How I met you

di Asia Dreamcatcher
(/viewuser.php?uid=205428)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Rincontrarsi ***
Capitolo 2: *** Colazione con sorpresa ***
Capitolo 3: *** Amici miei ***
Capitolo 4: *** Indovina chi viene a cena? ***
Capitolo 5: *** Heartbeat ***
Capitolo 6: *** Yule Ball ***
Capitolo 7: *** Affari di famiglia ***



Capitolo 1
*** Rincontrarsi ***


1-Rincontrarsi

Capitolo uno

Rincontrarsi

§


La divisa scivola sulle sue forme, infila nel taschino ciò che le serve: taccuino, penna prendi appunti e bacchetta. Si aggiusta l'ordinata frangetta corvina ed è pronta a cominciare il turno.
Pansy Parkinson cammina rapida e sicura per i corridoi del St. Mungo, le mani infilate nelle tasche della casacca a doppio petto, il volto magro e pensieroso.
Eliza Fawley1 – sua mentore e benefattrice – l'attende con la sua immancabile espressione corrucciata nel corridoio del quarto piano. Il reparto Lesioni da incantesimo è come sempre incredibilmente calmo e ordinato, malgrado la gravità e l'urgenza dei casi lì ricoverati.
«È appena giunto un caso interessante―» le comunica la sua responsabile aprendosi ad un sorrisetto divertito «una celebrità che si è beccata una bella fattura» continua sardonica passandole una cartella rossa con tutti i dati del misterioso paziente.
Pansy non fa in tempo a scorrere per intero la cartella che al nome del paziente il suo stomaco si attorciglia doloroso.
«Potter?!»
«Sì? Sono io!»
L'ex Slytherin solleva le iridi di giada timorose, fissandole sul ragazzo seduto sul lettino dinnanzi a lei.
In quei pochi attimi, in cui i suoi occhi trovano il coraggio di tenere alto lo sguardo, Pansy riesce a cogliere piccoli dettagli del suo ex compagno di scuola: il pastrano grigio fumo con lo stemma degli Auror e l'elegante C d'argento di caposquadra appuntato poco sopra, abbandonato accanto a lui, i capelli folti e incredibilmente scarmigliati, la leggera e affascinante barba sfatta sulla mandibola squadrata, i tondi occhiali storti e delle brutte ferite che gli deturpano il petto. Le iridi di smeraldo le evita di proposito, il suo coraggio non arriva fin lì preferendo concentrarsi su ferite ed escoriazioni, che per lei ormai sono un divenute appiglio sicuro.
«Buon pomeriggio signor Potter, scusi l'attesa. Sono la medimaga Farley, primaria di questo reparto, lei invece è la mia specializzanda―»
«Parkinson!» esclama sorpreso il paziente, riconoscendola solo in quel momento; vorrebbe essere più garbato ma non riesce a non squadrarla da capo a piedi, la sua espressione tradisce una candida incredulità.
«Eravate compagni ad Hogwarts, giusto» mormora Eliza compita, collegando in un attimo i pezzi.
Pansy si schiarisce la gola e alza elegantemente il capo ingoiando il disagio a forza, dopotutto quello è il suo territorio e Harry Potter non è che un altro paziente, e lei ha lavorato troppo per fare la figura della ragazzina spaventata. Ma da quegli occhi si tiene comunque alla larga.
«Sì esatto Eliza – risponde sbrigativamente, poi getta un'occhiata più approfondita alla cartella – duello magico, colpito da più incantesimi non verbali simultaneamente, probabile maledizione» riassume.
«Erano tre – specifica l'Auror – due sono riuscito a fermarli e mi hanno colpito superficialmente» mostra le ferite sulle braccia, simili a segni di frustata, «il terzo invece mi ha colpito in pieno – tossisce – anche se pensavo facesse più male» conclude stringendosi nelle spalle.
«Apparentemente» replica la medimaga avvicinandosi a lui e controllando con la nodosa bacchetta la ferita al petto; «Pansy tocca a te, poi dimmi le tue conclusioni» la chiama con cipiglio autoritario.
Harry osserva ancora stranito l'ex Slytherin avvicinarglisi e analizzare la sua brutta ferita e per la seconda volta il suo petto si scalda di un piacevole tepore.
«Prude?» gli chiede alla fine, senza guardarlo.
«Parecchio» confessa lui cercando un contatto di sguardi. Le iridi cristalline di Pansy invece cercano quelle della sua mentore e con sicurezza espone la sua diagnosi:
«È una maledizione necrotica al primo stadio.»; lo sguardo ambrato della medimaga si accende e annuisce concorde e fiera.
«Necrotica?!» esala l'Auror «Dimmi che ho capito male» dice ora pallido in volto e nel dirlo si rivolge direttamente a Pansy.
«Signor Potter temo proprio di no, vede la maledizione che l'ha colpito è molto particolare, si tratta di infinitesimali particelle magiche che consumano l'epidermide e i sottostanti tessuti, è un valore pari a otto o nove, a seconda della gravità, sulla scala di Derwent2»
«Un gradino sotto le Maledizioni senza Perdono» spiega serafica Pansy; «Magnifico» sbotta Harry abbandonando disperatamente il capo sul morbido cuscino, non sapendo a che Fondatori votarsi.
«Fortunatamente per lei, signor Potter, la maledizione è ad uno stadio iniziale, chi gliel'ha scagliata non è così abile quanto sperava e c'è ancora modo di trattarla con successo. Pansy?»; l'aspirante medimaga sciorina una serie di incantesimi ed unguenti con una competenza tale che Harry non può fare a meno di restare colpito.
«Iniziamo con quest'ultimo protocollo, ritengo sia il più efficace. Signor Potter lei è ufficialmente fuori servizio per almeno i prossimi sette giorni. Tra dieci giorni tornerà qui per delle analisi, se tutto va come deve andare tra un mese tutto questo sarà solo un pessimo ricordo—»
«Uno in più uno in meno» borbotta svagato, Pansy si tortura il labbro inferiore e punta gli occhi su quella ferita dai bordi frastagliati che gli sfregia il petto.
«Ci siamo intesi, le lascio alle cure di Pansy. - poi fa un cenno alla sua tirocinante – Preparo le pergamene per la dimissione, una volta terminato vieni ad aggiornarmi».
Pansy si mette all'opera e per un po' non si odono altri suoni, se non quello degli incantesimi luminescenti da lei cantilenati.
«È strano» esordisce Harry mentre cerca stoicamente di tenere a bada il dolore.
«Mh?»
«Tu. - le parole gli escono senza che abbia il tempo di rifletterci – voglio dire, non avrei mai pensato di vederti in questa veste, ecco» Harry stringe gli occhi in difficoltà, ha il terribile presentimento che le parole gli siano uscite tutte storte, brutte totalmente in balia del fraintendimento.
Pansy si lascia sfuggire un sospiro – che l'ex Gryffindor non sa decifrare – continua ad eludere il suo sguardo. «Il tempo cambia le cose» mormora senza aver intenzione di approfondire quanto detto. «Fatto» dice invece, osservando compiaciuta il proprio lavoro.
«Dunque c'è bisogno di rifare il medicamento ogni giorno per i prossimi sette giorni. Ti manderò un gufo con l'unguento e istruzioni precise», quando si tratta di medimagia invece non c'è indugio nella sua voce o nel suo sguardo, che sfiora quello smeraldino e vibrante del ragazzo con sicurezza, anche se solo per inafferrabili attimi.
«Sono libero di andare? Posso tornare a casa?» sospira sollevato, Pansy annuisce solamente passandogli poi la candida camicia della divisa che indossa con agilità. Il pastrano scuro è l'ultimo indumento che ricopre il fisico tonico di Harry che indugia appena e poi non sapendo bene come comportarsi: entrambi si scambiano un semplice e veloce cenno col capo. Ma poi Harry ci ripensa, si volta e accenna ad un sorriso, «Pansy? Grazie».
La voce non riesce a superare il carnoso muro delle sue labbra e perciò annuisce, ha capito.

Il monolocale in cui vive Pansy si trova in una palazzina dall'aspetto fatiscente che un tempo fu certamente sofisticata e aristocratica, gestita da un anziano Magonò che affitta sopratutto a specializzandi e a qualche medimago del St. Mungo. Il complesso infatti dista appena venti minuti a piedi dal vecchio magazzino Purge & Dowse Ltd. in cui si cela appunto l'ospedale.
Pansy vi si è trasferita tre anni prima, quando aveva deciso di afferrare l'offerta fattale dalla Farley e tagliare i ponti con ciò che era sempre stata la sua vita; aveva deciso di darsi una possibilità.
Si leva il pesante cappotto, l'acqua per il tè sta già bollendo sul fuoco, poggia sul piccolo ma elegante tavolo le medicine che dovrebbe inviare a Potter e la sua cena per quella sera: involtini primavera e pollo fritto al limone.
Nonostante la stanchezza, ha ancora trenta centimetri di pergamena da scrivere e due capitoli di Medimagia d'urgenza da studiare; apre il tomo con la penna prendiappunti che schizza sui fogli, mentre il suo palato si riempie della sfoglia croccante e delle verdure speziate dell'involtino.
Un lieve bussare alla finestra la distrae, quando ormai le mancano poche righe alla conclusione del suo saggio, Zephyr – il suo allocco maculato – è tornato e porta una lettera con sé. Pansy si lascia dare un buffetto sulla guancia pallida mentre l'allegro allocco, dopo la tenera carezza, si arrocca sul trespolo accanto al letto colmo di coperte e cuscini.
La lettera di Millicent fa sogghignare Pansy, vorrebbe risponderle immediatamente ma lo sguardo le cade sul medicamento per Potter e il sorriso le si spegne lentamente, mentre qualcosa nel fondo dello stomaco la fa provare un enorme disagio; si prepara per coricarsi eppure quella sensazione non sparisce, la medicina è sempre lì, e le pare quasi occupare troppo spazio, si mordicchia le unghie, nervosa, sbuffa, prenderà una decisione la mattina seguente; tira le tende e sprofonda nel letto, ma è certa che quella notte gli incubi torneranno.



1: Eliza Fawley è un mio OC, è una Purosangue la cui famiglia fa parte delle Sacre Ventotto
2: scala di Derwent, è una scala di valori di mia invenzione, ho preso il nome "Derwent" da Dilys Derwent, guaritrice del San Mungo e Preside di Hogwarts (1705-1768)
___________________________________________________________________________________________________________________
Ecco a voi il primo capitolo di questa long che non sarà molto long, i cui stessi capitoli non saranno molto long. L'idea è nata dopo aver letto una ff proprio con la ship Harry/Pansy e ho pensato semplicemente che questa coppia avesse del potenziale, sopratutto se pensiamo al tenore del loro "incontro" nell'ultimo libro. Ho cominciato a chiedermi se Pansy si fosse mai pentita del suo comportamento? Che piega potrebbe prendere la sua vita? E quella degli altri personaggi? E ecco l'inizio.
Ho intenzione di allargare lo sguardo, non solo entrando nei due personaggi, ma anche includere altri personaggi che costellano la vita dei due creando il mio personalissimo What if...?

