossero intervenuti due compagni a fare ordine. Tutto nella norma, forse si era solo sbagliata. Ma qualcosa, in fondo, le diceva che non era così; per carità non pretendeva di conoscerlo, al contrario credeva sempre di più che fosse la persona più imperscrutabile che avesse mai conosciuto. “Chi sei, Elia?” si era ritrovata a pensare prima che Federica, che nel frattempo l’aveva raggiunta al banco, iniziasse a parlarle.
- Non ci posso credere! Un'altra discussione con Elia? Ma quando la finirete? –
- Credo mai! Non so quanto ancora riuscirò a sopportarlo. Mi fa venire i nervi come pochi, guarda! –
- Speravo che lo dicessi, ormai siete il nostro intrattenimento preferito. –
- Smettila anche tu! Piuttosto, hai qualche sensazione sui nuovi posti? Quante probabilità ci sono di capitare vicino a tu sai chi? –
- Faccio schifo in matematica, ma sarebbe pazzesco se succedesse a entrambe. –
- Io non vorrei tirarmela e portarmi sfiga, ma da quella cosa del caffè ho una sensazione positiva; non so come spiegarlo è come se fosse stato un segno del destino…che poi io nemmeno ci credo però boh, sai quando proprio te lo senti dentro e…-
- Me l’hai detto mille volte, Ella…- rispose Federica a metà tra il divertito e l’esausto.
- Sì, scusa, hai ragione è che a volte parlo davvero troppo, tu pensi che parlo troppo? –
- No, assolutamente, cosa te lo fa pensare? Ahahahah. –
Ma Ella si era distratta dalla conversazione e aveva preso a sussurrare tra sé e sé - Brutto idiota, che cazzo ti è preso oggi?
- Cosa stai dicendo? – disse Federica cercando di capire dove stesse guardando Ella.
- E mi spieghi perché stai fissando Filippo? -
- Non sto fissando Filippo, sto fissando l’idiota! - Ma l’idiota in questione non c’era più; in effetti Federica aveva ragione: Elia era uscito dalla classe e Filippo era rimasto seduto al banco. Quindi lei stava effettivamente guardando Filippo. Federica non fece in tempo a puntualizzarlo che Pier, che dal conteggio dei voti era risultato essere il nuovo rappresentante insieme a Giulia, si schiarì la voce, richiamando l’attenzione dei compagni: bisognava estrarre i posti, sia banchi che coppie; nel frattempo Elia era tornato ma Ella non ci aveva fatto caso, troppo occupata a torturarsi i capelli per l’ansia; la classe non era mai stata così silenziosa, nemmeno durante un compito. Si era deciso di creare dei bigliettini con tutti i nomi dei compagni che sarebbero stati estratti due alla volta: i primi due sarebbero stati i “fortunati” del primo banco centrale, i secondi del secondo e così via fino a completare tutta la fila, poi sarebbero passati alla fila della finestra e, infine, a quella della porta. Dopo qualche minuto di estrazione erano arrivati al terzo banco della finestra, e il cuore di Ella aveva fatto lo stesso rumore di un vetro infranto quando aveva sentito il nome di Marco insieme a quello di Ginevra; Federica, invece, era finita con Carol, una ragazza del suo gruppo di amiche. Su qualcosa però, ci aveva visto giusto, e si stava prendendo una piccola rivincita: come Ella gli aveva detto durante la discussione, Elia aveva dovuto dire addio, con non poche proteste, al suo amato ultimo banco e, ironia della sorte, era finito al secondo dal lato della porta; non era il primo banco centrale ma, ehi, era comunque tra le prime file e ben gli stava! Ma la risata compiaciuta le morì sulle labbra non appena scoprì che proprio lei gli avrebbe fatto compagnia. Si guardarono e fu un attimo. Entrambi spalancarono occhi e bocca al tempo stesso, consapevoli che a nulla sarebbero servite le loro proteste. I banchi erano quelli e non si discuteva, i rappresentanti erano stati chiari fin dall’inizio. Ma niente gli avrebbe impedito di urlarsi contro: i rappresentanti non potevano togliergli anche questo e impedirgli di sfogare la frustrazione.
-Tu e la tua inutile bocca! Non riesci proprio a stare zitta, vero? -
-Ah, sarebbe colpa mia ora? Da quando credi nella chiaroveggenza? Tra l’altro non ho detto mica che ci sarei finita anche io! –
Attraversarono a passo di marcia i banchi che li separavano per trovarsi l’una di fronte all’altro; lui non era alto come Marco ma riusciva comunque a sovrastarla e la guardava, forse per la prima volta, con odio, o qualcosa di molto simile. E per la prima volta, Ella non voleva parlare: continuava a sostenere quello sguardo gelido, così diverso dal solito, da quello divertito e provocatorio. Questo era freddo, così tanto che gli occhi blu sembravano trasparenti e inespressivi. “E’ così strano. Non sembra lui”. Si ritrovò a pensare, ma non abbassò lo sguardo. Si stavano fissando così intensamente che i compagni ebbero paura che sarebbero venuti alle mani e prima che potesse accadere vennero separati dalla rappresentante che gli intimò di fare silenzio, di non comportarsi come ragazzini e tutte altre cose che i due non ascoltarono, troppo occupati a guardarsi in cagnesco: la compassione che Ella stava cominciando a provare era stata sostituita da fastidio e rabbia. Lui, per quanti problemi avesse, non aveva il diritto di sfogarli su di lei.
L'assemblea, per fortuna, finì senza feriti ed Ella cercò di godersi il più possibile l’ultimo giorno accanto alla sua compagna di banco; aveva davvero creduto che sarebbe finita con Marco ma quando la speranza era sfumata non aveva perso l’entusiasmo: “Magari finirò con qualche ragazza simpatica, o con Valerio” aveva pensato... e invece no! Era una punizione per entrambi: un segno del destino che dovevano smetterla di infastidirsi, almeno provare a ignorarsi. Per fortuna Ella era molto positiva di natura; appena un problema le si presentava cercava la soluzione, e se non la avesse trovata, avrebbe individuato i lati positivi: doveva resistere solo un mese e solo durante le ore di Italiano. Nessun altro professore si sarebbe accorto che i posti non erano quelli assegnati se avessero consegnato la piantina della classe solo a quell’odiosa strega impicciona della Cocci. Sarebbe andato tutto bene, il mese più veloce della loro vita e magari, durante tutto l’anno, sarebbe capitata almeno una volta accanto a Marco. Due ore al giorno per un solo fottutissimo mese e poi sarebbe finita. Un perfetto regalo di compleanno. D'altronde ciò che non uccide fortifica...no?
 

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Capitolo 6
*** Trincea ***


Capitolo 5 “Trincea”
 
Inutile dire che quella mattina si era svegliata con la luna decisamente storta: non ne voleva sapere di alzarsi e così, aveva fatto più tardi del solito. Si era tirata su dal letto con malagrazia, aveva afferrato, totalmente alla cieca, un jeans e un maglioncino e se li era infilati. Si era poi dovuta togliere il maglione perché aveva dimenticato di mettere il reggiseno. “Fantastico, davvero fantastico” pensò con sarcasmo. Erano solo le 7:30 e già si prospettava una pessima giornata. Finì di vestirsi, lavarsi i denti, fece per mettersi un po’ di rimmel ma ci rinunciò ed uscì di casa senza fare colazione. Trascorse 20 minuti nel traffico di Roma (che Dante avrebbe tranquillamente potuto usare come girone infernale), con la voce di suo padre che le riempiva il cervello di sciocchezze, ignorando la sacrosanta regola del “non si parla prima delle 9 di mattina”. Arrivò, dopo un tragitto che le parve infinito, davanti al cancello della scuola e solo quando lo vide spalancato si rese conto del perché quella mattina alzarsi dal letto le fosse sembrato così dannatamente sbagliato: primo giorno con i nuovi posti. Primo giorno con l’arrogante viziato. Primo giorno di convivenza forzata con Elia. Fanculo i lati positivi: sarebbe stata una tortura.
Quando entrò in aula, con molta, molta flemma, lui non era ancora arrivato e per un attimo credette di averla scampata. Si fermò a parlare con Federica, già seduta accanto a Carol.
- Allora sei pronta? –
- Non si vede dalla mia faccia entusiasta? - rispose Ella, con la sua solita ironia tagliente.
- Onestamente, non mi sembri molto felice. -
Era stata Carol a parlare e, come voi cari lettori potete notare, non era una tipa molto sveglia.
- Ero ironica, Carol. - rispose freddamente Ella che, inutile dirlo, odiava da sempre le persone stupide: se c’era una cosa al mondo che non sopportava erano le persone che non capivano l’ironia. E la faccia di Elia. Decisamente. La professoressa, causa di tutta la sua ira mattutina, entrò in aula facendo cenno a tutti di sedersi. “Non è nemmeno suonata la campanella e questa già rompe”, pensò Ella, ma era piuttosto convinta che quello fosse un pensiero comune; mentre ancora borbottava tra sé e sé si sedette e attese. Quando però mancavano solo tre minuti al suono della campanella cominciò a preoccuparsi. Lui non era ancora arrivato e, come la luce di un lampo che squarcia il cielo, in silenzio, prima che si senta il rombo del tuono, le vennero in mente i segni sulle nocche che ieri lui aveva cercato di nascondere e si ricordò che, sul momento, non si era fermata a riflettere sulla causa di quei rossori; fantastico: ora si sentiva anche in colpa. Lui non c’era e lei anziché esserne contenta si sentiva addirittura in colpa. Ma durò poco più di tre secondi, tutto annullato e oscurato dal sorriso raggiante di Marco; certo, non era rivolto a lei bensì alla sua nuova compagna di banco, ma era comunque un fantastico sorriso, no? Accortosi che lei lo fissava, sognante, lui si girò nella sua direzione sventolando allegramente la mano. Era così enorme che avrebbe potuto benissimo scatenare una tromba d’aria o qualcosa del genere; lei si bloccò per un istante prima di ricambiare il saluto. Poi, quando la professoressa leggermente riuscì a sedersi sulla sedia senza, purtroppo, cadere e rompersi un osso qualsiasi, tirò fuori il registro di classe per fare l’appello e fu in quel momento che un ragazzo biondo e dalla pelle molto più bianca del solito entrò in classe: Elia non sarebbe stato segnato assente ma era come se lo fosse. Aveva lo sguardo perso nel vuoto e, anche se le nocche della mano destra non erano più tanto rosse e non portava cerotti o bende, la sua anima sembrava stare decisamente peggio. Ella non seppe bene perché, ma credette che in quel momento la cosa migliore sarebbe stata sparire e lasciare quella creatura così fragile da sola. Non avrebbe mai pensato di associare a lui quell’aggettivo ma, in effetti, non sarebbe riuscita a trovarne uno più azzeccato. Sembrava gliela avessero cucita addosso quella parola; a lui che era così arrogante e sicuro di sé che metteva soggezione, ma ieri e soprattutto oggi le era sembrato infinitamente stanco, più umano di quanto fosse concesso ad una persona. Mentre rifletteva, Ella lo guardò in silenzio, facendogli spazio, togliendo la borsa che aveva messo sulla sedia di lui e schiacciandosi contro il termosifone in un goffo tentativo di farlo stare più comodo; così facendo, però, si scottò e il suo leggero suono di protesta interruppe quel silenzio assordante facendo riscuotere il biondo. Sembrò essersi accorto solo in quel momento di dove fosse, le rivolse il solito ghigno soddisfatto e si sedette con un tonfo.
Per la prima mezz’ora non si erano proprio calcolati, ognuno perso nei propri pensieri e nel tentativo di seguire la lezione; più che altro, Ella aveva lottato contro la voglia irrefrenabile di guardare Marco di sottecchi (spoiler, non ci era riuscita) mentre Elia si era limitato a scribacchiare cose senza senso nel suo diario Comix. Viola. Un momento…da quando lui aveva un diario viola e perché sembrava così maledettamente simile a quello di Ella? Quando lei se ne accorse quasi non strillò nel bel mezzo dell’interrogazione di una compagna; trattenendo in gola versi stizziti gli sussurrò:
- Che cazzo fai con il mio diario?! -
- Sempre molto delicata, Lab, si vede proprio che sei di borgata. -
- Non parlare come se tu fossi il principe azzurro delle favole. –
- Sì sì certo Lab, comunque non arrabbiarti ti sto solo decorando il diario. -
- Sì, ma io non ti ho detto che puoi farlo. -
- Sei noiosa. -
Prima di rispondere, Ella notò che lo sguardo di lui si era leggermente incupito.
-Non sono noiosa, sono solo… -
- Shh, sta zitta. Non vedi che la Cocci si guarda intorno, finirai per farci rimproverare. -
Lei abbassò di colpo lo sguardo sul quaderno, fingendo di scrivere chissà cosa e la professoressa non sembrò capire da dove provenisse quel brusio. Nel frattempo, Elia le aveva restituito il diario e finalmente un accenno di sorriso gli aveva dischiuso le labbra: aveva davvero un bel sorriso, Ella si ritrovò a pensare osservandolo; anche se a volte sembrava più una smorfia furba, che gli faceva sollevare un angolo della bocca carnosa e scoprire appena i denti. Gli occhi, grandi, non si assottigliavano come quelli di lei quando rideva; restavano enormi ed avevano sfumature che andavano dal grigio al blu oceano. Più lo guardava e più capiva perché, nonostante non avesse la bellezza mozzafiato di Leo, molte ragazze ne restavano affascinate. Se solo non fosse così arrogante, presuntuoso e ostile. Si sentì picchiettare una spalla e si costrinse ad interrompere i suoi pensieri: il biondo aveva richiamato la sua attenzione, indicandole, con gli occhi, un pezzetto di carta. Ella lo guardò pensierosa, poi lo aprì.
“sono passati solo 40 minuti e già non ti sopporto più”
E lei si sarebbe anche arrabbiata se solo non avesse notato il piccolo cuoricino messo al posto del punto. Prese una penna dal suo astuccio e aggiunse una frase alla sua, poi glielo passò.
“dovremmo cercare di andare d’accordo o non resisteremo altri 10 minuti”
“come?”
“ignoriamoci”
E ci sarebbero anche riusciti se solo a lui non fosse tornata quella maledetta espressione malinconica, quella che lei non capiva e che stonava così tanto su uno sbruffone come lui. Quando ormai mancava solo mezz’ora al suono della seconda campanella, lei non aveva ancora finito di torturarsi le unghie, mangiucchiandole: il fatto che lui non avesse risposto, combinato al cambio di espressione, l’aveva messa in allarme; così, dopo circa dieci minuti la mano si era mossa da sola e la penna aveva fatto altrettanto. Sul foglio ormai stropicciato scrisse due semplici parole.
“stai bene”
Mancava persino il punto di domanda e lui, stranamente, non glielo fece notare; si limitò a fissare quelle due parole con espressione stupita, come se si fossero messe a fare le capriole o altre stronzate simili; non guardò lei ma fissò il biglietto, teneva la penna in mano ma non scriveva nulla e, come se non bastasse, quella ragazzina continuava a fissarlo. Non era il tipo di persona che si imbarazzava di fronte agli sguardi di una ragazza, non lui che poteva averle tutte; i suoi occhi, però, così piccoli e neri che sembravano non avere nemmeno l’iride, se li sentiva puntati su di lui ed era convinto che, se l’avesse fissato ancora, gli avrebbero bruciato la pelle bianca. Ed ecco un'altra differenza tra loro: i colori così scuri di lei, che aveva la pelle olivastra e i capelli castani scuri quanto i suoi occhi, facevano contrasto accanto a lui che era tutto l’opposto. Per quanto fossero diversi fisicamente, si era accorto fin dalla prima rispostaccia che il loro carattere era simile. Ricordava bene il primo giorno: lei aveva lasciato la sua borsa per terra, in mezzo ai piedi e lui per poco non era caduto, per colpa di quella ragazzina; le aveva detto una cosa del tipo “togli questa roba” e lei aveva inclinato la testa da un lato e alzato un sopracciglio (non capiva come diavolo facesse) e poi gli aveva risposto “guarda dove vai! E prenditi un caffè la mattina così ti svegli”. Lui aveva pensato che avesse la lingua tagliente e un bel paio di palle per essere una ragazzina, sembrava anche più piccola di qualche anno. Erano simili, insomma, anche se lei era decisamente più insicura; avevano la stessa ironia pungente, che troppo spesso veniva scambiata per arroganza o cattiveria. Entrambi erano testardi e avevano sempre la battuta pronta e, spesso, sembravano capirsi, oggi più di qualsiasi altro giorno. Ma cosa avrebbe dovuto fare lui ora? Lei si aspettava forse una risposta? Si aspettava che lui avrebbe confessato a lei tutti i suoi problemi? Si aspettava che avrebbero parlato delle sue mani arrossate e del viso troppo pallido che aveva da un paio di giorni? Assolutamente impossibile. Chi gli assicurava, poi, che lei avesse davvero notato tutte queste cose? Probabilmente non si era curata di lui, troppo occupata a fissare Marco sbavando, troppo superficiale e troppo stronza; tanto stronza che, anche se si fosse accorta del suo malessere, si sarebbe crogiolata nella felicità vedendolo in difficoltà per la prima volta da quando si erano conosciuti. Spinto da questi pensieri, accartocciò il foglietto con un gesto rabbioso, contrasse le labbra carnose riducendole a due linee sottili e dure, assottigliò lo sguardo e con la penna che teneva ancora in mano tracciò una linea verticale sul banco: un muro invisibile. Ella, dopo quel gesto al limite dell’infantile, decise di fare il suo stesso gioco e non infastidirlo più fino alla fine dell’ora. Ottimo: il loro primo giorno era stato un fottuto gioco del silenzio. Quando la campanella suonò, lo vide infilare i libri nella cartella e caricarsela sulle spalle senza nemmeno aspettare che la professoressa uscisse dall’aula; si allontanò da lei tornando all’amato ultimo banco centrale, accanto a Filippo e alla sua solita fortuna che lo aveva fatto capitare nel più ambito dei posti. Lei non fece caso alla povera compagna di Filippo, Elena, che sfrattata dall’ultimo banco per far sedere il biondo, si era seduta accanto a lei; gettò un veloce sguardo verso di Elia: era così stronzo, arrogante, lagnoso e perso. Quell’ultimo aggettivo la lasciò un po’ confusa, al punto che non fece caso a Marco che le si era avvicinato; tutti i pensieri pesanti si erano alleggeriti fino a sparire quando lui aveva parlato e lei era improvvisamente tornata sulla Terra.
- Allora, come è andato il primo giorno di convivenza? -
- Non vedi che ha cambiato posto appena la campanella è suonata? Credo che sarà così fino alla fine del mese… –
- Hai davvero tanta pazienza a stare con lui senza arrabbiarti! –
- No dai non è vero, per me è normale, ti dico solo che avendo due fratelli sono abituata a fare… -
- Mi daresti un pezzo della tua merenda? Ho già mangiato la mia ma ho ancora fame. –
Lo aveva detto sorridendo, con tanta felicità che gli illuminava gli occhi color nocciola; era assurdo come un ragazzo di un metro e novanta di altezza, mani e occhi grandi ed il fisico allenato di chi faceva sport assiduamente, potesse essere, in certi momenti, fin troppo simile ad un bassotto che sbava davanti ad un pezzo di carne. Un gigante con l’animo e forse anche l’età mentale di un tenero, paffuto ragazzino. Ella rimase incantata e sorrise di rimando ma restava pur sempre il fatto che lui l’aveva interrotta nel bel mezzo di un discorso e, anche se lo trovava adorabile quando scroccava la merenda degli altri, non poté fare a meno di sentirsi un po’ triste e messa da parte. Tuttavia, gli diede tutta la merenda dicendo di non avere più fame e uscì dall’aula per raggiungere Federica in corridoio. La vide che parlava con Carol la svampita; a volte le dispiaceva chiamarla così, anche se solo nella sua mente, ma davvero non si spiegava come una ragazza della loro età potesse essere così poco sveglia. Anche Ella su certe cose non aveva esperienza, tipo le relazioni, ma cavolo! Come fai a non vedere certe cose! Quando guardava Carol ringraziava il cielo per non essere così distratta, altrimenti si sarebbe fatta fregare dal primo idiota che le passava davanti; la sua ingenuità, però, le faceva pensare che Carol fosse, tutto sommato, una a posto. Nonostante questo, Ella non aveva voglia di parlare dei suoi sentimenti per il moro né con lei, né con altri a pensarci bene. Decise, perciò, di iniziare a lamentarsi con loro del compito di greco che avrebbero avuto tra due giorni e poi tornò al suo posto, sconsolata, ancor prima della fine della ricreazione. Le successive ore trascorsero più lente che mai: tra un’occhiata furtiva a Marco e i vari tentativi di ascoltare il professore di turno, suonò anche l’ultima campanella e lentamente cominciò a riempire la borsa con i suoi effetti. Mentre rimetteva tutto in borsa, afferrò il diario le tornò in mente che non aveva visto le “decorazioni” che Elia aveva lasciato; lo aprì alla data di oggi ma non c’era nulla, così voltò pagina ma niente, niente e ancora niente. Forse aveva solo fatto finta per infastidirla, tipico. Quando tutti erano ormai usciti dalla classe anche Ella si affrettò ad andarsene; nel corridoio vide che a pochi passi di distanza da lei c’erano Filippo ed Elia che parlavano ma non riuscì a comprendere molto. Sembrava, però, che il biondo si stesse sfogando un po’ e lei, per qualche strano motivo ne fu felice; lo aveva visto troppo diverso in questi due giorni e non avrebbe mai voluto, per quanto gli stesse antipatico, vederlo così per tutto il mese. Le tornò in mente la riga che lui aveva tracciato sul banco e le parole che lei aveva scritto sul foglietto; l’immagine del suo sguardo vuoto si alternava con quella del suo sorriso malizioso e si chiese come fosse possibile cambiare umore così repentinamente. “Chi sei?” si ritrovò a pensare. Si ripromise che il giorno seguente avrebbe scoperto cosa lo turbava, che per quelle due misere ore avrebbe provato a tirarlo su e se non ci fosse riuscita avrebbe almeno provato a farlo incazzare per distrarlo dai suoi pensieri, troppo opprimenti per un ragazzo dal fisico gracile come il suo. Si ritrovò a chiedersi come mai avesse così tanto a cuore la sorte di uno stronzo e non seppe darsi una risposta anche se, onestamente, non ci rifletté più di tanto; alla fine si convinse che dopotutto Elia era sempre la persona con cui, più di tutti, amava discutere e con un’alzata di spalle raggiunse la macchina, dove suo padre la aspettava, e vi salì.


Note Autrice:
Questa volta, mi paleso alla fine del capitolo, solo per dirvi che questo è un capitolo di passaggio, dunque, è un po' più corto degli altri.
Come al solito, ringrazio i lettori silenziosi e quelli che vorranno recensire.

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Capitolo 7
*** Guerra lampo ***


Capitolo 6 “Guerra Lampo”
 
Il giorno dopo era arrivata prima del solito ed aveva aspettato di proposito Elia; fortunatamente, anche lui era arrivato con anticipo rispetto ai suoi standard e, verso le 7:50 circa, lo aveva visto parcheggiare il suo 125 e scendere, sfilandosi il casco per liberare la chioma biondo oro. Memore di quello che si era ripromessa ieri, si avvicinò a lui e lo salutò, anche se poco convinta.
- Ehi… -
- Lab, buongiorno. - Le disse lui sorpreso: il sorriso canzonatorio era tornato a dipingergli le labbra, per fortuna. Se ne stava appoggiato con il fianco al 125, e la guardava con nonchalance, sistemandosi il ciuffo scompigliato per aver indossato il casco. Nonostante fosse piuttosto magro e non avesse chissà che fisico marmoreo, o il culo di Pascaldi, era un bel ragazzo doveva ammetterlo, almeno a sé stessa. In quei momenti capiva la povera Virginia…
- Come va? – gli disse.
- Come mai così gentile stamattina? -
- Senti, dobbiamo passare un mese al banco insieme, dovremmo almeno provare a sopportarci. -
- Non avevi detto che dovevamo ignorarci? -
- Forse è meglio, guarda…- rispose, esasperata. Non poteva dire di non averci provato; scosse la testa, infastidita, e fece per andarsene ma lui la chiamò:
- Lab… -
- Non chiamarmi così! E che cazzo, sai che lo odio…- si era girata di scatto e lo aveva fatto sussultare, prima di farlo ridere.
- Lo faccio apposta. – riuscì a rispondere tra una sghignazzata e l’altra.
Lei contò fino a dieci portandosi le mani tra i capelli per calmarsi e reprimere una rispostaccia: “ricordati della promessa, ricordati della promessa…”
- Dimmi. - rispose lei, alla fine con un sorriso tirato, che non aiutò Elia a smettere di ridacchiare.
- Vuoi fare un giro? - disse indicando il mezzo con un gesto del capo.
- Mia madre mi uccide! -
- Non vedo nessuna Mamma Lab qui! – e si guardava intorno, fingendo di cercare sua madre.
- Lei lo sente dentro! - rispose Ella ironica e lui alzò un angolino della bocca in un accenno di sorriso, poi la sorpassò e varcò l’ingresso della scuola. Ella lo rincorse, buttò la borsa sul banco e lo osservò sedersi; Elia ricambiò l’occhiata, interrogativo, provando ad alzare un sopracciglio come aveva visto fare a lei in precedenza, anche se non sapeva farlo. Lei, da parte sua, voleva approfittare del fatto che non ci fosse ancora nessuno per parlargli dei segni rossi che aveva visto sulla sua mano, e dei suoi occhi grandi e blu che avevano perso il loro solito tono canzonatorio e brillante (ma questo probabilmente non lo avrebbe detto per non perdere la dignità di fronte a mr. Arroganza). Credo che nessuno dei due saprebbe spiegarsi come e quando la discussione, che era iniziata con calma e pacatezza, si fosse trasformata in un’accozzaglia di insulti e gesti agitati.
- Sei tu che mi dici sempre che sono freddo e stronzo, cosa dovrebbe esserci di diverso, sentiamo? -
- Ti dico che in questi giorni sei Più stronzo e Più freddo del solito! -
- E mi spieghi che ti frega! -
- Mi frega perché sono costretta a sopportarti! -
- Avevamo detto di ignorarci, sei tu che ti accolli. -
- Scusa se sono preoccupata, brutto idiota! -
- Senti, io la tua pietà non la voglio; non hai niente di meglio da fare?! -
- Ma in effetti sono io la cretina che perde tanto tempo per te! -
- Bene allora se sono una perdita di tempo siediti e sta’ zitta. –
Ci fu un secondo in cui entrambi stettero, effettivamente, in silenzio, ma durò poco perché Ella, che aveva spalancato la bocca, pietrificata, all’improvviso sbottò:
- Sta zitta non me lo dice neanche mia madre, non ti permettere. – ma, questa volta, era stato lui a fare la vera sfuriata. Metteva quasi paura: il suo volto aveva assunto una luce sinistra e le parole gli uscirono dalla bocca con lentezza. Troppa lentezza.
- Mi hai rotto il cazzo Ella, davvero! – Aveva detto, alzando la voce e scandendo bene ogni sillaba.
L’aveva chiamata per nome, non era mai successo, e lei si era zittita davvero, anche questo non era mai successo. Forse, complice anche il fatto che lui si era avvicinato e le stava stringendo forte il polso. Le faceva male ma non protestò per non dargliela vinta; tuttavia, una smorfia di dolore le aveva fatto contrarre il volto e lui se n’era accorto: aveva allentato la presa ma non l’aveva lasciata. A quel punto era intervenuto Marco. Ella era così paralizzata che non l’aveva nemmeno visto entrare. Né lui né la metà della classe, che guardava la scena in silenzio. Marco aveva afferrato la mano di Elia e l’aveva staccata dal polso della ragazza, con violenza, mettendosi davanti a lei per guardare il biondo negli occhi: era molto più alto e metteva un certo timore in quel momento, anche se di solito era un innocuo, innocente imbranato. Un'altra persona avrebbe indietreggiato, di fronte alla stazza del moro e, probabilmente, anche chiesto scusa in fretta, ma Elia non era di certo il tipo che ammetteva gli errori, figuriamoci di fronte a mezza classe. E a Marco. Il ragazzo dagli occhi d’ambra disse, con tono freddo che non gli apparteneva:
- Datti una calmata, le hai fatto male, non vedi? -
- Marco sto bene, tranquillo. – si era intromessa Ella, ridestandosi dallo stato di trance in cui era caduta. Ma entrambi l’avevano ignorata, ormai era diventata una questione di orgoglio personale e lei detestava queste inutili manifestazioni di testosterone; tuttavia, non poteva negare che il fatto che Marco aveva preso le sue difese le avesse fatto piuttosto piacere. Elia, in tutto questo, non aveva risposto ma non aveva nemmeno abbassato la testa, anzi, era stato Marco a distogliere lo sguardo per primo e girare i tacchi per tornare al suo banco. Poi, anche il biondo si era seduto ed Ella aveva fatto lo stesso, aspettando in silenzio la Cocci che, per fortuna, stava facendo tardi. Elia sembrava un automa.
- Perché sei così diverso ultimamente? - Chiese Ella, dopo un paio di minuti dall’inizio della lezione, ma con voce sottile e incrinata dalla preoccupazione. Molte volte avevano discusso ma non c’era mai stata tanta violenza, non solo nei gesti ma anche nelle parole.
- E tu da quando mi osservi così tanto da capire che sono diverso? — Si era calmato, sussurrava per non farsi sentire dalla Cocci, che nel frattempo era arrivata ed aveva aperto il registro elettronico sul pc, e il suo tono nascondeva una punta di senso di colpa; probabilmente era preoccupato di averle fatto male, perché di tanto in tanto lanciava rapide occhiate al polso che le aveva stretto.
- Non è il momento di fare lo scemo. Rispondimi, dimmi che ti prende. -
- Non ho niente. -
- Non sono stupida. -
- Non ho mai detto questo. -
- Bene, allora dimmi che ti prende. -
- Dimmi perché vuoi saperlo. -
- Io…io no…curiosità, ok? -
- Bene allora se devi solo farti gli affari miei puoi evitare! - Di nuovo quella freddezza.
- Non volevo dire questo ma…-
- Smettila di rompere, ci stanno guardando tutti. Se mi fai beccare dalla Cocci mi arrabbio sul serio! -
- Stronzo… - borbottò lei, così piano che non credeva l’avesse sentita.
Elia sbuffò e si passò una mano tra i capelli in segno di frustrazione. Forse l’aveva sentita.
- È solo... una tua fissazione. – Aveva aggiunto lui, cercando di mettere fine all’interrogatorio di quella maledetta impicciona. Che, però, era l’unica ad essersi accorta della sua situazione.
Ad Ella non era sfuggito che lui si era morso la lingua, nascondeva qualcosa ma era stato quasi sul punto di aprirsi con lei. Decise di non continuare la conversazione, per il momento. Ma non smise di guardarlo anche se lui evitava di incrociare gli occhi nei suoi per paura che lei potesse leggervi tutta la tristezza. Anche in classe calò il silenzio, la professoressa stava spiegando storia e si sentivano solo le penne che sfregavano sui quaderni e la sua voce fastidiosa:
-  L'Operazione Barbarossa ebbe inizio il 22 giugno 1941 e rappresentò un'offensiva a sorpresa su vasta scala delle forze tedesche contro l'Unione Sovietica. Gli storici l’hanno definita “Guerra lampo”; termine che si riferisce alla strategia adottata dai tedeschi per cercare di ottenere una vittoria rapida e schiacciante, attaccando con forza e velocità prima che i sovietici potessero organizzare una difesa efficace. -
“Guerra lampo”. Ella trovava quel termine incredibilmente intrigante; un po’ le ricordava gli scontri verbali tra lei e il biondo: pungenti, violenti, che iniziavano velocemente e finivano con la stessa rapidità.
- Ma Hitler aveva sottostimato le lunghe distanze, le ampie aree da coprire e il clima rigido dell'inverno russo, che si rivelarono avversi per l'esercito tedesco, non abituato a queste condizioni. E fu così che la guerra lampo si trasformò in una lunga ed estenuante guerra di posizione… –
Anche loro, da un po’ di giorni rischiavano questo; da quando Elia aveva quei segni e quello sguardo si stavano logorando a vicenda e lui pareva la Germania. Il freddo lo stava divorando, e non aveva più le saette negli occhi, la luce divertita di quando si punzecchiavano i primi giorni. Mentre Ella rifletteva su questo, si accorse che sul suo quaderno c’era un biglietto: chissà da quanto era lì; aveva smesso di pendere appunti, persa nei suoi pensieri, e non se ne era accorta. Lo aprì e lo lesse.
- smettila di torturarti i capelli -
Forse lui l’aveva vista sovrappensiero e credeva che fosse ancora preoccupata per quello che gli era successo; in effetti, non aveva tutti i torti. Non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine dei suoi occhi spenti e delle nocche arrossate. Continuò a fissare il biglietto aperto, e poi lui, e poi il biglietto e poi di nuovo lui che, invece, aveva gli occhi persi nel vuoto davanti a sé; lo stomaco di Ella si strinse in una morsa quando notò che la mano di lui tremava leggermente e che stava ancora stringendo la penna con cui aveva scritto, sembrava volerla ridurre in cenere. Allora, si ricordò che non aveva risposto al biglietto e, soprattutto, che non sapeva cosa scrivere. Era vero, stava tormentando quei poveri capelli, che tra l’altro erano anche molto belli. Così mise il bigliettino nel suo astuccio e posò una mano sulla spalla di Elia, senza pensarci; lui, finalmente, si girò a guardarla e vide che lei gli stava sorridendo. Elia rimase serio, ma il suo sguardo sembrava più sereno, anche se di pochissimo. La mano di Ella si spostò sotto al banco e si poggiò sul ginocchio di lui. Elia, in silenzio, lasciò la penna sul banco e portò la mano destra a sfiorarle il polso che quella mattina le aveva afferrato con violenza, ma non si voltò più a guardarla. Si limitò a passare dal polso alla mano e a stringerla mentre lei gli accarezzava le nocche, come a voler alleviare il rossore e i graffi anche se ormai erano quasi del tutto spariti. Rimasero così per il resto della lezione e il pensiero che qualcuno potesse vederli non li sfiorò nemmeno. Solo il suono della campanella li fece sussultare. E poi accadde una cosa, se possibile, ancora più strana: erano passate ben due ore, la Cocci se n’era andata ma Elia era rimasto, non aveva cambiato posto, non era corso dal suo migliore amico all’ultimo banco. Era rimasto lì per l’ora successiva, con le dita incastrate a quelle di lei.
Dopo la terza ora, la campanella annunciò la ricreazione ed Elia sembrava stare decisamente meglio; Ella aveva capito quello che avrebbe dovuto fare fin dall’inizio per aiutarlo: stare in silenzio, fargli capire che era lì. Comportarsi da amica e non da pazza ossessionata dal conoscere ogni cosa.
- Ora mi sposto. - aveva detto lui, quasi a volerle chiedere il permesso.
- Ok, va bene. -
- Ah, dimenticavo…- rispose – domani porta Italiano, io non ho voglia. –
Lei si era limitata a sorridergli, uno dei suoi migliori, pericolosamente simile ai ghigni di lui, e gli aveva mostrato il dito medio, ovviamente.
- Sempre elegante, Lab! –
Ma la risposta di lei non era arrivata perché Marco le si era avvicinato, senza degnare il biondo di uno sguardo.  
- Come va il polso? -
- Bene, bene tranquillo. -
- È un cretino, sul serio, poteva farti male. -
- Sta passando un brutto momento, credo… -
- Sì, ma non è una scusa per far male alla gente. -
Le aveva preso la mano e gliela aveva stretta delicatamente;
- Sicura che non vuoi metterci un po’ di ghiaccio? Ti accompagno a prenderlo. -
- Non ce n’è bisogno, guarda non è nemmeno rosso. –
Era così strano sentire le dita di Marco nello stesso punto in cui, poco prima, si erano poggiate quelle di Elia. Non era fastidioso o sbagliato, ma nemmeno emozionante come credeva… era solo strano, soprattutto perché quelle del biondo erano più calde e più… delicate. Quelle di Marco, invece, erano ruvide in alcuni punti e molto, molto più grandi di quelle di Ella. Anche quelle di Elia erano grandi ma affusolate e sembrava come se si incastrassero… meglio.
- Hai delle mani minuscole! - aveva detto Marco, spezzando il silenzio e mettendo la mano a confronto con la sua.
- Non è vero! Sono le tue che sono troppo grandi! -
Ed avevano continuato a ridere finché Valerio, rompi scatole laureato con lode all’università del “non farsi i cazzi suoi”, non si era avvicinato ed aveva preso Marco per un braccio per fargli vedere chissà cosa.
Nel frattempo, anche Federica si era avvicinata, questa volta senza Carol; “Oh finalmente!” aveva pensato Ella.
- Allora, che aspetti a raccontarmi tutto? -
- Hai visto? Non pensi anche tu che tra noi ci sia una chimica pazzesca? -
- Sì, da morire! E chi se lo sarebbe mai aspettato eh… -
- Mi ha persino difesa da Elia; poverino, un po’ mi dispiace per lui, non voleva farmi male era solo nervoso e…-
- Oh, aspetta, tu parlavi di Marco? -
- E di chi sennò? -
- Quindi ti piace ancora? -
- Fede, scusa, hai fumato qualcosa, per caso? Ma l’hai visto bene?! Certo che mi piace ancora! -
- Oh, sì, sì certo scusami. -
- Fede…devi dirmi qualcosa? -
- No...nno… figurati è solo che…-
- Ah, senti sai che ti dico, non importa! Vieni, devo raccontarti bene cosa è successo. -
E si allontanarono dal banco, a braccetto, come due vecchiette di paese, per parlare con più calma. Federica sembrava strana e agitata: continuava a guardare Betta con aria sospettosa ed Ella se n’era accorta da un po’ di minuti; ma, per una volta nella vita, voleva smetterla di pensare alle ansie degli altri e concentrarsi sulle sue gioie. Aveva capito, da tutta la faccenda di Elia, che la cosa migliore era non fare troppa pressione e attendere che le cose si sistemassero da sole; è vero, ancora non aveva scoperto cosa gli fosse successo, ma d’altronde con lui non aveva lo stesso rapporto che aveva con Federica, era sicura che lei le avrebbe raccontato cosa la turbava di sua spontanea volontà. Magari fra qualche giorno.


Note Autrice:
Stiamo entrando un po' più nel vivo della storia, spero vi stia piacendo. In questa prima parte, ambientata al terzo anno, tutti i personaggi sono molto infantili; molte motivazioni ai loro comportamenti sembreranno sciocche o prive di alcun senso logico... non so voi, ma io al terzo anno di liceo ragionavo più o meno così, anzi, non ragionavo affatto. Vorrei che questa piccola dose di immaturità, di sentirsi grandi pur avendo ancora molto da imparare trasparisse dai personaggi, soprattutto da Elia e, ancora di più da Ella.