Grazie a tutti coloro che sono giunti fino a qui, se volete farmi conoscere la vostra opinione è più che ben accetta ^^

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Colazione con sorpresa ***


2

Capitolo due

Colazione con sorpresa

§

Harry si sveglia e la prima cosa che vorrebbe fare è strapparsi la pelle dal petto per quanto gli prude, sa che non può e questo non fa che aumentare il suo desiderio. Oddio gli pare di non aver mai desiderato così ardentemente fare una cosa come in quel momento.
Sbuffa contrariato e si solleva con fatica, se il giorno prima gli sembrava di non aver poi subito chissà quali danni, stamane deve ricredersi: le ossa invocano pietà e i muscoli piangono per la tensione.
Il suo orgoglio – forse la sua proverbiale testardaggine – gli impedisce di tornarsene a letto a marcire per il resto della giornata, facendosi accudire da Tippy. Come mette il piede a terra uno squittio infastidito attira la sua attenzione, «Buongiorno anche a te Loki». Il piccolo snaso dalla folta pelliccia avorio punta i suoi occhietti scuri su Harry con l'espressione più innocente che riesce a simulare.
«Molla la spilla Loki, ora!» lo minaccia invece il mago, che oramai conosce bene le mire della creaturina. Loki fa dei versi come se volesse proclamare la sua innocenza ma alla fine cede sotto lo sguardo smeraldino e affilato del mago, e consegna la spilla tirandola fuori dalla sua pelosissima tasca.
Loki fu l'ultimo regalo di Ginny prima di mettere definitivamente la parola fine a ciò che erano stati. Harry ancora si domanda se glielo abbia regalato per senso di colpa o per non farlo sentire solo in quell'immensa casa, probabilmente le due ipotesi non si escludevano a vicenda.
Tippy, l'elfo domestico regolarmente pagato e con un giorno libero a settimana – Hermione si era occupata personalmente del suo contratto –, lo attende in cucina mentre si affaccenda ai fornelli.
«Buongiorno padron Harry. La colazione è pronta» lo saluta con la sua voce stridula. Non fa in tempo a mettersi a tavola che il campanello emette un lungo suono insistente. “Che manina leggera” pensa perplesso l'auror mentre con passo strascicato raggiunge l'ingresso. Resta attonito sulla soglia di casa riconoscendo immediatamente il noto caschetto corvino di Pansy Parkinson. Lei solleva lo sguardo, osservandolo in tralice, le iridi chiare espressive.
«Potter» saluta velocemente.
«P-Parkinson!» dice quasi scattando sull'attenti.
Il silenzio scende su di loro come una doccia gelata. L'auror ha timore quasi a respirare, non riesce a capacitarsi di averla lì a due passi, ma d'altronde non è lui che deve una qualche spiegazione.
Pansy guarda dappertutto senza vedere nulla per davvero. Continua a dirsi che è stata una pessima idea, che sarebbe stato meglio spedirgli tutto via gufo e che lei non ha nessun diritto a imporgli la sua presenza.
«Sono qui per la medicazione» sputa infine mostrandogli un sacchetto di carta a sostegno delle sue parole.
La faccia istupidita di Harry la farebbe anche sogghignare se non si sentisse così a disagio, è una sensazione che non prova più da molto tempo, non c'è più nessuno che la faccia sentire così ...esposta e coloro, con cui aveva provato quella sensazione, li aveva tagliati fuori dalla sua vita già da molto tempo.
«La medicazione!» sospira sollevato il ragazzo «Santo Godric, grazie!» esulta, facendo istintivamente arricciare il delicato nasino dell'ex Slytherin.
«Forza entra pure in cambio fatti offrire la colazione» le parole gli escono con così genuino calore che entrambi si guardano imbarazzati.
«Non vorrei fare da terza in comoda tra te e la Weasley» bofonchia Pansy con tono lievemente acido, prima di passarsi nervosamente le dita tra la corta frangia, come a volersela pettinare; quel tono caldo e l'offerta fattale l'hanno confusa, non voleva rispondergli a quel modo. Il volto di Harry si adombra lievemente ma basta perché la ragazza lo noti.
«Ah di questo non ti devi preoccupare – mormora sorridendo forzosamente – io e lei— Ginny non abita più qui» dice incasinandosi distrattamente i capelli con la mano. Poi si scosta per farla passare.
Pansy vorrebbe fuggire, invece fa un passo e entra a Grimmauld Place.

La casa, nonostante si sviluppi più in altezza che in larghezza, è molto luminosa – più di quanto immaginasse dai racconti di Draco di molto tempo addietro – c'è legno chiaro e caldo ovunque così come l'illuminazione che contribuisce a scaldare l'ambiente, è pulita e c'è un buon odore di pino e limone nell'aria.
«Tippy aggiungi un posto in più, abbiamo ospiti!» dice a gran voce Harry entrando in cucina. L'elfo schiocca le dita e il fuoco del fornello ricomincia a ravvivare la padella.
«Tippy, lei è Pansy Parkinson.»
«Buongiorno miss Parkinson!» saluta con voce gracchiante e allegra l'elfo dai tondi occhi lilla, la ragazza fa un veloce cenno col capo, mentre Harry sposta la sedia per farla accomodare.
«Cosa bevi?»
«Del tè alla menta con una fetta di limone» risponde compita, poi si schiarisce la gola e si passa le dita nella frangia scura «Se- se ne hai». Il ragazzo annuisce e prende un barattolo d'alluminio bianco dalla credenza mentre un'elegante tazza blu con arabeschi bianchi le si materializza davanti al naso.
«Il tè io preferisco berlo alla sera» replica Harry, giusto per fare della conversazione e poi affonda il naso nella tazza piena di caffé.
L'elfo serve delle uova strapazzate e del pane caldo con le noci, che Pansy si limita a piluccare osservando incuriosita intorno.
«Senti hai fretta, vero?»
«Cos-? Oh devo essere all'ospedale per mezzogiorno ma prima devo lasciare il mio saggio—».
«Allora non ti faccio perdere troppo tempo».
Entrambi si alzano e Harry la conduce in salotto, «Ti serve qualcosa in particolare?».
«Siediti e togliti la maglietta» ordina spiccia. Il ragazzo boccheggia per qualche istante mentre le guance si chiazzano lievemente di rosso, Pansy abbassa lo sguardo e si tocca nervosamente la frangia per l'imbarazzo.
«Io—», non sa da che parte cominciare, il tono, la frase tutto è sbagliato, non si è mai sentita così impacciata con nessun altro; ma Harry ridacchia e scuote il capo divertito «scusa mi hai preso in contropiede. Dritta al punto come sempre Parkinson!», dice mentre si libera con fatica della maglia, le ossa si lamentano e i muscoli piangono ma lui non fa una piega e si accomoda sul suo ampio e morbido divano.
Pansy non vorrebbe guardarlo – ora fuori dall'ospedale, da quello che è diventato per lei un ambiente sicuro e famigliare – non può impedirsi di osservarlo e nel farlo di sentirsi incredibilmente in imbarazzo. Apre il cartoccio e sistema ordinatamente alcuni unguenti, si concentra sui propri gesti, ha iniziato a farlo i primi giorni da specializzanda, l'aiutava a calmarsi e a non sentirsi sotto pressione, le sue mani che si muovono sono l'unica cosa davvero importante. Senza indugio afferra i lembi della benda e con movimenti delicati e precisi la srotola studiando con sguardo clinico i bordi slabbrati della ferita.
Harry la guarda con malcelata meraviglia, per qualche istante si è perso in quei gesti così sapienti e fini, forse più di qualche istante visto che la ragazza gli sta parlando e lui non ha idea di cosa stia dicendo.
«Perdonami, dicevi?»
«Mpf. La ferita! Brucia?»
«Da morire» confessa con vergogna.
«Beh sarai anche il Prescelto, ma sei pur sempre umano, è confortante» replica ironicamente lei. Harry ridacchia sinceramente divertito.
Le labbra di Pansy si distendono appena poi prende un unguento e lo applica con attenzione, le dita irrequiete sfiorano e sentono la pelle tesa e il vigore del suo corpo allenato, si concentra sul suo tocco per non fuggire via. Afferra malamente un altro cartoccio e chiede dell'elfo.
Tippy appare e Pansy gli da istruzioni precise per fare il decotto in cui dovrà poi imbeverci le nuove bende.
«Posso farti una domanda?» gli chiede mentre lei si affaccenda con la bacchetta per operare alcuni incantesimi.
«Non è già questa una domanda?» ribatte la ragazza guardandolo da sotto in su e sorridendo appena. Harry fa una smorfia «Ah ah. Simpatica!».
«Avanti sentiamo questa domanda»;
«Ok. Come sei finita a medimagia?», spera con tutto il cuore di non aver avuto un tono canzonatorio.
Pansy non risponde subito, si prende qualche attimo poi le sue iridi cristalline si spostano verso il caminetto spento.
«Mi è stata data un'occasione e l'ho colta. - mormora assorta – Credo che Eliza Fawley abbia visto qualcosa che io ci ho messo un po' a capire».
«E ora l'hai capita quella cosa?», lei annuisce con un piccolo sorriso. Harry la osserva e anche sul suo volto appare un lieve sorriso.
«Non è da me, vero?» sospira guardandolo; lui si stringe nelle spalle.
«Non ho idea di cosa sia da te Parkinson, in fondo non ti conosco granché», non appena lo dice sente di aver in qualche modo detto la cosa sbagliata, anche se non sa dire perché, eppure percepisce la ragazza davanti a sé ritrarsi impercettibilmente, vorrebbe aggiungere qualcosa per trattenerla, per trattenere quell'atmosfera quieta e intima che si era formata ma non fa in tempo. Tippy torna con il decotto fumante nella pentola e Pansy dopo aver imbevuto le pallide bende le avvolge seria e professionale attorno al petto del ragazzo.
«Io ora devo andare – lo dice senza guardarlo in volto, sistemando velocemente le sue cose nell'ampia tracolla in pelle – torno domani per rifare il medicamento, è un problema se però vengo la sera?».
Harry allarga la braccia e la sua voce è lievemente ironica, «Mi trovi sempre qui Parkinson!», poi però si alza, il suo sguardo è incredibilmente intenso, «Grazie, davvero».
Pansy avverte ancora quel nodo alla gola, sente di non meritarselo, annuisce e senza dire altro esce.


__________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Anche se con immenso ritardo ecco il secondo capitolo.
Ringrazio coloro che l'hanno inserita nelle loro liste speciali, anche se con lentezza questa long continuerà a procedere, spero che vi piaccia.
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Amici miei ***


03

Capitolo tre

Amici miei

§


Pansy si massaggia svogliatamente il volto pallido e irrigidito dalla fatica. Allunga poi le braccia, stiracchiandosi verso l'alto e i muscoli si distendono grati. Getta uno sguardo al grande orologio del St. Mungo e sospira sollevata: l'ora di pranzo incalza, il suo turno di dodici ore sta finalmente volgendo al termine. Con rinnovato entusiasmo si dirige verso la Caffetteria dell'ospedale – uno dei posti preferiti dalla maggior parte dei medimaghi in quanto le ampie vetrate oltre a inondare il luogo di una luce confortante, anche nelle giornate di pioggia, danno sull'ampio parco verdeggiante e curatissimo –, una volta arrivata non riesce a trattenere un urletto stridulo alla vista di una delle persone più care che ha.
Millicent Bulstrode con gli occhioni grigio-azzurri sempre espressivi e le labbra a bocciolo tinte di rosso l'attende con le braccia aperte e l'immancabile sorriso impertinente da bimba. Pansy non sa quantificare il bene che le vuole, negli anni di Hogwarts, durante la guerra, Millicent è stata per lei un rifugio sicuro e accettazione incondizionata.
«Mills!» la voce della mora è lievemente commossa, non si vedono da un mese abbondante, fatto inusuale per loro, ma dopo la promozione dell'amica Pansy si è dovuta abituare a malincuore.
«Salazar! - inizia Millicent con il suo inconfondibile tono alto e sicuro – non ne potevo più dei francesi. Se osano dire che noi inglesi abbiamo la puzza sotto il naso, li affatturo e li spedisco dritti a Parigi».
«Mills noi abbiamo la puzza sotto il naso!» la contraddice Pansy ridendo, mentre entrambe si siedono una di fronte all'altra con una calda tazza di té fumante, come non capitava da molto tempo.
Millicent scuote la chioma bruna e agita teatralmente la mano «Lasciamo perdere, l'importante è che tu non mi parli di Quidditch o Passaporte o del delicato equilibrio tra peso e lunghezza di un manico di scopa! Ci abbiamo perso una settimana, giuro! Tutta colpa della delegazione statunitense! Quelli dell'ufficio Sport magici stavano per mangiarsi i guanti dalla disperazione—» Pansy continua a ridere, non ha realizzato che la parlantina di Millicent potesse mancarle così tanto.
«Insomma noto con piacere che la tua nuova posizione all'Ufficio per la Cooperazione internazionale ti sta piacendo» conclude melliflua l'aspirante medimaga.
«Io amo questo lavoro!» è la replica entusiasta dell'altra. «Piuttosto Pan tu come stai, che mi racconti? Come stanno quel mantenuto di Theo e quell'adorabile becchino di Draco?». Pansy scuote la testa divertita, parla così ma vuole sinceramente bene a quei due casi umani dei loro migliori amici; gli unici che sono rimasti malgrado tutto.
«Fai la brava, Theo non è un mantenuto – ghigna –, non li vedo entrambi da un po'! Sono stata così impegnata con gli studi e il tirocinio che ho saltato le ultime cene a Montacute House. Ma sono certa che Theo è sempre felice con la sua instancabile mogliettina mentre ne approfitta per studiare con tutta calma le guerre dei goblin. E Draco beh, credo che passi il tempo lì a lamentarsi con Theo o sepolto in formule alchemiche e ingredienti di dubbia provenienza al lavoro».
«Mpf, niente di nuovo all'orizzonte insomma», Pansy sa che la routine l'annoia «E tu, mon amie?».
«Bene» dice in fretta e subito si pente. Troppo in fretta. E difatti... «Sputa il rospo! Cosa mi sono persa?».

«Mi stai davvero dicendo che la Parkinson lavora al St. Mungo!?», Ron ormai è al limite dell'ilarità e affonda in naso nel bicchiere di Burrobirra, incapace di trattenersi.
«E ti fa da infermiera. - il tono di Tracey Davis è incredulo, forse addirittura scioccato – La Parkinson. Pansy Parkinson. La secca snob della mia casa», no non riesce a crederci.
«Non mi fa da infermiera Cy. Sta studiando per diventare Medimaga, è la specializzanda della Fawley, che se non erro mi hai consigliato tu, Stein!» replica pazientemente Harry, mentre Ron batte più volte la mano sul ginocchio, ormai rosso anche in volto.
Anthony Goldenstein distoglie lo sguardo blu dalla rivista “Trasfigurazione Oggi” per degnare d'attenzione il suo capitano.
«Esatto. - conferma svagato – è la migliore nel suo campo, oltre ad essere capo reparto! Mia madre la tiene molto in considerazione», si stringe nelle spalle «O ha perso colpi o probabilmente la Parkinson è brava», conclude certo del suo ferreo ragionamento.
«Ma se non era in grado di prendersi cura manco di un gufo quella!» sbotta Tracey lasciandosi cadere pesantemente sul divano, dove Harry se ne sta semi disteso, in preda ai pruriti procuratigli dalla ferita; «Ha mollato Cura delle creature magiche alla prima occasione utile».
«Cy, mia cara, ti faccio notare che Harry è un essere umano non un animale», replica Anthony e Ron ha un nuovo scoppio di risa, Tracey ghigna malevola e mentre lo fa, le sue labbra scure si stendono pronte a prendere parola.
«Dì qualcosa e te la faccio pagare» mugugna Harry alla sua vice. La ragazza alza un sopracciglio «Sto già compilando tutti i verbali, come altro pensi di potermela far pagare?» dice sorridendo angelica.
«Magari chiedo alla Parkinson» freccia imbronciato.
Ron si asciuga gli occhi luccicanti dal troppo ridere, poi stringe con affetto fraterno la spalla al suo migliore amico.
«Io controllerei che ti stia davvero curando, amico. Scherzi a parte, chiamami se hai bisogno, davvero». Harry sorride e annuisce grato, «Tranquillo penso che me la caverò, ma se volessi passare, dopo quella cosa...»; il suo sorriso si fa ancora più largo nel vedere gli occhi di colui che considera alla stregua di un fratello illuminarsi, ma non per il divertimento stavolta.
«Contaci. Ora gente io vi saluto, stasera esco a cena con Demi» e così dicendo Ron si smaterializza con un sonoro crac.
«Stasera chiederà a Demelza di sposarlo» butta lì come nulla fosse, guardando il soffitto travato.
La faccia di Tracey è decisamente scioccata e persino Anthony appare spiazzato per qualche istante, ma il suo cervello comincia a ingranare e annuisce come illuminato.
«Ora si spiegano un po' di cose. Harry, Hermione lo sa?» domanda pensieroso. Il moro ridacchia nervosamente.
«Oh merda» dice Tracey.
«Non credo possa essere un problema per lei. Insomma ormai sono anni che non stanno più insieme, anche se, non lo so», sospira e si massaggia la radice del naso per lasciar andare un po' di tensione.
«Glielo dirò, dovrei andare a cena con lei a casa di Morag MacDougal tra un paio di giorni».
«A proposito, mi sono chiesta come tu faccia a sopportare il resto della compagnia verde-argento!» sogghigna divertita Tracey, ma Harry stende le labbra in un sorriso obliquo.
«E perdermi lo spettacolo di Hermione che da del filo da torcere al furetto? E poi faccio pratica con te—» non fa in tempo a terminare la frase che un cuscino gli finisce dritto in faccia, tramortendolo.
«Oh perdonami, ti ho fatto male? Bene!».
Anthony sorride e si alza.
«Dai Nott non è poi così male! Magari alla prossima vengo anch'io è da un po' che non vedo Morag, ci saranno anche Terry e Lisa?», Tracey da un buffetto sul capo del proprio capitano e poi si affianca all'ex Ravenclaw.
«Probabile! Te li saluterò in caso. – sbadiglia esausto – Grazie ragazzi per essere passati».

«Non posso credere che tu stia ancora male per quella storia», il tono di Millicent è esasperato e incredulo. Pansy stringe i denti e si passa nervosamente le dita nella frangetta inchiostro; «Non ci posso fare niente»; «Secondo me neanche se lo ricorda» replica la bruna cercando di sdrammatizzare, Pansy lo sa, non fa bene nemmeno a lei ricordare quel periodo.
Sbuffa, ce l'ha con se stessa, con tutti e nessuno. Vorrebbe che Potter non fosse diventato un suo paziente. Non è per lui, quanto per quello che ha fatto lei... Forse può chiedere ad Eliza. No. È fuori discussione, la prenderebbe per una ragazzina viziata che in quegli anni non ha imparato nulla. Forse è così.
Millicent ferma il flusso caotico dei suoi pensieri – che lei nemmeno si era accorta di starvi annaspando dentro – afferrandole le mani. Le sue mani sono sempre calde e morbide, le proprie restano sempre fredde, a volte sono tiepide, come in quel momento.
«Pan guardami. Dai va tutto bene. - mentre lo dice ci crede davvero e questo rincuora un po' la mora – Sì forse un po' rotte dentro ma non siamo cattive persone».

Non siamo cattive persone”.
Pansy solleva gli occhi di giada e incontra quelli vivaci e smeraldini di Potter, che l'accoglie sull'uscio di Grimmauld Place.
Mentre fa accomodare la ragazza, Harry nota i capelli un po' scarmigliati e la faccia non è chiara e fresca come la mattina precedente; le piccole efelidi scure che decorano il suo naso spiccano sulla sua pelle pallida e tirata. È stanca.
«Hey. Tutto bene?».
Pansy si ridesta improvvisamente – sembra uno zombie che deambula – e scuote il capo per centrarsi. «Sì, scusa è che ho finito un turno da dodici ore».
Harry fischia impressionato, «Non sei riuscita ad andare a casa a riposarti?». La mora gli lancia un'occhiata in tralice.
«No. Devo consegnare una relazione di quaranta centimetri minimo e visto che ora sono qui, l'unico momento per farla era oggi pomeriggio. Quindi, no, addio riposino». Il tono è irritato, con una leggera ironia di sottofondo e Harry si gratta la testa colpevole. Ma Pansy inspira e si scusa.
«Sei un paziente, fa parte del gioco». Senza perdere tempo il ragazzo si spoglia e lascia che Pansy si prenda cura di lui.
«Come ti senti?»
«Fiacco. Mi stanco subito», Pansy annuisce «È positivo, sembra strano ma lo è, vuol dire che le tue energie magiche sono impegnate nella guarigione».
«Se lo dici tu, mi fido»
«Fidati»;
«Lo faccio» risponde Harry con un sorriso sincero; Pansy si mordicchia il labbro inferiore e abbassa lo sguardo, le gote lievemente arrossate e l'ombra di un sorriso accennato.
Entrambi hanno di nuovo quella sottile sensazione di essere dentro un'atmosfera sospesa, quieta e calda.
«Finito».
«Senti fatti almeno offrire una cioccolata calda, il cioccolato aiuta sempre. Per il disturbo di venire fin qui. Insisto»; la ragazza alla fine annuisce stravolta e lui sparisce in cucina.
Pansy si guarda attorno leggermente spaesata, si siede composta sul divano, che è soffice e comodo; davanti a lei, addossato alla parete c'è un grande rettangolo di vetro fino, non capisce cos'è. Tutti i colori sono tenui, è una stanza davvero accogliente, poggia con attenzione la schiena sullo schienale, in attesa.
«Eccomi. Scusa ma alla cioccolata non si può mettere fr—». Harry osserva Pansy Parkinson addormentata sul divano di casa sua. Per un attimo non sa che fare, il panico che sale, ma il respiro profondo e tranquillo di lei lo calma e si convince. Fa evanscere la tazza, afferra una coperta e gliela poggia delicatamente sopra.
Spegne la luce e se ne va al piano superiore, i conti li avrebbero fatti al mattino.

https://live.staticflickr.com/65535/52478187661_e97d5fca8c.jpg




_____________________________________________________________________________________________________

Buon sabato a tutti. Particolarmente ispirata questa volta ho pubblicato un po' prima di quanto mi aspettassi.
Qui cominciamo a conoscere le persone che costellano la vita dei due ragazzi, spero che vi piaccia.
Visto che mi piace molto comporre collage aesthetic, ne troverete uno ad ogni fine capitolo da qui in avanti.
A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Indovina chi viene a cena? ***


4

Capitolo quattro

Indovina chi viene a cena?

§

Un leggero sbuffo fa increspare il volto sereno di Pansy. Stringe gli occhi infastidita, sta così bene lì... Sente ancora qualcosa che la sfiora e si volta esasperata, ma il materasso manca improvvisamente sotto il suo corpo: cade con un sordo 'thud' che la costringe a lanciare un urlo per la sorpresa.
Un lattiginoso raggio di luce, che filtra dalla finestra, le consente di mettere a fuoco la stanza. Le iridi di giada abbracciano le pareti e il mobilio, ma la sua mente impiega più del dovuto a capire dove si trova, sa solo che quello non è il suo appartamento.
Qualcosa di peloso le sfiora la caviglia e lei salta sul posto nervosa mentre un piccolo snaso dal manto chiarissimo le sguscia curioso fra le gambe.
«Pansy?».
Il suo nome pronunciato da quella voce, ora assonnata, attira la sua attenzione e osserva sporsi dalle scale Harry Potter con i capelli scarmigliati più che mai, in maglietta e boxer, il volto sfatto per il sonno interrotto.
«Potter!?», la voce di Pansy risulta stridula, infastidendo anche se stessa. È troppo presto per parlare.
«Loki smetti di frugare nella sua borsa». Harry sbuffa improvvisamente sveglio e imbronciato, si dirige verso la ragazza che è ancora seduta sul morbido tappeto; l'obiettivo non è lei ma lo snaso che ha il muso immerso nella borsa in pelle.
«Perdonami. Ti ha svegliato, vero?» le chiede con gentilezza.
Pansy si strofina la faccia, si guarda attorno incerta e poi posa lo sguardo sul ragazzo che le sta di fronte. «Mi sono addormentata ieri sera non è vero?» chiede invece imbarazzata.
Harry sorride divertito «Sembravi dormire così profondamente che non ho avuto il coraggio di svegliarti!».
«Un gryffindor che non ha coraggio?» replica divertita Pansy. Ha appena fatto una battuta a Potter, si rende conto e non comprende il motivo del suo impaccio.
«Beh tieni conto che c'è una piccola percentuale slytherin in me. Dev'essere stata quella!» sghignazza stropicciandosi ancora di più i capelli.
«Ah simpatico! Cos'era una battuta?» sbuffa fingendosi offesa, ma poi sorride e le sue guance si imporporano appena.
«Grazie per l'ospitalità Potter, non avresti dovuto disturbarti tanto» mormora alla fine, nascondendo il proprio volto dietro la mano nervosa che prontamente liscia la sua iconica frangetta.
«Senti e se mi chiamassi Harry?».
Quelle parole gli sono uscite di getto e nota immediatamente che hanno un effetto sulla ragazza, ma non riesce a pentirsi. Pensa alla sua squadra, alle persone che ha conosciuto in quegli anni, non sono più ad Hogwarts, non ci sono case e lei beh... lei è da giorni che viene e va da casa sua, insomma gli sembra ridicolo continuare con quelle formalità. Ma forse Pansy non la pensa come lui, la vede distogliere lo sguardo e fissare intensamente il caminetto spento, le sue labbra rosee e lucide si arricciano in una smorfia che non sa decifrare.
«Ci posso provare» sussurra infine e Harry ridacchia: le ricorda una bambina imbronciata.
«Mi detesti ancora così tanto?» scherza ma si pente di quelle parole non appena scorge le iridi di lei, stralunate e ferite.
«Mi spiace, non volevo»
«L'hai detto tu: “non mi conosci granché”»
«E non possiamo rimediare?» chiede lui. Pansy lo guarda, improvvisamente intimidita dalla sua affabilità. L'idea di farsi conoscere da qualcuno la atterrisce; il problema è che lei non piace a se stessa, come potrebbe mai qualcuno apprezzarla? Sopratutto lui, che per anni ha denigrato. E malgrado si senta piccola e meschina non riesce a dire di no a quegli occhi accesi, profondi e... rassicuranti.
«Forse».