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Capitolo 8
*** Tregua ***


Note Autrice:
Questo capitolo è quasi interamente dal punto di vista di Elia, spero vi divertiate a scavare un po' nella sua mente. Premetto che io stessa non sono mai riuscita a capire cosa gli passava per la testa; ho fatto fatica a scrivere questo capitolo cercando di regalarvi un nuovo punto di vista, per certi aspetti simile a quello di Ella, per altri molto diverso. Buona lettura




Capitolo 7 “Tregua”
 
Quella ragazza è strana. Era stata la prima cosa che aveva pensato vedendola! Sembrava una bambina, dimostrava almeno tre anni in meno di quelli che aveva; sarà stata colpa del viso tondo e degli occhi piccoli piccoli, eppure, quando si innervosiva, sembrava una furia: faceva piuttosto ridere perché era così bassa che non avrebbe spaventato nemmeno un insetto ma gli teneva testa. Oh, se lo faceva! Si era divertito a stuzzicarla fin dalla prima rispostaccia di lei e per questo la odiava anche; perché non passava giorno che lui non cercasse un nuovo modo per darle fastidio, stava diventando un lavoro! Ultimamente, poi, l’aveva odiata anche per un altro motivo: da quando lei aveva visto la sua mano rossa e graffiata non lo aveva lasciato in pace; erano finiti anche al banco insieme e Dio solo sapeva quanto la cosa lo facesse ridere e sclerare al tempo stesso. Poi lei gli aveva accarezzato il ginocchio e stretto le dita piccole con le sue bianchissime ed aveva finalmente capito che lei era sinceramente preoccupata, non voleva ferirlo, voleva aiutarlo. Perché era lecito pensare, almeno all’inizio, che lei volesse sapere tutto per pura curiosità o semplicemente per prenderlo in giro; in fondo lei non era sua amica, ma lo aveva stupito comportandosi come tale. Aveva pensato, all’inizio che lei fosse tale e quale a lui; aveva scoperto, alla fine, che non potevano essere più diversi: Ella La Baldi aveva un cuore. Elia Colaci no.
Con questi pensieri in testa aveva infilato il casco, in un vano tentativo di soffocarli; era salito sul suo 125 ed era arrivato, in pochi minuti, davanti al cancello. Solo cinque minuti in ritardo, stavolta; poteva andarne fiero! Era entrato e si era messo all’ultimo banco accanto a Filippo perché c’era matematica; la compagna di banco del suo amico, Elena, conosceva le regole e, infatti, era già seduta accanto a Lab. Avrebbero ripreso i posti dell’estrazione soltanto dopo la ricreazione per le due ore di italiano; chissà se lei aveva portato il libro…
- Fra’ tutto a posto? Stai fissando il vuoto! –
- Eh?! Ah, sì sì tutto ok, ora mi siedo; mi sto sistemando. –
- Sicuro che è tutto ok? Sei strano ultimamente… è per la storia di La Baldi? Davvero è così stressante averla al banco? –
- No, Lab non c’entra. Cose mie. -
- Ok, senti per la gita facciamo gruppo noi maschi, va bene? –
- C’è anche l’idiota? –
- Fino a prova contraria, anche Marco è un maschio. –
- Purtroppo… comunque ok. -
 
Non ci aveva capito molto della lezione, non perché non fosse bravo in matematica, anzi, era uno dei pochi che riusciva ancora a prendere una sufficienza in quella classe di scemi; semplicemente non aveva voglia di guardare la lavagna: la mosca che gli girava attorno da tutta la lezione era decisamente più interessante. Se solo non ci fosse stata la professoressa l’avrebbe schiacciata con il suo astuccio! Per ora, si limitava a fissarla e sorrise quando vide che era andata ad infastidire Marco: non sopportava le persone finte e lui puzzava di falso da lontano un chilometro. Non riusciva a capire perché tante ragazze fossero cotte di lui; poteva capire quelle attratte da Leo ma Marco, non aveva il minimo senso dell’umorismo, non era particolarmente brillante e per di più fingeva di essere gentile. Ed Elia sembrava essere l’unico ad averlo visto attraverso la maschera. Era contento che la mosca lo stesse punzecchiando, sperava che gli si infilasse nel naso; probabilmente, cretino com’era, se la sarebbe pure mangiata. Finalmente la campanella era suonata, quella noia mortale della professoressa aveva finito di parlare ed anche la mosca si era dileguata, dalla finestra; era riuscita a non farsi divorare da Marco, poteva ritenersi fortunata! Nel frattempo, lui aveva afferrato il quaderno e lo zaino e si era spostato accanto ad Ella; aveva quasi dimenticato l’immagine di lei che gli sorrideva e gli leggeva dentro.
- Prima che tu me lo chieda, Principino, ho portato italiano! – Aveva detto lei, scherzando.
- Siamo di buon umore eh, Lab!? –
- Sei riuscito a rovinarmelo il buon umore. Perché mi chiami così non lo capirò mai! –
- Preferisci che ti chiami “cucciola”? – e mentre le rispondeva, sorridendo sornione, si sedette accanto a lei.
- Sei sempre il solito… - aveva borbottato imbarazzata. Wow, era riuscito a trovare un soprannome peggiore di Lab, doveva appuntarselo a mente! Li avrebbe usati, alternandoli, per il resto della loro carriera scolastica.
Quando la prof era entrata aveva subito iniziato a spiegare; perciò, Ella aveva aperto il libro e lo aveva messo al centro.
- Va bene così? – gli aveva sussurrato. Lui aveva fatto un cenno di assenso senza staccare gli occhi dalla pagina, aveva il timore che se li avesse alzati avrebbe incontrato i pozzi neri di lei; non sapeva perché ma aveva la sensazione che quella domanda non si riferisse solo alla posizione del libro. Ultimamente lei sembrava riuscire a tradurre i suoi pensieri come faceva con quelle poesie che sembravano scritte in arabo. La letteratura doveva piacerle parecchio, si vedeva dal sorriso che le spuntava ogni volta che aveva davanti un testo; più di una volta l’aveva vista in cortile, seduta a terra o su qualche muretto, da sola a leggere un vecchio libro di poesie di Trilussa (che aveva scoperto essere un autore di poesie in romanesco). Peccato che la professoressa ce l’avesse un po’ con lei ma, nonostante questo, non si poteva negare che lei fosse piuttosto brava in quella materia ed anche la Cocci era costretta a metterle voti alti; in ogni caso non l’aveva guardata ma non aveva resistito all’idea di stuzzicarla, anche oggi. Aveva afferrato una matita dall’astuccio ed aveva iniziato ad imbrattare le pagine del libro con disegni osceni.
- Non riesci a stare fermo? – gli aveva detto cercando la gomma per cancellare quella roba.
- Ti sto solo decorando il libro! –
- Devi smetterla con i tuoi decori, anzi… -
- Abbassa la voce! –
- … Anzi, che cosa hai scritto sul mio diario? Non ho trovato niente. –
- Ehh, sapessi… -
Allora lei, di rimando, aveva preso il diario di lui; avrebbe recuperato gli appunti della lezione da Federica, ora voleva divertirsi un po’.
- Mi fai una dedica, Lab? So che mi ami ma non è il caso di ammetterlo così presto! Pensavo avresti resistito almeno un anno.
- Smettila, non sei il mio tipo. –
- Ah sì? E come sarebbe il tuo tipo? –
- Questa domanda mi viene fatta spesso, ultimamente… – disse più a sé stessa che a lui.
- Da chi? –
- Da sto’ cazzo! –
- Volgare. –
- Disse quello che mi ha riempito il libro di peni! –
Si guardarono negli occhi e per poco non scoppiarono a ridere! Sembravano due vecchi amici. Sembrava che non si odiassero. Sembrava che andasse tutto bene.
- E poi scusa – continuò lei, cercando di cambiare argomento per non ridere – Tu non dici mai parolacce? –
- Mi hai mai sentito dirne una? –
- Ogni tanto dici “Cazzo”. –
- Sì, ma tu ne metti una in ogni frase… -
- Moro con gli occhi scuri, alto. –
- Che? –
- Il mio tipo ideale. –
- Bel fisico? –
- Ovvio! –
- Tutte uguali voi ragazze. –
- Se avessimo tutte gli stessi gusti tu non saresti pieno di ragazze che ti vanno dietro! –
- E tu che ne sai? –
- Osservo… –
- Dimmene una. –
- Virginia –
- Come lo sai? Ah, aspetta, la storia dello schiaffo, vero? –
- Esatto. –
- Beh, cosa stai scrivendo sul mio diario? Fammi vedere! –
- Aspetta devo finire, non sbirciare! –
- Dai, fammi vedere! –
- Un attimo, ecco… ecco… taaa daaan!
La pagina dedicata a sabato e domenica era stata interamente riempita con un disegno, orribile per la cronaca, di due omini stilizzati seduti vicini al baco; entrambi avevano una nuvoletta accanto alle teste, come se fossero personaggi di un fumetto: nella prima vi era una lunga lista di parolacce ed insulti, nella seconda, una sola parolaccia scritta a caratteri cubitali. I due omini, uno con i capelli dritti in alto e l’altra con i capelli lunghi rappresentati da due righe, avevano sul viso due grossi sorrisi: non sembrava stessero litigando.
- Siamo noi! E… io dico solo “Cazzo”! – aveva detto lui, trattenendo una risata, per la seconda volta. Trattenersi stava diventando un’impresa.
- Aspetta, manca la firma! – rispose lei riprendendosi il diario. – E comunque sei stato tu a dire che non dici altre parolacce, oltre a quella! -
- Perché volevi sapere a tutti i costi cosa avessi fatto? –
La domanda di Elia la spiazzò non poco, davvero non se lo aspettava.
- Mi dispiace, non dovevo impicciarmi…- disse lei, restituendogli il diario ed iniziando a sistemarsi nervosamente i capelli davanti al viso tondo.
- Perché? – insistette lui, ma il suo sguardo ed il suo tono non erano aggressivi, questa volta.
- Ero preoccupata. – rispose lei, poi aggiunse:
- Non ti conosco, ma penso che un po’ ci somigliamo e io divento così quando un brutto pensiero mi mangia il cervello. –
Era calato il silenzio, ma non era il solito silenzio freddo o imbarazzante. Sembrava che entrambi stessero pensando. Ella, in particolare, ripercorreva nella mente la suddetta scena dello schiaffo:
era accaduto tutto così in fretta, quel giorno, che poche persone, oltre a lei avevano ricollegato tutti i fili di quella assurda faccenda, prima che si spargesse la voce come una macchia d’olio; Elia aveva fatto il suo ingresso, dopo la ricreazione, con l’impronta di cinque dita sottili su una guancia. Ella aveva trattenuto una risata e si era precipitata nel corridoio per vedere chi fosse l’artefice di quell’opera d’arte; il corridoio era deserto ma, poco prima che svoltasse l’angolo delle scale, aveva intravisto le curve prosperose della bella Virginia ed aveva fatto due più due. Lei ed Elia erano conosciuti un po’ come “la coppia tira e molla”, nel senso che lui ci andava a letto e lei, innamorata qual era, ci cascava sempre. Quella volta, però, sembrava aver messo un punto a quella storia: sotto forma di uno schiaffo ben assestato. Nel frattempo, anche Elia pensava a chissà cosa e, prima che la campanella fosse suonata, aveva strappato un pezzo di carta dal suo diario, ci aveva scritto qualcosa sopra, lo aveva lanciato sul banco di Ella, poi si era alzato per tornare accanto a Filippo, senza aspettare che lei lo aprisse e lo leggesse.
“Caffè” c’era scritto.
Perché diavolo doveva parlare sempre per enigmi? Non poteva scrivere “Vediamoci alla macchinetta a ricreazione?”
No, ovviamente lui doveva fare il misterioso… ma che gli diceva la testa? Lei avrebbe capito cosa intendeva?
Ella non era una cretina, anche se gli dava l’impressione di essere molto ingenua su certi argomenti, anche se tentava di far percepire il contrario; fatto sta che aveva recepito il messaggio e, qualche minuto dopo l’inizio della ricreazione, l’aveva trovata lì, davanti alla macchinetta, con i piedi in una strana posizione di danza che doveva essere la terza o la quinta… una volta l’aveva sentita spiegare la differenza a qualche compagna curiosa, ma non se lo ricordava bene. Stringeva già il bicchiere con le dita e teneva persino il mignolo alzato: così dannatamente “ballerina classica”.
- Hai vinto, Lab - aveva esordito lui.
- Mi hai talmente assillato che ho deciso di raccontarti quello che mi “mangia il cervello”, per citare te. –
- Elia davvero, se non te la senti non devi… –
- Smettila prima che cambio idea! –
- Caffè? – aveva detto lei porgendogli il bicchierino.
- No grazie, anzi, meglio spostarci. Vieni! –
- Dove dobbiamo andare? La ricreazione non durerà in eterno. –
- Ci vorrà meno di dieci minuti se la smetti di parlare e ti muovi! -
Elia allungò il passo ed Ella, dopo essersi scolata il caffè tutto di un fiato, bruciandosi anche la lingua, si affrettò a seguirlo. La ragazza, che non era di certo una grande sportiva, faceva fatica a mantenere il suo ritmo; qualche minuto dopo e con un po’ di affanno da parte sua erano arrivati al terzo piano della scuola. Elia continuava a condurla chissà dove e lei lo seguiva in silenzio, cercando di controllare il fiatone. “Ma non era una ballerina?!” pensava il biondo, scuotendo la testa e voltandosi di tanto in tanto a controllare che lei fosse ancora dietro di lui. Ella, da parte sua, arrancava ma non si fermava: era curiosa di sapere dove stessero andando e soprattutto cosa aveva portato il biondo a farsi quei graffi sulla mano. E cosa avesse contribuito a spegnere la luce nei suoi occhi d’oceano. Distratta da questi pensieri ed occupata a fissarsi i piedi per non inciampare, non si era accorta di dove fosse; quando finalmente lui parlò, rompendo il silenzio, alzò lo sguardo e vide dove si trovava: un piccolo stanzino, di cui non sapeva l’esistenza, pieno di scope e altri attrezzi abbandonati. Elia aprì un’altra porticina semi nascosta da un piccolo armadietto e solo allora la ragazza capì veramente dove fossero: l’aveva portata sul tetto della scuola. Ella voleva davvero lamentarsi e dire al biondo che gli restavano solo sette minuti prima del suono della campanella, ma le parole non le uscivano di bocca davanti a quello spettacolo. Lassù, all’aria aperta, sembrava tutto così meraviglioso… e strano. La scuola non era una struttura esageratamente alta e la giornata era la classica uggiosa, rischio pioggia di novembre, per questo non c’era un gran panorama. Quel punto, però, era sgombro di edifici e lasciava intravedere l’orizzonte, nonostante la foschia; Ella pensò che valesse la pena tornarci verso il mese di giugno, magari al tramonto… sarebbe stato anche piuttosto romantico, o comunque un bel posto per scrivere poesie in solitaria e cercare l’ispirazione per qualche racconto. Elia, non guardava il panorama che ormai conosceva a memoria, fissava la ragazza minuta accanto a lui e sorrise beffardo notando lo stupore nei suoi occhi: bastava così poco per farla tacere? Doveva tenerlo a mente. Poi si sedette a terra e lei lo imitò. Faceva un po’ freddo, non avevano portato la giacca. Lui si strinse nelle spalle per scaldarsi e iniziò a parlare, guardando un punto indefinito davanti a sé; il ghigno gli aveva lasciato il volto ed era stato sostituito da un’espressione neutra e dura.
- Non aspettarti chissà quale storia strappalacrime. O qualche situazione strana e difficile da spiegare. – la guardò in attesa di una risposta che non arrivò, allora riprese:
- I miei si stanno separando. È da quasi un anno che hanno avviato la pratica ed io l’ho scoperto solo ora, per sbaglio, perché ho sentito mio padre che parlava con la sua nuova compagna; di cui, ovviamente, non ero a conoscenza. Non mi dà fastidio il fatto che si separino, almeno non più di tanto, me lo aspettavo, litigano da anni ormai e non ne posso più di vederli a casa guardarsi in cagnesco. Però, che ne so, mi aspettavo che mi ritenessero abbastanza maturo da esserne informato; se non della compagna almeno delle pratiche di divorzio. Così quando ho assistito alla conversazione mi sono innervosito, sono tornato in camera senza farmi sentire, ho dato un cazzotto al muro e… ho iniziato a piangere. –
Ella non aveva parlato ma gli aveva preso la mano tra le sue, stringendola per tutto il racconto; nonostante il freddo, le mani di lui erano inspiegabilmente calde e lei si ritrovò a pensare, con le dita ancora una volta incastrate a quelle di lui, che fossero compatibili, le loro mani; più di quanto lo fossero con quelle di Marco. Poi, rendendosi conto che la confessione di Elia era terminata, Ella parlò:
- Mi dispiace. – aveva sussurrato talmente piano che, se non fossero stati completamente soli, non l’avrebbe sentita. Poi aveva alzato un po’ più il tono ed aveva aggiunto:
- Per quel che vale, tu sei molto maturo!
Lui si era girato a guardarla tra il divertito e lo stupito.
- Seria? –
- Ok, forse non sempre e non in tutte le occasioni. A volte sei così infantile…-
- Ehi! –
- …Ma devo dire che in questa occasione sei stato maturo. –
Lui, che aveva ancora il viso rivolto verso di lei, portò la mano libera a coprirsi il viso e disse, con tono così basso che era difficile sentire bene tutte le parole:
- In che modo un ragazzo che piange e si fa male da solo sarebbe maturo? –
Era stata lei, poi, a togliergli la mano dal viso, scoprendo la sua espressione ed i suoi occhi velati di vergogna; poi gli aveva sfiorato la guancia con il dorso della mano, in una carezza imbarazzata. Era così fragile che aveva paura di romperlo, sembrava fatto di porcellana.
- Andiamo, sai cosa intendo. Non hai fatto pesare la cosa ai tuoi genitori e scommetto che loro non sanno che tu sai. –
- Non lo sanno. –
- Vedi. Lo sapevo. –
- Non pensare di conoscermi! –
- Non mi permetterei mai, Vostra Arroganza! – aveva detto, cercando di assumere un tono pomposo e canzonatorio. Doveva spezzare quella tensione e fargli tornare il sorriso. Quegli occhi erano stati spenti per troppo tempo.
- Scema! – le aveva risposto lui, dandole un buffetto sul braccio coperto dal maglione rosa.
- Coglione! – aveva sbottato cambiando improvvisamente espressione e guardando l’orario sul cellulare.
- La campanella è suonata da tre minuti e noi siamo ancora qui! Muoviti, alza il culo! –
Gli afferrò la mano e lo tirò a sé nel tentativo di alzarlo in piedi; lui finì con il viso contro il suo petto. Lo allontanò con una piccola spinta e gli afferrò la manica della felpa grigia, tirandolo verso la porticina. Scesero le scale di corsa, attraversando i corridoi e per poco non inciamparono l’uno sui piedi dell’altra. Entrarono in classe con il fiatone e si accorsero che tutti li stavano guardando. In effetti, erano piuttosto strani e goffi in quel momento, con il respiro mozzato e maglione e felpa stropicciati.
- Il prof? – domandò Elia, cercando di mantenere un’espressione noncurante per evitare l’imbarazzo di quel siparietto. Ella ancora stringeva la manica della sua felpa. Piccola sciocca.
- Ora di buco! – disse Federica fissando Ella con sguardo interrogativo e… malizioso?
- Bene! – rispose lei, lasciando, finalmente, la povera manica ed avvicinandosi alla sedia libera accanto a Federica. – Ho corso per niente. –
- Tu ora ti siedi e mi spieghi cosa ci facevi con Elia e soprattutto dove diavolo eravate… – sussurrò Federica, inumidendosi le labbra come faceva sempre quando stava per pregustare un pettegolezzo, mentre il resto della classe, per fortuna, sembrava aver già dimenticato il loro teatrale ingresso. Solo Marco, si accorse Ella, guardava Elia interrogativo. Aveva una strana luce negli occhi… che fosse… gelosia? La ragazza sorrise e l’amica pensò, ingenuamente, che quel sorriso fosse per il biondo così le sussurrò:
 - Oh, mamma, non dirmi che vi siete baciati? Avete fatto roba nel bagno? Questo spiegherebbe i vostri vestiti stropicciati. Oh. Mio. Dio. Ella… non pensavo che avresti perso la verginità nei bagni della scuola! –
- Smettila di dire stronzate! Non eravamo in bagno e non abbiamo fatto sesso… stiamo parlando di Elia non di… chi sai tu. – rispose imbarazzata. Fantastico, ora il pensiero di lei e Marco che lo facevano le annebbiava la vista e le impediva di ragionare.
- Allora devi darmi un’ottima spiegazione per la vostra assenza e i vostri vestiti e…ma che hai fatto ai capelli? Sono tutti scompigliati! –
- C’era vento, eravamo sul tetto. – disse, come se fosse la cosa più normale e logica del mondo e senza smettere di fissare Marco, notando che si era avvicinato al biondo e stavano parlando… cavolo forse gli stava chiedendo dove fossero stati lei ed Elia!
- Beh, che aspetti? Continua a raccontare. Che facevate sul tetto se non…? –
- Parlavamo. – disse sbrigativa, cercando di ascoltare qualche frammento della conversazione tra i due ragazzi.
- Più dettagli, avanti! E smettila di fissarlo, così lo consumi! –
- Guarda che sto fissando Marco… non vedi che sta parlando con Elia! Voglio sentire cosa gli sta chiedendo. –
- E io voglio sapere cosa vi siete detti. Siete spariti per tutta la ricreazione, santo cielo! Avete un’intera classe che sparlerà di voi…vi conviene raccontare una storia convincente.
- Sei impossibile quando ti ci metti. Mi ha raccontato una cosa…personale. Non so se posso dirlo, magari non vuole. Ultimamente non era in sé e gliel’ho fatto notare così tante volte che, alla fine, per farmi stare zitta, credo, ha deciso di raccontarmi tutto. E ora taci perché non ti dirò altro! –
- Stai conoscendo meglio Elia…-
- Si potrebbe dire così. – Disse, sperando che, appoggiando le sue osservazioni, avrebbe messo fine a quella conversazione. Ma Federica continuava ad insistere su quel fronte:
- Quindi… un po’ ti stai scordando di Marco? No?
- Mi spieghi perché non vuoi che mi piaccia lui? Se piace anche a te puoi dirmelo anche se ne dubito visto come sbavi davanti a Leo.
- No, figurati non mi piace Marco. E sono contenta che ti piaccia, non c’è niente di strano sotto. –
Eppure, Ella continuava ad avere la sensazione che Federica le stesse nascondendo qualcosa, e questo qualcosa, in qualche modo, c’entrava con Betta. Ne era sicura! Avrebbe sicuramente indagato.
Finalmente la sua amica aveva smesso di parlare ma, purtroppo, anche Marco ed Elia avevano fatto lo stesso; il primo era tornato al suo posto e il secondo non era proprio in aula. Nemmeno Filippo c’era: forse anche lui stava facendo il quarto grado al suo amico. Era tentata ad andare dalla sua crush a chiedere spiegazioni ma con quale scusa? In quel momento, e su questo forse Federica aveva ragione, aveva più confidenza con il biondo che con lui. Se solo fossero capitati al banco insieme…maledizione.
Terminata l’ora di buco e le successive lezioni, si alzò dalla sedia e, dopo aver sistemato i libri nella borsa, salutò la compagna di banco e si avviò verso l’uscita. Urtò accidentalmente contro Marco e gli sorrise, scusandosi; lui le sorrise di rimando e prese a camminare accanto a lei fino al cancello.
- Dove siete spariti tu ed Elia? – La domanda, così a bruciapelo, la fece sussultare. Decise di non raccontargli la stessa versione che aveva raccontato a Federica; si limitò a dire che stavano provando a parlare in modo civile, tralasciando il fatto che erano sul tetto e che lei lo avesse visto strano in questi ultimi giorni.
- Ah, sì, mi ha detto che eravate in cortile. Non avevate freddo? Siete usciti senza giacca.
- Sì, un po’… – aveva fatto bene a non precisare il luogo, oppure le versioni non avrebbero combaciato e sarebbe stato sospetto!
- E… se posso chiedere, di cosa avete parlato? –
- Lui cosa ti ha detto? –
- “Fatti gli affari tuoi” … ahahahah sempre molto simpatico, non trovi? –
- È fatto così. Sei sicuro che non abbia detto “cazzi tuoi”? –
- Sicuro, ha detto “affari”. Elia raramente dice parolacce… - “Ma guarda un po’… allora è vero!” pensò Ella.
- Quindi… che vi siete detti? – insistette Marco, fissandola. Ora, non che lei volesse difendere Elia, figuriamoci! Ma non riusciva davvero a capire perché i loro affari dovessero essere per forza di dominio pubblico. Per questo aveva risposto un po’ fredda. Anche se era stato Marco a chiederlo; anche se potenzialmente quella poteva essere una scenata di gelosia in piena regola. O, comunque, ci si avvicinava.
Vedendo che lui continuava a guardarla, intuì che stava aspettando una risposta; perciò, si affrettò a pensarne una: non voleva raccontare i problemi di Elia, ma non voleva nemmeno far credere a Marco che lei avesse cercato una scusa qualsiasi per parlare con il biondo. Eppure, le soluzioni possibili erano solo due; dire la verità e mettere il biondo in una posizione scomoda o mentire ed ingigantire il sospetto che a lei potesse piacere Elia, di fronte a Marco? Alla fine, con un sospiro rassegnato, prese una decisione e rispose:
- Ho bisogno di aiuto in matematica. Gli ho chiesto se, qualche volta, potesse darmi una mano. In cambio potrei passargli italiano. – Cercò di apparire più naturale possibile, ma quella sembrava davvero una scusa inventata su due piedi, di quelle che usi proprio last minute per cercare di nascondere il fatto che qualcuno ti piace. E la cosa ironica è che stava utilizzando questa scusa davanti al ragazzo che, davvero, le piaceva. Ma non avrebbe mai spifferato ai quattro venti qualcosa di così intimo; per quanto Marco fosse gentile, non era sicura che sarebbe stato in grado di tenerselo per sé. Stupido Elia e maledetta la sua curiosità: se non si fosse impicciata, niente di tutto questo sarebbe successo. Non avrebbe mai parlato con il biondo. Non sarebbe stata costretta a mentire. Non sarebbe mai stata sul tetto della scuola, con quel panorama strano ma poetico. Le parole di Marco la ridestarono dalle sue riflessioni:
- Quindi si trattava solo di questo, eh? –
- Di cosa sennò? -
- Oh, nulla figurati! –
- Io non capisco davvero – iniziava a perdere la pazienza – perché vi stupite se parlo con un mio compagno di classe, qualunque sia l’argomento. Non capisco perché dovete sempre leggerci sotto un secondo fine! Non avete niente di meglio da fare?
Sapeva che questa sfuriata non avrebbe fatto altro che alimentare i sospetti, per una cotta poi, che nemmeno esisteva, ma si sentiva davvero infastidita dall’atteggiamento di Marco e Federica. E non osava immaginare come potesse essersi sentito Elia, che, povero, aveva già abbastanza pensieri per la testa. Marco si accorse che si era offesa (d’altronde non era difficile capirlo) e la strinse a sé. Ella perse un paio di battiti, avvolta da quel calore.
- Hai ragione, scusami – e continuò – mi dispiace, mi sono comportato da stupido per pura curiosità; è che, tutti hanno notato la vostra assenza, in questa classe ci si annoia e cercavamo disperatamente un po’ di gossip. –  disse, grattandosi la testa con le mani e sfoggiando un sorriso innocente. Ella si sciolse.
- Mi dispiace davvero, cucciola! – Ella strinse gli occhi, innervosita da quel soprannome; avrebbe fatto un discorso perfetto se solo non fosse stato per quell’ultima parola, buttata lì, senza alcun senso. Si calmò solo perché si rese conto di essere ancora avvolta tra le sue braccia.
- È tutto ok, scusa se ho sbroccato; è che non sei il primo che viene a chiedermi dettagli. Stavo solo parlando con un compagno. Gli serviva aiuto… cioè MI serviva aiuto! -
- Tranquilla, capisco, può essere pesante. –
- Già… - rispose mentre le braccia di lui, piano piano, la lasciavano libera di riprendere a respirare, e la sua figura si faceva sempre più piccola mentre agitava la mano per salutarla e le mandava un bacio volante.

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Capitolo 9
*** Bomba ***


Capitolo 8 “Bomba”
 
La sua giornata era iniziata col botto, quella mattina! Era il 30 novembre e i suoi genitori l’avevano svegliata facendole gli auguri, con tanto di colazione al letto. Poi si era preparata per la scuola: era di buon umore, perciò, visto che era anche il suo giorno speciale, si era truccata (un po’ di mascara e un rossetto neutro) e si era vestita in modo più carino; aveva messo un jeans bianco e una maglia a maniche lunghe nera e aderente, sopra aveva indossato un maglioncino corto, che non copriva del tutto la maglietta, anch’esso aderente e nero. All’ultimo minuto, si era ricordata di indossare un bracciale argentato con la sua iniziale fatta di piccoli Swarovski, che le avevano regalato le sue cugine preferite lo scorso anno. Aveva anche provato ad acconciare i capelli lunghi e lisci ma con scarsi risultati: qualsiasi tipo di treccia o coda le durava meno di tre secondi da quanto erano fini; anche quando per danza doveva farsi lo chignon, era costretta a riempirlo di lacca e forcine per farlo stare fermo ed evitare che si sciogliesse tutto.
Era entrata in aula canticchiando allegra, pronta a ricevere i primi auguri, anche se la voce che fosse il suo compleanno non si era ancora sparsa, Federica non era arrivata e nessun altro, oltre a lei, lo sapeva. Era arrivata qualche minuto più tardi e, anche se la prof ancora non c’era e mancavano circa quattro minuti al suono della campana, lo zaino di Elia era già posizionato sulla sedia accanto a quella di Ella, segno che lui era già arrivato. Ma non era in aula. Si sedette ed iniziò a tirar fuori il quaderno di letteratura con il libro e l’astuccio e si accorse che sul suo banco, attaccato con un pezzettino di scotch, c’era un biglietto grande più o meno quanto una pagina di diario, piegato a metà. Non sapeva se prenderlo o no, dopotutto non sapeva di chi fosse… anche se era in bella vista sul suo banco, nel lato dove lei sedeva. Cominciò a mordicchiarsi le labbra e a pensare “Solo una sbirciatina, lo apro, lo leggo e lo riattacco”; mentre allungava la mano per afferrarlo, continuando a torturarsi il labbro inferiore con i denti, una voce divertita la fece sobbalzare.
- Impicciona! Sapevo che non avresti resistito! –
- Cretino, mi hai fatto prendere un colpo! – imprecò, consapevole di essere stata colta sul fatto ed incrociando rapidamente le braccia al petto.
- Non cerchi nemmeno di giustificarti? Sei davvero assurda. – Disse Elia sedendosi accanto a lei e mettendole un braccio attorno alle spalle. Poi la guardò e scosse la testa, fece per dire qualcosa ma si trattenne e spostò gli occhi sul bracciale che brillava sul polso di lei, indicandolo.
- Regalo del fidanzato? –
- No, delle mie cugine. –
- Ero ironico, Lab. So che non hai un ragazzo! –
-  E chi te lo dice? –
- Lascia stare, non voglio offenderti proprio oggi. –
- Che significa? Avanti? –
- Vuoi iniziare a litigare di prima mattina? Hai già dimenticato il biglietto? Avanti aprilo, è per te! –
- Certo che è per me, era sul mio banco. Genio. –
- Vedi, a far del bene cosa ricevi… -
- Tsk… - sbuffò lei staccando la carta dal banco cercando di non romperla; era davvero curiosa di scoprire cosa ci fosse dentro anche se, probabilmente, era qualcosa di simile ad un enorme pene visto che il mittente era Elia. Lo aprì e rimase sorpresa.
- Io… non so che dire, davvero! Ma come facevi a saperlo? –
- L’ho letto sul tuo diario, qualcuno, che spero vivamente non sia tu perché sarebbe deprimente, ha scritto “Auguri Ella” sulla pagina di oggi. –
- È stata FEDERICA, non sono così disperata…-
Disse la ragazza, con un tenero broncio in volto, ripiegando con cura il biglietto, non prima di averlo osservato di nuovo: non era un disegno ben eseguito, evidentemente anche Elia, come lei, non era un artista; c’era un’enorme torta di compleanno con tanto di candeline con scritto “Auguri LAB”. Soprannome odioso a parte, era un gesto piuttosto carino.
- Sei stato l’unico della classe a farmi gli auguri, sai? – il suo sguardo si era fatto dolce e pieno di gratitudine.
- In realtà non ti ho ancora detto nulla, non sei nemmeno sicura che il biglietto sia da parte mia…- disse ironico.
- Oh, giusto, non è firmato. Potrebbe averlo mandato chiunque! Sei solo l’unico idiota che mi chiama Lab…–
- Esatto, quindi, tecnicamente, non ti ho ancora augurato buon compleanno. – le disse, fissandola languido. Aveva in mente qualcosa.
- Attendo, allora ahahahah. –
Si avvicinò al suo orecchio, stringendola di più a sé con il braccio che ancora non aveva abbandonato la sua spalla e modulò la sua voce nel tono più sensuale che conosceva:
- Buon compleanno, cucciola! –
Lei non aveva protestato per lo sgradevole soprannome, aveva solo sentito un brivido e non era del tutto convinta che fosse disgusto; per rompere la tensione, e sia chiaro solo per questo, gli diede un bacio sulla guancia. Poggiò le sue labbra carnose sulla pelle bianca di lui e gli lasciò un lieve segno di rossetto che si apprestò a cancellare con due dita, scusandosi.
- Per il rossetto… o per il bacio? – disse lui malizioso. Aveva percepito l’imbarazzo di lei fin da quando aveva accorciato le distanze e, quando la vedeva così, non riusciva proprio a non stuzzicarla.
- Smettila, sei un cretino!
La campanella sovrastò le parole di lei ma Elia era così vicino che le aveva udite perfettamente; si sistemò il ciuffo e si staccò da lei, mettendosi a sedere in modo più composto.
- Spero tu abbia portato italiano perché io non ce l’ho. –
- E quando mai… - rispose lei, piccata ma in fondo, molto in fondo, ancora grata per il biglietto e… gli auguri, singolari, per così dire. D’altronde, c’era almeno un centinaio di ragazze nella scuola che avrebbe pagato per essere al suo posto in quel momento.
La prima ora trascorse senza ulteriori battibecchi, Ella stava prendendo furiosamente appunti e, stranamente, anche il biondo faceva lo stesso. Dico stranamente perché era letteralmente la prima volta che lo faceva, tanto che il quaderno sembrava appena acquistato, era pieno zeppo di pagine ancora bianche.
Poi fu la volta di storia e la voce della Cocci divenne ancora più soporifera alle orecchie di Ella:
- Prima su Hiroshima e poi su Nagasaki vennero sganciate due bombe atomiche che, di fatto, determinano la fine della Seconda Guerra mondiale. I morti saranno oltre 180.000, e le conseguenze negli anni sulle persone e sull’ambiente furono molteplici, con ulteriori morti e malati. -
- Come va con la tua situazione? – Sussurrò Ella improvvisamente.
- Ti stai annoiando e devi sfogarti su di me? – Rispose lui aggressivo. A volte, anzi quasi sempre, la ragazza faticava a capire i suoi repentini cambi di umore; sembrava che in lui convivessero due personalità opposte: il ragazzo beffardo e divertente e quello freddo e scostante. E poi c’era una terza personalità, l’Elia fragile e infinitamente piccolo. Chissà quante persone avevano visto questi suoi tre aspetti, oltre a lei.
- Volevo solo essere gentile… –
- Lo so. – sospirò lui, rendendosi conto, notando lo sguardo sommesso di lei, che forse era stato un po’ troppo scortese; e dopo un breve minuto di silenzio riprese:
- Riunione di famiglia stasera, sicuramente me lo diranno. –
Come si risponde ad una dichiarazione del genere? Ella davvero non lo sapeva. Non lo sapeva perciò non lo fece; prese un pezzo di carta e scrisse:
“30/11/2021 ultimo giorno al banco insieme! Siamo sopravvissuti.”
Lui lo lesse e gli scappò un sorriso, poi scrisse:
“E chi lo avrebbe mai detto”
“Non sono poi così male, poteva capitarti di peggio!”
“tipo?”
“tipo Betta”
oddio, chiudi quella boccaccia. Me la stai tirando. Di nuovo.”
Ella soffocò una risatina con la mano e poi riafferrò la penna.
“anche a me non è andata male, tutto sommato”
“anche a te poteva capitare Betta, in effetti, o anche peggio…”
“tipo?”
Lui ci pensò un po’, poi si guardò intorno e gli occhi fissarono un banco in particolare.
“tipo Marco”
Ella sussultò alla vista di quelle lettere; lui la guardò interrogativo vedendo che esitava a rispondere ed attese che lei aggiungesse altre parole al pazzo di carta già colmo:
“ti sta antipatico?”
“non sai quanto”
“perché?”
Scrisse qualcosa ma poi la cancellò e si corresse:
“non so, a pelle”
La fine della lezione chiuse definitivamente il loro scambio di biglietti e i due ripresero a parlare a voce:
- Beh, che dire Lab… tutto sommato, mi mancheranno le ore con te! –
- Ora posso cancellare la linea sul banco, no? – disse lei, sorridendo – anche se non è mai servita, a dire il vero… – disse più a sé stessa che a lui.
- È stata decisamente poco utile. –
- Ora ti toccherà portare italiano. –
- E a te toccherà pregare di non finire al primo banco… ho una strana sensazione per questi nuovi posti! –
- Smettila o ti giuro che ti faccio finire con Betta! –
- Sempre meglio di Marco. – sussurrò lui, per non farsi sentire del resto dei compagni che iniziavano ad alzarsi dai rispettivi banchi.
- Puoi anche… rimanere qui per l’assemblea, se ti va. – Elia, fino a quel momento, aveva del tutto dimenticato che durante le due ore successive si sarebbe svolta l’assemblea. Aveva realizzato solo ora cosa questo comportasse.
- Ehm… scusa Lab, resterei ma Filippo mi sta aspettando. –
- Nn…no ma che figurati, dicevo per non farti spostare la roba, vai pure!
- Beh, ci si vede! Ancora auguri. – aveva detto senza attendere la risposta di lei, allontanandosi il più possibile. Stava iniziando ad esserci una strana atmosfera attorno a quel banco.
- Allora Ella, pronta per i nuovi posti? – la distrasse la voce di Federica.
- Sì, speriamo bene… – rispose lei, con ancora la testa confusa. Quella conversazione le era suonata più strana di quanto non lo fosse in realtà.
- Ah, quasi dimenticavo: tanti auguri! – urlò l’amica, così forte che i presenti in classe la sentirono ed iniziarono a farle gli auguri a loro volta. Molti le si avvicinarono ma di Marco neanche l’ombra; lo vide rientrare in aula qualche minuto dopo, insieme a Chiara, una compagna. Le era sembrato che entrambi le avessero rivolto un’occhiata curiosa, ma probabilmente era solo suggestione.
Non c’erano altri punti all’ordine del giorno, eccetto il cambio dei posti, perciò, ognuno era in giro per la classe a farsi gli affari suoi, cercando di non fare troppa confusione per non attirare l’attenzione del bidello. I nuovi posti sarebbero stati estratti alla seconda ora di assemblea così, durante la prima, chi voleva poteva anticipare i compiti, chiacchierare o dormire. Purché non facesse casino. Ella se ne stava seduta sul banco di Federica e Carol che parlavano tra loro, si stava annoiando quando, con la coda dell’occhio, notò un biglietto sul suo banco; preoccupata che fosse quello che Elia le aveva regalato, anche se era abbastanza convinta di averlo infilato nel suo zaino, in mezzo al quaderno di letteratura per non farlo stropicciare, si avvicinò e lo prese. Dapprima lo lesse e stava per esplodere dalla gioia! Era di Marco e le faceva gli auguri! Scusandosi per averglieli fatti un po’ in ritardo. Ma Ella era una tipa sveglia e ci mise poco ad accorgersi che A, quella non era la sua scrittura (lui era mancino e scriveva alcune lettere in modo molto particolare) e B, Marco non era di certo un genio della grammatica ma sicuramente non era il tipo che scriveva “po’” con l’accento al posto dell’apostrofo…
Con fare teatrale si guardò intorno, attirando alcuni sguardi incuriositi: ormai tutti conoscevano il significato delle fiamme negli occhi, ridotti a due fessure, di Ella. Era lo sguardo di chi stava per fare una sfuriata memorabile. Ma si contenne, cercò di far caso alle persone che la stavano osservando perché tra quelle poteva esserci l’autore di quello scherzo infame, e anche piuttosto vigliacco. Cercò di cogliere ogni espressione sui loro volti: c’era Chiara, che aveva visto ridacchiare con Marco guardandola, che la fissava interrogativa, c’era Federica, evidentemente preoccupata e c’era Carol con la faccia di chi non stava capendo nulla; continuò a guardare. C’era Pier, pronto a calmare le acque, c’era Filippo che stava parlando con un Elia che, però, non lo ascoltava: troppo occupato a guardare lei; Ella non riuscì a decifrare il suo sguardo ma non le importava, era certa che non fosse stato lui. Infine, ed eccola lì la soluzione, guardò quella stronza di Betta dritta negli occhi; non aveva nessuna prova ma era convinta che fosse stata lei, doveva solo capire come era riuscita a scoprire della sua cotta. Ma ora non era il momento, stava per esplodere e doveva fare qualcosa che facesse intendere, invece, che lei avesse la situazione totalmente sotto controllo. Perché? Perché era una maledetta orgogliosa e non avrebbe permesso a nessuno di vederla a pezzi, anche se era appena stata umiliata e sicuramente, la sua cotta era di dominio pubblico. Era arrivata alle orecchie di Betta, quindi… game over. Poteva solo continuare a negare fino al resto del liceo. Sapeva già come fare: prima di tutto strappò il biglietto e si diresse con la schiena dritta ed il mento alto, come quando danzava, verso il cestino; accartocciò il foglio diviso a metà e lo buttò. Ogni movimento era incredibilmente rilassato e tradiva il suo reale stato d’animo. Poi si avviò verso la macchinetta del caffè, uscendo dalla classe. La fase due, che avrebbe messo in atto a partire da domani, avrebbe coinvolto uno a caso dei ragazzi: avrebbe cominciato a farci la scema e a mettere in giro la voce che le piacesse. poi avrebbe fatto la stessa cosa con qualcuno della scuola e ben presto, tutti avrebbero dimenticato la verità. Ora che il piano aveva preso forma nella sua mente e nessuno la stava osservando, poteva correre verso il bagno. E scoppiare a piangere.
Non sapeva quanto tempo fosse trascorso, non aveva portato il telefono con sé, ma pensò che fossero passati almeno quaranta minuti e che fosse tempo di rientrare in classe per assistere al cambio dei posti; ma prima doveva decisamente sciacquarsi la faccia: il trucco era un disastro, il rimmel era colato tutto sotto gli occhi. Mentre si avvicinava al lavandino e si guardava allo specchio respirando profondamente, vide Elia riflesso dietro di lei; si gettò mezzo litro di acqua in faccia nel tentativo, vano, di coprire gli occhi rossi.
- Non dovresti passare il tuo compleanno chiusa in bagno… -
- Sono venuta un attimo a sistemare la lente, mi si era tolta e non vedevo un cazzo. –
- Sei stata via più di un’ora. E sei in banco con Elena. Secondo centrale. –
- Ok, grazie per avermi avvisato. Mi sistemo e arrivo. La prof? –
- Ancora non è suonata la campana. –
- Ah, giusto. –
- Non vale la pena stare così per un idiota. Fidati. –
- Ne stanno ancora parlando? – disse, tirando su con il naso.
- Davvero, ti assicuro che non si merita nemmeno una lacrima. –
- Lui non c’entra niente, non è stato lui e non è per lui che piango. – riprese a singhiozzare tra una parola e l’altra. Elia, che era entrato in bagno con l’intenzione di chiederle se la voce fosse vera, si rese conto che non era il caso. Lei, dal canto suo, pensava di essersi calmata. Pensava che bastasse mettere in atto il piano e che avrebbe avuto la forza di fregarsene. Ma non era così, aveva ancora bisogno di elaborare il tutto. Elia chiuse la porta e la strinse a sé.
- Avanti, sfogati. –
- Odio tutti in questa classe! -
- Tutti Tutti? – disse lui, cercando di farle spuntare almeno l’accenno di un sorriso. Al contrario, lei gli rivolse un broncio delizioso, aveva il naso rosso e gli occhi spalancati, grondanti di lacrime annerite dal trucco; guardandoli così da vicino si rese conto che non erano neri ma marroni, molto scuri. E che sembrava un po’ Rudolph, la renna di Babbo Natale.
Tu sei insopportabile. Se vuoi saperlo. – si lagnò, gettandosi a capofitto sul suo collo da cigno. Lui sentiva le lacrime sgorgare e fargli il solletico e la strinse più forte, circondandole le piccole spalle con le braccia. Quando lei ritenne di essersi sfogata abbastanza, sgusciò via dall’abbraccio e lo guardò.
- Non capisco perché ti ostini a truccarti. Stai meglio senza. – le disse acchiappando una lacrima che le era scivolata sulla guancia.
- Sto davvero così male? –
- Per niente! – la accompagnò vicino al lavandino, prese della carta e le tolse il trucco rimanente, facendo attenzione quando puliva la parte sotto dei suoi occhi ed indugiando sulle labbra che parevano morbidissime, attraverso la carta. – E adesso sei anche meglio! – poi continuò, vedendo che lei non parlava ma si limitava a fissarlo come un cucciolo di labrador smarrito. Maledetta quella sua faccia da bambina.
- Nessuno pensa che tu abbia pianto, al massimo pensano che sia scappata per andare a distruggere qualcosa o spaccare qualche porta; ti ritengono tutti piuttosto… aggressiva, diciamo. –
- Tu no? –
- Certo che sì. Quando hai strappato il foglio guardando Betta ho temuto per la sua incolumità…–
- E allora perché sei venuto a cercarmi in bagno? –
- Andiamo, sta per suonare; vogliono mettersi già nei nuovi posti. – Tentò di cambiare discorso, non voleva dirle che aveva sentito perfettamente il rumore che aveva fatto il suo cuore quando aveva aperto quello stupido biglietto.
- Non mi va di entrare. –
- Muoviti. Sono al banco dietro di te. –
L’ultima affermazione di Elia l’aveva stranamente rassicurata; solo… non si aspettava che fosse proprio lui: credeva che sarebbe venuta Federica. Forse lui l’aveva anticipata di qualche secondo. Entrarono in classe insieme, per la seconda volta in quel mese; lei aveva usato i capelli per coprirsi il volto ma camminava a testa alta e con le spalle dritte. Lui sorrise esasperato: un attimo prima sembrava a pezzi e ora, sembrava solo furiosa. Aveva una gran faccia tosta quella ragazzina, alta quanto un puffo. Lei raggiunse il banco e si mise seduta mentre lui, passandole accanto, le scompigliò affettuosamente i capelli in un gesto di cui si pentì tre secondi dopo. Va bene i biglietti di auguri ma un gesto tenero davanti a tutti? Non gli bastava essere rientrato in classe con lei per la seconda volta in un mese? Si diresse all’ultimo centrale per recuperare il suo zaino, non degnò nemmeno di uno sguardo il ragazzo che se ne stava lì seduto, tutto contento; poi, si diresse al terzo centrale e con un tonfo si mise dietro Ella, accanto alla sua nuova compagna Laura che lo fissò con una smorfia disgustata. Gli vibrò il cellulare nella tasca, lo tirò fuori e, in attesa della prof., lesse messaggio e mittente.
Messaggio da Marco: “Grazie per avermi ceduto l’ultimo centrale. Ti devo un favore bro”.
 
Ella salì in macchina con la rabbia che ancora le faceva ribollire lo stomaco; il padre, che evidentemente non l’aveva osservata con attenzione, pensò bene di chiederle come fosse andato il suo primo compleanno nella nuova scuola. Lei non seppe mai se lui avesse captato l’ironia nel suo “benissimo”, ma al momento non le interessava. Non vedeva l’ora di buttarsi sul divano e mangiare schifezze. Dopo aver divorato il pranzo che sua madre le aveva lasciato in frigo prima di andare al lavoro. Aveva fatto i compiti, era andata a danza e solo lì si era sentita veramente serena; quella vecchia sala, dove aveva imparato a muovere i primi passi a tempo di musica, dove aveva fatto le prime cadute l’aveva rimessa al mondo: niente era più terapeutico di tre massacranti ore con i piedi infilati nelle scarpette da punta. Erano state le tre ore migliori di quella giornata. Tutta sudata, era uscita dalla palestra e camminava verso casa con il telefono appiccicato alla faccia: nonostante il brutto scherzo, e la conseguente figura di Merda con Marco (a cui non era riuscita a dire neanche una parola per il resto della giornata), sperava ancora nei suoi auguri; anche se il sogno svaniva di ora in ora ed Ella era quasi tornata con i piedi per terra, rassegnata. A proposito di auguri, le venne in mente il biglietto di Elia e si ritrovò a pensare che era riuscito davvero a stupirla; forse anche lui si era sorpreso quando era stata lei ad aiutarlo, ascoltandolo e stringendogli la mano fra le sue… chi lo avrebbe mai detto, erano diventati amici e, ironia della sorte, avrebbero passato un altro mese insieme, non allo stesso banco ma comunque lui era dietro di lei; poteva punzecchiarla, distrarla e tirarle palline di carta per infastidirla, doveva esserne soddisfatto. Soffocò un sorriso pensando ai suoi occhi blu e alle sue ciglia bionde e quasi si strozzò con la sua stessa saliva quando realizzò questa cosa. Inserì le chiavi nella porta di casa e girò, cercando di scrollarsi quei pensieri di dosso: si erano aiutati a vicenda. Ora potevano tornare a detestarsi.
Dopo cena, le squillò il telefono e vide comparire sullo schermo il numero di Federica. Finalmente si era degnata di chiamarla! Si ricordò solo ora che, tra le altre cose, ce l’aveva anche un po’ con lei per non averla consolata.
- Ehi! Finalmente ti sei fatta viva… -
- Mi dispiace, Ella. –
- Tranquilla, capisco che volevi lasciarmi sola per farmi sfogare. –
- Sì… a questo proposito… -
- Tranquilla, davvero. Non ero sola, però… in effetti come mai non mi hai ancora chiesto perché sono rientrata in classe con il biondo insopportabile, per la seconda volta? –
- Ella io devo dirti… ah cavolo, in effetti non ci avevo fatto caso. Eri con Elia e lui era anche seduto dietro di te, strano. –
- In che senso strano? –
- Beh, a lui era capitato l’ultimo centrale. Non so perché si è messo al posto di Marco. –
- Cooosa? Marco avrebbe dovuto essere dietro di me?! –
- Eh, sì… comunque io devo… -
- Cazzo. Non capisco perché deve farsi gli affari miei! Non stava bene con il culo nascosto all’ultimo banco? Stupido idiota… -
- Magari ha pensato che non ti facesse piacere avere dietro Marco, proprio ora che tutti sanno della tua cotta per lui… -
- A questo proposito, come cazzo ha fatto Betta? Sono sicura che è stata lei a mandarmi quel finto biglietto… anche perché Marco non era in classe quando tu hai detto che era il mio compleanno mentre lei sì… - si fermò un attimo a riflettere, e non sentendo alcuna risposta dall’altra parte del telefono continuò: - Siamo sempre state attente a non parlare di lui davanti alla classe, magari si è accorta che lo fisso… ma come può averne la certezza. Che abbia tirato a indovinare e ci abbia azzeccato? Andiamo non è così sveglia… non sa nemmeno scrivere e a malapena sa leggere… -
- Gliel’ho detto io. –
- Forse è riuscita a… aspetta cosa? –
- Lei aveva capito che a me piaceva Marco perché ci vedeva sempre sparlare, io le ho detto che non era vero, che non mi piaceva nessuno ma lei non mi credeva e allora… -
- Allora hai pensato che fosse meglio pararti il culo e raccontarle di me? Sei una stronza! –
- El, non è così… non sapevo che dirle e mi è preso il panico… -
- Potevi fregartene, potevi dirle che ti piace uno a caso, potevi dirle che ti piace Leo! –
I toni si erano alzati tanto che la mamma di Ella era entrata in stanza e attendeva in silenzio, guardandola. La ragazza sussurrò alla madre un “poi ti spiego” e riprese a dire a Federica.
- Senti, ora non mi va di parlare di questa storia, sono troppo nervosa, rischio di spaccare qualcosa. –
E richiuse la chiamata senza aspettare la risposta della sua, come doveva chiamarla ora? Ex amica?
Uscì dalla stanza e raccontò tutto alla madre che la stringeva accarezzandole i capelli, ripetendole che non era la fine del mondo, che, tutto sommato, avere una cotta per qualcuno non era un crimine e non doveva vergognarsi. Domani ci sarebbe stata la gita e sarebbero successe tante di quelle cose che non si sarebbe più parlato della sua cotta per Marco. Il nome di quest’ultimo le rimbombava nella testa: probabilmente lui sapeva e non si era nemmeno fatto vivo; Ella si disse che forse anche lui era imbarazzato e non sapeva come comportarsi, magari lui neanche ci credeva a quelle voci… si ricordò che avrebbe dovuto essere al banco dietro di lei e che, invece, aveva fatto cambio con Elia. In questo momento odiava anche lui; odiava il fatto che non aveva motivo di odiarlo, lui si era comportato da perfetto amico. Cosa che non aveva fatto Federica. Aveva improvvisamente collegato tutti i fili: si ricordò di quando l’aveva vista guardare Betta in modo sospetto; quello doveva essere stato il giorno in cui le aveva detto tutto. Poi, si ricordò di quanto insisteva affinché lei si dimenticasse di Marco e conoscesse meglio Elia, credeva che le avrebbe fatto meno male? Beh, si sbagliava e di grosso anche. Faceva malissimo. Si buttò sul letto e controllò l’ora. Erano le 23:00 e lei non aveva sonno. Si sarebbe dovuta alzare presto per andare in gita, altrimenti il pullman sarebbe partito senza di lei e per un attimo pensò che quella non fosse una cattiva idea. Poi ricordò le parole della madre: “Essere innamorata non è reato, cazzo! Domani mattina ti vesti, ti trucchi, vai da Matteo (Marco) e lo saluti. Poi vai da Lorenzo (Leonardo) e saluti anche lui. E poi, vai da Elia, lo ringrazi per averti aiutata e te lo baci.” Poiché la discussione stava degenerando, aveva dato un bacio sulla guancia alla madre e si era rintanata in camera; sua madre aveva una leggera preferenza per il biondo da quando le aveva raccontato la sua storia ed era l’unico di cui si ricordava il nome. Le sue idee erano strane e singolari ma non erano poi così diverse dal piano che lei aveva pensato a scuola: mettere in giro le voci che le piacesse un altro e continuare a fissare Marco sospirando di nascosto. Quando finalmente si convinse ad andare a dormire erano le 23:42; spense il telefono e strinse il peluche (sì, dormiva con un pupazzo, era piuttosto comodo, come stringere un cuscino e non se ne vergognava). Pochi minuti dopo, in un quartiere del tutto diverso da quello di Ella, anche Marco stava per andare a dormire; prima di farlo, però, aveva inviato un messaggio alla ragazza, che già dormiva beata. 

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Capitolo 10
*** Ogni mora ha la sua bionda ***


Note Autrice:
Mi scuso in anticipo per la brevità del capitolo che è più che altro di passaggio e serve per introdurre un personaggio molto importante, una persona che supporterà e sopporterà Ella da qui in poi. La sua migliore amica e la sua parte razionale.


Capitolo 9 “Ogni mora ha la sua bionda”

 
Due parole: Porca. Merda.
È tutto ciò che Ella riesce a ripetere da almeno dieci minuti; da quando ha messo, di malavoglia, i piedi fuori dal letto ed ha acceso il cellulare. Ed ha visto il messaggio. Anzi, ora che l’ha riletto ha aggiunto altre due parole al suo vocabolario: Buon Compleanno. E non fa altro che ripetere quelle quattro parole in loop; almeno finché sua madre non entra in camera per dirle di muoversi, altrimenti perderà il pullman. Cacchio! La gita. Se ne stava quasi dimenticando. Quella giornata, che si prospettava essere tra le peggiori della sua vita, poiché tutta la classe sapeva della sua cotta, compresa la sua cotta, si stava lentamente trasformando in una delle migliori; Marco le aveva fatto gli auguri, nonostante l’umiliazione della giornata precedente. Forse non era del tutto schifato dall’idea di avere Ella come corteggiatrice. O forse non credeva proprio ai pettegolezzi messi in giro. Nemmeno il pensiero che avrebbe dovuto parlare con Federica per fare da Ciceroni a Villa Adriana l’aveva demoralizzata, almeno non più di tanto; avrebbe ridotto l’interazione con lei al minimo indispensabile, quel che bastava per accordarsi su cosa dire. Poi poteva tornare ad ignorarla per il resto della sua carriera scolastica. Quando arrivò davanti al cancello della scuola, il pullman era già arrivato e la Cocci, insieme a qualche altro mattiniero, era già salita a bordo; come avesse fatto a sedersi senza rompere il sedile era un mistero che le leggi della fisica non sarebbero mai state in grado di spiegare…
Non avendo nessuna amica da aspettare, Ella decise di salire; salutò la professoressa con un falso “buongiorno” e si sedette su uno dei tanti posti liberi, da sola. Prese il telefono per leggere il messaggio della madre che le chiedeva se fosse riuscita a salire, e si ricordò che non aveva risposto a Marco. E che non sapeva cosa scrivere. Riusciva solo a sorridere come un’ebete fissando lo schermo e non si accorse che Federica era salita ed aveva guardato, esitante, il sedile vuoto accanto a lei; poi aveva sospirato e si era messa accanto a Carol. Ella stava per aprire la chat con Marco quando, improvvisamente, sentì una presenza accanto a lei e subito dopo una voce boriosa:
- Ehi, Lab. Cos’è quel sorrisino?! -
- Elia. Ciao. Che bello vederti – disse, ironica - Non sono affari tuoi. -
- Avanti…fa vedere! -
rispose lui sporgendosi sul suo cellulare e cercando di afferrarlo. Si schiacciò così tanto contro il sedile occupato da Ella che un bracciolo gli si conficcò nel fianco, provocandogli una smorfia di dolore ed impedendogli di portare a compimento il suo tentativo di farsi gli affari della ragazza.
- Non sono affari tuoi! Smettila! -  disse lei ridendo e bloccando lo schermo del telefono, in modo che non si potesse vedere più nulla se non l’orario e lo sfondo.
- Noiosa. -
- Hai intenzione di sederti qui? -
- Davanti con i secchioni? No, grazie. Vado dietro a fare casino! -
- Non avevo dubbi. E comunque non sono davanti, sono i posti in mezzo. -
- Noiosa. -
- L’hai già detto. E ora, se vuoi scusarmi…! - rispose, indicando il telefono con un cenno del capo.
 - Ah, giusto. Non farlo aspettare. - rispose in tono piatto, girandosi per cercare un posto, fischiettando con una mano nella tasca dei jeans. Solo quando fu sicuro che lei non stesse guardando, si sedette dietro Ella e sbirciò il telefono dal buco in mezzo ai sedili: non lesse il testo, solo il mittente. Una smorfia di disgusto gli scappò, senza che se ne accorgesse. Poi si alzò silenziosamente e si avviò verso i posti in fondo, come promesso.
Ella aveva deciso di rispondere con un semplice “Grazie”: era ancora imbarazzata per il fatto che lui sapeva; perciò, decise di andarci piano con le emoji…ma si rasserenò pensando che quel messaggio doveva pur significare qualcosa! Forse non credeva alla voce che stava girando, e se non ci avesse creduto lui, non ci avrebbe creduto nessuno…no?
Mancava poco alla partenza e tutti i posti erano ormai occupati. Tranne quello vuoto accanto ad Ella; Marco era salito, l’aveva salutata con un ampio sorriso, senza accennare alla storia di ieri, e si era messo in fondo, accanto a Valerio; sperava che avrebbero parlato un po’ ma, effettivamente, non c’era il tempo materiale: stavano per partire, magari avrebbero parlato durante la gita. Mentre cercava le cuffiette nella borsa, sepolte tra strati e strati di oggetti inutili, fu attratta dal vociare di alcuni studenti e dalla voce della Cocci che sbraitava:
- Sei sempre la solita! Ma come è possibile presentarsi con ben dieci minuti di ritardo il giorno della gita! – Ella si accorse solo in quel momento che sul pullman era appena salita, arrancando e con il fiatone, una sua compagna, a cui non aveva davvero mai fatto caso nell’arco di questi mesi. Ovviamente, vedendola la riconobbe, era la ragazza seduta dietro di lei, accanto ad Elia ma non ci aveva mai parlato, neanche una volta! La ragazza in questione era bionda, aveva un viso tondo e chiaro e due paia di occhi grandi e azzurri; aveva anche l’aria di una che stava per esplodere dall’imbarazzo, che si sarebbe voluta sotterrare o comunque sparire senza lasciar traccia: il tutto solo perché quella stronza l’aveva sgridata… c’erano priorità e priorità nella vita, per Ella, ma piacere alla Cocci non era di certo una di quelle. Laura, così si chiamava, si sedette accanto a lei e quello fu l’inizio di un’amicizia destinata a durare tutta la vita. Ci sono certe cose che si capiscono al volo, ed Ella in quel momento si rese conto che Laura sarebbe stata la sua spalla destra per il liceo e anche oltre.
- Sbraita così perché nessuno se la scopa… te lo dico io. – sussurrò alla bionda; - Impara a fregartene, quelle come lei non dovrebbero nemmeno insegnare, per come la vedo io. Anzi, la Cocci è l’insegnante che non voglio diventare in futuro! –
- Tu vuoi insegnare? –
- Sì, mi piacerebbe. Ma non voglio essere così. –
Trascorsero tutto il viaggio a parlare dei loro interessi: ad entrambe piaceva leggere, scrivere, guardare film e preferivano il dolce al salato; Laura era molto tranquilla e anche parecchio sbadata, Ella, al contrario, era attenta, arguta e non stava mai zitta. Oltre alla passione per Harry Potter e altri miliardi di libri avevano due fondamentali punti in comune: totale ignoranza in fatto di relazioni amorose e, dulcis in fundo, non sopportavano Elia Colaci.
- In realtà io non lo odio… è più qualcosa come una mosca fastidiosa che ti ronza intorno di notte o un prurito in un punto che non puoi raggiungere o che non puoi grattare in pubblico tipo… tipo una tetta! –
- Ahahahahahah, io… Ella! Ahahahahahah mi fai morire! – disse Laura cercando di parlare tra una risata e l’altra: – Io invece lo odio proprio! Tipo come si odia l’antagonista di un libro. –
- Che genere di antagonista? –
- Mh… fammi pensare… Draco Malfoy! –
- In effetti… ci somiglia parecchio ahahahahah! Ok ora non riuscirò più a guardarlo con gli stessi occhi. – Ella sentiva, però, di dover fare chiarezza su un paio di cose riguardo la questione “Elia”; per quanto potesse risultare antipatico, scorbutico e insolente, non era una persona da odiare. D’altra parte, riteneva Laura una persona abbastanza intelligente da non dare giudizi simili senza una motivazione, o almeno le era sembrata abbastanza riflessiva. Voleva vederci chiaro, perciò le chiese:
- A parte gli scherzi, perché non lo sopporti? –
- È uno stronzo maleducato. –
- Non ho dubbi, però non mi pare un buon motivo per odiare una persona. –
- La verità è che non mi ha fatto niente in particolare, in questi due anni, né in bene né in male. Mi ha ignorata, in realtà. Però non mi piace come si comporta con le ragazze. Le usa, le prende in giro… è vero che sono sempre loro a tornare da lui, ma questo non lo autorizza a comportarsi da scemo. Tu, invece, perché lo sopporti? –
- Credo di capirlo, per certi versi. Non quando fa lo stronzo con le ragazze, intendiamoci. Però, a volte sento che non siamo poi così diversi io e lui. E ultimamente ha passato un brutto momento, quindi, non so… ci sono degli istanti in cui lo guardo negli occhi e lo vedo così… piccolo. –
- Tralasciando il fatto che non riuscirò mai a vederlo “piccolo” come dici, sicuramente tu ci hai parlato più di me, il che è assurdo visto che sei nuova… forse, e dico forse, anche lui ha una specie di cuore nel petto. Anche se profondamente nero. –
- Pensa che con me è stato addirittura gentile, in qualche occasione. –
- Sì, con te è gentile, a modo suo. Vi ho visti nel bagno… sai? E l’ho visto anche darti un biglietto ieri… c’era una strana torta disegnata. Orribile per la cronaca e… -
- Ehi aspetta… scusa ma come lo sai? –
- Ero seduta dietro di voi… di solito sono al primo banco della fila della finestra ma dovevo copiare una versione e ho chiesto di fare a cambio per non essere vista ahahah. –
- Capisco e… il bagno? Elia aveva chiuso la porta. –
- Oh, non vi ho visti in effetti, ma ho visto lui andare in bagno, quello delle femmine…quindi… –
- Chiaro. –
- A proposito, mi dispiace per la storia di Marco. Sicuramente non era così che doveva saperlo. – le aveva detto Laura, una volta scesa dal pullman; aveva dato per scontato che le voci fossero vere, e questo era decisamente un male, ma approfittò della situazione per sfogarsi, raccontandole l’intera vicenda: da quando aveva visto il ragazzo dagli occhi ambra per la prima volta, all’infamata di Federica fino ad Elia che l’aveva consolata ed aveva fatto cambio con chiunque fosse stato al suo posto per poterla supportare un po’. Ovviamente, le aveva raccontato anche di quando era stata sul tetto con lui e avevano parlato dei suoi genitori, facendole promettere che, almeno lei, avrebbe tenuto la bocca chiusa. Ella aveva usato di nuovo le parole “Piccolo e fragile” per descrivere il biondo e Laura aveva alzato il sopracciglio (proprio come faceva Ella in quelle occasioni) come a dire “Stai esagerando!”. Infine, Ella le aveva fatto leggere il famoso messaggio di Marco ed entrambe erano arrivate alla conclusione che, forse, c’era una speranza.
- Sai cosa? Forse il fatto che spesso ti isoli con Elia può essere un buon diversivo per tutta la faccenda di Marco… –
- Continua, ti ascolto… - rispose la mora, interessata.
- Beh, sai… se continui a rimanere da sola con lui, magari penseranno che la cosa di Marco sia stata inventata da Betta o da Federica solo per farti un dispetto. –
- Non so se è una buona idea, ma potrebbe funzionare.
- Non sei stata tu a dire che volevi fare la scema con qualcuno a caso in modo che si spargesse la voce e tutti si dimenticassero di questa storia? –
- Sì, ma forse non con… -
- Ragazzi! Un po’ di silenzio! Stiamo per cominciare. – era la Cocci, ovviamente.
- Raggiungo il mio gruppo, in bocca al lupo per la presentazione. Continuiamo il discorso dopo. – disse Laura.
- A dopo! –
Anche Ella si avvicinò al suo gruppo, dove ci sarebbe stata anche Federica, e nel farlo urtò la spalla di Marco, doveva smettere di andargli addosso! Lo guardò e, Dio quanto era bello! Gli sorrise, scusandosi e lui ricambiò con un buffetto sulla spalla. Doveva trattenersi se voleva evitare che la voce diventasse un dato di fatto, ma era così difficile se lui la guardava in quel modo…
Si radunarono tutti ad ascoltare il primo gruppo: quello formato dai sei ragazzi che, uno alla volta, iniziarono a spiegare la storia della Villa; Ella si ritrovò ad osservarli tutti, bene, forse per la prima volta: Leo, bello e disinvolto, parlava come se non avesse fatto altro per tutta la sua vita, il figlio segreto di Alberto Angela; poi fu la volta di Valerio, meno sicuro di Leo ma più divertente da osservare, con la voce che tremava appena, non per la timidezza ma perché, come aveva affermato qualche minuto prima, non aveva studiato un bel niente. A seguire Pier, che aveva passato il minuto precedente a suggerire al povero Valerio, stava facendo addormentare tutti con la sua dettagliata spiegazione su quanto fosse imponente il sistema di canalizzazione delle fognature di quel posto. Filippo, che aveva preso la cosa con molta ilarità, stava raccontando qualche aneddoto sugli amanti che l’imperatore Adriano aveva portato nella residenza, con tanto di dettagli (probabilmente inventati di sana pianta) così precisi che la Cocci ci avrebbe fantasticato per mesi. Del discorso di Marco, Ella non ascoltò nemmeno una sillaba e non prese appunti; quando non fissava le sue labbra sottili, lo guardava negli occhi per dargli coraggio se si perdeva qualche data o se farfugliava qualche parola per l’agitazione. Imbranato com’era, stava per inciampare su sé stesso ma mascherò il tutto con un ampio e bellissimo sorriso mentre sistemava il ciuffo di capelli marroni che gli ricadeva sugli occhi nocciola. Infine, fu il turno di Elia ed Ella ascoltò solo l’esordio della sua spiegazione, poi, chissà come, si perse; alla luce, le sue ciglia bionde risplendevano e facevano da cornice ai suoi occhi, tornati ad essere di un blu intenso, come uno zaffiro. Le mani gesticolavano sicure davanti al volto ed indicavano, di tanto in tanto, i punti dove guardare per ammirare le bellezze architettoniche di quel posto e le innumerevoli statue o ciò che di esse restava. Ella si ritrovò a pensare, per la seconda volta, che Elia fosse bello: non in modo disarmante o strettamente legato all’aspetto fisico; più che bello, forse, era affascinante. E la cosa che, agli occhi della ragazza risultava insopportabile, era che, ne era certa, lui lo sapeva. Sapeva di esserlo ed era uno dei motivi per cui, alla fine del suo discorso fece scorrere lo sguardo su molte delle ragazze che stavano ad ascoltarlo e sorrise, furbo e incantatore scoprendo leggermente i denti bianchissimi.
Si spostarono di qualche metro e fu la volta del gruppo di Ella: le stavano sudando le mani, ovviamente, ed aveva iniziato a torturarsi i capelli. Prese un profondo respiro ed iniziò a parlare, guardando Laura per darsi coraggio; non stava funzionando bene, però. Riusciva a ripetere senza sbagliare ma era tesa come una corda di violino e sentiva di non ricordare metà della sua parte. Si zittì per un istante e fece l’errore di guardare Marco. Ora sì che era decisamente nel panico, lui la stava fissando come se lei avesse un grosso brufolo in fronte. Federica provò a sfiorarle il braccio, per darle forza, ma Ella si allontanò stizzita, come se avesse preso la scossa; vedendola a disagio, la sua ex amica intervenne e prese a ripetere la sua parte, cercando di fingere che fosse normale. Ella si mise in un angolo, in silenzio finché tutte le compagne del suo gruppo non finirono l’esposizione.
- Eppure, la sapevo benissimo a casa. – Si lagnava Ella con Laura mentre entrambe addentavano mezzo panino ciascuna, fatto dalla mamma della mora perché la sua nuova amica aveva dimenticato il pranzo a casa;
- Ma tranquilla, alla fine non si è notato, è intervenuta Fede… -
- Lasciamo stare, non mi va di parlarne. –
- Oh, Oh, allarme diversivo! – disse Laura, poco prima che un certo biondo raggiungesse, gongolante, le due ragazze. Ella rivolse a Laura uno sguardo rassegnato.
- Allora, Lab… hai fatto fiasco eh? –
- Argomento e momento sbagliati, idiota!
- Elia, sul serio, non ti conviene… - cercò di intervenire Laura che, ovviamente, venne ignorata.
- Solo, non capisco perché ti fai prendere dall’ansia per una cosa simile! –  disse Elia sedendosi sull’erba, accanto a lei.
- Posso darti lezioni se vuoi… -
- Devo ricordarti che ho voti migliori dei tuoi? –
- Non in tutte le materie, Lab. Diciamo che entrambi non siamo esattamente dei secchioni, ce la caviamo… ma non intendevo lezioni scolastiche. –
- Sentiamo, la cazzata delle… che ore sono? –
- 14:36 – disse Laura, che cercava di non perdersi nessuna espressione sui volti dei due accanto a lei.
- Grazie Lauretta. – poi disse guardando Elia ed incrociando le braccia al petto – Sentiamo la cazzata delle 14:36.
- Lezioni su come essere affascinante, come me! – e nel dirlo sfoggiò il migliore dei suoi sorrisi languidi e maliziosi.
- Tu? Affascinante? Ma per favore… -
- Vogliamo fare vedere alla tua nuova amica come arrossisci quando ti chiamo… - e prima di finire la frase, le mise un braccio, come al solito, intorno alla spalla e le sfiorò casualmente il collo con l’indice
- … cucciola. – Ella mandò giù un groppo di saliva e con uno scatto si staccò il braccio di lui da dosso, mettendosi due dita davanti alla bocca e mimando un conato di vomito. Lui si alzò, salutò e se ne andò ridendo. Laura continuava a fissare, interrogativa, la schiena di Elia che si allontanava a mano a mano e poi disse:
- Sicura che vi odiate? –
- Come Ade odia Zeus. –
- Ercole? Il cartone della Disney? –
- Esatto. –
Poi ripresero a smangiucchiare il panino e ogni volta che Laura provava a tornare sulla conversazione di poco prima, l’amica la fulminava con lo sguardo ed agitava l’aria come a scacciare una mosca immaginaria. Doveva ammettere, però, almeno a sé stessa che di tanto in tanto aveva buttato uno sguardo in direzione del biondo, sdraiato comodamente sull’erba a pancia in su, con le cuffie nelle orecchie e gli occhi chiusi a godersi un tiepido raggio di sole che, stranamente, era spuntato fuori in quel primo di dicembre. Poi gli aveva dato le spalle, per guardare Laura negli occhi e tornare a parlare di libri e film.
Mezz’ora dopo, circa, aveva sentito due mani coprile gli occhi e percepito una figura seduta dietro di lei, petto contro schiena;
- Cos’è? Sei già tornato? Ti manca stare al banco con me eh… - scherzò ironica, pensando di avere Elia dietro di sé.
- Sbagliato persona! – disse la voce di Marco, con tono giocoso.
- Ehi… ciao. – salutò Ella imbarazzata; le mani del ragazzo le avevano scoperto gli occhi, scivolando in un lento movimento, sulle sue spalle. Poi si era seduto tra lei e Laura ed aveva messo un braccio attorno alla spalla di ognuna.
- Che si dice qui, belle ragazze? -
- Niente di che. – rispose Laura, mentre Ella si torturava le pellicine delle dita, leggermente agitata. E si beccava una gomitata di incoraggiamento da parte della biondina.
- Complimenti per le presentazioni, siete state brave! – disse, con un sorriso smagliante dipinto in viso. Poi si rivolse ad Ella:
- Di nuovo auguri, anche se non è più il tuo compleanno. –
- Grazie. – gli disse, sporgendosi verso la sua guancia, in un atto di coraggio, per poggiarvi delicatamente le labbra.
- Mi ha fatto piacere leggere il tuo messaggio, stamattina. – gli sussurrò, imbarazzata.
A volte si stupiva di quanto azzardate fossero alcune delle sue mosse; era come se il corpo agisse senza aspettare l’autorizzazione del cervello. Dopo qualche minuto di chiacchiere, lui si alzò per tornare accanto a Valerio ma Ella lo bloccò sfiorandogli un polso.
- Devi dirmi qualcosa? – chiese Marco guardandola con i suoi grandi occhi ambra, che alla luce del sole parevano ancora più chiari.
Stava seriamente prendendo in considerazione l’idea di parlargli dei fatti successi il giorno prima ma si era pentita un istante dopo, quindi si limitò a dire:
- No no, un insetto, sul braccio… volevo cacciarlo. –
- Ah, grazie. – e se ne andò, lasciando Ella nelle grinfie dello sguardo di rimprovero che la sua amica le aveva appena lanciato.
- Potevi dirglielo! –
- La fai facile tu… - rispose mettendosi le mani sui fianchi e provocando l’ennesima risata di Laura. Aveva perso un’altra occasione di avere un po’ di intimità con Marco ma aveva trovato un’amica vera.

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Capitolo 11
*** Catene ***


Note Autrice:
vi regalo anche questo capitolo che, come vedrete, è strutturato su due POV molto definiti: il primo è quello di Elia, l'altro di Ella. Si tratta di un capitolo prettamente riflessivo che serve a fare un po' il punto della situazione dei loro sentimenti in questo momento della storia. 


Capitolo 10 “Catene”


POV ELIA
“Avanti Lab, cazzo! Possibile che ti blocchi. Me l’hai ripetuto cinque minuti fa.” pensava Elia mentre quella piaga di La Baldi veniva interrogata in storia. Non riusciva davvero a capire perché l’ansia se la mangiasse in questo modo. Eppure, quando parlava con lui era così schietta, e precisa e… e perché a lui importasse così tanto era un mistero. Sì, l’aveva aiutato nel momento del bisogno ma poi lui aveva pareggiato i conti. L’aveva consolata nel bagno e si era fatto il mese di dicembre dietro di lei al banco. Accanto alla sua nuova amica bionda, e le aveva sopportate: due galline che starnazzavano di continuo cercando di coinvolgerlo nel loro chiocciare. Però doveva ammettere che non si era mai divertito tanto. Ne aveva combinate diverse, in quel mese: aveva attaccato bigliettini dietro la schiena di Lab, che ogni volta Laura staccava e accartocciava fissandolo male; aveva strappato pagine del quaderno della bionda per farci palline da lanciare alla mora, palline che a volte, contenevano messaggi del tipo “sei ancora più bassa vista da dietro”. Una volta, giusto per farle perdere la pazienza, le aveva sussurrato un suggerimento sbagliato e lei, da ingenua qual era, si era fidata ed aveva fatto una pessima figura davanti alla prof di inglese; lui era scoppiato a ridere ed era stato buttato fuori dalla classe ma ne era valsa la pena, soprattutto vedendo che Ella cercava di trattenere una risata e rischiava anche lei di essere cacciata. Non gliel’aveva fatta passare liscia, però: il giorno dopo si era ritrovato un intero tubetto di colla stick spalmato sulla sua sedia ed aveva passato tutta la giornata a staccare grumi di polvere e schifezze varie che gli si attaccavano sul sedere, rovinandogli la costosa tuta da ginnastica. Quel giorno, era il 22 dicembre e da domani sarebbero stati in vacanza, liberi fino al 7 gennaio.
- Hai intenzione di rompere la matita che ti ho prestato? – gli disse Laura, vedendo che stringeva con forza il povero oggetto; se solo quella maledetta ragazzina si desse una calmata, potrebbe calmarsi anche lui. La bionda, che continuava a fissarlo come se avesse commesso il peggiore dei crimini, non era simpatica, ironica e testarda come Lab; era solo arrogante e piena di astio nei suoi confronti. Come tutte le ragazze dopo essere state lasciate, solo che lei non se l’era proprio portata al letto.
- E tu hai intenzione di suggerire alla tua amica prima che si strappi tutti i capelli? – le rispose a tono.
- Guarda che sta andando bene. Lo sapresti se solo ascoltassi. –
- Allora perché si tocca i capelli? –
- E questo che c’entra? –
- Lo fa quando è nervosa. E comunque la sa meglio di così. È distratta. –
- Che ne sai? –
- Me l’ha ripetuta prima. –
Dopo altri dieci minuti di strazio per Ella e per i suoi lunghi capelli neri, che le sarebbero caduti prima del tempo se non avesse smesso di toccarseli in modo compulsivo, l’interrogazione finì.
- Ha preso 8. Contento? – disse Laura guardandolo torva.
- Sei tu la sua amichetta del cuore. –
- Eppure, tu avevi più ansia di lei. E ce ne vuole! -
La campanella suonò ed Ella si girò a guardare i ragazzi al banco dietro di lei.
- È andata! –  dice ridendo felice e guardando Laura; lui conferma il primo pensiero che ha avuto su di lei: questa ragazza è strana. E lui vuole conoscerla. Non è ancora sicuro del motivo ma vuole farlo. Lei gli ha detto qualcosa ma lui non l’ha sentita, lo capisce dal fatto che lo sta guardando interrogativa, con quel maledetto sopracciglio alzato (ma come diavolo fa?). Allora ammette:
- Non stavo ascoltando. –
- Ti ho chiesto come sono andata. –
- Bene… -
- Ma? –
Lei ha imparato a leggere i suoi sguardi, a quanto pare.
- Ma a me l’hai detta meglio. –
Si guardano in silenzio e la bionda accanto a lui sta facendo davvero la figura della terza incomoda, per cosa poi? Cosa sono loro due, se non due compagni di classe che, per puro caso, si sono raccontati qualche episodio personale delle loro vite che, altrimenti, procedono parallele senza toccarsi mai? In ogni caso, Laura sembra percepire i suoi pensieri ed esordisce con un “Vado in bagno” non molto convinto. A lei, lui non piace affatto. Ne è sicuro e la cosa è reciproca. Non si capacita di come una strana come Lab possa essere amica di una così maledettamente ordinaria come Laura. Non si capacita di troppe cose riguardo la ragazza che continua a fissarlo silenziosa con il suo stesso sguardo interrogativo dipinto in volto. Forse anche lei si sta chiedendo cosa ci fanno lì e come sono arrivati dal detestarsi all’essere… confidenti?
Dopo minuti interminabili lui dice, senza pensarci:
- Vuoi andare sul tetto? – propone sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi accattivanti; ha in mente di farla avvicinare alla balaustra tenendola per la vita in modo instabile e farle prendere un grosso spavento… chissà se soffre di vertigini.
- Oh… -
Di tutto si aspettava meno che una semplice vocale come risposta e sembra anche… dispiaciuta. Sembra che lo stia rifiutando…
- Mi piacerebbe davvero ma… - riprende a dire – Marco mi ha chiesto se possiamo parlare di quella storia e sai, vorrei metterci una pietra sopra e smentire quelle voci. –
Elia non sa che pensare o, meglio, non sa come gestire la miriade di pensieri che gli colpiscono la mente come stelle cadenti la notte di San Lorenzo: prima di tutto, seriamente non le piaceva Marco? Secondo, se la risposta è “sì”, come cavolo fa una come lei ad essere attratta da Marco l’idiota, la faceva decisamente più sveglia. Terzo, perché lui non si decide a dirle che non ha senso struggersi per Marco l’idiota. Quarto, e forse questo è il pensiero più amaro: lui le ha già detto, quella volta in bagno, che non vale la pena ma lei è così testona. Sente una sensazione, che lui identifica come rabbia, arrivargli al cervello e allora, per la seconda volta in tre minuti, parla senza riflettere:
- Buon divertimento. – Poi si alza e se ne va. Urta la sedia con violenza, nel tentativo di scostarla per passare e non cade per un pelo; a passo spedito, esce in cortile per fumare. Fa freddo, e lui ha indosso solo la felpa della tuta; si appoggia al muretto del cortile e tira fuori la sigaretta già girata, insieme all’accendino. La accende e la stringe tra le labbra con forza, fino a farle sembrare due linee sottili; serra anche i pugni e non sa se le nocche sono bianche per il freddo o per la violenza con cui le stringe. È sempre stato un tipo impulsivo e propenso a scatti d’ira, come quella volta che le ha afferrato il polso; dovrebbe imparare a controllarsi. Che poi vorrebbe capire cosa gli importa di quella ragazzina, perché gli è sempre importato e perché la osserva tanto da capire quando è agitata, quando è triste, quando è contenta per qualcosa. Perché lei lo incuriosisce così.
La sigaretta è oramai consumata e sta per accendersene un’altra quando un’ombra gli si staglia davanti: è Filippo, che lo guarda con il suo cipiglio accusatorio, quello che gli rivolge quando lo sta per rimproverare:
- Smettila di fumare. –
- Fa ridere detto da te. – gli dice, sfoderando uno dei suoi sorrisi.
- Con me non funziona quel sorriso. Non sono una di quelle che vuoi scoparti.
Ecco, appunto. Filippo gli piace perché è schietto, è sincero e soprattutto è pragmatico.
- Senti. Non so perché ti fissi con lei, non giudico i tuoi gusti in fatto di bellezza, discutibili, in questo caso. – inizia lui – ma posso dirti che se ti fai inculare da lei, sono più le volte che soffrirai che quelle in cui sarai felice. Almeno adesso che è fissata con Marco. –
- Non so di cosa parli. –
- Non fingere con me. –
- Mi dà solo fastidio che mi abbia rifiutato. – sbotta all’improvviso. Filippo ha ragione, non ha senso mentire proprio a lui.
- Hai provato a baciarla?! –
- No. E non so se voglio farlo, ad essere sincero. –
- Allora cosa ha rifiutato? Un caffè alla macchinetta? – dice ironico.
- Le ho detto di venire sul tetto. –
- Se può consolarti, doveva parlare con Marco. –
- Me l’ha detto. – dopo un breve attimo di pausa, in cui riflette se dirgli o no del fatto che ha appena visto Ella e Marco abbracciati, Filippo chiede:
- Ti piace? –
- No. Mi incuriosisce. – è piuttosto sicuro di questa risposta.
- Allora lascia perdere, finché sei in tempo. –
- Esagerato. Cosa può farmi. –
- Quello che ti sta facendo. –
- Voglio solo capire cos’è che la rende così strana. –
- E quando l’avrai capito, smetterai di esserne ossessionato? –
- Non sono ossessionato. –
- Che farai quando l’avrai capito? – Insiste.
- Capirò perché mi incuriosisce. –
- E quando avrai capito anche questo? Che farai?
- Non lo so. -
- Promettimi che, se la cosa si fa seria, lasci stare. -
- Tranquillo. –
È poco credibile, visto che è lui il primo a non essere tranquillo, e non è sicuro di quello che sta dicendo. È la prima volta che una ragazza lo incuriosisce invece che eccitarlo. È la prima volta che guarda una ragazzina invece di una donna; che poi, ha la stessa età delle sue ex ed è più grande di lui di qualche mese. Poi Filippo gli dice una cosa che non si sarebbe mai aspettato: non voglio che soffri. Lui non risponde. Gli mette una mano sulla spalla e gli passa la sigaretta, che nel frattempo si era acceso.
- Finiscila tu. – e se ne torna in classe, pronto per le ultime ore prima delle vacanze di Natale.
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POV ELLA
“Deve decisamente imparare a gestire la rabbia.” pensa Ella vedendolo scattare; per cosa, poi? Perché non ha accettato il suo invito a salire sul tetto? Quel ragazzo la farà diventare matta con le sue uscite assurde; come quando le ha proposto di fare un giro sul suo 125, senza motivo apparente. Fatica a capirlo, anche se, deve ammetterlo, un po’ ci si rivede in lui. Osserva il vuoto che ha lasciato da quando si è precipitato fuori dalla classe, a passo di marcia e solo quando non è più nel suo campo visivo, si accorge che sulla soglia della classe c’è Marco e la sta chiamando. Le dispiace di aver mentito ad Elia, gli ha detto che smentirà le voci ma già sa che al moro dirà la verità: come le ha detto sua madre, non è un crimine avere una cotta per qualcuno; ma lei vuole che questa storia venga messa a tacere quindi, dirà la verità al ragazzo ma gli farà promettere di non dirlo a nessuno. Si fida di lui, sa che manterrà il segreto. Ha provato e riprovato il discorso e lo ha ripetuto nella sua mente anche durante l’interrogazione, per questo motivo, ogni tanto, si è bloccata. La sua testa era altrove. Era già proiettata a quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
Raggiunge Marco sulla soglia della porta e si dirigono verso la macchinetta; prende coraggio e dice:
- Mi serve un favore. –
- Dimmi pure. –
- Sto per dirti delle cose e vorrei che non uscissero da qui, anzi, se qualcuno chiederà qualcosa dovresti dire l’esatto contrario. Puoi farlo? –
- Certo che sì. Dimmi sono curioso. –
- Bene. Sarò breve: quello che dice Betta è vero, tu mi piaci. Niente di serio, ovviamente, ti trovo carino; non ti conosco quindi non sono innamorata o stronzate varie… solo, ecco… mi piaci. E questo è quanto. – ovviamente, aveva sminuito la cosa. Marco era stupendo e lei era cotta; era questa la dura verità, ma preferiva giocare sulle zone d’ombra, come l’Armadillo di Zerocalcare.
- Beh, tutto si può dire di te tranne che non sei coraggiosa. –
- Ehm… grazie? – non sa cosa dire. Non era la risposta che si aspettava! E, al solito, non si aspettava una dichiarazione d’amore, ma quello non era nemmeno identificabile come rifiuto.
- Da quanto ti piaccio? –
- Dal… primo giorno. Credo. –
- Bene! – le dice e la abbraccia teneramente. Cosa vorrebbe dire?
- Senti, so che non ti piaccio, però spero almeno di starti simpatica quindi… non evitarmi, ok? –
- Non potrei mai evitarti, Ella! – le dice, continuando a stringerla e sorridendole. Le prende una mano e la stringe con la sua. Ella è confusa. Non ci sta capendo nulla, ma si gode quell’abbraccio e quel calore; magari con il tempo, chissà, potrebbe scattare qualcosa tra loro. Sono ancora abbracciati quando Federica passa davanti a loro e sorride; passa anche Filippo e li guarda serio, con la sua solita espressione, insomma. Li vedono anche altri compagni di classe e gli gettano occhiate interrogative o divertite, a lei non importa, al momento ha due priorità: gestire la confusione e godersi il calore di quell’abbraccio. Laura, tornata dal bagno, fa un occhiolino in direzione di Ella e torna a sedersi. Tra poco faranno assemblea e a gennaio rientreranno in classe con i nuovi posti.
Nel frattempo, Marco ha sciolto l’abbraccio ed ha baciato Ella sulla guancia; anche lui si è seduto al banco aspettando il suono della campanella. Ella, invece, non vuole rientrare: ha la sensazione che, se tornerà in classe scoprirà che la chiacchierata e l’abbraccio sono state allucinazioni; preferisce affacciarsi alla finestra del corridoio, che dà sul cortile. Guarda fuori e riconosce due figure appoggiate al muretto, sono Filippo ed Elia: il primo stringe una sigaretta tra le labbra, l’altro sta per andare via. È in quel momento che si ricorda dello scatto d’ira del biondo, che poco prima le aveva chiesto di tornare sul tetto. Se non avesse avuto appuntamento con Marco ci sarebbe anche andata; molte volte ha pensato di tornarci, in realtà, ma le era sembrata una sorta di mancanza di rispetto nei confronti del biondo. Quel posto era suo e le sembrava di violare la sua privacy; per questo, quando lui l’aveva invitata a tornarci insieme, aveva esitato prima di rifiutare. Non le sarebbe dispiaciuto salirci di nuovo. Con lui.
Era ancora appoggiata alla finestra quando Elia sbucò dalla rampa di scale per tornare in classe.
- Ehi! – lo chiamò. Forse l’aveva detto troppo piano, perché lui non le rispose; eppure, le era sembrato di usare un tono normale. Era tornato al suo posto aspettando l’estrazione e lei aveva fatto lo stesso, sedendosi davanti a lui, in attesa.
Questa volta erano capitati ai lati opposti della classe: terzo banco della finestra lui, quarto della porta lei vicino ad Anna, una delle ragazze con cui Laura andava molto d’accordo; le sembrava strano, era ormai abituata alla sua presenza rassicurante. Si girò per dirglielo ma lui si era già alzato per raggiungere Filippo che lo aveva chiamato; c’era qualcosa che non andava. Elia, se le somigliava così come lei era convinta, era ancora offeso per il rifiuto di prima. Stupido orgoglioso. E quel pensiero le attorcigliava lo stomaco. Si alzò e prese il posto libero accanto a Laura.
- Che ha? – disse la bionda, individuando lo sguardo dell’amica su Elia. Preoccupata più per lei che per lui, ovviamente.
- Credo si sia offeso. –
E prese a raccontarle dell’invito e della chiacchierata con Marco.
- Vi ho visti abbracciati eh… - cambiò discorso lei, maliziosa. – Dovete dire qualcosa alla classe? – incalzò.
- No. Purtroppo no. Ma forse c’è speranza… -
- A cosa pensi ora? –
- In che senso? –
- Non mi sembri molto felice di questa nuova speranza… dovresti metterti a fare le capriole, come minimo. –
- Lo so. –
- Ti preoccupa lui? – disse, indicando Elia con un cenno del capo.
- Un po’. Gli ho già visto quello sguardo e sono quasi sicura che mi stia ignorando. –
- Senti, confermo quello che penso di lui. Per quanto sia gentile con te, e devo ammettere che lo è davvero, lui è complicato. State diventando intimi e io non vorrei che tu, insomma, ti affezionassi troppo… quello che voglio dire è, per quanto ti voglia bene, a modo suo, ha un pessimo carattere. –
- Quindi dovrei fregarmene e aspettare che lui torni a parlare con me? –
- Il punto è che, non so se dovresti tornare a parlarci… considerando che nemmeno ti piace. –
- Siamo amici. –
- Lo siete davvero? –
- Non so. – sospira Ella. – È che, a volte lo guardo e sento che ha bisogno di me… -
- Ma non puoi pensare di risolvergli tutti i problemi e traumi della sua vita. –
- Ma, a volte, anche io sento… di aver bisogno di lui.
- Ella, capisco. Tu hai aiutato lui in un momento delicato e lui ha aiutato te, ma, forse tu hai bisogno dell’idea che ti sei fatta di lui. Non di lui così come è. –
- Forse hai ragione. – ma non ne era per niente convinta. C’era qualcosa negli occhi blu di lui che la costringeva a voltarsi e a incatenarli ai suoi ogni volta che respiravano la stessa aria.