Si ritrovano così nella calda e pulita cucina di Grimmauld Place, l'uno davanti all'altra a sorseggiare del tè e a mangiare fette imburrate di pane caldo.
«Come mai hai scelto medimagia?».
Come spiegare cosa era stato per lei decidere di dedicarsi a quella professione? Come fargli capire che quella per lei non era stata solamente scegliere una carriera fra una miriade a disposizione, ma una fuga, una salvezza. Un voltare le spalle a tutto quello che era stato il suo mondo?
«Tu hai sempre saputo cosa volevi fare? Una volta terminato Hogwarts...» gli chiede invece. Lo vede sciogliere le labbra in un sorriso leggero, sfuggevole, mesto. «Beh io avevo Voldermort alle calcagna che di certo non voleva vedermi uscire da Hogwarts, se non in un modosi scompiglia la chioma distratto —, però sì, verso la fine sapevo che non avrei potuto fare altro se non l'auror, ma forse capisco cosa stai cercando di dire...». Anche le labbra di Pansy sorridono allo stesso modo di quelle di Harry.
Ricorda nitidamente quel periodo fatto di occhi lucidi e vacui, di silenzi nauseati, di unghie quasi strappate per sopravvivere all'ansia.
Non vedeva via d'uscita, lei non sapeva come uscirne e pensava che non avrebbe avuto la forza per uscirne. Se Eliza non fosse venuta a cercarla, se non le avesse teso quella mano, se non avesse fatto per lei quello che lei non riusciva a fare per se stessa...
«Per te è stata una scelta, per me qualcos altro. La medimaga Fawley è sempre stata una buona amica di famiglia, tanto da essere scelta come mia madrina. - si rese conto di starsi torturando le mani ma andò avanti comunque – Mia madre l'adorava, ebbi un incidente durante … durante il settimo anno e lei ci fu per me, e forse riuscì a vedere qualcosa di buono in me perché mi chiese se volevo diventare come lei, una medimaga e io … non so … ma era qualcosa a cui aggrapparsi», termina quel discorso, che pare colmo di cose non dette, con una stretta di spalle e un sorriso di scuse.
Harry annuisce pensieroso, vorrebbe chiedere, approfondire perché gli sembra di aver scorto qualcosa nelle sue parole esitanti, ponderate ma non osa. Non sa bene il perché, ma non vuole che lei si ritragga nuovamente. «Credo che in quel periodo avessimo tutti bisogno di aggrapparci a qualcosa. E ora com'è la tua vita?», concentriamoci sull'oggi, pensa e nello sguardo di Pansy gli pare di intravedere un barlume di gratitudine.
Pansy non si rende conto ma parla e racconta della sua routine, dello studio e dei casi strani che le sono capitati in quegli anni da specializzanda, Harry ride a crepapelle sopratutto quando parla dei primi incantesimi di guarigione che lanciava nei punti sbagliati facendo crescere unghie invece che ossa, o dello strano caso di uno stregone maledetto che cadeva in catalessi all'improvviso e iniziava a fluttuare per tutta la stanza, Pansy confessa rossa in volto, che se lo era perso in ospedale e avevano dovuto bloccare l'intero piano per ritrovarlo.
Harry ride e condivide aneddoti di quando era una recluta, delle fatiche e degli impegni di un auror; Pansy lo osserva e comprende quanto ami il suo lavoro. L'atmosfera è piacevole, calda e leggera. Uno sguardo all'ora fa rendere conto alla ragazza di essere in ritardo.
«Per Salazar! Devo consegnare il saggio. Devo andare!». Harry si alza con lei, più per istinto che per reale bisogno, sarebbe stato volentieri a chiacchierare ancora. Ma d'altronde non tutti sono in vacanza forzato come lui.
«Sì certo, ti accompagno alla porta, mi spiace averti trattenuto»; Pansy si volta a guardarlo e gli fa un lieve sorriso: è impalpabile e discreto come un'alba autunnale, «È- stato... è stato interessante. Grazie per l'ospitalità». Harry sorride per quel tono esitante e soave, si vede che non è abituata a ringraziare, o forse – un pensiero più fosco lo attraversa – non è abituata a ricevere delle premure.
«Beh dovere! - sdrammatizza lui grattandosi il capo e scombinando ancora di più i capelli – Insomma con le cure e tutto il resto.».
«Questo è vero, me la sono guadagnata questa pausa imprevista. Torno domani sera, d'accordo?».
«Sai dove trovarmi», dice mentre lei si smaterializza.


È il tramonto e un sonoro crac lo sorprende mentre si sta preparando per la cena di quella sera.
«Harry!». È Ron e lo sta chiamando a gran voce dall'ingresso, dalla cima delle scale vede il volto solare del migliore amico che gli urla euforico:
«Ha detto sì!».
Il moro si precipita ad abbracciare l'amico, che ha ancora la divisa da auror addosso e un sorriso che gli illumina anche le iridi brune.
«Sono contento per te fratello! Ah ah ah non ci credo!».
«Era davvero sorpresa, io stavo tremando, puoi immaginarlo! E poi lei... e io! Wow», Harry ride davvero felice per lui.
Aprono dell'acqua viola e Ron passa il resto dell'ora a descrivere con dovizia di particolari la reazione di Demelza. Si sposeranno ad inizio estate, quando la fidanzata avrà finito la stagione di Quidditch e potrà prendersi una meritata vacanza. Alla Tana sono ovviamente tutti entusiasti, Molly ha già iniziato ad allertare il resto della famiglia di tenersi pronti.
Ron si congeda e Harry non sa descrivere il calore che prova, per lui è come un fratello e gli ha sempre augurato il meglio.
Una volta rimasto solo, mentre accarezza distrattamente Loki, un'improvvisa malinconia lo appesantisce – Harry ormai sa riconoscerla – è contento per Ron, ma una parte di lui – ha imparato a non nasconderlo a se stesso – prova una certa invidia. Il desiderio di avere una famiglia non l'ha mai abbandonato, quella calda sensazione di essere in due, di condividere la propria solitudine con un'altra persona, di creare una famiglia tutta sua. Tornare a casa e poter raccontare a qualcuno cosa gli passa per la testa, le sue giornate, sentirsi accolto e accogliere a sua volta. Sperava di averla trovata con Ginny, ma purtroppo si era rivelato un fuoco di paglia.
Sospira infilandosi il maglione scuro, non ha fretta, sa che prima o poi arriverà anche per lui quella persona ma certi giorni la sua solitudine gli pesa più di altri, e a volte si ritrova a non sperare più.
Guarda l'ora, Hermione lo starà aspettando... Il pensiero della sua migliore amica lo riscalda un po', indossa il cappotto nero e il suo sorriso migliore e si smaterializza.

Hermione Granger lo attende alle soglie di Montacute House con le braccia incrociate e il piede tamburellante. Harry ghigna «Eddai non sono così in ritardo!».
«Parola mia Harry, mi chiedo perché mi impegni tanto ad essere puntuale se poi tu te ne freghi!», sbuffa Hermione agitando la folta e lunga coda che si è fatta, ha un elegante cappotto in lana che fascia la sua snella figura.
Il sorriso di Harry si ammorbidisce, la ama profondamente come una sorella e ora deve dirle qualcosa che spera non la faccia soffrire troppo.
«Hermione» la richiama afferrandola delicatamente per il polso, lei lo guarda, capisce che è a disagio e il fatto la mette in allarme.
«È la ferita-? Brutte notizie...?»
«Si tratta di Ron», le iridi castane di lei si offuscano per un istante, non è così breve perché Harry non lo noti; è da un paio di anni ormai che i due suoi migliori amici non si parlano, non è stata cattiveria semplicemente è stato più facile, hanno entrambi vite dense, impegnate e il tempo lenisce e quindi è stato più semplice lasciare che il tempo facesse il suo lavoro, piuttosto che investire altri sentimenti in qualcosa di doloroso.
«Sta bene?».
Harry si schiarisce la gola, sì sì e molto anche... ma se tentenna ancora un po' ad Hermione verrà una crisi isterica, quindi è meglio tagliare corto.
«Ieri sera si è fidanzato con Demelza Robins, si sposeranno... in giugno credo». Harry non può fare a meno di chiedersi come sia andato: non ha fatto preamboli, dritto al punto, il tono era controllato, gentile al punto da non sfociare nel patetismo – almeno così spera –. Osserva l'amica che sbatte le ciglia un paio di volte di troppo, ma poi scioglie i muscoli in un'espressione lieta e sorride un filo troppo – a suo modesto parere –.
«Ah! Beh dovrai fargli le congratulazioni da parte mia. Demelza, eh? Gioca ehm in una squadra irlandese... come Cercatore»
«Cacciatrice nei Ballycastle Bats» replica pronto, mentre Hermione contrae leggermente la palpebra scontenta di essere stata corretta.
«Quello. Bene, sono felice per loro!», Hermione sorride con delicatezza e a Harry pare che stia venendo a patti con quella notizia, non riesce a capire quanto stia simulando e quanto sia onesta. «Andiamo?».
Le offre il braccio l'amica glielo afferra con gratitudine.

Alle cene a Montacute House, Harry partecipa da un paio di mesi, tutta colpa di Hermione continua a ripetersi: dopo la sua rottura con Ron, la ragazza si era avvicinata a Morag MacDougal, ex ravenclaw del loro stesso anno, con cui aveva iniziato a fare amicizia durante l'ultimo anno di scuola terminata la guerra; che Hermione aveva preferito frequentare al contrario di lui e Ron.
La sfortuna – che Harry era ormai convinto avesse un occhio di riguardo per lui – aveva voluto che quella scapestrata di Morag convogliasse a nozze, più o meno combinate – ancora non capisce bene cosa ci fosse dietro a quel matrimonio così tanto chiacchierato all'epoca – con Theodore Nott. Fin qui all'auror stava anche bene: Nott era una persona con cui nonostante tutto non aveva mai avuto scontri a scuola, uno slytherin un po' atipico a suo parere, riservato e pacato, brillante (così diceva Hermione), chissà come il suo migliore amico era proprio...
«Oh ma guarda, Sfregiato ci sei anche tu! Ehi Theo, MacDougal sono arrivati i vostri discutibili ospiti!» proruppe con tono volutamente scanzonato Draco Malfoy.
«Malfoy è incredibile di come ancora non ti sia avvelenato con i tuoi discutibili ritrovati alchemici», replica serafica Hermione, un sorriso mellifluo le si dipinge sul volto fine. Ah, ora ricorda perché, in fondo, quelle cene non gli dispiacciano malgrado la presenza di Malferret: vedere Hermione che risponde a tono e spesso lo lascia incapace di replicare, è uno spettacolo che non ha prezzo.
«Non si è ancora avvelenato perché usa prodotti di qualità!» afferma feroce la padrona di casa. Morag incede verso i suoi ospiti e stringe a sé Hermione in un breve e vigoroso abbraccio, i lunghi capelli scuri arruffati e il volto dolce e cesallato – dietro cui si nasconde un animo tutt'altro che fragile – sorridente. Indossa ancora la salopette e gli stivali da lavoro infangati, che usa abitualmente quando traffica nelle sue preziose e amatissime serre.
«Salazar, Morag non sei ancora pronta?» sospira Draco, scuotendo il capo divertito.
«Taci Malfoy! Le vuoi o non le vuoi le mie preziose bimbe?» esclama tagliente «E poi Theo non si lamenta». C'è una particolare sfumatura di morbido avvitamento quando pronuncia il nome del marito, in quel tono altrimenti deciso e cristallino, che mostra quanto quel matrimonio, partito con premesse tutt'altro che rosee stesse funzionando.
La figura longilinea e raffinata di Theo fa la sua comparsa poco dopo, impeccabile in un completo tartan dai caldi toni autunnali.
«Buonasera Hermione, Potter. - li saluta cortese, scambiandosi con l'ex gryffindor un casto bacio sulla guancia –, che succede?» chiede infine, le sue attente iridi nocciola chiaro abbracciano l'intera sala da pranzo, sapientemente imbandita per l'occasione.
«Draco è il solito indisponente» afferma capricciosa Morag, sorridendo amabile al marito mentre lo raggiunge e scoccando un sorriso da squalo al migliore amico di quest'ultimo, facendo ridacchiare Hermione e Harry.
Theo accenna un lieve sorriso alla moglie, poi le sussurra poche parole all'orecchio che la fanno ridere e le scocca un bacio sulla tempia, mentre questa si smaterializza al piano di sopra.
«Per Salazar la tua signora è tremenda, Theo».
Poco dopo, giungono anche Lisa Turpin e Terry Boot e sono quasi pronti per cominciare. L'idea di Morag e Theo per quelle cene non era solo di mantenere i rapporti con i propri compagni di casata, ma anche di allargare la cerchia di amicizie e di spezzare quella sottile rivalità che li aveva visti divisi ad Hogwarts, e dopo la guerra solo Merlino sapeva quanto ce n'era stato bisogno. Tutti erano i benvenuti in quella casa.
«Chi stiamo aspettando?» squittisce Lisa mentre sorseggia dell'acqua viola, Harry immerso in una fitta conversazione con Terry, si guarda intorno in attesa.
«Aspettate, dov'è Hermione?», Morag lancia all'auror una strana occhiata; mentre Theo fa tranquillamente notare che anche Draco manca all'appello. Il campanello annuncia l'arrivo degli ultimi ospiti.
«Scusate il ritardo, ho finito tardi il giro di visite e qualcuno qui non si decideva a vestirsi». Harry drizza le orecchie, quel tono leggero ed irritato ormai ha imparato a riconoscerlo, si volta verso le due nuove venute, l'espressione felicemente incredula.
Pansy si arresta di colpo osservando il tavolo dei commensali.
«Harry?».
https://live.staticflickr.com/65535/52478786576_0ee168f348_o.jpg


________________________________________________________________________________________________________________________
Buon sabato e spero si stia rivelando un buon ponte! Con calma e serenità siamo giunti al quarto capitolo, e ci addentriamo ancora un po' di più nella vita dei personaggi.
Non so se si nota, ma a me piace mescolare la carte in tavola, quindi spero che la cosa sia di vostro gradimento.
Ah, una piccola noticina: la ship Theo/Morag è qualcosa a cui tengo molto, non chiedetemi perché ma nella mia testolina la cosa funziona! Su di loro mi piacerebbe scrivere qualcosina a parte, forse una raccolta. Forse riuscirò a svilupparlo in contemporanea, anche perché avrei delle idee al riguardo, anche per qualche altra ship che si formerà sullo sfondo di quella principale... Si vedrà!
Il collage di questo capitolo è dedicato ad Harry!