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Capitolo 12
*** Uno stupido obbligo ***


Capitolo 11 “Uno stupido obbligo”
 
- E… inviato! Un obbligo è un obbligo, no? –
- Onestamente, non credevo l’avresti fatto! – disse Laura guardando Ella, divertita.
- Ora bisogna aspettare la risposta. – aggiunse Anna, amica di Laura e ora anche di Ella. Era il tre gennaio e la bionda aveva invitato le ragazze a dormire da lei; dopo un pomeriggio passato a truccarsi e a parlare di pettegolezzi sulla classe, verso le nove di sera avevano deciso di giocare ad obbligo e verità. Per la prima mezz’ora avevano risposto le une alle domande delle altre, imparando anche a conoscersi. Anna e Laura, ovviamente, si conoscevano fin dal primo anno ed Ella si era subito trovata bene anche con la prima. Avevano scoperto che Anna era talmente timida che non riusciva nemmeno a pronunciare la parola “sesso”, che la prima cosa che Laura guardava in un ragazzo erano le mani e che Ella era stata, una volta, sul tetto della scuola. Con Elia. In realtà, questo Laura lo sapeva già mentre Anna aveva spalancato i grandi occhi marroni ed aveva preteso che le venisse raccontata l’intera storia. Ella, visto quanto successo con Federica, era un po’ titubante ma Anna le strinse la mano con la sua, bianchissima, e le promise che mai avrebbe raccontato ad anima viva le cose che avrebbe sentito in quella stanza. Dopo aver raccontato, per la seconda volta, tutta la storia ed aver confermato che sì, la sua cotta per Marco era vera ma aveva chiesto al ragazzo di tacere e di affermare il contrario, avevano deciso che ne avevano abbastanza del momento confessioni: era ora di fare qualche obbligo. I primi non erano stati nulla di che; Laura aveva dovuto improvvisare un balletto idiota ed Anna si era scolata uno shot di vodka presa in uno degli armadietti del padre della bionda; poi era stata la volta di Ella e le cose si erano fatte interessanti.
- Manda un messaggio a Marco! – aveva proposto Laura, scherzando.
- Dovrei smentire le voci su di lui, non alimentarle… - rispose Ella guardandola male ed Anna le aveva dato man forte per poi aggiungere:
- Elia? –
- Elia non mi parla… ricordi? –
- Non sei sicura di questo! – disse Laura – Strano com’è, tornerà ad infastidirti a partire dall’otto gennaio. –
Dopo qualche minuto di silenzio, Anna si alzò in piedi, di scatto.
- Filippo! – urlò. - Scrivi a lui. Ho visto sulla sua storia Instagram che in questo momento sta con tutti i ragazzi di classe… magari Marco legge il messaggio e parlate. –
- Non sembra una cattiva idea ma… cosa gli scrivo? –
- La verità! – affermò Laura con un sorriso malefico in volto. – Gli dici semplicemente “Devo scriverti per un obbligo!” –
Anna ed Ella fissarono Laura e nei loro occhi si leggevano confusione ed incredulità per la stronzata appena detta; Ella sarebbe sembrata ancora più matta di quanto già non fosse. Ma forse il punto era proprio questo: tutti la consideravano un po’ folle ed anche leggermente impulsiva, tutto sommato quel messaggio sarebbe anche risultato piuttosto… normale, per una come lei.
Evidentemente, le amiche dovevano aver pensato la stessa cosa perché un sorriso, identico a quello di Laura, si dipinse anche sui volti di Ella ed Anna.
- Facciamolo! – disse la prima afferrando il suo cellulare ed aprendo, per la prima volta, la chat con Filippo, nella speranza che quanto aveva detto Anna si verificasse; voleva davvero parlare con Marco, specialmente dopo l’ultima, ambigua conversazione.
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Messaggio da Ella La Baldi: Ho dovuto scriverti per uno stupido obbligo.
Filippo lesse il messaggio e pensò che, forse, Elia avesse ragione: quella ragazza era strana. Probabilmente, però, non nel senso che intendeva il suo amico; era più uno strano-inquietante. Oppure era ubriaca. Non vedeva molte altre spiegazioni. Era seduto sul divano, con una birra nella mano sinistra ed il cellulare nella destra, a fissare l’anteprima di quella bizzarra notifica ed era indeciso se rispondere o meno: quella ragazza non gli andava molto a genio, d’altra parte, però, era davvero curioso di saperne di più su questa storia. E di capire se fosse ubriaca o semplicemente scema. Stava per aprire la chat e rispondere quando il suo telefono venne afferrato da una mano bianca, dalle dita sottili e affusolate.
- Perché La Baldi ti scrive? – disse Elia, sbucato alle sue spalle.
- Non so. Forse è ubriaca. – Elia fissò il messaggio e poi, scuotendo la testa con un sorriso stampato in volto, disse: - Non è ubriaca. È solo Lab. –
- Dammi quel telefono. – gli disse Filippo con tono annoiato. – Le chiedo cosa intende dire. –
- Non c’è molto da capire, sta giocando ad obbligo e verità e ti ha scritto, tutto qui. –
- Ma che razza di obbligo sarebbe? –
- Uno di quelli che proporrebbe una ragazzina. Scommetto 20 euro che è a casa della bionda. –  disse, scavalcando la spalliera del divano e tuffandocisi sopra, in maniera scomposta.
- Lauretta? –  chiese Filippo, guardandolo.
- Da quando la chiami così, scusa? –
- Boh, mi sta simpatica. A differenza di La Baldi. –
- L’ho sempre detto che non capisci niente di donne. –
- Di che parlate? – sì inserì una terza voce, leggermente sbiascicata per l’alcool. Filippo stava per rispondere ma Elia gli parlò sopra: - Donne. – affermò piatto; non aveva voglia di dire all’idiota che Ella aveva scritto a Filippo. In realtà non aveva proprio voglia di parlare con Marco, meno lo vedeva e meglio stava. Il moro in questione gli rivolse uno sguardo interrogativo, poi, con un’alzata di spalle, prese una lunga sorsata dalla bottiglia che teneva in mano e se ne andò a giocare a carte con Valerio, Pier e Leo. Nel frattempo, Elia si si fece più vicino a Filippo senza, però, restituirgli il cellulare.
- Cosa rispondiamo? –
- E tu cosa centri, scusa? –
- Avanti! Cosa scrivo? – rispose, ignorando la domanda dell’amico.
- Sei davvero assurdo… - disse Filippo, rassegnato al fatto che il suo telefono era, ormai, sotto sequestro. Elia era davvero testardo, specie quando si trattava di quella lì. – Mandale due punti interrogativi. –
- Fatto. – poi si alzò e gettò il telefono sul divano: - Fammi sapere se risponde, devo andare un attimo in bagno. – aggiunse.
Filippo non rispose, si limitò a sbuffare, riprendendosi il cellulare; di tanto in tanto accendeva lo schermo per controllare le notifiche. Non voleva ammetterlo ma era curioso di vedere come si sarebbe evoluta la situazione, e di scoprire fino a che punto avrebbe insistito quella ragazza mora e petulante.
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- Ha risposto! – urlarono Laura ed Anna sentendo vibrare il telefono.
- Avanti fa vedere! – disse Anna sporgendosi verso la proprietaria del telefono.
- Calmatevi… ha mandato due punti interrogativi. Come cazzo si risponde a due punti interrogativi? –
- Che scemo… –
- Toglie tutto il divertimento. –
- E ora che scrivo? –
- Boh, scrivi tipo… “Ho fatto quello che dovevo fare, buona serata.” –
- Mi sembra una buona idea… - disse Ella.
- Che noia, pensavo che sarebbe stato più divertente. Forse abbiamo sbagliato persona. –
- Già. Poteva mandare… che so, una foto. –
- Sì, certo, magari una foto di Marco, no? – scherzò Laura provocando la risatina di Anna e beccandosi uno schiaffo sulla spalla sinistra da Ella che, dopo quella dimostrazione di affetto, inviò il secondo messaggio.
- Che dite, andiamo a struccarci? – propose Anna. Le ragazze risposero alzandosi ed armandosi di dischetti struccanti, spazzolino e pigiama.
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- Questa è davvero scema! – disse Filippo ad Elia, che nel frattempo era tornato seduto sul divano.
- Dai qua. – disse il biondo fissando lo schermo e, trattenendo una risata, lesse il messaggio;
- Posso riavere il mio telefono? –
- Non sai divertirti… -
- Scusa se non trovo divertente chattare con La Baldi. –
- Sei perdonato. – rispose ironico – Ora, se tu vuoi scusarmi. Devo riflettere. –
Dopo qualche minuto, Filippo si alzò rassegnato per andare a prendersi un’altra birra, non prima di avergli detto: - Pensavo non le parlassi più. – Elia alzò gli occhi al cielo, sbuffando. Poi, soddisfatto della risposta appena digitata, premette il tasto invio.
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Dopo essersi sistemate per la notte, le ragazze tornarono in camera e la prima cosa che videro fu lo schermo del telefono di Ella. Illuminato. Si guardarono e, con uno scatto, si fiondarono sul pavimento. Il noioso Filippo aveva deciso di continuare la conversazione e le aveva chiesto con chi fosse.
- Mandiamogli una foto! – disse Anna; Ella si chiese se quella fosse la stessa ragazza che non riusciva a dire “sesso”.
- Una foto nostra o della stanza? – disse Laura.
- Ha chiesto con chi sono… non avrebbe senso mandare una foto della stanza, ma non voglio nemmeno che abbia una nostra foto in galleria. –
- Mandiamogli quella che si può visualizzare una sola volta! –
- Dici? –
- Beh, abbiamo detto che volevamo continuare la conversazione – iniziò Laura, poi Anna aggiunse – E magari lui potrebbe mandare una foto degli altri… -
- Ok, mi avete convinta! Non serve fare gli occhi dolci. –
Si sistemarono i capelli, poi si strinsero di fronte all’obiettivo della fotocamera interna e scattarono; Ella, al centro, aveva sistemato i capelli sul lato destro, Laura aveva guardato dritto l’obiettivo, mostrando i suoi occhi azzurri mozza fiato, ed Anna aveva rivolto alla fotocamera uno smagliante sorriso. Selezionarono l’opzione per una sola visualizzazione ed inviarono.
La foto fu immediatamente visualizzata.
- Stava aspettando la tua risposta, ha visualizzato subito! –
Gli attimi successivi furono un misto di ansia e curiosità: per tre minuti buoni la scritta “sta scrivendo” appariva e scompariva. La foto doveva averlo colto di sorpresa perché ci stava mettendo un’eternità a rispondere; poi, anche alle ragazze arrivò una foto, ma la visualizzazione non era limitata ad una volta sola. Le mani di Ella tremavano mentre Anna e Laura le dicevano di sbrigarsi a visualizzare, la curiosità le stava mangiando vive.
- Che aspetti, muoviti vogliamo vedere! – disse Laura, sporgendo la testa verso il telefono, mentre Anna la imitava;
- Se togliete le vostre teste dal mio telefono forse riesco ad aprire la chat.
Decisamente, quella non era la foto che si aspettavano.
- Sicura di aver scritto a Filippo? – disse la bionda.
- Forse hai salvato male il numero. –
- Dite che li ho invertiti? –
- Controlla l’immagine del profilo! – suggerì Anna.
- È lui, non ho sbagliato. – disse Ella, dopo aver verificato.
E allora perché sullo schermo del telefono troneggiava il selfie di Elia? Il viso del biondo spiccava al centro dell’immagine, dietro di lui si intravedeva la spalliera di un divano beige. Indossava una felpa bordeaux senza lacci, sfoggiava un sorrisino beffardo la cui linea era interrotta dalla sigaretta mezza consumata che stringeva tra le labbra; i suoi occhi blu erano leggermente socchiusi e nascosti dalle ciglia lunghe. Adesso sì che non sapeva cosa rispondere. Decisamente non si aspettava un selfie di Elia, di Filippo al massimo oppure una foto simile alla storia che il moro aveva pubblicato su Instagram… ma questo.
- Se il numero è di Filippo, ma il selfie è di Elia vuol dire che ha preso il suo telefono quando ha letto il tuo messaggio. – ipotizzò Laura.
- Oppure, per qualche motivo, aveva già il suo telefono quando gli abbiamo inviato il primo messaggio. -
- Potrebbe anche averlo preso dopo che gli hai mandato la foto. – affermò Anna.
- In ogni caso… - riprese Ella, continuando a fissare la faccia del biondo, che gli sorrideva ammiccante. – Che si fa ora? –
- Chiedigli cosa sta facendo…
- Non gli dico come mai ha il telefono di Filippo? –
- Forse è meglio. – disse Anna, alzandosi in piedi: camminare la aiutava a pensare.
- Comunque… - iniziò a dire la bionda guardando Ella – non vorrei dire “te l’avevo detto” ma, te l’avevo detto! –
- Che intendi? – rispose Ella fissandola male, in fondo già conosceva la risposta.
- Di non preoccuparti – rispose Anna al posto di Laura – perché ti avrebbe parlato di nuovo. –
- Anche prima dell’otto gennaio… - aggiunse Laura, infastidita – poteva continuare a farsi gli affari suoi per il resto dell’anno. –
- Laura non lo sopporta. – spiegò Anna, con un sorriso dolce, pensando che Ella non lo sapesse. La ragazza, nel frattempo, aveva iniziato a pettinare i capelli con le dita; non aveva idea di cosa scrivere. Non si aspettava di sentire Elia prima di tornare a scuola, soprattutto dopo la sua ultima quasi-sfuriata. Alla fine, le tre convennero che la cosa migliore da fare, per continuare la conversazione e per cercare di capire come mai il biondo avesse risposto al posto dell’amico, era chiedere perché avesse lui il telefono Di Filippo. La risposta, questa volta, non arrivò. Mezzanotte era passata da qualche minuto, Anna e Laura si erano addormentate; avevano deciso di dormire tutte insieme, perciò non si trovavano nella cameretta della padrona di casa ma nella stanza degli ospiti, che aveva un grande letto matrimoniale che tutte e tre avrebbero condiviso. Ella era al calduccio, sotto le coperte, nel lato sinistro del letto quando il suo telefono iniziò a vibrare; aveva dimenticato di spegnerlo perché, aspettando il messaggio che non era mai arrivato, si era addormentata con il telefono accanto a sé. Cercò di afferrarlo, scavando nel groviglio di coperte, stando attenta a non svegliare le amiche; una volta preso, sgattaiolò fuori dal letto e, con gli occhi assonnati e senza lenti a contatto, prese gli occhiali dal comodino e se li mise per leggere il contatto, imprecando. Fece appena in tempo a rispondere, perché dall’altro lato, Elia stava per riattaccare; quando sentì la sua voce impastata dal sonno gli venne da ridere, soprattutto perché lo aveva chiamato Filippo.
- Lab – le disse – avete finito il gioco? –
- Elia, sei tu? –
- Perché parli a bassa voce? –
- Perché chiami a quest’ora, e con il telefono di Filippo? –
- Non dirmi che stavi già dormendo… pensavo stessi giocando con le tue amiche; riesco quasi a immaginarvi intente a fare la lotta con i cuscini... – disse ironico, con una punta di malizia nella voce. Ella aveva una gran voglia di prenderlo a schiaffi, e glielo disse. Lui la ignorò, tornando all’argomento precedente.
- Allora, che altro avete fatto? Oltre a mandare foto sconce a Filippo… –
- Non era una foto sconcia… idiota! –
- Ho visto il tuo pigiama, Lab. Immagino di essere il primo, non è romantico? –
- Cretino. E poi… - disse, con tono poco convincente – Chi ti dice di essere l’unico ad avermi vista in pigiama? –
- I tuoi fratelli non contano, sai? –
- Ok, che cazzo devi dirmi? Stavo dormendo. – Cercò di cambiare discorso, la sua voce era salita di qualche ottava a causa del fastidio che lui le stava facendo provare. Altro che prenderlo a schiaffi, voleva proprio strangolarlo.
- Anche noi ragazzi stiamo giocando ad obbligo e verità. – Ella riusciva ad immaginare la sua odiosa faccia da idiota, contorta dal divertimento.
- Smettila di prendermi in giro. So che non è vero. –
- Ok, beccato! Non stiamo giocando, gli altri sono sbronzi sul pavimento del salotto. Ma possiamo farlo. Io e te. – disse, rimarcando le ultime frasi per sottolineare il doppio senso. “E poi sono io quella volgare…” pensò Ella, ringraziando mentalmente di essere al buio e lontana dallo sguardo di Elia che, ne era certa, avrebbe notato il suo rossore e forse riusciva anche a percepirlo attraverso il telefono.
- Hai perso la lingua, Lab?
La risposta che raggiunse Elia, dall’altro capo del telefono, lo stupì, ed Ella stessa se ne sorprese e pentì allo stesso tempo. Ma ormai, era troppo tardi. Gli aveva risposto: - Giochiamo -.
Aveva approfittato dell’istante di silenzio per spostarsi in bagno, in modo da non svegliare le amiche, se la cosa fosse andata per le lunghe. Vedendo che lui non rispondeva e gongolando per averlo zittito lo provocò:
- Hai perso la lingua, idiota?
- Verità. – rispose lui, con un tono indecifrabile. Ella non era sicura, al momento, che lui avesse intenzione di giocare. Sembrava piuttosto serio. Lei esitò un attimo, per pensare alla domanda; non le venne in mente nulla di originale perciò disse soltanto:
- Come mai hai risposto tu e non Filippo? –
Sapeva di aver sprecato una domanda ma cosa avrebbe potuto chiedergli… magari perché voleva che tornassero sul tetto insieme? Stupida, perché non ci aveva pensato. O meglio, perché non aveva avuto il coraggio di chiederglielo. Tuttavia, la domanda che gli aveva posto si rivelò più complicata del previsto perché passò qualche minuto prima che Ella sentisse di nuovo la voce di lui.
- La verità, Lab, è che non lo so. Ho visto il tuo nome sul display e mi sono incuriosito, mi sono fatto passare il telefono e ho continuato a scrivere. –
- Ti annoiavi? –
- È il mio turno ora. – tagliò corto – Obbligo o verità? –
- Verità. –
- Mi odi? –
La domanda lasciò Ella parecchio sorpresa e si stupì ancora di più della velocità con cui gli rispose.
- No. Ovvio che non ti odio. – Di questo, e di poche altre cose, ne era certa.
- Verità. – rispose lui – E stavolta fammi una domanda intelligente, Lab.
- Antipatico. – borbottò lei – Fammi pensare. – poi disse:
- Torneresti sul tetto… con me? –
Elia sorrise malinconico contro il cellulare, se lei avesse potuto vederlo in quel momento, sarebbe risultato patetico: birra nella mano destra, che gli aveva dato la forza e la follia per fare quella chiamata, telefono di Filippo nella sinistra, per essere sicuro che lei rispondesse; se ne stava seduto scomposto su una sedia fuori al balcone di casa di Pier, con addosso una coperta infeltrita.
- Ti ho proposto io di tornarci, ricordi? –
- Dico sul serio. –
- Anche io dicevo sul serio. –
- Senti Elia, mi dispiace… - sospirò la ragazza - … mi dispiace di non essere venuta. –
Elia strizzò gli occhi e prese un altro sorso di birra, per distendere i nervi.
- Almeno sei riuscita a smentire le voci? –
- Vuoi sprecare così il tuo turno? – scherzò lei, cercando di smorzare la tensione.
- Questa non vale come verità. Mi devi un altro turno dopo, e una risposta adesso. – le disse, autoritario.
- Gli ho detto la verità. E gli ho chiesto di mentire agli altri. Ora anche tu lo sai quindi… -
Dalla risposta di lei, Elia intuì che a lei, l’idiota piaceva davvero; non riusciva proprio a capire come fosse possibile… stava per dirle che Marco non era esattamente una persona onesta come voleva far credere, che forse, dirgli la verità non era stata un’ottima mossa perché era un cretino e un falso ma poi pensò “Che prove ho per dimostrarlo?”; non voleva che quella ragazzina sprovveduta si preoccupasse per una sua sensazione su una persona che, tutto sommato, non gli aveva mai fatto nessuno sgarbo. Era solo questione di… istinto, diciamo. Non si fidava, ne era convinto. Ma non aveva senso infrangere i sogni di lei, che vedeva Marco come il principe azzurro delle fiabe, e non aveva il diritto di rovinarle quell’immagine anche se, per lui, somigliava più ad un enorme, gigantesco pupazzo da ventriloquo.
- Ci sei ancora? – incalzò lei quando vide che Elia aveva smesso di parlare.
- Sì. Sono solo sorpreso… ti fidi così tanto di lui da dirgli la verità? –
- Pensi che potrebbe sputtanarmi davanti a tutti? –
- Sai cosa penso di lui. – rispose, rimanendo vago ed Ella decise di lasciar perdere.
- A chi tocca? –
- Devi scegliere tu. – Disse lui mentre un sorriso malizioso tornava a far capolino sul suo viso, peccato solo che lei non potesse vederlo. – ed hai già scelto verità, quindi ti resta solo… -
- Obbligo. – disse lei sfidandolo, anche se una punta di insicurezza sporcava il suo tono battagliero; non voleva sembrare una ragazzina, ma cominciava a capire quando il tono di Elia prendeva un’inflessione per cui valeva la pena preoccuparsi un po’. Le venne in mente la foto che lui aveva inviato; l’espressione sicura e furba, il sorriso inclinato che gli solcava il viso, come un taglio, e gli occhi indagatori e attenti. Le sembrava quasi di vederlo. Scosse la testa per rimuovere quell’immagine e guardò la sua, riflessa allo specchio del bagno, mentre attendeva la risposta del suo interlocutore notturno. Risposta che non tardò ad arrivare.
- Mandami una tua foto in pigiama. Sono orsetti quelli disegnati? Non si capisce bene nella foto che hai mandato a Filippo e, purtroppo, non posso rivederla. –
- Tu sei davvero… un deficiente. –
- E tu sei imbarazzata! –
- Ti sbagli. –
- Allora invia. Che aspetti? –
- A Filippo? – rispose lei, ingenuamente.
- Ovvio che no. A me. – poi aggiunse, prima che lei potesse imbrogliarlo: - senza l’opzione di visualizzazione unica. Mi pare ovvio. –
- Sei un tale stronzo... –
- Puoi rifiutarti – poi aggiunse, conoscendo già la sua risposta – …se non hai coraggio.
L’aveva punta nell’orgoglio; erano troppo simili su questo per non sapere che, dopo aver pronunciato queste parole, lei non avrebbe mai rifiutato.
- Devo sistemarmi. – rispose, rassegnata – ti metto in vivavoce, cerca di non fare rumore altrimenti ti attacco in faccia. –
- Aspetto. – disse divertito mentre tirava fuori dalla tasca il suo cellulare, pronto a visualizzare il selfie. Tuttavia, la ragazzina aveva deciso di mandargli una foto allo specchio, forse credendo che da lontano, si sarebbe vista di meno. Che sciocca, non sapeva che si potevano zoommare? Seguirono attimi di silenzio in cui lui contemplava la foto: Lab portava i capelli sciolti sistemati sul lato destro che le coprivano una parte del pigiama… orsetti! Ci aveva visto giusto. Le labbra carnose erano leggermente distese, in un sorriso timido che non mostrava i denti e guardava in basso, tanto che gli occhi sembravano più piccoli e più scuri di quanto già non fossero; la mano che non reggeva il telefono era poggiata su un fianco e, anche se lo specchio le tagliava le gambe, si poteva vedere che aveva distribuito il peso su quella sinistra e ciò consentiva al fianco destro di salire più in alto, mettendolo in evidenza. La voce di lei, dall’altro capo del telefono, interruppe la sua riflessione:
- Immagino che non la cancellerai, vero? –
- Ovvio che no, Lab. –
- Bene. Almeno abbi la decenza di non farla vedere a nessuno. -
Non rispose, ma era più che intenzionato a non mostrare quella foto ad anima viva.
- Immagino che avrai già pensato ad un obbligo per me… - rispose, invece. – e ricorda che hai già una mia foto in galleria… -
- Chi ti dice che non l’abbia cancellata? –
- O magari ne vorresti una più… provocante. –
- No, grazie. Sono a posto. – disse, cercando di nascondere il tremolio della sua voce; in effetti, come aveva già più volte constatato, Elia aveva un bel viso, occhi stupendi e si poteva decisamente definire un tipo affascinante. Con quella pelle candida e quei lineamenti decisi, i fili d’oro che ricadevano ribelli sulla fronte, e quel sorriso che… ok, ora basta. La situazione che si era venuta a creare le stava facendo brutti scherzi. E non aveva ancora deciso un obbligo da sottoporgli; per un attimo le venne in mente di chiedergli una foto di Marco, ma avrebbe fatto di lei una stalker quindi vi rinunciò. Poi disse:
- Dammi qualche altro minuto per pensare. –
- Ok. Abbiamo tutta la notte. Cucciola. – ancora doppi sensi, ancora quel soprannome idiota, ancora malizia e tono ammiccante. Prima o poi lo avrebbe trascinato in un bosco e l’avrebbe fatto fuori, ne era certa! Non rispose, però; era meglio ignorarlo e concentrarsi sull’obbligo ma non riusciva a togliersi dalla testa quella voce impertinente e l’inflessione con cui pronunciava ogni parola e… bingo! La sua voce le aveva fatto venire in mente un obbligo decente.
- Ok, ho trovato. Ma dovrai chiudere la chiamata per farlo. –
- Mi hai incuriosito, Lab. Ora sì che ti riconosco. Sentiamo. –
- Voglio che mi mandi un vocale, in cui mi dici quello che pensi di me ma attenzione… -
- Ah, c’è il trucco! –
- Ovvio. Dicevo, non potrai dire altro che cose positive, e ovviamente, non puoi inventarle. Devi essere sincero. –
- Potrei semplicemente dirtele adesso, piccola egocentrica, non c’è bisogno del vocale. –
- Oh, no… troppo facile così, mio caro! Voglio la prova provata del fatto che tu riconosci che io ho delle qualità. –
Gli scappò una risatina, sentendo quelle parole pronunciate con quel suo finto atteggiamento di superiorità. Ma l’avrebbe accontentata.
- Mi ci vorrà tutta la notte per pensare ad una tua qualità, quindi, vai a nanna Lab. La mezzanotte è passata da un’ora e sono sicuro che non hai mai fatto così tardi in vita tua! –
- Sì che l’ho fatto. Non sono una sfigata come credi, sono andata a delle feste! –
- E scommetto che all’una eri già a casa. –
- L’una e mezza… - farfugliò lei, offesa. “Adoro quando fa la bambina” si ritrovò a pensare e si schiaffeggiò per scacciare via quell’affermazione. Poi le disse:
- Va’ a letto. Ti prometto che passerò la notte a pensare a cosa dire. E domani mattina avrai il tuo benedetto audio. –
- Ok, ehm allora, buonanotte. –
- Notte Lab, sogni d’oro. – E attaccò prima di poter sentire lo sbuffo contrariato di lei.
Silenziosamente, Ella uscì dal bagno e si infilò di nuovo sotto le coperte; prima di spegnere il telefono fissò la chat con Elia e l’unico messaggio presente sul display, la foto che gli aveva inviato. L’ultima cosa che vide prima di spegnere ed addormentarsi fu la scritta “Sta registrando audio”.
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Il mattino seguente, con un leggero mal di testa dovuto alla birra, si alzò e si accorse che, per gli altri, la situazione a casa di Pier era degenerata. Fortuna che i suoi genitori non c’erano altrimenti avrebbero trovato cinque ragazzi addormentati nei punti più improbabili del salotto e lui in mutande; anzi, quattro ragazzi in salotto perché Valerio, chissà come, aveva dormito nella vasca. Lui era l’unico che aveva avuto la decenza di addormentarsi sul divano, subito dopo aver inviato l’audio, circa un’ora dopo la chiamata con Ella; ai piedi del divano c’erano ancora il suo telefono e quello di Filippo. Si ricordò, a quel punto, che avrebbe dovuto spiegargli perché nel registro chiamate recenti c’era il contatto di La Baldi, ma ci avrebbe pensato dopo; attualmente, aveva bisogno di un caffè. Si avvicinò all’amico, che dormiva accanto all’imponente libreria e poggiò il telefono al suo fianco; poi si preparò un caffè con la macchinetta a cialde e si sedette al tavolo.
Mentre lo sorseggiava, inzuppandoci un biscotto, aprì la chat con Ella e vide che lei aveva visualizzato e riprodotto il vocale. E gli venne da sorridere.
- Come mai sei di buon umore? –
- Ci mancavi tu a guastarmelo. – disse, non riuscendo a trattenere la risposta piccata. Marco l’idiota, appena sveglio e con un sorriso ebete, faceva questo effetto.
- Non capisco perché non vuoi mai dirmi nulla. – insistette, sedendosi sulla sedia di fronte a lui. Il suo sguardo vacuo, questa volta, sembrava quasi sveglio…
- Non mi hai detto di cosa parlavate ieri tu e Filippo, non mi hai detto cosa vi siete detti quel giorno tu ed Ella e non vuoi dirmi perché sorridi fissando il telefono… mi viene il dubbio che le tre cose siano collegate. –
- Non sforzare troppo il tuo cervello… non te l’ho detto perché non sono affari tuoi. –
- Perché non ti piaccio, Elia? – riprese a dire; il suo sguardo era tornato innocente e ingenuo ed al biondo la cosa puzzava un po’.
- Non ho mai detto questo. –
- Ok, basta che tra noi è tutto a posto. –
- Sono solo riservato. – disse, tornando a guardare il telefono e mettendo fine alla conversazione, trattenendo un sorriso al pensiero che, se ci fosse stata Lab, avrebbe fatto notare al moro il mancato uso del congiuntivo.
 
Ella si era svegliata, verso le nove, con un solo pensiero in testa: il vocale. Accese il telefono, aprì la chat e lo vide: ben tre minuti di complimenti… chissà cosa le aveva detto. Un movimento e dei mormorii la distolsero dai suoi pensieri; Anna e Laura erano sveglie. La moretta pensò che avrebbe fatto meglio ad informarle di ieri, prima che lo avessero scoperto da sole. Non aveva voglia di sorbirsi le loro lagne per averlo dovuto sapere un mese dopo, per caso. Così, non appena le ragazze furono abbastanza sveglie da non collassare di nuovo durante il racconto, le informò della chiamata, del gioco e dei rispettivi obblighi.
- Facci subito vedere la foto che gli hai mandato! – Disse Laura, seria in volto. Cosa credeva? Che gli avesse mandato una foto nuda?
- Chissene della foto. Riproduci l’audio! – ribatté Anna.
- Ok, ragazze placatevi. Farò entrambe le cose. –
- Non ci credo che ti abbia telefonato… - disse Anna con sguardo sognante, beccandosi una doppia occhiataccia sia da Ella che da Laura che le urlò:
- Conosco quello sguardo, smettila di farti qualsiasi film tu ti sia facendo. Stiamo parlando del biondo stronzo. –
- E tu da quando dici parolacce? – la rimproverò Ella, divertita.
- Da quando ti frequento. Hai una brutta influenza su di me ahahahah. –
Poi, Ella mostrò la foto ad una furiosa Laura che, tuttavia, la approvò (affermando che, tanto ormai era inviata e poteva fare ben poco) ed insieme ascoltarono l’audio.
 
Sai, Lab, innanzitutto devo dirti che questo obbligo mi piace: è intelligente. Tu lo sei. Non mi sarei aspettato niente di diverso da una come te. Secondo complimento: sei strana; e so che può sembrare un insulto ma ti assicuro che, per come lo intendo io non lo è. Che altro dire, è difficile visto che posso fare solo complimenti, altrimenti questo vocale durerebbe molto ma molto di più… comunque sei una testarda, qualità che apprezzo perché vuol dire che non ti fermi davanti a niente; e poi sei ironica e mi fai divertire. Sei sensibile, forse anche troppo, ed emotiva; sei empatica, capisci i sentimenti degli altri e non te ne freghi, non li ignori, li accogli come se fossero tuoi, come se fosse compito tuo ascoltare i casini che abbiamo in testa noi altri. Ti voglio dire anche una cosa, e ti consiglio di non perdere questo audio perché, probabilmente è l’alcool a parlare e non sentirai mai più niente del genere uscire dalla mia bocca! Non sei male, fisicamente intendo; sembri una ragazzina ma non sei brutta, e so che a volte lo pensi, altrimenti non ti copriresti sempre il viso con quei maledetti capelli. Se vorrai ascoltare il consiglio di un idiota, come mi chiami sempre, in futuro cerca di crederci un po’ di più; sei carina quando sorridi e i capelli lunghi sono un bonus! Solo, ti prego, smettila di truccarti! Ti avrò detto cento volte che quella roba ti sta male, specialmente il rossetto rosso. Non te l’ho mai visto addosso ma sono sicuro che ti sta male e, prima che mi arrivi un tuo messaggio petulante e polemico, ci tengo a dirti che ti sto facendo sempre un complimento: se stai meglio senza trucco vuol dire che non hai bisogno di sembrare un clown per essere bella agli occhi di qualsiasi ragazzo, e se quel coglione, chiunque sia, ti dice il contrario vuol dire che è un coglione. Per l’appunto. Detto questo, ho fatto quello che dovevo fare. Dovremmo giocare di nuovo. Magari dal vivo stavolta.”
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Mise le cuffiette, che teneva nella tasca dei jeans, e riascoltò l’audio; non ricordava di aver pronunciato quell’ultima parte e di aver detto una parolaccia. Se fosse stato un po’ più lucido, probabilmente avrebbe evitato di dirle che era bella. Ma tanto, non ci avrebbe creduto, insicura com’era. Oppure lui avrebbe negato. Ora non voleva pensarci e non voleva nemmeno pensare al fatto che lei aveva riprodotto senza rispondere. Doveva farsi una doccia e cambiarsi, puzzava di birra.
 

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Capitolo 13
*** Rientro ***


Capitolo 12 “Rientro”
 
Come una buona serie Tv, anche le vacanze di Natale erano finite, troppo in fretta; quella mattina, il rientro a scuola era stato traumatico per Ella. L’unico lato positivo era il suo nuovo posto accanto ad Anna; aveva avuto modo di conoscerla negli ultimi giorni, e la ragazza che Laura le aveva presentato era diventata, a tutti gli effetti, la sua seconda migliore amica e l’unica, insieme alla bionda, all’ex amica Federica, e a Marco stesso, a conoscere tutti i dettagli sulla sua cotta per il ragazzo e anche di più. Ok, forse ne erano a conoscenza un po’ troppe persone, considerando che, probabilmente, anche Elia aveva intuito la verità; ed aveva anche espresso i suoi dubbi riguardo l’astuzia di quella sua scelta. La ragazza, però, aveva esiliato quei dubbi in un angolino remoto del suo cervello e si era convinta, con l’aiuto delle due amiche, che il segreto fosse in buone mani, nelle mani grandi e ruvide di Marco. Si avvicinò al banco di Anna e vide che in piedi accanto a lei c’era anche Laura; le salutò e cominciarono a chiacchierare in attesa del professore.
Il resto del mese trascorse nella più assoluta normalità; i suoi battibecchi con Elia si erano fatti più frequenti ma meno ostili, ormai erano diventati una sorta di gioco, un appuntamento fisso del cambio dell’ora o della ricreazione; qualche volta, anche durante quelle lezioni in cui i professori cercavano di coinvolgere gli studenti in un dibattito: i due prendevano posizioni diametralmente opposte, qualsiasi fosse l’argomento, solo per punzecchiarsi e rispondere a colpi di argomentazioni ben sostenute. Ella doveva ammettere che, grazie a questi dibattiti, era diventata meno timida e si era fatta notare agli occhi di alcuni insegnanti. Eccetto la Cocci, lei continuava a odiarla e lo avrebbe fatto ogni giorno della loro vita, finché diploma non le avesse separate. Anche sulla “questione Marco”, niente di nuovo; lui era sempre gentile, sempre cordiale e sorridente e lei era sempre intenta a fissarlo di nascosto. Laura ed Anna cercavano di spronarla a fare qualcosa che non fosse limitarsi a sbavare o pendere dalle sue labbra ma a lei, tutto sommato, andava bene così. Ogni tanto lui le si avvicinava per chiacchierare e, un freddo giorno di febbraio, si erano ritrovati, chissà come, a discutere di quali fossero i cantanti preferiti delle loro madri. Tuttavia, non avevano mai più parlato della cotta che si era presa per lui, come se non gli avesse mai detto la verità. Le voci su di loro erano quasi del tutto passate di moda: capitava, soprattutto i primi giorni dopo il rientro dalle vacanze, che nei momenti in cui erano vicini qualcuno ridacchiasse o facesse qualche commento; di tanto in tanto, era proprio Marco a ribadire che quelle erano solo voci uscendosene con un: “Ma se mi dice sempre che non sono il suo tipo…” oppure “Magari le piacessi!” seguiti da un sorriso e un occhiolino nella sua direzione. Lei, alla fine, aveva davvero messo in atto la strategia programmata in precedenza (anche se rivisitata insieme alle amiche): quando ne aveva l’occasione, parlando con Anna e Laura, si faceva sfuggire ad alta voce qualche commento piccante e sfacciato su Leo e, di recente, aveva iniziato a parlare di un tale Fabrizio, suo amico ai tempi delle medie, mostrandone in giro il profilo Instagram e raccontando di quanto fosse carino, intelligente e chi più ne ha più ne metta. Questi comportamenti e gli altri pettegolezzi che, nel frattempo, erano saltati fuori avevano contribuito a soffocare le voci su lei e Marco che non giravano più per i corridoi della scuola. Almeno non più di tanto.
Una mattina di metà febbraio arrivò la notizia che tutti stavano aspettando: il camposcuola si sarebbe fatto e, come previsto, sarebbero andati a Firenze per otto giorni; per la gioia degli alunni, la loro accompagnatrice sarebbe stata, di nuovo, la Felice. Ovviamente, fu questo l’argomento principale della successiva assemblea, e l’ora solitamente utilizzata per i posti venne dedicata tutta all’organizzazione per l’imminente viaggio; le priorità di quelle due ore erano: uno, decidere velocemente i nuovi posti concordando che, solo per questa volta e per velocizzare il tutto, ognuno avrebbe deciso il rispettivo compagno, in modo da dover estrarre solo i banchi; due, dedicarsi alla scelta delle stanze per il camposcuola; l’ultima ora di assemblea, come al solito, sarebbero stati liberi di fare ciò che volevano. Ella e Laura, che non erano ancora mai state al banco insieme, decisero di fare coppia mentre Anna si accordò con Elena; le prime due furono così fortunate da guadagnarsi l’ambito ultimo centrale, evento che si presentò come la scusa perfetta per il consueto scontro tra Ella ed Elia. Il ragazzo si lamentava con Pier perché, a detta sua, la ragazza aveva “stregato i bigliettini” e l’estrazione andava rifatta. Ovviamente l’aveva detto in modo che anche Ella, seduta a qualche metro di distanza da lui, potesse sentirlo. La mora si era avvicinata e Pier aveva ben pensato di lasciarli soli; ormai non interveniva più nelle loro scaramucce, specialmente quando, come quel giorno, non vi era alcun vero motivo per litigare. Erano diventati noiosi da quando non cercavano più di uccidersi.
- Sei a corto di scuse per discutere con me? – gli aveva detto lei, con un sorriso ammiccante, poggiandogli il gomito sulla spalla sinistra, nonostante lei fosse nettamente più bassa e si fosse dovuta mettere sulle punte dei piedi.
- E a te serviva una scusa per starmi vicino? – le aveva sussurrato, avvicinandosi in modo che nessun altro potesse sentirlo. Lei si era allontanata lentamente, facendo scorrere la mano sulla spalla di lui, scuotendo la testa e ribadendogli quanto fosse coglione, tanto perché non lo dimenticasse. Dopo i posti, era stata la volta delle stanze per il camposcuola e, ovviamente, Ella, Anna e Laura erano insieme; a loro si era aggiunta Elena visto che la stanza doveva essere da quattro poiché le uniche da tre persone erano già state prese dai sei ragazzi: Valerio, Marco e Pier nella prima, Filippo, Leo ed Elia nella seconda. Sistemata la burocrazia era il momento di godersi l’ora libera e le tre amiche più Elena approfittarono per andare fuori in cortile a chiacchierare.
- Non vedo l’ora di partire! –
- Anche io El! Firenze è così affascinante, con tutta la cultura e la storia che offre, sarà pazzesco! – disse Laura che aveva una vera e propria passione per la storia dell’arte.
- E poi – aggiunse Anna – Ponte Vecchio è così romantico… -
- Devi dirci qualcosa? – esclamò Elena, nuovo acquisto del loro gruppo.
- Sì, Anna… con chi vorresti fare questa passeggiata romantica? –
- Con voi, ragazze… per buttarvi di sotto! Smettetela di insinuare cose. –
- Sarà pazzesco ragazze, e sono davvero contenta di essere in stanza con tutte voi! –
- Allora, provi sentimenti anche per altre persone, non solo per Marco. – Ella voltò di scatto la testa, tanto che rischiò di farsi male al collo, in direzione di quella voce fastidiosa a cui rispose a tono:
- E tu che vuoi da me? Cerchi spunto per mettere in giro altre stronzate? –
- So benissimo quello che ho sentito. –
- Potresti aver capito male, visto le tue scarse competenze nella comprensione di qualsiasi testo, scritto o orale che sia. –
- È inutile che continui a negare che ti piaccia. Non ci fai bella figura. – Betta le aveva rivolto un bel sorriso falso e canzonatorio, spostandosi la chioma bionda dalla spalla con aria di superiorità; era così scema che prima o poi si sarebbe cavata un occhio con le dita smaltate.
Ella fece per ribattere ma qualcun altro si inserì nel diverbio, e nel suo spazio vitale. Elia, che nel frattempo si era staccato dal muretto a cui era appoggiato, distante dalle ragazze ma non abbastanza da non ascoltare la discussione, le aveva raggiunte; si era fatto vicino alla mora circondandole la vita ed artigliandole il fianco con la mano in una stretta possessiva.
- Lab è mia, Betta. Tutta, tutta mia. E adesso, se vuoi scusarci… - e se la portò via, sul serio, lasciando la bionda e le tre amiche di Ella lì impalate, con espressioni diverse stampate in faccia: Betta aveva spalancato gli occhi e non era riuscita a trattenere una smorfia irritata, Laura era pietrificata, Elena aveva le labbra schiuse a formare una gigantesca “O”, mentre Anna sfoggiava il suo miglior sorriso soddisfatto; incrociò le braccia al petto e si rivolse direttamente a quella bionda antipatica:
- E ora prova a raccontare questa… vediamo chi ti crede! –
 
Non appena furono fuori dal campo visivo del gruppetto, Ella sbottò contro il biondo che non la smetteva di sghignazzare e di dire cose del tipo “Hai visto la sua faccia?”.
- Oh, sì che l’ho vista… - iniziò, alzando la voce. – L’ho vista io e l’avranno vista tutti. –
Lui provò a ribattere ma lei non glielo lasciò fare. Elia si preparò al peggio, quella che stava arrivando era una sfuriata in piena regola.
- Come avranno visto anche te, che abbracci me e che fai intuire che stiamo insieme. –
- Sì, è quella la parte divertente. – disse lui, ricominciando a ridere. Per la scena di prima e per la smorfia di rabbia che aveva coperto il volto della ragazzina. Vedendo che lei non si calmava, si affrettò ad aggiungere, prima che lei potesse farlo esplodere con la sola forza del pensiero, che aveva controllato che non ci fosse in giro nessuno della loro classe, o comunque nessuno che li conoscesse. Si era quasi convinta ma continuò a lagnarsi, come una bambina:
- Lo racconterà in giro. – disse, tramutando lo sguardo irato in un dolcissimo broncio.
- E noi negheremo. – rispose, mentre un sorriso, che sapeva di vendetta, gli dipinse le labbra carnose.
- E capiranno che è una bugiarda! –
- Esatto, Lab. –
Si era ufficialmente calmata, pericolo scampato con più facilità del previsto! E l’ombra di un sorriso timido comparve sul suo viso; iniziò a toccarsi i capelli ed Elia capì che lei stava per dirgli qualcosa che la metteva a disagio.
- Allora… - riprese a dire, un po’ titubante – mi chiedevo se… quanto manca alla fine dell’ora? –
- Venti minuti più la ricreazione. – e la guardò come ad invitarla a continuare.
- Mi chiedevo, se non hai da fare, potremmo andare sul tetto. – lui fece finta di rifletterci, portando una mano a grattarsi il mento in modo teatrale.
- Devo controllare la mia agenda. –
Lei sbuffò ma lo prese per un sì ed iniziò a camminare, guardandosi intorno; poi aggiunse:
- Cerchiamo di non rientrare in classe insieme, questa volta. –
 
Era rientrato in classe qualche minuto dopo il suono della campanella che annunciava la fine della pausa, un quarto d’ora dopo Ella, così nessuno li avrebbe visti insieme e lei non lo avrebbe picchiato a sangue. Aveva identificato Filippo, al secondo banco della porta e si era seduto accanto a lui; con la coda dell’occhio si era accorto che Lab lo stava guardando e, sorridendo vittoriosa, lo salutava con la mano, mostrando quanto stesse comoda all’ultimo banco centrale. Il suo. Maledetta fortunata! Scosse la testa e giunse al banco mentre Filippo lo fissava; al contrario di Ella, non stava sorridendo affatto. Anzi…
- Cosa ho fatto questa volta? –
- Betta va blaterando che tu ed Ella siete fidanzati. –
- E ci hanno creduto? –
- Ovvio che no! –
- Eccellente. – disse, con aria cospiratoria.
- Qualcosa mi dice che tu gliel’hai fatto intuire, che la Baldi ti ha assecondato e che poi siete spariti insieme chissà dove a parlare di chissà cosa… -
- Ti giuro che, a volte, mi fai paura. –
- Dove eravate? –
- Sul tetto. –
- Voglio davvero sapere cosa avete fatto? –
Elia ci pensò su qualche istante, poi disse:
- Niente di memorabile quindi no. Credo che non lo vorresti. –
- Bene. – aveva sbuffato, tirando fuori libro e quaderno di matematica.
Elia doveva ringraziare il cielo di avere un vero talento per quella materia, perché anche questa volta, non stava ascoltando. Ripercorreva con la mente il tempo trascorso con Ella.
Erano arrivati sul tetto e lui si era affacciato alla balaustra, mentre lei gli urlava, preoccupata, di allontanarsi e di non sporgersi.
- Se cadi e muori, ti ammazzo! – gli aveva urlato, intimidatoria. Si era avvicinato a lei e l’aveva presa per mano conducendola accanto al muretto ma senza avvicinarsi troppo, e le aveva avvolto, come al solito, la spalla con un braccio. Era diventato, ormai, un gesto automatico.
- Elia… - aveva iniziato, con voce appena udibile.
- Shh… guarda come è bello qui! –
Lei aveva sospirato ed aveva annuito con il capo, come a dargli la conferma che, per quella volta, avrebbe lasciato perdere qualsiasi cosa avesse voluto dirgli in quel momento. Poi, si era stretta di più a lui; forse sentiva freddo, nonostante questa volta avessero entrambi la giacca. La testa di lei, sul suo petto all’altezza del cuore, sembrava incastrarsi alla perfezione, come il tassello mancante di un puzzle, di quelli che perdi per anni e poi ritrovi, sotto il divano, pieni di polvere.
- Ci sediamo? – le aveva detto – così ci arriva meno vento. –
- Ok. – per la seconda volta, lo aveva accontentato e ricorda di essersi chiesto, in quel momento, se lei avesse qualche linea di febbre…
In ogni caso, si erano seduti e lei era tornata a poggiare la testa sulla sua spalla, invadendo il Northface con la sua cascata di capelli neri e lisci; le aveva detto, nell’audio, che erano belli e ora che ne aveva anche esplorato la consistenza, constatando che erano morbidi e fini come li aveva immaginati, non se li sarebbe tolti più dalla testa. Essendosi accorto che lei non riusciva a trovare una posizione comoda, aveva allargato le gambe e le aveva detto di sedersi lì in mezzo, così avrebbe potuto poggiare la schiena contro il suo petto. Stranamente, non c’era stata malizia nella sua voce, nessun doppio senso e nessuna presa in giro; forse fu per questo che lei, senza protestare, lo aveva nuovamente assecondato. Era decisamente più comoda perché non si mosse da lì.
- Stavo pensando – aveva detto, dopo parecchi minuti di silenzio – che non ti ho mai ringraziato per quello che hai fatto. –
- L’hai fatto qualche minuto fa.
- Mi riferivo a quando hai cambiato banco, Federica mi ha detto che due mesi fa ti era capitato l’ultimo, ma hai preferito stare dietro di me. –
- A proposito di Federica, dovresti chiarire con lei. – aveva ribattuto, in un vano tentativo di cambiare discorso, ma lei non era scema. Per niente.
- Immagino tu abbia chiesto a Marco di fare cambio, e immagino anche quanto ti sia costato visto che… -
- Mi ha fatto piacere. E sono io quello che dovrebbe ringraziarti. –
- Comunque ci siamo divertiti, no? – non ci aveva messo molto a capire che ora era il turno di lei di provare a cambiare argomento… piccola furbetta!
- Non fingere di non aver sentito quello che ti ho detto su Federica! –
Lei si era girata verso di lui, lasciando un piccolo vuoto dove prima c’erano la schiena ed i capelli a solleticarlo. Ora erano l’una di fronte all’altro, lui ancora a gambe aperte, mentre lei le aveva incrociate.
- Ci sono rimasta male. – aveva confessato, come se quello potesse bastare a giustificarla e aveva messo su il secondo broncio di quella giornata. Sembrava così tenera in quei momenti e gli veniva davvero difficile mantenere un’espressione seria.
- Potresti provare a sentire le sue ragioni, almeno. –
Lei lo aveva guardato, come se stesse cercando di leggergli la mente, e… non sapeva spiegarsi come ma ci era riuscita.
- Lei è venuta a parlarti, vero? –
- Sei una strega per caso? – le aveva risposto, ridendo e fingendosi spaventato – Ecco perché riesci sempre a finire al banco dove vuoi tu! –
- Stai insinuando che io volessi finire al banco con te, la prima volta? – aveva risposto, avvicinando pericolosamente il viso a quello di lui. Guardandolo divertita e… sensuale? Oh, cavolo! Lo stava facendo di nuovo!
- Lo stai facendo di nuovo! –
- Fare cosa? – aveva risposto, con un faccino innocente. Maledetta ammaliatrice, ci era quasi riuscita.
- Stai cambiando argomento! Tu, piccola Lab che non sei altro. – l’aveva afferrata, portandola di nuovo con la schiena contro il suo petto ed aveva iniziato a farle il solletico dappertutto, mentre lei lo implorava, soffocando dalle risate, di smetterla. Quando decise che ne aveva abbastanza, smise di infastidirla ma la strinse ancora di più a sé, circondandole le clavicole con il braccio destro e artigliandole la spalla sinistra. Poi, dopo qualche secondo trascorso in silenzio, lei si era alzata per raggiungere la balaustra, ma senza avvicinarvisi del tutto; anche lui si era alzato ma non l’aveva raggiunta e lei aveva preso a guardarlo interrogativa. In quel momento, osservandola, aveva realizzato che una delle cose che lo incuriosivano di lei erano le sue labbra: si era chiesto quanto potessero essere morbide e se quella linguaccia tagliente fosse capace di fare anche altro, oltre a prenderlo in giro e rispondergli per le rime. Quando aveva confessato a Filippo che c’era qualcosa in lei che lo incuriosiva, non aveva pensato tanto ad una sua caratteristica fisica quanto al fatto che avesse un atteggiamento davvero unico nel suo genere, era diversa da qualsiasi altra ragazza della sua età perché, in un certo senso, era fatta di contrasti. Fin dal primo giorno aveva capito un bel po’ di cose: che nelle sue parole astiose si nascondeva sempre tanta insicurezza, che poteva scrivere un tema linguisticamente perfetto ma che, quando parlava, condiva ogni frase con una media di tre parolacce su cinque vocaboli; aveva realizzato che lei era un libro aperto ed indecifrabile nello stesso momento, che era innocente e sensuale nello stesso istante. E come se non bastasse, da quando lei gli aveva mandato quella foto in pigiama, aveva cominciato a vederla con occhi un po’ diversi anche dal punto di vista puramente fisico; era consapevole del fatto che lei non avesse forme prosperose come la maggior parte delle compagne di classe, non aveva nemmeno i loro lineamenti perfetti; tuttavia, non si poteva neanche dire che fosse brutta. Non lo aveva mai pensato, in verità, ma non aveva mai nemmeno affermato il contrario, prima di quel giorno. Era arrivato alla conclusione, dopo l’ultimo mese, che in un modo intrigante e del tutto unico, lei era la più bella della classe. Se lo avesse detto a Filippo lo avrebbe preso in giro fino alla fine dei suoi giorni. Era stato così forte, in quel momento, l’impulso di stampare le sue labbra su quelle di Ella che, ancora adesso, mentre ci ripensava, non riusciva a capire perché non avesse fatto nulla. In realtà, c’era almeno un milione di motivi per cui sarebbe stato meglio non farlo: primo tra questi, il fatto che a lei piacesse Marco; il secondo, non meno importante, che quelli come lui non avevano niente a che fare con quelle come lei. Che questo pensiero, poi, fosse del tutto privo di alcun significato, lo avrebbe compreso solo qualche anno dopo; ora, però, come gli aveva ripetuto più volte anche Filippo, erano troppo diversi. Anche per un innocente bacio a stampo, figuriamoci per uno di quelli che voleva darle lui. Lei era di borgata, lui no; lei era romantica, di quelle che credono nell’amore a prima vista e lui no. Se ne erano stati così, in silenzio a guardare il panorama ancora un altro po’, finché lei non aveva detto, dopo aver controllato l’orologio, che si sarebbe avviata e che lui avrebbe dovuto seguirla non prima che fossero passati almeno dieci minuti. Senza aspettare la sua risposta, si era avvicinata a lui e gli aveva stampato un bacio sulla guancia; aveva di nuovo sentito l’impulso di stringerla per i fianchi, come aveva già fatto con tante altre ragazze, e cacciarle la lingua in bocca in modo violento. Si era trattenuto perché quell’azione, su di lei, sembrava quasi eretica, come se stesse entrando nudo in una chiesa o in qualche monastero sperduto nel nulla. Non riusciva a capire come Ella potesse provocare in lui tanto desiderio. Gli sembrava strano anzi, di più, gli sembrava sbagliato e si sentiva in colpa per aver fatto un simile pensiero. Era la prima volta che, nonostante l’improvvisa e prepotente attrazione, una ragazza gli sembrasse qualcuno da proteggere e non da possedere.
- Ti prometto che parlerò con Federica. – gli aveva urlato, prima di sparire dietro la porticina, lasciandolo solo, insoddisfatto e… colpevole.
 

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Capitolo 14
*** Tanto rumore per nulla ***


Capitolo 13 “Tanto rumore per nulla”
 
Quella mattina di inizio marzo si respirava un’aria sinistra per i corridoi della scuola. Sarà stato l’imminente arrivo della primavera, ma fin da quando Ella si trovava davanti al portone, dietro una massa di studenti e studentesse che spingeva per entrare, anche se con meno enfasi del solito, aveva sentito sulla pelle una fastidiosa sensazione. Si percepiva uno strano silenzio inquietante, soprattutto perché, in verità, non c’era affatto silenzio: era più un mormorio sommesso, cospiratorio, come se anziché trovarsi a scuola fosse stata catapultata, improvvisamente, ad una riunione segreta di Massoni.
Anche durante la ricreazione, l’atmosfera non era cambiata: i corridoi erano vuoti e nessuno sembrava voler uscire dall’aula; anche Laura ed Anna, che di solito non facevano caso a niente di tutto ciò, si erano insospettite e il loro inconscio, insieme ad una sorta di strano istinto di sopravvivenza insito nell’essere umano, le aveva spinte ad uscire per prendere un caffè ma camminando a braccetto, come se qualche spirito o angelo custode, per i credenti, intimasse loro di non separarsi. Della serie, meglio rischiare di morire in tre che da sole.
Poi, con la rapidità di una tempesta, miriadi di studenti si erano riversati per i corridoi cercando di raggiungere velocemente il cortile, spronati da una voce, probabilmente quella del rappresentante d’istituto, che gridava in un megafono di radunarsi in quel punto. Anna, Laura ed Ella si bloccarono di fronte alle scale: non sapevano che fare, non erano sicure che quella fosse una buona idea, finché tre persone non le afferrarono ciascuna per un braccio costringendole a separarsi e le condussero, in una corsa buca polmone, fino al centro del campo da calcio malmesso, dove tutta la scuola si era già radunata. Facevano eccezione solo i due rappresentanti che, dalla finestra della Vicepresidenza, fecero calare giù un lunghissimo striscione, che doveva essere un lenzuolo tagliato, su cui troneggiava una simpatica scritta a caratteri cubitali rossi:
“TOC, TOC… OCCUPATO!”
Ella stava entrando nel panico: nella confusione, aveva perso di vista le sue amiche e lo sconosciuto che le aveva stretto il braccio, strattonandola dalle scale al cortile, si era rivelato essere Filippo. Tra loro, per motivi a lei non ancora del tutto chiari, non scorreva buon sangue; aveva la strana sensazione di stargli leggermente antipatica. Sarà stato per la storia dell’obbligo o per qualcosa che le era decisamente sconosciuto; in ogni caso, si rivolgeva a lei solo se strettamente necessario e, quando lo faceva, la fissava quasi disgustato, come se lei avesse costantemente i residui del pranzo in mezzo ai denti. Si voltò a guardarlo con gli occhietti piccoli e lucidi e si accorse che anche lui la stava osservando, pensieroso.
- Mi ridai il braccio? – disse lei, ripresasi repentinamente dallo shock e dal trambusto.
- Ma chi ti tocca! – aveva ribattuto lui, acido come sempre.
- E dai Fil, non vedi che si è spaventata! – rispose una terza voce calda e premurosa, appartenente ad una terza figura che, nel trambusto generale, Ella non aveva notato. Sentì le guance infuocarsi all’improvviso quando la grande mano di Marco tolse quella di Filippo dal suo braccio e le si accostò all’orecchio per farsi sentire meglio:
- Stiamo occupando. –
Ella si trattenne dallo sputare sentenze del tipo: “Ma dai? L’enorme scritta rossa non è molto esplicativa della situazione!” solo perché si trattava del bellissimo, dolcissimo, ingenuo Marco.
Dulcis in fundo, il sorriso beffardo di Elia fece capolino da dietro Filippo; si accostò ad Ella, dal lato opposto a quello dove si trovava Marco – sembravano diavoletto ed angioletto comodamente seduti sulla spalla della ragazza – e, con voce bassa e appena udibile, disse:
- Ti stai mordendo la lingua, vero Lab? So che volevi cacciare una rispostaccia alla sua banalissima intuizione… ti conosco troppo bene. –
- Smettila, coglione. Non è affatto vero. –
Marco, sentendosi escluso, stava per inserirsi nella conversazione, quando dal microfono che il rappresentante teneva accanto alla bocca, uscirono le sue parole, che dovevano essere di ispirazione ma alle orecchie di Ella suonarono piuttosto ridicole:
- Compagni, la scuola è degli studenti! E noi ci prenderemo ciò che è nostro. E reclameremo i nostri diritti. E non ce ne andremo finché non ci saranno riconosciuti. –
A quel punto, fu davvero il caos: si levarono cori di giubilo per l’impresa compiuta dagli studenti, sotto la guida dei baldi giovani chiamati a rappresentarli; chitarre, microfoni e casse spuntarono dal nulla ed il cortile si arricchì di musica e voci che cantavano all’unisono. Quali fossero i diritti reclamati ancora non si era ben capito ma, per il momento, non sembrava avere importanza. Un brivido di eccitazione aveva colto la maggior parte degli studenti che si sentivano, in quel momento, onnipotenti. Ella si guardava intorno, cercando di individuare le sue amiche in mezzo a quella ressa; non riuscendo a scorgerne nemmeno l’ombra, chiese aiuto a Marco che, essendo un gigante, avrebbe sicuramente avuto maggiore possibilità di riuscire nell’impresa. Il ragazzo, con un sorriso a trentadue denti, si mise subito al lavoro ma la folla era davvero troppa per poter individuare due minuscoli puntini senza nemmeno spostarsi; perciò, sbuffando rassegnata, decise di allontanarsi dal gruppetto per cercarle lei stessa.
- Ti accompagno, se ti fa piacere! – le disse Marco, sorprendendola e senza attendere una sua risposta, che comunque non sarebbe arrivata perché il fiato le era mancato improvvisamente, le afferrò la piccola manina con la sua e prese a muoversi con grandi e ampie falcate, facendosi largo tra la folla con la mano sinistra. Elia afferrò a sua volta Filippo, facendogli pronunciare indicibili parole di protesta, e seguì i due compagni.
- Perché dobbiamo seguirli? –
- Non li stiamo seguendo. – puntualizzò il biondo – Stiamo protestando! Non vedi? –
- Sì, certo, come no… -
Dopo qualche minuto di ricerca, Ella riuscì a ricongiungersi alle sue amiche e scoprì che erano state afferrate e portate in cortile da Leo e Valerio; il primo, in particolare, sembrava molto soddisfatto della riuscita dell’occupazione ed alimentava i cori di protesta con fervente passione, salvo poi nascondersi quando le insegnanti gli passavano davanti, nel tentativo di ricondurre tutti nelle rispettive classi. Fatto sta che, nonostante la buona volontà di Leo, il tutto durò poco più di quattro ore: gli insegnanti, dopo aver lasciato sfogare i ragazzi, facendogli credere che l’avrebbero scampata, avevano minacciato di chiamare la polizia ed il numero di manifestanti era già dimezzato. Dopo un’altra mezz’ora Anna, Ella e Laura, erano tornate a casa così che, come promesso dai professori, i loro nomi non sarebbero comparsi nella lista dei “rivoltosi”. Qualche minuto dopo le ragazze, era andata va tutta la 3D ed anche la maggior parte della scuola; il giorno dopo non era rimasto nulla dell’animata protesta, eccetto punizioni e provvedimenti per i soli dieci studenti, tutti del quinto anno, rimasti a protestare per un totale di ben sette ore. E, per concludere, nessuno era riuscito a capire quali fossero i fantomatici diritti per cui avrebbero dovuto combattere. La vera, aberrante notizia, però, era arrivata solo tre giorni dopo l’occupazione ed aveva fatto piombare nello sconforto la 3D.
- Non è giusto! – avevano provato a protestare gli studenti, gridando contro la Cocci che, per la prima volta nella storia di quella classe, era d’accordo con loro. Ma era anche impotente.
- Noi non eravamo nemmeno all’occupazione, siamo tutti tornati a casa! –
- Ragazzi, davvero, avete ragione. Ma io non posso fare nulla, è stata la Preside a decidere. –
La circolare, in cui la Preside annunciava che, come punizione per la tentata occupazione, tutti i Campo scuola sarebbero stati cancellati, aveva spento gli animi di tutti, tanto che anche la Cocci aveva deciso di lasciarli stare e di sospendere le interrogazioni previste per quel giorno.
 
- Continuo a pensare che non sia giusto! – aveva affermato Ella, altri tre giorni dopo.
- Lo pensiamo tutti. – disse Laura, sorseggiando il suo caffè, appoggiata alla macchinetta.
- Però dovremmo fare qualcosa. – aveva ribattuto lei, con lo stesso cipiglio imbronciato che aveva quando non le riusciva una doppia piroette en de dans.
- Cos’hai da lagnarti, Lab? – sbucò il biondo, inaspettatamente, appoggiando il solito braccio nella solita posizione. Lei si girò a guardarlo, aggrottando le sopracciglia in segno di fastidio ma, in totale contraddizione con l’espressione del viso, la sua mano olivastra raggiunse quella bianca di lui, accarezzandogli le dita con l’indice in piccoli movimenti circolari.
- Non è giusto che ci abbiano cancellato il camposcuola… noi non abbiamo fatto nulla! –
Elia sbuffò contrariato, nemmeno lui aveva del tutto accettato la cosa. Laura, dopo aver lanciato un’occhiataccia alle dita di Ella che continuavano ad accarezzare quelle del biondo, aveva risposto alla mora:
- Ti ripeto che non possiamo farci niente! Smettila di sbuffare. – poi si rivolse ad Elia: - E tu smettila di assecondarla. –
- Sai benissimo che non do mai ragione a Lab, ma stavolta mi trovo d’accordo; che posso farci se lo trovo ingiusto!? –
- Voi due avete la stessa identica testa dura… -
Anna, che era stata in silenzio fino a quel momento, ebbe un’illuminazione:
- Organizziamoci per conto nostro… -
- E come? – aveva detto Laura, scettica; non ne poteva più di sentirli delirare.
- Sai, non hai tutti i torti… - le diede man forte Ella, stringendo la mano di Elia in un impeto di gioia; lui si girò a fissarla e, vedendo che sembrava aver riacquistato il buonumore, gli sfuggì un sorrisino.
- Voi due non siete normali… avete idea di quanto sia difficile organizzare un viaggio? Senza contare che senza accompagnatori non visiteremmo nulla. Diventerebbe una vacanza. –
- Potremmo prendere tutti l’impegno di svegliarci almeno alle 8 tutte le mattine, girare con calma durante il giorno e divertirci la sera. –
- È un’utopia El, nessuno lo farà se non c’è un insegnante ad imporglielo. –
- Io dico di no – disse Anna – Siamo piuttosto responsabili quando ci impegniamo. –
- Alcuni più di altri… - ribatté Laura, guardando il biondo. Prima che lui potesse ribattere in tono alterato, Ella lo anticipò, tornando ad accarezzargli la mano e rivolgendosi a Laura:
- Vorrà dire che i più responsabili butteranno giù dal letto gli altri! –
- Proponiamolo a Pier! Si potrebbe chiedere alla Cocci qualche ora di assemblea per domani. – le diede man forte il biondo, sotto lo sguardo ridente e soddisfatto di Anna.
- Fate come volete. Ma sappiate che sarà un disastro… -
Disastro o no, la proposta piacque tanto ai compagni quanto, stranamente, alla Cocci che si propose di preparare per loro un itinerario.
- Tuttavia, ragazzi, devo dirvelo: sarete segnati assenti e dovrete portare la giustificazione firmata dai genitori, al vostro rientro. -
- Vorrà dire che sul registro scriveremo: CAMPOSCUOLA AUTOGESTITO! -






Note Autrice: 
Mi piacerebbe inserirvi delle immagini dei protagonisti, per farvi un'idea più precisa del loro aspetto fisico. Se qualcuno sa come posso fare mi scriva, per favore, in privato o in una recensione, se vi fa piacere lasciarne una. le critiche, come sempre, sono ben accette.  Ps: il prossimo capitolo è in revisione e sarà più lungo

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Capitolo 15
*** Madri e vecchie amicizie ***


Capitolo 14 “Madri e vecchie amicizie”

Non era mai successo che tutta la classe, dalla A alla Z, fosse effettivamente ed attivamente partecipe ad un’assemblea prima di all’ora; l’idea del camposcuola autogestito aveva coinvolto tutti e tutti volevano contribuire con le loro idee. Metà del lavoro, poi, era già fatto: la Cocci, che da perfida Strega dell’Ovest era diventata la Fata Madrina di Cenerentola, aveva già organizzato le tappe del loro viaggio, con tanto di consigli su dove mangiare prodotti tipici di Firenze. Le stanze erano già state organizzate e i due rappresentati avevano trascorso la notte in bianco per restringere il campo degli Hotel e dei Bed and Breakfast a soli tre, da cui poi sarebbe risultato un vincitore tramite votazione per alzata di mano. Sistemata anche la questione “Dove dormiamo”, erano stati nominati dei “Capistanza” che avrebbero avuto l’incarico di svegliare i coinquilini tutte le mattine alle 7:00 per riuscire a fare colazione entro le 8:00 ed iniziare le visite. La sera ognuno sarebbe stato libero di andare dove gli pareva e tornare quando preferiva, a patto che la mattina dopo sarebbe stato nuovamente in piedi per l’orario accordato, fresco e pimpante come una rosa. Come gesto simbolico di tutte queste decisioni, Pier e Giulia fecero firmare a tutta la classe un contratto che li vincolava a rispettare queste decisioni.
- È tutto troppo solenne per i miei gusti – ironizzò Ella, bisbigliando seduta accanto alle future compagne di stanza.
- Sei stata tu a proporre di rispettare questi orari… - le rispose Laura, ancora poco convinta dell’intera situazione.
- Ella, ti senti bene? – le disse improvvisamente Elena, guardandola sospettosa. Quella ragazza, sempre così silenziosa e schiva sembrava avere il potere, a volte, di leggere nella mente delle persone. Anche quelle più contorte e imperscrutabili. C’era da dire, però, che la faccia piuttosto contrita di Ella poteva destare qualche piccolo sospetto; specialmente considerando il fatto che, come già detto, la maggior parte di quella malsana idea dell’autogestione era venuta proprio dalla mora.
- Sì, è solo che… un contratto mi pare esagerato! – disse, continuando a torturarsi i capelli e le dita delle mani.
- El, ci nascondi qualcosa? – perfino Anna se n’era accorta. La situazione era piuttosto grave.
Ella stava per rispondere quando Elia, che insieme a Filippo si stava occupando di raccogliere le firme, si avvicinò alle ragazze appoggiando il foglio già firmato dalla metà della classe; mancava solo Ella che, continuando a torturarsi quella povera, devastata chioma, indugiava a prendere la penna.
Il biondo era sul punto di cacciare una rispostaccia, intimandole di muoversi ma fu interrotto da Marco che lo precedette nel dire:
- Avanti El, firma! Ci divertiremo un sacco, ti giuro! –
Questa volta Elia non seppe trattenersi: - Certo che sei davvero stupido quando ti ci metti… -
- Che vuoi dire? -  rispose Marco, sorriso da ebete e mano che si grattava la testa, confuso.
La risposta idiota non fece altro che innervosire ancora di più l’esasperato ragazzo dagli occhi azzurri che, in tutta risposta decise di ignorarlo ed afferrare Ella per un braccio, di malagrazia, facendola alzare e trascinandosela fuori dall’aula. Come ulteriore indizio del fatto che c’era qualcosa che non andava, Ella non aveva protestato, non si era lagnata per essere stata trascinata via in malo modo e non lo aveva preso a pizze. Si era limitata, una volta giunta sulla soglia della porta, a fissare, mortificata, la punta delle sue scarpe da ginnastica.
“Avanti, piccola piaga” pensò il biondo, fissandola in silenzio “Smetti di torturare quelle doppie punte e dimmi che ti prende”
Lei, leggendo tutta la sua irritazione nello sguardo blu fiammeggiante, capì che lui aveva capito. Non era intelligente continuare a nascondere la cosa. Da quando era diventata per tutti un libro aperto?
- Mi sa che non posso venire. – sputò tutto d’un fiato, tanto che, se non lo avesse già capito da solo, Elia le avrebbe dovuto chiedere di ripetere la frase.
- Sei stata tu a mettere su questo circo… adesso ti tiri indietro? –
- Che importa? Potete andare senza di me, no? Non sono l’unica a non venire… anche Virginia, Giada, Claudia, loro non vengono… -
- Chissene di loro. –
- Non fare lo stronzo. –
- Tu non fare la stronza! – Elia aveva appena detto una parolaccia! Evento piuttosto raro, come Ella ben sapeva.
- Senti Lab, - disse appoggiandosi con la schiena alla parete vicino alla porta della classe – se è un problema di soldi puoi dirmelo. Mi fa piacere aiutarti. –
Lei divenne tutta rossa, se per l’imbarazzo o per la rabbia non so dirvelo, poi sbottò:
- Punto uno: sono io che, da sette mesi a questa parte, presto soldi a te perché tu giri senza monete per la macchinetta o per la merenda. Dio solo sa quanti soldi mi devi… e non pensare nemmeno di interrompermi. Zitto e ascolta. Punto due: sono di borgata, ok, ma non sono una poveraccia, un po’ di rispetto e meno pregiudizi, stupido biondo finto ricco. E tre… - a quel punto il suo tono si fece più flebile, ed Elia intuì che il vero problema era proprio nel punto tre. La guardò, incitandola a continuare. Lei prese un profondo respiro e disse, con voce che si abbassava parola dopo parola:
- In verità è una cosa stupida… -
- Non avevo dubbi, Lab. – disse, per smorzare la tensione e magari farla ridere un po’.
- Credo che mia madre non mi manderà a Firenze senza professori.
Il biondo dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non sbottare: lei aveva praticamente organizzato tutto, lagnandosi per l’ingiustizia della preside per giorni, con la consapevolezza che sua madre non si fidava a lasciarla andare senza un adulto? Oddio, era così dannatamente da Lab questa cosa! Così tanto che si calmò e quasi gli scappò una risata mentre lei riprendeva a parlare.
- Ieri ero sul punto di dirglielo ma poi mi sono bloccata, non volevo ascoltare la sua risposta e… ok, lo so, sono una cretina. Dimmelo. Me lo merito. – aveva messo su l’ennesimo broncio delizioso e metà della chioma le copriva la faccia e l’occhio sinistro, mentre guardando il destro si poteva intuire che stava per mettersi a piangere.
- Avanti Lab! Non puoi aver paura di tua madre… - le disse, cercando di risultare il più possibile dolce e comprensivo.
- Non ho paura di lei ma della sua risposta. –
- Quello che dici non ha alcun senso, tira fuori il cellulare e chiamala. –
- No. Anzi, adesso rientro. –
- Non ci pensare nemmeno. – disse, mettendosi a braccia e gambe aperte davanti alla porta. Lei provò ad intrufolarsi negli spazi accessibili tra braccia e gambe ma lui la placcò; la scena era piuttosto singolare, tanto che qualche compagno si girò nella loro direzione. Si sentì il rumore, appena percettibile, della mano di Filippo che sbatteva sulla sua stessa fronte, con frustrazione.
Alla fine, Ella stanca da tutta quella ginnastica ed anche un po’ imbarazzata si arrese.
- Chiamala. – sentenziò serio. Non gliel’avrebbe data vinta, l’avrebbe costretta se necessario.
- Fallo tu se proprio ci tieni! – disse lei, porgendogli il telefono, esasperata. Lui rimase a fissarlo con aria stupita e confusa, il labbro inferiore che tremava per il nervoso. “Questa ragazzina mi farà perdere i capelli prima del tempo!” e nel pensare ciò si toccava con preoccupazione il ciuffo color oro. Poi emise un profondo sospiro rassegnato, aprì la rubrica e mise il vivavoce. Ella non riusciva a crederci, lo stava facendo davvero.
- Sta squillando. Saluta tua madre e poi passamela. Non vorrei le prendesse un colpo a sentire la mia voce. –
La mora stava per ribattere ma la voce della madre la interruppe:
- Ella, tutto bene? Non sei a scuola? –
- Ssì… Sì solo che c’è assemblea. –
- Ah, ok. Dimmi. –
- Ehm… ti passo un attimo Elia, ti ricordi, te ne ho parlato qualche tempo fa. –
- Sì, certo, il ragazzo biondo che… -
- Mamma! E smettila. – disse, prima che potesse rivelare qualcosa di sconveniente – Ti vuole parlare, te lo passo. –
- Buongiorno signora… - poi, rivolgendosi ad Ella – Come si chiama tua madre? –
- Rita. –
- Signora Rita! – esclamò in tono suadente e squillante mentre la sua faccia sembrava dire: “Ma guarda cosa mi tocca fare!”
- Signora, senta, volevo chiederle se… -
- Elia ti prego chiamami Rita e dammi del tu. Mi fai sentire vecchia! –
- Finalmente capisco da chi hai preso… - poi si rivolse di nuovo alla madre:
- Ehm… sì, ok io volevo chiederle, cioè, chiederti, se Ella può venire con noi a Firenze per cinque giorni. –
- Non sono stati sospesi i campo scuola? –
- Sì, ecco, noi ne staremmo organizzando uno senza professori e mi farebbe tanto piacere se Ella potesse venire con noi. – la madre di Ella sembrò pensarci qualche minuto; era evidente che fosse preoccupata. Poi, dall’altro capo del telefono, si udì nuovamente la sua voce:
- Facciamo così, Elia – rispose, con tono assurdamente simile a quello della figlia, quando tramava qualcosa.
- Ella viene, ma io la affido a te. Intesi? –
- Sì, assolutamente! Grazie davvero, Rita. – disse, cercando di apparire il più responsabile possibile, calcando sul nome di battesimo. Era davvero un ottimo adulatore.
- Il che significa – riprese a dire, questa volta alquanto minacciosa, - che se le succede qualcosa ti riterrò responsabile e ti… -
- Mammaaaa! -
- Ciao belli! Ora devo tornare al lavoro. Oh… Elia, caro, ascolta: dico sul serio, mi raccomando a mia figlia. Ha un pessimo senso dell’orientamento e…–
- MAAA. E basta, ti prego! –
- Tranquilla Rita, prometto che non la perderò di vista. Arrivederci. –
- Tua madre è fantastica! – disse ad Ella, prendendola in giro mentre chiudeva la chiamata.
- Ed è simpatica… forse tu hai preso da tuo padre. –
- Sei un cretino, Elia. – rispose, pietrificata dall’imbarazzo, poi aggiunse: - Non ci credo che tu l’abbia fatto davvero. Adesso ti toccherà farmi da balia, se mi succede qualcosa mia madre è capace di strangolarti con le sue mani. –
- Allora un po’ le somigli… – rispose lui, ironico e per nulla intimidito.
- Guarda che dico sul serio: una volta ha sfondato la porta del bagno a spallate solo perché mio fratello era lì da mezz’ora e non le rispondeva. – la faccia di Elia, che ingoiò l’aria, si fece di pietra:
- E poi? -
- E poi niente. Mio fratello era svenuto, per questo non rispondeva. –
- Io intendevo… cosa è successo alla porta? –
- Ah, quella… l’abbiamo dovuta cambiare, l’aveva proprio scardinata. Completamente. –
- Ok, messaggio recepito, tornerai a casa sana e salva. –
Poi lei si avvicinò, si accoccolò contro il suo petto e gli sussurrò un “grazie, idiota” solleticandogli un pettorale con il fiato caldo, attraverso la maglietta verde bottiglia. Lui credette di aver perso un battito e, nel tentativo di soffocare una risatina nervosa, si ritrovò a stringerla a sua volta; poi le prese il mento tra due dita e la costrinse ad alzare il viso per puntare i suoi occhi in quelli di lei:
- Ti starò così appiccicato che non potrai vedere altro che la mia bellissima faccia! –
- E io ne approfitterò per buttarti giù da Ponte Vecchio! -
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- L’hai fatto di nuovo? Vero? –
-Fatto cosa? –
- Hai trovato la scusa per stare tutto il tempo con lei. –
- Perché non la sopporti? È simpatica… -
- Non lo è. E comunque sai benissimo perché. –
- Hai paura che possa farmi male? –
Filippo non rispose, ma si sa, chi tace acconsente. L’amico gli mise una mano attorno alla spalla e si voltò a guardarlo con un sorriso sghembo. Le certezze di Filippo vacillarono per un secondo, prima di tornare ad assumere il solito sguardo glaciale.
- Sai perché non può ferirmi? –
- Sentiamo. -
- Perché non mi piace. Non mi piace per niente. –
- Bugiardo… - provò a dire il moro, fissandosi le punte delle scarpe firmate, ma fu subito interrotto.
– Infatti, sto già pensando di provarci con Giada, a Firenze. –
- Giada non viene… -
- Ah, beh, poco male. Vorrà dire che ci proverò con Giulia! -
 
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Che il suo migliore amico fosse un completo idiota lo sapeva già da tempo, ma che fosse diventato anche cieco e sordo era una novità. Era evidente che Elia provasse qualcosa per La Baldi; Filippo lo conosceva abbastanza bene da coglierlo al volo, anche se lui si ostinava a negarlo. Poco male, d’altronde lui era il primo a credere che quella ragazza non fosse adatta al biondo: a parte il fatto che erano troppo diversi, che lei veniva da una zona di Roma totalmente opposta alla loro, che lei era inesperta in campo di relazioni e che era decisamente una di quelle che volevano vivere un amore come quello delle fiabe, c’era anche il fatto che lei rendeva Elia diverso. E la cosa a Filippo non piaceva affatto. Lui lo amava così com’era. Sì, dopo sei anni di amicizia, finalmente lo aveva ammesso a sé stesso: era innamorato del suo migliore amico e non sapeva come uscirne. Lo amava quando lo osservava fumare, accanto a lui, anche se non voleva che lo facesse perché ne abusava in modo decisamente eccessivo; amava quando si imbucavano ai festini e lui si lasciava andare, ballando in modo selvaggio e scoordinato; amava il suo essere rude, i suoi scatti d’ira, il contrasto che facevano il suo viso angelico e i suoi modi animaleschi. Aveva capito di esserne innamorato quando lui gli aveva raccontato la sua prima scopata, e Filippo si era scoperto geloso oltre ogni limite; la sera stessa, si era ritrovato steso sul letto ad immaginare le mani del biondo sul corpo della ragazza che, lentamente, nella sua fantasia si era trasformata in lui. A quel punto, aveva immaginato il suo corpo abbronzato sotto quello candido del biondo ed era rimasto sveglio tutta la notte e le successive. C’era stato un periodo in cui non riusciva nemmeno a stargli vicino, per quanto tremasse alla sua presenza. Poi, con il tempo si era abituato a tutto: alle vampate di calore quando lo sfiorava, alla voce calda contro il suo orecchio quando voleva raccontargli un gossip. Si era abituato anche alle mille ragazze di Elia, una più femminile dell’altra e si era rassegnato al fatto che non lo avrebbe mai avuto e che, tutto sommato, gli andava bene così. Gli sarebbe stato accanto ed avrebbe continuato a sognarlo finché non si sarebbe, finalmente, innamorato di un altro e liberato dalle catene che lo legavano ad Elia. E facevano male ma aveva imparato a conviverci senza soffrirne troppo. Poi era arrivata quella maldestra, piccola ragazzina e tutto era cambiato. Elia era cambiato: sorrideva di più, era più gentile, fumava di meno e da un po’ di tempo a questa parte frequentava meno ragazze del solito. Si limitava ad una botta e via con Virginia o con qualche ragazza conosciuta last minute ai festini organizzati dai loro amici. Ma niente di più. Era rimasto contento, perciò, quando lui gli aveva affermato chiaramente che La Baldi non gli piaceva affatto. Forse si era reso conto che sarebbero stati davvero una pessima coppia, che vivevano e volevano due vite completamente opposte e che poteva avere di meglio. Il corpo, però, tradiva le sue parole giorno dopo giorno; Filippo credeva che, prima o poi, sarebbe arrivato il momento in cui Elia avrebbe preso da Ella una batosta così grande che le sarebbe stato alla larga per sempre. Ci avrebbe sofferto? Naturalmente. Ma gli avrebbe portato più vantaggi che svantaggi. Ne era certo. Allo stesso tempo, però, era convinto che il suo compito silenzioso fosse quello di proteggerlo, cercando di farlo rinsavire prima che prendesse quella famosa legnata ed evitargli la sofferenza, anche se non avrebbe saputo dire se sarebbe mai stato in grado di adempiere a questa ardua impresa. Ma per quanto difficile, sarebbe rimasto al suo fianco, sarebbe stato il suo fidato cavaliere e… che pensiero ridicolo! Non sarebbe stato mai nulla di diverso che il suo migliore amico.
Mentre rifletteva e osservava le mani bianche del compagno di banco muoversi elegantemente per prendere appunti e copiare gli esercizi scritti alla lavagna, la campanella suonò senza che lui se ne accorgesse. Le successive lezioni furono un susseguirsi di parole che, in quel momento, non gli interessavano affatto; quando anche l’ultima ora fu terminata, si alzò stancamente dalla sedia e si caricò lo zaino, già pieno di libri e quaderni, sulla spalla ed attese che anche Elia finisse di sistemarsi.
- Devi smetterla di preoccuparti per me.
La voce dell’amico lo ridestò e le sue parole lo colpirono anche se non riuscirono a scalfire la sua solita espressione indifferente.
- Sei il mio migliore amico. – disse, senza bisogno di aggiungere altro.
- E ti ringrazio per questo. Ma devi sapere che non esiste ragazza al mondo che cambierà mai l’affetto che ho per te.
Era davvero diventato più dolce… si ritrovò a pensare. E la cosa peggiore era che cominciava ad apprezzare anche questo nuovo lato di lui. Non gli rispose se non con un semplice cenno del capo e, insieme come sempre, si avviarono all’uscita.
- Perché stai sorridendo? – gli chiese, qualche minuto dopo.
- Così... –
- Non dire stronzate. –
- Solo… tempo fa ho detto a quella testona di chiarire con Federica e lei, stranamente, mi ha ascoltato. Le vedi? Sono lì. –
Il moro si girò nella direzione indicatagli e vide che, effettivamente, le due stavano parlando. Colpo basso quello che Federica aveva lanciato ad Ella; doveva ammettere che, quel giorno, si era dispiaciuto per lei. Doveva essere stato piuttosto imbarazzante visto e considerato che, a volte, Marco tirava di nuovo fuori quella vecchia storia e si faceva quattro risate alle sue spalle. Per sua fortuna, non era ancora stato così idiota da averlo fatto davanti ad Elia… sarebbe stata la volta buona che lo avrebbe picchiato sul serio.
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- Non avrei mai pensato di dirlo El, ma il biondo scemo ha ragione. Tu devi parlare con Fede. –
- Oh, Laura! Non ti ci mettere anche tu. –
Laura se ne era uscita così, all’improvviso, circa mezz’ora prima che l’ultima campanella decretasse la fine dell’ennesima giornata di scuola. Dopo qualche minuto di botta e risposta tra le due amiche, forse presa per sfinimento, Ella aveva ceduto ed era stata costretta da Laura a mandare un messaggio all’ex amica; si erano accordate per vedersi all’uscita davanti al cancello, avrebbero fatto la strada di ritorno insieme, fino alla macchina del padre di Ella che avrebbe dato un passaggio anche a Federica. Chiarirsi non era stato semplice, Ella ci era rimasta parecchio male per tutta quella storia ma le nuove amicizie fatte e le parole di Elia e Laura l’avevano convinta ad ascoltare anche la versione di Federica; aveva riflettuto sul fatto che non era del tutto convinta che, a situazione invertita, lei avrebbe saputo mantenere il segreto. Magari anche Ella, al suo posto, avrebbe svelato la cotta dell’amica per pararsi il culo. Forse sì, forse no. Non poteva saperlo. Tutto sommato, era contenta di averle parlato: ogni tanto le risultava davvero difficile ignorare Federica, tanto che ultimamente aveva anche ripreso a salutarla la mattina; alla fine della chiacchierata, Federica le aveva chiesto scusa ed Ella l’aveva stretta forte, sul punto di scoppiare in lacrime. Non poteva cancellare quello che aveva fatto ma, tutto sommato, aveva chiarito la situazione con Marco, nessuno parlava più di quella storia e ci aveva guadagnato ben tre nuove amiche; quattro se si considerava il suo strano rapporto con Elia. Prima di salire in macchina, Federica le aveva chiesto anche di lui ma Ella si era ben guardata dal raccontare tutto nei minimi dettagli: non sarebbe stata così scema da fare lo stesso errore due volte; perciò, si era limitata a dire che ora lo odiava un po’ meno e che i loro battibecchi erano diventati una divertente routine per ammazzare il tempo. Federica aveva provato a tirarle fuori qualche altra parola ma non ci era riuscita. Ella non le aveva detto di obbligo o verità e nemmeno della loro conversazione sul tetto. Non le aveva neppure detto che era stato principalmente lui a convincerla a parlarle. Tra lei ed Elia non c’era assolutamente nulla, non aveva senso alimentare false voci. Lasciata Federica davanti al cancello di casa, il padre di Ella aveva guidato fino al suo quartiere e l’aveva fatta scendere per poi andare al lavoro. La ragazza, sfinita per la giornata, aveva aperto la porta, si era buttata sul divano con il cellulare in mano a scorrere pigramente la sua pagina tik-tok: quel social era diventato una sorta di droga pre-pranzo. Poi, mentre pranzava, aveva sentito il cellulare squillare e la voce di Laura risuonava nella casa vuota:
- Allora? Tutto ok? –
- Sì, ci siamo chiarite. –
- Tutto qui? –
- Senti La, che ti devo dire… mi ci vorrà del tempo prima di aprirmi di nuovo con lei. –
- Lo so, hai ragione. Sei stata matura, non me lo aspettavo. –
- Ah. Ah. Ah. Molto simpatica. Io sono il ritratto della maturità e lo sai bene! –
- Sì, certo, come no. –
- Stronza… -
Ed avevano continuato a parlare dell’aria fritta fino alle 15:00. Laura aveva accennato anche al fatto che Elia le aveva dato un buon consiglio, suggerendole di chiarire, ed Ella si era affacciata alla finestra constatando, con sua sorpresa che no, non era arrivato il giorno dell’Apocalisse; ogni volta che Laura ed Elia la pensavano allo stesso modo, Ella si aspettava una qualsiasi calamità naturale, tipo un’invasione di cavallette stile piaghe d’Egitto.
I giorni successivi erano stati nient’altro che una lunga, esasperante attesa fino al giorno prima della partenza; Ella aveva preparato la valigia ed aveva anche fatto shopping per l’occasione. La sera prima, sua madre si era assicurata almeno un milione di volte che Elia fosse effettivamente presente al campo scuola autogestito ed Ella aveva ribadito, volta dopo volta che ci sarebbe stato. Non era del tutto sicura che lui le sarebbe stato effettivamente incollato come si aspettava il suo apprensivo Genitore Uno. Non le restava che scoprirlo.