A presto!

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Heartbeat ***


5

Capitolo cinque

Heartbeat


§

Pansy osserva la labbra ben disegnate di Harry stendersi rapidamente verso l'alto, mentre realizza quello che ha appena detto. L'ha chiamato per nome! E l'ha fatto davanti a tutti.
Il suo sguardo indugia sulle figure di Draco e la Granger, appena sopraggiunti; la fissano con espressione speculare di perplessità, Theo ha perfino sollevato il sopracciglio in quello che per lui è un moto di incredulità, mentre Morag pare incuriosita. Sugli altri nemmeno vuole soffermarsi, per l'imbarazzo. Si siede velocemente proprio accanto all'auror, che invece sembra contento, se non divertito e sollevato; prova il desiderio di tirare un cazzotto a quel volto piacente e pacifico.
«Ciao Hermione!» trilla svagata Millicent, attirando momentaneamente l'attenzione generale, mentre la ragazza in questione ridacchia e ricambia il saluto.
«Spero che a Parigi sia andato tutto bene».
«Sì Potter, io e Hermione abbiamo una tresca segreta, hai indovinato!» replica allegra e melliflua in direzione del ragazzo, che ha assunto un'espressione dubbiosa «Tanto sembra che non siamo le uniche» mormora divertita, mentre Pansy, ancora imbarazzata, la trascina malamente sulla sedia accanto a lei.
«Com'è che vi conoscete?» chiede non appena Hermione prende posto accanto a lui. La ragazza si concede una lunga sorsata d'acqua prima di rispondere.
«Beh Millicent lavora per l'ufficio Cooperazione internazionale e ci è capitato di collaborare ogni tanto».
Pansy osserva con la coda dell'occhio l'aggraziata disinvoltura di Hermione Granger, che interloquisce tranquillamente con tutti, persino con Draco; e lui – lo conosce bene – sembra realmente interessato a quello che lei ha da dire. O l'elegante sicurezza di Morag che, stupenda in un delicato abito da cocktail panna, si comporta da perfetta padrona di casa con accanto la serena figura di Theo, che la guarda come fosse la sola persona nella stanza. E poi c'è Millicent che chiacchiera con la sua immancabile spigliatezza, quasi senza badare a chi sia il suo interlocutore.
Lei invece non si sente né disinvolta, né spigliata, solo terribilmente inadeguata; ripensa agli anni ad Hogwarts a quanto fosse vanesia e a quanto le piacesse avvolgersi nella sua insulsa frivolezza e meschinità. Tutti sembrano essere andati avanti... .
Si rende conto che Theo la sta fissando con sguardo severo e preoccupato, ma a quanto pare non è l'unico.
«Ehi Pansy? Tutto bene?», Harry accanto a lei, si sporge nella sua direzione, le scure sopracciglia lievemente aggrottate.
«Eh? Cosa?» la mora si ridesta e annuisce «Sì, bene. È stato un pomeriggio... intenso» ridacchia, portandosi nervosamente una ciocca scura dietro l'orecchio.
«È per via della vecchia lady con il singhiozzo che fa spaccare gli oggetti?» le domanda, ricordando i racconti di quella mattina.
«Oh Salazar! Quella donna mi tratta come fossi un elfo! È stata tremenda, prima il cibo troppo insipido, poi i cuscini troppo cuscinosi e se non erano quelli era la radio dal corridoio— Quanto rischio se le capita un incidente... mortale?» domanda infine con cupa ironia. Harry scuote la testa divertito, «Mmh potresti provare a puntare sulle attenuanti».
«Ho capito! Lasciamo perdere, non ho speranze di evitare Azkaban. A proposito, come stai? La ferita ti da fastidio?» si informa, assumendo un atteggiamento professionale, le iridi chiare che puntano il suo maglione come se fossero in grado di vedere attraverso.
«Prude, ma comincia ad essere sopportabile, mi sento bene. Ce la faccio tranquilla», glielo dice con un sorriso rassicurante e Pansy lo fissa di rimando. Non si accorge che Theo ha distolto lo sguardo e pare rasserenato.
«Certo che siete in confidenza voi due».
La voce di Millicent si intromette tra loro con tono volutamente melenso. Pansy la trucida con un'occhiata, mentre Harry – anima candida – risponde con tranquillità:
«Colpa mia, è costretta a venire da me per rifarmi la medicazione, e beh abbiamo iniziato a chiacchierare, diciamo che l'ho praticamente obbligata». L'ex slytherin lo ascolta con assoluto piacere, mentre l'altra vorrebbe disilludersi immediatamente.
Pansy però, a quel punto realizza una cosa e ne approfitta per vendicarsi della sua adorabile amica.
«Ah Mills, lo sai che Harry fa squadra con Anthony Goldenstein, del Ravenclaw, eh, te lo ricordi M-i-l-l-i-c-e-n-t?», chiede con tono cantilentante, le iridi chiare illuminate da un luccichio diabolico. Silenzio. L'acqua va di traverso a Millicent al solo sentire quel nome e lancia un'occhiata sconvolta all'amica. I suoi occhi azzurri sembrano dire “non osare dire altro!”
«L'ho invitato ma purtroppo era già impegnato. Dannato Anthony la prossima volta lo obbligherò», si intromette Morag svagata. Millicent ringrazia la sua buona stella, protettrice degli amori impossibili. Non ha niente contro Goldenstein anzi, aveva avuto per buona parte dei suoi anni ad Hogwarts una cotta esagerata e incontrollabile per Anthony Goldenstein. Non si era mai dichiarata, era ovvio. Lui era semplicemente oltre la sua portata, questa era sempre stata la sua modesta opinione.
Fortunatamente la conversazione viene dirottata da Morag e Hermione, a cui Draco si unisce volentieri, sull'ultimo articolo uscito in Trasfigurazione Oggi riguardante il geranio zannuto e alcuni suoi nuovi ritrovati sperimentali.
Poi si passa al Quidditch e alla prossima coppa del mondo e lì la serata procede su binari ben consolidati, malgrado tifoserie contrastanti.
Lei e Harry non hanno modo di scambiarsi che qualche breve commento per il resto della cena; ma mentre lo osserva discutere allegramente con Boot e Theo riguardo le favorite del campionato, realizza che non ha fatto altro che guardarlo per gran parte della serata, il suo volto, le sue espressioni, il modo in cui gesticola e non appena si chiede il perché, il suo battito accelera, e lei vorrebbe fuggire.


Pansy si infila il camice sbadigliando vistosamente, controlla di avere tutto ciò che le serve – due volte come sempre – e si da un'ultima occhiata nel piccolo specchietto circolare e finemente decorato con vivaci pietre preziose, l'unica cosa che è riuscita a portarsi via.
L'immagine riflessa è per lei abbastanza soddisfacente, anche se quella notte ha dormito davvero poco.
«Ohi Pansy ben arrivata!», la saluta calorosamente Ernie Macmillan al suo ultimo anno di specializzazione, come lei.
«Ciao Ernie, nottataccia?», chiede divertita sedendosi accanto a lui nella stanzetta dedicata agli specializzandi. Osserva l'espressione abbacchiata sul suo volto magro e i folti capelli biondi sparati in ogni direzione, le ricordano quelli di Harry. Trasale come fosse stata punta da un insetto poi poggia il gomito sul tavolino e si copre il volto, sconvolta da quello che ha appena pensato.
«Tutto ok? Comunque è stato un delirio nel reparto Incidenti! Tre esplosioni di calderoni, due ritorni di bacchetta e un cretino di adolescente che ha provato a Smaterializzarsi. La cosa più interessante è stato assistere Smethwyck1 » borbotta assonnato. Pansy solleva un sopracciglio, «Sei riuscito a battere sul tempo Augusto2?». Ernie le fa un sorrisetto vittorioso. La ragazza sa quanto il compagno tenga a entrare nel reparto ferite da Creature magiche.
«È arrivato un tizio con diverse punture provocate da un billywig3 e Augusto era impegnato su un altro caso, così mi sono fatto avanti».
«Beh buon per te» annuisce Pansy, l'ex hufflepuff comincia a mostrare un po' di carattere.
«Parkinson la tua paziente è quella vecchia col singhiozzo frangi-oggetti?», la voce graffiante di Joanne Lowell la coglie di sorpresa, si volta e accenna un sorriso scaltro verso la figura giunonica con la fluente coda castano chiaro che le sta venendo incontro.
«Cosa mi offri in cambio Lowell?». Le due non avevano iniziato col piede giusto, Joanne era una Nata Babbana e lei beh, non era stata proprio amichevole, la testa ancora piena di pregiudizi, c'erano state molte incomprensioni, ma poi costrette a lavorare fianco a fianco e a fare affidamento l'una sull'altra, diverse cose si erano appianate fra loro..
«Un'amabile nonnino che si sta facendo ricrescere le ossa per un erroneo incantesimo»
«Dov'è la fregatura?»
«È uno a cui piace allungare le mani» si intromette Ernie, sorridendo mentre Joanne lo fulmina con lo sguardo.
«Mi tengo l'aristocratica vecchia irritante»
«Ti è familiare per caso?», sogghigna ironica. Pansy rotea gli occhi e le mostra la lingua.
A quel punto entra Eliza Fawley che osservando i suoi tre specializzandi chiacchierare affiatati si lascia andare ad un breve sospiro sollevato, prima di assumere il suo solito cipiglio grave.
«Giro di visite, forza!».

La giornata in ospedale passa correndo da un corridoio all'altro, assistendo Eliza, che con cipiglio imperioso valuta la preparazione dei suoi protetti quando interpellati, e compilando pergamene che sfrecciano fra i reparti veloci.
Pansy si è ritrovata, suo malgrado, a pensare a Harry. Brevi flash: un paziente dai capelli corvini ma non quanto i suoi, una situazione divertente “questa dovrei raccontargliela”, piccoli sprazzi di luce e calore che hanno invaso la sua mente e il sottile e trepidante sollievo che l'avrebbe rivisto quella sera.
La ragazza non si sofferma — o forse non vuole — su cosa davvero significhi, sono stati pochi giorni, ma, e lo riconosce con lieve e vergognoso disdegno, è piacevole sapere che c'è qualcuno che ti aspetta. Certo lei va da lui per curarlo, però non le sembra il classico rapporto paziente-curatore; Harry è così... rassicurante, la accoglie e lo fa malgrado tutto il passato e questo, nel suo profondo intimo, la commuove. Il pensiero di incontrarlo è confortante.

È quindi, con un leggero battito accelerato che si presenta sull'uscio di Grimmauld Place, le guance delicatamente arrossate e le iridi di giada sgranate.
Harry le apre con mezzo sorriso divertito, i capelli nerissimi e scarmigliati e il maglione che gli cade da una spalla. Pansy è talmente concentrata su di lui, che non fa caso al nodo rovente che le stringe petto e stomaco o il respiro che le si accorcia per un mero attimo.
L'ex slytherin è contenta del suo lavoro: la ferita sta guarendo esattamente come dovrebbe, i margini sono meno frastagliati e sempre meno arrossati, termina di pulirla e poi ordina, con un incantesimo, alle bende di fasciarsi al petto del giovane, rilassato con gli occhi socchiusi e il respiro calmo, mentre il peloso Loki annusa l'aria sulla sua spalla.
«Ho finito» dice a tono basso per paura di disturbare il suo riposo, ma Harry solleva lo sguardo e la ringrazia.
«Vuoi del tè?».

Harry sorride dentro di sé mentre le passa la tazza colma di tè alla menta, dopo la sera precedente le sembra molto più rilassata in sua presenza, il che gli fa ben sperare. Gli piacerebbe aiutarla a lasciarsi davvero alle spalle il passato. Harry aveva avuto la sua dose di tragicità, ma quando aveva sentito la storia dei Malfoy durante il processo, che si era svolto immediatamente dopo la conclusione della guerra, si era stolidamente reso conto che, anche chi era stato dall'altro lato della guerra aveva avuto la propria dose di orrori e dolore; il pensiero era volato a Severus Piton e a quanti pregiudizi aveva riversato – a torto o a ragione – su di lui, solo perché non si mai dato la pena di chiedere, di provare ad andare oltre. Ora invece, cerca di imparare da ciò che è stata la sua adolescenza.
«Ammetto che non ti facevo tipo da snaso» dice Pansy mentre gratta gentilmente la testolina di Loki e strappandolo dai suoi pensieri.
«É stato un regalo di Ginny» replica bruscamente, mentre la ragazza si morde il labbro inferiore inquieta, non capendo se il suo sia stato un errore o no.
«Prima di andarsene in verità» continua lui sforzandosi di andare fino in fondo.
«Avete anche convissuto quindi...»
«É stato per qualche mese e in ogni caso spesso era in ritiro con la squadra». Pansy cerca di capire che tipo di sentimenti impregnino la voce di lui, ma le sembra solo malinconica e pacata rassegnazione.
«Mi spiace. Sembr— sembravate molto affiatati», oddio si sente uno schifo come consolatrice.
«Lo siamo stati... per un periodo. Poi – si ferma un attimo e tenta di trovare le parole giuste, ha un'espressione così buffa che Pansy sorride leggermente – io avevo bisogno di stabilità, di pace, e forse, anzi no ero molto concentrato su me stesso, sai per cercare di rimettere insieme i pezzi» la ragazza annuisce con vigore intuendo perfettamente ciò che sta dicendo, «e lei beh lo stesso, Fred era morto e non sono riuscito a starle accanto come lei si aspettava».
«Credo che nemmeno lei sia riuscita a farlo con te. Insomma non mmh... era il momento».
«Già. Così ci siamo lasciati, lei ora gioca da titolare nelle Holyhead Harpies, va forte».
«Siete rimasti, come dire, in buoni rapporti nonostante tutto?», non capisce il perché ma è stranamente molto interessata alla risposta.
«All'inizio no, anche se insomma Loki è qui. Dopo un po' sì certo, l'affetto per lei c'è sempre ma— più simile a quello che ho per Hermione, è come se fosse una sorella», si sente in dovere di specificare.
«Oh bene. Voglio dire buon per voi».
Harry sbadiglia e Pansy si alza per andarsene.
Sono alla porta quando il ragazzo si schiarisce la gola e attira la sua attenzione.
«Senti Pansy—»
«Sì?»
«Tra due settimane c'è l'annuale festa di Yule4 al Ministero, e beh Kingsley, intendo il Primo Ministro, ci tiene che io, Ron e Hermione siamo presenti. Solo che Hermione da quando si è lasciata con Ron riesce ad evitarle in modo magistrale, ha talento anche per questo, comunque, Ron quest'anno verrà con Demelza, si sono fidanzati l'altro giorno – Pansy tenta di capire dove quel giro di parole vada a parare – e io vorrei evitare di essere preda di tutti quei vecchi benefattori e donatori e di dover essere il terzo incomodo tra Ron e Demelza, già passato, non fa per me, nope.»
«Sì ci va anche Eliza, cerca di raccogliere fondi per il St. Mungo»,
«Ecco, Kingsley usa me invece. Quindi insomma ci verresti?»
«Prego?»
«Vorresti accompagnarmi alla festa di Yule? Come amica o salvatrice della povera esca spilla-soldi» dice in fretta. Godric! È conscio che gliel'ha chiesto in modo così imbarazzante.
Le iridi di Pansy si dilatano per la sorpresa. Lui vuole lei?
«Sì» risponde senza pensarci. Oddio ma che le è preso? Il suo sguardo incontra quello acceso di lui e lei annuisce con maggiore forza.
«Sì, va bene, ti accompagno».
«Fantastico! Grazie mille Pansy!».
E mentre si lascia alle spalle Grimmauld Place, Pansy sa che quella notte non riuscirà a chiudere occhio.


1-Ippocrate Smethwyck: responsabile del reparto Ferite da Creature magiche (fonte: potterpedia)
2-Augusto Pye: tirocinante di Smethwyck (fonte: potterpedia)
3-billywig: è un insetto magico originario dell'Australia, all'estremità del corpo reca un pungiglione lungo che provoca vertigini e in seguito levitazione.
4-Yule: nella tradizione celtica è la festa pagana della luce e della rinascita, viene celebrata il 21 dicembre (Solstizio di inverno), giorno più buio dell'anno e data d'inizio dell'inverno.

_____________________________________________________________________________________________________________

Ecco il quinto capitolo, qualcosa qui comincia a muoversi, sopratutto da parte di Pansy. Cosa succederà nel prossimo capitolo? E chi lo sa!
Ah! A qualcuno piacerebbe vedere interagire Millicent ed Anthony? Io qualche idea ce l'avrei.
Grazie a chi è giunto fino a qui.

A presto.

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Yule Ball ***


6- Yule

Capitolo sei

Yule Ball

§

«Dunque...»
«Mmm»
«Allora»
«Mmm!»
«...Hai pensato a cosa metterai?»
«Morgana Mills! Non mi stressare» esala esasperata Pansy, voltando il capo e osservando Millicent stesa a pancia in giù sul suo letto mentre sfoglia svogliatamente Witch Weekly.
«Devo consegnare questa relazione a Eliza per domani e mi mancano ancora venti centimetri!».
Le iridi azzurre dell'amica la sondano per alcuni secondi, poi afferma seria:
«Non so quanto questa tua sottile isteria latente sia da imputare ai tuoi ultimi esami prima del diploma o al fatto che Harry Potter ti abbia invitato alla festa del Ministero». Colpita e affondata. Pansy solleva di scatto il capo e si pettina nervosamente con le dita la frangetta; è vero, consegnare le relazioni per gli ultimi esami che le mancano la sta stressando, ma almeno con se stessa può ammettere che il fatto che Harry l'abbia invitata alla festa di Yule l'ha messa un tantino in agitazione. Il che è ridicolo, visto che tra loro non c'è niente.
«Insomma ti ha invitata! Ha invitato te!»
«Sì perché la Granger, a quanto pare, si conferma abbastanza furba da defilarsi»
«Ma dopo Hermione ha pensato a te!»
«Perché sono la prima persona che gli è capitata davanti...»
«E chissene. Dimmi che questo per te non ha significato nulla!?».
«Cosa vuoi dire?», chiede la mora rigida.
Millicent la fissa, i grandi occhi cerulei scettici, le labbra vermiglie increspate in una smorfia.
«Vuoi davvero giocare al gatto e al topo con me? Fai sul serio?».
Pansy si muove sulla sedia leggermente a disagio, c'è un motivo valido se Millicent è stata smistata a Slytherin ed è il suo fottuto acume unito alla sua schiettezza indecente.
«Mills credo che tu stia esagerando»
«Quindi me lo sono sognata che l'altra sera, da Theo, hai fissato Potter per quasi l'intera durata della cena?».
Porca Morgana! Impreca mentalmente la mora, torturandosi il labbro prova a schermirsi.
«Ero preoccupata per le sue condizioni di salute! È un mio paziente nel caso te lo fossi scordata!»
«Oh andiamo Pan! Perché menti a me?»
«Perché non c'è niente! - sospira pesantemente e la mano corre alla frangetta - Ok, d'accordo, evabene evabene! Potrei avere un leggero, leggerissimo interesse per lui, contenta? Ma questo è quanto e in ogni caso non potrà mai succedere niente!» la sua voce ha continuato a salire, Millicent sbuffa.
«E perché non potrà mai esserci niente, eh?», Pansy la guarda con le iridi chiare lievemente umide, non dice nulla e torna a lavorare sulla sua relazione. La bruna scuote la testa, irritata dalla cocciutaggine dell'altra.


«L'hai chiesto a Pansy Parkinson?». Le sopracciglia folte e ordinate di Hermione si sollevano in un moto di sincera incredulità.
Sono nel confortevole e caldo bilocale della ragazza non distante dall'ingresso per Diagon Alley. Harry soffia blandamente sul tè bollente, pare piuttosto tranquillo e accenna un sorriso; «Il tuo tono è meno sorpreso di quello di Ron», dice ricordando la faccia paonazza dell’amico mentre cercava di trattenersi dal fare un commento inappropriato.
«Forse perché io vi ho visti insieme» replica Hermione con un sorriso sibillino. Harry aggrotta le sopracciglia scure, l’espressione istupidita.
«Che vuoi dire?». La ragazza scuote la testa divertita, continuando a sorseggiare il tè pacificamente.
«Che sembrate affiatati, era la prima volta che la vedevo così a suo agio con qualcuno che non fosse Theo, Malfoy o Millicent». Il moro fissa la tazza mentre un sorriso impacciato appare sul suo volto.
«Mi fa piacere, abbiamo avuto modo di chiacchierare nei giorni scorsi. Devo dire che quando l’ho rivista… beh ero parecchio sconvolto! Chi se lo sarebbe mai immaginato, lei medimaga?»; «Concordo».
«Forse se fossimo stati tutti meno stronzi tra di noi, molte cose non sarebbero successe…»
«Eravamo dei ragazzini Harry, non ce li avevano solo gli slytherins i pregiudizi, anche noi, in più di un’occasione siamo stati prevenuti nei loro confronti, ma che potevamo fare? Ognuno ha cercato di sopravvivere come meglio poteva» replica Hermione assorta; Harry nota come il suo sguardo si sia fatto distaccato, ma non vuoto: ha l’espressione che di solito assume quando qualcosa di complesso le attraversa le mente e lei cerca di analizzarlo da ogni prospettiva possibile. Tuttavia pare abbia deciso di accantonarlo poiché si ridesta e punta nuovamente le iridi nocciola su di lui.
«Quindi com’è davvero Pansy Parkinson?»; Harry preso in contropiede risponde di getto: «Pungente ma dolce»; «Come mai sei arrossito?».
«Cos—!? Non sono arrossito» mugugna, bevendo poi una lunga sorsata di tè.
Hermione ridacchia piano decidendo di non insistere, il tempo le darà ragione, almeno spera, perché questo darebbe una speranza in più anche a lei.