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Capitolo 16
*** Si parte ***


Capitolo 16 “Si parte”
 
Dopo più di un mese di attesa, il quindici di aprile era arrivato e con esso anche il giorno della partenza; il padre di Ella aveva accompagnato lei e Laura in stazione ed insieme ad altri dieci compagni mattinieri stavano aspettando il resto della classe. Per fortuna sua madre non c’era, altrimenti non l’avrebbe fatta scendere dall’auto visto che il biondo non era ancora arrivato. Tipico, era un tale ritardatario. Ella aveva scelto un outfit appena acquistato, comodo ma carino: una maglietta a maniche corte che lasciava l’ombelico scoperto ed una gonnellina a quadretti stile college americano rossa e nera; aveva indossato le calze nere e vi aveva abbinato delle parigine molto calde poiché la mattina alle 7:30 ancora si gelava come fosse inverno inoltrato; infatti, indossava anche un giubbottino in pelle. Qualche minuto dopo era arrivato anche Marco che aveva salutato tutti con pacche sulla spalla e baci sulle guance; non penso ci sia bisogno di precisare che le guance di Ella avevano assunto le stesse sfumature bordeaux della gonna, nonostante la pelle olivastra. Laura le aveva sussurrato di darsi un contegno ma si sentiva le ginocchia molli. Poi, in tutta la sua arroganza era arrivato Elia, insieme a Filippo: entrambi sembravano essersi alzati da poco ed avevano i capelli arruffati, come se non avessero avuto il tempo di pettinarli; avevano salutato il gruppetto, ormai quasi al completo, con un cenno del capo, poi, correndo a perdi fiato era arrivata anche Carol (che era stata mezz’ora ad aspettare all’ingresso opposto rispetto a dove si erano dati appuntamento). Ora erano al completo e si avviarono verso i tornelli per i vari controlli. Ella, Laura, Anna ed Elena erano salite sul treno e la prima, dall’alto della sua bassezza, stava trafficando con la valigia nel tentativo di riporla nell’apposito spazio in alto, sopra il sedile; alle sue spalle era sbucato il biondo che le aveva afferrato di malagrazia la valigia con un “Dai qua!” e l’aveva messa a posto, non senza sforzo, anche se non lo avrebbe mai ammesso nemmeno a sé stesso.
- Potevo farcela anche da sola. –
- Un semplice “grazie” sarebbe bastato, Lab. –
- Grazie. – aveva bofonchiato lei poco convinta.
- Guarda che non l’ho fatto per te… tua madre mi avrebbe ucciso se la sua preziosa bambina fosse rimasta schiacciata dalla sua stessa valigia. A proposito, ti sei portata tutto l’armadio? Mi spieghi cosa devi farci con tutta questa roba? -
- Non so… forse cambiarmi? –
- E poi… - continuò lui, ignorando la sua domanda retorica – che diavolo ti sei messa? –
- Non ti piacciono? – aveva detto lei, abbassando lo sguardo e cominciando a lisciarsi i capelli con le dita. Lui aveva fatto un sorrisino rassegnato ed aveva scosso la testa.
- Sembri una scolaretta delle medie. – una di quelle che avrebbe popolato le sue fantasie per almeno tre giorni, ma questo si guardò bene dal dirlo. Ancora non era riuscito a capire come fosse possibile che lei gli facesse questo strano effetto. Poi si era seduto su uno dei sedili dal lato opposto al loro e Filippo, insieme a Leo e Pier, lo aveva raggiunto. Ella, ancora offesa per il commento non richiesto e senza più degnarlo di uno sguardo, aveva tirato fuori le carte da gioco e ne aveva distribuite tre a testa a lei ed alle sue compagne.
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Non finiva mai di stupirlo, si ritrovò a pensare il biondo quando si sedette sul sedile, continuando a lanciare, di tanto in tanto, occhiate di sottecchi alla moretta; era deliziosa, vestita in quel modo. Non riusciva a comprendere come facesse il resto della classe a considerarla “normale” o, peggio, brutta. Certo, era diversa da lui e, forse, dal resto del mondo; era stramba, era una bomba ad orologeria quando si arrabbiava, era estremamente disponibile e materna quando si trattava di consolare qualcuno che ne aveva bisogno. E lui questo lo sapeva benissimo, lo aveva sentito sulla sua pelle il suo caldo abbraccio e la sua voce delicata quando gli parlava, accarezzandogli il viso con le piccole mani. Però, ogni volta che pensava di provarci, anche solo per renderla l’avventura di una notte, c’era quella fastidiosa vocina nel suo cervello, che a volte prendeva lo stesso tono di quella del suo amico Filippo, che gli diceva di girare a largo; gli diceva che lei era allo stesso tempo croce e delizia delle sue giornate, se non della sua esistenza, se voleva essere particolarmente drastico. Un’occhiata più lunga delle altre la scorse mentre, concentrata, giocava a carte con le amiche, probabilmente a briscola, considerando la disposizione delle carte; aveva il volto corrucciato, si mordeva il labbro pensierosa e prendeva un profondo respiro ogni volta che la sua compagna di gioco lanciava la carta sbagliata, sbadata com’era. E Lab, a giudicare dalle sue reazioni, doveva essere una gran bella rosicona… lui, da parte sua, le stava provando tutte per trattenersi dal ridere per evitare di dover dare spiegazioni ai suoi amici, seduti accanto e di fronte a lui. Dall’ultima volta sul tetto, quando aveva sentito l’impulso fortissimo di poggiare le sue labbra su quelle di lei, aveva riflettuto spesso su una cosa che aveva sentito dire, nemmeno ricordava dove: “Due labbra carnose non si incastrano bene”. Questo pensiero aveva fatto capolino nella sua mente più di una volta, tanto che, ogni volta che si soffermava su quel dettaglio del suo corpo, quasi riusciva a sentirle le loro labbra che provavano a mordersi, a suggersi, ad infilare le lingue esplorandosi a vicenda. Questo lo portava a pensare che un bacio tra loro sarebbe stato parecchio strano e goffo; non tanto, secondo lui, per la storia dell’incastro, quanto per il fatto che Ella non aveva ancora dato il primo bacio. Di questo, come altre poche cose nella vita, ne era certo. Una stupida domanda di Leo lo riscosse da quella riflessione e si ritrovò costretto a chiedergli di ripetere perché, ovviamente, non aveva sentito una sillaba.
- Tocca a te! – ripeté Leo – Fuck, marry, kill con Ginevra, Ella e Giulia. –
- Fammi pensare… - rispose il biondo, sotto lo sguardo improvvisamente fattosi minaccioso, di Filippo. Che volesse dirgli di non sbilanciarsi troppo riguardo una certa Lab? Non seppe bene come interpretarlo ma cercò comunque di rispondere il più sinceramente possibile.
- Ginevra kill, senza dubbio. – le stava davvero antipatica come poche. Stava per continuare ma Pier lo interruppe: - Cioè, scusa, vuoi dirmi che ti scoperesti o sposeresti La Baldi invece che Ginevra? –
Un sorrisino malizioso, al pensiero delle due probabilità, si disegnò sul volto del biondo che, senza alcuna esitazione riprese a parlare:
- Mi pare ovvio! Infatti, mi scopo Lab e mi sposo Giulia. –
- Perché ti sposi Giulia?! – rispose Leo, visibilmente geloso che qualcuno potesse condividere il suo stesso interesse per la stessa ragazza; Filippo non diceva una parola, mentre Pier continuava a domandare stupito:
- Scusa, ma davvero preferisci Ella a Ginevra? Sembra una bambina, per carità non è brutta… ma Ginevra ha due te… -
- Lascia perdere le tette… Lab è molto, molto meglio. –
Lo disse a voce così alta che la suddetta Lab, anche se riuscì a percepire bene solo la parola “tette” seguita dal suo nomignolo, si girò nella sua direzione, chiedendo spiegazioni.
- Stiamo giocando a Fuck, marry kill! – le disse – Ho detto che ucciderei Ginevra, sposerei Giulia e scoperei te. –
- Che porco! – esclamò Laura, fissandolo come si guarda un avanzo di cibo muffito; Ella, con gli occhi spalancati riuscì solo a dire: - Ma se Ginevra è bellissima… -. Elia le rispose con una semplice alzata di spalle, per poi aggiungere: - Che ci posso fare se mi eccitano le brutte! – Lo sguardo stupito della ragazza si tramutò in un’occhiataccia bieca che provocò la tanto trattenuta risata di lui; poi, si sentì in dovere di specificare, sia a lei che ad uno sbigottito Pier: - Scherzavo. Io trovo che lab sia più figa di Ginevra, tutto qui. – Ella, imbarazzata e ancora non del tutto convinta della sincerità del biondo, gli disse: - Io, invece, trovo che sia un gioco sessista. – riprese in mano le carte, precedentemente poggiate coperte sul piccolo tavolino centrale, e si rivolse a Laura: - Metti un carico, non di briscola, ovviamente. – e, di nuovo, tornò a fissare le carte, ignorando il biondo che ancora se la rideva sotto i baffi. Nel frattempo, si appuntò mentalmente di giocarci con le sue amiche, sì, proprio a quel gioco che due secondi fa aveva definito “sessista”. Era l’incoerenza in persona? Probabilmente. Le importava? Decisamente no. Poi, alquanto irritata dall’ennesima sconfitta subita per colpa di Laura, afferrò malamente le carte e si mise a farci un castello, mentre le amiche la prendevano in giro per la sua reazione esagerata.
Quando il treno si fermò si alzarono tutti dai loro posti ed Ella cominciò a sbracciarsi per riprendersi il bagaglio; il biondo se ne stava a fissarla, braccia incrociate al petto e sorriso canzonatorio: attendeva che lei gli chiedesse aiuto. Era così testarda che se la sarebbe fatta cadere addosso piuttosto che rivolgersi a lui e questo suo essere ostinata lo divertiva da matti. Quando ritenne di aver visto abbastanza, fissando la linea in cui finivano le calze ed iniziavano le parigine, appena qualche centimetro sotto la gonnellina, stava per avvicinarsi e mettere fine agli inutili sforzi della ragazza petulante ma Marco, in tutta la sua altezza, lo precedette e la ragazzina cominciò a farfugliare versi incomprensibili; il sorriso sulle labbra di Elia si spense per lasciar posto ad una smorfia scocciata e scese dal treno spintonandola volontariamente. Lei se ne accorse ma decise di ignorarlo concentrandosi su Marco; scese dal treno insieme al moro, visto che le sue amiche avevano ben deciso di anticiparla per lasciarla sola con lui.
- Emozionata? –
- Troppo! – rispose lei, riferendosi inconsciamente sia al viaggio, sia al fatto che lui era così vicino e camminavano spalla a spalla.
- Alla fine, sei riuscita a farti un bel gruppo di amiche eh, hai visto? Non era poi così difficile. –
- Sì. Mi sono ambientata bene e sono anche riuscita a chiarire con Federica… sai per quella storia… -
- A proposito… - le disse, abbassando il tono della voce e piegandosi sulle ginocchia per raggiungere il suo orecchio sinistro – Ti piaccio ancora? –
Ella rimase spiazzata, Marco era così diretto e… sereno nell’affermare ciò. Non aveva il minimo imbarazzo, come se stesse parlando del tempo. Era proprio questo aspetto così genuino di lui che l’aveva attratta e che le aveva anche fatto trovare la forza di dichiararsi.
- Beh, sì ma tranquillo, non devi per forza essere gentile con me. –
- Non lo faccio perché sono obbligato, mi sei simpatica. –
- L’hai detto a qualcuno? –
- No. –
- Ok, ti ringrazio. -
Poi Valerio si era avvicinato, era rimasto un po’ a chiacchierare con loro finché non giunsero nel loro Bed and Breakfast, scelto appositamente perché era il più vicino alla stazione principale; davanti all’ingresso, lei si era ricongiunta alle sue amiche ed insieme erano entrate in stanza per sistemarsi. Poco prima di scomparirvi all’interno, aveva visto con la coda dell’occhio i ragazzi salire al piano di sopra.
Come prima tappa, dopo essersi sistemati nelle varie stanze, avrebbero fatto un breve giro del centro di Firenze, senza impegno, giusto per esplorare un po’. Erano troppo stanchi per una visita approfondita che avrebbero lasciato per il giorno successivo; l’obiettivo di quel piccolo giro di ricognizione era quello di trovare un supermercato per poter fare un po’ di spesa. Ella era subito rimasta affascinata dall’atmosfera di quella città; le avevano detto che fosse stupenda ma non immaginava a tal punto e non vedeva l’ora di poterla visitare con calma. Giunse al centro di Piazza del Duomo, circondata dalla maestosità degli edifici con il sole del tardo pomeriggio che faceva risplendere il marmo bianco e rosa della cattedrale di Santa Maria del Fiore, mentre la cupola del Brunelleschi si ergeva superba nel cielo azzurro. Fu un istante, rapidissimo, in cui il cielo blu le ricordò gli occhi di Elia, e un brivido la percorse; non tanto perché avesse riconosciuto la sua bellezza, quello lo aveva realizzato già da tempo, ma non le era mai capitato di guardare il cielo e pensare a lui. L’aria di Firenze l’aveva resa scema. Le venne in mente anche quell’audio che lui le aveva mandato tempo fa e si costrinse a rimproverarsi intimamente, ricordando che, quando a volte si sentiva un po’ giù, lo riascoltava. Per togliersi dalla mente questa improvvisa immagine, si avventurò verso l’imponente facciata, respirando profondamente e assaporandone ogni dettaglio con lo sguardo. Poco più avanti, le porte del Battistero di San Giovanni brillavano al sole, il bronzo dorato incastonato con cura e maestria. Si lasciò sfuggire un sorriso sereno, completamente immersa nell’arte che le si presentava davanti, con la mente quasi del tutto sgombra da quegli occhi blu. Cazzo! Ci aveva pensato di nuovo. Si impose di osservare i turisti che passeggiavano con le loro macchine fotografiche, cercando di catturare la grandiosità di quegli edifici secolari; ma il viso di Elia e le sue mani che afferravano la valigia sfiorando le sue tornavano dispettose a fare capolino nella sua mente. Cercò di concentrarsi sull’atmosfera viva di quel luogo, di lasciarsi andare alle note di un violino suonato da un artista di strada, dalla sinfonia dolce che si mescolava ai sospiri ammirati dei passanti. Si fermò a guardare il violinista, notando che anche lui era biondo e… oh santa miseria doveva smetterla! Sussultò e si bloccò quando, dopo altri minuti di cammino, Anna le toccò un braccio per fermarla, blaterando qualcosa riguardo un supermercato; si rese conto che si erano allontanati dal centro ed erano tornati in una zona più periferica, davanti ad un minimarket. Entrarono e tra le corsie e gli scaffali vide Elia, intento a cercare qualcosa nel reparto alcolici… sempre il solito; che poi, anche volendo, non avrebbe potuto comprarli, dato che era ancora minorenne. Vide anche Marco e le venne da sorridere quando si accorse che aveva riempito il carrello di patatine e schifezze varie. Si rese conto che entrambi esercitavano su di lei un assurdo potere, diverso certo: quando guardava il moro vedeva il sole e sentiva nelle orecchie un’allegra melodia pop, in un’atmosfera in cui tutto era brillante e colorato; Elia, invece, era Roma di notte. Non c’era immagine più azzeccata per descriverlo, soprattutto se considerava il fatto che lei, Roma, la preferiva di giorno. Era sempre bello, però. Passeggiare a Trastevere dopo le 24:00 e visitare Fontana di Trevi quando era sgombra da tutti quei turisti; stare con il biondo era un po’ come quando torni a casa, all’una di notte, da una serata: con le scarpe di ricambio ai piedi e i tacchi in mano, con il freddo che ti entra nelle ossa anche se indossi la giacca, lontana dal solito vociare dei passanti. Non che a lei fosse mai capitato di girovagare per il centro della città a quell’ora della notte, ma era così che se lo immaginava. Cercando di rispondere alle domande delle sue amiche e di non farsi beccare distratta dai suoi pensieri, acquistò dei panini per la cena e se ne tornarono in albergo; alcuni arrivarono prima, altri dopo ma tutti erano piuttosto stanchi dal viaggio, perciò, la maggior parte degli studenti, comprese le quattro amiche, ne approfittò per riposare con l’accordo che si sarebbero ritrovati tutti dopo cena nella stanza di Filippo, Elia, Pier e Leo che era risultata essere la più grande. E così fu: tutti in pigiama, verso le 22:00 cominciarono ad entrare nella suddetta stanza.

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Capitolo 17
*** Completi ***


Note Autrice:
Scusate la lunga assenza, sono risorta dagli abissi dello studio e sono viva. per farmi perdonare vi regalo questo capitolo, anche se è breve. Aggiornerò meno spesso perchè, purtroppo, non ho avuto molto tempo per revisionare i capitoli e, vi confesso, sono indietro con la scrittura dei nuovi...
anche questo non è revisionato quindi, abbiate pietà. Recensite ma abbiate pietà di me.

Capitolo 17 “Completi”
 
Come si fossero ritrovati in quella situazione, Ella non seppe spiegarselo; dovevano essere le 24:00 passate, buona parte dei compagni era tornata nelle rispettive stanze per dormire ma sul letto matrimoniale che più tardi avrebbero condiviso Elia e Filippo, c’erano ancora una quindicina di studenti sdraiati uno sopra l’altro nelle posizioni più assurde. C’era chi stava steso supino con la testa di una compagna appoggiata sulle gambe, chi si appoggiava ad una spalla dell’altra, chi si poggiava alla schiena di un altro compagno e così via, tutti incastrati come un Tetris. Per citare Carl Brave “Quel campo scuola era un campo Rom”. Anna e Laura erano andate a dormire mentre Ella era rimasta accanto ad Elena in quella specie di groviglio, seduta con la schiena appoggiata alla testiera del letto ed una morbida chioma bionda serenamente assonnacchiata sulle sue gambe, avvolte dal tessuto scivoloso del pigiama. Elia sembrava un bambino, le ciocche dei serafici capelli gli coprivano le palpebre che, chiuse, nascondevano gli occhi blu; di tanto in tanto, accarezzandogli la fronte, Ella toglieva quei fili d’oro dai suoi occhi prima che, ribelli, sfuggissero di nuovo alle sue dita per ricadere nel punto da cui partivano. E quella lenta litania ricominciava, senza che entrambi fossero realmente consapevoli di ciò che stessero facendo. Ci volle un po’ prima che lei realizzasse. Spalancò per un attimo i piccoli occhi scuri e la sua mano si bloccò; si girò a guardare Elena per accertarsi che fosse ancora addormentata sulla sua spalla. Gli altri sembravano tutti presi a farsi gli affari propri e nessuno faceva caso a quello strano quadretto che li rappresentava intimi, rilassati, in pace con il mondo. L’arrestarsi delle sue dita, però, fece risvegliare il semi-dormiente Elia che, con un mugugno di protesta, le afferrò la mano e se la rimise sulla sua testa, in un muto invito a riprendere le carezze che tanto lo stavano rilassando. La ragazza si chiese se lui avesse effettivamente realizzato che le mani che lo stavano accarezzando con dolcezza erano proprio le sue. Forse, se lo avesse capito le avrebbe intimato di smetterla e non di continuare, con il suo cipiglio duro che non lasciava spazio a discussioni; oppure l’avrebbe derisa, insinuando fesserie sul suo irresistibile fascino condite da qualche altra battuta a sfondo erotico. Il clima di serenità, però, sembrava vincere su tutto e nessuno dei due osava più interrompere quel movimento. Probabilmente, fu allora che Ella capì che Elia la rendeva calma ed agitata al tempo stesso; scavò nei suoi pensieri, rigorosamente senza fermare le dita che ora lo accarezzavano con movimenti circolari, alla ricerca del motivo di quei sentimenti: anche se ce l’aveva sotto il naso. Non comprese, infatti, o non volle comprendere la verità. Scavò, scavò e scavò nella sua testa ma niente, non riusciva proprio a vedere l’ovvio. Di una cosa si rese conto, però: che in quel momento loro erano così dannatamente giusti! Non riusciva a pensare di accarezzare i capelli di un altro che non fosse lui; per un attimo i fili biondi, nella sua testa, divennero scuri come quelli di Marco ma si trattò davvero di un solo secondo perché quelli di Marco non erano giusti come quelli di Elia. Era così che doveva essere. Le venne in mente che c’era stato un altro momento in cui aveva provato quella stessa identica sensazione di perfezione: quando le sue dita si erano incastrate a quelle di lui, sotto il banco, e si ricordò che anche quella volta aveva fatto il paragone con Marco. E anche in quell’occasione aveva ammesso, con sincerità spiazzante, che le mani del biondo erano giuste per lei. Eppure, loro erano davvero troppo diversi. Troppo assurdi da pensare insieme. Era assurdo che fossero così giusti ma lo erano, almeno per lei. Si incastravano davvero bene, quando non discutevano, quando non erano la ragazza di borgata e il figlio dell’avvocato Colaci; quando non erano l’inguaribile romantica e quello che se le fa tutte.
Elia, da parte sua, si costringeva a non aprire gli occhi; o, almeno, a ritardare il più possibile il momento in cui avrebbe dovuto farlo. Se li avesse aperti avrebbe realizzato quello che già sapeva: che quella ragazzina gli stava facendo del male, come Filippo si era premurato di avvisarlo, e che a lui andava bene così. Voleva che lei, con quelle sue dita leggere, lo facesse sprofondare all’inferno, così avrebbe potuto giustificare le fiamme che lo stavano avvolgendo in quel momento; si era andato a cacciare in guaio grosso quanto quel dannato Bed and Breakfast e se avesse continuato a ronzarle intorno si sarebbe sicuramente innamorato di una ragazza che non poteva avere. Doveva mettere fine a quella piacevolissima tortura ed iniziare a starle lontano. Avrebbe dato ascolto a Filippo e non avrebbe mai più messo in discussione il suo giudizio. Lo avrebbe fatto ma fra altri cinque minuti. Ora voleva solo zittire quelle voci e godersi gli ultimi, splendidi minuti con lei, poi l’avrebbe lasciata andare prima che fosse troppo tardi. Prima di cascarci di nuovo, prima di cacciare tutti via dalla stanza e prenderla lì su quel letto; anche se lei era inesperta e, probabilmente, non aveva mai dato nemmeno il primo bacio. Le avrebbe insegnato tutto in una sola notte se solo lei non avesse perso la testa per quell’idiota. Era da un po’ di giorni, ormai, che questa idea gli era balzata nella mente; gli era capitato anche, dopo essersi scopato la ragazza di turno, di immaginare come sarebbe stato far provare quelle intense sensazioni a Lab e a come lei avrebbe potuto reagire. Sarebbe stata timida o lo avrebbe assecondato con la sua stessa foga? Poi si ricordava che a lei piaceva Marco e l’idea che lui potesse toccarla in quel modo gli provocava sempre un conato di vomito; anche in quel momento, il pensiero di lei che baciava l’idiota si era insinuato nella sua testa come un viscido serpente tanto da riscuoterlo e da mettere in allarme il suo buonsenso; stava per manifestarsi in uno dei suoi violenti scatti ma quel briciolo di sanità mentale che gli era rimasto gli consentì di controllarsi. Lentamente aprì gli occhi e fece l’errore di incatenarli a quelli di Lab: pessima scelta, ora avrebbe aspettato altri cinque minuti prima di allontanarla.
Quando lui la sorprese, guardandola negli occhi, lei non riuscì a trattenere un sorriso che lui si apprestò a ricambiare: era bello. Sembrava un angelo. E lei lo aveva realizzato di botto, quello che pochi minuti prima non riusciva a vedere. Aveva capito che quello era un punto di non ritorno; proprio quando aveva quasi accettato il fatto di non essere ricambiata da Marco. Non sapeva se avrebbe retto una seconda delusione. E questa volta chi l’avrebbe consolata? Chi l’avrebbe raggiunta in bagno? Capì che due amori non corrisposti da gestire erano troppi ma si accorse anche del fatto che il secondo, grazie al cielo, ancora non era di dominio pubblico. Parlare di amore, poi, forse era un po’ esagerato: non era ben chiaro quello che provava per lui perché Elia era e sarebbe sempre stato un enorme punto interrogativo. Tutto con lui era fuori dalla normalità: anche un sentimento come quello che lei provava per Marco, con il biondo era diverso. Uguale ma diverso. Decise che si sarebbe fermata prima che la cosa divenisse seria. Si costrinse a staccare gli occhi da quelli del ragazzo, non prima di lasciargli un’ultima, profonda carezza che non si limitò a sfiorare i capelli ma raccolse, a pieno palmo, la sua guancia sfiorando il mento e le labbra. Poi si girò verso Elena e la svegliò delicatamente afferrandole la spalla e scuotendola piano.
- Ele, torniamo in camera, dai! -
- Mamma… ancora cinque minuti. –
Ad Ella venne da ridere ma insistette, le gambe le bruciavano e non perché si erano intorpidite. Le mosse leggermente per far capire ad Elia che, ahimè, doveva alzarsi e lui lo fece. Elena era troppo assonnata per capirlo ma Filippo, che era improvvisamente entrato in stanza con l’intenzione di cacciare via tutti, li aveva visti ed aveva rivolto alla ragazza uno sguardo indecifrabile. Non era la solita occhiataccia carica d’odio ma non seppe come interpretarla. Elia ed Ella erano in piedi davanti al letto, mentre Elena era ripiombata sul materasso; prima di svegliarla, la ragazza si rivolse al biondo: voleva dirgli qualcosa ma le uniche parole che riuscì a tirar fuori furono una serie di versi incomprensibili ed uno smangiucchiato “Notte”. Recuperata Elena, se la caricò su una spalla ed iniziarono a trascinarsi a fatica verso la porta; impresa piuttosto ardua visto che la ragazza era nettamente più alta di lei. Elia, vedendola in difficoltà, fece per andare verso di lei ma se ne pentì e si bloccò sul posto rivolgendosi a Filippo:
- Ti prego, aiuta quelle due prima che ci tocchi chiamare un’ambulanza. -
Con un pesante sbuffo, fece quello che gli era stato chiesto.
- Fermati. Prima di farti male. – disse rivolto ad Ella che quasi si spaventò, poi, con estrema facilità, si caricò Elena in braccio e scortò le ragazze fino al piano di sotto; entrò nella camera, dove Anna e Laura già dormivano beate e adagiò Elena sul secondo letto matrimoniale, con una delicatezza tale che Ella se ne stupì. Quando Filippo uscì dalla stanza, lei lo seguì e gli si rivolse, senza guardarlo in faccia:
- Senti… io volevo ringraziarti per l’aiuto. –
- Non c’è bisogno che… -
- No, aspetta. Ti prego, fammi finire. – vedendo che lui la osservava incuriosito - Mi dirai mai perché ti sto sul cazzo? – disse, puntando improvvisamente gli occhi nei suoi; si somigliavano, a livello fisico: entrambi dalla pelle olivastra e dai capelli e occhi molto, molto scuri, quasi neri.
- Non c’è un motivo. – Filippo era un bugiardo ma di quelli bravi, infatti, la ragazza non fece altre domande; non era poi così strano che due persone si odiassero così, a pelle.
- Comunque…- non era sicura del perché ma si sentì in dovere di aggiungere – a me non piace Elia. –
- Mhh... -
Poi si augurarono la buonanotte e senza aggiungere altro tornarono nelle rispettive stanze, ognuno con i propri pensieri.
 

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Capitolo 18
*** Salire ***


Capitolo 18 “Salire”
 
Il secondo giorno si erano alzati tutti di buona lena, o quasi; Filippo, Elia, e Leo non erano ancora scesi per la colazione e Pier, dopo aver provato e riprovato a svegliare almeno uno di quei tre bradipi, ci aveva rinunciato e si era tanto innervosito da decidere di lasciarli lì a poltrire.
- Ma si perderanno gli Uffizi! – disse Ella, con le briciole dei biscotti spalmate sulla guancia sinistra.
- E non saliranno sulla cupola del Brunelleschi… - aggiunse Anna, che dal canto suo non vedeva l’ora.
- Quella me la risparmio volentieri anch’io… -
- Non pensarci nemmeno El, se salgo io sali anche tu! – la rimproverò Laura che, non lo avresti mai detto, ma nonostante fosse impacciata e distratta era una gran sportiva, amante delle scampagnate. Un sonoro sbuffo uscì contemporaneamente dalle labbra di Ella e di Pier. Per motivi diversi, ma un sospiro scocciato è un sospiro scocciato.
- Se ci tieni tanto, vai tu a svegliarli, e non essere delicata. Buttali giù entro dieci minuti. Altrimenti ti lasciamo qui con loro. –
- Ti accompagno! – aggiunse inaspettatamente Federica, che aveva appena finito di sorseggiare il suo cappuccino, ed insieme si diressero verso la camera al piano di sopra.
Non si erano più parlate dal giorno del chiarimento ma il loro rapporto, anche se non era più affiatato come prima, era decisamente migliorato; una volta aperta la porta con la chiave datale da Pier, Federica, che doveva essere ancora presa da Leo, si precipitò nella sua direzione: lo scoprì del lenzuolo e si stupì nel vederlo dormire con solo un paio di boxer addosso. Divenne tutta rossa nel giro di un millisecondo.
- Guarda che puoi toccarlo, non si rompe! – sussurrò Ella, con un risolino che le riportò alla mente i giorni in cui ne parlavano, ossessionate. Una volta, avevano anche sniffato la sua felpa come due drogate…
Federica ricambiò il sorriso, portandosi la mano a coprire le labbra per non scoppiare in una grassa risata e svegliare di soprassalto Leo, poi iniziò a scuoterlo con dolcezza ma… niente. Continuava imperterrito a russare placidamente. Ella rimase un attimo impalata davanti al letto matrimoniale che condividevano Filippo ed Elia: non sapeva chi svegliare. Lei e il moro si detestavano, non le pareva il caso di sfiorarlo, nemmeno per un’emergenza come quella; ma toccare di nuovo Elia, dopo la scorsa sera… alla fine decise di svegliare il biondo, almeno era sicura che lui non l’avrebbe presa a schiaffi per averlo toccato, al massimo l’avrebbe presa in giro. Con un’alzata di spalle, per scrollarsi di dosso l’ansia che, non sapeva come e perché, la stava lentamente divorando, afferrò un lembo del lenzuolo e scoprì il petto, magro e leggermente coperto da peli chiarissimi, di Elia; osservò come si alzava e si abbassava regolarmente, respiro dopo respiro e come le labbra piene gettavano fuori piccoli rivoli d’aria. Era bello, e lei era fottuta. Prese una profonda boccata d’aria o forse due o anche tre, poi gli sfiorò la guancia con la punta di tre dita tremanti e sussurrò vicino al suo orecchio:
- Ehi, principessina! – lo provocò, per smorzare la tensione che stava crescendo nel suo petto - Devi alzarti, idiota o ti lasceremo qui. – quello che doveva essere un insulto suonò più dolce di quanto Ella avrebbe voluto e, mugugnando il nome della ragazza tra uno sbadiglio e l’altro, il biondo aprì le palpebre scoprendo quei due zaffiri.
- Ella, che fai qua? –
Lei cercò di apparire calma, ma la vicinanza era davvero troppa anche se non era la prima volta che si ritrovavano l’uno accanto all’altra.
- Siete in ritardo, dobbiamo andare agli Uffizi oggi. –
- Cazzo! – aveva detto una parolaccia, notò Ella. - Perché Pier non mi ha svegliato? –
- Ci ha provato ma continuavate a dormire. Anzi, puoi svegliare anche Filippo? –
- Perché non lo fai tu? – disse lui, ironico: conosceva già la risposta. Ovviamente.
- Muoviti, cretino, o ti lascio qui. –
Quando uscì dal letto e si alzò per svegliare l’amico, Ella non gli aveva ancora tolto gli occhi di dosso, come Federica gli fece notare una volta uscite dalla stanza.
- Lo stavi fissando, El. –
- Non è vero. –
- Se non fosse vero mi avresti chiesto a chi mi rivolgessi… -
- Ok, lo stavo osservando. È un bel ragazzo, non ci vedo niente di male. –
- Come vuoi. – tagliò corto Federica, dopotutto, che diritto aveva lei di commentare…
 
……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………………….
 
Stava sognando? O era veramente la voce petulante di quella ragazzina che lo chiamava mentre lui era… dove si trovava? Era così stanco che non riusciva a realizzarlo. Ah, sì era ancora nel letto e sentiva freddo perché qualcuno doveva aver tirato giù il suo lenzuolo. Al sentire il soprannome “idiota” capì che non era poi così assurdo che fosse stata proprio Lab a chiamarlo e si costrinse ad aprire gli occhi per averne la conferma. Lei era nella sua stanza, di nuovo. Proprio quando aveva finalmente deciso che doveva starle lontano. La sua testa gli diceva di muoversi rapidamente, aveva compreso la situazione, erano in ritardo e doveva ancora svegliare Filippo, vestirsi e fare colazione; ma non voleva annullare quella vicinanza. Si costrinse, però, a farlo ed ogni spostamento gli risultò il doppio più pesante. Quando fu totalmente in piedi e si fu diretto dal lato opposto del letto per scuotere l’amico e farlo alzare, si accorse che la ragazzina era ancora lì che lo fissava; che stesse constatando quanto fosse magro per poi prenderlo in giro? O stava registrando nella mente tutti quei peli che aveva sul petto? Le facevano schifo? Non riusciva a vedere il suo viso perché le stava dando le spalle ma sentiva i suoi occhi puntati addosso. Più tardi avrebbe indagato, nascondendosi dietro qualche battuta sconcia. Doveva sapere cosa stesse pensando, poi non l’avrebbe più calcolata per il resto dell’anno. E dei successivi. Quando finalmente Filippo fu in piedi, anche se ancora assonnato e confuso, si girò per cercare i vestiti nella valigia; approfittò per vedere se lei fosse ancora lì.
- Dammi i pantaloni, te li piego. Così fai prima. – gli aveva detto, guardando i suddetti pantaloni appallottolati nella sua mano destra; aveva realizzato solo ora di trovarsi, per la seconda volta, in boxer davanti a lei e non riuscì a contenere un sorrisino di vittoria, ricordando di quando lei aveva potuto constatare che no, non indossava mutandine di Spiderman. Nient’affatto.
Le aveva lanciato i pantaloni e lei, goffa com’era, non era riuscita ad afferrarli; scosse la testa e si girò per vestirsi mentre lei li piegava e li riponeva sotto il cuscino. Si accorse solo in quel momento che Filippo, Leonardo e Federica erano ancora nella stanza e non avevano detto una parola. I primi due si stavano facendo, per fortuna, gli affari loro, ma la seconda aveva un’espressione indecifrabile e le guance rosse. Come se si sentisse di troppo o, peggio, in imbarazzo per loro. Era davvero così palese quanto lui la desiderasse? Se si fosse ritrovato un’altra volta quella piccola piaga ai piedi del suo letto non sarebbe riuscito a controllarsi.
- Vuoi una mano a rifare il letto? – disse Lab ma non si era rivolta a lui, questa volta, bensì a Filippo. Era tenero il suo tentativo di piacere al suo amico; non sapeva quanto impossibile fosse quell’impresa: lui non l’avrebbe mai sopportata ed Elia intuiva bene il perché; anche se non glielo aveva mai confessato apertamente, Elia lo conosceva fin troppo bene per non capire che fosse gay, e che provasse qualcosa per lui. Non era suo compito fargli fare coming out e metterlo in imbarazzo se non era ancora pronto. Aveva tutta la vita per farlo, tutta la vita per innamorarsi di un altro e per dirglielo con gioia e senza il timore di non essere ricambiato. Aveva tutta la vita perché lui sarebbe stato sempre lì, al suo fianco.
Dopo essersi beccati la strigliata di Pier, che comunque poteva tentare di svegliarli con più enfasi, uscirono finalmente in direzione Uffizi; senza dare spiegazioni all’amico che ormai, rassegnato, era certo non lo avrebbe rimproverato, si diresse verso Lab per fare ciò che si era ripromesso: l’avrebbe infastidita un’ultima volta prima di lasciarla definitivamente in pace. Si avvicinò al chiassoso gruppetto di Ella e si rivolse alle sue amiche:
- Smettetela di dire sciocchezze inutili! – disse divertito, mettendosi di forza tra la mora e Laura avvolgendo ciascuna con un braccio e facendo sussultare la prima ed allontanare la seconda: doveva odiarlo almeno quanto Filippo detestava Ella.
- Elia, ti sei svegliato… bella addormentata! – si immischiò Elena ma lui la ignorò; doveva parlare con Lab prima che si mettessero in fila per il museo.
- Ve la rubo un secondo… - non c’era bisogno di specificare a chi si rivolgesse – si è offerta di sistemarmi i pantaloni del pigiama e non li ho più trovati! – ovviamente, era una scusa.
- Ma che dici? Se li ho messi sotto il cusc… -
- Riesci a stare zitta un minuto? – disse, trattenendo una risata esasperata.
- Coglione. – farfugliò, cercando di continuare a respirare quando il braccio sinistro di lui la avvolse nel loro solido pseudo abbraccio; una mano ciondolante lungo le pieghe del maglioncino crema che la avvolgeva.
- Ti sta bene il bianco. – si lasciò sfuggire, pentendosene un secondo dopo.
- Che volevi dirmi? – tagliò corto lei, ma non si sciolse dall’abbraccio.
- Onestamente, Lab, non me lo ricordo più. – disse sospirando, più a sé stesso che a lei; il suo tono appariva stanco e lei se ne accorse: sembrava stesse cercando, inutilmente, di trattenersi. Come se la lingua non rispondesse agli ordini del cervello e pronunciasse quelle parole di sua spontanea volontà, troppo velocemente perché la sua coscienza potesse fermarla.
- Sei contento di vedere gli Uffizi e salire sulla cupola? – cambiò argomento lei, percependo una strana tensione.
- Non vedo l’ora di vederti arrancare per salire… - disse, riprendendo, finalmente, la sua solita verve – Sei sicura di non morire a metà del tragitto? –
- Simpatico. Sai, esiste una scatola magica chiamata “ascensore” … -
- Sì, ma solo per metà dell’altezza, l’altra metà devi fartela sulle tue gambe corte. Posso portarti in braccio se vuoi. –
- Sicuro di farcela? Non mi sembri un tipo allenato. –
- Sai che gioco a calcio, vero? – a dire la verità, Ella non lo sapeva. Era assurdo come conoscesse perfettamente la sua situazione familiare ma non una cosa banale come lo sport che praticava.
- Non lo sapevo. –
- Non ti importa di me. – disse, con una finta faccia da cucciolo bastonato magistralmente dipinta in volto; ci mancava solo che sapesse piangere a comando.
- Scemo… - gli disse, schiaffeggiando la mano, pericolosamente vicina alla curva del seno.
- Un po’ mi manca parlare con te, sai? –
- Di cose serie? –
- Anche. Ma mi piacerebbe parlare anche del tempo o dello sport che faccio… sono piuttosto bravo, il migliore, anzi! –
- Chissà perché non avevo dubbi… - disse ironica.
Lui si ricordò improvvisamente del motivo per cui era andato a parlarle: ultima presa in giro prima di ignorarla. E si rese anche conto che non stava facendo nulla di quanto si era ripromesso. Ed erano quasi arrivati nei pressi della fila. Decise di fregarsene, della fila e del resto: la loro ultima conversazione sarebbe stata priva di inutili frecciatine, per quanto possibile tra loro due.
- Tu sei una ballerina. –
- Come lo sai? –
- A me importa di te. – di nuovo la faccia fintamente triste ed offesa.
- Dovresti lasciare il calcio e dedicarti al teatro, sei piuttosto portato. –
- E tu dovresti vedermi giocare. –
- E tu ballare. –
- Andata! -
Prima di mettersi a fare la fila per l’ingresso, tutto il gruppo si riunì in modo che Pier e Giulia potessero distribuire i biglietti, presi online. Ella si staccò, fin troppo lentamente, dalla presa di Elia e raggiunsero i rispettivi amici. Si voltarono un secondo per guardarsi e nessuno seppe interpretare lo sguardo dell’altra. Laura, Anna ed Elena non dissero nulla anche se le prime due furono più volte sul punto di parlare.
Attraversarono la soglia, accolte dal fresco della sala e dal brusio dei visitatori e dei loro passi sul pavimento di marmo. Le pareti erano tappezzate di capolavori, ogni sguardo una finestra su un mondo di bellezza senza tempo. Quando riuscì ad ammirare la maestosa "Nascita di Venere" di Botticelli Ella restò incantata di fronte a tanta perfezione, tanta bellezza e non poteva sentirsi più diversa dalla donna in quel dipinto. Somigliava a Giulia, come aveva già constatato. Quella stessa Giulia che Elia aveva raggiunto dopo la loro conversazione: si era accorta della tensione sessuale che si era improvvisamente creata tra quei due e la cosa l’aveva infastidita.
Percorse le sale con passo leggero, cercando di togliersi dalla testa la visione di Giulia-Venere che stringeva il biondo, ammirando le opere di Leonardo, Michelangelo, Raffaello e tanti altri. Ogni pennellata, ogni dettaglio, ogni ombra era una testimonianza dell'ingegno e della passione di quegli artisti che avevano dato vita a opere d'arte senza tempo. Ad Ella, in quel momento, non fregava un cazzo. Come se non bastasse, anche Marco, che fino a quel momento era sparito dalla sua mente, ora se ne stava languidamente appiccicato a Ginevra. Alla fine, realizzò che non vedeva l’ora di lasciare quel posto e, al confronto, l’idea di dover salire in cima a quella maledetta cupola le sembrò un’idea piuttosto allettante.
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Mentre ci aveva provato in maniera neanche troppo mascherata con Giulia aveva pensato a Lab, tutto il tempo. Almeno a sé stesso doveva ammetterlo, anche se si sarebbe guardato bene dal dirlo a Filippo. Non che Giulia non fosse bella, intendiamoci: riccia, bionda, occhi grandi e verdi, curve al punto giusto; chiunque avrebbe scelto lei alla piccola, petulante Ella, con i suoi lunghi capelli scuri e il viso tondo. Ma non lui, non da quando i suoi occhi si erano posati su Lab, quando ancora non aveva realizzato in che genere di casino si era messo. Scosse bruscamente la testa per far sparire quei pensieri; aveva deciso che questa notte si sarebbe divertito un po’ con Giulia e non avrebbe cambiato i suoi piani. Inoltre, doveva iniziare a corteggiarla adesso se voleva mantenere questo proposito. Forse non era etico ma, d’altra parte, lei voleva la stessa cosa, quindi perché no. Non la stava costringendo e non ne stava approfittando.
Dopo gli Uffizi fu la volta della cupola, mentre teneva la riccia per un fianco, sfilò davanti al gruppetto delle amiche di La Baldi e si accorse che lei non c’era; che avesse seriamente rinunciato a salire?
- Sei assurda… - bofonchiò, beccandosi l’occhiata interrogativa della compagna. Si rese conto, poi, allungando lo sguardo che Ella non aveva rinunciato a salire, anzi lo precedeva insieme a Marco, dirigendosi verso la biglietteria; strinse la presa sul fianco di Giulia e si costrinse a riabbassare lo sguardo.
Più della metà dei compagni decise di prendere l’ascensore: lui e Giulia facevano parte, per sua insistenza, del restante gruppo che voleva farsela tutta a piedi. Mentre saliva, Elia cercava di concentrarsi sulla magnificenza dell'architettura che lo circondava, ma non poteva fare a meno di sentire un groviglio di emozioni dentro di sé. Ogni passo che lo portava più in alto sembrava un passo verso il patibolo per il suo cuore. Perché da qualche tempo aveva realizzato che anche lui ne aveva uno, ma avrebbe preferito strapparselo e sotterrarlo qualche chilometro sottoterra. A metà percorso c’era una piccola finestrella e si fermò, insieme alla ragazza che lo precedeva, per sbirciare la luce che proveniva da fuori; fu solo quando riprese la salita che, alzando lo sguardo, si accorse della presenza di Ella e Marco qualche passo avanti a loro: erano ancora insieme e cosa ben peggiore, la ragazza aveva rinunciato al prendere l’ascensore solo per stare con quell’ebete. Accelerò il passo ed anche il respiro, costringendo una Giulia alquanto stupita a scansarsi per farsi superare. Non sapeva cosa avrebbe fatto una volta raggiunta la coppietta ma il suo corpo sembrava muoversi da solo, nonostante il fiatone e la fatica. Ora era esattamente dietro di lei e poteva sentire il suo respiro affannato dallo sforzo fisico; era una tale testarda! Fu un attimo che lei, stremata dalla stanchezza perse l’equilibrio e sarebbe caduta se le braccia di Elia, scattanti e pronte, non l’avessero afferrata al volo, bloccando tutte le persone dietro di loro.
- Ehi, stai bene? – gridò lui, preso dal panico. Poi si rivolse a quel pezzo di cretino alto 180 cm, con la voce che tremava dalla rabbia:
- Non vedi che è stanca? Perché non le hai detto di prendere l’ascensore! Sei un idiota, Marco! –
Il fiume di parole che usciva dalla bocca del biondo era interminabile, mentre inveiva ora contro la piccola, testarda Lab, ora contro Marco che non l’aveva convinta a prendere l’ascensore pur sapendo che lei non sarebbe mai riuscita a sopportare tutte quelle scale; il moro, che si era accorto troppo tardi della povera ragazza che, accanto a lui, aveva perso l’equilibrio all’improvviso, si fermò e si girò di botto. Elia la teneva ancora tra le braccia mentre Marco tirava fuori dell’acqua dallo zaino e la portò alle labbra di Ella che rischiava di svenire a breve.
- Non toccarla. – sputò fuori con voce bassa ma ferma, in modo che solo lui potesse sentirlo, quando lo vide avvicinare le sue manacce al mento di lei, per aiutarla a bere; poi gli strappò la bottiglietta dalle mani e si accostò del tutto alla parete, con lei appoggiata di peso sul suo petto e contro le sue gambe, per far passare avanti il resto del gruppo.
- Avanti, passate! – disse, rivolgendosi alle poche persone dietro di lui e a Marco che, invece, lo precedeva.
-Toglietevi di mezzo, devo metterla seduta. –
Quando tutti furono saliti, si sedette sulle scale con la ragazza sulle sue ginocchia e se la stringeva forte al petto; anche quando si fu ripresa non la lasciò, era riuscita a non svenire.
- Elia… - provò a parlare lei, ma la voce non voleva saperne di uscire chiaramente.
- Non dire una parola. – rispose lui duro, sull’orlo delle lacrime – Sei una scema. –
Non riusciva nemmeno a guardarla per paura di scoppiare a piangere; gli aveva fatto prendere un bello spavento. Era stata lei, però, a versare qualche lacrima.
- Mi dispiace se ti ho fatto spaventare. – riuscì a dire fra un singhiozzo e l’altro. – Non ti avevo visto, pensavo fossi più indietro. –
- Avresti dovuto prendere l’ascensore… -
- Volevo solo… io… -
- Adesso smettila. È tutto passato. – non poteva farsi prendere dal panico o lei sarebbe definitivamente crollata. - Ce la fai a salire fino in cima? Manca poco. –
- Sì, certo – e si pulì il naso con la manica della felpa.
- Cammina avanti a me, e fa’ piano! – le disse, prendendole la mano per aiutarla ad alzarsi; le aveva tenuto un fianco per il resto della salita e quando erano sbucati all’aperto, la luce li aveva investiti completamente. I tetti di Firenze si estendevano come un mosaico irregolare, punteggiato da campanili e cupole che si ergevano fiere verso il cielo. I turisti in Piazza del Duomo sembravano anch’essi puntini minuscoli, come si sentivano loro due, in quel momento. Si godettero quel paesaggio appena un attimo prima che il resto della classe, preoccupata, si fiondasse verso di loro; in prima fila, per assicurarsi che la loro preziosa amichetta stesse bene, c’erano Laura, Anna ed Elena.
- Se continuate così sarete voi a soffocarmi! – disse lei, tra una risata e l’altra.
- Non farlo mai più! – piagnucolò Laura, sentendosi anche un po’ in colpa per aver insistito tanto affinché salisse. Ella sembrò leggerle la mente, la prese per mano ribadendo almeno mille volte che non era colpa sua. Elia era ancora al suo fianco, in silenzio che la osservava: il viso della ragazza era segnato dalla fatica e da qualche lacrima ma c'era una luce nei suoi occhi che sapeva di gioia. Forse lei sentiva il suo sguardo pizzicarle la schiena perché si girò lentamente e si avvicinò a lui.
- Guarda – gli sussurrò, indicando il panorama con il braccio teso - Guarda quanto è bella Firenze da qui. – Era assurda, non avrebbe mai smesso di pensarlo: cinque minuti prima stava per perdere conoscenza ed ora se ne stava tutta tranquilla ad ammirare il paesaggio come una bambina in un negozio di caramelle.
Fece come gli era stato detto limitandosi a commentare con un “Già”.
- Quando sei sbucato dietro di me? –
- Sei proprio distratta, sono sempre stato lì. – provò a mentire.
- No. Non c’eri. Ne sono sicura. –
- Disse quella che stava per svenire… -

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Capitolo 19
*** Scendere ***


Note Autrice
Sono viva e sono tornata! Dopo un breve blocco della scrittrice sono riuscita a rimettermi in paro con i capitoli e, per farmi perdonare, ve ne posterò subito più di uno. Ci stiamo avvicinando alla fine di questo anno scolastico e contemporaneamente alla fine della prima parte perciò ecco a voi il capitolo 19.