Al St. Mungo Pansy si muove per i corridoi con un diavolo per capello, ha dormito poco e male, si è svegliata con un cespuglio di rovi per capelli e essendo in ritardo non ha potuto farsi una doccia e prima che la pausa le conceda la possibilità di farsela, diverse ore dovranno ancora scorrere. È stressata, le mancano solamente due esami, ma c’è qualcos'altro che la turba e non le da pace, e no, non è Erbe medicinali proprietà e usi, livello avanzato a farle chiudere lo stomaco – anche se Pansy si dice che dovrebbe, eccome –, ma il fatto che non possa più vedere una certa persona regolarmente e non trova scuse sufficientemente valide per capitargli davanti a casa. Non dovrebbe essere così, dannazione.
È appoggiata precariamente al bancone mentre cerca di compilare ordinatamente la cartella, quando Ernie le offre una barretta al cioccolato che proviene direttamente da Mielandia.
«Santo Salazar ti ringrazio!» esulta Pansy afferrando al volo il dolce.
«Ew – le fa eco Ernie – potevi risparmiartela»;
«Bisogna sempre portare rispetto ai Fondatori, Macmillan».
«Non è stato Salazar a portarti quella barretta, Pansy»
«I Fondatori operano per vie misteriose» ribatte lei caustica.
«Ah sì? E allora rendimela», ma Pansy veloce la addenta con gusto sorridendo angelicamente, mentre Ernie non può fare altro che ruotare gli occhi e scuote il capo con l’ombra di un sorriso.
«Grazie anche a te Ernie!».
«Ciao Harry!» dice veloce lo specializzando guardando sorridente oltre la spalla della compagna.
«Ciao Macmillan, Pansy». La voce calda e sicura di Harry Potter scuote la ragazza che per poco non manda di traverso un pezzo della barretta, si gira di scatto e solleva lo sguardo incredula. È proprio lì davanti a lei, giorni passati a inventarsi scuse abbastanza valide e lui si è come materializzato lì.
«Harry!».
L’auror da un’occhiata dubbiosa all’ex hufflepuff prima di soffermarsi su di lei e un tenero sorriso gli spunta sulle labbra.
Pansy cerca di convincersi che non dovrebbe reagire così alla sua presenza, eppure le sue iridi si beano della vista del ragazzo dai capelli corvini disordinati, dritto come una colonna con le spalle larghe e vestito con la divisa d’ordinanza che contribuisce a farlo apparire ancora più affascinante di quanto lo sia di solito; se ne rende conto perché persino le guaritrici più anziane gli lanciano occhiate interessate, mentre altre due specializzande di un anno più giovani di lei hanno lo sguardo famelico.
Quanto è bello, è il pensiero incoerente che le freccia nella testa.
«Sono venuto qui per ritirare le mie analisi». Harry non sta però guardando nessun’altra se non lei.
«Uh? Oh, le analisi! Certo! T-ti accompagno da Eliza, vuoi?» la ragazza sorride forzosamente; chissà che pensava, che fosse venuto per vederla e basta? Il fatto che vadano da lì a un paio di giorni alla festa di Yule non significa che debbano anche uscire insieme o altro. Oddio ma che va a pensare?
«Speravo proprio di sì» replica lui con dolcezza, nemmeno si è reso conto del suo tono; si limita a seguirla ed entrambi si dimenticano di Ernie che invece sorride tremulo, di cose lui se n’è accorto.
«Pansy»
«Sì?»
«Mi spiace che non siamo riusciti a vederci, ma sono rientrato al lavoro e beh, mi ha sommerso...letteralmente» sospira grattandosi distrattamente la zazzera corvina. L’ex slytherin solleva le iridi su di lui, le guance leggermente porpora… quindi lui voleva vederla ancora?
«C-capisco. Lo immaginavo, sai? Scommetto che ne avevi di cose da riordinare», ridacchia sorniona; prenderlo in giro è più forte di lei.
«Ehy! Io non sono disordinato – mormora falsamente offeso – okay non sono un amante dei verbali, colpa di Piton comunque, lui e le sue dannate relazioni di almeno sessanta centimetri mi hanno reso allergico!»;
«Ma se la McGrannit ce ne dava almeno il doppio».
Vanno avanti così, battibeccando amichevolmente finché Harry non ritira le analisi. Sembra tutto a posto.
«Sono ottime, davvero».
«Oh bene meno male. In effetti mi sento bene. Ce l’hai il tempo per un pranzo veloce?». Pansy non ha mai detestato il suo lavoro tanto come in quel momento in cui è costretta a declinare.
«Purtroppo no, il mio turno si conclude tra cinque ore».
«Ah cavolo! Volevo parlarti della festa»
«C’è qualche problema?»
«No no. Volevo solo chiederti se ti andava bene che ti venissi a prendere», la sua espressione è leggermente imbarazzata mentre lei è sollevata.
«Sì va benissimo, c’è qualche dress code da rispettare?»
«No, va bene allora, ti passo a prendere alle otto, d’accordo? Mandami pure l’indirizzo via gufo»
«D’accordo, grazie!»
«Ci vediamo dopodomani. Buon lavoro Pansy» la saluta con un cenno ammiccante del capo e poi si smaterializza.
«Buon lavoro a te, Harry» sussurra lei.


Pansy si controlla per l’ennesima volta allo specchio mentre infila con attenzione il raffinato anello sigillo appartenuto a sua madre. Strofina le mani le une contro le altre, nervosa, tentando si scaldarle e poi sente il campanello suonare. Il suo battito aumenta mentre va alla porta, ma le sussulta in petto quando vede Harry salutarla con un sorriso obliquo e un mazzo di delicati lillà dai svariati toni di viola.
«Questi sono per te» dice con la voce leggermente roca; la ragazza sbatte le palpebre incredula e li accetta emozionata.
«Non volevo presentarmi a mani vuote e Hermione dice che i fiori non sfigurano mai»;
«Ha ragione… Grazie, sono bellissimi. - mentalmente si appunta che i lillà sono appena divenuti i suoi fiori preferiti – Entra, li voglio mettere in un vaso».
Harry si guarda attorno incuriosito, nonostante le dimensioni è molto ordinato e femminile, poi il suo sguardo ricade sulla proprietaria e arrossisce per quanto è bella.
«Pansy sei… stai molto bene!».
La mora si stringe nelle spalle magre mentre l’auror la osserva intensamente: il vestito in velluto, di un intimo verde bosco, le scende lungo la snella figura, è semplice con lo scollo a barca e le maniche a tre quarti.
«Grazie» replica sollevando il mento e portandosi una ciocca corvina dietro l’orecchio, mostrando il volto poco truccato e le labbra tinte di un bel rosso vivo, i capelli sono un po’ sbarazzini mentre ciocche si avvitano dolcemente creando delle delicate onde che le incorniciano morbidamente il viso pallido. «Andiamo?».
Quando si smaterializzano, Harry non lascia la mano di Pansy anzi la fa avvicinare più a sé, osservando come la hall del Ministero – adibita a festa – è già colma di gente. Qualche flash dei fotografi colpisce i due e Pansy rapida nasconde il volto, Harry, notando il suo disagio, la trascina nella zona del guardaroba dove possono lasciare i mantelli prima di immergersi nella folla.
La mora solo in quel momento nota l’eleganza dell’abito del suo cavaliere, il completo scuro è su misura e la camicia candida con il colletto all’orientale con ricami in rilievo è inusuale ma su di lui calza alla perfezione. Pansy è davvero impressionata.
«Vuoi da bere?»
«Assolutamente». Il ragazzo la conduce con sicurezza tra i vari ospiti, salutando distrattamente ogni tanto, lei osserva ipnotizzata le loro mani intrecciate, la sua presa è salda e la sua mano calda e ruvida. È una sensazione piacevole e intima, per un istante si abbandona all’illusione di essere la sua ragazza e ciò le causa piccoli brividi, scaldandole la pelle, l’idea la tormenta più del dovuto.
Ad un tratto l’arrivo di Weasley con la fidanzata cattura la sua attenzione e lei è costretta a tornare presente a se stessa. Tutto sommato non sta andando male, Weasley si sta sforzando di essere gentile mentre lei è riuscita perfino a ricordare il nome della sua ragazza: Demelza; entrambi si scambiano un’occhiata come a dire che per quella serata hanno ottenuto il massimo che potevano ottenere. La coppia se ne va, ma non fa in tempo a scambiare due parole con il suo cavaliere che arriva nientemeno che il Ministro della Magia, Shackelbolt, accompagnato da due auror, che riconosce immediatamente come il duo restante della squadra di Harry.
«Harry, ragazzo mio sei arrivato!»; «Ministro!» ridacchia il ragazzo stringendogli calorosamente la mano. «Ragazzi».
Anthony Goldenstein sorride gioviale nella loro direzione; «Capo, ciao Parkinson!». Tracey Davis sembra solo estremamente annoiata dal trovarsi lì, Pansy avverte il suo sguardo indagatore, e molto poco gentile, su di sé. Scrolla le spalle e risponde a quell’occhiata con un sorriso tagliente. È pur sempre stata cresciuta come una principessa snob, meglio ricordarglielo.
«Signorina Parkinson, giusto? Le dispiace se prendo in prestito Harry per qualche minuto?»;
«No affatto», ridacchia di gusto mentre il ragazzo in questione spalanca gli occhioni verdi come un cerbiatto accecato da un lumos, si sporge verso di lei, sussurrandole all’orecchio:
«Se non torno tra dieci minuti netti, vieni a rapirmi!»; Pansy ride piano cercando di ignorare il più possibile la sensazione rovente di Harry e il suo fiato caldo e dolce vicino all’orecchio.
«Vai pure Tracey, io tengo compagnia alla Parkinson se al nostro capitano non spiace»; le due ragazze si scambiano un’occhiata al vetriolo, l’auror alla fine fa un piccolo sorrisetto trionfale mentre si accoda a Harry e al Ministro.
«Non ti crucciare a Cy non piacciono gli esseri umani» dice divertito Anthony avendo appena assistito alla scena fra le due ex compagne di casa. “In particolare quelli che ronzano attorno al capitano”, ma questo lo tiene per sé.
«Mpf. Non è cambiata poi molto dai tempi di Hogwarts» commenta pensierosa l’aspirante medimaga.
«Al contrario tuo, a quanto pare». Pansy lo fissa in silenzio, sa che non l’ha detto con sarcasmo, anzi il suo sguardo è così pacato e acuto che non si sente giudicata. Osserva meglio l’ex ravenclaw e la sua figura è alta e ben piazzata da essere rassicurante e non ha solo un bel viso, marcato e attraente ma ha fascino e sicuramente ne è ben consapevole. Sta per rispondergli quando sente una voce femminile che la chiama euforica.
«Pansy!!!», Millicent Bulstrode la abbraccia allegra. Minuta con i capelli scuri legati in un volutamente precario chignon basso e un corto abito argento luccicante, la ragazza sembra star spassandosela un mondo.
«Mills», oh, a Pansy viene troppo da ridere perché la sua cara amica non si è minimamente accorta della presenza di…
«Buonasera Bulstrode».
Il sorriso si eclissa dal volto di Millicent e i suoi occhioni azzurri si spalancano, atterrita.
«G- Goldenstein?» non riesce a parlare, pigola.
Pansy è incredula di fronte a Millicent così in difficoltà, nonostante tutto la sua cotta è ancora perfettamente intatta. Un moto di tenerezza le affiora nel petto a vedere Anthony sereno e sinceramente interessato a fare conversazione mentre Millicent che fatica a trovare le parole poiché troppo presa dalla prestante presenza di lui. Così decide di forzare leggermente la mano al destino, un po’ di sano romanticismo qualcuno se lo merita. “Vedi di non sprecarla, amica mia”.
Pansy inclina il bicchiere con attenta disattenzione e ne rovescia il contenuto intenso e zuccherino sul vestito di Millicent che inorridisce allibita.
«Oh Salzar! Mills mi dispiace tanto – dice con tono da attrice consumata – che pluffe, ed ora?»; l’altra ragazza ha un’espressione terribilmente omicida che cerca di tenere nascosta a Anthony che si accosta a lei per vedere il danno. Ma Pansy rincara la dose, dandole il colpo di grazia:
«Goldenstein le potresti dare una mano tu? Io aspetto Harry, n-non vorrei che si preoccupasse, dopo vi raggiungiamo. - lo fissa con un sorriso mellifluo – d’altronde non è il compito di un auror servire maghi e streghe in difficoltà?». Anthony la fissa di rimando per un istante poi ridacchia sinceramente divertito e acconsente ad accompagnare Millicent a riprendere la bacchetta per sistemare quel disastro.
Pansy li guarda allontanarsi soddisfatta, anche se Mills le terrà il broncio per giorni. Ingolla in un unico sorso il resto dell’Acquaviola e si guarda intorno, pensando che forse i dieci minuti erano belli che passati e che era il caso di andare a recuperare il suo bell’auror.
«Incredibile sei proprio tu. Ciao cuginetta».
La ragazza si irrigidisce e il suo cuore le pare sprofondi nel petto, solleva di scatto il volto incontrando quello piacente di qualcuno che pensava non avrebbe più rivisto.
«Bellamy?».


____________________________________________________________________________________________
Lo so manco da mesi, ma questa storia mi prende ancora molto e sono contenta di essere riuscita a completare il capitolo! Ho davvero il desiderio di terminarla, anche perché quando ho iniziato a scriverla l'ho pensata proprio leggera e senza troppe pretese, cosa che continuerà ad essere. Come vedete in ogni caso, se volessi, ci sarebbe tanta carne al fuoco... vedi Millicent alle prese con il bel Anthony (tengo molto a loro due!).
In ogni caso la voglio portare avanti, purtroppo non riuscirò a fare degli aggiornamenti regolari, ma continuerò ad aggiornare. Visto che sono in vacanza meglio approfittarne.
Grazie a chi è giunto fino a qui!

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Affari di famiglia ***


8

Capitolo sette

Affari di famiglia


§


Pansy non ci può credere, suo cugino le sta davanti perfettamente composto ed elegante, con quell’espressione pacifica e sinceramente sorpresa. Ha una voglia insana di prenderlo a sberle fino a non sentire più le mani.
«Come te la passi?» esordisce lui con un sorriso affabile che gli crea un paio di affascinanti fossette ai lati della bocca. Pansy ha una fitta di nostalgia nel vedere quel sorriso impertinente, un tempo le illuminava la giornata, ora la fa solo incazzare ulteriormente.
«Mi prendi in giro, Bellamy? “Come te la passi?” Fai sul serio?» mormora livida.
«Pansy», sospira il ragazzo tirando fuori le mani dalle tasche e osservandola con serietà.
«Pansy un cazzo! Cosa!? Eh?». Freme di indignazione, la ferita che aveva meticolosamente rattoppato in quegl’anni le sembra riaprirsi impietosa e ricominciare a sanguinare.
«Stai attirando l’attenzione»;
«E chissenefrega Bellamy!» sbatte il tacco del raffinato stivaletto contro il marmo del pavimento, quasi volesse marcare un punto. «Oh perdonami – continua con un tremendo sorriso mellifluo, colmo di velenoso sarcasmo – non vogliamo certo che il buon nome dei Burke venga trascinato in qualche sconveniente pettegolezzo. Ricordami, qual è la politica della famiglia, c u g i n o? ».
Lui fa un passo verso di lei, ma Pansy si tira indietro osservando un’espressione inedita sul suo volto solitamente insondabile; se non fosse così furiosa lo troverebbe quasi buffo.
«Sei arrabbiata d’accordo»,
«Arrabbiata? Oh no! Io sono incazzata! Cos’è una rimpatriata questa? Vi siete improvvisamente ricordati di avere una nipote? Mi devo aspettare nonna per caso?».
Bellamy la guarda in silenzio, manda giù il boccone amaro e riprende con tono calmo:
«Sono qui per lavoro, ci sono solo io». La ragazza si mordicchia il labbro, cercando di chiudere qualsiasi emozione sotto uno strato di indifferenza e sarcasmo.
«Bene, non avrei sopportato di vedere le facce del resto della famiglia. La tua basta a nausearmi a sufficienza» sbotta cattiva. Si stringe nelle spalle, percependo solo freddo intorno a lei. Si sente sopraffatta.
«Pansy?».
La voce calda e ferma di Harry penetra dolcemente quello strato di invisibile gelo che la sta avvolgendo, il suo corpo tende involontariamente verso di lui; appena sopraggiunto e con un’espressione preoccupata e seria stampata sul bel volto.
Pansy si vergogna, abbassa il capo per un attimo e poi lo rialza sdegnosa.
«Va tutto bene?» chiede avvicinandosi a lei con un senso di protezione e fissando il ragazzo che gli sta di fronte con circospezione.
«Oh alla grande! Harry lascia che ti presenti il mio fantastico cugino, Bellamy Burke», non vuole che lui la veda così… antipatica, sarcastica, com’era ai tempi della scuola, ma davvero il suo cuore non può sopportare oltre.
«Sai sono imparentata con gli irreprensibili Burke, ma attenzione! A volte basta solo la tua insulsa esistenza a offenderli… - si volta verso il cugino indossando un sorriso spietato – e non esitano ad abbandonarti nel momento del bisogno», lo guarda e gli sembra di aver scorto, nei suoi occhi, della tristezza? Deve esserselo sicuramente immaginato. «E io non so che farmene di una famiglia così» conclude con rancore. Poi il suo fiato si spezza e si gira verso Harry, i loro sguardi si sfiorano e i suoi occhi si dilatano rendendosi conto di ciò che ha appena detto. Si porta una mano alla bocca vergognandosi, rapida si incammina verso la folla desiderando che questa la inghiottisca.

Si rannicchia contro una parete e comincia a singhiozzare nascondendo il capo contro le ginocchia raccolte. Ha fatto una figura meschina, come, come ha potuto dire una cosa del genere davanti a Harry? Dopo quella scenata non le avrebbe più rivolto la parola, si sarà sicuramente pentito di essere venuto con lei. Il cuore della ragazza sembra incapace di battere regolarmente, il battito è sofferente, singhiozzante come lei; se non avesse incontrato Bellamy… Dovrà rinunciare all’ex gryffindor ancora prima che possa esserci una possibilità concreta, ma forse – mormora malevola una vocina interiore – non c’è mai stata, ne mai ci sarà; non per una come lei.
«Pansy! Godric ti ho trovata!».
Harry sospira di sollievo; come se n’è andata le è stato subito dietro, l’ha persa per qualche istante in mezzo alla calca di ospiti ma ora è riuscito a ritrovarla. Le si fa accanto e il suo stomaco si rimescola afflitto nel vederla così fragile. Le accarezza il capo con attenzione.
«Pansy guardami», ma la ragazza scuote il capo senza azzardarsi a sollevarlo. È testarda, ma Harry, se possibile, lo è ancora di più.
«Per favore, non ho intenzione di lasciarti così. Guardami, parlami...»; l’auror sta andando leggermente nel panico, sta quasi pensando di sollevarla di peso e smaterializzarsi quando, senza alzare la testa, la sente mormorare:
«Dovresti lasciarmi perdere invece, non faccio altro che ferirti».
Harry resta impietrito a quelle parole, si sente scosso nel profondo. Non gli piace vederla così, non gli piace vedere Pansy così… .
«Che stai dicendo?».
Mesta la medimaga solleva il volto e lo guarda con occhi arrossati ed emozionati, mentre lui la osserva incapace di comprendere il miscuglio di sensazioni che gli si agitano dentro.
«Che sono una persona meschina! Ti volevo dare in pasto ai Mangiamorte ad Hogwarts e poi ti sbatto in faccia che vorrei non avere la famiglia che ho, quando tu… tu…» la voce scivola bassa e sepolcrale, ma si interrompe perché Harry l’afferra e l’abbraccia stretta.
La mora sa che non dovrebbe, eppure si aggrappa a quelle spalle, sollevata, le dita afferrano grate la giacca e la stringono sconvolte; assapora il suo profumo fresco ma scuro, virile.
«Non lasciarmi», le sussurra dolcemente prima di smaterializzarsi entrambi.

Avere Pansy tra le braccia lo sconvolge in modo inaspettato, un lungo e sottile brivido gli percorre le membra, un tepore gli si propaga dal centro. Quando lei si scosta, retrocedendo, Harry è costretto a trattenersi ed imporsi calma per non afferrarla e riportarla dov’era. La sua reazione lo destabilizza: mai ha provato una sensazione tanto totalizzante quanto impulsiva.
«Dove siamo?» domanda la ragazza cercando di sistemarsi i capelli e il trucco con gesti nervosi.
«A Londra», l’auror le prende la mano, in automatico quasi senza accorgersene, mentre Pansy si lascia nuovamente guidare, emozionata ma senza osare a sciogliere quell’intreccio, che lei trova perfetto.
Dopo qualche metro i due raggiungono un piccolo locale che si rivela essere la pasticceria preferita dall’ex gryffindor: piccola, elegante ed intima.
I due si siedono in uno dei tavoli in legno imbiancati in fondo alla stanza e ordinano del tè caldo insieme ad una fetta di dolce, Pansy è piacevolmente sconvolta dalla varietà delle torte che servono.
«Ti va di parlarne?» chiede cauto Harry dopo essere stati serviti.
La ragazza si concede un altro piccolo boccone della sacher che ha scelto, prima di annuire.
«Mia madre era un Burke, da quanto so era la prediletta di mia nonna – Salomé – e fino a quando non morì, poco prima di iniziare Hogwarts, passavo spesso le mie giornate a Burke Mansion in compagnia di Bellamy e Winnie, sua sorella. Per me Bellamy era come un principe – un lieve sorriso nostalgico increspa le sue labbra – eravamo molto legati. Dopo la morte di mia madre, nonna decise che per lei restare lì era troppo doloroso e così si portò dietro il resto della famiglia, mio zio Tobias non ebbe obiezioni e si trasferirono in Francia. A quel tempo, nei circoli Purosangue, iniziavano a circolare le prime notizie riguardo il S-Signore Oscuro e loro non volevano più essere coinvolti». Harry ascolta in religioso silenzio, avverte però una sensazione di disagio, intuisce che ciò che gli sta raccontando non è che il preambolo e difatti quel sorriso malinconico muta in una smorfia sardonica.
«Devi capire che per mio padre, io, non sono mai stata altro che un investimento. Qualcosa da mettere a frutto, un mezzo» Pansy solleva appena le sue iridi chiare, timorosa di scorgere del biasimo in quelle smeraldine e vive di Harry, ma lui sostiene il suo sguardo, invitandola con un cenno a proseguire.
«Beh per tagliare il becco all’ippogrifo, quando ero all’ultimo anno mi combinò un matrimonio con uno dei Mangiamorte più vicini a-a Lui… - Harry inghiottì a vuoto, un moto di velenosa rabbia si agitò in lui – terminato l’anno mi sarei dovuta sposare; per mesi l’ansia mi ha divorato, non riuscivo a mangiare, dormire era impensabile, senza contare che la situazione a scuola era terrificante anche per noi slytherin. Io non vedevo via d’uscita, davvero Harry, io- io non sapevo che fare» friziona incontrollata le mani fra loro al ricordo di quel periodo della sua vita, osserva poi con piacere la mano di Harry che, gentile, copre le sue come a volerla rassicurare.
«Dopo aver parlato con Draco e Theo, decisi che non potevo più restare in quel limbo: così preparai una pozione che mi provocò degli effetti abbastanza forti da obbligare Piton a farmi ricoverare al St. Mungo»; «Pansy».
«Non volevo farmi davvero del male, volevo solo del tempo per per capire cosa fare! Avevo scritto una lettera a mia nonna, spiegandole la situazione, pregandola di proteggermi, di permettermi di raggiungerli in Francia e stare con loro. – abbassa il capo come sconfitta da quel ricordo, Harry le stringe le mani con la sua, comprensivo – Non mi rispose. Io non so il motivo, ma attesi in quel letto di ospedale invano, in un loro cenno – ridacchia senza allegria – e invece venne Eliza in mio soccorso. Capì subito il mio assurdo piano, ma contrariamente a quanto pensassi mi offri protezione. Disse che il mio patetico tentativo aveva dimostrato che avevo delle doti interessanti per una carriera in medimagia e così mi aggrappai a quello spiraglio, poi tu e la guerra avete fatto il resto» termina la sua storia con un sorriso desolato ma sente di aver fatto bene a raccontarla.
«Mi dispiace Pansy per quello che hai passato, davvero.», lei annuisce piano, sa che è sincero lo può scorgere nel suo volto aperto e nel suo sguardo intenso. Si chiede se Harry sia consapevole di quanto possa essere profondo il suo sguardo.
«E’ troppo strano da parte mia dire che nonostante tutto sono contento che tu sia rimasta? Non avrei avuto modo di conoscere la vera Pansy se tu fossi andata in Francia», ridacchia impacciato lui, grattandosi nervosamente i folti capelli. L’ex slytherin cerca di nascondere l’espressione lusingata che le fa tingere di porpora le guance.
«Non mi porti rancore per quello che ho detto prima della battaglia?» mormora piano, la paura che le resta impigliata fra il cuore e la gola.
Harry si sporge verso di lei, cercando un contatto di sguardi.
«No. Stavi cercando di preservare te stessa, fossi stato al tuo posto chi può dire cosa avrei detto o fatto? Sto cercando di smettere di giudicare senza conoscere. E questa sera tu mi hai aiutato a capire, grazie per aver condiviso il tuo passato con me» le dice serio.
La mora si perde nei suoi occhi, mentre il cuore è completamente rapito dal ragazzo che le sta di fronte; non è una semplice cotta. La consapevolezza le arriva piano, cheta ma inesorabile, non è più una semplice cotta, è diventato qualcosa di più profondo, ora lo sa con certezza.

_______________________________________________________________________________________
Con calma ma si va avanti, lenta ma inesorabile! Eccoci qui con un nuovo capitolo, in cui viene svelato il passato di Pansy e per fortuna che non volevo creare drammi, ma ho pensato che nonostante tutto le vite degli slytherin non dovessero essere state così semplici, d'altronde erano ragazzini incastrati in una società elitaria alquanto rigida se non settaria. Mi sono sempre chiesta come potesse essere la vita dall'altro lato della barricata, magari sono andata un po' oltre ma questo è ciò che ne è uscito.
Bellamy Burke è un mio carissimo OC, così come l'intera famiglia Burke che prima o poi mi piacerebbe far comparire, ma non in questa ff. Chissà progetti in cantiere ce ne sarebbero.

Tengo a sottolinare che Pansy non aveva intenzione di farsi del male, ma voleva - almeno apparentemente, anche solo per un po' - uscire dall'ambiente opprimente che vigeva ad Hogwarts e casa sua, con quello che la aspettava lì, non era per lei un rifugio sicuro. Spero vivamente che possiate comprendere quanto sto dicendo.

Grazie a chi è giunto fino a qui e a chi vorrà lasciarmi un commento anche piccolino su questa storia! Ci si vede al prossimo capitolo!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=4010628