Capitolo 19 “Scendere”
 
Per il resto di quella giornata, Elia aveva mantenuto la promessa: era stato alla larga da lei grazie anche al fatto che, dopo l’estenuante salita, la classe si era divisa in due gruppi: alcuni, troppo stanchi per continuare a visitare, avevano fatto merenda con un gelato e se n’erano tornati in albergo mentre gli altri avevano proseguito con una passeggiata; le amiche di Ella avevano insistito affinché lei tornasse in stanza, accompagnata da Valerio ed altre ragazze, con la promessa che avrebbero trascorso la serata di nuovo tutti insieme nella stanza dei ragazzi. Anche la sera, però, non si erano visti perché Ella si era addormentata e nessuno aveva voluto svegliarla.
Il giorno successivo si sentiva decisamente meglio, il riposo le aveva giovato parecchio; scese per la colazione insieme alle amiche e, questa volta, non mancava nessuno all’appello.
- Perché ieri non mi avete svegliata, ragazze! – piagnucolò, mordicchiandosi il labbro inferiore.
- Dormivi così beata che non ne abbiamo avuto il coraggio… - fu Anna a rispondere, in tono materno.
- Uffa… dovevamo stare insieme. –
- Avanti El, non fare la bambina… - le disse Elena – Oggi staremo insieme tutto il giorno. –
- E anche la sera. – concluse Laura, anche se Ella era ancora un po’ stranita perché, a dirla tutta, adorava lamentarsi.
Poi, si prepararono tutti per uscire: avrebbero visitato i Giardini di Boboli e il tanto atteso Ponte Vecchio.
C’era un gran sole alto e caldo, quando giunsero a destinazione ed Ella fu davvero felice della scelta dell’outfit: sfoggiava un abito leggero e colorato, sui toni del verde, che le conferiva un'aria vivace e frizzante. Laura, che aveva la passione della fotografia, di tanto in tanto costringeva le ragazze a mettersi in posa davanti alle splendide fontane e alle sculture che decoravano il percorso, mentre i loro passi risuonavano sul selciato. Ella si avvicinava con interesse ad ogni particolare artistico, Anna osservava con occhi sognanti i giochi d'acqua che danzavano tra le statue, Elena coglieva i dettagli più delicati delle piante e dei fiori, mentre Laura esplorava gli spazi aperti con una grinta contagiosa, incurante di qualche macchia che le aveva sporcato le scarpe bianche. Ridendo e chiacchierando allegramente, si lasciavano guidare dalla bellezza e dalla serenità che i Giardini di Boboli offrivano loro, immergendosi in un'atmosfera di pace e armonia con la natura. Le terrazze panoramiche offrivano loro scorci mozzafiato, regalando una prospettiva unica su Firenze e sulle sue meraviglie architettoniche. La cupola del Duomo si stagliava imponente sullo sfondo, mentre i tetti dei palazzi si perdevano all'orizzonte; fu fissando quella cupola che lo sguardo di Ella si fece più serio, mentre Anna e Laura si scambiarono un’occhiata complice: bisognava tirar fuori l’argomento al più presto… approfittarono del fatto che Elena aveva raggiunto Carol e Fede per chiacchierare e presero l’amica per un braccio, trascinandola in un angolo un po’ più appartato, sedute su una delle panchine di pietra. Stavano per parlare ma la mora le precedette:
- Ho fatto un bel casino. – sospirò, portando una mano sotto il mento ed appoggiando i gomiti sulle ginocchia, accasciandosi su sé stessa. Laura stava per darle ragione ma Anna le lanciò uno sguardo della serie “Fa’ parlare me”, poi disse:
- El, non hai fatto un bel niente. Non decidi tu di chi innamorarti. –
- Lo so ma, prima Marco, ora Elia… perché tutti a me? –
- Perché sì. – disse Laura che non riusciva più a tenere a freno la lingua. – Non c’è un motivo, e se anche ci fosse non sarebbe importante. È più importante che tu ora faccia chiarezza. –
- Marco ti piace? – Domandò Anna.
- Non lo so più. Mi fa sempre uno strano effetto ma adesso ci si mette anche Elia. –
E prese a tirar fuori, come un fiume in piena, tutte le riflessioni che aveva fatto in quei giorni; poi, affranta concluse:
- Il punto è che, anche se realizzassi, alla fine, che mi piace, resta il fatto che lui non ricambia; l’ho visto con Giulia ieri notte e stamattina lui aveva la maglia sporca di rossetto vicino al collo… deve essersi rimesso la stessa, quell’idiota. – e mentre parlava torturava i capelli in modo più ossessivo del solito.
- La cosa positiva – disse Laura, allontanando le manine della mora da quei poveri fili lisci – è che lui non lo sa. –
- Almeno questo… - rispose Ella rassegnata.
- Ci siamo noi con te. – e si abbracciarono come mai avevano fatto prima d’ora.
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Elia camminava lungo Ponte Vecchio, con la mano sinistra nella tasca dei jeans e la destra che stringeva la sigaretta, portandosela di tanto in tanto alle labbra; Filippo, alla sua destra, si guardava intorno con un’espressione serena negli occhi, che raramente si poteva scorgere sul suo viso: quel posto lo metteva chiaramente di buon umore… beato lui. Anche Giulia, alla sua sinistra, sospirava estasiata anche se, di tanto in tanto, gettava sguardi truci a Pascaldi che, dietro di lei come un cagnolino, continuava ad importunarla. Il biondo aveva passato la notte con lei, e Leo, apparentemente, se n’era fregato; capita l’antifona, si era limitato a lasciarli soli in stanza, ma il giorno dopo non si era scollato da lei. Peccato che la ricciolina, a sua volta, non si fosse scollata dal biondo che, da parte sua, odiava tutto questo tira e molla. Ogni compagno sembrava non riuscire a fare altro che emettere pesanti sospiri, tutto per uno stupido ponte. Lui avrebbe preferito buttarsi, invece. L’unica cosa che riusciva ad apprezzare, da bravo materialista qual era, erano la miriade di negozi di gioielli e oreficerie, con le vetrine piene di brillanti e pietre preziose; Giulia cercava di renderlo partecipe della magia di quel luogo, artigliandosi al suo braccio, sgualcendo la manica della felpa verde bottiglia e guardandolo con occhi sognanti; ma Elia rimaneva impassibile. Stava cominciando a stancarsi, a consumarsi come la sigaretta che stringeva tra le dita e come se non bastasse, Ella non era più nel suo campo visivo: l’aveva persa di vista quando, insieme alle sue amiche, si era intrufolata in uno dei suddetti negozi per comprare chissà cosa. Non le parlava da ieri ma si era accertato, mettendo da parte il suo orgoglio e chiedendo informazioni ad Elena, che lei stesse bene e l’aveva seguita con lo sguardo durante la visita ai giardini di Boboli, per paura che potesse, dal nulla, inciampare e svenire di nuovo. Come se non bastasse, era anche un po’ stressato perché, ultimamente, non riusciva nemmeno a confidarsi con Filippo; ci aveva pensato, lì per lì ma poi non gli aveva detto nulla anche se, era sicuro, lui aveva già capito tutto tanto che, la sera precedente, aveva anche protestato quando gli aveva chiesto di liberare la camera per lui e Giulia. Si era divertito, doveva ammetterlo, Giulia era così sensuale che sarebbe anche potuto risuccedere ma si era ripromesso di non fissarsi con la stessa persona per troppo tempo, lui non era tipo da storia seria e neanche lei. Almeno per ora. Era per questo motivo che andavano d’accordo.
Erano circa le 17 quando, finalmente, il gruppo decise di porre fine a quella tortura e di avviarsi in direzione del Bed and Breakfast; ad un certo punto, mentre percorrevano a ritroso la strada, Giulia lo afferrò per un braccio e lo trascinò in un negozio, con la vetrina ricca di preziose collane, esposte per attirare i turisti in visita. Fu un attimo che, mentre entravano, Ella e le sue amiche uscirono ed i loro occhi si incrociarono: il mondo sembrò smettere di girare per almeno cinque minuti buoni. I pozzi neri di Ella indugiarono più del dovuto sul braccio di Giulia avvinghiato a quello del biondo ma lui non se ne accorse e, sul momento, non gli venne in mente nessun possibile argomento di conversazione; con il senno di poi, rifletté sul fatto che avrebbe almeno potuto chiederle se si fosse ripresa, se stesse bene, se avesse bisogno di aiuto. Poteva chiederle anche del tempo o lanciarle una delle sue solite frecciatine di scherno ma le parole gli erano morte in gola quando l’aveva vista con il vestitino verde che svolazzava ad ogni passo. Verde come il suo maglione, casualità.
Sulla soglia della sua stanza, Giulia attendeva che lui la invitasse ad entrare per un secondo round o per qualche bacio senza impegno, ma, stranamente, Elia non ne aveva voglia; si buttò comunque sul letto, ma da solo, per circa quarantacinque interminabili minuti prima di alzarsi per fare una doccia e togliersi di dosso quella sensazione di vuoto che aveva provato tutto il giorno: che poi, si ritrovò a pensare, non era stato intelligente colmare un vuoto con altra solitudine. Anche se poteva sembrare una buona idea starsene sul letto con lei addosso, accarezzarle i capelli ricci e biondi aveva paura che, chiudendo gli occhi, si sarebbe immaginato di tuffare le dita in una chioma ben diversa. Dopo la doccia, invece, era decisamente rinato e si sentiva meglio. Si erano fatte le 22:48 e non aveva ancora cenato, perciò, dopo aver avvisato i compagni di stanza, si diresse nella cucina comune per prepararsi qualcosa; sperando che qualche anima pia avesse comprato almeno un po’ di latte e qualche biscotto.
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Era uno stronzo. Non riusciva a pensare ad altro. E un falso.
Si ritrovò con una valanga di pensieri nella testa e la testa fra le mani seduta su una sedia che aveva trascinato con non poca fatica nel piccolo balcone della loro camera. Aveva addosso una pesante coperta infeltrita trovata nell’armadio e se ne stava lì accovacciata da un’ora e qualcosa. Aveva fatto di tutto: si era arrabbiata, aveva pianto, aveva girovagato per il corridoio del piano di sopra come un inquietante fantasma, il volto cinereo e rigato dalle lacrime. Era passata dalla tristezza, alla rabbia, alla vergogna e poi di nuovo alla rabbia nel giro di tre minuti e poi si era buttata lì, al freddo, incapace di fare ordine nei propri pensieri per paura di elaborare quello che aveva sentito.
 
- Dai Marco, però, adesso smettila! –
- Non ci riesco! –
- E smettila di ridere… - gli aveva detto Valerio, tirandogli uno schiaffo sul braccio.
- Ci sto provando, te lo giuro ma non riesco a smettere. – aveva continuato, tenendosi lo stomaco e piegandosi in avanti per soffocare le risate.
- Non ha ancora capito che non mi metterei mai con una come lei… e cerca sempre di girarmi intorno, e le amiche la illudono pure… -
- Adesso esageri, però. –  l’amico aveva ribattuto con lo sguardo che si era fatto più severo, anche se Marco non aveva accennato a smettere né di ridere né di parlare.
- Vale, dai… sincero! Tu ti metteresti mai con una come Ella? –
- Vabbè, non è mica così brutta. Non sarà la più carina della classe ma c’è decisamente di peggio. –
- Ma dai! Non solo è brutta, è pure sfigata se pensa davvero di avere qualche speranza con me. -
 
Li aveva visti e sentiti con i suoi occhi e le sue orecchie, mentre andava in cucina per una cioccolata calda: ne aveva sempre voglia quando le mancava un po’ casa; Ella, infatti, non era una grande fan dei viaggi. Le piaceva, ovviamente, andare in vacanza e visitare posti nuovi ma sentiva la mancanza di casa già dal secondo giorno di viaggio, era più forte di lei. E dopo aver assistito a quella conversazione aveva un motivo in più per avere nostalgia degli abbracci della madre e della protezione dei suoi adorati fratelloni: loro avrebbero picchiato a sangue quell’enorme stronzo. Aveva il coraggio di starsene lì, seduto al piccolo tavolo dell’altrettanto minuscola cucina a mangiare i biscotti che lei aveva comprato mentre la prendeva in giro; dopo averle detto di essere stata coraggiosa, dolce e altre stronzate simili… si era pure accertato che lei fosse ancora innamorata per poterla sfottere. Le lacrime stavano iniziando a pizzicarle gli angoli degli occhi, premevano per uscire ed Ella cercava di ricacciarle indietro mentre sia Valerio che Marco si erano zittiti di fronte al primo singhiozzo di lei e si erano girati a guardarla, colpevoli. Non gli aveva dato il tempo di dire una sillaba, si era voltata ed aveva attraversato di corsa il corridoio e salito le scale, urtando Elia che andava verso la cucina, neanche si fossero dati tutti appuntamento lì.
Il biondo ci aveva messo un po’ a realizzare cosa fosse successo: era stato tutto troppo rapido e, come al solito, in situazioni del genere c’entrava quella ragazzina; più cercava di evitarla e più gli si gettava addosso. Anche se, questa volta, più che gettarglisi addosso l’aveva urtato, correndo chissà dove e per chissà quale motivo. Sbirciando nella cucina, poi, aveva visto le facce cineree di Valerio e Marco ed aveva detto, con voce fredda:
- Cosa è successo? –
Marco era rimasto in silenzio, sostenendo lo sguardo di Elia, mentre Valerio faceva saettare gli azzurri occhietti vacui dal moro al biondo, in continuazione; quest’ultimo si era accorto che Valerio era sul punto di parlare e, dunque, aveva lasciato perdere il gigante idiota per rivolgersi direttamente a lui. Con voce tremante, Valerio aveva spiegato a grandi linee la situazione, ovviamente sminuendo tutta la questione, tentando di farla passare per uno spiacevole malinteso. Ma Elia aveva smesso di ascoltarlo e, ricollegando i pezzi del puzzle, aveva ricostruito nella sua mente tutta la scena e l’immagine della ragazzina che piangeva disperata gli offuscò la mente: la vista gli si era annebbiata e le vene pulsavano, stava iniziando a montare una rabbia mai avuta prima. Impedirsi di scattare e picchiare a sangue quel bastardo fu un’impresa titanica ma si trattenne. Quello stronzo, adesso, era l’ultima cosa che contava. Doveva togliersi dalla testa l’immagine di Lab che frignava disperata e l’unico modo per farlo era andare a consolarla; all’idiota ci avrebbe pensato dopo ma volle comunque dargli un assaggio della sua furia, lo avrebbe spaventato a morte: gli si avvicinò minaccioso e, afferrandolo per il colletto del maglione, lo guardò fisso negli occhi; poi, con voce ferma gli disse:
- Sei la patetica imitazione di un uomo. Un pugno in faccia non te lo toglie nessuno… ci vediamo dopo, idiota! –
Stava per uscire dalla stanza quando Marco, facendosi beffe di lui, lo richiamò:
- Perché non adesso? Hai paura di farti male? –
Nel giro di cinque secondi gli fu addosso. Nonostante fosse molto, molto più gracile, ora si trovava
sopra di lui e, buttandolo giù dalla sedia fece finire entrambi a terra. Avevano iniziato a darsele di santa ragione poiché, dopo un primo momento di shock, il moro dagli occhi d’ambra aveva ricambiato la cortesia ed essendo nettamente più imponente, non solo aveva ribaltato le posizioni ma, ad essere onesti, le aveva anche più date che prese; dopo attimi che sembrarono ore, si era messo in mezzo Valerio per separarli e, attratti dal baccano, erano scesi circa cinque o sei compagni, tra cui Leo, che aveva tirato via di peso un Elia ancora furente.
- Lasciami! Devo dare una lezione a quello stronzo! –
- Non ti bastano? Non ne hai prese abbastanza? – disse Marco, pulendosi un rivolo di sangue con la manica.
- Smettetela. Tutti e due. Non vedete come siete ridotti? – era stato Filippo, sbucato dal nulla, a parlare; poi si rivolse prima a Marco, con sguardo truce: - Vattene perché, se tra cinque secondi sei ancora qui, le prendi sul serio. – poi ad Elia, facendogli sparire dalla faccia il ghigno soddisfatto: - Tu vai a darti una ripulita, perdi sangue dal labbro. E metti del ghiaccio in faccia. – Prima che il biondo si allontanasse lo afferrò per un braccio e, attirandolo a sé, gli sussurrò: - Spero che tu abbia avuto una buona ragione.
Elia non rispose. Imboccò il corridoio e salì le scale a passo di marcia; non andò a ripulirsi né a mettere il ghiaccio, come l’amico gli aveva suggerito; quando prese il telefono e digitò il messaggio era già davanti alla porta della stanza di Ella: “Vengo a fumarmi una sigaretta da te”. Poi girò la maniglia ed entrò in silenzio.

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Capitolo 20
*** Per fortuna ***


Capitolo 20 “Per fortuna”
 
Contrariamente ad ogni previsione, Ella non stava piangendo, troppo paralizzata dalle sue stesse emozioni e ne aveva provate parecchie: entrata in stanza che erano le 24:27, dopo aver passato un’infinità di tempo a girovagare per il Bed and Breakfast come un’anima in pena, aveva trovato le sue amiche addormentate ed era entrata in punta di piedi per non svegliarle; aveva afferrato il pigiama da sotto il cuscino ed era entrata in bagno per metterlo. Si era accasciata sul water, poetico visto che si trovava letteralmente nella merda: aveva scoperto che Marco era uno stronzo, un falso e un insensibile; ma la cosa peggiore era stata scoprire che lei non era così sveglia come credeva, si sentiva al pari di Carol, che tanto prendeva in giro. Si era fatta fregare dal primo idiota che le rivolgeva un sorriso, era stata ferita nell’orgoglio come mai in vita sua. Uscì dal bagno trascinando le gambe a fatica, sentendosele deboli; poi, in preda ad un potente scatto d’ira aveva aperto con violenza l’anta dell’armadio, rischiando di svegliare le compagne, ed aveva afferrato una pesante, infeltrita coperta per avvolgersela tipo mantello di Severus Snape e dirigersi fuori, nel piccolo terrazzino. Sempre cercando di controllare la rabbia, aveva preso un pacchetto di patatine ed il cellulare per guardare l’ora e realizzare che avrebbe passato la notte a rimuginare su quanto fosse stata scema, incosciente ed ingenua. Era il prezzo da pagare per essersi innamorata di uno stronzo, per essersi fidata di uno stronzo. Per essersi fidata di qualcuno in generale. Non avrebbe mai più confessato i suoi sentimenti ad anima viva.
Quando lesse il messaggio di Elia in anteprima, per non visualizzare, pensò che la cosa più intelligente da fare fosse fingere di dormire, considerato anche che, forse, era il caso di farlo sul serio. Era piuttosto tardi e domani si sarebbe dovuta alzare alle sette. E non aveva voglia di vedere Elia, non in quello stato. Non fece in tempo a mettere la mano sulla maniglia della portafinestra perché in stanza era entrato proprio lui, senza nemmeno bussare. Dapprima, pensò che stessero dormendo tutte e quattro; per poco non ci rimase secco quando si ritrovò davanti Lab tutta incappucciata, avvolta dalla coperta, che pareva il Tristo Mietitore. Si avvicinò a lei, stando attento a non svegliare tutta la comitiva e le impedì di entrare, facendole cenno di tornare in balcone e sedersi su una delle due sedie attorno al piccolo tavolino. Dopo averne posizionata una accanto a lei, si sedette e sfilò la sigaretta che teneva appoggiata al suo orecchio destro, avvicinando a sé il piccolo posacenere in vetro; la accese e tirò una lunga boccata, poi la passò a lei.
- Non fumo. – si limitò a dire, sentendo già le lacrime che minacciavano di sgorgare.
- Prova. –
- No, grazie, davvero. –
- Hai paura? –
- No, è solo che non ne sento il bisogno. –
- Guarda che ti rilassa, fidati. –
Lei ispirò con il naso, riconoscendone l’odore e fu sul punto di accettare. Si limitò, però, ad osservare come un lato della sigaretta, fortunata, spariva tra le labbra del biondo; si ritrovò a pensare a come dovesse sentirsi vuota quella poveretta quando le suddette labbra la abbandonavano per soffiare via il fumo, in tante piccole nuvolette che si dissolvevano nell’aria fresca della notte.
- Anche tu non riesci a dormire? – gli chiese, lottando ancora una volta per trattenere le lacrime e modulare la voce, leggermente incrinata.
- No. – si limitò a dire, triando un’altra boccata mentre avvolgeva la spalla della ragazza con il braccio libero.
- Dammi un po’ di quella coperta, Lab. Fa freddo. –
- Vuoi entrare in camera? – in tutta risposta lui tirò un lembo di stoffa e si fece più vicino a lei, stringendo l’abbraccio e accoccolandosela al petto. Ora l’odore di fumo le entrava prepotentemente nelle narici. Prese qualche respiro profondo, stringendosi a sua volta a lui, ispirando il suo profumo; stava quasi per rilassarsi e dormire quando un pensiero nero come quella notte senza stelle la prese con sé, facendola singhiozzare: Marco l’aveva rifiutata e presa in giro, Elia avrebbe fatto lo stesso. Non avrebbe mai potuto confessargli che, forse, stava iniziando a provare qualcosa perché avrebbe fatto proprio come il moro; l’avrebbe derisa, magari non davanti a tutti ma comunque l’avrebbe rifiutata perché lei non era abbastanza bella, non come Giulia o Virginia. Averlo così vicino, in quel momento, le faceva più male di quanto non avesse fatto Marco poco prima; nonostante il dolore, però, non riusciva a mandarlo via, averlo vicino era una necessità fisica e più si diceva che doveva cacciarlo più lo stringeva a sé ed i lievi singhiozzi divennero una vera e propria valle di lacrime che sgorgavano e le mozzavano il respiro, tanto che il biondo, spaventato, gettò la sigaretta nel posacenere e si rivolse a lei prendendole il viso tra le mani:
- Lab. Calmati. Ci sono io qui. – ma lei continuava a piangere e allora lui prese ad accarezzarle il viso.
- Basta El, è tutto finito. Quello stronzo ha avuto la sua lezione, dovevi vedere la sua faccia quando gli sono saltato addosso. A quest’ora starà mettendo quintali di ghiaccio in faccia. –
Al sentire questo si fermò: non aveva capito che lui fosse lì perché sapeva della cattiveria che le aveva fatto Marco; pensava che lui non sapesse nulla e che l’avesse raggiunta in camera solo perché non aveva nulla da fare o non riusciva a dormire. Alzando la testa per guardare Elia negli occhi, notò che aveva il volto tumefatto; afferrò il cellulare impostando la torcia e la puntò sulle sue guance e sulla bocca carnosa: aveva un labbro spaccato e del sangue secco. Nonostante le proteste del biondo che le intimava di mettere giù quell’aggeggio che, a detta sua, gli stava accecando i suoi meravigliosi occhi, lei continuava a guardarlo, mortificata per essere la causa di tutte quelle ferite. Chissà come aveva fatto a sapere tutto… ed era pure andato a picchiare il moro, nettamente più alto e più forte di lui. Si asciugò le lacrime alla bell’e meglio e si alzò, poggiando la coperta sulla sedia ed intimando al ragazzo di alzarsi.
- - Andiamo in bagno, vieni a ripulirti. Fa’ piano. -Inizio modulo
- Vuoi giocare a fare l’infermiera? – disse, malizioso.
- Smettila. Piuttosto perché hai picchiato Marco? –
- Devo davvero rispondere a questa domanda stupida? –
- Siediti lì. – gli disse, indicando il bordo della vasca e rendendosi conto di aver fatto davvero una domanda idiota. Poi gli diede le spalle per afferrare la pochette con le medicine dove, tra le altre cose, teneva un flaconcino portatile di acqua ossigenata e dei dischetti struccanti. Bagnò uno dei dischetti con dell’acqua corrente e, mettendosi in ginocchio di fronte a lui, prese a tamponargli le labbra, cercando di essere più delicata possibile; poi, mise un po’ di acqua ossigenata per detergere un piccolo spacco sul sopracciglio sinistro. Lo pulì del sangue rappreso con altra acqua e un po’ di sapone mentre Elia si lagnava per il bruciore.
- La prossima volta ci penserai due volte prima di prendere a pugni un ragazzo alto e grosso il doppio di te. – - Guarda che è lui quello messo peggio… - affermò, punto nell’orgoglio.
Dopo aver riflettuto per qualche istante, Ella si ricordò che, salendo le scale di corsa aveva urtato qualcuno e gli chiese se fosse lui.
- In persona. Le ho prese anche da te, a quanto pare. – ironizzò, cercando di non pensare a quanto lei fosse vicina, mentre continuava a pulirlo dal sangue; picchiare quell’idiota ne era valsa la pena.
- Ti ringrazio ma non dovevi, dopotutto… -
- Non giustificarlo Ella! – disse, alzando la voce e scattando in piedi, raggiungendo lei che gli aveva dato le spalle per lavarsi le mani. Poi, ricordando che c’era gente che dormiva, abbassò i toni ma si fece insistente e parlò guardandola attraverso lo specchio:
- Non giustificarlo solo perché ti piace. –
- Non lo giustifico e… - stava per dire che non le piaceva ma si trattenne, mordendosi la lingua. Lui la fissò, intuendo che avrebbe voluto aggiungere qualcos’altro ma prima che potesse farglielo notare, lei gli si avvicinò, tornando a terra, stavolta, seduta. Elia si prese qualche secondo per osservarla, dimenticando ogni sciocchezza che avrebbe voluto dirle: i capelli lunghi le ricadevano morbidi sulle spalle e un piccolo filo se ne stava incastrato tra le labbra; gli occhi erano ancora lucidi e le pupille erano meno dilatate del solito, l’iride color cioccolato fondente era avvolta da una patina di tristezza. Una spallina del pigiama, un po’ troppo leggero per quel mese, le era scesa e lui ne approfittò per poterla sfiorare con le dita bianche. Scese dal bordo della vasca e si sedette alla sua altezza, afferrando con pollice e indice il sottile pezzo di stoffa per rimetterlo al suo posto. Con un ghigno felino, assicurandosi di fermarsi più del dovuto a sfiorare la piccola spalla nuda.
- Che fai, cucciola? Arrossisci? –
- Ti sembro rossa in viso? – rispose stizzita.
- Mi sembra che tu stia morendo dall’imbarazzo… ho tutto questo potere su di te? –
- Ma smettila, deficiente. – aveva detto lei, con il tono che era salito di qualche ottava; lui non aveva smesso di sorridere, prendendola in giro. Era sempre così tra loro, tanto che sembrava lo avessero fatto per anni, quando si conoscevano solo da appena settembre. In quel momento, Ella si dimenticò di avere davanti a sé il secondo amore non corrisposto, e della tristezza che l’aveva fatta scoppiare a piangere poco prima era rimasto solo il viso leggermente inumidito dalle lacrime; seduto di fronte a lei c’era solo il biondo fastidioso che, dai primi giorni del suo terzo anno, non aveva fatto altro che punzecchiarla rendendo le sue giornate migliori senza che lei se ne accorgesse. Si sentiva libera quando era con lui: libera di inserire una parolaccia ogni tre parole, di fare allusioni sessuali totalmente fuori contesto e di affondare i suoi occhi in quelli blu di Elia. Quando era con lui, riusciva ad essere sé stessa, senza sconti e limiti. Doveva essere davvero tardi perché la ragazza era stanchissima: se ne stavano ancora seduti a terra quando le palpebre di Ella si serrarono di colpo e la sua testa ciondolò pesantemente in avanti, per un improvviso colpo di sonno.
- Avanti Lab. Alziamoci. – disse Elia, facendo forza sulle gambe per tirarsi su, appoggiandosi al bordo della vasca da bagno. Lui sarebbe potuto rimanere sveglio anche tutta la vita, con lei. Ma quella ragazzina testarda stava morendo di sonno, stanca dalla giornata e dalle lacrime versate.
- No… tranquillo posso stare… - si interruppe a metà frase per cacciare uno sbadiglio - …ancora un po’. –
- Ti rendi conto della falsità delle tue parole?! – disse, guardandola bieco con le mani sui fianchi, divertito; poi aggiunse:
- Tua mamma si è raccomandata di prendermi cura di te. –
- Ma smettila. –
- Andiamo a dormire. – ma Ella non voleva dargliela vinta, avrebbe passato la notte a gettarsi dell’acqua in faccia per restare sveglia, se necessario. E lo fece, sul serio. Il biondo approfittò del fatto che lei si trovasse in piedi, davanti al lavello, per afferrarla di peso e caricarsela in braccio; lei, per paura di cadere si aggrappò al suo collo ma continuava ad intimargli di metterla giù. Lui non mancò di farle notare, ancora una volta, la sua incoerenza infantile:
- Scusa ma non riesco a prenderti sul serio – disse ridendo – se ti aggrappi al mio collo come una scimmia. –
- Forse ho paura di finire con il culo per terra? – e dopo questa affermazione si artigliò di più a lui che nel frattempo apriva, con un gomito, la porta del bagno. Fu una vera fortuna che stessero sussurrando e che le compagne di Ella avessero il sonno pesante, altrimenti, la scena successiva avrebbe spinto Laura a picchiare il biondo, già piuttosto malmesso; infatti, a quest’ultimo venne in mente la genialata del secolo. Non solo sbirciò in modo vistoso nella scollatura della ragazza con il solito ghigno sbruffone, ma si premurò anche di dirle: - Hai delle tette minuscole, Lab. Credi che ti cresceranno o sei destinata a rimanere così piatta? –
Dopo averle sbattuto in faccia un’amara verità di cui Ella era già consapevole, pensò bene di metterla giù, altrimenti lo avrebbe davvero ucciso, questa volta. Ed era proprio quella la sua intenzione, ma ogni singola parola astiosa le morì sulle labbra notando lo sguardo felino del biondo che le attraversava il corpo, avvolto dal pigiama, e i piedi nudi; si fece coraggio e tentò di ricambiare le occhiate maliziose esplorando a sua volta le fattezze del biondo: si soffermò sulle labbra, che sembravano sempre costantemente inumidite, piegate nel suo solito ghigno; passò al collo delicato e privo di qualsiasi imperfezione, per poi spostarsi sulla mandibola ben definita. Gli occhi, stupendi come al solito, nel buio della stanza, illuminata solo dalla luce dell’abatjour (lasciata accesa perché Laura aveva paura del buio) sembravano più tendenti al grigio che al solito blu oceano. Avevano mille sfumature, proprio come lui.
- Si è fatto tardi. – affermò lei, un po’ per l’effettiva stanchezza, un po’ perché le lacrime stavano tornando a farsi strada nei suoi occhi; ogni volta che lo guardava pensava che mantenere il segreto sarebbe stata un’impresa titanica, come trattenersi dallo stargli vicino.
- Hai ragione, meglio andare. –
- Buonanotte, scemo. –
- Buonanotte. E smettila di frignare, ti meriti molto di più. –
Si girò per abbandonare la stanza ma lei gli afferrò il polso e lo costringe a girarsi: gli si buttò al collo e lo strinse forte, fortissimo, poi gli disse:
- Grazie per avermi difesa. –
Lui ricambiò l’abbraccio ma non rispose, doveva allontanarsi da lei prima di compiere azioni di cui si sarebbe pentito.
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POV ELIA
 
Aveva visto la Loggia del Porcellino, in Piazza del mercato Nuovo ed era scoppiato a ridere come un ebete. Perché gli era venuta in mente Lab. Non seppe spiegarsi bene per quale assurda associazione di idee, non perché somigliasse ad un maiale, intendiamoci; se avesse dovuto paragonarla ad un animale avrebbe detto una talpa o un piccolo tapiro. Però si diceva che strofinare quel maiale sul muso portasse fortuna e lei, in quel momento, ne aveva un immenso bisogno. Aveva sentito, a colazione, i rimproveri che la sua amica bionda e diversamente simpatica le aveva sbraitato, solo perché lo aveva fatto entrare in camera la sera precedente; a quanto pare, la ragazza aveva finto di dormire e li aveva attentamente osservati ed ascoltati e, ovviamente, da brava femminista qual era, non aveva gradito il commento sulle tette inesistenti di Lab. Ma che poteva farci lui?
Poi, come se non bastasse, sempre durante la colazione si era sporcata la maglietta ed aveva salito di fretta le scale per cambiarsi, urtando Marco l’idiota che stava scendendo; lo aveva fissato in cagnesco e il moro l’aveva osservata interrogativo, fingendo che nulla fosse accaduto e contorcendo quella sua stupida faccia deturpata dai lividi. Elia, osservando il volto tumefatto, si era nuovamente ritenuto fiero del suo lavoro, anche se il dolore che gli aveva provocato il suo stesso ghigno soddisfatto gli aveva ricordato che anche lui le aveva prese di santa ragione. Tornando ad Ella e alle sue sciagure, dulcis in fundo, aveva davvero picchiato Marco, mentre si dirigevano in Piazza del mercato Nuovo perché lui aveva avuto l’ardire di domandarle se lei avesse per caso sentito una certa discussione della sera prima: lei non ci aveva visto più e lo aveva colpito con la piccola mano dritto in faccia ma, alla fine, Marco aveva solo sentito un lieve solletico e lei si era fatta male alla mano. Ma si poteva essere più impacciate di così?! Perciò, osservando quel curioso animale bronzeo, aveva pensato che accarezzarlo servisse più alla moretta che a lui. Si era allontanato dalla statua, senza toccarla ed aveva deciso di andare a cercarla. Si era ripromesso, però, che non avrebbe più messo in atto azioni sdolcinate e melense con lei e che avrebbe fatto di tutto per evitare di provare quel fastidioso movimento alla bocca dello stomaco che sentiva da un po’ di tempo, quando la stringeva a sé. Sarebbe tornato all’atteggiamento dei giorni prima del camposcuola: lontano non riusciva a starle, freddo non riusciva ad esserlo, fare lo stronzo gli veniva decisamente bene! Mentre girovagava tra i banchetti del mercato in cerca di Ella, si imbatté in Filippo:
- Dove vai? – gli chiese, pedante.
- Cerco… Giulia. – rispose in maniera poco convincente.
- Certo, come no. Senti sai cosa ti dico? Io aspetto impaziente il giorno in cui ti renderai conto del casino in cui ti sei messo, allora tornerai da me, devastato e sai cosa farò io? –
- Cosa farai? –
- Io me ne starò buttato a terra, tenendomi la pancia dalle risate. –
- Insensibile. – disse, fingendosi offeso; sapeva benissimo che Filippo ci sarebbe sempre stato per lui, a qualsiasi costo.
- Voglio solo prenderla un po’ in giro! – non c’era bisogno di specificare di chi stesse parlando.
- È per questo che ieri ti sei buttato addosso a Marco? Per prenderla in giro o farle un torto? –
Era riuscito a zittirlo, uno a zero per Filippo. Elia fece per ribattere ma lui se ne andò; non era nemmeno arrabbiato, ormai non lo era quasi più e si stava anche sforzando di essere gentile con Ella. Il biondo, con un’alzata di spalle, tornò sui suoi passi alla ricerca della ragazzina.
 
POV ELLA
 
Si era beccata una bella ramanzina da Laura mentre Anna cercava di difenderla, ma avrebbe sprecato solo fiato; la bionda non aveva tutti i torti, visto e considerato quello che era successo con Marco. Laura voleva proteggerla e, poiché la fama di Elia con le ragazze non era delle migliori, aveva lo stesso pensiero che, in fondo, Ella condivideva: se anche adesso andavano d’accordo, se anche lui pareva volerle stare accanto, in un ipotetico universo parallelo in cui lui ricambiasse il suo interesse, si sarebbe comunque stancato di lei, alla fine. E l’avrebbe trattata come una delle tante. Se Laura, però, era estremamente convinta di ciò, ad Ella rimaneva il beneficio del dubbio; Anna, invece, credeva fermamente nella sincerità dei gesti del biondo nei confronti della sua amica. L’unica cosa su cui tutte e tre erano perfettamente concordi era il fatto che Marco era un falso ed uno stronzo; la notizia che lui ed Elia fossero venuti alle mani si era già diffusa, ancora oscuri erano, però, i motivi: a quanto pareva, Marco si era guardato bene dal dire la verità per evitare che si scoprisse quanto fosse finto ed arrogante ed Elia aveva taciuto per chissà quale motivo. Ella aveva iniziato a pensare che si vergognasse un po’ di lei e del loro strambo rapporto; d'altronde, tutte le gentilezze e carinerie che le aveva rivolto, le aveva fatte al buio di una stanza, sul tetto della scuola o protetto dalla porta del bagno: nessun gesto di affetto in pubblico. Di fronte alla classe, al contrario, si limitava a prenderla in giro per il fatto che era di borgata, a darle suggerimenti finti durante le lezioni e metterla in imbarazzo con battute sconce. Nessuno, eccetto loro due, Anna e Laura era a conoscenza di quanto Elia si fosse dimostrato dolce con lei. Forse preferiva mantenere segreta un’amicizia del genere perché lei era così lontana da lui e dai suoi standard, e, se non la riteneva degna, come poteva lei pensare addirittura di dichiararsi? Girovagando per le bancarelle della piazza, cercando di non farsi sentire da resto dei compagni, le tre amiche perseguivano il doppio obiettivo di fare il punto della situazione e di comprare qualche souvenir che non costasse un occhio della testa: due imprese parimenti ardue. Poi, il centro dei loro discorsi si era palesato alle loro spalle avvolgendo Laura ed Ella con un braccio ciascuna: la prima schifata, la seconda terrorizzata dal fatto che lui potesse aver sentito qualche frammento di conversazione. Anna lo osservava interrogativa e lui ricambiò l’occhiata con un sorrisino furbo e, rivolgendosi direttamente a lei disse: - Vero che posso rubarvi Lab per un minuto? –
- Qualsiasi cosa devi dirle, puoi farlo davanti a noi. – disse la bionda, scrollandosi il braccio di dosso. Elia ne approfittò per stringersi di più ad Ella, fissandola in attesa di risposta. Lei rimase in silenzio, alternando lo sguardo da Laura ad Anna, mordendosi il labbro inferiore, indecisa sul da farsi.
- Cosa devi dirmi? –
- Devo portarti in un posto. Per ucciderti. –
- Ne saresti capace… -
- Avanti, seguimi, fidati che ne hai bisogno! –
Voleva davvero ascoltare il muto invito di Laura ad ignorarlo ma era più forte di lei: lo stronzo sapeva giocarsi bene le sue carte e l’aveva manipolata facendo leva sulla curiosità; doveva morbosamente sapere cosa aveva in mente o il pensiero l’avrebbe tormentata tutto il giorno. E poi, voleva stare con lui.
Elia interpretò bene il suo sguardo interrogativo e la portò via con sé senza nemmeno sfiorarla: gli bastò anticiparla di qualche passo perché lei lo raggiungesse, cercando di non perderlo tra la folla. Quando la ebbe abbastanza accanto da potersi far udire attraverso il brusio dei turisti, parlò:
- Ultimamente sei piuttosto sfortunata. –
- Intendi per la storia di Marco? –
- Non solo ma sì, principalmente per quello. –
- E sei venuto a cercarmi per parlarmi dell’ovvio? Grazie al cazzo, idiota, davvero. –
- Ho la soluzione. – disse, ignorando le parolacce e girando la testa per guardarla: indossava una deliziosa gonnellina nera e delle parigine dello stesso colore; erano l’indumento del diavolo, quelle cose. La facevano sembrare santa e provocante al tempo stesso, come le ragazze che alle feste di Halloween si vestono da suora sexy, un perverso connubio di sacro e profano che gli faceva affluire il sangue dritto alle parti basse. Finalmente giunsero davanti a quella maledetta statua e smise di fantasticare sulle parigine di Lab; suonava strana perfino nei suoi pensieri, questa frase.
- Sai cos’è questo? –
- No, ma… ti somiglia? – disse lei, alzando vittoriosa un sopracciglio ed incrociando le braccia al petto.
- Perché sono un porco? –
- Sì. – annuì soddisfatta.
- Non immagini nemmeno quanto… - disse con voce suadente, immergendo una mano tra i suoi capelli per afferrarle la nuca in uno scatto incontrollato. Lei deglutì a vuoto e lui si fece beffe di lei.
- Secondo me, tu sei anche peggio, sai? Chissà a quante porcate pensi la notte… - rispose, allentando la presa sui suoi capelli fino a scioglierla definitivamente.
- E smettila! Cretino, fai schifo. –
Poi lui le afferrò la mano e la portò a strofinare il porcellino sul grugno consumato dalle tante mani che lo avevano toccato, nel tempo.
- Spero che ti porti fortuna Lab, te ne servirà parecchia. –
- Con te di sicuro. – si accorse solo dopo dell’ambiguità della frase appena pronunciata quindi si affrettò ad aggiungere: - Per sopportarti per altri due anni e mezzo! –

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Capitolo 21
*** L'ultima sigaretta ***


Capitolo 21 “L’ultima sigaretta”
 
Il giorno dopo si svegliarono tutti di buona lena, sarà stata l’emozione dell’ultimo giorno fatto sta che uscirono dalla struttura che non erano ancora le 8:00; avevano tutti intenzione di spassarsela e si era già deciso che quel giorno avrebbero avuto come tappa obbligatoria soltanto il Parco delle Cascine: uno dei più grandi parchi pubblici di Firenze situato sulla sponda sinistra del fiume Arno, non lontano dal centro storico; avrebbero trascorso la mattinata in totale libertà, approfittandone per fare un po’ di shopping dell’ultimo minuto e poi, si sarebbero ritrovati tutti nel parco, con il pranzo al sacco per  passeggiare tra alberi secolari e viali ombreggiati. Si sarebbero rilassati perché l’intenzione era quella di tornare presto nel Bed and Breakfast e prepararsi per la cena: avevano prenotato, per l’ultima serata, un ristorante in centro; Elia e Filippo, che avevano telefonato, si erano anche premurati di mentire sull’occasione di quella cena inventandosi che la loro era una classe dell’ultimo anno di Liceo che festeggiava prima della maturità. Questa non troppo elaborata menzogna aveva lo scopo di precisare che fossero maggiorenni, l’età consentita per bere. Il ristorante, che non era uno di quelli di classe, ma si avvicinava più ad un’osteria, non si era premurato di accertarsene e, non appena si sedettero al tavolo, iniziarono a portare ingenti quantità di birra e vino. La serata prometteva bene: a metà della cena, perfino Anna, seduta accanto a Filippo, aveva già bevuto due bicchieri di vino ed il moro continuava a riempire mentre lei, prontamente, lo svuotava. Laura, a sua volta, cercava di persuadere Ella nel bere almeno mezzo bicchiere di qualsiasi cosa ma la mora non ingerì altro che acqua; a fine serata, la metà della classe aveva più bevuto che mangiato: i sobrissimi, tra cui Ella, Pier, Ginevra insieme a quelli messi non troppo male, come Laura, Marco, Elena, Filippo e pochi altri si erano caricati sottobraccio quelli più devastati nel tentativo di riportarli vivi nelle rispettive camere. Ella si era ritrovata a braccetto con una Giulia non molto cosciente e, insieme al resto della classe, erano uscite dal ristorante cercando di non cadere rovinosamente a terra; la riccia, resa parecchio allegra dal mix di vino e birra, aveva preso a chiacchierare con lei di cose assurde.
- Allora Ella, ripassiamo il piano. – aveva detto ad un certo punto, con voce concitata e cospiratoria, facendo sussultare la mora per lo spavento – Se ci vede la polizia noi ci dobbiamo baciare e fingere lesbiche! Così non ci fanno l’alcool test. –
Ella, tra una risata e l’altra, la assecondava mentre cercava con lo sguardo le sue amiche: aveva bisogno di aiuto, Giulia stava iniziando a diventare molesta. Vide che Elena era impegnata a sostenere due compagne barcollanti mentre Laura teneva Leo per un fianco; Anna, invece, faceva parte di quelli messi un po’ peggio: non reggeva l’alcool e non si reggeva in piedi per colpa di Filippo che, sentendosi in dovere di rimediare al suo continuo riempirle il bicchiere, se l’era caricata in spalla per tutto il tragitto di ritorno. Erano quasi arrivati al Bed and Breakfast ma Giulia era diventata davvero ingestibile e continuava a lagnarsi, pericolosamente vicino ai poveri timpani di Ella, del fatto che Elia non l’avesse ancora raggiunta e non si stesse prendendo cura di lei.
- Elia è messo peggio di te… - le disse, per l’ennesima volta, Ella.
- Ah. Allora sono io che devo andare ad aiutarlo! – e fece per staccarsi ma inciampò sui suoi stessi piedi; la mora la afferrò prima che si storcesse una caviglia sui trampoli vertiginosi. Poi aggiunse, in tono materno:
- Adesso andiamo in camera e ti stendi un po’ sul letto. –
- Ma io devo andare da Elia. –
- Ci andrai, ci andrai, tranquilla. –
- Mi ci porti tu? –
Ella le disse che sì, ce l’avrebbe portata, sperando che la smettesse con quella litania ma non fu così.
Un po’ alla volta, e con molta fatica, tutti riuscirono ad arrivare sani e salvi e si distribuirono in varie stanze; in quella dove Ella era entrata insieme a Giulia c’erano già Anna, scortata da Filippo che ancora la teneva in braccio, Laura, che aveva lasciato Leo nella sua camera ed aveva preso sottobraccio altre due compagne devastate; dopo che una ebbe anche vomitato, le appoggiò delicatamente sul letto, già zeppo di altra gente tra sobri e sbronzi. Qualche minuto dopo entrò anche Marco che rivolse ad Ella un profondo sguardo ambiguo; non si erano più parlati, lui non si era degnato nemmeno di chiederle scusa e la mora era incredibilmente infastidita dalla sua schifosissima doppia faccia: per lo meno ora non ne era più ossessionata, un pensiero in meno per la testa. Ebbe l’ardire di sedersi accanto a lei che, in tutta risposta, gli rivolse un’occhiataccia fulminante e si fece più in là; non voleva nemmeno toccarlo, figuriamoci intavolare una conversazione. Anche Marco, dal canto suo, non sembrava intenzionato ad aprir bocca. Quell’intimo gruppetto di persone era stato in pace per una mezz’oretta prima che un Elia devastato facesse il suo teatrale ingresso, facendo ridestare Ella e Giulia dal momento abbiocco che le aveva colte. Aveva il viso stravolto, due pesanti occhiaie e la pelle bianca come un lenzuolo; Ella, che fino a quel momento non lo aveva visto se non durante la cena, sospettava che, oltre a bere fino a star male, avesse anche fumato: il solito imbecille.
- Elia! Sei qui! – gridò Giulia, estasiata alla vista del biondo che tanto aveva cercato; Ella, infastidita stava combattendo contro l’impulso di alzarsi ed afferrarlo per un braccio, trascinandolo lontano dalle grinfie della riccia ma lui la anticipò parlando a voce alta ed ignorando gli sguardi curiosi dei presenti.
- Dove sta Lab? –
- Sono qui. - disse lei, spezzando il silenzio che si era venuto a creare ed alzando la mano per farsi vedere nella folla.
- Hai le cuffiette? –
- Sì. – rispose senza nemmeno riflettere – Sono in camera mia. –
E senza aggiungere altre spiegazioni si avviarono nella camera che Ella condivideva con le altre, sotto gli sguardi sbigottiti dei presenti. La scena era durata in tutto una manciata di secondi, poi erano spariti oltre la soglia della camera e lui aveva chiuso la porta prima di buttarsi di peso sul letto matrimoniale.
- Dove cazzo le ho messe… - imprecava la ragazza, rovistando nel disordine che lei stessa aveva creato; finalmente, dopo tre minuti buoni, estrasse i lunghi fili bianchi aggrovigliati e si sedette sul bordo del letto, per sbrogliarli. Vedendo che lui era steso sul materasso, con gli occhi chiusi, prese a scrollarlo e a richiamarlo con insistenza:
- Mio dio ma quanto hai bevuto? – poi, vedendo che non le rispondeva si avvicinò, sentendo forte nelle narici il tipico odore di fumo e si allarmò.
- Non ti azzardare a dormire. Ehi! Tirati su.
Non ricordava bene da chi lo avesse sentito e non era sicura che fosse vero ma sapeva che, dopo aver bevuto o fumato o entrambi, come in quel caso, era meglio non buttarsi sul letto per evitare di perdere conoscenza. Se fosse o meno un falso mito, non lo sapeva ma non aveva neanche intenzione di scoprirlo a discapito di quell’idiota. Perché doveva sempre esagerare!?
- Cucciola… sei preoccupata per…per me? –
- Smettila di fare lo scemo che non ti reggi in piedi. – gli disse, tirandolo su di peso e facendo aderire la sua schiena alla testiera del letto; gli mise una cuffia nell’orecchio, l’altra la inserì nel suo e, collegando lo spinotto al cellulare, fece partire una canzone di De André.
- Mi piace questa canzone. – disse il biondo, sbiascicando e trascinando le sillabe con la voce impastata dall’alcool.
- Anche a me… - e presero a canticchiarla insieme, lei stonata e lui sbronzo.
- I miei gusti non fanno così schifo, allora. – gli disse, vedendo che lui si stava accasciando in avanti, preso dal sonno, nell’ennesimo tentativo di tenerlo sveglio. Lui la guardava con un sorrisino malizioso e gli occhi enormi ed arrossati che, di tanto in tanto, si chiudevano.
- Giochiamo ad obbligo o verità! – le disse, alzandosi di scatto con l’intento di chiudere la porta a chiave per non essere disturbato. Vedendo che faceva fatica a stare in equilibrio, Ella si offrì di andare, concordando con lui che chiudere la porta fosse un’ottima idea; se Giulia fosse entrata, anche lei in quello stesso stato, non sarebbe stata in grado di gestire due stracci contemporaneamente. Prima di sedersi di nuovo, afferrò una bottiglietta d’acqua e lo aiutò a bere: era importante tenersi idratati in quei casi.
- Allora Lab, scegli bene. – lei si mise più comoda sul letto, sedendosi di fronte a lui per guardarlo e reggerlo quando barcollava pericolosamente in avanti;
- Non mi pare il caso di giocare, con te in queste condizioni… - provò a dire lei, ma Elia era fermo nella sua decisione.
- Avanti, non fare l’antipatica. Devo restare sveglio no? Allora dai dai, giochiamo! – le disse, afferrandole le mani e stringendole tra le sue, bianchissime. Alla fine, dopo altre preghiere del biondo, Ella si convinse ad accontentarlo e scelse obbligo. Lui, alquanto sorpreso, bevve un altro sorso dalla bottiglietta d’acqua e disse:
- Sei una ballerina, giusto? Balla per me allora. –
- non esiste! Mi vergogno… -
- Potevi pensarci prima di fare la… la sbruffona e scegliere obbligo. Avanti Lab! Muuuovi quel culo! –
- Credevo che non dicessi parolacce… -
- Non dico parolacce da sobrio, ma stasera ho bevuto parecchio. –
- E fumato parecchio… - aggiunse lei con pedanteria.
- Avanti! Balla. Siamo solo io e te. –
- È proprio questo il punto… - sussurrò imbarazzata.
- Sei una fifona… -
 Al sentire quelle parole Ella prese un profondo sospiro e gli rispose, iniziando ad alzarsi: - almeno metti un po’ di musica. -
Elia afferrò il telefono di Ella, staccò il cavo delle cuffiette e si mise a scorrere la playlist della mora. Scelse a caso una canzone spagnola e lei iniziò a muoversi a ritmo; a lui parve di sognare. Forse era l’effetto del vino, della birra e del fumo mixati ma lei pareva una visione: dapprima timidamente, muoveva i fianchi facendo scorrere le sue piccole manine lungo essi, poi sotto il seno e poi tra i capelli; dopo qualche secondo si era fatta trasportare dalla musica ed i suoi movimenti si erano fatti più sciolti e spigliati. Elia era come ipnotizzato. Non credeva che sapesse ballare così, se la aspettava più… rigida. I suoi occhi blu seguivano ogni gesto, affascinati. Vedendo che lui sembrava divertirsi, Ella si fece più audace e gli si avvicinò, piegandosi sulle ginocchia per poi risalire, mettendo in mostra le curve delicate. Incatenò gli occhi ai suoi e vi lesse emozioni a lei sconosciute: questo la ridestò da quella specie di trance che l’aveva avvolta facendole dimenticare qualsiasi cosa attorno a lei, e tornò improvvisamente al presente, bloccandosi per riprendere fiato e tornando seduta. Maluma ancora cantava attraverso il telefono, coprendo i suoi sospiri. Anche Elia sembrò svegliarsi dal sogno in cui era sprofondato e riprese il suo cipiglio malizioso, battendo sarcasticamente le mani.
- E chi lo avrebbe mai detto, Lab. Sai essere sexy allora… -
- Lo faccio da quando sono nata… idiota. –
- Credevo che tu studiassi danza classica, quello che hai fatto è twerking. –
- Non ho twerkato… ho solo mosso un po’ il bacino. Ti ecciti per così poco? – lo provocò lei; dove avesse trovato tutta quella sfrontatezza non lo sapeva. Lui la stupì, confermando le sue parole anziché smentirle:
- Sì. Devo ammettere che mi hai fatto un certo effetto. – e dicendo ciò, le aveva posato una mano su un fianco, gli stava venendo una certa fame… e non era la classica “Fame chimica” post fumo. Lo aveva detto che la prossima volta che se la fosse trovata su un letto ne avrebbe approfittato, non ne poteva più di trattenersi, stava chiedendo davvero troppo al suo povero corpo mortale. Ai suoi occhi, era bella come nessuna avrebbe mai potuto essere ed era lì, davanti a lui. Voleva farla sua, si ritrovò a pensare. Il fatto che lei non avesse idea di cosa fare non sembrava avere importanza, per Elia. Lui l’avrebbe guidata e le avrebbe insegnato ogni cosa che sapeva; le avrebbe dato tutto sé stesso e le avrebbe regalato la miglior prima volta che si potesse desiderare… perché lei era sicuramente vergine. Stava per avvicinare le labbra alle sue quando sentì la sua voce uscire, timida, dalle labbra schiuse: - Tu… tu cosa scegli? –
Ok. Niente di grave. Avevano tutta la sera no? Allentò la presa sul suo fianco e, senza smettere di guardarla,
scosse la testa per ridestarsi e scelse “Verità”. La voce di Ella tremò pronunciando la fatidica domanda, che aveva in testa da quando aveva realizzato che stava iniziando a guardarlo con occhi diversi.
- Cos’è per te l’amore? –
- Mh… l’amore, dici? – lei annui, curiosa di sentire la sua risposta: – Beh, l’amore è quando faccio sesso. Non fare quella faccia… non prenderla come una cosa volgare! Fare sesso con qualcuno ti rende più vulnerabile di quanto pensi e, inoltre, è una sensazione magnifica. –
- Sì, ma… -
- Non interrompermi. Sto per insegnarti qualcosa di davvero importante. – disse, guardandola negli occhi per la prima volta senza alcun tipo di malizia, ma con serietà stoica: - Vedi, quando due fanno ses… l’amore, quando due fanno l’amore provano un piacere immenso e lo fanno insieme. Non devi pensare che l’amore sia quello che leggi nei libri; devi crescere prima o poi e capire che quel sentimento è un’illusione. Nessuno ti farà sentire sempre al settimo cielo, nemmeno la persona con cui passerai tutta la vita. Ma quando fai sesso, quando i vostri corpi nudi si incastrano, allora lì provi qualcosa di vagamente simile a quel sentimento di cui si narra dall’alba dei tempi, ma che esiste solo nelle fiabe o nelle commedie romantiche che guardi la domenica, collassata sul divano. –
Lei non attese un secondo prima di replicare: - Non è affatto vero! Quei sentimenti esistono, ed io li proverò, un giorno. –
- Sei una di quelle che aspettano il principe azzurro… beh, mia cara ti informo che non esiste. Le persone sono egoiste! È per questo che il sesso ci piace così tanto: appaga il nostro ego, ci fa sentire bene. –
- Io non dico che non debba esserci… passione. Il sesso è importante, lo so bene, cioè… lo immagino. Ma l’amore non è solo passione. –
- E allora cos’è per te l’amore?
Ella lo guardò per un istante, alzando il sopracciglio in quel suo modo singolare, poi affermò decisa: - L'amore per me è qualcosa di più profondo, qualcosa che va oltre la passione fisica. È la connessione tra due anime, la comprensione reciproca, il supporto incondizionato. Non si tratta solo di condividere momenti di piacere e poi chi si è visto si è visto; è sopportare il dolore insieme, in modo che sia più leggero. È crescere insieme. –
Elia la osservava, con uno sguardo a metà tra il biasimante e l’intenerito: era davvero una ragazzina ingenua. Stava per contraddirla quando lei riprese il suo monologo: - Il sesso può essere una parte importante, ma non è indispensabile, perché l'amore è anche gentilezza, rispetto, fiducia. È la sensazione di essere a casa quando sei con quella persona, è accettare i difetti dell'altro, è cambiare il tuo mondo insieme al tuo compagno. - Elia la guardò in silenzio per un momento, poi scosse leggermente la testa con un sorriso sornione: - Il mondo è più complicato di quanto tu possa immaginare. –
- Io trovo che sia semplice, invece. – disse, con un’alzata di spalle – E un giorno incontrerò qualcuno che lo troverà altrettanto facile. –
Quella affermazione, buttata lì con tanta leggerezza, ebbe il potere di disarmarlo. Tutti i suoi propositi per la serata sfumarono come se niente fosse. Perfino l’alone della sbronza che gli aveva annebbiato la vista era svanito; quell’affermazione lo aveva svegliato come una secchiata d’acqua dritta in faccia. Aveva capito che replicare, convincerla della sua idea di amore, le avrebbe solo fatto male. Non poteva infrangere questa sua convinzione, anche se un giorno avrebbe scoperto da sola che erano tutte favole raccontate per non soffrire troppo, per illudersi che al mondo ci fosse davvero una persona disposta a fare tutto questo, a discapito del proprio piacere personale; chi era lui per sgretolare quella fantasia lì e ora? Nessuno. Se non un povero, sfortunato ragazzo che aveva scoperto la verità prima del tempo. Un po’ la invidiava, lei ed il fatto che fosse ancora in grado di sostenere quella teoria con tanta veemenza; teoria che, però, nella vita reale era destinata ad assumere la stessa consistenza del fumo delle sigarette che lui abitualmente consumava. Lei credeva in un sogno che prima o poi si sarebbe infranto, ma non sarebbe stato lui a romperlo, come una tazzina di ceramica che si frantuma a terra.
Fatto sta che quella fu la motivazione per cui rinunciò, per l’ennesima volta, a toglierle i vestiti e farla sua. Lei cercava un tipo di amore che lui non poteva darle, e la rispettava troppo per strapparle quanto di più caro aveva per poi fingere che nulla fosse successo; non sarebbe stata un'altra delle sue conquiste, non lei.
Fece per alzarsi e andare via, stava per augurarle la buonanotte in modo freddo e scostante ma non voleva rovinare quell’ultima notte: decise che per l’ultimissima volta sarebbe stato dolce con lei, voleva scolpire un ricordo che gli avrebbe fatto compagnia nei giorni successivi, in cui l’avrebbe il più possibile ignorata. Per davvero, questa volta. Lei sarebbe stata la sua “Ultima sigaretta” *. Si fece più vicino a lei e la strinse a sé. Ella sembrò colta alla sprovvista e ricambiò con non molta sicurezza sussurrandogli all’orecchio: - Che cazzo ti prende? -  
- Non cambiare mai. Qualsiasi cosa succeda. –
- Ehi! Davvero ma che ti prende? – disse, staccandosi dall’abbraccio ed alzando la testa per guardarlo confusa. – Stai per morire? – cercò di sdrammatizzare. Lui le accarezzò teneramente i capelli, facendosi scappare una risata, poi rispose: - No. Tranquilla. Ho solo deciso che smetterò di fumare. –
- Buon per te… sarebbe anche ora ma cosa c’entra adesso? –
- Nulla. Vieni qui. – E la riavvicinò a sé, costringendo entrambi a sdraiarsi sul letto, le labbra vicinissime e le punte dei nasi che si sfioravano; sentiva il respiro caldo di lei solleticargli il viso ed Ella tuffò le sue mani nei fili biondi di lui. Poi, tre colpi alla porta ridestarono entrambi. Per fortuna era chiusa a chiave.
- Eliaaa, Ella. Siete lì dentro? –
- È Giulia. – disse il ragazzo, mettendosi a sedere.
- Vado ad aprire. –
- No. – rispose di scatto, trattenendola per un polso. – Non mi va di stare con lei, ti prego. – Senza rispondere a lui, Ella si rivolse direttamente alla ragazza fuori dalla porta e le urlò per farsi sentire oltre la parete: - Non è qui, è andato via circa mezz’ora fa. –
- Okaaaay. Lo cercherò in camera sua. –
- Sai che dormirò qui. Vero Lab? –
- Ma entriamo a malapena in quattro… dove hai intenzione di metterti? –
- Ovunque, ma non vicino a Laura. Potrebbe soffocarmi la notte con un cuscino. –
- Mettiamoci nel mio letto, Laura dormirà con Anna ed Elena ma non posso garantire che non proverà ad ucciderti. –
- Bene. –
- Vado a mettere il pigiama. Tu ti sei ripreso? Sicuro che posso farti addormentare? –
- Hai paura che non mi svegli più? –
- Mi dà alquanto fastidio la puzza di cadavere… - rispose macabra.
-Quando ti è capitato di sentire la puzza di cadavere, scusa? –
- Smettila di chiacchierare e dormi. –  disse, dandogli la schiena per dirigersi in bagno, dopo aver sfilato il pigiama da sotto il cuscino; lui si tolse maglia e pantaloni e si infilò sotto le coperte. Ella lo aveva sbirciato dallo specchio ma, stavolta, lui non se n’era accorto. Sarà stato l’effetto dell’alcool. La mora aveva mentalmente ringraziato tutto il pantheon delle divinità greche per questo… c’era stato un momento in cui aveva creduto che lui l’avrebbe baciata, quando erano stesi sul letto insieme. Ci era rimasta un po’ male e, per tutelarsi, aveva messo su l’armatura dell’ironia e dell’indifferenza ma stava morendo dentro. Perché non l’aveva baciata? Non la riteneva all’altezza, forse. Eppure, le aveva confessato di averla trovata sexy, mentre ballava: che la stesse prendendo in giro? E perché preferiva dormire con lei piuttosto che con la bellissima Giulia? Si convinse ad entrare in bagno per cambiarsi, altrimenti ci avrebbe rimuginato tutta la notte. Quando tornò in stanza, Elia già dormiva e russava leggermente; lo guardò riposare prima di stendersi accanto a lui, di spalle. Si fece piccola piccola cercando di non toccarlo e mantenere le distanze. Prima di addormentarsi, pensò che forse avrebbe dovuto fare lei il primo passo e baciarlo: se l’avesse respinta avrebbe avuto la conferma del fatto che lui non la volesse; e se l’avesse ricambiata… non voleva nemmeno pensarci. Si costrinse a chiudere gli occhi, stizzandoli forte nel tentativo di annullare i pensieri; si ricordò, improvvisamente, che la luce era accesa e che la porta era ancora chiusa a chiave. Si alzò per porre rimedio ad entrambe le cose, soprattutto la seconda, altrimenti le sue compagne sarebbero rimaste fuori. Poi spense la luce e si infilò nuovamente nel letto, stremata dalla giornata e dai suoi pensieri.
 
* Vedi “La coscienza di Zeno”, I. Svevo: Zeno, ogni volta, promette a sé stesso che la successiva sarà l’ultima sigaretta. Promessa che, ovviamente, non mantiene.

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Capitolo 22
*** Ultimi giorni ***


Capitolo 22 “Ultimi giorni”
 
Il mattino seguente, il suono della sveglia aveva fatto sussultare Ella; si era alzata dal letto facendo attenzione a non urtare Elia, con l’intenzione di farlo riposare un altro po’. Ma quando si era girata dal lato opposto del letto si era resa conto che del biondo non era rimasto altro se non i segni lasciati dalle lenzuola sgualcite; non avrebbe nemmeno creduto che lui avesse dormito lì, lo avrebbe scambiato per un sogno se il lenzuolo e il cuscino in quel lato del letto non fossero stati tutti stropicciati. Unico segno del passaggio di Elia in quella camera. Nella sua camera. Non sapeva dire se si fosse alzato nel cuore della notte o solo da pochi minuti, l’unica certezza era che di lui non c’era traccia. Il letto era vuoto, così come il suo petto, memore dell’occasione mancata della scorsa sera: non aveva avuto il coraggio di farsi avanti, nonostante avrebbe potuto, eccome. Quando anche le sue amiche si svegliarono, si accorsero subito, tutte e tre, che qualcosa non andava; Ella sembrava una bambola rotta. Nessuna, però, si azzardò a fare domande: Elena non aveva ancora una confidenza tale da intromettersi nelle sue fragilità, Anna e Laura preferivano aspettare che Elena le lasciasse sole, per fare alla mora il quarto grado. Dopo la colazione, mentre si dirigevano in stazione con un’ora di anticipo, Elena si era saggiamente unita al gruppetto di ragazze che chiacchieravano con Federica, mentre Anna e Laura avevano approfittato per farsi raccontare tutto da una Ella che cercava di trattenere le lacrime, continuando a lagnarsi di essersi spinta troppo oltre: ci era cascata; si era fatta abbindolare dagli occhi blu di Elia e lui non si era degnato nemmeno di… di fare cosa? D'altronde lui non aveva nessun dovere nei suoi confronti. Non si erano promessi niente, non si erano scambiati neanche un misero bacio a stampo.
- Però lui ti ha un po’ illusa… - disse Anna che, per la prima volta in assoluto, sembrava leggermente arrabbiata con il biondo;
- Un po’!? – replicò Laura, furiosa. – Ti ha usata come fa con tutte. È un bene che non ti abbia baciata, quello stronzo. Almeno non sei un’altra delle sue tacche sulla cintura. –
Ella non aveva la forza né di accusarlo, né di difenderlo.
- Io non ce l’ho con lui ma con me. Dopo tutto quello che ho combinato con Marco, dovevo farmi gli affari miei invece di dare tutta questa confidenza a lui. –
- El, non è mica colpa tua. – la consolò Laura stringendola a sé.
- Non scegliamo noi di chi innamorarci. – aggiunse Anna, mentre Laura continuava a ripeterle che, per fortuna, nessuno sapeva nulla di questa storia e che loro si sarebbero impegnate a mantenere il segreto.
- Dite che mi passerà? La cotta per lui, intendo. –
- Ma certo El, cavolo abbiamo sedici anni... –
- E lui è un coglione. Fidati, è meglio così. –
- Per non parlare poi di tutte le fesserie che ha detto sul… sul… -
- Sul sesso? – risposero in coro Ella e Laura.
- Sì, quello. – asserì Anna, imbarazzata.
Sul treno, la loro chiacchierata dovette troncarsi perché Elena si era riunita al gruppetto e, senza dire assolutamente nulla, aveva preso la mano di Ella e le aveva sorriso, aiutandola a trascinare la valigia carica di roba; furono le ragazze ad aiutarla a sistemare il bagaglio nell’apposito spazio, sotto lo sguardo duro di Elia che le sorpassò seguito da Filippo.
Il rientro a scuola non fu meno traumatico: dopo una prima settimana di relax, i professori si resero conto, tutti insieme, che avevano decisamente bisogno di voti per completare la pagella e cominciarono ad interrogare a raffica. E quando non interrogavano era giorno di verifica. Ella, con l’aiuto di Anna riuscì a recuperare Greco per il rotto della cuffia e a non beccarsi la strigliata di suo padre, un po’ fissato con i voti. Ridendo, scherzando e studiando giunse, silenziosa, la fine di maggio e la scuola era agli sgoccioli. Di tanto in tanto, si ritrovava a fissare Elia. Da quando si era bruscamente allontanato, non faceva altro che notare quanto fosse bello: desideriamo sempre le cose che non possiamo avere, aveva constatato. I loro battibecchi, che si erano anche fatti più frequenti, avevano perso la solita giocosità ed erano diventati veri e propri diverbi inutili, al solo scopo di sfogare le reciproche frustrazioni: lui prendeva un brutto voto? Si sfogava con lei. Lei litigava con i suoi fratelli? Accusava lui di una qualsiasi sciocchezza. Si guardavano in cagnesco e non si sfioravano mai, nemmeno per sbaglio; Ella, in quelle discussioni, non faceva altro che torturarsi i capelli mentre lo insultava ed Elia rispondeva sputando sentenze velenose ed incastrando le unghie nei palmi, per trattenersi dall’afferrarle malamente un polso, solo per poter provare di nuovo la sensazione di toccarla. Non lo faceva da secoli e la cosa lo stava consumando dentro: respirava pesantemente cercando di trattenere gli scatti d’ira, non per paura di farle male ma per paura di sentire di nuovo la voglia di fare quello che non aveva fatto quella maledetta notte a Firenze. Avevano realizzato entrambi, ognuno ragionando per conto proprio, che la soluzione migliore era ignorarsi del tutto ma poiché sia per Ella che per Elia era pressoché impossibile, allora si sarebbero odiati. Si sarebbero urlati contro per evitare di finire a fare altro. Se solo si fossero parlati, poi, avrebbero capito che nemmeno odiarsi aveva senso. Dopo quella fatidica notte, erano entrambi giunti a conclusioni troppo affrettate: lui aveva creduto che lei stesse aspettando il principe azzurro, quello che lui decisamente non era; lei aveva creduto di non essere abbastanza, per uno come Elia.
Una mattina di fine maggio, Filippo non ne poté più di sentire quei due urlarsi, specialmente durante la sua tanto attesa ricreazione, perciò, contrariamente a tutti i suoi principi, decise di mettersi in mezzo; lui che fino a quel momento era sempre stato alla larga dai loro battibecchi ma, questa volta, ne andava dei suoi poveri timpani.
- Adesso tu – disse indicando il biondo – vieni con me. – e lo afferrò trascinandolo fuori dall’aula per un braccio, mentre Ella gli urlava cose del tipo: “Sì, bravo, vattene!”. Elia continuava a protestare ma Filippo, nettamente più forte di lui, riuscì sia a portarlo via che a zittirlo.
- Dovete smetterla. Siete ridicoli.
- È colpa sua. –
- No. La colpa è solo tua. E non sto parlando del fatto che sei stato tu a prendere, di proposito e non per sbaglio, le sue cuffiette. –
- Guarda che le ho confuse con le m… -
- Non ci pensare nemmeno! L’hai fatto apposta ma non è questo il punto. –
- State facendo di tutto per non evitarvi! –
- Non è vero… -
- Fatti un favore, non dire cazzate anche a te stesso. –
Elia fece per parlare ma di bocca gli uscì solo un pesante sospiro; Filippo, come sempre, aveva capito tutto.
- Se ti piace El… -
- Non mi piace. –
- Ok, mettiamola così: se vuoi andarci al letto – iniziò, cercando di parlare la lingua del biondo, in modo che capisse una volta per tutte – fallo e basta. Cosa ti sta frenando? -
Elia si appoggiò alla macchinetta del caffè, accasciandosi e abbassando la testa, poi rispose:
- Io ci avrei pure provato, a Firenze, ma lei se n’è uscita con stronzate sull’amore e io non ce l’ho fatta. –
- Spiegati meglio. –
- Lei si è messa a farmi tutto un discorso sulla persona che un giorno incontrerà e che la amerà, la rispetterà e altre stronzate varie… sai cosa penso dell’amore no? – vedendo che l’amico non rispondeva, continuò: - beh, io non so amare così. E non me la sono sentita di infrangere il suo sogno. Non volevo che perdesse la verginità con uno come me, dopotutto, è una cosa importante, fare sesso per la prima volta, dico. -
Filippo sembrò rifletterci su, poi rispose, annuendo leggermente con il capo: - Hai fatto bene, però… -
- Però cosa? –
- Beh, non era necessario andarci al letto, potevi limitarti a baciarla… non ci hai pensato? –
Elia prese il secondo sospiro nell’arco di cinque minuti. – Fa lo stesso. Sarebbe stata comunque una prima volta e l’avrebbe avuta con uno che non può darle quello che vuole. –
- E non ti è mai venuto in mente che magari lei vuole te e basta? –
- Mi ha espressamente detto che sta aspettando QUELLA persona, che io evidentemente non sono. –
Stavolta fu Filippo a sospirare e lo strinse in un profondo e lungo abbraccio; messa così, la situazione non aveva soluzioni. E chi meglio di Filippo poteva capire cosa stesse provando il suo amico? D’altronde lui faceva i conti con questa cosa ogni giorno. Quando si staccarono dall’abbraccio, Elia glielo lesse negli occhi quello sguardo così simile al suo e si trovò seriamente a riflettere sull’eventualità di spingerlo a fare coming out; forse, però, quello non era il posto adatto, con tutta quella gente nei corridoi che avrebbe potuto sentirlo: non che ci fosse nulla di male nell’essere gay ma si trattava comunque di una cosa personale, non sapeva che rapporto avesse Filippo con quel suo aspetto di sé. Allora decise di non entrare nel merito della questione e di cambiare argomento, ma l’amico lo anticipò: - Senti, andiamo a bere stasera? –
- Ci sta! –
- Ok e… ti avviso, devo dirti una cosa. Non so come la prenderai ma… non ti anticipo nulla. –
CAZZO! Era già giunto quel momento? Elia si trattenne dal dirgli che aveva intuito tutto e si limitò ad alzare le spalle in segno di assenso; se ne tornarono in classe con le mani nella tasca dei pantaloni e si sedettero ognuno al proprio posto ancora prima che la ricreazione finisse.
Ella, già seduta al suo posto accanto a Valerio, aveva seguito con gli occhi tutto il tragitto di Elia dalla porta al banco ed aveva distolto lo sguardo un attimo prima che il diretto interessato se ne accorgesse. Valerio la osservò incuriosito, poi le parlò: - Pensi ancora a Marco? – Lei quasi si strozzò con la sua stessa saliva! Per un attimo aveva avuto il terrore che il ragazzo avesse scoperto la sua seconda cotta non corrisposta; poi, si ricordò che effettivamente Elia era seduto accanto a Marco e Valerio poteva benissimo aver frainteso la direzione dei suoi occhi. Nonostante ciò, la domanda l’aveva spiazzata e ci mise un po’ a inventare una cazzata: - Marco è una merda. Ma non si dimentica facilmente una persona dopo che ti sei presa una cotta per lui. –
- Mi sento un po’ in colpa, Ella… -
- Tu non hai fatto nulla. –
- È questo il punto. Io non ho fatto niente, non ti ho difesa quando Marco ha detto tutte quelle cose. –
- È normale che tu non dica nulla, lui è tuo amico. –
- Ma questo non lo giustifica; proprio perché sono suo amico dovevo rimproverarlo e poi, sono anche tuo amico. Avrei dovuto difenderti e invece lo ha fatto Elia a mio posto.
- Non mi devi niente, Vale. Sei il mio compagno di classe non il mio migliore amico. –
- Brutale, come sempre, El. Ma anche Elia è un tuo compagno però non ha esitato a schierarsi dalla tua parte. Ha afferrato Marco per la maglietta e quasi lo alzava… -
- Non esagerare, anche volendo non avrebbe potuto. –
- Eppure, ti assicuro che in un primo momento Marco le ha prese di brutto… poi, per forza di cose la situazione si è ribaltata. –
Ella non rispose ma un piccolo sorriso fece capolino tra le sue labbra, insieme ad una serie di ricordi nella sua mente; cazzo se le mancava quel biondo idiota! Ma sarebbe stato inutile avvicinarsi a lui come amica ed altrettanto inutile sarebbe stato confessargli i suoi sentimenti: lui non ricambiava, altrimenti quella sera l’avrebbe baciata di sicuro, non era il tipo che si faceva scrupoli da quel punto di vista. Quello che, però, non riusciva a spiegarsi era perché lui fosse stato tanto gentile con lei, da quando avevano imparato a conoscersi meglio; nei momenti di difficoltà lui c’era sempre stato, ovunque lei fosse, lui era al suo fianco o dietro di lei, pronto a riafferrarla quando cadeva, in senso figurato e letterale. “Ma chi sei?” non faceva altro che chiederselo, pensando al biondo.
- In effetti, tu ed Elia siete molto amici. – con questa sentenza innocente, Valerio la fece sussultare per la seconda volta; maledetto lui e le sue affermazioni a bruciapelo.
- Ti sbagli. –
- Sì, cioè, a volte litigate ma ci siete sempre l’uno per l’altra. –
- E tu che ne sai, scusa. – rispose, con gli occhi che iniziavano a lanciare stilettate taglienti come shuriken.
- Niente, niente. Dicevo per dire. – cercò di tagliar conto, spaventato.
- Comunque, da dopo Firenze non facciamo altro che litigare. –
- E perché? Se posso… -
- Perché siamo diversi. Punto e basta. E ora zitto che devo prendere appunti, grazie. -
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Il restante mese sembrò volare ed Ella si svegliò di malumore, quella mattina del suo ultimo giorno; nemmeno la prospettiva di andare dieci giorni in Calabria con Anna e Laura sembrava rallegrarla. Si caricò la borsa sulla spalla per l’ultima volta, quell’anno, ed uscì di casa, sotto lo sguardo assonnato del piccolo carlino, acciambellato nella sua cuccia: - Beato te… - farfugliò assonnata, mentre i suoi fratelli ancora facevano colazione, con le palpebre mezze chiuse. Attese le sue amiche davanti al cancello ed entrarono insieme, chiacchierando a mezza bocca, con le voci ancora impastate dal sonno; entrarono in aula e si separarono per prendere posto ognuna accanto ai rispettivi compagni, sperando che l’anno successivo avrebbero potuto scegliere da soli i loro posti: questa cosa dell’estrazione aveva causato più danni che altro, per lo meno non era finita accanto a Marco o, peggio, di nuovo accanto ad Elia. Quest’ultimo non si era ancora avvicinato a lei per un qualsiasi motivo/scusa per litigare e sembrava non avere alcuna intenzione di farlo o, forse, aveva finito le idee.
Suonata l’ultima campanella fu il momento dei saluti e degli abbracci ed Anna quasi si mise a piangere.
- Avanti non fare così! – le disse Laura, che stava per aprire anch’essa i rubinetti.
- Ma sì, ci vedremo in questi giorni. E dobbiamo anche partire! -
- Vi voglio bene, ragazze! – rispose Anna abbracciandole e inondandole di lacrime.
- Ma che scena tenera… - fu Filippo a parlare, con evidente ironia che Ella colse in meno di mezzo secondo.
- Che vuoi? -
- Ti devo parlare. – le disse, mentre lei lo guardava in attesa, invitandolo con una mano a farlo e in fretta. Lui le rivolse un’occhiata annoiata per poi far saettare lo sguardo in direzione delle due amiche. Filippo, constatò Ella, parlava la sua stessa lingua; era davvero assurdo il fatto che due che comunicavano nello stesso identico modo non andassero per niente d’accordo.
- Ragazze andate o perderete il treno, vi chiamo più tardi ok? – aspettarono che Anna e Laura annuissero per spostarsi in fondo alla classe ormai vuota; Ella si sedette a gambe incrociate su un banco e il moro le si piazzò davanti.
- Non ho tutto il giorno… - iniziò lei.
- Dio quanto non ti reggo! Ma non stai mai zitta? – sbottò, dopo essersi trattenuto per un anno intero.
- La cosa è reciproca, dimmi quello che hai da dire. Oggi torno con i mezzi e non voglio tornare a casa tardi ho danza e… ok, ho capito, parlo troppo, scusa. – disse, vedendo che Filippo si massaggiava le tempie e respirava pesantemente, innervosito.
- In questi mesi di vacanza cerca di fare chiarezza. E non lo dico perché mi sei simpatica ma perché ne va della salute mentale del mio amico. –
- Se la sua salute è a rischio, potrebbe cominciare a curarsi evitando di urlarmi contro alla prima occasione che gli si presenta! –
- Non era questo che intendevo… -
- E allora spiegati meglio. – gli disse, indurendo lo sguardo ed incrociando le braccia sotto il seno. Filippo giocava a fare il duro ma non aveva idea della belva che aveva davanti; Ella, che in quegli ultimi giorni era stata parecchio nervosa per ovvi motivi, non vedeva l’ora di attaccar briga con qualcuno. Sostenne lo sguardo accigliato del moro che, senza staccare gli occhi ossidiana da quelli di lei, continuò:
- Non sta a me dirti tutto, anzi, Elia non sa nemmeno che sono qui ma cerca di darti una svegliata e di pensare al peso che hanno le parole.
- Non devi dire a me quanto siano importanti le parole, Filippo. – rispose alterata – Lo so benissimo. –
- Allora, forse il problema non sono le parole ma i sentimenti. Devi capire cosa provi per Marco, in primis, e poi pensare a cosa c’è fra te ed Elia. – lei provò un brivido di fottuto terrore, la paura profonda che Filippo avesse capito, che avrebbe confessato tutto al suo amichetto che, a sua volta, l’avrebbe presa in giro proprio come aveva fatto Marco; non poteva, per nessuna ragione al mondo, ammettere ad anima viva che non fosse Anna o Laura, i suoi sentimenti per Elia. E non c’era assolutamente niente da chiarire: a lei lui piaceva da matti e non era ricambiata. Non sapeva e non voleva sapere che genere di film mentali si fosse fatto il moro, magari aveva pensato, in un remoto angolo del suo limitato cervello che anche ad Elia piacesse lei ma si sbagliava. Il biondo le aveva dimostrato di non volerla, dopo Firenze era tornato a ronzare attorno a Giulia e Virginia contemporaneamente, perciò, o Filippo credeva nei miracoli oppure voleva solo farsi gli affari suoi per poterli spifferare ad Elia e, in entrambi i casi, la cosa non le andava giù.
- Marco è una merda. – rispose, convinta – ed Elia… Elia è… - cercò di calmarsi e non lasciarsi tradire dal linguaggio del corpo, poi affermò: - Elia era un amico, ora non è niente. – era quasi doloroso dire queste parole, anche se per finta, faceva malissimo. Guardando il lato positivo, ce l’aveva fatta. Filippo sembrava più rassegnato che convinto ma non aveva insistito.
- Bene, Ella. – riprese a dire, dopo un istante di silenzio in cui aveva solo scosso la testa leggermente. – Se questa è la verità, allora devi stargli lontana. Basta escursioni sul tetto, basta dormire insieme, basta ascoltare musica seduti nello stesso banco senza motivo apparente, basta battibecchi e occhiatacce. Se lui per te non è niente fai in modo che rimanga tale! – senza accorgersene, aveva perso le staffe ed alzato la voce tanto che lei si era fatta piccola piccola, accucciandosi su sé stessa e chinando la testa. Vedendo che lei sembrava spaventata, abbassò i toni ma continuò a parlare: - Te lo chiedo per favore, lascialo in pace. – stava per rinfacciargli il fatto che era Elia che non lasciava in pace lei e la tormentava, dal vivo e nei suoi pensieri, ma guardandolo si accorse, in quel momento, di una verità che, forse, era stata sempre sotto i suoi occhi e all’improvviso le fu tutto chiaro: perché Filippo non sopportasse di vederla con Elia, perché Filippo non sopportasse lei… divenne tutto così limpido; il moro non era solo il migliore amico di Elia, ne era innamorato. E lo capì perché aveva parlato per tutto il tempo con gli occhi scuri, così simili a quelli di lei, velati dalle lacrime trattenute. Non poteva esserne certa, ma quando ti trovi spiattellati in faccia i sentimenti che tu stessa provi li riconosci, specialmente quando chi li prova ti somiglia così tanto nei gesti, nel modo di parlare, nel modo di pensare e di porsi. Lei e Filippo erano stati fregati dallo stesso sorriso, dallo stesso paio di maledettissimi occhi blu. Non ebbe il coraggio di dirglielo esplicitamente ma volle comunque provare a domandargli, pur sapendo che non avrebbe risposto: - Siete molto legati, vero? Tu ed Elia. – lui capì perfettamente cosa intendesse dire. Era fin troppo sveglio per non cogliere un tono così allusivo.
- È complicato. – non riusciva più a guardarla negli occhi come aveva fatto all’inizio del discorso e, per un attimo, sembrò crollare. – Comunque tu pensaci. – riprese a dire, appoggiando il palmo della mano sul banco dove Ella sedeva - A quello che hai detto. Hai tutta l’estate per farlo, poi torna qui e comportati di conseguenza! – poi, si girò e prima di sparire dietro la porta aggiunse: - Dopotutto, non mi sembri una che si nasconde dietro un dito. -

Note Autrice:
siamo arrivati all'ultimo capitolo della prima parte, spero che finora abbiate apprezzato; se trovate il tempo, fatemelo sapere lasciando una recensione. La seconda e le successive parti della storia sono ancora in fase di creazione, perciò, questo è il miglior momento per ricevere i vostri consigli e le vostre critiche.
A prseto con la seconda parte!
Grazie di cuore a che è arrivato fin qui.

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